Destini di vetro

di Keiko
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Più pesante del cielo ***
Capitolo 2: *** Con gli occhi chiusi ***
Capitolo 3: *** O sei dentro o sei fuori ***
Capitolo 4: *** Dove nessuno ti troverà ***
Capitolo 5: *** Giuro di dire la verità ma tu non credermi ***
Capitolo 6: *** Nessuno si salva da solo ***
Capitolo 7: *** A un cerbiatto somiglia il mio amore ***
Capitolo 8: *** Cosa tiene accese le stelle ***
Capitolo 9: *** Come doveva finire ***
Capitolo 10: *** Che ne sarà di noi ***



Capitolo 1
*** Più pesante del cielo ***


A Sweet Revenge © [14/05/2011]
Disclaimer. Gli Avenged Sevenfold (M. Shadows, Zacky Vengeance, Jimmy "The Rev" Sullivan, Synyster Gates e Johnny Christ), Valary e Michelle DiBenedetto, Gena Pahulus sono persone realmente esistenti. I personaggi originali non sono ovviamente persone realmente esistenti, ma semplice frutto della mia immaginazione. La storia è frutto di una narrazione di PURA FANTASIA che mescola la mia visione di fan a eventi storicamente accaduti e rumors spulciati in rete, destinata al diletto e all'intrattenimento di altri fans. Non si persegue alcun intento diffamatorio o finalità lucrativa. Nessuna violazione dei diritti legalmente tutelati in merito alla musica ed alla personalità degli artisti succitati si ritiene dunque intesa.

Note alla storia.
Destini di vetro" è il naturale sequel de "Il peso della farfalla". Le due storie possono essere lette in modo indipendente l'una dall'altra, fermo restando che "Il peso della farfalla" si colloca temporalmente due anni prima rispetto alle vicende narrate qui di seguito. Va da sé dunque, che per comprendere le relazioni tra i personaggi, potrebbe essere piacevole leggere anche la prima storia dedicata alla serie (^^)


A tutte voi, che mi avete dato il pretesto per scrivere questa storia,
e a Judy,
senza la quale Holly non sarebbe mai nata, in un pomeriggio di delirio davanti ad una cioccolata calda
(e per il resto, sai benissimo il perché )
 
Grazie
 
 
 

Huntigton Beach, 2001



 
La vita non è mai lineare né dolce né delicata. A indorare la pillola amara della crudeltà dell’esistenza sono solo gli uomini, molto più spesso le donne. I primi hanno la tendenza a raccontarsi bugie, le seconde a raccontarle agli altri e, più raramente, a sé stesse.
Conoscono troppo bene la spietata freddezza di un tradimento, l’ardore di una gelosia dilaniante, il prezzo di lacrime di rabbia gioia dolore.
Holly aveva imparato tutte quelle cose troppo presto, facendo i conti con sé stessa in una camera di cui Matt prendeva in giro i peluche ammucchiati ai piedi del letto e la collezione di bambole inquietanti a cui aveva dato inizio un sonnolento sabato pomeriggio in compagnia di Zacky. Aveva dovuto fare i conti con la realtà dei fatti, con l’evidenza che il cordone ombelicale che la imbrigliava non sarebbe mai riuscita a reciderlo in modo netto.
Non restando ad Huntington Beach, almeno, con il suo vicino di casa – il ragazzo di cui era innamorata, che aveva creduto di poter cancellare e invece aveva stretto con ulteriore forza il lazzo attorno al tuo cuore – che lanciava sassi alla sua finestra nel cuore della notte e dopo cinque minuti la costringeva a farlo entrare in camera sua. Perché non riusciva a dormire. Perché aveva voglia di parlare o guardare un film già visto mille volte in compagnia. Perché aveva voglia di stare con lei e basta, quando non c’erano motivi apparenti. Quando la vita ti porta a crescere, le strade prendono direzioni differenti e si allontanano inevitabilmente.
Matt non riusciva a comprenderlo e nemmeno ad accettarlo, per quel motivo aveva stretto la presa per evitare che se ne andasse, lasciandolo lì, senza un appiglio sicuro al quale aggrapparsi durante i giorni di tempesta.
Matthew Sanders era un tipo dannatamente abitudinario: stessi amici da quando aveva dodici anni, stessa fidanzata da quando ne aveva diciotto, stessa vicina di casa da quando era nato, stessa voglia di alzare le mani ogni volta che incontrava qualche testa di cazzo sulla sua strada.
Holly pregava solo che Val o la musica lo portassero il più lontano possibile da lei, perché era palese che prima o poi sarebbe esplosa: non aveva affatto fiducia nel suo autocontrollo, arrivata a quel punto della sua esistenza.
Ad essere sincera, nutriva dubbi su una serie infinita di cose che la riguardavano, ma preferiva ignorare la voce petulante che scaturiva dalla sua testa in attesa di sbattere il naso contro il muro del “e adesso sono cazzi amari”.
Si era impegnata con tutta sé stessa nel tentativo di lasciarsi alle spalle la cotta per il suo cupo vicino di casa, svendendo persino il suo regalo di compleanno e sforzandosi di vivere una vita che fosse solo sua, in cui le interferenze dall’utero fossero ridotte ai minimi termini.
“Matt, non è che potresti alzare il tuo adorabile culo dal mio pouff e lasciarmi dormire in santa pace?”
“Devi fare qualcosa domani mattina? Dai Holly, ti sei diplomata cazzo, che ti frega di andare a letto così presto?”
“Val non c’era stasera?”
“Usciva con Michelle e le loro amiche, saranno a far casino da qualche parte.”
“E tu non potevi uscire con i tuoi amici?” l’aveva rimbeccato lei, strappandogli dalle mani il cubo di Rubik che Matt stava inutilmente tentando di ricomporre.
“Ehi, genio, ci metterai una vita a trovare la soluzione. Vieni qui per sentirti stupido?”
Holly lo prendeva sempre in giro, non gli aveva mai perdonato il fatto di aver mollato la scuola senza provare ad arrivare alla fine. Poteva avere tutta la musica del mondo in testa, ma Olivia era stata abituata al fatto che i sogni erano il carburante della vita, e pochi erano quelli che – nell’arco di una sola esistenza – riuscivi davvero a realizzare senza il talento, la passione, le basi necessarie ad affrontare i problemi e una discreta dose di buona sorte.
Magari ti illudevi di farlo, ma poi ti accorgevi che non erano davvero sogni, ma sfizi che – una volta raggiunti – non ti davano nessun tipo di appagamento.
Holly aveva intuito che qualcosa – nella retorica dei sogni – entrava in netto contrasto con la loro consistenza quando aveva appeso al chiodo la chitarra. Aveva imparato a suonarla con Matt, stressandolo quotidianamente per imparare tre striminziti e ridicoli accordi per poi starsene ore a guardare rapita le dita di Zacky e Brian scivolare via veloci sulle corde.
La chitarra non era il suo strumento, dunque, ma un pretesto per essere un po’ più felice, per ritagliarsi un angolo di vita che fosse solo suo e di Matt.
Quando alle lezioni di Matt si erano uniti anche Zacky e Brian, il sogno si era trasformato in incubo sotto le continue frecciatine di Brian che le faceva notare – con la grazia di un ippopotamo in una cristalleria – come le sue dita fossero troppo corte per potersi muovere in tempo sulle corte.
Bastardo.
Accantonata l’idea di formare una band femminile con Dakota – scartata nel medesimo istante in cui la sua migliore amica le aveva proposto una band revival Anni Ottanta proponendosi come tastierista –, Holly aveva assecondato il suo egocentrismo da casinista prendendo lezioni di canto, con qualche risultato in più e l’assoluta vittoria morale su Matt.
“Sbaglio o non mi vuoi tra i piedi stasera?”
Matt l’aveva fissata ridendo, sfogliando la biografia di Maria Antonietta D’Austria presa dall’infinita libreria della camera della ragazza. L’avevano montata insieme, mensola dopo mensola – negli anni – in una serpentina che tagliava due pareti della stanza in un’infinita corsia di biografie, romanzi e libri d’arte e di storia.
“Sei davvero decisa?”
“A fare cosa?”
“A iscriverti all’università? Nessuno di noi lo farà.”
Holly si era lasciata cadere a peso morto sul letto, i piedi puntellati sul bordo e il mento appoggiato alle ginocchia strette al petto, cinte dalle braccia nude in una torrida nottata estiva.
“Matt io non resterò ad Huntington Beach tutta la vita. Il mondo è pieno di cose da vedere e scoprire, che senso ha restare qui, dove l’oceano è sempre uguale a sé stesso e Hollywood è sempre così vicino? I turisti adorano Hollywood perché la vedono una sola volta nella vita, per me che l’ho avuta sempre vicina ha perso attrattiva. Se non vado all’università cosa faccio? La cassiera al supermercato o la parrucchiera come Dakota? Quello è il suo sogno, non il mio.”
“Ci sono mille cose che potresti fare restando qui, Holly.”
“E milioni che posso fare andandomene. E comunque non è detto che accettino la mia richiesta di iscrizione, no?”
Meschina, ecco come si sentiva: schifosamente sporca e stronza.
“Sei troppo intelligente perché non ti prendano.”
Matt aveva messo il broncio, come i bambini. Quando corrucciava il labbro inferiore, lo sguardo chino su un libro di cui non gliene fregava assolutamente nulla, era il momento per Holly di ammorbidire i toni.
Almeno sino a quando lo richiedeva il copione, e in quell’istante era ben decisa a non farsi fottere dai clichè collaudati della loro esistenza.
Aveva deglutito, e il suono della sua saliva contro la gola era stato sordo e dirompente: l’aveva sentito anche lui?
Aveva sollevato lo sguardo verso l’alto – verso Matt -, così come fanno i cuccioli quando sanno che arriverà il rimprovero da parte del proprio padrone, poi era tornata fissare un punto imprecisato davanti a sé.
“Non sparisco solo perché c’è uno stato a dividerci, Matt. Non penserai che vivremo in eterno uno accanto all’altra, no?”
No?
Sarebbe da squilibrati, e si, tu lo sei. Ma non sino al punto da non comprendere una verità tanto ovvia, spero.
“Si che lo so” aveva sbuffato in risposta il ragazzo, recuperando di nuovo il cubo di Rubik e gettandosi sul pouff con aria assorta, dandole la schiena.
“Sei venuto qui per farmi compagnia o per perderti dietro il mio cubo?”
La vibrazione del cellulare di Holly aveva distolto l’attenzione di entrambi da un silenzio che poteva risultare non imbarazzante ma soffocante - dopo essersi visti girare per casa in mutande sino a quando la decenza della pubertà di Holly lo poteva permettere, considerando che Matt la parola pudore non la conosceva neppure, l’imbarazzo non l’avevano mai davvero sperimentato –, salvandoli da un secondo round non troppo differente dal primo.
“Ciao Jimmy! Si sono a casa con Matt. Ha deciso di diventare un complemento d’arredo della mia camera: si intona perfettamente con il mio pouff zebrato. Quello che ha preso per il culo con Zacky per un intero pomeriggio, se te lo stai chiedendo.”
Holly era scoppiata a ridere, prima di allungare il telefono al ragazzo.
“Vuole parlarti.”
“Non poteva chiamare direttamente me?”
“E che ne so? Chiedilo a lui, no?”
Matt l’aveva ignorata, portando all’orecchio il telefono udendo in sottofondo le risate dei ragazzi.
“Ma dove cazzo siete? Stasera avevamo deciso di ammazzarci di noia a casa o sbaglio?”
Holly non aveva udito la risposta di Jimmy, ma dal vaffanculo di Matt poteva intuire senza sforzo le battute dall’altro lato del telefono.
A Holly Matt faceva tenerezza. A diciassette anni e mezzo poteva dire che l’uomo di cui si era innamorata era dolce, un bambino nel corpo possente di un adolescente. Forse quell’aura solitaria l’aveva portato a selezionare gli affetti con attenzione e lei era felice di farne parte, perché Matt aveva il potere di farla sentire bene, sempre. Anche quando si sentiva sbagliata, lui la faceva sentire giusta. Matt era un sogno irraggiungibile, di quelli che ti servono per andare avanti giorno dopo giorno quando non hai una meta più importante da raggiungere.
Ti costruisci sogni impossibili perché così non mollerai mai e non ti farai mai schiacciare, se sei un tipo combattivo.
Ci sono persone che macinano odio per andare avanti nella vita, altre macinano sogni.
Holly aveva realizzato la più dura delle verità quando aveva assaporato il profumo di un sogno più grande, di un qualcosa che avrebbe sconvolto la sua vita e le avrebbe permesso di mettersi in gioco, di poter dimostrare che valeva qualcosa.
Aveva rispolverato un sogno, di quelli che dimentichi in un cassetto e con i quali convivi inconsapevolmente ogni giorno della tua esistenza, con la devozione cieca di un amanuense intento a creare miniature in onore del proprio dio.
Un qualcosa che amava sin da bambina, che le era entrato nel cuore nello stesso istante in cui l’aveva fatto Matt: se lo ricordava ancora, quel pomeriggio d’estate davanti alla televisione, seduti entrambi a gambe incrociate sul tappeto di casa Sanders a guardare Indiana Jones e l’ultima crociata.
“Matt! Matthew! Voglio diventare come lui!” aveva strillato lei conficcandogli le dita nella carne del braccio.
“E’ un maschio Holly, tu sei una femmina. Le femmine non si mettono quella roba addosso e non vanno in giro per il mondo da sole.”
Dall’alto dei suoi otto anni, Matthew aveva dalla propria parte l’inconfutabile verità secondo cui le donne erano tutte mamme, sorelle e compagne di scuola.
Holly, dalla propria, aveva invece quella che per diventare come Indy aveva bisogno di un padre fuori dal comune – e quindi partiva già zoppa su quel lato -, di un cuore da leone e l’ingresso nei boy scout. Scartata anche l’ultima ipotesi, che le faceva venire la pelle d’oca al pensiero, Holly partiva pressoché in ginocchio sulla linea di partenza.
Sconfitta?
Olivia Bridges non si arrendeva mai. Dunque le restava ragionare sulla frase di Matt: chi l’aveva detto che solo i maschi potevano fare certe cose?
“Che hai da ridere?”
Matt l’aveva riportata al presente, e lei gli si era avvicinata sollevandosi in punta di piedi e scoccandogli un bacio affettuoso sulla guancia ruvida di barba.
“Vai dagli altri?”
“Faccio un salto al pub, vieni con me?”
“No, passo. Mi infilo a letto, ci sentiamo domani okay?”
“Non mi hai detto perché ridevi.”
“Perché è sempre colpa tua, Sanders. Ricordalo: qualsiasi cosa accada, sappi che tu ne sei il diretto responsabile.”
“In tutto il mondo, per caso?”
“Sempre il solito megalomane. No, limitati ad Huntington Beach, okay? Salutami gli altri.”
Gli aveva sorriso guardandolo saltare senza troppi problemi fuori dalla finestra, un metro e mezzo scarso da terra del piano rialzato.
L’aveva osservato girarsi per salutarla, poi aveva tirato le tende ed emesso un lungo sospiro, lo sguardo puntato sulla busta nascosta sotto pile di libri qualche istante prima dell’irruzione di Matt.
Non aveva avuto il coraggio di dirglielo, perché un cuore – dopo tutto – lo aveva e se era decisa ad andarsene lasciandosi alle spalle la sicurezza del suo mondo, dall’altro lato doveva fare i conti con l’espulsione da un utero condiviso con altri scomodi coinquilini da quando ne aveva memoria.
Vivevano in un utero in affitto e lei era la prima ad andarsene, staccandosi dalla placenta calda di Huntington Beach.
Decidere di farlo era facile, farlo davvero un altro paio di maniche.
Ma quando hai tra le mani il lasciapassare per il tuo futuro, che senso hanno i sentimentalismi?
Tutto il senso del mondo, se non hai nemmeno diciott’anni e non riesci ancora a comprendere se quello che definisci sentimentalismo è solo una patetica rimostranza della tua infanzia o se invece, è la dimostrazione di quanto forti e inviolabili siano certi legami.
 
 
 
Dakota sedeva sulla staccionata che divideva il marciapiede dalla spiaggia, il via vai di turisti, bambini e surfisti a nausearla.
“Perché non gliel’hai detto?”
“Come potevo fare? Ha iniziato con una serie di domande idiote, come se…”
“… Se non volesse che partissi?”
“Esatto.”
Holly aveva sospirato, addentando la punta del ghiacciolo alla menta che teneva tra le mani.
“Secondo me non ha capito un cazzo dalla vita. Ma sei davvero decisa ad andare? Sarai a New York, da sola, in mezzo a gente che non conosci. Okay, tu non hai certo problemi a socializzare, in genere i problemi e le persone vengono calamitate da te in modo del tutto naturale. Per cui combinerai qualche casino e tutti ti adoreranno.”
“Dakota non farti film mentali sulla mia vita, grazie. Devo cercare di dire ai ragazzi che a ottobre me ne vado.”
“Non ci hai pensato due volte a dirlo a me, eh.”
“Mi stai accusando di fare differenze? Tu mi capisci, non ho bisogno di darti giustificazioni. Per Matt è normale chiedermi che senso ha andare all’università visto che loro non ci vanno. Cioè, capisci come ragiona? Quello si aspetta che tra vent’anni io sia ancora qui ad Huntington Beach, nella casa accanto alla sua con mio marito e i miei figli!”
Dakota era scoppiata a ridere, arrotolandosi sul dito indice una ciocca di capelli, nervosa.
“Tipico di Sanders. Mi mancherai, lo sai?”
“Sono vicina, da New York faccio in fretta a tornare a casa.”
“Ti troverai un’altra migliore amica?”
“Ma sei scema? Esistono i telefoni, i cellulari e le e-mail. Ci sentiremo ogni giorno. Promesso.”
“Sicura?”
“Sicurissima. Ti lascio in buone mani, con Johnny.”
“Si ma guarda che fare casino senza di te non sarà la stessa cosa. Quest’estate dobbiamo divertirci al massimo. Voglio che sia l’estate più bella e fantasmagorica della storia. Dobbiamo ricordarcela tutta la vita. Deve essere una di quelle di cui, a sessant’anni, ricorderemo ogni dettaglio.”
Mentre lo diceva, però, Dakota piangeva, e Holly era scesa dal proprio posto stringendola tra le braccia. Chiunque, a vederle, avrebbe giurato che la bionda era stata scaricata dal fidanzato di turno, e che a diciotto anni gli adolescenti fanno di ogni cosa un dramma.
Nessuno, invece, avrebbe mai creduto che quella era stata la dichiarazione d’amore più bella che Holly avesse mai sentito in tutta la sua vita.
Per quello, stretta a Dakota, guancia contro guancia, piangevano in silenzio mentre Huntington Beach viveva la sua estate nel casino dell’arsura californiana.
L’estate dei suoi diciassette anni e mezzo sarebbe finita con l’addio più desolante e triste di tutta la sua esistenza.
 
 
 
“Cazzo cazzo cazzo!”
La voce di Zacky, dall’altro capo del telefono, aveva indotto Holly a dubitare della propria sanità mentale.
“Che succede?”
“Abbiamo il contratto Holly!”
La ragazza aveva fissato il display del telefono, il nome di Matt a caratteri cubitali impresso sul video.
“Mi spiegate cosa cazzo sta succedendo?”
“La Goodlife ci fa firmare il contratto, stiamo andando a Los Angeles per vedere di che si tratta.”
“Scusa Matt, che cazzo è la Goodlife?”
“Una casa discografica, no?”
“Mai sentita. Sicuri che non vi abbiano chiamati per fregarvi anche le mutande? Tipo quei tizi che ti chiamano per farti fare la modella e poi ti vogliono vendere enciclopedie?”
Matt era scoppiato a ridere, mentre la voce degli altri tre si era unita in un coro dalla dubbia moralità.
“Stai guidando tu?”
“No, Zacky.”
“Non mi prendere per il culo, guidi sempre tu Matt. Gradirei non avervi sulla coscienza, odio dover pensare di essere perseguitata per il resto della mia esistenza dai vostri fantasmi.”
“Cazzo Holly, potresti essere un po’ più entusiasta? Sembri una cazzo di frigida!”
Zacky aveva sempre una parola carina per lei, di quello doveva prenderne atto.
“E tu un cazzo di demente. Mi hai assordata prima. Quando vedo il contratto vi preparo cupcake a volontà, così ti dimostro amorevolmente il mio entusiasmo, no?”
“Come minimo ci avvelena.”
“Brian fottiti, ti ho sentito.”
“Mi passate il telefono?”
Casino in sottofondo, poi di nuovo la voce di Matt.
“Allora, che te ne pare?”
“Se non è una fregatura è una figata pazzesca Matt. Significa che siete a cavallo.”
“Significa che siamo dei fottutissimi idoli.”
“Dei fottuti geni” era stata l’eco della voce di Zacky, indubbiamente seduto accanto al cantante.
“Allora merda, e fammi sapere come va appena avete fatto, okay?”
“Okay, ora avverto Val. Ci hanno chiamato questa mattina e visto che oggi avevano un paio d’ore disponibili andiamo a dare un’occhiata.”
“A dopo allora.”
Di tutto quello che poteva pensare, l’unica cosa che le veniva in mente era che la sua accettazione alla Columbia University si trovava sulla sua scrivania da prima del diploma e non aveva ancora avuto il coraggio di dirlo a nessuno. Aveva fatto giurare sua madre e Dakota di non rivelare a nessuno della cosa sino a quando non avesse trovato l’occasione propizia per farlo.
Ogni tentativo si era rivelato fallimentare per i più svariati motivi, e a ridosso della fine di giugno, ancora non sapeva come dire che, a settembre, sarebbe volata a New York per passarci i prossimi cinque anni della propria vita.
Avrebbe voluto parlarne almeno a Jimmy, ma aveva lasciato cadere la cosa anche con lui: preferiva levarsi il dente una volta per tutte quando si fossero ritrovati insieme a fare casino, ma il problema era che nelle ultime settimane sembrava impossibile farlo.
Era la sfiga a fregarla?
In genere era lei che, con un tempismo perfetto, mancava sempre ai raduni a casa di Matt. Jimmy si era persino preoccupato, chiedendole se fosse tutto okay, e non era del tutto certa di essere sincera con sé stessa quando negava sorridendo.
La verità era che stava temporeggiando come il peggiore dei codardi.
Ed ora che c’era un contratto in ballo, con che coraggio sarebbe andata dai ragazzi dicendo loro che sarebbe partita? A chi, soprattutto, poteva fregare qualcosa, quando il loro sogno si stava finalmente realizzando?
 
 
 
Aveva rimuginato sul da farsi, poi aveva sparato il colpo che aveva in canna quando la birra aveva preso a scorrere da ore e nessuno di loro era propriamente lucido. I festeggiamenti per la firma del contratto, e l’imminente incisione del primo cd dei ragazzi, le erano venuti in soccorso.
“Anch’io ho una novità: mi hanno preso alla Columbia! A ottobre me ne vado a New York ragazzi!”
Holly si era sollevata in piedi sul muretto, incerta sulle scarpe da ginnastica sporche, alzando la bottiglia di birra verso il cielo stellato.
Di tutte le reazioni che poteva prevedere, però, non aveva calcolato che a quei cinque idioti venissero a mancare le parole.
Avevano sempre qualcosa da dire su tutto, anche quando non richiesto: che cazzo di senso aveva tacere proprio in quel momento?
“Troppo entusiasmo ragazzi, potrebbe ammazzarvi, eh.”
“Quando parti?”
La domanda di Zacky era stata seguita da un sonoro rutto e da uno sguardo curioso, e Holly si era sentita un po’ meno testa di cazzo, in quel momento.
“A fine settembre, i corsi iniziano a metà ottobre ufficialmente, ma le prime due settimane ci saranno varie lezioni di start up a cui mi piacerebbe partecipare.”
“Prima della tua partenza allora dovremo fare un concerto e una festa d’addio con i contro cazzi.”
Il sorriso di Jimmy – e la prontezza con cui aveva tentato di cancellare il silenzio che proveniva da Matt – erano rassicuranti.
“Dai cazzo, ma quindi diventerai archeologa davvero? Non ci avrei scommesso nemmeno un dito, lo sai?”
“E perché?”
“Secondo me lontana da Huntington non reggi nemmeno due mesi”, aveva scoccato secco Brian.
“Giusto, sai quanto ti romperai le palle senza di noi?”
Ad Holly stava venendo una gran voglia di piangere e basta, in quel momento: rendersi conto di quello che stava perdendo era un colpo al cuore che non prevedeva cure.
Colpita e affondata, la piccola Olivia, schiacciata dal peso di un addio che non avrebbe mai voluto dare. Colpita e affondata dallo sguardo di Zacky; dal silenzio di Matt; dalle parole di Jimmy e dal suo tacito “dopo ne parliamo a quattr’occhi”; persino dalla stronzaggine di Brian.
Holly aveva lanciato un’occhiata alla bottiglia di birra che teneva in mano, poi aveva fatto la cosa più elementare del mondo: l’aveva trangugiata tutta, sino all’ultima goccia, tutto d’un fiato.
E quando decideva di ubriacarsi, era per evitare di pensare, e quello sia Jimmy che Zacky l’avevano imparato da tempo.
I due si erano quindi scambiati un’occhiata complice, certi che avrebbero dovuto mettere una pezza al cratere che Holly stava per aprire tra loro a parole e gesti.
 
 
 
Holly era stata recuperata da Johnny e Dakota dopo quasi un’ora di corse e rincorse per lo skate park. Brian era stato il primo a mollare, seguito a ruota da Jimmy; Matt aveva evitato pressoché qualsiasi cosa – persino di respirare, secondo il batterista – e Zacky era stato quindi l’unico ad avere la forza e la voglia di inseguirla nel tentativo di fermarla prima che si andasse ad ammazzare cercando di arrampicarsi lungo le pedane della pista da skate.
Erano entrambi sufficientemente sbronzi e fuori di testa da andarsi ad ammazzare insieme, quello Jimmy e Brian lo sapevano benissimo, ma Jimmy aveva anche la certezza che la loro incoscienza gli avrebbe salvato il culo come in tutte le occasioni precedenti, che erano troppe per essere elencate e che non voleva ricordare proprio in quel momento, come se Holly dovesse sparire da un momento all’altro inghiottita da un fottuto buco nero.
“Che cazzo ti sei fatto alla mano?”
“Mi è caduta addosso Holly. Ha cercato di scavalcare uno dei tubolari ed è inciampata. Così mi sono grattugiato il palmo sul cemento. Non è una ferita di guerra, Brian. Cazzo ragazzi, ma ve la immaginate Holly che se ne va?”
A Jimmy sembrava idiota, da parte di tutti loro, credere che sarebbe sempre rimasta imbrigliata nei suoi diciassette anni.
Era stupido, eppure ci aveva creduto anche lui, sino alla fine.
“Dovevamo aspettarcelo, no?”
“Tu lo sapevi?”
La domanda di Matt era arrivata a bruciapelo, diretta e cattiva nel tono impastato dall’alcol.
“Non ne sapevo nulla nemmeno io.”
“Cazzate, con te parla sempre di tutto. Potevi avvertirci.”
“Ehi Matt, se ti dico che non lo sapevo è la verità. Che motivo avrei di prenderti per il culo?”
Il cantante si era stretto nelle spalle, tornando a fissare il parco avvolto dal silenzio della mezzanotte inoltrata, le luci soffuse dei lampioni a rischiararne i confini a giorno.
C’erano solo loro, lì, seduti ai piedi di un muretto a rivangare ricordi nel tentativo di comprendere quale fosse il motivo della scelta di Holly.
Era tutto elementare e logico, ma non per loro: per loro era un tradimento, un addio, una pugnalata alle spalle.
Non pensavano mai che potesse soffrire per una battuta di troppo, che potesse avere altre opinioni o pensieri, che potesse coltivare altri desideri che non seguirli in giro per i locali degli Stati Uniti durante i concerti.
Holly ci aveva provato a farglielo capire, che tutto l’affetto e l’amore del mondo non potevano abnegarla sino a renderla un fottuto zerbino, e si era sempre sforzata di essere coerente con sé stessa. Quando provavano, passava ore a leggere e sottolineare libri di storia fregandosene del casino che facevano loro: erano insieme, ma lei era chiusa in un mondo a parte.
Andava bene così, però, perché Holly – da quando ne avevano memoria – si era sempre comportata nel medesimo modo. Il primo violento, disastroso scossone alle loro certezze lo aveva dato durante il loro primo concerto ufficiale, quasi due anni prima: li aveva messi davanti all’evidenza del fatto che lei era una donna, non un ragazzo.
Ne avevano preso atto dopo una rissa, scazzi, illusorie risoluzioni e un compleanno finito con Zacky e Holly intenti a rotolarsi sulla spiaggia, in una stupida gara a chi sarebbe arrivato prima al mare, e avevano quindi liquidato la cosa.
Holly restava Holly anche con la minigonna, dopotutto: cambiava la forma, ma la sostanza era rimasta sempre inalterata.
Avevano imparato a vivere in simbiosi, quasi, in un’osmosi di caratteri differenti che aveva formato un unico, grande essere.
Una famiglia in sostituzione a quelle che li attendevano a casa: si erano scelti, senza legami di sangue a imporre condizioni e sentimenti. Era stata tutta questione di affinità elettive, come adorava definirle Holly.
“Cazzo, ma quindi non ci sarà ai prossimi concerti? Io speravo ci desse una mano… Sarà una noia senza di lei. Che palle, ma perché è così tanto fissata con quelle menate da Indiana Jones?”
“Ti fai ancora queste domande? Quando l’abbiamo conosciuta stava obbligando Matt a montarle le mensole in camera, e già all’epoca aveva libri ovunque. Lei non ha nascosto nulla, al massimo siamo stati noi a fregarcene di quello che voleva dirci.”
“Poteva benissimo decidere di restare.”
“Matt che cazzo ti prende? Non parte mica per la guerra. Va a New York, è a cinque ore di aereo da qui.”
Brian aveva ingollato un sorso di birra, prima di riprendere la parola.
“Secondo me ne stiamo facendo un dramma senza senso. E’ grande e vaccinata, è libera di fare quello che vuole. Cosa dovremmo fare, chiuderla su un mini van e portarcela in giro a forza mentre ci facciamo il culo per promuovere il disco? Tra cinque anni, se le cose andassero di merda, di chi sarà la colpa della sua infelicità? Io non la voglio, se volete rapirla sono cazzi vostri poi.”
Brian era affezionato a Holly, ma possedeva l’oggettività di un coinvolgimento emotivo estemporaneo: erano si cresciuti insieme, ma aveva avuto la fortuna di starsene lontano da Huntington Beach il tempo sufficiente per rendersi conto che negli ultimi quattro anni, Holly era diventata un’altra persona.
Non era più una bambina, aveva degli obiettivi come ogni persona adulta; aveva bisogno di essere capita e, a quanto pareva, l’unica in grado di farlo era Dakota.
A che cazzo servivano i migliori amici, altrimenti?
“A me mancherà un casino.”
Zacky aveva preso a parlare senza badare troppo alla forma, facendo girare sempre più velocemente il fondo della bottiglia di birra su sé stesso, tenendola per il collo.
“Che testa di cazzo.”
Zacky si era sollevato in piedi, prima di andare a pisciare nascosto dietro le siepi al di là del muretto: lui, una vita senza la metà perfetta con cui fare sempre casino, non riusciva a immaginarsela.
E si sentiva davvero un grandissimo coglione senza capirne il motivo.
 
 
 
“Perché non me ne hai parlato?”
Jimmy beveva un caffè freddo, davanti ad Holly un cappuccino di cui non aveva ancora assaggiato un sorso.
“Come facevo a dirtelo? E’ arrivata all’improvviso, è stato tutto imprevisto. Ci ho pensato a non partire, lo sai?”
“Lo sospettavo. Se è per Matt, se la caverà benissimo.”
“Lo so, c’è Val”, aveva accompagnato il nome della ragazza con un sorriso, sollevando finalmente lo sguardo su quello dell’amico.
“Matt ce la farà si, è solo talmente scemo da non capire che non muore il bene che vuoi ad una persona solo perché è lontana da te.”
“E’ sempre stato abituato ad averti intorno, per lui è più traumatico che per noi. Più o meno.”
“Grazie”, gli aveva sorriso di nuovo, stringendogli la mano nella propria, al di sopra del tavolo.
“Mi mancherai, lo sai?”
“Anche tu, piccola peste.”
“Prometto che tornerò almeno per il mio compleanno.”
“Non è una grande promessa, lo sai?”
“Date tempo anche a me. Se torno a casa ogni due mesi non finirà mai tutto questo casino. E mentre voi sarete in tour circondati da strafighe e groupie, io sarò ad ammazzarmi di studio a New York. Vi invidio, lo sai?”
“Puoi restare. Zacky si era già fatto l’idea che ci avresti seguito in capo al mondo.”
“Fa sempre i conti senza l’oste, quello”, aveva sbuffato lei con aria solenne, prima di accasciarsi contro lo schienale della sedia sorseggiando il proprio cappuccino.
Jimmy era scoppiato a ridere con quella sua voce calda e avvolgente, di quelle che ti lasciavano sempre con la sensazione di essere in pace con il mondo. Holly l’adorava, semplicemente.
“Sei sicura che non stai scappando, vero?”
“Non sono mai scappata, io.”
“Lo fai solo quando sei ubriaca, hai ragione.”
“Senti da che pulpito, eh, Jimmy. Mi prometti che terrai d’occhio quei tre scemi?”
“Visto che hai paura a mollarli qui? Cresceranno anche loro, cazzo. Non potranno restare così per sempre.”
“Sei troppo ottimista, non ci giurerei. Tra cinque anni potremmo ritrovarci qui a parlare delle stesse cose e scopriremmo che non è cambiato un cazzo.”
“Tu sarai sicuramente cambiata.”
“Chi te l’assicura?”
“Andartene da Huntington Beach ti farà caprie un sacco di cose di te stessa. Senza di noi sarai libera, Holly. Quando la tua famiglia non guarda, osi molto di più.”
“Allora tra cinque anni a questo tavolo. E vedremo quante cose sono cambiate, okay?”
Holly gli aveva teso il dito mignolo della mano destra e Jimmy, senza esitazione, vi aveva stretto attorno il proprio.
Come due bambini, la promessa di non perdersi mai.
Nemmeno nella notte più buia.
 
 
 
Aveva costretto i ragazzi ad evitare feste di addio da liceali, si era goduta la pubblicazione del loro primo album e li aveva seguiti ad ogni concerto promozionale, era scappata per un week-end a Santa Barbara con Dakota, ritornando con un invisibile tatuaggio alla base del polso destro: al di sotto dell’indice, aveva inciso un piccolo cuore identico a quello dell’amica con la parola “live”.
Erano state lacrime, in quei due giorni, un flusso di coscienza che aveva affondato le sue radici nella memoria degli ultimi sette anni e a interrogarsi su ciò che ci sarebbe stato nel loro futuro.
Avevano diciott’anni e tutta la paura di crescere.
Il peggio era venuto nell’ultima settimana in balia di saluti, lacrime e sensi di colpa – propri e degli altri -; di frasi non dette; frasi che era meglio evitare e che invece erano scappate fuori troppo velocemente per essere trattenute; gesti.
Gesti delicati, a volte troppo bruschi, ma che le avevano fatto capire che lì, sembrava dovesse finire un’epoca.
E forse era davvero così.
Matt non si era presentato all’aeroporto, ma lo sapeva: l’aveva supplicato di non farsi vedere, o non sarebbe più partita.
Nell’onestà delle sue parole non c’erano doppi fini, c’era tutta la sua fottuta paura gettata in pasto ad un uomo altrettanto spaventato: si stavano lasciando in un modo non previsto non calcolato non voluto.
In un modo triste, in un modo che non sapevano definire in alcun modo possibile: si stavano perdendo e basta, e quando perdi la metà di te stesso, hai finito di essere un qualche Peter Pan del cazzo.
O una Wendy, del cazzo.
Chi ci credeva più alle fate, ora?
L’unica cosa che le era venuta in mente la notte precedente, quando Matt era entrato per l’ultima volta nella sua stanza per salutarla, era stato di regalargli la copia sgualcita e malridotta de Il Piccolo Principe.
Matt l’aveva guardata senza capire, con aria interrogativa: non era bravo a parole e rozzo nei gesti, ma troppo trasparente perché potesse lasciarsi sfuggire il tono incrinato della sua voce.
“E’ un libro per bambini, ci sono un mucchio di disegni. Leggilo, è una bella favola. Ed è breve.”
“Sai che non leggo molto.”
“Non sei obbligato a farlo. Si è fatto tardi, Matt, è meglio che vada a dormire.”
L’aveva guardata per un istante, nella penombra rosa della stanza, e l’aveva attirata a sé cingendole le spalle con le braccia forti, come fanno i bambini quando non vogliono lasciare andare al lavoro la propria madre.
Come farebbe un vecchio frak appeso alla gruccia di un armadio impolverato, stanco e passato di moda dopo notti brave nei locali della città.
“Torno tra tre mesi.”
“Giuralo.”
“Promesso.”
Se ogni volta che doveva ripartire il risultato era lacerarsi il cuore, allora avrebbe preferito di gran lunga non rientrare affatto ad Huntington Beach per i prossimi vent’anni.
Holly aveva imparato che gli addii erano una grandissima stronzata: le persone a cui volevi bene piangevano, tu ti sentivi una merda nei loro confronti e avevi solo la voglia di abbracciarli e portarli tutti via con te e sfanculare quello che ti attendeva oltre il tuo volo aereo.
In coda verso il terminal dell’aeroporto si era resa conto di quanto il tempo scivolasse via troppo velocemente quando desideravi solo averne di più per dire ciò che sentivi e fare le cose necessarie a risistemare i pezzi disastrosi della tua vita in una nuova opera da spacciare come arte concettuale.
“Ehi scema!”
Aveva supplicato tutti di non seguirla, di non accompagnarla, di non appendere manifesti melodrammatici alle porte di casa: l’avevano capito tutti tranne Zacky, ovviamente.
“Che cazzo ci fai qui?”
“Ti ho comprato questi. E mi raccomando, attenta a come la usi quella.”
Holly aveva fissato la frusta che Zacky le aveva posato tra le mani, un cappello da ricercatore di un orrido color cachi calato sulla sua testa con la delicatezza di una sberla.
“Zacky… Hai davvero dei gusti di merda, lo sai?”
“Sei una palla, mi sono anche fatto il culo per svegliarmi in tempo e arrivare in aeroporto prima che partissi. Ho dovuto chiamare Brian perché non mi ricordavo a che ora partivi.”
“Hai messo la sveglia ad un orario a caso?”
“No, be’, indicativo.”
Holly era scoppiata a ridere, strattonandolo per una manica della felpa.
“Dove cazzo mi porti?”
“Ho un po’ di tempo ancora, mi aspetti un attimo qui? E non fregarmi il bagaglio a mano, intesi? Ci metto un attimo.”
Era riemersa tra la folla dopo sette minuti esatti, sventolando in aria una cosa non meglio identificata.
“Che cazzo sei andata a fare? Sono venuto qui per salutarti e tu mi pianti come un coglione in mezzo all’aeroporto con le tue valigie?”
“E’ per te.”
Teneva stretto tra le mani – le braccia distese dinnanzi a sé – un pacchetto avvolto in carta rosa.
Ovviamente.
“L’hai comprato adesso?”
“Si. Cioè, era una vita che volevo darti il mio ma non ne ho mai avuto l’occasione.”
“Cos’è?”
“Il motivo per cui non ci lasceremo mai davvero. Potremo stare lontani, ma non ci perderemo mai di vista.”
“Ti farai sentire, vero? Non è che sparisci davvero?”
“Non ho il dono dell’invisibilità ancora.”
Aveva lanciato un’occhiata al tabellone degli imbarchi, sospirando: mancava mezz’ora all’apertura  dei cancelli.
“E’ ora di andare.”
“Ti accompagno sino al check-in, poi ti lascio andare.”
“Non sei curioso di sapere cos’è?” gli aveva chiesto lei mentre dribblavano famiglie cariche di bagagli e bambini urlanti.
“No.”
“Quanto sei bugiardo, Zacky.”
Si erano arrestati in fila, fianco a fianco, in attesa di lasciarsi.
“Mi mancheranno le nostre cazzate. Appena torni ne dobbiamo fare una apocalittica.”
“Basta che non rischiamo di ammazzarci come l’ultima volta.”
Il poliziotto le aveva indicato di avvicinarsi e appoggiare il proprio bagaglio a mano sul rullo, e Holly aveva eseguito gli ordini per poi tornare a guardare Zacky.
“E’ ora. Ci sentiamo presto, okay?”
“Okay.”
L’aveva osservato sorridendo, poi si era sollevata in punta di piedi e gli aveva stampato un bacio sulla guancia, puntellandosi con la propria mano al suo polso.
“Non fare troppi casini, e vedi di non spezzare troppi cuori, Don Giovanni.”
“Aspetteremo a festeggiare il mio compleanno quando ci sarai anche tu, per cui vedi di tornare in tempo a Natale.”
“Aggiudicato!”
Aveva allungato verso di lui il braccio destro, il pollice alzato verso l’alto mentre la coda di persone in attesa la stava portando via, in mezzo a un flusso migratorio di corpi e sconosciuti.
Sembrava una deportata della vita, come tutti loro.
Nessuno, in quel momento, era davvero padrone degli avvenimenti: stava accadendo tutto troppo in fretta, e tutto, sembrava una corsa a ostacoli nel tentativo di agguantare il tempo perduto.
Perduto: per cosa?



Comunicazioni dell'autrice.
Innanzi tutto voglio semplicemente ringraziarvi, per il solo fatto che il vostro entusiasmo mi ha spinto e creare un sequel de "Il peso della farfalla". Il progetto è un po' più ampio, a essere onesti, ma ne parleremo a tempo debito.
Un ringraziamento particolare a Judy, as usual, per avermi anche betato il capitolo <3

Martedì partirò per Edimburgo e non sarò in Italia prima del 24/05, per cui non datemi per dispersa. Cercherò di offrirvi aggiornamenti regolari, in concomitanza con Piece e gli impegni lavorativi. Indicativamente, conto di poter aggiornare ogni 15/20 giorni.
Vi ringrazio per l'attenzione <3


Note dell'autrice (postume)
Come dissi durante la pubblicazione del primo capitolo, questa storia si colloca in un contesto un po' più ampio, ed ora è venuto il momento di svelare il mistero. "Destini di vetro" e "Freak Show" di Magical_Illusion non sono altro che i due prequel complementari della round robin che andremo a scrivere alla fine delle vicende adolescenziali dei nostri Avenged Sevenfold.
Le due storie sono assolutamente indipendenti l'una dall'altra, ma se volete sapere i retroscena della vicenda di Holly (e delle vicende di Roxy) sappiate che vi conviene leggere entrambe le storie (^^)/ Siamo diaboliche, vero? <3

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Capitolo 2
*** Con gli occhi chiusi ***


Note dell'autrice.
Qualcuno di voi forse l'avrà notato (applauso a Cherry che ci ha scoperte subito!), ma ci tenevo a sottolinearlo. Magical_Illusion ha pubblicato il primo capitolo di Freak Show, storia parallela a Destini.
Questo cosa significa?
Al di là del comprovare la nostra dubbia sanità mentale, significa che le due storie scorrono parallele (e felicemente si incastrano l'una con l'altra in una serie di missing moments), dando vita a due storie che possono essere lette sia in maniera indipendente, che concatenate.
Io ovviamente vi consiglio di leggerle entrambe, ma solo perché sono il prequel di quella che sarà la nostra futura round robin (siamo geniali, perfide e folli, we know).
Detto questo, se vi va di leggere Freak vi consiglio di leggere il primo capitolo prima del secondo di Destini, visto che ne narra il periodo di poco antecedente. Se non vi va, proseguite la lettura visto che comunque tutto sarà comprensibilissimo ugualmente.
Enjoy it!



*



Huntigton Beach, 2001



I primi tre mesi a New York erano stati qualcosa di destabilizzante. L’euforia della novità lasciava sempre il posto una fitta al cuore, la sera, quando nella sua camera poteva chiudere gli occhi e avvertire le narici pizzicare al ricordo del profumo salmastro di Huntigton Beach. Le mancava il mare, le serate passate al parco e i pomeriggi allo skate park ma soprattutto, le mancavano i suoi amici.
Se si soffermava a riflettere, ogni ricordo era una stilettata al cuore quando si lasciava prendere dalla nostalgia di casa. Cercava di non pensarci, ma le mail quotidiane di Dakota la riportavano sempre un passo indietro, più vicina ad Huntigton Beach.
I messaggi di Zacky e le telefonate di Matt erano la conferma – esasperante – di quanto tutto, mentre lei se ne stava a inseguire il suo maledettissimo sogno a New York, proseguisse per la propria strada. I ragazzi avevano preso a fare un mini tour per gli Stati Uniti e, volenti o nolenti, l’estate era scivolata via abbastanza in fretta da lasciare solo le ultime settimane per il dolore più soffocante.
Holly si era chiesta se il suo sogno non fosse tutta un’abile montatura per scappare da Huntigton e da Matt, ma era stata abbastanza ragionevole da concordare sul fatto che nessuno si sarebbe mai imbarcato in una situazione simile senza impazzire in presenza di risultati nulli.
Il problema era che lei, di buon senso, non ne aveva affatto e di risultati, invece, ne aveva eccome: per il periodo delle vacanze di Natale le era stata chiesta una relazione sugli usi e i costumi in epoca preistorica, e Holly si era sentita meno stupida e anormale del consueto.
A dire il vero, si era sentita persino un po’ più in alto rispetto alla media degli studenti del suo stesso anno che si erano visti precludere qualsiasi possibilità di andare un poco oltre il piano di studi.
Non era una mosca bianca a New York e, soprattutto, nessuno la associava inevitabilmente alla sua scomoda e rumorosa famiglia adottiva.
Di New York le piacevano le persone, il poter scivolare tra migliaia di sconosciuti senza essere notata per i capelli tendenti ad un’innaturale color carota o il trucco sgargiante. Aveva iniziato a sentirsi un po’ a casa solo quando già doveva rientrare ad Huntigton Beach, alla soglia del suo diciottesimo compleanno.
Se tutto andava bene, però, l’estate l’avrebbe passata in giro per l’Europa e non in California. Il lavoro dell’archeologo era oggettivamente una merda: era pieno di gente disposta a sfruttare qualsiasi studente pagandolo una miseria, trascinandolo sotto il sole cocente per ore e ore a spennellare e ripulire anfore e scheletri consunti nel tentativo di fare qualche cazzo di grande scoperta. Holly era una di quelle studentesse che avrebbero lavorato persino gratis: voleva girare il mondo e nutrirsi delle storie degli altri lei, che la sua storia nemmeno l’aveva provata a scrivere ancora.
Jimmy la prendeva sempre in giro dicendole che la sua era una qualche forma di deviazione mentale: sosteneva che per Holly i ricordi erano tutto.
Non c’era bisogno di spiegare le motivazioni a Jimmy, perché conosceva già la risposta: finché possiedi i ricordi a cui aggrapparti, non potrai mai sentirti solo. Quando hai una vita costellata di punti di riferimento non hai nemmeno paura di osare e intraprendere una strada solitaria: quando ti volti indietro, ci saranno tutti loro a ricordarti la via del ritorno.
 
 
“Per chi l’hai scritta?”
Matt aveva sollevato lo sguardo su Jimmy, accigliato.
“Cosa?”
Warmness on the soul.”
“Ah.”
Il cantante si era scollato dalla propria posizione, andando a recuperare la chitarra abbandonata nell’angolo della propria stanza, ignorando deliberatamente la domanda dell’amico.
“Non era per Holly, vero?”
“E’ uscita così, di getto. Se dovessi risponderti sinceramente, ti direi che non ho pensato. L’ho scritta e basta, senza un perché.”
“L’hai composta tutta al pianoforte.”
“E quindi?”
“E quindi lo fai quando non sai come parlare. In genere sei più bravo al pianoforte che a parole. Ti sei mai chiesto perché la prendi sempre tanto male quando si tratta di lei?”
“E’ appena tornata e tu mi stai facendo una serie di domande che non hanno senso, Jimmy.”
“Non ha mai senso quello che ti dico quando intraprendo la carriera di bocca della verità. Secondo me perdete tutti quanti di vista la cosa importante.”
“E sarebbe?”
“La cosa che ti fa stare meglio in assoluto al mondo.”
Matt era scoppiato a ridere, mentre Jimmy batteva il tempo di una canzone inesistente con la punta del piede destro, sdraiato comodamente sul letto dell’amico.
“La tua qual è?”
“La musica e i miei amici teste di cazzo, che domanda cretina. Da quando leggi favole per bambini, Matt? Anzi, da quando leggi qualcosa?”
Il batterista aveva preso tra le mani il libro dalla copertina bianca, spostando lo sguardo dal Piccolo Principe a Matt con sguardo divertito.
“E’ il libro preferito di Holly, lo sai?”
“Non lo sapevo.”
Matt aveva preso ad accordare la chitarra mentre attendevano l’arrivo di Brian e Zacky. Jimmy aveva sfogliato alcune pagine del romanzo, e non c’era voluto molto per capire che quella era la copia di Holly: con linee storte e parole cerchiate senza un senso logico, nella sua inconfondibile ossessione per il ricordare.
Olivia aveva il vizio di sottolineare qualsiasi cosa la colpisse, persino sulle riviste che leggeva distrattamente durante i viaggi in autobus. Jimmy si divertiva un sacco nel capire cosa – di quei passaggi – la colpisse, era il modo più semplice per sapere cosa le passava per la mente in un determinato momento.
O come si sentiva.
O come cazzo faceva a sopportare un po’ tutte le loro menate, le proprie e quelle di tutte le altre persone che aveva vicino.
“Non sai un sacco di cose di Holly. Sicuro di conoscerla davvero?”
“Dove vuoi arrivare, Jimmy?”
Matt aveva sollevato il viso verso di lui, distogliendo l’attenzione dalla chitarra e puntandogli contro uno sguardo scettico.
“Da nessuna parte. Sai già tutto senza bisogno che ti dica nulla, no?”
“Non credo che sia la stessa cosa.”
“Solo perché la vuoi vedere sotto una prospettiva differente. Passerà comunque. Tutto quello che non è davvero importante passa, non restiamo mai ancorati troppo saldamente a ciò che ci fa soffrire. Holly lo chiamerebbe spirito di preservazione della specie o qualcosa del genere legato alla teoria evolutiva di Darwin.”
Olivia era bella perché nell’innocenza con cui si attaccava ai ricordi aveva sviluppato anche l’istinto di sopravvivenza più crudo: restare fedeli a sé stessi sino alla fine.
 
 
“Sei un idiota totale.”
Olivia aveva sbuffato rassegnata, mentre Zacky l’aveva guardata con aria dispiaciuta, costringendola a tornare sui propri passi e ammorbidire i toni della loro conversazione.
“Scusami, non intendevo…”
“Prego?”
“Cosa?” gli aveva chiesto lei senza capire.
“Mi hai chiesto scusa? Tu? Cazzo ma New York ti fa male!”
“Sembrava che ti avessi appena… oh, ‘fanculo Zacky! Perché hai costretto tua sorella ad aspettare di festeggiare il suo compleanno?”
“Perché è anche il mio?”
“Potevi festeggiarlo con lei senza romperle le palle con la storia del party di Natale.”
“E’ più figo comunque, e poi a Roxy non causa problemi.”
Li causava a lei, però.
Eccome, se glieli causava. Odiava sentirsi il terzo incomodo in una storia in cui non c’entrava nulla e nel rapporto tra due gemelli non puoi che sentirti fuori posto dodici mesi all’anno, quando ti infili tra loro per errore.
Del tesoro nato dallo stesso utero di Zacky – con la salvezza di possedere due embrioni ben distinti, evitando l’imbarazzo dell’omozigote e due Zackary a cui il mondo non avrebbe saputo come far fronte -, il primo Baker non se ne rendeva conto.
Brian, invece, se n’era reso conto eccome.
Holly aveva sorriso tra sé a quel pensiero, perché Zacky sapeva essere il più ottuso degli individui e anche il più testardo e stupido e… okay, era Zacky, non poteva pretendere da lui una lungimiranza tipicamente femminile.
Roxanne frequentava gente che lei vedeva di sfuggita, per Huntigton, e il loro rapporto era basato sulla mera conoscenza quando si incrociavano a casa Baker o quando si trovavano nel medesimo locale o al seguito dei ragazzi.
Lei stava sempre con Brian e Jimmy, Olivia era un jolly che si passavano da una mano all’altra Zacky e Matt, soprattutto. Quello che Holly le invidiava – in un processo che era arrivato alla più pura ammirazione nel corso degli anni – era la semplicità con cui Roxanne sapeva essere donna.
Roxanne era bella e intelligente – nota di merito che agli occhi di Olivia aveva sempre brillato di una luce accecante. Non che Zacky fosse un idiota, ma sapeva mascherare perfettamente la verità con battute al vetriolo senza preoccuparsi mai delle conseguenze – e a Olivia sarebbe piaciuto essere come lei, perché una come Roxanne Baker non poteva avere un rapporto conflittuale con sé stessa, di quello ne era certa.
Oggettivamente doveva ancora comprendere il motivo per cui Brian vedesse in Roxanne una potenziale vittima del suo smisurato ego e lei fosse solo una mocciosa rompipalle, ma erano dettagli a cui smetteva di prestare attenzione in una manciata di minuti. Zacky, dal canto proprio, riteneva sua sorella un essere asessuato, e questo gli avrebbe causato non pochi problemi non appena fosse stato messo davanti a un potenziale fidanzato.
E Holly non aspettava altro che godersi la scena da spettatrice.
“Mi sta sul cazzo pensare di essere una palla al piede.”
“Non la sei.”
“Vorrei sentirlo dire da Roxanne, e dubito che mi darebbe una risposta differente dalla tua.”
Perché era educata, non avrebbe mai ammesso che l’amica di suo fratello si era senza troppi problemi messa in mezzo al loro giorno, per prendersene un buon cinquanta per cento.
“Okay, ormai è andata. L’anno prossimo festeggi per i cazzi tuoi il tuo compleanno, non aspettare il 25 dicembre.”
“Ma che cazzo ti prende ora?”
“Tu non pensi mai alle conseguenze delle tue trovate, genio. Non credi che tua sorella avrebbe preferito festeggiare con te come vostro solito anziché aspettare il mio rientro?”
“Io ci tenevo, scusa. Che cazzo cambia?”
“A me cambierebbe.”
“Roxy non ragiona con una testa bacata come la tua.”
Colpita e affondata, Holly.
“E adesso dove vai?”
Si era alzata dalla panchina calandosi sulla testa la cuffia, cercando di nascondersi il più possibile nella sciarpa di lana pesante.
“A casa a studiare.”
“Ma dovevamo andare a comprare i regali di Natale insieme, me l’hai menata un casino con questa cosa e adesso mi lasci qui come un coglione?”
“Ci sarà Jimmy al centro commerciale, vai con lui. Io mi arrangio.”
“Cazzo se sei insopportabile quando ti comporti da schizzata, Holly.”
“Cazzo se sei ottuso Zacky” gli aveva risposto lei alzando il dito medio, prima di allontanarsi dal parco e dirigendosi alla fermata dell’autobus con la musica sparata a massimo volume nelle orecchie.
 
 
“Non ci posso credere!”
Holly se ne stava a fissare estasiata l’enorme orso di peluche rosa appoggiato sul suo letto, pronto ad accoglierla al rientro da un pomeriggio solitario passato per i negozi di Huntigton Beach. La lista dei regali di Natale si era depennata per almeno un buon cinquanta per cento, ed era stata costretta a lasciarsi scivolare di dosso lo scazzo che le aveva procurato la discussione con Zacky per potersi godere un pomeriggio di perfetta solitudine.
Il problema, con lui, era che non c’erano filtri per gesti o parole: tutto era diretto, passava dal cuore alle labbra o alle mani senza passare per il cervello.
Holly lo adorava per quel motivo eppure a volte era davvero difficile riuscire a non impazzire in sua presenza. Finivano per discutere e scannarsi almeno nove volte su dieci mandandosi al diavolo senza mezzi termini, e allo stesso modo finivano per il cercarsi compulsivamente con la stessa tenacia che mettevano nelle loro liti.
A volte si chiedeva se non fosse tutto troppo esagerato, tra loro, ma Zacky non era né un tipo ordinario, né uno di quelli che poteva decidere di vivere tutta la sua vita in una mediocrità che non aveva mai conosciuto.
Semplicemente perché la mediocrità di una vita normale non avrebbe mai contenuto il suo smisurato ego, e Holly adorava pungerlo sul vivo e stuzzicarlo. Si divertiva e gli voleva un bene infinito, ma persino per lei Zacky a volte diventava insopportabile.
Seguiva la sua strada e non aspettava nessuno, e lei sembrava l’unica in grado di seguirlo sempre nella follia di serate assurde così come nei progetti a lungo termine.
Jimmy diceva che con ogni probabilità avevano scambiato nella culla Roxanne e Holly, perché era impossibile che non ci fossero un po’ di cromosomi comuni tra quei due.
E forse, visto da una certa prospettiva, era davvero così.
Olivia aveva rimirato per almeno dieci minuti il peluche, prima di gettarsi sul letto e abbracciarlo con forza scoccandogli un bacio di benvenuto sul naso di plastica.
L’aveva allontanato da sé come se fosse un essere umano, tenendo le braccia tese, osservando attentamente i grandissimi occhi neri cerchiati di bianco che emettevano un bagliore quasi umano, nella penombra della sera.
Aveva continuato a fissarlo ancora per qualche istante, cercando di capire chi potesse averle parcheggiato una cosa così adorabile sul letto, e di primo acchito era stato Matt il prescelto.
Non lo farebbe mai, lui. Di certo non da quando c’è Val.
Aveva sollevato il peluche e poi l’aveva rigirato su sé stesso, trovando attaccato alla coda un biglietto con su scritto “Non ho capito perché sono ottuso. Comunque buon compleanno, scema.
Holly aveva stretto il biglietto tra le dita, continuando a fissare l’orrenda grafia di Zacky, poi aveva sorriso scuotendo il capo.
“Ehi, dove vai? Dobbiamo andare da…”
“Torno in tempo, promesso!”
Holly aveva saltato gli ultimi tre gradini della scala senza badare al rumore che aveva provocato il tonfo secco delle scarpe da ginnastica sul linoleum, e aveva sporto il viso all’interno della cucina.
“Esco mezz’ora e rientro. Hai preparato il tacchino?”
“Come ogni anno” era stata la pronta risposta di sua madre, raggiante nel suo completo rosso perfettamente a tema natalizio.
Era la vigilia di Natale e l’aspettava la cena con mamma, papà e la famiglia Sanders. Era un rituale a cui non poteva sottrarsi – né aveva voglia di snobbare le tradizioni, considerando che il Natale era una di quelle festività che la mettevano di buon umore sempre e comunque, grazie all’atmosfera magica di luci colorate e il profumo di biscotti allo zenzero che proveniva dalla casa di Matt -, ma la priorità in quel momento era consegnare a Zacky il suo regalo.
Ovviamente prima di mezzanotte, dato che l’aveva già battuta sul tempo.
 
 
Aveva pedalato per almeno dieci minuti senza fermarsi, a tutta velocità lungo le strade secondarie di Huntigton Beach tagliando lungo i sentieri interni dei parchi. Faceva freddo, e a quel Natale mancava una spolverata di neve per renderlo davvero magico, come piaceva a lei. New York era già coperta dalla coltre bianca da alcuni giorni, anche se era stata solo una leggera spolverata che non le aveva ostacolato il rientro a casa.
Era passato un mese dalla settimana di vacanza del Ringraziamento e le sembravano passati secoli, un lasso di tempo sufficiente per farle comprendere che di Huntigton Beach non riusciva a fare a meno.
Quando nasci in California finisci per lasciarci il cuore. Gli americani sono pellegrini per natura ma il problema è che quando sei come me, e lasci l’anima a casa tua, prima o poi ne senti la mancanza e vuoi andare a riprendertela.
Un po’ come Peter Pan con la sua ombra, no?
“Holly?”
Che cretina.
Olivia aveva sollevato lo sguardo dal campanello a Roxanne, fissandola imbarazzata.
“Ciao. Ehm… so che non è esattamente la serata ideale per le improvvisate, ma Zacky è in casa? Dovrei parlargli. Gli rubo cinque minuti, promesso.”
“Vuoi entrare?”
“Non importa, lo aspetto qui. E’ questione di pochissimo tempo.”
La sorella di Zacky aveva lanciato una rapida occhiata oltre le spalle di Holly, osservando la bicicletta della ragazza.
“Te lo chiamo, tranquilla.”
“Grazie.”
Roxy le aveva sorriso e si era diretta a passo spedito al piano superiore, mentre Olivia attendeva impaziente sulla porta di casa rosicchiandosi l’unghia del pollice da cui erano saltate via schegge di smalto di un vivace rosso ciliegia.
“Che ci fai qui con questo freddo?”
“Ti ho portato il tuo regalo, no?”
“Non potevi darmelo domani?”
“Non mi andava. Tieni, te l’ho preso a New York. Spero ti piaccia.”
Holly aveva allontanato dal muro un pacco sufficientemente grosso da far supporre a Zacky che si fosse bevuta il cervello.
“Ma sei scema?”
“Perché? Non sai nemmeno cos’è, lamentati dopo averlo visto almeno!”
Zacky aveva richiuso la porta di casa dietro di sé lanciando un’ultima occhiata all’interno, fissando poi Holly che lo guardava con il più raggiante dei sorrisi stampato in volto.
E fino a tre ore fa nemmeno rispondeva ai miei messaggi, questa scema.
“Che cazzo hai da ridere?”
“Cristo Zacky, quanto rompi! Apri il regalo? Sto morendo di freddo e devo essere da Matt a cena o mia madre mi ammazza. Per cui, muovi il culo.”
“Mi fai venire voglia di mandarti a casa senza aprirlo.”
“Bell’amico che sei. Dai Zacky!”
Holly aveva fatto un piccolo salto sul posto nel tentativo di incitarlo e lui si era visto costretto, come il più ebete degli uomini, ad obbedire.
In verità moriva dalla curiosità di vedere cosa gli avesse portato, per cui aveva preso a scartare il pacco lanciando occhiate al volto accaldato di Holly che lo fissava entusiasta.
“Cazzo!”
“Non ti piace?”
Holly sembrava delusa dalla sua reazione ed era stato costretto a riformulare la domanda e rivedere gli ultimi secondi della loro conversazione, senza riuscire a scollare gli occhi dalla tavola da skate che reggeva tra le mani.
“Eh?”
“Ti ho chiesto se non ti piace. L’ho fatta serigrafare apposta con il tuo nome e il disegno e…”
“Tu sei totalmente pazza! E’ una figata assurda!”
“Auguri Zacky!” gli aveva sorriso gettandogli le braccia al collo, per poi scoccargli un sonoro bacio sulla guancia.
“Ci vediamo domani allora, e vedi di essere puntuale.”
Era corsa via lungo il vialetto di casa Baker, inforcando la bici e riprendendo a pedalare in direzione di casa propria senza aspettare che Zacky potesse aggiungere qualcosa.
Il suo rapporto con Holly era bello per quel motivo: non riuscivano a tenersi il muso per più di tre ore, non riuscivano a sopportare la lontananza dai guai e, soprattutto, riuscivano ad essere equilibrati nel più totale dei casini.
Il bello di Holly era che alla fine riusciva sempre a essere imprevedibile.
Il bello di Zacky era che riusciva sempre a sorprenderla, nel bene o nel male, e lei – come una scema - finiva sempre con il perdonarlo.
 
 
Matt rideva, e quando lo faceva ad Holly il cuore accelerava sempre i battiti. Vivere a New York le aveva permesso di guardarsi attorno e scoprire che non tutti i vicini di casa si comportavano come Matt. Della cosa aveva già avuto il sentore anche vivendo ad Huntington Beach, ma la certezza le era caduta dritta davanti quando, per lo più, i vicini di casa o li guardavi di nascosto da dietro il vetro di una finestra o nemmeno te li filavi.
Seduti nel garage di casa Sanders, Holly con le gambe a penzoloni oltre il bracciolo del divano logoro e la testa appoggiata sulle gambe di Matt, immersi nel silenzio di un covo dalle caratteristiche tipicamente maschili, non avevano molto da dirsi.
O forse non avevano voglia di parlare.
Averla una serata solo per sé, a Matt sembrava quasi un’illusione dettata dai ricordi: negli anni, per quanto lui ed Holly fossero inseparabili, era diventato Zacky l’indiscusso compagno di casino per lei, e in un certo senso Matt gli aveva ceduto il passo.
Poi era arrivata Valary e aveva compreso quanto fosse difficile gestire un’amicizia come la loro quando l’ultimo tuo desiderio è far soffrire la donna che ami.
Aveva allentato la presa su Holly – sgattaiolando poi, la sera, nella sua stanza solo per avere la certezza di non perderla, mantenendo un contatto biunivoco che non riusciva a interrompere del tutto – e lei era rimasta tranquilla al suo posto.
Olivia c’era sempre, non lo cacciava dalla sua stanza – qualunque ora fosse -, non era gelosa di Val e non aveva mai avanzato pretese.
Si, decisamente aveva capito tutto e stava persino giocando sporco con lei.
Jimmy, senza parlare, gli aveva lanciato a chiare lettere il messaggio su quanto idiota fosse un comportamento simile, ma Matt non aveva scelta: era realmente innamorato di Valary, e tra le due chi soffriva meno di quella situazione era di certo Holly.
Prima o poi le sarebbe passata, no?
E lui, prima o poi, avrebbe imparato a vivere senza il calore rassicurante che gli offriva la presenza di Olivia.
“Cosa stai tagliando?”
Matt fissava da almeno dieci minuti le dita di Holly che tagliuzzavano – forbici dalle punte arrotondate ben salde tra le mani - pezzi di carta che ricadevano in coriandoli colorati sul suo ventre.
“I festoni per domani sera. Quello scemo di Zacky è un disastro con queste cose.”
“Non facevate prima a comprarle al supermercato?”
“E’ la stessa cosa che ha detto lui. Ma sono tutti uguali, Matt, sai che palla? Ho trovato i disegni su internet, li ho stampati in università prima di partire. Se vuoi darmi una mano possiamo farli insieme.”
“Passo.”
“Sempre il solito, eh?”
“Più tardi fanno un salto qui gli altri.”
Holly aveva emesso un sospiro, spostando poi la nuca all’indietro fissandolo da una posizione tra le più scomode che potesse recuperare dal proprio repertorio, i capelli che le ricadevano dietro il viso lasciandone scoperti i lati, in una forma tonda ancora da ragazzina.
“Cos’hai comprato a Val?”
“Veramente sto ancora cercando il regalo, non ho idee.”
“Sei una frana, giuro. Ma che aspetti, il giorno di Natale?”
“Domani i negozi sono aperti, farò un giro domani mattina.”
“Il regalo dell’ultima ora è tristissimo, voglio dire: un regalo devi pensarlo per la persona a cui lo fai, deve calzargli a pennello. Magari domani lo trovi, quello perfetto per Val, però… però non ci credo che in due mesi tu non abbia mai visto nulla di adatto per lei.”
“Tu fai di ogni cosa una questione di principio.”
“Dici?”
Matt l’aveva guardata allungare il braccio verso l’alto, la mano aperta contro la luce violenta di una lampadina scoperta malamente attaccata al soffitto da Jimmy e Brian, prima di sollevarsi a sedere fissandolo con aria scettica.
“Secondo me non è una questione di principio. E’ che a me piace fare regali. Se ti arrabatti all’ultimo minuto il regalo perde di significato. E’ un po’ come se fosse un ripiego, un qualcosa che fai per dovere. Ehi, ma mi ascolti?”
Matt fissava le dita sottili di Holly ritornare a posarsi sul suo grembo per poi aprire a fisarmonica un festone su cui erano legati una serie di cupcakes di vari colori.
“Visto che figo?”
“Zacky non te lo perdonerà mai.”
“A Zacky li ho preparati anche con i teschi, quindi non si può lamentare. Sono stata equa nella scelta.”
Di tutti quelli che dovevano arrivare, di certo Matt non si aspettava che a varcare la soglia del garage fosse proprio Valary.
Anzi, Val non era minimamente contemplata nella sera della sua Vigilia di Natale. Holly aveva fissato la ragazza sorridendo, sventolando la mano in segno di saluto.
“Non volevo disturbare, tua madre mi ha detto che eri qui e così ho pensato che…”
“Tranquilla, tanto tra poco devono arrivare gli altri. Stavo preparando le decorazioni per la festa di domani, ma Matt fa schifo con queste cose.”
Valary aveva passato lo sguardo dalla rossa al ragazzo, indecisa su quale fosse la cosa migliore da fare.
Se ci fosse stata Michelle avrebbe prima strappato gli occhi a Holly e poi fulminato Matt, ma dallo stesso dna e dagli stessi cromosomi, Valary e la sua gemella avevano preso solo il medesimo aspetto fisico.
“Non mi avevi detto che sarebbero venuti anche i ragazzi stasera.”
“Infatti è stato un fuori programma” aveva risposto tranquillamente Matt, che riusciva solo a domandarsi il motivo per cui la sua ragazza si fosse precipitata da lui la notte della vigilia di Natale.
“E’ tutta una scusa per venire a fare casino, come il solito.”
Holly aveva preso a recuperare i fogli colorati sparsi per il divano, raccogliendoli in una pila ordinata alla cui sommità aveva posato forbici e striscioni già pronti. Matt non aveva smesso di guardare Val, mordendosi nervosamente il piercing al labbro.
Sapeva a cosa stava andando incontro e sperava ardentemente che Holly non se ne andasse davvero, lasciando a Valary il via libera per una discussione che non aveva voglia di affrontare.
“Be’, io scappo a casa. Salutatemi gli altri, ci vediamo domani al pub.”
“Non resti?”
Holly aveva guardato Matt sorpresa, poi si era infilata le scarpe da ginnastica lasciate sulla porta del garage senza prestargli troppa attenzione.
“E’ quasi mezzanotte, e come Cenerentola me ne vado prima che la carrozza si trasformi in zucca.”
Aveva sollevato la mano per salutarli e si era dileguata oltre la porta, richiudendola dietro di sé con un tonfo sordo.
Valary continuava a fissarlo, incerta su quali fossero le parole adatte per rendere chiari i pensieri che le si sovrapponevano in testa.
“A volte non ti capisco. Non capisco se sia normale, voglio dire. Se non fosse Holly ma qualsiasi altra ragazza non so se saremmo ancora qui. Perché lo sopporto non significa che lo accetti.”
“E’ soltanto Holly, lo sai Val.”
Gli si era avvicinata, posando un piccolo pacchetto dalla carta dorata sul bracciolo del divano, annullando la distanza che c’era tra loro con un paio di passi.
“Volevo essere la prima a farti gli auguri di Natale, tutto qui.”
Gli aveva sorriso, e per quel sorriso e quello sguardo caldo e dolcissimo, Matt sarebbe morto cento volte. Ne era certo, ne era assolutamente sicuro e sapeva soprattutto che non ci sarebbe stata una vita senza Valary.
Lo sapeva e basta, non c’era bisogno di porsi domande o farsi troppi problemi.
“Io sono un disastro con queste cose, non ho ancora trovato nulla che potesse andarmi a genio per te.”
“Lo sapevo, ti conosco Sanders.”
“Sicura di conoscermi?”
Si era seduta accanto a lui sul divano posandogli la nuca sulla spalla, lasciando che le cingesse le spalle con il braccio e le posasse un bacio a fior di labbra.
“Non voglio che tu soffra, te lo giuro. Sarai sempre l’unica.”
“Potrei dirti che questo è il regalo di Natale più bello che tu possa farmi, ma essendo una donna con velleità femminili, dovrai sdebitarti ugualmente per il mancato rumore di carta strappata sotto l’albero.”
“Sei incredibile.”
Gli aveva sorriso di nuovo, posandogli un bacio sulla guancia ruvida di barba: Matt era dannatamente sincero e goffo nei sentimenti, ma a lei piaceva proprio per quello. Da Matt poteva aspettarsi qualsiasi cosa ma mai, mai un tradimento, per quel motivo si sentiva stupida quando al pensiero di Holly avvertiva quella punta sottile di gelosia che le serrava lo stomaco. Si rendeva conto che era difficile prendere il posto di un’amica a cui confidi tutto, di una che ti parla sempre per vie dirette e non ti risparmia nulla: era in una posizione di vantaggio perché tra amici la sincerità è tutto e vale persino più dell’affetto.
Quando stai con una persona, invece, innalzi barricate e nascondi i problemi nelle zone d’ombra, ti lasci schiacciare un po’ più spesso per il quieto vivere e lasci correre piccoli dettagli che diventano poi – con il tempo – macigni inarrestabili che franano a terra.
E se Matt si fosse stancato di lei?
Valary aveva capito che per stare insieme avrebbe dovuto essere non solo la fidanzata di Matt, ma anche la sua migliore amica e Holly, andandosene da Huntigton Beach, le aveva inconsapevolmente spianato la strada.
 
 
Holly, stretta in un abito che riproponeva i disegni dei più grandi classici dell’horror, sedeva annoiata accanto a Dakota.
“Hai il muso lungo stasera, non è da te. Cos’è successo?”
“Nulla, è quello che mi sta uccidendo di tedio.”
A rallegrare l’istantanea delle due amiche ci aveva pensato l’ingresso delle gemelle DiBenedetto seguite da Matt, Brian e Jimmy.
“Fantastico”, aveva sbuffato Holly con l’entusiasmo di un condannato a morte, lanciando un’occhiata fugace a Zacky e Roxanne intenti a dare le ultime direttive sull’arrivo delle torte.
“Non potevi pensare che Val non venisse, no?”
“No, ma spiegami che ci fa Michelle qui. Non è che perché acquisiamo una delle due sorelle allora ci fanno lo sconto famiglia e dobbiamo sorbirci anche l’altra. Per altro, pure rompicoglioni.”
Holly non amava le intrusioni nella sua vita, specie se quelle poi la portavano inevitabilmente ad allontanarsi dai suoi amici di sempre.
Quando era partita per New York aveva messo in conto il fatto che la sua vita sarebbe andata avanti, e che anche Huntigton Beach avrebbe proseguito la sua storia. Non si aspettava davvero che tutto si congelasse sino al suo rientro, no?
No.
Non si aspettava nemmeno che tutto restasse immutato eppure avvertiva sottile, sotto pelle, la sensazione di essere già rimasta un passo indietro rispetto agli altri.
Tra cinque anni, quando finirà la mia vita a New York, cosa mi resterà di Huntigton Beach?
Quando era tornata per il Ringraziamento aveva dovuto ammettere a sé stessa che persino Dakota era perfettamente a proprio agio con Valary e Roxanne.
Solo lei aveva problemi a relazionarsi con il mondo femminile? O era il mondo femminile che la evitava come la peste?
Olivia, la sera dei suoi diciotto anni, aveva avvertito il desiderio di uscire fuori, prendere una boccata d’aria gelida e sistemare i pensieri negativi che si stavano accumulando nella sua testa nell’angolo più lontano dalla vita.
Non posso farmi rovinare la serata così, no?
Sono una paranoica del cazzo.
Però Valary la teneva sempre a distanza, e come poteva biasimarla?
Di Michelle poteva fare benissimo a meno, a essere onesti, in quanto a Roxanne… be’, con ogni probabilità la vedeva come una ragazzina rompipalle.
A stare con Zacky, inevitabilmente, aveva finito con l’essere pressoché uno zero assoluto nella linea della stratificazione sociale.
“Ehi, dove vai?”
“Faccio un giro fuori.”
“Ma fa un freddo cane!”
“E allora? Vado e torno, tanto la torta non si taglia da sola.”
Dakota l’aveva guardata allontanarsi per poi avvertire il tonfo sordo del peso di Johnny sostituire l’amica sulla sedia accanto alla sua.
“Che succede?”
“E’ giù di tono.”
“Andiamo Dakota, Holly non è mai giù di tono, figuriamoci poi se lo è per la festa del suo compleanno. Zacky ha fatto il diavolo a quattro per fare le cose come piacciono a loro.”
“E’ questo il problema. Date tutto per scontato.”
Johnny le aveva passato un braccio attorno alle spalle, attirandola a sé.
“Sei preoccupata?”
“Mi manca un casino.”
Dakota si era lasciata andare all’abbraccio, cercando nel contatto con Johnny il calore necessario per comprendere cosa non rientrava nei piani di Holly per la serata.
Non era la presenza di Michelle, né quella di Valary probabilmente. Che fosse Matt la causa? Di tutte le buone parole che poteva trovare per lui, Dakota di certo non avrebbe mai aggiunto la spunta sulla sensibilità del ragazzo. A Holly piaceva proprio perché era un imbranato cronico, uno di quelli che ti facevano soffrire senza rendersene conto.
E quindi eri costretto a perdonargli tutto.
“Quello non è Zacky?”
“Perfetto, andrà a cercare Holly, così si metteranno a discutere sul gusto delle tartine e lei ci pianterà tutti qui come degli scemi e se ne andrà a casa.”
“Non deve venire a dormire da te stanotte?”
“Appunto, se la fanno scappare e non posso godere della mia fetta di Holly divento una belva!”
Johnny era scoppiato a ridere, portandosi alle labbra il cocktail che si era fatto preparare.
“Ehi!”
Il bicchiere gli era stato strappato di mano all’improvviso, e le unghie laccate di nero e le dita ghiacciate avevano parlato prima ancora della voce della proprietaria.
“Fa schifo questo affare, Johnny!”
“Te lo sei scolato tutto, cazzo!”
Dakota aveva fissato Holly sgranando gli occhi, alle sue spalle Zacky che continuava a salutare gente e fare casino urlando come una scimmia impazzita.
“E’ insopportabile stasera. Cosa gli avete dato da mangiare?”
Era scoppiata a ridere, Holly, nemmeno si fosse cambiata d’abito – e di maschera – sfoggiando il più allegro dei sorrisi, sguardo lucido ed espressioni buffe.
“Non mi freghi.”
“Sto bene, tranquilla.”
“Dieci minuti da sola e risolvi i tuoi dubbi amletici? Hai fregato persino Shakespeare!”
“Quanto rompi quando fai così.”
Non aveva fatto in tempo a sedersi accanto a Johnny che la mano di Zacky si era serrata sul suo polso strattonandola bruscamente.
“Ma sei scemo?”
“Inventati qualcosa, dai.”
“Eh?”
“Questa festa sta diventando un mortorio, dobbiamo ravvivarla.”
“Potresti improvvisare uno spogliarello, sono certa che movimenteresti la serata.”
“Se lo facessi tu avremmo qualcosa per cui ridere, con me tutte si ecciterebbero. Andiamo da Roxy, ha detto che aveva bisogno anche di te.”
E Zacky si era portato di nuovo via Holly, in mezzo alla folla, e poi dall’altro lato del locale. Dakota, in quell’empatia totalmente femminile che lega due migliori amiche, aveva compreso il motivo del comportamento di Holly e no, non l’avrebbe mai lasciata sola.
Per lei Holly era tutto, e se anche c’erano Val o Roxy, Holly restava la sua migliore amica, quella con cui poteva concedersi il lusso di incazzarsi senza un motivo sapendo di essere sempre perdonata, quella con cui piangere all’occorrenza senza essere giudicata mai e ridere delle stesse cose futili.
Holly era quella che c’era sempre stata, dunque perché le cose avrebbero dovuto cambiare?
 
 
Roxanne era bellissima. Quando Holly se l’era trovata davanti, si era chiesta cosa ci faceva lei lì, con loro.
Lei, Olivia Bridges - che era tutto l’opposto di Roxy, Val e Michelle - era quella sbagliata tra quelle giuste. Persino Dakota era più azzeccata di lei, lì dentro.
“Che ne dite se tagliamo le torte? Ormai è ora, credo che tutti abbiano mangiato a sufficienza.”
“Dobbiamo fare proprio una cerimonia da matrimonio? Non possiamo tagliare le torte, distribuire i piatti e tanti saluti?”
“Ma sei scema?”
“Ma è da vecchi, Zacky!”
Roxanne le aveva scoccato un’occhiata in tralice, e Holly si era morsa la lingua cercando di trattenere oltre le sue rimostranze, sentendosi a disagio.
Le capitava sempre, in sua presenza, di sentirsi nettamente inferiore, vuoi per la genialità con cui tagliava traguardi a cui lei sarebbe arrivata solo in secoli di studio ed esercizio, vuoi perché non le era toccata la sorte di essere il bersaglio preferito delle battute di Zacky e Brian.
“Però se ci pensi è figo, stanno tutti lì a guardarti mentre ti tiri le pose.”
“Zacky guarda che non devi posare per un servizio fotografico per Vogue.”
“Quanto rompi Roxy.”
Holly era scoppiata a ridere, divertita, e Zacky si era sollevato nel vederla più rilassata. L’aveva evitato per tutta sera anzi, li aveva evitati per tutta sera, ed era sfuggita a Jimmy con la maestria di una salamandra: era stato lui ad accorgersene per primo, e Zacky aveva solo fatto la cosa più naturale del mondo: era andato a riprendersela senza farsi troppe domande.
“Allora tagliamo le torte” aveva sospirato rassegnata Holly, annotandosi mentalmente che un altro compleanno da festeggiare tutti e tre insieme poteva diventare un problema. Innanzi tutto perché lei e Zacky stavano a Roxy come poteva starci Michelle – ovvero come i cavoli a merenda -, e poi perché oggettivamente non avevano molti punti in comune per cui passare una felice festa di compleanno insieme senza che potessero nascere problemi.
E i problemi, con una come lei, finivano per arrivare involontariamente: li attirava e quando non arrivavano da soli, nei guai ci si cacciava di propria iniziativa.
Zacky era salito in piedi – barcollando – su una delle sedie, cercando di attirare l’attenzione dei presenti. Non gli era servito molto, se non un rutto assestato al momento giusto per raccogliere attorno alla tavola gli amici di sempre: Brian – e al suo fianco quel parassita di Michelle -, Val e Matt, Jimmy, Johnny e Dakota. Accanto a lui, le due donne della sua vita: la sua migliore amica e la sua adorata sorellina.
“Okay ragazzi, visto che ormai è mezzanotte direi che è ora di festeggiare come si deve. Vino e torte!”
“Fai pena a fare discorsi pubblici, lo sai?”
Jimmy aveva fischiato, seguito a ruota da Brian che se la rideva di gusto.
“Che amici di merda.”
A Olivia la panna montata faceva abbastanza schifo, non aveva detto nulla in merito solo perché Roxanne l’adorava e non era di certo nella posizione adatta per potersi permettere di peggiorare la situazione prima della fine della festa.
Zacky non le aveva appena detto di movimentare la serata?
Si.
E a lei era venuta l’idea più geniale del mondo.
Con tranquillità aveva tagliato la prima fetta della propria torta, poi l’aveva posata sul piatto di carta fissandola estasiata, mentre Zacky continuava a dire cose prive di senso e Roxanne attendeva il proprio turno per spegnere le candeline.
Turno che non sarebbe arrivato mai, perché Olivia era salita in piedi sulla propria sedia, spalmando la propria fetta di torta sul viso di Zacky.
“Tu sei una perfetta cretina!”
“Mi hai detto tu di movimentare la festa, no?”
“Non usandomi come cavia!”
Johnny non aveva certo aspettato il via al combattimento, e con un gesto rapido aveva afferrato una manciata di panna e pan di spagna dal vassoio di Holly e aveva lasciato a Dakota una carezza che le attraversava il viso da parte a parte.
“Johnny sei un coglione!”
“Prenditela con la tua migliore amica, è colpa sua.”
Dakota e Holly erano scoppiate a ridere all’unisono, e in pochi minuti quello che era un tranquillo pub era diventato il più feroce dei campi di battaglia.
Zacky, nel gridare la propria vendetta, aveva deciso di annaffiare i suoi migliori amici con la bottiglia di vino rosso che teneva in mano, macchiando inevitabilmente qualsiasi cosa gli fosse finito a tiro di un vermiglio aggressivo.
Matt e Val erano riusciti a schivare i colpi, ma erano finiti nelle mani di Jimmy che – senza pietà – li aveva colpiti e pure affondati; Brian, invece, aveva abbracciato Michelle d’istinto, sporcandola con i tre centimetri di panna e decorazioni che aveva incollati alla maglietta, costringendola così a fare i conti con i comuni mortali, e a quel punto Roxy si era defilata sbattendo a terra quel che rimaneva del suo piatto di torta.
Holly era stata l’unica, insieme a Jimmy, a notare come le due cose fossero coincise nel medesimo istante, e si erano scambiati un’occhiata d’intesa.
Jimmy non avrebbe mai ammesso nulla – né avrebbe mai sbandierato a terzi i segreti dei suoi amici – ma Holly non era una scema e, soprattutto, era abbastanza cristallina da riuscire senza troppi problemi a leggere anche gli altri.
In quel momento si era sentita uno schifo: aveva rovinato la festa di compleanno a Roxanne e, cosa ben peggiore, non gliel’avrebbe mai perdonato.
 
 
“Tua sorella mi odierà a morte.”
“Perché?”
Holly si stava lavando via chili di panna montata dai capelli umidi e unti, mentre pezzi di pan di spagna le scivolavano lungo la schiena nuda.
“Tu sei scemo, vero?”
“Se non mi insultassi sempre magari capirei quello che vuoi dirmi, no?”
“Guarda che a Brian piace tua sorella. E a tua sorella piace Brian.”
Zacky l’aveva fissata sgranando gli occhi, poi era scoppiato a ridere portando lo sguardo verso il buio della strada ormai deserta.
“E da cosa l’hai capito?”
“Innanzi tutto, quando c’è lei, Brian diventa un idiota. Non nel senso buono del termine, nel senso che è davvero imbranato. Cerca di fare il figo e risulta solo ridicolo. Tua sorella… be’, stasera se n’è andata dalla festa quando Brian ha iniziato a fare lo scemo con Michelle. Se sei una donna innamorata e vedi una cosa del genere, minimo ti incazzi.”
“Da quando sei un’esperta di questioni amorose? Non hai nemmeno mai avuto un ragazzo. Tu leggi troppi romanzi.”
Era stata la volta di Holly di sgranare gli occhi, puntandoli sul viso di Zacky irata, per poi passargli sulla nuca il proprio asciugamano e spettinargli i capelli nel mero tentativo di asciugarli.
Ormai era così abituata alle sue battute, che nemmeno le facevano più male: era pacata rassegnazione in vista del successivo giro della ruota karmica.
E prima o poi avrebbe di certo preso a girare nel verso giusto.
“Abbiamo fatto un bel casino, lo sai?”
Tu hai fatto un bel casino, ma ci siamo divertiti.”
“Parlavo di tua sorella, non della festa.”
“Vedi cose che non esistono. Come può uno come Brian interessare a mia sorella?”
“Me lo chiedo anche io, è troppo stupido per lei.”
“Ehi!”
“E’ la verità.”
Quello di cui non si capacitava Zacky, era invece il fatto che Brian – un ragazzo qualsiasi, comunque, nemmeno l’avrebbe contemplato – potesse provare interesse per quella palla di sua sorella.
“Hai bevuto troppo.”
“Venti dollari che è come dico io.”
“Vuoi davvero scommettere?”
“Ovviamente si. E sai che perderai alla grande.”
Zacky aveva stretto la mano di Holly nella propria, scoppiando a ridere di gusto, mentre la fissava con il viso incrostato di cibo, i capelli spettinati e il trucco colato.
Ma Holly era bella proprio per quello: perché non gliene fregava mai nulla di quello che stava attaccato alla facciata e si spingeva sempre oltre, e riusciva a farti un discorso serio con l’aria di un pagliaccio triste.
 
 
Non le aveva dato il regalo di compleanno, ma non era stato facile decidere cosa fare. Aveva vagato per settimane alla ricerca di qualcosa che fosse perfetto per Val, e casualmente aveva trovato il regalo per Holly. Il problema era che, arrivato al giorno di Natale, per la sua ragazza non aveva trovato nulla che fosse degno di essere chiamato “regalo” e la cosa l’aveva gettato nella crisi più nera. Per Holly era andato a colpo sicuro: non c’erano aspettative né implicazioni o simbolismi di alcun genere e, anzi, nemmeno si era risentita di non aver ricevuto nulla durante la festa. La scelta che aveva fatto, dunque, era stata quella giusta: nessun regalo di Natale nel tentativo di farsi perdonare da Valary nell’immediato futuro.
Aveva lanciato un’ultima occhiata alla piccola borsa in carta rosa, di quelle con cui le bigiotterie sono solite incartare i doni, prima di infilarla in fondo al cassetto del comodino.
Non aveva pensato al regalo di Holly, era capitato di trovarselo praticamente sotto il naso mentre camminava per le strade di Huntigton Beach con Jimmy: il bracciale in argento, con il ciondolo a forma di cupcake, gridava Holly da ogni maglia della catenella.
Matt era entrato nel negozio e ne era uscito pochi minuti dopo con il suo regalo tra le mani.
“Le piacerà un casino.”
“Con lei vado a colpo sicuro. Perché con Val mi sembra tutto così banale?”
“Perché quando ti fotti il cervello hai sempre paura di fare un mucchio di stronzate.”
Come sapeva arrivare al nocciolo della questione Jimmy, però, non sapeva arrivarci nessuno di loro.
Per quel motivo era perfetto, era unico e geniale: era il depositario dei loro segreti, delle loro confessioni e delle loro debolezze.
Jimmy era la salvezza di tutti loro perché era troppo avanti e lontano per essere davvero attratto dai loro casini.
A lui bastava suonare e averli accanto: al resto nemmeno prestava davvero attenzione.
 
 
Avevano finito con il ritrovarsi in un allucinante locale di Los Angeles in cui ballerine mezze nude si strusciavano tra loro, dove per parlare dovevi strapparti le corde vocali per farti sentire dal tuo vicino. Allo scoccare della mezzanotte del 31 dicembre 2001, Holly stava per avere una crisi di nervi. Se c’era una festa che non avrebbe mai desiderato festeggiare era il Capodanno, e immancabilmente ogni anno si ritrovava a fare i conti con brindisi, sconosciuti tirati a lucido che ti stampavano affettuosi baci sulle guance per augurarti un propizio anno nuovo e gli amici di sempre con cui non riuscivi nemmeno a scambiare due battute.
Il Capodanno era una palla e nonostante si fosse ripromessa più volte di barricarsi in casa a godersi una maratona dei suoi film preferiti, si ritrovava sempre trascinata a feste più o meno opinabili e coinvolta – suo malgrado – nella fase preparatoria del delirio collettivo.
Dakota la trascinava in giro per negozi in cerca di accessori, vestiti e trucchi scintillanti da sfoggiare, e Olivia la seguiva mestamente, con l’amore spassionato di un cucciolo con il proprio padrone.
Quell’anno le tradizioni del connubio Dakota-Holly non erano cambiate, e si era ritrovata persino con un vestito che non avrebbe mai indossato in nessun’altra occasione al mondo – nemmeno a Capodanno a voler essere sincere, ma Dakota l’aveva fregata e di ammazzarle l’entusiasmo non aveva la minima intenzione – e un appuntamento dalla parrucchiera fissato per la mattina.
Holly, insomma, si era ritrovata a essere il centro nevralgico dei deliri femminili di Dakota e l’aveva assecondata con una buona dose di felicità. Le mancavano i pomeriggi con lei, le serate al telefono o a guardare film strappalacrime senza che nessuno le vedesse, e avere Dakota solo per sé per qualche ora aveva avuto il potere catartico di metterla di buon umore e scacciare una bella fetta delle paranoie che l’avevano colta nell’ultima settimana.
Quando hai una migliore amica, hai tutto nella tua vita.
Nel leggerti nel pensiero, nel ridere per un nulla senza che il mondo di fuori capisca, nell’abbraccio spontaneo che ti offre quando sei giù di morale, la tua migliore amica sarà sempre al primo posto degli affetti.
Perché con lei condividi tutto: anche il silenzio.
Zacky le era caracollato accanto con una birra in mano, infilandosi bruscamente tra lei e uno sconosciuto che stava ordinando un cocktail al bancone del bar.
“Visto che bella festa?”
“A me sembra un bordello, Zacky.”
“Ogni anno la solita storia.”
“Se mi lasciassi morire nella mia stanza ogni 31 dicembre sarei una donna migliore, e non continuerei a dirti che mi annoio imitando un vecchia radio entrata in loop.”
Zacky era scoppiato a ridere, ingollando un sorso di birra tornando a fissarla di sottecchi, lo sguardo puntato sulle ciocche rosso fuoco che le ricadevano scomposte sulle spalle nude.
“Che hai da guardare a quel modo?”
Lui aveva spostato gli occhi sulla folla, senza risponderle, individuando Jimmy, Brian e sua sorella parlare fitto tra loro.
“Andiamo dagli altri?”
“Io andrei a casa.”
“Da Los Angeles ad Huntigton Beach ti sconsiglio i taxi.”
Holly gli aveva lanciato un’occhiata carica di odio, assestandogli una linguaccia e afferrando il bicchiere ricolmo di ghiaccio e vodka che le stava porgendo il barman.
“Grazie del consiglio, Baker.”
Si erano incamminati verso il resto del gruppo mentre la musica in sottofondo scemava lasciando il posto alle parole dello speaker, la folla che andava fermandosi per riprendere fiato. 
Sarebbe bastato un secondo in più soltanto e invece, nella sfiga di quell’odiosa nottata, il deejay aveva dichiarato lo stato di “canzone romantica” e Holly e Zacky si erano scambiati un’occhiata sconfitta quando Johnny si era portato via Dakota e Brian Roxy, lasciando la coppia di casinisti sola con sé stessa e una manciata di nulla sotto il naso.
Brian e Roxy.
Lo sguardo di Holly era volato non troppo lontano, schivando accuratamente Matt e Val, puntandosi sulle braccia di Roxy che cingevano il collo di Brian con leggerezza, entrambi con lo sguardo rivolto verso il basso, Brian puntandolo sulla nuca castana di Roxanne e lei sui propri piedi.
Sono belli insieme, si era ritrovata a pensare Holly con quella punta di orgoglio romantico che la coglieva sempre nei momenti meno opportuni. Di certo, se avesse dovuto scegliere una fidanzata per Brian, la scelta sarebbe caduta su Roxanne Baker. Dopo tutto, un cuore l’aveva anche lei e augurargli un futuro – breve o lungo che fosse – con Michelle, equivaleva un po’ ad augurargli una buona fetta di male mondiale, e per quanto Brian fosse un grandissimo stronzo, gli voleva bene.
“Io vado a fare un giro.”
“Tu non mi lasci qui da solo, non ora.”
“Dammi i miei venti dollari.”
Holly gli aveva teso la mano con il palmo rivolto verso l’alto, e Zacky aveva scollato gli occhi da Brian e Roxy solo per tornare a guardare Holly con l’aria di chi ha appena visto un fantasma.
“Ho vinto la scommessa”, aveva rincarato lei senza battere ciglio, “quindi prepara i miei venti dollari. Vado a farmi un giro fuori.”
“Tu resti.”
“Sei scemo?”
“Non mi dirai che ti da fastidio… oh, ti vergogni?” aveva chiesto lui con una punta di sarcasmo nella voce, con quell’aria vittoriosa di chi ha appena scoperto il punto debole dell’avversario e sta per sferrare il colpo mortale.
Bastardo.
“Si, di stare qui con te.”
“Resta, ti prego.”
Nella voce di Zacky c’era qualcosa di diverso, la tacita richiesta di un supporto che Holly non gli avrebbe mai rifiutato.
Fregata due volte nel giro di tre minuti: non era normale.
“Allora aggiungi dieci dollari alla mia vittoria come risarcimento morale.”
“Scordatelo. Ti concedo un bacio, così la gente non ci guarderà come se fossimo due sfigati.”
“Li siamo?” gli aveva chiesto inarcando un sopraciglio, divertita.
Però Zacky si era sporto davvero verso di lei, avvicinandosi pericolosamente al suo viso guardandola negli occhi, e Holly si era irrigidita sul proprio posto, indecisa su cosa fosse meglio fare.
Scappare?
Trovare una via di fuga alternativa?
Non avrebbe mai ceduto all’impulso di levarsi rapidamente d’impiccio, piuttosto si sarebbe fatta baciare da quell’imbecille e poi gli avrebbe assestato una buona dose di insulti.
E Zacky non faceva sul serio, la stava prendendo in giro come suo solito: da quando era diventata sessualmente appetibile per lui?
Andando mentalmente a ritroso nel tempo, Holly aveva avuto la certezza che no, non c’erano state avvisaglie di alcun tipo, Zacky era sempre Zacky e – di conseguenza – non c’erano pericolose dinamiche nascoste dietro la sua provocazione.
Tanto non mi freghi.
Olivia Bridges non scappava mai davanti al pericolo, era quello il motivo per cui Zackary Baker l’adorava, no?
“Sei veramente un cretino, Zacky.”
Aveva deciso che la partita doveva finire uno a zero per lei, così gli aveva stampato un bacio sulle labbra dondolandosi sulle punte dei piedi, come quelli che si scambiano i bambini, occhi azzurri puntati in uno sguardo tendente a un incerto verde muschio già in fuga oltre le sue spalle.
“Adesso ho vinto i miei venti dollari. Guarda lì.”
Holly aveva indicato con l’indice un punto alle sue spalle sorridendo, senza spostarsi di un centimetro da lui.
Che cazzo di capodanno era? Quello in cui le sue certezze dovevano frantumarsi contro la cruda realtà dei fatti? Quali erano i fatti, poi?
Holly l’aveva baciato, sua sorella stava baciando Brian – o viceversa, la dinamica non gli era chiara e non voleva indagare su chi stava prendendo l’iniziativa in cosa – e lui si sentiva decisamente idiota.
Scemo senza possibilità di recupero, incapace di formulare una motivazione intelligente a quello che stava accadendo, senza che il suo cervello potesse ricordargli la sua realtà, che conosceva da vent’anni a quella parte e che nessuno si era mai sognato di fare a pezzi.
Sino a quel momento, almeno.
“Dai scemo, con i tuoi venti dollari ci beviamo qualcosa insieme, almeno evitiamo di fare i guardoni. Sembra che tu abbia appena visto un fantasma, lo sai?”
Gli aveva afferrato la mano nella propria e se l’era trascinato dietro, tra coppiette disseminate lungo il perimetro del locale come una fastidiosa serie di ostacoli in cui loro erano la squadra in gara di un’improbabile staffetta.
Holly sembrava non farci nemmeno caso, camminava decisa un paio di passi innanzi a lui senza voltarsi indietro, senza puntare lo sguardo verso la felicità altrui.
Sei felice Holly?
Avrebbe voluto chiederglielo e di certo gli avrebbe sorriso senza rispondergli davvero. Era così lei: quando andavi troppo a fondo non ti lasciava entrare, ti lasciava sempre con una risposta a metà tra la verità e l’omissione.
Aveva imparato a schermarsi, negli anni, quando poteva affidarsi solo a Dakota: era una barriera naturale che nessuno di loro riusciva a superare e che nemmeno avevano mai davvero provato a saltare.
Holly era semplicemente Holly: quella divertente, quella che adorava fare casino, quella che aveva sempre la battuta pronta e un abbraccio da offrirti, quella che non piangeva mai e che non se la tirava.
Le zone d’ombra avevano quasi sempre evitato di toccarle e, in linea di massima, c’erano quasi sempre riusciti: le volte in cui si erano scoperti, invece, era finito tutto in un silenzio soffocante.
Le zone d’ombra, per Zacky, erano una femminilità acerba che non sapeva gestire per Holly, invece, l’incompatibilità tra due emisferi differenti.
Sotto quell’aspetto non sapevano proprio comunicare loro due: potevano colmare reciprocamente qualsiasi silenzio ma non riuscivano ad annullare quello che il senso di appartenenza alla logica collaudata della routine tagliava di netto ogni volta che Holly ragionava secondo una logica femminile non prevista nel manuale Baker.
Era normale fosse così, rientrava nei topos della loro esistenza da sempre.
Poteva davvero cambiare ogni sua certezza nell’arco di una notte soltanto?
Solo in quel momento Zacky aveva realizzato che sotto il vestito corto, Holly portava un paio di decolté nere dal tacco alto: per quel motivo non si era alzata in punta di piedi quando l’aveva baciato, e gli sembrava il dettaglio più importante di tutti in quel momento.
Il bacio o i tacchi alti?
La seconda domanda era se Holly avesse mai baciato qualcuno prima, e la risposta elementare era stata un destabilizzante si. Zacky nemmeno aveva mai preso in considerazione un’ipotesi simile, e si era ritrovato accanto a una tizia che conosceva alla perfezione e che pure, era riuscita ad ammazzarlo di sorpresa ancora una volta.
Zacky si era ritrovato a credere di aver sfiorato – o meglio, di essere stato sfiorato – da una di quelle zone d’ombra che Holly evitava sempre di mostrargli.
A volte anche un tacco dieci ha un lato positivo: quello di evitarti la fatica di un’alzata in punta di piedi per un bacio maldestro eseguito sul moto leggero di un’ondulazione incerta.
 
 
L’aveva trascinata alla spiaggia senza nemmeno darle il tempo di ribellarsi.
“Zacky non mi sembra un’idea intelligente.”
“Non posso davvero credere che Brian porti fuori mia sorella.”
Holly si era arrestata sul proprio posto, esasperata, mentre Zacky aveva continuato la sua passeggiata e la sua inutile arringa in direzione della spiaggia.
“Ehi, mi segui?”
“No”, e per dare enfasi alla propria posizione aveva incrociato le braccia sul petto, stretta in un cappotto bianco che le arrivava alla vita e una cuffia con improbabili orecchie da gatto applicate sulla nuca.
“Non potevi metterti qualcosa di meno appariscente?”
“Così posso mimetizzarmi”, e si era grattata le orecchie finte arricciando il naso in una smorfia schifata.
“Andiamo Zacky, Roxanne è con Brian. Come puoi pensare di pedinarli? E’ scorretto!”
“Sei mia amica, no? Dovresti supportarmi.”
“Se fosse nelle mani di un pazzo omicida, di uno sconosciuto, di un tizio dalla fama poco raccomandabile, potrei anche capirti. Ma è con Brian, lo conosci da una vita… non ti sembra una reazione esagerata?”
“No.”
E la risposta secca di Zacky non ammetteva repliche: nemmeno la più stratosferica delle bionde avrebbe potuto farlo desistere dal suo piano.
“Be’, vacci da solo.”
Zacky se l’era praticamente trascinata appresso sino al punto in cui avevano visto Roxanne e Brian dileguarsi oltre la duna di sabbia bianca, per poi arrestarsi di colpo e gettarsi a terra sotto lo sguardo allibito dell’amica che l’aveva imitato senza obiettare.
Odiava avere a che fare con lui quando non la calcolava di striscio.
“Che cazzo ti salta in mente?”
“Per poco non ci scoprivano, Holly!” e Zacky le aveva fatto segno di abbassare la voce per non farsi udire dai due ragazzi, a un paio di metri di distanza da loro, oltre la duna.
“Non possiamo andarcene e basta? E’ quasi un’ora che li stiamo seguendo, mi sembra davvero ridicolo continuare e…”
“Zitta, voglio sentire cosa si dicono.”
“Ma sei il peggiore dei fratelli! Io non ti vorrei mai… ehi!”
Zacky le aveva posato una mano sulla bocca per impedirle di parlare, e lei per tutta risposta aveva preso a dare calci alla sabbia buttandogliela addosso, cercando di scollarsi di dosso la sua mano.
“Ma sei cretina?”
“Sei tu l’idiota, vuoi farmi morire soffocata?” gli aveva sibilato lei a denti stretti.
“Ascolta anche tu!”
“Non ci penso nemmeno!”
Zacky l’aveva obbligata a seguirlo, l’aveva fregata supplicandola con aria da cucciolo abbandonato e ora erano entrambi a fare i guardoni assistendo al primo appuntamento di Roxanne e Brian.
Erano ridicoli.
E con tutto il bene che Holly poteva volere a Zacky, la sua apprensione le sembrava davvero da malato di mente.
“Ascoltami Zacky, ma seriamente. Forse tu non te ne sei mai reso conto, ma Roxanne è un una ragazza. Una bella, ragazza. E’ intelligente, è dolce, è… è perfetta. Come puoi credere che nessuno se la fili?”
“Roxy è una palla. E tu non parlare come Johnny.”
Holly aveva guardato allibita Zacky, senza capire, poi aveva sospirato sconfitta.
“Tutti i fratelli e tutte le sorelle lo sono, ma sii obiettivo. Voglio dire, meglio Brian che qualche sconosciuto, no? Dovresti essere felice per loro, non rompere le palle con le tue fisime. Dai, andiamo allo skate park a fare un giro?”
“Vacci da sola.”
“Sai cosa ti dico, allora? Che sei il più grande, maledetto idiota di tutto il pianeta Zacky!”
“Tu non capisci.”
“Si che capisco. Sei un ottusangolo, cazzo!”
“Non darmi dell’ottuso!”
“Allora sei un egoista del cazzo, va bene? Lasciala vivere, porca puttana!”
Olivia non conosceva mezze misure, specie se aveva a che fare con Zackary Baker: con il suo migliore amico poteva concedersi il lusso di dire qualsiasi cosa, anche prenderlo a sberle davanti a un pubblico ben nutrito di persone, all’occorrenza.
Aveva sollevato lo sguardo su di lei afferrandola per un polso e tirandola di nuovo verso il basso, facendola cadere a terra in un tonfo sordo inghiottito da una nube di sabbia.
“Merda!”
“Cosa?”
“Brian si è girato da questa parte.”
“E allora muovi il culo e andiamocene via!” l’aveva rimbeccato lei strattonandogli senza forza la manica della giacca.
Il cuore che batteva all’impazzata, la voglia di andarsene prima di rovinare tutto e poi l’ombra alle sue spalle.
Inconfondibile, perché poteva essere solo uno il proprietario.
“Dovevate imparare qualcosa?”
Holly aveva sollevato lo sguardo sulla figura imponente di Brian che li sovrastava, poco distante Roxy che si mordeva il labbro inferiore, e aveva appoggiato la testa alla duna di sabbia che fungeva da parete e da pavimento attorno a loro, in quell’angolo accogliente che avevano trasformato nella peggiore delle tane criminali.
“Cazzo se sei scemo, Zacky”, aveva sospirato Holly togliendosi la cuffia e chinando il capo sconfitta, i gomiti poggiati alle ginocchia sollevate.
Si sentiva tremendamente in colpa, e se Zackary Baker non poteva comprendere quanto poteva fare male il sogno sfumato della perfezione del primo appuntamento, poteva invece sentirselo addosso, Holly, con tutta l’amarezza e la delusione del mondo parcheggiata sotto le sue chiappe.
“Mi dispiace, davvero”, e con quelle parole, dopo averle pesate con cura, Holly si era alzata dal proprio posto e se n’era andata, lasciando Zacky al linciaggio pubblico di Brian e Roxanne. Avrebbe cercato di farsi perdonare prima di ripartire per New York, e il tempo era davvero poco.
 
 
SMS: To Brian From Jimmy H 10:05 AM
Dai, facciamoci un giro al centro commerciale. Mi sono rotto di stare a casa a fare niente.
SMS: To Jimmy From Brian H 10:08 AM
Se mi devi prendere per il culo, scordatelo. Ho già rischiato di uccidere Zacky, non voglio restare senza migliori amici.
SMS: To Brian From Jimmy H 10:10 AM
A mezzogiorno ci vediamo davanti Starbuck’s, e sii puntuale. E soprattutto, non rompere le palle.
 
 
SMS: To Roxanne From Holly H 09:30 AM
Mi dispiace per quello che è accaduto l’altro giorno. Posso chiederti scusa personalmente per la stupidità di tuo fratello? Ti offro una cioccolata, sei libera oggi a pranzo?
SMS: To Holly From Roxanne H 10:00 AM
Non preoccuparti, ho già chiarito con Zacky. Grazie comunque.
SMS: To Roxanne From Holly H 10:05 PM
Vorrei comunque chiederti scusa personalmente. Sono stata coinvolta anche io e mi dispiace per quello che è accaduto. Ti prego.
SMS: To Holly From Roxanne H 10:10 AM
Okay.
SMS: To Roxanne From Holly H 10:05 PM
A mezzogiorno davanti allo Starbuck’s del centro commerciale <3
 
 
Jimmy e Holly avevano aspettato nascosti dentro un negozio di lingerie femminile per almeno mezz’ora, prima di decidersi di defilarsi e andare a fare un giro in centro.
Avevano visto arrivare prima Roxy, in anticipo di qualche minuto, poi Brian, in ritardo di dieci. I due si erano fermati a scambiarsi qualche parola – che erano imbarazzati, riuscivano a vederlo persino da dietro pile di reggiseni e culotte -, poi Jimmy aveva mandato un messaggio a Brian.
E’ l’occasione per ripartire da dove eravate rimasti. In bocca al lupo.
Brian aveva letto il display del cellulare guardandosi attorno alla ricerca della figura dinoccolata dell’amico, poi aveva detto qualcosa a Roxanne ed erano entrati da Starbuck’s, probabilmente a mangiare qualcosa insieme.
A quel punto, Jimmy e Holly erano scivolati fuori dal negozio e si erano dileguati dalla parte opposta a dove si trovava la coppietta, tirando un sospiro di sollievo quando l’aria gelida di gennaio li aveva investiti in pieno viso.
“Sei soddisfatta?”
“Spero vada tutto per il verso giusto.”
“Zacky lo sa?”
“Non credo, non gli ho detto nulla. Forse Roxanne gli ha detto che usciva con me a pranzo, ma non mi sono arrivati messaggi minatori da parte sua, dunque dubito. Come minimo sarà ancora a letto a poltrire.”
Jimmy le aveva arruffato i capelli sulla nuca e lei gli aveva offerto un morso della propria ciambella ricoperta di cioccolato caldo e granella di mandorle che aveva appena acquistato da un venditore ambulante.
“Potevi farti aiutare da Matt.”
Holly aveva sollevato lo sguardo su di lui scuotendo il capo con forza, le guance piene di cibo gonfie come quelle di un criceto.
“Matt si sta facendo aiutare da Roxy a preparare il regalo di Natale di Val, non credo abbia tempo per queste cose. E poi sei meglio tu.”
“Ti da fastidio?”
“Che non mi abbia chiesto di aiutarlo, un po’ si.”
“Be’, dovresti metterti nei suoi panni: è difficile.”
Holly si era morsicata il labbro inferiore, cercando le parole adatte per esprimere quello che l’aveva incupita nelle ultime settimane.
“Quando penso ad Huntigton Beach mi viene sempre in mente che anche voi state vivendo, lontani da me, e che forse un giorno, tornando, non ci riconosceremo più.”
“E questa è la cazzata dell’ultima ora, vero?”
“No, ci pensavo da un po’. Voi vivete le vostre vite, io la mia, e per quanto possa essere felice delle mie scelte… mancate voi. Quando non sai con chi condividere la tua vittoria, perde persino di sapore.”
“Non ci perderemo per così poco.”
“Ma io resto quella fuori dal vostro mondo.”
“E’ sempre una festa quando rientri, Holly. Voglio dire, non è che ce ne freghiamo di te, anzi, quando tu sei con noi siamo sempre insieme. E guarda il lato positivo: anche i punti di scontro si abbattono in proporzione.”
“Hai ragione.”
“Non farti problemi inutili. L’hai detto tu a Matt che non è la distanza a cancellare l’affetto, no?”
“Sono brava solo a parole, mi hai scoperta.”
Holly aveva sfoderato l’aria più afflitta del pianeta per poi scoccargli un sorriso rassicurante. Parlare con Jimmy le faceva bene, riusciva sempre a farle guardare con oggettività alle cose.
Le sarebbe piaciuto avere un fratello maggiore come Jimmy.
“Si piacciono molto, vero?”
“Da cosa lo capisci?”
“Dal fatto che Brian con Roxy sembra quasi un essere umano.”
“Non dirglielo o dovrebbe ucciderti.”
“Non farebbe in tempo, sono troppo veloce per lui.”
Erano scoppiati a ridere di nuovo, immersi nella luce abbacinante del primo pomeriggio di un freddo mercoledì di gennaio.
“Non credo di riuscire a rientrare per il tuo compleanno Jimmy, mi dispiace.”
“Allora cercheremo di fermarci a New York appena possibile, se il tour va in porto di lì ci passiamo sicuramente. Quando torni?”
“Se riesco ad ottenere lo stage in Europa probabilmente per una decina di giorni quest’estate, ma non appena me ne daranno l’occasione torno a casa.”
Jimmy l’aveva guardata senza parlare, per uno di quegli istanti in cui ti fissava cercando di sondare ogni tuo singolo pensiero, gli occhi dalla forma allungata ridotti a due fessure.
“Ne sei convinta?”
“Quest’estate mandano una delegazione di studenti in uno scavo a Roma, ti rendi conto? Potrei andare in Europa!”
Se ci fosse stato Zacky avrebbe sbottato che era dall’altra parte del pianeta e le avrebbe messo il muso, Jimmy aveva sorriso e le aveva passato un braccio attorno alle spalle scoccandole un bacio tra i capelli.
“Secondo me quella che fa passi da gigante sei tu.”
“Secondo me siamo solo tutti troppo scemi per renderci conto di quali siano le nostre priorità, lo sai?”
“Tipo fare la rockstar?”
“E’ il sogno di Zacky. Ognuno di noi ne ha uno, basta cercare di realizzarlo con ogni mezzo possibile.”
Sacrificare tutto per quel sogno, a occhi chiusi, senza badare a ciò che hai intorno, è eticamente corretto?
Holly avrebbe desiderato chiederlo a Jimmy, poi si era limitata a stringersi nelle spalle e riprendere il filo su discorsi più leggeri.
Avrebbero davvero sacrificato qualsiasi cosa per i loro sogni? Da qualche parte, nella testolina buffa di Holly, una voce – che aveva il calore rassicurante di quella di Jimmy – le diceva che avrebbero compreso cosa valeva la pena di essere sacrificato e cosa fosse intoccabile, persino dal sogno della loro vita.
Holly era certa che ci fossero cose più grandi persino dei sogni, ma se le avessero chiesto quale fosse il loro nome, non avrebbe saputo trovarlo.
 
 


Note dell'autrice.
Se ve lo siete perso, trovate QUI il trailer de "Il peso della farfalla" che fa tanto atmosfera, comunque.
Detto ciò, chiudo con le note scusandomi per il ritardo nella pubblicazione, spero di essere più presente negli aggiornamenti, ma cercherò di andare di pari passo con Magical_Illusion per evitare spoiler.
Grazie per la pazienza, spero di essermi fatta perdonare per l'attesa, almeno un po'! <3

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Capitolo 3
*** O sei dentro o sei fuori ***


Huntigton Beach, 2002. New York, 2002.




Holly era stata costretta ad un rientro del tutto inaspettato e fuori programma ad Huntigton Beach quando aveva ricevuto una telefonata di Dakota in lacrime nel cuore della notte.
Per la tua migliore amica prendi anche il primo aereo che parte da New York per Los Angeles, e Holly aveva recuperato i risparmi delle sue ultime settimane e si era diretta in aeroporto in una bigia mattina di aprile.
Aveva sbadigliato portandosi una mano alla bocca, cercando di rimettere insieme i pezzi delle frammentarie notizie che le aveva snocciolato Dakota tra un singhiozzo e l’altro, e tutto quello che aveva capito era che c’entrava Johnny.
Non che ci volesse un genio, comunque.
Dopo il suo rientro a New York, Holly si era posta il problema di quanto potesse essere oneroso alzare il culo dall’università e rientrare ad Huntigton Beach tutte le volte che lo desiderava – e lei aveva la pretesa di poterlo fare ogni volta lo ritenesse necessario -, per cui aveva finito con il fare la cosa più comune del mondo: la cameriera serale in un pub non troppo lontano dagli alloggi universitari dove abitava.
Il bello del suo lavoro era che conosceva un casino di gente a cui non doveva necessariamente raccontare i cazzi suoi, che non era mai sola – e questo la portava ad evitare problemi di paranoie, rimorsi di coscienza e nostalgia di casa – e che poteva distrarsi dallo studio. Nei mesi aveva imparato ad amare la storia in un modo del tutto differente da quello originario che l’aveva spinta a seguire le orme di Harrison Ford e aveva capito che ogni personaggio, ogni periodo, ogni movimento culturale avevano qualcosa da insegnarle.
Dei corsi e dei ricorsi storici di Gian Battista Vico, Olivia Bridges se ne fregava allegramente: era certa l’uomo – almeno nel piccolo del suo striminzito angolo di quotidianità – fosse in grado di vivere secondo una legge che non fosse dettata dalla Provvidenza che, prima o poi, ti faceva tornare a ritroso negli anni e ripetere gli stessi errori del passato, nel presente. Holly aveva una discreta fiducia nel genere umano, a sufficienza comunque per credere che l’uomo non fosse così tanto idiota da fregarsi allo stesso modo per ben due volte. Era un po’ come la regola imperativa del cartone animato di Saint Seiya: mai rivelare al tuo avversario tutti i tuoi colpi o sei fottuto. Poteva esistere qualcuno di così tanto idiota da non imparare dai propri errori?
New York aveva avuto su di lei l’ascendente di una buona dose di fiducia in sé stessa e nei propri mezzi, rendendola un’indipendentista. La valigia pronta per tornare a casa ogni due mesi era il pretesto per rivedere le persone che amava da una vita, non era l’imperativo per cui doveva tornare e sospirare in direzione di Matt.
Non era nemmeno il pretesto per fuggire da una megalopoli in cui si era sentita comunque un po’ sola, sempre, senza avere quell’appoggio che solo la tua migliore amica può offrirti. Dakota era, e sarebbe rimasta, insostituibile, ma a New York poteva comunque contare sull’appoggio della sua compagna di stanza, del suo gruppo di studio e dei ragazzi del club di canto. Non era mai tutto rose e fiori, e il rumore che le soffocava ogni giornata rischiava di farla impazzire a volte, perché New York era fatta di suoni perenni in sottofondo: lo strombazzare di qualche clacson, lo sferragliare lungo la strada delle auto e dei taxi sempre attivi, il vociare dei pedoni lungo i marciapiedi e nei locali e poi quel costante flusso migratorio di persone.
New York non stava mai zitta né ferma e se con l’iperattività lei si era trovata pressoché nel suo habitat naturale, il non poter avvertire silenzio nemmeno quando si metteva a dormire la inorridiva: non aveva tempo per stare sola con sé stessa per qualche faccia a faccia costruttivo. Diretta verso Los Angeles riusciva a fare dunque un rapido excursus degli ultimi quattro mesi e si, stava andando tutto a gonfie vele.
Le mancavano i ragazzi?
Si, moltissimo, ma stavano anche per partire per il loro primo tour e lei non aveva alcun motivo di rinunciare alla propria vita per inseguire il loro sogno.
Poteva sostenerlo, supportarlo con ogni mezzo, apprezzarlo e pregare che tutto si realizzasse secondo i loro desideri, ma rinunciare alla propria vita, no, quello mai.
Nemmeno per tutto l’amore del mondo: qual’é quell’amore così distruttivo da farti rinunciare alla tua vita per lui?
Holly se lo stava chiedendo, e tutto quello che riusciva a rispondersi era che doveva essere un tipo di amore malato, un tipo di amore in cui o hai lo stesso sogno, o non puoi umanamente reggere una vita con l’insoddisfazione di chi non ha nemmeno mai osato.
Rinunciare ora, per quei cinque idioti che sanno benissimo cavarsela da soli, non avrebbe senso.
Ho un sogno immenso, non lo butto nel cesso per la prima copertina di Kerrang! dei miei migliori amici, mi dispiace.
 
 
Holly stava ascoltando Dakota da quando era andata a prenderla in aeroporto.
“Quindi Johnny entra a far parte della band?”
“Lo portano via, capisci? Va a fare la rockstar, cazzo!”
Dakota, tra un singhiozzo e l’altro, aveva rischiato di passare con il semaforo rosso nel cuore di Los Angeles e di mancare una precedenza ad una scolaresca, costringendo Holly a passare dalla parte dell’autista per accantonarla nel più sicuro lato passeggero.
Le aveva lanciato un’occhiata fugace, prima di tornare a guardare la highway che divideva Los Angeles da Huntigton Beach. Il viaggio volevano goderselo, per cui avevano deciso di percorrere la costa toccando Santa Monica prima di dirottare verso l’interno della California.
“Sai cos’hanno fatto? Hanno detto alla madre di Johnny che se non gli avessero dato il permesso per suonare con loro l’avrebbero segnalato su internet come pornostar!”
Holly era stata costretta a trattenere una risata, certa che quella fosse stata un’idea di Jimmy e Zacky.
“Dakota non mi sembra una catastrofe. Johnny non va in guerra, ha solo deciso di fare il bassista in una band di cazzari.”
“Vanno in tour, e Johnny non ha ancora finito la scuola.”
“E dubito la finirà, se per questo”, era stata la laconica risposta della rossa, annotando l’ennesimo segno di defezione dalla lista delle persone culturalmente salvabili anche Johnny.
“Non è comunque questo il punto. Il punto è... che non voglio che vada a suonare con loro.”
“Non sarebbe giusto negarglielo. Ne avete parlato?”
Dakota aveva scrollato il capo con forza, la chioma bionda che aveva sferzato l’aria come una frusta assassina, tenendo lo sguardo fisso dinnanzi a sé senza staccare gli occhi dal cruscotto dell’auto.
“Lo so che tu non approvi, Holly. Te lo leggo in faccia.”
“Non è che non approvo, è che…”
“Se stessi con Matt forse capiresti come mi sento.”
Holly aveva sospirato incassando il colpo: non aveva tutti i torti, Dakota, e probabilmente aveva persino ragione.
“Non sono tutti bravi come te a piantare in asso le persone a cui vogliono bene per farsi gli affari propri.”
“Dakota non esagerare come tuo solito. Io non ho tradito nessuno. Mi hai chiamata nel cuore della notte e mi sono precipitata qui con il primo aereo disponibile. Cos’altro dovevo fare?”
“Restare ad Huntigton Beach, o studiare a Los Angeles magari, o… okay, scusa. Resta il fatto che tu non ci sei, ed è tutto più incasinato quando sei lontana. Non so cosa fare, non so se faccio la cosa giusta o quella sbagliata, non so cosa fai tu o se tu hai bisogno di me. Sai quanta gente interessante puoi trovare a New York? Prima o poi ci scaricherai davvero tutti. Tu hai il dono di farti amare dalle persone e…”
“Si, raccontalo a Valary o a Roxanne.”
Era riuscita a strapparle un sorriso, smorzando la tensione di pochi attimi prima. Era difficile avere a che fare con Dakota, a volte, perché era come una pentola a pressione: se ne stava in silenzio acconsentendo a tutto, poi bastava che scattasse quel qualcosa che la faceva sbottare all’improvviso e tutti i suoi “si” diventavano improvvisamente un “no” non detto per paura di ferire o essere ferita.
“E’ vero che mi manchi, ero abituata che quando c’era un problema bastava un messaggio per vederci dieci minuti dopo. Ora devo accontentarmi del telefono, è difficile. A volte mi sembra di stare con te, non con Johnny.”
“Non dirglielo, o diventa il terzo che vuole farmi fuori qui ad Huntigton Beach.”
“Guarda che loro non hanno nulla contro di te, ti fai troppe fisime inutili. Hai detto agli altri che sei qui?”
“No, sono venuta per te. Tu l’hai detto a qualcuno?”
“Solo a Johnny, gli ho detto che questo week-end non ci saremmo potuti vedere dato che scendevi a trovarmi.”
“Quindi lo sapranno anche gli altri in meno di tre ore.”
“Ho avvertito anche tua madre, le ho detto che dormirai da me. Così, nel caso a Zacky o Matt venisse la malaugurata idea di entrare in camera tua per rapirti, sarai al sicuro.”
“Hai pensato a tutto, eh.”
“Sono io ad avere bisogno di te questa volta, i capricci di Zackary Baker li possiamo anche ignorare per questa volta.”
Holly aveva riso, calandosi gli occhiali da sole sul viso e abbassando i finestrini dell’auto per fare entrare l’aria dal sapore salmastro che tanto le era mancata.
Era bello essere di nuovo a casa.
 
 
Holly masticava svogliatamente un chew-gum alla fragola emettendo, con una certa regolarità, scoppi di palloncini che le uscivano dalle labbra in bolle perfette mentre Dakota era intenta a spennellare le unghie delle mani di un vistoso viola, entrambe sedute sul letto immerse nella quiete di un sabato sera tra amiche.
“Ci sono le groupie. Come le posso evitare?”
“Non puoi. Spetta a Johnny non essere scemo nel caso orde di sconosciute gli sventolino sotto il naso la voglia di portarselo a letto.”
“C’è la distanza.”
“Hai mai provato una storia a distanza?”
“Con te, ed è un inferno.”
“Sono la tua migliore amica, non il tuo ragazzo.”
“Appunto. Con lui sarà pure peggio.”
“Sii realista Dakota. Un tour non dura ininterrottamente per un anno, e comunque non di certo agli esordi. Ora potranno permettersi di viaggiare in California e in qualche stato qui vicino. Possono spingersi a New York, ma non oltre. Una quindicina di giorni, un mese al massimo: puoi sopportarlo, no? E poi perché non vai anche tu? Roxy e Val seguono già i ragazzi, no?”
“Matt e Zacky ti raccontano sempre tutto, eh?”
“E’ difficile che Zacky sappia mantenere un segreto, e alla fine se c’è stata una che ha raccontato bugie sono stata io.”
“Ma tu l’hai fatto a fin di bene. Ti è passata, no?”
Holly aveva annuito, sorridendo al soffitto. Si, si era liberata della sua cotta adolescenziale. Non sapeva come, ma pareva fosse tutto normale e perfetto. Un po’ le dispiaceva, le sembrava quasi di aver messo Matt in un ipotetico secondo posto della sua classifica personale di amicizie, ma era solo una trasfigurazione fasulla dettata da quello status in cui da “principe azzurro” passi a “migliore amico”.
Dalle stelle alle stalle di un’ipotetica Top 100, ma bastava non farlo sapere al diretto interessato, no?
“E comunque, secondo me Matt lo sa. Cioè, va bene che è tonto, ma non può essere stato così tonto.”
“Be’, se n’è accorto comunque tardi, per cui fingerò non lo sappia e tanti saluti”, era stata la lapidaria risposta di Holly.
“Secondo te resisteremo alla distanza?”
“Certo che si. Perché non dovresti riuscire a sopportarla? Sono poche settimane, ce la puoi fare Dakota. Sei forte.”
“E noi?”
“Sono qui, non ti basta come risposta?”
Dakota le aveva lanciato un’occhiata scettica prima di regalarle uno dei suoi adorabili sorrisi e gettarsi distesa accanto a lei.
“E’ un sacco di tempo che non dormiamo insieme. Ti ricordi la notte del concerto dei ragazzi?”
“Quale? Il primo?”
“Quello in cui Zacky ha picchiato Johnny.”
“Quando avrei dovuto dichiararmi a Matt. Che sceme che eravamo.”
“Secondo me non siamo cambiate molto. Cioè, abbiamo solo capito cosa vogliamo fare.”
“Non è poco, Dakota. Almeno non vogliamo diventare rockstar.”
“Ti da fastidio?”
“No, perché?”
“Lo dici sempre come se fosse una cazzata apocalittica quello che vogliono fare. Non ci credi?”
Holly era rimasta in silenzio per un istante, cercando di ricordare le mille volte in cui aveva ripetuto la medesima frase, in quali contesti e con chi.
Era risultata quella che li guardava come dei poveri illusi?
“No, ci credo. Hanno del potenziale nel loro genere. E’ che non basta un contratto per diventare famosi e solcare i palchi dei festival di mezzo mondo.”
“Non è nemmeno facile diventare Indiana Jones, ma tu ci stai provando. Ci stanno provando anche loro e lo sai. Ma sembri sempre scettica, come se per loro fosse tutto un gioco.”
“Per loro è un gioco, Dakota. Loro suonano perché si divertono e vorrebbero vivere così tutta la vita, se gli togli la musica sono fottuti. E io ho paura di questo: se dovesse andargli male cosa faranno?”
“Pensa invece se dovesse andargli bene. Non sono degli idioti, su qualcosa ripiegheranno.”
Si, ma se invece non dovesse girare per il verso giusto?
Holly aveva sorriso, girandosi verso Dakota.
“Andrà bene solo perché hanno veramente una fortuna schifosa, quei cinque.”
Non c’è niente di peggiore di un sogno infranto e tutto quello che voglio è che non debbano conoscere mai il sapore amaro della sconfitta.
 
 
“Giurami che non farai la testa di cazzo con le tizie che ci proveranno con te.”
Dakota, seduta sulle gambe di Johnny, non aveva la minima intenzione di cedere il passo a un’ipotetica concorrenza.
“Nel caso tu faccia il coglione, ci penserà Holly a vendicarmi.”
“Sicura che l’abbia specificato?”
“Secondo te?”
Conoscendola poteva persino aver deciso di fare un patto con qualche spirito maligno per stargli attaccato al culo e tirargli il malocchio ogni volta che poteva commettere qualche cazzata. Per Johnny Dakota era importante, ma allo stesso tempo non voleva lasciarsi strappare l’occasione di suonare con gli Avenged Sevenfold. Li aveva seguiti sin dal loro esordio, aveva passato intere giornate ad ascoltare le canzoni scritte da Zacky e Matt prendere vita. C’era sempre stato, insomma, proprio come Holly, e se lei aveva deciso di esserci nel modo leggero che poteva avere un folletto dispettoso, lui poteva farlo nel modo più fisico del termine.
E gli piaceva.
L’adrenalina che sentiva quando stava sotto il palco poteva prenderla e scaraventarla addosso ad altri, darla in pasto a folle urlanti che stavano lì solo per loro.
Poteva esserci qualcosa di più figo al mondo?
No.
Aveva passato una mano tra i capelli di Dakota, poi le aveva posato un bacio sulle labbra sorridendole.
“Giuro che amerò solo e soltanto te sino alla fine degli Avenged Sevenfold.”
“Che razza di giuramento è?”
“E’ un giuramento eterno. Gli Avenged Sevenfold dureranno per sempre.”
“Johnny è un po’ triste credere che quando avrete sessant’anni sarete ancora lì a suonare per i teenagers, lo sai?”
“E’ un concetto, Dakota. E’ il nostro stare insieme a formare gli Avenged Sevenfold.”
Johnny era bravo a parole, Holly le diceva sempre che c’era della genialità in lui.
Dakota, semplicemente, ne era innamorata e tutto quello che usciva dalle sue labbra, era oro colato.
Il verbo di un dio, quasi.
“Grazie Johnny.”
Gli aveva cinto il collo con le braccia, posando la testa sulla sua spalla e dandogli un leggero bacio sulla guancia.
“Ti amo.”
Era la prima volta, in quasi due anni, che sentiva Dakota dirgli quelle due parole magiche. Dalle donne ti aspetti sempre che dopo tre giorni inizino a infarcirsi la bocca di parole stucchevoli, e Dakota non rientrava di certo nella lista delle tipe immuni da questa sindrome. Era dolce, era romantica, era sognatrice, ma c’era stato che non gli aveva mai detto nulla più di un “ti voglio bene”. Johnny, dal canto proprio, aveva finto indifferenza alla cosa e lasciato correre: era un uomo, dei cavilli causati dalla letteratura romantica ne faceva volentieri a meno.
Però, in quella serata di aprile, in cui potevano rivoluzionare tutto, le parole di Dakota gli suonavano sincere e pulite, assolutamente non banali né scontate, senza alcun doppio fine.
Le aveva desiderate per quasi due anni, dunque non potevano che sembrargli l’accordo di fiducia più incredibile che Dakota potesse concedergli.
“Anch’io. Ti amo anch’io.”
Lei aveva sollevato di scatto il viso guardandolo negli occhi, poi l’aveva baciato di nuovo, sorridendo.
Della paura di poche ore prima non restava che un ricordo lontano: le erano bastate le parole della sua migliore amica e lo sguardo di Johnny per capire che tutto non era altro che il frutto della sua immaginazione.
 
 
Aveva finito con l’essere riaccompagnata in aeroporto da Zacky. Dakota si era fermata a chiarire le cose con Johnny in preda a quella frenesia che ti porta a volerti togliere un peso che rischia di schiacciarti con la faccia nel fango, e lei era stata costretta ad accettare il passaggio dell’amico per non fare un noioso viaggio di rientro da sola, dividendosi tra pullman e taxi.
“Potevi dirci che saresti tornata.”
“Dakota mi ha chiamata giovedì notte, ho dovuto fare i salti mortali per trovare un aereo e precipitarmi qui. Secondo te ho avuto il tempo per farlo?”
“Di’ che non volevi vederci, saresti più credibile.”
“Anche. Dovevo essere lì per Dakota, non a fare casino con voi come il solito.”
“Sei una stronza. Potevi almeno farci un saluto, no?”
“L’avrei fatto.”
Bugia, ma a fin di bene, perché nella voce di Zacky c’erano solo scazzo e irritazione e a lei, quando si arrabbiava davvero, faceva sempre un po’ paura se la lite non era a doppia mandata e lei quindi non era altrettanto incazzata per potergli tenere testa.
“Certo, come no.”
“Vi porterete dietro anche Roxy, Val e Dakota alla fine?” aveva tentato di cambiare argomento, giusto per alleggerire la situazione.
“Non possiamo fare altrimenti, non abbiamo alternative. Valary ci sta dando una mano con qualsiasi cosa, fa la rodie praticamente. Se non ci fosse lei saremmo spacciati. Roxy ci organizza le serate e aiuta Val, sono un ottimo supporto. Dakota a questo punto ci truccherà e acconcerà a dovere.”
“Brian è persino più bravo di me nel mettere l’eye liner, non credo abbia bisogno di Dakota.”
“Ma davvero è andata in crisi per la storia di Johnny?”
“Che razza di domanda fai? Ti pare che fosse tutta una finta se ho dovuto muovere il culo da New York in meno di dodici ore?”
“Be’, è un modo come un altro per costringerti a tornare. Sei talmente impegnata che sperare di vederti è pressoché un’utopia. Quest’estate nemmeno torni ad Huntigton Beach.”
“Si che torno, Zacky.”
“Per due misere settimane. Bella fregatura.”
“E’ a settembre, per cui sarete tornati dalle vacanze e sarete sicuramente liberi. Perché mi devi sempre mettere in croce?”
“Perché te ne freghi di quello che hai qui.”
La domanda – cinica e crudele – che le era salita in punta di lingua era stata un qualcosa che suonava come “cos’avrei ad Huntington, scusa?”, ma si era trattenuta dal rispondergli facendo cadere il discorso.
Non aveva voglia di discutere con Zacky, non della medesima cosa di cui l’accusava più o meno una volta ogni quindici giorni.
“Io non me ne frego, Zacky. Non posso fare quello che desidero restando a casa. Voi ora partite per il tour, diventerete famosi e tanti saluti. Che io sia ad Huntington Beach o meno non fa alcuna differenza.”
“Potresti venire anche tu con noi.”
“Creiamo una comune hippy come negli Anni Sessanta? Dovrai rivedere i tuoi gusti musicali, però, mio caro Baker.”
“Non fare del sarcasmo, hai capito benissimo cosa voglio dire. Ci manchi, ma proprio un casino. Dakota ti ha chiamata perché non saprebbe con chi sfogarsi, io ti chiamo tutti i giorni e anche Matt fa lo stesso. E il fatto la cosa non si sia smorzata in sei mesi dovrebbe farti pensare che forse il tuo posto non è lì ma qui con noi.”
“Non si è smorzata perché avete il tempo per tampinarmi. Quando sarete in tour e non avrete tempo nemmeno per respirare, allora dovrete darvi delle priorità. E io non sarò in quelle, ma è normale. Matt avrà pochissimo tempo da passare con Val, non chiamerà di certo me ogni sera. E quando tu troverai la donna della tua vita farai la medesima cosa. Gira così il mondo, la tua migliore amica diventa l’ultimo dei tuoi problemi.”
“Solo nel tuo mondo malato dove dai un voto da uno a dieci alle persone e, secondo l’ordine di importanza, decidi se vale la pena degnarli della tua presenza. Guarda che esistono persone intoccabili che restano ai vertici della nostra vita, non puoi pensare che solo perché sei a studiare a New York noi ci dimentichiamo della tua esistenza. Siamo cresciuti insieme, non cancelli il passato solo perché te ne stai lontana da noi quasi tutto l’anno.”
“Credi che tra quattro anni sarà tutto come adesso?”
“Ci impegneremo perché resti così.”
E la sua non era una domanda: era un’affermazione, una di quelle promesse che Zackary Baker faceva a sé stesso e in cui coinvolgeva anche il resto del mondo senza degnarsi di sapere da che parte sarebbero stati.
Perché, ovviamente, sarebbero stati con lui e perorato la sua causa sino alla fine.
 
 
*
 
 
Era passato poco più di un mese e mezzo, e i corsi universitari stavano per concludersi. Il modo migliore per la fine del primo anno accademico era stato buttarsi nel primo locale in cui avevano trovato qualcosa di interessante da fare.
Quella sera suonava un gruppo di cui Holly aveva sentito parlare un po’ da chiunque. A New York se c’era qualcosa che attirava l’attenzione il passa parola e My Space riuscivano a fare miracoli, e si erano ritrovati in un locale piccolissimo in troppi.
“Siamo sicuri di voler restare tutta sera, vero?”
“Sino alla fine del concerto di sicuro”, le aveva risposto raggiante Mary Anne, la sua compagna di stanza. Lei era fanaticamente innamorata della voce di Julian Casablancas e, poco ma sicuro, le sarebbe toccato anche aspettare dopo il concerto per vedere la band uscire, scattarle una foto con il suo idolo e ritornare a casa – probabilmente sbronze – felici come pasque. Mary Anne felice per certo, a lei sarebbe rimasto solo il colossale mal di testa dovuto alla serata di casino assoluto: e poteva permetterselo, no?
Il primo anno universitario l’aveva concluso in maniera ottimale e l’attendevano tre mesi di intenso piacere a Roma tra scavi archeologici e musei.
Il duemiladue sarebbe stato un anno da ricordare, e poteva già dirlo anche se mancavano sei mesi alla fine dell’anno.
“Guarda Holly, guarda! Non è bellissimo?”
Mary l’aveva strattonata per un braccio, schiacciandola ulteriormente contro la transenna che separava il palco dal pubblico – al massimo venti centimetri di distanza e chiunque avrebbe potuto superarle. Lei di certo, ci avrebbe messo davvero poco – indicandole il cantante, un tizio dai capelli spettinati e lo sguardo da bassethound.
“Ma ti piace quello?”
Le aveva lanciato un’occhiata scettica, ma Mary era troppo impegnata a fissare il suo cantante per rendersi conto di quanto allucinante fosse quella situazione. O meglio, la trovava assurda solo Holly che era stata la vittima sacrificale di una serata in cui doveva predominare il casino in compagnia, non il cuore di fans della sua compagna di stanza.
“Noi siamo gli Strokes, benvenuti ragazzi!”
Giro di chitarra ritmica, voce ipnotica e rock Anni Settanta.
Holly aveva posato gli occhi sulle dita sottili che schiacciavano le corde della chitarra – Converse ai piedi identiche alle sue, jeans strappati e maglia troppo larga per un tipo allampanato dai capelli arruffati – e si era sentita morire.
Non capisci bene perché accada, semplicemente succede che a volte ti restano in mente i dettagli dell’anatomia di un corpo, qualcosa che ti schiaccia sul tuo posto e non ti permette di vedere altro.
Solo un dettaglio, come il tarlo fisso di un folle.
Holly, di quel chitarrista, riusciva a distinguere solo le mani e sfocato sullo sfondo un tizio che avrà avuto a stento la sua stessa età.
“Dai Holly, canta!”
“Ma cosa devo cantare? Io nemmeno so chi siano questi.”
“Be’, inventati le parole no? Dobbiamo supportarli, questo pubblico fa schifo!”
Holly le aveva lanciato un’occhiata esasperata poi, per dovere verso sé stessa, aveva trasfigurato la situazione ad un concerto dei ragazzi e si, lei era decisamente peggio di quello che era lo stato di furia e adrenalina di Mary Anne.
Poteva lasciarsi andare alla musica, no?
Aveva chiuso gli occhi, finito il contenuto della sua bottiglia di birra e poi aveva preso a muoversi, le mani alzate verso il cielo e solo la chitarra a sovrastare voce, basso e persino batteria.
Era un suono che la ipnotizzava. Forse era una deformazione derivante dallo stare sempre con Zacky o dall’aver provato a prendere in mano una chitarra in maniera pseudo-seria, o forse era solo affinità con uno strumento.
E con chi lo suonava, magari.
Persa a rincorrere ricordi e dita che percorrevano corde di chitarre differenti, Holly non si era resa conto di Mary che le sgomitava accanto e il cantante che la fissava ridendo di gusto.
“Non stavamo cantando questa canzone, rossina.”
Holly aveva sgranato gli occhi, la mano bloccata a mezz’aria chiusa a pugno e bracciali colorati a scivolarle lungo il braccio, poi era scoppiata a ridere divertita.
“Potete farla, no?”
Julian Casablancas l’aveva guardata scettico, poi aveva fatto un cenno ai ragazzi della band e avevano preso ad attaccare le prime note di Come Together dei Beatles.
Dove l’avevano portata i ricordi, a una canzone che non aveva nulla a che fare con la serata che stavano vivendo e che le ricordava un pomeriggio passato alla spiaggia con Zacky e Matt, le tavole da surf abbandonate al sole e un’improvvisata partita a racchettoni che si era conclusa con una gara di tuffi dal molo, dove c’era profumo di Huntigton Beach e delle risate di un’estate che lentamente stava morendo.
“Tu sei veramente fortunata. Ha suonato la tua canzone preferita!”
“Mary quella non è la mia canzone preferita.”
“E perché la stavi cantando allora? Anzi, sarebbe più corretto dire gridando.”
“Ci sarà stato qualche accordo che me l’ha ricordata. Ce l’hai con me per…”
“A te nemmeno piacciono! Nemmeno sai chi sono!”
Si, però quel Julian era simpatico: lo trovava divertente. Non sarebbe diventata una loro fan, ma avrebbero comunque avuto una sostenitrice in più.
E’ facile farsi fregare da un sorriso o da uno sguardo quando sei sotto il palco e l’adrenalina scorre al posto del sangue e il cuore pompa emozioni: ti illudi persino che il tuo idolo possa sorridere proprio a te.
Julian non era – né lo sarebbe mai diventato – il suo idolo, però alla simpatia doveva dare voto pieno. L’acquisto del loro primo album, dunque, se l’erano meritato sulla fiducia dello stare al gioco di una sconosciuta.
E per una chitarra che le avrebbe tenuto compagnia nelle sue notti italiane.
 
 
A Matt arrivavano regolarmente lettere e fotografie di Holly, a Zacky cartoline di tette e culi femminili. Della tanto decantata Italia, Zacky aveva avuto modo di vedere solo una panoramica di carrozzerie femminili piuttosto ben piazzate.
“Ne è arrivata un’altra”, aveva sbuffato gettando sul tavolo del garage l’ultima cartolina di Olivia arrivata da Firenze.
“Ma cazzo, sta girando tutta l’Europa?”
Jimmy aveva riso, cercando di chiudere gli amplificatori negli scatoloni.
“Zacky potresti anche alzare il culo e darci una mano a preparare tutto. Domani partiamo.”
“Sei una palla, Jimmy.”
“Anche tu, dai avanti. Roxy e Brian stanno già caricando gli strumenti sul tour bus. E ci sono ancora le valigie e un casino di altra roba. Non ci staremo mai tutti sopra quel rottame.”
“E gli altri dove sono?”
“Val è andata a trattare il prezzo del catorcio, Johnny, Matt e Dakota sono a fare la spesa. Io e te dobbiamo imballare tutta l’attrezzatura.”
Zacky aveva guardato l’amico con aria sconfitta, sistemandosi bandana e cappello da baseball sulla fronte, aiutandolo poi a sollevare da terra il primo degli scatoloni.
“Nessuna notizia da Holly?”
“Mi ha mandato una mail a inizio settimana. Dice di non avere molto tempo a disposizione. Quando non lavorano al sito per maltempo o nei week-end, vanno a visitare le città d’arte, per cui non si ferma un attimo.”
“Ah, ecco svelato il motivo delle cartoline!” era stata la risposta divertita di Jimmy.
Per Zacky non c’era un cazzo da ridere in quella situazione. Era la prima estate che viveva senza Holly e gli mancava essere svegliato da lei all’alba per andare a fare surf, poi rientrare a casa quando la spiaggia si incasinava di gente e poi tornarci quando ormai il sole stava tramontando.
Era così che funzionava l’estate per loro due: vivevano sempre sulla linea di inizio e fine, e poi la notte. Era un po’ una metafora della loro vita: giocavano sempre sul filo del rasoio senza mai temere nulla e prima o poi si sarebbero fatti male.
Lo sapevano entrambi ma se ne fregavano: finché c’era da fare casino potevano osare tutto se erano insieme.
In due, saltare nel vuoto fa meno paura.
“Cosa credevi, scusa?”
“Come ti conosce lei non ti conosce nessuno. Di questo devi darle atto.”
“Si si, le solite cose insomma. Vorrei che ci fosse anche lei a questo tour. Sarebbe più divertente.”
“Non è che senti la mancanza di una fidanzata, vero? Voglio dire, siamo io e te soltanto i due polli senza donne. Non è che hai preso Holly un po’ come la tua compagna?”
“Non dire cazzate Jimmy, Holly è la cosa meno femminile del pianeta.”
Più o meno.
Aveva scacciato il ricordo di un bacio maldestro sollevando da solo un amplificatore, rischiando di distruggersi la schiena.
“Ma sei scemo? Lascia, ti do una mano”, e Jimmy aveva preso l’altra estremità dello scatolone uscendo dal garage di Matt.
Faceva un caldo boia, all’esterno, e Brian e Roxy stavano spostando scatoloni e borse da viaggio nel tentativo di incastrare tutto alla perfezione del tour bus.
“Roxy non hai paura di prenderti un colpo di sole?” aveva ammonito la sorella nel vederla indossare un paio di shorts esageratamente corti e un bikini nero.
“Zacky, non iniziare. Fa un caldo infernale, non vorrai che mi metta una felpa, vero?”
Brian e Jimmy erano scoppiati a ridergli in faccia, e Zacky aveva dovuto incassare il colpo: tanto, se c’era qualcuno da supportare, era sicuramente Roxanne la fortunata ad avere l’aiuto da casa, non di certo lui.
“Ehi! Mi ha appena chiamata Holly ragazzi!”
Dakota era letteralmente saltata giù dall’auto di Johnny sventolando il cellulare in aria, raggiante.
“Poteva chiamare quando c’eravamo tutti, quella scema.”
“Vi saluta e ci fa l’in bocca al lupo. Dice che le piacerebbe un casino essere qui, che l’Italia è stupenda e che sta mangiando cose che qui nemmeno hanno lo stesso sapore.”
“Tutto qui?”
“No, ha aggiunto: dì a Zacky di muovere il culo quando suona e di non stare impalato come uno stoccafisso sul palco.”
“E’ una balla, vero?”
“Niente bugie, l’ho sentita con le mie orecchie”, era stata la risposta di Johnny.
“L’amico del giaguaro eh. Figurati se ti credo, nano.”
Johnny gli aveva mostrato il dito medio e Dakota l’aveva squadrato divertita.
“Tu, per stare tranquillo, muovi il culo come dice lei. Farai un figurone.”
“Dakota, vaffanculo pure tu.”
“Ci sono per le prossime tre settimane, Baker, sai la fortuna?”
 
 
*
 
Era mezzanotte e un minuto quando il campanello di casa aveva emesso tre suoni lunghi accompagnato da uno più breve.
“Teste di cazzo.”
Zacky aveva bofonchiato tra sé trascinandosi lungo le scale di casa propria, immerso nel silenzio della solitudine della notte che precedeva il suo ventunesimo compleanno. Roxy e Brian erano usciti a festeggiare da soli, i suoi genitori avevano deciso di dover lasciare casa Baker nelle sue mani e si erano presi una serata tutta per loro.
Lui era l’unico idiota che se ne stava in casa in attesa di poter festeggiare il suo compleanno la sera successiva, spaccando il mondo in due a Las Vegas.
Holly aveva avvertito che avrebbe tardato e sarebbe riuscita ad arrivare solo nel tardo pomeriggio, e Zacky non aveva nemmeno preso in considerazione l’ipotesi che un qualsiasi contrattempo potesse trattenerla a New York.
Non gliel’avrebbe mai perdonato, comunque, nemmeno se fosse stato il Padre Eterno in persona a imbavagliarla e costringerla dentro al JFK.
Ancora una serie di suoni alla porta, ritmati con la cadenza odiosa degli scherzi da adolescenti.
“Arrivo, razza di coglioni!”
Si era passato una mano tra i capelli, spalancando la porta senza troppa grazia, l’aria annoiata e gli occhi ridotti a due fessure dal sonno.
“Che faccia hai?”
Zacky aveva dovuto focalizzarsi sulla figura che stava davanti a lui, certo che si trattasse di un sogno o di uno scherzo delle birre che si era scolato a cena.
“Che cazzo ci fai qui?”
“Sono venuta a festeggiare il tuo compleanno, cosa credi sia venuta a fare?”
“Non dovevi arrivare domani?”
“Volevo farti una sorpresa. Mi fai entrare?”
Delle due settimane di settembre, gli sembrava di avere solo ricordi sfumati e confusi di mille altre estati, le risate di Holly sulla spiaggia, i tuffi dal molo, le serate passate a raccontarsi storie e a parlare di New York e poi del tour e delle città che avevano toccato. Erano piccoli viaggiatori astrali, come il Piccolo Principe, e Zacky – quando Holly gliel’aveva detto con la sua aria solenne da mocciosa – si era trattenuto dal ridere e le aveva rubato una manciata di pop corn dal secchiello in cartone del cinema.
Era sgusciata al di sotto del suo braccio, entrando senza troppi problemi all’interno di casa Baker.
“Non avete ancora fatto l’albero di Natale?”
“No, aspettavamo te.”
“Come sei cretino, Zacky. Non avete avuto tempo? Di solito il giorno del tuo compleanno casa tua è addobbata a festa da far invidia alla Lapponia. Allora? La sorpresa è riuscita?”
“Più o meno.”
“Auguri scemo. Questi sono per te.”
Holly gli aveva fatto dondolare davanti un sacchetto di velluto nero, tenendo nell’altra mano una scatola di cartone dello stesso colore.
“Cos’è?”
“Uno è il tuo regalo, l’altro è la tua torta. Ti pare che venga qui a festeggiare senza la torta? La birra so che ce l’hai tu.”
“Pensi sempre a tutto, eh.”
“Ti ho disturbato?”
“No, stavo cazzeggiando.”
“Allora spariamo a un po’ di zombie insieme?”
La verità era che le mancava stare con Zacky a parlare e fare casino, le mancava sentirsi a casa con una persona con cui non aveva bisogno di fingere. Con Matt doveva sempre restare sull’attenti, senza cadere in quelle trappole da fumetto in cui le sembrava dovessero spuntare fiori alle pareti della sua stanza. Con Zacky, invece, non c’erano implicazioni. C’erano solo loro due, a voler stare insieme e divertirsi e confrontarsi, scannarsi e tornare più amici di prima.
Zacky si meritava di essere festeggiato trecentosessantacinque giorni all’anno, ma non gliel’avrebbe mai confessato.
Magari lo sapeva, però: era per quel motivo che il suo ego era così dannatamente smisurato?
 
 
Quando Roxanne e Brian erano rientrati, avevano sentito il casino assurdo che proveniva dalla tv della camera di Zacky.
“Vado a salutarlo, tu vai pure in camera mia.”
Brian aveva oltrepassato la stanza dell’amico senza prestarvi troppa attenzione, mentre Roxanne aveva socchiuso la porta facendo capolino con il viso nel varco che si era creata. Seduti sul letto con la schiena appoggiata alla parete, Zacky e Holly dormivano con la musica di Residen Evil sparata a massimo volume, i loro personaggi morti sullo schermo e la scritta Game Over in sovraimpressione.
Era rimasta sulla porta qualche istante, poi si era decisa a entrare spegnendo prima la tv e poi aveva posato sulle gambe di entrambi la trapunta, osservandoli attentamente.
C’era qualcosa, nel vederli insieme, che la metteva sempre di buon umore: non c’era malizia, erano rimasti uguali a quando avevano sedici anni e litigavano di continuo. Avevano smesso di scannarsi per qualsiasi cosa, ma il bene che si volevano era rimasto inalterato e anzi, con la distanza, le sembrava persino che fosse diventato più forte.
Holly si era mossa un poco tra le coperte, schiudendo gli occhi in direzione di Roxanne.
“Ma che… ci siamo addormentati come due scemi, scusami. Vado a casa, non voglio disturbare oltre.”
“No resta.”
Roxy le aveva fatto cenno di non muoversi, indicandole la testa di Zacky appoggiata alla sua.
“Vi siete divertiti?”
“Abbiamo mangiato il cupcake che gli ho preparato, gli ho dato il mio regalo e poi ci siamo messi a giocare. Credo sia durata davvero poco questa partita. Non creo problemi se resto?”
“Dorme così profondamente che se lo svegliamo resterà scazzato per le prossime quarantotto ore.”
Holly le aveva sorriso, indicandole una scatola accanto a quella nera in cui aveva riposto il cupcake di Zacky.
“Ne ho preparato uno anche per te, spero ti piaccia. Buon compleanno Roxy.”
Roxanne Baker si era trovata a dover fare i conti con il lato più morbido del carattere di Olivia: non era abituata a vederla nella veste mite e arrendevole della ragazzina, e aveva dovuto ammettere che Zacky si, in fatto di donne non capiva proprio nulla.
“Posso farlo assaggiare anche a Brian?”
“Se lo sapevo prima ci mettevo dentro un po’ di lassativo.”
Roxy aveva trattenuto a stento una risata, recuperando la scatola dalla scrivania di suo fratello e dirigendosi di nuovo verso la propria stanza.
“Buonanotte Holly.”
“Anche a te.”
L’aveva vista chiudere di nuovo gli occhi, sistemandosi in modo da poter appoggiare la propria testa alla spalla di Zacky, poi Roxanne aveva richiuso la porta dietro di sé e li aveva lasciati dormire immersi nel silenzio della casa.
Tutto sembrava perfetto per festeggiare il loro ventunesimo compleanno e l’indomani, a Las Vegas, avrebbero dato fondo a tutte le loro energie.
 



Note dell'autrice.
Ordunque, visto che il capitolo è pronto ne approfitto e ve lo lascio con un paio di giorni di anticipo sulla mia tabella di marcia (epperç ho mantenuto fede all'aggiornamento quindicinale, ci terrei a sottolinearlo visto che è un miracolo). So che non sono particolarmente prensenti i nostri prodi eroi californiani, ma spero la cosa non vi inibisca troppo la lettura delle vicende della nostra piccola Holly.
Grazie come sempre per i commenti, sono una bellissima ricompensa <3

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Capitolo 4
*** Dove nessuno ti troverà ***


 

New York, 2003.
 
Il calore del pubblico all’uscita dell’album Walking the Fallen aveva colto tutti di sorpresa, Hopeless Record in primis. Puntare su quei cinque scapestrati californiani era stato un po’ come investire tutto il proprio patrimonio su un numero secco della roulette a Las Vegas e aver fatto miracolosamente centro. Dopo gli addetti ai lavori, a non crederci erano loro, i protagonisti indiscussi della storia: gli Avenged Sevenfold. Con un marchio di fabbrica firmato e ideato da Roxanne, la band era pronta per scalare le vette delle classifiche senza mostrare il minimo segno di cedimento: quasi due anni di tour per gli Stati Uniti spendendo tutto quello che potevano guadagnare per promuoversi da soli avevano dato i loro cazzo di frutti. Zacky pensava che poteva anche fregarsene delle settimane in cui tutto quello che mangiavano erano cibi preconfezionati lasciati a scaldare per troppo tempo, diventando gomma da masticare: c’era la musica, c’erano loro su un palco a scaldare le folle ed era con i suoi migliori amici. Non poteva desiderare nulla di più in quel momento. Brian poteva persino dimenticare le docce gelide e le serate di Matt e Jimmy passate a scaldare acqua sui fornelli per lavarsi almeno i capelli con qualcosa che non fosse acqua ghiacciata. E poi c’era Jimmy che sapeva sempre fare casino al momento giusto, e le ragazze. Senza l’aiuto costante di Val e Roxy non sarebbero arrivati da nessuna parte. Senza di loro, per altro, non avrebbero avuto il sufficiente sangue freddo per andare avanti senza sfanculare il mondo, specie Brian, che non aveva di certo l’aspettativa di fare la rockstar nella sua vita. Da uno che aveva studiato al conservatorio – e che era per altro l’unico ad averlo fatto – ci si sarebbe aspettati l’esaltazione ai massimi livelli, invece quelli più entusiasti erano Johnny, Jimmy e Zacky. A Brian era persino venuto il sospetto che fosse per il fatto che avrebbero potuto avere tutte le tipe di questo mondo da portarsi a letto – okay, poteva escludere Johnny, mosso ovviamente dalla follia di un ragazzino disposto a tutto pur di diventare una musicista famoso. Persino mettersi in combutta con quattro idioti di belle speranze come loro -, e a lui quell’aspetto non interessava. Nel guardare Roxanne intenta a leggere, stretta accanto a lui nella cuccetta, si era chiesto se mai avessero trovato una sistemazione adatta a due persone che stavano insieme ormai da un anno e mezzo. Che fosse una famiglia, la loro, era una cosa assodata dal tempo, dalle cazzate, dalle risate e le serate in compagnia. Anche dagli scazzi, ovviamente, ma c’era tempo per alzare la voce e tornare a parlarsi dieci minuti dopo come se nulla fosse.
Il potere di essere amici da sempre ti porta a valicare confini che la tua ragazza, i tuoi genitori e tutti gli altri che ti ruotano attorno non possono minimamente permettersi di superare: quando sei con i tuoi amici di una vita puoi essere diretto e brutale, anche, perché non ci sarà mai il fraintendimento di un colpo basso dall’altra parte. Non ci sarà nemmeno mai la paura di perdersi, perché nei comportamenti dei tuoi amici non ci sono implicazioni di abbandoni: o ci sei o non ci sei, e riesci ad esserci persino quando sei distante chilometri.
Holly ne era la dimostrazione lampante, che le amicizie a distanza – a differenza delle relazioni – potevano durare ugualmente.
Zacky, seduto al posto di guida accanto a Matt, fischiettava un motivetto spensierato.
“Da dove arriva tutto questo buon umore, Zacky?”
“Stiamo andando a New York, dovrei vomitare per questo?”
“Dai Brian, è normale che sia felice: stiamo andando a riprendere Holly”, era stata la risposta divertita di Jimmy.
Adorava prenderlo per il culo.
“Non è per quello. E’ che Holly ha detto che ci porterà nel locale più figo di New York!”
“Io non mi fido, chissà dove ci porta”, aveva mugugnato Brian in direzione degli amici.
“Holly è una garanzia, è capace di aver trovato persino dei pass per entrare o roba del genere. E’ capace di tutto”, era stata la risposta disinteressata di Johnny.
Nel condividere con Holly una buona fetta di serate e pomeriggi della sua adolescenza, aveva imparato che poteva essere una ruffiana senza pari, occhioni dolci e sorriso da bambina per fregare anche il più bastardo dei buttafuori. Erano riusciti a fare cose che i sei che erano sul bus con lui nemmeno si potevano sognare, escludendo ovviamente Dakota, la complice perfetta per una come Holly.
A Johnny era quasi uscito un moto di ilarità del tutto fuori luogo, ripensando alla volta in cui Holly aveva finto di essere la sua ragazza pur di farlo entrare in un locale in cui non ammettevano un tizio come lui – cresta di capelli nerissimi sparati in aria e trucco pesante – implorando il buttafuori raccontandogli la storia strappalacrime più idiota del pianeta, sul fatto che studiasse alla UCLA e che poteva vederlo solo nei week-end visto che abitavano a tre ore di auto di distanza. Il tizio si era impietosito e aveva chiuso un occhio, così avevano passato la serata a ridere come pazzi in uno dei locali più assurdi di Los Angeles.
Matt rideva, Zacky se ne stava concentrato alla guida cercando di macinare più strada possibile: doveva arrivare a New York in fretta e prima arrivavano, più tempo sarebbero rimasti in città.
 
 
Holly aveva passato la mattinata tra i negozi di New York in cerca di qualcosa da mettere che la facesse sentire un essere umano e non il mostriciattolo che lo specchio le mostrava inclemente. Aspettare i ragazzi non era stata un’idea intelligente: era emozionata come se avesse dovuto presentarsi al primo appuntamento con il ragazzo che le piaceva da mesi. Perché? Perché aveva passato il giorno del Ringraziamento e Halloween bloccata a New York, sola, senza poter festeggiare con loro, sperduti nel bel mezzo della California a fare concerti.
Le mancavano da morire: semplice no?
Non si era sentita abbandonata, ma era dall’uscita di Walking the Fallen che i ragazzi non avevano più avuto un attimo di respiro, e a lei mancava la routine di telefonate, e-mail e messaggi quotidiana. Era difficile colmare i vuoti lasciati dalle serate in cui il telefono non squillava se non all’alba – svegliandola – quando Zacky era troppo sbronzo persino per mettere insieme due parole di senso compiuto che non suonassero come un grugnito che sfociava in una risata da idiota. A quel punto, quando stava per riattaccare, era Jimmy a strappare il telefono di mano a Zacky e raccontarle – con una lucidità che aveva persino da sbronzo – le ultime novità. Le raccontava nei minimi dettagli dei concerti, le diceva quanto sarebbe stato bello poter tornare ad Huntigton Beach tutti insieme per festeggiare il suo compleanno e quanto ci avrebbero dato dentro a New York per recuperare il tempo perduto.
Jimmy, almeno, si ricordava di lei anche da ubriaco.
Il pensiero la coglieva sempre con la nostalgia di casa, insonnolita e ancora a metà nel mondo dei sogni. Al termine della telefonata fissava il display del cellulare che indicava il nome di Zacky, poi si dava una scrollata sferzandosi il viso con i capelli e si accusava di essere una maledetta ingrata.
Quanto meno, si dava atto di aver sempre avuto ragione in merito al lento vuoto che sarebbe arrivato durante i periodi di tour, di feste, di incisioni di album che – prima o poi – li avrebbero coinvolti. Zacky ci provava davvero a chiamarla e renderla partecipe, solo che il suo entusiasmo e la sbronza dei festeggiamenti non aiutavano certo a renderlo comprensibile.
Non se lei stava ancora dormendo, poi.
Quella mattina Zacky era stato sobrio, brillante e divertentissimo: si erano svegliati all’alba per essere a New York nel pomeriggio e Holly aveva quindi passato la mattinata a setacciare il negozio di Victoria Secret in cerca del regalo di Natale per Dakota e poi era andata alla ricerca di qualcosa che la facesse sentire meglio di quanto non stesse in realtà.
Nelle ultime settimane aveva sentito la mancanza di casa come non mai, e se aveva creduto che l’ascendente che aveva su di lei Huntigton Beach si sarebbe allentato con gli anni, aveva dovuto rivedere la questione alzando la bandiera della resa: avrebbe continuato per sempre a sentire – almeno un po’ – il vuoto che le lasciava ripartire ogni volta per New York. Forse era il caso di fare le valigie e tornare a casa solo una volta all’anno: meno addii, meno problemi, meno voglia di tornare. New York per lei era un appoggio, per quel motivo non l’avrebbe mai ritenuta una valida sostituta al suo paese natale. Se si fosse trasferita in pianta stabile in qualsiasi città degli States le cose sarebbero probabilmente andate diversamente. Sarebbe stata costretta a costruirsi una vita e tornare a casa non sarebbe stato riprendere in mano la sua vita, ma proseguirla. Restare a New York era un po’ come fare una vacanza, lasciando tutta la sua routine ad Huntigton Beach, invece le cose dovevano invertirsi in qualche modo ma non aveva la minima idea di come fare per cambiare la realtà e, forse, l’unica risposta era che non era pronta per sentirsi così tanto indipendente da fregarsene di casa propria, degli amici di una vita, dei luoghi che l’avevano vista crescere.
“Dio che schifo.”
Si era guardata allo specchio gettando sul letto la maglia che aveva appena indossato: non si sentiva sé stessa nemmeno con un paio di skinny e una maglietta colorata. Aveva paura di essere cambiata, di apparire diversa e irriconoscibile. Fare skate a New York non era come farlo in California, persino il sushi aveva un sapore differente. Si sentiva quasi come se New York la stesse trasformando in una di quelle tizie con la puzza sotto il naso come la maggior parte delle sue compagne di corso, quelle sempre vestite con gonne corte o maxi maglia e ballerine ai piedi. Lei continuava a mettere le sue All Star e i jeans aderenti, ma a volte si rendeva conto di come fosse facile cadere in quella generalizzazione newyorkese secondo cui finivi per vestirti in modo identico a tutti quelli che frequentavano il tuo stesso ambiente.
Lei non voleva cambiare, voleva restare fedele a sé stessa sino in fondo, eppure a volte faticava a riconoscersi. Nel caso specifico, sapeva che la sera del concerto sarebbe stata una sofferenza, in compagnia di Val e Roxy e Dakota. Lei era il terzo incomodo in mezzo a un trio collaudato in mesi di convivenza forzata, ed era soprattutto quella che era stata per troppo tempo – e a sproposito – incollata al culo di Matt.
Oggettivamente era una stronza, e se fosse stata lei – in Val – si sarebbe anche sfanculata. Valary aveva avuto la pazienza dettata dalla forza di sentirsi donna, dal non vedere in una mocciosa un effettivo pericolo, e tutto era finito con un quieto vivere che aveva fatto sentire sempre Holly a disagio, al posto sbagliato, monitorata costantemente dall’occhio vigile di Valary ad ogni suo avvicinamento a Matt. E in tutto quel casino di cose, il risultato era che a Holly Val piaceva persino come persona. Se avesse dovuto scegliere una donna per Matt, non ci avrebbe di certo messo sé stessa in quel posto lasciato vacante dal fato: che senso avrebbe avuto stare insieme a un tizio che ti aveva visto per anni come una bambola con cui giocare? In un certo senso aveva realizzato che sarebbe stato un po’ come per Zacky innamorarsi di Roxanne, per dire. Era quasi incestuoso, ecco, per cui sarebbe stato fuori luogo qualsiasi cosa, con Matt. Valary, invece, aveva la pazienza necessaria per seguirlo, incoraggiarlo e sostenerlo sempre. Era stata brava a fare quello che faceva lei, insomma, con l’aggiunta di non avere un vicolo quasi di sangue – anzi, lei e Matt un vincolo di sangue lo avevano eccome: il giuramento fatto da bambini in una notte in cui i tuoni erano così forti da sovrastare persino le loro voci, entrambi avvolti in una coperta pesante nascosti dentro una tenda da campeggio malamente montata nel giardino di casa Sanders – e poter dunque essere due figure in una soltanto.
“E va bene, tanto il viaggio di ritorno sarà lungo, no?”
E se non muoio ora, non morirò mai più prima dei trent’anni. D’altra parte per diventare un mito dovrei schiattare a ventisette anni, come Jim Morrison, Janise Joplin e Jimi Hendrix.
Aveva lanciato alla rinfusa un po’ di vestiti nella valigia, senza badare troppo a cosa stava portando a casa. Zacky le aveva ripetuto decine di volte che c’era poco spazio nel tour bus – giusto quello per farla dormire, forse – quindi di non portarsi dietro quintali di roba come suo solito. Holly aveva cercato di spiegargli che poteva tranquillamente tornare a casa in aereo, ma anche Matt aveva finito con il dirle che – nonostante fossero stati un po’ stretti – avrebbe fatto a tutti piacere averla qualche giorno in più con loro.
Il telefono aveva squillato con insistenza, distogliendola dai propri pensieri.
“Ehi, siete già arrivati?”
“Veramente no, abbiamo un problema. Quell’idiota di Brian ha bucato.”
Non le era riuscito di trattenere una mezza risata, seguita da un sentito vaffanculo dall’altra parte del telefono.
“Dove siete?”
“In New Jersey.”
“E’ un po’ vago, lo sai Zacky?”
“Si, ma non mi sei di aiuto così. Dobbiamo riuscire a trovare qualcuno che ci cambi la ruota o non arriveremo mai a New York in tempo.”
“Al massimo stasera vi riposate così siete pronti per il concerto di domani, no?”
“Io voglio farmi un giro a quella cazzo di festa, Holly.”
“Magari se riesci a non farti sbranare dagli zombie nel deserto. Mi passi Matt, che almeno lui ha un briciolo di senso dell’orientamento, a differenza tua?”
Qualche rumore, poi la voce di Matt.
“Si, abbiamo un problema: non sappiamo dove siamo di preciso, e non sappiamo come trovare una carrozzeria aperta.”
“Matt ci sono i cartelli stradali, non ne avete letto nemmeno uno?”
“Non ci ho fatto caso, Holly. L’ultimo che mi ricordo è quello di Salem, non stavo guidando io.”
Erano un branco di coglioni senza cervello, era ufficiale.
“Salem è il primo stato del New Jersey, diametralmente opposto a New York, Matt. Okay, calma: mi passi le ragazze?”
“Perché?”
“Confido nella loro intelligenza superiore.”
Altro casino, voci in sottofondo e il rumore del cellulare che sbatteva contro qualcosa di solido con un tonfo assordante.
“Holly?”
“Ciao Val.”
Sperava in Dakota, a dire il vero, e nel mentre aveva acceso il pc portatile attendendo che la connessione internet desse segni di vita.
“Tu sai dove siete vero?”
“L’ultimo cartello indicava Newark, Matt si è addormentato per qualche stato e Zacky si è distratto a parlare delle sue imprese sessuali con Jimmy, così Brian ha tirato dritto a un bivio e ora siamo alla periferia di non so cosa esattamente.”
“Forse siete già alla periferia di New York, aspetta che controllo qualcosa in quella zona” e aveva messo il viva voce nel telefonino, facendo scivolare rapidamente le dita sulla tastiera del computer.
“Okay, dovrebbe esserci un distributore di benzina a un paio di miglia proseguendo in direzione New York, ma credo sia un po’ vago, vero?”
“Più che altro perché non so esattamente se quella davanti a noi sia New York.”
“Il problema è che non potete nemmeno tornare indietro per cercare indicazioni , non vi resta che andare avanti.”
“Aspetta, metto in viva voce, così ti sentono anche gli altri.”
“Secondo me è New York, Holly, ne sono certa!”
Dakota strepitava dall’altro capo del telefono, mentre Zacky e Brian sbraitavano cose insensate l’uno in direzione dell’altro, accusandosi reciprocamente di avere la colpa dell’accaduto.
“Okay, potete passarmi Roxy?”
“Sino a poco fa stava riposando...”
Certo che fare dormire l’unica in grado di salvargli il culo era davvero da idioti.
“Te la chiamo io, Holly.”
Jimmy era la salvezza in ogni momento, e nonostante se la stesse spassando un mondo – e Holly riusciva ad avvertirlo dalle continue risate di sottofondo che coinvolgevano lui e Johnny – era quello che con ogni probabilità aveva avuto i suoi stessi pensieri.
“Pronto?”
“Roxanne?”
“Ciao Holly.”
“Hai sotto mano una cartina del New Jersey vero?”
“Un attimo che la cerco. Ahi! Grazie Zacky.”
Holly aveva udito distintamente la cartina arrivare dritta sul cellulare, dunque in faccia a Roxanne.
Quello scemo.
“Se Zacky sa leggere le cartine stradali in modo corretto si, quella che vediamo dovrebbe essere la periferia di New York.”
“Allora dovete fare un paio di miglia a piedi. E’ lunga, ma c’è un distributore di benzina e avranno sicuramente qualcosa anche per aiutarvi con il cambio della ruota. Vi conviene forse chiedere un passaggio a qualche auto e farvi portare là, così da evitare la sfacchinata con questo freddo. A quest’ora ci sarà un casino pazzesco per il rientro dei pendolari, forse ce la fate a trovare qualcuno.”
“Okay, manderemo i due colpevoli alla guida.”
“Guarda che è colpa di Jimmy, non mia. E’ lui che mi ha chiesto di scendere nei dettagli e… oh, tanto che cazzo lo dico a fare? La colpa è sempre mia, no?”
Holly era scoppiata a ridere, poi aveva fissato il display del cellulare prima di portarlo di nuovo all’orecchio: erano la famiglia più pazza del mondo, ma era assolutamente unica.
“Resto in camera sino a quando non arrivate all’hotel, quando ci siete mi chiamate che vi raggiungo? Così in caso abbiate bisogno sono qui al pc. Ah, ti mando il numero di telefono della stazione di benzina via messaggio, magari vengono a prendervi, ma ho dei dubbi.”
“Grazie Holly.”
“Di’ a quel cretino di tuo fratello che mi deve una birra per aver messo la pezza a una delle sue solite cazzate. Buona fortuna.”
 
 
Zacky aveva seriamente creduto di morire di morte violenta e di lasciare finalmente via libera a Roxanne di essere l’unica erede di casa Baker. Brian, dal canto proprio, aveva temuto di essere invece il protagonista di una candid camera del cazzo dove un attore bravissimo si spacciava per un folle camionista che li aveva costretti a cantare canzonette da asilo per tenergli compagnia non appena aveva scoperto che erano dei musicisti.
Tutta colpa di Zacky e della sua boccaccia.
Di passanti che volevano fermarsi a raccattare per la strada due tizi - di cui uno con dei capelli assurdi - ricoperti di piercing e dalle facce poco raccomandabili non ce n’erano stati, se non il camionista che doveva aver visto nelle due vittime sacrificali il riflesso del proprio passato da avanzo di galera.
“E quindi siete diretti a New York. Forte. Io avevo mia moglie di Brooklyn, poi abbiamo avuto delle discussioni e lei se n’è andata di casa. Me ne fotto di quella puttana, comunque. Ora sono libero di fare quel che mi pare. Se volete un consiglio, non fatevi mai fottere da un anello al dito.”
Zacky lanciava occhiate scettiche in direzione di Brian, cercando di fare mente locale sul motivo per cui era ricaduta su di lui la scelta di andare a cercare aiuto per quel maledetto tour bus da quattro soldi.
Quando diventeremo famosi col cazzo che ce ne andiamo in giro con un catorcio del genere. Voglio l’autista, lo chef di bordo e pure le tizie in bikini che mi preparano cocktail e mi fanno aria con i ventagli.
“Voi siete californiani, vero? Si vede da come siete conciati, un po’ come i texani. Sembrano luoghi comuni, ma non è così. Siete di quei teppisti che fanno skate, eh. Avete le facce adatte.”
Brian aveva alzato un sopracciglio serrando la mascella, tentando di bloccare un fiume di epiteti che sarebbero stati sputati – presumibilmente con i suoi denti – sul cruscotto del camion.
“Tu di dove sei?”
“I miei genitori sono immigrati da Boston, non avevamo un soldo e siamo finiti ad Harlem, in mezzo ai negri. Cazzo, un inferno. Siamo scappati quando ancora pisciavo a letto.”
Aveva accompagnato la frase con una risata roca e fastidiosa sfociata in una tosse catarrosa che aveva costretto Zacky a guardare fuori dal finestrino, implorando il proprio karma di essergli amico almeno una volta nella vita.
Voleva davvero sputtanare a quel modo l’unica possibilità di far girare le cose come desiderava?
Si si e ancora si, cazzo.
Brian, che divideva Zacky dall’energumeno al volante, continuava a restare zitto e guardare dritto avanti a sé, cercando di fare mente locale sui motivi che l’avevano spinto ad assecondare Roxy, e tutto quello che gli veniva in mente era un amore che con ogni probabilità l’avrebbe portato persino a farsi ammazzare.
“Sono felice di fare una buona azione, ogni tanto nella vita servono anche quelle. La vostra amica si è raccomandata di riportarvi indietro. Con il rimorchio sarà una passeggiata cambiare la ruota di scorta.”
Perché, nella sfiga cieca che aveva deciso di segnare il loro viaggio verso New York, Brian aveva deciso di lasciare fuori dal tour bus la ruota di scorta e gli attrezzi per farci entrare una valigia non meglio identificata – Roxanne sosteneva fosse la valigia di Zacky, Brian che fosse invece la propria, ma si era guardato bene dall’auto-incolparsi della cosa – e quindi si erano ritrovati senza nemmeno la ruota sostitutiva e un tour bus da sollevare senza averne i mezzi.
Il signor camionista pazzo era stato la loro salvezza, ammesso che loro poi si fossero salvati dal ciccione razzista con cui condividevano l’abitacolo ricoperto di poster di Playboy – il mese di marzo 2000 era notevole, non c’era nulla da dire – e Zacky aveva quasi la certezza che Holly gli avesse tirato qualche maleficio a caso e che gli avesse intaccato il karma.
“La ragazza con cui ho parlato è la vostra fidanzata?”
“Mia sorella. E fidanzata di Brian.”
“Bel colpo amico, anche se io preferisco la biondina.”
“Dakota?”
Poteva essere dieci volte sua figlia, tipo.
“Siete una specie di gruppo di hippie?”
“Che cazzo centriamo noi con gli hippie?”
Il camionista aveva guardato torvo Brian per poi tornare a focalizzare l’attenzione su Zacky, evidentemente l’unico interlocutore degno di essere considerato tale e solo perché aveva la certezza che quello li avrebbe fatti fuori in meno di un secondo se avessero osato dire qualcosa a sproposito. La colpa era di tutti i film horror sui serial killer che aveva fatto vedere a Holly per terrorizzarla in anni e anni di bullismo psicologico, che ora gli si stavano ritorcendo contro con perfidia.
“Dobbiamo andare a New York a trovare un’amica d’infanzia che non vediamo da tempo e abbiamo pensato di venire in pullman per risparmiare soldi.”
“Chiamalo pullman, quel catorcio, ragazzo mio! Eccoci arrivati. Fate in fretta a comprare quello che vi serve e ripartiamo. Stasera ho un appuntamento.”
Tronfio e sicuro di sé, l’uomo gli aveva fatto cenno di scendere dalla cabina, e i due non si erano fatti ripetere la cosa due volte.
“Brian, quello ci fa fuori se non stiamo attenti. Che cazzo gli rispondi a quel modo?”
“E’ un maniaco del cazzo Zacky.”
“Va ancora bene che non ci provi con noi. Dai, andiamo, prima finiamo e torniamo e prima ce lo leviamo di torno e arriviamo a New York. Sembra vicinissima invece è un’illusione ottica del cazzo.”
“Tranquillo Zacky, da Holly ci arriviamo comunque.”
“Io voglio andare a quella festa, altro che Holly. Holly la vedrò per le prossime tre settimane, figuriamoci se mi preoccupo di lei.”
Brian aveva sollevato il sopracciglio sinistro, dandogli una pacca sulla spalla e passandogli poi il braccio attorno alle spalle.
“Figa Marzo 2000, vero?”
“Puoi dirlo. Facciamo che stasera mi cerco una così per dimenticare la giornataccia, che dici?”
“Che se ci riesci sei davvero l’uomo più fortunato sulla faccia della terra.”
 
 
Olivia si era maledetta per essere riuscita a imbucare a una festa delle peggiori a cui avesse mai partecipato i ragazzi. Non perché la festa in sé fosse una noia – dopo tutto era stata coinvolta nell’organizzazione da Tommy e Nate e, poco ma sicuro, aveva la certezza sarebbe stata un successo - ma perché pullulava di oche starnazzanti e giovani rampanti che sembravano usciti dalle riviste patinate. La fregatura di New York era che se non stavi attento, ti ritrovarvi circondato da gente del genere. Dovevano ricordarsi di bloccare gli accessi all’ingresso delle prossime feste universitarie. Holly aveva tirato un sospiro di sollievo solo quando aveva iniziato a vedere i suoi compagni del corso di canto e alcuni dei ragazzi con cui andava a fare skate nei fine settimana.
Aggrapparsi a Zacky, che scodinzolava dietro a qualsiasi culo che si muovesse ancheggiando in sua direzione, non sarebbe servito a salvarla dall’incubo dell’abito che si era decisa ad indossare.
“Stai bene lo sai?”
“Probabilmente dovrai portarmi in ospedale. Sto soffocando dentro questo affare.”
“Sono tutte così le serate a New York?”
“Più o meno. Questa è più figa perché ci siete anche voi .”
Holly aveva sorriso, cercando di sistemarsi il corsetto dell’abito nel tentativo di trovare un passaggio un po’ più ampio per l’aria.
Perché si era vestita a quel modo? Aveva maledetto sé stessa e la sua idea di obbligare gli invitati a vestire in total black: perché così la gente non si concia come una strobosfera, ragazzi.
Nate aveva riso ma aveva approvato la sua proposta, Tommy aveva sbadigliato rispondendole con un laconico “Che cazzo di pretese da una californiana”, ma Mary Anne l’aveva messo a tacere con una gomitata ben assestata e la scelta del total black era stata accettata all’unanimità.
Jimmy aveva sollevato la mano per arruffarle i capelli sulla nuca, salvo poi trattenersi per non rovinare il ciuffo sparato in aria e l’acconciatura raccolta di un’accesa tinta tra l’arancio e il giallo.
Non biondo, proprio giallo.
“Ti sta bene anche questo colore.”
“Mi fa venire voglia di estate e di Huntigton. Piace anche a me.”
Le aveva lanciato un’ultima occhiata prima di portare lo sguardo sulla folla che riempiva il locale e la musica sparata a tutto volume da un deejay davvero in gamba. Si muovevano tutti a ritmo di una danza tribale, in un delirio di bicchieri rotti e brindisi di saluto. Loro, invece, erano andati lì per portarsi via il loro arrivederci di routine, e a quel pensiero a Jimmy era sfuggita una risata.
“Certo che fai proprio schifo nel tenerti per te i pensieri, eh.”
“A cosa stavo pensando?”
“A quanto io sia nostalgica stasera. E sappi che è per due motivi: perché sto parlando con te e perché mi siete mancanti un casino.”
“Quindi è un segreto.”
“Un super segreto, direi”, aveva aggiunto lei impettendosi sul posto e portando i piedi l’uno accanto all’altro battendo le ballerine l’una contro l’altra.
“Dai, andiamo a ballare, non ho voglia di stare qui tutta sera.”
Aveva preso Jimmy per una manica della camicia e se l’era trascinato appresso cercando i ragazzi tra la folla.
Zacky stava parlando fitto all’orecchio di una non meglio definita mora dalle gambe chilometriche e dalla gonna vertiginosamente corta; di Matt e Val nemmeno l’ombra invece, mentre Dakota, Roxy e Johnny stavano saltando come pazzi cercando di fare presa su un inossidabile Brian.
“Secondo me vi siete presi su la statua di Madame Tussaud, non è l’originale questo.”
Holly gli aveva assestato un pizzicotto ad una guancia, mostrandogli la lingua.
“Ehi, Brian Haner Jr. sei ancora vivo?”
“Holly non ti ci mettere anche tu a rompere il cazzo. Già quella tipa che si è accozzata a Zacky è mostruosamente irritante. Supera qualsiasi e qualunque cosa, persino te.”
“Non credo ci voglia molto, eh.”
“A superarti o a essere meglio di quella?”
“Secondo te?”
Roxanne continuava a lanciare occhiate furtive al fratello, passando lo sguardo da lui alla tizia che continuava a ridere per qualsiasi cosa gli dicesse Zacky, e se doveva riconoscere che suo fratello poteva essere terribilmente divertente, aveva anche la sensazione che non tutto quello che stava dicendo doveva essere così esilarante.
Quando si impegnava, la parte di cromosomi che le mancava, era dannatamente idiota.
“Questa festa è una figata Holly, c’è un casino di gente! Ma come hai fatto a trovarla?”
“Io so sempre tutto, Dakota”, e con quelle parole si era avvicinata all’amica saltandole letteralmente al collo sotto lo sguardo divertito di Johnny.
“Okay, sono il terzo incomodo, vero?”
“Lo sarai per i prossimi tre giorni. Tu dormirai con Zacky, in cuccetta con Holly ci sto io.”
“Ehi! Non può dormire lei con Zacky o Jimmy?”
“Scordatelo, non la lascio nelle mani del tuo amico pervertito. E poi stasera è così carina e femminile che rischia di farlo rincoglionire del tutto.”
“O rinsavire”, era stata la risposta quasi sussurrata di Roxanne. Solo Jimmy e Brian l’avevano sentita, ed entrambi avevano spostato la propria attenzione su di lei.
“Oh, andiamo. Mio fratello è un idiota, ne azzeccasse una.”
“Sai cosa pensa di Holly, le vuole bene come se fossi tu.”
Roxanne gli aveva lanciato un’occhiata torva, prima di tornare a fissare suo fratello spostarsi con la sconosciuta verso l’esterno della pista da ballo.
Brian aveva usato il termine di paragone meno adatto: Roxanne era l’unica sorella di Zacky e desiderava restare tale. Per quanto lui e Holly fossero legati, per quanto l’affetto potesse essere forte, lei aveva passato nove mesi nell’utero di sua madre in balia dei calci di Zacky, non Holly.
Dunque, era lei ad avere il diritto di essere un gradino sopra alla media mondiale degli affetti di Zacky, anzi, le andava bene anche solo mezzo gradino, ma doveva esserci un qualcosa che la separava dagli altri.
Non era solo il sangue a fare la differenza, no?
“Hai capito cosa intendo, vero?”, si era affrettato a chiederle Brian, preoccupato.
“Si, tranquillo. Ma dov’è sparito ora?”
Jimmy era scoppiato a ridere, passandole il proprio bicchiere di birra.
“Bevi, non vuoi davvero sapere cosa farà Zacky stanotte. E’ grande, lascialo vivere a modo suo.”
“Da idiota?”
“No, da Zacky Vengeance.”
E quando entrava in gioco quel nome lei doveva rassegnarsi e pensare – per qualche ora – di essere figlia unica e non avere una zavorra di fratello a cui badare.
Era un po’ apprensiva, ma come facevi a non esserlo quando c’era sempre in gioco la felicità della persona a cui volevi più bene al mondo?
Certo, Roxy aveva la tendenza forse a esagerare, ma c’era da dire che Zacky prima o poi avrebbe raccolto ciò che stava seminando, e non era certa che tutto avrebbe continuato a girare nel modo spensierato in cui stavano vivendo quel loro primo tour.
Prima o poi sarebbero arrivate anche le docce fredde, e a quel punto chi avrebbe supportato chi?
Chi sarebbe caduto e chi sarebbe rimasto in piedi per aiutare gli altri a rialzarsi?
 
 
“Vorremmo offrirvi un ringraziamento musicale per la vostra partecipazione alla serata, con l’intervento di chi ha reso possibile trovare questo meraviglioso posto. Dai, Holly, salta su.”
Zacky era stato costretto da una forza superiore a bloccare la propria mano che stava pericolosamente salendo al di sotto della gonna della tizia mora - Amber? -, entrambi appartati in una zona sufficientemente vicina ai bagni per dileguarsi in tutta tranquillità in caso la situazione gli fosse sfuggita di mano.
In qualsiasi senso possibile.
La forza superiore che l’aveva costretto anche a staccarsi dalle labbra rosse della ragazza, era stata la voce – inconfondibile – che stava parlando al microfono.
“Bella forza, scemo, ci lavoro qui. Sai che fatica posso aver fatto.”
Il pubblico aveva riso, Zacky aveva voltato il viso nella direzione del piccolo palco su cui – sino a pochi istanti prima – si trovava solo la consolle del deejay, guardando Holly per la prima volta da quando si erano incrociati in hotel, quando era andata a prenderli con un taxi recuperato in fretta e furia davanti agli alloggi universitari.
La stava guardando davvero, non poteva esimersi dal passarle attraverso come di consueto: ed era diversa da quella che conosceva lui, quasi irriconoscibile.
Si era rigirata tra le mani il microfono un paio di volte, come se stesse ponderando cosa fare o dire: sembrava persino che si trovasse in imbarazzo, che fosse piccolissima e inavvicinabile lì, messa su un palcoscenico vestita da bambola.
Si farà sbranare, quella cretina.
“La conosci?”
“E’ una mia amica.”
“Solo amica?”
“No, d’infanzia. Che è pure peggio.”
La ragazza aveva riso, avvicinandosi a lui attirandolo di nuovo a sé per posargli un altro bacio al sapore di malto tra le labbra.
“Andiamo di là? Ora non ci darà fastidio nessuno, è il classico momento dei ringraziamenti. Ce l’abbiamo ad ogni festa universitaria che si rispetti.”
Zacky si era sollevato controvoglia dal suo posto, cercando con lo sguardo Roxy e gli altri tra la folla, ma non vedeva nulla a causa delle luci abbassate, i riflettori puntati su Holly e i ragazzi sul palco.
“Okay, abbiamo appurato che Nate fa schifo come presentatore. L’anno scorso il club di Arte Drammatica della Columbia University è riuscita a farci uscire dall’auditorium grondanti lacrime, mettendo in scena una delle opere più intense di Shakespeare, e se state pensando a Romeo e Giulietta siete dei fessi. E’ stato La tempesta e per chi c’era sa cosa voglio dire quando dico che è stata una delle cose più destabilizzanti a cui abbiamo potuto assistere.Dopo il dramma emotivo con cui ci siamo salutati prima delle vacanze invernali, pensando che qualche rocker incallito potesse alleggerire il saluto natalizio, quest’anno i ragazzi hanno pensato di passare la palla a noi del club di Musica. Non siamo solo noi quattro a farne parte, siamo solo quelli che ci stanno rimettendo la faccia a causa di una molto poco democratica scelta. Vi invitiamo ufficialmente alla Festa delle Arti della Columbia University che si terrà il 21 aprile 2004 per vederci tutti quanti al lavoro. Ed ora vi auguriamo a modo nostro un felice Natale.”
Il giro di chitarra era partito deciso, seguito dopo poche note dalla voce di Olivia, con un arrangiamento inedito che aveva costretto Zacky a bloccarsi nuovamente e rassegnarsi al fatto che non sarebbe mai riuscito a concludere un cazzo quella sera.
Non come aveva sperato, ecco.
 
 
“Oh yeah, I'll tell you something 
I think you'll understand 
When I'll say that something 
I wanna hold your hand 
I wanna hold your hand 
I wanna hold your hand”
 
 
Guardava il palco senza riuscire a credere realmente che quella voce appartenesse a Holly. Da quando sapeva cantare? La tizia con cui si era divertito sino a un paio di minuti prima continuava ad avere pretese, e lui non riusciva a capire cosa doveva fare.
L’istinto, primordiale e irrazionale di un corpo che preme contro il tuo era quello che lo guidava anche nelle situazioni di cuore.
Non c’era mai troppo spazio per la testa: Zackary Baker agiva d’impulso, dopo, semmai rifletteva sull’accaduto.
E Zacky si era chiuso in bagno con la tizia mora, lasciando oltre la porta la fetta di Huntigton Beach che viaggiava con lui, tutti quei newyorkesi dall’aria troppo tirata e Holly. Il problema era che la voce arrivava anche lì, perché la musica arriva ovunque, e poi quella canzone dei Beatles, Zacky la conosceva benissimo: Holly gliel’aveva fatta ascoltare sino alla nausea quando l’aveva scoperta tra i vinili di sua madre, canticchiandola con quell’aria sognante tipicamente sua mentre camminavano l’uno accanto all’altra in direzione dello skate park o di ritorno da scuola.
 
 
“Oh please, say to me 
You'll let me be your man 
And please, say to me 
You'll let me hold your hand 
I'll let me hold your hand 
I wanna hold your hand” 
 
 
“Mi ha fregato.”
“Secondo me dovresti prendere lezioni di canto da lei, Matt.”
“Da che parte stai, Johnny?”
“Oggettivamente, lei almeno non urla soltanto come fai tu. Quante volte ti ha detto che devi imparare a usare il diaframma?”
“Ho la faccia di uno che se ne va a fare tecnicismi per cantare?”
“Giusto, non li hai fatti nemmeno per prendere il diploma.”
“Siete sulla stessa barca, non fare il furbo, Johnny.”
L’ammonimento di Dakota era stato diretto e privo di fronzoli: quando c’era da colpire, anche lei affondava senza pietà, specie se la vittima designata era il suo ragazzo.
Jimmy se ne fregava di tutto quello che gli ruotava attorno e ascoltava Holly senza pensare a nulla, compreso il dettaglio mancante - Zacky – che, a meno che non fosse uscito dal locale, l’avrebbe comunque sentita.
Gli piaceva ascoltarla cantare, gli sembrava che avesse una nota di fondo malinconica che non riuscivi a cogliere quando parlava o rideva o gridava normalmente. Si era accorto che gli piaceva solo perché – inconsapevolmente – mostrava a tutti una parte che in pochi conoscevano davvero. I privilegiati forse erano lui, Matt e Dakota, e tutti e tre non avevano accennato a muoversi dal proprio posto. Tutti e tre, in un certo senso, erano convinti che quella canzone fosse dedicata proprio a loro.
Gli sarebbe piaciuto vedere la faccia di Zacky, anche.
Jimmy lo sapeva che nessuno di loro poteva scappare. Per quanto corressero, finivano sempre per farlo in tondo: prima o poi sarebbero passati nel medesimo punto, nel medesimo istante.
E si sarebbero brutalmente scontrati.
 

“And when I touch you I feel happy 
Inside 
It's such a feeling that my love 
I can't hide 
I can't hide 
I can't hide”
 
 
La mano di Roxanne era scivolata a sfiorare quella di Brian mentre se ne stavano seduti l’uno accanto all’altra sui divanetti disseminati lungo il perimetro del locale. Roxy, il capo appoggiato alla spalla del ragazzo, muoveva al tempo della chitarra la punta del piede destro, le gambe accavallate e i capelli arruffati a causa del caldo e dei balli.
Brian le aveva sollevato il mento tra le mani, sfiorandole le labbra con le proprie, aprendosi poi in un sorriso dolcissimo.
Lei lo adorava quando sorrideva, aveva quell’aria da bambino che le ricordava sempre quanto di semplice e sincero ci fosse dentro un energumeno come lui.
“Sei stanca?”
“Solo un po’. E tu?”
“Solo un po’.”
Aveva strappato una risata a Roxy, che aveva sollevato il viso verso di lui sfiorandogli la guancia ruvida di barba con la punta del proprio naso posandovi poi un bacio.
“Vuoi che rientriamo prima degli altri? Vorrei solo vedere…”
“… dov’è Zacky?”
“No, la fine dell’esibizione di Holly. Mi piace come canta.”
Si, be’, avrebbe anche voluto sapere dove si era cacciato suo fratello, ma non ci voleva di certo un genio per capirlo, per cui preferiva vivere nella sua ignoranza e dover solo immaginare anziché appurare e toccare con mano la questione.
“Non l’avrei mai creduto possibile.”
“La denigri sempre, non le dai peso.”
“Se ne da a sufficienza da sola, credimi. Non ha bisogno che le si dica nulla: fa comunque di testa sua e continuerà all’infinito a cadere e rialzarsi per propria volontà. Se non combatte guerre, non raggiunge gli obiettivi. E’ fatta così.”
“Non ti seguo.”
“Io e tuo fratello l’abbiamo così tanto presa per il culo mentre cercava di imparare a suonare la chitarra che ha deciso di smettere. E’ così che ha iniziato a prendere lezioni di canto.”
“Che stronzi!”
“Secondo me le abbiamo salvato la vita. Ce la vedevi Holly a imitare me e Zacky su un palcoscenico?”
Roxanne aveva riso, perché se la figurava eccome, spalla contro spalla con Zacky, a frustare corde e contorcersi e dimenarsi come una pazza sul palcoscenico. Davanti a loro, invece, c’era una ragazzina di vent’anni che sembrava ancora più piccola della propria età, fasciata in un abito bon ton nero che la rendeva quasi irriconoscibile a quelli che erano abituati a vederla nascosta sotto felpe pesanti. Immobile sul palco, la mano destra stretta al microfono e lo sguardo puntato dritto avanti a sé – dritto su quelli che erano andati lì per riportarla a casa, su quei tre di cinque scemi che erano rimasti sotto il palco ad aspettarla – per farli entrare nel suo mondo.
Holly non apparteneva più ad Huntigton Beach.
Non solo, almeno, e con ogni probabilità nemmeno lei l’aveva ancora capito.
 
 
Il giorno del concerto newyorkese degli Avenged Sevenfold, Holly si era presentata di primo mattino nell’hotel dove alloggiavano i ragazzi. Zacky era rientrato solo all’alba e nessuno era riuscito a svegliarlo, per cui l’avevano lasciato a marcire nel suo letto cogliendo l’occasione per iniziare a portare gli strumenti al locale.
“Vi serve una mano?”
“Tranquilla, puoi restare con le ragazze. Sono tutte in camera mia e di Val, mi hanno cacciato fuori a pedate per una di quelle cose da donne di cui voglio continuare a ignorare l’esistenza.”
A Holly era sfuggita una smorfia di disgusto, e Matt era scoppiato a ridere scompigliandole i capelli.
“Sei sicuro di non avere bisogno di un facchino? Sono disposta anche a ripulire il tour bus.”
“Non mi freghi, Holly. E poi non voglio farti lavorare.”
“Guarda che lo faccio volentieri. Mi spieghi l’utilità di venire a un vostro concerto perfettamente in ordine?”
“Me lo spieghi tu?”
“Mmh… che ti diverti a disfarti?”
“Signorina lei ha guadagnato cento dollari.”
“E basta?”
“E l’autorizzazione a svegliare Baker o rischiamo di suonare senza un chitarrista. Era davvero messo male stamattina quando è rientrato.”
“Certo che è proprio idiota. Alla sua età ancora non ha capito quando sta raggiungendo il limite.”
“Sai com’è fatto, no?”
Si che lo sapeva: a Zacky del limite non importava proprio nulla, lo superava senza nemmeno porsi il problema di dove fosse esattamente.
“Okay, ti riporto vivo il tuo chitarrista, sarà la mia missione di oggi. Dopo la mia sopravvivenza alla mattinata tra ragazze.”
“Ce la farai tranquillamente.”
“Bella forza, Matt, tu sei scappato.”
“Mi hanno cacciato, Holly.”
“Era quello che speravi facessero. Non mi incanti con quel sorriso innocente, lo sai? Senti, ma che hai fatto alla voce?”
Se n’era accorta allora?
“Ah, è sempre così la mattina per un paio di giorni dopo un concerto.”
Holly si era avvicinata a lui sollevandosi in punta di piedi puntandogli il dito indice tra gli occhi facendovi una leggera pressione, guardandolo con aria seria prima di tornare alla propria, misera, statura.
Quando lo guardava così si sentiva sempre messo con le spalle al muro: quando lo guardava a quel modo, Matt aveva la certezza di non poterle mentire in nessun modo possibile.
“Giurami che quando torniamo a casa vai a farti vedere da un medico.”
“Ho solo sforzato la voce, sai come sono i nostri concerti.”
“E so anche che tu non hai un briciolo di tecnica, Matt, e so anche che sei così scemo da sforzare le corde vocali perché non sai usare il diaframma. Tu gridi perché non sai come tirare fuori la voce. E’ da molto che hai questo problema?”
“Da quando abbiamo iniziato il tour a settembre, ha preso a darmi fastidio dopo qualche settimana.”
“E non hai pensato di andare a farti vedere da un medico?”
“Basta che non sforzo la voce durante la giornata per riuscire a cantare la sera senza problemi, la sto solo affaticando troppo.”
“Ehi, guarda che ci state investendo la vostra vita, sulla tua cazzo di voce. Vedi di non farti fregare dalla tua forza fisica, e giurami davvero che ti farai visitare non appena saremo rientrati ad Huntigton Beach.”
“Holly…”
“Giura.”
“Ti preoccupi per nulla.”
Però non ci credeva nemmeno lui a quelle parole. Sapevano tutti dei suoi cali di voce, ma avevano dato per scontato che la stanchezza, il freddo e le date serrate dei concerti fossero le cause di quelle serate in cui doveva spaccarsi lo stomaco per tirare fuori le note necessarie per sovrastare la chitarra di Brian e la batteria di Jimmy.
“Fatti fare un bicchiere di latte caldo e miele e mettiti questa. E poi” – aveva aggiunto Holly sistemandogli la propria sciarpa a righe bianche e nere attorno al collo per proteggerlo dal freddo – “oggi vado a prenderti una cosa che ti può aiutare. Ma è solo un rimedio temporaneo.”
Matt le aveva sorriso guardandola mentre si mordeva il labbro inferiore nel tentativo di trovare le parole adatte a… a cosa?
A incoraggiarlo?
“Hai fatto bene a studiare canto. Ora puoi salvarmi il culo quando faccio il coglione almeno.”
“Dai, Matt, non ci scherzare. State diventando quello che desiderate, fottervi la carriera perché tu sei un incosciente è da idioti. Non sono uno specialista, ma so che non dovresti cantare con la gola infiammata. E dovresti saperlo anche tu, non ci vuole un genio.”
“Gli altri contano su di me, non posso annullare i concerti per un po’ di bruciore alla gola.”
“Lo vedi? Sei scemo. Sei lo scemo dal cuore d’oro di sempre. Ti porto la cura magica per stasera, ma vale solo sino alla fine del concerto. Poi dovrai metterti a riposo, chiaro?”
“Aggiudicato folletto.”
“Scemo.”
Aveva sollevato una mano e si era calata il cappello da baseball sulla nuca con più forza, dirigendosi verso la camera di Matt e Val. Di tutto quello che si poteva aspettare, di certo non aveva fatto i conti con la trasformazione di Roxanne Baker e poi, tutto quello a cui riusciva a pensare era la voce di Matt.
Anzi, a Matt che se ne stava zitto a convivere con una cosa che a lei – che sapeva come si cantava – metteva un’ansia pazzesca.
Non potete finire così, prima ancora di brillare.
“Cosa…”
“Finalmente sei arrivata! Ma tu sei già pronta?”, le aveva chiesto Dakota delusa, dandole una rapida squadrata prima di tornare a cotonare i capelli a Roxanne, seduta tra lei e Val intente a laccarle i capelli e ridere per cose del tutto idiote.
“Dovevo venire in mutande?”
“No, ma pensavo di poterti acconciare un po’. Se vuoi ti faccio qualcosa ai capelli, che dici?”
“Sarebbe tempo sprecato, lo sai come va a finire. Mi agito troppo e divento un ammasso di capelli fradici e abiti bagnati.”
“Sei sempre la solita guastafeste. Con Roxy è come avere una Barbie in formato gigante: si lascia fare qualsiasi cosa senza protestare.”
Grazie, eh, Dakota.
“Vedrai i ragazzi, Holly, sono diventati esplosivi. Ci serviva Johnny”, le stava dicendo Valary mentre passava l’ombretto nero sulla palpebra superiore di Roxanne.
“E’ vero, con lui sono un altro mondo.”
“Sul serio?”, Holly osservava Dakota che puntava forcine tra i capelli di Roxanne, alcune strette tra le labbra serrate come fossero spilli.
“Vedrai come sarà stupito quello scemo di Brian quando ti vedrà”, stava dicendo Val a Roxy con un sorriso malizioso dipinto in volto.
“Non so se è una buona idea. Insomma, io non mi vesto mai così.”
Holly, seduta alle loro spalle, si stava ponendo la stessa domanda: che senso aveva portarla al concerto dei ragazzi trasformata in una metallara? Lo sguardo le era scivolato sugli anfibi abbandonati in un angolo e sulla gonna corta in tulle, poi era tornata a guardare l’immagine di Roxanne riflessa nello specchio, cercando la persona che ammirava.
Si sentiva meschina nel lasciarsi trascinare lontano da quei pensieri, ma per lei era tutta una messa in scena del tutto priva di utilità. Be’, lei aveva passato la sua adolescenza cercando di camuffarsi per non essere presa per il culo dai suoi amici, ma alla fine era cresciuta con l’ottica secondo cui doveva in qualche modo salvarsi da un branco di lupi privo di pietà. Era stata necessità la sua, tanto più che sarebbe stato ridicolo vestirsi come una bambola ogni giorno quando la sua preoccupazione principale erano i libri e fare casino. Allo stesso modo non comprendeva la necessità di rendere Roxy una delle tante: lei e Brian erano bellissimi insieme perché erano diversi. Se fossero stati della stessa sostanza, pelle tatuata contro pelle tatuata, avrebbero perso tutta la dolcezza che le facevano provare quando li vedeva insieme. Le davano quella sensazione di amore vero, di quel qualcosa per cui sei disposto a lottare per tutta la vita e quella certezza da bambina che puoi innamorarti di chiunque, persino da chi sta agli antipodi del tuo modo di essere. Holly era un maschiaccio perché aveva gli interessi della maggior parte dei ragazzi della sua età, ma all’esistenza del principe azzurro ci credeva eccome: avrebbe regalato anche lei il suo cuore a una persona soltanto. Nelle sue convinzioni, Brian e Roxanne erano destinati a un per sempre da fiaba: glielo leggevi negli occhi da come si guardavano che non sarebbe potuta finire mai.
“Ci stiamo divertendo, e si divertiranno un sacco anche loro quando ti vedranno. Hanno bisogno del nostro supporto.”
Non dei loro cloni, aveva pensato Holly fissando la punta delle proprie scarpe oscillare al ritmo di una musica solo immaginaria.
“Ragazze devo passare all’università, ho dimenticato di prendere una cosa. Ci vediamo direttamente al locale, okay?”
“Ma stai scherzando? Avevi promesso di passare la giornata con noi”, l’aveva ripresa Dakota con una punta di fastidio nella voce.
Mai cambiarle i programmi, o erano guai in vista. Dakota, per paradosso, era la persona più puntuale, precisa e ordinata del pianeta: nulla a che vedere con l’eterna natura ritardataria di Olivia, né tanto meno al caos mentale e fisico nel quale si divertiva a sguazzare.
Anche quella era la conferma che le cose, nella vita, non aveva senso che avessero linearità: ti sceglievi le persone con cui fare un pezzetto di strada persino tra i paradossi esistenziali, figurarsi preoccuparsi della linea con cui gli eventi si susseguivano.
“Arriverò al locale solo un po’ in ritardo. Giuro.”
“Sicura che è tutto okay? Sei troppo silenziosa per i miei gusti.”
“Tutto okay.”
“Be’, se mi avessi risposto che eri stanca non ti avrei creduto. Tu non stai ferma nemmeno con due ore di sonno soltanto sulle spalle in genere.”
Holly era scoppiata a ridere, prima di alzarsi finalmente in piedi per tornare a respirare aria pulita.
“Secondo me hai qualcosa.”
“Nulla, davvero. Svegliate voi Zacky?”
Non aveva alcuna voglia di sorbirsi il post-sbronza euforico di Zacky, non aveva l’umore adatto per pensare alle sue stronzate, ecco.
“Ammettilo, sei tesa per il concerto di stasera.”
“Dakota ti odio.”
Erano scoppiate a ridere tutte e quattro, e Holly aveva fatto in tempo a scappare prima di farsi vedere piangere come una scema senza un motivo apparente.
Be’, forse il nodo che sentiva alla gola era anche legato al concerto: aveva una paura folle per Matt, e si odiava quando entrava in gioco quell’emotività fastidiosa che la metteva nella condizione di vedere il bicchiere solo mezzo vuoto, sotto la luce nera e cupa delle paranoie e dei “se” tutti sbagliati. Quello che le faceva più paura – dopo la solitudine – era vedere i ragazzi perdersi, vedere le persone a cui voleva più bene al mondo ammazzarsi contro un muro di sogni infranti.
Il problema era che lei non aveva affatto i mezzi per salvargli il culo, solo ammortizzare il colpo, e nemmeno era certa di essere in grado di fare un lavoraccio simile.
 
 
“Ehi, sei sveglio?”
Il mugugno sommesso di Zacky le aveva dato l’idea che non avesse smaltito nemmeno la metà della sbronza della sera precedente.
“Non potevi evitare di ridurti a questo modo? Se Matt scopre che hai vomitato tutta mattina ti prende a pugni. Qui dentro c’è un odore da fare schifo.”
Roxanne aveva tirato le tende facendo filtrare la luce grigia del primo pomeriggio all’interno della stanza di suo fratello, sedendosi sul bordo del letto mentre il ragazzo aveva nascosto il viso sotto le lenzuola, incurante delle parole della sorella.
“Roxy non rompere, voglio dormire ancora. Ho la testa che mi sta esplodendo.”
“Non potevi andarci più leggero?”
“Non me ne fregava un cazzo di farlo. Volevo divertirmi.”
Roxanne si era morsa il labbro inferiore, incerta sul da farsi: a lei sembrava che Zacky avesse tutto fuorché voglia di uscire dal suo nascondiglio per evitare così di guardare in faccia il mondo e i ragazzi che avrebbero voluto i dettagli e risposte a domande scomode con le quali lo avrebbero messo al muro.
“Dovresti trovarti una fidanzata. Una seria, intendo.”
“Non iniziare ancora con questa storia. Ho ventidue anni, non ho la minima intenzione di sbattermi per una storia seria sin da ora. Chi me lo fa fare di stare da adesso sino alla fine dei tempi con la stessa persona? Non sono come te e Brian, tutti cuore e amore. Non mi va e basta.”
Aveva incassato il colpo sentendosi un’utopista, come se suo fratello le avesse appena detto che erano due illusi se speravano che la cosa avrebbe funzionato in eterno. Si era fatta spazio accanto a Zacky cingendogli la vita con il braccio e posandogli un bacio sulla nuca, fregandosene dei propri capelli che sarebbero scivolati un po’ più in basso rispetto alla pettinatura che le aveva fatto Dakota e che le ricordava un po’ Tina Turner nel fulgore della sua carriera.
“Sarei sprecato per una donna soltanto”, aveva bofonchiato lui con il viso affondato nel cuscino.
“Non ci credi nemmeno tu.”
“Quando troverò quella giusta non la mollerò, okay? Così tu sarai contenta.”
“No, veramente così tu sarai felice.”
“Be’, quel momento comunque non è ancora arrivato, quindi lasciami fare un po’ quel che mi pare senza paternali.”
“Non mi va di vederti così.”
“E’ solo una sbronza, Roxy.”
“Ma non ti senti mai… vuoto? Voglio dire, una serata con una tizia di cui non ti ricordi nemmeno il nome cosa ti lascia?”
“Ieri sera sono stato bene, dunque è okay. Voglio dire, se una cosa ti fa stare su di giri la fai e basta. Ma tu non ragioni come me, è inutile che cerchi di spiegarti.”
Roxanne aveva sollevato un sopraciglio, in un modo del tutto simile a quello che aveva Brian: stare insieme significava anche recuperare l’uno i vezzi dell’altro per l’osmosi di un’empatia che scopri nello specchiarti nei gesti di chi hai vicino.
“Dai andiamo, dovresti già essere là.”
“Farà il sound-check Brian.”
“Non lo farà mai anche per te e lo sai. Se non ti alzi ora e non vieni con noi, finisce che stasera i ragazzi suoneranno in quattro. Dai muoviti.”
Roxy si era alzata togliendogli di dosso la trapunta e le lenzuola, notando che era ancora vestito con gli abiti della sera precedente.
“Non ti sei nemmeno cambiato?”
“Figurati se avevo la testa per farlo.”
“Dieci minuti per lavarti e prepararti, dopodiché io chiamo Matt e sono cazzi tuoi.”
Zacky aveva sollevato la testa dal cuscino, sospirando.
“Sembri mamma.”
Aveva spalancato la finestra lasciando che l’aria gelida di dicembre invadesse la stanza, un sorriso di pura soddisfazione stampato in viso.
“Tu hai qualche rotella fuori posto. Vuoi che mi venga una polmonite?”
“Ti aspetto fuori.”
 
 
“Maledetto fottutissimo traffico di New York!”
Holly aveva preso a correre come una pazza lungo la Settantacinquesima, lasciando il proprio taxi bloccato al centro di una coda chilometrica che aveva tutta l’aria di volersi inghiottire la sua serata. Era in ritardo spaventoso e Dakota non gliel’avrebbe mai perdonato, e il temporale non aveva di certo aiutato ad agevolarle il percorso per raggiungere il locale.
Zuppa di pioggia, il fiato corto e le mani ghiacciate, Holly si era presentata davanti alle porte del locale munita del suo pacchetto per Matt e una buona dose di aspettative.
“Si, sono un’amica dei ragazzi che suonano stasera, può farmi passare per raggiungerli nel backstage?”
Il buttafuori l’aveva squadrata sorridendo divertito.
“Credi che ci caschi?”
“Senta, non mi faccio di corsa metà della Settantacinquesima strada sotto il diluvio universale per vedere cinque coglioni che non conoscono e che suoneranno tra due ore, si figuri. E’ importante, davvero.”
“Puoi fare la fila come tutti gli altri.”
Holly aveva serrato i pugni lungo i fianchi, cercando nel viso dell’idiota che aveva davanti la minima possibilità di essere presa in considerazione seriamente.
“Ascolti, dentro dovrebbe esserci Valary DiBenedetto, è una della crew. Può farla uscire per me? Sono Olivia Bridges.”
“Si stanno preparando per il concerto, non hanno tempo.”
“Okay, e se le lascio una cosa da portare a uno di loro può farmi il favore di consegnarglielo?”
“Glielo puoi lanciare sul palco, il tuo reggiseno.”
Ma vaffanculo, razza di bastardo.
Holly aveva allora fatto la cosa più normale del mondo: aveva sfoderato il cellulare davanti all’energumeno e aveva digitato il numero di Dakota nella speranza le rispondesse, ma i ragazzi avevano appena iniziato il sound-check e con ogni probabilità nemmeno lei aveva con sé il telefono.
“Torna al tuo posto. Avanti.”
“Per favore, è della massima importanza.”
“Non me ne frega un bel niente, ritorna in fila.”
Holly non aveva di certo il biglietto per il concerto visto che avrebbe dovuto entrare con le altre, e non aveva messo in preventivo una serie di circostanze sfavorevoli tra cui il rientro in appartamento per scoprire che Mary Anne aveva finito le sue pastiglie di erisimo senza ricordarsi di avvertirla, costringendola così a correre verso la farmacia più vicina - che distava almeno due miglia da dove si trovava lei – per poi trovarla chiusa e, dopo aver trovato ciò che cercava, rimanere bloccata nel traffico newyorkese.
Questa è sfiga.
Seduta tra le ultime della fila, interminabile, di fans, Holly aveva mandato un messaggio ai ragazzi nella speranza che almeno uno di loro riuscisse a leggerlo, salvo scoprire che evidentemente nessuno si era reso conto della sua assenza, dopo mezz’ora passata sotto la pioggia e ormai zuppa di acqua e scazzo.
Quando il telefono aveva preso a vibrare tra le sue mani, per poco non le era caduto a terra, e con la fortuna che aveva in quei giorni, come minimo le sarebbe scivolato dritto nella pozzanghera che si era formata ai suoi piedi .
“Dove sei?”
“Fuori in coda al freddo da almeno un’ora. Mi puoi venire a prendere fuori, se riesco ad arrivare indenne all’uscita di sicurezza?”
“Io non sono ancora arrivato, Roxy e le altre mi hanno lasciato in hotel e non ho sentito le telefonate di Matt.”
Holly aveva sgranato gli occhi sorpresa: il suono mozzato che le giungeva dall’interno del locale era dovuto alla mancanza della chitarra di Zacky, e per qualche istante era rimasta in silenzio cercando di ripercorrere mentalmente le note perse che le avevano dato l’idea che qualcosa non andasse, come se un arto del suo corpo avesse d’improvviso deciso di non collaborare con gli altri.
“Sei morta?”
“No, stavo ascoltando il sound-check da qui. Ma lo sai che si sente che manchi tu, ora che me lo fai notare?”
“Sono fottuto, Matt mi ammazza.”
“Lo penso anch’io.”
“Potresti supportarmi ogni tanto? Ho avuto una giornata infernale.”
“Non credo sia stata peggiore della mia. Dove ti aspetto?”
“Esci dalla fila e spostati un paio di edifici prima del locale, così faccio fermare il taxi a prenderti ed entriamo insieme.”
“Adoro quando hai un’idea intelligente, peccato siano davvero rare.”
“Ti lascio lì allora.”
“Mi sto per prendere una polmonite, se muoio a causa tua il mio fantasma ti perseguiterà a vita.”
“Okay, faccio in fretta.”
“A dopo.”
Holly aveva chiuso la telefonata e si era dimenata tra la folla e gli ombrelli aperti, sino ad arrivare a respirare di nuovo sul marciapiede davanti al locale, lontano dai fans esaltati che parlavano degli Avenged Sevenfold come se li conoscessero personalmente. Era una sensazione alienante, come se esistessero due Zacky o due Matt, per dire. I ragazzi non avevano mai offerto ai media un’immagine di sé che non li rispecchiava, eppure era strano sentire perfetti sconosciuti raccontare di aneddoti che li riguardavano o dei gusti dei ragazzi come se fossero i loro migliori amici.
Holly si sentiva persino privata di un pezzetto della sua vita, come se i suoi ricordi fossero dati in pasto a un branco di piccioni affamati come quelli che aveva visto a piazza S. Marco a Venezia l’estate precedente. A lei, tutta quella popolarità, non piaceva: non si sarebbe mai sognata di darsi in pasto a degli sconosciuti e guardare in faccia la realtà le aveva fatto comprendere quanto la sua vita, ad Huntigton Beach, non sarebbe più stata la stessa. Ovunque ci sarebbero stati fans o giornalisti o fotografi a caccia dello scoop o di una fotografia con il loro idolo o di un autografo. Non sarebbe stata più padrona della sua vita nemmeno lei, quando era con loro, e di certo non aveva pensato alle conseguenze che ciò avrebbe comportato.
Sarebbe diventata anche lei famosa, in un certo senso?
“Ehi, sali o resti qui a prendere freddo ancora a lungo?”
Zacky le aveva aperto la portiera dell’auto facendola salire accanto a lui nei posti passeggero, il taxi che lentamente sfilava lungo la strada in direzione del locale.
“Dove cazzo stavi andando? Camminavi senza nemmeno guardare dove stavi andando.”
“Stavo pensando, non mi sono accorta di dove stavo andando.”
“Da quando tu pensi?”
“Da quando i vostri fans sono triplicati e la gente parla di voi come se foste i loro migliori amici.”
“E’ normale quando sei famoso.”
“Mi piacerebbe sapere il tuo essere famoso cosa comporterà alla mia vita.”
“Quello che comporta a tutti: ti conosceranno anche i sassi.”
“Non speravo in nulla di peggio, sai?”
“Fai sempre le cose troppo tragiche.”
“E tu troppo semplici. Se volevo diventare famosa restavo ad Huntigton Beach e vi davo una mano come hanno fatto Val e Roxy, no?”
“Non sarai gelosa, vero?”
Si, dei miei ricordi razza di idiota.
Si era stretta nelle spalle, i capelli che lasciavano scivolare sui sedili rivoli di pioggia.
“Lasciamo perdere, sei una causa persa tu.”
 
 

 
 
Note dell’autrice. La scelta della canzone di Holly è stata alquanto difficile. Ad ogni modo, se volete ascoltarvi la colonna sonora di questo capitolo ascoltatevi “I Wanto To Hold Your Hand” nella versione cantata per il film “Across the Universe” [QUI se volete asoltarla], la stessa che mi sono immaginata cantata dalla piccola Olivia.
L’Erisimo – anche detta erba dei cantanti – è un’erba che si trova in commercio in compresse o fiale, e viene utilizzata dai cantanti (ma anche dagli attori) per aumentare la capacità vocale di chi l’assume.


Comunicazione di servizio.
Ringrazio tutte voi che state leggendo e recensendo la storia, non sapete quanto mi facciano piacere i vostri commenti. Ovviamente, le recensioni sono sempre ben gradite, dunque un doppio grazie <3 Sono un buon incentivo a proseguire una storia (^^)/ Detto ciò, sappiate che la prossima settimana sarò in vacanza (dunque non produrrò nulla) e conto di lasciarvi un altro capitolo di fine mese, prima di una buona sospensione che durerà per il mese di agosto (dove io scriverò comunque, ma per offrirvi aggiornamenti più regolari in autunno. Tanto lo so che anche voi vi dividerete tra sole, mare e piscina e il tempo di stare al PC non l'avrete ^.-).

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Capitolo 5
*** Giuro di dire la verità ma tu non credermi ***


New York, 2004. Huntigton Beach, 2004.
 
“Ti ho detto di non rompere le palle, Nate!”
Holly aveva assestato un calcio alla porta della propria stanza, lasciando fuori il ragazzo.
“Avanti Holly, apri questa stramaledetta porta. Non puoi decidere di non esibirti perché te la fai addosso, okay?”
Si era girata di scatto, uscendo nel corridoio e trovandosi faccia a faccia con Nate. Mary Anne sosteneva che se si fossero messi insieme avrebbero avuto molti meno problemi, ma la verità era che Holly non aveva la minima intenzione di avere un fidanzato. Non a New York, non quando il suo cuore era ancora legato al molo di Huntigton Beach a fare da esca ai pesci.
Okay, lei e Nate si piacevano, ma non era amore, e Holly era certa che per stare con una persona dovevi esserne innamorata, non bastava stare bene in compagnia dell’altro, o lei avrebbe dovuto stare con Matt, Johnny, Jimmy e persino Zacky, se tutte le persone che le piacevano dovevano risultare dei potenziali fidanzati. Mary Anne non capiva, Holly sapeva e quindi faceva spallucce alle occhiatacce in sua direzione di tutti quelli che si chiedevano da dove fosse uscita una come lei, che aveva amici e conoscenti in quantità assurde e nessun fidanzato ufficiale. O un tizio con cui era uscita per più di quindici giorni di fila: di fatto, si, aveva imparato tutto da Zacky.
Era al suo ultimo anno a New York, qualche mese e avrebbe saputo cosa sarebbe successo alla sua vita. Avrebbe avuto una laurea in archeologia e aveva l’opportunità di prendere la specializzazione, ma il professor Humberg – un simpatico sessantenne di origini tedesche - le aveva consigliato di guardare oltre New York e Los Angeles.
“Bambina mia, sei stata in Europa e hai visto cosa ti può offrire un vero sito archeologico. Quello che ami sta dall’altra parte dell’Oceano, non negli Stati Uniti.”
Il professor Humberg era il suo tutor, era quello che le aveva preparato le referenze per frequentare lo stage estivo in Italia e poi l’aveva seguita in Francia per farle scrivere la sua tesi, era quello che su di lei aveva puntato persino un Master universitario pensando di offrirle la propria cattedra non appena fosse riuscita a mangiarsi in un sol boccone orde di incartapecoriti maestri del settore.
Holly ci aveva riflettuto su per poi rinunciare: non voleva insegnare, era un po’ come mettere un biologo a fare il docente in un liceo. Quelli come lei, che amavano sopra ogni cosa quello che facevano, volevano appunto farlo, non trasmettere la conoscenza o la loro passione a figli di papà a cui interessava poco di quello che gli si raccontava, che si accontentavano di portare a casa una laurea e qualche anno di nullafacenza extra nel proprio periodo post-liceo. Forse da vecchia si sarebbe decisa a passare un po’ di conoscenza a un branco di zucche vuote come le loro, ma prima avrebbe tentato – per buona parte della sua vita – di scoprire un pezzetto di storia che nessuno ancora conosceva.
“Dovrei farlo davvero, professore?”
“Non vuoi fare l’insegnante, ma gli archeologi non vivono solo di siti e ritrovamenti. Ho fatto il tuo nome al British Museum e hai passato così tanto tempo al MoMa negli ultimi tre mesi che potrebbero persino volerti lì.”
“Era per la tesi che mi aveva chiesto la professoressa Kirg, lo sa. Io non vorrei mai lavorare al MoMa è… destabilizzante, credo.”
“Potresti curare le mostre temporanee, o scrivere per loro. In genere hanno sempre bisogno di esperti del settore per stilare guide ad hoc per questo genere di eventi. Tieni. E’ una lista dei musei e delle università oltreoceano in cui ho delle conoscenze. Posso scriverti lettere di raccomandazione per tutto il pianeta, Olivia, se questo può aprirti la strada per quello che vuoi fare nellavita. Sprechi un’occasione rifiutandoti di restare qui altri quattro anni.”
Quando Holly aveva istintivamente sollevato un sopracciglio con aria scettica, l’uomo aveva riso, posando gli occhiali da vista sulla scrivania.
“Hai ragione, sembra una condanna a morte raccontata così. Leggi la lista e pensaci su.”
Tre anni erano volati via, tre anni in cui lei aveva studiato come una pazza per poi rendersi conto che per fare ciò che amava doveva lasciare l’America. Poteva pensare di optare per la soluzione di riserva, trovare un posto al MoMa come diceva il professor Humberg o a Los Angeles, come aveva promesso a Zacky prima di partire per New York la prima volta. Ora, a distanza di tre anni e con la propria vita stretta in pugno – e una buona fetta di sentimentalismo abbandonata nella sua camera ad Huntigton Beach – Holly doveva fare il grande salto: e questa volta non ci sarebbe stato nessun Zackary James Baker a prenderle la mano e tuffarsi con lei.
Le faceva paura quello che vedeva sotto di sé? Ai suoi piedi c’era il suo futuro, alle sue spalle quello che non sarebbe cambiato mai: non era riuscita a trasformarsi in una di quelle tipe con la puzza sotto il naso e la leggerezza delle modelle quando si muovevano, né in una di quelle tizie che finivano ad ammazzarsi di cocktail nei locali più in di New York. In quei tre anni fatti di spostamenti e continui viaggi, la valigia sempre pronta per fare ritorno a casa appena ne aveva la possibilità, Holly aveva visto che ad ogni ritorno, tutti erano rimasti fedeli a sé stessi. Si era abituata a rientrare anche quando i ragazzi non c’erano a causa di qualche tour, tornava a frequentare i vecchi amici dello skate park e usciva con Dakota quando non era al seguito di Johnny. Aveva scoperto che la sua vita era un po’ più vuota – molto vuota - senza di loro, ma che poteva tranquillamente sopravvivere alla mancanza.
Non era facile – né lo era stato accettarlo – ma aveva imparato a convivere con quel buco che veniva riempito sino a straripare di felicità ogni volta che rientrava ad Huntigton Beach. Per quell’euforia che la coglieva appena metteva piede sull’aereo e l’abbandonava al suo rientro a New York, avrebbe viaggiato decine di volte in condizioni ben peggiori. Quando tornava a casa era sempre tutto uguale, riusciva ancora a ricordarsi chi era e per cosa valeva la pena lottare e incazzarsi. Huntigton Beach le serviva le soluzioni ai suoi problemi con il profumo di salsedine e il rumore delle onde del mare in sottofondo.
“Mi puoi lasciare in pace dieci minuti, Nate?”
“Non puoi non esibirti stasera al locale. Andiamo, avevano bisogno di una pezza per il bidone che hanno ricevuto. Diamo una mano a degli amici.”
“Scordatelo, io ci lavoro lì dentro, non mi va di farmi vedere cantare. Lo faccio perché mi piace, se volevo fare la cantante non venivo di certo alla Columbia, no?”
“Cristo, sei insopportabile, tu e questa tua mania di non volerti esibire. Sei brava, cazzo! Di cosa hai paura?”
“Non ho paura di niente, non mi va e basta. Perché non capisci quando mi devi lasciare in pace, Nate?”
“Sembri una psicopatica quando fai così.”
“E tu un idiota. Fai cantare Mary Anne, è brava quanto me.”
“Voglio te.”
Holly l’aveva guardato sgranando gli occhi, poi aveva abbassato il capo passandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“Mi dispiace, non posso. Ho promesso a me stessa che non avrei mai cantato in pubblico, non voglio imitare… be’, è inutile che continuiamo a parlare di questa storia, lo sai già.”
“Ti fai un sacco di seghe mentali inutili. Qui a New York non ti conosce nessuno.”
“E tu ti preoccupi troppo per una cosa che non vale nulla. Mary è in grado di fare tutto quello che faccio io, e canta decisamente meglio di me.”
“Lei ha più tecnica ma tu hai più cuore.”
“Solo se mi fai cantare quello che mi piace, e non lo fai mai. Dai, vatti a preparare, io stasera devo finire di compilare i moduli che mi ha consegnato il professor Humberg.”
“Davvero hai deciso di partire per l’Europa?”
“Se mi accettano si.”
“Impazzirai lontana dalla tua California.”
“Com’è che era quella frase idiota? Casa è il luogo dove lasci il tuo cuore? Be’, hanno ragione, però impari a convivere con una cosa del genere.”
“Quando torniamo ti raccontiamo tutto.”
“In bocca al lupo.”
Nate le aveva sorriso e l’aveva lasciata sola, in camera, a riflettere su un futuro al quale non aveva la minima intenzione di rinunciare. Sarebbero stati casini su casini, lo sapeva benissimo, ma li avrebbe affrontati uno ad uno a tempo debito. Conosceva così bene il guaio in cui si stava cacciando da poter dare nome e cognome ai protagonisti della vicenda.
Aveva sorriso, fissando la copertina dell’ultimo Kerrang! da cui i ragazzi facevano facce da duri, strizzando l’occhio a un comportamento da bulli che avevano un po’ perso, dai tempi del liceo.
Loro erano già lontani da Huntigton Beach da anni ed ora sarebbe partita anche lei. La parte più bella di tutto l’anno sarebbe sempre stata ritrovarsi, sfiorarsi e ripartire di nuovo, con la certezza che – in un modo o nell’altro – sarebbero tornati a guardare lo stesso cielo dalla stessa spiaggia. Ogni anno, sempre e per sempre. Doveva essere come un rituale, uno di quelli in cui i ricordi ti riaffiorano per forza alla mente. Uno di quelli di cui non puoi fare a meno, perché sono tutto ciò che ti fa sentire ancora vivo nella tua pelle e nel tuo corpo che continua a cambiare, che cresce, quando tutta la tua adolescenza – senza saperlo – è finita con un tuffo di cinque metri dal molo di Huntigton Beach quando avevi diciassette anni e mezzo.
 
 
 
Il 18 aprile 2004 Holly aveva creduto che il mondo potesse finire. Il telefono aveva preso a squillare poco prima dell’alba con insistenza, costringendola a svegliarsi molto prima del previsto.
“Ehi.”
La voce impastata dal sonno, i capelli arruffati, Holly se ne stava accovacciata su un fianco sotto strati di coperte pesanti.
“Volevo salutarti.”
“Matt ti senti bene?”
“Tra qualche ora entro in sala operatoria, volevo avvertirti che per qualche tempo non potremo sentirci. Almeno non con le telefonate.”
“Cosa stai dicendo?”
La voce le era uscita in un acuto stridulo, e si era rannicchiata sotto le coperte per evitare di svegliare Mary Anne.
“Mi devono operare alle corde vocali, pare ci sia qualche problema. Ci prendiamo un breve periodo di pausa e se tutto va bene magari quest’estate ci facciamo un piccolo tour, nulla di impegnativo. E intanto stiamo mettendo in cantiere le idee per il nuovo album.”
“Perché non me l’hai detto?”
“Hai il Festival delle Arti, no? Volevo venirti a vedere, ma credo sarò ancora in ospedale a farmi maltrattare da Val e gli altri. Sai che sfiga essere preso per il culo senza poter rispondere?”
Matt aveva riso nel tentativo di alleggerire la situazione, ma Holly era rimasta in silenzio, mordendosi il labbro inferiore sino a sentire il male procurarle una fitta di dolore che si era propagata lungo la schiena.
“Vengo da te.”
“Non è un intervento impegnativo.”
“Fa lo stesso.”
“Holly davvero, non ce n’è bisogno. Ci sono gli altri qui.”
Sempre la solita sensibilità, eh Sanders?
“Perché mi hai chiamata allora?”
“Volevo sentirti.”
“Niente bugie, Matt.”
“Volevo che lo sapessi da me. Credevo che Zacky ti avesse già avvertita, a essere sincero.”
“E’ qualche giorno che non si fa sentire.”
“Sarà stato preso da Gena.”
“Quella nuova?”
Matt era scoppiato a ridere, divertito dal tono schifato con cui Holly aveva puntualizzato l’ovvietà dei fatti, di cui conosceva buona parte dei dettagli da Dakota.
“Andiamo, sembra che Zacky abbia più donne che paia di mutande messa giù in questo modo.”
“Lo conosci benissimo e sai perfettamente che lui e Jimmy non perdono occasioni utili ed inutili. Colpire sempre, Matthew Sanders, ricordalo. Dio, quando ne troveranno una come Val sarà troppo tardi.”
“Non troveranno mai una come Val, si suiciderebbero piuttosto.”
“Dici?”
“Dico. Comunque Gena si è fatta qualche concerto qui in zona fermandosi sempre alla fine dello show, poi è riuscita a infilarsi a una festa dei Madden di qualche settimana fa e ha preso a uscire con Zacky.”
Giusto, nel repertorio delle ragazze di Zacky mancava la groupie. Cioè, se n’era portate a letto a decine – almeno, quello era il sospetto confermato dalle battute degli altri a farle supporre che la cosa fosse vera – ma che una di loro potesse diventare una sua potenziale fidanzata la lasciava perplessa.
Che gusto c’era stare con il tuo idolo?
Forse tutto quello del mondo, a guardare bene, ma se poi ti accorgevi che sotto la patina dorata non era tutto così brillante? I fan si innamorano dell’immagine, di un riflesso magico fatto di luci piazzate al posto giusto e trucchi da illusionista, non di quello che sta dietro un photoshot o una canzone. Non puoi farlo perché non lo conosci, ecco tutto. Puoi intuirlo, ma ti puoi innamorare di un’idea?
“Il fatto che Zacky non l’abbia già scaricata è un passo avanti. La sua storia più lunga è durata dodici giorni se non ricordo male.”
“Era finita anche in tragedia.”
Holly era scoppiata a ridere, ricordando di come Zacky aveva scaricato la poveretta un paio d’ore prima del ballo scolastico defilandosi e ritrovandosi poi con gli altri a fare casino e ubriacarsi alla cerimonia più attesa dell’anno da ogni liceale.
“Lei non era scoppiata a piangere durante il ballo?”
“Sinceramente ero troppo sbronzo per ricordarlo.”
Holly, invece, lo ricordava eccome: diciassette anni, la testa persa dietro a Matt e mille sogni ancora per la testa. Si ricordava di Elizabeth Qualcosa che era scoppiata in lacrime vedendo Zacky ignorarla e ridere di lei insieme a Matt, Jimmy e Brian, imbucato alla festa insieme a Roxanne su invito del maggiore dei fratelli Baker.
Quanto era stato stronzo, quella volta. Erano riusciti a litigare anche per quella tizia. Holly l’aveva buttata sulla questione di principio, sul fatto che uno come lui meritava di soffrire per amore almeno cento volte rispetto a quello che poteva fare lui alle altre, e lui l’aveva zittita dicendole che tanto – lei – di problemi del genere non ne avrebbe mai avuti, visto che non avrebbe mai lontanamente avuto un fidanzato.
“Per me fai finta di non ricordarlo perché è stata una delle serate più imbarazzanti che potessimo vivere.”
Erano scoppiati a ridere di nuovo, poi Holly si era fatta silenziosa, mentre scivolava fuori dal proprio letto fissando lo zaino gettato alla rinfusa in un angolo della stanza.
“Tra quanto entri in sala operatoria?”
“In mattinata, ma ne ho approfittato mentre non sono un sorvegliato speciale di Val e Michelle. Due al prezzo di una è traumatizzante a volte.”
“Meglio, sei coccolato il doppio no?”
“Non volevo svegliarti.”
“Tranquillo, non è successo nulla, magari poi torno a letto.”
“Ci vediamo presto?”
“Se continua così alla mia cerimonia di laurea, e non potete mancare. Se avete dei concerti cancellateli, capito M. Shadows?”
“Agli ordini folletto. E grazie.”
“Matt? Ti voglio bene.”
“Anch’io.”
Lo so, e so anche che dovrei essere lì. Io so ascoltare anche quello che non dici, è così che funziona tra noi. Chissà se anche Zacky e Roxy, quando non si parlano, riescono a sentire quello che l’altro sta pensando. Forse è la magia dei legami di sangue, sai?
Noi abbiamo barato con un giuramento, però la magia funziona comunque.
 
 
“Non partirai sul serio, vero?”
“Operano Matt, torno ad Huntigton Beach per qualche giorno.”
“E il Festival delle Arti?”
“Allo stand del club di Musica ci starà qualcun altro, tranquilla. Siamo in tanti, non sarò io a fare la differenza.”
“Ci serve la tua immagine, andiamo…”
Holly aveva inarcato un sopracciglio, visibilmente infastidita dalle parole dell’amica. Odiava sentirsi un fenomeno da circo per come si vestiva, o per i capelli di un acceso rosso che tendeva spesso all’arancione, o per il trucco dai colori violenti.
“Andiamo, sai cosa significa. Tu ci sai fare con le persone, sei allegra, spigliata, hai un look unico. E’ impossibile non notarti. La prima volta che ti ho vista per i corridoi della Columbia credevo che saresti finita con l’iscriverti al Club di Arte Drammatica.”
“Non ci sei andata molto lontano, no? La mia sete di egocentrismo non perdona.”
“Andiamo, Holly, non prendere tutto come un’accusa ora.”
“Torno a casa.”
“Per me fai una cazzata. Ogni volta che chiamano, tu corri. Loro quante volte sono venuti qui? Giusto per fare uno dei loro concerti, e scusami, ma mi sembra una cosa davvero poco carina ed equa spalmata nell’arco di tre anni.”
“Huntigton Beach è casa mia.”
Mary Anne, però, aveva colpito basso.
Holly non aveva mai chiesto a nessuno di salire a New York ma le sarebbe piaciuto far visitare ai ragazzi la città e mostrargli il mondo in cui viveva quando non erano insieme. Nessuno di loro si era preoccupato troppo di interessarsi alla cosa, e Holly non avrebbe mai elemosinato una visita, nemmeno quando si svegliava con il cuore in gola e gli occhi che le bruciavano per aver sognato Zacky o Matt, per esempio.
Quando capitava, preparava lo zaino e rientrava ad Huntigton Beach.
Holly non avrebbe mai dimostrato un briciolo di debolezza: era stata abituata a gestire da sola ogni emozione, ogni problema o paranoia e anche se Dakota era sempre presente, quando era con i ragazzi era sola con le sue emozioni.
Ci aveva fatto l’abitudine, insomma, ad organizzarsi la vita in linea con quella delle persone che amava, e andava bene così. Per loro si sarebbe fatta anche dodici ore di aereo, se avessero avuto bisogno di lei e quello era uno di quei casi.
“Perché lo fai?”
Holly aveva sollevato lo sguardo dallo zaino, mentre richiudeva la zip e metteva il lucchetto a forma di cuore che le aveva regalato Dakota con un lieve “click”.
“Perché sono la cosa più importante della mia vita.”
“E i tuoi sogni non lo sono?”
“I miei sogni restano al sicuro, non vengono fagocitati dall’Uomo Ombra, se hai paura di questo. Sono la mia famiglia, non li tradisco per un Festival delle Arti.”
“Non è solo questo, Holly. Se dovesse accadere una cosa simile quando sarai lontana dagli Stati Uniti cosa farai?”
“Quello che sto facendo ora. E credimi, Mary Anne, ogni sforzo viene ripagato quando sono in loro compagnia.”
“Se potessi tu li sposeresti tutti.”
“Sarebbe un incubo quello!”
Era scoppiata a ridere, abbracciandola d’istinto.
“So quello che faccio, tranquilla.”
“Quando ti vedrò partire per l’Europa ci crederò.”
“Potrebbero prendermi a Los Angeles o qui al MoMa.”
“Non ti giocherai un’opportunità del genere per restare vicino a casa, vero?”
“Ho inviato diverse richieste. Andrò dal primo che mi risponderà in modo affermativo. Almeno quella scelta la lascio al destino.”
Scegliere sarebbe stato difficile, accusare il Caso un alibi comodo per giustificarsi e levarsi da una posizione scomoda. Era una casinista, non pensava mai alle conseguenze delle sue azioni sino a quando non ne aveva davanti i risultati, fossero essi disastrosi o da Premio Nobel.
La battaglia era tra cuore e cervello, e una Terza Guerra Mondiale in testa non la voleva di certo.
La vita non ti regala mai nulla di ovvio, nemmeno nella realtà di tutti i giorni, se sei un abile osservatore e riesci a rendertene conto.
Per Holly la scelta ricadeva sul giocarsi il suo futuro ai dadi ed era certa che, comunque fossero andate le cose, ne sarebbe uscita vincitrice.
Bastava credere in sé stessi, dopotutto.
 
 
Era arrivata all’ospedale di Huntigton Beach ad un orario davvero assurdo. L’orologio del cellulare segnava le 23.05 e con l’attesa estenuante alla ricerca di un volo disponibile per la California – e l’unico che era riuscita a prendere era stato un maledetto volo per San Diego -, un viaggio in pullman durato tre ore abbondanti e una buona dose di irritazione a causa dell’attesa, era arrivata alla reception dell’ospedale in condizioni pietose.
Aveva pensato di chiamare Zacky, ma poi aveva desistito quando si era resa conto che nemmeno si era degnato di avvertirla di quello che stava capitando a Matt.
E quello no, non gliel’avrebbe mai e poi mai perdonato.
“Mi scusi, so che l’orario delle visite è finito, ma può dirmi come sono le condizioni di salute di Matthew Sanders?”
L’infermiera dietro al bancone l’aveva squadrata per qualche istante, poi le aveva fatto la classica domanda di rito.
“Sei una parente?”
“No, un’amica. Sono appena arrivata da New York. Aspetterò l’orario di apertura alle visite per poterlo vedere, ma vorrei solo sapere se l’intervento è riuscito.”
“Non siamo autorizzati a rilasciare questo tipo di informazioni a chi non appartiene al nucleo famigliare del paziente, mi dispiace.”
Holly aveva sospirato, rassegnata. Non aveva voglia di discutere: sapeva che comunque doveva rispettare un protocollo che non le ammetteva sconti.
“Dov’è la sala d’attesa?”
“Seconda stanza sulla destra. Non puoi andare a casa e tornare domani?”
“E’ dalle nove di questa mattina che cerco un aereo per la California e sono appena arrivata. Domani voglio essere la prima a vederlo.”
Assicurarle che tutto era andato a buon fine non era di certo quello che voleva sentirsi dire. Dei premi di consolazione non se ne faceva nulla dopo aver passato le ultime sedici ore in balia di compagnie aeree, linee notturne di autobus e taxisti di Huntigton Beach.
La donna aveva assottigliato gli occhi a due fessure, le braccia incrociate sul petto, osservando la chioma arancione di Holly dileguarsi oltre il primo angolo. Aveva passato la giornata in preda alle grida isteriche di un gruppo di pazzi tatuati, ora ne era arrivata un’altra a completare la giornata.
Con una curiosità tipicamente femminile, si era chiesta quale fosse il movente che spingeva quella ragazzina a passare la notte in un ospedale quando la tizia bionda – una delle due gemelle, insomma – che era stata annessa al pari dei famigliari, doveva essere la fidanzata. Aveva portato lo sguardo all’orologio a parete. Mancavano ancora tre ore alla fine del suo turno e poi sarebbe finalmente rientrata a casa, e quella banda di terroristi della tranquillità sarebbero stati solo un ricordo.
 
 
“Ehi, come mai mi chiami a quest’ora?”
“Sei uno stronzo.”
“Che cazzo ti prende?”
“Non potevi dirmi che operavano Matt oggi?”
Dall’altra parte, silenzio.
Colpevole e assolutamente difficile da controllare, per uno come Zacky abituato a sputarti in faccia la cruda e nuda verità in qualsiasi momento.
“Holly, Matt ci ha chiesto di non dirti niente e io…”
“Avevi il dovere di dirmelo! Da quando sei in grado di tenerti i segreti, tu?”
“Hai il Festival delle Arti, Matt non voleva rovinartelo, okay?”
“Quel festival non vale niente se non ci siete voi, coglione.”
“Eh?”
“Vaffanculo, sul serio. Io questa non te la perdono, Zacky.”
“Perché non te la prendi anche con Jimmy? O magari direttamente con Matt?”
“Matt mi ha chiamata, deficiente! O come pensi che l’abbia scoperto?”
Aveva sentito Zacky inspirare una boccata di fumo dall’altro capo del telefono, e sapeva bene che stava per esplodere. Holly era arrabbiata, delusa, amareggiata: voleva esserci in un’occasione del genere e l’avevano tagliata fuori. Poi magari Zacky la chiamava alla fine di ogni concerto, ma per le cose davvero importanti – come quella – non aveva nemmeno la testa per pensare a lei e a come poteva sentirsi impotente lontana da Huntigton Beach.
“Bello stronzo, Sanders.”
“Buonanotte Zacky.”
“Ehi frena. Dove sei?”
Era stata un’esplosione improvvisa di suoni, luci, colori e di immagini velocissime che gli passavano contro la retina, una serie di ricordi e ipotesi che non gli lasciavano marginalità di errore.
Quando conosci una persona meglio di te stesso, acquisisci doti di chiaroveggenza, quasi.
“Secondo te?”
“Non avrai…”
“Buonanotte e un sentito vaffanculo, Baker.”
Holly aveva riattaccato bruscamente, mentre il chitarrista – all’altro capo del telefono – era rimasto a fissare il display del cellulare senza sapere esattamente come comportarsi. L’istinto gli suggeriva di andare all’ospedale, il buon senso di fregarsene, soprattutto perché Gena era nella sua stanza ad aspettarlo.
“Ehi, tutto bene? Ti ho sentito gridare.”
“Era Holly.”
Roxanne aveva inarcato un sopracciglio, attorcigliandosi distrattamente una ciocca di capelli attorno al dito indice.
“Avete discusso?”
“Quella scema è tornata a casa per Matt.”
“Davvero?”
“In che senso?”
Tono sulla difensiva, sguardo puntato nel suo: riusciva a mettere a disagio persino sua sorella, quando si impegnava.
“Se è davvero rientrata in fretta e furia per questa faccenda.”
“Non me l’ha detto, ma immagino di si. Io al suo posto l’avrei fatto.”
“Avreste dovuto dirglielo, si sarebbe preoccupata meno. Aveva ragione Val in questo. Vai a prenderla?”
Zacky aveva guardato sua sorella attentamente, poi aveva riposto il cellulare nella tasca posteriore dei jeans superandola.
“Sono in camera mia con Gena.”
“Ma…”
“Lasciala perdere, Holly sa badare a sé stessa.”
Quello era fuori discussione, ma il fatto era che Zacky stava convincendo sé stesso a non mollare tutto e andarsi a riprendere la sua migliore amica. Quando il cuore si spezza in due parti, è difficile metterle entrambe sui piatti di una bilancia e vedere da che lato pende la sorte. Si ha paura del risultato.
Roxanne aveva sospirato, scuotendo il capo rassegnata: Zacky non sarebbe mai cambiato.
 
 
“Scusami, non volevo svegliarti.”
Holly aveva dischiuso gli occhi a una luce al neon fastidiosa che le bruciava la retina, davanti a lei una donna che non conosceva. O meglio, che non era sua madre ma l’infermiera della reception con cui aveva parlato qualche ora prima.
La donna le aveva strizzato l'occhio, sorridendo.
“Si é svegliato, se vuoi puoi andare a salutarlo. Ma non deve parlare, okay?"
"E' tipo una di quelle cose in cui lui può esprimersi scrivendo?"
"Può essere un'ipotesi."
"Lo capirei di più se parlasse a gesti. Ha una scrittura oscena", aveva borbottato tra sé seguendo la donna lungo il corridoio dalle pareti immacolate, lo zaino in spalla e gli occhi cerchiati dalla stanchezza.
"Ci sono visite signor Sanders. Non so quale sia l'effetto che fa sulle persone, ma é evidente che farsi attendere sia un po' la prassi."
Holly era sgusciata all'interno della stanza dall'aria pesante, fissando Matt dal fondo della stanza, incerta sul da farsi.
Se ne stava lì e lo studiava, come se si stesse accertando che ogni centimetro del suo corpo fosse al proprio posto. Matt le aveva sorriso e le aveva fatto cenno di portarsi accanto a lui, sul lato sinistro del letto. A Holly quei pochi passi sembravano costarle uno sforzo enorme e quando il ragazzo aveva allungato la mano per stringerle la sua, era scoppiata a piangere come una cretina, incassando la testa nelle spalle e strofinandosi gli occhi con il dorso della mano.
"Faccio schifo come amica. Dovrei essere io a incoraggiarti, non il contrario. Scusa."
Gli ricordava quando, da bambina, Holly cadeva nel tentativo di imitarlo e si metteva a piangere nello stesso modo, con le ginocchia sbucciate, e lui tornava sempre sui propri passi a riprenderla.
Nel conoscerla alla perfezione, si sentiva quasi un idiota.
Matt le aveva sorriso di nuovo, scrivendo con la mano libera un paio di parole sul taccuino che gli avevano lasciato a disposizione.
"Grazie."
La mano di Matt era grande, diversa da quella che l’aiutava a rialzarsi da bambina, e calda: le sembrava che tutta la paura potesse sciogliersi dentro quella stretta, come se bastasse toccare con mano per sapere che niente era cambiato e tutto si sarebbe sistemato. Era normale sentirsi protetta per così poco?
Matt le aveva fatto cenno di sedersi accanto a lui, e Holly aveva preso posto sulla sedia lasciata vuota da Val, probabilmente.
“Sono felice di essere qui, almeno sono certa che sei vivo e fuori pericolo. Ora però dovrai trovare una soluzione, non puoi permetterti di cantare come facevi prima.”
Matt aveva annuito, continuando a tenerle la mano. Gli era mancato averla accanto, era abituato nei momenti critici a entrare abusivamente in una stanza che non gli apparteneva per sentirsi dare dello stupido, farsi regalare un sorriso e una pacca sulla spalla.
Di quelle che corrispondono a un calcio nel culo per farti passare la paura di buttarti di sotto.
Meno male che ci sei.
“Potevi dirmelo, il Festival non era importante.”
Matt aveva annuito, scarabocchiandole alcune parole in una grafia pessima e sgraziata sul taccuino. Holly le aveva lette, l’aveva guardato per qualche istante poi aveva preso a raccontare quello che stava accadendo a lei, a New York, di come forse non sarebbe rimasta ad Huntigton Beach ma dove l’avrebbero accolta. 
And when I touch you I feel happy, I want to hold your hand.
Matt non le aveva staccato gli occhi di dosso: prima o poi sarebbe accaduto, lo sapeva, ed era giusto così, che Holly potesse essere libera di vivere anche lontana da loro.
Sarebbe tornata sempre e comunque, lui lo sapeva. Lo sapevano tutti, in realtà, ma se avessero potuto scegliere, di certo avrebbero chiesto un’alternativa alla lontananza. Piangeva anche per quello, Holly, perché il sacrificio più grande era sempre il suo. A distanza di tre anni dalla sua partenza per New York, Matt aveva capito che la parte peggiore era quella che spettava a lei: loro, in fondo, si supportavano e spalleggiavano sempre, cinque idioti a cui bastava un niente per capirsi. Lei no, era sola. Okay, se l’era scelto, ma era pur sempre Olivia che doveva fare i conti con la lontananza da casa, dagli amici di sempre, dalla vita che si era costruita in diciassette anni. Loro potevano contare sulla forza di un’unione incrollabile,  Holly, invece, solo su sé stessa, e Matt si era sentito scorretto per tutte le volte che le aveva chiesto di non ripartire solo per il gusto di non vedersi sottrarre il supporto di una vita.
Che ne dicessero tutti, lui aveva bisogno di Holly per sentirsi spalleggiato in un modo differente da quello del cameratismo offerto dall’amicizia maschile: aveva bisogno di Holly per sentirsi forte quando invece era debole, per sentirsi qualcosa di speciale sempre e comunque, anche quando credeva di essere un fallimento totale.
Holly lo adorava, per lei rivestiva i panni di un principe e quel ruolo, in fondo, gli era sempre piaciuto: lo faceva sentire un uomo vero anche quando di certezze non ne aveva affatto.
All’orario di apertura delle visite, Valary e Michelle li avevano trovati così: Holly addormentata con il capo appoggiato sul letto, la mano di Matt posata sulla sua testa.
Come se avesse paura che volasse via.
Come se fosse il suo piccolo gatto domestico a cui rivolgere ancora le attenzioni di cui solo i cuccioli hanno bisogno.
 
 
"Io non riuscirei a sopportarlo."
Michelle aveva arricciato il naso in un moto di stizza, sporgendosi in avanti verso il cruscotto dell'auto in cerca di un accendino.
"Che cosa?"
"L'intrusione costante di Holly."
Si era accesa la Marlboro - il suo vizio del fumo era stato più un tentativo di avvicinarsi a Brian anziché  una scelta dettata dal sentirsi grande quando ancora aveva sedici anni - inspirando boccate di fumo che scivolavano fuori dall'abitacolo dai finestrini abbassati.
"Holly c'é sempre stata, c'era persino prima di Zacky e Jimmy. Sono cresciuti insieme, hanno vissuto in simbiosi sin da quando erano due mocciosi senza denti. Sarebbe come chiedere a me di non vederti più."
"Sai che non é la stessa cosa. Tu l'hai sempre detto che Holly era innamorata di Matt. Certe cose le capisci e basta quando si tratta del tuo uomo."
"Holly non é mai stata scorretta. Posso essere gelosa, ma non posso fare nulla per allontanarli. Non mi ha mai dato un pretesto per poterlo fare."
All'inizio l'aveva desiderato con tutta sé stessa, che facesse un solo passo falso per poter mettere Matt ai ferri corti - le sarebbe bastata anche solo una di quelle risposte glaciali che solo Holly e Zacky sapevano scoccare all’indesiderato prossimo -, poi Holly era partita e le aveva lasciato la possibilità di vivere con meno paranoie la sua storia con Matt.
"Hai paura del confronto, te lo si legge in faccia, lo sai?"
La paura era su un’ipotetica scelta di Matt, a essere sincere, perché Val aveva sempre il sottile dubbio di non essere davvero quella definitiva, come se un minuscolo buco potesse corrodere tutto l’amore del mondo.
"Se scegliesse Holly? Me lo chiedo spesso, quando stanno ore al telefono o vedo Matt scoppiare a ridere quando gli arriva un suo messaggio. Per lui vivere lontano da Holly é una forzatura, ma ha accettato le sue scelte. Holly non se ne sarebbe mai andata se avesse avuto anche solo mezza possibilità con Matt, ne sono convinta."
"Ma continui a temerla."
"E' una presenza ingombrante. Matt ha chiesto a tutti di non dirle nulla, poi l'ha chiamata lui. Roxy mi ha detto che Holly si é arrabbiata con Zacky per averle tenuto nascosta la cosa, hanno litigato come il solito. Però so perché Matt l'ha fatto: a volte ha bisogno di Holly soltanto, é come se il fatto che ora sia a New York offra anche a lui una via di fuga da noi. Lei é fuori dalle dinamiche della band, dal mondo della musica e dei media. E' una cosa che sono riusciti a preservare, come se le avessero affidato la parte più intima di un qualcosa che non possono né vogliono mostrare. Quando torna i ragazzi sono elettrizzati. E' come se si ricordassero a cosa appartengono, che c’è comunque la loro vita di sempre al di fuori del palcoscenico e dei fans. E' una fetta della loro vita che custodiscono lontana dai riflettori e di cui hanno bisogno per staccare la spina."
Michelle aveva lanciato un'occhiata a Valary, inspirando l’ennesima boccata di fumo per poi ricacciarla fuori soffiandola verso l’alto.
"Sei troppo permissiva, e anche una stupidissima sentimentale."
"Michelle, se tu non stai con Brian é perché sei stata soffocante sino all'esasperazione. Tu non conosci mezze misure."
"Hai fraternizzato con il nemico, su questo argomento non mi fido dei tuoi giudizi."
Il comportamento di sua sorella la irritava: come si poteva essere così simili fuori e diverse dentro? A volte faceva fatica a sopportare Michelle e il suo dispotismo: a lei Roxanne piaceva, perché negarlo? Si vedeva lontano un miglio che Brian era innamorato pazzo di lei, e chi era Valary DiBenedetto per sindacare sulla felicità di uno dei suoi migliori amici? Roxy poi era una tipa a posto, un po’ sopra le righe a causa della memoria eidetica – avere a che fare con un calcolatore-agenda umano a volte era difficile e imbarazzante – ma comunque era assolutamente adorabile.
A essere sincere, pensava la medesima cosa di Holly. Era stata la prima a vedere sotto la scorza del maschiaccio la delicatezza della ragazzina che l’aveva paralizzata cantando un paio di mesi prima una delle più belle canzoni d’amore che potessero esistere al mondo.
In quel momento Val aveva avuto la certezza che non fosse per Matt, che fosse però per Huntigton Beach intera, per tutti quelli che aveva lasciato lì, lei compresa. Holly non sapeva mentire né nascondersi dietro maschere complicate: si imbarazzava, faceva figuracce, parlava a sproposito e si alterava scoppiando come un fuoco estivo, ma era quell’essere un’imbranata cronica a renderla la più improbabile degli ipocriti.
Holly avrebbe giocato a carte scoperte sempre, di quello ne aveva la certezza, e se il tuo nemico ha la nobiltà di non pugnalarti alle spalle puoi persino credere che la tua sconfitta sia stata meritata.
"Prendi la storia delle groupie. Io mi incazzerei con il mio fidanzato. Ti tradisce, lo dice ai giornali e tu non fai o dici nulla."
Val aveva parcheggiato nel vialetto di casa il fuoristrada, ponderando una a una le parole di Michelle, poi si era slacciata la cintura di sicurezza fissando negli occhi la sorella.
"Quello é solo sesso. E' fisiologico come andare al cesso, Michelle, e fa parte del gioco. C'é un'unica cosa che non perdonerei mai a Matt, e sarebbe un qualsiasi coinvolgimento con Holly. Anche solo un bacio, perché avrei la certezza che ci sarebbero anche sentimenti, ma so che non la sfiorerebbe mai: per lui é al pari di una sorella. Finché Matt sfoga un impulso fisico a me non interessa. A me basta essere l'unica donna che ama. E con questo ho chiuso."
"Contenta tu."
Michelle le aveva lanciato un’ultima occhiata, inforcando gli occhiali da sole prima di scendere dall’auto: Valary e Olivia si somigliavano, forse era per quello che Matt aveva finito con il mettersi con sua sorella. Nella schiettezza dei sentimenti, era identica a quella mocciosa pel di carota che Matt aveva come vicina di casa. Lei, però, a differenza di Val, non si sarebbe mai arresa all’evidenza della storia di Brian e Roxy. Avevano tutti quanti poco più di vent’anni, da quando l’amore – alla loro età – era per tutta la vita?
Avrebbe atteso con pazienza, senza discrezione, aspettando il momento propizio per intrufolarsi nella loro esistenza. Aveva messo gli occhi su Brian sin dal primo momento che l’aveva visto, non avrebbe rinunciato a lui così facilmente.
 
 
 
*
 
Holly era stata colpita da un moto di ilarità che aveva costretto Mary Anne a distogliere la propria attenzione dalla sua tesi per fissarla sorpresa.
“Non dovevi studiare per la discussione? Che ci trovi da ridere sulla storia dei catari? Okay che hai una vena macabra, ma questo mi sembra un po’ esagerato.”
“No, stavo leggendo Kerrang! e ci sono Zacky e la sua amica”, e aveva accompagnato quelle parole con due apici disegnati in aria con le dita.
“Ah, la solita storia. Finché non la conoscerai non sarai tranquilla.”
“Ha la faccia da scema.”
“Fa’ vedere.”
Holly le aveva lanciato la rivista, e l’amica vi aveva dato una rapida occhiata tornando poi a squadrarla divertita.
“Che hai ora da guardarmi a quel modo?”
“Nulla. Pensavo solo che il tuo migliore amico è un cretino.”
“Non ho mai smentito questa insindacabile verità, no?”
“No, appunto. Secondo me perdi tempo a cercare di farlo rinsavire. La tizia però è carina.”
Holly aveva studiato la fotografia, poi aveva dovuto ammettere che si, Gena Pahulus era davvero bella.
Il telefono aveva preso a squillare, e il nome che era apparso sul display l’aveva fatta sorridere di nuovo.
Il karma li prendeva felicemente per il culo.
“Ciao Zacky, come va?”
“Ehi scema, tutto okay? Sei agitata per la super festa che segna la tua libertà e la fuga da New York?”
“Io sono sempre tranquilla, se non l’hai ancora capito. Quando arrivate?”
“Mercoledì al più tardi, Val ha un paio di cose da finire e quindi aspettiamo che sia tutto a posto, altrimenti Matt rischia di dover rimanere qui e farsi il viaggio con Val e Michelle, e credo che doversi portare dietro anche lei gli provochi un certo fastidio.”
Holly aveva preso a rosicchiarsi l’unghia del pollice della mano sinistra, allontanando il telefono dall’orecchio scrutando con aria infastidita il display, come se Zacky potesse vederla.
“Perché deve venire anche Michelle alla mia laurea, scusa?”
“Così è stato deciso ai vertici e per una volta la colpa non è mia, quindi prenditela con chi di dovere.”
“Non l’ho invitata, non la voglio.”
“Ci sarà comunque, le Di Benedetto si muovono solo in simbiosi. Non l’hai ancora imparata questa legge karmica?”
“No, e nemmeno mi interessa se è stata dettata da Dio con le Tavole della Legge. Michelle non la voglio vedere.”
“Che ti ha fatto scusa? Vai sempre per partiti presi, tu. Dovresti conoscere meglio le persone prima di giudicarle.”
“Zacky, ti prego… evitami la paternale. Detto da te, poi, tutto ciò è molto ridicolo. Ah, a proposito, ho visto la tua foto con Gena su Kerrang!, siete venuti bene. Sa fare due più due?”
“Holly…”
“E sa cos’è un ossimoro?”
“Holly ora non…”
“Ma soprattutto, perché ti ostini a metterti con tizie che incarnano il prototipo dell’oca media? Non puoi trovarti una ragazza degna di questo nome, che abbia un cervello funzionante e che ti meriti per quello che sei davvero, e non come il pagliaccio per cui un buon 90% delle persone ti conosce, scambiandoti per un idiota? Guarda che con lei ci devi stare tutta la vita, che fai, la prendi per il culo senza mostrargli chi sei davvero?”
Zacky, dall’altra parte, non riusciva a capire se Holly lo stava denigrando o se, invece , gli stesse facendo un’improbabile elenco dei suoi pregi, per la prima volta da quando ne aveva memoria. Non che avesse bisogno di qualcuno che glieli rammentasse, semplicemente lo disturbava il fatto che fosse Holly a ricordargli quanto fosse figo.
Era destabilizzante, ecco, come se avesse all’altro capo del telefono la copia carina e adorabile della sua migliore amica.
“Holly nemmeno la conosci, non sparare a zero. E poi chi cazzo l’ha detto che devo stare con Gena tutta la vita?”
“L’apparenza a è tutto, lo sai meglio di me, tu e il tuo edonismo del cazzo. E’ quello che ti frega, le scegli belle e vuote.”
“Devo starci insieme io, non tu.”
“Grazie al cielo, io non sarei mai così scema da trovarmi una che non sa nemmeno fare una O con un bicchiere. Ho un certo amor proprio e una dignità che non mi va di sputtanare, mettiamola così. Ha avuto l’approvazione di Roxanne?”
Dall’altra parte una lunga pausa, poi la risposta.
“Mia sorella non capisce un cazzo di donne.”
“Allora deve essere una tara di famiglia, Zacky.”
Mary Anne osservava Holly, divertita. Il suo lato sadico trovava l’amica tremendamente divertente quando litigava con il californiano idiota, un po’ perché le sembrava che in quegli scontri si nascondesse un affetto profondo e sincero, un po’ perché vedere Holly nella sua veste più spietata la faceva sempre sentire fiera di non averla mai fatta incazzare sul serio.
“Holly, verrà anche Gena a New York, ti ho chiamata per questo. Vuole conoscerti, per cui verrà anche lei.”
Holly aveva sgranato gli occhi, incredula. Perché alla sua festa di laurea dovevano presentarsi persone che non conosceva nemmeno? Lei voleva accanto gli amici di sempre, le persone con le quali era cresciuta e che per lei erano davvero importanti, non una serie di bionde senza cervello di cui si sarebbe vergognata non appena avessero aperto bocca.
Okay, sto ragionando come una newyorkese ora. Merda.
“Grazie.”
“Di cosa?”
“Per avermi avvertita, Zacky.”
“Dovere.”
Fottiti.
Le cose stavano cambiando rapidamente. La sua famiglia si stava allargando a vista d’occhio, come una chiazza d’olio che rendeva tutto ciò che toccava parte integrante di sé stessa. Lei continuava a restare fieramente sul confine, lambita da qualcosa che erano residui di ricordi di un’altra vita, ormai.
Aveva una vita indipendente, doveva essere libera di scegliere le persone con cui voleva condividere il proprio tempo e né Michelle né le fidanzate – vere o presunte – di Zacky, erano contemplate nella lista attuale delle sue conoscenze gradite.
Odiava sentirsi imporre persone e legami, come se il fatto che Dakota uscisse sempre con Val e Roxanne comportasse anche la tacita intromissione di Holly ad ogni suo rientro ad Huntigton Beach nelle uscite delle ragazze.
Non era così e nemmeno lo desiderava: se si decideva di uscire insieme era perché la cosa era stata organizzata di comune accordo, non per un traino a rimorchio dell’eterna viaggiatrice, come la chiamava scherzosamente Val.
“Ci si vede mercoledì allora.”
“Holly?”
“Cosa c’è?”
Era incazzata, tremendamente incazzata, e Zacky lo sapeva.
“Sei incazzata?”
“Di brutto, ma mi passerà come al solito.”
“Devi sempre complicare le cose.”
“Anche voi. Ora torno a studiare, ci sentiamo più tardi.”
Mary Anne la guardava accigliata, studiandola attentamente.
“Che ti ha detto ora, per averti fatta incazzare così tanto?”
“Vengono alla mia consegna della laurea con Michelle e la bionda.”
“Stai scherzando?”
“No, affatto. E’ questo il problema.”
“Certo che sono proprio idioti. Tu sei una tipa vecchio stampo, una di quelle che adorano avere attorno le persone che amano, che desidera trovare il principe azzurro, che arriverà vergine al matrimonio e bla bla bla. Cose sentimentali di questo tipo, insomma. E loro portano la prima che arriva?”
“Stai infierendo, lo sai?”
“Scusami. Allora ti porto fuori a mangiare uno yogurt a doppia farcitura. Almeno ti passa lo scazzo.”
“Sai sempre come fregarmi, vero?”
“Più o meno.”
 
 
Zacky aveva portato le braccia dietro la nuca, gettandosi all’indietro sul divano del garage di Matt. Solito posto, solito pomeriggio di cazzeggio dell’imminente estate e settimane di relax dopo l’operazione.
Vacanze, sacrosante e meritate vacanze per almeno tre mesi: una goduria.
“E si è incazzata, capito? Si è incazzata perché le ho dovuto dire io di Michelle e Gena, come al solito.”
“Si sarebbe incazzata anche con Matt.”
“Si ma almeno ci dividevamo lo scazzo al 50%, Jimmy. Se la chiamavi tu non avrebbe rotto così tanto le palle con le sue menate.”
“Guarda che ha ragione, eh.”
“Scusa?”
Zacky aveva lanciato un’occhiata in tralice a Brian, intento ad accordare la chitarra mentre Roxanne disegnava bozzetti delle loro prossime magliette seduta a terra, ai suoi piedi.
“Dico che ha ragione. Che cazzo ci portiamo dietro Michelle e Gena a fare? A New York a fare compere possono andarci quando vogliono. Almeno alla laurea di Holly potremmo andare senza terzi incomodi.”
“Gena è la mia ragazza.”
“E quale momento migliore per presentarla ad Holly, se non per la sua laurea?” l’aveva sfottuto Jimmy, fingendo un tono melodrammatico.
“E’ tutta colpa mia ora?”
Roxy aveva sollevato lo sguardo su suo fratello per poi tornare a prestare attenzione ai fogli bianchi, ma a Zacky era bastato per capire che il ruolo della vittima – in quel caso – non poteva interpretarlo.
“Okay, sentiamo. Roxy perché sarei stato così insensibile?”
“Be’, dovresti saperlo. Sei tu il migliore amico di Holly, no?”
Si, e lo sapeva benissimo anche, ma non aveva avuto scelta: non aveva intenzione di perdere Gena per Holly – e nemmeno il contrario – per cui l’unica soluzione era farle incontrare. Gena si sarebbe così messa tranquilla sul fatto che la loro fosse davvero un’amicizia inossidabile – e non quella cosa ambigua che faceva scattare la sua ragazza di gelosia ad ogni telefonata o messaggio -, e Holly avrebbe apprezzato la simpatia di Gena e i suoi modi di fare sempre gentili con chiunque.
Affettati, sarebbe stato l’aggettivo corretto, ma quelli che sapevano mettere le parole al posto giusto erano Holly e Jimmy.
Lui sapeva solo dire le prime cose che gli venivano in mente: sempre impulsivo, vero Baker?
 
 
*
 
Era il primo luglio quando era riuscita a laurearsi e dire addio a New York.
Il caldo era torrido, i cinque scemi in prima fila a fare casino e sua madre in lacrime accanto a suo padre e Matt, nemmeno lei avesse deciso di andarsene per sempre dall’altro capo del mondo. Be’, la lettera da Cardiff era arrivata il giorno prima, e quando il professor Humberg le aveva consegnato l’ammissione alla Cardiff School of History con lo sguardo del nonno fiero, a Holly erano salite le lacrime agli occhi.
E aveva sentito il cuore incrinarsi, come se una crepa grande e profonda come la faglia di Sant’Andrea l’avesse percorso da parte a parte.
“Non sei felice, Olivia? Ti vedo pensierosa.”
“Si, no, cioè… non lo so. Non me l’aspettavo, ecco. Non così presto, a essere sincera.”
“Tieni, questo è il numero di telefono di un mio caro amico. Ti aiuterà a trovare la sistemazione migliore per te. Non è così frequente che si lasciano fregare da noi americani, ma a quanto pare la tua tesi sui catari ha suscitato parecchio interesse. Il tuo viaggio in Francia ha dato i suoi frutti.”
Un viaggio che le era costato il compleanno di Matt dell’anno prima, il tutto per seguire le orme dei catari nella Francia meridionale avamposto dopo avamposto, unendo storia e leggenda. Paese dopo paese, Holly si era innamorata di un popolo ingiustamente massacrato, di una fede religiosa che avrebbe portato una ventata di leggerezza nel Medioevo Europeo e vi aveva intessuto, sera dopo sera, la sua tesi.
Quella che era piaciuto agli inglesi, tanto da chiederle la pubblicazione.
“Ehm… grazie.”
Non aveva molto da dire, Holly, né aveva voglia di parlare: stringeva tra le mani il lasciapassare per il suo futuro, eppure le pareva di avere invece una spada di Damocle piantata tra le scapole.
Come avrebbe dato la notizia agli altri? Con che coraggio avrebbe detto a Zacky che anziché restare a Los Angeles se ne sarebbe andata in Inghilterra per qualche anno, stipendiata dall’università di Cardiff come ricercatrice?
Cazzo, che casino.
Aveva chiesto di stare lontana da Huntigton Beach e qualcuno l’aveva ascoltata. Si era incasinata la vita da sola e dai suoi immensi pasticci doveva uscirne con le sue sole forze. Il come era una domanda che si stava ponendo da almeno ventiquattr’ore ormai, e l’unica cosa che le era venuta in mente era che la notizia l’avrebbe data una volta rientrati ad Huntigton Beach. Prima a sua madre e suo padre, poi a Matt e Zacky e Dakota, e poi a tutti gli altri.
“Ehi, ma ci sei o sei su un altro pianeta?”
Dakota le aveva dato una gomitata, mentre Zacky stava sbraitando cose inascoltabili nella sua direzione inneggiando a un brindisi.
“Alla nostra Indiana Jones, perché possa trovare l’Arca dell’Alleanza, il Sacro Graal e tutte quelle cose da favola che le piacciono tanto.”
“Mi fai passare per una cretina così, Zacky.”
“No, solo per una credulona. Ma la sei, no?”
“Idiota.”
Aveva alzato il calice di vino verso l’alto, lo sguardo puntato al cielo plumbeo della veranda che avevano occupato per il pranzo, cercando di non mettersi a piangere. Non voleva partire, non aveva la benché minima intenzione di andarsene di nuovo da Huntigton Beach. Non dopo che Zacky era riuscito persino a farle una sottospecie di complimento.
Non dopo che l’aveva sputtanata scoprendo il suo fianco al nemico, soprattutto.
“Davvero vuoi diventare un’archeologa? Deve essere una cosa interessante.”
Quando Gena aveva aperto bocca, il silenzio era calato sulla sala.
“Si, altrimenti non l’avrei studiata.”
“Ma cosa c’è di interessante nella storia? Sono cose passate, che non torneranno mai più.”
Holly stava cercando di comprendere se Gena stesse tentando di rendersi ridicola o se invece stava cercando di fingersi un’intellettuale. In ogni caso, la sua reazione era un’irritazione che le saliva dalla punta dei piedi facendole masticare bile per non finire con il prendere a insulti la nuova – adorabile – fidanzata di Zacky.
E quando diceva “fidanzata”, parlava di una storia con i dovuti crismi, non come tutte quelle che aveva avuto prima di lei: Zacky faceva sul serio e qualcosa le diceva che si era innamorato realmente di quella tizia del tutto insipida. O, se non era amore, era comunque qualcosa che esulava dalla passione istintiva che lo aveva portato a scaricare le sue ex ragazze nell’arco di un paio di settimane, giusto il tempo di diventare noiose e appiccicose come api.
“A me interessa. L’uomo non impara mai dai propri errori, è una ciclicità continua che non accenna a fermarsi.”
“Holly non iniziare a fare la melodrammatica sui corsi e i ricorsi storici. Quella teoria ormai la sanno anche i muri.”
Evidentemente, però, dalla faccia allibita di Matt e dei ragazzi – ad esclusione di Jimmy -, solo Zacky era a conoscenza della teoria di Vico e dell’attaccamento affettivo che Holly aveva nei suoi confronti.
I ricordi, i suoi ricordi, non sarebbero più tornati. E lei voleva che tutti continuassero a rivivere nella sua mente giorno dopo giorno: avrebbe iniziato a dimenticare, prima o poi? E loro? Si sarebbero dimenticati di lei?
“Okay, evitiamo di parlare di storia per oggi, va bene Vengeance? Evito di farti sfigurare, così.”
“Io so benissimo tenerti testa.”
“Tu si.”
Lei no, sarebbe stato il naturale seguito della risposta, pensato a voce così alta che tutti i presenti erano riusciti ad udirne distintamente il suono senza che Holly avesse bisogno di gridarlo.
Michelle era stata ignorata, Gena aveva finito con il parlare fitto con Zacky, Roxanne e Valary – monopolizzando quelle che riteneva potessero essere le sue sostenitrici -, e Dakota aveva deciso di coccolarsi a dovere la sua migliore amica, con infinito sollievo di Holly.
Per una volta avrebbe desiderato poter piangere senza badare troppo al contesto e invece aveva dovuto inghiottire nuovamente il rospo e rimandare le lacrime alla notte, nascosta sotto le coperte a piangere come quando era una bambina e aveva paura dei temporali.
E quella paura, dei suoni forti che squarciavano il cielo, non le era mai passata.
 
 
*
 
Huntigton Beach, 2004.
 
Doveva affrontare Zacky, e aveva paura. Si sentiva in torto, colpevole di una promessa infranta e si, se Zacky avesse deciso di odiarla per sempre avrebbe persino avuto tutte le ragioni del mondo.
Ma non l’avrebbe fatto davvero, no?
“Che ti prende? Oggi sei silenziosa. Come mai vuoi andare alla spiaggia? E’ un giorno schifoso, andrà a piovere di certo. L’unico giorno estivo in cui piove in California l’hai scelto tu per farmi schiodare da casa.”
“Dovevo parlarti di una cosa importante.”
Tanto valeva sputare il rospo subito, no?
Zacky aveva portato il proprio sguardo su Holly, staccandolo dalla strada a intervalli regolari.
“Vuoi andare al molo per quello?”
Lei aveva annuito, senza parlare, e la cosa aveva iniziato a mettere Zacky in uno stato di agitazione che lo irritava.
Non aveva paura – lui non temeva davvero nulla, in realtà – ma non ricordava di aver visto mai Holly muta, con il capo chino, che non aveva voglia né di parlare né di ridere. Aveva avuto i suoi momenti no, come chiunque, ma aveva sempre avuto l’accortezza di sdrammatizzare per prima per evitare la commiserazione altrui.
Era fatta così, e gli piaceva per quello: perché dei melodrammi non se ne faceva nulla.
“Okay, non mi piace un cazzo questa tua faccia. Che succede?”
“Mi hanno presa a Cardiff.”
“Hai rifiutato, no?”
“No.”
A quel punto, Zacky aveva inchiodato di colpo, senza che Holly si scomponesse dal proprio posto, come se fosse un condannato a morte in attesa della propria esecuzione sommaria.
“Non mi prendere per il culo, Holly. Avevi giurato che saresti andata al massimo a Los Angeles. Che cazzo di storia è Cardiff? E’ dall’altra parte del mondo, porca puttana!”
“Lo so senza che tu me lo faccia notare, Zacky.”
“Sei un’egoista del cazzo! E anche una fottutissima stronza. Tu me l’avevi promesso, Holly.”
“Che colpa ne ho se mi hanno presa lì?”
“Non dovevi nemmeno mandare la domanda se non volevi partire! A te non te ne frega un cazzo di noi, di Huntigton Beach. Siamo solo il passatempo per quando rientri a casa, per evitare di annoiarti.”
“Sai che non è così.”
“Invece no che non lo so! Perché prima te ne sei andata a New York e ora decidi di mollare tutto e andare in Inghilterra! Senza dire nulla, per altro, così, te ne esci con la storia che parti. Ma vaffanculo Holly! Davvero, vattene a fare in culo.”
“Avete tutti la vostra vita, Zacky, non puoi pensare che…”
“Cosa? Che con le tue fisime del cazzo smettiamo di volerti bene? Che ti lasciamo indietro? Che tanto, una volta accasati, tanti saluti alla piccola Holly? Sono solo cazzate che ti racconti per sentirti meno in colpa per averci traditi.”
Holly si era morsa il labbro inferiore, cercando di non mettersi a piangere. Non gli avrebbe dato quella soddisfazione nemmeno per tutto l’oro del mondo, ma era dannatamente difficile. E Zacky, quando si arrabbiava a quel modo, la intimoriva.
“Io ho paura, Zacky. Perché non mi supporti e cerchi di sostenermi anziché condannare ogni scelta che faccio? Anche per New York tu e Matt avete fatto un dramma. Io non posso pensare di vivere la mia vita a servizio degli Avenged Sevenfold.”
“Non ci hai mai creduto, vero?”
“No, ci ho creduto eccome, Zacky, o non avrei aspettato le tue telefonate da sbronzo ogni sacrosanta notte per sapere come stavano andando le cose. E ci credo ancora.”
“Allora perché vuoi andartene?”
“Perché posso fare quello che sogno da una vita. Pensi che non mi costi lasciare Huntigton Beach? Pensi che non sappia che non potrò prendere il primo aereo che parte per poter tornare a casa ogni volta che sento la vostra mancanza?”
“Allora non partire.”
“Sarebbe come chiedere a te di smettere di suonare.”
“Puoi cantare, puoi fare mille altre cose che ti piacciono.”
“Non me ne frega niente di fare la cantante, è un passatempo come un altro, non il mio sogno nel cassetto.”
“Perché proprio Cardiff?”
“Ho mandato le richieste anche al MoMa di New York, a Los Angeles e al British Museum. Mi hanno accettata solo alla Cardiff School of History.”
“Ma perché proprio Cardiff?”
“Me l’ha consigliato il mio professore.”
“Vuole portarti a letto?”
“Ma sei scemo? Potrebbe essere mio nonno!”
“Ti fidi troppo degli altri.”
Già, questo è vero. Mi fido così tanto degli altri che sto cercando un po’ di supporto nell’unica persona che so che non potrà mai concedermelo. Visto come sono scema, Zacky?
“Ce l’hai con me, vero?”
“Si, tu mi hai tradito. Mi hai raccontato un sacco di bugie e sai che odio le persone ipocrite.”
Quello faceva male, era la più colossale delle stronzate, ma Zacky aveva affondato senza pietà la mano nel suo petto, aveva preso il suo cuore già crepato e ne aveva strappato via almeno metà, calpestandolo.
“Zacky, ti prego… puoi per una volta mettere da parte il tuo orgoglio del cazzo e sforzarti di capirmi? Ogni volta che ho bisogno del tuo supporto non fai altro che addossarmi colpe e accusarmi. Se tu mi volessi bene davvero mi appoggeresti almeno una stramaledetta volta nella vita, ma non lo fai mai. Che razza di migliore amico sei, se ogni volta mi devi mettere in croce senza darmi la minima possibilità di salvezza?”
“Ti riporto a casa, mi sono rotto il cazzo. Fai quello che vuoi, la vita è tua.”
“Non ti sopporto quando fai così, lo sai?”
Zacky però, la soddisfazione di ribattere non gliel’aveva data, e la cappa di silenzio che aveva avvolto l’auto era soffocante, le aveva strozzato persino il respiro.
O forse erano solo le lacrime, a cui stava impedendo con tutta sé stessa di liberarsi dal giogo della sua forza per essere libere di sfogarsi.
 
 
Quando Zacky aveva frenato bruscamente davanti a casa Bridges, Holly si era sentita al capolinea della vita, per quel motivo l'abbraccio di sua madre - inaspettato – era stato quanto di più desiderato potesse esserci al mondo.
Quando l’aveva vista rientrare, in lacrime, aveva capito che lo scontro con Zackary non era stato molto diverso da come sua figlia se l’era aspettato: dunque, si era preparata ad accoglierla nel migliore dei modi, con torta alle fragole e un abbraccio rassicurante.
“Capirà.”
“No. Zacky non mi perdonerà mai. Forse gli passerà, ma non lo dimenticherà.”
“Non devi sentirti in colpa. Stai scegliendo il tuo futuro.”
“Non voglio andarmene.”
Aveva serrato tra i pugni la stoffa al profumo di lavanda della maglia di sua madre, strofinando il viso sul suo petto come faceva da bambina.
“Vuoi rinunciare a tutto?”
“No. Cioè, non lo so. Sarebbe tutto più facile se almeno una persona al mondo mi supportasse. Invece non è così. Scusami, non volevo… so che tu ci sei, ecco. Grazie.”
“Non preoccuparti, so a chi ti riferisci. Per loro non sarà mai facile lasciarti andare via, lo sai anche tu.”
“Hanno le loro vite, cosa c’entro io con Gena o Val? Andiamo mamma, una volta che hanno una fidanzata non hanno più bisogno di una balia.”
“No, hanno bisogno di un’amica. Della migliore amica su cui sanno di poter contare. Hai salvato più volte tu la storia di Matt e Valary di chiunque altro.”
“Mamma… ti prego.”
Le sfuriate nei confronti di Matt, chiusi nella sua stanza, avevano fatto il giro di casa Bridges e casa Sanders, ad ogni colpo di basso con cui la sua storia con Valary pareva scontrarsi. Matt non era un gladiatore, era uno di quelli che al minimo ostacolo si chiedevano se non fosse tutto un’enorme cazzata: era troppo attento al visibile per rendersi conto del non detto e non visto.
“Stasera ceni a casa?”
“Non ho molta fame. Faccio un salto da Dakota.”
“Dormi da lei?”
“Forse, te lo faccio sapere nel caso.”
“Okay. Holly, farai la scelta giusta. Ricordati che devi essere felice e puoi trovare il giusto equilibrio in ogni cosa. Non è la distanza a distruggere i rapporti, ma la poca voglia che le persone hanno nel coltivarli.”
E se Zacky o Matt avessero deciso che non valeva poi così tanto, sbattersi per una traditrice?
 
 
Seduta accanto a Dakota, Holly aveva gli occhi arrossati dal pianto e il cappuccio della felpa tirato sulla nuca, nel tentativo di rendersi meno patetica di quanto non dovesse risultare in realtà.
"Sto sbagliando Dakota?"
"Se fossi stronza ti direi di si, ma vedi, io credo tu abbia fatto la scelta giusta andando a New York. Ho capito che è difficile convivere con quei cinque, sono un muro compatto contro il mondo, si spalleggiano a vicenda e non c’è via d’uscita. Se uno di loro fa una cazzata, gli altri gli pareranno sempre il culo, senza porsi il problema se quello che è stato fatto fosse giusto o sbagliato. Ce l'hanno ormai nel DNA, e mi rendo conto che deve essere stato difficile per te avere quattro fratelli maggiori di quel calibro di egocentrismo attorno."
"Non ti seguo."
"Non voglio che parti, ovvio, ma é giusto che tu lo faccia. Ho imparato che è difficile gestire una cosa come gli Avenged Sevenfold se hai un'altra vita o ne desideri una che non sia costantemente sotto i riflettori. Per Roxy e Val è diverso. Roxanne gli cura il merchandising, Val sta gestendo ancora tutti i contratti e organizza gli eventi, ma io sono fuori. A volte la vita nel tour bus mi va stretta, vorrei avere uno spazio solo mio in cui poter gridare sino a farmi esplodere i polmoni. Una come te impazzirebbe in uno spazio così piccolo. Stavi per farlo già al ritorno da New York a Natale, l’anno scorso."
"Dovresti fare la loro hair stylist, no? Avresti meno problemi. Faresti quello che ami e saresti sempre con Johnny."
"Con Gena tra i piedi? No grazie. La prima cosa che ha detto è stata che nessuno poteva più toccare i capelli di Zacky e che avrebbe rinnovato a tutti il look. E lo sa che faccio la stessa cosa, ma se ne frega."
"E poi sarei io l'egoista eh”, aveva bofonchiato a mezza voce giocherellando con il lembo della propria gonna.
"Non potevi pensare che Zacky la prendesse bene."
"Si ma ogni volta che ho bisogno del suo supporto mi da addosso. Che razza di amico è?"
"Non siete uguali, Holly. Avete delle caratteristiche differenti molto marcate. Tu sei razionale, riesci a capire cosa è giusto e cosa sbagliato in una situazione di questo genere. Zacky invece non ci pensa nemmeno, per lui se ne va una bella fetta della sua vita con te. E non lo accetterà mai."
"Potrei provare ad aprire una cupcakeria qui ad Huntigton Beach, che dici?"
"E buttare nel cesso la tua laurea? Quella può essere l'alternativa se ti stanchi di Cardiff o se le cose non vanno come vorrai tu. Ma fai sempre in tempo a fare una cosa del genere. Devi scegliere se provare a realizzare il tuo sogno o entrare in quello delle persone che ami."
"Non voglio seguire la band passo dopo passo, Dakota. Sarebbe innaturale e stupido."
"Lo so, e hai sempre avuto ragione su questo."
Holly aveva sollevato lo sguardo su di lei, sospirando.
“Ti stai stancando?”
“Mi va stretta, ecco tutto. I fans che ti fermano per strada mentre stai mangiando un gelato con Johnny, le paranoie di quando sono lontani e tu sai che sicuramente qualche tizia bellissima si infilerà nel loro letto e a te resterà solo il dubbio, perché nessuno avrà la decenza di ammettere che è sbagliato e verrà a dirtelo. Le loro vite sono in pasto ai giornali, e noi non facciamo altro che vivere all’ombra del loro riflesso. Se ci fossi tu, sarebbe tutto un gran casino.”
“Un bel complimento, non c’è che dire.”
“Si. Perché se tu fossi con loro non ci sarebbe nessuna Gena a cercare di strappare un appuntamento a Zacky, nessuna tizia squallida e strafatta che si infila nel letto di Jimmy e nessuna Val che piange chiusa in bagno perché Matt ha addosso il profumo di un’altra. La verità è che se ci fossi tu, ti incazzeresti e spaccheresti il muro dell’omertà. Tu avresti il coraggio che manca a tutte noi di alzare la testa e rischiare.”
“Non avrei nulla da perdere. E’ facile dire la verità quando sai che la posta in gioco è esigua, Dakota. Oggi ho perso Zacky, o quanto meno l’ho fatto incazzare a sufficienza perché mi odi per i prossimi vent’anni. Di quell’odio sottile e bastardo di cui è capace soltanto lui. Il problema è che quando sei innamorata di una persona, hai paura di perderla, e quindi sopporti tutto. Forse la vita è fatta anche di compromessi.”
“Lo pensi davvero?”
“Non lo so. So che forse non ho mai capito niente di come ci si comporta.”
Dakota le aveva passato un braccio attorno alle spalle, scoccandole un bacio sul cappuccio della felpa.
“Togliti questo coso, sembri un’emo! Secondo me sai benissimo come ci si comporta. Quando ti innamorerai, poi, continuerai a comportarti così. Io sono convinta che tu non saprai mai tacere davanti a qualcosa che per te è sbagliato. Non sopporti i sotterfugi, sei troppo diretta per poter sottostare ai giochi di equilibrio dei media, per questo ti dico di andare a Cardiff. Tornerai, e noi ti aspetteremo. I ragazzi saranno sempre più spesso in tour, Zacky non può pretendere che tu resti ad Huntigton Beach quando lui ci sarà per due mesi all’anno. E tu d’estate tornerai, e tornerai anche a Natale. Dovrà farseli bastare, come tutti noi. Sarebbe un idiota se dovesse tenerti il muso a vita, e non è così stupido da volerti perdere.”
“Hai troppa fiducia in Zacky.”
“Tu molta più di me. Non ti ho mai vista così giù per un vostro litigio.”
“Vorrei solo che capisse e che per una volta fosse felice per me e rispettasse le mie decisioni, invece mi fa vivere un inferno. Mi sento uno schifo, la peggiore dei traditori.”
“E’ tipico di Zacky, adora farti sentire in colpa. Si sente importante a quel modo.”
“Ma lo è.”
“Be’, forse non lo sa.”
 
 
“Roxy non essere così agitata, Zacky sarà ancora in giro con Holly.”
Roxanne si torceva le dita delle mani in modo convulso, seduta sul sedile della moto di Brian cercando di spiegargli che le cose non andavano affatto bene.
“Sono usciti insieme oggi pomeriggio, ma Gena mi ha chiamata dicendo che Zacky ha rifiutato tutte le sue telefonate, e Holly è da Dakota da questo pomeriggio, ma non mi ha voluto raccontare i dettagli. Deve essere successo qualcosa.”
“Dove credi sia andato? Non si sarà di certo gettato in mare cercando di diventare un sirenetto. Zacky sa badare a sé stesso.”
Zacky, però, aveva bisogno di lei.
Lo avvertiva, il richiamo muto del sangue, quel qualcosa che ti fa sentire male quando la tua metà – quella con cui hai condiviso nove mesi fatti di gesti e parole mute – soffre. E’ un istinto che alberga in ogni coppia di gemelli, per questo si dice siano telepatici: per un’empatia nata in un utero che fa da casa e giaciglio, puoi sfidare persino la scienza.
“Era già nervoso quando è uscito di casa. Quando gli ho chiesto che cos’aveva mi ha detto che Holly gli sembrava strana al telefono.”
“Non l’ha ammazzata, di questo possiamo esserne certi. Prima di tutto perché Dakota ti ha detto che è da lei, e poi perché se non si sono mai ammazzati in tutti questi anni non lo faranno di certo ora. Tuo fratello ha schivato la galera anche stavolta.”
“Hai una sigaretta?”
“Se lo sa Zacky mi uccide.”
“Ci ha già provato, no? E sei ancora qui.”
Brian le aveva offerto il pacchetto di Marlboro, e Roxy ne aveva sfilata una stringendola tra le dita, inspirando poi qualche boccata di fumo: la nicotina riusciva sempre a tranquillizzarla.
“Possiamo provare al molo o allo skate park.”
“Sono i primi due posti che ti vengono in mente quando a pensi a quei due, vero?”
“Anche tu?”
“E’ naturale. Dai metti il casco, andiamo a dare un’occhiata.”
“Grazie.”
Gli aveva posato un bacio sulla guancia prima di salire sul sedile posteriore della moto e attendere che l’aria le sferzasse il viso, diretti verso la spiaggia. Il temporale che si era abbattuto su Huntigton Beach nel pomeriggio aveva lasciato posto a una serata dall’aria frizzante, e Roxy si sentiva stranamente serena, nonostante l’apprensione per Zacky.
Forse era il poter contare sempre su Brian, sul fatto che lui, comunque, riusciva in qualche modo a stemperare la tensione in ogni occasione.
“Eccolo!”
“Io non vedo niente, Roxy. E stai calma, per dio!”
Roxanne aveva preso a indicare un punto vicino al molo, sbracciandosi e rischiando di far perdere l’equilibrio a Brian.
“Cazzo, sei pazza!”
Brian aveva frenato bruscamente ma Roxanne nemmeno gli aveva prestato ascolto, gettandosi in corsa verso la figura seduta a terra, sulla sabbia bagnata, con la schiena appoggiata a uno dei pali del pontile. Brian aveva esitato qualche istante prima di decidere di raggiungere i due fratelli Baker e, forse, avrebbe fatto meglio ad evitarsi lo spettacolo.
Zacky era ubriaco – di quelle sbronze che se prese alle otto di sera significano che stai messo uno schifo -, e Roxanne l’aveva abbracciato come se fosse un bambino, cingendogli le spalle con il fare protettivo di una madre.
Aveva lanciato un’occhiata in direzione di Brian, poi era tornata a focalizzare la propria attenzione sul fratello.
“Ehi, Zacky, che cazzo succede?”
“Brian non…”
“Non consolarlo come se fosse una donna, non ne ha bisogno. Perché ti sei ridotto in questo stato osceno?”
“Vaffanculo Syn.”
Era completamente sbronzo.
“Dov’è Holly?”
“Non rompere il cazzo, Roxy.”
“Ehi, Zacky, evita di prendertela con il mondo, okay?”
Brian aveva afferrato per un braccio Roxanne cercando di allontanarla da Zacky, fregandosene delle sue proteste. Era una cosa che potevano risolvere da uomini e che, anzi, Brian riteneva fosse necessario finire nel minor tempo possibile.
“Non ti dirà nulla, e ridotto in quel modo non andrà nemmeno troppo lontano. Lo portiamo a casa mia e aspettiamo gli passi la sbronza. E’ inguardabile. Alza il culo, andiamo da me.”
“Io non mi muovo. Tanto Holly sa sempre dove cercarmi se vuole chiedermi scusa.”
“Che ti ha fatto?”
“Quella stronza se ne va a Cardiff.”
Brian aveva spostato lo sguardo da Zacky a Roxanne, gli occhi sgranati in direzione di suo fratello. Vedere Zacky ridotto a un ammasso di rancore, odio e disperazione gli faceva fare i conti con la propria coscienza: anche lui, se fosse finita con Roxy, si sarebbe ridotto in quello stato pietoso? Zacky era a pezzi, distrutto e incapace di formulare qualsiasi pensiero razionale, e Holly nemmeno era la sua ragazza.
“Cosa?”
Com’è che i sentimenti riducono sempre gli esseri umani a un’imbarazzante riflesso di sé stessi? Troppo fragili, volubili e dispersivi: ecco come si riducono quando i sentimenti finiscono per prevalere sulla ragione e sulla realtà.
“Non ho capito bene, ma l’hanno chiamata in quella terra di merda e lei ci va. Ci molla qui, capite? Se ne va e ci lascia qui come cinque idioti a tirare avanti e fare musica di merda. Non gliene frega un cazzo di chi siamo o cosa facciamo, pensa solo a sé stessa.”
“Tutti pensiamo a noi stessi, Zacky. Anche tu l’hai sempre fatto, no? La musica, le tipe da portarti a letto, Gena… che diritto hai ora di accusare Holly di essere una stronza quando tu sei il re dei pezzi di merda?”
Zacky aveva sollevato lo sguardo su Brian e con uno sforzo enorme si era alzato dal proprio posto, barcollando: sapeva che avrebbe perso – era un perdente in partenza, quando si trattava di prendersi a pugni con Brian -, e Brian sapeva ciò che avrebbe fatto.
Il flebile “no” di Roxanne era stata un’eco lontana mentre Zacky si era diretto sull’amico, gettandolo a terra con un tonfo sordo.
“Non sai un cazzo, Brian.”
“Sei tu che non capisci un cazzo, Zacky. E quando lo capirai sarà troppo tardi, razza di coglione.”
Il pugno di Zacky l’aveva colpito in pieno viso, ma Brian non si era lasciato intimidire: con un gesto rapido aveva invertito i ruoli, gettando Zacky sotto di sé, nella sabbia, tenendogli la testa schiacciata a terra trattenendolo per il bavero della giacca.
“Lasciala vivere, Zacky. Se non te la vuoi tenere stretta, lasciala libera di fare ciò che ama. Sei tu l’egoista.”
“Vaffanculo.”
“Sei una testa di cazzo.”
“Mi ha tradito. Diceva che sarebbe andata a Los Angeles. E lasciami, Brian, cazzo! Mi fai soffocare!”
Il chitarrista aveva allentato la presa mentre Zacky si sfregava gli occhi con la manica della giacca, cercando di nascondersi a sua sorella.
Occhi arrossati dal pianto e dalla sabbia.
“Andiamo a casa. Roxy porti Zacky da me con la sua macchina? Poi te lo riporto a casa quando si è sistemato.”
“Brian sanguini…”
Roxanne gli era corsa incontro afferrandogli il polso, Zacky che risaliva verso la strada qualche metro avanti a loro senza degnarli di attenzione, come se fosse ancora solo.
Troppo preso dai ricordi e dalla voragine che gli si era creata nel petto, indaffarato nel comprendere il motivo per cui – gli abbandoni – facevano sempre così male.
“E’ una cosa da uomini.”
“Sicuro?”
“Ha accusato il colpo, ma si riprenderà. Dagli il tempo di smaltire la sbronza e rinsavire.”
“Grazie.”
A Roxanne la scusa delle botte era parso un metodo sbrigativo per risolvere scaramucce da scimmie, ma aveva imparato che le vie percorse dall’amicizia tra ragazzi erano fatte di patti taciti, di un codice d’onore non scritto e da un senso di lealtà al branco che pareva quello dei lupi.
Poi, loro, risolvevano le cose come i gorilla, ma forse era un modo come un altro per tirarsi fuori dai guai gli uni con gli altri concedendo una parvenza di dignità persino alle lacrime.
 
 
Val era passata a prendere Roxy intorno alle dieci di sera, dopo che Matt e il residuo della band erano stati convocati a casa di Brian con il codice rosso delle emergenze. Matt non sapeva ancora nulla riguardo Cardiff né della discussione tra Holly e Zacky – ci aveva pensato Brian a fare da gazzettino per tutta Huntigton Beach -, e la cosa l’aveva lasciato senza parole.
In una di quelle serate in cui era meglio lasciarlo solo con sé stesso, a detta di Val, ma aveva deciso di andare ugualmente a casa di Brian per constatare personalmente quale fosse lo stato in cui vegetava uno dei suoi migliori amici.
“Com’è andata oggi? Matt mi sembrava preoccupato. Più per Zacky che per Holly in realtà.”
“Val non mi sei di aiuto così.”
La ragazza le aveva sorriso, porgendole una bustina di zucchero da versare dentro il caffè di Starbuck’s che teneva tra le mani, mentre Huntigton Beach si acquietava lentamente sotto la luna di una sera d’agosto che pareva autunno inoltrato.
“Sai com’è fatto. Insomma, prende tutto di petto, non c’è nulla che possa fermarlo, nemmeno Holly, quando le cose sono davvero serie. E dato che riguardano la sua migliore amica credo sia normale la batosta. Lo è anche per Matt, sono cresciuti insieme.”
“Zacky è esagerato a volte, non capisce quando connettere il cervello. Oggi lui e Brian si sono persino presi a pugni.”
“Immagino sia stato il modo di Brian di svegliare tuo fratello.”
Roxy aveva sgranato gli occhi con l’espressione di chi ha appena ricevuto una rivelazione divina, e Val era scoppiata a ridere, divertita.
“Cosa c’è ora da…”
“Sei buffa, Roxy. Per te cose di questo genere sono assurde, non ti sei ancora abituata alle loro dinamiche. Brian sa come prendere tuo fratello, se l’ha fatto è perché credeva di scuoterlo almeno un po’ dallo stato di vegetale in cui l’avete trovato. Matt non credeva alle proprie orecchie quando Brian l’ha avvertito.”
“Mio fratello è riuscito a rovinare la serata a tutti, insomma.”
“Credo che quella che sta peggio sia Holly in questo momento.”
Roxy aveva annuito, portandosi alle labbra un sorso di caffè bollente. Conosceva a sufficienza suo fratello per affermare con certezza che con Holly aveva usato tutta la crudeltà di cui disponeva. Era la persona più buona e dolce del mondo, ma quando doveva colpire, lo faceva mirando dritto al cuore.
Nel bene e nel male, sempre e comunque, Zackary Baker era una di quelle persone che non potevano restarti indifferenti, e questo l’avevano imparato sin dagli anni dell’asilo. Zacky o lo amavi o lo odiavi, non poteva passare inosservato.
“Vedrai che la supererà, è il trauma iniziale. Ora saranno da Brian a raccontarsi quanto sarà noiosa la vita senza Holly che li convince a rompersi l’osso del collo in qualche impresa da pazzi e domani sarà tutto come prima. Zacky ha Gena, gli servirà davvero poco per superare la mancanza di Holly.”
Roxanne aveva storto il naso in una smorfia di disgusto, destando la curiosità di Val.
“Non ti piace? Gena intendo.”
“Non è che non mi piaccia, è che è strano vederla con Zacky.”
“Credo che qualsiasi ragazza che non sia Holly, accanto a tuo fratello, appaia assolutamente fuori luogo. E’ normale, siamo abituati a vederlo da sempre con lei, che non spicca di certo per femminilità, a differenza delle tipe che di solito piacciono a tuo fratello. E’ l’unico essere vivente che riesce a sfancularlo e zittirlo al momento opportuno, ed è l’unica donna che riesce a sopportare per più di due settimane senza avere l’istinto di tapparle la bocca portandosela a letto. Una rarità, insomma.”
“Perché a Holly non interessa metterlo al guinzaglio. Che razza di amica sarebbe?”
Val le aveva lanciato un’occhiata esasperata, poi aveva scosso la testa con fare convinto. Roxanne – in fatto di sentimenti – era un disastro. Era un genio per tutto ciò che competeva la realtà tangibile, ma quando si trattava di avventurarsi nel campo dell’invisibile faceva un po’ schifo. Insomma, non si era nemmeno accorta che Brian le sbavava dietro, poteva davvero credere che Roxy si ponesse la domanda più elementare del mondo?
Valary si era dovuta rispondere che, con ogni probabilità, gli unici ad essersi chiesti se fosse davvero normale il comportamento di quei due casinisti, erano lei e Jimmy. Jimmy, però, era muto come una tomba: di ciò che riguardava i suoi amici, faceva tesoro senza rivelare nulla ad anima viva. Ne parlava con i diretti interessati, ma nessuno degli altri aveva l’autorizzazione di fare congetture con i suoi pensieri e anzi, si incazzava persino se gli chiedevano qualcosa.
Per Jimmy era una dimostrazione di lealtà, ecco tutto.
“Diamo tempo a Gena, sta facendo di tutto per farsi accettare. E non è facile con quei cinque scimmioni.”
“Come fai a esserne così sicura?”
“Di cosa?”
“Che tutto andrà per il meglio.”
“Istinto DiBenedetto.”
Le aveva strizzato l’occhio, puntando lo sguardo verso il parco deserto. Era strano vederlo così, senza bambini o senza il casino dei ragazzi, eppure quella sera sembrava che tutta Huntigton Beach stesse attendendo – con il fiato sospeso – le loro prossime mosse.
“Cosa non va? Hai paura che Zacky resti depresso sino a quando non farà così tanta pena ad Holly da farle cambiare idea?”
“Ne sarebbe capace, lo sai? Zacky è bravissimo a giocare il ruolo della vittima. Ma non è questo.”
“Io credo che debba solo metabolizzare. Si sistemerà tutto, vedrai.”
“Mi spiace vedere Zacky in quello stato, non credo di averlo mai visto in una condizione del genere.”
“Oltre il danno, la beffa. Farsi vedere ridotto uno schifo da sua sorella. Lasciagli recuperare un po’ di sano orgoglio maschile con i ragazzi, gli farà bene.”
 
 
Jimmy aveva aspettato almeno quaranta minuti prima che Zacky si decidesse a parlare, e quello che era riuscito a strappargli era stato quello che ormai sapevano più o meno tutti. Holly aveva desiderato ritagliarsi un po’ di tempo per ognuno di loro e parlargli in un faccia a faccia che non ammetteva sconti: il risultato era stato che, partendo da quello sbagliato e meno propenso alla diplomazia, Holly era riuscita a rendere il suo desiderio totalmente vano.
“E questa cos’è?”
Zacky era collassato sul divano del garage di Brian dopo aver passato due ore in preda al delirio più puro: se avesse avuto davanti Holly, probabilmente avrebbe persino cercato di prenderla a schiaffi.
Il pugno assestato a Brian aveva solo avuto l’effetto di placarlo temporaneamente, ma la furia con cui Zacky aveva preso a inveire contro l’amica di sempre aveva lasciato intendere a tutti quanto sarebbero state difficili le future settimane con lui.
Jimmy se ne stava sveglio ad attendere il sorgere del sole, nella speranza di vederne i primi raggi fare capolino tra le fronde degli alberi di casa Haner.
Si era rigirato tra le mani il tovagliolo di carta stropicciato, poi aveva preso a leggere le parole sconnesse che un ubriaco vi avevo scritto sopra durante la notte, scoprendo il poeta che nessuno poteva prevedere si nascondesse sotto strati di incazzatura.
Il batterista aveva stornato lo sguardo verso Zacky, un moccioso di ventitré anni addormentato su un divano sfatto che era stato molto più spesso la cuccia sicura di Jimmy, che non quella di chiunque altro di loro.
“Sei la più grande testa di cazzo che io conosca, Vengeance. E questa però, finisce dritta nel prossimo album. Che ti piaccia o no, ho già la melodia in testa.”
Il pensiero era volato a “Warmness on the soul”, e di come si era divertito a prendere per il culo Matt riguardo Holly. Quella canzone risaliva ai tempi in cui Matt spasimava dietro Val con la certezza che nessuno li avrebbe divisi mai, quando l’inizio della loro storia era tutta una discesa verso l’amore eterno. Jimmy era da sempre certo di quei sentimenti, ma a volte si chiedeva se il destino non avrebbe – prima o poi - giocato qualche brutto scherzo a tutti loro, messo l’amore dove doveva stare l’amicizia e cose di quel genere, che andavano a rovinare inevitabilmente ogni equilibrio di una qualsiasi comunità umana. Si chiedeva se le cose non sarebbero precipitate all’improvviso verso il fondo, e tutto l’amore – inteso in senso lato, di quel sentimento che non ti fa per forza portare a letto la tipa che hai davanti, ma che ti fa mettere le persone più importanti della tua vita al di sopra di tutto, senza distinzioni di sesso – non sarebbe crollato sotto il peso della loro fottutissima esistenza.
Si era stupito di come Matt avesse preso la notizia – ovvero, non l’aveva proprio presa, se n’era stato zitto cercando di calmare Zacky alla meno peggio – ma qualcosa, nello sguardo dell’amico, gli aveva lasciato supporre che si aspettasse una cosa del genere da un pezzo. O forse aveva capito che per vedere Holly felice doveva lasciarla fuggire e ritornare ad Huntigton Beach quando si fosse sistemata a dovere nei suoi stessi panni, capace finalmente di amarsi e accettarsi per ciò che era.
 
SMS: To Holly From Jimmy H 04:55 AM
Stai dormendo?
SMS: To Jimmy From Holly H 5:01 AM
Non ci riesco. Se Dakota scopre che ho passato la nottata in bianco mi uccide. E’ passato di qui Johnny, prima di tornare a casa, mi ha detto che Zacky sta uno schifo. Sono una stronza, vero?
SMS: To Holly From Jimmy H 5:03 AM
Non più del solito. Gli passerà. Ha la corazza dura l’idiota.
SMS: To Jimmy From Holly H 5:05 AM
Mi sta odiando con tutto sé stesso. Lo riesco a sentire persino da qui.
SMS: To Holly From Jimmy H 5:07 AM
Quando parti?
SMS: To Jimmy From Holly H 5:12 AM
Tra una decina di giorni, per la prima settimana di settembre vogliono l’espletamento di tutte le pratiche burocratiche. Quando sarò a Cardiff mi cercherò una sistemazione decente. Gli ultimi giorni qui vorrei che fossero sereni, ma credo sia un’utopia.
SMS: To Holly From Jimmy H 5:15 AM
Per il tuo compleanno organizzeremo qualcosa di esplosivo. Lascia fare tutto a noi.
 
La risata di Jimmy – il sorriso di Holly – poteva vederlo persino da lì, stando a contemplare lo stesso sole sorgere sull’orizzonte delineato dalle basse case di Huntigton Beach.
 
 
Le ultime due settimane che Holly aveva passato ad Huntigton Beach erano state un inferno. Zacky era sparito nel nulla, e Holly aveva avuto la sensazione che evitasse di incontrarla in ogni modo possibile. Mentre Matt guidava in direzione del’aeroporto di San Diego, Holly osservava la California sfilarle davanti veloce. Le mancava Zacky, il modo che avevano di passare le giornate a fare nulla eppure a divertirsi come pazzi, i loro litigi costanti, le telefonate a qualsiasi ora del giorno, i messaggi, i ritrovi tutti insieme a bersi una birra al parco o nel garage di Matt.
Il nido sicuro di casa Sanders, senza Zacky, aveva perso un po’ di calore.
Il muro che Zacky aveva creato tra loro era l’ultima delle cose che si aspettava di vedere, e le faceva dannatamente male.
Si sentivano divisi allo stesso modo i tedeschi, dopo che era stato innalzato il muro a Berlino?
“Zacky non si è fatto sentire perché non voleva crearti casini. Sapeva che ti avrebbe complicato la vita, ha preferito evitare scazzi e malumori. Organizzerà lui la tua festa di compleanno.”
Holly aveva sollevato lo sguardo su Matt, gli occhi sgranati dallo stupore sino alle lacrime.
“Non mi stai prendendo in giro, vero?”
“E’ il suo modo per chiederti scusa.”
Holly aveva armeggiato con la borsa, sfilando pochi istanti dopo un taccuino su cui aveva preso a scrivere rapidamente, per poi strappare il foglio e ripiegarlo con cura in quattro parti perfette.
“La darai a Zacky?”
“Posso leggerla?”
“Certo che si. Non ho segreti, io.”
Gli aveva stampato un bacio sulla guancia, posando il foglio a quadretti sul cruscotto. A volte l’insensibilità di Matt aiutava: le serviva per ricordare quanto poco bastava per sdrammatizzare la vita e alleggerirsi il cuore.
 
 
SMS: To Holly From Zacky H 6:15 PM
Buon viaggio scema. Cerca di non farti investire a Cardiff, ti aspettiamo per il tuo compleanno. Ti organizzerò una festa da urlo, almeno capirai cosa ti manca davvero di Huntigton Beach.
 
 
Bastava poco per ritrovarsi, e in quel momento – seduta in una sala d’attesa gremita di turisti e studenti in partenza – Holly era riuscita a sentirsi a casa, come se un abbraccio perfetto l’avesse accolta per ricordarle che non sarebbe mai cambiato nulla.
Dopotutto, non avevano smesso di volersi bene nemmeno quando si erano odiati nel peggiore dei modi: non sarebbe di certo stato Cardiff a dividerli.
 
 
*
 
Cardiff, 2004.
 
 
Cardiff era magica, diversa da Huntigton Beach nei colori e nei profumi, eppure se ne era innamorata in poco più di tre mesi. Non aveva nulla a che vedere con New York, e poi c’era il mare, a ricordarle la California e il verde smeraldino della campagna a renderle Hollywood un ricordo sbiadito da turista. In un certo senso, Cardiff era molto più simile ad Huntigton Beach di New York, e Holly si sentiva a casa propria. L’amico del professor Humberg le aveva affittato a un prezzo irrisorio un piccolo appartamento vicino alla spiaggia, lontano dal porto e dal centro universitario, in una zona tranquilla in cui vivevano famiglie felici con mocciosi adorabili e cani al guinzaglio. A volte si chiedeva se non fosse precipitata in una sit-com degli Anni Sessanta alla Happy Days, ma poi doveva rendersi conto che la vita di ogni giorno – che non le dava tregua – era quanto di meno noioso potesse esserci al mondo. Lavorava per il Cardiff School of History – le avevano affidato uno stage in un sito alla periferia della città – e le ore restanti si divideva tra il pub in cui faceva la cameriera la sera e la stesura di volumi monografici per le mostre temporanee allestite dal British Museum. Holly non aveva una vita sociale, ma le andava bene a quel modo: voleva immergersi nella storia e trarre da Cardiff tutti i benefici che poteva offrirle sotto l’aspetto culturale, una cosa che gli Stati Uniti non le avrebbero mai concesso. Quando si fosse decisa a tornare a casa – e restarci – avrebbe avuto sulle spalle un curriculum di tutto rispetto, tra scavi archeologici e volumi pubblicati per i musei inglesi.
“Stiamo chiudendo, mi dispiace ma dovreste andarvene.”
Holly, distratta dai propri pensieri, aveva finito di lavare bicchieri sporchi di rossetto e piatti incrostati di cibo, puntando la propria attenzione sui due tizi – vestiti come due rockstar degli Anni Settanta – seduti al tavolino più vicino al bancone.
“Perché non ci canti ancora qualcosa?”
Li aveva squadrati accigliata, poi era tornata a dar loro le spalle continuando a scrostare macchie di unto dal bancone.
“Io non canto, mi dispiace.”
“Il mio amico ha detto che prima stavi canticchiando, e che hai una bella voce. Puoi cantarci qualcosa? Giusto per ammazzare il tempo sino alla chiusura.”
Evidentemente era stata così scema da cantare a mezza voce mentre riordinava le stoviglie: doveva ricordarsi di perdere quell’abitudine odiosa al pari del tizio che le sorrideva divertito, con la classica faccia di chi ti prende per il culo.
“Non siete inglesi, vero? Direi che siete di New York, a occhio e croce. Cosa ci fate a Cardiff?”
“Sei di New York anche tu?” le aveva chiesto il più magro dei due, occhiali da vista dalla montatura spessa calati sul viso a nascondere occhi di un azzurro intensissimo.
“No, ci ho passato gli ultimi tre anni. Studiavo lì.”
“E cosa ti ha portata a Cardiff?”
“L’archeologia.”
“Sei un’archeologa?”
“C’è qualcosa di strano?”
“Non ne hai la faccia. Ti facevo più una tipa da rock band al femminile, per esempio. O un’artistoide mezza schizzata.”
I due erano scoppiati a ridere soddisfatti delle proprie battute: Holly, per contro, li avrebbe sbattuti fuori dal locale a calci.
“Si, sono anche un’artistoide schizzata, o non canterei da sola mentre riordino il pub sotto lo sguardo di due guardoni, no?”
Il tizio con gli occhiali l’aveva squadrata attentamente, poi si era portato alle labbra il proprio bicchiere di birra continuando a fissarla, con il chiaro intento di metterla a disagio.
Da cucciolo cresciuto in un branco di lupi, Holly poteva essere certa di avere unghie e denti abbastanza affilati da non farsi fregare dai primi due che speravano di farsi quattro risate ai suoi danni.
E poi poteva contare sulla propria lingua da serpe, no?
“Finisci quella birra e levatevi dai piedi. Devo chiudere.”
Si era pulita le mani nel grembiule, sfilandoselo e recuperando la borsa e le chiavi del locale dal retro, in modo da costringere i due ad andarsene.
“Allora vuoi proprio cacciarci fuori.”
“Io domani mattina devo spennellare ossa di individui morti da seicento anni. Mi piacerebbe andarmene a dormire, anziché stare qui a farmi prendere per il culo da due emeriti sconosciuti.”
E con un gusto nel vestire davvero discutibile.
“Okay, andiamo Julian. O non ci fa più mettere piede in questo posto.”
“Avete intenzione di tornare?”
“Canti bene, verremo ad ascoltarti canticchiare mentre sei persa nei tuoi pensieri. Eri carina, sai?”
Holly aveva sentito le guance avvampare, poi aveva preso le chiavi dalla borsa e si era trascinata dietro il pesante portone il legno, lanciando un’ultima occhiata ai due tizi che stavano salendo in auto.
Non era abituata alle adulazioni e anzi, riuscivano persino a infastidirla, specie se il tutto era fatto con il chiaro intento di metterla in difficoltà.
“Ehi, vuoi un passaggio?”
“No, grazie, abito qui vicino.”
“Buono a sapersi.”
E con quelle parole, i due si erano dileguati precedendola.
 
 
“Io non vi sopporto, Nick, non potete realmente passare qui ogni sacrosanta sera. Siete fastidiosi e molesti come zanzare.”
Nick e Julian, newyorkesi dalla nascita e amici sin dai tempi del liceo, avevano preso come appuntamento fisso passare le serate al pub dove lavorava Holly. In principio avrebbe desiderato cambiare persino città, tanto quei due le sembravano svitati e al limite dell’insopportabile, ma le battute di Nick la divertivano ed erano una valida compagnia per ammazzare il tempo nelle sere in cui al pub non passava praticamente nessuno.
D’inverno, gli inglesi o si rinchiudevano nei pub o sotto le coperte di casa propria, e durante la settimana propendevano decisamente per la seconda opzione.
“Ma è interessante sentirti parlare delle tue cose, Olivia.”
“Odio sentirmi chiamare Olivia”, l’aveva rimbeccato lei riducendo gli occhi a due fessure.
“Come dovremmo chiamarti, scusa? Californian Girl?”
“No, Holly. Quante volte te lo devo ripetere, Julian?”
“Ma è un nome da maschio.”
“A me piace molto più di Olivia” aveva sbuffato di rimando, sorseggiando un sorso di birra rubata a Nick.
“Ehi ehi ehi! Vacci piano.”
“Sai che posso batterti quando voglio, no?”
“E’ questo che mi spaventa. Quando parti?”
“Lunedì. Torno a casa per un mese abbondante.”
“Felice di lasciare Cardiff?”
“No, ma felice di tornare a casa si.”
A Nick Holly faceva tenerezza, perché dietro quello sguardo luminoso e in quel sorriso da bambina, riusciva a vedere una cosa che lo faceva letteralmente impazzire, una Holly che non si mostrava agli sconosciuti e che lui era intenzionato a conoscere. Julian lo prendeva per il culo sostenendo che si era preso una di quelle cotte stratosferiche da liceale per una tizia del tutto mediocre, e Nick iniziava a credere che il suo migliore amico avesse ragione.
“Ammettilo Holly, hai il tuo grande amore che ti aspetta ad Huntigton Beach, vero?”
“Si, un amore grandissimo”, era stata la sua risposta accompagnata da un’aria sognante da cartone animato.
Nick aveva rischiato di soffocarsi con la propria birra, Julian si era maledetto per essersi fregato con le proprie mani e aver messo fuori gioco il suo migliore amico con la domanda più idiota del mondo, invece Holly era scoppiata a ridere di gusto, stemperando quell’aura di imbarazzo che aveva involontariamente creato.
“Che due idioti, avete due facce assurde! Il mio grandissimo amore è diviso in sei parti, Julian.”
Nemmeno gli avesse letto nel pensiero, Holly aveva prevenuto l’ondata di allusioni dei due.
“L’hai fatto a pezzi e l’hai seppellito nel giardino di casa tua?”
“Divertente, davvero. No, sono i miei migliori amici. E non vedo l’ora di tornare a casa per riabbracciarli.”
“Dovresti trovarti un fidanzato.”
“Non ne ho bisogno.”
“Perché non ti poni il problema.”
“Julian perché non ti fai i cazzi tuoi e non pensi a trovare questa fantomatica sistemazione qui a Cardiff, senza pensare alle mie presunte – ma in realtà inesistenti – problematiche esistenziali?”
 
 
“E’ l’ultima sera, questa?”
Nick stava aspettando che Holly chiudesse il locale, come ogni mercoledì sera. Era il giorno della settimana più tranquillo, per cui Dave la lasciava a gestire da sola il pub e andava a casa a godersi moglie e figlia senza il pensiero della gente che gli demoliva il locale non appena girava lo sguardo.
“Si, lunedì parto. Ci vediamo dopo le vacanze. Allora passerete Natale e Capodanno a Londra?”
“Si, Julian sta rompendo perché andiamo là un paio di settimane, sicura di non tornare prima?”
Holly l’aveva fissato sorpresa, tornando ad armeggiare qualche istante dopo con le chiavi del pub, voltandogli le spalle.
“No, davvero. Devo sistemare un po’ di cose a casa, e poi stare lontana dagli amici di una vita per troppo tempo mi uccide. Quando abitavo a New York appena sentivo nostalgia di casa prendevo l’aereo e mi precipitavo ad Huntigton Beach. Ora non posso più farlo, per cui voglio godermi questo mese di vacanza con tutti loro. Glielo devo.”
“Non saranno troppo fortunati?”
“Semmai sfortunati, Nick. Non hai idea di quanto possiamo essere casinisti e imprevedibili. Ci vogliamo così bene che quattro volte su cinque finiamo con il litigare.”
“Siete californiani, posso immaginarlo.”
“Sempre a ragionare per luoghi comuni, eh.”
Si era voltata verso di lui con una smorfia di scherno stampata in viso, avvolta nella pesante giacca a vento, la cuffia ben calata sulla testa.
“Allora buon Natale, ci vediamo al mio rientro, ammesso che non abbiate deciso di trasferirvi poi a Londra.”
Di tutto quello che poteva immaginare Holly, non aveva contemplato il fatto che uno come Nick – sorriso da bambino, occhi da cerbiatto e capelli di seta. L’incarnazione in terra del suoPiccolo Principe”, insomma – potesse lontanamente pensare a lei in un modo che non era quello standard con cui gli uomini la osservavano, ovvero come una compagna di giochi assolutamente eccezionale.
Holly era quella simpatica, non quella bella: in nessuna occasione era riuscita a sentirsi in quel modo, al massimo carina. Passabile. Sufficientemente adatta alla serata. Ma bella come una principessa mai.
Per quel motivo, quando Nick si era chinato su di lei e le aveva posato un bacio sulla guancia – pericolosamente vicino all’angolo della bocca – Holly aveva sgranato gli occhi per lo stupore, avvampando per l’imbarazzo.
“Quando torni usciamo insieme, devo dirti un paio di cose.”
“Puoi dirmele anche al pub, no?”
La prima cosa che fai, quando ti senti braccata, è cercare una via di fuga.
“Non fare la scema, devo parlarti di cose serie. E senza Julian.”
“Tu vorresti farmi partire dopo avermi detto una cosa del genere?”
“Così ti arrovelli nel tentativo di capire cosa voglio dirti, no? Sei una tonta, non ci arriverai mai.”
Tonta si, scema non del tutto.
“Non mi freghi.”
Holly aveva nascosto il viso nella sciarpa multicolore, lasciando fuori solo il naso e gli occhi, riuscendo a strappare a Nick un sorriso.
“Se lo dici tu. Staremo a vedere. Buon rientro a casa, Holly.”
Holly l’aveva guardato allontanarsi, poi si era stretta nella giacca e aveva preso a camminare lungo il marciapiede deserto, canticchiando canzoni di Natale a mezza voce.
 
 
*
 
 
Huntigton Beach, 2004.
 
Nessuno si aspettava un suo rientro anticipato, ed era riuscita ad organizzarsi in modo perfetto. Gli aerei non avevano tardato, i pullman erano stati puntuali, non aveva fatto casino con il fuso orario e Huntigton Beach le era finita davanti agli occhi verso l’ora di cena. Quando sua madre l’aveva recuperata alla stazione degli autobus della città, non credeva possibile che sua figlia fosse quella che l’aspettava composta, con le cuffie nelle orecchie e la musica sparata a tutto volume.
Non voleva crederci perché era rimasta uguale a quando era partita, dalla punta dei capelli a quella dei piedi.
“Ehi mamma! Non ti avevo vista… senti, possiamo fermarci da Zacky prima di rientrare a casa?”
“Ora?”
Holly aveva annuito, facendo oscillare davanti a sua madre una borsa in plastica da cui si intravedeva carta da regalo e fiocchi di ogni genere che spuntavano dall’alto.
“E’ oggi?”
“Sino a mezzanotte faccio in tempo a consegnarglielo.”
“Cos’hai studiato stavolta?”
“Una cosa per cui ho rischiato una denuncia.”
“Olivia!”
Aveva fissato sua madre scoppiando a ridere, prendendola poi sotto braccio trascinandola verso l’esterno dell’area di sosta.
“Ho chiesto il permesso, tranquilla. Se mi beccavano a portare via pezzi del sito archeologico potevo dire addio a Cardiff e a tutto quanto.”
“Hai portato a Zacky una cosa del genere?”
“Mamma, non è il tesoro di Tutankhamon. E’ una cosa che potrebbe piacere solo a uno come Zacky, credimi.”
Aveva lanciato un’occhiata a sua figlia, di quelle che le madri offrono alla loro progenie in un misto di orrore e ammirazione, poi l’aveva caricata in auto e si erano dirette a casa Baker.
 
 
Holly si stava dondolando sui piedi, in preda all’entusiasmo più puro. La prima persona che voleva rivedere – quella che sentiva l’impulso di abbracciare più di tutti gli altri, per avere la certezza che tutto fosse rimasto inalterato – era ovviamente Zacky.
Rivederlo, dargli dello scemo e augurargli buon compleanno presentandosi all’improvviso a casa sua, faceva parte di quella che era la sua parte per andargli incontro e farsi perdonare. Aveva anticipato il rientro a casa di una decina di giorni per potersi presentare da lui e mostrargli che si, gli voleva bene, e nessuno avrebbe mai preso il suo posto di migliore amico nel suo cuore.
Almeno, in quella parte che restava con lei quando ripartiva da Huntigton Beach.
“Holly?”
“Ciao Maria! Come stai?”
La madre di Zacky l’aveva abbracciata con affetto, sorpresa, come se fosse sua figlia. Di certo, aveva passato giornate in cui vedere Zacky, Holly o Roxanne era più o meno la medesima cosa, quando erano dei ragazzini di quattordici anni tutti musica e casino.
“Zacky non mi ha detto che saresti passata.”
“Non lo sapeva. Sono rientrata in anticipo da Cardiff per il suo compleanno. E’ in casa?”
La donna aveva chinato il capo, tornando a fissarla affranta qualche istante più tardi.
“Mi dispiace, è partito per festeggiare con Gena. Stanno via giusto un paio di giorni, ma non saranno a casa prima di domenica sera. Vuoi che lo chiami?”
Holly aveva agitato le mani davanti al viso, gesticolando furiosamente.
“Oh no, figurati! Lo chiamo io appena arrivo a casa. Mia madre è appena venuta a prendermi alla stazione degli autobus, vado a casa a salutare papà anche, o potrebbe decidere di diseredarmi. Roxy è a casa?”
“E’ fuori a cena con Brian. E’ il primo anno che quei due festeggiano il compleanno separati, e credo anche l’ultimo. L’uscita di Zacky è stato il regalo di Gena, non poteva rifiutarsi, ma Roxy non l’ha presa particolarmente bene.”
“Oh, capisco. Mi dispiace davvero. Ci vediamo nei prossimi giorni, allora.”
Holly aveva abbracciato d’istinto la madre di Zacky, poi si era rigirata su sé stessa e aveva sceso i pochi gradini che la separavano dal cortile. Era rimasta immobile lì, nel buio, per qualche istante, per poi ritornare sui propri passi fissando con il naso all’insù il soffitto del portico di casa Baker.
Va bene lo stesso, scemo.
Aveva sfilato dalla borsa il regalo di Zacky, passando il nastro colorato attorno a una delle basse travi che percorrevano il tetto del portico, il bigliettino in carta rosa in bella vista che recava la scritta “For U”, nell’inconfondibile grafia con cui aveva scritto biglietti, lettere e promemoria per Zacky.
L’aveva contemplato soddisfatta, poi aveva fatto ritorno all’auto sedendosi accanto a sua madre.
“Non era in casa?”
“No, è a festeggiare con Gena.”
Aveva lanciato un’occhiata scettica alla figlia, con la quale Holly le aveva risposto grattandosi la punta del naso come ogni volta che doveva darle giustificazioni.
“Non chiederlo nemmeno, mamma. Mi basta che veda il regalo al suo rientro, non sono certo due giorni in più che mi cambiano la vita. Lo vedrò la prossima settimana.”
A me basta che capisca e sono certa che lo farà.
“Sicura?”
“Sicurissima.”
Holly adorava il Natale, adorava le sorprese e adorava respirare di nuovo l’aria di Huntigton Beach: quello era tutto ciò che le bastava, in quel momento, per essere serena e in pace con sé stessa. Almeno ci aveva provato.
Certo, se ci fosse stato Zacky sarebbe stato tutto perfetto. Le sarebbe piaciuto vedere la sua espressione nel trovarsela davanti all’improvviso, o magari anche guardarlo scartare quello che gli aveva portato dal sito archeologico: un teschio umano – ripulito, disinfettato e reso un perfetto suppellettile - e il chiodo arrugginito di una bara: la gente diceva che portasse fortuna averne uno.
Lei, a proteggere Zacky, ci provava davvero in tutti i modi possibili, e nemmeno se ne rendeva conto: era normale farlo, era una cosa che era cresciuta con lei, un po’ come lo spirito protettivo con cui riusciva a salvare Matt dagli stupidi dubbi che – a ondate regolari – sembravano assalirlo.
Se possiedi il chiodo arrugginito proveniente da un cimitero, sei protetto dagli spiriti maligni: era quello che si raccontavano un po’ tutti. Forse era la solita credulona, ma provare non costava nulla, no?
 
 
Il giorno del ventunesimo compleanno di Holly era stato il Natale più esplosivo del pianeta. Era arrivata alla festa che Zacky le aveva organizzato in una pazzesca villa con piscina insieme a Dakota e Johnny, con addosso un abito a palloncino verde smeraldo, chioma fulva raccolta di lato da una coda di cavallo sbarazzina e papillon nero al collo alla Zackary Baker.
“Sei fantastica Holly!”
Dakota continuava a gridarlo come se stesse svendendo frutta la mercato, Johnny che rideva come un pazzo alla guida.
“Ehi Johnny, pensa un po’. Ora potrò bere e comprare alcolici senza raccontare palle, a differenza tua.”
Holly gli aveva cinto il collo dal sedile posteriore, rischiando di strozzarlo.
“Muoio cazzo. Dakota liberami da questa sanguisuga!”
“Prego? Da quando è tornata è la quint’essenza della dolcezza, scordati che interrompa questo idillio perché vuole strapazzarti un po’. E’ nel suo diritto farlo, no?”
Johnny aveva guardato Holly dallo specchietto retrovisore con l’aria del grande affarista.
“Vorrà dire che li comprerai anche per me. E poi chi cazzo vuoi che ti dia ventun’anni Holly? Non ci crederei nemmeno se vedessi la tua carta d’identità, lo sai?”
“Scommettiamo?”
“Cosa? Una birra?”
“No, rhum e cola.”
“Quanti?”
“Tre?”
“Okay, vediamo chi regge. Ma bevuti tutto d’un fiato, dolcezza.”
“Non mi sfidare Johnny.”
“Ehi, non voglio riportarvi a casa completamente sbronzi. Prima di tutto, perché se doveste riempirmi l’auto di vomito mio padre ci impiccherebbe tutti e tre in giardino. Poi perché io non riuscirei mai a trascinarvi in casa da sola. Quindi o riuscite a reggervi in piedi o vi fate portare a casa dagli altri.”
Holly e Johnny avevano sbuffato all’unisono, come due bambini.
“Si mammina.”
“Holly…”
“Si?”
“Non ti mando a fanculosolo perché è il tuo compleanno.”
“L’hai appena fatto, o sbaglio?”
Le due amiche si erano lanciate un’occhiata complice, poi erano scoppiate a ridere. A Johnny piacevano insieme, erano divertenti e assurde. Ridevano per cose che comprendevano solo loro, piangevano per cose di cui lui non si capacitava – come quando aveva schiacciato, per errore, un rospo nel giardino di Dakota e Holly l’aveva accusato di aver ucciso un potenziale principe azzurro. Entrambe, si erano messe a piangere come due cretine e si era persino chiesto se non fossero ubriache marce, salvo poi dover ammettere che erano solo pazze – e riuscivano sempre a farlo sentire il terzo incomodo.
Nel consesso uterino di due migliori amiche, non entri nemmeno se sei donna. Il terzo elemento viene sempre eliminato: il rapporto di migliori amiche resterà sempre biunivoco, i terzetti non sono ammessi. Quella legge femminile, Johnny l’aveva appresa sin dai tempi in cui Holly e Dakota passavano i pomeriggi allo skate park a fare casino, Holly rischiando l’osso del collo con nuovi passatempi e sfide, Dakota guardandola con l’ammirazione di chi ha davanti il proprio eroe.
 
 
“Sentite, io direi che Holly può anche spegnere le candeline prima che scatti la mezzanotte, o non sarà più il suo compleanno e tanti saluti al desiderio che deve esprimere.”
Gli invitati erano sparsi per la villa, e i ragazzi erano riusciti a richiamare da New York persino Nate, Mary Anne e Tommy. L’unico che mancava era l’artefice di tutto: di Zacky, nemmeno l’ombra.
Il messaggio che aveva inviato a Holly risaliva a tre ore prima e i ragazzi, a turno, avevano provato a chiamarlo senza successo. Roxy e Brian erano abbastanza imbarazzati da lasciare davvero ben poco spazio all’immaginazione, vista la loro rassicurazione iniziale sul fatto che Zacky si fosse fermato a recuperare Gena al negozio per poi dirigersi entrambi alla festa.
“Provo a chiamare Zacky di nuovo…”
“No, lascia stare Roxy, gli terremo una fetta di torta da parte.”
Brian aveva scoccato un’occhiata complice a Jimmy, perché Holly aveva compreso – con la dignità che aveva sempre dimostrato, persino nel trattenere le lacrime – che al primo posto Zacky aveva messo un’altra. Lei, che restava la sua migliore amica, veniva dopo una felice scopata con la sua fidanzata. E okay, poteva essere un alibi più che perfetto, ma cadeva nell’esatto istante in cui Zacky aveva esposto al mondo una tragedia shakespeariana quando Holly aveva deciso di andarsene.
Mai come in quel momento, Jimmy era certo che Holly avesse fatto la scelta più giusta di tutta la sua vita.
“Okay, faccio portare la torta. Quello scemo.”
“Dai Dakota, lascia perdere”, era stato l’ammonimento di Holly nel tentativo di stemperare l’irritazione che era salita alle stelle nell’attesa esasperante dell’arrivo di Zacky.
“Ma se ha rotto le palle al mondo perché tutto fosse perfetto! Quello è un decerebrato, okay? Senza offesa, Roxy, ma tutta la parte intelligente del DNA te la sei tenuta tu.”
Aveva incrociato le braccia sul petto, poi si era dileguata tra la folla cercando di recuperare i camerieri che dovevano portare la torta in tavola.
“E’ tutto okay?”
Holly aveva alzato lo sguardo su Jimmy, annuendo.
“Si, tranquillo. E non chiedermi anche tu di Zacky, ti prego. Ne state facendo un caso di stato.”
“Mi leggi nel pensiero?”
“No, è solo che sembra che io debba morire da un momento all’altro se lui non arriva. Ho la faccia di una che si sta disperando?” gli aveva chiesto, puntandosi entrambi gli indici verso il viso.
Jimmy l’aveva squadrata poi le aveva posato un bacio sulla nuca.
“No, solo di una che si sta godendo la sua festa di compleanno.”
E’ solo il mio migliore amico, lasciate perdere tutta questa ansia.
Le sembrava che tutti si aspettassero lo scoppio di una bomba, come se lei e Zacky fossero sempre in procinto di scannarsi e dirsi addio una volta per tutte. Aveva avvertito, fastidiosa, la premura eccessiva con cui tutti cercavano di stemperare persino le discussioni più stupide tra loro, come se avessero paura di vederli allontanarsi, impossibilitati a percorrere di nuovo la stessa strada insieme.
Il cellulare aveva preso a vibrare nella tasca dell’abito, e Holly per un attimo si era illusa fosse Zacky, ma si era dovuta ricredere quando era comparso il nome di Nick sul display. Che ore erano a Londra?
“Ehi.”
Dall’altro capo del telefono nessuna risposta, solo il suono di una chitarra acustica che intonava un happy birthday delicato.
“Buon compleanno. Ehi, ci sei?”
Jimmy fissava Holly con aria preoccupata mentre lei, semplicemente, se ne stava come una scema con il cellulare incollato all’orecchio, incapace di formulare qualsiasi pensiero, lo sguardo fisso sui propri piedi nel tentativo di nascondere le proprie emozioni.
Zacky, nemmeno le aveva fatto gli auguri, ancora.
“Ti sei ricordato davvero?”
“Impossibile dimenticare il compleanno di una nata il 25 dicembre, no?”
“Grazie.”
“Okay, ti lascio andare. Lì ormai dovresti essere vicina alla mezzanotte, no? Non voglio farti perdere i festeggiamenti. Goditi gli ultimi minuti della giornata, e già che ci sono, buon Natale.”
“Ma tu non dovresti essere a Londra?”
“Ci siamo, ma manca ancora qualche ora alla serata di Natale. E sai che palle essere soli in un fast food, quando tutti sono a festeggiare con la famiglia? Dovevamo rientrare a New York anche noi, temo.”
“Londra è magica a Natale, vi divertirete. Certo, senza di me sarà decisamente triste l’atmosfera, ma dovrete farvela bastare.”
“Sempre modesta?”
“Assolutamente si. Tornare a casa mi rigenera.”
Nick aveva riso, poi si erano salutati. Jimmy l’aveva guardata a sufficienza per averle fatto anche una radiografia, e Holly gli aveva rifilato una pernacchia.
“Allora, cos’hai da chiedermi?”
“Nessuno ti ha mai zittita prima, nemmeno Zacky.”
“Capita, no?”
“Fai la misteriosa?”
“Chi? Io? Affatto!” era stata la falsa risposta di Holly, occhi sgranati e mani alzate in segno di resa.
“Ehi ehi ehi! Non ci sarà sotto qualche principe azzurro vero? Guarda che la chitarra l’ho sentita. Bravo il tipo, sai?”
“Non l’avevo mai sentito suonare. Mi ha colpita, lo ammetto.”
“Be’, credo che chiunque sia colpito da una serenata inaspettata.”
“Era solo la canzone di buon compleanno.”
“Un gesto carino, davvero. E privo di doppi scopi, immagino.”
“Jimmy…”
“Okay, andiamo a tagliare questa torta, così Dakota eviterà di accusare Zacky di essere il distruttore di sogni di una povera principessa abbandonata. Almeno ti lasciamo il desiderio intatto.”
“Grazie del pensiero.”
Si erano avviati insieme verso la lunga tavola del buffet, Holly al centro dell’attenzione, circondata da così tante persone che faticava persino a ricordare i nomi di tutti quelli che si erano succeduti nella sua vita, e una torta che segnava definitivamente l’addio alla sua adolescenza.
Se l’era aspettato doloroso, quel momento, come una presa di coscienza distruttiva, invece il cuore le batteva all’impazzata e si sentiva bene, come se fosse per la prima volta davvero padrona della sua vita.
 
 
Olivia e Johnny si erano scolati cinque rhum e coca, tre Jack Daniels e un paio di birre, e ancora riuscivano a stare in piedi. Holly correva a piedi scalzi nel giardino per poi tornare dagli altri ridendo come una bambina.
“E’ ubriaca. Le avevo detto che non l’avrei riportata a casa. Ci pensate tu e Matt, eh, a me basta dover gestire Johnny. Due sono troppi, ormai sono vecchia per questo genere di cose.”
“A me preoccupa più il fatto che non sia collassata”, era stata la laconica risposta di Val, intenta a scrutare Holly volteggiare per il prato rincorrendo farfalle inesistenti.
“Val, Val!”
Holly aveva preso a gridare come una pazza, sbracciandosi nella sua direzione.
“Devo andare?”
“Peggio di così non credo possa fare. O la portiamo al pronto soccorso, o a casa completamente fuori di testa. Quando esaurisce le energie si addormenta.”
“Sicura?”
“Sicurissima.”
Val si era staccata dal gruppo e aveva raggiunto Holly che le aveva gettato le braccia al collo, stampandole un bacio sulle labbra.
Matt – che stava monitorando la situazione da quando Holly aveva preso a tracannare tutto ciò che le passava tra le mani e, non ultimo, dopo averla sorpresa in giardino a parlare con folletti partoriti dalla sua mente – aveva sgranato gli occhi avvicinandosi a passo rapido alle ragazze con aria allarmata, mentre Val si stava sfilando con dolcezza dall’abbraccio di Holly.
“Devo dirti un segreto Val. Tu mi piaci un sacco, e sono felice che ci sia tu con Matt. Voglio dire, non potevo lasciarlo a persona migliore. Una volta ero innamorata di lui… cioè si, sono forse più quelle cosa da adolescenti per cui va a finire che ti piace la persona che ti conosce meglio di tutti gli altri. Comunque, volevo affidartelo, ecco. Prenditi cura di Matt sempre sempre, okay? Me lo prometti?”
Valary aveva lanciato un’occhiata a Matt, poco distante da loro, alle spalle di Holly, sorridendogli: se non l’aveva mai capito, era giunto il momento di fare i conti con le confessioni di una sbronza.
E in fondo, a Val, quella manifestazione innocente di affetto, era piaciuta un sacco.
 
 
Quando Zacky e Gena si erano presentati alla festa, erano le due passate. Holly non li aveva visti subito, si era accorta di loro quando si erano portati a bordo piscina, mentre Zacky la cercava tra la folla e Gena fissava dal lato opposto, con il chiaro intento di non incontrarla.
“Eccoti!”
Holly non l’aveva degnato di uno sguardo, dirigendosi sul bordo della piscina iniziando a usarlo come parallela, camminandovi a piedi nudi in equilibrio precario.
“Qualcosa mi dice che è incazzata, lo sai?”
Zacky aveva scoccato un’occhiata carica di fastidio a Dakota, tornando a fissare Holly, le braccia aperte per mantenere l’equilibrio sul marmo scivoloso.
“Ehi scema, puoi anche degnarti di salutare.”
A quel punto aveva alzato lo sguardo su di lui, seria.
“E tu potevi degnarti di arrivare prima della mezzanotte. O di farmi gli auguri in tempo.”
Colpito e affondato al primo turno?
Affondato no, solo azzoppato a sufficienza da poter colare a picco al secondo attacco.
“Abbiamo avuto un imprevisto.”
“Risolto in camera da letto, vero?”
“Ehi!”
Holly aveva spostato lo sguardo su Gena, come se non si fosse accorta prima della sua presenza.
“Non stavo parlando con te.”
“Se permetti, sono questioni che non ti riguardano.”
“Sei un ossimoro Gena. Sa cos’è, poi? Sono due cose antitetiche che non possono stare nella stessa frase: bionda e intelligente.”
A quelle parole i ragazzi non erano riusciti a trattenere una risata. Brian e Jimmy si erano nascosti dietro a Roxy, incredula. Dakota e Johnny si erano scambiati un’occhiata divertita, dandosi il cinque e Matt aveva semplicemente riso di gusto: quella era davvero Holly, nella migliore delle sue serate.
Persino Zacky era stato costretto a trattenere le risate abbozzando un sorriso, e aveva afferrato Holly per un polso cercando di strattonarla verso di sé.
“Dai Holly, ora basta. Sei ubriaca, non puoi prendertela con chiunque solo perché non reggi l’alcol, no?”
“Guarda che me la sto prendendo solo con te, razza di idiota. Sei tu che ti sei dimenticato del mio compleanno. E lasciami!”
Nel divincolarsi, Holly aveva perso l’equilibrio e le mani avevano cercato di afferrare l’aria, sino a quando non avevano stretto la stoffa della camicia di Zacky, trascinandolo dietro di sé nel tuffo dentro la piscina.
“Oh merda!” Johnny si era gettato a ridosso della piscina, seguito da Dakota, Roxy e Val.
Gena aveva preso a strepitare chiedendo aiuto, nemmeno quei due stessero rischiando realmente la vita; il dubbio che aveva Roxy, era che comunque se Holly non fosse risalita in superficie per Gena non avrebbe fatto alcune differenza.
“Holly! Zack!”
Zacky era riemerso qualche istante più tardi, il papillon slacciato nel tentativo di immagazzinare più aria. Holly era riaffiorata in superficie un paio di secondi più tardi, quando già Matt e Brian avevano deciso di gettarsi a recuperarla prima che morisse come una cretina.
“Quella ha nove vite come i gatti”, li aveva apostrofati Jimmy divertito.
“Potevano ammazzarsi!”
“Chi, Gena? Zacky e Holly? Hanno fatto di peggio e sono ancora qui. Fattene una ragione: quei due vivono sul limite del pericolo.”
“Porca puttana, Holly!”
Holly aveva lanciato un’occhiata a Zacky, poi era scoppiata a ridere iniziando a schizzarlo d’acqua, dirottando poi – in un’improvvisa complicità ritrovata, con l’intesa di uno sguardo e un sorriso – gli schizzi verso i ragazzi.
“Okay, deve finire in questo modo allora. Gran bel finale Holly, sai sempre come mettere la ciliegina sulla torta, vero?”
Johnny aveva sollevato di peso Dakota cingendole la vita e l’aveva gettata in piscina per poi seguirla con un tuffo a bomba che aveva bagnato a sufficienza Roxy e Val da indurle a scendere a propria volta. A quel punto, Matt, Jimmy e Brian avevano imitato Johnny, gettandosi in contemporanea all’interno della vasca, creando un’onda d’urto sufficiente per gettare sott’acqua Holly, Dakota e Johnny, i nanerottoli del gruppo.
“Ehi folletto, la festa come ti sembra?”
“Decisamente… umida! Perfetta per stemperare la situazione, no?”
Avevano riso come matti, invadendo la piscina riscaldata. Per una volta, Zacky aveva fatto le cose nel migliore dei modi. Che avesse previsto come sarebbe finita?
Holly con un paio di bracciate l’aveva raggiunto, intento a bere un cocktail perfettamente a suo agio appoggiato al bordo della piscina.
“L’hai scelta apposta?”
“Cosa?”
“La villa con la piscina?”
“Non potevo prevedere che tu, come una cretina, ci saresti caduta dentro come un pezzo di piombo.”
“In caso contrario mi ci avresti gettato tu, idiota.”
Se fossi arrivato in tempo.
“Buon compleanno scema.”
“Sei in ritardo, gli auguri non li voglio ora.”
“Mi dispiace, è stato un po’ un casino e...”
“Lascia stare, ormai è andata. L’importante è che sono ritornata e che siamo tutti qui.”
In quel momento, be’, poteva anche sentirsi un grandissimo stronzo, specie perché Holly aveva dimenticato le sue settimane di silenzio, il suo periodo di disintossicazione da Olivia Bridges – miseramente fallito, per altro - e persino il non averlo trovato a casa per il suo compleanno e l’essere mancato al suo ventunesimo compleanno.
Insomma, Holly gli aveva perdonato tutto: perché lui non riusciva a perdonarle la partenza?
Perché erano fatti di pasta diversa, e lo sapevano entrambi: Zacky aveva realizzato che il suo era l’atteggiamento rancoroso di un uomo; Holly, invece, aveva sfoggiato la comprensione tipicamente femminile di chi – negli affetti – ripone ogni certezza della propria vita.
Era come se fosse lui, in quel momento, il traditore, e quella sensazione non gli piaceva affatto.
 
 




Note dell'autrice. Ordunque, arriva agosto: voglia di mare, voglia di vacanze e serate all'aperto e poca voglia di stare al PC. Destini quindi si prende una pausa e ritorna a settembre ma io continuo a lavorare per voi sfornando storie discutibili (anche se non vedete i risultati ora =P). Ne approfitto per ringraziarvi ancora una volta per tutto l'affetto che state dimostrando per questa storia, per l'amore che spargete su Holly (e spero di non averla ridotta a troppo patetismo in questo capitolo) e per abbracciarvi tutte quante con l'entusiasmo con cui lo farebbe la nostra pel di carota <3
Se siete arrivate sino qui, sappiate che vi siete sorbite la bellezza di 34 pagine di Word. Sono pazza, lo so, ma il mio obiettivo è raccontare un anno a capitolo, dunque potreste trovarvi capitoli di dieci pagine come di trenta (felici, eh?! XD). E comunque, prima della pausa, almeno mi faccio odiare un po' meno (spero/forse/non ne sono certa). A chiunque sia arrivato sino qui, offrirò un dono (a scelta tra blend/fanfictions/risposte a domande scomode e tanto amore gratuito!) come pegno del mio amore incondizionato per il vostro eroismo <3
Tutto ciò, insomma, vale per ringraziarvi davvero di cuore.

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Capitolo 6
*** Nessuno si salva da solo ***


 Cardiff, 2005. Huntington Beach, 2005.

 
Holly non aveva mai trovato interessante o, peggio, elettrizzante, il giorno di San Valentino. Al di là del fatto che non aveva mai avuto interesse per l’acquisto di cioccolatini e cuscini di peluche a forma di cuore con impresse scritte al diabete, non aveva mai nemmeno avuto la necessità di trovarsi un fidanzato a tempo per evitare di passare il giorno degli innamorati da sola. Per lei, il quattordici febbraio, era un giorno identico a tutti gli altri, fastidioso solo perché il mondo intero doveva esibire il proprio amore al resto della popolazione. Era nauseante e persino imbarazzante ritrovarsi circondata da coppiette che si ritenevano legittimate a scambiarsi effusioni da gatti in calore in ogni luogo pubblico e il pub non avrebbe fatto differenza quella sera.
Si era rigirata nel letto un paio di volte, evitando di pensare che il giorno più odioso dell’anno stava per iniziare: non poteva restarsene semplicemente a letto, guardando commedie romantiche ingozzandosi di gelato sino all’avvento del quindici febbraio?
Il campanello aveva preso a suonare con forza, costringendola ad andare ad aprire alla porta ad un orario decisamente poco ortodosso.
“La signorina Olivia Bridges?”
“Sono io.”
“Questi sono per lei.”
Il fattorino le aveva posato tra le mani un mazzo enorme di girasoli, sorridendole raggiante.
“Buon San Valentino signorina.”
Holly aveva passato lo sguardo dallo sconosciuto ai fiori per almeno un paio di minuti sentendo il sangue salirle alle guance, prima che quest’ultimo si dileguasse lasciandola sola con il proprio regalo.
Si era rigirata tra le mani il bigliettino che accompagnava quei fiori grandi come il sole di Huntington Beach, che le avevano portato in casa un po’ d’estate e del calore della sua California.
So che stasera devi lavorare da Dave, buon San Valentino Holly.
Aveva deglutito, avvampando nuovamente, cercando il cellulare con l’intento di contattare Dakota, l’unica in grado di comprendere la situazione evitandole di impazzire in preda alle paranoie.
“Ehi, sai che ore sono Holly?”
“E’ un’emergenza.”
“Di che genere?”
“Se un tizio ti manda un mazzo di fiori per San Valentino e non ti chiede di uscire, cosa significa?”
“Che è scemo, oppure che ti conosce talmente bene da sapere che tu, piuttosto di uscire stasera con lui, preferiresti farti uccidere da un folletto mannaro.”
“Dici?”
“Cosa?”
“Che mi conosce così bene?”
“Be’, non sono tutti stupidi come Zacky o Matt, gli uomini. Persino Johnny vede più lontano di quei due, e non brilla certo per acume.”
“Stai distruggendo il tuo fidanzato.”
“Stai cercando di aggrapparti a quello che hai qui per non lasciarti andare. E’ il chitarrista, vero? Che ti costa dargli una possibilità? Non tutti si sarebbero presi il disturbo di chiamarti da Londra per cantarti un happy birthday, Holly.”
E Zacky nemmeno si è presentato in tempo, era stato il pensiero empatico che aveva seguito le parole di Dakota in un modo che le aveva raggiunte entrambe senza bisogno di dare a quel pensiero un suono concreto.
“Forse hai ragione tu.”
“Vivi la tua vita, anche Cardiff ne fa parte. Non fare l’errore di New York, che per te era solo un punto di appoggio. Prima di partire hai detto che Cardiff sarebbe stata casa tua, rendila tale. Il luogo in cui sai di potere tornare ed essere felice è quel posto in cui ci sono le persone che ami. Buttati. Non ti serve per forza Zackary Baker per lanciarti nelle imprese più pazze: sai benissimo farlo da sola senza paracadute, tu.”
“Sei fantastica.”
“Dovere di migliore amica.”
“Scusami per averti svegliata.”
“Tranquilla, sei la solita imbranata. Però l’avevi capito che gli interessi, no?”
“Non sono così scema.”
“Giusto, tu cerchi di raccontarti palle per ignorare la verità che persino un cieco riuscirebbe a vedere. A proposito, che fiori sono?”
“Girasoli.”
Dakota aveva emesso un fischio, ridendo di gusto.
“Mi sa che il nostro Nick Valensi ti ha studiata molto attentamente, o sbaglio?”
“Non mi prendere in giro, è già abbastanza imbarazzante così.”
“Posso dirlo a Johnny?”
“Tanto glielo dirai comunque, perché mi chiedi il permesso?”
“Per sentirmi meno in colpa, ovvio.”
“Fa’ come ti pare. Ti voglio bene.”
“Io di più.”
 
 
SMS: To Holly From Zacky H 11:15 AM
Guarda qui! Gena mi ha mandato un mazzo di rose, nessuna donna l’ha mai fatto. Sono il più figo del pianeta.
SMS: To Zacky From Holly H 11:17 AM
Attento, il tuo ego rischia di implodere. E non ho intenzione di godermi lo spettacolo del fugo atomico Baker dalla spiaggia di Cardiff.
SMS: To Holly From Zacky H 11:21 AM
Anche quest’anno chiusa in casa mentre il mondo è invaso da cuori, rose e dichiarazioni d’amore fregate a Jacques Prevert?
SMS: To Zacky From Holly H 11:23 AM
No, chiusa al pub a lavorare, genio. E comunque i fiori li regala l’uomo alla donna, non il contrario. Che razza di cavaliere sei?
SMS: To Holly From Zacky H 11:27 AM
Le ho regalato un mazzo di rose anch’io. E’ San Valentino dopotutto.
 
 
Holly aveva gettato il cellulare in un angolo, fissando i girasoli sorriderle dal tavolo della cucina. Doveva chiamare Nick per ringraziarlo? Doveva fregarsene e buttarli nell’immondizia, ignorando il segnale del cuore che accelerava i battiti ogni volta che il suo sguardo li incrociava?
Aveva sospirato, scattando una foto ai fiori inviandola poi a Zacky, servendosi su un piatto d’argento la propria vittoria morale su anni di prese per il culo.
L’ennesima di una lunga lista, per altro.
 
 
SMS: To Zacky From Holly H 12:00 AM
Guarda un po’.
SMS: To Holly From Zacky H 12:05 AM
Te li sei comprata da sola?
SMS: To Zacky From Holly H 12:06 AM
Ovviamente mi mando fiori a casa per autocompiacermi. Guarda che non faccio Baker di cognome, eh. Almeno non sono così banale da portarmi in casa un mazzo di rose rosse, con tutte quelle lagne sulla passione e bla bla bla. Bleah.
 
 
“Qualcuno ha regalato un mazzo di girasoli a Holly.”
Zacky aveva inspirato fumo dalla sua sigaretta, gettando nel silenzio generale il pettegolezzo che – sperava – gli altri cogliessero con la dovuta curiosità. Era già la quinta da quando era arrivato al garage di Matt e con ogni probabilità avrebbe finito senza problemi il pacchetto nel giro di un paio d’ore.
“Si, me l’ha detto Dakota. L’ha chiamata stanotte per raccontarle la cosa.”
“Sarà il tizio che l’ha chiamata per il suo compleanno suonandole happy birthday da Londra.”
“Perché io non so un cazzo di tutto questo?”
“Perché tu sei arrivato tardi e hai perso ogni diritto di farti i cazzi suoi, mi pare chiaro”, era stata la lapidaria risposta di Jimmy a cui Johnny aveva dato il cinque con aria divertita.
Uno a zero per quegli stronzi dei tuoi amici, Zacky.
“E’ un tizio di New York che si vuole trasferire a Cardiff. Holly dice che è un tipo simpatico, ed è un chitarrista.”
“Che fantasia”, aveva sputato fuori Zacky storcendo le labbra in una smorfia di disgusto.
“L’importante è che sia un tipo a posto.”
“Holly non si metterebbe mai con un coglione, stanne certo Matt.”
“E tu come fai a saperlo?”, aveva risposto piccato il chitarrista in direzione di Johnny.
“Ha schivato noi cinque, è già a buon punto”, aveva risposto il bassista, continuando ad accordare il proprio strumento con aria divertita.
“E’ incoerente. L’ha menata per anni con la storia che non voleva avere a che fare con il mondo della musica e poi si mette con un cazzo di chitarrista?”
“Sarà uno non famoso, no? Holly odia stare sotto i riflettori.”
“Holly odia un sacco di cose che poi finisce con l’amare follemente.”
“Manchi solo tu nella lista, eh, Zacky?”
“Non mi odia”, aveva bofonchiato a mezza voce cercando di non dare importanza al sorriso malizioso che si era dipinto sul volto di Jimmy.
Lui e le sue insinuazioni del cazzo: quanto si divertiva a prenderlo per il culo?
 
 
Ad Olivia stava per prendere un infarto anzi, avrebbe volentieri preferito farsi ricoverare in ospedale che sorbirsi quella lagna atomica di canzoni d’amore stucchevoli che ripercorrevano la storia della musica dagli Anni Sessanta al Duemila.
Perché doveva capitarle di lavorare proprio il giorno di San Valentino? Dave le aveva chiesto se desiderava il giorno libero, ma si era rifiutata di fargli credere di avere uno pseudo fidanzato: non aveva senso, e poi prima o poi avrebbe dovuto affrontare la folla di coppiette dagli sguardi persi che si guardavano come se il loro amore fosse più vero, magico e duraturo di quello degli altri.
“Dio che schifo!”
“Ma non hai un ragazzo con cui festeggiare, Holly?”
“No, e se anche ce l’avessi, credimi che farei di tutto fuorché festeggiare. Che senso ha? Voglio dire, se ami una persona glielo dimostri ogni giorno, non hai bisogno di una data di scadenza in cui trasformarti nella metà perfetta della mela.”
“Quindi il tuo principe azzurro non deve essere perfetto?”, l’aveva canzonata Dave mentre le passava panini da incastrare gli uni sugli altri sui vassoi delle ordinazioni.
“Sai che noia avere a che fare con un tizio che fa in tutto e per tutto quello che desideri?”
“Sei proprio strana, lo sai?”
“Credo sia uno dei più sinceri complimenti che tu mi abbia mai fatto. Ma è un complimento, vero?”
Holly era scoppiata a ridere, prendendo i vassoi e portandoli ai tavoli indicati sui foglietti su cui aveva preso le ordinazioni, calligrafia incomprensibile e cuoricini sparsi sulle “i” in sostituzione dei puntini classici.
Dave le aveva scoccato un’occhiata mentre la vedeva sorridere alle coppiette che le chiedevano i suoi cupcakes ricoperti di crema rosa e cuoricini di marzapane: per essere una a cui San Valentino faceva schifo, si dava comunque da fare per renderlo perfetto agli altri almeno in apparenza, visto che ad ogni ritorno sbuffava incrociando gli occhi e facendo espressioni che tradivano il suo odio per tutto quello che la circondava.
“Okay, se ti lascio libera dalla tortura un po’ prima?”
“Oh tranquillo. Ne avrai sino a notte fonda, ti do’ una mano sino alla chiusura, poi vado a morire a casa. Domani ho la svegli all’alba.”
“Vai al sito anche con la tormenta di neve? Domani mettono persino una nevicata storica.”
“Allora me ne starò a casa a guardare la neve scendere per tutto il giorno.”
“Ma tu l’hai mai vista la neve?”
“Si, certo… io vivo a Narnia, cosa credi, non ci sia lì? Dai, a sciare ci sono stata, non vivo in Sudafrica.”
“Tu scii?”
“No, ovvio. Io faccio snowboard. Alla fine è come andare sullo skate.”
“Dovrai trovarti un fidanzato più pazzo di te.”
“O uno che riesca a frenarmi.”
“Secondo me a quel punto si perderebbe la parte più bella.”
“No, si perderebbe quella più pericolosa. Come mai tutte queste domande, poi?”
“Se trovo qualcuno interessato posso già dirgli se tuffarsi o lasciarti perdere.”
Holly aveva sgranato gli occhi, scoppiando a ridere di nuovo.
“Lo sceglierò io. Quando arriverà quello giusto lo capirò.”
“E come?”
“Perché mi sentirò in qualche modo diversa da come mi sono sempre sentita.”
Dave le aveva sorriso porgendole un cupcake: la ragazzina che aveva assunto qualche mese prima continuava a sorprenderlo con la semplicità con cui si confidava, senza mezzi termini o giri di parole. Sapeva cosa voleva e faceva ciò che credeva giusto per essere coerente con sé stessa. Seguiva, insomma, il suo personale codice d’onore senza sbagliare un passo.
Che fosse poi corretto, indolore e semplice da gestire era tutto un altro discorso.
 
 
Faceva un freddo pazzesco e Holly si era stretta nella giacca sollevando la sciarpa per ripararsi dal vento gelido: di certo l’indomani ci sarebbe stata la nevicata del secolo, come aveva predetto Dave. Non aveva mai visto il mare con la neve, era curiosa di poter andare sulla spiaggia a fissare un universo che non aveva mai conosciuto prima.
“Ehi, hai finito il turno allora.”
Olivia aveva sollevato lo sguardo dalla strada costringendosi a non fuggire dalla figura che si era staccata dalla staccionata per salutarla.
Merda.
“Che ci fai qui?”
“Sono venuto ad assicurarmi che fossi sopravvissuta ai buoni sentimenti di quest’oggi.”
“Non mi fanno schifo i buoni sentimenti. Mi fa schifo San Valentino.”
“Lo so. Non sei una di quelle tizie che amano le feste comandate.”
“A parte Halloween e Natale.”
“Sul Natale sei di parte, è anche il tuo compleanno. A chi fa schifo il giorno del proprio compleanno?”
“A quelli che odiano festeggiare e fare casino, mi sembra chiaro. Oppure quando inizi a essere troppo vecchio e ricordarti quanti anni hai ti provoca l’ulcera.”
Nick era scoppiato a ridere, facendola sentire una scema: da quando gli esseri umani la facevano sentire cretina quando faceva battute al vetriolo? Da quando – soprattutto – si preoccupava di apparire scema agli occhi di qualcuno? Lei era sempre stata certa di avere una valida intelligenza e una cultura superiore alla media, anche se il metro di paragone con Matt e gli altri non era di certo valido per sentirsi più grandi del resto del mondo, ma semmai il contrario.
“Ti sono piaciuti i girasoli?”
“Ah, si. Sono stupendi. Mi ricordano la California, sai? Non sapevo come ringraziarti per cui ho evitato di farlo”, era stata la risposta imbarazzata di Holly che aveva abbassato di nuovo lo sguardo sul terreno, per poi tornare a guardarlo negli occhi con l’espressione mortificata di chi si sente un mostro.
“Faccio schifo, vero?”
A Nick Holly faceva una tenerezza pazzesca, e il problema era che in genere le donne gli facevano venire voglia di una sana scopata, non di proteggerle. Holly, a dispetto di tutto, l’aveva colpito per l’enorme sincerità con cui si era rapportata con il resto del mondo, e ammirava il coraggio con cui aveva deciso di mollare tutto e ripartire da zero. O scappare, come sosteneva Julian quando finivano con il parlare di lei, ma anche scappare dalla tua vita quando hai poco più di vent’anni richiede un enorme coraggio. Julian era il suo migliore amico, conosceva i suoi gusti e, soprattutto, sapeva quanto Nick potesse essere rompicoglioni, dispotico e assolutamente lunatico. Una come Holly, per lui, era una cosa destabilizzante e pericolosa, perché nei rapporti di coppia era sempre stato Nick quello capriccioso, volubile e da seguire. Per un caso che Julian aveva rapportato alla legge karmica secondo cui se sei uno stronzo finisci poi per dover saldare il conto con il destino, Nick aveva finito con il perdere la testa per una tizia che aveva pericolose sfumature simili a quelle del suo carattere: il menefreghismo verso tutto ciò che non era davvero importante; la glaciale sincerità con cui spiattellava in faccia a chiunque le proprie inconfutabili verità e la forza con cui metteva tutta sé stessa in ciò che faceva. Persino quando serviva panini da Dave aveva sempre una parola o una battuta del cazzo per farti sentire un po’ più a tuo agio.
Nick, in ogni caso, si era lasciato fregare prima dal sentirla cantare e poi da tutto quello che aveva invece visto Julian con il passare delle sere.
“Se facessi schifo non ti avrei regalato quei fiori. Ho girato tutta Cardiff per trovarli.”
“Non esagerare ora, con me non funziona.”
“Con te non funziona nulla di quello che funziona con le persone normali. E’ questo il casino, ho imparato a ragionare al contrario, ormai.”
“Perché? No, cioè…”
Ma perché sono così scema?
L’unica domanda che non avrebbe mai dovuto fare era quella, ed ora si aspettava il verdetto finale.
“Sei buffa, lo sai?”
“Non è una novità direi.”
“Posso portarti in un posto? E’ passata la mezzanotte, per cui non è un appuntamento di San Valentino”, si era affrettato a specificare, come se avesse previsto le rimostranze della ragazza.
“Da quant’è che mi aspetti?”
“Da un’ora, più o meno. Speravo che Dave ti facesse uscire prima, invece ti ha tenuta lì sino all’ultimo.”
“Sei uno scemo, lo sai?”
Holly aveva sospirato, sollevandosi in punta di piedi per scompigliargli i capelli.
“Mi posso fidare?”
“Hai paura?”
Holly non aveva risposto, stornando lo sguardo verso la strada strattonandolo per la manica della giacca lungo la strada deserta. Di tutto quello che poteva fargli il mondo in quel momento, a Nick non gliene fregava proprio un cazzo. Se fosse andato tutto come aveva previsto, probabilmente avrebbe agguantato insieme a Holly il segreto della felicità.
 
 
Olivia se ne stava seduta su uno scoglio, il culo ghiacciato dall’umidità. Contemplava l’orizzonte aspettando la neve, Nick che sedeva accanto a lei senza parlare. Trovare il coraggio di farlo, non è mai facile.
Lo è se non te ne frega un cazzo, ma quando c’é di mezzo il cuore – e a lui era capitato pochissime volte, forse nessuna – finisce che ponderi le parole e ti ripeti mentalmente il discorso che vuoi fare almeno settanta volte prima di deciderti a sputare fuori quello che hai dentro.
“Perché mi hai seguito?”
“Mi sembrava poco carino mandarti al diavolo dopo che mi avevi aspettato un’ora al freddo.”
Gli aveva sorriso, senza cattiveria nella voce: era una di quelle risposte al vetriolo che accompagnava con un’espressione dolce, come se stesse parlando con un bambino.
“Okay, tanto devo iniziare da qualche parte. Julian mi ha detto di non farlo.”
“Julian è un codardo.”
“Lo credi davvero?”
Lei aveva annuito, continuando a fissare l’orizzonte: voleva la neve, voleva che tutti i suoni fossero fagocitati da una distesa bianca e pulita – compreso quello assordante del suo cuore, che le impediva di udire distintamente le parole di Nick -, priva di imprecisioni come una tela bianca tutta da riempire con colori sfavillanti.
“Okay, non è originale e lo so. Però volevo chiederti di uscire con me.”
“Non siamo già fuori, Nick?”
“Si, ma non intendevo in questo senso. Cioè, tu mi piaci Holly, vorrei provare a… si, be’, a costruire qualcosa con te.”
Holly era stata costretta a staccare gli occhi dal mare, l’espressione corrucciata di chi diffida persino della propria ombra.
“Non torni a New York?”
“Resto. Ho trovato un appartamento carino, ho voglia di staccare la spina per un po’ da quel casino assurdo.”
“Non lo fai per me, vero?”
Nick l’aveva guardata spiazzato: Holly non si era mai scoperta prima. Aveva imparato, infatti, che ciò che la metteva a disagio veniva accuratamente dribblato e lasciato cadere lontano dalla meta.
“Non sono così folle da stravolgere la mia vita prima ancora di sapere cosa ne pensi tu.”
“Sul fatto di cambiare vita per una cosa simile, che sei un totale idiota. Non ho la minima intenzione di essere la causa dei tuoi ripensamenti, dei tuoi scazzi o cose del genere. Se vuoi restare a Cardiff, restaci perché ti va. O perché Cardiff ha qualcosa da offrirti che non ha New York.”
“Ha te.”
“Lo sai benissimo che non…”
“Che non funziona, vero?”
“Esatto.”
Però stava funzionando eccome, perché Holly – nel posare lo sguardo su Nick – vedeva una luce diversa che gli attraversava le iridi azzurre, o scorgeva l’imbarazzo con cui ponderava le parole con cui parlarle. E lei si stava persino divertendo a metterlo in difficoltà, sentendosi ancora forte della propria posizione di vantaggio, che però vedeva vacillare in modo pericoloso.
Perché Nick era dannatamente sincero e lei, che era abituata a non mentire mai e aveva visto le tecniche di abbordaggio più assurde dagli altri, sapeva che lui non le stava mentendo.
“Allora me lo concedi un appuntamento ufficiale?”
“Io non esco con le rockstar. La mia vita è costellata di musicisti da strapazzo, e la cosa inizia a infastidirmi.”
“Secondo me è un chiaro segnale del fatto che dovresti provare a cantare seriamente.”
“Non mi interessa farlo, tutto qui. Torniamo a casa? Inizia a fare freddo sul serio.”
Holly si era alzata dal proprio posto, ma Nick era stato rapido nel fermarla, costringendola a un incontro forzato di corpi.
“E’ davvero un no?”
“Praticamente non mi conosci.”
“Dammi la possibilità di farlo. Ti ho regalato dei girasoli e portata qui dopo San Valentino. Sono cose che non sottovaluterei al tuo posto.”
“Se iniziasse a nevicare ora sarebbe un segno del destino e sarei costretta ad accettare, ma dato che non accadrà, io e te saremo amici sino a quando non ti stancherai di stare qui e non tornerai a New York.”
Nick si era dichiarato sconfitto e l’aveva lasciata andare, allentando la presa sulla sua mano, controvoglia.
Aveva le dita ghiacciate, il naso arrossato e la cuffia ben calata sulla nuca: era un folletto che non aveva nulla a che vedere con il mare ma che del mare, non poteva fare a meno.
Holly era qualche passo avanti a lui quando i primi fiocchi di neve avevano preso a scendere su di loro.
L’aveva vista girarsi verso di lui, incredula, le mani con i palmi rivolti verso l’alto mentre alcuni fiocchi di neve prendevano a cadere lentamente posandovisi sopra volteggiando.
Nick era scoppiato a ridere, correndole incontro e abbracciandola di getto, cingendole la vita con le braccia sottili e guardandola con aria vittoriosa.
“Come hai fatto?”
“Magia.”
Si era chinato su di lei, posando le proprie labbra sulle sue. Holly aveva fatto resistenza, poi aveva chiuso gli occhi e si era lasciata andare, arrendendosi all’evidenza che anche lei si era fatta fregare come tutte le altre. Oltre al cuore che le batteva all’impazzata nel petto – come se volesse schizzare fuori – e il suo cervello che le stava dando della stupida per aver rifiutato Nick sino ad allora, il terzo segnale che le aveva fatto capire che lui era quello giusto, era proprio la neve.
Da quando il Cielo si era degnato di ascoltare le preghiere degli innamorati?
 
 
Huntigton Beach, 2005.
 
Intorno alla metà di maggio, Brian aveva dovuto fare i conti con la propria coscienza. Seduto nel buio della propria stanza, il caldo torrido che già aveva investito la California a tenergli compagnia, si chiedeva cosa dovesse fare.
City of Evil, il loro nuovo album, sarebbe uscito la prima settimana di giugno, e quando Larry aveva dato loro la notizia, Brian aveva avvertito il formicolio che solo i casini da cui non sai uscire ti procurano al culo.
Il contratto con la Warner Bross Record era da milioni di dollari ed era giunto il momento di spaccare il culo al mondo. L’etichetta era stata comunque chiara, Larry pure: un anno di tour non stop. Il tempo di ricaricare le batterie a Natale – o probabilmente ci sarebbero state liti e scazzi e risse a causa di Zacky – e poi sarebbero ripartiti. Un tour mondiale che avrebbe inciso il loro nome sulle porte dei cessi dei pub e delle scuole di mezzo mondo. Erano a un passo dall’essere innalzati alla vetta e le distrazioni non erano ammesse. Roxy non era una distrazione, Roxanne era la priorità assoluta della sua vita da quattro anni ormai.
Roxanne era la storia più lunga che avesse mai avuto e la cosa che lo destabilizzava era che  sentiva il desiderio di averla accanto come il primo giorno. In quattro anni non si erano mai lasciati, le liti erano state minime ed erano riusciti a rendere ogni momento insieme speciale. Roxanne era bravissima a rendere le cose uniche: Brian amava in lei quello che Roxanne riusciva solo ad odiare. Adorava parlare con Roxy e scoprire che ricordava ogni singola sillaba di ciò che le aveva raccontato, riuscire a farsi dire esattamente dove aveva dimenticato ciò che – regolarmente – riusciva a perdere nei meandri oscuri dell’immenso casino in cui viveva e, ancora, riusciva a stupirsi per come Roxanne riuscisse senza difficoltà a replicare ciò che Jimmy suonava alla batteria.
“Come fa?”
“Sta tutto nella sua testa. E’ un genio assoluto.”
“Non ha senso suonare a comando senza sapere quello che fai”, rispondeva fiaccamente Roxy quando li sentiva farfugliare tra loro.
“Lo dici tu.”
Jimmy la liquidava sempre con un sorriso posandole le bacchette tra le mani, Roxy si sfogava sullo strumento e poi tornava da Zacky a chiedergli di ricordarle che non era un mostro ma solo una persona diversa dalla normalità a cui gli altri erano abituati, con un dono che avrebbe volentieri barattato con un quoziente intellettivo inferiore alla media.
Brian si trovava dunque al bivio: Roxanne non poteva seguirlo per un anno intero e lui, di contro, non poteva rinunciare al tour. La soluzione era una, dunque, e a quel pensiero si sentiva lentamente morire.
Chi cazzo l’aveva detto che doveva finire tutto e non poteva avere la musica e la donna della sua vita accanto? Il problema, in ogni caso, era proprio quello: Brian aveva una paura fottuta di quello che Roxy rappresentava.
Per lei sarebbe stato disposto a rinunciare persino alla musica e quello non era ammesso né concepibile nemmeno nell’arco di cento vite: non avrebbe mai tradito il suo sogno e i suoi amici di sempre. Perché doveva scegliere?
“Che faccia da funerale. Ti è morto il cane, Brian?”
“Tu che faresti al mio posto, se dovessi scegliere tra le due cose più importanti della tua vita?”
“Sei obbligato a scegliere?”
Brian aveva annuito, porgendo a Jimmy una birra ghiacciata.
“Se molli Roxy fai una cazzata di cui ti pentirai per il resto della tua vita. Senza contare che Zacky tenterà di ucciderti. Che problema hai?”
“Una paura fottuta.”
“Di cosa?”
“Io la sposerei domani, ti rendi conto? Mi sono fottuto il cervello.”
Jimmy era scoppiato a ridere, la mano libera posata sul ginocchio mentre con l’altra ingollava sorsi di birra ristoratrice.
“Non c’è un cazzo da ridere. Come pensi possa sopravvivere un anno in tour?”
“Senza scopare?”
“Esatto.”
“Stai lontano dalle fans. Ce ne saranno di più per me e Zacky.”
“Non ce la farei mai. E poi non è giusto nei suoi confronti. Come faccio a dirle vado in tour, ci vediamo tra un anno, aspettami?
“Come lo stai dicendo ora?”
“No, Jimmy.”
Brian si era lasciato cadere all’indietro sul letto, dondolando pesantemente le gambe a pochi centimetri dal pavimento.
“Sono un coglione. Chi poteva prevedere che potesse finire così?”
“Ti stai facendo un casino di problemi per nulla. Val e Matt vivono benissimo anche lontani.”
“Matti si scopa le fans.”
“E il problema qual è? Val lo sa e le sta bene, dopotutto.”
“Io non voglio tradire Roxy, è diverso, e mi conosco a sufficienza per sapere che non riuscirò a stare un anno senza scopare.”
“Detto così sembra che non te ne freghi nulla, lo sai?”
“Se resto con Roxy non parto.”
“Non dire cazzate.”
“Se vengo in tour non posso essere certo di esserle fedele. Non è giusto, Jimmy. Porca puttana, come cazzo fai a far piangere una come lei? Non se lo merita.”
“Dubito che mollandola tu non la faccia soffrire.”
“E’ l’unico modo per restarle fedele.”
“Non ti crederà.”
“Passerò per uno stronzo, vero?”
“E perderai la donna della tua vita.”
O la musica o l’amore, o il sogno o la felicità.
Bella merda la loro cazzo di vita.
 
 
Brian era taciturno, esageratamente stonato nel contesto di un pomeriggio passato insieme sulla spiaggia. Roxanne non amava gli sport estremi, di conseguenza per lei le giornate estive diventavano un valido pretesto per crogiolarsi al sole e leggere romanzi per cui non trovava il tempo durante il resto dell’anno.
“Cos’hai Brian? Sei silenzioso oggi. E’ successo qualcosa?”
“No, nulla. Scazzo personale.”
Roxanne aveva sollevato lo sguardo dalle pagine del libro che stava leggendo, accigliata. Brian non era mai stato brusco nei modi, nemmeno ci aveva mai provato ad alzare la voce o intimidirla: in quel momento, però, le sembrava che ci fosse qualcosa di stonato, come se in una sinfonia perfetta si fosse infilato il sibilo di un moka.
“Non è una risposta da Brian Haner questa.”
“Senti Roxy, è un fottuto casino, sul serio. Tra meno di un mese partiamo per il tour di City of Evil, e quando uscirà non avrò nemmeno tempo per respirare.”
“Sei nervoso per quello? Ce la farete, è la vostra vita. Non vi ho mai visti tirarvi indietro davanti a nulla, nemmeno durante i primi tour. Cosa ti preoccupa?”
“Non può funzionare.”
Roxanne l’aveva guardato perplessa, senza comprendere il reale significato delle sue parole, soprattutto perché Brian stava evitando accuratamente di mettere i soggetti al proprio posto, creando solo confusione.
“Cosa?”
“Tu ed io. Andiamo Roxy, non possiamo pensare di stare insieme mentre sarò in tour.”
“Perché?”
La domanda che gli aveva porto non convinceva nemmeno sé stessa. Avvertiva le mani tremarle furiosamente, e si era imposta di mantenere la calma posando il libro sulla sabbia, nel tentativo di nascondere quella paura del tutto fuori luogo che le stava montando dentro, che le serrava la bocca dello stomaco impedendole persino di parlare, quasi.
“Perché non so gestire le relazioni a distanza.”
“Ma… non ha senso, Brian.”
“Preferisci che ti tradisca?”
Roxy aveva sgranato gli occhi, sorpresa: da quando Brian pensava a lei in quel modo, come a un giocattolo che poteva servirgli solo durante i mesi passati ad Huntington Beach?
“Non è uno scherzo, vero?”
“No.”
Cos’ho che non va?
Avrebbe voluto chiederglielo, ma tutto quello che era riuscita a fare era stato sollevarsi in piedi, afferrare le poche cose che si era portata da casa mentre le lacrime le rigavano il viso, silenziose.
Brian la guardava e non diceva nulla, nemmeno provava ad avvicinarsi per consolarla: che razza di amore era, il loro, se bastava un po’ di successo per cancellarlo con un colpo di spugna?
Roxy era certa di aver sentito il proprio cuore emettere il suono secco di un ramo che si spezza e cade a terra, inerme.
Il suo cuore era rotto, spaccato in due. E nessuno sarebbe mai riuscito a sistemarlo.
 
 
“Cosa sta succedendo?”
Zacky era entrato in camera di Roxanne spalancando la porta, sbattendola con forza contro la parete.
“Me ne vado.”
“Che cazzo stai dicendo?”
“Mi prendo un periodo di pausa da Huntington Beach.”
“Roxy… guardami.”
Aveva scrollato le spalle, allontanando il fratello da sé con la sola forza di quel gesto, senza sollevare lo sguardo che dalla valigia si spostava sugli indumenti sparsi sul letto.
“Non ci sto capendo niente… che è accaduto? Hai litigato con Brian?”
“Brian mi ha scaricata. Non gli vado più bene.”
Zacky aveva inghiottito aria a vuoto, cercando di cogliere nella voce di Roxanne la nota di uno scherzo perfettamente studiato, ma tutto quello che riusciva a vedere era la schiena curva di sua sorella che piegava meticolosamente vestiti su vestiti all’interno del trolley con fare meccanico.
“Si può sapere che storia è questa?”
“Se mi avessero uccisa sarebbe stato meno doloroso, lo sai?”
“Non dire cazzate.”
Il problema era che lo sapeva benissimo che non erano cazzate. Roxanne non piangeva, non strepitava, nemmeno aveva provato ad alzare la voce: era completamente svuotata, privata di ogni energia.
“E’ come se mi avessero strappato il cuore e l’avessero calpestato riducendolo in poltiglia. Fa schifo sentirsi addosso il valore di uno zero assoluto.”
“Non sei uno zero, Roxy. Tu sei fantastica.”
“Non abbastanza per Brian e il vostro successo.”
Zacky era incredulo, e benché le parole di sua sorella suonassero nella sua mente come l’eco lontana di una profezia realizzata, non riusciva né a comprendere il vero motivo del gesto di Brian, né tanto meno dove volesse scappare sua sorella.
“Dove vuoi andare?”
“Ho degli amici di Los Angeles che hanno casa a Cardiff. Vado là per qualche tempo, mi troveranno loro una sistemazione.”
Non puoi abbandonarmi anche tu, cazzo.
“Non partire.”
“Non posso restare. Sarebbe peggio, Zacky.”
“Ma…”
Solo a quel punto si era voltata verso di lui, abbozzando un sorriso amaro abbracciandolo con tutta la forza che aveva in corpo senza riuscire a cingerlo completamente.
“Ti voglio bene Zacky. Sei il miglior fratello del mondo.”
“Sembra un addio del cazzo. Non ti ci mettere pure tu.”
“Tornerò, promesso.”
“Non voglio che parti, ti prego Roxy… ripensaci.”
“Ho il volo tra poche ore.”
“Come hai fatto a… adesso vado a spaccargli la faccia.”
“Non farlo, non ha senso.”
“Ha senso eccome.”
“Mamma tra mezz’ora mi porta in aeroporto.”
Zacky l’aveva abbracciata soffocando le proprie lacrime tra i capelli di sua sorella, incapace di reggere l’ennesimo addio privo di senso: perché le persone più importanti della sua vita dovevano inevitabilmente scappare lontano da lui? Aveva una qualche energia del cazzo per cui faceva allontanare le persone, anziché sapere come tenerle vicine?
 
 
Il telefono aveva squillato svegliandola di soprassalto, costringendola a tastare il comodino con la mano nella speranza di recuperare il cellulare prima che Nick potesse svegliarsi.
Ovviamente non si svegliava nemmeno con le cannonate, quello scemo.
“Zacky?”
Holly aveva risposto abbassando un poco la voce per evitare una sveglia anticipata di almeno quattro ore al ragazzo, sgusciando come un’anguilla lontana dal braccio di Nick che le cingeva la vita, il capo appoggiato sul suo cuscino confinandola quindi sul ciglio del letto.
“Holly?”
Era ubriaco?
“Sai che ore sono qui?”
“No che non lo so e non me ne frega un cazzo. Ho bisogno di te.”
Nella voce di Zacky c’era un tono allarmato, carico di paura e schiacciato da quello che ad Holly sembrava il pianto soffocato di un bambino.
“Stai bene Zacky?”
“Roxy sta venendo a Cardiff.”
“Eh?”
“Brian ha lasciato Roxy, e lei sta venendo lì.”
Perché proprio qui?
“E io che c’entro?”
“Puoi prenderti cura di lei? Ho paura che faccia qualche cazzata è… è senza colore. Brian gli ha portato via tutto.”
Synyster Gates si è portato via la felicità di mia sorella e non glielo perdonerò mai.
Holly ascoltava in silenzio, il cuore che le batteva all’impazzata nel petto: di tutto ciò che provava, l’istinto primordiale era quello di poter abbracciare Zacky e rassicurarlo che tutto sarebbe andato per il meglio.
“Zacky ma che è successo? Seriamente, non posso credere che Brian…”
“L’ha fatto, e questo è sufficiente perché vada a spaccargli la faccia.”
“Rischi di farti menare.”
“Almeno vendico mia sorella. Bello stronzo di amico che ho.”
“Io non posso credere che sia vero. Mi stai prendendo per il culo?”
“Secondo te?”
“Zacky ti prego, non fare cazzate.”
“Non sono cazzate, okay? Giuramelo. Giurami che ti prenderai cura di mia sorella.”
“Ti fidi di me?”
“Non ti avrei chiamata, no? Giuralo sulla nostra amicizia.”
“Sulla nostra amicizia, Zacky.”
“Me la riporterai indietro?”
“Non la lascerò per un istante. Sarà come se ci fossi tu qui.”
Lo puoi sentire il mio abbraccio, Zacky? Vorrei gettarti le braccia al collo e assicurarti che si sistemerà tutto, sino a quando non ci crederai davvero.
“Grazie.”
“E’ il minimo, scemo. Evita di farti spaccare la faccia da Brian, ma puoi dargli un pugno anche da parte mia?”
Zacky aveva riso: era una risata amara, ma Holly sapeva sempre come prenderlo. In qualche modo quello che gli aveva detto prima di partire per New York continuava a realizzarsi. Non era sparita, non se n’era andata del tutto, era sempre lì per lui, a qualsiasi ora del giorno e della notte. Quando hai una persona che per te farebbe qualsiasi cosa, puoi considerarti l’uomo più fortunato dell’universo.
In quel momento, però, Zacky avrebbe preferito non scoprire quanto poteva mancargli l’abbraccio di Holly, e la presenza rassicurante di chi avrebbe saputo dire esattamente cosa gli passava per la testa senza fargli domande.
 
 
SMS: To Brian From Holly H 04:00 AM
Spero che da qui all’eternità tu possa pentirti ogni giorno di quello che hai fatto, coglione.
 
 
Zacky aveva spalancato la porta del garage di Matt certo di trovarci tutti quanti, Brian incluso. Non aveva sbagliato la propria previsione e quando si era diretto verso di lui tutto era stato così veloce che Brian nemmeno aveva avuto il tempo di salutarlo. Zacky gli aveva assestato un pugno in pieno viso, seguito da un secondo che gli aveva spaccato lo zigomo.
“Ma che cazzo fai?”
“Il secondo era da parte di Holly, il primo da parte mia.”
Brian – che aveva letto pochi minuti prima il messaggio portatore di sfiga di quella pazza di Olivia – era stato costretto a sollevare lo sguardo su Zacky nel tentativo di far valere le proprie ragioni.
“Sarebbe stato peggio scoparmi ogni sera una tipa diversa, no?”
“Ti avrei tagliato le palle, Brian, se ci avessi anche solo provato.”
“Ora posso farlo senza che tu possa evirarmi, privando il mondo di un dio come il sottoscritto.”
Jimmy lanciava occhiate a Matt che aveva deciso di adottare la tecnica del menefreghismo più puro. Il campo in cui si stavano addentrando era scomodo e pericoloso per tutti quanti, lui incluso. Dover rendere conto delle sue scopate ai suoi migliori amici, insomma, non rientrava nella lista delle cose che aveva intenzione di fare entro la fine della giornata.
“Tu hai usato mia sorella, pezzo di merda!”
Zacky si era avventato su Brian con tutta la furia che poteva contenere in corpo e, a giudicare da come Johnny si era lanciato al suo seguito per allontanarlo da Brian, era sufficiente per ammazzarlo di pugni.
“Calmati Zacky, non è il caso…”
“Non è il caso perché non è tua sorella quella che è partita per Cardiff con un biglietto di sola andata, quindi mollami Johnny e chiudi la bocca!”
A quelle parole Brian era trasalito, tenendo a mezz’aria il pacchetto di Marlboro ormai vuoto.
“Cosa?”
“Mentre io cerco di spaccarti il culo mia sorella è in aeroporto a Los Angeles pronta a partire per quella cazzo di Inghilterra.”
“Galles,” era stato l’appunto di Jimmy che aveva l’obiettivo di stemperare la tensione, miseramente fallito dal momento che Zacky aveva tutta l’aria di voler seriamente uccidere Brian.
“Non è da Roxy…”
“Ma che cazzo vuoi saperne di mia sorella? L’hai mollata su due piedi senza pensarci solo per poterti scopare mezzo universo, razza di coglione!”
“Sono cazzi miei, e al massimo di Roxy. Tu non c’entri.”
“Io c’entro eccome, dal momento che a causa tua mia sorella ha deciso di andarsene da casa.”
“Se per quello Matt dovrebbe accusarti di aver fatto scappare Holly, ma non l’ha mai fatto.”
Johnny – che teneva ancora Zacky tra le braccia – aveva sgranato gli occhi in direzione di Jimmy, che si era finalmente alzato dal proprio posto per andarsi ad affiancare a Brian, Matt che se ne stava in silenzio ad osservare la scena.
“Potresti dire qualcosa, no?”, era stata la risposta di Zacky in direzione del cantante.
“Non ti dovevo accusare di nulla. Holly non se n’è andata per causa tua, di questo puoi starne certo.”
“Noi siamo gli Avenged Sevenfold, tutto il resto ruota attorno a noi. Punto e fine. Questo significa che continueremo a pararci il culo e a tenere qui dentro i cazzi che riguardano noi, la musica, i tour e ciò che è nostro. Fuori di qui possono esserci Roxy, Holly, Val, Dakota ma restano fuori. Okay?”
“Jimmy…”
“Se vuoi sopravvivere in tour continuerai a scoparti le fans senza dirlo a Val. Lei continuerà a saperlo e fingere che non accada nulla. E noi continueremo a pararti il culo. Tu Zacky non saresti mai riuscito a fare una cosa simile a tua sorella. Brian ha fatto la scelta meno dolorosa.”
“E’ mia sorella, ma come cazzo fate a dire che è la scelta meno dolorosa? Se n’è andata!”
“Le farà bene cambiare aria. Non sarà sola, no?”
L’aveva lasciata in buone mani, certo, però… però avere un amico non è come avere accanto la persona che ami.
E se Roxy e Holly non fossero andate d’accordo?
A quel pensiero Zacky era impallidito, perdendo ogni interesse ad allungare le proprie mani su Brian per menarlo. Non gli avrebbe parlato per mesi, sino a quando non si fosse assicurato che Roxanne stesse meglio. In quanto a Cardiff, sperava solo di non aver azzardato troppo.
 
 
Cardiff, 2005.
 
 
Holly aveva chiamato Jimmy facendosi lasciare la lista delle cose preferite da Roxanne, spedendo quindi Nick, di primo mattino, a comprare tutto il necessario per rendere a Roxy i primi giorni a Cardiff meno difficili.
“Hai comprato tutto?”
“Lasagne, carne per la griglia, senape, gelato, pop corn al caramello… che schifo Holly, davvero la sorella del tuo amico mangia questa roba?”
“Anche i miei cupcakes.”
“Posso assaggiarne uno?”
“Giù le zampe, se ne restano te li porto domani, okay?”
“Stasera non ci vediamo giusto?”
Holly gli aveva posato un bacio sulla guancia sollevandosi in punta di piedi, le dita sporche di crema al formaggio con le quali gli aveva unto la punta del naso, scoppiando a ridere.
“Si, preferisco stare con lei. Non ho ben capito cos’è accaduto, ma non è una situazione semplice. Io ho sempre creduto che Roxy e Brian sarebbero stati insieme per tutta la vita, invece quello scemo l’ha mollata su due piedi.”
Aveva sbuffato, irritata.
“Secondo me sei di parte. Magari lui aveva i suoi buoni motivi, no?”
“No. Non hanno mai avuto grossi problemi a quel che mi risulta. In ogni caso, mollare una come Roxanne è da idioti. Brian non troverà mai un’altra ragazza così intelligente. Si è lasciato scappare l’unica possibilità che Dio gli aveva dato per riuscire a essere meno idiota di quanto non sia.”
“Come pensi di fare? Hai detto che praticamente non vi conoscete… e se è una serpe?”
“Chi? Roxy? No, credo sia una delle persone più dolci del pianeta. E’ anche per questo che non perdonerò mai Brian.”
“Pensa se fosse accaduto alla tua migliore amica, l’avresti ammazzato.”
“Probabile. Ci ha pensato Zacky a menare Brian, mi ha detto Jimmy che gli ha mollato anche il pugno che gli avevo chiesto di assestargli. Ha distrutto il mio sogno d’amore. Per me loro erano la coppia perfetta. Odio Brian e le sue idee del cazzo. Come minimo l’ha lasciata per un motivo futile, inutile e semplicemente da coglione.”
“Non è semplice gestire una storia quando sei sulla cresta dell’onda, Holly.”
“Se sei innamorato puoi fare qualsiasi cosa. Tu ne sei una dimostrazione.”
Gli aveva sorriso, tornando a farcire con precisione i cupcakes che aveva preparato. A Nick piaceva guardarla cucinare, dormire, o assorta a scrivere o leggere libri. Trovava interessanti le espressioni che assumeva senza accorgersene, quando non era vista, e come un libro aperto si lasciava leggere senza nemmeno rendersene conto.
Aveva perso la testa per una ragazzina di cui non poteva fare a meno, per un motivo che doveva cercare in quei momenti di silenzio, quando Holly parlava di sé senza dire nulla. Julian lo prendeva per il culo e ammetteva che solo una come Holly avrebbe potuto far cedere il suo egocentrismo e farlo mettere in gioco seriamente.
“Julian se potesse mi ammazzerebbe, lo sai benissimo.”
“Perderebbe il migliore amico e chitarrista che potrebbe mai avere. Non lo farà.”
“Vuoi che ti accompagni all’aeroporto?”
“No, ho controllato su internet, vado là un paio d’ore prima. Ci sono tre aerei che arrivano da Los Angeles, un diretto e due con scalo a Londra. Per sicurezza vado lì per vederli atterrare tutti e tre.”
“Tu vuoi davvero bene a Zacky, eh.”
“E’ la persona più fantastica del mondo, quando te lo presenterò capirai il perché. Giurami che non glielo dirai mai.”
“Cosa?”
“Che ho detto che è fantastico. Ha un ego che è più o meno al pari del tuo, sarebbe controproducente farlo. Per il mondo, intendo.”
Erano scoppiati a ridere, e Holly gli aveva posato davanti un cupcake su cui aveva messo un paio di cuori di cioccolato.
“Questo è per te, scusami per la mattinata sputtanata.”
“Almeno riesco a vedere un pezzo di California, no?”
Nick le piaceva da morire, e non solo perché – nonostante tutto – finiva sempre con l’assecondarla, ma perché sapeva sempre come stemperare le situazioni e supportarla in ogni momento. Poteva contare su di lui, e quando sai che la persona che ami sarà sempre pronta ad afferrarti prima che tu sbatta le ginocchia a terra, hai la sensazione di essere il bene più prezioso dell’universo.
 
 
Roxanne si trascinava dietro il trolley senza guardarsi attorno: un aeroporto valeva l’altro, una città diversa da Huntington Beach era un posto che non avrebbe mai saputo chiamare casa. Aveva fatto un paio di telefonate, e i suoi amici di Los Angeles le avevano detto di avere agganci a Cardiff. Alcuni di loro erano di origini gallesi, altri li aveva conosciuti ai party con i ragazzi, ma comunque non c’era voluto molto per trovare una via di fuga. A quel pensiero si era stretta nelle spalle, sospirando. Faceva male pensare alla California, a suo fratello – che già le mancava da morire –, ai consigli di Jimmy e a Brian. Aveva fatto di Brian il centro del suo universo e ora si trovava a girare su sé stessa senza un baricentro che potesse tenerla in piedi sul proprio asse.
“La signorina Roxanne Baker è pregata di dirigersi all’ufficio informazioni. Ripeto: la signorina Roxanne Baker è desiderata all’ufficio informazioni.”
Roxy era stata come risvegliata dal suono ripetuto con cui, una voce femminile dallo spiccato accento gallese, continuava a storpiare il suo nome.
Si era diretta controvoglia allo sportello, convinta di aver sbagliato o dimenticato qualche pratica burocratica da sbrigare – la testa, era da tutt’altra parte. Cuore compreso – per quel motivo, scorgere quell’inconfondibile chioma fulva brillare in mezzo al grigio di uomini d’affari e turisti, le aveva strozzato il respiro.
“Ehi! Allora eri su questo volo!”
Holly le si era avvicinata sfilandole dalle mani il beauty case sorridendole rassicurante.
Io ho una fifa blu. Roxanne è troppo bella, intelligente e perfetta per poter godere della presenza di una cretina come la sottoscritta. Okay, l’ho promesso a Zacky: proviamoci, no?
“Avevo pensato di venirti a prendere con un cartellone da sventolare a destra e a manca, ma temevo non mi avresti vista. Così ho optato per la soluzione b.”
“Te l’ha detto Zacky?”
“Si, mi ha chiamata stanotte appena sei partita.”
“Non ho pensato che tu fossi qui a dire il vero. Ho degli amici che mi affittano un appartamento qui a Cardiff, passo qualche giorno in hotel e poi mi trasferisco a fine mese quando l’appartamento sarà libero e…”
“Niente hotel, puoi restare da me. Puoi scegliere se dormire sul divano o nel mio letto. Sono una presenza scomoda perché di notte parlo, rido nel sonno e scalcio, ma se per te non è un problema possiamo dormire insieme.”
Roxanne aveva abbozzato un sorriso triste, e Holly si era trovata a fare i conti con la propria stupidità.
“Non voglio essere di disturbo, sul serio.”
“Se non vuoi avere un morto sulla coscienza – la sottoscritta – ti conviene restare da me. Risparmi così i soldi dell’albergo, Cardiff non è una città economica.”
“Grazie.”
Per Roxanne, che fosse la casa di Holly o una camera d’albergo ad ospitarla, faceva poca differenza. Non aveva un posto dove andare o tornare, era semplicemente sola al centro di un mondo sconosciuto. Holly era solo un nome, aneddoti e qualche serata in compagnia, non era altro che una conoscente. Non le avrebbe recato disturbo, sarebbe stata da lei giusto il tempo di occupare la casa dei suoi amici e poi avrebbe lasciato Holly alla sua vita lontana da Huntington Beach.
Un po’ la invidiava, in quel momento: come aveva fatto a lasciarsi tutto alle spalle mantenendo quell’energia esplosiva?
 
 
Olivia aveva preparato i suoi cibi preferiti: lasagne, carne alla griglia e i suoi inimitabili cupcakes.
“Sono…”
“Ho chiesto a Jimmy quali fossero i tuoi gusti. Volevo andare a colpo sicuro”, l’aveva interrotta la rossa nel tentativo di sentirsi meno scema di quanto non si sentisse in realtà.
“Grazie. Suoni?”
Aveva indicato la chitarra abbandonata in un angolo del salotto, malamente appoggiata al basso mobile sormontato dalla tv, le lacrime agli occhi.
“No, è di Nick, io ho smesso da un pezzo. Ogni tanto gli prende la fissa di suonare quando è qui, e dopo le prime sere in cui impazziva perché non riusciva a comporre come voleva, ha deciso di portare qui una delle sue chitarre.”
Roxanne aveva sollevato un sopraciglio, in quell’espressione inconfondibile che possedeva anche Brian, mentre Holly si era morsa il labbro inferiore arruffandosi i capelli in uno dei suoi tipici vezzi nervosi.
“E’ il mio ragazzo, ecco… da alcuni mesi”, si era affrettata ad aggiungere, imbarazzata.
“Oh, non lo sapevo. Non voglio essere di troppo, immagino che abbiate voglia di stare da soli e io...”
“Non abitiamo insieme, eh. E poi Nick è un po’… be’, lo conoscerai. Di certo non sei un peso, quindi smettila con questa storia. A me fa piacere averti qui, e Nick è andato stamattina a fare la spesa. Se la cosa gli desse fastidio, credimi che me l’avrebbe fatto capire.”
“Grazie.”
“Roxy… ti prego, smettila di ringraziarmi per tutto o diventerà invivibile.”
“Sei stata gentile.”
“Perché?”, aveva bofonchiato mentre – con poca grazia – stava masticando un chewingum alla fragola.
“Per aver accettato la richiesta di mio fratello. E’ uno scemo, non avrebbe dovuto disturbarti.”
“Zacky è uno dei miei migliori amici, farei di tutto per lui. Era davvero preoccupato, lo sai?”
“Non siamo mai stati così lontani da quando siamo nati… è… strano.”
“Non avere intorno quel rompiscatole ossessivo ti farà bene. Ecco qui le lasagne.”
Nella battuta di Holly Roxanne aveva letto tutto l’affetto che li legava, senza cattiveria verso Zacky.
“Dopo puoi chiamarlo con il mio telefono. Almeno lo tranquillizzi, altrimenti rischierà una crisi nervosa. Tra l’altro là sarà già notte, ma credo che resterà sveglio sino a quando non ti sentirà. L’ho avvertito che sei arrivata sana e salva, almeno evita di chiamare stressandoti. Ci farete l’abitudine, è solo questione di tempo.”
“A New York stavi bene?”
Il tono di voce di Roxy era privo di espressione, e le poche domande che le aveva rivolto erano probabilmente più per cortesia che per sincero interesse.
“Si, ma non la sentivo come casa mia. Ogni pretesto era valido per tornare ad Huntington Beach. New York non è la vera America, tutto è finto e artificioso. Vai nei club privati, ti ritrovi a fare vita mondana costretto dagli altri quando vuoi solo startene per i fatti tuoi. Non era una città che poteva farmi stare bene, ecco tutto. Cardiff è più fredda della California, ma ha qualcosa che me la ricorda. Qui sembra di stare a casa. Vuoi che ti porti al mare dopo?”
“Non ti preoccupare, stai facendo troppo. E mio fratello ha esagerato a chiederti di ospitarmi.”
“Tuo fratello è senza pudore, ma è il suo bello.”
“Sicura che non sono di troppo?”
“Sicurissima. Poi scegli dove vuoi dormire, il letto è decisamente più comodo del divano. E niente grazie, ti avverto.”
Le aveva sorriso, alzandosi per preparare la carne alla griglia su una padella antiaderente che aveva già posato sui fornelli.
“Posso aiutarti?”
“Sei l’ospite, per cui scordatelo.”
Le storie migliori iniziano così, per una serie di coincidenze fortuite: a volte le imposizioni del caso possono portarti lontano senza che tu ne sia minimamente consapevole.
 
 
*
 
 
Holly l’aveva svegliata di primo mattino facendo un casino pazzesco in cucina. Dormiva troppo per i suoi canoni, ma non aveva molto da fare in quei primi giorni a Cardiff e Olivia aveva atteso - con un’impazienza che l’aveva fatta sentire in colpa per la propria apatia -, che l’università le rilasciasse un permesso speciale per portarla agli scavi.
“Ti ho svegliata? Scusami.”
Holly aveva fatto capolino in camera già pronta per uscire.
“Sono in ritardo?”
“Non ancora, saremo là in perfetto orario. Ti ho preparato la colazione.”
“Sono costantemente in debito con te.”
“Per ripagarmi basterebbe un sorriso sincero, e quando lo farai chiameremo Zacky in diretta.”
Aveva provato in ogni modo di sollevarla dall’apatia che l’aveva colta, ma senza risultati degni di nota. Una delle prime sere in cui Roxy si trovava lì, l’aveva portata alla spiaggia facendole urlare cose inimmaginabili contro l’orizzonte, ma Roxanne non era davvero incazzata con Brian – aveva subito e continuava a subire la sua scelta facendosi domande scomode e che le gettavano addosso tutta la colpa dell’accaduto -, dunque le era uscito solo qualche flebile urlo privo di rabbia. L’aveva portata da Dave – ogni sera se la portava dietro nella speranza che reagisse – costringendola alla compagnia di Nick. Il risultato era stato che Nick era riuscito a farla ragionare sul fatto che le colpe non erano sue, ma Roxanne non aveva comunque offerto i dettagli della situazione con Brian, costringendo Nick a fare il buffone di corte per cercare di sollevarle un poco il morale, mentre Holly lavorava. Il terzo stadio era stato quello di portarla a teatro e al cinema, sciorinandole davanti serate a base di film horror convinta che la paura potesse mitigare il dolore, consapevole che le commedie romantiche sarebbero state tabù in casa sua per i prossimi sei mesi.
Holly stava lentamente adattando i propri ritmi su Roxanne, plasmando le proprie giornate sui tentativi di farla reagire e farla sentire meno sola possibile. Le prime giornate lontana da casa, e da Roxy, erano state un inferno: Zacky la tempestava di messaggi e telefonate al limite dell’ossessivo. Quando rientrava, Roxanne aveva ripulito l’appartamento da cima a fondo, cucinato, fatto la spesa e lavato e stirato i vestiti sporchi. Holly – che viveva immersa in un caos perenne – era esasperata dall’ordine a cui Roxanne aveva costretto casa sua, impedendole di trovare qualsiasi cosa, per quel motivo lasciava che Roxy le ricordasse ogni secondo dove avesse riposto le magliette – rigorosamente suddivise in ordine cromatico nell’armadio – o i fogli su cui aveva preso gli appunti dello scavo.
Roxanne era diversa da lei in tutto e per tutto, ma Olivia era dotata di quell’empatia che ti fa piangere insieme agli altri, senza un motivo apparente, facendo sue le pene di chi le stava accanto. Holly non era una stupida e sapeva bene che l’impresa titanica a cui si era sottoposta Roxy – quella cioè, di fare ordine nel suo appartamento - era un valido motivo per tenersi occupata e distrarsi dal pensiero di Brian. Non avevano avuto modo di parlarne direttamente, ma Roxy aveva preso a sciogliersi, snocciolando a tratti qualche ricordo o qualche pensiero in merito che ad Holly facevano solo incazzare. Odiava sentirla accusarsi di non essere adatta a Brian, di essere un impiastro e un mostro e si era trattenuta spesso dall’urlarle contro di svegliarsi e di essere razionale, perché se sulle colpe non poteva mettere bocca – ma era certa che non ne avesse – sul fatto di essere un mostro aveva una vasta lista di motivi da sottoporle che l’avrebbero fatta ragionare sull’opinabilità della cosa.
“Hai preparato anche il pranzo?”
“Si. Panini al salmone e formaggio, frutta secca e il residuo della cheesecake di ieri.”
“Sono milleduecento calorie per un pasto solo. Non è esagerato?”
Holly aveva sgranato gli occhi, lanciandole uno dei cuscini di peluche che avevano gettato,  nella notte, ai piedi del letto, centrandola in volto.
“Okay, togli quello che vuoi ma non i panini.”
Roxanne l’aveva fissata, ancora assonnata, con l’aria stranita di chi viene colpito senza motivo.
“Tutto il resto quindi. Fanno comunque seicentoottantotto calorie.”
“Vuoi che gratti via il formaggio?”, aveva scoccato lapidaria Holly.
“Potremmo cambiare tipo di formaggio. Hai messo quello spalmabile che abbiamo comprato l’altro giorno, vero? Quello che ti piace tanto…”
“Esatto, perché mi piace ce l’ho messo. Domani prepari tu il pranzo dietetico, okay?”
“Ma la frutta secca a cosa serve?”
“Ad ucciderti la fame mentre congeli spennellando ossa umane e saltando dentro buche alte come te.”
Roxanne aveva aperto la bocca stupita, abbassando poi lo sguardo sul cuscino a forma di cuore che teneva tra la mani.
“Non volevo farti arrabbiare.”
Holly era scoppiata a ridere, gettandosi sul letto con le ginocchia piegate – nemmeno stesse tentando un tuffo a bomba dal molo di Huntington Beach - e puntandole il dito sulla fronte le aveva dato una leggera spinta all’indietro.
“Punto primo: non mi fai arrabbiare, a meno che tu non inizi ad addossarti colpe che – con un po’ di lucidità – capiresti sono solo nella tua testa. Punto secondo: mi fai sentire una cicciona, quindi mi mandi in crisi. Punto terzo: io sono una rompipalle, come tuo fratello, dunque dovrai ricordarti di avere a che fare con la versione femminile di Zacky, magari ti risulta più facile capirmi. Punto quarto: a me piaci così, dunque smettila di farti delle fisime inutili, okay?”
Roxanne era arrossita, incapace di replicare. Holly era un ciclone e le era enormemente grata per tutto ciò che stava facendo per lei. Quando aveva raccontato a Zacky di averle riordinato l’appartamento, lui le aveva chiesto come mai fosse ancora viva, e che se c’era una cosa che mandava fuori di testa Holly era che le persone le mettessero in ordine tutto quello a cui – nel suo casino – era riuscita a dare un senso logico. Roxy sapeva che gli unici vincoli che Olivia aveva nei suoi confronti erano da ricondursi a suo fratello, ma non c’era mai nulla di affettato o finto che potesse farle supporre che la sua presenza lì fosse solo un peso. Holly, con il massimo delle proprie forze, stava cercando di farla sentire a casa, di farle scivolare lontano un po’ di dolore e tristezza, cercava – soprattutto – di farla ragionare scollandole di dosso le mille paranoie che si era appiccicata, ricordo dopo ricordo, sulla pelle.
Che diritto aveva di far fare il lavoro solo a lei, senza applicarsi un minimo per uscirne?
Non c’era un solo istante, nell’arco della giornata, in cui qualcosa non le ricordasse Brian: persino cucinare, lavarsi i denti la mattina o passeggiare per Cardiff guardando le vetrine dei negozi le riportava alla mente un dettaglio insignificante di un insieme che non esisteva più se non nella sua mente. Il problema di avere una memoria come la sua, era che ricordava tutto, tutto quanto: il dolore era più forte che per tutti gli altri, perché quando ricordi qualsiasi immagine del tuo sussidiario di prima elementare, ogni emozione vissuta ti si incide sulla pelle come un tatuaggio fatto di inchiostro, una ferita su cui viene gettato continuamente sale e che non accenna a cicatrizzarsi. Le ferite come le sue non le avrebbe lavate via nemmeno il sangue del più bastardo dei traditori: le ferite come quelle che aveva addosso lei tornavano a sanguinare giorno dopo giorno, quando la realtà si sovrapponeva in un caleidoscopio di ricordi.
Aveva sempre odiato la memoria eidetica: tutti la definivano un dono, per lei era sempre stato un peso e in quel momento non era altro che la condanna ingiusta a cui la vita l’aveva costretta, come se fosse ingabbiata in una scatola dei ricordi che le faceva sfilare davanti solo il passato. Dov’era il suo presente?
 
 
USA, 2005.
 
 
Brian non voleva davvero scoparsi Michelle, era stata più una condizione di disfunzione ormonale o di retaggio inconscio da sciupafemmine: era sempre stato con Roxy, le altre nemmeno le aveva mai guardate se non per sentirsi figo al pari di Zacky – e solo in una serie di complimenti urlati ad alta voce che le facevano scappare velocemente da un gruppo di tizi poco raccomandabili e tatuati -, che con le ragazze era sempre stato uno che ci sapeva fare molto più di lui. Brian si era ritrovato Michelle nel proprio letto un po’ troppo spesso nell’ultimo periodo, ma quando hai costantemente a che fare con una tizia che ti esibisce senza troppi problemi corpo e devozione, finisci con l’approfittarne senza ritegno. Quando non c’era Michelle, c’erano le fans: le più carine della prima fila o tra quelle che li aspettavano adoranti alla fine di ogni concerto. Jimmy sosteneva fossero in Paradiso, Johnny emetteva gemiti soffocati imprecando e si dileguava a chiamare Dakota – Zacky sosteneva si facesse anche dei solitari tra i tour bus abbandonati nel parcheggio, e gli dava del coglione per il modo con cui evitava qualsiasi contatto con il sesso opposto, nemmeno fosse un monaco del cazzo -, Matt ne approfittava quando davvero perdeva la testa e Zacky, semplicemente, seguiva la scia degli eventi. Quando aveva voglia di scopare, lo faceva. Se era una tappa del tour in cui c’era anche Gena, era lei a essere la prescelta, se non era a disposizione si accontentava di qualcuna che gliela ricordasse: bionda, occhi chiarissimi e sorriso malizioso. Tutta corpo e niente sostanza, come avrebbe detto Holly, ma era una formula che valeva per tutti loro: di implicazioni sentimentali con perfette sconosciute nessuno ne aveva bisogno, specie perché a casa ad aspettarli c’era l’altro lato della medaglia, quello che erano certi li avrebbe accompagnati per tutta la vita. L’unico, però, a dimostrare con i fatti una certezza inconscia, era Johnny: per Zacky e Matt era la voglia di liberarsi, di svuotare la voglia repressa di un corpo caldo contro il proprio quando ne avvertivano il bisogno; per Jimmy, era solo sesso, puro e divertente; per Brian, qualcosa di molto simile. L’implicazione amorosa – l’amore – se n’era volato a Cardiff perché lui era uno stronzo, un immaturo e un grandissimo codardo, dunque Brian aveva preferito mettere a tacere coscienza e cuore e far vivere Synyster Gates fuori e dentro il palco, giocando il ruolo della rock star, del figo assoluto e del pezzo di merda privo di cuore. D’altra parte, il cuore l’aveva lasciato a Roxanne senza nemmeno dirglielo.
“Non si sono ancora scannate?”
“Holly sta trattando Roxy come una principessa. Quella maledetta è stronza solo con noi, facciamocene una ragione”, era stata la risposta secca di Zacky in direzione di Jimmy.
“Non le avete mai agevolato il compito.”
“Che vuoi dire Jimmy?”
“Che se prendi per il culo una persona ventiquattro ore su ventiquattro la costringi a tirare fuori le palle anche se non le ha, per puro spirito di sopravvivenza.”
“Vuoi dire che abbiamo creato un mostro?”
“No, Holly non ha mai avuto paura di nulla, figuriamoci. Dico solo che forse con le ragazze è meno dura che con noi, no? Voglio dire, sarebbe normale. Se trattasse Dakota o Val come tratta te o Brian, sarebbe finita in tragedia e sarebbe sola.”
“Tu la difendi sempre, non fai testo Matt.”
“A Zacky brucia il culo che Holly possa eleggere a migliore amico sua sorella, ecco qual è la verità.”
“Holly non avrà mai come migliore amica Roxy. Sono diverse come il giorno dalla notte.”
“Vedi? Sei solo geloso”, aveva rimbeccato Johnny mentre si sistemava i capelli sulla nuca con quintali di gel.
“Dovrei essere geloso di Dakota anche, no?”
“No, Dakota c’è sempre stata, hai dovuto fartene una ragione e attualmente è nella tua stessa condizione. Roxy invece è volata a Cardiff e passa con la tua Holly ogni sacrosanto giorno, cosa che tu non puoi fare e nemmeno sognarti. Secondo me la cosa ti scazza parecchio.”
“Spari un mucchio di stronzate, secondo me tutto il gel che ti metti ha sostituito la parte del tuo cranio lasciata libera dal tuo cervello atrofizzato.”
“Lo dici solo perché ho detto la verità. Il mio gel rende intelligenti. Ehi, Matt, ne vuoi un po’?”
“Ehi, ‘fanculo Christ”, era stata la risposta del cantante mentre tentava di inviare un messaggio oltre oceano.
 

Gena non amava i compromessi, amava però Zacky. Come Valary, era costretta a sopportare i presunti tradimenti che il suo ragazzo e i suoi amici erano bravissimi a nascondere: se non fosse stato per la loro scarsa intelligenza e le interviste rilasciate, avrebbe persino creduto fossero dei santi. Gli avrebbe concesso il beneficio del dubbio in eterno, era l’unico appiglio a cui poteva aggrapparsi per non impazzire di gelosia. Gena Pahulhus non era una stupida come credeva Holly, aveva la mente abbastanza elastica da capire rapidamente se la tizia che aveva davanti poteva essere un eventuale pericolo per la sua relazione: Olivia Bridges era stata innalzata sul podio dei suoi nemici senza troppi problemi. L’aveva studiata attentamente – un body scanner di tutto rispetto che non aveva minimamente messo in imbarazzo l’oggetto del suo sguardo indagatore – e non ci aveva trovato nulla di così particolare da poterle invidiare. La rossina era mediocre, una tappa e non aveva minimamente gusto nel vestire - le volte in cui si erano viste, o si era presentata vestita come un ragazzino quindicenne o in un modo talmente eccentrico da lasciarla perplessa -, una rompipalle e una casinista di prima categoria. Fastidiosa come una mosca, indisponente come una zanzara, carina ma non di certo attraente o sensuale, Holly aveva agguantato una misera sufficienza nel complesso delle sue caratteristiche. Gena – che si era classificata con un otto e mezzo, con modestia – non riusciva a comprendere il motivo per cui Zacky stravedesse per lei. Aveva giocato la carta della falsa amicizia, scartata alla seconda risposta al vetriolo con cui Holly l’aveva zittita, passando quindi al tentativo di farsi amica Roxanne. Scoprire che la sorella di Zacky era finita a vivere con Olivia l’aveva gettata in crisi, perché se anche lei si fosse schierata dalla sua parte, avrebbe avuto un pericoloso alleato.
Gena non aveva compreso che l’amicizia nasceva dalla naturale conseguenza dello stare insieme e dello scoprirsi giorno dopo giorno, in quel processo naturale in cui conosci la persona che hai accanto e la accetti per ciò che è. Soprattutto, non aveva considerato come Holly avesse salvato anche Zacky – insieme a Roxanne – il giorno in cui era andata a prenderla all’aeroporto di Cardiff, triste e sola come un gattino abbandonato. Se non ci fosse stata Holly, Zacky avrebbe mollato tutto per andarsi a riprendere sua sorella e la convinzione, dunque, di dovere la propria felicità a quella rompicoglioni, la mandava su tutte le furie. Ciò che poteva fare, dunque, era rendere noto al mondo quanto lei e Zacky si amassero, per delineare i confini della sua proprietà.
 
 
Cardiff, 2005.
 
 
Holly e Roxy si trovavano nell’appartamento di quest’ultima, distante un paio di isolati di distanza da quello di Holly. Se n’era andata da casa sua sul finire dell’estate, quando da Cardiff stavano scemando i turisti e quando Holly era stata certa che Roxanne potesse camminare sulle proprie gambe. Tre mesi non sono nulla nella vita di una persona, ma diventano tutto quando hai il cuore in frantumi e non sai nemmeno da che parte prendere i cocci per rimetterlo insieme e provare a tornare a vivere. Olivia non era certa che Roxanne stesse davvero bene – stava meglio, quello si, ma Roxy sarebbe tornata a vivere davvero solo con Brian, era quella la sua certezza – ma il tempo passato insieme, giorno dopo giorno, istante dopo istante, le aveva costrette a fare i conti con le proprie diversità facendole scendere a compromessi con sé stesse e i propri caratteri differenti. Holly aveva imparato da Roxanne la pazienza infinita con cui attendi che qualcosa si smuova, Roxanne a prendere anche il mondo come variabile dei propri insuccessi, e non sempre e solo a condannare come unico imputato sé stessa.
“Sei sicura di volerlo fare?”
“Tu hai ascoltato l’album?”, aveva rimbeccato Roxanne sfilando dal freezer una vaschetta di gelato.
“Si, ma non so se ti farà bene ascoltarli.”
“Ci posso provare, no? Altrimenti non saprò mai com’è rivederlo o risentirlo.”
“Secondo me è prematuro.”
Holly voleva esserci in ogni istante della vita di Roxy come se fosse l’inseparabile compagna di giochi di sempre. Imparare a conoscerla non era stato facile, perché spesso si chiudeva in ostinati silenzi a cui non era abituata. Roxanne era contorta, non era diretta ma girava sempre attorno alle cose nel timore di ferire gli altri e, soprattutto, non sapeva esternare i propri sentimenti. Per quel motivo Olivia aveva paura di quella serata, decise a vedere in diretta su MTV un concerto degli Avenged Sevenfold. Sapeva, soprattutto, che Roxanne non avrebbe mai retto l’ascolto di Seize the day, che Holly era certa avesse scritto Brian per Roxy. Parlava di loro, di una storia finita e di un sacco di rimpianti: faceva male persino a lei, come poteva reagire la diretta interessata?
Quando aveva chiesto a Jimmy da quando, Brian, avesse un cuore, lui aveva finto di non capire, e le sue continue domande sulla stesura di quella canzone avevano messo il batterista in difficoltà. Aveva giurato a Zacky che non le avrebbe mai detto che l’aveva scritta lui, sotto l’effetto di una sbronza colossale, la notte della notizia della sua partenza per Cardiff. Era un segreto che conoscevano tutti e cinque su cui nessuno aveva deciso di fare domande o illazioni. Era una cosa personale, uscita di getto e che non aveva implicazioni sentimentali – Zacky continuava a parlare di Holly come sempre, con lo stesso tono dell’amico tradito -, che restava il cammeo di una scrittura diretta ed emotiva che avrebbe fatto piangere migliaia di ragazzine. Zacky non credeva possibile di aver scritto una cosa simile, ma più la suonava più si rendeva conto di come – invece – parlasse di lui e Holly. Di quello, almeno, che sapeva di aver provato in quell’abbandono a cui lei l’aveva costretto.
“Oddio… inizia.”
Holly era scoppiata a ridere, scavalcando lo schienale del divano parcheggiandosi accanto a Roxanne con un salto.
“Holly!”
“Sono scalza, non ho le scarpe”, aveva risposto prontamente lei.
“Non siamo ai giardini pubblici!”
“Cosa c’entra? Ai giardini pubblici non hai la tv e non ci vai con il pigiama.”
“Non imparerai mai a comportarti come una ragazza,” aveva sospirato Roxy sconfitta ancora una volta dall’irruenza dell’amica.
Si, se avesse dovuto classificare Holly poteva dire senza ombra di dubbio che era sua amica, forse una delle migliori che avesse mai avuto. Era stato come con Val, perché tutto era nato da un’imposizione forzata di una frequentazione assidua che non dipendeva da loro ma dagli eventi. In quei tre mesi, però, Holly si era presa cura di lei come se fosse stata Dakota, e di quello ne era certa perché le aveva dimostrato un’attenzione che pochi avrebbero messo in una convivenza che sarebbe dovuta durare un paio di settimane. Era durata invece quasi tre mesi in cui avevano vissuto in simbiosi e in cui Holly l’aveva costretta a uscire dal guscio, a farsi strada nel mondo e a farla reagire. Aveva speso ogni energia del suo tempo libero per farla distrarre, l’aveva portata agli scavi, l’aveva spedita a fare shopping con Nick, le aveva fatto visitare ogni angolo di Cardiff. A Roxanne Nick piaceva, era un bel ragazzo e un tizio che per Holly, aveva perso la testa. Ma davvero, potevi non finire con il volerle bene? Quando erano insieme – loro tre – Nick e Holly avevano sempre l’accortezza di non sfiorarsi nemmeno, di tenere lontano l’amore per prendersi cura di lei, per non farla sentire di troppo o farle ricordare Brian.
In quanti avrebbero sacrificato così tanto per una sconosciuta?
Roxy era stata fortunata ad avere avuto Holly vicina, ne era consapevole, e ancora di più era consapevole dei motivi per cui quello scemo di suo fratello l’adorasse. Decisamente meno, comprendeva come non fosse capitolato come Nick, ma suo fratello era un idiota e – come amava ricordarle Holly quando parlavano di Gena – non capiva nulla in fatto di donne.
“Guarda tuo fratello… fa schifo sul palco. Mi spieghi perché deve scuotere la testa a quel modo senza saltare? Insomma, dovrebbe correre, saltare, suonare, cantare e gettarsi a terra contemporaneamente! E’ quello che fa ogni chitarrista degno di questo nome”, aveva gridato Holly puntando un cucchiaio accusatore in direzione della tv, sventolandolo nemmeno fosse un fioretto.
Roxanne, però, non sembrava ascoltarla: era totalmente assorta dalla musica e da Brian. Holly si era ammutolita, cercando il pretesto per cambiare canale. Uno qualsiasi, le sarebbe andato bene anche vedere Gena fare capolino da dietro le quinte. Aveva pregato che saltasse la luce, anche. Se avesse mandato un messaggio a Nick chiedendogli di manomettere i contattori della luce della casa di Roxanne?
Assorta nei propri sproloqui mentali, Holly non si era accorta della canzone che era partita a tutto volume dalla tv, e solo il sussulto del corpo di Roxy le aveva fatto capire quale fosse.
“Non… merda.”
Per la prima volta, in tre mesi, Roxy stava piangendo: un fiume in piena che Holly non sapeva come arginare, perché conosceva bene quel tipo di pianto che ti nasce dalle viscere e ti muore in gola, che ti impedisce di respirare e ragionare e ti fa solo stare peggio, perché ti senti una stupida senza un perché.
Seize the day era partita con la violenza di una cannonata sparata dritta al cuore di Roxanne. L’avevano appena uccisa, di nuovo, perché Brian che eseguiva i cori con Zacky non guardava il pubblico ma un punto verso il cielo che le faceva supporre stesse pensando a qualcuno di lontano, che non era lì.
E quel qualcuno era Roxy, ne era certa. Zacky, a occhi chiusi e con le labbra incollate al microfono, seguiva la canzone pensando ad altro: nemmeno lui c’era.
Ad Holly tutto sembrava una follia assurda, perché se Brian aveva lasciato Roxanne non poteva esserne ancora innamorato, no?
O invece si?
Quello l’avrebbe appurato di persona, senza tanti preamboli: Matt e Zacky le avevano detto che ad Halloween avrebbero suonato a Londra e, volenti o nolenti, ci avrebbe trascinato Roxy. Olivia era certa che non tutto fosse perduto, non dopo averlo visto con i propri occhi come Brian non avesse dimenticato proprio nulla.
“Okay, ora basta.”
“Non…”
“No, dico: adesso basta. Alza il culo e vestiti, andiamo a farci un giro.”
“Non me la sento.”
“Ti porto fuori a forza, e non sto scherzando”, aveva replicato prontamente Holly spegnendo la tv con un gesto secco e strattonandola per un braccio.
“Non ti puoi far fregare così da un video. Te l’avevo detto che sarebbe stata una pessima idea, no? Non mi ascolti mai. Non permetterò che un live del cazzo finisca con il rovinare il lavoro di tre mesi, sappilo. Ci abbiamo speso su tempo, energie e abbiamo costruito qualcosa. Tu stai cambiando, un po’ per volta, stai tornando a respirare, non puoi farti ributtare sott’acqua dalla prima onda anomala. Non hai mai pianto da quando sei arrivata qui: oggi puoi piangere sino a crollare addormentata, ma da domani ritorni a galla. Giuramelo.”
Holly le aveva preso le guance arrossate dalle lacrime tra le mani, naso contro naso, fronte contro fronte: Roxy non aveva la forza di annuire e nemmeno ne aveva voglia.
“Tu sei unica, e lo scemo è lui che non ha mai capito niente. Io credevo fosse l’uomo più fortunato del pianeta, lo sai? Non puoi farti schiacciare dai ricordi, la vita va avanti. Nessuno potrà sostituire Brian e forse lo stesso amore che hai provato per lui non lo proverai per gli altri che verranno dopo. Ma ti innamorerai di nuovo, perché è così che vanno le cose. Abbiamo bisogno di innamorarci, amare ed essere amati.”
“Zacky è uno stupido.”
“Che c’entra Zacky ora?”
“Grazie.”
“Mi sa che è andata a finire che ti voglio bene come se fossi mia sorella e non solo sua, lo sai?”
Roxanne era scoppiata in singhiozzi violenti mentre Holly le cingeva le spalle con tutta la forza che aveva in corpo, posandole il mento sulla spalla, scossa dai singhiozzi dell’amica. Di tutto quello che poteva conoscere Roxy del mondo non avrebbe mai creduto che ci fossero persone che imparavano ad accettarti con le tue debolezze o che potevano parlarti così, senza fronzoli. Non poteva credere esistessero altri che potessero amarla a quel modo, come solo Zacky aveva saputo fare.
 
 
SMS: To Zacky From Holly H 22:03 PM
Siete solo teste di cazzo. Il tuo amico è un uomo morto, se lo rivedo lo meno. Fanculo
SMS: To Holly From Zacky H 00:35 AM
Che cazzo ho fatto ora?
 
 
Roxanne era tornata allo stesso punto critico con cui era arrivata a Cardiff, con la differenza che all’apatia si era sostituita quella terribile sensazione di oppressione e vuoto. Vedere Brian le aveva fatto male, destabilizzandola.
“Dave ci porti due birre?”
“Offro io.”
Holly aveva sollevato lo sguardo sul tizio dalla pettinatura opinabile e la giacca in pelle che si era seduto al loro tavolo senza autorizzazione, e in quel momento lei era un cane da guardia assetato di sangue e carne umana.
“Chi ti ha dato il permesso di sederti?”, gli aveva chiesto con uno spiccato accento californiano.
“Siamo in un locale pubblico, no?”
“Il tavolino è il nostro, quindi vedi di levarti dai piedi.”
“Rivedi la voce spazio pubblico sul vocabolario, l’inglese non lo insegnano a voi americani, se non sbaglio.”
“Ehi, gallese, vattene. Non è serata e se non vuoi finire male vedi di alzare il culo.”
Holly era pronta a menarlo nonostante fosse più alto di lei di almeno quaranta centimetri, in compenso il fatto fosse secco come un chiodo giocava a suo vantaggio. E poi era tutta questione di tempistiche, gliel’aveva sempre detto, Matt: il tuo deve sempre essere il primo colpo. Una volta che lo spiazzi, hai quella frazione di secondo che ti regala lo stupore per trovarlo fuori guardia. Da lì, colpisci ovunque e con tutta la forza che hai. Sei piccolina, ma sai benissimo dove puoi fare male, no?
Lei aveva annuito, compiaciuta: pugno al naso e calcio alle palle. Funziona sempre.
Il tizio non accennava ad allontanarsi, tornando a fissare Roxanne con curiosità.
“E’ un po’ che ti guardo, lo sai? Non so se la causa del tuo pianto sia la tua amica, e non farei fatica a crederlo, ma magari parlarne ti fa bene.”
Ma sei un coglione o cosa? Pensi che la gente normale parli dei cazzi suoi al primo venuto con il sorriso da star?”
“Parli come uno scaricatore di porto, ragazzina.”
Le aveva dato dell’ignorante e della mocciosa, ed era già altamente incazzata perché il malcapitato non si trasformasse nel capro espiatorio della serata.
Holly aveva inghiottito aria a vuoto, inspirando ed espirando contando mentalmente sino a cinquantotto prima che Dave si presentasse al tavolino con le loro birre.
“Il servizio quando non ci sono io fa schifo, Dave.”
“Per quello non ti mando mai in vacanza, signorina”, era stata la divertita risposta del suo datore di lavoro che non aveva calcolato quanto fosse seria in quel momento. Continuava a fissare torva il tizio che sparava cazzate senza senso nel tentativo di far ridere Roxy, rigirandosi tra le dita la bottiglia di birra in attesa di colpire e affondare l’avversario.
Quanto mi stai sul culo, gallese.
“Se vuoi ti lascio il mio numero di telefono, così possiamo uscire se ti va.”
Roxy aveva preso a piangere ancora più forte, e lo sconosciuto aveva sollevato lo sguardo verso Holly che con noncuranza si era versata la birra nel boccale vuoto lasciatole da Dave.
“Ehi, lo sai che è un sacrilegio non berla dalla bottiglia?”
“Chi l’ha detto che devo berla?”
Holly si era sollevata in piedi versandogli il contenuto del proprio bicchiere sulla testa, scoccando un’occhiata carica di vittoria e odio nella direzione della sua vittima sacrificale.
“Rivedi la voce privacy sul vocabolario. Evidentemente a voi inglesi non insegnano la buona educazione a scuola.”
Solo in quel momento Roxanne aveva sollevato lo sguardo sconcertato sull’amica, evitando di fissare il tizio che le stava davanti fradicio di birra.
“Andiamo Roxy.”
Lei si era sollevata meccanicamente mentre Holly, imperterrita, continuava a fissarlo con l’aria di chi avrebbe desiderato vederlo morire per autocombustione seduta stante.
“Tu hai dei problemi.”
“Non sai quanti.”
 
 
*
 
 
“Ehi, ma lavori qui sul serio allora!”
Erano passate tre sere e Roxanne ancora non aveva reagito come Holly aveva sperato, per cui l’aveva riportata a casa propria costringendola a non rimanere sola nemmeno per un istante: ogni distrazione era un valido mezzo per ripartire in vantaggio rispetto al Ricordo di Brian. Il giuramento di Roxy era miseramente fallito – almeno in parte quando, all’improvviso, le salivano le lacrime agli occhi che si costringeva a ricacciare indietro con forza -, ma Holly aveva compreso che gli ultimi tre mesi erano stati solo calma apparente. Roxy nemmeno era riuscita a piangere, per tre mesi si era tenuta dentro tutto, in balia di ciò che la circondava: al minimo colpo di vento era caduta di nuovo. Il grosso della sua missione, dunque, iniziava in quel momento: occorrevano atti di forza e l’ultimo banco di prova sarebbe stato portarla a Londra al concerto dei ragazzi ad Halloween.
“Che… il gallese?”
“Siamo tutti gallesi, qui”, era stato l’appunto divertito del ragazzo.
“Io no e ne vado anche fiera.”
“La tua amica non è con te?”
“No, è con il mio ragazzo a casa ad aspettarmi, perché un coglione non ha mai capito nulla dalla vita.”
“Il coglione in questione sarei io?”
“No, tu hai solo contribuito a farmi incazzare in realtà. Che cosa vuoi?”
“Un tè al limone.”
Holly era scoppiata a ridere nascondendosi sotto il bancone: non c’erano avventori, quella sera, salvo un paio di clienti fissi del mercoledì, e Olivia aveva tutta l’intenzione di chiudere il pub prima del previsto per tornare da Roxy.
“Mi stai prendendo in giro, vero?”, gli aveva risposto lei, risalendo lentamente dalla propria posizione.
“No, non bevo birra.”
“Che razza di uomo sei?”
“Senti, posso chiederti una cosa?”
“Non sai nemmeno come mi chiamo e comunque no, non uscirai con la mia amica. Non è il momento e un tizio che cerca di abbordarla al pub è fuori dai giochi.”
“Ian Watkins.”
Holly aveva sollevato il sopracciglio, scettica, porgendogli la mano.
“Olivia Bridges. Sei quel Watkins?”
“Quale?”,aveva chiesto lui con il sorriso di chi si aspettava una domanda del genere e, soprattutto, si compiace in anticipo della risposta.
“Quello che canta come una gallina?”
“Sei indisponente e fastidiosa.”
“Lo pensa il novanta per cento della gente che mi conosce e non mi sopporta. Elimino alla fonte i rompicoglioni così.”
“Okay, senti, io volevo chiedervi se vi andava di fare le modelle.”
“Scusa?”
“Per la Made in Hell, la mia linea di abbigliamento.”
“Mi stai prendendo per il culo, vero?”
“Innanzi tutto evita di parlare a questo modo. Cazzo, ho capito che sei californiana ma non si adatta a te questo modo di parlare.”
“Ma che ne sai tu, scusa?”
“Mi sembra esagerato. Comunque non sto scherzando, ne parli con la tua amica e poi ne discutiamo una di queste sere?”
“Ci vuoi entrambe?”, aveva chiesto lei scettica.
“Si, perché?”
“Perché è Roxy quella bella tra noi, io sono quella simpatica,” e Holly aveva mimato in aria due apici immaginari a sottolineare quella parola, sorridendo.
“Hai un punto debole anche tu allora, leoncino.”
“Eh?”
“Io le so riconoscere le belle ragazze, tu ti vesti solo scazzata perché non hai voglia di far vedere che sei una donna. Ne ho conosciute di tipe come te, lo sai?”
Ma chi era quel tizio? E cosa voleva, seriamente, da loro?
“Ti posso lasciare il mio numero di telefono? Comunque, anche se non dovessi richiamarmi, so dove trovarti.”
“Sembra una minaccia, questa.”
“Non sembra, la è.”
 
 
*
 
 
Holly era stata trascinata da Nick e Roxy alla sede della Made in Hell controvoglia. L’aveva fatto per Roxy, perché in cuor suo le sembrava un validissimo motivo di distrazione, e poi era stato Nick a dare ad entrambe la spinta necessaria per farlo. Nick, di fatto, era un bastardo dal cuore tenero, e poter vedere Holly in una situazione del genere lo elettrizzava e divertiva al contempo. Voleva sapere come se la sarebbe cavata in un mondo lontano anni luce da quello che era il suo habitat naturale fatto di skate, tavole da surf e amici – maschi – casinisti. A Nick Roxanne piaceva perché era riuscita a mostrargli una parte di Holly che nemmeno lei conosceva. L’aveva ammesso con semplicità, una sera in cui erano a guardare un film insieme, che Roxy l’aveva costretta a fare i conti con la difficoltà con cui si approcciava alle persone: le manifestazioni d’affetto, da parte di Holly, arrivavano solo in casi d’emergenza o nei casi in cui davvero valeva la pena avvicinarsi all’altro per cancellare la distanza di un abbraccio. Olivia non aveva mai fatto mistero che la cosa derivasse dalla tipologia delle sue amicizie: se sei a contatto con dei maschi, finiscono poi per farsi strane idee. Non capiscono mai chi sei, pensano sempre che ci sia sotto un doppio significato e che la verità sia sempre da leggere nell’esatto contrario di ciò che tu stai facendo o dicendo.
Che Holly comunque potesse essere femminile, a modo proprio, Nick lo sapeva benissimo, ma vederla posare con Roxy per Ian era stata una cosa che non si sarebbe mai sognato di vedere nemmeno nel più roseo dei suoi sogni.
“Wow ma sono bellissime!”
Holly aveva sollevato le braccia al cielo, gettando le braccia al collo di Roxy che fissava stupita il risultato della giornata di lavoro della settimana precedente.
“Siamo noi?”
“Voi, in carne ed ossa.”
“Roxy sei una strafiga!”
“Anche tu.”
Holly era avvampata, abbassando lo sguardo sulle fotografie, sorpresa da sé stessa. In quelle immagini non c’era uno specchio inclemente a ricordarle quanto potesse essere ridicola con una gonna, o bassa, o un po’ morbida, ma le sorrideva una ragazzina che trovava carina.
“La prossima settimana finiamo su Kerrang!
“Sai che novità, Ian, eh?” era stata la risposta divertita di Nick.
“Per loro la è.”
“Io non voglio finire sulle riviste… vi prego.”
Holly aveva congiunto le mani davanti al viso supplicando Ian di evitare che il mondo intero la vedesse, specie perché dall’altra parte dell’oceano sapeva che Dakota avrebbe mostrato con fierezza a cinque idioti quei risultati, e lei non aveva assolutamente voglia di dover gestire la conseguente sfuriata di Zacky in merito sulla questione “Modelle per la Made in Hell”.
“Mi devo vendicare per lo shampoo alla birra.”
“E’ stato un errore, okay?”
“E chi ti dice che non volessi davvero provarci con Roxy?”
Holly aveva lanciato un’occhiata all’amica che si era irrigidita sulla sedia, spostando lo sguardo da lei a Ian incredula.
“E chi ti dice che non abbia cambiato idea sul tuo conto?”
“Mi fai uscire con lei?”
“Ehi! Non sono una merce di scambio, io!”
“Si che la sei, io ci tengo alla mia privacy, okay? Non voglio che la mia vita sia data in pasto al mondo.”
“Okay, okay, calma. Sei la fidanzata praticamente ufficiale di Nick Valensi, pensi che la gente non inizierà a corrervi dietro? E’ solo questione di tempo, devi fartene una ragione Holly. Hai degli amici famosi, dovresti esserci abituata.”
“Ma che cazzo c’entra? Sono scappata da Huntington Beach anche per non essere fotografata mentre faccio surf con Zacky, per evitare che la Chihuahua Scema(*) rompesse le palle con le sue scenate di gelosia senza senso. E poi che vuol dire praticamente?”
Roxanne era scoppiata a ridere al solo sentire nominare il soprannome che Holly aveva affibbiato a Gena in una sera in cui stavano letteralmente distruggendo la ragazza a suon di confidenze e battute, mentre Nick si era sporto verso Holly passandole la mano dietro la nuca, baciandola.
“Ci mettete in difficoltà, colombe.”
Ian aveva riso lanciando un’occhiata a Roxy che cercava di posare lo sguardo lontano da Holly e Nick. Ian era riuscito a intercettarlo costringendola a non staccargli gli occhi di dosso, il tempo di gesticolarle una cosa che suonava come “io e te domani usciamo?
Roxanne aveva trattenuto uno risata, annuendo con il capo: da qualche parte doveva pur ripartire, no? Ian le piaceva: era simpatico, bello e – soprattutto – sembrava uscito da una favola. Nelle due settimane in cui avevano avuto a che fare con lui, si era dimostrato un principe, uno di quelli che ti aprono la portiera dell’auto per farti scendere e che – per quel suo atteggiamento – si era attirato le battute e la simpatia incondizionata di Holly.
Olivia non disprezzava le persone per partito preso, e Ian Watkins era davvero capitato nel posto sbagliato al momento sbagliato la sera del loro primo incontro.
“Ehi, vi vedo. Tu non esci con lei senza il mio permesso, okay?”
Roxy aveva riso di nuovo, mentre Nick aveva alzato gli occhi al cielo per l’esasperazione: Ian amplificava l’esuberanza di Holly, se ciò era umanamente possibile.
“Allora posso?”
“Hai la mia benedizione. E il prossimo fine settimana andiamo al mare tutti insieme?”
“Se Roxy non mi scarica prima.”
“Se non ti scarica andiamo al mare a festeggiare, no?”
“Grazie per la considerazione, voi due”, aveva bofonchiato Roxanne a mezza voce.
Erano scoppiati a ridere tutti e quattro, consapevoli di una leggerezza nuova: Ian era il tassello mancante per ripristinare gli equilibri. Roxy non aveva dimenticato Brian, se ne stava semplicemente facendo una ragione: sapeva che il tempo e la lontananza risanano prima o poi tutte le ferite.
E poi aveva il folletto della felicità accanto, un portafortuna che si prendeva cura di lei e che nessun altro poteva avere. Se ci pensava si sentiva in colpa nei confronti di suo fratello eppure, in fondo al cuore, sapeva che Zacky aveva tradita Holly ben più di quanto lui non avvertisse la sensazione di essere stato abbandonato.
 
 
Ian non era Brian, Brian Haner non era Ian Watkins. Di Brian le era sempre piaciuto tutto, non c’era una cosa in particolare che amava di lui: l’insieme era stato ciò che aveva fatto di Brian l’unico ragazzo degno di essere guardato, amato e protetto. In un certo senso, Roxy l’aveva difeso dal mondo e dalle freddure molto più di quanto entrambi avessero mai voluto ammettere: se non ci fosse stata lei, nelle nottate del tourbus, a disegnare merchandising su merchandising trovando sempre qualche idea nuova, stimolandolo a non mollare, avrebbe forse rinunciato. Ian Watkins era già un uomo, era un cantante a cui la vita aveva già riservato una buona fetta di merda da spalare ed era uno che non avrebbe mai svenduto uno solo dei suoi ideali. Ian era un uomo, appunto, non un ragazzino come Brian quando si erano messi insieme. Di Ian le piaceva lo sguardo diretto, la sincerità disarmante e le mani. Le mani di Ian erano diverse da quelle di Brian, eppure riuscivano a ipnotizzarla.
“A cosa pensi?”
Roxy si era morsicata il labbro inferiore, stornando lo sguardo da Ian al piatto ricco di avanzi che aveva davanti. L’aveva portata in un locale tranquillo, a Pontypridd, lontano da Cardiff, Holly e Nick. Holly – quando l’aveva saputo – aveva sbuffato, costringendo Ian a portarla a visitare il suo paese natale non appena le cose con Roxy si fossero sistemate.
“A nulla.”
“Così assorta non puoi non aver pensato a nulla, sono cinque minuti che ti guardo e che tu mi osservi le mani.”
“Pensavo a quanto sei diverso da una persona che conosco.”
“Da Brian?”
Roxy aveva annuito, sospirando.
“Non è carino fare certi paragoni, no?”
“Dipende dai punti di vista. Facciamo una cosa? Tu mi presti il tuo cuore, ti prometto che lo tratterò con la massima cura. Quando lo rivorrai indietro, te lo restituirò”, le aveva risposto il gallese senza staccarle gli occhi di dosso.
“Che razza di rapporto è?”, le aveva chiesto lei, scandalizzata.
“Un rapporto in cui tu mi piaci da morire e io sono poco più che simpatico. Prima o poi dimenticherai Brian o forse non lo farai mai del tutto. Almeno, questo è quello che pensa Holly. Voglio provare a fartelo dimenticare o a farti capire che in te non c’è nulla di sbagliato.”
“Perché?”
“Te l’ho detto, mi piaci.”
“Non mi conosci nemmeno, praticamente.”
“Sei bella, sei intelligente, sei assolutamente divertentissima. Sei da proteggere, non puoi pensare che lo faccia per sempre Holly. Quella piccola tigre prima o poi te la porteranno via. E non basta solo l’amicizia in una vita, per essere felici. Ci sono cose che possiamo chiedere solo alla persona di cui siamo innamorati.”
“Ma io…”
“Proviamoci.”
“Non voglio farti soffrire, io ci sono passata e so come ci si sente.”
E’ come se ti strappassero il cuore dal petto con rabbia e forza, a morsi.
“Ti ho fatto una bella premessa, no? E poi non ti ho giurato amore eterno. Magari lo farò tra dieci anni o forse mai. Proviamoci e basta, buttati. Cos’hai da perdere?”
“Nulla.”
“Saltiamo?”
“Mi ricordi mio fratello e Holly quando decidono di tuffarsi giù dal molo di Huntington Beach. Lo facevano ogni primo giorno di estate, insieme, due pazzi che si gettavano in mare senza badare al caldo, al freddo o alla pioggia.”
“Prendi un po’ del loro coraggio. Che ti costa?”
“Non lo so.”
“Vuoi pensarci?”
“Posso?”
“Si, non sono qui a obbligarti, tranquilla. Volevo solo che sapessi quello che ti ho appena detto.”
“Sei una bella persona, Ian. Non so quanti come te ne troverei che…”
“… che?”
Che mi stanno dietro con tutta questa attenzione e questo rispetto. Con Brian è stato tutto più semplice e naturale, è successo perché era scritto. Io e Brian ci siamo scelti, in un certo senso. Tu mi offri invece amore senza volere nulla in cambio, e questo non è scegliersi: è imporsi senza rendersene conto.
“Grazie.”
“Non piangere o Holly deciderà di uccidermi alla prima occasione utile.”
“Sei carino. Nessuno avrebbe fatto quello che fai tu, lo sai?”
“Solo carino? Quando mi metto in testa una cosa non riesce nessuno ad allontanarmi dall’obiettivo.”
Roxanne l’aveva guardato negli occhi: non c’erano menzogne, non c’era paura ma solo la stessa forza che c’era in Holly. Le stava offrendo la via verso una felicità semplice, verso magari l’amore, senza chiederle nulla in cambio. Chi era lei, per rifiutarla a priori, per un idiota che l’aveva lasciata senza motivo?
 
 
*
 
 
“Cosa significa?”
“Dio quanto urla…”
Holly aveva allontanato il cellulare dall’orecchio puntando lo sguardo su Nick e Ian intenti a strappare accordi alla chitarra di Nick, mentre Roxy stava preparando una non meglio definita verdura ripiena.
Perché Ian era vegetariano? Odiava dover mangiare solo verdure come le pecore, quando c’era anche lui.
“Zacky puoi evitare di farmi diventare sorda?”
Nick aveva preso a suonare con più velocità una ben nota canzone, costringendo Holly a spostarsi in camera da letto e facendo scoppiare in una sonora risata Ian e Roxy.
“Ci pensano i tuoi amici, ad assordarti. Ma che cazzo di gente frequentate tu e mia sorella?”
“Sei impazzito, Zacky? Che cazzo di telefonata è questa?”
“Felice di farti sapere che avete un servizio di quattro pagine su Kerrang! di questa settimana.”
“E perché l’hai comprato? Per appagare il tuo ego e scoprire ancora una volta che non sei fotogenico nemmeno se paghi il fotografo di turno per utilizzare i trucchi del mestiere e renderti un figo anche in fotografia?”
“Non spendo soldi per Kerrang!, me l’ha passato Dakota. Che razza di set avete fatto?”
“Abbiamo fatto un favore ad un amico.”
“Holly tu non volevi finire sui giornali nemmeno sotto tortura, che è questa storia?”
Tanto ci finirei comunque, scemo.
Holly non gli aveva ancora detto nulla di Nick né ne aveva parlato con altri, fatta eccezione per Jimmy. Aveva fatto giurare Dakota su Johnny che mai avrebbe spifferato il fatto che lei aveva un ragazzo – di quelli che, semplicemente, ti fanno perdere la testa per un niente – e si era tenuta tutta la felicità dentro. Poi era arrivata Roxy ed era stato come liberarsi di un peso enorme, ma quando Zacky o Matt la chiamavano, si sentiva sempre troppo meschina nei loro confronti.
Ma come fai a raccontare ai tuoi migliori amici che finalmente ti sei innamorata anche tu?
Come fai a mettergli davanti la cruda verità per cui anche tu hai un cuore e dei sentimenti come tutti quelli delle altre donne? Magari che vorresti un giorno una famiglia tua, dei bambini da crescere e il sogno di avere accanto una persona che ti completa in tutto quanto, trasformando la vita in una sorpresa continua?
Holly aveva paura di perdere la propria unicità ai loro occhi, soprattutto, e la dimostrazione che non era poi sulla strada sbagliata erano anche le illazioni che in quel momento stava facendo Zacky.
“Non ti sto raccontando balle.”
“Holly sei vestita… sei sensuale quasi, cazzo! A Brian è preso un colpo quando ha visto Roxy!”
“Qual’é il problema, scusa? Brian deve solo crepare di gelosia per essersela lasciata scappare.”
“Non ti riconosco.”
Eh, no, vaffanculo Zacky.
“Solo perché ho posato per una linea di abbigliamento?”
“Non ti è mai passato per l’anticamera del cervello di fare la modella.”
“Non se n’è mai presentata l’occasione?”
“Ma che cazzo c’entra? Sei ridicola.”
“Adesso mi hai rotto le palle, mi stai offendendo Zacky. E sono seria quando lo dico. La smetti di accusarmi e di svilirmi sempre? Nel giro di un minuto e mezzo mi hai detto che sono quasi sensuale – dunque un cesso –, che non mi riconosci più e che sono ridicola. Sai cosa ti dico, Baker? Che puoi trovarti un’altra migliore amica.”
“Non fare la permalosa, sai che ho ragione.”
“No, tu sei solo stronzo, Zacky, è diverso. Perché non hai mai una parola buona per me, o di incoraggiamento o anche solo ti sforzi di dimostrare entusiasmo per quello che faccio? Non te ne frega nulla di me se non mi comporto o muovo come vuoi tu.”
Silenzio da parte di Zacky e la certezza di Holly di aver centrato il bersaglio.
“Holly…”
“Mi hai rotto le palle. Hai sempre voluto vedere solo ciò che ti andava di vedere, il resto l’hai sempre distrutto con il tuo modo dei fare da re del mondo. C’è una parte di Olivia Bridges che non hai mai voluto affrontare: perché? Fatti questa domanda ogni tanto, ora ti passo Roxy. Ci sentiamo.”
“Holly aspetta, non fare la cretina!”
Holly non lo stava già più ascoltando, ed era rientrata in cucina porgendo il cellulare a Roxy, l’aria incazzata e gli occhi lucidi.
“Che è accaduto?”
“Tuo fratello è uno stronzo.”
“Holly cosa… dove vai?”
“A fare un giro, torno tra una mezz’ora. Almeno scarico la rabbia senza sbranare voi per colpa sua.”
Roxanne l’aveva fissata uscire di casa sbattendo la porta, Nick e Ian che si erano fatti silenziosi: era stato impossibile non sentirla gridare dalla camera da letto.
Nick era abituato alle continue discussioni dei due, ed era giunto alla conclusione che era il loro modo di manifestarsi il proprio affetto, in quel modo in cui i bambini dell’asilo fanno dispetti alle loro amiche per fargli capire il proprio interesse.
Zackary Baker aveva ventitré anni e tutta l’aria di saperla lunga in fatto di donne: semplicemente, riteneva Holly una bambina quando si trattava di cose troppo grandi, per una come lei, e un amico suo pari in tutti gli altri frangenti.
Holly, dunque, si sentiva autorizzata a sfancularlo tutte le volte che lo riteneva opportuno, contribuendo così al mito di Zacky secondo cui lei non era una donna. Non la era mai stata ai suoi occhi, non la sarebbe diventata nemmeno se avesse posato per Playboy, e di questo Nick ne era certo. Dai discorsi di Holly e Roxy aveva compreso molto più di quanto non avessero capito loro due – d’altra parte, erano pur sempre due ragazze alle prese con la mentalità di un uomo – e quello era l’unico motivo per cui non riusciva a provare gelosia per quel rapporto biunivoco tra la sua ragazza e il fratello di Roxanne. Se anche solo avesse avuto l’avvisaglia di un sentimento differente, anche solo la sensazione di una cosa simile, se la sarebbe portata via per sempre.
Non l’avrebbe lasciata a nessun altro, men che meno al suo migliore amico.
 
 
“Hai esagerato, Zacky.”
Roxy si era portata in camera da letto abbassando il più possibile il tono di voce: non era Holly, sapeva che in quel caso doveva essere sincera con Zacky e non aveva intenzione di far sentire a Ian e Nick la conversazione con suo fratello.
“Roxy non difenderla senza sapere nulla.”
“Era arrabbiatissima… che le hai detto?”
“Che era ridicola a fare la modella.”
Roxanne aveva deglutito: anche Brian aveva pensato la stessa cosa? Aveva scacciato quel pensiero fastidioso con forza, tornando a concentrarsi su suo fratello.
“Era bellissima, e l’hai visto anche tu. Perché ogni tanto non ammetti di essere uno stupido geloso e basta? Saresti più corretto con te stesso ed eviteresti di farla soffrire.”
“Soffrire? Holly? Quella piange solo per i film della Disney, Roxy.”
“Sei sicuro di essere il suo migliore amico?”
Roxanne aveva la sensazione che suo fratello fosse il più coglione del pianeta e che Brian discendesse dallo stesso ceppo. Non aveva mai sondato il rapporto tra lui e Holly, tutto quello che conosceva del loro rapporto era legato alle sue confidenze, alle serate passate tutti insieme, o ai racconti di Brian o Jimmy, ma viverlo dal dentro ogni giorno – accanto ad Holly – le aveva aperto gli occhi sull’ottusità ereditaria che possedevano i Baker.
“Zacky sei scemo o lo fai?”
“Non capisco dove vuoi arrivare.”
“Holly è una donna proprio come Gena, potresti magari realizzare la cosa e metabolizzarla prima di trattarla come il cesso ambulante che non è?”
“Non la tratto come un cesso.”
“Sicuro?”
“Forse.”
Zacky aveva il tono colpevole di chi sa di giocare sporco con sé stesso e con gli altri. Quando Jimmy gli aveva porto il tovagliolo con su il testo di Seize the day, qualcosa l’aveva fatto precipitare in un’insicurezza che aveva allontanato con i pensieri di sempre, relegando a un cammeo di un’altra esistenza la scrittura di quella canzone.
“Non l’ho scritto io, vero?”
“Secondo te?”
Lo sguardo di Jimmy era stato eloquente, più di mille parole e Zacky si era dovuto porre una domanda scomoda a cui aveva dato una risposta politicamente corretta: Holly era la sua migliore amica, non una donna che si sarebbe mai portato a letto e in amore serviva anche quella parte, non solo l’empatia. Era lontana anni luce dal tipo di donna che piaceva a lui e quello bastava a dargli prova che Holly era la stessa Holly di sempre, non era cambiato nulla tra loro né tanto meno da parte di uno dei due.
E quella era una certezza assoluta.
“Me la puoi passare?”
“E’ uscita per sbollire l’incazzatura. Mandale un messaggio, magari poi ti richiama.”
“Tu stai bene?”
“Benissimo, sto tornando a respirare.”
“Sicura?”
“Holly è un portafortuna, mi fa bene averla vicina.”
E se voleva affondare suo fratello, c’era riuscita perfettamente.
 
 
Londra, 2005. Cardiff, 2005.
 
 
Holly aveva convinto Ian e Nick ad accompagnarle a Londra e lasciarle a fare la fila con tutti gli altri fans degli Avenged Sevenfold. Annoiate, infreddolite e stanche dal viaggio, erano riuscite ad agguantare una delle prime file, ma Holly non era soddisfatta.
“Roxy non vorrei ti facessi male… quando quel pazzo di Matt chiamerà il mosh noi rimarremo schiacciate qui in mezzo. Sicura che non vuoi che saliamo sugli spalti?”
“Sicurissima.”
Roxanne aveva lo sguardo lontano, l’aria distante anni luce e persa dietro i ricordi: era lì per vedere Brian e sapere che effetto le avrebbe fatto rivederlo con il cuore concesso a un altro uomo. Concederlo, non donarlo: era un prestito che metteva in preventivo di essere restituito al legittimo proprietario e questo Ian Watkins lo sapeva benissimo.
“Tu non mi stai nemmeno ascoltando… senti, mettiti qui sotto. Dovresti essere al sicuro.”
“Tu non resti?”
“Io voglio cercare di salutare Zacky, vado dall’altra parte poi torno qui. Promettimi che non ti allontanerai di un centimetro. Brian suona da questa parte.”
Holly le aveva scoccato un bacio maldestro sulla guancia e si era eclissata tra la folla in trepidante attesa del concerto, incurante degli spintoni e delle bottiglie di birra vuote che le scivolavano sotto i piedi. Roxy si tormentava le mani e aspettava l’uscita di Brian, nervosa come il giorno del loro primo appuntamento. Aveva promesso a sé stessa che non avrebbe pianto davanti a lui nemmeno se le fosse costato morire soffocata dalle sue stesse lacrime, e ce l’avrebbe fatta.
 
 
Holly era tornata da Roxanne approfittando del giro di mosh concesso da Matt: era riuscita a farsi vedere da Zacky che le aveva lanciato il suo plettro – scatenando così il delirio delle tizie che aveva attorno – e poi era tornata sui propri passi con un livido che le si sarebbe formato da lì a mezz’ora sul lato destro del costato a causa della gomitata di un tizio a cui aveva assestato, di rimando, un calcio nella tibia.
Roxy fissava Brian senza fiatare: immobile come una statua di cera, seguiva Brian con lo sguardo senza nemmeno udire le parole delle canzoni. Era come se ci fosse solo lui, lì sopra, persino più bello di come lo ricordava, più uomo.
“E’ un concerto, non una sfilata di Mister America, Roxy.”
Holly le aveva assestato una leggera gomitata, facendola tornare alla realtà.
“Hai visto Zacky?”
“Ovvio che si, sta lì sopra insieme a Brian. Ha pure mosso il culo quando mi ha vista, mi sa che ha capito che l’avrei preso in giro a vita.”
Aveva strappato un sorriso all’amica, mentre le aveva stretto la mano nella propria per rassicurarla.
“Che effetto fa?”
“E’… diverso.”
“Io lo vedo sempre idiota uguale.”
“E’ più maturo.”
“Prego?”
“Più uomo.”
“Anche tu sei più donna di sei mesi fa, Roxy. Tranquilla, è ancora nella fase della crescita. Se imparasse a truccarsi evitando di assomigliare ad Alice Cooper sarebbe meglio.”
“Altro da aggiungere per distruggerlo?”
“Ian è più simpatico, è un lord ed è autosufficiente, il che implica che tu non hai più motivo di fare da balia a un uomo dato che per una volta ne hai uno che si prende cura di te. E quindi tu di me.”
“Io e Brian ci prendevamo cura l’uno dell’altra, a vicenda.”
“Sicura? Quando avevate vent’anni dubito che si sia mai presentata un’emergenza simile.”
“Tu cosa pensi?”
“Che devi tornare a vivere senza guardare al passato. Brian sta lì sopra e non guarda quello che c’è sotto, nemmeno lo vede. Ora vede solo sé stesso.”
“Ho amato la persona sbagliata?”
“No, siete semplicemente cambiati. Andiamo a berci una birra, offro io.”
 
 
Zacky e Jimmy erano andati a prenderle all’ingresso VIP, in una zona che Zacky aveva indicato a Holly via sms. Quando li avevano visti, Holly si era letteralmente gettata in braccio all’amico, cogliendolo alla sprovvista e facendogli perdere l’equilibrio, ritrovandosi entrambi con il culo a terra.
“Ma sei scema?”
“Mi sei mancato idiota!”
Jimmy e Roxy erano scoppiati a ridere seguiti da Holly che – a cavalcioni su Zacky – gli aveva stampato un affettuoso bacio sulla guancia. Litigavano come cane e gatto eppure erano inseparabili, sempre e comunque. La verità era che Holly era un’intransigente, una che non avrebbe risparmiato a Zacky nemmeno una cazzata nell’arco di tutta la sua vita, ma che gli avrebbe perdonato qualsiasi cosa.
“Non è Olivia, vero? Cioè, l’hai cambiata con la sua gemella buona, no?”
“Credo sia soltanto felice di vedervi.”
Lo stesso trattamento – un paio di istanti più tardi – era toccato a Jimmy, che se l’era stretta al petto come se fosse una bambola di pezza, facendola dondolare da un capo all’altro del proprio abbraccio mentre lei – a peso morto – si lasciava mollemente andare da un braccio all’altro dell’amico.
“Ahio, cazzo, Jimmy. Mi hai fatto male.”
“Scusami.”
Holly si era sollevata la maglia e la felpa, mostrando un livido che le attraversava il fianco.
“Ma te lo sei fatta là in mezzo?”
“La prima cicatrice per voi. Però ne è valsa la pena”, e aveva sollevato in aria il suo trofeo, sventolando il plettro di Zacky sopra la propria testa.
Roxy aveva sorriso, abbracciando Zacky con affetto: le mancava tutto quello che non aveva potuto dirgli o trasmettergli con le telefonate. Holly era un’amica, non il gemello che capisce tutto al volo. C’erano voluti tre mesi, quasi, perché Olivia e Roxanne imparassero a comprendersi senza cadere in equivoci o gare di scuse.
“Okay fratellini, vi lasciamo soli mentre porto la piccoletta a salutare gli altri.”
“Solo Matt e Johnny, Brian puoi chiuderlo nel cesso”, aveva risposto serafica Holly, facendo ridere gli altri.
Zacky aveva scoccato un’occhiata alla sorella, studiandola. Le sembrava stesse bene, come se qualcosa di nuovo le stesse nascendo dentro.
“Come stai?”
“Inizio a reagire.”
“Lo devo a Holly?”
“Anche a me, non solo a lei. So che ti piace avere debiti nei suoi confronti ma ci ho messo anche del mio.”
“Di quello non ho dubbi, come non li ho sul fatto che abbia trovato il modo di esasperarti ogni giorno.”
“Veramente no. Sei tu che fai tutto più grande di quanto non sia. Secondo me ti sei auto convinto di conoscerla, lo sai?”
“No, io conosco soprattutto il suo lato peggiore, ma è così bastarda che con gli altri lo nasconde perfettamente fingendosi un agnellino.”
“A me sembra più il contrario”, aveva bofonchiato lei stampandogli un bacio sulla guancia.
 
 
L’imprevedibilità degli eventi ti porta a credere che la legge karmica esista davvero, e se sei uno stronzo prima o poi paghi lo scotto delle tue cazzate. Se poi hai a che fare con una tigre che non accenna a essere chiusa in gabbia, devi realizzare come la legge karmica decida pure di prenderti per il culo per farti capire quanto sei idiota.
Quando Jimmy era comparso nei camerini con Holly che dispensava sorrisi, abbracci e grida entusiaste a chiunque – persino ai Berry, che si era sempre filata relativamente poco -, Brian aveva capito di essere nella merda. Aveva allontanato bruscamente da sé Michelle nel tentativo di non farsi vedere, ma Olivia Bridges aveva un fiuto infallibile per beccare i traditori.
“Ehi Holly, come stai?”
Michelle – che non aveva compreso il motivo per cui Brian si era spostato fingendosi interessato ad altro e non a lei – aveva scoccato a Holly un sorriso raggiante.
“Bene sino a quando non mi sono guastata la visuale con un’enorme ammasso di immondizia.”
Jimmy aveva riso allentando la presa sulla spalla della ragazza: una volta individuato il suo bersaglio, era stato facile decidere di lasciarla correre a briglia sciolta.
“Cosa cazzo…”
“Tu sei il più grande pezzo di merda del pianeta, Brian!”
Dire che gli si era avventata addosso con la velocità di un’aquila sulla propria preda era un eufemismo. Johnny era uscito dal camerino con ancora lo spazzolino da denti in bocca al grido di battaglia della ragazza, piegato in due dalle risate, mentre Jimmy continuava a ridere in direzione del suo migliore amico che lo guardava con aria accusatoria.
“Te lo meriti, Brian.”
“Ma che cazzo dici? E levati, Holly, che cazzo vuoi da me?”
Saldamente piantata davanti a lui, non dava cenno di volersi allontanare di un passo.
“Fottiti. Ti meriti esattamente una come Michelle. Ti è stata addosso sino a quando non hai mollato Roxy. Sei uno zero, Brian.”
“Non sono cazzi tuoi.”
Holly aveva sollevato la mano in aria, calandola su Brian con tutta la forza che aveva in corpo.
“Ahio!”
All’unisono, Brian – più per lo stupore che per l’effettivo dolore - e Holly, avevano avuto la stessa esclamazione, e mentre Holly si teneva la mano dolorante e Brian la guancia, Michelle aveva preso a strepitare.
“Non rompere le palle, Michelle. Sei una sostituta, l’eterna seconda. La sarai anche tra cento anni, vedi di fartene una ragione. E tu” – e aveva puntato il dito contro Brian come se fosse una paladina della giustizia – “ricordati che non ti ho spaccato il naso solo per evitare che il tuo bel faccino deturpato rovini la reputazione dei miei amici fighi.”
Si sentiva una dura – e aveva esagerato calandosi nella parte, ovviamente -, ma aveva così tanta adrenalina in corpo a causa della rabbia e del concerto che probabilmente, se non fosse stato Brian quello che aveva davanti, avrebbe davvero tentato di dargli un pugno.
Michelle l’avrebbe menata se non fosse stato che Valary e Matt – all’orizzonte – stavano letteralmente correndo nella loro direzione prima che ci fosse una collisione di comete.
“Olivia tu non sai un cazzo.”
“Se per quello nemmeno tu Brian. Con l’aggiunta che nemmeno capisci un cazzo: chi è messo peggio?”
Michelle, impettita, era avanzata di un passo nella sua direzione, mentre Holly continuava a fissarli torva: se avesse potuto cavare gli occhi a entrambi, l’avrebbe fatto.
“Goditi le tue scopate, sono la miglior terapia per non pensare a quanto sei idiota, no?”
“Okay folletto, io e te ce ne andiamo a fare un giro.”
Holly aveva sollevato lo sguardo su Matt che le aveva posato una mano sulla nuca facendola girare su sé stessa, indirizzandola senza troppo sforzo verso il suo camerino, lanciando un’ultima occhiata amareggiata tra la folla dei curiosi, poco distanti Jimmy, Zacky e Roxy che osservavano la scena senza parlare.
 
 
“Posso andare da Roxy?”, era stata la richiesta mortificata di Holly all’amico, seduta su uno sgabello la cui altezza arrivava a quella di Matt, seduto di fronte a lei.
“C’è Zacky con lei, è in buone mani.”
“Ho esagerato, Matt?”
“Prima o poi qualcuno doveva dirglielo. Come sempre ingresso trionfale, eh?”
“Matt…”
“Che è quella faccia?”
“Credo di aver fatto soffrire Roxy così.”
“Hai dato uno schiaffo a Brian, non te l’ha restituito solo perché sei una donna e ti preoccupi per Roxanne?”
“Li ha visti anche lei Brian e Michelle, non è cieca né tantomeno scema.”
“Non è ancora passata?”
“Probabilmente le fa ancora male. Almeno un po’, ecco, non sono cose che lavi via in qualche mese. Ma si sta riprendendo bene, è in ottime mani.”
“Sei cresciuta, vero?”
“Forse di qualche centimetro e un chilo. Ho solo una persona da proteggere, e questo non vuole dire crescere.”
Per Holly, la richiesta di Zacky e la promessa che gli aveva fatto, era stato un po’ come offrirle una missione di vitale importanza: si era sentita come Parsifal mandato da Artù alla ricerca del Sacro Graal, con la differenza che lei – anziché cercarlo – doveva custodirlo gelosamente.
“Secondo me ci stai riuscendo benissimo. Te la sei sempre cavata egregiamente anche con me e Zacky.”
“Con voi era diverso, era… normale e fisiologico. Matt ti conosco da quando sono nata! Se non era fisiologico il nostro rapporto non so cosa potesse esserlo. Ma come fai a sopportare Michelle e Brian? Cazzo, si porta a letto una che ha la faccia di Val!”
“Davvero lo pensi?”
Matt era trasalito e Holly aveva sollevato lentamente lo sguardo sulla nuova arrivata e ciò che l’aspettava, in quel momento, non le piaceva affatto. Si era morsa il labbro inferiore tornando a fissare la punta delle proprie scarpe, mentre le dita della mano destra stringevano convulsamente il sedile dello sgabello provocandole ondate di dolore che in una condizione normale non avrebbe mai avuto.
Che avesse ricevuto il dono della forza bruta?
“Holly perché non ti fai gli affari tuoi? Brian e Michelle stanno insieme, e allora? Cos’è che ti disturba?”
“Ha piantato Roxy senza un motivo, mi pare più che sufficiente per… Roxy era tua amica.”
“Ho una sorella anche, e Michelle non ha fatto nulla di male e comunque non sono affari tuoi. Michelle non ha fatto nulla per farli lasciare.”
“Val ma stai scherzando, spero! Tua sorella è sempre stata attaccata al culo di Brian, anche quando stava con Roxy. Aspettava solo il momento adatto per…”
Val aveva sorriso con l’aria trionfante di chi ha appena afferrato la vittoria di una vita, e Holly si era sentita dannatamente stupida e indifesa: da quanto tempo aspettava quel momento, Valary?
“Tu con Matt cos’hai fatto, scusa? Perché tutti ti sopportavano non significa che nessuno abbia mai visto quello che facevi. Gli stavi attaccata proprio come Michelle con Brian.”
Olivia aveva stornato lo sguardo dalla ragazza a Matt, ma se aveva sperato che potesse essere lui a porre fine alla discussione si sbagliava di grosso: nemmeno sapeva chi guardare, Matt.
“Io ci sono sempre stata, non è come…”
“Appunto, non ti sei mai posta il problema di essere a volte di troppo?”
Cazzo, si, ma non te lo sono di certo venuta a dire.
Che cosa poteva replicare? Valary aveva ragione: era stata meschina e scorretta, con la scusa di esserci sempre aveva continuato a ritagliarsi una fetta di tempo sempre per lei e Matt soltanto. Doveva davvero dargliela vinta?
“Ti ho già detto tutto, vuoi che ti chieda anche scusa o ti dica che mi dispiace? Non lo farò. Non ho mai cercato di portarti via Matt.”
“Adesso calme ragazze. Val torna da Michelle e gli altri, arriviamo anche noi.”
“Smettila di difenderla sempre, è grande ormai per avere sempre il culo coperto dal suo fratellone.”
“Te l’ho affidato. Mi piacete insieme, okay?”
“Holly, aspetta…”
“Lasciala andare, Matt.”
Olivia si era richiusa la porta del camerino alle spalle, le dita che le facevano male e la faccia da cucciolo bastonato. Aveva sempre cercato di essere corretta e giusta con sé stessa e gli altri, ma evidentemente a Val non gliene era fregato proprio nulla: Valary voleva Matt e lei era stata di troppo.
“Perché l’hai fatto, Val?”
“Perché era giusto che chiarissimo le cose.”
“Hai esagerato.”
“Ho solo detto la verità.”
“Davvero ti infastidisce così tanto?”
“No, sei tu che me la fai odiare. La proteggi sempre e devi smetterla. Lasciala sbattere la faccia contro la realtà, deve capire che non può dire o fare tutto ciò che vuole. Continua a farlo perché voi le parate il culo, Matt, ma non è così che funziona la vita. Non sa né stare zitta, né capire quando deve mettersi in disparte.”
“Lo sa ma non lo fa, tutto qui. E non è per egocentrismo, semplicemente fa ciò che ritiene giusto.”
“E se è sbagliato c’è sempre qualcuno pronto a difenderla, giusto?”
“Val…”
Matt le aveva cinto la vita, attirandola a sé e posandole un bacio sul ventre piatto.
“Sei uno stronzo. Sai come fregarmi.”
“Sei tu che non hai ancora capito che mi hai fregato un casino di anni fa e hai ancora paura di Holly.”
Magari non solo di Holly, di un po’ tutte le sconosciute che ti porti a letto. Holly fa più paura, ma è la più innocua alla fine: è una bambina, e la sarà ancora per un pezzo.
 
 
Zacky era rimasto ad osservare Matt portarsi via Holly, incredulo.
“Holly non ha mai picchiato nessuno, mai! E ha pensato di iniziare con Brian. Ma cos’è, scema? Che le hai dato da mangiare, Roxy? Non era già abbastanza iperattiva prima?”
Roxanne era rimasta ad osservare per qualche istante Holly svanire nel corridoi dove si trovavano i camerini, prima di tornare a fissare Michelle che si era avvicinata Brian starnazzando istericamente sulla pericolosità di Holly.
E stava parlando di Holly, appunto, non di un pitbull affamato lasciato libero in un’arena da Fight Club.
A quel punto suo fratello si era zittito, quando l’aveva vista scostarsi da lui e Jimmy in direzione di Brian.
“Oh merda!”
“Aspetta, lasciala fare. Non ti intromettere.”
“Perché Holly si e io no?”
“Perché inconsapevolmente hai creato qualcosa di imprevedibile, lo sai?”
Jimmy si era zittito, così come tutti gli altri lì attorno. C’era tensione nell’aria, e persino Michelle aveva dovuto chiudere la bocca notando come la mascella di Brian si fosse indurita sotto le sue dita.
“Fa’ vedere.”
Roxy, con aria professionale – e soprattutto, con l’aria di chi avrebbe appeso il mondo per le palle a testa in giù – aveva sollevato leggermente il mento del ragazzo tra le dita, scrutandolo con attenzione.
“Tutta questa scena per niente, Brian? Non credevo ti fossi rammolito così tanto.”
Primo attacco: colpito.
“Sei diventata medico, nel frattempo, Roxy?”, l’aveva apostrofata Michelle in tono volutamente sarcastico.
“No, ma sembravate usciti da E.R. quando Brian sta benissimo. Sono scene un po’ patetiche, no? Specie considerando che a colpirlo è stata Holly.”
“Quella è pazza.”
“E’ più pazzo chi crede che Brian possa morire per così poco. Non lo uccide nulla, dopotutto.”
Secondo attacco: colpito.
Al terzo sarebbe stato affondato o se ne sarebbe andato via con la coda tra le gambe, in ogni caso, sarebbe finito a terra k.o.
“Avresti dovuto colpirla, Brian. Così ci hai fatto la figura del fesso.”
Roxanne aveva sgranato gli occhi spostando lo sguardo da Brian a Michelle, inorridita dalle parole della ragazza.
Ma era davvero così cretina?
“Se avesse colpito Holly sarebbe stato un… codardo? Ma forse Brian potrebbe trovare un termine più adatto. Anzi, Holly direbbe: un mostro senza cuore. E lo penso anch’io. Buon proseguimento ragazzi.”
Colpito e affondato, e non prima di essere riuscito a incrociare lo sguardo determinato di Roxy e aver sentito il profumo della sua pelle.
Quello che lo mandava fuori di testa sempre.
Roxanne, dei Baker, aveva ereditato la determinazione, ma se Zacky aveva avuto il dono di parlare sempre, che fosse il momento giusto o meno, l’intelligenza di Roxy la portava sempre a parlare quando l’occasione lo richiedeva.
E difficilmente sbagliava il colpo.
 
 
“Non voglio finire al pronto soccorso per colpa di quell’idiota di Brian,” aveva pigolato Holly seduta accanto a Roxy sul sedile posteriore dell’auto di Ian.
“Perché immagino che sia stato Brian a precipitarti sulla mano, vero?”, l’aveva schernita Nick ridendo.
“Non voglio vedere dei medici, Nick. Io odio i medici.”
“Non è che hai paura, eh?”
Holly aveva sbuffato in direzione di Ian, incrociando le braccia al petto.
“E’ stato solo un incidente di percorso: se fosse arrivata anche la Chihuahua Scema sarebbe stata proprio la serata perfetta per decidere di gettare una molotov nel backstage di quei cinque idioti.”
“Qualcosa mi dice che hai litigato con Matt”, le aveva sussurrato Roxanne mentre Nick e Ian si erano persi dietro a discorsi su ipotetici allenamenti di karate e sfide all’ultimo sangue da fare sulla spiaggia, di primo mattino.
Molto epico, davvero.
Roxy se l’era vista sbucare di gran carriera dalla zona dei camerini, sbattendo prima addosso a Johnny – che nemmeno aveva avuto il tempo di salutare – e poi contro uno dei Berry, che aveva scansato in malo modo. Quando le era arrivata vicino, a Roxanne era sembrato di avere davanti una bambina che aveva appena combinato il più grande dei disastri, aveva l’aria mortificata di chi ha rovinato tutto.
“Tutto bene?”
“Scusami, è stato colpa mia se… be’, lo sai”, aveva sospirato Holly rassegnata all’idea di essere la causa di un finale di serata davvero discutibile.
“No, veramente non lo so.”
“Mi prendi in giro?”
“Io sto bene, anzi… mi è servito vederli.”
“Cioè?”
“Mi ha dato la carica per voltare pagina.”
Holly aveva sgranato gli occhi aprendo le labbra in un sorriso che le attraversava il viso da parte a parte, incredula, ammiccando in modo quasi convulso in direzione di Ian.
“Quindi…”
“Più o meno, si.”
“Ian festeggiamo. Lasciami a casa di Nick.”
“Ma che cazzo, Holly! Devi per forza dirlo a questo modo?”
“Zitto tu, poi ti spiego.”
“Sarei curioso di sentirle, queste spiegazioni, lo sai Nick?”
Aveva riso, Ian, voltando nella laterale che portava a casa del ragazzo anziché all’appartamento di Holly.
 
 
“Come fai a essermi sempre vicino?”, gli aveva chiesto all’improvviso Holly mentre dondolava fiaccamente le gambe oltre lo sgabello della cucina.
“Non c’ero io, c’era Roxy.”
“Dai, scemo, dico sul serio. Come fai a stare con una come me?”
“Secondo me non ti è chiaro com’è una come te, fermo restando che come te io non ne ho mai incontrate.”
“Sei stato fortunato allora.”
“Ad averti trovata?”
“Mi prendi in giro? A non averne trovate altre.”
Holly continuava a guardare le dita di Nick fasciarle con pazienza – l’uno accanto all’altro – indice e medio della mano destra, stretti attorno a due stecche di legno recuperate dai gelati confezionati che i due si erano mangiati prima di procedere all’operazione da piccolo chirurgo.
“Sai che sei assurda? Ti fai troppi problemi. Che cos’è successo stasera che non mi hai raccontato?”
Già lei faceva schifo a raccontare bugie, poi Nick aveva persino la dote innata di leggerle dentro senza alcuna difficoltà.
“Dov’è il segreto?”
“Quale segreto Holly?”
“Del fatto che tu riesca a sapere tutto senza che io dica nulla.”
“Sono solo attento, tutto qui. Non ci vuole un genio per capire che non è solo colpa della discussione con Brian. Roxy era in forma, l’ho vista più energica del solito. L’hai fatta andare via da sola con Ian per quello, no?”
Holly aveva annuito con il capo, senza parlare. Era bello potersi capire senza dover per forza sprecare fiato, far parlare Nick per entrambi era rassicurante e le permetteva di riordinare le idee con la razionalità che le mancava quando agiva di puro istinto.
“Volevo che… be’, mi sembrava l’occasione adatta perché potessero chiarirsi, ecco.”
“Stanno insieme, no? Cos’hanno da chiarire?”
“La posizione di Brian, più o meno. Credo che Ian sia curioso di sapere che effetto ha fatto a Roxy rivederlo, tutto qui. Io e te eravamo quelli di troppo.”
Nick aveva sollevato lo sguardo su di lei scuotendo il capo, tornando a fasciare stretto attorno alle dita.
“Ahi! Guarda che mi servono, così finisce che non circola nemmeno il sangue.”
“Non mi hai risposto, smettila di tergiversare.”
“Okay okay, hai vinto. Ho fatto litigare Matt e Val.”
Nick sapeva tutto, dall’inizio alla fine Holly l’aveva riempito di nomi e ricordi che non avevano alcun volto per lui, se non quello di suoi ipotetici colleghi. Più o meno. Olivia aveva deciso che a Nick doveva raccontare ogni cosa, perché quello che aveva lasciato ad Huntington Beach era una fetta del suo cuore: l’altra metà gliela stava offrendo, era legittimo dunque sapesse dove trovare la parte mancante, nel caso fosse servito. Gli aveva raccontato più o meno gli anni infernali di un’adolescenza vissuta nel terrore di essere ridicola, cosa che puntualmente accadeva non appena usciva dal tracciato impostole inconsciamente da Zacky, Matt e da sé stessa.
“Credi che non abbiano mai litigato a causa tua prima?”
“Eh?”
“Voi donne avete un sesto senso innato per capire se qualcuna ci prova con il vostro uomo. Valary avrà visto la cosa sin dall’inizio, no?”
“Si ma io non ci ho mai provato con Matt!”
Forse.
“Sicura?”
“Si, cioè… mi sono sempre comportata normalmente con lui. L’unica volta in cui volevo buttarmi ho sbattuto la fronte contro le transenne al loro primo concerto ed è finita in rissa. Sai, credo sia stato un segno del destino, ma c’è voluto un po’ per capirlo. L’unica cosa che ho continuato a fare da allora è stato tingere i capelli di rosso o arancio. Mi fanno sentire bene. A volte mi domando se non sia stato solo una scelta di comodo, Matt. Sai, una di quelle cotte adolescenziali in cui ti fissi per non stare a sentire i ragazzini che ti strepitano intorno, per sentirti grande o al pari di quelle che un ragazzo ce l’hanno, o magari solo per avere qualcosa su cui fantasticare. Finisce sempre che idealizzi le persone, a quell’età.”
“E’ delusione quella che vedo sul tuo bel faccino?”
“Matt è una capra, Nick. Oggettivamente, con tutto quello che sta facendo passare a Valary mi domando quanto avremmo resistito insieme. Due giorni, probabilmente”, aveva sbottato lei guardando Nick infiocchettarle le dita come se fossero un pacco regalo.
“Una settimana e saranno come nuove. Sono meglio di un medico.”
“Sei meglio e basta, Nick.”
“Meglio di tutto?”
“No”, aveva sorriso lei cingendogli il collo con le braccia, sfiorandogli la punta del naso con il proprio.
“I miei cupcakes ti battono.”
Nick era scoppiato a ridere, stampandole un bacio sulle labbra e sollevandola dallo sgabello, le gambe di Holly serrate attorno alla sua vita mentre di corsa l’aveva portata verso la camera da letto.
“Quelli non li batte nessuno.”
“Ti amo, lo sai? E non avrei mai creduto di poterlo dire a qualcuno.”
Nick l’aveva guardata, sorpreso, scostandole dal viso una ciocca di capelli. Gli piaceva con tutti i suoi difetti, compreso il suo caratteraccio. Holly non era bella, era una tizia carina che ti balzava agli occhi per quel suo colore assurdo di capelli e basta, ma per lui era tutto.
E quello, non avrebbe mai creduto di poterlo dire di qualcuno. In genere, il tutto era lui.
“Sicura che non mi stai idealizzando?”
“Per tua sfortuna no.”
Ad Holly non importava che Nick le ricordasse una cosa simile, era sempre lei quella restia a ripetergli quelle due parole che fanno la felicità degli innamorati. Per lei erano come oro, trovava stupido sbattergliele in faccia di continuo: erano per le occasioni importanti, erano nei momenti come quello, in cui esistevano loro soltanto nel silenzio della notte.
Nick, invece, si stupiva sempre quando Holly glielo diceva, perché erano quel momento in cui si abbandonava totalmente lasciando cadere anche l’ultima delle barriere: restava solo la piccola Holly da abbracciare, quella che si accoccolava tra le sue braccia mentre suonava la chitarra dondolando la testa al suo ritmo, quella che univa il respiro al suo mentre dormivano l’uno accanto all’altra.
Quando Julian li aveva visti insieme, prima di ripartire per New York per organizzare i preparativi per l’incisione del nuovo album, aveva osservato Holly tenere Nick per mano, incuriosito.
“Sai cosa ti dico?”
“Cosa Julian?”
“Che ci perdi la testa, per una come lei.”
“Mi sa che è un avvertimento un po’ del cazzo, ora. E sentiamo, come mai?”
“Non la riuscirai mai a domare del tutto, ci sarà sempre un punto interrogativo, da qualche parte, che giocherà sulla sua impulsività. Non puoi comandarla come tutte le altre, e la vita non è una sfida.”
“Holly non è una sfida.”
“In bocca al lupo allora.”
In quel momento, mentre Holly si raggomitolava accanto a lui, incastrandosi perfettamente nello spazio tra il suo braccio e il fianco, qual’era il punto interrogativo che non avrebbe saputo cogliere?
 
 
Ian e Roxy si erano arrestati poco distanti dall’appartamento di Roxy, immersi in un silenzio che non aveva nulla di imbarazzato, ma era la naturale conseguenza della pace dovuta alla mancata presenza di Holly nell’abitacolo.
“Com’è stato?”
Ian le aveva porto la domanda a bruciapelo, ma nel suo tono non c’erano gelosia o invidia. Lui era il presente di Roxanne e il fatto di non essere relegato al passato – pur ingombrante che fosse, Watkins aveva dalla propria parte Holly e Nick e la lontananza da una città che aveva troppi ricordi appiccicati addosso. Cardiff, che gli sorrideva ogni volta che vi metteva piede, era la culla ideale per ripartire da zero, dove costruire ogni cosa sin dal principio. E lui era un ottimo inizio, insomma – era decisamente ciò che gli dava la certezza Roxy fosse, almeno in parte, sua.
“Avrei creduto peggio. Quando mia nonna mi snocciolava tutti quei proverbi a cui non credi mai, tipo lontano dagli occhi lontano dal cuore, un po’ aveva ragione. Abbiamo la tendenza a credere che le ferite non si rimargineranno mai ma forse è perché preferiamo piangerci addosso che cercare di guardare avanti e continuare a vivere. E’ un po’ come vivere senza un polmone, ecco, l’aria passa a fatica, ma è solo questione di abitudine. Poi ti svegli una mattina e capisci che sei tornato a respirare e qualcuno ti ha dato un’altra sacca di ossigeno.”
Gli aveva sorriso, guardandolo negli occhi. Ian non aveva avuto la pretesa di farle dimenticare Brian o di sostituirlo: semplicemente, voleva essere il suo nuovo ragazzo. A Roxy la cosa era suonata strana, all’inizio, ma conoscendo la caparbietà di Ian e quel suo senso assoluto di devozione e sincerità spiccata troppo simile a quella di Holly perché i due non finissero o ad ammazzarsi o a scegliersi come compagni di confidenze, aveva finito con l’accettare la sua corte – prima inconsciamente perché le faceva bene sentirsi bella e al centro dell’attenzione di qualcuno che non fosse Brian, di un ragazzo che la vedeva comunque speciale. E non solo perché ricordava a memoria ogni cosa – perché Ian era qualcosa di nuovo che le piaceva davvero, e se profumava un po’ di California per quei suoi tatuaggi e l’abbigliamento, be’, andava bene lo stesso.
“Comunque la tizia di cui parlava Holly, la Chihuahua Scema… è la nuova ragazza di Brian?”
Roxanne era scoppiata a ridere vedendo Ian imitare il cane in questione strabuzzando gli occhi.
“No, quella è la fidanzata di mio fratello. Prima o poi darà un soprannome anche a Michelle, e ho paura di cosa potrà partorire quel giorno.”
“Secondo me bisogna essere parecchio immaturi per mollare tutto solo per la musica. Tu non gli avresti permesso di lasciarla, è stato lui ad autolimitarsi. Prima o poi rinsavirà, e a quel punto che farai?”
“Ci sarai ancora?”, gli aveva chiesto lei, decisa.
“Si, ma sarai tu a scegliere per entrambi.”
“Farò la scelta giusta. Non voglio parlare di futuro, figli, matrimoni e cose simili. Voglio vivere il presente, afferrare l’adesso e non lasciarmelo sfuggire. A volte mi sembra di aver vissuto per anni proiettata verso il giorno in cui avrei visto i miei sogni realizzarsi. Ora voglio che ogni giorno possa farmi vivere un piccolo sogno.”
“Hai trovato il genio che esaudirà ogni tuo desiderio, principessa. Qual è il primo?”
“Un bacio del genio?”
Ian l’aveva guardata, sporgendosi verso di lei afferrandole il viso tra le mani, per poi lasciarla stringendo tra le dita una ciocca di capelli con cui aveva preso a giocare.
“Mi distrai, Ian…”
“Anche tu.”
Per Roxy non c’era mai stato nessuno al di fuori di Brian, ma Ian sapeva come prenderla, cosa offrirle e come darglielo. Non le chiedeva nulla in cambio e lei, spontaneamente, gli dava tutto ciò che poteva. Forse non era il tutto che aveva ceduto a Brian durante gli anni della loro storia, ma chi l’aveva detto che non poteva esistere un tipo diverso di amore, diverso dal primo? Chi l’ha detto, poi, che il primo sia quello più grande?
 
 
 
*
 
 
Holly era impallidita mentre Roxanne aveva esultato di gioia alla notizia che Ian gli aveva offerto posando sul tavolo del pub quattro ingressi VIP per uno dei locali più esclusivi di Los Angeles.
“Tanto negli Stati Uniti dovevo tornarci comunque, devo andare a incidere il nuovo album o Julian mi viene a prelevare qui a Cardiff. Che faccia fai, Holly? Sembra che non abbia tutta questa voglia di tornare in California.”
“O non vuoi tornarci con noi?”, era stata la pronta rimbeccata di Ian mentre beveva tè freddo al limone.
“Ehi, cos’è quella faccia?”
Per la prima volta in cinque anni stava organizzando il rientro a casa con qualcuno. Non era sola e per di più si era resa conto – con una punta di sorpresa - di come la lontananza poteva affievolirsi quando hai accanto qualcuno che si prende cura di te. Che ne potesse pensare il mondo, Roxanne per lei era fantastica: era bellissima, era femminile, era intelligente e divertentissima. Se le avessero dato la possibilità di scambiare la propria identità con qualcuno, avrebbe scelto Roxy. Anche quella che lei considerava la peggiore delle condanne, a Holly non sembrava poi così male: certo, la memoria fenomenale di Roxy la fregava sul piano emotivo, ma nella vita quotidiana era una cosa esplosiva. Come tutti i doni aveva il rovescio della medaglia, ma era certa che prima o poi Roxy avrebbe trovato anche il lato divertente della sua memoria eidetica e a quel punto, voleva essere in prima fila a fare casino.
“Pensavo. E’ la prima volta che rientro a casa con qualcuno.”
“Sicura di sentirti bene?”, era stata la risposta di Nick, accompagnata da una manata sulla fronte per sincerarsi della temperatura della ragazza.
“Smettila di leggermi nel pensiero!”
Roxy e Ian si erano scambiati un’occhiata complice, portandosi a fissare Holly con fare curioso.
“Ora vogliamo saperlo anche noi, però.”
La rossa aveva spostato lo sguardo su Roxy e poi su Ian, entrambi con un sorriso serafico stampato in faccia.
“Vi odio, okay? Stavo pensando che vi odio come non ho mai odiato nessuno prima. Contenti?”
“Non ci freghi”, le aveva risposto Ian senza particolare inflessione nella voce.
“E’ una cosa da donne”, aveva bofonchiato lei imbarazzata mentre Nick aveva preso un paio di tovaglioli di carta fingendo di asciugarsi lacrime di commozione inesistenti.
“Sai che sei un idiota quando ti impegni?”
“Hai detto che è da donne, ti sei classificata così! Dio questo è un giorno da ricordare!”, e si era gettato a terra in mezzo al locale abbracciandole le gambe come se avesse davanti la statua della Madonna, costringendola a una risata che aveva contagiato un po’ tutti i presenti al pub.
“Okay mi arrendo. E’ per il party.”
“Perché?”
“Lì saranno tutti vestiti bene, tutti tirati a lucido e… be’, lo sapete come sono, no?”
“Ma ti lavi, Holly, sei pulitissima!”, le aveva risposto Roxy trasportandoli di nuovo in uno stretto giro di risate.
“Non ho nulla da mettere di adatto ad un’occasione simile.”
Ian aveva spostato lo sguardo da Roxanne a Holly, prima di sporgersi e afferrarle le guance stampandole un bacio sul naso.
“Stai crescendo anche tu!”
“Perché mi vesto come un ragazzino quindicenne non significa che mi faccia schifo tutto ciò che è femminile, eh.”
“Lasciate fare a me, mi occupo io di lei.”
“Ma veramente non è il caso Roxy. Andrò a trovare qualcosa di decente da H&M e…”
Roxanne e Ian avevano strabuzzato gli occhi inorriditi, mentre Nick aveva sollevato gli occhi al cielo, esasperato.
“E’ irrecuperabile. Roxy, se ce la fai significa che Dio ti ha permesso di compiere miracoli.”
“Non è così tragico come pensi, Nick.”
“E io che l’ho fatto solo per non farti sfigurare”, gli aveva risposto Holly con aria corrucciata.
“A me piaci così, scema.”
“Ai tuoi amici piacerei un po’ meno se arrivassi vestita con un paio di jeans e la canotta dei Bulls.”
E poi non voglio che ti metti a guardare le altre come guardi me. Voglio esserci solo io, per te.
 
 
*
 
“Ti ho detto di no, sei pazza? Metti via quella carta di credito, Roxy!”
Holly aveva saltato in aria con una shopping bag carica di vestiti appoggiata alla spalla sinistra a farle da contrappeso, afferrando la carta che l’amica teneva tra le dita, una quindicina di centimetri sopra la propria testa.
“Dimenticavo che sei un maschiaccio, a discapito di tutta la roba che tieni lì dentro. Giocavi a basket per caso?”
“Facevo qualche tiro con Matt la sera, ma sono troppo bassa per poter fare una cosa del genere seriamente. Te la restituisco solo se mi prometti che non oserai nemmeno pensarci, di pagare tutta questa roba, chiaro?”
“Altrimenti cosa mi fai?”
“Dirò a Zacky di Ian”, aveva risposto la rossa allungandole un’occhiata vittoriosa e la carta di credito.
“Io pago e tu a Zacky puoi dire di Ian. Non potrà eliminarlo dalla faccia della terra, no?”
“No, solo renderti la vita impossibile.”
“Potrei dirgli di Nick.”
Holly era impallidita, sgranando gli occhi con espressione terrorizzata gesticolando in maniera convulsa come se stesse tentando di scacciarsi il malocchio di dosso.
“Dio, quando lo saprà sarà la fine. Sai che tuo fratello ci farà il terzo grado, vero? In confronto le SS avevano mezzi di persuasione di una beauty farm.”
Roxy era scoppiata a ridere sfilandole di mano i capi di abbigliamento e offrendo alla commessa la propria carta di credito con fare ammiccante: la miglior tecnica per fregare Holly era distrarla, e in quel momento le ricordava un gatto che corre dietro a un gomitolo di lana colorata, ignorando tutto ciò che gli sta attorno.
“Ma perché non gliel’hai ancora detto? Così ti accuserà di avergli raccontato bugie.”
“Chi, io? Ma se quello scemo quando mi chiama mi chiede come sto, poi mi chiede di te, mi dice che la Chihuahua Scema vuole comprare uno sgorbio che ha il coraggio di chiamare cane e poi attacca a dirmi quanto sono spaziali le nuove canzoni. Comunque Jimmy e Dakota lo sanno.”
“Jimmy è una tomba, non ne farà mai parola con gli altri.”
“Si, aspetterà sadico di vedere le loro facce quando lo sapranno. E’ stato l’unico a chiedermi chi mi avesse mandato i girasoli a San Valentino, e gli ho detto la verità. Se me l’avesse chiesto anche Zacky gliel’avrei detto. Ma tuo fratello evita di farsi troppi problemi in merito, è il solito egocentrico.”
“Non mi vorrai far credere che non ti chiede mai nulla su di te, vero? Non ci crederei nemmeno se lo vedessi.”
“No, mi chiede ogni cosa ma non mi ha mai fatto domande specifiche, e io ho evitato l’argomento a essere sincera. Vorrei dirgli una cosa del genere a tu per tu. Dopotutto è il mio migliore amico, no?”
Holly si era distratta a osservare la bigiotteria esposta, sfilando da uno degli scomparti una coppia di brillantini per orecchio.
“Secondo te a Zacky piaceranno?”
“Questa non è la giornata dedicata allo shopping di Natale, Holly.”
“Quindi li bocci?”
“Scusa? A mio fratello piaceranno da impazzire.”
“Magari se li compra da solo in diamanti, già che c’è”, aveva borbottato Olivia rimettendo al proprio posto gli orecchini. La commessa aveva sgranato gli occhi, squadrandole.
“Scusa, tuo fratello è libero? Nel caso io sono disponibile.”
“Scusa?”
“Se sei così brava a origliare, avrai anche sentito che sta con la Chihuahua Scema, no? Che razza di domande fai?”
Holly aveva preso tra le mani la borsa, puntando gli occhi su Roxy, allibita dall’intraprendenza della commessa e dalla determinazione di Holly.
“Mi hai fregata!”
“Andiamo, evitiamo scenate qui dentro eh.”
Roxy l’aveva presa per un braccio trascinandosela dietro, mentre Holly puntava i piedi a terra come un somaro.
“Senti, parliamoci chiaro. Tu mi hai sopportata, mi hai presa in casa con te, mi hai ascoltata e aiutata senza che nessuno ti avesse chiesto di fare tutto ciò. Sono in debito.”
“Eh? Me l’ha chiesto tuo fratello di prendermi cura di te.”
“Quello che hai fatto tu chiunque altro l’avrebbe fatto per una migliore amica, non una conoscente. Voglio davvero ringraziarti per quello che hai fatto, questo è il mio regalo. Accettalo, okay?”
Roxanne aveva deviato lungo il marciapiede a passo spedito, costringendo Holly a seguirla senza darle possibilità di replica. A Holly, passare il proprio tempo con Roxy, piaceva da impazzire.
“A cosa serve portami qui dentro?”
Olivia aveva sollevato lo sguardo sull’insegna di Victoria Secret’s, preoccupata.
“A ringraziare Nick per essere stato a sopportarmi mentre ti prendevi cura di me. Poi fammi sapere se apprezza.”
Olivia era arrossita vistosamente, e aveva dovuto rinunciare anche a stare ferma perché si era lasciata prendere dall’agitazione più pura.
“E’ solo un negozio, non ti mordono.”
“Ma che senso…”
“Ha tutto il senso del mondo, fidati.”
Se non si fosse fidata, Holly non sarebbe nemmeno uscita con lei. Roxanne sapeva sempre prenderla per il verso giusto e le aveva spiegato un sacco di cose che lei aveva sempre ignorato. O che, semplicemente, non le erano mai interessate davvero. Le aveva fatto comprare un paio di Mary Jane di vernice nera per snellirle i polpacci muscolosi e regalarle qualche centimetro di altezza in più; avevano acquistato uno stock di trucchi da fare invidia al miglior make up artist di Los Angeles da condividere come due sorelle - per Holly i soliti colori scintillanti e pop, per Roxy i più classici colori pastello -; e abiti vintage, maxi maglie, skinny e minigonne.
“Non avremo esagerato, vero? Cioè… non devo mettere tutta questa roba a Los Angeles, bastava il vestito che abbiamo scelto per il party.”
“No, ma potrai farti carina molto più spesso, così Nick sarà ancora più innamorato. Non che gli importi molto di quello che ti metti addosso, ma secondo me avrà una piacevole sorpresa a Los Angeles. Sei felice?”
Holly aveva annuito con forza, sorridendo, uscendo dall’ennesimo negozio con almeno qualche capo di abbigliamento in borsa. Aveva comprato anche felpe, t-shirts e un paio di scarpe da ginnastica – il suo tallone d’Achille – ma poteva vantare una serie di abiti femminili che aveva scelto su indicazione di Roxy, tra prove nei camerini e risate proprio come nei film.
“Nick è fortunato, lo sai?”
“E’ così strano che io abbia il ragazzo, Roxy?”
“No, perché? Credo sarebbe strano il contrario.”
Non sapeva spiegare il perché ma si sentiva bene, come se potesse indossare tutta quella roba senza apparire ridicola. Per la prima volta era sicura di aver fatto ogni cosa in modo perfetto, e né Zacky né Brian sarebbero riusciti a farla sentire diversa da ciò che era. Restava lei anche con quel vestito verde pastello, e se non sapevano distinguere chi c’era sotto, be’, non sarebbe più stato un suo problema.
 
 
Los Angeles, 2005.
 
 
Nick teneva per mano Holly come se fosse la cosa più preziosa di tutta una vita. Julian era stato il primo a intravederli nella folla – impossibile, comunque, non notare la zazzera arancio che sfumava in un vivido giallo di Holly – e si era diretto verso di loro facendo un casino pazzesco. La prima fotografia che gli era stata fatta, ritraeva Holly stretta tra Julian e Nick che le stampavano un bacio sulla guancia: Holly con espressione stupita, i due con l’aria fottutamente persa.
“Ma sono tutte così le feste qui? Cioè, la gente ti fa le foto e tu ci stai e basta?”
“Poi finisci sui giornali, ma quella è la prassi. Dovrai farci l’abitudine, te l’avevo detto, no?” le aveva chiesto Julian porgendole un bicchiere di birra.
“So a cosa vado incontro, ma visto che poi ti lascio portare via Nick, per questa sera mi immolo sull’altare della celebrità.”
“Ehi ehi, non ci prendere troppo gusto: tu sei di mia proprietà, non ti divido con il resto del mondo.”
Nick le aveva passato le braccia attorno alla vita da dietro la schiena, posando il capo nell’incavo tra spalla e collo, la pelle nuda di Holly tiepida a contatto con la sua guancia.
“Io cosa dovrei dire, scusa? Tu e le tue fans?”
“Le lascio tutte a Julian.”
“Veramente sono tutte per me, Nick, non volevo sminuirti.”
Erano scoppiati a ridere, tutti e tre come dei vecchi amici: era bello avere anche Julian vicino, era simpatico. Assurdo, pazzo, malinconico: ma assolutamente adorabile. Se doveva dire qualcosa di Julian, la prima cosa che le veniva in mente era che le ricordava un po’ la stessa malinconia che vedeva negli occhi di Jim Morrison.
 
 
Avevano perso di vista Ian e Roxy poco dopo il loro ingresso alla festa, Nick in cerca di Julian e Ian in quella di Boris e soci. Roxanne continuava a salutare gente, a essere ricoperta di complimenti mentre Ian metteva in chiaro che la signorina era sua, sottolineando la cosa con un bacio che le aveva stampato in mezzo alla folla durato minuti interi, messaggio sufficientemente chiaro per ricordare agli americani quanto lui potesse essere al di sopra della media della plebaglia che stava lì intorno. In ogni caso, nessuno si sarebbe mai messo contro quel rompicoglioni di Watkins.
“Eccovi!”
Holly era stata investita da una serie di flash che l’avevano accecata, quasi.
“Non possiamo ritirarci, vero?”, aveva bisbigliato a Nick quando alcuni giornalisti avevano chiesto loro di mettersi in posa.
Holly, però, continuava a evitare di ricordare le buone maniere e a ricordare come, invece, anche sentendosi un po’ Trilli con quel vestito verde pallido che la faceva persino sembrare più magra, fosse sempre Olivia Bridges.
Se Roxy quindi si era lasciata trasportare dai ricordi che il suo corpo aveva acquisito sui set fotografici che aveva calcato come modella per alcuni amici di Ian a Cardiff posando accanto al ragazzo in modo perfetto, con l’aria di due divi d’altri tempi, Holly aveva fissato Nick incerta, attirando la sua attenzione sollevandosi in punta di piedi bisbigliandogli all’orecchio.
“Io non so fare quelle cose. Vedi? Dovevo avere anch’io la memoria eidetica!”
Nick era scoppiato a ridere, trascinando con sé Holly, abbracciandola e stampandole un bacio sulle labbra, bicchieri di birra che si sfioravano mentre agli obiettivi dei curiosi offrivano l’immagine di una complicità spontanea.
Holly guardava Roxy con profonda ammirazione, mista all’orgoglio di essere sua amica e di averla fatta rifiorire dopo un’infelice estate dai colori dell’inverno: un po’ di merito però, andava anche a Ian.
“Sei veramente bellissima, Roxy!”
Holly le aveva gettato le braccia al collo come se non la vedesse da mesi, e le due erano state interrotte dall’arrivo di altri fotografi, attirati da Ian che continuava a fare il mattatore della serata: adorava calcare la prima pagina, i palcoscenici ed essere il numero uno.
“Ti stai divertendo, vero?”
“Un sacco! Ma mi spiegate perché continuano a fotografarci?”
Roxy si era resa conto che Holly, a volte, era realmente più tonta di lei: di certo, Olivia vinceva sul piano delle intuizioni sentimentali, su quello non c’era ombra di dubbio.
“E’ la prassi. Se ci fossero anche fans dovremo prestarci anche a quello.”
“Anche noi?”
“Hai mai visto le foto di Val con le fans dei ragazzi?”
“Se ti rispondo di no, mi credi?”
Roxy l’aveva guardata sorpresa, poi aveva scosso il capo sorridendo.
“Tu vivi in un’altra dimensione, lo sai?”
“Posso portarmela via per questa notte?”
“Non è mia proprietà, Nick”, gli aveva risposto Roxy prendendolo a braccetto.
“Faccio un giro con Nick, voi non fate troppo casino.”
“Ricevuto mammina”, e i due si erano lanciati un’occhiata complice: dove c’erano Watkins e Bridges, i casini erano assicurati.
 
 
Holly e Nick erano riusciti a scivolare lontani dalla festa prima della fine, un paio d’ore dopo la mezzanotte, lasciando Ian e Roxy alle prese con brindisi, amici e musica a tutto volume. Era la loro ultima sera insieme, poi sino al rientro a Cardiff di Nick previsto per fine gennaio, sarebbero stati separati.
“Domani hai l’aereo presto, vero?”
“Julian alloggia nel nostro stesso albergo, mi farà svegliare lui. Che hai?”
“Mi mancherai, non siamo mai stati così lontani. E’… strano, non so come spiegarlo. E’ come quando me ne sono andata da Huntington Beach per la prima volta. Mi sentivo vuota.”
“Non saresti vuota nemmeno se lo volessi. Non hai la maledizione dell’Oca Bionda.”
“Un po’ bionda la sono”, aveva puntualizzato lei ironica.
Gialla, più che bionda. E comunque solo sulle punte.”
“Si può sapere quanti piani dobbiamo salire? Questo hotel sale fino al cielo?”
“No, solo al Paradiso.”
Quando le porte si erano spalancate su una suite costituita da una camera da letto spaziale con vasca idromassaggio e vista sull’oceano, per un istante si era arrestata incredula. Perché in un angolo, in quello in cui nessuno avrebbe guardato mai e nel quale Holly aveva puntato subito lo sguardo, stava un mazzo di girasoli a salutarli.
“Bentornata a casa, no?”
“Perché lo fai?”
“Posso risponderti come lo farebbe Julian?”
“No, voglio la tua risposta. Che me ne faccio delle parole di Julian?”
“Perché mi hai mandato fuori di testa. E quando un uomo si innamora, fa un mucchio di stronzate al diabete.”
“Tu fai solo un mucchio di stronzate, ma mi piacciono.”
Nick l’aveva baciata e in quel momento Holly aveva capito che c’era un tempo per ogni cosa: per il primo bacio, per il primo litigio, per la prima sbronza. C’era un tempo per tutto e lei, con Nick, era riuscita a incoccare la cronologia perfetta degli eventi. Ne mancava solo uno, e forse Roxy aveva fatto un po’ da fata madrina, ma era il momento giusto quello.
Holly non era una di quelle tizie che potevano vantare conquiste da star, né storie a lieto fine – a dire il vero, nemmeno storie che potessero definirsi tali – né tanto meno una che del sesso parlava senza vergognarsi, se il fulcro della discussione riguardava lei.
Per quanto potesse sembrare idiota, lei aveva aspettato il principe azzurro e l’aveva trovato: non era il suo gigante buono, ma un tizio che l’aveva conquistata con piccoli gesti, con scaramucce e l’impertinenza che non lo abbandonava mai. Se Zacky l’avesse presa in giro ancora una volta sul fatto che credeva alle favole come gli scemi, poteva vantarsi di viverci dentro ogni giorno della sua vita a Cardiff.
 
 
SMS: To Roxy From Holly H 04:03 AM
Nick dice di aver apprezzato il tuo regalo. Come procede la serata?
SMS: To Holly From Roxy H 04:35 AM
Ci stiamo divertendo, ma si sente la vostra mancanza. Ricorda a Nick che io ho gusto, allora.
 
 
Huntington Beach, 2005.
 
 
Roxanne, Olivia e Ian avevano passato qualche giorno insieme prima del rientro delle ragazze ad Huntington Beach per le vacanze di Natale e l’ormai consolidata festa di compleanno unificata. Per la prima volta, però, Roxy e Holly avevano qualcosa da festeggiare che le toccava da vicino, per la prima volta – cioè – a Roxanne non pesava condividere la festa con una semi-sconosciuta. Perché Holly era diventata una cosa molto simile a una migliore amica, una di quelle cose che ti fanno bene all’anima perché sai che ci saranno sempre. Olivia c’era stata quando non aveva vincoli affettivi nei suoi confronti, cos’avrebbe fatto per lei, ora? E lei, cos’avrebbe fatto per Holly? Assolutamente qualsiasi cosa.
 
 
“Che cazzo di storia è, Johnny! Fa’ vedere!”
Zacky aveva strappato letteralmente il numero di Kerrang! uscito quella mattina dalle mani di Johnny.
“Se lo rovini Dakota ci uccide. Anzi, ti evira, Zacky.”
“Dakota deve solo tacere: è l’amica del demonio, quella.”
“Ha detto di darti questo messaggio: dato che il mio Kerrang! in cui la mia migliore amica se ne stava lì a fare la modella è sparito – e io ero fiera e orgogliosa di lei sino alle lacrime -, puoi chiedere a Zacky di evitare di farsi delle seghe sulle mie riviste e restituirmele intatte?”
“Che cazzo, c’era pure Roxy a fare la modella per quella linea di abbigliamento da Indie! Ti pare che mi ci faccia dei solitari sopra? E’ da depravati!”
Il chitarrista, senza minimamente prestare attenzione ai servizi del giornale, guardava le fotografie con l’aria di chi desiderava solo ricredersi sui propri pensieri: già il fatto in copertina ci fosse sua sorella, lo lasciava sconvolto, e temeva che il peggio non fosse ancora arrivato.
“Io credo che dovresti chiamare Roxy prima di violare la sua privacy.”
“Johnny, ma mi prendi per il culo? Che cazzo di privacy vuoi abbia se è sulla copertina di Kerrang! in gara per la coppia più cool dell’anno?”
“Magari lei ha una versione differente da quella dei giornalisti. Sai che gonfiano sempre tutto ciò che diciamo, no?”
Zacky si era ammutolito all’improvviso e Jimmy aveva passato lo sguardo su Johnny mimandogli un cuore che si spezza, emettendone i suoni con sibili bassi e acuti.
“Se non la pianti Jimmy ti spacco il culo.”
“Non ci può essere Roxy nuda, non poserebbe mai a quel modo.”
Brian aveva avuto il tempismo di un attacco di mal di pancia a metà concerto, seguito da Matt, nell’ingresso trionfale a cui Zacky aveva risposto inchiodandoli sulla porta del garage.
“E’ tutta colpa tua, Brian. Se avessi evitato di comportarti da testa di cazzo ora non saremmo a questo punto.”
“Cosa mi sono perso?”, aveva chiesto notando la rivista che teneva tra le mani l’amico.
“Parlano di noi?”
“Se parlassero di noi l’unico motivo per cui Zacky potrebbe essere così incazzato è perché, come al solito, viene un cesso in fotografia.”
“Johnny io ti faccio diventare ancora più basso, se possibile. Nano avvisato mezzo salvato.”
Matt, con la grazia che gli era propria, aveva strappato il giornale dalle mani di Zacky, scrutando le pagine senza proferire parola.
“Guarda Matt che non devi sforzarti a leggere, bastano le figure”, era stata la sarcastica risposta di Zacky.
“E’… Holly?”
Il silenzio che era calato sulla stanza era stato spezzato dalla risata divertita di Jimmy, seguito a ruota da Johnny. Solo i tre idioti se ne stavano a fissare le foto senza poter credere ai loro occhi.
“Mi fate dare un’occhiata? Così, per partecipare al vostro shock emotivo nel pieno delle mie facoltà.”
Matt aveva passato la rivista a Jimmy, Zacky aveva lanciato un’occhiata a Brian costringendolo a sedersi accanto a lui per evitare di sentirsi il suo sguardo accusatore puntato addosso
“Sentiamo che cazzo c’entro io!”
“Ma hai visto Roxy? E’ avviluppata a quel gallese da strapazzo!”
“A me sembrano felici.”
“E Holly? Hai visto come si è conciata?”
“Oh, è il tizio dei girasoli questo?”
Jimmy stava venendo ignorato dal resto della combriccola, concentrato sul soliloquio frustrato del giovane Baker. Il batterista sorrideva alle foto delle due amiche, sinceramente felice. Holly faceva capolino in una sequenza di fotografie che la ritraevano con Nick in gesti spontanei, e tutto quello che riusciva a vedere Jimmy era una ragazzina innamorata persa di un tizio che la guardava con lo stesso sguardo adorante. Roxy e Ian sorridevano agli obiettivi con il fare di fiere da palcoscenico, uniti da una complicità differente da quella di Nick e Holly, più maliziosa e matura, forse.
Quello che aveva visto lui, però, era certo l’avessero visto anche gli altri.
“Secondo voi chi vincerà?”
Zacky e Brian avevano sollevato gli occhi su Jimmy, esterrefatti.
“Ma sei impazzito? Chi cazzo vuoi che vinca?”
“Io punto cinquanta dollari su Roxy e il gallese. Senza nulla togliere a Holly, ma Roxy è davvero figa Zacky.”
“Johnny, ti uccido.”
“Non hai ucciso Brian quando stavano insieme, perché dovresti uccidere me?”
“Perché sono incazzato, e qualcuno deve pagare.”
 
 
Holly era stata svegliata – a mezzogiorno passato – dal campanello che suonava impazzito, con l’insistenza testarda e molesta tipica dei Baker.
“Ehi, che ci fai qui a quest’ora?”
“E’ mezzogiorno, dovevamo vederci da Matt mezz’ora fa e tu ancora non ti sei fatta vedere.”
Ad Holly c’era voluto qualche istante per mettere a fuoco Zacky, davanti alla porta di casa sua, e presumibilmente Roxy era già nel garage di casa Sanders.
“Zacky ti spiace? Sono in pigiama, mi dai dieci minuti per vestirmi?”
“Si, in effetti sei imbarazzante con quel coso con gli orsacchiotti. Cazzo, hai ventidue anni ormai, non puoi metterti qualcosa di diverso?”
“Si, un baby doll, magari? Ma sei scemo?”
“Muovi il culo.”
Quando Olivia era rientrata in camera, dopo aver lasciato Zacky alle amorevoli cure di sua madre, aveva ritrovato sul cellulare: tre chiamate di Mary Anne, due di Dakota e dieci di Zacky.
 
 
SMS: To Holly From Mary Anne H 07:55 AM
Bell’amica che sei! Conosci certa gente e non mi dici nulla? E poi che razza di storia è questa?
SMS: To Holly From Dakota H 9:30 AM
Preparati a combattere, credo che dovrai dare molte spiegazioni.
SMS: To Holly From Ian H 9:45 AM
Sorpresa su Kerrang! Indovina chi è in copertina?
SMS: To Holly From Zacky H 11:58 AM
Dove cazzo sei?
 
 
“Oh, merda.”
Il fatto non ci fossero chiamate di Roxy, le possibilità erano due: o era all’oscuro di tutto, o Zacky l’aveva già fatta fuori e chiusa nel bagagliaio dell’auto e presto la stessa fine sarebbe toccata anche a lei.
Aveva risparmiato sui dieci minuti, riducendoli a otto nel tentativo di ingraziarsi Zacky, ma dall’aria incazzata aveva presupposto che ci fossero grossi guai all’orizzonte.
“Sono pronta, visto? Ho fatto alla svelta.”
“Ancora sotto scacco dal jet lag scema?”
“Senti, se devi prendermi a parole potevi anche restartene dov’eri e lasciarmi morire nel mio nido rosa. Mi mancava casa, lo sai mamma?”, aveva cinguettato lei stampandole un bacio sulla guancia.
E’ così commovente vedere come mi lasci nelle mani del mio futuro assassino, aveva pensato tra sé uscendo di casa al seguito di Zacky, tutto moine e battute con la sua genitrice. Bastardo.
 
 
“Ehi ragazzi!”
“Ehi, dove l’hai nascosto?”
Johnny, in preda alla voglia di sapere, aveva fatto cenno a Holly di sedersi tra lui e Jimmy, e in qualche modo a lei era sembrata la spiaggia più sicura dell’intero garage di Matt.
“Cosa?”
“Il tuo chitarrista!”
“Perché non ci hai detto niente? Perché non mi hai detto del gallese e di mia sorella?”
Holly aveva stornato lo sguardo dal viso entusiasta di Johnny a quello incazzato di Zacky, inspirando profondamente.
“Non credo sia carino raccontare i cazzi degli altri in giro.”
“Dovevi tenerla d’occhio, non farla cadere tra le braccia del primo Dongiovanni che passava per strada.”
“Ma credi che tua sorella sia una scema, scusa? Ian è fantastico, non poteva scegliere di meglio.”
Scegliere?”
“Si, be’, trovare?”
“Non si rimpiazza Brian con il primo che capita.”
Jimmy aveva trattenuto uno risata soddisfatta e piena, mentre la ragazza si era girata nella sua direzione indicandogli Zacky con un cenno del capo, come se stesse parlando con un pazzo. Cosa che, in verità, pensava.
“Scusa, non avevi menato Brian quando ha scaricato tua sorella di punto in bianco?”
“Che c’entra? E’ uno dei miei migliori amici, posso farlo.”
“Adesso non esageriamo, Zacky…”, l’aveva rimbeccato il primo chitarrista lanciando un’occhiata ad Holly.
“Sta sul cazzo anche a te il gallese, no?”
“Zacky stai risultando ridicolo. Perché non ammetti semplicemente di essere geloso di tua sorella?”, l’aveva provocato lei, con aria disinteressata.
“Perché non ci hai detto di avere un ragazzo?”
“Perché non me l’hai mai chiesto?”
“Non eri tu quella che raccontava sempre la verità?”
“Si, infatti Jimmy lo sapeva visto che mi ha chiesto chi mi avesse regalato i girasoli. Quelli della foto che ti avevo mandato e che tu hai mostrato al mondo, per inciso. E poi lo sapeva Dakota, ovviamente.”
“E mia sorella… Jimmy tu sapevi tutto e non ci hai detto un cazzo?”
“Come dice Holly, non me l’hai mai chiesto.”
“Questa cosa della sfida di Kerrang! è ridicola.”
“Non sapevamo ci fosse.”
“Ma se vi siete divertite come due cretine a farvi fotografare!”
“Veramente era divertente la festa.”
“Ma ti sei vista?”, e le aveva sventolato sotto il naso il servizio fotografico. Holly aveva studiato prima la pagina dedicata a Ian e Roxy sorridendo come una scema carica d’orgoglio nel vedere quanto l’amica fosse bella e felice e perfetta con Ian. Nella pagina successiva – a metterli gli uni contro gli altri una foto che li ritraeva tutti e quattro insieme, Holly e Roxy a morsicare la stessa fetta d’arancia e i ragazzi a brindare inginocchiati ai loro piedi – si trovavano lei e Nick, ed erano così diversi da Ian e Roxy da colpirla. Non c’era finzione, era solo un modo differente di porsi, ma quello che l’aveva colta di sorpresa era che si era vista perfetta con Nick, per una volta senza brutture, paranoie o sensi di inferiorità.
“Quel vestito era osceno, Holly, sembravi Trilli.”
“L’ho comprato con tua sorella”, gli aveva risposto serafica sollevando lo sguardo su di lui.
“Tu, piuttosto, da quando compri Kerrang!?”
“E’ di Dakota.”
“Zacky, mi sembra il tribunale alle streghe… si può sapere cosa vuoi da me?”
“Devo essere chiaro, no?”
“Direi di si.”
“Primo: non mi hai detto come stavano le cose. Secondo: hai rovinato mia sorella. Quando soffrirà a causa di quel tizio sarà solo colpa tua. Terzo: ti sei bevuta il cervello?”
“Quarto: sono fiera di essere ridicola, contento?”
Holly si era sollevata in piedi, scoccando un’occhiata in tralice ai due chitarristi: due idioti, altro che musicisti.
“Perché hai sempre evitato di finire sui giornali con noi?”
“Perché ti avrei fatto sfigurare, no? L’hai sempre detto che ero imbarazzante. Evita di rompere le palle a Roxy per Ian. Si piacciono, stanno bene insieme e questo basta. E’ amore eterno? Lo spero per loro, ma a lei non interessa, ora vive quello che ha e si sente serena. Non rovinarle la pace che ha ritrovato perché non sopporti l’idea che qualcuno te la porti via. E’ tua sorella, prima o poi si sposerà. Impazzirai? Forse preferivi Brian perché in un certo senso era solo un passaggio di testimone, ma guarda alla realtà per una volta. Che male ti fa se è felice?”
“Tu non sai un cazzo. Non la conosci nemmeno.”
“Già. E sono stata così stupida da assecondarti e tenerla a vivere con me solo perché non capisco un cazzo. Bel colpo Baker.”
Il bello dei litigi di Zacky e Holly era che si svolgevano sempre allo stesso modo, seguendo sempre la stessa dinamica: che ci fossero gli altri o meno, aveva poca importanza. A loro bastava avere un pretesto per litigare, per tirare fuori sempre qualcosa da mettere in gioco e scendere in battaglia.
L’ago della vittoria pendeva un po’ dall’uno, un po’ dall’altra, ma a conti fatti finivano per essere entrambi perdenti.
 
 
SMS: To Roxy From Holly H 14:50 PM
Tuo fratello ha visto Kerrang!, è fuori di testa. Preparati al terzo grado.
SMS: To Holly From Roxy H 15:00 PM
Ian mi ha mandato le scans via mail. Sono stupende le fotografie. Dici che ci daranno una copia dei rullini?
SMS: To Roxy From Holly H 15:03 PM
Sei viva, vero?
SMS: To Holly From Roxy H 15:05 PM
No, stai parlando con il mio fantasma.
SMS: To Roxy From Holly H 15:07 PM
Buono a sapersi. Anzi, stasera ci vediamo? Almeno mi assicuro che tu sia tutta intera.
 
 
“Non fiatare, Brian. Non ne hai l’autorizzazione.”
Jimmy fumava una sigaretta mentre osservava il sole calare dietro Huntington Beach, in una fredda giornata di dicembre come ce n’erano sempre, a ridosso del Natale.
“Secondo te è felice come dice Holly?”
“Si, non l’hai vista? Forse con te era diversa ma se l’hai guardata bene non hai bisogno di risposte.”
“Magari si, così mi sento ancora più idiota.”
“Non è che ti devi ricordare della cazzata che hai fatto solo perché Roxy si è presentata come un pezzo di figa da urlo e tu magari non ci hai mai fatto troppo caso.”
“Ehi, la è sempre stata!”
“A me sembra che il vostro gallese la faccia brillare, sinceramente. Un po’ come nel caso di Holly. Vero Matt?”
“Non tirarmi in ballo, non voglio entrare in questa storia.”
“Gelosia alla Baker?”
“No, a dire il vero Holly mi parlava sempre di questo Nick, ma io non mi sono mai preoccupato di chiederle chi fosse. Davo per scontato non fosse quello che è insomma,” aveva risposto il cantante grattandosi una guancia, imbarazzato.
“Ti ho chiesto un parere soltanto.”
“Si, risplende.”
Il perché, poi, era chiaro persino a uno come lui: Holly, lontana da quelli che l’avevano sempre presa in giro per ciò che era, aveva finito con il lasciarsi imbrigliare nei vestiti che le avevano fatto indossare loro. L’avevano plasmata a loro immagine e somiglianza, ed ora la vedevano staccarsi per intraprendere una strada tutta personale.
Valary lo sapeva? Val si era incazzata di brutto, se avesse nominato Holly ancora una volta probabilmente avrebbero finito con lo scannarsi sul serio. Aveva sempre creduto che Holly fosse tutelata da quei quattordici anni di bonus che aveva su Val, invece lei si era stancata di avere attorno il fantasma di una mocciosa. Holly era la sua mocciosa, era come una sorella: chi cazzo è geloso di sua sorella? Zackary Baker, per esempio.
Val non doveva temere nulla, e se per rassicurarla doveva allentare la presa su Holly l’avrebbe fatto: non era sola, poteva camminare senza problemi anche senza la sua mano a sostenerla, almeno per un po’, finché le acque non si fossero calmate.
“Comunque Zacky non ha considerato il consesso uterino. E’ fottuto. Le due donne della sua vita ora si conoscono, si frequentano e si adorano. Avete visto come Holly ha difeso Roxy a Londra, no?”
“Holly difende tutti, specie se è un pretesto per dare addosso al povero Zacky.”
“Non spalleggiarlo solo perché ti fa comodo, Brian.”
Jimmy era un amico prezioso, la voce spesso scomoda che li portava a fare i conti con la loro stupidità nel gestire i sentimenti. Perché non potevano imparare da lui a essere meno paranoici e più diretti?
 
 
“Nick mi è stato vicino, se non ci fossero stati lui e Holly non so come sarei ora.”
“Lo difendi anche?”
“E’ un ottimo musicista e un ottimo amico. E adora Holly.”
“Che cazzo c’entra?”
“Anche tu la adori, lo so benissimo. Ma lui la adora come fa un uomo innamorato, non come l’amico del cuore.”
A Roxy era toccato il terzo grado come previsto da Holly, con la differenza che suo fratello aveva giocato sporco: aveva tenuto le domande su Holly tutte per sua sorella.
“Come hai conosciuto il gallese?”
“Ian? Ha litigato con Holly.”
“Stai scherzando? E’ colpa sua quindi?”
“No, non farle una colpa anche di questo.”
“Ce l’ha eccome. Che ci trovi in quello?”
“Ian ha carattere, è determinato e ottiene sempre quello che vuole. E’ uno che non molla, Zacky, e mi piace perché non ha paura di nulla. Non è come con Brian, è diverso, ma è intenso allo stesso modo.”
“Ti prego, evitami di sorbirmi la parte al miele della cosa. Sei felice?”
“Si.”
“Non accetterò mai il gallese, sappilo.”
Roxanne aveva sorriso, posandogli il capo sulla spalla.
“Lo sai che mi sei mancato, fratellino?”
“Non fare la ruffiana.”
“Dico la verità. Tu e le tue menate da geloso. Prima o poi lo capirai il motivo, no? Sei un possessivo senza speranza, tu.”
Gli aveva dato un bacio sulla guancia, prima di uscire e dirigersi all’appuntamento con Holly. Suo fratello era uno degli uomini più scemi che avesse mai conosciuto, e iniziava a credere che Ian fosse un po’ sopra le righe, per essere - appunto - un uomo. Ian sapeva come far felice una donna e sapeva, soprattutto, come infondere fiducia nelle persone che gli stavano accanto. Persino con Holly erano riusciti nel miracolo. Perché Zacky riusciva solo a denigrare tutto ciò che non dipendeva dalle sue volontà? Perché è un fottuto egocentrico, Roxy.
Alla vocina di Holly, che le schizzava per la testa, non riusciva però a dare totalmente ragione: suo fratello non era solo stupido o solo stronzo. Aveva anche un cuore, solo che nessuno gli aveva mai spiegato come fare per ascoltarlo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell'autrice.(*) Soprannome non di mia proprietà, ma spudoratamente ripreso dall’anime di Toradora. Calzava a pennello quindi l’ho sfruttato =P
 


Note dell'autrice 2, Spam & Co.. Come al solito, se siete arrivate sino qui significa che siete: a) sante; b) masochiste; c) adorabili. L'ultima è di default, le altre due potrete barrarle a vostro gusto, in ogni caso sappiate che vi siete sciroppate la bellezza di 40 pagine di Word. Visto che però sono mancata un mese (e voi avete fatto le faccine da Gatto con gli Stivali e io non sono insensibile), spero che l'aggiornamento anticipato e la mole che vi lascio facciano in modo che perdoniate la mia assenza. Più o meno dovuta, ecco. Ad ogni modo, giusto per farmi perdonare (again) trovate [ QUI ] il trailer di Destini e [ QUI ] i blend dedicati a questi primi capitoli della storia. Sono scemate che mi diverto a fare e che condivido gioiosamente con voi (^.^)
In tutto ciò, spero non mi odierete troppo per le new entry <3
Ordunque, grazie a tutti quelli che passeranno di qui e decideranno di lasciarmi una traccia del loro passaggio, e un grazie a chi continua a sopportarmi e recensire con amore che non so come ricambiare (;_;) Prima di fine mese avrete il prossimo capitolo, e confido che sia più breve (>.<)

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Capitolo 7
*** A un cerbiatto somiglia il mio amore ***


 Huntington Beach, 2006.

 
Johnny aveva sempre avuto l’abitudine di lasciare a Dakota carta bianca, ma in quel momento non riusciva a credere che la sua ragazza stesse realmente gettando abiti alla rinfusa nella propria valigia.
“Ma sei sicura che per lei sia una sorpresa? Voglio dire, stai preparando il trolley per entrambe. Holly si incazzerà, lo sai vero?”
“Holly adora le sorprese.”
“Sei pazza. Questa storia di Roxanne ti ha messo addosso una competitività che nemmeno se ci fossi io, di mezzo, avresti.”
Dakota si era irrigidita, stornando lo sguardo dalla propria valigia al ragazzo, seduto sul davanzale della finestra con una lattina di birra in mano.
“Si, voglio dire: che cazzo di senso ha? Holly non si sottometterà mai a nessuno. Di che hai paura?”
“Ha il ragazzo da un anno ormai. E questo significa che sta rivedendo tutte le priorità e i legami della sua vita.”
“E tu credi che Nick la schiacci?”
“Non ho detto quello.”
“No, stai dicendo che la tua amica del cuore è così volubile da rilegarti in un angolo perché non ti vede per undici mesi all’anno. Cazzo, sei peggio di Zacky lo sai?”
“Zacky non ha perso la sua amica del cuore, ma la sua migliore amica, è diverso. E poi lui se l’è cercata, con quella scema di Gena che non lo lascia nemmeno respirare.”
Johnny aveva smesso di bere, osservando la curva della schiena di Dakota illuminata dai raggi del sole del primo pomeriggio di quel freddo venerdì di gennaio.
“Voi siete troppo dure con lei, per i miei gusti. Gena non sarà una che brilla per cultura come Holly, ma è irriverente e sa stare in compagnia.”
“Holly è irriverente, Gena è fastidiosa sia nel breve che nel lungo periodo.”
“Non sei oggettiva perché tu vuoi bene a Holly. Voi due vi siete montate la testa secondo me. Siete state un duo per troppo tempo, il risultato è che qualsiasi altra persona che si avvicina a noi diventa automaticamente un nemico da eliminare. L’avete fatto con Val, Gena e ora ci state provando anche con Michelle. Se volessero massacrarvi lo farebbero coalizzandosi, e tu ti troveresti da sola a gestirle dato che Holly è lontana: secondo me vi lasciano perdere perché vi considerano solo due mocciose.”
“Ma tu da che cazzo di parte stai, Johnny? Non mi dirai che credi seriamente che Gena sia adatta a Zacky, no?”
“Non sono affari nostri. Zacky con lei sta bene, le uniche discussioni che hanno arrivano nell’esatto istante in cui Holly atterra a Los Angeles. Non ti puoi porre il problema che forse la tua amica non può fare il bello e il cattivo tempo ad ogni suo ritorno a casa? Ti ho detto del casino che ha fatto a Londra, no? Matt e Val hanno litigato di brutto, se non fosse stato per Matt a quest’ora non so dove sarebbero.”
“Bella forza quello scemo. Ha praticamente smesso di chiamare Holly, si faceva sentire solo via messaggi. Holly mi ha chiesto se avesse ancora problemi alle corde vocali. Ma cosa credi, che sia facile per lei? Si sta costruendo una vita lontano da qui perché quelli che dovevano renderla felici se ne sono fregati e non hanno voluto guardare in faccia la realtà, cazzo!”
“Eh?”
Quando Dakota aveva chiuso la valigia sbattendola con forza a terra, Johnny aveva capito di aver detto un mucchio di verità, ma a sproposito. Dakota e Holly erano sempre state insieme, da che ricordava di aver messo piede al liceo, e dubitava seriamente che qualcuno potesse dividerle.
“Ehi Dak, ascoltami. Credi che Holly sia infelice?”
Dakota aveva scosso il capo, mordendosi il labbro inferiore nel tentativo di non mettersi a gridare: Johnny non si meritava di essere trattato da schifo, ma avrebbe voluto che capisse quello che la preoccupava e la supportasse. Si sentiva sola, si sentiva come si era sentita Holly anni prima, quando doveva fronteggiare cinque idioti cercando di costruirsi una propria identità e una vita che potesse racchiuderli tutti senza che qualcuno prevaricasse sugli altri.
“Sarebbe più felice qui forse. Lo pensi davvero Johnny?”
“Cosa?”
“Che ci siamo montate la testa?”
“No, ho esagerato. Però penso che il vostro rapporto vi abbia causato un mucchio di problemi. In un duo come il vostro i terzi non sono accetti, vengono automaticamente scartati e fatti fuori. Per questo ti dico che non dovresti temere nulla. Roxy vive vicino a Holly, ma questo non significa che Holly non ti voglia bene o te ne voglia meno.”
“Se avesse bisogno di aiuto Roxanne sarebbe più vicina.”
“Vorresti andare a Cardiff?”
“No, vorrei solo che non fosse mai partita. Ci pensi mai a come potevano andare le cose se Holly si fosse messa con te al mio posto? O magari con Matt, o Zacky.”
“Non si sarebbe mai messa né con me né con Zacky.”
“Con Matt si, però. Solo lui non lo sapeva, anche se credo abbia preferito ignorare la cosa. Non se n’è pentito, vero?”
“Matt ama Val, nessuno gli farà cambiare idea. Forse anni fa, prima di conoscerla, avrebbe potuto farlo ma è cresciuto con Holly. Come cazzo fai? Sarebbe stato come immaginarsi di scopare sua sorella, oggettivamente parlando.”
“Okay, vado a prendere Holly.”
“Non mi va che andiate a Las Vegas da sole, Dakota.”
“Come se non sapessimo badare a noi stesse, vero?”
“No, è proprio questo che mi preoccupa.”
“Lo so cosa ti sta passando per la testa, Johnny, e scordatelo. Se trovo te e i tuoi amichetti a pedinarci per Las Vegas tu per due mesi puoi scordarti di dormire con me.”
“Ma sei un mostro!”
“No, rendo giustizia alla voglia di prendermi quarantotto ore per la mia amica del cuore, visto che ho dovuto mettermi in lista d’attesa prima di poterla avere un po’ per me.”
“Sei una despota”, aveva sbottato il bassista sgranando gli occhi in un’espressione da cucciolo abbandonato.
“E’ il motivo per cui continui a stare con me, no?”
Dakota gli aveva posato un bacio sulle labbra, mentre Johnny l’aveva attirata a sé cingendole la vita, entrambi aggrappati alla forza dell’altro. Nessuno avrebbe mai scommesso su di loro, eppure erano quelli che avevano avuto meno problemi di tutti. perché non c’erano sospesi o un passato invadente ma solo un un comprendersi totale, una voglia di stare insieme che superava gli scazzi e i malumori quotidiani. E poi Johnny era di cattivo umore solo appena sveglio, e Dakota sapeva sempre come raddrizzargli la giornata.
 
 
“Stai scherzando Dakota?”
“Dai sali, è il tuo regalo di compleanno!”
Holly – in tuta da ginnastica – fissava Dakota che le sorrideva dal posto di guida, occhiali da sole calati sulla faccia e sorriso a trentadue denti.
“Vengo a dire a tua madre che ti riporto indietro domenica sera.”
“Dove mi porti? Non farai come Matt che mi ha costretto ad andare a pescare in quel cazzo di fiume con un freddo pazzesco vero? Ho passato una giornata intera a infilzare esche e vermi vivi sugli ami e il risultato è stato che per poco non mi sono tranciata un dito”, e aveva sventolato il pollice davanti a Dakota mostrandogli un solco rossastro che le divideva il polpastrello in due metà perfette.
“No, andiamo a Las Vegas baby.”
Holly aveva spalancato la bocca prima di richiuderla e sgranare gli occhi con aria adorante nella direzione dell’amica, gettandole le braccia al collo gridando come una pazza.
“Solo io e te?”
“Si, come quando andavamo a Los Angeles qualche anno fa.”
“Ma è Las Vegas, Dakota! Cazzo!”
“E soprattutto, siamo libere di fare tutto ciò che vogliamo.”
Holly aveva dato il cinque all’amica, soffermandosi a squadrarla con aria da professoressa.
“Hai già preparato tutto, vero?”
“Ovviamente.”
“E sei certa che Johnny non verrà a vedere che tutto sia a posto?”
“Assolutamente no. Ma se dovesse venire sono certa che si trascinerà dietro una buona fetta dei suoi amichetti.”
“Okay, dovevi dirgli che mi portavi a fare shopping a New York.”
“Poco credibile.”
“Va bene capo, non ci resta che partire.”
Ad Holly era mancata la spontaneità con cui si innescano i meccanismi in un rapporto consolidato e coltivato: si era abituata, negli ultimi mesi, a gestire convivenze desiderate da altri, imposte dal destino e dalle esigenze della vita. Nella sfiga, però, era stata fortunata ad avere trovato Roxanne, e di quel mito inarrivabile verso cui si era protesa sin da quando era stata abbastanza grande da capire il concetto di “donna”, era riuscita a conoscere una bella fetta di dolore, amore, intelligenza e determinazione. Dakota aveva il sapore dolce dei ricordi della sua infanzia, di quella felicità che ti sboccia sul viso al ricordo di mille e un’avventura che ancora riesci a raccontare nei minimi dettagli con le stesse espressioni di quando le hai vissute la prima volta. Dakota aveva il sapore dei peluche che ti porti a dormire anche quando hai vent’anni, quelli che non abbandoni perché sono stati i tuoi comprensivi confidenti nelle serate storte e malinconiche sin da quando avevi quattordici anni ed eri innamorata del tuo vicino di casa. Dakota aveva lo stesso profumo di Huntington Beach, di Zacky o Matt: era il profumo della sua infanzia, quello che le riportava sempre alla mente la cosa per cui, Olivia Bridges, avrebbe dovuto sempre rimanere coerente con sé stessa, sino alla fine. Faceva male essere coerenti, retti e giusti: spesso a parlare di verità finivi con il ferire gli altri e ammazzare te stesso. Però Holly aveva imparato che nella vita le maschere non servivano proprio a nulla, erano solo un peso che prima o poi ti avrebbe trascinato sul fondo. Aveva deciso, anni prima, di essere sé stessa anche a discapito della diplomazia, e quel profumo di casa le dava sempre la spinta per non scendere a compromessi con il resto del mondo.
 
 
“Non andiamo da nessuna parte, Johnny.”
Il bassista aveva alzato lo sguardo su Jimmy, osservandolo giocare distrattamente con le posate mentre attendevano che la cameriera portasse loro i sandwich che avevano ordinato.
“Due ragazze sole a Las Vegas non è una cosa da niente, Jimmy. Non sei preoccupato anche tu?”
“No, Holly se la sa cavare da sola, e anche Dakota.”
“Io inizierei piuttosto a parlare di quello che dobbiamo fare quando finiranno le vacanze di Natale. Ci aspetta il tour e dovremo pensare anche alle canzoni del nuovo album.”
“Verranno da sé, non abbiamo mai avuto fretta in questo senso Brian. Piuttosto, dov’è Michelle?”, gli aveva chiesto il batterista, sorpreso dalla mancata presenza della ragazza. Gran culo, bel sorriso, ma lo spaventava a sufficienza per tenerlo sempre sulla difensiva. Troppo carattere, troppa determinazione, nessun limite morale: quello che desiderava, Michelle lo otteneva, e Brian non aveva fatto eccezione alla regola.
“Con Val, Gena e Roxy, stasera passano la serata tra donne visto che le altre due hanno pensato bene di farsi una luna di miele in solitaria.”
“C’è anche Roxy?”
“Quella scema di Holly l’ha lasciata da sola, per forza”, aveva rimbeccato Zacky sorseggiando la propria birra.
“Lei hai costrette a convivere, è già tanto se non si sono ammazzate. Ringrazia il cielo per questo.”
“Senti da che pulpito, eh Brian? Ti ricordo che mia sorella è nelle mani della tua attuale fidanzata.”
Scopata, Zacky”, l’aveva corretto il primo chitarrista con il tono di chi aveva appena puntualizzato sulla pronuncia sbagliata di una nuova marca di caramelle, irritando l’amico.
“Possiamo parlare di qualcos’altro?”, era stata la risposta secca di Jimmy, nella speranza di scaricare fuori dalla stanza le tensioni. Perché le donne portavano solo problemi?
“Certo, delle nostre prossime vacanze magari”, aveva sospirato Johnny immaginando paradisi tropicali in cui restare solo con Dakota.
“Niente vacanze sino a fine anno ragazzi, le date sono già state stabilite” aveva risposto nella loro direzione il cantante, senza staccare lo sguardo dal display del proprio cellulare.
Matt inviava messaggi distraendosi dalla conversazione, rientrando – con intelligenza – solo quando erano passati gli argomenti amorosi, affettivi e cose simili. Aveva dovuto sacrificare una buona fetta del suo rapporto con Holly per Val e quella situazione gli pesava di rado, solo nei momenti in cui avrebbe avuto bisogno del consiglio della rossa: diretto, preciso, senza fronzoli. Holly gli serviva per ricordarsi quanto fosse stupido, ecco tutto. Fare quello che stava facendo, tenendosela stretta con messaggi che dovevano sopperire una mancanza fisica e spirituale, era giocare da stronzo.
“Un altro anno in tour, sai che figata?” era stata la risposta esaltata di Zacky che si era scolato così il residuo della sua birra.
“Secondo me godi così tanto perché Gena allenterà la presa”, l’aveva schernito Brian cogliendo al balzo l’occasione per punzecchiarlo.
“E’ Michelle che ti tiene per le palle, amico, o sbaglio?”
Brian aveva lanciato un’occhiata torva a Zacky prima di decidere di lasciare perdere il discorso. Lui di Michelle avrebbe potuto liberarsene in qualsiasi momento, almeno sul lato sentimentale: era una buona compagnia, era un corpo che si adattava alle sue esigenze e un qualcosa che lo faceva sentire meno solo – e più stronzo – quando avvertiva quel senso di incompletezza che scaricava con rabbia sugli altri, portandosi a letto o Michelle o una tizia della prima fila che ci sarebbe stata senza troppi problemi. Brian sapeva a cos’era dovuta quella sensazione di mancanza, ma dargli un nome – e un volto – significava ammettere a sé stesso di essere molto più stupido di quanto non avesse finto di essere in realtà. Erano passati sei mesi da quando aveva lasciato Roxanne ma non riusciva a comprendere cosa – di lei – gli facesse sentire in modo tanto doloroso la mancanza di Huntington Beach.
I ricordi sono la cosa più importante che abbiamo perché sono loro a determinare ciò che siamo oggi, gli aveva detto una volta Jimmy.
“E questa da dove esce?”
“Pensaci per un istante: è la cosa più vera che ti abbia mai detto.”
“Non è farina del tuo sacco.”
Jimmy non gli aveva risposto, e Brian aveva lasciato perdere il discorso, ma non gli occorreva guardare troppo lontano per sapere di chi era quella perla di saggezza, seduta – all’epoca – un paio di sedie dopo le loro a parlare fitto e ridendo vicinissima a Zacky, intenti a fabbricare inquietanti sculture con tappi di bottiglia, avanzi di cibo e plastica sciolta con il calore della fiamma degli accendini. Avevano vent’anni, Brian doveva ancora dichiararsi a Roxy e Holly non aveva ancora deciso di partire per New York: era tutto fermo al punto in cui si aprono mille possibilità di scelta e ognuno di loro aveva fatto le proprie. Chi aveva preso l’uscita migliore e si era gettato a capofitto dall’altro lato , senza guardarsi alle spalle uscendone poi indenne, Brian doveva ancora comprenderlo.
 
 
Roxy non aveva avuto scelta: rifiutare l’invito di Valary sarebbe stato ingiusto, non erano ancora riuscite a stare insieme senza avere intorno Zacky o Matt, e quella serata faceva al caso loro. Che ci fossero anche Gena e Michelle, era un pericolo che Roxanne aveva deciso di correre. Gena non sarebbe stata un problema – lo diventava solo in presenza di Holly, ma la loro era una faida aperta che non si sarebbe mai richiusa -, Michelle si.
“Quando pensate di tornare ad Huntington Beach, Roxy?”, le aveva domandato Val con un sorriso sincero stampato in viso. Convivere con Michelle a volte era difficile, e per quanto potesse difenderla si chiedeva come facessero a essere sorelle. Gemelle, per di più. Roxy e Valary si erano capite sin dal principio, accomunate da quella mancanza di unicità a cui ti sottopone la presenza di un gemello e i loro erano anche ingombranti.
“Non lo so, dipende da quanto sarà impegnata Holly con gli scavi. Probabilmente le affideranno alcuni lavori lontano da Cardiff, le devono confermare la cosa al nostro rientro in Inghilterra.”
Gena aveva storto il naso, inchiodando - con un cucchiaio da cocktail colorato rubato al bancone del pub - la fetta di limone che galleggiava sulla superficie della birra sul fondo del boccale.
“Tu come ti mantieni là?”, le aveva chiesto la ragazza di suo fratello, assorta nell’operazione di distruzione dell’innocente vittima che giaceva ormai inerme contro la base del bicchiere.
“Faccio quel che capita. Revisiono bozze per alcune case editrici, e quando capita faccio la modella per gli amici di Ian.”
“Non sei un po’ troppo bassa?”, le aveva chiesto Michelle con una punta di stizza nella voce. Roxanne l’aveva guardata negli occhi squadrandola per un istante sufficiente a mettere in imbarazzo chiunque, ma non Michelle DiBenedetto.
“Non è una cosa alla Alexander McQueen. E’ un gioco. I loro brand sono tutti di tipo alternativo, non badano troppo all’altezza o al peso. Guardano in genere a qualcosa che possa essere interessante per gli acquirenti.”
“E’ per quello che ha posato anche Holly, anche se è così tonda?”
Roxanne si era girata in direzione di Gena, incerta se mettersi a ridere o trattenere il moto di stizza che le era salito dallo stomaco dritto in gola.
“Holly è normale, più che tonda. Non è di certo anoressica, mettiamola così.”
“Era bello quel set, ce l’ha mostrato Dakota. Era esaltatissima. Secondo me le sarebbe piaciuto esserci,” aveva proferito Val nel tentativo di dirottare il discorso da qualche altra parte. Qualsiasi direzione le sarebbe andata bene, l’importante era che Roxy e Michelle non si scannassero. Aveva deciso di correre il rischio, quella sera, e lo stesso Roxy, ma era l’unico modo per stare un po’ insieme e parlare di cazzate, senza troppi problemi per la testa, come non accadeva da tempo.
Valary voleva sincerarsi delle condizioni dell’amica, voleva toccare con mano se quei sorrisi erano sinceri o frutto di una maschera perfetta e, a quanto pareva, erano veri.
“Si sarebbe divertita, Holly non stava ferma un secondo. Magari possiamo chiedere a Bori di farvi posare con noi, la prossima volta che ha bisogno di modelle a Los Angeles.”
“Sarebbe fantastico!”
“No passo,” aveva risposto in replica Michelle alla sorella. Gena aveva esitato qualche istante, poi un sorriso sornione le si era dipinto sul viso, di quelli che – a detta di Roxy – dovevano aver fatto perdere la testa a suo fratello.
“Se non è un problema io ci starei eccome. Deve essere divertentissimo!”
“Allora possiamo organizzarci, credo che la nuova linea debba uscire tra qualche mese. E’ probabile che per l’inizio dell’estate ci sia la possibilità di lavorarci.”
Roxanne non sapeva se quell’invito sarebbe stato di gradimento ad Holly, ma già il fatto non fosse presente Michelle era un punto a suo favore. Holly poteva anche decidere di non posare come modella, alla fine dei conti. Si era divertita, ma continuava a essere restia a qualsiasi apparizione pubblica: quando poteva evitare di presentarsi, lo faceva più che volentieri. Si era persino nascosta sotto il tavolo, in un pub a Londra, quando alcuni fotografi li avevano sorpresi a festeggiare il compleanno di Nick.
Holly continuava a tenere alla sua vita privata in modo morboso, come se tutto il resto del mondo non dovesse mai venire a contatto con i suoi sentimenti o i suoi ricordi. Roxy non riusciva a comprendere il motivo per cui Olivia detestasse così tanto i giornalisti e i fotografi, o i fans che le chiedevano una fotografia in compagnia sua e di Nick. Roxanne, però, dalla propria parte aveva Ian che la esibiva in modo fiero al resto del mondo, come un diamante puro che nessuno poteva permettersi di toccare. E a lei piaceva lasciarsi guardare da Ian, il suo sguardo fiero e carico di quel desiderio che solo un uomo davvero innamorato può concedere alla sua donna, quello sguardo che ti spoglia davanti a centinaia di persone. Le prime volte Roxy si sentiva a disagio, poi aveva imparato che Ian Watkins era anche quello: passione, e a lei piaceva lasciarsi travolgere e lasciargli condurre il gioco perché si sentiva immortale, bellissima, perfetta.
“E’ andata meglio del previsto, no?”, le aveva sussurrato Val mentre si dirigevano insieme verso il bagno delle ragazze.
“Perché non ci siamo azzuffate come cane e gatto? Immagino sia giusto così. Voglio dire, è lei che sta con Brian ora.”
“Più o meno. Diciamo che sono una coppia aperta. Brian non si fa fregare dallo sguardo da cerbiatta di mia sorella, ha messo le cose in chiaro sin dal principio: lei ha la priorità, ma non è l’unica. A Michelle va bene così, per cui vanno avanti con questa situazione patetica.”
Roxy aveva lanciato un’occhiata fugace a Val prima di tornare a guardarsi allo specchio cercando quella sé stessa che aveva avuto il coraggio di mollare tutto e partire. Quella che aveva anche imparato a vivere senza l’amore della sua vita, che aveva creduto che il secondo potesse essere persino migliore del primo, se si fosse impegnata a dimenticare almeno qualcosa di Brian. La sua memoria non la aiutava di certo, eppure in qualche modo aveva superato la fase “Brian Haner Jr” ed era entrata nella frenetica fase “Ian Watkins”, dove all’idillio si aggiungeva la sicurezza del gallese, carica della strafottenza che Brian non aveva mai posseduto. Con lei Brian era sempre stato un imbranato cronico, ed era bello per quello: Ian sapeva sempre cosa voleva, come muoversi e come farla felice. Sapeva come prendere le donne, perché di donne – prima di lei – ne aveva avute chissà quante. Aveva importanza? C’era lei, nel suo presente, e le andava bene così.
“Scusa, non volevo…”
“Io sto bene, eh. Se non ci fosse Ian potrei mentire, ma non sono il tipo da stare con un tizio solo per… be’, per non sentirmi sola.”
“Lo so. A me quel Watkins sembra un tipo okay, e l’importante è che comunque tu sia felice. Brian è stato un coglione. Non dovrei dirlo, però… eri più adatta tu a lui, di Michelle.”
“Così però non aiuti, eh,” le aveva risposto la ragazza sorridendole.
“Mi sei mancata Roxy. E’ difficile convivere con Michelle soltanto, tu eri una boccata d’aria preziosa. Perché non torni ad Huntington Beach?”
“Preferisco di no. A Cardiff le cose funzionano e girano per il verso giusto, e poi ho Ian. Tornare vorrebbe dire gestire una storia a distanza, e sinceramente non me la sento ora.”
“Sei innamorata di lui?”
“Si. Non nel modo in cui amavo Brian, se è quello che vuoi sapere, ma ogni storia è un caso a sé. Non c’è una regola fissa. Ci si innamora e basta, il più delle volte senza un motivo. Potrei chiederti cosa ti ha fatto innamorare di Matt, ma c’è davvero una cosa soltanto?”
Valary aveva riflettuto per qualche istante, poi era scoppiata a ridere.
“No, direi di no. Sanders o lo prendi a pacchetto completo o lo lasci perdere.”
“E’ fortunato.”
“Non credo se ne renda conto.”
“Si, altrimenti non saresti dove sei ora dopo sette anni, no?”
Val avrebbe desiderato che anche Brian si fosse accorto per tempo di quello che aveva accanto. Quando aveva lasciato Roxanne, aveva avuto paura che anche tra lei e Matt finisse: non era bravo a guardarsi dentro, lui, osservava gli altri e si faceva trascinare dagli eventi e dalle paranoie. Valary aveva avuto paura di perderlo a causa di uno stupido gioco di specchi a cui Brian aveva dato il via chiudendo una storia pressoché perfetta. La loro – invece – che non era perfetta ed era costellata di piccoli litigi, gelosie e attriti, rischiava di naufragare ancora prima.
Invece, erano rimasti al proprio posto, ben saldi l’uno all’altra: perché?
 
 
Avere Holly tutta per sé era un po’ come ritornare ad avere diciotto anni. Dakota aveva temuto che la sua amica del cuore avesse spiccato il volo, si fosse magari montata la testa o avesse deciso di trasformarsi in una di quelle indie fissate con gli abiti vintage e Schiller. Holly era sempre stata speciale perché amava la storia e l’arte vestendosi come un maschiaccio e sproloquiando come solo i surfisti californiani sapevano fare, con intercalari pesanti identici a quelli che utilizzava Zacky. Su Holly risultavano buffi, non riuscivano nemmeno a farla apparire uno scaricatore di porto in miniatura.
“Sono a pezzi,” le aveva sussurrato all’orecchio l’amica, passandole un braccio attorno alle spalle, l’ennesima bottiglia di birra stretta nella mano sinistra.
“Non stiamo esagerando, vero?”
“Siamo a Las Vegas, Dakota. Come cazzo facciamo a non esagerare?”
“Non lo so,” e aveva portato le labbra al collo della bottiglia di Holly, bevendone il contenuto.
“Andiamo al casinò che abbiamo visto quando siamo arrivate?”
“Quale?”
“Quello spaziale pieno di slot machine in vetrina.”
“Vuoi giocare?”
“Magari abbiamo fortuna, no?”
“Abbiamo urlato in quel cazzo di megafono per un’ora di fila, mi spieghi come fai a non essere ancora stanca?”
“Speravi che Cardiff mi avesse rammolita? Illusa”, aveva proferito sarcastica Holly lanciandole un’occhiata obliqua carica di diffidenza, strattonandola per un braccio per farla uscire dal locale.
“Non dirmi che non ti sei divertita a cantare come una pazza.”
“Si ma lo dici anche tu che sono stonata, Holly.”
“Non stavamo facendo un concerto, cantavamo alla cazzo come se fossimo sotto la doccia con altre venti ragazze prese a caso tra la folla. Mi sono divertita un mondo!”
“Poveretta tua madre, Holly. Ma tu canti a quel modo quando ti lavi?”
“No, peggio. Faccio acuti volutamente striduli per sfondarle i timpani”, le aveva risposto lapidaria mentre camminavano per strada, ricercando tra le decine di casinò lungo la via centrale di Las Vegas quello che aveva scelto Holly per dilapidare i suoi soldi.
“Sono felice tu sia venuta. Credevo che non avresti lasciato sola Roxy ad Huntington Beach.”
“E perché scusa? Roxy se la sa cavare benissimo da sola.”
“Siete diventate molto amiche, vero?”
“Be’, era inevitabile. I primi tempi sono stati un inferno. Roxanne riordinava tutto, metteva tutto in ordine secondo la sua cazzo di logica matematica e io non trovavo nulla. Stavo impazzendo.”
“Non l’hai uccisa?”
“No, altrimenti poi mi avrebbe ammazzata Zacky. E poi era necessità, istinto femminile di solidarietà… non lo so, chiamalo come vuoi. Non riuscivo ad arrabbiarmi sul serio, mi irritavo ma non riuscivo a sbottare. Era così carina a sistemare tutto in modo perfetto che sarei stata davvero stronza ad aggredirla.”
“Hai sempre avuto un debole per Roxanne.”
“E’ quella intelligente tra i due Baker, per forza.”
Holly aveva allungato le braccia verso il cielo carico di stelle, stirandosi, poi aveva posato lo sguardo su Dakota, arrestandosi bruscamente.
“Ehi, che è quella faccia ora?”
“Mi dimenticherai.”
“Ma sei scema?”
“Passi dieci mesi all’anno con Roxanne, come pensi ne esca io?”
“Come dovresti uscirne, scusa? Sei la mia migliore amica!”
“I rapporti cambiano, lo sai anche tu.”
“Ma che stai dicendo?”
“Sto dicendo che finirai con il preferire Roxy a me”, aveva sbottato tutto d’un fiato Dakota, sospirando rassegnata e già sconfitta dalla sua rivale.
“Roxy per me è sempre stata un mito inarrivabile. Se avessi la facoltà di scegliere, vorrei essere come lei. E’ femminile, ha carattere, è intelligente. Ha tutte le qualità che una donna dovrebbe avere.”
“Visto?”
“Dakota, cazzo! Mi sembra la scenata di gelosia di un fottuto fidanzato!” era stata la risposta arrabbiata della rossa, che aveva incespicato nei propri piedi prima di riuscire a raggiungere l’amica e strattonarla dal lato opposto a quello in cui erano dirette.
“Che cazzo fai adesso?”
“Andiamo a sposarci.”
“Ma sei scema?”
“No, ma almeno la smetti di rompere le palle con le tue fisime del cazzo. Tu sei la mia amica del cuore, Roxy potrebbe raggiungerti ma non sostituirti. Chi l’ha detto che una persona debba avere solo una migliore amica? O che tu debba sparire dalla mia vita? Io non voglio, okay?”
Dakota aveva le lacrime agli occhi e Holly odiava vedere le donne piangere: in quello, era uguale a Zacky. Aveva abbracciato l’amica lì, in mezzo alla strada, posandole un bacio sulla fronte.
“Dai scema, ma sul serio ti sei preoccupata di una cosa simile?”
“Sono seria. Johnny dice che abbiamo un rapporto malato e distruggiamo tutto ciò che si avvicina a noi, che non accettiamo terzi incomodi e… io non voglio diventare invisibile. Io ho bisogno di sapere che ci sei. Anche se vivi a Cardiff so che posso svegliarti nel cuore della notte solo per dirti che Johnny sta dormendo con i boxer con i cagnolini stampati sopra o per dirti che ho visto un film spaziale che devi assolutamente vedere anche tu. E’ rassicurante, Holly. E’ come se sapessi di potermi sempre lasciare andare nel vuoto perché ci sarai tu ad aspettarmi.”
“Io ci sono, ma devi camminare anche sulle tue gambe.”
“Lo faccio, eh. Però sapere di poterti trovare mi da’ sempre forza, perché so che se le cose dovessero andare male, potrò sempre contare su di te.”
“Smettila.”
“Perché?”
“Perché poi scoppio a piangere anche io.”
“Dai, smettila di fare la dura, Holly. Piangi con me.”
“Sei una maledetta stronza, Dakota.”
“Però mi vuoi un bene incredibile.”
“Già. E probabilmente ora ci scambieranno anche per due lesbiche.”
“Volevi sposarmi… lo faresti davvero?”
“Si, e poi Johnny chi lo sente? Andiamo a giocarci la nostra poca fortuna alle slot machine, quello che vinciamo lo investiamo in un giro di cocktail, che dici?”
“Che forse dovremmo consumarli al bar dell’hotel. Almeno sono certa che salire in camera non sarà poi così difficile.”
Almeno, era quello che sperava, o chi li avrebbe sentiti poi Johnny e gli altri?
 
 
*
 
Zacky aveva dovuto letteralmente strappare Holly dalle mani di Dakota e Matt per averla tutta per sé. Seduta accanto a lui sull’auto, masticava un chew-gum alla fragola scoppiettando di continuo insignificanti palloncini.
“Mi hai fatto preparare lo zaino… dove vuoi portarmi?”
“Ho bisogno del tuo aiuto.”
“Oh, ma davvero Baker? Credevo non avessi più bisogno di me” l’aveva rimbeccato Holly scoppiando a ridere.
“Scema, ho dovuto praticamente rapirti! Io ho il diritto di prelazione su di te, da che mondo è mondo!”
L’hai perso quando ti sei messo con la Chihuahua Scema, ma Holly aveva preferito tacere e ingoiare il rospo. Zacky aveva organizzato la loro festa di compleanno ma era sempre preso da Gena, dal loro stare insieme e da quell’universo che anche Holly aveva imparato a costruire con Nick. In qualche modo comprendeva Zacky ma, allo stesso tempo, le sembrava gli stesse sfuggendo dalle mani qualcosa che non era sicura di voler perdere. Matt era già passato dall’altra parte e non l’avrebbe più riportato indietro, e non voleva che la stessa cosa accadesse anche con Zacky. Aveva fatto tesoro dei propri errori e aveva imparato che non era il caso di diventare la presenza scomoda e ingombrante anche di Gena Pahulhus, perché implicava avere troppi problemi e perdere probabilmente il suo migliore amico. Come aveva perso Matt, poteva perdere anche Zacky, e aveva la sensazione che Gena piacesse davvero a quello scemo benché fossero totalmente differenti. Cosa ci trovasse di così fantastico in lei restava un mistero, ma aveva deciso di rispettare rassegnata la sua decisione: non l’avrebbe condivisa mai, ma l’avrebbe accettata in qualche modo.
“Divertente. Quindi?
“Mi serve un consiglio. E’ il compleanno di Gena tra due settimane e ho bisogno di un’idea esplosiva per il suo regalo.”
“E tu mi hai fatto fare la valigia in fretta e furia per questo?”
“Si, perché ti do quarantotto ore di tempo per aiutarmi e salvarmi il culo.”
“Non lo stai chiedendo alla persona più indicata, lo sai? Non potevi farti aiutare da Val o da tua sorella?”
E con che pretesto poi stavo un po’ con te?
“Okay, sappi che a me Gena non piace, ma questo lo sai già. Vorrei infierire, ma sarei cattiva e tu probabilmente mi uccideresti nel sonno stanotte, dunque starò zitta. Ma sappi che non mi piace nemmeno un po’ e non farò mai nulla per farmela andare a genio.”
“Un po’ come per Michelle?”
“No, Michelle è una stronza. Gena invece non ti rende giustizia.”
“Prego?”
“Non lo ripeterò una seconda volta, fattelo bastare. Allora, cosa vuoi regalarle?”
“Ti ho fatta venire apposta, no? Sei tu la mente tra noi due.”
E pure il cuore e il braccio, se per questo.
“Vuoi qualcosa di esageratamente romantico e struggente? Una di quelle cose che la faranno capitolare tra le tue braccia e pigolare come un pulcino felice?”
“Holly…”
“Una di quelle cose da film che senza l’amica con i cotrocazzi non riusciresti mai ad organizzare?”
“Holly…”
“Una di quelle che tutte le donne vorrebbero avere ma che nessuna ha mai?”
“Holly cazzo!”
“E’ un si, vero?”
L’aveva ignorato per tutta la durata del suo soliloquio e alla fine gli aveva sorriso battendo le mani tra loro e saltellando sul suo posto, gettandogli un’occhiata in tralice: Zacky osservava la strada senza distogliere lo sguardo e Holly vedeva sul suo viso quell’aria impacciata che assumeva solo quando doveva scoprirsi.
O era stato scoperto, o si era scoperto.
Era tenero, quando si passava la mano sulla nuca come se accarezzarsi lo tranquillizzasse un poco.
“Ci sarebbe una cosa, anche se per una come Gena è sprecata. Però è d’effetto.”
“Un viaggio sulla luna?”
“Una serata al MoMa a New York.”
“E come cazzo faccio a far tenere aperto il MoMa per noi?”
“Ti avevo detto che per il tuo piano ti serviva l’amica con i controcazzi, cioè io. Quando studiavo a New York ho passato l’ultimo semestre al MoMa per uno stage, conosco un sacco di gente lì dentro e diverse persone ci stanno ancora lavorando. Forse ci faranno questo favore.”
“E come pensi possa funzionare?”
“La imbarchi su un aereo e la porti là?”
“Non intendevo quello, intendevo la cena e tutto il resto…”
“Non ti basta un cazzo di museo tutto per voi? Vuoi anche la cena a lume di candela nel cuore di Manhattan?”
Holly si era arruffata i capelli sulla nuca, sospirando, tornando a schiacciare la schiena al sedile dell’auto.
“Andiamo in aeroporto poi al resto ci penseremo quando saremo a New York, mmh?”
“E’ un’idea pazzesca, lo sai?”
“Grazie. Mi devi un favore, quindi ricordatelo.”
“Non me l’hai ancora fatto.”
“Il solo fatto di essere qui è un favore, Zacky. Specie perché devo aiutarti con quella . Ma è davvero così come sembra?”
“Così come?”
Holly aveva sgranato gli occhi, poi aveva scosso il capo e aveva preso a guardare fuori dal finestrino senza dargli una risposta. Quando sei innamorato non vedi i difetti dell’altro, smussi gli angoli e riesci a superare qualsiasi pecca che – negli altri – ti provocherebbe l’orticaria. Zacky si era innamorato davvero, peccato si fosse fatto fregare dalla persona sbagliata che rispecchiava però i canoni di Zackary Baker: bellissima, attraente, femminile e maliziosa al punto giusto. A conti fatti Holly non riusciva a essere felice per lui, e si chiedeva con che coraggio l’aveva ripetutamente aggredito, accusandolo di non avere mai appoggiato le sue scelte. Certo, le cose erano differenti, Zacky non era mai stato in grado di essere felice per lei in nessuna occasione: forse per la sua laurea, e solo perché aveva creduto di vederla ritornare a Los Angeles. Il problema era che, per la prima volta, Holly stava vedendo Zacky non come l’aveva sempre osservato – sotto la luce diretta che lo faceva brillare al pari di Dakota – ma sotto la luce dell’essere prima un uomo e dopo, il suo migliore amico. Uno che, con lei, non avrebbe dovuto avere nulla a che fare, secondo gli standard classici dell’essere umano medio. Ma Holly ci aveva sempre creduto all’amicizia tra uomo e donna, era cresciuta circondata da amici maschi ed era certa che niente si sarebbe messo tra loro. Erano gelosi l’uno dell’altra, ma era inevitabile: Zacky era geloso anche di Roxanne, e Holly si era tranquillamente adagiata sul gradino accanto a lei, convinta che la tara di Zackary Baker fosse una questione genetica che l’aveva messa sul gradino della sorella minore.
 
 
“E’ stato facile, no?”
Holly sorseggiava il proprio frappuccino – si era intestardita per averlo nonostante il freddo di inizio anno -, seduta su una delle sedie del cortile interno del MoMa, immerso nel verde rigoglioso di un giardino nascosto agli occhi della città. Anche a gennaio, lì i sempreverdi facevano sembrare un angolo di New York in piena primavera. Forse era per quello che a lei piaceva così tanto, le ricordava che c’erano anche momenti che potevano cristallizzarsi nel tempo e durare in eterno.
“Troppo facile.”
“La cena non sarà perfetta, ma lo scenario credo ripagherà il cibo casereccio. Non potevi pretendere che ti lasciassero il museo aperto senza custodi o precauzioni. Ci sarà Nate a farvi da cameriere e cuoco, è bravissimo a cucinare. E cucina italiano, Zacky, per cui dovresti solo ringraziare la sottoscritta per avere amici tanto fighi e idee tanto geniali.”
“Cucina davvero italiano?”, aveva esclamato il chitarrista con l’euforia di un bambino, lasciandosi poi andare contro lo schienale della sedia.
“Si, sua nonna è di origini napoletane, qualcosa sa cucinare. Gli ho chiesto di prepararti qualche piatto tipico, e probabilmente si farà dare un ricettario da lei. E’ bravo sai?”
“Cazzo sei un mito!”
“Mi chiedo se il regalo sia per Gena o per te, lo sai?”, l’aveva rimbeccato lei ridendo.
“Venivi spesso qui?”
“Si, quando non ero qui per lo stage venivo per scrivere la tesi. Mi piaceva stare seduta su questi gradini: non senti nemmeno il ronzio di sottofondo che c’è sempre qui a New York. Se chiudi gli occhi ti sembra quasi di essere solo anche se sei circondato dai turisti o dalle scolaresche. E poi c’è lui” e aveva indicato un albero i cui rami erano gremiti di bigliettini bianchi e oro, appesi come se fossero addobbi natalizi.
“Cos’è?”
“Il Wish Three (*). E’ un’installazione di Yoko Hono, riprende un’antica tradizione giapponese. Si scrive un messaggio o un desiderio su quei bigliettini e poi li si appende all’albero. Dicono che questi si realizzino.”
“E tu ci hai provato, vero credulona?”
“Si, e ti dirò che si sono persino avverati,” aveva proferito in tono solenne, con quell’aria da saputella che la rendeva buffa e che era assolutamente sua, inimitabile.
“Puoi dirmi cosa ci hai scritto allora, no?”
“No, è un segreto. Ogni anno l’albero viene sostituito con un uno nuovo, e hanno allestito una sala all’ultimo piano dove sono stati raccolti quelli degli anni precedenti. E’ bellissimo stare lì a leggere i pensieri di tutto il mondo. E’ una magia incredibile. Anche se non dovessero avverarsi, ho letto messaggi così belli che stavo per mettermi a piangere. Secondo me quell’albero è magico davvero, apre il cuore delle persone.”
“Allora scrivici un altro messaggio.”
Holly aveva sollevato lo sguardo su Zacky, distogliendolo dalla chioma bianco e oro che risplendeva sotto il riflesso della luce morente del giorno.
“Non ho desideri particolari ora”, gli aveva risposto con aria pensierosa, come se stesse ricordando chissà cosa, lontana da lui.
“Non ci credo.”
“Tu ne hai?”
“Ovvio che si.”
Holly aveva riso alzandosi in piedi e cedendo a Zacky il suo frappuccino, avvicinandosi all’albero e osservandolo dal basso, come una bambina che punta lo sguardo al cielo nella speranza di vedere una stella cadente o l’arcobaleno.
“E adesso dove cazzo vai?”
Olivia – dopo qualche istante, in cui aveva armeggiato con fogli e biro sotto lo sguardo incuriosito di Zacky – si trovava di nuovo dinnanzi a lui, tenendo teso davanti a sé un bigliettino candido e una biro.
“Scrivilo. Così si avvera.”
“E tu?”
“Io ho già scritto il mio, ma non te lo farò mai leggere.”
Zacky si era alzato di scatto in piedi cercando di afferrare il bigliettino che Holly teneva tra le dita, ma con rapidità l’aveva nascosto dietro la schiena correndo lontana da lui.
“Non rompere Zacky, non lo saprai mai! Rassegnati e scrivi quel tuo cazzo di desiderio senza fare l’impiccione!”
Zacky l’aveva inseguita, ma Holly si era sollevata in equilibro su uno dei muretti che racchiudevano le aiuole, in modo da non essere raggiunta dal ragazzo.
“Come minimo avrai scritto qualche smanceria su quel tuo Nick Qualcosa”, aveva borbottato lui a mezza voce.
“Cosa? Hai anche tu una Gena Qualcosa, e allora? Non sono così scema da sprecare un desiderio per una cosa del genere”, e con quelle parole era scesa alla sua altezza posticcia, tornando ad essere più bassa di Zacky e a misura di abbraccio.
“Roxy dice che sei innamorata e bla bla bla.”
“E con questo? Lo sei anche tu, ma non significa che io debba sprecare un desiderio per questo. So cosa voglio, e so chi è Nick. Non ho bisogno di assicurarmi una fetta di buona sorte per noi. E comunque” – e si era avvicinata a lui puntandogli il dito sul petto, facendo pressione – “nonostante tutte le Gena Qualcosa e tutti i Nick Qualcosa di questo mondo, tu resti il mio migliore amico. Sei sempre qui, con me.”
Si era portata il dito al cuore per poi scompigliargli i capelli sorridendo, allontanandosi da lui lasciandolo solo con i suoi desideri, i suoi pensieri e un biglietto che doveva scrivere.
Doveva, perché era quello che non aveva avuto il coraggio di dirle: aveva reso il pensiero – debole e strisciante – di una notte dolorosa in un qualcosa di immortale, lasciarlo come segreto sussurrato ad un albero che non avrebbe mai parlato sarebbe stato come dargli di nuovo forza? Zacky sperava di liberarsene con quel gesto, ma c’era Holly - lì, in punta di piedi, intenta a fare un nodo prerfetto al filo del suo bigliettino nascosto tra decine d’altri per non mostrarglielo - a rendere la cosa talmente viva da risultare irreale, violenta e fottutamente pericolosa, in un certo senso.
Si sentiva già abbandonato, ancora prima che partisse di nuovo per Cardiff. Si sentiva come quella notte: disperatamente solo.
“Io ho fatto,” gli aveva gridato lei spostandosi di qualche passo dall’albero per rimirare il suo operato, cercando di individuare il suo biglietto tra centinaia d’altri, soddisfatta dall’incapacità di riconoscere la propria scrittura.
“Non guardo, okay?”
Si era girata di spalle, coprendosi gli occhi con le mani e dondolandosi sui piedi, infagottata nella giacca pesante mentre Zacky si era soffermato a guardarla per qualche istante prima di legare il proprio messaggio all’albero.
Avrebbe chiuso lì tutto quanto, era l’ultima volta che avrebbe tirato fuori il dolore di quella notte e di un abbandono che scottava ancora. Forse, però, quella cicatrice avrebbe bruciato in eterno.
 
Seize the day or die regretting the time you lost 
I found you here, now please just stay for a while 
I can move on with you around 

I wish Zacky could be the happiest man in the universe. Now and forever. I love U, my friend.
 
La distanza di un abbraccio era tutto ciò che li divideva da sempre. Ma quante volte, davvero, si erano concessi di mostrarsi quell’affetto? Holly gli aveva stampato milioni di baci sulle guance ma un abbraccio, quello gliel’aveva concesso solo quando ce n’era davvero bisogno, quando il resto del mondo faceva così schifo da non riuscire a comprenderlo e c’era solo lei a ricordargli quanto fosse speciale Zackary James Baker.
“Hai visto? Fa miracoli.”
“Perché?” gli aveva chiesto Zacky distogliendosi dai propri ricordi.
“Perché è riuscito a non farci litigare nonostante fossimo qui per Gena. Mi sei mancato, scemo.”
Gli aveva stampato un bacio sulla guancia, sorridendo, e Zacky aveva deciso che doveva cancellare quella distanza, minuscola ma sempre più profonda, per ricordarsi che Holly era vera e che tutto continuava ad essere immutato. Sapere che c’era, che ci sarebbe stata nonostante lui fosse una grandissima testa di cazzo, nonostante tutti i Gena Qualcosa e i Nick Qualcosa del mondo.
L’aveva abbracciata, cingendole in modo maldestro le spalle con le braccia forti, e Holly si era irrigidita per un istante, per poi passargli le proprie attorno alla vita.
“Anche tu.”
“Allora cerchiamo di non litigare sempre? Ci complichiamo solo la vita. Io ho bisogno di sapere che ci sei Zacky, altrimenti che senso ha ricordarmi che sei il mio migliore amico?”
“Già.”
Che senso avrebbe, altrimenti, essere ciò che siamo?
Zacky aveva stretto con un po’ più di forza Holly, cercando in quel contatto tutto l’affetto che gli era stato rifiutato in settimane, mesi e anni di partenze, rientri e abbandoni continui.
Perché Holly non era in grado di fermarsi in un posto e restarci?
 
 
*
 
Quando la voce di Roxanne aveva gridato, dall’altra parte della porta, Brian aveva pensato di scappare e tornare con una decina di minuti di ritardo. Da quando lei e Holly erano rientrate, la vita aveva preso a scorrere nel tipico modo in cui girava quando pel di carota tornava ad Huntington Beach, con la differenza che ora i festeggiamenti erano doppi, così come pure gli impegni. A complicare le cose, erano ovviamente i suoi pensieri sconnessi e la presenza fastidiosa di Michelle. Brian non desiderava altro che ritornare in tour il prima possibile perché si sentiva soffocare dalla sua presenza, dalla sua pretesa di attenzioni e da tutto quel suo stargli così vicina quando c’era Roxanne. Perché cazzo aveva deciso di imbarcarsi in quella storia? Aveva ripercorso rapidamente l’archivio dei ricordi, soffermandosi sulla prima notte in cui erano andati a letto insieme: non c’erano fans, c’era stata Michelle. Il problema era che Michelle era un tappabuchi validissimo, una cosa che per di più sapeva di California e di casa, per cui per Brian era diventata in qualche modo il rifugio di quando sentiva la mancanza della sua vita. E quella, per quanto si divertisse, a volte gli mancava come se gli avessero strappato un braccio o una gamba: si sentiva amputato. Jimmy gli aveva chiesto se non fosse stato che era il cuore – a mancargli – ma Brian si era limitato a stare in silenzio, senza concedergli una risposta valida. D’altra parte, per Jimmy già quello aveva parlato abbondantemente sull’ovvietà del suo avere ragione.
“Si?”
Roxanne aveva squadrato le scarpe in pelle, i jeans larghi, ed era risalita lentamente sino alla vita, dove le mani lasciate a penzoloni lungo i fianchi non ammettevano margini di errore: non era suo fratello, quello.
“Brian?”
“Ehm, si, ciao Roxy. Zacky mi aveva detto di passare per le dieci, doveva darmi un demo di qualche pezzo che aveva inciso, sono in ritardo di qualche minuto e…”
“Zacky non è ancora arrivato, ma so che lui e Holly sono atterrati a Los Angeles mezz’ora fa. Se ti va di aspettarlo puoi accomodarti.”
“No be’, magari faccio un giro in auto e…”
“Brian…”
“Okay, grazie.”
Roxy l’aveva lasciato entrare, facendolo accomodare in salotto.
“Stavo preparando la cena per quei due, tu hai già cenato? Altrimenti puoi fermarti con noi.”
“Li hai aspettati?”
“Si, non mi andava di cenare da sola, e poi è una delle ultime sere che passiamo qui. Preferisco approfittarne per stare con Zacky.”
“Posso darti una mano?”
“Da quando sai mettere mano ai fornelli?”
“Non lo so fare, infatti. Però posso tagliare le verdure, quello dovrei riuscire a farlo senza combinare troppi casini.”
Roxanne era scoppiata a ridere, dirigendosi verso la cucina.
“Vieni, ci sono le carote e le patate da pulire. A te l’onore.”
Brian si era seduto a tavola, mentre Roxy macinava carne per le lasagne dandogli le spalle. La guardava e si diceva che era diventata ancora più bella di come la ricordasse. Forse si era persino costruito un’immagine mentale distorta da quella reale per credere che non fosse poi quel granché, la sua Roxy. Il problema era che di quello che gli apparteneva, di Roxanne Baker, intravedeva molto poco. Aveva lasciato una ragazza intelligente e carina, forte – soprattutto – ma ora aveva la netta sensazione che Roxy avesse dalla propria parte una consapevolezza nuova, di chi sa di poter ottenere tutto ciò che desidera. Roxy era diventata donna, molto più donna di quanto non avesse potuto lontanamente concepire ed era di certo opera del gallese. Aveva notato in lei – ma anche in Holly, seppur in misura ridotta – un qualcosa che tradiva quel sentirsi bene nei propri panni, sentirsi a proprio agio anche quando tutto il resto del mondo cerca di affossarti. Forse era perché la convivenza con una totale esaltata come Olivia avrebbe portato chiunque a cercare di trovare equilibrio dentro di sé, ma era un alibi dietro cui sarebbe stato troppo facile nascondersi. La verità era che Brian si aspettava di vedere Roxanne debole – di essere magari lui, il suo punto debole, dopo sei mesi – invece era come se Roxy fosse stata in grado di reggere il peso di qualsiasi dolore.
Perché? E come aveva fatto, lei, che aveva quella memoria maledetta a ricordarle come un mantra o una nenia mortale tutto ciò che aveva vissuto, attimo dopo attimo?
Avrebbe voluto chiederglielo, in un gesto egoistico di quelli che ti fanno poi sentire una merda, ma che gli sembrava necessario per sentirsi ancora qualcosa, per Roxy.
“Come stai?”
La domanda l’avevano formulata entrambi nel medesimo istante, all’unisono. Roxy si era irrigidita, mentre Brian aveva fatto cadere a terra una patata che si era sfracellata al suo con un tonfo sordo.
Lo stesso che aveva fatto la parte residua del suo cuore, giù, sino allo stomaco.
“Bene, Cardiff è una città davvero interessante e offre un sacco di spunti. Tu invece? Il tour è massacrante?”
Dio se era difficile non scappare di lì e imporsi di resistere, fare la dura anche quando poi – così certa di quello che diceva – non era. Amava Ian ma una vocina, nella sua testa, le diceva che Brian non sarebbe mai stato scacciato del tutto dal suo cuore. E non perché Ian fosse meno importante, ma perché Brian era semplicemente Brian. Uno stronzo, certo, ma pur sempre Brian: e non era neppure cambiato di una virgola, era il solito di sempre.
Era quello, di fatto, a gettarla in crisi, perché le ondate dei ricordi non accennavano ad arrestarsi e la investivano con insistenz, quando lui le era accanto.
Aveva deglutito, inspirando: doveva resistere, prima o poi quei due sarebbero rientrati e avrebbero smorzato la situazione. O almeno, era quello che sperava.
“Si, mi manca Huntington Beach a volte. Ci divertiamo un casino, è tutto spaziale e stratosferico e fighissimo ma a volte sento la mancanza di quello che avevo qui.”
Avevo?
Roxy aveva lanciato un’occhiata veloce all’orologio della cucina: le dieci e mezza. Dov’erano Holly e Zacky?
“E’ normale, il vostro è un ritmo che non avevate prima, e andrà in crescendo. State avendo davvero un enorme successo, dovresti essere felice. State realizzando il vostro sogno più grande.”
“Lo sono, vorrei solo avere più tempo per stare da solo, magari. O per godermi una passeggiata per Huntington Beach senza che la gente mi fermi per strada e mi chieda una fotografia e un autografo.”
“E’ l’altra faccia della medaglia, quella, e siete costretti a sopportarla. Però ora puoi capire Holly, ad esempio. Lei non fa parte di quel mondo e vuole restarne fuori. Stare con voi, giorno dopo giorno come fa Val, avrebbe implicato stravolgere la sua vita e darla in pasto al mondo. Per di più, non per sua scelta.”
C’era dolcezza nel tono della sua voce che tradiva un affetto sincero, e Brian aveva sollevato lo sguardo su di lei, sorpreso.
“Siete molto amiche, vero?”
“Si, non è molto difficile andare d’accordo con lei.”
“Non credo sia del medesimo avviso tuo fratello.”
“Be’, il loro è un rapporto differente. Sono migliori amici, e sono ragazzo e ragazza.”
“Ci credi all’amicizia tra uomo e donna?”
Roxanne si era arrestata, costringendosi a voltarsi e guardare Brian negli occhi: era un’imbranata, ma quel tono di voce incerto e lo sguardo colpevole le avevano dato ragione di credere che quella domanda fosse molto più profonda di quanto non ammettesse una lettura veloce.
“Che razza di domande fai? Certo che si. Jimmy è il mio migliore amico. Al di fuori delle ragazze e di Holly dubito di poter dire di aver mai avuto amiche femmine. I rapporti con voi sono più semplici da gestire. Al liceo femminile era una lotta continua per la supremazia o la sopravvivenza. Io stavo dal lato di quelle che cercavano di sopravvivere senza dare nell’occhio, e meno male c’eravate voi ad alleggerirmi le giornate o sarei impazzita là dentro.”
“Dunque possiamo essere di nuovo amici, giusto?”
Giusto?
Aveva Ian, niente passi falsi verso il passato.
E meno male c’erano Olivia Bridges e Zackary Baker, tempismo provvidenziale e grida fuori dalla porta spalancata in malo modo da suo fratello, mentre Holly gli correva dietro carica di borse e con uno skateboard nuovo sotto il braccio, un sorriso da bambina – lo stesso, ne era certa, che doveva avere la notte della Vigilia quando ancora credeva esistesse Babbo Natale - stampato in viso, Zacky con lo stesso sorriso idiota di quando era al settimo cielo.
“Siete tornati! Quanto vi ci è voluto per arrivare da Los Angeles?”
“Non volevano ridarmi la tavola da skate in aeroporto, Zacky ha cercato di corrompere la polizia doganale. E solo perché era una strafiga assoluta, non certo per farmi riavere il mio regalo.”
“Senti da che pulpito, quella era tutta materia sprecata.”
“Se continuavi a fare lo scemo Roxy doveva venirci a prendere in centrale, lo sai vero?”
“E come l’avete riavuto?”
“Holly ha fatto gli occhi da cerbiatta a un tizio, dicendogli che era il suo regalo di compleanno e menate simili. Insomma, gli ha fatto pena.”
“Sempre il solito simpatico, tu”, e gli aveva assestato volontariamente un colpo al gomito con la tavola da skate, facendolo imprecare a mezza voce, mentre si dirigeva con noncuranza in cucina dall’amica.
“Oh! E tu che cazzo ci fai qui?”
“Sempre carina, tu, eh?”
“Ah, cazzo, Brian. Mi ero dimenticato che dovevi passare”, aveva rimbeccato Zacky lasciando scivolare nelle mani di sua sorella una borsa di Victoria Secret’s.
“E questa…”
“E’ il tuo regalo di compleanno”, aveva bofonchiato imbarazzato Zacky.
“Tranquilla, non è niente di compromettente. L’ho trascinato nel negozio che vende solo la linea sportiva. Sai che tuo fratello è davvero una schiappa in queste cose?”
“Holly, vaffanculo okay?”
“Che hai preparato di buono? Ti fermi a cena anche tu Brian?”
Mai abbassare la guardia: dov’era la fregatura? Holly e Zacky parlavano a più non posso, facevano un casino assurdo e nemmeno gli avevano dato tempo di parlare.
“Roxy mi ha invitato a restare.”
“Figurati se ti sbatteva fuori. Non hai avvelenato nulla, vero?” aveva chiesto la rossa rivolta al primo chitarrista, scettica.
“Tranquilla, gli ho solo fatto sbucciare le patate e le carote.”
“Lasagne! Ho una fame da lupi! Zacky andiamo ad apparecchiare? Qui dentro siamo troppi e Roxy finisce che ci prende a calci se non la facciamo lavorare in pace.”
Zacky aveva lanciato un’occhiata torva a Olivia per poi seguirla nell’altra stanza. Facevano così tanto casino, tra risate e piatti che cozzavano tra loro, che per Brian e Roxy era impossibile parlare.
Ma in fondo andava bene così, ed era un modo strano ma piacevole di sentirsi di nuovo a casa. E insieme.
 
 
Quando era rientrata a casa era tardissimo, e aveva lasciato Roxy sola con Brian dopo averla aiutata a riordinare casa. Era stata una serata  bizzarra, ma aveva trovato Roxanne in forma per cui se n’era andata da casa Baker a cuor leggero, facendosi dare un passaggio da Zacky. Era stanca, e il pensiero che mancavano meno di quarantotto ore al suo rientro a Cardiff la faceva sentire svuotata di ogni energia. Avevano passato ad Huntington Beach quasi un mese, e le cose sembravano essere tornate all’improvviso quelle di sempre: lei e Zacky a fare casino, lei e Dakota a ridere come matte, Johnny a prenderla per il culo, Jimmy e Roxy a parlarsi fitto senza degnare di uno sguardo il mondo, Matt e Val e i loro bisticci. C’erano in aggiunta Gena e Michelle, ma erano presenze tollerabili se le ignoravi. Era stata brava e aveva evitato punti di contatto e attrito: in genere, se sapeva che c’era Gena evitava di farsi vedere, se c’era Michelle ingoiava rospi e stava in attesa di un suo passo falso per farla fuori. Nella vita occorreva equilibrio, glielo diceva sempre Nick. Nick le era mancato, ma c’erano così tante cose lì, ad aspettarla – cose che erano sue da sempre e davanti alle quali si era arresa all’evidenza che avrebbero sempre avuto la priorità su tutto il resto della sua vita – che avevano attutito a pieno il senso di vuoto lasciato dal sorriso di Nick e dalla sua voce.
Si sentiva abbastanza egoista e si era chiesta, in quel momento di lucidità con cui aveva varcato la soglia di casa, se avesse mai seriamente preso in considerazione l’idea di non tornare mai più ad Huntigton Beach. Iniziava a dubitare della sua determinazione, in un certo senso, e la cosa non le piaceva affatto. La verità era che lì stava dannatamente bene e le cose tornavano sempre a girare per il verso giusto quando erano tutti insieme: era come il meccanismo di un orologio svizzero, perfetto nel suo sancire i colpi finché ognuno dei propri ingranaggi girava al proprio posto. Bastava un colpo mancato o un ingranaggio guasto per mandare a puttane una perfezione centenaria.
“Cazzo!”
“Mi sono addormentato, scusami.”
Holly aveva rischiato di far cadere a terra la tavola da skate, sbattendo con il ginocchio contro lo stipite della porta.
“Che cazzo ci fai qui a quest’ora di notte? Sei diventato scemo?”
“Volevo chiacchierare un po’.”
“Avevamo detto niente più visite notturne alla Peter Pan.”
“Solo un po’, poi me ne vado.”
“E’ violazione della privacy.”
E soprattutto, non voglio morire giovane.
“Che succede? Qualcosa non va?”
“Secondo te cosa sbaglio con Val?”
Holly aveva posato in un angolo lo zaino e gli acquisti di New York, restando con le braccia alzate a mezz’aria mentre si toglieva la sciarpa.
“Per che cosa di preciso?”
“Discutiamo.”
“Capita a tutti.”
“Anche a te e Nick?”
“Si, è normale. Voglio dire, non sarebbe normale il contrario. Finisci poi come Brian e Roxy che si mollano all’improvviso solo perché lui non ha le palle per dire le cose al momento giusto, quando non vanno. Ammesso poi che non andasse qualcosa, e su questo ho i miei seri dubbi.”
“Posso chiederti una cosa?”
“Su Nick?”
Matt si era sollevato a sedere, squadrandola mentre si toglieva la giacca per poi sedersi sul pouff dinnanzi a lui.
“Perché con lui sei finita sui giornali e non hai voluto rilasciare nessuna intervista per noi?”
“Voi siete la cosa più preziosa che ho, non voglio condividere con degli sconosciuti quello che ho vissuto con voi. Sono i miei ricordi e la mia vita, e voglio che restino tali. E poi vi avrei fatto sfigurare, come direbbe Zacky.”
“Ma gli presti ascolto sul serio?”
“Ovvio che si, Zacky non racconta mai balle. Purtroppo, è la bocca della verità. Scomoda e rompicoglioni e spesso indesiderata, ma la è.”
“Guarda che sei uguale a lui, tu.”
Holly aveva acceso la luce della camera, portandosi in piedi accanto alla porta.
“Li hai visti?”
“Non li hai cancellati?”
“No.”
Matt aveva fissato le tacche delle loro altezze incise con linee indelebili rosse e nere lungo l’intelaiatura della porta, sorridendo: come sapeva sviare i discorsi Holly, non sapeva farlo nessun altro.
“Perché?”
“Così posso ricordarmi quanto ero piccola e stupida a venirti dietro.”
Matt l’aveva guardata sorpreso, poi si era sollevato andando a osservare meglio l’ultima tacca fatta, risalente al 1999.
L’anno della nascita degli Avenged Sevenfold e in cui Holly aveva deciso di lasciarlo perdere - più o meno - ma con un po’ di sforzo e qualche anno in più, ce l’aveva fatta.
“Manca l’ultima.”
“Di cosa?”
“Di tacche. Son passati sette anni, io sono cresciuto ancora.”
“Io dubito di essere aumentata in altezza, ma vediamo un po’.”
Aveva dato a Matt un pennarello facendogli incidere sullo stipite della porta una tacca altissima, rispetto a quella che stava ad indicare la sua, aumentata comunque di un paio di centimetri.
“Sei rimasto il solito idiota, Matt. Tieniti stretta Valary e non guardare quello che fa Brian. Val ti perdonerà sempre tutto, come lei non ne troverai altre.”
“Anche tu mi hai sempre perdonato tutto, che c’entra?”
“C’entra che io non ti avrei mai perdonato un tradimento, lei si. Per questo dico che sei fortunato. Io non perdonerei mai una cosa del genere a Nick. Con che coraggio la guardi di nuovo in faccia?”
“Sono passatempi.”
“Fatti delle seghe, allora. Anche quelli sono passatempi. Tu sei un eterno indeciso, Matt, qualsiasi cosa ti manda in crisi, come se quello che hai dovesse sempre essere messo in discussione per potergli dare più valore.”
“E’ da quando abbiamo diciotto anni che stiamo insieme, che cazzo ne so se Val è la donna della mia vita? O se siamo davvero fatti per stare insieme?”
“Lo sai ma non te ne rendi conto. Per Val rinunceresti a qualsiasi cosa, e il fatto lei non ti imponga alcun sacrificio non significa che non siate fatti per stare insieme.”
Matt aveva rinunciato a sentire Holly negli ultimi mesi per poter tranquillizzare Val, per avere quella serenità che costantemente veniva minata dalla sua migliore amica.
“Perché voi donne fate sempre confronti?”
“Io non faccio confronti, quindi non generalizzare.”
“Val si.”
“Val ha ragione.”
“Non vuole che ci sentiamo o vediamo così spesso, insomma… vuole che allentiamo il rapporto. Mi sta facendo uscire scemo con questa storia, ma sono stanco di litigare per cose senza senso.”
Holly aveva sollevato lo sguardo su di lui, mordendosi il labbro inferiore: Matt era davvero idiota, quando si impegnava.
“E’ per quello che negli ultimi mesi non ti sei praticamente fatto sentire?”
“Scusami.”
“Sai cosa ti dico? Che mi fai incazzare quando fai così. Smettila di darle la colpa di tutto, Matt. Se ti comporti a questo modo è perché a Valary ci tieni e non vuoi perderla.Ti sei già risposto da solo. Val è quella giusta.”
“Però ti ho lasciata indietro.”
“Non puoi pensare di avere una cozza sempre attaccata alla schiena, no? Dovresti pensare a te e Val.”
“E tu?”
“Io cosa?”
“A cosa pensi?”
“Che sei un idiota. Ma questo l’ho sempre pensato. Andiamo a dormire ora, domani devo preparare le valigie e riordinare camera o mamma mi uccide.”
“Sei una scema. L’ho sempre pensato.”
Ci sono cose di cui ti accorgi quando te le sbattono davanti, nude e crude, e non ti sei mai posto quel genere di problema che ti porta a farti mille seghe mentali. Quando la tua migliore amica è una ragazzina, quando sei cresciuto con le stesse persone di quando avevi quattordici anni, sei convinto che quell’amicizia forte e indistruttibile sia tutto ciò di cui hai bisogno. Poi ti innamori e arrivano i casini, perché i tuoi equilibri sono assurdi per quelli che vengono da fuori e cercano di entrare nel tuo mondo. Era davvero così strano avere una migliore amica femmina? Erano così assurdi, loro, nel vivere in una simbiosi perfetta nonostante gli screzi e i battibecchi continui? Il problema era che doveva scegliere, e se non l’avesse fatto lui, be’, ci avrebbero pensato Holly e Val a farlo per lui. La cosa ridicola era che entrambe avrebbero perseguito il medesimo scopo: avrebbero fatto in modo che si lasciasse alle spalle tutta l’infanzia e tutta l’adolescenza vissuta con Holly. Perché Holly stava crescendo e prima o poi se ne sarebbe comunque andata, e loro non avevano fatto altro che accelerare i tempi, invertendo la rotta di quel loro legame, cercando di affievolirlo in qualche modo. Ma avrebbe davvero funzionato?
 
 
*
 
 
Gena aveva passato la serata a rimirare il piccolo parco in cui stavano cenando, a lume di candela. Era una cosa da Zacky, quella, portarla in un museo di notte per farle osservare il cielo da un oblò di vetro, entrambi distesi sui divanetti del piano rialzato del MoMa.
“Non me lo merito tutto questo, lo sai?”
“Invece si. Il solo fatto che tu riesca a sopportarmi la dice lunga sulla tua santità.”
“Non sembra nemmeno di essere a New York.”
“Già. Sembra di essere sospesi in un altro mondo, vero?”
Fuori le stelle non si vedevano, coperte dalle luci artificiali dei grattacieli illuminati a giorno di Manathann, e Gena si era accoccolata vicina a Zacky, posandogli un bacio sulla guancia.
“Ti è piaciuto il museo quest’oggi?”
“Si, non credevo di poterlo dire in realtà.”
“L’arte contemporanea non è il mio forte, ma ci sono cose davvero fighissime.”
“Mi piace quando sei così.”
“Così come?”
“Senza difese. Te ne stai qui a parlare senza agitarti o fare casino, corri dietro ai tuoi pensieri e li tiri persino fuori. Mi piace stare con te Zacky, questo è il lato di te che preferisco.”
“Quello che non sfodero mai?”
“Si. E’ una rarità ma quando lo tiri fuori è un regalo meraviglioso. Secondo me ti fa bene stare lontano da Huntingtron Beach, in genere hai la tendenza a scaricarti quando siamo lontani da casa.”
“Saranno i fantasmi a perseguitarmi.”
“Cioè?”
“Quelle cose che ti porti dietro da quando sei nato, praticamente, e di cui non riesci a fare a meno anche se sai che sono cose malate. O contorte. O problematiche.”
“Parli dei ragazzi?”
“Di tutti. Siamo sempre stati insieme, uniti come se fossimo un unico essere umano. Ogni tanto mi chiedo se a cinquant’anni saremo ancora così, e ho paura a trovare la risposta giusta. Se è si, significa che saremo ancora dei cazzoni, se è no, significa che avremmo perso ciò che siamo davvero e la parte più bella di noi.”
“Malinconico?”
“Senza maschera, come piace a te.”
“Io ci sarò sempre Zacky. Questo è il compleanno più bello che potessi regalarmi.”
Già. E il posto più idiota in cui avrei potuto portarti.
Zacky l’aveva stretta a sé, posandole un bacio sulla fronte.
“Ti amo.”
E Gena, con l’ingenuità di una giovane sposa, era scoppiata a piangere di felicità: niente, prima, era riuscita a farle credere realmente a quelle due parole ma ora lì, insieme, racchiusi in un bozzolo in cui tempo e spazio erano solo concetti per chi stava all’esterno, era riuscita a sentirle vere per la prima volta da quando stavano insieme.
“Perché piangi ora? Che cazzo ho detto?”
“La cosa più importante di tutte. Grazie.”
Si era asciugata gli occhi strofinandoli con il dorso della felpa di Zacky, posandogli il mento sulla spalla e restando lì, a fissarlo, lo sguardo di lui rivolto al soffitto.
“Chissà dove saremo tra dieci anni.”
“Insieme.”
Gena aveva una certezza incrollabile: che l’amore, uno come il suo, non si sarebbe spento mai.
 
 
Cardiff, 2006.
 
 
“Inizia! Roxy inizia cazzo! Ci sono i ragazzi in tv!”
Holly strepitava come una pazza davanti allo schermo del televisore dell’amica, alzando a tutto volume l’audio.
“Ehi! I vicini mi ammazzano, abbassa!”
“Hai dei vicini che sono dei rompipalle, lo sai?”, aveva sbottato la rossa sorseggiando il frappé alla fragola che si era appena preparata, proprio come se fosse la legittima padrona di casa.
“Scusami se non vivo in un appartamento parcheggiato all’ultimo piano di una palazzina di nonnetti simpatici, eh.”
Sst, voglio vedere se li inqudrano.”
“Sembri una di quelle fans psicopatiche che li adescano per strada quando vanno a fare un giro a Los Angeles, Holly. Li conosci da una vita, te lo ricordo.”
“Che c’entra? Faccio il tifo per loro.”
“Ti ricordo che c’è anche Nick.”
“E allora?”, le aveva chiesto la rossa sollevando lo sguardo verso di lei con l’aria più innocente del mondo.
“Per lui non fai tutto questo casino.”
“Sono patriottica. In questo istante guardo prima al sangue californiano, poi al sentimentalismo.”
“Sai che vorrei proprio vederti se gareggiassero nella stessa categoria?”
“Dato che non è così perché dovrei pormi il problema?”
“Sai che ti dico? Nick è un santo a sopportarti”, e con un gesto rapido Roxy le aveva strappato il frappé dalle mani, bevendone un lungo sorso.
“Mi spieghi come fai a bere in questo affare? E’ scomodissimo,” e aveva sventolato sopra la testa dell’amica il contenitore in plastica a forma di cupcake da cui Holly sorseggiava i suoi frappé con l’aria più felice del mondo, nemmeno stesse bevendo una bathida di cocco su una spiaggia delle Hawaii.
“Dato che ti fa schifo puoi evitare di fregarmelo, no?” le aveva scoccato lapidaria la rossa senza staccare gli occhi dal monitor della tv.
“Oh.”
“Cosa?”
“Com’è bello Nick.”
“Tu sei tutta scema, lo sai?”
Roxy era scoppiata a ridere, mentre Holly aveva preso il cellulare armeggiando convulsamente con i tasti.
“Cos’è, glielo stai scrivendo?”
“Ne approfitto per fargli l’in bocca al lupo.”
“Sei tremenda.”
“Stasera Ian non passa?”
“Dovrebbe arrivare finite le presentazioni. Non credo gli vada molto a genio l’idea di guardare gli altri vincere mentre lui sta seduto in poltrona.”
“Ancora con quella storia, eh?”
“Già. Non riescono ad agguantare la vetta e deve essere davvero frustrante.”
“Se poi sei Ian Watkins credo che la frustrazione sia a mille.”
“Già. Vorrei solo fare qualcosa di più per loro, ma non so sinceramente come potrei aiutarli.”
“Be’, potresti rifargli quell’orrendo sito internet che hanno. E’ inguardabile. Fossi un loro fans, diffiderei di loro per principio.”
“Gliel’hai detto?”
“Sei impazzita? Così Ian mi uccide? Non scherziamo. Proponigli tu di rifarlo, vedrai che ti ci farà lavorare mettendoci ovviamente il naso e rompendoti le palle per fartelo fare come desidera lui.”
“Oh guarda Roxy! C’è la mocciosa di Little Miss Sunshine! Io l’adoro! Ma non è la categoria della nomination dei ragazzi?”
“Alza il volume!”
“E poi sono io la fangirl, eh…” aveva sbottato Holly premendo il tasto del volume sul telecomando.
“Vincono il premi come Miglior Band Emergente gli Avenk… Avenged… Se… Seventold, Bat Country.”
Il silenzio nel teatro aveva coinciso con il silenzio nell’appartamento di Roxy, prima che Holly si sollevasse in piedi sul divano improvvisando un balletto in cui aveva trascinato anche l’amica, urlando come una forsennata.
“Abbiamo vinto! Sono stati grandi Roxy!”
“Mi soffochi, Holly…”
“Scusa,” e si era staccata da lei, gettandosi a peso morto sul divano, sfinita.
“Giuro che te ne comprerò un altro quando avrò sfondato questo. Ma stasera fammi fare casino, dobbiamo festeggiare!”
“Quando mai tu stai buona e tranquilla?”
“Aspetta, guardali! Guarda Zacky che faccia che ha, è felicissimo! E Matt!”
Roxy aveva dato un’occhiata a suo fratello per poi soffermarsi sul sorriso raggiante di Brian e quello di Jimmy che lo abbracciava felice. Quanto potevano essere fieri di tutto quello che avevano fatto e raggiunto? Ogni più piccolo sacrificio, ora, era ripagato con quel fottutissimo premio. Anche lei era stata sacrificabile per una cosa così grande, no?
Holly aveva le lacrime agli occhi, e in quella famiglia grande, scomoda e invadente, c’era anche lei. E c’era anche Roxy, nonostante tutto, e l’orgoglio di esserci, di essere una di loro, era tutto in quel momento.
“Per tutti quelli che non ci conoscevano, ora ci conoscono! Noi siamo gli Avenged Sevenfold.”
“Zacky è il solito stronzo.”
Roxy non fiatava, osservava quel premio e si chiedeva se il loro sogno valeva tutte le lacrime e il dolore spesi e una risposta non sapeva concedersela.
“Devo chiamare Zacky, deve farsi fare un autografo da Little Miss Sunshine!”
Roxanne stava completamente ignorando Holly, persa dietro un fiume di ricordi e pensieri che l’aveva investita in modo inaspettato e fastidioso, da cui non sapeva come uscire.
“Zacky! Siete stati fantastici! Sei felice?”
“Ciao scema, avevi dubbi sul fatto che non potessimo vincere?”
“Zacky fatti fare un autografo da Little Miss Sunshine, ti prego ti prego ti prego ti prego!”
“Holly vuoi che mi scambino per un pedofilo? Devo fermarla nel backstage per farlo.”
“Che ti frega? Le dici che è per me, voglio anche la dedica! Fatti accompagnare da Jimmy, lui non ha la faccia da individuo losco come te.”
“Che cazzo stai insinuando?”
“Nulla, ovviamente. Ti passo Roxy, che se ne sta imbambolata a guardarvi risalire la scalinata. Sei un genio comunque, a rispondere al telefono proprio ora.”
“Si eh?”
Zacky aveva allungato una mano mandando un bacio in direzione della telecamera, sorridendo. Jimmy e Johnny, dopo qualche istante, avevano salutato nella loro direzione e Matt aveva alzato il premio verso di loro: Brian, invece, si era limitato ad alzare lo sguardo, ammiccare e tornare a guardare dritto avanti a sé.
“Brian potevi sforzarti un po’ di più eh. Ma che ore sono lì, Holly?”
“Le quattro del mattino. Grazie Zacky, per tutto. Godetevi la festa, ti passo Roxy.”
Holly le aveva passato il cellular, dandole una leggera pacca sulla spalla come a volerla scuotere dal suo torpore.
“Coraggio. E’ anche un po’ nostro, lo sai, no?”
“Purtroppo si.”
 
 
Los Angeles, 2006.
 
“Che figata, ragazzi!”
Jimmy rideva come inebriato da tutto il casino, gli applausi e i complimenti. Non aveva chiamato le ragazze, ma aveva tutta l’intenzione di chiamare Roxy non appena si fossero liberati dalle premiazioni. Zacky aveva risposto ad Holly in meno di un secondo ed era certo che non aspettasse altro che la sua telefonata.
“Abbiamo vinto.”
“Già. A me sembra passato un secolo da quando giravamo con quel bus scassato.”
“Quello con cui siamo arrivati non si sa come a New York, Johnny?”
“Si, ma tanto la peggio l’avete avuta tu e Zacky quella volta.”
“In compenso Jimmy tu ti sei fatto arrestare a Londra, te lo devo ricordare?”
“Ehi!”, e il bassista aveva accompagnato il grido di sorpresa con una gomitata ben assestata al fianco di Zacky.
“Johnny sei scemo?”
“Quello non è il ragazzo di Holly?”
Zacky si era sporto dalla propria poltrona osservando la posizione indicata da Johnny, una decina di file più in basso rispetto a loro.
“Stai dicendo che è quello rachitico?”
“Quello che sembra uscito dal film sui Doors, esatto.”
“Non ha gusto Holly. Ma proprio per un cazzo”, aveva sbottato lui tronfio.
“Secondo me è così abituata ad avere intorno degli scimmioni che l’unico principe azzurro a cui può cedere è uno di quelli usciti da Raperonzolo. Noi siamo più da Bella e la Bestia, ecco.”
“Non vedo Belle, io”, aveva risposto secco Zacky in direzione del batterista.
“Io invece vedo un mucchio di Bestie. Ehi, sta telefonando! Magari è al telefono con Holly, che dici?” era stata la stoccata finale di Johnny. Lui e Jimmy si divertivano un mondo a prendere per il culo Zacky, con Brian c’era da andare sul leggero, e poi il gallese non era stato invitato e già per quello, Brian aveva dalla propria parte una vittoria morale schiacciante.
 
 
Zacky, così come Brian, era uscito vincitore dalla serata. I The Strokes non avevano portato a casa nulla se non una misera nomination, e il chitarrista aveva tutta l’intenzione di sentirsi grande. Si sentiva, per altro, come il padrone del mondo, un po’ come tutti loro e Gena, al suo fianco, era la ricompensa aggiuntiva al suo premio. Con l’aria strafottente del californiano stronzo – quale era – teneva un braccio sulle spalle di Gena, mentre scendevano la scalinata che portava al backstage, masticando in modo rumoroso un chew-gum.
“Dobbiamo farci fare l’autografo per Holly, Jimmy, altrimenti chi la sente poi? Quella è peggio di mia sorella quando si impegna. E’ una distratta cronica, ma per le stronzate ricorda tutto.”
“E ti presenta anche il conto, eh Zacky?”, aveva rimbeccato il batterista ridendo di gusto.
Quando erano arrivati più o meno alla fila incriminata, Zacky aveva sogghignato al destino che, per una volta, aveva deciso di offrirgli la serata più figa dell’anno, come se per tutta la merda ingoiata potesse almeno per una volta, averle tutte vinte. E la cosa, a Zacky Vengeance, elettrizzava un casino.
“Oh scusami.”
Con noncuranza, Zacky aveva urtato con una spallata Nick che – in piedi vicino al proprio posto – parlava al telefono, a bassa voce, nemmeno temesse di svegliare il mondo, facendolo quasi cadere sulle poltrone.
Nauseante.
“Non volevo farti male.”
“Nessun problema amico.”
“Grazie a dio non abbiamo come amici dei perdenti, noi.”
Nick l’aveva guardato perplesso, tentando di recuperare il cellulare che gli era caduto nell’urto, mentre Julian aveva scoccato a Zacky un’occhiata tutt’altro che cordiale.
“Ehi, non abbiamo problemi con i californiani.”
“Sbandierare i cazzi vostri ai giornali potrebbe già essere un problema.”
A quel punto, Nick aveva recuperato il telefono, la voce di Holly che dall’altro lato continuava a chiamarlo con una cantilena da bambina che l’aveva fatto scoppiare a ridere come un matto.
“Quella scema, sempre a fare casino,” aveva sbuffato Julian, appoggiandosi allo schienale della poltroncina in velluto rosso, calandosi gli occhiali da sole sul viso.
“Scusami, mi era caduto il cellulare.”
“Sei sempre il solito.”
“No, veramente un tizio grande, grosso, tatuato, con l’accento californiano e dall’aria strafottente mi ha appena dato una spallata. E dubito fosse amichevole. Lo conosci?”
“Quello scemo di Zacky…”
“Era il tuo migliore amico?”
“Begli amici di merda che ha!”, aveva gridato Julian, in modo da farsi sentire anche da Zacky, qualche gradino più in basso, che si era voltato mostrandogli il dito medio e un sorriso trionfante. Se fosse finita in rissa, Holly non gliel’avrebbe mai perdonato, e magari li avrebbe persino visti: non era certo che le telecamere fossero già spente, per cui era bastato come ammonimento. Un passo falso, e Valensi e quel gallese sarebbero finiti come un sufflè di cioccolato.
“Di’ a Julian che i miei migliori amici non si toccano, okay?” era stata la lapidaria risposta di Holly dall’altro capo del telefono.
“Sinceramente mi sembrano tipi poco raccomandabili.”
“E io che ti avevo chiamato per sapere come stavi dopo la delusione.”
“Nessuna delusione, a noi va benissimo così. Tu sei felice, vero?”
“Si, sono al settimo cielo. Se lo sono meritato.”
“Ti lascio festeggiare con Roxy, cercate di non affossare quel povero Cristo di Ian, però.”
“Credo che Roxy lo stia chiamando per dirgli di non passare stasera, ci rovineremmo un po’ tutti la serata. Tu davvero stai bene?”
“Si tranquilla. Rientro con Julian, dice che vuole vederti per assicurarsi che non scappi.”
“Bella forza, dove vuoi che vada? Ti aspetto qui. Mi manchi, ma solo un po’.”
“Anche tu. Ma non così poco, credimi.”
Holly era scoppiata a ridere, e Nick si era seduto sprofondando nella poltrona accanto a quella di Julian, che lo fissava di sottecchi mentre riattacava il telefono, sospirando.
“Bella merda l’amore, eh?”
“Non è così male, basta saperlo prendere.”
 
 
Huntington Beach, 2006.
 
 
La fortuna che aveva girato dalla loro parte, aveva preso a far funzionare il tour che li aveva visti impegnati sino all’autunno inoltrato. Erano riusciti a mettere insieme qualche canzone, ma nulla più, e tutto quello che desideravano ormai era una sana pausa ristoratrice. Quando era arrivato dicembre con il loro meritato mese di riposo, sembrava che tutto dovesse essere la perfezione anche in quelle quattro settimane che segnavano il ritorno di Holly e Roxanne. I ragazzi non avevano avuto tregua per tutto l’anno, e le due avevano finito con il passare le vacanze estive con Ian e Nick, in un viaggio che gli aveva fatto attraversare l’Europa per condurli sino a Istanbul, toccando città e – ovviamente, il loro amatissimo mare – che a turno, avevano proposto. Il bello del loro quartetto era una compensazione emotiva che riusciva a far funzionare qualunque cosa facessero insieme, un po’ perché Ian e Holly erano davvero incontenibili insieme - e impossibili da non assecondare - un po’ perché era come vivere davvero, senza sentirsi soffocare da legami che a volte sembravano solo malati, come se tutta la bellezza che vi avevano sempre visto, che avevano sempre vissuto, non fosse altro che una falsificazione della loro memoria.
A confermare che no, loro stavano bene anche ad Huntington Beach nonostante tutto – e Holly si chiedeva se non fosse puro masochismo - , era la memoria di Roxy, che non perdeva un colpo né falsava ricordi. Su quelli che avevano in comune, dunque, Holly era certa non ci fossero cattive sorprese.
“Secondo me a Zacky verrà un colpo quando vi vedrà insieme.”
“Dobbiamo fermarci a Los Angeles per un paio di giorni prima di venire ad Huntington Beach, resti con noi?”, le aveva chiesto Ian mentre leggeva con scarso interesse una rivista di moda maschile, come se lei nemmeno avesse parlato.
“No, preferisco rientrare e passare gli ultimi giorni di pace e serenità prima che il Tornado Baker si abbatta su di noi.”
Roxanne aveva riso, appoggiando la testa alla spalla di Ian, stiracchiandosi poi come un gatto in cerca di affetto.
“Prima o poi dovrà conoscerlo, no?”
“Non sei un po’ troppo ottimista? Tuo fratello non vorrà mai conoscere Ian, figuriamoci. Gli andava bene Brian solo perché era suo amico, qualsiasi uomo è fuori discussione per lui.”
Ian aveva passato la propria mano sotto quella della ragazza, intrecciando le proprie dita alle sue, in un gesto che a Roxy sapeva di certezza, come se tutto il mondo potesse crollare in quell’istante e lei, comunque, restare in piedi.
“Dovrà farsene una ragione.”
“Quel momento arriverà quando Zacky sarà cresciuto, e lo vedo ancora lontano dalla meta, sinceramente,” le aveva risposto Holly inforcando gli auricolari.
“Comunque – aveva proseguito sorridendo – in qualche modo ce la faremo ad arginarlo. Nick non passerà il Natale con noi quindi posso gestire Zacky se diventa insopportabile e non c’è Gena a fare da deterrente.”
“Non ti dispiace non poter festeggiare il compleanno con Nick?”
“Si, ma la casa discografica gli ha imposto diverse date proprio nella settimana di Natale, dubito che possa cancellare i concerti per venire a festeggiare me. Non morirò proprio per il giorno del mio ventitreesimo compleanno, no? Avremo una vita di compleanni da poter festeggiare insieme.”
Roxy era scoppiata a ridere mentre Ian aveva lanciato un’occhiata scettica a Holly emettendo un lungo fischio.
“Da quando ti sei messa a parlare di per sempre?”
“Da quando lo fai anche tu, Watkins. Per non perdere le buone abitudini, no?”, aveva sbuffato la rossa, fingendo di ignorare Ian.
“Ti ricordo che sei in debito con me di un ingresso a Disneyworld.”
“No, vi prego… se ci fosse Nick sarei salva, ma così è scorretto. Sono la minoranza.”
“Lo saresti in ogni caso, Nick ha giurato che mi porterà su ogni attrazione. Di conseguenza, tu sei arruolata quando Mr. Watkins si degnerà di schiodare le sue chiappe dai suoi amichetti a Los Angeles e si degnerà di ricordare che la California non è fatta solo di quell’orribile città.”
“Perché non andiamo a San Francisco per qualche giorno?”
Holly si era girata di scatto verso Ian, Roxanne che aveva sollevato lo sguardo verso di lui sorpresa quanto l’amica.
“Perché proprio San Francisco?”
“Perché è europea,” aveva scoccato lui, secco. Che altro potevano aspettarsi da Ian Watkins? Da uno che puntava al massimo e non si sarebbe mai accontentato del secondo posto? Da uno i cui ragionamenti seguivano l’onda anomala di uno tsunami, sempre fuori luogo ma comunque giusti, a modo proprio. Solo a una come Holly poteva piacere un tipo svitato come Ian, e solo una come Roxy poteva capire tutto quello che non diceva: di quella frustrazione sottile dell’eterno secondo, di quell’essere a un passo dalla vetta senza riuscire a salirvi, di essere quel tipo di persona che la gente considera un genio ma che – voltandosi - chiama mostro.
“Andremo a San Francisco quando ci sarà anche Nick, però.”
“Era scontato .Vuoi che lo rimpiazziamo con Bori?”
“No grazie,” gli aveva risposto Holly arricciando il naso in una smorfia di disgusto. Roxy aveva riso, scoccando un bacio sulla guancia del ragazzo.
“Sei tremendo, lo sai?”
“Mi piace quando mi dipingi come un cattivo ragazzo.”
“Un po’ lo sei.”
 
 
*
 
 
Non ricordava esattamente il motivo per cui, la sera prima, si era sbronzato come un sedicenne insieme a Holly e Jimmy. Quello che si ricordava, però, era che ad un certo punto era arrivata anche quella casinista di Dakota insieme a Johnny offrendo dei cocktail rivoltanti a tutti e quelli, li avevano massacrati. Holly si era rifiutata di bere, asservendosi ad autista – per una volta nella sua cazzo di vita da mocciosa parassitaria – e riportandolo a casa. L’aveva persino accompagnato in camera, perché ricordava che per poco non l’aveva fatta cadere a terra lungo le scale.
“Lo vedi che sei scemo? Che poi, spiegami perché non potevo portarti a casa di Gena come previsto!”
“Poi chi la sente?”
A Gena doveva aver mandato un messaggio Holly, secondo il post-it che gli aveva appicciato sul cellulare – impossibile non vederlo, dunque – in cui si scusava ma sarebbe rimasto a dormire a casa dei suoi, visto quanto era sbronzo e quanto fosse pericoloso rientrare a casa. Ovviamente, l’aveva riaccompagnato Jimmy: molto poco credibile.
Si era trascinato in cucina seguendo l’olfatto lungo le scale, mentre il profumo dei pancakes di sua madre si espandeva per tutta casa come una manna di dio. E lui, aveva anche una fame fottuta a quell’ora.
“Oh buongiorno Zacky!”
Zackary Baker riteneva che il mondo potesse essere molto stronzo se non stavi attento e non riuscivi a fotterlo per primo, e la voce allegra di sua sorella non era contemplata nelle quindici cose adorabili che avrebbe desiderato vedere appena sveglio. I motivi non erano da ricercare in Roxanne, ma al corollario di cose che – con lei – stridevano come unghie affilate su una lavagna.
In ordine sparso, Zacky aveva notato in rapida successione: che sua sorella indossava una camicia bianca che non era proprietà di casa Baker e sgambettava a piedi scalzi per la cucina; il gallese sedeva al tavolo della sua cucina, in boxer, sorseggiando una tazza di tè, perfettamente a suo agio; che lui, indossava i boxer con disegnati orridi maialini rosa con le ali che gli aveva regalato Roxy il Natale precedente.
In fatto a stile, Ian Watkins l’aveva stracciato.
“Zacky questo è Ian.”
“Ehi ciao, hai avuto una bella batosta ieri sera, eh?”
“Che cazzo ci fai qui?”
Aveva ignorato Ian, puntando lo sguardo su sua sorella, cercando di metterla a disagio: Roxy se n’era fregata sorridendogli, avvicinandosi a lui stampandogli un bacio sulla guancia.
“Non sei contento di vedermi?”
“Cazzo si, no, cioè… copriti Cristo! Sei nuda!”
“In fatto di nudità spirituale dovresti solo darti un’occhiata allo specchio,” era stata la risposta al vetriolo di Watkins, sul piede di guerra sin da quando si erano svegliati. Era andato ad Huntington Beach con il solo pretesto di mettere in chiaro la legittimità della sua proprietà, non avrebbe certo aspettato il branco al completo per farsi sbranare.
“Sei sempre il solito esagerato, Zacky.”
“Lui resta?”
“Sino alla fine delle vacanze natalizie. Mamma è al settimo cielo.”
“Mamma che?”
“E’ una bravissima donna, vostra madre. E cucina divinamente.”
Zacky si era assestato un ceffone in pieno viso, sperando di risvegliarsi dal peggiore degli incubi e invece, era tutto vero.
“Non potevate andare in hotel?”
“Mamma ha insistito perché rimanessimo qui.”
Col cazzo che passo il mio unico mese di pace in compagnia di questo esaltato.
“Vuoi un pancake Zacky?”, gli aveva chiesto Ian offrendogli un pezzo del proprio, penzolante da una forchetta e ricoperto di marmellata di arance.
“No grazie, mi si è serrato lo stomaco.”
“Non resti con noi?”
“Vado a fare un giro da Holly.”
Aveva fatto dietro front, poi aveva risalito le scale con passo deciso: aveva un’unica via di salvezza, e l’avrebbe intrapresa supplicando tutti gli déi del mondo perché, almeno lei, lo comprendesse.
 
 
Quando il campanello aveva suonato, Holly si trovava sul retro di casa, intenta a sistemare alcuni scatoloni carichi di vecchi giocattoli in garage.
“Ecco dov’eri!”
Holly si era girata sorpresa, rischiando di far cadere a terra la pesante scatola che teneva tra le mani.
“Che succede Zacky?”
“Quello, cioè… aspetta. Tu lo sapevi? Per questo mi hai fatto ubriacare ieri?”
“Non esattamente. Non credevo rientrassero stanotte ma si, lo sapevo.”
“Quello dorme a casa mia!”
“E allora? Anche tu dormi con Gena: è normale, no?”
“No, io non lo sopporto quel gallese. Ha la faccia da schiaffi, si vede proprio che si crede un figo. Non lo reggo, o ci sto io sotto quel tetto o ci sta lui.”
“Perché devi sempre essere così drastico nelle tue scelte?”
“Sei la mia unica salvezza.”
“Cosa dovrei fare, scusa? Scacciare Ian da casa tua?”
“Potrebbe essere un’idea. Tu sei loro complice, è tuo obbligo morale aiutarmi, visto che sono il tuo migliore amico.”
“Okay, fammi posare questo e poi ne parliamo.”
Zacky l’aveva osservata trotterellare lungo il giardino per poi ricomparire – quache minuto più tardi – da dietro l’angolo della casa, mentre cercava di pulirsi le mani sui jeans strappati.
“Che stai facendo?”
“Un po’ di ordine in camera. Ho portato in garage tutti i nostri giochi di società e un sacco di altre cose che occupano solo spazio. Adesso è pronta per ospitarti.”
“Dici davvero?”
“Puoi dormire nel mio letto, ma solo se non fai un casino assurdo e non ti agiti di notte come tuo solito.”
“Non mi stai prendendo per il culo, vero?”
“Considerando che sei venuto qui con un borsone carico di vestiti, direi che è la stessa cosa che avevi pensato tu. Perché te la prendi così tanto? Roxy è serena con Ian, stanno bene insieme ed è quello di cui ha bisogno ora: qualcuno che la faccia sentire bella e importante. Ian lo fa, dunque sta compiendo il suo dovere. E’ comunque una brava persona, la gente tende sempre ad accusarlo di essere un grandissimo stronzo, ma è solo apparenza. Un po’ come la tua.”
“Non paragonarlo a me, ti prego. Quello la mattina beve il tè, come i vecchi inglesi.”
“Dovrai farci l’abitudine. E’ anche vegetariano, è una sofferenza dover preparare cene quando c’è lui. Hai fatto colazione?”
“No.”
“Allora fammi vestire che andiamo a prenderci qualcosa fuori. Dovevo vedermi con Jimmy, almeno mi aiuterà a tirarti su. Hai una faccia spaventosa, Zacky.”
“Colpa del cocktail di Dakota.”
“E nemmeno un po’ di Ian?”
“Non infierire.”
Zacky l’aveva seguita mestamente, come se fosse privo di qualsiasi lucidità mentale: di fatto era sconvolto dall’invasione barbarica di un fottutissimo inglese.
“Dai, lasciami divertire un po’. Sei così buffo con questa faccia – ed era ritornata sui suoi passi pizzicandogli le guance tra indice e pollice, stiracchiandogli la pelle verso l’esterno – che sarebbe un’ingiustizia non farlo.”
“Sei una stronza. E mi hai anche fatto un male fottuto, cazzo.”
“Cinque minuti e arrivo. Se vuoi bere un po’ di latte, è in frigorifero.”
Holly gli aveva sorriso, correndo sulle scale di casa entrando nella propria stanza, lasciando Zacky in balia di una sensazione di stupidità latente, di quelle che ti fanno sentire un idiota senza un perché. Anzi, il perché lo sapeva sin troppo bene: cos’aveva sua sorella per accalappiare tutti gli uomini più stronzi del pianeta?
 
 
Jimmy aveva passato tutto il tempo della colazione a ridere a crepapelle. Holly parlava e gesticolava convulsamente, indicava Zacky e poi scoppiava a ridere, come se il povero chitarrista non fosse nemmeno presente.
“E che cazzo, basta prendermi per il culo!”
“Ti ho dato asilo, posso permettermi di dire ciò che voglio. Guardati Zacky, sembra ti abbiano trucidato il gatto.”
“Dai Zacky, Holly lo conosce: se dice che è okay perché devi prendertela così a male?”
“Perché è la sindrome possessiva dei Baker: guardalo, si sta già innervosendo al solo pensiero che Ian sia da solo con Roxy. Smettila di rompere le palle, sul serio. Diventi ridicolo poi. Comunque – e aveva ripreso a parlare dopo aver bevuto un lungo sorso di caffelatte – credo non sia il caso di parlarne con Brian.”
“Eh? Io a Brian non tengo nascosto nulla.”
“Certo, così ci ritroviamo Brian a fare la primadonna in competizione con Ian per le prossime tre settimane. Sei impazzito? Non voglio ritornare a Cardiff più stanca di quando sono partita per venire qui, anche perché finchè si tratta di sopportare te posso sacrificarmi, Brian se lo può scordare. E voglio bene a Jimmy da decidere di tutelare anche al sua sanità mentale.”
“E Matt?”
“Cazzo!”
“Ma sei scema?”
“Ho dimenticato di svegliarlo.”
Jimmy le aveva lanciato un’occhiata dall’alto della sua posizione, la tazza di caffè a coprirgli buona parte del volto.
“Perché devi svegliarlo tu?”
“Perché Matt doveva fare la spesa: se non lo fa, Valary lo ammazza. Val oggi dovrebbe essere fuori con Michelle, non ho capito bene per quale motivo. Tipo: andiamo dal parrucchiere insieme e raccontiamoci i cazzi nostri. Probabilmente saranno andate da Gena, e…”
Holly aveva guardato Zacky, imperturbabile mentre mescolava il suo caffè americano da almeno dieci minuti buoni, senza decidere di berne un solo sorso.
“Forse è il caso che avvisi Gena, che dici?”
“Non glielo diremo. Le diremo che dormo dai miei, facciamo prima.”
“Tu vuoi proprio tirarti i casini a casa, però. Perché non vai da Gena?”
“Perché la sua coinquilina mi sta sul cazzo, e vuole farsi Johnny e quindi rompe doppiamente. E se Dakota lo viene a sapere, compie una strage.”
“Johnny lo sa?”, gli aveva chiesto Holly con l’aria di chi era pronto a divorare la prima cosa che gli fosse capitata a tiro se Zacky avesse risposto in modo errato.
“Johnny non la sopporta, figurati. Quello ha occhi solo per Dakota, andrà a finire che si sposeranno prima di Matt e Val.”
“Che male ci sarebbe, scusa?”
Zacky, con una delicatezza pari a quella che avrebbe utilizzato per schiacciare una mosca, le aveva dato una pacca sulla fronte, facendola oscillare pericolosamente all’indietro, sulla sedia.
“Ma sei cretino?”
“Hai la febbre per caso?”
“Perché dovrei?”
“Quindi il piano è: non diciamo nulla a Brian sino a Natale?”, aveva chiesto Jimmy come a voler capire l’assurdità dell’idea di Holly.
“Esattamente. Basterà tenerlo a bada a turno. Per il resto, ci sarà Michelle.”
“Holly, non vorrei distruggere il tuo piano diabolico ma non ti sembra un po’ utopico tenere nascosto a Brian il fatto che Roxy sia rientrata con Ian?”
“No, perché? Basta che non si vedano, e se fa domande diciamo che Roxy ha qualche impegno o cose del genere. Facile no?”
Era palese che Jimmy fosse l’unico a vedere l’assurdità del piano dell’amica, considerando lo stato catatonico in cui versava Zacky, sinonimo che avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di vedere il meno possibile Watkins e sua sorella insieme.
“Finirà in tragedia, lo sapete vero?”
“Hai qualche altra idea, Jimmy?”
“Far ragionare Brian?”
“Scusa, non riusciamo a far ragionare Zacky, credi che riusciremmo a farlo con quella testa calda di Brian? Non accetterà mai di essere secondo a Ian, e viceversa. Sarebbe come un Brian contro Brian, e solo per il gusto di essere la primadonna della serata.”
“A me piacerebbe vederlo,” aveva risposto lapidario Jimmy.
“A me no, sarebbe insopportabile, credimi.”
 
 
“Cazzo ce l’hai ancora?”
“Si, perché? Dovevo buttarlo?”
Zacky aveva osservato l’orso di peluche che le aveva regalato anni prima, in un compleanno come quello che si stava avvicinando in fretta. Ancora uno, come se la loro vita ormai fosse costellata di compleanni e feste comandate. Come se la vita vera, fosse solo quella.
“Vuoi che guardiamo un film?”, gli aveva chiesto, mettendosi a sedere sul pouff, incrociando le gambe tra loro.
“Horror?”
“Se ti va si, ma ho tutta roba che abbiamo visto un milione di volte ormai.”
“Andiamo a noleggiare qualcosa?”
“Fa un freddo cane, fuori. E siamo già in pigiama Zacky, chi ha voglia di rivestirsi? E poi se incontriamo qualcuno che conosciamo che gli raccontiamo? Che stiamo facendo un’indagine di marketing?”
“Non vorrai stare tutta sera a lagnarti, vero?”
“Semmai non voglio stare tutta sera a sopportarti con il muso. Ah! Guarda cos’ho trovato mentre riordinavo la camera, stamattina.”
Si era inginocchiata a terra, sfilando da sotto il letto una scatola malridotta di cartoncino.
“Guarda un po’,” e aveva sollevato il coperchio mostrandogli sacchettini trasparenti in cui – suddivisi per colore – spuntavano piccoli carri armati in plastica.
“Ce l’avevi tu?”
“Lasciavate tutto a me perché ero quella più vicina alla casa di Matt. E quella che perdeva meno cose, nonostante fossi una disordinata cronica.”
“Tu le cose nel tuo casino le trovi, non sei come Brian che non trova nulla ed è pure disordinato.”
“Facciamo una partita?”, gli aveva chiesto lei mostrandogli un sorriso raggiante, il pigiama a pois rossi che le dava l’aspetto di un fumetto.
“Se vinco io ti chiamerò Pimpa per le prossime tre settimane.”
“Che stronzo. Se vinco io mi concedi un tuffo giù dal molo la vigilia di Natale.”
“Vuoi che ci prendiamo una polmonite?”
“Ci mettiamo le tute da surf, no?”
Non cambi mai, tu.
Holly gli tendeva la mano e Zacky l’aveva presa nella propria, entrambi determinati a vincere per una delle cose più stupide del mondo, come se fosse vera, la guerra che stavano intraprendendo. Il fatto era che erano abituati a giocare a Risiko, e litigare e scannarsi: l’avevano fatto per pomeriggi interi, non si sarebbero risparmiati nemmeno quella sera.
Mentre Olivia sistemava le proprie truppe rosa sulla Nuova Zelanda, Zacky aveva già preso possesso del Madagascar, con la mente rivolta verso i ricordi di un inverno di chissà quanti anni prima, accucciati nel garage di Matt in una partita a squadre all’ultimo sangue. Lui era finito con Holly, Val con Matt, Johnny con Dakota, Brian con Roxy – per volere popolare, dato che ancora non stavano insieme -e Jimmy e i Barry si erano divertiti a dividersi le restanti truppe. Era stato il pomeriggio in cui Holly l’aveva riaccompagnato a casa sotto la pioggia, con un ombrello trasparente che mostrava il cielo sopra di loro.
“Secondo me siamo come quelle nubi, lo sai Zacky?”
“Cioè?”
“Cioè ci facciamo sempre fregare dai venti del destino. Secondo te impararemo a remare controcorrente?”
“E’ una metafora un po’ del cazzo.”
“Però rende chiaro il concetto. Siamo troppo piccoli per decidere cosa vogliamo davvero.”
“Tu sei piccola, noi no.”
Holly si era ammutolita, e dopo sei mesi gli aveva dato la notizia che sarebbe partita per New York.
“Ehi, tocca a te. A cosa pensi? Ancora a Roxy e Ian?”
“No, pensavo a quando giocavamo a Risiko tutti insieme.”
“In due non è così divertente, vero?”
“Col cazzo che mi faccio fregare l’occasione di chiamarti Pimpa.”
“Il tuffo sarà mio, Zacky.”
Gli aveva fatto una pernacchia, poi era tornata a concentrarsi sul tabellone: mai giocare sull’orgoglio di Olivia Bridges, o avrebbe preso seriamente anche una partita a tombola al circolo degli anziani.
 
 
*
 
 
“Zacky sicuro di non avere un cazzo di morbo africano addosso? Non stai fermo un secondo, e soprattutto non stai azzeccando un accordo che sia uno. Sei riuscito a non andare a tempo nemmeno su Walk. Ci credo che sei la seconda chitarra.”
Jimmy, da dietro la batteria, aveva trattenuto a stento le risate, mentre Johnny gli si era avvicinato ridendo: lo spettacolo si auspicava divertente, e godersi i litigi di Brian e Zacky dalla posizione di Jimmy era sempre fantastico. Li potevi prendere per il culo senza che loro se ne accorgessero, infatti.
“Avrò la febbre.”
“Eh?”
In effetti era davvero poco credibile: si è scelta proprio il peggiore dei soci, si era detto Jimmy dando un colpo secco con le bacchette sui piatti, assordando Johnny.
“Ecchecazzo!”
“Scusa nanerottolo, ma era per dare un taglio al match delle prime chitarre.”
“Io sono la prima, Zacky la seconda. Ci tengo a ricordarlo.”
“Stronzo.”
“Cos’è, oggi gira male? Sono tre giorni che non ti si vede, si può sapere dove cazzo eri finito?”
“In giro.”
Jimmy aveva fissato allibito Zacky, consapevole che quello scemo si sarebbe fatto fregare da Brian in pochi minuti se non avessero smesso le prove.
“Sai Zacky, Huntington Beach è una metropoli per poter rispondere in giro. Che è, hai l’amante e non ce l’hai detto per caso?”
Se Holly si può definire la mia amante e passare tre sere a giocare a Risiko nella speranza di vincere una cazzo di partita…
“Fatti i cazzi tuoi, no?”
“Hai l’aria di uno che vive sulla luna. Dobbiamo lavorare, cazzo, e tu continui a fare errori da principiante. Se sei stanco o hai i cazzi tuoi molla e vatti a fare un giro.”
“Dio quanto sei rompicoglioni Brian!”, gli aveva sputato addosso Zacky sfilandosi la chitarra di dosso e prendendo la giacca dal divano.
“E adesso dove cazzo vai?”
“A casa.”
Brian aveva aspettato che Zacky sbattesse la porta dello studio dietro di sé, poi si era voltato in direzione di Jimmy e Johnny.
“Non l’avrà mollato Gena, vero?”
“Purtroppo no,” era stata la risposta sconsolata di Johnny, che si era allontanato in una delle altre stanze alla ricerca di Matt, trovandolo alle prese con i cavi dell’X-Box appena comprata, nel tentativo di farla funzionare.
“Così Val non si incazza perché ci gioco a casa e non la considero.”
“Non ha nemmeno tutti i torti, Matt,” e senza aggiungere altro aveva preso il joypad che gli porgeva l’amico, sedendosi sul tappeto accanto a lui, schiacciando il tasto play del più cazzuto degli sparatutto.
 
 
Zacky era tornato dove stava la sua dimora temporanea da tre giorni a quella parte, e non aveva fatto caso all’auto nera parcheggiata davanti a casa dei Bridges né al fatto che la porta di casa fosse spalancata, senza nessuno sulla soglia.
Zacky pensava soltanto che era finalmente nell’alcova rosa dove viveva Holly, dove ci sarebbe stato un sorriso pronto ad accoglierlo e un dvd horror nuovo di zecca, a cui aveva obbligato Holly all’acquisto quella stessa mattina.
“Cazzo…” aveva mormorato a denti stretti inciampando in un borsone da palestra simile al suo, adagiato malamente in mezzo al corridoio.
“Holly?”
Per un attimo aveva temuto che fosse stata rapita, o magari che un gruppo di malviventi l’avessero legata e gettata nell’armadio per compiere una rapina in piena regola, invece Holly aveva fatto capolino sorridente dalla camera da letto, correndo nella sua direzione per afferrare la borsa che stava ai suoi piedi.
“Che succede?”
“E’ arrivato il mio regalo di compleanno anticipato,” gli aveva risposto lei raggiante senza preoccuparsi del motivo per cui si trovasse lì, e non in sala prove con gli altri.
Fuori il cielo era grigio, eppure sembrava che lì dentro splendesse un sole estivo, e la forza di tutta quella luce era la presenza di Nick Valensi.
L’aveva realizzato – con una punta di amarezza e fastidio - nell’esatto istante in cui Nick era stato trascinato fuori dalla stanza di Holly, che li aveva portati ad un confronto diretto al centro dell’atrio.
“Nick ecco qui Zacky.”
Holly aveva aspettato che i due si dessero la mano, senza però che la cosa si realizzasse.
Prevedibile, persino scontato.
“Come sono andate le prove?”
“Una merda.”
“Per stasera ho comprato anche i pop corn da fare al microonde.”
“Stasera non ci sono, esco con gli altri.”
E dormo in sala prove, tranquilla.
“Ti lascio le chiavi, così puoi rientrare quando vuoi.”
“Ma sei scema? Dormiamo tutti e tre insieme?” aveva sbottato Zacky dirigendosi verso la sua stanza, mentre Holly lo seguiva come un’ombra, senza osare sfiorarlo: era incazzatissimo e ignorare la sua rabbia cercando di farlo calmare con un po’ di accondiscendenza e buonsenso, non serviva proprio a nulla.
“Be’, no, io dormo senza problemi sul divano,” era stata la risposta innocente della ragazza, certa che la sua buonafede potesse essere compresa da Zacky. Non aveva voglia di discutere, erano tornati a battibeccare senza le loro stupide prese di posizione, e adesso la costringeva a tornare indietro, riavvolgere il nastro e ripartire dall’ultimo litigio, riafferrare i cocci e incollarli di nuovo insieme, riavvicinarsi lentamente, con i loro tempi sempre più dilatati e poi allontanarsi di nuovo, come due calamite che non potevano stare vicine senza respingersi.
Dio se erano stupidi.
“Che diavolo ti prende ora?”
“Lasciami, vado da Brian e gli altri.”
“Non…”
“Non sono cazzi tuoi. Goditi il tuo regalo di compleanno.”
“Dovevamo preparare la festa insieme…”
“Fallo con Jimmy, lui ci avrebbe dato una mano comunque. O con Roxy e il vostro amico gallese.”
“Sei insopportabile quando fai così, te ne rendi conto almeno?”
“Si, e allora? Non vi obbliga nessuno a reggermi no?”
“Sei un idiota. Un grandissimo coglione. Ti avevo persino comprato i pop corn al caramello.”
“Mi fanno schifo quelli.”
“No, sono i tuoi preferiti. Proprio come per Roxy.”
Zacky le aveva lanciato un’ultima occhiata, poi l’aveva oltrepassata lasciandosela alle spalle, senza curarsi di averla ferita o provocata in modo del tutto gratuito. Il suo territorio era invaso, ed era giunto il momento di prendere in mano le armate e posizionarle lungo la zona di confine, pronte ad attaccare.
 
 
“E ora che cazzo ci fai qui?”
Brian e Jimmy sedevano sul divano della sala prove, intenti a parlare di musica e dell’ultimo numero di Playboy. Zacky aveva sbattuto violentemente la porta gettando a terra il proprio borsone, e Jimmy aveva capito che il piano di Holly era durato esattamente settantadue ore scarse.
“Quel newyorkese da strapazzo dorme nel letto dove ho dormito io con Holly, okay? E poi dove lo mettiamo il gallese, quello ha una faccia che lo prenderei a schiaffi. E quel chitarrista del cazzo! Andiamo, si vede lontano un miglio che sta con Holly solo perché è un’ingenua. Quello è uno stronzo proprio come me e Brian: le tipe se le scopa e poi le molla.”
“Forse non era il modo più indicato per farlo sapere a Brian, Zacky,” l’aveva apostrofato Jimmy avvertendo Brian irrigidirsi accanto a lui, mentre estraeva meccanicamente dalla tasca posteriore dei jeans il pacchetto di Marlboro per accendersene una.
“Danne una anche a me. Ah Jimmy, vai tu con Holly a organizzare la festa di Natale. Io non ci metto mano.”
“Lo sai che ci tiene.”
“Ha il suo coso lì, a farle da lacché. Non ha bisogno di me.”
Brian stava in silenzio, osservava Zacky senza parlare, mentre il ragazzo camminava avanti e indietro per la sala senza fermarsi.
“Era per quello che eri scazzato prima?”
“No, prima era per Roxy. Avevamo deciso di non dirtelo, okay? Per evitare cazzi e mazzi e rendere queste settimane più leggere per tutti.”
“E poi guarda come si è ridotto lui in quattro giorni, per renderti conto di come saranno le nostre prossime settimane,” aveva soccato secco Jimmy, dando una pacca sulla spalla dell’amico.
“Io fossi in voi mi farei una birra a tu per tu: vi sfogate, vi scaricate per bene l’uno con l’altro e quando tornate non rompete il cazzo a nessuno con questa storia sino a Capodanno. Ce la potete fare, non siete così gelosi e stupidi, no?”
“No,” avevano risposto all’unisono con una decisione tale da risultare ridicoli.
Chi volevano prendere per il culo?
 
 
*
 
Potevi essere il re del mondo, ma quando avevi passato le ultime tre settimane a borbottare e fomentare un astio naturale, non potevi poi che prendere atto di essere uno sconfitto e anche un grandissimo idiota. Jimmy aveva aiutato le ragazze ad organizzare il party di Natale a Los Angeles, meta obbligata per invitare più gente possibile e stemperare la normale tensione che le aveva costrette a vivere ad Huntington Beach con la fastidiosa sensazione di essere sempre in fallo. Roxy era al limite della sopportazione, Holly semplicemente aveva finito con l’evitare Zacky per non macchiarsi di omicidio premeditato. La sera della Vigilia avevano rinunciato ad andare la molo, perché Zacky aveva preferito passare la serata con Gena anziché prestare fede al proprio pegno di perdente e Holly aveva accusato il colpo dichiarandosi vincitrice su tutta la linea.
La presenza di Nick le aveva alleggerito e complicato la vita al contempo, ma erano riusciti – lui e Julian – a posticipiare le date di un paio di giorni, in modo che Nick potesse stare con Holly sino a Natale per poi ripartire per New York. Los Angeles, dunque, era servita anche per agevolare lui.
I ragazzi erano già tutti presenti, e per una volta non era Zacky a fare la star: quella sera c’era qualcuno più in ritardo di lui, e non aveva voglia di credere che fosse un atto voluto di rappresaglia.
Quando avevano varcato la soglia del SoundGarden, Zacky per poco non aveva sputato la birra che stava bevendo addosso a Brian, incapaci entrambi di credere che quella abbracciata a Watkins fosse davvero Roxy.
Dakota aveva emesso un gridolino di vittoria, lanciando poi un sorriso fintissimo in direzione di Michelle che osservava l’ingresso della festeggiata con la più genuina invidia: perché quel tubino viola, i tacchi alti che la slanciavano e i capelli che le ricadevano in una cascata di boccoli sulle spalle, erano un insieme difficile da ignorare e da digerire.
Ian aveva posato un bacio sul collo di Roxy, lanciando un’occhiata in direzione di Brian: e no, vaffanculo.
Il chitarrista aveva mosso un passo in avanti, afferrato in tempo da Jimmy che gli si era parato di fianco con un bicchiere di birra in mano.
“Non lo vuoi fare davvero. Se non hai un cazzo di alibi valido, non puoi farlo.”
“Da che parte stai?”
“Sono al centro, ma vederti fare la figura dell’idiota non mi va.”
Brian gli aveva lanciato un’occhiata in tralice, mentre Jimmy continuava a fissare Roxy e Ian salutare gente e dispensare abbracci e baci a conoscenti e amici.
“Che schifo, ho il voltastomaco.”
“Per una volta non sei tu il vip, Zacky?”
“Ehi Dakota, è probabile che la tua migliore amica abbia deciso di fuggire anziché venire a una festa in cui tutti sono tirati a lucido come i newyorkesi che lei odia tanto, rassegnati. Il compleanno di Holly si festeggia domani.”
Zacky, fiero della propria vittoria sulla ragazza, aveva dovuto ritrattare nel momento in cui Dakota l’aveva scansato in malo modo correndo incontro a una figura vestita di nero, su cui spiccavano capelli rosso fuoco raccolti sulla nuca.
“Non è…”
Zacky non era riuscito a terminare la frase, perché Holly aveva abbracciato l’amica prima di liberarsi dalla sua stretta ricongiungendosi immediatamente a Nick, senza sfilare mai la propria mano da quella del ragazzo. E c’era qualcosa, in quei due, che lo metteva a disagio. Forse era il modo in cui Holly guardava Nick, o il modo in cui si guardavano, la stessa aria complice e intima che aveva scorto nelle foto di Kerrang! quasi un anno prima. Holly aveva bisbigliato qualcosa a Nick, poi si erano diretti insieme a Dakota verso Ian e Roxy. A quel punto, Johnny non era riuscito a trattenersi oltre dal commentare.
“Ma quando cazzo…”
“Non dirlo Johnny, fidati,” era stata la pacata risposta di Jimmy, che aveva stabilito che la serata sarebbe andata come voleva lui: senza intoppi, senza casini, senza problematiche trascinate in secoli di vita, amicizia e relazioni.
Ian, quando Holly si era avvicinata a loro, le aveva assestato una pacca sul culo ridendo, sciogliendole i capelli sulle spalle scompigliandoli, passandole poi attorno alla vita la propria cintura dalla fibbia enorme, per rendere meno serio il vestito aderente che indossava.
“Io non posso farcela, giuro che vomito la cena di Natale di un anno fa.”
“Scusate il ritardo, Holly non voleva saperne di uscire con quelle scarpe. Tra mezz’ora girerà scalza.”
“E ci credo, come cazzo si è conciata?”, aveva sbottato Zacky in direzione della sorella.
“Come una donna qualunque.”
“Non sei gelosa? Quel porco del gallese ha toccato il culo a Holly.”
“Quando siamo tutti e quattro a letto insieme queste cose non hanno importanza.”
“Cazzo ma siete promiscui!”
Roxy aveva lanciato al fratello quel tipo di sguardo che hanno solo i vincitori, e si era diretta da Val, iniziando a parlare fitto con l’amica. Brian aveva la netta sensazione di essere preso per il culo, e che ogni parola di Roxanne fosse indirizzata a lui, non certo al povero Zacky.
“Povero” era un parolone comunque.
“E tu ora dove vai?”
Matt nemmeno l’aveva ascoltato. Era stanco delle menate di Zacky e Brian, specie perché non vedeva nulla di così ignobile in Nick o Ian. Certo, come aveva detto Jimmy, quei due erano così diversi da loro che forse, qualche domanda, avrebbero dovuto porsela, prima o poi, ma Matt aveva deciso di non ascoltare né Zacky né Brian, lasciandoli a bollire nel loro pentolone di bile.
Zacky aveva assotigliato gli occhi, osservando Matt avvicinarsi a Holly, cingerle la vita e abbracciarla. Lei si era sollevata in punta di piedi ugualmente, nonostante qualche centimetro guadagnato con i tacchi – decisamente più bassi di quelli che portava sua sorella – e gli aveva stretto le braccia attorno al collo, come era solita fare quando doveva aggrapparsi a qualcuno di loro.
Era sola?
Per un istante, nella testa di Zacky, quel pensiero era esploso con la preopotenza di un fuoco d’artificio sull’oceano. Non era sola, aveva attorno Nick, Dakota, Matt, Johnny, Roxy e Ian. Eppure, da qualche parte, c’era una voce che gli gridava che per essere perfetto, quel Natale avrebbero dovuto essere tutti insieme, senza guerre intestine, ma lui non sapeva come le battaglie finivano in tregua, sollevando bandiera bianca: era sempre stato abituato ad andare avanti e perdere regolarmente campo e nazioni.
“Vado a salutare Holly, venite?”
Jimmy era stato battuto però sul tempo, perché Holly si era diretta verso di loro arruffandosi i capelli con aria pensierosa.
“Volete diventare un tutt’uno con la parete?”
“Non è troppo corto quel vestito?” l’aveva accusata Zacky sorseggiando un sorso di birra dal proprio bicchiere.
“Stai benissimo Holly, dovresti vestirti così più spesso.”
“Ho solo reso felice Roxy e Ian, almeno un paio di volte all’anno posso immolarmi alla causa. Grazie Jimmy.”
“Vi state divertendo?”
“E’ una noia questa festa.”
“Sei tu il piatto forte Zacky, se non ci sei a fare il pagliaccio come pensi che possiamo animarla una serata in un locale di Los Angeles? E’ anche il tuo compleanno, no?”
“No.”
“Sei una noia, lo sai? Smettila di atteggiarti a questo modo, sei fastidioso. E ti riesce pure da schifo la parte. Goditi la festa, Jimmy ha trovato un paio di gruppi fighissimi. Mi ricordano voi i primi tempi. Ci credono, e questo si vede.”
Dakota li aveva di nuovo raggiunti, strattonando Holly per un braccio.
“Dai, Johnny ha detto che ci offre il primo giro di cocktail!”
Holly si era voltata verso Zacky, disegnando in aria una mezzaluna con gli indici di entrambe le mani, piegando poi di lato il capo.
Il chitarrista l’aveva guardata, poi aveva riso con quel suo modo identico a quello dell’amica, reclinando il viso verso il basso: erano così uguali, a volte, che avrebbero potuto leggersi dentro, se solo avessero avuto la voglia di mettersi a scrutare tra le pieghe dell’ovvio.
 
 
“A che gioco state giocando Roxy?”
“Cioè?”
Jimmy si era seduto sullo sgabello accanto al suo, al bancone del locale, facendosi servire l’ennesima birra della serata.
“Sicura che non state giocando sporco?”
“Tu credi davvero che Holly possa giocare in modo subdolo? Guardala – e l’aveva indicata stretta a Nick, in un angolo del locale, intenti a ballare un lento fronte contro fronte, godendosi le ultime ore insieme – credi possa davvero preoccuparsi di una cosa simile?”
“Lei no.”
“Io si però. Zacky non c’entra nulla, è solo troppo geloso.”
“Lo fai per Brian?”
“La domanda esatta è se sto con Ian solo per fare una ripicca a Brian, vero?”
“Più o meno.”
“Ian mi piace, e io piaccio a Ian. Stiamo bene insieme, ci divertiamo, ci amiamo. In un modo che non è lo stesso di Brian, ma credo sia amore anche questo. Non mi faccio troppi problemi in merito.”
“Non te ne sei mai fregata di quello che provano gli altri, il cinismo non è il tuo forte.”
“Ho imparato ad amarlo ed accettarlo. Non so se è l’amore della mia vita, non ho voglia di pensarci sinceramente. Ora mi va bene quello che abbiamo. Un po’ come Brian con Michelle.”
“Michelle è capitata, non l’ha cercata.”
“Ma c’è lei ora, Jimmy, e questo basta a far crollare il muro di bugie di Brian.”
“Non erano bugie, aveva solo paura. Tu eri davvero troppo grande per lui.”
Roxy era scoppiata a ridere, tornando poi a fissare l’amico.
“Io sono troppo per lui, e basta. Lo dice sempre, Holly. E ha ragione.”
“Sino a qualche tempo fa non ti andava a genio.”
“Posso essere libera di rivalutare le persone, no? Mi è stata vicina quando ero sola, mi ha dato una spintarella verso l’alto. Ed ora eccomi qui.”
“A me Nick sembra un tipo okay.”
“Non la farà mai soffrire. Sono fatti per stare insieme quei due. E se non ti rendi conto del perché, guardali: Nick tra due ore ha l’aereo per New York, hanno un piccolo tour che li terrà impegnati sino a metà gennaio. E’ riuscito a mollare tutto per passare con lei più tempo possibile, ed è riuscito a strapparle persino il giorno del suo compleanno. Quanti l’avrebbero fatto? Lui è fatto così, e lei per Nick farebbe qualsiasi cosa. La vostra Holly è una principessa innamorata ora, è cresciuta anche lei.”
“L’ho vista crescere, lo so benissimo cos’è.”
“Cosa non mi hai detto di Brian?”
Roxy aveva guardato Jimmy negli occhi, e lui l’aveva guardata di rimando, per poi sollevarsi in piedi dandole le spalle.
“Lo sai cosa non ti ho detto.”
“Se non dai voce ai pensieri, questi è come se non esistessero.”
“Devi fartelo bastare Roxy, io rispetto il silenzio altrui. Non giocare guerre inutili, non ha senso.”
Roxy l’aveva guardato allontanarsi e immergersi nella folla, scorgendo Zacky e Gena poco distanti da dove si trovava lei, ma di Brian e Michelle non c’era traccia.
“Ehi tutto bene?”
Ian le si era avvicinato, posandole il mento sulla spalla nuda.
“Sono solo un po’ stanca.”
“Prima o poi smetterete di combattere, no? Ah, la tua amica bionda se n’è andata.”
“Chi, Val?”
“No, Michelle. Ha cercato di fare la carina con me, e le ho detto che doveva girare al largo.”
“Perché?”
Perché tu e Brian eravate fatti per stare insieme e lei te l’ha portato via.
“Chiediglielo. Credo sia un po’ permalosa.”
“O tu troppo cattivo quando ti impegni?”
“L’importante è che con te sia adorabile, no?”
“Scemo.”
Aveva preso tra le dita la punta della cravatta, tirandolo verso il basso posandogli un bacio sulle labbra, cercandolo con la lentezza esasperante con cui aveva atteso, paziente, Brian negli anni: profumava di ricordi e di nuovo, Ian, perché tra le dita le aveva lasciato il biglietto per la felicità. Aveva afferrato la corsa, preso il treno sino alla stazione in cui, forse, avrebbe deciso di cambiare meta.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
(*) Il Wish Three esiste realmente al MoMa, anche se credo sia stata un’installazione temporanea nell’anno in cui sono andata a New York io, nel 2010. Visto però che mi andava di sfruttarlo, l’ho utilizzato senza troppi problemi.
 
 
 
Note dell'autrice. Online il settimo capitolo. Ormai ci avviamo alla conclusione della storia, per cui tenetevi forti per il gran finale! Questa volta ho ridotto un poco le pagine del capitolo, sono stata brava XD Il prossimo dovrei riuscire a pubblicarlo entro il 15 di ottobre, abbiate fede. E sarà lunghissimo, sappiatelo! Grazie come sempre a chi commenta, legge e segue questa storia con devozione e affetto. Siete adorabili <3

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Capitolo 8
*** Cosa tiene accese le stelle ***


Huntington Beach, 2007.
 
 
“Sei sicuro di volere Holly a cantare nel prossimo album?”
“Siamo tutti d’accordo, può uscire qualcosa di davvero tosto. L’hai sentita anche tu a New York, no?”
Matt le aveva sorriso, accarezzandole delicatamente la nuca, giocando con una ciocca dei suoi capelli. Distesa con il capo appoggiato al suo petto, Val sentiva il battito regolare del suo cuore coincidere con quello del ragazzo, rassicurandola. Se avesse avuto un sussulto, un’accelerazione o avesse dato un qualsiasi segnale di agitazione, Val si sarebbe seriamente incazzata e gli avrebbe impedito di far prendere parte ad Holly alla registrazione del nuovo album ma Matt era sereno, dunque non le stava nascondendo nulla. Valary stava aiutando i ragazzi con i preparativi preliminari, e sapeva bene quanto il self-title volesse dire per loro. Avevano contattato un’intera orchestra classica per l’incisione perché Jimmy e Matt avevano avuto ottime idee dando sfogo alla loro megalomania, unitamente all’ego di Brian che aveva scritto diversi assoli intensi ancora in fase di approvazione da parte dei ragazzi. L’album era ancora fermo allo stadio embrionale, eppure tutto si stava già muovendo a pieno regime progredendo a passi da gigante verso la fase di registrazione. I testi delle canzoni a Valary piacevano da morire, Jimmy era riuscito a superare sé stesso con alcuni pezzi che – rivisti con Matt - avevano assunto quell’aura maestosa che riusciva a imporre ad ogni testo che toccava. Le piaceva il modo di creare dei ragazzi, vederli stare svegli sino all’alba a scrivere, passarsi appunti su fogli a quadretti come se fossero le risposte a un test di matematica del liceo e ritenersi soddisfatti solo quando la scrittura di ognuno di loro l’aveva ormai reso illeggibile, carico di correzioni e riflessioni. Le piaceva soprattutto l’atmosfera intima che si creava quando erano in fase di lavorazione sui testi e la composizione: erano intrappolati in una clessidra, come se i grani di sabbia del tempo rimanessero sospesi a mezz’aria senza scendere o salire. Restavano lì e loro, senza rendersene conto, tessevano sogni e magie.
Valary aveva imparato a restare a osservarli da lontano, come se quello fosse un momento sacro: una nuova vita, un nuovo viaggio e mesi di solitudine, corse da un aeroporto all’altro e quel ritrovarsi ancora innamorati e con la voglia di stare insieme. Non ricordava un’altra vita, diversa da quella che aveva in quel momento. Con Matt era sempre stato così, lanciati a tutta velocità sulla strada di quel sogno chiamato Avenged Sevenfold in cui avevano inglobato un po’ tutti quanti. Nessuno era stato risparmiato, nessuno si era tirato indietro. Chi ci aveva provato, come Holly, aveva dovuto arrendersi all’evidenza che quei cinque erano una presenza troppo ingombrante per poter essere cancellata dalla distanza di un oceano e un continente. Erano fastidiosi, maldestri, bruschi nei modi e nelle parole, ma avevano un cuore – uno unico, grande e pulsante, che pompava sangue e adrenalina a tutti e cinque contemporaneamente – che non avrebbe mai smesso di renderli così unici e speciali. Ognuno di loro lo era e Val era riuscita a vedere la bellezza nascosta dietro gli occhi e le dita di ognuno. Sotto la musica, oltre le parole e le corde premute contro il legno, oltre l’apparenza e le giacche di pelle e gli occhiali da sole, c’era l’intera Huntington Beach. Un intero mondo, quello in cui erano cresciuti e a cui non avrebbero mai saputo rinunciare e che si erano portati dietro in tutto il mondo, facendosi conoscere per ciò che erano realmente, senza peli sulla lingua.
Californiani.
 
 
L’idea di avere Brian per sé elettrizzava Michelle. Era un regalo che il cielo le concedeva di rado, e le piaceva dunque pensare che Huntington Beach le riservasse la tranquillità che ogni storia d’amore avrebbe dovuto avere. Brian però pensava prima alla musica: il tempo per lei era quello che arrivava dopo il tramonto, nelle giornate in cui discuteva con Zacky e abbandonava le prove prima del previsto e nei week-end in cui le concedeva un po’ della sua attenzione. Michelle sapeva di essere l’eterna seconda ma in mancanza della prima della lista poteva considerarsi la proprietaria del podio. Brian con lei non era mai stato stronzo, aveva sempre messo in chiaro ogni cosa: si scopava le altre, prendere o lasciare. Michelle aveva ottenuto Brian con la condizionale che Roxanne non avrebbe mai accettato. Poteva biasimarsi per quello? Aveva sentito la chiave far scattare la serratura di casa e Brian aveva fatto capolino nel salotto con una confezione rosa confetto tra le mani.
“E questo per cos’è?”
Tiffany, recitava la scritta: la pasticceria preferita da qualsiasi ragazza nata e cresciuta ad Huntington Beach. Impossibile sbagliare il colpo, specie se da lì uscivano i migliori dolci della città.
“Per il fatto che mi sopporti.”
“Non mi fai mai regali per farti perdonare. Dunque sicuro che non è c’è nulla da festeggiare che io ignori?”
Michelle gli aveva posato un bacio a fior di labbra, sfilandogli dalle mani la scatola e dirigendosi senza ulteriori domande verso la cucina. Brian non aveva mai dovuto farsi perdonare nulla, in realtà: tutto ciò che faceva e diceva era legittimo, giusto e corretto. A lei doveva andare bene per forza. Se c’era una cosa che aveva capito, stando con Brian, era che lui non la comprava con mazzi di rose o vestiti alla moda come faceva Zacky con Gena, quando per errore – o sfizio – finiva con il portarsi a letto qualche fan. Lui la comprava stando con lei e facendola sentire speciale, in un certo senso, senza investirla di regali o parole dolci. Brian non le aveva mai detto “ti amo”, era quello che la terrorizzava quando pensava al loro rapporto. Erano due anni che stavano insieme, ormai, e Brian non le aveva mai detto – nemmeno una volta – quelle due parole. Era un’eterna seconda ma non l’avrebbe mai accettato, perché era certa che prima o poi Brian l’avrebbe messa dove meritava, sul podio della sua esistenza, accanto alla sua chitarra.
“Ti ho fatto preparare da mia madre una grigliata di pesce con verdure fresche. Hai fame?”
“Si, oggi non ci siamo fermati un attimo. Non so nemmeno se abbiamo mangiato.”
“Allora come procede?”
“Stiamo lavorando alle basi musicali ma scrivere la musica ci viene naturale. L’abbiamo sempre fatto. Se dovessi scrivere una lettera d’amore sarei un totale idiota, ma con la musica… be’, è molto più facile.”
E se dovessi scrivere una canzone d’amore? Quella varrebbe più di mille lettere, lo sai?
“Abbiamo deciso che ci aiuterà nei cori Olivia. Voto unanime, più o meno.”
Michelle si era zittita, trattenendo il guizzo che sottopelle le aveva contratto i muscoli del volto.
“Lasciami indovinare… Zacky contrario?”
“A me è sembrata una buona idea. Abbiamo bisogno di prenderci un po’ meno sul serio e Matt e Zacky iniziano ad accusare il fatto di vederla solo per pochi giorni all’anno. Sono insofferenti quando si tratta di lei, di qualche sua telefonata o cose del genere.”
“A mia sorella non farebbe piacere saperlo.”
“Val si fa troppe seghe mentali. Matt è innamorato di lei o con tutto il casino che fa l’avrebbe già scaricata. Se avesse fatto a me le scenate che ha piazzato a Matt per Holly, sarebbe sola da un pezzo. E con questo non ti sto dicendo nulla di che, io adoro tua sorella e lo sai. Se Matt non l’ha fatto è perché la ama sul serio. Di che ha paura? Olivia è una mocciosa, è cresciuta con Matt e gli altri. Nemmeno la puoi vedere come una donna, una ragazzina come lei.”
“Ha più di vent’anni, se non te ne sei accorto,” l’aveva rimbeccato lei tirando fuori dal forno il carpaccio che sua madre aveva preparato per la serata.
“Si, e mi sono anche accorto che sa essere una femmina, quando vuole. Questo non significa che perché sia un individuo del tuo sesso, Michelle, tutti dobbiamo correrle dietro.”
“Siete… lo sai come siete, no?”
“Un conto è portarti a letto una tizia che non hai mai visto prima, un conto è decidere di farlo con una che ti conosce alla perfezione. Insomma, chiunque sarebbe un idiota a provarci con Holly ora come ora. Al di là del fatto che è felicemente innamorata di quel tizio e si vede lontano un miglio, ma poi vorrebbe dire sputtanare tutto quello che si è costruito in un’intera vita. Ci vuole coraggio e la certezza di fare la cosa giusta. E una scopata non è mai una cosa giusta, è solo lo sfizio di una notte se non è con la donna con cui stai. In ogni caso, trovo che Val esageri con questa storia. Rischia di diventare ridicola.”
“Non fa una piega il tuo ragionamento. Val lo sa?”
“Si, Matt gliene ha parlato un paio di settimane fa. Holly e Roxy dovrebbero essere qui per la fine di maggio.”
“Fantastico.”
“In tempo per passare un’estate ad Huntington Beach. Erano al settimo cielo stando a quello che diceva Zacky.”
“Possiamo cambiare argomento?”
Brian aveva sollevato lo sguardo su Michelle, inarcando il sopraciglio sinistro con aria indispettita.
“Che cazzo ti prende ora?”
“Non ho voglia di ascoltare discorsi su presunte scopate e ipotetici amori impossibili.”
“Chi ha parlato di amori impossibili?”
“Tu, tacitamente.”
“Allora non ne ho parlato se l’ho fatto in modo implicito, no?”
“Si, l’hai fatto eccome Brian. Tu lo fai sempre, anche quando non te ne rendi conto.”
“Non ho voglia di discutere, Michelle.”
“Sei tu che la stai mettendo su questo piano, non io.”
A quel punto Brian aveva già superato la soglia della sopportazione: menate su menate, indipendentemente da dove guardasse. Problemi, incomprensioni, giustificazioni da dare: dov’era quell’amore che ti faceva sentire libero e non intrappolato nell’immagine di ciò che di te desiderava l’altro? Dov’era quella storia che avrebbe dovuto farlo sentire forte nei propri panni, e non una bestia braccata?
Brian Haner Jr. si sentiva una fiera in gabbia, intrappolato nel corpo di Synyster Gates.
La chiave l’aveva gettata via quasi due anni prima, e riprenderla sarebbe stato impossibile.
“Dove vai ora?”
“A casa mia.”
“Ma… il pesce…”
“Mangialo con Val mentre vi supportate su quanto idiota sia l’idea di far cantare Olivia. Almeno evitate di farvi compatire dal resto del mondo.”
“Sei uno stronzo. Non le pensi davvero queste cose.”
“Forse. Nel dubbio, mi faccio un giro eh.”
 
 
“Io e Matt vogliamo Holly come corista per il prossimo album e non vogliamo che la tua testa malata crei problemi mentre lavoriamo. Tensioni, per intenderci. Holly non è una professionista, non è abituata a sessioni di lavoro lunghe intere giornate. Evita di renderle la vita impossibile. Ci sarà già Brian a metterci la propria parte.”
“Appunto, non è una professionista. Che cazzo la volete a fare?”
Perché era così difficile per lui riconoscere anche i pregi di quella povera vittima della sua migliore amica?
“Ha una bella voce e ci piace l’idea di poterla coinvolgere. È un modo per avere lei e Roxy qui un po’ di tempo in più rispetto al solito. In ogni caso sei avvisato: qualsiasi problema insorga, la colpa sarà tua. O di Brian, dipende da chi sarà presente in quel momento.”
“Non viviamo in un paese democratico?” aveva borbottato il chitarrista senza guardare negli occhi il ragazzo. Jimmy gli faceva paura perché sapeva sempre vedere un po’ più a fondo rispetto a quanto facevano un po’ tutti loro, soffermandosi all’apparenza. Non che le cose le vedesse realmente, in realtà, per lui era legittimo insinuare dubbi e porre domande anche sulla più ovvia delle realtà. La certezza delle risposte era tutto ciò che serviva per troncare discorsi scomodi e pericolosi, ma nella maggior parte delle occasioni Jimmy era un mago nel fregarli con le domande giuste e sbatterli con le spalle al muro. Aspettava solo di vederli tentennare, o di avere la possibilità di dilungarsi a sufficienza in un soliloquio che li avrebbe stesi al tappeto, incerti persino del loro nome. Roxy, ridendo, gli aveva detto che avrebbe avuto un ottimo successo come persuasore, o come psicologo. Jimmy si era limitato a sorriderle, sostenendo che la vita che aveva era perfetta così; gli bastava che i suoi amici non si incasinassero troppo dietro a pensieri davvero idioti e fisime inutili.
“Si, perché?”
“Perché tu e Matt avete deciso senza consultarci?”
“Perché anche Johnny era d’accordo, dunque la maggioranza ha vinto. E Holly ha già accettato. Matt ci ha messo un po’ a convincerla, ma alla fine ha desistito. Sai com’è fatta, si vergogna.”
“Eh, certo, proprio lei si vergogna! Ma stai parlando della stessa persona con cui io ho a che fare da dieci anni a questa parte?”
“Direi di si. Solo che, come al solito, ti piace ragionare per stereotipi.”
“Fate come volete, tanto avete già deciso.”
“Saranno qui per la fine di maggio e passeranno ad Huntington Beach tutta l’estate. Anche tua sorella. Potresti dimostrarti un po’ più entusiasta, no?”
“Per vederla con il gallese per tre interi mesi? No, grazie.”
“Watkins non è così male. Dagli una possibilità.”
“No.”
“Ovvio che non gliela vuoi dare, perché prendersi il disturbo? Tu e Holly siete davvero identici.”
“Quella stupida lo adora. Si fa persino mettere le mani sul culo da quello!”
Jimmy era scoppiato a ridere mentre Zacky proseguiva lentamente la strada verso casa di Matt e Val, immersi nel traffico delle cinque del pomeriggio, quando tutti sembravano avere fretta di fare ritorno a casa dai propri figli, dalle mogli o dai mariti, presi dagli scazzi della giornata e dalle cose ancora da fare prima di mettersi sotto le coperte e tirare un sospiro di sollievo. A loro perché non era stata riservata una vita del genere?
“Hai visto solo quello?”
Jimmy si era convinto – nel corso degli anni – che sarebbe bastato davvero poco per cambiare radicalmente tutto quanto. Poteva essere un evento a caso a trasformare tutto: che Matt o Zacky si fossero messi con Holly. O magari che lui si fosse innamorato di Roxy. O, ancora, che Johnny non si fosse mai messo in mezzo prendendosi il disturbo di sostituire quello scoppiato di Justin. Perché le cose erano andate esattamente a quel modo? Loro erano diventati delle rock star ai vertici delle classifiche di tutto il mondo, conducevano la vita che avevano sempre sognato, potevano permettersi tutti i lussi e le stronzate del pianeta ma quando si fermava a guardare il mondo scorrergli davanti si accorgeva di come tutto fosse troppo finto, di come forse mancasse qualcosa a tutti loro. Qualcosa di semplice e pulito, ecco. Qualcosa che Johnny e Matt possedevano, che erano riusciti in qualche modo a conservare lontano dalle luci dei riflettori. Dakota non amava le apparizioni pubbliche, sorrideva e poi si defilava: arrivava dalla scuola di Holly e benché fosse costretta a lasciarsi andare, riusciva in qualche modo a essere sfuggente. Val, invece, era stata abituata sin dall’inizio a prendere in pieno petto ogni problema e domarlo. Valary era una fiera selvaggia dal sorriso dolce, una presenza discreta e mai ingombrante di cui avevi bisogno quando i dubbi ti assalivano e avevi bisogno di qualcuno con cui parlare che non ti desse solo del coglione. Avrebbero mai avuto dei figli?
“Secondo te diventerò mai padre?”
“Eh?”
Jimmy fissava un gruppo di madri con i propri figli, le mani dei bambini strette a quelle delle madri con la convinzione cieca che quelle spalle, quelle mani calde e morbide, quei sorrisi li avrebbero protetti sempre.
“Che cazzo di domande sono a quest’ora del pomeriggio e da sobrio?”
“Tu non ci pensi mai a come sarà la tua vita tra dieci anni? Io non riesco nemmeno a vedermi proiettato così in avanti. Non vorresti dei figli da Gena?”
“Non ci ho mai pensato, sinceramente. Sono quelle cose che pensano prima le donne, noi ci aggreghiamo di conseguenza.”
“Che cazzata, Zacky. Puoi dirmi che non ti senti pronto, ma prima o poi se Gena è la donna giusta qualche marmocchio per lo zio Jimmy dovrai pur sfornarlo.”
“Secondo me finisce che trovi tu una donna per cui perdere la testa e ci sforni uno stuolo di mocciosi rompicoglioni come te. Di certo se aspettiamo Matt possiamo dire addio all’età fertile.”
“Quando avrà metabolizzato le certezze degli ultimi dieci anni della sua vita, deciderà di fare il grande passo. Ha tempi biblici, lo sai.”
“È insopportabile. Non potrebbe lanciarsi, per una volta? Val non gli dirà certo di no, Cristo.”
“Gli serve solo la spinta necessaria. Serve un po’ a tutti, in certi frangenti. Ogni tanto penso che ci manchi qualcosa, ma non riesco a capire cosa, in realtà. Quando siamo lontani da Huntington Beach è una sensazione molto più forte.”
“Sarà nostalgia di casa. A me non capita comunque. Siamo sempre insieme, è impossibile sentirsi soli.”
“È qualcosa di diverso, secondo me. Quando gli darò un nome te lo farò sapere.”
“Puoi chiederlo a Holly. Potrebbe essere qualcosa di molto simile a quello che l’ha sempre fatta tornare qui.”
Jimmy aveva lanciato all’amico un’occhiata in tralice, tenendo le bacchette sollevate a mezz’aria, lontano dal cruscotto dell’auto su cui avevano battuto ritmicamente per tutto il tempo del loro tragitto.
“Cioè?”
“Non lo so. Mi sono sempre chiesto perché si sia fatta così tanto il culo per tornare a casa in questi anni. Se fosse rimasta avrebbe avuto meno problemi, no?”
“Non te l’aveva promesso?”
“Non ha mantenuto tutte le promesse, poteva evitare di prendersi a cuore anche questa. Non credo l’abbia fatto solo per quello. Era una mocciosa quando è andata a New York, probabilmente è solo la nostalgia di casa. E poi degli amici fighi come noi non li ha trovati da nessuna parte.”
“Che coglione.”
Jimmy aveva sorriso, scuotendo il capo prima di spalancare la portiera dell’auto e superare Zacky lungo il viottolo di casa Sanders.
Olivia non aveva solo nostalgia di casa, era il senso di appartenere a qualcosa – e a qualcuno - che la faceva tornare. Era la voglia di avere radici ferme e solide quando il mondo attorno a lei continuava a cambiare velocemente e temeva di non riuscire a tenere il passo. Era tutto il suo mondo e non la semplice nostalgia di casa: era il ritrovare sé stessa. A Jimmy, invece, mancava proprio quella matrice: aveva sempre cavalcato con entusiasmo la vita, senza preoccuparsi del passato, perché questi continuava a camminare al suo fianco. Quando si sarebbe fermato e i sogni realizzati sarebbero diventati ricordi a lui – a tutti loro, in verità – cosa sarebbe rimasto? Tatuaggi sulla pelle, strumenti musicali impolverati nei garage di casa e imparare a vivere una vita normale. Loro, che avevano fatto delle proprie esistenze un entusiasmante, fottutissimo e psichedelico show sarebbero dovuti scendere a compromessi con la vita come tutti gli altri quando il mondo si sarebbe dimenticato di loro e i riflettori si sarebbero spenti sugli Avenged Sevenfold?
 
 
*
 
 
“Ti dico che Brian mi ha sbattuto fuori dalla sala prove!”
Holly aveva sbuffato, imprecando nel tentativo di domare una ciocca ribelle di capelli che continuava a ricaderle sul viso. Roxy e Ian, l’uno accanto all’altra sui sedili anteriori dell’auto e Holly piazzata su quelli posteriori al centro – dritta riflessa nello specchietto retrovisore a coprire la visuale al ragazzo –, si erano scambiati un’occhiata d’intesa. Che per Olivia sarebbe stato difficile riuscire a seguire l’incisione del self-title dei ragazzi era cosa che tutti sospettavano – diretta interessata compresa – ma che i ragazzi applicassero la legge marziale anche per l’innocente vittima che si era sacrificata con entusiasmo per lavorare con loro, sembrava assurdo.
“Di quanto eri in ritardo?”
“Dieci minuti più o meno.”
“Brian odia i ritardatari”, aveva scoccato distrattamente Roxy, fissando i vialetti di Huntington Beach diramarsi lungo i quartieri residenziali.
“Mancava ancora tuo fratello. Solo che lui si era parato il culo, io no. E quindi sono stata sbattuta fuori. Brian si sta vendicando di tutto, e lo farà sino a quando quel maledetto album non sarà completato.”
“Non devi essere sempre con loro, no?”
“No per fortuna. Oggi comunque non dovevamo registrare, mi volevano far ascoltare solo le tracce e leggere i testi. Be’, peggio per loro.”
“Non sarà facile per te, non sei una professionista.”
“Già, ma mi manca cantare. E poi avevo voglia di tornare a casa e restarci per un po’, senza il pensiero di dover ripartire in fretta e furia.”
Si era stiracchiata, allungando le braccia al di sopra della propria testa e sorridendo alla propria immagine riflessa.
“Com’è che avverto un’energia più dirompente del solito?”
“Huntington Beach mi mette di buon umore, Roxy! E poi possiamo andare a fare surf insieme per la prima volta!”
Roxy aveva sollevato un sopraciglio nella tipica espressione ereditata da Brian, voltandosi verso Holly.
“Non eri qui per lavorare con i ragazzi?”
“Certo. E per godermi l’estate californiana come non faccio da anni. Dai Roxy, potremo andare giù alla baia! E insegnerai a Ian ad andare sulla tavola. Ti presto la mia rosa, se vuoi!”
Da quando erano saliti in aereo, Holly non aveva fatto altro che parlare e parlare e parlare sino a stordirli, con quell’euforia esaltata che mostrava solo in compagnia di Zacky, in genere. Il fenomeno però, era inarrestabile, e solo l’arrivo di Nick – previsto per qualche settimana più tardi a causa del tour europeo degli Strokes – poteva darle una calmata. Roxy, in verità, era più propensa a credere che l’accondiscendenza di Nick unita all’adrenalina di Holly avrebbero solo peggiorato le cose, ma aveva la fortuna di poter sfuggire alle sue follie da psicopatica scaricandola a Zacky, Matt o Dakota.
Sarebbe stata vacanza anche per lei, finalmente.
“Lalalalalala!”
Holly aveva guardato Ian come se fosse un pazzo, poi gli aveva scoccato un sorrisino sarcastico.
“Mr. Watkins, non è che per caso tu non sai nuotare, vero?”
“Chi? Io? No, ho solo il rigetto per ogni tipo di sport. Mi hai mai visto fare qualcosa?”
“Gli allenamenti di karate con Nick,” aveva risposto piccata Holly.
“Si, in cui io facevo la cavia e Nick si allenava. Molto poco virile, ma era l’unica cosa che potevo fare per farlo allenare. Mi ha insegnato giusto a parare i colpi per non rompermi il naso. In quello sono diventato un dio, e già lo sono in molti altri campi.”
“Mr. Modestia, vedi di frenare o rischiamo di tamponare l’auto davanti a noi. E dato che stiamo facendo l’ennesimo giro turistico per Huntington Beach perché non ti ricordi dove hai visto il negozio con le giacche in pelle che ti piacevano da morire, vorrei evitare di passare in auto più tempo del dovuto.”
“Ehi, frena!”
“Che ti prende ora? Sei impazzita?”
Holly aveva indicato fuori dal finestrino lo skate park dove era cresciuta, quello in cui si era sbucciata ginocchia e gomiti all’infinito e dove aveva pianto così tante volte da averne perso il conto.
“Io scendo qui, ci vediamo stasera, okay?”
“Ma domani non hai…”
“Si si, domani mattina ho le prove, ma tranquilli. Sarò puntualissima e Brian non potrà cacciarmi a calci! Vado a farmi un giro a piedi, tanto sono vicina a casa!”
Holly non aveva lasciato finire la frase a Roxanne, intenta a caracollarsi fuori dall’auto prima che il semaforo scattasse di nuovo sul verde.
“Sarà una lunga estate. Sei sicuro di voler stare tre mesi qui?” aveva chiesto la ragazza con fare rassegnato.
“Ci divertiremo. Sono abituato a Holly, non mi spaventa. È più carica del solito ma quando torniamo è sempre di ottimo umore, persino se litiga con tuo fratello.”
“Secondo me è esaltatissima per la storia dell’incisione dell’album.”
“Gelosa?”
Roxy aveva scosso il capo, appoggiandosi mollemente allo schienale del sedile.
“No, Holly ha una bella voce. Nick dice che è un potenziale sprecato. Non ci capisco molto in queste cose, ma mi piace sentirla cantare persino quando se ne sta sotto la doccia e imita Matt in farsetto. Non le è mai andata giù l’idea di aver preso tutti i pregi e i difetti di quei cinque, credo, comprese le passioni. Ha condiviso tutto con loro sin da quando era una bambina, è normale ne abbia assorbito le peculiarità. Ad Holly piace fare musica o non avrebbe passato anni al club quando era all’università a New York e non avrebbe preso lezioni di canto prima. Mio fratello spesso la andava a prendere alle lezioni, quando finiva tardi e faceva buio.”
“Dovremmo farla sfogare sul palco almeno una volta, le farebbe bene e si divertirebbe un mondo.”
“Non lo farebbe mai.”
“Sicura? Potrebbe ricevere una buona dose di autostima. E poi ci sarebbero le persone giuste con lei.”
“Cosa pensi che possa fare? La corista? La groupie? O magari la suonatrice di triangolo? Non mi piace quella tua espressione, Ian. Non promette nulla di buono. Cos’hai in mente?”
“Per ora di andarmi a comprare la giacca e portare a cena fuori la mia personale groupie, al resto penseremo poi.”
 
 
La mattina seguente Holly si era presentata alla sala prove con venti minuti di anticipo, due borse della spesa cariche di cibo-spazzatura e una corona da principessa in plastica rosa in testa recuperata da un set di giocattoli per bambine a meno di cinque dollari.
“E quella da dove esce?”, era stato il primo lapidario commento di Zacky dopo averla squadrata da capo a piedi, l’unico ad averla sentita bussare con insistenza alla porta.
“Me l’ha regalata Dakota, abbiamo fatto colazione insieme e mi ha aiutata a fare la spesa. Ti fa schifo?”
“No, sembri solo più scema del solito.”
“Allora non è un problema. Mi aiuti a portare qualcosa? Guarda che pesa eh, e voi mangiate come una mandria di buoi.”
Zacky le aveva sfilato di mano una borsa dando rapidamente un’occhiata al contenuto di entrambe.
“E le birre dove sono?”
“Non puoi bere birra mentre canti, sei scemo? Ti impasta la gola e rendi la metà del tuo potenziale. Non lo sapevi?” gli aveva chiesto lei con il sorriso della vincitrice stampato in volto.
“Ma che ne sai? Io bevo sempre vino durante i concerti e non ho mai avuto problemi.”
“Questo lo pensi tu. I vostri fans vi vogliono bene e vi perdonano tutto, è questa la verità.”
“Toh, la ritardataria. Imparata la lezione,impiastro?”
Holly aveva risposto al nuovo arrivato alzando il dito medio e mostrandogli la lingua, posandogli malamente sui piedi l’altra borsa della spesa, superando i due chitarristi di qualche passo guardandosi attorno estasiata, ignorandoli volutamente.
“Non ha comprato le birre, Brian. Dobbiamo andarle a comprare noi o siamo fottuti.”
“Se lo fai sei un coglione. Almeno durante le prove trattieniti, no?”
“Non fare la saputella.”
“Fa’ come ti pare. Se poi canti da idiota non è un problema mio. Figo questo posto, quanto tempo ci avete messo per portarci dentro tutte le vostre cazzate?”, aveva chiesto lei, indicando la bandiera americana appesa alla parete d’ingresso e il divano che – anni prima – si trovava nel garage dei Sanders.
“Qualche giorno. Almeno ci sentiamo a casa.”
“Mi piace però. Sembra il garage di Matt.”
Holly, aprendo la porta che dava sulla sala d'incisione, per poco non aveva colpito Jimmy in pieno volto.
“Ehi principessa! Pronta per le registrazioni? Matt voleva passarti a prendere per evitare a Brian un colpo apoplettico a causa del tuo ritardo cronico.”
“Mi sono fatta svegliare da Dakota, è più affidabile di quel dormiglione di Matt. Quando iniziamo?”
“Non vuoi nemmeno leggere i testi o sentire le basi?”
“L’effetto sorpresa l’avrei preferito, però okay, mi fate ascoltare qualcosa?”
Matt aveva sollevato lo sguardo dal pc voltandosi verso di lei sorridendole. Ad Holly sembrava di essere tornata all’estate dei suoi sedici anni, quando tutto ancora andava bene e lei non aveva deciso che stare lontana da Huntington Beach sarebbe stata l’unica via di salvezza e crescita. Non aveva poi sbagliato di molto la propria aspettativa, ma lo scotto che aveva dovuto pagare era mille volte più duro di quello che avrebbe mai potuto immaginare.
“Io partirei con Little Piece of Heaven, che dite?”
Holly fissava Matt estasiata, nemmeno fosse dio. In un certo senso era come se gli ultimi anni non fossero mai esistiti, solo lei e loro e la musica e il casino. Era bello essere a casa, fottutamente meraviglioso e fantastico. Era così felice che probabilmente nemmeno la presenza di Gena avrebbe potuto renderle una giornata storta.
“Che è quell'espressione da ebete?”, l'aveva rimbeccata Zacky costringendola a tornare alla realtà. La base musicale della canzone era finita da alcuni minuti e lei, persa a rincorrere i propri pensieri, nemmeno se n'era resa conto.
“Jimmy ti ha chiesto se ti piace. Ma che ti prende? Sei più stordita del solito.”
“Sono felice di essere a casa, tutto qui,” aveva risposto lei accompagnando la frase con un’alzata di spalle.
Zacky aveva distolto lo sguardo scuotendo il capo in direzione di Brian, e questi era scoppiato a ridere di gusto. Era un po' una dichiarazione d'amore quella, no? Per tutti loro, ovviamente.
“La canzone è bella, anche il testo. L'hai scritto tu, vero Jimmy? Si vede lontano un miglio! Brian ma tu lo sai che sei diventato davvero bravo a scrivere gli assoli? Cioè, sono davvero fighi, ecco. Ci sono un sacco di parti corali poi, e queste parti con i cori in stile classico potrebbero davvero funzionare. Ma dov'è il resto delle persone che dovrebbero cantare?”
“Come fai a sapere che deve arrivare altra gente?”
“Perché un coro del genere non lo fai a cinque voci. E' impossibile avere un buon risultato con un coro standard dei vostri. Anche se aggiungete una voce femminile la cosa non funziona di certo. Se deve essere un crescendo epico ed evocativo, serve un coro classico. Non dico lirico, ma classico si.”
“Sei un genio!”
Jimmy l'aveva abbracciata sollevandola da terra, entusiasta come un bimbo al luna park.
“Non direi proprio. Ho solo studiato un sacco di tecnica noiosa quando ero a New York.”
“Scusa ma là non cantavi e basta?”, le aveva chiesto Johnny masticando un bastoncino di liquirizia, svaccato su una delle poltroncine in sala di registrazione con i piedi appoggiati a quella davanti a lui, lasciata libera da Zacky pochi istanti prima.
“No, ai club del doposcuola di carattere artistico ti insegnano un sacco di teoria anche. Al club d'Arte Drammatica studiano la storia del teatro, per esempio. A noi hanno fatto studiare un sacco di tecnicismi e teoria. In un certo senso credono che avendo le basi teoriche tu possa diventare un critico d'arte o musicale, per esempio, e che ti possa servire nel caso tu voglia intraprendere una strada differente. E' una base culturale come un'altra insomma, ma ti rovina la passione. Quando sai cosa c'è dietro una canzone, finisce con il perdere gran parte del suo fascino. Ne percepisci prima i difetti e poi la bellezza. Insomma, ti frega, perché sviluppi un occhio critico davvero spietato e così finisce che l'ottanta per cento di quello che ascolti risulta essere mediocre.”
“Anche noi?”
“Cerco di non studiarvi, mi limito ad ascoltarvi. E poi con voi è diverso... sapevo già come siete, i vostri processi mentali e creativi li conoscevo già. Credevo in quello che facevate quando non ci credevate nemmeno voi. Se non ci fossero state Val e Roxy sareste al punto zero ancora.”
“Grazie eh,” l'aveva apostrofata Matt senza battere ciglio.
“Lo sai benissimo anche tu. In ogni caso, io cosa devo fare? Questa parte, vero?”
“Si, è la parte con il Rev e Zacky.”
“Non la canti tu?”, le aveva chiesto lei sorpresa.
“No, è troppo veloce e non riesco ad attaccarmi con il seguito altrimenti. E poi Jimmy pensava alla mia voce come la voce narrante e...”
“Jimmy ma come nel teatro greco? E' geniale!”
Jimmy e Matt l'avevano guardata perplessi, senza capire cosa stesse dicendo.
“Non credo che Jimmy abbia realmente fatto una cosa del genere, spiacente di deluderti impiastro.”
“Comunque ricorda quel tipo di struttura narrativa. Tutto qui.”
Doveva ricordarsi che di quei cinque solo Brian e Zacky avevano finito il liceo e che tutto quello che lei aveva appreso dal terzo anno in poi doveva cancellarlo o tenerlo per sé. Solo Zacky l'avrebbe capita, e in ogni caso a modo proprio. Quell'idiota era davvero bravo a scuola, se non fosse stato che aveva il temperamento di un esagitato e l'aria da sfigato metallaro che lo rendeva ridicolo agli occhi dei più , avrebbe potuto tranquillamente iscriversi all'università.
Ma non era la sua strada quella.
Era davvero stata la sua, però?
Se lo chiedeva, e forse la risposta era meglio lasciarsela alle spalle. Aveva una laurea, era un'archeologa e si divertita terribilmente a recuperare reperti. Certo, erano ossa di sconosciuti e vasellame e chiese sconsacrate seppellite da secoli di storia, ma anche se non avesse mai trovato il Sacro Graal, a lei sarebbe andato bene lo stesso. Era il suo sogno e l'aveva realizzato.
La realtà, però, era che dovevi vivere di sogni per poter andare avanti, e ora che aveva raggiunto la meta ed era indipendente, realizzata, non era soddisfatta ugualmente. Le mancava un nuovo traguardo da tagliare, una nuova sfida da vincere.
Quelli come lei non si limitavano a realizzare un sogno solo nella propria esistenza e di ciò ne era la prova quello che sentiva ora nell'essere a casa propria. Le serviva un altro sogno da afferrare e costruire con le proprie mani. Qualcosa che la facesse sentire ancora – e di nuovo – speciale.
Se eri come lei, una persona normalissima all'apparenza senza particolari doti, dovevi convertire le tue attitudini nella tua peculiarità per non essere invisibile al resto del mondo. Quando l'aveva capito, lei, che non sarebbe mai stata una bellezza stratosferica? Di certo non a otto anni. Forse già da allora aveva compreso che la bellezza delle persone era da ricercare all'interno, non in un bel viso e occhi da gatta.
Lei però era speciale: per Nick era unica.
Anche per Dakota. Bastavano loro – per tutta la vita – per farla sentire davvero speciale?
 
 
Holly era scoppiata a ridere, Zacky aveva sbuffato ridendo a sua volta seguito da Jimmy.
“Cazzo voi tre! E' mezz'ora che provate le stesse tre frasi!” aveva sbottato Brian esasperato, in crisi d'astinenza da birra e Marlboro.
“E' colpa di Zacky, ha la faccia da pesce lesso quando canta!”
“Ma ti sei vista? Ci credi come se fossi Courtey Love!”
“Non mi offendere! Se non ci credi come fai a cantare, razza di mentecatto?”
“Insomma, Zacky. Holly ti sta dicendo che sta fingendo di giurarti amore eterno, potresti sforzarti di capire il motivo per cui continua a ridere come una cretina senza riuscire a finire la frase, no?”
Johnny, nella schiettezza con cui li aveva incastrati, aveva messo in serie difficoltà Zacky più che Holly.
“Okay, adesso chiudo gli occhi e non guardo Zacky, così riusciamo a finire e ce ne andiamo tutti a casa.”
“Non ho intenzione di stare qui sino a mezzanotte, eh.”
“Io devo scappare tra poco, c'è nonna a cena. Se non mi presento mi diseredano. Finiamo questa canzone e poi via!”
Avevano passato il pomeriggio a provare, ridere, scherzare e fare casino. Avevano finito con il non riuscire a concludere nulla, salvo recuperare dalla scuola di musica dove avevano preso i musicisti classici, il coro che aveva voluto Holly. E in effetti la differenza si era sentita sul serio, solo che nel momento in cui lei e Zacky dovevano entrare in azione, finiva che i due idioti scoppiavano a ridere senza riuscire a finire quelle tre righe di dialogo. Brian iniziava a spazientirsi e se non fosse stato per la leggerezza con cui gli altri stavano andando avanti – si stavano divertendo a livelli incalcolabili, e Holly era più incontenibile del solito. O forse erano loro che non erano più abituati ad averla intorno a quel modo, senza fidanzato o gallese, senza Roxy ma solo con i suoi skinny strappati al ginocchio, il cappello da baseball in testa e la canotta degli Angels che le aveva regalato Zacky l'anno prima – se ne sarebbe già andato da un pezzo. Stavano facendo la figura dei dilettanti e la pazienza che avevano i tizi con cui stavano provando la diceva lunga su quanto lui fosse poco propenso a dimostrare la medesima qualità. Ammesso poi che ne fosse provvisto, cosa di cui dubitava enormemente.
 
 
“Do you take this man in death for the rest of your unnatural life?”
“Yes, I do.”
“Do you take this woman in death for the rest of your unnatural life?”
“I do.”
“I now pronounce you…”
 
 
Zacky aveva lanciato un'occhiata a Holly, fugace, e l'aveva vista cantare a occhi chiusi, il capo chino sul microfono e le cuffie a coprirle le orecchie, senza dare il minimo segno di idiozia. Era la stessa Holly che aveva cantato sul palco di New York quando lui aveva finito con lo scoparsi una tizia di cui non ricordava nemmeno il viso o l'odore. Era come se, concentrandosi su ciò che amava, la investisse un'aura strana, di qualcosa che dovevi guardare senza sfiorare nemmeno. Non era sacra, era diversa: non era la solita distratta e sbadata, non la ritardataria cronica che viveva in un caos in cui solo lei riusciva a dare un ordine logico ma era una tizia senza pensieri che stava lì e faceva quello che doveva fare con professionalità. Ecco cos'era: Holly sembrava adulta, quando cantava. Forse era il timbro di voce che riusciva a raggiungere o, molto più probabilmente, il fatto che immersa nella musica c'erano solo lei e la propria voce, senza tutto il resto della vita a confonderla. Era come se Holly riuscisse a trovare una dimensione di equilibrio solo cantando. Quei pensieri, però, se li sarebbe tenuti per sé: quella scema sarebbe stata capace di decidere di provare a sfondare nel modo della musica se le si dava troppa importanza – così, per il gusto della sfida -, e Zacky non voleva che finisse nel loro mondo, di cui aveva assaggiato la merda e i piaceri in ogni loro forma. Ciò che aveva sempre amato, in Holly, era stata la caparbietà con cui aveva continuato a stare nelle loro vite ma distante dai riflettori, come se fosse la custode segreta del loro passato. Di Holly amava proprio l'essersi tenuta a distanza da tutto quello che erano gli Avenged Sevenfold sul palco, e gliene era inconsapevolmente grato.
“Grazie a Dio ce l'avete fatta!”
Holly aveva sorriso a Zacky, felice della riuscita dell'incisione.
“Possiamo riascoltarla Matt?”, aveva chiesto lei sfilandosi le cuffie.
“Holly e Zacky si sono appena giurati amore eterno davanti al Reverendo Tholomew Plague. Siete fottuti insomma.”
“Tu spari troppe cazzate quando ti impegni, Johnny,” l'aveva accusato Zacky strappandogli dalle mani la bottiglia di birra che si era conquistato in una fuga al discount che si trovava lungo la strada.
Holly era scoppiata a ridere, avvicinandosi a Matt e al pc per ascoltare la traccia che avevano appena inciso, senza badare troppo alle cazzate dei ragazzi.
In fondo, c'era abituata da sempre.
 
 
“Abbiamo pensato, con nonna, di farla trasferire qui.”
“Ma... la camera degli ospiti l'abbiamo agglomerata alla mia stanza, mamma. Dove dormirà?”
Le cene in famiglia – da quando suo nonno se n'era andato – erano sempre un po’ avvilenti: nonna parlava dei bei tempi andati in cui era felice con suo marito, di quanto la casa che possedevano sul lungomare fosse troppo grande e ricca di ricordi per essere abitata da lei soltanto.
“Tu non ci sei mai, Holly, e la nonna è da un po' di tempo che desidera trasferirsi qui da noi. Siamo tutto qui, quello che resta della nostra famiglia, è un peccato restare lontani. Tu poi, ritorni a casa di rado. Quest'estate è un'eccezione per aiutare i ragazzi, non certo per stare con noi.”
“Insomma papà, mi stai dicendo che mi state sfrattando e di trovarmi un albergo per la prossima volta che torno ad Huntington Beach?”
“La nonna ha deciso di lasciarti casa sua, visto che lei occuperebbe la tua camera.”
Holly aveva spalancato la bocca senza riuscire a emettere alcun suono, stropicciandosi gli occhi con il dorso delle mani nel tentativo di svegliarsi da un sogno che le sarebbe costato una gran caduta con il culo a terra.
“Ma io non torno quasi mai a casa. Non converrebbe venderla piuttosto?”
“Per ora avrebbe poco senso, e per te sarebbe forse meglio avere una casa per te. Quando sei qui Nick viene sempre a trovarti e sono anni che vivi da sola. Tua madre sostiene che a casa tu sia un animale in trappola.”
“Be', è difficile adattarsi a ritmi non tuoi e a sottostare alle regole di casa d'altri. Ma è normale.”
Holly aveva spostato lo sguardo sul viso di sua nonna, sorridente mentre sorseggiava il thé che non mancava mai di concedersi dopo cena.
“Nonna ma sei sicura? Casa tua resterà vuota tutto l'anno.”
“A noi piace pensare che, avendo una casa tutta tua qui, prima o poi deciderai di tornare.”
Al sorriso di sua nonna lei aveva risposto con le lacrime, e sua madre le aveva concesso l'abbraccio caldo e confortante a cui sei certo di poter sempre fare ritorno quando la vita ti ricopre di graffi e jeans strappati dalle troppe cadute.
“Ora perché piangi?”
“Perché non me lo merito, ecco perché.”
E perché mi manca terribilmente la California: ora lo so che non potrò vivere in eterno lontana da qui e che prima o poi dovrò fare ritorno. Il mio sogno, inconscio, forse è proprio questo: riprendermi la mia vita qui, ad Huntington Beach, da dove l'ho interrotta sette anni fa.
 
 
“Cosa aspetti a chiederle di sposarti? Che lo faccia lei?”
La prima reazione alla lettura del testo di Dear God da parte di Holly era stata la stoccata vincente a Matt, che si era grattato la nuca con aria imbarazzata, chinando il capo verso il basso.
“Attenta a non fargli troppa pressione, o M. Shadows poi scompare in una nuvola di fumo nero”, aveva rincarato la dose Jimmy.
“Com'è?”, le aveva chiesto Matt nervoso.
“La più bella dichiarazione d'amore di sempre. Evita di fartela scappare e sposala. E' una vita che state insieme, cosa ti frena? E' come se foste già sposati. Fai questo passo una volta per tutte, almeno ci darai la possibilità di ubriacarci per qualcosa che non sia qualche festa a Los Angeles o uno dei nostri compleanni.”
“La canterai?”
“Dovresti farla cantare a lei, secondo me.”
“Deve essere una sorpresa. E a lei piace come canti.”
Holly aveva squadrato Matt, l'aria sincera del bambino di sempre: era nervoso, e in quel modo impercettibile di muovere la gamba tenendo il ritmo di chissà quale canzone immaginaria, leggeva tutta l'ansia di un rifiuto per lui comprensibile.
“Ne sarò onorata.”
“Matt ha sempre paura di fare cazzate con te, nemmeno fosse sotto esame.”
“E nemmeno li ha mai dati, eh.”
Holly si era sollevata posando una mano sulla nuca di Matt, in una carezza che gli aveva arruffato i capelli corti.
Jimmy aveva aspettato che Holly fosse nella stanza accanto, intenta a trafficare con la propria borsa cercando le chiavi per aprire agli altri, spostando lo sguardo su Matt.
“E' lei quella adulta. E prima che tu faccia domande del cazzo: è lei quella che è andata avanti e ha superato tutto quanto, non noi. Holly potrebbe tornare qui senza problemi. Stare lontano le ha fatto bene. È cresciuta nelle proprie convinzioni e ora nulla la può schiacciare. Nemmeno le battute al vetriolo di Zacky.”
 
 
“Allora, le incisioni come proseguono?”
“Ormai abbiamo finito. Io e Dakota abbiamo sbagliato tutto nella vita: avremmo dovuto fondare noi i Pinky Mood e fare la vita che fanno quei cinque. Ci saremmo divertite come pazze”, aveva sbottato Holly malinconica in direzione di Ian, intento ad attingere a piene mani dal sacchetto di patate fritte recuperato al chiosco della spiaggia dalla ragazza.
“Che razza di nome è?”
“Oh, non te l'ha mai detto tuo fratello? Era il nome che avevo proposto per gli Avenged Sevenfold, ma si sono rifiutati di darmi ascolto. Come il solito.”
“Sarebbero stati molto poco credibili”, era stata la risposta di Roxanne mentre mangiava il proprio yogurt ricoperto di M&M’s colorati.
“Sarebbe stato poco virile, non di certo poco credibile.”
“Comunque sareste ancora in tempo, no?”
“La Disney sforna cantanti ogni giorno, e no, non ho intenzione di fare la cantante nella mia vita. Quando mi stancherò di fare l'archeologa troverò qualcos'altro con cui guadagnarmi da vivere, ma non mi metterò di certo ad andare a fare piano bar con Nick che suona la chitarra per vecchi bavosi nei pub della California.”
“Che prospettiva rosea...”
“... soprattutto per Nick,” aveva concluso Roxanne ridendo.
“Dovremmo fare un concerto qui ad Huntington Beach, non c'è molta attrattiva in estate nonostante sia alta stagione per il turismo.”
“Scusa, e cosa vorresti che facessimo? Io l'unica cosa che so suonare è la chitarra, e solo in modo molto elementare.”
“Nick quando arriva a Los Angeles?”
“Tra una settimana.”
“Allora abbiamo una settimana di tempo per formare una band. Abbiamo il cantante, il chitarrista e il batterista.”
“Chi sarebbero scusa?”
Roxy vedeva già nello sguardo di Holly la luce dell'entusiasmo più puro e la cosa non prometteva nulla di buono, perché quando quei due si mettevano in testa una cosa non si sarebbero fermati sino a quando non sarebbero riusciti a metterla in atto. E non c'era nemmeno Nick a sostenerla nelle sue perplessità, volendo.
“Io alla batteria, Nick alla chitarra e tu come cantante.”
“Sei tu il cantante tra noi, non io.”
“Anche tu, quindi ti lascio la prima linea per una volta. Ero un batterista in origine, stare là dietro ogni tanto mi manca. Posso sfogarmi sui piatti così.”
“Possiamo avere anche una tastierista? Dakota è fantastica. E sarebbe felicissima di partecipare”
“Nelle band rock non esistono tastieristi,” aveva replicato lui con aria professionale, sistemandosi gli occhiali da sole sul naso.
“Ma lei può arrangiare tutte le canzoni che vogliamo, ce la possiamo fare Ian! Sarebbe fantastico! E poi tu hai un tastierista… mi vuoi fregare? Non possiamo farlo in un locale, moriremmo di caldo...”
“Perché non allo skate park? Tu Holly ci hai passato l'esistenza, sarebbe una cosa carina, no?”
Holly aveva guardato Roxy con espressione estasiata, come se avesse davanti un genio.
“E potremmo chiamarci Pinky Mood. Roxy farai tu la locandina da appendere ovunque?” aveva chiesto Ian alla propria ragazza, ormai inerme sotto i colpi entusiastici dei due “bambini”.
“Si ma chi verrebbe a un concerto del genere? Dovremmo avere degli sponsor o dove troviamo i soldi?”
“Non è abituata a ragionare come voi rock star, si vede eh...”
“Oh! E se facessimo un concerto di beneficenza? Devolveremo tutto a un'associazione per la lotta contro i tumori. Così potremmo trovare gli sponsor e la gente verrebbe per quello. Non sarebbe corretto far pagare un concerto in cui gli unici professionisti siete tu e Nick.”
“Ma quanti problemi ti fai? Io e Nick bastiamo per attirare tutta la zona, cosa credi?”
“A me l'idea di Holly piace. E' una cosa fatta per divertimento, e non avrebbe senso né investirci soldi né tanto meno perderli. Dunque io mi occupo delle locandine?”
“E degli sponsor. L'hai fatto anche per i ragazzi, dunque magari sai dove mettere le mani. Ti do una mano ovviamente, se ti occorre.”
“Io mi preoccupo di trovare una sala prove a Los Angeles e le attrezzature necessarie. Due settimane di prove e poi si va in scena bellezze!”
Ian aveva passato le braccia attorno alle spalle delle due, con l'aria di chi nella vita è stato baciato dalla fortuna. Da quanto tempo non suonava solo per divertirsi, ma solo con addosso la frustrazione di una vetta mancata?
Tanto, troppo tempo: suonare con i propri amici, con l'aria della California a sbatterti in faccia quel senso di libertà di cui Holly e Roxy erano diventate, in qualche modo, simbolo.
Avrebbe fatto brillare quella mocciosa come le stelle, dandogli l’ultima spinta verso la sicurezza: e si sarebbero divertiti come matti.
 
 
Nemmeno ventiquattro ore dopo, Olivia si era presentata alla porta di casa di Baker con aria circospetta.
“Che cosa ti prende Holly? Sembri uscita da un film di spionaggio.”
“Tuo fratello non è in casa, vero?”
“No, perché?”
“Arrivo.”
Holly aveva fatto dietro front ed era tornata alla propria auto, per poi ripresentarsi davanti all'amica con uno strumento musicale chiuso alla perfezione nella sua custodia di pelle nera e un libro dalla copertina immacolata tra le mani.
“Hai una settimana di tempo per imparare a suonarlo.”
“Cosa scusa?”
“Sarai la nostra bassista. Sei l'unica a poterlo fare in così poco tempo. E poi non ti va di stare sul palco al posto di Zacky e Brian, per una volta? Il basso ce l'ha prestato Johnny, ovviamente nessuno di loro saprà nulla sino a quarantotto ore prima del concerto. Dakota propone di mandare a tutti un messaggio con ora e luogo e dirgli di presentarsi. E' una bella idea, che dici?”
“Siete pazzi...”
“Ian è d'accordo sul basso. Quando sarai pronta penseremo alla scaletta del concerto.”
“Sei veramente carica, Holly.”
“Esaltatissima!”
“Era meglio se restavamo a Cardiff. Io non voglio suonare il basso.”
“E a chi lo facciamo fare? Siamo noi quattro e Dakota, punto. E' il nostro divertimento per movimentare quest'estate. Salutiamo Huntington Beah a modo nostro, no?”
“Facendo una gradissima figura di merda davanti a tutti quelli che conosciamo?”
“Studiati i DVD dei concerti, muoviti come Johnny o Brian e siamo a posto. Dakota pensa agli abiti, ed è quella la cosa che mi fa più paura, lo sai?”
Roxy era impallidita, poi aveva sospirato rassegnata: in fondo che male poteva fare una serata nei panni di una rock star?
 
 
*
 
 
Nelle ultime tre settimane Holly era stata inesistente per tutti, e Zacky aveva affibbiato la colpa all'arrivo di Nick. Anche sua sorella e Dakota, infatti, erano partite per Los Angeles, senza dare particolari spiegazioni sulle motivazioni che le avevano spinte a preferire una città afosa e priva di attrattive al mare d'agosto di Huntngton Beach.
“C'è sotto qualcosa vi dico. E' impossibile che Holly mi butti giù il telefono dopo appena cinque minuti di telefonata.”
“Si ma Roxy ti risponde, no?”
“Si, ma è sempre vaga... chissà che hanno in mente.”
Matt era scoppiato a ridere nel vedere l'espressione di Johnny che aveva sbattuto sul tavolo della sala prove un poster dallo sfondo rosa shocking e cinque sagome in nero che si stagliavano su di esso, tutte perfettamente in linea a formare una piramide dietro una punta che era decisamente più bassa di chi le stava alle spalle.
“Non... che cazzo è?”
“Un concerto... tali Pinky Mood, special guests: Ian Watkins e Nick Valensi. Interessante...” aveva letto ad alta voce il primo chitarrista con aria scettica.
“Me l'ha data Jason.”
“Barry?” aveva chiesto Zacky già pronto a farsi spifferare tutto dal rookie.
“Si, mi ha detto che l'ha trovata in uno dei locali del lungo mare. Si ricordava del nome inventato da Holly e mi ha chiesto se sapevamo qualcosa.”
“Quella deficiente si è montata la testa... è colpa tua, Matt.”
“Io non so nulla di questa storia, quindi non guardare me come capro espiatorio.”
“Dunque sono con lei anche mia sorella e Dakota?”
“Secondo te, genio? Ovvio che sono tutti insieme.”
“Faranno una grandissima figura di merda, e io sarò lì a prenderli per il culo.”
“Secondo me sarà una figata pazzesca!”
“Johnny ma tu da che parte stai scusa?”, gli aveva chiesto Brian con il suo tono perentorio di chi non ammetteva voltafaccia nemmeno per cose tanto idiote.
“Da quella di Dakota, ovvio.”
“Secondo me non ci hanno detto nulla apposta, non volevano farsi vedere da noi.”
“E fanno il concerto ad Huntington Beach?” aveva risposto lapidario a Zacky, Brian.
 
SMS: To Zacky From Holly H 13:03 PM
cc: Brian (scemo); Jimmy; Matt; Johnny
Venerdì 17 luglio 2007 Pinky Mood in concerto ore 21.00 @ Skate Park di Huntington Beach. Non mancate ♥
 
“Dicevi Zacky?”, l'aveva preso per il culo Jimmy.
“Che a volte dovrei tacere, per evitare che il karma mi smentisca,” aveva borbottato il secondo chitarrista osservando il display del proprio cellulare con quel misto di curiosità e terrore che accompagnava le follie da cui Holly lo estrometteva. E ultimamente capitava troppo spesso che Watkins prendesse il suo posto e quello di Matt. Già non gli andava a genio per essersi portato via sua sorella, che pretendesse anche di fare il figo e prendersi la sua migliore amica, era davvero troppo.
 
 
 
*
 
 
Los Angeles, 2007.
 
 
Quando hai la mente piena di idee e voglia di fare, ti dimentichi della concezione del tempo e di tutto ciò che è il mondo esterno. Era stato così, per loro, nelle ultime tre settimane. Si erano ritrovati a provare ogni giorno sino a sfinirsi, Holly con la gola che bruciava e Roxanne con i polpastrelli ricchi di vesciche. Un conto era la tecnica, un altro paio di maniche acquisire la velocità necessaria a seguire il tempo delle canzoni. Anzi, il tempo lo dava lei insieme a Ian alla batteria. Roxanne era un punto cardine dei Pinky Mood e la cosa le metteva un'ansia pazzesca addosso.
“Okay, io non ce la faccio. Cercatevi un altro bassista, magari qualche vostro amico, io mi rifiuto di continuare. Non arriviamo da nessuna parte.”
Holly aveva fissato Roxanne senza fiatare seduta sul tavolo, una lattina di Red Bull in mano e i piedi posati sul piano in legno.
“Cazzo Holly, e stai composta! Lì sopra ci abbiamo anche mangiato!”
“Dopo ci puliamo, no?”
“No. E' una cazzata questa del concerto, non ho intenzione di farmi prendere per il culo dalla città in cui sono nata.”
“Magari potresti renderla fiera di te?”
“No. Tu sei ottimista perché sai cantare, non hai dovuto imparare in una settimana come si suona uno strumento.”
“Ma tu puoi farcela, Roxy. Sei speciale perché puoi imparare qualsiasi cosa tu voglia!”
“Un conto è la tecnica, un altro è suonare trasmettendo qualcosa. Io quello non lo so fare.”
Holly si era portata la lattina alle labbra, finendo il suo contenuto, poi si era alzata e si era diretta verso Ian, strappandogli letteralmente le bacchette dalle mani.
“Faremo Walk e tu – e aveva indicato Roxy con le bacchette, facendole roteare sulla testa proprio come faceva Jimmy. Aveva insegnato sia a lei che a Roxy la tecnica per farlo, e Holly ora la fissava con l'aria di sfida di chi non ammetteva repliche – suonerai la batteria. Te l'ha insegnata Jimmy, no? Questo lo renderà fiero di noi, e se anche tutto il concerto sarà una merda colossale questa canzone dovrà essere perfetta. Ian dovrai suonare il basso, ma sono tre accordi tutti uguali... Roxy te li insegnerà. Nick tu dovrai riuscire a fare ciò che fa Brian, e tu Dakota... dovrai colmare la mancanza della seconda chitarra.”
“Finito di dettare legge?” l'aveva rimbeccata Roxy infastidita. Odiava ricevere ordini, odiava essersi fatta trascinare in quel piano assurdo e odiava l'atteggiamento che aveva Holly nei suoi confronti. Non ammetteva che qualcuno le rovinasse il divertimento, ma non si trattava di tuffarsi da dieci metri d'altezza dritta nell'oceano, si trattava di stare sul palco più di un'ora e mezza senza morire. E lei non ne era capace, fine dei giochi.
“Io vado a farmi un giro a preparare la voce, qui dentro farete troppo casino mentre provate.”
“Holly non stai esagerando ora?” le aveva chiesto Nick preoccupato dalla tensione che si stava creando nella sala.
“No. Se non ci crediamo noi allora è inutile che lo facciamo. Dovevamo divertirci, non incazzarci. Che ti frega se salta un accordo? Dakota è in grado di sistemare tutto, ha studiato tastiera e pianoforte per una vita. Divertiti Roxy, e non prenderti sul serio questa volta. Puoi divertirti grazie alla tua memoria e a quello che comporta... prova a divertiti quando suoni, anziché pensare a non sbagliare. Proviamo da due settimane per quello: per minimizzare gli errori.”
“Te ne vai sul serio?” le aveva chiesto Dakota preoccupata di non vederla tornare.
“Roxy sa suonarla alla perfezione, Walk. Insegna gli accordi del basso a Ian, io torno tra poco.”
 
 
Holly non era una professionista, né una leader. Aveva evitato accuratamente di invischiarsi con il mondo dello spettacolo dribblando ogni trappola e aveva evitato di frequentare individui talmente molli da aver bisogno di un modello da seguire. Sapeva però cos'era la paura, sapeva come ci si sentiva a stare su un palco senza avere la certezza che tutto fosse perfetto. Aveva quindi imparato a gestire il terrore del palcoscenico cavalcandolo: sapeva che lì – ad ascoltarla – c'era sempre una folla di individui pronti a sbranarla se l'assolo non era perfetto. Loro invece dovevano divertirsi. Avevano progettato una scaletta ricca di ricordi e vita, una di quelle playlist da I-Pod che la facevano sentire sempre a casa ovunque si trovasse. Walk non era in programma perché comportava per lei un timbro di voce impossibile da replicare, ma aveva deciso di fregarsene e mettere in scaletta l'unica canzone in grado di far divertire Roxy e tirarla fuori dallo stato di paranoia in cui si era cacciata.
Chiusa nel bagno di un bar, Holly emetteva versi gutturali che le nascevano dallo stomaco. Anni prima aveva chiesto al suo insegnante di canto dell'università come si poteva fare screamo senza compromettere le corde vocali, e la risposta era stata: con il diaframma. Holly aveva smesso di fare l'idiota giocando alle imitazioni un sacco di anni prima, ma doveva ritrovare almeno la tecnica con cui poter cantare senza restare a metà concerto senza voce. Sarebbe bastata mezz'ora di tranquillità per ritrovare il momento in cui diaframma e gola si incontrano, per emettere quei suoni graffianti che lei, senza tecnica, non sarebbe mai riuscita a ricreare.
Dopotutto, di Matthew Sanders ne esisteva uno al mondo.
 
 
“Allora?”
Holly si era girata verso Roxanne, sorridente. Aveva portato donuts appena sfornate a tutti, e ora le stava offrendo ai ragazzi dopo la prova di Walk.
“Ti odio.”
“Sempre meglio del tuo me ne vado di prima. Sei una rompipalle quando fai così.”
“Quando detti legge ti prenderei a schiaffi.”
“Lo farei anch'io. Ma me ne prendo la libertà solo quando è necessario. Colpa tua che come una fessa sei rimasta, comunque. Potevi andartene se lo desideravi. Ti ho lasciato la massima libertà di scelta,” aveva risposto la rossa addentando un altro pezzo della propria ciambella.
“Secondo me sarà un successo.”
“Da cosa lo deduci Holly?”
“Dal fatto che se faremo schifo cantando, con Nick e Ian avremo comunque conquistato il pubblico femminile. A quello maschile penserete tu e Dakota.”
“Anche tu.”
“Scordatelo che io mi metta a cantare in bikini e minigonna, non scherziamo.”
“E perché dovrei farlo io?” aveva domandato Roxanne scettica.
“Perché tu devi ricordare ad Huntington Beach chi sei. Chi sono io lo sanno benissimo se resto in jeans e maglietta” aveva risposto la rossa alzando le spalle e posando un bacio sulla guancia di Nick sorridendogli.
“Mi sa che i giri di Walk non ti verranno mai come a Brian, ma lo sai? Resti comunque il mio chitarrista preferito.”
“Mi chiedo come hai fatto a innamorarti di una così,” l’aveva apostrofato Roxy sospirando.
“Me lo chiedo anch'io, poi riesco sempre a ricordarmelo.”
Perché nella sincerità con cui Holly parlava e metteva la sua California al primo posto, Nick riusciva sempre a scorgere quanto fosse speciale il suo, di posto, nella vita della donna che amava. Era l'eccezione che confermava la regola, la certezza che ovunque Holly avesse deciso di vivere, lui l'avrebbe seguita.
 
 
Huntington Beach, 2007.
 
 
Tutti sapevano chi erano le misteriose figure femminili dei Pinky Mood. Chi aveva avuto a che fare con Holly, sapeva benissimo quanto lei avesse insistito perché i ragazzi chiamassero a quel modo la loro band. Una volta Brian, scazzato dalle continue pressioni della ragazza, le aveva risposto con un secco “Crea una tua band e mettile quel nome da femmine.
Lei, anni dopo, l'aveva preso alla lettera, ed ora lui se ne stava in prima fila accanto a un tetro Zacky e due esaltatissimi Jimmy e Johnny ad attendere l'inizio del concerto di un gruppo di principianti. Il problema era che non sapeva cosa aspettarsi, e Matt era in ritardo come il solito mentre la folla si stava accumulando sotto il palco nemmeno dovessero suonare loro.
“Fa uno strano effetto dover guardare un concerto anziché farlo, vero?”
“Specie perché dovremo offrire una spalla su cui piangere a quelle sceme.”
“Secondo me ci stupiranno, Zacky.”
“Sei sempre troppo ottimista, Jimmy.”
Le luci si erano abbassate e Matt e Val si erano gettati nella folla nel tentativo di arrivare alla prima fila, seguite da Michelle e Gena.
“Perché le hai fatte venire insieme?“
“Perché volevo la prima fila senza farmi uccidere, okay?” era stata la risposta di Zacky, piazzato esattamente sotto l'asta del microfono, certo che Holly sarebbe stata lì. Aveva scoccato un'occhiata a Matt, l'aria cupa di chi si era di certo sorbito i dieci minuti di auto più lunghi e sfiancanti di tutta la vita.
“La prossima volta ricordami di risponderti col cazzo alla tua idea di farmi fare ad autista alle ragazze, okay?”
“Viaggio difficile?”
“Secondo te?”
A giudicare da come si erano vestite Gena e Michelle, evidentemente si, specie perché entrambe si erano conciate come se dovessero stare nel backstage, cosa che chiaramente non sarebbe avvenuta, con il conseguente rischio che si sarebbero fatte ammazzare dopo la prima canzone. Zacky conosceva Holly e sapeva perfettamente che non avrebbe cantato solo i Beatles e Jeff Buckley o che, quanto meno, non si sarebbe limitata al suo amore per la musica vintage. Dietro di lui c'era una folla infinita di gente della stessa pasta di quella che frequentava i loro concerti: se li sarebbero mangiati a colazione al primo errore.
Le luci si erano accese all'improvviso sul palco, e dopo alcuni istanti di imbarazzato silenzio, dalle quinte aveva fatto capolino Ian con in braccio Holly – microfono tra le mani e culo all'aria, le braccia a penzoloni dietro la schiena del ragazzo – seguito a ruota dal resto della band che, senza scomporsi, era andato a posizionarsi al proprio posto mentre Watkins scaricava Olivia in proscenio come un sacco di patate, andandosi a posizionare al proprio posto, dietro la batteria.
Un colpo, due, poi era partita la prima canzone.
Holly l'aveva scelta senza esitazione come canzone d'apertura perché se n'era innamorata sin dalla prima volta che l'aveva sentita e perché, come le aveva spiegato Ian, dovevano scaldare il pubblico sin dal loro ingresso in scena. The River, dei Good Charlotte, sapeva di casa come non mai e quello era il regalo per la sua Huntington Beach e per ciò che l'aveva fatta diventare. Con lei nel cuore, sempre e dovunque, era cresciuta ed era diventata adulta. Restava un impiastro per Brian e una scema per Zacky che se ne stavano lì, sotto il palco a fissarli impietriti, ma lei si sentiva davvero grande in quel momento. Non aveva più paura ad affrontare i ritorni a casa e nemmeno aveva paura di ciò che gli altri potevano dire di lei. Aveva dimostrato di potersela cavare anche da sola, poteva dirsi di essere una vincitrice, no? Senza una famiglia sicura a pararti il culo quando sbagliavi, senza quella sensazione di calore rassicurante che ha l'abbraccio del tuo migliore amico: da sola, con le sue sole forze, era diventata adulta.
“Grazie Huntington Beach!”
 
 
Zacky non riusciva a credere a ciò che vedeva e sentiva. Avvertiva un'enorme sensazione di disagio mista a un profondo orgoglio che lo faceva sentire un perfetto idiota, lì a rimirare la sua migliore amica e sua sorella fare ciò che faceva lui da sempre. Aveva accusato il colpo dei ricordi proprio come Brian, perché nulla di quelle prime canzoni era stato lasciato al caso. Erano i ricordi di Holly messi in musica e questo Zacky lo sapeva benissimo. La ragazza aveva bevuto da una bottiglietta d'acqua, gettandola tra la folla, dando al pubblico – e alla band – un attimo di respiro dopo il ritmo serrato con cui avevano affrontato i primi venti minuti di concerto.
“Mi scuso per l'ingresso da imbranata, ma la verità è che dopo aver fatto la paternale a Roxy, non ci volevo salire io sul palco. La canzone che vi vogliamo offrire ora è un ricordo dell'adolescenza di un casino di voi, ma più di tutti è mia e di Dakota. Non vogliamo farvi morire proprio ora, e prima di un po' di mosh vogliamo regalarvi un paio di buone canzoni acustiche.”
Ian, Roxy e Nick avevano lasciato il palco mentre i riflettori si puntavano su Dakota alla tastiera, Holly che – seduta cavalcioni sul palco, le gambe penzoloni nel vuoto – aveva imbracciato la chitarra acustica che si era ripromessa di non toccare mai più.
“Questa è una canzone d'amore che, se ci fosse stata dedicata quando avevamo sedici anni, ci avrebbe fatte capitolare. Johnny questa Dakota la dedica a te.”
Quando, sulle note dell'arrangiamento acustico che ne avevano fatto le due era partita la voce in farsetto di Holly, Johnny aveva preso a gridare come un ossesso che quella alla tastiera era la sua donna. “Fuck her Gently”, di Jack Black, cantata da Holly, sembrava persino una canzone d'amore seria, una di quelle dichiarazioni per cui davvero una donna sarebbe capitolata.
“Non me la sto sognando vero?” era stata la domanda di Zacky a Brian, che per tutta risposta cercava dietro le quinte Roxanne. Matt rideva, con quella sua risata da ragazzino che non aveva cambiato mai: quel film l'avevano visto insieme e Holly per settimane intere si era fatta cantare quella canzone da Matt, quando erano al sicuro tra le mura della camera della ragazza. All'epoca non l'aveva capito, lui, che quella era una dichiarazione d'amore che Holly gli estorceva con l'inganno ma in quel momento gli sembrava come se, in fondo, fosse sempre stato al gioco per comodità.
E probabilmente, era stato davvero così.
 
 
Quando il resto della band era rientrata sul palco, Ian teneva tra le mani il basso di Johnny – eletto a portafortuna dei Pinky Mood da Dakota - e Roxy si trovava alla batteria, sistemandosi sul seggiolino.
“Non ci credo... non ci posso credere. Non ci credo sino a quando non la sento, cazzo!”
Jimmy era elettrizzato, aveva già le braccia alzate prima ancora che la canzone iniziasse.
“Vi abbiamo promesso che vi avremmo regalato un giro di mosh pit... è tutto per voi!”
A quelle parole le bacchette si erano incrociate in aria, poi Roxy le aveva fatte girare e con forza le aveva battute contro le percussioni, dando il segnale di avvio di Walk mentre Holly si dirigeva verso di lei quasi correndo, scoccandole un bacio sulla guancia e lasciando il proscenio nelle mani di Nick e Ian che avevano attaccato con la propria parte.
A Ian Watkins non era costato cedere la prima linea a Holly: era un cantante, sapeva cosa significava la prima fila di gente che sta lì solo per ascoltarti e incitarti. E poi quella era una prima fila speciale, che a lui avrebbe dato ben poco rispetto a quello che stava dando alle ragazze. Aveva fatto la scelta giusta e poi poter suonare la batteria senza preoccupazioni gli aveva fatto tornare la voglia di fare musica, quella che gli mancava da un po' di tempo a quella parte.
“Quelle sono le mie ragazze, cazzo!”
Jimmy le ascoltava e gli sembrava che tutto il mondo potesse essere meno stronzo, in quel momento: le guardava e vedeva sé stesso sei anni prima, quando tutto era iniziato e avevano solo una voglia fottuta di divertirsi e fare casino.
La voce di Holly arrivava limpida e dura, diversissima da come erano abituati ad ascoltarla: aveva la tecnica e la utilizzava anche per poter cantare i generi più disparati, senza perdersi o essere ridicola. Avevano arrangiato tutte le canzoni in modo da settarle sulla tonalità di voce di Holly, per quel motivo tutto risultava assolutamente naturale, persino la durezza delle grida di Holly che camminava avanti e indietro sul palco, sino ad andarsi a posizionare tra Ian e Nick, pericolosamente in bilico su uno degli amplificatori.
“Dai Holly, buttati!”
Johnny era stato il primo a gridarglielo, e lei gli aveva sorriso continuando a cantare, la mano che andava a sfiorare quella di una prima fila in cui riconosceva volti e in cui volti nuovi le sorridevano entusiasti. Era davvero solo così figo fare la rock star? Lei era solo rock, ma le andava bene lo stesso: per quella sera, sarebbe stata lei a far divertire gli altri divertendo per prima sé stessa.
“Dai Holly! Ti prendiamo noi!” 
Alle grida di Jimmy, Holly non aveva saputo resistere: quante volte l'aveva fatto, di gettarsi dal palco di concerti che non erano suoi? Per una volta poteva decidere di farlo da protagonista indiscussa, no?
“Okay, ragazzi: se la prima fila non mi prende al volo, il concerto finisce qui.”
Holly non aveva il senso della misura ma era una di quelle persone che avevano dalla propria parte una fortuna sfacciata in fatto di abbonamenti evitati al pronto soccorso: aveva preso la ricorsa continuando a cantare e si era gettata a pancia in sotto sui ragazzi, venendo afferrata al volo da Jimmy e Matt, che si era spostato sostituendo Johnny per evitare a Holly una morte quasi assicurata.
Zacky la guardava ridere e cantare mentre mani di individui più o meno ubriachi la sorreggevano, gli shorts troppo corti unico ricordo dell'abbigliamento imposto da Dakota a lasciarle scoperte totalmente le gambe, coperti dalla canotta dei Lackers che le arrivava ben oltre la loro lunghezza, il bikini che si intravedeva al di sotto della canotta troppo larga. A giudicare dalla mini di sua sorella e dagli shorts vertiginosi di Dakota e dal loro bikini colorato, Zacky aveva intuito che Holly si fosse coperta all'ultimo minuto. C'erano cose che nel tempo non l'avrebbero mai tradito, che gli avrebbero sempre dato la certezza di una continuità nella sua vita e Holly era una di quelle.
 
 
Un'ora e mezza di concerto e ancora resistevano sul palco. A Brian sembrava non dovessero finire mai di suonare. Gli piaceva come avevano adattato le canzoni in favore di Holly, e se anche Nick non era al suo livello, aveva fatto un'ottima figura. Di Roxy aveva studiato ogni singola espressione del viso, ogni gesto e ogni accordo: non aveva sbagliato un colpo, e il regalo che avevano fatto a Jimmy era stato l'ennesimo ricordo della loro vita spalmato su quattro accordi e le parole giuste. Pomeriggi passati a insegnare a Roxy a suonare uno strumento di cui non le importava nulla e che l'aveva fatta sentire un mostro erano diventati invece la dimostrazione che quella sua memoria era un dono. Roxy si era divertita con il basso di Johnny, aveva tirato fuori non la tecnica di un apprendimento meccanico ma la voglia di fare musica. E l'aveva lasciato a bocca aperta proprio come la prima volta che Jimmy le aveva posato le bacchette tra le mani e le aveva detto “suona”, proprio come ogni volta in cui lei gli dimostrava come funzionasse quel suo dono che viveva come una condanna. Lo era ancora, per lei, uno scherzo del destino?
Stavano mostrando a tutti loro come era semplice – e difficile – avere una memoria come quella di Roxy: e quella lezione Holly l'aveva indorata con la patina rock e casinista di tutta la sua vita. Era il loro concerto, erano i ricordi di un'intera vita messi in una playlist che chiunque di loro avrebbe potuto scrivere, in corsa verso il gran finale della serata.
 
 
“Ci sono canzoni che ci ricordano chi siamo, o cosa siamo stati. Ci sono persone che ci rimandano sempre a un passato per ricordarci cosa abbiamo perso o cosa abbiamo guadagnato. Siamo cresciuti ad Huntington Beach e loro – e aveva indicato con il dito indice i ragazzi - ci hanno resi fieri di essere ciò che siamo... questa canzone la dedichiamo a voi che occupate la prima fila stasera. Grazie di tutto.”
Quando credi di sapere tutto, finisce che scopri di non aver capito un cazzo di niente. Quello che a Zacky era sembrato un addio, era invece la spietata crudeltà con cui il destino aveva deciso di restituirgli ciò che lui stesso aveva creato. Holly, ferma immobile con il microfono tra le mani, aveva attaccato le prime note di Seize the Day a occhi chiusi e tutto, in una frazione di secondo, era collassato su sé stesso offrendogli il ricordo di una festa in cui Holly gli aveva stampato un bacio a fior di labbra; di troppi addii in aeroporti gremiti di gente e la richiesta mai espressa di non partire ancora; viaggi infiniti in tour bus dove avvertiva quel senso di vuoto lasciato da una sedia priva del suo solito proprietario; volti sconosciuti a riscaldargli il letto per ripagare il senso di solitudine e abbandono; il sorriso di Gena che aveva stemperato il colore di una chioma rosso fuoco e le aveva dato la giusta collocazione nella sua vita: l'etichetta con su scritto “Migliore amica. Per sempre”.
Zacky la guardava cantare e non riusciva ad allontanarsi dalla folla per trovare di nuovo aria respirabile e pulita: si sentiva sopraffatto e le sue parole, in bocca a Holly, avevano un sapore diverso: amaro e nostalgico, atrocemente malinconico. Non era come quando era cantata da Matt, cantata da Holly era... struggente.
Cazzo, fa venire il nodo in gola.
Davvero aveva scritto una canzone così bella per quella scema? Forse però, a pensarci bene, era così bella solo se la cantava lei, con quello sguardo perso verso il cielo stellato a inseguire ancora una volta i suoi pensieri, non quelli degli altri, ancora una volta troppo concentrata su sé stessa per accorgersi di quello che aveva attorno.
Sei la solita egoista.
Questa volta hai vinto tu, mi arrendo.
 
 
Brian aveva la netta sensazione che quella canzone fosse stata ben ponderata: canzone di chiusura, l'unica di cui Roxy avesse eseguito i cori, un assolo di chitarra da vertigine e un'esplosione di emotività da parte di Olivia. L'impiastro non aveva guardato nessuno di loro, si era estraniata cantando a occhi chiusi, fissando il cielo come se avesse dovuto trattenere le lacrime – quella scema non avrebbe mai pianto per così poco – ma era stata Roxy, invece, a cantare guardando Brian, senza staccargli gli occhi di dosso. Un'accusa, una preghiera, una supplica: c'era tutto, in quella canzone, e tutto gli precipitava addosso come un fiume in piena. Roxy era perfetta e gli aveva sbattuto in faccia gli anni della loro storia, il loro addio e ciò che non sarebbero stati mai più. Quando Watkins le aveva dedicato a sorpresa “Always” di BonJovi, accompagnato da Holly nei cori e da Nick alla chitarra acustica, aveva compreso che se anche avesse valutato l'idea di riprendersela, avrebbe dovuto combattere contro il muro di scudi di quella che era la sua vita presente. Gliel'aveva distrutta una volta, avrebbe davvero avuto il coraggio di rifarlo?
No, Roxy non se lo meritava.
E non si meritava nemmeno uno come lui, che anziché essere fiero dei propri sentimenti era scappato a gambe levate prima di trovarsi invischiato in un qualcosa più grande, che non sapeva come gestire.
Era stato sconfitto da una dichiarazione d'amore fatta ad arte, bella e spontanea nel modo in cui era nata, con Holly seduta ai piedi di Watkins a gambe incrociate mentre cantava una delle storie d'amore a cui era morbosamente attaccata sin da quando ne aveva memoria: aveva contro il mondo intero, e avrebbe avuto contro anche Zacky. Aveva perso ogni diritto su Roxanne due anni prima e ancora non era in grado di mettere a tacere quella voce che gli ricordava quanto fosse stato stupido.
Puoi perdonarti gli errori di quando sei un ragazzino in età adulta? La sua coscienza non era però così magnanima da chiamare “ragazzino” un uomo di ventiquattro anni.
 
 
*
 
 
Holly aveva chiuso il concerto promettendo ai presenti fotografie e autografi. Erano le due del mattino quando finalmente iniziava a non esserci più nessuno attorno a loro.
Roxanne parlava fitto con Ian, Dakota smaniava perché Johnny arrivasse da lei – l'aveva avvertita che sarebbero andati da loro quando la folla fosse scemata – e Holly faceva fotografie a destra e manca, anche ai fans che le chiedevano foto ricordo di un concerto pazzesco.
“Senti Ian, ma secondo te perché ci stanno osannando così tanto?”
“Merito della scaletta. Era equilibrata e aveva un ottimo trend emotivo.”
“Se lo dici tu”, aveva borbottato lei stampando un bacio sulla guancia a Nick sorridendogli.
“Lo sai? Sei riuscito a battere Brian in Seize the day.
Lui l'aveva attirata a sé baciandola di nuovo, sorridendole mentre lei – imbarazzata – cercava di dimenarsi.
“Merito tuo, hai superato te stessa.”
“Sarò stata ispirata.”
“Dove sono le nostre rock star?”
L'entrata di Jimmy e Johnny aveva distolto i ragazzi dal proprio momento di tranquillità, interrotto da Dakota che – dopo aver emesso un grido entusiasta – si era gettata addosso a Johnny che l'aveva presa al volo, evitando a entrambi una rovinosa caduta.
“Sono commosso, voi mi avete reso un uomo felice.”
“Dai Jimmy, era una cosa fatta tanto per occupare il tempo.”
“Tu sei la mia degna erede, lo sai?”
Holly era scoppiata a ridere, strizzando l'occhio a Roxy.
“Te l'avevo detto no? Era un regalo perfetto. Te lo sei meritato, continui a sopportare il residuo degli idioti che di solito bazzica con te, almeno una soddisfazione nella vita dovrai pur riceverla, no?”
Jimmy aveva riso e in quel momento avevano fatto capolino i ragazzi, Zacky e Brian con l'aria imbarazzata di chi non sa bene come dosare le parole.
“Ehi, volete un autografo?”
Holly non avrebbe voluto chiudere il concerto con quella canzone, ma alla fine le era sembrata la scelta più giusta. Voleva vedere che effetto potesse fare su Brian e, anche se a distanza di diverse ore, gli sembrava abbastanza a disagio da aver fatto centro e colpito l'obiettivo.
“Dai, facciamo le foto ricordo?”
Holly aveva lasciato scivolare la mano di Nick accanto alla propria e con un leggero cenno del capo si era staccata da lui ed era andata dai suoi amici, sventolando fiera la macchina fotografica.
“Voglio una foto con le ragazze da solo, quindi Johnny levati dalle palle. Senza offesa per voi due, ma preferisco svegliarmi ogni mattina con la loro foto che con la vostra.”
“Oh tranquillo Jim, tanto io mi sveglio ogni mattina accanto a Roxy, direi che posso capirti.”
Stilettata dritta al cuore di Brian e ai nervi di Zacky.
Holly aveva dato la macchina a Jimmy, in modo che potesse inquadrare tutti e quattro vista la sua altezza, poi si era staccata dal gruppo e aveva fotografato Dakota e Johnny intenti a scambiarsi un bacio.
“Siete disgustosi tanto siete melensi. Ma non smettete mai di essere così tanto innamorarti?”
“Bell'amica del cuore che ho... mi augura di farmi scaricare dal mio fidanzato,” l'aveva apostrofata Dakota prendendola in giro.
“No tranquilla, Johnny non ti scaricherà mai. Invecchierete insieme e farete una miriade di bambini. L'hai sentito come urlava mentre suonavi? Uno così non può che portarti all'altare.”
“La veggente Bridges ha parlato, avanti il prossimo.”
Holly aveva fatto una smorfia in direzione di Johnny, poi si era girata per cercare Brian e Zacky intenti a confabulare con Roxy, e si era quindi lasciata prendere alla sprovvista da Val e Matt.
“Dovevo sponsorizzare voi quando abbiamo iniziato con gli Avenged Sevenfold, altro che storie.”
“Val mi ha fatto notare che le nostre canzoni cantate da te sono migliori.”
“Sono solo più femminili e questo è un paradosso, in ogni caso. Grazie per essere venuti e aver assistito a questo strazio.”
“Ci siamo divertiti moltissimo, volevamo complimentarci con Roxy ma è impegnata... glielo dici tu? Anche perché qui c'è qualcun altro in fila per gli autografi, vero Zacky?”
Holly aveva stornato lo sguardo da Roxy e Brian a Zacky, sorpresa.
“Sarà fatto Val. Grazie.”
“Posso abbracciarti?”
“Che cazzo di domande fai?”
Valary aveva sospirato, dando una leggera spinta a Matt che aveva allargato le braccia nelle quali Holly era stata avvolta come da una rassicurante coperta di Linus.
“Dovevo chiederti di suonare con noi. A due voci potevamo fare un sacco di cose in più con gli Avenged Sevenfold.
“Ti avrei comunque detto di no, lo sai. Siete perfetti così.”
“Grazie per il bel concerto.”
Matt le aveva sorriso, passando poi il braccio destro sulla spalla di Val, allontanandosi per raggiungere gli altri.
“Sei una fottuta cantante con i controcazzi, okay?”
“Eh?”
“Non lo ripeterò un'altra volta. E visto che mi sei praticamente planata in testa, voglio una foto ricordo dell'unico momento in cui sei stata una figata assurda.”
“Io sono sempre una figata assurda. Sei uno scemo, lo sai?”
“Potevi ammazzarti.”
“Mi avete presa al volo. Mi fido di voi: se mi dite di lanciarmi io lo faccio.”
“Nonostante tu sappia benissimo che potremmo lasciarti cadere?”
“Non mi risulta l'abbiate mai fatto, nel caso, vi ho trascinato giù con me.”
Zacky aveva sollevato la macchina fotografica verso l'alto, scattando la foto nel tentativo maldestro di darle un bacio sulla guancia. Holly gli aveva strappato la macchina di mano, guardando il risultato scettica.
“Fai pena a fare le foto, lo sai?”
Era stato il suo turno, di scoccargli un bacio sulla guancia e scattare e Nick si era alzato dal proprio posto allontanandosi in una delle sale accanto. Era un mondo in cui non sarebbe mai entrato, e nonostante non provasse gelosia – ma era davvero così, poi? O si stava facendo andare bene tutto perché temeva di perderla al minimo sentore di catene ai polsi da parte sua? - era comunque l'essere messo da parte per un passato ingombrante che sarebbe sempre stato presente e non sarebbe mai stato accantonato. Tra i due, era probabile che fosse lui a essere messo al secondo posto, non loro.
“Così tu terrai questa, scemo. E grazie.”
“Ehi Zacky, mi passi la macchina?”
Holly aveva guardato Brian, battendo sul tempo l'amico e correndo da lui e Roxy.
“Faccio io la foto, Zacky è un disastro.”
Holly si era posizionata davanti a loro e Brian aveva passato il proprio braccio attorno alla vita di Roxy, attirandola delicatamente a sé, guancia contro guancia.
Che carini. E tu che idiota sei, Brian.
Holly aveva visto Roxanne irrigidirsi a quel contatto, per poi imbarazzarsi mentre cercava di sistemarsi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. In quel contatto di volti, in quella vicinanza che non si concedevano da quando si erano lasciati, Holly vedeva in realtà solo il proseguimento di ciò che era finito due anni prima.
Brian era ancora innamorato di Roxy, il problema era che c'era Ian e Holly, be', non sapeva per chi fare il tifo perché era difficile tenere distinto ciò che era giusto sperare e ciò che invece avrebbe reso Roxanne davvero felice. Quindi, si sarebbe sentita uno schifo nei mesi a venire, nel tenere per sé il segreto che si sarebbe trascinata dietro sino alla morte.
 
 
*
 
 
Olivia aveva passato il mese di agosto a ripulire quella che – nel suo prossimo ritorno a casa – sarebbe stato il suo nido sicuro, non lontano per altro dalla casa di Johnny. Aveva passato giornate intere a sistemare con cura i ricordi di sua nonna in scatoloni tutti uguali, archiviando con la perizia devota del suo lavoro album di fotografie, cartoline, lettere dal fronte di suo nonno e persino l'abito del suo matrimonio. Zacky le aveva chiesto se fosse impazzita, ma Holly era ben decisa a non buttare nulla, riponendo con cura ogni cosa in garage, lasciando l'auto nel viottolo di casa. Doveva a suo nonno l'amore per la storia, a sua nonna – che era stata pittrice – quello per l'arte. Aveva lasciato alla parete del salotto un enorme tela che ritraeva la spiaggia di Malibu al tramonto, uno dei primi dipinti di sua nonna ad averla conquistata da bambina. Aveva ridipinto le pareti con l'aiuto di Nick, Ian e Roxy, ripulito casa e montato mobili fai-da-te con l'aiuto di Dakota.
Infine, il suo nido era pronto per essere aperto al pubblico proprio quando era giunto il momento di tornare a Cardiff.
Era stata una bella estate, intensa e pazzesca: alla noia di luglio si era sostituita – dopo il concerto e con l'arrivo di Nick – la voglia di rimettere in sesto la sua nuova casa, seppur con qualche riserva del ragazzo.
“Sicura che poi non decidi di tornare qui?”
“Se torno tu puoi sempre venire con me. O ritornare a New York. Lo sai meglio di me che resti a Cardiff facendo scazzare Julian solo perché ci sono io.”
“Questo è verissimo,” le aveva riposto lui imbrattandole un braccio di pittura gialla prima di abbracciarla e stringerla a sé come se temesse di vedersela strappare da qualche onda spietata dell'oceano.
“Prometto che non scappo da nessuna parte senza di te. Potremmo stare qui quando ritorniamo senza far sentire i miei in imbarazzo.”
“Vorresti tornare a vivere qui, vero?”
“Prima o poi si. Non si può scappare per sempre e io l’ho fatto a sufficienza. Ormai dovrei decidere di fermarmi. Voglio farlo con te, però.”
Nick l'aveva stretta un po' più forte e lei aveva risposto con la stessa intensità: sapeva quanto gli chiedeva e quanto doveva fare paura quel suo desiderio.
“Non ti lascerò mai, te lo prometto.”
“Nemmeno io.”
 
 
Holly adorava Ian perché, proprio come Zacky, era un mattatore delle feste. Per salutare l'estate e festeggiare il loro rientro in Galles, Ian aveva proposto un falò sulla spiaggia, accolto con entusiasmo dalle ragazze che avevano ovviamente elargito l'invito all'intera tribù.
La sera del falò sembrava tutto perfetto: avevano fatto il bagno nell'oceano al tramonto, con il sole che scivolava veloce dietro la linea dell'orizzonte, e poi avevano lasciato ai ragazzi il compito di preparare la carne sul fuoco acceso da Jimmy e Matt. Olivia e Dakota parlavano fitto tra loro, estraniandosi dal resto del gruppo: non sarebbero mai riuscite a stare in mezzo ad altre ragazze senza finire con l’estraniarsi totalmente da ciò che le circondava, persone comprese.
“Potresti rimanere qui. La casa di tua nonna è diventata pazzesca!”
“Solo perché abbiamo zebrato la libreria non vuol dire che sia bella.”
“Si ma quello è un posto solo tuo, come quello che hai a Cardiff, ma qui. Insomma, potresti pensarci no?”
“Per ora Nick desidera restare a Cardiff e io là ho un lavoro che amo. Qui dovrei andarmi a chiudere in qualche museo a Los Angeles e, se ci penso, mi sento soffocare.”
“Potresti allestire mostre o cose del genere, no?”
“No, io posso al massimo scrivere le guide che le capre ignoranti che allestiscono le mostre temporanee non conoscono.”
“Però vorresti tornare.”
“No.”
“Menti e lo sai anche tu.”
Roxy si era girata nella loro direzione, come se stesse sentendo ciò che si stavano confidando, estraniandosi dalle chiacchiere di Gena e Val. Holly le aveva rivolto un sorriso, poi era tornata a guardare Dakota.
“Mi ha fatto bene questa estate. E' stata... come tornare a casa, appunto. Senza fretta, senza ritagliarmi tempo per tutti centellinando i minuti. Ma ancora non mi va di tornare per restare. Ci sono un sacco di cose che mi aspettano a Cardiff.”
E un sacco le ho qui, ma per ora Cardiff è ancora il porto sicuro che regge le mie insicurezze. Quando sono ad Huntigton Beach, la notte, mi sento sopraffare dal timore di aver smesso di sognare, di essere una persona arida e vuota che si accontenta di ciò che ha. E questo senso di oppressione mi terrorizza.
 
 
Ian era intento ad abrustolire alcune salsicce sul fuoco, quando Michelle gli si era avvicinata mettendoa scaldare la propria e quella di Brian.
“La stai cuocendo anche per Roxanne?”
“Di solito è l'uomo a prendersi cura della donna, non il contrario.”
Il gruppo si era disperso un po' tutt'attorno, lasciando attorno al fuoco solo chi aveva davvero voglia di mangiare il quarto giro di carne e chi, come Nick, aveva troppo freddo per respirare l'aria dell'oceano senza rabbrividire sotto i colpi della brezza.
“Cosa vi fa restare qui con noi? Siete estranei alla fine, non vi sentite di troppo?”
Michelle DiBenedetto aveva sbagliato a scegliere come bersaglio del proprio malumore il gallese: già se fosse stato Nick, per esempio, sarebbe riuscito a non affondarla in un mare di insulti. Ma Ian Watkins era uno che, nel difendere ciò che gli apparteneva, era disposto a uccidere l'avversario: uomo o donna che fosse.
“Sai cosa non sopporto proprio? Le gatte morte e le persone che insinuano soltanto. Non sono Brian, non mi freghi. Levati dai piedi.”
Senza scomporsi, Michelle aveva incassato il colpo sorridendo.
“Il fuoco è di tutti se non sbaglio.”
“Sei brava a rubare anche le cose che appartengono agli altri, a quel che mi risulta.”
“Non credo di seguirti.”
“Hai portato via Brian a Roxy, e questa è una cosa disgustosa.”
“Se non l'avessi fatto tu non staresti con lei.”
“Forse ci starei comunque. Ha sofferto anche a causa tua, e questa cosa non la perdonerò né a te né a lui.”
“Tutto qui?”
“Levati, la tua carne è pronta.”
E con quelle parole Ian si era avvicinato a Nick, Holly e Roxy, stretti attorno al fuoco poco distanti da dove si trovavano prima lui e Michelle.
“Che ti è accaduto?”
“Ha fatto la gatta morta.”
L'aria incazzata di Ian non prometteva nulla di buono, e Roxy aveva lanciato un'occhiata in tralice a Michelle, intenta a rosolare le proprie salsicce con scarso entusiasmo.
“In che senso Ian?”
“Ma ci ha provato con te?” aveva sibilato Holly lanciando – da sopra la spalla del cantante – occhiate furtive alla ragazza.
“No, insinua cazzate. Tipo che dovremmo sentirci di troppo qui.”
“Certo, come se lei non la fosse mai stata, di troppo. Non è che perché avevamo Val dovevamo per forza sopportare anche lei, eh.”
Holly aveva parlato a voce abbastanza alta da farsi sentire da Michelle: questa, aveva finto di non sentire nulla, andandosene da Brian e dai ragazzi, seduti al buio a rimirare il cielo stellato sopra le proprie teste.
Erano tanti, ma tutti divisi in quel momento. Dakota e Johnny erano andati a fare una passeggiata verso il molo, e di certo non sarebbero tornati prima di un paio d'ore; Jimmy e Zacky erano intenti a gustarsi un angolo di cielo stellato verso la scogliera, mentre Gena, Brian, Val, Michelle e Matt se ne stavano a bere birra e fare casino distesi su pesanti teli da spiaggia portati da Gena dal suo negozio.
“Nick suoni qualcosa? Così cantiamo la ninna nanna a Ian e si calma un po'. Dai, non farti rovinare la serata da quella serpe. Non interessa nemmeno più a Roxy.”
Roxy, però, faceva buon viso a cattivo gioco, e il colpo della presenza di Michelle continuava ad avvertirlo eccome. Non era giusto nei confronti di Ian, per cui incassava i colpi degli abbracci di Brian e delle sue attenzioni rivolte a Michelle in silenzio. Non aveva alcun diritto ormai, ma facevano male ancora come la prima volta. Ed era certa, comunque, di amare Ian.
Dov'era allora il problema? Tutto nella sua testa malata e nella sua memoria del cazzo?
“Cosa suoni?”
“Suona Grace, ti prego.”
“Tu canti però, altrimenti non ha senso suoni la chitarra.”
“Le tradizioni di casa nostra potresti anche non sbandierarle a questi due, è imbarazzante.”
Erano scoppiati a ridere, mentre Holly si era alzata ed era andata a sedersi sul tronco d'albero su cui si trovava Nick, dietro di lui, cingendogli la vita con le braccia e posando il proprio viso sulla sua spalla.
“Fai la scimmietta del circo ora?”
Holly aveva annuito con un cenno deciso del capo, posandogli un bacio sul naso.
“Dai, inizia...”
Roxy si era acciambellata sulla sabbia, tra le gambe di Ian, posandogli il capo sul ginocchio sinistro mentre lui giocava distrattamente con una ciocca dei suoi capelli.
Se avessero potuto restare così per sempre, sarebbe andato bene a tutti loro: niente passato ingombrante e quattro sconosciuti che erano riusciti a creare un famiglia nonostante le diversità caratteriali marcate. Forse era stato il desiderio inconscio di ognuno di loro a volersi sentire meno solo, forse il bisogno di una famiglia lontano da casa o forse la voglia di dimostrare che esistevano legami ugualmente importanti che non erano dettati solo dal passato ma anche dal loro presente e dal loro futuro.
 
 
Quando Zacky e Jimmy avevano fatto ritorno dagli altri, la prima cosa che li aveva accolti era stata la voce di Holly, poi un fuoco che andava estinguendosi che dava a quei quattro un bozzolo sicuro nel quale il resto del mondo non era ammesso.
“Quando ripartono?”
“Tra un paio di giorni, ai primi di settembre.”
“Sarà dura ricominciare senza di loro, vero?”
“E' difficile dopo due settimane, figurati dopo tre mesi. Quando la madre di Holly mi ha detto della casa pensavo decidesse di restare.”
“Se ci pensi è la prima volta in sei anni che si ferma così a lungo. Significa che ormai è pronta per tornare magari.”
Zacky si era arrestato bruscamente quando aveva udito distintamente le parole della canzone di Holly: sei anni prima, quand'era partita per New York, gli aveva regalato il cd di Jeff Buckley. Lei lo adorava, lui si era sempre rifiutato di ascoltarlo. Gliel'aveva praticamente imposto regalandoglielo, e aveva scoperto un sacco di cose di Holly. La prima, che era anche la più banale e che aveva sempre ignorato, era che lei si esprimeva per simbolismi. La seconda, era che Holly era una stramaledetta romantica come tutte le donne ed era stata così brava da mascherarlo per anni. Ora, vedendola stretta a Nick, si accorgeva di come quell'aspetto si fosse accentuato, come se tutte le cazzate sull'amore fossero vere. Persino Holly si era ammorbidita da quando stava con lui, o forse aveva deciso che non era il caso di rispondere ad ogni sua provocazione con un'altra per continuare così, all'infinito, per giornate intere, dimostrandosi superiore a lui nel cercare di rendere più adulto anche il loro rapporto.
Holly li aveva avvertiti avvicinarsi, interrompendo Nick alzandosi di scatto nel vedere Zacky e Jimmy avanzare nella loro direzione, posando un bacio distratto sulla nuca del ragazzo.
“Andiamo a fare il bagno?”
“Fa freddo, Holly...”
“E' l'ultimo qui in California... ti prego, Nick.”
“Vai tu con Roxy o gli altri, ti aspetto qui.”
“Sicuro?”, le aveva chiesto lei delusa.
“Assolutamente si, tanto mi riprendo la mia parte quando torniamo a casa.”
Gli aveva posato un bacio sulle labbra togliendosi all'improvviso felpa, maglietta e shorts dirigendosi verso Zacky e Jimmy strattonandoli entrambi per mano incurante dell’aria gelida.
“Com'è scema.”
“Cosa?”
“Ti sembra una persona che segue un filo logico?”, aveva chiesto Nick a Roxy, indicando Holly trascinare in acqua Zacky e Jimmy ancora vestiti.
Si stava per mettere a piangere, quella stupida.
Era davvero così difficile lasciarli?
 
 
“Sai cosa tiene accese le stelle?”
“Che razza di domande fai mentre stai nuotando?”
“Lo sai o no?”
“Spara la cazzata.”
“Sono tutti i nostri sogni. Come sei tonto.”
Zacky l'aveva guardata fare il morto, lo sguardo rivolto verso il cielo stellato e i capelli sciolti attorno al viso.
“Tu ne hai?”
“Si, ma sono un segreto. Tu ne hai ancora, piuttosto?”
“Nulla che non abbia già.”
“Non ti stanchi mai di avere già tutto quello che desideravi?”
“Cosa posso volere di più?”
“Magari qualcosa di non materiale. Matt, ad esempio, vorrebbe sposare Val.”
“E questo come lo sai?”
“Dal fatto che lui non sa come chiederglielo.”
“E gli altri?”
“Be', Jimmy vorrebbe una donna che lo ami davvero. È l'unico che non ha ancora una relazione stabile, è normale. Johnny vuole un mucchio di figli da Dakota e Brian rivuole tua sorella. Tu cosa vuoi Zacky?”
“Tu cosa vuoi, Holly?”
“Cos'è, una domanda trabocchetto? Voglio essere felice, tutto qui.”
“Non sei...”
Holly si era già messa a pancia in sotto, scivolando sott'acqua per riemergere alcuni metri più avanti.
“Io torno a riva, fa troppo freddo per stare fermi!”
Già, e io cosa voglio? Un sacco di marmocchi da Gena? Tu sei felice, Holly?
Lì dove sei, con mia sorella e l'uomo che ti porterà all'altare, non sei felice?
Perché sarà così: è stato l'unico a cui hai permesso di avvicinarsi senza mordere. Questo privilegio significherà qualcosa, no?
 
 
*
 
Il self-title degli Avenged Sevenfold era stato lanciato in 31 ottobre 2007, con un party a Los Angeles a cui erano stati invitati tutti gli amici e collaboratori della band. Holly e Roxanne non avevano potuto risparmiarsi il volo, e in meno di due mesi avevano fatto ritorno nuovamente negli Stati Uniti, seguite da Ian e Nick.
“Allora dobbiamo decidere da cosa travestirci!”
“Tutti e quattro con lo stesso tema diventa difficile.”
“Io voglio un costume ad effetto... che ne so, tipo... ah! Perché non facciamo qualche coppia famosa del cinema o del teatro?”
“Una novità assoluta, eh...”
“Sei tu quella con la memoria infallibile, non io,” aveva sbottato Holly incrociando le braccia sul petto.
“Nick facciamo Romeo e Giulietta? Quelli del film con Di Caprio... ti prego!”
L'aveva costretto a riguardare quel film una settimana prima, versando lacrime e sospirando ad ogni passo recitato dal biondino.
“Per me si può fare, a New York troveremo sicuramente qualche noleggio di vestiti degno di questo nome.”
“Esistono anche a Los Angeles, eh.”
“Si, ma dobbiamo andare a trovare Julian o lo caccia a calci nel culo dalla band”, aveva risposto Holly a Roxy con sarcasmo.
“Tu non hai a che fare con le dinamiche di una band di soli uomini in cui il cantante è una fottuta prima donna.”
“No, grazie a Dio Matt è sempre stato uomo senza manie di protagonismo.”
“Okay, io ho trovato il travestimento per me e Roxy: tu ti vesti da coniglietta di Playboy e io da Hugh Hefner.”
Holly era scoppiata a ridere nel vedere l'espressione inorridita di Roxy che aveva inarcato il sopracciglio in direzione di Ian.
“Sarà pieno di conigliette di Playboy. E poi che razza di travestimento sarebbe?”
“Ma vorresti qualcosa di macabro? Proprio tu?”
“È Halloween, no?”
“Potremmo noleggiare tutti i costumi da coniglietta di Los Angeles, così ci saresti solo tu.”
“Io voto per i personaggi di The corpse Bride, Emily e Victor! Sareste perfetti!”
“Tu e la tua fissa per Tim Burton...”
“Però come idea è bella, no?” aveva chiesto la rossa, un po' delusa.
“Si, mi piace. Però niente trucco azzurro in viso.”
“Sarai la sposa cadavere più bella del pianeta, lo sai?”
“Se dovessi mai essere geloso di qualcuno, penso proprio che inizierò con l'esserlo di te, Holly.”
“Hai avuto la mia benedizione, quindi è mia per la metà che a te non serve.”
“A me serve tutta.”
Roxy aveva sospirato, tappando la bocca di entrambi dando una manata alla propria destra e una alla propria sinistra.
“Basta. Un viaggio di dodici ore con voi due in questa condizione di iperattivismo non posso reggerle. Quindi, fine, stop, chiuso. Okay?”
E Roxanne aveva alzato il volume delle cuffie del proprio I-Pod, mettendo la parola fine al dibattito tra i due.
 
 
Dakota aveva riconosciuto immediatamente la chioma fulva, poi le ali da angelo e infine il semplice vestito bianco che indossava. Poi, dopo qualche istante, aveva realizzato che accanto a lei Nick, in armatura, la teneva per mano con l'aria di chi, lì in mezzo, teneva il bene più prezioso.
“Sono bellissimi.”
Alle parole trasognate della bionda – truccata da zombie-infermiera in coppia con Johnny - Zacky e Brian non avevano potuto fare a meno di voltarsi in direzione dei due arrivati, per scoprire che se c'era una cosa che non avrebbero mai creduto di poter vedere nell'arco della propria vita, era Holly nelle vesti di Giulietta.
“L'ha fatto davvero?”
“E' uno dei suoi film preferiti... ovvio che l'abbia fatto. Vado a salutarli! Vieni Johnny?”
Se il colpo di scena si fosse limitato a Holly con l'espressione trasognata di un Giulietta moderna, la serata poteva dirsi persino conclusa con una nota positiva, ma Roxy e Ian si erano presentati vestiti di tutto punto come i protagonisti di “The Corpse Bride” – un altro dei film preferiti da Holly e Zacky – e il vestito di Roxy lasciava davvero poco spazio all'immaginazione.
Quando Roxy e Holly si erano ritrovate vicine, per un istante a Zacky erano balenate in testa due fottutissime scritte: Syn & Grace. Il problema era che erano state appiccicate sui corpi di sua sorella e della sua migliore amica, una inviolabile per DNA condiviso e l'altra per essere l'anti-femminilità per 363 giorni l'anno. Aveva infatti dovuto depennare dalla lista il giorno di Natale e quello di Halloween, dunque restava solo il residuo.
“Lo fa apposta.”
“Chi?”
“Mia sorella.”
“Zacky è la festa per l'uscita dell'album. Se facciamo casino questa volta Val e Matt ci spaccano il culo. E senza mezzi termini.”
“Tracannare birra risolverà il tuo problema? Riprenditi mia sorella e molla Michelle.”
“Prima non ti andavo bene.”
“Prima l'hai fatta soffrire, ma se stesse con te tornerebbe qui. Sarebbe già qualcosa, pur di non vederla con quel gallese. Guarda! Cazzo, che schifo... ma lo vedi?”
“Zacky...”
“Guarda come se la tiene stretta addosso, sono lì, appiccicati a strusciarsi mentre ballano... ho la nausea, okay?”
Zacky aveva ingollato il contenuto del proprio bicchiere senza nemmeno ricordare cosa ci fosse dentro. Gena si stava avvicinando e non poteva litigare nemmeno con lei, visto che Matt li avrebbe seriamente ammazzati uno ad uno se solo avessero osato fare casino.
“Vado a far ballare Gena, altrimenti rischio di mettere le mani addosso al gallese.”
Per una volta Nick non era nemmeno contemplato o meglio, lo era solo di riflesso: Nick si coccolava Holly come se fosse una bambola, erano più... più realmente Romeo e Giulietta. Ian e sua sorella, invece, iniziavano a essere la versione per adulti del film di Burton.
E speriamo che Brian faccia qualcosa.
 
 
Roxanne era andata a sedersi accanto a Brian in un momento in cui Michelle era sparita a recuperare qualcosa in auto e Ian era andato a cercare Nick e Holly, dispersi nella zona del deejay cercando di far partire qualche canzone non meglio definita.
E Brian era già palesemente ubriaco.
“Non hai esagerato?” e aveva indicato la bottiglia di birra ormai vuota che teneva tra le mani.
“Tu non hai esagerato con il gallese? State sempre appiccicati, Cristo... con me non eri così.”
“Cosa c'entra? Non è la stessa cosa non...”
“Con me eri fredda, con lui stai a scioglierti come una quattordicenne con il suo primo ragazzo. Ero io quello, non lui.”
“Tu hai bevuto troppo.”
“Tu sei diventata una troia.”
“Ehi, modera il linguaggio Haner.”
L'arrivo implacabile di Ian era stato provvidenziale quasi quanto le lacrime che Roxy era riuscita a ricacciare indietro con forza.
“Aspetta Ian.”
“Non aspettarla, levati dai piedi gallese, sono affari che non ti riguardano.”
“Considerando che hai dato della troia alla mia ragazza per ciò che fa con me, direi che si, sono affari miei anche.”
“Ian non ti ci mettere anche tu, so gestirlo da sola. Se ti da così fastidio che un altro uomo mi tocchi, dovevi pensarci prima Brian.”
“Non me ne frega un cazzo di chi ti tocca, mi frega che faccio io la figura del fesso per...”
... per? Essersela fatta scappare? Non aver cercato di riprenderla? Essere fuggito?
Cazzo mi esplode la testa.
“Andiamo Ian, lascialo perdere. E' ubriaco, gli passerà.”
“Io non mi faccio compatire da una come te... una che...”
“La sai finire una frase, si o no?”
Roxanne non si sarebbe fatta schiacciare né tanto meno avrebbe lasciato che Brian le rovinasse la serata. C'erano decine di altre feste a Los Angeles, e la presenza per l'uscita dell'album ormai l'avevano fatta: potevano andarsene in qualsiasi momento e quello, era probabilmente arrivato.
“Andiamo.”
Ian le aveva passato una mano attorno alle spalle attirandola a sé con fare protettivo, e Brian gli si era avventato addosso cercando di dividerli. Era stata questione di pochi istanti e anche Nick e Holly erano corsi dove si era radunata la folla di curiosi, da dove giungevano le urla di Roxy che tentava di staccare Brian da Ian strattonandolo dalla camicia, che dopo averlo inchiodato a terra con il proprio corpo cercava di colpirlo in viso.
“Ian!”
Nick era corso in aiuto dell'amico, cercando di sollevare di peso Brian con scarsi risultati.
Matt si sarebbe davvero incazzato? Magari era da qualche parte con Val...
Zacky si era avventato su Nick, spostandolo lontano da Brian afferrandolo per le spalle. Era leggero, molto più di Brian ovviamente, ed era stato davvero semplice metterlo fuori gioco. Erano così abituati a fare a botte tra di loro o con quelli della loro stazza, che Nick e Ian sembravano due ragazze.
“Lasciali stare, non sono cazzi tuoi”, era stato l'ammonimento del chitarrista.
“Si stanno ammazzando, sei diventato scemo?” gli aveva risposto incazzata Holly che si era fatta largo tra la folla di curiosi arrivando esattamente davanti a Brian e Ian, Roxy che ancora cercava disperatamente di dividerli.
“Voi non capite proprio un cazzo quando bevete.”
C'erano voluti Johnny e Jimmy, richiamati da Dakota, per dividere Brian e Ian. Brian era così ubriaco da essere riuscito a colpire il gallese solo un paio di volte, mandando a vuoto la maggior parte dei colpi.
Holly era incazzata nera e si era avventata contro Zacky puntandogli il dito contro, lo sguardo gonfio di lacrime che finiva con il non versare mai, quello di quando lui riusciva a rovinare qualcosa che per lei era speciale.
“Perché non sapete mai stare al vostro posto? Non la riavrà mai indietro a questo modo, smettila di fare guerriglie mandando Brian avanti. Più vi comportate in questo modo più finirete con l'allontanarla. Cazzo Zacky, metti da parte il tuo fottuto egoismo e guarda in faccia la realtà: tua sorella ora è felice, non presentargli il suo passato ogni volta che torniamo, o non metteremo più piede negli Stati Uniti!”
Zacky aveva riso, di una risata malevola che l'aveva zittita. Al dito indice portava la replica dell'anello di Giulietta nel film, e lui le aveva sollevato la mano fissandolo.
“Questo fa parte del costume?”
Holly si era liberata dalla presa del ragazzo fissandolo stranita, senza sapere cosa volesse esattamente da lei.
“Ma che cazzo ti prende? No, me l'ha regalato... l'ha ordinato in una gioielleria di New York. Sei impazzito sul serio stasera?”
“Perché non me lo dici?”
“Cosa?”
“Che riesco sempre a rovinare tutto?”
“No, voi vi state rovinando con le vostre mani, è diverso.”
Holly non aveva udito la canzone dei Garbage che aveva fatto da sottofondo alla lotta tra Ian e Brian – troppo presa dalla situazione -, né la dedica finale “alla più bella Giulietta di sempre.”
Quando siamo ubriachi facciamo un mucchio di cazzate, su questo hai ragione. E anche sul fatto che rovino sempre tutto. Ma non sono capace di distinguere quali siano le cose importanti per cui combattere e quelle no. Combatto per ogni cosa con il massimo delle forze, e finisce che arriva sempre qualcuno a soffiarmi il primo posto.
 
 
 

  





Note dell'autrice. Ordunque, ecco qui il capitolo di metà mese, più corto dei precedenti e Hollycentrico. Mi scuso quindi con Judy per aver relegato in un angolo Roxy ma spero di farmi perdonare nei prossimi capitoli. Ringrazio come sempre chi di voi continua a seguire Destini e a chi ha iniziato a seguire "Freak Show". Speriamo di non deludervi, ma entrambe le storie - se lette contemporaneamente - possono darvi molto più di quanto non stiano già facendo.
Un abbraccio speciale va a tutti quelli che stanno commentando Destini, dimostrando un entusiasmo senza il quale non scriverei in modo tanto veloce.
Al prossimo capitolo lavorerò da inizio novembre, ma spero di potervi lasciare qualche regalo nella Zucca di Halloween.
Detto ciò, mancano due capitoli alla conclusione di questo prequel, per poi entrare nel vivo della storia... non scappate dunque (^.^) E, come mi ha fatto notare Judy nei commenti, la crescita di Holly è così forte che... che... sono fiera della mia bambina (;_;) *inchino*

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Capitolo 9
*** Come doveva finire ***


Finalmente si torna a parlare dei Lostprophets. I vostri fans sono in fermento, quando uscirà il prossimo album?
Se rispondessi subito a questa domanda non continuerebbero a leggere questo articolo, no? Insomma, magari ti dirò la risposta alla fine, quando avremmo toccato altri temi importanti. Non credi?
 
Wow, hai perfettamente ragione, devo tornare a rileggermi le nozioni di Giornalismo 101. Anche se qualcosa mi dice che non sarà facile scucire le informazioni a te… Dacci un piccolo anticipo sull’uscita!
Come ben sapete, l’album è praticamente finito, stiamo ancora però sistemando alcuni tocchi finali e remixando alcune parti delle canzoni. Ci sarà anche un traccia totalmente strumentale, e remixata da me e Mister X.
 
I vostri fan sono ormai abituati ad aspettare, vi siete presi del tempo per voi: alcuni si sono sposati, altri hanno avuto dei bellissimi bambini, non è tempo di tornare a fare musica?
Non abbiamo mai smesso di fare musica. MAI. Abbiamo avuto delle difficoltà con il nostro produttore, ci abbiamo messo dei mesi prima di poter tornare in piedi e pensare di iniziare l’album dall’inizio. Abbiamo mantenuto solo una traccia del precedente; quindi ci stiamo impegnando. Il supporto dei fan è fondamentale, abbiamo una fanbase che non ci ha deluso mai. Spero che non li deluderemo mai nemmeno noi. Ci manca suonare live, infatti, altra grande anticipazione – forse – più importante della data di uscita dell’album, è proprio questa: prima di Natale faremo dei piccoli concerti in Inghilterra.
 
Questa si che è una meravigliosa notizia, concerti Live natalizi. Un regalo ai vostri fan…
Vogliamo solo fargli ricordare per cosa stanno aspettando, che noi non ci siamo dimenticati di loro, ma questo album sarà realmente il nostro album migliore. Racchiude la nostra vera essenza, avendolo prodotto noi stessi. Stu, per la precisione, con un amico di vecchia data. Questo album è quello che siamo diventati dopo otto anni di carriera. Personalmente ho scritto tutti i testi, farà parlare molto di noi.
 
In verità è impossibile non parlare di voi, anzi di te Ian, per la precisione. Sei sui rotocalchi con la tua fidanzata più di quanto ci sia mai stato prima. In accoppiata con Nick Valensi e la sua dolce metà. Ci stiamo tutti chiedendo chi sia la donna che ti ha finalmente fatto perdere la testa. Ma soprattutto molti fan, e ammetto anche io, vogliamo saperne di più.
Si chiama Roxanne Baker, e se ve lo state chiedendo, si, è la sorella di un chitarrista di una Band Californiana. (Nds: ha specificatamente evitato di fare nomi, problemi con il futuro cognato?).
È una ragazza eccezionale, ormai stiamo insieme da qualche anno, che sia quella giusta ce lo dirà solo il tempo, no?
Ci siamo conosciuti per caso, ma da quel giorno non ci siamo più separati; e nemmeno con Nick e la sua amica. Siamo un bel gruppetto, e le fotocamere ci adorano. Potrebbe essere altrimenti? Avete visto che due belle ragazze?
 
Vorremo occuparci della tua, sai, Nick sarà intervistato la settimana prossima, non sapevamo che potevamo chiamarvi insieme e fare impazzire le fan!
Volete parlare di Roxy? E io che pensavo l’intervista fosse diretta a me, chiamatela, il numero però ve lo trovate da soli, di certo non vi facilito il compito.
 
Solo qualche piccola curiosità. Dopo torneremo a te, e alla data di uscita del CD non preoccuparti. Tre cose che ami di lei e tre che non sopporti.
Amo la sua memoria! Ha una memoria Eidetica*, è eccezionale la rende speciale! È una delle caratteristiche che più mi hanno colpito in lei. Soprattutto per uno sbadato e con la testa sempre altrove come me, lei è il mio porto sicuro. La seconda cosa che amo di lei è la sua passione per la moda, usciamo tantissimo insieme a fare compere, ha veramente gusto, e passiamo le ore in giro per i negozi. La terza cosa che amo di lei è il sorriso, è una ragazza solare e dolce, la classica persona con cui vorresti sempre avere a che fare.
Non ha grandi difetti, se paragonati ai miei. Ce ne è uno forse che spicca più degli altri: l’ordine. È dannatamente ordinata, quasi maniacale, io sono un confusionario, e lei riordina tutto, quando decide di sistemare e pulire fa vergognare anche Mary Poppins, e quando mi sposta la roba io non ritrovo più niente, è lì che discutiamo.
 
Un amore destinato a un matrimonio? Mancate solo tu e Luke al circolo delle fedi al dito.
Io credo che sia giunta l’ora di comunicarvi la data di uscita del CD, no? Non voglio di certo parlare di matrimonio in una rivista musicale ancora prima di averne parlato con la mia ragazza. Quando ne parlerò con lei, ti chiamerò e ti farò sapere i dettagli . Quindi, sono felice di informarvi che il CD uscirà il 18 Gennaio 2010. Felici?
 
(*) “Con memoria eidetica si intende un particolare tipo di memoria, nello specifico una variante della memoria fotografica o visiva, da cui si distingue per la comparsa immediata di un'immagine mentale successiva all'esposizione visiva a un oggetto (ad esempio un dipinto), che diviene però meno nitida col passare dei secondi.
La memoria eidetica è tipica dell'infanzia e della preadolescenza, scompare nell'età adulta e in alcuni casi ricompare in età avanzata. Sembra essere associata alla sindrome di Asperger e non è rara in soggetti affetti da ritardo mentale.”
 
[Kerrang! Issue n. 1178 April 2008]
 
Huntington Beach, 2008.
 
Dakota se ne stava sprofondata sulla sua poltrona preferita, nel salotto di Johnny. Delle sue abitudini adolescenziali, aveva perso davvero poco negli anni, se non nulla. L’unica eccezione era stata nel suo stile, indubbiamente influenzato da giornate di shopping in compagnia di Michelle, Valary e Gena. Quando ci aveva provato con Holly, l’ultima volta che si erano viste, qualche problema l’avevano avuto, sotto quel punto di vista. L’amica vestiva ancora come una teenager, la copia in miniatura di Zacky, e solo con Roxy sembrava sottostare al volere di qualche dio superiore, conscia del fatto che – ogni tanto - doveva pure ricordarsi di essere donna. Olivia, però, si era trasformata in una di quelle tizie che vestivano per sei giorni la settima in jeans e t-shirt, per poi sorprenderti il sabato sera con un vestito vintage o qualcosa di terribilmente Anni Ottanta, spalle lasciate scoperte da maxi maglie sotto cui indossava comodi leggings. Per lei, invece, era sempre sabato, con vestiti che – con il suo passato di skater – avevano ormai ben poco a che spartire, per la gioia di Johnny. Crescendo, Dakota aveva avuto attorno a sé individui dalla femminilità dirompente: della ragazzina dal corpo acerbo che indossava pantaloni larghi dalle decine di fibbie penzolanti, non restava che un ricordo indelebile inciso sul cuore del ragazzo. Aveva dovuto fare una scelta, più naturale che non obbligata: se inizi a frequentare persone che sono diversissime da te, o impazzisci se non le sopporti, o finisci con l’amalgamarti un po’ a loro. Dakota si era affezionata a Val, era stato naturale fosse così. C’erano da sempre, e benché non fossero mai diventate migliori amiche – e quella, era stata tutta colpa della possessività di Dakota, convinta che il suo rapporto biunivoco con Holly dovesse restare tale per sempre, per non poter crollare mai sotto il peso della vita che scorre. Poi era arrivata Roxy, e qualche dubbio, di non essere più l’unica, Dakota l’aveva avuto – Val era un’ottima consigliera e una compagnia piacevole.
Johnny non le aveva mai imposto nulla, ma era chiaro che per quei cinque, la donna doveva essere donna sempre, non un loro surrogato e lei, non voleva far sfigurare il suo ragazzo. A quel pensiero, Dakota si era stretta nelle spalle, sentendosi tremendamente in colpa. Per lei Holly era bella, ma la vedeva con gli occhi adoranti della migliore amica. D’altra parte l’aveva vista appena sveglia, con i capelli arruffati e l’aria stanca; totalmente sbronza e pallida come un cencio dopo aver vomitato l’anima; con il trucco sfatto dopo un pianto liberatorio, ma evidentemente aveva sbagliato il binario su cui diventare adulta, se era rimasta ancorata a ciò che era da ragazzina, in un certo senso. Puoi giudicare una persona da come si veste? Lo fanno tutti, e Holly la conosci da sempre. Ma lei aveva scelto Cardiff, Nick e Roxy a discapito di Huntington Beach e no, non gliel’avrebbe mai perdonato, quell’abbandono.
“Che è quella faccia? Sei pallida da far schifo.”
“Niente, sono solo un po’ stanca.”
“Gena ancora ti sta supplicando di metterti in affari con lei?”
“Piuttosto finisco a fare la cassiera al supermercato, Johnny. Posso sopportarla per il quieto vivere, ma non chiedermi di passare con lei ogni singolo giorno della mia vita, o dovrai venirmi a trovare in carcere, a meno che tu non conosca un ottimo avvocato.”
“Gli incidenti sul lavoro capitano,” le aveva risposto lui, posandole un bacio tra i capelli e sedendosi sul bracciolo della poltrona, dando un’occhiata distratta al numero di Kerrang! che Dakota stava leggendo.
“Ah, c’è il gallese… Novità?”
“Nulla che possa interessarci e anzi, qualcosa che potrebbe crearci un sacco di problemi.”
Dakota non sapeva mentire, men che meno a Johnny, per cui aveva sospirato posando il capo allo schienale della poltrona, la rivista adagiata malamente sul proprio volto.
“È per questo che hai quella faccia?”
“Non dirlo agli altri.”
“Devo preoccuparmi?” le aveva chiesto, sfilandole il giornale di dosso, dando una rapida occhiata all’articolo, morsicandosi nervosamente il labbro inferiore.
“Come faccio a non dirlo a Zacky?”
“Succederà un casino, lo sai. Perché non possiamo lasciarle stare?”
“È una questione di famiglia.”
“Anche Holly è sempre stata una questione di famiglia, se per questo,” era stata la risposta cupa di Dakota.
“Non c’entrano i legami di sangue, siamo tutti sulla stessa barca anche se stiamo in due continenti diversi. Cosa ti preoccupa?”
“Quello che non riesco a prevedere. Hai letto l’articolo, no? Zacky ammazza Watkins alla prima occasione utile, lo sai?”
“Il gallese è stato un pezzo di merda, oggettivamente.”
“E se prima sentiamo cosa dice Holly?”
“Lo difenderà come il solito.”
“È oggettiva, lo sai. Anche se stravede per una persona, quando sbaglia non si risparmia di certo. Insomma, ci va giù dura.”
“Zacky e Matt non fanno testo. Quando litigate voi due, finisce sempre che non ti dice mai tutto quello che pensa, secondo me.”
“Io sono una donna. Se mi urlasse in faccia come fa con Zacky sarebbe finita da tempo. È diversa l’amicizia tra donne, Johnny. Voi uomini dimenticate nell’arco di una notte, noi rimuginiamo per anni.”
“Oh, quindi la signorina Bridges ha sempre utilizzato due pesi e due misure?” l’aveva canzonata lui posandole un bacio sulla guancia.
“No, si è semplicemente comportata come un uomo con altri uomini per sopravvivere. Dovresti saperlo, ormai.”
“Okay. Questo lo porto a Zacky.”
“Ti prego, Johnny…” l’aveva supplicato lei con aria colpevole e seriamente preoccupata.
“Non accadrà nulla di irreparabile.”
“Me lo prometti?”
“Giuro.”
“Grazie.”
Se fosse successo qualcosa di irrecuperabile, qualcosa per cui in un certo senso avrebbe perso per sempre Holly, non se lo sarebbe mai perdonata. Era già una traditrice, perché di tutto quello che avveniva durante i tour o le feste private, né lei né Val ne avevano fatto parola alcuna. Della droga, non avevano mai parlato ad anima viva. Era uno di quei segreti che coinvolgevano l’elite ristretta di chi – ad Huntington Beach – c’era sempre, era quel segreto che doveva restare tale sino alla morte. Né Holly né Roxanne dovevano saperlo, su quel punto erano stati tutti d’accordo. I motivi erano differenti, ma il denominatore comune era il perderle entrambe con estrema facilità. Olivia non avrebbe mai accettato né compreso una cosa simile; Roxanne l’avrebbe condannata. E loro che sapevano e non avevano mai detto nulla? Loro, erano altrettanto colpevoli? Essere in tour, ammazzarsi di lavoro, non avere un attimo di tregua o uno straccio di vita privata che fosse davvero tale, annientare tutto per un sogno grande che aveva rubato loro tutto quanto: anche la vita reale. I primi a provare erano stati Jimmy e Brian, in una di quelle sere in cui gli altri erano troppo stanchi e presi da altro per seguirli nelle loro scie di follia. E da lì, era partito tutto quanto. A trovare la roba, erano stati i Barry. Dakota e Val sapevano e dovevano tacere. Provare – forse Val l’aveva fatto, Dakota non aveva mai indagato e aveva preferito chiudere gli occhi e mettersi distesa nella cuccetta di Johnny a piangere, ogni volta con il solo desiderio di sentire la voce di Holly dall’altro capo del telefono a rassicurarla che tutto sarebbe andato per il verso giusto – e stare a guardare, soltanto.
Quello era un segreto che la stava tormentando da anni, che la faceva sentire sporca. Come dovevano sentirsi, Zacky o Matt? Se lo chiedeva spesso, quando tutti e cinque fingevano che non ci fosse di mezzo la droga, quando si ripulivano per mostrare a Holly e Roxy una facciata che era ciò che loro ricordavano, il residuo dei ragazzini con i quali erano cresciute. Puliti, quando invece il mondo li aveva sufficientemente imbrattati di merda. Non erano dipendenti, ma farsi era un piacere per dimenticare i casini e scaricare lo stress. Poteva accusarli? Conosceva i ritmi che imponeva un tour mondiale e no, non aveva il coraggio di condannarli. Aveva paura, però, perché bastava davvero poco per perderli. E se fosse capitato, con che coraggio avrebbe guardato negli occhi Holly per darle una notizia del genere, consapevole del fatto che – pur sapendo – non aveva fatto nulla per fermarli?
 
 
“Che cazzo di storia è? Io spacco la faccia al gallese.”
Non era stata per niente una buona idea, quella di portare la copia di Kerrang! ai ragazzi. Brian aveva sferrato un pugno contro la parete in cartongesso della sala prove, sfondandola, mentre Zacky camminava nervosamente sulla lunghezza della stanza con il cellulare in una mano e nell’altra la rivista ridotta a un ammasso informe di carta per pulirsi il culo. Jimmy e Matt sedevano sul divano, l’uno accanto all’altro, increduli su ciò che avevano letto.
“Avranno montato tutto come il solito, sai come sono fatti i giornalisti, Zacky.”
“Non fare il diplomatico, Jimmy, perché stavolta quel gallese di merda non ha un cazzo di attenuanti, okay?”
“Perché non chiami Roxy per vedere come sta, piuttosto? Se lei è tranquilla tu che motivo dovresti avere di preoccuparti?”
“Io sono suo fratello, lei è così ottusa e innamorata che a quella testa di cazzo perdonerebbe qualsiasi cosa! Per non parlare di Holly, che ci riderà su come se niente fosse, perché a Ian – e aveva imitato in farsetto il tono di voce dell’amica – perdonerebbe qualsiasi cosa, la cretina! Io ho vissuto ventotto anni con mia sorella, io so cosa significa avere una memoria del cazzo come la sua, io so cosa significa per lei una cosa simile, e io me la vado a riprendere.”
“Vengo con te.”
La voce di Brian, perentoria e secca, era stata l’unica cosa che aveva spostato l’attenzione della scena da Zacky al primo chitarrista.
“E voi cosa fate?”
La domanda del ragazzo sembrava quasi scontata, ma i tre bandmate si erano scambiati un’occhiata complice, cercando un qualsivoglia diversivo per temporeggiare e calmare gli altri due, già carichi come molle e pronti a spaccare la terra.
“Matt, non ci starai seriamente pensando, vero? Non ci lascio nemmeno Holly nelle mani di due pezzi di merda del genere. Pensi che lei tornerà qui, se non c’è Roxy? Valensi troverà il modo per non farle più mettere piede in California e noi la perderemo per sempre. Se andiamo là, dobbiamo portarle via entrambe.”
“Secondo me stai esagerando, Zacky…”
“Da che cazzo di parte stai, Johnny? Se non era per te nemmeno l’avremmo mai saputa, questa cosa. Bell’amica del cazzo, Dakota!”
“Ehi, lasciala fuori da questa storia, per favore.”
“Okay, vengo.”
“Sei impazzito anche tu?” aveva chiesto il batterista al cantante, mentre questi si era alzato digitando il tasto di chiamata rapida sulla tastiera del cellulare.
“Avviso Val.”
“Cristo Santo, ma voi siete tutti scemi.”
“Resti qui?”
“Ovvio che no, razza di coglione. Chi vi riporta a casa, dopo?”
“Okay, chiamo Dakota” era stata la risposta sconfitta di Johnny. E no, non era andata affatto come aveva previsto. Con che coraggio le avrebbe detto che quel pazzo di Zacky aveva deciso si andarsi a riprendere con la forza sua sorella e, di conseguenza, anche Holly, per riportarle a casa?
“È sequestro di persona.”
“Sequestro un cazzo, Jimmy. Sono state lontane anche troppo, adesso risolviamo le cose alla Vengeance una volta per tutte.”
Era quello, il problema.
 
 
“Ti comporti come un padre che deve dare in moglie la propria figlia. La ragazzina di cui ti sei preso tanta cura – la ragazzina invisibile e anomala, di un rosso acceso come i tramonti di Hungtinton Beach – all’improvviso ti viene strappata da un altro uomo. Un uomo che non sai se si prenderà cura di lei come hai fatto tu, un uomo che non sai se saprà davvero amarla e renderla felice. Non ti piace guardare Holly e Nick insieme. È ridicolo che tu sia geloso pur avendo deciso in piena autonomia di non avanzare pretese su di lei. Sei stato lì a guardare mentre ti veniva portata via, e sai qual è la cosa davvero pericolosa, Zacky? Che hai deciso di proteggere una donna per cui non provi il minimo interesse sessuale. È come se l’avessi già sposata, Holly, in un certo senso, ed è come se provassi a giocare alla famiglia felice con lei, con risultati pessimi. Non sei suo padre, lasciala libera. Il vostro rapporto è innaturale, Zacky: Holly non è Roxy, non è tua sorella. Non puoi credere di imporle scenate di gelosia e litigi continui, o di imporle una tacita scelta tra te e l’uomo che ama, tra il migliore amico e il fidanzato. Forse avete sbagliato tutto dall’inizio, ma sareste in grado di cancellare tutto e ripartire da zero?  Forse è il caso di aprire gli occhi prima che qualcuno si faccia male, lo sai?”
Zacky era rimasto in silenzio ad ascoltare le parole di Jimmy, mentre il ragazzo si rigirava distrattamente le bacchette della batteria tra le mani.
“Hai detto un sacco di cazzate Jimmy, sul serio. Come fai a credere che io mi senta il padre di Holly? E soprattutto, non è lei il problema. È mia sorella in questo momento.”
“Non hai recepito davvero solo quella parte, vero Zacky?”
Il chitarrista si era zittito, sospirando rassegnato.
“Sono geloso, lo sono sempre stato. Sai che novità eh.”
“Non di Matt, per esempio.”
“Matt non si sarebbe mai messo con Holly, te lo immagini lui con lei?”
“Ti stai rispondendo da solo, che bisogno ho di stare a parlarti ancora? Hai rischiato di rovinare il compleanno a tua sorella e Holly solo per la tua fottuta gelosia. Rassegnati: prima o poi Roxy si sposerà, che a te piaccia o meno. La stessa cosa la farà Holly. Mettiti il cuore in pace. Non puoi pensare davvero che restino entrambe zitelle per fare un favore a te, che non hai ancora capito quanto la tua gelosia possa renderti insopportabile e odioso. Non ho ancora capito con che coraggio tua sorella non ti abbia mandato a quel paese, lo sai?”
“Mi sopporta da una vita.”
“Sei meschino.”
“Io cosa?”
“Se punti sull’affetto che provano per te sei meschino. E anche stronzo.”
“Sei tu che non ti fai i cazzi tuoi. Com’è che siamo arrivati a parlare della festa di Natale a distanza di quattro mesi quasi?”
“Perché tu ora vuoi partire per Cardiff e andarti a riprendere tua sorella e, di riflesso, Holly. E sinceramente, se c’è una cosa che mi sta altamente sul cazzo, sono le prese per il culo. E tu sei così bravo, Zacky, da fotterti da solo senza nemmeno rendertene conto.”
 
 
Cardiff, 2008.
 
 
Holly sedeva al tavolino di Starbucks, un cappuccino caldo tra le mani e un brownie mangiato solo per metà, mentre leggeva distrattamente l'ultima intervista che Ian aveva rilasciato a Kerrang!
“Quello scemo... Non imparerà mai a tapparsi la bocca? Il suo manager non gli ha insegnato a tenersi i cazzi suoi per sé?” aveva borbottato a mezza voce, incurante di alcuni ragazzi che si erano voltati per osservarla parlare da sola, come se fosse pazza.
“Davvero lo stai facendo?” le aveva chiesto Nick posandole un bacio sulla fronte, prima di sedersi di fronte a lei mangiandole una buona porzione del brownie abbandonato nel piatto.
“Cosa?”
“Parlare da sola?”
“Ian ha raccontato i fatti suoi e di Roxy a Kerrang! Tu non farai la stessa cosa la prossima settimana, vero?”
“Come no? Non posso dichiarare al mondo quanto meravigliosa sia la mia donna?”
Donna è un parolone, eh”, le aveva risposto lei serafica, alzandosi in piedi.
“Prova a dare un'occhiata alla genialità del tuo amico, vado a prenderti il caffè.”
“Grazie.” Gli aveva risposto lui rigirandosi tra le mani la rivista mentre Holly si allontanava alla ricerca del suo caffè lungo americano. Ian non aveva detto nulla di strano, nulla che non fosse poi troppo lontano dalla realtà o da ciò che pensava. Il problema di Ian era proprio quello: finiva con il raccontare sempre troppo. Forse la colpa era anche di Roxy, in quel caso: non l'aveva mai fermato, assecondandolo su tutta la linea, sempre felice di essere al suo fianco davanti ai fotografi. Holly era sempre stata chiara su quel punto, amava tenere lontana la sua vita privata dai riflettori  e si era sempre tenuta alla larga dai pettegolezzi. Di fatto, l'unica cosa che l'aveva fatta incazzare, era stato quando su Kerrang! era comparsa la sua foto per mano con Zacky a un vecchissimo concerto degli Avenged Sevenfold, paragonata con una foto che la ritraeva insieme a lui, in un sottinteso che strizzava l’occhio ad un ipotetico DNA da groupie. Aveva pensato di sporgere denuncia alla redazione, poi aveva lasciato perdere: era un trafiletto così misero, che la cosa sarebbe scemata da sé, in un certo senso. Le persone, però, avevano imparato che c'era anche lei, nell'ombra dei cinque californiani, e il fatto che Ian avesse specificato che Roxy era la sorella di Zacky – chi non avrebbe dedotto la nota sarcastica del cantante e dell'intervistatore, doveva essere proprio cieco – avrebbe buttato nuova luce su entrambe. Per non parlare della questione dell'incisione del self-name; Holly aveva supplicato Matt di non metterla nei ringraziamenti del cd, cosa che – invece – i ragazzi avevano sempre fatto, di ricordare sia lei che Roxy. Da nessuno di loro potevi aspettarti che si sarebbero staccati, era come un cordone ombelicale che non avevano mai reciso e che, con gli anni, si era calcificato impedendo a tutti loro di liberarsene.
“Tu non lo farai, vero?” gli aveva chiesto nuovamente Holly, tenendo tra le mani la tazza calda di caffè.
“Cosa?”
“Di sparare tutte le cazzate che ha sparato Ian?”
“Sei arrabbiata con lui?”
“No, la sarei se l'avesse fatto con cattive intenzioni, ma purtroppo è fatto così. Ho provato a cihiamare Roxy ma ha il telefono staccato, temo non si sia ancora svegliata oggi.”
“Comunque posso almeno dire che sei la persona che tutti vorrebbero avere?”
“Così mi dipingi perfetta, scemo. Poi se qualcuno cerca di portarmi via? Meglio se racconti che sono una rompipalle. È più pertinente alla realtà e ti eviti potenziali concorrenti, no?”
“Guarda che sono disposto a combattere con ogni mezzo legittimo e illegittimo per tenerti stretta, eh.”
“Sei il mio degno Romeo, lo sai?” gli aveva cinto le spalle con un abbraccio, posandogli un bacio sulla guancia.
“Dove pensi possa arrivare una come me senza Nick Valensi al proprio fianco?”
Molto lontano: in California, per esempio.
“Ti sottovaluti sempre, scema. Secondo me lo fai apposta per farti fare un sacco di complimenti.”
“No, solo per essere rassicurata che tu non mi lascerai sola.”
“Sei proprio assurda. Ancora non ti sei convinta?”
“In effetti hai avuto mille occasioni per scaricarmi. Allora dobbiamo festeggiare!”
Holly aveva alzato le braccia al cielo, i pugni serrati e un sorriso felice stampato in volto. Nick desiderava farla felice ogni giorno allo stesso modo, senza perderla mai. Fossero stati solo loro due, non ci sarebbero mai stati problemi, ma doveva fare i conti con Huntington Beach e un passato così ingombrante da non riuscire a smuoverlo di un solo passo verso il perimetro esterno della loro esistenza. Se ne stava lì, perennemente al centro del tutto: magari non ne parlavano, magari non era lì fisicamente, ma era come un’ombra che li seguiva sempre. Era davvero determinato a combattere con le unghie e con i denti per tenersela stretta, ma come avrebbe potuto farlo contro i titani che erano il pilastro della vita della sua ragazza?
 
 
Memoria Eidetica.
Ritardo mentale.
Baker, sorella di quel californiano.
Matrimonio.
Belle ragazze.
Ian sedeva al tavolo della cucina di Roxy, lo sguardo posato sul tè nero che la ragazza gli aveva preparato per colazione.
“Mi dispiace averti svegliata con questa notizia e...””
“Ian, ti prego, sto riflettendo. Voglio dire... Tu hai raccontato al mondo del mio problema!”
“Non è un problema, Roxy. È un dono della natura, sei prodigiosa.”
“Sono un mostro. E tu hai avuto la sensibilità di un comodino a parlare di questa cosa ad una rivista come Kerrang! che, per inciso, fa soldi non parlando di musica ma del gossip sulle rock star. Potevi chiedermi il permesso, magari. Sai che per me è una cosa più intima della verginità, una cosa di cui non vado fiera e che per me è solo un peso.” Aveva esalato lei in una raffica di parole tra le quali non aveva interposto pause.
E lo faceva sempre, quando era nervosa.
“Dovevo telefonarti nel bel mezzo dell'intervista?” le aveva chiesto lui, risentito.
 “Per me è normale parlare delle cose che mi appartengono. Sono una rock star, Roxy, non un barista. La gente vuole conoscermi.”
“Vuole conoscere te, non me!”
“Tu sei una parte di me, Roxy, è normale che la gente voglia conoscerti.”
“Non deve sapere i cazzi miei. E poi cos'era quella frecciatina a mio fratello?”
“Quale? Non ricordo di aver fatto nulla del genere, sai? Sono solo stato onesto.”
“Si così onesto da sputtanarmi davanti a tutto il mondo. Grazie Ian, sei davvero fantastico.”
“Hai già parlato con Holly per caso?”
“Chi? Io? E perché? No, sono venuto da te per portarti le ciambelle per la colazione.”
“Sapevi che mi sarei incazzata, vero?”
Il ragazzo si era passato una mano tra i capelli, poi aveva sospirato alzando le mani verso il cielo in segno di resa.
“Okay, quando ho letto l'articolo ho pensato che te la saresti presa per la didascalia a fondo pagina, ho fatto chiamare quelli della redazione di Kerrang! dal nostro manager minacciando querele se non faranno le loro scuse ufficiali sul prossimo numero. Il tuo non è un ritardo mentale, Roxy, il tuo è davvero un dono. Hai visto cosa sai fare, no? L'estate scorsa...”
Roxanne gli aveva fatto cenno con la mano di tacere, prendendo nuovamente la parola. Non le era piaciuto il comportamento del ragazzo, non riusciva a mandare giù tutte quelle frasi sbagliate e inappropriate così… vere? Per lei, il valore dell’inchiostro sulla carta, era come un marchio a fuoco sulla pelle: indelebile.
“Quello era un gioco, Ian. Solo un gioco per ammazzare l'estate e il tempo. Puoi lasciarmi da sola? Vorrei riflettere un po' e farmi passare l'arrabbiatura. Potrei dirti cose di cui mi pentirei, con la differenza che me le ricorderei a vita e tu le dimenticheresti tra due giorni. Ci sentiamo per questa sera?”
“Okay. Ma niente colpi di testa, ti prego.”
“Sei un idiota.”
“Ti amo troppo per poterti perdere per una cazzata come un'intervista.”
“Sei stato uno scemo, ed ora su, vai a fare un giro. Ci sentiamo più tardi.”
 
 
“Non l'ha fatto apposta, Roxy.”
Nick era seduto al pub con l'amica, la rossa dietro al bancone intenta a sistemare in vetrina gli ultimi cupcakes preparati.
“L'ha detto anche Holly. Ma è come se avesse raccontato in giro... Ecco, è come se tu avessi raccontato ad un giornalista ficcanaso i dettagli della tua prima volta con lei.”
Il ragazzo aveva sorriso imbarazzato, chinando il capo distogliendo lo sguardo da quello di Roxanne.
“Okay, ho capito il concetto. Hai intenzione di tenere il muso a Ian a vita? O di lasciarlo perché non sa tacere? Andiamo Roxy, sii sincera con te stessa. Ian non sa raccontare  bugie a te, non lo fa nemmeno con il resto del mondo. È un suo grandissimo pregio e un suo grandissimo difetto. Ti ha ferita, ma sa di aver sbagliato. Quel trafiletto offensivo è stato preso da Wikipedia, ha controllato Holly quest'oggi. È facile cadere negli stereotipi, i media ci vanno a nozze.”
“È per questo che lei ci sta lontana” aveva esalato la mora con aria sconfitta come se, per una volta, la condotta di quella pazza furiosa fosse invece la più giusta da seguire.
“E' sempre stata categorica in questo, a te non è mai fregato nulla di farti vedere con Ian o tenere privati i vostri appuntamenti. Lei all'inizio si nascondeva e rifiutava di farsi vedere. Con il tempo ha dovuto allentare la presa, ma le costa una fatica pazzesca. So che le da fastidio apparire in pubblico o che parli di lei come persona. Non le interessa farsi conoscere dai nostri fans. Quando eravamo in tour un sacco di gente le ha chiesto di poter fare foto insieme, era allibita. Aveva quest'espressione stranita che sembrava le fosse caduto il mondo addosso. Io lo so, che ad Holly il mio mondo non piace, ma lo accetta perché accetta me. Tu a Ian quante volte hai fatto capire che la tua vita privata doveva rimanere tale? Ti sei sempre esposta con lui, senza problemi.”
“Si ma questa era una cosa personale. E Zacky...”
“L'allusione al tuo cognome?”
Roxy aveva annuito, sospirando nuovamente. Era così avvilita che Nick non ricordava di averla mai vista così sconfitta da qualcosa.
“Ehi, perché non prendi questa cosa come un modo per superare questa tua fissa?”
“Mi hanno dato della ritardata...”
“La sei?”
“Non lo so...”
“Roxy?”
“No... Penso di no.”
Non ne era affatto sicura, però da qualche parte doveva pur iniziare per reagire al colpo basso che Ian le aveva inferto. Certo, era stato del tutto involontario, ma le aveva ricordato che era un mostro.
E che lui voleva sposare un mostro, prima o poi.
Chi dei due era più svitato?
A quel pensiero la ragazza aveva sorriso, e Nick le aveva stretto la mano posandole un bacio sulle dita.
“Ascolta: tu sei Roxanne Baker e le persone ti vogliono bene per ciò che sei, pregi e difetti inclusi. Lascia che la stampa dica ciò che vuole, ci saremo sempre noi a difenderti e ricordarti che sei speciale.”
“Grazie Nick.”
“E per concludere l'arringa del nostro eroe, un cupcake speciale per la mia amica speciale.”
Holly aveva invaso il tavolo portando due birre e un cupcake dalla crema di un assurdo arancione.
“È il tuo colore preferito...”
“Certo, e l'ho fatto per ricordarti che resti la mia preferita tra tutte le donne che esistono al mondo. Se Ian ti lasciasse scappare sarebbe davvero un idiota, lo sai? Dato che è intelligente e non è Brian... Non lo farà.”
Le aveva sorriso posandole un bacio tra i capelli, alzando una bottiglia di birra al cielo.
“A noi. Perché qualsiasi cosa accada, non ci divideremo mai. Saremo sempre insieme, Roxy. E finché resteremo insieme, potremo distruggere il mondo. Beh, Ian sarebbe capace di farlo anche da solo, ma sono dettagli.”
La mora aveva riso, sollevando il proprio boccale di birra in aria, facendolo tentennare contro la bottiglia dell'amica.
Era facile farsi sollevare il morale, bastava mettere a tacere il cervello e ricordarsi che in fondo, c'era chi aveva imparato ad apprezzarla per ciò che era, e non perché era la sorella di Zackary Baker o perché era stata acquisita per cause di forza maggiore. Le persone le volevano bene indipendentemente dalla sua memoria del cazzo, da suo fratello e da Ian Watkins. Ogni tanto, avrebbe dovuto ricordarselo.
 
 
Los Angeles, 2008.
 
 
“Zacky io credo sia una pessima idea. Holly si incazzerà a morte e...”
“Non rompere il cazzo anche tu Dakota, okay? Roxy è mia sorella, non la migliore amica della tua migliore amica, è mio diritto riportarla a casa ora che il gallese si è rivelato per quello che è: un grandissimo pezzo di merda.”
“Ora non te la prendere anche con lei, Zacky. Cerca di evitare di essere stronzo con qualsiasi persona ti capiti a tiro.”
La bionda era pallida come un cencio, seduta accanto a Valary mentre si dirigevano a tutta velocità verso Los Angeles, un volo prenotato per Cardiff che li avrebbe fatti atterrare a Londra l'indomani, business class per tutta la comitiva, pagata direttamente dal secondo chitarrista.
La perdiamo, questa volta è finita.
Le due amiche sapevano come reagivano i ragazzi quando sballavano, e la paura di entrambe era che arrivassero fatti e incazzati a Cardiff, pronti ad ammazzare di botte Ian e Nick.
Matt aveva lasciato a Valary piena libertà di decisione, ma tutto si stava svolgendo così in fretta che non avevano avuto molte scelte tra le quali destreggiarsi. Dakota aveva deciso di tentare la carta del bluff, fingendo un malessere in aeroporto per ritardare o – nella migliore delle ipotesi – bloccare la decisione dei ragazzi, ma era certa che l'avrebbero abbandonata a Los Angeles con Val e sarebbero partiti ugualmente, dunque era stata costretta a seguirli e basta, sperando di limitare i danni.
Dakota non era stupida e, soprattutto, conosceva alla perfezione le dinamiche che muovevano quei cinque idioti e no, non era nulla di nobile. Soprattutto, non era nulla di ciò di cui parlava Zacky, e il problema era che lo sapevano tutti e tutti lo stavano assecondando. Per motivi differenti, ma ognuno di loro stava andando a riprendersi qualcosa che credeva gli appartenesse di diritto.
Puoi avanzare pretese per un legame di sangue? Per un'amicizia che vive da sempre? Per un amore che non hai mai voluto ammettere a te stesso e che inconsciamente ti fa muovere ogni passo in questo cazzo di mondo?
Dakota aveva le lacrime agli occhi, e la cosa non prometteva nulla di buono: lei, la biondina compagna della traditrice, stava andando a riprendersi la sua migliore amica, come tutti gli altri, con lo stesso spirito egoistico.
Certo, era stata la paura di qualche cazzata di quelle abissali a far muovere le ragazze, ma c'era stata anche la voglia di riabbracciare Holly e tenersela stretta quando tutto sarebbe andato a puttane. Perché lei voleva solo chiederle scusa e dirle che ci aveva provato a fermare quella grandissima testa di cazzo di Zacky. Ci avevano provato anche Jimmy e Johnny e Val, ma quando Zackary Baker decideva di risolvere le cose alla Vengeance, potevi solo sperare che la sua controparte fosse abbastanza forte da reggere il colpo, o non sarebbe rimasto altro che un cumulo di cuori rotti.
 
 
“Perché lo fai?”
“Per Holly. È capitato a Roxy, capiterà anche a lei. E sai com'è fatta, no? Odia che la sua vita venga data in pasto al mondo e...”
“Non ti prendere per il culo, e non farlo con me soprattutto. Ti stai facendo fregare da Zacky, e sai che quando è in questo genere di situazioni fa un mucchio di stronzate. Dovresti farlo ragionare, non assecondarlo.”
“Perché tu sei venuta?”
“Perché ho paura che facciate un sacco di cazzate troppo grandi. Matt, rifletti per un secondo: Holly come la prenderà se ci precipitiamo tutti a Cardiff per costringerla a tornare a casa?”
“Lei è felice solo ad Huntington Beach” gli aveva risposto lui secco, con la determinazione con la quale dava per scontato tutto ciò che riguardava la sua migliore amica. Si era ritagliata quel posto nella sua vita negli anni, da quando erano solo due mocciosi con i denti da latte ed era certo di sapere ogni cosa di lei, persino quelle di cui Holly non si rendeva conto. Olivia era sempre stata una certezza, per quel motivo le sue parole erano intrise di una verità che affondava le sue radici in una memoria storica e fisica fatta di comportamenti e reazioni che erano diventate il loro marchio di fabbrica, il meccanismo segreto per cui la loro amicizia non si era sfaldata negli anni.
“Ci credi davvero?” gli aveva chiesto Valary scettica, le braccia strette al petto e lo sguardo ridotto a due fessure, dietro gli occhiali da vista.
“Si. L'hai vista anche tu cantare l'estate scorsa. Ti ricordi come sorrideva?”
Tu hai guardato troppi dettagli, Matt. O forse è normale che sia così, quando ti sembra di perdere una parte di te ogni volta che riparte e si allontana dalla città dove è nata e ha preso forma, a tua immagine e somiglianza.
“Non ti perdonerà mai. Sei disposto davvero a perderla per sempre solo per assecondare Zacky?”
“Capirà.”
Ma non ti perdonerà, puoi starne certo. Ancora non avete compreso che la caparbietà che ha dimostrato in tutti questi anni, è cresciuta con lei. E la cosa ridicola, Matt, è che tu continui a vedere Holly sotto la luce distorta che l'ha sempre illuminata, come se fosse solo una ragazzina da proteggere. Ha ventiquattro anni ormai, è libera di fare le proprie scelte e se a te non andranno a genio potrai solo stare a guardare e offrirle una spalla su cui piangere quando tutto andrà a puttane. Non puoi nasconderla sotto una campana di vetro e tenerla lì, lontano dalla vita dalle sue docce fredde. Mi dispiace, ma questa volta sarò costretta a dare ragione a lei.
 
 
Memoria Eidetica.
Ritardo mentale.
Baker, sorella di quel californiano.
Matrimonio.
Belle ragazze.
Poco importava il contesto in cui quelle parole erano localizzate all’interno dell’articolo: Zacky, le aveva fatte proprie, ripetendole mentalmente come un pericoloso mantra nocivo per l’anima. Chi avesse detto cosa, era del tutto irrilevante: stavano parlando di sua sorella, tutto quindi era riconducibile a lei, e Watkins era il colpevole. Il suo cervello aveva già condannato a morte il cantante almeno due anni prima, ora lo stava conducendo al patibolo in quella che doveva essere la degna conclusione della vita di un individuo del genere. Con la lentezza esasperante con cui riesci ad assaporare gli ultimi istanti di vita, ripercorrendo in un turbinio di flashback del tutto casuali il percorso di un’intera esistenza, il chitarrista stava ripercorrendo mentalmente ogni scontro, ogni frase detta a metà o morta in gola, ogni sguardo che dichiarava guerra aperta e il coraggio di prendere in mano la situazione che avevano avuto solo qualche mese prima, la notte di Halloween. E già a Natale e capodanno, il clima non era di certo stato dei più miti: il gelo se l’erano portato dietro dall’Inghilterra, quell’anno.
“Hai capito, Brian? Quello stronzo ha dato della ritardata a mia sorella! E ha parlato di matrimonio. Non scherziamo, piuttosto di sporcare il mio sangue con quello di un fottuto gallese chiederò a mio padre di disconoscere Roxanne. E poi cazzo, ti rendi conto, Matt? Ha fatto apprezzamenti anche su Holly... Solo un depravato potrebbe farlo!”
“In effetti si, nessuno farebbe mai una cosa del genere. Nessuno che non sia un tizio con chiare mire, mi pare ovvio.”
“Brian evita di dire stronzate, ci manca solo che quel maniaco finisca a letto con mia sorella e Holly. Evitiamo scene raccapriccianti, per favore. In ogni caso, che cazzo di illazione è band californiana? Ci ha palesemente presi per il culo tutti quanti, lui e quella sua musica da checche.”
“Fanno rock, Zacky. Semplice e puro rock” aveva puntualizzato il batterista, seduto alle loro spalle.
“Da checche, Jimmy. E smettila di fraternizzare con il nemico! Qui si tratta del nostro onore e di andarci a riprendere ciò che è nostro.”
“Se ti sentissero tua sorella e Holly si incazzerebbero. Le stai trattando come due cretine qualunque che non sanno vivere. Due sceme che si fanno prendere per il culo dai primi che passano.”
“È così infatti.”
“Holly e Nick stanno insieme da tre anni, e più o meno è lo stesso per Ian e tua sorella. Perché non accetti la cosa e lasci perdere le crociate contro mostri inesistenti?”
“Jimmy mi hai rotto il cazzo. Non ho voglia di sentirti ulteriormente sparare stronzate in merito a cosa sia accaduto negli ultimi anni. Abbiamo permesso a quelle due troppe cose.”
L’altro aveva sollevato gli occhi al cielo, inforcando gli occhiali da sole. Cercare di far ragionare Zacky era una causa persa, e con lui Brian e Matt. Aveva sperato, in un certo senso, che almeno Matt potesse evitare di farsi trascinare nel baratro di follia di Zacky, ma aveva dovuto fare i conti con la rassegnazione di Val e la sua determinazione, deciso a riprendersi una parte della sua vita consistente e ingombrante, quella che gli ricordava sempre che erano partiti da zero e che tutto quello che avevano se l'erano sudato. Ci avevano investito vita, ricordi e sentimenti, imbastendo una doppia vita fatta di mezze verità per timore di perdere tutto.
La parte vera, pulita e sincera della loro vita, erano due ragazzine che se n'erano andate per dimostrate a tutti loro che si poteva essere felici anche senza voler essere delle rock star, vivendo lontano dall'ombra di legami ingombranti e indissolubili. Holly li avrebbe odiati, almeno un po'? Sicuramente si, ma erano tutto ciò che amava e aveva sempre perdonato ogni cosa ad entrambi. Perché? Perché quando ami incondizionatamente diventi troppo permissivo. Se si fosse incazzata davvero, almeno una volta, forse Zacky avrebbe aspettato prima di partire per Cardiff, invece era certo che Holly gli avrebbe perdonato tutto per l'ennesima volta e che l’avrebbe seguito senza protestare. Roxanne era sua sorella, se la sarebbe portata via anche a forza. Messa con le spalle al muro, nella scelta crudele tra l’amore e suo fratello, avrebbe di certo scelto il secondo, a occhi chiusi.
Era certo di farcela e anche Jimmy, nonostante la paura, sperava che Zacky avesse ragione, almeno per quella volta. Osare immaginare un possibile rifiuto, significava accettare una sconfitta e una perdita che non avrebbe mai accettato.
 
 
Brian odiava il gallese, odiava Cardiff e odiava anche Holly, in quel momento. Se lei non fosse partita, scatenando una reazione a catena di fughe, Roxy non se ne sarebbe mai andata da Huntington Beach. La colpa poteva essere anche di Matt, in un certo senso. Se si fosse messo con Holly di certo lei non si sarebbe montata la testa con la storia dell'archeologia, di New York e tutte quelle cazzate intellettuali su cui aveva basato ogni singola scelta della sua vita. E Roxy, che dopo tre mesi soltanto si era messa con Watkins? L'aveva rimpiazzato senza troppi problemi alla fine. Di cosa poteva accusarlo, dunque? A quel pensiero, la sua coerenza aveva vacillato: perché andarsi a riprendere una donna che l'aveva lasciato in balia di Synyster Gates ignorando la sua vita e ciò che gli accadeva, vivendo all'altro capo del mondo con un altro?
Il problema era che Roxy era un'ossessione, anche se non voleva ammetterlo nemmeno a sé stesso e – men che meno – ad alta voce con gli altri. Non capiva bene da dove arrivasse tutto quel desiderio di sapere ciò che faceva e di come era la sua vita lontana da loro, ma era arrivato alla conclusione che il motivo fosse legato al fatto che Roxanne non aveva mai dato segno di cedimento davanti a lui e, anzi, se n'era persino fregata. Okay, avevano avuto momenti di imbarazzo e vuoti cosmici di silenzio che non avevano saputo colmare con le parole giuste, ma erano due frane nei sentimenti e nei rapporti interpersonali, era abbastanza ovvio si comportassero come due adolescenti disadattati. La cosa, comunque, era stata sopperita dalla presenza sempre più assidua del gallese, che aveva ridotto ai minimi termini gli incontri tra lui e Roxy e la lunghezza di abiti e gonne di quest'ultima.
“Secondo me non si aspettano che andiamo là.”
Zacky aveva interrotto i pensieri dell’amico, perso dietro le proprie elucubrazioni mentali che andavano a fomentare una già fervida immaginazione, che aveva previsto persino matrimoni segreti e cospirazioni ai danni degli Avenged Sevenfold.
“Che faccia farà tua sorella? Dovresti pensare a come difenderti per evitare che ti strappi via gli occhi, Zacky.” L'aveva rimbeccato Jimmy, seduto accanto a Val, Dakota e Johnny a chiudere la fila mentre i tre coglioni stavano a fomentarsi a vicenda davanti a loro.
“Matt, secondo me Watkins vuole fotterci. Per me vuole far cantare Holly e fregarci la piazza. Si insomma, noi abbiamo avuto l'esclusiva ma secondo me lei accetterebbe. E allora addio unicità del nostro self-title. Dobbiamo riportarla a casa prima che il gallese ce la fotta.”
“E perché non Nick, Zacky?” Gli aveva chiesto Jimmy in un momento in cui non sapeva se ridere o piangere delle stronzate partorite dal chitarrista. Il problema principale era un altro: il chitarrista era il primo a crederci e nemmeno faceva fatica a convincersi che le proprie seghe mentali fossero tangibili dati di fatto. Era un fottuto paranoico se entravano in gioco Holly o Roxanne: prese insieme, dunque, non facevano che rendere la spedizione a Cardiff una specie di Guerra Santa.
 
 
Cardiff e due perfetti sconosciuti si erano portati via le donne della sua vita. Due stronzi qualsiasi avevano messo le mani su sua sorella e su una ragazzina che poteva essere attraente quanto un peluche vinto al luna park. L'oceano si era portato via troppe volte sua sorella e Holly, lasciandolo solo ad Huntington Beach ad ingoiare ricordi e sentimenti e rabbia sorda e cieca per due abbandoni a cui era stato costretto a sottostare senza potersi ribellare.
Non ne hai il diritto, gli aveva detto Brian quando Holly aveva deciso di tradirlo e fregarsene delle sue promesse.
Non ne hai il diritto, gli aveva detto Jimmy quando era stato il turno di Roxy, di abbandonarlo.
Il diritto su sua sorella derivava dal fatto di avere il medesimo DNA, dunque non gliene fregava assolutamente un cazzo di ciò che poteva desiderare. Lei, cos'era giusto, non lo sapeva, dunque Zacky l'avrebbe riportata sulla retta via. Holly l'aveva tradito, gli aveva raccontato un sacco di bugie lasciandolo solo ad Huntington Beach a gestire un successo che non si aspettava, senza chiedergli di aspettarla o che. Aveva deciso di vivere la sua vita, a modo proprio, senza nemmeno tenerlo in considerazione. Non gliel'avrebbe mai perdonato, ma sarebbe stato così magnanimo da riportarla a casa prima che si pentisse di tutto ciò che stava facendo.
Avrebbe salvato entrambe dal fondo, le avrebbe afferrate un secondo prima dello schianto a terra. E gli sarebbero state riconoscenti a vita.
 
 
Cardiff, 2008.
 
 
Ian, Nick, Bori e Roxanne sedevano al tavolino del pub di Dave. Il solito, quello in fondo al locale alle cui spalle stava la finestra che dava sul cortile interno, lo stesso su cui la ragazza aveva pianto per Brian e sul quale Holly aveva rovesciato un intero boccale di birra sulla testa di Ian. Roxanne era ancora in tensione per l'articolo apparso su Kerrang!, ma il cantante stava realmente facendo il possibile per farsi perdonare e le parole di Nick e Holly le erano servite per raddrizzare il tiro di un colpo che stava prendendo la china paranoica tipica dei Baker.
“Holly mi porti uno di quei tuoi meravigliosi cupcake?”
La rossa li aveva raggiunti, posando con poca grazia il piatto sul tavolo, davanti a Bori.
“Non mi fido di te, russo. Roxanne non la porti in mezzo alle lande siberiane per farla posare per la Made In Hell, capito?”
“Stava solo parlando della nuova collezione, pensa che Ian aveva pensato a un set a Tokyo e...”
Holly aveva sgranato gli occhi gettandosi addosso al cantante poi, aveva spostato lo sguardo da cerbiatto ferito su Bori – quello da ruffiana che sfoggiava con una disinvoltura inquietante, ormai - , cercando il modo di ritrattare ogni singola parola nel tentativo di farsi portare nella capitale giapponese.
“Ritiro tutto, russo. Ti giuro che se mi portate a Tokyo sarò brava e non romperò le palle. Giuro.”
“E c'è da crederle sulla parola, eh.” Aveva scoccato Nick, indicandola con il boccale di birra ancora mezzo pieno in mano.
“Sai che è una vita che voglio andarci!”
“Solo perché hai l'animo della nerd.”
“Non è colpa mia se sono stata cresciuta a fumetti e cartoni animati, eh.”
Aveva fatto una pernacchia a Nick, prima di tornare sui propri passi per riprendere il proprio posto dietro al bancone, nel tentativo di smaltire le ordinazioni della serata. All’ora di cena, al pub, c’era sempre un sacco di gente e lei anziché mangiare come tutti gli altri, si divertiva a lavorare, non soddisfatta delle ore passate immersa nel silenzio degli scavi archeologici. C’erano due Holly che desideravano parlare e vivere. La sua vita era persa dietro qualche storia ancora da scoprire, sepolta da strati di terra e polvere accumulata nei secoli, ma dall’altro lato scalpitava ancora quella ragazzina che si ubriacava alle feste dei suoi amici più grandi, quella che per un tuffo dal molo il venticinque dicembre si sarebbe presa una polmonite. Potevano coesistere, quelle due? Si, aveva scoperto che poteva essere felice dando ascolto a entrambe, dunque perché negare una parte di sé in favore dell’altra? Perché gli altri si aspettavano che mettesse la testa posto? Perché era assurdo che un’archeologa come lei continuasse a lavorare in un pub – seppur dividendo ora i turni con un’altra ragazza – solo per non dimenticare mai le sue origini?
No, non era mai scesa a compromessi con nessuno, nemmeno con i suoi sentimenti: non l’avrebbe di certo fatto con le imposizioni dettate dal buonsenso comune del mondo degli adulti che lei, vedeva ancora lontano anni luce da sé.
“Ehi Roxy! Tu hai delle chiamate strane sul telefono?”
La ragazza aveva estratto il cellulare dalla borsa, il display immacolato. Cosa significava poi, “chiamate strane”?
“No, perché?”
“Ho quindici chiamate di Dakota ad orari assurdi, appena finisco il turno la chiamo e...”
L'ingresso di un gruppo nutrito di individui le aveva istintivamente fatto alzare lo sguardo dal cellulare che le era scivolato di mano, schiantandosi con un rumore sordo sul pianale del bar.
Zacky, Brian e Matt aprivano la fila, Jimmy e Johnny a seguire.
“Cosa...”
I ragazzi seduti al tavolo erano stati costretti a puntare la propria attenzione sui nuovi arrivati, e le parole di Holly suonavano come una grandissima presa per il culo.
“Zacky?”
La voce di Roxanne era stata poco più di un sussurro spentosi in gola davanti all’indifferenza di suo fratello. Lui nemmeno l’aveva guardata, puntando dritto verso Ian, perché l’istinto di Zackary Baker era quello di uccidere: in alternativa, di fare molto, ma molto male. Aveva stretto tra le dita tatuate i lembi della camicia immacolata del cantante, sollevandolo dal proprio posto e spingendolo lontano dal tavolo e, soprattutto, dalla ragazza.
“Cosa diavolo stai facendo?”
“Questo è da parte di tutti e cinque, per aver sputtanato mia sorella, stronzo” gli aveva sputato addosso il chitarrista continuando a guardarlo, seduto a terra a qualche metro di distanza, come se fosse un sacco di immondizia abbandonato sul marciapiede di Notting Hill, sporcando una vista altrimenti perfetta.
“Che cazzo stai facendo? Sei impazzito?”
“Non ti intromettere Holly, sono cose da uomini.”
“Zacky smettila!”
“Tu sei completamente fuori di testa!”
Le voci delle due ragazze si sovrapponevano l’una all’altra, in una serie concitata di divieti che a Zacky stavano solo facendo salire la voglia di menare gente. E il bello doveva ancora venire.
“Ti ho detto ti spostarti, Holly, o prendo a sberle anche te.”
“Giuro che se la tocchi ti spacco la faccia, Baker.”
“Levati dal cazzo, sfigato. Sono problemi nostri, okay? Tu sei fuori.”
Matt aveva puntato Nick, ben deciso a dare manforte a Zacky. Da quanti anni non si erano ritrovati in una situazione simile? Brian era rimasto fermo, in attesa che arrivasse anche il suo turno, piazzato abbastanza vicino a Roxanne per fermarla nel caso avesse deciso di difendere il gallese.
Roxy, aiutata da Bori, aveva cercato di svicolare dal proprio posto puntando il fratello, ma Brian si era prontamente messo sulla sua strada, a braccia conserte.
“Levati di qui, Brian.”
“Assolutamente no. È una cosa tra uomini, tu non devi metterti in mezzo.”
Roxy aveva cercato di lanciare un’occhiata oltre le spalle di Brian, scorgendo solo la schiena di suo fratello, costringendosi quindi a fare i conti con lui.
E Brian era tutto, era il suo passato e tutto ciò che aveva amato.
“Si può sapere che diavolo vuoi?”
“Andiamo Roxy, non mi dirai che vuoi restare qui a Cardiff con quello stronzo, no?”
“Scusa?”
“Non crederai davvero che sia innamorato di te…Gli piace solo l’idea di scoparti come più gli piace.”
“Con che diritto parli tu? Con quale cazzo di autorità conferita da quale cazzo di divinità pagana vieni qui e pretendi di fare a me la paternale? No dico, Brian, ti stai rendendo conto di essere ridicolo, quanto meno?”
Brian non teneva più le braccia serrate sul petto, ma si era avvicinato a Roxy sovrastandola con la propria altezza e lei, poco più in basso, era costretta a fare i conti con la sua inferiorità fisica, puntandogli il dito contro il petto con aria di sfida, senza abbassare lo sguardo.
Da quando era diventata così determinata? Da quando, soprattutto, Roxanne aveva qualcosa da difendere che non erano lui e Zacky?
E tutti i suoi “cazzo”, lo fa ancora. Ogni volta che è incazzata sul serio lo ripete all’infinito, proprio come me.
“Andiamo Roxy, ti stai facendo fregare da quel puttaniere…”
L’istinto di sopravvivenza, è tutto. Anche il senso di appartenenza, a volte, si lacera per fare posto al senso di giustizia e correttezza.
Chi l’aveva salvata non era stato Brian, ma Ian, e tutta la sua riconoscenza per essere una donna, una di quelle per le quali ti potevi girare per strada a guardarla e invidiare chi le stava accanto, lo doveva a Ian e al modo in cui l’aveva fatta fiorire. Con delicatezza, con costanza e determinazione, si era guadagnato tutta la sua fiducia e il suo amore. Brian cos’aveva fatto, invece? L’aveva mollata solo perché aveva paura dei suoi sentimenti, di ciò che erano insieme, di ciò che lei rappresentava.
Sei tu l’idiota, Brian.
“Non devi nemmeno fiatare, tu che mi hai mollata perché sei un codardo del cazzo e nemmeno ti rendi conto dei tuoi sentimenti! Stai qui a fare il bullo quando invece sei un insicuro del cazzo, e ti fai fregare dalle seghe mentali di mio fratello! Tu non hai il diritto di parlare, Brian. Anzi, tu non hai nemmeno un diritto su di me, okay? Ti meriti Michelle, non ti meriti un cazzo di più dalla vita.”
Brian l’aveva fissata, ferito, ma Roxy nemmeno ci aveva fatto caso, l’aveva scansato in malo modo e si era fatta strada, diretta oltre, verso il suo prossimo obiettivo: quell’immane testa di cazzo di suo fratello.
 
 
“Io non mi sposto di un solo millimetro, Zacky. Non mi fai paura, lo sai benissimo.”
Holly, a braccia conserte sul petto, fissava il chitarrista con aria torva, gli occhi ridotti a due fessure e la determinazione di chi gli si sarebbe avventato contro senza troppi complimenti, pronta a strappargli a morsi ogni centimetro di carne. Nick, alle spalle di Zacky, stava discutendo con Matt, ma non sembrava che la cosa stesse degenerando, grazie forse a Jimmy che cercava di placare l’amico, in qualche modo. Se Matt avesse dato di matto, avrebbe ucciso Nick con un solo pugno, ne era certa.
“Ti ho detto di levarti dal cazzo, Holly.”
“Senti Zacky, non prendiamoci per il culo. Tu hai solo voglia di rompere i coglioni e hai sbagliato momento, giorno della settimana – perché io stavo lavorando -, città e persino continente per farlo. Hai deciso di peggiorare la situazione?” gli aveva chiesto lei, elencando ad una ad una le cose con le dita, sventolandogli sotto il naso la mano aperta ad indicargli il numero esatto dei motivi per cui lui, di fatto, era un idiota.
“Che situazione, scusa?”
“Ma sei scemo o lo fai? Continui ad avere quella faccia da stronzo ogni volta che ci vedi. Cos’è, ti diamo così fastidio?”
“No, mi da’ fastidio il puzzo di merda di questi due.”
“Adesso Baker hai davvero rotto il cazzo!”
Ian si era sollevato in piedi, buttandosi addosso a Zacky con tutto il peso del proprio corpo, gettandolo con la schiena sul pavimento e cercando di colpirlo in viso, ma Jimmy e Johnny erano andanti a dividere i due nel tentativo di separarli, con il risultato che Zacky era sgusciato via dalla presa del batterista colpendo Johnny dritto in faccia.
“Ma sei proprio un coglione, cazzo,” era stata la risposta del bassista, intento a massaggiarsi la guancia nel punto esatto dove le nocche dell’amico erano affondate nella carne.
“Lo vedi che sei una grandissima testa di cazzo! Ma perché non ragioni prima di parlare, porca puttana! Ce l’hai sempre avuta la fissa di sparare un mucchio di stronzate e pentirti di tutte nell’esatto momento in cui le hai dette! Usa quella tua testa malata per ragionare, santo Dio!”
“Non bestemmiare…”
“Ma vaffanculo!”
Holly aveva spinto Zacky indietro, tra le braccia di Jimmy, senza dargli il tempo di risollevarsi in piedi.
“Basta intromissioni nella sua vita, okay? Basta, Zacky. Svegliati, te l’ho detto anche quattro mesi fa. Roxy è felice, perché devi tormentarla a questo modo? Lasciala in pace.”
“Tu sei una traditrice del cazzo, fottiti Holly.”
Lei aveva sgranato gli occhi, sorpresa, e lui l’aveva allontana da sé, facendola cadere a terra accanto a Johnny, mentre – scartato Jimmy, preoccupato che l’amica non si fosse fatta male – si era nuovamente avventato su Ian, deciso a continuare ciò che avevano iniziato. Era stata Roxy, dopo essersi liberata di Brian, con lo sguardo carico di odio nei confronti di Zacky, a porre fine all’ennesimo corpo a corpo.
“Se vuoi prendere a cazzotti qualcuno prenditela con quel pirla di Brian che mi ha scaricata per scoparsi le fan come fai tu, come fa Matt, come fate tutti, che avete passato un'adolescenza a farvi le seghe perché nessuna vi voleva e ora solo perché quattro idiote vi fanno il filo vi sentite dio!”
Tutti, in quell’istante, si erano arrestati, immobili, ghiacciati sul posto dall’inconfutabile verità che avevano tentato di nascondere per anni, stretta tra le pieghe di lenzuola di cuccette e camere d’hotel che non avevano il profumo di casa, ma di “resto del mondo”.
Il loro mondo.
 
 
“Roxy andiamo a casa.”
Il tono di Zacky era perentorio, non ammetteva nessun rifiuto e la cosa aveva fatto scattare Ian e Roxanne nel medesimo istante, entrambi pronti a difendere la naturale libertà che – a ventisette anni – una persona dovrebbe essersi guadagnato.
Il cantante, di fatto, si era portato accanto alla propria ragazza, ben deciso a non permettere ad alcun individuo di sfiorarla.
“Che diavolo ci fate qui?” la domanda di Roxanne era quanto meno ovvia, ma Zacky le aveva concesso uno di quei suoi sorrisi da stronzo che ti facevano sentire una povera scema, allungando il braccio nel tentativo di portarsela via sul serio. Nick e Ian si erano intromessi, Roxy alle loro spalle che puntava il fratello con la stessa aria di una tigre pronta a difendere i propri cuccioli.
“Vi riportiamo a casa” e a quelle parole Zacky aveva concesso uno sguardo veloce a Holly che, con aria allibita, non era ancora riuscita a realizzare cosa stesse realmente accadendo, una rabbia sorda che le montava dentro mentre assisteva alla più crudele delle ingiustizie.
Perché non potevano mantenere la loro felicità intatta? Perché c’era sempre qualcosa per cui combattere o da difendere dall’altra metà delle loro esistenze, fosse quella di Cardiff o di Huntington Beach?
Olivia non aveva mai amato le intromissioni forzate nella sua vita, anche se erano quelle dei suoi migliori amici, né aveva mai permesso a nessuno di dirle  cosa doveva o non doveva fare. Le cose, per lei, erano sempre risolvibili e perfettamente controllabili. Un insulto, un urlo, qualche parolaccia e parole pesanti – che solo lei, negli anni, si era trascinata dietro come un calderone carico di veleni pronti a ucciderla all'istante, se ne avesse sollevato il pesante coperchio che si era imposta di mettervi sopra – e una bella dormita per riportare tutto alla normalità. La sua ricetta, però, non avrebbe funzionato quella volta, e lo sapeva benissimo.
Si era quindi lanciata su una sedia libera, poco distante dal bancone, puntandovi sopra il piede destro, come a trovare forza nella pressione esercitata dalla propria gamba, portandosi le dita alla bocca ed emettendo un fischio acuto, di quelli che Zacky le aveva insegnato a fare in mesi di prove senza risultati contro il vento che sferzava la spiaggia deserta di Huntington Beach, nel cuore dell’inverno californiano.
“Fuori di qui.”
Zacky e Ian si erano voltati verso la ragazza, imitati più o meno dall'intero pub. Impossibile ignorare tutti loro, comunque, visto che avevano già demolito un paio di sedie dei primi tavoli posti davanti al bancone e considerando la sfuriata di Roxy che aveva destato nei clienti l’insana passione per i cazzi altrui che ogni essere umano, nella peggiore delle tradizioni alla Orwell, possedeva.
“Ho detto fuori dal pub, Baker. Che cazzo ti è saltato in mente? Avete già fatto troppo casino, abbi la decenza di evitare di dare ulteriore spettacolo.”
Senti da che pulpito, eh.
“Andiamo nel parcheggio” aveva proposto Matt osservandola, l'aria incazzata di chi stava per esplodere ma che ancora, riusciva a trattenersi. Solo tre anni prima, sarebbe scattata come una molla a gridare e inveire contro tutti loro invece, riusciva a ancora a tenere a freno la sua lingua lunga e gli insulti. Era cambiata?
No, è solo cresciuta un po’. Solo un po’.
Il gruppo si era quindi spostato all'esterno, in uno di quegli scontri che sembravano un match da tag team della WWE, Cardiff contro Huntington Beach.
In una pericolosa royal rumble, tutti avevano deciso che dovevano prendere la parola e dire la loro. Matt e Holly. Holly e Zacky. Brian e Roxy. Roxy e Zacky. Ian e Brian. Dakota e Holly. Val e Matt.
Il problema è che anni di silenzio e rospi ingoiati e frasi mai dette non portano mai a una vittoria schiacciante, solo a un fiume in piena di rancore ed errori commessi e un finale senso di colpa.
Si sarebbero rinfacciati tutto, in una resa dei conti che non avrebbe concesso pietà a nessuno. Mentre Holly chiudeva la fila, stringendo nella propria mano quella di Nick, si era arrestata un istante per voltarsi verso Dave, che li fissava preoccupato, abbozzando un sorriso.
Questa volta finirà tutto in merda, è una certezza. Perché conosco quello sguardo di Zacky e so perfettamente che nulla potrà fermarlo. Vuole ferire, colpire e affondare: ma ti conosco troppo bene, per permetterti di rovinare la mia vita.
 
 
A vederli dall'esterno, se non fosse stato per il gelido scenario dell’aprile gallese, sarebbero tranquillamente potuti sembrare due schieramenti di fronti opposti, due gruppi di cowboys disposti a giocarsi il tutto e per tutto in un duello all'ultimo sangue. Roxanne se ne stava tra Ian e Bori, mentre Holly, a braccia conserte sul petto e l'aria corrucciata, fissava uno ad uno i sette idioti che si erano precipitati a Cardiff.
La sua migliore amica inclusa, anche se a vederla, Dakota aveva più l’aria di chi era sull’orlo delle lacrime da ore e che, insieme a Val, avevano atteso l’uscita dei ragazzi dal locale con l’aria speranzosa che tutto si fosse già concluso. Certo, avevano udito le grida e il trambusto, ma si erano illuse che le cose fossero andate smorzandosi. Era bastato vederli uscire, i volti tirati e le dita che si muovevano nervose alla ricerca di pacchetti di sigarette o giocherellando con la zip della felpa, per capire che il peggio doveva ancora arrivare.
“Si può sapere cosa sta succedendo?” aveva chiesto Roxy con un tono più calmo rispetto a quello che aveva utilizzato in risposta all'aggressione del fratello all’interno del pub, cercando di mantenere la calma. Zacky, con molta poca grazia e l'aria seriamente scazzata, le aveva gettato ai piedi l'ultimo numero di Kerrang!, in copertina una fotografia di Ian che sorrideva all’obbiettivo con la sua solita aria da padrone del mondo.
“C'è – aveva  risposto lui con le mani affondate nelle tasche della giacca – che quello con cui stai è un grandissimo pezzo di merda.”
Lei aveva  sgranato gli occhi, incredula. Realmente suo fratello aveva mosso un intero esercito per andarsela a riprendere? Sotto un certo punto di vista avrebbe potuto anche farle piacere, se non fosse che il sangue dei Baker scorreva anche nelle sue – di vene – e sapeva bene quanto nascondesse quel gesto.
“Ehi Baker, evitiamo di metterci in mezzo a cose che non ti riguardano, eh.”
Brian – con molta poca grazia – aveva spintonato all'indietro il gallese, difendendo l'amico di sempre.
Un muro compatto, ecco cos'erano quei cinque: e facevano paura.
“Che cazzo fai Brian?”
Holly era avanzata di qualche passo in direzione dei due chitarristi, ma Matt l'aveva fermata, afferrandola per un polso. La ragazza aveva sollevato lo sguardo su di lui, l'espressione dell'animale braccato, e lui le aveva sorriso, di quel sorriso per cui Holly mille volte aveva sospirato.
Sei solo un grandissimo stronzo.
“Io e te dobbiamo parlare.”
“Io e te non dobbiamo dirci proprio un cazzo! Che diavolo vuoi? E lasciami!” 
La presa di Matt era salda, sufficiente a trascinarsela dietro a peso morto senza troppa fatica allontanandola dal resto del gruppo.
“Ti ho detto di lasciarmi andare! No dico, ti sei bevuto il cervello! Che cazzo significa tutto questo casino? State esagerando.”
“Hai letto l’articolo?”
“E allora?”
“Ha offeso te e Roxy, trattandovi come due oggetti. Ha sputtanato Roxanne davanti al mondo, Holly, e tu lo difendi?”
“Lo difendo perché voi siete più idioti di lui, Matt! Ma ti rendi conto che avete preso un fottuto aereo per arrivare qui e fargli il culo?”
“Riportarvi a casa” l’aveva corretta Matt candidamente. Lei, allibita, aveva sgranato gli occhi per lo stupore, e il ragazzo ne aveva approfittato sollevandola di peso da terra e trascinandola definitivamente lontano dagli altri.
“Matt mettimi giù! Lasciami cazzo! È sequestro di persona!”
Holly si dimenava come una pazza, stretta tra le braccia dell’amico, mentre Nick stava cercando di spalleggiare Ian qualche metro più indietro.
“Ti sei fatto fregare da quello psicopatico di Zacky! No dico, ti sei fatto prendere dalle seghe mentali di quel pazzo! Sii coerente, cazzo, Matt! Si può sapere che diavolo vuoi?”
“Te l’ho detto Holly, tornate a casa con noi. Che cazzo di senso ha che resti qui? Noi non ci siamo, sei sola, sei…”
“Io non ci torno a casa con voi. Non vado proprio più da nessuna parte con cinque idioti che non si rendono nemmeno conto di come va la vita! Tu credi di sapere tutto, di avere la verità in mano, che tutto sia fermo a otto anni fa quando me ne sono andata a New York, ma non è così cazzo! Sono cresciuta, mi sono fatta il culo per essere Olivia Bridges, e c’è chi la vera Holly l’ha amata dalla prima volta, senza perdersi in mille dubbi. Che cazzo vuoi ancora dalla mia vita? Che torni a fare Wendy aspettandoti sveglia nel cuore della notte in attesa di udire il rumore di sassi contro la finestra della mia stanza per salire? Vivi con Val, ora, cresci Matt! Le cose sono cambiate per tutti quanti!”
Holly aveva sperato che la presa si allentasse, che lui dicesse qualcosa in risposta, ed era pronta per sgusciare via, ma il ragazzo invece di allentarla l’aveva rinforzata, cingendole la vita con entrambe le braccia nel tentativo di caricarla su un fuoristrada, probabilmente preso a noleggio.
“Che cazzo significa?”
“Ti passerà lo scazzo.”
Nello stringerla, però, ad Holly era quasi sembrato di essere abbracciata, protetta come aveva sperato di esserlo almeno un milione di volte, quand’era un’adolescente e l’amore l’aveva solo idealizzato.
“No, senti, vedi di impiccarti Sanders. Io non sono la tua fidanzata, non sono tua sorella, non sono un cazzo di problema che deve essere preso a cuore come la perdita di pelo di quel sorcio bianco che avete adottato in comunione tutti insieme, okay? Dunque, fottiti e mettimi giù.”
Aveva puntellato entrambi i piedi contro la portiera dell’auto, facendo pressione per tenere lontano Matt dall’abitacolo e riuscire a fare sufficiente forza per divincolarsi.
Se fosse caduta a terra si sarebbe probabilmente rotta qualcosa, ma aveva poi molta importanza? Quel pazzo la stava cercando di caricare  su un’auto contro la sua volontà, Ian e Nick erano in balia di quattro stronzi, e Roxy era sola a gestire tutto quel casino.
E Zacky.
Okay, era suo fratello e di certo lo conosceva meglio di chiunque altro, ma era davvero spietato quando si impegnava, inarrestabile, un carro armato che non lasciava in piedi nulla al proprio passaggio.
Il silenzio improvviso che era calato sul parcheggio aveva allarmato Holly poi, le grida e il rumore di schiaffi sulla pelle nuda, avevano fatto il resto. Matt si era voltato per cercare di vedere cosa stesse accadendo e lei aveva sfruttato l’occasione per assestare al ragazzo un calcio sul ginocchio, costringendolo ad allentare la presa.
“Tu non hai mai capito niente, Matt. Sei sempre arrivato tardi su tutti i fronti. Non sei mio padre, tu non hai il diritto di dirmi cosa devo o non devo fare. Tu non hai alcun diritto sulla mia vita. Quell’occasione l’hai persa da un pezzo.”
E quelle parole, avevano fatto un male pazzesco a entrambi.
 
 
“Sei una ritardata, devi venire a casa con me ora. È palese tu abbia seri problemi mentali.”
Roxanne aveva smesso di vedere, sentire e parlare. Il mondo, in quel momento, era diventato un buco nero che si era portato via anche il poco di residuo di pazienza, amore fraterno e autostima che le erano rimaste dopo gli ultimi quattro minuti fatti di insulti, ricordi rinfacciati e rabbia vomitata fuori con violenza.
A quel punto, lei, non aveva più nulla da perdere: le sembrava di essere tornata a quando l’aveva lasciata Brian, sola senza alcun appoggio. Anche in quell’occasione, però, aveva deciso di contare solo su sé stessa, e la scelta si era rivelata vincente.
“Cos’è, non sai nemmeno più parlare ora?”
“Fottiti Zacky!”
Roxanne aveva cercato di colpire il fratello con un pugno, ma questi l’aveva fermata, stringendole il polso sino a farle male. Lei, d’istinto, gli aveva graffiato una guancia, lasciandogli tre striature rosse sulla pelle su cui già si avvertiva un accenno di barba.
“Sei una cazzo di stronza!”
“E tu un grandissimo pezzo di merda! A ventisette anni voglio essere libera di fare ciò che voglio, Zacky!”
“Non sai nemmeno stare in piedi da sola, guarda!” e con tutta la forza che aveva in corpo l’aveva spinta all’indietro facendola cadere a terra, ma Roxy non si era scomposta, si era avventata nuovamente su suo fratello decisa a portarsi a casa un trofeo che non fosse solo pelle sotto le unghie, ma anche qualcosa di molto più prezioso.
“Ti odio! Tu hai fatto tutto questo casino solo perché sei geloso, cazzo!”
“Di te?”
Roxy si era arrestata per un istante, perché nel tono di voce di suo fratello c’era solo disprezzo. Dov’era il suo adorato Zacky, la metà perfetta che gli concedeva abbracci e la faceva sentire al sicuro quando tutto il mondo le ricordava che era un mostro? Un fenomeno da baraccone, un freak nel circo della vita, un topolino da laboratorio da vivisezionare per contarne le ossa della cassa toracica. A lei sarebbe rimasto il cuore, alla fine di quella serata?
Ne dubitava.
“Tu non hai mai capito un cazzo e adesso hai perso tutto, te ne rendi conto almeno?”
“Perché due idioti ti danno ragione non significa che tu sia dalla parte giusta!”
“La stessa cosa vale per te, Zacky.”
 “Sai cosa ti dico? Non me ne frega un cazzo di riportati a casa, chi la vuole una sorella come te?”
Roxy gli si era gettata addosso con rabbia, gli occhi colmi di lacrime, i pugni serrati che colpivano alla cieca le parti molli del corpo di suo fratello – lo era ancora, poi? -, fino a quando non era arrivata a risalire al viso, le mani di Zacky che la tenevano lontana e lei che cercava di colpire, sino a quando non c’era solo aria tra loro ma anche carne e, a quel punto, Roxanne aveva allungato la mano sino a sfiorare i capelli di suo fratello, stringendoli tra le dita tirando con forza, in un mormorare che andava in crescendo di “ti odio”.
“Vaffanculo!”
Zacky le aveva assestato uno schiaffo, prima di staccarsela di dosso con rabbia.
Roxanne lo guardava da terra, senza fiatare, Jimmy e Johnny che erano riusciti a fermare Zacky prima che potesse continuare e mettere di nuovo le mani addosso a sua sorella.
“Tu mi hai lasciato da solo per venire qui!”
“Tu hai scelto Brian!”
Olivia aveva superato Nick e Ian, inginocchiandosi accanto a Roxy senza nemmeno guardare in faccia il ragazzo.
“Che cazzo le hai fatto? Questa volta hai davvero rovinato tutto, Zacky.”
Roxanne nemmeno guardava Holly, intenta a puntare lo sguardo su suo fratello. Odio, provava solo odio e rabbia e dolore, tutto insieme in un grumo che stava prendendo forma nel suo stomaco e stava risalendo su, sino alla gola. Holly l’aveva aiutata a rialzarsi e Roxy si era appoggiata a lei, senza dire nulla.
“Andiamo a casa Roxy… È finita.”
“Che cazzo stai dicendo?” le aveva chiesto in tono perentorio il chitarrista.
“Tu per me sei morto.”
Aveva sputato addosso a Zacky sangue e saliva, lanciando un’ultima occhiata alla famiglia che per ventisette anni era stata il fulcro di ogni pensiero, timore e gioia. Poi si era allargata, si erano uniti Holly, Nick e Ian, ed erano quelli che ora le stavano leccando le ferite, accanto a lei una ragazzina che non sapeva nemmeno come si faceva a piangere, troppo abituata a essere ciò che non era in presenza di quegli idioti.
Poteva essere pessima nel trasmettere i propri sentimenti e nel capire quelli degli altri, ma non occorreva avere un quoziente intellettivo superiore alla media per capire che lì, lei era stata solo uno stupido pretesto per fare casino. Zacky l’aveva ferita in modo gratuito e crudele. E quella volta, a suo fratello, non avrebbe perdonato nemmeno una sillaba. Nemmeno tutti i biscotti del pianeta avrebbero potuto mettere la parola “fine” a quella storia. Per lei, Zacky era morto.
Per sempre.
Avevo un fratello, poi è morto.
Avevo il fratello migliore del mondo e la musica me l’ha portato via.
Avevo il fratello più fantastico del pianeta e si è ridotto a essere l’ombra di sé stesso.
Perché mio fratello era un orgoglioso, egocentrico, fottutissimo e stramaledetto geloso, un bastian contrario, uno di quelli che proteggono ciò che amano sino allo sfinimento, prendendo anche le decisioni sbagliate, ma continuando sulla medesima strada.
Mio fratello non ha mai fatto retromarcia, e alla fine è caduto giù, in un burrone senza fine.
Se dovessi scrivere il romanzo della mia vita, inizierei così, lo sai Zacky?
 
 
“Dove credi di andare, Zacky?” gli aveva chiesto Val in tono perentorio, spezzando il silenzio che li aveva accompagnati lungo il tragitto dal pub sino all’hotel.
“A farmi una doccia e dormire, mi pare ovvio.”
“Tu non vai da nessuna parte, amico. E nemmeno tu, Sanders.”
I due si erano voltati verso di lei, già pronti a defilarsi – per Matt, la nottata sarebbe stata lunga, e per sfuggire a Valary avrebbe dovuto possedere un qualche superpotere, come l’invisibilità per esempio – prima che potessero fare i conti con lei e Jimmy. Perché se il tono della ragazza non prometteva nulla di buono, il silenzio nel quale si era rinchiuso il batterista era ancora più preoccupante.
“Che cazzo dobbiamo fare? Una riunione tipo quelle degli alcolisti anonimi? O una di quelle rimpatriate tipo le cene di Natale in famiglia con una serie di parenti di cui non ricordi nemmeno il nome, che stanno lì a rivangare episodi di cui tu hai cancellato ogni traccia?” le aveva chiesto Brian, avvicinandosi agli altri due.
“Potremmo discutere di quello che avete messo in piedi, magari.”
“Non c’è nulla di cui parlare, mi sembra.”
“Adesso hai rotto il cazzo, Zacky. Saliamo, andiamo tutti nella tua cazzo di suite, e parliamo di ciò che è accaduto e di ciò che possiamo salvare.”
“Non c’è un cazzo da salvare. Siamo stati chiari, no? Io sono morto, io ho rovinato tutto, loro sono morte. Semplice ed elementare come concetti. Manca solo di bruciare la casa di Holly e siamo a posto.”
“Sai che sei davvero stronzo quando ti impegni?” gli aveva scoccato Jimmy lapidario, superando l’intero gruppo per condurli alla camera. Quello che provava in quel momento era un misto di rabbia, scazzo e impotenza. In un certo senso sapeva che non sarebbe mai riuscito a trattenerli, forse però, avrebbe potuto metterli davanti alla verità prima che accadesse tutto quel casino. Con Zacky ci aveva provato, il risultato era stato che si era incazzato e aveva deciso di partire per Cardiff. Perché era impossibile usare la ragione, con quei tre?
“Allora, si può sapere che cazzo vi è saltato in mente?”
“Non sono cazzi tuoi, Val. Quello che accade tra me e mia sorella, non sono cazzi tuoi, né di nessun altro.”
“Allora potevi risolvere i vostri problemi chiuso in casa, anziché in mezzo a un parcheggio davanti a tutti, lo sai?” l’aveva rimbeccato lei, le mani posate sui fianchi, mentre i tre colpevoli se ne stavano svaccati rispettivamente su un pouf e due poltrone, con l’aria di chi si sta sorbendo la ramanzina da parte della maestra a causa di un giorno di scuola saltato per passarlo in sala giochi.
“Senti, possiamo evitare questa menata? Domani torniamo a casa, siamo stanchi e nervosi. Ci serve dormire e…”
“E tu credi di poterti salvare così, Matt? Tu hai avuto il coraggio di cercare di portare via Holly a forza. Lo sai che non credevo che potessi essere così stupido? E tu Brian… No dico, tu stai con mia sorella e alzi il culo da Huntington Beach per venirti a riprendere la tua ex ragazza… Vogliamo parlarne, di questo?”
“Val… Come ha detto Zacky: levati dalle palle. Non sono cazzi tuoi, tanto per chiarire il concetto.”
Valary era sufficientemente incazzata per mandarli a quel paese tutti e tre, chiudere il suo ragazzo fuori dalla stanza e lasciarlo a dormire con i suoi amichetti. La rabbia che le saliva dentro non era solo gelosia – l’atto di forza di Matt era stato eccessivo, di certo non premeditato, ed era quello a spaventarla, perché le aveva ricordato quanto Holly fosse ancora importante – ma anche l’indignazione per un comportamento scorretto nei confronti di chi li aveva sempre sostenuti. Roxy non si era mai permessa di interferire nella vita di Brian, aveva sempre riso nella speranza di superare la delusione d’amore più grande che potesse avere. Il risultato era stato che quell’idiota era andato da lei cercando di dettar legge sulle sue scelte di vita. Con quale diritto, poi? Era incazzata proprio per quello: per la cattiveria con cui erano volati a Cardiff a minare una pace precaria, per il solo capriccio di ribaltare una situazione che da anni, si era assestata su quel binario. Perché distruggerla? Valary era certa che l’estate trascorsa ad Huntington Beach da Holly e Roxy avesse minato le convinzioni di tutti quanti. Avere sotto gli occhi – costantemente  - la felicità di chi, prima, era felice con te soltanto, aveva costretto troppe persone a fare i conti con i propri sentimenti, con la gelosia e il senso di appartenenza monco, privato della sua parte probabilmente più bella.
“Matt, tu sei solo idiota e un sentimentale. Voi due – e Val aveva indicato Zacky e Brian – siete invece due grandissime teste di cazzo.”
La bionda si era girata, spostando lo sguardo su Jimmy che – per tutta l’arringa – era stato in silenzio a osservare i tre amici intenti a cercare un qualsiasi diversivo per non farsi toccare dalle parole di Val e, soprattutto, senza farsi sfiorare dal suo sguardo.
Li stava studiando uno ad uno, mentre l’incazzatura gli stava montando dentro come un’onda anomala al centro del mondo.
“Io ho finito” e con quelle parole aveva dato il cinque al batterista, in un cambio tecnico alla guida dell’accusa che aveva fatto impallidire Brian.
“Dato che agli insulti ci ha pensato Val, io ora vi dico come stanno le cose in questo momento. Avete ferito le due persone a cui teniamo di più al mondo – oltre a quelle che sono in questa camera – e l’avete fatto perché siete dei coglioni.”
“Non sono ferite, andiamo. Le hai viste piangere, per caso?”
“Hai mai visto Holly piangere, tu?” l’aveva rimbeccato Dakota, che per la prima volta aveva staccato gli occhi dal foglio su cui stava scrivendo cose di cui nessuno si sarebbe mai preso il disturbo di chiedere notizie.
“Zacky vedi di chiudere quella fogna, o giuro che ti riempio di pugni. A me non me ne frega un cazzo di Gena o di Michelle, a me frega che perderò due amiche perché voi non avete capito un cazzo della vita. Di come funziona, per essere esatti. Perché la verità è che nella vita qualcuno se ne va e non tutti tornano (*). Holly è sempre tornata. Roxanne pure. Ora, dopo quello che avete fatto stasera, loro non torneranno. Perché le avete ammazzate, okay? Le avete semplicemente fatte a pezzi e lasciate lì. Dei sentimentalismi ne facciamo tutti a meno, per cui non vi dirò che probabilmente ora staranno a leccarsi le ferite l’una dell’altra reggendosi in piedi come possono, ma …”
“No, ci saranno anche quei due pezzi di merda, tranquillo” gli aveva risposto Zacky. Brian aveva il buon senso di non fiatare, perché Jimmy – quando era così incazzato – era davvero capace di tutto. E farsi ridurre a brandelli dal suo migliore amico non era la tattica migliore per ripresentarsi a casa da Michelle, considerando che ci aveva già pensato Roxanne a colpire basso. Molto basso.
“Zacky Cristo… Giuro che mi stai facendo incazzare sul serio. Se sei così intelligente, puoi evitare di essere anche così ottuso, per una volta, e vedere quello che hai appena fatto? Hai dato della ritardata a tua sorella, cazzo! Hai dato a Holly della traditrice, porca puttana! Ma sei totalmente fatto, per caso, per non renderti conto di quello che hai appena perso?”
“Non valevano nulla, se decidono di non farsi vedere per una cosa del genere. Vedrai, passerà come tutte le altre volte.”
Zacky stava già ritrattando, in un certo senso. Sarebbe passata a sua sorella e Holly e sarebbero tornate ad Huntington Beach in estate o, alla peggio, a Natale. Era questione di tempo, erano tutti incazzati e stanchi. Non si sentiva in colpa, però, perché si sentiva legittimato da un diritto di proprietà che gli permetteva qualsiasi cosa, anche la più crudele. Che cazzo ne poteva sapere, Jimmy, di come risolvevano i problemi lui e Roxy? Nessuno poteva mettersi tra di loro, nemmeno un gallese del cazzo. Nessuno ci era mai riuscito, a dividerli. Per cui, Roxy sarebbe tornata.
Ne era  certo.
“Tornerà.”
“Cosa?”
“Mia sorella. Tornerà.”
“Allora tu, Roxy, non la conosci.”
“Ehi, dove vai ora Jimmy?”
“Fottiti Matt, vado a fare un giro o rischio di spaccarvi la faccia.”
“Aspetta Jimmy!”
Dakota si era sollevata di scatto, correndogli dietro mentre la porta si richiudeva alle loro spalle.
“Sai benissimo che Holly non tornerà.”
Matt aveva sollevato lo sguardo su Johnny, distogliendolo da quello di Val che lo fissava con l’aria più delusa del mondo. Avrebbero dovuto chiarire, parlare, rassicurarsi ma in quel momento, la verità faceva paura.
“È sempre tornata.”
“Questa volta non lo farà, e lo sai benissimo. Ce la siamo giocata, ed è tutto merito tuo. Bravo genio. E ha ragione Jimmy: io non pago per le vostre cazzate, questo giro.”
 
 
Nick stava disinfettando alcuni tagli che Roxanne si era procurata sulle ginocchia e sui palmi delle mani, seduta sul divano dell’appartamento di Holly. La rossa, per contro, borbottava insulti in direzione di Zacky e Matt, ma il suo raggio d’azione si estendeva anche a Johnny e Jimmy che non li avevano fermati, a Brian che sarebbe sempre rimasto un coglione e Dakota e Val, che li avevano accompagnati con il chiaro intento probabilmente di lanciare grida isteriche senza fare nulla di concreto per evitare che la situazione degenerasse.
“Holly stanno suonando…”
“Si si, ho capito. Ian hai ordinato le pizze per caso?”
Quando aveva aperto la porta e si era trovata davanti Jimmy, aveva sgranato gli occhi sorpresa, per poi ridurli a due fessure.
“Niente azioni diplomatiche, questa volta non funzionano. Abbiamo chiuso con gli ultimi vent’anni della nostra vita. Game over, Jimmy.”
“No Holly aspetta.”
Il batterista aveva fermato la porta con la punta del piede, passando una mano nella fessura per stringere quella dell’amica.
“Sono stati delle teste di cazzo, okay? Ho chiesto il tuo indirizzo al pub, volevo vedere come stavate.”
“Di merda?”
“Mi fai entrare? Giuro che non dirò nulla agli altri. Non lo sanno che sono qui.”
“Non mi stai raccontando una bugia, vero?” gli aveva chiesto lei con aria corrucciata, come se fosse sul punto di piangere. Aveva gli occhi arrossati, ma non aveva l’aria distrutta di chi ha appena perso tutto, era più lo sguardo di chi è appena stato tradito dal mondo intero.
E, in effetti, era così.
“Vieni, stiamo aspettando le pizze. Facciamo metà della mia.”
Quando il ragazzo era entrato, nella stanza era calato il silenzio e Roxy si era girata di scatto per vedere chi fosse l’individuo che aveva tenuto Holly sulla porta per diversi minuti.
“Jimmy?”
“In persona, niente fantasmi. Non ho mai visto due persone fare a botte in modo più spietato, lo sai?” Jimmy era sempre stato diretto e schietto, e si era portato davanti a Roxy, studiandola attentamente.
“Che hai da squadrare?”
“Hai una bruttissima faccia, nemmeno quando eri a letto con la varicella eri ridotta così male.”
“Non è la stessa cosa, Jimmy.”
Nick si era sollevato dal proprio posto, lasciandolo libero per il batterista.
“Porto Ian a fare una visita di controllo al pronto soccorso, così voi due la smettete di preoccuparvi e pensare abbia qualcosa di rotto.”
“Guarda che Zacky ci va giù duro, non scherza. Ian fa lo stoico ma secondo me qualche costola incrinata se l’è portata a casa. Sei stato bravo però, Ian, lo sai?”
“Che consolazione, eh?” le aveva risposto ironico il cantante, che si era spostato dalla propria posizione recuperando la giacca dall’attaccapanni. Era il momento di levare le tende, quello in cui ritornava a esserci solo la California e un muro di gomma contro il quale né lui né Nick avrebbero mai vinto del tutto. Nemmeno tra Roxanne e Holly, che erano amiche da pochi anni, riuscivano a penetrare, quando c’erano in ballo la band, i ragazzi o qualcosa legato ad Huntington Beach. Si chiudevano a riccio, diventavano una fortezza inespugnabile come solo le donne quando parlano di moda o cucina possono essere. Loro, diventavano un mondo alieno quando il passato bussava alla porta. Un passato ingombrante che ora stava diventando una supernova che si sarebbe portata via ogni cosa, se non fossero stati bravi ad arginare in qualche modo il problema di un passato che continua a trasformasi in un doloroso presente.
“Ci vediamo dopo.”
“Le pizze?”
“Mangiatele voi, ci fermiamo a prendere qualcosa lungo la strada. A dopo scema” e Nick aveva posato un bacio sulla nuca ad Holly, prima di lasciarla sola, al centro dell’atrio, indecisa se andare dagli amici o se dirigersi in cucina, optando alla fine per la seconda soluzione.
Jimmy era il migliore amico di Roxy, era giusto ci fosse lui con lei. Per lei era tutto differente, era sempre stata la mocciosa acquisita e probabilmente nessuno l’aveva mai voluta sul serio. Era triste comprenderlo a ventiquattro anni, quando avrebbe potuto lasciarsi alle spalle tutto anni prima, senza crearsi così tanti problemi. Le sembrava di non avere più il cuore, lì, al proprio posto. Quando Zacky le aveva detto che era una traditrice, si era sentita morire. Quando Matt aveva cercato di caricarla sull’auto contro la sua volontà, solo uno stupido oggetto. Una proprietà da esibire, ecco cos’era rimasto di tutti quegli anni trascorsi insieme.
Bella merda la vita.
 
 
“Non lo pensa davvero” le stava dicendo Jimmy, seduto accanto a Roxy cercando di calmarla.
“Io conosco Zacky e so che pensava ogni singola cosa di ciò che ha detto. E sai cosa ha fatto più male, no?”
Sei una ritardata.
Lui, che la conosceva da quando non era altro che un embrione, le aveva sputato addosso il proprio verdetto, quello che probabilmente non le aveva mai rivelato in ventisette anni di vita.
E faceva male, come sale che viene gettato ripetutamente su una ferita aperta: bruciava tanto da fare piangere.
“E Brian?”
“Sai benissimo come sono fatti. Brian è un idiota, non si perdonerà mai di averti lasciata.”
“Doveva pensarci prima di farlo, no?”
“Era un ragazzino...”
“Non giustificarli, Jimmy. Avevamo detto niente avvocati difensori.”
“Stanno messi più o meno come voi due, a leccarsi le ferite. Sai qual è la cosa peggiore?”
“Quale?”
“Che vi abbiamo perse davvero. Siete tutti un branco di orgogliosi del cazzo, uno più testardo dell’altro. Siete sicure che ne varrà la pena?”
Holly aveva fatto capolino dalla cucina con le pizze che – nel frattempo – erano state consegnate a casa, i capelli arruffati e l’aria stanca.
“Ecco qui.”
“Non ho fame, Holly.”
“Devi mangiare. Cos’è, fai lo sciopero della fame per quel coglione di tuo fratello?”
Jimmy le aveva guardate scambiarsi uno sguardo carico di tensione, poi Holly aveva tirato fuori dalla scatola di cartone una fetta di pizza e l’aveva porta all’amica.
“Mangia, almeno ti tiri un po’ su.”
“Volevano venire anche Dakota e Val, ma abbiamo preferito evitare che i ragazzi andassero in escandescenze. Dakota mi ha detto di darti questa,” e aveva tirato fuori dalla tasca un foglio stropicciato, con sopra il logo dell’hotel nel quale alloggiavano – “Val ti chiamerà più tardi, non appena riuscirà a liberarsi di quegli impiastri. Mi dispiace del casino che hanno fatto, non credevamo sarebbero arrivati a tanto. Sono degli idioti e se non vorrete più avere nulla a che fare con loro avete la mia comprensione. Però non lasciate me, Val, Dakota e Johnny. Non ce lo meritiamo. Forse abbiamo sbagliato a non arginarli in modo più forte, ma…”
“… Mio fratello è inarrestabile, Jimmy.”
“Non con due pugni assestati al posto giusto.”
Erano scoppiati a ridere, poi Holly aveva aperto la lettera che Dakota le aveva scritto, le gambe incrociate e i piedi nudi posati sul divano.
 

Volevo venire lì con Jimmy, ma non ha voluto. Forse ha ragione, né io né Val saremmo riuscite a mentire. Siamo tutti stanchi e nervosi, e in questo momento Valary sta facendo il culo ai ragazzi. Sta difendendo anche te, credo sia giusto tu lo sappia.
Voglio chiederti scusa perché sono io che leggo Kerrang! e l’hanno saputo da me, dell’intervista di Ian. Beh, a essere sincere da Johnny, che in questo momento credo si stia logorando sul come chiederti scusa. Probabilmente ti troverai casa invasa da peluche: in quel caso, sappi che sarà opera sua, magari con il mio aiuto. Non credevo che Zacky sarebbe arrivato a tanto, né che Matt cercasse di portarti via a forza. Ho anch’io la mia parte di colpa: se ti avessero riportata ad Huntington Beach avrei avuto indietro la mia migliore amica. Io qui in mezzo, valgo un po’ come uno zero, lo sai. Sono la ragazza di Johnny e non rompo mai le palle con piazzate di gelosia o pianti isterici, dunque quando apro la bocca sulle questioni importanti vengo ignorata o zittita. Figurati, poi, se Zacky ascolta qualcuno quando si mette in testa di fare qualcosa. Ha fatto la cosa sbagliata, e chissà se riuscirà mai a rendersene conto.
Voleva riportarvi indietro e invece vi ha perse.
Di questo ne siamo certi tutti, lo sapete anche voi. Tu non glielo perdonerai mai, né lo farà Roxy. Non so se questa sarà la strada giusta da percorrere, ma probabilmente è uno di quegli strappi così profondi da non poter essere di nuovo rattoppati con lembi di stoffa presi a caso da una vecchia soffitta. Non ti chiedo di perdonarli, di tornare sui tuoi passi, di fare finta che non sia accaduto nulla, ma ti chiedo solo di poterti rivedere prima della nostra partenza. Abbiamo l’aereo domani sera, fammi sapere se ti va.
Cerca di farti coraggio, di non abbatterti. L’hanno fatto perché vi vogliono bene, non sanno gestire i sentimenti però. Sono uomini, Holly, e dannatamente stupidi.
Credo tu abbia bisogno di un abbraccio, e di me.
Per una volta, ho la certezza di essere ancora io la tua migliore amica.
Ti voglio bene.
 
DKT
 
 
SMS: To Dakota From Holly H 01:03 PM
Domani alle 17.30 al pub di Dave. Arrivo direttamente dagli scavi. Grazie b29;
 
 
Holly aveva riletto la lettera almeno una quindicina di volte, incapace di credere realmente che quella stupida della sua migliore amica le stesse chiedendo scusa. Zacky avrebbe comprato Kerrang! – o Brian ci avrebbe mandato uno dei Barry – per il solo fatto che in copertina c’era Ian, e il casino sarebbe successo ugualmente.
“Tu come stai invece?”
“Incazzata. Tipo quando ti accusano di cose assurde, come l’aver fatto scelte che ritenevi giuste per la tua vita.”
“Credi lo siano ancora?”
Holly aveva alzato lo sguardo su Jimmy, riabbassandolo subito dopo sull’anello che portava al dito indice della mano sinistra.
“Si. Se all’inizio non ho avuto scelta alla fine sono cresciuta e sono riuscita a ritrovarmi. Non sarei mai stata né carne né pesce, stando ad Huntington Beach. Non avrei realizzato nulla e sarei stata una cazzara per tutta la vita.”
Jimmy e Roxanne erano scoppiati a ridere, fissando l’aria imbronciata dell’amica che gesticolava convulsamente nel tentativo di rendere meglio l’idea dei propri concetti.
“Okay, si è fatto tardi, sarà meglio che vada. Brian mi ha già chiamato diverse volte, e dato che sono uscito piuttosto incazzato dall’hotel, probabilmente temano mi sia andato a sbronzare da qualche parte in attesa di poter menare qualche idiota.”
“Non lo farai, vero?” gli aveva chiesto Holly preoccupata.
“No tranquilla, vado a sorbirmi Brian per il resto della nottata.”
L’avevano accompagnato alla porta, incerte su cosa sarebbe accaduto da quel momento in poi. L’unica cosa certa, era che ad Huntington Beach non ci sarebbero più tornate.
“L’avete promesso.”
“Cosa?” gli aveva chiesto Holly con l’aria da piccola peste con cui era solita prenderlo in giro.
“Che vi farete sentire.”
“Solo se non lo dirai a mio fratello e a Brian.”
“E a Matt. Sarà il nostro segreto” aveva concluso Holly allungando la mano a Jimmy per sigillare un accordo che aveva la valenza di un patto di sangue, in quel momento. Lui era sereno: non stava tradendo i suoi amici ma salvando le sue amicizie. Per una volta aveva scelto di essere egoista e sbattersene delle dinamiche interne degli Avenged Sevenfold, delle posizioni prese a causa di una solidarietà che – negli anni – aveva fatto fare a tutti loro un mucchio di stronzate. Non aveva intenzione di assecondare Zacky, Matt e Brian, perché Holly e Roxy erano anche parte della sua vita e perderle perché i tre con cui aveva a che fare per trecentosessantacinque giorni all’anno non avevano mai fatto i conti con una buona dose di autocritica, non gli andava bene. Il patto segreto, dunque, li avrebbe salvati tutti e tre. E, soprattutto, avrebbe salvato la loro amicizia ed evitato a Jimmy le sfuriate di Zacky.
Il ragazzo le aveva guardate per un istante, entrambe in piedi dinnanzi a lui incerte su cosa fosse giusto fare per salutarsi, e d’istinto le aveva attirate a sé, cingendole entrambe in un abbraccio caldo e rassicurante. Di quelli che ti fanno sentire meno sola e meno sbagliata di come vuole dipingerti il mondo. Roxanne aveva posato la testa contro il petto di Jimmy posandovi un bacio, Holly – più in basso – aveva sfregato il viso contro la felpa del ragazzo, in un tentativo maldestro di cancellare le lacrime.
Le braccia di Jimmy – attorno alle loro spalle – erano un’ancora di salvataggio, quella frase valeva tutta la felicità del mondo, in quel momento.
“Non vi lascerò mai sole.”
 
 
Chiusa in bagno, seduta tra il water e il bidone dei panni sporchi, il viso nascosto tra le braccia, Holly piangeva. Nonostante fosse sola, in casa, il suo corpo aveva seguito un automatismo che l'aveva portata – negli anni – a lasciarsi andare al pianto in rare occasioni, e sempre di nascosto. L'unica che l'aveva vista piangere era stata ovviamente Dakota, per gli altri non c'era stata nessuna soddisfazioni nel vederla soffrire davvero. Se l'avesse vista Zacky, in quel momento, si sarebbe sentito il vincitore indiscusso dello scontro, invece era solo un grandissimo stronzo. Lei si sentiva quasi soffocare, come se i singhiozzi le salissero direttamente dalla pancia. Cercava la risposta razionale al dolore, e non riusciva a trovarla. Roxy doveva essersi sentita esattamente a quel modo, quando Brian l'aveva lasciata: sola, costretta a rinunciare al suo passato per poter vivere il suo presente. Dove stava scritto che doveva scegliere? Dov'era scritto che doveva rimanere sola, senza gli amici nei quali aveva cercato supporto per tutta la vita, solo per uno stupido capriccio? Ad Holly faceva male il petto, come se il cuore le si stesse atrofizzando diventando solo un muscolo, nient'altro che carne che la teneva in vita, senza emozioni, senza sentimenti, senza la voglia di guardare al domani con l'irruenza tipica di Olivia Bridges.
Guardava il display del cellulare, nella speranza di ricevere una chiamata che avrebbe riportato le cose al proprio posto, come al solito. Le parole pesanti potevano essere cancellate forse da un abbraccio, non certo da una telefonata. Per ritornare a respirare sarebbe bastata anche quella, eppure sapeva benissimo che il telefono sarebbe rimasto muto a lungo e che lei non avrebbe dimenticato proprio nulla. Sapeva che nessuno avrebbe mai fatto il primo passo quella volta, perché tutti avevano superato il limite.
Crescendo, si era scoperta insofferente nei confronti degli errori altrui: Holly non sapeva più perdonare o, magari, era solo stanca di dover passare su ogni cosa nella speranza di tenere vivi dei rapporti che non erano più gli stessi da tempo.
Realizzarlo, sbatterci contro la faccia e farsi un male cane, era il minimo del prezzo da pagare per non aver mai voluto guardare in faccia la realtà. L'insofferenza di Zacky, sempre più marcata. Gli scazzi di Brian, sempre più frequenti. I malumori tra Matt e Val, una costante. Michelle e Gena, un tradimento puro. Sembrava che solo Johnny, Dakota e Jimmy continuassero a portare avanti quello che avevano costruito tutti insieme negli anni: loro, non erano cambiati. Holly aveva sbuffato, puntellando le mani sul pavimento gelido del bagno, sollevandosi in piedi con un piccolo salto.
“Vaffanculo. Ve la siete cercata.”
Aveva spento il cellulare, abbandonandolo sul bidone dei panni sporchi prima di mettersi a letto, nel tentativo di recuperare un po' di serenità. Come potevi essere tranquillo, quando eri costretto a fare i conti con la tua coscienza l'indomani pomeriggio?
 
 
“Spiegami perché, Matt.”
Il ragazzo aveva lanciato un'occhiata distratta alla propria fidanzata, tornando a fissare qualche istante più tardi la propria maglia abbandonata sulla poltrona della loro camera.
“Cosa devo spiegarti, Val?”
“Perché ti sei comportato a quel modo, per esempio.”
“Non ti ci mettere anche tu con le tue scenate. Holly non ti è mai piaciuta, lo sanno anche i muri, per cui niente litigi questa sera. Mi dai una tregua?”
“No, visto e  considerato che tu non hai mai fatto nulla per farmela andare a genio, la tua piccola Olivia.”
Matt aveva fissato la ragazza, l’aria scazzata, le mani congiunte tra le ginocchia, a penzoloni nel vuoto. Era incazzato, e litigare in quel momento era pericoloso, ma Val era stanca di portarsi appresso situazioni scomode e frasi lasciate sempre in sospeso.
“Forse avresti dovuto metterti con lei, anziché con me.”
“Cos'è, la cazzata delle due del mattino questa? Sto con te da una vita, ormai, perché non capisci la cosa più elementare di tutte?”
“Sarebbe?”
Dillo che mi ami, come ogni volta, per risolvere i problemi con una parola dolce che mi fa tornare il sorriso. Sei bravo a rassicurare le persone solo a parole, tu.
“Holly è come una sorella. C'è sempre stata Val, da quando ero alto si e no un metro.”
“E secondo quale legge karmica dovrebbe esserci per tutta la vita?”
Matt si era morso il labbro, giocando nervosamente con il piercing.
“Perché l'ho deciso io.”
“Sei uno stronzo quando fai così. Perché non la smetti di essere un egoista del cazzo e prendi una decisione una volta per tutte? Il vostro è un legame malato, Matt.”
“Pensi che qui dentro ci sia un solo legame sano, Val? No perché se vedi equilibrio in Zacky o in Brian e Roxy o in Jimmy, credo tu non abbia proprio capito un cazzo. Anzi, no, tu sei intelligente, Val: hai capito tutto, ma come ogni donna preferisci non capacitarti della verità.”
“Dovevo andarmene parecchio tempo fa, lo sai?”
“Non l'hai fatto perché sai che insieme siamo inarrestabili. E perché io ho bisogno di te e tu di me.”
“Non si direbbe.”
Matt l'aveva attirata a sé, posandole il viso sul ventre, perdendosi nella dolcezza delle mani di lei che gli accarezzavano la nuca.
Alla fine tornavano sempre l'uno dall'altra, loro.
“Perché dobbiamo finire sempre a litigare per le solite cose?”
“Perché tu non ti fidi di me.”
Lei si era irrigidita sul proprio posto, poi gli aveva posato un bacio sulla fronte, prima che una serie di grida irrompessero dalla camera accanto alla loro.
“Vado a vedere cosa succede.”
“Matt... Lascialo sbollire a modo suo.”
“No. Abbiamo già fatto a modo suo e il risultato è stato disastroso. Preferisco evitare di inserire altri fallimenti in queste quarantotto ore. Torno appena abbiamo sistemato le cose.”
 
 
Seduto sulla poltrona della propria suite, un intero frigo bar svaligiato e una voglia assurda di spaccare qualsiasi cosa, Zacky fissava la vetrata che si affacciava su una città fredda, lontana anni luce da quello che era Huntington Beach. Che cazzo di attrattiva poteva mai avere? Odiava Cardiff e, in quel momento, odiava anche sé stesso. Difficile trovare qualcuno con cui Zackary Baker non stesse tenendo un incontro di pugilato immaginario, in quel momento.
Fissava un punto imprecisato della parete opposta, la bottiglia di birra stretta tra indice e medio della mano sinistra, la destra su cui posava distrattamente il mento. Aveva lanciato un'occhiata al display del cellulare, muto. Aveva ridotto gli occhi a due fessure, poi, aveva nascosto il proprio numero e chiamato sua sorella: il cellulare squillava a vuoto.
Con lo stesso procedimento, aveva poi provato a chiamare Holly. Non voleva davvero parlare con loro, era troppo incazzato per poterlo fare, ma voleva solo sentire come stavano. Da come avrebbero risposto, avrebbe capito ogni cosa.
Il cellulare di Holly, però, era staccato.
Da quando era partita per New York, nemmeno una sera aveva spento il telefono, sempre pronta a rispondere a qualsiasi ora, abituata ad assecondarli e mettere il proprio bioritmo a disposizione della metà che stava dall'altra parte dell'oceano.
Cosa significava ora, quel gesto?
Voleva dire tutto, ogni cosa che Holly si era tenuta dentro, un game over scritto a caratteri cubitali sul maxischermo di casa propria.
“E allora vaffanculo! Non me ne frega un cazzo se non rispondete, okay? Fottetevi!”
Da ottimo lanciatore, Zacky aveva scagliato contro la parete il proprio cellulare, mandandolo in frantumi.
“Si fottano, okay? Si fotta il mondo e tutto il resto!”
Era andato ad aprire alla porta quando i colpi, su di essa, si erano fatti troppo insistenti per essere ignorati.
“Che cazzo vuoi nano?” era stato il secco benvenuto che il chitarrista aveva dato al bassista.
“Stai facendo un casino assurdo, Zacky. Vuoi che ci mandino via a calci nel culo dall'hotel?”
“Johnny vai a scopare ed evita di rompermi il cazzo, che oggi non è serata. Pago cinquemila sterlina questa fottuta suite, posso anche permettermi di pisciare sulla moquette se mi girano, okay?”
Matt si era presentato al cospetto di Zacky qualche istante più tardi, l'aria stranita e l'espressione di chi è appena stato graziato da una calamità naturale.
“Che cazzo di faccia hai, Matt?”
“Ti sei visto la tua, Zee? No perché fai davvero schifo.”
Il cantante l'aveva spinto leggermente all'indietro, cogliendolo di sorpresa e riuscendo quindi a richiuderlo in camera.
“Ora ascoltami bene, Zacky. Abbiamo fatto una marea di stronzate nella nostra vita, e le abbiamo coronate sfanculando tua sorella e Holly. Ora, sbronzati e incazzati ma vedi di non fare casino. Ci manca solo che finiamo su qualche rivista e tutta questa merda finisca in pasto al mondo.”
“Me ne fotto okay? Che cazzo di mondo vuoi che sia senza mia sorella? Io non ci so stare senza la mia metà, cazzo! Voi non lo sapete come cazzo ci si sente a non essere unici, ma sempre la metà della stessa mela... Sono solo cazzate quelle di Platone. La metà che ti completa è tua sorella gemella, non una qualche cazzo di fidanzata. Sfigati  voi a non averne una.”
Zacky delirava, e sia Matt che Johnny temevano che quello fosse solo l'inizio di una pericolosa arringa.
“Mi hanno lasciato solo, come se io non valessi un cazzo. Hanno preferito due idioti qualunque, spuntati da chissà dove, convinte che la felicità stia tutta lì, in una cazzo di scopata!”
“Zacky sei sbronzo…”
Johnny si era avvicinato al comodino, sollevando dal suo pianale una bustina contenente polvere bianca. Quella, polvere.
“… e fatto, anche. Questa come cazzo l’hai presa?”
“Me l’ha data Brian, che cazzo vuoi? Con tutti i soldi che abbiamo speso per avere il piano completo delle suite dovevano anche darci gratis le ballerine di lap dance.”
Il bassista aveva lanciato un’occhiata a Matt, e il ragazzo aveva preso per le spalle Zacky, facendolo sedere sulla poltrona con uno spintone.
“Adesso mi ascolti: tu non esci da questa cazzo di stanza sino a domani mattina. Fai quel cazzo che vuoi, distruggila se ti fa sentire meglio ma voglio che domani sia sufficientemente lucido per porre fine a tutta questa cazzata.”
“Io non vengo a chiedere scusa a nessuno, Matt” era stata la risposta del chitarrista ad un’imposizione implicita che non avrebbe mai accettato.
“Perché non ti chiedi come mai Holly non ti abbia seguito? Perché non gliene frega un cazzo di noi, okay? Ha gli amichetti famosi, sta sulle riviste e quindi ora sta bene così. Di quello che siamo stati se ne sbatte ora, la stronza!”
“Ma tu dove cazzo vivi, Zacky? Sulla luna? Cristo santo! Ma stai davvero parlando di Holly?”
“Non gliene frega un cazzo, non gliene è mai fregato un cazzo o sarebbe rimasta, ci avrebbe seguito come hanno fatto Dakota e Val. Sai cosa ti dico? Hai fatto bene a metterti con Val, Holly non vale un suo capello.”
Aveva sollevato in aria la birra, in un brindisi immaginario, ingollandone un lungo sorso.
“Zacky piantala con questa storia. Hai rotto le palle e le mie stanno iniziando a girare. Quindi tappati la bocca o finisce in tragedia.”
“Ma sai che hai una grandissima faccia da culo, Matt? Perché non ti fai un esame di coscienza e ti chiedi perché sei davvero venuto qui? Andiamo, cazzo, l’hai sempre saputo che Holly ti sbavava dietro, potevi evitare a tutti un sacco di problemi e…”
“Zacky perché non fai tu, i conti con la tua coscienza, anziché rompere le palle al sottoscritto?”
“Secondo me voi due avete un sacco di  cose da chiarire, facciamo che io torno da Dakota e ci vediamo domani mattina? Ammesso che resti qualcosa di riconoscibile della poltiglia che dovremo raccogliere con il cucchiaio dalle pareti e dalla moquette…”
“Tu stai qui, o finisce che ci ammazziamo a questo giro.”
Johnny aveva sbuffato, portando la bustina che teneva tra le mani in bagno, con il chiaro intento di disfarsene.
“Ehi, che cazzo fai?”
“Fermo qui, e risolviamo un po’ di problemi” aveva apostrofato il chitarrista il cantante, costringendolo a sedere di nuovo al proprio posto.
“Tu hai dei problemi solo con te stesso, Matt. Ammettilo: non ti va a genio che qualcuno sia più importante di te per Holly.”
“Zacky non ci casco alle tue provocazioni del cazzo. Vogliamo parlare del fatto che sei riuscito a dare della ritardata a tua sorella?”
“La è, cazzo, se non si scolla dal culo del gallese! Sono diventate due… Tr…”
“Johnny? Sono riuscita a far funzionare il bollitore e…”
Il tempismo di Dakota era risultato del tutto fuori luogo, salvifico e azzeccatissimo per Johnny, che continuava a stringere tra le dita i lembi della bustina contenente la polvere della felicità. Quante volte si erano sballati, con quella?
“Credo che…”
“Arrivo, Matt e Zacky se la caveranno benissimo da soli.”
“Io non direi...” aveva risposto lei, indicando Matt che teneva ancora Zacky per il collo della giacca, lo sguardo di disapprovazione che aveva sempre quando i ragazzi decidevano di fare casino alla loro maniera, con un po’ di sano e puro sballo gratuito.
“Holly non merita nessuno di voi, comunque.”
E con quelle parole si era girata su sé stessa ed era tornata in camera propria, in attesa del ritorno di Johnny. Perché non potevano essere persone normali, con legami normali, senza pretese di diritti di proprietà gli uni sugli altri? In quello, però, erano tutti uguali, comprese Roxy e Holly. Nessuno faceva eccezione, era come se tutti quanti potessero vantare un rapporto in esclusiva e renderlo il fulcro di qualsiasi discussione, vittoria o sconfitta. Perché era tutto così soffocante, a volte? Crescendo, Dakota si era illusa che le cose potessero migliorare, che la scelta di Holly di fuggire da Huntington Beach fosse la soluzione a un sacco di problemi, invece si era dovuta ricredere, perché la situazione era degenerata e la partenza di Holly prima – e quella di Roxy poi – avevano creato solo problemi.
Se avesse dovuto scegliere un capro espiatorio, qualcuno da accusare per tutto il male che li stava investendo, Dakota non avrebbe saputo chi immolare sull’altare perché, di fatto, erano tutti colpevoli.
 
 
“Sei sbronzo, fatto e seduto nella hall di un hotel alle due e mezza del mattino, solo, e con la faccia da cane bastonato. Che cazzo ti è preso?”
Jimmy, le mani intirizzite nascoste nelle tasche della giacca di pelle – che cazzo di idea era stata, andare in Inghilterra solo con quell’affare addosso? – aveva individuato la figura di Brian seduta su una delle poltrone della hall dell’hotel, il cappellino da baseball con la visiera girata di lato e gli occhi lucidi di sonno e lacrime.
“Me l’ha data Zacky, ci siamo fatti un giro insieme prima.”
Nessuno dei due avrebbe saputo dire con esattezza chi l’aveva trovata, chi aveva deciso di prenderla e chi aveva indotto l’altro a seguirlo.
“Adesso anche l’unico tabù che ci eravamo imposti l’hai mandato a puttane?”
“Sapevamo che non sarebbero venute qui. Lo sapevo io, lo sapeva Zacky e lo sai tu Jimmy. Non. Torneranno. Più…” aveva cantilenato lui, dondolandosi davanti al viso un boccale di birra ancora pieno.
“State esagerando. L’altro coglione è messo come te?”
“Non lo so, l’ho lasciato in camera sua. Vedere Zacky piangere mi fa schifo. Mi fa sentire come se fossimo anche noi vulnerabili. E non li siamo, cazzo! Siamo Synyster Gates, Zacky Vengeance, The Rev, M. Shadows e Johnny Christ! Con dei nomi come questi come cazzo fai a essere credibile piangendo?”
Brian aveva lasciato Zacky a gestire da solo la propria fetta di merda e dolore, mentre lui se n’era scivolato via per starsene in pace e rendersi patetico solo agli occhi di qualche sconosciuto ospite dell’hotel. Zacky, invece, gli era scoppiato a piangere davanti, come un bambino e – contro ogni aspettativa – Brian non aveva saputo che fare. Gli erano morte tutte le parole in gola, gli si era aperto il cuore e aveva realizzato che a giocarsi tutto e perdere con la stessa semplicità la medesima somma, era stato l’amico. Loro – gli altri – avevano comunque una vita e una serie di cose, ad Huntington Beach, che li attendeva, certezze affettive e sentimentali su cui potevano permettersi di battere in ritirata quando la vita voltava loro le spalle. Zacky, le persone sulle quali aveva sempre fatto affidamento per farsi dare una mano per tirarsi fuori dalla merda, le aveva invece perse.
“Sai cosa mi ha sorpreso più di tutto?”
“No, cosa?” gli aveva chiesto Jimmy, sinceramente stupito.
“Roxanne. Anzi, quello che ho pensato di Roxy quando si è gettata su Zacky. Ho pensato: questa è la mia ragazza. Sono fottuto, te ne rendi conto? Ho realizzato a distanza di tre anni che Roxanne era la donna giusta per me.”
“Perché non te la vai a riprendere, allora?”
 “E sai cos’altro? Quando mi ha sparato addosso tutto quell’odio, tutto quello schifo che le ho fatto provare per anni e che si è sempre tenuta dentro, ho capito cos’amavo di lei. Quando stavamo insieme tutti intorno a noi litigavano di continuo: Matt e Val, Holly e Zacky e…”
Brian sembrava non ascoltare Jimmy, preso com’era dal raccontare di sé, di Roxy, di tutto un mondo e dinamiche che si era sempre tenuto dentro e che ora pareva dovessero uscire ad ogni costo. Quando soffri e sei disperato, cerchi di scaricare addosso agli altri un po’ del tuo dolore, sperando che qualcuno decida di raccoglierlo e farlo suo.
Jimmy finiva sempre con il prendersi la sua fetta di schifo sulle spalle; per Zacky, in genere, l’avevano sempre fatto Holly o Roxy. Per quel motivo ora era ridotto a un cumulo di nervi tesi, odio e dolore allo stato puro?
“Holly e Zacky non facevano testo.”
“A modo loro era come se stessero insieme. Voglio dire, non l’hanno mai saputo, ma sono stati insieme sino a quando Holly non ha deciso di scaricarlo per andarsene a New York. Beh, no, forse sono stati insieme anche dopo, sino a quando non è arrivata Gena. Comunque, parlavo di me e Roxy. Dicevo, tutti discutevano di continuo, noi invece eravamo perfetti. Non riesco a ricordare una mezza litigata finita con Roxy in lacrime. E io sono un grandissimo stronzo, lo sai. Quindi, dicevo: la nostra storia è malata. Era così perfetta che mi sembrava fosse finta, ad un certo punto. Avevo paura, Jimmy: se fossi rimasto con Roxy l’avrei sposata nell’arco di sei mesi.”
“Lo faresti ancora.”
“Ho Michelle.”
“Le tue nozze con Michelle non avranno mai la mia benedizione. Quelle con Roxy si, ovviamente.”
“Tu sei di parte.”
“Vorrei solo che foste tutti felici, e finché starete messi a questo modo, nessuno di noi lo sarà. Nemmeno chi, come me, nelle vostre beghe sentimentali non c’entra un cazzo. Vattela a riprendere, Brian. È la tua ultima occasione, poi l’avrai persa per sempre.”
“L’ho già persa, lo sai.”
“Siete tutti troppo orgogliosi. L’orgoglio serve quando il mondo ti considera un perdente, non con le persone che ami. Con loro, finisce con il mandarti tutto a puttane.”
“Zacky sta uno schifo.”
“Perché non sei rimasto con lui, allora?”
“Io, al suo posto, non avrei voluto nessuno a guardarmi mentre piango. Mi sa che siamo tutti delle teste di cazzo, lo sai? Roxy ha ragione: siamo dei codardi. Beh, in realtà Roxy ha sempre avuto ragione. Era bello dirglielo, sai?”
Brian si era sfregato gli occhi con il dorso della mano, nel tentativo di lavare via le proprie, di lacrime. Da quando, quelli con nomi cazzuti come i loro, finivano a piangere come femmine e a rendersi patetici e sentimentali? Da quando, quelli che potevano avere tutte le donne del pianeta, finivano con l’amarne e desiderarne una soltanto, l’unica che non avrebbero mai potuto riavere?
 
 
“Ehi, sei ancora sveglia?”
“Non dovevi andare a casa?” gli aveva chiesto Holly senza muoversi da sotto gli strati di lenzuola e piumone sotto il quale si era nascosta.
“Sono le tre passate… E tu domani devi andare a lavorare o sbaglio?”
“Se non mi reggo in piedi chiederò un giorno di malattia. Non ho intenzione di ruzzolare giù da quei pendii assurdi solo perché ho passato la notte in bianco.”
“Sono salito perché ho visto la luce della camera ancora accesa. Sono passato di qui per vedere se era tutto okay o se c’erano altri problemi in vista.”
“Dubito che Zacky o Matt decidano di tenermi un agguato sotto casa nell’ultimo, disperato tentativo di rapirmi. È finito tutto ormai.”
“Ehi, cos’è quel tono?”
Nick si era seduto sul ciglio del letto, passandole una mano tra i capelli già carichi di nodi, formando un nido aggrovigliato di un acceso arancione.
Non lo cambierai mai, questo colore di capelli. Ti darà sempre la carica giusta, anche se non te ne rendi conto.
“Mi sento come se mi avessero uccisa. Tipo: io ora sono un fantasma e il mio cadavere sta in qualche obitorio in giro per Cardiff.”
“È un litigio un po’ più violento degli altri, passerà.”
“Non passerà, Nick, perché io non me la farò passare. A me non importa nulla di ciò che può esserci dopo, ma hanno superato il limite. Non sono una traditrice, okay?”
“Solo quello, ti ha fatta scazzare?”
“No, tutto quanto in verità. È come quando tua madre legge il tuo diario segreto e ti fa scenate per ciò che ha letto.”
“Ti è accaduto?”
“No, ho sempre evitato di tenere un diario segreto per evitare problemi. In compenso la madre di Dakota ha letto il suo, ed è successo che ha scoperto che avevo una cotta per Matt e che mi ero ubriacata con Zacky e non voleva più che ci vedessimo.”
“Chi? Tu e Zacky?”
“No, scemo. Io e Dakota. È finita che abbiamo supplicato sua madre di darci una seconda possibilità. Dakota piangeva costantemente per farle pena. È bravissima a fingere di piangere, lei.”
“Potevi fare a meno di specificare, tu non ci riesci nemmeno quando vorresti farlo, figuriamoci.”
“Non è colpa mia. È che… Sono stata abituata così. Nick?”
“Si?”
“Resti con me stanotte?”
Lui le aveva posato un bacio sulla punta del naso, togliendosi le scarpe e facendo il giro del letto, stendendosi accanto a lei, la distanza di un respiro a dividerli, fronte contro fronte.
“Tu cosa ne pensi?”
Sapeva che gliel’avrebbe chiesto. Quante cose gli aveva tenuto nascoste, Holly? Nessuna, era quello il bello e il brutto del loro rapporto: con innocenza, Olivia gli raccontava ogni cosa. Come se fosse il suo migliore amico, perché la differenza tra un fidanzato e un amico al quale racconti tutto di te, lei non la conosceva. Come se non avesse incontrato altro, nella vita, che migliori amici che all’improvviso diventavano principi azzurri, in una metamorfosi lenta ma naturale come il ciclo della vita.
“Vuoi la verità?”
“Ovviamente si.”
“Dovreste chiarire prima che ripartano. Se li lasciate andare è finita.”
“Perché?”
“Perché vi ostinereste sulle vostre posizioni, tutti quanti, e non riuscirete mai più a riparare lo strappo. Ora le scuse possono essere ancora accettate. Tra un mese sarà troppo tardi per qualsiasi cosa.”
“Pensi che lo faremo?”
“No, perché siete troppo orgogliosi per farlo.”
Holly si era rannicchiata accanto a lui, facendo si che l’accogliesse in un abbraccio rassicurante. A Nick, tutto il buonismo che aveva sfoggiato nelle ultime ore, costava una fatica enorme. Se avesse potuto – se non fosse, cioè, passato dalla parte del torto con il rischio di perdere Holly – avrebbe sfanculato prima il fratello di Roxanne e poi Matt. Avere a che fare con loro, però, era sempre rischioso, giocare sul filo del rasoio che poneva la linea di confine tra lecito e illecito. Negli anni, Holly gli aveva sempre dimostrato che lui veniva prima di tutto, ad ogni scontro era per lui che lei muoveva ogni parola e azione contro Zacky, ma in una situazione così drastica, così assurda per una persona che viveva lontano dalle dinamiche da psicopatici di quei californiani, poteva essere che la bilancia pendesse dall’altro lato. E lui non voleva perderla.
Aveva fatto buon viso a cattivo gioco, sfogandosi con Ian al pub. Non era un santo, Nick Valensi, era solo troppo innamorato e intelligente per cedere alle provocazioni di quattro teppisti. Al punto in cui si trovavano, nessuno avrebbe fatto un passo indietro. Era la fine di una vita intera, e quello lo spaventava: non puoi recidere il cordone ombelicale con il tuo passato, con ciò che eri e con la tua intera vita senza che questo, prima o poi, ti si ripresenti dinnanzi con la furia cieca dei ricordi che diventano rimpianti.
È solo questione di tempo.
Quando ti verrà presentato il conto, saprò trattenerti ancora?
Quando si era svegliato, aveva visto quella cosa, per poi addentrarsi in cucina alla ricerca di cereali e latte freddo con cui fare colazione.
Nick non avrebbe detto nulla, ma il cambiamento era stato così evidente che era impossibile non notarlo.
Non per lui, almeno. Holly aveva attaccato con una molletta per capelli a forma di fragola – all’estremità di uno dei lacci del cappello da Indiana Jones appeso alla parete della camera da letto – la foto che la ritraeva con Zacky, l’estate precedente, in un maldestro tentativo di lui di stamparle un bacio sulla guancia. Era la foto del concerto estivo ad Huntington Beach, l’unica probabilmente che li ritraeva insieme negli ultimi sette anni. Nick l’aveva sempre vista lì, come a voler ricordare a Holly un passato a cui era rimasta fedele sino a quando non era stato lui a tradirla.
Al suo posto, adagiata in modo frettoloso, si trovava ora l’immagine di una cassa toracica le cui ossa salivano verso il cielo simile alle dita scheletriche di una mano, un cuore in bella mostra al suo interno, grondante sangue. Un cuore che aveva smesso di battere. Era raccapricciante, ma era l’appunto che Holly aveva lasciato a margine della foto, nella sua scrittura precisa e con inchiostro rosso, a dare un senso a ogni cosa.
Mi hanno vivisezionato il cuore. A me non è rimasto più nulla.
 
 
“Che ore sono?”
L’individuo che le aveva spalancato le tende della camera era lo stesso che aveva deciso di rendere noto al mondo che lei era “speciale”.
Un mostriciattolo speciale, a dirla tutta.
Roxanne si era rigirata nel letto, i capelli scompigliati e il volto stanco: non aveva dormito per tutta la notte, era collassata non ricordava quando, e le poche ore di sonno erano state popolate di ricordi sotto forma di sogni, scanditi dalla voce di suo fratello che la chiamava “ritardata” e dalle risate di scherno di Brian in sottofondo. Non aveva riso davvero, no?
“Mezzogiorno e mezzo. Se ti può servire, sono stato qui sotto tutta notte, e tu hai spento la luce alle sei di questa mattina. Brutti pensieri?”
“Brutti ricordi. Ma tu sei stato fuori, al freddo, tutta notte?”
“No in auto, ovvio. E nessuno mi ha scambiato per un maniaco, cosa ben più importante. Ad ogni modo, io e Nick abbiamo avuto un’idea fantastica. La prossima settimana si parte. Andiamo in vacanza, noi quattro soltanto. Sole, mare, spiaggia caraibica… Presente? Uno di quei posti da mojito, sventole che ti fanno aria con foglie di palma e daiquiri servito in noci di cocco intagliate.”
“E il lavoro? Holly non può…”
“Holly può eccome, figurati. È la pupilla di quel tizio dell’università, le farebbe fare qualsiasi cosa. Voleva spedirla anche alla conferenza al British Museum e lei si è rifiutata di parlare in pubblico. Se chiede una settimana di vacanza, non gliela negherà: si fa schiavizzare anche nei week-end quando occorre.”
“Holly è scema. Si accontenta sempre del gradino più basso.”
In qualsiasi ambito, e a quel pensiero, Roxy si era sentita terribilmente in colpa nei confronti di Nick.
“Oh, hai fatto un ottimo lavoro. Sa persino camminare sui tacchi, ora” le aveva risposto Ian posandole un bacio a fior di labbra.
“Sveglia, ti ho portato qualcosa da mangiare. Donuts calde con glassa di fragole e cappuccino.”
“Le mie preferite?”
“Quelle con i coriandoli colorati di zucchero, come per i bambini.”
Ti ricordi sempre ogni cosa, tu. Non è vero che sono io quella con la memoria eidetica: tu, riesci a essere speciale e rendere tutto magico senza avere nessun dono particolare.
“Grazie.”
“Di cosa? Di essere così dannatamente bello?”
“Di essere Ian Watkins.”
Gli aveva sorriso, costringendosi a uscire dal proprio nido, fatto di calore e coperte pesanti che ad Huntington Beach non aveva mai utilizzato e che a Cardiff rappresentavano le serate invernali, le nottate passate a dormire con Holly nonostante i battibecchi per chi tirava di più la coperta dalla propria parte, la neve che ricopriva ogni cosa e la faceva sentire bene in un mondo dove i rumori all’improvviso scomparivano. Avrebbe desiderato una neve artificiale che potesse ricoprire anche i ricordi, che potesse ovattare il suono delle parole cattive e non farle dimenticare che la primavera, arrivava sempre.
“Una settimana, vero?”
“Assolutamente. Sette giorni esatti. Servirà a tutti, credimi.”
“Avete trovato il primo motivo utile per gustarvi bellezze mozzafiato in bikini e perizoma?”
“Abbiamo già voi, non potremmo chiedere di meglio, no?”
“Giusto.”
Erano scoppiati a ridere, mentre Ian le allungava la ciambella glassata, di ritorno dalla cucina.
“Anche la colazione a letto, ora?”
“Devo farmi perdonare un sacco di cose.”
“Sono io che dovrei farlo, non tu.”
“A tempo debito ti presenterò il conto, tranquilla.”
Aveva addentato un pezzo del dolce, lasciando Roxanne con un palmo di naso, mentre il viso del ragazzo si illuminava di pura soddisfazione.
“Buona questa cosa rosa. Sarà da donne, ma è favolosa.”
“Ma è mia. Quindi, ridammela!”
Roxanne si era allungata, gettandosi su Ian che – a propria volta – era caduto sul letto, invadendo lenzuola e trapunte, insieme alla ragazza che era riuscita a strappare il premio dalle sue mani, fissandolo dalla propria posizione predominante, il viso a pochi centimetri dal suo.
“Questa me la merito.”
E gli aveva posato un bacio sulle labbra, assaporandone il profumo di zucchero, prima di addentare soddisfatta la propria, meritata dose quotidiana di buonumore apparente.
 
 
“Scusami per il ritardo, ho trovato traffico per arrivare qui. Ehi, che faccia hai?”
Dakota le aveva gettato le braccia al collo, facendo cadere la sedia sulla quale era seduta con un tonfo secco, sul pavimento.
“Guarda che non sono morta. Sono qui.”
“Scusa scusa scusa scusa, Holly!”
La bionda le aveva affondato il viso nell’incavo tra collo e spalla, strofinando la propria guancia contro quella dell’amica.
“Si può sapere perché sei così scema? Non è colpa tua, smettila di addossarti la responsabilità di ogni cosa. Quegli idioti non li ferma nessuno quando si mettono in testa qualcosa, lo sai. Jimmy è tornato sano e salvo?”
“Si. Credo abbia discusso con Brian per un bel po’, li sentivamo gridare dalla nostra stanza dopo che sono salita in camera. Zacky era sbronzo da fare schifo, stamattina.”
E fatto, ma quello non gliel’avrebbe mai detto. Jimmy, per contro, si era incazzato con Brian quando quest’ultimo aveva preso a fare casino al pari di Zacky, rischiando di svegliare l’intero hotel.
“Niente compagnia per allietargli la nottata?”
“Holly… Secondo te poteva essere dell’umore adatto?”
“Lo è sempre, quando si tratta di distrarsi un po’.”
Dakota aveva sospirato, fissando senza troppo entusiasmo il contenuto della sua tazza, ancora bollente.
“Sono venuta perché voglio dirti una cosa, di quelle che sono di vitale importanza.”
“Non mi piace quando inizi i discorsi a questo modo, non promettono mai nulla di buono. E se mi chiedi di seguirti e venire a fare pace con Zacky, Matt e Brian, sai benissimo che non lo farò.”
“Guarda che lo so benissimo che non tornerai più ad Huntington Beach. Promettimi che faremo le vacanze estive insieme, me lo devi Holly. Io non sono con loro. Io sono con te.”
“Ti ho tradita, vero?”
La domanda della rossa l’aveva spiazzata, con quel repentino cambio di rotta che aveva dato alla loro discussione.
“Si, ad ogni tua partenza. Speravo che con la casa di tua nonna saresti tornata più spesso, invece ora devo fare i conti con il fatto che non tornerai mai più. È triste perderti così, sapere che non ci sarai sempre. Potevo sperare che tornassi, che si sarebbe sistemato tutto a prima della tua partenza per New York, ed ora quell’idiota di Zacky ha rovinato ogni speranza.”
“Prima o poi tornerò.”
“Tra vent’anni? Tu hai una memoria da elefante, non perdonerai mai quei tre. Promettimi che almeno dieci giorni all’anno sarai solo mia.”
“Te ne bastano dieci?”
“No, ma me li faccio bastare.”
Holly le aveva porto il mignolo unendolo a quello dell’amica, entrambe con il volto rigato di lacrime. Perché dovevano rinunciare alla loro amicizia? Perché dovevano sacrificarsi per una colpa che non le coinvolgeva direttamente? Dakota, in quel momento, odiava la stupidità dei ragazzi e l’orgoglio di Holly. Sarebbe bastato così poco per rimettere le cose a posto… Eppure, una voce nella sua testa continuava a ripeterle che quello scontro finale era destinato ad avverarsi. Non potevano rimanere così, le cose, per tutta la vita. Gli ultimi dieci anni erano stati un accumulo di sentimenti, emozioni, rancori e dolori sopiti e tutto era stato sputato fuori con la forza di un tornado che si era portato via tutto, senza lasciare in piedi nulla.
Nemmeno i più forti, perché era così che doveva finire.
“Okay, a parte questo, sono venuta per un’altra cosa” aveva proseguito Dakota strofinandosi gli occhi con un tovagliolo di carta preso dal contenitore posato sul tavolo al quale erano sedute.
“Tu sei sempre stata morbosamente attaccata al tuo passato, gelosa di ogni cosa che lo riguardasse. Hai sempre ricordato tutto, hai sempre scritto ogni cosa e sottolineato ogni frase che potesse ricordarti sempre un episodio specifico. Ripercorrili tutti e ricordati ciò che eri, guarda ciò che sei ora. E domandati se sei diventata come ti eri aspettata otto anni fa, quando sei partita per New York. Credo ci siano state un sacco di cose non dette che hanno portato al casino di ieri sera. Non ti sto addossando la colpa, ma rifletti su ciò che ti hanno detto Matt e Zacky, e su ciò che ti dico anch’io: è Huntington Beach casa tua, Holly. Non Cardiff. Sarai felice solo in California. Magari con Nick, magari sola, ma il tuo posto è dove sei nata e cresciuta.”
“Perché?”
“Cosa?”
“Ne sei convinta. Da cosa lo capisci che sarei più felice ad Huntington Beach?”
“Questo lo devi scoprire tu, Holly. È tuo il cuore, non il mio.”
“Non ce l’ho più un cuore, Dakota.”
Vorrei che te l’avessero risparmiato, questo colpo basso. Non te lo meritavi, ma è successo. Ora devi rialzarti da sola, e io non potrò esserci per fare il tifo e spronarti a reagire. E questo mi mette una profonda tristezza, lo sai?
Dakota si era sporta verso di lei, prendendole le mani nelle proprie.
“Sarai sempre la mia migliore amica, e so che prima o poi troverai la risposta. Non sei stupida, Holly, tu sai cosa vuoi. L’hai sempre saputo e l’hai dimostrato a tutti, di avere le palle per fare ciò che desideravi. Ci stupirai tutti di nuovo.”
“Hai troppa fiducia in me.”
“Non è fiducia, ti conosco. È questa la differenza che mi porta a credere in te.”
Tornerai Holly.
Prima o poi, sono certa che tornerai a casa. Magari tra dieci anni, perché tu hai i tempi lunghi nel comprendere ogni cosa che riguarda la parte di te con cui sei sempre in conflitto, quella emotiva e stupida che non lascia spazio alla razionalità. Voglio crederci, che tornerai. Perché non posso pensare di andarmene da Cardiff con la certezza nel cuore che sarà l’ultima volta in cui potrò abbracciarti e parlarti di persona.
 
 
Huntington Beach, 2008.
 
 
“Sei tornato finalmente… Iniziavo a…”
Gena si era sollevata dal divano, dove aveva passato le ultime quarantotto ore avvolta in un pesante pile e con una serie di film romantici a tenerle compagnia.
“Non mi rompere le palle, Gena, okay?”
“Ho provato a telefonarti, ma il cellulare continuava a dirmi che eri irraggiungibile, iniziavo a preoccuparmi e…”
Credevo non saresti più tornato.
Gli si era avvicinata, posandogli un bacio sulla guancia, gli occhi di Zacky cerchiati da profonde occhiaie e rossi di pianto.
“Tutto okay?”
Gena temeva che Zacky sarebbe tornato a casa con sua sorella, la presenza ingombrante a cui non era mai andata a genio e che, di certo, l’avrebbe cacciata da casa di Zacky ricordandole che quello non era il suo posto. Il rapporto tra due gemelli, lei non l’avrebbe mai capito. Quando era arrivata lei, Roxanne se n’era andata, dunque non era mai entrata a pieno nelle dinamiche tra i due Baker. Di certo, lei era più importante di qualsiasi cosa per lui, bastava vedere quanto ne parlava, o quanto tempo Zacky perdesse nel cercare di sentirla con regolarità ogni giorno. L’unica preoccupazione, era data dalla morbosa gelosia del ragazzo, ma aveva liquidato la cosa con la sua passionalità e con quel cipiglio protettivo che i fratelli maggiori riservano alle sorelle.
“Roxy non si farà vedere per un po’. Idem Olvia.”
Per Zacky, Olivia era sempre stata solo Holly. Non c’era mai stato un momento in cui – anche da incazzato – l’avesse mai chiamata con il suo vero nome.
“Sei sicuro che…”
“È tutto a posto, davvero.”
“Hai l’aria stanca, Zee.”
Gena gli aveva passato una mano tra i capelli, in una carezza morbida che sapeva di casa, certezze e amore. Uno di quei contatti di cui hai bisogno quando il mondo ti volta le spalle, quando anche chi amavi ti ha tradito costringendoti a camminare da solo. Il chitarrista aveva appoggiato la nuca sulla spalla della ragazza, sospirando.
“Tu continui a sopportarmi, come fai? Scusami se sono stronzo. Non è colpa tua. Abbiamo avuto una brutta discussione, di quelle che mettono fine ad ogni rapporto. Non sono in forma. Ho perso mia sorella e sono nervoso. Scusami Gena, non è colpa tua.”
Zacky non chiedeva mai scusa, perché non ne aveva mai avuto bisogno, ma in quel momento, mentre cercava la sua bocca con la propria, mentre lasciava cadere a terra uno zaino ricco di ricordi e pesante come un passato grondante ancora sangue dopo l’ultimo colpo infertogli, aveva la certezza che la soluzione alla merda del mondo fosse una mano amica che ti scalda il cuore, che se lo tiene stretto al proprio, che ti scalda il letto e il corpo quando ti senti già morto.
La verità era che solo Gena poteva riempire un letto gelido con dolcezza, per ricordargli che la vita sarebbe comunque andata avanti: con o senza di lui; con o senza sua sorella; con o senza Holly.
 
 
Michelle non aveva atteso Brian. A differenza di Gena, che reclamava costantemente il proprio posto e non perdeva occasione di sottolineare quanto legittima fosse la sua presenza, Michelle conosceva abbastanza Brian da sapere che il rientro da Cardiff, di qualunque natura fosse, non sarebbe stato un ottimo pretesto per vedersi e parlare, chiarirsi magari e chiedergli perché, lei, non era stata convocata alla spedizione. Il perché, ovviamente, era palese, e avere solo un pretesto per litigare non la metteva a proprio agio. Aveva combattuto contro i titani, contro il ricordo di un primo amore che per Brian sembrava essere l’unico possibile. Michelle aveva accettato ogni cosa, pur di stare con lui: perché? Glielo chiedeva anche sua sorella, quando le cose si facevano insostenibili e difficili da sopportare, quando le altre donne erano una costante e lei solo l’ombra di una certezza che poteva essere messa in discussione dalla prima venuta. Brian era uno dalla sbandata facile, in fondo, e per il gusto di mille sbandate aveva lasciato andare l’unica donna della sua vita. Michelle era consapevole di essere un’eterna seconda, sapeva però che prima o poi ogni idolo cade e lascia il posto a qualche altro dio da venerare: allo stesso modo, anche Roxanne sarebbe caduta dal podio su cui l’aveva adagiata Brian e a quel punto lei sarebbe stata pronta a prendere il suo posto.
 
Zanzibar, 2008.
 
 
Roxy e Holly sedevano l’una accanto all’altra, il sole a scaldarle e un mare sconfinato pronto ad accoglierle. “Secondo te… È giusto quello che stiamo facendo?”
Roxanne si era girata verso Holly, e anche da dietro le lenti degli occhiali da sole, la rossa aveva visto l’aria di disappunto che si era dipinta sul volto dell’amica, costringendola a puntualizzare.
“Lo so, avevamo detto che non ne avremmo parlato. Ma voglio dire, non ce ne pentiremo vero?”
“Lo credi possibile?”
“In verità no. Cioè, non lo so.”
Roxanne passava la maggior parte del tempo a borbottare tra sé, sollevando inconsciamente il sopracciglio destro, proprio come Brian. Olivia non le aveva fatto notare la cosa, ma le era capitato di trovare l’amica intenta a parlare da sola inveendo contro la stupidità di suo fratello o di Brian o di Matt. Si salvavano da quelle arringhe immaginarie solo Johnny e Jimmy, passati come i martiri della situazione. Lei invece si era fatta un rapido esame di coscienza, di quelli che l’avevano assestata sulle proprie convinzioni: Zacky e Matt e Brian, per lei, erano morti. Si erano illusi di poter mettere la maschera dei loro alter ego nella vita vera, credendo di poter fare il bello e il cattivo tempo di ogni vita che ruotava attorno a loro e quando lei e Roxy si erano rifiutate di seguire il teatrino degli idioti, era scoppiato il casino. Il finimondo, quello che l’aveva lasciata davvero sola. Per la prima volta, da quando aveva deciso di andarsene da Huntington Beach, aveva sentito il sapore amaro della solitudine, e le faceva paura. Era abituata ad essere svegliata nel cuore della notte da Zacky o da Matt, a ritornare a casa a Natale e festeggiare tutti insieme il suo compleanno, tornare ragazzini per una sera soltanto ed essere ciò che – da qualche parte – erano ancora: adolescenti troppo stupidi, adulti con nessuna voglia di comportarsi come tali. Holly era stata onesta con sé stessa e aveva ammesso di avere una colpa, ed era quella di essere rimasta la porta aperta su un passato in cui era facile rifugiarsi quando il mondo degli adulti ti ricordava di avere obblighi e doveri, non solo divertimento e la scusa pronta dell’essere una testa di cazzo per riparare ad ogni errore.
Per Matt, ne era certa, era sempre stato così. Da quando stava con Val, i litigi tra loro, i dubbi, i problemi, erano sempre causati da lei. Perché? Perché Matt non aveva le palle per chiamare le cose con il giusto nome, dare l’effettivo valore di grandezza a una storia lunga quasi un decennio e decidere di crescere una volta per tutte. Lei non avrebbe voluto sulla propria coscienza un quarantenne frustrato, scapolo, scaricato dalla storica fidanzata, l’unica in grado di sopportare i suoi amici e i tornei clandestini a Call f Duty a casa propria sino all’alba.
“Hai sentito Val, poi? Non te l’ho più chiesto.”
“Si, era dispiaciuta per il casino. Credo abbia fatto il culo a Matt.”
“Ha provato a chiamarmi.”
“Anche le chiamate con il numero nascosto erano di Zacky.”
Non aveva bisogno di aggiungere altro: sapeva che, se l’aveva fatto con lei, probabilmente aveva provato anche a contattare Holly, un segnale evidente che doveva essere completamente ubriaco per mettere fine al suo orgoglio a poche ore dalla lite. Lei, le scuse, le voleva di persona, con l’opportunità di guardandosi negli occhi e poi perdersi in un abbraccio, per quel motivo aveva rifiutato le chiamate di suo fratello. Olivia, invece, aveva deciso di evitare sensi di colpa, ignorando di chi fossero le chiamate anonime e cancellando qualsiasi messaggio lasciato in segreteria senza nemmeno ascoltarli o sapere di chi fossero: ci aveva pensato Roxy, a darle conferma della realtà.
“Lo sapevo -  aveva sospirato la rossa con aria irritata – Tuo fratello è un idiota, ma non ci ha più provato dopo… Beh, dopo che se ne sono tornati a casa. Dakota dice che è tutto un casino. Stanno litigando un sacco.”
“Non certo per colpa nostra.”
“No, direi di no. Secondo me stanno sbagliando il tiro. Voglio dire, forse… La vita da rockstar gli ha dato alla testa?”
“Forse. O forse sono sempre le solite cinque teste di cazzo.”
“Meno male tu hai preso la parte intelligente e figa dei Baker.”
Holly si era sollevata dal proprio sdraio, prendendo le mani a Roxy costringendola a seguirla in una corsa lungo la spiaggia dalla sabbia bianca come neve.
“Che cosa vuoi fare ora?”
“Non lo sai? Da questa parte dell’isola alle cinque arriva la bassa marea e poi, inizia ad alzarsi il mare. Nell’arco di pochi minuti le correnti ti riportano a riva e fai chilometri e chilometri di spiaggia trasportato dal mare.”
“E tu vorresti…”
“Certo che lo voglio. E anche tu!”
“Tu sei pazza…”
“Sei una surfista anche tu, che paura hai?”
“Nessuna” era stata la laconica risposta di Roxanne, già pronta ad assecondarla. Dovevano divertirsi, dovevano distrarsi e voltare pagina. Si erano imposte sette giorni di tempo per reagire e darsi una svegliata, smettendo di guardare al passato. Era difficile, era impossibile, ma in qualche modo sarebbero sopravvissute. Le ferite aperte non si sarebbero rimarginate ma prima o poi avrebbero almeno smesso di sanguinare.
 
 
Ian e Nick si erano visti arrivare a riva – ad una velocità notevole – le due ragazze, Holly in preda alle risate e Roxanne pallida come un cencio, trascinate dall’acqua dell’oceano che, con forza, si era sollevata in una cascata immensa che mangiava metri di spiaggia con l’alta marea, inghiottendola.
“Tu sei pazza, potevamo morire affogate!”
“A Zacky sarebbe piaciuto… Scusa.”
La ragazza si era morsa il labbro inferiore, uscendo dall’acqua cristallina fradicia come un pulcino, l’aria afflitta di chi, ancora una volta, aveva perso contro la propria forza di volontà. Era difficile, cancellare le abitudini di una vita dall’oggi al domani; censurare i pensieri e i sentimenti, pressoché impossibile.
“Vado e mettermi qualcosa e ad asciugarmi. Facciamo in tempo ad andare a vedere il tramonto dall’altro lato dell’isola?” aveva chiesto lei, cercando di dissimulare una disinvoltura che, in quel momento, le era venuta a mancare.
“Se ti muovi si, abbiamo un’ora di tempo circa.”
“Roxy mi accompagni? Non mi va di andare da sola, mi annoio.”
“Ti sei messa a fare i capricci come Ian.”
“No, io sono peggio” aveva risposto il cantante di rimando.
I due ragazzi le avevano osservate allontanarsi, mano nella mano. Non capitava spesso di vederle in atteggiamenti affettuosi, erano portate a manifestarsi il proprio affetto in modo strano: bisticciando, prendendosi per il culo, facendo dell’ironia su ogni cosa. Quando avvenivano i contatti corporei, erano qualcosa di intimo che li costringeva a fare i conti con l’estromissione dalle loro vite. Era come se, quando il dolore diventava troppo forte e sovrastava ogni altro suono, loro due riuscissero a crearsi una barriera solo stando insieme. L’avevano fatto quando Brian aveva lasciato Roxanne, l’avevano fatto ogni volta che si erano aperte piccole crepe tra loro e la pazza famiglia allargata di cui facevano parte e lo stavano facendo ora, in cui tutto era finito con un grande fallimento addossato a ognuno di loro.
“Credi che si riprenderanno?”
“I problemi sono appena iniziati, Ian.”
“Sei troppo pessimista, ma è normale, sei preoccupato per Holly.”
“Non è per quello. Questa cosa è innaturale, come ogni affare che coinvolge quei cinque. Pensaci: non si può  estrapolare una persona dal proprio passato di punto in bianco, chiedendole di cancellare ciò che l’ha fatta diventare adulta, sopratutto se i legami che ha sono tutto. Prima o poi questa situazione si ritorcerà contro di loro.”
Gli Avenged Sevenfold – o meglio, ciò che stava dietro cinque nomi di scena – erano il passato di Holly, tutto d’un pezzo: il migliore amico, la prima cotta, quello con cui battibeccava, il ragazzo della migliore amica di sempre e il consigliere. Come fai a chiederle di rinunciare a tutto e rifarsi una vita?
“Credi che te la porteranno via del tutto, prima o poi? Non credo che si farà corrompere dalle lacrime di coccodrillo di qualcuno di loro. Non ha ceduto questa volta, non lo farà in futuro.”
“È solo una fase transitoria per entrambe e prima o poi ci tornerà addosso con effetto boomerang tutto quanto.”
E lo scotto lo pagheremo tutti quanti. Sarà salato, molto più di quello che stiamo pagando ora.
“Brian è ancora innamorato di Roxanne, per esempio. È lampante, così come è lampante che tutta questa cosa sia stata un pretesto per… Per riprendersele.”
“Nemmeno il comportamento di Matt e Zacky è normale” aveva esalato il chitarrista, accendendosi una sigaretta. Parlare di quell’argomento era difficile, gli metteva addosso il terrore di poter perdere Olivia da un momento all’altro, senza che ci fosse una spiegazione logica a un gesto simile.
Perché quando c’erano di mezzo sentimenti così complessi e profondi, poteva essere possibile qualsiasi cosa.
“Zacky è pazzo, non ci sono spiegazioni. Pensi che…”
“Non credo nell’amicizia tra uomo e donna, se è quello che mi volevi chiedere.”
“E ti preoccupi di Baker?”
“No, non mi preoccupo di nulla se non di Holly. Ha passato una settimana in cui vagava per casa in pigiama, passando dal letto alla cucina al bagno, senza avere la forza nemmeno di uscire per fare la spesa. Era in uno stato pietoso.”
“Roxy invece ha preso a fare pulizie e leggere qualsiasi cosa, pur di tenere la mente occupata. Secondo me è solo questione di tempo.”
“Prima di perderle, dici?”
“Il tempo allevia il dolore, sbiadisce il ricordo e rimargina anche le ferite più profonde. Non se ne andranno più, Nick.”
“Io credo di si. Non può coesistere Cardiff con Huntington Beach, tra gelosie, paure, distanze, paranoie né da un lato né dall'altro. Il casino che ha fatto Zacky era solo la naturale conseguenza di situazioni che si trascinavano da anni.”
“Cerchiamo di non pensarci. È meglio, credimi. Ora sono qui, cerchiamo di renderle felici. È a questo che servono i principi azzurri, no? Per far avverare gli happy ending.”
Nick, però, alle favole aveva smesso di credere quando i suoi genitori avevano divorziato e l’avevano spedito in  un collegio in Svizzera, dove aveva conosciuto Julian. Lì, aveva compreso che non tutte le favole, finiscono con un lieto fine.
 
 
Huntington Beach, 2008.
 
 
Tornare alla vita di tutti i giorni quando dovevi fare i conti con un quotidiano fatto di telefonate, cellulari che suonavano a tutte le ore, incursioni notturne nella tua esistenza e scoprire che tutto ciò che scandiva le tue giornate a casa, alla sala prove o in tour si era spento nell’arco di una nottata, dovevi rivedere la scaletta delle tue priorità e riordinare la tua vita. Zacky, a distanza di sei mesi, ancora non riusciva a credere che il cellulare non gli servisse ad altro che ricevere le mail della Vengeance University o dei ragazzi. Nessuna lettera di Holly o sua sorella.
Nessun messaggio.
Nessuna telefonata.
Le poche, frammentarie notizie che riusciva ad avere su di loro, arrivavano dai rotocalchi o da Dakota e Val, le uniche con cui le ragazze avevano mantenuto un contatto. Zacky era convinto che anche Jimmy sapesse qualcosa, ma era troppo preso nel tenere a bada i propri sensi di colpa per poter notare come il batterista sfuggisse dalle discussioni che riguardavano le ragazze, cambiando discorso o portandosi nella stanza accanto. Nessuno, poi, si era accorto della bravura con cui Jimmy aveva preso a far sparire il proprio cellulare dai luoghi in cui chiunque avrebbe potuto scandagliare sms o le ultime telefonate ricevute o fatte. La notte dell’undici dicembre, quell’anno, Zacky aveva deciso che festeggiare sarebbe stato uno schifo; non farlo, avrebbe significato decretare una sconfitta a pieno titolo. Aveva quindi optato per organizzare una festa a casa propria, invitando gli amici e fare un po’ di casino senza avere intorno fotografi e fans. Non aveva voglia di evidenziare la mancanza, di sottolineare come – da nessuna parte – spuntasse la chioma rosso fuoco di Holly – ultimamente molto più tendente all’arancio, come quando aveva sedici anni. O almeno, così la ricordava alla festa di Halloween dell’anno precedente – o come non ci fosse sua sorella ad accoccolarsi accanto a lui, la sera. Quanto tempo era passato dall’ultima volta che avevano dormito insieme? Anni.
 A pensarci bene, era da quando Roxy era partita per Cardiff che loro due non avevano più avuto un rapporto normale, da fratello e sorella. Da gemelli. Si era sempre sentito speciale, aveva sempre considerato il suo legame con Roxanne un qualcosa di unico che nessun altro essere umano avrebbe mai potuto eguagliare. Roxy era la sua metà – quella perfetta, lui restava la parte marcia e ne andava fiero –, quell’unica cosa che sapeva farlo sentire una grandissima merda se appena la vedeva con gli occhi lucidi. Roxanne aveva condiviso con lui il primo battito del cuore, il primo respiro, il primo vagito: un rapporto così sarebbe stato imbattibile per chiunque. E a distanza di quasi un anno, da quando l’aveva persa, il senso di incompletezza si era fatto più forte che mai, così come il senso di colpa per aver privato Jimmy, Johnny, Dakota e – in parte – persino Matt, della presenza di Holly e sua sorella ad Huntington Beach. Era stato stupido, se ne rendeva conto, ma non sarebbe mai tornato sui propri passi. Il suo orgoglio e le mille guerre combattute per partito preso, gli avevano insegnato che non si poteva retrocedere: fatta una cazzata, o riuscivi a riparare o eri fottuto e dovevi fartene una ragione. Lui, a sistemare le cose, non ci aveva provato e a farsene una ragione, ci aveva rinunciato nell’esatto istante in cui credeva di sentire Roxy rientrare nel cuore della notte e scoprire che erano i cani a demolirgli il salotto; o quando scorgeva una tizia dai capelli fulvi al supermercato e si illudeva che fosse Holly, tornata ad Huntington Beach senza dire nulla a nessuno.
Perché quella scema sarebbe stata capacissima di farlo.
Cazzo, se sono coglione.
Quello che faceva male, era come anche Holly avesse scelto Roxanne, come entrambe avessero deciso di lasciarsi alle spalle tutto facendo scudo contro il loro passato. Era così che si sentivano gli altri, nei confronti di loro cinque? Se lo chiedeva da settimane, ormai, e la risposta era presumibilmente affermativa. Era orrendo vedere come potevi escludere dalla tua vita qualcuno semplicemente scegliendo qualcun altro, magari migliore di te, magari semplicemente che – a differenza tua – stava dalla parte della ragione. Holly aveva mille difetti, ma aveva sempre avuto la decenza di non saper mentire, di prendere sempre la parte di chi – secondo lei – era nel giusto. E la sfiga era che Olivia ci azzeccava sempre. Anche quella sera, a Cardiff, non aveva fatto differenza: aveva scelto Roxanne, non Nick o Ian, ma sua sorella. Aveva scelto di salvare il presente e cancellare il passato perché dei ricordi, ad un certo punto, non te ne fai più nulla se diventano così ingombranti da precluderti la bellezza del presente.
 
 
“Dai Zacky, ridammelo!”
“Dio quanto ti lagni… stare con mia sorella ti ha resa una rompipalle, lo sai?”
“La sono sempre stata, se per questo.”
Olivia compariva in quel video troppo spesso. Il making of – in versione integrale – del self-title era nelle sue mani da mesi, ormai, e non aveva intenzione di restituirlo a Matt. Quando le ragazze avevano passato l’estate ad Huntington Beach, ogni pretesto era stato buono per imprimere ogni ricordo su pellicola, in un video che Matt e Jimmy si erano detti concordi di rendere pubblico solo per ciò che riguardava le parti inerenti all’incisione dell’album. Più Zacky guardava il video, più si rendeva conto di come tutto fosse stato perfetto, quell’anno, come se non ci fossero mai state Cardiff o New York a dividerli. La sorpresa era sempre il ritrovare Holly e Roxanne insieme, l’unica cosa che gli ricordava che gli anni, invece, c’erano stati eccome lì in mezzo, a farli crescere e a cambiarli in peggio.
Roxy che rideva con Jimmy.
Holly e Matt che giocavano a basket in uno scontro impari nel cortile dietro la sala prove, in cui il ragazzo aveva sicuramente lasciato vincere l’altra.
Roxanne che portava la spesa aiutata da Brian.
Holly e Dakota che parlavano fitto sedute sulle altalene del parco che le aveva viste crescere.
Val e Roxy con in mano coltelli da cucina e carne al sangue per una sana grigliata a casa DiBenedetto.
Lui e Roxy insieme, sulla spiaggia di Huntington Beach, addormentati l’una sotto il sole cocente e l’altro nascosto all’ombra di un enorme ombrellone.
Quando c’erano stati tutti quei momenti di condivisione, senza incursioni esterne? Zacky stentava a ricordarli, così come non ricordava chi avesse girato quei video, ma la videocamera di Matt aveva girato così tante mani che sarebbe stato impossibile capire chi stava facendo cosa.
Ridevano tutti quanti, in quei video. Tutti erano felici.
Perché non potevano esserlo di nuovo?
Perché l’orgoglio ti impedisce di essere felice, Zacky.
Quindi, lui era destinato ad essere un infelice tutta la vita?
Fantastico.
 
 
Cardiff, 2008
 
 
Avevano deciso che non ci sarebbero più state feste di compleanno il venticinque dicembre. Roxy aveva dunque festeggiato da sola, spegnendo la candelina sul cupcake che le aveva preparato Holly. Aveva chiesto di restare sola, perché festeggiare senza suo fratello un compleanno che aveva sempre avuto il doppio delle candeline sulla torta, non era un vero compleanno. Holly voleva troncare le vecchie tradizioni, invece, dunque favorevole alla richiesta avanzata dall’amica. Aveva preso un ritmo di vita in cui non c’erano messaggi a tutte le ore a distrarla dal proprio lavoro, aveva imparato a non illudersi che il numero in sovrimpressione fosse quello di Zacky o di Matt, aveva rinunciato al lavoro al pub di Dave dedicandosi solo all’archeologia, ora che aveva iniziato a ricoprire ruoli importanti per l’Istituto Nazionale di Storia Britannica. Si stava ricostruendo una vita senza Huntington Beach o, almeno, ci provava. Il passato non serviva se non a ricordarti gli errori che avevi commesso in modo da non ripeterli in futuro, non a fossilizzarti su ciò che era stato per impedirti di guardare al futuro. Com’era possibile avesse perso di vista gli insegnamenti di Gian Battista Vico, ad un certo punto della sua vita? Probabilmente era accaduto quando aveva perso anche sé stessa, quando non ricordava più chi fosse Olivia Bridges, se una traditrice o un semplice essere umano dotato di libero arbitrio poi si era risollevata a poco a poco, ricordandosi i motivi per cui era fuggita da Huntington Beach e ciò per cui aveva lottato da quando ne aveva memoria.
Io non ho tradito nessuno: solo me stessa.
Aveva anche accettato che Roxanne festeggiasse da sola, costringendo Nick a non festeggiare il proprio, di compleanni.
“A Natale festeggeremo solo Natale.”
“Tu adori i compleanni. Non avete nemmeno voluto festeggiare Halloween… sembra che stiate portando il lutto, Holly. Non è normale.”
“Non passa nell’arco di pochi mesi. Servono tempo e pazienza. A poco a poco stiamo migliorando, no?”
Quando lo diceva, però, Holly non ne era convinta, come se fosse stato impossibile farsene una ragione. Quanto tempo ci sarebbe voluto per tornare a respirare regolarmente, sorridendo al mondo? Certo, rideva, ma c’era sempre l’istinto a indurla a prendere in mano il cellulare per mandare un mms a Zacky, o un sms a Matt. Erano gli automatismi di sempre a non volersene andare e ricordarle che loro, in qualche modo, continuavano ad esserci e riempirle la vita anche quando li stava lasciando fuori con ogni mezzo possibile.
Il giorno del compleanno di Roxanne e Zacky, Holly aveva portato all’amica il proprio cupcake, il proprio regalo – un completo intimo comprato da Victoria Secret ora che i negozi carichi di feromoni non la spaventavano più così tanto – e una lettera.
“Leggila stasera. E ricordati di esprimere il desiderio, Roxy. I miei cupcakes sono magici, lo sai.”
“Ehi folletto non…”
Roxy aveva distolto lo sguardo da Olivia, rigirandosi il nastro in raso nero del pacco regalo attorno alle dita. Lo stesso soprannome che utilizzava Matt, geniale.
“Se hai bisogno sai dove trovarmi.”
“Lavori stasera?”
“Si, almeno evito di pensare. Devo consegnare una relazione sui sopralluoghi che stiamo facendo in questi giorni.”
“Invece penserai e farai  un mucchio di casini.”
“Tu porti rogna, lo sai?”
Holly le aveva sorriso, posandole un bacio affettuoso sulla guancia, tornando a fissarla seria per qualche istante, prima di staccarsi da lei e tornare alla propria, lunghissima, giornata. La più dura sarebbe stata quella di Roxy: lei, non aveva alcun diritto di soffrire o piangere o lamentarsi l’undici dicembre, perché quello non era il suo giorno.
 
 
Roxanne aveva spento la candelina soffiandovi sopra tutta l’aria che aveva nei polmoni.
Voglio che tutto torni a quando potevamo essere felici e non sapevamo di esserlo già.
Aveva passato la giornata con il cellulare stretto convulsamente tra le mani, indecisa se inviare gli auguri a suo fratello o lasciar perdere, desiderando che almeno lui facesse la prima mossa. Seduta con i piedi nudi appoggiati sul divano, il cupcake solitario sul tavolino, Roxy si era persa lungo pensieri articolati e contorti, lungo la strada dei ricordi e dei rimpianti.
Rimpiangi solo quando sei un perdente.
Ricordi solo quando il presente non ha più nulla da offrirti.
Roxanne si sentiva si una perdente: aveva perso Zacky, e lui era tutto. Più importante di qualsiasi altro uomo o amico, lui era quello che – secondo le leggi del sangue – avrebbe dovuto esserci sempre, non essere il motivo del suo dolore più grande. L’aveva perso perché era innamorata di Ian? No, Roxy conosceva suo fratello meglio di sé stessa e se c’era una cosa che aveva ben chiara in testa era che la colpa, almeno in parte, era da imputare a tutto il contesto. Ian era solo stato il pretesto per reclamare una proprietà che Zacky non aveva più intenzione di tenere lontana da Huntington Beach, per mettere i puntini sulle “i” di anni di silenzi e rospi ingoiati. C’erano state decine di avvisaglie, ma lei e Holly avevano preferito ignorarle perché conoscevano Zacky e sapevano sempre come prenderlo. Quella volta, però, avevano finito per sbagliare i conti. Non avevano preso in considerazione la rabbia, l’istinto, la voglia di tenere la tua vita e ciò per cui hai lottato negli anni stretto a te, la voglia di riprenderti ciò che ritieni tuo di diritto, il desiderio di avere accanto ciò che hai sempre ritenuto davvero importante perché hai finito con il perdere di vista quali fossero, le persone per cui valeva la pena vivere e, perché no, morire.
Roxy, a quel pensiero, era scoppiata a piangere, bagnando il display del cellulare di lacrime amare che non voleva frenare: per quella sera soltanto, voleva essere libera di piangere di nuovo, sino ad addormentarsi esausta.
Mi manchi Zacky, mi manchi da morire.
Più di tutto vorrei che tu potessi capire che tutti sbagliano e che non c’è nulla di male nel chiedere scusa. Sai, più passa il tempo più si apre una voragine tra me e te.
Avrei voluto che i miei figli potessero avere lo zio migliore del mondo, invece, dovrò fingere di essere figlia unica. E sai, è difficile quando passi la tua vita con qualcuno che sa leggerti nel pensiero e che ti completa, pestando le stesse merde che pesti tu, facendo i tuoi stessi errori con la stessa risolutezza.
Sai cosa fa più male?
L’essere, per la prima volta, sola, senza di te, perché ho sempre creduto che sarei potuta ritornare appena lo avessi desiderato e tu saresti stato lì, pronto ad accogliermi a braccia aperte.
Ora invece non ho nemmeno più un luogo in cui tornare, da poter chiamare “casa”.
E questa è la cosa più triste.
 
 
Ti sei portato via tutto, Zacky.
La mia infanzia, la mia adolescenza, il mio cuore appeso al molo di Huntington Beach un sacco di estati fa, e i miei ricordi. Con il tuo solito egoismo hai mandato tutto a puttane, ma la colpa è anche mia e di Roxy. Ti abbiamo permesso di farlo e di affondarci. Lei non si merita un fratello come te, ma resti comunque lì, a ricoprire un ruolo che non ti spetta più.
Tu cos’hai perso?
Probabilmente solo due stronze: lo so che lo pensi.
In ogni caso, spero che almeno tu sia felice: d’altra parte, hai creato questo immenso casino e continui a volerci restare impantanato dentro. È il tuo modo per sentirti ancora al centro della nostra vita.
Resto qui, a fissare il display del cellulare tra la lettura di appunti presi in fretta e il ricopiarli al PC, temendo che Roxy mi chiami in lacrime schiacciata dai ricordi, ma so che non lo farà. Tua sorella ha le palle che mancano a Brian e che sono mancate a Matt per anni.
Ovunque tu sia a fare casino, questa notte, sono certa che a noi, ogni tanto, sarai costretto a pensare. Ho sempre creduto che i ricordi potessero preservarti dalla solitudine, invece ho compreso che sono l’arma più crudele con cui puoi continuare a fare del male a te stesso.
E sai cosa vorrei dirti, Zacky?
Auguri, scemo.
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell'autrice.Un ringraziamento speciale a Judy, che è stata la mia scrittrice dell’intervista al nostro caro gallese, nonché la beta ufficiale del capitolo. Ho ripreso la tradizione di casa Baker della “pace con i biscotti” che Judy ha inserito in “Freak Show”. Anche di questo, a lei il merito dunque. Il discorso fatto da Jimmy a Zacky, è stato preso/ispirato/rivisitato da una puntata dell’anime di “Toradora!”.
(*) citazione tratta dal film “This Must Be The Place.”



Note dell'autrice (2). Vi chiedo infinitamente scusa per il ritardo con la pubblicazione, ma come avrete capitolo questi capitoli mi portano via tantissimo tempo. Siamo agli sgoccioli della storia ormai, spero che non mi odierete troppo per ciò che accaduto ma, come dice il titolo del capitolo, così doveva finire. Grazie a chi deciderà di commentare, a chi segue questa storia con amore e devozione, a chi con lei si diverte, ride e piange.

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Capitolo 10
*** Che ne sarà di noi ***


Huntington Beach, 2009
 
Dakota fissava Valary incredula, cercando nelle parole dell'amica una vaga forma di presa per il culo di cui, però, non vi era traccia.
“E quindi ti ha chiesto di... cioè, alla fine del tour tu e... cioè, io dovrei...”
Val era scoppiata a ridere, accasciandosi all'indietro sulla poltrona del salotto di casa Seward. Dakota e Johnny avevano deciso di andare a vivere insieme all'inizio dell'anno, e le cose stavano procedendo lungo la strada della loro normalità.
“Credi che Roxy accetterà di essere la mia damigella?” le aveva chiesto poi, facendosi all'improvviso seria.
“Perché non dovrebbe? Ha litigato con i ragazzi, non con te. Avete continuato a sentirvi o sbaglio?”
“SI, ci siamo sentite, anche se meno in quest'ultimo periodo. Tu e Holly, invece?”
“Ci siamo viste quando Holly è venuta a New York per una conferenza. Si è fermata qui qualche giorno in più e sono andata da lei. Fa strano vederla ora, si insomma: è davvero un'archeologa e fa solo quello, ci crede come quando aveva iniziato a farlo. Non... lei non ci sarà?” era poi riuscita a chiedere, consapevole del pericolo che stava correndo porgendo a Valary quella domanda.
“Non posso proibire a Matt di invitare la sua migliore amica. Nonostante tutto, la è comunque, anche se lei rifiuta le sue chiamate. Ha provato a cercarla, anche  per il suo compleanno, ma non si è fatta trovare. Abbiamo deciso che deve esserci, è normale, ma non sarà tra le mie damigelle né tra i testimoni di Matt. Non credo accetterebbe, comunque.”
Dakota aveva spostato lo sguardo su Val, strappando piccole strisce di carta dal depliant delle offerte economiche della settimana che aveva davanti, un refuso della posta del giorno malamente abbandonato sul basso tavolo del salotto.
“Non vuoi... cosa c'è, Dakota? Pensi sia una stronza perché non lascio a Olivia un posto d'onore accanto a Matt?”
“No, penso solo che tutte queste ripicche prima o poi finiranno. Sto perdendo la mia migliore amica un po' per volta e non è nemmeno colpa mia.”
“Bisogna essere in due per perdersi. Se non fa nulla per te, per esserti vicina, allora che razza di migliore amica è?”
“Non è così semplice. Ultimamente è poco presente anche a Cardiff, sta girando l'Europa e seguendo diversi progetti importanti. So perché lo fa, non ho bisogno che me lo spieghi. Mi fido di Holly anche se non condivido la sua politica. Avrebbe dovuto fare un passo indietro ma dopo tutti questi anni di fughe e ricerche, non l'avrebbe mai fatto. È  diventata Holly lontana da Huntington Beach perché non si sentiva giudicata. La verità è che né lei né io siamo mai state forti abbastanza per fregarcene dei giudizi di quei cinque.”
“Nessuno lo è, puoi stare tranquilla. Allora? È  un si?”
“Si, ci sarò.”
“Perfetto! Da domani, preparati a vivere all'interno dell'organizzazione di un matrimonio per i prossimi tre mesi!”
“Non è che quei cinque hanno deciso di andare in tour proprio ora per...”
“Esattamente. Per scaricare su di noi tutta la parte più divertente, ovvio. Scappo, devo andare da Gena e poi a pranzo con Michelle. Non dire nulla a Holly. Voleva essere Matt a invitarla.”
“Considerando che non gli risponde nemmeno al telefono...”
“Troverà un modo, non è così stupido.”
Nemmeno così intelligente, ma quel pensiero, Dakota aveva preferito tenerlo per sé. Aveva atteso che Valary uscisse dal suo appartamento, poi si era diretta in cucina per prepararsi un caffè. Matt aveva chiesto a Valary di sposarlo già da un paio di settimane, ma i preparativi del tour avevano impedito a entrambi di mettere al corrente della cosa gli amici. Non sapeva che effetto facesse, sentirsi chiedere la mano dall'uomo che ami da sempre, ma sapeva come si era sentita lei, nell'accettare l'offerta di Valary. La piccola Dakota, legata a Holly come dieci anni prima, si dibatteva e scalciava, obbligandola a uno scontro all'ultimo sangue con la frustrazione di un'amicizia a metà, rilegata a conversazioni via Skype, telefonate chilometriche e vacanze last minute per poter passare un po' di tempo insieme. Valary era stata una buona amica, mai la migliore. Nonostante Dakota non avesse nulla da recriminarle e anzi, una buona fetta di riconoscenza da concederle – specie durante il periodo del trasloco in cui le sembrava tutto in procinto di andare a farsi fottere -, non riusciva a sfanculare Holly. Chiunque altro avrebbe chiuso quella storia da un pezzo, loro, avevano continuato ad aggrapparsi l'una all'altra perdonandosi tutto. Era quella la vera amicizia, o era il restare legate a un ricordo d'infanzia per paura di restare sole? Dakota se l'era chiesto spesso, ma restava innegabile il fatto che quando c'era Holly, sembrava che il tempo non fosse mai andato avanti e lei non se ne fosse mai andata. Forse era una specie di magia, forse la voglia di entrambe di continuare a crescere insieme e restare il capo saldo nella vita dell'altra eppure, in quel momento, Dakota aveva appena accettato la proposta di Val, ma cos'altro poteva fare? Holly l'avrebbe davvero potuta accusare di averla tradita quando lei, per prima, era fuggita da Huntington Beach e aveva preferito Nick e Roxy a lei? Nick poteva anche essere una scelta logica, sotto un certo punto di vista: sapeva che per amore, spesso, sei disposto a tutto, ma Nick comprendeva nel pacchetto anche la presenza di Roxanne, una migliore amica che poteva sostituirla in qualsiasi momento. Quello, le faceva davvero paura: svegliarsi una mattina e scoprire che Holly l'aveva archiviata tra le cose vecchie, nel cassettone dei ricordi di Huntington Beach.
 
 
“Roxy?”
“Ehi Val! Come stai?”
“Ho una notizia strepitosa, ma non potrai rifiutare la mia offerta. Ti voglio come  damigella d'onore al mio matrimonio. Io e Matt ci sposiamo a luglio.”
Dall'altro capo del telefono, Roxanne si era ammutolita, per poi emettere un gridolino entusiasta di sincera felicità.
“Mi hai spiazzata, lo sai? Complimenti Val, erano anni che aspettavi questo momento e...”
“Non me ne frega nulla di ciò che è accaduto. Il tuo posto è accanto a me quel giorno. Verrai vero?”
“Non posso rifiutare.”
“So che ti chiedo un sacrificio enorme, ma ci siamo noi. Se escludiamo tuo fratello e Brian non ci saranno problemi. Basta che li ignori.”
“Facile a dirsi” aveva borbottato la mora, seduta davanti al pc intenta a colorare alcune locandine di eventi londinesi che le aveva commissionato, per conto di un amico, Ian.
“Dovreste arrivare qui almeno qualche giorno prima. Dovrai fare la prova dell'abito e sistemare ciò che non va e...”
“Perché parli al plurale?”
“Inviteremo anche Holly, ma ho lasciato che se la sbrighi Matt per mille motivi. È  la sua migliore amica, potrebbe decidere di non presentarsi e un mucchio di altre cose, tra cui il fatto che l'invito di Matt sarebbe più sincero.”
“Non cambi mai, vero?”
“Sono solo oggettiva. Se la chiamassi io non muoverebbe un muscolo da dove si trova ora.”
“Non resterà a Il Cairo sei mesi, credimi. Sta malissimo là!”
“Dove scusa?”
“È  con una spedizione di archeologi a prelevare diversi cimeli di Tutankhamon e visitarne di nuovo la piramide. Sta allestendo una mostra tematica per il British Museum (*) in questo periodo.”
“Aveva ragione Dakota quando ha detto che aveva messo la testa a posto allora” aveva replicato Valary divertita.
“Non direi proprio... fa solo seriamente il suo lavoro, e fa paura. Ma resta sempre la solita casinista. Niente guai per il tuo matrimonio, ma tieni a freno Brian e mio fratello, okay?”
“Ci penserà Matt, tranquilla. Non vedo l'ora di rivederti, lo sai? Mi manchi.”
“Anche tu, ma tra qualche mese sarò lì.”
“Ma non resterai...”
“No, per ora è ancora troppo presto.”
 
“E bravo Sanders! Quindi alla prima tappa di tour vomiteremo l'anima per festeggiare come si deve!” aveva esordito Jimmy dandogli una sonora pacca sulla spalla.
“Non è così semplice. Si cioè, si occuperà di tutto Val, ma dovrei invitare Holly e non mi risponde al telefono. Ho provato anche un paio di sere fa ma suona a vuoto. Sono un coglione.”
“Inviterai Holly?” gli aveva chiesto il batterista, guardandolo di sottecchi da dietro le lenti degli occhiali da vista.
“La voglio qui per il mio matrimonio. È  la mia migliore amica, Jimmy. Val vuole che sia un'ospite normale, niente testimone o damigella o cose di questo genere. Prima che tu possa aggiungere qualsiasi cosa: ho scelto di sposare Val, non voglio litigare per una cosa del genere. E comunque ci sarà anche Roxanne.”
“Ovviamente è tutto  calcolato. Loro torneranno, passeranno un fantastico matrimonio con i loro amici di sempre, e tutti vissero felici e contenti. Non ti sembra una cazzata?”
“Cioè?”
“Forse dovresti sistemare le cose, almeno con Holly. Si insomma, Roxy e Val alla fine si sentono regolarmente, ma tu e Olivia... siete al capolinea da un pezzo.”
“Non che mi abbia dato modo di metterci una pietra sopra, eh. Lascia che il telefono squilli a vuoto, e lo fa anche se la chiamo nascondendo il numero.”
“Dovevi andare là di persona, forse avrebbe funzionato.”
Jimmy gli aveva sorriso, porgendogli il proprio cellulare.
“E con questo cosa dovrei farci?”
“Pulirti il culo.... andiamo Matt, chiamarla?”
Il cantante aveva squadrato attentamente l’amico, con aria perplessa.
“Perché dovrebbe rispondermi?”
“Perché penserà sia io. Lo faccio solo perché è un'emergenza, cosa che dovrai spiegare anche a lei, perché non ho la minima intenzione di entrare nelle vostre diatribe da sedicenni. Ah, e dovrai giurarmi che non dirai nulla a Zacky, intesi?”
“Tu... sentivi Holly?” gli aveva chiesto lui allibito. Si sentiva abbastanza stupido per non averci pensato prima, per non aver mai chiesto a Jimmy un aiuto per contattare Holly, ma era stato decisamente bravo a non lasciarsi sfuggire alcunché in merito. Olivia e Roxanne, nei mesi, erano diventati un tabù per lui, Brian e Zacky: parlare di loro significava troppo spesso finire a litigare e incolparsi a vicenda, e non erano mai cose che passavano con una sana dormita.
“Chiamala, dai.”
Matt si era dato una scrollata alle spalle, come a voler scacciare lontano i pensieri di un'amicizia di cui non sapeva nulla, di un rapporto che aveva continuato a crescere là dove il suo si era bruscamente interrotto. Jimmy l'aveva soppiantato?
Uno, due, tre squilli, poi dall'altra parte aveva sentito l'inconfondibile risata di Holly ad accoglierlo.
“Ehi Jimmy! Indovina dove sono? Non ci crederesti mai! Sono su un cammello nel deserto, di ritorno dalla piramide di Tutankhamon! Se fosse davvero maledetta a quest'ora saremmo già tutti morti!”
“Ehi, sei in forma” era riuscito a risponderle a fatica Matt, ingoiando qualcosa che gli sembrava un rospo grande come un orso, immaginandosela allontanarsi dall'orecchio il cellulare per essere certa di non aver sbagliato a rispondere.
“Matt?” gli aveva chiesto stupita.
“Non sapevo come contattarti, scusami. Non riagganciare, però, per favore.”
“Jimmy lo sa?” aveva esalato lei sospirando, come se fosse rassegnata all’idea che, prima o poi, una cosa del genere sarebbe accaduta.
“Mi ha dato lui il suo telefono. Devo dirti una cosa importante. Io e Val ci sposiamo a luglio, vogliamo tu sia presente.”
Dall'altra parte un lungo silenzio, poi Holly aveva ripreso la parola.
“Finalmente ti sei deciso! Ti ci sono voluti altri due anni per renderti conto di cosa sia Val per te? Sei più ottuso di quanto pensassi.”
“Voglio che tu ci sia, lì dove sei sempre stata. Avrei voluto che fossi la mia testimone di nozze ma non sarebbe stato giusto nei confronti di Val e nei nostri, dopo quello che è successo e...”
“Certo, tranquillo Matt. Grazie per aver deciso di invitarmi ugualmente, non deve essere stato facile con... si, insomma, grazie. Posso pensarci? Tra un paio di giorni rientro a Cardiff, controllo di non avere impegni di lavoro e ti faccio sapere. Non hai cambiato numero, no?”
“No, ovvio. Tutto bene lì?”
“A parte che sto mangiando solo datteri direi di si. Ti racconterò tutto prima o poi. Dai un abbraccio a Jimmy, ci sentiamo al mio rientro o rischiate di spendere una follia con questa telefonata.”
“Okay, buon rientro allora.”
“Grazie.”
Matt aveva fissato la chiamata interrotta da Holly, per poi lanciare un'occhiata a Jimmy.
“Allora?”
“Ci deve pensare. Ora è in Egitto. Cos'ho sbagliato?” gli aveva chiesto poi, notando l'aria scettica dell'amico.
“Il discorso del ruolo importante. Lei è la tua migliore amica ma finirà al tavolo con i Berry e i Madden. Non ti sembra un paradosso e una grande presa per il culo?”
“Non dirai che...”
“Se accetta, ricordati che per lei è un sacrificio enorme.”
“Non verrà mai contro la propria volontà.”
“Per te? Passerebbe sopra qualsiasi cosa, come ha fatto altre decine di volte, tra regali di compleanno dimenticati e cose di questo genere. Tu e Zacky avete sempre avuto una corsia preferenziale con lei, e ve la siete anche giocata.”
“Non ci ha mai risparmiato nulla. Ogni volta l’hai rimarcato senza troppi giri di parole.”
“L'amicizia vera è proprio così: ti sbatte davanti la verità, sempre e comunque.”
“Pensi che accetterà?”
“Credo non abbia molta scelta.”
Matt non si era sentito stronzo, solo egoista, ma se anche Holly fosse tornata solo per una questione formale ci sarebbe stato poi il tempo per chiarirsi e recuperare un po' del tempo perduto, magari. Voleva chiederle di accompagnarlo a provare il vestito e sperava si presentasse l’occasione giusta per chiederglielo. Desiderava un po' di tempo da passare solo con lei, ecco tutto. Da quando gli era stata preclusa l'esclusività della loro amicizia?
Indubbiamente dall'arrivo di Zacky ma non vi aveva mai dato troppo peso perché Holly era sempre stata brava a farli sentire entrambi unici e speciali.
 
 
Cardiff, 2009
 
 
Roxanne aveva accettato l’appuntamento di Olivia consapevole di ciò a cui andava incontro. Holly, dopo ogni rientro a casa da qualche “missione” – come le piaceva definirle, dandosi un tono da eroina -, era un tornado. Parlava senza degnare di attenzione il prossimo, raccontava aneddoti sulla squadra con cui aveva lavorato, ricostruiva interi periodi storici infarcendoli di particolari assurdi o condividendo le ultime scoperte. Al prossimo, in genere, la cosa importava relativamente. Nick la ascoltava sorridendo, un po’ come si può fare con i matti; Roxy cercava di schivare la prima serata a Cardiff in compagnia dell’amica, cercando di vederla quando l’entusiasmo fosse scemato un poco entro le successive quarantotto ore. Non si sentiva insensibile, si sentiva quanto mai giusta nei propri confronti, nell’evitare di farsi scaricare addosso la quantità di gioia di Holly. In qualche modo, Olivia aveva tentato di andare avanti, cercando di non lasciarsi schiacciare dal senso di colpa. Il nome di Zacky, o quello di Matt o di Brian, comparivano nelle loro conversazioni sempre e comunque: non potevano fare a meno di ricordarli, ma cercavano di non soffermarsi troppo sul dettaglio del dolore, costringendosi a proseguire oltre, come quando parlavano di Jimmy o Dakota. In quell’occasione particolare, però, il messaggio di Holly era stato chiaro: dovevano parlare di Huntington Beach, dunque Matt era riuscito a chiamarla, in qualche modo. Di certo, il perno della conversazione di quella sera non sarebbero state le scoperte fatte a Il Cairo e quanto fosse realmente alto il faraone Tutankhamon, dettaglio che Roxy avrebbe tranquillamente ignorato per il resto della sua vita, bensì il matrimonio di Matt e Val.
Holly era arrivata con almeno quindici minuti di ritardo, gli occhi stropicciati dal sonno e i capelli raccolti in una coda di cavallo asimettrica.
“Non potevi almeno pettinarti?”
“Mi sono addormentata davanti alla tv, scusa.”
“Potevi farti la coda di cavallo dritta almeno?” l’aveva punzecchiata la mora, ridendo.
“A me piace di lato, lo sai benissimo” aveva sbuffato la  rossa storcendo il naso nella sua tipica espressione infastidita.
“Così ti da’ l’aria da piccola peste. Bentornata.”
Holly le aveva sorriso, posandole un bacio sulla guancia e cingendole il collo con le braccia, in un gesto affettuoso da sorelle. O da amiche di vecchissima data. Forse, restare sole a Cardiff, le aveva costrette a sorreggersi e venirsi incontro, minimizzando gli scontri senza però farsi troppi scrupoli: erano due che andavano per vie dirette, che non conoscevano la diplomazia se non in rari frangenti, e questo le aveva portate spesso a lanciarsi frecciate nemmeno troppo velate.
“Ti ho portato un ricordo dall'Egitto.”
“Non è un teschio come quello che avevi portato a Zacky, vero?”
“Gli avevo portato anche il chiodo con cui era chiusa una bara medioevale. Dicono che porti fortuna, lo sai?”
“Ha apprezzato: ce l'aveva ancora a casa l'ultima volta che...”
Roxanne si era morsa il labbro inferiore, nel tentativo di fermare il flusso di memoria che la stava spingendo indietro nei ricordi e negli anni, alla ricerca dell'esatto istante in cui Zacky si era ritrovato tra le mani il regalo di compleanno che Holly, con la certezza assoluta di rendergli l'onore dell'unicità, gli aveva portato dai suoi primi anni da archeologa.
“Comunque, niente Mani di Fatima o cose del genere.”
“Cosa sarebbe?”
“Sono le mani dei morti. Le usano  per farci le Messe Nere. Troviamo un sacco di  scheletri con le mani amputate proprio per questo motivo.”
Roxy l'aveva fissata con aria disgustata, sospirando.
“Ogni giorno che passa capisco perché ami così tanto il tuo lavoro. Ma come fai?”
“A fare cosa, scusa?” le aveva chiesto la ragazza, senza capire a cosa alludesse.
“Niente, lasciamo perdere.”
“Questo è per te!” aveva rincarato Holly, estraendo dalla tasca della giacca un piccolo pacchettino avvolto in un foulard di seta.
“A cosa lo devo?”
“A nulla. L'ho visto, sembrava che ci fosse scritto su il tuo nome e l'ho comprato.”
Sono in debito di un regalo di compleanno, quindi questo consideralo un pegno per essere in pari.
Pochi istanti dopo, Roxanne stringeva tra le mani un ciondolo a forma di cuore, finemente intarsiato, di quelli al cui interno puoi mettere le fotografie.
“Cosa diavolo... ti è costata una fortuna questa meraviglia.”
“Guarda che là, nei mercatini, trovi cose stupende a prezzi ridicoli. Spero ti piaccia” le aveva risposto decisa, afferrando la tazza di cappuccino fumante tra le mani, cercando di contenere l'agitazione.
“Stupenda. È davvero bellissima. Grazie.”
“Sono felice ti piaccia. Sul serio.”
“Ma quale sarebbe il problema?” aveva chiesto Roxanne, virando la conversazione dritta al nocciolo della questione.
“Lo sai benissimo qual'è il problema.”
“Veramente no. Credo siano molteplici le scelte e non so se sia una sommatoria di tutte o soltanto una in particolare.”
“Sai di Matt e Val, vero?” le aveva chiesto la rossa, timorosa di attivare una serie di pericolose dinamiche che le avrebbero portate a soffrire. Di nuovo.
“Mi ha chiamata Val. Sarò una delle sue damigelle d'onore.”
Ad Olivia, per poco, la tazza non era scivolata dalle mani: il suo cuore, comunque, era scivolato dritto in fondo allo stomaco e non aveva alcuna intenzione di risalire. Doveva aspettarselo, dopotutto.
“Che ti prende? Sembra ti abbia dato una notizia da funerale. È  un matrimonio Holly, dovresti...”
“Dovrei tornare ad Huntington Beach?”
Roxanne l'aveva guardata sorpresa, tenendo sollevata a mezz'aria la propria tazza di caffè, cercando di comprendere il motivo per cui Holly, in quel momento, pareva sull'orlo delle lacrime.
“Non piangerai perché Matt e Val si sposano, vero? È una vita che stanno insieme non puoi credere che non accada una cosa del tutto naturale come questa.”
“E se non torno?”
Non c'è più posto per me, là.
“Te ne pentirai per tutta la vita e lo sai benissimo senza che te lo dica io. Davvero stai pensando di non venire?”
“Non sarà troppo difficile per me?”
“Olivia Bridges che ha paura?”
“Non ho paura, è solo che... non lo so come mi sento. In ogni caso, non mi aspetta nessun posto d'onore.”
“Che cosa vorresti dire?” le aveva chiesto l’amica, senza capire il significato immediato di quelle parole cariche di un dolore, il quadro perfetto delle sue paure fattesi reali.
“Io non ci sarò al fianco di Matt. Sono solo un'invitata tra tanti.”
Roxanne, in un istante, aveva compreso tutta l'amarezza che leggeva sul volto di Holly da quando era arrivata.
“Non è quello che fa la differenza. Ti vuole ad Huntington Beach, cosa te ne fai dell'ufficialità di una cerimonia?”
“Già. E dovrò ingoiare un sacco di rospi.”
“Siamo in due, ma ci saranno anche Jimmy, Johnny e Dakota ad aiutarci. Pensi che Dakota possa lasciarti da sola in un momento del genere? Sei sicura di sentirti bene? Non è da te una reazione del genere.”
“Dici che dovremmo andare allora?”
“La scelta spetta a te, ma rinunceresti davvero alle nozze del tuo migliore amico a causa del rancore? Passiamoci sopra. Per Val e Matt. Poteva non chiamarti e tu rifiutare la telefonata come hai sempre fatto e...”
“Aveva il telefono di Jimmy” l'aveva interrotta Holly con aria assorta.
“Significa che Matt lo desidera davvero o non avrebbe tentato di rintracciarti in ogni modo per dirtelo personalmente. Pensa a Val: al suo posto ti vorresti lì, in mezzo ai suoi amici di  sempre?”
“Roxy, per favore...”
Holly si era stretta nelle spalle, senza aggiungere altro. Parlare con Roxanne di Matt era sempre stato impossibile. Per la sorella di Zacky quella era solo una cotta sbagliata che aveva messo in costante apprensione Val per anni, e ancora vedeva il rapporto tra lei e Matt come qualcosa di morboso. Come se tutti quanti loro, poi, conoscessero un modo differente di vivere i legami affettivi.
“Okay, non vuoi sentirti dire di aver sbagliato.”
“Cazzo Roxy! Matt era il mio migliore amico: cosa dovevo fare? Smettere di frequentarlo di punto in bianco? Me ne sono dovuta andare a New York per allentare il rapporto e lasciare un po' di pace a tutti quanti e tu mi  vieni a dire che io ho sbagliato? Anche tu sei scappata da Huntington Beach quando Brian si è comportato da stronzo. Vedi alternative quando sei con le spalle al muro e ti schiacciano il cuore? Io no sinceramente.”
“Quando tornavi erano tutti per te. È  stato persino peggio così sotto un certo punto di vista, se ci rifletti. In ogni caso, nessuno ti ha obbligata a partire, è stata una tua scelta.”
Holly aveva aperto la bocca come per voler ribattere, poi aveva scosso il capo sorridendo, di un sorriso amaro e rassegnato: non si sarebbero mai trovate dalla stessa parte su una sola cosa che riguardava il loro passato. Sotto un certo punto di vista era logico fosse così, dall'altro era chiaro che erano ancora troppo immature per dare un giudizio oggettivo su scelte che non avrebbero più potuto cambiare, a distanza di anni.
“Ci pensi mai a cosa sarebbe accaduto se non fossi scappata da Huntington Beach quando Brian ti ha lasciata?”
Roxanne era stata colta alla sprovvista, ma Holly non le aveva dato il tempo di ribattere o rabbuiarsi: stava parlando più a sé stessa che all'amica.
“Si, insomma, se fossi rimasta magari vi sareste rimessi insieme. Io ci penso, a tutte le strade possibili che avremmo potuto intraprendere, e arrivo sempre alla conclusione che non ce l'avrei mai fatta restando ad Huntington Beach. Era destino che andasse così.”
“E che ci trovassimo dopo anni di disinteresse reciproco?”
“A volte un organismo monocellulare come la sottoscritta può rivelare piacevoli sorprese” le aveva risposto divertita Holly.
“Dunque si torna a casa? Dovrò chiedere ai miei genitori di ospitarmi, ma ho paura che Zacky...”
“Possiamo dormire da me. Sai benissimo in che condizioni si trovi casa mia ma per il periodo in cui restiamo sarà sufficiente e in qualche modo ci arrangeremo.”
“Non avevi chiesto a tuo padre di vendere la casa di tua nonna?”
“Si ma non l'ha fatto. Sostiene che è pur sempre un investimento, e che comunque prima o poi mi passerà lo scazzo e tornerò ad Huntington Beach. Non voglio restare da sola, Roxy.”
“Sei una fifona.”
“In due le cose sono più semplici.”
 
 
Dell'amicizia con Dakota, quella con Roxanne non aveva nulla a che vedere. Roxanne non la spalleggiava per partito preso, non le risparmiava alcunché e quando doveva colpire, mirava sempre a dove faceva più male. Altro punto in comune con Zacky, quello. Tra le due, in genere era Holly a lasciar cadere i discorsi: la infastidiva il modo in cui Roxanne l'accusava, come se fosse sempre e soltanto lei la causa dei propri problemi. Di certo era consapevole che la lontananza da Huntington Beach si stava facendo sentire in modo pesante, quasi fisico. Si trovava a fare sogni talmente realistici che, la mattina, si svegliava con le lacrime agli occhi. Le pareva di avvertire il profumo salmastro dell'oceano per poi fare i conti con la sabbia rossa di Cardiff, gelida a contatto con i piedi nudi in qualsiasi mese dell'anno. Per non pensare si era gettata a capofitto nel lavoro, in quel sogno in cui aveva creduto per anni e a cui si era dedicata mancando della devozione totale che avrebbe dovuto concedergli,  perché la sera c'era il pub e un pezzetto di California a tenerle compagnia. Con il litigio furioso con Zacky e Matt, Holly aveva preso coscienza che l'allontanamento da Huntington Beach era sempre stato temporaneo, una fase transitoria proprio come la era stata New York. Era come se nessun posto al mondo potesse calzarle perfettamente addosso, come se quel cuore, abbandonato tanti anni prima, continuasse a reclamare la propria padrona con una nenia ipnotica simile al canto di una sirena. A Cardiff si sentiva a casa e aveva scoperto la vera sé stessa, ma non era casa sua: ne era consapevole e tutto era peggiorato dopo il ritorno da Zanzibar. A Cardiff si annoiava, riusciva a passare in città periodi nemmeno troppo lunghi, sempre pronta a viaggiare anche solo per spostarsi a Pontypridd e cambiare aria. Con la certezza di essere solo un’affittuaria e di non poter tornare nel luogo dove era cresciuta, Holly si sentiva braccata dalla vita e dalle responsabilità. Lanciarsi nel lavoro, accettare nuovi incarichi e scoprire le proprie capacità, l'aiutava a dimenticare dove avesse lasciato cuore e anima. Nick aveva passato un breve periodo a New York, poi era tornato a Cardiff e, spesso, seguiva Holly nei suoi viaggi di lavoro. Lei, di rimando, l'aveva seguito nel tour europeo degli Strokes, scoprendo che la convivenza forzata con Julian era un ottimo scacciapensieri, al punto tale che riusciva ad addormentarsi sfinita dalle risate. Holly, a volte, avvertiva il bisogno di stare sola, lontana da chiunque la conoscesse a fondo, per fare i conti con la propria coscienza. Si sentiva meschina e a volte l'impulso di chiamare Zacky e urlargli contro quanto erano idioti, tutti quanti compresa lei, la schiacciava. Sapeva di correre lungo la linea di quell'errore proprio come tutti gli altri, come se binari paralleli li stessero portando nella medesima direzione, rendendo loro impossibile ogni via di comunicazione. Come poteva fare il primo passo, quando dall'altro lato si aspettava un deciso vaffanculo? Meglio vivere nel dubbio e nel rimorso, in quel caso, piuttosto che sentirsi urlare in faccia che faceva proprio schifo come amica e che, anzi, di lei non aveva bisogno nessuno. Matt, in un certo senso, gliel'aveva fatto comprendere, ma con lui era una cosa che sapeva da tempo. Su Zacky, invece, aveva sempre nutrito la convinzione che nessun amore – nemmeno quello grande come l'universo intero – avrebbe potuto sostituirli nella vita dell'altro. Se l'erano anche promessi al MoMa eppure, in quel momento, anche quel giuramento le pareva solo l'ennesima bugia, o l'ennesima illusione nella quale si erano rifugiati per non affrontare la realtà dei fatti: si stavano dicendo addio. Nessuno è immune allo scorrere del tempo e ai mutamenti che la vita compie su ognuno di noi e loro non facevano eccezione. Avevano sempre creduto di poter spaccare il mondo, invece, il mondo lentamente li aveva separati. Nick, dei periodi di silenzio di Holly, aveva paura. Erano poche ore nell'arco di un mese, ma persa nel suo mondo, distante anni luce da lui e impenetrabile, riusciva a spiazzarlo. Era nostalgia di casa, l'aver perduto le proprie radici e non avere nemmeno più la consapevolezza di sé. Quando le dinamiche su cui aveva basato un'intera esistenza erano andate a farsi fottere, si era chiesta se non fosse lei, a essere il problema principale della sua esistenza. Continuava a combattere per farsi accettare, ma perché? Avrebbero dovuto volerle bene per ciò che era, non per come si sforzava di sopportarli, aiutarli e sostenerli. Quando aveva provato a far capire a Zacky una cosa del genere, erano sempre riusciti a prendersi a male parole. Ce la faremo anche questa volta. Niente colpi di testa, niente pensieri negativi: è il matrimonio di Matt e voglio che sia perfetto. E quando si leveranno di torno per qualche tour, potrò finalmente riabbracciare Dakota come si deve.
Avrebbe desiderato abbracciare allo stesso modo Zacky e Matt – e persino quell'idiota di Brian che, da quello che ricordava, aveva sempre tenuto a debita distanza sia per rispetto nei confronti di Roxy, sia perché non erano mai sulla medesima frequenza d'onda. Oltre tutto, lei risultava solo la mocciosa, dunque perché preoccuparsi di Brian? - ma era meglio non pensarci: nessuno di loro sarebbe tornato sui propri passi, nessuno avrebbe ceduto alle scuse per primo, dunque sarebbero rimasti in quella fase di stallo per tutto il resto della loro esistenza. Quando aveva sedici anni non pensava certo che, dieci anni dopo, le persone più importanti della sua vita se ne sarebbero andate così, per una cosa tanto stupida come la gelosia. Per una cosa tanto idiota come l'orgoglio.
 
 
Roxanne aveva dovuto gettarsi sotto la doccia per rendersi conto di quello che le attendeva al loro ritorno ad Huntington Beach, realizzando la cosa solo quando aveva tra le mani le prenotazioni del volo per Los Angeles, nemmeno ventiquattr'ore dopo l'incontro con Holly.
“Bell'amica, davvero! Non mi hai lasciato nemmeno una notte per pensarci?” l'aveva rimproverata la rossa, sbottando al telefono non appena Roxy, con l'aria più innocente del mondo, l'aveva avvertita di aver già predisposto ogni cosa.
“A che ti serve pensarci? A farti mille problemi inutili. Avverti Matt che ci sarai, piuttosto.”
“Devo?”
“Ma che razza di domande fai?”
“Si si, okay. Senti Roxy... ma come ci si veste per un matrimonio? All'ultimo a cui sono andata credo di aver avuto sei o sette anni, non di più.”
“Ricevuto signorina Bridges. Sarò la sua Fata Madrina” le aveva risposto Roxanne incoraggiante, mentre dall'altro capo del telefono era giunto solo un lungo sospiro di rassegnazione.
“Non imparerò mai a tacere.”
Roxanne, con indosso solo l'accappatoio ancora umido e i capelli avvolti in una lunga salvietta, si osservava allo specchio cercando i cambiamenti che l'ultimo anno poteva aver lasciato sul suo volto ma era la stessa di sempre.
Avrebbe trovato cambiato Zacky? Si sarebbero rivolti la parola? A Brian non voleva nemmeno pensare e già ipotizzare un riavvicinamento con suo fratello era un sogno a occhi aperti. Nessuno di loro sarebbe retrocesso di un solo passo, dunque l'unica cosa che avrebbero potuto fare sarebbe stata ignorarsi. Roxy invidiava la libertà che, inconsapevolmente, Matt aveva lasciato a Holly: senza obblighi da cerimonia avrebbe potuto evitare fotografie, incontri comuni e restarsene con Jason, magari. Okay, Holly odiava i gemelli con tutte le proprie forze, ma c'era da dire che sapevano come divertirsi in ogni occasione. A lei sarebbe invece stata imposta la presenza di Michelle e sarebbe stata investita della felicità di Val. Non che fosse invidiosa, ma c'era una parte di lei che gridava che quel futuro le poteva essere riservato, se le cose non fossero andate a rotoli con il passare del tempo. Be', le cose nella vita non vanno mai come vorremmo, dopotutto. Non avrebbe mai creduto possibile quel genere di pensiero, eppure, si rendeva conto che il suo punto di forza sarebbero stati Jimmy – ovviamente – e la piccola Olivia, dispersa tra decine d'altri invitati senza però passare inosservata con quella lunga chioma rosso fuoco. Si mise a sedere sul letto, stringendo tra le mani il cellulare, indecisa se contattare suo fratello per avvertirlo del loro ritorno.
“Ci penserà Val” si disse, spostando l'attenzione sui propri capelli, spazzolandoli con forza nel tentativo di domare le onde ribelli. Sarebbero state perfette: per l'ultima volta, avrebbero ricordato loro cosa avevano perso.
Dobbiamo essere in forma. Niente musi lunghi, okay?
 
 
Huntington Beach, 2009
 
 
“Verrà sul serio” era stato il commento incredulo di Matt, mentre osservava il display del proprio cellulare con aria sbigottita, disteso sul divano del salotto, la musica di Halo in sottofondo.
Il messaggio di Holly, infatti, recitava un semplice “ci sarò”, che per Matt aveva significato più di mille parole. Sarebbe tornata per lui, per sorreggerlo ed esserci nel momento più importante della sua vita. Be', forse uno dei tanti: durante i successi della band, di momenti di totale felicità ne avevano avuti altri dopotutto. Non ci aveva nemmeno sperato, che Olivia decidesse di tornare: al telefono era stata distaccata, quasi scazzata all'idea non fosse Jimmy all'altro capo del telefono, per cui aveva dato per scontato di ricevere un perfetto due di picche e un sonoro vaffanculo. Ogni tanto si era chiesto quanto di idiota ci fosse stato nel suo comportamento, negli anni, e quanto da poter essere giustificato. Si era approfittato dell'affetto – e anche della cotta – di Holly per poterla avere accanto e poter stare con Valary senza problemi. Se qualcosa faceva soffrire Val, bastava privare di quella cosa Holly per pareggiare i conti. Olivia non gli aveva mai rinfacciato nulla, aveva accolto ogni mancanza con il rispetto che si deve a chi, nella vita, cambia l'ordine delle proprie priorità. L'aveva fatta soffrire? Avrebbe dovuto chiederlo a Jimmy, un giorno, solo per poter chiedere perdono a Holly con una motivazione valida. Zacky, di certo, non sapeva nulla: l'unico ad aver visto la piccola Olivia – quella più autentica – era stato Jimmy. Brian aveva sempre visto ma se n'era fregato, almeno in sua presenza. Non voleva intromettersi e aveva sempre altro a cui pensare, Roxy su tutto. Lasciarla era stato il suo errore più grande e benché Matt fosse affezionato a Michelle, non avrebbe mai mentito sostenendo che fosse la donna adatta a Brian.
“Ehi, cos'è quel sorriso? Un piccolo uccellino mi ha fatto sapere che qualcuno di importante sarà qui a luglio, è passato anche da te?”
Non aveva nemmeno sentito rientrare Valary, con le borse della spesa tra le mani, raggiante e allegra.
“A quanto pare l'ascia di guerra è stata sotterrata.”
“So che non dovrei dirlo, ma sei stato coraggioso e molto saggio, Sanders. Non è da tutti retrocedere dalla propria posizione. E anche la signorina Bridges ha dimostrato qualcosa di molto importante” gli aveva risposto lei, sedendosi sulle sue ginocchia e cingendogli il collo con le braccia, sfiorandogli il naso con la punta del proprio.
“Non era la tua acerrima nemica?”
“Sposerai me, ho vinto la mia piccola guerra, mentre tu hai bisogno di qualcuno che ti dica che andrà tutto bene. Qualcuno che non sia Jimmy o quello scemo di Zacky da ubriaco.”
“Hai paura che scappi prima del si?” gli aveva risposto il ragazzo, accompagnando la frase con una risata divertita.
“No, non voglio che tu abbia rimpianti. Non avere Holly sarebbe un duro colpo e non saresti davvero felice. Ti mancherebbe qualcosa perché quel giorno sia perfetto e non voglio che accada.”
Le aveva posato un bacio sulle labbra, mentre lei gli arruffava i capelli troppo lunghi.
“Li taglierai prima del matrimonio, vero?”
“Per te farei qualsiasi cosa.”
“Lo so, ma è sempre bello sentirtelo dire.”
Valary non era una stupida né una di quelle persone che, per amore, avrebbero lasciato correre qualsiasi mancanza di rispetto solo per sottomissione. Per quel motivo aveva sempre temuto Holly: arrivava dove lei non riusciva a spingersi, in quella parte di Matt in cui solo un altro uomo sarebbe potuto entrare. O la piccola Olivia, appunto, che non riusciva mai a mostrarsi per ciò che era. Allontanarsi da Huntington Beach le aveva  offerto il pretesto per sbocciare, per mostrare al mondo ciò che Valary aveva intravisto da quando l'aveva conosciuta. A sedici anni sei solo una ragazzina incastrata in un corpo che odi e prigioniera di pensieri scomodi; a venti, sei una donna ancora acerba, ma che tutti possono già ammirare. Val, quando l'aveva sentita cantare per la prima volta, aveva avvertito i muscoli di Matt, accanto a lei, tendersi, come se il suo istinto fosse quello di prelevarla da quel palcoscenico e portarsela via, per tenerla solo per sé. Il suo era un modo per proteggerla, non la possessività morbosa di Zacky che pretendeva un'esclusiva assoluta e totale. Matt, in modo molto stupido, si era accorto che Holly poteva camminare da sola, senza la presa forte della sua mano a guidarla, trascinandosela sempre appresso e trasformandola in una piccola copia di loro cinque. Un po', la colpa, era stata proprio del senso di protezione di Matt, se Holly era stata costretta a fuggire per ritrovarsi ma quello era un pensiero che Val aveva condiviso solo con Roxy, poco dopo la partenza di Holly per New York, in una serata in cui lei e Matt avevano discusso in modo acceso. In quel periodo era intrattabile a causa del distacco dalla ragazza, e Val non perdeva occasione per sottolineare la cosa, rendendo la situazione insostenibile. Aveva ventidue anni, errori era normale farne. Ma a ventotto potevano ancora permettersi di farne di così madornali da precludersi per sempre la propria fetta di felicità?
 
 
“Tu e tu” aveva esordito Val puntando il dito contro Zacky e Brian mentre Johnny e Jimmy avevano deciso di emettere un boato di sottofondo a sottolineare il momento in cui la ramanzina DiBenedetto era in arrivo “non rovinerete il mio matrimonio.”
Brian aveva lanciato un'occhiata d'intesa all'amico, come se l'accusa di Val fosse un'illazione del tutto gratuita.
“Dove sarebbe il problema? Cioè, gli scherzi dovrete aspettarveli per forza, ma la colpa la dividiamo con i due bastardi lì dietro e i gemelli” aveva tentato di discolparsi Zacky senza capire da dove arrivasse l'aria da serial killer della ragazza.
“Non ve l'ha detto?”
“Chi?”
“Cosa?” era stata l'eco di Zacky alla domanda di Brian.
“Ci saranno anche Roxy e Holly, dunque, giuro su Matt e sulla vostra fottuta band che se sento volare nell'aria anche solo una stoccata, passerete le pene dell'inferno. Sono stata abbastanza chiara?”
“Voi... lo sapevate?” aveva esalato Zacky in direzione degli altri bandmate. Matt, saggiamente, si era dileguato con la scusa di recuperare qualche birra dalla dispensa lasciando alla ragazza il compito di avvertire del proprio destino gli amici, e ancora non ne era riemerso.
“C'ero quando Matt ha contattato Holly” era stata la vaga risposta di Jimmy che, con aria noncurante, si stava accarezzando il mento in un chiaro gesto di presa per il culo ai danni dei due chitarristi.
“E tu, nano?”gli aveva chiesto Brian accendendosi una Marlboro per cercare un briciolo di calma dopo l'attentato che – i futuri coniugi Sanders – avevano perpetrato ai loro danni.
“Qui non si fuma, Haner!” e, accompagnando quelle parole, Valary gli aveva strappato la sigaretta dalle labbra, spegnendola.
“Vaffanculo Val!”
“In casa mia detto le mie regole, così come le detto al mio matrimonio. Chiaro?”
“Mai contraddire una sposa. Potreste ritrovarvi morti prima della cerimonia.”
“Mi servono vivi, Johnny. Ho bisogno di quattro testimoni per Matt e delle mie quattro damigelle” e con quelle parole, il messaggio era stato chiaro: sarebbe bastato un passo falso, per ritrovarli assassinati nel modo più truculento possibile da una psicopatica che aveva visto il proprio matrimonio prendere una piega differente da quella che si era prefissata. 
“Dopo questa felice notizia, qualcos'altro che non ci hai detto?” aveva chiesto il secondo chitarrista, puntando lo sguardo sulla ragazza.
“No, direi che vi ho detto tutto. Dovresti ringraziarmi: il gallese e il prode Romeo non sono contemplati nel pacchetto di ritorno a casa.”
Zacky aveva sollevato lo sguardo su Valary, in un misto di ringraziamento e fastidio al contempo per essere stato – tanto platealmente – scoperto, ma a lei poteva perdonare un po' tutto: senza il suo aiuto, e quello di sua sorella, gli Avenged Sevenfold non sarebbero mai nati.
 
 
Cardiff, 2009
 
 
Ian osservava Roxanne preparare la valigia in preda a un misto di eccitazione e paura. La nascondeva bene, ma non poteva celarla realmente agli occhi di chi, negli ultimi anni, aveva vissuto al suo fianco ogni singolo giorno.
“Sicure di voler partire? Holly ieri notte non ha chiuso occhio.”
“Non sono Olivia, io ho dormito benissimo” gli aveva chiesto lei, scoccandogli un’occhiata divertita, per poi farsi seria.
“Cosa c’è che non va, Ian? Hai il muso lungo da cucciolo abbandonato… non vuoi farmi sentire in colpa, vero?”
La domanda era rivolta più a sé stessa che al ragazzo, ma preferiva mettere le cose in chiaro piuttosto che ritrovarsi con una discussione da affrontare al suo rientro. Si era quindi seduta accanto a lui, sospendendo i preparativi per la partenza, stringendogli la mano nella propria.
“È il matrimonio di Val e Matt e…”
“… e sarete sole contro quegli idioti.”
“Ci sarà Jimmy e spero abbiano la decenza di evitare di rovinare la festa a tutti. Non sono così stupidi da rischiare di mandare all’aria il matrimonio del loro migliore amico, almeno di questo dovresti essere convinto.”
“Solo perché si muovono in branco come i lupi ho la certezza che staranno al loro posto” aveva borbottato lui, contrito.
“Volevo esserci anch’io, potevo almeno tenerli d’occhio” aveva ripreso senza staccare lo sguardo da quello della ragazza.
“E scatenare l’Apocalisse? Val vi avrebbe uccisi uno ad uno, torturandovi con sadismo, e avrebbe avuto ragione. Conosci la situazione: è meglio così per tutti quanti. E poi…” si era interrotta, ma ormai era tardi: Ian attendeva il seguito della frase, che sapeva sarebbe andata a colpire basso.
“E poi?”
“… e poi è una cosa di famiglia” aveva esalato lei, quasi incredula che quel pensiero le si fosse formato sulla punta della lingua pronto per uscire, senza esitazione. Nonostante tutto il dolore, il senso di vuoto e la desolazione con cui lanciava occhiate furtive al cellulare muto, Roxanne si era improvvisamente resa conto di quanto, il ritorno ad Huntington Beach, fosse un dono atteso come pochi altri nella propria vita. Desiderava rivedere suo fratello, anche solo per assicurarsi di persona che stesse bene, che fosse tutto okay e che fosse felice lì, attento a inseguire la sua folle vita. Voleva riabbracciare Jimmy e sussurrargli che era il migliore amico del mondo. Il suo migliore amico. Jimmy era la persona a cui aveva confidato ogni singola paura, ogni più piccolo timore e che l’aveva costretta ad accettarsi per ciò che era: era il suo migliore amico, suo soltanto. E di Brian, ovviamente, ma con lui poteva anche sopportarne la condivisione. D’altra parte, se non ci fosse stato Jimmy, nemmeno si sarebbero mai messi insieme, loro due.
“Che ti prende ora?” le aveva chiesto Ian vedendola sollevarsi bruscamente per tornare ai preparativi.
“Sono una pessima persona. Nonostante tutto il male che mi hanno fatto, continuo a volere bene a tutti loro.”
“L’hai detto tu: sono la vostra famiglia e lo sono per scelta, non per costrizione. Se fossero i vostri genitori nessuno vi vieterebbe di troncare ogni rapporto: vi sarebbero stati imposti e avreste tutto il diritto di sfancularli ma loro li avete scelti e avete deciso di tenerli così come sono. A ragione o sbagliando, avete continuato sulla medesima strada. Nell’ultimo anno le cose non sono migliorate, Roxy. Hai continuato a cercare tuo fratello senza nemmeno rendertene conto.”
E Brian. Anche lui, di certo, ma Watkins non era mai stato il tipo da porsi il problema di avere un potenziale rivale perché quello era il ruolo che spettava a lui di diritto: in ogni situazione era quello che si attirava l’attenzione di tutti i presenti, a prescindere fosse per ammirazione o puro odio.
“Sto facendo la cosa giusta?” gli aveva chiesto lei, un paio di scarpe con il tacco alto stretto tra le mani e l’aria incerta. Roxy aveva trascinato Olivia nelle proprie scelte, senza troppa difficoltà, ma nessuno le aveva detto che stavano facendo la cosa giusta. Si era sentita in diritto di scegliere per entrambe, per non vivere con un rimpianto troppo pesante sulle spalle, ma aveva bisogno che qualcuno le dicesse che non c’erano errori in quello che aveva ritenuto giusto per sé stessa e, di conseguenza, per Holly.
“Si. Se non torni come fai a sapere che effetto fa rimettere piede in quella torrida California in piena estate? E poi hai bisogno di vedere quell’idiota di tuo fratello, ormai inizi a chiamarlo persino nel sonno.”
“Non è vero!”
“Non lo puoi sapere, tu dormi” le aveva risposto lui, sorridendole.
“Niente problemi inutili: sii serena. Sei là per Valary, per la tua migliore amica. Il resto del mondo potrebbe anche farsi fottere, volendo” aveva proseguito lui con incoraggiandola.
Roxy aveva gettato le scarpe nella borsa, buttandosi poi addosso a Ian, facendolo ricadere all’indietro sul letto.
“Adoro quando mi ricordi che sono fantastico.”
“Non te l’ho detto, Mr. Watkins.”
“L’hai pensato, te lo leggo in faccia.”
Il sorriso di Roxanne, per Ian, era la ricompensa di ogni viaggio, di ogni corsa in auto, di ogni volo aereo e di ogni malumore. Era l’energia necessaria per raddrizzare una giornata storta; la forza di spronarlo a continuare a credere nei suoi sogni senza abbandonarli – lei, che i sogni realizzati li aveva osservati nascere nelle mani degli altri, ma non nelle proprie -; la parte di sé che gli era necessaria per sentirsi un uomo migliore. Un po’ meno perdente, se paragonato a tutto il successo che investiva i suoi nemici – e amici – lasciando la sua band sempre al secondo posto. Roxanne tamponava le sue ferite con baci delicati e carezze leggere, a piedi nudi – per non fare rumore – era entrata nella sua vita per prendere il posto che spetta di diritto alla linfa vitale, alla benzina necessaria per alimentare il fuoco che hai dentro. Ciò che l’avrebbe sempre spronato a puntare alla vetta era la certezza di avere Roxy al proprio fianco.
 
 
“Okay okay, ho preso tutto. Pigiama, dentifricio, spazzolino, I-Pod, la relazione da presentare in università al mio rientro e…”
“L’abito per la cerimonia?” le aveva chiesto Nick mentre tentava – alla meno peggio – di condire un piatto di insalata. Da quando erano ritornati dall’India, un paio di mesi prima, Olivia era ossessionata dal cibo salutare, dal karma e dalla reincarnazione. Portarla in un tempio buddista popolato di scimmie adorate come divinità – stronze al punto che ti fottevano persino le mutande e tu potevi solo subire i loro atti di bullismo, nemmeno le leggi naturali si fossero sovvertite – non era stata una buona idea.
“Cazzo!”
“Non sei stanca? È dalle quattro di questa mattina che ti aggiri per casa come un’anima in pena.”
“Ho l’ansia. Si, insomma, si sposa Matt! Dopo dieci anni è riuscito a capire che è Val la donna della sua vita, non è da tutti metterci un decimo di vita per farlo. È un po’ come il giorno della mia laurea, è un passo importante: è diventato adulto” aveva replicato lei, ridendo.
“Non capisco se stai mascherando una fifa blu o se sei così schizzata seriamente.”
“Che razza di domande fai? Ho una fifa blu!”
“Hai appena paragonato un matrimonio alla tua laurea” aveva esalato lui sconfitto “e non è una cosa carina.”
“Perché? Sono entrambi due avvenimenti che ti segnano per sempre.”
Nick, in quel momento, aveva la certezza che Holly stesse cercando di mascherare l’agitazione con una serie di stronzate apocalittiche e lui non aveva la più pallida idea di come fermarla. Era preoccupato per quel rientro, non ne aveva fatto mistero a Roxanne, ma l’amica l’aveva rassicurato sulla loro decisione. Aveva la certezza che non sarebbe stato semplice ma più di tutto lo spaventava che le cose tornassero come prima, che bastasse un semplice ritorno per riportare nella loro vita migliori amici e vecchi amori.
“Sei convinta di quello che state facendo?”
Holly aveva stretto il labbro inferiore tra gli incisivi, l'aria incerta.
“Si, credo di si. Non che avessi molte scelte. Prima o poi ad Huntington Beach dovrò tornarci, tanto vale saltare dall'altra parte del muro, vedere com'è cambiato il mondo e tornare qui. Sono solo pochi giorni, sarà facile evitarsi.”
“Non hai intenzione di chiarire?”
“Chiarire cosa? Il motivo per cui Matt ha tentato di caricarmi a forza sull'auto e portarmi via? O quello per cui Brian ha sparato più cazzate nell'arco di dieci minuti che in ventotto anni di vita da testa di cazzo? O la cattiveria con cui Zacky ha cercato di ucciderci a parole? Okay, abbiamo sbagliato anche noi, ne sono consapevole. Perché lo so benissimo che tu pensi esattamente questo: se non ci sono arrivati loro, a fare un passo indietro, dovreste farlo voi. Ma dopo che ti sei reso stupido e patetico e ridicolo davanti a chi ti vuole bene da quando sei venuto al mondo, con che diritto puoi vantare ancora un orgoglio da esibire? Il nostro problema è proprio quello: abbiamo un orgoglio e un ego che fanno paura, tanto sono incontenibili. E se Zacky, in un anno, non ha nemmeno avuto la decenza di alzare il cellulare per sentire se sua sorella era viva, be', può anche restare a marcire dove si trova ora.”
Nick aveva ascoltato l'arringa di Holly senza battere ciglio, un soliloquio che si era ripetutamente mentalmente almeno un centinaio di volte negli ultimi tre mesi per ricordare i motivi per cui non era volata in California a Natale, per rendere onore a una promessa che, per la prima volta, era stata costretta a non rispettare. Ferita nell'orgoglio ma anche nell'anima per essere stata trattata come un oggetto, per essere stata considerata come una stupida che non sapeva scegliere il proprio destino e la persona da amare; ferita dalle persone che adorava da sempre, sopra ogni cosa. Ferita da chi avrebbe dovuto sorreggerla sempre, secondo la logica dell'amicizia di Olivia secondo cui gli amici ti lasciavano sbagliare e poi ti aiutavano a risalire dalla merda.
“Non fare casini.”
“Ne ho fatti a sufficienza, credimi” gli aveva risposto, posando la fronte al petto di Nick, mentre le accarezzava i capelli, posandovi poi un bacio.
“È solo per qualche giorno. Resisterai.”
“Se tu avessi litigato con Julian come abbiamo fatto noi... cos'avresti fatto?”
Nick l’aveva stretta a sé con più forza: non era giusto mentirle solo per egoismo e la paura di perderla, prima o poi.
“Me lo sarei andato a riprendere. Sarei andato da lui e avrei chiarito. Avremmo litigato, ci saremmo presi a pugni e sarebbe tornato tutto a posto. Non avrei lasciato macerare il rancore e la tristezza per un anno.”
Holly gli aveva cinto la vita in un abbraccio, puntellando poi il mento e il naso al petto di Nick, lo sguardo fisso nel suo.
“Siamo stati molto stupidi?”
“Un po'.”
“Lo sai vero che non cederò comunque?”
“Ne hai fatto una questione di principio, lo so benissimo.”
Baciarla e sentire che non c'era mai nulla di sbagliato nel cercarsi, nell'arrendersi l'uno all'altra, nell’equilibrio che non prevedeva sfuriate, liti e gesti plateali per ricordarle quanto era importante. Nick era riuscito a conquistarla con un mazzo di girasoli: a che serviva la pomposità di una rosa, quando potevi lasciarti conquistare dalla dolcezza dei fiori di campo?
 
 
*
 
 
“Cosa dirai a tuo fratello?” aveva chiesto Holly a Roxanne dopo aver preso posto nel sedile del lato accanto al finestrino dell'aereo: adorava vedere le nuvole così vicine da sembrare di poterle toccare.
“Non sono cose che ti riguardano” le aveva risposto l'altra senza particolari inflessioni nella voce, estraendo dalla borsa una rivista acquistata all'edicola dell'aeroporto.
“Giusto.”
Holly aveva troncato il discorso inforcando gli auricolari, con il chiaro intento di evitare discussioni. Erano entrambe tese e avevano parlato di quel ritorno così spesso, nelle ultime settimane, che di certo nulla sarebbe andato come se l'erano immaginato. Perché le cose, non vanno mai come te le aspetti. La ragazza era avvezza ai metodi di autodifesa che, in modo del tutto automatico, Roxanne adottava, per cui – pur irritandosi  - cercava di lasciar correre e troncare il discorso, decisa a non peggiorare una situazione  già di per sé complessa.
“E tu?”
“Io cosa?” le aveva chiesto Olivia, evitando di accendere la musica e spararla a tutto volume nelle orecchie.
“Cosa dirai a mio fratello?”
“Nulla, o ci scanneremmo. Non credo sia il caso di rovinare il matrimonio di Matt e Val con un litigio nel nostro stile.”
“Non ho mai capito come sia stato possibile per voi riappacificarvi sempre. Mio fratello non passa mai sopra i torti subiti. Tu eri diversa.”
“Un tempo verbale perfetto, Roxy. In ogni caso non lo so, dovresti chiederlo a lui. Io senza Zacky non riuscivo a starci, è sempre stato normale scazzarmi e dirgli tutto quello che pensavo senza badare troppo alle conseguenze. Sapevo che avremmo sempre risolto tutto. Mi sono presa per il culo da sola, insomma.”
“Come tuo solito.”
“Già. Tu non ti illudi mai?”
“Si, immagino di si. Forse più di quanto voglia.”
“A volte illudersi fa bene, ti aiuta a vivere meglio e con ottimismo. Il problema è che poi, quando tutto va a rotoli, tu prendi nei denti una legnata che ti lascia steso a terra per settimane. Fa solo più male, ecco.”
“Ti manca Matt?”
“Si, ovvio. A te non manca Jimmy?”
“Moltissimo, è il mio migliore amico.”
Roxy aveva sottolineato un'ovvietà che lasciava intravedere la possessività con cui gestiva i rapporti, come se anche quelli dovessero essere catalogati in posizioni ben definite che nessuno doveva violare. Holly, di fatto, era una scheggia impazzita, a volte fastidiosa, per come occupava spazi che Roxanne riteneva non dovessero appartenerle. Delle dinamiche con cui era nata la sua amicizia con suo fratello, o con Matt o, peggio, con Jimmy, non si era mai curata davvero, almeno sino a quando le loro vite erano state ben distinte tra loro. Ora, a distanza di anni di convivenza, compleanni e vacanze condivise e una famiglia che si era amalgamata, non esistevano più spazi individuali, solo collettivi. A volte, quelli occupati da Holly – specie con suo fratello -, erano stati davvero ingombranti.
“Sono certa che ce la faremo” aveva dichiarato la rossa, forse per convincere sé stessa più che l'amica.
“Niente colpi di testa?”
“Niente colpi di testa.”
 
 
Huntington Beach, 2009
 
 
“Dunque Johnny e Dakota sono andati a prenderle in aeroporto?” aveva chiesto Brian fingendo indifferenza.
“Si, poi staranno a casa di Holly.”
“Quella di sua nonna? Non l'ha mai messa a posto, sarà un porcile” aveva scoccato lapidario Zacky mentre riempiva di farina e acqua diversi preservativi, uno degli innumerevoli scherzi da preparare in vista dell’imminente matrimonio.
“Avevano sistemato qualcosa con Dakota, o sbaglio?” aveva chiesto Jimmy, cercando di sviare il discorso dal punto focale. Francamente, di sentire lamentele e vedere musi lunghi non ne aveva alcuna voglia. Voleva godersi il giorno più eccezionale della vita di Matt, riabbracciare Holly e potersi gustare la presenza di Roxanne in santa pace, senza fratelli invadenti e fidanzati soffocanti. In un certo senso, si, Watkins gliel’aveva portata via, ma aveva saputo aspettare per potersi ritagliare un po’ di tempo solo per loro.
“L'avevano resa ancora più invivibile, da quello che aveva detto Johnny.”
Holly, durante l'estate che avevano trascorso ad Huntington Beach, aveva proibito l'accesso a chiunque di loro all'abitazione, fatta eccezione per Dakota. Ovviamente, in un mese, non avevano rimesso in sesto molto. Al di là dell'aver ridipinto le pareti e montato qualche mobile con l’aiuto di Roxanne, Ian e Nick, le uniche due stanze che risultavano accessibili erano la camera da letto e lo studio, se si escludeva la cucina che avevano adibito a base operativa e dunque, non aveva subito modifiche.
“Mia sorella darà di matto” aveva proseguito Zacky, incurante del tentativo del batterista di cambiare argomento.
“Non le hai dato molte possibilità di scelta, sai?”
“Jimmy, non iniziamo con questa storia o…”
“Ehi, Zacky, considerando che siete voi due quelli ad avere problemi, non vedo perché dobbiamo sobbarcarci noi il dovere di sopportarvi. Detto sinceramente? Prendete su l’auto, andate a farvi un cazzo di giro e sbollitevi lo scazzo insieme. Mancano tre giorni al matrimonio di Matt e Val, quattro e mezzo al ritorno a casa di Roxy e Holly. Nemmeno sono arrivate e già mettete il muso. È un giorno speciale, evitate di fare le teste di cazzo. A volte vi riesce.”
“Io vado a farmi un giro. Tu vieni Brian?”
“No, resto qui.”
“Preparati alla confessione, Jimmy. Ci vediamo più tardi.”
Zacky aveva lasciato lo studio pochi istanti più tardi, lasciandoli soli. Jimmy aveva scoccato un’occhiata a Brian, come a volergli intimare di continuare il discorso.
“Che ti prende? Sono diversi mesi che appena si parla di Roxy hai quella faccia. E non è la solita aria malinconica da ho fatto la cazzata più grande della mia vita e bla bla bla, è parecchio diversa. Problemi con Michelle?”
“No, è che in tour ho pensato un casino.”
“In tour sei riuscito a riflettere?” l’aveva schernito l’amico.
“Vaffanculo, Jimmy. Guarda che è un casino. Questa storia di Matt e Val mi ha messo addosso un’ansia pazzesca. È come se il tempo stesse fuggendo e mi abbia fatto aprire gli occhi sul fatto che abbiamo quasi trent’anni e, forse, dovrebbe esserci altro dopo la musica.”
“E per altro intendi una famiglia tua?”
“Più o meno.”
“Non capisco quale sia il problema.”
“Il problema è che non so se voglio una famiglia con Michelle. Lei non ama i tour ma adora i party, è sempre precisa e maniacale nel sistemare casa ma non è la precisione che metteva Roxy nel ripulire lo studio o riordinare la mia camera. È un tipo di mania folle, tipo quella che aveva mia madre. Quella che hanno le donne quando non hanno un cazzo da fare insomma.”
“Magari dovresti chiederti chi vorresti fosse la madre dei tuoi marmocchi, non credi?”
“Non voglio pensare a dei figli quando nemmeno sono sposato, Jimmy.”
“È solo un modo per comprendere a chi vorresti somigliassero. A Michelle o a Roxy?”
“Chi cazzo ha parlato di lei?”
“Tu. Anche se non la nomini si capisce benissimo che il problema è lei. Da quando Val e Matt ci hanno informati del loro rientro, tu e Zacky siete riusciti a calmarvi solo perché scaricavate l’adrenalina sul palco. Da quando siamo a casa non fate altro che scalpitare. Se avete così a cuore la cosa, perché non chiedete semplicemente scusa?”
“Non è così semplice.”
“Solo perché ci sono un sacco di cose non dette. Lo sappiamo tutti quanti che Cardiff è stato solo un pretesto, stupidi noi a non avervi presi a pugni e impedirvi di partire.”
“Credi lo sappia anche Roxanne?”
“Se la conosci quanto la conosco io, non hai bisogno di risposte.”
“Sono una testa di cazzo.”
“Si, Brian. Sei una grandissima testa di cazzo.”
“Non dovresti farmi sentire meglio, anziché spalarmi altra merda sui piedi?”
“Gli amici servono anche a farti capire quando sbagli.”
“Già e tu me l’hai ripetuto così tante volte, negli ultimi quattro anni, che ormai ho perso il conto.”
 
 
*
 
 
“Stasera esci con Jimmy?” le aveva chiesto Holly mentre sistemava l’abito della cerimonia nell’armadio. Avevano scelto un vestito a tubino grigio antracite che le lasciava le spalle scoperte, la gonna aderente che le scendeva in piccole balze sino a metà coscia e una fila di bottoni-gioiello ad  adornarlo.
“Oh cazzo… ho dimenticato le scarpe con il tacco!”
“Intendi dire queste, Holly?”
La rossa aveva stornato lo sguardo sulla coppia di scarpe in raso grigio che teneva sollevate a mezz’aria l’amica, un sorriso serafico stampato in volto.
“Come…”
“Sei così stordita che le hai lasciate davanti all’ingresso di casa tua. Le ho raccolte prima che uscissimo. E se volevi fregarmi be’, ti è andata male.”
Holly aveva sospirato, accasciandosi sul letto sconfitta.
“Devo proprio vestirmi a quel modo? Non ci sono abituata, lo sai.”
“L’hai fatto un sacco di volte a Cardiff e ai party con Nick.”
“Non ho mai indossato una gonna tanto aderente. Tutto il giorno sopra quei trampoli sarà un martirio.”
“Non ti vuoi togliere la soddisfazione di essere al pari di Gena?”
“Veramente sono molto meglio” le aveva risposto Holly accompagnando la frase con una smorfia schifata.
“Hai capito cosa intendo.”
“Non ci tengo a farmi prendere in giro da tuo fratello, Roxy.”
“Sinceramente credo sarà l’ultimo dei suoi pensieri. Stasera tu non ti vedi con Dakota?”
“Dovevano preparare un sacco di cose da Val, a quel che ho capito, andrò a farmi un giro al molo o al parco.”
“Tutta sola?”
“Ogni tanto mi fa bene farmi gli affari miei.”
Roxanne non le aveva chiesto di unirsi a lei e Jimmy e, d’altra parte, Holly non si sarebbe intromessa. Conosceva il valore di un’amicizia biunivoca e non aveva intenzione di essere il terzo incomodo. Avrebbe riabbracciato Jimmy a tempo debito, così come Dakota. Nella sua testa, Olivia si era prefissata di  mostrarsi solo a sua madre e suo padre, senza farsi vedere dai ragazzi se non per il giorno del matrimonio. Non voleva ci fossero attriti, non voleva soffrire più di quanto non stesse già facendo e non aveva intenzione di dover sopportare Gena e Michelle a qualche rimpatriata tra donne. Si sarebbe vista con Dakota il giorno successivo, approfittando della prova per l’acconciatura del matrimonio per stare insieme. Non sapeva bene come affrontarla perché, in un certo senso, l’aveva tradita scegliendo Valary. Anni prima, se fosse accaduta una cosa del genere, Dakota si sarebbe rifiutata di essere la damigella di Val invece, ora, aveva accettato senza esitazione, informandola per altro con una telefonata che aveva tutta l’aria di essere un’ammissione di colpa e non una delle loro solite chiacchierate infinite.
“Sarai un incanto. Nick si è raccomandato di farti la guardia e portargli una foto.”
“Chi vuoi che mi rapisca? È tutto scemo. Ci vediamo più tardi, dai un abbraccio a Jimmy da parte mia. La tua copia delle chiavi ce l’hai?”
“Si, me l’ha data tua madre quando siamo passati prima a salutare i tuoi genitori.”
“Mi sento come se dovessi andare al mio primo appuntamento.”
“Non credo sia una cosa normale, Holly.”
“Lo so. È questo che mi fa paura.”
Perché in queste condizioni, chiunque, è fottutamente fragile e sensibile. Fanculo.
 
 
Jimmy era passato a prenderla quando Holly era già uscita di casa da almeno mezz’ora.
“Eccoti finalmente!”
L’aveva abbracciata con trasporto, scendendo dall’auto per andarle incontro, sollevandola da terra mentre lei gli aveva stampato un bacio affettuoso sulla guancia ricoperta di barba.
“Tutta sola?” gli aveva chiesto lui notando le luci della casa spente.
“Holly ha voluto fare un giro per Huntington Beach.”
“Non fatico a credere dove possa essere andata.”
“Com’è andato il tour?”
“Benissimo, siamo rientrati in tutta fretta per i preparativi. Val telefonava a Matt almeno tre o quattro volte al giorno per tenerlo informato. Brian stava uscendo di matto.”
“Posso immaginarlo. Val ha fatto tutto da sola praticamente.”
“Aveva Dakota, Michelle e Gena a darle una mano. Sinceramente sono felice per Matt che fossimo in tour, o probabilmente avrebbe avuto qualche ripensamento dell’ultima ora.”
Roxanne era scoppiata a ridere, divertita.
“Non essere così cattivo.”
“Dico solo la verità. Avere a che fare con una cosa del genere, per un uomo, deve essere massacrante sul piano psicologico. Credimi che, arrivato a sera, a volte nemmeno aveva la forza di salire sul palco. Voi donne sapete essere dei mostri quando vi impegnate.”
“Ehi non generalizzare! Io sono una donna sui generis, e anche Holly se per questo.”
“Infatti Olivia non si sposerà mai.”
“Ma smettila! Lei e Nick sono davvero innamorati, fosse per lui vivrebbero persino insieme.”
“Olivia ha paura dei legami, è scappata da noi proprio per quello. Quando i legami sentimentali con lei si fanno troppo forti si spaventa, ha paura di venire schiacciata: dunque fugge. In ogni caso, ci penserà tuo fratello a proibirle di sposarsi, così come lo farà con te. Tra vent’anni tu e Holly abiterete in quella casa insieme, con uno stuolo di animali indigesti ed esotici.”
“Mio fratello come sta?” aveva chiesto lei, esitante.
“Persino troppo bene. Ha ancora la forza per lamentarsi e rompere le palle, dunque sta benissimo. Con Gena va tutto a gonfie vele: lei sta cercando in tutti i modi di prendere possesso della casa di Zacky, ma lui sta tenendo duro. Adora fare l’eterno fidanzato e gli offre una libertà a cui non è ancora in grado di rinunciare.”
“Dubito potrà mai rinunciarvi. Anche mio fratello non si sposerà mai, allora.”
Era stato il turno di Jimmy, di ridere, svoltando lentamente a destra nel parcheggio del pub.
“Niente Johnny’s vero?”
“Non mi sembrava il caso, rischiano di esserci i Berry e tuo fratello. O Brian o che ne so. Meglio un posto più tranquillo.”
“Mi sembra una serata romantica.”
“E la è” aveva decretato lui serio per poi scoppiare entrambi a ridere senza un motivo apparente, solo per la felicità assoluta di essersi ritrovati, essere di nuovo insieme dopo quasi un anno di sole telefonate. Roxanne non avrebbe mai creduto che potesse fare così male la lontananza, e non parlava di quella che potevi provare quando l’uomo della tua vita era in giro per il mondo per un tour, ma della presenza di cui avevi bisogno perché eri cresciuta in quell’abbraccio, con quel sorriso, con quella risata.
“Mi sei mancato.”
“Non quanto tuo fratello o Brian immagino.”
Roxanne aveva sollevato lo sguardo su di lui pronta a rispondergli ma poi, qualcosa, le era morto in gola.
“Sono due cose differenti. So di poterti parlare spesso, in ogni caso, e che qualunque problema ci sia tu sarai sempre qui per me. Senza doppi fini, senza scenate di gelosia o chissà che altro a distruggere ogni cosa.”
Jimmy le aveva stretto la mano nella propria, abbozzando un sorriso.
“Niente musi lunghi. In questi pochi giorni voglio che siate serene. Gli idioti sono stati minacciati di morte da Val, non credo ci saranno problemi.”
“Holly ha deciso di vivere in clausura, dunque dubito abbia intenzione di menarli.”
“Huntington Beach è più piccola di quanto ricordi, Roxy.”
“Dici?”
“Si. E comunque manchi da morire anche a tuo fratello e Brian, ma puoi stare certa che non muoveranno un muscolo per sistemare le cose.”
“Siamo tutti troppo orgogliosi.”
“Già ma se non fosse così non sareste speciali. È tutta questa determinazione che vi mette un gradino sopra Dakota o Michelle.”
Roxanne l’aveva guardato inarcando il sopraciglio sinistro con aria interrogativa.
“Voglio bene a Dakota, sia chiaro, ma lei è remissiva, è troppo buona e si lascia calpestare facilmente. Specie da tuo fratello. Preferisco una rompipalle come te o una stronza come Holly, quando si impegna, piuttosto che una donna che finisce con il dirti di si per evitare casini.”
La mora, a quelle parole, aveva compreso la verità del rapporto elitario che univa Dakota a Holly: in una partita in cui mantenere gli equilibri era difficile, Olivia semplicemente usciva vincitrice. Se gli scontri erano ridotti all’osso – e forse nemmeno ne avevano mai avuti di veri – era facile comprendere come, a prescindere da tutto, quelle due si volessero un bene infinito. Tagliato fuori il mondo che le aggrediva, erano due cuccioli senza zanne. Non si sarebbero mai prese a morsi, pronte però a graffiare chiunque avesse minato la loro serenità. Nel calore di un’amicizia che metteva sopra ogni cosa la devozione e la compensazione caratteriale avevano sempre trovato la compassione di una mano amica e il conforto di un abbraccio sincero, di chi conosce tutti i tuoi peggiori difetti e che, fregandosene, ti ritiene comunque speciale. Come due sorelle, erano cresciute insieme condividendo e perdonandosi tutto: se avesse applicato la stessa politica all’amore, o all’amicizia con Zacky, per esempio, quanti problemi si sarebbero evitati, negli anni, lui e Holly?
 
 
Matt fissava la finestra della camera di Holly, indeciso sul da farsi. Erano anni che non metteva più piede a casa dei suoi genitori ed essere costretto a farlo per lasciare casa Sanders-DiBenedetto in balia della sposa prima, e degli amici poi, gli aveva messo addosso la nostalgia delle serate passate a intrufolarsi a casa Bridges dalla finestra del piano rialzato, cogliendo Holly intenta a leggere, ascoltare musica, tentare malamente di suonare la chitarra o mentre cantava qualche canzone di band formate da individui già morti da un pezzo. Matt aveva lanciato uno, due, tre sassolini in direzione della finestra, certo che Holly fosse a casa. La sua idiozia era direttamente proporzionale alla sbadataggine di Brian e aveva realizzato l’immensa figura di merda quando, alla finestra, era uscita la nonna di Holly.
“Ah, ehm… cercavo Holly.”
“Olivia? Ma caro, lei è alla casa sul lungomare. Qui non ci vive da un pezzo.”
La stupidità di quell’azione gli si era palesata davanti con la stessa irruenza con cui i ricordi della sua adolescenza si erano fatti strada, lasciandogli un grande vuoto a colmare il posto che, in quel momento, sentiva in diritto di offrire a Holly. Era stata la sua migliore amica da sempre, da quando erano così piccoli che era più facile gattonare che camminare. La presenza di Olivia era stata naturale, nella sua vita, come quella di sua sorella o dei suoi genitori. C’era sempre stata: averla accanto era sempre stata un’ovvietà ed era stato quello a fregarlo. Holly non era un qualcosa che potevi dominare o controllare, né tanto meno una di quelle persone che puoi dare per scontate e gliel’aveva ampiamente dimostrato. Se fosse tornato indietro di dieci anni, avrebbe chiesto a Holly di uscire insieme? Ci avrebbe davvero provato con lei? No. La certezza di quell’affermazione derivava dal fatto che Olivia non era mai stata un oggetto del desiderio ma sempre una necessità, una costante da tenere nella propria vita per sentirsi mai cambiato, sempre il migliore. Era facile sentirsi così quando Holly lo guardava e gli sorrideva. Il migliore di tutti.
 
 
Aveva optato per il parco, al molo era certa ci fossero troppe coppiette e turisti. In estate, Huntington Beach le sembrava ricevere nuova linfa vitale per poi lasciarsi morire nel sonnolento inverno. Non amava le orde di turisti che infestavano i locali la sera, o quelli che occupavano i suoi luoghi preferiti al molo o in spiaggia: era come se la privassero della propria vita e dei ricordi.
Dondolandosi pigramente sull’altalena, osservava un gruppo di ragazzini bere birra sul muretto dov’era solita sedersi lei con i ragazzi, una cassa di birra prima rubata, poi chiesta agli amici più grandi, poi comprata da Matt o Jimmy o Brian. Erano passati dieci anni da quando aveva deciso di andarsene da Huntington Beach e le sembrava di non essere mai partita davvero. In un certo senso era come se fosse andato avanti solo il tempo e lei fosse rimasta invischiata in una bolla che non le aveva dato possibilità di crescere. Si sentiva la stessa ragazzina impacciata che nascondeva sé stessa al mondo, la stessa casinista, la stessa cretina che non sapeva gestire i sentimenti. Si, decisamente non era cambiato molto. Aveva un paio di persone in più nella sua vita – innalzate al podio – e qualcuna che se n’era andata, cancellata per propria scelta dalla lista dei favoriti. Holly era una di quelle persone che nell’amicizia riponeva fiducia cieca. Abituata a una famiglia allargata era stata propensa a scegliere le amicizie con cura, senza concedersi a chi non riteneva davvero degno, secondo i propri canoni.
“Holly?”
Cazzo.
Per un istante, la ragazza aveva pensato di fingersi un’altra persona, ma le scarse vie di fuga e l’aver lasciato a casa l’IPod le impedivano di recitare la propria parte. Quella voce, poi, non aveva bisogno di spiegazioni. Davanti a lei, a pochi centimetri dall’altalena, si trovava Matt, le mani affondante nelle tasche dei pantaloni corti e un cappello da baseball a nascondergli il viso. Solo loro, d’altro canto, avrebbero potuto uscire anche di notte provvisti di cappello.
“A quanto sembra” gli aveva risposto lei abbozzando un sorriso.
“Che cazzo… non ci credo.”
“Sei già ubriaco?” l’aveva canzonato lei, senza staccare gli occhi dai suoi. Era strano rivedersi davvero, per la prima volta dopo quasi un anno. Il suono della sua voce era cambiato, sembrava persino più maturo, rispetto all’ultima volta che si erano sentiti al telefono.
“Probabilmente è quello che pensa tua nonna. Ho cercato di entrare in camera tua. Sinceramente non mi ricordavo ti fossi trasferita alla casa sul lungomare, non l’hai praticamente mai usata. Posso?” le aveva chiesto indicando l’altalena libera accanto alla sua. Holly l’aveva squadrato allibita per poi scoppiare in una fragorosa risata, prima di tornare a fissarlo.
“Certo, non sono così grassa da occuparle entrambe.”
“Non credevo che ti avrei rivista prima del matrimonio.”
Veramente non credevo che ti avrei rivista e basta.
“Credo sarai l’unico fortunato, ma d’altra parte sono tornata per te. Forse è destino. Sei nervoso vero?”
“Mi hai già fregato.”
“Guardati: ti stai torturando il piercing e ti sei ridotto a vagare vestito peggio del solito. Insomma, non sei un bel vedere, ma credo sia normale. Essere emozionati, voglio dire, però non farti fregare i momenti belli dall'ansia o avrai solo ricordi sbiaditi del giorno più  speciale della tua vita.”
“Ehi folletto, hai anche qualche consiglio per farmi dormire?”
Holly aveva distolto lo sguardo da lui, stornandolo verso il grind. C'erano cose che credeva non sarebbero mai cambiate: una di quelle era Matt e il suo semplificare situazioni e sentimenti alla banalità di quelli di un bambino di cinque anni. Sentirlo sfoderare quel soprannome le aveva ricordato che prima sarebbe fuggita, meglio sarebbe stato per entrambi. I ricordi facevano male e lì, nel parco che li aveva visti crescere, ce n'erano davvero troppi per poterli elencare uno a uno.
“A casa dei miei dovrebbe essere rimasto qualche noioso trattato sulla mummificazione al tempo degli egiziani. Potresti fartelo prestare.”
Matt era scoppiato a ridere divertito, dondolandosi sull'altalena, Holly con i piedi ben piantati sul terreno.
“È meglio che vada ora. Se Roxy torna a casa e non mi trova penserà sia morta in qualche angolo della città. In bocca al lupo Matt, sarà un successo.”
L'aveva guardata senza capire, quasi si stesse svegliando da un sogno e probabilmente era così, alzandosi a propria volta deciso a non farla andare via.
“Ti riaccompagno.”
“So badare a me stessa, ci so tornare a casa sola. Ricordati di togliere piercing e orecchini almeno il giorno delle nozze, okay?”
“Ci sarai vero?” gli aveva chiesto lui incerto.
“Non mi sono fatta dodici ore di aereo per poi restare a casa a guardare la tv. Cerca di riposare, ne hai bisogno. E non fare domande stupide e cose stupide nelle prossime quarantotto ore.”
Se l'era lasciata scivolare via, senza fermarla o riuscire a chiederle perdono. Si era limitato a osservare l'andatura sicura, gli anfibi ai piedi e gli shorts, il cappello calato sulla testa e una coda di cavallo vermiglia come i tramonti più travolgenti di Huntington Beach che le ricadeva di lato. Quanto poteva essergli mancata la certezza di averla lì, al proprio fianco, in quel momento non avrebbe saputo quantificarlo. Sarebbe bastato un abbraccio per cancellare tutto, ma la verità era che aveva una paura fottuta di fare la cosa sbagliata per l'ennesima volta, per quel motivo aveva preferito lasciare tutto com'era, in una stasi perfetta.
 
 
*
 
 
Holly stava recuperando dal frigorifero le birre che Johnny e Dakota le avevano portato. Avevano deciso di passare una serata insieme, loro, Roxanne e Jimmy, scartando i traditori e quelle  che – di fatto – sarebbero per sempre state considerate intruse, anche a distanza di anni: Gena e Michelle.
“Ehi, qualcuno ha detto a Zacky che eravate qui stasera? Perché è la seconda volta che passa per il lungomare come un cretino in automobile” aveva scoccato lapidaria la rossa, focalizzando l'attenzione su Roxanne in cerca di una risposta sul da farsi da parte dell'amica.
“Non ci credo” aveva risposto Johnny, alzandosi e andando a raggiungere Holly, ridendo di gusto.
“Sicura che sia lui?”
“Ne conosci altri che guidano a quel modo?” aveva chiesto lei, indicando il BMW nero inchiodare un paio di abitazioni prima della sua.
“Confermato, è Zacky” aveva risposto divertito Johnny, sedendosi di nuovo sui cuscini che le ragazze avevano posizionato a terra in cerchio, al centro del quale avevano si trovavano cartoni di pizza fumante e birre ghiacciate.
“Cosa facciamo? Lo lasciamo lì fuori a vita?”
Holly si era portata alle labbra la bottiglia, bevendo un lungo sorso prima di alzarsi recuperando i cartoni vuoti dal pavimento.
“E adesso cosa fai?” le aveva chiesto Dakota perplessa.
“Vado a recuperare lo scemo.”
Non avrebbe saputo dire se Roxanne le sarebbe stata riconoscente o se l'avesse odiata a vita, di certo non vedeva alternative allo sguardo dell'amica che si posava di continuo sulla porta, come se si aspettasse che Zacky si decidesse a suonare.
“Pensi di buttarti sotto la sua macchina per attirare la sua attenzione?” le aveva chiesto ridendo Johnny.
“Sei pazzo? Lo aspetto andando a buttare via i rifiuti, è una scusa valida. Nei film la usano per abbordare il vicino di casa.”
Tra le risate generali, Holly con ancora la bottiglia in mano e una pila di cartoni nell'altra, si era tuffata nell'aria calda della sera, osservando la strada nel tentativo di vedere sopraggiungere Zacky. Della sua auto, nessuna traccia. Aveva deciso di andarsene?
No, non si sarebbe mai arreso così presto.
Pochi istanti dopo, i fari di un'auto lanciata a tutta velocità avevano rallentato bruscamente un paio di abitazioni prima della sua, e Holly aveva avuto la malsana idea di mettersi in mezzo alla strada nel tentativo di fermarlo.
“Cazzo se sei scema!”
“Ti stai rendendo patetico. Vieni dentro? Ci sono anche Jimmy e Johnny.”
Non un saluto, non un abbraccio o un sorriso, solo la rabbia sorda di una verità quasi scontata: sei patetico. A Zacky sembrava di aver udito solo quelle due parole mentre Holly l'aveva preceduto lungo il viale di casa, cedendogli di malavoglia la propria birra.
“Un'ottima accoglienza, non c'è che dire” aveva borbottato lui, a mezza voce.
“Non eri nemmeno invitato, se per questo.”
“Holly...”
“... vaffanculo? Ci sono finita un sacco di mesi fa” era stata la sua risposta, abbozzando un sorriso tirato agli altri, voltandogli le spalle. Se non fosse stata una donna, Zacky l'avrebbe presa a sberle. Perché non lo fai? Magari poi tutto torna come prima, come quando ti prendevi a pugni con Justin o Brian.
“Ehi ragazzi... sorpresa!”
“Dio quanto sei scema...” aveva esalato Dakota, portandosi una mano al volto nel tentativo di non scoppiare in una risata isterica. Si capiva benissimo che a Holly, quel gesto, era costato una fatica pazzesca e Jimmy aveva spostato l'attenzione da Roxanne a Zacky, incerto sull'esito dello scontro. Il chitarrista aveva portato lo sguardo su sua sorella, come se cercasse di mettere a fuoco tutto ciò che di lei ricordava: gli occhi nocciola, i boccoli che le ricadevano sulle spalle in una chioma selvaggia, il volto pulito dal trucco e le dita posate in grembo, intrecciate le une alle altre.
“Ciao Zacky” aveva abbozzato un sorriso imbarazzato, Roxy, e per poco non aveva sentito uscirle il cuore dalle labbra, a quelle parole.
“Ciao Roxy. Tutto okay?”
Che cazzo di domanda.
Holly si era passata una mano sulla nuca, scompigliandosi i capelli in un gesto nervoso, indicando con il capo a Dakota la propria imminente ritirata verso la cucina.
“Ehi, dove vai?”
Stupida stupida Roxy.
“Vado a sistemare la cucina. Tranquilla, non scappo” le aveva risposto la rossa nel tentativo di rassicurare l’amica.
A modo suo, Holly le aveva appena dato l'occasione per chiarirsi con suo fratello, lasciandole lo spazio necessario. A ruota, poco dopo, l'avevano seguita anche Dakota e Johnny, lasciando Jimmy soltanto a fare ad arbitro allo scontro.
“Allora? Non avete nulla da raccontarvi?”
“Fanculo Jimmy.”
“Andiamo Zacky, sei passato di qui casualmente? Avevi voglia di vederle, almeno abbi la decenza di ammetterlo.”
“Ma da che cazzo di parte stai?”
Roxanne non era riuscita a trattenere un sorriso: Jimmy, in quel momento, era l'unico appiglio che potesse avere per non mettersi a piangere, quel qualcosa di indispensabile per salvare una situazione impossibile da sostenere. Avrebbe desiderato abbracciare  suo fratello ma non sapeva come. In un certo senso, il suo corpo non sapeva reagire all'istinto fraterno, al richiamo di quello stesso sangue che l'aveva abbandonata e tradita.
Erano passati minuti di silenzio in cui Jimmy si era limitato a osservarli, prima di sollevarsi in piedi facendo un cenno del capo all'amico.
“Andiamo a trovare quel coglione di Matt? Sarà a rigirarsi nel letto in preda al panico più completo.”
“Andiamo a prendere Brian e ci facciamo un giro di birre nel garage dei Sanders? Come ai vecchi tempi.”
Holly, ferma sulla porta della cucina, li fissava come se fosse appena stata presa a schiaffi: in quel tempo passato, in quel garage, c'era stata anche lei.
“Holly...”
Non aveva indugiato un istante di più e senza prestare attenzione a Zacky - ringraziando qualche dio per essere arrivata al secondo giorno indenne alle lacrime - era uscita di nuovo nell'aria della sera precedendoli, mentre Huntington Beach brulicava di vita e turisti, di ragazzi felici e grida e risate. Perché lei si sentiva così dannatamente triste?
Niente musi lunghi, Holly. Coraggio. Ti stai comportando nel miglior modo possibile.
“Allora ce ne andiamo. Alza il culo Johnny, tornerai a riprendere Dakota dopo.”
“Meglio che la riaccompagniamo noi” aveva risposto al chitarrista Roxanne, alzandosi per accompagnarli alla porta di casa.
Prima di andarsene, Zacky si era arrestato, voltandosi a guardarla ancora una volta, incapace di credere di averla davvero lì.
“Cazzo, sembrate due adolescenti al primo appuntamento. Nemmeno Johnny e Dakota facevano così pena!”
“Ehi!” avevano esclamato all'unisono i due ragazzi chiamati in causa, mentre Holly, aveva dato una leggera spinta a Zacky, in direzione di Roxanne.
“Eddai scemo. Evita di pentirti di altre stronzate, per una volta.”
Aveva allargato le braccia verso sua sorella e lei aveva esitato qualche istante prima di scorgere nello sguardo di suo fratello la stessa paura di fare la cosa sbagliata che sapeva essere annidata nel proprio, e perdersi del tutto in quel contatto atteso e desiderato da tempo. Da qualche parte, ancora, c'era un filo sottile a tenerli uniti, come se un solo lembo di carne potesse bastare a renderli comunque un tutt'uno, all'occorrenza. Cos'era? Il loro essere venuti al mondo nel medesimo momento, concepiti la stessa notte, nell'essere stati uno la nemesi e il cuore dell'altra in ogni occasione. Sempre, sino a un anno prima, almeno.
“Grazie” aveva sussurrato Roxanne, in una nota di orgoglio cancellato, in quell'unico istante in cui erano solo loro e tutto il mondo fuori.
“A te chi ci pensa?”
Holly aveva alzato lo sguardo su Jimmy, il fianco lasciato scoperto al nemico: Huntington Beach intera.
“A volte mi basto da sola.”
Non ci credeva nemmeno lei ma mancava poco per poi poter tornare a casa, da Nick.
 
 
Come Jimmy aveva previsto, Matt stava giocando con l'X-Box, chiuso nella propria stanza come quando aveva diciotto anni e Holly stava distesa accanto a lui, intenta a leggere uno di quei suoi noiosi libri o a strappargli di mano il joypad per condurre la partita insieme.
“Matt ci sono visite!” aveva gridato sua madre dalle scale. Che fosse lei?
“Che cazzo...”
“Deluso? Credevi fossimo un gruppo di spogliarelliste? Niente regali fighi, Matt, li hai già avuti la settimana scorsa a Las Vegas.”
“Che cazzo, se vi siete mia madre succede un casino.”
“Traduzione: se lo sa Val ti ammazza” l'aveva rimbeccato Brian.
Ci ammazza” l'aveva corretto Johnny sollevando la cassa di birra, dondolandola dinnanzi al proprio viso a sottolineare l’importanza della serata.
Scendere le scale, correre fuori e riaprire il garage lasciato troppo tempo in disuso era stato come rituffarsi nel proprio passato. Dopo averlo svuotato degli strumenti e del vecchio divano, era rimasto davvero poco del rifugio delle loro origini. Spoglio e dalle pareti ancora imbrattate dai messaggi di Holly e da vecchi poster strappati, sembrava accusarli di ciò che erano diventati. Impossibile non notare gli anni che erano passati, ora, senza lanciare uno sguardo ai posti vuoti occupati da Holly e Roxanne.
“In onore dei vecchi tempi” aveva decretato Johnny.
“In onore dei nuovi” l'aveva corretto il primo chitarrista, facendo tentennare la propria lattina contro quella del bassista.
Lo sguardo di Zacky era andato alle decine di scritte idiote che, nel tempo, Holly aveva inciso sulle pareti. Ogni libro, una citazione; ogni citazione, una presa per il culo. Si era soffermato a leggerne qualcuna: non le ricordava, sinceramente, e solo in quel momento gli erano tornati alla mente i vezzi della rossa, quella mania fastidiosa di sottolineare libri e riviste, di scrivere bigliettini idioti da lasciare in giro in un'eterna caccia al tesoro. Zacky trovava sempre i suoi insulti nel medesimo posto, dopo un battibecco: impossibile non ricordare la stizza quando apriva la chitarra e trovava, sotto le corde, il bigliettino che raffigurava una faccia che mostrava la lingua.
“Non si vede bene che con il cuore. L'essenziale è invisibile agli occhi.”
Nel posto dove anni prima si trovava il divano, in caratteri precisi e ordinati, c'era tutto il mondo di Holly: lui non ci aveva mai fatto caso o forse, aveva sempre ignorato l’ovvietà di quella frase.
“Domani andrà tutto bene, non cambierà nulla. Si insomma, è solo questione di forma. Io e Val viviamo già insieme da anni... fa schifo tornare qui dentro dopo tutto questo tempo.”
“Non deve essere una serata triste, ragazzi! Avete delle facce da funerale, cazzo!” aveva decretato Johnny cercando di stemperare la tensione che aleggiava nell’aria. Pessima idea riaprire il garage dei Sanders.
“Pensi stia andando bene qualcosa, a parte il matrimonio di Matt?”
L'attenzione di tutti si era spostata su Brian, intento a sorseggiare la propria birra, la schiena appoggiata alla parete nuda e lo sguardo perso. Ubriaco lo era già quando l'avevano trovato da Johnny's, intento a scolarsi l'ennesimo bicchiere di Jack Daniel's della serata, e solo a forza se l'erano trascinati appresso.
“Non sappiamo nemmeno decidere per noi stessi. Sono anni che lasciamo decidano gli altri per noi. Gena, Val, Dakota, Holly, Roxy... Le abbiamo accolte nelle nostre vite, le abbiamo allontanate, fatte scappare e abbiamo cercato di tenerle legate a noi con la forza.”
“Sei totalmente sbronzo” gli aveva risposto Johnny cercando di zittirlo.
“Abbiamo reclamato un diritto che abbiamo perso con gli anni. Ce lo meritiamo, adesso, di stare qui a leggerci le scritte di Holly sentendoci presi per il culo o il posto dove si sedeva Roxanne quando venivamo qui io e lei, e renderci conto che siamo solo dei coglioni.”
“Hai...”
“Avete scopato nel mio garage?” aveva esalato Matt, quasi schifato, a conclusione della domanda incredula che era morta in gola a Zacky.
“A ventotto anni non abbiamo ancora capito come si amano le persone. Tutto qui.”
“Ehi, dove vai adesso?” gli aveva chiesto Matt, mentre il chitarrista si dirigeva a passo incerto verso l'uscita.
“Attento al gradino o...”
“Ahio, cazzo!”
“Quando sei sbronzo te lo dimentichi sempre, coglione.”
Se volevano farsi una bevuta intrisa di ricordi, ora si sarebbero trovati a fare i conti con una notte popolata di spettri. Quella era l'ultima cosa che avrebbero dovuto tirare fuori per il matrimonio di Matt ma proprio non sapevano evitare di complicarsi la vita.
 
 
*
 
 
Ansia, la morsa  che le attanagliava lo stomaco sin dal primo mattino.
Terrore puro, quello che aveva provato quando aveva sopportato – in mite silenzio – le risate acute di Gena e gli starnazzi di Michelle durante i preparativi a casa della sposa.
Panico, quando era stata costretta a dividersi da Roxanne.
Nodo alla gola, quando era salita in auto con Dakota e Johnny e aveva realizzato di essere sola.
Olivia inspirava, cercando di mantenere il controllo, le mani strette sulla pochette sino a far diventare le nocche livide.
“Ti senti bene Holly? Sei pallida.”
In quel momento Dakota era distante da lei molto più di quanto non fossero state le miglia a dividerle tra Cardiff e Huntington Beach e non l'avrebbe mai capita. Perché? Perché Dakota aveva tutto e lei e Roxy, invece, avevano perso ogni cosa. Mettere sui piatti della bilancia le colpe non avrebbe sistemato le cose, solo renderla consapevole di essere una testa di cazzo proprio come Zacky.
“Sono emozionata, si.”
“Secondo me sei più tesa di Matt” l'aveva presa in giro Johnny, sterzando bruscamente a destra. Olivia, quando si erano trovati davanti all'imponente villa, il parco sconfinato ad accoglierli, aveva sentito il cuore mancare un battito, poi un altro. Si era quasi illusa di morire in quel momento, e sarebbe stato tutto molto più semplice a quel punto.
Ma la morte, non accoglie di certo le tue stupide suppliche da codarda.
La stessa villa del suo ventunesimo compleanno. La stessa, fottuta villa di quando ancora erano tutti felici. Insieme soprattutto.
Vaffanculo.
“Eccoci arrivati.”
Holly era scesa dall'auto quasi grata di potersi mimetizzare tra gli invitati, svicolare nelle ultime file e potersi rendere invisibile. In quel momento avrebbe desiderato una tinta nera, occhiali da sole anonimi e decine di sconosciuti attorno a farle da coperta dietro cui nascondersi.
“Ehi dove scappi?”
Dakota l'aveva afferrata per un polso, bloccandola.
“È  da questa mattina che sei strana.”
“Siamo tutti strani oggi, ti pare?”
“Non mi  freghi.”
“Dakota lasciami.”
“Andiamo.”
In un perfetto passaggio di testimone, Johnny aveva afferrato la presa sul polso dell’amica sostituendo quella della propria ragazza trascinandosela appresso, rischiando di farla inciampare nei tacchi alti.
“Johnny sei scemo o cosa?”
“Perché non sei tra i testimoni non significa che Matt non voglia vederti. Se non vieni da lui prima dell'inizio della cerimonia si ammazza. Ieri sera era in uno stato pietoso.”
“Perché devo...”
Di tutto quello che poteva dire, nulla avrebbe potuto rendere giustizia al sorriso nervoso di Matt quando Johnny l’aveva spinta leggermente in avanti verso di lui facendola incespicare, alle braccia forti che se l'erano stretta al petto con tutto l'affetto che aveva in corpo.
“Sei rimasta davvero.”
“Sei uno stupido, hai dimenticato di togliere il piercing.”
Gli aveva cinto la vita in un abbraccio fugace, staccandosi da lui per osservarlo con aria analitica, a dividerli la distanza delle sue braccia tese.
“Potresti evitare di startene svaccato come se ti aggirassi in pigiama per casa tua, almeno per oggi?”
Erano scoppiati ridere: tutti se n'erano accorti ma nessuno aveva avuto il coraggio di sistemare Matthew Sanders rendendolo un uomo presentabile il giorno delle sue nozze.
“Vado a prendere posto, niente casini... okay?”
“Prima fila?”
“Come ad ogni fottuto concerto” gli aveva risposto lei, sollevando il pollice verso l'alto, staccandosi da quel gruppo di scemi che, per la prima volta, stava facendo i conti con la vita. Quella vera, che non ti fa sconti. Quella vera, a cui sei costretto a tornare, prima o poi. Quella vera, che ti presenta sempre il conto delle tue azioni.
 
 
Brian, in modo molto poco diplomatico, si era sentito morire. Quando Roxanne aveva sfilato, accanto a Michelle, subito dietro a Val, si era chiesto se quello non fosse l'ennesimo smacco che il destino gli aveva riservato. Se avesse dovuto descriverla, non avrebbe trovato altre parole se non “bellissima”. Per chiunque sarebbe stata una cosa banale, ma non per lui. Roxanne era l'unica donna in grado di fargli scavare un solco dove aveva il cuore e strapparglielo con un sorriso. Quello, però, non gliel'aveva concesso quando i loro sguardi si erano sfiorati e lei era tornata a guardare dritto avanti a sé, ignorandolo. Era quella dunque la sua pena? Tornare di nuovo uno zero nella vita dell'unica donna che l'aveva fatto sentire a proprio agio nei suoi panni, senza sensi di inferiorità e competizione nei confronti di suo padre, che aveva sempre creduto in lui e che, soprattutto, l'aveva fatto sentire al posto giusto nel mondo?
Se quello fosse stato un film, Brian avrebbe sfanculato la cerimonia e si sarebbe trascinato appresso Roxanne, obbligandola ad ascoltare tutto ciò che aveva da dirle. Era certo, però, che se anche gli si fosse presentata un'occasione simile non sarebbe riuscito a proferire alcuna parola. Roxy lo rendeva lo stesso ragazzino innamorato e impacciato di quando aveva diciotto anni, privo di difese, assolutamente inerme davanti a un sorriso triste e lo sguardo basso. Sulla sua Roxy c'era un'ombra greve, una coltre di nubi che lui e Zacky avevano addensato su di lei e che nemmeno tutte le scuse del mondo avrebbero potuto dissipare del tutto. Era uno stupido, quello lo sapeva, eppure non poteva fare altro che osservarla da lontano. Se quel giorno fosse stato davvero un film, allora lui avrebbe dovuto sentirsi quanto meno felice per la vita che attendeva Roxanne al suo ritorno a Cardiff, con un tizio montato che la amava alla follia e la faceva sentire una principessa, ma Brian Haner Jr. non era portato per i buoni sentimenti, la filantropia o, peggio, l’altruismo. Lui era un grandissimo pezzo di merda, una prima donna e un competitivo nato: l’unica cosa possibile era osservarla da lontano senza potersi avvicinare a lei, nel timore che, come un miraggio, svanisse non appena avesse tentato di sfiorarla.
 
 
Roxanne si sentiva braccata, rinchiusa in una gabbia sin dal primo mattino. Aveva dovuto costringere Holly a uscire di casa e portarla da Val. Olivia non aveva parlato, si era torturata mani e capelli e aveva trattenuto la voglia di gridare per almeno quattro ore. Roxy aveva invidiato l'amica: mescolata tra gli invitati aveva la possibilità di fuggire agli sguardi pungenti di Michelle, ai sorrisi falsi di Gena o alle occhiate di Brian. In quel momento sentiva il bisogno di avere vicino Holly, lei e quel suo parlare a sproposito avrebbero stemperato la tensione almeno un poco, ma quando si erano seduti a tavola si era resa conto di come, invece, nemmeno Holly avesse la forza per reggere la situazione. Per tutta la cerimonia aveva mantenuto lo sguardo su Val e Matt, spostandolo di tanto in tanto su di lei per assicurarsi che stesse bene. Era brava ad abnegarsi, quello lo sapeva, ma temeva che esplodesse prima della fine della giornata ed era certa che il suo capro espiatorio sarebbe stato Zacky. Holly non aveva ancora sorriso, se non quando Matt si era voltato nella sua direzione, alla fine della cerimonia – la mano stretta in quella di Val - come a cercare la sua benedizione, per poi stornare lo sguardo sui ragazzi, tra le risate di Brian e le grida di felicità di Jimmy.
Ora, a pranzo, si trovava a pensare che Holly avesse calcolato alla perfezione ogni mossa, voltando le spalle alla tavola degli sposi e dei loro testimoni e damigelle, in modo da poter vedere solo l'angolo nel quale lei – l'ultima commensale sul lato della sposa – sedeva. Era il suo modo personale per non farla sentire sola, per sorreggerla in quel modo in cui solo loro potevano comprendere. Niente e nessuno avrebbe potuto comprendere quanto enormi sembravano piccolezze come quella. Era un volersi ricordare reciprocamente che ce l'avrebbero fatta e che, qualunque cosa fosse accaduta al resto del mondo, loro ci sarebbero state e sarebbero sopravvissute. Magari sfregiate e con il corpo ricoperto di cicatrici, senza cuore e anima persino, ma avrebbero continuato a camminare insieme lungo quella strada lastricata di dolore che gli adulti, chiamano vita.
 
 
“Credevo ti saresti messa a piangere ora che hai perso il tuo principe azzurro per sempre.”
“L'ho trovato da un pezzo” gli aveva risposto la ragazza, le braccia conserte al petto mentre osservava Matt e Valary posare per le fotografie del rituale taglio della torta, solo loro al centro dell'attenzione di tutti. Chiunque avesse visto lei e Zacky parlare, avrebbe creduto che non ci fosse nulla di crudele nelle loro parole, ma a chiunque li avesse uditi sarebbe stato lampante come i due stavano combattendo una battaglia all'ultimo sangue con il sorriso sulle labbra, entrambi con lo sguardo fisso sugli sposi.
“Toglimi una curiosità: hai deciso anche oggi di essere il più grande stronzo del pianeta? Così, giusto per sapere di doverti evitare per non rovinare la festa agli altri.”
“Ti sono cresciuti i capelli” le aveva risposto lui, incassando il colpo e sviando dalla pericolosa china che stava prendendo la conversazione.
“Non li ho più tagliati” era stata la lapidaria risposta di Holly che non lasciava adito a dubbi su quale fosse stato il momento della decisione di non tagliarli più, rendendosi più  femminile. Almeno un po', perché ancora riusciva a mettere il capello da baseball degli Angels senza troppi problemi. Non sarebbe cambiata mai, ma le piaceva illudersi di potersi sentire una donna, all'occorrenza, proprio come in quel caso.
“Sei in forma.”
“Anche tu e gli altri” era stata la risposta sincera della rossa, che per la prima volta si era voltata a guardarlo abbozzando un sorriso imbarazzato, facendo sentire a Zacky un qualcosa di molto simile a un osso che si spezza in modo netto, da qualche parte, dentro lo stomaco.
“Ehi Zacky!”
La voce di Gena, modulata e composta, era stata sostituita dall'arrivo della ragazza, che aveva preso sotto braccio il chitarrista, sorridendo raggiante al mondo intero. Di motivi per essere felici, lì dentro, ne avevano tutti a quintali e a Holly pareva di essere l'unica a dover fare i conti con un senso di angoscia crescente che iniziava a farle andare stretto l'abito attorno alla vita, che le faceva sentire il dolore alle dita dei piedi e le serrava la gola. Tutti erano felici e lei, in modo autonomo, aveva deciso di essere felice altrove, lontano da loro, proprio come Roxy. A quel pensiero, il suo sguardo era scivolato tra la folla di invitati, scandagliando tutti gli abiti di un intenso blu cobalto cercando i boccoli castani dell'amica nella speranza di vedere anche lei avvolta dalla felicità che sembravano provare tutti. In un certo senso, se fosse stata sola in quella solitudine, si sarebbe sentita in dovere di accusare solo sé stessa, ma era bastato incrociare nuovamente lo sguardo di Roxanne per capire che a sbagliare, erano in due. Ancora, come se il destino avesse deciso di unirle nel dolore più che nella felicità, come se dagli errori potessero trarre entrambe la forza necessaria per vivere.
“Hai un abito stupendo” le aveva detto Gena, spiazzandola. Non si era di certo sentita in colpa per nulla – dopotutto aveva contribuito alla riuscita del miglior compleanno di sempre, come se quell'unica parentesi di New York fosse sufficiente a discolparla dell'astio che provava nei suoi confronti. Non che la cosa, comunque, le importasse poi molto: per lei Gena valeva come uno zero assoluto – e le aveva risposto con un sorriso tirato.
“Grazie, è merito di Roxy. È lei che ha buon gusto nel vestire.”
“Ottima scelta, davvero. Mi piace anche il tuo nuovo colore di capelli: è un rosso molto più scuro, vero?”
“Si, mi ero stancata del rosso ciliegia. Con i capelli lunghi li rovinerei soltanto.”
“Non sei mai stata al salone, dovresti passare ogni tanto.”
“Non credo che tornerò ad Huntington Beach a breve. Sono venuta qui per Matt, per ora non ho progetti a riguardo.”
Zacky le aveva lanciato un'occhiata mentre si sporgeva in avanti per bisbigliare qualcosa all'orecchio di Jason che applaudiva con foga in direzione degli sposi. Pochi istanti dopo entrambi si erano portati pollice e indice tra le labbra, emettendo un fischio acuto seguito da quello degli altri, disseminati per la sala da pranzo, in un fragore di applausi e risa. Al posto di Jason, ci sarebbe dovuto essere lui, a ridere con Holly. Tanto più che lei, i Berry, li odiava da sempre. Bella stronza. Matt era stato il primo a scegliere la strada da seguire, ma aveva davvero mai avuto il dovere di prendere una decisione? Da sempre stava con Val, da sempre erano la coppia a cui fare riferimento: non aveva mai dovuto davvero scegliere qualcosa come Holly. Con l’immaturità di una ragazzina si era tenuta dentro ogni cosa ed era fuggita, scegliendo per tutti quanti. Matt e Zacky compresi.
“Vado da Jimmy e Roxy, ci vediamo dopo ragazzi” e con quelle parole si era congedata da loro, sgusciando tra gli invitati con passo deciso lasciandosi alle spalle l'ennesimo, prevedibile, scontro emotivo della giornata. Era consapevole che, prima della fine, avrebbe dovuto mangiare così tanti rospi che temeva di iniziare a gracchiare. Avrebbe resistito sino alla fine senza insulti, lacrime o grida: lo doveva a Matt e non sarebbe di certo stata lei la causa della rovina di quel giorno così importante per tutti quanti. Una responsabilità così pesante, non sarebbe mai riuscita ad accettarla.
 
 
La felicità dipinta sul volto di Val era il regalo più bello di quel giorno. La tensione, i dubbi, le migliaia di litigi tutti uguali, gli parevano solo un ricordo distante anni luce. Magari perduto dall'altra parte dell'oceano. Aveva cinto la vita della ragazza, sorridendogli.
“Non l'avrei mai creduto possibile.”
“Cosa?” le aveva chiesto lui, mentre l’attirava dolcemente a sé, gli occhi di tutti puntati su di loro, in attesa dell'apertura delle danze.
“Che andasse tutto come avevo desiderato.”
“Non dirlo, non è ancora finita.”
Erano scoppiati a ridere con quella complicità che li aveva uniti nel tempo, che li aveva resi affiatati nonostante i loro mondi non fossero sempre sul medesimo asse. Si erano sopportati, avevano imparato a conoscersi e amarsi, mettendosi totalmente l'uno nelle mani dell'altra.
Matt, impacciato, aveva trascinato lungo il perimetro della pista Valary, in un volteggio di seta e organza color avorio che si allargava ai loro piedi come sbuffi di fumo. Fu questione di uno sguardo alla folla, l'attenzione catturata da una chioma rosso fuoco che lo osservava dall'alto, in piedi su una sedia.
Holly li guardava e sorrideva, ed era come se in quel momento, per Matt, tutto fosse tornato al proprio posto, tutto a prima di Cardiff. Gli aveva sorriso, formando una “o” perfetta nell'aria, a indicargli che era tutto okay e lui, be', andava bene lì dov'era anche se come ballerino faceva piuttosto schifo. Stringeva tra le braccia la donna che amava e, a pochi metri di distanza, a vegliare su di lui e incoraggiarlo, stava una tizia troppo fuori dagli schemi perché potesse mai esserci stata una sola speranza per loro. Lì, a pochi passi, c'era la donna che l'aveva sopportato, semplicemente, senza chiedergli nulla in cambio.
“Cos'è quella risata che sta per uscirti di bocca?”
“Sto solo ricordando.”
Ricordare come, per una volta, la vita avesse sistemato ogni cosa al suo posto, dando un nome a tutte le sue componenti. Forse, piuttosto della vita, era stato lui a chiudere il cerchio facendo le proprie scelte, scavando a fondo in un passato che non avrebbe mai potuto cambiare e guardando a un futuro che non era altro che il corollario del suo presente con Valary.
 
 
Roxanne e Jimmy passeggiavano tra gli invitati in cerca di un po' d'aria da respirare. Aria sana, si ripeteva la ragazza come un mantra.
“Hai visto Holly? È  dal ballo che è scomparsa, ho paura se ne sia tornata a casa.”
“A piedi?” le aveva chiesto Jimmy, divertito.
“Ne sarebbe capace.”
“Come ti senti?”
“Uno schifo. Ho solo voglia di tornare a casa, a Cardiff. Non riesco a sopportare Huntington Beach è come se... se ci fosse qualcosa a impedirmi di respirare a fondo e assaporarne i profumi” aveva esalato lei con un sospiro. Il ragazzo l'aveva attirata a sé, cingendole le spalle e posandole un bacio affettuoso tra i capelli.
“Ne avevo bisogno. Grazie.”
“Lo so.”
Le uniche cose che Roxy credeva potessero durare in eterno erano la dolcezza con cui Jimmy si era sempre preso cura di lei e l'iperattività quasi fastidiosa di Holly. Un tempo ci sarebbe stato anche suo fratello ma ora, quella, suonava come l’utopia radicata della Roxanne Baker ragazzina, che fumava di nascosto in compagnia di Brian e Jimmy solo per fare un dispetto a suo fratello, odiando persino l’odore di tabacco che le impregnava i vestiti.
“Ehi Jimmy hai visto quanto fa schifo Matt come ballerino? ” esordire a quel modo, per Brian, era stata la cosa più naturale del mondo, perché era stata l'unica cosa di senso compiuto che gli fosse venuta in mente per potersi avvicinare a Roxanne.
“Ciao Roxy” aveva aggiunto, come a voler sottolineare che la vedeva, nel tentativo di rattoppare uno squarcio che, ancora, faceva male.
“Ciao. Jimmy vado a cercare Holly, ci vediamo dopo” e con quelle parole si era staccata con riluttanza dall'abbraccio del batterista, superando il chitarrista senza degnarlo di uno sguardo.
“Dici che è incazzata con me?”
“Che cosa te lo fa pensare? Il fatto che sia fuggita appena sei comparso o il fatto che ti abbia tacitamente detto sei invisibile? Già che ci sei, potresti anche evitare di guardarla come se fosse una dea.”
“Non la sto... vaffanculo Jimmy.”
“Disturbo?” aveva chiesto Zacky interrompendoli, un calice di vino tra le mani e lo sguardo che vagava per la stanza alla ricerca di qualcuno di ben preciso.
“Se cerchi tua sorella se n’è appena andata fuori. Abbiamo perso Holly.”
“Sai che a scegliere le parole giuste fai davvero cagare, Jimmy?” gli aveva risposto secco Zacky, puntando lo sguardo in quello dell'amico.
“Niente casini” era stato l'ammonimento del batterista in direzione dei due chitarristi, come se stesse leggendo senza troppi problemi le loro intenzioni.
“Se vi avvicinate, vi ammazzano. Lasciatele in pace, non è il giorno adatto per le scuse. E comportarvi come state facendo voi è una cosa patetica. Non potete fare finta non sia accaduto nulla. Fossi in voi, perché le scuse abbiano effetto, farei la stessa cosa che avete fatto la prima volta: tornerei a Cardiff solo per chiedere loro perdono strisciando.”
“Per Matt ci sono passate sopra senza problemi” l'aveva rimbeccato Zacky in tono aspro, nel tentativo di dominare una rabbia che gli nasceva da una parte intima di sé stesso, quella che entrava sempre in causa quando... be', quando aveva fatto i peggiori casini della sua vita.
“Carina Holly oggi, vero?”
“Carina? Solo perché riesce a stare in equilibrio sui tacchi?” aveva replicato il ragazzo, accompagnando la risposta con una smorfia di disgusto. Jimmy era scoppiato a ridere divertito, cingendo le spalle di entrambi in un abbraccio che li univa tutti e tre.
“Se non foste così tanto teste di cazzo sareste davvero le persone migliori di questo mondo.”
“Se non fossi così tanto testa di cazzo nemmeno mi vorresti come amico.”
“Non sono così masochista Brian, lo sai?”
 
 
Quando Roxanne l’aveva trovata, intenta a giocare con alcuni bambini, aveva finto di non vederla ed era tornata sui propri passi. In quell’alcova di dolcezza, i piedi nudi affondati nell’erba fresca del terreno, non era riuscita a interromperla. Riportarla alla realtà, alla sala gremita di adulti che le attendevano, era crudele. Lei poteva appoggiarsi a Jimmy ma si rendeva conto che Olivia aveva solo sé stessa, in quel momento, come se stesse decidendo per l’ennesima volta del proprio futuro. La conosceva abbastanza bene da sapere che stava cercando di evitare di passare al vaglio ogni scelta della propria esistenza. Quella era una cosa che sapeva aver fatto diverse volte negli ultimi mesi, in balia dell’incertezza che le era stata data dall’aver perduto le proprie radici. La piccola Holly che era partita per New York anni prima in quella situazione sarebbe già crollata, ma la Holly che avevano davanti loro sapeva quando mettere a tacere la coscienza e come restare in piedi anche se presa a schiaffi dalla sua migliore amica.
“Ehi sei qui. Val vuole qualche foto ricordo con le sue damigelle, non puoi rifiutarti.”
Jimmy si era arrestato al suo fianco, osservando Holly tracciare sul terreno disegni invisibili con un ramo secco, mentre i bambini – attorno a lei – osservavano rapiti ciò che stava facendo.
“Devo proprio, vero?”
“Direi di si. Sei qui per lei dopotutto.”
“In questo momento la sto invidiando. Guardala” gli aveva detto la mora, indicando l’amica.
“A volte sai cosa penso? Se vi foste scoperte prima non ci sarebbe stata nessuna Dakota.”
“Io credo che ci saremmo odiate a morte. Non avrei mai sopportato la vecchia Olivia.”
“E quella nuova com’è?”
“Ce l’hai davanti.”
Roxanne credeva che Holly non fosse realmente cambiata, solo che avesse imparato a vivere secondo ciò che le suggeriva il cuore, quella voce che per anni aveva messo a tacere quando Huntington Beach esercitava su di lei quella magia perversa secondo cui doveva vivere sottostando alle regole degli altri, per vivere ed essere accettata nel mondo degli altri. Nel suo si rifugiava persino troppo spesso, ma nessuno l’ascoltava davvero quando parlava da quella profondità: la voce che arrivava da lì era troppo flebile persino per essere udita da lei stessa. Ora, quella voce, gridava e scalciava, premeva contro la gola per uscire e non ammetteva compromessi. Un tempo, i compromessi Olivia li chiamava con nomi dolci come “affetto”, “amicizia”, “amore” ora riusciva a chiamarli con il loro giusto appellativo e se ne vergognava. Perché per amicizia, affetto, amore, aveva per anni zittito sé stessa, violentandosi un po’ ogni giorno.
 
 
Era stato Jason, con il suo sorriso smagliante e i fumi dell’alcol a corrergli in corpo, a interrompere l’ennesimo tentativo di riavvicinamento tra Roxanne e Zacky. Forse, a ben vedere, non era davvero il momento migliore per farlo. Tra le risa dei presenti, tra i sorrisi sinceri e le lacrime di commozione, solo loro, Brian e Holly sembravano essere gli unici spezzati, in qualche modo, fuori dal tempo e incapaci di gustare appieno quella gioia. Zacky, quando Jason l’aveva portato da Holly, si era detto che il problema, alla fine, non la riguardava nemmeno ed era lui a illudersi che anche lei fosse così stronza nei suoi confronti per gli stessi motivi per cui lui, lo era con lei.
Se l’era detto con un tono stizzito e una buona dose d’irritazione, rivolto a sé stesso per la stupidità con cui non riusciva a fare a meno di cercarla con lo sguardo, come facevano sempre per esplodere in una risata complice di cui solo loro comprendevano le cause o anche solo per assicurarsi che ci fosse.
“Che cazzo stai facendo?”
La rossa aveva guardato in basso, verso di lui e Jason, mentre se ne stava seduta sul ramo di un albero con le gambe a penzoloni nel vuoto. Alcuni bambini, sotto di lei, cercavano di arrampicarsi a propria volta, ma con pessimi risultati.
“Holly facci salire! Vogliamo vedere anche noi l’oceano da lì!” le aveva gridato un moccioso che aveva almeno sette anni e tutta l’aria di essere il capetto del gruppo.
“Non siete abbastanza grandi per arrampicarvi? Prima avete avuto paura e non siete voluti salire.”
“Si ma prima era prima che salissi tu!”
“Giusto. Ora sappiamo che anche con te sopra il ramo non si spezza” aveva proferito convinto uno dei marmocchi. Olivia aveva lanciato ai bambini uno sguardo spietato e colmo di finta ira, prima di scoppiare a ridere e tornare verso il tronco dell’albero, scendendo senza troppa difficoltà utilizzando i rami più bassi come pioli di una scala. Certo, quel maledetto abito le impediva i movimenti, ma era stata bravissima a non rovinarlo: Roxy ne sarebbe stata fiera.
“Che cazzo ci facevi lì sopra?”
“Sono andata a recuperare un paio di palloncini volati via a due bimbe, poi mi sono accorta che da lì si vede l’oceano. È bellissimo. L’altra volta non me n’ero accorta.”
“Holly! Holly! Ci racconti ancora una di quelle storie sui folletti? Ma davvero li hai visti in Galles?”
“Certo. E si fanno vedere solo dai bravi bambini.”
“Tu sei vecchia” aveva replicato lo stesso moccioso che le aveva dato della grassona poco prima, e Zacky l’aveva guardato con la stessa adorazione con cui un maestro guarda al proprio allievo.
“Ma molto più abile di te, moccioso, ad arrampicarmi sugli alberi.”
“Allora vediamo chi arriva prima al campo da tennis là in fondo!” gli aveva risposto lui iniziando a correre, imitato da alcuni degli altri bambini.
“Ehi, non vale!”
Holly era partita al loro inseguimento, i piedi nudi a sfiorare il terreno, raggiungendo i bambini in pochi istanti. Zacky non credeva ai propri occhi e vederla tenere in braccio la nipote di Matt che le riempiva di baci la guancia, feriva la retina mentre il sole moriva all’orizzonte.
Olivia sapeva come farsi giustizia, sempre.
“Ehi scema! C’è il lancio del bouquet e ci dovete essere tutte” gli aveva gridato lui e, per un istante, si era chiesto se lei avesse udito le sue parole oppure no.
Era come una farfalla: speri sempre di poterla tenere sulle dita e queste, non appena ti avvicini a loro, si librano nell’aria e volano lontane da te, spostandosi sempre un poco più in là, come se fossero loro a darti fastidio e ti concedessero più spazio.
Per tornare a respirare dopo una visione che ti strozza l’aria in gola.
 
 
“Scusa tu che ci fai qui?”
“Cosa dovrei fare, scusa?”
“Di solito le donne adorano ammazzarsi per prendere il bouquet” l’aveva canzonata Brian mentre, insieme ai ragazzi e a Holly, se ne stavano appoggiati alla parete sul fondo della stanza, lasciando alle amiche della sposa tutto lo spazio di manovra necessario per uccidersi a vicenda.
“Io non ho bisogno di prendere quel coso per sapere quando sposarmi.”
“Ehi ehi ehi! La piccola Holly ha le idee già chiare e non ci ha ancora detto nulla?”
“Piccola un cazzo, Johnny. Ti ricordo che sono più grande di te di un anno. Perché non ho mai fatto bullismo su di te come hanno fatto tutti, non significa che tu possa dire quello che vuoi. In ogni caso, non sarà Dakota a prenderlo.”
“E perché?” gli aveva chiesto lui, un po’ deluso.
“Perché sarò io a decidere quando sarà il momento di sposarvi, e prima che possiate farlo la sposerò io a Las Vegas.”
“No senti, vaffanculo. Già mi è preso un colpo quando siete tornate con le fedi e…”
La voce di Johnny era stata sovrastata dalle grida acute del branco di galline starnazzanti che si aggiravano come avvoltoi per la sala. Quando il bouquet era finito tra le mani di Roxy, senza il minimo sforzo, il tempo si era come fermato. Michelle e Gena – lo sguardo colmo d’odio – avevano gli occhi puntati sull’ambito trofeo, mentre Roxanne aveva abbozzato un sorriso incerto al pubblico che applaudiva.
Senza nemmeno rendersi conto di quando la cosa fosse avvenuta, Holly si era gettata sull’amica, gettandole le braccia al collo e stampandole un sonoro bacio sulla guancia.
"Hai vinto tu! Contro Michelle!"
Oh merda.
La bionda, dal canto proprio, aveva scoccato un’occhiata lapidaria alla rossa, fingendo di non averla udita. Non poteva permettersi di rovinare il matrimonio di sua sorella e poi, il gridolino di giubilo di Holly era stato udito solo da lei e Gena e, ovviamente, Dakota, che avrebbe continuato imperterrita a stare dalla parte di Olivia persino se le avesse scopato Johnny sotto il naso.
“Se non ti sposi non si sposeranno nemmeno Michelle e Brian” le aveva bisbigliato all’orecchio Holly, costringendola a scoppiare in una risata sincera, mentre stringeva il bouquet al petto. Quello era stato il primo momento di felicità che le pioveva addosso, e quella risata la faceva sentire dannatamente bene: più leggera ma bastava per distendere muscoli e alleggerire il peso che avvertiva sul petto sin dal primo mattino.
"Dobbiamo dirlo a Ian, ne sarà felice" aveva replicato la mora sovrappensiero.
“Fantastico” aveva esalato Zacky in un sussurro che sembrava il ringhio di un lupo, abbastanza forte da essere udito dalle due che si stavano dirigendo nella loro direzione.
"Be' tranquillo, puoi sempre non venire al matrimonio" gli aveva scoccato lapidaria Holly, senza nemmeno degnarlo di uno sguardo.
Roxy le aveva sorriso prendendola a braccetto mentre, ridendo, si dirigevano all’esterno della villa per riprendersi un po’ d’aria e, soprattutto, per trascinare Holly lontana da Zacky.
“Hai la faccia da ramanzina. Giuro che non ho fatto nulla, eh, questa volta.”
“Come sempre?”
“Dai Roxy, abbiamo vinto cazzo!”
Holly aveva gonfiato le guance in quella sua espressione da criceto arrabbiato, con il disappunto di quando qualcuno le rovinava la festa, poi erano scoppiate a ridere di nuovo. Faceva bene farlo, serviva a ricordare come si respira.
 
 
“Sono tutti in piscina, che ci fai qui? Dai Holly, continui a sparire come se ti desse fastidio stare con noi.”
Dakota si era seduta al suo fianco, su una delle panchine del parco, mentre Holly fissava la villa illuminata stagliarsi davanti a loro, come la sera di un compleanno di tanti anni prima quando Zacky, semplicemente, l’aveva tradita preferendo Gena a lei.
"Mi hai tradita" erano state le uniche parole che Olivia era riuscita a formulare in direzione di Dakota, come un proseguimento dei ricordi che le riaffioravano alla mente. La bionda era impallidita, mordendosi nervosamente l'unghia del pollice, accusando il colpo spostando lo sguardo sulla punta dei propri piedi. Si aspettava quell’accusa da quando Holly aveva saputo che sarebbe stata una delle damigelle di Val, e aveva ragione.
"Hai fatto la tua scelta, la rispetto. Tu come ti sei sentita quando ho scelto New York e poi Cardiff, Nick e Roxy?" aveva continuato la rossa, senza attendere una sua risposta.
Sincera, come sempre, aveva colpito il bersaglio.
"Tradita.”
"Siamo pari allora. Non voglio perderti."
"Nemmeno io."
"Oggi é uno di quei giorni in cui penso di aver sbagliato tutto nella mia vita, lo sai?”
Era una confessione dolorosa, difficile da digerire quando, tutt’al più, è una domanda che ti sei posto solo dentro la tua testa. Quando le parole non hanno suono fanno sempre meno paura di quando assumono forma e consistenza, di quando qualcuno è pronto ad accoglierle e condividere con te il loro peso.
"Holly non..."
Non piangere.
"Sono solo triste. Tutto qui."
Poteva un semplice abbraccio renderti la persona più felice del mondo? Poteva, con solo il suo profumo, ricordarle quanto bello poteva essere sentirsi amati da qualcuno che ti conosceva e accettava per ciò che eri?
"Tornerai?"
"Nessuno ha bisogno di me qui. Sono fuori.”
Un’altra confessione: la paura più grande, quella di essere diventata uno zero nella vita di chi, per lei, era sempre stato tutto.
"Ma ci sono io."
"Per te tornerei mille volte."
"Allora resta."
“Non è così semplice.”
“Nick ti seguirebbe.”
Sono io che non voglio. Non ora, è ancora troppo presto.
“Ti voglio bene Dakota. Un bene infinito.”
“Io di più. E te ne vorrò sempre. Anche se sei una scema, se ti giochi sempre il tutto e per tutto. Ti voglio bene proprio per questo.”
“Per quello che sono?”
“Per quello che sei.”
“Grazie.”
Avevo bisogno di sentirmi così, lo sai? Solo benvoluta. Bastava questo. Perché il sorriso di Matt, da solo, non basta più da un pezzo.
 
 
“Ora che uno dei migliori amici si è sposato con la donna più affascinante e meravigliosa di tutto il mondo, nonché la più cazzuta, voglio che anche tu, Brian, decida finalmente di diventare grande. Tu e Roxy avete la mia benedizione.”
Jimmy, un sigaro tra le labbra e la barba incolta per cui Holly e Roxanne l’avevano preso in giro per i primi dieci minuti dal loro arrivo ad Huntington Beach, aveva stretto a sé da un lato Roxanne, dall’altro Brian. Se ci fosse stato un modo per morire soffocati, sparire o qualsiasi altra cosa al mondo, Roxy avrebbe volentieri scambiato la sua vita per sparire da quella situazione. Stupido, stupido Jimmy che quando si ubriacava diventava così molesto da non capire più un cazzo, nemmeno quando – con la sua bontà infinita – riusciva a farti sentire una merda e a metterti in seria difficoltà.
“Dai Jimmy, sei completamente ubriaco” aveva cercato di smorzare la tensione Johnny, lanciando occhiate oltre il bordo della piscina in cerca di Holly, Dakota e Val. Perché erano lì solo loro, cinque coglioni, due cretine e una vittima innocente?
“Non sai quello che dici.”
“Lo sappiamo tutti che sto dicendo un sacco di verità. Se aveste bevuto tutto il ben di Dio che mi sono scolato io, lo vedreste anche voi. E che cazzo, Zacky, basta startene appiccicato a Gena! È tutto il giorno che ve ne state lì ad amoreggiare come due colombe. Cazzo, vuoi sposarti anche tu per caso? Rispetta le priorità, il bouquet l’ha preso Roxy, lei e Brian saranno quindi i prossimi.”
“Jimmy… ti prego…” la voce di Roxanne era poco più che un sussurro udibile solo da lui e Brian, soffocato dal rumore dell’acqua della piscina. Al chitarrista, però, non era sfuggito lo sguardo supplichevole della ragazza, velato di lacrime che cercava di trattenere alla meno peggio. Aveva lanciato un’occhiata persino a lui – ora che, evidentemente, non aveva altri appigli – nel tentativo di farsi aiutare a mettere a tacere l’amico. Troppi ricordi, tutti insieme, e il profumo di Brian così vicino da stordirla.
E il profumo di Roxy così vicino da fare male.
“Dai Jimmy, adesso basta cazzate.”
“Sei tu che sei una cazzata vivente, Brian!” aveva decretato lapidario stampandogli un bacio sulla guancia per poi scoppiare a ridere di gusto.
“Ecco qui la donna più bella della serata. Solo perché è la sposa, ovviamente” aveva precisato il batterista, indicando Valary uscire dalla villa.
“Ti stiamo aspettando, Val.”
“In piscina vestita così?” aveva riso lei, in direzione del batterista.
“Dai Val, lo sai che si dice: sposa bagnata, sposa fortunata.”
Valary era scoppiata a ridere alla battuta di Gena, portandosi a bordo piscina e lanciandosi al suo interno in un tuffo leggero. Chiunque altro, al suo posto, sarebbe annegato, trascinato sul fondo dalla pesantezza dell’abito, ma Val era riemersa in un istante, accanto a Matt, posandogli un bacio sulle labbra.
“Auguri amore.”
 
 
Erano rimaste abbracciate per diversi minuti, in sacro silenzio a respirare reciprocamente l’una il profumo dell’altra, in quel contatto che sapeva di tutto l’amore del mondo. Con riluttanza, Dakota si era scollata da Olivia, più per evitare di farsi vedere dagli altri e scoppiare a piangere davanti all’amica. Non voleva mostrarle quanto potesse essere doloroso l’imminente abbandono – l’ennesimo – ma voleva che potesse portarsi via da Huntington Beach qualcosa di buono, non solo l’ansia che aveva accumulato in quei giorni.
“Raggiungiamo gli altri in piscina? Sono tutti sbronzi. Tu sei l’unica sobria oggi.”
“Meglio che mi ricordi tutto, evito di fare un sacco di casini più di quanti non ne abbia già fatti.”
“Sei troppo dura con te stessa.”
Si erano incamminate lungo il parco immerso nella notte, la luce fioca dei lampioni a rischiarare le loro figure. La luce arrivava soprattutto dalla villa e dalla piscina, dove i ragazzi gridavano e facevano un casino assurdo. Ormai se n’erano andati tutti: i bambini, i genitori, i conoscenti e gli amici. Erano rimasti solo loro, la famiglia con i suoi numerosi scheletri nell’armadio e le guerre dichiarate, i sentimenti forti come gli scogli che spuntavano lungo il lato est della costa.
Holly aveva solo intravisto la figura di Valary tuffarsi in piscina, acclamata da tutti, ancora con indosso il vestito della cerimonia, e aveva sorriso in modo del tutto spontaneo.
“Val è la migliore.”
“Da quando scusa?”
“Da sempre, altrimenti non credo le avrei mai lasciato così facilmente Matt. Mi conosci.”
“Tu non cedi mai.”
“È pazzesca.”
“La sei anche tu.”
“Sei di parte, ma accetto il complimento.”
“Eccole qui! Credevamo foste a fare i piccioncini come Gena e Zacky. Johnny avrebbe apprezzato solo se fosse stato spettatore. E anche noi un po’.”
Ad Holly era parso chiaro che Jimmy era totalmente fuori di testa, specie perché Roxy e Brian erano stretti nella sua presa, entrambi disperati, nel tentativo di posare lo sguardo su qualsiasi altra cosa che non fosse quello dell’altro.
Sarebbe bastato solo quello per fregarli, ne era certa.
Valary aveva stemperato la situazione e calamitato su di sé l’attenzione di tutti, distogliendo quel muro di silenzio e fiati sospesi in direzione del trio al centro della piscina, ma non a sufficienza per far perdere la presa di Jimmy sui due.
“Senti Dakota, te lo ricordi quando abbiamo festeggiato qui il mio compleanno?”
“Si che me lo ricordo.”
“Tutto quanto?”
“Si perché?”
“Quella volta non siamo riuscite a tuffarci insieme in piscina, ma oggi possiamo compensare, che dici?”
Dakota le aveva sorriso, togliendosi le scarpe con il tacco e lasciandole cadere a terra. Si erano prese per mano iniziando a correre in direzione della piscina, tuffandosi a bomba vicinissime a tutti gli altri, lasciandosi la mano solo quando già erano a mezz’aria, pronte a ricadere a peso morto in acqua.
“Non ci credo…” aveva bisbigliato Roxy inghiottendo acqua, cloro e lacrime.
“L’hanno fatto sul serio” aveva ripreso, fissando attonita il vestito di Holly completamente fradicio e il trucco colato di entrambe, dirette a nuoto verso di loro.
Olivia le aveva strizzato l’occhio, sorridendo: ce l’abbiamo quasi fatta, no?
 
 
Cardiff, 2009
 
Il matrimonio non aveva appianato le cose. Matt e Holly continuavano a non sentirsi, salvo che per il compleanno di Matt, quando Holly gli aveva inviato un mms di un cupcake che si sarebbe mangiata in suo onore. Jimmy chiamava le ragazze in modo assiduo, facendo sapere loro ogni cosa sul nuovo disco. Agli inizi dell’autunno erano infatti tornati in sala di registrazione, iniziando a lavorare su quello che Jimmy sosteneva sarebbe stato il loro album migliore. Zacky e Brian, semplicemente, continuavano a non esistere. Avrebbero potuto realmente tornare a Cardiff per chiedere loro scusa, ma nessuno dei due aveva poi avuto il coraggio di chiedere all’altro di farlo davvero. Era difficile fare chiarezza nei sentimenti; soprattutto, era difficile farlo senza ferire e ferirsi. C’erano così tante persone coinvolte, in un gioco di equilibri precari con un possibile effetto domino che li avrebbe fatti cadere tutti quanti, che le cose, forse, stavano andando persino meglio così. Da quando Roxanne e Olivia non tornavano più ad Huntington Beach le cose tra Zacky e Gena andavano a gonfie vele, probabilmente grazie al fatto di essere l’unica donna ancora rimasta nella sua vita. Quello però, nessuno dei due l’avrebbe mai ammesso: era più semplice fingere che fosse il loro amore a essere più forte di ogni cosa, persino dei legami di sangue. Michelle non aveva mai perdonato a Jimmy l’aver benedetto un matrimonio di cui lei non faceva parte, ma continuava a essere il ben accetto a casa sua e di Brian per quieto vivere. Holly si era fermata a Cardiff, limitando le proprie trasferte all’estero a periodi davvero brevi da supervisore degli scavi. Sentiva il bisogno di avere vicino le persone che amava, come se addormentarsi tra le braccia di Nick o uscire con Roxanne le desse la sicurezza necessaria per non impazzire. La verità era che si era imposta di chiamare Cardiff “casa”, dunque di farvi ritorno più spesso, di passarvi più tempo, proprio come aveva fatto i primi tempi. L’irrequietezza che l’aveva spinta a viaggiare il mondo per quasi un anno, lentamente, era scivolata via, con la consapevolezza che le tue radici non le strappi via dal terreno nel quale sono piantate nemmeno bruciandole. Si era rassegnata, dunque, perché Huntington Beach sarebbe rimasta sempre lì, a portata di desiderio, e non l’avrebbe cancellata dal proprio cuore nemmeno strappandoselo dal petto. Roxy aveva Ian, e quello bastava a darle la sicurezza necessaria del sentirsi il centro del mondo - di un universo intero - in una vita in cui facilmente si stancava di ciò che faceva, cambiando decine di lavori differenti, tutti troppo ripetitivi, per una come lei. Ian continuava ad avere il magico potere di farla sentire al posto giusto, di farla sentire bene, soprattutto, nonostante la nostalgia di Zacky fosse così forte – a volte – da renderle insopportabile osservare il proprio riflesso allo specchio, così differente da quello di suo fratello eppure così famigliare.
Non sembriamo nemmeno gemelli, lo sai?
A volte, quando eravamo più piccoli, credevo che Holly sarebbe stata una sorella migliore di me: eravate davvero simili, voi due, e lo siete ancora, anche se non ve ne rendete conto.
Inconsciamente forse mi sono legata a lei perché ho visto le stesse cose che odiavo anche in te.
 
 
*
 
 
Avevano festeggiato il compleanno di Roxy poi, il venticinque dicembre, quello di Holly.
Insieme. Solo loro.
Avevano bisogno di nuove tradizioni e nuovi ritmi, di nuove aspettative per il futuro e nuovi sogni. Roxanne aveva persino proposto a Holly, scherzando, di buttarsi nel canto, e lei per tutta risposta aveva fatto una smorfia disgustata prendendo una manciata di pop corn da ingoiare in un unico boccone. Di sogni ne avevano ancora qualcuno nel cassetto, ma erano troppo grandi per essere realizzati da sole. Holly era vicina alla vetta: l’avevano richiamata a New York, per la successiva estate, per un impegno importante. La lettera era arrivata direttamente dal professor Humberg. Negli anni avevano continuato a tenersi in contatto via mail, nel confidarsi i piccoli successi e i grandi pensieri, ma nulla aveva fatto presagire a Olivia una richiesta di qualche genere da parte della sua vecchia università. Roxanne invece, continuava a cogliere tutto ciò che attirava la sua curiosità per poi abbandonarla dopo pochi mesi, quando già le erano venute a noia. Era il venticinque dicembre duemilanove, il ventiseiesimo compleanno di Holly, quando Jimmy l’aveva chiamata per farle gli auguri.
“Ehi folletto!”
“Jimmy!”
“Come va?”
“Sto festeggiando con Roxy, ci stiamo ammazzando dal ridere nel tentativo di renderci impresentabili per domani.”
“Dai scema!” aveva gridato la mora ridendo, mentre la crema per il viso le colava dentro il succo di frutta che teneva tra le mani.
“Dove andate di bello?”
“Ian vuole portarci in un post chic e Roxy ha deciso che dobbiamo essere perfette. Io impresentabile, dunque. Dio che schifo, Roxy! Ti è caduta la crema nel bicchiere!”
Jimmy le sentiva ridere di gusto, come se fossero tornate le stesse di sempre e poteva quasi immaginarle intente nelle proprie faccende, in quel mondo femminile dal quale Roxanne si era sempre staccata, preferendo le amicizie maschili.
“Sicure che è tutto a posto?”
“Si, e tu?”
“Tutto benissimo.”
Una pausa, di quelle che non sai come riempire.
“Tornerete per fine anno almeno?”
Holly aveva lanciato un’occhiata a Roxanne, poi era tornata a prestare attenzione al proprio cellulare.
“Non credo Jimmy. Roxy ha un paio di consegne per metà gennaio, io sino alla fine del mese sono impegnata a Edimburgo. Abbiamo deciso che torneremo per il tuo compleanno.”
“Sul serio?”
“Certo! Quest’anno abbiamo nuove tradizioni, festeggiare il tuo compleanno è una di queste.”
“Mi mancate.”
“Jimmy... un mese passa davvero in fretta. Tutto bene con il nuovo album?”
“Si, stiamo scrivendo ottimi pezzi. Sarà esplosivo. Avrei chiesto a Matt di farti venire a cantarne alcuni, se ti va. Devo ancora parlargliene, ma mi piacerebbe riprovare.”
“Ne parliamo quando torniamo a casa, okay? Adesso è tutto più incasinato, lo sai anche tu. Creare problemi al vostro lavoro è l’ultima delle cose che voglio.”
“Mi passi Jimmy? Egoista!” le aveva gridato Roxanne dalla cucina.
“Senti, è il mio compleanno se permetti! Lasciamelo gustare con calma!”
“Chi se ne frega! È anche Natale se per questo. Sfigata tu a compiere gli anni in un giorno del genere.”
“È un giorno speciale…”
Holly aveva messo in viva voce Jimmy, in modo che potesse sentirle battibeccare come due vecchie zitelle. Continuava a sorridere, nel buio della propria camera, nel figurarsele a punzecchiarsi in quel modo maldestro che avevano per raccontarsi il bene che si volevano.
“Jimmy lo sai che ti abbiamo comprato un regalo di Natale stupendo?”
“Si si! È una figata assurda! È la prima cosa che abbiamo scelto insieme lo sai?” aveva esultato raggiante Holly, continuando a biasciare pop corn ancora caldi.
Quando non hai più nulla da perdere inizi ad appartenere alle persone e ai luoghi. Se sei abbastanza forte per resistere, ti trasformi da crisalide in farfalla; se sei debole, rimani solo un baco da seta che morirà per farsi indossare da qualcun altro.
“Adesso sono davvero curioso… qualche anticipazione?”
“Nessuna, ovviamente.”
“Ehi Jimmy, perché non ci canti qualcosa di nuovo? Hai detto a Roxy che stavi scrivendo una canzone nei giorni scorsi, no?”
“Dai ragazze non mi sembra il caso…”
“Allora niente regalo” gli aveva risposto secca Roxanne, strizzando l’occhio con aria complice a Holly.
“Okay, aspettate un attimo allora.”
Qualche istante di silenzio, poi la voce di Jimmy che fendeva l’aria e spaccava cuore e polmoni.
Faceva male: era così fottutamente triste che non sarebbero bastate nemmeno tutte le lacrime del cielo per rendergli giustizia.
 

“I hope it's worth it, out on the highway, yeah
I know you'll find your own way
when I'm not with you
So tell everybody,
the ones who walked beside me, yeah
I hope you'll find your own way when
I'm not with you tonight” (**)
 
 
Erano passati alcuni minuti di silenzio, rotti solo dai rumori in sottofondo da parte di Jimmy che riponeva alcune cose sul tavolo.
“Non vi ho rovinato la serata, vero?”
“È bellissima.”
“È… tua.”
La voce di Roxanne tremava, di quella paura sottile che ti avvolge quando sembra che qualcosa ti stia sfuggendo dalle dita, un dettaglio importante e significativo che invece, sembra ben nascosto tra le pieghe dell’ovvio e della normalità.
“Davvero è tutto okay?”
“Davvero. È solo una canzone, Roxy, non è un sottotesto di chissà che cosa. Ci hai mai visto scrivere i testi delle nostre canzoni con qualche significato nascosto?”
“No, siete troppo idioti.”
“Vedi? Ti sei data la risposta da sola. Buon Natale.”
 
 
*
 
 
Quando il telefono aveva suonato nel cuore della notte, Holly aveva risposto senza nemmeno guardare il numero: a quell’ora, ormai, poteva essere solo Dakota.
“Sempre orari di merda, eh.”
“Holly, sono Matt.”
“Che succede?”
Si era alzata a sedere sul letto, di scatto, come se le avessero appena gettato addosso un secchio d’acqua gelida perché qualcosa, all’improvviso, era sbagliato e fuori posto nel tono di voce di Matt – nella telefonata stessa - e i suoi sensi schizzavano allarmati senza darle il tempo di posare i piedi sul pavimento gelido per riacquistare un contatto con la realtà.
“Jimmy è… Jimmy è morto. Torna qui, ti prego.”
La voce rotta dal pianto, rumori in sottofondo di qualcosa che si rompeva – come vetro che si schianta sul pavimento, ossa che si rompevano contro ossa che si contorcevano sotto il peso del dolore – e solo il suono del pianto di Matt a fare da sottofondo alla sua corsa verso il bagno, inginocchiandosi davanti al water vomitando bile.
“Holly? Stai bene?” le aveva chiesto lui in un sussurro, come se non volesse disturbare il mondo, come quando erano ragazzini e stavano ore a parlare chiusi nella camera di Holly.
“Partiamo domani, con il primo volo.”
“Grazie.”
“Matt?”
“Aspettami, ti prego.”
Non andartene anche tu.
Di lacrime, nessuna traccia, lo sguardo fisso nel vuoto, Holly si era incastrata tra il water e il bidone dei panni sporchi. Nick, pochi minuti dopo, l’aveva trovata lì, pallida come un cencio e fredda come il marmo, il cellulare stretto nella mano destra, incapace persino di vederlo o sentire ciò che aveva da dirle, mentre la chiamava scuotendola per le spalle, cercando di riportarla in sé. Il cellulare aveva preso a vibrare, tra le sue mani, e aveva premuto esitante il pulsante di riceazione.
“È morto. Holly, è morto Jimmy!” la voce di Roxanne era un grido che graffiava i timpani, che strappava la carne dal cuore stesso per lasciarlo spoglio di ogni protezione. Olivia, gli occhi umidi di pianto ora, aveva lasciato che Nick le cingesse le spalle per abbracciarla, per attirarla a sé e farsi carico di un po’ di quel dolore immenso che, da sola, non sarebbe mai riuscita a sopportare.
“È morto Jimmy” aveva bisbigliato lei, in un sussurro dal sapore amaro di fiele e vergogna per non aver capito l’urgenza di rivederle, per aver rimandato per l’ennesima volta un viaggio che avevano solo paura ad affrontare, per averlo perduto per sempre. Un’altra occasione non l’avrebbero mai più avuta, e Jimmy se n’era andato per sempre.
La vita – ad un certo punto – decide di strapparti via ogni cosa bella che possiedi se non hai combattuto per averla ma è semplicemente un dono che ti è stato concesso. Così, allo stesso modo, si era portata via Jimmy, perché nessuno di loro era stato degno di averlo nella propria vita, nessuno era stato in grado di seguire il cuore, come lui suggeriva, e nessuno si era fatto carico di quel dolore sottile che gli leggevi in faccia ma che, stupidamente, credevi facesse parte di lui da sempre.
Nessuno ce lo restituirà mai. Che razza di egoisti siamo stati?
 
 
“I hope it's worth it, out on the highway, yeah
I know you'll find your own way
when I'm not with you
So tell everybody,
the ones who walked beside me, yeah
I hope you'll find your own way when
I'm not with you tonight”
 
 
 
 
Note del’autrice.
(*) La mostra tematica dedicata a Tutankhamon dall’aprile 2010 al febbraio 2011 è stata una mostra permanente al MET di New York. Ho traslato l’evento di un anno, spostandolo temporaneamente a Londra.
(**) Ovviamente è il testo di “Fiction” canzone degli Avenged Sevenfold, dall’album “Nightmare”.
 
 
 
Credits.
I titoli dei capitoli di “Destini di vetro” sono ripresi da romanzi o da film.
“Destini di Vetro” romanzo di Irani Anosh.
“Più pesante del cielo” romanzo di Charles Cross (biografia di Kurt Cobain).
“Con gli occhi chiusi” romanzo di Federigo Tozzi.
“O sei dentro o sei fuori” romanzo di Guido Sgardoli.
“Dove nessuno ti troverà” romanzo di Alicia Giménez-Bartlett.
“Giuro di dire la verità ma tu non credermi” romanzo (serie per ragazzi “Spy Girls”) di Carter Ally.
“Nessuno si salva da solo” romanzo di Margaret Mazzantini.
“A un cerbiatto somiglia il mio amore” romanzo di David Grossman.
“Cosa tiene accese le stelle” romanzo di Mario Calabresi.
“Come doveva finire” romanzo di Alberto Gentili.
“Che ne sarà di noi” filmdi Giovanni Veronesi.
 
 
Siamo arrivati al termine di “Destini di Vetro” e, dopo mille peripezie (come dovreste ormai sapere) a breve partirà il progetto con Judy. All’inizio la saga doveva essere composta da due prequel paralleli che raccontavano le vicende uno (il mio) dal punto vista di Holly, l’altro (di Judy) dal punto di vista di Roxy. Io correvo troppo, Judy ha preferito scrivere una what if…? per cui “Destini” è diventato a tutti gli effetti un prequel. I punti salienti della trama (in poche parole, gli snodi della vicenda) sono stati ideati insieme, in un lungo viaggio di sei ore verso Zurigo, per il concerto di quest’estate degli Avenged Sevenfold.
Il resto (fronzoli e merletti) sono ovviamente farina del mio sacco. Va’ da sé che a Judy va la totale maternità di Roxanne (sua creatura al 100%) a me quella di Holly e Dakota.
Questo implica (per evitare equivoci vari ed eventuali) che Judy utilizzerà Holly e Dakota in “Freak’s Show” con il mio benestare, così come io ho usufruito della gentile concessione dell’utilizzo di Roxanne da parte di Judy. Ci tenevo a sottolinearlo, ecco, perché il fandom è una brutta bestia, e so che parla (quasi) sempre a sproposito.
 
 
Ringraziamenti.
Solo per questo spazio, dovrei inserire un capitolo a parte, ma ci tenevo a ringraziarvi per tutto l'affetto e l'attenzione che avete dimostrato per questa storia, nonché per la pazienza che avete dimostrato nel leggere capitoli di 40/50 pagine di Word e nell'attesa che ha accompagnato gli aggiornamenti.

Ad Amor Vincit Omnia, Cherry Berry e Vans Vengeance per la costanza con cui avete recensito attentamente ogni singolo capitolo, con amore e affetto verso i personaggi.
Ad Annika, Piuma Rosa e Bianca e Black Ice per la profondità con cui, nelle loro recensioni, si sono aperte raccontandomi un pezzetto della loro storia.
A Blondie per le sue recensioni che mi ammazzano con la loro ironia.
A Queen of Superficial, a Kicchan, Dizzyreads, Itsemotion, SilentMoon per essersi fatte sentire e aver apprezzato ciò che ho scritto.
Ovviamente, non ultima, a Judy, che nonostante conoscesse i fatti, nonostante si sia letta i capitoli in anteprima, nonostante le abbia bistrattato Roxanne, ha recensito ogni capitolo come se li avesse letti per la prima volta. A te, sempre e comunque, il cuore.

A tutti coloro che hanno letto, inserito la storia nelle preferite o nelle seguite. A chi vorrà commentare quest'ultimo capitolo e farmi sapere che ne pensa dell'intera storia, a chi semplicemente ha sorriso e pianto con Holly e Roxy, un grazie di cuore.
Da tutte noi.

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