SPIRITO INQUIETO - Cara sorella...

di Ninfea Blu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Mi chiamo Danielle ***
Capitolo 2: *** L'incontro con Fersen ***
Capitolo 3: *** Sarà il nostro segreto ***
Capitolo 4: *** Non giocare con lui ***
Capitolo 5: *** Pranzo a Villa Recamier ***
Capitolo 6: *** Voci di palazzo e gioco di sguardi ***
Capitolo 7: *** La notte delle confessioni ***
Capitolo 8: *** In amore e in guerra ***
Capitolo 9: *** Patti e complicità ***
Capitolo 10: *** Riflessi e ambiguità ***
Capitolo 11: *** Menzogne e inganni ***
Capitolo 12: *** Il valzer degli equivoci e fallimenti ***
Capitolo 13: *** Arrivi e partenze; bentornata contessa! ***
Capitolo 14: *** Una strana mattina ***
Capitolo 15: *** Rientro a Palazzo Jarjayes ***
Capitolo 16: *** Quello che c'è tra rabbia e passione ***
Capitolo 17: *** Confronti (A Chassillé) ***
Capitolo 18: *** Confronti (Lisette, Leopold, Isabeau) ***
Capitolo 19: *** Una richiesta misteriosa ***
Capitolo 20: *** La proposta scandalosa di Lisette ***
Capitolo 21: *** Quanto costa la libertà? ***
Capitolo 22: *** Cadono le maschere ***
Capitolo 23: *** Tempo inquieto (Attese) ***
Capitolo 24: *** Solitudini ***
Capitolo 25: *** Il vento inizia a cambiare ***
Capitolo 26: *** La fata dei boschi (L'incontro) ***
Capitolo 27: *** Le incognite del destino (Tristan e Danielle) ***
Capitolo 28: *** Ritrovarsi ***
Capitolo 29: *** Distanze (Chi è Oscar?) ***
Capitolo 30: *** Finalmente libera ***
Capitolo 31: *** L' ora delle verità ***
Capitolo 32: *** Nell'attesa di una nuova stagione (Epilogo) ***



Capitolo 1
*** Mi chiamo Danielle ***


Spirito inquieto (cara sorella…)

Spirito inquieto (Cara sorella…)

 

 

 

Mi chiamo Danielle Marie Angélique, contessa di Recamier.

Il mio nome non vi dirà niente probabilmente, ma tra un attimo capirete.

Per tutti coloro che mi conoscono, parenti o amici occasionali, sono solo Danielle.

Ebbene, sono la quinta figlia di uno dei personaggi più illustri e discussi tra i militari di Francia, il generale Jarjayes, uomo chiacchierato in società, non certo per causa mia.

Sono nata venticinque anni fa, in una sera di temporale, nella casa atavica dei miei genitori poco distante da Versailles, come tutte le mie sorelle.

Le figlie del generale Jarjayes.

Tutte femmine, tutte bellissime e destinate come donne a sposarsi per generare figli e perpetuare illustri discendenze nobiliari. Ma non basta; ci sono altre tradizioni di fondamentale importanza che vanno portate avanti nella famiglia di un generale fedele alla corona di Francia, e queste, solo l’erede di sesso maschile le può assolvere.

Così, per sei volte, mia madre docile, ha vissuto l’ansia e l’attesa che finalmente arrivasse questo agognato figlio maschio… e invece… ogni volta ha dovuto sopportare la colpa di aver generato un’altra femmina e leggere con timore, la delusione mista alla rabbia sul volto del generale, nostro padre. Chissà quanti dubbi e quanti dolori hanno torturato il suo cuore di madre.

 

Dai racconti della mia balia, quella strana sera d’inverno, un temporale infuriava battendo violentemente contro le imposte del nostro palazzo; tuoni e fulmini squarciavano il buio, mentre mia madre era in travaglio accudita dalla vecchia governante.

Mia madre era angosciata da un triste presentimento: forse aveva paura per la creatura che stava per mettere al mondo; sentiva che tutte le forze della natura stavano cantando il preludio alle difficoltà che avrebbe dovuto affrontare nella sua vita.

E ancora non immaginava quanto sarebbe stata bizzarra la sorte che mise al mondo due delle sue figlie. Le ultime di sei fanciulle indesiderate, per la gioia di nostro padre.

 

Nostra madre, Madame Jarjayes, ci ha amate tutte, colmandoci di quell’affetto che il generale non concedeva liberamente; ma forse di più, o solo in modo diverso, ha amato Oscar per la stessa ragione, quella figlia che le è stata tolta troppo presto, che più delle sue sorelle reclamava quell’amore di cui tutti i figli hanno bisogno.

 

Sono di poco più vecchia di Oscar; pochi minuti hanno determinato le nostre esistenze così differenti.

Ho i suoi capelli biondi e identici occhi di un blu ceruleo, inquieti e profondi come il mare della Normandia; sono la sua gemella, quella che è stata allevata come una donna normale e l’ultima con cui lei abbia giocato da bambina.

Anzi, sono l’unica, perché le altre più grandi di noi si sono sposate e hanno lasciato la casa natale molto presto, quando noi eravamo ancora piccole.

Anch’io, come loro, mi sono sposata molto giovane; avevo quindici anni, ero una bambina in confronto a mio marito, un trentacinquenne maturo con un notevole bagaglio d’esperienza.

Ho partorito i suoi figli, due creature che sono tra le cose più belle che abbia avuto dall’unione con l’uomo che sono stata obbligata a sposare.

Una sorte comune a tante nobili fanciulle di buona famiglia, la mia.

Ricordo benissimo il giorno del mio matrimonio, non si può certo dire che sia stato romantico.

Credo che mio padre lo abbia pianificato in fretta, anche per allontanarmi velocemente da Oscar.

Dei mesi precedenti, ricordo ancora tutti i preparativi; la dote, il trambusto, la presentazione alle rispettive famiglie, tutte cose che Oscar aveva disertato con la scusa dei suoi impegni a corte.

E poi, l’emozione consumata di mia madre, avvezza da sempre al cerimoniale, e più ancora, quella genuina e commovente di Nanny.

“Sembra ieri che giocavate nel giardino con vostra sorella. E pensare che madamigella Oscar ha la vostra età, è bella quanto voi, ma si preoccupa solo di tirar di scherma con quel buono a nulla di mio nipote!!”

Forse in quel momento, avrei volentieri scambiato la mia vita con la sua.

Piansi praticamente quasi tutto il tempo e non perché ero emozionata dalla gioia.

Piansi di rabbia e di paura, di ansia e delusione.

Nel candore della mia innocenza, avevo creduto a lungo nel principe azzurro, ma sapevo che il mio futuro marito, il conte di Recamier, conosciuto solo poco tempo prima, non lo era davvero. Era un vecchio per me.

Fu un fidanzamento lampo che durò il tempo necessario a sbrigare tutte le formalità del caso, intervallato da poche e rapide conversazioni di rito tra me e il mio futuro marito, sotto l’attento controllo di mia madre che vegliava su quegli incontri come richiedevano le convenienze della buona società.

 

All’epoca delle mie nozze, Oscar già da un anno occupava la carica di capitano delle Guardie Reali, al servizio della giovanissima Delfina di Francia, la futura regina.

Non dimenticherò mai la sua espressione di quel giorno; era sinceramente dispiaciuta e preoccupata per me, ma anche sollevata di non dover subire quella medesima sorte. E pensare che neppure lei aveva accettato con rassegnazione di indossare l’uniforme, quasi un anno prima; probabilmente, a distanza di tempo, vedeva quella scelta sotto una luce diversa.

Avrei potuto essere al posto di Oscar, se mio padre avesse concepito un attimo prima quell’idea malsana, di allevare l’ultimogenita come un maschio.

Invece di ventagli e crinoline, ciprie e belletto, nella mia vita ci sarebbe stata la spada, l’esercito e forse un uomo come André al mio fianco.

La folle decisione era stata presa in un attimo dal nostro augusto genitore; quando la governante lo informò della nascita di due femmine, mio padre aveva strappato l’ultima nata alle braccia della balia e l’aveva sollevata in alto, come se volesse sfidare Dio, manifestando il suo proposito incredibile, stravolgendo ogni legge di natura.

Forse sono stata fortunata o forse no, perché tra le altre cose, ho sempre invidiato a mia sorella la sua libertà di azione e pensiero. Che sia stato nostro padre o il caso a decidere delle nostre sorti, ha dato a lei delle possibilità che nessuna donna del nostro tempo potrebbe mai avere né conquistare.

Il ruolo di potere che ricopre le permette di fare e dire ciò che vuole e pensa, in un mondo dominato essenzialmente da ideologie maschili, che non concede spazi alle donne.

Ora è Colonnello delle Guardie Reali, comanda il primo reggimento del regno di Francia, è rispettata e tenuta in grande considerazione dallo stesso sovrano e da molti generali dell’esercito che riconoscono il suo valore, magari solo perché è la figlia del generale Jarjayes.

Nessuna donna normale potrebbe godere di un simile privilegio in questa società; ma Oscar è un caso unico in tutta la storia.

 

Io ho dovuto adottare strategie più sottili e raffinate per affermare me stessa in questo mondo. A una fanciulla nobile e di alto lignaggio viene insegnato che dovrà sempre restare al suo posto, che sia in un convento di clausura o consorte di un uomo.

Perse innocenza e ingenuità, non ho mai voluto sottostare a questa regola, ed essendo ben dotata di quelle tipiche armi femminili quali fascino e seduzione, unite ad un marito piuttosto assente, ne ho fatto un uso intelligente allo scopo di potermi muovere in società con sicurezza e libertà.

Al contrario di me, Oscar, allevata come l’erede legittimo della famiglia Jarjayes, non dovrà mai sottostare alla volontà di un marito, e quindi, subire le attenzioni di un uomo che non ama.

Non sentirà mai la necessità di tradire, come faccio io, per cercare al di fuori del legame coniugale quello che manca nella tua vita, con la consapevolezza che comunque, quello che hai in quel momento è solo qualcosa di effimero.

E come tradisco, io subisco l’onta del tradimento, senza sentirmi umiliata da una consuetudine comune tra molte coppie legate per interessi e non per amore. Oscar non dovrà mai scendere a compromessi del genere per la sua felicità.

 

 

Da bambine nonostante l’indole diversa, andavamo d’accordo ed eravamo molto legate; lo siamo ancora oggi del resto, ma abbiamo avuto poco tempo per giocare insieme, per ovvie ragioni.

In realtà, nostro padre faceva in modo che Oscar non frequentasse troppo a lungo le sue sorelle maggiori; era necessario evitare che ricevesse influenze troppo femminili. Probabilmente lo giudicava un pericolo alla formazione della sua carriera militare. 

Ma crescere vicino ad Oscar non è stato facile neanche per me; le difficoltà ci sono state, subito.

La prima fu quella di convincere una bambina di essere un bambino, avendo davanti la tua copia esatta che ti somiglia come una goccia d’acqua e ha un aspetto troppo femminile; sarebbe stato impossibile per Oscar non avere più di qualche dubbio sulla sua identità, ma certe cose non si possono nascondere a lungo e con l’arrivo dell’adolescenza tutto è diventato più complicato.

Per Oscar fu inevitabile scontrarsi con la sua natura oltre che col padre severo e intransigente, che non voleva recedere dal suo proposito aberrante; fare di una donna un soldato.

Fui tentata più di una volta di dire ad Oscar la verità, ma temevo molto di più la reazione di mio padre. Alla fine, l’ostinazione del generale raggiunse il suo scopo ottimamente.

 

Paradossalmente io e Oscar eravamo le più belle tra le figlie del generale; chi ci vedeva crescere insieme, attraverso me, poteva intuire chiaramente la promessa delle splendida donna che sarebbe diventata Oscar. Ma tutti, famigliari e membri della servitù, avevamo l’ordine di trattare Oscar come un maschio. Lei era una fanciulla che si atteggiava come se fosse stata davvero un ragazzo, convinta di esserlo; la delicatezza del suo sguardo, che nell’età adulta si è fatto più duro e tagliente rispetto al mio, strideva con il passo deciso e marziale, con la voce perentoria.

Le veniva richiesto di essere coraggiosa, forte, non doveva mai cedere alla paura; quante volte l’ho vista trattenere il pianto stoicamente, in un modo che era addirittura eccessivo per una bambina della sua età.

Ma davanti a nostro padre non doveva mai dimostrarsi debole, la pena sarebbe stata la sua ira.

Non so se la natura o il fato siano stati concilianti, ma incredibilmente mia sorella dimostrava di avere tutte quelle doti che ci si sarebbe aspettati di trovare in un maschio, l’erede tanto desiderato dal generale.

Col tempo, e non senza sforzo, ho visto Oscar arrivare a dominare la sua natura e soffocarla sotto le sue severe vesti maschili.

Comunque vicino a lei, anch’io subivo l’influenza di un’ indole da maschiaccio irriverente e non nego che certe volte, avrei voluto essere come lei. Oscar, ribelle per natura, assumeva questo atteggiamento molto spesso quando nostro padre era assente.

Fin da bambina, aveva l’abitudine di dire apertamente e senza remore quello che pensava, e agiva di conseguenza, con grande disappunto di nostra madre, che tra sensi di colpa, timori e sentimenti contrastanti, mal si era sempre adattata al capriccio del marito di allevare mia sorella come un ragazzo. Il generale non avrebbe certamente apprezzato i suoi toni insolenti e trasgressivi.

Lo amava, ma lo temeva e avrebbe fatto quasi di tutto per compiacerlo, tranne che rinunciare alla compagnia costante del nipote della nostra balia, quel bambino che le era stato messo accanto come riferimento maschile cui ispirarsi.

Ad esempio, Oscar non accettava di non poter mangiare in compagnia di André; se si tentava di spiegarle che lui era semplicemente un membro della servitù e come tale, doveva stare con gli altri servi, lei, da quella piccola testarda che era, confutava ostinatamente quella teoria.

“André è un amico, anzi, è come un fratello per me; se posso mangiare con le mie sorelle, non vedo perché non dovrei mangiare con lui.”

Si impuntava talmente tanto, che riuscì ad ottenere di poter pranzare con André quasi ogni giorno. Il generale probabilmente l’assecondò in questo capriccio, convinto che la compagnia costante di quel ragazzino, potesse accentuare il suo temperamento maschile.

 

E io crescevo ed ero affascinata da lei; siamo gemelle, di conseguenza i nostri caratteri per certi versi erano e sono molto simili. Ci assomigliavamo, nonostante le nostre educazioni, fossero assai differenti. Alle mie bambole molto spesso preferivo correre e saltare sui prati, ero esclusa solo dai giochi con le spade. Ma mi divertivo a guardare lei e André duellare, tifando ora per l’una, ora per l’altro. Avevamo una vecchia palla di pezza e ci divertivamo come pazze a lanciarla e lei pretendeva sempre che André si unisse ai nostri giochi. In un certo modo le invidiavo anche il rapporto che aveva con lui; ero gelosa della loro amicizia sincera, profonda, il loro essere sempre complici.

Posso dire con certezza di non aver mai avuto la gioia di una vera amicizia nella mia vita.

Certo, Oscar a volte cercava comunque la mia compagnia, o quella delle sorelle maggiori, quando quelle poche volte che accadeva, le capitava di litigare col suo compagno “d’armi”.

Da bambini non si tenevano il broncio a lungo in realtà. Erano già troppo uniti anche allora per restare separati più di qualche ora. In fondo André era davvero l’unico amico che mia sorella avesse. Ho visto Andrè crescere con lei, vedevo la loro amicizia crescere forte e vigorosa giorno dopo giorno. Oscar non ha mai legato con i ragazzini della sua età, forse perché era intelligente e sveglia almeno il doppio della metà dei suoi coetanei. Lei non ha mai concesso ad altri, ciò che concedeva a quel fedele e silenzioso attendente.

 

Tante volte mi sono chiesta perché…

 

Perché nessun altro nella nostra famiglia, né le sue sorelle o sua madre, abbiano mai goduto della sua confidenza? Dipendeva forse dalla sua educazione maschile?

Anche, certamente.

Con la maturità, avrei capito anch’io da cosa dipendeva quello strano attaccamento che si era instaurato tra loro attraverso gli anni; quella comprensione un giorno mi portò a temere che potesse accadere quello che tra servi e padroni non potrà essere mai, senza comprendere che mi stavo preoccupando di qualcosa di cui io per prima, sarei stata vittima.

 

 

Continua…

 

 

Questa volta mi sono imbarcata in un’ avventura che potrebbe essere superiore alle mie capacità; ho quasi inventato un personaggio (una delle sorelle di Oscar, gemella per giunta, un’ idea che mi intrigava). È da un po’ che mi frullava in testa questa storia, mi decido solo ora a pubblicarla. Mi preme essere realistica e verosimile per quanto mi sia possibile e l’aiuto di lettori attenti sarebbe prezioso e ben accetto; se notate strafalcioni o situazioni che non vi convincono o vi sembrano deboli vi pregherei di farmelo sapere. Non abbiate remore a dirmi cosa pensate. Cercherò per quanto possibile di correggere la mia storia.

Spero che le premesse vi siano piaciute e che mi seguirete in questa novità. Un saluto a tutte.

 

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Capitolo 2
*** L'incontro con Fersen ***


2 – L’incontro con Fersen

2 – L’incontro con Fersen.

 

 

Sono passati una decina d’anni dal mio matrimonio.

Non posso dire di essere completamente felice, ma in fondo, quale donna nella mia posizione può dire di esserlo? Ho due bellissimi bambini che amo con tutto il cuore, ma la mia vita a volte mi sembra monotona e incolore, senza emozioni, scandita solo da rutilanti feste, ricevimenti, concerti, visite di cortesia da ricambiare verso personaggi di cui non mi importa nulla, che non sono neppure amici.

Insomma, una serie infinita di formalità di cui una donna come Oscar non dovrà mai preoccuparsi.

Non so dire quanto mi vada stretto questo ruolo a volte.

Vorrei potermi dedicare solo alla mia vera e grande passione che è l’arte, l’unica cosa che valga la pena di coltivare in questo nostro mondo piatto e avvilente, che vive di convenzioni; infatti apro il mio salotto ad artisti, pittori, musicisti e intellettuali, che sono tra le persone più interessanti ed emotivamente coinvolgenti che conosco, persone di forti e grandi passioni, forse proprio perché non appartengono alla nobiltà.

Io e mio marito frequentiamo la corte con una certa assiduità, anche se né io né lui, ne amiamo particolarmente l’ambiente mondano, rigido e formale. Godiamo di notevole prestigio e il fatto che io sia la splendida sorella gemella del Colonnello Oscar, mi procura un discreto successo a corte, genera curiosità e chiacchiere anche fantasiose. D’altronde il pettegolezzo è il trastullo principale dei cortigiani. Ho uno stuolo di ammiratori che non si curano del fatto che sono sposata e, fra questi, c’è anche chi mi corteggia spudoratamente. A volte, uno di questi gentiluomini ha più successo di altri, e per un po’ riesce a vincere la mia noia, anche se non sono mai particolarmente coinvolta. Questi nobili venesi e annoiati, sul piano sentimentale non sanno accendere grandi passioni, e spesso le loro personalità leziose e sciocche mi vengono a nausea.

Un giorno a Versailles, per liberarmi di uno di loro, ho accettato l’invito a danzare che mi ha rivolto il conte Hans Axel di Fersen. Sapeva bene chi ero, e sicuramente si sentì incoraggiato da questo, ma anch’io sapevo quello che c’era da sapere sullo straniero; infatti, ero a conoscenza delle voci che giravano su di lui e la regina.

Detesto il pettegolezzo, ma in società non ci si può permettere di vivere come se non esistesse, anche per difendersi da esso, e magari costruirlo ad arte e usarlo a proprio beneficio.

“La prima volta che mi hanno detto chi siete Madame Recamier, sono rimasto enormemente sorpreso.” Mi disse il conte in un giro di danza.

“Cosa vi sorprende tanto? La mia somiglianza con Oscar?”

“Siete identica a vostra sorella; in effetti è una cosa che mi turba molto, eppure non avrei mai saputo immaginare Oscar in sembianze tanto femminili.”

“Non capisco; debbo considerare le vostre parole come un complimento, conte di Fersen? O pensavate che Oscar non fosse altrettanto bella?”

“Vostra sorella è bellissima, è vero, ma vedere voi, è come scoprire l’altro volto di madamigella Oscar...”

“L’altro volto?”

“Sì, quello ignoto. Quello che avrebbe potuto essere... o forse, quello che dovrebbe essere.”

 

Come vi sbagliate, conte. Pensavo tra me.

 

“Oh, certo... Siete troppo abituato a vederla in uniforme. Comunque, non dovete lasciarvi ingannare dalle apparenze: vi assicuro che io e Oscar, benché diverse per educazione, siamo piuttosto simili, per temperamento. Vi sorprenderebbe scoprire quanto.”

“Sarebbe interessante andare a fondo della questione, madame…” disse il conte in un modo che mi parve allusivo e l’occhiata obliqua che mi aveva rivolto non poteva essere fraintesa.

Io preferii cambiare l’argomento della conversazione, non perché mi sentivo a disagio, ma per soddisfare un’altra curiosità che ritenevo molto più seria.

“So che frequentate la casa di mio padre: posso chiedervi in quale veste? Oscar è ancora nubile, ma non penso che siate un pretendente alla sua mano e la gente potrebbe fraintendere.”

Alle mie parole, il conte si mise a ridere di gusto.

“Suvvia contessa, chi potrebbe fraintendere il mio atteggiamento verso Oscar? Sì, forse sono l’unico uomo che la frequenta, posso dire di avere questo privilegio. E allora? Dovete ammettere che Oscar, oltre ad essere bellissima, è una donna straordinaria e fuori dal comune, ma le mie frequentazioni a Palazzo Jarjayes sono legate unicamente all’amicizia e alla stima che nutro nei confronti del Colonnello Oscar.”

Questo era senz’altro vero per lui, ma per mia sorella le cose dovevano stare in maniera diversa.

Mi erano giunte voci sulla loro amicizia, ma nutrivo forti dubbi in merito alla faccenda.

L’avevo incontrata di recente, e alle mie domande su quali fossero i suoi rapporti con l’amante della regina, non espresso in questi termini, logicamente, lei si era fatta stranamente ansiosa, malinconica più del solito, diventando quasi scontrosa nel rispondermi. Una reazione che mi aveva un po’ sorpreso.

Io e Fersen continuammo a parlare nel vortice della danza e, tra un minuetto e una gavotte, mi accorgevo di quanto fosse rapito dal mio aspetto, ma io non ero altrettanto rapita da lui. Era un uomo di fascino, notoriamente libertino, il presunto amante della regina, ma pareva uno sciocco. E io avevo da tempo il sospetto che mia sorella fosse segretamente innamorata di lui e, non so perché, ma la cosa mi indispettiva; Oscar mi pareva troppo intelligente ed emancipata per sprecare il suo cuore dietro un personaggio così discusso, a mio parere tanto banale. Stavo seriamente pensando di attuare una strategia per farglielo dimenticare in fretta. O almeno, per farle vedere l’abbaglio di cui era vittima.

“Stavo pensando di andare a far visita a mia sorella uno di questi giorni. Perché non mi accompagnate, conte? Sono certa che ad Oscar farebbe piacere.”

“Sarò lieto e onorato di accompagnarvi.”

“Benissimo conte. Domani vi sembra troppo presto? Spero non avrete altri impegni…”

Alludevo al fatto che potesse avere qualche convegno segreto con la regina, ma lui non parve cogliere la mia provocazione, che pure era stata volontaria.

Si limitò ad acconsentire alla mia richiesta.

Sapeva essere un uomo discreto e questa era senz’altro una buona cosa.

Avevamo smesso di danzare e ora, nella sala, fece il suo ingresso solenne Maria Antonietta; era semplicemente splendida, impossibile non ammirarne il portamento e la grazia. Indossava un abito degno di lei, che esaltava la sua regalità. Mentre avanzava, al suo passaggio la gente attorno sprofondava in riverenze e inchini ossequiosi. Si fermò davanti a me, mi inchinai; fu un istante, ma riuscii a cogliere lo sguardo d’intesa con Fersen.

“Madame Recamier, sono lieta di vedervi. Madamigella Oscar non è con voi quest’oggi?” alle sue  parole, sollevai la testa e incontrai i suoi occhi.

“No, Maestà, ma voi sapete quanto mia sorella poco gradisca i ricevimenti a corte.”

“Ah, sì lo so. Viene solo quando non può proprio farne a meno. E non resta mai fino alla fine.”

Rivolse un rapido cenno di saluto, accompagnato da uno sguardo eloquente al conte di Fersen, ma non gli rivolse la parola. Proseguì lungo la Sala degli Specchi, salutando gli altri nobili presenti.

Io mi ero voltata verso Fersen e lo osservavo con interesse; seguiva con lo sguardo la figura della regina, come una falena è attratta dalla luce. Sembrava essersi completamente dimenticato di me. Dovevo assicurarmi tutta la sua attenzione e garantirmi la sua presenza per il giorno seguente. Lo chiamai e lui si riscosse dai suoi pensieri.

“Scusate conte di Fersen, posso chiedervi come è nata la vostra amicizia con mia sorella? Non riesco a immaginare quali interessi abbiate in comune.”

“Quegli stessi interessi che si potrebbero avere con un uomo di profonda cultura e intelligenza; Oscar conosce la letteratura latina oltre a quella dei nostri contemporanei, la musica, è arguta e brillante, inoltre è un valente spadaccino da cui c’è sempre da imparare.”

Fersen camminava al mio fianco mentre conversavamo; non lo diedi a vedere, ma sentirlo paragonare Oscar ad un uomo mi infastidì.

“Ah, certo, capisco cosa intendete: voi dunque, non pensate a lei come a una donna…” gli dissi agitando il ventaglio in maniera plateale, ma elegante davanti al volto.

“Diciamo che non conosco altre donne che non mi facciano pensare al fatto che sono donne. - Fece una pausa prima di proseguire, mentre continuava a camminare al mio fianco. – Con vostra sorella posso essere schietto e sincero, senza preoccuparmi delle convenienze, della forma… capite quello che intendo?”

Altroché se capivo. Che uomo banale.

Non era poi così diverso dagli altri che giudicavano in base a quello che vedevano.

Sorrisi al conte in maniera amabile richiudendo il mio ventaglio.

“Perfettamente, vi assicuro. - Gli porsi la mano che lui baciò. – Allora, a domani Fersen.”

Mi allontanai dalla sala non prima di aver rivolto al conte un sorriso amichevole.

 

 

****

 

 

Il giorno seguente, alle prime ore del mattino, dopo una notte senza più entusiasmi, congedai velocemente e in maniera definitiva il giovane amante del momento, una relazione leggera, che durava da tempo, diventata troppo monotona e soffocante per il mio spirito libero. Non mi ero mai sbagliata tanto nel scegliere un uomo.

Fu una vera liberazione.

 

Il conte, subito dopo mezzogiorno, si presentò a casa mia con la sua carrozza.

Partimmo immediatamente alla volta di Palazzo Jarjayes.

La conversazione con Fersen durante il tragitto fu amabile; mi raccontò dei suoi viaggi all’estero fatti negli anni passati e fu talmente accattivante che riuscì a catturare la mia attenzione.

Quando raggiungemmo la residenza di mio padre, trovammo Oscar e Andrè che stavano duellando.

Io salutai Oscar abbracciandola, poi guardai André fermo a poca distanza.

Mi aveva salutata con molta cortesia, prima di allontanarsi.

Non so perché mi sentii fortemente turbata. Era passato diverso tempo dall’ultima volta che avevo visto André e avevo quasi dimenticato il colore intenso dei suoi occhi; un verde cupo, tenebroso e affascinante.

Mi sentii pervasa da uno strano brivido, ma cercai di non pensarci e di concentrarmi solo su Oscar.

Lei era in splendida forma, come sempre.

Ci accolse con grazia rivolgendosi a Fersen.

“Che sorpresa mi fate oggi Fersen, portate con voi mia sorella Danielle… quando vi siete incontrati?”

Risposi io per lui.

“Ci siamo conosciuti a un recente ballo a Versailles. Il conte mi ha raccontato che siete molto amici, così gli ho proposto di accompagnarmi qui quest’oggi, per farti una sorpresa.”

“Mi fa piacere… avete fatto benissimo.”

Nonostante le sue parole, Oscar mi parve a disagio. Sapevo che in qualche modo temeva il confronto con me.

In realtà mia sorella trovava sempre fastidiosi, gli sguardi incuriositi della gente che ci osservava con sincera meraviglia; anche se io ero truccata e abbigliata come una gran dama, quando comparivamo in pubblico insieme, non sfuggiva a nessuno il fatto che fossimo l’immagine speculare una dell’altra.

Per quanto fosse abituata, quel genere di situazione non le piaceva.

Soprattutto, non le piaceva in quel momento, di fronte a Fersen.

Questa constatazione bastò a convincermi di quanto fossero veritiere le mie intuizioni sui suoi sentimenti verso lo svedese. Guardando Fersen, mi accorsi che aveva la medesima espressione che tante volte avevo visto in altri sguardi in nostra presenza; a questo punto si intromise.

“Non potete immaginare la mia sorpresa, madamigella Oscar, quando ho capito che Madame Recamier è la vostra gemella. Vi conosco da molto ormai, eppure non mi avete mai detto nulla.”

“Scusatemi Fersen, avete ragione; non si è mai presentata l’occasione, e non ho mai ritenuto la cosa importante. Spero di non avervi creato qualche imbarazzo.”

“Oh, no non preoccupatevi. Anzi, sono rimasto piacevolmente sorpreso.”

Entrammo in casa e pensai di andare prima a salutare mia madre. Mentre stavo per raggiungere la sua camera, incontrai Andrè lungo i corridoi. Lo osservai per qualche secondo. Non me lo ricordavo così alto e prestante: una figura elegante, ma forte, era diventato davvero un bell’uomo. Non aveva i modi di un servo, non potei fare a meno di notarlo. E mi parve di avvertire una confusa sensazione di autentico piacere. Incontrai nuovamente i suoi occhi intensi e mi sentii avvampare; era lo sguardo composto e malinconico più seducente che avessi mai visto.

Per cercare di mascherare il mio turbamento, cercai di parlare ostentando la massima disinvoltura.

“Andrè, perché non ti unisci a noi? Di solito resti insieme ad Oscar anche quando ci sono ospiti.”

Mi lasciò perplessa la risposta che mi diede.

“Non questa volta…”

“Non sarà a causa mia, vero?” chiesi un po’ allarmata.

“No, ma che dite, madame Recamier?!”

Fece un piccolo inchino, prima di scomparire attraverso i corridoi di palazzo.

Mi affrettai a salutare mia madre, poi raggiunsi mia sorella e il conte in salotto, dove conversammo tranquillamente prendendo il té.

Oscar e Fersen parevano davvero ottimi amici e io mi unii volentieri ai loro discorsi.

“Ho visto quella commedia a teatro. Vi giuro; non potevano scegliere attori peggiori. Un bel testo davvero rovinato.”

Stava dicendo Fersen, rivolto a Oscar.

“Ho poco tempo per andare a teatro… alle commedie, però, preferisco storie meno leggere, ma vanno poco di moda…”

Intanto, nascosta dietro il mio ventaglio, osservavo mia sorella con apparente noncuranza; il suo sguardo, quando incontrava gli occhi del conte, in certi momenti s’illuminava. Fui convinta di non aver mai visto Oscar in quello stato e Fersen naturalmente, non si accorgeva di nulla o fingeva di non accorgersene, ma penso fosse più la prima ipotesi.

Per essere un uomo abituato alle conquiste femminili, non era molto attento a certi particolari, ma potevo anche concedergli il beneficio del dubbio, dal momento che si trattava di mia sorella e non una dama qualunque. Ad un certo punto le propose di battersi con la spada e lei accettò.

Ne approfittai per trovare una scusa e allontanarmi da loro; non avevo nessuna voglia di assistere a quel duello. In realtà, volevo parlare con una persona che si era eclissata appena Fersen era entrato in scena; volevo trovare Andrè e parlargli. 

Lo cercai nelle cucine, ma sua nonna mi disse che era andato nelle scuderie per ferrare uno dei cavalli.

Uscii in giardino, senza farmi vedere da Oscar o dal conte che erano seriamente impegnati nel duello; alle orecchie mi arrivava il cozzare delle spade, mentre mi affrettavo verso le scuderie con una vaga trepidazione.

Stavo pensando allo strano comportamento di André; non l’avevo mai visto stare così lontano da Oscar, quasi tentasse di evitarla… oppure era qualcun altro che voleva evitare?

Lo avrei scoperto certamente, a costo di forzare la proverbiale riservatezza di quell’uomo, una caratteristica che lo accomunava moltissimo ad Oscar. Finalmente lo trovai all’esterno delle scuderie.

Teneva alzata la zampa di un cavallo a cui stava attaccando un ferro allo zoccolo. Parlava all’animale con voce suadente, per tenerlo tranquillo. Alzò la testa appena sentì che mi stavo avvicinando a lui e rimase sorpreso di vedermi. Probabilmente, solo Oscar lo disturbava durante quelle incombenze.

“Madame, avete bisogno di qualcosa?”

“Ti dispiace se parliamo un po’ André?”

“No, affatto.” Disse con un sorriso.

Lo osservavo e mi accorgevo che il mio interesse per lui aumentava; mi faceva uno strano effetto mentre lo guardavo muoversi con scioltezza e non capivo esattamente da cosa dipendesse. Osservai le maniche della sua camicia arrotolate sugli avambracci, i fasci dei muscoli sotto sforzo e i tendini che guizzavano frementi sotto la pelle. Iniziai a parlare e mi accorsi che la mia voce tremava leggermente.

“André che succede… come mai stai lontano da Oscar? È a causa del conte di Fersen?”

Alla mia domanda Andrè mi lanciò un’ occhiata ironica.

“Mi pare inutile la mia presenza in momenti come questi.”

“Ma Andrè, Oscar non si è mai fatta di tali problemi; non ti ha mai trattato come un servo… non vorrai farmi credere che stia prendendo le distanze da te!”

A questo punto, lui mi guardò nuovamente, girandosi verso di me con tutto il corpo, mi si avvicinò accorciando la nostra distanza in modo brusco, e io avvertii un brivido improvviso e inopportuno; mi sentivo attratta da tanta pericolosa vicinanza, mentre notavo la leggera peluria del suo viso.

Sconvolta da quella violenta sensazione ebbi davvero paura di tradirmi.

Fui intercettata dal suo sguardo che sostenni quasi a fatica.

“Può darsi che stia accadendo proprio questo… Le cose cambiano, per tutti.”

“Non può essere! Non ci credo!” obbiettai decisa, mettendo da parte il mio turbamento.

Andrè restò in silenzio, senza tentare di smentirmi, allora io proseguii.

“Le vivi accanto da sempre… Tu, lei e il vostro mondo inviolabile. André, hai mai pensato a farti una tua famiglia, dei figli, o le farai da attendente tutta la vita? Non hai altri desideri?”

“Vedete bene che il nostro mondo non è inviolabile, ma questa è la mia vita e non ne voglio un’altra. Sto bene così.”

Si girò di nuovo verso il cavallo e prese a ferrare l’altro zoccolo.

Non ero molto convinta di quello che stava dicendo, ma c’era altro che volevo sapere e non mi rassegnai alla sua apparente chiusura.

“Mi puoi dire qualcosa di quel Fersen?”

“Che è il presunto amante della regina, lo sapete già Madame Recamier…”

“Non mi interessano i pettegolezzi e poi diamoci del tu, siamo cresciuti insieme…”

“Ma voi ora siete una donna sposata…” lui aveva ripreso a fare il suo lavoro con assoluta calma.

“Ti prego André, per te sono semplicemente Danielle… - lo supplicai, poi aggiunsi – Tu sei sempre con lei, ti sarai accorto anche tu che Oscar è strana da un po’ di tempo…”

André mi guardò sospirando.

“Cosa intendi per strana?”

“Io penso che sia innamorata di quello svedese… e credo che tu lo sappia perfettamente.”

Lui non mi rispose e improvvisamente capii quello che André non voleva dirmi; manteneva il silenzio, ma i suoi occhi valevano più di mille discorsi. Ammettere i sentimenti di Oscar sarebbe stato come rivelare i suoi e il dolore nascosto che li accompagnava.

“Il tuo silenzio è molto eloquente. - dissi assolutamente stupita, poi mi avvicinai di più a lui e gli posai una mano sul braccio - Può esserci solo un motivo se, dopo tutto questo tempo, sei ancora qui: sei innamorato di lei, vero? ”

Andrè continuava a tacere, ma alle mie parole si era incupito maggiormente.

“Scusate madame, devo tornare al mio lavoro… ”

Lo vidi allontanarsi senza prestarmi più attenzione. Non mi aveva risposto e non mi aveva smentito.

E io rimasi lì, ferma, una mano appoggiata al muro della scuderia, a pensare a quanto doveva essere forte il sentimento che lo legava a lei, e ancora una volta scoprivo che avevo una ragione in più per invidiare Oscar; con un vago malessere a opprimermi il cuore, seppi con assoluta certezza di non essere mai stata amata così, né di aver mai amato altrettanto qualcuno. Non come lui amava mia sorella. Negli occhi di nessun amante, presente o passato, avevo mai visto balenare la stessa luce di passione trattenuta che avevo intravisto in quelle malinconiche iridi verdi…

 

 

 

Continua…

 

 

Vi ringrazio tutte per l’accoglienza che avete dato alla mia storia.

Spero che questo secondo capitolo sia stato di vostro gradimento.

Attendo pareri e impressioni.

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Capitolo 3
*** Sarà il nostro segreto ***


3 – Sarà il nostro segreto

3 – Sarà il nostro segreto.

 

 

Passai le giornate seguenti nel mio palazzo a Parigi, ricevendo poche visite; l’argomento centrale di tutte le conversazioni era la storia d’amore della Regina col conte svedese. L’indiscreta vicenda stava facendo il giro di tutti i salotti della città ed era arrivata, attraverso stampe satiriche, anche tra la povera gente del volgo. Troppo abituata a tutto quel clamore, ero indifferente a quei tipici scandali così comuni nel nostro ambiente. Per quanto mi sforzassi di concentrare la mia attenzione su ciò che mi veniva detto dalla nobildonna di turno, non riuscivo a farlo che per brevi momenti. Facevo finta di ascoltare interessata, ma in realtà, come l’ago di una bussola che punta sempre verso nord, il mio pensiero si fissava su un' unica persona.

Una persona che avevo desiderio di rivedere e con cui avrei voluto parlare.

Ma non potevo raggiungerla come comunemente avrei fatto, con un qualsiasi conoscente che frequentassi in società. No, non avrei potuto.

La mia condizione di donna nobile, sposata e rispettabile, non mi lasciava libera di frequentare chi volessi, soprattutto non una persona di classe sociale inferiore; non un servo come André. Invece, Oscar, sua amica e padrona, poteva frequentarlo in virtù del suo ruolo, senza restrizioni e senza suscitare scandalo.

Ero pericolosamente ossessionata da André, dai suoi occhi, dalla sua espressione, dalla sua dolcezza che traspariva dai suoi gesti misurati, e ancor di più da ciò che avevo scoperto o perlomeno intuito; il suo amore inconfessabile e segreto nei confronti di mia sorella. Ma non capivo se lei fosse più o meno consapevole di questa verità.

E volevo scoprirlo anche per me stessa. Volevo sapere se lei in qualche forma, potesse ricambiare quel sentimento, se potesse accadere qualcosa fra loro.

Perché intuivo con un certo timore, che stava accadendo qualcosa dentro me e dovevo capire cosa si era mosso nel mio animo inquieto.

Mi sono sempre scelta accuratamente i miei amanti e ho sempre evitato uomini troppo cinici e le storie squallide di servi troppo compiacenti, qualche volta pronti anche al ricatto. Avevo sempre detestato quelle storie di nobildonne dissolute che per soddisfare i loro appetiti sessuali, si intrattenevano con i loro stallieri. Per quanto in ogni relazione clandestina, sapessi di vivere un’illusione di felicità, non ho mai saputo rinunciare al desiderio che mi fa tendere verso la sua ricerca. Ma fino ad oggi, non ho mai trovato quello che vado cercando, quella fiamma capace di scaldare e riempire il mio cuore, tanto da farmi sentire quel palpito vitale che solo l’amore sa darci.

 

Una sera, per cercare di distrarre la mia mente che si perdeva dentro pensieri e fantasie irrealizzabili, andai a teatro da sola; lì, incontrai Fersen che mi raggiunse nel mio palco durante la pausa, dopo il primo atto della rappresentazione.

In realtà avrei voluto restare sola, a riflettere con me stessa e non dovermi intrattenere con nessuno, ma pensai che sarebbe stato sciocco non approfittare di un’ occasione magnifica per tastare da vicino un possibile coinvolgimento di Fersen con me.

“Siete bellissima, questa sera, madame. Oso dire, una vera tentazione.” Esordì accennando un lieve inchino, prima di baciarmi la mano.

Al di là dei suoi complimenti, mi colpì la sua espressione; non era quella abituale, fascinosa che gli conoscevo. Sembrava lievemente depresso, rattristato da pensieri poco felici.

“Galante come sempre. Mi sembrate annoiato; deduco che non vi piace lo spettacolo.” dissi con noncuranza e apparente disinteresse, mentre col binocolo osservavo i volti nella platea sotto di noi.

“Oh, no. Lo spettacolo mi piace; forse, sono io che non sono nella giusta disposizione d’animo.”

“Credo di capire; siete l’uomo più chiacchierato del momento.”

“Per questo non dovreste accettare la mia presenza accanto a voi.”

Le sue labbra si piegarono in un sorriso amaro: non era difficile immaginare che stesse pensando alla situazione che lo vedeva coinvolto con la nostra regina.

“Oh, non mi preoccupo troppo; sono sempre la sorella del Colonnello Oscar, ricordate? Se lei può essere vostra amica, allora posso esserlo anch’io.”

“Voi siete in una posizione diversa; molto diversa.” commentò pacato.

“Perché sono sposata? Sciocchezze! La mia reputazione non corre pericoli; è cosa nota che sono una persona eccentrica.” Commentai con divertita ironia.

“Amate il rischio, vero Danielle? Sembra che nulla vi spaventi. Neppure stare qui, con l’uomo più discusso di Francia.”

“Il rischio dà un po’ di pepe all’esistenza. Ho paura solo di non vivere pienamente la mia vita e io amo cogliere le opportunità che essa mi presenta; detesto i condizionamenti imposti, e se ora posso godere della vostra compagnia, perché non dovrei approfittarne? Vi aprirei il mio salotto come ho già fatto con altri personaggi, forse molto più discutibili di voi, senza nessun problema.”

“Contessa, badate: potrei prendervi in parola…”

“Mi aspetto che lo facciate, conte di Fersen…” lo incoraggiai con un sorriso convincente.

“Sono davvero impressionato. Sapete contessa, ritrovo in voi, molto di Oscar: lo stesso coraggio, e un’ insolita libertà di pensiero. Questo, se posso dirlo, vi rende ancora più affascinante…”

Il suo commento mi colpì, dimostrando un certo acume. Se stava cercando di affascinarmi, tutto sommato stava adottando la tattica giusta. Ma quello era: solo una tattica per entrare nelle mie grazie, e magari nella mia alcova.

“Conte, vi confidereste con me come fate con lei?”

“Lei chi?” chiese un attimo incerto.

“Oscar.”

“Oh. Su che proposito?”

“Quello che volete: la prima volta che ci siamo incontrati, avete detto che con Oscar non dovete pensare di essere di fronte a una donna. E con me? A cosa pensate quando siete con me? Il fatto che io sia la gemella di Oscar, stuzzica la vostra curiosità maschile?”

Una domanda apparentemente ingenua, forse anche pericolosa, ma dovevo verificare certe mie primissime impressioni; potevo immaginare tranquillamente i suoi pensieri e avrei indovinato le sue fantasie nel dettaglio. La risposta non fece che confermare ciò che già sapevo.

“Sono troppo sensibile alla bellezza e subisco il vostro fascino. Siete una donna vitale che vive di passioni; un uomo come me, se ne sente irrimediabilmente attratto, in un modo tale che potrei dimenticare ogni altra cosa. Ma non so se riuscirei con voi, ad instaurare un rapporto così singolare come quello che condivido con Oscar… Ve lo confesso: accendete ben altri pensieri…” Il suo sguardo carico di sottintesi non mentiva.

“Con madamigella Oscar non vi succede? Eppure, è la mia gemella. Non dovreste sentirvi ugualmente attratto da lei?” Esclamai un po’ divertita, giocando con la stessa malizia.

“No, direi di no. Curioso, non trovate? Ma se riflettete un attimo, è normale: Oscar non ha potuto coltivare la propria femminilità. O forse, sarebbe più giusto dire che è stata soffocata dall’educazione ricevuta.” Sorrise amabile, senza preoccuparsi troppo delle sue considerazioni discutibili. L’ultima frase del conte fece scattare dentro di me, un moto di nervosismo, o forse una strana ribellione; che ne sapeva quell’uomo della femminilità di una donna come Oscar? Quella femminilità che altri occhi molto più attenti dei suoi, avevano saputo cogliere e che celebravano con un impeto fiammante, con un calore tenero e delicato che raramente avevo visto in altri sguardi più volgari.

Il sipario si stava sollevando, gli attori tornavano in scena; stava per cominciare il secondo atto della commedia. Volevo chiudere il primo della mia.

Fu il momento per interrompere quel colloquio con Fersen, rinnovando l’invito per un prossimo incontro in cui continuare quel confronto. Ma supponevo che il palco e gli attori coinvolti, sarebbero stati diversi.

 

Nei giorni successivi, nella solitudine malinconica di Palazzo Recamier, non smettevo di pensare all’affascinante attendente, che era stato compagno anche della mia infanzia. Stanca di essere così in tensione a causa dei miei pensieri, presi la carrozza e decisi di andare a trovare mia sorella, ma non certo per il desiderio di vedere lei. Non la trovai, perché era andata a Versailles, ma trovai André che stava per raggiungerla. Ne approfittai subito.

“André?”

“Dite, Madame…”

“Mia sorella è assente, ma posso aspettare che ritorni. Intanto, pensavo di fare una cavalcata nei dintorni. Dal momento che non posso andare da sola, ti chiederei di accompagnarmi, André.”

“Ecco, veramente… Oscar mi aspetta a Versailles…”

“Penso che per una volta, lei possa fare a meno di te; Oscar sa badare benissimo a se stessa e tu lo sai. Avanti André, non vorrai che una signora come me, cavalchi da sola nelle campagne circostanti, con i pericoli che potrebbe incontrare; mio marito non te lo perdonerebbe mai.”

In realtà, mio marito si sarebbe curato ben poco delle mie iniziative più o meno stravaganti.

André non oppose alcun’ altra obiezione e d'altronde, non avrebbe potuto rifiutarsi. Anche la balia, la vecchia Nanny, lo esortò ad accompagnarmi.

“Ma certo, Andrè. Non possiamo permettere che Madame Recamier, cavalchi da sola; chissà che direbbe il generale, se lo venisse a sapere! Falle preparare uno dei cavalli da Marcel.”

Silenzioso, Andrè si allontanò, puntando in direzione delle scuderie. Ricordavo che non amava fare discussioni con sua nonna.

“Benissimo, allora! Intanto, io vado nelle mie vecchie stanze a prepararmi. Nanny, mandami di sopra una cameriera con un abito da amazzone, che mi aiuti. Ne avrete uno da qualche parte.”

“Ci sono quelli di vostra sorella Orthense; ne ha portati qui alcuni, l’ultima volta che è venuta in visita.”

Mi adattai. Orthense aveva una corporatura simile alla mia; era solo un poco più robusta di me.

Andrè mi fece preparare il cavallo migliore della tenuta, assicurandosi egli stesso che i finimenti e la sella fossero in perfetto ordine. Poi attraversammo il cortile della dimora, costeggiammo le ali laterali del giardino e insieme, ci inoltrammo nella radura circostante il palazzo.

La giornata era piacevole e fresca, il cielo era terso e luminoso.

Spronammo i cavalli al galoppo per diversi minuti buoni. Io sono un’ottima amazzone, quasi quanto Oscar e l’equitazione, una delle mie attività preferite, mi ha sempre dato una certa eccitazione; sentire il vento che mi investe il volto mi inebria e mi fa sentire viva.

“Dobbiamo rallentare e far riposare un po’ i cavalli, madame.”

Mi giunse la sua voce calda e profonda.

“Certo André, hai ragione… - lasciai passare qualche minuto prima di proseguire col discorso che mi premeva affrontare con lui - …l’altra volta non hai voluto rispondermi, quando ti ho chiesto se sei innamorato di Oscar…”

Mentre cavalcavamo affiancati, osservavo il suo profilo dalle linee regolari e leggermente marcate, il naso diritto, le labbra morbide, il mento volitivo e la mascella decisa; pensai nuovamente che era davvero affascinante e immaginai senza vergogna e un lieve stupore, di baciare quelle labbra che si piegarono in un sorriso ironico prima di rispondermi. Si ostinava a guardare la strada davanti a sé, senza incontrare i miei occhi.

“Ma come ti è venuta un’ idea del genere?” domandò. Ridacchiava e tentava di mantenersi indifferente.

“Intuito femminile: ho visto come la guardi a volte, e soprattutto, come guardi Fersen.” Dissi con aperta convinzione.

“Io e Oscar siamo amici, nient’altro.” Mi rispose secco e deciso. Probabilmente sperava di scoraggiarmi, ma io non sono una che cede facilmente; la tenacia è una delle caratteristiche che mi rende molto simile a Oscar.

“Da parte di Oscar senz’altro è così, ma per te?” Insistevo, ma anche Andrè era tenace e non voleva arrendersi.

“Siete un po’ indiscreta, non trovate? Perché vi interessa saperlo?”

“Se ti decidi a darmi del tu e chiamarmi Danielle, te lo dico.”

“Allora Danielle, perché vuoi saperlo?”

Non volevo espormi troppo e giocai d’astuzia.

“Perché siamo amici di vecchia data, forse… e gli amici condividono tutto. Anche i segreti…”

“Stai dicendo che mi consideri tuo amico? Hai dimenticato che sono solo un servo… non dovresti cercare le tue amicizie in ambienti più consoni al tuo rango?”

“Ti prego André, non dire così. Sai anche tu quanto siano false le amicizie all’interno della nobiltà; le persone ti cercano solo per stringere alleanze di potere o perseguire scopi personali.”

“E per questo motivo, cerchi l’amicizia di un servo? Pensi che la nostra potrebbe essere più sincera? Cosa te lo fa credere? Non hai uno scopo personale anche adesso?”

C’era ostilità nelle sue parole. Aggrottai le sopracciglia, mettendomi sulla difensiva.

“Non parli come un servo, Andrè. Sei anche un poco sfrontato.”

“Hai cominciato tu, chiedendo cose che non hai il diritto di chiedere... Non puoi lamentarti.”

Dunque, prima che un servo, Andrè era un uomo orgoglioso. Non potevo biasimarlo, aveva ragione; non potevo pretendere che mi raccontasse ogni dettaglio della sua vita privata, né che rivelasse tanto apertamente i suoi sentimenti, di cui si stava dimostrando geloso.

“Sei così diretto anche con Oscar?”

“Quando occorre…”

“Ma non su tutto, però… E lei apprezza questa tua qualità?”

“Non sempre…”

Ci fu un momento dove udimmo solo il canto degli uccelli, in cui nessuno di noi parlò. Non potevo lasciare calare l’imbarazzo, dovevo sciogliere quel nodo che ci bloccava, che serrava tra le labbra le parole più giuste che avrei voluto dire.

“Sbagli a non fidarti di me. Ci conosciamo da così tanto tempo, che non potremmo ingannarci. Io non lo farei mai, verso di te… e tu… forse anche tu hai bisogno di un’amica con cui parlare liberamente di quello che senti…”

“Quello che sento io ha poca importanza; io devo solo proteggerla, è questo il mio compito.”

Disse ancora risoluto, ma sentivo che se avessi insistito avrebbe ceduto.

“Un compito che inevitabilmente ha finito per coinvolgerti troppo; ammettilo André.”

La resa arrivò espressa in un sospiro pesante. Avevo finalmente fatto breccia nel muro di riservatezza che aveva eretto perché disse, quasi rassegnato: “Dunque, è così evidente…”

“No, sta tranquillo; è una cosa che ho notato solo io e lo terrò per me. Sei il migliore amico che una donna come Oscar possa avere…”

“Certo, non potrei sperare di essere altro. Non l’ho mai preteso…”

I nostri cavalli avanzavano lentamente lungo il sentiero; li guidavamo con tranquillità attraverso la silenziosa campagna circostante, mentre la muraglia verde degli alberi ci riparava dal sole, allungando l’ombra delle loro chiome sul terreno. In quel silenzio, mi sentivo quasi in pace, serena.

“Sai, un po’ la invidio…”

“Cosa? Perché?” si era voltato a guardarmi finalmente. Questa volta era sinceramente sorpreso.

“Io non ho mai avuto un amico come te, André. Anche da bambina, Oscar ha sempre avuto l’esclusiva; certo, io giocavo con voi, ma era per gentile concessione sua. In qualche modo, ho sempre sentito di essere esclusa. Oggi vorrei tanto avere qualcuno che si preoccupasse davvero per me, che mi fosse sempre accanto, capace di ascoltarmi, parlare con me; ho un marito, ma purtroppo non fa nessuna di queste cose. Siamo come due estranei e tra noi c’è solo una fredda e vuota forma di rispetto… forse anche meno.”

“Perché mi fai confidenze del genere, Danielle?”

“Sei l’unico a cui posso farle...”

“Hai dei figli, però… Non dovrebbero venire prima di qualsiasi amico? Non sono motivo di consolazione per te?”

“Sì, e li amo immensamente. Ma ti assicuro che non bastano i figli ad essere felici, se mancano altre cose nella tua vita… io penso che tu possa capirmi, André.”

“Sì, capisco cosa vuoi dire. Danielle, mi dispiace. - Improvvisamente avvertii il tono di Andrè cambiare; una nota trattenuta di profonda commozione vibrò intensa nel suono della sua voce calda. - Devi sentirti molto sola; non me n’ero mai reso conto…”

“Sì, a volte la solitudine è intollerabile; faresti di tutto per colmare quel vuoto… ” la mia voce si fece amara.

“Già, lo so. Lo so bene…”

Mi aveva risposto in tono grave e comprensivo. Ero impressionata.

Che uomo dolce e meraviglioso! In due minuti era riuscito a capirmi più di mio marito, con cui vivo da molti anni ormai. Mi chiesi se Oscar sapesse quale tesoro avesse accanto e lo chiesi anche a lui.

“André, dimmi: mia sorella è consapevole di essere fortunata ad averti al suo fianco?”

Mi sorrise e abbassò lo sguardo, ma non mi rispose.

Io continuai a cercare di forzare il suo riserbo.

“Ti senti solo, André?”

“A volte capita… anche ai servi come me.”

Riprendemmo la marcia dei nostri cavalli e tornammo a palazzo dove trovammo Oscar ad attenderci; era tornata prima da Versailles.

Ci accolse con un sorriso, sulla soglia, mentre apostrofava André con un tono divertito. Troppo a mio avviso.

“Ecco perché non mi hai raggiunto; eri a spasso con mia sorella.”

Scesi da cavallo; reggendo il frustino sotto un braccio, andai verso di lei, sfilandomi i guanti da amazzone.

“Perdona Oscar, se te l’ho rubato per qualche ora, ma non volevo cavalcare da sola. Sai, io e André abbiamo avuto un piacevole scambio di opinioni.”

André mi guardò quasi allarmato prima di allontanarsi taciturno verso le scuderie con i nostri cavalli.

“Bene, raccontami; voglio sapere tutto.”

“Oh, abbiamo parlato di molte cose; del passato, della vita in generale… e di Fersen.”

Buttai lì il nome così, intenzionalmente; volevo cogliere la reazione di Oscar.

“Di Fersen?” esclamò, tentando di dissimulare il suo interesse.

“Sì, sai tutte quelle voci che circolano su di lui e la regina.”

“Ancora questa storia: ti prego, Danielle, non ne voglio più sentir parlare!”

La voce le uscì alterata e la sua reazione mi parve eccessiva; corse in casa velocemente, senza aspettare che la seguissi. Io la raggiunsi nel piccolo salotto dove era andata a rifugiarsi.

“Scusami Oscar, so che non ti piacciono questo genere di discorsi, non volevo metterti in imbarazzo… ma cos’hai? Sembri preoccupata.”

Abbiamo sempre avvertito con chiarezza gli umori mutevoli una dell’altra, e in quel momento, Oscar era nervosa per qualcosa; era una speciale sintonia che c’era sempre stata tra noi. Lei si portò una mano alla tempia come se fosse pesante.

“Oggi ho avuto un colloquio privato con la regina; mi ha chiesto di fare una cosa…”

“Posso sapere di che si tratta?” chiesi con un filo di apprensione.

“Devo portare un messaggio a Fersen…”

“Che genere di messaggio?”

“Riguarda il loro prossimo incontro; sono la persona meno indicata per questa faccenda.”

“Già, ma Sua Maestà si fida solo di te, giusto?”

“Esatto.”

“Puoi mandare qualcuno fidato al posto tuo?”

“No, è una faccenda troppo delicata e Sua Maestà ha incaricato me personalmente.”

“Capisco. Beh, allora non hai scelta. Personalmente, io non trovo il conte così interessante, tra l’altro girano voci di una sua relazione con una nota contessa…”

“Il conte di Fersen è un uomo di nobili sentimenti come se ne trovano pochi a Versailles, e io di solito, non presto fede alle chiacchiere di salotto.”

Era la prima volta che sentivo Oscar palesare così apertamente la sua ammirazione per quell’uomo ed era stata la mia provocazione ad animarla. Ma non rinunciai all’occasione di strapparla al suo incanto, per instillare in lei il dubbio.

“Fai male, mia cara, perché qualche volta nei pettegolezzi, per quanto irritanti, si trova anche la verità; bisogna usare il setaccio come per la segale e saperla riconoscere. Comunque, a quel cicisbeo di Fersen, trovo molto più piacevole la compagnia del tuo attendente: perché non è qui con noi?”

Questa volta suscitai veramente tutta l’attenzione di Oscar, che finalmente mi guardò con sorpresa e curiosità, distraendosi dai suoi pensieri.

“Sarà in giro, vuoi che lo faccia chiamare?”

“Sì, te ne prego. Sarà come ai vecchi tempi.” Non nascosi il mio entusiasmo. Oscar mi fissò un attimo, prima di commentare con una vena di leggero disappunto.

“Non definirei Fersen, un cicisbeo…”

“E io ti dico che lo è: conosco troppo bene il genere. Se ne vedono così tanti a corte… Ma non hai appena detto che non volevi più parlare del conte?”

Ero impaziente anch’io di chiudere l’argomento e non mi preoccupai di nasconderlo.

Andrè ci raggiunse poco dopo e passammo tutti insieme un piacevole pomeriggio, parlando di svariati argomenti. Il tempo trascorse lieto e in allegria tornando anche sui vecchi episodi dell’infanzia; una marachella, un litigio, le lezioni di ballo che Oscar non voleva prendere perché erano da femminucce, quella volta che Andrè, per spaventarci, si era cacciato in testa un lenzuolo per fare il fantasma. E più stavo con lui, più mi accorgevo che mi piaceva e avrei ritardato all’infinito l’ora del ritorno verso casa. Lo guardavo ridere rapita, ascoltavo le sue parole scendere nella mia anima, mentre il loro suono pareva miele per le mie orecchie.

Percepivo chiaramente una bellissima sensazione di benessere che ero quasi certa di non aver mai provato. Col passare delle ore mi resi conto che stava accadendo qualcosa che non avrei mai pensato potesse cogliermi impreparata e senza difese; sentivo nascermi nel cuore un sentimento assolutamente nuovo e conturbante.

Più tardi Oscar ci lasciò per assolvere il delicato incarico affidatole dalla regina.

Io e André fummo nuovamente soli in casa.

“È stato uno splendido pomeriggio, André. Mi ha fatto davvero piacere parlare con te e Oscar. Spero tanto di poter passare altre giornate come questa…”

Mentre lo dicevo sentivo la nota d’emozione che mi serrava la gola.

“Mi fa piacere, Danielle. Sono stato molto bene anch’io.”

“Perché nei prossimi giorni non venite a trovarmi a Parigi tu e lei? Potreste stare da me per un po’; mi farebbe veramente piacere.”

“Se davvero ci tieni, credo che Oscar verrà volentieri.”

“E tu André? Tu verrai volentieri a trovarmi?” assunsi un tono volutamente suadente.

“Ma certo; anche se sarò lì in qualità di attendente, ne sarò felice.”

Lo guardai per un lungo istante, cercando di intuire i suoi pensieri. Il fatto che Oscar fosse andata da Fersen probabilmente lo infastidiva, ma davanti a me cercava di non palesare nulla.

“Sai Andrè, sei molto bravo a mascherare i tuoi sentimenti, e capisco perché Oscar non abbia mai notato nulla.”

“Danielle, ti prego…”

“Non c’è bisogno di dire niente. Te l’ho detto, questo sarà il nostro segreto, una cosa tra me e te.”

Fuori il cielo si stava oscurando e nuvole nere si profilavano all’orizzonte; a breve avrebbe iniziato a piovere. Andrè era evidentemente in ansia per Oscar; guardava fuori dalla finestra e osservava il cielo cupo con aria seria. Decise di andare a cercarla; tentai di dissuaderlo senza successo.

“Devi proprio andare? Perché non aspettiamo che torni da sola? Non credo che corra il rischio di perdersi…”

“Devo andare a prenderla; con questo tempo le verrà un febbrone da cavallo, le porto almeno il mantello perché possa coprirsi.”

Si avvolse nel pesante mantello di lana e corse fuori con quello di Oscar sotto al braccio, affrettando il passo verso le stalle.

E mentre lo osservavo dalla vetrata che si apriva sul maestoso giardino, sentii per la prima volta una dolorosa fitta al cuore. Lo guardavo allontanarsi velocemente a cavallo, lungo l’ampio viale d’ingresso per andare a cercare lei e sentivo che avrei voluto piangere. Eppure ricacciai le lacrime in gola.

E compresi all’istante il senso di quell’acuta sofferenza che sentivo nell’anima; io mi stavo perdutamente e inevitabilmente innamorando di Andrè, quell’uomo che amava profondamente e senza una vera speranza la mia gemella.

Seppi con certezza in quel momento, che ero solo all’inizio della mia pena.

 

Continua…

 

Io sono davvero felice e sorpresa per l’entusiasmo che dimostrate per questa storia. Vi ringrazio per i vostri numerosi commenti che non mi aspettavo, e scusatemi se non sono riuscita a rispondere singolarmente a tutte.

Lo faccio ora in una volta sola.

Mi avete fatto tante domande a cui cercherò di rispondere attraverso questo racconto; come sempre, spero che sia piaciuto fino a qui, e attendo i vostri pareri e le vostre impressioni su Danielle, questa gemella/alter-ego degna sorella del colonnello Oscar, donna complessa e complicata, o almeno è così che io tendo a vederla. Non è facile, ma è molto stimolante. Ora però vorrei chiedervi un parere: io vorrei mantenere la voce narrante di Danielle, mi sforzerò di farlo per quanto possibile, ma potrei trovarmi costretta a cambiarla se la scena di spostasse su Oscar e Andrè, e temo di perdere la fluidità della storia. Secondo voi? A presto e grazie per tutto.

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Capitolo 4
*** Non giocare con lui ***


Mi chiamo Josephine De Jarjayes

4 – Non giocare con lui.

 

Scusate il ritardo, ma eccomi qui.

Il punto di vista è quello di Danielle, ma in una parte ho dovuto cambiarlo per forza.

Spero che sia una buona lettura.

 

******

 

Stavo rientrando a palazzo Recamier accompagnata dal rumore della pioggia che batteva intensa sul tettuccio della mia carrozza. Quel suono scrosciante faceva da sottofondo ai pensieri più assurdi e incredibili che si concentravano nella mia testa da che mi ero allontanata dalla dimora di mio padre.

Oscar e Andrè; la mia mente li vedeva insieme, bagnati fradici, che correvano a cavallo verso casa, allegri e impazienti di scaldarsi davanti al camino di palazzo Jarjayes.

Vedevo Andrè preoccuparsi per mia sorella, avvolgerla con gentilezza nel mantello che le posava sulle spalle; lo immaginavo rientrare con lei sotto quel diluvio, poi in casa, invitarla a togliersi gli abiti bagnati.

Li immaginavo alla tiepida luce delle candele che disegnava strani riverberi attorno a loro, nell’intimità del salottino privato fermarsi a bere una cioccolata calda, per scaldarsi e difendersi dall’umidità che entrava nelle ossa.

Sapevo che appena varcata la soglia di casa, Oscar sarebbe stata avvisata da un paggio che ero tornata a Parigi; mi ero premurata di lasciarle un messaggio.

 

Cara Oscar,

quella di oggi è stata una giornata fantastica. Ho passato delle ore davvero piacevoli.

Era molto tempo che non mi sentivo così bene. Scusami se non sono rimasta ad attendere il tuo ritorno, ma ho preferito mettermi in viaggio, prima che le strade diventassero impraticabili, e il temporale mi bloccasse qui.

Come ho detto al tuo attendente questa sera, prima che mi lasciasse sola per venire a cercarti, ci terrei molto che tu venissi a trovarmi, magari la settimana prossima. Spero porterai Andrè con te. Vorrei rivedere anche lui. 

Nella fretta, non ho fatto in tempo a salutare maman, fallo tu per me.

 

Con sincero affetto.

 

Danielle.

 

 

Al rientro, la mia cameriera personale, Ninette, mi accolse e mi informò che i miei figli si erano addormentati presto, e che Monique, la mia vivace primogenita di nove anni, aveva bisticciato col fratello e per questo, era stata punita dall’istitutrice.

Ragazza sveglia e solare, Ninette è una persona semplice, discreta e fedele, e nutre un sincero, caloroso affetto per i miei bambini.

Di poche persone mi fido come di lei.

Per una natura sensibile che la contraddistingue, spesso riesce a intuire i miei turbamenti più segreti.

Credo che Ninette conosca alla perfezione tutte le vicende sentimentali che ho avuto e con chi. I miei amanti non sono mai stati un segreto per lei, e la cosa non mi crea alcun disagio, perché la ragazza sa tenere la lingua tra i denti.

Come ho avuto modo di constatare, anche questa sera, il suo intuito non l’avrebbe tradita affatto.

“La signora contessa da qualche giorno è insolitamente distratta da strani pensieri.”

Disse, posando la mia camicia da notte sul letto a baldacchino della mia camera, mentre io mi sedevo alla toilette per levarmi il trucco dal viso.

“Non ti si può nascondere nulla.”

“Se posso, madame, siete così da quando frequentate la casa del Colonnello Oscar, ma non credo che il problema sia vostra sorella; si tratta di un ospite di Palazzo Jarjayes?”

“In un certo senso…”

“Non sarà quel conte svedese di cui si parla tanto?”

Mi girai verso di lei e sorrisi un po’ sorpresa.

“Che ne sai tu, di questa storia?”

“Oh, quello che sanno tutti, madame. Anche tra la servitù, non si parla d’altro.”

Ninette fece una breve pausa, prima di pormi la domanda diretta.

“Lui è così bello come dicono?”

Mi ero alzata in piedi davanti allo specchio. Sentivo le dita esperte di Ninette giocare velocemente con i lacci del corsetto, sfilandoli dalle asole, liberando il mio seno dall’oppressione delle stecche di balena. Nella mia mente, netta si stagliava l’immagine di Andrè, la linea morbida delle sue labbra e il suo sguardo verde e profondo, che nulla aveva in comune con gli occhi freddi del conte.

“Oh, non soltanto bello; è affascinante, sensibile e gentile. Un uomo come pochi.”

Non mi stavo riferendo a Fersen, ma questo Ninette lo ignorava e non mi interessava puntualizzare quel dettaglio con lei.

“Sembrate davvero entusiasta, vi brillano gli occhi.” Constatò, guardando la mia immagine riflessa illuminata dalla luce di una candela. Sospirai, manifestando una vaga inquietudine.

“Hai ragione, cara Ninette. Conosci quella strana agitazione che si prova davanti alla persona che ci attrae? Quel palpito che attraversa il petto e non riesci a controllare? Ecco, a volte lui mi fa sentire così. È la prima volta che non mi sento padrona delle mie emozioni.”

“Parlate proprio da donna innamorata. Eppure dovreste essere avvezza a queste cose.”

“L’amore ci coglie sempre impreparati, Ninette. E presenta sempre nuovi ostacoli.” Pronunciai la frase con un sospiro malinconico che non sfuggì alla sveglia cameriera.

“C’è dell’altro che vi preoccupa?”

“Non ci crederai, ma qui, il problema potrebbe essere proprio la mia gemella.”

“Cosa? Volete dire che vostra sorella, Madamigella Oscar, la donna soldato, potrebbe essere vostra rivale in amore? Non lo avrei mai detto…”

La fanciulla proseguiva il suo lavoro, e toglieva le sottogonne facendole scivolare ai miei piedi.

“Stiamo parlando di una rivale inconsapevole, e il terreno di conquista sarà difficile anche per me.”

“Signora, io non ricordo un uomo che sia stato capace di resistervi, inoltre non capisco come vostra sorella possa ostacolarvi. – Attraverso lo specchio notai la sua espressione incerta. - Se non ho capito male, state dicendo che madamigella Oscar ha una certa simpatia per il conte svedese?”

Chiese Ninette, che aveva tolto le forcine dai miei capelli e ora li stava spazzolando con cura. Con i capelli sciolti sulle spalle mi sentivo un po’ come Oscar. Solo allora, mi voltai di nuovo verso di lei costringendola a interrompere il suo lavoro.

“Mi raccomando, che non ti scappi nulla del genere con nessuno. Oscar mi infilzerebbe con la sua spada se si venisse a sapere.”

Le avevo preso le mani e le avevo parlato con tono molto serio. Ninette accennò un lieve inchino.

“State tranquilla madame, nessuna vostra confidenza uscirà da questa stanza.”

Potevo essere certa che sarebbe stato così.

Eppure, nonostante la fiducia, con uno strano scrupolo dettato dal pudore, o forse era più simile all’ imbarazzo, avevo preferito non rivelare il mio sentimento per un servo e avevo depistato Ninette volutamente.

Mi aiutò a finire di svestirmi e prepararmi per la notte e quando finalmente fui sola nella mia camera da letto, altri pensieri, forse troppo maliziosi e assai poco verosimili, iniziarono a vorticarmi in testa e a stuzzicare la mia fantasia sovreccitata.

Con lo scopo di scacciarli, presi il libro di poesie posato sul comodino, con l’intenzione di concentrarmi nella lettura, ma fu un tentativo inutile. Essi non mi lasciavano in pace; erano come fantasmi scatenati da uno strano sentimento di cui non riuscivo ancora a decifrare i contorni poco definiti, una sensazione ambigua che mi portava a immaginare una situazione scabrosa che avrebbe potuto coinvolgere mia sorella e il suo attendente.

Li vedevo non rientrare a palazzo, ma fermarsi in qualche locanda ad aspettare la fine dell’acquazzone. Complice la solitudine, uno sguardo acceso dalla frustrazione di dover nascondere una passione segreta per il favorito della sua regina, vedevo mia sorella cercare consolazione e appagamento tra le braccia vigorose del suo amico e confidente. Passavano insieme la notte come un uomo e una donna, forti di quella libertà audace e disinvolta che esisteva tra loro; un incontro segreto di due corpi senza la necessità delle parole. Era tale la libertà di cui godeva Oscar, che avrebbe potuto prendersi tutti i piaceri senza troppe conseguenze; se fosse stata una persona un poco più disinvolta, con scarso senso dell’onore e senza remore morali si sarebbe concessa tutto quello che la sua posizione poteva concederle.

Ma sapevo che in rapporto a lei, erano pensieri assurdi, del tutto privi di fondamento.

Eppure mi perseguitava l’idea che quella loro amicizia potesse allargarsi alla sfera più intima.

La testa sul cuscino, cercavo di dormire, ma il sonno non voleva venire a trovarmi, e il mio cuore batteva troppo veloce nel petto, mentre un pungolo inopportuno lo infastidiva.

 

 

*******

 

 

A Oscar le poche parole di quel biglietto, fecero una strana impressione, che andò ad aggiungersi a tutte quelle che l’avevano tormentata durante quel giorno.

Le aveva rilette svariate volte, soffermandosi su alcune frasi; un lieve sconcerto l’aveva presa come se qualcuno le avesse rubato per un attimo il respiro.

Soprattutto il cenno su André le diede da pensare, ma non avrebbe saputo dire quale fosse il suo timore.

Di certo, era un vago sospetto che coinvolgeva la sorella, ma la sua consistenza le sfuggiva, come fumo impalpabile che si perde nell’aria.

Poche ore prima per lei era stato penoso dover incontrare Fersen; prima di raggiungerlo si era fermata lungo il fiume dove aveva dato sfogo a quel dolore che la stava soffocando; aveva pianto e poi si era apprestata a soddisfare la richiesta che le aveva fatto la regina.

Mentre tornava indietro, sul terreno fangoso con l’acqua che le inzuppava i capelli e la divisa, era stata felice di vedere André arrivare sulla strada sotto la pioggia battente; l’aveva abbracciata per porgerle il mantello e nel percepire il calore di quel contatto semplice tra loro, aveva dimenticato il tormento che l’aveva accompagnata per quasi tutto il giorno.

Non era più esistito Fersen, né le suppliche della regina Maria Antonietta, né la loro relazione scandalosa. Ora aveva il biglietto di Danielle tra le mani e l’ansia era tornata ad assalirla.

Mentre indugiava in quei pensieri Andrè richiamò la sua attenzione.

“Sarà meglio toglierci questi abiti bagnati Oscar.”

“Sì, hai ragione. Dopo raggiungimi in sala. Prenderemo qualcosa di caldo per scaldarci un po’, ti va?”

“Certamente.”

Pochi minuti dopo, erano ancora insieme seduti nel salottino privato davanti al fuoco acceso a sorseggiare cioccolata calda, benché fosse passato l’orario da un pezzo. Oscar guardava l’amico e pensava che poche ore prima si era trovato in quello stesso salottino, solo con Danielle, la sua gemella così uguale a lei e così diversa; si sorprese a chiedersi di cosa avessero parlato in sua assenza, come si fossero guardati, e come Andrè avesse guardato l’altra. La domanda le uscì quasi spontanea, sfumata di inaspettata curiosità.

“Ma oggi, tu e Danielle di cosa avete parlato?”

“Delle solite cose; è stata lei ad aprirsi maggiormente. Da quello che mi ha detto, ho avuto l’impressione che sia una donna infelice… della sua vita, del suo matrimonio… non me n’ero mai accorto.”

Dal tono, Andrè sembrava sinceramente dispiaciuto.

“Credo che sia così un po’ per tutte le mie sorelle, ma per Danielle forse lo è ancora di più; è sempre stata un po’ inquieta. Lei si è sposata a 15 anni e certamente mio cognato non deve averla mai amata per davvero, d'altronde non era un matrimonio d’amore…”

“Quando mai lo è tra membri della nobiltà, Oscar…”

“A volte possono nascere unioni davvero solide. Ma come mai Andrè, siete arrivati a parlare di questo?”

Andrè sorseggiò con calma la sua cioccolata prima di risponderle. Prendeva tempo.

“Così sai, si parlava dei vecchi tempi. Di quando eravamo bambini. Parlavamo di amicizia; mi ha detto che le manca un vero amico. Dalle sue parole mi è parso di capire che un po’ ti invidia…”

Oscar quasi rise.

“E cosa dovrebbe invidiarmi?”

Fu tentato di dirle la verità, ma preferì darle una risposta più vaga.

“La libertà, credo… la tua indipendenza in un mondo maschile.”

“Noi sorelle Jarjayes siamo strane; sempre insoddisfatte di qualcosa.”

Il tono di Oscar sembrava vagamente ironico. Non si era accorta di essersi sbilanciata troppo.

“Io credo che voi gemelle Jarjayes siete strane; inseguite sempre quello che non potete avere.”

Andrè si era alzato dalla poltrona per avvicinarsi al camino e ravviare il fuoco.

“Cosa intendi dire questa volta?” Adesso sembrava piccata dalla battuta del suo attendente.

“Intendo dire che tua sorella non sta bene dove sta. Spesso cerca altre cose.”

“Lo so. Sarà per questo che ogni tanto cade tra le braccia di qualche gentiluomo, che però la distrae per poco, perché si stanca in fretta. Dubito che sia mai stata davvero innamorata di qualcuno; quello che sta cercando non lo troverà mai nel letto del solito nobile annoiato e vizioso.”

Il tono di Oscar era pacato, quasi rassegnato e Andrè si sorprese di sentirle fare certe affermazioni; secondo lui quello era un argomento che lei non poteva conoscere a fondo.

“Tu non l’approvi, vero? Ti disturba il suo comportamento.” Sembrava un’ accusa.

“Non si tratta di questo. A volte vorrei che non si comportasse con tanta leggerezza; spesso prende per grandi amori quelli che sono solo fuochi di paglia che bruciano rapidamente.”

“Forse tua sorella cerca solo un po’ di felicità; non mi sento di biasimarla.”

E abbassò lo sguardo sulla bevanda calda, dolce amara che stava sorseggiando.

“Il mio non è biasimo e poi sono la prima che vorrebbe vederla felice.”

“Ci fu anche quel pittore, ricordi? Che storia! E non fu un fuoco di paglia.”

“Certo che lo ricordo; fu una storia lunga e tormentata, c’erano troppe complicazioni. Fortunatamente Danielle ha sempre saputo evitare gli scandali. Lui si rivelò geloso e possessivo fino all’inverosimile e mia sorella ha sempre avuto uno spirito libero e indipendente quanto il mio. Non ha mai gradito certi atteggiamenti.”

“È vero Oscar, in questo siete molto simili; ma penso che quel pittore fosse sinceramente innamorato di lei e aveva cercato solo di difendere il diritto di un uomo a reclamare per sé la donna che ama.”

Andrè aveva parlato con aperta convinzione, e Oscar ne fu sorpresa; dal tono, le era parso come se l’amico si sentisse direttamente coinvolto.

“Quindi pensi che Danielle avrebbe dovuto lasciare suo marito? Il padre dei suoi figli? Per seguire un uomo che non le avrebbe garantito alcun futuro?”

“Non è del tutto vero; il pittore aveva una discreta clientela. Credo che tua sorella abbia avuto paura, o forse non lo amava abbastanza.”

Le fiamme del camino crepitavano bruciando i ciocchi di legno, e diffondevano il loro calore e la loro luce attorno; Oscar rimase assorta qualche secondo a contemplarle, prima di riprendere a parlare di nuovo.

“Però ancora non capisco perché lei si sia confidata con te. Comunque, tornando a quello che hai detto prima: io che cosa cerco, Andrè?”

Andrè era rimasto in piedi vicino al camino con un gomito appoggiato al piano di marmo pregiato; osservava Oscar illuminata dalle fiamme del fuoco che facevano accendere i suoi capelli biondi, quindi assunse uno dei soliti toni ironici che tanto pungevano Oscar sul vivo.

“Che cosa cerca il Colonnello delle Guardie reali del Re di Francia? – parlava guardando in un punto imprecisato della piccola stanza. - Cerca di difendere Maria Antonietta dagli intrighi della corte, possibilmente senza farsi coinvolgere emotivamente, ma non sempre ci riesce… in questo momento, proprio non ci riesce…” e tornò a guardare lei.

“Smettila Andrè, per favore. - Sbottò Oscar. – Cosa avrei dovuto fare? Ignorare la richiesta della regina che mi chiedeva di andare da Fersen? Non potevo sottrarmi, lo sai.”

“Ma potevo andare io da lui, in vece tua…”

“Dovevo farlo io. Comunque, ho deciso che la settimana prossima non andrò al ballo a Versailles; le chiacchiere dei nobili attorno a questa storia non le sopporto più. Sai che faremo invece, André? Accetteremo l’invito di mia sorella e andremo qualche giorno a casa sua. Stare un po’ con lei mi farà bene…” esitò un attimo poi aggiunse rivolta all’amico.

“Andrè, non ti è sembrato che mia sorella fosse strana oggi?”

Che strano, pensò lui, era la stessa domanda che si era sentito rivolgere da Danielle nei confronti di Oscar. Non si poteva dire che quelle due donne non fossero molto simili.

“Cosa intendi per strana?”

“Mi è sembrata turbata. Non so; forse le sta accadendo qualcosa.”

Andrè non poté trattenersi dal ridere.

“Oh Dio, Oscar! Non penserai che si stia innamorando anche lei del conte di Fersen, vero?”

A Oscar la frase parve stranamente allusiva, ma non approfondì.

“Se si sta innamorando, non è di Fersen; lui non c’entra questa volta. L’interesse di Danielle è verso qualcun altro.” e al commento gli allungò un’ occhiata di traverso.

“Cosa? E chi sarebbe?” Andrè era davvero sorpreso.

“È solo un sospetto, non sono ancora sicura. Ma lo scoprirò. È per questo che la settimana prossima andremo a trovarla, Andrè.”

“Mi sorprendi davvero Oscar; di solito le avventure amorose di tua sorella non ti interessano tanto.” rispose Andrè divertito.

“Questa volta è diverso.” E non aggiunse altro.

 

 

*****

 

 

Mia sorella ha deciso di venire a passare qualche giorno da me, ma io ho pensato all’ultimo momento di lasciare Parigi e di trasferirmi per un po’ nella tenuta di campagna che i Recamier hanno fuori città. L’ho fatto perché ero stanca dell’atmosfera che si respira qui, del brusio delle voci e delle insinuazioni; ho bisogno di tranquillità. Naturalmente ho invitato Oscar a raggiungermi e lei ha accettato. In realtà ho agito anche per calcolo; sul mio terreno sarà più facile per me gestire la situazione che potrebbe venire a crearsi.

Particolarmente favorevole è il fatto che mio marito starà lontano per diversi giorni, a causa di alcuni impegni che lo hanno portato in alcuni nostri possedimenti nelle terre della Loira.

Volevo invitare anche Fersen; non che io abbia qualche interesse verso di lui, ma se quello che penso ha un fondamento di verità, forse mettere mia sorella di fronte alla realtà, servirà a farle aprire gli occhi. Ho colto da parte del nobile svedese un palese interesse nei miei confronti; sicuramente l’ho affascinato, anche se certamente non si è invaghito di me, perché il suo primo pensiero va sempre alla regina, la donna che sono certa, lui ami. Meglio così, non ho intenzione di gestire un nuovo innamorato e sedurre Fersen non fa parte dei miei piani. È venuto diverse volte a farmi visita a Parigi e non ho potuto non notare un atteggiamento che riconosco fin troppo bene in un uomo che tenta di insidiarmi; quale fantasia nella sua mente un po’ perversa devo aver scatenato lo posso indovinare facilmente, sono troppo avvezza a queste cose.

In fondo è un uomo come tutti gli altri, ma Oscar si è fatta di lui un’immagine troppo ideale che non corrisponde assolutamente a quello che è la persona e io mi sono messa in testa di strapparle quel velo che le offusca la vista.

Mi fa una certa rabbia che una come lei non riesca a capire come stanno davvero le cose.

Improvvisamente mi balza alla mente l’immagine di Andrè; non so pensare a lui come a un uomo qualsiasi, non a un uomo come gli altri almeno. Se tentassi di conquistarlo non sarebbe facile.

Sono certa che non è un uomo che si lascia ammaliare dallo sguardo compiacente di una donna.

No, con il bel attendente non potrei giocare come ho fatto con altri, e per la prima volta mi sento davvero insicura di me stessa. Non credo neppure di volerci provare, vorrei solo stargli vicino e sperare che magari si accorga di quello che provo. Ma non so cosa posso aspettarmi.

Però intanto, verrà qui con Oscar, starà qui qualche giorno e io potrò vederlo, parlare con lui e chissà, forse potrei riuscire a rubarlo a lei.

No, cosa vado a pensare?

Non si tratterebbe di rubare, perché lui è un uomo libero e Oscar non può certamente reclamarlo.

Non vedo l’ora che arrivi qui.

Ho dovuto attendere solo qualche giorno e una mattina sul tardi, ho visto sopraggiungere la carrozza dei Jarjayes.

Naturalmente, da buona padrona di casa ho dato subito il benvenuto ai miei ospiti.

Mentre davo le disposizioni alla servitù per sistemare Oscar e Andrè nelle loro stanze, mi fu inoltrato un messaggio del conte di Fersen; alla fine aveva accettato il mio invito molto cortesemente e mi comunicava che sarebbe giunto il giorno seguente. Adesso avrei dovuto comunicare la notizia anche ad Oscar e ancora non sapevo come avrebbe preso la faccenda. Soprattutto non sapevo come avrebbe reagito Andrè, ma qui non avrebbe potuto eclissarsi come faceva a palazzo Jarjayes.

L’occasione di metterlo alla prova si presentò subito dopo pranzo.

Lo osservai attentamente al fine di cogliere qualsiasi reazione da parte sua, anche la più dissimulata. Eravamo in salotto comodamente seduti a fare conversazione.

Oscar stava salutando i suoi nipoti che si dimostravano sempre molto entusiastici di incontrarla, quando decisi di darle la notizia.

“Tu non lo sai ancora, cara, ma il conte di Fersen domani ci raggiungerà qui. Ho voluto invitare anche lui, pensando che la cosa potesse farti piacere e poi è un uomo di ottima compagnia.”

Uno sguardo di velato interesse tradì la sua sorpresa, ma fu la reazione di Andrè a colpirmi principalmente; fino a quel momento, la sua espressione mi era apparsa serena e rilassata, ma appena avevo nominato Fersen si era quasi fatto scuro in volto e la sua bocca si era piegata in una smorfia amara trattenuta a stento. Non fece alcun commento, ma dai suoi occhi si poteva intuire cosa stesse pensando: non era affatto contento. Mi dispiaceva un po’ che la prendesse così male, ma il conte era indispensabile per quello che mi prefiggevo di fare.

Aspettavo il commento di Oscar che infatti non si fece attendere.

“Sarò lieta d’incontrarlo… - e mentre lo diceva avevo l’impressione che pensasse esattamente il contrario – Danielle, sei diventata molto intima con Fersen, o sbaglio? Vi frequentate spesso a quanto mi risulta.” e la sua non era una domanda, ma un’ ovvia constatazione.

“Sì, è vero. Il conte è venuto spesso a trovarmi a Parigi…” ammisi indifferente.

“Oh, davvero; posso chiederti in che rapporti sei con lui?”

Nel tono di Oscar potevo percepire una lieve apprensione, ma non avrebbe mai formulato a voce il suo timore. Ma io sapevo benissimo di cosa poteva aver paura.

“Siamo buoni amici. Una sera ci siamo incontrati a teatro e dal momento che ero sola, mi ha tenuto compagnia tutta la sera. Da lì ha preso a frequentare la mia casa e devo dire che si è inserito benissimo nella cerchia dei miei amici. È molto stimato e apprezzato da tutti. Ma tu questo lo sai già molto bene.” le dissi agitando il ventaglio con eleganza.

“Avevo capito che lo trovavi poco interessante; stai cambiando idea?”

La voce di mia sorella era diventata ironica e io sapevo benissimo dove voleva andare a parare. Pensai bene di smontare subito la sua teoria.

“Oscar ti prego, non mi fraintendere; non ho nessun tipo di interesse personale verso il conte di Fersen. È un uomo non privo di attrattive, interessante, certo, ma non abbastanza da indurmi a farne uno dei miei amanti, se è questo che pensi.”

Andrè restò in silenzio di fronte a quel nostro piccolo diverbio, i suoi occhi si posavano ora su di me, ora su Oscar.

“Non lo penso affatto, altrimenti non mi avresti invitata qui. E comunque, la cosa non potrebbe riguardarmi.”

Mi rispose con tono fermo e serio. Troppo serio.

Per quanto tentasse di nasconderlo era evidente il suo nervosismo ed era ancor più evidente che non avrebbe voluto incontrare Fersen su quel terreno, ma non capivo esattamente perché.

Andrè invece si manteneva imperturbabile e non sembrava voler entrare nel discorso. Scoprii solo più tardi che la sua calma era solo apparente, inoltre aveva intuito che mi prefiggevo uno scopo che coinvolgeva Oscar. Ancora una volta mi sarei sorpresa di quanto fosse protettivo nei suoi confronti.

 

Oscar era andata a riposare qualche ora ed io ero rimasta sola nel giardino della villa, a camminare sotto gli alberi da frutto della mia tenuta, quando André mi raggiunse; capii subito dal suo atteggiamento diretto che non lo avrei blandito con delle banali scuse. Mi arrivò dietro le spalle afferrandomi per un braccio.

“Danielle, che cosa stai cercando di fare? I tuoi giochetti non mi piacciono.”

Il suo tono era perentorio.

“Lasciami il braccio, mi stai facendo male.” Gli dissi decisa.

“Allora? Perché hai invitato Fersen?”

Continuava a stringermi il braccio e non pareva voler mollare la presa.

“È un amico, e gli amici si invitano a casa propria. Cosa c’è di strano?”

“Fersen non è un semplice amico, lo sai benissimo. È forse l’uomo più discusso di Francia in questo momento. Io trovo molto strano che tu ci abbia riuniti tutti qui, sotto il tuo tetto. Tu hai in mente qualcosa che riguarda anche Oscar; perché vuoi coinvolgerla nelle tue trame?”

“Andrè così mi offendi; parli come se io fossi una di quelle sciocche intriganti che si trovano a Versailles. Non è nel mio stile divertirmi alle spalle altrui.”

Ero infastidita dal suo atteggiamento e glielo feci capire, ma lui non si calmò affatto.

“Perché hai invitato Fersen quando hai detto di aver capito cosa prova Oscar per lui… e cosa provo io? Non stai cercando di fare in modo che lui e Oscar…”

“Oh, Dio! Ma come ti viene un’ idea del genere?” ero sinceramente scandalizzata da un’ idea simile.

Il suo sguardo divenne perplesso e lievemente preoccupato. Non me la sentii di lasciarlo nell’incertezza, e anche se non potevo spiegargli tutto, volevo che almeno fosse sicuro delle mie buone intenzioni.

“Andrè non dovrei dirtelo, perché non è cosa che dovrebbe riguardarti, ma te lo dico ugualmente, così forse ti calmerai: lo sai che ho notato nel conte un palese interesse nei miei confronti? Ti assicuro che egli non è nulla per me, ma intendo scoprire da cosa deriva il suo interesse; forse dal fatto che io sia la sorella di Oscar, o forse no. Non lo so esattamente, vorrei solo capire quanto sia sincero e disinteressato.”

“Posso dirtelo io; non è né sincero, né disinteressato. Lo sai anche tu che ama soltanto la regina e nonostante questo, non riesce ad esserle fedele.”

Sentivo il suo sguardo che mi frugava addosso, mi pareva che leggesse attraverso le mie iridi.

“Non è lui che mi interessa, André…” dissi in un soffio, lanciandogli un’ occhiata eloquente che sono sicura, colse in pieno.

“Non importa. Se avevi in mente dei giochini con Fersen, non dovevi invitare Oscar, qui; la farai star male.”

“O forse le farò aprire gli occhi, dipende.”

Ripresi a camminare con calma lungo il sentiero e sentivo il sole che scaldava le mie guance; agitavo il ventaglio per avere un po’ di refrigerio. Andrè continuava a seguirmi. Non si era del tutto calmato.

“Perché ti preoccupi di questo? Sei troppo annoiata della vita che fai che devi gestire quella degli altri?” era diventato cinico e mi sentii offesa.

“André!!”

Mi voltai verso di lui e alzai una mano, decisa; lo colpii in pieno viso. Lui incassò il colpo senza fare alcuna resistenza, non reagì se non massaggiandosi leggermente la guancia un poco arrossata. Posò le mani lungo i fianchi; quando mi rispose, la sua voce mi colpì con una fitta acuta di dolore.

“Danielle, giocare coi sentimenti delle persone è come scherzare col fuoco; può essere molto pericoloso. Tienilo a mente.”

Il tono che aveva usato era stato severo, poi a grandi passi aveva abbandonato il giardino tornando verso la mia dimora.

Io non volevo giocare coi suoi sentimenti e neppure con quelli di Oscar; in realtà volevo solo che lei si liberasse della sua ridicola ossessione per Fersen, ma non sapevo esattamente perché avessi questo desiderio. Forse perché mi sembrava infelice? Oppure perché non volevo che commettesse lo stesso errore che avevo fatto io in passato, quando mi ero innamorata dell’unico uomo che non avrei potuto avere?

Un errore che forse stavo per fare nuovamente e sentivo che non sarei riuscita ad evitarlo. Perché ricadiamo sempre negli stessi sbagli?

Nutrivo l’illusione che se Andrè poteva amare mia sorella, forse avrebbe potuto amare anche me, per la stessa ragione.

Ma non era la razionalità a guidarmi, non sapevo neppure cosa fosse adesso, quel dolore che sentivo nel petto, dopo che Andrè se n’era andato lasciandomi sul cuore il peso di quelle parole amare.

 

Non rimasi sola a lungo perché Oscar mi raggiunse pochi minuti dopo.

Aveva un’ aria stanca; non aveva sicuramente dormito. Doveva essere rimasta a rimuginare nella sua stanza per tutto quel tempo e intuivo benissimo quale fosse stato l’oggetto dei suoi pensieri. Me lo confermarono le sue parole.

“Credevo che Fersen sarebbe rimasto a Parigi, non mi aspettavo che lo avrei trovato qui.”

“Neppure io ero sicura che avrebbe accettato il mio invito. Oscar, ho come l’impressione che tu non gradisca incontrarlo. Mi sto sbagliando, forse? Ci sono state delle incomprensioni tra voi? Forse a causa della regina?”

“No, niente del genere. Solo che avevo pensato di venire qui e dimenticarmi per un po’ di Versailles e tutti i suoi scandali, capisci cosa intendo?”

“Perfettamente, e ti dico che non devi preoccuparti; trascorreremo tranquillamente le nostre giornate senza doverci preoccupare di pettegolezzi inutili e fastidiosi.”

“Sarà certamente così.”

Restò in silenzio un momento, sembrava persa in qualche strano pensiero; poi a bruciapelo, mi fece l’unica domanda per cui non ero preparata.

“Cosa è successo con André?”

Mi colse completamente di sorpresa e se ne accorse. Di fronte alla mia espressione incredula mi incalzò nuovamente.

“L’ho incontrato poco fa; aveva un’ espressione seccata e piuttosto arrabbiata, e a giudicare dal tuo stupore, forse tu sai perché.”

Non seppi cosa risponderle. Quasi annaspai alla disperata ricerca di una scusa. Poi optai per quella più banale, ma sicura.

“Non saprei cosa dirti Oscar, comunque non è accaduto nulla di grave. Abbiamo parlato come facciamo solitamente.”

“Ultimamente per parlare, cerchi spesso la compagnia del mio attendente.” constatò.

Potrei giurarci che nello sguardo le passò l’ombra di un dubbio. Oscar non mi credeva? Cosa pensava davvero?

“Sì, nonostante qualche divergenza di opinione.” Le dissi cercando di non dare importanza a quello che stavo dicendo. Cercai di essere convincente.

“Andrè non si arrabbia mai per niente e qualsiasi cosa tu abbia detto, devi averlo seriamente offeso, Danielle. Vorrei che tu evitassi discussioni con lui, in futuro.”

“Ma Oscar, non ti sembra di esagerare? Perché ti scaldi tanto per una sciocchezza?”

Ero davvero sorpresa di notare un atteggiamento del genere in lei; non sapevo che fosse così protettiva nei confronti di Andrè, quasi quanto lui lo era con lei. Che cosa significava? Perché si stava preoccupando tanto per André?

“Danielle, André è il mio più caro amico; non angustiarlo con i tuoi problemi personali che comunque, non potrebbe risolvere; non giocare con lui.”

Guardai mia sorella negli occhi e ammutolii davanti al suo sguardo serio; qualcosa nella sua espressione mi spaventò.

Leggevo in lei una strana determinazione che ero certa di non aver mai colto; sembrava reclamare uno specie di possesso. Aveva calcato il tono sulle parole mio amico, quasi sottolineandole e di nuovo avvertivo quella specie di esclusività che distingueva il loro legame.

Forse fu in quel momento che capii che Oscar non ammetteva e non avrebbe ammesso interferenze esterne a quella loro amicizia.

Oscar teneva a lui più di quanto credessi, più di quanto lei stessa fosse disposta ad ammettere. E Fersen allora? Come si inseriva il presunto amante della regina in quella specie di triangolo? Non aggiunse altro e se ne andò, lasciandomi lì assolutamente stranita e timorosa di riuscire a entrare nel cuore di Andrè, chiedendomi cosa avrebbe potuto significare mettermi tra loro.

 

 

Continua…

 

 

Salve a tutte e scusate il ritardo di questo aggiornamento, ma prima non potevo.

Questa storia è davvero complessa e complicata e ammetto che ho qualche timore di fare passi falsi, ma faccio del mio meglio per rendere credibile e vera Danielle.

Come vedete ho cercato in massima parte di tenere il punto di vista di Danielle, che poi è quello che io tendo a privilegiare. Ho pensato molto a una possibile soluzione alternativa, ho pensato anche di cancellare la scena tra Oscar e Andrè, ma mi pareva che mancasse qualcosa, e dovevo far capire un po’ i pensieri di entrambi e le loro reazioni, e non ho trovato altra soluzione che la terza persona. Io spero che vi sia piaciuto, soprattutto che non stoni troppo nel capitolo, fatemi sapere i vostri pareri che sono sempre ben accetti.

Naturalmente vi ringrazio per le numerosissime recensioni che mi hanno davvero sorpreso e mi hanno fatto molto piacere; avrei voluto rispondere a tutte, ma non ho fatto in tempo.

Vi saluto e al prossimo capitolo.

 

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Capitolo 5
*** Pranzo a Villa Recamier ***


5 – Pranzo a Villa Recamier

5 – Pranzo a Villa Recamier

 

Mi scuso con tutte voi, per l’enorme ritardo di questo aggiornamento.

Purtroppo il mio tempo è poco, e portare avanti due storie complesse (una su un altro fandom) diventa davvero pesante per me.

Questa è una storia non facile da gestire, che richiede davvero tutti i miei sforzi e la mia massima attenzione, e non so se basta.

Devo ringraziare la cara Audreiny, per i suoi preziosi consigli e per l’aiuto che mi sta dando.

Inoltre ringrazio tutte voi che seguite questa storia e la commentate con tanto entusiasmo; siete un grande incoraggiamento per me, e spero che la lunga attesa non vi abbia fatto perdere la voglia di seguire questa ff. Come sempre attendo i vostri commenti e ogni considerazione positiva e non, che vorrete lasciare. Spero sia una buona lettura.

Ne approfitto per ringraziare tutte coloro che hanno letto e apprezzato la ff “Sorella perduta”.

 

*******

 

Il conte di Fersen raggiunse casa mia il giorno dopo in tarda mattinata. Trovò solo me ad accoglierlo, perché Oscar era uscita a cavallo con André e stranamente non erano ancora rientrati. Pensai immediatamente che l’avesse fatto di proposito e trovai davvero strano e curioso il suo atteggiamento: mia sorella, anche se innamorata di un uomo irraggiungibile, non si comportava certamente come una donnetta qualsiasi, dovevo dargliene atto.

Se davvero era innamorata di lui, perché stava facendo di tutto per evitare di incontrarlo? Perché aveva reagito in quel modo quando le avevo detto che si sarebbe unito a noi? Non riuscivo a capirlo; forse voleva evitare una situazione imbarazzante. Potevo essere io stessa, la causa di quel sottile disagio.

Quasi certamente era così.

Oscar non voleva affrontare l’imbarazzo di un possibile confronto fra noi, di fronte all’uomo di cui era innamorata, e magari temeva di soccombere contro il suo alter ego in abiti femminili.

Lei conosceva l’ascendente molto forte che esercitavo sugli uomini, lo aveva visto nei salotti di Versailles, sapeva dei miei successi, del mio potere di ammaliare i miei interlocutori, dei cuori che avevo infranto nelle vesti di una giovane un poco immatura, magari solo per gioco o per noia. Poteva affrontare Fersen sul suo terreno, al sicuro nella sua casa con André al suo fianco; magari, anche di fronte alla stessa regina poteva sostenere quella prova. Ma con me era diverso.

Era senz’altro più difficile, più doloroso.

Oscar sosteneva un ruolo maschile che si sforzava di recitare alla perfezione. Da sola, poteva quasi ingannare chiunque, facendo credere davvero di essere un uomo, ma l’ imbroglio crollava al mio cospetto e lei si sentiva inadeguata.

E mi dispiaceva che si sentisse così, perché in realtà non ne avrebbe avuto ragione.

Oscar è una donna straordinaria proprio per quella sua femminilità sottopelle che cela sotto la divisa, un carisma di cui lei sembra essere totalmente inconsapevole.

In verità, Oscar ha sempre avuto paura di confrontarsi con questo lato della sua natura. Ha sempre avuto timore di confrontarsi con me. Il suo riflesso, il doppio, la sua parte oscura è quella parte che la spaventa. La femminilità, il potere di seduzione nascosto in ogni donna, è l’arma più potente che madre natura ci ha dato per esprimere noi stesse. Oscar in me, vede se stessa e quello che avrebbe potuto essere, e riconosce quell’istinto naturale che da sempre è costretta a soffocare. Vede ciò che le è stato negato dalla nascita e dal capriccio di nostro padre.

In verità, per quanto possa essere innamorata di Fersen, Oscar non saprebbe cosa fare per conquistarlo o sedurlo, ma sa che io ci riuscirei senza sforzo, e teme che possa accadere sotto il suo naso.

 

Forse André aveva avuto ragione ad arrabbiarsi, ma io restavo fermamente convinta che sarebbe stato necessario per la serenità di Oscar, avere un serio confronto con la realtà; avrebbe magari sofferto all’inizio, ma se fossi riuscita a metterla in contatto con la sua essenza più intima, avrebbe trovato il suo equilibrio e si sarebbe liberata della sua fragile illusione. Una donna che conosce e accetta se stessa, sa di cosa ha davvero bisogno, e non diventa preda di ridicole fantasie.

 

Dopo aver affidato i miei figli alle cure del loro precettore, invitai Fersen nel mio salotto privato dove avremmo atteso il ritorno di mia sorella a palazzo, prima di prepararci per il pranzo. Il conte esordì esibendo un’ elegante riverenza e baciandomi la mano con la galanteria inconfondibile dell’uomo che vuole impressionare positivamente una donna.

“Madame Recamier, i miei più devoti omaggi; mi aspettavo di incontrare madamigella Oscar insieme a voi, ma vedo che non è qui. Posso chiedervi dov’è e come sta?”

Era un proforma; Fersen mi stava chiedendo di Oscar per educazione, ma ero certa che il suo reale interesse fosse rivolto a me. Lo capivo dal suo sguardo insistente e intenso che incontrava il mio e che io ricambiavo con uguale impudenza.

“Oscar sta benissimo, grazie; adesso è fuori a cavallo, ma si unirà a noi per il pranzo. Ma ora ditemi: che notizie mi portate da Parigi? Siete sempre voi, conte, al centro di tutte le chiacchiere?” Fui volutamente maliziosa con l’ultima frase.

L’avevo colto di sorpresa, ma non avevo saputo resistere; mi piaceva mettere in difficoltà un uomo che avesse qualche mira su di me. Mi ero seduta comodamente sul divano e avevo invitato il conte a prendere posto al mio fianco; si aprì in un sorriso stanco prima di rispondermi.

“In buona parte, sì… - parve esitare – ma devo confessarvi che anche voi contessa, da quando siamo stati visti insieme a teatro, avete destato molte voci tra i curiosi… non immaginate cosa pensano di noi.”

Superata la sorpresa aveva saputo riprendersi benissimo e ribattere con acutezza di spirito.

“Oh, lo immagino perfettamente, invece; nella fantasia popolare siamo già diventati amanti.”

“Oh… siete una donna sagace. Se così fosse, questo sarebbe un vero motivo d’orgoglio per me, contessa; le dicerie non sembrano sconvolgervi troppo.” Commentò tranquillo, allargandosi in un sorriso che arrivò ad illuminargli lo sguardo, di solito freddo: mio malgrado, lo trovai davvero affascinante.

“Non mi turbano affatto; che volete farci? Per motivi diversi sia io, sia voi siamo due personaggi sempre al centro dell’ attenzione: io, perché sono la sorella del Colonnello Oscar, e voi perché siete un uomo di mondo…”

“Ahimè, non posso che darvi ragione contessa.” Una nota di rassegnazione nella voce.

Mi premurai di rassicurarlo; non volevo che assumesse l’ atteggiamento di chi è sulla difensiva.

“Non preoccupatevi: non vi ho fatto venire per parlare di questo. Siete qui perché ho stima di voi, come Oscar, del resto.”

“Mi sento veramente onorato; in realtà a Parigi sono tutti in fermento per il ballo a corte che si terrà questo fine settimana: pare che tutte le modiste della città stiano lavorando alacremente per confezionare più di un centinaio di nuovi abiti da sera per l’occasione.”

“Voi prenderete parte al ballo?” chiesi con interesse evidente che Fersen colse senza sforzo.

Lasciò passare qualche secondo prima di rispondermi con un tono che mi sembrò allusivo e velatamente compiaciuto.

“In verità sono combattuto, ma ne avrei tutta l’intenzione.”

“Combattuto? E perché mai?”

“Immaginate cosa direbbe la gente se mi vedesse danzare tutta la sera con Sua Maestà: non farei che peggiorare tutto quello che già sta accadendo, però…”

“Però la tentazione è molto forte, vero? Forse sarebbe più saggio accompagnarvi con un’ altra dama per tutta la serata; spegnereste le dicerie attorno alla regina.”

Il conte colse subito la mia allusione maliziosa, facendo esattamente ciò che mi aspettavo; era davvero facile portarlo dove volevo.

“Voi chi proporreste, madame?”

“Io sarei felice di aiutarvi, mentre voi mi evitereste tanti fastidiosi corteggiatori.”

“Così renderemmo fondate le voci di una nostra relazione. Vi prestereste davvero a questo, senza temere per la vostra reputazione?”

Fummo interrotti da un rumore di passi frettolosi che annunciava il ritorno di Oscar; pochi istanti dopo fece il suo ingresso in salotto seguita da André. Sorrise e salutò Fersen che ricambiò in maniera amabile, mentre André mantenne il più assoluto distacco, rivolgendo allo svedese un semplice cenno del capo.

Non mi sfuggì però l’occhiata severa che lanciò al mio indirizzo.

Ero un po’ preoccupata per l’atteggiamento ostile di Andrè: cosa mi sarei dovuta aspettare da lui?

Avrebbe cercato di ostacolarmi? Lui non sapeva cosa in realtà io desiderassi davvero; non sospettava di essere lui l’oggetto dei miei pensieri più intimi. Però non sapevo come avvicinarlo nel modo giusto e il nostro alterco del giorno prima, aveva complicato ulteriormente le cose. Per amore, spesso si fanno i ragionamenti più sbagliati, eppure io pensavo a lui costantemente; avrei fatto di tutto, approfittato di qualsiasi occasione per stargli vicino.

Dovevo trovare il modo di placarlo; avevo bisogno di un alleato non di un nemico.

Lui era la ragione principale della presenza di Oscar in casa mia; anche i miei piani su Fersen, una semplice e innocua pedina sulla mia scacchiera, erano di secondaria importanza.

Ma dovevo stare attenta; stavo per aprire una partita con troppi giocatori che sarebbe stato difficile gestire, e se qualcosa fosse andato storto, io ero quella che aveva più da perdere: oltre Andrè, mi sarei inimicata anche Oscar ed ero troppo legata a lei per voler pagare un simile debito.

Inoltre, non avevo nessuna idea di come attuare una possibile strategia di conquista; anzi più ci pensavo, più mi pareva che questa possibilità diventasse sempre più remota. Non avrei mai potuto prendere il posto di Oscar nel cuore di quell’uomo dalla natura così gentile, eppure forte.

Giorno dopo giorno, sentivo crescere dentro di me il mio sentimento irrefrenabile per lui, e non sapevo come controllarlo; ero certa di non aver mai provato un simile trasporto per nessuno degli uomini di cui mi ero invaghita in passato. Questo perché nessuno era come André; nessuno aveva quella dolcezza e fermezza che intuivo in lui, la sua passione e la forza d’animo che metteva nello stare vicino ad Oscar.

Desideravo soltanto poter essere amata nello stesso modo.

Desideravo scoprire cosa si prova ad essere amate con una tale passione, desideravo che anche il mio cuore potesse volare, respirare quell’ aria più dolce che profumava di quella vita che io non conoscevo.

 

Oscar scomparve nella sua stanza per ricomparire solo al momento del pranzo.

Diedi disposizioni alla servitù di apparecchiare nella piccola sala della mia dimora, che usavamo abitualmente solo io e mio marito; quella più grande era riservata a pranzi e cene importanti e impegnative, ma l’ambiente più intimo della prima, sarebbe stato ideale per far sentire i miei ospiti a loro agio e liberi di conversare tranquillamente.

Naturalmente André, non poteva unirsi a noi, quindi si era appartato in cucina con il resto della servitù; solo a Palazzo Jarjayes, egli si permetteva di consumare i pasti allo stesso tavolo con Oscar; qualche volta era accaduto a casa mia, lontano comunque da Parigi e mai in presenza di terzi.

Fersen sedeva di fronte a mia sorella e io a capotavola.

Il pranzo fu piacevole e tra una portata e l’altra, la conversazione fu amabile, a tratti interessante e vivace.

Se volevo attuare il mio proposito, cioè mostrare a Oscar chi era davvero il conte di Fersen, dovevo iniziare a pilotare il discorso nella giusta direzione. Ma dovevo farlo senza suscitare sospetti o malumore nei miei commensali, principalmente in Oscar. Volevo indurre Fersen a palesare in parte le sue intenzioni e far crollare quella maschera perfetta con cui nascondeva il suo vero volto; quello del seduttore e libertino, infedele alla stessa donna che diceva di amare tanto, quello perverso e cinico che voleva sedurre la gemella del colonnello Oscar.

Era solo quella la ragione che aveva spinto il conte ad accettare il mio invito.

Quali altri interessi avrebbe potuto avere?

E io ero stata abilissima a fargli credere che ci fosse un qualche interesse nei sui confronti da parte mia.

Mia sorella e Fersen fino a quel momento avevano parlato con tranquillità, dilungandosi su noiosi paragoni tra la corte francese e quelle del Nord Europa.

“Nel mio paese credo sarebbe del tutto impensabile per una donna, ricoprire il ruolo che avete voi nell’esercito francese, madamigella Oscar… - stava affermando Fersen. – La Francia da questo punto di vista è un paese modernissimo.”

“L’unicità del caso non fa del nostro paese uno stato all’avanguardia…”

Intervenni con convinzione mentre Fersen si rivolse direttamente ad Oscar.

“Voi cosa pensate a riguardo, madamigella?”

Oscar stava sorseggiando un bicchiere di vino. Lo posò sulla tovaglia bianca ricamata, prima di rispondere pacata. Era vestita in modo informale, come sempre quando non ricopriva il suo ruolo; un’ampia e comoda camicia di seta immacolata e pantaloni di velluto grigio tortora.

“In parte sono d’accordo con Danielle: il mio caso è unico in Francia. Forse il personaggio più moderno è stato mio padre; non so quale altro uomo avrebbe mai allevato una figlia dandole l’educazione che ho ricevuto io…”

“Vostro padre un uomo moderno; strano, lo avrei definito piuttosto austero e conservatore, un uomo d’ altri tempi, insomma!”

Lei accolse il commento senza ribattere, ma piegando le labbra in un leggero sorriso che non riuscì ad essere pienamente convincente.

Mi sorpresi di come quell’uomo a volte riuscisse ad essere indelicato; stava parlando di nostro padre con eccessiva leggerezza. Questa era una delle cose che me lo rendevano sgradito. Chiamai la servitù per far servire la portata successiva, poi mi decisi a cambiare argomento e mi rivolsi a mia sorella con tranquilla disinvoltura.

“Il conte mi ha assicurato che prenderà parte al prossimo ballo a Versailles e credo che interverrò anch’io. Tu ci sarai, vero, Oscar? Si tratta di un ballo importante e il colonnello delle Guardie Reali non può mancare.”

Oscar non rispose subito, ma si limitò a fissarmi un attimo.

Fersen parlò di nuovo, questa volta, rivolgendosi a me.

“Spero che mi concederete più di un ballo, Madame Recamier; per ballare con voi rinuncerei a danzare con la regina.”

Il sottinteso era chiaro e io stetti al suo gioco. Stava facendo esattamente quello che volevo.

Il conte sembrava non farsi remore neppure davanti ad Oscar. Molto probabilmente non si preoccupava di quello che lei poteva pensare, un altro segno d’indelicatezza da parte sua. Lontano dal ricordarsi che fosse una donna, non sembrava considerare il fatto che avrebbe potuto offendere la sua sensibilità.

D'altronde, perché avrebbe dovuto preoccuparsi di questo?

Lui ignorava totalmente i suoi sentimenti. E anch’io finsi di non conoscerli.

“Io sono piuttosto esigente conte, pretenderò l’esclusiva tutta la sera.” Sorrisi benevola al suo indirizzo, ignorando lo sguardo incerto di mia sorella. Anche lui parve ignorarlo.

“Una donna affascinante e bellissima come voi, può pretendere questo ed altro; sarò sicuramente molto invidiato da tutti i gentiluomini presenti.”

“Oh, la cosa non mi preoccupa e queste sono le mie condizioni: se volete danzare con me, non dovrete ballare con nessun’altra, neppure con Sua Maestà… Allora? Accettate, conte? O forse, vi sto chiedendo troppo?”

Oscar stava osservando la scena senza battere ciglio. Non saprei dire esattamente cosa le passasse per la testa: sorseggiava con calma il suo vino e pareva essere indifferente a quello che stava succedendo.

Poi, improvvisamente, puntò la sua attenzione su Fersen, attratta dallo sguardo complice e malizioso che mi aveva rivolto. Si era accorta del gioco fatto di sguardi e allusioni che avevamo iniziato e adesso, potrei giurarlo, sul suo volto si era dipinta un’ espressione piuttosto sorpresa e allo stesso tempo, vagamente confusa. Il comportamento di Fersen la sconcertava non poco, ma non sapeva esattamente perché; era del tutto nuovo, come era nuova la situazione in cui veniva a trovarsi da testimone; non era assolutamente preparata a quell’approccio aperto del conte verso di me.

Era lì che volevo arrivare e non avevo sperato che cogliesse il messaggio tanto in fretta, ma temevo anche la sua possibile reazione.

Avrei rincarato la dose perché c’era un altro punto che mia sorella doveva avere chiaro: se volevo demolire la figura di Fersen ai suoi occhi, dovevo farlo totalmente, appiattirlo e farlo apparire comune alla maggior parte dei nobili. Per ottenere questo risultato dovevo smascherare il suo reale pensiero, la sua ideologia fasulla e ipocrita. Ma per farlo, dovevo portare sulla scena Andrè; ero quasi sicura che nient’altro avrebbe aperto gli occhi di Oscar maggiormente. Sarebbe stato il colpo di grazia, ma era necessario, o almeno così credevo.

Mi dispiaceva dover coinvolgere Andrè in quel modo, ma non vedevo altre soluzioni ed ero ben consapevole che si trattava di una mossa pericolosa; non l’avrebbe presa bene e potevo immaginare quale sarebbe stata la sua reazione se avesse avuto sentore del mio obiettivo.

Così, buttai la mia esca.

“Oscar, potevi lasciare che Andrè pranzasse con noi; a voi, conte, non sarebbe dispiaciuto, vero? Probabilmente sapete che mia sorella e il suo attendente pranzano spesso insieme nella casa di mio padre.”

Mia sorella, il bicchiere di vino a mezz’aria, alzò appena un sopracciglio puntando i suoi occhi limpidi nella mia direzione, ma non aprì bocca.

Mi aspettavo invece, l’intervento di Fersen che non si fece attendere e come prevedibile, disse un’altra frase poco felice.

“Lo so perfettamente; è una cosa davvero insolita e inusuale. Voglio dire… che un servo possa mangiare alla tavola del padrone. Se anche voi madame Recamier, abitualmente acconsentite a questa abitudine, io mi sarei adattato senza problemi… davvero.”

“Danielle, lo sai che non lo fa mai…” intervenne Oscar, che aveva posato il bicchiere vuoto sul tavolo, e appariva davvero infastidita.

“Sì cara, lo so, ma Andrè è come uno della famiglia e il conte sa perfettamente che egli non è un servo come gli altri, giusto?” e guardai il mio ospite con convinzione puntando lo sguardo su di lui.

“So che André è un buon amico per madamigella Oscar; certo, nel nostro ambiente si tratta di un rapporto unico, ma può essere naturale che un attendente e l’ufficiale cui presta servizio siano complici; qui, l’aspetto insolito di tutta la faccenda è il fatto che Oscar sia una donna. Non sarebbe ammissibile la stessa amicizia tra voi, Madame Recamier, e il vostro maggiordomo personale, per una semplice questione di convenienze.”

“Insomma conte, fatemi capire: state dicendo che potrei avere una relazione clandestina con il mio maggiordomo personale, ma non una sincera amicizia?”

Ero un po’ sbigottita, ma sinceramente divertita dalla piega che stava prendendo la conversazione.

“Beh, contessa, state parlando di una cosa che accade spesso. Ma non dico che possa riguardare voi.”

Fersen sorrise con leggerezza senza notare il disappunto che si dipingeva sul viso di Oscar. Ero arrivata dove volevo e lanciai l’ultima provocazione per indurre il conte a dichiararsi apertamente sulla questione.

“Mi sorprendete Fersen; vi credevo più moderno. Insomma, ammettete le solite tresche amorose, ma pensate che tra servo e padrone debba esserci la giusta distanza; siete davvero convinto? Volete dire che non avete un rapporto quasi di intima fiducia con il vostro cameriere personale? Non c’è complicità?”

Insinuai il dubbio nella mia voce. Egli non si smentì affatto, e parlò con una sicurezza impossibile da fraintendere.

“Ma certo, questo è ovvio. Vedete madame, non si tratta di essere moderni o conservatori. La questione è un’altra: ognuno di noi ha il suo posto nel mondo e si deve rispettare il proprio ruolo, per il bene di tutta la società civile. Un servo non può pensare di essere un mio pari: classe, educazione, privilegi ci divideranno sempre.”

Parole strane dette da un uomo sospettato di avere una pericolosa relazione clandestina con la regina di Francia, fatto assai scandaloso che aleggiava sulla bocca di tutti.

Non avrebbe potuto esprimersi meglio, né in maniera più offensiva verso mia sorella che infatti non resse più quella conversazione. Si alzò da tavola appoggiando il tovagliolo accanto al suo piatto, ancora quasi del tutto intatto e si congedò, decisa ad allontanarsi.

“Vogliate scusarmi: non ho più fame e preferisco ritirarmi.” Rispose in tono gelido.

 Velocemente e senza degnarci di uno sguardo, si allontanò dalla sala, sotto lo sguardo stupefatto e del tutto inconsapevole del conte di Fersen, il quale rimase un po’ spiazzato dalla reazione di Oscar; temendo di averla offesa in qualche modo, mi chiese spiegazioni e io lo rassicurai per quanto potei.

Con mia sorpresa, non si convinse del tutto.

“Credo di essere stato indelicato nei riguardi di vostra sorella; a volte, tendo a dimenticare che lei e André sono cresciuti insieme. Naturalmente, io non ho alcun tipo di riserva su André, ma può darsi che Oscar mi abbia frainteso. Più tardi mi scuserò con lei.”

“Non allarmatevi troppo, conte. Sono certa che Oscar saprà comprendere; lei vi considera un buon amico e non è una persona che porta rancore.”

 

 

Dopo pranzo, il conte si era allontanato a cavallo.

 

Io avevo necessità di parlare con Oscar e decisi di raggiungerla nella sua stanza. Ero certa che le parole del conte l’avessero urtata parecchio, ma di più temevo che potesse accusarmi di qualche bieca iniziativa e reagire con ostilità verso di me.

Come prevedibile, non era sola; Andrè era con lei.

Mia sorella era seduta in poltrona e lui, in piedi di fronte alla finestra che si apriva sul giardino della mia casa, guardava all’esterno; forse aveva osservato Fersen allontanarsi, immerso nella luce del pomeriggio che faceva risaltare il paesaggio.

Potevo essere quasi certa che Oscar avesse parlato con lui della conversazione di cui era stata testimone; lo avrei scoperto a breve.

Avanzai al centro della stanza in penombra.

La luce filtrava attraverso lo spiraglio lasciato dalle tende semiaccostate delle due grandi finestre che si aprivano sulla parete.

Oscar mi lanciò un’occhiata provocatoria, e quando parlò, colsi del sarcasmo nel modo in cui mi accolse.

“Oh, Danielle! Ci onori della tua presenza! Perché non sei rimasta col tuo illustre e saggio ospite, così rispettoso e attento alle convenzioni sociali? Magari sei venuta a spiegarci che cos’era quella pantomima che hai inscenato in sala da pranzo, davanti al conte di Fersen? Sono davvero curiosa.”

Il fatto che fosse così diretta, non lasciava dubbi che avesse già avuto uno scambio d’opinione con Andrè, ma l’espressione dell’attendente era indecifrabile; non rivelava alcun stato d’animo, né indifferenza, né fastidio, ma ormai sapevo quanto fosse capace di camuffare le sue emozioni dietro espressioni neutre.

“Oscar, mi dispiace se quello che è stato detto ti ha offesa. Riconosco anch’io che Fersen non è stato molto delicato; non mi sarei mai aspettata niente del genere: parlare in quel modo di nostro padre, i commenti su Andrè e tutto il resto… è stato spiacevole e deludente.”

“Sì, è stato molto deludente, anche se ho avuto l’impressione che per te fosse divertente…” commentò ironica.

“Ammetterai che nelle sue esternazioni, Fersen risulta ridicolo, a volte… si fa fatica a prenderlo sul serio.”

“Comunque, non è solo quello che ha detto Fersen, che potrei anche giustificare; è uno straniero e non è tenuto a conoscere le nostre abitudini. Danielle, è il tuo atteggiamento che non mi è piaciuto, e francamente non ho capito cosa volevi dimostrare.”

“Non volevo dimostrare nulla, mia cara. Era solo una banalissima conversazione, che ha messo in luce una certa ideologia del conte, molto comune per la verità. Non c’era nulla di sorprendente in quello che ha detto, ma forse, tu ti saresti aspettata qualcosa di diverso; può darsi che ti fossi fatta un’idea differente di lui?” commentai con tutta l’innocenza possibile. Oscar non rispose direttamente alla mia domanda, ma si limitò a esprimere il suo reale fastidio.

“Quale che fosse la mia idea, mi è sembrato fuori luogo e molto inopportuno tirare in ballo Andrè.”

Il suo tono era seccato e se si tratteneva dall’aggredirmi verbalmente era solo perché non eravamo sole.

“Il conte pensa che un servo debba stare al suo posto. - Intervenne André, che non si era ancora allontanato dalla finestra e sembrava più interessato a quello che avveniva all’esterno, che alla nostra discussione. Poi proseguì, rivolgendosi a mia sorella. - Non dovresti prendertela per così poco, Oscar. In fondo, è quello che pensano tutti i nobili.”

Aveva parlato con molta calma e naturalezza, minimizzando, come se la cosa non avesse alcuna importanza per lui.

“Comunque, André, il discorso del conte era più di carattere generale; non era rivolto a te, in particolare.” Commentai, sperando di mitigare il suo probabile disappunto.

“Madame Recamier, non c’è alcun bisogno di spiegazioni con me.” Rispose vagamente ironico.

“Invece, io credo di sì. Volevo che fosse un soggiorno lieto e sereno, anche per te, André. Non mi aspettavo di dover affrontare argomenti spinosi e imbarazzanti, come quello della differenza sociale.”

Non ero certa di averlo convinto. Andrè, di fronte a Oscar, si manteneva tranquillo e quasi indifferente, ma incrociando i suoi occhi, vi lessi molta perplessità. Chissà cosa stava pensando davvero; doveva essergli molto chiaro che avevo sollevato io la questione, e forse, era ancora convinto che tutto facesse parte della manovra misteriosa che secondo lui, stavo imbastendo.

Certo, per quanto potesse intuire le mie azioni, non sospettava da cosa fossi mossa davvero. Ma potevo dirmi sicura che fosse così? André aveva già dimostrato di essere molto vigile e attento su tutto ciò che gravitava attorno a Oscar, che fosse Fersen o io stessa.

Dovevo chiarire la faccenda con lui, convincerlo della mia buona fede, e possibilmente dissolvere le tensioni che si erano create fra noi, dopo l’alterco del giorno prima. Dovevo portarlo dalla mia parte e guadagnarmi la sua fiducia. Per ottenere tutto questo, avevo bisogno di parlare con André, da sola, e fu Oscar a darmene l’occasione.

“Andrè, per favore, vai a preparare il mio cavallo. Ho bisogno di fare una lunga cavalcata.”

“Non vuoi che venga con te, Oscar?” chiese lui, con tono un po’ allarmato. Forse temeva che volesse raggiungere Fersen, e magari, discutere con lui. Ma io non credevo che fosse quella la sua intenzione; pensavo piuttosto, che volesse cercare l’isolamento per poter riflettere con tranquillità.

“No. Ho bisogno di restare sola. Tu aspettami qui.”

Probabilmente, Oscar iniziava a interrogarsi su chi fosse davvero l’uomo di cui si era invaghita; se fossi riuscita a oltrepassare il suo riserbo su quella faccenda sentimentale, sono certa che mi avrebbe rivelato i suoi pensieri e aperto il suo cuore. Rivolgendomi a lei, congiunsi le mani, quasi in un atto di supplica.

“Ho organizzato una piccola festicciola per questa sera. Nulla di eccessivo, solo un po’ di musica per stare piacevolmente insieme e concludere degnamente la giornata; tu cara, potresti suonare per noi qualcosa al piano, più tardi. Dimmi che ci sarai, ti prego.”

In risposta, emise un sospiro di rassegnazione.

“Ne sarò felice, Danielle. Ma evitiamo discussioni di qualsiasi genere, per favore.”

La rassicurai subito, mentre Andrè usciva per andare ad assolvere la sua incombenza nelle scuderie. Mi assicurai che la porta fosse ben chiusa, prima di proseguire.

“Spero che Andrè non si sia offeso per queste sciocchezze; forse non avresti dovuto parlarne con lui. Non era necessario metterlo a parte di tali meschinità.”

Davanti allo specchio, Oscar si stava sistemando il panciotto e infilando un paio di guanti.

“Non vedo perché no, dal momento che è stato preso in causa, pur essendo assente. Non gli avrà fatto piacere, ma quella più offesa sono io, senz’altro.” Il suo tono era ancora infastidito.

“Lo sai, dovresti dare a Fersen il peso che ha; è un nobile, e ragiona come tale.”

“Gli do il peso che si merita; ora scusami Danielle, ma vorrei andare.”

Mi oltrepassò a passo svelto dirigendosi verso la porta.

 

******

 

Oscar era montata in sella, aveva spronato nei fianchi il suo cavallo, ed era partita al galoppo, attraverso i possedimenti della mia tenuta. Io e il suo attendente l’avevamo osservata mentre si allontanava e mi era parso che André fosse inquieto e leggermente nervoso. Sicuramente avrebbe voluto seguirla, ma sapeva che non era mai il caso di discutere i desideri della sua padrona, che di solito, non amava spiegare le cose due volte. Che volesse raggiungere Fersen, o restare sola per davvero, a me poco importava in quel momento. La mia priorità era un’altra.

Finalmente sola con André, potevo affrontare l’argomento che mi premeva.

Oscar e il suo cavallo erano diventati un puntino lontano nella campagna e André stava per allontanarsi in direzione opposta, quando lo bloccai.

“André, per favore; avrei bisogno di parlarti.”

Lui mi guardò, sostenendo il mio sguardo diretto con l’espressione più neutra che potesse offrirmi.

“Di che cosa dobbiamo parlare, signora? Credo che tutto sia già stato definito.”

Nessuna particolare inflessione nella voce, come se per lui fosse superfluo ogni ulteriore commento.

“Io vorrei parlare di quello che è successo ieri. Non mi piace il modo in cui ci siamo lasciati.”

Improvvisamente mi sentii insicura; non so come avrei reagito se non avesse voluto ascoltarmi. Lui però, dovette fraintendere il senso delle mie parole, perché si affrettò ad assumere l’atteggiamento di chi è sulla difensiva.

“Mi dispiace per la mia reazione di ieri, credo di essere stato troppo brusco. Non avrei dovuto dimenticare chi sono. La prego di accettare le mie scuse, madame Recamier.”

“Non stavo cercando le tue scuse, André. E poi, ti prego, smettiamola con queste formalità: avevamo detto che potevamo darci del tu, come due buoni amici. Io so apprezzare la tua franchezza.”

“Non lo so, Danielle. - Vidi le sue belle labbra piegarsi in un sorriso appena accennato. - Non vorrei metterti in imbarazzo di fronte al conte di Fersen, assumendo con te un atteggiamento troppo amichevole e disinvolto. Qui non siamo a Palazzo Jarjayes.” Nella sua risposta c’era un certo sarcasmo, che non tentò di velare in alcun modo.

“Sì, lo so, ma questo non deve essere un limite. Di quello che pensa il conte di Fersen, mi importa assai poco. Io tengo molto di più alla tua amicizia, e non deve necessariamente essere confinata tra le mura di Palazzo Jarjayes.”

Con decisione mi avvicinai, lasciando scivolare con audacia e naturalezza la mia mano sul suo avambraccio per sostenermi, facendogli capire che volevo camminare al suo fianco. Lui mi lasciò fare e non tentò di scostarsi. Incontrai il suo sguardo che sapeva turbarmi così tanto nel profondo, e mi sembrò di cogliere una leggera esitazione, un vago turbamento. Non si era aspettato quel mio gesto così intimo e non seppe come interpretarlo. In effetti, era la prima volta che osavo prendermi una simile libertà con lui. Ci incamminammo lentamente attraverso il giardino, all’ombra dei grandi alberi che correvano lungo il percorso che attraversava il parco di Villa Recamier. Non parlammo per alcuni lunghi minuti; mi limitavo a godere della sua vicinanza, mentre avvertivo l’aria fresca e frizzante del primo pomeriggio solleticarmi il viso e sentivo la morbidezza dell’erba sotto le suole delle mie scarpette leggere.

Poi, iniziammo a parlare e io manifestai quanto fossi felice di avere Oscar e lui a casa mia, quanto sperassi che ne fossero lieti anche loro. Finché non arrivai al punto della questione.

“Oscar mi ha detto che ti sei un po’ risentito di quello che accaduto a pranzo; vorrei che tu non dessi un’ eccessiva importanza alla cosa. Non era un discorso fatto ai tuoi danni, né volevo umiliarti in alcun modo, André. Ti prego, mi devi credere.”

“Non preoccuparti, non mi posso risentire per quello che è il pensiero comune alla maggioranza dei nobili. Te l’ho già detto una volta; so qual è il mio posto. Se vuoi saperlo, mi sono sorpreso un po’ che tu abbia sollevato un discorso del genere di fronte a Oscar, proprio in presenza del conte di Fersen. Io credo che tu l’abbia fatto di proposito; è il motivo che non mi spiego con chiarezza... volevi umiliare lui, oppure ferire Oscar?”

“Non volevo umiliare nessuno. Tu continui a pensare che io abbia un secondo fine…” pronunciai la frase sostenendo il suo sguardo indagatore.

“Vorresti farmi credere che non è così? Suvvia, Danielle; sono un servo, non uno stupido.”

“Non ho mai pensato che tu lo fossi, Andrè.”

“Allora, mi vuoi dire la verità?”

“Io ti ammiro molto per la nobiltà dei tuoi sentimenti verso mia sorella, e so che non vuoi vederla soffrire. Ti assicuro che neppure io voglio questo. Il tuo cuore è così generoso e così pieno d’amore...” esitai, emozionata per le mie stesse parole che sentivo essere così vere, le sentivo bruciare sulla lingua.

Come avrei desiderato che un uguale sentimento potesse colmare la mia anima.

“Scusa, ma continuo a non comprendere il nesso tra i miei sentimenti, quelli di Oscar e la presenza di Fersen, qui.”

“Deduco che tu sia seccato, perché sono andata a toccare i sentimenti più intimi di Oscar, è così? Lei ha reagito male; sarà delusa, forse amareggiata e lo capisco, ma…”

André mi interruppe.

“Era incredula e ferita dalle parole di Fersen, Danielle. Mi ha detto che le era sembrato di ascoltare un estraneo; per un momento non lo ha riconosciuto. Dovrei forse rallegrarmene, ma non ci riesco… - fece una pausa prima di proseguire e quello che disse mi sorprese. – Io non ho nulla contro di lui. Non ho reali motivi per odiarlo.”

“Non ci posso credere! Difendi l’uomo che potrebbe allontanarti da Oscar?”

“Non credo che potrà mai allontanarmi da lei, e non sto prendendo le sue difese. Io mi preoccupo solo per Oscar. Ho capito che Fersen non ti piace, anche se cerchi di far credere a tutti il contrario. Non fai altro che tentare di ridicolizzarlo davanti a lei; era questo che intendevi l’altro giorno, quando hai detto che volevi farle aprire gli occhi?”

“Oh, André, cerca di capire, un confronto con la realtà le farà solo bene. Mia sorella è innamorata di un uomo infedele, che dice di amare la regina, ma frequenta i letti di molte altre donne. Non c’è molto onore in questo.”

Ero quasi esasperata. André sospirò, prima di fermarsi e girarsi verso di me, per guardarmi direttamente negli occhi; un brivido mi colse, quando avvertii le sue mani che si serravano con ferma gentilezza sulle mie braccia.

 “E lo giudichi male per questo? In fondo, è un uomo come tutti gli altri, con le sue debolezze. Lo so che quella di Oscar è un’ illusione, un amore irreale, se vuoi, ma uccidere i sogni di una persona può lasciare cicatrici profonde nell’animo; ti prego, Danielle, smettila di fare quello che stai facendo.”

Il tono di Andrè era cambiato, facendosi accorato.

“Non voglio fare nulla di male. Di che cosa mi stai accusando?”

“Di interferire con l’evoluzione naturale delle cose. Oscar, prima o poi, capirà da sola che la sua è solo un’infatuazione; forzarla, può portare conseguenze impreviste e spiacevoli.”

“Ti sbagli se credi questo; Oscar potrà essere un validissimo soldato, è stata addestrata per questo, ma è a digiuno di questioni amorose. Andrà troppo vicina al fuoco e si scotterà; lei non sa chi sia Fersen, in realtà…”

“Invece tu lo sai, vero?”

Qualcosa fece tremare il mio spirito. Non riuscii a sostenere oltre, quegli occhi che mi bruciavano l’anima e che ardevano di un fuoco che non potevo raggiungere. Mi divincolai e mi allontanai di pochi passi dandogli le spalle, e risposi con la voce tremante per un’emozione che non potevo più trattenere.

“Sì, io lo so, André! Ne ho conosciuti tanti di uomini simili a lui! Fanno mille giuramenti e solenni promesse d’amore, ma il loro cuore è incostante e mutevole come il vento, e leggero… e quando abbandonano il tuo letto ti resta solo una fredda sensazione di vuoto tra le membra, e questa è una realtà ben più amara di qualsiasi consapevolezza che Oscar potrebbe avere.”

“Non credo che Fersen abbia mai fatto giuramenti o promesse ad alcuna; pochi mesi fa ha rotto il suo fidanzamento con una ragazza inglese di buona famiglia di nome Lucille. Confessò la cosa anche a Oscar. Non capisco tutto questo tuo accanimento contro di lui: forse il conte paga le colpe di qualcun altro?”

“No davvero, però il suo gesto non lo rende migliore di tanti altri; come ha dimostrato oggi, i suoi pensieri sono meschini, indegni di una donna come Oscar…”

Avevo parlato quasi rincorrendo le parole mentre il mio petto si alzava e si abbassava, vinto da un sentimento troppo forte che nell’impeto, mi portò a confessare ciò che non ero ancora pronta a dire.

“Ma tu André, tu sei così diverso…”

Non so quale forza mi prese, ma avanzai verso di lui e alzai una mano per posarla all’altezza del suo cuore; potevo sentire il suo battito accelerare sotto le dita, il tepore della sua pelle attraverso il tessuto della camicia. Le parole uscirono dalle mie labbra, impetuose come l’acqua di un fiume in piena che rompe gli argini.

“Tu non fai promesse, né giuramenti. Tu ami e basta, nel silenzio del tuo cuore pieno d’amore per lei. Lo vedo in ogni momento, ogni volta che sei con lei in una stanza, lo sento in ogni parola, anche la più insignificante che le rivolgi, in ogni sussurro, lo spio nei tuoi occhi che bruciano di un dolore segreto. Lo percepisco anche ora che sei qui di fronte a me, e in realtà sei con lei, e io la invidio, e mi sento meschina per questo.”

André era rimasto in silenzio, immobile ad ascoltarmi, e sotto la mia mano sentivo ancora il suo cuore che batteva rapido. Restammo così per alcuni lunghi minuti, io travolta dalle mie emozioni, lui soggiogato dalla sorpresa. Non osavo alzare il mio sguardo verso il suo, che sentivo su di me. Cercai di calmare il mio respiro, che mi faceva bruciare i polmoni, prima di riprendere a parlare di nuovo.

“Io trovo incredibile che Oscar non si accorga di quanto sia grande il tuo sentimento, di quanto sia fortunata ad averti accanto, anche se a volte ho la strana impressione che in realtà, lei sappia.”

Feci un’ altra lunga pausa, prima di continuare la mia confessione. Continuavo a toccare il suo cuore, a sentirlo sotto le dita tremanti.

“Non so che darei per essere amata così, almeno una volta nella vita, e vorrei avere la gioia di poter ricambiare tale amore, con uno altrettanto forte e possente. Che cosa potrebbe esserci di più bello?”

Ma la risposta che mi giunse dalle sue labbra, mi lasciò di stucco, non più del tono mesto con cui la pronunciò.

“Non saprei risponderti, Danielle: neppure io conosco la gioia dell’essere ricambiato. Immagino però, che non ci sia nulla di più bello di due cuori che possono volare insieme.”

Percepii chiaramente la calda mano di André andare a prendere la mia, piccola e bianca, posata sul suo cuore per allontanarla con la dolcezza di una carezza. Poi arrivarono le sue parole, tristi e pacate, ma troppo vere per poterle ignorare.

“Danielle, non fare lo sbaglio di struggerti per un amore impossibile. Non inseguire anche tu, un’ illusione. Rischi solo di intraprendere un cammino penoso, in solitudine. Credimi, è il consiglio più sincero che posso darti da amico; sei libera di ascoltarlo, oppure no, ma sappi che è una strada pesante da affrontare. Soffoca l’amore finché sei in tempo.”

Attorno a noi si stava alzando un leggero alito di vento che muoveva i riccioli neri di André che cadevano sul suo bel viso.

Aveva pronunciato parole troppo delicate e gentili per non lasciarsi sopraffare da esse; dopo averle udite, immediatamente pensai che per quanto facesse, non sarebbe riuscito a cancellare mai, ciò che sentivo nel cuore. Né io ci sarei riuscita di mia spontanea volontà, con le mie sole forze. Ormai avevo visto la bellezza della sua anima e ne ero rapita, senza rimedio.

Alzai il mio sguardo a incontrare le profondità del suo e mi persi per l’ennesima volta.

“Ti ringrazio, André, ma… - scossi la testa – temo che sia troppo tardi.”

Mi guardò ancora per un breve istante, con una strana espressione malinconica, poi fummo distratti entrambi dal rumore degli zoccoli di due cavalli che sopraggiungevano al passo: Oscar e Fersen stavano rientrando e venivano verso di noi. Cercai di riprendere il mio contegno, di controllare i battiti del cuore in tumulto, mentre mia sorella e il conte erano sempre più vicini. Ignari di tutto.

Si fermarono a pochi metri da noi.

Osservai i loro volti.

Apparivano distesi e sereni, soprattutto quello di Fersen.

“Madame Recamier, il paesaggio attorno alla vostra tenuta è meraviglioso. Stavo rientrando alla villa, quando ho incontrato madamigella Oscar, così ho avuto modo di chiarirmi con lei sulla nostra precedente discussione.”

“Mi fa piacere, conte.”

Guardai mia sorella; era tranquilla, ma nella sua espressione, nella luce che aveva negli occhi, notai una vaga rassegnazione. Qualcosa la rendeva ancora incerta e la delusione non l’aveva del tutto abbandonata.

Sembrava assorta in un suo pensiero e non prestava particolare attenzione a nessuno, finché il nome di André sulle labbra del conte non accese il suo interesse.

“Forse André, dovrei scusarmi anche con voi; involontariamente siete stato l’oggetto di un’ innocente discussione!”

André non replicò in alcun modo, reclinò il capo e oppose la più assoluta indifferenza all’ilarità del conte. Oscar guardava il suo attendente con apprensiva insistenza, prima di volgere il capo altrove con un sospiro. Io volevo solo allontanarmi in fretta da quella situazione che non avevo più voglia di sostenere.

“Conte di Fersen, mi fareste salire con voi a cavallo? Sono un po’ stanca per tornare indietro a piedi.”

Fersen mi sorrise tendendomi una mano.

Montai in sella tra le braccia del conte che mi sorreggevano.

Avrei tanto desiderato che al suo posto ci fosse André; avrei desiderato che fosse il suo petto quello cui ora la mia schiena si appoggiava, e che fossero le sue braccia quelle che mi cingevano la vita.

Salutammo Oscar e il suo attendente che rimasero indietro sotto la fila degli alberi in penombra. Quando sulla curva del viale, voltai il viso per cercare con lo sguardo le loro figure, notai con la coda dell’occhio che Oscar era scesa da cavallo.

Teneva l’animale per le briglie e si era affiancata ad André per andare al suo passo.

La distanza fra noi cresceva e non li vedevo bene; sembrava che parlassero fra loro con parole miste al silenzio, e che avessero chiuso fuori tutto il mondo attorno. Avevo la sensazione che né io né Fersen contassimo più niente nei loro pensieri.

 

 

Continua…

 

 

 

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Capitolo 6
*** Voci di palazzo e gioco di sguardi ***


6 – Incrocio di sguardi

6 – Voci di palazzo e gioco di guardi

 

Sono tornata e scusate sempre l’attesa, ma ormai dovreste esserci abituate.

Un capitolo che io considero di transizione; nel prossimo forse arriverà qualche chiarimento tra Danielle e Oscar, dico forse, perché chissà cosa potrebbe accadere davvero. Purtroppo non sono riuscita a rispondere alle vostre belle recensioni, che ho apprezzato e gradito molto, perché sono un grande stimolo per me. Vi ringrazio tantissimo, e cercherò di essere puntuale nelle risposte in futuro.

Qualcuno di voi ha capito che Fersen non mi piace; beh, non ne ho mai fatto mistero di non avere una grande simpatia del personaggio, che cercherò comunque, di non snaturare troppo, ma ai fini della storia lui mi serve così.

Bene, vi lascio al capitolo e buona lettura.

 

*****

 

Ninette stava tirando i lacci del bustino mentre io trattenevo il fiato.

“Insomma Ninette, basta con questi misteri; mi vuoi dire cos’ hai sentito?”

Sbottai verso la mia cameriera un po’ spazientita, che mi teneva sulle spine e non si decideva a narrare i fatti in maniera chiara. Era strana la sua reticenza; di solito, la fedele Ninette non aveva misteri per me.

Forse voleva soltanto creare un po’ di tensione nel suo racconto; le piaceva mettere un po’ di mistero nei pettegolezzi che captava e mi riferiva. Attenta a voci di corridoio e quant’altro, Ninette era sempre una fonte sicura e discreta d’informazioni.

“Contessa, il vostro innamorato non potrà resistervi; sarete stupenda questa sera.”

Sorrisi al suo commento innocente; con la sua consueta sagacia, la mia cameriera aveva già capito tutto, solo non sapeva chi davvero volevo impressionare, sempre convinta che le mie attenzioni fossero per Fersen.

Mi stava aiutando a prepararmi per la serata che avevo organizzato per intrattenere i miei ospiti; aveva acconciato i miei capelli con grazia, in tanti riccioli maliziosi che cadevano in onde morbide sulla schiena. I capelli semisciolti mi davano un aspetto più somigliante a quello naturale di Oscar.

Stava ultimando il trucco del mio viso.

Non gradivo quello pesante usato da certe dame di corte, che le faceva apparire come dei mascheroni grotteschi; preferivo un velo di cipria insieme a una nota di colore rosato sulle guance, mentre ai miei occhi azzurri bastava una sfumatura tenue ad accendere la luce delle mie iridi.

Così, il quadro era perfetto e la mia bellezza emergeva superba con pochi dettagli curati sapientemente.

Ninette era davvero una maestra in questo.

 

 

Volevo fare colpo su André.

Avevo indossato un abito davvero grazioso scelto allo scopo.

La seta ricamata era di un delicato colore pastello, un verde chiaro che si intonava con il candore della mia carnagione e come gioielli avevo scelto dei pendenti a goccia con pietre di zaffiri, eleganti ma non pretenziosi.

In piedi davanti alla grande specchiera che occupava una parete della mia stanza, constatavo l’effetto d’insieme; ero perfetta. Altera come una regina, avrei potuto competere con Maria Antonietta in grazia, fascino ed eleganza.

Forse addirittura superarla.

Accarezzai lieve il tessuto della gonna, poi tornai a puntare il mio sguardo su Ninette che osservava con scrupolo e soddisfazione il frutto del suo lavoro. Attendevo che parlasse mentre aggiustava le pieghe del mio vestito.

“Ero in cucina che stavo preparando il té, quando li ho sentiti. All’inizio non ho riconosciuto subito le voci. Vostra sorella e il suo attendente stavano parlottando tra loro. Parlavano del conte di Fersen e di voi.”

Ascoltavo con una vaga inquietudine e pungolavo la ragazza quando s’interrompeva. La pregai di ricordare tutto con attenzione, anche il minimo dettaglio e lei mi riportò quasi fedelmente la loro conversazione.

“Madamigella Oscar stava ammettendo di essere rimasta sorpresa. - Ho visto il conte sotto una luce che non conoscevo, ha detto. Si chiedeva se non l’avesse sempre giudicato in maniera poco obiettiva. Ci si può sbagliare così tanto su qualcuno?  - Ha aggiunto.”

“La risposta di André qual è stata?” chiesi curiosa.

“Oh, lui mi è sembrato accomodante. - A volte ci facciamo un’ idea imprecisa delle persone. Ma non farti impressionare troppo; credo in fondo, che Fersen sia un uomo migliore di tanti che si incontrano a Versailles, sicuramente pochi sono come lui. -  Così le ha risposto.”

Si interruppe per porgermi il mio ventaglio, poi proseguì.

“Inoltre madamigella diceva di aver accettato le sue scuse, ma di non riuscire a liberarsi della fastidiosa sensazione di essersi lasciata ingannare.  - Penso sia ancora un’ ottima persona, un sincero amico, - ha detto – ma forse, gli ho attribuito qualità che non possiede affatto.”

Ma Ninette era perplessa.

“Siete proprio sicura madame, che vostra sorella sia interessata al conte?”

“Abbastanza, sì… ma ora non è di questo che voglio preoccuparmi. Ninette, mi puoi dire qualcosa che non so? Hai detto che li hai sentiti parlare di me…”

“Sì, madame, è così.”

“E allora?”

“Ecco, Oscar ha detto che non capisce a che gioco voi state giocando, madame. Sembrava molto sospettosa. Ha interrogato André, ma lui sembrava cadere dalle nuvole.”

“Continua.” la incalzai impaziente, supponendo che il meglio doveva ancora venire.

“Beh, allora lei ha fatto una domanda strana. – Tu trovi che mia sorella sia una bella donna? Voglio il tuo parere da uomo. Potresti sentirti attratto da Danielle? – Lui non le ha risposto subito, e quando lo ha fatto, sembrava che non volesse risponderle.”

Ero fremente; mentre i battiti del mio cuore acceleravano, io cercavo di non apparire nervosa, non volendo palesare troppo il mio coinvolgimento. Ansia e aspettativa mi facevano tremare le gambe. Perché mia sorella aveva fatto una domanda del genere? Era solo l’ennesimo sintomo della sua insicurezza nei miei confronti, o era un tentativo maldestro di sondare il cuore dell’amico?

Anch’io avrei voluto conoscere gli angoli più intimi e segreti di quel cuore.

Entrarci dentro e farlo mio.

“E lui, come ha risposto?” Domandai a fior di labbra.

Così, Ninette mi riportò il dialogo intercorso fra loro e io quasi smisi di respirare.

 

Tua sorella è una donna bellissima, Oscar, è innegabile. D’altronde siete gemelle, dovresti saperlo.”

“Bellissima vuol dire anche attraente?”

“Non sempre le due cose coincidono; lei è molto attraente, invece.”

“Quindi ti piace!”

“A chi non piacerebbe? Neppure Fersen è insensibile al suo fascino.”

“Pensi che Fersen sia attratto da lei? Credi che sia qui per questo? Per soddisfare una sete di conquista?”

“Fersen è un uomo molto sensibile al fascino femminile; è una cosa risaputa. Non mi dirai che la notizia ti sorprende, vero?”

“Ma Fersen ama la regina…”

“Certo, ma non significa che ignori tutte le altre.”

“…”

“Comunque, non credo che tua sorella voglia cedere alle sue lusinghe.”

“Può essere… Anche tu, André, sei molto sensibile al fascino femminile? Sembravi in intimità con Danielle, poco fa.”

“Non capisco dove vuoi arrivare; non penserai che io voglia mettermi a corteggiare tua sorella? Mi sembra ridicolo.”

“Perché ridicolo?”

“Beh, mi pare ovvio.”

“E se fosse lei a voler corteggiare te?”

“Se hai voglia di scherzare, posso anche ridere! Ah ah ah!!”

“Sì, Andrè, ridi pure, ma… forse lei vuole avvicinarsi a te, per qualche motivo che non ho ancora compreso a fondo. Ne sono sempre più convinta.”

 

Ninette proseguì, raccontandomi di averli sentiti allontanarsi. Lei allora, era uscita dalla cucina col vassoio del té, e passando davanti alla porta dello studio, aveva colto nuovamente le loro voci. Un orecchio fino come il suo mi faceva davvero comodo e dovevo riconoscere che aveva un’ottima memoria. All’improvviso si fece silenziosa. Percepii che mi stava nascondendo qualcosa; c’era altro che avrebbe voluto dire, ma esitava come se fosse in imbarazzo.

“Ninette, cosa mi nascondi? Avanti, parla.” La esortai impaziente e lievemente in ansia.

“Ma no… non è nulla, signora.” balbettò.

“Ninette, voglio sapere tutto. Coraggio.”

Abbassò lievemente il capo, come se non avesse la forza di guardarmi dritta negli occhi mentre si tormentava le mani.

“Ecco, non so se posso dirvi questa cosa senza recarvi offesa, madame.”

Era ancora molto incerta; la sua reticenza dava molta importanza a quello che aveva udito e io dovevo assolutamente sapere. Cosa poteva esserci di così grave? Le sorrisi benevola.

“Non ti preoccupare. Non sentirti in difficoltà e raccontami quello che hai sentito. Di qualsiasi cosa si tratti, non me la prenderò certamente con te.”

Finalmente la convinsi e ciò che Ninette mi rivelò, mi lasciò totalmente sconcertata.

“Ecco, madamigella Oscar chiedeva al suo attendente se lui avrebbe accettato di trovarsi nella circostanza di diventare per ipotesi, il vostro amante, madame.”

Spalancai gli occhi per la sorpresa; con tutta la mia malizia, mai avrei immaginato che Oscar potesse pensare di me certe cose, benché lei sapesse delle mie disinvolte avventure. O forse, in quella straordinaria richiesta si celava un timore diverso? Davvero Oscar immaginava che io e André potessimo diventare amanti? Credeva che approfittando della mia posizione, volessi concupirlo? Aveva capito o sospettato il mio interesse verso di lui, prendendolo per l’ennesimo capriccio che volevo togliermi? Mi rifiutavo di credere che potesse avere così poca stima di me, da considerarmi alla stregua di una annoiata cortigiana. Era un’ idea che consideravo offensiva per entrambe. Oscar mi conosceva bene; ero una parte di lei. Le nostre anime, come i nostri corpi erano nati dallo stesso impasto. Sperai che Ninette avesse frainteso, o capito male.

“Sei proprio sicura? In che termini si è espressa mia sorella? Cerca di ricordare.”

“Oh, madame, non mi sono sbagliata. Non so come siano arrivati a parlare di questo, perché ho colto solo un brandello della loro conversazione, ma ho sentito chiaramente vostra sorella mentre parlava con André. – Se ti capitasse, accetteresti di essere l’amante di una nobildonna? Di una donna come Danielle, ad esempio? -  L’ho sentita dire questo, con le mie orecchie.”

“E lui? Lui cosa ha risposto?”

“C’ è stato un attimo di silenzio; l’ ho sentito ridere sommessamente, e poi dire di no.”

Ero ancora costernata, ma anche delusa nel mio intimo; non sapevo se più dai sospetti di Oscar, o dalla risposta negativa di Andrè che annullava ogni mia speranza di averlo per me. Ma dal racconto di Ninette, aveva esitato nel suo diniego. Forse aveva mentito? Era un uomo; magari avrebbe ceduto a delle possibili lusinghe. Ma per pudore, di fronte a Oscar non aveva voluto esporsi. Comunque, era possibile che stessi interpretando tutto in modo sbagliato.

“Mi dispiace davvero tanto, madame. Ero così allibita! Non avrei mai creduto che madamigella Oscar potesse pensare di voi…”

“Non dispiacerti, Ninette. Non è il caso.”

Rincuorata, la giovane prese a parlare di nuovo, mettendomi a parte di alcune sue considerazioni personali, a cui aggiunse inaspettati particolari che avevo ignorato fino a quell’istante.

“Il conte di Fersen è un gran bel giovane, ma bisogna ammettere che l’attendente di vostra sorella è davvero un uomo affascinante; ha due occhi stupendi che mettono soggezione per quanto sono profondi e intensi, un sorriso che scalda il cuore e poi è sempre molto gentile con tutti.”

“Senti senti… Abbiamo un debole per lui?” Chiesi con un pizzico d’ironia e un vago sospetto.

“Oh, no, madame. Dicevo solo che Andrè è un giovanotto molto avvenente, che attira l’attenzione delle signore; è una cosa che pensano in tanti. Se non fossi già impegnata e non dovessi competere con madamigella Oscar, anch’io ci farei un pensierino.”

Era un discorso astruso e piuttosto ambiguo. La mia curiosità fu stuzzicata di nuovo.

“Di cosa parli, ora? Come, 'competere con madamigella'…?  Spiegati meglio.”

Ninette aveva iniziato a sistemare la mia biancheria lavata e stirata negli armadi e nei cassetti.

“In confidenza, tra la vostra servitù madame, qualcuno pensa che l’attendente di madamigella Oscar abbia un altro ruolo di notte. Stavo pensando che forse è per quello che vostra sorella ha fatto tutte quelle strane domande.”

Restai di nuovo basita, ma non potei reprimere una risata che aveva il suono di una menzogna.

“Cosa? In casa mia c’è chi pensa che mia sorella, il severo Colonnello Oscar e Andrè siano amanti?! Stai scherzando, spero!”

“No, signora contessa, sono molto seria.”

Non riuscii più a contenermi. Ero spaventata e mi sforzavo di nasconderlo, manifestando un’ indignazione solo apparente.

“Credimi Ninette, non ho mai sentito una cosa più ridicola di questa. Mia sorella non cederebbe mai a certe pratiche con un servo, anche se affezionato. Inoltre, non farebbe una cosa simile con un uomo che per lei è quasi un fratello. Lei e Andrè sono cresciuti insieme; tra loro c’è un’amicizia sincera e profonda, ma niente altro. Ma come è venuta fuori un’idea del genere?”

“Una delle cameriere che serviva il pranzo ha sentito il Conte di Fersen fare quel commento sulle relazioni tra servi e padroni; subito dopo madamigella si è allontanata e qualcuno giurava che pareva mortalmente offesa, come punta sul vivo. Da lì è nato tutto. Aggiungete il fatto che lei e André sono spesso insieme…”

“Incredibile!! Ci sarebbe da ridere, tanto la cosa è assurda. Tutta colpa di Fersen e delle sue idee balzane!” Esclamai con eccessivo impeto.

Tra me, mi ripromisi di dare una strigliata energica alla servitù; non volevo che certe dicerie arrivassero all’orecchio del Conte Recamier, ai miei figli Monique e Bastien che nutrono una vera adorazione per la loro coraggiosa zia, o peggio alla stessa Oscar.

Ma se non fossero state semplici sciocchezze? Non avevo io stessa il dubbio che l’ amicizia particolare, troppo intima tra Oscar e Andrè fosse il preludio pericoloso a ben altro? Qualcosa che diventava così evidente anche a occhi estranei, non era indizio di un fatto reale?

Era un’ evenienza che avevo valutato anch’io, e che stavo cercando di verificare. Era qualcosa di concretamente possibile.

Ma soprattutto, era qualcosa con cui neppure io avrei potuto competere.

 

Ormai ero pronta; i miei ospiti mi attendevano nella sala della musica, un ambiente accogliente e raffinato dai toni sobri ed eleganti, dove passavo molte serate in compagnia di amici e conoscenti, dove invitavo musicisti e intellettuali.

Lasciai la mia stanza e mi incamminai senza fretta verso le scale che portavano al piano inferiore; per raggiungere la sala attraversai un ampio corridoio del mio palazzo. Sulle pareti a intervalli regolari, sfilavano in una lunga serie, i maestosi, cupi e autocelebrativi ritratti degli antenati della famiglia Recamier.

Il più antico risaliva al 1533 e rappresentava il vecchio arcigno Eugene Luis Simone, VI° Conte Di Recamier, diplomatico e ambasciatore del Re di Francia alle corti di mezza Europa.

Detestavo quei quadri, opere di oscuri e mediocri pittori, privi del guizzo genuino del vero talento; li avrei fatti togliere tutti, ma mio marito, del tutto privo di gusto artistico, non voleva rinunciare a quella pomposa ostentazione di illustre antica stirpe. Alcuni erano così detestabili ai miei occhi, così fasulli e retorici nella loro estetica che li avevo fatti coprire con dei drappeggi.

 

Arrivai davanti alla sala della musica.

Quella sera sarebbe stata Oscar a suonare per noi su mia richiesta, e lei aveva accettato di buon grado; percepii le note di Bach ancora prima di entrare nella stanza.

La trovai già seduta al piano, appena di fronte alla grande vetrata da cui entrava una luce crepuscolare. Un cameriere stava accendendo un candeliere posto su un tavolino in un angolo. Si inchinò al mio ingresso, per dileguarsi subito dopo aver terminato il suo lavoro.

Mia sorella sollevò il capo a incontrare il mio sguardo; le sue mani affusolate smisero di correre sui tasti ebano e avorio del pianoforte. Mi studiò un attimo e mi parve di leggere ammirazione nei suoi occhi inquieti.

Mi salutò cordialmente e io mi approssimai a lei.

“Che cosa vorresti ascoltare, Danielle?”

“Quello che vuoi tu, cara. Il conte di Fersen non ci ha ancora raggiunto?”

“Penso che sarà qui a breve; non rifiuterà certamente il tuo invito.”

Infatti comparve poco dopo, in tutto il suo splendore. Mi omaggiò esibendosi in un inchino cerimonioso, poi salutò Oscar con disinvoltura.

“Madamigella Oscar, non vedo l’ora di sentirvi suonare; sarà certamente appagante.”

L’apostrofò rivolgendole un ampio sorriso convincente, che mia sorella contraccambiò sincera.

Io aspettavo Andrè.

Non capivo perché non fosse ancora lì; di solito, seguiva Oscar ovunque e in ogni circostanza.

Non volevo chiedere di lui, manifestando così un interesse che non avrei dovuto avere e che non volevo rivelare di fronte a Oscar, che già pareva sospettosa.

Non tardò molto; ci raggiunse portando con sé alcuni fogli arrotolati e trattenuti da nastri rossi, che porse alla sua padrona.

“Ho chiesto ad André di procurarmi alcuni spartiti musicali che custodisci nella tua biblioteca; spero non ti dispiaccia Danielle.”

“Hai fatto benissimo. Sono ottime composizioni, ma vengono suonate assai di rado; un vero peccato.”

Andrè era in piedi, dietro Oscar seduta al piano; lo vidi indugiare qualche istante sul corpo di lei. La luce crepuscolare disegnava delle strane ombre sul suo viso e rendeva i suoi occhi verdi ancora più cupi.

Finalmente li alzò su di me; mi fissò a lungo, quasi incapace di distogliere lo sguardo e fui attraversata da un brivido di vero piacere, quando compresi che era ammirato. Indubbiamente gli piaceva ciò che stava guardando e io volevo piacergli.

Ma subito, si insinuò in me il maligno sospetto che stesse immaginando la donna che amava nello stesso modo, e tremai di disappunto. Non potevo sapere se mentre guardava me, lui pensasse a Oscar.

E con ogni probabilità era così.

 

Invitai mia sorella a suonare per noi e presi posto su una sedia.

Oscar attaccò il primo brano e restammo tutti in silenzio ad ascoltare il suo piccolo concerto; possedeva un grande talento naturale, un orecchio sopraffino per la musica e suonava il piano con la stessa naturale grazia con cui maneggiava la spada.

Fersen si era seduto poco distante; ogni tanto lanciava verso di me occhiate molto intense, tentando di attirare la mia attenzione. Io ricambiavo con sguardi discreti un po’ allusivi e gli regalavo i miei sorrisi più convincenti.

Ma dal Conte, il mio sguardo si allontanava e vagava per la stanza con apparente noncuranza; distratto si posava sulla tappezzeria, ne seguiva gli arabeschi floreali; scendeva su un oggetto qualsiasi dell’arredamento, magari l’arpa posta sull’angolo opposto, il fiocco che tratteneva una tenda o il prezioso orologio d’oro con i putti alati posato su una mensola. Ma da qualsiasi direzione, come fosse attirato da una potente calamita, tornava sempre su André.

E lì si fermava per lunghi istanti, incapace di fuggire da ciò che lo attirava.

Le note armoniose del pianoforte non le sentivo più.

Sentivo solo il mio cuore che batteva furioso e pareva volesse uscirmi dal petto, e il mio respiro si bloccava per un secondo e lo spazio attorno sembrava dilatarsi e poi restringersi; Andrè combatteva, opponeva resistenza ma non abbassava i suoi occhi quando incontravano i miei. Incredulo per quello che aveva compreso, mi scrutava attraverso il verde ombroso delle iridi, riflesso della sua anima taciturna e tormentata, dove mi pareva di poter leggere una muta straziante domanda.

O forse, era una supplica.

 

Non tentarmi, ti prego. Non chiedermi di tradirla.

 

Credevo di poter indovinare i suoi pensieri.

Ricordavo le sue parole di poche ore prima; André aveva intuito per chi batteva il mio cuore.

Sapeva che non era per il nobile svedese, anche se all’occorrenza, fingevo di essere affascinata da lui. Sapeva che indossavo una maschera di fronte a Fersen, e pure di fronte a Oscar, ma davanti a lui mi ero mostrata nuda.

Quasi non mi accorsi del momento in cui la musica si interruppe; mi ridestai in tempo per non farmi sorprendere da Oscar in quello stato di abbandono. Ma non l’avrei ingannata a lungo.

Mi giunse la voce allegra e senza pensieri di Fersen che si complimentava con lei.

Oscar gli aveva sorriso appena.

Un cameriere era comparso con un vassoio su cui c’erano dei calici di vino; mia sorella ne aveva preso uno, aveva bevuto un sorso e poi lo aveva posato di fronte  a sé, sul piano lucido e nero.

Poi attaccò a suonare un altro brano, ma più corto.

Nello spazio della sua breve esibizione, io continuai a osservare Andrè senza accorgermi delle occhiate oblique di Oscar, che intercettavano la direzione del mio sguardo. Era rimasto sempre fermo al suo posto, poco distante dalla finestra, non troppo lontano da Oscar.

Avvertivo nell’aria un’ insolita tensione, come se dovesse scoppiare un temporale da un momento all’altro, ma il cielo era apparentemente sereno e senza nuvole all’orizzonte.

Mi alzai dal mio posto per sedere accanto a Fersen, solo per poter essere più vicina ad Andrè. Nel compiere quei pochi passi, nascosi dietro il ventaglio una parte del mio viso, nel tentativo di velare l’occhiata fuggevole che rivolsi all’attendente.

Fersen mi disse qualcosa che non afferrai completamente; forse fu un complimento e finsi di esserne compiaciuta, rivolgendogli un grazioso cenno del capo, ma la calamita continuava inesorabile ad attirarmi come il sole attira i girasoli. Continuavano a sfuggirmi gli sguardi sospettosi di Oscar, un errore che non avrei dovuto fare.

Ero sempre stata scaltra in questo genere di situazioni, ma il mio trasporto appassionato era tale, che sottovalutai la prudenza. Soprattutto sottovalutai Oscar e il suo acuto spirito d’ osservazione.

Fui troppo sicura di me e della mia capacità di condurre il gioco con astuzia.

Tradivo gesti ed emozioni; passavano sul viso impertinenti e l’unico che le fraintendeva era Fersen, che si fece addirittura più audace nei suoi approcci.

“Danielle, posso osare dirvi quanto siete dolcemente affascinante stasera? Siete stupenda. Sarà un peccato per voi passare la notte da sola; una donna come voi non merita la solitudine di un letto vuoto e freddo.” Mi sussurrò all’orecchio con fare provocatorio, sfoderando il tono di voce più sensuale.

Forse, in una circostanza diversa, sarebbe anche riuscito a sedurmi.

Quando sentii le dita della sua mano solleticarmi il polso e risalire verso il gomito, sotto il pizzo della manica del mio vestito, provai un moto di profondo fastidio che mi imposi di nascondere. Doveva continuare a credere di avere un certo ascendente su di me e che io volessi soltanto prolungare il gioco del corteggiamento.

Alzai il ventaglio di seta cangiante all’altezza delle mie labbra vermiglie e sorridenti, e risposi con pari audacia alla sua provocazione.

“E vorreste essere voi a scaldare la mia alcova, conte?”

“Solo se lo volete anche voi.”

Mi prese una mano e la baciò.

“Forse troverete soddisfazione, ma dovrete guadagnarvela. Quando lo vorrò, ve ne accorgerete.”

E lo lasciai nell’ansia, nell’attesa fremente della promessa di una notte.

“Debbo confessarvelo; spero sia presto.” Sospirò un po’ deluso, ma ancor più acceso di aspettativa.

Aspettativa che non avrei mai soddisfatto.

 

Oscar aveva continuato la sua esecuzione al piano, ma fu interrotta dall’ingresso tumultuoso dei miei figli che volevano salutare la loro zia prima di andare a dormire. Ninette aveva cercato di bloccarli, per riportarli nelle loro stanze, ma con scarsi risultati.

“Scusatemi, madame. Stavo per metterli a letto, poi la contessina ha insistito per dare la buonanotte a madamigella Oscar e ha trascinato con se il fratellino.”

Monique si era avvicinata al piano dove Oscar l’accolse con un sorriso.

“Domani giocherete con me, vero Oscar? Prendo le spade finte di mio fratello e giochiamo ai pirati.”

“No, le mie spade no! Non vanno bene per le femmine!” Protestò corrucciato il piccolo Bastien.

Oscar rise.

“Domani, Monique. Ora vai a dormire, piccola mia. Anche tu, Bastien. Da bravi, seguite la vostra governante.”

Salutai i miei bambini con un bacio, prima di vederli sparire dietro le gonne della fedele e paziente Ninette.

 

Una strana euforia gravitava nell’aria, pregna dell’ odore impercettibile della cera sciolta che si mischiava perdendosi con quello dei mazzi di fiori posti nei vasi ai quattro angoli della stanza.

L’atmosfera un po’ eccitante, mi fece desiderare di ballare; volevo muovermi, liberare la strana energia che mi scorreva sotto la pelle; volevo che André guardasse i movimenti del mio corpo, volevo che capisse che danzavo per lui. Così, chiesi a Oscar di suonare qualcosa che avesse un ritmo diverso.

Lei mi assecondò e non immaginai che avrebbe approfittato di quell’ innocuo espediente con studiato calcolo.

Fersen mi invitò a danzare e io accettai con entusiasmo e innocente malizia; lo spazio non era molto, quindi eseguimmo alcune semplici figure al centro della stanza, accostando le nostre mani.

Fersen mi sorrideva affascinato e non risparmiava complimenti e adulazioni.

“Avete una luce particolare negli occhi, contessa. Sembrate così viva, questa sera.”

“Forse, perché mi sento così.” dissi girando su me stessa, mentre di sottecchi cercavo la figura di André.

Non avevo pensieri, solo la gioia di ballare che mi alleggeriva il cuore, unita al piacere di essere ammirata dall’uomo che mi faceva tremare il cuore.

 

Ma Oscar, all’improvviso smise di suonare.

 

“Conte di Fersen, so che anche voi siete un valente musicista; perché non suonate voi, al posto mio?”

“Volentieri, se la cosa non disturba Madame Recamier, che sono certo preferirebbe ascoltare voi.”

“Non ti dispiace, vero Danielle?”

“No, Oscar. – Risposi - Vi prego conte, mi farebbe piacere ascoltarvi. Non ditemi di no.”

“Non potrei mai negarvi qualcosa, contessa. Ma vi avverto, non sono bravo come madamigella Oscar.”

“Oh, non siate modesto; sappiamo che siete un uomo dai molti talenti.” Lo incoraggiò lei.

Ma il tono che aveva usato mi parve ambiguo.

Lo svedese si avvicinò al piano e Oscar si alzò per cedergli il posto.

Io stavo per sedermi, ma la voce ferma di Oscar mi bloccò sul posto.

“Mia sorella vuole danzare, Fersen. Suonate qualcosa di adatto, ve ne prego.”

 

Le mani del conte iniziarono a volare sui tasti, prima lentamente, poi aumentando il ritmo.

“Vorrà dire che dovrò danzare con te, Oscar. Sarà divertente.”

Commentai con un sorriso, che finì per morire sulle mie labbra.

“E perché mai? André può essere il tuo cavaliere. - Mia sorella si voltò verso il suo attendente che fino a quel momento era rimasto fermo e silenzioso a osservare tutta la scena; dalla sua espressione, anche lui pareva stupito. – André, per favore, danza con Danielle.”

Una richiesta che aveva tanto l’aria di un ordine.

Fui colta da un brivido che mi corse veloce sulla pelle, mentre gli occhi di Andrè carichi di dubbi, si posavano prima su di me e poi su Oscar, la cui espressione era indecifrabile: il suo volto appariva rilassato, non una ruga solcava la sua fronte distesa, ma la strana luce fredda che le balenava nello sguardo mi inquietò.

André si dimostrò indeciso per pochi secondi.

Quando a passi lenti avanzò verso di me, il mio cuore tremò un istante ed ebbi paura; lo stomaco si contrasse in uno spasimo e una strana agitazione mi prese. Il mio respirò accelerò, sollevando il mio petto costretto nel bustino dell’abito. Come si fa a non tradire se stessi nei momenti cruciali? Le mie mani sudavano mentre stringevo convulsa il ventaglio. Tentavo disperatamente di dominare il potente turbamento che bloccava le mie gambe e la mia lingua, incapace di pronunciar parola.

Attorno un silenzio che pareva dilatarsi nei nostri sguardi che si incontravano.

Poi sentii le sue mani sfiorare gentilmente il mio corpo, allacciarsi alla mia vita. E fui trasportata solo dalla musica del pianoforte che invitava i nostri corpi alla danza. La luce soffusa, tremolante delle candele rendeva l’atmosfera irreale, quasi fatata. Le mie gambe e le mie braccia seguivano i movimenti di Andrè, il mio sguardo si perse a lungo in quel fuoco verde in cui sarei potuta annegare, dimentica di ogni altra cosa o persona che fosse in quella stanza, tra quelle quattro pareti. André mi teneva tra le braccia e il suo sguardo mi seguiva, mi circondava e mi catturava, mi stregava annebbiando quasi la mia mente e in un istante sentii che anche lui avrebbe potuto perdersi in quel nostro abbraccio.

Che cosa vedesse lui in me in quell’attimo perfetto, lo ignoravo totalmente; forse ero solo il fantasma meraviglioso della gemella che lui amava. Forse ero il sogno proibito e più segreto delle sue notti solitarie, una creatura evanescente come l’aurora, uscita dal buio della sua esistenza. Mi bastava appartenere ai suoi sogni e magari col tempo mi sarei trasformata in qualcosa di vero, in una donna fatta di carne e sangue, emozioni palpitanti e passioni brucianti.

 

Ma l’incanto non durò a lungo, si frantumò come un sortilegio maligno nell’istante esatto in cui colsi iridi turchesi come le mie, guardarmi fisso; in un passo di danza, André si era trovato di spalle a Oscar, e io avevo puntato i miei occhi nella sua direzione.

Forse, in un moto inconscio, avevo cercato quello sguardo.

Per sfida o per gioco.

Il sangue si gelò nelle mie vene, di fronte alla gelida furia che straripava da quello sguardo.

Un’ ira silenziosa, cupa come il rombo di un tuono che si coglie in lontananza.

Mi attraversò l’anima come una folgore.

Mi fece male.

Oscar, il mio riflesso, lo specchio in cui potevo riconoscermi mi restituiva un’immagine ignota.

Non ricordavo che in tutta la vita, mi avesse mai guardato così.

Oscar era furente e mi fece paura.

 

 

Continua…

 

 

 

 

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Capitolo 7
*** La notte delle confessioni ***


7 – Patto tra sorelle

7 – La notte delle confessioni

 

 

Scusate sempre il ritardo, ma eccomi qui. Capitolo difficoltoso e ricco di dialoghi.

Vi ringrazio sempre dal profondo del cuore per i vostri commenti e per l’interesse che dimostrate verso questa storia.

Vi lascio alla lettura e spero apprezzerete.

Per Livia; ho ricevuto la mail, appena posso giuro che ti rispondo.

Un saluto a tutti.

 

*********

 

 

La serata si era conclusa in maniera naturale, senza apparenti malumori.

La musica si era fermata; l’ esibizione del Conte di Fersen era terminata e Oscar, nonostante le insistenze dello svedese, non volle più continuare a suonare adducendo la stanchezza; di conseguenza, io avevo smesso di ballare, recuperando lucidità e fermezza perse poco prima tra le braccia di André.

Oscar, con un tono sin troppo pacato che contrastava visibilmente con lo sguardo acceso di rabbia che solo io avevo scorto in lei, si era congedata con eleganza, augurando a me e a Fersen la buonanotte.

Mentre mi salutava colsi la sua espressione; qualcosa non andava e nel suo sguardo una scintilla fredda come ghiaccio, tradiva i suoi veri pensieri.

Una luce famigliare che conoscevo bene le faceva brillare gli occhi celesti, una luce che troppe volte avevo intravisto in lei: era quella dell’ostinazione, quella che mia sorella aveva quando era decisa a scoprire qualcosa, a raggiungere il suo obiettivo, qualunque esso fosse.

André si era staccato da me senza parlare, non prima di aver allacciato un’ ultima volta lo sguardo col mio; profondendosi in un inchino si era apprestato a seguire la sua padrona che lasciava la sala della musica per ritirarsi nelle sue stanze.

 

Ero rimasta sola con Fersen per un tempo breve; lui aveva tentato un ultimo azzardato approccio per non finire la sua notte in bianco, ma aveva dovuto arrendersi sconcertato, di fronte al mio rifiuto opposto con un sorriso tranquillo e serafico che mascherava ben altra inquietudine.

“Contessa, io credo che sarebbe un peccato finire qui la nostra bella serata, non trovate? Perché non godere delle piacevoli ore che può concederci questa notte?”

“Conte, non bisogna cogliere il fiore troppo presto; bisogna attendere che sbocci. Sono certa che capite cosa voglio dire e che rispetterete il mio desiderio. Vi auguro la buonanotte.”

Mi ritirai svelta senza preoccuparmi delle sue incerte proteste.

 

Raggiunsi la mia camera dove Ninette mi attendeva per aiutarmi a prepararmi per la notte; liberò il mio corpo dalle vesti e dalla pressione del corsetto, sciolse i miei capelli e li spazzolò con cura.

Contrariamente a quanto facevo di solito, con la scusa della stanchezza scambiai solo poche parole con lei e la congedai in fretta.

Volevo stare sola.

Restai seduta davanti allo specchio della mia toilette per svariati minuti, fissando stranita la mia immagine allo specchio. Alle mie spalle, la luce riflessa delle candele creava un alone attorno alla mia testa.

Con la mente, come un’ossessione, continuavo a tornare ai momenti che avevano scandito quella strana serata; il piacere e il turbamento provato tra le braccia di André mentre ballavo con lui e lo sguardo di Oscar che ci aveva guardato in un modo che non ero riuscita a decifrare, e poi quella rabbia cupa e violenta che ero certa di avere scorto, era stata come un lampo improvviso, la luce di una saetta che viene a squarciare il buio.

Non ero tranquilla e non ero sicura che avrei chiuso occhio.

Allo specchio il mio riflesso mi restituiva l’immagine del mio doppio; Oscar mi guardava con un’espressione severa.

Una strana inquietudine mi ribolliva dentro e mi mordeva la coscienza.

Uno strano presentimento agitava il mio animo e mi sentivo ridicola a essere vittima dei miei sensi troppo eccitati che mi suggerivano cose inesistenti.

Mi alzai e camminai per la stanza avvolta nella seta della mia camicia da notte per alcuni minuti; mi lasciai cadere su una poltrona, mentre aspettavo di riacquistare la giusta calma che potesse conciliare il sonno che tardava a venire.

Dopo non so quanto, mi decisi a mettermi a letto.

Mi addormentai con difficoltà.

Mi rigiravo tra le lenzuola in preda all’ansia mentre i miei occhi non volevano chiudersi; restavano aperti fissi nel buio a scrutare il nulla.

Alla fine, mi assopii, ma nel dormiveglia accadde qualcosa di strano.

Non so di preciso, quanto durò il mio sonno leggero.

Avevo strane sensazioni che non comprendevo. Poteva essere un sogno, ma sembrava troppo reale.

Dietro le palpebre chiuse, mi pareva di avvertire un chiarore provenire da un punto imprecisato della mia stanza e poi una presenza ignota da qualche parte nello spazio, incombente e vagamente sinistra aleggiava attorno a me. La paura mi impediva di aprire gli occhi per scacciare quel fantasma materializzato dal mio inconscio.

Doveva essere un sogno, forse un incubo; mi pareva di non riuscire a svegliarmi e mi sforzavo di aprire le palpebre serrate per tentare di scacciare quella strana sensazione d’angoscia. Alla fine, mi svegliai del tutto e mi ritrovai a fissare il soffitto e le impalpabili cortine del mio letto attraverso una vaga oscurità che non era così netta come avrebbe dovuto essere. Mi chiesi che ore fossero e quanto avessi dormito, perché mi sembrava che fosse passato pochissimo tempo da quando mi ero coricata. Lentamente compresi che una luminosità vaga e incerta si apriva tra quell’oscurità, come se la debole luce di una candela sfidasse il buio. Tra le nebbie fumose della mente ricordai che non avevo lasciato candele accese e con un profondo senso di panico realizzai che non ero sola nella stanza.

C’era qualcuno lì con me.

Lo sentivo; un respiro incerto attraversava l’aria fredda dell’ambiente.

O forse, mi ingannava la mia fantasia?

Sarebbe bastato girare il volto e avrei visto chi era, ma non trovavo la forza per muovermi.

Lasciai passare qualche minuto in cui avvertii il mio cuore martellare frenetico nel petto, ad un ritmo assordante, indecisa se era per paura o speranza; il timore vago che Fersen avesse frainteso il mio rifiuto non mi sconvolgeva come la speranza un po’ indecente e sfacciata che un'altra persona avesse finito per cedere ai miei inviti seppur velati. Sperai ingenuamente e in maniera del tutto irrealistica che André avesse raggiunto la mia alcova in piena notte, attirato da chissà quale forza misteriosa; il desiderio represso per Oscar, l’eccitazione dei sensi turbati dalla nostra vicinanza che ero quasi certa di aver indovinato in lui.

Finalmente, trovai il coraggio e sollevai lo sguardo nella direzione della piccola luce tremolante, una candela posta su un mobile, la cassapanca addossata ai piedi del mio letto.

I miei occhi si adattarono alla semioscurità e vagarono poco distanti su una sedia posta proprio sul fondo di fianco al mio letto.

E la vidi; una figura seduta, ne distinguevo le gambe snelle e forti fasciate nei pantaloni, la camicia chiara, il nodo sciolto della cravatta di seta lievemente aperta sul collo. Forme gentili ed eleganti. Solo il volto restava in penombra, nascosto nella semioscurità. Non parlai, preda dell’iniziale stupore, quasi le parole mi fossero state rubate a forza. Quando la figura si mosse sulla sedia ed emerse sotto la luce, sporgendosi in avanti con i gomiti appoggiati ai braccioli, con un brivido di vero terrore riconobbi gli occhi resi lucidi dall’alcol, il volto incorniciato da lunghi, scarmigliati capelli biondi.

 

Oscar…

 

Mia sorella mi fissava senza parlare e in mano reggeva per il collo una bottiglia di vino bianco, vuota per metà.

Quando la chiamai, la mia voce uscì stentata e quasi irriconoscibile alle mie stesse orecchie.

“Oscar? Ma… cosa fai qui, in piena notte?”

Mia sorella non rispondeva, ma continuava a fissarmi. Aveva un aspetto selvaggio che mi metteva in agitazione. Io mi alzai a sedere sul letto, appoggiando la schiena contro i cuscini ricamati, restando semicoperta per difendermi dalla frescura della notte.

“Ti senti male?” chiesi, senza ricevere risposta.

Continuavo a sentire addosso l’insistenza di quel suo sguardo strano, offuscato dall’alcool.

L’aspetto indolente le dava uno strano fascino perverso.

“Insomma Oscar! Mi hai spaventata da morire! Che sei venuta a fare in piena notte in camera mia? Sei ubriaca?”

“Non abbastanza.” Sussurrò con voce profonda e colsi un brivido di freddo, quasi un formicolio passarmi sulla pelle del braccio. La vidi abbassare la mano e posare a terra la bottiglia, vicino al polpaccio. Inclinò la testa di lato come se volesse studiarmi.

“Non riesci a dormire, Danielle? Mi pare tu abbia il sonno un po’ agitato. Cosa o chi turba i tuoi sogni?”

Da quanto tempo era lì? Se era ubriaca non lo era così tanto da non poter rispondere alle mie domande. Anzi, improvvisamente mi parve anche troppo lucida; il vino non aveva annebbiato la sua mente e se attraverso i fumi dell’alcool aveva raggiunto la mia stanza, doveva esserci un motivo molto serio.

“Forse cara, potrei farti la stessa domanda; anche tu non riesci a dormire e vaghi di notte in casa mia come un fantasma. Per giunta, devi aver bevuto parecchio, mi pare ovvio. Il tuo stato è preoccupante.”

“Meno di quanto tu creda. – Prese la bottiglia, la portò alle labbra e bevve un sorso, poi la riposò a terra. - Dobbiamo parlare, Danielle.”

Tentai di obbiettare.

“Ora? Non possiamo farlo domani, con più calma? Io vorrei dormire, sono piuttosto stanca, Oscar.”

“No. Io voglio parlare adesso; è importante non perdere tempo. Domani potrebbero esserci troppi testimoni.”

Era determinata e io mi preoccupai.

“Non capisco.”

“Tu no, ma io sì. Cosa ti sei messa in testa di fare?”

Sibilò astiosa e io sussultai di leggero spavento al rumore della bottiglia che rotolava sul pavimento della stanza, e spezzava il silenzio pesante sceso fra noi; Oscar l’aveva toccata con un piede in un moto di nervosismo. Sentivo il leggero gorgoglio del liquido che si riversava sul pavimento.

“Sai Danielle, c’è stato un momento in cui ho pensato che fosse tutto un trastullo per ingelosire il Conte di Fersen, ma dopo quello che ho visto questa sera, è abbastanza chiaro che non è lui che ti interessa veramente. Ti sei stancata dei nobili damerini vanesi che di solito frequentano il tuo letto, e hai deciso di puntare la tua attenzione sulla servitù? Se cerchi nuove esperienze, faresti bene a cercarle altrove.”

Nonostante l’ironia del tono di voce, sentivo la rabbia nascosta tra le parole; covava come brace sotto la cenere.

“Le tue allusioni sono volgari e indegne di te, mia cara. Per chi mi hai preso? Per una di quelle donnine stupide e di facili costumi che infestano la corte e certi salotti di Parigi? Sei mia sorella; dovresti conoscermi un po’ meglio.”

Opposi al suo cinismo un tono altrettanto irritato. Ma Oscar aveva appena iniziato a mordere e da quella notte, molto altro doveva ancora venire; veleno, dolore e verità che brucia come sale sulle ferite mai chiuse.

“Ti conosco Danielle, meglio di quanto potresti credere. E capisco quando sei affascinata da un uomo. Parliamo di André; lo guardi in un modo che non mi piace affatto. Non pensavo potessi arrivare a tanto. Stai pensando di sedurlo, per caso? Vuoi fare di lui il tuo prossimo amante?”

“Oscar!!”

“Voglio la verità, Danielle. E non raccontarmi fandonie, perché non sono dell’umore giusto per sopportare chiacchiere inutili! Non ho chiuso occhio e l’insonnia mi rende nervosa e tesa.”

“Ti rendi conto di quello che dici? Sei diventata pazza?”

“Non sono mai stata più seria né più lucida e non me ne andrò da questa stanza finché non avrò saputo ogni cosa, a costo di tenerti sveglia tutta la notte. Guarda che non esagero. E non costringermi a minacciarti con la spada!”

“Non oseresti!” Mi ribellai.

“Non mettermi alla prova, Danielle.” Il tono fermo, quasi duro mi intimorì.

Solo allora notai il ferro abbandonato di fianco al bracciolo della poltrona.

Lessi la sfida nei suoi occhi attraverso le ombre cupe della stanza; capii che era la resa dei conti. Se Oscar voleva la verità, l’avrebbe avuta, ma anch’io ero decisa ad avere la mia parte. Trovavo profondamente ingiuste le sue accuse; non avrei mai voluto svilire Andrè al ruolo di semplice amante.

No, sarebbe stato molto più importante per me. Ma fino a che punto potevo spingere le mie confidenze? Avrebbe capito i miei veri sentimenti? O avrei scatenato maggiormente la sua furia? Perché c’era tutta quella rabbia in lei, e perché era così simile alla gelosia? Poteva essere così possessiva solo perché non voleva dividere l’amico con altri? O non voleva dividerlo proprio con me? Ero dunque io, la pietra dello scandalo? Il tabù con cui Oscar non voleva confrontarsi, neppure in rapporto con André?

Poteva nutrire per André sentimenti oscuri che non osava dichiarare a se stessa?

Non trovavo normale quel suo atteggiamento. Anzi, era davvero eccessivo.

“A parte l’assurdità delle tue accuse, mi sorprende che tu sia così morbosamente gelosa di André. Ultimamente in effetti, è diventato spesso motivo di attrito tra noi. Cosa significa, Oscar? Non posso avvicinarmi a lui, senza subire le tue rimostranze; per caso, hai deciso che la sua amicizia è appannaggio esclusivamente tuo?”

“Io, gelosa di André? Non essere ridicola. E poi, se fosse solo una questione di amicizia, non mi preoccuperei. Credo che il tuo interesse malsano verso il mio attendente sia di natura molto dubbia e non è amicizia.”

“Allora, il problema sono io. Supponiamo per un momento che sia vero quello che dici; se non fossi tua sorella, la cosa ti lascerebbe indifferente?”

Vidi Oscar esitare un istante, e la cosa mi fece pensare.

“Cosa c’entra questo? André è un servo, ma è anche mio amico. Sarebbe uno scandalo, per non parlare del rischio che comporterebbe una cosa simile. Non puoi coinvolgerlo in una vicenda del genere; sconvolgeresti la sua vita.”

Mia sorella non sospettava quanto la vita del suo attendente fosse già scossa dai marosi tumultuosi di un amore chiuso in fondo all’anima. Mi chiesi se era davvero così ingenua, e all’improvviso mi fece rabbia, perché mi parve di leggere dell’ipocrisia nelle sue parole. Sembrava protettiva, ma in modo ambiguo; non capivo se era un atteggiamento che assumeva verso André o se stessa.

“Sconvolgere la sua vita? Forse sei tu Oscar, che hai paura di scossoni alla tua esistenza. Non puoi pretendere che André non abbia altre esigenze o desideri che esulano dalla tua persona. Hai mai pensato che potresti non essere il centro di tutto il suo mondo?”

Mi ero sporta in avanti sui cuscini, mentre Oscar pareva voler arretrare nello schienale della sedia.

“Non capisco a cosa alludi. André è libero di fare quello che vuole. Non l’ho mai obbligato a seguirmi.” Ribattè secca.

“Certo, salvo che ti vive accanto come un’ombra, senza quasi avere una vita propria. Ti sei mai chiesta se abbia altre speranze per sé, magari aspirazioni diverse? O credi che ti farà da attendente tutta la vita? Non dirmi che non ci hai mai pensato!” Esclamai vivacemente.

Oscar pareva incapace di ribattere, ma nel modo ostinato e acceso in cui mi fissava sentivo che dovevo aver toccato un tasto doloroso. Stavo sollevando quesiti che forse aveva sempre cercato di minimizzare.

“E se Andrè fosse davvero attratto da me? E se anch’io mi sentissi attratta da lui non dovrei assecondare il mio cuore?”

Il suo sguardo mutò trasfigurato da una specie di spavento; improvvisamente compresi che era vera paura quella che leggevo nei suoi occhi. Temeva che potessi portarle via André? Temeva di perdere l’amico di una vita, o un affetto tanto profondo impossibile per lei da dire?

“No, Danielle. Non con André. Non lo puoi fare; sarebbe un grave errore.”

“Il vero errore sarebbe negare o non seguire i propri sentimenti.”

“Sentimenti? Di quali sentimenti stiamo parlando?”

Panico nella sua voce. Tratteneva i braccioli della sedia artigliandoli con le dita.

“Vuoi la verità? Bene. Questa sarà la notte delle reciproche confessioni. Sarò onesta con te, Oscar, ma tu dovrai esserlo altrettanto con me. Te la senti?”

“Io non ho nulla da nascondere.”

Tirai un profondo sospiro, prima di iniziare a parlare. Sentivo lo sguardo di Oscar pesarmi addosso, implacabile.

Avevo l’impressione che volesse trapassarmi, ma anch’io stavo cercando di scoprire i segreti della sua anima. Segreti che in parte conoscevo, ma volevo che fosse lei a svelarmeli.

Se ci fossimo guardate fino in fondo, senza le nostre reciproche maschere, forse ci saremmo davvero avvicinate una all’altra. Ci saremmo capite sul serio. Non mi sarei tirata indietro; saremmo comunque arrivate a quella svolta, tanto valeva affrontare i nostri fantasmi personali.

“Andrè è un uomo gentile, un amico sincero e fidato, e mi piace molto stare in sua compagnia, sto bene insieme a lui; è spontaneo e onesto nei suoi pensieri. Non ho mai trovato nulla di tutto ciò tra le persone che mi circondano. Ma è anche molto attraente, non lo nego, e io sono una giovane donna sposata ad un uomo che non ama. Sai che cosa vuol dire, Oscar, vivere così? Senza vero amore e affetto? Senza un po’ di comprensione? Complicità e vera intimità? Immagini quanto sia vuota la mia vita, priva di tutte queste cose?”

Avevo parlato con impeto, animata da un fremito che mi sconvolgeva e che mi lasciava senza freni nelle mie esternazioni. Mi ero sporta sollevandomi e quasi stavo per scendere dal letto. Oscar mi aveva ascoltata scrutandomi con cipiglio severo e corrucciato, ma nei suoi occhi continuavo a scorgere una luce di profonda inquietudine. Le ombre si disegnavano strane attorno a noi.

“Conosco le buone qualità di André, so che genere di uomo è. Perché lui? Credi che possa darti quello che cerchi? Non ti preoccupi delle conseguenze? Lui non potrebbe riempire la tua vita, senza pagarne un prezzo che sarebbe troppo alto.”

Punta sul vivo dalle sue parole, presi la camicia da notte appoggiata al fondo del letto, la infilai e mi alzai di fronte a Oscar. Quasi mi lasciai scappare una lieve risata.

“Tu pretendi di conoscere André? – Esclamai. – Oh, potrei sorprenderti, cara; io conosco di Andrè, cose che tu neppure sospetti, nonostante non vivo accanto a lui come fai tu da anni! Ma a volte è meglio non vedere; per te è sempre stato più semplice fare finta di nulla, vero Oscar?”

“Fare finta? Di cosa parli? Secondo te, io non conoscerei André, che è quasi un fratello per me? Da dove ti viene questa presunzione? Ti stai accalorando un po’ troppo, Danielle.”

“Hai detto bene, un fratello. Ma non è tuo fratello, Oscar! Non c’è nessun legame di sangue tra voi.”

“Questo non significa niente.”

“Invece, significa tutto. Tu ti nascondi Oscar; fingi di avere un cuore da uomo e i tuoi sentimenti sono da donna, li nascondi con la divisa da Colonnello. Sei mortalmente gelosa di André, in un modo che dovrebbe farti riflettere, per non parlare di quello che provi per il Conte di Fersen; ti sei infatuata di un uomo frivolo che non è degno di incrociare la spada con te e si dichiara innamorato infelice della nostra regina.”

“Cosa?”

“Suvvia Oscar! Sono la tua gemella e tra noi certe cose si avvertono spontaneamente. Ti sei invaghita di quell’uomo, ma non vuoi riconoscerlo perché ti fa sentire troppo debole, una cosa che tu non puoi permetterti. Ma l’amore non è una debolezza, Oscar. Sono una donna, oltre che la tua gemella e conosco da sempre il conflitto che ti attanaglia, perché in fondo è simile al mio. So anch’io quanto è difficile accettarsi.”

A quel punto, Oscar si alzò dalla sedia, allontanandosi dalla fioca luce della candela per andarsi a piazzare davanti al vetro della finestra, dandomi le spalle. Fuori, l’oscurità della notte avvolgeva ogni cosa e lei mi appariva come una sagoma indistinta. La sua voce mi giunse quasi in un sussurro.

“Cosa ne sai tu, del mio conflitto? Tu non hai mai dovuto vivere nascondendo la tua natura, il tuo cuore. Credi che la mia vita sia più facile? Se la tua vita è vuota, puoi riempirla in mille modi, ma non devi lottare per essere te stessa. Non devi reprimere emozioni che non dovresti avere. La tua vita non è una lotta per dimostrare al mondo cosa vali. Tu non devi far dimenticare agli altri cosa sei, in realtà!”

Era una confessione quella? Sì, in una forma singolare.

Oscar mai mi aveva esternato pensieri tanto personali, tanto intimi. Eppure avevo l’impressione di averli sempre percepiti in lei; non so come, in quel momento mi commosse, come se quell’interiorità io la scoprissi per la prima volta.

“Oh, Oscar… questo è un problema che abbiamo tutte, anche noi donne cosiddette normali!  Le nostre opinioni non hanno peso e raramente siamo prese in considerazione. Perché stiamo qui a farci la guerra? Non ho mai pensato che sia stato facile assecondare il desiderio di nostro padre, ma… - mi avvicinai a lei di qualche passo – a volte ho l’impressione che tu non ti renda conto del privilegio che ti è stato dato.”

“Privilegio? Stento a crederlo! Sbaglio o vorresti essere al posto mio, Danielle?”

Sentii sorpresa nella sua voce che attraversava l’oscurità che ci divideva.

“Vorrei sapere cosa si prova a essere liberi; di pensare, di vivere, di scegliere. Oh, Oscar, forse in alcuni momenti avrei desiderato essere come te. Io devo far dimenticare al mondo che sono la tua gemella! Sai quanti uomini mi cercano solo per quello e non vanno oltre il mio aspetto? In me, cercano te. Sono una fantasia, la trasgressione. Fersen fa la stessa cosa. Riesci a capire che significa?”

“Non credo che per te, sia mai stato un problema. E Fersen non è quel tipo d’uomo…”

“Continui a difenderlo, eh? È esattamente quel genere d’uomo. Potresti verificarlo anche da sola.”

“Come?”

“Mettendoti nei miei panni: dovresti provare solo un ora a essere me.”

“Eeehh??”

Era un’ idea bizzarra buttata lì per caso, ma all’improvviso mi sembrò un colpo di genio. Se soltanto fossi riuscita a convincerla; sarebbe stato un modo perfetto per mettere Oscar in contatto con la sua femminilità.

Mia sorella restò in silenzio per un lungo attimo; continuò a scrutare l’oscurità oltre il vetro, poi si volse verso di me.

“Davvero vorresti essere come me, Danielle? Perché?”

“Te l’ho detto, Oscar: la libertà. – Misi una certa enfasi nel pronunciare la parola. – Libera da un matrimonio imposto, da regole stupide. Libera di costruire la mia vita come voglio, seguendo delle legittime aspirazioni, libera di esprimere il mio pensiero più autentico senza che sia sottovalutato, soprattutto libera di scegliere da sola l’uomo giusto da amare.”

“Tu credi che io abbia tutta questa libertà? - Avvertii una nota ironica nella voce. - Io ho sposato la vita militare,[1] il dovere, l’obbedienza ai superiori; non è un matrimonio facile. Libera di amare? Chi? Fersen? Non si accorge neppure che sono una donna. Pochi se ne accorgono, in verità: uno di questi è proprio André. – La sentii sospirare pesantemente. - Sì, Danielle, è inutile nasconderlo proprio a te; provo qualcosa per il Conte, forse perché mi sembra diverso da tutti gli altri, è un uomo dal cuore onesto… Poi… vedo come ti guarda. Come non può guardare me. E mi confonde… da quando Fersen è arrivato qui, non mi pare lo stesso uomo che conosco… non capisco più il suo comportamento.”

Profonda amarezza filtrava da quelle parole, la sentivo soffocarmi l’anima e mi faceva male.

Mi dava la misura dell’ amore tormentato che Oscar nutriva per quell’uomo; era un sentimento mortificato dall’obbligo di dover soffocare la sua essenza femminile che smaniava per liberarsi. Si era accorta dell’interesse di Fersen nei miei riguardi e immaginavo che fosse un ulteriore schiaffo per lei, come se io fossi quella con cui era impossibile competere. Mi sembrava assurdo che fosse così insicura; Oscar era fisicamente identica a me, due copie perfette della stessa persona. Non ebbi il tempo di riflettere su quelle impressioni perché Oscar mi riportò bruscamente alla realtà.

“Ora tocca a te. Abbiamo fatto un patto. Saprai essere altrettanto sincera?”

“Certo. Riguardo cosa?”

“Riguardo ciò che provi per André. E ricorda: sono la tua gemella e certe cose le avverto anch’io spontaneamente. Fino a che punto ti senti attratta da André? Per caso, ti stai innamorando del mio attendente?”

La domanda fu talmente diretta e inaspettata che io restai a bocca aperta, incapace di rispondere. Il silenzio scivolò fra noi più denso dell’oscurità, un silenzio che valeva più di mille risposte che avrei potuto darle. Ma Oscar era decisa a farmi parlare e quel patto insano lo avevo proposto io, lei ne stava solo approfittando.

“È una domanda semplice. Perché non rispondi, Danielle?”

“Ecco, io… provo sincero affetto per lui. Non ho mai provato nulla di tanto profondo per nessuno prima. – Incrociai le braccia sul petto e abbassai lo sguardo. - Non mi sembra un reato tanto grave. Io cerco solo il calore di un sentimento vero e con André sento di poterlo avere. Tu più di tutti dovresti comprendermi. Non negarmelo Oscar, ti prego.”

Era più di quanto io potessi ammettere. Non stavo mentendo e Oscar se fosse stata attenta, avrebbe sentito l’emozione autentica e forte che vibrava nella mia voce. Mia sorella si allontanò dalla finestra e si avvicinò a me, spostandosi dietro la fioca luce della candela che sfidava l’oscurità. Non riuscivo a distinguere nettamente il suo volto, ma sapevo che lei vedeva il mio, illuminato dal leggero bagliore della fiammella.

Mi arrivò il sussurro deciso della sua voce.

“Sai quanto tengo ad André e non voglio che soffra per un tuo capriccio. Non voglio negarti la sua amicizia, ma se intendi avvicinarti in altro modo a lui, allora non posso tollerarlo. Mi hai capito? Resta con i piedi per terra e non comportarti da sciocca.”

Il tono di Oscar era molto serio: mi parlava come se stese impartendo direttive della massima importanza a un suo subalterno. Ma dietro quel tono all’apparenza distaccato, sentivo tutta la sua ansia e forse una segreta minaccia.

“Certo Oscar, e non voglio creare problemi ad André, né mettere te in imbarazzo, te lo giuro.”

“Bene. Mi è piaciuta la nostra chiacchierata. Credo che rifletterò su alcune cose che ci siamo dette; sono certa che avremo modo di riparlarne. - Si mosse per andare verso l’uscio. -  Cerca di dormire ora. Buonanotte.”

E mi lasciò lì, al freddo della mia camera, frastornata e sconvolta dalla tensione.

 

Avevo dormito poco, dopo che Oscar se n’era andata.

Forse mia sorella per quella notte si accontentò di quella risposta, forse non fu del tutto convinta. Certamente altro le passò per la testa e magari fui io a insinuare in lei il dubbio e la curiosità: il discorso sulle nostre differenti identità l’aveva coinvolta molto, io stessa mi ero lasciata trascinare su un terreno un po’ sconnesso.

 

Se la notte fu sorprendente, anche il mattino seguente presentò i suoi imprevisti.

Facevo colazione in compagnia del Conte di Fersen sotto il pergolato esterno del giardino della villa, quando Ninette venne ad avvisarmi che nel cortile era rientrata la carrozza di mio marito; il Conte Leopold Remy di Recamier era sopraggiunto all’improvviso dal suo viaggio nella Loira e non era solo. Una gentile signora lo accompagnava: si trattava di madame Lisette De Marchard, donna di qualche anno più giovane di lui, ancora graziosa e piacente. Mi era giunta voce che fosse la sua attuale amante.

Non l’avevo mai incontrata prima, mai più mi sarei aspettata di riceverla in casa mia.

Immaginavo che Leopold non si aspettasse di trovarmi nella residenza di campagna e credendomi a Parigi, fosse venuto lì, per restare solo con la sua amante. Davvero uno bizzarro scherzo del destino, per lui e per me. Reciprocamente infedeli, cercavamo sempre di salvare le apparenze, evitando situazioni imbarazzanti per entrambi.

Lo vidi venirmi incontro seguito dalla sua amabile accompagnatrice.

Mentre avanzava verso il tavolo dove eravamo seduti io e Fersen, osservai Lisette. Era una donna formosa dall’aria gioviale; un sorriso spontaneo e solare le illuminava il volto rotondo e gli occhi erano scuri, ma vivaci. Non tradiva alcun tipo di alterigia, appariva piuttosto semplice anche nell’abbigliamento che non aveva nulla di ricercato, nessuna ostentazione nei gesti o nei modi, caratteristica tipica di chi apparteneva alla piccola nobiltà di campagna.

Segretamente ero un po’ sorpresa che Leopold potesse avere del reale interesse per quella donna, ma così doveva essere.

Leopold mi salutò con cortesia prima di presentarmi la donna che pareva per nulla imbarazzata.

“Contessa di Recamier, sono davvero lieta per questo incontro.” Cinguettò serena.

Stentavo un po’ a crederlo, ma presi per buone le sue parole. La voce di Lisette era come lei, festosa e gradevole.

La cosa più logica che potessi fare era reggere il gioco.

“Cosa vi porta qui, Madame De Marchard? Amate anche voi la campagna?”

“Oh, sì. In realtà, sto andando a trovare i miei parenti che vivono poco lontano da qui. Vostro marito si è offerto di ospitarmi un paio di giorni prima di rimettermi in viaggio.”

Non saprei dire se fosse stata istruita da Leopold o se era la verità, ma non mi importava molto.

Presentai loro il mio ospite, il Conte di Fersen, che con la sua inconfondibile galanteria, fece ossequi alla signora e salutò con rispetto mio marito.

“Quel Conte di Fersen? La vostra fama vi precede. Voi venite dalla Svezia, se non erro. Siete qui su invito di mia moglie, immagino…”

Io colsi l’allusione e anche Fersen la colse e si affrettò a smontare le possibili congetture.

“Sì, vostra moglie voleva allontanarsi da Parigi e ha invitato me e vostra cognata, madamigella Oscar a tenerle compagnia per qualche giorno, e godere della tranquillità della campagna.”

“Oh, anche Oscar è qui? La saluterei volentieri la mia cognata di ferro.”

“Sta ancora riposando. Potrete farlo più tardi.” Risposi pronta.

Leopold considerava Oscar una bizzarria stravagante di nostro padre. Di mentalità poco elastica, non concepiva che una donna potesse ricoprire un ruolo maschile, ma non avrebbe mai osato sfidarla a duello, né avrebbe mai ammesso di averne anche un po’ paura. Si stupiva meravigliato di come André riuscisse a confrontarsi con lei.

Stanchi per il viaggio, Leopold invitò Lisette a ritirarsi nella sua stanza; io stessa avevo dato disposizioni alla cameriera. Poi si congedò senza rinunciare a un pizzico d’ironia, lasciandomi in compagnia del Conte di Fersen.

“Non offendetevi se non resto in vostra compagnia, ma ho bisogno di qualche ora di riposo; voi capite, non ho la vostra gioventù. Sono certo che mia moglie saprà intrattenervi nel modo migliore.”

“Non preoccupatevi; sono sicuro che avremo altre occasioni per approfondire la nostra conoscenza, Conte di Recamier.”

 

Solo più tardi, ebbi uno sincero scambio di pensieri con mio marito.

Mi aveva raggiunto nel mio salotto privato, poco prima di pranzo, deciso a giustificare la presenza di Lisette in casa nostra. Naturalmente aveva accampato improbabili scuse, spiegazioni che non avrebbero convinto neppure una donna con meno malizia di me. Quella dell’ingenua non era una parte che avevo voglia di sostenere e in quel caso fingere non mi interessava. Seduta in poltrona, ascoltavo quei vani discorsi agitando il mio ventaglio annoiata e infastidita.

“Vi prego Leopold, evitiamo questi imbarazzanti sotterfugi; è ovvio che quella donna sia la vostra amante e voi pensavate che io fossi a Parigi. Lungi da me l’idea di farvi una scenata di gelosia, ma almeno potevate avere il buon gusto di non portarla in questa casa: sono pur sempre vostra moglie e la madre dei vostri figli.”

“Oh, questa poi! Non coinvolgete quelle creature innocenti. Lisette è una donna degna del massimo rispetto, una cara e gentile amica che mi sono trovato ad aiutare in circostanze particolari… – Mio marito si agitava, camminando avanti e indietro per la stanza, con le mani dietro la schiena. - E in quanto a buon gusto, anche voi cara, non dimostrate di averne molto.”

“Cosa vorreste dire?”

“Sto parlando di quel Fersen! Il favorito di Maria Antonietta! Vi siete scelta davvero un bel personaggio, sarete additata da tutta la buona società di Parigi, per non parlare di quello che diranno a Corte.”

“Fersen non è il mio amante, se è questo che pensate. E poi sono sempre stata più brava di voi a evitare gli scandali.” Obiettai decisa.

“Eppure sembravate molto intimi, stamattina. Mi sembrate un poco stanca, avete dormito poco…”

Non feci alcun commento; Leopold non poteva immaginare la notte che avevo avuto e non volevo entrare nei dettagli.

“Allora, vorrete spiegarmi il motivo della sua presenza qui?” Continuò.

Alzai di poco il tono di voce sottolineando le parole.

“Il Conte di Fersen è qui unicamente in virtù della sua amicizia con mia sorella. L’ho invitato per fare un piacere a Oscar, e se la cosa vi disturba il problema è vostro. Invece, le vostre scuse con Lisette sono davvero ridicole. Spero che non resterà qui a lungo.”

“Accompagnerò madame Marchard dai suoi parenti tra qualche giorno. Fino ad allora, voi cercate di essere gentile con lei.”

“E voi cercate di non mettermi in imbarazzo di fronte ai miei figli: vivono in questa casa, quindi sono coinvolti.”

Non avevo voglia di proseguire quella conversazione che trovavo irritante e inutile. Aprii il ventaglio in maniera teatrale e mi alzai dalla poltrona per andarmene senza attendere oltre: avevo già sentito più di quanto fossi disposta a sopportare.

 

 

Continua…

 



[1]  Ispirazione tratta da una frase letta altrove. La frase esatta era “Ho sposato l’esercito” solo che non ricordo dove l’ho letta. Se qualcuno la riconosce come sua, me lo faccia sapere che la inserirò nella citazione.

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Capitolo 8
*** In amore e in guerra ***


8 -

8 – In amore e in guerra

 

 

Si era alzata verso le undici, quella mattina.

Era una cosa che la indisponeva, perché non le piaceva oziare fino a tardi.

Era il minimo dopo la nottata trascorsa.

Oscar aveva lasciato la camera di Danielle dopo la mezzanotte; lievemente malferma sulle gambe, infreddolita, la spada in una mano, la bottiglia nell’ altra, aveva riguadagnato il suo letto caldo.

Contava di addormentarsi appena avesse posato la testa sul guanciale, ma così non era stato.

Un pensiero su tutti gli altri l’aveva disturbata come un suono molesto nella testa; una frase detta da Danielle, quella notte. Le era sembrata assurda, ma ritornava indietro come un’ eco che la inseguiva e la invadeva.

 

-         Potrei sorprenderti… Io so di Andrè, cose che tu neppure sospetti…

-         Credi che ti farà da attendente tutta la vita? Non dirmi che non ci hai mai pensato…

 

In effetti, era un pensiero che non l’aveva mai sfiorata.

 

-         Dovresti provare a essere me, per un’ ora…

 

A quella frase, altre erano precipitate nella sua testa, come quando un piccolo sasso si stacca dalla montagna e trascina giù con sé, massi più grandi. Si era addormentata con un boato nella testa, un rumore fatto di parole ossessive che richiamavano strane visioni alla mente.

 

Lei, Andrè.

Danielle, Andrè.

Lei, Danielle.

Lei come Danielle. Con Fersen.

Una su tutte; Danielle con Andrè. Nel suo letto.

 

Al risveglio, l’immagine era ancora lì. E non voleva andarsene.

Non capiva perché la disturbasse tanto. Non sarebbe dovuto importarle.

Ma le importava, eccome.

Si era alzata dal letto e si era avvicinata alla finestra che dava sul cortile davanti all’ingresso e aveva visto l’arrivo della carrozza del cognato. Aveva sospirato stanca, quasi fosse l’ennesima seccatura.

Leopold Di Recamier, un piede sul predellino, era sceso dalla carrozza e lei aveva tirato la tenda di pesante broccato prima di vedere la donna che lo accompagnava, scendere a sua volta.

Non aveva nessuna voglia d’incontrare il cognato, un uomo che giudicava sgradevole, oltre che di mentalità ristretta. Si vestì e prese la spada per uscire in giardino; voleva allenarsi con André.

 

Ma quella mattina l’attendente non si trovava; nessuno sapeva dove fosse finito.

Un ora dopo, Oscar vagava sola per il parco della villa; complice la solitudine, col pensiero continuava a indugiare sulla strana proposta fatta quella notte; avrebbe dovuto essere solo un’ idea fugace, ma lentamente acquistava una consistenza reale. Era una tentazione troppo forte che sarebbe stato più saggio scacciare, ma col passare dei minuti diventava incredibilmente seducente.

Lei nei panni di Danielle.

Scuoteva la testa, tentando di scacciare da sé quell’immagine scandalosa e inopportuna.

Uno scambio di persona che nessuno avrebbe sospettato. Perché non tentare una volta, di essere qualcun altro? Sarebbe stato facile, un gioco senza rischi per lei che era abituata a rischiare. Più ci pensava, più voleva provare a essere quella donna che viveva all’ombra dell’altra.

Da qualche ora aveva scoperto nel cuore sentimenti contradditori che la confondevano: doveva tentare di comprenderne la natura, quell’essenza misteriosa che da sempre le sfuggiva.

Camminava lungo le siepi del giardino, lo sguardo basso a seguire il sentiero cosparso qua e là di foglie secche, assorta o forse persa nei suoi pensieri tra quello che era e ciò che lei credeva fosse il suo sentire, quando avvertì il rumore ovattato, uno scricchiolio di foglie calpestate. 

Solo allora, tornò vigile, alzò gli occhi celesti e la vide contro lo sfondo del parco, tra il verde scuro degli alberi e la luce che filtrava tra il fogliame.

Una donna, una sconosciuta vestita di blu, si stava avvicinando con un sorriso cordiale sul volto rotondo e due pozzi neri che la scrutavano.

“Buongiorno. Voi siete Oscar Francoise De Jarhayes, la gemella di Madame Recamier, la donna soldato che comanda le Guardie Reali di Sua Maestà… è un piacere incontrarvi. Sono impressionata; se non vi vedessi vestita da uomo non vi distinguerei da vostra sorella.”

Oscar restò a fissare l’estranea dalla voce cristallina per un attimo, senza concederle l’ombra di un sorriso.

“Con chi ho l’onore di parlare, madame? Non penso di conoscervi, ma a quanto pare, voi conoscete me.”

“Oh, scusate le mie cattive maniere, madamigella Oscar. Sono Lisette De Marchard; sono giunta stamani con vostro cognato, il Conte di Recamier; è stato lui a parlarmi di voi. Sono sua ospite qui, fino alla mia partenza.”

“Un’ amica di mio cognato, dunque…” Le venne naturale porre l’accento sulla parola ‘amica’.

Sapeva di che genere d’amicizie Leopold amasse circondarsi.

Lisette, donna pratica e piuttosto schietta, colse l’allusione; continuando a sorridere, abbassò solo un attimo lo sguardo, per sollevarlo di nuovo con coraggio e orgoglio su Oscar, che non aveva smesso di fissarla con ironica, aperta curiosità.

“So che cosa state pensando. Mi dispiace di essere piombata a gettare scompiglio, non era nelle mie intenzioni. Probabilmente vi offende la mia presenza qui, ma non voglio essere motivo d’imbarazzo per nessuno, vi assicuro. Nutro un sincero affetto per vostro cognato, per dei motivi che non starò qui a dirvi. Sappiate solo che gli devo molto, e lo rispetto.”

“Ne sono sicura, madame, e non dovete giustificarvi con me: non ho motivo per sentirmi offesa.”

In fondo, non sono io la moglie tradita, pensava tra sé con un guizzo d’ ironia.

“Oh, non mi volevo giustificare ai vostri occhi, né a quelli di chiunque altro. Volevo solo che fosse chiaro che ho accettato l’ospitalità del conte con la massima fiducia e senza secondi fini. – Lisette si profuse in un inchino rispettoso, prima di allontanarsi. - E ora, col vostro permesso, mi ritiro. Buona giornata, comandante.”

Senza attendere risposta, Lisette riprese a camminare attraverso il parco, avviandosi verso casa. Oscar seguì con lo sguardo la sua figura per alcuni minuti. Fu allora che si accorse di André.

L’ attendente incrociò Lisette che camminava in direzione opposta alla sua; Oscar lo vide girarsi per osservare Madame Marchard che si allontanava con passo spedito, quasi avesse fretta di raggiungere le mura silenziose e tranquille della villa.

Intanto, André l’aveva raggiunta e si era accostato a lei.

“André è più di un’ora che ti cerco, ma dov’eri finito?”

“Stavo aiutando uno dei garzoni a sistemare la merce in cucina e intanto raccoglievo gli ultimi pettegolezzi; è così che mi tengo informato e tengo te aggiornata su tutto.” Commentò l’amico con ilarità. Oscar sorrise.

“Sei davvero impagabile. Ecco perché sei sempre così informato. Cosa sai di lei? – chiese indicando la piccola figura vestita di blu ormai lontana. - Non l’ho mai vista prima, né a corte né altrove; immagino che la famiglia non abbia libero accesso a Versailles.”

“No, infatti. I Marchard appartengono alla piccola nobiltà di campagna e sono privi di grandi sostanze che occorrono per fare vita di corte. Voci dicono che Madame Lisette sia l’amante di tuo cognato, ma questo sarebbe il meno; pare che lui abbia pagato i debiti della sua famiglia, consentendole di saldare l’ipoteca che pendeva su parte dei beni e sul piccolo palazzo che i Marchard hanno a Chassillé.”

“Cosa? Mia sorella sa qualcosa di questa faccenda?” Chiese con apparente stupore.

“Non credo, ma non sono sicuro. Penso che non le piacerebbe scoprire una cosa del genere e il marito farà di tutto per tenerla all’oscuro.”

“Già. Danielle potrebbe reagire molto male. Mi domando perché Leopold dovrebbe dare fondo a una parte delle sue sostanze per pagare i debiti della sua amante…”

Oscar rimase assorta, quasi distratta, come persa in una riflessione propria, mentre con la coda dell’occhio osservava Andrè con attenzione sospetta. Il pensiero di Madame Marchard andava e veniva nella sua mente come un venticello leggero che non la disturbava più di tanto. In realtà, gli scandali presunti o reali in cui quella donna e il cognato potevano essere coinvolti non la interessavano affatto. Che fossero veramente amanti poco le importava.

Non si aspettava un comportamento migliore da Leopold, e sapeva che la stessa Danielle si disinteressava di quello che faceva il marito; le amanti del conte erano ordinaria amministrazione nella loro vuota vita coniugale.

In realtà, la impensieriva un altro scandalo solo vagheggiato.

Di altri amanti temeva di scoprire la storia.

Altri pensieri le facevano tremare il cuore e sudare le mani, quasi avesse una specie di febbre, ma fingeva di essere banalmente interessata alle chiacchiere futili del suo attendente.

Ma altro avrebbe voluto sapere.

E altre cose stava immaginando.

Andrè parlava ignaro e tranquillo, lasciandosi distrarre dal paesaggio attorno, da un uccello che si posava su un ramo, per questo non si accorgeva della sua insolita disattenzione; lei lo vedeva insieme alla sorella, lo immaginava mentre le sorrideva, mentre accostava il viso al suo e i suoi capelli neri ondeggiavano al vento leggero, mentre Danielle si lasciava scivolare tra le sue braccia e prendeva il suo volto tra le mani per baciarlo, come lei non avrebbe mai osato fare con un uomo.

Nel suo delirio momentaneo, li vedeva baciarsi con ardore e sentiva il cuore accelerare, preso da un affanno penoso e incomprensibile.

In un moto involontario, quasi inconsapevole, Oscar stinse i pugni conficcandosi le unghie nei palmi delle mani.

Voleva parlare d’altro. Di qualcosa che poteva riguardare anche lui.

Soprattutto lui.

Abituata in tante situazioni ad essere sempre molto diretta e franca, trovò quasi ostico pilotare una conversazione di carattere tanto delicato, proprio con André. Ma il bisogno di sapere può essere più forte di qualsiasi pudore o scrupolo.

Possibile che lui avesse segreti per lei?

Lo guardava di sottecchi e cercava tracce del suo sospetto nell’ espressione che sembrava quella di sempre, negli occhi ridenti. Lei non scorgeva ombre cupe in quelle iridi profonde e serene, specchio di sentimenti sconosciuti, ma certamente positivi, genuini.

Ma contro ogni apparenza, i pensieri cattivi facevano troppo male.

Era impossibile ignorarli.

“Tra il Conte di Recamier e Madame Lisette forse c’è molto di più di una comune relazione clandestina…”

“Tutti abbiamo qualcosa da nascondere, non credi? Segreti in fondo al cuore… Aspirazioni e desideri legittimi, ma qualche volta pericolosi…Non sei d’accordo?” disse osservandolo fisso, provocandolo, aspettando una sua reazione.

 

Forse fu il tono.

Forse lui era troppo sensibile ai suoi impercettibili mutamenti d’umore.

La conversazione aveva preso una piega imprevista e diversa. Non sapeva come né perché, ma André si era accorto che Oscar aveva deviato i suoi pensieri in tutt’altra direzione in maniera quasi repentina. E si rese conto che nulla di quello che riguardava il cognato, in quel momento la interessava.

Si chiese se avesse sentito una sola parola di quello che aveva detto e come lo avesse interpretato.

Per un momento pensò all’amore di lei per Fersen, ma quegli occhi celesti lo fissavano come se volessero metterlo a nudo, scoprirlo nei recessi più nascosti e lui avvertì un brivido attraversargli la spina dorsale, come un segnale d’allarme; emerse la paura di non saperle nascondere la verità e restò perplesso di fronte alla forza enigmatica di quello sguardo.

Era come se Oscar non vedesse altro, come se improvvisamente non fosse più lui, ma un altro uomo.

Lui si concentrò su quello sguardo, dimenticando l’ambiente attorno, gli alberi, le foglie; avvertiva solo l’aria fresca e leggera che faceva ondeggiare lievemente i capelli biondi davanti al suo viso, come fossero fragili fili di ragnatele.

Erano fermi in una piccola radura del giardino e Oscar si era appoggiata con la schiena al piedistallo di marmo di una statua che segnava l’ingresso ad un’altra ala del parco.

Cercò di tornare padrone di sé.

Distolse lo sguardo verso terra e parlò a voce bassa e profonda.

“Chissà perché, ma ho l’impressione che stiamo parlando d’altro, Oscar…”

“Noi ci diciamo tutto, vero André?”

Lui aveva appoggiato una mano al marmo, vicino alla spalla di lei. Una ciocca di capelli biondi gli sfiorava la pelle delle dita.

“Tu mi dici tutto, Oscar?”

“Non è di questo che voglio parlare. Se tu fossi coinvolto in una situazione sbagliata, me lo diresti, vero?”

“A cosa ti riferisci? Parla chiaro.”

Si era piazzato di fronte a lei, con le braccia incrociate sul petto, ma Oscar non ebbe il coraggio di sostenere quel confronto e non lasciò che lui le leggesse nel profondo degli occhi il turbamento che stava provando.

“Una volta mi hai detto che Danielle ti piace... Cosa provi davvero per lei? È lo stesso legame che hai con me?”

Andrè restò in silenzio per un lungo momento, confuso di fronte alla domanda inattesa.

“No, Oscar. Non è la stessa cosa. Non ho diviso la mia vita con tua sorella. Che senso hanno tutte queste strane domande? Credi che abbia una vita segreta che non conosci? Suvvia Oscar, sono sempre con te. C’è qualcosa di me che non sai?”

Qualcosa c’era in effetti, ma non ne faceva una colpa a lei.

“Ma a me non confidi tutto… Forse c’è qualcosa che vorresti e che lei può darti… che forse ti ha già dato…”

Un solo pensiero attraversò la mente dell’uomo. Parole incise su una pietra.

 

Io voglio te  nient’ altro che te.

 

Ma André finì per dire altro.

“L’hai detto tu, che abbiamo tutti i nostri segreti…”

Tornò a guardarlo dritto in faccia. Oscar avrebbe voluto una risposta diversa, meno evasiva. Sentì tutto il peso del velo che André non voleva sollevare e che lei avrebbe voluto strappare. Sapere divenne un bisogno impellente e pose la domanda che avrebbe potuto dividerli per sempre.

“Potresti innamorarti di lei? L’altra sera, quando hai ballato con mia sorella… ho visto come la guardavi. Capisco che sarebbe facile cedere, Danielle è indubbiamente molto bella, ma…” Oscar si staccò dal marmo e fece qualche passo, prima di arrestarsi e voltarsi di colpo verso l’amico che era rimasto fermo, forse più impietrito della statua di satiro sul piedistallo.

“Tu ti rendi conto che non sarebbe possibile? Immagini i rischi che correresti, vero?” e mentre gli diceva quelle parole, le tornavano alla memoria le accuse della sorella.

 

-         Sei mortalmente gelosa di André… una cosa che dovrebbe farti riflettere.

 

E in quell’istante assoluto capì che Danielle aveva ragione.

Era gelosa di Andrè nel profondo, fin dentro le viscere che si contorcevano come serpi velenose all’idea dolorosa di loro due insieme, ma si credeva innamorata di Fersen, l’unico per cui avesse versato vere lacrime.

Fu una rivelazione che le discese nel cuore, un raggio di luce tracotante che profanava il silenzio dei suoi pensieri incerti.

Ma cosa c’era di vero in lei, adesso? Gelosia, amore, oppure entrambi?

Si trovò incapace di distinguerli.

André le si avvicinò improvvisamente per afferrala per un braccio e costringerla a guardarlo.

“Tu continui a pensare che io potrei… potrei diventare l’amante di tua sorella? Addirittura innamorarmi di lei?”

L’incredulità si leggeva nell’espressione; era palese e sarebbe dovuta bastare ad annientare qualsiasi dubbio, ma Oscar voleva una conferma inoppugnabile.

“Potresti André? Rispondi solo a questa domanda. Devi dire solo sì o no.”

Oscar sentiva le sue dita forti che stringevano la carne, ma non tentò di liberarsi dalla presa. Andrè continuava a tenerla saldamente per il braccio e la trovava stranamente arrendevole; gli pareva assurdo che proprio lei insistesse a tornare su quell’argomento spinoso che lui aveva già tentato di chiudere una volta.

“Cambierebbe qualcosa per te? Cambierebbe qualcosa fra noi, Oscar?” le chiese impaziente. Non aveva più voglia di minimizzare.

“Forse…”

Il silenzio che seguì, a Oscar non piacque; troppe aspettative e la paura di ricevere la risposta indesiderata.

L’esitazione dell’ amico nascondeva ciò che l’avrebbe spaventata, e Oscar si chiese che intensità e che colori potessero avere i pensieri che passavano in quel lungo minuto dietro i suoi occhi. Forse, si disse, erano i colori di Danielle.

Tremò e fu certa che lui potesse sentirlo.

 

Per André quel  “forse”  era più di quanto avesse mai avuto.

Forse era tutto.

Tutte le parole che avrebbe voluto dire.

Tutto l’amore nascosto nel cuore.

Forse lei avrebbe dimenticato Fersen.

Forse si sarebbe accorta di lui.

Forse avrebbe visto l’uomo capace di amare una donna e di renderla felice.

Un uomo diverso da Fersen e ancor più vero nel cuore.

Forse era la speranza celata sotto il dolore.

 

Così lui decise di rischiare, perché se doveva perderla per colpa di un altro, almeno doveva tentare di lottare per averla e non ci sarebbe stato un altro modo.

Se l’amore era un gioco di alchimie sottili, (1) un negarsi e concedersi agli sguardi, una lotta fra cuori simili, doveva raccogliere la sfida e gettarsi in quella partita a tre.

Un sospiro quasi impercettibile per raccogliere le forze.

Le lasciò il braccio, poi rispose.

 

“Sì…”

 

Oscar fu certa che il cuore le si fosse fermato un istante prima di sentire il morso più doloroso e vero della gelosia, che la stringeva più di quanto non avesse fatto lui poco prima.

Seppe con precisione che non ci sarebbe mai stato nulla di più reale.

Le lacrime per Fersen, confuse come vapore in un sogno, dubitò fossero mai esistite.

 

 

*********

 

 

Osservavo dal balcone il giardino del mio palazzo. Amavo i colori autunnali che la natura regalava con profusione.

La temperatura era ancora mite anche se l’autunno stava per soccombere all’inverno che bussava alle porte, ma mi piaceva sentire il timido calore del sole sulla pelle del viso.

Fersen era a pochi passi dietro le mie spalle e contemplava con me il paesaggio offerto dalle foglie rossastre degli olmi. Sorseggiavo con calma il mio tè che Ninette ci aveva servito poco prima. Alle orecchie mi arrivava lo zampillo dell’acqua della fontana che dominava la scena sotto di noi. Ancora qualche settimana, e i suoi giochi d’acqua sarebbero stati un ricordo dell’estate passata, e la vasca sarebbe stata sporcata dalle foglie morte che un giardiniere avrebbe provveduto a togliere. Era un’ immagine che mi metteva sempre tristezza.

La voce di Fersen venne a distrarmi dalla mia malinconia.

“Allora contessa, siamo d’accordo per il ballo? Io ci sarò se ci sarete anche voi, altrimenti non presenzierò… Mi avete promesso che ballerete soltanto con me. Spero solo che non intervenga anche vostro marito…”

Mi voltai verso di lui. Sorrisi per compiacerlo.

“Avete timore di un rivale? Di mio marito non dovete preoccuparvi; probabilmente non sarà neanche più qui. Piuttosto, voi saprete dire di no alla regina? Sappiate che mi offenderò se mi lascerete per danzare con lei. E ricordate: lo fate anche per il suo bene.”

“Sì, lo capisco. Siete molto esigente.” Sospirò fingendo un cruccio che non c’era.

“Questi sono i patti e pretendo che si rispettino. Ma se non potete, ditemelo subito.” Puntualizzai decisa.

“Sarà un sacrificio che farò volentieri; voi madame, lo renderete più sopportabile.”

 

In quel preciso istante Oscar e André entrarono nella stanza per raggiungerci sulla terrazza che dava sul giardino.

Oscar si accostò alla grande porta finestra, si appoggiò allo stipite con la spalla e a braccia conserte, restò lì a guardarci; Andrè era un passo dietro di lei, nascosto nella penombra dell’ambiente. Scrutai il viso dell’attendente nel tentativo di leggervi i pensieri; negli occhi verdi mi parve di scorgere il riflesso di una strana determinazione che coglievo con sorpresa, e mi sentii inquieta, ma fui distratta dalla voce del conte di Fersen che si rivolse a mia sorella in tono confidenziale.

“Madamigella Oscar, avete voglia di passeggiare con me nel parco? O preferite cavalcare? Vorrei sottoporvi una certa questione, in privato, se possibile. Avrei proprio bisogno di avere la vostra opinione su un argomento delicato che sta molto a cuore anche a voi, immagino.”

Io sapevo che l’argomento riguardava la regina Maria Antonietta e anche Oscar doveva averne il sospetto, a giudicare dall’occhiata d’intesa che scambiò con il conte.

“Ma certo, facciamo pure una passeggiata; però mi spiacerebbe privare mia sorella della vostra compagnia.”

Rispose diplomatica. Fersen la rassicurò subito.

“Vostra sorella sa che ho necessità di parlare con voi, anzi ha insistito perché vi esprimessi liberamente il mio problema, vero contessa?” incrociò il mio sguardo per avere una conferma.

“Ma certo conte. Io aspetterò qui con André.”

 

Oscar e il conte si allontanarono; nel rettangolo della porta che si richiudeva, colsi l’occhiata grave e apprensiva che Oscar scambiò col suo attendente come se temesse di lasciarlo solo con me. Sembrava stranamente reticente ad allontanarsi.

Mi chiesi se Oscar non avvertisse il pericolo della nostra vicinanza.

Fu la reazione di André a lasciarmi interdetta; intercettai lo sguardo sicuro, la piega morbida eppure decisa delle sue labbra in un lieve sorriso che non voleva essere rassicurante, ma che risultava piuttosto enigmatico.

Alla fine, lui interruppe il contatto tra i loro occhi, per alzare su di me quello sguardo profondo e avvolgente che mi catturava come una calamita e mi aveva fatto innamorare così tanto; mi concessi il piacere segreto di guardarlo e indugiai sulla bella figura alta che si stagliava netta nell’ambiente, sull’atteggiamento composto ma non servile, sulla semplice camicia bianca che disegnava la curva delle spalle ampie e forti.

Il mio cuore palpitava un po’ convulso in preda ad un’ inaspettata speranza. Respirai a fondo, sollevando il petto.

André voleva restare lì con me e non pareva avere alcuna fretta o desiderio di seguire la sua padrona, non sembrava preoccuparsi neppure di Fersen. A che gioco giocava? Era un inganno? Fingeva di disinteressarsi di Oscar?

Voleva punirla o soltanto cedere per capriccio maschile alle lusinghe che gli avevo dimostrato la sera prima? Andrè non sembrava voler nascondere neppure di fronte a lei, la strana potente attrazione fisica che sono sicura, esisteva tra noi. Eppure, lui più di chiunque altro, doveva conoscere le paure segrete della mia gemella.

Vidi il suo corpo muoversi per accostarsi un po’ a me, che ero rimasta immobile sulla terrazza. Parlai liberamente.

In fondo, con lui non avevo bisogno di fingere. Non del tutto, almeno.

“Forse mi sto ingannando, ma non pare disturbarti troppo la vicinanza tra Oscar e il nobile svedese. Direi che è la prima volta che ti dimostri così disinteressato; ho sempre pensato che ti desse fastidio.”

“In realtà, non credo di aver mai palesato il mio disagio; è facile notare le sfumature quando si conosce la verità.”

“Non vuoi darmi qualche merito, André? Sono una buona osservatrice, sai?”

“Oh, ti do tutti i meriti che vuoi. Anzi, sono quasi sicuro che certe idee recenti che passano per la testa di Oscar, siano opera tua, Danielle.” Rispose in tono un po’ sarcastico, appoggiando una mano alla balaustra di marmo.

“Ad esempio, quali?” Lo guardai negli occhi senza alcuna titubanza, pensando che avrei continuato a dominare il gioco.

“Ad esempio, l’idea intrigante che tra me e te possa esserci qualcosa oltre l’amicizia… intimo affetto, magari; era quello che mi suggeriva il tuo sguardo l’altra sera… mi sono sbagliato?”

Parole che furono come tempesta dolce nel mio animo.

Non gli risposi e mi girai a guardare il parco, nel tentativo inutile di celare l’improvviso turbamento che mi assalì facendo accelerare il respiro. Dunque, Oscar era stata tanto diretta? E io dovevo forse esserlo altrettanto e dichiarare finalmente ciò che volevo? Dovevo confessargli che volevo lui con tutte le mie forze, con ogni pensiero, in ogni goccia del mio sangue che affluiva sulle mie gote, e che ero disposta a tutto per quell’amore che mi pareva immenso, intenso come l’ultimo alito di vita? Dovevo dirgli che non sapevo né volevo oppormi all’emozione travolgente che mi trasmetteva la sua semplice vicinanza? La mia anima vibrava come se mani sapienti toccassero le corde di un’ arpa, e la musica che ne usciva era una melodia che mi sollevava da terra; mi sentivo felice, quasi leggera e innocente ed ero certa che fosse una condizione totalmente nuova. Perché l’amore non è mai sporcato dalla colpa, neanche quando assume i contorni del tradimento.

Volevo convincermi di questo.

Volevo vivere la mia dolce illusione.

“Non ti chiederei altro che intimo affetto, André. Vorrei piacerti almeno un po’… in fondo, sono uguale a lei. Solo indosso panni femminili, ho un ventaglio al posto di una spada, e non comando un esercito. Mi trovi meno affascinante per questo?”

“Sono lusingato Danielle, davvero. Sei meravigliosa. – Andrè si mosse per prendere la mia mano appoggiata poco lontano dalla sua sul marmo. – Come potresti non piacermi? Sei una donna di una bellezza tale da stordire un uomo… e io ero stordito l’altra sera. Mi hai tentato Danielle, non posso negarlo.”

La sua voce era carezzevole e le sue labbra sorridevano.

“Cederesti alla tentazione? O vuoi continuare a inseguire chi non puoi avere?” Sospirai coi suoi occhi nei miei.

“Mi rimproveri un errore che potresti fare anche tu?”

Si oppose con dolcezza accarezzandomi una guancia con due dita.

“Sono disposta a correre il rischio, se esiste una speranza concreta… Guardami Andrè; io sono qui.”

“Danielle, ti prego…”

“Non sono irraggiungibile, e potrei amarti più di lei. – Presi la sua mano che indugiava sul mio volto. Poi strinsi le mani sulle sue braccia. - Se allunghi una mano, io la posso prendere. Perché non dovremmo concederci un po’ di felicità? Tu ne hai bisogno quanto me; in te io vedo la mia stessa solitudine.”

“Se cedessi al tuo gioco, te ne pentiresti tu per prima. Ti faresti male, credimi.”

“Non è un gioco, André. Per la prima volta non sto giocando. Sto rischiando tutto.”

Era vero, ormai avevo smesso di nascondermi e mi ero aggrappata a lui.

“Forse, se non amassi così tanto Oscar… sarei già crollato tra le tue braccia, anche solo per consolarmi di ciò che non posso avere. – Chiusi gli occhi e mi sentii morire, sopraffatta da quelle parole. – Ma sono un uomo come gli altri, Danielle; la mia resistenza col tempo potrebbe dimostrarsi debole e non so immaginare le conseguenze. Lo sai; in amore è in guerra tutto è lecito.”

Emise un respiro profondo mentre respingeva le mie braccia, con una fatica che pareva immensa. C’era una supplica quasi disperata nella sua voce.

Le sue difese erano abbassate, ma non del tutto e non capivo cosa intendesse dire con l’ultima frase.

C’era ancora la lotta tra il cuore e la ragione, tra il lecito e l’illecito, ma dove fossero una e l’altra era difficile da dire.

Volsi lo sguardo verso il giardino, tra le siepi che disegnavano complicati disegni geometrici e li vidi: mio marito e Madame Lisette, Oscar e il Conte di Fersen, erano fermi in un angolo, vicini agli alberi di magnolie. Sembravano coinvolti tutti in una vivace discussione, ma Oscar volse lo sguardo in direzione della terrazza da cui io e André li stavamo osservando. Mia sorella continuò a scrutarci da lontano, come un custode silenzioso e severo, senza prestare attenzione al gruppetto di persone attorno a lei.

E allora avvertii la catena; era lì, ingombrante e definitiva, quel legame invisibile e potente che saldava le loro vite, che le aveva fuse insieme.

Lei era sempre presente, anche quando era assente.

Lei era sempre fra me e lui.

“Guarda laggiù, André. C’è tutta la mia vita e anche la tua. Ci sono i nostri dolori.”

André puntò lo sguardo nella mia stessa direzione. Io ripresi a parlare con convinzione.

“Leopold, quell’uomo che devo chiamare marito, mi offende portando in casa mia la sua amante; perché mi si chiede di tollerare una cosa simile? Perché dovrei salvare le apparenze di qualcosa che non esiste? Non l’ho mai amato e non lo amerò mai, ma sono stata costretta a sposarlo. Quando finalmente mi innamoro davvero, non posso esprimere i miei sentimenti, non posso viverli perché quella stessa catena me lo proibisce. Tu dovresti capire cosa significa. Ti sembra giusto, André?”

Restò fermo a guardare verso il punto del parco dove Oscar e il conte di Fersen erano immobili. Sembrava stessero parlando.

“No, non è giusto. Ci sono catene che non si spezzano… ma da altre ci si può liberare.”

Aveva pronunciato la frase con  gravità e immaginai a cosa si riferisse.

“Non ingannare te stessa, Danielle. Hai accettato un compromesso, ma non puoi usare l’amore per ribellarti al tuo destino. Se il tuo matrimonio è una prigione, perché non ti liberi? Non esiste il divorzio?” mi chiese inaspettatamente.

Divorziare: non l’avevo mai neppure preso in considerazione.(2)

“Credi che Leopold me lo concederebbe? Oh, André! Si vede che non conosci del tutto il nostro mondo. Passare per fedifrago, lasciare la moglie rispettabile per un’altra donna di posizione sociale discutibile rovinerebbe la reputazione e il prestigio del casato e sarebbe molto peggio se io venissi bollata nello stesso modo; sarei quella che ha da perdere di più e ne soffrirebbero anche i miei figli che potrebbero passare per illegittimi, perdere la loro eredità. Come vedi ho le mani legate.”

“Certe azioni richiedono molto coraggio; non sei la sorella del colonnello Oscar, una delle figlie del generale Jarhayes? Non dovrebbe essere un pezzo di carta a fermarti, né le convenzioni sociali, se lo volessi veramente. Ma forse, preferisci accontentarti e vivere la tua vita come altri l’hanno imposta.”

Sgranai gli occhi di fronte a tanta sfrontatezza.

“Quando vuoi, sai essere spietato André. Ma non sai quanto siano pesanti le convenzioni sociali, quanta poca libertà ci sia in esse.”

“Non è vero; lo so molto bene, invece. Scusami, ho espresso solo un mio pensiero. Non badarci.”

 

Si stava alzando un filo di vento e decidemmo di rientrare nella stanza, ma non restammo soli ancora a lungo; Oscar e il Conte di Fersen, di ritorno dalla passeggiata, si unirono a noi.

André rientrò nel suo ruolo di servo che lo relegava ai margini dell’ambiente, figura discreta che non si faceva notare.

Il conte di Fersen appariva tranquillo e rilassato, come se parlare con Oscar gli avesse tolto un peso dal cuore. Anche lei non rivelava alcun stato d’animo particolare, ma osservandola attraverso il fumo del tè che saliva dalla sua tazza di porcellana, mi parve pensierosa, ma non preoccupata. Stava rimuginando qualcosa.

Mai avrei indovinato cosa stesse pensando, se lei più tardi non me ne avesse parlato.

Solo per brevi attimi i suoi occhi si alzavano su André, in piedi sul lato opposto della stanza e poi tornavano bassi sulla tazza tenuta a mezz’aria, oppure li volgeva verso la finestra, da cui si vedeva il cielo bianco solcato dal volo di uccelli neri.

Madame Lisette e mio marito si unirono a tutti noi solo per l’ora di cena.

Feci servire una cena leggera; un consommè, della selvaggina e verdure, abbondante frutta di stagione e del buon vino della cantina di famiglia. Il conte di Fersen conversava tranquillamente con Leopold di facezie, banalità e storie di scandali più o meno reali, ma evitò accuratamente ogni allusione a fatti che lo riguardassero.

Oscar, seduta al mio fianco al tavolo della sala, si accostò per bisbigliare qualcosa al mio orecchio.

“Danielle, ho bisogno di parlarti, in privato. Ti aspetto nella mia stanza, più tardi.”

“Mi devo preoccupare?” le chiesi, asciugandomi le labbra col tovagliolo, ricordando la nostra recente conversazione notturna. Lei emise un risolino divertito.

“Dipende.”

“Ti diverte proprio mettermi in ansia, Oscar?”

“Sta tranquilla, ho solo una richiesta un po’ particolare da farti. In realtà, è qualcosa che hai proposto tu…”

 

Il sospetto mi venne quasi subito. Non feci che pensare a quello che le avevo detto io, tra lo scherzo e la provocazione, senza riflettere sul fatto che Oscar avrebbe potuto prendermi in parola.

 

-         Dovresti provare a essere me…

 

Lo avevo detto per puro caso?

O era stato un colpo lanciato con la sicurezza di colpire il bersaglio?

Ci avevo sperato, sì. Forse era quello che volevo.

Ma sembrava un’ eventualità troppo irreale perché potesse concretizzarsi.

Allora, l’avevo accantonata in un angolo della mente, come una follia senza senso. Mia sorella non si sarebbe mai prestata a niente del genere. Non avevo calcolato la sua intraprendenza, solo ancora non sapevo che i suoi scopi non avevano nulla in comune con i miei.

Oscar era mossa da altro.

Da un bisogno più intimo che le apparteneva: la necessità di trovare sé stessa.

 

Mezzora dopo il termine della cena, con discrezione abbandonai i miei ospiti e raggiunsi Oscar, come lei mi aveva chiesto. Mi attendeva seduta in poltrona davanti al caminetto dove morivano le ultime braci, intenta a leggere un libro, con un bicchiere di cognac posato sul tavolino accanto. Mi sedetti di fianco a lei.

L’atmosfera era serena; non c’era traccia della donna furente e un po’ spaventosa che era piombata la notte prima nella mia stanza. Era tornato il soldato padrone delle sue azioni, la donna decisa e ferma nelle sue posizioni e nelle libere scelte. Qualunque cosa stesse per propormi, anche la più impensabile per lei, non vi era alcuna esitazione che tradisse il più piccolo nervosismo. Oscar mi guardò, chiuse il libro e iniziò a parlare con assoluta disinvoltura.

“So che vuoi andare al ballo di corte della settimana prossima, accompagnata dal conte di Fersen; Hans mi ha spiegato che ballerà solo con te tutta la sera, questo per attirare l’attenzione su di voi e far tacere le voci di palazzo che lo coinvolgono in una relazione con Sua Maestà la Regina.”

Precisa, sintetica; il modo migliore per arrivare al nocciolo della questione.

“Sì, Oscar. Questa sarebbe la sua intenzione. Fersen ha davvero a cuore l’onore di Maria Antonietta… o così sembrerebbe. Ha insistito così tanto che gli ho detto di sì, anche se cederei volentieri il mio carnet a qualcun altro...” e fui volutamente insinuante.

“No, tu non cederai il tuo carnet a nessun altro…” disse, facendo ondeggiare il liquido ambrato nel largo bicchiere di vetro.

Per un momento pensai clamorosamente di aver frainteso; Oscar voleva spingermi tra le braccia di Fersen?

Pensava così di proteggere la Regina? I miei progetti per il ballo prevedevano uno sviluppo diverso da quello che Oscar immaginava.

“A dire il vero, io non brucio dalla voglia di passare la mia serata danzante con il tuo caro Fersen… Oscar, non avevi una proposta da farmi? Io pensavo…”

Provai a oppormi, ma lei brusca mi interruppe, alzando una mano per zittirmi.

“Invece lo farai. La contessa Recamier ballerà con il conte di Fersen… beh, diciamo che il conte crederà di ballare con Danielle, ma in realtà ballerà con Oscar... Io indosserò i tuoi panni…”

 

Eccolo, l’obbiettivo.

Il mio o il suo?

Le nostre volontà coincidevano quasi per magia, ma la cosa che più trovavo strana era che Oscar aveva parlato con l’aria di una cospiratrice, quasi fossimo io e lei, alla stregua di pedine inconsapevoli su una scacchiera.

L’ascoltavo, eppure non riuscivo a credere che lo stesse dicendo davvero e l’incredulità doveva essere ben visibile attraverso l’espressione del mio viso.

“Non mi sembri convinta, Danielle; ti sto chiedendo di fare uno scambio di persona per una sera.”

“Sì, sì, ho capito Oscar. – Mi affrettai a rispondere. - Solo che…”

“Non dirmi che sei scandalizzata… Sei stata tu a proporlo quasi per sfida, ricordi?” Mi incalzò imperterrita, ma non mi lasciai impressionare da qualcosa che avevo provocato io.

“Cara, sono poche le cose che mi scandalizzano, solo non riesco a credere alle mie orecchie: tu mi proponi una cosa simile? Per amore di Fersen, sei disposta a tanto?”

“In realtà, è un po’ più complicato di così… Lo sai anche tu, in amore è in guerra tutto è permesso. Ho bisogno di capire, di vedere Fersen con i tuoi occhi. Mi hai sempre detto che non è l’uomo che io credo sia; voglio scoprire se hai ragione e quanto mi sono ingannata. Non posso farlo in abiti maschili.”

La stessa frase che mi aveva detto André, in un altro contesto, ma forse con le medesime intenzioni.

Perché tutto finiva per ricollegarsi a lui?

Mi sembrava un ragionamento troppo lucido, troppo razionale. Non era un comportamento da donna innamorata, accecata dal sentimento impossibile per un uomo irraggiungibile.

Oscar non voleva vestirsi da donna per sedurre l’oggetto del suo desiderio. Aveva tutto l’aspetto di una sottile strategia, un piano calcolato per uno scopo preciso che non riuscivo a decifrare.

Ma da lei potevo aspettarmi anche questo.

“Va bene, ma André? Gli dirai quello che vuoi fare?”

“Assolutamente no. – Rispose secca, posando il bicchiere vuoto sul tavolino. - Questo patto è solo nostro Danielle. Nessuno deve saperne niente. Soprattutto André.”

“Ma si accorgerà della tua assenza.”

“No, se all’occorrenza fingerai per qualche ora di essere me. E si presume che a quell’ora io stia dormendo.”

Ero impressionata dalla sua apparente sicurezza; Oscar non aveva mai indossato niente che fosse lontanamente femminile, neppure un paio di guanti, eppure credeva di poter andare a corte stretta in un bustino, avvolta di seta ricamata, e danzare con Fersen senza farsi riconoscere, lei che era abituata a duellare e cavalcare.

L’aspetto certamente avrebbe ingannato chiunque, non avevo dubbi su questo, ma l’istinto maschile sarebbe stato difficile da nascondere. Oltretutto pensava di poter ingannare André; se ci fosse riuscita con lui, avrebbe ingannato l’intera corte. Mi chiesi se non avesse iniziato a interrogarsi sulla natura della sua gelosia verso il fedele amico; che quella messa in scena riguardasse anche lui?

“Sei così sicura di saper sostenere la mia parte? O che io possa sostenere la tua?” Indagai con lieve scetticismo.

“Siamo gemelle, no? Però hai ragione; potrei avere qualche difficoltà… - Ammise un po’ riluttante, congiungendo le mani. – Per fortuna, abbiamo qualche giorno per prepararci e tu mi aiuterai. E non ti preoccupare: non dovrai misurarti con la spada.” Rispose un po’ sardonica.

Aveva già pensato a tutto.

Io mi trovai ad acconsentire, senza opporre alcuna obiezione.

Oscar da sempre era in equilibrio precario con la sua vita. Finalmente avrebbe incontrato la sua parte femminile, quel lato oscuro e opposto della sua personalità, l’altra donna soffocata e nascosta sotto il peso dell’educazione maschile.

Avrebbe avuto quel confronto con gli uomini che le era mancato per rapportarsi ad essi rispetto al suo sesso, di conseguenza, capire appieno sé stessa e i suoi bisogni.

Io non volevo altro che trovasse il modo giusto di convivere con la sua natura complessa e affascinante.

Oscar era parte di me, e volevo il meglio per lei. E il meglio non era Fersen.

Non poteva esserlo. Forse lo stava comprendendo anche lei.

Al termine del nostro strano colloquio, Oscar si alzò per accompagnarmi alla porta; incrociammo i nostri sguardi al riverbero di una candela e allora, una strana inquietudine simile a paura mi serpeggiò nell’anima, strisciando tra desideri contrastanti più o meno inconsapevoli.

Non sapevamo dove ci avrebbe portate quello strano gioco che stavamo imbastendo, ma un presentimento mi angustiava; una tra noi avrebbe finito col dover rinunciare a un bene prezioso e una sensazione amara mi diceva che sarebbe toccato a me perdere ciò che amavo.

 

 

Continua…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



(1)  Parole prese dalla canzone di Dolcenera, “L’amore è un gioco”.

(2) Sul divorzio nel ‘700 non ne so molto, ma credo che anche lì, le donne non avessero molta voce in capitolo, anche se nei salotti femminili se ne parlava. Una moglie poteva essere ripudiata, se non generava figli, ma non credo potesse liberamente ottenere il divorzio se non era il marito a concederlo. Almeno credo. Sto andando per ipotesi. Quindi prendete il resto come una libera interpretazione. Se conoscete la materia illuminatemi.

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Capitolo 9
*** Patti e complicità ***


9 – Patto tra sorelle

9 – Patti e complicità

 

 

Nei giorni seguenti, io e Oscar definimmo i dettagli  e le strategie del nostro accordo stretto due sere prima; ci fu la prova dei costumi e del trucco, una cosa solo apparentemente banale. Decidemmo come ci saremmo mosse in mezzo agli altri comprimari di quello strano teatrino che stavamo imbastendo.

Non sapevamo ancora se si trattava di semplici comparse o protagonisti. Sapevamo solo che dovevano restare inconsapevoli, e questo sarebbe dipeso in massima parte dalla capacità di Oscar di calarsi nei miei panni, dettaglio all’apparenza insignificante, ma che presentava grosse difficoltà.

Avevo trascorso con Fersen, mio marito e Madame Marchard le prime ore della mattina, tra la colazione e una passeggiata in giardino, ma nel pomeriggio Oscar mi raggiunse segretamente nella mia stanza dove mi ero ritirata con la scusa di concedermi qualche ora di riposo.

Era quasi incredibile la nostra complicità. Era eccitante e inconsueta, e gettava una luce diversa sul nostro rapporto; non mi ero mai sentita tanto in sintonia con la mia gemella come in quella circostanza. Forse, solo da bambine avevamo condiviso un sentimento simile. Era una sensazione appagante. Sembravamo più vicine.

Solo, c’era da chiedersi se lo saremmo state ancora, alla fine di tutto.

“Il ventaglio è un oggetto conturbante con un linguaggio tutto suo, un ottimo mezzo per lanciare certi segnali ad un uomo. Vedi come lo muovo davanti al viso? Fallo ondeggiare dolcemente, così... per attirare lo sguardo e contemporaneamente, nascondere la scollatura del vestito.”

Ma Oscar non prestava troppa attenzione alla lezione di seduzione che stavo improvvisando a suo beneficio.

“Non voglio civettare. Dimmi piuttosto, come faremo a gestire tuo marito, Danielle? Non vorrei trovarmi in una situazione spiacevole e imbarazzante.”

Già, mio marito.

La sua presenza era davvero un rischio, ma non nel senso che intendeva Oscar. I rapporti tra me e Leopold si erano raffreddati da anni, da quando erano iniziate le nostre rispettive relazioni clandestine. O più probabile, non si erano mai accesi. Ci tolleravamo per semplice convenienza, e con prudenza non ci mettevamo i bastoni tra le ruote. Poteva sembrare qualcosa di squallido. Forse lo era: solo il modo più semplice e scontato di sopravvivere all’amara solitudine delle nostre esistenze.

Eppure non potevo evitare di provare profondo fastidio, alla presenza della sua amante nella mia dimora. L’avevo osservata più attentamente nelle ultime ore; non mi abbandonava la sensazione che quella donna nascondesse qualcosa. Un segreto che avrebbe potuto nuocermi.

Avevo fatto controllare lei e Leopold da Ninette, ma la mia fedele e scaltra cameriera non era venuta a capo di nulla.

“Non ti preoccupare; sono certa andrà via con la sua amica molto prima del ballo.” Replicai un po’ stizzita.

“E se non lo facesse? Il ballo è tra due giorni.”

“Lo farà, ti dico. Preoccupati solo di risultare convincente per il conte di Fersen. Non ti stai impegnando molto. - La rimproverai. – Sai Oscar, non sono sicura di avere capito il tuo scopo…”

“Io voglio solo che il conte si fidi tanto da sbilanciarsi su alcune cose che lo riguardano intimamente… ma non so se sarò pronta per allora.”

Per cosa mia sorella temeva di non essere pronta?

“Dovrai esserlo.” Dissi, fingendo di aver compreso il senso esatto della frase.

Stavo aiutando Oscar con la chiusura del corsetto; tiravo i lacci con vigore, un’operazione scomoda che di solito faceva Ninette, ma non potevamo farci aiutare da lei. Il nostro era un patto segreto che non prevedeva testimoni. Per Oscar non era certo facile subire quella specie di tortura.

“Non stringere così! Non riesco a respirare. È davvero necessario?”

“Certo, se vuoi passare per me. Devi abituarti a portare il bustino e io lo indosso da sempre.”

“Devo ricordarmi di ringraziare nostro padre per avermi allevata come un maschio: porto camicie larghe e comode, non armature come questa!” Sbottò piuttosto seccata, con le mani saldamente ancorate allo schienale di una sedia, mentre tentava di trattenere il respiro costretto dentro le stecche di balena.

“Smettila di lamentarti! Ogni dama che si rispetti porta quest’armatura, come la chiami tu! E poi con le armature dovresti esserci abituata, no?”

Le dissi strattonandola un poco, provando quasi un sottile piacere perverso. Oscar non si stava divertendo. Terminai la mia operazione e la osservai; i seni, che di solito nascondeva sotto la stoffa ruvida della severa divisa militare, erano messi in evidenza: aveva davvero un bel decolleté. Con la mano feci il gesto di sollevarle i capelli sulla nuca; con il trucco giusto, sarebbe stata la mia sosia perfetta.

“Sei davvero femminile Oscar, e la tua pelle è candida come il latte, un punto d’onore per una bella donna, ma… è una cicatrice, quella!?”

Indicai stupita il segno seminascosto ma evidente che solcava il braccio sinistro e che passava sul lato interno. Oscar si sfiorò appena la pelle in quel punto, nascondendo il segno con la mano.

“Me la sono fatta cadendo da cavallo, ricordi?” Mi disse con assoluta noncuranza.

“Quella volta che rischiasti la vita per salvare la principessa Maria Antonietta? Non sapevo ti fosse rimasta la cicatrice.”

“E non è l’unica che ho. L’ultima risale a qualche mese fa; dietro, sotto la scapola destra.”

“Parli della notte che sei stata aggredita con André, vero? Me n’ero quasi dimenticata.”

“La notte che Fersen mi salvò la vita.” Aggiunse Oscar con voce incolore.

“Già. Sarà per questo che ti sei innamorata di lui: reazione prevedibile.”

“Ti sembra così scontato?”

“Niente di più ovvio!”

Ma quasi immediatamente pensai che in realtà non sapevo da quanto tempo Oscar nutrisse il suo segreto amore per il conte. Presi mia sorella per le spalle e la girai un po’ bruscamente.

La piccola cicatrice anche se recente, era completamente guarita. Era in un punto che si poteva nascondere facilmente; i margini rosati uscivano appena dal lino della camicetta sotto il bustino. Controllai in fretta che non ne avesse altre.

“La più vistosa è quella sul braccio. Dovrò far modificare l’abito.” Osservai pensierosa.

“Quale abito?”

Non feci in tempo a risponderle che bussarono alla porta; era Ninette.

“Madame, hanno consegnato ora l’abito da sera che avete ordinato. Devo pagare il sarto; è di sotto che attende.”

“Un momento Ninette! – Gridai, poi bisbigliai all’orecchio di Oscar. – Se riesci a ingannare lei, non avrai problemi con nessuno.”

“No, Danielle!”

Ma io la trascinai in fretta alla mia toilette, la feci sedere davanti alla specchiera e le misi in mano un piumino per la cipria. Oscar oltre al bustino, aveva addosso ancora i suoi calzoni e le sue scarpe maschili con le fibbie. Gliele tolsi e le infilai le mie pantofole di raso chiaro ricamato. Travolta dai miei gesti, Oscar si lasciò fare tutto quasi senza reagire, ma non era tranquilla perché per la prima volta non era lei che gestiva la situazione. Osservava gli oggetti davanti a sé, la spazzola per capelli, la parrucca posta lì accanto, i fermagli di madreperla, i nei finti di velluto, la preziosa scatola del belletto e quella dei gioielli come se fossero attrezzi misteriosi di un arsenale sconosciuto.

“Mettiti la mia veste da camera a coprire quelli! – Dissi, gettandole addosso l’indumento. - Fai entrare Ninette con l’abito e poi congedala con una scusa. Per pagare il sarto, dille che ci pensi Albert, il maggiordomo.”

Oscar tentò di trattenermi afferrandomi un polso, prima che io mi nascondessi con la sua camicia dietro una porta segreta che si apriva nella parete tappezzata di piccole rose in boccio.

“Danielle, no!! Non posso riuscirci!”

“Non si accorgerà di niente. Coraggio! Non sei forse una Jarjayes? Il colonnello delle guardie reali? Pensa che sia una missione per proteggere la regina.”

Non le diedi il tempo di protestare oltre e mi infilai nel mio nascondiglio. Fino ad ora avevo dimostrato maggior spirito d’iniziativa di lei, ma avevo il vantaggio di essere nel mio elemento. Sarei stata in difficoltà se all’improvviso, avessi dovuto assumere un comportamento maschile.

“Che cosa stupida che sto facendo... Temo che me ne pentirò…” La sentii sospirare tra sé, con rassegnazione.

Dallo spiraglio della porta socchiusa potei osservare la scena. Oscar emise un profondo sospiro, poi si trasformò per magia sotto il mio sguardo; ritrovò il suo temperamento e si apprestò ad affrontare la mia cameriera. La invitò ad entrare.

Come un’ attrice consumata non sbagliò una battuta, quasi avesse studiato nei dettagli un copione. Anche così, riconobbi il suo atteggiamento militaresco, l’efficienza del comandante che faceva capolino sotto trine e merletti della mia vestaglia. Ninette era entrata nella stanza portando un pacco voluminoso. Per fortuna, sembrava non accorgersi di nulla.

“Signora contessa, qui c’è il vostro abito. Volete provarlo subito? O devo farlo stirare?”

“Non ora Ninette. Lascialo lì, per favore. Incarica Albert di pagare il sarto.”

Oscar era mollemente appoggiata con un gomito sul piano della specchiera e con l’altra mano chiudeva la vestaglia sulle ginocchia accavallate.

“Come volete. Se permettete, lo sistemo sul manichino per evitare che si sgualcisca.”

Ninette aprì la scatola posata sul divanetto accanto al camino. Sentii i passi della mia cameriera che si muoveva svelta nell’ambiente e il fruscio della seta preziosa che veniva dispiegata. Oscar restò in silenzio per tutto il tempo mentre Ninette sistemava l’abito. Un silenzio che mi parve irreale.

“È davvero bello, madame. Un sogno. Che colore… Elegante e raffinato: farete un figurone al ballo.” Commentò Ninette con un sospiro.

Sperai di sentire la voce di Oscar e fu così.

“Grazie Ninette. Puoi andare ora.”

Ninette la omaggiò di un inchino e uscì dalla camera. Solo allora io lasciai il mio nascondiglio.

“Mia cara, sei stata davvero brava: pare che tu non abbia mai fatto altro nella vita. Sarà più facile del previsto.”

“Io non ne sarei così sicura: non stiamo parlando d’ingannare una cameriera. Dovrei indossare quello?” Mi chiese Oscar, indicando l’abito prezioso appeso all’indossatore. Era di squisita fattura, ma lasciava le braccia scoperte, troppo perché non si notasse il segno di quella maledetta cicatrice.

“Esatto, ma dovrò far allungare le maniche con un bordo di pizzo.”

Mi infilai svelta nel mio guardaroba, a frugare tra metri e metri di stoffe, alla ricerca di qualcosa che facesse al caso nostro. E trovai un vestito vecchio di qualche anno, pronto per essere scucito e privato dei sui merletti. Oscar non si sarebbe smentita neppure in un caso del genere.

“Era proprio necessario acquistare un vestito nuovo? Non ne avevi uno già pronto da prestarmi?”

“Non ti aspetterai che io – tu, in effetti - vada ad un importante ballo di corte, dove interverrà tutta la crema dell’aristocrazia, con un vestito già indossato una volta? Non sarebbe nel mio stile. Non puoi farmi sfigurare Oscar; sei la mia gemella e non te lo permetto.”

“Oh, non sia mai! Va bene, Danielle. Sono stufa di questa farsa; aiutami a togliere il bustino e poi usciamo a cavallo, da sole.”

Mia sorella si era già sfilata la vestaglia e l’aveva gettata a ridosso di una sedia.

“Sì, d’accordo cara. Ma ho un’ idea migliore…”

 

 

********

 

 

André le osservò scendere insieme per le scale del palazzo.

Non se lo aspettava. Notò qualcosa di strano: una sintonia.

L’ incedere dei corpi era affinità di due anime. Poche volte recentemente le aveva viste così.

Gli tornò alla memoria un’immagine lontana di loro due bambine; erano comparse davanti ai suoi occhi in abiti maschili per fargli uno scherzo. Lo avevano sfidato a riconoscere una e l’altra. Non ne aveva avuto il tempo; erano state immediatamente scoperte da sua nonna. La governante si era molto arrabbiata e poi spaventata, pensando alla reazione del padrone se avesse visto la piccola Danielle tentare d’ imitare la sorella.

Un sospetto gli si affacciò alla mente, ma si convinse di essere vittima delle sue paranoie.

Una coppia splendida e affascinante. Due sorelle che in bellezza rubavano la luce del giorno. Oscar tratteneva la mano di Danielle quasi con prudenza come se dovesse sostenerla. Forse era senso di protezione.

Se fosse stato solo per l’aspetto, sarebbe stato difficile scegliere tra una e l’altra, almeno dal suo punto di vista.

Eppure solo una delle due immagini faceva tremare con violenza il suo cuore e ogni volta era un turbamento che si rinnovava con vigore. E ogni volta si chiedeva come facesse a nasconderlo. Come non si vedesse. Danielle se n’era accorta. Solo lei avrebbe potuto. Doveva riconoscerlo, ma ultimamente la gemella di Oscar lo turbava molto. Anche ora.

Doveva sforzarsi di non guardarla con troppa insistenza.

Danielle, elegante e femminile nel suo completo grigio tortora da amazzone, con un cappellino piumato sulla testa da cui scappavano impertinenti riccioli dorati, e Oscar, valchiria algida dal passo sicuro, superba in abiti maschili, una giacca verde bottiglia su pantaloni più chiari, stivali lucidi, guanti color ruggine e frustino in pugno.  Le sorelle lo avevano quasi raggiunto ai piedi della scala, quando avvertì dei passi alle sue spalle provenire dal salone sul retro; i passi si fermarono di fianco a lui. Non si volse neppure a guardare l’uomo che aveva riconosciuto dall’odore della colonia mischiato a quello vago di sudore.

“Madame Recamier, madamigella Oscar, vedo che state per uscire a cavallo. Mi unirei molto volentieri a voi, se permettete.” Si intromise Fersen, senza che fosse stato interpellato, allargando le braccia in maniera un po’ teatrale.

Andrè si degnò di lanciargli un’occhiata rapida con la coda dell’occhio; sapeva che era un po’ meschino, ma pregustava la segreta soddisfazione di vedere il nemico ricevere un sicuro rifiuto.

Infatti, fu il tono gentile ma deciso di Danielle a confermare i suoi pensieri.

“Oh… Non offendetevi conte di Fersen, ma devo rifiutare la vostra gentile offerta. Vedete, io e Oscar desideriamo cavalcare da sole. È una cosa che non facciamo da molto tempo e oggi vorremmo approfittarne, prima che il Colonnello delle Guardie torni ai suoi doveri. Ma non preoccupatevi; ci saranno altre occasioni. – Poi si rivolse a Oscar. – Vogliamo andare?”

“Certo, Danielle. Vogliate scusarci, Fersen. Vi rubo la compagnia di mia sorella solo per qualche ora.”

“Scusatemi voi, Oscar, se mi sono intromesso. Non avevo capito.”

In quel momento, Andrè notò lo sguardo di soddisfazione di Oscar, una strana luce di esultanza negli occhi.

Lo giudicò molto strano.

Le sorelle Jarjayes si allontanarono nel vestibolo verso l’uscita che dava sul parco, una dietro all’altra, Danielle in testa. L’attendente e Fersen restarono soli.

Andrè avrebbe voluto allontanarsi per i fatti suoi, isolarsi da qualche parte a riflettere, o meglio ancora, andare a rilassarsi in mezzo al fieno profumato fino all’ora di cena, ma il conte era di diverso avviso.

Il nobiluomo voleva parlare con il servo.

Perché si sa, i servi di solito hanno mille occhi, e possono essere ottimi informatori.

“Aspettate André, volevo parlare un po’ con voi. Non vi dispiace, vero?”

André notò il fare un po’ mellifluo; il conte voleva qualcosa, ma lui non era sicuro di volerlo aiutare.

“A che proposito?”

“Volevo un vostro parere.”

Se la domanda lo rese perplesso, non lo diede a vedere.

“Su cosa, conte?”

“Oscar e Danielle, voi le conoscete bene entrambe?”

André si chiese se la domanda non fosse un trabocchetto. L’aria sospettosa che assunse non sfuggì a Fersen.

“Suvvia André, non preoccupatevi. Sono solo un po’ curioso e a parte voi, non saprei a chi rivolgermi.” Lo incalzò il conte in tono rassicurante. Fersen aveva raggiunto il salottino sul retro e lì si era servito un bicchiere di liquore preso dalla vetrinetta che conteneva le bottiglie. Andrè lo raggiunse nel piccolo ambiente riscaldato dal fuoco allegro di un caminetto acceso.

“Conosco meglio Oscar.”

Rispose appoggiandosi a braccia conserte allo stipite della porta.

“Oh, ne sono certo. Penso di conoscere Oscar piuttosto bene, anche se non quanto voi, ma non la facevo così intimamente legata alla sorella, direi quasi in modo morboso. Confesso che sono molto sorpreso.”

“Non sapete che tra i gemelli esiste un legame molto particolare?” Rispose André in tono condiscendente.

Fersen alzò il suo bicchiere verso l’attendente, guardando l’uomo attraverso la lente deformante di vetro e liquido.

“Sì, lo so. Ma pensavo che foste voi il legame più importante di Oscar…” e bevve il liquore tutto d’un fiato.

Certe volte quel damerino aveva il potere di irritarlo a morte, soprattutto quando parlava con apparente noncuranza e intanto ti colpiva con delle stoccate precise; non voleva addentrarsi in confidenze di nessun tipo con lo svedese, poteva essere un grosso rischio; non era nella posizione di potersi sbilanciare troppo.

“Alludete di nuovo alla mia amicizia con Oscar? Deve proprio disturbarvi molto…” rispose André con lieve cinismo.

“No, no, ma che andate a pensare?! Io mi chiedevo soltanto che genere di ascendente eserciti Oscar sulla sorella e siete l’unico che potrebbe rispondere a questo interrogativo. Voi conoscete il temperamento fiero di Oscar, il suo rigore morale, il senso di lealtà. E Danielle, beh… lei è un enigma affascinante, non trovate?”

“Oh, suppongo di sì, ma voi siete senz’altro un intenditore in materia...”

Ma dove voleva andare a parare?

“Apprezzo davvero la vostra sottile ironia. – Fersen si versò un’ altra dose generosa di liquore, ma non si preoccupò di offrirne al servo. - Insomma André, parliamo di due donne straordinarie; una è fatta per combattere, l’altra per l’amore. L’una coraggiosa, indomabile, l’altra altrettanto passionale. Entrambe affascinanti in modi diversissimi. Sono più simili di quanto si possa credere, ma anche molto diverse. E Danielle, oh… Come si fa a non perdere la ragione per una donna così? E come tutte le donne lancia segnali contraddittori, ma voi potreste aiutarmi a decifrarli.”

“Io? Non credo proprio!”

“Nessun altro, André.”

Andrè quasi non credeva a ciò che sentiva; annusava l’aria, pesava le parole e tratteneva un sorriso ironico.

Un uomo conosce le priorità di un altro uomo. Se poi l’uomo in questione era il conte di Fersen, amante gaudente di belle donne, non restavano molti dubbi.

“Cosa volete da me? Parlate chiaro, conte di Fersen.”

Non voleva farsi trascinare in una tipica discussione maschile proprio dal conte.

“Voglio parlare con voi, da uomo a uomo Andrè. Sarò franco: io mi sento completamente stregato da Madame Recamier. Sono totalmente soggiogato dal suo fascino e sapete, sarei disposto a tutto per averla, almeno una volta. Sono veramente… ossessionato da lei, dalla sua bellezza! - La sua voce divenne un sussurro appena udibile. - Voi sapete bene che cos’è un’ ossessione, non è così?”

Fersen puntò i suoi occhi freddi in quelli di André come se volesse incatenarlo con lo sguardo, come se cercasse quella risposta che l’altro non voleva dare e non avrebbe dato mai proprio a lui.

“Non stiamo parlando di me. Vi ho chiesto cosa volete esattamente.”

“Solo un piccolo aiuto per arrivare al cuore di Danielle.”

“Scusatemi, ma non posso fare il ruffiano per voi, e nessuno credo, può obbligare il cuore di una donna ai suoi desideri.”

“Non lo farei mai e non volevo chiedervi questo, sono un uomo d’onore. Sto cercando una conferma da voi. Non credo di esserle indifferente, ma Danielle mi appare a volte come una donna inafferrabile e mi chiedo quanto questo dipenda da Oscar stessa.”

“Volete arrivare a Danielle attraverso Oscar!” Andrè non nascose la sua totale costernazione.

“Pensate sia possibile? Se i comportamenti di Oscar mi appaiono chiari, non posso dire altrettanto di Danielle. La contessa prima mi sembra condiscendente, poi cambia improvvisamente atteggiamento e diventa sfuggente. Lo devo ammettere André, mi fa impazzire per questo. Voi mi capite, vero?”

André non seppe più trattenere il riso.

“Certo conte, vi capisco benissimo. Non posso crederci; venite a cercare la complicità di un servo! Siete dunque così insicuro?”

“Oh, ma voi non siete un servo qualsiasi! Voi comprendete più di quanto non diciate... e siete un buon amico di madamigella Oscar... – Ma Andrè continuava a ridacchiare senza ritegno e Fersen iniziava a irritarsi di una tale sfrontatezza. - Lo trovate divertente?”

“Volete un consiglio? Io credo che sarebbe saggio rinunciare. Un uomo come voi non dovrebbe prendere per un sì, quello che è un no.”

Andrè faticava sempre più a trattenere il riso.

“Voi rinuncereste, André? Io credo che la contessa Recamier sia interessata a me, ma sia restia a lasciarsi andare e abbia timore del giudizio di madamigella Oscar… per via anche della nostra amicizia… e di altre cose. Oscar può essere troppo severa ed esigente a volte…e su certi argomenti si altera facilmente, lo sapete anche voi.”

“Cosa?” E questa volta André smise di ridere, allontanandosi bruscamente dallo stipite della porta dove si era mantenuto appoggiato fino a quel momento. “Questa conversazione inizia a non piacermi.”

“Non prendetela così male; non vi sto chiedendo nulla di sconveniente. Dovete solo dirmi se siete mai riuscito a mettervi fra loro. Dalla vostra risposta dipenderà il mio successo.”

“Oh, certo, ora capisco tutto!”

Andrè accorciò bruscamente la distanza con lo svedese; in un moto di rabbia serrò i pugni attorno al bavero di seta della camicia del conte.

“Forse potrei scoprire come reagirebbe Oscar di fronte a una relazione tra la sorella e il chiacchierato conte di Fersen, e magari, se l’indiscrezione possa arrivare all’orecchio della regina!” Sibilò adirato.

“André, ma cosa fate! Lasciatemi!” Sbraitò Fersen preso in contropiede e impreparato a quella reazione.

L’attendente per tutta risposta, lo strattonò malamente spingendolo lontano da sé. Quando parlò di nuovo la sua voce si era fatta dura e severa.

“Non siete altro che un… non so nemmeno come definirvi, ma vi credevo migliore. Onestamente i vostri intrallazzi amorosi non mi interessano e non intendo aiutarvi in nulla. Se avrete successo con la sorella di Oscar dipenderà unicamente da voi; tutte le conseguenze buone o cattive, saranno vostre, compresa l’offesa che potrete arrecare alle persone coinvolte. Tutte, anche quelle che dite di amare.”

Il conte di Fersen restò per qualche secondo basito, poi cercò di ammansire l’attendente.

“Aspettate, io non intendevo…” ma Andrè non l’ascoltava più. Gli aveva già voltato le spalle e puntava deciso verso la porta. La varcò senza voltarsi mai indietro. Fersen udì il rimbombo sul pavimento di marmo dei suoi passi decisi che si allontanavano.

Se Oscar vi potesse vedere come vi vedo io, adesso  pensava André mentre la rabbia gli squassava il petto.

 

 

**********

 

Portavamo i cavalli al passo attraverso il parco, tornando verso la villa.

Cavalcavamo una di fianco all’ altra, io e Oscar.

Io in groppa a Caesar, lei aveva preso la mia mite Desiree, tutto per rendere l’inganno perfetto.

Cavalcare come un uomo era decisamente più semplice per me, che avevo imparato di fianco a lei, che per Oscar cavalcare da amazzone.

Ma Oscar era meravigliosa e si era impegnata al massimo per mantenersi dritta sulla sella nel tentativo di apparire il più naturale possibile. Aveva avuto qualche incertezza all’inizio, ma si era abituata in fretta. Buon sangue, alla fine non mentiva.

“Questo sarà un modo più elegante di andare a cavallo, ma il mio è decisamente più comodo, Danielle.” Commentò con ironia.

“Su questo devo darti ragione; comunque sei un’amazzone perfetta, mia cara. Devo dire che siamo state brave fino ad ora e nessuno sospetta niente. Come potrebbero? Abbiamo superato la prova davanti a tutti; il conte di Fersen, André, perfino mio marito. Potremmo ingannare anche nostro padre. Non credi?” Risposi allegramente.

Mi sentivo un po’ euforica e trovavo tutto molto divertente. Oscar invece non prendeva nulla come un gioco.

“Adesso esageri.”

“Suvvia Oscar, sto scherzando. Non oserei mai. Rilassati; ora non sei un soldato, ma una fanciulla che si gode l’aria sana  e rigenerante della campagna. Ora sei me.”

Si concesse un sorriso.

“Certo, ″Colonnello″. Ho temuto il peggio quando abbiamo incontrato tuo marito e Lisette. Credevo che ci avrebbero scoperte.”

“Devi avere più fiducia, Oscar.”

 

Sì, quello era stato un momento delicato.

Avevamo incontrato Leopold e la sua amante; anche loro erano usciti a cavallo.

Ci eravamo arrestate sotto le fronde di alcuni alberi e la coppia lentamente ci stava raggiungendo.

Oscar in quel momento si era un po’ allarmata; lo avevo notato dal modo convulso con cui aveva preso a stringere le redini.

“Stai calma Oscar. Non ti presterà troppa attenzione, credimi. Limitati a essere cortese con Lisette.”

“Tu saresti cortese con l’amante di tuo marito?” mi chiese con tono incerto.

“Sì, mia cara. Io e Leopold evitiamo di azzuffarci come due coniugi gelosi… gelosi poi di cosa? Questa è l’unica nota positiva del nostro matrimonio… anche se Madame Lisette ha qualcosa che non mi convince. Stanno arrivando, preparati.”

 

Solo pochi metri ci separavano.

Il conte di Recamier arrestò il suo cavallo proprio di fronte a quello di Oscar, pensando di essere al mio cospetto. Oscar si mantenne per quanto poté impassibile, il viso lievemente piegato di lato, ostentando l’atteggiamento più noncurante che avesse. Poi i suoi occhi si spostarono su Lisette e solo in quel momento si accorse che la donna non cavalcava alla amazzone. Leopold ci degnò entrambe di un’occhiata rapida e frettolosa.

“Mia moglie e il Colonnello Oscar insieme a cavallo; era da un po’ che non assistevo a questa scena. – Quindi si rivolse a me. - Madamigella Oscar, dovreste venire a trovare vostra sorella più spesso.”

Sentirmi chiamare col nome della mia gemella era insolito e stimolante. Nei miei nuovi panni maschili non seppi resistere alla tentazione di provocare Leopold.

“Voi dite? Non temete che ve la trasformi in un uomo? Potrei insegnarle a ricamare con la spada…”

“Vedo che non avete perso il vostro sarcasmo, Oscar.”

Sarcasmo che era anche mio, evidentemente.

“Mi dispiace cognato. L’educazione mi ha guastata.”

Mia sorella con espressione vaga, aveva ascoltato il nostro scambio di battute trattenendo il respiro, ma decise di smorzare i miei toni troppo disinvolti, e lo fece con gran classe.

“Leopold, Oscar, adesso basta. Non vi accorgete che stiamo annoiando, se non imbarazzando la nostra ospite? Forse, madame vorrebbe proseguire la cavalcata, non ascoltare voi due che vi punzecchiate…”

Oscar voleva togliersi da quell’impiccio e quella le era sembrata la strada più breve.

Fu allora che Madame Marchard si espresse in un modo un po’ imprevisto.

“Siete molto gentile, madame Recamier. Posso dirvi che siete un’amazzone elegantissima? Sapete, non sono mai riuscita a imparare a stare in sella come voi.” Esclamò con entusiasmo sincero.

Oscar esitò visibilmente sorpresa, ma seppe controbattere subito dopo; anch’io trattenni il fiato e mi sorse il dubbio che Lisette avesse intuito qualcosa. Possibile che quella donna avesse notato qualche differenza?

“Oh… vi ringrazio. Ma sapete, preferirei di gran lunga cavalcare come voi… Oscar, vogliamo proseguire?”

Aggiunse poi, rivolta a me. Così ci salutammo ripromettendoci di vederci per l’ora di cena.

Lasciammo Leopold e Lisette soli sotto gli alberi e noi ci allontanammo al galoppo nella vasta campagna.

 

Erano passate due ore; il cielo stava iniziando a tingersi di rosso arancio sull’orizzonte.

Io e Oscar, ormai di ritorno, stavamo per varcare i cancelli della mia tenuta.

Il pensiero mi frullava in testa da qualche minuto, come un venticello dispettoso che solleva nuvolette di polvere negli occhi. Avevo ancora una piccola sfida da lanciare, ma sapevo che non sarebbe stata raccolta.

“Stavo pensando, Oscar… perché non estendiamo la nostra piccola recita alla cena? Sarebbe divertente!”

Risi con gusto.

Oscar per un secondo mi guardò come se avessi detto un’ eresia.

“Ne hai avute abbastanza di emozioni per oggi; voglio ritornare nei miei comodi vestiti, Danielle.”

Mi rispose secca e indispettita.

Risi di nuovo.

“D’ accordo, cara. Tanto ci sarà un’altra occasione, giusto?”

Spinsi decisa i talloni nei fianchi del cavallo e partii in direzione delle scuderie situate in fondo all’ala destra del giardino. Oscar non mi imitò e mantenne la sua andatura tranquilla. Arrivai dunque qualche minuto prima di lei.

Il portone di legno era aperto. Un cavallo nero dal manto lucido appena strigliato brucava della biada all’esterno.

 

André era lì, ad attenderci.

 

 

 

Continua…

 

 

Eccomi qui.

Chiedo scusa per l’enorme ritardo, (lo so che ci siete abituate, ma metto le mani avanti) ma ringrazio tutte quelle che pazienti attendono questa storia, la commentano, o semplicemente la seguono. Non sono riuscita a rispondere a tutte le vostre recensioni, ma sappiate che le vostre parole mi fanno un immenso piacere e mi spronano ad andare avanti. Grazie di vero cuore, dunque.

Questo capitolo è venuto un po’ più corto degli altri, ma così l’ho sentito. Vi aspettavate lo scambio, eh?

Beh, siamo solo alle prove. Abbiate fede.

Avevo qualche timore sul dialogo tra Fersen e André, l’ho modificato parecchie volte; il mio intento è quasi sempre quello di ridicolizzare il merluzzo del Baltico, ma avevo paura di esagerare nei toni. Spero di non averlo fatto. Giudicherete voi.

Un saluto e alla prossima.

 

 

 

 

 

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Capitolo 10
*** Riflessi e ambiguità ***


10 - Riflessi

10 – Riflessi e ambiguità

 

 

André attendeva contro il rettangolo scuro dell’ingresso alle scuderie, la posa rigida, le braccia distese lungo i fianchi, i pugni chiusi.

Lentamente mi avvicinavo a cavallo e la sua figura si stagliava sempre più netta sullo sfondo. Mi appariva stranamente immobile, bloccato nello sforzo di trattenere il guizzo dei muscoli.

Era nervoso, o forse arrabbiato.

Ignoravo totalmente quale potesse essere il motivo, ma l’inquietudine mi attraversò il cuore quasi immediatamente; temetti di venire smascherata, lì sul posto.

Sarebbe stato terribile. E umiliante.

Per me.

Per Oscar.

Avrei negato disperatamente, fino all’inverosimile.

In sella a Caesar, mi voltai un momento per verificare quanto Oscar fosse lontana; avevo su di lei diversi minuti di vantaggio, minuti che potevo volgere a mio favore. Dovevo approfittarne, in qualche modo.

Stavo per affrontare il mio primo vero confronto diretto con André, mentre ero nei panni di colei che amava e non sapevo ancora cosa avrei fatto o detto. Giudicai che sarebbe stato saggio tentare, per quanto possibile, di adattarmi alla situazione.

Avrei dovuto essere convincente e naturale per non destare sospetti, cosa tutt’altro che scontata.

Quando fui a pochi metri, arrestai il cavallo; solo allora, André si mosse per venire a prendere le redini.

Gli sorrisi, ma lui non disse una parola, né si mostrò amichevole; puntai il mio sguardo nel suo e colsi l’ ombra che rabbuiava il verde già cupo dei suoi occhi. Mi allarmai, non sapendo cosa aspettarmi e un improvviso senso di panico mi fece sentire inadeguata ai panni che portavo.

Pensai che Oscar avrebbe indagato, cosa che feci, con ogni cautela possibile.

“Che faccia scura! È successo qualcosa durante la nostra assenza?” chiesi, tentando di sdrammatizzare.

André mi restituì lo sguardo vago e allarmato di chi è colto in fallo.

Fu questione di un secondo, poi si riebbe dalla sorpresa e la sua espressione tornò quella di sempre, mentre rispondeva con la consueta ironia.

“Accidenti Oscar, non ti si può nascondere niente.” Esclamò ridacchiando un po’ forzatamente.

Mi aveva chiamata Oscar, quindi non ci aveva scoperte. Si riferiva ad altro. Mi calmai un poco.

“Vorresti essere più chiaro? Non ti seguo…”

Intanto, con tutta la disinvoltura di cui ero capace, ero scesa dalla sella e avevo ceduto le redini all’attendente; Andrè, con tutta calma, guidò il cavallo dentro le scuderie.

“Niente di grave Oscar; è solo… che non mi piace fare il galoppino, lo sai.”

Lo vidi scomparire con Caesar nella penombra dell’ambiente. Sembrava restio a proseguire oltre quella conversazione.

Lo seguii col sospetto che stavo per indovinare di cosa si trattava; durante la nostra cavalcata, lui e Fersen erano rimasti soli in casa: lo svedese doveva aver fatto o detto qualcosa che lo aveva irritato. André sapeva nascondere bene i suoi impulsi, ma poteva essere che davanti a Oscar non fosse sempre tanto riservato e schivo. Però avrebbe osato sbilanciarsi sul suo nemico?

Continuai a fingere.

“Continuo a non seguirti: che cos’è questa storia del galoppino?”

Aveva già tolto e riposto le briglie e ora stava slegando il sottopancia della sella. Il silenzio tra noi perdurava e André non si preoccupava di interromperlo, quasi non volesse rispondere alla mia domanda. Mi stavo innervosendo anche se cercavo di nasconderlo, appoggiandomi con noncuranza alla parete di legno del box.

“È la storia ridicola, squallida e abbastanza comune, di un noto nobiluomo che vorrebbe insidiare una donna. Non vale neppure la pena di parlarne.”

La risposta laconica non si prestava a troppe interpretazioni, e mi fu subito chiaro a cosa André si riferisse. Chissà se Oscar avrebbe colto altrettanto in fretta l’allusione al conte, o avrebbe fatto finta di non capire.

“Perché sei tanto infastidito? Per la richiesta che ti è stata fatta o per la donna coinvolta?”

“Un po’ entrambe le cose… e comunque, sarò un servo, ma non mi piace essere usato, né preso in giro.” ammise secco, con una certa riluttanza. Capivo il suo evidente disappunto, ma non potevo esprimere il mio reale rammarico, né dimostrami troppo solidale.

“È qualcosa che riguarda Danielle, vero? – Esitai volutamente. - L’uomo non sarà…”

André parlò senza abbassare lo sguardo che all’improvviso mi aveva puntato addosso.

“Scusami, forse non dovrei parlarne con te, Oscar…”

Allora, mi sentii spiazzata.

“Ti fai problemi con me, André? E da quando?”

André lasciò passare qualche secondo, come se cercasse la risposta migliore da dare.

“Da quando tu e il nobile conte siete diventati ottimi amici; non vorrei essere io a far crollare il tuo perfetto castello di carte…”

Erano parole calcolate, ma davvero sorprendenti, dette da lui.

“Sei ambiguo senza ragione; se si tratta di mia sorella, posso accettare la realtà. Non sono una sprovveduta, dovresti saperlo.”

“Se è vero, meglio così.”

Ero nei panni di Oscar; per questo, tendeva a essere evasivo.

E io credevo che normalmente le dicesse tutto. Oppure era la situazione?

Anche André stava attuando una qualche strategia?

Di recente, mi sembrava di aver colto un atteggiamento diverso fra loro, come se Andrè cercasse di mettere distanza tra lui e la sua padrona.

La confessione fatta sul balcone della mia casa qualche giorno prima, senza dubbio aveva avuto delle conseguenze; lo avevo scosso in modo insperato, e poteva essere che non volesse tradire il suo turbamento davanti a Oscar.

Fu così che decisi di correre il rischio: mettere la vera Oscar davanti a questa possibilità per scoprire paradossalmente se ero diventata io, Danielle, l’oggetto del desiderio di André.

Era un’ operazione intrigante e molto pericolosa che poteva risolversi in maniera inattesa e contraria ai miei reali desideri.

Potevo, senza volerlo, scatenare qualcosa che avrebbe allontanato André da me.

Nei miei panni, come attraverso uno specchio deformante, per ipotesi, Oscar poteva scoprire e vivere il mio stesso sentimento, quell’amore intenso e divorante che bruciava i residui di vecchi amori dimenticati sul fondo della mia anima.

Forse André si sarebbe confidato con la finta Danielle.

E la finta Danielle avrebbe incontrato lo sguardo vivo, intenso e caldo di un uomo sconosciuto fino a quel momento. André avrebbe creduto di avvicinarsi a me, senza sospettare di non essere mai stato tanto vicino alla donna che amava da sempre.

 

Mia sorella a breve avrebbe raggiunto le scuderie; di lì a poco, sentimmo il nitrito del cavallo all’esterno. Senza dubbio, sarebbe stato interessante assistere al loro incontro, vedere la loro interazione e scoprire come Oscar, nei miei panni si sarebbe rapportata a lui.

Dovevo solo restare a guardare.

Magari, spingere un poco le cose.

Ma quando Oscar entrò a cavallo nella scuderia, Andrè mi spiazzò nuovamente.

Si allontanò con assoluta decisione per puntare diritto in direzione della donna vestita da amazzone in sella alla mia Desiree. Oscar si era arrestata subito dopo l’ingresso; mi trovavo in penombra rispetto a lei, ma riuscivo a scorgere perfettamente il suo viso leggermente accaldato, su cui leggevo la leggera sorpresa di trovare Andrè e me, lì.

Avanzai di qualche passo e anche André si accostò al cavallo che scartò un poco all’ indietro e afferrando le redini, sussurrò all’animale per calmarlo, accarezzandolo sul collo; poi si rivolse a Oscar che era rimasta quasi interdetta a fissarlo.

“Se volete, potete appoggiarvi a me, contessa; vi aiuto a scendere.”

Estrema gentilezza nella voce persuasiva. Le mani pronte e salde attorno alla vita di Oscar.

Mia sorella, per reazione istintiva, aprì la bocca come per protestare, ma non osò fiatare appena colse il mio sguardo allarmato dietro le spalle dell’attendente.

Non tradirti proprio ora, pensai.

Oscar non si sarebbe fatta aiutare, ma Danielle sì. E lei stava per dimenticare chi era.

Io e lei ci scambiammo una rapida occhiata d’intesa, poi Oscar tornò a posare lo sguardo sul suo attendente che aspettava un suo cenno d’assenso.

Si sporse leggermente dalla sella e posò le mani sulle spalle forti dell’amico per aggrapparsi a lui; si ritrovò a terra, accompagnata dalla forza delle braccia del suo servo e per tutto il tempo di quel rapido contatto, mentre nel tragitto il corpo di Oscar scivolava vicino a quello di André, mi parve che gli occhi dell’uno catturassero quelli dell’altra con la forza avvincente di una calamita.

Fu come se entrambi dimenticassero di non essere soli.

Pensai per un attimo di essermi ingannata, ma rimasi quasi esterrefatta quando capii che quella strana atmosfera perdurava; le mani eleganti e forti di André continuavano a trattenere la vita di mia sorella e lei si manteneva aderente a lui, ancorata alle sue spalle; il suo petto si sollevava e il respiro accelerato tradiva l’emozione accesa e subitanea che la stava cogliendo.

Chissà se mai si erano sfiorati così intimamente prima di quell’attimo.

Tra tanti sguardi, chissà se mai ci fu uno simile negli anni della loro lunga convivenza.

Pensai che non doveva essere mai accaduto, ma ora, l’unica che poteva esserne consapevole era Oscar.

Cercai di darmi un contegno, richiamando mia sorella all’attenzione.

“Danielle, dovremmo andare. Hai altre incombenze per questa sera…”

Solo allora, parve ricordarsi che ero presente alla scena; si volse a guardarmi in viso scostandosi da André quasi con imbarazzo. Fece qualche passo verso di me, sollevando leggermente la gonna e muovendo la paglia sotto i suoi passi: teneva il frustino in mano e con l’altra piegava leggermente lo scudiscio all’estremità, tradendo un lieve nervosismo.

“Sì, Oscar. Vai pure avanti, io ti raggiungo tra poco; voglio prima dare dell’ acqua e un po’ di biada al mio cavallo e volevo farmi aiutare dal nostro André.”

“Posso aspettarti, se vuoi…” tentai.

“Preferisco di no. Capisci, vero?”

Sollevò un sopracciglio con fare eloquente.

Capivo fin troppo chiaramente: Oscar nelle mie sembianze, voleva restare sola col suo attendente, un’evenienza allarmante. Mi resi conto che non avrei avuto totale controllo su ogni possibile risvolto del gioco e lasciarli soli era quanto mai rischioso; Andrè senza saperlo, avrebbe potuto tradire me e lui, contemporaneamente. Non sapevo cosa fare.

Avevo paura che dopo tanti sforzi, la verità venisse a galla troppo presto, ma Oscar mi stava mettendo alle strette e se avessi obbiettato qualche scusa si sarebbe insospettita.

Sospirai rassegnata e abbassai il capo.

“Ma certo… vado a cambiarmi per la cena.”

A passi lenti mi incamminai verso il cono di luce proiettato dall’uscita. Non volevo andarmene e non potevo restare. Lanciai un’occhiata rapida ad André mentre gli passavo di fianco. Non potevo metterlo in guardia senza tradire il patto segreto suggellato con Oscar. Lui non doveva sapere.

André ricambiò il mio stesso sguardo, forse solo un poco più perplesso.

Ma quando fui all’esterno delle scuderie non mi risolsi ad allontanarmi da lì.

Mi accostai dietro il portone nel tentativo di udire le parole che si sarebbero detti.

Ascoltavo, e intanto, paure opposte e contrastanti m’ invadevano il cuore.

Temevo di veder rivelato il mio segreto.

Temevo che André tradisse sé stesso e il suo cuore.

Temevo Oscar scoprirsi amata da lui, e respinta come Danielle, ma avevo anche paura di scoprirmi finalmente amata attraverso gli occhi di mia sorella.

Mi giunsero così le loro voci, i bisbigli, i silenzi, suoni leggeri di passi sulla paglia, il nitrito di un cavallo, un secchio d’acqua che veniva rovesciato nell’abbeveratoio.

Non potevo vedere gesti, né espressioni, né reazioni, ma mi sembrava di poter immaginare l’emozione rarefatta dietro le parole, mentre raccoglievo frasi spezzate che galleggiavano nell’aria come piume portate dal vento.

Il cielo della sera sopra di me era sempre più infuocato.

 

 

§§§§§

 

 

 

Oscar continuava a tormentare il frustino che reggeva tra le mani.

Dall’ingresso proveniva la luce rossastra del tramonto che sembrava far prendere fuoco alla paglia seminata sul pavimento. Preferiva restare nella penombra, l’aiutava a camuffare l’emozione che avvertiva ancora addosso, che le vibrava sulla pelle sotto il tessuto del vestito da amazzone. Sentiva tremare le vene dei polsi.

Andrè era fermo dietro di lei, in attesa.

Non sapeva di cosa e non trovava il modo di rompere quello strano silenzio che era sceso tra loro.

Cosa avrebbe fatto Danielle? Cosa avrebbe detto?

Aveva paura di guardarlo negli occhi e tradirsi.

Improvvisamente lo sentì muoversi, lentamente.

I passi sulla paglia si avvicinavano, accorciando la distanza tra i loro corpi.

Restava zitta, bloccata, mentre sperava che fosse lui a parlare per primo. A rompere il ghiaccio.

Ma non era ghiaccio se avvertiva uno strano calore che le scendeva dentro l’anima.

Che cosa farà lui?  Si chiedeva sgomenta.

E perché prima mi ha stretto così?

Lui voleva Danielle?

Prese fiato e coraggio.

Lei era Danielle; per il momento Oscar doveva scomparire.

Si voltò, decisa ad affrontarlo.

“Che cosa succede, André?”

Lo guardò dritto negli occhi che non le erano mai parsi così foschi, che forse mai l’avevano turbata tanto. Oscar non si era mai smarrita in quello sguardo, ma nei panni di Danielle le pareva di annegarvi dentro. Era una sensazione oltremodo inspiegabile, come lo strano vuoto fatto di paura e speranza che si era formato alla bocca dello stomaco. André era davanti a lei e sosteneva il suo sguardo con un’intensità sconosciuta.

“Credo tu lo sappia, Danielle. Sei stata tu a scatenare tutto.”

Sembrava un’ accusa e si chiese se l’amico non avesse ragione.

Cosa stava facendo Danielle?

“Spiegami, ti prego. Ho bisogno di capire: mi sto mettendo tra te e Oscar? Sto minando il vostro rapporto in qualche modo?”

Andrè avvertì il tono di voce accalorato, quasi spaventato.

Si era trattenuto davanti a Oscar, ma sentiva di non potersi contenere di fronte a Danielle; doveva parlare senza timore, senza ambiguità.

Con lei voleva prendersi il lusso doloroso di essere sincero. Forse anche cattivo.

C’era altro che doveva dire, e confusione e tormento nel suo cuore.

E un sospetto. Un dubbio cui non voleva credere, ma non poteva del tutto accantonare.

Lei sembrava diversa, sensazione che aveva avuto fin da quando le aveva viste scendere dalle scale quel pomeriggio. Così decise di rischiare.

La afferrò con impeto per le braccia.

“Non è strano che tu mi faccia una domanda simile? Certo che lo stai facendo! Te l’ho detto; tu mi turbi profondamente e non potrebbe che essere così. Perché lo fai, eh? Vuoi mettere alla prova la mia resistenza?”

“Cosa? NO!! Stai dicendo che tra noi… potrebbe succedere… Oh, André… dimmi la verità, ti prego; tra te e lei… - aveva paura a dirlo – è cambiato qualcosa, a causa mia?”

“Oh, Danielle… - sospirò - Io ho cercato di non pensare a quello che ci siamo detti l’altro giorno; ho cercato di non dare valore alle tue parole, ma passa il tempo e mi accorgo che non è facile. Sono solo da così troppo tempo che temo di confondere un palpito improvviso e leggero con un desiderio più grande… Dovevi seguire Oscar, non restare qui con me…” e mentre parlava, con il dorso della mano le accarezzò una guancia.

Oscar, senza nemmeno rendersene conto, quasi in un moto involontario, si lasciò andare a quel gesto gentile chiudendo gli occhi e inclinando il viso, per godere meglio di quel contatto inaspettato. Ma li riaprì quasi subito, sconvolta, quando si rese conto del brivido morbido che le correva sulla pelle delle labbra appena sfiorate dal pollice di André.

Così, occhi negli occhi, scoprì le loro labbra pericolosamente vicine.

Anche l’amico avvertì il pericolo; ridestato bruscamente, la lasciò andare allontanandosi svelto da lei. Riprese a parlare con foga, portandosi una mano alla tempia, ma senza guardarla in viso.

“E ora ci si mette anche il conte di Fersen con le sue richieste assurde! L’ho quasi preso a pugni, c’è mancato davvero poco.”

“Cosa?!”

La rivelazione fu così inaspettata che Oscar sgranò gli occhi. Tutto in quel momento le appariva sorprendente; perfino André le appariva nuovo e diverso. Avvertiva la voce vibrante e appassionata, un impeto sordo malcelato. Una foga tutta virile e affascinante. Un’ indignazione pura, sentita profondamente. Era magnetismo, quello più viscerale e se ne sentiva attratta come non mai.

“Sentirlo parlare in quel modo di te… e di Oscar… Non lo so… È stato veramente troppo anche per me.”

“Come… Oscar? Che significa? Cosa ti ha detto di lei?”

Domandò incerta; non era più sicura di volerlo sapere, né che le interessasse davvero.

E la risposta di André la inquietò più di tutto quello che di scabroso avrebbe potuto scoprire sul conte di Fersen.

“Oh, non è tanto quello che mi ha detto di lei; è quello che mi ha detto di te! Capisci?! È stato così cinico, da parte sua. Sei un trofeo da raggiungere, una meta ambita…”

Ricordare nel dettaglio i retroscena di quella conversazione, ancora lo innervosiva; l’attendente sembrava non trovare la maniera giusta per esprimersi, come se ci fosse un altro senso alle parole.

“All’ improvviso mi sono arrabbiato, ho reagito male. Non lo avevo mai fatto, neppure davanti a tua sorella. Ma vedi Danielle, ora a mente fredda, non so più dire da dove sia partita e dove sia arrivata la rabbia che ho provato. Non so cosa l’abbia davvero scatenata…” e su quelle parole la sua espressione divenne pensierosa. Oscar gli si accostò di nuovo posandogli una mano inguantata su un braccio.

“Che vuoi dire?”

Lo vide esitare, confuso, mentre l’ansia mista alla paura le bloccava il respiro e le accelerava il battito del cuore, e una malefica aspettativa la soffocava come se non avesse più parole da opporre.

“Non so esattamente chi volevo proteggere…  se te, oppure Oscar…”

Lei continuava ad ascoltare quella sorta di confessione, sbigottita, ma pronta a ricevere una fitta acuta e dolente all’altezza del petto.

“So che tu non ne hai bisogno, ma lei…”

André continuava a tremare d’incertezza, come se ogni singola parola gli costasse sforzo e fatica.

Sfinita da quell’attesa di un affondo, Oscar trovò il coraggio di anticipare la stoccata.

“André, tu… ti sei arrabbiato con Fersen a causa mia, perché… per caso… provi un sentimento… per me?”

Allora, lui la guardò di nuovo; uno sguardo serio e profondo come l’amore che nascondeva. Le prese una mano e scostando un lembo del guanto, le baciò l’interno delicato del polso, e Oscar avvertì sulla pelle sensibile il calore dolce ed eccitante di quelle labbra morbide. [1]

Non poté fare altro che trattenere il respiro che morì in un sussurro spezzato.

“Non lo so, Danielle. Davvero io non lo so. Oh, tu conosci i miei veri sentimenti, sai per chi batte il mio cuore, ma sai che sono solo quanto te. E hai ragione; sarebbe così facile tra noi…”

La lasciò andare e Oscar rimase inerte di fronte a lui, travolta dall’emozione che la sommergeva come la marea, e la riduceva al silenzio. Sentiva quella stessa marea arrivarle agli occhi; non avrebbe retto oltre, ma fu André a liberarla da quel tormento.

“Ti prego, va via Danielle. Vattene prima che uno di noi commetta una pazzia; se ora ti baciassi, come desidero fare, potrei non riuscire più a fermarmi…”

E bastarono quelle parole a farglielo desiderare.

E bastò il dolore che lesse in quegli occhi a farla fuggire da lì.

Sollevò le gonne e corse fuori verso la luce rossastra del tramonto, senza accorgersi che in parte quella fuga poteva tradirla; André l’aveva inseguita per un attimo ed era rimasto bloccato sul portone aperto, con la luce del sole morente all’orizzonte, col dubbio insidioso su chi fosse la donna che fuggiva. L’attendente non si accorse della gemella vestita da uomo nascosta precipitosamente dietro un albero, lì vicino; la finta Oscar aveva assistito all’ultima scena, colto stralci di parole e frammenti di emozioni che avevano acceso in lei un’effervescente speranza.

 

 

§§§§§

 

 

 

Tornavo verso la villa e avevo il cuore in tumulto.

Un tumulto fatto di gioia.

Avevo ascoltato solo parzialmente la conversazione nelle scuderie, ma il senso di tutto mi appariva straordinariamente chiaro; André avvertiva del trasporto per me, cosa di cui ero stata certa fin dall’inizio. Volevo credere che fosse qualcosa più di semplice trasporto. Ma per lealtà verso il suo amore segreto, forse tentava di soffocarlo, di sopire le braci che bruciavano sotto la cenere. Il bacio cui Andrè non aveva voluto cedere era, se non altro, la conferma che avevo ragione.

Dovevo raggiungere la mia stanza prima di Oscar, possibilmente senza farmi sorprendere da nessuno.

Ma dovevo prepararmi ad affrontare la reazione che avrebbe avuto.

Mi aspettavo il peggio.

Avevo appena varcato l’ampio ingresso, quando colsi la figura di Ninette, la mia cameriera; aveva l’aria sconvolta e si stava allontanando velocemente verso l’ala del palazzo riservata alla servitù.

Quando mi vide in abiti maschili, si bloccò un secondo, mi fece una riverenza rispettosa e corse via, prima che potessi fermarla.

L’avrei interrogata più tardi, appena fossi rientrata nei miei panni femminili, intanto puntai verso le scale che portavano ai piani superiori. Ero a metà della rampa e fu allora che colsi il rumore di una porta che si apriva al piano di sotto. Mi sporsi dalla balaustra per vedere chi fosse e scorsi l’ambigua madame Lisette uscire dal salottino privato che si trovava al temine delle scale. Ripensai all’espressione appena intravista della mia cameriera e collegai le due cose; proseguii salendo verso le mie stanze private, mi spogliai di pantaloni, panciotto, camicia, infilai la mia vestaglia da camera e lì, attesi.

Oscar mi avrebbe raggiunto a breve. Entrò trafelata nella stanza pochi minuti dopo.

Aspettai che mi dicesse qualcosa, un qualsiasi commento su quanto era avvenuto nelle scuderie. Ma Oscar si limitò a fare qualche passo nella stanza, quindi si lasciò cadere pesantemente su una sedia, con lo sguardo fisso su un punto imprecisato del pavimento. Pareva assente.

Non mi sarei aspettata quella reazione; domande, accuse, grida e strepiti, ma non quel silenzio opprimente e indecifrabile.

Cercai di superare quel silenzio.

“Oscar… ma che succede? Qualcosa è andato storto? Perché non dici una parola?”

Allora, lei si voltò a guardarmi; l’espressione tranquilla era però enigmatica. Impossibile immaginare i suoi pensieri o i suoi dubbi. Più sconcertanti di tutto furono le sue parole.

“Ridammi i miei vestiti; è ora di tornare a essere noi stesse.”

Non aggiunse altro, mentre con le mani stava già trafficando senza troppa cura con le forcine che trattenevano il cappellino sulla testa. L’aiutai a sfilarsi la gonna, a slacciare il busto e per tutto il tempo di quell’ operazione mantenne il più assoluto silenzio, assorta in pensieri segreti.

Quando fu vestita e pronta per andarsene, la bloccai sull’uscio con una domanda.

“Oscar, non devi dirmi niente?”

“No Danielle. Non ho niente da dirti.”

La porta si richiuse fra noi senza ulteriori parole.

 

 

 

§§§§

 

 

Leopold, seduto in poltrona accanto al camino, osservava con dolcezza la sua accompagnatrice che sorseggiava una tazza di te. Avrebbe preferito essere solo con lei, già lontano da quella casa.

Lo sarebbe stato tra un paio di giorni, sperava non accadesse nulla fino ad allora.

Lisette con la sua discrezione, aveva saputo reggere benissimo la situazione imbarazzante di trovarsi in casa con sua moglie Danielle. Ma all’ imprevisto di quella riunione famigliare si era aggiunta Oscar. La cognata lo aveva impensierito; conosceva il suo acume, l’intuizione del militare, e che fosse lì, con Danielle, non lo faceva stare tranquillo.

Poi rifletteva, e pensava che da una donna di quello stampo non potessero venire sospetti di natura tipicamente femminile.

Lisette anche nel silenzio, avvertiva la sua agitazione. Posò tazza e piattino sul tavolo davanti a lei; il tintinnio della porcellana contro il cucchiaino scosse il conte in modo impercettibile.

“Siete troppo preoccupato. Non credo che a vostra cognata interessino i vostri segreti. Né saprebbe intuirli.” Commentò con assoluta calma.

“Volete dire i nostri segreti, mia cara. - Puntualizzò il conte di Recamier. – Però non dovreste sottovalutarla, sapete? Tutte le volte che l’ho fatto io, me ne sono sempre pentito.”

“Credetemi, non sottovaluto madamigella Oscar, non farei mai un errore del genere. Però nei vostri segreti mi sono trovata coinvolta, mio malgrado. Non ho potuto fare altrimenti.”

La donna sorrise all’uomo bonariamente, quasi con indulgenza.

“Non fatemi sentire in colpa, vi prego; non ho mai pensato che sarebbe finita così. Eppure, in nessun altro modo noi ci saremmo legati tanto profondamente. Non trovate?”

Constatò guardandola in viso. Lisette abbassò lo sguardo sulle mani che teneva in grembo.

“Sì, ne convengo. È comunque molto triste avere trovato l’amore e il dolore più atroce nello stesso tempo.”

Leopold si alzò dalla poltrona, le si fece accanto e le prese le mani.

“Anch’io ho sofferto Lisette; amavo sinceramente Isabeau, aveva portato una ventata di freschezza nella mia vita. Prima di lei non ricordo di essermi sentito felice.”

“Isabeau era la gioia di vivere… per tutti noi. Ma dopo di lei? Siete altrettanto felice con me, ora?” chiese Lisette con un sorriso franco e una nota vagamente amara nella voce argentina.

“Non potete dubitarne. Voi mi avete ridato la serenità perduta.”

“Lo so. Perdonatemi se a volte ne dubito, specialmente ora che ho incontrato vostra moglie; una donna giovane e molto bella… uno spirito inquieto, con una luce strana e mutevole nello sguardo; è di lei che dovremmo preoccuparci…”

Lisette aveva parlato quasi assorta in pensieri propri.

“Spirito inquieto? Non capisco che intendete… - Leopold accennò un vago sorriso, fece una lunga paura, poi sospirò. - Voi capite che mia moglie non dovrà mai venirlo a sapere: sarebbe un disastro.”

Lisette si alzò dal piccolo divano in un frusciare di sottane, per accostarsi all’ampia vetrata; si perse qualche secondo nella contemplazione del cielo tinto di striature rosa e arancio all’orizzonte. Poi tornò con gravità a posare lo sguardo sull’uomo rimasto seduto al suo posto.

“E come pensate di poterlo nascondere, Leopold? Ci saranno documenti da erigere per il riconoscimento; la bambina porterà il vostro nome. Si verrà a sapere comunque. Siete ancora disposto a riconoscerla, non è così? Io non ho mai inteso obbligarvi; ero già pronta a farmi carico della piccola anche senza il vostro aiuto.”

“Ma Lisette, si tratta di mia figlia. Non intendo sottrarmi alle mie responsabilità, né verso di lei, né verso di voi.  E vi prego, non prendetelo per senso del dovere; sapete bene che sono mosso da sentimenti profondi per voi. Ve l’ho già dimostrato.”

Il conte non nascose il tono permaloso.

Lisette si allontanò dalla finestra per tornare a sedersi accanto a lui.

“Lo so, Leopold.” E gli strinse le mani, un gesto che non era solo gratitudine.

L’ambiente era debolmente illuminato dalla luce fioca di poche candele.

Lisette accostò la fronte a quella dell’uomo.

Nessuno di loro si accorse della fedele e sveglia Ninette rimasta ad ascoltare dietro la porta chiusa per ordine della sua padrona; aveva scoperto quanto bastava a gettare lo scandalo sulla famiglia Recamier.

Ora la serva si mordeva le labbra nel dubbio su cosa fosse giusto fare e si chiedeva se non fosse più saggio e conveniente tenere tutto per sé.

 

 

 

Continua…

 

 

Eccomi qui e scusate l’enorme ritardo.

Buona festa della donna; spero gradiate il mio regalo.

Ho avuto qualche problema con la seconda parte del capitolo, temevo di anticipare troppo gli eventi, ma neppure vorrei allungare troppo il brodo e mi pareva giusto far capire certe dinamiche, anche se ancora non le ho chiarite del tutto.

Qualcosa inizia a svelarsi, ma il meglio ci sarà coi prossimi capitoli.

Intanto, spero che questo capitolo vi abbia soddisfatto.

Come sempre voglio ringraziare tutte le persone che seguono questa storia e che l’apprezzano, per me vuol dire molto.

Per Serelalla; te lo dico subito, così ti prepari psicologicamente. Fai un respiro profondo… Dovrai attendere un po’ di più il prossimo aggiornamento, perché ho un’altra storia da portare avanti, un altro capitolo da scrivere (e tu conosci i miei tempi) quindi sarò costretta a trascurare questa storia per un po’. Coraggio, sei una ragazza forte, ce la puoi fare!!

Ciao a tutte e grazie di tutto.

 

 

 

 

 



[1]  Scena ispirata da “L’età dell’innocenza”. Mi piace troppo quel film e ho pensato che una scena simile poteva stare benissimo qui.

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Capitolo 11
*** Menzogne e inganni ***


11 – Giochi pericolosi

11 – Menzogne e inganni

 

 

A grandi passi, Andrè stava attraversando il vasto cortile che si apriva sull’ingresso posteriore di villa Recamier, quando scorse Ninette seduta in un angolo, in prossimità della grande betulla che si innalzava sul lato estremo della casa.

Gli parve strano che la cameriera fosse lì, ferma senza fare nulla. Di solito era presa da mille incombenze, quelle che competevano la gestione di una grande casa padronale.

E qualcos’altro colpì la sua attenzione.

Si arrestò dietro una delle grandi giare di pietra che decoravano i viali del giardino, per osservarla senza esser visto. Notò l’aria pensierosa; se ne stava seduta con le mani in grembo e ogni tanto stringeva convulsa il grembiule bianco, mentre la fronte della donna si corrugava dietro chissà quale pensiero.

Doveva essere accaduto qualcosa, e forse sarebbe stato importante scoprire di cosa si trattava.

La difficoltà più grande era superare la ritrosia della fedele cameriera personale di Danielle, ma Andrè avrebbe saputo essere persuasivo e accattivante quanto bastava per far cedere le barriere della ragazza. E l’attendente era consapevole del suo fascino; non gli piaceva approfittarne in modo spudorato, ma quando voleva e se occorreva, lo sapeva usare, in particolare con le donne.

Sapeva che si fidavano di lui perché leggevano l’onestà nei suoi occhi, e lui non le tradiva.

Non le ingannava. Ultimamente però non si sentiva così onesto.

Scacciò in fretta quel pensiero.

Gli venne naturale sorridere sarcastico di sé, all’idea che la sola donna su cui non riusciva a esercitare il suo ascendente come avrebbe voluto era proprio Oscar.

 

Danielle invece…

 

Continuava a pensare a quello che era accaduto nelle scuderie. Alla resa dei conti la bella e disinvolta contessa era scappata, una reazione che contrastava troppo con quello che gli aveva detto solo qualche giorno prima.

Una reazione che la rendeva troppo simile a Oscar.

La giovane cameriera era sempre ferma, seduta allo stesso posto.

E lui decise di raggiungerla per sedersi di fianco a lei.

 

Ninette avvertì il suono leggero dei passi che si avvicinavano lungo la siepe; lo sguardo basso puntato a terra, scorse prima la punta nera delle sue scarpe. Ebbe un sussulto e sollevò la testa; seguì la figura dell’uomo nella sua statura e trovò due occhi del colore profondo del sottobosco che la scrutavano con dolcezza. Ninette sospirò suo malgrado. Difficile restare indifferenti davanti ad un uomo così… virile.

Era bello André. Bello e gentile. Ma lei era già fidanzata.

Non aveva l’aspetto e i modi di un servo neppure quando faceva il suo lavoro: la camicia bianca lievemente aperta sul petto e i capelli corvini trattenuti da un nastro nero gli conferivano un’aria conturbante e misteriosa; l’idea che fosse l’amante segreto di madamigella Oscar, come pensava qualcuno, non le sembrava poi così assurda. Lo salutò gentilmente.

“Ciao, André.”

“Ciao, Ninette. Posso sedermi accanto a te?”

“Certo accomodati.” Sorrise Ninette, spostandosi un poco sulla panca di pietra per fargli posto.

“C’è qualche problema? Avevi l’aria preoccupata, poco fa.”

“Oh, da quanto mi stavi osservando?” chiese sospettosa.

“Non da molto, a dire il vero; stavo rientrando in casa quando ti ho vista – ammise, conoscendo la furbizia della ragazza. -  Allora, cosa c’è? Non vuoi dirmelo?”

“Sei un tipo sveglio, vero André?”

“È il mio ruolo, lo sai. Devo sempre stare con gli occhi aperti.”

“Certo. Comunque, no… nulla di grave.” Aveva risposto troppo in fretta e André se ne accorse.

“Davvero? - Con i gomiti si era appoggiato alle ginocchia, inclinò un poco la testa per essere all’altezza del viso della ragazza che manteneva il capo chino. – Se mi dici di cosa si tratta, forse potrei aiutarti. Coraggio, lo sai che puoi fidarti.”

Le regalò quel sorriso schietto che gli faceva brillare lo sguardo di una luce incantevole e Ninette non seppe resistere. Quell’uomo sapeva come far cedere una donna, non c’erano dubbi; era abbastanza comprensibile come anche il freddo colonnello Oscar avesse ceduto le armi.

“Ecco, ho un dubbio su come devo comportarmi in una particolare situazione. Vedi, io non so se dovrei…” esitò, indecisa su cosa dire e come dirlo.

“Dovresti cosa?” la incalzò Andrè, che voleva incoraggiarla a parlare, ma non voleva forzarla.

Ninette parlando, agitò le mani davanti al viso.

“Se tu sapessi qualcosa d’importante… un segreto che riguarda la tua padrona e che lei dovrebbe conoscere, ma che potrebbe farla soffrire, tu che faresti, André? Glielo diresti?”

Andrè soppesò qualche istante la domanda.

“Beh, dipende dal segreto… hai detto che riguarda Danielle?”

“Veramente, non riguarda precisamente madame… - bisbigliò, timorosa che orecchie indiscrete potessero udire. - Piuttosto il signor conte e la sua ospite, madame Lisette…”

André corrugò un istante la fronte, ma si mantenne tranquillo e distaccato.

“Continua…” la incoraggiò.

“Ecco, ho sentito il conte di Recamier e la sua amica parlare di una figlia illegittima del signor conte…”

 

 

*********

 

 

Il conte di Fersen voleva uscire nel giardino per godersi l’aria profumata del primo pomeriggio ed eventualmente, incontrare da solo Danielle De Recamier che di solito, a quell’ora, si concedeva una tranquilla passeggiata nel parco sotto i tigli; attraversò il corridoio, ma passando di fronte alla porta della biblioteca semiaperta, gettando una rapida occhiata al suo interno, intravide il profilo fine ed elegante di madamigella Oscar emergere dietro l’ansa dello schienale di una poltrona, intenta a leggere un libro.

Ebbe un ripensamento e si arrestò di colpo, in prossimità della porta.

Oscar non si era ancora accorta di lui, totalmente immersa nella sua lettura.

Il conte si sporse all’interno della stanza con la testa, poi batté due colpi con le nocche sulla porta di legno per palesare la sua presenza. Finalmente Oscar si riscosse, voltandosi.

“Oscar, vi disturbo?”

“No, assolutamente. Entrate pure, non restate lì sull’uscio; mi fa sempre piacere la vostra compagnia.” Madamigella chiuse il libro e lo posò davanti a sé. – Bevete qualcosa con me?” domandò gentilmente.

“Volentieri Oscar. Un buon bicchiere di cognac, magari.”

Un minuto dopo, un cameriere in livrea e guanti bianchi recò su un vassoio d’argento, due bicchieri e una bottiglia di cristallo cesellato contenente un liquido ambrato. Posò tutto sul tavolo e si eclissò a un gesto preciso della donna.

Oscar versò da bere per sé e il conte; sorseggiò il suo cognac e con lo sguardo indugiava nell’osservare l’uomo seduto di fronte a lei.

Ne studiava il volto, i lineamenti superbi e l’espressione rilassata, e stranamente non vi trovava la malinconia che in altri momenti le era sembrato di scorgere; Fersen non aveva quell’aria grave e composta che ricordava, ma una luce diversa, quasi maliziosa animava il suo sguardo chiaro. Era una luce che non le piaceva, e il motivo era quella leggera sfumatura di dissolutezza che normalmente la infastidiva in quasi tutti i giovani rampolli di buona famiglia che incontrava a corte.

“Allora Fersen, siete pronto a entrare nella fossa dei leoni? Quella di domani sarà una serata importante; al ballo prenderanno parte i membri più illustri della nobiltà di Francia. Voi e Danielle sarete al centro dell’attenzione generale… e sarà presente la regina.”

Fersen bevve un sorso di liquore e sospirò come per sciogliere la tensione.

“Lo so Oscar. Devo dire che mi sento stranamente emozionato, e questo perché ballerò con vostra sorella; confesso di non poter evitare che il mio orgoglio maschile si senta gratificato. Lo giudicherete sciocco, da parte mia.” Concluse con un debole sorriso.

“No, affatto. – Si affrettò a rispondere. - Oltre a questo, l’idea che sia presente Sua Maestà non vi turba minimamente?”

“Sì, in parte, ma sono rassegnato al fatto che non danzerò con la regina, e questo sarà un bene per entrambi. Madame Recamier sarà la mia dama per tutta la sera e mi dedicherò completamente a lei.”

“Questo era l’accordo, mi pare.” Constatò Oscar.

“Sapete, volevo parlarvi proprio di questo; - Fersen faceva ondeggiare il liquido nel bicchiere osservandone il colore attraverso il vetro, senza osare guardare in viso madamigella Oscar. - Vi disturberebbe in qualche modo, se la mia confidenza con vostra sorella diventasse, diciamo… più intima?” Sollevò lo sguardo solo in quel momento, osservandola sopra il bordo del bicchiere.

Oscar si limitò ad alzare un sopracciglio, mantenendo un’ espressione neutra. Ma dentro di lei un sentimento di delusione si faceva strada; piegò le labbra in quello che avrebbe dovuto essere un lieve sorriso, ma diventò una smorfia sarcastica.

“Perché me lo chiedete? Avete bisogno del mio permesso per corteggiare mia sorella? Siete un uomo libero, mi pare, se non nel cuore, almeno sulla carta.” Rispose senza mezzi termini.

Fersen restò di stucco, con il bicchiere alzato a mezz’aria, mentre Oscar decisa, buttava giù tutto d’un fiato l’ultimo sorso di liquore. Superata la sorpresa, pensò che se lei era così diretta, lui non avrebbe avuto bisogno di essere diplomatico. Si sentì rincuorato, pensando fra sé al suo insuccesso con l’attendente di madamigella Oscar, cui aveva chiesto aiuto.

“Certo che sì, Oscar. Ma ecco, io temevo che voi poteste fraintendere le mie intenzioni e…”

“Tutto questo va oltre i termini del nostro accordo: vorrei limitarmi a quello, per ora.”

“Avete ragione Oscar, ma la questione si è sviluppata come non avevo previsto e io non vorrei che voi...”

“Non dovreste preoccuparvi di me; piuttosto, di come potrebbe reagire la regina. Ci avrete pensato, immagino.”

“Non farò nulla che possa offendere la regina Maria Antonietta, né metterla in imbarazzo. Io voglio proteggerla, esattamente come voi, anche a costo di diventare io solo, lo zimbello di tutta la Francia. Se questo servisse ad allontanare lo scandalo e le chiacchiere da colei che amo, ben venga, Oscar.”

“Quanto spirito di sacrificio! E coinvolgereste mia sorella Danielle a questo scopo, solo per amore della regina.”

“Avverto del sarcasmo nelle vostre parole.”

“Non voluto, vi assicuro. - Oscar tentò di sorridere. - In tutto questo, non sembrate curarvi della reputazione di Danielle.”

“Non è così. Vostra sorella è una donna disinvolta, ama rischiare e conosce le dinamiche della corte, lo sapete anche voi; sa navigare abilmente in acque agitate, non si farà trascinare a fondo, credetemi. Sarà un’ ottima alleata per noi.”

Fersen finì di bere il suo liquore e posò il bicchiere vuoto sul tavolo davanti a sé, accanto al libro che Oscar stava leggendo poco prima.

“Siete molto sicuro di voi. Pensate che avrete successo?”

“Abbastanza. Sono sicuro che la vostra gemella sia degna del fiero colonnello delle Guardie Reali.”

Scese un silenzio breve che diede a Oscar l’occasione di riflettere su alcuni risvolti di quella vicenda; tutto poteva andar bene se fosse servito ad allontanare Danielle da André, ma c’era di mezzo quel maledetto scambio di ruoli. Restava la sua confusione su quale fosse il sentimento del conte per la sorella, che si dichiarava costantemente innamorato di Maria Antonietta e un sospetto infelice si stava facendo strada in lei. Fersen prese a osservare con curiosità la copertina del libro posato sul tavolino accanto.

Ne fu meravigliato.

“Sapevo che amavate la storia, ma mi stupisce il vostro interesse per un personaggio simile: mi sembra così lontano da voi per temperamento e costumi.”

Oscar con le dita accarezzò le minute lettere dorate che componevano il titolo dell’opera sul frontespizio.

“E perché mai? Io la sento molto vicina, invece, se non nei costumi, di certo nel temperamento. Fu una grande sovrana, seppe governare proprio come un uomo; era colta, intelligente ed emancipata per i suoi tempi, una donna appassionata che però non si fece mai dominare dalle passioni, né dagli uomini. Neppure da Cesare. E morì per la sua libertà.”

“E voi vi definireste così, Oscar? Indomabile? - Appariva divertito. – Sì, può essere che abbiate ragione. Mi chiedo se tali caratteristiche appartengano anche a vostra sorella. Voi che dite?”

“Se non lo avete ancora capito, avrete modo di scoprirlo, suppongo.”

Oscar abbandonò la poltrona per avvicinarsi alla grande libreria che occupava la parete alle sue spalle; allungò una mano verso lo scaffale, ma ebbe un subitaneo ripensamento e si voltò nuovamente verso il conte.

“Ah, Fersen… - Oscar tratteneva ancora il volumetto tra le mani - in futuro evitate di coinvolgere il mio attendente in questioni di questo genere.”

“Co…  come??” balbettò Fersen interdetto e quasi imbarazzato.

“Suvvia, avete capito benissimo. – Tornò a guardare lo scaffale, dove depose il libro sulla Vita di Cleopatra. – Di qualunque natura siano le vostre intenzioni con Danielle, cercate di cavarvela da solo. Badate, non sono offesa, ma non mi piace che proprio Andrè sia coinvolto in certi giochi, inoltre preferisco che non sappia nulla di questo piccolo patto tra noi. Cercate di ricordarvelo.”

Con espressione seria si girò verso l’uomo rimasto impalato in poltrona, che si affrettò a rassicurarla sul fatto che avesse compreso.

Lo salutò cortesemente prima di uscire lesta dalla biblioteca.

 

 

*********

 

 

Chissà se le aveva dato il suggerimento giusto.

“Temporeggia, - le aveva detto – aspetta qualche giorno. Adesso sono tutti in fermento per il ballo a corte. Dopo parlerai con la contessa e le potrai dire tutto.”

Sarebbe stato un ottimo modo di guadagnare tempo, per capire cosa stava accadendo tra le mura di quella villa. Non era sicuro che Ninette avrebbe evitato di farsi mettere sotto torchio dalla sua padrona, e Danielle era una donna dal temperamento tenace; era come l’acqua quando goccia a goccia erode la roccia.

Lui sperava solo di essere una roccia abbastanza dura e infrangibile, ma in certi momenti si sentiva morbido e pericolosamente debole per resistere all’erosione.

Continuava a pensare a quello che era accaduto nelle stalle; se lei non fosse scappata, come sarebbe finita?

E perché la contessa avrebbe dovuto turbarsi tanto di fronte all’ammissione di una passione possibile tra loro, se lei era stata la prima a dichiararla e desiderarla?

Se Danielle avesse scoperto i retroscena degli altarini del marito, avrebbe potuto per conseguente reazione, tentare il tutto per tutto e prendersi la sua rivincita sull’ infedele consorte. O forse, reagire ancora peggio allo scandalo di veder riconosciuta una bastarda dei Recamier.

Una vicenda con tanti punti oscuri; non era chiaro dove fosse questa misteriosa figlia, nascosta magari in qualche convento. E c’era lo strano ruolo di Madame Lisette; ascoltando il colloquio tra il conte e la sua amante, Ninette aveva supposto che la donna non fosse la madre della creatura, ma poteva essere un’interpretazione erronea della cameriera. C’era un’altra donna, evidentemente. Poteva trattarsi di questa fantomatica Isabeau, ma chi fosse e che relazione avesse con Madame Lisette De Marchard era un mistero.

Tutte domande cui André non sapeva dare risposta e in fondo, poco gli importava scoprire la verità. Non erano questioni che riguardassero lui. Voleva solo evitare che tutto potesse ripercuotersi su Oscar, se come sospettava, fossero in atto strani giochi tra le gemelle Jarjayes.

Era assorto nei suoi pensieri seduto al tavolo nel retro della cucina, luogo riservato quasi esclusivamente alla servitù; si stava versando dell’acqua da una caraffa, quando Oscar entrò nel locale.

“Ah, sei qui. Ti stavo cercando. Ultimamente stai diventando un solitario; sarebbe più facile avere un colloquio con la regina piuttosto che con te. Per fortuna che sei il mio attendente!”

Lo sorprese un po’ il tono polemico; temette per un attimo che volesse litigare e non immaginava quale potesse essere il motivo.

“Avevi bisogno di qualcosa, Oscar? Vieni al dunque; è ovvio che qualcosa ti rode.”

“Nulla mi rode. Volevo fare quattro chiacchiere con te, se non sei troppo occupato in faccende più importanti.”

Oscar prese la caraffa sul tavolo e si versò da bere. Era nervosa; restava in piedi di fronte al tavolo e agitava il bicchiere a mezz’aria.

“Ma di che parli?”

“Te lo spiego subito, André. Ho l’impressione che tendi ad evitarmi da quando abbiamo messo piede in questa casa. Vorrei sapere cosa ti sta succedendo; perché mi eviti? È a causa di Danielle?”

“Non ti sto evitando, sono qui a parlare con te, anche se non so esattamente di cosa. Se ti siedi, possiamo farlo con più calma.”

“No, sto benissimo così. Sai, sto pensando di rientrare in anticipo a Palazzo Jarjayes. – Fece una pausa per studiare la reazione dell’amico che non batté ciglio. – Cosa sta accadendo con Danielle? Ti stai avvicinando troppo a lei. Ti ha detto o fatto credere che è innamorata di te?”

Andrè non rispose subito, ma scambiò con lei un sguardo insistente e penetrante.

Poi si rilassò, deciso a lasciarle credere ciò che voleva.

“Tu hai avuto qualche conferma di questo? - Oscar non ammise né smentì e Andrè si sentì libero d’interpretare il suo silenzio. – No, vero? Credimi, io non ho mai incoraggiato Danielle... per quanto sia difficile resisterle.” Sospirò abbassando la voce.

“Allora è vero… - André la vide estraniarsi un attimo - Nelle scuderie sembravi molto interessato.”

“Sembravo? Perché l’ho aiutata a scendere da cavallo? Dopo… Tu non eri lì, o sì?”

“Intendevo dire…”

A quel punto Andrè si alzò in piedi, girò attorno al tavolo di legno per andare a piazzarsi proprio di fronte a lei.

“Oscar che succede?”

“Come?” Lei fece un piccolo passo indietro, vagamente allarmata.

“Vieni qui e mi affronti con questo tono inquisitorio, come se io avessi qualcosa da nascondere, e sei tu quella che si comporta in modo strano. Indaghi su di me, sospetti. Trami non so cosa con tua sorella. Sono io, André, il tuo amico, ricordi? Ha ancora un significato per te, questa parola?”

“Cosa dici? Certo che ha significato! È per la nostra amicizia che sto cercando d’impedire che tu ti faccia del male con Danielle. Non sei l’unico con cui le andrebbe di trastullarsi, anche il conte di Fersen suscita il suo interesse, lo so con certezza. Oh, André, ascoltami! Pensa bene a quello che vuoi fare, non farti trascinare in un perverso gioco di donna, da un impulso momentaneo.”

La voce si era fatta accalorata mentre non staccava lo sguardo da lui.

“Gioco di donna! Ah!! Lo dici come se tu sapessi di cosa parli. So badare a me stesso Oscar; potrebbe non essere un impulso momentaneo. – A questo punto André scosse la testa e la guardò con indulgenza, quasi con bonaria tenerezza, come si farebbe con un bambino capriccioso. – Davvero, credi che non ci sia già passato? Che non mi sia già fatto male al cuore? Pensi che non mi possa succedere, Oscar? Potrei confessarti che ci sono già dentro.”

Oscar spalancò gli occhi smarriti come se fosse assalita da una sensazione spaventosa. Alzò una mano e la posò all’altezza del cuore dell’uomo, e tenne gli occhi altrettanto bassi, quasi le mancasse il coraggio per guardarlo in faccia.

“Ti supplico André, non innamorarti di lei. Non farlo. Piuttosto, cedi alle sue lusinghe, ma non donarle il tuo cuore. Alla fine, lo getterebbe via; lo ha già fatto, lo sai. E lo farà ancora quando si stancherà o s’innamorerà di un altro uomo.”

Andrè emise un lungo e profondo sospiro trattenendo l’impulso potente di prendere quella mano per stringerla fra le sue, e farle capire così per chi battesse il suo cuore.

“Non ti ho mai sentito parlare così di lei, quasi non ti riconosco; è la tua gemella anche nell’anima. La giudichi tanto meschina?” chiese André con cupa amarezza nell’inflessione della voce.

 

No, meschina sono io - avrebbe voluto digli – che sto facendo di tutto per non farvi avvicinare; sto mentendo e ingannando pur di non darti al suo sortilegio.

Perché non posso cederti a lei, che potrebbe avere chi vuole. Potrebbe prendersi anche Fersen e non mi importerebbe. In realtà, non mi importa più di nulla. Ma andrò avanti con questa farsa di cui non sai niente, solo per convincermi che non c’è più lui nel mio cuore.

Perché so che mi uccideresti André, se tu scegliessi lei.

 

Il silenzio di Oscar si era fatto grave e doloroso e André continuò sempre più stranito.

“Quindi, tu accetteresti una nostra relazione puramente sessuale, ma non l’idea che potrei amarla?!”

Non riusciva ad alzare lo sguardo su di lui senza sentire un profondo disagio e si era girata dandogli la schiena.

“Per me sarebbe il male minore… e anche per te, in fondo. È giusto che tu sappia che dopo il ballo di domani sera, noi torneremo a casa e lasceremo Villa Recamier. Non c’è ragione di restare ancora qui...”

“Facevi sul serio, prima. Ma tu non hai intenzione di andare al ballo, o sbaglio?” Lo sentì fare un passo verso di lei.

“No, io no.”

L’attendente restò in silenzio ad assorbire quella nuova straordinaria informazione, mentre la sensazione di uno strano e amaro compiacimento si stava impadronendo di lui, insieme al solito dubbio.

Oscar gelosa, fuggiva da una situazione che la stava travolgendo e che non sapeva gestire.

Oscar si sentiva minacciata da Danielle e voleva allontanare la sorella da lui. Ad ogni costo.

Doveva esserci una ragione molto profonda in quel comportamento e André lo sapeva bene.

Sperava che ci fosse.

“Bene Oscar, dimmi solo quando vuoi partire; mi farò trovare pronto.”

“Ti farò avere disposizioni al più presto.” Disse allontanarsi verso l’uscita sul retro.

 

 

*********

 

 

Mancavano poche ore ormai al momento fatidico.

Era dal primo mattino che io e Oscar stavamo pianificando ogni mossa, ogni dettaglio dell’operazione. Prove su prove a non finire. Tutto studiato fin quasi all’ossessione e Oscar metteva in ogni cosa lo stesso impegno che avrebbe usato per attuare una strategia militare: il lungo viaggio in carrozza insieme al conte di Fersen fino a Versailles, l’ingresso a corte, le reazioni dei cortigiani e quelle dei miei vecchi amanti; i saluti alle Loro Maestà, alla Regina in modo particolare, il confronto forse più difficile, l’inchino, i balli e le danze, dai minuetti alle gavotte più agitate.

Ero elettrizzata, ma anche nervosa e mi ero raccomandata mille volte con lei.

Quel pomeriggio avevamo parlato passeggiando nel giardino, sole e lontane dagli altri ospiti della villa.

“Non correre e non fare movimenti bruschi, quando sali le scale solleva le gonne, ma non troppo; non devono vedersi le caviglie e tanto meno i polpacci. Quando parli non assumere il tuo solito tono da soldato, ma cerca di essere più dolce.”

“Il tuo zelo è ammirevole Danielle; sono giorni che mi riempi la testa di sciocchezze. Stai tranquilla mi comporterò con onore. Ci tieni proprio che io faccia bella figura, eh?”

“Voglio assicurarmi che tutto proceda alla perfezione; è in gioco anche la mia credibilità e se tu fallissi in qualche modo, non oso immaginare cos’ accadrebbe. Ho una reputazione da difendere.”

“Fersen non sembra preoccuparsene troppo, lo sai? Ho parlato con lui, l’altro giorno.”

“Per questo ho affidato il mio buon nome a te, mia cara; so che non farai nulla che non farei io.”

Chiusi il mio ventaglio con un colpo secco del polso.

Osservai Oscar solo un momento per cercare di coglierne lo stato d’animo; era stranamente troppo rilassata. Appariva eccessivamente sicura di sé, un fatto che mi rendeva molto perplessa.

“Non tradisci il benché minimo accenno di nervosismo, e la cosa mi preoccupa un po’; non sempre è un bene l’eccessiva sicurezza: è un atteggiamento che fa abbassare la guardia.”

“Sorprendente! Parli proprio come un soldato Danielle. – Ironizzò divertita. – Se fossi troppo nervosa, non riuscirei a recitare al meglio la mia parte.”

Svoltammo ad un angolo del parco in prossimità dell’orangerie e scorgemmo sopraggiungere nella nostra direzione Lisette De Marchard.

Camminava da sola e non sembrava aver fatto caso a noi, ma quando si accorse della nostra presenza, aumentò l’andatura per raggiungerci.

Io e Oscar ci fermammo ad aspettarla.

La donna si fermò e ci salutò con cortesia.

Fu per caso che notai il foglio della lettera che nascondeva velocemente sotto le pieghe della veste, lettera che doveva aver letto fino a qualche attimo prima. Mi chiesi per l’ennesima volta, perché Lisette fosse ancora in casa mia.

Credevo che sarebbe ripartita con mio marito molto prima, o così Leopold mi aveva assicurato. Pensai bene di domandarlo a lei.

“Buongiorno a voi, madame. La vostra permanenza qui sembra essere più lunga del previsto; se lo avessi saputo, vi avrei fatto alloggiare in una stanza più confortevole. Immagino che abbiate rimandato la vostra partenza a causa di qualche imprevisto.”

Commentai allusiva e forse, con un pizzico di cattiveria. Ma l’espressione ansiosa che Lisette restituì alla mia malagrazia mi fece subito pentire delle mie parole poco attente.

“Veramente contessa, ho appena ricevuto notizie che mi costringono a una partenza improvvisa. Il tempo di preparare le mie poche cose; vorrei partire domattina presto.”

“Oh, sono sorpresa. Nulla di grave, spero.” Fui sincera.

“No, per fortuna. Solo un parente indisposto.”

Mi parve una risposta vaga e volutamente evasiva.

“Se avete bisogno, sono certa che mio marito vi accompagnerà.”

“Può darsi… Io ne approfitto per salutarvi ora: madame Recamier, madamigella Oscar, è stato un piacere incontrarvi.”

Si congedò da noi con un inchino e si allontanò velocemente verso la villa.

 

Oscar era rimasta in silenzio fino a quel momento, la guardava allontanarsi.

“Una partenza precipitosa quella di Madame Lisette: nonostante il tentativo di minimizzare, credo che ci sia sotto qualcosa di serio.”

Fu il commento di mia sorella, idea che io condividevo in massima parte.

“Non mi ha mai convinto quella donna e non per il fatto che sia l’amante di mio marito.”

“Non capisco le tue contraddizioni, a volte. Se non sei gelosa di Leopold, perché ti dà tanto fastidio la sua amante?”

Riflettendo, la domanda di Oscar era legittima, però io non sapevo dare una risposta che fosse logica e coerente.

“Non lo so; forse è solo antipatia, la mia. Quel giorno che ci siamo scambiate i vestiti, credo che Ninette abbia scoperto qualcosa di compromettente, ma quando durante la toilette mattutina ho cercato d’interrogarla in proposito, si è dimostrata assai sfuggente. Non è da lei. Mi ha solo detto di averli sorpresi a baciarsi con passione e di essersi scandalizzata. Assurdo!! Secondo me, c’è dell’altro.”

“Forse vedi scandali dove non ci sono, Danielle. Frequentare tanto a lungo la corte ti ha fatto diventare una sciocca dama pettegola e bigotta.”

Mi provocò Oscar divertita, e io non le nascosi il mio disappunto.

“Non offendere la mia intelligenza. Conosco la mia cameriera personale; è una ragazza sveglia che non si scandalizza per così poco. C’è qualcosa che non ha voluto dirmi.”

Proseguimmo la nostra tranquilla passeggiata quasi in silenzio, tornando verso la villa.

 

 

Qualche ora più tardi, nascosta dietro la porta che si apriva nel muro della mia camera, avevo dovuto lasciare che Ninette aiutasse Oscar con la vestizione.

Poi mia sorella l’aveva allontanata in maniera garbata e io avevo proseguito con cipria e belletto.

 

Finalmente dopo quasi un’ ora di preparativi, Oscar era davanti a me in tutto il suo splendore.

Troneggiava davanti al grande specchio della mia camera, altera come una regina col suo grande ventaglio di piume, i guanti di raso lunghi fin sopra il gomito, fatti fare apposta a celare la cicatrice.

Sarebbero apparsi come una stranezza elegante e raffinata, stravaganze che spesso mi concedevo per stupire e che osavo portare come poche altre. [1]

Era magnifica; il color ametista dell’abito da sera ricamato con fili d’argento si intonava perfettamente alla sua carnagione delicata. La gonna di seta sostenuta dalla crinolina non era eccessivamente vaporosa, ma scendeva sulle forme sinuose con un drappeggio morbido e leggero a mettere in risalto la sua figura slanciata, valorizzata da una scollatura sensuale, sottolineata dal filo d’oro e blu di una collana di zaffiri.

I capelli trattenuti in alto, erano fermati in un’ acconciatura da cui scappavano onde di lunghi riccioli ribelli sulla schiena. Un trucco sapiente metteva in risalto i suoi magnifici occhi, nascondendo un po’ lo sguardo quasi costantemente severo.

Perfino Oscar era sorpresa dalla trasformazione subita; l’immagine bellissima di donna che le restituiva lo specchio, le procurava un certo orgoglio e ammirazione, cui neppure io potevo sottrarmi.

 

Bussarono alla porta; era Ninette che veniva ad avvisarmi che il conte di Fersen mi attendeva per accompagnarmi al ballo. Le risposi senza invitarla ad entrare.

“Grazie Ninette. Raggiungi il mio ospite e digli che scenderò tra pochi minuti.”

“Subito, signora contessa.”

Sentimmo i passi della cameriera che si allontanavano lungo il corridoio.

“Sei splendida Oscar; l’inganno è perfetto. Non avremmo potuto fare meglio.”

Confermai con un sorriso tranquillo.

Io e Oscar ci guardammo negli occhi; un ultimo sguardo per dare coraggio una all’altra, anche se era lei ad avere la parte più difficile.

“Sei pronta per affrontare il conte di Fersen?” le chiesi in ultimo.

Mi rispose con un cenno impercettibile, ma affermativo del capo.

Prese un ampio respiro e fu la sola esitazione che mostrò. Lentamente in un frusciare di tessuto serico, quel suono ovattato e dolce che fa sentire una donna importante e al centro di ogni attenzione, con il ventaglio prezioso chiuso in una mano, si mosse con grazia semplice ed elegante verso la porta.

 

Stavano per aprirsi le danze.

Oscar era pronta ad entrare in scena.

Io non sapevo ancora se sarei riuscita a sostenere la mia.

 

 

 

 

Continua…

 

 

 

Eccomi qui, in mega ritardo, ma ormai sarete abituate.

Spero che vi sia piaciuto il capitolo e che almeno vi ripaghi un po’ dell’attesa.

È stato difficoltoso, specialmente in certi dialoghi (Oscar e Fersen – Oscar e André) che ho rimaneggiato spesso e non mi convincevano; ho qualche dubbio ancora adesso. Ho fatto del mio meglio per renderli chiari e comprensibili.

Mi direte voi se ho fatto un buon lavoro, temo già le bandierine gialle di qualcuna, e lei lo sa.

Credo che inizino a delinearsi meglio certi rapporti e certe complicità che fin’ora avevo solo accennato.

Per tutto il resto vi rimando al prossimo capitolo, che sarà… non lo so quando, ma abbiate fede, arriverà. Grazie e tutte le sante donne pazienti che mi seguono. Questo lo dedico a tutte voi.

Un saluto. Ninfea



[1] Guanti del genere non credo si usassero già nel ‘700. Concedetemi una licenza letteraria.

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Capitolo 12
*** Il valzer degli equivoci e fallimenti ***


A parti invertite

12 – Il valzer degli equivoci e fallimenti

 

 

23/11/2014

Piccola premessa. Avevo qualche riserva sui dialoghi di questo capitolo, che a una prima stesura non mi convincevano – soprattutto quelli tra Fersen e Oscar. – Rileggendolo credo di aver capito cosa non funzionava. Così è stato recentemente modificato, spero in meglio, senza snaturare il senso e lo sviluppo della storia, che non cambia. Buona lettura.

 

 

§§§§§§§

 

 

 

Mi accostai alla finestra; nascosta dietro la pesante tenda di broccato, aspettai di vedere mia sorella e il conte di Fersen salire a bordo della carrozza. 

Attesi qualche minuto più del previsto, e per un momento temetti un qualche ripensamento tardivo da parte di Oscar; stava ritardando.

Poi finalmente, vidi le loro figure comparire nel piazzale dove sostava in attesa l’elegante carrozza trainata da una pariglia di quattro cavalli. Il viaggio fino a Versailles sarebbe stato lungo e non soltanto per la distanza da colmare; forse ci sarebbero stati silenzi da riempire e imbarazzi da sciogliere.

Un attimo prima di salire in carrozza, Oscar aveva alzato lo sguardo verso la luce della mia finestra per riabbassarlo subito dopo.

Rimasi lì attaccata al vetro, una mano a scostare leggermente un lembo della tenda, mentre guardavo la vettura dei Recamier che si allontanava lungo il viale; la vidi varcare il cancello della villa e scomparire tra le prime luci blu violacee della sera che scendeva sul paesaggio della campagna.

 

Solo allora mi allontanai dalla finestra per andarmi a sedere sul divano al centro della camera; tremavo e non riuscivo a placare l’agitazione che mi sconvolgeva.

Dovevo riuscire a calmarmi, a frenare il tumulto del mio cuore che pareva volermi scappare dal petto. Emisi dei respiri profondi nel tentativo di recuperare un po’ di autocontrollo e sangue freddo; Oscar in questo sarebbe stata molto più brava di me, dovevo riconoscerlo. Ma io non potevo fallire, non potevo assolutamente tradirmi; la pena sarebbe stato l’insuccesso e una probabile cocente umiliazione che non ero pronta a sopportare.

Tra qualche ora avrei dovuto sostenere la parte più delicata e difficile della mia vita, ma dovevo aspettare.

Mi versai dell’acqua in un bicchiere; mi sentivo la gola secca e riarsa, la lingua impastata: doveva essere l’emozione al pensiero di quello che stavo per fare. Non potevo tornare indietro e non lo avrei fatto, anche se avevo un’ inspiegabile paura che non riuscivo a dominare; mi chiedevo se era la stessa tensione che avrebbe vissuto Oscar al ballo.

Quella notte, complice il buio, avrei attuato le mie segrete intenzioni e mi aspettavo la vittoria, quella della passione sulla ragione. Nei fui convinta fino all’ultimo secondo.

I miei capelli erano sciolti sulla schiena e lunghe ciocche scendevano in onde morbide sui pizzi macramè della camicia da notte che indossavo su un paio di pantaloni rubati solo poche ore prima dalla camera di Oscar.

Attesi ancora qualche minuto che il cuore finalmente tornasse a battere un ritmo più sostenibile. Mi rilassai.

Attorno a me c’era solo silenzio. Lo ascoltavo per convincermi che fosse reale.

Nessun rumore proveniva dalla casa.

Pareva disabitata.

Eppure nessuno poteva essere già andato a dormire; la servitù era senz’altro presa dalle ultime incombenze della giornata.

Solo allora mi alzai dal divano per avvicinarmi al baule posto in un angolo della camera, tra l’armadio e una sedia.

Lo aprii lentamente, quasi con timore: sul fondo, piegata con cura, era sistemata una camicia di foggia maschile recuperata dal severo guardaroba di mia sorella. Presi l’indumento di seta e lo strinsi tra le mani per sentirne la consistenza. Dovevo prepararmi per recitare la mia parte.

 

 

§§§§

 

 

 

 

 

Oscar si era chiusa la porta alle spalle e senza fretta, ma con decisione, si era apprestata all’ imbocco delle scale. Sollevò leggermente le gonne vaporose e mentre scendeva appoggiandosi al largo corrimano di marmo, pregò di non inciampare nell’ orlo dell’abito. Si sentiva un poco nervosa, ma s’impose di recuperare il controllo di sé, impostando il respiro. Era determinata ad andare fino in fondo e nulla le avrebbe fatto mutare opinione al riguardo.

Quella sera avrebbe messo alla prova sé stessa, i  suoi sentimenti; li avrebbe affrontati e riconosciuti e soprattutto, era decisa a riconoscere la vera personalità del suo ignaro accompagnatore.

Dell’animo del conte di Fersen conosceva già le luci che l’avevano sedotta, che forse ancora l’attiravano come una tentazione cui non si può resistere, ma voleva vedere le ombre nascoste, quelle più nette e oscure.

Se era una maschera quella che indossava, voleva strappargliela dal viso.

Voleva comprendere fino a che punto era grande il suo abbaglio e semmai, quanto fosse stata in grado di reggere la delusione che può dare il crollo di un ideale illusorio.

Questa forse era la sua paura più insidiosa; non sapere sostenere il peso di una verità rivelata.

 

Doveva arrivare al termine delle scale, attraversare il grande corridoio coi ritratti dei rigidi antenati, prima di arrivare all’ androne dove Fersen la stava aspettando. Fu un po’ prima di varcare l’ingresso della lunga sala rettangolare che incontrò André.

L’attendente camminava deciso nella sua direzione, per dirigersi probabilmente all’alloggio a lui assegnato nell’ala della servitù, ma appena la vide rallentò l’andatura fino ad arrestarsi a un paio di metri da lei. Oscar fece altrettanto e si bloccò di fronte all’ amico, al centro della sala sotto lo sguardo arcigno di uno dei ritratti di famiglia. Ebbe la strana sensazione di sentirsi sotto esame.

Sperò che lui parlasse e le dicesse qualcosa. Qualunque cosa pur di allontanare quel disagio.

Andrè restò un momento in silenzio, poi piegò un braccio e si profuse in un cortese inchino, prima di puntarle addosso il suo sguardo più ammirato oltre che disinvolto.

“Buona serata, contessa. Divertitevi al ballo.”

La voce di André era bassa e profonda, e il tono provocò in Oscar un lungo brivido di piacere per tutta la spina dorsale che salì rapido a solleticarle la base della nuca, come un soffio leggero di aria fredda sulla pelle nuda del collo. Piegò le labbra in un leggero sorriso.

“Grazie André. – Rispose semplicemente. Ma non seppe resistere e andò oltre. – Come mi trovi?”

Chiese quasi ingenuamente e mosse appena la mano che tratteneva il raffinato ventaglio di piume blu notte. Andrè si avvicinò ancora, accorciando pericolosamente la distanza fra loro, puntando su di lei lo sguardo più insistente e conturbante che gli avesse mai visto.

Quegli occhi dalle profondità ignote e insospettabili, erano accesi di luce intensa e vitale.

“Semplicemente stupenda: nessuna donna, neppure la regina vi supererà in bellezza. Fersen avrà occhi solo per voi. Se fossi nella posizione di poterlo invidiare, lo farei.”

André rimarcò il suo rapimento con tono ancor più profondo e quasi rauco.

“Vuoi dire… che non vorresti essere al suo posto, oppure sì?” Chiese incerta.

“Sono molteplici le ragioni per cui potrei voler essere al posto di Fersen; vi lascio indovinare quali, contessa. Ma preferisco non invidiarlo.”

Oscar trovò sorprendente e ambigua quella risposta; le sfuggiva il senso reale delle parole, ma era altrettanto sicura che la vera Danielle avrebbe colto immediatamente il loro significato se le avesse udite.

“Ammetto Andrè che preferirei mille volte andare al ballo con te…” sospirò con profonda decisione.

“Sono lusingato, ma… non potrei mai ricevere un invito ufficiale. Devo declinare. - Rivelò un guizzo ironico nell’inflessione della voce. – Se vi pesa partecipare a questo ballo, perché non rinunciate? È forse un obbligo? O in realtà, Fersen vi interessa più di quanto non vogliate ammettere?”

Colta visibilmente di sorpresa, Oscar ebbe la netta impressione che Andrè avesse voluto provocarla. Quel colloquio imprevisto, all’apparenza innocente, stava diventando pericoloso.

“No, niente affatto! - esclamò con troppo impeto - Sembra che l’ idea di Fersen come mio cavaliere ti disturbi, André.”

“È solo che trovo molto contraddittorio il vostro atteggiamento verso un uomo che dite di non stimare particolarmente, ma ballerete con lui fino all’alba. Scusate, ma con queste premesse non so come considerare l’ audacia che mi avete dimostrato tempo fa… mi chiedo se non lo avete già dimenticato.”

“Audacia? – Bisbigliò Oscar smarrita, quindi ebbe un lieve moto di stizza che non riuscì a dissimulare. - È un appuntamento importante, la contessa Recamier non può mancare. Già si noterà l’assenza del comandante delle Guardie Reali.”

“Allora dovete andare, contessa; Fersen vi attende, anche se è nel vostro diritto farlo aspettare.”

Oscar assentì con un breve cenno del capo e si mosse per allontanarsi, senza distogliere lo sguardo dall’affascinante scudiero che continuava a intercettare i suoi occhi celesti.

“Ne riparleremo, André.”

Aveva parlato, ormai volgendogli le spalle.

Al termine del lungo corridoio, Andrè vide Ninette porgere il mantello profilato di pelliccia alla sua padrona; seguì la sua figura incappucciata finché non scomparve oltre la porta, dietro cui Fersen l’attendeva.

 

Andrè osservò tra sé che Danielle curiosamente, non aveva mai mosso obiezioni al fatto che lui le avesse parlato usando sempre e solo la terza persona. Un fatto strano, quando lei in più di una circostanza aveva insistito perché si dessero del tu.

 

 

§§§§§§

 

 

 

 

Il viaggio era stato tranquillo, a tratti monotono per Oscar che, di fronte a Fersen, si era trovata a dover sostenere leggeri silenzi intervallati da sporadiche conversazioni fatue.

Aveva cercato di adattarsi, mentre la carrozza correva spedita nella sera crepuscolare per arrivare al ballo il prima possibile.

Quando non doveva sorridere al conte, nella semioscurità dell’abitacolo si era concentrata sui suoi pensieri, su come si sarebbe comportata a corte, e soprattutto, con il suo cavaliere che, doveva riconoscere, era davvero affascinante.

Trovava paradossale che solo qualche mese prima avrebbe fatto carte false per trovarsi sola con lui, in una situazione simile, ma adesso l’emozione che sentiva non era quella che si sarebbe aspettata.

Si domandava se tra qualche ora, galeotta la serata danzante, avrebbe ritrovato intatto lo stesso turbamento che le aveva fatto tremare il cuore di dolce sofferenza, per un uomo che non poteva avere.

Tra una fantasia e l’altra, continuava a pensare all’audacia di cui aveva parlato André, rodendosi nel dubbio, chiedendosi allarmata a cosa facesse riferimento; era abbastanza certa che tra Danielle e André fosse accaduto qualcosa, forse una reciproca confessione di sentimenti appassionati, e Danielle si era ben guardata di metterla a parte di retroscena troppo scabrosi.

E poi c’erano state le parole impetuose di André nella scuderia, quel bacio dolce e conturbante sul polso che le aveva fatto tremare la pelle e correre i pensieri; vento che ancora agitava le onde del mare racchiuso nella sua anima inquieta.

Ma adesso era lì in quella carrozza con Fersen.

 

Era stata innamorata di lui, ne era certa, magari lo era ancora.

Lei conosceva solo l’amore contorto, sofferto, quello che nel buio di notti gelide e solitarie fa versare lacrime salate.

Quello impossibile da ricambiare, da vivere.

Quello che fa sentire pesanti le membra e stanco il cuore.

 

Non sapeva nulla dell’amore che scalda le notti e illumina la vita, anche quella più miserabile.

Fersen era gentile, galante come lo sarebbe stato con una donna qualsiasi, ma le sue parole non la turbavano né accendevano il suo spirito.

Vi era in esse qualcosa di fasullo e non sapeva dire cosa fosse.

“Sono certo che sarà una splendida serata, contessa. Sapete, ho pensato molto a noi due in questi ultimi giorni, all’intesa che abbiamo raggiunto e che potrebbe raggiungere la perfezione questa notte. Non potrei volere nessuna, oltre voi al mio fianco.”

“Mi lusingate. Vi assicuro Conte di Fersen che per me è la stessa cosa; sarà una serata che non dimenticherò.”

Era terribilmente certa che sarebbe stato così.

“Dovrò lottare con chissà quanti pretendenti; questa sera altri potrebbero reclamare le vostre attenzioni. Non so se sarò disposto a tollerarlo.”

Stranamente la infastidì il tono; voleva essere leggero, ma rimarcava velatamente un’idea esclusiva di possesso che era tipicamente maschile.

Non le piacque come la fece sentire, ma finse di stare al gioco.

“Di questo non vi dovete preoccupare. Vi ho già fatto la mia promessa e per questa sera la manterrò. Ma non vi garantisco nulla per il futuro.”

 

 

Quando finalmente la carrozza arrivò a Versailles, la notte era scesa in tutta la sua oscurità.

Le sembrava ancora tutto un po’ irreale; finalmente, la vettura con un dondolio si arrestò nel grande cortile antistante la reggia dove altre carrozze stavano arrivando o erano già in sosta.

Le luci accecanti di Versailles, i bisbigli insinuanti dietro i ventagli variopinti l’avrebbero investita con la loro impietosa realtà, lo sapeva bene.

Fu l’esatta sensazione che ebbe appena mise piede sul selciato e alzò lo sguardo verso le luci che provenivano dalle grandi finestre illuminate a festa.

Conosceva già quello scintillio di colori, ma era la prima volta che lei ne faceva parte.

Il conte di Fersen le porse il braccio con galanteria consumata e Oscar vi si aggrappò leggermente; si incamminarono verso l’entrata senza fretta.

Alcuni lacchè in livrea, stavano prendendo i mantelli degli ospiti e Oscar lasciò il suo al primo che le si fece incontro con reverenza; quando abbassò il cappuccio e la stola scivolò dalle spalle candide, Fersen la vide per la prima volta in tutto il suo fulgore abbacinante e ne restò incantato.

La fissò ammutolito per alcuni secondi prima di ritrovare il dono della favella.

“Siete meravigliosa madame, non avevo ancora compreso quanto. Mi sento davvero fortunato questa sera.”

Oscar si limitò a sorridere lievemente, mentre il battito del cuore accelerava per un momento. Il conte era generoso nei complimenti, senza dubbio sinceramente colpito dall’avvenenza della sua accompagnatrice.

“Vogliamo andare?” disse, porgendo la mano guantata e cercando di smorzare la tensione che avvertiva.

Alcune dame e gentiluomini erano fermi a fare conversazione in prossimità dello scalone che portava al piano superiore.

Al loro passaggio, guardavano la coppia con evidente ammirazione e salutavano con un lieve cenno del capo a cui Oscar rispondeva nello stesso identico modo.

 

Quando prima di fare il loro ingresso nella Sala degli Specchi furono annunciati dal cerimoniere come prevedeva l’etichetta, si levò nell’aria un brusio di sorpresa che serpeggiò di bocca in bocca tra lo stupore degli astanti.

 

-             Il conte Han Axel di Fersen e la contessa Danielle Marie Angelique Di Recamier!

 

In un attimo tutti gli occhi della sala furono puntati su di loro; suscitarono sconcerto e meraviglia.

Oscar ebbe la netta, sgradevole sensazione di poter sentire i pettegolezzi maliziosi dietro i ventagli delle signore, i commenti, le insinuazioni, le curiosità più o meno piccanti passare da una persona all’altra.

Colse le occhiate d’intesa, i sorrisi velati d’ipocrisia.

Forse non era stata mai esposta così tanto all’attenzione generale, neppure subito dopo la nomina a Colonnello.

Improvvisamente si chiese come facesse solitamente Danielle a convivere con tutto quel bailamme inopportuno e soffocante, senza impazzire.

Ma era venuta per ballare e avrebbe ballato fino alle prime luci dell’alba.

 

 

-             Che novità è mai questa! Il conte di Fersen e la contessa di Recamier intervengono insieme a questo ballo! Ma allora è vero quello che si dice su di loro!

-             Ultimamente sono stati visti spesso insieme, a teatro e anche all’opera… sapete, girano voci piuttosto curiose. Lui frequenta assiduamente il salotto di villa Recamier, pare… la contessa non è nuova a frequentazioni con uomini affascinanti e molto chiacchierati, e il conte di Fersen corrisponde alla regola, come vedete.

-             Volete dire marchesa, che sono amanti?

-             Ci sarebbe chi è pronto a giurarlo, ma nessuno lo sa con certezza. Certo che madame Recamier è una donna davvero fortunata: è talmente bella che potrebbe avere tutti gli uomini che desidera. A quanto pare, anche il conte di Fersen subisce il fascino della gemella del colonnello Oscar!

-             Guardate, guardate che eleganza quei guanti! E quell’abito le sta d’incanto, metterebbe in ombra la nostra stessa sovrana. Come la invidio... vorrei avere io una figura simile!

-             Io invidierei Fersen, lo svedese si concede sempre il meglio! Che donna affascinante…

-             Bisogna ammetterlo: sono una coppia magnifica. E la nostra regina? Come prenderà la cosa? Se è vero che è innamorata del nobile svedese non sarà contenta.

-             Oh, non lo so. Forse la storia con la regina non è vera. Però non trovate strano che Oscar non sia qui, stasera? Lei è amica del conte di Fersen oltre che la sorella della contessa…

-             Già, vorrà dire qualcosa…

-             Guardate, arriva Sua Maestà la regina… che magnifico abito; lo avrà messo per far colpo sul conte.

 

Maria Antonietta, elegante come un cigno sull’acqua, accompagnata dalla onnipresente e invadente contessa Di Polignac, avanzava verso il centro della sala per andare a salutare i nuovi arrivati.

Il suo sguardo incontrò quello del conte che allacciò per pochi secondi prima di puntare la sua attenzione sulla dama al suo fianco, scivolata in un grazioso inchino. Salutandolo, porse la mano a Fersen che la baciò con devozione, poi si rivolse a quella che credeva la contessa di Recamier.

“Madame Recamier è un piacere trovarvi qui, questa sera. Credevo di incontrare anche vostra sorella, il colonnello Oscar, ma ultimamente diserta spesso le feste a corte. Spero che non la tenga lontano da me, qualcosa di grave.”

“Vogliate scusarla Maestà; Oscar vi invia i suoi saluti e si scusa per l’assenza; ultimamente è stata poco bene, ma nulla di grave.”

“Capisco. Il conte di Fersen questa sera sarà il vostro cavaliere? Non potevate fare una scelta migliore, contessa. Sarete invidiata da tutte le dame.”

“Non voglio suscitare le invidie di nessuno, Maestà. Molto semplicemente, tramite Oscar, siamo diventati buoni amici… – Oscar allargò il ventaglio e si avvicinò alla regina per parlarle senza che altri cortigiani udissero. – In confidenza, Oscar mi ha chiesto di fare una cosa per Voi; mi ha suggerito di ballare con il conte di Fersen tutta la sera e spero capiate il perché.”

Sul bel volto di Maria Antonietta si dipinse un sorriso mesto.

“Certo, capisco perfettamente. Rassicurate madamigella Oscar che ho apprezzato il consiglio.”

 

Finalmente, si aprirono le danze.

Il conte di Fersen invitò la sua dama a ballare.

Coppia principe e invidiata della festa, scivolarono leggeri e veloci accanto alle altre figure eleganti, disegnando giravolte e promenade sul prezioso pavimento, tra lo sfavillio delle luci dei lampadari di cristallo e la musica dei violini che si diffondeva nel salone.

“Faremo parlare di noi, questa sera, contessa.”

“Credo anch’io: è una cosa a cui sono abituata. Non temete, saprò gestire la situazione.”

Chi non sapeva gestire il confronto con totale serenità era l’altra donna coinvolta, e di questo Oscar aveva un vago timore e un lieve dispiacere, ma non poteva farci nulla.

Maria Antonietta anelava un contatto anche breve ed effimero con l’uomo che amava; incapace di resistere alle pressioni del suo cuore infelice, cedeva senza rimorsi ma con tanto rimpianto alla tentazione di seguirli di sottecchi a ogni passo.

Senza la presenza della regina, davvero Fersen non avrebbe avuto occhi per nessuna, tranne la sua dama, troppo bella e desiderabile quella sera.

Oscar non avrebbe avuto rivali.

Probabilmente nessuno tranne lei notò lo scambio di sguardi intensi oltre che un po’ sofferti tra il conte e la Regina.

Gli occhi tradivano il reciproco desiderio e gridavano apertamente che ciascuno dei due avrebbe voluto essere tra le braccia dell’altro nel giro di un passo di danza.

 

Oscar ne restò impressionata.

Di nuovo avvertì la tenerezza già provata in passato e provò autentica commozione per la delicatezza di un tale sentimento, senza riuscire a capire come questo potesse manifestarsi con tanta purezza.

Mentre guardava Maria Antonietta, negli occhi di Fersen non c’era dissolutezza o malizia consumata.

Per lei, fu come vedere due anime in un uomo, ma quella segreta, quella più intima e vera era riservata solo a colei che amava.

Quando pensava alla regina, per qualche strano mistero Fersen si trasfigurava e i suoi occhi brillavano di una luce diversa; solo allora si scorgeva in lui quella pena sincera, la capacità di soffrire celata normalmente dietro i sorrisi seducenti e maliziosi che esercitava con successo con le altre donne.

La semplice, banale verità era che il conte aveva dato la parte migliore di sé alla regina, un’ intuizione che Oscar sentì il bisogno di toccare con mano. L’altro uomo chi era, allora?

Quello vanesio, infedele che cadeva in relazioni adultere e torbide, quello alla costante ricerca di avventure? Nel piacere della seduzione che inseguiva con ogni mezzo, cosa cercava quell’uomo?

Stavano ballando gli ultimi accordi di un minuetto e spinta da volontà ferrea, Oscar ebbe l’audacia di gettarsi in una conversazione insinuante e pericolosa.

“Vi fa soffrire, non è così?” Chiese quasi a bruciapelo.

“A cosa vi riferite, madame?”

“Essere qui, così vicino a lei e doverle stare lontano. Siete altrove con la mente… mi fate sentire come se fossi trasparente.” Il tono di Oscar era quasi accusatorio.

Fersen sgranò gli occhi, per un breve istante. Poi sorrise un po’ mortificato, cercando di recuperare tutto il suo carisma.

“Perdonatemi contessa, avete ragione di lamentarvi; siete troppo bella e affascinante e non meritate certo un cavaliere distratto. Datemi l’opportunità di dimostravi che posso essere degno di voi, questa sera.”

“Sono sicura che sarà così.”

La musica dei violini si interruppe in quel momento.

Oscar e il conte si defilarono sul fondo della sala, in mezzo agli altri cortigiani. Un cameriere in livrea blu profilata d’argento passò accanto a loro con un vassoio e bicchieri colmi di vino; Fersen ne prese uno e Oscar fece altrettanto. Ne avrebbe avuto bisogno.

“Vorrei chiedervi di essere onesto, conte di Fersen. Prima avete parlato della nostra intesa: come vi aspettate che evolva la serata?”

Oscar sorseggiò brevemente il suo vino, prima di alzare lo sguardo sul conte.

“Nel migliore dei modi, naturalmente. Ma credo che dipenderà in massima parte da voi e da ciò che vi suggerirà il vostro cuore: posso solo sperare che vogliate seguirlo.”

 

Ma prima devo capire cosa vuole, pensò Oscar tra sé.

 

“E voi? State seguendo il vostro? Se amate un'altra donna, e sappiamo entrambi che è così, come fate a stare qui con me? Come fate a non correre da lei, anche in questo momento?” chiese spavalda.

“Siete senza pietà: vi piace tormentare la piaga che mi porto nell’animo.”

“Non è per questo, ma cercate di capire... Mi sto chiedendo che posto ho io nel vostro cuore, Fersen.”

“Un posto speciale, contessa. Ve lo assicuro.”

“Quanto speciale? Sono una delle vostre tante amiche? O potrei essere qualcosa di più? – Fersen la scrutava, ma non le diede una risposta immediata, e lei incalzò con la sua indiscrezione. - Siate sincero: conta il fatto che sono la gemella di madamigella Oscar?”

Quella era la domanda fatidica che le bruciava sulle labbra, motivo principale che l’aveva spinta a inscenare quella farsa.

“Contessa, mentirei se vi dicessi che la cosa mi lascia indifferente: il fatto che siete la gemella di Oscar, esercita una grande attrattiva su di me, è inutile negarlo. Ma questo particolare non sminuisce il vostro fascino.”

“Capisco. Apprezzo davvero la vostra franchezza. – Rispose, soddisfatta per la delusione mancata. – Però non mi posso accontentare del secondo posto… Devo avere l’esclusiva. Vi sembro troppo esigente?”

“Sì, molto. Ma avete ogni diritto di esserlo.”

“Questo è il mio prezzo per questa sera. Quanto siete disposto a pagarlo? Perché vi avverto, non accetterò nulla di meno della verità tra noi…”

“Dunque ponete un prezzo? E sia, lo pagherò per voi, Danielle.”

Fersen aveva risposto senza esitazioni mentre la luce di una violenta eccitazione gli accendeva lo sguardo, un guizzo repentino che a Oscar non sfuggì. Lei pensò fosse un lampo di sfida.

Certamente per Fersen lo era, ma Oscar si ingannava sulla natura di quello scontro: voleva mettere a nudo l’anima del conte, ma non conosceva la strategia né le tattiche provocatorie che lei stessa metteva in campo in quella schermaglia. Camminavano lentamente sul fondo della sala, ogni tanto Oscar puntava lo sguardo tra gli altri invitati presenti fino a trovare seduta sul lato opposto la figura della regina, circondata dalle sue dame di compagnia.

“Questa sera non trattatemi come una dama qualsiasi, né come la sorella del Colonnello Oscar. Io sono Danielle di Recamier...”

“Credetemi, non potreste mai essere una donna qualsiasi. Questa sera più che mai mi apparite sorprendentemente diversa, audace oserei dire; devo ammettere che mi cogliete un po’ di sorpresa, e la cosa mi piace. Siete una donna da scoprire un po’ alla volta, Danielle... Sarà entusiasmante farlo, se me lo permetterete.”

 

Ballarono ancora a lungo travolti dalla musica, infiammati dal vino frizzante, presi dall’allegria della festa.

Erano passate oltre due ore; la sala era piena di gente accaldata, uomini con i parrucchini incipriati appiccicati sulla testa e dame sudaticce sotto i corsetti troppo stretti.

Qualcuna sveniva e doveva essere portata nelle sale attigue per allentare i lacci del busto, prendere aria presso una finestra aperta e rianimata con i sali. Oscar iniziava ad avvertire un senso di soffocamento. Per combattere la nausea che sembrava assalirla, agitava il ventaglio con le piume che ondeggiavano vistosamente.

Sperava di non svenire come una donnicciola qualsiasi, sarebbe stato davvero troppo, e maledì Danielle che non aveva voluto farle allargare il bustino.

“L’aria qui dentro sta diventando irrespirabile. Vogliamo uscire sul balcone? C’è una luna splendida…”

Lo invitò lei, e Fersen acconsentì prontamente, interpretando quella richiesta come un abboccamento e si allontanarono sotto gli sguardi curiosi di dame e gentiluomini.

L’aria dell’esterno era piacevolmente fresca e Oscar sentì tornare l’ossigeno nei polmoni mentre la luce lunare creava una strana misteriosa atmosfera attorno a loro.

E Oscar sottovalutò un elemento che la vera Danielle non avrebbe trascurato. Il conte si sentiva travolto da un forte senso di aspettativa: l’ eccitazione cresceva in lui col passare del tempo e lo faceva sentire euforico e spavaldo.

La strana disinvolta malizia della contessa lo intrigava.

Non si sarebbe aspettato un risvolto di quel genere, ma lo trovava sorprendente oltre che travolgente.

“Sotto questa luce siete ancora più splendida, contessa… Una dea della notte, misteriosa e affascinante.”

La musica ovattata dei violini proveniente dall’interno faceva da sottofondo al palcoscenico della notte.

Contro le luci provenienti dalle grandi finestre si vedevano le sagome di alcune coppie che ballavano.

Fersen fissava la contessa con ardore, mentre lei, inquieta e ignara dei suoi pensieri, si appoggiava alla balaustra di marmo. Erano soli e lei riprese a parlare, sicura che nessuno li avrebbe sentiti.

“Cosa sarei per voi? Una consolazione per poche ore soltanto? O potrei essere qualcosa di più, la libertà da un amore che vi tiene prigioniero? Ci avete mai pensato?”

“Mi state chiedendo se potrei innamorarmi di voi?”

“Anche, sì. Avete mai provato? Potreste amare un’ altra donna in futuro?”

“Volete la verità?”

“Assolutamente conte. Abbiamo fatto un patto, ricordate?”

“Avete ragione. Ebbene, l’unica cosa reale è che il mio cuore non sarà mai di nessuna che non sia lei. Le altre donne sono avventure, l’oblio dei sensi in cui addormento per un momento la mia pena e la mia solitudine.”

“E Oscar? Lei cosa potrebbe essere?” chiese con un poco di timore.

“È davvero strano che mi chiediate di lei, ma a voi posso dirlo. Vostra sorella è il mio migliore amico…”

Migliore amico? – chiese, avvertendo una punta di delusione inaspettata. - Non sarà mai nient’altro che questo?”

“Lo trovate così strano? Chissà, con voi potrebbe anche essere diverso… potrebbe esistere un sentimento…”

Fersen le prese la mano appoggiata alla balaustra e la baciò dolcemente.

“Che genere di sentimento?” domandò Oscar, corrugando la fronte, mentre rifletteva tra sé sull’ultima affermazione del conte, e il suo cuore si rassegnava dolcemente e senza troppi scossoni a una strana amarezza che piano piano la invadeva.

“La complicità che esiste tra spiriti affini… col tempo una tale sintonia potrebbe anche diventare amore profondo…”

Fersen continuava trattenere la sua mano baciandola e intanto risaliva lungo il braccio foderato dal guanto. Oscar ringraziava il cielo che tra la sua pelle e le labbra di Fersen ci fosse il raso a proteggerla da un fremito confuso e pericoloso.

“Credete davvero in quello che dite? – chiese un po’ incerta. - Mi chiedo se si possa amare ed essere infedeli al proprio amore…”

“Questa è un’ ingenuità che potrei aspettarmi da Oscar, ma voi dovreste comprendermi: non siete poi tanto diversa da me.”

“Cosa? – Lei si bloccò di colpo, incrociando i suoi occhi ardenti che la fissavano. - Volete dire che io…”

“Ammettetelo contessa… - Fersen le si fece pericolosamente vicino, le sfiorò una guancia con la mano giocando con un ricciolo dei suoi capelli; le labbra bisbigliavano vicino al suo orecchio, e Oscar suo malgrado, percepì il profondo turbamento di una tale vicinanza. – Anche voi cercate l’oblio. Anche voi cercate di dimenticare la vostra solitudine nelle braccia dei vostri amanti. L’ho capito appena vi ho vista, sapete… Conosco la vostra inquietudine, è come se in voi ci fosse un terribile desiderio cui anelate, ma che non potete soddisfare. Ma la cosa più straordinaria è che siete così simile a vostra sorella! Un fuoco inestinguibile brucia nei vostri occhi limpidi come acqua sorgente: è la passione da cui siete dominata, come Oscar è animata dal fuoco della battaglia… non sapete quanto questo particolare ecciti la mia fantasia…”

Oscar si sentì quasi stordita dalle parole. Si accorse di tremare.

Tentò di recuperare un minimo di lucidità mentre avvertiva le mani del conte che la trattenevano per la vita stingendola contro il suo petto e la sua voce calda e morbida attraversava le nebbie della sua mente.

“Cosa state dicendo? Non capisco… Oscar… una fantasia?”

“Verità per verità, allora vi dirò tutto. Sono sicuro che nessun altro uomo vi ha mai confessato ciò che sto per dirvi io. Sì, voi scatenate i miei sogni più perversi e proibiti. Siete la mia fantasia più folle e impossibile. Lasciatevi andare Danielle! Lasciatevi amare come vorrei. Non sapete quante volte ho immaginato di fare l’amore con voi, di spogliarvi piano, sciogliere tra le mie dita i vostri capelli biondi per trovare alla fine la pelle di un'altra donna tra le mie braccia. Due donne in una sola! Voi come Oscar!! Oh, Danielle, mi fate impazzire!”

Troppo sbalordita per una qualsiasi reazione, Oscar non trovò la forza di ribattere o protestare per l’indignazione, e Fersen proseguì quell’incredibile confessione travolto dal suo stesso impeto, osando troppo.

“Chissà quanti dei vostri amanti hanno avuto il mio stesso pensiero. Sembrate sorpresa, ma siete troppo intelligente e arguta per non averci pensato!”

Fersen stringeva sempre più mentre Oscar si puntellava sconcertata contro il suo petto per tentare di liberarsi da quella presa che la stava soffocando.

Le girava la testa come se fosse preda dei fumi dell’alcool. Era davvero ubriaca, ma non per colpa del vino.

Guardava Fersen, i suoi occhi sfrontati, e le pareva di non riconoscerlo, mentre intuiva che per quanto fosse grottesca e assurda, quella era la realtà di cui la vera Danielle non si sarebbe sorpresa né scandalizzata.

E Oscar ripensò alle parole della sorella in quella notte furibonda nella sua stanza.

 

- Io sono la fantasia, la trasgressione… attraverso me, gli uomini cercano te…

 

Semplicemente Danielle era sempre stata consapevole di questo.

Forse ci aveva giocato. Forse giocava anche ora.

Lei no.

Lei non aveva mai voluto nemmeno pensarci.

E improvviso si affacciò alla sua mente il dubbio insinuante e maligno, eppure stranamente eccitante, che Andrè si sentisse attratto da Danielle per la stessa ragione.

Il pensiero esplose nella sua mente come un boato, come una luce accecante che ferisce il buio e svela impietosa recessi nascosti, angoli segreti sconosciuti, definisce oggetti e forme prima confuse, sottolinea i contorni invisibili.

Fu quasi altrettanto improvvisa la sensazione di fastidio più simile a disgusto quando avvertì le labbra umide del conte premere le sue e tentare di schiuderle.

Si sentiva debole e provò ad arrendersi pensando a tutte le volte che lo aveva desiderato, a quanto avesse sognato quel bacio.

A come lo avesse sempre immaginato.

 

Caldo, morbido. Avvolgente, conturbante. Travolgente.

 

Ma c’era qualcosa che non andava.

 

Era l’emozione che non c’era.

 

E lei non riusciva a sciogliersi in quell’abbraccio spasmodico.

Lei non sentiva niente tranne una profonda delusione.

Fersen la baciava e lei non sentiva altro che l’aria fredda della notte sulle spalle nude e non era un brivido di piacere.

Si divincolò con impeto e bruscamente girò il volto per sottrarsi al bacio. Con forza, posò le mani sulle braccia di Fersen per allontanarlo da sé.

“Lasciatemi, Fersen! Vi prego…” Il tono era stato perentorio. Quasi brusco.

Fece un passo indietro, emettendo un sospiro silenzioso, una mano posata sotto il seno.

Il conte era di fronte a lei e la guardava. E non capiva.

Era ammutolito, amareggiato e si chiedeva quale tremendo errore avesse commesso.

“Contessa… io credevo…” iniziò esitante.

Aveva perso molta baldanza.

Oscar stava cercando la cosa più giusta da dire e nonostante il disagio, si rese conto che proprio la verità nuda e cruda sarebbe stata la soluzione perfetta al caso.

“Perdonatemi, Fersen… così non posso. Non ce la faccio. Non voglio ridurmi a una fantasia. Neppure per voi. Scusatemi se ve l’ho fatto credere. Voi avete ragione su me e su Oscar, ma io ho giocato d’azzardo e ho perso contro me stessa…”

Oscar sollevò l’orlo delle gonne per allontanarsi e tornare nel salone; voleva abbandonare la festa, ma il conte la fermò.

“Vi prego, contessa… la colpa è solo mia. Sono stato molto presuntuoso e indelicato. Vi ho promesso che avremmo danzato insieme tutta la sera… vorrei mantenere la promessa… non andatevene così, io vorrei restare vostro amico.”

“Pensate che potremmo esserlo, dopo stasera?” domandò senza riuscire a camuffare il disinganno.

“Perché mai non dovremmo?” Obiettò Fersen che tentò di salvare il salvabile.

 

In effetti non potremmo essere altro, ora lo so, pensò Oscar, prima di tornare nel salone tra gli altri invitati.

 

 

§§§§§§§

 

 

 

 

Era trascorsa oltre un’ ora dalla loro partenza. Dovevano essere arrivati a Versailles da tempo.

La notte era ormai scesa su tutta la casa. Mio marito si era già ritirato nelle sue stanze e durante la cena mi era sembrato taciturno e stranamente cupo.

Lisette dopo l’incontro di quel pomeriggio nel parco, non si era fatta vedere neppure a cena, adducendo una violenta quanto improvvisa emicrania che l’aveva costretta a letto.

 

Avevo abbandonato la mia stanza di soppiatto, e nei panni di Oscar, mi ero spostata in quella riservata a lei per attendere il momento favorevole in cui avrei attuato il mio proposito senza destare sospetti, soprattutto in André.

Cercavo di mantenere la calma, ma sentivo l’ansia bloccarmi lo stomaco e corrermi sulla pelle come un brivido, mentre il tumulto del cuore mi scoppiava nelle orecchie.

Ero davanti alla porta che mi separava da André.

I corridoi di palazzo erano quasi avvolti nel buio; solo le luci di poche candele consumate poste in alto sulle pareti, creavano punti di luce in angoli estremi della casa.

Rimasi lì davanti, col cuore in tumulto per minuti interminabili, prima di trovare il coraggio di posare la mano sulla maniglia per entrare, che cedette subito sotto la pressione.

Finalmente varcai la soglia e mi investì una velata semioscurità rischiarata dalla luce tenue di una candela posta in un angolo. André non stava dormendo; era in piedi davanti alla finestra e guardava la luna che rischiarava a sprazzi le nubi che correvano nel cielo scuro.

Mi parve immobile come una statua di marmo e il mio cuore fu preda di una scossa di curiosa eccitazione mentre lo osservavo. Sembrava che mi stesse aspettando, ma sapevo che non poteva essere così. Anche lui era preda di qualcosa quella notte. Chissà quali pensieri lo tenevano sveglio.

Girò il volto e quando mi distinse nella penombra della camera, sembrò ridestarsi da sé stesso.

“Oscar? Cosa c’è? – Proruppe sorpreso. - Hai bisogno di qualcosa? Non ti senti bene?”

Avanzai verso di lui.

“Non riuscivo a dormire, André. Avevo bisogno di parlare con te.”

Forse la mia voce tradì una velata agitazione che lui colse immediatamente e che fraintese.

“Stai pensando a Danielle e al conte di Fersen, non è vero? Ti stai pentendo di non essere andata a quel ballo.” Allora si mosse dalla finestra per avvicinarsi a me.

“No, André. Sono contenta di non esserci andata, altrimenti adesso…”

Lui si mosse ancora di lato per andare a frugare in un cassetto.

“Accendo un'altra candela, è meglio.”

“No, non farlo. Non serve. Ho solo bisogno di stare qui con te…”

Lo bloccai sfiorandogli un braccio e lui si girò di nuovo a guardarmi, raddrizzandosi lentamente. Alla luce della candela leggevo una vaga perplessità nei suoi occhi che mi sembravano ancora più affascinanti e tenebrosi sotto il fuoco ballerino della fiammella. Un brivido insinuante come un soffio di vento caldo mi percorse la schiena.

Improvvisamente prese a scrutarmi in modo diverso come se fosse attraversato da un dubbio.

“Oscar, cosa sei venuta a fare in camera mia? Come mai non riesci a dormire?”

“Ecco, io… non faccio altro che pensare a te, André… a te e a Danielle. So che la desideri e io mi chiedo se puoi desiderare me nello stesso modo… ti prego, ho bisogno di saperlo.”

“Oh, Dio Oscar! Ma che domanda è? - Era sbalordito e forse per un momento lessi paura in fondo ai suoi occhi.  – No… tu non stai parlando sul serio…”

“Sono serissima, André, tanto da essere venuta fin qui in piena notte, senza badare alle conseguenze.”

Mi guardò fisso per un lungo istante; la luce lo illuminava solo in parte e le ombre sul suo volto gli conferivano l’espressione più enigmatica che gli avessi mai visto.

“Cosa stai cercando di fare? Vuoi competere con tua sorella, è per questo?”

Sentivo che era vulnerabile e dovevo osare adesso, se volevo che cedesse.

Mi avvicinai a lui così tanto da far quasi aderire i nostri corpi, sentivo il suo respiro caldo sul mio viso. Mi guardava e aveva il fuoco negli occhi, un fuoco ardente che stava cercando di dominare con tutte le sue forze.

Mi desiderava come avrebbe desiderato Oscar, come forse non avrebbe mai desiderato me; era un inganno, ma era il solo modo di aggirare le difese del suo cuore.

“Non si tratta di competere André, si tratta di amare… – dissi con impeto. - Danielle forse ti ama, è vero, ma per me tu sei troppo importante. Negli ultimi tempi ho capito tante cose che riguardano noi due. Ho capito cosa siamo veramente, cosa ci lega davvero. Lo vedo anche ora nel tuo sguardo; gli occhi non mentono André. Si può mentire con le parole, ma non con gli occhi.”

Era vero più di quanto immaginassi in quel momento.

“Dimmelo tu, Oscar, cosa ci lega davvero. Voglio sentirlo dire da te; sembri così sicura…” sussurrò deciso e la sua voce bassa mi spiazzò per un attimo. Ma ero determinata a giocare a carte scoperte.

“Tu mi ami, non è vero André? – Mi avvicinai ancora di più a lui, che sembrava trattenere il respiro. - Ora so cosa provo per te. Per quanto tu possa desiderare Danielle, non puoi amarla nello stesso modo… perché io e te siamo legati a filo doppio. Ora lo so…”

Faceva molto male ammetterlo, un dolore vero che inevitabilmente trasparì dal mio sguardo e per questo André forse percepì l’inganno. Finse di cascarci.

Posai le mie mani sul suo petto e risalii ad accarezzargli il viso e sentii sotto le dita la leggera peluria delle sue guance.

André chiuse gli occhi assaporando quel nostro contatto, sospirando forte.

Poi le sue mani grandi e forti corsero a prendere le mie per stringerle e accarezzarle. Il mio cuore batteva come un tamburo e sentivo la gioia scoppiarmi dentro. E lui parve arrendersi all’emozione che lo travolgeva, che gli faceva tremare la voce.

“Dio, Oscar… quanto ho sognato un momento del genere… quanto l’ho desiderato tu non ne hai idea. E ora sei qui, tra le mie braccia a confessarmi il tuo amore…”

Continuava ad accarezzare le mie mani con le dita lunghe, a baciarne i palmi con delicatezza e trasporto simile a sofferenza; invocava il mio nome falso mentre io tremavo, mentre speravo di godere delle sue labbra con le mie.

“Sì, André… sono qui e voglio amarti ed essere amata… non mandarmi via, ti prego…”

Mi strinsi a lui e lo abbracciai forte e lo sentii ricambiare l’abbraccio con lo stesso impeto, mentre le sue labbra mi procuravano un brivido sulla pelle del collo, prima di trovare la mia bocca.

E fu delirio dolce che mi prese.

E mi saziai di lui, e lui di me, in un bacio che sapeva di febbre e passione, di sete e fame d’amore.

Lo sentii spingermi dolcemente verso il letto e tra le lenzuola mi ritrovai sottomessa al suo corpo, al suo impeto virile, alle sue mani che accarezzavano il mio viso e correvano proprio dove io volevo, alla sua bocca che con tenera insistenza cercava la mia e la faceva sua. Sentivo il suo desiderio prepotente e trattenuto e sentivo il mio spasimo, il profumo e il sapore un po’ acido delle sue pelle che stordiva e accendeva la mia voglia. Era qualcosa di meraviglioso.

Era la perfetta felicità averlo lì, addosso a me, e sentire i nostri corpi frustrati dalle vesti, fremere insieme. Volevo fare l’amore con lui e cercavo di superare i suoi vestiti; le mie mani percorsero i muscoli tesi della sua schiena, infilandosi sotto il tessuto un po’ ruvido della sua camicia.

Sembrava tutto perfetto.

La nostra reciproca brama, uguale e travolgente.

 

Pensai di aver vinto.

 

Poi André smise di baciarmi e accostò la sua fronte alla mia.

Il suo respiro era affannoso quanto il mio, lo sguardo carico di oscuro e animale desiderio, una calamita che mi tratteneva a lui. Non parlò per alcuni secondi, limitandosi a fissarmi intensamente. Poi, lentamente sembrò rilassarsi e la luce del suo sguardo farsi più limpida.

Io lo baciai ancora, dolcemente, ma avvertivo qualcosa di diverso, quasi la tensione erotica stesse scemando via da noi.

Ebbi paura, finché André non parlò in un sussurro sommesso sulle mie labbra.

“Oh, questo è un sogno meraviglioso, dovrei ringraziarti; è così facile lasciarsi trasportare da una dolce illusione, andare alla deriva e approfittare di un regalo insperato che cancella per un attimo la pena che portiamo in cuore… sarebbe ancor più perfetto se fosse reale…”

“Oh, André, ma…”

Lui continuava a fissarmi con una strana dolcezza che non comprendevo.

“Sarebbe così semplice fingere, immaginare che è tutto vero e abbandonarsi al bisogno d’amore. Per un attimo ho voluto concedermi un sogno impossibile… l’illusione è così perfetta… Ma tu non sei lei. E io non posso approfittare di questo… Proprio non posso, Danielle.”

 

Quando sentii il mio nome, nell’immediato non seppi reagire.

Rimasi bloccata; non un’obbiezione, nessun tentativo di negare mi venne, lì per lì.

André mi guardava ormai consapevole di chi fossi in realtà, e io restavo in silenzio con la bocca spalancata e gli occhi sgranati su di lui.

Sembrava rammaricato e non compresi subito il reale motivo; quella notte non eravamo gli unici in gioco, lo sapeva anche lui.

Aveva parlato con assoluta pacatezza, non voleva umiliarmi o deridermi e di questo gli fui grata.

Tentai allora di riavermi dalla sorpresa e di difendermi per cercare di negare la realtà.

Un tentativo disperato. E mi chiesi come fosse successo. Dove mi ero tradita? In che modo?

Non riuscivo a capire. Pensai che potesse essere un azzardo e tentai di confutare le sue certezze, ben sapendo che sarebbe stato come arrampicarsi sugli specchi.

“Tu credi che io sia Danielle? Oh, ma è assurdo! Cosa te lo fa credere?”

Andrè sorrise calmo, come se si preparasse a spiegare la lezione a un bambino un po’ cocciuto. E dalla sua espressione compresi che la vergogna sarebbe piombata su di me come un macigno.

“C’è stato un momento in cui il tuo sguardo ti ha tradito; c’era qualcosa nei tuoi occhi che non riconoscevo, una luce che in Oscar non ho mai visto. Ma non potevo esserne sicuro… Poi mi hai toccato e allora, non ho più avuto dubbi…”

“Cosa??!!”

“Le tue mani Danielle sono troppo morbide e curate. Sono le mani di una donna che non ha mai impugnato una spada o qualsiasi altra arma. - A quel punto André prese con dolcezza la mia mano destra, aprì il palmo e con l’indice ne seguì le linee. - In questo punto centrale la mano di Oscar è indurita dagli allenamenti, dall’impugnatura della spada… la tua invece è morbida, la pelle è delicata e fragile. È un piccolo, banale dettaglio che non hai calcolato quando hai attuato il tuo gioco, vero?”

Non seppi più cosa rispondere, ormai completamente smascherata.

Mi sentii piccola e vagamente stupida.

Avrei voluto alzarmi dal letto e fuggire via, ma il peso della vergogna e i suoi occhi sinceri mi inchiodavano lì. Stavo per mettermi a piangere e cercai di ricacciare indietro le lacrime.

André si accorse del mio disagio e tentò di consolarmi.

Ma a me non restava che la disperazione che ti fa gridare anche la verità più scomoda.

“Danielle, ascoltami…”

“Andrè, io potrei essere lei, e potrei amarti sul serio…” tentai, mentre una lacrima inopportuna iniziava a scendere lungo le mie guance.

“No Danielle. Una rosa non può essere un lillà.”

“Potrei essere disposta a tutto, André… anche a trasformarmi in un lillà…”

“Pensaci bene, è davvero questo che vuoi? Un surrogato, un’ illusione d’amore… essere amata come la copia di qualcun altro? Inganneresti te stessa. Inganneremmo entrambi, Danielle. Io fingerei di avere Oscar, a quale scopo? Sarebbe una menzogna ancor più dolorosa. Devi pretendere di essere amata per la donna unica che sei, non la gemella sbagliata di qualcun altro.”

Andrè aveva parlato col cuore in mano, lo avevo sentito.

Era stato sincero e io sapevo che aveva ragione. Ma il dolore del rifiuto ormai opprimeva il mio cuore che esplose incontrollato.

Lui si allontanò dal mio corpo e io mi alzai a sedere sul letto, sconvolta e triste come non mai.

Mi nascosi il viso tra le mani cercando di frenare i singhiozzi. Mi rassegnai alla sconfitta, col timore folle di aver ormai scatenato la delusione più amara che ci avrebbe irrimediabilmente divisi.

“Scusami, André… perdonami ti prego! Io non volevo ingannarti, né prenderti in giro o sostituirmi ad Oscar. Ho sbagliato, lo so, ma volevo solo il tuo amore ed ero disposta a tutto pur di averlo… lo sono ancora. Io ti amo davvero, mi devi credere. Non posso fare a meno di sentire tutto questo per te.”

André seduto di fianco a me, prese le mani per allontanarle dal mio viso.

“Per amore si fanno davvero le più grandi pazzie… così tu sei rimasta qui, mentre Oscar è andata al ballo con Fersen… - parve riflettere per un istante, quindi una scintilla brillò nel suo sguardo. – Per quanto possa capire questa tua follia, mi delude il fatto che per venire qui a sedurmi, hai spinto lei tra le braccia di quell’uomo. Immagino che sia stato molto facile per te… - La sentii chiara quella nota profonda e dolente nella sua voce, mista a una punta di rabbia appena trattenuta. - Non dovevi farlo, Danielle. Questo è peggio di tutto! Anche dell’inganno!”

Esclamò con autentico sconforto e fu quello che mi ferì più di tutto; non potevo sopportare l’accusa implicita che mi stava rivolgendo e il disprezzo che poteva derivarne mi sconvolse.

“Oh, no, ti prego!! Non credere questo, non è stata un’ idea mia, André. È stata Oscar a propormelo! Lei ha voluto fare lo scambio; è stata molto decisa fin dall’inizio.”

Nient’altro che una mezza verità.

“Come può essere? Lo ama dunque a tal punto!”

Esclamò Andrè con sgomento, appoggiando i gomiti sulle ginocchia e mettendosi le mani nei capelli corvini come se fosse oppresso da un peso.

Lo sentii imprecare. Quindi tornò a fissarmi serio.

“L’altro giorno nelle scuderie, subito dopo la vostra cavalcata… era Oscar quella vestita da amazzone, vero?”

Mi sembrò inutile negare; ormai André aveva capito tutto. Non avevamo più maschere per lui.

All’improvviso abbandonò il letto e fu in piedi di fronte a me.

“È meglio che tu vada via, ora. Io devo prepararmi ad accogliere la contessa che torna dal ballo…” disse con una voce che mi parve piena di risentimento. Un brivido inquietante mi attraversò.

Non ebbi il coraggio di chiedergli cosa volesse fare.

Sapevo solo che il gioco era appena cominciato e troppe mosse erano già state scoperte e io non ero più in grado di prevedere niente.

In realtà, non avevo mai avuto il controllo su nulla e nessuno.

Tutto da qui in avanti sarebbe stato più complicato.

 

 

 

Continua…

 

 

 

 

 

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Capitolo 13
*** Arrivi e partenze; bentornata contessa! ***


Bentornata contessa!

13 – Arrivi e partenze; bentornata contessa!

 

 

Scusate per l’immenso ritardo di questo aggiornamento, ma la voglia e l’ispirazione erano latitanti per tante ragioni che non starò qui a dire. Questo capitolo mi è costato sudore e sangue e immaginando l’aspettativa delle lettrici, spero di non deludere nessuno. È giocato sulla tensione che ho cercato di mantenere viva in un modo particolare… mi direte voi se ho fatto bene o solo creato confusione. Mi sono accorta di non aver risposto a tutte le recensioni, ma come sempre grazie di tutto, per l’incoraggiamento e la vostra attenzione costante a questa storia. Buona lettura.

 

 

*********

 

 

Il chiarore opalescente di uno spicchio di luna illuminava vagamente la strada su cui viaggiava lenta la carrozza con lo stemma dei Recamier. Mancava più di un’ ora al sorgere di una nuova alba nebbiosa. Oscar si rilassava all’interno dell’abitacolo della vettura; il dondolio del mezzo la cullava mentre ripercorreva con la mente un poco annebbiata suoni e immagini della serata appena trascorsa. Le luci dei lampadari di cristallo di Boemia, i violini, le danze, le sete fruscianti di gonne vaporose, gioielli sfavillanti che brillavano nel buio quanto il luccichio di certi sguardi accesi d’eccitazione e aspettativa. Se n’era andata da sola, un po’ prima della fine della festa, e non aveva voluto che Fersen l’accompagnasse. Nulla era stato come lei si sarebbe aspettato.

Neppure la delusione era stata così amara. Anzi, la sensazione aveva un che di ridicolo.

In realtà, avvertiva una specie di sollievo misto a un senso di stupore.

Erano bastate poche ore e tutto il mondo dei suoi sentimenti si era ridimensionato, come se improvvisamente una lente deformante le fosse stata tolta davanti agli occhi.

Un mezzo sorriso le affiorava sotto il trucco del belletto.

 

-         Sei stata molto sciocca, Oscar… che ti serva da lezione.

 

Il sentimento iniziale andava via via scomparendo per lasciare spazio a una sorta di leggerezza del cuore, una sensazione che la rendeva curiosamente serena. La serata si era conclusa meno peggio di quanto sperasse; dopo il fallimento del primo approccio, il conte di Fersen si era limitato a ballare con lei fino a metà della serata, senza tentare altre sortite ad effetto per conquistare le grazie della sua bella accompagnatrice sotto mentite spoglie.

Se poi, anche quella fosse una tattica maschile, poco le importava.

A breve avrebbe smesso i panni della contessa di Recamier, e le conseguenze future di quel ballo sarebbero state solo un problema di Danielle di cui lei non si sarebbe curata.

Chissà se al suo stesso posto, Danielle avrebbe reagito come lei.

Ora capiva meglio certi atteggiamenti ironici della sorella.

Così pensava Oscar, mentre la carrozza procedeva verso la villa che iniziava a scorgersi in lontananza tra il verde ombroso della campagna.

Non c’erano pensieri molesti che attraversavano la sua mente.

Non c’erano neppure le ultime parole di André che alcune ore prima l’avevano turbata.

Il suo cuore era in silenzio. Quasi assopito. Il ricordo addormentato.

La quiete pareva scesa su ogni cosa attorno e dentro l’anima, ma era solo quella che precede la tempesta.

Non poteva sospettare né immaginare in quali rapide turbolente sarebbe precipitato presto il suo spirito; ignorava l’impeto della corrente che stava per travolgerla ed era ancor più impreparata ad affrontarlo.

 

 

§§§§§§

 

 

Erano quasi le nove del mattino.

Tranne la servitù, quasi tutti alla villa dormivano ancora. O così sembrava. Uno strano silenzio aleggiava attorno; era pesante, come se da un momento all’altro dovesse accadere qualcosa di tremendo tra le mura della casa. Solo Leopold di Recamier era già in piedi, contrariamente alle sue abitudini.

Di fronte a lui nell’ androne della villa stava Lisette in abito da viaggio, un grazioso cappellino calato sulla testa, da cui spuntavano dei riccioli scuri. L’aria della donna era apprensiva, non meno di quella del conte.

Con andatura frettolosa, due cameriere stavano portando i bagagli di Madame Marchard all’esterno della villa per caricarli sulla carrozza che attendeva la sua viaggiatrice.

Il conte le accarezzava le spalle con fare rassicurante.

“Siete pronta, mia cara?”

“Sì, Leopold. – Lisette si lasciò sfuggire un sospiro pesante. - Allora non volete proprio accompagnarmi? È rischioso, lo sapete?”

Parole cariche d’ansia che il conte cercava inutilmente di placare e che condivideva, pur tentando di nasconderlo alla sua amica intima.

“Sì, ci ho pensato. Ma ve l’ho detto, non posso. Ma potrei raggiungervi in seguito; devo sbrigare alcune importanti formalità che riguardano l’adozione: dovrò recarmi a Parigi per questo. Sarà questione di un paio di giorni al massimo.”

“Come volete. Spero non sia inutile. - La donna abbassò la veletta nera sul volto. – Se la piccola dovesse morire, io…”

La voce di Lisette era venata di incertezza. Forse paura. Il conte se ne accorse.

“Non accadrà. State calma e non preoccupatevi; andrà tutto bene. Ho mandato laggiù il nostro medico di famiglia, un uomo capace e preparato. Penserò io a tutte le spese. Andiamo, vi accompagno alla carrozza.”

 

Il conte e Lisette attraversarono l’androne.

Nel cortile esterno era ferma una carrozza con quattro cavalli freschi, il cocchiere stava sistemando i pochi bagagli in un baule sulla parte posteriore; Leopold aiutò la dama a salire in vettura e richiuse lo sportello. Poi si accostò al finestrino da cui Lisette si era sporta.

“Volevo salutare vostra moglie. Le avevo accennato vagamente ad un parente malato. Questa partenza improvvisa potrebbe insospettirla, ci avete pensato?

“Per questo ora preferisco non seguirvi. Le porterò i vostri saluti. È strano che a quest’ora non sia ancora alzata; il ballo di ieri sera a Versailles deve averla stancata più del previsto. Non si vede in giro neppure la mia stramba cognata: alquanto strano. Madamigella Oscar di solito è mattiniera.”

“State attento; ho percepito una strana complicità tra vostra moglie e sua sorella: non so cosa sia, ma hanno in mente qualcosa. Arrivederci, Leopold. Raggiungetemi appena potete, non perdete tempo.”

“Non dubitate; fatemi avere notizie al più presto. Assicuratevi che mia figlia stia bene. Scrivetemi subito, appena arrivate.”

Le loro mani erano ancora appoggiate sul finestrino una sull’altra mentre la vettura lentamente si metteva in moto.

Leopold la guardò allontanarsi con un espressione mesta mentre udiva lo scalpiccio ritmato degli zoccoli dei cavalli sul lastricato appena antistante il palazzo.

Dopo alcuni metri, vide madame Lisette chiudere la tendina e rifugiarsi all’interno della vettura.

Solo quando la carrozza fu lontana si decise a rientrare in casa.

Anche lui doveva prepararsi per la partenza e doveva trovare una scusa convincente per la moglie.

 

 

§§§§§§

 

 

 

Da almeno un’ ora la luce chiara del mattino filtrava spavalda tra le tende della camera in cui avevo passato parte di quella notte sconvolgente. E ancora non sapevo nulla di come essa si fosse conclusa per le altre persone che con me, l’avevano attraversata in una specie di delirio febbrile.

Non ero nella mia stanza, nel mio letto, tra i miei cuscini ricamati e le mie lenzuola profumate, né mi ero risvegliata tra le braccia di André come avrei voluto: ero nella stanza che occupava Oscar da quando era arrivata in casa mia circa una settimana prima.

Dopo il ballo, come da accordi avremmo dovuto incontrarci in quella che era la camera della contessa di Recamier, e lì, tornare ciascuna nei nostri panni consueti; ma niente era andato come io avevo sperato.

Non sarei mai riuscita a chiudere occhio dopo l’ epilogo amaro della serata con André. Avevo lasciato la sua stanza rimuginando su quanto era accaduto tra noi, sulla passione che quasi ci aveva fatto cedere, sull’imprevisto un po’ umiliante di vedermi smascherata, chiedendomi cosa sarebbe accaduto di lì a poche ore, al rientro a palazzo di Oscar.

Endré era stato piuttosto chiaro e non c’era modo che io potessi fraintendere le sue vere intenzioni: era deciso a entrare in quella partita pericolosa, e dalla sua determinazione intesi che non sarebbe rimasto semplicemente a guardare, anche se ancora non comprendevo che ruolo intendesse sostenere.

O forse l’avevo compreso fin troppo chiaramente ed era un pensiero che mi spaventava perché non riuscivo a coglierne gli sviluppi.

Contro ogni previsione, André aveva accolto la falsa Danielle nella mia stanza quella notte consapevole di trovarsi di fronte Oscar.

André voleva giocare d’azzardo, osare sfiorando forse l’impertinenza e non si sarebbe preoccupato delle regole, di mentire o ingannare, e mi chiedevo se non ero responsabile, insieme a Oscar di quella sua reazione; quasi a nessuno piaceva essere un burattino in balia dei capricci assurdi di due donne e certo, non era una cosa che piaceva a un uomo orgoglioso come lui.

Decisamente il gioco mi era sfuggito di mano, ma Oscar era all’oscuro di tutto. Per quanto ne sapevo lei poteva ancora pensare che tutto fosse andato secondo i nostri piani. Ma se non mi aveva vista arrivare al nostro appuntamento, da donna sagace e arguta, qualche pericoloso sospetto forse le era venuto… e allora?

Mi alzai dal letto, indecisa su cosa fare, ma dovevo agire in qualche modo, sbloccare la situazione.

Soprattutto dovevo scoprire cosa fosse accaduto tra Oscar e André in quelle poche ore precedenti, dopo che mi ero allontanata dalla camera dell’attendente.

Indossai i panni maschili della mia gemella e mi apprestai a uscire dalla camera.

Il cuore mi batteva forte, mentre attraversavo il corridoio che separava le nostre stanze, sperando di non incontrare nessuno lungo il breve percorso per raggiungere la mia vera stanza.

Percepivo solo silenzio, a parte i passi di qualcuno che si muoveva in una delle camere al piano di sotto; forse qualcuno della servitù che toglieva la cenere vecchia e approntava nuova legna da ardere in un camino.

Quando fui davanti alla porta della mia camera esitai, incerta se entrare senza bussare o meno. Dall’interno non proveniva alcun suono, quasi l’ambiente fosse deserto. Non poteva essere.

E poteva essere tutto.

Oscar stava ancora dormendo?

L’avrei trovata sola con addosso ancora il mio vestito da ballo?

André era lì con lei?

Mi stavano aspettando al varco per umiliarmi e far cadere definitivamente ogni maschera?

Tirai un sospiro e mi decisi.

Posai la mano sulla maniglia che si abbassò senza opporre resistenza e la porta si aprì: scorsi l’anticamera deserta rischiarata da un raggio di luce che batteva sugli intarsi di marmo del pavimento, l’arredamento famigliare dai delicati colori pastello, un divano e le poltroncine, in un angolo un vaso di porcellana dipinta e dentro un mazzo di fiori appassiti che Ninette non aveva ancora provveduto a buttar via. Entrai in punta di piedi e richiusi la porta alle mie spalle.

Mi avvicinai all’uscio della camera da letto, neppure da lì proveniva alcun rumore. Il cuore prese a martellarmi più forte per l’aspettativa.

Forzai la maniglia e aprii.

Mi sporsi all’interno con la testa e diedi uno sguardo veloce all’ambiente, alla ricerca di qualche indizio, il segno di una qualche presenza. E allora lo vidi.

Il vestito color ametista.

Quello che Oscar aveva indossato al ballo.

Una nuvola rigonfia di seta preziosa abbandonata scomposta su una sedia. Chi l’aveva aiutata a toglierlo? Ninette forse?

Feci un passo e fui dentro la stanza.

Scorsi le cortine impalpabili del mio letto e le sagome di due figure sotto la coltre delle coperte. Mi avvicinai al baldacchino del letto affascinata e scostai con la mano un lembo di leggera seta bianca. Una chioma di fluenti capelli biondi era sparsa sul cuscino e di fianco a lei una testa bruna; il lenzuolo era abbassato quanto bastava a mostrare una vigorosa schiena maschile nuda, mentre un braccio cingeva le spalle della donna addormentata. Vedere André, bellissimo, conturbante e addormentato nel mio letto mi turbò oltre misura; avrei dato non so cosa per essere al posto di Oscar, che pareva totalmente rilassata, protetta dalla fermezza di quelle braccia robuste e sicure che la cingevano.

Come se nella vita non avessero mai fatto altro.

E mi chiesi costernata dal mio stesso pensiero, se non fosse già accaduto altrove, magari presso la casa di nostro padre.

Restai incredula a fissare la scena, non del tutto convinta della visione che i miei occhi mi restituivano: l’apparenza suggeriva l’immagine suggestiva di due teneri amanti addormentati tra le lenzuola sfatte.

Li fissai per alcuni secondi nel tentativo di convincere la mia mente di ciò che sembrava incredibile.

Oscar e André stavano dormendo abbracciati nel mio letto.

Cosa era successo?

E io adesso, cosa avrei dovuto fare?

 

 

§§§§

 

 

 

Non erano ancora le cinque del mattino quando il cocchio elegante su cui viaggiava Oscar si arrestò nel cortile antistante l’androne di Villa Recamier. Scese dalla vettura avvolta dalla preziosa stola profilata di zibetto e salì le scale che portavano all’ingresso.

La porta si aprì prima che lei potesse bussare e un valletto che reggeva un candeliere in mano l’accolse. Non rallentò il passo in alcun modo mentre impartì disposizioni precise all’uomo in livrea.

“Mi ritiro nelle mie stanze e non voglio essere disturbata da nessuno per alcun motivo.”

Non tentò neppure di addolcire il solito tono di comando.

Il valletto fece un inchino, mentre lei si allontanava verso le scale che portavano al piano nobile dell’edificio.

Chissà se Danielle la stava già aspettando, si chiese. Forse avrebbe trovato Ninette; si sarebbe fatta aiutare con l’abito, ma l’avrebbe allontanata subito.

Non sospettava che la fida Ninette era già stata congedata da qualcun altro.

 

 

§§§§§

 

Attraversando i corridoi bui, guardingo era entrato nella stanza e aveva acceso un paio di candele in un angolo.

Da almeno un’ ora buona era seduto comodamente su una sedia del salottino, e attendeva il ritorno imminente della sua contessa dal ballo.

L’oscurità stava scivolando via da ogni cosa, e il chiarore dell’alba era oramai prossimo; filtrava ancora debole dalle grandi finestre che si aprivano sul parco della villa.

Si guardò attorno curioso, come a voler studiare l’ambiente, quasi un terreno di gioco neutrale, estraneo a lui quanto a lei, pensò; una camera decisamente femminile, una tappezzeria dai toni più tenui con decorazioni campestri un po’ frivole, nulla a che vedere con quella più sobria, un po’ severa di Oscar, a Palazzo Jarjayes.

Per un secondo, aveva pensato di aspettarla direttamente nella stanza da letto, immaginandosi divertito la sua espressione esterrefatta, ma sarebbe stato troppo; in fondo, anche se in panni femminili, si trattava pur sempre di Oscar, la donna soldato.

Non voleva avere troppo vantaggio su di lei. Ma in verità, di quale vantaggio poteva vantarsi? Anche per lui quello era un terreno di battaglia sconosciuto, ma almeno lui era nei suoi panni.

Però era curioso: come si sarebbe comportata in quella circostanza?

Si sarebbe tradita mostrando la sua natura, o sarebbe stata al gioco?

E lui? Lui avrebbe saputo giocare altrettanto sottilmente?

Ancora un poco e lo avrebbe scoperto.

 

Aveva allontanato con astuzia e garbo la cameriera personale di Danielle, venuta per accogliere il ritorno della sua padrona, recando con sé una preziosa vestaglia per dormire.

“André, ma che fai qui? Queste sono le stanze personali della signora contessa. Devi andartene subito, sarà qui fra poco, di ritorno da Versailles.”

“Lo so, Ninette, ma non preoccuparti. Vedi, ho un appuntamento speciale e importante con la tua bella padrona.”

Le rispose in tutta tranquillità rivolgendole un sorriso spontaneo.

“Cosa? Stai scherzando, vero?”

“Non scherzo affatto, Ninette. – Si era alzato dalla poltrona e si era avvicinato alla giovane cameriera che lo guardava stupita oltre che ammirata, e forse con un pizzico d’ironia. – Puoi andare a riposare, non credo che madame avrà bisogno dei tuoi servigi; anzi, credo che non vorrebbe trovarci entrambi qui nello stesso momento. Sono sicuro che hai capito. Vai pure, mi occuperò io di lei.”

Non riuscì a evitare di sorridere con malizia che la sveglia serva colse immediatamente.

“André, tu sei… un briccone insospettabile! Tu vuoi sedurre la mia signora. Cosa ti sei messo in testa? Sei veramente pazzo. Non ti facevo così… impudente!”

Alla cameriera scappava una risatina soffocata. Non si sarebbe certo scandalizzata per così poco, conoscendo le passioni disinvolte della sua padrona. André contava su questo oltre che sul suo silenzio. Ma non voleva lasciarle credere qualcosa di squallido.

“Sedurre? Ma che vai a pensare! Cara Ninette, io sono un servo e anche un gentiluomo; non posso spiegarti la natura dei miei servigi, ma posso assicurarti che sono qui su richiesta esplicita del colonnello Oscar e non ho cattive intenzioni. Quindi stai tranquilla, - le disse accompagnandola dolcemente alla porta – non voglio certo mancare di rispetto a madame Recamier e la tratterò con tutti i riguardi.”

“Madamigella Oscar? Non capisco… - disse un po’ confusa. - Tu non me la racconti giusta, André.”

Sorrise di nuovo maliziosa. Le sarebbe rimasto qualche sospetto, André lo sapeva, ma non avrebbe parlato con nessuno.

“Ninette mi raccomando: la tua discrezione è fondamentale. Posso contarci? È una questione molto delicata che non ti posso spiegare. Nessuno deve sapere che sono qui, soprattutto la signora contessa.”

“Va bene André, ma solo se mi prometti che mi spiegherai ogni cosa.”

“D’accordo, piccola furfante; hai vinto. Contenta? Ma adesso vai!”

E la spinse fuori nel corridoio richiudendo la porta.

Alle scuse avrebbe pensato dopo.

 

 

Si era accomodato di nuovo in poltrona apprestandosi ad attendere il rientro della sua scaltra dama.

Quanto scaltra ancora non sapeva, ma era ansioso di scoprirlo.

Che cosa le avrebbe fatto credere?

Di essere innamorato della sua gemella? Solo di volere un’avventura con lei?

No, in verità sperava solo di confonderla, turbarla coi gesti e le parole come era già accaduto nelle scuderie, capire se Fersen era riuscito a fare altrettanto quella sera.

Era stata lei a chiederlo.

Ne riparleremo André, aveva detto.

E lui era lì, per riparlarne.

Perché lei sembrava avergli dato una vaga speranza, e dopo, senza un perché, andava a quel maledetto ballo con quel libertino di Fersen.

In amore e in guerra tutto è lecito, e lui era stanco di essere solo uno spettatore di sentimenti altrui, senza mai poter esprimere i suoi.

In un modo o nell’altro.

Con la verità o l’inganno.

Ninette era andata via da circa venti minuti, quando avvertì un fruscio, dei passi leggeri e un po’ frettolosi provenire dal corridoio.

Qualcuno si avvicinava.

Era lei.

Ne era sicuro.

Alzò il capo in direzione della porta.

Pochi secondi e questa si aprì.

La vide entrare avvolta nella seta; lui non si mosse, restando seduto vicino alla tenda della finestra, nascosto nella semioscurità.

Non emise un fiato limitandosi ad osservarla mentre si muoveva lenta dentro la stanza e si liberava svelta del mantello che le copriva le spalle.

Non lo aveva ancora visto.

Ma lui la vide in tutta la sua bellezza.

 

 

 

§§§§§

 

 

Lei non badò alle due candele accese e semiconsumate poste sul piano di marmo alle due estremità del camino.

Giudicò normale che l’ambiente fosse poco illuminato, vista l’ora che precedeva di poco l’alba grigia e spenta che stava per sorgere; pensò che la sorella si fosse addormentata nell’altra stanza. Trasalì soltanto quando sentì quella voce calda, apparentemente sconosciuta alle sue spalle e un curioso brivido, uno strano formicolio delicato ed eccitante percorse la sua pelle alla base delle nuca.

“Bentornata contessa.”

Si girò bruscamente, quasi spaventata in direzione della voce e si accorse di avere il respiro accelerato e il cuore in tumulto.

Allora, distinse i contorni di una figura maschile seduta vicino alla finestra.

Mise a fuoco per quanto le consentì la penombra, finché non lo riconobbe. E la sorpresa quasi la ammutolì.

“Vi siete divertita al ballo? È andata come speravate?” continuava a chiedere André, mentre lo vedeva alzarsi dalla poltrona e avvicinarsi a lei.

Era incredibile che non avesse riconosciuto subito la voce; doveva essere ancora frastornata dalle luci e le emozioni di Versailles.

All’improvviso realizzò che il suo attendente non avrebbe dovuto trovarsi lì, e Danielle non c’era. Con evidenza spaventosa e incomprensibile, qualcosa era andato storto. Cosa era accaduto in quelle poche ore in cui lei era stata lontana?

 

“André, ma cosa diav… - Oscar dovette mordersi le labbra per impedirsi espressioni eccessive. - Che sei venuto a fare nelle mie stanze private? Non dovresti essere qui; a quest’ora, poi… è sconveniente.”

Tentò di obbiettare, e lo vide trattenere un sorriso.

“Siete stata voi, contessa, a invitarmi. Non ricordate? Me lo avete fatto capire chiaramente in più di un’occasione; non ditemi che ho frainteso.”

Un debole bisbiglio di sbigottimento le salì alle labbra.

“Cosa?”

Non ebbe il tempo di perdersi nelle sue domande, perché André  si era parato di fronte a lei; la fissò in maniera indecifrabile e intensa per pochi minuti, poi la sua espressione mutò all’improvviso e divenne morbida, come la piega delle labbra abbozzate in un sorriso affascinante: lo sguardo avvolgente la scrutava con sfacciata ammirazione, accarezzando con gli occhi il viso, le guance, la bocca pronunciata, fino a scendere sulla nudità del suo decolleté.

Oscar avvertì la carezza di quello sguardo che la esplorava e per un attimo infinito smise di pensare con lucidità, mentre lui le si era fatto pericolosamente vicino, tanto da sentire il suo respiro dolce scivolarle sulla pelle tra il collo e l’orecchio, mentre Andrè lentamente si spostava dietro di lei, lasciando che i loro corpi si sfiorassero.

Oscar sussultò, appena avvertì le mani di André che si posavano sulle sue spalle e pareva volessero giocare maliziose col tessuto della manica dell’abito. Non capiva cosa stesse per accadere, né riusciva a immaginare quali fossero le intenzioni di André.

Sentiva solo il suo cuore che piano accelerava fino a diventare furioso, in preda a un’ emozione imprevedibile e crescente.

Smise quasi di respirare quando sentì la bocca dell’uomo sussurrare bassa e roca vicinissima al suo orecchio.

“Allora contessa, perché non volete rispondermi? Vi è piaciuto ballare con Fersen? Solo poche ore fa mi avete detto che avreste preferito ballare con me. Ho capito male, forse? Posso davvero sperare di competere con l’affascinante conte svedese? Io non sono altro che un umile servitore, non sono certamente come lui.”

“Spero proprio di no, André… e non vorrei mai che tu fossi come il conte… - rispose lei con un moto d’orgoglio improvviso. - Competere con lui? Perché dovresti, André? Perché mi chiedi di Fersen? Cosa c’entra con noi?”

Si era mossa mentre lui le stava girando attorno, sempre vicinissimo, e non smetteva di puntarle addosso il suo sguardo.

“Ho anch’io un orgoglio maschile da difendere. Il mio cuore non è meno sincero di quello di un nobile, ed è altrettanto colmo d’amore. Prima mi avete fatto credere di amarmi, e dopo correte a corte con quel damerino innamorato della regina. Penso di meritare una spiegazione. Sono stato un semplice trastullo? Siete innamorata di lui?”

Trovò curioso e insolito sentire Andrè che dava del damerino a Fersen.

Le sembrò di cogliere una nota polemica mista a paura nel tono di voce, un fatto che la spaventò.

Innamorata di lui.

Quelle frase pareva aver perso ormai ogni significato.

Passò un attimo di silenzio che fu interrotto da parole che André sperava di sentire da sempre.

“No, non lo sono, André. Di sicuro è una delle poche cose vere di questa notte appena trascorsa… e conosco il tuo cuore, la tua nobiltà d’animo.”

Nel dirlo si sentì rincuorata.

E lo fu anche André che sorrise mentre scivolava dietro le sue spalle, senza che lei lo vedesse. Poi lo sentì sfiorarle la nuca con la guancia e percepì il suo alito caldo sul collo.

“Ne siete sicura, mia bella contessa? Se per voi è un gioco, per me non lo è affatto; non lo è più, ormai. Ho cercato di resistervi finché ho potuto, perché so che questo sentimento è una follia, ma ho deciso di lasciarvi vincere. Voglio cedere completamente a voi, perché mi sento rapito. Solo voi potete placare la furia del mio petto.”

Un lungo brivido le bloccò lo stomaco e il respiro; Oscar avvertì le dita dell’amico giocare con la spallina della manica che scendeva denudando la spalla e la bocca di André vi posava un bacio sulla pelle delicata.

Turbata e sconvolta dalle sensazioni che avevano invaso il suo animo confuso, tentò di divincolarsi, girandosi con impeto verso di lui, per placarlo, spiegargli, dirgli che non era possibile tra loro, ma si ritrovò avvinta dal suo abbraccio, dolcemente imprigionata contro il suo petto, con la bocca vicina a quella dell’uomo.

E Andrè non seppe resistere oltre alla tentazione di baciarla sul serio.

Le sfiorò le labbra prima teneramente, accarezzandole fino a schiuderle per insinuarsi in lei; fu sorpreso e felice di sentire Oscar reagire sciogliendosi, mentre avvertiva che le mani non opponevano più resistenza contro il suo torace, ma lentamente scivolavano a circondagli le spalle e la schiena ricambiando il suo abbraccio appassionato.

E Oscar non ricordava come fosse stato baciare il conte di Fersen, solo poche ore prima; sapeva solo che baciare il suo attendente, stringerlo tra le braccia le piaceva oltre ogni fantasia.

Era eccitante e tenero insieme. Era proibito eppure rassicurante e naturale; era come se la sua pelle fosse per lei, il suo sapore, le sue mani, le sue spalle forti, il suo corpo virile premuto contro il suo, la sua nuca che accarezzava dolcemente con una mano. Tutto di lui era per lei, e altrettanto si sentiva sua.

Non c’era nessun ricordo che fosse paragonabile a quel piacere intenso.

Il bacio divenne più profondo, sensuale ed esigente, e scatenò il reciproco desiderio, noto per André, ma nuovo e conturbante per Oscar; le bocche si inseguivano affamate della dolcezza dell’altro, si cercavano con passione e le mani di Andrè correvano sulla schiena di Oscar a cercare i lacci che trattenevano il bustino del vestito. Sapeva che non avrebbe dovuto, ma le sue dita si infilavano libere tra le asole, tentando di sciogliere i nodi di seta, cercando di arrivare alla pelle.

Quando Oscar si rese conto di quello che stava per succedere, cosa Andrè pareva cercare, si divincolò timorosa e conscia di non poter andare oltre.

Non così.

Si staccò da lui a malincuore, col respiro corto, e fu consapevole che il suo corpo avrebbe voluto mantenere quel contatto e approfondirlo.

“Oh, Andrè… per favore, fermati. Noi non dobbiamo… Ci sono cose che tu non sai…” ansimò senza fiato.

Si allontanò da lui quasi fuggendo, appoggiandosi con la schiena contro la porta della camera da letto; tentò di ricomporsi, di calmare il battito del cuore che le esplodeva sotto il seno. Sentiva ancora il fuoco bruciare le sue labbra, e ne voleva ancora.

E André la guardava come non l’aveva mai guardata, e la feriva il pensiero che tutta quella brama ardente fosse per Danielle e non per lei. E si chiese con rammarico se il trasporto di Andrè fosse vero amore, e non altro.

Lui si avvicinò di nuovo fermandosi di fronte a lei.

Le sfiorò un polso risalendo fino al gomito; indugiò all’orlo del guanto che le fasciava il braccio. Lentamente prese a sfilarglielo. Fece altrettanto con l’altro.

Con difficoltà lei tentò di parlare, di arginare quel fuoco che le lambiva le viscere e le scaldava il sangue.

“Andrè, se a uno di noi è rimasto un po’ di buon senso…”, ma l’attendente non la lasciò finire: la bloccò contro la porta, la prese di nuovo tra le braccia e la baciò con rinnovata passione, quella che aveva nascosta per anni; la trattenne per la vita con un braccio e con l’altro intanto apriva la porta, che richiuse dietro sé dopo averla spinta dentro la stanza da letto, senza mai smettere di baciarla.

 

La ragione gridava a Oscar di resistere e il suo corpo avrebbe voluto un’altra cosa. Perché non provare a essere Danielle fino in fondo? Sarebbe stato facile, pensò per un solo istante. Ma le emozioni erano troppe tutte insieme, si erano susseguite nell’arco di poche ore e lei era incapace di gestirle tutte.

Doveva fermarlo, prima che fosse troppo tardi. Prima che entrambi commettessero un errore cui non ci sarebbe stato rimedio.

E non sapeva se ci sarebbe riuscita.

“Andrè, ascoltami, ti prego… - Lo costrinse a guardarla negli occhi. - Mi hai chiesto se mi è piaciuto ballare con Fersen: beh, la mia serata è stata abbastanza mediocre in tal senso. Devo dire che alla fine, tutto mi è sembrato chiaro, non avevo più dubbi finché non ho varcato la soglia di là, e ti ho trovato qui… e adesso, tu confessi qualcosa che non avrei mai pensato di poter sentire. Sento la tua passione, André… il tuo ardore è immenso e vero. Quale donna non si lascerebbe bruciare da un amore così? Non sai come mi sento in questo momento; approfitteresti di una donna confusa che non sa ancora cosa vuole… e cosa sente, o forse lo sa, ma ha paura che tutto possa essere un’illusione.”

La donna che parlava era Oscar senza maschere.

Era lei, non stava fingendo di essere qualcun altro, anche se probabilmente non se ne rendeva pienamente conto.

La barriera che André intendeva superare era crollata di fronte al suo assalto.

Andrè lo comprese e accolse questa verità preziosa come un tesoro, quel tesoro che lui aveva sperato di trovare da sempre. Certo, la stava ingannando, ma non era sua intenzione approfittarsi di lei, voleva solo che il suo cuore battesse per lui e che lei potesse riconoscerlo. Voleva che lei capisse la differenza tra l’amore idealizzato fatto di sogni romantici e quello vero che ha la forza di un seme che mette radici robuste, profonde e invadenti.

“Ho capito cosa vuoi dire, ma ora tocca a te ascoltarmi: non voglio approfittarmi di te. Non potrei mai farlo. Voglio solo un momento da portare con me, quando andrò via. Un ricordo segreto che sia solo nostro… che ci legherà per davvero, e renderà un po’ più sopportabile la lontananza da te.”

“Perché, dove pensi di andare?” chiese lei, quasi allarmata.

“Credo che Oscar vorrà partire presto e tornare a Palazzo Jarjayes; mi ha detto che saremmo ripartiti subito dopo questo ballo, forse già in giornata, al più tardi domani mattina. E non so quando noi potremo rivederci…”

Mentre parlava, ormai dandole del tu, Andrè era tornato dietro di lei e lentamente aveva iniziato a slacciarle i lacci che trattenevano il vestito che ormai si stava allentando.

“Voglio portare con me il profumo della tua pelle… accarezzare i tuoi capelli, sentirli scivolare morbidi tra le mie dita… - e prese a scioglierle i riccioli trattenuti dalle forcine. - Voglio stendermi accanto a te, nel tuo letto, aderire al tuo corpo senza muovermi… sentire il tuo calore…”

Oscar avvertiva le sue carezze sulla schiena e sulle spalle, la bocca di Andrè indugiava ancora sulla sua pelle; il corpino dell’abito era ormai allentato e le stava scivolando sul davanti e lei tentava debolmente di coprirsi, combattuta tra la ritrosia e il desiderio di lasciarlo fare.

“Oh André, tu non capisci! Non avevo previsto niente di tutto questo e non si tratta solo di noi… Oh, Dio che gioco perverso e pericoloso!”

E furono ancora le sue parole sussurrate tra un bacio e l’altro a scioglierla, mentre la seta dell’abito scivolava sempre più in basso.

“Ma sei stata tu, mia bella contessa a iniziarlo… So che non sei una donna che indietreggia di fronte a una sfida. Non aver paura, non farò nulla che tu non voglia. Lasciati solo spogliare… voglio solo liberarti da questo corsetto che ti stringe il corpo, prenderti tra le braccia e adagiarti sul letto. Ti giuro che non farò nient’altro.”

La voce di André si era arrochita.

In fondo, era già accaduto tra loro, pensò Oscar.

Erano ancora ragazzi e più di una volta avevano dormito insieme.

Nel letto di Oscar o nelle scuderie a palazzo. Erano vestiti.

Ma non così; questa era una cosa diversa.

Ed era decisamente più eccitante.

Ed era più pericoloso.

E la seta scivolò via dalle curve del suo corpo, accompagnata dalle mani sapienti di André. E Oscar si ritrovò con solo addosso la delicata biancheria intima femminile, una camiciola scollata di cotone profilata di merletto e le coulotte arricciate fino al ginocchio, mentre metri e metri di gonne vaporose erano finite sul pavimento ai suoi piedi.

Allora, André la sollevò da terra senza sforzo, portando una mano sotto le sue ginocchia e l’ altra dietro la sua schiena.

Oscar si aggrappò al suo collo e lasciò che le loro fronti si sfiorassero.

Lui la portò verso il letto, superò il sipario impalpabile delle tendine appese al baldacchino e la depose con gentilezza sulle lenzuola, tra i cuscini.

Quindi si distese accanto a lei.

I loro sguardi umidi di commozione si allacciarono per un lungo istante, prima che Andrè tornasse a cercare le sue labbra che oramai erano diventate esigenti: Oscar rispondeva ai baci con trasporto crescente che non tentava più di dominare.

Seguendo i suoi impulsi, gli sfilò la camicia dai pantaloni per lasciar correre le mani sulla sua pelle. Una brama impellente la prese: sfiorandogli una guancia, accostò le labbra all’orecchio dell’uomo a sussurrare parole che le parevano proibite.

“Toglila André, per favore; voglio guardarti.”

Era quasi un comando appena velato, una debole inflessione che solo lui avrebbe potuto cogliere. Si sfilò l’indumento e lo gettò ai piedi del letto e lei poté contemplarlo, e lo scoprì più bello e sensuale di quanto potesse immaginare.

Capiva Danielle e il suo apparente capriccio, che forse non era mai stato tale. Lasciò vagare una mano sul suo torace a seguire le linee dei muscoli forti, il guizzo delle vene sul collo, il profilo ampio delle spalle. Andrè in silenzio, la osservava con intensità disarmante.

Alla fine lei sospirò.

“Oh… È facile desiderarti, André. E tu sai come scatenare tutto questo in me… Davvero non vuoi approfittare della situazione? Potrei lasciartelo fare, se tu volessi continuare…”

Le ultime parole uscirono in un soffio timido, quasi impacciate.

Non sapeva esattamente come avesse potuto dirle. Era la semplice verità, che non riusciva più a camuffare.

Solo guardandolo negli occhi, seppe già la risposta. Lo vide sorridere, forse leggermente turbato. Ma fu questione di un secondo e ritrovò la consueta fermezza nel suo sguardo verde e profondo.

“No, non voglio, mia bella contessa, anche se ti desidero più di tutto. Che opinione avresti di me, dopo?”

Lei provò ancora, e non sapeva se stava mettendo alla prova lui o se stessa.

“La mia opinione non muterebbe, André. Non lo saprà nessuno, neppure… - esitò incerta, con una nota di tristezza nella voce - neppure Oscar…”

Per la prima volta la guardò in maniera strana e lei non seppe decifrare il suo sguardo. Sembrava esserci dell’amarezza nei suoi occhi e fu qualcosa che la sorprese; era come se avesse toccato un tasto dolente, un nervo scoperto che faceva male, quasi in lui fosse emerso un vago senso di rimorso incomprensibile.

“No… Riposa sul mio cuore, adesso. Lascia solo che ti stringa tra le braccia, così…” e l’avvolse nel suo abbraccio con tenerezza, trattenendo il suo viso contro il suo petto, baciandola un ultima volta sulla bocca e sulla fronte.

 

Le emozioni erano state travolgenti come ondate impetuose che si abbattono con fragore sulla spiaggia e una nave sballottata da una tempesta ha bisogno di acque placide.

Così, i loro sensi troppo accesi da turbamento e desiderio avevano bisogno di rilassarsi e distendersi.

Lentamente il sonno più profondo li prese con sé, mentre l’ultima delle ombre della notte cedeva il passo all’alba che sorgeva.

 

 

§§§§§

 

 

 

 

Immobile e basita di fronte al mio letto, mi stavo ancora interrogando su quello che i miei occhi vedevano, senza comprendere appieno.

Ero ancora indecisa su cosa fare, quando avvertii distintamente nel silenzio, un vago rumore provenire dalla stanza accanto; qualcuno pareva bussare alla porta.

Il mio cuore mancò un battito, ma cercai di non farmi prendere dall’ansia. Dovevo mantenermi padrona della situazione in ogni caso, e non era la prima volta che mi trovavo in situazioni critiche. Sapevo che dovevo evitare il peggio, e il peggio sarebbe stato che qualcuno mi sorprendesse a letto con l’attendente di mia sorella.

Bruscamente ritornai nel mio salottino privato, chiudendo a chiave la camera da letto dove Oscar e André dormivano.

Percepii altri colpi, più netti e definiti, mentre dietro la porta qualcuno  si accaniva con insistenza sulla maniglia che non voleva cedere, poi udii una voce maschile inconfondibile.

“Danielle, mia cara, siete già sveglia? Aprite, vi prego. Avrei necessità di parlarvi urgentemente.”

Sgranai gli occhi con autentico orrore quando riconobbi la voce di mio marito Leopold di Recamier che premeva per entrare nelle mie stanze.

 

 

 

Continua…

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Capitolo 14
*** Una strana mattina ***


14 – Capitolo nuovo

14 – Una strana mattina

 

 

 

Dietro la porta chiusa a chiave, Leopold insisteva a bussare e chiamarmi.

Io mi guardai intorno alla disperata ricerca di una via di fuga, o di un qualunque mezzo per salvarci tutti.

Diedi un’occhiata rapida all’ambiente per trovare un indumento femminile, magari una vestaglia da camera dimenticata da qualche parte che potesse fare al caso mio, ma notai solo i miei guanti di raso gettati in un angolo, vicino alla gamba di una sedia. Per uno strano scrupolo, corsi a raccoglierli per nasconderli in un cassetto.

Non avevo scelta, dovevo affrontare mio marito ed evitare che scoprisse il disastro di una tresca tra quella che lui avrebbe creduto sua moglie e l’attendente di sua sorella.

Cercai di ragionare velocemente per vagliare tutte le possibilità, che si riducevano a due, al massimo tre opzioni.

Potevo affrontare Leopold nei panni di Oscar e con una scusa, cercare di trattenerlo o distrarlo quel tanto che bastava ad allontanarlo dalla scena del misfatto.

O potevo correre di là, svegliare i due amanti e fare in modo che almeno André potesse fuggire di soppiatto come un ladro, dalla mia stanza.

Poi, io e Oscar, con tutta la calma e sangue freddo possibile, avremmo pensato ad affrontare il conte di Recamier.

Ma questa seconda opzione era forse la più rischiosa, perché presentava altre problematiche delicate che nell’ immediato non avrei saputo gestire nella maniera più coerente; avrei dovuto affrontare l’imbarazzo di Oscar di vedersi scoperta a letto col suo attendente, senza sapere come erano davvero andate le cose fra loro. Non sapevo chi avesse sedotto chi, né se l’inganno di André era stato completo, né se Oscar per qualche ignoto motivo avesse tolto la maschera di fronte alla passione del suo amico, o avesse finto fino all’estremo di essere me.

Soprattutto non sapevo come avrei dovuto pormi io fra loro. E questa era la cosa che mi metteva maggiormente in difficoltà.

No, la soluzione più semplice era fingere di essere Oscar. O semplicemente, era l’unica possibile nell’immediato, la più convincente.

Così, mi decisi.

Presi un respiro profondo e spalancai la porta che mi separava da mio marito.

I nostri sguardi si incontrarono e lessi un vago sconcerto negli occhi di Leopold, forse un briciolo di fastidio. Non si aspettava certamente la presenza della cognata nella stanza di sua moglie.

“Madamigella Oscar, voi qui? - Leopold in pochi passi superò l’ingresso, fermandosi a un paio di metri da me. Si guardò attorno, come fosse alla ricerca di qualcosa o qualcuno. – Scusate cara cognata, ero venuto per conversare in privato con mia moglie… Ma è ancora a letto?” chiese indicando con la mano alzata la porta chiusa della camera.

Io avvertii un brivido di panico serpeggiarmi lungo la schiena. Non risposi subito, mi limitai a guardarlo mentre andavo alla disperata ricerca di una frase da opporre alla sua domanda.

“No… - dissi senza nessuna enfasi. – In realtà, Danielle non è qui. Io la stavo semplicemente aspettando… Forse dovreste andare a cercarla altrove, cognato.”

Era troppo sperare che accogliesse il mio suggerimento, lanciato con tutta la mia convinzione, col preciso intento di allontanarlo da lì.

Mi spostai un poco e andai a sedermi sul divano. Mio marito era rimasto in piedi di fronte a me, l’aria perplessa e pensierosa.

“Aspetterò. Posso chiedervi perché siete qui, madamigella? Lo trovo un fatto anomalo e curioso, che un personaggio come voi sia qui ad attendere mia moglie nel suo boduoire.”

“Non vedo cosa ci sia di strano. Devo parlare con mia sorella in privato; una questione personale che posso esporre solo a lei. Quale luogo potrebbe essere più privato di questo? Non siete d’accordo?”

“Certo, capisco; non voglio certo intromettermi nelle vostre questioni personali, madamigella Oscar. Sapete, madame Lisette aveva ragione; c’è una strana complicità tra voi e mia moglie, resa naturale dal fatto che siete gemelle, solo non immaginavo si spingesse fino a questo punto.”

“Quale punto? Non capisco che intendete.”

Ero lievemente confusa e forse preoccupata per il tono della conversazione che dovevo riportare su strade più sicure. Leopold era tornato a indicare la stanza con fare sospettoso.

“Siete sicura che Danielle non sia di là, vero? Magari con qualcuno… Il conte di Fersen, per esempio?”

Trattenni un singulto, nel tentativo di non palesare il mio disorientamento e mi sforzai di sorridere con disinvoltura.

“Voi pensate che Danielle e Fersen… - Mi misi a ridere sinceramente, incapace di trattenermi, pensando all’ironia beffarda di tutta la situazione. – E se fosse così, io starei qui, secondo voi? A reggere il gioco a mia sorella e al suo amante? Mi conoscete davvero poco cognato. – Il mio tono di voce divenne severo. - Non mi piace essere coinvolta in certe situazioni, a maggior ragione se riguardano mia sorella, vostra moglie. Inoltre, il ruolo di sensale non mi si addice.”

“Scusate, come siete permalosa; l’ho detto soltanto perché so che il conte di Fersen è un vostro amico, madamigella, e ho pensato…”

“Avete pensato male.”

Ero certa di essere aderente alla reazione che la stessa Oscar avrebbe avuto. Ma mio marito non era disposto a cedermi terreno.

“Può essere, ma a voi non dispiace se controllo, vero?” disse all’improvviso.

Vidi Leopold muoversi lentamente verso la porta della camera da letto, senza attendere una mia risposta.

Sentii un sudore gelido scivolarmi lungo la tempia e il cuore che avevo dominato fino a quel momento, accelerò spaventato. Mi sembrò la fine, ma tentai di oppormi con l’ultimo moto d’orgoglio che mi era rimasto.

“No, fate pure, ma potrei prenderla come una mancanza di fiducia nei miei confronti. Con questo vostro atteggiamento, mettete in discussione l’onestà della mia gemella, e state dando a me della bugiarda. Potrei offendermi molto seriamente e chiedervi soddisfazione.”

“Ora state esagerando, Oscar; non è il caso di arrivare a tanto.”

Finalmente lo vedevo esitare incerto. Si era bloccato, allarmato.

Avevo osato sfidarlo perché conoscevo l’inquietudine che gli procurava il carattere di Oscar.

Con un briciolo di cattiveria, trovavo sempre divertente vederlo così in difficoltà di fronte al temperamento acceso della mia gemella.

Erano davvero pochi gli uomini che sapevano tenerle testa; mio marito non era certamente fra questi. L’unico che ci riuscisse davvero era André. Doveva esserci riuscito anche quella notte, così tanto da farla arrendere alla sua femminilità.

D’altronde Leopold non sapeva tener testa neppure a me e io spesso in passato ho approfittato di questo vantaggio, senza abusare mai della mia libertà d’azione, per non renderla controproducente.

Stavo scongiurando l’irreparabile, quando inaspettatamente, la porta che ci separava dalla stanza da letto si aprì: Oscar, i capelli sciolti sulle spalle, avvolta nella mia ricca vestaglia di seta apparve sulla soglia.

La guardai a occhi sbarrati travolta mio malgrado dalla sorpresa che leggevo riflessa sul volto del conte di Recamier, che la fissava a sua volta stranito.

Eravamo ammutoliti entrambi e fu lei a rompere il silenzio.

“Stavo ancora riposando. Mi sono svegliata, perché ho sentito delle voci concitate; - Si annodò la vestaglia in vita con aria noncurante, prima di passare il suo sguardo su di noi con fare distratto. – Oscar, Leopold che ci fate qui, in camera mia, e perché state discutendo?”

Era assolutamente tranquilla.

Aveva l’atteggiamento più naturale che le avessi mai visto, come se fosse abituata a risvegliarsi con un uomo nel letto; era merito di André quel miracolo di scaltrezza femminile? E l’attendente dove era finito? Scivolato giù per qualche cornicione per evitare di essere scoperto dal presunto marito della sua amante? Non avrei mai immaginato Oscar tanto abile nell’arte della dissimulazione. In questo pensavo di essere molto più portata di lei. Ero allibita, ma dovevo sforzarmi di non farlo notare, soprattutto a mio marito che ci stava ancora osservando.

“Scusa Danielle, non pensavo che stessi ancora riposando… tuo marito mi stava proponendo un duello amichevole... così, solo per fare un po’ d’allenamento…”

Oscar mostrò una vaga indifferenza alle mie parole; se stava fingendo ci riusciva molto bene.

“Leopold dovreste smetterla di sfidare mia sorella; non siete bravo quanto lei con la spada.” Commentò, e solo io colsi l’ironia, mentre Leopold si affrettava a cambiare argomento.

“Scusate mia cara, non volevo disturbarvi; pensavo di trovarvi già alzata e avevo urgenza di parlare con voi. Sono venuto qui e ho trovato vostra sorella ad attendervi: diceva che eravate assente.”

“Come vedete, si sbagliava. Di che cosa si tratta? Nulla di grave, spero.”

“No, assolutamente. Volevo solo informarvi che devo partire per Parigi oggi stesso; una questione urgente che non posso più rimandare. Inoltre vi porto i saluti di madame Marchard; non poteva trattenersi oltre in nostra compagnia per seri motivi famigliari. È partita questa mattina, mentre voi stavate ancora dormendo.”

“Capisco… e potete dirmi qual è questa questione urgente che vi obbliga a partire tanto in fretta?”

“Oh, solo una noiosa formalità che riguarda alcuni documenti. È inutile che vi esponga i dettagli. – Leopold accennò un breve inchino, prima di allontanarsi verso la porta che dava sul corridoio. – Col vostro permesso madame… madamigella Oscar…”

Il conte uscì dalla stanza.

Io e Oscar rimanemmo sole a fissarci l’un l’altra.

 

Restammo qualche secondo in silenzio, quasi incapaci di proferir parola.

Poi io tirai un sospiro di sollievo per lo scongiurato pericolo e mi lasciai cadere su una sedia, sfiorandomi la fronte con due dita della mano destra.

“Che rischio che abbiamo corso, Oscar! Ho temuto il peggio.”

“Già…” mi rispose atona.

Poi sollevai gli occhi verso di lei; era assolutamente calma e il suo sguardo era indecifrabile. Allora, mi sollevai precipitosamente dalla sedia e corsi verso la camera: entrai spalancando la porta.

Diedi un rapido sguardo attorno; un raggio di luce filtrava da dietro una tenda e cadeva su una colonna del letto con le lenzuola sfatte. Nell’ambiente non c’era nessuno.

Sentii i suoi passi leggeri sul pavimento, seguiti dalle sue parole.

“Stai tranquilla, il tuo amante è andato via appena in tempo. Ho usato il tuo passaggio segreto; davvero molto utile in certe circostanze.” Disse indicando il separé dalle decorazioni in stile orientale che celava la porta che si apriva nella parete. Colsi un velo di sarcasmo filtrare attraverso il suono della sua voce.

 

Mi voltai a osservarla attonita.

“Forse dovremmo parlare, Oscar.”

“Di cosa, precisamente?” chiese con lo stesso tono di prima.

“Di quello che è successo questa notte. Il ballo con Fersen; è andato tutto bene?”

“Tutto secondo i piani.”

“Io credo di no… Mio marito credeva che qui ci fosse il conte di Fersen… e la cosa sarebbe parsa logica anche a me, ma… Prima che venisse a cercarmi, ero entrata nella stanza. Pensa alla mia sorpresa: tu eri a letto col tuo attendente.”

“Non è cosa che dovrebbe riguardarti…”

“Beh, dipende: se tu fingi di essere me, sì. André ha capito qualcosa?”

Domanda superflua; in realtà mi premeva sapere cosa avesse capito lei.

“No…”

“Pensa se mio marito vi avesse visti…”

“Non tieni così tanto al tuo matrimonio… Temi lo scandalo, Danielle? Immagina le voci: madame Recamier ha preso per amante l’attendente di madamigella Oscar. Un bel colpo per la tua reputazione… forse anche per la mia. Le malelingue potrebbero pensare che ci scambiamo lo stesso uomo.”

“Che pensiero volgare! Non puoi prenderla così alla leggera.”

“Infatti, non voglio prenderla alla leggera; lasceremo questa casa oggi stesso. Torniamo a Palazzo Jarhayes. La nostra farsa si chiude qui!” Esclamò lapidaria.

Oscar si piazzò davanti a me, decisa, quasi minacciosa prima di proseguire con severità.

“In futuro, non voglio per nessun motivo che tu e André vi incontriate, capito? Non provare a cercarlo e non tentare di vederlo. Se scopro che tenti di avvicinarlo anche una sola volta, non rispondo di me, Danielle…”

Oscar non tentava più di contenere la rabbia che sfuggiva come veleno tra le sue parole. E leggevo oltre alla rabbia anche qualcos’altro, una pena, una delusione amara annegava dentro gli occhi lucidi.

Mia sorella voleva piangere, eppure non lo avrebbe fatto, non davanti a me.

Piuttosto mi avrebbe investito con tutto il suo livore.

“Non capisco perché mi stai aggredendo così: non ero io quella a letto con André!”

“Invece eri tu, Danielle. Eri proprio tu. André non ha capito che ero io, non ha avuto alcun sospetto. - Come ti sbagli, pensai fra me. - Oh, l’ho ingannato davvero bene. E paradossalmente ho fatto il tuo gioco… Siamo tutti burattini nelle tue mani; perfino Fersen ti è servito per confondere le acque…”

“Cosa?? Stai farneticando, Oscar. Dovresti calmarti e provare a ragionare. Mi stai lanciando delle accuse assurde.”

Non erano poi così assurde, eppure le sue conclusioni erano del tutto sbagliate. Oscar con gesti febbrili e nervosi si stava togliendo la mia biancheria: voleva tornare a indossare i suoi sicuri abiti maschili. Si nascose dietro le cortine del separé per spogliarsi dei pochi leggeri indumenti.

Io rimasi all’esterno e la imitai, passandole camicia e calzoni. Poi indossai la vestaglia che lei aveva abbandonato sul letto. Anch’io desideravo tornare a essere me stessa, ma non ero sicura di ritrovare la stessa donna di prima. Andrè aveva incrinato la mia maschera e non sapevo quanto ancora avrebbe retto di fronte a Oscar, che non smetteva di lanciarmi accuse da dietro il paravento.

“Mi hai quasi spinta tra le braccia di Fersen per avere campo libero col mio attendente. Lo hai avvicinato tanto da farlo innamorare di te, stanotte ne ho avuto la conferma.”

Continuò mentre la rabbia si stemperava nell’amarezza della voce.

Credeva che André fosse innamorato di me; perché non poteva essere vero? Possibile che lui fosse stato tanto crudele da farle credere questo? Che avesse fatto l’amore con lei, sussurrandole parole d’amore per me?

Non lo credevo capace di tanto, solo per punirla di amare un altro uomo.

Oppure Oscar stava solo fraintendendo?

Ogni cosa era il contrario di tutto.

Gli eventi di quella mattina mettevano ogni cosa in discussione, perfino i sentimenti di Oscar per il conte di Fersen. Per non parlare di quelli che nutriva verso André.

“Perché Danielle? Perché hai voluto farmi una cosa del genere? Che bisogno avevi? Lui è l’unico bene che ho e tu vuoi portarmelo via.”

Più che rabbia, avvertii una profonda tristezza nella sua voce.

“Ma ti rendi conto di quanto sei ridicola? Io non sono l’amante di André. Non ho fatto nulla per portartelo via.  E l’ultima cosa che vorrei è vederti tra le braccia del conte; speravo solo ti rendessi conto di che genere d’uomo è. In tutto questo, dov’è finito il tuo struggente sentimento per Fersen? Si è sciolto come neve al sole, mi sembra.”

Emerse da dietro la cortina del separé, vestita di tutto punto.

“Fersen non è nulla per me e l’ho capito perfettamente ieri sera!”

“Oh, finalmente un fatto positivo in tutta questa commedia! Il conte deve aver dato il peggio di sé al ballo! Posso quasi immaginarlo!”

“Non ne voglio parlare. Voglio solo tornare a casa mia!” Sibilò a denti stretti, pronta ad allontanarsi in fretta dalle mie stanze. Ma sentivo che la discussione non era del tutto esaurita.

“Fuggire dai sentimenti non serve, Oscar; forse dovremmo parlare di quello che provi per André. Quello che è successo con lui ti ha sconvolto più di qualsiasi altra cosa. Ti prego, dimmi la verità: lo ami?”

“È un mio amico… il migliore amico che ho… non posso perderlo a causa tua.”

“Non hai risposto. Non gli hai detto chi eri. Perché? Era più semplice fingere di essere me e prendere ciò che volevi? Trova il coraggio di ammettere quello che provi davvero. Potevi fermarlo e non l’hai fatto; prova a guardare dentro di te. Te lo domando di nuovo: lo ami, Oscar?”

Oscar mi fissò per pochi istanti. Rispondere a quella domanda era una sfida per lei; potevo vedere la lotta interna passare sul suo volto.

“Io non so più niente, Danielle.”

Mia sorella voltò le spalle e senza aggiungere altro, lasciò la stanza.

 

 

*****

 

 

 

Il passaggio segreto portava a una stanza remota del castello, una sala della musica che veniva usata in poche occasioni situata nel lato est dell’edificio. Da lì, André si era precipitato nella sua stanza.

Sentiva di avere ancora addosso il profumo di Oscar, ricordava perfettamente il sapore dei suoi baci; la mente era ancora un poco annebbiata dal desiderio provato e trattenuto.

Il gioco, lo doveva ammettere, gli era piaciuto anche troppo; aveva soddisfatto molte delle fantasie che negli anni lo avevano tormentato senza però andare oltre, ma non era uno stupido.

Sapeva cosa sarebbe accaduto se Oscar avesse scoperto l’inganno.

Era stata una mossa dettata un po’ dalla frustrazione e da un lieve risentimento, ma il suo amore per lei aveva avuto il sopravvento. Sentiva un brivido di eccitazione dolorosa se col pensiero tornava all’istante in cui avrebbe potuto averla.

Oscar avrebbe fatto l’amore con lui, spontaneamente. E lui non si sarebbe fermato, se non fossero arrivate le parole di lei, la sua esitazione. La voleva, ma desiderava che fosse sé stessa e che fosse consapevole che avrebbe scelto lui e non un altro.

 

Il risveglio era stato quasi irreale come quando si ha il dubbio di stare ancora sognando; aveva aperto gli occhi e aveva visto le tende impalpabili del baldacchino ondeggiare sulla sua testa, la luce chiara entrare dalla finestra. Si era voltato e aveva trovato lei che lo stava fissando, in silenzio, appoggiata mollemente sul cuscino. Un enigma celato dietro il blu profondo dei suoi occhi e si era chiesto da quanto fosse sveglia.

All’improvviso avevano sentito rumori, una porta che si apriva, dei passi e poi voci provenienti dalla stanza accanto: Leopold e Danielle.

Riflessi all’erta, Oscar era saltata giù dal letto come uno scoiattolo.

“André, devi andartene subito.”

Gli aveva detto lanciandogli la camicia che lui aveva afferrato al volo, e lo aveva trascinato verso il passaggio segreto che si apriva nella parete della stanza. Non gli era mai parsa tanto sensuale e femminile come in quell’attimo, con i gesti tipici che fa una donna quando cerca di proteggere il suo amante, e lui non aveva voluto allontanarsi senza prendersi un ultimo pegno; l’aveva trattenuta contro di sé, e le aveva regalato insieme a un sorriso eloquente, quelle due parole – ti amo - che teneva sul cuore da troppo tempo. All’udirle, Oscar aveva sentito il respiro fermarsi e sgranato gli occhi per la meraviglia.

Poi l’aveva baciata di nuovo, divorandole le labbra, prima di scomparire dietro la porta segreta.

Non l’aveva vista appoggiarsi smarrita contro la parete tappezzata di piccole rose e portarsi due dita ad accarezzare le labbra ancora affamate di lui, del suo profumo.

Non poteva immaginare quanto era stato perfido, anche se quel ti amo era stato sincero.

Unicamente rivolto a lei soltanto, ma ignara di esserne la vera destinataria.

 

Al ricordo, emise un respiro profondo per immettere aria nei polmoni, ma l’atmosfera della stanza lo soffocava. Doveva uscire all’aperto.

Si diresse deciso verso l’ingresso sul retro che dava su una parte del giardino, con la segreta speranza di non incontrare nessuno degli addetti alla servitù, e si inoltrò attraverso uno dei piccoli vialetti bordati di siepi. Svoltò ad un angolo e fece appena in tempo a vedere la carrozza del conte che partiva velocemente per lasciare la dimora.

Osservò la vettura elegante allontanarsi, mentre il rumore degli zoccoli dei cavalli si affievoliva finché non sentì una voce femminile che lo chiamava.

Era Ninette e veniva verso di lui con aria trafelata.

Adesso cosa m’invento? Pensò vagamente sconsolato.

La servetta avrebbe indagato, ne era sicuro e doveva trovare qualcosa che potesse soddisfare la sua curiosità senza compromettere nessuno di chi era coinvolto in quel gioco.

“André, allora gran furbacchione! Mi vuoi dire cosa è accaduto davvero? Sono preoccupata per madame; un attimo fa, ho sentito il padrone borbottare qualcosa contro il conte di Fersen. Crede sia l’amante di sua moglie… Stai proteggendo i due amanti? È per questo che eri nella stanza della contessa ieri sera? E madamigella Oscar sa tutto, vero? Voglio sapere che succede.”

Andrè pensò che fosse meglio assecondare le fantasie della cameriera, in fondo potevano essere perfette al caso suo.

“Qualcosa del genere, sì. Ma non posso sbilanciarmi troppo. In realtà… - e Andrè si accostò all’orecchio della cameriera e assunse un’ aria da vero cospiratore.  - È coinvolta la regina in persona…”

“Addirittura?” domandò sempre più perplessa.

“Sì. Sai, certe voci di palazzo… ne avrai sentito parlare… Ninette ti ricordi quella cosa che mi avevi raccontato sul conte di Recamier? Forse questo è il momento più opportuno per parlarne con la tua padrona. A breve, io e Oscar partiremo, e solo tu potrai aiutare madame Recamier.”

“Dovrei dirle del bambino?”

“Sì, è meglio. Sarebbe una freccia in più all’arco della tua signora, da opporre alle possibili accuse del marito.”

E Danielle avrebbe avuto altro a cui pensare, senza preoccuparsi di lui e Oscar.

Sembrava un buon diversivo, ma avrebbe messo Danielle in una sgradevole situazione e un po’ gli dispiaceva, ma si consolava pensando che lo avrebbe scoperto comunque.

“Continuo a non capire cosa c’entra il colonnello Oscar in tutta questa faccenda; trovo strano che si lasci coinvolgere in un triangolo del genere.”

“Cosa ci trovi di strano? Mi sembra normale, invece. Oltre che sorella di Danielle, Oscar è una buona amica del conte ed è responsabile della sicurezza della sovrana; sta solo facendo il suo lavoro che è quello di proteggere Maria Antonietta da probabili scandali. Perché credi che madame Recamier sia andata al ballo con lo svedese?”

“Oh, io pensavo che…”

“Mi raccomando Ninette: non parlare di questa storia con nessuno. Mi hai capito?”

“Uhmm, d’accordo. Ufh, che storia complicata… troppo forse.”

Sbuffò Ninette, che girò sui tacchi e tornò da dove era venuta, con le idee un poco più confuse di prima, ma non del tutto convinta che l’attendente le avesse detto la verità.

André rise fra sé sollevato, mentre guardava la cameriera allontanarsi verso la dimora, senza immaginare che il suo bluff era molto aderente alla partita fantasiosa imbastita dalle gemelle, da Danielle in particolare.

 

Si aspettava di vedersi comparire davanti Oscar da un momento all’altro per sollecitarlo a prepararsi per la partenza; non attese molto, infatti. Sentì la sua voce che lo chiamava da una delle finestre della casa; alzò lo sguardo verso l’alto e vide la sua testa bionda sbucare da dietro un vetro del primo piano.

Non c’erano dubbi che fosse lei.

“André, ma che fai lì? Non perdere tempo, per favore. Prepara i bagagli; voglio partire il prima possibile.”

“Subito Oscar!” rispose svelto al suo tono di comando, ma con assoluta tranquillità si accinse a fare quello che gli era stato ordinato. Forse si sarebbe divertito durante il viaggio di ritorno a provocare i silenzi di Oscar, che era certo non avrebbe aperto bocca volentieri, oppure al contrario, lo avrebbe assalito con una miriade di domande, consigli e suggerimenti per il suo bene.

 

 

******

 

La carrozza era ferma davanti all’ingresso, in prossimità del viale che portava all’esterno della tenuta. Erano quasi le undici del mattino di quella strana giornata, iniziata nel modo più bizzarro. Avevo cercato di convincere mia sorella a rimandare la partenza di qualche ora, almeno dopo pranzo, ma non mi aveva dato ascolto.

Corsi fuori in cortile, anticipando Oscar di qualche minuto e trovai André che stava armeggiando con le cinghie che trattenevano i bauli. Volevo parlare con lui senza che Oscar ci sorprendesse e non avevo che pochissimi minuti.

“Danielle, è meglio che Oscar non ci veda parlare insieme; potrebbe essere qui da un momento all’altro, questione di secondi…” mi disse mentre continuava a controllare che i bauli fossero fissati con le cinghie.

“Non riesco a credere che tu l’abbia fatto per davvero, André…” esordii un poco nervosa.

“Fatto cosa?” mi chiese candidamente.

Io parlai a bassa voce per non farmi sentire dal cocchiere che stava controllando con scrupolo i finimenti dei cavalli.

“Seduci Oscar e le lasci credere di essere innamorato di me; non è stato molto onesto da parte tua…”

“Te lo ha detto lei?”

André mi scrutava con calma.

“Me l’ho ha fatto capire chiaramente.”

“Non è andata esattamente così…”

“Ah, no? E come è andata, allora? Non hai rispetto neanche dei miei sentimenti, di quello che provo io per te…”

“Danielle per favore; ho avuto il massimo rispetto per te, e lo sai. Non ho iniziato io questa commedia e mi avete coinvolto a mia insaputa. Neppure questo è stato molto onesto e non puoi biasimarmi se cerco di difendere i miei sentimenti senza farmi manovrare come un burattino da tutti quanti.”

Avvertii una punta di rammarico nell’inflessione profonda della sua voce. Allora parlai con tutto il mio slancio, presa dal fuoco del mio sentimento, forse anche da un poco di disperazione.

“Io non riesco a rinunciare a te, per quanto so che non puoi amare me come ami lei! Forse ho sbagliato, ma non posso soffocare quello che sento. Ho bisogno di vederti, di starti accanto. Lei non vuole farci incontrare, mi ha proibito di vederti, ma non è amore il suo, è solo smania di possesso. È egoismo. Non vuole che tu sia libero. Perché non vuoi capirlo? Con me saresti più felice, Andrè. Io ti darei l’amore che meriti… e lo meriti più di chiunque altro…”

Solo allora lui mi prese per le braccia con leggera fermezza.

“Danielle mi dispiace se ho creato contrasti tra voi, non era mia intenzione mettervi l’una contro l’altra, ma non credo sia come dici tu; per la prima volta mi pare di avere una speranza con lei. Stanotte l’ho guardata negli occhi e quello che ho visto era tenerezza, passione… amore. Sì, io credo che sia amore, solo che lei ancora non lo sa. Lei non è come te, non ha il tuo coraggio nell’affrontare i sentimenti, non è consapevole di quello che sente e adesso ha solo paura di perdermi. Ti prego, sforzati di capire; io sono legato a lei più di quanto non sia legato a te…”

“Oh, André… - sospirai quasi rassegnata - non vuoi dare anche a me una possibilità?”

“Ti voglio bene Danielle, davvero… ma non nel modo che vorresti tu.”

Lo sentii sfiorarmi con due dita una guancia in una carezza delicata; poi notai il suo sguardo che si alzava un poco appena oltre le mie spalle. Oscar ci stava raggiungendo, sentivo i tacchi delle sue scarpe battere rapidi sugli scalini dell’ingresso. Andrè ritrasse la mano, ma fece in modo di essere visto.

Pochi metri e Oscar fu accanto alla vettura.

“Siamo pronti?” chiese senza guardare direttamente André e lanciò a me solo una rapida occhiata di sbieco.

“Tutto pronto Oscar. Possiamo andare quando vuoi.”

Andrè salì in vettura prima di lei. Oscar aveva un piede posato sul predellino, ma prima di salire in carrozza si voltò a guardarmi.

“Arrivederci Danielle. Ricorda bene quello che ci siamo dette.”

E scomparve dentro l’ abitacolo; sentii lo schiocco delle redini, e il mezzo si metteva in moto.

Rimasi ferma a osservare la carrozza che girava attorno alla grande fontana centrale, prima di allontanarsi attraverso il viale alberato.

Era già in fondo, in prossimità di varcare il grande cancello, quando la mia cameriera si accostò a me.

“Scusate madame se vi disturbo, ma avrei qualcosa d’importante da comunicarvi subito.”

“Cosa c’è Ninette?”

“Si tratta di una cosa che riguarda il signor conte e Madame De Marchard; forse conosco il motivo della partenza improvvisa di vostro marito, contessa…”

Restai incerta per un secondo alle parole della mia fida cameriera. Mi guardai attorno con fare distratto.

“Non qui. Vai a prendere il mio scialle di seta e raggiungimi all’ombra dei salici. Ti aspetto lì e non farti notare da nessuno.”

Circa dieci minuti dopo, Ninette mi raggiungeva nel luogo stabilito.

Ero seduta su una panchina di marmo bianco, sotto i rami di un grosso salice piangente mentre ascoltavo vagamente turbata e sorpresa, le parole della mia cameriera che mi raccontava dell’esistenza da qualche parte di un erede illegittimo del conte di Recamier, un figlio che forse mio marito si preparava segretamente a riconoscere.

 

 

 

Continua…

 

 

Eccomi qui.

Scusate il ritardo come sempre.

Forse il risveglio dei nostri due non ve lo aspettavate così, eh? Spero di non avervi deluse.

In effetti non è che accade molto in questo capitolo; fa più da sparti acque con il seguito.

Però con Leopold fuori dalla camera non è che ci fossero tante possibilità e dovendo evitare il disastro, ho optato per questa soluzione che mi è sembrata abbastanza convincente e in linea con la storia.

Spero vi sia piaciuta, ma raccontatemi ogni perplessità se ne avete.

Grazie infinite per tutti i commenti che lasciate, io li apprezzo tanto e mi fanno capire che ancora questa storia un po’ pazza vi interessa.

Un saluto e a presto. Almeno spero.

 

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Capitolo 15
*** Rientro a Palazzo Jarjayes ***


15

15 – Rientro a Palazzo Jarjayes

 

 

 

Il viaggio fino a palazzo Jarjayes era durato poco più di due ore, ma a Oscar era sembrato molto più lungo e interminabile.

Si era ostinata a guardare fuori dal finestrino per gran parte del tempo, ma le era parso di sentire il peso dello sguardo del suo attendente per tutto il viaggio.

In realtà, la sensazione era solo frutto della sua suggestione, perché André aveva mantenuto l’atteggiamento naturale di sempre quando viaggiavano insieme, e seppur segretamente compiaciuto, per un po’ era riuscito a fingere una sorta d’indifferenza al mutismo di Oscar.

Anche lui aveva contemplato quasi assorto il panorama distensivo che offriva la campagna e solo di rado si era soffermato ad osservare la sua compagna di viaggio di sottecchi, domandandosi dove stessero volando i suoi pensieri, sperando che tornassero all’ alba incredibile che li aveva visti insieme.

Nessuno dei due avrebbe resistito in perenne silenzio fino all’arrivo, Andrè meno di Oscar, che fra i due, era sempre stato quello più loquace e ciarliero. Quindi, lui per primo decise di rompere il ghiaccio e provare a intavolare una conversazione qualsiasi, anche la più banale.

“Si torna a casa; immagino già mia nonna smuovere tutta la servitù per il tuo rientro, farà tirare a lucido tutto il palazzo, comprese le cucine!”

“Già…” fu la risposta laconica di Oscar.

Seguì un breve silenzio che sarebbe potuto diventare più lungo, se André non avesse capito che avrebbe dovuto tirarle fuori le parole a forza. Decise che si sarebbe divertito a farlo.

A costo di provocarla.

“Le vacanze sono sempre troppo brevi, non trovi Oscar? Ah, io sarei rimasto ancora volentieri a Villa Recamier… - e fu volutamente ambiguo sul senso della frase - sono stato davvero bene.”

Sorrise dei suoi stessi pensieri e osservò la sua reazione: gli parve che lo sguardo azzurro si adombrasse lievemente.

“Sì, immagino…”

Altra risposta laconica condita forse di una nota ironica.

“Tu no, Oscar?” Chiese lui in tono disinvolto con l’evidente intenzione di stuzzicarla.

“Benissimo direi, ma bisogna tornare alla vita quotidiana, quella vera anche se è un po’ meno bella e piacevole.”

André si rilassò contro lo schienale di velluto, stirando leggermente le braccia.

“Eh già, lo so. Si torna alle levatacce, ai cavalli da strigliare, alle ronde a Versailles, ma ci saranno bellissimi ricordi a tenermi compagnia: le passeggiate all’aria aperta, il profumo dei campi al mattino bagnati di rugiada, quello del pane appena sfornato, le piacevoli serate a bere del buon vino… - rise accarezzando ricordi ancora freschi – e altre cose che rendono dolce l’esistenza.”

Si accorse dell’occhiata fulminea e sgomenta di Oscar, ma lui finse di non notarla.

“Sono tutte cose che potrai ancora avere, anche a palazzo Jarjayes.” obbiettò con ovvietà.

“Sì, hai ragione Oscar. Sai, mi chiedevo: tu credi che Danielle verrà a farci visita?”

“Perché lo chiedi? Senti già la mancanza della mia audace gemella?”

André si accorse immediatamente del malcelato tono sarcastico, nascosto dietro un sorrisetto di circostanza, troppo simile a una leggera smorfia di disappunto.

“Non pensi di ricambiare la sua ospitalità?”

“Non ne sento l’esigenza.”

André le oppose un’espressione dubbiosa.

“Ce l’hai con lei per qualche oscuro motivo?”

Oscar rispose tornando a guardare con eccessivo interesse il panorama fuori dal finestrino.

“Non ce l’ho con lei, ma tu non sperare che venga a palazzo Jarjayes, non nell’immediato.”

“Non capisco che vuoi dire; parli come se la cosa dipendesse da me.”

“Sei tu che hai trovato il soggiorno a villa Recamier particolarmente piacevole. Ci dev’essere un motivo preciso se ora mi chiedi di Danielle…”

“Semplice curiosità, la mia. Pazienza. Ci sarà un’occasione per incontrarsi, prima o dopo…”

Oscar lo guardò fisso.

“Non mi sembra banale curiosità, tu vuoi rivederla… - Non era una domanda questa volta; era piuttosto una constatazione dal sapore amaro. Ad Andrè parve di sentire sulla lingua il gusto della delusione di lei che scendeva fin nel suo cuore. - Lei non verrà.” Proseguì Oscar quasi con durezza.

Andrè aggrottò le sopracciglia.

“Sembri molto sicura di questo, ma potresti sbagliarti clamorosamente.”

“Non sbaglio André. Danielle non verrà, rassegnati.” Rispose secca.

“Me lo stai ordinando?” chiese quasi incredulo.

“No, è solo un consiglio… poi, fai come ti pare.”

“Cioè, vorresti dire che sarei libero di rivedere Danielle, se volessi?”

Oscar non seppe trattenersi oltre: parlò alzando la voce di un paio di ottave.

“Se non temi di scatenare le ire di mio cognato, puoi anche correre il rischio, André, ma stai attento: perfino un uomo mediocre come Leopold di Recamier potrebbe diventare improvvisamente abile con la spada!”

“Aspetta un momento: tu hai paura… per me?”

“Ci sono tanti sistemi per far sparire qualcuno; l’ omicidio di un servo per mano di un nobile offeso non interesserebbe a nessuno, tranne che alla sottoscritta! Ma la vita è la tua e sei libero di gettarla alle ortiche!”

Era davvero arrabbiata; Andrè si domandò se non fosse andato troppo oltre con la provocazione. Ma percepì anche la sua paura e provò tenerezza per lei, per quello strano, contorto senso di protezione che inconsapevole manifestava.

Provò a placarla.

“Ho il sospetto che tu abbia preso un abbaglio, Oscar: non ho intenzione di correre inutili rischi, né di comportarmi in modo sconveniente, o offensivo verso tua sorella, suo marito o chiunque altro.”

“Nessun abbaglio André. È tutto fin troppo chiaro.” Esclamò d’impulso, prima di sporgersi con la testa verso l’esterno della carrozza.

“Cocchiere fermati! Voglio scendere!” Urlò per farsi sentire dal postiglione che tirò le redini per bloccare la corsa dei cavalli.

La vettura si arrestò nell’arco di pochi metri e prima che André potesse avere il tempo di capire le sue intenzioni, la donna era già saltata a terra richiudendo violentemente la portiera.

“Oscar ma che fai?”

“Cocchiere riparti!”

La carrozza si rimise lentamente in moto, distanziandola, mentre Oscar pareva intenzionata a proseguire la sua marcia a piedi. Andrè si sporse oltre il finestrino a fissarla vagamente contrariato e preoccupato: conosceva la sua testardaggine e sarebbe stata capace di camminare a piedi per chilometri.

“No! Cocchiere si fermi! Oscar ma…”

“Ho detto di andare avanti! Cocchiere non fermare la carrozza! È un ordine!”

La vettura ripartì nuovamente e André ordinò di mantenere un’ andatura a passo d’uomo.

Oscar testarda più che mai, camminava di fianco alla vettura un poco più indietro mantenendosi sul ciglio della strada. Andrè la seguiva con lo sguardo, in verità piuttosto indispettito dal suo strano atteggiamento.

“Ma cosa diavolo stai pensando di fare?”

“Non lo vedi? Ho bisogno di camminare un po’.”

Poteva sembrare un banale capriccio, piuttosto inconsueto per lei; non gli ci volle molto per capire che stava solo cercando un modo di sfogare la tensione che la opprimeva.

A casa si sarebbe sfogata incrociando la spada con lui.

“E pensi di andare a piedi fino a palazzo Jarjayes? È un bel pezzo di strada, ma forse in due giorni ce la fai! Non essere ridicola e sali in carrozza, Oscar.”

“NON TI AZZARDARE A DARMI ORDINI, ANDRE’!” Ruggì inviperita.

André restò in silenzio qualche minuto; doveva aspettare che si calmasse.

Prese un respiro profondo; se si fosse lasciato vincere dall’esasperazione avrebbe solo peggiorato le cose; la conosceva abbastanza bene da sapere che era meglio non opporre alcun tipo di resistenza. Quando l’ebbe distanziata di qualche metro, fece fermare la carrozza all’ombra di un gruppo di grossi alberi che delimitavano il ciglio della strada.

Scese a terra e attese sulla strada polverosa, appoggiato a braccia conserte alla ruota posteriore che lei lo raggiungesse.

“Per favore Oscar, sii ragionevole; sali in carrozza e cerchiamo di comportarci come persone di buon senso. Se qualcosa ti dà fastidio è meglio parlarne con calma…”

“Sei tu che non hai buon senso, André. Non potevi proprio evitare tutto questo pasticcio?” fece lei, lievemente stizzita.

“Posso sapere di cosa mi accusi?”

Oscar si avvicinò alla carrozza, ma prima di salirvi si girò a guardarlo.

“Questa mattina ti ho salvato per la punta dei capelli, André. Ma dovevi proprio infilarti nel letto di mia sorella? E non sforzarti di negare, tanto so già tutto.” Quindi montò in carrozza senza attendere una risposta.

André la seguì all’interno dopo aver intimato al cocchiere di ripartire.

“Non nego nulla, ma tu cosa credi di sapere di questa storia?”

“Questa mattina vi ho sorpresi insieme.”

André dovette sforzarsi di non riderle in faccia.

“Tu non sai niente, Oscar.”

“Allora, dimmelo tu come stanno le cose, André; che cosa ti ha promesso? Cosa ti aspetti che accada? È la moglie già troppo chiacchierata di un conte che gode di notevole prestigio a corte…”

“Ed è tua sorella: è questo che ti disturba così tanto. Vorrei sapere perché. Spiegami Oscar: perché non vuoi che io stia con lei? È un volgare problema di classi sociali, o c’è dell’altro?”

“Mi chiedi perché?! Ma rifletti un momento: credi che lascerà il marito, i suoi figli, i suoi privilegi per fuggire con te? Mia sorella è una ribelle, ma non ha tanto coraggio.”

 

E io? Ne ho forse più di lei?

 

André sorrise ambiguo.

“Non sono così ingenuo e non mi aspetto nulla del genere. E sul coraggio di Danielle, io non scommetterei: è capace di lottare per prendersi ciò che vuole. E adesso vuole me.”

A quelle parole tanto schiette, Oscar ebbe paura.

“Oh, André… E tu vuoi lei, fino a questo punto?”

“Ho bisogno di essere amato, come tutti. Ti sembra così strano, Oscar? Sforzati di capire come mi sento, ma forse da te pretendo troppo.”

A quel punto André abbassò la voce che divenne roca e profonda, e le rivolse uno sguardo intenso e bruciante che le penetrò fin dentro l’anima.

“Vuoi farmi credere, Oscar, che non ti sei mai sentita così, nemmeno una volta? Non hai mai sentito quel fuoco bruciarti dentro, come un dolore fisico? Se lo hai sentito almeno una volta, sai di cosa parlo.”

Oscar rimase in silenzio, disarmata e sconvolta da quelle parole, incapace di ribattere, mentre pensava al fuoco che stava divorando lei solo da poche ore. Quella stessa fiamma possente che vedeva bruciare negli occhi verdi e bellissimi del suo amico.

Sospirò arresa, senza sospettare che quella fiamma bruciava per lei.

“Ah, ti prego, non voglio continuare ora questa conversazione. Il viaggio è ancora abbastanza lungo è voglio provare a rilassarmi un po’, se non ti dispiace.”

“Come vuoi tu, Oscar. Ma dovremmo riparlarne.”

La donna incrociò le braccia, sprofondò contro il sedile della carrozza e si girò dalla parte opposta, tirando le tendine.

Il resto del viaggio proseguì in un silenzio pesante fino a casa.

 

 

 

***********

 

 

 

 

Erano rientrati a palazzo Jarjayes da qualche giorno.

Oscar aveva ripreso immediatamente servizio a corte e faceva in modo che Andrè la seguisse a tutte le ore e in ogni circostanza, dalle esercitazioni militari, ai balli organizzati dalla regina fino a tarda notte.

Non gli concedeva mai troppo tempo libero e se le balenava il sospetto che il suo attendente stesse pensando a Danielle, lo distraeva coinvolgendolo in un’attività qualunque; un duello con la spada, una cavalcata, un lavoro da fare nelle scuderie. Per paradosso, era lei che non riusciva a distrarre i suoi pensieri dal ricordo di quell’alba passata con lui.

In realtà aveva il terrore che potessero vedersi di nascosto, e faceva di tutto perché ciò non accadesse, mentre il pensiero della sorella e André appartati come due amanti clandestini le procurava delle fitte di acuta e dolorosa gelosia.

 

-            André ci sono i cavalli da lavare e strigliare!

-            Svelto André, prendi la spada, dobbiamo allenarci…

-            André ricordati che devi curare la manutenzione delle carrozze…

 

Il giovane aveva il sospetto che facesse apposta ad essere così esigente, ma era il suo lavoro e non si tirava indietro, aspettando il momento buono per affrontarla a viso aperto.

Circa due giorni dopo il loro rientro a casa, il conte di Fersen era venuto a farle una visita inaspettata.

Il conte li aveva interrotti in giardino, durante un acceso allenamento con la spada che li stava coinvolgendo nel corpo e nello spirito, tra sguardi diretti, battute provocatorie e scontri fisici manifesti e ricercati. Spade in pugno, si erano annusati e misurati come avversari pericolosi.

Il pericolo però era di diversa natura.

 

-            Dimmi la verità, André: preferiresti andare a servizio a Villa Recamier? Mia sorella ti affiderebbe mansioni assai diverse…

-            Vuoi provocarmi, Oscar?

-            Forse… potrei sorprenderti, signor avventuriero...

-            Ora sei ingiusta: potresti restare sorpresa tu, mia bellissima amica…

-            Vuoi giocare con me, André? Potrebbe piacerti…

-            Oh, lo sai che non mi tiro mai indietro… cominciamo?

 

Durante la danza dei corpi sull’erba, nel clangore delle spade, vicinissimi, con le braccia tese sopra la testa, gli sguardi avevano indugiato in una sfida muta, per un lungo minuto, mentre Oscar si perdeva a seguire il profilo morbido di quelle labbra, tornando con la mente a quello che era accaduto tra loro nella stanza di Danielle. Le bocche troppo vicine, i respiri caldi e affannati sul viso, la tentazione si era scatenata per entrambi.

Ed era stato più forte di lei immaginare quali fossero i pensieri di André, che ricambiava il suo sguardo con la stessa intensità sconcertante. Pensieri della cui natura lei non aveva alcun sospetto.

 

Stai pensando a lei, André? Non lo fare… 

Ero io.

Ero io la gemella che tenevi tra le braccia, quella che baciavi con tenera passione. 

La stessa passione che intravedo perfino ora nei tuoi occhi.

E tremo di rabbia se penso che non bruciano per me, e per assurdo, forse stai pensando proprio a me, e non lo sai. Vorrei concludere questo duello, stringerti all’angolo senza difese, afferrarti la nuca e costringerti a baciarmi. Ti divorerei per questa fame che sento.

E allora, riconosceresti il vero sapore delle mie labbra? O le confonderesti con le sue? 

Non voglio che pensi a Danielle…

Dimenticala, ti prego…

 

 

Il conte di Fersen era arrivato in quel momento a rompere lo strano conturbante scontro; Oscar lo aveva accolto con gentilezza, una maschera del lieve imbarazzo per quella insolita intimità violata, ma senza provare quella strana ansia che la sommergeva ogni volta che incontrava lo svedese.

“Ottima prova di abilità, come sempre. Madamigella Oscar, sono venuto a salutarvi…” esordì il conte andandole incontro sull’erba, interrompendo il sensuale duello tra i due contendenti.

André abbassò la sua arma, si fece da parte e si ricompose in meno di un minuto.

Prese le spade e con discrezione seguì Oscar e il conte che entravano in casa.

Si fermarono in salotto dove Oscar offrì al suo ospite del vino della sua cantina.

“È stata vostra sorella a dirmi che eravate tornata presso la vostra dimora. Le avevo scritto un breve biglietto chiedendole di voi, pensando che foste ancora ospite a Villa Recamier.”

“Sono rientrata solo da qualche giorno, Fersen. Cosa vi porta da me?”

Chiese versando del vino bianco in due bicchieri di cristallo che André aveva posato sul tavolo davanti a loro. Il tono era formale e distaccato, ma il conte non parve notarlo.

“Ecco, volevo rivedervi e salutarvi un’ ultima volta, prima della mia partenza per l’America. Mi imbarco tra una settimana con le truppe del generale La Fayette.”

“In America? Ma laggiù c’è la guerra, Fersen. Perché volete andare così lontano e mettere a repentaglio la vostra vita?” domandò Oscar con sincera preoccupazione, mentre André si allontanava silenzioso dalla sala.

“Perché se resto in Francia, finirò per danneggiare solo la regina Maria Antonietta. In questi ultimi giorni ho riflettuto su molte cose che mi sono accadute di recente; stavo per compiere un errore irreparabile, un’ azione di cui non sarei stato orgoglioso Oscar, una leggerezza che avrebbe fatto soffrire la stessa regina. Ho già esposto troppo Sua Maestà allo scandalo; la simpatia che mi ha accordato mette in cattiva luce la sua persona, ma non posso rischiare di comprometterla ulteriormente col mio comportamento sconsiderato. Se restassi qui succederebbe esattamente questo e io, proprio perché le voglio bene, devo fare di tutto per evitarlo.”

Oscar intuì tutto, ma finse di non capire il vero significato di quelle parole che riguardavano anche lei.

“Non so esattamente a cosa vi riferite, ma siete sicuro che non esista un’altra soluzione? Potreste tornare in Svezia, per esempio.”

“No Oscar, mi verrebbe presto la tentazione di tornare qui, sono un uomo troppo debole. - Fersen portò il bicchiere alle labbra; ne bevve il contenuto in un sorso, prima di proseguire. - Io devo andare lontano… molto lontano. Credo di non avere altra scelta. Affido la regina alle vostre cure, Oscar…”

“Le spezzerete il cuore, Fersen…” constatò lei con tristezza, consapevole che quella notizia, solo poco tempo prima e in altre circostanze, l’avrebbe ferita.

Fersen emise un sospiro che sapeva di rassegnazione penosa.

“Avrei un ultimo favore da chiedervi, madamigella, e solo voi potete aiutarmi.”

“Ditemi pure...”

“Portate le mie scuse a Madame Recamier: credo di averla molto delusa al ballo. Mi sono preso delle libertà eccessive… che forse l’hanno offesa. Non era nelle mie intenzioni; diteglielo, vi prego… Rassicurate la contessa che troverà sempre in me, un amico sincero.”

Oscar fu colta da autentico stupore.

“Ma certo, non abbiate timore, Fersen.”

 

Alla fine della conversazione, il conte aveva posato il bicchiere vuoto sul tavolo e si era alzato per andarsene.

Andrè era ritornato mentre Fersen si allontanava verso l’ingresso del palazzo.

“In America… certo che è lontano. – Disse con voce incolore. - Non desideri rivederlo un’ultima volta, prima della sua partenza?” le domandò, per sondare il suo cuore.

Oscar guardò il suo attendente con un’ espressione imperturbabile.

“No. Spero che riesca a tornare sano e salvo.”

Rispose sicura, ma senza particolare slancio. Dopodiché si allontanò, lasciando in Andrè una profonda sensazione di sollievo.

 

 

*******

 

 

 

Mia sorella e André avevano lasciato la mia casa già da qualche giorno; senza reali motivi per restare oltre nella tenuta di campagna, io ero tornata a Parigi.

Non trovai Leopold, partito non sapevo per dove; probabilmente aveva raggiunto la sua amante.

Avrei voluto concentrarmi su altro, ma stavo ancora cercando di realizzare l’estrema portata della mia più recente scoperta.

Avevo assalito Ninette con mille domande sulla bambina - una figlia, dunque - sulla madre che non avevo capito chi fosse, su madame Lisette De Marchard e il suo ruolo, e su mio marito.

Ma la mia cameriera non aveva saputo fornirmi dettagli più precisi sulla faccenda.

Alla fine, sapevo solo che Lisette si era fatta carico della creatura – era lei la madre? - e immaginai che la sua improvvisa partenza da Villa Recamier fosse a causa della piccola bastarda.

Ma la cosa che mi aveva sorpreso di più era stato l’atteggiamento di Leopold. Sapevo di tanti uomini facoltosi e importanti, che nella stessa situazione abbandonavano al loro destino la loro amante e il frutto della loro passione peccaminosa; mio marito, no.

Lui non fece nulla di simile.

Sentiva dunque, il peso della sua responsabilità?

Oppure la sua amante lo teneva in scacco, in qualche modo poco ortodosso?

Sembrava che questa figlia avesse un’importanza estrema per lui, quasi l’amasse più dei figli legittimi che gli avevo dato io.

Era qualcosa che non riuscivo a concepire.

Mi pareva un’ offesa verso i miei figli, a cui Leopold aveva concesso sempre poco del suo affetto e scarse attenzioni, forse per dispetto nei miei confronti.

Potrà sembrare contraddittorio, ma provavo un profondo risentimento per mio marito, per quell’inganno che giudicavo perpetrato ai miei danni, tradita nel mio orgoglio ed esposta al ridicolo e all’umiliazione se fosse scoppiato uno scandalo.

Avevo sempre tollerato le avventure del mio consorte, finché erano distanti e lontane dalla mia esistenza, perché anche in quell’ipocrisia che era la nostra vita matrimoniale, evitavamo di comprometterci in situazioni difficili oltre che scomode.

Ma una simile vicenda rimetteva tutto in discussione.

E io dovevo sapere la verità.

Dovevo sapere chi era questa figlia, dove era nascosta, chi era la madre, questa donna misteriosa che si era insinuata così tanto nella vita di mio marito, e cosa avrebbe potuto rivendicare per sé: titoli, potere, denaro. Vicende che avevo già visto accadere troppe volte dentro i palazzi della buona società. Vedevo già l’ombra del ricatto a cui non avrei mai voluto cedere, allo scopo di ottenere favori dalla famiglia Recamier.

Spedii un mio messo sulla tracce del conte di Recamier, alla ricerca di prove o documenti compromettenti. Pochi giorni e il messo tornò dopo aver parlato con vari testimoni, ufficiali giudiziari e pubblici, tra cui il giudice che aveva avallato l’adozione e il notaio che aveva autenticato il certificato firmato da mio marito.

“La bambina è stata ufficialmente riconosciuta da vostro marito, madame: ora porta l’illustre nome dei Recamier. Però non mi è stato possibile scoprire dove sia e non si sa nulla della madre, la cui identità è stata mantenuta segreta. I documenti devono essere nelle mani di vostro marito, che li custodisce gelosamente.”

“Di madame Lisette De Marchard cosa mi potete dire? Potrebbe essere lei la madre della bambina?”

“Forse, ma non è detto.  Sappiamo solo che a suo tempo, il conte di Recamier pagò molti dei debiti che gravavano sulle terre e proprietà della famiglia Marchard.”

“Debiti, avete detto?” chiesi costernata.

“Sì, signora contessa. Più che altro, ipoteche sui beni immobili di famiglia. Una cosa abbastanza nota a molti, pare.”

“Oh! E perché io non ne sapevo niente?”

“Non lo so, signora contessa.”

Congedai il messo.

Dovevo avere quei documenti. Era una questione troppo intima e delicata, dovevo occuparmene personalmente.

Il mistero si infittiva sempre di più e tutto pareva una massa ingarbugliata impossibile da sciogliere, ma ne sarei venuta a capo. In qualche modo.

 

Avevo bisogno di chiedere aiuto ad una persona fidata e non mi venne in mente nessuno all’infuori di Oscar. E fu così che andai da lei.

Lungo il tragitto che da Parigi portava a Palazzo Jarjayes, non potei fare a meno di pensare che stavo per rivedere André.

Avevo avuto poco tempo di pensare a lui, presa dagli ultimi accadimenti, ma ora il ricordo delle ultime ore passate insieme, mi tornava alla mente con prepotenza; se col pensiero sfioravo le immagini della notte in cui avevo tentato di sedurlo, sentivo un fremito scorrere sotto la pelle e accendermi un fuoco doloroso dentro il petto che, nonostante tutto, non riuscivo a spegnere. Non avevo smesso di desiderarlo, di volere il suo amore per me e non ero certa di volermi arrendere, perché ero ancora convinta che Oscar non fosse capace di amarlo.

Avrebbe dovuto smentirmi lei stessa, cosa che non aveva ancora avuto il coraggio di fare.

Quando la mia carrozza si fermò davanti all’entrata del palazzo, la vecchia governante venne ad accogliermi.

“Cara Nanny, devo immediatamente vedere mia sorella, è in casa?” dissi, avanzando spedita verso l’ingresso, mentre la governante mi correva dietro cercando di mantenere il mio passo.

“Vostra sorella non è ancora rientrata da Versailles, ma sarà qui a momenti.”

“Bene aspetterò. Non c’è neppure tuo nipote?” continuai sfilandomi i guanti che posai su un mobile dell’ingresso. Davanti alla specchiera posta alla parete, sfilai le forcine che trattenevano il mio elegante cappello piumato.

“Andrè è con lei, la segue ogni momento, ultimamente. Sembra quasi che le sia diventato indispensabile. Oh, quei due ragazzi io non li capisco più, e anche Oscar è molto strana, da un po’, più inquieta del solito. Tutta colpa del generale, vostro padre!” Borbottò con veemenza e io risi sinceramente della sua ultima esternazione.

“Non cambi mai Nanny: non perdonerai mai mio padre per aver allevato mia sorella come un uomo.”

La vecchia Nanny non aggiunse altro, scosse la testa sconsolata e tornò dritta verso le cucine.

 

Speravo di avere un momento per parlare da sola con André, ma non sarebbe stato facile con Oscar nei paraggi.

Non attesi molto, comunque.

E contrariamente a quanto mi sarei aspettata, fu André il primo che incontrai.

Entrò nella piccola camera dove stavo aspettando il ritorno di Oscar. Fu quasi sorpreso di vedermi, e non potei ignorare il balzo che fece il mio cuore nel petto, appena lo vidi comparirmi davanti.

“Danielle, immaginavo che fossi tu. Ho visto la carrozza qui fuori.” Esordì con un sorriso meraviglioso che ricambiai in modo spontaneo.

“Ciao, André. È bello rivederti.”

“Sono felice anch’io d’incontrarti di nuovo. Come mai sei venuta?”

“Beh, il vero motivo è che oggi sono qui per parlare con Oscar.”

Mi guardò solo un attimo, incerto.

“Non l’hai ancora vista? Ha lasciato le scuderie prima di me; forse è stata bloccata nello studio del generale per una questione che riguarda le nuove nomine delle guardie reali.”

Mi alzai dalla poltrona e vi avvicinai a lui con l’impulso di abbracciarlo, ma mi trattenni dal farlo.

“Mi sei mancato, sai? Ho bisogno di parlarti; possiamo vederci più tardi, da soli?”

“Ma hai appena detto che vuoi parlare con Oscar…”

“Sì, ma devo parlare anche con te: ci sono alcune cose che ti devo dire.”

“Danielle, io non so se…”

“Ti prego! Ti prego, André, non dirmi di no; è importante.”

“Che cosa è importante?”

La voce di Oscar venne a interromperci in quel momento. Mia sorella entrò nella sala e io sperai che non avesse sentito tutto. Notai l’occhiata torva che lanciò al mio indirizzo, prima di puntare lo sguardo su André per spostarlo poi, di nuovo, su di me.

“Parlavo della richiesta che sono venuta a farti, oggi – le dissi decisa, - ho bisogno che tu mi faccia un grosso favore.”

“Che genere di favore?” mi chiese Oscar, accomodandosi in poltrona davanti a me. Io feci altrettanto. Solo André era rimasto in piedi, vicino alla parete ad osservarci.

“Vorrei tu facessi delle indagini per mio conto; ho bisogno della massima discrezione. Si tratta di trovare una persona.”

Oscar mi scrutò con attenzione, mentre io iniziavo a tradire un po’ di nervosismo.

“Sarà meglio che mi racconti tutto dall’inizio; ho bisogno di avere maggiori informazioni possibili. Chi è questa persona? Perché la stai cercando?”

Le raccontai tutto senza omettere alcun dettaglio. Le parlai della conversazione tra Leopold e la sua amante, sentita da Ninette, delle ricerche che avevo fatto fare per trovare le prove del tradimento di mio marito e dell’esistenza della bambina.

“Vorrei che tu trovassi questa donna e sua figlia. Voglio sapere chi sono e dove sono. – Mi alzai dalla poltrona, camminando avanti e indietro. - Voglio far annullare il riconoscimento. E voglio sapere quanto madame Marchard è coinvolta in questa storia; potrebbe essere lei la madre della piccola.”

“Non capisco perché tu abbia bisogno di me per fare questa cosa; potresti arrangiarti benissimo da sola. E se anche tu trovassi la bambina, che penseresti di fare? Vuoi allevarla tu? Non stai pensando di farla sparire, vero?”

“Oh, Dio Oscar! Certo che no! – Protestai inorridita. - Io voglio solo proteggere i miei figli e tutelare il prestigio della famiglia Recamier e il mio buon nome, quello dei Jarjayes. Non voglio che in futuro, una bastarda qualunque possa a venire a reclamare per sé dei diritti. Non permetterò mai che il nome dei Recamier venga associato a uno scandalo simile, e tu dovresti aiutarmi Oscar. È anche nel tuo interesse.”

“Quanta veemenza, Danielle. Peccato che non sempre il buon nome della famiglia sia tra le tue priorità, – ironizzò. - Comunque, io preferirei non essere coinvolta nelle tue beghe famigliari; non ti serve il mio aiuto, qui. Devi solo pagare un buon investigatore che faccia il lavoro.”

“Ti prego Oscar, ripensaci; mi fido solo di te. Non voglio affidarmi ad un estraneo per una faccenda tanto delicata.”

“Ma, non lo so… - mia sorella si portò una mano alla tempia continuando ad esitare. – Conosci già le intemperanze di tuo marito, e tu non sei meglio di lui come esempio di fedeltà. Non capisco perché prendi tanto a cuore questa vicenda.”

Notai l’occhiata critica che rivolse ad André che manteneva il silenzio.

Parlai con calma e fermezza.

“Io non ho messo al mondo dei figli illegittimi, trascinando mio marito nella vergogna. Ti prego Oscar, aiutami a trovare quella bambina. Non ti chiedo altro e non dovrai fare altro che reperire informazioni che poi mi comunicherai. Affronterò io quella donna e le sue pretese.”

Finalmente la convinsi.

“Va bene, ti aiuterò. Sei pur sempre mia sorella. Scoprirò dove si trovano la madre e la bambina e te lo dirò, ma non farò nient’altro.”

La ringraziai.

Ero pronta per andarmene, ma non volevo farlo senza prima parlare con André.

Dovevo vederlo. Da sola.

Con una scusa andai nelle cucine da Nanny; allontanai le sguattere e chiesi alla governante, in via riservata, di mandare il nipote da me, senza far sapere nulla a Oscar. Non mi preoccupai della sua espressione perplessa, ma le ribadii con fermezza la mia richiesta.

“Hai capito, Nanny?”

“Certo madame. Farò come volete voi.”

Avrei atteso in carrozza all’esterno della tenuta.

Sostai una decina di minuti all’ombra del fogliame degli alberi che crescevano sulla strada; André arrivò a piedi e quando fu vicino alla carrozza, gli chiesi di salire in vettura, perché nessuno ci vedesse. Tirai le tendine come ulteriore precauzione.

“Che cosa c’è Danielle? Perché hai voluto vedermi?”

“Continui a far credere a Oscar che io e te abbiamo una relazione. Invece, tra noi non c’è niente… e Dio sa quanto vorrei che ci fosse.”

André sospirò.

“Danielle, ti prego; non fare così…”

“Ho dei sentimenti, non posso soffocarli. Dovresti capirlo. E tu così mi stai usando; non lo trovo giusto. – Continuai di fronte al suo silenzio. - Intendi continuare a mentire a lungo, André? Come credi che reagirà quando scoprirà la verità? Così rischi di perderla per davvero.”

“Mi dispiace, Danielle. È un rischio che devo correre, perché lei capisca. Se fallirò, almeno avrò tentato. Come prima, non potrei andare avanti; non sono più disposto a soffrire in silenzio, mentre un altro uomo ruba il cuore di Oscar.”

Nel suo tono c’era insofferenza, forse stanchezza.

Mi avvicinai di più a lui, accostando il mio viso al suo, sfiorandolo con una mano; i nostri occhi s’incontrarono e mi parve di leggere nel suo sguardo verde un’ ombra d’incertezza.

“Ma a quale prezzo. Potresti ritrovarti con un pugno di sabbia in mano. Insegui lei, e potresti avere me. Totalmente. Senza condizioni. Cancellerei la tua sofferenza. Io ti amo, André. Ti amo come non immagini.” Confessai per l’ennesima volta.

Non resistevo più.

Quando lo baciai, André esitò solo un momento, prima di abbandonarsi con trasporto al mio bacio; sentii le sue mani accarezzarmi il viso, le braccia avvolgermi e io mi aggrappai a lui, vinta dall’ardore che mi assaliva.

Quando le nostre labbra si separarono, le sue braccia continuavano a stringermi convulse.

“Oh André, caro. Potremmo essere felici se tu volessi. Possiedi già la mia anima.” Bisbigliai sulla sua spalla vicina al suo orecchio, mentre i suoi ciuffi ribelli mi solleticavano la pelle.

“Oh, Danielle, faccio una fatica immensa a lasciarti andare. Sei così bella, così donna. Se Oscar avesse solo un grammo del tuo coraggio…” Si separò da me bruscamente e in quell’ attimo forse qualcosa si strappò dentro di me.

“Ma no. Non posso, per quanto io senta di desiderarti. Ti prego, non insistere ancora.”

Prima che potessi sperare di trattenerlo, era già sceso dalla carrozza lasciando vuote le mie braccia del suo corpo.

“André, no! Per favore, resta. Aspetta!” Lo implorai inutilmente, sporgendomi oltre il finestrino.

“Vai a casa, Danielle. –  Afferrò una delle mie mani che tendevo verso di lui e la baciò con devozione. – Vai a casa, ti prego.”

“André!”

“Va via, Danielle.”

Profonda amarezza in poche parole.

Rimase fermo vicino agli alberi, a guardarmi con una strana espressione triste, mentre la carrozza si allontanava dondolando lungo il sentiero. Sentivo le lacrime salire ai miei occhi mentre il dolore aggrediva il mio animo in un modo tale, che non avrei creduto possibile soffrire di più.

Non sapevo ancora, che nonostante tutte le mie accortezze, il nostro incontro non era passato inosservato; Oscar, nascosta tra la fitta boscaglia, aveva visto il suo attendente salire e scendere dalla mia carrozza. Era quanto bastava ad alimentare ulteriori sospetti in lei, oltre la sua formidabile, pericolosa gelosia.

 

 

Continua…

 

 

Eccomi qui, non ci speravate più, eh?

Invece torno a tormentarvi con questa storia.

Il titolo è un po’ banalotto, ma non mi veniva in mente altro.

In questo capitolo non succede nulla di eclatante – a parte Fersen che finalmente lascia definitivamente la mia storia - e allo stesso tempo, da qui prendono il via tutta una serie di cose che scateneranno gli eventi successivi. Voglio farvi una piccola anticipazione e vi dico che già il prossimo cap. potrebbe essere col botto.

Provate a immaginare perché…

Non conosco le procedure legate alle adozioni nel ‘700, quindi prendete tutto come una licenza letteraria. Se ne sapete più di me, illuminatemi.

Forse vi ha sorpreso l’atteggiamento di André, che potrebbe sembrarvi ooc… ma più ci pensavo, più lo vedevo comportarsi così con Danielle. In fondo, lei è la gemella di Oscar, una facile tentazione per lui, che non si risolve facilmente.

Ragazze, grazie sempre infinite per tutti i commenti, per l’attenzione che prestare alla storia e per l’entusiasmo che mi dimostrate leggendola. Spero che continui a piacervi, ma se per qualunque cosa non vi convincesse, non esitate a lasciare le vostre impressioni che tante volte mi sono state d’aiuto.

Un saluto e alla prossima… quando sarà. Ninfea

 

 

 

 

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Capitolo 16
*** Quello che c'è tra rabbia e passione ***


16

16 –  Quello che c’è tra rabbia e passione.

 

Volevo regalarvi il capitolo prima della fine del mondo, magari. Buona lettura.

 

***********

 

Tornava verso casa attraverso il giardino a passo rapido.

Non voleva che lui la scoprisse, né che l’accusasse di fare la spia.

Erano stati i modi della sorella a insospettirla: aveva avuto la precisa sensazione che volesse nasconderle qualcosa. E non si era sbagliata. Per caso aveva notato Andrè allontanarsi attraverso la porta sul retro, e la voce insistente di un diavolo maligno le aveva suggerito di seguirlo all’esterno della tenuta. E lei aveva dato ascolto a quella vocetta perfida.

Nascosta tra il fogliame aveva riconosciuto la carrozza ferma sulla strada con una stretta al cuore.

Cercava di non pensare a quello che aveva visto, ma ogni dettaglio di quell’incontro le tornava alla memoria, ossessionandola.

Se cercava di non pensarci era solo peggio.

Aveva un tarlo nella testa, frutto dell’immaginazione più perversa che correva a ciò che non aveva visto, alle parole che non aveva udito, alle promesse segrete sigillate da quel bacio devoto sulle mani; l’idea di baci più ardenti dentro la carrozza la faceva impazzire di rabbia, il richiamo delle voci roche di desiderio e sofferenza, le mani convulse a cercare la pelle dell’altro, quelle grandi e calde di Andrè che lei ricordava così bene sul suo corpo.

Quelle stesse mani toccavano Danielle, e immaginava la sorella scatenare la brama dell’uomo con sapienza che lei non possedeva.

Non sapeva cosa l’avesse trattenuta dal precipitarsi verso la carrozza per sorprenderli, mentre sentiva il respiro accelerare. Ringraziava il cielo di non aver avuto una spada.

Nelle ore successive cercò di evitare il suo sguardo finché poté, comportandosi normalmente, ripromettendosi di affrontarlo seriamente quella stessa sera, da sola e senza possibili testimoni; forse sarebbe stata più calma e non si sarebbe fatta trascinare dalla rabbia che la tormentava.

Così sperava, o forse s’illudeva.

Gli avrebbe parlato con severità e autorevolezza proprio come avrebbe fatto con uno qualsiasi dei suoi sottoposti. Cosa c’era di difficile? Avrebbe ragionato con lui e Andrè avrebbe capito, perché in fondo, era sempre stato più saggio e riflessivo di lei.

Doveva solo aspettare.

Allora perché non riusciva a concentrarsi sulle pagine del libro che teneva in mano e fissava come se non vedesse, mentre non vedeva altro che Danielle e Andrè dentro quella carrozza?

Il pensiero di loro due era un aculeo velenoso piantato dentro l’animo.

 

***********

 

Leopold era arrivato a Chassillè da un paio di giorni e aveva viaggiato con l’ansia di non giungere in tempo. Lo aveva rallentato una pioggia fitta e fastidiosa, che aveva reso le strade della campagna una poltiglia di fango in cui affondavano gli zoccoli dei cavalli e le ruote della carrozza, ma il sole tiepido dell’autunno lo aveva accolto alla piccola residenza dei Marchard.

La bambina era fuori pericolo.

La febbre si era abbassata e Lisette la guardava dormire tranquilla nella culla, dove l’aveva appena deposta, avvolta dalle coltri. Con una mano faceva oscillare lieve il giaciglio dove la piccola riposava, mentre intonava una sommessa ninnananna.

Leopold era dietro di lei e contemplava la creatura. Il camino era acceso e spandeva un liete tepore nel piccolo ambiente intimo. Su un tavolo accanto era posata la borsa di cuoio contenente i documenti del riconoscimento.

“Questa è la grazia più grande che il buon Dio potesse farmi.”

Sospirò il conte alleggerito da un peso.

Lisette si era girata verso l’uomo, senza allontanarsi dalla culla.

“Prima che arrivaste ho temuto davvero il peggio; Margot stava molto male, il medico aveva già tentato di tutto… disperavo che potesse superare la notte e che avrebbe raggiunto la sua povera mamma. Ma non è accaduto e ringrazio il cielo per questo…”

“E non accadrà. Perdere Isabeou è stato un dolore atroce che voi avete mitigato, madame… non credevo che sarei stato capace di amare di nuovo. Ora non perderò mia figlia, - con l’indice sfiorò delicatamente la fronte della bambina addormentata – non potrei sopportarlo.”

Osservò la bimba con tenerezza prima di lasciarsi andare a un commento denso di rimpianto.

“Margot Celine di Recamier… mia figlia; ha gli occhi di sua madre.”

“Già, quanto è vero…” ammise Lisette tristemente.

“Sarebbe tutto perfetto se voi poteste diventare mia moglie.”

“Questo temo sia del tutto impossibile, per quanto resti un desiderio che divido con voi. Dobbiamo accettare la realtà, Leopold; vostra moglie non vi concederà mai il divorzio. Pensate all’impatto che avrebbe in società, allo scandalo che ne verrebbe… La contessa farà di tutto per evitarlo, accetterà l’adozione segreta, piuttosto.”

 Il conte si avvicinò alla finestra per osservare il piccolo giardino con le siepi di rose selvatiche che crescevano spontaneamente, decisamente più modeste di quelle arroganti e superbe per bellezza, curate dai giardinieri di Villa Recamier.

“Non sono tanto sicuro di questo. Se trovassi il modo di accusarla di adulterio, potrei avere facilmente ragione di lei; allora sarebbe facile ottenere il divorzio.”

“La contessa è sempre stata più astuta di voi, in queste situazioni, dovete riconoscerlo. Inoltre vi sfuggono certi particolari che una donna sa cogliere molto meglio.”

“Non so a cosa vi riferite, madame.” Osservò perplesso.

“Quando eravamo a Villa Recamier avevo strane sensazioni di fronte a vostra moglie e la sua gemella… come se a volte non fossero la stessa persona. Ricordate quel pomeriggio che siamo usciti a cavallo e le abbiamo incontrate nel parco? Addirittura ho pensato che si fossero scambiate i ruoli! Assurdo vero? – La donna rise un po’ nervosamente -  Ma era solo la mia fantasia sovreccitata, suppongo.”

Leopold non riuscì a prenderla sul serio.

“Oh, è perché mai avrebbero dovuto fare una cosa simile? Escludo che mia cognata possa vestirsi come una dama, senza apparire goffa e impacciata; si sarebbe tradita subito, inciampando nell’orlo della veste. – Rise il conte. – Poi Oscar non si presterebbe mai a nulla di simile! L’educazione ricevuta dal mio bizzarro suocero l’ha resa un soldatino troppo rigido e severo; Oscar è ligia al dovere e nient’altro. No, vi siete sbagliata mia cara.”

Lisette non volle insistere, in fondo era un fatto senza importanza che non la riguardava. Eppure si sarebbe soffermata ancora su quel pensiero. E forse, chissà, ne avrebbe tratto vantaggio in futuro.

Sorrise indulgente all’uomo di fronte a lei.

“Probabilmente avete ragione. Non badate a ciò che ho detto.”

Un cameriere bussò alla porta, distraendo la coppia.

“Scusate signor conte, madame, ma di là in anticamera c’è un uomo che viene da Parigi: dice di portare notizie urgenti che riguardano strettamente il conte di Recamier.”

“Fatelo accomodare in salotto, il conte lo riceverà subito.” Rispose Lisette prontamente.

 

Il messo sopraggiunto a Chassillè aveva l’incarico di avvisare Leopold se a Parigi, qualcuno avesse fatto domande sulla bambina e il suo riconoscimento. Fu scrupoloso nel suo rendiconto circa le prime reazioni della contessa che non sembrava disposta ad accettare gli eventi senza opporsi.

Allontanato il messo, Lisette raggiunse il conte nel salotto. Lo trovò che camminava a piccoli passi con le mani dietro la schiena e l’aria preoccupata: intuì che non erano belle notizie quelle arrivate da Parigi e Leopold le confermò i suoi sospetti più cupi.

“Vostra moglie sa di Margot, è così?”

L’uomo si limitò ad un cenno affermativo del capo. Lisette fece un passo verso di lui, appoggiando una mano allo schienale di una poltroncina.

“Dobbiamo temere per la piccola? Cosa pensate che possa accadere?”

“Se conosco Danielle cercherà di far annullare l’atto dell’adozione… forse sarebbe meglio nascondere la bambina altrove, insieme ai documenti.”

“La piccola è ancora troppo debole per spostarla; potrebbe tornarle la febbre. Non possiamo mettere a rischio la sua vita.”

“Debbo darvi ragione. Maledizione! Qualcosa dobbiamo fare.” Esclamò seccato, agitando un pugno.

“Detemi che cosa temete. Dovete essere onesto con me, Leopold.”

Lo esortò, notando la sua strana reticenza e quando l’uomo parlò le parve di soffocare per lo spavento.

“Tanti bambini come Margot spariscono dentro i conventi e nessuno sa più nulla di loro; il silenzio di frati e suore viene comprato con sostanziose borse di denaro. Tra l’alta aristocrazia si usa di frequente questo sistema per nascondere i frutti di relazioni scabrose e compromettenti. Molto più raramente si arriva al delitto, ma ci sono persone prive di scrupoli e…”

“Oh, Dio, no! - Esclamò Lisette, portandosi le mani al volto. –  Sarebbe tanto crudele da far del male ad una bimba innocente? State dicendo che potrebbe farla rapire? Non voglio credere che oserebbe tanto. Non mi pare una donna così spietata.”

Leopold osservò serio l’espressione atterrita della sua compagna.

“Non lo credo neppure io, ma sarò onesto: non so prevedere la reazione di mia moglie ad un’ offesa di questo genere. - Scosse la testa scettico e indeciso. – Voglio provare a parlare con Danielle e farla ragionare. Dal momento che sa tutto, sarebbe inutile mentirle: rischieremmo di irritarla solo di più. Tornerò a  Parigi. Voi restate con la bambina e non perdetela mai di vista. Lascio i documenti nelle vostre mani: nascondeteli in un luogo sicuro e non dite a nessuno dove si trovano.”

“Farò come dite, però mi chiedo come pensate di placare l’orgoglio tradito di una donna come la contessa Danielle di Recamier.” Chiese con apprensione, stringendo la spalliera della poltrona in modo convulso.

“Troverò un modo. Per mia figlia lo troverò.”

Rispose l’uomo, e Lisette pensò che Leopold non le era mai sembrato così determinato.

 

**************

 

 

Era passata ormai l’ora di cena; non aveva mangiato con appetito.

Lo aspettava nella sua stanza, mentre fuori il buio scivolava oltre i vetri schermati dalle tende pesanti, ma l’ambiente era rischiarato dalla luce fulgida delle candele. Ne aveva accese più di quante ne occorressero e non sapeva bene perchè.

Forse temeva le ombre, quelle che si disegnavano sul suo cuore. Quelle oscure dai contorni vaghi e informi.

Lo aveva fatto chiamare dalla governante per portarle un tè caldo prima di mettersi a letto.

Nell’ attesa si era messa a suonare il piano.

Avvertiva una pesante tensione alle spalle e faceva correre le mani sui tasti, sperando che la musica sciogliesse i suoi nervi tesi, e chiudeva gli  occhi per farsi catturare dalle note che saturavano l’aria.

Sperava la trasportassero altrove.

Ma apriva gli occhi e la tensione era ancora lì e non voleva andarsene.

Finalmente sentì i suoi passi fuori nel corridoio, poi dei colpi leggeri alla porta e la sua voce che la chiamava.

Un tintinnio di porcellane su un vassoio d’argento. Lo confuse con un brivido del suo cuore.

Lo invitò ad entrare, pacata, ma non sollevò lo sguardo dai tasti bianchi e neri. Lo sentì posare il vassoio sul tavolino vicino. Minuti d’interminabile silenzio che nessuno voleva spezzare e Oscar comprese che sarebbe toccato a lei farlo. Abbandonò il piano e si avvicinò al tavolino per prendere la tazza di porcellana; la portò alle labbra e nel gesto, alzò lo sguardo su di lui e si accorse che la stava fissando.

Forse fu quel modo enigmatico e insieme sfrontato che aveva lui di guardarla, a farla arrabbiare ancora di più. E capì che lui si aspettava qualcosa e si stava preparando a un probabile scontro.

Nel breve silenzio, solo il suono della tazza posata sul piattino di porcellana.

“André, dobbiamo parlare molto seriamente.”

“Ero certo che non mi avessi fatto chiamare solo per portarti una tazza di tè…”

“Benissimo. Allora se lo sai, sarà tutto più semplice. – Gli voltò le spalle e si avvicinò al piano continuando a parlare. - Ultimamente sono molto insoddisfatta di te e del tuo comportamento. Devi avere chiaro che non posso tollerare atteggiamenti troppo disinvolti sotto il mio tetto da parte della servitù.”

Avvertì tutta la meschinità di quelle parole subito dopo averle pronunciate, ma non riuscì ad essere meno dura.

E lui reagì di conseguenza, sfidandola con la sua ironia amara.

“Improvvisamente sono diventato solo un membro della servitù, Oscar? Che illuso. Credevo che l’amico venisse prima del servo. Credevo di avere la tua fiducia.”

Sì voltò di scatto verso di lui.

“Smettila! Sei tu che mi costringi a prendere questa posizione!”

“Io non ti costringo proprio a fare niente, Oscar; se hai da ridire sul mio lavoro è una cosa, quello che faccio nel privato, beh,  non riguarda te.”

“Mi riguarda eccome, invece! Mi riguarda molto da vicino! Più di quanto credi! Mi riguarda perché sai benissimo di non essere solo un servo, André, e sei legato a me a filo doppio, hai capito?!”

Gli sibilò sul viso, la voce incrinata dal dolore, prima di allontanarsi da lui di qualche passo, con uno scatto nervoso. Ricordò con ironia le parole identiche di Danielle, la notte che aveva tentato di sedurlo, solo dette in tono diverso.

“Eccola qui, l’arroganza tipica della tua casta! Retrocesso da amico a proprietà privata.”

“Non osare discutere con me, André! Non ho bisogno di lezioni da te!”

Andrè la inseguì, si fermò a un metro da lei, mentre Oscar si aggrappava tenacemente a una colonna del letto a baldacchino dandogli le spalle.

E pensò che se quella sera dovevano cadere le maschere, bisognava chiudere quella rischiosa farsa a cui lui stesso si era prestato.

“Dove ho mancato? Sono al tuo completo servizio, sempre, ogni singolo secondo della mia esistenza. Non ti basta? Ti disturba che io possa volere qualcosa solo per me stesso? Perché è di questo che stiamo parlando, mi sembra…”

“No, André! Stiamo parlando della tua intenzione d’intrattenere una relazione clandestina con Danielle! L’ hai incontrata di nascosto proprio qui! In casa mia! - Oramai era furiosa, non cercava nemmeno più di contenere la rabbia. - Vorresti negarlo? Vi ho visti nella carrozza!”

André, colto di sorpresa, non rispose; il suo silenzio la irritava solo di più e non riusciva a smettere di vomitargli addosso ingiurie e accuse.

“Dio, se penso che poteva sorprendervi mio padre in persona! Mia sorella dev’essere uscita completamente di senno. Dove avverrà il vostro prossimo incontro? A casa sua, a Parigi? O magari nei suoi appartamenti riservati a Versailles, mentre io sono impegnata a corte! Complimenti per l’audacia: attendente di una sorella e amante dell’altra!! Ma che razza di uomo sei, eh?”

Era fermo e rigido di fronte a lei, troppo ferito da quelle parole cattive, immobile come una statua, ma una statua pronta a scheggiarsi. E il colpo decisivo arrivò dritto come una palla di cannone in pieno petto.

“Sei diventato come quei nobili debosciati che frequentano la corte! Come hai potuto? – Altro silenzio. - RISPONDIMI ANDRE’! DEVI RISPONDERE!”

Urlò, lasciando esplodere l’ira che le divorava il cuore. Il suono dello schiaffo violento echeggiò tra loro. Al primo ne seguì un secondo, finchè Oscar cominciò a tempestarlo di pugni sul petto con una furia selvaggia e incontenibile.

“Non puoi André! Non con lei, te lo proibisco! Non voglio! Non voglio assolutamente che lei si metta fra noi! Non devi incontrarla mai più!”

Sotto quell’assalto forsennato di colpi e parole, André si sbilanciò quasi fino a perdere l’equilibrio, e per un momento fu incapace di reagire, troppo impreparato ad una simile reazione. Incassò ogni colpo in silenzio e più lui stava zitto, quasi inerme, più Oscar pareva diventare una furia. Non contenta, con cattiveria riprese a colpirlo sul viso, a gridargli addosso la sua rabbia.

“Dì qualcosa, almeno! Difenditi! Parla maledizione! Perché non dici niente? Non hai il coraggio delle tue azioni neppure con me?”

Nella testa di André si aprì uno spiraglio e tra i suoi pensieri confusi e feriti, si fece spazio l’idea che quell’esplosione di rabbia, altro non era che una ceca gelosia.

Una gelosia dettata da una passione estrema, quanto segreta. E lui decise di mostrarle la sua passione. Quella più autentica e vera.

La afferrò per i polsi per bloccarla e impedirle di colpirlo di nuovo.

Poi, col peso del suo corpo la spinse all’indietro fino a cadere con lei sul letto. Lottò per tenerla ferma, sotto di lui, mentre la sentiva muoversi contro la sua virilità che si ridestava; per un attimo gli parve che lei volesse arrendersi, ma scacciò in fretta quella sensazione. Cercò di mantenere la calma e provò a farla ragionare.

“Calmati Oscar! Devi calmarti, adesso!”

“Non dirmi di calmarmi! - Oscar non voleva saperne e continuava a dimenarsi come un’ ossessa, per quanto il corpo di André che gravava su di lei glielo consentisse. - Lasciami André!” Strillò esasperata.

“Così mi prendi a pugni di nuovo? No, grazie. Calmati e stammi a sentire; per quanto possa essere desiderabile, io non voglio Danielle. Non è successo niente di quello che credi, non le ho dato nessun appuntamento! Abbiamo solo parlato.”

Continuava a trattenerla per i polsi, con le braccia ai lati della testa, imprigionandola sotto il suo peso, avvertendo le sue linee morbide e la fissava dritto negli occhi; quelli di Oscar lanciavano fiamme, ma gli pareva che volessero piangere. Non smetteva di opporre resistenza, ma lui voleva solo che lei si calmasse, mentre cercava di non dare ascolto ai segnali che giungevano dal suo corpo.

“Sei un bugiardo! Per parlare dovete incontrarvi di nascosto, come due ladri? Ho visto il modo in cui vi siete lasciati, non aveva l’aria di un addio!”

Lo accusò irosa a pochi centimetri dal suo volto.

“Non sto mentendo, Oscar. Dimmi, cosa vuoi che faccia, per dimostrartelo? Devi solo chiedere. – E dopo quelle parole, finalmente la sentì cedere ed emettere un ansito. Non lottava più, e lui, cautamente allentò la stretta attorno ai polsi sottili e forti, sollevandosi un poco su di lei. E trovò il suo sguardo. - Per te ho sempre fatto di tutto. Ti ho dato tutto me stesso, il mio sangue, il mio respiro, la mia vita. Perfino i miei pensieri ti appartengono. Danielle non ha nulla di tutto questo.”

Lei rimaneva stranamente immobile; lo ascoltava senza smettere di fissarlo con quello sguardo acceso che lo incatenava addosso a lei. Qualcosa in quello sguardo lo bloccava, come se non avesse la forza di alzarsi. E cercava disperatamente un pensiero qualsiasi che venisse a sollevarlo da lì, a liberarlo dalla consapevolezza dolorosa del suo morbido corpo di donna.

Ma non ne trovava. Trovava solo quegli occhi aperti, fissi su di lui, troppo trasparenti per nascondere ciò che l’anima chiedeva; tradivano eccitazione ed evidente desiderio, ora.

Che ricordavano, come ricordava il suo corpo, altre carezze lasciate su un altro letto.

E trovò tristezza nella sua voce, quando lei parlò.

“Ma sta cercando di prenderselo… Sta cercando di portarmi via l’unica cosa davvero importante che abbia avuto in questa mia vita assurda; è sempre stata brava in questo. Prima o poi, ci riuscirà. E io non posso, André. Non posso permetterlo. Non posso perderti e lasciare che lei ti trascini via, senza tentare d’impedirlo.”

“Cosa vuoi, Oscar? Dimmelo. Non ti negherei nulla…” Un sussurro che le scese nel cuore. E lo aprì.

E lei finalmente si sentì libera di dar voce alla sua passione.

“Fingi di amarmi, André.”

“Cosa?”

“So che tenti di resisterle, o almeno ci hai provato. Se lei è la tua ossessione, fingi di amarmi come fossi lei. Forse guarirai dal suo sortilegio e ti riavrò per me...”

Non le rispose subito, ma restò immobile contro di lei, mentre il cuore perdeva un battito, una coscia tra le sue gambe, con la stretta attorno ai polsi allentata, perso ad assimilare quelle parole sincere e inaspettate.

E le restituì parole altrettanto vere ed emozionate.

“Danielle non è la mia ossessione, Oscar…”

“Fingi di amarmi lo stesso, André… Puoi farlo?” Sentì la supplica nella voce.

“E se io non volessi fingere, Oscar? Se volessi amarti per davvero, come una donna? Se volessi farti sentire tutto il trasporto che brucia il mio sangue, tutto l’ardore che nascondo, che posso rivelare solo a te… Sapresti accettarlo? Perché la mia vera ossessione sei tu, e questo Danielle lo sa benissimo…”

 

-          Ma tu hai detto di amarmi, mentre ero nei panni di lei…

 

“Dici davvero, André?”

“Mai stato più serio. Posso dimostratelo questa notte, se tu vuoi…- le sussurrò vicino alle labbra. – Devi solo dirmi di restare…”

Poteva non esser vero, ma a Oscar non importava. André era lì con lei sul letto e voleva solo che lui restasse. Sentiva il desiderio scorrere tra i loro corpi e voleva che fosse con lei e non con Danielle. Socchiuse gli occhi nell’attesa del contatto delle loro labbra, mentre emetteva un sussurro roco.

“Resta André…”

E non ci furono altre parole, ma solo le loro labbra fuse insieme. E baci ovunque.

Profondi e intensi quanto la passione che consumava timori e paure.

André scese con la bocca lungo lo scollo della camicia, mentre le dita lunghe di Oscar si infilavano tra i capelli corvini. E le mani iniziarono a inseguirsi e a correre sopra i vestiti sfilati in fretta e poi sulla pelle nuda.

Oscar ricordava così bene il calore e la pelle un po’ ruvida delle mani di André, le riscopriva di nuovo, più audaci eppure tenere; seguivano le curve del suo corpo che si plasmava sotto le carezze come argilla, salivano lungo i fianchi, scendevano sull’interno delle cosce, giocavano sul suo addome e accoglievano i suoi seni quasi volessero proteggerli.

Le regalavano brividi intensi e le facevano sperare che lui non si fermasse mai.

Nello stesso modo, lei scopriva con meraviglia il suo corpo di uomo, percorrendo con le dita sottili la schiena forte, i glutei, le cosce agganciate alle sue, le sue braccia che la stringevano.

E il peso del corpo del suo uomo le sembrò leggero mentre entrava dentro di lei e le toglieva il respiro regalandole ondate di piacere quasi sconosciuto. E lui non smetteva di baciarla mentre la faceva sua, scacciando ogni paura.

Si fermò solo un istante, quando la sentì emettere un gemito più forte, e parlò, accostando la fronte a quella di lei.

“Ti ho fatto male? Vuoi che mi fermo, Oscar? Posso fermarmi, se vuoi…” sospirò lieve.

“No, ti prego… è già passato. Continua ad amarmi, non fermarti… Non adesso.” Lo supplicò, quasi.

Allora, con gioia sentì gli affondi diventare più intensi, e il piacere scivolò lento e crebbe in lei come la sabbia in una clessidra, colmandola, mentre il suo corpo si adattava con naturalezza a quello di André, seguendo il ritmo magico di quella danza antica ed esaltante finché non raggiunse il suo culmine.

Alla fine si ritrovarono arresi ed esausti uno sull’altro, tra le lenzuola sfatte che avevano accolto il seme di André.

Scivolò accanto a lei per farla riposare; nel silenzio contemplò lo sguardo acceso, l’espressione appagata e felice, i ricci umidi sulla fronte, il seno bellissimo, un giglio candido offerto impudico all’aria, il suo respiro che rallentava attraverso le labbra schiuse.

Con due dita le accarezzò una guancia.

Un lembo del lenzuolo la copriva lì, dove lei era diventata donna con lui.

Fuori dalle finestre, il buio celava ogni cosa e le candele nella stanza erano per metà consumate, ma avrebbero continuato a bruciare ancora a lungo. Come i loro corpi avrebbero bruciato di desiderio e voglia.

La danza dell’amore avrebbe ripreso con nuovo vigore ed energia e si sarebbe protratta fino all’alba, con nuove carezze tenere e audaci ad esplorare la pelle calda, e baci affamati di nuovi sapori.

E intense ondate di piacere avrebbero trasportato le anime in alto.

 

 

*********

 

Erano riusciti anche a dormire per qualche ora solo alle prime luci dell’alba.

Forse era stata la stanchezza, quel torpore tipico che prende le membra dopo l’amore.

Si erano risvegliati con i primi raggi di un sole pallido che entrava attraverso i vetri. Oscar aveva aperto gli occhi con la vaga idea di un sogno che scompariva dietro le palpebre, ma aveva voltato la testa sul cuscino trovando a sfiorarla il suo profilo; lo aveva guardato dormire, con i ciuffi di capelli neri che ricadevano sulla fronte e sugli occhi ancora chiusi. Poi si era soffermata sul torace nudo; aveva alzato uno mano, le era venuta la tentazione di sfiorarlo. E di nuovo si era sorpresa di quanto André fosse bello e terribilmente seducente. Quanto poteva dare ad una donna: ti entrava dentro, in ogni senso, sotto la pelle, nella testa e nel cuore. Non poteva guardarlo senza pensare ad altro.

Allora, ogni dettaglio piccante e proibito di quella notte aveva acquisito sostanza nella sua mente, pensando a tutto quello che avevano fatto, che lui le aveva fatto sotto le lenzuola. Nessun pudore lo aveva fermato.

Non sarebbe più riuscita a guardarlo in un modo che non fosse quello.

Un pigro sorriso si era piegato sulle sue labbra.

 

-          Accidenti, André… ci sai proprio fare…

 

Pensò tra sé. Ma lei non sapeva se fosse stato amore o solo voglia da soddisfare. Ossessioni da cancellare.

Sei tu la mia vera ossessione, le aveva detto. E all’improvviso ebbe paura di non essere altro che quello, che lui non fosse altro che quello, l’unico uomo da non lasciare alla sorella, un dubbio che non poteva sostenere.

Che cos’erano loro, adesso? Cosa erano diventati, dopo questa notte di dolce follia? Cosa non erano più?

André si mosse nel letto, segno che si stava svegliando.

Un istante dopo, aprì gli occhi e incontrò lo sguardo ceruleo che lo stava osservando. La luce bianca entrava nella stanza illuminando il pulviscolo nell’aria, e investiva tutto col suo candore; tutte le ombre erano sparite.

Non c’era più nulla che si potesse nascondere, né maschere che si potessero portare.

“Buongiorno Oscar.”

Lei era stesa su un fianco, un braccio nudo fuoriusciva da sotto il lenzuolo, abbandonato di lato vicino al volto.

“Buongiorno André…”

Improvvisamente avvertì l’imbarazzo della situazione; c’erano parole che sentiva l’urgenza di dire, ansie da svelare. André era rilassato, ma stranamente serio; sembrava in attesa.

In verità, aspettava che lei parlasse. Ma lei non riusciva a infrangere quel silenzio momentaneo e sentiva addosso una velata, inspiegabile tristezza.

Lui lo capì, e ne fu preoccupato.

“Dimmi, vuoi che me ne vada? Hai bisogno di restare sola coi tuoi pensieri?”

“No, perché me lo chiedi?” chiese, avvertendo il piccolo nodo in gola che non voleva sciogliersi.

“Mi sembri strana… - Lui sospirò guardando il soffitto. – É per quello che abbiamo fatto?”

Lei si mosse per girarsi sull’altro fianco e sottrarsi al suo sguardo, poi afferrò e strinse convulsa un lembo del lenzuolo con le dita, prima di parlare.

“André, io so che hai confessato il tuo amore a Danielle. Lo so, perché me lo ha detto lei… Ma stanotte l’hai passata con me.” Le tremò impercettibilmente la voce, e non avrebbe voluto.

Bastò quel tremito e per André fu tutto chiaro in meno di un istante; nel non detto c’era tutta l’incertezza e la confusione di Oscar. In fondo, le parole tra loro non erano mai servite.

 

-          Ecco il momento in cui gli attori in scena calano la maschera, pensò André.

 

Era giunto il momento di mettersi a nudo. E mostrarsi indifeso.

“No, non è vero. Danielle non può averti detto nulla del genere; se lo ha fatto è solo una bugiarda. L’unica donna a cui ho detto ti amo, sei tu, Oscar. – Si era sollevato su un gomito sporgendosi verso di lei che continuava a dargli le spalle, apparentemente immobile e imperturbabile. – Io ti amo Oscar. Te lo dissi anche quella mattina, poco prima di rubarti un ultimo bacio e fuggire come un ladro dalla stanza di tua sorella, a Palazzo Recamier. Te lo ricordi, Oscar? Te lo ricordi il modo in cui ti ho spogliata? Come ti sei sentita fra le mie braccia? Come sei stata sul punto di cedere? Ti volevo da morire… Sai che fatica è stata per me lasciarti andare?”

Lei restava immobile. Lui non poteva vedere la sua espressione incredula, gli occhi dilatati per lo stupore.

Avvertiva un miscuglio di emozioni confuse assalirla: delusione, sconforto, gioia, disappunto, tenerezza. Una lieve vergogna e un pizzico di rabbia perché si sentiva ingannata, proprio da lui. Poi una leggerezza del cuore inaspettata. Si voltò soltanto quando avvertì la sua mano calda posarsi sulla sua spalla nuda. Allora, incontrò la sincerità un po’ spavalda di quello sguardo ombroso e si trovò disarmata.

“Stai dicendo che tu sapevi? Avevi capito che ero io? Ma io credevo che…”

“Sì, Oscar. Sapevo che eri tu, dentro i panni di Danielle.”

Subito non seppe rispondergli, poi un lieve risentimento si fece strada in lei.

“Non riesco a credere che tu lo abbia fatto. Mi hai ingannata di proposito… - lo accusò – per arrivare a questo?”

“È questo che credi? Io volevo solo arrivare al tuo cuore, Oscar. Io non mentivo, assecondavo solo il tuo gioco. Non ho mentito neppure questa notte. Ti amo: questa è la verità, ed è l’unica giustificazione che posso darti. Tu, invece? Che scusa troverai per il tuo inganno?”

“Oh, facile mettere le cose in questo modo, adesso!” Esclamò lei, come immediata risposta.

Infatti lei non riusciva a trovarne, o forse si vergognava a confessare che tutto era iniziato per il suo capriccio verso Fersen. Però qualcosa le sfuggiva e non riusciva ad immaginare come lui avesse intuito la verità.

La mia vera ossessione sei tu… Danielle lo sa benissimo…

Cosa sapeva Danielle di questa storia? Cosa sapeva dei sentimenti di André? La sua gemella era la chiave dell’enigma.

Sentiva calare nuovamente il silenzio mentre l’accusa di Andrè era rimasta sospesa fra loro.

Lei non poteva permetterlo.

“Non volevo ingannarti André, né giocare coi tuoi sentimenti. Mi devi credere. Non era quello il mio scopo… Mi puoi dire come hai fatto a capirlo?” Chiese, tornando a fissare lo sguardo altrove.

Ma quella era l’unica domanda a cui lui non poteva rispondere. André si abbassò di nuovo contro i cuscini.

“Penso di averlo capito perché ti conosco bene, Oscar.”

Era una risposta troppo vaga per lei.

C’era qualcosa che André non voleva dirle. Lei non volle insistere, ma neppure avrebbe rinunciato.

Repentinamente lui cambiò discorso.

“Cosa prevede la nostra giornata, oggi? Pensi di andare a Versailles?”

“Certo, come sempre, ma domani ho intenzione di partire per Chassillè e tu verrai con me, André; andiamo a cercare questo erede illegittimo di mio cognato.”

Poi si mise a sedere sul letto posando i piedi sul pavimento freddo della stanza; raccolse la sua camicia da terra dove era stata gettata. Infilò l’indumento sfilando i capelli per lasciarli ricadere sulla schiena; le pareva di sentire gli occhi di André fissi su di lei alla base della nuca.

Sentì invece la sua mano che le sfiorava il polso, seguita dalla parole.

“Solo una cosa ancora non mi hai detto, Oscar; adesso tu conosci i miei sentimenti, ma io non sono sicuro di conoscere i tuoi. Perché hai fatto l’amore con me questa notte? Pensi di potermi dare una risposta sincera?”

Lei esitò qualche secondo prima di concedere a sé stessa e a lui la cosa più onesta che potesse dire.

“Io ti volevo, André. Come mi volevi tu, con la stessa forza… Posso dirti solo questo.”

Quindi si alzò in piedi, con le gambe nude esposte all’aria e la camicia ampia che copriva l’essenziale, e si allontanò dal letto. E all’improvviso, le parve di sentirsi sola.

 

 

Continua…

 

Eccomi qui.

Ragazze vi ringrazio per la vostra pazienza e mi scuso ancora, ma come sapete ho attraversato un momento un po’ pesante con l’incidente d’auto che ho avuto. Ora sto meglio e anche se non sono ancora al 100 % della forma - il braccio è ancora un po’ dolorante e non ho ripreso la mia funzionalità ottimamente, mi dicono che ci vorrà tempo - almeno riesco a scrivere. Capitolo col botto, come promesso. Spero che vi sia piaciuto e non vi abbia troppo deluso.

Con le scene osè non sono tanto brava e preferisco velare.

Ne approfitto per augurare a tutte un felice Natale, e se superiamo la data del calendario Maya, vi farò un altro piccolo regalo natalizio. Un saluto a tutte. Ninfea.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 17
*** Confronti (A Chassillé) ***


17

17 – Confronti (A Chassillé)

 

 

 

Ero rimasta a Parigi in attesa di notizie.

Mai attesa fu più snervante.

In realtà, stare ferma ad aspettare l’evolversi degli eventi non mi è mai piaciuto; è una di quelle cose che mi rende sempre inquieta e ansiosa.

Lo fui molto anche in quella circostanza. In quei giorni ricevetti poche visite, per lo più la nobildonna pettegola di turno che veniva a ragguagliarmi sull’ultimo noioso scandalo in società, piccole seccature che ebbero il potere di irritarmi oltre misura, cosa che non riuscivo a nascondere come avrei dovuto.

Sapevo che Oscar era partita per raggiungere Chassillé, paese dove presumevo fosse la bambina, la figlia illegittima di mio marito.

Attendevo un qualunque messaggio di Oscar, e non mi aspettavo che Leopold tornasse in città tanto presto, né che volesse parlare con me.

Trovai quanto mai fuori luogo il suo tentativo di scendere a patti.

Pensai dovesse temere seriamente lo scandalo, se tornava a Parigi per blandirmi, ma niente poteva prepararmi alla parole che mi sentii rivolgere, e al tono determinato e coinvolto con cui furono pronunciate.

Non avevo mai sentito mio marito mettere tanto cuore e sentimento in un discorso.

Quel pomeriggio, ero sola con la mia cameriera, quando entrò nel salotto privato senza farsi annunciare; Ninette stava ravvivando il fuoco e con solerzia fu invitata dal conte ad allontanarsi, al che lei fece un rapido inchino, ed uscì.

Io e Leopold ci fissammo in silenzio per qualche secondo.

Con fastidio, abbandonai sul tavolo le carte del solitario che stavo completando.

Io non mi lasciai impressionare dalla sua comparsa teatrale e lo accolsi con durezza, restando seduta dov’ero, vicino alla finestra.

“Avete un bel coraggio a farvi vedere qui. Non dovevate scomodarvi; potevate restare con la vostra amante… e con quella piccola bastarda che avete avuto l’ardire di riconoscere.”

Esordii, senza lasciargli alcun dubbio sul fatto che sapevo tutto. Leopold non si scompose; restò in piedi con il tricorno in mano, in prossimità del camino, affrontando la mia ostilità con una freddezza che mi parve innaturale.

“Non intendo negare le mie responsabilità, signora. In fondo, mi conoscete bene, come io conosco voi. Ho avuto una relazione con un’ altra donna, e da questa relazione è nata una creatura innocente che non merita il vostro disprezzo. Se c’è qualcuno da biasimare, quello sono io.”

“Questo è senz’altro vero. Ma il vostro comportamento scellerato danneggia anche la mia persona, e i miei figli, che sono anche i vostri. Io devo proteggere Monique e Bastien dallo scandalo che potrebbe infangare il loro nome. Quindi non posso tollerare che voi diate il nome dei Recamier a quella bambina. Non sono disposta ad accettarlo.”

“E come pensate d’impedirlo, signora? Colpireste la piccola per colpire me? Non sarebbe degno di voi. Il riconoscimento è avvenuto di fronte alla legge. Non sarebbe più facile accettare il fatto e mettervi l’animo in pace?”

Mi alzai dalla poltrona per avvicinarmi alla finestra, dandogli le spalle. Parlai energicamente.

“Niente affatto! Pretendo la distruzione di quei documenti. Lo esigo! Sapete che ho potere a sufficienza a corte, per farvi cadere in disgrazia e farvi perdere molte delle vostre cariche pubbliche. - Puntai lo sguardo distratto oltre i vetri e osservai la strada che incrociava la piazza, le carrozze che passavano, alcuni passanti fermi all’angolo che parlottavano fra loro. - Basterebbe una mia parola, Leopold; vi consiglio di non abusare della mia pazienza.”

 “Sapete benissimo che questo danneggerebbe anche voi. Siete irragionevole, madame. Non ho intenzione di assecondarvi in questo capriccio, dettato credo, più dall’orgoglio che da una reale offesa. Anch’io ho molti motivi per dubitare della vostra fedeltà passata e recente. Se ci scontriamo, potremmo farci molto male entrambi. Siete sicura di volerlo?”

“Siete un ipocrita!”

“Non più di voi, signora.”

“Io non intendo essere sbeffeggiata da tutti a causa vostra; pretendo un minimo di rispetto dal momento che sono vostra moglie. Ho tollerato le vostre amanti, finché non sono state un problema, ma non ammetterò macchie imbarazzanti sul buon nome dei miei figli, sulla dote di mia figlia o il futuro di mio figlio, l’unico vero erede dei Recamier. Potete star certo che vi ostacolerò in ogni modo.”

Ero avvelenata nell’orgoglio, e questo anche un uomo come Leopold lo capiva. L’affronto diretto non lo avrebbe portato a nulla. Così, mio marito cambiò tattica e atteggiamento. 

Il suo fare accomodante, che pure conoscevo, mi colse mio malgrado di sorpresa.

“Danielle, vi prego, non voglio che diventiamo nemici.”

“Non sono sicura che siamo mai stati amici, io e voi. Certamente, non possiamo esserlo ora.”

“Perché no? In fondo, noi due ci siamo sempre intesi alla perfezione. – Mi disse con tono condiscendente, mentre si accomodava su una sedia. - Provate a riflettere; sono certo che possiamo trovare una soluzione senza compromettere nessuno, né voi, né i nostri figli. Anch’io come voi, voglio solo il loro bene e Bastien resta il mio erede legittimo, non dovete dubitare di questo. Ma ho anche a cuore la sorte di questa bambina e voglio garantirle un futuro dignitoso. Voi non avrete mai nulla a che fare con lei, non entrerà mai nella scia della vostra vita. Non sarà mai motivo di vergogna per voi, ve lo posso mettere per iscritto se volete. Dovete solo lasciare che io mi occupi di tutto. Dovete fidarvi di me. Vi ho mai dato motivo di lamentarvi della mia condotta, in passato?”

“Oh, è incredibile quello che mi proponete! Dovrei far finta di nulla, passare sopra l’inganno, il tradimento! Che genere di donna pensate che io sia!?” Esclamai, incapace di contenermi.

“Penso siate una donna dotata di ingegno e intelligenza, oltre che senso pratico. Suvvia Danielle, sto parlando nell’interesse di entrambi, dovete capirlo.”

“Smettetela con le adulazioni, Leopold, con me non servono. I miei interessi li ho sempre curati da sola. Lo farò anche questa volta. Ora non si possono fare previsioni a lungo termine sulle ripercussioni di questa vicenda, sul danno che ne verrebbe alla nostra famiglia se la cosa trapelasse. E la madre? Mi dovrei fidare anche di lei?”, proruppi con tutta la mia indignazione.

“Da lei, non avrete mai nulla da temere, ve lo garantisco.”

Avvertii un’inflessione amara nella risposta di mio marito. Rimasi in silenzio di fronte a quell’ultima esternazione. Ne avvertivo la gravità, la sensazione di qualcosa d’ineluttabile, come un dolore funesto. Sostenni lo sguardo del mio consorte fedifrago con un sospetto appena nato tra i pensieri, finché lui non parlò di nuovo.

“Capisco che questa scoperta possa avervi sconvolta e voglio darvi il tempo di riflettere su quanto ci siamo detti. Non cercate di venire in possesso dei documenti: sono ben nascosti. Sono certo che vi renderete conto che vi offro la soluzione più facile e sicura. Posso accogliere ogni vostra eventuale richiesta, anche denaro, darvi altre garanzie. Se accetterete, non vi verrà nessun danno; in caso contrario, potreste soffrirne ed è l’ultima cosa che vorrei.”

“Quello che dite suona come un ricatto…”

“No, madame, è solo un consiglio. Pensateci. Capirete che ho ragione.” Concluse, prima di alzarsi per andarsene.

Mi sentivo ancora fremere per l’indignazione.

Continuai a guardare attraverso il vetro della finestra, la vita che scorreva fuori dal mio palazzo; avevo la strana impressione di non poter fermare né rallentare quello scorrere. Potevo solo assistervi, impotente. Vidi Leopold salire sulla carrozza che lo attendeva in strada.

 

Ci avrei pensato, sì.

Molto a lungo e attentamente.

Prendevo tempo, mentre attendevo notizie da Oscar.

Intanto, più ci pensavo, più il compromesso risultava inaccettabile.

La volontà imposta di un marito che voleva essere padrone delle mie scelte mi pareva insostenibile e un moto di ribellione stava nascendo e premeva per liberarsi. Per ora, avrei rimandato ogni decisione. Ma alla fine, la mia sarebbe stata l’ultima parola.

 

 

 

******

 

 

 

Viaggiarono per un giorno e mezzo, prima di arrivare a Chassillè. Avevano fatto solo una sosta ad una stazione di posta per trascorrere la notte e far riposare i cavalli. Sarebbero ripartiti il mattino seguente, dopo una notte che nessuno dei due avrebbe dimenticato tanto presto.

Il giorno prima a Versailles, Oscar tentò di comportarsi come se fra loro tutto fosse rimasto uguale a sempre. Era finita a letto col suo attendente; non era una pratica così inusuale e non sarebbe stata la prima persona a concedersi un’avventura di quel genere, con un servo. Ma se pensava a sé stessa, al rigore militaresco di cui si era sempre fregiata, non poteva fare a meno di odiarsi.

Non si perdonava di essersi comportata come una delle tante nobildonne viziose che infestavano la corte, e che saltavano tra alcove aristocratiche e la paglia delle stalle con allegra disinvoltura, e tutto solo per sottrarre André alle seduzioni della gemella. Aveva rimuginato per ore, e si era convinta che il motivo della sua condotta licenziosa fosse stato quello.

Una debolezza che presentava le sue inevitabili conseguenze; resistere a certi pensieri era diventato pressoché impossibile; non avere il controllo di sé era frustrante.

Ogni volta che posava gli occhi su André, la sua mente si scatenava in audaci fantasie al limite della decenza che le sarebbe parso naturale soddisfare. E André non faceva nulla per liberarla dalla tentazione.

Anzi, pareva divertirsi a provocarla e metterla in difficoltà, alimentando il fuoco come si fa con i carboni ardenti. Lo aveva fatto per gran parte del viaggio, in un modo che pareva involontario, ma non lo era affatto.

A dire il vero, Oscar aveva cercato in tutte le maniere di evitare l’argomento, ma alla fine André era riuscito a dirottare il discorso.

“Questa storia della figlia illegittima è una vera seccatura; mio cognato è un idiota. Come ha fatto a farsi incastrare in questo modo? Mi chiedo perché certi uomini siano così stupidi.”

Borbottava Oscar, sballottata dal dondolio della carrozza che correva lungo la strada. Andrè, seduto di fronte a lei, non si lasciò ingannare dai suoi sguardi fuggevoli e noncuranti.

“Perché incontrano donne più scaltre di loro. Ma noi non sappiamo nulla di come stanno le cose, forse Leopold non è stato incastrato e questa figlia potrebbe essere il frutto di un amore sincero.”

“È quello che voglio scoprire; per questo andiamo a Chassillé.”

“Già… Non capisco perché ti sei fatta coinvolgere in questa vicenda da tua sorella. Perché hai accettato di aiutarla? A te, di Leopold, la sua amante e la sua bambina non te ne importa niente. Solo qualche mese fa non ti saresti data pena per loro. Adesso, vuoi farmi credere che sei in ansia per lo scandalo che pende sulla testa di Danielle?”

“Mi preoccupo per lei. Ti sembra così strano?” Rispose lei, lievemente infastidita.

Ma lui non le avrebbe dato tregua.

“No. Ma credo che tu stia evitando di pensare a cose più importanti.”

“Ad esempio?”

“Ad esempio, noi Oscar.” Le rispose senza mezzi termini.

Lei si era mossa come se cercasse la posizione più comoda.

“Cosa c’entra questo?”

“C’entra moltissimo e lo sai. Non puoi liquidare la cosa come se nulla fosse. Stai fingendo che non sia accaduto, ma io ti conosco troppo bene e so che ci pensi più di quanto vorresti.”

Oscar si lasciò sfuggire un sospiro nervoso, portandosi una mano alla tempia.

“A volte, la tua presunzione mi irrita, André. Ora non mi posso preoccupare di questo.”

“Fingerai che non abbia significato niente? Oh, avanti! Tu non sei così cinica, per quanto ti sforzi di apparirlo. Eri con me, ti ho sentita. Eri dentro la mia anima e io nella tua. Nell’intimo sai che è così.”

Oscar accavallò le gambe, incrociando le braccia e sprofondò contro il sedile della vettura.

“È successo tutto troppo in fretta, André. E io ero arrabbiata.”

“Non era la rabbia che ti faceva muovere; ti sei data come la più tenera delle donne. Non riesci a ingannarmi, Oscar. Stai solo cercando d’ingannare te stessa.”

Lei non aveva risposto, ma lo aveva sentito muoversi per sedersi al suo fianco e una mano aveva raggiunto la sua, scivolata in grembo, e le dita si erano intrecciate alla sue. Debolmente aveva tentato di sottrarsi e la stretta si era fatta più possessiva.

“André, io… - Aveva esitato di fronte al suo sguardo. – La situazione non era normale, lo sai. Altrimenti…”

“Altrimenti cosa?”

“Altrimenti non sarebbe accaduto; io credo di averlo fatto per dispetto a Danielle.”

Di fronte a quella confessione lui era rimasto in silenzio. Eppure non era disposto a crederle. Tra due ore al massimo avrebbero raggiunto la stazione di posta e decise di aspettare.

 

Non avevano parlato molto per il resto del viaggio. Solo qualche parola ogni tanto.

Una volta raggiunta la stazione, Oscar aveva dato disposizioni per trascorrere la notte e avere cavalli freschi per il mattino seguente, quando sarebbero ripartiti. Avrebbe voluto prendere due camere, ma il funzionario le disse di averne solo una libera; le altre, in verità poche, erano già occupate da altri viaggiatori.

Dovette rassegnarsi.

Nella sala riservata agli ospiti, consumarono una cena frugale al lume delle poche candele prima di andare a coricarsi.

“Domattina voglio partire presto; una buona dormita ci farà bene.”

“Non ne dubito.” Le rispose lui, laconico, mentre ripuliva il suo piatto.

 

Al termine della cena si ritirarono per la notte.

Seguita da André, salì le scale per raggiungere la camera assegnata, ma non si sentiva tranquilla.

Si domandava come avrebbe potuto dormire con lui nella stessa camera.

Come avrebbe fatto a spogliarsi in sua presenza.

Non che lui non avesse già visto del suo corpo più di quanto fosse lecito vedere.

 

La camera era spaziosa e accogliente, ben curata anche se arredata in maniera molto sobria; oltre al grande letto matrimoniale, c’erano un armadio a due ante di legno massiccio, un paio di sedie contro una parete, di fianco a un piccolo scrittoio posto sotto la finestra che si apriva sulla strada, e sull’angolo opposto stava una cassapanca che conteneva una coperta per la notte e un cuscino.

Oscar in piedi sulla porta, esaminò lo spazio con una rapida occhiata, poi avanzò al centro portandosi davanti al letto. André era di fianco a lei; si guardava attorno, forse domandandosi dove e se avrebbe dormito.

Lei tolse il mantello per abbandonarlo su una delle sedie. Quindi sedette sul letto per togliersi gli stivali con più agio. Dietro di lei, sentì André misurare la stanza con un paio di passi.

“Bene Oscar, possiamo dividere il letto, o vuoi che dormo sul pavimento?”

A Oscar non sfuggì la velata ironia.

“Non dire sciocchezze; perché dovresti dormire sul pavimento? Dormiremo insieme senza problemi… dormiremo soltanto.” Aggiunse perentoria, voltandosi verso di lui, mentre si sfilava in fretta giaccia e gilet, al che André alzò le mani in segno di resa.

“Non temere, non sarò io a iniziare un gioco che tu non vuoi.”

Si coricarono uno di fianco all’altro, facendo attenzione a non sfiorarsi neppure per errore.

Prima di posare la testa sul guanciale, André spense l’unica candela presente nella stanza e piombarono nella semioscurità; dai vetri filtrava il debole chiarore di uno spicchio di luna.

Ma, nonostante la stanchezza, addormentarsi fu impossibile.

Ciascuno sentiva il respiro dell’altro e il più lieve movimento dei loro corpi gettava il cuore nell’ansia.

Pericolosamente vicini si sforzavano di restare immobili, fingendo di dormire, lottando contro l’attrazione, il formicolio che agitava il sangue e assaliva le membra, sintomo della tensione erotica, temendo che il tocco più lieve e innocente potesse scatenare la passione che, sentivano, li avrebbe travolti senza scampo.

André chiese aiuto ai suoi ricordi, sperando di placare l’ansia che lo teneva sveglio.

E in un sussurro appena udibile nel buio, si ritrovò a dare voce ai suoi pensieri, non pensando che lei potesse sentirlo, credendola addormentata.

“Eravamo solo due ragazzi l’ultima volta che abbiamo dormito insieme… sembra passata una vita…”

“Stavo pensando la stessa cosa.”

Sorpreso, trattenne il respiro quando la sentì muoversi e rigirarsi accanto a lui.

“Oscar, ma… sei sveglia?  Scusa, credevo dormissi.”

“No… - seguì un breve silenzio, poi Oscar continuò come se dovesse rispondere a una muta domanda. - L’ultima volta è successo la sera prima del duello col Duca di Germaine.” La tensione parve stemperarsi nel buio.

“Sì, hai ragione. Avevi paura quella sera.”

Oscar restò immobile nel letto, prima di infrangere di nuovo il silenzio.

“Anche adesso ho paura…” e André si sentì assalire da un vago senso di panico.

“Di cosa? Di essere qui, con me?”

“No André. Ho paura di quello che sento, di ciò che voglio.”

“Oscar…”

E non seppe mai come fu, ma gli bastò allungare una mano sotto il lenzuolo a incontrare le dita di lei che per istinto si intrecciarono alle sue. Poi la mano di Oscar iniziò a percorrere il braccio, passò sul torace, raggiunse e aprì i lembi della sua camicia e scivolò sulla pelle del petto e dell’addome. Lui la serrò con la sua più grande, bloccandola un istante e bisbigliò un sussurro rauco.

“Oscar, se fai così, io non so se…”

“Non dire niente, André. Ho bisogno di questo: ho bisogno di sentirti dentro di me, perché la mia carne brucia.”

E sentì le sue braccia che lo circondarono e poi le sue labbra lo raggiunsero: erano audaci, tenere e prepotenti.

La circondò serrandola contro il suo petto e capovolgendo le loro posizioni, la portò sotto di sé.

“Anche la mia carne brucia e tu Oscar, sei il fuoco che divora le mie viscere.”

La voce calda e roca di André nel buio le sembrò che avesse un suono sconosciuto, la cosa più eccitante che avesse mai udito; un brivido le percorse la spina dorsale e le fece tremare l’anima.

Bastò un secondo; la sua mente cancellò ogni scusa cui avesse tentato di ancorarsi fino a quel momento  - non dovrei, non è giusto, è uno sbaglio –  e ascoltò solo ciò che il suo cuore desiderava davvero: fare l’amore con lui, lì in quella stanza, in quel buio denso di sospiri.

“Insegnami l’alfabeto del tuo corpo, la lingua che parlano le tue mani, André.” [1]

Lo attirò a sé e lo baciò con tutto il desiderio che sentiva e voleva fargli sentire.

E André non la deluse affatto e tradusse in gesti sicuri e lenti le sue voglie più intime.

Si abbandonarono  senza pudore a carezze dolci ed esigenti, alle mani che cercavano, trattenevano e spogliavano l’altro, esplorando angoli proibiti, pieghe intime della pelle del corpo per dare e prendere piacere; fu istintivo inseguirsi con le bocche affamate, e con le lingue tracciare linee umide su dolci declivi.

Un uomo e una donna si unirono nel buio, perdendosi nell’amore dell’altro, e fu un abbraccio tenero, profondo, pieno e appagante. Fu una notte lunga e l’abbraccio dei corpi divenne forte, impetuoso, travolgente come il mare della Normandia quando è in burrasca, e le dita di Oscar al culmine dell’amplesso incisero graffi di un’ amante possessiva sulla pelle della schiena di André.

“Sei mio e di nessun altro! Sei solo mio, André!”

“Sì Oscar, sono tuo. – Sospirò con le ciocche nere che ricadevano sul seno di Oscar. - Non sarò mai di nessun’ altra, te lo giuro.”

Dormirono forse soltanto un’ora, poco prima del sorgere dell’alba; quando più tardi del previsto, ripresero il viaggio per raggiungere Chassillé, il sole era già alto nel cielo cristallino di un mattino frizzante.

 

 

******

 

 

Chassillè era un piccolo paese, ma la residenza dei Marchard restava poco fuori la centralità delle case, in aperta campagna, circondata dal verde delle colline coltivate a vigneti.

Fu abbastanza facile trovare il piccolo palazzo, una delle poche case nobili presenti nella zona.

Lungo la via avevano incrociato un mercante che guidava il suo carretto in direzione del paese; André aveva chiesto informazioni e l’uomo aveva indicato loro una strada che si snodava tra curve che salivano su per il crinale di una collina.

Quando la carrozza si fermò davanti l’ingresso della tenuta, Oscar osservò la facciata dalla linee semplici del piccolo palazzo: l’aspetto era sobrio e ben tenuto, così il piccolo giardino che circondava la casa; tutto era molto più modesto rispetto al lusso che si poteva trovare nei palazzi della capitale o in quelli adiacenti a Versailles. Era l’immagine tipica della nobiltà di campagna, quella che non aveva libero accesso a corte, perché priva di mezzi e sostanze.

André restò a fare anticamera, mentre la padrona di casa, cortese e ospitale, accolse Oscar in un piccolo salotto arredato secondo un gusto non propriamente all’ultima moda parigina, con tessuti e tendaggi dai toni piuttosto scuri.

“Benvenuta nella mia umile dimora, madamigella Oscar. Non mi aspettavo di ricevere la visita di un personaggio importante come voi, Colonnello. Vi trovo molto bene, da quando ci siamo viste a casa di vostra sorella.”

“Grazie. Vi porgo i miei omaggi, signora. Scusatemi se sono venuta qui senza darvi alcun preavviso, ma c’è un motivo serio se oggi mi presento a voi.”

“Vi ascolto, madamigella.” Disse Lisette, versando il té in una tazza che offrì alla sua ospite.

“Bene, sarò molto chiara e sintetica; ho ragione di credere che voi madame, siate a conoscenza di una questione importante che riguarda mio cognato, il conte Leopold di Recamier.”

Lisette non parve turbata, e se lo era lo nascondeva molto bene.

“Quale sarebbe questa questione importante?” chiese con calma.

“È cosa nota che mio cognato abbia avuto e magari ha tuttora una relazione con voi, signora; dalla vostra relazione è nata una figlia che il conte ha voluto riconoscere; credo che voi possiate confermarlo, madame.”

Lisette sorseggiò il suo tè, prima di rivolgerle la sua domanda.

“Non siete qui di vostra iniziativa… chi vi manda, madamigella Oscar?”

“Sono qui per curare gli interessi di mia sorella, la contessa di Recamier, legittima consorte dell’uomo che avete preso come amante, madame…” Oscar fece una pausa studiando la sua interlocutrice, che parve trattenere il respiro.

“Nonostante le apparenze, io e il conte di Recamier siamo legati da un sincero e profondo affetto.”

“Sarà, ma il problema non è precisamente questo e non m’interessa; il problema è lo scandalo che scoppierebbe se si venisse a sapere di questa bambina e del nome ingombrante che porta. Se pensate di approfittare del nome dei Recamier per trarne in futuro, dei vantaggi personali, non sarà così facile.”

Oscar era stata diretta e Lisette pensò che fosse inutile tergiversare.

“Non userei mai la piccola in maniera così meschina…- Lisette parve rattristarsi e abbassò lo sguardo sulle mani che teneva in grembo – Non ho mai chiesto a Leopold di riconoscere la bambina, ero pronta a prendermi cura di lei senza chiedere aiuto a nessuno; il conte ha fatto tutto di sua spontanea volontà.”

“Scusate, ma viene naturale pensare il contrario; per una donna sola e con pochi mezzi, amante di un uomo influente, sarebbe difficile prendersi cura di una figlia senza un po’ d’aiuto; so che mio cognato ha pagato molti dei vostri debiti. Immagino che i documenti del riconoscimento siano in mano vostra.”

“Sì è così, madamigella. Ma voi adesso cosa pensate di fare? Non vi aspetterete che vi ceda i documenti, vero? Non sono tenuta a farlo.” Il tono di Lisette era determinato e per nulla intimorito.

“Lo so, madame. Comunque non ho bisogno di farlo. In realtà, sono venuta per dirvi che mia sorella ha il potere per farli annullare, ed è decisa a farlo con gran danno per voi e la bambina. Tutto potrebbe essere evitato se rinuncerete spontaneamente al nome dei Recamier e ad eventuali diritti di eredità per vostra figlia.”

Oscar rimase in attesa di vedere come avrebbe reagito Lisette alle sue parole; non era ancora riuscita a farsi un’ idea precisa di quella donna. Non sapeva se era la solita arrivista, che cercava di migliorare la sua posizione accalappiando uomini ricchi e di potere, o solo una donna qualsiasi che si era innamorata di un uomo sposato.

Un uomo come Leopold, poi… la quintessenza della mediocrità, del pensiero chiuso dentro certi limiti.

L’età e l’aspetto, oltre all’atteggiamento semplice e schietto non la facevano assomigliare né a una Du Barry, né a una Pompadour; sembrava un’ ingenua, ma Oscar aveva il sospetto che non lo fosse.

“Capisco… - disse infine Lisette, emettendo un sospiro pesante. – Dovete esservi fatta una pessima opinione di me, madamigella. Ma è naturale che voi siate dalla parte di vostra sorella, lo posso capire…”

Oscar posò la tazza vuota di fronte a sé.

“Ecco, veramente…”

“Volete vedere la bambina?” chiese all’improvviso Lisette.

“Cosa?”

“Volete vedere la figlia di Leopold? È qui con me… vi prego, Oscar, venite a vederla.”

Così Oscar, un po’ sorpresa dalla richiesta, seguì Lisette in un’altra stanza dove, vicina a una finestra da cui filtrava la luce chiara del giorno, stava una culla profilata di bianco. La piccola Margot dormiva tranquilla, con le piccole braccia spalancate, e accanto a lei stava un pupazzetto di pezza con la forma di un animale.

Sembrava così fragile e indifesa. La stessa impressione che le avevano fatto sempre i suoi nipoti la prima volta che aveva posato gli occhi su di loro.

“Ecco, madamigella: questa è Margot Celine di Recamier, figlia di Leopold di Recamier… mia nipote.”

“Come avete detto?” chiese Oscar al culmine della sorpresa.

“È la verità: Margot è la figlia di mia sorella minore, Isabeou De Marchard che è morta dandola alla luce quattordici mesi fa. È stata male, sapete? Ha rischiato di seguire la sua mamma, il che sarebbe stata la soluzione più facile per tante persone, ma avrebbe dato a me un dolore immenso, oltre quello che già ho.”

Disse Lisette mentre rimboccava le copertine alla creatura nella culla.

Oscar era costernata di fronte alla strana compostezza che le rivelava quella donna.

“Non fraintendetemi. Vi assicuro che nessuno vuole il male di questa bambina, anche mia sorella è madre; Danielle vuole solo tutelare i suoi figli.”

“Lo so, me ne rendo conto, ma io sono l’unica che può proteggere Margot, adesso. Oscar, c’è una storia che vorrei raccontarvi, una storia dolorosa. Avete voglia di ascoltarla?” chiese Lisette restando in piedi accanto alla culla.

“Sì…”

“Allora sedetevi qui con me: è una storia lunga.” La invitò Lisette, prima di iniziare a parlare.

Il cielo si sarebbe acceso dei colori del tramonto, prima della fine del racconto.

 

 

 

Continua…

 

 

 

Eccomi qui.

Scusate l’enorme ritardo, ma questo è stato un capitolo difficoltoso e l’ultima parte era quella più ostica; risulta spezzato, ma ho dovuto farlo, altrimenti sarebbe diventato troppo lungo. Lascio il resto per il prossimo capitolo.

Intanto spero che apprezzerete fin qui; grazie sempre per tutti i vostri commenti e l’incoraggiamento, sono un grande stimolo per me. Se ne avete non risparmiate le critiche.

Ne approfitto per farmi un po’ di vergognosa pubblicità.

Ho ritardato la pubblicazione di “Spirito inquieto” perché ero impegnata in un’altra fiction: ho scritto una storia un po’ insolita per me, lontana dal mio genere solito, un noir che s’intitola “Scarlett”; se vi va di leggerlo, lo trovate tra i crossover di Lady Oscar. Un saluto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1]  Liberamente tratto dal testo della canzone di Mario Venuti “Quello che ci manca”, mi piace troppo.

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Capitolo 18
*** Confronti (Lisette, Leopold, Isabeau) ***


18

18 – Confronti (Lisette, Leopold, Isabeau)

 

 

 

Chiedo umilmente perdono per il mostruoso ritardo.

Capitolo difficile e ostico da sviluppare e scrivere, forse un po’ noioso, ma secondo me necessario per chiarire alcune dinamiche della vicenda e di alcuni personaggi. Spero che piaccia, ma non esitate a criticare ed esprimere dubbi, se ne avete. Grazie sempre a tutti per la pazienza e la costanza con cui mi seguite in questa avventura.

Buona lettura.

 

*****

 

 

Oscar seduta di fronte a Lisette, era pronta ad ascoltare ciò che la donna aveva da dire. Accanto a loro, nella stanza, la piccola Margot dormiva tranquilla, ignara di essere una delle protagoniste principali del racconto, oltre che l’ispiratrice di decisioni importanti e determinanti.

Il fatto che madame Marchard non fosse la madre della bambina, poneva presupposti nuovi e imprevedibili e Oscar non poteva immaginare tutti i risvolti complessi e drammatici di una vicenda talmente intima; sperava solo che alla fine di tutto, lei avrebbe avuto le idee più chiare su come agire per il meglio.

 

-              Come sapete madamigella Oscar, la nobiltà di campagna vive delle sue terre, ma non ha grandi mezzi; mio padre morì lasciando la famiglia piena di debiti, di conseguenza, senza una dote adeguata che potesse garantire un futuro alle sue figlie. Io fui piuttosto fortunata perché trovai un uomo buono che mi volle anche senza rendita, ma sono rimasta vedova molto presto e mio marito non mi ha lasciato figli da crescere, né denaro. Così sono tornata qui, nella casa di mio padre. Isabeau era la mia sorella minore e nonostante la sua avvenenza e un numero impressionante di corteggiatori, a vent’ anni non aveva ancora contratto matrimonio, un fatto che mi preoccupava molto e mi metteva in ansia.

Non ho ancora trovato quello giusto, quello che mi fa battere il cuore più degli altri, - mi diceva quando la rimproveravo di rifiutare tutte le proposte che riceveva, quando l’accusavo di essere troppo leggera.

Isabeau era una ragazza bellissima, vitale e spensierata, che gioiva per ogni cosa bella che le capitava e prendeva la vita a grandi morsi, come se ogni giorno fosse l’ultimo, senza fare programmi per il futuro. Era un’ incosciente spontanea dal cuore troppo grande e generoso e s’ innamorava di continuo di uomini diversissimi, e loro, giovani o vecchi che fossero, impazzivano tutti per lei, per il suo entusiasmo, il suo calore. In autunno poteva essere perdutamente innamorata di un uomo, e in primavera perdeva la testa per un altro. Seguiva solo le sue emozioni, senza fare calcoli, senza strategie. Era così diversa da me. Anch’io amo la vita, madamigella, ma l’ho sempre presa a piccoli sorsi, un po’ alla volta, per non ubriacarmi, muovendo ogni mio passo con cautela. Ma Isabeau, no; lei non ha mai avuto paura di vivere. Qualche volta avrei voluto essere un po’ come lei, sapete; avrei voluto avere il coraggio di prendere la vita con maggior slancio e passione, ma io ero la sorella maggiore, quella più saggia, più pacata e razionale, quella che doveva essere guida ed esempio. Quando Isabeau conobbe Leopold successe quello che era già accaduto altre volte, con altri uomini. Conoscevo già la storia e mi aspettavo che sarebbe andata a finire nello stesso modo. Invece accadde qualcosa di diverso, d’ imprevedibile.

 

 

“Vostra sorella si innamorò davvero di mio cognato?” domandò Oscar molto perplessa.

“Sì. Più di quanto possiate credere.”

“E Leopold? Anche lui…”

“Sì, lui in qualche modo ricambiò, ma vi prego lasciatemi finire; dovete sentire tutta la storia.”

Oscar ascoltava il racconto di Lisette e le pareva di vedere Isabeau coi suoi occhi; la immaginava come se l’avesse davanti, col sorriso luminoso, lo sguardo felice e innamorato, le guance rosa e una coroncina di fiori tra i capelli lasciati sciolti sulle spalle nude. La vedeva correre come una bambina tra il verde della campagna. La immaginava abbandonarsi all’amore senza freni o esitazioni, cedere alla passione tra le braccia forti di un uomo in un fienile, su un campo pieno di fiori, col profumo intenso dell’estate che accende i sensi e risveglia le voglie del cuore. Quell’immagine nella testa riusciva a commuoverla, procurandole uno strano languore allo stomaco, e si sorprese di sentire simpatia per una persona che non aveva mai conosciuto e si chiese se non fosse il quadro idilliaco che stava dipingendo Lisette a trarla in inganno. In fondo, quella era l’apparente descrizione di una fanciulla frivola e un po’ sciocca.

 

 

-              Quella che sembrava solo un’ avventura passeggera, diventò un’ autentica storia d’amore. All’inizio pensai che Leopold si fosse semplicemente infatuato di lei, della sua giovane età, della sua freschezza. Voi siete una donna, ma non so se sapete come sono gli uomini, madamigella Oscar; per educazione forse siete abituata a vederli in un altro modo, rispetto a una donna normale.

 

 

Alle parole di Lisette, Oscar provò un subitaneo imbarazzo. Era abituata a comandare gli uomini, ne conosceva la forza, il coraggio e la viltà, ma il loro cuore restava un mistero; nonostante la tempra e l’esperienza che aveva, non era sicura di conoscerli per davvero.

Pensò a Fersen, all’illusione costruita attorno alla sua figura, miraggio che non aveva retto al confronto con la realtà. Aveva creduto di essere innamorata di lui, come una stupida aveva sofferto per un sentimento non ricambiato che era sfumato in fretta come vapore impalpabile tra le braccia di chi credeva solo un amico.

Pensò ad André, alle emozioni anche violente che lui le faceva provare quando facevano l’amore, al desiderio irresistibile che le faceva sentire, a come si era svelato a lei, a come aveva giocato anche in modo sporco per insinuarsi nel suo cuore, nella sua mente e perfino nella sua anima.

Sì, nella sua anima; era certa che fosse così. André era nella sua anima, e niente, neppure lei stessa avrebbe potuto allontanarlo da lì.

Era come un inquilino silenzioso e discreto, ma insinuante che aveva occupate le stanze più segrete del suo cuore e vi si era chiuso dentro a doppia mandata. E lei si era scoperta gelosa e possessiva, e se avesse potuto legarlo a sé con un laccio sul fianco, lo avrebbe fatto.

 

 

-              Come soldato dovreste saperlo: ci sono uomini che hanno costantemente bisogno di misurare le loro potenzialità, e forse la cosa vi sorprenderà, ma vostro cognato è uno di questi; sedurre una ragazza come Isabeau sarebbe motivo d’orgoglio per molti, una gratificazione della loro virilità. Credo che all’inizio sia stata questa la molla che lo ha fatto avvicinare a lei. Penso che mia sorella abbia soddisfatto certi bisogni che Leopold non trovava, o non ha mai trovato nell’unione con vostra sorella Danielle: l’esigenza di calore umano, affetto, dolcezza, vera comprensione. Essere amato da una donna come lei lo ha ringiovanito, lo ha fatto sentire importante. Non è forse qualcosa di cui tutti noi abbiamo bisogno? Sentirci importanti per qualcuno, intendo? Isabeau sapeva essere piena di slancio intimo e sincero. Nei sentimenti non si risparmiava mai con nessuno, dava tutta sé stessa perché era qualcosa che la faceva sentire felice. Quando compresi che la storia non sarebbe finita, ma che anzi, rischiava di complicarsi in maniera seria, mi allarmai. Isabeau si convinse che Leopold avrebbe divorziato dalla moglie, ne era assolutamente convinta; immaginava il futuro più roseo insieme a lui, si vedeva già a corte tra i veri privilegiati, sognava di diventare contessa, acquisire una posizione migliore. Io credevo che passata l’infatuazione, lui l’avrebbe abbandonata per tornare alla sua vita. Non ne fui contenta e lo dissi a Isabeau: litigammo in modo drammatico e acceso.

 

“Un uomo nella sua posizione, noto e influente a corte, non può compromettersi con una ragazza senza sostanze, che difetta del più comune buon senso e si comporta con una leggerezza inopportuna e pericolosa - le dissi dura – non lascerà la moglie e i figli legittimi per sposare te; si rovinerebbe con le sue stesse mani. Sei una stupida ingenua e alla tua età dovresti imparare a essere realistica.”

“Non è vero! Tu non puoi capire quello che ci unisce. Leopold mi ama davvero! Dice che lo rendo felice e vuole dividere la sua vita con me. Mi dà una gioia mai provata con nessuno; mi fa sentire come una regina. Io lo amo e lo sposerò e questo nessuno potrà impedirlo! E tu parli così, perché sei soltanto gelosa, costretta dalla tua vedovanza a restare sola!”

 

 

Fu terribile e doloroso. Ci dicemmo cose orribili e cattive. Forse mia sorella aveva ragione di accusarmi. Non eravamo mai state l’una contro l’altra; per quanto diverse, eravamo sempre andate d’accordo, ma quella situazione così incerta e imprevedibile finì per metterci in tensione. Molto presto, Isabeau rimase incinta. Non parlammo per mesi, ognuna di noi arroccata nel suo orgoglioso silenzio, io soprattutto, ciascuna convinta che l’altra avesse torto, una situazione sgradevole e triste che non fa certo bene a una donna che attende un figlio.

E io pensai che fosse la fine: Leopold l’avrebbe abbandonata al suo destino, e a quel punto cosa sarebbe stato del suo futuro, quale uomo rispettabile e onesto avrebbe preso in moglie una ragazza incinta del suo amante?

Mi vergogno quasi a dirvelo, ma le consigliai di abortire e lei naturalmente non lo fece.

Vi potrà sembrare un’ idea mostruosa, e lo era in effetti, ma in quel momento mi sembrò la sola via d’uscita, la sola maniera di evitare il disastro di uno scandalo.

Non capivo che il vero dramma era un altro e che non avevo più tempo.

Oh, se penso a com’ è finita, invece…

Madamigella pensate mai al tempo che sprechiamo a combattere battaglie inutili, al dolore che diamo ai nostri cari, alle meschinità che riversiamo su di loro, senza provare a capirli, a comprendere quelle ragioni che dall’alto del nostro egoismo, riteniamo assurde, illogiche?

La vita è così breve… e la morte così lontana… crediamo che il tempo a nostra disposizione sia infinito, ma non è così, e quando lo scopriamo è troppo tardi. Se siamo fortunati non ce ne accorgiamo affatto.

Madamigella Oscar, ho perso la possibilità di parlare di nuovo con lei, ho perso l’occasione di chiedere perdono e di perdonare. Leopold, contro ogni mia previsione, le restò accanto fino alla fine: ci furono complicazioni durante il parto e Isabeau morì all’improvviso, subito dopo aver dato alla luce la sua bambina, senza che ci fosse stata data la possibilità di riappacificarci. Non posso descrivervi il dolore che porto e il rimorso che mi accompagna da quel giorno.

 

 

Lisette aveva parlato con pacatezza, lo sguardo asciutto, la commozione appena accennata nella vibrazione leggera della voce, meno argentina del solito. Non era stata indulgente, né retorica; Oscar avvertiva un nodo che le stingeva la gola e sentiva di avere gli occhi lucidi. Nonostante un carattere temprato da emozioni forti, era sconvolta e provata. La bambina emise un vagito e Lisette si alzò per avvicinarsi alla culla, scostò le coperte e prese la piccola tra le braccia. La cullò qualche istante, prima di rimetterla a dormire.

Ci fu silenzio per qualche minuto, ma il racconto non poteva essere finito.

“Mi dispiace per il vostro lutto, madame. Però…”

Lisette riprese a parlare di nuovo.

“Vi chiederete perché vi ho raccontato tutto questo; non voglio la vostra commiserazione, né riscattarmi ai vostri occhi in modo tanto patetico, ma prima di un qualsiasi vostro giudizio su me o su Leopold, vorrei che voi capiste.”

“Temete il mio giudizio, madame?” chiese Oscar controllando la voce.

“Forse dovrei, ma non è questo, madamigella; temo solo che la vostra opinione possa essere falsata dalle apparenze. Ci tengo a cancellare almeno quelle.”

“Di solito, non mi preoccupo di simili formalismi; a questo punto immagino ci siano altri retroscena a questa vicenda triste che non mi avete ancora detto.”

“Sì. Io e vostro cognato ci siamo avvicinati con difficoltà, subito dopo la morte di Isabeau, ma non per il motivo bieco che potreste credere. È stato il medesimo dolore ad accostare le nostre anime: la sofferenza può unire in maniera impensabile due persone, che magari si sono guardate con sospetto fino al giorno prima.”

Oscar solo per un attimo sgranò gli occhi.

“Mi state dicendo che voi e Leopold vi odiavate, per caso? Dovrei credere questo?” chiese Oscar sinceramente perplessa.

“Non parlerei di odio, no… sarebbe un po’ eccessivo, ma certo, non ci piacevamo molto. Ai miei occhi, lui era un uomo sposato, un mascalzone libertino a caccia di avventure che si approfittava di una ragazza ingenua; io per lui ero una fastidiosa sorella maggiore che si metteva in mezzo e ostacolava la relazione con Isabeau.”

Per la stima che Oscar portava al suo diletto cognato, le sarebbe stato facile pensare che morta Isabeau, Leopold si era consolato facilmente con madame Marchard, ma viste le circostanze, fu un pensiero che decise di non esprimere, conscia dell’indelicatezza stessa dell’ idea.

Nonostante questo scrupolo, l’ espressione del suo viso tradiva una traccia vaga di quel pensiero meschino.

Lisette pareva non curarsene, forse comprendendo lo scetticismo della sua ospite.

“Al funerale evitammo il più banale contatto, quasi ignorandoci. Devo ammettere che in quella circostanza mi comportai davvero molto male: fui odiosa. Quando venne da me per porgermi le condoglianze, invece di accettare con gratitudine il suo sostegno, feci di tutto per farlo sentire in colpa.”

 

-              Voi siete responsabile della morte di Isabeau. Le avete riempito la testa di bei sogni e fantasticherie. Se lei non si fosse lasciata incantare da voi, a quest’ora sarebbe ancora viva, e magari moglie di un brav’uomo che le avrebbe garantito un futuro dignitoso e rispettabile. Invece, ne avete fatto la vostra amante; è morta per colpa vostra. Dovevate andarvene e tornare dalla vostra famiglia!

-              Madame, vi prego; capisco che il dolore e la rabbia vi fanno parlare così. Io amavo dal profondo del cuore vostra sorella, nutrivo un sentimento intenso e sincero come non l’avevo mai provato prima, ed ero pronto a un impegno serio con lei.

-              Impegno serio? Oh, suvvia, ora mi direte che volevate sposarla! La storia si ripete sempre uguale, o quasi. Qualsiasi uomo travolto dalla lussuria dei sensi parlerebbe esattamente come voi; quando la passione si fosse estinta, avreste ragionato diversamente.

-              Siete molto ingiusta e amara. Dite quello che volete, ma sono un uomo d’onore e avrei dato un nome alla bambina e intendo ancora farlo.

-              Non sentitevi in obbligo. Mi occuperò io della piccola Margot. Andatevene! Lasciatemi col mio dolore. Tornate dalla vostra legittima moglie e dai vostri figli. Non avete diritto di restare qui e io non gradisco più la vostra presenza in questa dimora. Non l’ho mai gradita!

 

 

Oscar continuava ad ascoltare il racconto con espressione sgomenta.

“Ma Leopold non se ne andò mai. E ancora oggi mi chiedo perché; cosa lo fece restare accanto a me che gli ero dichiaratamente ostile, che non volevo parlare con lui, né ascoltarlo, comprendere lo stesso dolore che avevo io, forse lo stesso senso di colpa. Leopold fu paziente, in un modo che mi sorprese.

Fu discreto: veniva a farmi visita con la richiesta di poter vedere la figlia anche solo per pochi minuti e restava a distanza, il più delle volte in silenzio, ad osservarmi con quella sua aria un po’ greve. La piccola era l’unico sollievo che avessi in quel momento e Leopold lo capì. Mi chiedeva di lei, se cresceva sana e forte.

Avrebbe potuto sottrarre Margot alla mia tutela, ma non lo fece mai. Attese che fossi io ad aprirmi e potessi vedere il suo dolore che non volevo considerare più grande o importante del mio: Isabeau era mia sorella, era sangue del mio sangue, non aveva un vero legame con lui, tranne quella bambina rimasta tra noi.

Così, lentamente iniziai a sciogliermi, ad abbassare le mie difese. E lui le sue.

Fu il nostro reciproco dolore a unirci e trovammo consolazione in noi stessi, quando capimmo che se fossimo andati oltre il risentimento, saremmo potuti vivere serenamente condividendo il ricordo di Isabeau.”

 

 

-              Per il bene della piccola, io e voi dovremmo tentare almeno di essere amici, ed evitare di farci la guerra. Se voleste darmi questa possibilità, trovereste in me un sicuro sostegno, oltre che un onesto alleato.

-              È strano, sapete… avevo una tale rabbia in corpo che mi stava divorando, e dovevo sfogarla su qualcuno: mia nipote, oppure voi. Mia sorella ha dato la sua vita per mettere al mondo quella creatura innocente. Così ho preferito odiare voi, almeno all’ inizio. Potete biasimarmi per questo?

-              No, vi comprendo, invece. Ma capite anche voi che il biasimo non ci porta da nessuna parte, ci fa solo soffrire di più. Ci sarebbe un modo molto più semplice per lenire il dolore, se voleste.

 

 

“Così finiste per innamorarvi…” concluse Oscar, senza troppa enfasi.

“Sì, ma vi giuro Oscar, tentai di oppormi a quel sentimento, non volli ritenerlo reale; cercai di trattare Leopold come un semplice amico discreto e premuroso che mi fu accanto nel momento delicato del bisogno… Ma l’amore Oscar, oh…- Lisette emise un rapido sospiro, prima di riprendere a parlare con più foga di prima - è qualcosa di più forte di noi, di tutti i nostri propositi, le nostre remore. Non si cura di niente, convenzioni o altro, avanza nel nostro cuore attraverso pensieri e parole gentili, e siamo troppo fragili o feriti per resistere, troppo bisognosi di calore, così si fa strada travolgendo ogni cosa e nulla regge al suo passaggio, così arriva sempre dove vuole. E quasi sempre vince.”

“Quasi sempre?”

“Talvolta paura ed egoismo possono ostacolarlo, ma voi più di chiunque dovreste sapere di cosa parlo.”

Lisette si interruppe mentre Oscar continuava a fissarla con aria interrogativa. Ma quasi subito riprese a parlare.

“Vedete Oscar, nonostante la vostra educazione, voi siete una donna, oltretutto molto bella, e credo che non vi manchi la sensibilità tipica dell’animo femminile; dovete esservi innamorata almeno una volta nella vita, magari vi sta succedendo proprio in questo momento… - Oscar impercettibilmente trattenne il fiato - e avete una sorella gemella. Sapete cosa dicono dei gemelli? Che tendono ad innamorarsi delle stesse persone…”

“Non capisco dove volete arrivare. Cosa c’entra questa storia dei gemelli? Non cercate paragoni inutili.”

“Avete ragione, scusate. Non era mia intenzione. Voi e Danielle mi siete parse così unite, non sapete che pena era, a volte, osservarvi. Io volevo solo dire che oggi vedo in voi qualcosa di diverso che non notai quando ero ospite a casa di vostra sorella. Non mi sembrate nemmeno più la stessa persona che incontrai a Villa Recamier. Vi risulterà sorprendente quello che sto dicendo, ma ho questa precisa sensazione, e non credo di sbagliarmi. Ma in realtà, neppure questo è importante. Che voi siate innamorata o meno, io credo che possiate comprendere il conflitto che mi sono trovata a vivere.”

“Mi pare che ne abbiate vissuto più di uno, madame…”

“Sì, è vero, ma quello irrisolto è senz’altro il più doloroso.”

Oscar si concesse una veloce riflessione.

Per quanto fosse sottile, il discorso di Lisette appariva molto chiaro. Quella donna voleva chiederle qualcosa e lei sospettava quale fosse la natura della richiesta.

“Vi prego smettete di girare attorno al problema: voi volete qualcosa da me e credo anche di sapere cosa. Volete stabilire un contatto con mia sorella, forse addirittura un’ alleanza. Volete che Danielle non ostacoli il riconoscimento. Volete che io la convinca ad accettare questo strano compromesso che proponete, in virtù di qualcosa che dovrebbe accomunarvi?”

Lisette era rimasta seduta accanto alla culla fino a quel momento, ma all’improvviso decise di alzarsi e si pose in piedi di fronte alla sua ospite.

“È inutile negarlo. Voglio il nome dei Recamier per mia nipote, non voglio che passi per una bastarda. E per questa concessione, credo di poter offrire qualcosa in cambio…”

Gli occhi di Lisette adesso brillavano, ma Oscar alle sue parole non poté fare a meno di sorridere.

“Cosa mai potreste offrire voi?”

“Quello cui anela uno spirito inquieto alla perenne ricerca di altro: la libertà. Io posso offrire alla contessa di Recamier l’occasione e il pretesto per raggiungerla.”

Improvvisamente per Oscar quelle parole parvero sconvolgenti e non fu sicura di comprenderle appieno.

“Libertà? Voi credete che mia sorella voglia…?”

“Vostra sorella è uno spirito inquieto, proprio come voi, Oscar, proprio com’era Isabeau… Vincoli, catene, costrizioni, regole imposte da altri vi vanno stretti. Vivete secondo la vostra natura. Inseguite la libertà a dispetto di tutto. Dalle catene tentate di liberarvi. La catena di vostra sorella è il matrimonio. La vostra forse siete voi stessa.”

“Strano filosofico discorso, il vostro. Ma secondo me, stiamo andando fuori tema. O forse, cercate soltanto di portarmi nella direzione che preferite.”

Obbiettò Oscar, ma con scarsa convinzione.

“Voi dite? Provate a parlare con vostra sorella di ciò che vi ho appena detto. Per fugare ogni dubbio, ditele anche che non fa parte dei miei piani sposare Leopold, voglio solo un nome di rispetto per mia nipote.”

 

Mentre Oscar si allontanava da palazzo Marchard con André, un turbine di pensieri le si affollavano in testa.

Uno su tutti dominava sugli altri: l’istinto le diceva che Lisette era molto diversa dalla donna ingenua e docile che appariva a una prima frettolosa impressione. Che non avesse mire sul cognato le sembrava poco probabile e la sua dichiarazione non era altro che un astuto stratagemma. Aveva la netta sensazione che fosse una donna assai intelligente, scaltra e disincantata, e soprattutto, sorprendentemente acuta.

Se non si fosse sbagliata, Danielle si sarebbe confrontata con una rivale degna di lei.

 

 

 

Continua…

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 19
*** Una richiesta misteriosa ***


19

19 – Una richiesta misteriosa

 

 

 

Eccomi, non ci speravate più, eh? E invece sono tornata a dannare me e voi con questa storia allucinante. Chiedo scusa a tutte per il mostruoso ritardo di questo aggiornamento. Non so come, e contrariamente alle mie previsioni, sono riuscita a recuperare un po’ d’ ispirazione che era latitante da mesi ormai, per concludere questo capitolo.

Penso e spero di aver trovato la chiave giusta per risolverlo, poi rileggo tutto e tornano i dubbi.

È quasi un miracolo che sia riuscita nell’impresa,  e credo di essere nella direzione giusta. Non so se sarà esattamente quello che vi aspettavate, probabilmente no, ma mi sforzo di far evolvere la storia in maniera naturale e di portarla dove per me è giusto che vada. Naturalmente attendo le vostre impressioni che accetterò di buon grado. Grazie sempre per tutto l’incoraggiamento che mi date, lo apprezzo veramente tanto.

 

 

@@@@@

 

 

Sul far della sera accesa di colori rosa violacei, Oscar e André avevano lasciato la casa di madame Lisette per tornare in paese, dove avevano affittato due alloggi per la notte.

Si trattava di una pensioncina nel centro di Chassillè, semplice e modesta, che accoglieva viandanti e viaggiatori di passaggio, che ripartivano poi per le regioni più a ovest, e verso la Normandia.

Per quella notte i due amanti - perché oramai potevano dirsi tali - avrebbero dormito in letti separati e Oscar si lasciò sfiorare velocemente dal pensiero che le sarebbe parso strano, forse anche triste. Sicuramente poco piacevole. Ma altrettanto in fretta, scacciò l’idea dalla mente con lieve disappunto.

Non mi posso permettere distrazioni e credo sia meglio non dare nell’occhio, aveva detto laconica quella stessa mattina all’arrivo, di fronte allo sguardo dubbioso e un po’ sardonico che le aveva restituito lui. André non aveva posto obbiezioni, si era limitato ad abbassare il capo, rassegnato al fatto che lo avrebbero accolto delle lenzuola fredde e non avrebbe goduto del calore ormai famigliare del suo corpo.

Dopo le recenti scoperte, Oscar non voleva perdere altro tempo, né lasciarsi condizionare da nascenti desideri e turbamenti; voleva avere la mente sgombra da pensieri insidiosi e progettava di ripartire la mattina seguente, al primo sorgere del sole.

Avvertiva l’impulso di tornare a Parigi il prima possibile, e neppure lei sapeva bene perché avesse tanta fretta.

Desiderava parlare con Danielle.

Ma per dirle cosa, poi?

Per investirla con le strane insinuazioni di quella donna, di cui adesso faticava a comprendere le reali intenzioni e motivazioni? Non sapeva bene se fossero di qualche utilità per chiunque, in quella complicata vicenda.

 

Ma c’era dell’altro.

 

Con sorpresa, il mattino seguente un messo di Madame Lisette l’aveva attesa alla pensione prima della partenza per consegnarle un biglietto e una lettera della sua padrona.

Il biglietto breve e sintetico, scritto con una grafia elegante era per lei.

 

“Madamigella Oscar, spero vorrete farmi la cortesia di consegnare la lettera allegata a questo messaggio alla contessa di Recamier. Non dovete avere alcun timore; se credete la cosa opportuna vi autorizzo a  leggere la missiva, ma credo che vostra sorella vi metterà al corrente del suo contenuto. Intanto, vi auguro un buon viaggio di ritorno verso Parigi.”

 

Lisette De Marchard

 

 

 

Oscar aveva guardato la lettera con sospetto, ma non aveva voluto rompere il sigillo e accertarsi del suo contenuto. Quando si erano allontanati in carrozza, André incuriosito, le aveva fatto qualche domanda, ma le sue risposte erano state incerte.

“Cosa credi che voglia quella donna? Dopo tutto quello che ti ha raccontato, non credi sarebbe saggio anticipare le sue mosse? Forse dovresti leggere quella lettera prima che lo faccia Danielle. Soltanto per banale precauzione.”

“Non credo sia necessario; scopriremo di che si tratta appena raggiunta Parigi. – Lei osservò per un momento il suo compagno di viaggio. - Sembri preoccupato, André; è accaduto qualcosa che non so, mentre Lisette era ospite a Villa Recamier?” Chiese con voluta ironia.

“Oh, non ne so più di te, Oscar… solo non vedo cosa Lisette potrebbe offrire a Danielle, in cambio del nome per sua nipote… già la storia non è delle più edificanti: l’amante del conte muore lasciando una bimba orfana di madre, con tutte le complicazioni del caso; tua sorella non reagirà bene a questa notizia.”

“Non lo so immaginare. Comunque, non fa alcuna differenza. Resta il problema dello scandalo, che mia sorella vuole evitare. Quello che non credo sia vero è il disinteresse di Lisette per un eventuale matrimonio con mio cognato. Avrebbe troppo da guadagnare e nulla da perdere. Comunque è un ipotesi irrealizzabile.”

“Già… ma chissà cosa c’è in quella lettera. Spero non si tratti di un ricatto di qualche genere…”

Oscar lo guardò allarmata e un poco sospettosa.

“Ricatto? Che vuoi dire?”

“Voglio dire che forse quella donna sa più di quel che dice; forse ha intuito qualcosa del vostro innocente scambio di ruoli, e vuole usare questo elemento a suo vantaggio…” Ipotizzò André.

 

 - Quello strano discorso fatto sui gemelli!  Ricordò Oscar tra sè e sè, con un vago cenno di sorpresa.

 

“Tu credi che…”

“È una possibilità che devi considerare.”

“O forse, Lisette ha intuito chi sia la vera debolezza di mia sorella…” Puntualizzò guardandolo dritto in faccia, quasi con aria di sfida. Ma André non si scompose, né diede segno di aver colto la provocazione.

“Volevo semplicemente dire che ha notato che alla villa, tu sembravi diversa. Può averne parlato con tuo cognato. E di questa Isabeau, noi non sappiamo nulla. Ma in paese potrebbero saperne qualcosa. Forse prima di andarcene, dovremmo indagare un po’ in giro. Il curato di Chassillè potrebbe aiutarci; i preti sanno sempre tutto di tutti.”

“E tu ora vorresti andare a cercare il curato? Mi sembra un’ inutile perdita di tempo.”

“Non ne sono convinto. Io tenterei. Potremmo scoprire cose importanti. Non siamo ancora troppo lontani dal paese e possiamo fare marcia indietro. Perderemo al massimo mezzora.”

 

 

La chiesa locale era all’estremità del paese, un edificio semplice e ben tenuto con la facciata romanica e il rosone centrale istoriato. Il parroco di Chassillè aveva confermato buona parte della storia, con qualche sorprendente variazione. Il lutto della famiglia Marchard era cosa nota, ma la gente pensava che la giovane fosse morta in seguito ad una febbre violenta e misteriosa; della bambina di Isabeau nessuno pareva saperne nulla, quindi voleva dire che la gravidanza era stata mantenuta segreta, o messa a tacere, magari pagando il silenzio di possibili testimoni, tra cui la levatrice.

Può darsi che Leopold in persona, avesse messo mano ai cordoni della borsa per far tacere le lingue.

Il cuore di Oscar era pieno di dubbi, mentre tratteneva la lettera di Lisette nelle mani senza decidersi ad aprirla; se quel foglio di carta avesse rappresentato un problema per lei e forse per la stessa Danielle, sarebbe stato più saggio saperlo con un po’ di anticipo.

Lisette poteva aver intuito qualcosa di ben più compromettente dello scambio di persona intercorso tra lei e Danielle; forse aveva inteso il reale motivo dello scambio e tutte le persone in esso coinvolte.

Stava cercando di fare mente locale di tutto, di ogni singola azione, persona, incontro e dialogo che fosse avvenuto alla villa durante quei giorni, ma non le veniva in mente nulla che fosse rivelatore.

Eppure erano state attente.

Non abbastanza, evidentemente.

Non avevano ingannato André, ma lui almeno aveva famigliarità con loro. Le conosceva da anni.

Possibile che Lisette avesse capito il loro gioco innocente?

 

La brusca evoluzione del rapporto con André sul piano fisico, la maturazione implicita dei sentimenti, il loro svelamento non erano per lei cose semplici da accettare, e aveva il sospetto e la paura che quelli di Danielle fossero identici. Altrettanto impetuosi e forti, ma pronti ad esseri vissuti con totalità.

Se per lei erano motivo di conflitto con sé stessa, Danielle li avrebbe accolti senza remore, né rifiuti, se non lo aveva già fatto.

Né Danielle avrebbe cercato di nasconderli, e Lisette dotata di notevole arguzia, poteva averli sicuramente notati.

Le sorelle Jarhayes, rese ricattabili per amore dello stesso uomo. E non un uomo qualsiasi del loro ambiente, ma il buon vecchio André.

Continuava a chiedersi se fosse davvero amore quella smania che sentiva verso l’amico di sempre, i pensieri ossessivi, impudichi e osceni che infiammavano i sensi, quel desiderio prepotente che le bruciava le vene e la carne.

Maledetto sesso. Perché doveva essere così esaltante?

E perché proprio con André?

Si sforzava di non pensarci, ma in alcuni momenti si accorgeva di non avere il controllo della sua mente, se ricordava le labbra di lui contro la sua pelle.

Un fatto che la indisponeva.

Odiava perdere il controllo.

Non poteva permetterselo nella posizione in cui era.

 

Dormire lontana da André era stato più difficile del previsto; il letto vuoto le era parso troppo grande e pieno di spine, e lei vi si era rigirata da una parte all’altra, insofferente, in preda a uno strano tumulto che le faceva pulsare il sangue alle tempie e rendeva irregolare il suo respiro, trattenendo a fatica la voglia indecente che l’avrebbe spinta a raggiungerlo in piena notte, col rischio di venir scoperta da qualche pensionante ritardatario.

E non sapeva se il sesso poteva bastare a trattenere a sé un uomo.

Non sapeva se sarebbe bastato a tenerlo lontano da Danielle, che in materia di arti amatorie aveva più esperienza di lei.

Danielle aveva avuto diversi amanti; erano una forma di libertà personale inseguita con tenacia, una fuga dall’ insoddisfazione della vita, un miraggio di felicità da raggiungere.

Lisette aveva parlato di libertà, e Oscar sapeva benissimo che Danielle l’aveva cercata sempre al di fuori del matrimonio, e solo di recente aveva scoperto che un po’ le invidiava la sua. Oscar non si era mai chiesta se esistesse in Danielle una simile brama d’indipendenza, di cui lei godeva per educazione. Ma ora, alla luce delle parole ambigue di Lisette, più che mai le pareva evidente.

E le pareva altrettanto chiaro che André fosse il fulcro di quella brama di libertà.

 

Osservò l’amico seduto di fronte a sé.

Pensò che era bello da fare male con quei capelli scuri come l’ebano e le ciglia folte che velavano gli occhi verdi, un dolce peccato proibito, e la colpì lo sguardo cupo e intenso che le rivolse; fu certa che lui sapesse in cuor suo, che non gli aveva detto tutto. Conferma che arrivò un secondo dopo.

“Oltre alla storia di Isabeau, c’è dell’altro, vero? Lisette ti ha detto qualcosa che non ti aspettavi di sentire, e che ti riguarda da vicino. È così… Che cosa ti ha detto?”

“Nulla che abbia importanza. - Oscar tentò di glissare. - E non ero io l’argomento della conversazione.”

Allora perché si sentiva tanto presa in causa?

“Stai mentendo. Quella donna conta sul tuo coinvolgimento personale e vuole fare leva su questo; credo abbia già capito i tuoi punti sensibili. Non dovresti sottovalutarla.” Obbiettò André con fermezza, e forse, un pizzico di compiacimento.

“Non lo faccio. – Sibilò infastidita. - Puoi pensare quello che ti pare, ma non intendo farmi condizionare la vita dalle banali congetture di una donna che non mi conosce affatto.”

 

-         Ma io ti conosco, pensò lui.

 

Oscar non aveva voglia di soffermarsi sui dettagli di quel discorso proprio con l’amico, che era la pietra dello scandalo e della sua colpa. La sua debolezza più grande. Ma lui non demordeva.

“Sono davvero banali congetture, Oscar? O forse, è qualcosa di vero e reale che ti rifiuti di ammettere?”

Lei preferì non rispondere e lui non ne fu sorpreso.

“Leggerai quella lettera prima di arrivare a Parigi?” Domandò di nuovo André, con il tono condiscendente di chi ha a che fare con una persona capricciosa e ostinata.

“Forse...” Fu la risposta laconica che ricevette. Poi scese il silenzio.

 

 

********

 

 

 

 

“Che avete fatto Madame!” Esclamò il conte sinceramente sbalordito, alzando in modo brusco il tono di voce.

“Voi dovete fidarvi di me e del mio intuito; so quello che faccio.” Replicò Lisette decisa, ma estremamente calma.

Il conte era rientrato a Palazzo Marchard il giorno successivo la partenza di Oscar. Era stato informato della visita della cognata e delle richieste espresse a nome della moglie, e senza reticenze Lisette gli aveva parlato della lettera consegnata a madamigella Oscar, scritta di suo pugno per Madame Recamier.

“Dovete essere impazzita, madame. Ero sulla buona strada per mettere Danielle nella condizione di non ostacolarmi, facendole capire che non era nel suo interesse; con un buon compromesso, per quanto forzato, sono certo che avrebbe accettato l’adozione, ma questa vostra insensata iniziativa potrebbe rendere tutti i miei tentativi inutili, vi rendete conto?”

Il conte parlava agitando un braccio nell’aria come se dovesse spazzar via un insetto, prima di picchiare il palmo della mano sul tavolo al quale era seduto.

Lisette era in piedi di fronte a lui, e mentre parlava si spostava di pochi passi da destra a sinistra, e viceversa.

“Nessun compromesso ricattatorio farà cedere vostra moglie. La renderete soltanto più determinata a ostacolarvi e se possibile danneggiarvi.”

Continuò Lisette con convinzione.

“Oh, io potrei anche danneggiare lei, se raccontassi di averla sorpresa col suo amante più recente, quel chiacchierato nobile svedese, il conte di Fersen. Immaginate la portata dello scandalo, se il fatto arrivasse all’orecchio della regina?”

Lisette sorrise divertita.

“Oh, questa sarebbe davvero una grossa sciocchezza. Vostra moglie non è per nulla interessata all’ amante della regina, credetemi. Sono convinta che non ci sia mai stato nulla fra loro, nonostante le apparenze. I vostri sospetti non hanno fondamento.”

“C’è l’hanno invece! Avete visto come si comportava, alla villa?” Insistè Leopold cocciuto.

“Certo, e non c’era corrispondenza nei gesti di Danielle. Anzi, ho visto vostra moglie respingere le avance del conte con sottile eleganza, almeno un paio di volte.”

“Ma voi donne, fate così…” obbiettò Leopold con leggerezza.

“Vi assicuro non era un gioco di seduzione, era un deciso rifiuto, anche se ben mascherato.”

“Come fate a dirlo con una tale sicurezza?”

“Semplice spirito di osservazione, e io ne ho più di voi, mio caro. Quindi, smettetela con le vostre accuse. E vi dimenticate che Oscar è dalla parte della sorella e sarebbe meglio non averla come nemica; piuttosto potrebbe perorare la nostra causa, se sapremo giocare bene le nostre carte… c’è un altro modo per ottenere ciò che vogliamo…”

Leopold ora si era calmato, e ascoltava con una certa curiosità e meraviglia il discorso della sua compagna.

“Potreste avere molto di più, Leopold. – Esclamò con impeto. - Bisogna vedere se lo volete davvero… a quanto sapreste rinunciare per averlo. Voglio proporre uno scambio a vostra moglie, che sono certa potrebbe essere molto allettante per lei, per una ragione che voi non sospettate nemmeno; il nome dei Recamier per Margot, in cambio di qualcos’altro.”

“Non vi capisco. Mi state facendo impazzire. Il nome del casato in cambio di cosa, esattamente?” Proruppe un poco spazientito, gesticolando nervoso, di fronte alla calma controllata della donna.

“La libertà, Leopold. La libertà più vantaggiosa per una donna come vostra moglie, senza scandali, ricatti, accuse e perdite di alcun genere. Quella che voi sarete disposto a concederle a una piccolissima condizione, che lei non potrà negarvi, e che sarà lei stessa a proporvi. Se non ci saranno sconfitti, tutti alla fine saremo soddisfatti.”

Gli occhi di Lisette luccicavano, mentre un vago sorriso tranquillo le disegnava le labbra sul volto rotondo. Poi si avvicinò e accarezzò una guancia dell’uomo.

“Abbiate fiducia in me e tutto si aggiusterà per il meglio, vedrete.”

Leopold osservò la donna per qualche secondo.

“Ma cosa diavolo avete scritto in quella lettera?” Domandò più perplesso che mai.

“Non occorre che lo sappiate, ma tranquillizzatevi: tutto si chiarirà nel modo più naturale.”

 

 

 

*********

 

Erano alle porte di Parigi, ormai.

Mezzora ancora e avrebbero raggiunto Palazzo Recamier che si affacciava in una strada signorile vicino al centro della città; a due isolati da lì, sorgeva la residenza del cugino del Re, il Palazzo Reale abitazione del Duca D’ Orleans, amico di vecchia data del conte Leopold di Recamier.

Oscar teneva la lettera fra le mani, mentre osservava dal finestrino della vettura le strade famigliari, la gente che passava, carretti di merci di tutti i tipi che andavano e venivano dal mercato, lavandaie con grosse ceste di vimini trattenute sotto le braccia.

 

Il sigillo rosso di ceralacca che chiudeva il foglio di carta era intatto.

Il contenuto della lettera era ancora un mistero per lei; André restava convinto che non fosse una mossa saggia, ma non la forzò oltre. Lei non vedeva la necessità di svelare ciò che avrebbe scoperto comunque molto presto. Danielle l’avrebbe messa al corrente di tutto, e insieme avrebbero deciso cosa fare, anche se era certa che un’ eventuale violazione di quella strana corrispondenza le sarebbe stata perdonata.

Raggiunto il palazzo, il pesante portone di legno dell’ingresso principale spalancò i battenti per consentire il passaggio della carrozza con lo stemma dei Jarhayes, che si arrestò nel vasto cortile interno; Oscar e l’ attendente furono introdotti in casa dal maggiordomo, che li informò subito circa l’assenza della signora contessa.

Danielle era andata a fare visita di cortesia a qualche conoscente, ma sarebbe tornata molto presto. Oscar si preparò ad attenderla, accomodandosi su una poltrona del salottino, immaginando che ci sarebbe voluto più tempo del previsto.

André composto restava al suo fianco, in apparenza tranquillo, addossato alla cornice di marmo rosa del camino, ma dava la curiosa sensazione che fosse sulle spine. Oscar lo osservò di sottecchi per pochi istanti, chiedendosi cosa fosse a renderlo così ansioso, e si convinse che il motivo era contenuto in quella lettera. Col pensiero, maledisse Leopold e le sue bizzarre avventure sentimentali. Pregava che la sorella tornasse in fretta per mettere fine a tutta quell’apprensione, ma i minuti passavano e Danielle non tornava, e André emetteva a brevi intervalli dei rapidi sospiri d’inquietudine. Qualcosa lo tormentava e lei non immaginava cosa fosse.

 

 

*****

 

 

Al mio rientro, fui subito informata che Oscar era tornata dal suo viaggio e che mi stava aspettando da quasi un’ ora. Con infinita apprensione e turbamento, corsi a riceverla, senza togliermi il cappello, entrando spedita nel salotto dove di solito ricevevo ospiti.

Era seduta al piano accanto a una delle vetrate, con le gambe allungate di traverso verso l’esterno, e ogni tanto pigiava annoiata uno dei tasti; quando mi vide varcare la soglia alzò lo sguardo verso di me, senza dare segno d’impazienza.

Ma quando parlò, rivelò di essere seccata dalla lunga attesa.

“Alla buon ora Danielle. Ancora un minuto e me ne sarei andata.” Sbuffò inacidita.

“Scusami Oscar, torno ora dalla residenza del cugino del Re, una personalità importante, che non si deve offendere fuggendo precipitosamente da casa sua.”

Guardai André.

Erano passati solo pochi giorni, ma erano bastati per sentire la sua mancanza.

Ricordavo con dolorosa emozione il nostro ultimo passionale incontro, il bacio disperato che c’era stato fra noi e provai un istantaneo tremore che mi fece sentire insicura sulle gambe. Lui ricambiò il mio sguardo per un millesimo di secondo, poi sfuggì ai miei occhi, quasi provasse un lieve imbarazzo.

O forse, era pena vera e propria.

Mi bastò per capire che era successo qualcosa in quei pochi giorni, e molte cose erano cambiate. Di certo, era un cambiamento che riguardava Oscar.

Forse un mutamento del cuore.

Mi sentii come se la terra mi mancasse da sotto i piedi e un vuoto alla bocca dello stomaco mi fece sussultare.

Guardai mia sorella, ma non seppi decifrare la sua espressione, né alcun pensiero, ma forse lei indovinò i miei.

“Hai l’aria preoccupata, Danielle. Aspetta di sentire almeno quello che ho da dire. È una storia davvero particolare, ma non so quanto ti piacerà. A proposito, posso sapere perché frequenti il salotto di un noto nemico della monarchia?”

“Il duca D’ Orleans non è un nemico della monarchia, solo gli stolti credono a questa diceria; è un uomo potente che è meglio avere come amico…” dissi guardandomi allo specchio e togliendomi le forcine che trattenevano il mio ampio cappello di piume.

“È un acerrimo nemico del Re, che aspetta il momento propizio per salire al trono… Tu, amica del Duca D’Orleans?! Sei una fonte inesauribile di sorprese, cara sorella.”

Oscar, con un sorrisetto ironico, tentò di punzecchiarmi; Philippe D’ Orleans era un uomo dal fascino oscuro e inquietante, con una nomea di amante superbo e una luce ferina e subdola nello sguardo, celebre per le sue numerose e misteriose avventure femminili, al limite del lecito. A corte, qualche tempo prima, era girata la voce che avesse sedotto e messo incinta una giovane novizia, figlia di secondo letto di un noto personaggio delle alte gerarchie militari. Ma la verità era un’altra e in pochi la conoscevano. Io ero tra quei pochi fortunati.

“Non io. Il duca è uno tra gli amici più influenti di mio marito… - Risposi, fingendo di non cogliere la sua allusione. -  Durante la tua assenza ho cercato di scoprire se potesse sapere qualcosa circa le intenzioni di Leopold, e se fosse a conoscenza di eventuali azioni legali che potessero coinvolgermi.”

“E ti fidi di lui? Se è amico di tuo marito, perché dovrebbe favorirti nel caso di una disputa?”

“Diciamo che il duca è in debito con me; un piccolo segreto tra me e lui che mi mette in leggero vantaggio. Ma ora basta, voglio sapere come è andato il tuo viaggio. Cosa hai scoperto Oscar? Cosa puoi dirmi di quella donna e della piccola bastarda? Possiamo impugnare l’adozione e farla annullare?”

Oscar assunse un aria grave.

“Non lo so. Ma ci sono diverse variabili da valutare. È una storia piuttosto complicata…”

 

Così Oscar mi raccontò i dettagli di quella storia incredibile e lentamente scoprivo che niente era come pensavo che fosse. Tutte le mie congetture erano fasulle e crollavano come fragili farfalle di carta. Lisette non era la madre, ma la zia della piccola Margot, e la sua relazione con mio marito era solo un evento successivo, frutto quasi del caso.

Trovavo molto di cattivo gusto che dopo la morte della sua amante, Leopold si fosse consolato con la sorella di lei e stentavo a credere che il loro rapporto fosse stato all’inizio tanto complicato e ostile.

Era una situazione assurda e forzata, e mi sembrava che dietro l’apparenza ci fosse una verità nascosta, che doveva restare tale.

Non nascosi il mio dubbio a Oscar.

“Cosa spera di ottenere con una storiella tanto patetica e lacrimevole! La commozione per il suo lutto dovrebbe farmi dimenticare l’affronto subito? Umiliata due volte! Non una, ma due amanti diverse. – Proruppi indignata. - Che importanza potrebbe avere per me? Dovrei accettare l’adozione solo perché quella bimba è orfana di madre? Il mondo è pieno di orfani e nessuno prende a cuore la loro sorte.”

“Posso capire la tua reazione cinica, Danielle. Può darsi che Lisette abbia effettivamente puntato su questo. Ho avuto anch’io questa impressione… - Mi rispose Oscar pensosa. – Ha insistito molto sul rapporto con la sorella; ha tentato delle analogie ardite tra il nostro legame e il loro…”

“Che giochetto meschino è mai questo?” Ero costernata.

Guardai Oscar, la sua espressione meditabonda, poi mi accorsi che anche André era attentissimo a ciò che stavamo dicendo. Serpeggiò in me il sospetto che mia sorella volesse nascondermi qualche elemento importante. Che cosa non mi stava dicendo?

“Danielle, una volta mi hai detto che invidi la mia libertà, ma cosa saresti disposta a fare per averla?” mi chiese all’improvviso, e la frase mi parve estranea a ogni contesto.

“Cosa?”

Ero più confusa che mai, e ancora non afferravo il senso di quello strano discorso.

“È la sua proposta: quella donna è convinta di poterti offrire la libertà, in cambio del nome dei Recamier per sua nipote, ma ignoro in che modo intenda farlo. Ma c’è anche dell’altro, Danielle…” mi disse, e il tono carico di aspettativa m’impressionò.

“La mattina della partenza, mi è stata consegnata questa lettera per te. È di Lisette. - Oscar mi allungò una missiva sigillata. - Non conosco il suo contenuto, e sono stata tentata di aprirla prima di arrivare qui. Può essere che la cosa non mi riguardi, ma lei era sicura che mi avresti informata, così ho deciso di aspettare. Temo che possa essere qualcosa di compromettente.”

Presi la lettera tra le mani e senza troppi riguardi ruppi il sigillo di ceralacca rossa che la chiudeva. Oscar e Andrè erano in piedi di fronte a me e attendevano con impazienza malcelata.

Aprii con cautela i lembi ripiegati del foglio di carta fino a distenderlo completamente sotto i miei occhi; scorsi velocemente l’inchiostro nero che disegnava la grafia sconosciuta, sicuramente di donna, un po’ schiacciata e arrotondata.

Oscar si accorse subito della mia espressione basita.

“Allora, che cosa c’è scritto?” mi incalzò in tono ansioso.

Senza fare commenti, le mostrai il foglio vergato con poche parole oscure e incomprensibili.

 

 

 

- Cara contessa di Recamier,

quello che debbo dirvi è di una tale importanza,

che non può essere affidato a una lettera

che potrebbe essere letta da persone sbagliate,

e non mi riferisco a madamigella Oscar…

fidatevi, saprete ogni cosa a suo tempo.

Avrete presto mie notizie.

Sono sicura che ci comprenderemo.

 

 

Con rispetto,

Lisette de Marchard

 

 

 

“Ma che diavolo significa? Vuole farmi uscire di senno? I giochetti subdoli di questa donna cominciano ad innervosirmi parecchio. Non mi attendo nulla di buono. Tu che ne pensi, Oscar?”

Mi agitai avanti e indietro, brandendo il mio ventaglio come se fosse un’ arma; afferrai con malagrazia il foglio di carta dalle mani di Oscar e lo ridussi a brandelli che gettai nel fuoco.

Anche la mia gemella sembrava allibita e perplessa.

“Non so davvero che pensare, questa donna si sta rivelando più imprevedibile del previsto. La prima impressione avuta su di lei non potrebbe essere più sbagliata. Comunque è evidente che Lisette non si fida a mettere nero su bianco i suoi pensieri. Dobbiamo attendere la sua prossima mossa; sono certa che sarà imminente.”

Per un caso curioso, in quel preciso istante, la mia fida Ninette venne a interromperci.

C’erano visite.

Un gentiluomo sconosciuto chiedeva di potermi incontrare, veniva da Chassillé.

Ci guardammo fra di noi, sorpresi più che mai.

“Fallo passare, Ninette.”

La cameriera si eclissò rapida oltre la porta.

Mi accomodai su una comoda poltrona di velluto blu, pronta a ricevere il mio ospite inaspettato; non avrei tradito la minima insicurezza, né apprensione alcuna.

Oscar era accanto a me e André al suo fianco.

L’uomo fece il suo ingresso nel salotto, si presentò come Mesieur Fossion e mi salutò con un profondo inchino togliendosi il tricorno nero che portava in capo. Lo invitai a parlare e spiegarmi il motivo della sua visita.

 

“Contessa di Recamier, mi presento al vostro cospetto in virtù di ambasciatore: devo sottoporvi una richiesta di madame Lisette De Marchard, che chiede di poter avere un incontro privato con voi. Il luogo, l’ora e il giorno dell’incontro sono lasciati completamente alla vostra discrezione. Madame De Marchard vorrebbe incontrarvi per parlarvi e sottoporre alla vostra attenzione una proposta risolutiva della contesa incresciosa che coinvolge il nome dei Recamier con quello dei Marchard. Lascio Parigi domani e se credete, porterò a madame Lisette un vostro messaggio in risposta.”

 

Riflettei per pochi istanti sul da farsi.

Scambiai una rapida occhiata con Oscar, lei si abbassò verso di me e mi bisbigliò qualcosa all’orecchio.

“Accetta l’incontro.”

Tornai a puntare la mia attenzione sull’uomo che rimaneva in attesa di una mia decisione.

“Acconsento alla richiesta di Madame Marchard; mi riservo solo qualche ora per decidere dove e quando avverrà l’incontro. Tornate stasera per i dettagli.”

“Ai vostri ordini, contessa.”

Mesieur Fossion si congedò, assicurandomi che sarebbe tornato in serata.

 

Tutta la faccenda stava prendendo una piega davvero imprevedibile. Non riuscivo assolutamente ad immaginare cosa stesse orchestrando Lisette. Doveva essere qualcosa di clamoroso e mi chiesi se Leopold fosse coinvolto, quando già lui aveva fatto pressioni su di me.

Insieme a Oscar, tentai di fare delle ipotesi.

Alcune realistiche, altre molto arbitrarie e inverosimili.

Quella che mise tutti d’accordo era la più scontata e pericolosa.

“Ecco la mossa di Lisette che dovevamo attenderci; in questo incontro segreto non vedo altro che una possibilità di ricatto.”

Fu la constatazione nervosa di Oscar, e André pareva essere d’accordo con lei.

“Incredibile! Come osa quella donna pensare di potermi ricattare! Che impudenza!”

Ero decisa a non lasciarmi impressionare.

Non mi sarei lasciata piegare da simili mezzi tanto meschini. Parlai esprimendo tutta la mia lucida indignazione e la mia voce risuonò alle mie stesse orecchie dura e fredda, velata di rabbia profonda.

“Ti giuro Oscar, se mio marito è coinvolto in questa storia squallida, me la pagherà a caro prezzo. Posso rovinarlo come e quando voglio. Andrò a quell’incontro senza timore di nulla, e quella donna si accorgerà che non subisco gli eventi, non sono manovrabile e sono una giocatrice consumata molto più di lei. Se vuole la guerra, la guerra avrà e ne uscirà sconfitta. Lisette De Marchard si pentirà di avermi lanciato questa sfida, parola di Danielle Di Recamier.”

La tensione mi fece rompere il ventaglio che stringevo convulsa tra le mani.

 

Ero pronta a lottare con qualsiasi mezzo e non avrei ceduto per nulla al mondo.

 

 

Continua…

 

 

NdA - con queste premesse, il prossimo capitolo con l’incontro – ma non solo - tra Danielle e Lisette è quasi completamente impostato nella mia testa, almeno nella struttura.

Quindi, forse riuscirò a d aggiornare un po’ prima del solito…

Intanto, quale pensate sarà la proposta scandalosa di Lisette?

Vi siete fatte qualche idea?

Un saluto e a presto.

 

 

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Capitolo 20
*** La proposta scandalosa di Lisette ***


20

20 – La proposta scandalosa di Lisette

 

 

 

Il luogo segreto dove sarebbe avvenuto l’incontro lo avevo concordato insieme a Oscar e André, dopo aver vagliato svariate soluzioni; la scelta iniziale cadde sulla cittadina di Chartres, 90 km a sud ovest di Parigi.

La cattedrale gotica di Chartres sembrava un luogo adatto allo scopo; era una delle più belle della Francia, con le sue guglie che svettavano verso il cielo come torri appuntite, il grande rosone della facciata e le profonde arcate con i bassorilievi ai portali.

Ma riflettendo, si valutò che era una costruzione monumentale troppo in vista.

Serviva un posto sicuro, facile da raggiungere, ma abbastanza isolato e assai poco frequentato: optammo per la modesta chiesetta di Sant Lorence che si trovava una ventina di chilometri, fuori le porte della città. [1]

Vicino alla chiesa c’era una radura ombrosa con degli alberi, larici e cipressi che crescevano lì attorno. Era un posto perfetto per incontrare qualcuno, senza essere notati.

Avevamo stabilito l’incontro per il sabato successivo, di pomeriggio verso le quattro. Doveva avvenire in segreto e senza testimoni. Comunicai ogni dettaglio a Monsieur Fossion, perché riferisse i termini dell’accordo alla sua padrona.

 

Per un attimo pensai di attuare un altro scambio di persona, e mandare Oscar al posto mio, per mettere alla prova Lisette, e vedere se davvero era in grado di distinguerci.

Ma sarebbe stato un espediente inutile e forse pericoloso, per tante ragioni diverse; la più inquietante di tutte era che Lisette, con l’arma presunta del ricatto, potesse raccontare alla mia gemella, qualcosa di sconveniente che riguardava André e me.

 

Posso accompagnarti, se vuoi, mi aveva detto Oscar con una strana insistenza.

Io rifiutai, assicurandola che l’avrei messa al corrente di ogni sillaba che fosse uscita dalla bocca bugiarda di quella infima intrigante.

 

Nell’ attesa affilai le armi e cercai di sconfiggere il senso di ansia che mi assaliva infingardo. Dovevo mostrami sicura, e questo voleva dire essere preparata a qualsiasi offensiva e attuare una efficace strategia difensiva.

Mi facevo mille domande su cosa quella donna volesse propormi: accettare l’adozione e magari concedere oltre al nome, una rendita vitalizia alla piccola bastarda, per tacere a Leopold del piccolo gioco imbastito da me e Oscar alla villa.

Ma riflettendo, quale danno poteva venirmene?

Non c’erano prove che confermassero il sospetto di Lisette.

Restava appunto, solo un sospetto non dimostrabile, e Leopold non avrebbe potuto nuocermi in alcun modo. L’avrei ridicolizzata senza pietà, se fosse uscita con un accusa del genere. Se di quello si trattava, l’avrei messa alla berlina con ostentata sicurezza.

 

Ma potevo anche essere completamente fuori strada.

 

C’era anche un altro elemento da considerare, un fattore che m’inquietava, ed era una posta in gioco molto alta che mi spaventava e mi seduceva allo stesso tempo.

 

La libertà.

Dio solo sa quanto l’abbia desiderata, sognata fino a stare male.

Fino a piangere lacrime salate per un miraggio evanescente.

 

Quella donna voleva offrirmi la libertà.

Sembrava una grazia inaspettata.

Ma libertà da cosa? Dal mio legame con Leopold che imbrigliava la mia vita?

Che ne sapeva Lisette di cosa volevo io, delle mie più inconfessabili aspirazioni di felicità? Quella donna non mi conosceva, né poteva sapere a cosa anelasse il mio cuore. Pensai al mio trasporto per André e all’ improvviso il mio respiro si bloccò ed ebbi paura.

Non poteva essere così chiaro.

Alla villa non potevo essermi tradita così tanto, al punto da rendere evidente il mio trasporto per il bel attendente di mia sorella.

Se il mio segreto non era più tale, per nessun motivo potevo coinvolgere Oscar come protagonista in quell’ incontro; solo io potevo affrontare Lisette faccia a faccia, senza farmi mettere con le spalle al muro.

 

 

Ero determinata ad affrontare la situazione con orgoglio, e se era necessario, opporre la giusta resistenza alle richieste di quella donna, ma due giorni prima dell’incontro, senza nessun preavviso, André venne a bussare alla mia porta.

 

Era solo.

 

Strano che si muovesse senza Oscar; all’inizio pensai che fosse venuto a Parigi su commissione di lei.

 

Ma sbagliavo.

 

Ci doveva essere un motivo serissimo se era venuto a cercarmi, e per un momento si rinnovò in me la speranza di essere ricambiata, ma André non mi concesse di cullarmi nella mia beata illusione troppo a lungo.

“Scusami Danielle se vengo qui a disturbarti; non vorrei metterti a disagio con la mia presenza inopportuna in casa tua, ma ho bisogno di parlarti di una cosa seria.”

Esordì, parandosi di fronte a me in tutta la sua statura.

“In effetti, potrei trovarmi in serio imbarazzo se si venisse a sapere. – Riflettei qualche istante. - Ma no, in fondo, tutti sanno che sei l’attendente di madamigella Oscar. Tutt’ al più, è mia sorella che ti manda da me.”

Allora lo vidi esitare.

“Beh, a dire il vero, Oscar non sa che sono qui.”

Sgranai gli occhi. Poi, sorrisi compiaciuta.

“Oh, questo è davvero sorprendente. Che tu faccia qualcosa senza coinvolgerla, intendo. Come farai a giustificarti con lei?”

“Non è necessario che lo sappia, Danielle.”

“Questo è molto intrigante… oltre che eccitante, André. Che tu sia qui, come me, all’insaputa di lei. Sai, è davvero incredibile da parte tua. -  Mi ero alzata dal divano con un certo slancio e mi ero avvicinata a lui, puntando i miei occhi nei suoi. -  Come devo interpretarlo? È una tua resa? Posso sperare che tu sia venuto qui per…”

André reclinò la testa di lato e sorrise un po’ amaramente, bloccando le mie parole sul nascere con un semplice gesto della mano.

“Frena, Danielle. Stai correndo nella direzione sbagliata. Sono qui solo per parlare di quello che è accaduto alla villa. Dello scambio di persona, e…”

“Ho già affrontato questa questione, anche con Oscar…”

“Beh, intendevo quello che può essere accaduto la notte che sei venuta nella mia stanza, te lo ricordi?”

“Certo che me lo ricordo! – Esclamai con un filo di amarezza. – Anche troppo bene. L’umiliazione di essere stata respinta non si dimentica facilmente.” Replicai un po’ stizzita.

“Non parlavo precisamente di quello. Stavo pensando che Lisette potrebbe avere scoperto qualcosa di quello che è accaduto tra noi. Forse quella notte, qualcuno ti ha vista entrare nella mia stanza, o uscirne. Ci hai pensato?”

In verità, no, ma lo feci in quel momento.

“Non avrebbe visto me, ma avrebbe visto Oscar, e ho il sospetto che sia proprio questo a preoccuparti… Comunque, sono stata accorta: non mi sono fatta notare da nessuno. La casa era avvolta dall’oscurità e tutti dormivano quando mi sono mossa per venire da te. - Restai in silenzio e André sostenne il mio sguardo per qualche istante. - Oscar non sa nulla del nostro incontro di quella notte, vero? E tu non vuoi che lo sappia… per questo sei venuto qui.”

“Tu lo vorresti, Danielle? Sei pronta a confessare quello che volevi fare? Credi che lei capirebbe?”

André aveva parlato con tono fermo, ma non mi sfuggì il suo sguardo vagamente perplesso, e direi anche un poco allarmato.

Io tornai a sedermi sul divano, ma mi sentii punta sul vivo.

“No… no. – Bisbigliai spaventata, prima di proseguire. - O forse, quella stessa notte, ha visto te mentre raggiungevi Oscar nella mia stanza… nel mio letto… - Terminai la frase in un sussurro, riflettendo tra me e me. - Lisette avrà creduto che fossi io…” e mi rivolsi di nuovo a lui con convinzione.

“Lisette potrebbe credere che io e te siamo amanti, André. Peccato che la realtà sia un’ altra. Ironico che io rischi di essere ricattata per un presunto amante che vorrei e non posso avere, non trovi?”

A quel punto, mi rispose quasi con cattiveria, e la voce venata di evidente risentimento.

“Vuoi solo un amante che scaldi le tue notti, Danielle? Lo puoi trovare quando vuoi, c’è una fila di gentiluomini disponibili fuori da questo palazzo. Non hai bisogno di me, per questo.”

Il tono acido riuscì a ferirmi, pur comprendendo che il suo era lo sfogo di un malessere.

“Oh, sei ingiusto, sai benissimo che non sarebbe così; perché non puoi accettare il mio amore, André? È sincero, appassionato e non chiede nulla in cambio. Non sono degna di amare un uomo senza titolo solo perché è al soldo dell’integerrimo e severissimo Colonnello Oscar?”

La mia voce era uscita incrinata. André, che fino a quel momento era rimasto in piedi, si mosse lentamente per venire a sedersi accanto a me. Avevo abbassato il viso per nascondere la mia afflizione, ma dolcemente mi sollevò il mento e puntò i suoi magnifici occhi verdi nei miei. Mi parvero infinitamente tristi.

“Non posso, Danielle. Non adesso… è impossibile. Non sarebbe altro che un inganno crudele.” disse con inaspettata dolcezza.

“Se non ora, quando André? Quando sarà troppo tardi e il cuore sarà troppo stanco, offeso dall’indifferenza? L’unica cosa crudele è questa sofferenza che mi divora il cuore, e tu non vuoi far nulla per placarla.”

Afferrai la sua mano e la trattenni tra le mie, alla ricerca di un po’ di calore.

“Le cose tra me e Oscar sono cambiate, Danielle… in un modo che non mi aspettavo neanche io.”

“Questo lo sa già. Sono stata io a...”

“No, non lo sai.” Obbiettò deciso.

Sospirai affranta e un po’ disorientata.

“Sei cambiato da quando siete tornati da Chassillè, l’ ho notato appena ti ho visto. E anche Oscar è strana: ti guarda come se fossi il più oscuro dei suoi desideri, ma tenta di resisterti. Sembra più combattuta del solito. Laggiù è successo qualcosa tra voi, ma non riesco a capire come si è evoluto il vostro rapporto. Forse Oscar ha capito cosa sei per lei, ma crede ancora che tu sia innamorato di me. È questo?”

André scosse la testa sconsolato, prima di esternare il suo disagio attraverso una confessione clamorosa e inaspettata, oltre che per me, assai dolorosa.

“No, Oscar sa tutto. Dopo la tua ultima visita a Palazzo Jarjayes, abbiamo avuto una accesa discussione e le ho detto che sapevo del vostro scambio di persona…”

Mi sentii ridicola; quindi tutte le mie cautele per non tradire il segreto di André erano state superflue. Ma lei non mi aveva detto niente.

A quel punto mi chiedevo se si fidasse ancora di me.

Forse non si fidava più nemmeno di André.

“Ma non è tutto, – continuò. - Le ho confessato ogni cosa di quella strana alba nella tua stanza, dopo il ballo con Fersen, quando ho tentato di sedurla, ben sapendo che era lei. Ma solo dopo siamo diventati amanti. L’ho avuta Danielle, e non solo una volta. Quasi non ci credevo. Dovrei essere felice per questo… ma sento che non è abbastanza. Manca qualcosa. Sento che Oscar continua a sfuggirmi, anche se adesso sa che sono innamorato di lei…”

E tu vieni a dirmi questo, ben sapendo quello che provo, pensai amaramente. Fu come se mi avesse sentito.

“Danielle, mi dispiace, ma è giusto che io sia onesto con te…”

La voce di André rivelava una nota triste. La potevo sentire scivolarmi sul cuore straziato. Erano amanti, ora ne ero certa, e questo metteva un abisso tra me e lui. Una voragine che rischiava di diventare incolmabile. Il colpo mortale di una scure aveva tagliato quel filo fragile che poteva legare i nostri cuori; lo sentivo che mi sfuggiva dalle mani e tentai disperatamente di riafferrarlo. Di salvarlo dal vuoto in cui rischiava di cadere.

Volevo André con tutte le mie forze, forse più di prima, e divenni spietata e quasi dura. Se Oscar non voleva concedere la sua anima, se non voleva arrendersi ai sentimenti, io anelavo a farlo completamente.

“Ti ha detto che ti ama, André? Te l’ha detto? No, vero? E non te lo dirà. – Incrociai di nuovo i suoi occhi e vi trovai la mia stessa angoscia, la paura di non essere amato. – Lei semplicemente non vuole dividerti con nessuno, specie con me. Sta solo cercando di stringere di più la catena che vi lega.”

Poi la mia voce si addolcì.

“Ma io te lo dico, André. Io ti amo! E non avrei nessuna paura a dimostrartelo. Sono pronta a gridarlo, ad affrontare tutti i ricatti delle Lisette di questo mondo. Solo per amor tuo, André. Sì, io lo farei e non avrei rimpianti o esitazioni.”

Sopraffatto dalle mie parole, sì alzò per allontanarsi; io lo inseguii bloccandolo, e allacciai le mie braccia alla sua schiena, appoggiando la mia guancia bagnata da una lacrima, al panno morbido della sua giacca marrone.

“Non andare via, ti prego. Ascoltami ancora un momento. Cerca di capire quello che provo. È questo che vuoi sentire, vero André? Lo senti come batte il mio cuore per te? Puoi dire che il suo palpiti allo stesso modo? Con la stessa intensità del mio?”

Si girò lentamente sciogliendo le mie mani che lo trattenevano e mi tenne stretta a lui, mi asciugò una lacrima che sporcava la mia guancia con una lieve carezza.

“Danielle, mi fai star male, se fai così. Non sarei dovuto venire, scusami. Lo so che mi ami… lo so. Ti sto facendo soffrire, e ti giuro che non voglio.”

Alzai il mio sguardo a incontrare il suo, che in quel momento era carico di dolcezza e comprensione.

 

Come faccio a dimenticarti, se mi guardi così, mi chiedevo. Perché devi essere così dolce, perché devi amarla così tanto da non riuscire a lasciarla, nonostante ti faccia soffrire?

 

“No, André… se tu non venissi più a cercarmi, sarei io a venire da te, e non mi importerebbe nulla di tutte le sfuriate che potrebbe fare Oscar. – Mi aggrappai a lui, circondandolo in un abbraccio tenero e appassionato. – Baciami André, ti prego.”

“Danielle, non possiamo… io non posso.”

“Sei cattivo, André. Vuoi negarmi un semplice bacio?”

“Ho giurato di appartenerle…”

“Non ti chiedo di rompere il tuo giuramento, ma tu hai preso il mio cuore. Non calpestarlo, André… permettimi di amarti. Sarà la mia consolazione più grande. Non ti chiedo altro. Non sei obbligato ad amarmi, se non vuoi. Avrai da me, quello che lei non riesce a darti…”

“Oh, Danielle! - Quasi gridò. - Non puoi essere disposta a tanto. È pura follia.”

“L’amore può essere follia, André. Non dirmi che non lo sai…”

E finalmente mi avvolse tra le sue braccia forti e sicure, in un abbraccio convulso che aveva una sfumatura di disperazione.

E quando mi baciò con tutto il trasporto che aveva in corpo, forse fu davvero solo per consolarmi di ciò che non mi poteva dare. E fu generoso, perché in quel bacio mise tutta la passione che lo divorava, tutto il sentimento che traboccava dal suo essere. E sentii sotto le mie labbra schiuse per lui, tutta la sua fame d’amore; era profonda e ne riconoscevo il gusto salato, perché era anche la mia. Una fame inestinguibile che si rinnovava senza placarsi, che per qualche ragione oscura, Oscar lasciava insoddisfatta. Mi baciò con la tenerezza di un amante appassionato, mi baciò come se dovessimo morire in quell’istante.

Poi mi lasciò andare dolcemente e accostò la sua guancia alla mia e io mi sentii come una piccola barca in balia del leggero infrangersi delle onde del cuore.

“Cara Danielle, quanto sarebbe più facile amare te. Perché scegliamo sempre le cose più difficili? O forse, non siamo noi a scegliere…”

“Come hai ragione.” Constatai con amarezza.

Lo sentii allontanarsi dal mio corpo, le sue mani scivolarono lungo le mie braccia e mi sembrò che il distacco fosse penoso anche per lui.

Forse, iniziava ad arrendersi e smettere di opporre resistenza all’amore che gli offrivo su un piatto d’argento; sentivo che per quanto lo negasse, aveva bisogno di un luogo di pace e tranquillità per far riposare il suo cuore livido.

“Ora devo andare, Danielle. – Attraversò la stanza, ma prima di raggiungere la porta si voltò. - Ti prego, se mi vuoi bene, fai in modo che Oscar non debba mai scoprire cosa è accaduto alla villa; lei crederebbe soltanto che l’abbiamo ingannata. Tu perderesti una sorella, io la donna che nonostante tutto, continuo ad amare disperatamente.”

Prima che varcasse la soglia lo fermai.

“André, l’istinto mi dice che non posso arrendermi con te. Non ancora. L’ho capito da come mi hai baciata poco fa; non hai cancellato del tutto le mie speranze di averti, e lo sai anche tu. Stai cercando di fare l’equilibrista con i tuoi sentimenti, e so quanto può essere difficile, ma rischi di cadere ogni momento… lo sai, vero?”

Mi fissò serio per qualche istante.

“Sì, Danielle. Ma non posso tornare indietro. Se cadrò, cercherò per quanto posso di non farmi male e di non farne ad altri…”

E sparì dietro la porta chiusa alle sue spalle, lasciandomi sola con le mie ostinate speranze di un amore finalmente corrisposto.

 

 

 

*********

 

 

Chiusi le tendine mentre la carrozza attraversava la città, le riaprii quando fummo oltre i confini di Parigi.

Oscar e André mi avevano preceduto a cavallo, solo per assicurarsi che lungo il percorso non ci fossero pericoli. Sarebbero rimasti nei paraggi, senza interferire. Ci voleva un’ ora abbondante per raggiungere Sant Lorence; a cavallo lanciato al galoppo, i tempi si accorciavano molto.

Vista la distanza maggiore da Chassille, immaginavo che Lisette fosse già sul posto ad attenderci. Avrei potuto scegliere un luogo molto più vicino a Parigi, come il piccolo paese di Melun oppure Fountainebleau, e lasciare tutto il disagio del viaggio alla mia rivale, ma pensai che fosse meglio essere a distanza di sicurezza dalla capitale, ed evitare incontri imprevisti o spiacevoli.

Quando fummo in prossimità della piccola chiesa, Oscar e André perlustrarono la zona nelle immediate vicinanze, per assicurarsi che tutto fosse tranquillo.

Al mio arrivo, una carrozza anonima e scura era ferma in prossimità della radura; scostai la tendina del mio finestrino e vidi madame Lisette scendere dal mezzo per attendere in piedi davanti ad esso.

La piccola chiesetta sorgeva pochi metri più in là, semplice e spoglia, col piccolo campanile e il cimitero sul retro.

Scesi dalla vettura e andai incontro a Lisette che immobile, mi aspettava puntando i suoi occhi scuri nei miei. Pareva assolutamente calma.

Non era molto diversa da come la ricordavo; osservandola, scorsi in lei una determinazione sconosciuta.

Per un attimo la vidi volgere lo sguardo in direzione di Oscar e André, distanti a cavallo diversi metri da noi, poi tornò a fissarmi con serenità.

Neppure lei era sola: monsieur Fossion era fermo al lato opposto della radura.

“Ben arrivata, contessa. Spero che il vostro viaggio sia stato piacevole.”

Mi accolse con un sorriso spontaneo e sincero, che non mi tranquillizzò affatto, e io non volli mostrarmi amichevole.

“Il mio sì, non so se il vostro lo è stato altrettanto. Vorrei evitare i convenevoli e andare subito alla questione che ci riguarda, madame.”

“Ma certo. Intanto, vi propongo una passeggiata; più avanti potremo sederci sotto gli alberi e parlare con più calma. Nessuno ci disturberà, né il mio valletto, né madamigella Oscar e il suo attendente.”

Mi rassegnai a seguirla, ma dopo pochi metri la investii con durezza.

“Se state pensando di ricattarmi in qualche modo, sappiate che non cederò mai e non acconsentirò a nessuna vostra richiesta.”

“Ricattarvi? – Con sorpresa, la sentii emettere una leggera risata. - Perché pensate che voglia ricattarvi? Che motivo avrei, per farlo? No, tutt’altro, contessa. Io voglio farvi una proposta che possa essere vantaggiosa anche per voi. In cambio, vi chiedo solo di non ostacolare il riconoscimento di mia nipote.”

“Sarebbe uno scandalo, e non c’è nulla di vantaggioso in questo; siete pazza se pensate che possa tollerarlo. Ho una posizione e un nome da difendere. Mi dispiace per vostra nipote, ma non voglio che una discendenza illegittima sia imparentata coi miei figli.”

“Ma io posso offrirvi un modo sicuro di evitare lo scandalo, contessa di Recamier.” Mi rispose seria.

Dovevo ammettere che a quel punto, nonostante un vago sospetto che non mi abbandonava, ero davvero curiosa. Continuammo a camminare lungo il margine della radura e puntammo verso una panca in pietra posta tra due alberi più avanti.

“D’accordo, allora. Di cosa si tratta veramente?” chiesi con decisione.

“Prima debbo domandarvi qualcosa che richiederà da parte vostra la massima sincerità, e la mia proposta dipenderà molto dalla risposta che mi darete.”

“Parlate, dunque.” Le dissi, accomodandomi sulla panca, di fronte a lei

“Conoscete da sempre le infedeltà di vostro marito, vero? Come lui pretende di conoscere le vostre…”

Inarcai le sopracciglia, senza degnarmi di rispondere, mentre Lisette continuava a parlare, sedendosi accanto a me.

“Avete mai pensato seriamente alla possibilità di chiedere il divorzio?” [2]

Mi domandò candidamente, e io restai esterefatta.

“Divorzio? Ma certo, adesso capisco il vostro gioco.” Dissi senza riuscire e reprimere un sorriso ironico, ma Lisette smentì subito quello che presunse essere il mio pensiero.

“Vi assicuro che sposare vostro marito, è l’ultimo dei miei desideri, nonostante il bene che gli voglio; sono già stata sposata una volta e non ho tanta fretta di farlo di nuovo. Mi preme molto di più il nome di mia nipote.”

“Che cosa c’entra questo con la possibilità assurda che io possa divorziare da Leopold? Ho sempre gestito le sue infedeltà senza drammi e posso continuare a farlo. Non ho bisogno di divorziare.”

Lisette mi oppose un breve silenzio, ma quando parlò la sua voce insinuò in me il dubbio.

“Siete sicura, contessa? - mi chiese, e avvertii una strana aspettativa. – Non vorreste poter gestire con più libertà la vostra vita? Senza il legame con vostro marito, sareste libera di amare chi volete, senza timore di scandali.”

Dopo quell’ultima frase, mi rivolse un sorriso complice. Mi sentivo inquieta. Sollevai lo sguardo oltre la sua spalla puntandolo sul profilo della chiesetta poco distante; da lontano, Oscar e André ci stavano osservando.

 

 

******

 

 

 

Oscar osservava Lisette e sua sorella con espressione pensierosa. Scrutava le due donne a distanza e cercava di indovinare le reazioni, di cogliere perplessità, strani movimenti dei corpi, gesti convulsi delle mani.

Quelle di Danielle ogni tanto sparivano sotto il mantello profilato di pelliccia.

Oscar si sentiva rodere dall’ansia; stringeva le redini di Caesar in maniera convulsa, segno inconfondibile che era sotto pressione e immaginava che André di fianco a lei, potesse percepirlo.

Avrebbe voluto chiedergli cosa stesse pensando, ma non osava interrogarlo.

Il suo cavallo ogni tanto scuoteva la testa e nitriva, sensibile alla tensione nervosa che gli trasmetteva il suo cavaliere.

André, senza farsi notare, le lanciava delle occhiate fuggevoli, ma anche lui aveva qualche buon motivo per essere preoccupato. Neppure lui sapeva cosa aspettarsi dall’amante del conte, ma temeva l’eventualità pericolosa di essere coinvolto in una diatriba che vedesse opposte e nemiche le due gemelle.

Lisette e Danielle erano sedute sotto un gruppo di alberi; da quella distanza non era possibile udire cosa stessero dicendo, ma dopo alcuni minuti, Oscar vide la gemella scattare in piedi con un movimento brusco.

La contessa di Recamier restò immobile, tesa come un giunco di fronte a Madame Marchard che viceversa, non mostrava l’ombra del più piccolo turbamento.

 

 

**********

 

 

 

 

“Non capisco cosa state insinuando…” chiesi, rivelando nel tono di voce un velato disprezzo.

Lisette non si lasciò impressionare, ma continuò a parlare con un atteggiamento complice.

“Ve lo spiego subito, contessa. Forse lo sapete già, magari neppure vi interessa, ma vostro marito è convinto che esista una relazione adultera tra voi e il conte di Fersen… io invece, credo che non sia lui, l’uomo che vi interessa veramente.”

Mio malgrado, la mia espressione doveva tradire come mi sentivo, benché tentassi di apparire imperturbabile, mentre continuavo ad ascoltarla.

“Durante il soggiorno alla villa, ho notato un curioso atteggiamento da parte vostra. In particolare, ricordo uno strano pomeriggio in giardino; io e vostro marito stavamo passeggiando nel parco, insieme a noi c’erano Oscar e il conte di Fersen. Dopo qualche minuto, notai la vostra assenza e mi parve curioso che la padrona di casa non fosse lì, con i suoi ospiti. Distrattamente, alzai lo sguardo al balcone della villa e fu allora, che vi notai. Non eravate sola, ma in compagnia dell’attendente di vostra sorella, un borghese dall’aspetto molto affascinante. Per quanto ho potuto capire da quel poco che ho visto, avevate una strana intesa, oserei dire molto intima con quel giovane… come si chiama? Ah, sì, André. Ma di più, mi colpì molto lo strano atteggiamento di vostra sorella; il conte le parlava, ma lei pareva non ascoltarlo, mentre la sua attenzione, come la mia, era attratta da quello che accadeva sul balcone, tra voi e il suo servo. Madamigella sembrava sulle spine, come se le desse fastidio che voi foste sola col suo attendente. Così, lentamente sono arrivata alle mie conclusioni; sapete cosa si dice dei gemelli, contessa? Che tendono a innamorarsi della stessa persona.”

“Che mezzucci spregevoli che state usando…” sibilai, trattenendo a stento la rabbia che mi faceva tremare i polsi per l’indignazione, ma Lisette obiettò con decisione alla mia accusa.

“No, contessa. Non dovete travisare le mie parole. Non voglio giudicarvi, né mi interessa se siete innamorata di un uomo… diciamo, inferiore al vostro ceto sociale; vorrei farvi riflettere sulla possibilità di stare accanto alla persona che amate, chiunque esso sia. Per questo vi occorre la libertà… libertà da un vincolo nuziale che può crearvi dei problemi. Potreste obbligare Leopold a concedervi il divorzio, senza scandali e conflitti, mantenendo tutti i vostri privilegi e diritti; potreste arrivare a un comune accordo. Voi in cambio, potreste concedere il nome dei Recamier alla figlia illegittima di vostro marito, vincolandolo al segreto sulla sua nascita. Voi non sareste mai bollata come una moglie ripudiata e lo scandalo non vi toccherebbe in nessun modo. Non vi pare una proposta ragionevole da cui avreste molto da guadagnare?”

 

Rimasi in silenzio, lasciandomi sfuggire un breve sospiro, prima di serrare le mie labbra. Sentivo il vento che mi solleticava le guance, e sibilava leggero tra le foglie verdi degli alberi attorno a noi.

Qualcosa dentro il mio cuore si stava allargando, doveva essere la speranza; volsi lo sguardo verso il punto in cui mia sorella e André erano fermi ad attenderci, e improvvisamente mi parve di sentirmi leggera.

 

Libera.

 

Libera di correre verso la felicità anelata.

Libera da un matrimonio imposto, che da molto tempo mi andava stretto.

Libera di lottare per il cuore dell’uomo che desideravo con una forza immensa. Libera di raggiungere André.

Oscar era il mio unico ostacolo, ma potevo accettare la sfida su un piano di parità. Potevo essere onesta con lei e dirle la verità.

Potevo dirle che amavo André più di quanto non lo amasse lei.

Con tutti i rischi del caso, perché per amore si è disposti a qualsiasi sacrificio.

Sì, sembrava davvero una proposta vantaggiosa, una tentazione troppo forte, a cui mi era impossibile resistere, che mai mi sarei aspettata di ricevere in maniera tanto insolita. In verità, era così semplice, che mi pareva strano non averci pensato io per prima.

 

 

 

 

Continua…

 

 

 

 

 

 

 



[1] Mi serviva un luogo fuori Parigi, e sulla cartina ho trovato Chartres, località a sud ovest della capitale. La cattedrale esiste davvero, e vista in foto, più o meno corrisponde alla descrizione, 90 km però mi sembravano troppi, così ho immaginato un luogo a metà strada. Non so se esiste una chiesa fuori Chartres, quella di Sant Lorence di cui parlo all’inizio del capitolo è pura invenzione letteraria.

[2] In realtà, il divorzio fu introdotto a tutti gli effetti nel 1792 dalla Francia rivoluzionaria. Non era una consuetudine comune, ed era considerata una vergogna per la famiglia, però pare che le domande di divorzio venivano presentate più dalle donne che dagli uomini. Ho letto che gli stessi genitori di Oscar (quelli veri) hanno divorziato di comune accordo, per poi risposarsi.

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Capitolo 21
*** Quanto costa la libertà? ***


Occhi di farfalla

21 – Quanto costa la libertà?

 

 

 

Scusatemi l’enorme ritardo, ma ecco il capitolo.

Spero vi piaccia. Forse vi sorprenderà un po’… o forse no.

Critiche e commenti, perplessità legittime, saranno sempre bene accetti.

Buona lettura.

***********

 

 

Sull’onda dell’entusiasmo iniziale, le parole di Lisette mi avevano abbagliato, quasi accecando la mia ragione. La prospettiva del divorzio da mio marito, mai mi era sembrata così vicina.

Non l’avevo mai valutata, né presa in considerazione sul serio ed ero sempre stata convinta che fosse remota e inattuabile, e ora Lisette mi prospettava la libertà senza lo scandalo, al prezzo di un semplice compromesso con Leopold.

 

Sembrava così facile.

Ma non lo era.

Nulla è mai facile, in verità.

 

Nessuna nostra scelta fatta con responsabilità e consapevolezza lo è davvero. E ogni idea, ogni desiderio, ogni immagine frutto della nostra mente si sviluppa nel travaglio interiore, nel conflitto tra quello che vuoi, puoi avere e ciò che devi perdere.

A mente fredda, potevo vedere e valutare la proposta per quello che era. Lo scandalo sarebbe stato il prezzo da pagare per avere la libertà. Neppure un divorzio segreto poteva essere nascosto a lungo, e presto o tardi, la verità con le sue conseguenze mi avrebbe investita e danneggiata.

Ma di fronte a quel miraggio il mio cuore tremava, e forse, Lisette contava proprio su questo. Con quanta facilità aveva compreso il disagio della mia condizione di moglie infelice, sfociata nella passione proibita e ribelle per André.

È sempre un errore sottovalutare l’ intuito femminile, anche quello di una donna come Lisette, dall’apparenza innocua e anonima.

Le era bastato vederci parlare per caso sul balcone di casa mia. Con astuzia insospettabile, aveva colto la tensione fra me e Oscar e l’aveva attribuita al comune sentimento che ci legava a lui.

Dunque, poteva essere così palese a chiunque, tranne che a noi?

Solo pensarlo era pericoloso.

Una brezza leggera accarezzava i fili d’erba della radura, e faceva vibrare le foglie degli alberi. Lisette era ancora seduta di fronte a me e mi osservava nell’attesa di una mia reazione. Non so se fu esattamente quella che lei si aspettava.

 

“Voi mi prospettate qualcosa che è solo apparentemente semplice. Un divorzio privo di scandalo non esiste; non è una prassi comune, sono certa che lo sapete benissimo; anche fatto in comune accordo, è sempre un problema spinoso. Nella mia posizione ne sarei danneggiata, molto più di Leopold. Anche volendo mantenere il segreto, non resterebbe tale a lungo. Quindi, per quanto io possa desiderare la libertà da un vincolo nuziale che mi soffoca, è una prospettiva davvero poco concreta e attuabile.”

“Allora, forse mi sono sbagliata, e voi non siete abbastanza innamorata per rischiare; pensavo foste diversa, pronta a mutare radicalmente la vostra vita, ma forse non volete altro che un amante occasionale giovane e compiacente che scaldi il vostro letto…”

“Siete impudente! Voi peccate di presunzione, madame! Che ne sapete? Pretendete di conoscere i moti del mio cuore, ma non sapete nulla di ciò che voglio io…” sibilai, assottigliando lo sguardo.

“No, sbagliate. La mia non è presunzione, ma esperienza, vita vissuta; voi siete una donna che desidera l’amore, la passione che travolge. E volete disperatamente essere travolta, sentirvi viva. Il giovane attendente, figlio del popolo vi fa sentire così. Questo significa conflitto aperto con vostra sorella, anche se la cosa vi spaventa e vi inorridisce. Dovete riflettere sulla mia proposta. Forse vi serve tempo per capire…”

A quel punto, Lisette si alzò dalla panca per allontanarsi verso la sua carrozza ferma all’estremità opposta della radura. Fece qualche passo lungo il sentiero da cui eravamo venute, poi la fermai.

“Credete che basti la vostra buona oratoria per convincermi, madame?” non mi mossi, mentre lei si voltava a guardarmi.

“Basta un sasso lanciato in uno stagno a creare cerchi concentrici; non intendo forzarvi, l’ultima parola spetta a voi. Non ho altro da dirvi, contessa.”

Quindi mi salutò con un lieve cenno del capo, prima di andarsene.

 

 

Così si concluse quell’incontro.

All’apparenza fu inconcludente, ma rappresentò solo l’inizio di qualcosa di più grande.

Lungo il tragitto che mi riportò a Parigi, non scambiai una parola con nessuno. Incrociai una rapida occhiata con Oscar prima della partenza e lessi perplessità e nervosismo nel suo sguardo celeste, troppo uguale al mio. Ero certa che fosse ansiosa di sapere e sospettavo che il suo sesto senso la stesse mettendo in guardia. Le avevo detto che l’avrei messa al corrente di tutto, ma non ero più sicura di volerlo fare, né se in quel momento fosse lecito farlo.

Andrè faceva finta di nulla, ma i suoi occhi foschi e mutevoli tradivano lo stato d’animo che sicuramente provava. Anche lui aveva le sue paure e i suoi segreti da nascondere.

 

Nei giorni seguenti, pensai e ripensai mille volte alla proposta audace di Lisette.

All’inizio, erano pensieri sconnessi, ma diventavano via via sempre più chiari e lucidi. Pensai a tutto quello che sarebbe potuto accadere in futuro nelle nostre vite, se avessi divorziato da mio marito; naturalmente mi aspettavo le opposizioni di Leopold, sempre preoccupato per la forma, ma ero sicura che quella donna lo avesse istruito a dovere.

Immaginavo le critiche, i commenti velenosi in società, le insinuazioni volgari, le accuse più o meno esplicite.

Mi chiedevo se sarei stata capace di assorbire il colpo e opporre il mio orgoglio di donna libera alle loro lingue velenose.

Tutte le possibilità buone e cattive, sfilavano in una lunga teoria di immagini colorate come se potessi vederle e toccarle con mano.

Era la mia vita che avrei voluto cambiare.

Erano vecchie speranze che si ridestavano da un lungo letargo, fatto di ipocrisia e apparenza.

Non mi illudevo. Sapevo esattamente cosa avrei trovato.

La fatica, le difficoltà.

Il rischio terribile di perdere i miei figli, di vedermeli sottratti, di farli soffrire a causa della mia folle, egoistica idea di libertà.

Erano troppo piccoli per comprendere l’infelicità della loro madre, soprattutto Bastien. Mi aspettavo il dolore, la rabbia e l’incomprensione.

Forse l’odio.

Il risentimento più feroce e acceso.

E il conflitto più penoso con Oscar.

Sarei corsa tra le braccia di André e le avrei trovate chiuse per me. E avrei lottato strenuamente per superare le sue difese e fare breccia nel suo cuore. Mi sarei messa tra lui e Oscar, sarei arrivata allo scontro e sarebbe stato duro e impietoso. Non avrei avuto alcuna remora.

La tensione sarebbe esplosa, rompendo gli argini.

Tra la paura e l’incertezza che mi assaliva, all’improvviso capii che era lì che dovevamo arrivare. Per trovare ciò che volevo, dovevo perdere qualcosa.

Era inevitabile.

Non c’era mai stata un’altra via, e tutto, ogni trucco, gioco, decisione consapevole o meno, ci aveva portato a questo punto della storia.

Chissà se avevo mai avuto scelta.

Avevamo tergiversato, nascondendo ciò che volevamo entrambe, io mascherandomi dietro il mio fasullo matrimonio di facciata, e Oscar dietro i suoi doveri di soldato, il presunto sentimento per Fersen che non era mai esistito, dietro la sua amicizia con André, che ormai era diventata altro, forse era sempre stata altro, anche se lei ancora non lo ammetteva.

 

Non potevo più perdere tempo.

Non potevo più fingere né mentire, e neppure mia sorella.

Oscar doveva capire, accettare la verità. E affrontarla.

Quella che io non potevo più ignorare, negata fino a quel momento, taciuta per qualche inutile scrupolo morale. Quella che spaventava – e non solo me - per le sue implicazioni era una sola e semplice: io e Oscar eravamo innamorate dello stesso uomo.

Era un sentimento diverso per entrambe, ma certamente potente.

E assoluto.

 

Comprenderlo fu una sorta di illuminazione.

 

Accogliere la verità è un pensiero liberatorio che attraversa la mente, apre il cuore, riporta aria nei polmoni  e fa respirare.

Avevo questa sensazione, mentre una sera uguale a tante, la mia carrozza correva sulla strada polverosa verso Versailles, per presenziare com’era d’obbligo all’ennesimo sfarzoso e superfluo, asfissiante ballo a corte.

Attraverso i pensieri sempre più coerenti iniziavo a lasciare andare la paura.

Quando dopo soltanto un’ ora, tanto era durata la mia resistenza al cerimoniale ossequioso delle riverenze, la carrozza varcò le porte della città, la paura se n’era andata del tutto; mi ero sbarazzata di ogni cosa, etichetta o costrizione, e ormai mi era chiaro cosa avrei dovuto fare.

Le conseguenze delle mie azioni future non mi spaventavano più.

Neppure riuscivo ancora a prevederne la portata.

 

 

*********

 

 

Alla flebile luce del primo mattino che filtrava tra le imposte ancora chiuse, Andrè si era svegliato nel suo letto e non l’aveva più trovata accanto a sé. Allargò le braccia ad accarezzare le lenzuola vuote, stropicciate e pregne del suo profumo di donna; conservavano ancora il suo calore e un lungo capello biondo abbandonato sul cuscino testimoniava che niente di quello che era accaduto quella notte era stato un sogno: la lotta sensuale, seducente e quasi furiosa di due corpi che si fondono in un amplesso.

 

L’ inquietudine lo aveva tenuto sveglio, una cosa che ormai succedeva anche troppo spesso: i sensi all’erta, nel buio e nel silenzio che pareva surreale, aveva udito un rumore debole, come il tocco leggero di una carezza sul legno della porta. 

Un po’ distratto, era sceso dal letto a piedi nudi.

Ricordava la sensazione dell’aria fredda contro il torace nudo.

A tentoni nell’oscurità, aveva afferrato la maniglia e aveva spalancato l’uscio, e neppure lui sapeva bene con quali intenzioni; magari infilarsi di soppiatto in cucina, e lì, prendersi una solenne sbronza che lo avrebbe fatto addormentare sul pavimento come un sacco di patate.

Così, in piena notte, alla luce delle candele sul corridoio se l’era ritrovata davanti; non aveva avuto il tempo di sorprendersi, protestare, ragionare e sottrarsi all’ assalto, che lei gli era saltata addosso con furia quasi selvaggia, senza neppure proferir parola.

Rammentava una visione fugace della sua camicia semiaperta che lasciava indovinare le forme dolci e delicate dei suoi seni. Si era aggrappata a lui come un serpente mentre le sue labbra bollenti lo inseguivano e lo catturavano.

Quelle labbra che ormai lui conosceva così bene. Aveva il gusto e la consistenza nella bocca, la freschezza e il profumo sul palato e nella memoria.

Era impazzita a contatto con la sua pelle e lui aveva sentito le sue mani armeggiare con la cinta dei pantaloni. Al buio, di colpo era impazzito anche lui.

Come tutte le altre volte.

Non tentava neppure di resisterle, era una lotta persa in partenza.

André aveva sentito le sue unghie nella carne, mentre lo baciava, affamata di vita, divorata dal desiderio che si scioglieva in umori umidi e dolci tra le sue dita.

Sapeva cosa voleva. Lo sapeva ogni volta.

L’ aveva afferrata e sollevata per le cosce fresche e lisce, e l’aveva schiacciata contro la parete con le gambe di Oscar artigliate attorno ai suoi lombi.

Era leggera, dolce e morbida.

Ed era terribilmente donna, preda del suo delirio che lo travolgeva come un’ onda impetuosa. Per un attimo gli era sembrata diversa.

La passione la rendeva languida in un modo struggente e insolito.

Erano finiti sul pavimento, la camicia di Oscar sfilata in fretta dalla testa, nuda e vogliosa sotto di lui, che non conteneva più la sua eccitazione, né tentava di trattenersi. Era entrato in lei quasi con urgenza, e Oscar lo aveva accolto inarcandosi contro il suo corpo, come il mare che si apre al vento che lo investe. Nell’amplesso, aveva immaginato gli occhi chiusi, le labbra schiuse in un sospiro silenzioso, lo sguardo appagato, la curva del collo esposto all’aria e ai suoi baci avidi. La prima volta erano stati un po’ bruschi, ma avevano continuato per il resto della notte prendendosi con voluttà, senza fretta, prolungando l’estasi per ore.

Tutto senza parlare.

Unici suoni furono i loro sospiri, i gemiti profondi mischiati ai forti ansiti di piacere anche quando Oscar gli lasciava i segni delle sue unghie sulle spalle, quasi volesse marcarlo come cosa sua.

Anche ora, sentiva bruciare la pelle della schiena.

Non ricordava esattamente dopo quanto si erano addormentati.

Ma non avrebbe immaginato di ritrovarsi solo al risveglio.

Non dopo una notte così.

 

Con la pigra indolenza di un gatto, si alzò dal letto e si vestì con gesti lenti, ancora sotto l’effetto della notte di passione appena trascorsa. Come ogni mattina, raggiunse Oscar nel salone padronale, prima di partire alla volta di Versailles.

La trovò in piedi davanti alla vetrata, inappuntabile e rigorosa nella sua uniforme scarlatta che scintillava alla luce chiara del mattino, la spada legata al fianco; sorseggiava una tazza di te fumante e guardava all’ esterno verso il giardino. Quando sentì i suoi passi, si girò verso di lui.

Aveva lo sguardo di sempre. Composto, altero e indecifrabile.

“Oggi torneremo prima dalla reggia. Danielle ci attende a Parigi, al suo palazzo. Credo che finalmente conosceremo i dettagli dell’incontro con Madame Marchard.” Si girò e tornò a puntare lo sguardo verso l’esterno, oltre il vetro.

André non seppe dire perché, ma avvertì un brivido serpeggiare lungo la sua spina dorsale e un brutto presentimento avvelenò i suoi pensieri.

 

*******

 

 

Avevo detto a Oscar che dovevo riflettere per qualche giorno.

Passò una settimana.

Lei si insospettì, e nell’arco di soli quattro giorni, mi aveva cercata due volte. Infine, ricevetti un ultimo breve messaggio dove mi annunciava una sua imminente visita a Palazzo Recamier per quel fine settimana, che fu così decisivo per me. Coincidenze.

La sua impazienza era fin troppo evidente.

Invece non capivo quale fosse la reazione di André.

Comunque, non sarebbe stato un mistero ancora per molto.

Il suo atteggiamento più cauto era normale: aveva molto da perdere e troppo da guadagnare per esporsi più di quanto fosse necessario, anche se neppure lui immaginava come stava per evolversi la situazione paradossale in cui ci trovavamo. In verità, eravamo tutti troppo coinvolti dai sentimenti, ma poco disposti a rischiare e mettere le carte scoperte sul tavolo dei giochi.

Ed era quello che io avevo deciso di fare dal preciso momento in cui avevo capito cosa volevo e cosa ero disposta a fare per ottenerlo.

Quando verso le sei della sera, il maggiordomo annunciò l’arrivo di Oscar, emisi un respiro profondo. Chissà se André l’accompagnava; decisi che in fondo, non aveva importanza.

 

 

*****

 

 

Nel tardo pomeriggio, cavalcavano verso Parigi, in silenzio.

Un silenzio pesante e opprimente che in un'altra circostanza sarebbe scivolato via senza drammi, ma in quel momento André desiderava interrompere. Neppure a Versailles avevano parlato molto, e solo di facezie o questioni di servizio.

Oscar, concentrata nelle sue incombenze, aveva dato più confidenza a Girodelle che a lui per gran parte del tempo trascorso alla reggia. Non bisognava essere dei geni per capire che la donna era dominata da pensieri inquieti che non voleva dividere con lui.

André aspettava che succedesse qualcosa, attendeva una qualche confidenza.

Da giorni.

Ma lei non si sbilanciava mai.

Non si lasciava scappare né una parola, né un accenno seppur vago alla loro intima situazione. La notte, l’ultima di una bella serie, era ancora lì fra loro, peccaminosa, calda e vibrante, carica di ricordi ingombranti e gesti che chiedevano di essere spiegati e compresi.

Un marchio sulla pelle ancora troppo fresco che non guariva e si rinnovava.

Lui decise che quella cosa tra loro sarebbe dovuta evolvere.

Dovevano chiarirsi.

In qualche modo.

Così, sputò la domanda come se fosse veleno.

“Perché sei venuta da me, stanotte?”

La voce limpida e netta, non lasciava adito a mezze impressioni, o fraintendimenti sul significato di ciò che chiedeva.

Nell’immediato, non ricevette risposta, ma ebbe l’impressione che lei si irrigidisse in groppa al suo cavallo. Seguì un silenzio ostinato, quasi ostile, che avrebbe scoraggiato chiunque altro al suo posto, ma non lui.

Non gliela avrebbe data vinta.

 

-         Parlerai stavolta. Volente o no, a costo di strapparti le parole a forza, pensò.

 

“Perché continui a cercarmi? Succede quasi ogni notte, ormai… e tu non parli. Al mattino sparisci. E io penso sempre che resterai, prima o poi. E non resti, mai. Te ne vai come un ladro che si prende un pezzo di me… Comincio a essere stanco, Oscar. Stanco di essere trattato come un trastullo, soprattutto da te.”

Capì dalla sua reazione che l’aveva punta sul vivo. Sentì il nitrito permaloso di Caesar. Oscar aveva tirato con forza le redini e costretto il cavallo a fermarsi bruscamente sul ciglio della strada. Il cielo sopra di loro si tingeva dei colori cupi del crepuscolo e il paesaggio attorno andava sfumando in tonalità indistinte.

Aveva incrociato i suoi occhi celesti e aveva sostenuto il suo sguardo fisso, che lo scrutava come se potesse trapassarlo.

“Cosa vuoi sentirti dire, André? Che sono innamorata di te?”

Non sapeva se era sarcasmo o pena quello che colse nella vibrazione della voce.

“Per ora mi accontenterei della verità, Oscar. Perché non so più che cosa siamo. E non so come chiamare quello che c’è tra noi. O meglio, non so come lo chiami tu. Siamo amici che ogni tanto fanno sesso? Abbastanza spesso, a dire il vero. Hai deciso di consolarti con me, perché non hai potuto avere Fersen?”

“Che c’entra Fersen, adesso? – Esclamò infastidita, prima di proseguire quasi con distacco. - E sì, forse siamo amici che fanno sesso; non dirmi che ti scandalizzi per così poco, André… Comunque, non mi pare che la cosa ti dispiaccia, anzi… sei sempre molto compiacente…” e l’ultima frase, le uscì decisamente ironica e oltremodo provocatoria.

Andrè decise di stare alla provocazione.

“Oh, non fraintendermi, è un gran piacere anche per me. Secondo te, non ho qualche diritto anch’io? Se volessi qualcosa in più di qualche incontro rubato nella notte? Deve starmi bene così, perché lo hai deciso tu?”

“Io non ho deciso nulla. È successo, e basta. E tu non hai fatto niente per impedirlo.”

“Neppure tu, mi sembra stai facendo molto.”

“Oh, vuoi dirmi tu, cosa devo fare? Come pensi possa finire, André? Hai fatto qualche progetto su di me? Reclami qualche diritto? Vuoi che lascio il mio incarico e l’uniforme, la vita che ho sempre condotto, e scappiamo insieme da qualche parte, a vivere come una coppia felice? Vuoi che viva come una donna normale, e che ti sposi?”

L'ironia amara della frase non lasciava margine a libere interpretazioni. André con sofferenza ne colse il pieno significato e rispose con altrettanta amarezza.

“Io non voglio niente, Oscar. Non pretendo niente. Cosa potrei volere? Solo un po’ d’amore ricambiato, il rispetto dei miei sentimenti. – Parlò con evidente rassegnazione, prima di stirare le labbra in una piega cinica e beffarda. - Scusa se ho dimenticato che sono soltanto un servo, ma pensavo che tra noi potesse esserci qualcosa di più di una torbida relazione clandestina. Non voglio certo sconvolgere la tua vita. A questo punto, se sei d’accordo, credo sia meglio dimenticare tutto quello che è successo, anzi far finta che non sia mai accaduto… chiudiamola qui. Quella di ieri è stata la nostra ultima notte insieme, Oscar. - Prima di proseguire, abbassò lo sguardo e complice la luce fioca dell’ora, non si accorse che lei aveva gli occhi sbarrati, dilatati come se avesse paura. - Devo ammetterlo: a volte sono proprio uno stupido illuso…”

Seguì un silenzio che tagliò il cuore di Oscar come se una lama di ghiaccio lo avesse attraversato.

“Sarà meglio non far attendere oltre Danielle…” Continuò Andrè, seguirono due colpi di tallone nei fianchi del cavallo e l’uomo ripartì al galoppo lasciandola indietro. Lei restò lì, ferma e immobile, inchiodata da un dolore sordo che le scendeva sull’anima. Lo guardò allontanarsi con la sensazione spaventosa di non poterlo più raggiungere.

 

 

 

******

 

 

 

Mi bastò incrociare i miei occhi con lo sguardo inquieto di Oscar, per capire che qualcosa non andava. Guardai André e anche lui aveva una faccia scura.

Oscar sembrava sul punto di piangere, o forse, chissà, aveva già pianto prima di raggiungere Palazzo Recamier.

Non erano i presupposti migliori per iniziare il discorso che volevo affrontare. Ma nulla è mai facile. Dovevo tenerlo a mente. Soprattutto in quel momento.

Improvvisamente ricordai che erano amanti; ecco la lotta che mi aspettava, il motivo della tensione fra loro, che io conoscevo bene, perché André, in un momento di fragilità, si era confidato con me.

Quello che stavo per dire e fare, avrebbe travolto tutti noi, ferendoci in maniera drammatica, ma eravamo a un punto di non ritorno.

Io forse, più di chiunque altro.

Non potevo più lasciare che la mia vita scorresse in una direzione che non volevo. Non potevo più accettare compromessi, finzioni.

Dovevo prendere in mano la mia esistenza e guidarla sull’unica strada che poteva portarmi alla felicità tanto anelata. Non potevo più soffocare il mio cuore e le sue esigenze, o sarei morta nell’animo. La mia unica certezza in quel momento, era che non volevo più essere legata al mio consorte fedifrago.

Ci accomodammo nel mio salottino privato e ordinai a Ninette di servire il tè.

“Io vorrei qualcosa di più forte. Del Cognac, per favore. ”

Chiese Oscar in modo un po’ brusco. Non volle sedersi, restò in piedi con un gomito appoggiato alla cornice di marmo rosa antico del caminetto, una gamba incrociata sull’altra, la mano destra distesa lungo la coscia.

Mi sembrava di percepire la tensione che le irrigidiva le spalle, e notai che rifuggiva lo sguardo di André, che con strana calma, accettò il mio invito a sedersi in poltrona, lontano dalla sua padrona, quasi a voler rimarcare una distanza che si era creata tra loro. Stavo per trasformare quella distanza in una vera e propria frattura dolorosa, e forse insanabile.

Ninette entrò col vassoio del tè e lo posò sul tavolo di fronte a noi, tra un tintinnare di porcellane di Sevres, poi servì il Cognac per mia sorella da una bottiglia cesellata.

“Allora, sono ansiosa di conoscere i dettagli della questione, Danielle.”

Disse noncurante, facendo roteare il liquore nell’ampio bicchiere di cristallo, prima di portarselo alle labbra.

Arrivai dritta al punto. Meglio togliere in fretta il dente che fa male.

“Beh, a dispetto di tutte le congetture, Lisette mi ha suggerito di chiedere il divorzio, in cambio del nome per sua nipote; nessun ricatto, dunque. Potrei obbligare Leopold al silenzio, mantenere tutti i miei privilegi a vantaggio dei miei figli, evitando lo scandalo di essere considerata una moglie ripudiata.”

Oscar si bloccò con il bicchiere a mezz’aria. André rimase interdetto per un secondo, poi assunse un’espressione neutra e incolore.

Oscar continuò ad ascoltarmi a bocca aperta.

“La mia primissima reazione, naturalmente è stata di perplessità, ma ho avuto modo di riflettere molto a lungo… - per prendere tempo sorseggiai il tè. – E sono giunta all’incredibile conclusione che è  - esattamente - quello - che voglio.”

Lo dissi con la massima convinzione, scandendo lentamente le ultime parole, enfatizzandole una per una, mentre posavo la mia tazza sul tavolo di fronte a me, ma la mia estrema calma e lucidità non bastò a convincere Oscar che quella fosse la soluzione più saggia e indolore.

E sapevo in fondo, che aveva ragione di dubitare.

Ma oramai, a me non importava più.

Volevo la mia libertà, e la volevo a qualsiasi costo.

E Oscar intuì che dietro alla mia remissione c’era ben altro.

“Ma come puoi pensare di… Perché dovresti divorziare? Il legame con Leopold non è mai stato un problema per te, e di certo non ti sei mai negata nessuna libertà. Perché proprio ora?”

“Ho capito che non posso continuare a vivere in questo modo. Non potrei sopportarlo oltre…”

Oscar tentò di indurmi al ragionamento.

“Ma Danielle… Che cosa ti ha messo in testa quella donna? Divorzio senza lo scandalo? È una cosa assurda. Non puoi credere davvero a una cosa simile! Hai pensato ai tuoi figli? Al tuo nome e a quello dei Jarhayes?”

“I miei figli resteranno sempre i miei figli e forse un giorno capiranno le mie motivazioni. Non mi costa nulla concedere il nome a quella bambina, e se devo affrontare uno scandalo per avere in cambio un po’ di felicità nella mia vita, è un prezzo che sono disposta a pagare anche mille volte. Non mi importa.”

“Ma che diavolo ti è successo?” Mi chiese Oscar, sempre più smarrita.

“Io mi sono innamorata! Totalmente e profondamente. Questo mi pone di fronte ad una scelta che ho rimandato troppo a lungo. Tu non puoi capire Oscar, cosa possa rappresentare un matrimonio imposto. Tu sei sempre stata libera! Non posso e non voglio più essere la moglie di Leopold di Recamier. Questa è la pura e semplice verità. Un matrimonio senza amore non mi darà mai la felicità, qualcosa che sto inseguendo da troppo tempo, che spesso ho cercato dove non poteva esistere. Ora so che solo accanto all’uomo che amo potrei essere finalmente felice. E io voglio stare con quell’uomo.”

Insistei semplicemente senza troppa enfasi, quasi sussurrando le ultime parole.

André era rimasto in silenzio ad ascoltare fino a quel momento, ma adesso si era alzato in piedi e tese una mano verso di me, in un gesto che voleva indurmi a tacere.

“Danielle, ti prego… non aggiungere altro.”

Fu un sussurro eppure colsi la nota di supplica nella sua voce.

Oscar guardò prima lui, poi me con lo sguardo più stranito e confuso che le avessi mai visto. Reggeva ancora il suo bicchiere di Cognac in mano, ma non lo aveva più avvicinato alle labbra, quasi lo avesse scordato, né aveva più quell’espressione noncurante di poc’ anzi.

“Che cosa significa?”

Domandò, e visto che non risposi subito, mi incalzò perentoria.

“Danielle, chi è quest’uomo di cui parli?”

Si era mossa di un passo allontanandosi dalla cornice del caminetto. Io continuai a non rispondere, mi alzai e mi avvicinai di più ad André, che era rimasto fermo e immobile, ma il suo sguardo malinconico seguiva il mio con apprensione ed emozione.

Oscar ci osservò per qualche breve secondo.

Potevo sentire il suo sguardo addosso. Immaginavo il suo cuore galoppare nel suo petto e anche il mio stava scalpitando furioso.

Le stavo dando modo di capire; la verità le esplose davanti, quando sfiorai la mano di André intrecciando le mie dita con le sue. Lui non respinse la mia carezza, ma accolse la mia piccola mano nella sua, con uno strano senso di resa.

Nello stesso istante sentii il cristallo infrangersi sul pavimento della stanza ed ebbi la terribile sensazione che le schegge dei vetri si sparpagliassero nei nostri cuori.

 

 

 

Continua…

 

 

 

Lo so, sono imperdonabile.

Ma ormai ho rinunciato ad aggiornamenti veloci, sono per me impossibili.

Questa storia è troppo difficoltosa e il suo sviluppo mi richiede maggior tempo del previsto. Se tentassi di velocizzare la cosa verrebbe fuori un mezzo disastro. Penso che siamo arrivati davvero al punto cruciale, e credo che i giochi siano finiti. Spero che abbiate ancora voglia di seguirmi.

Grazie sempre per tutto il sostegno, per me significa molto.

Un saluto.

Ninfea

 

 

 

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Capitolo 22
*** Cadono le maschere ***


22

22 – Cadono le maschere

 

 

 

 

Per i primi infiniti secondi, Oscar ci guardò stralunata come se non ci riconoscesse:  eravamo due estranei davanti a lei, di cui pareva non capacitarsi.

In un silenzio denso e saturo di parole interrotte che stava diventando insostenibile, puntava i suoi occhi spalancati su di noi, indecisa se credere o meno alla situazione ambigua che si presentava al suo sguardo.

Io, carne della sua carne, sangue del suo sangue, specchio della sua anima di cui si era sempre fidata, le rivelavo così il mio amore impossibile per André, compagno di un’esistenza intera, amico e fratello, amante che ora scaldava le sue notti, e forse chissà, il suo cuore di donna soffocato dal dovere, dall’educazione e dall’onore. 

 

Ci tenevamo ancora per mano davanti a lei…

 

Ma sarebbe più giusto dire che ero io che trattenevo con coraggio la mano dell’attendente; lui era semplicemente arreso, impreparato, visibilmente imbarazzato di fronte al mio gesto inaspettato e spiazzante.

“Danielle, cosa stai facendo?”

Mi domandò incredulo con un tremolio incerto nella voce.

Sollevai lo sguardo e nelle sue iridi verdi e ombrose percepii sgomento sincero, un dubbio e forse una scintilla di paura, e quasi subito sentii André forzare gentilmente la mia stretta per liberarsi e sottrarsi alla presa delicata delle mie dita.

Bastò quel gesto penoso a far precipitare tutto.

Il mio coraggio e la mia tenacia.

E ritornò a galla lo spirito guerresco di mia sorella.

La sua incertezza non durò che qualche frazione di secondo, il tempo di riprendersi e reagire alla scoperta clamorosa. Si mosse fulminea.

Sentii le schegge di vetro scricchiolare sinistre sotto le suole dei suoi stivali, poi la sua mano artigliò il mio polso con una forza eccessiva; la sentivo stringere e avevo l’impressione che il sangue nelle vene smettesse di scorrere.

Con malagrazia, quasi strattonandomi mi trascinò con sé, obbligandomi a uscire dalla stanza. Sentivo i suoi passi rimbombare sul pavimento di marmo con un eco sordo e cupo. Immaginavo che il suono del suo cuore fosse uguale.

André tentò di intervenire.

“Oscar, calmati. Che vuoi fare?” Lei si girò appena a guardarlo.

“Tu resta qui, André. Non metterti in mezzo!”

Ordinò con rabbia trattenuta a stento. Ma lui non le diede retta e ci seguì, temendo il peggio, e anch’io iniziai a temere qualche reazione sconsiderata.

“Oscar, lasciami. Mi stai facendo male!” Protestai inutilmente.

Tentai di liberarmi senza risultati; la sua stretta era davvero troppo forte, per le mie deboli dita.

A grandi falcate, attraverso il corridoio del palazzo, Oscar mi obbligò a seguirla. Nel tragitto urtammo un tavolino che sosteneva un vaso di preziosa maiolica decorata a mano, che oscillò pericolosamente sul suo asse prima di finire in frantumi sul pavimento; il trambusto attirò una delle sguattere della cucina che intimorita, si appiattì contro la parete e quasi inciampò nell’angolo di un tappeto.

“Signora contessa!” mi chiamò la ragazza con apprensione.

“Non preoccuparti. È tutto a posto.” Le dissi poco convinta, mentre Oscar continuava a trascinarmi, e io non tentavo più di opporre resistenza.

André continuava a seguirci. Raggiungemmo una piccola saletta, anticamera di una stanza più grande e Oscar con la mano libera spalancò la porta e mi spinse dentro in modo brusco.

Finalmente allentò la presa sul mio polso, ma lo strattone che mi diede fu così forte che mi fece perdere l’equilibrio e mi ritrovai a terra sul pavimento, parando la caduta col palmo della mani.

Oscar non si curò del mio poco dignitoso capitombolo.

Chiuse l’uscio a doppia mandata, lasciando fuori André.

Sentivo la sua voce accompagnare dei colpi leggeri sulla porta.

“Oscar, ti prego, non fare pazzie. Apri la porta, per favore!”

Lei lo ignorò completamente.

A quel punto, si girò nella mia direzione.

Con vero terrore, sentii il sibilo dell’acciaio che veniva estratto dal fodero; impacciata a causa delle mie vesti di seta attorcigliate alle gambe, strisciai dolorante sul pavimento quasi con disperazione, e mezzo secondo più tardi, la punta affilata della sua spada minacciava la mia gola. Anche André avvertì il sinistro suono metallico perché si mise a colpire la porta con maggior insistenza mentre continuava a chiamare il suo nome.

Lei pareva non sentirlo.

Non osai muovermi, né parlare. Paralizzai il respiro dietro le labbra.

Incrociammo soltanto i nostri sguardi. Nel mio doveva esserci la paura più ceca che dilatava le mie pupille vitree, ma in quello di Oscar fui sicura di leggervi un odio furibondo, mai conosciuto prima, che tingeva di oscurità i suoi occhi. La sua furia era controllata e per questo ancor più spaventosa.

Gli occhi cerulei e severi di mia sorella mandavano scintille, ma erano più freddi e duri della lama che mi stava puntando addosso.

La sua mano era salda e ferma sull’elsa.

Nessun tremito tradiva una qualche emozione o incertezza.

Ne fui spaventosamente atterrita e per un tempo che mi parve interminabile, fra noi non ci fu altro che un silenzio cupo, opprimente, e nemico.

Alla luce delle candele, la spada baluginava di riflessi argentei e crudeli. Ne ero ipnotizzata.

Per un oscuro istante, mi attraversò il pensiero perverso e terrificante che avrei sentito il freddo del ferro affondare senza pietà nella carne bianca e tenera del mio seno.

 

 

 

*******

 

 

“Questa poi! Non posso credere che l’abbiate fatto sul serio; siete impazzita, per caso?”

Leopold era esterrefatto. Le mani incrociate dietro la schiena si era voltato verso la sua interlocutrice, distraendosi dalla visione del roseto che gli restituiva il riquadro della finestra. Lisette era a poca distanza dietro di lui, tranquilla e composta, con l’aria di chi avesse detto e fatto la cosa più naturale del mondo.

“Perché lo trovate così strano? Non è forse ciò che volevate?” domandò con apparente ingenuità.

“Sì, certo! Ma non immaginavo la cosa in questi termini. Se avessi sospettato cosa meditavate di fare, vi avrei fermata in tempo. Perché avete agito senza consultarmi, su una questione che mi riguarda molto più di quanto riguardi voi?”

“Non siate cinico. Riguarda moltissimo anche me… - disse, un poco contrariata. - Voi non avreste mai preso una simile iniziativa. O meglio: l’avreste presa per ottenere l’esatto contrario di ciò che vogliamo.”

Rispose risoluta la donna, che sapeva di avere a che fare con un uomo vecchio stampo, restio a mutare convenzioni e tradizionalismi.

“Vi chiedo scusa, non lo penso davvero. È pur sempre la madre dei miei figli ed è una Jaryajes, un nome ingombrante; Danielle ha appoggi e amici potenti. Un’ azione azzardata, e con una parola potrebbe rovinarci, madame.”

“Non succederà. Fidatevi del mio giudizio. Basta non darle un motivo.”

“Mi sembra che abbia tutti i motivi che le servono. Dovremmo essere in vantaggio, per avere una speranza di successo. Se non la mettiamo con le spalle al muro, non riusciremo a…”

“Ma non possiamo fare nulla di simile, Leopold; ai suoi occhi voi siete un traditore e io una sgualdrina. Fondamentalmente vostra moglie ci disprezza e voi non potete dimostrare la sua infedeltà, mentre lei può dimostrare la vostra. Dobbiamo usare l’ arte del compromesso, sfruttando le debolezze del nemico – l’unica carta che possiamo giocare - ed è quello che ho fatto io con vostra moglie.”

“Le sue debolezze? Quali, se dite che non posso dimostrare che mi è stata infedele?”

“Una debolezza in comune con Madamigella Oscar…” sussurrò Lisette quasi tra sè, ma Leopold parve non sentirla, troppo preso dalle proprie esternazioni.

“Oltretutto, credete che Danielle potrebbe accogliere la soluzione che le proponete? Un divorzio in cambio del nome dei Recamier per Margot… mi pare una tale assurdità… perché mai dovrebbe accettare?”

Esclamò il conte allontanandosi dalla finestra, per andare a sedersi sulla poltrona accanto al camino, e lì accendersi la pipa in radica di noce.

“Ho buone speranze; non dovete mettere ostacoli alla provvidenza… e ai desideri più reconditi di una donna, soprattutto se è vostra moglie.” Rispose enigmatica, abbassando lo sguardo sul ricamo del fazzoletto di batista che teneva in mano.

“A volte madame, ho l’impressione che ci siano cose che voi non mi dite… – constatò, mentre con solerzia pigiava il tabacco dentro la cavità della pipa. - Ma che dicevate prima, a proposito di Oscar? Già una volta mi avete parlato di una strana complicità tra Oscar e mia moglie; che volevate dire? Cosa c’entra la mia stramba cognata con tutta questa vicenda?”

Lisette si guardò attorno con fare distratto, quasi annoiato, ma tormentava tra le dita il fazzoletto di batista. La conversazione con Leopold stava scivolando su una china pericolosa, che era decisa a evitare. Era meglio omettere certe verità troppo scomode e scandalose, come quella di una rivalità tra due nobildonne innamorate di un servo, e danneggiare Danielle agli occhi del marito non sarebbe stato proficuo. Il conte poteva tollerare un confronto con un suo pari, non con un inferiore sulla scala sociale. Ma era conscia di dover lasciare una traccia che fosse per Leopold convincente, ma non troppo pericolosa.

“In verità, ecco… sapete, io ho pensato che Oscar e vostra moglie Danielle potrebbero essere coinvolte in un insospettabile triangolo, direi più platonico che altro… oh, badate, è solo un sospetto. Un’ impressione… probabilmente erronea…”

“Un triangolo che coinvolge Oscar? Abbastanza ridicolo, in effetti. - Fu il primo commento di Leopold. - Però, potrebbe essere… Ecco, lo sapevo che c’entrava quel maledetto donnaiolo damerino di Fersen!! Avevo ragione io, allora! Il colonnello di ferro e lo straniero svedese… Divertente! Beh, capisco perché possa essere fuggito in America come dicono…” Ironizzò il conte, senza sapere quanto la sua esternazione fosse stata ampiamente prevista dalla sua compagna.

“Vi ho già detto che non si tratta di Fersen… senz’altro qualcun altro, ma non saprei immaginare chi… - Lisette fece un gesto con la mano come per scacciare un pensiero sciocco e molesto. – Comunque, nulla che possa essere determinante per noi. Oh insomma, ve lo ripeto Leopold; quando ve lo chiederà – e io sono sicura che lo farà - concedete a vostra moglie la separazione con tutti i vantaggi, lasciatele beni e privilegi. Anche la custodia dei figli col vostro nome.”

“Come anche i figli! Volete che rinunci alla mia progenie?” esclamò costernato e scettico.

“Non ostacolatela in nulla, vi dico. Lo scandalo per un divorzio siffatto sarà minimo, poiché nessuno conoscerà i retroscena della vicenda, finché manterrete il segreto. E alla vostra progenie, come eredi diretti potrete sempre garantire una rendita vitalizia, e questo starà bene anche a vostra moglie.”

Lisette si era seduta di fronte a lui e osservava le leggere volute di fumo uscire dalla pipa e salire in spirali sinuose verso il soffitto della camera. Avvertiva l’odore forte e robusto del tabacco che bruciava, per lei un po’ fastidioso da sopportare.

C’era un leggero silenzio e Leopold pareva più tranquillo, ma non aveva perso lo scetticismo che gli animava lo sguardo. Avrebbe obiettato di nuovo.

“Temo che resterete delusa, madame. Danielle, non farà mai quello che voi dite: non è una sciocca, essere la moglie di un uomo nella mia posizione le reca troppi vantaggi, che valgono bene qualche mia infedeltà coniugale. Le è sempre convenuto essere tollerante.”

Lisette accennò un lieve sorriso tranquillo.

“Le cose sono cambiate Leopold, solo che voi non ve ne rendete conto. Volete scommettere che non le andrà più di essere tanto permissiva?”

Divertito, il conte accettò la scommessa.

 

 

*******

 

 

 

Oscar continuava a fissarmi. La spada tagliente puntata alla mia gola non era minacciosa quanto la luce oscura che trasfigurava il suo sguardo. L’espressione del suo viso era una maschera immota e indecifrabile, ma sospettavo che quella freddezza ostentata le sarebbe scivolata via, sull’onda travolgente delle prime parole che fossero intercorse fra noi.

Non potevo smettere di tremare di fronte a lei.

Avevo paura, e non soltanto per la minaccia reale che lei potesse farmi del male.

Temevo di sentire parole trasformarsi in macigni, pietre acuminate che ci saremmo lanciate addosso. Eppure non potevo continuare a restare in silenzio.

Le avevo lanciato il guanto di sfida, e lei lo aveva raccolto.

Era tardi per tirarsi indietro.

“Hai deciso di uccidermi, Oscar? Oh, forse è solo una minaccia… ma lo stato delle cose non cambia.”

“Voglio il nome Danielle. Voglio sentirlo da te…” sibilò sottovoce.

“Perché stiamo qui a fingere? Lo hai già capito… hai sempre avuto il sospetto.”

“Dillo.” Proferì gelida.

Il mio petto si gonfiava sotto l’onda del mio respiro stremato e ansante.

“D’accordo Oscar, io sono pronta a dire quello che tu non potrai accettare. Ne subirò le conseguenze, anche quelle più terribili. Ma tu? – domandai fissandola, mentre il balugino sinistro della lama scivolava sul metallo. - Tu riusciresti a vivere col rimorso? Potresti reggerlo? Sei una donna soldato, ma non ti sei mai sporcata le mani di sangue. Vuoi iniziare col tuo?” esitai tremante. Sentii la punta fredda della lama toccare impercettibilmente la mia pelle. Bastava un movimento della mano di Oscar e tutto sarebbe finito all’istante: io, lei, il mio amore per André, la sua gelosia, tutto sarebbe defluito via insieme al sangue.

La maschera immota le cadde dal viso.

“Taci! Dimmi quel nome. Adesso!”

Gridò con maggior forza, spaventandomi, e Andrè, dietro la porta chiusa, continuava a urlare e battere sul legno, nel disperato tentativo di farsi aprire.

“Va bene, come vuoi! Ebbene, sì! L’ uomo di cui sono disperatamente innamorata è André! Proprio lui!- Confessai con disperazione, mentre lo sguardo di Oscar pareva farsi ancor più adirato. La mano che impugnava la spada si mosse appena e sulla lama guizzò un taglio di luce fredda e crudele.

Quando mia sorella parlò, la sua voce aveva un contegno innaturale, che perse quasi immediatamente.

“André!!? Tu seriamente stai pensando di separarti da tuo marito, per amore del mio André? È così? – Era furiosa e incredula. [1] - Dopo che vorresti fare, cara sorella, sposarlo? Quale assurdo capriccio è mai questo! Tu sei pazza. Per la chiesa il matrimonio è una catena indissolubile. Non troverai mai un avvocato disposto a sostenere la tua causa.”

“Io lo amo, Oscar, e so che lui potrebbe amare me, se tu lo lasciassi libero. Tutto il resto, la separazione, le convenzioni sociali avrebbero poca importanza.”

“Parli come una stolta, la solita egoista che pensa solo a sé stessa! Dovrebbe seguirti su una strada che porterebbe entrambi alla rovina? Che ne sai, tu!– Ruggì. - Che ne sai di quello che prova lui per me, o di quello che provo io? Pensi di sapere cosa ci unisce, praticamente da una vita? Credi che per me non sia importante?”

“Quanto Oscar! A questo sai rispondere?” Le domandai in tono accorato.

“Che significa?”

“André mi ha confidato tutto, fin dal principio. Ha aperto il suo cuore a me, forse perché potevo comprenderlo come tu non riuscivi a fare. Ho visto la sua sofferenza di cui tu eri la causa, perché ti amava senza essere corrisposto. Sì! Lo sapevo, lo avevo capito prima di te, Oscar… tu eri troppo distratta dal conte di Fersen per accorgerti di qualcosa… - Ammisi senza mezzi termini di fronte alla sua espressione stupita. – E ora dimmi: io sono pronta a buttare all’aria la mia vita per lui, tu invece, cosa saresti disposta a fare? So che le cose fra voi sono molto cambiate, già… so che ti sei spinta oltre l’amicizia, ma così non fai altro che rinnovare la sua sofferenza in modo diverso.”

“COSA? Questo è veramente troppo!”

Non feci in tempo a ribattere, che la porta cedette di colpo sotto una poderosa spallata. André piombò in mezzo a noi, e la scena che si presentò ai suoi occhi lo lasciò senza fiato per i primi secondi: Oscar gravava su di me, impietosa e minacciosa, con lo sguardo allucinato e quasi folle.

Guardò lei e poi me, per terra, la spada puntata addosso. Lo vidi fare un gesto, una mano aperta e tesa verso di noi.

“Oscar, non fare pazzie. Ti stai facendo guidare da rabbia immotivata. Calmati e rinfodera la spada.”

Ma lei sembrava non capire. Improvvisamente mi parve fragile e smarrita, e pensai di aver parlato troppo, ma ritenevo giusto che dovessero cadere tutti i veli: se dovevo lottare per André, dovevo farlo in campo aperto. Senza allontanare la spada dalla mia persona, rivolse il suo sguardo stupito e celeste verso l’amico.

“Le hai detto di noi, André?” chiese con evidente sgomento nella voce.

Ebbi la netta sensazione che all’improvviso si sentisse tradita. Ma non ero più io, la sola colpevole del tradimento.

André ne fu consapevole, perché lo vidi impallidire violentemente. Seguì un breve silenzio che scese su di noi come un macigno. Oscar e André si fissavano l’ un l’ altro, sgomenti, dimentichi di me e della mia assurda confessione.

Infine, André reclinò il capo ed emise un sospiro rassegnato.

“Sì. È inutile negarlo. Ma ti prego, non prenderlo come un tradimento. Non avevo nessun altro con cui parlare, e Danielle si è comportata da amica discreta e comprensiva. Ho provato a farlo con te, Oscar, ma ti chiudi come un riccio. Quando cerco di arrivare al tuo cuore, tu mi allontani, come hai fatto poco fa lungo la strada, mentre venivamo qui… Cosa avrei dovuto fare, secondo te?”

“Avere maggior fiducia in me.” Rispose perentoria.

Quindi qualcosa era accaduto.

L’ incomprensione minava il loro rapporto, quella che proveniva dall’incapacità di mia sorella di affidarsi alla forza autentica delle emozioni. Era un punto debole di cui dovevo approfittare, e se l’occasione si fosse presentata, lo avrei fatto.

Oscar restava in silenzio, e non capivo se era più arrabbiata o costernata, o magari entrambe le cose. Forse tentava di mettere ordine nel turbinio di pensieri che viaggiavano nella sua testa, pensieri che riguardavano tutti noi e i nostri strani, contorti sentimenti.

Il suo sguardo saettava febbrile tra me e André e alla fine si posò definitivamente su di lui.

“Maledizione André! Davvero non capisci? – Sbottò all’improvviso. - Io cerco di proteggerti, mi sforzo come non immagini di difendere il nostro rapporto dal mondo esterno che sarebbe pronto a condannarci, e tu riveli tutto alla sola donna che può davvero mettersi fra noi, perché innamorata di te? - E fu in quell’istante che le fu tutto chiaro. - Oh, ma tu lo sapevi fin dall’inizio! Avevi capito tutto. E ne hai approfittato!”

André parve vagamente turbato.

“Oscar, non…”

“Il cuore di una e il corpo dell’altra! Devi esserti sentito orgoglioso del tuo successo!”

Oscar ironizzò con crudeltà di donna ferita, senza abbassare la spada puntata alla mia gola. André protestò con decisione.

“No Oscar. Non pensare che ne abbia approfittato, ma ammetto che avrei potuto e sono stato tentato. - Esitò e il suo sguardo serio e malinconico si posò su di me. Ebbi paura. – Questo fatto non ha mai cambiato nulla, e con Danielle sono sempre stato onesto…” concluse in tono pacato, e mi sentii sanguinare dentro, ma non era la spada di Oscar ad avermi ferito.

“Beh, a questo punto, che importanza potrebbe avere, visto quello che ci siamo detti prima del nostro arrivo qui, te lo ricordi?”

“Ero soltanto amareggiato, Oscar: sono pronto a rimangiarmi tutto.”

“Sei sicuro? Pensaci bene. Perché mia sorella è così sicura di poterti avere? Come può credere di comprenderti meglio di me? E se avesse ragione lei? Il cuore umano è libero… tu sei libero, André, ma il tuo cuore a chi appartiene davvero? Io non lo so più… forse non lo sai neppure tu…”

Terminò esitante.

Avvertii una nota stridula nella voce di mia sorella: quanto dovevano costarle quelle parole, e quanto potevano essere preziose e salvifiche per me.

André mi guardò di nuovo e lessi velato rammarico nei suoi occhi: ammettere l’amore per una di noi, voleva dire ferire a sangue l’altra.

“Hai torto Oscar. Una delle poche certezze che ho sempre avuto è la consapevolezza dei miei sentimenti… per te.”

Il mio cuore perse un battito. Incrociai per qualche secondo lo sguardo azzurro di Oscar. E finalmente, rinfoderò la sua spada.

Ma non era serena. Un sospiro pesante e rassegnato le uscì dalle labbra.

Nuvole d’inquietudine oscuravano il cielo dei suoi occhi. Potevo immaginare come si sentisse in quel momento, e la colpa era anche mia.

Non potevo fare a meno di sentirmi meschina e miserabile nelle profondità più intime del mio cuore, ma allo stesso tempo, il trasporto verso André sovrastava tutto e prevaleva su ogni altro sentimento.

Per quanto mi sentissi combattuta, non riuscivo a soffocare la volontà irragionevole che mi spingeva a lottare per quello che era, molto probabilmente, un miraggio.

Ripresi a respirare, ma sentivo un profondo dolore al petto. Lentamente mi rialzai in piedi, e mi strinsi nelle braccia, ancora sconvolta dal nostro confronto. Eravamo in una situazione di stallo, e tra noi restavano ancora troppe parole in sospeso, troppi dubbi da dissipare, soprattutto nel cuore di Oscar, che si scopriva tradita e delusa da due fra le persone a lei più vicine, conferma questa che venne dalle sue parole.

“Non dovevi prestarti a questo gioco, André. Non tu. – Poi si rivolse a me con altrettanta amarezza. – Sappi Danielle, che non potevi ferirmi più di così… e non so se potrò mai perdonarti per quello che stai cercando di fare… Ti aspetto di sotto, André. Non abbiamo più nulla da fare qui...” concluse lapidaria e diretta, si voltò e mosse alcuni passi in direzione della porta.

André ebbe il forte impulso di inseguirla, e lo avrebbe fatto, se io non lo avessi bloccato, spinta da chissà quale oscuro istinto.

Non riuscivo a rinunciare al mio sogno di felicità, benché l’evidenza di ogni cosa, mi suggerisse una direzione opposta. Non era la ragione o la logica a guidarmi. Se le avessi ascoltate sul serio, mi sarei risparmiata tanta sofferenza venuta dopo.

Non era altro che una stupida, inutile, deleteria ossessione che governava i miei gesti, la mia mente, il mio cuore di donna.

Ero preda della mia follia, ma non riuscivo a vederlo.

Benché mi sentissi ignobile, agivo come una sconsiderata, incapace di fermarmi, travolta ormai dalla smania di avere ciò che non era nel mio destino.

“Lasciala andare, André! Ti prego…” gridai.

Mossi pochi passi e lo afferrai per un braccio per bloccare la sua fuga. Lui mi restituì uno sguardo costernato. Lungo il corridoio, giungevano ancora nitidi i passi di Oscar che si allontanavano. Li sentimmo affievolirsi, fino a scomparire.

“Danielle, ma che fai?”

I suoi occhi verdi, spalancati su di me erano come una voragine su cui rischiai di vacillare. Mi imposi il controllo delle mie emozioni e del corpo. Non potevo perdermi adesso.

“Ascoltami Andrè. Lasciala andare, e vieni con me. Andiamo via, lontano da Parigi e da Versailles.”

“Co… cosa?” Era atterrito.

“Ho una proposta da farti: vieni con me in Normandia. Laggiù ho una casa di mia proprietà dove potremo vivere liberamente. Potremo stare insieme, e forse lì, i nostri cuori potrebbero trovarsi ed essere di conforto uno all’altro. Se Oscar tiene davvero a te, forse verrà a cercarti, e tu non avrai più motivo di dubitare di lei. Avrai la conferma dei suoi sentimenti. Ma se come spero, non sarà così, la distanza potrebbe aiutarti a dimenticare, e magari… nel tuo cuore potresti trovare un po’ di spazio per me.”

Stava per obiettare, ma sigillai le sue labbra posandovi le dita della mano destra.

“Aspetta, André, prima di dirmi di no, ascoltami attentamente. Dopo potrai decidere. Ti prego: questa sarebbe l’estrema ed ultima possibilità che mi concedo. Se non riuscirai ad amarmi, come io ti amo, allora rinuncerò definitivamente a te, e tu potrai tornare da lei. Mi metterò da parte, né mai interferirò più fra voi due.”

André mi stava fissando attentamente e lo stupore iniziale aveva lasciato il posto ad uno sguardo concentrato e più riflessivo.

Sapevo che avrei catturato la sua attenzione.

Contavo esattamente su questo.

Volevo che vedesse i possibili vantaggi di ciò che gli stavo offrendo.

Non potevo proporgli una fuga d’amore, mancavano tutte le premesse. Se avesse accettato di seguirmi in Normandia, mi aspettavo lo avrebbe fatto con motivazioni differenti assai lontane dalle mie, ma il mio non era niente altro che un rischio calcolato: averlo per me o perderlo per sempre, giocando sulle nostre diverse aspettative.

Lontano da Oscar per un po’, forse sarebbe riuscito a innamorarsi di me.

Così gli stavo dando modo di azzardare una strategia, che per lui voleva dire mettere alla prova Oscar e i suoi sentimenti.

André mi guardava ancora un po’ scettico, lievemente guardingo, ma la sua reticenza stava scemando e intuivo accendersi in lui, una fiammella ostinata di ignota speranza.

Nel lieve silenzio della stanza debolmente illuminata da una candela posta in un angolo, le ombre della sera scivolavano sui muri tingendo l’ambiente coi colori malinconici del crepuscolo, e fu in quell’ istante che sentimmo provenire dall’esterno il rumore degli zoccoli di un cavallo: era Oscar che si stava allontanando.

A quel suono André parve riscuotersi e corse verso la finestra.

Io mi avvicinai di nuovo a lui e feci in tempo a scorgere Oscar che varcava il portone esterno del mio palazzo.

Il mio primo pensiero fu che André l’avrebbe seguita.

Forse era stato lo stesso pensiero di Oscar quando si era mossa per andarsene da lì.

“Parto fra due giorni, André. Non devi darmi una risposta subito, ma se decidi di venire, fatti trovare pronto domenica mattina alle otto.”

“Sei sicura di quello che vuoi fare, Danielle? Intendo: sei certa di volermi con te? Come spiegherai la mia presenza al tuo fianco?”

“Non intendo spiegarla.” Ribadii decisa.

“Neppure a tuo marito? Lo verrà a sapere prima o poi. Pensi che gradirà la tua fuga in compagnia di un servo?”

“Ho intenzione di scrivere al più presto a Leopold per metterlo al corrente delle mie intenzioni circa la separazione, nient’altro. Lo farò prima di partire, o gli scriverò dalla Normandia, non ho ancora deciso. È una cosa che va fatta.”

“Come vuoi, Danielle. Io devo parlare con Oscar; glielo devo. Non posso partire senza averlo fatto. Lo capisci, vero?”

A quelle parole quasi inaspettate, il mio cuore sussultò nel petto, sotto la rincorsa di un’ emozione troppo intensa.

“Ma certo, André. Tutto quello che vuoi…” sussurrai speranzosa e felice, smarrendo me stessa nel profondo mistero del verde ombroso e affascinante dei suoi occhi. La natura dolce delle illusioni mi stava consumando il cuore, senza che potessi saperlo.

 

 

Continua…

 

Scusate questo ritardo di mesi, ma non è stato un bel periodo per me, per tutta una serie di problematiche famigliari e personali che mi condizionano ancora adesso, ma che sto cercando di superare.

Voglia di scrivere non ne avevo e l’ispirazione non voleva saperne di tornare. Ho lasciato incompiuto il capitolo per molto tempo, perché la seconda parte non veniva fuori nel modo giusto, anche se avevo in mente quale fosse la direzione da seguire; ora immagino che molte di voi, arrivate alla fine del capitolo, mi odieranno. André che fugge con Danielle? E Oscar come reagirà?

Vi prego non saltate a conclusioni affrettate, tutto ha un suo perché.

Grazie sempre a tutte per l’incoraggiamento.

Ninfea.

 

 

 

 

 

 

 



[1]  L’Ancien Regime non conosce che l’autorità, la rigidità dei principi, e quelli del matrimonio sono i più forti. (…) L’autorità suprema è la Chiesa (che considera il matrimonio indissolubile). Nel Regno di Francia (prima della rivoluzione) il divorzio è permesso a ebrei e protestanti, ma non ai cattolici che sono la maggioranza della popolazione. A questi ultimi è riservata la separazione personale che è ammessa in caso di adulterio della donna e quando la coabitazione mette in pericolo la vita di uno dei coniugi. Oltre alla separazione, si può ricorrere all’annullamento o alle lettres de cachet che sono però una forma ignobile di separazione.

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Capitolo 23
*** Tempo inquieto (Attese) ***


tempo inquieto

23 – Tempo inquieto (attese)

 

 

 

Oscar si allontanò dalla stanza col solito passo sicuro e cadenzato.

Attraversò il lungo corridoio del palazzo ascoltando l’eco sordo dei suoi tacchi sul pavimento, l’orecchio teso, pronta a cogliere i passi di lui quando l’avesse seguita.

Si aspettava che lo facesse. Lo sperava, forse.

Continuò ad allontanarsi, senza troppa fretta, ma con decisione.

 

Ascoltava.

 

Niente.

 

Ma quanto ci metteva?

Si fermò dietro una porta socchiusa ad ascoltare la quiete della casa che era stata appena scossa dal suo alterco con la gemella; non le giungeva nessuna voce, né bisbiglio, tutto pareva avvolto nel silenzio, anche la servitù sembrava essersi dileguata, poi riprese a camminare un poco più lentamente.

Oltre il rumore dei suoi passi, la seguiva solo il silenzio che si accompagnava a un vago senso d’ inquietudine.

Lungo lo scalone che portava al pian terreno, mantenne l’orecchio ben teso, nel tentativo di captare i passi rapidi e furtivi del suo attendente, ma nessun suono giungeva al suo orecchio.

 

André ritardava.

 

L’inquietudine piano si trasformava in una strana angoscia che le stava afferrando il cuore e pareva stringerlo in una morsa spietata.

Un timore subdolo le strisciava sulla pelle come sudore, e neppure lei sapeva perché avvertisse quel malessere.

E magari lo sapeva bene.

Non era del tutto nuovo quel timore, ma lo scopriva per davvero in quell’ istante, lungo quanto la triste distanza che cresceva tra lei e il suo attendente. Danielle l’aveva delusa profondamente, ma qualcosa nell’anima le diceva che non avrebbe dovuto sorprendersi, che tutto era sempre stato lì davanti a lei, fin dall’inizio.

Il sospetto era stato forte e preciso.

Danielle infatuata del suo uomo, del suo amico.

 

-         Sei innamorata del mio André?

 

Lo aveva detto.

Così.

 

Come la cosa più ovvia e naturale, senza pensarci troppo su.

Lo aveva rimarcato con l’asprezza della voce.

Il suo André.

 

Impossibile confondersi, ma come si fa a credere che il tradimento provenga dal tuo stesso sangue, dalla tua carne, da colei che è venuta al mondo insieme a te, con cui hai diviso per nove mesi il calore dell’utero materno?

E André conosceva i sentimenti della sorella, ma sembrava ignorare i suoi; per la prima volta in tanti anni l’aveva messa in discussione, per questo anche lui l’aveva delusa, e mai il senso d’umiliazione era stato più potente.

Ma alla fine, l’avrebbe seguita, come faceva sempre.

Allora, perché ritardava? Perché non la raggiungeva?

Sull’ingresso del palazzo che dava sul cortile interno si fermò ancora, aggrappata più all’indefinibile che alla speranza. Si voltò ad osservare il vestibolo, scorse solo la figura di una cameriera che passava frettolosamente trasportando qualcosa a cui non prestò attenzione.

Sarà passato un minuto, forse meno.

Riprese a camminare verso l’esterno per raggiungere il suo cavallo legato lì fuori.

Non montò subito in sella.

Attese ancora.

Sperò di nuovo di sentire un suono di passi provenire dalle sue spalle, accompagnati da una voce che la chiamava.

 

Pochi secondi. Un minuto.

Cinque, dieci.

 

Cento, mille istanti che si dilatavano lenti e feroci.

Una mano posata sulla sella, si voltò per l’ultima volta a sbirciare con la coda dell’occhio dietro di sé.

Quanto tempo era passato?

Andrè non veniva.

Presto avrebbe fatto buio. Sarebbe sceso su ogni cosa attorno, sui muri, sulle strade di Parigi, sulle campagne. Su di lei. Sui suoi pensieri intrisi di amarezza che nell’oscurità si immergevano come pesci in uno stagno d’acqua torbida.

Mettersi in viaggio a quell’ora, quando il cielo imbruniva, e le ombre parevano farsi più sinistre e grottesche, poteva essere pericoloso; non le importava, voleva solo fuggire da lì, tornare a casa sua.

 

I lumi della città andavano spegnendosi; a breve l’oscurità avrebbe inghiottito Parigi, nascondendo nella notte le sue miserie.

Attraversò uno dei ponti della Senna al debole lume di un lampione ad olio che spargeva la sua luce su un lato del selciato. Dalla parte opposta, un viandante misterioso con un cappellaccio logoro calato sulla fronte, un organetto a tracolla e una gamba di legno si trascinava arrancando, intonando una ballata triste. Mentre spingeva il cavallo al galoppo, piantando i talloni nei fianchi della sua bestia, una rabbia sorda le mordeva l’animo, le graffiava il petto costretto e soffocato nella giubba, e saliva in stille salate che bruciavano come sale negli occhi. Quando le lacrime la invasero non tentò di fermarle, le lasciò tracciare linee umide e trasparenti sulle guance, né sentì il gusto dolente e amaro sulle labbra. Voleva mettersi a urlare e spinse il cavallo allo sfinimento per portarsi velocemente fuori dalle strade principali della città, per poterlo fare senza preoccuparsi che qualcuno potesse sentirla.

Un’ ora sarebbe bastata ad asciugare il pianto prima di giungere a palazzo.

 

 

 

 

André raggiunse la dimora dei Jarjayes circa mezzora dopo di lei.

Oscar aveva allentato il colletto della giubba che la soffocava e slacciato la divisa, assumendo così un’ aria dimessa e in disordine, ma non se ne curava. La balia le aveva fatto trovare la cena pronta, ma non aveva appetito e lei non era riuscita nemmeno a sedersi al tavolo.

Era rimasta ad aspettarlo incapace di ritirarsi nelle sue stanze, consumando con le suole degli stivali gli intarsi preziosi del pavimento della sua dimora.

Da una delle finestre al pian terreno, lo vide portare il suo baio nella stalla, e attardarsi prima di uscirne. Aveva acceso una delle lanterne che si trovavano appese all’interno, e lo vide attraversare il cortile per raggiungere l’ingresso della servitù sul retro. Per raggiungere la sua stanza doveva passare da quella parte del palazzo e non avrebbe potuto evitarla, e lei decise di attenderlo al varco come una sentinella pronta chiedere il pedaggio.

Si era seduta su una poltrona addossata alla parete, sotto la luce delle candele che creavano un alone giallastro sulla tappezzeria, le braccia abbandonate sui braccioli e le lunghe gambe distese davanti, incrociate una sull’altra. Sentì i suoi passi nell’anticamera, seguì una pausa;  probabilmente André stava posando la lanterna per accendere una candela, infine avvertì il suono dei cardini della porta che si apriva.

Nella vaghezza della semioscurità, André non si accorse subito di lei; solo quando avvertì la sua voce, alzò la testa nella sua direzione, scorgendola. Ne fu un poco sorpreso, ma tentò di non mostrarlo.

“Ben arrivato André. Pensavo ti fossi perso…” Esordì.

Lui non si lasciò ingannare dal tono basso e stranamente calmo, falsamente noncurante, in cui colse sottile velata ironia.

“Non preoccuparti, conosco la strada a memoria, Oscar. Comunque, avresti dovuto aspettarmi, non attraversare mezza Parigi col buio da sola…”

“L’attendente sei tu, non io… e le strade le conosco quanto te…”

“È stata Danielle a trattenermi…”

“Sì, e doveva avere ottimi argomenti se hai perso tempo con lei.”

André fece finta di nulla.

“Hai già cenato?”

“Non ho fame… Mi devi dire qualcosa, André?”

“Ci sarebbero molte cose da dire… - tentò già poco convinto e oppresso da un senso di spossatezza - ma vista l’ora, è meglio rimandare a domani…” e mentre lo diceva, sapeva già che lei non gli avrebbe prestato ascolto: la scintilla tra lui e Oscar era destinata a divampare in un fuoco più grande.

“È inutile rimandare quello che si può affrontare subito, e io non voglio aspettare domani. Voglio sapere cosa ti ha chiesto Danielle… e voglio saperlo adesso. Hai capito, André?” concluse in tono un po’ troppo aspro.

André sostenne quello sguardo di solito talmente limpido che pareva fatto di ghiaccio, ma non quella sera; in quell’istante, forse per reazione al pensiero penoso di lasciarla, gli sovvenne l’immagine calda, tenera e fremente di lei in altri momenti segreti, e si chiese come facesse a volte a essere così dura. Ma quelle erano le due anime opposte di Oscar, e lui le conosceva bene entrambe. E le amava, sebbene contrastanti.

Quel conflitto era la sua fragilità.

Quella fragilità che lui tentava da una vita di proteggere e che lui amava. Quel conflitto che in Danielle non esisteva, almeno non così.

Danielle non aveva bisogno di lui, ma Oscar sì.

Danielle prima o poi, se ne sarebbe resa conto, era solo questione di tempo.

André non temeva la tentazione, per quanto allettante fosse; era sicuro che la permanenza in Normandia con Danielle non lo avrebbe fatto innamorare di lei, semmai avrebbe aiutato la gemella a comprendere meglio quanto i suoi sentimenti per lui fossero più idealizzati che effettivi. Ma con Oscar le cose erano sempre state più difficili. Con lei si dovevano correre dei rischi e lui stava mettendo sul piatto della bilancia sé stesso e il suo amore sofferto.

Quanto avrebbe pesato per lei quel sentimento e la passione che aveva finito per travolgerla?

Ebbe pochi attimi di incertezza, soffermando il pensiero sulle parole più giuste da dire, quali usare e come usarle, e si rese conto in fretta che non esisteva un modo semplice e diplomatico per esporle i fatti.

Era una pugnalata a cuore aperto, diretta e scoperta.

Emise un lieve sospiro basso, prima di parlare col tono più quieto, quasi rassegnato che potesse trovare, senza alcuna inflessione particolare nella voce. Disse semplicemente, “Danielle mi ha proposto di partire con lei per la Normandia. Io ho accettato il suo invito.”

Restò a fissare in silenzio la sua espressione indecifrabile. Gli parve di cogliere un guizzo nelle iridi celesti, ma causa la poca luce, poteva essersi ingannato. Forse un lieve moto di sorpresa le fece scuotere le spalle, ma non ci furono altre reazioni evidenti.

Uno strano silenzio carico di interrogativi galleggiò tra loro per alcuni istanti; Oscar parve riflettere su qualcosa, si alzò dalla poltrona e mosse qualche passo verso la vetrata, senza avvicinarsi a lui. La luce bianca opalescente di una grande luna piena le illuminava il volto diafano e bellissimo.

“Dimentichi che sei al mio servizio, André. Tu hai le tue mansioni qui; il mio attendente non può andarsene come più gli aggrada, quando ne ha voglia.” Sentenziò senza neppure guardarlo, il tono fermo, troppo.

Per un istante, lui restò basito di fronte all’apparente freddezza di quelle parole, e subito pensò che avrebbe dovuto aspettarsele.

Tanto valeva spingere l’affondo all’estremo.

“Scusami Oscar, forse non sono stato chiaro. Pensavo che visto i nostri ultimi trascorsi, e l’evolversi della nostra attuale situazione… non posso restare al tuo servizio, mi pare ovvio, non dopo quello che ci siamo detti oggi pomeriggio. Andarmene credo sia la cosa più saggia da fare.”

Oscar si voltò di botto nella sua direzione.

“Trovi saggio fuggire in Normandia con mia sorella? È un dispetto? Sei arrabbiato per quello che ti ho detto oggi? È così?” Rispose alterata.

La voce di Oscar perse in meno di un secondo la freddezza ostentata poco prima: più alta del dovuto, vibrava di disappunto e sconcerto, a un passo dall’esplodere di rabbia.

“Non giudicarmi in maniera tanto puerile, Oscar. Sai bene che i motivi sono molto seri; io non posso più lavorare per te come facevo prima, sono cambiate troppe cose, lo sai.”

“Se è solo questo il problema, posso fornirti tutte le referenze che ti servono per un altro impiego, senza andare in Normandia per seguire Danielle. È una cosa stupida e folle, André. Non hai pensato che mio cognato, scoperte le circostanze della fuga, potrebbe pretendere soddisfazione per un’ offesa del genere? Potrebbe reclamare la tua vita e nessuno si opporrebbe, le leggi sono dalla sua parte.”

“Neppure tu, Oscar? – Alla domanda seguì un sospiro leggero e impercettibile. - Non ti preoccupare per questo: non voglio dare a Leopold motivo per offendersi. Seguirò Danielle solo in veste di accompagnatore.”

“Oh, mai sai bene che per lei non sarà così; è innamorata di te, almeno così dice. Perché la incoraggi?… Oh, forse è esattamente ciò che vuoi?”

“Ha importanza, Oscar? – André con un movimento brusco, le si avvicinò di qualche passo, ma non bastò ad accorciare quella distanza che lei aveva messo fra loro. – Ha qualche importanza che possa ricambiare i suoi sentimenti, oppure no? Rispondi! Per te cambierebbe qualcosa? Cambierebbe qualcosa fra noi?”

“Beh, io…”

“L’unica cosa che voglio… no anzi, l’unica cosa che posso fare ora è andarmene da qui, e per me un posto vale l’altro, se tu non sei con me.”

Andrè le si era fatto completamente vicino, il corpo prossimo a quello di lei, il viso rivolto al suo, e una mano le aveva raggiunto il volto, sfiorandolo in una carezza veloce e triste, che era scivolata sotto il mento a sollevarlo. Aveva indugiato sulle labbra, preso dalla tentazione di baciarla un’ ultima volta, ma aveva allontanato le mani ritraendosi come scottato.

Oscar era rimasta incantata per un momento, sospesa nell’attesa di quel bacio che non era arrivato, e lo aveva guardato allontanarsi di scatto, con il cuore preda di uno strano impulso, ma incapace di esternarlo.

Fosse bastato un bacio a trattenerlo, ma lui non le diede il tempo di provare a catturarlo con parole o gesti che fossero più dolci, né con quegli occhi capaci di accendersi come braci ardenti.

Non sapevano stare vicini senza farsi del male, prigionieri uno dell’altro, di un sentimento che avrebbe dovuto essere libertà, luce del sole, ma diventava tormento ed estasi da nascondere, preziosi attimi vissuti al buio che vivevano nelle spazio di ore troppo brevi, da sembrare solo sogni evanescenti che morivano alle prime luci pallide del mattino.

Conoscevano l’amore clandestino e nient’altro, la brama segreta dei corpi che si consumava rapida nei loro incontri lasciandoli vuoti e inappagati, il calore e il profumo della pelle che imprigionava i sensi e la ragione.

Scivolò via, lontano da lei, facendo leva su sé stesso.

“Io capisco quanto possa essere difficile per te, Oscar, conciliare il dovere con i sentimenti… il soldato freddo e rigoroso, senza debolezze, con la donna tenera e appassionata che preme per uscire. Non voglio importi niente, neppure il mio amore… per questo ho deciso di andare via. Forse questo risolverà i tuoi conflitti.”

“Non è necessario che tu te ne vada in Normandia. Se non vuoi restare qui a palazzo, possiamo trovare un’ altra sistemazione; siamo persone adulte, possiamo risolvere la cosa senza traumi.”

Senza traumi? Oh…– André rise amaramente, portandosi una mano alla fronte. - Non c’è un’ altro modo. Fammi andar via, ti prego Oscar. Se resto qui, finiremo solo per farci altro male…e io continuerei a chiederti quello che tu non puoi darmi…”

Il tono si André era diventato improvvisamente triste, quasi rassegnato a qualcosa di inevitabile. Seguirono brevi attimi di silenzio, carico dello sguardo penetrante di Oscar. Appariva pensierosa.

“È davvero così, André? - Domandò dopo un momento, la voce vibrante, e le parve di cogliere un’ ombra di smarrimento negli occhi di lui. - Dimmi che non segui Danielle, perché lei è tutto quello che non posso essere io. Giurami che non la desideri per questo…altrimenti, che motivo avresti per seguirla?”

Ma la risposta che le giunse la lasciò senza fiato, e se possibile ancora più stordita.

“Non è per una sottana e un po’ di belletto. Mio tormento e consolazione sarà che lei mi ricorderà te. Mi sembrerà di averti ancora accanto, Oscar. Con nessun’ altra avrei la forza di fare questo.”

La sincerità di quella frase la colpì come un pugno in pieno stomaco, e un dolore acuto, oltre che inatteso le attraversò il petto e le salì fino agli occhi, dove si sciolse in acqua trattenuta a fatica dentro l’azzurro freddo delle iridi. Strinse i pugni conficcandosi le unghie nei palmi, ma non servì: come André fu oltre la soglia della stanza, si accasciò sul pavimento in ginocchio e il pianto più straziante le annebbiò la vista.

Solo allora si accorse che faceva freddo in quell’ala della casa.

 

 

*******

 

 

La Normandia ci accolse con il suo clima fresco e temperato. Avevo mandato avanti gran parte della servitù ad aprire la dimora e prepararla al mio arrivo. Mi piaceva molto quella casa, lontana dal frastuono di Versailles e di Parigi, dove molto raramente qualcuno veniva a farmi visita, e mi sarebbe piaciuto ancor di più soggiornare lì, in compagnia di André. Mi aveva seguita come non avevo sperato che facesse, con serenità e senza ripensamenti apparenti o rammarico di qualche tipo.

Non sapevo come si fosse congedato da Oscar, né come lei avesse preso quell’abbandono da parte dell’uomo che era diventato a tutti gli effetti il suo amante; immaginavo soltanto che nel cuore, Oscar fosse una donna come lo ero io, e a nessuna donna piace essere lasciata dal suo uomo, amante o innamorato che sia.

André non mi aveva detto nulla a riguardo, e quando durante il nostro viaggio avevo cercato di indagare sull’ argomento, con gentilezza, ma con fermezza aveva mantenuto la più stretta riservatezza, invitandomi a non fare domande.

“Scusami Danielle, ma preferirei non parlare di questo. A che servirebbe? Accontentati del fatto che sono qui con te e godiamoci il momento.”

Guardandolo attentamente, indovinai una pena disegnata nella piega un poco amara delle sue belle labbra. Mi bastò, e rispettai il suo riserbo, ripromettendomi di regalare serenità e gioia al nostro soggiorno in Normandia.

 

Le prime settimane passarono piacevolmente.

André era una compagnia dolce e profonda che scacciava la solitudine e riempiva di vita ed entusiasmo le mie giornate, anche se a volte avevo l’impressione di scorgere una vaga indefinibile tristezza nello sguardo verde ombroso del mio giovane e affascinante accompagnatore, e mi chiesi quanto il pensiero di Oscar lo ossessionasse.

Me ne accorgevo soprattutto in alcuni momenti particolari, nelle ore del crepuscolo e in certi luoghi; notavo sguardi assorti e lontani in occasione delle nostre cavalcate sulla spiaggia che si stendeva ampia e selvaggia appena dietro la villa. Lanciavamo i cavalli in corse folli, opponendo i nostri corpi all’aria che ci investiva, sollevando spruzzi d’acqua salata che raggiungeva i nostri visi travolti dall’eccitazione, poi rallentavamo la corsa e lasciavamo che le nostre cavalcature procedessero placidamente lungo la battigia, in un dondolio che seguiva il ritmo dei nostri respiri rallentati. Era allora che, osservando il suo viso, lo notavo: un mutamento repentino e improvviso gli spegneva lo sguardo che diveniva malinconico e quasi assente.

Certamente doveva pensare a lei e io, nei giorni a venire, mi premurai di distrarlo in ogni modo.

Trascorrevamo insieme molte ore, cavalcando sulla spiaggia o attraverso i boschi che sorgevano poco distante dalla villa nell’entroterra. Pranzavo e cenavo con lui in una saletta appartata affacciata sul mare, che facevo preparare con gran cura solo per noi due.

André mi accompagnava in paese per le poche visite e per incombenze di vario genere, che riguardavano la gestione della villa, svolgendo quasi le mansioni di un segretario personale.

Si offrì lui, per quell’ attività, con l’intento preciso di prevenire possibili maldicenze sul significato della sua presenza al mio fianco.

“Se la gente penserà che sono alle tue dipendenze, eviteremo noiosi pettegolezzi al riguardo, non credi?”

Mi disse una sera a cena, dopo una breve escursione in paese, divenuta pretesto per saldare fornitori e falegnami che avevano lavorato alla villa, sorseggiando un bicchiere di vino sotto la luce soffusa delle candele, mentre sul mare in lontananza il disco rosso del sole andava a nascondersi sotto l’orizzonte.

Risi divertita dei suoi scrupoli.

“Lo sai che si dice dei segretari, André? Soprattutto quando sono giovani e di bell’aspetto? E tu sei abbastanza affascinante da suscitare sospetti. Non che la cosa mi importi molto, in realtà. Che pensino pure quello che vogliono, - dissi osservando il cielo che si apriva oltre le finestre del mio giardino – sono troppo felice, adesso.”

“Dovrebbe importarti, Danielle. Non voglio danneggiare la tua reputazione. Sei ancora una donna sposata, anche se stai pensando al divorzio. Mi pare di aver notato qualche sguardo sospettoso anche tra i tuoi servitori. E il curato di Etretat ti ha subito chiesto notizie del signor conte.”

“Non ti preoccupare, André. Stiamo bene qui, e io voglio solo godere di questo; voglio solo che qui con me, tu possa trovar pace per il tuo cuore. Ne sarei felice, André. A te fa piacere essere qui, vero? Non sei pentito di avermi seguita fin quaggiù?”

“Ma no, Danielle. Certo che mi fa piacere.”

“Però immagino che sentirai la mancanza… - esitai, con lieve imbarazzo - di Palazzo Jarjayes.”

Dissi guardandolo apertamente, e lui abbassò piano il bicchiere di vino sulla tovaglia ricamata. Non ebbi il coraggio di nominarla; forse non volevo che il suo fantasma si frapponesse fra noi. Ma la risposta che mi diede André, suggeriva ben altri significati.

“Non di Palazzo Jarhyes… semmai delle persone che vivono lì…” commentò pacato, ma era impossibile non cogliere il riferimento.

Gli accarezzai una guancia con tenera passione, salendo fino a incontrare i riccioli scuri sulla sua fronte. In risposta, lui prese la mia mano nel calore della sua, e baciò il dorso delle dita con fare rispettoso.

Ma non era quello il tipo di bacio che avrei voluto da lui.

Per quelle settimane, André non tentò mai approcci di natura diversa, per quanto io lo sperassi, e le sue buone maniere, gentili e discrete non mi trassero mai in inganno. Era deciso a non incoraggiarmi, anche se mostrava di gradire le mie premure.

 

Una mattina mi svegliai prima del solito e decisi di scrivere a mio marito, una lettera precisa e sintetica con tutte le mie richieste e condizioni che ponevo all’adozione di quella bambina. Scrissi la lettera, cosparsi la polvere sull’inchiostro per farlo asciugare, la piegai e la misi da parte.

Dopo presi un altro foglio di carta e lo vergai con poche righe.

 

- Fai colazione mio gentile amico, poi raggiungimi  a cavallo lungo la spiaggia.  Ti aspetto lì, vicino agli scogli.

 

 

Avevo ancora addosso la mia preziosa veste da camera e i miei capelli erano lunghi e scivolavano sulla schiena in morbide onde. Chiamai Ninette e le porsi il biglietto per André, che avrebbe consegnato appena si fosse svegliato.

La mia cameriera mi guardò con complicità.

Aveva intuito tutto da molto tempo, ma non mi aveva mai esternato impressioni o commenti. Avevo forse letto una vaga perplessità in alcuni sguardi all’inizio, ma si era sempre comportata con discrezione. Prese il biglietto e si ritirò con un piccolo inchino.

In fretta, mi sfilai la mia veste di seta e indossai abiti di foggia maschile, più comodi per cavalcare. Mi osservai allo specchio delle mia toilette e decisi di lasciare i capelli sciolti sulle spalle; applicai solo un velo di cipria sul viso, mentre riccioli lunghi e ribelli mi ricadevano sul petto e sul davantino dell’abito, tra i pizzi vaporosi della camicia e la stoffa azzurra del gilet ricamato.

Guanti e scudiscio, lasciai la stanza per dirigermi verso le scuderie dove avrei trovato la mia dolce Desiree già sellata e pronta per me.

André doveva essere ancora a letto, perché non lo vidi in giro.

Fui tentata di raggiungerlo nella sua stanza che avevo fatto preparare in un’ ala laterale del palazzo, per non suscitare troppe chiacchiere tra i domestici; volevo dargli il buongiorno, ma rinunciai. Sarebbe stato più bello incontrarlo sulla spiaggia e cavalcare insieme a lui fino al limitare del paese che sorgeva a pochi chilometri dalla villa padronale.

 

 

Attesi lunghi minuti, portando Desiree al trotto, arrivai al limitare degli scogli che incorniciavano la spiaggia. Scesi da cavallo per andare a sedermi sulle rocce dove non arrivavano gli spruzzi delle onde.

L’aria era frizzante, e io stavo insolitamente bene.

Osservai il mare scuro in lontananza, che quella mattina appariva agitato e creste bianche di spuma si inseguivano infrangendosi sull’arena.

Non mi accorsi del tempo trascorso, ma dovette passare una buona mezzora, prima di scorgere in lontananza il cavallo dell’attendente apparire dietro la curva che nascondeva il piccolo promontorio su cui sorgeva la villa.

Osservai la sua magnetica figura, capelli corvini ribelli trattenuti dal nastro nero appena mossi dall’aria, il volto lievemente abbronzato dal sole, la camicia bianca slacciata sul petto, i calzoni scuri che fasciavano le gambe muscolose chiuse dentro gli stivali alti di cuoio lucido. Lo guardai ammirata e mi sembrò bello come un dio, un tutt’ uno col suo destriero nero.

D’ impeto, rimontai in sella a Desiree per andargli incontro al galoppo.

Mi sentivo euforica e felice, e se fosse sceso da cavallo per salutarmi, nel mio slancio gli sarei saltata al collo per baciarlo con tutta la passione che mi stava invadendo.

 

Ma mentre gli andavo incontro, mi accorsi che qualcosa non andava. La sua espressione cambiava, man mano che si avvicinava a me. André rallentò in maniera brusca, fin quasi a far scartare nervosamente lo stallone nero, lo vidi arrestarsi, stringere le briglie convulsamente, girare su se stesso e continuare a guardarmi. Doveva essere nervoso e trasmetteva la sensazione al suo cavallo.

Avvertii il suo sguardo fisso su di me, quando fui a pochi metri, e mi colpì implacabile e ostinato; passò dalla più accesa costernazione al risentimento.

Cosa diavolo lo aveva turbato tanto?

Lo capii immediatamente dopo.

“André, ma…”

Accennai un debole sorriso, che si spense subito, di fronte alla sua risposta seccata e indisponente.

“Ma che scherzo è questo! Non potevi scegliere un altro abbigliamento? Non mi diverte, Danielle. Per niente.”

Un colpo di talloni nei fianchi del cavallo e corse via, sollevando un poco la sabbia umida. E io restai lì, stupita e ferita, a guardare l’uomo che amavo fuggire lontano.

 

 

********

 

I corridoi di Versailles, con i pavimenti lucidi e le venature preziose dei marmi policromi, le sembravano tutti uguali, quasi interminabili. Su una parete si apriva una fila interminabile di finestre, da cui entrava una luce fastidiosa che a intervalli regolari la investiva, abbagliandola.

Non badava nemmeno ai cortigiani che incrociava, non si preoccupava neppure dei vaghi cenni di saluto, le occhiate furtive e curiose che lanciavano quando passava loro accanto.

Era come se non esistesse anima viva.

Procedeva in maniera meccanica, come se nulla di ciò che faceva dipendesse dalla sua volontà.

Aveva appena avuto un’ udienza privata con la regina, ma non era andata secondo i piani prefissati. Avevano parlato di tutto, tranne del reale serio motivo che aveva spinto Oscar a chiedere udienza. Quasi non lo ricordava, e neppure le importava più.

Guardò con lieve fastidio il tenente Girodelle che l’aspettava composto e impettito alla fine del corridoio, davanti alla porta dell’ufficio di comando. Bastò vederlo lì, per capire che l’ attendeva qualche nuova seccatura, e il suo umore non era al meglio della forma per affrontare con lucidità un qualsiasi problema.

“Comandante è necessaria la vostra presenza nel salone dei ricevimenti: ci sono alcuni nobili che rumoreggiano e protestano per l’assenza di Sua Maestà. Le guardie hanno cercato di allontanarli, ma gli animi si stanno scaldando in modo preoccupante.”

Senza un commento e con l’espressione più indifferente, Oscar si diresse verso quell’ala della reggia e Girodelle la seguì nel salone per darle manforte.

Pochi minuti dopo, i nobili presenti, sotto lo sguardo severo e deciso del comandante delle guardie reali, malcontenti stavano lasciando la sala, senza avere potuto perorare le loro richieste alla regina.

Tornata la calma e il silenzio, Oscar ritornò indietro per dirigersi verso l’uscita, con la mente distratta da pensieri che fingeva fossero senza importanza, ma inesorabilmente la guidavano sempre nello stesso luogo, allo stesso volto. Mai avrebbe pensato che l’assenza fosse qualcosa di così pesante e tangibile. Mai avrebbe detto che fosse qualcosa di fisico percepibile con i sensi.

A volte le mancava l’aria e i profumi dei fiori la stordivano anche se passeggiava per i viali ghiaiosi dei giardini; allora si guardava attorno, alla disperata ricerca di un’ ombra su cui fermare lo sguardo affamato.

Ma non trovava nulla su cui riposare gli occhi e la tristezza più cupa l’assaliva, come se il cielo troppo azzurro e vasto sulla sua testa le pesasse addosso, facendola sentire persa.

Tutta quella bellezza inutile era troppo triste e amara da vivere da soli.

La voce di Girodelle alle sue spalle giunse come un martello alle tempie.

“Scusate Comandante, ma non ho potuto fare a meno di notare l’assenza del vostro attendente. Sono diversi giorni ormai, e prima non era mai successo. Sapete, è strano vedervi senza André…”

Sentire il nome fu come ricevere uno schiaffo sull’anima già pesta. Forse Girodelle parlò di nuovo, ma lei non lo sentì. Avvertì solo lo spasimo penoso del cuore che prese a battere irregolare.

Guardò l’ufficiale a occhi sbarrati come se il tenente avesse osato compiere chissà quale delitto.

Due settimane, e non aveva più pianto da quando se n’era andato, e lei aveva sigillato quel dolore come un prigioniero pericoloso da tenere sotto chiave. E ora era lì, più bruciante che mai, pronto a uscire e svergognarla per mostrare a tutti quanto fosse fragile e smarrita.

Lei non riusciva più a trattenerlo dentro, ma la rabbia era l’unica cosa che le permettesse di controllare le lacrime.

Volse rapida le spalle al suo secondo, e rispose con durezza.

“Tenente Girodelle, questa non è cosa che vi riguardi!”

Si allontanò frettolosamente, quasi correndo. Attraversò le sale, scese lo scalone che portava all’esterno a passo spedito. In pochi attimi, fu nel grande cortile della reggia, montò sul suo cavallo e partì al galoppo. Corse con furia attraverso la campagna e con altrettanta furia, lasciò bruciare gli occhi al fuoco salato delle lacrime.

 

-         Maledizione André!! Mi manchi da stare male! Non è giusto. Non dovevi lasciarmi per seguire lei… Non ti perdonerò mai per questo. Mai!!

 

 

 

********

 

 

IL cavallo nero corre sfrenato contro il vento. Il suo cavaliere lo frusta quasi senza pietà, colpi rapidi di scudiscio sulla coscia nervosa, che scatta e guizza nella corsa forsennata.

Danielle è rimasta indietro amareggiata, ma non gli importa. Sente solo quel vuoto dentro che lo assale e lo soffoca, e l’amarezza che lascia il veleno della delusione nelle vene.

La serenità, la calma dello spirito è durata solo pochi giorni, l’equivalente di ore vaghe e indefinibili, finite troppo in fretta. Gli era sembrata durevole a volte, e in alcuni istanti aveva finito quasi per crederci. Dimenticare, liberarsi di quell’amore pareva diventata una cosa possibile, fino a quando il ricordo non lo schiaccia di nuovo contro il muro di quella vita vissuta con lei.

Per quanto Danielle faccia, nonostante tutta la dolcezza che sa metterci,  e tutto l’amore sincero che prova, lui non riesce a dimenticare, né a soffocare il sentimento che sente.

E mentre corre contro l’aria, André ha paura di aver fallito.

 

Quale terribile inganno sanno suscitare i sensi.

Ha creduto che fosse lei.

Per un momento, l’ ha vista così, l’ oro dei capelli sciolti al vento, abbacinanti come la luce solare, le vesti da uomo.

Ha pensato… Ha sperato…

 

È lei, è venuta da me.

È venuta a cercarmi, perché mi ama come la amo io.

 

 

Ma le illusioni sono per gli sciocchi.

E di essi, lui si sente il re.

 

Come fai Oscar?

Come fai a non sentire questo dolore che spacca il cuore?

Non ti manca la mia pelle, i miei baci? Le nostre labbra affamate di noi?

Le nostre notti rapaci e dolorose? Non ti manca il nostro dolore che misteriosamente ci faceva sentire vivi, e si placava esausto solo nel cerchio possessivo delle nostre braccia?

Oscar, come fai a vivere, se io non vivo più?

 

 

Pensieri penosi che si perdono come aquiloni senza fili nell’aria salmastra, su una spiaggia grigia lontana percossa da venti troppo freddi.

 

 

 

Continua…

 

 

 

Eccomi qui, dopo tanto tempo.

Scusatemi per la lunga attesa, ma questo è un periodo ancora un po’ grigio per me, fatto di alti e bassi, che in alcuni momenti mi sembrano solo bassi, tra vari problemi personali che incidono profondamente sul mio umore, quindi anche sulla voglia di scrivere che dovrebbe essere un piacere, e purtroppo in alcuni momenti sembra che nulla lo sia.

Il capitolo era scritto per metà, ma la seconda parte non voleva saperne di venire fuori; poi qualche giorno fa… non so… ho ricominciato a scrivere e il capitolo si è concluso quasi da solo. Spero sia venuto bene.

Devo dire che mi è piaciuto scriverlo, spero solo che a voi piaccia leggerlo.

Ho trascurato di rispondere ad alcuni dei vostri commenti e mi dispiace, ma sappiate che li leggo tutti e che li apprezzo, e sono uno stimolo importante e sincero su cui rifletto a fondo, che mi sprona ad andare avanti e a fare sempre, se possibile, meglio. Di questo vi ringrazio, dal profondo del cuore, e spero che vorrete continuare a lasciare i vostri pareri sinceri, per me tutti importanti.

Non vi tedio oltre.

Saluti Ninfea.

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 24
*** Solitudini ***


24 solitudine

24 – Solitudini

 

 

Eccomi qui. Mi ero ripromessa di terminare il capitolo per Natale e ci sono riuscita, nonostante la mia lentezza esasperante. Spero che risulti un regalo gradito, anche se lo spirito dello scritto, come vedrete se vorrete leggere, non ha un’atmosfera festiva. Metto le mani avanti per l’atteggiamento di André, perché so che ha già lasciato perplesse diverse lettrici: potreste non riconoscere il personaggio che tanto amiamo, ma in alcuni momenti io lo vedo così, e nella mia mente la storia ha una sua naturale evoluzione che mi sforzo di rispettare. Comunque spiego la cosa anche in una nota a fondo capitolo. Su Danielle non dico più nulla, tanto oramai la odiate, io però ho una sincera pena per lei e per il suo sentimento non corrisposto. Non vi tedio oltre.

Buon Natale e Buon Anno a tutte voi, e grazie sempre di essere qui. Siete un grande incoraggiamento. Buona lettura.

 

 

ßßßßßß

 

 

 

Avevo guardato André allontanarsi.

La sua figura scura e inquieta contrastava contro il maestoso sfondo bianco delle falesie, le pareti d’alabastro scolpite dai venti nel gesso e nella selce che delimitavano la suggestiva spiaggia di Etretat. [1]

Dopo il primo turbamento suscitato dalla sua reazione severa, decisi di raggiungerlo.

Lo ritrovai ormai in prossimità della villa, all’estremo del promontorio che si affacciava sulla distesa azzurra e infinita del mare. Aveva lasciato libero il suo cavallo a pascolare i pochi ciuffi d’ erba che crescevano qua e là; mi apparve immobile contro l’ orizzonte, col vento che saliva dal mare a scompigliargli le chiome brune.

Ero mortificata per quello che era accaduto sulla spiaggia poco prima, ma avevo capito cosa lo avesse tanto turbato e sconvolto; era stata la mia somiglianza, questa volta involontaria, con Oscar: il mio abbigliamento e le mie chiome lasciate libere avevano riacceso nel suo animo il ricordo doloroso di lei.

Da parte mia non fu qualcosa d’intenzionale somigliarle, ma non avevo calcolato quanto fossi identica a lei, soprattutto per André, che doveva aver creduto di vedere il suo fantasma. Solo in quel momento mi fu chiaro quanto fosse penosa per lui quella separazione forzata; lasciare Palazzo Jarjayes per seguirmi, doveva essere stata una scelta lacerante.

Che ingenuità credere che fosse stato fatto a cuor leggero.

Con quella acuta consapevolezza, lo raggiunsi sul promontorio, lasciando la villa alle nostre spalle; scesi da cavallo e mi accostai un poco a lui.

Restai a distanza ad osservare il profilo elegante e preciso della sua schiena che si opponeva all’aria, le gambe lievemente divaricate, un piede posto davanti all’altro. Non potevo vedere i suoi occhi puntati contro la linea dell’orizzonte; sospettavo mi avesse sentito, eppure non diede segno di volersi voltare.

Restò ostinatamente immobile, perso a contemplare la vastità dell’ oceano che si stendeva davanti alla costa francese. Immaginavo che i suoi pensieri volassero lontano chilometri da lì.

“Mi dispiace André. Se ho fatto qualcosa di sbagliato, ti prego, scusami. L’ultima cosa che voglio è farti del male.”

Le mie parole uscirono esitanti e incerte. Mi aspettai di sentire una risposta che non venne e dopo alcuni minuti, il dubbio che non mi avesse assolutamente sentito, né si fosse accorto della mia presenza, attraversò i miei pensieri.

“Non devi pensare che voglia di nuovo giocare con te fingendo di essere lei. Ti prego di credermi André. Non è per questo che ti ho invitato qui…”

Continuava a restare in silenzio, mentre io supplicavo Dio che dicesse qualcosa, qualunque cosa che lo riportasse al presente. Avrei accettato anche il suo biasimo.

Feci un altro passo per portarmi un poco più vicina a lui, senza avere il coraggio di colmare la breve distanza fisica che ci divideva. Ma le mie gambe avrebbero voluto correre. Avrei soltanto voluto stringerlo tra le mie braccia, costringerlo a girarsi verso di me e posare la mia guancia all’altezza del suo cuore e placare il battito furioso che lo possedeva.

“André…” sospirai.

Allora si voltò a guardarmi.

Il suo sguardo era mesto, offuscato da pena, frustrazione mista a rabbia.

Quella luce di gioia contenuta intravista nei giorni trascorsi, sembrava scomparsa, sostituita da amara disillusione che non tentava neppure di dissimulare.

E le sue parole furono ancora più dense di rimpianto e sgomento.

“Non ti scusare Danielle. Tu non hai fatto nulla; sono io che ho nutrito delle false speranze. Mi dispiace, non sono stato del tutto sincero con te. Vedi, in realtà, io sono venuto fin quaggiù con uno scopo preciso e non mi sono preoccupato troppo dei tuoi sentimenti.”

“Io credo di averlo sempre saputo André, ma vedi, non m’ importa…”

Come potevo biasimarlo?

Conoscevo ogni rischio recondito di quel viaggio e mi erano altrettanto chiare tutte le più nascoste motivazioni che non osavamo confessare uno all’altro, ma erano lì, invisibili possibilità scongiurate e desiderate per le nostre personali felicità.

“Non t’ importa? Oh, allora tu sei peggio di me! – Esclamò con durezza, serrando i pugni. – Non t’ importa che contro ogni logica e buon senso, non ci sia giorno che io non abbia sperato, invocato l’arrivo di Oscar qui? L’aspetto fin dalla prima ora del nostro arrivo a Etretat. L’ ho cercata nei volti delle persone che abbiamo incontrato giù in paese, in queste ultime due settimane. Ho pensato a lei in continuazione, tanto da esserne stordito!”

Parlava con trasporto, era un fiume in piena senza controllo e la sua voce vibrava con furia appassionata. Non lo avevo mai visto in un tale stato di eccitazione dolorosa.

“Mi aspetto che piombi qui, da un momento all’altro, a pretendere che torni a casa con lei, a supplicare magari. Se venisse a ordinarmelo, io le ubbidirei quasi ciecamente. Metterei da parte ogni briciola d’orgoglio, ogni umana volontà solo per sentirle dire che mi ama, e che mi rivuole con sé. Lo capisci Danielle? Lei resta tutto ciò che io desidero e amo… e  sono terrorizzato all’idea che resterà soltanto un desiderio inappagato. E tu vanamente speri in qualcosa che non potrò mai darti.”

“Lei ti ha reso così spietato, André? Tu non sei così…”

“Sono esattamente così, invece. Il mio cuore è chiuso a ogni altro sentimento che non sia ciò che provo per lei. Credevo che sarebbe stato facile venire qui, stare con te. Credevo che avresti potuto aiutarmi non dico a dimenticare, ma a sopportare il mio tormento… - a quel punto si avvicinò per sfiorarmi il viso con la punta delle dita e fissò i suoi occhi di fuoco nei miei - credevo di potermi rassegnare a lasciarla andare, grazie a te. Ma non è così. Mi è bastato vederti sulla spiaggia poco fa, per capirlo, quando per un momento ho creduto che fossi lei. La verità è che sono disperato, e la disperazione fa fare le cose più assurde ad un uomo.”

Non avrei voluto, ma più lo ascoltavo e più sentivo l’amarezza avvelenarmi il cuore e una rabbia sorda e inesorabile montò in me. Comprendevo i suoi sentimenti, ma non potevo accettare quella sua presa di posizione.

Io volevo che lottasse, per sé e anche per me, pur col rischio enorme di finire in svantaggio e perdere la partita col suo cuore.

“Davvero? E tu, André? Quale atto disperato ti spingeresti a compiere? Vuoi annullarti per una donna che non ha fatto nulla per proteggere e difendere quello che vi univa, qualunque cosa fosse? Vuoi mettere da parte l’ orgoglio e correre da Oscar a supplicarla che ti riprenda con sé, come l’ultimo degli stallieri di Palazzo Jarjayes? Io non lo accetto André. Non ti permetterò di umiliarti fino a questo punto! Saresti un debole, e tu non lo sei. Tienilo a mente, qualora ti venisse una simile vergognosa tentazione!”

Protestai con tutta l’energia che avevo in corpo, fiera e orgogliosa. Mi mossi per andarmene preda del mio sdegno, ma André repentino, mi bloccò afferrandomi un polso. Strinse deciso e quasi mi fece male. Oppose il suo corpo duro e possente alla tenerezza del mio e mi trattenne bloccandomi le spalle.

“Danielle, tu sei nella posizione di approfittare di me e della mia debolezza. E io potrei essere tanto pazzo da cedere alle tue lusinghe e alle mie voglie più basse. Scusa se lo dico in modo così crudo, ma non sarebbe altro che lussuria, brama dei sensi. – Parlava con foga, la voce accesa. - La verità è che non sono mai stato come adesso, diviso e in conflitto tra l’amore che sento ancora per Oscar e la voglia di lasciare tutto alle spalle, essere libero da un sentimento che strazia e opprime. [2] Tu sei nel mezzo Danielle, è rischi di farti male; se sei decisa a correre il rischio, io non mi tiro certo indietro.”

Ci guardammo negli occhi, resi ardenti dalle nostre violente emozioni.

“Sei crudele e sincero. Conosco il rischio. Io voglio l’amore, André. Io voglio per me, quello che senti per Oscar.”

E finalmente sentii le sue forti braccia circondare la mia vita, attirarmi a sé mentre le sue labbra sensuali e voraci assalivano le mie. Non opposi alcuna resistenza alla sua invasione, mentre le nostre bocche si aprivano esplorandosi, dolci e peccaminose, e i nostri sapori si confondevano e si inseguivano in un bacio che diventava sempre più esigente e profondo. Premuta contro i suoi muscoli, potevo sentire accendersi la sua virilità prepotente.

Lo volevo, lo desideravo da morire.

Ma sapevo anche che quello non era ancora il momento, e a me non poteva bastare il suo corpo. E nient’altro André mi avrebbe concesso di sé, questo era fin troppo chiaro.

Non cercavo l’ennesima avventura fatta di solo sesso. Anelavo a molto di più, e il mio desiderio aveva la consistenza fumosa di un sogno che pareva irraggiungibile.

Oscar era lì con noi, spirito invadente e possessivo che occupava l’anima e i pensieri dell’uomo che amavo con la ferocia di un lupo. Come potevo liberarlo dalla potente malia che mia sorella esercitava a distanza su di lui?

Forse non ci sarei mai riuscita.

Mi staccai da lui, sconvolta dalle mie sensazioni. Gli accarezzai una guancia, mentre lo fissavo comprensiva, e cercavo di trovare le parole più giuste per placare quel fuoco che avrebbe potuto distruggere entrambi.

“Io torno alla villa. Ma tu resta qui, André. Placa la tua anima sconvolta. Dopo potrai raggiungermi, e allora, forse vedrai le cose in modo differente. Non dobbiamo fare nulla di cui potremmo pentirci. Se accadrà qualcosa sarà solo per volontà nostra, non per disperazione.”

Lasciai un’ ultima carezza al suo volto e mi allontanai. Sentivo il vento che saliva dal mare investirci; mi sembrava che invadesse i recessi più segreti del cuore, passandovi attraverso.

 

 

§§§§§

 

 

 

Oscar mai più si sarebbe aspettata di ricevere la visita di suo cognato. Il conte di Recamier era venuto espressamente a cercarla nell’intimità della sua casa, e non ricordava che fosse mai accaduto in passato. Un fatto assolutamente straordinario da parte di Leopold, vista la ritrosa diffidenza che il marito di sua sorella le aveva sempre esternato.

Non le era difficile immaginare quale fosse il motivo, e non avrebbe dovuto sorprendersi di nessuna richiesta. Ma fu l’intuizione inaspettata del cognato a coglierla impreparata e vulnerabile: la riguardava troppo da vicino.

“Non credo che la richiesta di divorzio sia solo imputabile al riconoscimento di mia figlia Margot, anche se nella lettera di Danielle che avete appena letto – disse indicando il foglio che Oscar teneva tra le mani - non c’è nessun altro riferimento. Io credo ci sia un motivo ben peggiore di cui voi, madamigella Oscar, dovete essere al corrente. Vorrei che me ne metteste a parte.”

Le pareva che quel pezzo di carta le scottasse le dita. Lo aveva letto con sofferenza e timore, aspettandosi di trovare qualche allusione alla fuga della gemella con André. In realtà, era una missiva piuttosto breve e sintetica, molto chiara circa le condizioni poste da Danielle al riconoscimento della bambina.

La richiesta era una sola: divorzio.

Segreto e senza scandali.

“Perché dovrei saperlo?”

“Perché siete la gemella di mia moglie; siete l’unica che può conoscere i suoi più intimi pensieri. Sono anche sicuro che sappiate dove si trova adesso.”

“Non sono tenuta a sapere cosa passa per la testa di mia sorella, Leopold. Non so perché voi pensiate il contrario. Che intendete fare? Concederle il divorzio?”

“Sapete, potrei anche farlo… Ne avrei anche dei vantaggi… Non prima di aver scoperto la verità… Sono convinto che ci sia un uomo coinvolto in questa faccenda: intendo scoprire chi è. Se fosse un personaggio scomodo, motivo di vergogna per i Recamier, prenderei i giusti provvedimenti.”

Oscar ascoltava il cognato e una bufera infuriava nel suo animo, ma nulla traspariva dalla sua espressione seria e composta.

Motivo di vergogna? Oh, e voi pensate di essere esente da ogni colpa, cognato? - Sibilò Oscar, senza nascondere il sarcasmo. – Non vi siete mai preoccupato quando la vergogna dipendeva dalle vostre azioni. Avete contribuito a sfaldare il vostro legame, a nuocere alla famiglia Recamier. Biasimate mia sorella, se decide di porre fine a tutto in maniera definitiva? Siete responsabile quanto lei.”

Leopold non colse il rammarico, né il velato risentimento celato in quelle accuse.

 

-        Se tu l’avessi amata un po’ di più, forse nessuno di noi sarebbe a questo punto. E André non mi avrebbe abbandonata per seguire tua moglie… brutto pezzo d’asino.

 

“Non sono qui per parlare di questo, madamigella. Né credo che i trascorsi della mia vita coniugale vi riguardino. Ma capisco che vogliate prendere le difese di Danielle.”

“Non la sto difendendo affatto. Sono solo obiettiva.” Protestò con decisione.

“Allora sarete così obbiettiva da ammettere che c’è dell’altro: mi è stato suggerito che voi stessa potreste essere coinvolta nella decisione presa da mia moglie. Forse voi conoscete quell’uomo… forse per voi rappresenta qualcosa…”

L’allusione la allarmò, ma Oscar si nascose dietro un sorriso sarcastico.

“Ridicolo! Chi vi ha ispirato una simile idea? Dev’ essere una teoria fantasiosa della vostra amante: voi non siete così arguto…”

“Ridete pure; mi fido del suo giudizio. È più intuitiva di quanto crediate. Talvolta sorprende persino me.”

“Suvvia cognato… È facile sorprendere voi. E quella donna sa come catturare la vostra attenzione, suppongo.”

“Adesso siete offensiva.” Ribattè Leopold piccato.

“Non più di voi, che venite qui a insinuare cose inesistenti.” Proseguì Oscar in tono tagliente.

“Non è un’ insinuazione dire che siete molto amica del conte di Fersen, è cosa risaputa: quell’ uomo di recente ha frequentato mia moglie in maniera assidua, nella mia stessa casa. All’inizio ho pensato potesse essere lui, ma ora sospetto possa trattarsi di un’ altra persona…”

“Io e Danielle non abbiamo molte amicizie in comune. Il conte di Fersen è un amico di vecchia data, ma adesso è in America. Posso garantire sulla sua condotta irreprensibile. Altri non saprei chi suggerirvi.”

“Allora ammettete che c’è un uomo?!”

“Non ho detto questo.”

Leopold distolse lo sguardo, lasciandolo vagare nell’ambiente.

“Comunque, deve essere qualcuno che voi conoscete piuttosto bene…”

Lame di sole entravano attraverso i vetri e andavano a colpire le superfici laccate dei mobili. Il conte di Recamier tornò a fissare Oscar.

“A proposito, ho notato la curiosa assenza del vostro attendente… Di solito, vi ronza sempre attorno come un cane…”

Le fu palese la provocazione.

“Come vi permettete?! Certe espressioni riservatele ai vostri servi!”

“Perché ve la prendete? La mia è solo bonaria curiosità…”

Inquieta, Oscar trattenne un moto di nervosismo, ma ebbe l’ardire di rispondere con prontezza, mentre le labbra si piegavano in una vago sorriso ironico.

“Ma perché tutti vi preoccupate di quello che fa uno dei miei servi? André non è più al mio servizio, tutto qui. Non è cosa che possa interessarvi...”

“Oh, perbacco! Ora sì, che sono sorpreso!” Esclamò Leopold, e Oscar capì immediatamente di aver fatto un passo falso: aveva concesso un indizio di troppo.

Il conte in realtà, aveva imputato l’assenza dell’attendente ad altri motivi di carattere più ufficiale, incombenze per conto della sua padrona, ma quella rivelazione inattesa apriva un ventaglio di possibilità sconcertanti.

Perfino lui sapeva quanto il giovane scudiero fosse legato e fedele a madamigella Oscar, e il suo allontanamento era un evento clamoroso, oltre che denso di mistero.

“Ha trovato una sistemazione migliore di Palazzo Jarjayes?” Domandò perplesso.

“Non ne ho idea.” Rispose secca.

“Come, prego? – domandò il conte ancora più stupito. - Non sapete che fine abbia fatto il vostro ex attendente? Un uomo che è stato alle vostre dipendenze per anni?” In verità, per lui la questione era di nessun conto, ma la notizia era troppo curiosa, per non indurlo a seria riflessione.

Oscar si alzò dalla poltrona foderata di prezioso velluto, dove era rimasta seduta fino a quel momento, per andarsene.

“Leopold, questa conversazione è interessante, ma altri impegni mi attendono a Versailles, non posso ritardare oltre. Scusatemi.”

 

 

§§§§

 

 

 

La vecchia governante era seduta in cucina con un bicchiere di vino sul tavolo davanti a lei, e si fregava gli occhi stanchi con un lembo del candido grembiule di cotone. Era ferma lì, da mezz’ora, il tempo esatto trascorso da quando il marito di Madame Recamier era andato via. Tutte quelle domande su suo nipote l’ avevano agitata e innervosita, e non comprendeva quello strano interesse da parte del conte.

Però non le sembrava nulla di buono.

Perché un nobile signore dovrebbe interessarsi a quello che fa un servo qualsiasi, che non appartiene neppure ai suoi domestici personali? La vecchia Nanny lasciava vagare i pensieri inquieti insieme al timore di aver rivelato ciò che non doveva dire.

Ora si rammaricava di aver risposto alle domande del conte troppo sinceramente, pensando che avrebbe dovuto fingere di non saper nulla.

Chissà, forse avrebbe dovuto dirlo a madamigella Oscar. Ma perché disturbare la padroncina, con una sciocchezza di poco conto? Perché suo nipote era andato via? Così lontano? Cosa era accaduto? Che colpo di testa.

Un vero e proprio fulmine a ciel sereno.

La sua mente semplice si agitava tra mille pensieri, congetture e timori di sempre, quelli che da anni la preoccupavano e che riguardavano suo nipote e i sentimenti pericolosi che lo legavano alla figlia del generale Jarjayes.

Sentimenti che lei conosceva fin troppo bene, cui aveva sempre cercato di porre un freno, per il bene del giovanotto.

E Oscar ultimamente era così strana, più taciturna del solito, le si leggeva una tristezza infinita nello sguardo. Ma non diceva niente a nessuno. E fatto ancor più insolito, non le aveva mai chiesto nulla del nipote. Si chiudeva in certi silenzi ostinati che neppure sua madre riusciva a sciogliere. Oppure, quando non era in servizio, spariva per delle ore, allontanandosi a cavallo, e lei per l’ansia si fregava le mani finché non tornava a casa, angustiandosi e maledicendo André che aveva osato lasciarla sola, per andare in Normandia.

Dovevano aver litigato, in maniera veramente drammatica.

Forse si sarebbe arrivati a quella rottura comunque, prima o poi.

Aveva ricevuto solo una lettera da quando era partito, in cui la rassicurava in maniera molto vaga che godeva di ottima salute e aveva trovato un buon alloggio e un’ ottima occupazione in Normandia, senza precisarle il luogo esatto.

Ma non spiegava nient’altro.

Nessun cenno a quanto poteva essere successo.

La lettera si chiudeva con un brevissimo pensiero rivolto a lei, tracciato quasi frettolosamente, come se André avesse scritto quelle poche righe con pena e fastidio.

 

Guardò la lettera un’ ultima volta, era ancora aperta sul tavolo, accanto al bicchiere di vino, ormai vuoto.

Le domande del conte continuavano a ronzare insistenti nella sua testa. Passarono altri minuti, ripiegò la lettera e la infilò tra le pieghe del suo abito, infine si alzò dalla sedia per allontanarsi frettolosamente dalla cucina.

 

 

§§§§

 

 

 

Gli era occorso un po’ di tempo per calmarsi.

Era rimasto sul promontorio a lasciarsi scuotere dal vento che lo investiva e che pareva placarlo, congelare la sua anima in tumulto.

Quando l’aveva baciata, aveva avuto la sensazione di perdersi, con la dolce illusione di averla ancora tra le braccia. Quel profumo e quel sapore che pareva così simile. Eppure sentiva che Danielle era diversa: più arrendevole, forse anche un poco più dolce, ma con la pelle segnata da tante carezze sconosciute.

La pelle di Oscar era inviolata nella sua mente.

La passione di Oscar era selvaggia, potente e famelica, e lo divorava con tutta la forza del fuoco che la consumava. E André gioiva di quel fuoco che la spingeva verso di lui, che pareva non riuscire a estinguersi. Nel duello della loro passione Oscar non si arrendeva, pretendeva la vittoria e la sua totale resa.

Perdere se stesso in quel soggiorno in Normandia era una possibilità, e lo sapeva, ma aveva creduto davvero di essere più forte; ma stava divenendo fin troppo consapevole che cedere alle grazie di Danielle, sarebbe stato come arrendersi a un’ illusione, e la tentazione diventava enorme col passare dei giorni, col crescere di quella distanza che lui stesso aveva contribuito a creare con la sua fuga.

Era un vigliacco? Si stava arrendendo allo scoramento, alla paura di non riuscire a possedere davvero il cuore della donna che amava? Quanto si era sbagliato su di lei?

Davvero quella distanza non si sarebbe mai colmata?

Eppure, era ciò che sperava più di tutto.

Danielle era la soluzione più semplice.

Era lì, facile da raggiungere.

Bastava allungare le mani per cogliere senza sforzo un piccolo scampolo di felicità. Arrendersi a lei per stordire i tormenti del cuore, per trovare anche per poco una via di fuga, un momento di pace e un po’ di consolazione per l’anima. Non sarebbe mai stato vero amore, ma che importanza poteva avere, ormai?

Tanto nulla poteva garantire che durasse.

Di questo André era altrettanto consapevole, e solo questa incognita gli impediva di lasciarsi confondere dall’inganno. E in lui restava quello strano sentimento di onestà e compassione per Danielle, che lo induceva a proteggerla dal male che le avrebbe fatto.

I sentimenti che provava per Danielle non avevano niente a che fare con quello che sentiva per Oscar.

Questa era una certezza per certi versi sconcertante. Assoluta.

Tornò verso la villa, senza fretta.

Il respiro controllato, senza affanno.

Ora poteva porsi di fronte a lei, con la saggezza di un animo placato e pensieri domati.

 

Danielle lo attendeva seduta vicina a una finestra; contemplava il mare violento e agitato come il suo animo, che si schiantava in onde spumose contro le scogliere bianche che interrompevano la linea dell’orizzonte sulla sinistra.

Restò a fissarla in silenzio per qualche attimo, nella penombra della stanza la sua sagoma scura si stagliava contro il chiarore del cielo normanno; si decise a parlare solo quando lei si voltò a incontrare il suo sguardo.

“Mi dispiace per prima, Danielle. Non volevo turbarti, ma volevo essere onesto con te, fino in fondo.”

“E di questo, ti ringrazio. Eri tu quello turbato, André. Per causa mia. Non approfitterò delle tue debolezze, anche se tu potresti approfittare delle mie. Lascerò che il tempo faccia il suo lavoro, e raccoglierò quello che verrà. Vorrei che lo facessi anche tu, senza troppe aspettative, né timori. Se saremo onesti non ne avremo a soffrire, in qualsiasi modo andrà a finire.”

“Stai dicendo che accetteresti la possibilità di non essere mai ricambiata da me? Sei sicura?”

Si alzò in piedi per avvicinarsi a lui.

“E tu sei certo che andrà così? – Danielle congiunse le mani in una supplica. - Naturalmente il mio cuore spera in ben altro André… ma devo essere pronta a lasciarti andare, se è questo ciò che vorrai. Ma non ti lascerò calpestare il tuo orgoglio, questo no. Non ti perderò in questo modo.”

Sgranò gli occhi, colpito.

“Non ti fermerò, ma tu non fermare me se cercherò di forzare le difese del tuo spirito… lasciami entrare nel tuo cuore, proverò a scaldarlo.”

Si sentì improvvisamente disarmato. Allora, lei non si trattenne più, e corse tra le sue braccia che si aprirono per accoglierla. La sentì sospirare contro il suo petto ampio.

“Oh, André!! Ti amo… Ti amo per questo ardore che ti brucia… lasciami bruciare con te. Non chiedo altro!”

 

 

********

 

 

Nanny bussò alla camera di Oscar con mestizia. Alla fine si era decisa dopo infiniti tentennamenti; era troppo preoccupata per il nipote per lasciar passare tutto sotto silenzio.

Forse era una cosa di nessun conto, ma mettere madamigella al corrente dei fatti, l’avrebbe fatta sentire sicuramente meglio. Attese pochi secondi prima di sentire la voce calma di Oscar invitarla a entrare.

Nanny si inchinò in una piccola riverenza, e parlò soltanto quando fu invitata a farlo dalla giovane, sorpresa di vederla a quell’ ora nelle sue stanze private. Seguì un rapido scambio di sguardi e alla governante parve addirittura di leggere un’ ombra di inquietudine nelle mutevoli iridi celesti che la fissavano.

“Che cosa c’è?”

Nanny avvertì una nota di allarme nella domanda.

“Scusami Oscar se vengo a disturbarti a quest’ ora, – iniziò, e Oscar colse subito l’insolita forma confidenziale, che la vecchia governante raramente si permetteva di usare. – Devo parlarti di una questione delicata che riguarda il conte di Recamier…” disse con una lieve esitazione.

“Cara Nanny, questo tuo non rispetto delle forme, è davvero curioso; - Oscar si sciolse in una lieve risata. - Dimmi pure. Ti ascolto.”

“Beh, ecco… Oggi pomeriggio, dopo che sei andata a Versailles, il conte è venuto a farmi un sacco di domande su André… e io mi sono preoccupata. Non ho capito il motivo di tanto interesse.”

“Cosa voleva mio cognato da te? Che genere di domande?”

Chiese Oscar, diventata improvvisamente attenta, lo sguardo serio e sospettoso. Solo un nome. Il suo.

Bastava quello a far crollare la sua maschera di vetro. [3]

“Sapeva che André ha lasciato il tuo servizio; pareva sorpreso che mio nipote avesse lasciato questa casa dopo tutti questi anni, e voleva sapere perché, e dove fosse andato.”

“Cosa? Tu che gli hai risposto?”

Madamigella aveva gli occhi spalancati per la sorpresa, e alla vecchia balia non sfuggì la sensazione di panico rivelata dalla voce.

“Ecco, forse ho fatto male, ma gli ho detto che è andato in Normandia… anche se non so di preciso dove, André non me lo ha detto… - La vecchia Nanny fece una pausa prima di proseguire con vera apprensione. - Oscar se tu sai qualcosa, devi dirmela. Perché mio nipote è andato laggiù? Avete litigato? Andrè è nei pasticci? Perché il signor conte si interessa di un comune attendente?”

“Non lo so, mi dispiace. – Mentì e non osò guardarla in faccia, prima di parlare di nuovo. - Nanny, tu sei in contatto con André? Hai avuto sue notizie, per caso?”

 

André non me lo ha detto…

 

Aveva isolato solo quella frase. Non sapeva neppure lei cosa sperare, ma si rese conto che temeva la risposta; la desiderava, con tutta l’ansia che celava in fondo al cuore.

Quando, nel lieve silenzio, le parole di Nanny la raggiunsero, ebbe l’impressione di sentire il cuore mancare un battito.

“Mi è arrivata una breve lettera, qualche giorno fa. Non dice molto in realtà. Se vuoi leggerla, te la posso lasciare.”

Oscar vide la vecchia frugare leggera sotto le pieghe della veste, ed estrarne un foglio di carta ripiegato.

Avrebbe dato qualsiasi cosa per sbirciare quelle poche parole, e la attraversò un senso d’incredibile costernazione, per quel desiderio che si accendeva in lei improvviso, ma assoluto.

“Te ne sarei grata.”

Sospirò appena, abbassando le palpebre a nascondere il turbamento impetuoso che la travolgeva.

Nanny si era allontanata, lasciando la lettera piegata accanto a lei sul tavolino. Rimasta sola, era rimasta a fissare il pezzo di carta con il cuore in tumulto, prima di allungare una mano con una strano tremolio del braccio, che non voleva saperne di placarsi.

Le bastò scorgere appena qualche parola, riconoscere la calligrafia ordinata; il cuore era diventato un tamburo assordante, le mani presero a tremare convulse, mentre sotto gli occhi bruciavano piccole frasi, fatte di parole innocue e gentili. E mentre leggeva, le pareva di sentirne la voce profonda, a tratti canzonatoria, calda e vibrante, come lei la ricordava.

Quella voce capace di scaldare la sua anima.

Quella voce che sapeva accenderla, che lei amava.

Le mancava quanto il suo corpo, le sue mani, i suoi baci.

 

 

“Cara nonna, spero che tu stia bene.

Ti sto scrivendo dalla Normandia, un luogo che per me, è denso di tanti ricordi, lo sai.

La regione è splendida come sempre, anche se in questa stagione fa un po’ freddo.

Comunque, sto bene.

Qui mi sento quasi felice… ma lo sai anche tu, molto ho lasciato a Palazzo Jarjayes, perfino una parte di me è ancora lì, con tutti voi.

Sono sereno e tranquillo, e non ho perso il mio notevole appetito, quindi non ti devi preoccupare.

Immagino che la mia partenza, così improvvisa e inaspettata, ti abbia sorpreso e ferito, e per questo, ti prego di perdonare il tuo impulsivo nipote, che ti vuole un bene sincero; se non ti ho detto niente, avevo i miei motivi.

Ti saresti preoccupata per nulla, e non era il caso.

Non ho visto altre soluzioni al mio problema e dovevo decidermi a fare qualcosa.

Non so ancora se sia la scelta giusta. Forse il tempo aggiusterà le cose.

Io lo spero.

Ho trovato un alloggio pulito e accogliente, e una buona occupazione presso una casa rispettabile, qui in Normandia, quindi sta tranquilla e non preoccuparti per me.

 

Spero che Oscar stia bene…

Sono sicuro che la sua vita scorre come sempre…”

 

 

Seguiva lo svolazzo leggero della firma.

Leggere quelle ultime parole rivolte a lei, così brevi e frettolose, quasi fredde e velate appena di qualcosa che assomigliava al risentimento, o forse era rimpianto, fu straziante.

Si portò una mano alla bocca mentre gli occhi si dilatavano per il doloroso sgomento che la pervase tutta.

Oscar si accorse troppo tardi dell’inchiostro che si scioglieva in rigagnoli neri, mentre le parole di André si perdevano, cancellandosi sotto la pioggia delle sue lacrime che bagnavano la carta.

Lei non riusciva più ad arrestarle e lasciò che i singhiozzi, come lame affilate e crudeli le facessero a pezzi il cuore, mentre il foglio stropicciato e macchiato di nero scivolava a terra.

 

 

Continua…

 

 

 

 

 

 

 



[1] Nel capitolo precedente non avevo precisato la località della Normandia. Ero rimasta indecisa, e ho preso tempo. Poi ho trovato su internet foto di questo posto, immortalato anche dai pittori impressionisti per la sua suggestiva selvaggia bellezza, con le falesie bianche dalle forme curiose e strane. Mi è piaciuto subito immaginare che André e Danielle fossero arrivati quaggiù.

[2]  Questo è un André, probabilmente OOC, - tipo quello di “Gocce di fiele e veleno” per intenderci. Sono sempre stata convinta che nella sua vita il nostro abbia avuto momenti del genere. Quello in Normandia è uno di questi momenti, e visto il suo comportamento che ultimamente lascia basite parecchie lettrici, ho preferito avvisarvi.

[3]  Omaggio a “Garasu no Kamen”, manga che sto leggendo ora con vero piacere.

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Capitolo 25
*** Il vento inizia a cambiare ***


25

25 – Il vento inizia a cambiare

 

 

 

Leggere quella lettera indirizzata a Nanny era stato penoso più di quanto credesse, ma più male le aveva fatto quella breve frase rivolta a lei, buttata lì quasi con indifferenza, all’apparenza svuotata di ogni sentimento.

Si domandava se fosse davvero così.

Possibile che fosse riuscito a placare così bene tutti i sentimenti che da sempre lo univano a lei? Oscar si chiedeva che amore fosse quello che l’amara lontananza riusciva a spegnere nel cuore di un uomo. Anche di un uomo come lui, posseduto da potenti passioni.

 

Davvero hai smesso di amarmi, André?

Sei riuscito, dunque, a cancellarmi dal tuo cuore?

Io non voglio crederlo.

 

E altro la tormentava.

L’ idea che il cognato corresse in Normandia per sorprendere la sorella con André la gettava nel panico più totale. Non gli erano chiare le sue intenzioni, né sapeva quali fossero, ma il sospetto che volesse raggiungere la moglie, per smascherare la sua tresca clandestina e scoprire il suo possibile amante non l’abbandonava, né la faceva sentire tranquilla.

Lui aveva fatto la sua scelta, l’aveva lasciata per seguire Danielle in quella follia; perché lei ora doveva sentirsi così spaventata?

Perché non riusciva ad abbandonarlo al suo destino, come lui aveva fatto con lei senza esitare? Perché il suo cuore continuava a tremare per lui?

 

Maledizione, André!

Se non intervengo in qualche modo, non so cosa accadrà.

 

Oscar era come un leone in gabbia, camminava avanti e indietro nella sua stanza, mordendosi le mani, chiedendosi cosa dovesse fare, combattendo contro sé stessa e i suoi sentimenti che le graffiavano l’anima. Prese la sua spada e come se dovesse esercitarsi, tirò qualche fendente contro un nemico invisibile, nella speranza di allentare la tensione che la opprimeva, ma senza costrutto.

Il fatto che Leopold fosse andato a interrogare la sua governante non lasciava presagire nulla di positivo; benché lo ritenesse un inetto poco previdente, forse aveva già maturato qualche sospetto sul ruolo del suo attendente in tutta quella faccenda.

 

Devo andare in Normandia, pensò, senza riuscire ad allontanare quel pensiero, che a tratti le pareva molesto e contraddittorio. Ma non riusciva a pensare ad altro, e quell’idea la assillava da ore, non le aveva fatto chiudere occhio neppure durante quella notte appena trascorsa, passata a rigirarsi nel suo letto troppo grande, in cui si sentiva sola e dove mancava il calore e la forza del suo abbraccio, il profumo eccitante della sua pelle che la faceva tremare di desiderio.

Insieme alla paura, c’erano altre immagini che l’assalivano, quelle dei loro incontri bollenti, dei loro corpi nudi che si univano trascinati da una passione che era incontenibile. Bastava il ricordo a bruciare il sangue nelle sue vene come fosse polvere da sparo. Inutile fare finta che non fosse così.

La sua assenza le faceva male in senso fisico. Ma era amore quello? Era amore quell’urgenza che sentiva di congiungersi a lui? Quella bramosia del cuore e dei sensi che la dominava tutta? Che cancellava tutto quanto il resto, facendo apparire ogni altra cosa, a parte lui, senza importanza? Si accorse che non le interessava.

Non le importava cosa fosse, importava solo che fosse reale.

Più reale di tutte le sue remore, le sue paure, il senso del dovere o del rispetto verso il casato e suo padre, e tutti quelli che non avrebbero approvato una passione tanto forte che le accendeva l’animo, che l’aveva fatta riscoprire donna.

Sì, donna.

Per la prima volta si soffermò su quel pensiero che aveva costantemente scacciato con cieca ostinazione.

Lei era una donna che voleva un uomo.

Lo voleva nella sua vita, accanto a sé. Lo voleva perché era giusto e naturale. Perché dava un senso a tutto. E quell’ uomo era André. Lui solo.

 

Così decise che quel pomeriggio stesso sarebbe andata a Versailles per chiedere alla regina un congedo di qualche giorno. Maria Antonietta non le avrebbe mai negato nulla, e quella era la prima vera richiesta che faceva per sé, da quando era  stata promossa Colonnello.

Doveva raggiungere Danielle e André, e doveva farlo prima di suo cognato.

 

 

 

 

*******

 

 

“Non sapete neppure dove sia! Potrebbe essere in qualsiasi luogo, in Provenza o in Borgogna, perfino nel Sud della Francia. Come pensate di trovarla? Poi non capisco la necessità che avete di scoprire cosa? Che vostra moglie potrebbe essere innamorata di un altro uomo?”

“L’attendente di madamigella Oscar è andato laggiù, e questo lo so da fonte certa. Mia moglie è scomparsa e quell’uomo ha lasciato il suo servizio a palazzo in marniera imprevista e improvvisa. Mi sembra più di una coincidenza… è un indizio.”

“Seriamente state pensando che vostra moglie sia scappata in Normandia con un servo? Che addirittura vi chieda il divorzio per questo? Non lo trovate un pensiero risibile?”

“Sono io quello che rischia il risibile, madame.”

“Ridicole sono solo le vostre idee, Leopold. Vostra moglie sarà una donna spregiudicata e controcorrente, ma non fino a questo punto.”

Lisette era nervosa, contrariamente a quella che era la sua indole il più delle volte. Sapeva molto più di Leopold che il vero atto di ribellione di una donna come Danielle era la richiesta di divorzio in sé, fra l’altro sollecitata da lei, ma non sarebbe stato un bene spiegarlo all’uomo, né fargli scoprire una tresca amorosa della moglie tanto ardita. Si accostò a Leopold, afferrandolo per le braccia, come se volesse placarlo, e al contempo placare sè stessa.

“Abbiamo ottenuto molto. Danielle accetta il riconoscimento, in cambio del divorzio. Perché non accettate semplicemente? Se anche ci fosse un uomo nella sua vita, che differenza farebbe a questo punto? Leopold, così rischiate di rovinare tutto! E per cosa? Per il vostro stupido orgoglio personale!”

“Madame, io sto cercando di trovare dei possibili vantaggi per noi, per non dover essere costretto a cedere a eccessive richieste. Non intendo fare troppe concessioni a mia moglie. Devo pur difendere il mio nome dalla vergogna.”

“Ma di quali richieste stiamo parlando? Vostra moglie chiede un divorzio senza l’onta dello scandalo. Basterebbe fare tutto in segretezza. La vostra è una banale scusa, perché non accettate di essere lasciato col rischio dell’ oltraggio per la vostra persona.”

Le accuse della donna erano precise e serie e Leopold si rese conto che, per la prima volta, poteva averla contro.

“Madame, ascoltate…”

“No, ascoltate voi, invece, uomo ottuso ed egoista! – la donna si staccò da lui, volgendogli bruscamente le spalle, in un moto di orgoglio e rivalsa. – Io ho accettato il ridicolo, la vergogna di passare per la vostra amante. Sono passata sopra il biasimo, il disprezzo della buona società che mi ha bollata subito come una donna di facili costumi, che si insinua nel letto di uomini sposati, per meri scopi personali, e ho accettato tutto, con il sorriso sulle labbra, per amor vostro e della piccola Margot. Non vi siete mai preoccupato di cosa volesse dire per me. Non avete proprio capito nulla del mio sacrificio, allora? Ho messo la mia persona ai vostri piedi. Non lo tenete in nessun conto, vi interessa solo salvare la vostra reputazione, il vostro nome altisonante!”

“Cosa dite? Le vostre accuse sono ingiuste… dubitate di me?”

“Sì, dubito di voi, e dei vostri sentimenti. Non capisco il vostro accanimento nell’ostacolare qualcosa che potrebbe risolversi con facilità. A questo punto credo che vi interessi più di tutto preservare quei privilegi, e sono tanti, che vengono dal vostro legame col nome dei Jarhayes.”

“Madame, vi prego…”

“No, smettetela di blandirmi. Non lo accetto. – Si voltò di nuovo, decisa verso di lui, e lo fissò negli occhi. – Leopold, ascoltatemi: se ci tenete tanto, siete libero di andare laggiù a cercare vostra moglie e la prova del suo tradimento, ma sappiate che se per un qualsiasi motivo, non accetterete le condizioni del divorzio a beneficio esclusivo di vostra figlia, io non mi riterrò più legata a voi. Mi perderete, Leopold.”

“Lisette, non parlate sul serio…” l’uomo era veramente allarmato, adesso. Lo sguardo della donna era fermo. Non stava bluffando, e lui lo capì.

“Sono molto seria, invece. Pensateci.” Il tono era basso e quieto, ma sicuro.

“Oh… Se non vi conoscessi, direi che… siete più interessata a questo divorzio, che al riconoscimento di vostra nipote. Mi sto sbagliando, mia cara?”

“Ebbene, volete la verità? E sia! Sono interessata al nome per mia nipote, è vero questo, ma per garantire un futuro a Margot, intendo riabilitare anche il mio nome: l’unico modo per ottenere questo è diventare la futura contessa di Recamier.”

Leopold non poté nascondere un moto di sorpresa sincera.

“Ah! Non avevo scorto l’ambizione in voi. Credevo che non foste interessata a un nostro matrimonio, madame…”

“Non lo ero infatti, ma ho riflettuto molto, e sono giunta alla conclusione che possa essere la soluzione più saggia per me e la piccola; così diventerei a tutti gli effetti sua madre. Quale altra prospettiva può avere una donna nella mia posizione? Sono una vedova senza onore e mezzi con una nipote senza nome da allevare. Per questo dovete accettare la proposta di vostra moglie. Se voi foste contrario, non avrebbe senso continuare in questa direzione.”

“Se io vi sposo madame, il divorzio non resterebbe segreto; non è ciò che vuole mia moglie.”

“È ovvio che la cosa salterebbe fuori, ma a quel punto sarebbe facile gestire l’impatto e minimizzare lo scandalo, che non partirebbe da vostra moglie, che sarà vista come la parte offesa. Alla contessa neppure più importerebbe, credetemi.”

Leopold sentì un misto di ammirazione e paura per la sua compagna; quella donna pareva aver pensato a tutto.

 

 

 

**********

 

 

Stava cenando con lei, come accadeva tutte le sere, da quando erano arrivati a Etretat. La luce soffusa del crepuscolo entrava dalla finestra, posandosi sugli oggetti attorno a loro, ammantando tutto di una strana inconsueta dolcezza e malinconia, e formava uno strano gioco di ombre incerte con la luce tremolante delle fiammelle del candelabro posto sulla tavola apparecchiata per due.

Si sentiva strano, inquieto più di altre volte.

Doveva essere la nostalgia che negli ultimi giorni era diventata più acuta, e al calare delle ombre serali si faceva più densa, come quando la nebbia sale dalla terra, si infittisce e avvolge il paesaggio come una coperta umida.

Il suo stato d’animo non era molto dissimile da quella sensazione, provata tante volte in passato, e che al passato lo riportava con il suo retaggio di sofferenza. Aveva cercato di dominarla, ma più passava il tempo, più diventava difficile mantenere il controllo sulla volontà.

Il suo tormento era un bagaglio di cui non riusciva a disfarsi, e non ci sarebbe riuscito finché non avesse deciso di darsi una possibilità per essere di nuovo felice.

No, non di nuovo.

Per esserlo per davvero, per la prima volta.

Non era sicuro di sapere cosa fosse la felicità; non era neppure sicuro di averla mai vissuta. Fino ad ora, lui non aveva vissuto altro che un simulacro, un’ astrazione coltivata attraverso una vana speranza. Andrè voleva qualcosa di più, qualcosa che fosse reale, e che potesse toccare con mano. Voleva la felicità che diventa vitale, necessaria.

 

Voleva qualcosa che ne avesse almeno la parvenza, nella speranza che tutto si sarebbe sistemato, come un puzzle che si completa con tutti i pezzi al loro posto. Per ottenerlo, doveva imparare a essere felice di quello che riceveva in dono dalla sorte. La vita mette davanti agli uomini delle possibilità, dei percorsi tra cui scegliere; senza dubbio, alcuni sono più tortuosi di altri. Il suo era di certo, un percorso difficoltoso, che passava attraverso sentimenti sofferti e contrastanti. Quella che stava cercando di vivere con Danielle, non era forse una di queste possibilità, magari la più importante, l’ultima che gli venisse concessa, prima di soffocare nell’estrema solitudine?

Avrebbe tanto voluto poter assistere a quell’ evoluzione delle cose.

Ma dipendeva anche da lui farle accadere.

Ignorare gli sguardi di Danielle, le sue gentilezze, i sorrisi, le sue attenzioni costanti e tenere diventava penoso e difficile.

 

Si era sinceramente attaccata a lui e non faceva nulla per nasconderlo, senza per questo diventare invadente, possessiva o insistente all’ eccesso.

Era invero, molto equilibrata nelle sue manifestazioni di affetto, gentile e discreta, femminile senza essere provocatoria, ma comunque affascinante oltre che seducente in maniera spontanea.

All’inizio, André si era chiesto se non fosse tutta una tattica per indurlo a cedere, ma col passare dei giorni, aveva accantonato l’idea; Danielle era troppo naturale nelle sue esternazioni, non c’era mai nulla di forzato nei suoi atteggiamenti.

Era una donna innamorata che viveva i suoi sentimenti e li accettava per ciò che erano, con maggior serenità possibile. Per assurdo, la vedeva più matura e consapevole di quanto non gli fosse mai apparsa, anche se non aveva nessuna idea di come avesse vissuto gli amori del passato. Non era più la donna che ricordava solo alcuni mesi prima, quella che si burlava del conte di Fersen civettando con lui, o si dilettava per capriccio in strani scambi di persone. André coglieva in lei una velata pena, ma la sopportava senza farla pesare, e di questo le era riconoscente.

Ed era bella. In modo uguale e diverso da Oscar.

Questo, suo malgrado, non lo lasciava indifferente, per ovvie ragioni.

Sempre più spesso gli capitava di sentire l’impulso di rispondere con uguale dolcezza a quelle manifestazioni; nel suo cuore, che per quanto lui facesse, non riusciva a spegnere ai palpiti della vita, iniziava a germogliare qualcosa, un affetto delicato e leggero, una strana tenerezza che lo placava, in qualche modo, e sopiva gli accesi tormenti dell’animo che a intervalli tornavano a pungerlo.

Era un’ inclinazione naturale, una bontà del cuore che non poteva soffocare, ed era per quella bontà innata che Danielle lo amava, con profonda tenerezza, e con poco si sarebbe trasformata in autentica bruciante passione.

Era consapevole che fosse una miccia pericolosa che André si sforzò di non accendere, e il rischio di bruciare quella scintilla era concreto e solido, fortemente presente fra loro.

 

La stava guardando negli occhi.

Erano stranamente lucenti quella sera, brillavano di qualche misteriosa aspettativa, che eccitava anche lui.

Gli aveva parlato della lettera scritta a suo marito, della richiesta di divorzio e un poco si sentiva allarmato, ma Danielle aveva allungato una mano posandola sulla sua, appoggiata sul tavolo.

“Mi sembri preoccupato André… perché non provi a dirmi cosa ti turba?” Gli sorrise tranquilla, forse per rassicurarlo.

“Ecco, non hai ancora ricevuto risposta da tuo marito, vero?”

“No, non ancora…”

“E non immagini quale potrebbe essere la sua reazione… non ne hai neppure una vaga idea… la cosa sembra non preoccuparti affatto…”

“Vedo che preoccupa molto te, però. Che cosa temi André? Confidati con me, non aver paura.”

Lo incoraggiò di nuovo, stringendo di più la sua mano grande e calda; André si portò la mano di Danielle alle labbra e posò un bacio leggero sulle dita alla base delle nocche.

“Capisco che tu non voglia restare legata a tuo marito, ma il motivo del divorzio mi mette in ansia, forse mi fa anche sentire un po’ in colpa: se lo fai per me, Danielle, forse stai commettendo uno sbaglio. Vedi, io nutro sincero affetto per te… - Alzò la mano verso il suo viso e col dorso piegato dell’indice le accarezzò una guancia in un gesto tenero. – Non so se il mio sentimento diventerà mai amore, quello che tu meriteresti… a volte, lo credo possibile… Ma non so se questo basta a correre il rischio. Se invece, lo fai per te stessa, per essere una donna libera, allora potrebbe avere un senso.”

“Ti preoccupi per me, André. Sei tanto caro…”

“Devi pensare a quello che stai mettendo in gioco, il tuo onore, la tua reputazione… tutta la tua vita, per cosa? Che cosa insegui, Danielle? Devo saperlo. Se Leopold tentasse di ostacolarti, se si dimostrasse ostile alle tue richieste, cosa faresti? Se volesse toglierti i tuoi figli… non puoi non averci pensato…”

“Ci ho pensato André, e molto a lungo. Con sofferenza, anche… - confessò inquieta. – Ho pensato a tutto, anche alla possibilità che tu possa un giorno abbandonarmi e tornare da Oscar…” proseguì, dando voce al pensiero che lui non aveva avuto il coraggio di esporre.

“E allora? Sei davvero disposta a tanto? Non mi mettere questo peso addosso, ti prego… non sono sicuro di poterlo sostenere… non sono sicuro di riuscire a mantenermi saldo nel mio proposito…”

Restare con te e non correre da Oscar…

Lei parlò serenamente e con sicurezza, in una maniera tale che sorprese l’uomo seduto al tavolo. Forse per la prima volta da quando erano arrivati in Normandia, André colse una luce insolita nei suoi occhi celesti.

“Voglio la libertà, André. Voglio l’amore, la passione nella mia vita, ma senza libertà non raggiungerò mai nessuna di queste cose… sono consapevole del prezzo e so che non otteniamo nulla, senza rinunciare a qualcosa… L’ho capito con fatica, e comunque vada non posso tornare alla vecchia vita. Non saprei più viverla… non saprei più sostenere le ipocrisie del mio mondo, mi capisci, André?”

“Credo di sì…”

Lui non era fuggito per la stessa, identica ragione? Neppure lui era riuscito più a fingere.

“Quello che sento per te, è reale. Non è un’ illusione. È amore autentico e profondo, e mi sento viva per questo, e sono felice come non lo sono mai stata in passato. – Danielle con slancio si alzò per avvicinarsi a lui, abbracciarlo e stringere la sua testa sul suo seno. Andrè rispose a quell’abbraccio e la strinse forte, chiudendo gli occhi a quel contatto, sospirando forte. - Sono disposta a viverlo fino in fondo, a bere anche il dolore che potresti darmi, rifiutandomi, non amandomi mai… o amandomi semplicemente come stai facendo adesso… sento che non ha importanza. L’importante è che io viva questi sentimenti. Non l’ho mai fatto prima… mai veramente. Non impedirmelo ti prego, io non ti chiedo nulla. Lascia solo che io possa vivere questo momento, accanto a te.”

La sua voce aveva una serenità sconosciuta, che lo incantava, lo faceva sentire bene, in un modo misterioso che ancora non capiva.

“Davvero sei felice, Danielle? Ti basta questo? È un amore così pallido e tiepido quello che posso offrirti…”

La sentì ridere, una risata che sgorgava dal cuore, e sollevò il viso a incontrare i suoi occhi. Erano luminosi come non li aveva mai visti. Ne fu impressionato. Pensò che gli occhi di Oscar avrebbero potuto essere così, se si fosse lasciata andare all’amore. Se lo avesse accettato con la stessa naturale volontà di Danielle.

“Sì. È incredibile, ma mi sento felice, qui e ora, mentre ceno con te, e ti abbraccio così, e ti stringo al seno. – Rise di nuovo. - Cosa potrei volere di più? Ho mai avuto qualcosa che avesse più valore di questa intimità?”

Si staccò dal suo abbraccio solo per alzarsi di fronte a lei. Turbato, affondò lo sguardo verde ombroso nel suo, prima di parlare e stringerla di nuovo, con più forza di prima, e posarle infine un bacio sulla fronte.

“Ti prego, insegnami Danielle… Insegnami a essere felice… dimmi come si fa…”

Lei gli prese le mani, girò attorno alla tavola, e lo accompagnò sulla grande terrazza spalancata sul mare scuro a guardare il cielo che imbruniva sull’orizzonte. La luna pallida sorgeva anticipando le stelle. André le cinse la vita col braccio destro, mentre Danielle posava la guancia sulla sua spalla, osservando il cielo troppo vasto sopra di loro.

Un cielo che prometteva altro.

 

 

 

******

 

 

 

 

Non sapeva esattamente dove poteva essere la moglie. Non si era sbilanciata su questo. La Normandia era vasta e la famiglia Recamier aveva diversi possedimenti in quella regione, ma anche altrove. Nella lettera lei specificava soltanto che sarebbe tornata a Parigi solo per parlare dell’eventuale divorzio o separazione, e per le firme necessarie all’ atto finale. Avrebbe delegato ogni cosa a un suo uomo di fiducia per ogni questione formale, e per tutte le pratiche burocratiche necessarie al caso.

Non voleva rivederlo e lo pregava di non cercarla; non sarebbe servito.

Leopold, naturalmente non era dello stesso avviso.

Il tarlo del sospetto lo tormentava.

Che l’amante fosse per pura ipotesi un volgare plebeo, lo irritava, ma non per una mera questione di orgoglio. No.

C’era un elemento meschino che lo teneva legato alla consorte, un tacito accordo che avevano sempre condiviso, senza troppi drammi.

Gli pareva inammissibile che a lei quell’accordo non andasse più bene, che volesse rinunciarvi solo per inseguire l’ultimo degli uomini. Quali sentimenti si erano scatenati in lei, per indurla a una simile scelta estrema, sennonché avventata? Lontana da ogni logica e buon senso? Lontana dall’ interesse comune della casta a cui apparteneva anche lei?

Che bisogno c’era di divorziare? Non avevano sempre fatto la vita che volevano? Sì, qualche incomprensione, qualche screzio c’era stato nel loro passato coniugale, ma lo avevano sempre risolto con intelligenza e senso pratico.

Perché cambiare tutto, così, sconvolgere un’ esistenza preordinata e condivisa, accettata da chiunque come la normalità?

Che bisogno c’era di andare controcorrente?

Era questo che Leopold non riusciva a comprendere, meno che mai accettare. Erano comode le consuetudini, da uomo tradizionalista qual’era vi si era sempre adagiato dentro, come in una bolla di protezione. Il mondo dell’aristocrazia francese, e non solo, era fatto così, e funzionava come un meccanismo perfetto e ben oliato. Stravolgere certe regole non scritte, ma condivise da tutti lo avrebbe inceppato in maniera rischiosa.

E Anche Lisette, ora lo sorprendeva.

Lisette voleva sposarlo.

Per il bene di Margot, questo lo comprendeva, ma non proprio del tutto.

Infondo, lui l’avrebbe riconosciuta con buona pace di sua moglie. Lei non aveva mai manifestato questo desiderio in passato, o forse era lui a non averlo mai compreso. Non che lui non gradisse, che non volesse, sarebbe stato felice di dividere la sua vita con lei, sarebbe stata una compagna dolce e amorevole; si trovò a immaginare, forse un poco imprevedibile come tutte le donne, ma sposarla era un’ eventualità a cui non aveva mai pensato seriamente, come una faccenda troppo remota e inattuabile. Si sentiva messo alle strette, e gli sembrava di non avere molto margine di movimento. Alla fine avrebbe ceduto, perché non era mai stato un uomo particolarmente ostinato, né battagliero; quando le situazioni si evolvevano come lui non si aspettava, e non riusciva a volgerle a suo interesse, diventava una persona accomodante. Il timore di perdere Lisette lo inquietava più della necessità di tutelare il buon nome dei Recamier, ma un tentativo per scoprire la verità era per lui quasi un obbligo morale.

 

 

L’uomo, il mantello sulle spalle e il tricorno in mano, attendeva di fronte a lui.

“Dovete trovarla; voglio sapere dove si trova e chi è con lei. I Recamier hanno delle case padronali laggiù: le località più probabili dove potrebbe essere sono vicino a Honfleur e Caen. Mia moglie possiede anche una piccola villa a Etretat, avuta in dote in occasione del nostro matrimonio. Provate anche lì, ma la valuterei come ultima possibilità.”

“Come volete signor conte. Avete altre disposizioni?”

“Un uomo potrebbe essere insieme a lei; è l’attendente di Madamigella Oscar, il suo nome è André Grandier. Con discrezione, dovete scoprire se l’ha seguita fin là, e in che rapporti è quell’ uomo con mia moglie. Appena avrò vostre notizie vi raggiungerò.”

“Benissimo, signor conte.”

L’uomo col mantello scivolò in una riverenza, si calò il tricorno in testa e si allontanò rapido, lasciando il conte al turbinio incontrollato dei suoi pensieri.

 

 

******

 

 

Etretat le sembrava la località più probabile; sapeva quanto Danielle fosse legata a quel luogo e a quella villa che si ergeva su un promontorio della costa normanna, quella casa che fu un dono di sua madre.

Sarebbe andata laggiù a cercarli.

La regina le avrebbe concesso un mese di tempo, ma lei aveva giurato che le sarebbero bastate due settimane, una pausa dai suoi impegni di militare più che sufficiente per capire come si erano evolute le cose tra André e Danielle, sufficiente a lei per scoprire se lui l’avesse dimenticata.

Che effetto le avrebbe fatto rivederlo? Se lo stava chiedendo con sgomento. Lasciò affiorare alle labbra un sorriso cinico mentre osservava la sera scendere dietro i vetri della sua stanza. Come si sarebbe sentita? Disorientata e persa, oppure indifferente?

No. Indifferente non lo sarebbe stata.

C’era una voce nel suo animo che gridava, e lei tentava di non ascoltare. Temeva e bramava risentire il fuoco del desiderio riaccendersi in lei, infiammarle i sensi e i ricordi troppo intimi della loro vita, della passione che li aveva travolti, lasciandoli sfiniti e feriti. Voleva ritrovare André per mettere a tacere quella voce tenace e ostinata, che chiamava i sentimenti con il loro nome. Lei voleva André, perché apparteneva a lei.

Perché lui era suo.

Nella carne e nel sangue lui era suo.

Bianco e nero.

Vita e morte.

Amore e odio.

Notte e giorno.

Oscar e André.

Semplici dualismi.

Non poteva essere amore quello. Non per lei, che avvertiva la sua presenza come una naturale estensione di sé, ma andava laggiù per proteggerlo dalla possibili ire del cognato. Oppure doveva credere che il suo fosse un amore egoista?

Egoista quanto quello della gemella che, incurante del suo solitario, confuso cuore di donna, glielo aveva portato via? Lei doveva liberarsi, vincere, dimostrare a sé stessa che aveva sempre avuto ragione su loro due. Non si può possedere qualcuno.

Sentiva di avere un pezzo di ghiaccio al posto del cuore, lo aveva lasciato lui. Quello che non sapeva era che il ghiaccio a volte, brucia e arde molto più del fuoco, si scioglie in fretta, impotente, si arrende senza forze alle fiamme che prima lo lambiscono come carezze leggere, e alla fine implacabili lo travolgono come alte onde di una burrasca.

 

Oscar, il cuore è una barchetta gonfia e fradicia d’acqua che non regge allo schianto.

 

 

 

Continua…

 

 

 

 

Eccomi qui, e prima di quanto credessi.

Sì, lo so, è passato molto tempo, ma temevo che avrei lasciato passare altri mesi prima di pubblicare di nuovo. Ho scritto questo capitolo in un tempo relativamente breve, (circa una settimana) cosa molto insolita per me; credo mi abbia fatto bene migrare per un po’ su altri lidi; dopo aver scritto un paio di storie (incredibile!!) per un altro fandom, ho ripreso in mano questa storia e la scrittura è stata quasi spontanea.

Mi ritengo addirittura abbastanza soddisfatta, e spero che la lettura soddisfi anche voi, ma non esitate ad esprimere eventuali perplessità. Credo che si cominci a sentire qualche cambiamento che porterà alla conclusione di questa storia, non so dire ancora quanti capitoli manchino, ma la direzione è tracciata. Come sempre grazie a tutte quelle persone che leggono e recensiscono, i vostri pareri e commenti sono sempre importanti per me, mi aiutano e mi incoraggiano.

Un saluto a tutti. Ninfea.

 

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Capitolo 26
*** La fata dei boschi (L'incontro) ***


26

26 – La fata dei boschi (L’incontro)

 

 

 

Il giorno dopo uscii presto, presa dalla necessità di essere sola, per riflettere con calma e lucidità. Non avevo voglia di cavalcare come facevo ogni mattina sulla spiaggia di Etretat, a volte in solitudine, ma più spesso in compagnia di André.

Sentivo piuttosto, il bisogno di camminare, di respirare a pieni polmoni il profumo dell’aria salubre che veniva dal mare, stancare le mie gambe, rinvigorire il mio corpo e ritrovare in me stessa l’energia per proseguire la strada che avevo scelto con sofferenza, ma determinazione.

Mi piaceva farlo nei dintorni della villa, immergermi nella natura dei dolci pascoli verdi, all’ombra rinfrescante dei boschi, seguire i sentieri un po’ impervi lungo le colline che proseguivano inoltrandosi nella boscaglia all’interno della costa, e abbracciava il paese. Erano sentieri che conoscevo bene, che a volte mettevano in comunicazione le abitazioni della zona, altre volte proseguivano e scendevano lungo la spiaggia, da cui si poteva godere del bianco paesaggio maestoso delle scogliere.

Era stata una sera strana.

Andrè mi era parso diverso, più arrendevole e dolce, addirittura più affettuoso di quanto non fosse di solito.

Mi aveva lasciata avvicinare più di quanto avesse mai fatto negli ultimi tempi, e la cosa mi aveva turbata non poco. Mi stava facendo sperare.

Eppure temevo ancora di ingannare me stessa e il mio cuore, anche se avevo deciso di accogliere quello che veniva come buono. Così avevo deciso di fare; vivere quello che la vita mi avrebbe dato, fosse anche un sentimento incerto e fragile, l’affetto sincero dell’uomo che amavo.

Andrè mi offriva senza riserve la sua tenera amicizia, la delicatezza dei suoi gesti attenti, il calore di sorrisi rassicuranti e pieni di sfumature più intense che facevano battere più forte il mio cuore.

Se mi avvicinavo a lui con maggior affetto e sollecitudine, non tentava più di allontanarmi o resistermi, ma accoglieva i miei slanci e le mie attenzioni con pari intensità, come se volesse ricambiare ciò che riceveva.

Quella sera appena trascorsa, André si era lasciato abbracciare stretto, aveva accarezzato le mie tempie con le mani, giocato con un ricciolo dei miei capelli sotto la luce pallida della luna, e i suoi occhi si erano fissati nei miei per un attimo, con decisione, e vi avevo visto un indugio, un pensiero segreto, forse una tentazione cui abbandonarsi.

Fui certa che volesse baciarmi, ma per qualche motivo si trattenne. Mi accompagnò discreto alla mia stanza quando fu il momento di ritirarmi per la notte.

Rimanemmo a fissarci a lungo sulla porta semi aperta, irrequieti, tremando per l’aspettativa di quello che potava succedere; la luce di una candela posta di lato, lasciava in ombra una parte del suo viso, ma notai la luce calda che brillava nelle sue iridi. Lessi una muta richiesta nel suo sguardo, un desiderio di non essere lasciato solo, e anch’io forse, avvertii la stessa esigenza. Fui certa che non fosse un inganno.

E fui audace.

Allungai una mano ad accarezzare il suo braccio: dal gomito risalii fino alla spalla e anche attraverso il tessuto della camicia, sentii un tremito attraversarlo.

“André vorresti… vorresti restare con me questa notte?”

Sussurrai, senza osare aggiungere altro.

Non staccò mai i suoi occhi dai miei. Avevano sempre quella strana sfumatura calda, irrequieta, che mi faceva sciogliere e mi incatenava a lui. Forse le ombre mi ingannarono, perché mi parve di cogliere una vaga piega delle sue labbra, come un sorriso nascosto, ma non fui sicura. Ero sopraffatta dall’emozione che sigillava il silenzio che né io, né lui volevamo interrompere.

Sentii solo la sua mano raggiungere la mia, ferma sulla sua spalla, prenderla e portarla alle sue labbra. Poi l’abbassò e la coprì dolcemente col palmo della mano opposta.

“Danielle, confesso che sono molto… turbato. E confuso. Tu sei davvero desiderabile, e io mi sento lusingato, ma… è meglio di no, passare la notte insieme complicherebbe le cose: domani, il risveglio potrebbe essere triste.”

Non avevo sperato, né mi ero aspettata niente, ma la punta di delusione mi raggiunse lo stesso. Abbassai gli occhi mesta, mentre André dava il bel profilo alla luce della candela, e gli augurai la buonanotte, chiudendo la porta tra noi.

 

 

Adesso ripensavo al suo delicato rifiuto, e comprendevo quanto doveva essere stato difficile per lui, dirmi di no. Non saprei dire se André sperasse ancora in quell’amore lontano che Oscar rappresentava; forse si era rassegnato a non far più parte della sua vita, ed era soltanto l’amarezza e lo sconforto che lo trattenevano dal prendersi quello che gli avrei donato senza remore o ripensamenti.

Intuivo che non era ancora pronto a vivere la nostra stagione con serenità, e senza che potessi saperlo, stava ancora tentando di cancellare certi sentimenti dal suo cuore; cadere tra le mie braccia avendo nell’anima il gusto amaro delle cose perdute, sarebbe stato penoso, per entrambi.

Non avremmo vissuto il nostro amore con il giusto slancio; io, per quanto innamorata, mi sarei macerata nel dubbio costante di essere un rimpiazzo, e lui mi avrebbe usata per mettere a tacere lo spasimo del suo cuore infranto.

Nessuno di noi, voleva questo.

Potevo accettare e ricambiare con slancio uguale e maggiore la sua affettuosa amicizia, il bene sincero che provava per me, e gioire di quello, viverlo con pienezza; non potevo immolarmi a un amore fantoccio.

Mentre riflettevo sui risvolti di quella nostra situazione, mi ero arrestata sul ciglio del sentiero che stavo percorrendo e si snodava più avanti in una curva nascosta dal limitare di una fila di alberi; ero stanca, un po’ accaldata per la lunga camminata e volevo riposare.

Una recinzione in legno, tipica di quei luoghi, delimitava il terreno di una tenuta vicina di cui non ricordavo chi fosse il proprietario; per terra stava un robusto, scuro e nodoso tronco d’albero abbattuto da una tempesta.

Decisi di sedermi per riprendere fiato.

Il cielo era limpido quella mattina, e un sole insolitamente caldo per la stagione, spandeva i suoi raggi tra le foglie, giocando tra gli arbusti, generando qualche rada ombra qua e là.

Mi piaceva e mi dava una pace profonda, ascoltare il silenzio tranquillo del luogo, rotto solo dal suono di qualche usignolo che cantava in lontananza, o dal sibilo leggero di un refolo d’aria fresca che mi passava sulla pelle della nuca, e svaniva in fretta.

Chiusi gli occhi, mentre il mio respiro rallentava e rimasi così per lunghi minuti, immersa nel silenzio, la mente finalmente sgombra da ogni pensiero.

Scese su di me la calma, mentre sentivo l’aria giocare coi miei capelli, i suoni leggeri delle fronde che stormivano, il fruscio di qualche timido animale che si nascondeva tra l’erba alta del campo.

Quando un altro suono, cupo e sordo venne a distrarmi aprii gli occhi bruscamente, voltandomi nella direzione da cui proveniva il rumore che sentivo avvicinarsi.

Riconobbi lo scalpiccio martellante degli zoccoli di un cavallo al galoppo. Non lo vedevo ancora, ma immaginavo le zolle di terra, la nuvola di polvere ed erba sollevarsi al suo passaggio. Quando l’animale emerse da dietro la curva, a pochi metri da dove sostavo, mi alzai in piedi di scatto alla vista del magnifico purosangue nero; un nitrito improvviso, quindi scartò impennandosi imbizzarrito, con disappunto del suo cavaliere che cercava di domare la nobile focosa bestia.

Passò qualche minuto concitato. Il cavallo scalpitò ancora un poco, prima di iniziare a calmarsi. Immobile dov’ero, osservai la scena lievemente interdetta; incrociai due occhi chiari, all’apparenza freddi come metallo, ma non riconobbi, né ricordai chi fosse la figura che si ergeva sulla sella tirando le briglie con energia.

 

 

********

 

 

Da buon segretario personale, Andrè controllava la corrispondenza arrivata quella settimana. Non c’era nulla di interessante che lo riguardasse: lettere di Leopold, di sua nonna – e come avrebbe potuto se neppure sapeva dov’era? – o altro, - e con altro, si potrebbe intendere qualche sorprendente missiva di Oscar - a parte le richieste di denaro di qualche fornitore e i soliti noiosi inviti di buon vicinato a prendere il te, delle dame locali che risiedevano nelle ville vicine, o giù in paese. Inviti che in massima parte Danielle avrebbe disertato, salvo qualche visita che proprio non avrebbe potuto evitare.

Contro ogni logica sperava ancora di trovare notizie di lei: le avrebbe considerate un valido motivo per continuare a resistere, un segno del destino a suggerirgli che c’erano ancora possibilità per loro due.

Ma segni non ne erano arrivati.

 

Si sentiva particolarmente fragile, André.

Se avesse baciato Danielle avrebbe ceduto senza rimedio, lo aveva capito subito, e di conseguenza sarebbe capitolato di fronte alla sua richiesta di passare la notte insieme. Avrebbe fatto l’amore con lei, perché in fondo non era un santo, né un pazzo, né un falso moralista, ma soltanto un uomo come tanti, pronto a cogliere con riconoscenza e sincero slancio la generosa offerta d’amore di una donna bellissima.

Si sentiva perennemente in bilico, e mantenere l’equilibrio in quella inusitata situazione sentimentale era quanto mai difficile. La caduta era una pura questione di tempo.

Era stanco.

Stanco di resistere.

Di aspettare chi non sarebbe mai venuto a cercarlo.

Così pensava, e si stava convincendo più velocemente di quanto avrebbe voluto. Oscar era rimasta lontana, irraggiungibile, sigillata dietro il suo cuore di soldato, irrigidita dal suo senso del dovere e dell’onore. Se la conosceva un po’, doveva mettere nel conto anche la componente predominante di una personalità orgogliosa.

Era deluso André.

Rattristato e sfiduciato.

Da quanti giorni era a Etretat? Settimane? Aveva perso il conto. Gli sembrava una vita; troppo tempo, troppa distanza messa tra i loro cuori, troppa cenere gettata sulle ultime braci della loro passione.

Possibile che Oscar l’avesse lasciata estinguere, senza rimpianti, senza languire nel ricordo di ciò che era stato? E se non era per amore, per passione, neanche l’amicizia la faceva smuovere dalla sua torre d’avorio? Neppure quella valeva più nulla?

Non c’era stato giorno che non avesse pensato a lei, che non l’avesse cercata in quei luoghi che tante volte, l’avevano vista presente e vicina. Infine, l’aveva intravista negli occhi dolci e luminosi di Danielle, nei suoi sorrisi così simili. Si era sforzato di non sovrapporre le loro immagini, ma lo aveva trovato quasi impossibile. Alla fine si era arreso, e le immagini avevano coinciso, sfumandosi nei contorni.

E fu per lui quasi un sollievo a cui aggrapparsi, per non soffocare, alleggerire il cuore del peso del rimorso, e ritrovare quella luce di speranza che lo aveva guidato per anni.

Danielle lo amava. Lo sentiva con una consapevolezza tale, da farlo sussultare con moto istintivo.

E lui aveva disperato bisogno di qualcuno che scaldasse il suo cuore. Se Danielle gli offriva tutto questo perché rifiutarlo? Ostinarsi a inseguire fantasmi, sì, sarebbe stato folle e insensato.

Chiodo scaccia chiodo.

Forse era solo una diceria popolare. Forse era una regola che non valeva per uno come lui, che aveva dato i suoi anni migliori a un’ unica donna, che di lui si era presa con un po’ di prepotenza tutto quello che poteva prendere, facendo di lui un complice silenzioso. Forse non valeva per certi amori, né per certi sentimenti. Ma doveva tentare di dare una nuova direzione alla sua vita.

Era la sola realtà a cui aggrapparsi con tutte le sue forze.

 

Stava impilando tutti i registi e gli incartamenti, quasi fossero i suoi stessi pensieri cui mettere ordine, quando Ninette entrò nello studio, interrompendolo. Aveva l’aria trafelata e forse un poco scossa. Il sorriso e le gote accese. Veniva dal mercato dove era stata a procurarsi delle provviste.

“André, cercavo madame… credevo fosse con te…”

“No, Ninette. La contessa è uscita da sola, questa mattina. Nelle scuderie c’è ancora il suo cavallo, quindi credo si sia allontanata per una passeggiata a piedi. Io stavo sistemando un po’ di scartoffie qui, ma non preoccuparti; se ritardasse troppo, andrò a cercarla.”

“Grazie… - La giovane cameriera sorrise lisciandosi le pieghe della gonna, prima di proseguire con una vaga esitazione, che incuriosì l’ ex attendente. - Sai, André, non avevo proprio indovinato che fossi tu…”

André le restituì uno sguardo perplesso, ma restò in silenzio, aspettando che la cameriera esternasse il resto dei suoi pensieri.

“…intendo, l’uomo che ha rubato il cuore alla signora contessa; è stata una grossa sorpresa per me…”

André non riuscì a reprimere un sussulto sbigottito, per l’ardimento della giovane, fedelissima della contessa. Non era un mistero l’interesse più o meno manifesto di Danielle per lui, ma che qualcuno della servitù osasse affrontare l’argomento in quel modo diretto, quello sì, era sorprendente, anche per un tipo fuori dagli schemi come André. Gli altri addetti alla villa, dalla cuoca al mozzo di stalla, mantenevano un muto e condiscendente riserbo, tra supposizioni e consapevolezze effettive.

La regola vigente nei palazzi aristocratici era sapere, ma fare finta di nulla anche di fronte all’ ovvio, navigando tra pettegolezzi e maldicenze vere o presunte tali, e villa Recamier non differiva da questa legge non scritta. Ninette, però non era una cameriera come le altre, né per presenza di spirito, né per il legame particolare che aveva con la sua padrona; infatti, seppur con un poco di naturale timidezza proseguì imperterrita e con franchezza.

“All’inizio la cosa mi aveva un po’ infastidito… non capivo questo ennesimo capriccio della signora. Ma ora mi sembra così felice e serena; non ricordo di averla mai vista così… per questo non vorrei vederla soffrire, André. L’ho vista troppe volte innamorarsi degli uomini sbagliati…”

“Ninette io…”

“Scusa se oso chiedertelo, ma mi stavo domandando che intenzioni hai: cosa speri di ottenere? Favori, privilegi di qualche tipo?”

“È questo che pensi? Che l’abbia seguita fin quaggiù per qualche tornaconto personale? Non è così.” Obbiettò André con calma, concedendole una mezza verità.

Non lo sorprendevano, né lo scandalizzavano le illazioni della ragazza; sapeva perfettamente che anche tra quelli del suo ceto, esistevano gli arrivisti. Ne aveva incontrati tanti perfino a Versailles.

“Se non è così, e sei sincero, mi fa piacere… però a volte ho l’impressione che tu abbia lasciato la mente e il cuore altrove…”

André abbassò il capo mesto, atteggiando le labbra a una smorfia leggera. Non smentì, né confermò.

“Vuoi davvero bene alla tua padrona, non è così?” si limitò a dire.

“Sì, André. Nutro affetto sincero per lei e voglio solo il suo bene.”

“Ti capisco più di quanto tu creda: anch’io ero legato da sincero affetto al mio vecchio padrone  e volevo solo il suo bene…”

“Padrona, vorrai dire.” Ribattè lei, scrutandolo impertinente. Ma André non raccolse la provocazione.

“Ninette, ti assicuro che non ho cattive intenzioni nei confronti di Da… della Contessa di Recamier. Anch’io nutro un affetto sincero per lei, e voglio solo ripagare in qualche maniera la stima e la fiducia che mi ha accordato, nient’altro. Sono sempre stato sincero con la tua padrona.”

“D’accordo, André. Voglio fidarmi. – La cameriera soddisfatta, si voltò con l’intenzione di allontanarsi dallo studio, poi ebbe un ripensamento. – Ah, stavo per dimenticare una cosa importante; giù in paese c’è un uomo che va in giro a fare un sacco di domande strane su te e la signora… cercavo madame per questo, è giusto che tu lo sappia.”

Ninette si era voltata, una mano appoggiata allo stipite della porta.

“Un uomo che chiede di me? E perché mai?”

“Credo sia uno degli uomini al soldo del conte di Recamier. Il marito della signora si chiederà il motivo della tua presenza qui. Stai in guardia…”

Disse fissandolo negli occhi, senza dissipare il mare dei suoi dubbi.

 

 

 

 

******

 

 

 

 

L’emissario mandato dal conte aveva ottenuto tutte le informazioni che gli servivano; aveva indagato con discrezione, parlato con personalità del paese e ascoltato conversazioni raccolte per strada, e scoperto quello che gli premeva sapere.

Quindi, con sollecitudine, aveva scritto tutto e spedito la lettera al suo committente.

La fuggiasca contessa era a Etretat, arrivata lì da circa un mese o poco più, in compagnia del suo segretario personale.

Ufficialmente era questa l’attuale mansione dell’ex attendente di madamigella Oscar, e nessuno pareva avere nulla da ridire su questo. Era stato visto in paese svolgere le sue incombenze in virtù del suo ruolo, e in compagnia della contessa manteneva un comportamento ineccepibile, ma c’era chi giurava che madame lo trattasse con un riguardo perfino eccessivo, se non troppo amichevole. L’avvenenza del giovanotto faceva discutere e sorgere qualche pettegolezzo, ma se quella veste pubblica dell’uomo servisse a nascondere altro, nessuno su questo osava sbilanciarsi.

Non ho prove che sia l’amate di vostra moglie, non pare esserlo, aveva scritto, ma di questo dovrete accertarvene di persona venendo qui.

 

L’uomo non sapeva che qualcuno era in anticipo su di lui di una settimana. Una figura androgina esile ed elegante, camuffata sotto la tesa larga di un cappello e comodi abiti da viaggio lo aveva atteso al varco, come un cacciatore paziente piazza la trappola e aspetta che la sua preda ci finisca in mezzo. Lo aveva scrutato con attenzione e apprensione; lo aveva seguito presso la locanda dove andava a bere, lo aveva ascoltato parlare col parroco del paese, e chiedere informazioni su Madame Recamier e sul suo segretario. Benché fosse rimasta nell’ombra, cosa non facile per una persona col suo particolare aspetto, occhi limpidi, labbra di corallo e mani affusolate e forti, c’era chi aveva notato la figura longilinea di quell’ affascinante, misterioso giovanotto biondo dai lineamenti nobili e delicati, ma nessuno aveva riconosciuto chi fosse.

Solo al momento opportuno sarebbe uscita allo scoperto.

Appurato che Danielle era a Etretat, aveva preso un alloggio presso l’unica locanda che ricordava ci fosse in paese, ed era rimasta lì, trattenendo l’ansia che le mangiava lo stomaco, sperando e temendo un incontro troppo ravvicinato che non c’era stato.

Una mattina, mentre seguiva di nascosto l’emissario di Leopold, si era diretta alla modesta chiesa del paese dove aveva scambiato quattro chiacchiere rivelatrici col curato. Aveva atteso che il prete fosse solo per avvicinarlo in sacrestia.

“Anche voi qui! Che piacere incontrarvi madamigella. È passato tanto tempo dall’ultima volta.” Le aveva detto l’umile servitore di Dio, quando l’ebbe riconosciuta.

“Anche? Chi altri avete incontrato?”

“Oh, non sapete? La Contessa di Recamier, vostra sorella è qui già da un po’. Domenica scorsa ha assistito alla messa accompagnata dal suo segretario personale, un giovane cortese e a modo.”

“Segretario… - commentò pacata, senza chiedere ulteriori spiegazioni, deducendo che il curato non rammentava che André era il suo ex attendente. - Per favore, nessuno deve sapere della mia presenza qui, soprattutto mia sorella. Posso contare sulla vostra discrezione? È molto  importante.”

“Ma certo, come volete.”

 

Dal suo arrivo, moriva dalla voglia di raggiungere la villa che distava da lì solo pochi chilometri, ma si costrinse ad aspettare, domandandosi cosa avrebbe trovato e come avrebbe reagito nel rivedere volti e persone. Una in particolare.

E benché non volesse riconoscerlo, quell’attesa forzata e logorante era dettata anche da altro; l’animo e i pensieri erano invasi dalla paura profonda di scoprire cosa non voleva che accadesse, e forse era già accaduto. L’idea di ritrovare André ormai innamorato, legato definitivamente alla sorella le scatenava sensazioni indefinibili, un misto di gelosia, paura e rabbia. Voleva convincersi che poteva resistere, sostenere l’impatto con quella che sarebbe stata la realtà, e in cuor suo sperava di arrivare pronta e fortificata a quel confronto.

Non era venuta fin lì per quello?

Per lasciarlo libero da quel giogo, dimostrargli che non era l’amore ad averli legati, se lui poteva consolarsi facilmente tra le braccia della sua gemella? Eppure non era sicura che non le avrebbe fatto male, un male terribile, impossibile da sopportare. Un dolore che avrebbe ritorto volentieri contro di loro per punirli di quel tradimento. Questo la terrorizzava e la confondeva, in un delirio di sentimenti in conflitto che la tormentavano da troppo tempo. L’idea che André non le appartenesse più, poteva farla a pezzi e accendere in lei un odio feroce verso Danielle. E aveva paura di quell’odio, di quell’acredine che sentiva per entrambi. Paura che potesse sopraffarla. Sperava che quell’attesa servisse a placarla, a prepararla a ogni eventualità. Lo temeva e lo desiderava, ma non avrebbe evitato quel fatale incontro all’infinito.

 

 

******

 

 

 

Ninette non si era ancora allontanata dallo studio, quando Andrè, attratto da un suono inatteso, volse lo sguardo puntando la sua attenzione oltre il vetro della finestra che si affacciava su una parte del giardino e sul viale d’ingresso della villa. Fu allora che li vide: Danielle stava scendendo da uno stallone nero, sorretta tra le braccia di un uomo, un forestiero di bell’aspetto che non ricordava di aver mai visto, e incuriosito, lasciò il tavolo con i documenti che stava controllando, e si avvicinò alla tenda color amaranto per osservare meglio la scena. Ninette era ancora ferma sul lato opposto, ma all’improvviso incuriosita dall’atteggiamento del giovane, tornò sui suoi passi, passò accanto al tavolo e si avvicinò pure lei alla finestra.

“Chi è quel uomo con la tua padrona?” chiese semplicemente rivolgendosi a lei, senza distogliere l’attenzione da Danielle e il misterioso individuo, che ora stavano parlando uno di fronte all’altra. Passò qualche secondo prima di ricevere una risposta che tradiva evidente sorpresa.

“Non lo so. Non l’ho mai visto prima. Forse è un signore che abita qui nei dintorni.”

“Qualcuno di Etretat?” chiese di nuovo André.

“Può darsi, ma non mi pare di conoscerlo… e uno così, me lo ricorderei!”

Rispose Ninette un po’ sconcertata, ma sinceramente ammirata.

Passò forse un minuto e l’uomo rimontò a cavallo; salutò la contessa con un sorriso sfrontato e un ampio gesto della mano, mentre Danielle rimase immobile ad osservarlo allontanarsi attraverso il viale, in direzione dell’uscita. Pochi secondi e il cavaliere sconosciuto scomparve alla vista.

 

 

*******

 

 

L’uomo era sceso da cavallo per calmare l’inquietudine del suo animale, che scalpitò ancora un poco e sbuffò dalle froge frementi e dilatate. Osservò la donna in piedi sul ciglio del sentiero con un’ occhiata fugace e nervosa.

“Madame avete spaventato il mio Faust!” Protestò veemente. Se si aspettava delle scuse, ricevette tutt’altro.

“Anche voi avete spaventato me, sbucando in quel modo dalla curva! Che modo di cavalcare! Il vostro cavallo è tutto sudato e sporco!” Fu la risposta pronta, indisponente e per nulla accomodante di Danielle.

“Succede quando si spinge un animale al galoppo, lo sapevate? Ma non temete, provvederò a farlo strigliare e lavare a dovere, e il suo manto tornerà più nero e lucido di prima…” ironizzò l’uomo, con velata arroganza.

Danielle gli voltò le spalle, infastidita dal tono, e tornò a sedersi sul grosso tronco di legno, decisa a ignorarlo. Il cavaliere la fissò qualche secondo; indugiò sulla sua figura, sul suo volto delicato, sugli occhi celesti fiammeggianti e sdegnosi, sull’oro lucente dei capelli sciolti in onde ribelli sulle spalle. Il disappunto lo stava abbandonando, sostituito dalla curiosità di sapere chi fosse quella donna stupenda piombata sulla sua strada, chissà per quale scherzo del destino. Era la creatura più bella che avesse mai incontrato.

“Ora che fate, lì seduta? Avete intenzione di restare qui, per spaventare qualche altro cavaliere errante, madame?”

“Soltanto quelli arroganti e sfrontati come voi, messieur.”

Non avevano iniziato quella conversazione nel migliore dei modi, ma l’uomo tentò di rimediare, mosso dall’impulso irresistibile di farle cambiare opinione.

“Non sono così arrogante come pensate. Se mi dite dove abitate, mia bellissima fata dei boschi, vi riaccompagno al vostro castello, ma dovrete accontentarvi della mia sporca cavalcatura... spero non sia un problema.”

E l’uomo sorrise in un modo disarmante che avrebbe fatto sciogliere qualsiasi altra donna, ma non fece molto effetto sulla eterea fata dei boschi.

“Chi lo vuole sapere?”chiese Danielle, che un poco si era addolcita, ma si guardò bene dal mostrarlo.

L’uomo si profuse in una riverenza galante, porgendole al fine la mano per invitarla ad alzarsi.

“Il mio nome è Tristan De Laundes, per servirvi madame: il mio Faust è a vostra disposizione.”

 

 

 

Continua…

 

 

Eccomi qui.

Capitolo meno lungo dei soliti, più introduttivo che altro, ma ci sono diversi elementi che tracciano la direzione. La parte inerente a Oscar è stata quella più difficile da scrivere, perché i suoi sentimenti in questo momento sono davvero una matassa aggrovigliata da dipanare, almeno per come la vedo io. Che donna complicata!! Ci sono le basi di quello che succederà dopo, che svilupperò in seguito, e prossimamente conosceremo meglio anche questo nuovo personaggio che aspettavo da un po’ di poter introdurre e che avrà un ruolo importante. Per il cognome di Tristan per aiutarmi ho fatto una piccola ricerca su internet sull’araldica francese. Non mi sentivo in grado di inventarmelo di sana pianta e temevo di scrivere corbellerie, così mi sono documentata. Spero che il capitolo via sia piaciuto, e come sempre suggerimenti, critiche e commenti, saranno sempre bene accetti. Grazie sempre a tutti i lettori silenziosi e non, che mi seguono. Spero di non deludervi. Alla prossima.

 

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Capitolo 27
*** Le incognite del destino (Tristan e Danielle) ***


27 – Tristan De Lourges

27 – Le incognite del destino (Tristan e Danielle)

 

 

 

 

 

Pochi giorni dopo il nostro primo bizzarro incontro, Tristan venne alla villa, per la prima di una lunga serie di visite. Se l’inizio della nostra conoscenza era stato un po’ burrascoso e poco amichevole, superati i primi fraintendimenti, ebbi modo e maniera di rivalutare la personalità schietta e il temperamento spavaldo del giovane. L’impatto immediato che ebbi con lui, mi fece pensare ad un uomo arrogante e supponente; soltanto in seguito, conoscendolo un po’ meglio, mi trovai a pensare di essermi sbagliata.

Era un uomo sicuro di sé, e questo lo rendeva senza dubbio affascinante, ma traeva in inganno sulla sua reale indole; in realtà, sapeva essere molto gentile, disponibile e affabile.

Fu André ad accoglierlo, e Tristan, come seppi poi, non perse l’occasione di osservare con attenzione e onesta curiosità, velata forse da un pizzico di sospetto, l’affascinante ex attendente.

“Buongiorno buon uomo. Vorrei essere ricevuto dalla contessa di Recamier. È in casa?”

“Certo signore, chi devo annunciare?”

Alla domanda, Tristan era già entrato nell’androne, e si stava sfilando i guanti, guardandosi attorno con fare tranquillo e naturale, fino a riportare il suo sguardo acuto e critico su André.

“Tristan De Laundes. Abito a poche miglia da qui. Io e la contessa ci conosciamo, l’ho accompagnata a casa col mio cavallo qualche giorno fa… Ma voi siete?”

“André Grandier.”

“Siete alle dipendenze della contessa, André?”

“Sì, signore.”

“In qualità di?”

“Sono il segretario personale della contessa, signore.”

Tristan colpito, fissò con intensità gli occhi verdi del suo interlocutore. Se Andrè provasse fastidio nell’essere sotto esame, preso d’assalto da quella serie di domande a raffica non lo mostrò in alcun modo. Si mantenne composto e rispettoso delle forme colloquiali tra signori e servi, come voleva il suo ruolo, contribuendo forse ad aumentare il dubbio nel nobiluomo.

“Sembrate davvero molto giovane per essere un segretario… quanti anni avete?” domandò infatti.

“Quasi ventisette, signore.”

“Oh, siete addirittura più giovane di me.” Fu il suo commento un po’ perplesso.

“Nonostante la mia età, ho esperienza, avendo sempre lavorato presso gli aristocratici. Col vostro permesso, vado a informare la signora contessa della vostra presenza. Potete aspettarla nel salotto degli ospiti. Prego, da questa parte.”

E André con un gesto della mano indicò una porta alla sua sinistra.

 

Non feci attendere molto Tristan.

In tutte le occasioni future, mi presentai a lui, sempre ben disposta e disponibile, al punto da diventare perfino fiduciosa e amichevole.

Mi accorsi presto del suo interesse, che manifestò quasi subito e senza finzione alcuna, ma non lo incoraggiai mai, né gli lasciai credere che potessi ricambiare il suo trasporto.

Eppure Tristan non si scoraggiò, e solo dopo molto tempo compresi il motivo di una tale sorprendente tenacia.

Lui sapeva quello che io non sapevo.

Vedeva quello che io non volevo, o non ero in grado di vedere.

 

Quel pomeriggio a cavallo, mentre Tristan mi riportava a casa, avevamo parlato; era il figlio maggiore e diretto erede delle sostanze di suo padre e aveva un fratello di poco più giovane cui era molto legato. Gli avevo detto chi ero, avevo accennato a cinque sorelle, ma non avevo parlato di nessuna in particolare, omettendo il reale motivo per cui mi trovavo in Normandia.

Conosceva la nomea della famiglia Recamier, il prestigio che avevamo a corte, ma era un dettaglio che per lui pareva insignificante, e questa fu la cosa che mi colpì senz’altro di più.

“Contessa, sono felice di rivedervi. È dal nostro primo incontro che desideravo poter parlare di nuovo con voi, Danielle. Posso chiamarvi Danielle, non è vero? Sapete, detesto le convenzioni, sono così false e ipocrite… e voi mi sembrate tutto, tranne che una donna falsa e ipocrita…”

“Non mi conoscete così bene da poterlo dire…”

“È vero, ma mi fido della mia capacità di giudizio.”

“Siete un uomo audace, oltre che adulatore; certo, sapete che il nostro mondo è fatto di formalità vuote e apparenti. La corte di Versailles è costruita su quelle, sarebbe assai pericoloso non tenerne conto…”

“Ne sono convinto, e voi senza dubbio ne conoscete tutti i meccanismi… ma debbo contraddirvi, io non sono un adulatore, ragione per cui non metto piede in un posto del genere.”

“Forse perché non ne avete le possibilità…” lo stuzzicai, e lui reagì con una presenza di spirito invidiabile e genuina, e un sorriso spontaneo.

“Lo confesso, sì, e la cosa non mi toglie il sonno. Trovo stupido e inutile dilapidare le proprie sostanze per sostenere il modello del perfetto cortigiano vanesio e sciocco. Vi sorprenderà, ma sono stato a corte forse un paio di volte in tutta la mia vita, è l’esperienza mi è bastata. È un ambiente detestabile che evito accuratamente: un vespaio pieno di gente annoiata e stupida che non sa come passare il tempo, salvo inventarsi intrighi di ogni sorta, e si diverte con le maldicenze sul personaggio di turno… più il personaggio è in vista, più godono nel farne il bersaglio delle loro facezie. Per non parlare della moda imperante imposta dalla nostra bella e capricciosa sovrana: con quelle sottane ingombranti e quelle acconciature ancor più stravaganti, le gran dame non passano neppure dalle porte.”

Sorrisi divertita mentre invitavo il mio ospite a sedersi sul canapè e suonavo la campanella per richiamare la mia cameriera.

“Siete davvero sorprendente, ridicolizzate quello che per tanti è un privilegio irrinunciabile, e le dame di corte fanno a gara per imitare le mise di Sua Maestà. È molto strano sentir far un discorso del genere da un appartenente alla nobiltà… ma in effetti, la vostra analisi è accurata.”

“Oh, spero che la mia franchezza non vi risulti offensiva.”

“No, non temete. In realtà, condivido il vostro pensiero, anche se ho frequentato la corte e quella gente annoiata e stupida molto più di voi, e in diversi casi ho dovuto adeguarmi a mode e stravaganze. Non sarà che il vostro spregio viene dalla ragione che ne siete escluso?”

“Voi credete? Me lo sono chiesto, in effetti… al vostro posto avrei il medesimo dubbio.” rise, smontandomi completamente.

“Vi sto provocando, perdonatemi! – Esclamai imbarazzata. - È un difetto che non riesco a correggere…”

“Un difetto adorabile che vi rende sincera. Ho capito questo di voi, fin dal nostro primo incontro, e se posso dirlo, mi siete piaciuta subito.”

“Davvero? Ero convinta del contrario…” sorvolai, ironizzando sulle ultime parole assolutamente sincere del mio ospite, che mi restituì un sorriso appena accennato.

Ninette entrò col vassoio: portava una teiera e due tazze di fine porcellana decorata e profilata d’oro zecchino.

“Neppure io amo troppo la vita di corte. Forse è per questo che sono venuta quaggiù… per allontanarmi da quel mondo. Devo ammettere che il più delle volte è davvero soffocante.”

“Siete una donna che insegue la libertà, contessa?”

Stavo versando l’acqua bollente attraverso il filtro, quando Tristan mi inchiodò sul posto con quella domanda, apparentemente casuale. Con gesti misurati posai la teiera sul vassoio accanto.

“Cosa ve lo fa credere?”

“La Normandia è una terra bellissima, ma selvaggia; è battuta dai venti, e le sue coste meravigliose si aprono sul mare come un invito a perdersi nel blu cobalto delle sue profondità. Per apprezzarla sul serio bisogna avere uno spirito indomito e poco convenzionale. Chi cerca il contatto con la natura vuole evadere dal mondo; voi siete venuta quaggiù da sola… o meglio, accompagnata da uno strano uomo che dice di essere il vostro segretario.”

Più che le parole, fu piuttosto il tono a sorprendermi; non avvertii alcun tipo di giudizio in esse, semmai una inaspettata comprensione. Forse fu questo che mi spinse ad aprirmi, come non avrei fatto con altrettanta facilità con nessuno. Di certo, non con un uomo appena conosciuto di cui in fondo non sapevo nulla. Eppure qualcosa di misterioso e profondo in Tristan mi indusse a fidarmi di lui.

“André non è un semplice segretario… è un amico fidato dal cuore onesto; ha servito come attendente nella casa di mio padre, lo conosco da quando era un bambino.”

Tristan abbassò lo sguardo e piegò le labbra in un sorriso enigmatico, prima di riportare la sua attenzione su di me.

“Capisco… Un uomo legato alla vostra famiglia nel profondo… Deve rappresentare molto per voi, madame…” constatò con sicurezza.

La mia conferma tranquilla e spontanea non lo stupì, semmai rafforzò l’intuizione di tutto quello che si celava dietro le parole apparentemente innocue che ci eravamo scambiati.

 

 

*****

 

 

 

 

Non era uomo da scandalizzarsi Tristan, né gli interessava il giudizio troppo diffuso di un etica fasulla. Si riteneva superiore e libero da certe forme di pensiero, proprie della sua casta. Lui stesso aveva suscitato scandalo quando si era comportato in maniera non proprio consona al suo rango, contravvenendo a un preciso ordine/desiderio di suo padre, e la cosa non aveva turbato troppo la sua esistenza.

Quell’André non era un semplice segretario, no.

Era un rivale. Bisognava capire quanto pericoloso, e quanto interessato a ricambiare l’affetto della sua padrona.

Alcuni dettagli però gli apparivano ancora fumosi e poco chiari, causa le scarse e vaghe informazioni ottenute sulla famiglia d’origine della sua bella dama, ma contava di venirne a capo.

Frequentava il salotto della contessa da alcune settimane ormai, ed era sicuro che lei avesse compreso il suo interesse. Si sentiva follemente attratto dal superbo fascino unito a un po’ di mistero, dalla mente brillante e aperta, come mai gli era accaduto in passato, e l’attrazione stava sfociando in un sentimento autentico e potente.

Tristan si stava innamorando.

Sapeva che era una donna sposata, ma la cosa non sembrava procurargli particolare disagio o remore di qualche tipo.

E Danielle dimostrava di gradire la sua presenza e la sua compagnia e lo gratificava di gentilezze che restavano però dentro i confini di una schietta amicizia, che si nutriva di vari e vivaci argomenti, alcuni anche molto seri e impegnativi.

Lei accettava le sue confidenze e parlava di sé, senza timori, ma senza scivolare troppo sul personale, un confine che la contessa era molto attenta a non travalicare mai.

“Mi stavo chiedendo che tipo sia vostro marito, Danielle. Non ne parlate mai, se non in maniera vaga e mi pare che non susciti la vostra stima. State fuggendo da lui? Scommetto che è uno dei motivi per cui siete qui.”

Era un pomeriggio splendido, il sole giocava con le foglie degli alberi del giardino facendole vibrare come gocce di luce verde, e lei lo aveva invitato ad accompagnarla durante una passeggiata.

“Siete un po’ indiscreto. Comunque, Leopold è un tipo d’uomo assai comune. Il classico marito che sposa una fanciulla molto più giovane di lui, per unire la sua casata a quella della sposa e aumentare il suo prestigio. Vi assicuro Tristan, non c’è nulla di particolarmente eccitante in un matrimonio del genere, nel bene e nel male è uguale a tanti altri matrimoni combinati. Ma non parliamo di me, parliamo di voi, piuttosto.”

“Cosa volete sapere che non sapete già? Non ho segreti per voi, madame… semmai, voi li avete per me, e la cosa mi affascina.”

“Non è vero. Di me sapete tutto quello che c’è da sapere. Ma per ciò che vi riguarda, perché un uomo come voi non è sposato? Siete avvenente e rappresentate un ottimo partito. Dovreste avere una promessa sposa, o almeno un’ innamorata… forse un amante… o più di una.”

“Addirittura più di una? Madame, mi farei scoprire immediatamente, non sarei così abile a gestire relazioni clandestine. Beh, ho avuto un’ innamorata… - disse fingendo un cruccio che si trasformò subito in sorriso sarcastico, - ma lei ha preferito un conte più ricco e blasonato. E ho avuto anche una promessa sposa, una fanciulla scelta da mio padre, di buona famiglia con una discreta dote in terreni e possedimenti… ma ai miei occhi, insignificante e senza particolari grazie o attitudini. Non bella come voi, Danielle… Voi sì, che potreste rubarmi il cuore…  - se non l’avete già fatto, pensò e si perse a fissarla per qualche istante. - Una cara ragazza, che non suscitò in me alcun interesse, né la benché minima attrazione fisica. Mi rifiutai di sposarla, scatenando l’ira di mio padre; ho rischiato di essere diseredato.”

Questa storia scatenò la sincera ilarità di Danielle che manifestò liberamente. Tristan era rapito da quella sua spontaneità, ma in alcuni momenti si chiedeva da dove derivasse veramente.

“Oh, povera ragazza! Magari era davvero innamorata di voi, e l’avete respinta. Era dunque, così poco graziosa?”

“A me non piaceva; scialba, con poca presenza di spirito, né eccessivamente colta. Oh, una dolce fanciulla, per carità, un’indole mite e riservata, ma molto modesta d’intelletto. Ma tranquillizzatevi, l’offesa fu presto cancellata; sta per diventare mia cognata, mio fratello Fabian si è innamorato di lei.”

La contessa rise di nuovo.

Una risata che veniva dal cuore e lo avvinceva.

“Oh, capisco; dovete ringraziare vostro fratello, sicuramente meno esigente di voi, se avete evitato di essere diseredato. Siete un uomo davvero non comune. Ma siate sincero, se fosse stata bella e ricca, l’avreste ceduta con la stessa facilità, o magari avreste accettato il compromesso?” chiese sinceramente incuriosita, ma senza la malizia che avrebbe riservato ad altri.

“Madame, non sono uomo da compromessi, e il matrimonio è già di per sé una follia; l’unico vero motivo per unirsi a vita a un’altra persona è l’amore, quello passionale e impetuoso che prende due cuori e li avvince totalmente. Se manca questo ingrediente basilare, credo sia meglio evitare di imbarcarsi in una simile disavventura.”

“Una risposta cinica, alla fine.”

“Può darsi, ma trovo sia più cinico sposarsi per interesse. Non siete d’accordo?”

Il tono era uscito lievemente più duro e amaro.

“Scusatemi, dimenticavo la vostra delusione amorosa. Peccato che certe libertà valgano solo per gli uomini. Noi donne spesso siamo solo merce di scambio, e non abbiamo molta scelta in merito… l’interesse non è quasi mai il nostro.”

“Già, un vero peccato. Quanta infelicità sarebbe risparmiata da ambo le parti. Ne deduco che il vostro matrimonio vi vada stretto, Danielle.”

“Non vi si può nascondere niente, Tristan…”

 

Eppure Danielle, qualcosa nascondeva. Lo sentiva.

E non riguardava solo suo marito.

Tristan avvertiva l’ombra del segretario aleggiare tra loro, quel giovane dagli occhi verdi cui Danielle sorrideva in un modo speciale, un modo che lo allarmava. Aveva notato la dolcezza della contessa, la gentilezza che metteva nelle parole, e gli occhi che si illuminavano in presenza dell’uomo.

Sembrava davvero che ne fosse… innamorata.

 

Una mattina, per un caso fortuito, dall’alto del promontorio da cui si scorgeva la spiaggia sottostante di Etretat, li scorse insieme durante una cavalcata. Li guardò scendere da cavallo. Rimase a lungo ad osservare quelle due figure ignare e lontane, che camminavano sulla rena bianca, i cavalli poco distanti.

Dal punto in cui era, riconobbe i capelli biondi di Danielle mossi dal vento; era accoccolata al braccio dell’uomo che aveva alzato una mano a spostarle alcune ciocche ribelli dal viso bellissimo, e si era sentito quasi un intruso che viola una situazione di intimità. Perché quell’uomo, quel servo dai modi eleganti, si permetteva di sfiorarla in quel modo? Quali libertà lei gli aveva concesso? Una tale famigliarità poteva essere giustificata dal quell’antico legame che lei stessa aveva ammesso fin dall’inizio, quasi con orgoglio?

Qualcosa nel petto di Tristan si era agitato, un tumulto che gli aveva fatto stringere con forza le redini del suo cavallo.

Solo alcuni giorni successivi, dopo molti tentennamenti, un mattino si era unito a loro sulla spiaggia, e aveva colto anche troppo chiaramente il trasporto malcelato della contessa verso il suo accompagnatore.

L’altro rispondeva ai suoi sorrisi, si rivolgeva alla donna con rispetto, e palesava una confidenza che andava appena oltre le libertà che avrebbe dovuto avere un segretario.

E qualche volta, si permetteva di chiamarla Danielle, anzi, lei insisteva perché lo facesse. E il tono di André, per quanto si sforzasse di nasconderlo, a volte diventava carezzevole, quasi protettivo e affettuoso.

Era un po’ troppo per il ruolo di un semplice segretario.

Eppure negli occhi verdi del giovane servo gli sembrò di intravedere delle ombre mutevoli, una malinconia soffocata, legata a qualche ricordo lontano e insondabile. Fu la cosa che forse lo fece sperare o temere che l’apparenza lo traesse in inganno. L’affascinante, ambiguo André Grandier era ben altro nel cuore della sua fata dei boschi, ma cosa fosse lei nel cuore di lui, non era altrettanto ovvio.

 

 

*********

 

 

 

I nostri cavalli affondavano gli zoccoli nella sabbia bagnata. Eravamo fermi, ritti sulle nostre selle a osservare l’orizzonte. Vicino a noi, la spuma bianca del mare increspava le onde che morivano sulla riva. Il rumore della risacca mi trasmetteva calma.

“Non ti preoccupa che una probabile spia di tuo marito faccia domande su di noi, Danielle? Con quello che c’è in ballo, io al tuo posto non sarei così tranquillo.”

“Non darti nessuna pena per Leopold. Per chiunque, tu sei solo il mio segretario. Sta solo cercando di trovare una scusa per opporsi alle mie richieste, ma non è in grado di dettare condizioni abbastanza forti da opporre alle mie… inoltre, sono sempre stata più furba di lui su questo fronte, tuttora ignora molte delle mie frequentazioni passate…”

“Sarà come dici tu, ma è probabile che sappia che sei qui con me. Mi aspetto di incontrarlo a Etretat, da un momento all’altro…”

“Questo non sarà un problema, e non gli darò modo di dimostrare nulla…”

André però voleva affrontare un’altra questione, e lo capii dal modo repentino in cui lasciò cadere l’argomento Leopold.

“Tristan De Laundes se non lo è già, si sta innamorando di te…”, mi disse con il tono tranquillo di chi fa una semplice constatazione. Non colsi alcuna punta di gelosia nella sua voce, e forse la cosa mi deluse. Non ero sorpresa, né dal suo intuito, né dalla sua affermazione, tanto che risposi in maniera altrettanto pacata.

“Non posso farci nulla… mi spiace un po’ per lui…”

“Vuoi dire che la cosa ti lascia indifferente? Non lusinga neppure un po’ il tuo orgoglio femminile? È un uomo di fascino…”

“Sì, più di tanti damerini che ho conosciuto; è intelligente e sensibile, ma non posso ricambiare i suoi sentimenti; il mio cuore l’ho già donato a te, e non posso tornare indietro…”

Lo guardai decisa, ma lui puntò lo sguardo in direzione del mare, senza aggiungere nulla alle mie parole, prese quasi con distacco. Da quando eravamo lì, quanti cambiamenti avevo scorto nel suo umore; prima triste e deluso, arrabbiato, poi speranzoso e sereno. Di nuovo mi parve diverso.

“Non mi sembra un uomo disposto ad arrendersi. Sai Danielle, che una goccia che cade sempre nello stesso punto può avere la forza di erodere la roccia?”

“Credi che il mio cuore sia così mutevole e incostante, André?”

“No, ma è un cuore bisognoso d’amore… a volte, si prende l’amore dove lo si trova… credimi, so di cosa parlo, Danielle…”

Le sue parole mi spaventarono; erano sincere e amare, venate di rassegnazione. Stava cercando di dirmi qualcosa che riguardava lui, e forse quello era il suo modo di mettermi in guardia. Ma io volevo ostinarmi a credere di essere più forte e salda nella mia volontà di amarlo, e che ciò bastasse per tutti e due.

“Amore è accettare ciò che viene donato, e questo adesso mi riempie di profonda gioia. Dunque, non ho intenzione di incoraggiare, né illudere Tristan. Posso offrigli la mia amicizia sincera e nient’altro… lo capirà.”

“No, non capirà. Ti odierà, piuttosto…” fu la sua obbiezione, pronunciata con una sicurezza assoluta e raggelante.

Rimasi attonita a fissare il suo bel profilo immobile, incapace in quel momento di comprendere appieno il significato delle sue parole. Restammo in silenzio mentre l’aria che profumava di salsedine accarezzava i nostri volti; poi, frasi ancor più sorprendenti si mischiarono intruse al suono delle onde e allo stridere dei gabbiani nel cielo.

“Danielle, hai pensato che potrebbe non essere un caso l’incontro con Tristan? È piombato nella tua vita in uno strano momento…”

“Cosa vuoi dire?”

“Parlo di tutte le circostanze che ci hanno portato qui… le mie e le tue… Se lui fosse il tuo destino, quella parte che completa il tuo cuore e la tua anima? Dovresti considerare la possibilità che quell’uomo rappresenti la tua vera occasione di essere felice. Io potrei essere solo una pausa nella tua vita, come tu potresti esserlo nella mia.”

Non disse altro e io immobile, non risposi, i miei occhi sbarrati su di lui che si era mosso senza fretta; aveva tirato le redini e guidava il cavallo in direzione della villa.

 

 

*******

 

 

Il cuore ebbe un sussulto simile a uno spasimo doloroso la prima volta che lo vide entrare nella locanda. Era seduta al suo tavolo, defilata dagli altri avventori e un po’ in ombra, avvolta nel suo mantello con un cappuccio calato sulla testa a nascondere buona parte del volto, un bicchiere di vino bianco posato di fronte a lei. Stava per alzarsi e andarsene, quando la porta del locale si era aperta.

Una figura elegante si era profilata in tutta la sua imponenza contro la cornice dell’entrata. Qualche curioso aveva alzato appena lo sguardo sul nuovo venuto - non era una faccia nuova per la gente del luogo - per riabbassarlo subito dopo senza interesse.

Era rimasta immobile con gli occhi spalancati, ad osservarlo muoversi sciolto verso il bancone, sedersi di fronte all’oste, un uomo con la pancia prominente con la faccia bruciata dal sole e dal sale, i gomiti appoggiati sul piano di legno e ordinare da bere.

Lentamente si era riseduta al suo posto, quasi le gambe avessero ceduto, lo sguardo fisso sulla sua schiena, mentre la testa si incassava un po’ nelle spalle.

Aveva immaginato mille volte di incontrarlo, parlargli faccia a faccia, affrontarlo nella maniera più diretta. Si era chiesta cosa avrebbe sentito in quel momento, quale emozione l’avrebbe attraversata.

Non ebbe la forza né la volontà di allontanarsi da lì, tenne gli occhi incollati alla sua figura, come fosse un magnete irresistibile. Aveva indugiato sul suo profilo mentre attraversava la sala, e un violento tuffo al cuore l’aveva fatta tremare, schiudere le labbra in un sospiro, il suo nome scappato in un sussurro.

“André…”

Era lì, a pochi metri da lei, ignaro della sua presenza, perso in chissà quali pensieri. E solo, come non lo aveva mai visto; quella solitudine le era famigliare e la raggiungeva come un’onda, sorprendendola.

E in quel momento, comprese cosa erano loro davvero.

Vicini eppure lontani.

Uguali come mai forse erano stati.

Due solitudini mai scoperte, riempite da quella loro vicinanza data per scontata, attraverso gli anni. Era quella sensazione di vuoto che le faceva male, e l’unica ragione che l’aveva attirata lì, era il bisogno spasmodico di riempire quel vuoto.

Non Danielle. Non Leopold, né nessun altro motivo.

Quel vuoto aveva un nome, un corpo, un’ essenza fatta di carne e spirito. Solo in quell’istante ne fu certa.

Avrebbe potuto avvicinarlo, sfiorargli una spalla con un gesto lieve della mano e palesare la sua presenza, ma non lo fece. Si limitò ad osservarlo silenziosa, gli occhi lucidi per l’emozione troppo forte che la sommergeva, mentre mille desideri l’assalivano e combatteva con la voglia e la paura di incontrare le profondità di quegli occhi verdi, e scoprirvi nuovi sentimenti, occhi che restavano fissi sul bicchiere che aveva davanti, e ogni tanto portava alle labbra mute. Quelle belle labbra che nel ricordo erano dolci, audaci e morbide, possessive e affamate di lei e del suo amore.

Quel vino doveva essere amaro quanto il suo; sul palato sentiva il gusto sgradevole che le invadeva l’anima, come se si stessero scambiando un bacio velenoso.

Oscar non si rese conto del tempo che restò lì ferma, poteva essere un minuto o un’ora, con lo sguardo inchiodato su di lui, finché non lo vide alzarsi, lanciare poche monete sul bancone, e voltarsi per andarsene.

Solo e silenzioso. Senza espressione. Vuoto come lei.

E un dolore sordo le trapassò il petto, mentre nella mente riecheggiò l’eco di un desiderio in un grido disperato e silenzioso.

No! Non andare via! Non ancora…

Per istinto le sue mani si erano contratte sul tavolo come se le dita volessero trattenere qualcosa. Protetta dal lungo mantello e dal buio della sera, cedette all’impulso di seguirlo sorretta dalle gambe molli, anche solo per un breve tratto, nel vicolo adiacente la locanda dove André aveva legato il cavallo. Lo vide allontanarsi come un’ ombra, per tornare forse tra le braccia di Danielle, e il pensiero fastidioso le fece serrare i pugni con rabbia.

 

Oscar tornò alla locanda tutte le sere successive, mossa dalla sola speranza che lui tornasse. E fu esaudita. Si sedeva sempre nello stesso angolo, defilata, nascosta tra le ombre che si allungavano sulle pareti scure e macchiate di umidità.

Lui, sempre appoggiato a quel bancone, accompagnato da vino e sguardi malinconici. Guardarlo, essergli vicina, stare lì dov’ era lui, non poteva bastarle. Se ne rese conto presto.

L’emozione diveniva incontenibile, cresceva di ora in ora, e di giorno in giorno; il suo cuore si riaccendeva per una passione mai sopita. Si era messa alla prova abbastanza da capire quale fosse la verità: l’unico vero motivo che l’aveva indotta a percorrere tutta quella strada, era la volontà di ritrovare lui e riaverlo per sé. Voleva avvicinarlo a quel bancone, sedersi accanto, parlargli e sciogliere quella solitudine che li allontanava. E non le importava quanto sarebbe stato difficile, né se fosse troppo tardi. Immaginò il momento, il modo, i gesti e le parole, gli sguardi increduli. E non fu abbastanza.

Si alzò dalla sedia eccitata e nervosa, sentì il tremito violento del cuore, il respiro che accelerava incontrollato, e più di tutto la morsa che le serrava lo stomaco, mentre mosse i primi passi. Doveva percorrere solo pochi metri, ma furono i più lunghi di tutta la sua vita.

 

 

 

André era troppo concentrato su se stesso e sulla ridda di pensieri che gli invadeva la mente, per accorgersi di quello che gli succedeva intorno. Neppure gli importava. D’altronde venire in quel posto, in mezzo a gente estranea non lo faceva sentire meno solo, ma di sicuro lo aiutava a inseguire le sue riflessioni.

Certe volte gli pareva di essere ancora a Parigi, e quella era un’ altra delle tante sere trascorse in qualche bettola, lontano da Oscar. Certe cose non cambiavano. O forse sì.

Doveva smettere di venire a rintanarsi in posti come quello, la situazione era patetica, e non faceva che acuire il suo umore malinconico.

Danielle… non l’avrebbe respinta di nuovo.

Basta rimpianti. Basta ripensamenti, inutili scrupoli.

Lui era solo un uomo come tanti, un reduce dalla battaglia più dura con quell’avversario implacabile che era l’ amore.

Tanto valeva arrendersi, togliersi il pensiero, consapevole che dopo non gli sarebbe importato se fosse caduta tra le braccia di un altro uomo, quel Tristan comparso quasi dal nulla. Il senso di colpa annegò subito nel bicchiere di vino, pensando che per Danielle sarebbe stato meglio ricambiare i sentimenti di quel giovane. Magari non sarebbe successo nell’immediato, ma col tempo chissà… lo sperava, forse?

Si stupì di quanto i suoi pensieri fossero contradditori, segno che la confusione regnava ancora sovrana nel suo animo.

Non si accorse del leggero fruscio del tessuto prodotto da un corpo che si sedeva vicino al suo. Ma due secondi dopo percepì la presenza di una persona accanto. Sollevò appena la testa e volse il viso alla sua sinistra, senza reale interesse. Un cappuccio nascondeva il profilo di una figura vicina a lui, talmente immobile da parere inanimata. Le concesse uno sguardo distratto prima di tornare a fissare gli occhi davanti a sé. Aveva poca voglia di parlare, e sperò che lo sconosciuto non cercasse di farlo. Pensò di allontanarsi dal bancone, poi qualcosa attirò la sua attenzione; la sentì muoversi con una strana inspiegabile cautela, mentre le mani, fino a quel momento nascoste sotto il mantello, si appoggiarono sul piano di legno. Andrè con la coda dell’occhio sbirciò quelle mani. Dapprima fu solo un’ occhiata rapida e fuggevole, poi il suo sguardo si bloccò su di esse, come catturato da quel dettaglio curiosamente famigliare e nello stesso istante, il suo cuore perse un battito.

André lentamente sollevò il volto a percorrere il profilo della figura accanto, che si era mossa leggermente verso di lui, il viso abbassato, ancora parzialmente nascosto dal lembo del cappuccio. Vide le labbra di corallo e alla fine, mentre il volto si alzava un poco, incontrò due occhi celesti che lo fissavano stupefatti e carichi di un’ emozione che non riuscì a decifrare, ma forse assomigliava a quella che sentiva lui.

Fu assalito dalla paura che stesse immaginando tutto, mentre nel cuore scoppiava un tremito prepotente. Poi quegli occhi celesti, anche alla flebile luce delle poche candele che rischiaravano il locale, lo incatenarono. Il respirò gli morì in gola, trattenuto dietro le labbra.

“Ciao André…”, lo salutò, con una strana calma che doveva essere solo apparente. La voce pareva tremare.

“Oscar… sei davvero tu…?” Riuscì ad articolare in un soffio.  

“Sembri sorpreso di vedermi…”

Nei primi minuti successivi seguì il silenzio.

 

 

 

 

Continua…

 

 

Eccomi qui.

Volevo farvi conoscere un po’ meglio Tristan e credo si capisca che tipo di personaggio sia, ma il suo ruolo andrà delineandosi in seguito. Allora, ho riflettuto parecchio sull’incontro finale tra Oscar e André che in un primo momento avevo immaginato diverso, poi la mia idea è cambiata e anche tutto lo sviluppo successivo ne risentirà un poco, ma la direzione è sempre la stessa. Io spero che vi piaccia così come io l’ho immaginato qui, ma fatemi sapere i vostri eventuali pareri discordi.

Come sempre un grazie di cuore a tutte quelle persone che mi seguono e leggono la storia e hanno la pazienza di aspettare i miei lunghi aggiornamenti. Spero sempre di non deludervi.

Un saluto a tutti.

Ninfea.

 

 

 

 

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Capitolo 28
*** Ritrovarsi ***


28 – Ritrovarsi

28 – Ritrovarsi

 

 

 

Ecco il capitolo, e se potete perdonate la lunga attesa.

Grazie a tutte per l’incoraggiamento che mi date attraverso i vostri commenti, per me sempre preziosi.

Siamo quasi in dirittura d’arrivo, e magari entro l’anno riuscirò a terminare questa storia. Spero che abbiate pazienza fino ad allora.

Per ora, buona lettura e spero che il capitolo incontri il vostro gusto.

 

 

******

 

 

 

Sorpreso non era la parola che avrebbe usato lui. Esterrefatto. Incredulo. Alla fine, commosso.

Quanto aveva sperato André, quanto aveva atteso che accadesse qualcosa, un segno del destino che lo facesse sperare che non tutto era finito. Aveva quasi smesso. C’era mancato davvero poco.

 

E ora…

 

La luce nella taverna disegnava strane ombre sulle pareti e sui volti degli avventori, tanto che si chiese per un attimo, se non fosse vittima di un inganno dei sensi. Il silenzio sembrava perdurare e avvolgere tutto, anche i rumori lievi attorno a loro, come se provenissero da un altro luogo.

 

Ora non aveva parole da opporre di fronte a quegli occhi lucidi che lo scrutavano fissi, velati di un’ emozione che stentava a restare nascosta dietro le ciglia. Contro ogni aspettativa Oscar era di fronte a lui, in quella taverna di Etretat, in una sera come tante della sua vita. Era venuta a cercarlo. Forse per orgoglio, senso del dovere, timore o paura.

Forse per amore. Lo credeva, lo sperava.

Avrebbe voluto chiederglielo, subito.

Non seppe aspettare quelle parole, che parevano non voler uscire, sigillate dietro un turbamento troppo grande, troppo difficile da sciogliere. Doveva sapere.

“Come mai sei qui, Oscar?”

“Te lo spiegherò André, ma prima… per favore, andiamo a parlare in un angolo più tranquillo?”

La voce di lei tremò appena, nell’evidente sforzo di celare il turbamento. Lui ne fu intenerito. Non le avrebbe rifiutato niente, e comprese di fronte ai suoi occhi che lo catturavano, che la sua volontà volava via, trascinata lontano da una forza misteriosa e inspiegabile; se Oscar gli avesse chiesto di tornare indietro alla loro vecchia vita, l’avrebbe seguita anche subito, senza curarsi di nulla, né di Danielle verso cui nutriva affetto sincero e ben consapevole dei sentimenti messi in gioco, né di nessun altro. Non c’era rimorso che tenesse.

L’amore feriva sempre qualcuno e lasciava sangue sul terreno.

Quale potere aveva su di lui? Non era bastato fuggire in Normandia per salvarsi dal nodo troppo stretto di quel legame; gli aveva lasciato un segno rosso sull’ anima, come una strozzatura che bloccava l’ afflusso di aria nuova, impossibile da cancellare.

Era dunque, un uomo così debole? Fu solo un pensiero fugace, eppure il suo cuore palpitò attraversato da una scintilla di rabbia, subito spenta e repressa dietro le labbra serrate. André socchiuse gli occhi e scosse la testa, quasi con rassegnazione. La invitò a seguirlo presso un tavolo appartato, in un angolo del locale dove la luce troppo fioca delle candele arrivava appena.

 

Nessuno degli altri avventori prestò loro attenzione.

Chiusi nei loro mantelli, avevano l’aria di due uomini seduti a bere vino, per dimenticare chissà quale pena del cuore. Ma non erano lì per dimenticare, nessuno dei due. Forse era giunto il momento di alitare sulle fiamme sopite per riaccenderle, e non c’erano garanzie di nessuna sorta, che sarebbe stato indolore.

“Come ci hai trovati?” le chiese, calmo. Lei fu sorpresa e forse vagamente allarmata che parlasse al plurale. Ma non seppe decifrare il senso esatto di quella frase. Non capì se era deluso o indifferente, e André fu volutamente ambiguo, in un residuo tentativo di proteggere il cuore da altre botte impreviste.

“Non è stato difficile immaginare dove si fosse nascosta mia sorella. Etretat è stato il primo posto a cui ho pensato; per fortuna, così non ha fatto l’uomo mandato da Leopold che ha cercato Danielle attraverso mezza Normandia, prima di giungere fin quaggiù. Mio cognato conosce davvero poco la sua consorte.”

“Mentre tu la conosci bene… altrimenti non saresti qui…” le rispose con lo stesso tono quasi incurante. Forse aveva ancora voglia di ferirla, e se ne sorprese lui stesso. Non aveva senso insistere in quell’atteggiamento, lo capiva perfettamente. Doveva lasciare andare il rancore. Doveva lasciare andare lei. Lui, la sua scelta l’aveva fatta, no?

Ora, per quanto male poteva fargli, doveva tentare di ascoltarla.

Un moto di stizza l’assalì e Oscar avvertì una profonda amarezza invaderla; non voleva proseguire in quel modo, non voleva che lui pensasse di non essere importante, e l’impressione che le stava suggerendo era esattamente quella. Poteva quasi indovinare il pensiero nascosto dietro le iridi verdi. Lo so che non sei qui per me…

 

No, non è vero!

Come fai a pensarlo?

 

 

“Non sono qui per mia sorella, in realtà di lei m’importa poco. Il motivo principale è che sono qui per te, André… - parlò accorata, senza nascondere il trasporto che le faceva vibrare la voce, - Leopold sta venendo a cercare sua moglie. Sa che sei qui con lei, e crede che voi siate… siate…” Sospirò dolorosamente, non riusciva nemmeno a dire la parola. Fu André a dirla per lei.

“Amanti?”

Oscar sgranò gli occhi trattenendo il fiato, fissandolo nella penombra scura che gli mangiava parte del volto. Doveva fare uno sforzo per trovare la luce in fondo ai suoi occhi verdi, come fosse stato un faro nella nebbia. E lui, pareva ritrarsi, quasi volesse nascondersi tra le ombre sulle pareti.

“Tu che cosa credi, Oscar?”

“Non è importante quello che credo io, André… io vorrei solo sapere se è tutto perduto… o se c’è ancora un noi… sono venuta fin quaggiù per scoprirlo. Mi sei mancato così tanto…” Confessò con un tremito che non seppe nascondere.

Alle ultime parole, fu certa di vederlo sussultare, ma fu un attimo rubato, perché André tornò a nascondersi. Lo capiva, ma ne fu ugualmente ferita, ed ebbe paura. Pareva deciso a non farle sconti, e lei era pronta a pagare tutto, convinta che fosse uno scotto inevitabile. E rivolse una silenziosa preghiera alla notte, che alla fine, la luce verde dei suoi occhi tornasse luminosa per lei soltanto.

 

Posso sopportarlo, André… per riavere anche una sola briciola del tuo amore, posso sopportare anche questo… ci penserò poi, a far lievitare il pane…

 

“C’ è mai stato un noi, Oscar? C’era prima che ci facessimo del male?”

Non c’era durezza nella voce, solo la traccia di una pena remota che doveva aver bruciato a lungo. Oscar assorbì il colpo, senza protestare. Non ne aveva il diritto. Poteva solo essere sincera, con lui e con sé stessa.

“Volevo fingere che non ci fosse, André, che non fosse così importante, ma avevo torto. Quando l’ ho capito era troppo tardi per tornare indietro, per riparare... – fece una pausa prima di proseguire, con tormento e fatica. - Da quando ti sei allontanato, sono stata così male… non lo credevo possibile, soffrire così…”

“Oh, Oscar… - sospirò André. Trattenne il respiro pochi secondi, poi abbassò lieve lo sguardo sul piano di legno, troppo turbato per sostenere quegli occhi celesti. – Anche tu… anche tu, mi sei mancata… non sai quanto…”

E rialzò il volto a incontrare quello di lei. Non furono necessarie altre parole.

Bastò annegare ciascuno negli occhi dell’altro per comprendere che l’amore era ancora lì, e bruciava i cuori e le anime. Si strinsero le mani intrecciando le dita come tralci di vite, poi si alzarono e si allontanarono nascosti tra le ombre disegnate sulle pareti.

 

 

*****

 

 

“Che cosa volete davvero Danielle? L’ ho capito che siete qui per un motivo personale, che forse non ho neppure il diritto di chiedervi, ma io vorrei tanto che vi fidaste di me. Potete considerarmi un vostro amico; non vi giudicherò, qualunque sia la verità…”

Le parole di Tristan mi colsero alla sprovvista, ma non v’era altro che sincerità in lui. Eppure sapevo, sentivo che non era solo amicizia, quello che mi stava chiedendo. Tristan con pazienza, perseveranza, stava cercando di arrivare al mio cuore. Mi era fin troppo evidente, ormai, e lui non cercava neppure di celare la cosa.

Ma era la tattica a lasciarmi un poco confusa e perplessa. Non era incalzante. Sembrava che Tristan fosse in attesa, forse della mia impossibile resa… o forse di altro, di un orizzonte ancora troppo lontano perché io fossi in grado di vederlo.

E un poco mi dispiaceva che fossi per lui una possibile causa di sofferenza.

“Io già vi considero un amico sincero, e ho piena fiducia in voi, Tristan. Perché ne dubitate? Non vi ho forse, aperto il mio cuore, non vi ho esternato le mie più intime confidenze? Cosa volete più di questo?”

“Le vostre più intime confidenze? Non mi avete detto ancora tutto, Danielle… e io con voi l’ ho fatto. Non vi ho mai nascosto ciò che provo; non potete aver frainteso il mio trasporto.”

“Infatti, non l’ ho fatto. Ne ho solo preso atto, cercando di non alimentarlo. Vi prego amico mio, non fatevi delle illusioni… ve lo dissi già una volta.” Aggiunsi con serenità, mentre camminavamo fianco e a fianco, nel giardino della mia villa, tra le siepi delle rose ancora in boccio che spandevano attorno il loro profumo, con il sole che giocava sui nostri volti.

“Sì, rammento. – E fui certa della nota amara della sua voce – Non credo che il problema sia vostro marito; è per via di André, vero? Siete innamorata di lui…”

Lo guardai, stupita da tanta schiettezza, semplice e diretta. Era una constatazione che non implicava necessariamente una risposta, e probabilmente Tristan non si aspettava conferme, né dinieghi. Per lui, quella era la verità, e la accettava così com’era, senza finti imbarazzi, moralismi o vergogna. Tristan era una persona rara nel nostro ambiente, un uomo unico nel suo genere, e io non sapevo mentirgli. Potevo, al massimo, opporre la discrezione del mio silenzio.

“Non scegliamo di chi innamorarci, lo so bene, Danielle…- Mi disse semplicemente. Si era fermato, e mi ritrovai i suoi occhi incollati addosso. Mi scrutavano, ma con aperta benevolenza. - Solo mi chiedo: siete certa che i vostri sentimenti siano ricambiati?”

“André mi vuole bene, di questo sono sicura…” ribattei, e non mi accorsi di avere fatto quasi un’aperta ammissione. Ma con Tristan mi veniva spontaneo, come se avesse lo strano potere di abbattere i miei filtri.

“Oh, sì… sono certo che vi è devoto e molto affezionato. E suppongo che ha per voi il massimo rispetto, metterei una mano sul fuoco che è così. Ma voler bene, non vuol dire amare… sicuramente, lo comprendete anche voi, contessa. L’amore di cui parlo io, è altro da ciò che quell’uomo prova per voi.”

“Pretendete di conoscere il cuore di André, Tristan? È un po’ presuntuoso da parte vostra…”

“No, pretendo di conoscere cos’è l’amore. So cosa muove lo spirito di un uomo, e lo spirito di André è mosso da altro. Non posso sapere perché egli vi abbia seguito fin quaggiù, ma di sicuro le sue ragioni non hanno nulla a che vedere con le vostre, madame. Vi sto mettendo sull’avviso, Danielle, perché quando scoprirete come stanno le cose, voi ne soffrirete più di chiunque. - E senza esitazione alcuna, Tristan si avvicinò a me, abbassò il suo bel volto virile vicino al mio, e mi sfiorò una guancia tracciando la curva delicata dello zigomo con le dita. – Ma rassicuratevi contessa, che io, in quel preciso momento, sarò lì a sostenervi e darvi conforto. Le mie braccia vi accoglieranno come un sostegno sicuro e se piangerete, asciugherò le vostre lacrime con i miei baci più ardenti. E allora forse, mi vedrete con occhi diversi da ora. E non potrete più ignorarmi.”

Sentii tutta la spavalderia di quelle parole sussurrate sul mio viso, e il suo sguardo brillante fisso nel mio era carico di inaspettata dolcezza, e mio malgrado, mi sentii fortemente turbata. Lo fissai per alcuni secondi, persa in quegli occhi grigio/azzurri che spesso mi erano sembrati freddi, accesi di un inaspettato calore; poi posai la mia mano sulla sua per allontanarla delicatamente dal mio volto, mentre i miei occhi si abbassavano vinti e commossi.

“Tristan, vi prego, smettete…” balbettai, e non ebbi la forza di dire altro. Nel cuore avevo solo la paura che avesse ragione.

 

 

********

 

 

 

 

Come André aveva predetto, Leopold arrivò a Etretat.

Una tarda mattina di fine giugno, la sua carrozza fece il suo ingresso nel parco della tenuta e fu accolto da uno stuolo di servitori deferenti e un po’ intimoriti dall’inaspettata venuta del padrone.

L’unico a non risultarne sorpreso fu proprio il segretario della contessa, messo già in allarme dalla fonte più inattesa. Né si lasciò turbare minimamente dalla presenza del conte; nell’arco di una sola notte, la sua realtà si era trasformata in modo meraviglioso, ma nessuno, a parte lui e la diretta interessata, lo sapeva. Qualunque fossero i sospetti del conte di Recamier, o i motivi del suo arrivo lì, nulla potevano aver a che fare con lui. Non più oramai.

Ad André non sfuggì comunque, l’occhiata sospettosa al suo indirizzo, che Leopold gli rivolse, a cui fecero seguito parole maligne, ironiche e allusive.

Leopold si era accomodato nel salotto riservato agli ospiti, con l’aria di chi non volesse congedarsi tanto presto, e si rivolse al servo che restava in piedi di fronte a lui, mantenendo quella rispettosa distanza che il conte pretendeva da un inferiore di rango. E l’ ex attendente di madamigella Oscar, per lui era meno di nulla, l’ultimo salariato da tenere in considerazione. E non si sarebbe degnato di intavolare con lui una conversazione qualsiasi, se non era per i sospetti che gli agitavano l’animo.

“Che curiosa sorpresa trovarvi qui, André. So che avete lasciato il servizio presso mia cognata, ma non immaginavo che aveste seguito mia moglie, in qualità di segretario personale mi dicono, e io suppongo che dovrei credere a questa surreale diceria…”

Parole, notò André, smentite dall’atteggiamento di Leopold che non pareva affatto stupito.

“Non è una diceria, signore: sono davvero il segretario della signora contessa. Madame mi ha assunto con questo incarico, dopo aver lasciato il mio ruolo di attendente.”

“… E per caso, ricoprite anche altri ruoli, André? Questa nuova mansione vi pone in maggior intimità con mia moglie, dico bene?” Domandò Leopold con tono volutamente insinuante e mellifluo, che l’ex attendente accolse con freddo distacco.

“Non capisco a cosa alludete, signore.”

“Sì, sì certo… - Leopold palesò un gesto brusco con la mano. - Siete davvero bravo. Ci sapete fare, André: non vi scomponete di un millimetro. Ma la vostra conoscenza con mia moglie è troppo di lunga data per non pensare che tra voi ci sia una confidenza molto diversa, e la recente assurda richiesta di Danielle completa un quadro preciso, e sono certo che sapete di cosa parlo.”

“Non comprendo, signore. – Obbiettò André con assoluta calma. - Comunque, Madame Recamier mi ha assunto proprio perché mi conosce da lungo tempo, e in virtù di questo, ha la massima fiducia in me. Per tutto quello che non è di mia competenza, credo che dovreste parlare con la contessa. Se non c’è altro, col vostro permesso, mi ritiro.”

“Aspettate giovanotto! Non ho ancora finito! Spiegatemi, allora, perché non avete informato vostra nonna, una donna anziana che poteva essere in pensiero per suo nipote, della vostra permanenza qui a Etretat.”

Questa volta André sgranò gli occhi per la sorpresa, che presto si trasformò in palese fastidio.

“Cosa c’entra ora, mia nonna!?” Domandò interdetto.

“Ho avuto modo di parlare con la vostra parente. Vostra nonna non sa dove siete, di preciso. Mi chiedo a cosa è dovuto tutto questo mistero; forse dovrei indagare i motivi che vi hanno fatto abbandonare il vostro precedente incarico presso la famiglia Jarjayes.”

“Scusate signor conte, ma i motivi sono personali, e riguardano me soltanto.”

“Siete un insolente, ragazzo!” Borbottò il conte, visibilmente paonazzo, che non si aspettava tanto geloso riserbo.

“Come volete voi, signore.”

“Io esigo che mi diate delle risposte chiare!”

“E io non ho altro da dirvi, signore.”

André non avrebbe gradito altre ingerenze nel suo privato e il conte aveva l’arroganza tipica di chi crede di potere tutto, solo perché ha sangue blu nelle vene. I due uomini stavano scivolando sul terreno pericoloso di una discussione un po’ troppo accesa, interrotta per fortuna, dall’ ingresso in sala di Danielle vestita da amazzone, accompagnata da Tristan.

La contessa rientrava da una cavalcata in compagnia del giovane amico, che pure quella mattina era venuto a farle visita, come accadeva ormai frequentemente. Non aveva ancora lasciato le scuderie e dato disposizioni per la cura della sua cavalla Desiree, quando era stata subito informata da Ninette dell’arrivo del marito. Aveva assottigliato lo sguardo senza lasciarsi sconvolgere, e perentoria, aveva invitato Tristan a seguirla dentro casa.

“Volete conoscere quel gran signore che è mio marito, Tristan? – Ironizzò. - Venite con me, allora. Non avrete un’ occasione migliore di oggi.” E a passo svelto, sollevando un poco le gonne, si era diretta verso l’ingresso della villa.

Dal corridoio, colse la voce concitata di Leopold e quella calma, ma vagamente irritata di André. Entrò in salotto come un ciclone, spalancando la porta senza tante cerimonie.

“Leopold!! – Alla vista della moglie, l’uomo saltò su dalla poltrona. - Non è un buon vento quello che vi ha condotto qui. Siete appena arrivato, è già la vostra presenza disturba la quiete e la serenità di questa dimora. Che cosa siete venuto a fare? Non avevo alcun desiderio di vedervi… mi pareva di essere stata chiara.”

“Che accoglienza, mia cara. – Ribatté il conte con sarcasmo. - È stato più gentile il vostro segretario, per quanto ha rivelato una notevole insolenza che non ho gradito. Dovreste scegliere con maggior cura il personale di servizio, Madame… O in realtà, è una scelta molto ben oculata.”

Incurante del disappunto malcelato della consorte, la sua attenzione fu attratta dal giovane estraneo di aspetto distinto, entrato insieme a Danielle. Per un secondo, lo sfiorò il dubbio che stesse facendo la figura dell’ idiota, e che i suoi sospetti fossero caduti tutti sulla persona sbagliata.

“Chi è questo gentiluomo che vi accompagna, mia cara? Non mi pare di conoscerlo. Dovreste presentarci.”

Fu Tristan a farsi avanti con prontezza, mentre Danielle restava muta a osservare la scena, non troppo contenta.

“Infatti non ci conosciamo, messieur; sono Tristan De Laundes, e di recente, sono diventato un buon amico della contessa. Abito poco lontano da qui, e ho incrociato Madame durante un’ uscita a cavallo. Le ho fatto da scorta, e l’ ho riaccompagnata a casa.”

“Allora dovrei ringraziarvi. Laundes, avete detto? Io ho conosciuto vostro padre; era un amico di mio padre, il defunto conte di Recamier. Come sta il vecchio Laundes?”

“Sta bene, a parte qualche acciacco dovuto all’età… mantiene sempre il solito temperamento austero e autoritario…”

“Capisco, lo ricordo così, infatti. Mi scuserete Messieur De Laundes se vi chiedo di lasciarmi solo con mia moglie; ho necessità di parlare con lei di alcune questioni private. Potreste venire a farle visita un altro giorno…”

Leopold non ebbe bisogno di rivolgere lo stesso invito ad André, che colse subito il messaggio; l’esperienza decennale gli diceva quando la sua presenza non era richiesta né gradita. In silenzio, con l’espressione più neutra a celare il malessere, lasciò la sala, seguito da Tristan, che si era congedato con un inchino rispettoso e cortese.

 

 

 

*******

 

 

In procinto di andarsene, sulla soglia, Tristan non riuscì a trattenersi dal chiedere conferma delle sue intuizioni.

“Mi pare che tra Danielle e il marito non corra buon sangue, anzi, sembrano decisamente ai ferri corti. È così, vero?”

“Beh… Mi pare inutile negarlo, signore.” Fu il commento asettico di André.

“Non ho mai visto tanto astio, travestito da finta cortesia. Che situazione penosa. Ditemi, da quanto i loro rapporti sono così… ostili?”

“Non saprei dirlo con esattezza, ma non credo siano mai stati idilliaci; comunque, non sta a me dire certe cose.”

“Non vorrei essere nei vostri panni, André; trovarsi in mezzo a una disputa del genere tra marito e moglie non dev’essere piacevole…”

Il segretario abbassò lo sguardo e si aprì in un mezzo sorriso enigmatico, che sconcertò un poco l’altro.

“Non preoccupatevi per me, signore… nei miei panni io ci sto benissimo…”

Tristan indugiò ancora un istante, indeciso sul significato di quella frase, calcandosi il tricorno sulla testa. Preferì non approfondire, ma vi avrebbe riflettuto a lungo e con calma.

“Bene André, portate i miei saluti alla contessa. Ditele per favore, che tornerò a farle visita in un altro momento; mi faccia sapere lei quando sarà quello più opportuno. Non vorrei piombare qui, e mettere la contessa in imbarazzo col marito…”

“State tranquillo, le riferirò il vostro messaggio…”

 

 

*********

 

 

 

Ninette parlava mentre riponeva nella credenza della cucina i piatti del prezioso servizio di porcellana decorata a mano. André a braccia conserte, l’ascoltava appoggiato al bordo del grande tavolo su cui troneggiavano due grandi ceste ricolme di frutta fresca e ortaggi da pulire; poco prima, da una delle ceste l’uomo aveva afferrato una lucida mela rossa che ora addentava con gusto. La discussione tra i due andava avanti da svariati minuti, e la cameriera personale della contessa palesava tutta la sua inquietudine, scatenata dall’argomento che stavano dibattendo in maniera vivace.

“Non li ho mai sentiti litigare così, te lo giuro André. Il conte trattava la signora come l’ultima donnaccia che si possa incontrare per strada. E anche la contessa era furiosa, - non voglio avere più alcun legame con voi…voglio separare per sempre le nostre vite, in un modo o nell’ altro… vi detesto, odio voi, i vostri pensieri meschini e ipocriti. Sarebbe meglio essere l’amante dell’ultimo degli uomini che vostra moglie. – Così diceva la signora, ed era davvero inviperita.”

“Non è carino origliare alle porte Ninette.”

“Era impossibile non sentirli, parlavano a voce alta. Passavo di lì, e ho sentito tutto. Terribile!”

“Passavi di lì, e hai pensato bene di fermarti dietro la porta chiusa. Ninette, Ninette… vecchia volpe!” rise André, e agitò la mano in una finta minaccia all’ indirizzo della cameriera, che dimenticò per un momento i piatti di porcellana, e lo sfidò piazzandosi davanti a lui, con i pugni puntellati sui fianchi rotondi.

“Non fare il santarellino con me, mio caro! – Lo accusò maliziosa. - Tu fai sempre finta di nulla, ma con quel bel faccino che hai, metteresti nel sacco perfino il tuo confessore, e hai orecchie più acute delle mie, signor Grandier!”

“Solo quando serve.” Ironizzò André divertito, mentre Ninette continuava il suo racconto in maniera un po’ colorita, imitando talvolta i toni accesi dei due contendenti.

“È per questo motivo che volete il divorzio? Per rotolarvi nel fieno di una stalla con la plebaglia? Per accompagnarvi a un servo qualsiasi? La vostra condotta è volgare e scandalosa, una vergogna per il buon nome dei Recamier! Avrei ogni ragione di ripudiarvi! – Borbottava il conte, e sbraitava dicendo che non esiste una legge in Francia che preveda il divorzio, e anche un atto segreto non avrebbe alcun valore legale. Diceva alla signora di rassegnarsi e lasciare le cose come stanno…- Questo mai! Non mi interessano le leggi, mutevoli e fallaci come il cuore degli uomini. Io non voglio continuare a essere vostra moglie. Questa è la libertà che pretendo! E me la prenderò, a dispetto dei vostri ignobili insulti! Richiederò un annullamento, piuttosto. Mi rivolgerò a Sua Maestà. – Rispondeva la contessa con orgoglio, mentre il conte continuava con le sue malevoli accuse; dovevi sentirlo André, diceva che sei avvenente, così tanto che non si sorprenderebbe se fossi passato prima nel letto di madamigella Oscar - che cosa volgare da dire!! - però, a questa cosa che ha detto, io non ci credo; tu, amante di madamigella Oscar… è una cosa impossibile da credere…” 

André non era uno sprovveduto, conosceva l’arguzia di Ninette e nell’affermazione della cameriera colse l’implicita malizia, cui rispose negando subito ogni possibile congettura.

“Uff… Questa è una vecchia maldicenza che girava da tempo immemore già tra i corridoi di Versailles; a quest’ora sarà arrivata perfino all’orecchio della regina; se io e il Colonnello Oscar ci fossimo preoccuparci di tutti i pettegolezzi diffusi sul nostro conto saremmo impazziti…” minimizzò con gran disinvoltura, e morsicò con soddisfazione l’ennesima mela.

Ninette continuò a raccontare colorando tutto con sentimento vivace e spontaneo; Danielle negando tutte le accuse più o meno indirette del marito, aveva chiesto a Leopold di lasciare Etretat, ma il conte si era rifiutato, adducendo che c’erano altre cose che intendeva verificare, e qui il riferimento al ruolo inatteso del giovane Tristan era stato evidente.

“Il conte si è comportato molto male… parlava trascinato dal risentimento e dalla cattiveria… e l’amico di Madame, quel giovane Tristan è arrivato proprio nel momento peggiore: se almeno lui e il padrone non si fossero incontrati… povera signora, tutto sembra contro di lei…”

“Dimmi Ninette, credi anche tu, che io abbia una relazione con Madame Recamier?” Domandò Andrè, guardandola apertamente. Questa volta Ninette ebbe un attimo di esitazione, incerta su cosa rispondere.

“Beh… io questo non lo so… per me è evidente che madame abbia un debole per te, questo non puoi negarlo… - E fu lesta a cambiare discorso, per togliersi dall’imbarazzo. - Oh, André, cosa accadrà adesso? Madame potrebbe ottenere davvero l’annullamento?”

“Non è così semplice; ci devono essere delle condizioni particolari perché la chiesa annulli un matrimonio, e quello tra Danielle e il marito non mi pare le presenti. Ma so di casi in cui perfino la Sacra Rota cede senza problemi di fronte a lauti compensi in denaro. In realtà, non so bene perché la contessa si ostini in questa cosa. Le basterebbe separarsi, e vivere lontana dal conte, per ottenere lo stesso risultato. Mi chiedo se non sia più una questione d’orgoglio, che un anelito di libertà…”

“Beh, comunque André, io sono solo una semplice cameriera ignorante, ma trovo assurdo che un banale pezzo di carta firmato davanti a un prete, obblighi due persone che non si amano a restare insieme per sempre… mi spiace per questa situazione che coinvolge la signora contessa…”

“Che idea insolita, Ninette!! Eppure, credo tu abbia ragione… - Impressionato dal commento della ragazza, André all’improvviso si ritrovò a riflettere su sé stesso. - In realtà, due persone non sono obbligate a restare insieme se non lo vogliono, e credo che non ci sia pezzo di carta che tenga…”

E col pensiero Andrè corse a Oscar, alla consapevolezza che con lei probabilmente, non ci sarebbe mai stato alcun pezzo di carta, né alcuna firma. Non gli apparve più così importante, perché la semplice verità era un’ altra e superava le leggi effimere e imperfette degli uomini.

Lui e Oscar, nulla li obbligava a restare insieme, salvo vivere e obbedire a quel sentimento potente e assoluto, vasto come quel mare profondo e sconosciuto che si stendeva infinito davanti alla selvaggia, meravigliosa costa normanna, strisce blu scuro appena intraviste dalle finestre della villa.

Amore non chiedeva permesso né agli uomini, né agli dei.

Per loro era una catena salda e incorruttibile che legava le loro anime e i destini.

Era una legge incisa nei loro cuori, una necessità cui era impossibile sottrarsi.

 

 

********

 

 

 

La luce crepuscolare scendeva sul paesaggio, colorando tutto di quella particolare tinta neutra che confondeva cose e ombre, che rilassava lo sguardo e immalinconiva lo spirito. André si sentiva così, al pensiero che a breve sarebbe dovuto tornare verso la villa, da Danielle. Si sentiva come un’ ombra senza corpo che si perdeva annullandosi nella sera, leggero e pesante allo stesso tempo. Una tristezza vaga si insinuava in lui, mentre sentiva uno strano conflitto montare nel cuore.

La felicità colpevole e malata  aveva un gusto salato, lasciava una sensazione amara, un senso di vuoto alla bocca dello stomaco. Non era così che voleva sentirsi, ma se così doveva essere, lo accettava, per quella guerriera selvaggia, tenera e ribelle che dormiva placida, avvolta dal lenzuolo che modellava un corpo che sapeva accendersi e consumarlo al fuoco della passione più viva e ardente.

Si era alzato dal letto, si era infilato i pantaloni e si era avvicinato alla finestra.

Lì, era rimasto nascosto dietro la tenda pesante e un po’ consunta, fermo in piedi a osservare l’esterno, la vita che si muoveva discreta, le piccole barche dei pescatori che rientravano al porto, chi si indaffarata a scaricare la merce da vendere l’indomani al mercato del paese, il mondo fuori da quella stanza segreta, dove lui e Oscar si rifugiavano per qualche ora tutti i giorni, da almeno una settimana.

Sentì un fruscio provenire dal letto, e volse la testa in direzione del lieve rumore.

Oscar era seduta sul materasso con le ginocchia piegate contro il busto, le braccia nude a trattenerle. Gli occhi le brillavano, e un vago sorriso le aleggiava sulle labbra, e a lui quello bastava per allontanare tutta l’amarezza. Le sorrise sereno, quando vide la mano di lei invitarlo, con una carezza sul lenzuolo sfatto, a raggiungerla.

La sua sirena lo chiamava a sé, e lui, novello Ulisse si lasciava travolgere dal suo canto.

Non era mai stato così tra loro, ed era qualcosa di meraviglioso e appagante. Per quella gioia estatica si poteva tollerare qualsiasi senso di colpa, si poteva sopportare qualsiasi martirio, consapevoli che sarebbe stato spazzato via da una felicità più grande e completa.

Lui tornò verso il letto, tra le sue braccia che lo accolsero possessive, sulle sue labbra schiuse affamate di baci che rubavano il respiro e accendevano brividi sulla pelle, a ricevere di nuovo il suo sapore di donna, e a donarle il suo di uomo, miele aspro per lei così eccitante. Avrebbero fatto l’amore di nuovo, per l’ultima volta per quel giorno, prima di separarsi fino all’indomani.

I corpi si sciolsero subito sotto le carezze e si fusero senza impazienza uno nell’altro, per prolungare il più possibile quell’ ultima onda di piacere, preda di un nuovo delirio, dolce e avvolgente come una marea che li sommergeva. Dopo l’amore restavano ancora un poco abbracciati, la testa di Oscar reclinata sulla sua spalla, una mano abbandonata sul petto ampio del suo uomo, all’altezza del cuore, una gamba tra le cosce tese di André.

 

E parlavano di ciò che accadeva in quei giorni a Etretat, e in particolare alla villa.

Parlavano della vita lasciata a Palazzo Jarhayes, e di come sarebbe stato tornarci con un bagaglio più pesante, per tante, troppe ragioni, eppure più completo. Parlavano di quella strana attesa, che bloccava tutti lì, uomini e donne sotto quel cielo della Normandia che sull’orizzonte disponeva nuvole gonfie di pioggia, come soldati in battaglia.

Aspettavano il vento che venisse a ridipingere l’azzurro, senza sapere se sarebbe stato dolce come una brezza estiva, o crudele e violento come una bufera spaventosa.

 

E fu sera inoltrata.

Venne il momento di raccogliere i vestiti, tolti in fretta solo poche ore prima. Era quello il passaggio più triste, quello che speravano di rimandare fino all’ultimo secondo, nell’istante dell’ ultimo bacio disperato, promessa di un nuovo incontro.

Oscar annodò il fiocco di seta che chiudeva lo scollo della sua camicia immacolata. Mosse le mani lentamente come se dovesse guadagnare tempo prezioso, ma parlò con calma, e una sicurezza profonda permeava ogni sua parola.

“Io voglio che torni a palazzo con me, André. Ti rivoglio nella mia vita, come e più di prima. Sono stata una pazza e me ne rendo conto solo ora…- si portò una mano alla tempia, infilando le dita nella frangia - in fondo, è solo colpa mia se siamo arrivati a questo punto.”

“È inutile colpevolizzarsi, Oscar. Sono le nostre azioni, le abbiamo volute; non si possono respingere le conseguenze, possiamo solo accettarle…”

Oscar emise un sospiro pesante.

“Dobbiamo dirlo a Danielle. Ora che Leopold è qui, prima ce ne andiamo, meglio sarà; mi spiace per mia sorella, ma col marito dovrà vedersela da sola. Ha voluto cacciarsi lei in questa spinosa situazione, con la storia assurda del divorzio e tutto il resto. Già mi preoccupa il fatto che tu vada a dormire sotto lo stesso tetto con loro. Mio cognato è un inetto, ma se si ritenesse offeso in qualche modo, il suo senso dell’onore potrebbe fargli commettere qualche pericolosa sciocchezza. Non mi sono mai fidata di quell’uomo.”

“Se non torno alla villa, Danielle si insospettirà e mi troverei costretto a dirle la verità. Le dovrei dire di noi. Per ora credo sia meglio non farlo. Ti prego Oscar, dammi ancora un po’ di tempo, poi verrò con te, ovunque vorrai.”

Oscar sentì un nodo serrarle la gola.

“Non vuoi ferirla, è così, André? Ti sei affezionato a lei…”

Lo sguardo puntato a terra, Oscar si era bloccata nell’atto di sistemare un risvolto del polsino della camicia.

“In un certo senso, è così, Oscar. Sai, potevo davvero innamorarmi di lei… stavo per cederle… - Andrè si avvicinò e le prese le mani. Lei rialzò il volto per incontrare i suoi occhi e la sua anima in essi. – Non è successo solo perché ho ritrovato te, e questo amore che ci lega, più forte di tutto. Saperti al mio fianco, non mi fa temere nulla Oscar, neppure le accuse di tuo cognato. Ma Danielle… la ferirò comunque, quando scoprirà che ho fatto una scelta diversa da quella che lei si aspetta; vorrei solo che fosse pronta ad accettarla… vorrei evitarle un inutile dolore…”

“Non ti sei preoccupato così per me…” Obbiettò Oscar con lieve amarezza, ma sinceramente commossa, mentre André tratteneva ancora le sue mani e le portava alle labbra. La guardò serio mentre posava un bacio sulle sue lunghe dita.

“Tu sei stata sempre nei miei pensieri… - disse rauco - sempre Oscar, anche quando tentavo di scacciarti. Non sai quanto dolore mi è costato lasciarti sola… quanto dolore mi costa lasciarti uscire da quella porta… anche ora…”

“Oh, André…”

Oscar tremò e a malincuore si divincolò leggermente dalla sua presa. Afferrò il giustacuore appoggiato sullo schienale di una sedia e se lo infilò in fretta, dandogli la schiena. André era immobile e la guardava sollevarsi le chiome per liberarle dalle falde del colletto rigido. Un istante dopo lei si voltò, si mosse e lo abbracciò stretto, accostando il volto alla sua guancia. Chiuse gli occhi celesti per assaporare meglio quell’attimo. Lui le cinse appena la vita, mentre la sua voce vibrante gli arrivava all’orecchio.

“Ti aspetterò qui domani, e anche domani l’altro, André. Fai molta attenzione, e stai lontano da Leopold… - Seguì un respiro trattenuto. - Ti amo.”

Non disse altro. Lo baciò con passione e desiderio mentre André la tratteneva per la nuca e ricambiava il suo slancio, dopo si staccò da lui più velocemente di quanto avrebbe voluto; se avesse esitato troppo, se non avesse opposto resistenza non sarebbe più riuscita ad allontanarsi da quella stanza e dal suo abbraccio caldo, per tornare nel suo alloggio. Le ore future che li separavano erano una pena rinnovata ogni giorno.

Prese il mantello e fu fuori di lì in un lampo.

Per André, la porta si era aperta e chiusa troppo in fretta, come se una folata di vento gelido l’avesse attraversata. Sentiva già la solitudine riempirgli lenta il cuore.

 

 

 

Continua...

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 29
*** Distanze (Chi è Oscar?) ***


29

29 – Distanze (Chi è Oscar?)

 

 

Il giorno successivo al suo arrivo, pregai ancora Leopold di abbandonare Etretat, o almeno la mia villa. Non potevamo vivere sotto lo stesso tetto come cane e gatto e oramai i nostri rapporti si erano decisamente deteriorati; non esisteva più nemmeno la tolleranza fra noi, né alcuna parvenza di rispetto, inoltre i suoi sospetti su André mi intimorivano. Era ovvio che volesse coglierci in fallo, capire fino a che punto mi ero spinta con il giovane segretario; se ci avesse sorpresi in atteggiamenti equivoci o troppo intimi, si sarebbe rivalso su André, cacciandolo, o peggio, lavando l’onta nel sangue.

Era nel suo diritto di nobile offeso nell’onore, e nessuno avrebbe obbiettato, né si sarebbe scandalizzato, né avrebbe alzato un dito in difesa di un servo. Le persone della nostra cerchia gli avrebbero dato ragione, e io sarei finita alla berlina. L’infamia e l’umiliazione per me sarebbero state enormi, ma non era di quello che mi preoccupavo.

Di ciò che pensano gli altri mi è sempre importato poco, anche se ho sempre fatto attenzione a non fornire troppa materia di trastullo ai meschini benpensanti, bigotti e falsi moralisti che nuotano agili nella cosiddetta buona società.

Giacché egli non volle lasciare la mia casa, adducendo come scusa che in quel paese di pescatori, non c’era un alloggio degno di ospitare un aristocratico d’alto lignaggio come lui, io feci in modo di restarvi il minor tempo possibile.

La vicinanza di mio marito anche per poco mi era intollerabile.

Uscivo spesso, da sola o accompagnata da André, che notavo, manteneva un atteggiamento cauto e rispettoso, e rispondeva ai miei velati entusiasmi con garbo e riservatezza, quasi volesse ristabilire tra noi una distanza che di recente, avevano molto ridotto. Interpretai quel suo strano modo di fare, come reazione alla presenza di Leopold; pensai non volesse dare conferma alle pericolose accuse del conte, nonostante ciò, mi sentivo inquieta, attraversata dalla sensazione spiacevole che qualcosa mi stava scivolando lentamente dalle mani e non ero abbastanza forte da trattenerlo. Doveva essere la presenza ingombrante di mio marito a farmi sentire tanto insicura e timorosa, e maledissi la sua influenza destabilizzante nella mia vita. Effettivamente André da alcuni giorni mi appariva diverso.

Era sempre gentile, protettivo, attento alle mie esigenze, ma la luce che bruciava come fiamma viva e guizzante in fondo al suo sguardo verde ombroso non ero io che l’animavo; mi accorgevo che qualche volta, distoglieva lo sguardo per non incontrare i miei occhi, quasi volesse nascondermi certi suoi pensieri e sentimenti. Il suo sorriso era sereno, ma distante, né aveva lo stesso calore di un tempo. Non osai chiedere nulla a lui, e finsi, forse per paura. Finsi che fosse tutto immutato tra noi, ma sentivo nel sangue e nelle ossa che non era così: per quanto André facesse, per quanto fosse dolce e consolatoria la sua presenza al mio fianco, un brivido a volte mi correva alla base della nuca, appena prima dell’attaccatura dei capelli, come se dita gelide e invisibili mi sfiorassero la pelle, proprio lì.

Possibile che fossimo tornati al punto di partenza, lui ed io? Mi sembrava di essere giunta ad un passo da un’intimità del cuore e dei corpi, credevo che le nostre anime si sarebbero cercate e inseguite negli sguardi teneri e frementi, carichi di segreta aspettativa, nell’attesa di vedere fiorire la passione amorosa, ormai sul punto di divampare. Ero stata quasi certa del suo bisogno di scaldarsi al fuoco di un amore genuino e ricambiato, della sua resa, che sentivo prossima.

Tutto invece sembrava raffreddato, sopito, messo da parte. André si comportava da amico, i suoi baci erano diventati casti e fraterni, oltre che radi, e con delicatezza smorzava le mie carezze, i miei gesti affettuosi, perfino le mie parole.

“André, questi giorni in Normandia sono stati pieni di gioia per me, e non basterà l’interferenza di mio marito a rovinarci questi momenti passati insieme; se Dio vuole, ce ne saranno altri altrettanto belli, e magari… più completi - osai dirgli un pomeriggio, all’ombra delle fronde dei tigli, mentre i nostri cavalli un poco sudati per la corsa, pascolavano poco lontano. - Io spero solo che sia stato così anche per te.”

“Ma certo Danielle; io sono stato bene qui con te… - si volse a guardarmi con uno sguardo indecifrabile, e sentii una nota malinconica nelle parole seguenti - e qualunque cosa accada in futuro, io ricorderò sempre il tempo passato qui ad Etretat come una parte bella e felice della mia vita… Sarò sempre grato a questi luoghi che mi hanno fatto ritrovare… qualcosa che avevo quasi perso…”

Spalancai gli occhi, spaventata dal suo tono… o forse, dal non detto, che rimase sospeso come un profumo fluttuante, che subito si dissolse nell’aria.

“Parli come se dovesse finire, André… io non voglio che finisca. Io starei qui con te, per sempre… - Mi avvicinai e presi le sue mani trattenendole nelle mie, posando una guancia su di esse. - Non m’importa nulla di cosa penserà la gente… finalmente l’ ho capito, e non temo più il loro giudizio… Non rimpiango nulla, André, ho rinunciato alla vita di prima, a Versailles, agli onori, alle feste a corte, alle amicizie vacue e sciocche; era un’esistenza vuota quella che conducevo, circondata da tutte queste cose e non la voglio più. Tu riempi tutto, André… tu colmi tutto un mondo e lo rendi immenso, migliore… ricco di colori e profumi che accendono il cuore e svegliano i sensi alla vita… non ho bisogno d’altro per essere felice. Mi basta sapere che tu sei al mio fianco, come ora.”

Mi guardò negli occhi un istante. Non saprei dire a cosa pensasse, ma qualcosa combatteva in lui. Un’ombra offuscò quelle meravigliose iridi verdi. Indugiò. Poi con gentilezza, liberò una mano dalla mia stretta.

“Potrebbe finire, però. Le cose cambiano, Danielle… quando meno ce lo aspettiamo…” disse, e io mi persi, attraversata da un brivido di sconcerto, che faticai a nascondere.

“Perché parli così? Mi spaventi, André…”

“Scusa, Danielle… solo che io… ecco…”

La sua esitazione mi venne in aiuto e mi salvò, e indossai una maschera d’entusiasmo artificioso, forzato in un ampio sorriso che tuttavia, non arrivò a illuminare i miei occhi appannati d’inquietudine.

“Prendiamo i cavalli e proseguiamo fino alla tenuta dei Laundes; voglio andare a trovare Tristan, gli faremo una sorpresa…”

Avvertivo un profondo malessere che non seppi spiegarmi con razionalità. Tentai di non dare credito a quella sensazione, e sbagliai. Il nostro istinto viene dalla parte più profonda di noi, esso capta gli eventi prima che questi accadano e ci avvisa del rischio, del pericolo che corriamo, e di solito, non fallisce. L’errore è il nostro che non prestiamo mai abbastanza fede a questa nostra parte ancestrale e ignota.

 

 

 

********

 

 

 

 

 

 

La tenuta dei Laundes era vasta e comprendeva una bella porzione di costa affacciata sul mare, e alcuni boschi attorno. La villa era una costruzione semplice, ma signorile ed elegante situata nell’interno, formata da un corpo centrale e due piccole ali laterali, circondata da un giardino curato all’inglese.

La contessa e il suo segretario lasciarono i cavalli alle cure di uno stalliere che venne loro incontro, mentre Danielle veniva annunciata con tutti i riguardi ai padroni di casa.

La visita di Danielle e André fu per Tristan inaspettata, ma lo riempì di profonda gioia. Avrebbe preferito essere solo con la contessa, ma averla lì a casa sua, rinnovava nel suo cuore la speranza che la donna avesse per lui maggior interesse di quanto non mostrasse.

L’accolse con garbo, e la presentò al fratello più giovane e alla sua fidanzata; in casa era presente solo Madame Laundes, una signora matura dagli occhi vivi e intelligenti che portava con gran dignità i suoi anni, e recava sul viso la traccia di quella che doveva essere stata in gioventù una gran bellezza.

Danielle riconobbe in lei, i tratti nobili e affascinanti del figlio. Anche Fabian assomigliava alla madre, ma aveva capelli più chiari, lineamenti meno marcati del fratello maggiore e fattezze più delicate che gli davano un’aria quasi fragile, ma gli occhi erano come quelli di Madame Laundes, trasparenti e allegri, e rivelavano un’indole mite. [1]

“Sono felice di potervi accogliere nella mia umile dimora, madame Recamier. Ma ditemi, a cosa devo l’onore della vostra presenza in casa mia? Siete venuta, mossa dal desiderio irrefrenabile di vedermi, come spero, o siete in fuga da vostro marito, come temo?”

“Tristan siete il solito sfrontato irriverente – rise Danielle – eppure mi siete simpatico. Siete sempre così diretto, ma dovreste imparare ad essere un po’ meno audace.”

“Non posso. Perderei tutto il mio fascino, madame… e in ogni caso, preferisco essere diretto e franco, piuttosto che sibillino e subdolo. Perdonate la mia audacia, in realtà sono felice che siate qui, e non posso fare a meno di manifestarlo. Presto o tardi vi avrei invitata io stesso, e non avrei accettato un rifiuto da parte vostra.”

“State tranquillo, non avrei rifiutato. E sia, vi dirò la verità: volevo vedervi, Tristan, così ho colto l’occasione al balzo per fuggire da mio marito. Vi propongo una cavalcata; perché non vi unite a me e ad André, e ci fate compagnia? Solo se non avete altri impegni più urgenti, ovviamente…”

“Nessun impegno, per quanto urgente, mi terrebbe lontano da voi, madame. Vi accompagno, più che volentieri.”

“Bene. Allora, vi aspettiamo vicino alle scuderie.”

La contessa sorrise e si voltò per uscire dalla stanza, seguita da André, e non si accorse della rapida occhiata che i due uomini si scambiarono per studiarsi a vicenda. Un’ intesa muta, rivelatrice di molto ma non di tutto, e anche piena d’interrogativi, cui Tristan voleva dare risposte.

 

 

Lasciata la villa, i tre cavalieri s’inoltrarono tra il verde delle colline e i pianori che si allungavano per chilometri lungo la costa, come tappeti erbosi stesi su costoni di roccia bianca. I cavalli mantennero un’andatura sostenuta per svariati minuti, poi rallentarono un po’ la corsa. In prossimità degli alberi sparsi come grandi macchie lungo i percorsi, si godeva della frescura dei luoghi.

Tristan e Danielle cavalcavano affiancati, i cavalli guidati al passo, lungo un sentiero che si snodava attraverso una vasta radura.

André li seguiva a breve distanza, discreto e silenzioso, l’aria assorta nei ricordi lasciati in una locanda vicina al porticciolo di Etretat, senza curarsi affatto della conversazione distesa che coinvolgeva la contessa e Tristan. Parlava solo se interpellato; per tutto il resto del tempo osservava il paesaggio attorno, coglieva i fruscii dei cespugli mossi dall’aria, il movimento improvviso di un uccello che si alzava in volo.

Sentì Danielle emettere una risata spontanea. Tristan era capace di alleggerire il suo spirito inquieto, lo faceva con semplicità naturale, e André si sentì grato a quell’uomo, che riusciva dove lui non era in grado di arrivare.

E ci riusciva per la semplice ragione che era innamorato della gemella di Oscar, e lui questo lo avvertiva con profonda chiarezza. Sarebbe stato tutto più semplice se Danielle avesse ricambiato il giovane Laundes; ci aveva sperato e ci sperava ancora, un po’ vigliaccamente.

Intuiva nonostante tutte le riserve di Danielle, che tra loro due c’era una sintonia particolare, un potenziale incastro perfetto di anime e pensieri, e lui ne sarebbe stato sollevato, perfino dalla paura di vederla soffrire per quel rifiuto che presto le avrebbe imposto.

Stava per dirglielo poco prima se lei non lo avesse interrotto, se lei non gli avesse aperto per l’ennesima volta il suo cuore. Con che coraggio, di fronte alla sua appassionata confessione d’amore, poteva dirle che l’avrebbe abbandonata, per tornare da Oscar? Quel pensiero opprimente versava veleno amaro su un cuore che aveva ritrovato il gusto più dolce della felicità. Non esisteva un rimedio. Una lama stava per trafiggere il cuore di Danielle, e la mano carnefice pronta a colpita era la sua.

 

Perso nell’intimo conflitto dei suoi pensieri, André si accorse tardi del cavaliere che li seguiva, protetto da un folto gruppo d’arbusti che lo nascondeva alla loro vista. Si manteneva a considerevole distanza, probabilmente per non farsi notare o riconoscere. In effetti fino a quell’istante, nessuno aveva fatto caso alla sua presenza.

Ma André capì subito chi era. Bloccò le redini del suo cavallo, mentre guardava la figura lontana dileguarsi nella macchia scura delle foglie.

Tristan e Danielle proseguirono la loro marcia, distanziandolo, apparentemente ignari di ciò che accadeva alle loro spalle.

Quando finalmente si accorsero che André era rimasto indietro, si fermarono per capire cosa fosse successo. Danielle lo chiamò con tono apprensivo.

“André? Qualcosa non va?”

André in fretta smontò da cavallo, e li raggiunse sollecito. Tristan notò l’atteggiamento ansioso, e non solo quello, e non fu del tutto sorpreso di sentire il segretario rivolgersi a lui.

“Scusate Messieur De Laundes, posso chiedervi di accompagnare la contessa fino a casa? Vedete, mi sono accorto che il mio cavallo ha perso un ferro dello zoccolo. Non posso proseguire insieme a voi, rischio di azzoppare l’animale. Verrò a piedi, voi andate avanti, non aspettatemi.”

“Che disdetta André: dovrete camminare per un bel pezzo di strada. - Commentò Tristan, pacato, ma André colse in quegli occhi freddi un pizzico di sospetto. – Non preoccupatevi per la contessa, l’accompagnerò io. Lungo la strada troverete la casa del maniscalco; lì, potrete far ferrare il vostro cavallo.”

“D’accordo. Vi ringrazio.”

I cavalli ripartirono a sprone battuto. Quando Danielle e Tristan furono abbastanza lontani da non poterlo vedere, André rimontò in sella. Partì al galoppo nella direzione opposta.

 

 

 

§§§§§

 

 

 

 

 

Tristan vide per una frazione di secondo il misterioso cavaliere nascosto tra il fogliame degli alberi. Fu un attimo, sufficiente a cogliere quella figura di spalle, avvolta in un mantello scuro allontanarsi in fretta. Non l’aveva visto in faccia, ma da sotto le falde del cappello che lo nascondeva era sfuggita una lunga ciocca di capelli biondi; un ricciolo impertinente e selvaggio serpeggiò sollevato dall’aria, e gli ricordò i meravigliosi capelli color del grano di Danielle. La cosa lo impressionò.

Non aveva detto nulla a Danielle, né aveva creduto alla convincente scusa inventata in fretta dall’ex attendente, ma lo aveva assecondato. Tristan era certo che André si fosse accorto del cavaliere, ed era convinto che il segretario conoscesse l’identità della persona che li stava seguendo.

Una spia del conte non poteva essere.

Nel passato di André stavano le risposte che cercava, e Tristan rifletté sul breve, ma significativo scambio di battute avute con l’uomo appena mezzora prima.

 

“So che fino a poco tempo fa, voi eravate a servizio come attendente presso la famiglia d’origine della contessa, André. Che io sappia, Madame Recamier ha soltanto sorelle più vecchie, dunque immagino che foste al seguito di suo padre, il Generale Jarjayes.”

“No signore. - Aveva risposto André, con un tono rigido che mirava a scoraggiare altre eventuali curiosità. - Ero al servizio del Colonnello Oscar François De Jarjayes, Comandante delle Guardie Reali di Sua Maestà.”

 

Era la prima volta che Tristan sentiva nominare quell’ufficiale.

Un po’ sorpreso, aveva guardato Danielle, aspettandosi una spiegazione, che non era arrivata. Anzi, gli parve che la contessa fosse a disagio. Era rimasta in silenzio, le labbra serrate e rigide, e gli fu chiaro che né lei, né André volevano parlargli di questo fantomatico Oscar.

Chi era costui? Un fratello misconosciuto? Un cugino della contessa?

E perché sembrava aleggiare come una presenza fantasma, tra Danielle e André? Al nominare quel nome aveva colto l’inquietudine passare come un’ombra sui volti dei due.

Alla mente gli si aprivano retroscena oscuri e inquietanti, mai ipotizzati fino a quel momento; forse non era dal marito che la contessa stava fuggendo, ma da segreti famigliari ben più terribili e inconfessabili.

Perfino dietro il casato più blasonato e rispettabile di Francia, poteva celarsi la più abbietta e innominabile perversione tra consanguinei; Tristan sapeva benissimo cosa accadeva nei palazzi dell’aristocrazia più insospettabile di Parigi, teatri del vizio più corrotto, luoghi dove uomini e donne si concedevano senza pudore ai più depravati, vergognosi piaceri della carne, dove si consumava nel silenzio perfino l’incesto e la violenza.

Tristan guidava il suo Faust, al fianco di Danielle. Studiava il bel profilo altero e inaccessibile, l’espressione troppo seria e sulla difensiva, osservandola di sottecchi. Non mancava molto alla villa, e non voleva raggiungerla prima di aver parlato liberamente con la contessa, e se possibile scoprire quello che lei ancora si ostinava a voler nascondere. Doveva farlo finché fossero rimasti soli.

Provvidenziale il fatto che André fosse rimasto indietro.

Non voleva interferenze esterne.

“Vi fidate ciecamente del vostro caro André, vero? Ma io credo che il vostro amico vi nasconda qualcosa, Danielle…” esordì diretto.

“Che intendete dire? Cosa dovrebbe nascondermi André? State lavorando troppo di fantasia, Tristan…”

“Io non direi. Oggi il vostro segretario mi è apparso alquanto strano…” poi, in silenzio, puntò lo sguardo davanti a sé, come se fosse concentrato a seguire la strada. In realtà, la pausa voleva cogliere Danielle nella sua reazione più spontanea, che arrivò come Tristan si aspettava.

“Danielle, perché non mi avete mai detto di avere un fratello?”

“Perché non ho fratelli.” Fu la risposta secca, quasi ostile.

Danielle si bloccò e sembrò voler restare chiusa in un assoluto mutismo. Ma Tristan era più che mai determinato a sapere la verità, in un modo o nell’altro.

“Sapete Danielle, il vostro ostinato silenzio m’inquieta molto; cosa può esserci di così terribile da non poterne parlare? Questo vostro parente… Oscar… che cosa vi ha fatto? E cosa c’entra André in tutta la vicenda? Credo che anche lui sia coinvolto, e forse dovremmo parlare della vera ragione che vi ha spinto fin quaggiù. Qualcuno vi ha fatto del male, o vuole farvene?”

“Cosa? Ma no! – Gridò Danielle. - Cosa andate a pensare!”

“Allora, ditemi chi è Oscar, altrimenti penserò il peggio di questo misterioso personaggio che vi sconvolge tanto, di cui sembrate restia a parlare…”

“Vi ha già risposto André; è il Colonnello delle Guardie Reali, e questo non è un segreto per nessuno.” La contessa tentò ancora di glissare, ma invano.

“Questo lo so, e André era l’attendente del Comandante, ma lascia quell’incarico per seguire voi. È veramente un fatto curioso. Non mi state dicendo tutto, e non capisco perché. Non avete fiducia in me, madame? Io potrei aiutarvi…”

“Non ho bisogno d’aiuto, Tristan… non corro nessun pericolo.”

“Meglio così, madame. Ma vi prego, vorrei capire. Siete in cattivi rapporti col Comandante delle Guardie per qualche motivo grave che non potete dirmi?”

Danielle restò in silenzio per lunghi minuti, pensierosa e indecisa, lo sguardo basso posato sulla criniera del suo cavallo. Dopo, le parole uscirono in un sussurro quasi timoroso.

“Oscar François De Jarjayes è mia sorella…”

“Come avete detto?” Incredulo, Tristan pensò di aver capito male.

“Avete capito benissimo. Oscar è una donna, avviata da mio padre alla carriera militare fin dalla più tenera età, addestrata e istruita a questo scopo esattamente come un uomo. A corte, è un personaggio molto popolare, sapete? Mi sorprende che non abbiate mai sentito parlare di lei…”

“No, madame. Frequento poco Versailles, ma se avessi incontrato una donna singolare come vostra sorella, me la ricorderei, senza dubbio…”

“Sì… questo è certo…”

Le cose iniziavano ad avere un senso, nonostante le incognite ancora da chiarire.

Alla luce di quella rivelazione sorprendente, che apriva nuovi scenari inimmaginabili, Tristan fu quasi sicuro dell’identità del misterioso cavaliere biondo che li aveva seguiti; se come pensava, si trattava davvero di quella donna soldato, l’espediente del segretario per isolarsi dal loro piccolo gruppo, assumeva tutt’altro significato. Una donna, Colonnello delle Guardie Reali di Palazzo e il suo attendente; chissà quanti pettegolezzi giravano attorno a quei due, e quanto c’era di vero.

Non c’erano prove a dimostrare la sua ipotesi, ma l’atteggiamento rivelatore di André assomigliava all’ansia tipica di un amante impaziente che corre incontro all’oggetto del suo desiderio.

 

 

********

 

 

 

André pungolò i fianchi del suo cavallo con una tale foga, che l’animale emise un deciso nitrito di disappunto, sollevando le labbra scure a mostrare i grossi denti. Passò attraverso la boscaglia e la raggiunse dopo un breve percorso.

Era scesa da cavallo. Lo attendeva con le redini in mano, protetta dalle foglie delle piante, il mantello gettato sulle spalle. Sentì il rumore sordo degli zoccoli battere sull’erba umida. Lui tirò con forza le redini e saltò veloce dalla sella. Oscar si era già mossa prima che i suoi piedi toccassero terra. Si tolse il cappello e fu tra le sue braccia che le cinsero le spalle come se volessero proteggerla e custodirla, mentre lei si aggrappava alla schiena di André con i palmi all’altezza delle sue scapole, e da lì, scendevano e salivano in carezze lente e sensuali.

Lui sussurrò il suo nome tra il profumo dei suoi capelli, e un istante dopo fu sulle sue labbra, affamato del suo sapore fresco, immerso nella gioia sublime di sentire la sua lingua che inseguiva e accarezzava la sua. Le parole si spezzavano, perse tra un bacio e l’altro, sospirate appena sulle labbra morbide che si sfioravano, pelle tiepida e umida che regalava teneri brividi.

“Oscar, hai rischiato che ti vedessero…” sussurrò rauco André sulla sua guancia, mentre i baci scendevano sul collo lasciato scoperto che Oscar gli offriva.

“Vi ho visto passare e non ho resistito… volevo vederti… esserti vicino… così vi ho seguiti. Non ho mai invidiato Danielle così tanto come adesso.”

“Non invidiarla. Lei non ha questo… Tu travolgi i miei sensi, Oscar… rapisci la mia mente.”

I baci percorsero la gola di cigno e poi risalirono di nuovo verso le labbra. Oscar faticava a mantenersi lucida, il cuore infiammato dal trasporto, il corpo posseduto da brividi.

“Non volevo farmi notare da loro… solo da te… – Un nuovo gemito soffocato fu la risposta sulla bocca di André che ritornò a cercarla, avida e impetuosa. – Quando ti sei accorto di me, mi sono allontanata lentamente, per darti il tempo di raggiungermi…”

“Non mi aspettavo d’incontrarti che fra qualche ora… - André rise un po’ – ho adottato la prima scusa che mi venisse in mente per liberarmi di loro… e raggiungerti.”

“Speravo lo facessi…”

La baciò ancora, dolce e irruento, sul volto, sulle labbra schiuse.

La trattenne di più, una mano alla sua nuca, intrecciata ai capelli biondi e l’altra a circondarle la schiena e stringerla contro il suo corpo; la sua virilità avvertiva tutta la tenerezza conturbante del fisico di Oscar, le sue cosce nervose e tese premute contro i suoi muscoli duri, il bacino che sfiorava il suo e lo accarezzava, il morbido seno di Oscar protetto contro il suo petto, sotto cui il cuore batteva impazzito di emozione selvaggia.

“Vieni da me appena puoi, André… fai in fretta, ti prego… ti aspetterò alla nostra locanda.”

“Verrò Oscar. Nulla mi terrebbe lontano da te… Mai più.”

Oscar sollevò la testa. Voleva guardarlo negli occhi, immergersi nel suo sguardo, e colmarsi di lui. Lo desiderava, e voleva che lui capisse quanto.

“Voglio fare l’amore con te, - gemette provocandolo - e voglio farlo tutta la notte, André.”

La bocca del giovane amante si piegò in un sorriso compiaciuto.

“Non tentarmi Oscar…”

“E tu non resistermi; non tornare alla villa, questa sera… domani penseremo ad una scusa per Danielle.”

“Oh, che scusa potrei mai trovare? Prima o poi dovrò dirle la verità; è una cosa che non potrò rimandare in eterno. Ora non è proprio il momento, con l’arrivo imprevisto di Leopold. C’è troppa tensione negli animi di tutti. Ti prego Oscar, abbi pazienza ancora un po’.”

Lei lo strinse possessiva, e gli rispose dolcemente indispettita.

“Lo sai che non è una delle mie virtù.”

“Lo so, mio bellissimo Comandante, padrona del mio cuore…”

Lei sgranò gli occhi e rise. Una risata bassa che saliva dall’anima.

“Come fai a dire certe cose?” Chiese impressionata, le guance un poco arrossate.

Infine, si lasciò ammaliare e vincere dalla bocca di André, che sigillò di nuovo le sue labbra in un bacio profondo e sensuale per fondere insieme i loro respiri.

 

 

 

*******

 

 

 

 

Presso la mia dimora, mi fu riferito che il conte era rientrato da poco.

Aveva chiesto di me e di André; volle sapere se avevo passato il pomeriggio in sua compagnia o se avevo incontrato altre persone. E indagò anche su Tristan, facendo domande insinuati sulla nostra amicizia. Non c’era giorno che non ribadivo il mio desiderio che se ne andasse al più presto, e per dispetto, con l’evidente intenzione di creare disagio tra me e André, Leopold prolungava il suo soggiorno, inventandosi infinite scuse per non partire e tornare a Parigi: accusava indisposizioni che lo costringevano a letto, immaginari dolori di varia natura che gli impedivano quel viaggio scomodo.

Mi sembrava davvero puerile e irritante il suo atteggiamento, quel suo inutile opporsi ad eventi e situazioni che non si potevano più fermare.

Non volevo più essere sua moglie, di fatto non lo ero più da tempo, dalla nascita del nostro secondogenito. Entrambi eravamo migrati in altri letti a cercare i nostri piaceri; ciascuno si era consolato in altre braccia, solo per una notte, o per giorni quasi infiniti.

Ma quella non era una vita che potevo continuare a condurre, né vi sarei più riuscita.

“Perché non tornate dalla vostra Lisette e mi lasciate in pace? Avreste anche una figlia a cui pensare…” gli dissi piccata quell’ultima sera.

Era da poco passata l’ora di cena, e stava imbrunendo il cielo contro l’orizzonte. Andrè si era allontanato senza dire niente, come faceva oramai da giorni, e non era ancora rientrato dalla sua passeggiata solitaria. Io ero dilaniata dall’ansia che mi gravava sul petto, ma non osavo chiedere spiegazioni, che non era tenuto a darmi. Mi bastava che lui tornasse e il mio cuore si placava.

“Tornerò a Parigi, quando lo riterrò opportuno, madame. Non prima di aver salvaguardato gli interessi del nome che porto. Per fortuna, quel vostro servo ha la decenza di non farsi vedere troppo in giro, ma insiste a girarvi attorno tutto il giorno. Ma vi giuro che prima del mio ritorno a Parigi, farò in modo di allontanarlo da voi.”

“Mi minacciate? Perdete solo il vostro tempo e il mio. Non recederò dalle mie intenzioni. Se, come dite, non possiamo divorziare, farò in modo che il nostro matrimonio venga annullato. So anche a chi potrei rivolgermi per perorare la mia causa: il cugino del Re non mi negherebbe mai il suo aiuto, e vi assicuro che saprei quali tasti toccare per portare il Duca D’Orleans dalla mia parte. A quel punto, basterebbe la sua pressione e il suo potere, e sapete quanto sia influente. E lasciate stare André, non siete degno neppure delle sue scarpe; è l’uomo più corretto che conosca, e nella nostra disputa non c’entra nulla.” [2]

Dopo quelle mie parole, Leopold comprese davvero quanto fossi determinata. Si sentì profondamente insicuro, e la cosa andava solo a mio vantaggio.

“Volete insistere in questa cosa ridicola?!”

“Avete già la mia risposta.”

Chissà se Lisette aveva calcolato questa mia mossa, quando mi aveva proposto di lasciare mio marito; era un’alternativa che stavo valutando solo di recente.

L’amante di Leopold non era una donna sciocca; alla fine, si stava rivelando una perfetta stratega e il suo azzardo provocatorio non era stato altro che la miccia che brucia e fa scoppiare tutto. Un’esca a cui Leopold non avrebbe mai abboccato direttamente, e lei aveva aggirato l’ostacolo con abilità, proponendo a me qualcosa d’impensabile e contando sul mio desiderio d’indipendenza.

Sì, un’idea davvero astuta, pensata con grand’intelligenza, una di quelle che solo noi donne potremmo concepire. A distanza di tempo, lo comprendevo pienamente.

 

 

Quella sera André non tornò.

 

Ma io lo scoprii solo il mattino successivo, quando Ninette venne a chiamarmi, trafelata e impaziente.

Facevo colazione nel mio salottino privato, e con un coltello spalmavo marmellata su una fetta di pane imburrato.

“Signora contessa, venite presto!”

“Cosa c’è Ninette? Perché tanta agitazione?!”

“Vengo dalla stanza del signor conte: è riverso per terra sul pavimento, accanto al letto. Sembra morto…”

“Cosa? – Mi alzai in piedi. - Ieri sera stava benissimo.” Dissi, ricordando l’ultimo alterco della sera precedente.

Seguii in fretta la cameriera, su per lo scalone che portava al piano nobile, fino alla camera di mio marito. Entrai e non vidi subito il corpo, nascosto dietro le alte sponde del letto a baldacchino.

Notai la pesante tenda ricamata strappata parzialmente dai ganci a cui mio marito doveva essersi aggrappato mentre cadeva per terra, ammassata in pieghe gonfie e scomposte sul tappeto ai piedi del letto.

Lì accanto, giaceva immobile Leopold, il corpo in una posa innaturale coperto da una vestaglia bianca, e da sotto l’orlo uscivano i polpacci nudi.

“Vai a chiamare André…” dissi alla mia cameriera, con una freddezza che stupì me per prima, senza staccare gli occhi dalla scena che avevo davanti, grottescamente illuminata dalla luce rada che entrava dalla finestra.

“Non è in casa, madame. Credo che abbia passato la notte fuori, perché ho trovato il suo letto intatto, quando sono andata a chiamarlo.” Mi disse Ninette, e io non ebbi il tempo di turbarmi per la scoperta.

Mi avvicinai per scuoterlo, lo chiamai, ma quando le mie mani si posarono sopra di lui, sentii sotto la pelle attraverso il tessuto di batista, il freddo rigore della morte. Guardai il suo viso pallido e mi accorsi che le labbra iniziavano a prendere un colore violaceo.

Compresi cosa fosse accaduto e sgranai gli occhi, perché non provai altro che profondo stupore. Leopold, un uomo ancora nel vigore degli anni, mi lasciava vedova, e orfani di padre i miei figli.

Pensai a Monique e Bastien e provai pena per le mie piccole creature. Troppo piccole, soprattutto Bastien che diventava da quell’istante il nuovo Conte di Recamier.

E Andrè quella mattina, la più inaspettata e assurda della mia vita, non era accanto a me.

 

 

Continua…

 

 

 

Eccomi, e anche prima del previsto!

Non vi aspettavate il colpo di scena, vero? O forse, sì?

In realtà, devo ringraziare Tixit, perché è stata lei a suggerirmi la cosa, tempo fa. Io la stavo valutando, ma sono stata indecisa fino all’ultimo, - mi sembrava troppo semplice - poi ho capito che era una soluzione probabilmente necessaria e inevitabile, e Leopold è un personaggio sacrificabile, almeno ai fini di questa storia.

Grazie sempre per i commenti, e spero che abbiate ancora voglia di seguirmi. Alla conclusione non manca molto, non abbandonatemi proprio adesso! Alla prossima.

Ninfea

 

 

 



[1]  Non ho mai descritto le fattezze di Tristan, ma ho descritto quelle del fratello per contrasto.  In realtà, io immagino che abbia l’aspetto di un altro personaggio che amo molto… avete presente il mio avatar? O anche, per chi la conosce, la versione anime 2005 de “La maschera di vetro” ? Ecco, secondo me, come potrebbe essere quel personaggio, tolta la maschera di freddo cinismo dietro cui si nasconde.

 

[2]  In un capitolo precedente, avevo accennato alla cosa, ricordate? Una traccia vaga che si ricollega a quello che sta dicendo Danielle qui.

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Capitolo 30
*** Finalmente libera ***


30 – Libera

30 – Finalmente libera

 

 

 

 

 

Un vento fastidioso e insolitamente freddo soffiava sull’ altopiano.

Faceva ondeggiare le chiome degli alberi e accarezzava i fili d’erba sul terreno, stropicciando le pieghe delle vesti nere femminili. A intervalli, una raffica più forte gonfiava i mantelli degli uomini presenti, nobili signori di Etretat che abitavano nella zona, conoscenti della famiglia di Recamier.

Anche Tristan De Laundes era presente, ma più defilato verso l’esterno del gruppo. L’espressione sul viso seria e concentrata, in realtà era più vigile e attento di quanto non sembrasse, all’ambiente che lo circondava, con le gambe leggermente divaricate, e l’atteggiamento composto con le mani foderate dai guanti, soprapposte davanti al busto.

I suoi occhi avevano già colto una presenza sfuggita a tutti gli altri, qualcuno che era deciso ad incontrare.

 

La contessa di Recamier, giovane vedova dall’incarnato niveo, celava il volto e i turbamenti dietro un’impalpabile veletta di tulle trasparente.

Vestita di prezioso cangiante raso nero dai riflessi blu, era davanti a tutti, al cospetto del sacerdote che recitava l’omelia di dolore, affiancata dal suo affascinante segretario e dalla fedele Ninette che accompagnava i due figli.

Era bellissima, con i capelli che risaltavano come oro liquido contro l’abito a lutto, altera e inaccessibile, dignitosa e padrona di sè. Se fosse affranta, serena o indifferente, restava un mistero custodito dietro una maschera immota di emozioni indecifrabili. Con un gesto lento e calmo della mano, posò una rosa legata da un nastro nero sulla bara, e non rivelò alcun sintomo di commozione.

Non ci furono singhiozzi sommessi, né lacrime. A vederla così fredda e inespressiva, qualcuno dubitò del suo effettivo dispiacere, ma restò un pensiero inespresso.

Nelle file più indietro, il personale di servizio della villa, le cameriere, la cuoca, un cocchiere e gli stallieri erano riconoscibili dall’abbigliamento modesto, le gonne di tela grezza delle donne, gli scialli di lana pesante sulle spalle, e gli uomini, composti e umili, con i cappelli di feltro e lana grezza stretti tra le mani, in segno di rispetto per il defunto. C’era chi tra loro era sinceramente commosso.

Non c’erano cappelle di famiglia, lì a Etretat, solo un piccolo cimitero esterno al grande giardino della villa, una linea retta di croci latine e tombe di marmo e pietra, che custodivano le spoglie di antichi padroni e discendenti.

 

Oscar seguiva le esequie a distanza, lontana e al riparo ai margini del bosco che delimitava i possedimenti della villa.

Dal punto in cui osservava la scena, il gruppo delle figure disposte a semicerchio, le suggeriva un’immagine grottesca: le parevano enormi corvi neri disposti attorno alla fossa, dove stavano per deporre le spoglie mortali del cognato. Li immaginava avventarsi come avvoltoi su una carcassa, pronti a spolparne le carni e lasciare solo le ossa bianche. Tra qualche giorno, alla lettura annunciata del testamento del Conte di Recamier, si aspettava sarebbe accaduto esattamente questo.

Chiuse gli occhi, tentando di scacciare quell’idea malsana e inquietante.

Aveva lasciato il suo cavallo poco lontano, preferendo avvicinarsi al cimitero a piedi. Non voleva essere vista, né rivelare tanto presto la sua presenza lì, soprattutto alla sorella Danielle, neppure in quella drammatica circostanza.

 

E altro c’era in gioco. Troppo per rischiare di uscire allo scoperto. Meglio aspettare tempi più opportuni e favorevoli, anche se le sorgeva il dubbio se sarebbero mai arrivati. Stava per scoprire che il suo scrupolo era inutile.

 

La morte di Leopold, improvvisa e drammatica, si rivelò un evento funesto oltre ogni previsione. Il presunto attacco di cuore fu smentito dal medico di fiducia che aveva esaminato il corpo il giorno stesso del decesso, riscontrando sulla lingua viola e gonfia, quelle che erano le tracce evidenti di un avvelenamento.

All’apprendere la notizia, Danielle aveva manifestato una profonda costernazione, così le aveva detto André. All’inizio, la contessa reagì alla tesi del medico con scetticismo e sincera incredulità, poi si era dovuta arrendere all’evidenza dei fatti, che parlavano da soli. La camera era stata esaminata da cima a fondo, e la brocca dell’acqua sul comò, era stata trovata vuota per metà.

Era presumibile che il veleno fosse stato assunto così.

I nemici del conte di Recamier potevano essere tanti, e tutti insospettabili, ma si doveva restringere il campo dei colpevoli alle persone vicine a lui, o almeno ai residenti alla villa, compresi i domestici, tra i quali c’era anche André. La tranquillizzava un po’ il pensiero che per quella sera maledetta, lui aveva un alibi perfetto, che avrebbe confermato lei stessa, senza esitazione, se fosse stato necessario. Ma l’angoscia restava. Chi aveva ucciso il cognato, e perché? Oscar aveva tutta l’intenzione di andare a fondo della faccenda, un po’ per il suo spiccato senso di giustizia, e un po’ per il bene di Danielle, che forse stava riponendo la sua fiducia in una persona sbagliata. L’assassino aveva usato il veleno, dunque era necessario trovare lo speziale che l’aveva procurato e magari prodotto.

E Oscar sapeva dove trovarne uno, lì a Etretat.

 

Senza fretta, stava tornando verso il suo cavallo, lasciato all’interno della boscaglia. Il piede infilato in una staffa, si era già issata sulla sella, quando sentì una voce sconosciuta chiamarla per nome. Si bloccò sorpresa.

“Oscar François De Jarjayes!!’’

Si volse alle sue spalle e vide il giovane Tristan De Laundes, l’amico di Danielle di cui André le aveva parlato, avvicinarsi velocemente. Sgranò gli occhi contrariata e diffidente, rendendosi conto di essere stata scoperta.

L’uomo fu davanti a lei, e Oscar lo accolse con l’espressione più distaccata che riuscì a trovare.

“Madamigella Oscar…” la chiamò di nuovo. L’espressione dell’uomo che ora la fissava, rivelava un sincero stupore, ma si ricompose quasi subito, tornando distesa.

Lei si prese qualche secondo per osservarlo con attenzione: l’uomo che aveva davanti era di bella presenza, alto quanto André, un fisico armonioso e proporzionato, lineamenti marcati ma eleganti, capelli mossi biondo/cenere legati da un nastro, e occhi grigi come freddo metallo. Un uomo d’indiscutibile fascino, capace di far palpitare il cuore di una donna. Un cuore come quello di Danielle, pensò Oscar.

“Mi conoscete, vedo…” fu il solo commento, espresso con voce neutra.

“La contessa mi ha parlato di voi; nonostante l’abbigliamento maschile, Comandante, non ci si può ingannare sulla vostra natura. Siete identica a Madame Recamier, in maniera direi sorprendente. E siete bellissima…”

“Lasciate stare i complimenti, non servono. Cosa volete, Messieur De Laundes?” chiese asciutta, dimostrando di sapere benissimo con chi stava parlando. Tristan assottigliò lo sguardo, per nulla in soggezione, fissandola con maggior insistenza. Chi altri, se non André, poteva averle parlato di lui?

“Volevo conoscervi, Comandante. Sapere cosa vi porta in Normandia… e perché non rivelate a Danielle la vostra presenza. A maggior ragione ora, dopo quanto accaduto a vostro cognato.”

“Non è cosa che vi riguardi.”

Altra risposta asciutta, che avrebbe scoraggiato chiunque dal porle nuove domande. Ma Oscar non conosceva l’ostinazione caparbia del giovane gentiluomo che aveva davanti.

“Forse potrei fare la stessa domanda ad André, magari lui mi risponderebbe diversamente…”

Osò provocarla.

Fu il turno di Oscar di assottigliare lo sguardo che si fece tagliente, quanto l’acciaio freddo di una lama. Uno sguardo, pensò Tristan, che non aveva nulla in comune con quello più dolce della gemella. Due donne identiche nell’aspetto, profondamente diverse per animo e temperamento, eppure mosse da comuni sentimenti. Lo colse inaspettato un brivido lungo la schiena e gli fu facile immaginare quegli stessi occhi color cielo estivo, bruciare d’altrettanta passione amorosa. Ne fu affascinato, suo malgrado, e intuì la forza sovraumana dei sentimenti che muovevano André, un rivale che non era tale, un uomo totalmente avvinto, che apparteneva corpo e anima a quell’amazzone bionda e fatale che osava sfidarlo senza paura, abituata a lottare per difendere chi amava. Non poteva dire di conoscerla, ma Oscar François De Jarjayes gli ispirava forza, determinazione, coraggio indomito e onestà d’intelletto. Sentì di poter provare vera profonda ammirazione per una donna tanto straordinaria. Notò la spada al fianco, quasi un’estensione naturale di lei, e immaginò che fosse maestra nell’usarla.

“Non voglio insistere, Comandante. Sono certo che avremo occasione di riparlarne. - Si voltò per allontanarsi di pochi passi, poi tornò a puntare l’attenzione su di lei. Sorrise con decisione, e Oscar spalancò gli occhi, cedendo le armi. – Spero un giorno di potermi misurare con voi, madamigella Oscar; sono sicuro che siete abilissima con la spada. Sarà un’esperienza interessante, mi auguro non troppo umiliante per me.”

La salutò con un gesto della mano prima di allontanarsi nella direzione da cui era giunto, e non si accorse della piega ironica che assunsero le labbra di Oscar. Nessun uomo, a parte André, aveva mai osato parlarle in maniera tanto schietta, e questo era un punto a suo favore. Pur senza alcuna conferma diretta, Tristan fu sicuro di una cosa: i sentimenti d’amore che Danielle nutriva per il suo avvenente segretario, erano destinati a non essere mai corrisposti. Per quanto il pensiero fosse miserabile, e gli procurasse un sottile cruccio, lui non poteva fare a meno di gioirne.

 

 

 

§§§§§§§§

 

 

 

 

Il lutto che mi aveva colpita, imponeva all’esterno la mia afflizione di vedova inconsolabile, ma in realtà non potevo fare a meno di pensare con profondo sollievo che ero una donna finalmente libera!

Non potevo mostralo apertamente, senza risultare scandalosa, addirittura volgare nei sentimenti, ma superate le primissime ore di confusione e sbigottimento, in cui avevo realizzato l’effettiva portata dall’evento, per me non esisteva gioia più grande. La morte di mio marito, per quanto tragica e preoccupante, non mi procurava nessuna pena intollerabile. Inutile fingere sentimenti inesistenti nel mio cuore.

La vaga tristezza che provavo era riguardo ai miei figli e alla loro sofferenza. Subito dopo il funerale, decisi di mandare Monique e Bastien per qualche tempo da mia sorella Orthense, che soggiornava col marito e i tre figli nel Nord della Francia. Sarebbe stato solo un bene per loro cambiare ambiente e allontanarsi da Etretat per un po’, in un momento delicato come quello.

Probabilmente del padre avrebbero sentito la mancanza, per quanto i contatti tra loro erano sempre stati sporadici e chiusi in una forma obsoleta di rispetto senza slanci d’autentico affetto paterno. Leopold non era mai stato un padre particolarmente presente, semmai si era maggiormente interessato al suo erede maschio per una questione d’orgoglio patriarcale, riponendo il lui le aspettative tipiche del lignaggio: onore, discendenza, prestigio della famiglia Recamier fedelissima alla Corona e trarne così tutti i privilegi possibili.

 

Però non potevo trascurare la gravità di ciò che era accaduto. Avevo chiesto al dottor Morisot di mantenere il più assoluto riserbo sui fatti e lo avevo vincolato al segreto. Ufficialmente, per amici, conoscenti, famigliari diretti e indiretti, Leopold era morto per un malore improvviso.

Ma tutti quelli che vivevano alla villa, sapevano la verità.

Mio marito era stato avvelenato nella mia casa, da qualcuno che forse mi viveva accanto, e io non sapevo su chi puntare i miei sospetti, di chi fidarmi e di chi no, né potevo credere che l’assassino si fosse introdotto dall’esterno, furtivo e in piena notte, per compiere il suo delitto. Le modalità non lo lasciavano supporre.

André quella notte non era rientrato. Questo solo sapevo.

Questo dettaglio inquietante mi metteva in ansia, ma non volevo credere che fosse stato lui.

E perché poi? Per risentimento? Vendetta? Paura?

No, André non avrebbe mai fatto una cosa tanto ignobile, neppure al peggiore dei suoi nemici. Era un ragazzo di buon cuore, corretto e leale, onesto e integro. E io lo amavo. Per quanto la cosa mi ripugnasse, come se mi macchiassi di un vergognoso tradimento, dovevo affrontarlo e chiedergli quelle spiegazioni che temevo di ricevere.  Cosa o chi, lo aveva tenuto lontano dalla villa, quella notte?

 

Già… Chi.

 

Questa era la domanda che più mi atterriva; implicava ciò che mi rifiutavo di considerare, ma accanto, avevo chi mi avrebbe costretto a farlo.

Le persone che erano al mio servizio le conoscevo da anni; era gente scrupolosa e fidata, in qualche caso affezionata alla famiglia Recamier da più di una generazione, tra padri e figli. Si trattava di persone semplici, che conoscevano solo una vita fatta di sacrifici e lavoro duro. Fra loro non poteva esserci qualcuno pronto a uccidere.

Per quale motivo, poi?

L’uso del veleno, un mezzo discreto in uso perfino a Versailles, che finiva nei cibi e nelle bevande delle vittime, implicava una strategia precisa e molto ben calcolata; una tattica da aristocratico. Così con un senso acuto di nausea, avevo sospettato anche di Tristan; che fosse innamorato di me al punto di uccidere per avermi? Per la stessa ragione, avrebbe potuto far del male anche ad André?

L’idea in sé, mi parve intollerabile. Non pretendevo di comprendere ogni lato della personalità di Tristan, ma potevo escludere sarebbe mai arrivato a tanto, anche travolto dalla gelosia più nera. E con Leopold non c’era stato alcun contrasto, lo avrei saputo.

 

Alcuni giorni dopo, ci fu la lettura del testamento davanti ad un notaio, che non presentò grosse sorprese; i due figli legittimi del Conte Leopold Remy di Recamier erano gli eredi diretti delle sue fortune, che io avrei gestito fino alla maggior età. A me restavano possedimenti, terreni da cui ricavare profitti e beni patrimoniali di valore considerevole, come la villa a Etretat, Palazzo Recamier a Parigi e la villa in campagna. Come sospettavo, Leopold aveva previsto un discreto vitalizio anche per Margot, frutto di una relazione adultera, riconosciuta come figlia legittima a tutti gli effetti. Madame Lisette De Marchard non era presente alla lettura del documento, e probabilmente tuttora ignorava la morte di Leopold, ma c’era una lettera del notaio pronta per lei; zia della bambina, era stata nominata tutrice legale della piccola, e in quanto tale, era affidata a lei la gestione dell’eredità di Margot. In quel frangente, trovai inutile oppormi alla questione, e oramai non aveva alcuna importanza per me. Inaspettatamente, la situazione di Madame Marchard suscitò in me sincero compatimento; dopo tutte le strategie adottate per garantirsi una posizione sicura accanto a Leopold, si ritrovava sola, con una nipote da allevare, orfana di entrambi i genitori. Questi sono gli imprevisti dell’esistenza, che arrivano a scombinare ogni progetto umano.

 

 

Io rispettai i giorni consueti del lutto, e per un po’ non lasciai la villa, ma Tristan non sospese le sue visite, che si intensificarono. Mi faceva piacere averlo accanto in un momento come quello; purtroppo André mi trascurava lasciandomi sola di frequente, e quando insistevo perché mi rimanesse vicino, lo faceva dissimulando un certo sforzo, un’impazienza che mi allarmava.

“Ti prego André, sono giorni che ti allontani senza dirmi nulla; sono preoccupata. Che cosa ti accade? C’è qualcosa che non va? È per quello che è successo a Leopold?”

“No, Danielle, non è per quello. Sì, la morte di Leopold ha gettato un po’ tutti nel panico, ma io sono lo stesso uomo di sempre. Vedi, è che a volte ho bisogno di restare solo…”

“Solo? Perché?” chiesi con un tremito sorpreso nella voce.

“Mi aiuta a pensare.”

“A cosa pensi, quando non sei con me? Posso saperlo, André?”

“Al futuro, Danielle.” Mi rispose socchiudendo gli occhi, restituendomi l’espressione malinconica che da qualche tempo leggevo sul suo volto. Era appoggiato con le mani al davanzale e la schiena rivolta verso il vetro di una delle grandi finestre del corridoio che correva sul lato sinistro, io ero in piedi di fronte a lui. C’era una nota triste nella sua voce, e l’espressione distante lo portava in altri luoghi, accanto a ricordi che non mi appartenevano.

In quell’istante, con violenza realizzai la realtà con sgomento: Oscar era ancora fra noi, e io mi ero cullata nell’illusione che l’avesse dimenticata. Le mie labbra tremarono. Non sapevo se era sdegno o delusione quello che mi fece parlare con durezza.

“Un futuro che non comprende me…” dissi amara e André non risposte. E quel silenzio, quasi una conferma, mi costrinse a fare la domanda che poteva sconvolgere la mia vita.

“Ho bisogno di saperlo: dov’eri quella notte, quando Leopold è morto? Sei rientrato alla villa solo la mattina dopo. Non ti sto accusando, ma voglio sapere la verità. Dove vai, che cosa fai, quando non sei con me? Hai incontrato qualcuno quella notte? Ti prego André, quest’incertezza mi sta uccidendo!”

Per quanto avessi provato a nasconderla, André percepì la mia rabbia. E si affrettò a placarla nell’unico modo che avrebbe funzionato in quel momento. Mentendo. Non ero ancora pronta ad accettare la verità, anche se il mio inconscio già la conosceva.

Si alzò in piedi di fronte a me, come se volesse dare maggior forza alle sue parole.

“Mi vergogno quasi a dirtelo Danielle, ma… quella notte mi sono ubriacato così tanto, che non sono stato capace di rimontare in sella per tornare a casa. Sono crollato svenuto su un cumulo di sacchi, sul retro della locanda dove ero andato a bere. – Esitò impacciato. - Era da tempo che non mi capitava una cosa del genere… l’ultima volta che è accaduto… ero con Oscar in una stamberga di Parigi…”

Il nome di mia sorella mi esplose nella testa come un boato.

André pareva averla nominata casualmente, e io volli credere che fosse così.

Avevo dei ricordi confusi di quella mattina; sgomenta e impressionata, tutta la mia attenzione in quelle ore concitate era stata assorbita dalla tragedia, dalle parole del medico che pronunciava la sua sentenza. C’erano state lettere da scrivere, decisioni repentine da prendere, i funerali da organizzare. Non ricordavo se André avesse i postumi di una sbornia, ma era possibile che non mi fossi accorta di nulla, e lui si era prodigato ad aiutarmi come poteva.

Se ciò che mi aveva appena raccontato, fosse una bugia pietosa detta per non ferirmi, io l’accolsi con estrema gratitudine. Presi per buone le sue parole, perché non c’era altro che io volessi sentire o sapere. Non c’erano verità dolorose che volevo scoprire in quel momento.

Gli sorrisi rasserenata, tranquillizzata da una giustificazione che allontanava il mio terrore più grande: essere abbandonata dall’uomo che amavo.

 

Ninette venne ad interromperci per annunciarmi la presenza di un ospite; Tristan era in salotto e attendeva che lo incontrassi. Salutai André che prima di allontanarsi con discrezione, si accomiatò con una frase che mi lasciò di stucco.

“Ti lascio in buona compagnia. Quell’uomo meriterebbe un po’ della tua considerazione, lo sai, Danielle? Dovresti dargli una chance.”

Io raggiunsi Tristan ripensando alla strana affermazione di André. Sembrava buttata lì, ma non lo era affatto. Non era la prima volta che André pareva volermi spingere tra le braccia di Tristan. Mi incoraggiava, ma non volevo accogliere i suoi inviti, né comprenderli veramente per ciò che erano. In realtà, non potevo farlo: ero chiusa ad ogni altro slancio del cuore che non fosse il palpito sottile e ostinato che sentivo per lui.

Al mio ingresso nella stanza, Tristan mi prese le mani e mi salutò con un gran sorriso, e il fatto che fossi ancora in lutto non pareva interessarlo granché.

“Contessa, vi trovo affascinante come sempre, anche se questo triste aspetto da corvo non è degno della vostra bellezza.” Disse, indicando il mio lucido abito nero. Io trattenni a stento un risolino che affiorò spontaneo alle mie labbra. Il suo fare dissacrante mi disarmava sempre e mi metteva di buonumore.

“Voi proprio non credete che io possa essere sinceramente dispiaciuta per la morte di mio marito, vero? Mi credete così insensibile e superficiale? Era pur sempre il padre dei miei figli, Tristan…” lo rimproverai bonariamente.

“Sì, ed è questa l’unica cosa che davvero vi rattrista, e in tal senso, non dico che il vostro cordoglio non sia sincero. Dico solo che il lutto non vi si addice, ed è falso se non lo portate nel cuore. Levatevi quell’abito nero, e senza timore, fate vedere al mondo ipocrita chi è la vera Danielle, la donna solare amante della vita che siete, Madame. Inutile chiudersi in casa per un dolore che non si sente. O devo credere che non avete il coraggio di sfidare delle stupide convenzioni formali?” domandò, appoggiando un gomito alla cornice di marmo di Carrara del camino, e incrociando le lunghe gambe fasciate in pantaloni blu notte.

“Di coraggio ne ho da vendere, Tristan, e da domani tornerò ad indossare i miei abiti di seta color pastello che mi piacciono tanto!” dissi risoluta, e con un certo entusiasmo.

“Oh, questa è la Danielle che mi piace… - esclamò convinto - la Danielle che amo di più.”

“Avete proprio ragione Tristan, – dissi accomodandomi su una sedia. – Sono stanca di recitare la parte della vedova addolorata. La mia vita continua, e forse ora mi trovo nella condizione insperata di poterla realizzare completamente. Sapete anche voi, quanto il mio matrimonio fosse per me fonte d’insoddisfazione, ma ora sono una donna libera, e voglio trarne il massimo vantaggio.”

“Libera e spregiudicata. Cosa farete adesso?”

Il suo sorriso era incoraggiante e mi lasciai trascinare dai miei sogni ad occhi aperti, quasi dimenticando le terribili preoccupazioni che avevano scandito le mie ultime giornate.

“Oh, ci sono tante cose che mi piacerebbe fare: viaggiare, vedere posti sconosciuti, fare letture interessanti e istruttive che non siano i soliti romanzi femminili che parlano di eroine indifese e cavalieri senza macchia. Ampliare la mia mente e il mio cuore, amare, vivere con passione ed entusiasmo la vita. E sarà ancora più bello fare tutte queste cose con la persona giusta con cui poterle condividere. In tal senso io credo di essere molto fortunata.”

Mi ero alzata dalla sedia, trasportata dalla mie fantasie. Avevo fatto un giro su me stessa in un turbinio di sottane, e mi ero fermata con le mani incrociate dinanzi a lui. Tristan mi guardava serio e rapito, lo sguardo attraversato da una luce calda e intensa, che m’inchiodò dov’ero. Si avvicinò a me in silenzio.

“Danielle…”

Il mio nome pronunciato in un sospiro, all’improvviso mi fece tremare il cuore.

“Io vorrei tanto poter essere quella persona giusta di cui parlate… - Quando sentii il suo braccio saldo circondare con trasporto la mia vita era ormai troppo tardi per fermarsi e tornare indietro. - Sarei la vostra ombra, Danielle… - bisbigliò roco a pochi centimetri dal mio viso - un’ombra innamorata e felice di seguirvi ovunque…”

Prima che potessi fermarlo, o rendermi conto di ciò che stava per accadere, sentii il suo alito caldo e dolce contro le mie labbra. La sua bocca era esigente, ma non aggressiva. Mi accarezzò con delicatezza, inducendomi ad arrendermi al suo assalto, e le nostre bocche si fusero naturalmente in un bacio perfetto, morbido ed eccitante da togliere il respiro e annebbiare la ragione. Un bacio dolce, profondo e disperato. Un bacio che solo l’amore sa donare. Mi ritrovai stretta a lui, le mani arrese, inerti contro il suo petto che mi racchiudeva tutta, mentre percepivo le sue mani scivolare sulla mia schiena teneramente. Persi la cognizione del tempo, con la mente preda delle sensazioni di quel bacio che mi sembrò eterno. Quando lentamente ci separammo i nostri sguardi si incrociarono. Il mio doveva essere stupefatto, quello di Tristan era ancora offuscato dalla luce di un potente desiderio, che mi sconvolse oltre misura. Mi scostai brusca da lui, respingendo il suo abbraccio. Imbarazzata, il petto ansante, mi girai per non guardarlo, e portai le mani al volto: sentivo le guance arrossate e calde.

“Perdonatemi Tristan, io non…”

“No Danielle, perdonatemi voi per la mia audacia… non volevo turbarvi…” si affrettò a dire, cercando di tornare padrone di sé. Ma dal tremito convulso della sua voce percepivo che fosse sconvolto, forse più di me.

“No… no, Tristan, scusatemi voi… scusatemi, vi prego. Io non posso ricambiarvi… lo sapete, io…”

“Non dite niente, Danielle. Vi prego, ascoltatemi solamente. Io so che siete innamorata di un altro uomo, ma questo non cambia quello che sento per voi. Io vi amo con un trasporto tale che non riesco più a resistervi… e non ho mai provato nulla di simile per nessuna, prima d’ora.”

Mai avevo sentito prima, dichiarazione d’amore più appassionata: era autentica, struggente e piena di tormento. Arrivava dritta al cuore.

“Tristan, io…”

“Lasciatemi finire, vi prego. Perdonatemi se sono costretto ad essere brutale, e dirvi quello che non vi piacerà, ma questo amore mi spinge a proteggervi, prepararvi ad una pena che sarà più grande; se potete, non concedete troppo ad un’illusione, perché alla fine vi farete solo male Danielle. Una donna come voi, non dovrebbe mai elemosinare l’amore di un uomo. [1] Chi non vi vuole non vi merita, in nessun caso. André non può ricambiare quello che sentite per lui, perché il suo cuore appartiene ad un’altra, e voi sapete che è così, anche se vi sforzate di ignorare la cosa.”

“Cosa dite?”

Abbassai le mani e alzai lo sguardo su di lui sgomenta.

“La verità, Danielle. Non chiedetemi come lo so… Lo so e basta. È stato sufficiente guardare André negli occhi, e lo sguardo non mente. André è sinceramente affezionato a voi, ma non può amarvi, non come voi vorreste. E un giorno, neppure troppo lontano, sentirete questa verità dalle sue stesse labbra.”

“Oh…”

Come poteva sapere? E cosa sapeva Tristan?

Percepii qualcosa che si strappava dentro di me, come se la tela che ricopriva il mio cuore si lacerasse. Non trovai la forza di obbiettare alcunché. Restai in silenzio, schiacciata da un’emozione che era un languore straziante. Non c’era nulla che potevo dire, senza offendere con la menzogna più povera, la forza di quel suo amore che mi stava rivelando senza difese o riserve.

Un amore capace di gridare la verità più impietosa.

Glielo dovevo, per rispetto, e lo ascoltai fino alla fine, seppur con gran difficoltà, perché l’amore che sembra non corrisposto fa sempre male, anche per chi lo riceve.

“Io non so se voi ricambierete mai quello che sento, ma ve lo offro lo stesso, perché altro non posso fare. Se voi mi chiamerete, io verrò Danielle. Se avrete bisogno di me, io sarò al vostro fianco. E se arriverà il giorno meraviglioso in cui scoprirete di amarmi, come io vi amo, con passione e tenerezza infinite, ringrazierò il Cielo di avervi messa sulla mia strada, quel giorno che spaventaste il mio cavallo.”

Non aggiunse altro.

Tristan si piegò in un lieve inchinò, prima di allontanarsi con una mestizia che scoprivo nuova in lui. Quanto doveva essergli costato quello sfogo supremo; aveva svuotato il suo cuore e doveva sentirsi più leggero. Ero io che mi sentivo pesante. Portai una mano al seno come se dovessi fermare il tumulto che mi possedeva, e mi abbandonai sulla sedia vicina, stremata. Il gomito appoggiato al bracciolo, portai la stessa mano alla tempia, ancora incredula e sconvolta, mentre sentivo inumidirsi i miei occhi.

Mi dispiace tanto, Tristan, pensai. E piansi di sincera e profonda pena per lui, e lacrime amare e salate, mai versate così per nessun amore felice o infelice, bagnarono le mie guance.

 

 

 

§§§§§§

 

 

 

 

Le lenzuola sfatte di cotone un po’ ruvido accoglievano i corpi mollemente abbandonati contro i cuscini. La luce di quel tardo pomeriggio filtrava dalle imposte accostate, e lasciava la stanza umile e spoglia in penombra.

Oscar sedeva appoggiata contro il petto di Andrè, la camicia ancora addosso slacciata sullo scollo profondo che rivelava l’incavo delicato dei seni. Nella foga dell’assalto amoroso, si erano presi con una tale urgenza che non aveva fatto in tempo neppure a toglierla. Le gambe erano nude, una piegata, e l’altra abbandonata sul materasso parallela a quella di Andrè.

Lui ogni tanto giocherellava con i suoi capelli, che spostava di lato per baciarle e lambirle la linea sinuosa del collo, per scendere sulla spalla lasciata seminuda della manica della camicia che scivolava maliziosa su un braccio.

“Sei pensierosa…” disse sfiorandole la vita sotto i lembi della stoffa di lino, per interrompere un silenzio che perdurava da diversi minuti.

Lei annuì, senza replicare, mentre lui spostava l’altra mano e intrecciava le dita con quelle di lei.

“Prova a dirmi a cosa pensi, o vuoi che gioco ad indovinare?”

Lei sospirò e appoggiò le loro mani intrecciate sul ginocchio della gamba piegata. Non pareva avesse voglia di parlare, forse perché quello che doveva dirgli non era bello.

“Avevo chiesto una breve licenza a Sua Maestà, ma è oltre un mese che sono qui. Devo tornare, e riprendere il mio servizio a corte. Non posso lasciare tutte le incombenze a Girodelle.”

André sospirò, consapevole del reale motivo per cui glielo stava dicendo; era il suo modo di dirgli che non avevano più tempo. C’era dell’altro, ne era sicuro, e doveva essere ben più grave.

“Vuoi parlarmi delle tue indagini?” le chiese, infatti. Lei non si sorprese.

“Ho rintracciato lo speziale. Ho parlato con lui, André. All’inizio non voleva sbottonarsi, ma quando gli ho prospettato un’accusa d’omicidio e la conseguente pena capitale, ha cantato subito.”

Lui trattenne il respiro, senza quasi accorgersene.

“Davvero Oscar? E cosa hai scoperto? Sai chi è stato a commissionare il veleno?” chiese André, apparentemente tranquillo, ma l’ansia divorava anche lui.

“Sì, ma questo non ci sarà d’alcun aiuto; - Oscar fece una pausa prima di proseguire emettendo un sospiro prolungato. - È stato Leopold in persona a procurarsi il veleno, per uno scopo preciso. E ha pagato profumatamente il silenzio dello speziale che doveva mantenere il segreto.”

Alla rivelazione, per alcuni secondi, André fu quasi incapace di ribattere.

“Che cosa? Ma questo significa che…”

“Significa che Leopold è morto per un tragico errore, e il veleno, in realtà, era destinato ad un’altra persona…” sentenziò, con una freddezza che era ben lungi dal provare.

Oscar si era voltata verso di lui e lo guardava da sopra una spalla. Lui la ricambiava ad occhi sbarrati, mentre una terribile intuizione si faceva largo nella sua mente.

“Ho quasi paura a chiedertelo, Oscar…”

“Non so cosa sia successo, non riesco davvero ad immaginarlo; l’unica spiegazione plausibile è che Leopold sia caduto vittima del suo stesso piano. - Ma c’era una verità ben più terribile che Oscar era restia a rivelare, come se le parole potessero concretizzarla. - André, credo che in realtà, fossi tu, la persona che egli volesse uccidere… per fortuna, quella notte l’hai passata con me…”

Lo disse come se fosse una liberazione, uno strazio da cui sgravarsi l’anima.

Lesse un guizzo improvviso animare i suoi occhi verdi e indovinò cosa gli stesse passando per la testa; lui aveva tentato di resisterle, di fare ritorno alla villa, e adesso restava il sollievo per lo scampato pericolo, una strana paura confusa con la passione che tornava ad accendersi. Accostarono le loro fronti in un muto sostegno. Restarono così per un po’, sfiorandosi ogni tanto le labbra.

Quando Oscar parlò fu con un sussurro delicato, ma intriso di tristezza.

“Lo so che non vorresti, ma non possiamo rimandare ancora; dobbiamo parlare con Danielle e provare a capire cosa è accaduto davvero quella notte…”

André si arrese a ciò che era inevitabile.

“Come vuoi tu, Oscar, ma non pensiamoci adesso, ti prego…”

La strinse forte, circondandola con le sue braccia, prima di riprendere a baciarla di nuovo.

La trascinò accanto a sé sui cuscini, facendo aderire i loro corpi, e finalmente, le sfilò la camicia bianca che finì per terra accanto al bordo del letto. Restava ancora da vivere qualche ora d’amore, prima di un risveglio che sarebbe stato brusco e amaro per tutti.

 

 

 

Continua…

 

 

 

 

Eccomi!!

Capitolo un po’ inaspettato nello sviluppo, ma non troppo. La morte di Leopold si tinge di giallo, anche se è un’idea fulminante partorita proprio all’ultimo momento. Avevo pensato di liquidarlo con un malore, e via… invece… la mia testolina si è messa pericolosamente in moto, e ammetto che un po’ sono stata influenzata dal commento di Emerald77, e tutte le sue domande mi hanno fatto riflettere e immaginare uno sviluppo diverso da quello iniziale. La ringrazio anche per avermi concesso di usare la sua frase che trovo perfetta in bocca a Tristan.

Io credo che questo sviluppo sia migliore, almeno spero. Mi direte se vi è piaciuto.

Anche il bacio tra Tristan e Danielle non era previsto, ma mentre scrivevo l’immagine si è imposta e ho seguito l’istinto. Spero mi abbia suggerito bene.

Grazie sempre per tutto il sostegno che mi date con i vostri commenti, per me preziosi e stimolanti. Siamo davvero in dirittura d’arrivo, ormai… forse un paio di capitoli o tre, non so ancora, e questa storia sarà davvero conclusa. Un saluto, Ninfea.

 

 

 

 



[1] Questa frase che sintetizza i sentimenti di Danielle, mi è stata suggerita da un commento di Emerald77 che ringrazio. Credo sia perfetta, e io ho deciso di utilizzarla, dopo averle chiesto il permesso naturalmente.

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Capitolo 31
*** L' ora delle verità ***


31

31 – L’ora delle verità

 

 

 

La giornata più triste e penosa ch’io abbia vissuto in quel tempo sospeso della mia vita che fu la parentesi in Normandia, iniziò una mattina incredibilmente limpida, ingannevole nella sua bellezza superba.

Il disco giallo/arancio del sole arrogante e luminoso, accecava lo sguardo per nascondere le ombre oscure che eclissavano la sua magnifica corona. I suoi raggi, attraverso l’aria tersa di un cielo chiaro solcato dai corpi bianchi e neri dei gabbiani, toccavano la lunga distesa della spiaggia di Etretat, scaldando la sabbia e facendola quasi brillare di strani riverberi argentei.

 

L’aria frizzante e dolce accarezzava la mia pelle, mentre il tessuto della gonna aderiva alle gambe disegnando le mie forme. In quelle ore, immersa nel calore dell’aria profumata di mare, con l’odore intenso della terra che mi avvolgeva, mi sentivo così serena, che la mia mente era sgombra da ogni pensiero. Respiravo e sentivo l’ossigeno penetrarmi i polmoni, come fossi attraversata da una sferzata vibrante di energia. Ero esattamente dove volevo essere, ed ero accanto alla persona per me più importante. Mi sembrava che nulla potesse venire a sconvolgere l’acuto senso di felicità che sentivo nel cuore, né le travolgenti, sincere parole d’amore di Tristan, che ancora vibravano come un’ eco dentro di me, né alcuna sconcertante verità sulla morte di mio marito, che pure dovevo aspettarmi. Nessun pensiero mi turbava. Era un istante perfetto, e come tutte le cose belle ed effimere, destinato a morire, appassire come un fiore colto troppo presto.

 

Mi ero alzata dal letto, animata dalla strana eccitazione che mi dava la consapevolezza d’essere libera.

Era una sensazione fantastica che mi travolgeva e diventava maggiormente acuta col passare dei giorni che seguirono al funerale. Era sconveniente, un atteggiamento lontano da ogni forma di decenza e pudore che si potesse mostrare in pubblico, ma non c’era impulso che fosse più vero in me, e non m’importava come apparissi agli occhi altrui, né di cosa le persone pensassero di una tale serenità che non mi preoccupavo di dissimulare.

La verità era che mi sentivo viva come mai ero stata in vita mia.

Mi sentivo come il vento di quella regione che soffiava libero, e non si curava di abbattersi impetuoso sulle scogliere che modellava a suo piacimento, o giocare dispettoso con le foglie secche che sollevava negli occhi e tra i capelli, in una danza leggera.

La spiaggia maestosa e accogliente, quasi selvaggia, era il luogo ideale dove vivere quelle emozioni. Bastava la consueta piacevole cavalcata in compagnia di André. Sulla battigia, le onde del mare lambivano gli zoccoli dei nostri cavalli lanciati in corsa, mentre gli spruzzi d’acqua salata bagnavano i nostri volti.

Sentivo il gusto del sale, e non bruciava sulle labbra; era come avere sul palato il sapore selvaggio della natura normanna che mi galvanizzava con la sua forza.

 

Ricordo che io e André non parlammo a lungo, restando in ascolto del suono del vento, del rumore della risacca che saliva e scendeva sulla riva, e travolgeva piccoli ciottoli e frammenti rosati di conchiglie.

Ogni tanto mi voltavo a cercare il suo volto; scoprivo il disegno del profilo concentrato e bellissimo, con i capelli neri mossi dal vento, ondeggianti sulla fronte. Gli sorridevo emozionata per la gioia di averlo lì, con me, assorto eppure così sereno, e lui rispondeva con un sorriso aperto, convincente. Solo un’ombra malinconica sfumava la luce dei suoi occhi. Mi sentivo vicina a lui, e non immaginai quanto quel suo sorriso franco, ma distante, fosse suggerito da altri pensieri, da un vissuto che non osavo né volevo immaginare.

 

In quelle ore, io non sapevo niente. Non sospettavo che il mio destino si era già compiuto, e tutto era già deciso.

 

Era rilassato André, tranquillo per la decisione che aveva preso, soppesata a lungo, ragionata, e alla fine accolta come necessaria. Era preparato a tutto, alla mia reazione che intuì, consapevole di doverla affrontare, sentire sulla pelle come un marchio doloroso, pronto alla pena conseguente, non solo mia.

Quella mattina per l’ultima volta, mi regalò qualcosa di sé, il calore genuino del suo affetto, l’amicizia onesta e leale, la sola forma d’amore che poté offrirmi, con l’intenzione lodevole, umana, di addolcire la verità amara che doveva rivelarmi. Devo riconoscere che non mi promise mai altro, per quanto io avessi sperato. Non mi fece mai credere che tra noi potesse esserci qualcosa che andasse oltre la superficie dei sensi.

Di questa sua onestà, devo ringraziarlo, perché fu la mia salvezza da una pena che rischiò di divenire straziante.

M’impedì di chiudere completamente il mio cuore a nuovi slanci, che non avrei cercato nell’immediato, ma sarebbero arrivati, con la banale retorica del tempo che aggiusta tutto.

 

Fermammo la corsa dei nostri purosangue quasi all’estremità della spiaggia, in prossimità della parete rocciosa che delimitava una porzione di costa affacciata a picco sul mare blu cobalto, che riverberava sotto i raggi del sole.

“Che splendida mattina André. Mi sento così bene. Che Leopold riposi in pace, ma potendo scegliere, resterei così per sempre.”

“Sì, hai ragione: è una giornata luminosa e incantevole… ma nulla è per sempre, Danielle, neppure questo luogo. - Rimase assorto a fissare le onde che s’infrangevano contro le scogliere, prima di riportarmi bruscamente alla realtà più immediata che dovevo affrontare. - Non vorrei guastarti il momento idilliaco, ma tuo marito è stato assassinato, Danielle: è una cosa che non puoi trascurare, né dimenticare.”

“Lo so André. E non sto ignorando la cosa. Del resto, non so chi potrei accusare; ho pensato alla sua amante, ma che interesse avrebbe quella donna dalla morte dell’uomo che può garantire un futuro a lei e alla nipote? No, non ha senso. Né voglio credere che tra le persone a me vicine ci sia un omicida… anche se… tutto potrebbe essere. Ho interrogato anche Ninette, ma neppure lei ha notato nulla di particolare quella sera. Non so di chi, o di cosa devo aver paura…”

Fu allora che André disse una frase che mi spiazzò.

“C’è un’altra possibilità che non hai considerato, Danielle: magari la vittima designata non era tuo marito, ma qualcun altro…”

Lo guardai perplessa, un po’ turbata.

“Non capisco: qualcun altro chi?”

Pensai che potesse riferirsi a me, e mi attraversò un’inaspettata quanto rapida sensazione di sgomento. Ma André mi lasciò volutamente nel dubbio.

“Meglio non parlarne ora. Torniamo verso la villa; capirai tutto.”

Aveva ragione. Lì, avrei trovato chi avrebbe dato tutte le risposte agli enigmi più inquietanti e dolorosi della mia esistenza.

 

 

 

******

 

 

 

Quando Ninette trovò Oscar davanti alla porta dell’ingresso, muta per la sorpresa, spalancò gli occhi del tutto impreparata alla visita della gemella della sua padrona. Per un secondo, reagì come l’ultima delle cameriere senza esperienza che lavorassero a palazzo. Una mano alla bocca, balbettò un saluto piuttosto impacciato davanti agli occhi severi ma affascinanti e indecifrabili che la scrutavano, e chinò la testa in segno di rispetto, prima di far accomodare madamigella Oscar come l’ospite di riguardo che era.

“Dite a mia sorella che voglio vederla.”

La voce ferma e decisa di chi era abituata al comando, non lasciava spazio a rifiuti od obiezioni d’alcuna natura. Ninette ebbe qualche istante d’imbarazzo.

“Oh… Perdonatemi madamigella Oscar: madame non è in casa. È fuori a cavallo, ma tornerà a breve.”

“È in compagnia del mio attendente, vero Ninette?”

Era più una constatazione che una domanda, e la cameriera ebbe l’impressione di avvampare.

“Non è un problema, posso aspettarla qui.” Proseguì la donna soldato.

“Ma certo, madamigella Oscar. Può aspettarla nel salotto, c’è già un’altra persona che l’attende.”

“Un’altra persona? Posso sapere di chi si tratta?”

“Messieur Tristan De Laundes è arrivato pochi minuti fa; attende madame, in salotto. Potete unirvi a lui, se volete.”

“Ma certo, sarà interessante.” E le venne naturale piegare impercettibilmente le labbra in un sorriso ironico.

 

 

 

 

********

 

 

 

Tristan non si aspettava di trovarsi faccia a faccia con Oscar François De Jarjayes proprio in casa di Danielle. In seguito alla vedovanza che aveva colpito madame Recamier, si chiedeva quando quel confronto tra sorelle potesse avvenire, ma non immaginava che ne sarebbe stato testimone, né era sicuro fosse giusto esserlo.

Ma dal momento che era lì, proprio in quel delicato frangente, non se ne sarebbe andato se non dietro richiesta esplicita della donna che amava, e che era intenzionato a proteggere e sostenere, convinto che una verità dolorosa stava per colpirla.

Per quanto poteva, voleva essere l’arbitro della situazione.

Quanto sarebbe stata forte Danielle? Avrebbe saputo accettare la verità di un amore esclusivo e inviolabile che lui aveva colto al primo sguardo scambiato con Oscar? Una verità che l’avrebbe allontanata inesorabilmente dal cuore di André Grandier, che mai le aveva permesso di avvicinarsi davvero a quell’uomo, che nell’anima, nel corpo e nei pensieri apparteneva a una donna che non poteva essere lei.

Oscar era lì per riprendersi l’uomo che amava, lo comprese appena la vide. Era sicura, decisa, eppure una strana malinconia le velava lo sguardo, come se sapesse che il suo atto dovuto non sarebbe stato senza dolore. Forse c’era anche un altro motivo, e altre verità sarebbero emerse.

“Madamigella Oscar, è un piacere incontrarvi; - le disse, alzandosi in piedi al suo ingresso nella stanza - devo ammettere che non è del tutto una sorpresa trovarvi qui. Mi aspettavo che prima o poi sareste venuta…”

“Davvero? Era abbastanza intuibile, non trovate?”

“Forse. Spero solo che la mia presenza non sia inopportuna.”

“Affatto, non è un problema per me. Anzi, credo sia un bene. Ma voi, perché siete qui?”

“A voi posso dirlo. Sono qui, perché sono innamorato di vostra sorella e non riesco a stare lontano da lei.”

“Danielle conosce i vostri sentimenti?” chiese Oscar, diretta.

“Sì, le ho aperto il mio cuore.”

“E lei come ha reagito? Vi ricambia, per caso?”

Tristan emise un lieve sospiro.

“Non ancora, e non con le attuali premesse, purtroppo, ma non mi arrendo, Oscar. Ho buone speranze che in futuro ci sarà un posto nel suo cuore per me; tra noi c’è una tale intesa di spirito di cui la contessa non si rende conto. Saprò aspettare che sia libera e pronta ad amarmi, e sono certo che Danielle un giorno mi ricambierà. Non so come spiegarlo, ma è qualcosa di cui sono convinto.”

Tristan non immaginava quanto le sue parole colpissero in quel momento Oscar; era incredibile, ma lei aveva l’impressione che André stesse parlando per bocca di Tristan. Era tutto troppo famigliare; la voce venata di lieve tristezza dell’uomo, perfino i sentimenti dolci e malinconici di Tristan, troppo simili a quelli che doveva aver provato André per lei, la turbarono enormemente. Era come ascoltare parole segrete, speranze che Andrè aveva celato in fondo al cuore, mai esternate, che all’improvviso uscivano dalla bocca di un altro, come se avessero trovato una scappatoia per arrivare a lei. Tristan si accorse del suo turbamento, dello sguardo torbido che si fece improvvisamente mesto.

“Ho detto qualcosa che vi ha offesa, madamigella? Avete un’aria strana…”

“No… no, non ho niente, vi assicuro. Le vostre parole mi hanno soltanto ricordato qualcosa che avevo sottovalutato.” Rispose svelta, ma doveva spostare la conversazione su un altro terreno meno piacevole, ed era dispiaciuta di doverlo fare.

“Siete molto sicuro di voi. Chi sono io per negarvi la speranza? Trarrete vantaggio dal fatto che ora mia sorella è vedova, suppongo; la morte improvvisa di mio cognato è stata provvidenziale, non trovate?”

Oscar aveva alzato lo sguardo, e lo fissava con intensità.

“Non la metterei in questo modo, anche se il conte di Recamier poteva rappresentare un ostacolo. In realtà, madamigella, non era il marito di Danielle il mio vero problema…” risposte Tristan pacato, guardandola di sottecchi, con l’impressione che Oscar volesse provocarlo, e non ne capiva la ragione.

Oscar assottigliò lo sguardo, guardinga e sospettosa.

“Certo! Il vostro problema sono i sentimenti che mia sorella prova per il mio attendente, e non fate finta di non saperlo.”

“Scusate la franchezza, ma non sono io che fingo, né mi nascondo madamigella. – Contrattaccò Tristan, senza timore alcuno. - So quanto voi, che André non sarà mai un mio rivale; il vostro attendente… o forse dovrei dire il vostro amante può solo spezzare il cuore di Danielle, e se voi siete qui, sono certo che accadrà a breve. Non vi giudico, ma non capisco la vostra ostilità nei miei confronti: che cosa mi rimproverate? Con vostra sorella sono sempre stato molto onesto. Non credo possiate dire altrettanto, e neppure André probabilmente.”

Tristan si permetteva di sfidarla a testa alta, e Oscar ebbe qualche momento d’incertezza.

“Debbo riconoscerlo, avete ragione.”

Squadrò l’uomo con interesse e velata ammirazione. Doveva parlare e dire ogni cosa, esternare timori e sospetti, e valutare la situazione.

“Di me e André avete capito tutto, è vero. Ma prima di intuire la verità, cosa avete pensato del fatto che Danielle fosse fuggita con un servo di cui pareva innamorata? Forse eravate geloso di lui, e magari anche di Leopold…”

“Geloso come può esserlo un uomo innamorato, per giunta non ricambiato… Non capisco dove volete arrivare, madamigella. Il vostro discorso mi pare molto astruso…”

Oscar si avvicinò alla finestra che dava sul cortile anteriore della villa. Guardò verso l’esterno perdendosi con lo sguardo lungo le siepi curate del giardino. La luce della tarda mattinata le feriva gli occhi.

“Ci sono cose che non sapete, Tristan, cose che ignora perfino mia sorella, ed è giusto che lei sappia la verità. Oggi sono venuta qui con la speranza di far luce sugli ultimi fatti accaduti in questa casa…”

Tristan non afferrò il senso di quello che Oscar stava dicendo, finché lei non fu drammaticamente chiara.

“Mio cognato non è morto per cause naturali come vi hanno indotto a credere, in realtà è stato avvelenato da una persona che vive o ha libero accesso a questa dimora…”

“Cosa? Ma che dite?”

“È così; ha assunto del veleno che qualcuno ha messo nella sua brocca dell’acqua. Adesso capite perché mi permetto di dubitare della vostra onestà? Siete un potenziale colpevole; dite di essere innamorato di mia sorella, dunque la vostra gelosia potrebbe essere un movente.”

“Non penserete seriamente che io sia responsabile della morte di vostro cognato, vero? È assurdo, e potrei sentirmi offeso da una tale accusa!”

“Non posso escludere nulla e non vi sto accusando messieur; nel campo delle ipotesi, questa è una delle possibili, ma sono qui per valutare anche le altre.”

“Le altre? Volete dire che sospettate di qualcun altro? Parlate, Oscar! Danielle potrebbe essere in pericolo nella sua stessa casa?”

Oscar si allontanò dalla finestra e tornò a fissare lo sguardo sul giovane sempre più costernato e allarmato.

“Questo non lo so, sono venuta qui per scoprirlo. Calmatevi, Tristan; sediamoci e aspettiamo il ritorno di mia sorella: non ritarderà ancora molto, e allora parleremo d’ogni cosa.”

Tristan si rassegnò, pur trovando incredibile il sangue freddo del colonnello Oscar.

 

 

 

********

 

 

 

Lasciati i cavalli alle scuderie, trovammo Ninette ad attenderci in cima alle scale dell’ingresso; mi bastò guardarla per cogliere la sua espressione nervosa. Quando poi rivelò i nomi di coloro che mi aspettavano, scambiai un’occhiata rapida con André e mi colpì il suo atteggiamento calmo e imperturbabile.

Tutto mi sarei aspettata, tranne incontrare la mia gemella in compagnia proprio di Tristan.

Il cuore come un tamburo, entrai nella stanza e mi bloccai sulla porta.

Tristan mi rivolse il suo saluto cortese che ricambiai, mentre io e Oscar, ferme ai lati opposti della stanza, restavamo a fissarci negli occhi. Sentii André muoversi dietro di me, entrare silenzioso nella sala e fermarsi un poco distante alla mia destra, vicino una consolle. Il mio sguardo inquieto cercò la sua figura solo un istante, ma tornai rapidamente a fissare mia sorella.

“Buongiorno Danielle. Ti trovo bene.”

Mi salutò e non incrociò mai il suo sguardo con Andrè, o così mi parve.

“Oscar… sei l’ultima persona che pensavo d’incontrare qui…”

“Davvero? Eppure dovresti conoscermi molto bene; sono l’unica gemella che hai. Al tuo posto, io non sarei così sorpresa…”

Iniziai a pensare che avesse ragione. C’era qualcosa che mi disturbava, un dettaglio sbagliato o fuori posto in quella situazione. André avrebbe dovuto accogliere Oscar con profonda costernazione e palese turbamento, invece reagì come se l’avesse vista solo il giorno prima, come se non si fosse mai allontanato da lei, ed erano mesi che non si vedevano. Così credevo. Non dissimulò in alcun modo alcun sentimento, né emozione e la cosa mi riempì di sgomento e paura.

All’improvviso, tutto fu chiaro, e non tentai di costruire inutili spiegazioni. Il senso di tutto era lì, davanti a me, ed era limpido e semplice; ingannare me stessa con interpretazioni fantasiose e inverosimili era futile e stupido, un’offesa alla mia intelligenza.

“Quando sei arrivata?”

“Sono giunta ad Etretat diverse settimane fa, prima che morisse tuo marito, e per un motivo che puoi bene immaginare…”

Diretta come il solito, Oscar non girava mai attorno alle questioni, ma le affrontava di petto.

“André… sei qui per lui…” Non era una domanda. Oscar annuì semplicemente.

“E conosci anche Tristan…” constatai guardando quest’ultimo, solo perché non osavo incontrare gli occhi di André, eppure li sentivo su di me.

“Il giorno del funerale, abbiamo avuto modo di presentarci.” Ammise Oscar, senza la minima reticenza.

Allora mi rivolsi al mio amico.

“Me lo avete tenuto nascosto…” dissi, senza riuscire a nascondere il tono accusatorio.

“Perdonatemi, contessa. Non volevo crearvi ulteriori turbamenti, in un momento già particolarmente delicato per voi; solo oggi, parlando con vostra sorella, comprendo quanto lo foste…”

Scettica, guardai Oscar alla ricerca di spiegazioni che lei si affrettò a darmi.

“Mentre ti aspettavo, ho spiegato a Tristan com’è morto in realtà tuo marito; confesso che i miei sospetti sono caduti anche su messieur De Laundes, avendo scoperto per sua stessa ammissione che è innamorato di te.”

“Sono sospetti infondati! – Risposi con veemenza. - Tristan non può aver fatto nulla di male; quel giorno eravamo fuori a cavallo, lui mi ha accompagnata, ma non si è fermato alla villa, e non ha avuto contatti con Leopold. Questo posso confermarlo.”

Oscar assunse un’aria circospetta, la sua mente parve inseguire un ricordo lontano, che a me restava ignoto, ma che forse André conosceva.

“Prendo per buona la tua versione… - mi concesse - però, ho fatto delle indagini e ho scoperto cose che devi sapere Danielle.”

 

Oscar mi raccontò tutto, nel dettaglio.

 

Fu clamoroso scoprire come Leopold si era procurato il veleno, e questo implicava che avesse avuto intenzioni delittuose. Verso chi, era impossibile scoprirlo. Quello era un segreto morto con lui, ma l’idea mi procurò un brivido. C’erano solo due persone che Leopold poteva voler colpire; una ero io, e il pensiero che mio marito mi odiasse al punto di volermi morta, mi pareva terribile; l’altra persona poteva solo essere André, e all’improvviso ricordai l’ultimo alterco avuto con lui, proprio quella sera, e le sue parole di spregio verso il mio segretario.

In sostanza, a giudizio di Oscar, le ipotesi sulla morte di mio marito si riducevano a due soltanto.

“Ma allora, questo significa che…” balbettai, scivolando su una delle poltrone, atterrita e sconvolta da quello che iniziavo ad intuire.

“Sì, Danielle. Sono convinta che il veleno era destinato ad André, che Leopold credeva il tuo amante; se escludiamo l’opera intenzionale di qualcuno, eventualità che sembra molto più difficile, c’è la possibilità che il conte lo abbia assunto per errore, resta da capire come… - Oscar fece una pausa ed emise un sospiro, prima di riprendere con tono enfatico, portando una mano chiusa alla fronte. - Io ringrazio il cielo che quella notte Andrè l’abbia passata con me; il pensiero di quello che sarebbe potuto accadere, mi fa star male in un modo che non riesco a dire… Lo capisci Danielle? Ho rischiato di perdere l’uomo che amo… e che mi ama…”

Sentii la pena nella sua voce; era uguale alla mia.

Le parole di Oscar giunsero alle mie orecchie come fossero quelle incomprensibili di un’ estranea, ma il dolore che mi causarono fu lancinante e profondo, quasi insopportabile. Sentii la gola pizzicare.

Volevo piangere, ma forse l’orgoglio, forse Tristan che mi osservava serrando i pugni, m’impedì di farlo; ricordo di aver alzato uno sguardo vacuo su André, e quello che lessi in quegli occhi verdi, pieni d’ansia e sofferenza, fu la conferma esatta d’ogni parola. Il suo dolore era sincero, come furono sincere le sue parole, che non bastarono a consolarmi di un amore che non mi era mai appartenuto, e il mio cuore lo sapeva da tempo.

“Mi dispiace tanto, Danielle. Non ho mai voluto ingannarti, ma se ti ho illusa in qualche modo, ti chiedo di perdonarmi…”

La sua voce mi giunse mesta e la mia rispose rassegnata, svuotata d’ogni energia.

“Dunque, la ami ancora… non hai mai amato altri che lei, vero?”

Mi ero alzata di fronte a lui e lo afferrai ad un braccio, come se volessi scuoterlo. Ma non mi mostrai fragile. In realtà, volevo disperatamente essere forte, quanto bastava per poterlo lasciare andare. Mai avevo affrontato prova più difficile.

“Dio sa se ho tentato, Danielle, ma nel mio cuore non v’è posto per altro; io appartengo ad Oscar, e lei a me. Niente può opporsi a questo e ora lo sappiamo entrambi.”

E gli occhi di André nella stanza cercarono quelli di Oscar, e li trovarono. Mi bastò cogliere quel dialogo muto tra loro per capire quanto fossi estranea, esclusa dal loro legame. Tra me e Andrè non sarebbe mai stato così. Inorridita, mi staccai da lui, mi avvicinai di un passo verso Tristan, che sembrava sul punto di volermi abbracciare; al centro della stanza, mi guardai attorno come fossi circondata su tutti i fronti, e non sapessi dove andare a rifugiarmi. Allora vidi André avvicinarsi ad Oscar, tenderle la mano che lei accolse nella sua con una stretta possessiva.

Non ci fu nulla di più eloquente.

Nulla di plateale.

Rimasi immobile, lì in mezzo alla stanza, ad assorbire la verità che non mi faceva sconti. E accadde un fatto strano; mi scese addosso e nello spirito uno strano senso d’accettazione, che non sembrava appartenermi, ma che in qualche modo mi dava pace.

Tristan si avvicinò, stravolto e preoccupato per la mia reazione, ma io lo fermai con un gesto semplice e fermo della mano. Esteriormente non mostrai alcun’esitazione, ma la mia anima era in bilico tra quiete e tempesta.

“Non preoccupatevi per me, amico mio. Sto bene e sono abbastanza forte da poter accettare la verità. Dopotutto, voi mi avevate già messa in guardia, e io ora non posso fingere di non averlo saputo…”

“Danielle, io… sono qui…” sussurrò soltanto, e avvertii il suo rammarico di non poter fare o dire di più. Lo guardai; la sua vicinanza, la discrezione e l’empatia che mi dimostrava bastò a darmi coraggio. Sarebbe stato poco dignitoso lasciarmi andare alla disperazione, la lasciavo per dopo. L’amarezza era inevitabile e mi scivolava sul cuore e sulle labbra, ma dovevo berla tutta fino all’ultima goccia. Un giorno avrei saputo trasformarla in miele, ma il frutto di quel raccolto era ancora acerbo e non potevo coglierlo.

Mi rivolsi nuovamente ad André, sempre al fianco della donna che amava, non come un’ombra, ma come suo compagno di vita, sicuro e solido. Li vedevo insieme, e lo comprendevo senza possibilità d’errore. Nulla avrei potuto contro un amore così grande; ero partita sconfitta in partenza.

“Ti ringrazio André per l’onestà dei tuoi sentimenti; posso solo dirti che se Leopold fosse riuscito davvero a farti del male, non me lo sarei mai perdonato… anche nei tuoi confronti, Oscar…- dissi rivolgendomi a lei, - credimi, non ti ho mai voluto male, ma tante cose non le avevo capite…”

“Lo so Danielle; anch’io ho dovuto comprendere cosa avevo nel cuore, e tu, in fondo mi hai aiutata, portandomi via chi avevo più caro…” mi rispose, stringendo ancor di più la grande mano di André, che guardò dritto negli occhi.

“Già, che strani percorsi che fa l’amore; ci trascina con sé, ci fa smarrire e ritrovare… - conclusi, con tono quieto e malinconico. - Ora resta da far chiarezza sulla morte di mio marito, e allora tutti i pezzi di questa storia andranno al loro posto… e tutte le persone coinvolte in questo dramma torneranno alle loro vite.”

La Normandia con le sue coste bianche e abbacinanti battute dai venti, era stata teatro di una lotta, luogo in cui erano confluiti i sentimenti di tutti noi; la mia definitiva resa di fronte ad un destino che non era in mio potere cambiare, si compiva così.

 

 

La verità era lì sotto i nostri occhi, ed era più semplice di quanto potessimo credere.

Era banale e tragica.

Ridicola quanto uno scherzo partorito da un destino beffardo.

Non c’era nessun assassino misterioso, né alcun nemico nell’ombra, ma solo un uomo livido di rancore che si riteneva offeso nel suo onore d’aristocratico, caduto vittima del suo stesso gioco perverso.

 

La servitù era già stata interrogata a suo tempo, ma sempre quella mattina, scoprimmo nuovi dettagli parlando con Ninette e un’altra giovane cameriera del mio palazzo, Costance, una fanciulla appena diciannovenne che lavorava per i Recamier da un paio d’anni. La sua famiglia era di Etretat e mi era stata raccomandata come una ragazza educata, ma sveglia e lesta nel suo lavoro.

Quella sera fu Costance a portare la brocca dell’acqua avvelenata nella stanza di mio marito.  Scoprimmo esterrefatti che prima di assolvere la sua incombenza, la ragazza aveva notato il conte allontanarsi svelto dalle cucine; ricordava che sul tavolo era rimasta la brocca di vetro con l’acqua destinata ad André, per la notte, e Oscar concluse che probabilmente il veleno era stato aggiunto proprio lì.

Il conte non aveva calcolato l’imprevisto della sorte, e il successivo scambio fatale.

Qui era entrata in gioco Ninette che aveva quasi dimenticato l’episodio successivo di quella sera. La mia cameriera personale, nel frattempo giunta in cucina dalla porta sul retro, non aveva incontrato Leopold; sollecita, aveva preso proprio quella brocca dimenticata sul tavolo, con senso pratico aveva travasato l’acqua contenuta in una caraffa di prezioso cristallo cesellato, e svelta l’aveva piazzata tra le braccia della giovane cameriera che entrava dall’ingresso affacciato sul corridoio.

“Costance, prima di tutto, porta questa nella camera del signor conte, che vuole già ritirarsi per la notte. Meglio non contrariarlo, e già pare di cattivo umore; fai presto, e poi torna qui che ci sono altre mansioni per te.”

Costance così fece, naturalmente ignara di tutto; non sapeva nulla del veleno e non conosceva i piani di Leopold, ma quando dai nostri ragionamenti comprese cosa era accaduto e come lei ne fu coinvolta, scoppiò in un pianto dirotto irrefrenabile davanti a tutti i presenti.

“Non si disperi, signorina. Nessuno l’accusa di nulla.” La incoraggiò Oscar, ma la ragazza pareva inconsolabile.

Ninette più dura e smaliziata, fu dispiaciuta e costernata per l’accaduto, che l’aveva vista protagonista involontaria. Per quanto turbata, non si lasciò prendere dallo scoramento e circondò le spalle della giovane cercando di calmarla. Io rassicurai Costance che la ritenevo innocente, e che la vicenda poteva definirsi solo un tragico incidente e nessuno della servitù poteva esserne responsabile.

“Misericordia divina! Come potevamo immaginare?” disse Ninette, stringendo Costance in lacrime, tra le sue braccia materne.

 

Non c’era niente altro da scoprire.

Tutto era stato spiegato e io volevo solo chiudere per sempre quella questione spinosa e dolorosa. Imposi a tutti i testimoni il silenzio e il segreto sulla vicenda; soprattutto non volevo che arrivasse parola all’orecchio dei miei figli, neppure in futuro. Mi sembrava legittimo e sacrosanto preservare il ricordo del padre, e volevo impedire che fosse sporcato dalla maniera meschina e indegna in cui si era chiusa la sua vita.

Congedai le cameriere, mentre io mi prostravo stanca sul canapè del salotto. Tristan si era accostato a me come volesse darmi sostegno con la sua sola presenza. Oscar e André erano in piedi, un poco distanti, l’aria apprensiva, in attesa di una qualche mia reazione; forse temevano che i nervi mi cedessero. Nessuno parlò, e nella stanza scese uno strano silenzio, e una quiete quasi irreale.

Mi sentii provata, svuotata da tutte le emozioni vissute, dalle verità rivelate, messe a nudo quasi in modo impietoso. Il cielo intravisto dietro i vetri delle finestre mi sembrava troppo azzurro e limpido, in contrasto col mio umore cupo e triste. Il coraggio veniva meno e io stato cedendo alla forza disperata delle lacrime che premevano dietro i miei occhi celesti per liberarsi. Avevo una disperata voglia di piangere e sfogarmi, ma non volevo farlo davanti a testimoni; anelavo la solitudine, che diventa compagna necessaria e indispensabile in alcuni momenti particolari della nostra vita. Così alzai appena lo sguardo in un punto qualsiasi dell’ambiente, ma senza in realtà guardare nessuno.

“Credo che non ci sia altro da aggiungere a tutto quello che è stato detto oggi. Per favore, ora vorrei restare sola, ho bisogno di riflettere. Andate via, vi prego…”

Oscar si mosse per prima, André forse indugiò un attimo in più.

“Prima di lasciare la Normandia, verremo a salutarti, Danielle. Per favore, ricorda che restiamo sempre sorelle.” Mi disse con tono lieve prima di lasciare la stanza, seguita dal suo attendente, che si voltò un istante a guardarmi.

“Grazie di tutto, e arrivederci, Danielle.”

Io non ebbi la forza di rispondere.

Tristan era ancora seduto di fianco a me e sembrava indeciso, oltre che molto combattuto. La sua mano afferrò una delle mie e la strinse un momento.

“Vi prego, Tristan…” Lo supplicai, con un filo di voce.

Si alzò e fece qualche passo verso la porta, ma non la raggiunse. Si bloccò con i pugni stretti lungo i fianchi; era di spalle e non potevo vedere il suo volto, ma avevo l’impressione che tremasse. Si voltò e tornò indietro; si sedette di nuovo accanto a me. Poi il suo braccio sinistro mi circondò le spalle.

“Tristan… io non…”

Scossi la testa, incrociai i suoi occhi e le parole morirono in gola; aveva uno sguardo carico di dolcezza e comprensione che forse non gli avevo mai visto. Puntò i suoi occhi nei miei, mentre con l’altra mano sollevava il mio viso verso il suo, e per un attimo credetti di annegare dentro un’emozione troppo grande.

“Lasciate che vi abbracci, Danielle, ne avete un disperato bisogno. Non chiedetemi di lasciarvi sola adesso, non potrei farlo.”

Sentii la sua mano posarsi tenera sulla mia nuca e mi guidò contro il suo petto che mi accolse come un rifugio protettivo. E io mi sentii piccola e fragile, e l’argine che aveva trattenuto il pianto, crollò di schianto dentro il cerchio robusto delle braccia che cingevano la mia schiena.

“Oh, Tristan… se soltanto vi avessi ascoltato… avevate capito tutto, e io lo sapevo…”

I singhiozzi diventarono irrefrenabili e non cercai più di trattenerli. Non mi vergognavo di piangere tra le braccia di Tristan, riponevo in lui la massima fiducia. Il mio dolore con lui era al sicuro, come se potesse tenerlo sotto controllo e impedirmi di soccombere.

“Io sono qui per voi… sarò sempre qui per voi, Danielle. Io vi amo per quella forza che avete dimostrato poco fa, mentre affrontavate tutta la verità a testa alta. Siete stata brava e coraggiosa. Piangete e sfogatevi, Danielle. Il dolore passerà… finirà la tempesta che ha messo sottosopra il vostro cuore e tornerà il sole nella vostra vita. Se me lo permetterete, ve ne farò dono io, Danielle. Vivrò per questo.”

“Siete un caro, dolce amico Tristan… Solo un momento… Continuate a stringermi tra le vostre braccia… vi prego…” ma non avrei avuto bisogno di chiederlo.

 

Lentamente il pianto si placò, fino a cessare del tutto.

Stavo bene tra le sue braccia. Le mani di Tristan mi accarezzavano dolcemente la schiena e le spalle, e la sofferenza pareva diradarsi, farsi più fievole, fin quasi a scomparire. Tristan con affetto mi baciò i capelli, ma non scese a cercare le mie labbra e mi sorpresi a pensare che forse non lo avrei respinto, se lo avesse fatto in quel momento. Restai a lungo così, avvolta in quell’abbraccio che dava quiete e calore alla mia anima inquieta e tormentata, un abbraccio che all’improvviso, non so per quale strana magia, sapeva di casa.

 

L’amore di André non era per me.

Quello di Tristan, forse sì. Un giorno, non so quando, magari potrò ricambiarlo.

Si chiudeva così, una parte della mia vita vissuta tra gioia e dramma, di fronte al mare della Normandia.

 

 

 

 

Continua…

 

 

 

Eccomi qui dopo tanto tempo.

Mi scuso per l’enorme ritardo con cui pubblico questo capitolo che doveva venire molto prima, ma la fine dello scorso anno ha coinciso con momenti drammatici della mia vita. È stato davvero un brutto periodo, pieno anche di sofferenza. Non voglio soffermarmi troppo sui dettagli perché non mi sembra la sede, né mi sembra giusto, ma voglia e stimoli per scrivere non ne avevo. Ma ora sono tornata e forse sono un po’ più forte e sono decisa a finire questa storia.

Vi ringrazio per la pazienza e la fiducia che mi avete accordato sempre, per tutto il sostegno che mi avete dato, per gli apprezzamenti che avete avuto per “Spirito inquieto”, per i confronti costruttivi che mi hanno aiutato a risolvere eventuali dubbi che avevo. Manca solo un capitolo oramai, dopo scriverò la parola fine alle avventure di Danielle, Oscar, André e Tristan.

Mi spiace di avere trascurato un po’ il fandom, che ultimamente è davvero ricco di belle storie; se non come scrittrice, tornerò a leggere le vostre ff, ne ho tante lasciate in sospeso che devo riprendere, e che vorrei commentare. Intanto spero che questa prossima conclusione vi piaccia.

Buona lettura e di nuovo mille grazie, ragazze. Siete preziose.

 

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Capitolo 32
*** Nell'attesa di una nuova stagione (Epilogo) ***


32 – Epilogo

32 – Nell’attesa di una nuova stagione ( Epilogo )

 

 

 

 

Oscar e André lasciarono Etretat due giorni più tardi.

Senza clamori e senza far rumore.

Partirono una mattina limpida di quell’estate, stagione impressa in modo indelebile nel mio spirito e nella mente, lasciando dietro di loro un cuore affranto e dolorante, quello di Danielle.

Lasciarono la Normandia forse per tornare alla loro vita consueta, quella che li attendeva a Versailles nei rispettivi ruoli, fatta d’inganni e menzogne; o magari, ne avrebbero cercata una diversa, più autentica, che prevedesse un futuro degno di essere vissuto da persone libere di amarsi senza nascondersi, a costo di ribellarsi alle convenzioni della nostra società malata e destinata a corrompersi.

Io personalmente, avrei preferito la seconda alternativa, e se un po’ ho compreso il temperamento indomito e anticonformista di Oscar François De Jarhayes, credo che un giorno, non so quanto ancora lontano, sceglierà di lottare per vivere pienamente il suo sentimento con André. Sono quasi certo che andrà così, e io veramente, mi auguro che accada. Ho visto coi miei occhi, il coraggio di cui è capace quella donna tenace e caparbia, e non posso fare a meno di provare ammirazione per lei.

Per quanto saranno difficili, Oscar saprà affrontare le sue scelte future, e André la sosterrà sempre; l’amore di quell’uomo è una roccia che ha sfidato le tempeste, senza scalfirsi; fugace testimone, ho sfiorato appena la loro storia, ma ha lasciato su di me una forte impressione. Non so perché in origine, sia stato indotto ad allontanarsi da lei; le ragioni non sono così difficili da immaginare, e la differenza di classe non è un ostacolo da poco. André Grandier ha un cuore grande e nobile nel senso più vero del termine, parola indegna perfino per certi membri della nostra casta, e capisco perché una donna singolare come Oscar abbia legato la sua anima ad un uomo simile.

 

Ma ora non è di questo che mi devo preoccupare.

Io sono in pena per colei che ha avvinto il mio cuore.

 

Per quanto abbia opposto resistenza al dolore della separazione, Danielle non poteva evitare di soffrire, e io di sentirmi impotente; era una prova che toccava a lei superare. L’unica cosa che potevo fare era starle accanto, senza interferire troppo, e darle il tempo di elaborare il trauma dell’abbandono che aveva innegabili sfumature col tradimento; questo André aveva fatto, seppur compiendo una scelta onesta. Sapevo che avrei dovuto stringere tra le mie braccia una donna ferita nei sentimenti, delusa nelle speranze, e il mio timore era di non poter essere il conforto necessario, il lenitivo giusto alla guarigione del suo animo afflitto.

Dio sa quanto volevo e voglio essere motivo d’ogni sua gioia; desideravo ardentemente che trovasse in me la forza necessaria per ricominciare a vivere, a credere nella passione che poteva ancora animare il suo cuore ardente e selvaggio. Voglio essere io ad accendere il suo animo, farlo sbocciare di nuovo, restituirle il gusto deciso della vita vera, la voglia d’amare e lasciarsi andare alla bellezza di un sentimento potente e forte, che ci prende e domina ogni nostra azione, dalla più banale alla più vitale.

 

Ma serve tempo; solo lui può cicatrizzare certe ferite che non si vedono ad occhio nudo.

Il tempo e l’amore, uniti alla costanza e alla pazienza.

 

La mia pazienza è stata la prova certa del mio amore per Danielle; la pazienza mi ha dato la forza di asciugare le sue lacrime, di rispettare i suoi silenzi e le sue solitudini, forzando anche un po’ la mia natura sanguigna che vorrebbe vederla esultare di gioia improvvisa, sentirla ridere con la sua voce sensuale eppure limpida, un suono di cristalli che vibrano nell’aria tersa.

 

Ho fiducia e so che verrà il giorno in cui costanza e pazienza saranno premiate.

Danielle ritroverà sé stessa, lo posso già sentire da tanti piccoli segnali.

 

 

 

È autunno inoltrato, Oscar e André sono partiti da diversi mesi.

Danielle non ha più avuto notizie di loro, né li ha cercati.

La Normandia è battuta da un vento freddo, ma la temperatura della regione è ancora abbastanza mite e solo in tarda serata l’aria si fa più fresca e pungente.

Danielle quando non esce a cavallo, di frequente fa lunghe passeggiate solitarie sulla spiaggia di Etretat proprio sotto il promontorio su cui sorge la villa; cammina a piedi per delle ore e mi chiede spesso di non accompagnarla, e io, anche se un po’ a malincuore e in apprensione, rispetto questa sua necessità d’isolamento. Qualche volta vorrei seguirla, anche di nascosto e a distanza, ma m’impongo di non farlo, per non costringerla a sopportare la mia presenza, e diventare così sgradito. Ci sono giorni che invece, insiste perché io rimanga al suo fianco, quasi non potesse farne a meno, come avesse timore di restare sola con sé stessa. Allora, la guardo e immagino quali pensieri l’attraversano; contemplare l’orizzonte in silenzio è un modo di regalarli al mare che li porta al largo, forse la risacca furiosa delle onde l’aiuta a placare i suoi tormenti, e cancellare i ricordi.

 

 

Una settimana fa ero passato alla villa a farle visita; mi fu detto che la contessa si era allontanata, e non seppero dirmi quando sarebbe tornata. Rassegnato a non incontrarla, tornai indietro e presi la direzione che dal promontorio scendeva verso la spiaggia.

 

Mi sono abituato a queste sue fughe che all’inizio vivevo con ansia infinita; ormai so che può allontanarsi per ore, senza dare notizie di sé. Ninette non si preoccupa nemmeno più; la fidata cameriera mi rassicura che quando torna a casa, sembra più tranquilla di quando è uscita.

 

Quel giorno, senza pensare veramente a quello che facevo, raggiunsi la spiaggia, anch’io forse alla ricerca di me stesso, di un momento per riflettere sui sentimenti da cui ero dominato. Ricordo il vento gonfiare il mio mantello e gli stivali affondavano nella rena. Avevo lasciato Faust poco lontano; camminavo da circa dieci minuti guardando l’orizzonte, quando all’improvviso la vidi in lontananza. Non mi aspettavo di incontrarla e non ero sceso sulla spiaggia con quello scopo. Riconobbi immediatamente la sua figura; era ferma davanti al mare, lo sguardo perso in un punto lontano, i capelli sciolti erano selvagge onde dorate che lottavano contro la luce e l’aria che le sferzava il volto. Era avvolta in un lungo scialle bianco di lana pesante che stringeva attorno alle braccia, unica protezione fra lei e il vento che le stropicciava l’ampia gonna del vestito contro le gambe. Intuivo le forme snelle e mi chiedevo come facesse a restare così immobile contro l’aria che la investiva.

Non sapevo come avrebbe accolto la mia presenza, forse l’avrebbe giudicata un’invadenza alla sua ricerca di solitudine; decisi di raggiungerla e camminai verso di lei. A pochi metri mi fermai e Danielle, dopo qualche secondo, si volse a guardarmi, distogliendo l’attenzione dal mare agitato che infrangeva i suoi flutti davanti a noi.

“Tristan… cosa fate qui?”

Il tono tradiva la vaga sorpresa di trovarmi lì, ma non pareva infastidita. Era piuttosto lieta.

Non risposi alla sua domanda e la scrutai, seguii con attenzione la linea intera della sua figura, e mi accorsi che era a piedi nudi! In quella stagione fredda lei camminava sulla spiaggia di Etretat a piedi nudi! Scattò in me, un moto di costernazione che non seppi trattenere.

“Danielle, ma siete una sconsiderata!! – Esclamai avvicinandomi, la cinsi per un braccio, e nel gesto, si scostò un lembo dello scialle. – Camminare a piedi nudi con questo freddo? Congelerete!”

Lei parve ricordarsene solo in quell’istante. Abbassò lo sguardo a guardarsi i piedi.

“Oh… sì, ecco… vi parrà sciocco, ma… volevo sentire la sabbia sotto i piedi. È una sensazione piacevole, sapete?”

“Cosa?”

La vidi sorridere indecisa, forse lievemente in imbarazzo. Io invece, non capivo cosa le stesse accadendo. Poco lontano da noi c’era una piccola barca capovolta con la chiglia verso l’alto. Doveva essere di un pescatore del posto.

“Venite a sedervi. - La invitai. - Danielle, siete sicura di sentirvi bene?” Le chiesi, inginocchiandomi di fronte a lei con l’intenzione di frizionarle i piedi e scaldarli. E così feci.

Ero davvero in apprensione, ma quando incontrai il suo sguardo azzurro fissarmi con una dolcezza che ritrovavo dopo tanto tempo, rimasi senza parole, confuso e commosso.

“Siete davvero un caro ragazzo…”

Mi fece sorridere perché non ero un ragazzo.

Ero un uomo innamorato, e il mio amore era adulto, fermo nell’attesa di potersi esprimere, e mi sarebbe bastato un suo cenno, e nulla mi avrebbe più fermato. La sua mano bianca sgusciò da sotto lo scialle, e venne a posarsi con una carezza sul mio viso. Era calda e dolce. Io trattenevo una delle sue caviglie e le dita coglievano la delicatezza della pelle, mentre con l’altra mano accarezzavo il dorso del piede.

“Vi ho fatto stare in ansia per tutto questo tempo, vero? Ma non dovete esserlo, io sto bene. Oggi, dopo tanto tempo mi sento serena… i ricordi non fanno più male.”

E mi sorrise nuovamente, un sorriso dolcissimo che non mi regalava da tanto, troppo tempo. Coprii la sua mano sulla mia guancia con la mia.

“Davvero Danielle? Siete così strana…”

Fu allora che mi disse una frase con non scorderò mai.

“Un po’ di tempo fa, un caro amico mi disse che aveva letto l’amore sincero che custodivate nel cuore; lo aveva riconosciuto perché era uguale a quello che provava lui per la sua donna. Voi Tristan, siete l’amico dell’anima che aspettavo da sempre, quello che non ho mai avuto neppure da bambina, e che ho desiderato dal primo istante… quello stesso amico mi disse di non chiudere il mio cuore al vostro affetto, ma di lasciarvi entrare nella mia vita, perché soltanto voi l’avreste riempita… quell’amico sapeva che non potevo sperare di essere amata più di così… mi disse che non conosceva amore che fosse più grande, perché lui stesso lo aveva provato… Io vi voglio bene, Tristan. Davvero, vi voglio bene immensamente.”

“Danielle…- Sussurrai ancora, sopraffatto da un profondo turbamento, prima di appoggiarmi contro il legno della barca, vicino a lei, e accostare la mia fronte alla sua. – Quando avete parlato col vostro amico?”

“Durante il nostro ultimo incontro, sono le cose che mi disse un attimo prima di lasciare Etretat. Sul momento, vinta dal mio dolore, non compresi, ma ora sì… so quello che voleva dire, e so che è vero; gli sarò sempre grata, per avermelo fatto capire.”

 

Non indagai oltre. Non mi serviva sapere altro.

Nel cuore sentivo solo che dovevo essere altrettanto grato a quell’amico.

Quel giorno d’autunno fu l’inizio di qualcosa d’importante.

Il cuore di Danielle lentamente guariva, lasciava andare il dolore, la sofferenza; lo compresi dalle parole che disse, dai gesti che fece, dalla luce che tornò a sprigionare una rapida scintilla nel blu delle sue iridi.

 

Certo, la strada da percorrere è ancora lunga, ma la via è tracciata.

Io voglio accompagnarla su questo percorso, camminando di fianco a lei, e la sorreggerò, quando inciamperà su un ricordo penoso; lo sostituirò con uno nuovo, con una giovane speranza, con un sorriso che le possa mostrare l’amore che nutro per lei.

E se è vero che Danielle ha capito, che ha compreso quello che ho nel cuore, un amore che invade ogni spazio della mia anima, allora un giorno la primavera sboccerà di nuovo anche per noi, e saremo felici, insieme. Non importa quanto dovrò aspettare, né quanto tempo ci vorrà.

Io sento che sarà così.

Me lo dice il mio cuore, me lo dicono gli occhi di Danielle che in alcuni momenti, quando non me lo aspetto, e non so spiegare come, mi guardano come nessuno ha mai fatto prima, come se il suo sguardo riconoscesse chi sono e lei stessa si vedesse attraverso me.

È il mistero che coinvolge le nostre anime e le lega.

Quel mistero che vive dentro l’infinito, che leggo nello sguardo della donna che amo.

Quel mistero che gli uomini da secoli chiamano amore.

 

 

 

§§§§§§§

 

 

 

 

Un freddo pungente costringeva a restare in casa davanti al camino acceso; c’era profumo di neve nell’aria, e il cielo bianco e lattiginoso prometteva di ricoprire tutto il paesaggio da un momento all’altro. Natale era vicino, mancava meno di una settimana.

Come il solito, Versailles era in fermento per la festa imminente, e la regina Maria Antonietta dava le ultime disposizioni circa il ricevimento sontuoso previsto per l’occasione, ignorando bellamente quanto le spese ingenti dell’organizzazione andassero ad incidere sulle finanze della Corona, già messe a dura prova dagli sperperi continui a favore dei vari cortigiani del suo entourage, e nessuno dei suoi fedelissimi, vuoi per interesse o beata stolta indifferenza, si azzardava a farle notare la questione.

La corte francese proseguiva a vivere circondata e immersa nella sua opulenza, ignorando la realtà al di fuori della gabbia dorata che era il palazzo reale coi sui confini, pericolosamente all’oscuro degli umori sinistri del popolo di Parigi, sempre più sofferente, frustrato, avvelenato d’odio e malcontento.

 

Oscar era in piedi alla finestra della sua stanza; lasciava smarrire lo sguardo lungo le aiuole curate del giardino spoglio di fiori, mentre sistemava la giacca dell’uniforme, allacciando gli ultimi bottoni del colletto. Lo fece senza fretta, quasi volesse ritardare il momento in cui avrebbe messo piede fuori dalla sua camera. In effetti, aveva meno voglia di altre volte di recarsi alla reggia, anzi, quell’ambiente le diventava sempre più estraneo e insofferente col passare dei giorni. Da quando era tornata da Etretat, a parte la gioia di riavere André accanto anche la notte, quella vita fasulla spesa a beneficio d’onori vuoti, le era diventata insopportabile. Conosceva la dolorosa realtà di Parigi, aveva visto le ingiustizie coi propri occhi, e si sentiva una complice di quella colpevole apatia, che partiva dall’amata regina e arrivava all’ultimo dei signorotti di palazzo, e non voleva più esserlo.

Sistemò la fascia di seta alla vita, prese la spada riposta nel fodero, e con gesti misurati e precisi, la legò al fianco. Andrè era nel cortile che l’aspettava, già pronto per partire, all’apparenza più paziente di lei, ma esattamente come lei, non rassegnato a quella loro vita clandestina.

 

L’amore esigeva di più.

Loro esigevano di più.

 

Oscar stava ancora pensando alla lettera ricevuta quella mattina. Arrivava da Sud della Francia; da lì le aveva scritto Danielle, che vi soggiornava già da quasi due mesi, e lì avrebbe trascorso le festività natalizie.

Scusami con nostra madre, e portale i miei saluti e quelli dei suoi nipoti che la ricordano con affetto, le chiedeva.

Era il primo contatto tra loro, dopo l’incontro drammatico di mesi prima ad Etretat.

Lettera quanto mai inaspettata, anche il contenuto era stato per Oscar motivo di turbamento. Il tono della missiva era quieto, sereno, e la sorella non faceva alcun cenno al recente passato o a ciò che per qualche tempo le aveva divise. Anzi, Danielle dal passato, o buona parte di esso, prendeva le distanze in modo davvero inconsueto, quasi al punto di ripudiarlo.

 

(…) Non tornerò più a Versailles, né a quella vita. Lo dico con una tale convinzione, che forse ti stupirà, ma io non metterò più piede a corte, e non per le ragioni che potresti pensare; ho scoperto che non ne ho bisogno, e che posso essere molto felice conducendo una vita più semplice. Sono arrivata a questa consapevolezza con il tempo, attraverso molteplici esperienze, grazie anche ad una persona che mi ha aperto gli occhi (…)

 

Tristan De Laundes, lo ricordava molto bene; un caro amico per Danielle, e forse qualcosa di più, ma questo la sorella non lo diceva chiaramente, come se volesse mantenere il riserbo. Tristan l’aveva accompagnata laggiù, senza imporsi, ma lasciando a lei ogni definitiva decisione per non crearle imbarazzo.

 

(…) La sua presenza nella mia vita è diventata quasi indispensabile. Con lui sono naturalmente me stessa, libera di esprimermi e confrontarmi su un piano paritario, come non mi era mai successo con nessun uomo – a parte, forse André - e questa è una cosa che mi fa sentire meravigliosamente bene. Lentamente, mi sono accorta di nutrire un grande affetto per lui… un affetto che tende ad avere altre sfumature che sto ancora cercando di comprendere… (…)

 

Oscar lesse tra le righe quello che Danielle ancora non ammetteva. Lei c’era già passata, ma era un evento nuovo per la gemella. Danielle aveva fatto una scelta, e sembrava quella giusta. Oscar se ne rallegrava, mentre avvertiva che anche la sua vita la chiamava a prendere una decisione che coinvolgeva la persona più importante che aveva accanto.

Voleva vivere l’amore alla luce del sole, voleva amare Andrè liberamente. Voleva cambiare la sua vita e i tempi sembravano maturi. Aveva espresso il suo desiderio anche a lui, e André si era mostrato comprensivo, come sempre, manifestando la medesima volontà.

“Io voglio questo quanto te; credi che non ci abbia pensato? Troveremo un modo, Oscar. Forse ci vorrà tempo e pazienza, magari non sarà semplice, ma insieme ci riusciremo. Dobbiamo credere nel futuro… nel nostro futuro insieme… io voglio crederci, Oscar. E tu?”

Anche lei voleva crederci.

E voleva credere nelle parole sorprendenti che chiudevano la lettera di Danielle.

Le aveva attese come una speranza, senza sapere se sarebbero mai arrivate; la prova che la ferita di Danielle si era chiusa senza inaridire il suo cuore, anche per merito di Tristan, e che non conservava rancore. Danielle aveva perdonato, se qualcosa c’era da perdonare. Erano ancora sorelle, un legame di sangue e spirito che non poteva essere estinto.

 

 

(…) Hai ripreso il tuo posto a Versailles, vero? Il dovere governa tutta la tua vita, è sempre venuto prima d’ogni altra cosa, forse prima della stessa felicità.

E l’uomo che ami è sempre al tuo fianco, discreto, ma costante… e innamorato, dunque capace di sostenere il peso di ogni difficoltà, per incoraggiarti ad affrontarla.

Sai, è tutto così limpido, adesso. Sei la mia gemella, la sola che ho, un fatto che rende il nostro legame qualcosa d’esclusivo. Non abbiamo nulla di simile con le nostre sorelle maggiori. Per questo so come possa essere difficile per te, conciliare il dovere con ciò che il tuo cuore anela davvero. Mi è costato fatica, ma ho capito che si è in sintonia con un’altra persona, quando si hanno in comune gli stessi pensieri, quando s’intuisce il sentire dell’altro.

In fondo, l’amore è un po’ anche questo, non credi?

Con Tristan mi succede qualcosa di simile, e con te… beh, se ti conosco, e lo posso dire perché ti somiglio molto, credo che la tua vita ti vada stretta e cercherai orizzonti più vasti e lontani, che possano contenere quello che provi per André.

La falsità della nostra società avviata al disastro non può bastarti, e non la vuoi accettare.

Non la puoi vivere.

Ho indovinato, vero?

Oscar, ti voglio bene e ti sono vicina, adesso più di prima.

Sarò pronta in ogni momento a sostenere le scelte future che farai.  

Non mi aspetto nulla di meno dal tuo coraggio.

Sappi che se busserai alla mia porta, la troverai aperta.

 

Con affetto sincero,

Danielle

 

 

Oscar aveva riposto la lettera in un cassetto, e lo aveva chiuso a chiave, come se dovesse custodire e proteggere un pezzo del suo cuore. Troppe verità erano contenute in quei pochi tratti d’inchiostro che riguardavano la sua vita e quella di André. Nessun altro per ora doveva leggerla, né sua madre, meno che mai suo padre, l’ultima delle persone che poteva capire. L’ambizione del generale le aveva dato quella vita, e lei ora non la voleva più. Si sorprendeva a pensare che non le era mai appartenuta, ma lo aveva compreso solo di recente.

Si apprestò a raggiungere André che l’attendeva con i cavalli già pronti, per andare a Versailles. Mentre scendeva le scale del suo palazzo, pensò che poteva essere una delle ultime volte che lo faceva per recarsi alla reggia. Sembrava l’ultima volta di tutto.

Senza rammarico, immaginava finire i suoi giorni da colonnello, con la divisa scarlatta simbolo di ciò che fu, dimenticata per sempre in un armadio polveroso di quel palazzo. Il pensiero aveva qualcosa di malinconico e struggente, ma era dolce allo stesso tempo.

Attraversò il vasto spazio antistante l’ingresso, raggiunse l’esterno, dove trovò André già in sella al suo cavallo che salutava con un gesto della mano la vecchia governante, affacciata ad una delle finestre laterali.

“Come sta Danielle?” le chiese, appena lei fu in sella a Caesar.

“Sta benissimo, ma per un po’ credo che non la vedremo. Tristan è con lei…”

“Ne ero certo…” rispose André, con tranquillità. I cavalli si mossero al trotto lungo il viale del giardino.

“Credo che Danielle, possa esserne innamorata…” commentò vaga, fissando un punto lontano oltre le siepi che profilavano le aiuole. Danielle non ammetteva nulla di simile, ma nascosto tra le righe c’era qualcosa che faceva ben sperare, un’idea latente, un seme che forse attendeva la stagione giusta per fiorire e diventare robusto.

“Ne dubiti?” domandò André con un sorriso convincente. Lei lo guardò.

“Tu ne sembri certo…” constatò, pensando che poteva rispondere all’invito di quella lettera.

“Credo solo che possa accadere qualcosa tra loro… se non è già accaduta… magari, Danielle non lo sa ancora. È una possibilità concreta, non credi, Oscar? Da molto tempo, sono convinto che Tristan possa essere l’uomo giusto per tua sorella.”

“Lo dirà il tempo…” concesse Oscar, che era arrivata al cancello della villa. Colpì con decisione i fianchi del cavallo e partì al galoppo. André si lanciò subito dietro a lei, forse anche lui, per l’ultima volta nelle vesti d’attendente.

 

 

Ci sono vite scritte nel destino, altre che scriviamo noi, magari sbagliando, o forse accompagnando la sorte. Amori che possono riconoscersi tardi, eppure viaggiano a lungo insieme nella stessa direzione prima di allacciare gli sguardi. Ci sono cuori e anime che devono passare attraverso l’inferno per arrivare alla felicità del paradiso, strade tortuose che non sempre si comprendono, che sembrano impraticabili, ma da qualche parte portano, e la meta attende solo di essere raggiunta. Per quanto si faccia, non la si può evitare, perché è sempre stata lì per noi. Non importa quando si arriva, quanto si allunga o accorcia la strada, l’importante è arrivare. La felicità forse apparirà più grande rapportata alla sofferenza scontata lungo il percorso. C’è un tempo per ogni cosa, e tutto nell'universo ha i suoi tempi. Anche l’amore.

Inutile forzarlo; lui, più d’ogni altra cosa o vita, si prende i suoi ed è fedele solo alle sue leggi.

Tu uomo, impara a rispettarle.

 

 

 

Fine

 

 

 

Eccola qui, la tanto agognata fine, almeno per me.

Non sarà quella che vi aspettavate, ma in qualche maniera è quella che avevo concepito io; aveva una forma nebulosa e un po’ vaga all’inizio, ma è diventata sempre più concreta verso gli ultimi capitoli, e si è tradotta in parole e pensieri abbastanza in fretta. Danielle ora è vista attraverso lo sguardo altrui, un po’ a distanza, ma lasciando suggerire il suo sentire e il suo vissuto, e il futuro possibile.

Non so come la vedete voi, ma per me c’è tutto. Era qui che volevo arrivare. Attendo come sempre le vostre opinioni uguali o contrarie, mi direte se vi è piaciuta o meno. È stato bello questo viaggio, stimolante e anche faticoso. C’è sempre un po’ di tristezza e anche un po’ di gioia, ma va bene così, e io odio allungare inutilmente il brodo. Spero di avervi dato qualcosa. Io vi ringrazio per tutto il sostegno, l’incoraggiamento e la pazienza che avete avuto con i miei tempi biblici; potevate abbandonarmi, ma siete coraggiose e non l’avete fatto. Non tornerò a scrivere tanto presto, almeno non in questo fandom, ma come lettrice sarò presente.

Un saluto a tutte.

Ninfea blu

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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