Ceneri dal passato

di _AleAle_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il trasferimento ***
Capitolo 2: *** Incontri e scontri ***
Capitolo 3: *** Sull’Espresso per Hogwarts ***
Capitolo 4: *** Benvenuti e bentornati ***
Capitolo 5: *** Primo giorno ***
Capitolo 6: *** Serpenti&Grifoni ***
Capitolo 7: *** Hogsmeade ***
Capitolo 8: *** Segreti rivelati ***
Capitolo 9: *** Halloween ***
Capitolo 10: *** Il Cercatore infortunato ***
Capitolo 11: *** La storia di Sophie ***
Capitolo 12: *** Beccati! ***
Capitolo 13: *** Legami di sangue ***
Capitolo 14: *** Un Natale malandrino ***
Capitolo 15: *** Quella grossa bugia ***
Capitolo 16: *** Lettere e segreti ***
Capitolo 17: *** Il momento di Ginny ***
Capitolo 18: *** Una meravigliosa punizione ***
Capitolo 19: *** Il rapimento ***
Capitolo 20: *** La cripta ***
Capitolo 21: *** Malinconia ***
Capitolo 22: *** Ora o mai più ***
Capitolo 23: *** Il piano ***
Capitolo 24: *** Un corpo, due anime ***
Capitolo 25: *** Le verità celate ***
Capitolo 26: *** Primavera ***
Capitolo 27: *** Due cuori e un campo da Quidditch ***
Capitolo 28: *** Temporanee incomprensioni ***
Capitolo 29: *** Un bacio rubato ***
Capitolo 30: *** Il terzo cuore puro ***
Capitolo 31: *** La fine dei giochi ***
Capitolo 32: *** Nella foresta ***
Capitolo 33: *** L'amore di un fratello ***
Capitolo 34: *** Confessioni ***
Capitolo 35: *** L'udienza ***



Capitolo 1
*** Il trasferimento ***


Questi personaggi appartengono a JK Rowling, la storia non è scritta a scopo di lucro.

 

Salve a tuttiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii :D

Eccomi tornata a rompervi le scatole, come promesso! :P

Allora, in questo primo capitolo non avremo Harry&Co, perchè voglio introdurre quattro nuovi personaggi fondamentali, ma dal chap 2 i nostri amici torneranno in tutto il loro splendore.

La storia, come penso avrete capito, questa volta ha come protagonisti non i Malandrini ma i loro figli, Harry frequenta il settimo anno con Ron e Hermione, Camille, Samuel e Ted il sesto e Noah il quarto.

Se mi lasciate qualche recensione mi fate immensamente felice, anche magari per dirmi che faccio schifo!

Baciniiiiiii

Ale

 

NOTE:

- PERDONATEMI! Siccome sono un'idiota stratosferica, mi sono accorta di aver fatto un disastro totale con le date in Vida Vida, quindi per cercare di sistemare un pochino le cose vi metto le date di nascita dei nuovi personaggi, voi fate riferimento a queste, non alle altre che ho scritto prima. Scusatemi ancora.
Harry: 31 luglio 1980
Camille: 29 dicembre 1981
Samuel: 30 marzo 1981
Noah: 15 maggio 1983
Ted: 26 febbraio 1982
Juliet (che comparirà dal prossimo capitolo): 16 novembre 1989
Personaggi che vedrete da questo chap:
Dione/Deimos: 25 gennaio 1981
Mizar: 20 novembre 1980
Mira: 12 marzo 1982

- Siccome ho visto che Hermione, nonostante abbia un anno in più di Harry e Ron, è del loro stesso anno, ho deciso di anticipare l'entrata ad Hogwarts di Ted, in modo che sia al sesto come Camille e Samuel.

- Vi lascio le foto dei quattro personaggi che incontrerete, ditemi se vi piacciono! :) Nel prossimo metterò quelle degli altri personaggi!
Dione:
http://i52.tinypic.com/316tbfl.jpg
Deimos: http://i56.tinypic.com/oiwqkx.jpg
Mizar: http://i56.tinypic.com/13zzbdx.jpg
Mira: http://i52.tinypic.com/o0neir.jpg

 

CENERI DAL PASSATO

 

1. Il trasferimento

Era di nuovo in quel luogo sconosciuto

Ombre.

Era questo ciò che percepiva maggiormente.

Ombre e nebbia.

Nebbia che gli circondava i piedi nudi.

Sapeva dove di trovava, era stato tante volte in quella specie di limbo.

Si alzò, aspettando lei, che infatti apparve poco dopo.

Era di fronte a lui.

Vicina.

Non era mai stata così vicina in tutti quegli anni.

Mizar correva, non voleva che svanisse come sempre.

Lei era di spalle.

Era sempre stata di spalle, e lui era stanco, voleva vedere chi fosse.

I capelli biondi le cadevano scompigliati sulla schiena.

I vestiti sembravano mossi una brezza leggera, ma non c’era vento in quel posto.

“Chi sei?” urlò il ragazzo, senza però ottenere risposta.

Lei cominciò ad allontanarsi, a svanire davanti ai suoi occhi.

“Aspetta!” gridò lui “Non andartene!”

Ma era tardi.

Non c’era già più.

E lui sapeva cosa stava per succede.

Nonostante l’avesse sentita migliaia di volte, la voce che spezzò il silenzio poco dopo gli fece venire i brividi.

“Trovala” ordinò perentoria.

 

Mizar si svegliò si soprassalto, chiudendo immediatamente gli occhi alla vista della luce del giorno.

“Mi perdoni, signorino” bisbigliò l’elfo domestico che si stava affaccendando intorno a lui, correndo a chiudere le tende e riportando la stanza al buio.

Il ragazzo non rispose, così la creatura fece un inchino esagerato, per poi lasciare la stanza.

Toccò le lenzuola, trovandole madide di sudore, doveva essersi agitato più del solito quella notte.

Sbuffò, frustrato dall’incubo.

Non era riuscito a capire capire chi fosse lei nemmeno quella volta.

Si ributtò sotto le coperte, tentando di tornare a dormire, ma fu ovviamente tutto inutile.

Decise di alzarsi, spalancò le tende che l’elfo aveva diligentemente chiuso e guardò fuori, perdendosi nella vastità del mare.

Era cresciuto sul castello sul Mare del Nord, aveva visitato raramente le grandi città e quelle poche volte gli erano decisamente bastate.

Lui era per la tranquillità, non per la frenesia.

Vide una figura muoversi poco più in là e sorrise involontariamente.

Dione era affacciata sulla terrazza.

Come al solito, del resto.

Uscì dalla sua stanza, diretto verso la cugina, probabilmente l’unica a cui tenesse davvero dell’intera casata dei Lestrange.

I suoi zii, Rodolphus e Bellatrix, lo avevano sempre trattato freddamente, per un motivo che poi non conosceva neache lui.

Suo cugino Deimos, pur avendolo sempre coperto, non aveva mai capito come il cugino potesse essere così appassionato dal mondo Babbano, cosa che aveva sempre tenuto nascosta a tutti, specie a suo padre.

E poi c’era lui, Rabastan, che non gli aveva mai fatto mancare nulla, ma che non sarebbe potuto essere un genitore più distante.

Si ricordava di avergli chiesto, da bambino, come mai non gli volesse bene.

Lui gli aveva risposto di volergliene, solo che gli ricordava troppo sua madre.

Quando gli aveva domandato dove fosse la sua mamma, il padre gli aveva detto solo: “Sei un bravo bambino”, scompigliandogli i capelli e tornando al libro che stava leggendo, senza aggiungere altro e lasciandolo ancora più confuso.

Era quindi naturale che Mizar si fosse legato così tanto all’unica persona rimasta al castello.

Dione era l’ingenuità fatta strega.

Se lui e Deimos erano perfettamente consci del fatto che i loro genitori non fossero stati esattamente brave persone prima della loro nascita, lei non voleva crederci o forse, più semplicemente, nascondeva quella consapevolezza dietro il fatto che i suoi erano stati un padre e una madre modello.

La trovò, come sempre, immersa in chissà quali pensieri.

Era così diversa da sua madre, che era sempre cupa e abituata ad abiti austeri.

La ragazza riusciva a riscaldare la fredda atmosfera del castello, con la sua allegria e quegli abitini colorati che tanto irritavano la signora Lestrange.

Non sembrava neanche sua figlia.

“Buongiorno pigrone” esclamò Dione senza allontanarsi dalla ringhiera del balcone, che affacciava direttamente sul mare.

“buongiorno Di” borbottò Mizar con la voce impastata dal sonno.

Nonostante fosse mezzogiorno passato, il ragazzo avrebbe continuato volentieri a dormire, cosa che probabilmente stava facendo ancora Deimos, il gemello di Dione.

Lei invece, era sveglia da chissà quanto tempo e, come ogni giorno d’estate, rimaneva mattinate intere sul balcone affacciato sul mare, con il vento che risaliva per la scogliera che le faceva svolazzare il vestito.

“Cosa ti ha buttato dal letto così presto rispetto al solito cuginetto?”

“L’incubo…” rispose sommessamente lui.

Da che ne aveva memoria, lo aveva sempre fatto e quindi ne aveva parlato spesso con lei, cercando di capirne il significato.

Quando lo aveva raccontato al padre, lo aveva liquidato dicendo che era solo uno stupido sogno.

“Sono arrivate le lettere?” chiese il ragazzo mentre beveva la sua tazza di caffè bollente.

Lei scosse la testa.

“Durmstrang è in ritardo quest’anno…”

“Forse no” disse facendo cenno con la testa a qualcosa dietro Dione.

Lei si voltò e vide che, effettivamente, un gufo si stava avvicinando.

Quando l’animale atterrò sul tavolo, lei lo liberò del peso delle buste.

“Sono di Hogwarts” disse confusa “perché sono indirizzate a noi?”

Lui, ancora con una fetta di pane tostato in bocca,gliele prese dalle mani.

Guardò le lettere e vide che in effetti erano indirizzate a Dione Lestrange, Deimos Lestrange e Mizar Lestrange.

“Chhh…mphhhh” borbottò a bocca piena.

“Scusami?” chiese lei guardandolo sorridendo.

“Ci hanno trasferiti…” constatò lui.

“Questo l’ho capito, ma perché?” domandò lei prendendo la sua busta e fissandola intensamente.

Mizar non rispose, semplicemente si alzò e si diresse al piano di sotto, dove sapeva che stavano i loro genitori.

Dione lo seguì.

 

Scendendo l’imponente scalinata di marmo, il ragazzo si pentì di non essersi vestito.

Non solo sarebbe stato di certo rimproverato, ma sentiva un freddo incredibile nei piedi nudi.

“Potevi anche metterti qualcosa addosso, Mizar” disse Rabastan.

Appunto.

Lui non rispose, ma appoggiò le tre lettere sulle gambe del padre.

Bellatrix, seduta di fronte a lui, sorrise.

“Era ora che arrivassero” esclamò “un tempo Hogwarts era più veloce”.

“Che significa?” domandò il ragazzo.

“Che vi abbiamo trasferiti, mi sembra ovvio” rispose freddamente Rodolphus, senza alzare gli occhi dalla Gazzetta del Profeta.

“E perché non ci avete chiesto nulla?” chiese Dione.

“Vi avremmo trasferiti in ogni caso, era inutile dirvelo” spiegò Bellatrix.

Rimasero tutti in silenzio.

Mizar non era particolarmente contrariato, dopotutto non aveva mai avuto legami stretti a Durmstrang.

Dione, al contrario, aveva una marea di amiche, che probabilmente non avrebbe più rivisto.

“Ero stanca di avervi così lontani” aggiunse la madre, in un tono che sembrò decisamente troppo apprensivo per una come lei.

La figlia non rispose, girò sui tacchi e corse su per le scale, nella migliore imitazione di ribellione adolescenziale non aveva mai avuto.

“Vai a svegliare Deimos, Mizar” disse Rodolphus “quel ragazzo dorme decisamente troppo. Poi dobbiamo dirlo anche a lui”.

“Se vuoi posso parlargli io” si offrì il ragazzo, che aveva imparato a essere accondiscente con lo zio.

“Glielo diremo noi, tu vai” replicò l’uomo, chiudendo definitivamente la questione.

 ***

E di nuovo, le ombre l’avevano circondata facendola sprofondare in quel luogo senza spazio e senza tempo.

Mira lo sentì, era dietro di lei, come sempre.

Voleva vedere chi fosse che la inseguiva ogni notte, ma non riusciva a voltarsi, per quanto ci provasse.

Era come se qualcuno le tenesse ferma la testa.

“Chi sei?” gridò la voce sconosciuta.

Lei lo sentì, ma non riuscì a girarsi.

Iniziò a sentirsi strana, e capì cosa stava per succedere.

Si guardò le mani, trovandole quasi trasparenti, e la paura si impadronì di lei.

“Aspetta!” urlò lui “Non andartene!”.

Ma era tardi.

Per quanto volesse scoprire chi fosse e cosa volesse da lei, se ne stava andando.

Ma prima che entrasse nel momento tra il sonno e la veglia, una voce risuonò nella sua testa.

“Trovalo” disse soltanto.

 

Quando Mira si svegliò, sperò ardentemente di essere nella sua camera, ma ovviamente di sbagliava.

Intorno a lei, c’erano quattro letti vuoti, che si sarebbero riempiti solo parecchio tempo dopo.

Sospirando, la ragazza si alzò, infilandosi la divisa di seta grigiablu, poiché su quello la preside era stata perentoria.

Anche se i corsi non erano iniziati, esigeva che lei mostrasse rispetto alla scuola e la indossasse.

Scendendo verso la Sala da Pranzo, si ritrovò per la prima volta in vita sua a sperare che la scuola iniziasse il più presto possibile, perché non si era mai sentita così sola, i corridoi di Beauxbatons immersi nel silenzio e la sala completamente vuota le infondevano un’immensa malinconia.

Ma in fondo, era grata a Madame Maxime per averle concesso di passare quelle ultime settimaned’estate a scuola.

Quando sua madre, Sophie Dumas, era morta poche settimane prima, oltre al dolore per aver perso l’ultimo membro della sua famiglia, si era aggiunto un altro enorme problema.

Dove sarebbe andata?

Nessuno avrebbe mai permesso ad una quindicenne di vivere da sola, quindi davanti a se aveva visto come unica alternativa l’essere mandata in un orfanotrofio Babbano.

A  quel punto, la sua preside le aveva proposto di terminare le vacanze al Palazzo di Beauxbatons e lei aveva accettato al volo.

Mentre mangiava, un’elfa corse verso di lei.

“Buongiorno Pixie” la salutò.

“Ben alzata signorina Dumas, la preside la vuole vedere nel suo ufficio” esclamò quella, dopo essersi inchinata.

Mira annuì, poi si alzò.

 

“Buongiorno” disse la donna quando entrò nel suo studio.

“Buongiorno signora preside” rispose lei, con un leggero inchino.

L’imponente Madame Maxime avrebbe messo in soggezione chiunque, ma lei sapeva che aveva un cuore d’oro, glielo aveva dimostrato.

“Siediti cara, dobbiamo parlare” la invitò, indicandole una sedia di fronte alla sua scrivania.

“Questo è ciò che ti ha lasciato tua madre” disse, indicando una sacca, una scatolina e una lettera.

Mira allungò la mano e, vedendo la sottile e precisa grafia di sua madre, le vennero le lacrime agli occhi.

Le aveva lasciato una piccola quantità d’oro, probabilmente i risparmi di una vita, e una piccola boccetta che sembrava contenere ceneri, che per quanto ricordava sua madre aveva sempre tenuto al collo, senza separarsene mai.

“Mira, non voglio girarci intorno” sospirò la donna interropendo i suoi pensieri “tua madre mi ha lasciato un biglietto, e il compito di confessarti una cosa”.

La ragazza si mise in ascolto.

“Non sei rimasta sola. Tuo padre non è morto e hai anche un fratello”

Mira sbarrò gli occhi.

“Come scusi?” borbottò.

“E’ tutto scritto nella lettera che ti ha lasciato tua madre, probabilmente” continuò “io non mi sono permessa di leggerla, ma nel biglietto Sophie mi ha raccontato la tua e la sua storia. Tuo padre si chiama Rabastan Lestrange, tuo fratello Mizar. Vivono in Inghilterra”.

Dire che era sconvolta, era poco.

Madame Maxime le aveva detto tutto in un attimo, senza fermarsi mai.

Sembrava non essersi accorta che in quegli ultimi dieci secondi le aveva annunciato di essere vissuta quindici anni nella menzogna.

“Potresti andare a conoscerli” le propose la preside “ho scritto ad Albus Silente, un mio caro amico nonché direttore della scuola di magia di Hogwarts, in Scozia, e gli ho chiesto informazioni su di loro”.

“Non tornerei mai in tempo per l’inizio delle lezioni” la interruppe Mira, senza curarsi di essere sgarbata e dimenticandosi di dovere molto a quella donna.

“Potresti andare a studiare là, se non sbaglio tua madre ti ha fatto imparare l’inglese” le ricordò la preside.

Lei annuì.

Sophie aveva preteso che lei imparasse quella lingua, sostenendo che un giorno le sarebbe tornata utile.

Ora ne capiva il perché.

“Non so se riuscirei a trovarli…”

“Mizar quest’anno studierà ad Hogwarts. Potresti conoscerlo e, al momento giusto , rivelargli chi sei”.

Mira non rispose, ora che iniziava a rendersi conto di tutto le sembrava impossibile che fosse vero.

“Partirai il primo settembre, lo faremo passare per un viaggio culturale e Silente ci darà una mano” esclamò la preside “allora, che ne dici?”.

La ragazza ci pensò un attimo.

Aveva un padre.

Aveva un fratello.

Sua madre le aveva sempre mentito su tutto.

Accettò.

“Grazie…” sussurrò con voce rotta.

 

All’ora di pranzo, Mira non presentò in Sala, troppo impegnata a leggere la lettera di sua madre.

In quelle pagine le aveva raccontato tutto ciò che le aveva nascosto negli anni.

Si infilò la catenina con l’ampolla al collo e, come le aveva chiesto lei, non se ne sarebbe più separata.

Le lacrime avevano iniziato a scendere senza che se ne rendesse conto, leggendo le sue ultime parole.

 

Perdonami, se puoi, bambina mia.

Perdonami per non averti raccontato la tua vera storia, per averti privato della tua vera famiglia, ma volevo solo proteggerti.

Ti ho sempre amato, ho sempre amato te e tuo fratello.

Se un giorno riuscirai ad incontrarlo, digli che è sempre stato nei miei pensieri.

Ti amerò sempre,

Mamma

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Capitolo 2
*** Incontri e scontri ***


 

Ed eccomi qua con il secondo capitolo!

Vorrei ringraziare prima di tutto Sara_Marauders per aver recensito! :)

Voglio poi ringraziare:

-gracy494, helly96 e vane_black per aver inserito la storia tra le preferite!

-sesi93 tra le ricordate!

-BlackFra92, Sara_Marauders (di nuovo :p ), Sere Potter Black e VSRB per averla messa tra le seguite!

Ma anche, ovviamente, chi ha letto l'FF e basta! :)

GRAZIE A TUTTI! :D

Da qui in poi, tornano i nostri adorati personaggi, fatemi sapere se vi piace! Buona lettura!

Bacioni,

Ale

 

Ps. Vi lascio le foto di questi personaggi, mi farebbe tanto piacere sapete che ne pensate, magari anche di quelle messe nel capitolo precedente. Grazie :)

Camille: http://i51.tinypic.com/kdo6k4.jpg

Samuel (Lasciate perdere la mano fasciata e lo zigomo ferito, mi piaceva troppo questa foto per non metterla): http://i56.tinypic.com/290sq4l.jpg

Noah: http://i54.tinypic.com/j9117l.jpg

Ted (immaginatelo con i capelli azzurri): http://i52.tinypic.com/6gjsz9.jpg

Juliet (lei invece con i capelli verdi): http://i55.tinypic.com/2r5sw0w.jpg

 

 

2. Incontri e scontri

La finestra della stanza rimaneva sempre aperta, per cercare di far entrare la brezza inesistente nella calda aria estiva.

Le pareti erano ricoperte, tanto che ormai non si capiva più il coloro originario, da poster babbani, che si riconoscevano dall’immobilità assoluta dei personaggi e che avrebbero fatto inorridire nonna Warbulga, e da fotografie magiche.

Qua e là c’erano due ragazzi, uno dei quali esibiva una cicatrice a forma di saetta sulla fronte, tre studenti, due ragazzi, tra i quali uno con una brillante chioma turchese, e una ragazza con gli occhi color nocciola, un gruppo di sette ragazzi tutti in divisa rossa-oro, quattro ragazzi nella suddetta uniforme che alzavano una coppa.

Le gigantografie che Samuel si era fatto fare dall’amico e compagno di dormitorio Colin Canon tappezzavano addirittura il soffitto, così che avesse sempre davanti i momenti felici ad Hogwarts.

Nella stanza regnava una baraonda totale.

A terra c’erano vestiti e pergamene bianche, su cui in teorie sarebbero già dovuti esserci i compiti delle vacanze eseguiti.

Sulla scrivania c’erano probabilmente i libri di scuola, ma erano sepolti da una montagna di cose talmente alta che non poteva più esserne tanto sicuro.

Di fianco al letto c’era la sua preziosa e adorata Firebolt, ricevuta in regalo dai genitori poco tempo prima, quando erano arrivati i risultati dei GUFO.

Tra le lenzuola, c’era un ragazzo castano che dormiva placidamente.

Non aveva ereditato gli occhi blu del padre, ma si mormorava che a scuola avesse il suo stesso successo con le ragazze.

Il silenzio della stanza venne rotto da dei colpi provenienti dalla porta, ma che non smossero minimamente il sonno del giovane.

Non ricevendo risposta, Sirius entrò sbattendo la porta.

“Samuel Regulus Black” scandì “ti chiamo da un’ora, è mezzogiorno. Se non ti alzi ti sveglio io”.

Il figlio, per tutta risposta, ficcò la testa sotto il cuscino.

Aguamenti”.

L’urlo del ragazzo arrivò fino al piano di sotto, dove Noah e Maya scoppiarono a ridere.

“Vestiti e scendi a pranzo, poi dobbiamo andare a Diagon Alley” aggiunse il padre, uscendo dalla camera.

Il primogenito di casa Black si passò una mano fra i capelli e si stropicciò gli occhi, prima di lasciarsi andare ad un sonoro sbadiglio.

Sbuffò, infastidito dal brusco risveglio, ma poi si alzò e scese a pranzo in pigiama.

 

Anche nella stanza di Harry Potter sembrava che fosse scoppiata una bomba.

Era immersa nel buio e con la finestra chiusa, segno che il ragazzo era ancora nel mondo dei sogni.

Camille aprì silenziosamente la porta, dando modo a Grifondoro di entrare.

Il gatto zampettò fino al letto, saltandoci sopra e cominciando a leccare il viso del bell’addormentato.

Harry tentò di ripararsi sotto le coperte, ma fu tutto inutile, il micio lo inseguì anche li sotto.

Il ragazzo provò a cacciarlo, ma l’animale continuò a leccargli la guancia.

“Buongiorno” disse Camille divertita.

Il fratello grugnì qualcosa di incomprensibile in risposta.

“La mamma vuole che ti alzi” aggiunse “oggi pomeriggio andiamo a Diagon Alley con gli altri”.

Harry non si diede la pena di rispondere.

La sorella allora, infastidita dalla mancanza di attenzione, attraverso a grandi passi la stanza, schivando tutto ciò che c’era a terra, ovvero vestiti, riviste di Quiddich, libri di scuola e quant’altro, andando a spalancare le tende.

“Che entri la luce!” esclamò ridacchiando.

“Chiudi quella maledetta finestra!” sbottò lui rifugiandosi di nuovo sotto le coperte, ma lei non gli badò.

“Andiamo Grifondoro” disse uscendo, inseguita dal gatto.

Ad Harry, ormai sveglio, non resto altro che alzarsi, inforcare gli occhiali e scendere irritato in cucina.

 

La camera degli eredi Lupin sembrava divisa a metà.

Da una parte, sulle pareti campeggiavano mensole stracolme di peluche di tutte le sorte.

Dall’altra c’erano poster e qualche fotografia.

Da una parte c’era una scrivania con dei libri di scuola, chiusi da chissà quanto tempo, dall’altra c’era una fila di quaderni perfettamente tenuti, reduci dell’anno nella scuola elementare Babbana della secondogenita.

Da una parte c’era un letto con coperte verdi chiare, dall’altra lenzuola turchesi.

Su uno dei letti, impeccabilmente rifatto, al posto d’onore sul cuscino c’era un peluche a forma di lupo.

Sull’altro, al posto d’onore sul cuscino c’era una massa di capelli azzurri che dormiva come se nulla fosse.

L’unica cosa completamente sgombra era il pavimento, poiché al primogenito, al pari di sua madre, bastava veramente poco per ruzzolare a terra e quindi si cercava di non mettergli nulla come ostacolo davanti ai piedi.

Quando la porta della stanza si aprì, Ted neanche se ne rese conto.

Una bambina con vivaci capelli verdi sgusciò dentro, andando a cercare le sue attenzione, e si fermò davanti al letto, indecisa sul da farsi.

Saltargli addosso o ficcarsi sotto le coperte?

Scelse la seconda opzione, decisamente meno traumatica della prima.

“Juliet…buongiorno…” borbottò Ted accorgendosi della sorellina nel letto di fianco a lui.

“Buongiorno fratellone” trillò lei, accovacciandosi ancora di più.

“La mamma dice che è tardi, che ti devi alzare”.

“Di alla mamma che ho sonno”.

“Papà ha detto che l’avresti detto, ma mi ha detto di dirti che se lo avessi detto lui sarebbe venuto a svegliarti con un Levicorpus” la bambina, dopo aver ripreso fiato, assunse un’espressione confusa “ma che cos’è un Levicorpus?”

Ted sbuffò, diede un bacio sulla fronte alla sorella e scese al piano di sotto con lei.

 

Samuel si smaterializzò con Sirius, mentre Noah con Maya.

“Non vedo l’ora di poterlo fare da solo…” disse il primogenito “…credo che papà lo faccia essere traumatico apposta”.

“Ehi ragazzi!” esclamò Remus, salutandoli e avvicinandosi con Juliet attaccata alla sua mano.

“Ciao Lunastorta” salutò Felpato “James e Lily?”

“Harry odia materializzarsi” ricordò loro Ted “probabilmente verranno con la Metropolvere”.

E infatti dieci minuti dopo arrivarono i Potter, intenti ancora a scrollarsi di dosso la Polvere Volante.

“Ciao Lil!” esclamò Samuel andando a salutare l’amica “Ben alzato Harry”.

Quello rispose con uno sbadiglio.

“Direi di andare subito al Ghirigoro” propose Lily “prima che si riempia di gente”.

Il gruppo allora si avviò verso la libreria.

Le strade di Diagon Alley erano affollate, tutti intenti a fare acquisti.

I bambini girovagavano felici qua e là, qualcuno con voluminosi pacchi tra le braccia, altri stringendo caramelle o brandendo bacchette magiche finte.

Al Ghirigoro, la fila di persone arrivava fino all’esterno.

“Si bè, è inutile fare la coda tutti insieme…ci vediamo!” esclamò Samuel, fuggendo via con tutti gli altri.

I genitori guardarono allibiti il punto dove i figli erano scomparsi.

Era sempre la solita storia, quando non dovevano comprare cose che interessavano a loro, se la filavano il più presto possibile.

“Bè…in effetti…” cominciò James “noi andiamo a fare un salutino a Tom al Paiolo”.

E prese sotto  braccio gli altri due Malandrini, trascinandoli via.

“Non c’è che dire…” commentò Maya “…sono stati velocissimi”.

“Io sono rimasta con te mamma!” esclamò la piccola Juliet, arpionando la mano di Ninfadora.

“Sei proprio la mia principessa, Juls” disse lei prendendola in braccio e dandole un bacio, dopo il quale i capelli della bimba virarono dal suo verde brillante al rosa cicca della madre.

 

“Io direi che la sosta da Fred e George è obbligatoria” propose Ted, fermandosi davanti ai Tiri Vispi Weasley.

“Direi proprio di si” convenne Harry.

Ma prima che riuscissero ad entrare, Draco Malfoy comparve alle loro spalle.

“Bene, bene, bene…” commentò sprezzante “...lo Sfregiato, i Mezzosangue e i Traditori del proprio sangue. Potter, dove hai lasciato Lenticchia e la Sanguesporco?”

Harry si voltò, deciso a rispondere alla provocazione, trovando che Draco non era solo, ma con un tipo moro parecchio corrucciato.

“E quello?” chiese indicando il ragazzo “Chi è? La tua nuova guardia del corpo? È stupido quanto Tiger e Goyle?”

“In ogni caso, sarebbe comunque più intelligente di te, no Potter?” rispose Malfoy “Comunque, questo è mio cugino Deimos Lestrange, verrà ad Hogwarts con noi quest’anno. Si trasferisce da Durmstrang, quel posto dove accettano solo purosangue. Quello che tu non potresti neanche vedere da lontano grazie a quella schifosa Sanguesporco di tua madre”.

Il ragazzo allora sfoderò la bacchetta, imitato immediatamente da tutti gli altri.

“Non azzardarti a nominare mia madre, Malfoy” sibilò furioso.

Anche Draco e Deimos allora sguainarono le loro, pronti a fronteggiarli.

A quel punto, la voce tranquilla di Remus spuntò alle loro spalle, facendogli abbassare la guardia.

“Buon pomeriggio, Draco” salutò cordiale.

“Buon pomeriggio, professor Lupin” rispose lui, mettendo parecchia ironia in quel professor.

L’uomo mise su un sorriso rassegnato.

“Temo di non conoscere il tuo amico, Draco” continuò gentilmente “piacere, Remus Lupin, insegnante di Difesa Contro Le Arti Oscure”.

E gli porse la mano, ma Malfoy in quel momento esclamò: “Sai cugino, è un lupo mannaro”.

Deimos, che in un primo momento aveva allungato la sua, la ritrasse subito, fissandolo con un’aria disgustata che fece infuriare James e Sirius, arrivati insieme al loro amico.

“Dovresti imparare a fare silenzio, Malfoy” gli intimò Felpato, gelido.

Draco stava per ribattere, quando alle spalle comparve suo padre.

“Oh cielo, guarda chi si rivede!” esclamò Lucius Malfoy “Quanto tempo è passato, Rodolphus? Diciassette anni?”

“Sempre troppo poco” rispose James.

I tre Lestrange, alle spalle di Malfoy, tirarono fuori le bacchette dalle loro vesti, imitati dai Malandrini.

“Ciao Bellatrix” ringhiò Sirius.

“Salve cugino” ribattè lei “è sempre un dispiacere vederti così in salute”.

A quel punto, vedendo tutta quella gente con le bacchette sfoderate, in molti si fermarono a vedere cosa sarebbe successo, altri invece si affrettarono per non trovarsi in mezzo a qualsiasi cosa sarebbe accaduta.

Il primo ad abbassare la guardia su Lucius Malfoy.

“Suvvia signori” esclamò “siamo gentiluomini ormai, non dobbiamo scontrarci così apertamente. È ora di superare i nostri dissapori”.

“E’ stato un piacere rivedervi” convenne Rodolphus, fissandoli con aria di sfida.

“Ci vediamo sul treno” aggiunse Draco sprezzante.

E i sei se ne andarono, con le loro espressioni arroganti sul viso.

“E così quello è Deimos…” commentò Sirius “...sapete Sam, Noah, potrebbe quasi essere vostro cugino, se ancora considerassi sua madre mia parente”.

I figli guardarono nella sua direzione.

“Mi sembra un Troll” esclamò il più piccolo “non ha mai aperto bocca”.

“Probabilmente sarà davvero più stupido di Tiger e Goyle” aggiunse il maggiore.

“Ha anche una gemella, se non sbaglio, ma non so come si chiami” li informò il padre.

“Sarà una cozza come la madre” esclamò Samuel sicuro di ciò che diceva.

“Torniamo dalle ragazze…” propose Remus stancamente “...ci avranno dati per dispersi ormai”.

Gli altri lo seguirono.

 

“Te l’ho detto centinaia di volte, Draco!” sbottò furioso Lucius “Non devi attaccar briga con loro, specialmente quest’anno. Dovresti cercare di passare il più inosservato possibile”.

Il figlio chinò la testa, sapeva di non poter rispondere male al padre.

“Anche tu Deimos” lo ammonì Bellatrix “stai distante da quei Mezzosangue e Traditori”.

“Dovete pensare prima di tutto al vostro compito, non c’è nulla di più importante” aggiunse Rodolphus.

Anche Deimos rimase in silenzio, pensando alle parole del padre.

In molti pensavano che fosse un po’ tonto, con quella sua abitudine di tenersi per sé ciò che pensava.

Non potevano sbagliare di più.

Deimos Lestrange preferiva molto di più il silenzio alle parole.

Lui ascoltava, capiva le persone, poi le attaccava usando i loro punti deboli.

Era sempre stato un grande calcolatore, ma d’altronde era cresciuto in una famiglia di Mangiamorte, non poteva essere da meno.

Nonostante fossero gemelli, lui e Dione non potevano essere più diversi.

Se lei era sempre allegra e solare, lui era cupo ed introverso.

Al pari di Mizar, non aveva mai avuto grandi amici a Durmstrang, e quei pochi che aveva li considerava alla stregua di servitori.

Gli unici con cui riusciva ad avere un rapporto quasi normale erano il cugino e la sorella.

Esattamente come suo padre alla sua età, adorava le Arti Oscure e, per quanto odiasse studiare, negli anni aveva letto qualsiasi cosa sulla Magia Nera che Durmstrang e la biblioteca del suo castello possedevano, da tomi di mille pagine ai libricini di cinquanta.

Per questo motivo, non era minimamente preoccupato per l’anno che gli era stato prospettato ed imposto dalla sua famiglia, abituato com’era ad obbedirgli.

E se avesse avuto la possibilità di usare le Arti Oscure, tanto meglio.

Era pronto a tutto.

“Andiamo a cercare Mizar e Dione” disse Rabastan “prima che decidano di comprare tutto il Ghirigoro”.

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Capitolo 3
*** Sull’Espresso per Hogwarts ***


 

Ciao a tutti! :)

Vorrei ringraziare prima di tutto Jamie_Lily, Sara_Maraunders e Le3Funkazziste per aver recensito!!

Vorrei ringraziare poi tutti coloro che in questi giorni hanno inserito la storia tra preferite/seguite/da ricordare, ma anche chi legge e basta :)

Vi lascio poi il 3° capitolo, fatemi sapere che ne pensate!

Buona lettura,

Ale

Ps. Cosa ne dite delle foto dei personaggi che ho messo nei 2 capitoli precedenti???

Pps. Alcune note a fondo pagina :P

 

3. Sull’Espresso per Hogwarts

1 settembre 1997

Per la prima volta in sette anni, erano riusciti a trovarsi puntuali al binario 9 e ¾ .

Alle 10:30 in punto, le famiglie Potter, Black e Lupin si incontrarono appena fuori dalla barriera, con armi e bagagli al seguito.

Harry si guardava intorno, aspettandosi di vedere da un momento all’altro la chioma rossa del suo migliore amico Ron Weasley, o quella castana incredibilmente mossa di Hermione Granger.

Camille, dietro di lui, camminava a braccetto con Samuel, attirando le occhiate invidiose delle ragazze.

C’era poi Ted, che teneva in braccio Juliet, la quale non ne voleva sapere di lasciar partire il fratello.

A chiudere il gruppo c’era Noah, l’unico che già indossava la divisa con lo stemma di Corvonero sul petto.

Il secondogenito dei Black, infatti, era l’unico tra gli eredi dei Malandrini a non essere finito a Grifondoro, essendo stato smistato come sua madre nei Corvonero.

“Ehi Ron!” urlò Harry, vedendo l’amico svettare tra i primini agitati “Ron!”

Quello alzò gli occhi, salutando poi l’altro con la mano.

I ragazzi lo videro guardarsi intorno confuso, non riuscendo a superare la schiera di matricole che si aggiravano per la banchina senza una meta precisa.

Alla fine, travolgendone qualcuno, riuscì ad avvicinarsi, seguito da Ginny.

Erano gli ultimi due Weasley a frequentare Hogwarts.

Lui ed Harry si conoscevano praticamente da sempre, da quando i loro genitori facevano parte dell’Ordine della Fenice e combattevano fianco a fianco contro Voldemort.

Erano sempre stati migliori amici, il primo giorno sul treno per la scuola si erano seduti nello stesso scompartimento e da sette anni dormivano in letti uno a fianco all’altro.

C’era poi sua sorella, Ginevra, o meglio Ginny, la prima amica donna di Camille, la prima ad essersi presa una cotta per Harry quando lei frequentava il primo e lui il secondo.

Negli anni, lei lo aveva lasciato perdere come fidanzato, quando si era resa conto che pensasse più alle scope e ai Boccini che alle ragazze, stringendoci invece una solida amicizia e avendo altri ragazzi, diventando Cacciatrice della squadra di Quiddich da lui capitanata.

“Ehi Harry” saluto il rosso, facendo poi un cenno al resto dei ragazzi “Hermione?”

Il quel momento, un crac risuonò nell’aria vicino a loro.

“Ciao a tutti!” salutò una sorridente Hermione Granger.

E poi c’era lei, quella che completava il trio e il cervello del gruppo.

Nel corso degli anni, sarebbero finiti nei guai innumerevoli volte se lei non li avesse aiutati e sarebbero stati bocciati altrettante volte se lei non gli avesse passato i suoi appunti.

Era stato Prefetto e quell’anno era stata nominata Caposcuola, ma non pareva preoccupata della mole di lavoro che l’aspettava.

Era una delle migliori allieve che Hogwarts avesse mai visto, seconda solo a Silente e pochi altri.

Ron aveva una cotta stratosferica per lei praticamente dal primo giorno in cui era entrata nel loro scompartimento nel treno, ma lei sembrava non essersene resa conto.

“E perché ti saresti materializzata?” domandò Ron.

“I miei sono ad un convegno di dentisti, non volevo che lo perdessero per colpa mia. È sempre bene aggiornarsi” spiegò lei “si bè, io salgo sul treno. Devo prepararmi per il discorso ai Prefetti. Mi caricate voi il baule?”

Ron, ovviamente, annuì, mentre a Harry tocco prendere in custodia la gabbia di Grattastinchi, perché il rosso era particolarmente odiato dal gatto.

“Quest’anno sarà più pazza del solito” commenò il ragazzoo, alzando il baule ed allontanandosi.

In quel momento, sulla banchina comparvero i Malfoy e i Lestrange, in tutto il loro splendore.

Insieme ai cari Draco e Deimos, già incontrati a Diagon Alley, c’erano una ragazza mora con i capelli lisci e un ragazzo biondo.

Harry si voltò e tornò dai genitori, non aveva voglia di attaccar briga anche prima di salire sul treno.

“Ci avete accompagnati, ora potete andare!” stava dicendo Samuel.

“Che c’è Sam? Hai paura che noi tre fusti ti roviniamo la piazza?!?” lo prese in giro Sirius, circondando le spalle di James e Remus con le braccia.

Ceeeeeerto, come no…” rispose quello “…va bè, ci vediamo a Natale, vado a fare qualche salutino”.

Detto questo, diede il cinque al padre, un bacio sulla guancia alla madre e si allontanò, verso un gruppetto di ragazze che gli facevano gli occhi dolci.

“Non c’è dubbio che sia tuo figlio, Felpato” commentò Ramoso ridacchiando.

“No Ted! Io vengo con te!” gridò Juliet, stringendosi ancora di più al collo del fratello.

“Dai Juls” rispose lui “passi un sacco di tempo ad Hogwarts (*), ci vedremo comunque”.

Ninfadora si fece avanti.

“Juliet, vieni qui. Lascia andare tuo fratello” disse dolcemente, prendendola in braccio.

Teddy si avvicinò a lei.

“Ti scriverò di continuo” promise “e voglio che tu mi risponda sempre”.

Lei allora annui con un sorriso timido e lui le stampò un bacio una fronte.

“Bè, allora papà noi ci vediamo stasera (*). Mamma, a Natale” continuò, per poi raggiungere Samuel.

Erano un prendi due paghi uno, dove c’era il primo c’era anche il secondo.

Anche loro formavano un trio, con Camille come terzo elemento.

Samuel aveva preso il posto di suo padre ed era diventato il donnaiolo della scuola, desiderato dalle ragazze e mal sopportato dai ragazzi.

Ted non aveva preso la calma del padre e si era dimostrato un Malandrino in piena regola, caratterizzato però dalla goffaggine della madre.

Non era diventato Prefetto come Remus, ma del resto passava decisamente troppe ore in punizione con Sam.

Era la secondogenita dei Potter quella che portava la spilla, dei tre.

Silente, probabilmente, sperava che avrebbe calmato i suoi due migliori amici, ma forse non aveva capito che sotto quell’aria da santarellina si nascondeva un’anima da Malandrina, degna figlia di suo padre.

“Bè, allora io vado” disse proprio lei.

Salutò James e Lily, poi andò a recuperare i due amici trascinandoli via dalla schiera di ammiratrici.

“Noah…” bisbigliò una voce sognante alle spalle degli adulti, talmente bassa che quasi non si sentiva.

“Luna!” salutò lui vedendola.

Erano diventati amici non appena lui era arrivato a scuola ed era stato smistato a Corvonero.

Lei era scansata da tutti perché ritenuta strana, così lui le si era avvicinato perché gli dispiaceva vederla sempre tutta sola.

Da allora erano diventati ottimi amici, nonostante i due anni di differenza.

“Bene!” esclamò il ragazzo “Mamma, papà, ciao ciao!”

E senza dire altro prese sotto braccio l’amica, portandola via.

Era rimasto solo Harry, praticamente.

“Bè, i miei ossequi, signori Malandrini, terrò alto il vostro nome, quest’anno” e improvvisò un leggero inchino, salutò Lily, Maya e Dora e se ne andò.

“Il suo ultimo anno…” sospirò James.

“Siamo proprio diventati vecchi…” convenne Sirius, scuotendo la testa rassegnato.

“Bene!” gridò Juliet attirando l’attenzione dei sei adulti “Ora che loro sono partiti, io sono l’unica figlia di tutti, quindi mi merito un mega gelato da Fortebraccio!”

E aveva un’espressione così seria sul viso che tutti scoppiarono a ridere, per poi smaterializzarsi insieme a Diagon Alley.

 

Camminando per trovare uno scompartimento libero, Harry scorse parecchie facce note.

Incrociò Dean Thomas, così avvinghiato a Cali Patil da non accorgersi della presenza dell’amico (“Che strano” pensò Harry “mi sembrava stesse con Ginny”), e Seamus Finnigan, impegnato in un’accesa discussione sul Quiddich con il Tassorosso Ernie McMillan.

“Ehi! Dove vai?” chiese, vedendo passare sua sorella seguita a ruota da Colin Canon.

Lei ridacchiò.

“Non comincerai a fare il fratello geloso, vero? C’è la riunione dei Prefetti” rispose, scompigliandogli ancora di più i capelli ribelli e continuando a camminare.

Fortunatamente, lei non aveva ereditato la chioma senza senso marchio Potter, avendo i capelli lisci quanto Lily.

Harry continuò a cercare un posto, trovando alla fine uno scompartimento dove c’era solo Neville Paciock.

Esattamente come con Ron, lo conosceva sin da quando era bambino.

Era cresciuto con la nonna paterna, una donna vagamente inquietante chiamata Augusta, dopo che i suoi genitori erano stati torturati fino alla pazzia con la Maledizione Cruciatus.

I Paciock erano stati membri dell’Ordine della Fenice, per questo i Mangiamorte li avevano attaccati.

I Malandrini erano stati molto amici di Frank e Alice, quindi avevano deciso di prendersi cura di Neville come potevano e lo avevano fatto crescere con i loro figli, per non farlo sentire solo.

“Ciao Harry!” esclamò “Ho tenuto libero lo scompartimento”.

Potter entrò, crollando seduto sul sedile.

“Hermione e Ron?”

“Sono alla riunione dei Prefetti, ne avrenno ancora per un po”.

“Sam e gli altri sono qui affianco”

Harry annuì.

“Com’è andato l’ultimo mese?” domandò poi.

Avevano festeggiato insieme i loro compleanni, perché lui era nato il 31 luglio, l’altro il 30, quindi era da poco che non si vedevano.

“oh, tutto bene” rispose Neville “apparte il fatto che la nonna mia ha praticamente fatto capire che mi manderà in Antartide se non prenderò qualche M.A.G.O. decente”.

Harry ridacchiò, tutti erano a conoscenza delle aspettative che Augusta aveva nei confronti del nipote.

In quel momento la porta si aprì, mostrando un Ron particolarmente contrariato.

“Lo confermo” esclamò “Hermione è la caposcuola più pazza che abbiamo mai avuto, è anche peggio di Percy! Insomma, pretende doppi turni per le ronde, più controlli alle matricole, più collaborazione con gli insegnanti…se si aspetta che diventerò il miglior amico di Piton potrà attendere in eterno!”

Harry e Neville scoppiarono a ridere.

Al quinto anno, quando Ron e Hermione erano diventati Prefetti, lui c’era rimasto un po’ male, perché dopotutto non erano troppo diversi, il rendimento scolastico era pressoché identico e il comportamento pure, visto che finivano sempre in punizione insieme.

Ma quando, al sesto, era stato nominato la Capitano della squadra di Quiddich di Grifondoro, le cose si erano riequilibrate e lui aveva capito di preferire molto di più quella carica all’altra.

Quando la porta si aprì di nuovo, pensarono che fosse finalmente Hermione, pronta a sgridare Ron per essere fuggito prima della fine della riunione, ma si sbagliavano.

Draco Malfoy e Deimos Lestrange comparvero sulla soglia, con un ghigno arrogante sul viso.

Dietro di loro Harry scorse quei due tipi che aveva visto sul binario, ma non sembravano interessati alla discussione.

“Ecco Deimos, voglio presentarti Lenticchia e quest’idiota di Paciock!” esclamò Draco beffardo.

 

Nello scompartimento affianco, intanto, Samuel giocava a Sparaschiocco con Ted, Ginny chiacchierava con Luna e Noah si era immerso nella lettura di uno dei suoi nuovi libri di scuola.

Il secondogenito dei Black sembrava proprio destinato a diventare un’Hermione al maschile, ed era già sulla buona strada considerato che fosse il miglior studente del quarto anno.

“Ma quanto ci mette Camille?” domandò ad un certo punto Sam.

“Lo sai che segue sempre tutta la riunione, vuole almeno provare ad essere un buon Prefetto” rispose Teddy.

Il quel momento, l’urlo arrabbiato di Ron provenne dallo scompartimento di fianco al loro.

“Questa è decisamente la voce soave di mio fratello…” commentò Ginny divertita.

Ma allora anche quella di Harry si fece sentire.

“Ok, c’è qualcosa che non va” commentò il primogenito di Black, alzandosi in piedi e uscendo in corridoio.

La scena che gli si presentò davanti lo fece scoppiare a ridere.

“Bene, bene, bene” disse, vedendo Harry e Ron con le bacchette sfoderate, Draco e Deimos con loro puntate contro gli amici “non aspettiamo nemmeno di essere a scuola per cominciare a litigare?”

“Chiudi il becco Black!” esclamò Draco “Non è affar tuo!”

“Se rompete le scatole ai nostri amici è decisamente affar nostro” ribattè Ted, arrivato accanto a Sam.

“Che diavolo succede qui?!?” gridò Hermione, arrivata in quel frangente con Camille.

“Semplice scambio di opinioni, Herm” rispose Harry, senza abbassare la guardia.

“Finitela di fare i bambini!” urlò la Caposcuola “Non fatemi cominciare subito a togliere punti!”

“Ma Hermione! Non puoi togliere punti a Grifondoro!” gemette Ron.

“Lo farò, se non la smetterete!” rispose lei “Malfoy, tu e i tuoi amici tornate nel vostro scompartimento”.

A sorpresa, Draco e Deimos ritirarono le bacchette.

“Non finisce qui…” bisbigliò il biondo, girando sui tacchi e allontanandosi con il cugino.

E fu allora che Samuel vide la splendida ragazza mora che camminava a braccetto con l’altro ragazzo biondo.

“Ehi!” esclamò, fermandola per un braccio.

“Ci conosciamo?” domandò lei, liberandosi dalla sua presa.

“Samuel Black” rispose quello, sfoderando il suo miglior atteggiamento da dongiovanni "potresti rimanere qui con noi, invece di andare con quei pazzi Serpeverde”.

Lei allora assunse un’espressione contrariata.

“I pazzi Serpeverde, come li chiami tu…” esclamò “…sono la mia famiglia”.

A quel punto, Sam si ricordò di ciò che il padre gli aveva detto a Diagon Alley.

“Ha anche una gemella, se non sbaglio, ma non so come si chiami”

“Tu…” balbettò “…tu sei la sua gemella?”

“Dione Lestrange, molto piacere” rispose quella con un'espressione beffarda, che la fece assomigliare incredibilmente al fratello, prima di allontanarsi dietro ai suoi parenti.

“Cominciamo bene, direi. Litighiamo ancora prima di arrivare a Hogwarts” commentò Camille, entrando nello scompartimento.

Ma Samuel quasi non la sentì parlare, perchè era ancora impegnato a guardare da lontano la bella Dione che camminava.

“Altro che cozza (**) …” mormorò incredulo.

 

 

 

 

 

NOTE:

(*) Vi ricordo che Remus è insegnante di Difesa, come ho scritto nel capitolo precedente, e quando Dora è in missione come Auror e Andromeda non può fare da baby-sitter alla nipote è costretto a portarsi Juliet a scuola. Si spiegherà meglio tra qualche chap.

(**) Nel capitolo precendente, quando Sirius gli aveva raccontato della gemella di Deimos, Samuel aveva detto che era di sicuro una cozza come sua madre, non so se vi ricordate :) 

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Capitolo 4
*** Benvenuti e bentornati ***


 

Buongiorno!!!!!!!

Prima di lasciarvi il nuovo capitolo, voglio ringraziare come sempre chi recensisce, ma anche chi legge e basta :)

Buona lettura!

Ale

Ps. Non giudicate male Dione...

Pps. Devo ammettere che questo capitolo mi è venuto abbastanza male, ma non sono riuscita a fare meglio. Mi farò perdonare con il prossimo :)

 

4. Benvenuti e bentornati

“Scendete” ordinò Draco a due bambini del secondo o terzo anno, che portavano divise con lo stemma di Tassorosso.

I due, conoscendo la fama del biondo che gli aveva parlato, non se lo fecero ripetere e smontarono in fretta dalla carrozza, senza aprir bocca.

“Prima le signore” disse Malfoy con un ghigno, facendo salire Dione per prima.

“Come diamine fanno a muoversi?” chiese lei guardando le briglie vuote davanti.

“Thestral” rispose Mizar alle spalle di entrambi “ho letto Storia di Hogwarts” aggiunse poi scrollando le spalle, vedendo le facce confuse degli altri.

Arrivati davanti al cancello, Deimos smontò per primo e prese in braccio la gemella, aiutandola a scendere.

Non se ne resero conto, ma dietro di loro Samuel la stava fissando intensamente, appena sceso dalla sua carrozza.

All’ingresso del parco, Argus Gazza controllava gli studenti che entravano, sempre accompagnato dalla fedele Mrs. Purr.

“Proprio voi cercavo!” ringhiò il vecchio custode, non appena passarono i tre Lestrange “Seguitemi!”

E si avviò verso il castello.

“Ci vediamo al tavolo” bisbigliò Draco, continuando per la sua strada.

“Gentile e delicato…” commentò Deimos riferendosi all’uomo, facendo ridere la sorella.

Gazza gli fece salire le scale, arrivando davanti ad un grande portone, e Dione pensò che li avrebbe portati dentro, fermandosi però davanti ad una porticina laterale.

Dopo averla spalancata, grugnì qualcosa di incomprensibile e se ne andò.

I tre ragazzi entrarono nella stanza, arredata solo con un grande tappeto e due poltrone, e qualche quadro qua e là sul muro, dove trovarono due persone.

Su una delle poltrone era seduta una ragazza, che scattò in piedi vedendo entrare gli altri tre.

Indossava una divisa di seta grigiablu, e Mizar fu certo di averla già vista da qualche parte.

L’altra era una donna anziana, con i capelli racchiusi in una stretta crocchia sotto il cappello da strega e un cipiglio severo sul volto.

“Benvenuti” disse la donna “io sono la professoressa Minerva McGranitt, insegnate di Trasfigurazione. Tra qualche minuto, entreremo in Sala Grande, ma prima che prendiate posto verrete smistati nelle vostre Case. Sono Grifondoro, Tassorosso, Corvonero e Serpeverde. Per il tempo che starete qui, la vostra casa sarà la vostra famiglia. I trionfi che otterrete le faranno guadagnare punti, mentre ogni violazione delle regole le farà perdere punti. Alla fine dell’anno, alla casa con più punti sarà assegnata la Coppa delle Case. Ora andrò ad accogliere quelli del primo anno, tra poco tornerò a riprendere voi”.

Quando la professoressa richiuse la porta alle sue spalle, Deimos fece una smorfia.

“Che scenetta inutile, come se non lo sapesse che finiremo tutti a Serpeverde” esclamò.

Dione si stava guardando intorno, quella sensazione di calore che aveva provato entrando ad Hogwarts non l’aveva mai sentita a Durmstrang, e pensò che forse non si sarebbe trovata troppo male, dopotutto.

Mizar intanto stava guardando di sottecchi la ragazza bionda, cercando di capire dove l’avesse già incontrata.

Non poteva sapere che anche lei aveva gli stessi pensieri.

Poco dopo, la McGranitt si riaffacciò dentro.

“Siamo pronti per ricevervi” disse.

I quattro ragazzi entrarono nella grande porta che avevano visto prima, seguendo la fila di primini spaventati.

Entrando nella Sala Grande, Dione spalancò gli occhi strabiliata.

Le quattro grandi tavolate erano sovrastate da candele che levitavano e illuminavano l’ambiente, sopra le loro teste il soffitto incantato mostrava il cielo stellato.

Mentre camminavano, la ragazza si guardò intorno, vedendo il ragazzo che l’aveva fermata sul treno, quel Samuel, fissarla e farle l’occhiolino.

Lei sbuffò, distogliendo lo sguardo infastidita.

Arrivarono davanti alla tavolata degli insegnanti e dovettero aspettare lo Smistamento dei più piccoli, poi venne il loro turno.

“Dumas, Mira” chiamò la vicepreside, e la ragazza con l’uniforme grigiablu si fece avanti e si sedette sotto il Cappello Parlante.

“CORVONERO!” decretò l’oggetto incantato.

Lei si alzò, avviandosi verso uno dei due tavoli centrali.

“Lestrange, Mizar”.

Nessuno se ne rese conto, ma Mira rallentò il passo sentendo quel nome.

Non appena si sedette, si voltò a guardare il ragazzo seduto sullo sgabello, che il Cappello stava impiegando parecchio a collocare.

Ora che lo guardava meglio, notava qualche somiglianza, ma soprattutto capiva dove lo aveva già incontrato.

Una lacrima solitaria solcò la sua guancia, ma lei si affrettò ad asciugarla con la mano.

Aveva trovato suo fratello.

“SERPEVERDE!” decise a quel punto il vecchio copricapo.

“Lestrange, Deimos”.

Il ragazzo si fece avanti, borbottando un flebile “Che sciocchezza” che udì solo la sorella.

“SERPEVERDE!” gridò il Cappello non appena sfiorò i suoi capelli.

“Lestrange, Dione”.

Mentre si faceva avanti, ricordò distrattamente ciò che gli aveva detto Mizar in treno.

Il Cappello ascolta sempre ciò che vuoi.

Quando il copricapo fu calato dalla vicepreside sulla sua testa, per un attimo vide tutti gli occhi della Sala Grande puntati su lei, ma poi fu totalmente presa dalle sue parole.

“Ma tu guarda che strano!” esclamò il Cappello “Ecco qui una bella GRIFO…”

“ASPETTA!” gridò la voce mentale di Dione “Non puoi mandarmi a Grifondoro, voglio andare a Serpeverde”.

“Ma tu non sei una Serpeverde” disse sconcertato il Cappello.

“Io DEVO andare in quella casa come tutti i miei parenti, altrimenti la mia famiglia mi ripudierà. Lei non sa cosa significa essere una Lestrange” sussurrò, afflitta “ci sono un sacco di aspettative da rispettare”.

“E tu sei pronta a farlo?”.

Dione ci pensò un attimo, ma poi rispose: “Non ho altra scelta. Mi sono trasferita qui per loro volere, andrò a Serpeverde come vogliono loro, quando finirò la scuola accetterò il matrimonio che mi combineranno”.

“Tu non sei così debole di carattere, lo vedo nei tuoi pensieri” affermò l’oggetto sicuro di sé.

“Lo so, ma non posso permettermi di perderli. La mia famiglia è tutto ciò che ho”.

“Forse, bambina, se devi accettare cose che non vuoi converrebbe perderli”.

“Forse” convenne lei “ma non sono pronta”.

“Se ne sei convinta, SERPEVERDE!”

Mentre si sfilava il copricapo, gli parve di averlo sentito sussurrare “Sei migliore di loro…”, ma non ne fu mai sicura, forse lo aveva solo immaginato.

E si alzò, dirigendosi verso i cugini, accettando per l’ennesima volta le imposizioni della sua famiglia, senza nemmeno l’ombra del suo solito sorriso sul volto.

 

Nel momento in cui il preside si alzò, la Sala tacque immediatamente.

“Benvenuti ai nostri nuovi amici, e ai vecchi bentornati” disse “ora, prima di essere tutti impegnati con il nostro ottimo banchetto, voglio dare alcune comunicazioni. Per prima cosa, l’accesso alla Foresta è severamente proibito a tutti gli studenti. Il nostro custode, il signor Gazza, mi ha chiesto di ricordarvi che anche tutti i prodotti Weasley sono proibiti, così come l’uso della magia nei corridoi e i duelli. Se qualcuno volesse partecipare ai provini per le squadre di Quiddich, potrà prenotarsi pressi i Capicasa. Infine, per ultima cosa, vorrei dare il benvenuto ai nostri nuovi studenti provenienti da scuole straniere. Diamo il benvenuto a Deimos, Dione e Mizar Lestrange, provenienti da Durmstrang” e i tre si alzarono, facendo un leggero ma rigido inchino “e alla signorina Mira Dumas, studentessa di Beauxbatons, che rimarrà qui per tutto l’anno per uno scambio culturale che saremo lieti di ricambiare in futuro” e anche lei si alzò, per poi tornare a sedersi subito dopo, perché non amava stare al centro dell’attenzione.

Mentre tutti gli studenti applaudivano educatamente, dal tavolo di Grifondoro Samuel fissava intensamente Dione, seduta tra Deimos e Mizar.

“La consumerai con tutti questi sguardi languidi…” gli borbottò Camille all’orecchio, seduta accanto a lui.

Lui fece una smorfia e abbassò gli occhi, scocciato dall’essere stato scoperto.

“Bene ragazzi” continuò il preside “buon appetito”.

E a quel punto le tavolate si riempirono di cibo dall’aspetto delizioso e, per un attimo, nessuno pensò più a nient’altro.

 

Camille si buttò sul letto di Ginny, che si stava ancora infilando il pigiama.

Era diventato una specie di rito per loro, ogni prima notte dell’anno passavano ore ed ore a raccontarsi tutto ciò che era successo d’estate, anche i dettagli più idioti.

A volte si univa a loro anche Hermione, smettendo per un attimo i panni di Prefetto rispettoso delle regole per una sacrosanta serata tra donne.

Ginny si ficcò sotto le coperte, seguita immediatamente da Camille.

“Buonanotte” disse seccamente Victoria Ferguson, chiudendo di scatto le tende del suo baldacchino.

La quarta occupante della stanza, Kimberly Trump, era già andata a dormire, senza nemmeno salutarle.

Non avevano mai legato molto tra loro, poiché la prima gli parlava solo quando erano in compagnia di Samuel, mentre la seconda le considerava meno di Elfi Domestici.

Discendeva da un’antica casate e, al pari dei genitori, vedeva Ginny come una Traditrice del suo sangue e Camille come una sporca Mezzosangue.

Era un mistero il motivo per cui fosse stata smistata a Grifondoro, con le idee razziste che si ritrovava.

“Illuminami Gin, per quale motivo oggi Dean e Calì erano più avvinghiati di due polipi?” domandò Camille.

“Ci siamo lasciati…” rispose lei.

“Si, quello l’avevo capito…ma perché? Quest’estate sembravate felici…”

“Non sono più sicura di esserne innamorata…forse…forse ho in testa qualcun altro…”

“E chi sarebbe?”

Ginny non rispose, arrossendo vistosamente fino a diventare della stessa tonalità dei suoi capelli.

“No!” esclamò Camille ridendo “Non dirmi che ti è tornata la cotta per Harry?!?”

“Shhhh!” gemette l’altra “Non urlare! Se lo sanno loro lo scoprirà tutta la scuola!” e indicò con la testa i letti delle altre due compagne di stanza, pettegole in piena regola.

“Ginny, entro la fine dell’anno tu starai con mio fratello” sentenziò sicura di sé “fosse la volta buona che entri qualcos’altro oltre al Quiddich in quella testaccia dura”.

 

Nel dormitorio maschile del settimo anno di Grifondoro, Harry fissava il migliore amico con uno sguardo divertito.

Le orecchie di Ron si erano tinte di rosso a sentire la domanda dell’altro.

Ma tu hai una cotta per Hermione?

“Non dire sciocchezza Harry!” esclamò “Siamo solo amici!”

“Certo…” ribattè quello “…e questo?”

E tirò su un libricino intitolato Dodici infallibili passi per sedurre una strega.

“Ehm…si…quello…” se possibile, divento più rosso dei suoi capelli “…un regalo di Fred e George!”.

“Ciao ragazzi” salutarono Seamus e Dean, entrando e chiudendo la porta alle loro spalle.

Con Neville che in quel momento era in bagno, il dormitorio era al completo.

“Cambiamo discorso è?” sibilò Ron all’amico, lanciando uno sguardo agli altri che stavano disfando i bagagli.

“Non mi sfuggirai, stanne certo” lo canzonò Harry ridendo, tornando a svuotare il baule.

 

Nella stanza affianco, Samuel era appena uscito dalla doccia e girava per la stanza con solo un asciugamano legato sui fianchi e Ted stava leggendo un libro già a letto.

Una delle poche cose che aveva ereditato da suo padre era, infatti, la passione smodata per la lettura.

Accanto a loro, Colin Canon aveva appena appoggiato la macchina fotografica sul comodino e Tony MacMallen stava appendendo al muro un poster dei Tornados.

“Ho visto un sacco di ragazze carine, quest’anno” disse Sam all’amico.

“Non mi freghi” rispose quello “ho visto come guardavi quella ragazza nuova”.

“Non uscirei mai con una Serpeverde!” esclamò il Black indignato.

“Volevi farlo” gli ricordo Ted.

“Ma ancora non sapevo chi fosse” ribattè l’amico.

“Non mi freghi, te l’ho detto…” ripetè l’altro, sempre senza staccare gli occhi dal suo libro.

Samuel borbottò qualcosa di incomprensibile, poi si buttò sul letto senza aggiungere altro.

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Capitolo 5
*** Primo giorno ***


 

Buongiorno a tutti!

Ringrazio come al solito tutti! Chi legge, chi ha inserito la storia tra prefetiti/seguiti/da ricordare, ma in particolar modo chi recensisce! Grazie davvero :)

Vi lascio poi il nuovo chap, spero davvero che vi piaccia!

Bacioni

Ale

PS. NOTE A FONDO PAGINA!

 

 

5. Primo giorno

Camille e Ginny entrarono in Sala Grande parecchio insonnolite, avendo parlato fino alle quattro di quel mattino, soprattutto dell’idiozia che la Potter riteneva albergasse nella mente del fratello.

“Buongiorno Hermione” disse Ginny, sedendosi di fronte a lei.

Hermione le sorrise, poi tornò immediatamente a studiare l’orario delle lezioni di quel giorno.

“Harry e Ron?” chiese Camille, sedendosi tra la Weasley e Ted.

L’altra allora guardò l’orologio e lanciò un urletto allarmato.

“Santo Godric!” gridò, lasciando cadere sul piattino la fetta di pane tostato che stava mangiando e correndo via.

“Stanno ancora dormendo” gli spiegò Neville, seduto di fronte a loro.

Ted, al suo fianco, le allungo l’orario che la vicepreside aveva lasciato per lei, tornando poi al suo tè.

Anche lui sembrava parecchio insonnolito, mentre Samuel, seduto nel posto accanto a lui, stava proprio dormendo con la testa appoggiata ad una mano.

Camille scosse la testa, poi scorse le lezioni che avrebbe avuto: Trasfigurazione con i Serpeverde, Difesa Contro le Arti Oscure con i Tassorosso ed Erbologia con i Corvonero la mattina e due ore di Pozioni di nuovo con i Tassorosso di pomeriggio.

Non si lamentava.

Amava Pozioni ed Erbologia, che erano materie necessarie per la carriera di Medimagia che avrebbe voluto intraprendere, se la cavava discretamente in Trasfigurazione e aveva una predilezione per Difesa, visto che l’insegnante era Remus.

Non molti presidi gli avrebbero permesso di insegnare al figlio, ma Silente sapeva bene che l’onestà dell’uomo gli avrebbe impedito di favorire Ted, anzi probabilmente sarebbe stato ancora più severo con lui.

Tutti gli studenti amavano Lupin, certamente uno dei migliori professori che avessero mai avuto, tranne i Serpeverde, che lo disprezzavano solo per il suo piccolo problema peloso, nonostante sapessero che grazie alla Pozione Antilupo fosse completamente innocuo.

“Andiamo Sam” esclamò Camille, cercando di svegliare l’amico “lo sai che la McGranitt non tollera i ritardi”.

Ma il ragazzo non diede segno di averla sentita.

“SAMUEL!” gli urlò Teddy nelle orecchie, facendolo scattare in piedi.

“Si!” rispose lui, alzandosi con tanta irruenza da far cadere all’indietro la sedia su cui era seduto “Sono sveglio!”

La sua espressione sconcertata fece scoppiare a ridere gli amici.

“Che diavolo vi salta in mente di svegliarmi così?!?” sibilò.

Loro risero ancora di più.

 

“Brutti Troll senza cervello!” gridò Hermione infuriata sbattendo la porta del dormitorio maschile del settimo anno.

Dai due ammassi informi di coperte proveniva un forte russare, segno che i ragazzi erano ancora nel mondo dei sogni.

Levicorpus” sibilò la caposcuola.

In quell’istante, Ron e Harry vennero sbalzati fuori dai loro letti e appesi al soffitto per le caviglie.

“Hermione!” biascicò il rosso “Sei impazzita?!?”

“Ma ti pare il modo?!?” aggiunse il moro.

“Brutti idioti che non siete altro!” rispose lei “Tra cinque minuti dobbiamo essere nei sotterranei!”.

Harry allora lanciò uno sguardo inorridito all’orologio sul suo comodino, ma non vedeva nulla senza occhiali.

“Che diavolo di ora è?!?” chiese.

“Tra cinque minuti abbiamo Pozioni” disse lei.

“Per  le mutande consunte di Merlino!” strepitò Ron cercando di tornare a terra, senza però riuscirci.

“Facci scendere, per Godric!” fece Harry.

Hermione allora, li fece piombare a terra, senza preoccuparsi dell’urto con il duro pavimento di pietra.

“Vedete di muovervi” aggiunse prima di uscire, lasciandoli mentre si rialzavano e si massaggiavano il fondoschiena.

 

“Ora che i cari Potter e Weasley si sono degnati di arrivare, direi che possiamo iniziare” disse Piton con la sua voce strascicata, non appena i ragazzi entrarono di corsa nel sotterraneo “e dieci punti in meno a Grifondoro, cinque per il ritardo e cinque per la divisa trasandata”.

Hermione, l’unica altra Grifondoro del settimo anno a frequentare Pozioni, scosse impercettibilmente la testa.

Harry e Ron andarono al tavolo dell’amica, già infuriati di prima mattina.

Non solo gli altri erano ancora in piedi a sistemare le loro cose, ma le loro divise non erano poi così trasandate.

Certo, la camicia di Harry era fuori dai pantaloni e la cravatta di Ron un po’ allentata, ma questo era troppo anche per Piton.

Ma in fondo quando mai l’insegnante era stato equo con i Grifondoro?

“Oggi proverete a preparare il Veritaserum, che presumo sappiate cosa sia. È nel programma del settimo anno, anche se dubito fortemente che qualcuno di voi riesca a prepararlo alla perfezione” annunciò “le istruzioni sono a pagina 57 del vostro libro. Inizierete oggi e finirete domani, per dare tempo alla pozione di riposare come viene espressamente indicato nel decimo punto. Cominciate”.

Ovviamente, era estremamente difficile e buona parte della classe andò in crisi subito dopo l’inizio.

Harry era riuscito a raggiungere il voto richiesto ai G.U.F.O. solo perché sua madre ogni estate lo aiutava facendogli lei stessa pomeriggi interi di ripetizioni, e Piton non mancava mai di ricordagli che non aveva certo ereditato la sua bravura, prendendo piuttosto l’incapacità di James.

Era Camille che amava Pozioni tra i due figli, lui l’avrebbe abbandonata volentieri se non fosse stato che per frequentare l’Accademia Auror fosse richiesto un M.A.G.O. in quella materia.

“Ehi Potter! Potter!” chiamò Malfoy a quel punto “Cominciate bene è, partite da sotto zero!”

Si riferiva alla Coppa delle Case, Harry lo capì.

“Vinceremo lo stesso e voi finirete secondi Draco, come succede da sei lunghi anni” rispose, con un ghigno strafottente sul viso.

Il biondo stava per rispondere, ma il quel momento Piton piombò di fronte a loro.

“Perdendo tempo a disturbare il signor Malfoy, Potter, non hai fatto attenzione al secondo punto, dove di dice espressamente di controllare e mescolare la pozione per far in modo che non si bruci. Ora questa porcheria che hai nel calderone è inutilizzabile. Evanesco”.

La pozione sparì e l’umore del ragazzo piombò sotto terra, cominciare l’anno con un Non Classificato non era il massimo.

Si voltò per rispondere male a Malfoy e dargliene la colpa, ma lui non lo stava ascoltando, poiché Piton era impegnato a maltrattare il ragazzo biondo accanto a lui che Harry aveva visto sulla banchina e sul treno e che non aveva notato fino a quel punto.

“Mi risulta che a Durmstrang seguissi un corso di livello pari a questo” stava dicendo.

“Si signore” rispose Mizar, leggermente intimorito da quello sguado di fuoco.

“E allora cosa sarebbe questa schifezza?!?” sbraitò l’insegnante.

“Il…il mio Veritaserum?”

“No, è un miscuglio inutile. Evanesco” e face scomparire la pozione, proprio come aveva fatto per quella di Harry.

“Le tue conoscenze sono pari a quelle di uno studente di quinto anno, Lestrange. Se vuoi un M.A.G.O. in Pozioni ti conviene ristudiare il programma del sesto, o non andrai da nessuna parte”.

Mizar lanciò uno sguardo disperato il suo calderone ormai vuoto, chiedendosi come avrebbe fatto a studiare tutto da solo.

Ron picchiettò sulla spalla di Harry, sembrava felice nonostante il suo Veritaserum avesse assunto la consistenza del cemento, al posto di sembrare acqua limpida come sarebbe dovuta diventare dopo il settimo punto.

“E’ la prima volta che Piton se la prende con un Serpeverde!” gongolò “Questa è la più bella lezione da quando Neville al quarto anno gli ha accidentalmente buttato addosso la pozione Sonnolungo”.

Harry non ci aveva pensato, l’uomo parteggiava apertamente per la casa di cui era capo, non lo avevano mai visto sgridare qualcuno di loro, tranne quei tonti di Tiger e Goyle.

E mentre l’amico continuava a mormorare “Giustizia”, tentando allo stesso tempo di sistemare la sua ormai irrecuperabile pozione, si chiese perché Piton sembrasse avercela così tanto con quel ragazzo.

 

Nello stesso momento, qualche piano più in alto, la classe del sesto anno di Grifondoro stava seguendo la lezione di Trasfigurazione, sempre con i Serpeverde.

Stupendo tutti, McGranitt compresa, Samuel aveva abbandonato la sua solita postazione in fondo all’aula e aveva trascinato Ted al secondo banco, proprio davanti a Camille e Ginny.

I suoi amici non ne avevano capito il motivo, almeno finchè non avevano visto chi c’era al primo posto.

Dione.

Lei, seduta con il gemello, non pareva essersi accorta della sua presenza, e continuava a prendere instancabilmente appunti.

“Dai, ammettilo che ti piace” sussurrò Ted più o meno a metà dell'ora.

“Non dire fesserie” rispose Sam “è una Serpeverde!”.

“Sono quaranta minuti che la fissi, dubito anche che tu sappia di cosa stia parlando la McGranitt” ribattè l’altro.

“Non mi sta bene che mi abbia rifiutato, ecco tutto. Nessuno l’aveva mai fatto”.

“Oh-oh-oh, siamo davanti al tuo immenso orgoglio ferito?”

“Non credo proprio, oggi pomeriggio mi vedo con una tipetta di Corvonero”.

“E quando l’avresti invitata?”

“Ieri, appena scesi dal treno, sembrava entusiasta”.

A quel punto, però, Dione si voltò con gli occhi fiammeggianti.

“Non interessano a nessuno i particolari della tua vita amorosa. Se chiudi quella bocca posso continuare a seguire la lezione” sibilò.

“Se vuoi annullo l’appuntamento ed esco con te, così posso raccontarti tutti i particolari che vuoi, anche quelli più piccanti” propose lui, con la solita espressione da dongiovanni.

“Non uscirei mai con te, Black” rispose lei con un sorriso strafottente.

“Ma se ti ricordi anche il mio nome…” disse Sam.

“Dettagli, dettagli insignif…”

“Se la smetteste di disturbare” la interruppe la McGranitt “potrei continuare la spiegazione in pace”.

La classe intera era in silenzio, tutti li stavano fissando.

“Professoressa, Dione non vuole uscire con me. Credo meriti una punizione” esclamò Samuel perfettamente tranquillo, mentre lei arrossì vistosamente.

“Come le ho già ripetuto centinaia di volte in questi anni, signor Black” cominciò la donna, con un’espressione rassegnata “non mi interessano ne la sua vita privata ne la lista dei suoi appuntamenti. Ora faccia silenzio e lasci in pace la signorina Lestrange, così posso continuare la lezione”.

“Ma professoressa…”

“Niente ma” lo interruppe, stavolta severamente “fai silenzio, Black, o prenderai la prima punizione dell’anno. La prima di una lunga serie, temo”.

Vedendo la sua espressione offesa, gli amici scoppiarono a ridere, e anche Dione fece un sorrisetto, prima di voltarsi e di ricominciare a prendere appunti.

 

Nella torre opposta a quella del Grifondoro, stava la Sala Comune di Corvonero.

Era una stanza circolare, ampia ed ariosa, vi erano delle finestre ad arco a cui erano appesi drappi di seta blu e bronzo, il soffitto era a cupola e, come la moquette, era trapuntato di stelle.

Qua e là c’erano librerie traboccanti di tomi e alcuni tra gli studenti migliori stavano già studiando sui lunghi tavoli di legno scuro.

Noah era seduto sul divano e rideva con i suoi compagni di dormitorio, visto che si era rifiutato categoricamente di fare i compiti già dalla prima sera.

“Insomma, sarò pure un Corvonero e mi piacerà anche studiare, ma sono pur sempre il figlio di un Malandrino!!” ripeteva di continuo quando Samuel gli diceva che era il degno erede di Hermione, vedendolo fare i compiti d’estate.

In quel momento, la lustra porta nera dell’ingresso di aprì, facendo entrare la ragazza bionda che quel giorno si era estraniata da tutti.

Noah la seguì con lo sguardo, vedendola andare fino alla finestra da cui si poteva ammirare tutto il parco di Hogwarts, poggiare su una poltrona li accanto qualsiasi cosa avesse in mano e perdendosi a guardare fuori.

Senza pensarci troppo, il ragazzo si alzò e si diresse verso di lei, sentendo i suoi amici ridacchiare alle sue spalle.

“Ciao” disse titubante, non trovando nulla di più intelligente.

E dire che la nostra caratteristica dovrebbe essere l’intelligenza…” pensò.

“Io sono Noah, Noah Black” si presentò, dandole la mano.

Lei la strinse sorridendo.

“Mira Dumas”.

“Perché stai qui tutta sola?” domandò lui.

“Non conosco nessuno e le mie compagne di dormitorio mi hanno gentilmente fatto capire di non star loro molto simpatica” spiegò.

 “Bè, a me sembri simpatica” affermò Noah, dandosi poi mentalmente dell’idiota perché capì di sembrare proprio un ragazzino stupido che cercava di rimorchiare.

“Ciao MiniBlack” esclamò Luna con la sua voce sognante, chiamandolo con quello sciocco nomignolo che gli aveva affibbiato al suo secondo anno.

“Ehi Luna, ti presento Mira” rispose lui.

“Tanto piacere Mira, come mai non indossi la nostra divisa?”

“Il professor Vitious me l’ha appena data, da domani la porterò anche io”.

Luna poteva sembrare una ragazza distratta, ma l’amico sapeva che lei notava tutto, anche le cose più insignificanti.

“Che lezioni frequenti?” chiese il ragazzo.

“Ho l’età di quelli del quinto anno ma seguirò i corsi del quarto, perché il quarto di Hogwarts corrisponde al quinto di Beauxbatons” spiegò lei.

“Wow, allora faremo lezione insieme!” esclamò Noah “Ma come mai allora oggi non c’eri?”

“Silente mi ha dato il permesso di girare per la scuola, per conoscerla e ambientarmi. Inizierò domani”.

Ma mentiva.

Mira aveva passato un sacco di tempo con il vecchio preside, a cui aveva raccontato la sua storia.

L’uomo gli aveva detto qualcosa su suo padre e suo fratello, ma aveva aggiunto che non si sarebbe dovuta sconvolgere se scavando nel loro passato avesse trovato qualcosa di strano.

Quando lei aveva domandato cosa avrebbe dovuto trovare, lui aveva risposto che avrebbe capito tutto a tempo debito.

Aveva poi passato il resto della giornata ad inseguire Mizar, cercando di non essere scoperta.

Avevano lo stesso modo di sorridere, lo stesso modo di camminare con mani dietro la nuca quando erano rilassati, lo stesso strano modo di sedersi a tavola, oltre ad una grande somiglianza fisica.

“Dai vieni, ti presento gli altri!” esclamò Noah, distogliendola dai suoi pensieri.

“Ci vediamo Mira!” aggiunse Luna.

E lei si lasciò trascinare via, felice di aver trovato due nuovi amici.

 

Nonostante fosse solo settembre, il clima nel dormitorio di Serpeverde era particolarmente rigido, per questo il colossale camino di marmo era già acceso.

Era mezzanotte passata e la Sala Comune era deserta, fatta eccezione per un bambino del primo anno seduto sul tappeto verde argento con la schiena appoggiata alla poltrona di pelle nera, proprio quella di fronte alle fiamme.

Alla luce verdastra delle lampade stava scrivendo una lunga lettera alla sua famiglia, raccontandogli dello Smistamento e del primo giorno, lanciandosi in una dettagliata descrizione di compagni, professori e lezioni.

Era stato messo nella Casa che aveva ospitato suo padre e suo nonno prima di lui, così come il resto dei suoi parenti, quindi era certo che la sua famiglia ne sarebbe stata fiera.

Sentì la grande porta di pietra aprirsi alle sue spalle, ma non gli badò.

Probabilmente era qualche Prefetto di ritorno dalle ronde, o qualche tiratardi tornato dall’incontro con una ragazza.

In ogni caso, non era un suo problema.

Stupeficium!” disse una voce.

Il bambino cadde su un fianco schiantato, travolgendo il calamaio aperto e spargendo l’inchiostro nero sul tappeto.

Erano in due, uno rimase alle sue spalle e uno gli andò davanti.

Reperius Cordis” mormorò quello davanti a lui.

Una smorfia di dolore apparve sul volto del bambino, mentre dal suo petto si levava una specie di luce.

“Ma tu sai come dovrebbe essere?” chiese il ragazzo che aveva lanciato l’incantesimo.

“Più luminoso” rispose semplicemente l’altro “c’era un’immagine sul libro. Non è questo, rimetti tutto apposto”.

Il compagno eseguì nuovamente l’incanto e la luce svanì, ma il bambino rimase a terra.

“Bè, non potevamo essere così fortunati al primo tentativo” commentò.

“Andiamocene, non abbiamo motivo di rimanere” disse l’altro.

 

Innerva”.

Il bambino fece una smorfia e aprì gli occhi.

“Lestrange!” esclamò “Sei stato tu a schiantarmi?”

“Se fossi stato io” rispose paziente Mizar “non ti avrei svegliato”.

Il più piccolo parve credergli.

“E allora che ci fai sveglio a quest’ora?” chiese però, guardingo.

“Sono stato in biblioteca a cercare un libro di Pozioni, Draco è di ronda e mi ha aiutato a non farmi scoprire” spiegò “quindi non sai chi è stato a schiantarti?”

L’altro scosse la testa.

“Sarà stato uno scherzo. Vai a dormire” gli consigliò il più grande “è molto tardi ormai”.

Quello raccolse lettera, piuma e calamaio e se ne andò, senza nemmeno ringraziare l’altro Serpeverde.

Mizar non ci fece caso, dopotutto era solo un ragazzino, e rimase a fissare la grande macchia di inchiostro nero sul tappeto verde argento.

***

 

 

NOTE:

-So che per preparare il Veritaserum ci vuole moltissimo tempo, ma non mi è venuta in mente nessun'altra pozione abbastanza difficile da assegnare a studenti del settimo anno.

-Non sono completamente certa dell'esistenza della pozione Sonnolungo...probabilmente me la sono inventata...mi sembra di averla già sentita da qualche parte ma non ne sono sicura.

-C'era un'altra nota da scrivere, ma in questo momento non me la ricordo più :P

-Me la sono ricordata! Il Reperius Cordis è un incantesimo che mi sono inventata. La formula fa abbastanza schifo, lo so, ma non sono riuscita ad creare nulla di più decente :(

 

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Capitolo 6
*** Serpenti&Grifoni ***


 

Ciao a tutti!!! :D

Prima di qualsiasi cosa, oltre come sempre a ringraziare coloro che hanno recensito (Vi adoro, davvero <3), voglio ringraziare le tantissime persone che in questi due giorni hanno inserito la storia tra preferiti/seguiti/da ricordare, GRAZIE DAVVERO A TUTTI!

E poi, ecco qui il nuovo capitolo, spero vi piaccia.

Bacioni,

Ale

 

NOTE:

- Tra poco, parlando di Piton, potreste pensare che mi sono contraddetta. Potrebbe anche essere, quindi vi spiego cosa intendo dire. Severus odia gli studenti di tutte le case, i Grifondoro in particolare, certo, ma anche quelli delle altre. Siccome oggi sono un pò tanto rinc...non riesco a capire se mi sono contraddetta o no.

 

6. Serpenti&Grifoni

Se Harry Potter pensava che Severus Piton odiasse solo i Grifondoro, si sbagliava di grosso.

Lui odiava gli studenti in generale, che fossero Tassorosso, Corvonero, Grifondoro e, perché no, Serpeverde.

Certo, come ogni insegnante aveva i suoi preferiti, ma era ben attento a nasconderlo, per evitare che anche loro stessi se ne accorgessero.

Si dimostrava più odioso con i rossioro solo perché gli ricordavano certi Grifondoro del suo passato.

Quel giorno, per esempio, non si era fatto scrupoli nel punire due membri della sua casata del quarto anno, costringendoli a pulire classe e calderoni senza magia, ritirandogli la bacchetta.

Erano passate tre ore da quando i due avevano iniziato il lavoro, in teoria sarebbero dovuti essere a buon punto, così decise di andare a controllarli.

Avvicinandosi alla sua classe, però, si rese conto che la porta era socchiusa.

Piton si infuriò, sicuramente quei due avevano chiesto aiuto ai loro amici, così spalancò la porta di botto.

Quello che vide, però, gli fece smontare subito la rabbia.

I due erano a terra, schiantati, con una smorfia di dolore sul viso.

Innerva” esclamo, puntando la sua bacchetta contro di loro.

I due aprirono gli occhi.

“Che diamine è successo qui dentro?!?” chiese.

“Ci…ci hanno schiantato professore” rispose il primo.

“Eravamo di spalle, non sappiamo chi sia stato” aggiunse il secondo.

Piton spalancò la porta.

“Tornate in Sala Comune e restateci, muovetevi” ordinò.

I due non se lo fecero ripetere visto che nemmeno a metà della pulizia, afferrarono le bacchette e scapparono, prima che l’uomo cambiasse idea.

L’insegnante guardò nella classe, cercando di vedere se ci fosse qualcuno nascosto nell’ombra, poi uscì, sigillando l’aula con un incantesimo e andando dal preside.

 

Silente era chino sul suo Pensatoio, immerso in chissà quali pensieri, quando Piton entrò.

“Severus” salutò lui cordiale, spostando il vecchio bacile più in là “a cosa devo la tua visita?”

“Qualcuno si diverte ad andare in giro a schiantare i Serpeverde” rispose “due studenti in punizione oggi e uno del primo anno il primo giorno di scuola”.

“Oh Severus, sarà uno scherzo. Se ben ricordo, quando andavi a scuola tu non si poteva fare un passo senza essere colpito da un Levicorpus” ribattè sorridendo il preside “non mi pare il caso di allarmarci per così poco”.

Piton lanciò uno sguardo verso il Pensatoio, chiedendo al preside cosa stesse guardando.

“Vecchi e dolci ricordi di quando ero studente” spiegò quello con un sorriso “è bello rivivere certi momenti ogni tanto, dovresti provare”.

L’uomo fece una smorfia, Silente sapeva che lui non aveva bei ricordi di Hogwarts, e tutto grazie a quei certi Grifondoro che lo avevano portato a odiare quella casa più di ogni altra.

 

La biblioteca di Hogwarts contava migliaia di libri, decine dei quali contenuti nella Sezione Proibita, esplorata nonostante i divieti da alcuni diligenti studenti, coperti dal Mantello dell’Invisibilità di James Potter, ereditato dai suoi figli.

Quello era il regno di Hermione Granger, di Noah Black, di coloro che amavano lo studio come nessun’altra cosa al mondo.

Non era un posto per tutti, solo pochi prescelti potevano restarci pomeriggi interi senza impazzire.

Ted Lupin, ovviamente, non era tra quelli.

Crollò con la testa su libri e pergamene, le lezioni pomeridiane erano appena finite e lui voleva tentare di scrivere il tema di Pozioni che doveva consegnare il giorno dopo.

Per la prima volta dopo cinque anni, aveva deciso di provare a studiare quella materia da solo, peccato che aveva fallito miseramente.

Aveva davanti a sè decine di libri, ma la pergamena era rimasta vuota.

Senza Camille ad aiutarlo, non sarebbe mai riuscito a fare quel maledetto tema per Piton.

Si alzò, deciso a rimettere tutto apposto e andare in Sala Comune dall’amica, e fu allora che vide chi c’era accanto a lui, che non aveva notato fino a quel momento.

Era quella ragazza bionda arrivata da Beauxbatons.

Era china su un libro che sembrava molto antico, con le pagine piene di alberi genealogici.

Senza farsi notare, cercò di vedere il nome della famiglia che stava studiando la ragazza.

Erano i Black, per quello in fondo c’erano Samuel e Noah.

“Ciao” esclamò.

Lei si voltò.

“Ciao” rispose.

“Piacere, Ted Lupin”.

La ragazza parve titubante, ma si presentò.

“Mira”.

“Che stai leggendo?” domandò.

“Genealogia magica…parecchio noioso, ma volevo cercare una cosa”

“Sei parente dei Black?”

“Oh no, ho una zia che con quel cognome, non sono della loro famiglia”.

Ted la vide chiudere il libro.

“Scusami, penserai che sono un impiccione”.

Lei sorrise.

“Non preoccuparti, devo andare. Noah e Luna mi stanno aspettando”.

“Luna Lovegood?” chiese Teddy.

Era suo amico, ma quella ragazza era una tipa decisamente stramba.

“E’ un po’ pazza” convenne Mira “ma simpatica”.

Il ragazzo scattò in piedi.

“Ci vediamo in giro, allora” disse.

“Ci vediamo in giro, Ted Lupin” lo salutò.

E mentre lei se ne andava con il libro stretto sotto braccio, i capelli del Metamorphomagus virarono dal suo solito azzurro al rosso fuoco.

 

Ted si lasciò cadere sul divano accanto a Samuel.

“Da quando tieni i capelli rossi?” domandò l’amico svogliatamente.

Lui non rispose, fissando le fiamme del camino.

“Cosa sai di quella ragazza di Beauxbatons?” domandò.

Sam ci penso un attimo.

“Che è bionda e francese. Anche carina, direi” rispose “non ti sarai preso preso una cotta?”

Teddy scosse energicamente la testa.

“Ci ho scambiato quattro chiacchiere in biblioteca” disse semplicemente.

“Con chi?” domandò Camille sedendosi fra loro.

“Ted ha una cotta per la francesina” rispose Samuel.

“Non è vero!” esclamò quello “A proposito Lil, mi serve aiuto per il tema di Pozioni”.

Lei si alzò di nuovo.

“Siete noiosi e pure copioni!” li prese in giro, facendogli pure una pernacchia.

“Per sabato hanno organizzato l’uscita ad Hogsmead, comunque” annunciò il bel Black, con lo stesso entusiasmo che avrebbe avuto se avesse annunciato agli amici esami imminenti.

“Perfetto!” esclamò Camille “Allora io vado in biblioteca a prendere il libro per la ricerca, questa sera organizziamo tutti insieme”.

E se ne andò, lasciando i due amici sul divano.

“Che hai Sam?” chiese Ted, guardando l’amico fissare il vuoto.

“Pensavo…”

“A Dione?”

Lui fece una smorfia.

“Certo che no” rispose.

Ma Teddy sapeva di aver ragione.

Quel giorno, a Difesa, l’amico si era seduto di nuovo dietro di lei, ma la ragazza lo aveva liquidato con parole non proprio simpatiche.

Da quel momento, era stato cupo e scontroso per il resto della giornata.

“Cederà…” disse il Metamorphomagus, alzandosi e dandogli una pacca sulla spalla, per poi andare a portare i libri in camera.

“Samuel!” cinguettò poco dopo una biondina, sedendosi al suo posto.

“Ehi, Caroline” salutò lui con falsa allegria.

“Andiamo ad Hogsmead insieme dopodomani?” chiese.

“No, mi spiace” rispose lui “vado con i miei amici. Ma se suoi possiamo recuperare ora…”

E le lanciò uno sguardo malizioso.

Anche se non poteva avere Dione, mica doveva fare il voto di castità.

Lei non se lo fece ripetere due volte, avventandosi sulle labbra del ragazzo.

Ma si, non bisogno di te, Lestrange” pensò, mentre di baciavano con un ardore tale da infuocare la Sala Comune.

 

Camille imboccò il corridoio dove c’era il libro che cercava, quello che usava sempre per le ricerche di Pozioni.

Vide una testa bionda china su un volume poco più avanti, ma non se ne curò finchè non vide chi fosse.

Mizar Lestrange.

Non che lo conoscesse a fondo, ma era una Potter e aveva ereditato i pregiudizi dei suoi genitori.

Era un Lestrange, discendente di fedeli seguaci di Lord Voldemort.

Mentre cercava il libro, si rise conto che non c’era e allo stesso tempo si sentì osservata.

“Cerchi questo?” domandò una voce.

Camille si voltò.

Il mano, chiuso, Mizar teneva proprio quel vecchio tomo utilissimo.

“Si” rispose lei secca.

Il ragazzo, mantenendo un’espressione gentile, glielo allungò.

“Tienilo pure, tanto per me è arabo” disse tranquillo.

“Ma tu non sei del settimo? Non dovresti averle già studiate queste cose?” domandò Camille.

Lui annuì.

“Ma Piton pensa che la mia preparazione sia troppo scarsa, quindi se voglio seguire il suo corso devo studiarmi il programma del sesto da solo” spiegò, con una nota contrariata nella voce.

La ragazza non seppe il perché, ma lui le sembrava diverso dai Serpeverde.

Ogni volta che parlava con uno di loro, finivano per insultarsi perché lei era una Potter e una Mezzosangue.

“Se vuoi potrei aiutarti” propose senza rendersene conto e, per un attimo, sperò che lui rifiutasse.

Invece si illuminò.

“Sarebbe meraviglioso se ci riuscissi”.

Era un Lestrange decisamente atipico, non ce li vedeva proprio a chiedere aiuto.

Perdipiù ad una Grifondoro.

“Possiamo vederci qui di pomeriggio, facciamo sabato alle tre?” chiese lei.

“Perfetto” rispose immediatamente Mizar “Grazie”.

Camille mise il libro nella borsa e inforcò la tracolla.

“Ti prego, non andartene perché ci sono io. Me ne vado se devi studiare” esclamò scattando in piedi.

“Oh no, tranquillo” lo rassicurò subito lei “Aiuto sempre anche Samuel e Ted, i miei amici sai. Loro sono disastri totali in Pozioni, ma vogliono diventare Auror”.

Quando lei si avviò verso il corridoio, inaspettatamente Mizar la seguì.

“Non ci siamo ancora presentati” esclamò lui “Mizar Lestrange”.

“Camille Potter” disse lei, osservando attentamente la sua reazione.

Si aspettava che partissero gli insulti, a quel punto.

Ma lui continuò a sorridere, come se niente fosse.

“Allora…” fece lei “…come mai vi siete trasferiti?”

“I nostri genitori pensavano che Durmstrang fosse troppo lontana” rispose lui “anche se continuano a pensare che sia migliore di Hogwarts”.

“E perché vi ci hanno mandati allora? Perché non avete iniziato qui a studiare?”

“Bè, penso tu sappia le voci che correvano sui Lestrange. Non volevano che le conseguenze delle loro colpe cadessero su di noi”.

Quando passarono davanti a uno dei tanti sgabuzzini delle scope di Gazza, sentirono un pianto.

Camille aprì, trovandosi davanti una bambina, certamente del primo anno, con lo stemma di Tassorosso appuntato sulla divisa.

“Ehi ehi ehi” sussurrò avvicinandosi, alzandole il viso e asciugandole le lacrime “Che succede?”

“La…la…la mia…amica” singhizzò “L’hanno schiantata”.

La ragazza l’aiutò ad uscire.

“Dov’è?” le chiese poi.

La bambina singhiozzò ancora più forte.

Mizar allora fece un gesto che convinse ancora di più Camille che fosse un Lestrange moooolto strano.

Si inginocchiò davanti a lei e le porse il suo fazzoletto di seta.

“Se non ci dici dov’è non possiamo aiutarla” le mormorò dolcemente.

Lei, allora, indicò un corridoio poco più in là.

Camille la prese per mano, poi corsero insieme nel corridoio affianco.

A terra, schiantata, c’era una bambina, con la borsa e libri sparsi qua e là.

“Hai visto chi è stato?” chiese lei, mentre il ragazzo si avvicinava.

La bambina scosse forte la testa.

“Che succede qui?” chiese una voce alle loro spalle.

Tutti e tre si voltarono, vedendo Hermione con un carico di libri tra le braccia.

“L’hanno schiantata Herm, chiama la McGranitt” spiegò Camille.

La caposcuola annuì, appoggiò i libri per terra (ritendendolo tra l’altro un sacrilegio) e se ne andò.

“Il quarto attacco…” mormorò Mizar accarezzando dolcemente i capelli della ragazzina a terra.

“Come?” domandò la Grifondoro avvicinandosi.

“Sono stati colpiti tre Serpeverde finora. Che io sappia questo è il quarto attacco. Gli insegnanti credono che siano stupidi scherzi”.

Rimasero in silenzio, rotto solo dai singhiozzi sommessi della Tassorosso, ognuno immerso nei suoi pensieri.

Non potevano sapere che stavano pensando la stessa cosa.

Chi poteva fare scherzi così sciocchi?!?

Non capivano che potevano spaventare sul serio?!?

“Signorina Potter, signor Lestrange!” esclamò una voce leggermente agitata alle loro spalle “Cosa è successo?”

Era la McGranitt, arrivata a passo svelto davanti a Hermione.

“Qualcuno…qualcuno ha schiantato la mia amica” spiegò la Tassorosso.

Innerva” disse la professoressa.

La bambina a terra, allora, aprì gli occhi.

“Hai visto chi è stato?” domandò la donna.

Lei fece segno di no.

“Mi fa male la testa” aggiunse.

Mizar allora le diede una mano a rialzarsi e lei gli lanciò uno sguardo grato, quasi languido.

“Ti ci vuole una bella dormita. Vi accompagno in Sala Comune. Voi andate nei vostri dormitori. Fate attenzione” si raccomandò la vicepreside, andandosene con le bambine.

I tre rimasero a guardarli scomparire, poi Mizar si battè una mano sulla fronte.

“Che maleducato che sono, Mizar Lestrange” esclamò porgendo la mano a Hermione.

Lei parve incerta, ma poi la strinse.

“Hermione Granger” disse.

“Ti ho vista in classe, abbiamo parecchie lezioni insieme” esclamò il ragazzo.

Lei annuì, stupita.

Era la prima volta che Serpeverde le si rivolgeva gentilmente.

“Vi lascio, visto che siete insieme. Poi mi sembra che la vostra Sala Comune non sia distante” disse “allora a sabato, Camille”.

“A sabato” rispose lei, chiedendosi per l’ennesima volta se avesse fatto bene a offrirgli il suo aiuto.

Quando il ragazzo se ne fu andato, le due imboccarono la strada opposta, verso la Torre del Grifondoro.

“Tu ed un Lestrange?” domandò ad un certo punto Hermione.

“Lo aiuto a studiare Pozioni, nient’altro” esclamò lei, sulla difensiva.

“Harry lo sa?”

Camille le rivolse un’espressione quasi supplichevole, che non si addiceva proprio alla sua indole Grifondoro.

“Non dirglielo, ti prego”.

Hermione si portò la mano sul cuore.

“Parola di scout” poi, vedendo l’espressione confusa dell’amica, aggiunse: “roba Babbana, lascia perdere”.

Camille si fece pensosa.

“Mizar dice che hanno schiantato qualche Serpeverde, quella Tassorosso non era la prima” disse ad un certo punto.

“Forse non sono solo stupidi scherzi, allora” rispose l’altra.

“Parola d’ordine” domandò la Signora Grassa davanti a loro.

Erano arrivate davanti all’entrata del dormitorio senza rendersene conto.

“Ippogrifo” esclamò la Caposcuola.

Quando entrarono in Sala Comune, Harry stava giocando a scacchi con Samuel, tornato miracolosamente di buon umore, Ron chiacchierava con Neville e Teddy leggeva spaparanzato su una poltrona.

Le due ragazze si avvicinarono e, mentre Camille si mise seduta praticamente sopra Ted, Hermione poggiò i libri accanto alla scacchiera, facendo tremare pericolosamente i pezzi.

“Io…ecco…sabato non vengo ad Hogsmead” disse la Potter tutto d’un fiato.

Ted allora alzò gli occhi dal suo libro, Samuel ed Harry dalla scacchiera.

“Che cosa?” esclamarono gli amici e il fratello all’unisono.

“Non puoi non venire Lil!” esclamò Teddy.

“E’ tradizione andare ad Hogsmead insieme alla prima uscita dell’anno!” disse Harry.

“Io ho anche rinunciato ad un appuntamento!” aggiunse Sam.

“Tu hai appuntamenti praticamente ogni giorno Samuel!” sbottò Camille “E io ho un impegno”.

“Wow wow wow sorellina” ridacchiò il fratello.

“Dobbiamo essere gelosi?” domandò Black, guadagnandosi una cuscinata dall’amica.

E mentre Samuel e Harry facevano il terzo grado alla ragazza, Hermione sorrise di soppiatto.

Pensava che, finalmente, quello stupido odio tra casate poteva essere appianato.

Non sapeva quanto si stava sbagliando.

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Capitolo 7
*** Hogsmeade ***


 

Salve salvettino a todos! :D

Grazie mille a chi ha recensito, davvero, mi fa tanto piacere sentire che la mia storia vi piace!

Ecco il nuovo capitolo, che sinceramente non è un granchè...mi dispiace...

Buona lettura!

Bacioni,

Ale

 

7. Hogsmeade

Il villaggio di Hogsmeade fu fondato da Hengist il folletto dei boschi, nel luogo dove un tempo sorgeva casa sua,  ed era famoso in Gran Bretagna per essere l’unico paese completamente magico.

Gli alunni di Hogwarts dal terzo anno in poi andavano periodicamente a visitarlo, sotto autorizzazione dei genitori.

C’erano negozi e pub, e c’era la Stamberga Strillante, considerato il luogo più infestato d’Inghilterra.

Solo in pochi sapevano la verità, cioè che le urla che si sentivano dal villaggio erano opera di Remus, che subiva le trasformazioni proprio in quella casa, nelle notti di luna piena.

Gli eredi dei Malandrini l’avevano esplorata in lungo e in largo, soprattutto Ted, curioso di conoscere il luogo dove Lunastorta si sostituiva a suo padre.

Gli si era stretto il cuore vedendo le stanze a soqquadro, i lunghi segni di unghiate sui muri, la carta da parati strappata, gli schizzi di quello che sangue qua e là, perché sapeva che prima della trasformazione dei suoi amici in Animagus, Remus si lasciava completamente andare all’istinto, ferendo se stesso e distruggendo la casa.

Era tradizione ormai che i ragazzi andassero in paese insieme alla prima visita dell’anno, e non avevano mai sgarrato fino a quella volta, quando Camille aveva preferito al villaggio il suo “impegno misterioso”.

Probabilmente, se Harry avesse saputo la vera natura dell’impegno, l’avrebbe trascinata fuori da scuola con la forza.

Ma Hermione non aveva parlato, quindi quel giorno si erano salutati tranquilli come sempre e, dopo l’ennesimo inutile tentativo di Harry di scoprire con chi dovesse vedersi la sorella, mentre tutti scendevano per il sentiero Camille era tornata in Sala Comune.

Avevano in programma di visitare i negozi, per poi chiudersi ai Tre Manici di Scopa.

Zonko, Mielandia, Scrivenshaft, la Testa di Porco e tutti gli altri.

Harry, alla testa del gruppo, li aveva trascinati a salutare Aberforth, che poi nessuno ne capiva il motivo visto che il vecchio oste non si preoccupava di nascondere il fastidio che provava vedendo studenti che girovagavano nel suo pub.

“Potter!” abbaiò “Tu e il tuo compare non avrete pensato di venire qui ad ubriacarvi come l’anno scorso?! Non voglio avere grane con Hogwarts”.

E mentre Ron alzava gli occhi al cielo imbarazzato, Hermione gli aveva lanciato uno sguardo di fuoco.

Quando si erano seduti ad un tavolo, la Caposcuola aveva rimproverato duramente i due amici provocando le risate degli altri.

Intorno a loro, intanto, c’era la tipica e poco raccomandabile clientela della Testa di Porco.

Due tipi incappucciati che discutevano animatamente, quello che sembrava un Goblin e una vecchia strega piuttosto ubriaca che parlava da sola al bancone.

Un’ora e qualche Burrobirra dopo, accompagnate dal Whisky incendiario che avevano voluto provare Harry, Samuel e Ron, passeggiavano di nuovo per High Street.

Passando davanti a Zonko, Harry, Ron, Neville e Ted si scusarono e si fiondarono dentro, dicendo di dover fare scorta.

Samuel restò fuori, poiché era stato bandito dal proprietario al suo terzo anno, quando aveva rischiato di mandare a fuoco il negozio.

Per ovviare al problema, aveva riempito un quarto del suo baule con gli scherzi dei gemelli Weasley, che preferiva di gran lunga a quelli di Hogsmeade.

Quando fu ovvio che gli altri non ne sarebero usciti molto presto, Hermione e Ginny annunciarono che sarebbero andate da Mielandia, mentre Luna e Noah dissero che dovevano passare da Scrivenshaft.

“Begli amici!” esclamò Samuel vedendoli attraversare la via ed entrare nei due negozi, parecchio irritato dall’essere rimasto solo.

 

Mielandia era un negozio di dolci molto particolare, che durante le visite ad Hogsmead era sempre pieno al pari di Zonko.

Le due ragazze riempirono i loro sacchetti di Api Frizzole, Gelatine Tuttigusti+1, Piperille Nere, Rospi alla Menta e Fildimenta Interdentali, mettendo poi in una busta Cioccorane e Piume di Zucchero Filato, i dolci preferiti di Camille.

“Chissà perché non è voluta venire, non lo ha detto nemmeno a me…” esclamò ad un certo punto Ginny, mentre erano in coda per la cassa.

Hermione incrociò le dita, sperando che non parlasse di chi pensava lei.

“Chi?” chiese, cercando di apparire tranquilla.

Aveva promesso a se stessa di non dire nulla a nessuno, non voleva che il suo migliore amico e una delle due sue più care amiche litigassero per colpa sua.

“Camille, ovviamente!” rispose la rossa.

Appunto.

“Forse doveva studiare…” buttò li la riccia.

“Non abbiamo niente di particolare per questa settimana!” ribattè Ginny, poi, vedendo l’espressione dell’amica, si illuminò “Tu lo sai!”

“Io? Certo che no!” rispose subito Hermione, che però non sapeva proprio mentire.

“Con chi è?” chiese l’altra, ignorando quella risposta.

“Non lo so!”

“Hermione Jean Granger…”

“E’ con quel Lestrange!”

Ginny strabuzzò gli occhi.

“Scherzi, vero?” domandò.

Lei scosse la testa, sentendosi terribilmente in colpa.

“Lo aiuta a studiare Pozioni, a quanto pare. Ma non dirlo ad Harry, ti prego, aspettiamo che sia lei a farlo, perché litigheranno di sicuro” la pregò.

“Camille e Deimos?” chiese di nuovo Ginny, ancora incredula.

Hermione la guardò confusa.

“Ma no, intendevo Mizar!”

“Bè, questo è ancora più strano, visto che ha un anno più di noi” le ricordò la Weasley.

Intanto era arrivato il loro turno e avevano pagato, uscendo poi dal negozio.

“Harry darà di testa, quando lo saprà” decretò Ginny, mentre si dirigevano dagli amici.

Hermione sospirò.

 

Scrivenshaft era invece una cartoleria, dove si potevano acquistare piume, inchiostro e pergamene.

Luna dove prendere una nuova piuma d’aquila, per questo aveva trascinato Noah li con lei.

“Perché Mira è rimasta a scuola?” domandò il ragazzo ad un certo punto.

“Non ne ho una minima idea” rispose lei.

Lui scosse la testa.

“Mi dispiace vederla da sola, è come se si sentisse di troppo”.

“E’ probabile che sia così e poi, piccolo Black, secondo me ci nasconde qualcosa. Scompare di continuo e legge un sacco di libri strani. Magari in realtà non è nemmeno umana”.

“Forse è un Vampiro, o magari una Gigantessa in incognito, rimpicciolitasi con la magia dei Giganti” propose Noah.

“Non dire sciocchezze” lo riprese lei “I Giganti non possono fare certe magie, ma potrebbe essere un Vampiro”.

Noah alzò gli occhi al cielo, scuotendo impercettibilmente la testa.

 

Nel frattempo, Samuel stava passeggiando da solo, guardandosi intorno e rispondendo agli sguardi languidi delle ragazze, comportandosi come al suo solito, cioè da perfetto dongiovanni idiota.

Caroline Wichins gli si era avvicinata, lasciando per un attimo il suo gruppetto di oche, ma lui l’aveva liquidata di nuovo, solo che a quel punto senza tanti giri di parole, perché aveva visto certe persone che conosceva bene.

I gemelli Lestrange e Malfoy.

“Ciao Black” salutò Draco “i tuoi amichetti ti hanno lasciato solo?”

“Non mi sembra sia un tuo problema , o sbaglio?” rispose senza guardarlo, poiché aveva occhi solo per Dione, che camminava a braccetto con Deimos “Ci vieni con me ai Tre Manici di Scopa?”

Per qualche strana ragione, era speranzoso.

Non ne aveva motivo, visto il modo in cui lei lo trattava ogni volta che si incontravano a lezione.

Stava per rispondere, ma fu preceduta dal fratello.

“Senti Black” sbottò “mi stai particolarmente antipatico, quindi non ti permetterei di uscire con mia sorella nemmeno se fossi Serpeverde e non fossi un traditore del tuo sangue”.

“Credo che lei possa rispondere da sola” ribattè Sam.

“Gira al largo tradi…”

“Smettetela!” li interruppe Dione, particolarmente arrabbiata “Ma vi sentite?! State li a decidere della mia vita! Chi diavolo vi credete di essere?!?”

“E’ tuo fratello a comportarsi da idiota!” esclamò Samuel, sulla difensiva.

“Io non uscirei mai con te, Black” rispose lei “ma non per fare contento Deimos, perché sei un bambino arrogante che pensa che tutte le ragazze gli cadano ai piedi. Bè, notizia bomba, non è così. Me ne torno a scuola, starò sicuramente meglio”.

I tre rimasero li, a guardarla percorrere il sentiero verso Hogwarts.

“Be, complimenti Black” sibilò Deimos.

“Addio Lestrange” rispose lui, girando sui tacchi e tornando verso Zonko, dove vide i suoi amici aspettarlo.

Davvero, complimenti Samuel-Non-Ne-Faccio-Una-Giusta-Black, ti sei preso di nuovo un bel due di picche…” pensò, mentre con gli altri si dirigeva ai Tre Manici di Scopa.

 

Nella biblioteca di Hogwarts, ad un tavolo parecchio nascosto dagli scaffali stracolmi di libri, erano seduti Mizar e Camille, circondati da tomi di Pozioni.

Erano li da più di due ore, ma non avevano ancora ottenuto nessun risultato, tanto che il ragazzo cominciava a pensare di essere senza speranza.

“Come fai ad essere così brava?” domandò ad un certo punto.

“Voglio diventare Medimaga, ma poi è tutto merito di mia madre. Lei ama le Pozioni tanto quanto me quindi d’estate mi aiuta sempre, mio padre invece è negato proprio come Harry” rispose, sorridendo al ricordo di James che tentava di distillare la Bevanda della Pace con il primogenito e rischiava di far saltare in aria la casa.

“Sei fortunata ad avere una madre che può aiutarti…”

“La tua non lo fa?”

La ragazza, per un attimo, aveva pensato ad una donna troppo presa da se stessa e dalla società, visto la posizione altolocata della sua famiglia, troppo impegnata per seguire il figlio, magari in cene di gala o tè con altre Purosangue come lei, non immaginava proprio quello che lui stava per dirle.

“Probabilmente lo farebbe, ma è morta pochi mesi dopo la mia nascita”.

Camille abbassò gli occhi imbarazzata.

“Scusami…non…non immaginavo”.

“Oh, non preoccuparti, non ne ho quasi mai sentito la mancanza, praticamente è una sconosciuta per me. Si chiamava Sophie Dumas, è l’unica cosa che mi abbia mai detto mio padre. Ora che ci penso, anche quella ragazza di Beauxbatons si chiama così, potremmo essere parenti. Un giorno o l’altro dovrò ricordarmi di chiederglielo”.

La ragazza tornò a leggere un vecchio libro a caso, e lui capì che le dispiaceva avergli chiesto una cosa del genere.

“Come diavolo hanno potuto dirti una bugia del genere?!?”

Era un sussurro, ma Mizar sentì perfettamente quelle parole.

“Hai…hai detto qualcosa?” domandò.

Camille alzò gli occhi, ma scosse la testa.

Il ragazzo si voltò, ma la biblioteca era praticamente vuota, apparte loro e Madama Pince.

I ragazzi del primo e secondo anno che non potevano andare ad Hogsmeade si erano riversati nel parco, per godersi i raggi del sole.

Non si accorse che, nascosta dietro uno scaffale poco lontano, c’era Mira con il cuore in gola, che si chiedeva come diavolo avesse fatto suo fratello a sentire una cosa che lei aveva solo pensato.

 

Seduta su un divano, Luna stava tranquillamente leggendo la nuova copia del Cavillo mandatagli da suo padre, quando Mira sprofondò al suo fianco.

“Ciao!” esclamò.

Lei la salutò con la mano.

“Come è andata ad Hogsmeade?” chiese la francesina.

“Molto bene” rispose Luna “mi chiedo ancora perché tu non sia venuta”.

“Mi sentivo di troppo tra i vostri amici” disse lei timidamente.

“Anche per me è stato così, quando Noah mi ha fatto conoscere gli altri. Io sono Lunatica Lovegood, tutti mi credono una svitata, mi aspettavo di essere presa in giro anche da loro, ma non è mai successo”.

In quei giorni Mira aveva capito com’era fatta l’amica.

Era buona, intelligente e serena, nonché incredibilmente schietta.

Noah le aveva raccontato che, nei primi tempi della loro amicizia, non aveva mai avuto problemi a dire che tutti la credevano fuori di testa, e che qualcuno le rivolgeva la parola solo perché era entrata nel loro gruppo.

“Piccolo Black ed io ci chiedevamo se tu potessi essere una Vampira, o una Gigantessa in incognito magari” buttò li tranquilla e beata, come se le avesse chiesto se desiderava un dolce.

“Oh no, certo che no” rispose subito lei, scuotendo la testa divertita.

Non ce lo vedeva Noah a pensare una cosa del genere, ma era tipico di Luna credere alle cose più assurde.

“Meglio così, direi, anche se sarebbe stato bello conoscere una Gigantessa” esclamò tranquilla quest’ultima.

“Credo…credo di ave visto un tipo interessante…” fece Mira timidamente.

“E chi?” domandò l’amica.

“Quello che viene da Durmstrang, mi pare si chiami Mizar…”

Non aveva intenzione di dire a Luna che fosse suo fratello, ma voleva sapere cosa ne pensava lei.

Inaspettatamente, l’espressione sognante della ragazza fu sostituita da una più corrucciata.

“Lascialo perdere, è figlio di Mangiamorte” la avvertì.

“Mangiamorte?” domandò lei, senza capire.

Ricordava di averli sentiti nominare, ma la guerra in Inghilterra era finita prima che lei nascesse e non aveva avuto grandi strascichi in Francia, per cui non se ne era mai preoccupata.

“I seguaci del Signore Oscuro. Sono persone cattive, Mira. I Lestrange e i Malfoy erano i suoi servi più devoti, almeno finchè non hanno finto di essersi pentiti per tenersi fuori da Azkaban. Ehi, ma che hai?”

La ragazza aveva un’espressione inorridita.

Non voleva credere che fosse vero.

Suo padre non poteva essere così, suo fratello non poteva essere così.

Luna si alzò, ma lei non se accorse finchè non le parlò, lasciandola basita.

“Ti vedo confusa, sei per caso stata colpita da un Gorgosprizzo?”.

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Capitolo 8
*** Segreti rivelati ***


 

 

Buongiornoo a tutti!!!!!!! :D

Grazie a tutti quelli che leggono e recensiscono, facendomi un sacco di complimenti che mi tirano sempre su quando penso di aver scritto un capitolo pessimo. Davvero, mi fate un sacco felice!!

Ecco il nuovo chap, spero vi piaccia.

Bacioni

Ale

Ps. Qualche nota in fondo...

 

 

8. Segreti rivelati

Il vento fresco di quella mattina scompigliava ancora di più la chioma senza senso di Harry, che continuava a guardare l’orologio parecchio irritato.

Samuel era in ritardo.

Come al solito.

Erano passate più di due settimane dalla prima uscita ad Hogsmeade ed era arrivato il momento delle selezioni per la squadra di Quidditch.

In quel periodo, il numero dei ragazzi che erano stati ritrovati schiantati nei corridoi era ulteriormente aumentato, coinvolgendo anche i Grifondoro e i Corvonero, ma ancora, non essendoci stati problemi seri, venivano classificati come stupidi scherzi, anche se la McGranitt non si faceva scrupoli nel dire che se avesse scoperto il responsabile lo avrebbe punito per il resto dell’anno.

Camille continuava a studiare con Mizar, sempre in gran segreto, anche se un paio di volte aveva rischiato di essere scoperta da Harry e Samuel.

E Samuel, bè, lui continuava a provarci con Dione, e lei continuava a dargli picche.

Insomma, niente di nuovo all’orizzonte.

Quando la vicepreside aveva detto ad Harry che si erano iscritti in parecchi alle selezioni, aveva capito che era ora di accelerare i tempi, quindi quel sabato di metà ottobre si ritrovati al campo.

“Ehi Sfregiato!” urlò una voce “Che fai, i tuoi amichetti li tieni comunque? Non ti pare un po’ ingiusto?”

“Che c’entri tu qui, Malfoy? Non hai nulla di meglio da fare?”

“No, direi di no, voglio proprio vedere quanto farà schifo la concorrenza quest’anno. E comunque non mi hai ancora risposto , perché loro non sono provinati?”

A quel punto, un brusio si levò dalla schiera di aspiranti giocatori, era evidente che fossero d’accordo con il Serpeverde.

Harry aveva infatti deciso di mantenere Ron, Ginny e Samuel, non perché fossero suoi amici, ma perché meritavano appieno quel posto.

“Sai come si dice Draco? Squadra che vince non si cambia. Da quando ci sono loro, non abbiamo più perso la Coppa. E comunque, sono io il capitano e io decido, non è un problema tuo”.

Anche se non ribattè, Malfoy non diede segno di volersene andare, anzi andò a sedersi sulle gradinate dove c’erano già altre persone che stavano guardando.

L’irritazione di Harry era al massimo, Samuel non si era presentato e già aveva discusso con il caro Serpeverde.

“Cominciamo” sbottò “quando torniamo al castello ci penso io a quell’idiota”.

“SONO QUI!” gridò una voce alle loro spalle.

Era l’idiota in questione, quello che il capitano si preparava a picchiare una volta tornati in Sala Comune.

Samuel stava correndo verso di loro, la divisa da Quidditch addosso e la sua adorata Firebolt in mano.

“Sono in ritardo, lo so…” disse con il fiatone.

“Di più di mezzora” puntualizzò Harry “ok, cominciamo”.

I ragazzi furono suddivisi in due gruppi, Cacciatori da una parte e Battitori dall’altra.

I primi erano più o meno una quindicina e tranne quelli che caddero dalla scopa subito dopo esserci saliti e quelli che vennero disarcionati dall’unico Bolide che Sam stava battendo, rimasero solo in quattro.

A quel punto, con la Pluffa in mano, gli unici che riuscirono a prendere al volo i lanci di Ginny e a segnare a Ron furono Dean Thomas e una ragazza che Harry conosceva solo di vista.

Scesero a terra e si presentarono, si chiamava Demelza Robins ed era particolarmente brava a schivare i Bolidi.

“Grazie Harry!” esclamò Dean.

Il nuovo arrivato strinse la mano a tutti, ma a sorpresa abbracciò Ginny.

La ragazza parve infastidita, tanto che lo allontanò subito, mentre Harry senti una strana irritazione crescergli dentro, senza capirne il motivo.

Gli esclusi cominciarono ad uscire dal campo lanciando improperi contro il capitano, evidentemente non avevano gradito che avesse scelto un altro suo compagno di dormitorio.

A quel punto, toccò ai Battitori, che erano una dozzina.

Harry fu costretto a far comparire una rete protettiva sotto di loro quando si librarono in aria, poiché il primo ragazzino che montò sulla sua scopa Ginny dovette accompagnarlo in infermeria con il braccio rotto.

Anche il secondo Bolide fu liberato e, mentre Samuel mirava agli aspiranti giocatori che cercavano di parare e ribattere, i due nuovi Cacciatori improvvisarono una partitella provando a segnare di nuovo a Ron.

In breve, il campo piombò nel caos.

Per qualche strano motivo, i Battitori iniziarono a lanciarsi la Pluffa, lasciando del tutto perdere i Bolidi.

Samuel, vedendo lo scarso interesse dei possibili compagni, si alterò ed iniziò a cercare di disarcionarli.

I due Cacciatori, da canto loro, provarono a recuperare la palla, ma quando fu ovvio che gli altri non volevano restituirla Dean prese in prestito la mazza di Sam e fece cadere dalle scope due ragazzini del secondo anno.

“FERMATEVI!” tuonò Harry su tutte le furie “Che diavolo è questo putiferio?”

E allora tutti tornarono a terra.

“Il nuovo Battitore sei tu” decretò il capitano, indicando l’ultimo ragazzo che era sceso dalla sua scopa, l’unico che per tutto il tempo si era impegnato a respingere i Bolidi.

“Io?” chiese lui, incredulo e felice.

“Ehi! Perché proprio lui?!?” sbottò un tipo in prima fila.

“Tu” ringhiò Harry “non hai possibilità di parola. Spiegami per quale motivo hai preso la Pluffa, quando dovresti occuparti di tutt’altro”.

Quello abbassò gli occhi imbarazzato, ma non rispose.

“Come ti chiami?” domandò il capitano al nuovo giocatore.

“Jimmy Peakes (*)”.

“Benvenuto in squadra, Jimmy”.

E andò a stringergli la mano, tirando un sospiro di sollievo.

L’anno prima non c’era stato quel disastro.

“Complimenti Potter, hai messo su la solita squadra di babbei!” lo schernì Malfoy, scendendo dagli spalti.

“Ride bene chi ride ultimo, Draco” rispose Harry “vedrai alla prima partita”.

Il primo incontro dell’anno era, infatti, Grifondoro-Serpeverde, e Harry aveva decisamente voglia di vincere, per tappare la boccaccia dell’altro.

Ma vedendo Demelza e Jimmy che esultavano saltellando per il campo, non riuscì a fare a meno di pensare: “Che Merlino ce la mandi buona…”

 

Subito dopo, il campo fu occupato dai Corvonero, capitanati dal Cacciatore Jeremy Stretton (**), succeduto a Roger Davies.

Samuel, al contrario del resto della squadra, rimase a vederne le selezioni, sedendosi sugli spalti per seguire la prova di Noah.

Quando suo fratello, durante l’estate, aveva accennato di voler entrare nella squadra della sua casa, Sirius aveva fatto i salti di gioia vedendo che il figlio si interessava a qualcos’altro oltre i libri, tanto che voleva correre a Diagon Alley a comprargli una scopa tutta sua.

Il secondogenito l’aveva fermato, dicendogli che non avrebbe avuto senso acquistarla, visto che non era ancora stato preso.

Quel giorno, quindi, avrebbe sostenuto il provino con la Firebolt di Samuel, lo stesso manico con cui si era esercitato per tutte le vacanze nel boschetto intorno casa.

Voleva diventare Cacciatore, e non sarebbe potuto essere più agitato.

Il capitano ordinò agli aspiranti Cacciatori di alzarsi in volo, poi lanciò la Pluffa.

Un quarto d’ora dopo, la mascella di Sam era quasi arrivata a toccare terra.

Non immaginava che suo fratello fosse così…così…perfetto.

Aveva eseguito alcune manovre spettacolari e ogni volta che la palla gli arrivava tra le mani superava senza problemi la barriera del Portiere, unico superstite insieme a Jeremy della vecchia squadra.

Era stato naturale, quindi, che fosse scelto per primo.

Al fianco del maggiore dei Black, una ragazza saltò in piedi battendo le mani felice e urlando di gioia, e Samuel riconobbe in lei la francesina per cui sapeva che Ted aveva una cotta, nonostante cercasse di nasconderlo.

Male…molto male…” pensò, quando lei scese i gradini due a due, correndo poi ad abbracciare il fratello.

Sarebbe stato felice di vederlo con una ragazza, ovvio, ma il suo migliore amico sarebbe di certo stato male, e lui non sarebbe riuscito a consolare uno essendo contento per l’altro.

“Complimenti fratellino” esclamò raggiungendolo e battendogli una mano sulla spalla.

Quello fece un sorrisone.

“Tieni” disse porgendogli la sua scopa “e grazie per avermela prestata. Non vedo l’ora di dirlo a papà”.

“Ti prometto che troveremo il tempo di allenarci insieme” gli assicuro Sam.

Noah si illuminò.

“Grazie fratellone”.

Il fratello maggiore non ricordava di averlo mai visto così felice, quindi decise di non dirgli che Ted avesse preso una sbandata per la sua amica, così se ne andò, sperando ardentemente che nessuno dei due ne avesse sofferto troppo.

 

Mentre tornava a scuola, vide una figura sdraiata a terra, sotto un albero.

Inizialmente non ci badò, pensando che fosse solo qualcuno che stesse studiando, poi però si rese conto che non aveva nessun libro tra le mani, e che c’era una scopa poco più in là.

Samuel cominciò a correre e, avvicinandosi sempre di più, vide che era il ragazzino con cui Harry aveva discusso dopo aver nominato Jimmy Battitore.

Quando gli fu di fronte, vide che aveva gli occhi sbarrati e sperò ardentemente che fosse solo schiantato, come succedeva spesso in quel periodo, a causa di qualche stupido che non aveva nulla di meglio da fare.

Innerva” borbottò.

Il ragazzo, inizialmente, non si mosse e il cuore di Sam perse un battito.

Non puoi essere morto, alzati dai” pensò, speranzoso e preoccupato.

Dopo poco, fortunatamente, strinse gli occhi e tossicchiò, risvegliandosi.

“Tutto ok?” chiese il più grande aiutandolo ad alzarsi.

Quello annuì.

“Qualche idiota mi ha schiantato mentre ero di spalle”.

“Vieni, andiamo dalla McGranitt, vuole sempre sapere chi viene attaccato”.

L’altro allora andò a recuperare la sua scopa, poi si avviarono per il sentiero.

“Grazie comunque” mormorò a Samuel.

Non si accorsero che poco più in là, nascoste tra gli alberi della Foresta Proibita, due ombre li stavano osservando.

 

Rabastan entrò in casa tirando il mantello al povero elfo con una brutalità incredibile.

“E’ morta da qualche mese” annunciò buttandosi sul divano.

“Che cosa?!? Hai trovato le ceneri almeno?” chiese Bellatrix.

“No” sbottò lui “ma ho scoperto che ha avuto una figlia. Deve essersi risposata, la puttana”.

Bella lanciò uno sguardo allarmato al marito, che annuì, per poi lasciare la stanza.

“Una vicina mi ha detto che la ragazza è stata portata via da una donna enorme. Non c’era nessun altro in casa” continuò l’uomo.

A quel punto, il fratello tornò, stringendo in mano una vecchia pergamena.

“Leggi” gli ordinò.

“Che diavolo è?” domandò lui.

“Leggi quella dannata lettera” ripetè Rodolphus.

 

Caro amore mio,

esattamente un mese dopo la mia partenza, ho scoperto di essere di nuovo incinta, di te.

Spero che questo ti faccia riflettere, ti faccia tornare da me.

Come ti avevo avvertito, vivo nella vecchia casa dei miei genitori, spero che verrai a riprendermi, io ti sto aspettando.

Mi mancate tanto tu e Mizar, e sono certa che questa creatura vorrebbe conoscere suo padre, sono sicura che nostro figlio vorrebbe conoscere suo fratello, o sua sorella.

Ti prego, torna da me, e se non vuoi farlo per me fallo per il piccolino che nascerà tra qualche mese.

Ti amo,

Sophie

 

“Dove…dove hai preso questa lettera?” domandò attonito Rabastan.

“E’ arrivata quindici anni fa” rispose tranquillo Rodolphus.

“Cosa?!?” ringhiò il fratello, alzandosi e impugnando la bacchetta “Tu sapevi di lei e non mi hai mai detto nulla?!?”

“Stai calmo, l’ho fatto per te, altrimenti saresti andato a riprenderla davvero”.

“Certo, per Merlino! Era incinta di mia figlia! Quella ragazza rimasta orfana è mia figlia!”

L’uomo crollò di nuovo sul divano e la bacchetta cadde a terra, mentre si prendeva la testa fra le mani.

Mentre tirava su Mizar, in Francia stava crescendo la sua bambina.

Non poteva essere vero, suo fratello non poteva avergli nascosto una cosa simile.

“Andiamo a cercarla” disse Rodolphus “potrebbe avere lei le ceneri”.

“Tu non la toccherai, la troveremo e la riporteremo a casa, dove sarebbe dovuta nascere quindici anni fa” ribattè Rabastan, con una voce che rasentava l’isteria.

“Nel frattempo, controlleremo se è lei ad avere l’ampolla” aggiunse Bellatrix.

Ma il cognato non la ascoltò, senza aspettare il fratello usci dal castello e si smaterializzò, di nuovo in Francia.

***

Note:

(*) Ho preso gli stessi giocatori che aveva dato la Rowling

(**) Jeremy Stretton è stato davvero un Cacciatore di Corvonero, l'ho trovato su Wikipedia

 

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Capitolo 9
*** Halloween ***


 

COMMENTUCCIO IN FONDO, BUONA LETTURA! :D

 

9. Halloween

I giorni successivi furono all’insegna della frenesia, tutto per un motivo.

Stava arrivando Halloween.

Come ogni anno, la Caposcuola e i Prefetti dovevano trovare un tema per i costumi, ma a pochi giorni dalla festa non avevano ancora nessuna idea, tanto che Hermione era sull’orlo dell’isteria.

A sorpresa, era stato Samuel a proporre il tema vincente, una sera mentre erano in Sala Comune.

“Favole Babbane!” aveva esclamato piombando davanti ad Hermione e Camille, che stavano discutendo animatamente.

“Oh che carino, Sam” aveva risposto la Caposcuola “per aiutare l’integrazione tra la cultura Babbana e quella magica?”.

Il ragazzo ci aveva pensato un attimo, poi aveva risposto: “No, per fare un dispetto ai Serpeverde, lo detesteranno”.

La ragazza non lo avrebbe mai preso nemmeno in considerazione vista la motivazione, ma in mancanza di altre alternative non aveva potuto far altro che proporlo a Silente.

Il preside, ovviamente, aveva accettato, così nei giorni seguenti c’era stato un viavai di gufi senza precedenti, che arrivavano a tutte le ore, perfino durante le lezioni.

Tutti dovevano chiedere ai genitori di cercare i costumi che volevano e dovevano pregare che loro riuscissero a trovarli.

Eccezionale fu Lavanda Brown, che rimandò indietro a sua madre il suo abito sei volte prima che fosse di suo gradimento.

Il problema più grande, ovviamente, nacque tra i Serpeverde.

Nelle altre case, quasi tutti i Mezzosangue avevano sentito almeno una volta una favola Babbana, raccontata da genitori o nonni, quindi potevano consigliare delle maschere agli amici.

Nel bastione dei Purosangue, invece, raramente i genitori avevano tempo di raccontare storie ai propri figli, e quando lo facevano i protagonisti erano ovviamente maghi e streghe.

Quindi, prima di scegliere un costume, avevano dovuto leggere un libro di favole, tanto che quelle pochissime copie di cui disponeva la biblioteca della scuola avevano una lista d’attesa praticamente infinita.

A poche ore dal 31 ottobre, la Sala Comune del Grifondoro era diventata una specie di sartoria.

Su tavoli e poltrone erano sparsi abiti di ogni tipo e colore che le ragazze cercavano di sistemare come potevano, alcune con la magia altre addirittura con ago e filo.

Hermione aveva proposto agli amici di vestirsi come nella storia di Pinocchio, quindi Harry sarebbe stato il burattino, con tanto di fili attaccati alla schiena e naso lungo, Ron Geppetto e lei la Fata Turchina.

Camille aveva praticamente imposto a Samuel e Ted i loro costumi, essendo cresciuta a suon di Cappuccetto Rosso.

Sam si era mostrato entusiasta di vestirsi da nonnina, mentre Teddy aveva detto che era suo preciso compito impersonare il lupo cattivo, chissà perché.

Ne Ginny ne Neville avevano mai sentito favole babbane, così Hermione si era fatta spedire da casa un libro e lo aveva dato all’amica, che leggendo la storia di Robin Hood ne era rimasta talmente colpita da proporre all’amico, unico tra loro rimasto senza compagno o idee, di calarsi nei panni del ladro gentil’uomo (*) mentre lei sarebbe stata la principessa Marion.

Stessa storia della casa di Corvonero, dove era stata Mira a decidere i costumi di Noah e Luna.

Nella Sala Comune blu e bronzo erano tutti più tranquilli, poiché avevano già i loro abiti pronti e appesi nell’armadio.

La francesina, essendo cresciuta con una madre Nata Babbana, aveva sempre sentito quelle storie ed era stata felicissima di potersi vestire da Cenerentola, il suo idolo quando era bambina.

Il problema più grande era stato trovare il costume, poiché lei, al contrario degli altri ragazzi, non aveva genitori a cui chiedere aiuto.

Si era quindi dovuta adattare a trasfigurare un vecchio abito che aveva già, aiutata anche da Luna.

Quest’ultima poi, sarebbe stata Wendy, mentre Noah si sarebbe calato nella parte di Peter Pan.

Nei sotterranei verde argento, al contrario, regnava sovrana l’irritazione.

Da quando il preside aveva annunciato che se qualcuno non avesse partecipato, se non per questioni di vita o di morte, avrebbe fatto perdere alla sua casa mille punti, tutti si erano dovuti rassegnare a cercare un costume.

L’unica ad essere entusiasta era Dione, che si era divertita da morire a vedere Deimos e Draco bocciare con faccia schifata tutte le maschere che lei gli proponeva.

Bellatrix, quando aveva ricevuto dalla figlia la lettera in cui chiedeva un abito da Biancaneve, di cui aveva letto la storia nel libro che una sua compagna di stanza era riuscita a prendere in prestito in biblioteca, aveva quasi avuto un attacco di panico, temendo che fosse diventata una Babbanofila.

Quando Dione aveva spiegato alla madre che era obbligata a partecipare alla festa e a travestirsi quella, seppur scocciata, era stata costretta a far confezionare il vestito dal suo sarto di fiducia.

Quella sera, era piombata davanti ai cugini e al fratello in Sala Comune tirando loro tre costumi.

“I vostri abiti” annunciò ridacchiando.

“Perché sarebbero così…rosa?” domandò Deimos schifato.

“Sarete i Tre Porcellini” spiegò lei.

“CHE COSA?!?” gridarono i tre ragazzi all’unisono, facendo girare il resto dei presenti nella loro direzione.

“Scordatelo Dione, non mi abbasserò mai a vestirmi così!” sbottò il gemello.

“Non avete altre idee fratellino, non ci sono alternative” cinguettò lei.

“Preferisco venirci nudo, piuttosto che sembrare ridicolo con questi così addosso!” aggiunse Draco.

Mizar prese in mano un naso rosa da porcellino, osservandolo attentamente.

“Non ne avremo bisogno” disse poi “grazie Di, ma sto aspettando un pacco di papà, ci deve mandare tre maschere”.

“Cosa? Hai scelto senza chiederci nulla?!?” domandarono in coro i due cugini.

“O così o i Tre Porcellini!” esclamò l’altro tirandogli tra le mani il nasino rosa.

“I tuoi!” gridò immediatamente Deimos, vedendo ciò che stringeva tra le dita.

Dione se ne andò palesemente arrabbiata, lanciando improperi verso i parenti.

“Da cosa ci vestiremo?” si incuriosì Draco.

“Tre Moschettieri (**), non ho la minima idea di cosa siano quindi non chiedetemelo, me l’ha suggerito Cam…un mio compagno di Erbologia”.

Si era quasi tradito, nessuno dei cugini sapeva che studiava con una Potter, anche se Dione aveva intuito che Mizar gli nascondeva qualcosa.

Era stata lei a proporgli quel costume, mentre erano in biblioteca qualche giorno prima.

Aveva deciso di fidarsi, quindi non aveva nemmeno controllato chi fossero quei tre, sperando solo che non fosse nulla di imbarazzante.

 

La sera della festa, le varie sale comuni erano completamente vuote, poiché tutti, maschi e femmine senza distinzione, si erano chiusi nelle loro camere per prepararsi.

Quando si erano trovati tutti insieme davanti al camino, una bambinetta del primo anno era scappata via piangendo vedendo Ted, che era diventato un lupo vero e proprio con i suoi poteri di Metamorphomagus, tanto che il ragazzo era stato costretto a tornare in dormitorio per infilarsi il costume che gli aveva trovato Camille.

Apparte questo piccolo inconveniente, erano scesi in Sala Grande, dove si sarebbe svolta la festa.

Mentre camminavano per i corridoi, Hermione guardò fuori.

La coltre di nubi era spessa e cupa, tanto che non si riuscivano a vedere nemmeno una stella o uno spicchio di cielo oscuro.

Sebbene non avesse ancora cominciato a piovere, l’aria sembrava carica, elettrica, e le nuvole violacee illuminate di tanto in tanto dai lampi davano al tutto un aspetto inquietante.

La Caposcuola sorrise, era l’atmosfera perfetta per Halloween.

All’ingresso incontrarono Noah, Luna e Mira, e Ted fu quasi folgorato dalla visione di quest’ultima nel suo abito d’argento, con le scarpette di cristallo ai piedi.

Era stato difficilissimo trasfigurare delle banalissime scarpette bianche in cristallo, ma alla fine, con gli sforzi congiunti di tutti e tre, ci erano riusciti.

Senza nemmeno salutare i due amici, Teddy le si avvicinò tendendogli il braccio.

“Posso avere l’onore di accompagnarti dentro?” domandò.

Lei, ridacchiando, aveva annuito e si era stretta a lui.

“Ehi! Cosa c’entra Cenerentola con il lupo di Cappuccetto Rosso?!?” gli aveva urlato dietro Camille.

In quel momento, i Serpeverde risalirono dai sotterranei, con i tre Lestrange e Malfoy in testa.

Mizar guardò Camille e lei gli sorrise di soppiatto, ma non le si avvicinò come avevano stabilito.

La ragazza gli aveva raccontato che la sua famiglia e i suoi amici non avevano esattamente una buona opinione del suo nome e lui c’era rimasto un po’ male, ma aveva capito.

Entrarono tutti in Sala Grande, che era semplicemente meravigliosa.

Zucche e teschi con candele accese all'interno levitavano in aria, illuminando l’ambiente, pipistrelli veri e fantasmi volavano qua e là, tutto in aggiunta alle ragnatele finte e agli addobbi che Caposcuola e Prefetti avevano sistemato.

I tavoli delle case erano scomparsi, lasciando la sala libera per avesse voluto ballare, sostituiti da alcuni più piccoli su cui gli elfi avevano disposto il buffet.

Solo quello degli insegnanti era rimasto, da dove i professori controllavano che la festa procedesse in modo adeguato e non degenerasse nei caos totale.

Al centro della stanza videro qualche coppietta danzare, e fu un’enorme sorpresa trovare tra loro Ted e Mira, quel Ted che aveva sempre odiato ballare più di qualsiasi altra cosa al mondo.

“Ha battuto la testa?” chiese una voce alle spalle di Harry.

Il ragazzo si voltò, vedendo Remus che fissava il figlio con un’espressione divertita ma allo stesso tempo incredula.

“Credo si sia preso una bella sbandata…” rispose.

L’uomo sogghignò.

“Al nostro ultimo Halloween tuo padre ha finito per prendere a pugni un ragazzo, non ha smesso finchè io e…Peter…” gli riusciva ancora difficile, dopo diciassette anni, pronunciare il nome di colui che li aveva traditi “…non lo abbiamo fermato. Vedete di non combinarne una delle vostre”.

“Sissignore” esclamò Harry sorridendo, ma il suo sguardo Malandrino prometteva tutt’altro.

Remus scosse la testa rassegnato, poi se ne andò.

“Ok” disse Ron, appoggiando il bicchiere sul tavolo alle sue spalle “vado ad invitare Hermione”.

L’amico strabuzzò gli occhi.

“Come scusa?” chiese.

“Sono pronto per la mia figuraccia” spiegò, partendo poi a passo di marcia.

Harry lo vide avvicinarsi alla Caposcuola, che stava chiacchierando con Luna, e borbottarle qualcosa imbarazzato, tanto che anche da li si potevano vedere le orecchie rosse.

Vide Hermione sorridergli, salutare Luna e seguirlo in mezzo alla pista, dove iniziarono a muoversi un po’ goffamente.

Samuel li aveva abbandonati già da un pezzo, dirigendosi verso la sorella di Calì Patil che stava a Corvonero, Padma, e invitandola a ballare.

Quasi tutti i ragazzi convenivano sul fatto che le gemelle Patil fossero le più carine dell’ultimo anno, e nemmeno un donnaiolo come Sam era immune al loro fascino (***).

Era incredibile come il ragazzo risultasse disinvolto nel suo costume, che comprendeva una vecchia camicia da notte rosa di Ginny, un paio di scarpe da tennis fatte diventare dello stesso colore e una buffa cuffietta bianca, quando qualunque altro ragazzo si sarebbe vergognato da morire.

Mentre danzavano, passarono davanti a Dione, seduta da sola ad un tavolo, e senza farsi vedere dalla sua dama lui le fece l’occhiolino.

La bella Biancaneve, accorgendosene, sbuffò e alzò gli occhi al cielo, facendo ridere il ragazzo.

Camille era rimasta accanto al fratello, ma quando Ginny lo aveva trascinato, nonostante le sue rimostranze, sulla pista, Mizar le si era avvicinato.

Cappuccino rosso, giusto?” domandò.

“Cappuccetto!” lo corresse lei divertita “E tu?”

“Athos al suo servizio, milady” rispose facendole un inchino “Sono rimasto solo, i miei compagni Portos e Aramis (**) sono impegnati a provarci con due ragazze e Dione è arrabbiata con me. A proposito, grazie, voleva farci vestire da porcellini”.

Camille non riuscì proprio a soffocare una risata, e fu subito seguita da Mizar.

“Ti inviterei a ballare” le disse lui ad un certo punto “ma forse tuo fratello non gradirebbe”.

Si voltarono entrambi, ma non videro ne Harry ne Ginny.

Sicuramente lei, che sapeva di Mizar, lo aveva trascinato lontano per permettere al Serpeverde di avvicinarsi a Camille.

La Weasley ancora si stupiva quando l’amica le raccontava quanto il ragazzo fosse diverso dagli altri verde argento.

“Probabilmente no, ma facciamo finta che io abbia accettato con molto piacere” rispose lei sorridendo.

Rimasero a fissarsi a vicenda e la ragazza non riuscì a non pensare di avergli consigliato proprio il costume giusto.

Stava meravigliosamente con quel vestito.

“Stanno arrivando Ron e Hermione” disse lui, conoscendoli di vista poiché avevano qualche lezioni in comune “ci vediamo, Cappuccetto rosso”.

Quando le baciò la mano, Camille avvampò, diventando dello stesso colore della sua mantellina, ma Mizar non si scompose, visto che quel gesto era perfettamente normale per lui che lo faceva sin da bambino.

Nel momento in cui il ragazzo di allontanò, lei si voltò verso i due amici che si stavano avvicinando, ma vide che stavano ridendo tranquilli.

Tirò un sospiro di sollievo, Hermione doveva averlo distratto.

“Che voleva quel Lestrange?” domandò Ron.

“Niente!” si giustificò subito lei “Mi aveva scambiata per una Serpeverde, dice che ha una maschera come la mia”.

Anche Ted arrivò poco dopo, seguito poi da Harry e Ginny.

“Hermione!” disse la rossa “E’ tutto meraviglioso, complimenti”.

Poi lanciò uno sguardo malizioso a Camille, e quella abbassò gli occhi imbarazzata.

Anche Sam li raggiunse.

“Già mi ama” annunciò tranquillamente, riferendosi a Padma.

A quel punto, mancava solo Noah, che però stava ballando con Mira, con una grazia che sembrava un’esclusiva dei fratelli Black.

“Non…non sei geloso?” borbottò Samuel a Ted.

Lui scosse la testa, sorridendo.

“E’ il migliore amico che abbia qui dentro” rispose “me lo ha detto lei”.

Entrambi allora si girarono verso i due Corvonero, che ridevano felici.

“Sai, credo che dovresti deciderti…” buttò li Noah.

“Su cosa?” chiese Mira confusa.

“E’ tutta la sera che fissi sia Ted che quel Lestrange, quel Mizar. Credo sarebbe meglio se ne scegliessi uno, e io ti consiglio senza dubbio Teddy”.

Lei non rispose, come poteva dirgli che aveva preso un granchio enorme? Che quello era suo fratello?

A quanto pareva, Noah aveva di loro la stessa opinione di Luna.

Quando guardò, quasi con un riflesso incondizionato, nella direzione del Serpeverde, vide che la fissava intensamente.

L’ho già vista da qualche parte…

Mira spalancò gli occhi, sentendo perfettamente quelle parole.

Noah ancora rideva, quindi non poteva aver parlato, e comunque quella frase non avrebbe avuto senso detta da lui.

Chi era stato allora?

 

Qualche silenzioso corridoio più il la, lontani dal clamore della festa, un ragazzo ed una ragazza si stavano baciando appoggiati ad un muro.

Due lampi di luce rossa li raggiunsero e, prima che ne rendessero conto, erano già a terra, schiantati.

Due ragazzi si avvicinarono, puntando le loro bacchette sui fidanzatini.

Reperius Cordis” dissero all’unisono.

La luce si sprigionò dai loro petti, ma non era luminosa come speravano.

Con un altro colpo di bacchetta tornò tutto apposto, ma uno dei due ragazzi tirò un pugno sul muro di pietra.

“Un altro buco nell’acqua, quando diavolo li troveremo?!” sbottò, frustrato dall’ennesimo fallimento.

“Abbiamo un anno intero davanti a noi, non c’è fretta” rispose tranquillo l’altro, con un sorriso maligno sul volto.

***

 

Ciao!!!!!

Oggi posto un pò prima del solito, che poi devo scappare via :P

Voglio ringraziare prima di tutto chi ha recensito lo scorso capitolo, cioè Sara_Marauders, Le3Funkazziste, kikka15 e June_, ma anche chi legge silenziosamente :D

Un ringraziamento speciale voglio però farlo ad Akkarin92, che tra domenica e lunedì mi ha lasciato ben 13 recensioni distribuite tra le varie storie, grazie davvero :)

Volevo poi chiedervi un consiglio, stavo pensando di mettere le tre storie in una serie, solo che non ho praticamente nessuna idea per il titolo da darle, mi date qualche suggerimento???

Vi ringrazio in anticipo, bacioniiiiiiiii

Ale

 

NOTE:

(*) Dubbio atroce, era Robin Hood il ladro gentil'uomo vero???

(**) Premetto che non mi ricordo praticamente nulla dei Tre Moschettieri se non i nomi, cioè Athos, Portos e Aramis, per cui non ho scritto nient'altro di loro per evitare di sbagliare clamorosamente :P

(***) In uno dei libri, se non sbaglio HP e il Calice di Fuoco, la Row ha scritto che le gemelle Patil erano considerate le più carine da quelli del loro stesso anno.

 

 

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Capitolo 10
*** Il Cercatore infortunato ***


 

Ciao a tutti :)

Prima di tutto voglio avvertirvi che non so se sabato riuscirò a postare, perchè il capitolo è pronto ma è tutto da ricontrollare e sinceramente non sono dell'umore adatto.

Oggi posto solo perchè il capitolo era già pronto, altrimenti non avrei nemmeno acceso il computer.

Voi sabato controllate se volete, ma non vi assicuro niente.

Detto questo, ringrazio come sempre tutti quelli che recensiscono, perchè riuscite sempre a tirarmi su il morale, se non ci foste voi non so come farei, GRAZIE DAVVERO.

A sabato, forse...

Baci

Ale

Ps. il chap non è nemmeno un granchè, scusate tanto...

 

10. Il Cercatore infortunato

Un inaspettato sole splendeva sul castello di Hogwarts, rendendo tiepida la solitamente gelida aria di metà novembre.

Era il giorno della prima partita di Quidditch del campionato, e qualche giocatore era già sveglio da parecchio, qualcuno agitato e qualcun altro più che tranquillo.

Alcuni piani sotto terra, gli abitanti dei dormitori di Serpeverde non potevano vedere la splendida giornata che c’era fuori, ma probabilmente nemmeno un diluvio universale sarebbe riuscito a scalfire l’insolito buon umore di un certo biondino.

Draco e Mizar uscirono dalla loro stanza, il primo con la divisa indosso e la Nimbus 2001 in mano e il secondo con un pesante cappotto e la sciarpa verde argento intorno al collo.

“Potter non ha speranze di vincere” stava dicendo il Cercatore “non vedo l’ora di vedere la sua faccia quando lo avremo ba…”

Il caro Serpeverde non poteva immaginare che il destino stesse cospirando contro di lui, o meglio, che qualche sbadato si sarebbe frapposto tra lui e la tanto sospirata sconfitta ai danni di Harry.

Parlando con Mizar, che non era veramente suo cugino ma che considerava come tale, non si rese conto della bustina piena di Gobbiglie che qualcuno aveva dimenticato su un gradino delle scale, sul quale poggiò il piede e che lo fece ruzzolare a terra, senza riuscire a finire la frase.

Sbattè violentemente la testa sul pavimento di pietra e rimase immobile, svenuto.

Mentre Mizar correva giù per le scale, una piccola folla attorniò la figura inerme di Draco, tra cui i gemelli Lestrange e il resto della squadra di Quidditch, che li stavano aspettando in Sala Comune per andare a colazione.

Vedendo che il ragazzo non dava segno di volersi riprendere, qua e là cominciarono a sentirsi sussurri preoccupati, alcuni riguardanti la salute di Malfoy ma altri, appartenenti a chi non aveva molto in simpatia l’arrogante Cercatore, riguardanti la sorte della partita.

“Portiamolo in infermeria” disse alla fine Deimos, irritato da tutta quella gente intorno a loro.

I Battitori, Tiger e Goyle, lo tirarono su per le spalle, poi corsero tutti insieme fuori dall’ingresso di pietra.

Quando arrivarono davanti all’infermeria, dovettero buttare dal letto Madama Chips, che non si aspettava visite così presto.

La donna lanciò un urletto allarmato vedendo il ragazzo privo di sensi tra le braccia degli amici, poi aprì immediatamente le grandi porte di legno.

“Mettetelo qui” disse indicando il letto più vicino, prima di tirarsi intorno delle pesanti tende per visitare senza interruzioni Draco.

“Ha un leggero trauma cranico” decretò molto più tranquilla poco dopo “si riprenderà, ma oggi non potrà giocare”.

“Che cosa?!?” esclamò Urquhart, il Capitano “E dove lo trovo un altro Cercatore la mattina della partita?!?”

Madama Chips non rispose, ma la sua espressione faceva intendere che la discussione era finita, poi fece segno ai ragazzi di uscire, senza possibilità di replica.

“Dovremo far rimandare l’incontro” disse alla fine il massiccio Cacciatore.

“Non ce ne sarà bisogno” ribattè una voce “giocherò io”.

 

Nel frattempo, parecchi piani più in su, il dormitorio maschile del settimo anno di Grifondoro era immerso nel silenzio, segno che tutti gli abitanti erano ancora nel mondo dei sogni.

Quasi tutti.

Ron Weasley si stava svegliando lentamente, gli piaceva troppo stare nel letto al calduccio, e in un’altra giornata sarebbe stato felice di dormire fino a tardi.

Ma quel giorno aveva qualcosa di più importante da fare, vincere una partita di Quidditch.

Voltandosi verso il letto del suo migliore amico però, lo trovo già pronto, con la divisa addosso e intento a fissare la sua Firebolt immobile a mezz’aria.

“Da quanto sei sveglio?” biascicò il Portiere tirandosi a sedere sul letto.

L’altro scrollò le spalle.

“Da un po’…”

“Che succede?”

“Ho un brutto presentimento Ron, non so perché…”

Allora quello si alzò, andando a sedersi affianco all’amico.

“Harry, non abbiamo mai perso contro i Serpeverde” gli ricordò pazientemente.

Dal letto accanto alla porta si levò un forte russare.

Era incredibile che Dean, che in teoria doveva essere il più nervoso essendo al suo esordio come giocatore, riuscisse a dormire così tranquillo.

“Andrà tutto bene” disse ancora il rosso, sorridendo.

Il capitano cercò di sorridere a sua volta.

“Speriamo”.

 

Al contrario di Harry, Samuel era praticamente iperattivo, tanto da non riuscire a stare fermo, durante la colazione.

Si alzava, salutava qualche ragazza, scambiava qualche chiacchiera con i compagni di dormitorio, si sedeva, si alzava di nuovo.

Alla fine, Ted aveva rinunciato a dirgli di smetterla, tanto che il Battitore aveva finito per fare colazione in piedi, con un piede piantato sulla sedia e una tazza di cereali Babbani in mano, una passione che Sirius aveva acquisito nei periodi vissuti a casa Potter e che aveva trasmesso al primogenito.

Harry, dal canto suo, non riusciva proprio a togliersi quella brutta sensazione, e ascoltava distrattamente le congetture che Ron e Dean stavano facendo riguardo l’incontro.

“Malfoy è in infermeria” annunciò festante Ginny, sedendosi tra Hermione e Camille “non ho idea di chi lo sostituisca, ma so che non si è mai allenato”.

Ron assunse un’espressione trionfante.

“Hai visto Harry?!? Non c’è da preoccuparsi, sarà una passeggiata” esclamò.

Il ragazzo rispose con uno sguardo poco convinto.

 

I Grifondoro erano fermi in mezzo al campo, con Harry in testa al gruppo.

Samuel, alle sue spalle, continuava a muoversi nervosamente e roteava di continuo la mazza, arrivando anche a colpire per sbaglio Demelza in testa.

Intorno a loro, la folla intonava inni, salutava i propri beniamini, e gridava improperi contro i Serpeverde appena arrivati.

Samuel era talmente impegnato a fissare Urquhart che tentava di stritolare la mano di Harry da non accorgersi della giocatrice che sostituiva Malfoy di fronte a lui, con i lunghi capelli stretti in una coda di cavallo, la divisa addosso e la Nimbus del cugino in mano.

Dione non riusciva a smettere di guardarsi intorno, fissando le schiere di tifosi con il sorriso sulle labbra.

Quando giocava a Durmstrang, lo faceva sempre in presenza di pochissime persone, più che altro amici dei giocatori che veri interessati.

Non le era mai successo di essere davanti a quella folla ed era talmente distratta che si alzò in volo per ultima, quando gli altri compagni erano già in aria.

Solo quando Sam salì sulla sua scopa e partì con il resto della squadra di accorse di chi aveva di fronte, tanto che non si curò minimante dei Bolidi che tentavano fin da subito di disarcionare i giocatori e pensò bene di inseguire lei.

La ragazza, intanto, non poteva essere più felice.

Le erano mancati tanto il vento fra i capelli e le acrobazie sulla scopa.

Mentre si lanciava in picchiata, sentì qualcuno al suo fianco.

“Da quando giochi a Quidditch?” le urlò Samuel.

“Ci sono tante cose che non sai di me” rispose lei.

Risalì rapidamente in alto e lui la seguì.

“Vedi? Un’altra cosa che abbiamo in comune! Dobbiamo proprio uscire insieme!” esclamò il ragazzo.

Dione rise.

“Piuttosto pensa ai Bolidi Black, io ti regalerò il Boccino, non appena lo avrò preso” e accelerò, lasciandolo li.

In teoria, Samuel avrebbe potuto tranquillamente raggiungerla spingendo un po’ la sua scopa, ma rimase un attimo fermo a fissarla, a guardare come zigzagava perfettamente tra i giocatori, come si risollevava senza problemi dalle picchiate, come passava ad un palmo dai tifosi senza sfiorarli mai, mentre intorno a lui la partita continuava.

I Cacciatori stavano facendo un ottimo lavoro, portando Grifondoro in vantaggio per 50 a 0, ma Harry non dava segno di aver visto il Boccino.

Vedendo Jimmy leggermente in difficoltà, Sam corse ad aiutarlo, dirigendo i Bolidi verso una certa Serpeverde, ma lei li schivò uno ad uno, come se nulla fosse.

Harry, per la prima volta da quando indossava quella divisa, era in seria difficoltà.

Era passata quasi mezz’ora e non aveva ancora visto ne il Boccino ne almeno un minuscolo barlume dorato.

Volava qua e là per il campo, ma era come se quella benedetta pallina fosse scomparsa.

In tante partite aveva impiegato parecchio tempo a trovarlo, ma non era mai stato così scoraggiato, probabilmente a causa di quella brutta sensazione che aveva da quella mattina.

Volò intorno a Ron, sugli spalti, vicino alle porte dei Serpeverde, di fianco a Battitori e Cacciatori, ma nulla, non vide niente di niente.

E come se non fosse bastato, Dione sembrava divertirsi da morire a fargli le finte.

Non appena si lanciava in picchiata e vedeva che Harry la seguiva, lei si bloccava di colpo e lo lasciava andare avanti senza motivo, facendogli fare la figura dell’idiota e deprimendolo ancora di più.

Poi accadde, mentre il Cercatore rosso oro lanciava uno sguardo di fuoco all’avversaria, la vide lanciarsi di nuovo in avanti.

Quella volta non ebbe dubbi, aveva visto anche lui uno strano luccichio.

Mentre Ginny veniva quasi disarcionata da una spallata di un Cacciatore avversario, la folla urlò.

Dione si era lanciata all’inseguimento del Boccino, Harry si era lanciato all’inseguimento di Dione.

Nonostante la Firebolt di Harry sarebbe dovuta essere più veloce, il Grifondoro era nettamente più indietro di lei, tanto che tutti capirono che la ragazza l’aveva visto per prima.

Quando Harry raggiunse la Serpeverde, la folla rossa oro trattenne il fiato, smettendo per un attimo gli inni al loro capitano.

Nel momento in cui i ragazzi stesero le mani, anche la partita si fermò.

Tutti i giocatori rimasero immobili a mezz’aria, sperando che il Boccino fosse preso dal proprio compagno di squadra.

Ma alla fine, fu la folla verde argento a gridare di gioia.

“LESTRANGE PRENDE IL BOCCINO! SERPEVERDE VINCE 180 A 90!” gridò il commentatore.

Dione stava volando intorno al campo con la pallina d’oro stretta in mano, fermandosi poi davanti ai suoi tifosi e mettendosi in equilibrio in piedi sulla scopa, per poi inchinarsi a loro.

Scese poi in picchiata verso terra, dove i compagni di squadra la aspettavano festanti, ma non si fermò, anzi si diresse verso Samuel, che la fissava con un’espressione tra l’arrabbiato e lo sbalordito.

“Per te, come promesso” cinguettò ficcandogli il Boccino in mano “e tanto per la cronaca, amo il Quidditch da quando ero bambina. Quando c’erano delle partite a Durmstrang, giocavo sempre come Cercatrice”.

Sam non riusciva a crederci.

Era splendida, riusciva a tenergli testa e amava il Quidditch, dove l’avrebbe trovata un’altra così?!?

Senza dire altro, lei si girò e se ne andò, evitando anche gli altri giocatori verde argento che volevano portarla in trionfo.

Samuel intanto era tornato dal resto della squadra e, fregandosene della sconfitta e delle loro facce da funerale, annunciò: “Ho trovato la mia futura moglie!”

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Capitolo 11
*** La storia di Sophie ***


 

Ciao a tutti!


Prima di dire qualsiasi cosa, voglio ringraziare tutte voi, non tanto per le recensioni (ovvio anche per quello) ma per le vostre parole e per avermi sostenuto, mi avete dato la voglia di continuare a scrivere.

Volevo poi dire grazie a  June_ per avermi suggerito il nome per la serie, grazie mille :)

Sono riuscita a sistemare questo benedetto capitolo alla fine, o almeno ci ho provato, spero vi piaccia...

Buona lettura

Ale

 

Ps. Forse penserete che Rabastan sia un pò OOC, ma vedetelo solo come un uomo che cerca di ritrovare sua figlia. Credo che anche un Mangiamorte si comporterebbe come lui in una situazione del genere.

Pps. In questo capitolo ci sono alcune frasi in francese (scusate il gioco di parole :P ). Siccome non ho mai studiato questa lingua, ho usato google traduttore, quindi potrebbero anche essere delle frasi senza senso, di conseguenza se qualcuno che conosce il francese trovasse errori madornali lo prego già da subito di scusarmi, ma non me ne potevo accorgere. Per tutti quelli come me che non sanno nemmeno una parola in questa lingua, ho messo le frasi tradotte in fondo, come note.

Ppps. Ho cercato di imitare al meglio il modo di parlare di Madame Maxime, spero di aver fatto un lavoro decente...

 

 

11. La storia di Sophie

Un potente crac risuonò nell’aria e due uomini comparvero sulla strada in terra battuta.

Rodolphus e Rabastan Lestrange la percorsero velocemente, arrivando fino alla fine, dove c’erano due case una di fronte all’altra.

“Sophie viveva qui” disse Rabastan, indicando la più piccola.

Era davvero minuscola, al massimo poteva essere composta da due stanze, e non riuscivano proprio ad immaginare di vivere in posto così piccolo abituati com’erano agli immensi castelli di famiglia.

qui sont à la recherche d’, messieurs (*)?” chiese una voce alle loro spalle.

I due uomini si voltarono, trovandosi davanti una donna piuttosto anziana, con un’espressione inquisitoria.

Aveva aperto il cancelletto di casa silenziosamente, era uscita e si era avvicinata, arrivando fino a meno di un metro da loro.

Non sembrava intimorita di trovarsi da sola su quella strada deserta, di fronte a due uomini parecchio più grossi di lei.

Sophie Dumas…savait, madame (**)?” domandò Rabastan, stentando un po’ sulla lingua.

Sua moglie aveva sempre insistito per insegnargli il francese, ma a lui non si era mai dato il disturbo di impararlo, quindi lo conosceva pochissimo.

Rodolphus gli lanciò uno sguardo di fuoco.

“Perché parli con una Babbana?” sibilò.

“Oh santo cielo!” si intromise la donna, stavolta in un inglese perfetto “Non verrete dall’Inghilterra?”

Rabastan le sorrise.

“Esattamente” disse “conosceva la ragazza che abitava qui di fronte, vero?”

“Ma certo!” esclamò lei, con uno sguardo dolce “Entrate cari, entrate. Vi preparo un tè”.

E voltò loro le spalle, dirigendosi verso la porta lasciata aperta.

“Che diavolo stai facendo?” ringhiò Rodolphus, fermando il fratello per il cappotto.

Lui si liberò subito, fulminandolo.

“Sei libero di fare ciò che vuoi, io devo ritrovare mia figlia”.

“Rabastan, stai perdendo di vista l’importanza della missione”.

L’uomo guardò verso il fratello.

Lui, che aveva cresciuto entrambi i suoi gemelli, non poteva certo capire cosa stesse provando.

“Sophie potrebbe aver dato a lei le ceneri” disse, cercando di persuadere Rodolphus ad aiutarlo “dobbiamo trovarla”.

E seguì la donna dentro.

Il fratello maggiore, pur riluttante, non potè far altro, ed entrò nella casa Babbana.

Rodolphus mise su un’espressione schifata guardando la televisione, il telefono, le foto immobili, ma soprattutto vedendo il fratello, quello che era stato uno dei migliori Mangiamorte dei Signore Oscuro, quello che si divertiva a torturare i Babbani, conversare amabilmente con la donna.

“Non dovrebbe far entrare gli sconosciuti” disse “potremmo anche essere malintenzionati”.

Lei rise.

“Siete amici di Sophie, non potete essere cattivi” rispose, versando una tazza di tè anche per lui.

“Come fa a conoscere così bene l’inglese signora?” domandò Rabastan.

“Sono nata a Londra, figliolo. Chi credi abbia mandato li Sophie?”

E infatti, si erano incontrati proprio in quella città.

Erano passati tanti anni, ma non avrebbe mai dimenticato quel giorno, quando era stato semplicemente stregato da quei meravigliosi occhi azzurri.

“Come l’ha conosciuta?” chiese.

“E’ nata nella casa qui di fronte” rispose “voi piuttosto come fate a conoscerla?”

Rabastan rimase interdetto.

Che idiota che era stato, era ovvio che qualcuno glielo avrebbe chiesto.

“Sono…sono un suo vecchio amico…”

La donna parve pensarci un attimo, poi si illuminò.

“Oh mio Dio, non sarai il padre di Mira?”

E lui rimase di nuovo di sasso, non poteva esserci arrivata così velocemente.

Decise di mentire, almeno in parte.

“No, non sapevo neanche che avesse una figlia. Abbiamo perso i contatti da tanto tempo” sospirò “si chiama Mira?”

Lei annuì.

“Da quanto tempo non la vedevi, caro?”

“Quindici anni, ma penso di non averla mai conosciuta davvero…”

Era vero.

Non solo non gli aveva mai rivelato di essere Nata Babbana, ma non aveva mai voluto nemmeno portarlo nei luoghi dove era cresciuta, tanto che Rabastan era riuscito a trovare quella casa solo con una bella dose di fortuna.

“Sophie nacque in quella minuscola casa. Quando mi innamorai di mio marito, il mio Armand, senza pensarci troppo abbandonai l’Inghilterra e il mio lavoro di infermiera. Amavo la mia vita là, ma amavo di più lui. Quando arrivammo, sua madre Marie era alla fine della gravidanza, fui io a far nascere la bambina. Pochi mesi dopo nacque anche mia figlia, la mia Lucy, e diventarono grandi amiche. Frequentarono la scuola insieme, poi, inspiegabilmente, i genitori di Sophie decisero di mandarla in un collegio. Loro dissero che era una scuola privata molto prestigiosa, ma probabilmente era solo un istituto che garantiva alla figlia un’istruzione e un pasto caldo, visto che faticavano anche ad arrivare a fine mese. In ogni caso, io non gli chiesi mai nulla, in fondo tutti hanno i loro problemi,  e loro raccontarono sempre e solo l’indispensabile, poi ogni estate Sophie tornava e passava le vacanze con la mia Lucy. Alla fine della scuola mia figlia volle andare in Inghilterra, per vedere i luoghi della mia infanzia, e si trascinò dietro l’amica. Fu a quel punto che tutto precipitò”.

La signora si fermò, bevendo un sorso di te e asciugandosi un’unica lacrima che le aveva solcato la guancia.

Rabastan ne capiva perfettamente il motivo, perché sapeva come erano andate le cose.

“Solo una settimana dopo il loro arrivo, le comunicazioni si interruppero con entrambe, due mesi dopo Sophie si rifece viva con una lettera per i genitori, dove raccontava che sarebbe rimasta li perche aveva trovato l’amore, ma anche che Lucy era scomparsa. Non sappiamo ancora che fine abbia fatto, nonostante tutte le indagini nostre e della polizia”.

Per la prima volta in vita sua, Rabastan Lestrange provò vergogna e il fratello, accorgendosene, fece una smorfia contrariata.

Sophie e suo marito non si erano incontrati in una situazione normale.

Quando i loro sguardi si erano incrociati, intorno era appena scoppiato il caos, con gli incantesimi dei Mangiamorte che volavano in tutte le direzioni.

Non appena la ragazza aveva estratto la bacchetta per proteggere lei e l’amica, senza preoccuparsi dei Babbani presenti, Rabastan non aveva esitato e l’aveva trascinata al sicuro in un vicolo, fregandosene del suo compito.

Ricordava ancora come quella che sarebbe diventata sua moglie aveva cercato di tornare nella mischia per recuperare Lucy, e ricordava anche come lui l’avesse tenuta li, dicendole che era decisamente più al sicuro in quella stradina buia.

Non le raccontò mai di aver visto sua cognata Bellatrix torturarla e ucciderla, esattamente come non le disse mai di essere stato lui ad organizzare la strage di quel giorno.

Da quella mattina, Rabastan e Sophie non si erano più separati, sposandosi poco dopo nonostante si conoscessero appena.

L’uomo non aveva mai indagato sul suo conto, sentendo di amarla più di stesso.

“Più di quindici anni fa” continuò la vecchia signora, che era rimasta qualche minuto in silenzio “Sophie tornò nella casa dei suoi genitori e poco dopo scoprì di essere incinta. Esattamente come avevo fatto con la madre, la aiutai a partorire. Diede alla luce una bambina, che è la sua copia. Chiunque sia suo padre, Mira non ha assolutamente nulla di lui, è identica a Sophie. A undici anni la iscrisse nella stessa scuola in cui aveva studiato lei e nei periodi in cui lei era via si spaccava la schiena facendo lavori di tutti i tipi, per potersi permettere di non lavorare d’estate e passare quei mesi con la figlia”.

E si fermò.

“E poi?” domandò Rabastan, che voleva sapere tutto sulla figlia.

“Poi Sophie si ammalò” rispose lei, con un sorriso stanco “nessun medico riuscì a trovare una cura, ma lei si assicurò di dare un posto in cui vivere alla figlia. Quando morì Mira venne qui e il giorno dopo il funerale arrivò una donna. Era enorme, la signora più alta che io avessi mai visto, e disse che la ragazza era stata affidata a lei. Mira mi disse che era la preside della sua scuola, così la mandai via con lei, in fondo la sua custodia non era stata data a me, non avevo alcun diritto di tenerla qui. Da quel giorno, qualche mese fa, non l’ho più vista”.

La donna bevve l’ultimo sorso di tè, lasciando poi la tazza sul tavolo.

Soffriva, si vedeva lontano un miglio.

Probabilmente Mira e Sophie erano state la sua famiglia in quegli anni e ora si sentiva sola.

“Grazie” disse Rabastan alzandosi.

Rodolphus, che non aveva più aperto bocca, scattò in piedi, sospirando di sollievo.

Era stufo di respirare l’aria di quella casa Babbana.

La donna li accompagno alla porta, poi disse: “Tornate a trovarmi, ne sarei felice”.

Sorprendendo Rabastan, fu Rodolphus a rispondere.

“Volentieri”.

Poi però alzò la bacchetta, da cui scaturì un lampo di luce verde.

Con il sorriso ancora dolce sul volto, la donna cadde a terra, morta.

“Mi spieghi perché lo avresti fatto?” chiese il fratello minore, parecchio irritato.

“Sono un Mangiamorte” rispose l'altro alzando le spalle, come giustificazione.

“E ora dove la troviamo Mira?!?”

“Usa il cervello Rabastan. Tua moglie aveva studiato a Beauxbatons e lei è nella stessa scuola, quindi la prossima meta è quella”.

Rodolphus si attaccò al braccio del fratello, l’unico tra i due a sapere la posizione della scuola, poiché gliel’aveva rivelata Sophie.

Con un ultimo sguardo leggermente dispiaciuto alla donna morta di fronte a loro, i due si smaterializzarono.

 

Contrariamente al castello di Hogwarts, il Palazzo di Beauxbatons non aveva protezioni magiche che circondavano i territori della scuola.

Attraversarono il grande parco e arrivarono alla porta, bussando col grande batacchio di bronzo.

Poco dopo, un minuscolo elfo vestito con uno strofinaccio candido aprì.

(***) “Désirent ces messieurs?” domandò gentilmente.

Ouverte, vous créature stupide, nous devrions voir Madame Maxime” rispose imperioso Rabastan.

Qui ètes-vous?” domandò un uomo giungendo alle spalle dell’elfo.

Era un professore alto con i lunghi capelli biondi stretti in un codino, e con brillanti occhi verdi.

Rabastan e Rodolphus Lestrange” rispose lui “ essayer le principal

Pourquoi?”

Affaires privées”.

L’uomo parve titubante, ma fine aprì, scortandoli personalmente fino all’ufficio della preside ed annunciandoli a lei.

Quando se ne andò, li guardava ancora diffidente.

Lo studio di Olimpe Maxime era il classico ufficio da preside.

Libri ovunque, quadri dei vecchi dirigenti qua e là, strumenti magici di ogni sorta chiusi in teche di vetro.

(****)Bonjour” disse alzandosi e stringendo loro la mano “Ils sont les principaux Olimpe Maxime”.

Plaisir, Rabastan e Rodolphus Lestrange, venu d’Angleterre” rispose il fratello minore.

La donna sbarrò gli occhi, capendo chi aveva davanti.

Siedòtevi pure” esclamò in un inglese incerto, facendo cenno a due sedie di fronte a lei.

I due si accomodarono, rimanendo però in silenzio.

“Ditemi messieurs” disse la preside “cosa vi porta qui, così lontòni da casa vostra?”

“Stiamo cercando Mira Dumas, sappiamo che è lei ad avere la sua custodia” rispose Rabastan.

Madame Maxime non parlò.

Sapeva che quell’uomo era il padre di Mira, ma aveva scoperto da poco che era stato uno dei più fedeli Mangiamorte di Lord Voldemort.

Si era talmente pentita di averla mandata in Inghilterra da scrivere ogni settimana a Silente per assicurarsi che stesse bene, non riusciva ancora a capacitarsi di averla lasciata con tanta leggerezza nelle grinfie di un pazzo come Lestrange.

Pourquoi la cercòte?” domandò.

“Ha una cosa che ci serve” rispose senza pensarci Rodolphus.

La donna alzò le sopraciglia.

Rabastan lanciò uno sguardo quasi omicida all’altro.

“Mio fratello voleva dire che stiamo cercando di ritrovarla” cercò di rimediare “penso che lei sappia che sia mia figlia”.

“Non credo che ve lo dirò” rispose “se Sophie avesse pensato che Mira sarebbe stata melio avec vous, probabilmente vi avròbbe contattato”.

“E’ mia figlia” sibilò l’uomo “è mio diritto saperlo”.

“Ci dica dov’è quella dannata ragazza” aggiunse Rodolphus.

Il fratello gli lanciò uno sguardo esasperato, stava incasinando tutto.

“Credo sia melio che ora andiòte” esclamò la donna.

“Non lascerò questo castello senza sapere dov’è” ribattè Rabastan.

Andòtevene” ribadì la preside “i Mangiamorte non sono graditi qui”.

Rodolphus si alzò, puntandole la bacchetta alla gola.

“Te ne pentirai, sporco ibrido” sussurrò, con una nota folle nella voce.

“Fuori” ripetè lei, tirando fuori la sua.

I due uomini non poterono far altro che girare sui tacchi.

 

I fratelli entrarono in casa a grandi passi, mentre Bellatrix e Lucius Malfoy correvano loro incontro.

“Lucius, che ci fai qui?” domandò Rodolphus.

La moglie non gli badò.

“L’avete trovata?” domandò ansiosa.

Rabastan, sprofondando su una sedia li vicino, scosse la testa.

“Quello schifoso ibrido della Maxime non ha voluto dirci dov’è” spiegò il fratello.

“Olimpe Maxime dite? Che c’entra la preside di Beauxbatons?” chiese Lucius.

“E’ lei ad avere la custodia di Mira” rispose Rabastan stancamente.

Ce l’aveva con Sophie.

Sarebbe stato suo diritto averla, non di quella gigantessa con cui non aveva nulla a che fare.

“Sappiamo solo il suo nome, ma potrebbe essere ovunque” aggiunse.

Bellatrix allora fece un gesto inconsulto, si battè una mano sulla fronte e corse via, con i tacchi che ticchettavano sul pavimento di pietra.

Rodolphus e Lucius la guardarono scappare, non era da lei comportarsi con così poca grazia.

Tornò poco dopo, con un vecchio libro in mano.

“Eccolo qua!” esclamò fermandosi su una pagina “c’è un modo semplicissimo per ritrovarla”.

Rabastan alzò gli occhi.

“Sarebbe a dire?” domandò.

“A Natale, quando i ragazzi torneranno a casa, faremo un incantesimo su Mizar”.

 ***

FRASI TRADOTTE:

(*) chi state cercando, signori?

(**) Conosceva Sophie Dumas, signora?

(***) “I signori desiderano?” domandò gentilmente.

“Apri, stupida creatura, dobbiamo vede Madame Maxime?” rispose imperioso Rabastan.

“Chi siete?” domandò un uomo giungendo alle spalle dell’elfo.

Era un professore alto con i lunghi capelli biondi stretti in un codino, e brillanti occhi verdi.

“Rabastan e Rodolphus Lestrange” rispose lui “cerchiamo la preside”

“Perché?”

“Affari privati”

(****) “Buongiorno” disse stringendo loro la mano “Sono la preside Olimpe Maxime”.

“Piacere, Rabastan e Rodolphus Lestrange, veniamo dall’Inghilterra” rispose il fratello minore.

 

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Capitolo 12
*** Beccati! ***


 

 

Salveeeeeeeeee :D

Ecco il nuovo capitolo, a me sembra carino anche se non mi convince molto, spero che a voi piaccia!!!

Buona lettura!

Tanti baciiiiiiiiiiiiii

 

Ps. GRAZIE COME SEMPRE A CHI LEGGE E RECENSISCE, MI DATE LA VOGLIA DI CONTINUARE A SCRIVERE! :D <3

 

 

 

12. Beccati!

La neve scendeva senza dare tregua agli studenti di Hogwarts, tanto che ben pochi si sarebbero avventurati ad Hogsmeade il giorno successivo, nell’ultima gita al villaggio di quel 1997.

Quel venerdì pomeriggio la maggior parte dei ragazzi lo stavano passando nell’ozio totale, visto che il lunedì sarebbero tornati a casa per le vacanze natalizie, facevano eccezione solo i giocatori della squadra di Grifondoro.

Da quando avevano perso contro i Serpeverde, Harry li costringeva ad allenamenti quasi quotidiani, e se qualcuno cercava di evitarli il capitano lo trascinava in campo a forza.

Una volta Samuel, che si era rifugiato nella sua stanza con una Tassorosso del quinto per uno di quelli che lui chiamava incontri ravvicinati, si era trovato Harry di fronte che lo minacciava di dar fuoco alla sua adorata Firebolt se non fosse stato in aria entro cinque minuti.

Ma c’era anche qualcun altro impegnato, per la precisione chiuso in biblioteca.

Mizar aveva chiesto a Camille di vedersi per un’altra volta prima delle vacanze, e lei aveva accettato volentieri, considerato che si trovava benissimo con quello strano Serpeverde.

Non sapeva che a lui non importava più praticamente niente delle pozioni che lei voleva insegnargli a distillare.

Il ragazzo la fissava parlare, senza capire nemmeno una parola di ciò che stava dicendo.

Troppe volte si era ritrovato a guardarla, troppe volte si era ritrovato a pensare a lei, troppe volte si era inconsciamente domandato cosa gli avrebbe risposto se l’avesse invitata ad uscire.

Si stava prendendo una bella cotta per quella Grifondoro.

Alla fine aveva raccontato a Dione di lei, perché aveva bisogno di qualcuno che lo coprisse con Draco e Deimos quando andavano in biblioteca a studiare, e la cugina si era mostrata felice di vedere che finalmente, dopo diciassette anni, lui si era accorto che al mondo non esistevano solo uomini.

“…e con questo trucchetto, dovresti riuscire a preparare un Distillato della Morte Vivente perfetto” concluse Camille, accorgendosi poi dello sguardo assente del ragaggo “che c’è?”

Mizar abbassò immediatamente gli occhi, terribilmente imbarazzato.

“Niente…niente…” rispose.

“Dai dimmelo, vuoi che ti rispieghi di nuovo?” domandò lei.

Lui sospirò.

“Senti Camille…” si fermò, prendendo coraggio “…verresti ad Hogsmeade con me domani?”

Non riusciva proprio a guardarla in faccia, si sentiva rosso come un peperone.

“Io…ecco…” balbettò lei, non se lo aspettava proprio.

“Non preoccuparti” la interruppe Mizar “capisco se non vuoi avere discussioni con Harry”.

Lei si aprì in un sorriso.

“Verrò volentieri”.

A quel punto anche lui alzò lo sguardo, che oscillava tra il felice e l’incredulo.

“Bene” esclamò.

“Bene” ripetè lei.

“Bene” sussurrò il ragazzo tornando a fissare un punto imprecisato del libro di fronte a lui, con le guance ancora rosse.

 

Harry stava sistemando il baule con le palle nell’armadio nello spogliatoio.

Era stato l’ultimo allenamento di quell’anno, e visto che poi non si sarebbero esercitati per altre due settimane aveva praticamente massacrato i suoi poveri giocatori, tenendoli in campo al freddo per tutto il pomeriggio, sotto la nevicata che non accennava a diminuire.

“Ehi Ginny” salutò vedendo l’amica sulla porta “non eri tornata al castello?”

“Avevo bisogno di parlarti…” rispose lei, fissando insistentemente una panca.

“Dell’allenamento? Dimmi pure” esclamò sorridendo.

Ginny sbuffò, avvicinandosi a lui.

“Andiamo ad Hogsmeade insieme, domani?”

Aveva i capelli stretti in una coda di cavallo, per questo Harry si accorse delle orecchie diventate rosse.

Gli venne quasi da ridere, ricordandosi che gli succedeva come a Ron, poi capì il senso delle sue parole.

“Scusa?” chiese incerto.

“Hogsmeade. Domani. Io e te. Da soli” scandì bene lei, tirando fuori tutto il suo coraggio Grifondoro, nonostante il suo orgoglio le stesse urlando di scappare e di andare a nascondersi per sempre.

“Oh…va…va bene…volentieri” rispose il ragazzo.

Ginny sorride e il rossore si attenuò un po’.

“Bene, ci vediamo in Sala Comune alle 9?”

“Perfetto”.

Lei girò sui tacchi e tornò al castello, non credendo nemmeno lei si essere riuscita ad invitarlo.

 

Ginny arrivò in sala comune con l’intento di farsi una doccia e scendere a cena, dove poi avrebbe festeggiato con Camille ed Hermione l’essere riuscita a farsi coraggio con Harry.

Non aveva tenuto in considerazione, però, la stanchezza che aveva in corpo, così quando si appoggiò sul letto per rilassarsi si addormentò senza nemmeno rendersene conto.

Camille arrivò in dormitorio poco dopo, felice come non lo era da parecchio, cercando Ginny per raccontarle del suo appuntamento con Mizar.

Entrando in camera, però, vide l’amica che dormiva come un angioletto, così le tirò le coperte sulle spalle e sorridendo scese a cena.

“Dov’è Ginny?” domandò Ted vedendola arrivare.

“Dorme, credo che Harry li abbia fatti allenare fino allo sfinimento” rispose Camille.

Ted annuì a bocca piena.

“Samuel è in infermeria con la febbre, domani saltiamo anche Hogsmeade” disse lui.

Camille esultò mentalmente, non riusciva a credere di avere tutta quella fortuna.

“Tu che fai domani?” domandò poi il ragazzo.

“Studio” inventò lei sul momento.

Teddy ridacchiò.

“Lil, siamo praticamente in vacanza. Alza la testa da quei benedetti libri una volta tanto”.

Lei, con un sorrisetto che era tutto un programma, annuì.

 

Ginny si svegliò di buonora, non tanto per l’essere andata a letto presto la sera prima quanto per i morsi della fame, visto che si era addormentata senza cena.

Le sue tre compagne di stanza dormivano tranquille e beate, ma lei non ci riusciva proprio agitata com’era per il suo appuntamento con Harry.

Si vestì con abiti pesanti, anche perché fuori c’era almeno un metro di neve, poi , nonostante mancasse ancora parecchio all’ora dell’appuntamento, decise di scendere a colazione, per cercare di allentare l’eccitazione.

In Sala Grande c’erano solo tre persone oltre lei, due Tassorosso e un Corvonero, e riuscì a bere solo un tè, tanto era agitata.

Sorprendentemente, poco dopo arrivò anche Harry.

“Ciao” salutò sedendosi accanto a lei.

Aveva i capelli più senza senso del solito, ma per il resto sembrava tranquillo.

“Non riuscivo più a dormire” disse.

“Nervoso?” chiese la ragazza “Mi conosci, non ti mangio mica…”

Harry ridacchiò.

Mangiarono ridendo e scherzando poi, quando non trovarono più nessuna sciocchezza da dire, lui si alzò.

“Andiamo?” domandò tendendole la mano.

Ginny l’afferrò felice.

 

Camille scese a colazione guardandosi intorno, non avendo trovato nessuno dei suoi amici in Sala Comune.

Anche al tavolo di Grifondoro c’erano pochissime persone, e quasi nessuno comunque sembrava imbacuccato e pronto per scendere ad Hogsmeade sotto la neve.

Da una parte, era stata contenta di non aver incontrato nessuno, perché almeno non avrebbe dovuto inventare scuse, ma dall’altra le dispiaceva non aver incrociato le sue amiche per raccontargli i suoi programmi per quel giorno.

Quando si era alzata, quella mattina, Ginny era già andata via, e Hermione la sera prima sera stata sempre con Harry e Ron.

Mangiò fissando la tavola di Serpeverde, aspettando di vedere arrivare Mizar, ma lui non si fece vivo.

Lei ci metteva sempre parecchio a fare colazione, mezz’ora almeno, quindi era certa che lui avrebbe dovuto aspettarla, ma quando arrivano Dione, Deimos e Draco lui non c’era.

Si agitò un po’, pensando che lui l’avesse presa in giro e che l’appuntamento fosse tutto uno scherzo.

Uscì dalla stanza e andò davanti all’ingresso, ma Mizar non c’era.

A quel punto cominciava ad essere davvero arrabbiata, e stava per tornare in Sala Comune quando vide un ragazzo immobile al freddo, con i capelli diventati ormai bianchi per la neve che gli si era posata sopra.

Camille sorrise dolcemente.

Mizar la stava aspettando fuori, per evitare che qualcuno, qualcuno di nome Harry Potter, potesse vederlo con la sorella.

Gli arrivò silenziosamente alle spalle, mettendogli poi le mani davanti agli occhi.

“Chi è?” domandò ridacchiando.

Il ragazzo rise a sua volta.

“Tiger? O forse Goyle?” chiese.

Lei gli andò davanti fingendosi offesa.

“Ti pare che le mie mani e la mia voce siano come le loro?”

Lui le diede un bacio sulla guancia, zittendola.

“Sono felice che tu sia venuta, per un attimo ho temuto il contrario…” le sussurrò all’orecchio.

Camille avvampò.

“Andiamo?” propose poco dopo, non trovando nulla di più sensato da dire.

Lui le porse il braccio, lei lo afferrò e si incamminarono, entrambi con il sorriso sulle labbra.

 

Harry e Ginny entrarono ai Tre Manici di Scopa, poiché fuori era davvero, davvero freddo.

“Harry caro, finalmente sei tornato a trovarmi!” esclamò Rosmerta arrivando al loro tavolo.

La donna aveva sempre avuto un debole per il bel James Potter, e ora l’aveva anche per il figlio.

Ginny la guardo leggermente accigliata, la barista non l’aveva nemmeno salutata benché si conoscessero bene.

“Cosa vi porto ragazzi? Due Burrobirre?” domandò.

“Una cioccolata calda per me, grazie” rispose la ragazza.

“Due” aggiunse Harry, non degnando nemmeno di uno sguardo la donna.

Adorava Ginny.

Che le voleva bene lo aveva sempre saputo, ma si era finalmente reso conto di adorarla nel vero senso della parola.

Adorava il modo in cui rideva, in cui scherzava, in cui lo guardava negli occhi con quello sguardo dolce e malandrino.

Adorava il modo in cui si stringeva la sciarpa attorno al collo quando aveva freddo, il modo in cui gli sfiorava la mano senza renderseno conto, e perché no, anche gli sguardi gelosi con cui fulminava la civettuola Madama Rosmerta.

In definitiva, si stava prendendo una bella sbandata per la sorella del suo migliore amico.

“Harry, che c’è?” domandò lei sventolandogli una mano intorno agli occhi “Ti sei incantato”.

Il ragazzo scosse la testa.

“Stavo solo pensando a quanto tu sia meravigliosa” rispose, sentendo i geni da dongiovanni di suo padre risvegliarsi in lui, ma al contempo sentendosi un po’ idiota.

Ginny arrossì fino alla punta delle orecchie e abbassò gli occhi imbarazzata, ma si vedeva che era felice di quel complimento.

In quel momento arrivarono le loro cioccolate e lei ne bevve un sorso, scottandosi la lingua.

“Sei…sei sporca…” le disse Harry indicando una macchia di cioccolata sulla guancia.

Lei cercò di pulirsi, ma riuscì solo a fare peggio.

Quando lui allora le si avvicinò, tentando di aiutarla, i loro sguardi si incatenarono, e da quel momento nessuno dei due riuscì a smettere di guardare l’altro.

 

Mizar e Camille uscirono ridendo da Mielandia, con i loro sacchettini stracolmi di dolci.

“Non ci credo che non hai mai assaggiato le Api Frizzole!” esclamò lei, porgendogliene una.

Lui l’assaggiò, leggermente titubante, poi però ne prese un’altra da suo sacchetto, quando capì che gli piacevano.

“Zia Bellatrix non voleva che girassero troppi dolci per casa, quindi raramente ne abbiamo mangiati” spiegò lui “e comunque non erano mai caramelle”.

Intanto erano entrati nel parco di Hogsmeade, dove sotto un albero c’era un’unica panchina sgombra dalla neve.

I due si sedettero li, ridendo e continuando a mangiare dolci.

Camille rabbrividì leggermente e Mizar, senza pensarci troppo, si tolse la sciarpa verde e argento e l’appoggiò sulle spalle della ragazza, poi alzò la bacchetta e la fece diventare rossa e oro.

“Non che non vada fiero dei colori della mia casa, sia chiaro, ma credo che tu preferisca quest’accostamento” precisò, vedendo la sua espressione leggermente stupita.

“Grazie…” sussurrò la ragazza accarezzando la lana.

Mizar sorrise.

“Senti, ti andrebbe di andare da qualche parte?” domando poco dopo, sfregandosi le mani “E’ parecchio freddo qui fuori”.

Lei scattò in piedi, prendendolo per mano e facendolo alzare.

“Dove vuoi andare?”

“Daphne Greengass parlava di un posticino l’altro giorno, Madama Piediburro, ma non ne dove ne cosa sia” propose lui.

Camille ridacchiò.

“Ti piace il rosa?” domandò.

Lui scosse la testa deciso.

“Ti piacciono i cuoricini?”

Il ragazzo fece di nuovo di no.

“Bene” esclamò lei più tranquilla “andiamo da Rosmerta”.

Mentre cammivano, a Mizar non sfuggì che Camille non avesse lasciato la sua mano, anzi che avesse stretto la presa ancora di più.

 

Quando entrarono ai Tre Manici di Scopa, era talmente pieno di gente che un unico tavolo era libero, al centro del bar, ma c’erano pochissimi studenti, poiché la maggior parte degli alunni di Hogwarts erano rimasti a scuola.

 Si sedettero e poco dopo Madama Rosmerta porto loro le due Burrobirre che avevano ordinato.

Mizar si avvicinò di più a lei.

“Allora, come si stava a Durmstrang?” domandò Camille cercando di rompere il silenzio.

Lui la stava fissando con uno sguardo dolce, e non pareva intenzionato a guardare da un’altra parte.

Non sembrava nemmeno quel timido ragazzo che era arrossito invitandola il giorno prima.

“Scusami…” sussurrò abbassando gli occhi “…sono un cretino”.

Camille rise.

“Non ridere, tu sei la prima ragazza con cui esco, non so proprio come comportarmi!” esclamò, bevendo poi un sorso di Burrobirra, per affogare i suoi problemi in quel’alcool leggero.

“Stai andando bene…” sussurrò lei, avvicinandosi.

Quando Mizar alzò gli occhi, si accorse che le loro bocche erano a pochi centimetri l’una dall’altra.

Con un movimento simultaneo, si avvicinarono ancora di più, le loro labbra si stavano per sfiorare…

“Che diavolo succede qui?!?” esclamò una voce infuriata, facendoli girare di scatto.

Harry li stava guardando, con gli occhi che lanciavano scintille, mentre Ginny cercava di trascinarlo via.

“Che stai facendo con questo qui, Camille?” sbottò.

“Harry, andiamo dai…” provò Ginny, ma lui non si mosse, aspettando una risposta dalla sorella.

Mizar abbassò lo sguardo imbarazzato.

“…e certo...” pensò il Grifondoro “…non ci si può aspettare coraggio da un Serpeverde…”

“Fatti gli affari tuoi, Harry” sibilò Camille.

“Sei mia sorella, si da il caso che tu sia un mio affare” rispose quello.

Il biondo si alzò finalmente in piedi, fronteggiando l’altro.

Azzurro cielo contro verde smeraldo.

“Senti Harry…”

“Potter, per te”

“…si…in ogni caso, tua sorella mi piace davvero tanto”.

“Trova un’altra da farti piacere, sporco Mangiamorte”.

E gli lanciò uno sguardo di fuoco, prima di uscire dal bar.

“Mi dispiace…” sussurrò Ginny a Camille, poi lo seguì.

Mizar si sedette di nuovo al fianco della ragazza, accarezzandole dolcemente la mano.

Nel pub era piombato il silenzio, tutti gli avventori avevano assistito alla scena e ora fissavano i due ragazzi.

“Bè? Che avete tutti da guardare?” sbottò Madama Rosmesta “Non avete mai visto un litigio? Fatevi gli affari vostri”.

Camille le lanciò un’occhiata colma di gratitudine, lei rispose con un sorriso comprensivo.

Caddero entrambi in un silenzio imbarazzato, ma lei non riusciva a smettere di darsi della sciocca.

Come aveva potuto sperare di tenere nascosta la loro amicizia per sempre?!?

Ma era anche delusa dal fratello, Harry e i suoi pregiudizi, Harry e la sua scioccia gelosia, Harry e la sua stupida impulsività.

“Vuoi…vuoi tornare a scuola?” domandò Mizar dopo un po’.

Lei lo guardò negli occhi, poi annuì.

Il ragazzo andò a pagare le due Burrobirre a Madama Rosmerta, poi uscirono e si incamminarono per il sentiero.

Nessuno dei due aprì più bocca, finchè non si trovarono davanti alla sala d’ingresso e Camille si tolse la sciarpa, per restituirla a Mizar.

“Tienila” esclamò lui “me la darai la prossima volta che usciremo”.

Lei gli sorrise, nonostante tutto.

“Mi dispiace tanto” sussurrò il Serpeverde.

“Anche a me”.

 

Camille varcò il buco del ritratto con la nobile intenzione di uccidere il fratello.

Non dovette cercarlo a lungo, poiché la stava spettando seduto sul divano davanti al fuoco, parlando con Samuel che era appena tornato dall’infermeria.

“Sei un idiota” sbottò piombando davanti a loro, senza preoccuparsi della gente presente.

Harry si infervorò ancora di più.

“Sei tu la sciocca! Come puoi uscire con un Serpeverde?!?” rispose lui.

“Se tu mi avessi dato il tempo di parlare, Harry, avresti capito che Mizar è diverso da tutti loro!”

“Mizar?” si intromise Samuel, a cui evidentemente l’amico non l’aveva ancora raccontato “Sei uscita con Mizar Lestrange?”

Lei annuì.

“Si, e non ho problemi a dirlo. Mizar è diverso dagli altri Serpeverde, è buono, gentile, non farebbe male ad una mosca!” rispose.

“Ma è un Lestrange!” ribattè Sam.

Camille a quel punto perse definitivamente la pazienza.

“Tu non dovresti nemmeno fiatare!” urlò “Sono tre mesi che chiedi di uscire a Dione!”

Samuel aprì la bocca per rispondere, ma rimase in silenzio.

“E tu, caro fratellone, che critichi tanto i Mangiamorte, guardati! Odi una persona che non ha mai fatto niente di male solo perché appartiene alla famiglia sbagliata! Sei tale e quale a loro!” gridò, in preda alla rabbia, poi fece per andarsene, ma il fratello l’afferrò prima che salisse le scale del dormitorio femminile.

“Ti prego, Lil…”

Lei si liberò dalla sua stretta.

“Tu segui le tue idee, Harry, io seguirò le mie”.

Salendo le scale di corsa, sentì che Harry ancora la chiamava, ma lei non si fermò e si diresse verso la sua stanza.

Quando entrò fece appena in tempo ad accorgersi della presenza di Ginny, poi crollò a terra piangendo.

L’amica le si inginocchiò accanto.

“Mi…mi dispiace…” singhiozzò “…ho…ho rovinato…il tuo apputamento…”

“Shhhh” sussurrò l’altra “stai tranquilla Lil, si sistemerà tutto…”

Lei pianse ancora più forte.

 

Al piano di sotto intanto, Harry stava raccontando a Ron e Ted del litigio con la sorella, poiché avevano sentito le urla senza capirne il motivo.

Ron, pur essendo ancora un po’ arrabbiato con l’amico per essere uscito con la sorella, lo stava ascoltando.

Samuel, con la Mappa del Malandrino alla mano, prese Ted e lo trascinò fuori dal buco del ritratto, asserendo di aver bisogno di un bello scherzo ai Serpeverde per dimenticarsi la litigata con l’amica.

Benché non fosse ancora scattato il coprifuoco, i corridoi erano completamente vuoti, anche se, mentre si dirigevano nei sotterranei, incrociarono Mira.

“Ehi, dove vai tutta sola?” domandò il Metamorphomagus.

“Ciao Teddy, Sam…” salutò lei nervosamente, nascondendo un libro dietro la schiena.

Non fu abbastanza veloce, Samuel riuscì a leggerne il titolo.

Lord Voldemort: ascesa e declino di un mago oscuro

“Devo…devo tornare in Sala Comune…scusatemi” esclamò, correndo via.

I due si fermarono a guardarla.

“Quella ragazza non mi piace, Ted” disse Samuel serio “è decisamente strana”.

Lui ridacchiò.

“Non dire sciocchezze Sam”

“Perché fissa sempre i Lestrange, ogni volta che siamo in Sala Grande? E perché aveva un libro su Voldemort sotto braccio?” ribattè quello.

L’altro sbarrò gli occhi.

“Non dire sciocchezze…” ripetè, ma nemmeno lui sembrava molto convinto delle sue parole.

Mentre camminavano, a Samuel non sfuggì che i capelli azzurri dell’amico stavano assumendo una tetra sfumatura grigia.

 

Di fronte alla Sala Grande, i due videro una ragazza a terra.

“Luna!” esclamò Ted accorgendosi che era l’amica.

Innerva” disse Samuel puntandole contro la bacchetta.

Lei si riprese tossicchiando.

“Salve ragazzi” disse con la consueta voce sognante.

“Ti senti bene?” chiese Teddy aiutandola ad alzarsi.

“Oh si” rispose lei tranquilla “credo che qualcuno mi abbia fatto uno scherzo, la gente si diverte a farmene”.

Samuel scosse la testa

“Vieni, ti accompagniamo alla torre” disse.

Lei annuì sorridendo, precedendoli.

“Cominciano a stancarmi questi idioti che si divertono a schiantare la gente…” mormorò Ted, in modo che solo l’amico potesse sentirlo.

“Anche a me…” aggiunse l’altro “…spero tanto di trovarmeli fra le mani, gli faccio vedere io poi…”

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Capitolo 13
*** Legami di sangue ***


 

Salveeeeeee :D

Prima di tutto, ringrazio tutti coloro che leggono ma soprattutto che recensiscono, facendomi un sacco di complimenti che mi fanno tanto felice! :)

Voglio poi fare un annuncio.

D'ora in poi rallenterò un pò gli aggiornamenti, perchè in questo periodo sono parecchio impegnata e non riesco a scrivere con la stessa velocità del solito.

Per farvi un esempio, il capitolo che posto ora l'ho preparato in fretta stamattina.

Siccome non mi piace fare le cose frettolosamente, preferisco rallentare e avere più tempo per pensare e scrivere.

Con questo non voglio dire che non aggiornerò più, anche per la trama della storia e l'argomento dei vari capitoli sono perfettamente definiti fino all'ultimo, semplicemente se fino ad ora ho postato un giorno si e uno no, d'ora in poi tra un aggiornamento ed un altro ci sarà una pausa di due o tre giorni.

Scusatemi, ma se avessi continuato con questo ritmo alla fine i capitoli sarebbero venuti orrendi e siccome tengo tanto a questa storia mi sarebbe dispiaciuto molto.

Spero che continuerete a seguirmi lo stesso.

Buona lettura!

Bacioni,

Ale

 

 

13. Legami di sangue

I corridoi di Hogwarts erano deserti, nonostante fosse pieno giorno.

Non una persona che camminava, non una voce che si sentiva, non una risata che spezzava il silenzio.

I bauli era pronti, gli animali chiusi nelle gabbie, i ragazzi sulle carrozze dirette alla stazione.

Erano ufficialmente iniziate le vacanze di Natale.

Luna e Mira stavano tornando alla torre di Corvonero, dopo aver salutato tutti i loro amici in partenza.

La prima sarebbe rimasta a scuola perché il padre era in missione per cercare di trovare i Ricciocorni Sciattosi, la seconda perché non aveva nessuno da cui tornare.

“Ti piacerà il Natale qui” sussurrò Luna “rimaniamo sempre in pochi, ma almeno abbiamo il castello tutto per noi”.

Mira annuì.

“Luna…mi parleresti di nuovo dei Mangiamorte?” domandò.

L’amica sospirò, assumendo un’espressione grave.

“Mi spieghi perché ti interessano tanto?”

“Per favore…”

L’altra alzò gli occhi al cielo.

“E va bene. I peggiori sono stati senza dubbio i Malfoy, e i Lestrange…”

 

Quando Hermione salì sulla carrozza Harry fece per chiudere la porta, ma si fermò vedendo arrivare la sorella e Ginny.

“Ehi Camille vieni, saltate su!” esclamò porgendole la mano.

Lei gli lanciò uno sguardo di fuoco, poi prese l’amica per un braccio e la trascinò sul cocchio successivo.

“Penso che ce l’abbia ancora con te…” commentò Ron.

“Capirà anche lei che rischia troppo accanto a quel tipo” rispose l’amico chiudendo la porta.

“Harry” sospirò Hermione “i tempi di Voldemort e dei Mangiamorte sono finiti, Mizar è davvero un bravo ragazzo. E comunque, Camille aspetta le tue scuse”

“Allora aspetterà a lungo”.

La Caposcuola alzò gli occhi al cielo.

“Sai, credo che il passo tra sporco Mangiamorte e sporco Mezzosangue sia estremamente breve. Pensaci…” gli fece notare, un po' irritata, voltandosi poi a guardare la Foresta Proibita che scorreva accanto a loro.

Harry si girò dall’altra parte, parecchio offeso.

Quando scesero alla stazione, i Prefetti controllarono il carico dei bagagli, per evitare che qualche baule o gufo fosse lasciato ad Hogsmeade.

I ragazzi salutarono Hagrid, poi salirono alla ricerca di uno scompartimento libero.

Rispetto al viaggio del primo settembre il treno era meno pieno, poiché qualche studente rimaneva sempre ad Hogwarts anche durante le vacanze, così Camille ne approfittò occupando tutto uno scompartimento per lei e Ginny, e per Hermione se avesse voluto unirsi a loro.

Quando Harry e Ron aprirono la porta con tutta l’intenzione di sedersi, la secondogenita dei Potter sparò loro l’ennesimo sguardo di fuoco, facendogli capire di non essere esattamente graditi.

“Dai Lil, quando la smetterai?!?” domandò il fratello.

“Quando chiederai scusa a me e Mizar” sibilò lei “nel frattempo…fuori”.

“Andiamo” disse Hermione trascinandoli in quello affianco.

A quel punto, anche il treno partì tossicchiando.

 

Samuel e Ted stavano giocando a scacchi sotto lo sguardo assorto di Noah quanto i tre amici entrarono.

“Camille ha cacciato anche voi?” domandò Sam, mangiando uno dei pedoni dell’avversario.

Harry annuì.

“Non capisce che sono solo preoccupato per lei” rispose.

“Lo ha fatto anche con noi” disse Teddy “dice che se ti diamo ragione siamo uguali a te, quindi non ha motivo di rivolgerci la parola”.

Hermione scosse la testa.

“Ve lo ripeto per l’ennesima volta, quindi aprite bene le orecchie perché non lo dirò ancora, la prossima volta passerò direttamente alla bacchetta. Mizar è un bravo ragazzo” esclamò, avvicinandosi alla porta e spalancandola di nuovo “vado a controllare i corridoi, non mi piacciono proprio i vostri discorsi”.

Harry sbuffò platealmente.

“Ha sempre odiato i Serpeverde tanto quanto noi…da dove verrà tutto questo attaccamento proprio non lo so…” si lamentò non appena lei uscì.

 

Quanto la Caposcuola tornò, mezz’ora dopo, Samuel e Ted stavano raccontando agli amici della sera prima.

“Abbiamo trovato Luna schiantata davanti alla Sala Grande. Quando questa mattina lo abbiamo riferito alla McGranitt ci ha detto che ieri sera ci sono stati quattro attacchi diversi” raccontò Sam.

“Lei è l’unica a prendere questa storia sul serio. Non so Silente, ma gli altri professori credono che sia solo opera di qualche burlone con un pessimo senso dell’umorismo” aggiunse il Metamorphomagus “anche papà…”

Hermione mise su un’aria assorta.

“Comincio a credere anche io che non siano semplici scherzi…” disse poco dopo.

“Ma dai Herm, che motivo serio avrebbe qualcuno di andare in giro a schiantare la gente?!?” esclamò Ron.

Lei rimase in silenzio, pensando.

“Voi fate come volete, ma a me questa storia non piace per niente” aggiunse “quando torneremo a scuola farò qualche indagine…”

“Sisi certo…” commentò ancora lo Weasley, alzandosi “…nel frattempo, io vado a cercare il carrello dei dolci…”

“Bravo, controlla i primini già che ci sei. Prima due Corvonero stavano litigando, non vorrei che cominciassero a lanciarsi incantesimi…” gli ordinò lei.

Il ragazzo tornò immediatamente seduto.

“Ci ho ripensato” esclamò.

Hermione sbuffò, alzandosi a sua volta.

“Scansafatiche…” borbottò uscendo e sbattendosi la porta alle spalle.

 

Camille stava parlando con Colin dei turni di sorveglianza dei corridoi, quando un certo biondino arrivò davanti a loro.

“Volevo augurarti buon Natale” disse Mizar.

“Tanti auguri anche a te” rispose lei sorridendo.

“Io…io vado allora…” borbottò Colin, entrando in uno scompartimento poco più in là, non prima però di aver lanciato uno sguardo omicida al Serpeverde.

“Credo che quel tipo abbia una cotta per te…” osservò quest’ultimo.

Camille ridacchiò.

“Dal secondo anno” precisò “non si è ancora rassegnato al fatto che lo vedo solo come un amico”.

“Fa bene!” ribattè Mizar “mai rassegnarsi, specialmente se si desidera una cosa ardentemente”.

Lei gli sfiorò la mano.

“Cosa farai in questi giorni?” domandò.

“Mi divertirò da morire” rispose lui sarcastico “considerando che zia Bella passa più o meno due mesi ad organizzare il pranzo di Natale per minimo duecento persone a me sconosciute, giusto per dimostrare che i Purosangue sono i migliori anche nella preparazione delle feste. Se non sbaglio ha anche già fatto confezionare un intero corredo di vestiti per me e i miei cugini, per essere sicura che non faremo sfigurare la nostra nobile casata…”

“Un programmino interessante, non c’è che dire…” commentò lei “…noi passeremo il Natale con i Weasley, i Black e i Lupin. Potresti infiltrarti tra noi e spacciarti per un cugino Weasley venuto dall’Antartide, sono sicura che Molly ti accoglierebbe volentieri”.

Mizar si finse interessato all’idea.

“Poi quando Harry mi beccherà ci sarà proprio da ridere…” disse.

Lei fece un sorriso stanco, rendendosi conto che probabilmente il fratello non lo avrebbe mai accettato.

“Scherzi a parte, hai risolto con lui?” domandò poi il ragazzo.

Lei scosse la testa.

“Non ci parliamo, ma aspetto che chieda scusa ad entrambi. È lui ad aver sbagliato”.

Mizar le strinse la mano.

“Camille, io non me la sono presa. Non è la prima volta che mi chiamano così, e non sarà certo l’ultima” sussurrò, baciandogliela dolcemente.

Lei avvampò.

“Devi smetterla di farmi arrossire…”

“Spero proprio di no, sei ancora più bella”

In quel momento, qualcuno alle loro spalle si schiarì la gola.

“Per quanto siate meravigliosi insieme” li avvertì Hermione “Ron sta pensando di andare a cercare la signora con il carrello dei dolci, quindi se volete evitare la rissa conviene che vi separiate qui”.

Mizar le diede un bacio sulla guancia.

“Scrivimi…” le sussurrò all’orecchio.

Lei annuì.

“Grazie Hermione” disse poi alla Caposcuola “buon Natale anche a te”

“Mi dispiace” si scusò lei, ricambiando poi gli auguri.

Lui le salutò, lanciò un’ultima occhiata a Camille e tornò al suo scompartimento.

“Sto perdendo la testa Herm…” gemette la Potter appoggiando la testa sulla spalla dell’amica.

Lei le diede un buffetto tra i capelli.

“Lo sai che anche tu che Harry è un gran testardo…” sussurrò “…ma vedrai che capirà”

“Speriamo…” borbottò lei, entrando con l’amica nello scompartimento dove le aspettava Ginny.

 

Dione scese dal treno alle spalle di Deimos, poi si sentì tirata per un braccio.

Si voltò, trovandosi un sorridente Samuel di fronte.

“Volevo farti tanti auguri” disse.

“Altrettanto” rispose lei, sorridendo.

“Wow, stiamo migliorando” commentò il ragazzo.

“Sono una persona educata Black, ora scusami, i miei mi stanno aspe…”

“Posso scriverti a Natale?” domandò lui a bruciapelo.

“Perché dovrei risponderti?”

“Bè…perché siamo amici?” tentò.

“Non mi risulta”.

“Perché sono molto simpatico?”

“Non mi sembra”.

E va bene, l’hai voluto tu!" pensò Sam "Perché sono un bellissimo ragazzo?”

“Il solito pallone gonfiato”.

“Dai Dione, per favore…”

Lei ridacchiò.

“Sai come si dice Black? Tenta la sorte. Tu provaci, poi vedremo se ti risponderò”.

E se ne andò, lasciando per l’ennesima volta il ragazzo senza una vera risposta.

 

“Mamma! Papà!” esclamò Camille abbracciando i genitori.

“Ehi Lil!” salutò James stringendola “Harry?”

Lei fece una smorfia, indicando dietro di loro, dove il fratello stava chiacchierando con Remus e Sirius.

“Ci siamo persi qualcosa?” domandò Lily, accorgendosi dell’astio che correva tra i suoi figli.

“Niente di che mamma, hai solo messo al mondo un figlio idiota…”

“Sempre meglio di irresponsabile che rischia la pelle” la interruppe il suddetto idiota, arrivando dai genitori “Ciao ma, ciao pa”.

“La pelle?” domandò james, parecchio allarmato “Che diavolo dici Harry?”

“Te lo racconterà la tua cara bambina, vero Lil?” esclamò lui con sorrisetto ironico, guadagnandosi la miliardesima occhiata inteneritrice dalla sorella.

“Lasciate perdere, ve l’ho detto che è un idiota” rispose Camille in imbarazzo, afferrando il braccio del padre pronta a smaterializzarsi.

 

La biblioteca del castello dei Lestrange faceva concorrenza a quella di Hogwarts, anche se c’era una fondamentale differenza.

Se a scuola i libri di magia oscura erano stati praticamente aboliti, al castello c’erano quasi solo quelli.

Era tra quei tomi che Bellatrix aveva scovato alcuni degli incantesimi oscuri che voleva usare quella sera.

“Vai a prendere Mizar” ordinò la donna al cognato.

“Prendere?” domandò Rabastan “Prendere in che senso?”

“Sei un Mangiamorte” gli ricordo il fratello “esiste l’imperio”.

L’uomo scosse energicamente la testa.

“Scordatelo, non userò la Maledizione Imperius su mio figlio. Useremo il mio sangue” esclamò.

“Non se ne accorgerà neppure, e comunque non possiamo sfruttare te” spiegò Bella “tu condividi solo mezzo DNA con Mira, dobbiamo usare quello di Mizar per forza”.

Rabastan, seppur riluttante, uscì sbattendosi con forza la porta alle spalle.

Quando tornò, poco dopo, il figlio camminava davanti a lui, con il pigiama addosso e lo sguardo tremendamente vacuo.

“Prendi il coltello” ordinò Bellatrix “e tagliati. Fai cadere il sangue sulla cartina”.

Di fronte a lei infatti, su un grande tavolo di legno, c’era un’enorme e dettagliata cartina mondiale, illuminata da quattro candele poste agli angoli della pergamena.

Il ragazzo prese il coltello e si fece un taglio netto sul palmo della mano, facendo poi cadere un rivolo di sangue dove la zia gli aveva indicato.

“Lo riporto a letto” disse Rabastan sentendosi colpevole, fasciando la mano del figlio e uscendo con lui dalla biblioteca.

Nello stesso momento, Bellatrix aveva tirato fuori la bacchetta e compiuto complicati movimenti, mormorando parole in una lingua che non esisteva più.

Lentamente, le gocce di sangue iniziarono a spostarsi.

Dall’oceano su cui erano cadute, passarono sulla Spagna, sulla Francia, superarono la Manica e l’Inghilterra, fermandosi alla fine poco più in su.

“Fantastico” ringhiò Rodolphus battendo un pugno sul legno “è in Scozia. Dobbiamo setacciare tutta la dannata Scozia”.

La moglie, però, aveva un’espressione trionfante sul viso.

“Non è semplicemente in Scozia” mormorò fissando quelle goccioline rosse “è a Hogwarts”.

 

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Capitolo 14
*** Un Natale malandrino ***


 

Salve a tutti!

Per prima cosa, voglio ringraziarvi per la vostra comprensione, non sarei davvero più riuscita a tenere quei ritmi...

Poi anche per le recensioni, wow è la prima volta che ne ho così tante in un solo capitolo!!!

Spero che questo nuovo chap vi piaccia!

Buona lettura!

Ale

Ps. Nelle storie tutti hanno 2 nomi, tipo Harry James, Ronald Bilius, Hermione Jane ecc ecc. Per quanto riguarda i due gemelli Lestrange, Dione e Deimos, i loro secondi nomi sono rispettivamente Druella e Cygnus, come i genitori di Bellatrix.

 

 

14. Un Natale malandrino

Buongiorno!

È la prima volta che scrivo ad una ragazza, quindi ritieniti fortunata perché probabilmente rimarrai l’unica ad aver ricevuto un onore simile.

Mi risponderai?

Davvero, sono tre giorni che penso ad una cosa sensata da dirti e non mi è venuto in mente nulla, sono proprio negato per queste cose.

Mi sento anche parecchio idiota a dirtela tutta…

Io trascorrerò il Natale con la mia famiglia e i miei amici, tu che programmi hai?

So di aver detto che ti avrei scritto una vera lettera, ma non sono nemmeno sicuro che mi risponderai, quindi mi fermo qui.

Samuel R. Black

Ps. Una risposta la aspetto sul serio…

Pps. Non so quanto ci metterà il mio gufo a trovare il tuo castello, nel caso arrivasse il 25 buon Natale!

 

Buon Natale anche a te (non farti illusioni, come ho già detto ti rispondo perchè sono una persona educata e almeno a Natale mi piace essere buona).

Per la tua domanda, mia madre ha organizzato una festa con alcuni amici, credo mi divertirò molto.

Per il resto, non ho nient’altro da dirti.

Dione D. Lestrange

Ps. Per la cronaca, il gufo è arrivato la sera del 23.

Pps. Non montarti la testa, non ho intenzione di risponderti ancora.

 

Non dire bugie, cara Dione.

Ho una vaga idea di come funzionano le feste dei Purosangue, mentre io mi divertirò con i miei amici tu ti annoierai a morte ad un pranzo pieno di gente che non conosci, chiamami quando non ne potrai più e vorrai scappare via.

E comunque, lo so che mi rispondi perché mi adori, è inutile fingere il contrario.

Ci risentiamo per Capodanno,

Sam

 

Illuso, oltre che pallone gonfiato come al solito.

D.

 

Samuel ridacchiò leggendo quell’unica riga vergata nella costosa pergamena di casa Lestrange, appoggiandola poi sul comodino.

“Dai Sam tra mezz’ora dobbiamo essere dagli Weasley” gli ricordò Noah affacciandosi un istante alla porta, prima di allontanarsi di nuovo.

Il fratello di alzò, dirigendosi verso la finestra dove Bolide lo stava aspettando speranzoso.

“Mi dispiace, non ho nulla da darti” disse accarezzandogli la testa “puoi andare a dormire anche tu”.

Il gufo stridette, poi aprì le grandi ali e volò a rifugiarsi tra gli alberi che circondavano la casa, per riposarsi senza che nessuno lo disturbasse.

Samuel sospirò, avrebbe dovuto rimandare a quella sera la scrittura di una degna risposta a Dione.

 

Da che si erano conosciuto quando combattevano insieme per l’Ordine della Fenice, era ormai tradizione che gli Weasley, i Potter, i Black e i Lupin festeggiassero il Natale tutti insieme alla Tana, mettendo a dura prova la caotica casa di Molly e Arthur.

Benché già stentassero ad entrarci tutti insieme quando erano solo in nove, nessuno degli altri almeno dieci invitati al pranzo aveva intenzione di rinunciare a quei momenti dove erano tutti una grande famiglia allargata.

Era stato in quella casa che tanti anni prima Ginny e Camille avevano mosso i primi passi nello stesso identico istante.

Era stato in quella casa che i gemelli, ad appena cinque anni, avevano tentato di modificare il colore dei loro capelli come faceva il piccolo Ted, finendo invece per far saltare in aria il salotto.

Era stato in quella casa che avevano passato momenti memorabili, come quando qualche anno prima Arthur, James, Sirius e Remus (si, il calmo e pacato Remus Lupin) si erano ubriacati come ragazzini alla prima sbronza bevendo una bottiglia di Whisky Incendiario che Charlie aveva portato dalla Romania ed avevano iniziato a chiacchierare amabilmente delle loro prime esperienze con il gentil sesso, mentre i figli ascoltavano interessati.

Noah, dall’alto della sua innocenza di bambino più piccolo, era corso a chiedere a Maya cosa fossero i perversativi.

Memorabile era stata anche la reazione di Molly, che aveva spedito i quattro uomini fuori di casa, per smaltire la sbornia al freddo sotto la neve che scendeva.

Come ogni anno, l’appuntamento era alle 11 in punto alla Tana, dove le mamme, Lily, Maya e Ninfadora, avrebbero aiutato la padrona di casa con gli ultimi preparativi del pranzo, che come al solito sarebbe bastato per sfamare un paio di battaglioni dell’esercito.

Mentre le donne si trinceravano in cucina, gli uomini erano soliti sedersi davanti al camino e raccontarsi gli ultimi avvenimenti accaduti nel mondo magico, buoni o cattivi che fossero.

“Stanno parlando degli attacchi di Hogwarts…” raccontò Ginny entrando nella vecchia stanza dei gemelli, dove si erano riuniti tutti insieme.

Era la più grande camera da letto della casa, quindi riuscivano a starci tranquillamente in sette.

“Hermione pensa che non siano solo scherzi” buttò li Camille, che era stata attenta a sedersi lontana sia dal fratello che da Samuel.

“Ma dai ragazzi, chi avrebbe un motivo serio per schiantare la gente?!?” esclamò Ron, come se la sua domanda avesse una risposta ovvia.

“Fatto sta che a scuola non stanno facendo grandi indagini. Papà mi ha detto che nessun insegnante sembra troppo preoccupato…” raccontò Ted.

“Questa è opera dei Serpeverde, come al solito!” sbottò Samuel scattando in piedi.

Camille sbuffò, alzando gli occhi al cielo e uscendo dalla stanza, premurandosi di sbattersi la porta alle spalle.

“Che cosa ho detto?!?” domandò il primogenito dei Black guardandosi intorno, sconcertato dal comportamento dell’amica.

 

Camille entrò in cucina, trovando le donne che ridevano per qualcosa che stava combinando Juliet.

Quando si affacciò tra loro vide che la piccola, che aveva ancora qualche problemino con i suoi poteri di Metamorphomagus, stava cambiando involontariamente il colore dei capelli, assumendo tutte le tonalità dell’arcobaleno.

“Mamma!” gemette la bambina, afferrandosi alcune lunghe ciocche arancioni per provare a fermare le metamorfosi.

Ninfadora le posò un bacio tra i capelli appena diventati viola.

“Ti stai stancando troppo Juls, non puoi cambiare colore decine di volte in pochi minuti, o rischierai di perdere definitivamente il controllo. Devi rilassarti, provaci” disse dolcemente.

La bimba chiuse gli occhi, la chioma le si allungò fino alla vita e diventò bianca poi, gradualmente, si accorciò e tornò del suo solito verde.

“Visto?” sussurrò Dora.

Juliet le sorrise, facendole poi la linguaccia.

“Vieni Juls, andiamo a giocare di la” esclamò Camille facendosi avanti e prendedola in braccio.

“Vuoi vedere di quanti colori riesco a diventare Lil?” domandò festante la bambina, mentre la madre scuoteva la testa rassegnata.

 

“A TAVOLA!” gridò Molly dal fondo delle scale, sentendo poi un suono incredibilmente simile ad una carica di elefanti.

Pochi secondi dopo, al grande tavolo imbandito erano seduti sei adolescenti affamati, pronti a sbafarsi tutte le prelibatezze di mamma Weasley.

Anche gli altri presero posto e le donne fecero levitare le portate fino al tavolo, dove iniziarono a mangiare.

Nel frattempo, tutti iniziarono a chiacchierare.

Bill raccontava a James, Sirius, Remus e Percy della maledizione da cui era recentemente scampato in una tomba egizia.

Charlie parlava estasiato a Ginny, Noah e Ted di una nuova specie di draghi che era stata scoperta in Romania.

Molly sottoponeva Lily, Maya, Dora e Camille alla biografia completa di Celestina Warbeck.

Fred e George descrivevano il nuovo scherzo appena inventato a Samuel.

Arthur metteva Harry e Ron al corrente della recente incarcerazione di Dolores Umbridge.

Tutti i ragazzi conoscevano quella donna così simile ad un rospo poiché era stata l’ultima insegnante di Difesa Contro Le Arti Oscure prima dell’assunzione stabile di Remus, e la odiavano con tutto il cuore.

Oltre ad essere stato l’anno in cui avevano ricevuto la peggiore istruzione di sempre, era stato anche l’anno in cui avevano collezionato il maggior numero di punizioni, perché si divertivano da morire a far saltare i nervi a quell’odiosa professoressa.

Un paio d’ore, parecchie portate e altrettante bottiglie di Vino Elfico dopo, erano tutti sazi ed estremamente appesantiti, e mentre gli adulti si lanciavano in appassionati ricordi dei tempi andati i ragazzi si erano trascinati sui divani, pensando seriamente ad una bella partita di Quidditch sotto la neve per tentare di smaltire i magnifici piatti di Molly.

Quasi senza accorgersene però, scivolarono tutti, uno dopo l’altro, nel mondo dei sogni.

Lily e Maya, non sentendo alcuna voce proveniente dal soggiorno, decisero di andare a controllare cosa diavolo stessero combinando i loro figli, perché quel silenzio cominciava ad essere anche inquietante.

Quando si affacciarono poco dopo, però, non riuscirono proprio a trattenere un dolce sorriso.

Molly, arrivando con Dora dalle amiche, pescò da chissà dove una vecchia macchina fotografica e scattò una foto che poteva anche sembrare Babbana, tanto erano immobili i personaggi.

Ron si era allungato su uno dei divani, occupando entrambi i posti.

Seduto a terra con la testa appoggiata alle gambe del migliore amico dormiva Harry, con la testa di Ginny in grembo.

Sulla poltrona accanto al camino acceso ronfava Noah, con Juliet seduta tra le braccia che sonnecchiava con la testa appoggiata al collo del ragazzo.

Sull’altro divano c’erano invece seduti Samuel, Ted e Camille.

Lei dormiva con la testa appoggiata alla spalla di Teddy, sulla quale poi il ragazzo aveva appoggiato la sua, mentre Sam aveva pensato bene di mettersi comodo, stendendo le proprie gambe su quelle degli altri due e sdraiandosi come se nulla fosse.

Fred e George si erano seduti a terra con le teste appoggiate alle gambe di Ted e Camille, le lunghe gambe stese sul pavimento.

Tutti, nessuno escluso, avevano un’espressione di totale relax su visi.

 

Due ore dopo, quando i belli addormentati si svegliarono stiracchiandosi, gli uomini stavano ancora ridendo, mentre le donne si erano di nuovo chiuse in cucina.

“Rimaniamo a cena” spiegò James quando il figlio, con i capelli più spettinati del solito e gli occhiali storti sul naso, si affacciò in sala da pranzo con Ginny al seguito.

Il ragazzo ancora insonnolito annuì, poi prese per mano lei e insieme tornarono dagli amici.

Sirius non riuscì proprio a reprimere una risatina.

“Sembra proprio che il piccolo Harry non sia più tanto piccolo…” sussurrò a James.

Ramoso sorrise.

“Così pare…” borbottò.

Entrambi poi si guardarono verso Arthur per vedere la sua reazione, ma lui stava parlando con Percy e non pareva essersi accorto di quella scenetta.

 

“Rimaniamo tutti a cena…” annunciò Harry tra uno sbadiglio e l’altro, spingendo via Ron dal divano e sedendosi al suo posto.

“Ahi!” esclamò lo Weasley, alzandosi da terra e massaggiandosi il fondoschiena.

“Che facciamo ora?” domandò Camille stiracchiandosi.

Samuel, con un improvviso slancio di energia, scattò in piedi.

“Battaglia di palle di neve?” propose, con un sorriso malandrino che si allargava sul volto.

Pochi secondi dopo, con giacconi, sciarpe e cappelli addosso, ridendo e divertendosi come pazzi, erano tutti fuori di casa, immersi nella neve fino alle ginocchia.

 

“Siete proprio degli sciagurati!” esclamò Molly vagando da uno all’altro dei ragazzi “Ammalarsi a Natale!”

Dopo un pomeriggio intero passato sotto la neve che scendeva, Harry esibiva un magnifico taglio su uno zigomo, causato da una palla lanciata dalla sorella (era ancora da appurare se fosse stato un incidente o meno), mentre Ron, Ginny, Ted, Noah e George si erano presi un bel raffreddore.

Fortunatamente, Lily aveva preparato in poco tempo una pozione per curarli, ed ora stavano aspettando che facesse effetto.

“E’ pronto” disse Maya affacciandosi in soggiorno.

Tornarono in sala da pranzo, di nuovo imbandita per l’ennesimo esagerato banchetto, mangiando fino ad arrivare a pensare che sarebbero stati sazi per tutto il mese successivo.

“Papà, ma perché tutti ce l’avete con i Lestange?” domandò Samuel ad un certo punto.

La tavolata piombò nel silenzio, mentre Sirius fissava il figlio con un’espressione inquisitoria.

“Lo sai bene Sam” rispose “sono stati Mangiamorte”.

“Si ma…magari i loro figli non sono come loro…” buttò li il ragazzo.

“Sono figli di Mangiamorte, tali e quali ai genitori, gente da cui è meglio stare alla larga” esclamò Felpato.

“Ma…”

“Senti Samuel” lo interruppe James “noi c’eravamo in guerra, lo sapete, ve lo abbiamo raccontato centinaia di volte. Noi abbiamo visto chi erano i Lestrange prima di fingere di redimersi per tenersi fuori da Azkaban. Noi li abbiamo visti torturare persone innocenti, uccidere i Babbani solo perché non avevano poteri magici. Se vi diciamo di star loro lontano è solo per il vostro bene. Se conosciamo bene Bellatrix, Rodolphus e Rabastan, li avranno cresciuti con i loro stessi ideali, e loro non saranno poi tanto diversi dai genitori”.

“Secondo me vi sbagliate” protesto Samuel “potrebbero essere diversi, potrebbero essere buoni. Prendi te, papà. Tu sei la prova vivente di quello che dico”.

“Lascia stare me, è una situazione diversa” disse Sirius, iniziando a scaldarsi “e lascia stare loro, non sono persone affidabili”.

“Ma…”

“Niente ma Samuel” lo interruppero di nuovo, ma stavolta era stato suo padre con un tono insolitamente autoritario “stagli lontano”.

Il ragazzo, preso da un’improvvisa rabbia, si alzò e andò a sedersi il salotto, per evitare di litigare con il genitore proprio il giorno di Natale.

Con somma sorpresa dei ragazzi non fu Ted a seguirlo, ma Camille.

“Per un attimo ho pensato stessi parlando di Mizar…” disse sedendosi accanto all’amico “…ci ho messo un po’ a capire che ti riferivi a Dione”.

“Non venirmi a dire anche tu di starle lontano, non sei nella posizione di farlo” rispose acido lui.

“Non lo farò, tranquillo” gli assicurò la ragazza sorridendo e stringendogli la mano “ti sei preso una bella cotta è?”

Lui rimase immobile per un attimo poi, lentamente, annuì.

“Ritieniti fortunata” borbottò “sei la prima persona con cui l’ammetto”.

“Penso che ce ne eravamo accorti un po’ tutti…” sussurrò lei abbracciandolo “…cederà prima o poi, vedrai”.

Samuel la strinse tra le braccia.

“E’ quel poi che mi preoccupa…” rispose, rimanendo poi in silenzio per un attimo “…ma tu non eri arrabbiata con me?”

Camille ridacchiò contro il suo collo.

“Abbracciami e basta, scemo…”

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Capitolo 15
*** Quella grossa bugia ***


 

SALVEEEEEEEEEE :D

Voglio prima di tutto ringraziarvi per le tante recensioni, perchè mi fate sempre felicissima!!!

Voglio poi scusarmi per il ritardo (perdonatemi ma il mio computer questi giorni ha deciso di fare cilecca) e per la brevità, nonchè banalità, del capitolo che leggerete.

Non sono proprio riuscita a fare di meglio, scusate tanto.

Prometto che mi farò perdonare con il prossimo chap che sto già scrivendo e che conto di postare entro la fine della settimana.

Vi anticipo una cosuccia, il segreto di un certo personaggio sarà rivelato, ma sono sicurissima che non indovinerete mai il come ahahaha :P

Spero tanto che questo vi piaccia almeno un pò, nonostante non sia un granchè.

A prestissimo!

Bacioniii

Ale

Ps. una piccola nota. Mira è una stella della costellazione della Balena, lo scovata su Wikipedia scrivendo Lista di Stelle

 

15. Quella grossa bugia

Le vacanze di Natale ad Hogwarts stavano lentamente volgendo al termine.

Erano rimasti davvero in pochissimi quell’anno, tanto che in Sala Grande erano scomparse le tavolate delle quattro case in favore di un tavolo più piccolo con una trentina di posti, insegnanti compresi.

Nel complesso, Mira aveva passato delle vacanze divertenti.

Insomma, si era fatta una cultura non indifferente su Ricciocorni Sciattosi, Nargilli e Gorgosprizzi, ma se non altro non aveva dovuto sopportare gli sguardi freddi e indagatori delle sue compagne di stanza.

Le ragazze del quarto anno non riuscivano proprio a capire perché la francesina fosse tanto interessata ai periodi bui della storia inglese, vedendo enormi tomi sulla Prima Guerra Magica, su Voldemort e sui Mangiamorte impilarsi ai piedi del suo letto.

Da quando i suoi amici le avevano detto di suo padre e della sua famiglia, aveva letto qualsiasi libro sulle loro imprese posseduto dalla biblioteca della scuola.

Era inorridita leggendo le gesta dei Mangiamorte, se così potevano essere chiamate, non riuscendo a credere di essere figlia di un torturatore e di un assassino di innocenti Babbani.

Leggendo poi aveva scoperto che la vita di alcuni dei ragazzi che aveva conosciuto fino a quel momento era stata strettamente legata a quegli uomini.

Sapeva come Neville aveva praticamente perso i suoi genitori, ricoverati da diciassette al San Mungo per le lesioni permanenti causate dalla Maledizione Cruciatus.

Sapeva come Harry e la sua famiglia fossero stati inseguiti da Voldemort, di come fossero stati per mesi in pericolo di vita.

Sapeva anche di come la nascita di Samuel fosse stata messa a rischio dal Signore Oscuro.

Una volta Noah, vedendola leggere un libro, glielo aveva raccontato per cercare di distogliere la sua attenzione dall’argomento.

Le aveva detto di come Voldemort avesse attaccato al matrimonio dei suoi genitori, di come avesse quasi ucciso sua madre e di come l’avesse indotta a partorire con quasi due mesi d’anticipo, di come avesse ucciso suo zio, Regulus, l’uomo che si era sacrificato per salvare Maya e di cui Sam portava il nome.

Aveva provato a farle capire che non era saggio riesumare le storie di quegli uomini che tanti anni prima avevano reso l’Inghilterra un inferno, ma aveva fallito clamorosamente.

 

Mira sfogliava spasmodicamente le vecchie copie della Gazzetta del Profeta davanti a lei.

Solo da qualche giorno aveva scoperto, grazie a Luna, che la biblioteca possedeva un archivio completo di tutte le copie, e aveva iniziato a scartabellarle una per una alla ricerca di notizie su suo padre.

Infatti, se da una parte c’erano le idee dei suoi amici, secondo cui il pentimento fosse stata tutta una finta per tenersi fuori da Azkaban, dall’altra c’erano le informazioni dei libri, che raccontavano di come i Malfoy e i Lestrange fossero tornati dalla parte dei buoni prima della caduta di Voldemort, affermando di essere stati soggiogati dalla Maledizione Imperius e di essere stati costretti a fare quello che avevano fatto.

Non sapeva proprio a chi dar retta.

Ad un certo punto si fermò, aveva trovato un trafiletto in una vecchia copia del giornale, dove venivano annunciate le nozze private di Rabastan Lestrange e Sophie Dumas, nella residenza di famiglia.

Iniziò a sfogliare le copie più velocemente, trovando alla fine un vecchio articolo firmato Bertha Skeeter.

Non aveva mai sentito nominare quella donna, ma aveva visto spesso quel cognome sulla Gazzetta, anche in articoli più recenti.

E di fronte a lei, oltre ad un immenso articolo sulla sua famiglia, c’erano tre foto.

In una c’erano i suoi zii, Rodolphus che sfiorava il pancione di Bellatrix.

Nella seconda, Rabastan e Rodolphus, che ridevano e si davano pacche sulle spalle come normali fratelli.

Ma Mira aveva occhi solo per la terza.

Davanti a lei c’era l’unica prova che quello fosse davvero suo padre, oltre alle parole di sua madre.

Sophie, con un Mizar appena nato fra le braccia, sorrideva radiosa accanto a Rabastan, suo marito, il padre dei suoi figli.

La donna era molto più giovane, molto più bella e infinitamente più felice di come Mira l’avesse mai vista in vita.

Era un cimelio incredibile, tanto che per un attimo fu tentata di portar via quella copia, anche se alla fine capì che non poteva.

Sarebbe potuta tornare a vederla ogni volta che voleva.

Si mise a leggere, trovandosi davanti per l’ennesima volta alla solita storia di redenzione.

Si parlava anche di Mizar e Sophie, e sorrise involontariamente leggendo di come suo fratello svegliasse i suoi genitori di notte, di come fosse stata Bellatrix a suggerire il nome per il bambino alla madre.

Anche lei aveva il nome di una stella, ma aveva sempre pensato che fosse solo perché sua madre le adorava, non immaginava che ci fosse un altro motivo sotto.

Continuò ad andare avanti, sfogliando altre Gazzette, poi si bloccò di nuovo.

 

TRAGEDIA COLPISCE I LESTRANGE

di Bertha Skeeter

Non è vero che i soldi fanno la felicità, lo sanno bene Rabastan, Rodolphus e Bellatrix Lestrange, colpiti da pochi giorni da un’immane tragedia.

Muore all’improvviso, apparentemente senza causa vera e propria, Sophie Dumas Lestrange, membro di una delle più importanti famiglie del mondo magico.

La donna, moglie di Rabastan e madre da pochi mesi del piccolo Mizar, è deceduta in circostanze misteriose nella tarda serata di ieri.

La notizia, circolata insistentemente ai piani alti del Ministero, è stata infine confermata da Rodolphus Lestrange, incontrato fuori dall’ufficio del Ministro della Magia Cornelius Caramell in persona.

“Vi prego di rispettare il dolore della nostra famiglia, vi supplico di non tormentare mio fratello Rabastan con insistenti quanto inutili domande. Mia cognata Sophie è morta di colpo, non ne sappiamo neanche noi il motivo” ha detto l’uomo, con un’espressione distrutta in volto.

La famiglia mantiene quindi il massimo riserbo, così come il Medimago che ha visionato il corpo e dichiarato il decesso.

I funerali si terranno questo pomeriggio in forma privata, nel cimitero del castello.

Tutta la comunità magica si stringe addolorata attorno ai Lestrange.

 

Era ufficialmente schifata, inorridita.

Sperava ardentemente che fosse tutta un’invenzione di quella sciocca giornalista, perché non poteva, non voleva, credere che suo padre potesse essersi inventato una cosa del genere.

Non voleva nemmeno pensare che potesse essere stato d’accordo nel raccontare una bugia simile.

E a suo fratello avevano raccontato la stessa menzogna.

Era ovvio che quel fantomatico Medimago mantenesse il riserbo sulla questione, quando probabilmente aveva ricevuto una montagna di galeoni per mentire ed affermare di aver dichiarato un decesso che non c’era mai stato.

Mira sfiorò quasi senza rendersene conto la tasca dove c’era l’ultima lettere che le aveva scritto la madre prima di morire, quella dove gli raccontava tutta la sua storia, che portava sempre con lei, poi l'ampolla delle ceneri appese al collo, quella che Sophie le aveva raccomandato di custodire.

Quanto le mancava.

“Cucù” sussurrò una voce al suo orecchio, facendola sobbalzare.

“Luna!” esclamò con un cipiglio severo “Ma ti pare il modo di arrivarmi alle spalle?!? Mi hai fatto prendere un colpo!”

Lei non gli badò.

“Basta con i Mangiamorte! Hagrid ci aspetta per il tè, andiamo!” disse la ragazza prendendo l’amica per un braccio e trascinandola in piedi.

Mira, a malincuore, dovette rimettere a posto i vecchi giornali.

 

L’ufficio di Rodolphus Lestrange era un ricettacolo di oggetti dal valore praticamente inestimabile.

La scrivania del ‘600, le lampade del ‘700, le sedie scolpite a mano, gli oggetti forgiati dai folletti, i quadri rappresentanti i vecchi membri della famiglia, i libri di Arti Oscure di tutte le epoche.

Al posto d’onore sopra il monumentale camino di marmo bianco c’era un dipinto.

Un quadro speciale, incantato per essere visto davvero solo da un gruppo selezionato di persone, quelle con il Marchio Nero.

Mangiamorte.

Quel dipinto ritraeva Lord Voldemort, ai tempi del suo immenso potere, con Rodolphus e Bellatrix alla sua destra e Rabastan e Lucius Malfoy alla sua sinistra.

I suoi servi più devoti, quelli che avrebbero sacrificato qualsiasi cosa per riportare il loro padrone in vita.

Nessuno dei cinque sorrideva, ma tutti avevano un’espressione determinata sui visi.

Quando Deimos entrò nella stanza, trovò i suoi genitori in silenzio, intenti a fissare quella vecchia immagine.

“Siediti” ordinò Bellatrix, indicando la poltrona di fronte alla scrivania.

Mentre Rodolphus era seduto di fronte al figlio, lei era in piedi, con una mano appoggiata sullo schienale della sedia del marito.

“Abbiamo un compito da affidarti” annunciò l’uomo.

Deimos annuì, nonostante non fosse esattamente entusiasta della cosa.

Sapeva di non poter disobbedire ad un ordine impartito dai genitori.

“Quello che ti dirò ora, figlio mio, non dovrai rivelarlo a nessuno che non sia Draco, poiché è l’unico a saperlo” esclamò l’uomo.

Il ragazzo annuì.

“Ad Hogwarts è nascosta la sorella di Mizar, tua cugina” disse Bellatrix.

Deimos strabuzzò gli occhi.

“Sorella? Cugina? Che diavolo state dicendo?!?”

“Tua zia Sophie non è morta da diciassette anni, ma pochi mesi fa in Francia. Nel frattempo ha messo al mondo una bambina, che sappiamo solo essere la figlia di Rabastan. Si chiama Mira Dumas”.

“Ma ne siete sicuri? Come è successo?”

“Il come, non deve interessarti, anche se penso che tu abbia almeno una vaga idea di come nascono i bambini” disse ancora l’uomo, stavolta con un sorrisetto malizioso che gli increspava le labbra “dicci solo se conosci questa ragazza”.

“Si…” rispose “…mi pare ci sia una Mira a Corvonero, si è trasferita a settembre da Beauxbatons”.

“Bene!” esultò la madre “Deve essere lei per forza! Il tuo compito è scoprire se quella ragazza è davvero tua cugina, ma soprattutto se possiede un’ampolla con delle ceneri. È una missione importantissima, Draco ti aiuterà”.

Deimos annuì per l’ennesima volta.

“E’ tutto?” domandò.

I genitori annuirono a loro volta.

A quel punto il ragazzo si alzò, per lasciare lo studio.

“Mi raccomando, non una parola con nessuno, soprattutto Mizar e Dione” lo redarguì di nuovo il padre, facendogli poi cenno di uscire.

 

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Capitolo 16
*** Lettere e segreti ***


 

Salve a todosssss :D

Eccomi qui, con un capitolo che a me personalmente piace, spero piaccia anche a voi!

Grazie a tutti per le recensioni precedenti, ma anche a chi legge silenziosamente e a chi ha inserito la storia tra preferiti/seguiti/da ricordare!

Buona lettura! :)

Baciiii

Ale

PS. le frasi di Oscar Wilde le ho prese da Wikiquote

 

16. Lettere e segreti

La campagna inglese ancora innevata scorreva intorno all’espresso di Hogwarts, mentre al suo interno gli studenti rimpiangevano le vacanze appena finite.

Tra uno scompartimento e l’altro si sentivano risate, saluti ed aneddoti delle feste.

C’era chi raccontava di aver litigato con quell’amica, chi diceva di essersi ubriacato con quel cugino, chi giurava di aver sentito i genitori impegnati in attività parecchio sportive in cucina mentre tutti i parenti erano riuniti a tavola per il pranzo di Natale.

Ma c’era anche chi preferiva rintanarsi nel proprio scompartimento, magari per evitare di doversi mischiare a quelli che considerava Mezzosangue o Traditori, e chi decideva di fargli compagnia.

“Wilde? Chi è questo Oscar Wilde?” domandò Deimos togliendo il libro di mano a Mizar.

“Uno dei più grandi poeti inglesi mai esistiti” sibilò stizzito il cugino, quasi oltraggiato dall’ignoranza dell’altro.

Draco fece un sorrisetto.

“Se Rabastan scoprisse che leggi libri Babbani ti farebbe la festa…”

Mizar alzò le spalle, dubitava fortemente che suo padre sapesse chi fosse Oscar Wilde, tantomeno che fosse Babbano.

“Ma dai, come fanno a piacerti queste cose?!?” chiese il gemello Lestrange sfogliando rapidamente le pagine, fermandosi ogni tanto a leggere qualche riga.

Dione si alzò in piedi, stanca di quei battibecchi.

“Mi accompagni a fare due passi Mizar? Mi si stanno addormentando le gambe…”

Il cugino si alzò a sua volta.

E’ meglio essere belli che essere buoni, ma è meglio essere buoni che essere brutti” lesse ad alta voce Deimos “che diavolo vorrebbe dire?!?”

Mizar alzò gli occhi al cielo.

“Significa che sei un ignorante” rispose “e che puoi tenerti il libro. Fatti una cultura”.

“Vai a quel paese” sbottò il cugino.

“Quale?” domandò il biondo ridacchiando, prima di uscire dallo scompartimento per evitare di essere centrato dal libro che Deimos gli aveva tirato.

Draco si allungò e lo raccolse.

Il segreto per rimanere giovani sta nell’avere una passione sregolata per il piacere” recitò “questa voglio proprio dirla a Pansy…”

Deimos lo guardò con un ghigno malizioso.

“Ora che siamo soli, pensiamo alle cose serie…” disse poco dopo “…hai parlato con tuo padre?”

Malfoy annuì.

“Lo sai?”

Lestrange fece segno di si.

“Dev’essere per forza quella di Corvonero” disse.

“Lo credo anche io…” convenne Draco.

“Dobbiamo vedere se ha con sé l’ampolla…”

“Dobbiamo prima capire se è sul serio lei…”

 

“Dione! Ehi Dione!”

La ragazza alzò gli occhi al cielo, accelerando il passo.

“Lestrange?!”

“Ignoralo” sibilò la Serpeverde al cugino.

“Ehi Di, non far finta di non avermi sentito” esclamò Samuel fermandola per un braccio.

“Ciao Black” rispose lei sospirando, non trovando una via di fuga che potesse permetterle di evitare il Grifondoro.

“Non mi hai risposto a Capodanno…” gli fece notare lui.

“Ti avevo avvertito a Natale” gli ricordò Dione.

“Vi siete scritti?” bisbigliò Mizar, guadagnandosi una bella occhiataccia dalla cugina.

“Vieni con me ad Hogsmead il prossimo finesettimana?” domandò Sam, comportandosi come se l’altro ragazzo non ci fosse.

Ce l’aveva con lui per essere uscito con la sua migliore amica, diciamo pure che era parecchio geloso.

Ma lei nemmeno gli rispose, semplicemente prese il cugino per un braccio e lo trascinò via, lasciando il bel Black solo nel corridoio.

 

Mira e Luna erano ferme davanti alla Sala Grande, aspettando l’arrivo dei loro amici.

Da una finestra della torre di Corvonero Luna aveva visto il treno fermarsi alla stazione di Hogsmead, così avevano deciso di scendere per incontrarli.

In testa al gruppo, Samuel, Camille e Ted ridevano tranquilli e si avvicinavano al castello lentamente, apparentemente incuranti del gelo che attanagliava la zona.

Dietro di loro, Harry, Ron e Noah chiacchieravano di chissà che, mentre Hermione e Ginny confabulavano qualcosa l’una nell’orecchio dell’altra.

“Ciao!” esclamarono all’unisono le tre Corvonero.

“Ehi Mira…” salutò Ted, con i capelli diventati improvvisamente rosso imbarazzo “…come…come hai passato le vacanze?”

“Molto bene grazie…” rispose la ragazza, mentre tutti i loro amici si allontanavano ridacchiando per lasciarli soli.

Solo Samuel si attardò un attimo per sussurrare qualcosa all’orecchio dell’amico, beccandosi pure un pugno su un fianco da quest’ultimo.

“Tratta bene il mio amichetto Mira!” esclamò poi il Black, allontanandosi tra le risate generali.

“Scusalo…” borbottò Teddy, con le guance e i capelli sempre più rossi “…è un idiota…”

La francesina ridacchiò.

“Ti ho pensato queste vacanze…” buttò li il ragazzo.

Dove diamine era il suo coraggio da Grifondoro quando serviva?!?

“Anche io…” rispose inaspettatamente lei.

Il metamorphomagus si illuminò.

“Sul serio?”

Mira annuì, era la pura verità in fondo, facendo spuntare sul volto dell’amico un sorrisetto compiaciuto, mentre i capelli gli assumevano una sfumatura viola, un misto tra il rosso imbarazzo e il suo solito azzurro.

In quel momento però, alle loro spalle passarono i tre Lestrange e Malfoy, e lei non riuscì a fare a meno di fissare intensamente il fratello.

Il Grifondoro però se ne accorse, e la cosa non gli andò esattamente giù.

“Bene” sbottò “vedo che hai altri interessi. Torno dai miei amici se permetti”.

E girò sui tacchi, avviandosi verso la sua torre.

“Teddy!” urlò Mira rincorrendolo “Aspetta, non hai capito!”

“Sai, non è proprio divertente parlare con la ragazza che ti piace e vedere che lei fissa un altro…” gli fece notare, parecchio offeso.

I capelli gli erano diventati nero pece.

Lei inizialmente non rispose, si era fermata a quel ti piace.

“Davvero Ted, hai preso un enorme Fiammagranchio”.

“E allora spiegami Mira, spiegami perché ogni volta che passa quel Mizar Lestrange lo guardi come se avessi visto il Sole per la prima volta!” esclamò.

“Non posso…”

“Spiegamelo”

“Ti prego Teddy…”

Il ragazzo si girò di nuovo e fece per andarsene.

“Aspetta!” lo fermò lei.

E quel punto, stanca com’era di raccontare bugie a tutti, tirò fuori la lettera di sua madre.

“Leggila” gli ordinò.

“Che cos’è?” domandò lui.

“Leggila” ripetè la ragazza “capirai tutto”.

E lui, seppur titubante, alla fine abbassò lo sguardo su quelle parole.

 

Dolce bambina mia,

se stai leggendo queste righe, significa che non sono riuscita a raccontanti tutto in tempo, che non sono riuscita a chiederti perdono in tempo.

Quella che sto per scrivere tesoro, è la mia storia, la tua storia, tutto ciò che non ho voluto raccontarti nel corso degli anni.

Conobbi tuo padre a Londra, mentre ero in viaggio con la mia amica Lucy, mi ricordo ancora la prima volta che i nostri sguardi si incrociarono, l’istante in cui cominciai a credere che i colpi di fulmine potessero esistere davvero.

Quel giorno, lui mi salvò la vita, togliendomi da un caos totale creato da chissà chi, era come se intorno a noi fosse scoppiata una battaglia.

Io volevo tornare a salvare Lucy, ma Rabastan, tuo padre, mi tenne ferma in un vicolo dicendo che eravamo più al sicuro li.

Io, nel mio infinito egoismo, sperai che la mia amica si fosse nascosta da qualche parte e non mi preoccupai minimamente di lei, presa com’ero dall’uomo che sarebbe diventato il più importante della mia vita.

Rabastan mi portò al castello dei Lestrange, dove fui presentata al resto della famiglia e dove pochi mesi dopo convolammo a nozze, nonostante ci conoscessimo appena.

Non era passato neanche un mese dal matrimonio che io ero già incinta, aspettavo tuo fratello.

Si, hai un fratello, si chiama Mizar.

Passarono le settimane e, mentre il bambino cresceva ed io tuo padre ci amavamo sempre di più, iniziai lentamente a scordami la mia vita in Francia, che avevo completamente sostituito con quella in Inghilterra.

Smisi anche di cercare di ritrovare Lucy, Dio solo sa che fine abbia fatto.

Ero felice, come non lo ero mai stata in vita mia.

Ma si sa che la felicità non è destinata a durare lungo ed infatti, poco dopo, tutto crollò.

Una sera, tuo zio Rodolphus scoprì che avevo mentito a tutti sulla mia discendenza, che avevo omesso il dettaglio di essere Nata Babbana.

Tuo padre, perso come lo ero io nella spirale dell’amore, non si era mai preoccupato di chi fossero i miei genitori ed io, sapendo quali fossero le loro idee riguardo il sangue magico, preferii sempre tenerlo per me.

Me ne pento ancora, ma devo ammettere che quando Rabastan mi chiese se volessi invitarli al nostro matrimonio gli dissi che erano morti.

In un’altra famiglia quell’informazione sarebbe stata di poco conto, ma in una casata come quella dei Lestrange era un disonore da cancellare.

Mi cacciarono di casa, tuo padre mi disse che era l’unico modo per evitare che Rodolphus mi uccidesse.

Non avendo nessun’altro posto dove andare, tornai in Francia con il cuore a pezzi, ma pochi mesi dopo, per fortuna, il destino mi fece il più bel regalo che potessi desiderare, te.

Quando mi resi conto di essere di nuovo incinta scrissi a Rabastan per supplicarlo di riprenderci a casa e non so nemmeno se lesse mai quella lettera, fatto sta che non ricevetti risposta.

Per quanto ne so, tuo fratello è cresciuto nella consapevolezza che io fossi morta pochi mesi dopo il parto.

Alla tua nascita decisi di raccontarti a mia volta quella bugia, per evitarti di soffrire come avevo sofferto io.

Mi rendo conto, dopo tutte queste bugie, di non avere il diritto di chiederti nulla, ma ti supplico di conservare quella catenina che tenevo sempre al collo e che ti ho lasciato.

È l’ultimo dono di tuo padre, quello che mi diede la sera in cui mi cacciarono dall’Inghilterra.

Lui mi chiese di conservarla, dicendomi che sarebbe venuto a riprenderla, e anche se non è mai tornato io ho continuato a tenerla sempre con me.

Ti prego, abbine cura.

Speravo di avere un po’ più di tempo per noi Mira, tempo in cui ti avrei raccontato tutto e mi sarei guadagnata il tuo perdono.

A questo punto, non ho altro modo di fare ammenda se non con queste mie parole.

Ora ti chiedo solo di perdonarmi, se puoi, bambina mia.

Perdonami per non averti raccontato la tua vera storia, per averti privato della tua vera famiglia, ma volevo solo proteggerti.

Ti ho sempre amato, ho sempre amato te e tuo fratello.

Se un giorno riuscirai ad incontrarlo, digli che è sempre stato nei miei pensieri.

Vi guarderò da lassù, sarò il vostro angelo custode, promesso.

Anche i cattivi sanno amare piccola mia, ricordalo sempre.

Mamma

 

Teddy alzò gli occhi da quelle righe, vedendo Mira con le guance rigate dalle lacrime.

“E’ tutto vero?” chiese il ragazzo.

Lei annuì.

“Sei sua sorella?”

La ragazza fece di nuovo segno di si.

“Sono venuta in Inghilterra per ritrovare la mia famiglia, anche se con tutto quello che ho scoperto di loro mi domando se non sia meglio restare sola”.

Ted abbassò lo sguardo.

“Scusami…” borbottò “…sono proprio uno stupido”.

“Non importa, non potevi immaginarlo” sussurrò.

"Non lo sa nessuno?" domandò lui.

Mira scosse la testa, abbassando gli occhi.

"Sapevo che prima o poi avrei dovuto raccontarlo a Noah e Luna, ma da quando mi hanno detto la loro opinione su mio padre non ho mai trovato il coraggio. La prima volta che ho letto la lettera non avevo capito cosa intendesse mia madre con anche i cattivi sanno amare, lei è sempre stata la migliore mamma che si potesse desiderare. Poi, quando ho cominciato a trovare il nome di papà sulle liste dei vecchi Mangiamorte ho capito. Pentito o no, Rabastan non è mai stato una brava persona".

Il ragazzo le alzò il viso, asciugandole le lacrime.

Si guardarono negli occhi e quelli del metamorphomagus divennero azzurri, lo specchio di quelli di lei.

“Ted…io…”

“Shhhhh” la zittì posandole un dito sulle labbra, facendole poi una carezza sulla guancia.

Non riusciva a smettere di guardarla.

E fu allora che, da un corridoio poco lontano, qualcuno urlò.

Entrambi scattarono in piedi, dirigendosi verso quel grido.

Girato l’angolo, si trovarono davanti ad un ragazzino steso a terra e Teddy riconobbe in lui un Grifondoro del secondo anno.

Era schiantato, come succedeva sempre ormai.

Una risatina risuonò sopra di loro ed entrambi alzarono gli occhi.

“Pix!” esclamò il ragazzo “Hai visto chi è stato?”

“To’! Il lupetto pargoletto di Lupesco Lupin!” sghignazzò il Poltergeist “Perché dovrei dirtelo?”

“Perché siamo tutti stanchi di questi scherzi?!?” rispose Mira, puntando la bacchetta sul bambino e facendolo riprendere.

Pix fece come per pensarci.

“No, credo che non ve lo dirò” decise alla fine “anzi forse la prossima volta li aiuterò, mi sono simpatici!”

E ridendo con il suo fischietto in bocca scomparve attraverso il muro.

“Immagino tu non sappia chi sia stato ad attaccarti, giusto?” domandò Teddy porgendo una mano al bambino ed aiutandolo ad alzarsi.

“Mi hanno colpito alla schiena mentre litigavo con Pix, non mi sono accorto di nulla” rispose lui.

Il metamorphomagus annuì.

“Portalo in sala comune” suggerì Mira.

“No, non ti lascio sola” ribattè il ragazzo “chiunque sia questo idiota potrebbe essere ancora qui in giro”.

Lei ridacchiò.

“La torre non è distante e Luna mi ha mostrato qualche scorciatoia. Sarò li in meno di due minuti”.

Teddy la guardò, indeciso sul da farsi.

“Stai tranquillo” lo rassicurò lei dandogli un bacio sulla guancia “e ti prego, non dire a nessuno di Mizar”.

Lui, toccandosi ancora il punto dove le labbra della ragazza lo avevano sfiorato, annuì con un’espressione ebete.

 

Quello che c’era in quel momento nei corridoi era il silenzio più assordante che avesse mai sentito.

Tirò lentamente fuori la bacchetta, per sentirsi più sicura, e in quel momento sentì dei passi alle sue spalle.

Si voltò, trovandosi di fronte Draco Malfoy e Deimos Lestrange.

“Mira Dumas, giusto?” domandò Draco.

“Che volete?” chiese la ragazza.

“Oh, nulla. Ci serve una cosa che probabilmente hai tu, che ti ha dato la cara zia Sophie” spiegò Deimos.

Mira rimase interdetta.

“Voi lo sapete?” chiese incredula.

I ragazzi annuirono.

“Anche Mizar?”

“Non cambiare discorso” ribattè Lestrange “dimmi cara cuginetta, la zia ti ha lasciato un’ampolla piena di ceneri?”

La ragazza si portò involontariamente una mano al petto, vicino al cuore, dove sentì la catenina.

Mossa sbagliata.

“Appunto” notò Draco “ce l’ha lei”.

Mira indietreggiò, trovandosi spalle al muro, senza via d’uscita.

“Non essere sciocca, dacci quella catenina e ti lasceremo andare, non vogliamo far arrabbiare Mizar” disse Malfoy.

“Potrebbe prenderla a male se sapesse che abbiamo fatto del male alla sua sorellina” aggiunse Deimos “sempre che venga a sapere chi tu sia in realtà…”

Era in trappola.

Si pentì di non aver chiesto a Ted di accompagnarla, non sarebbe successo nulla se non fosse stata da sola.

In quell’istante si sentirono altri passi avvicinarsi, e il cuore di Mira perse un battito vedendo il fratello arrivare verso di loro.

“Sono venti minuti che vi cerco! Dove diavolo eravate finiti?!?” esclamò “Oh, scusate, vi ho interrotti?”

Draco infilò di nuovo la bacchetta nella tasca della divisa.

“Tranquillo Mizar, stavamo solo chiacchierando” rispose con un sorriso forzato.

A quel punto Mira, approfittando della distrazione degli altri, scappò via, correndo senza fermarsi fino all’ingresso della torre di Corvonero.

“Quella ragazza mi sembrava parecchio spaventata. Chi era?” chiese l’ultimo arrivato.

“Una nuova amica...” mentì Malfoy.

 

“Sam, dov’è la Mappa?” domandò Ted piombando in camera.

“Nel baule, perché?” rispose quello.

Senza neanche rispondergli, il metamorphomagus lo aprì e lo ribaltò senza tante cerimonie, ignorando bellamente le proteste dell’amico.

Giuro solennemente di non avere buone intenzioni” esclamò non appena ebbe trovato la vecchia pergamena.

Fortunatamente in quel momento erano soli in camera, o i loro compagni avrebbero capito che cos’era in realtà la Mappa del Malandrino, cosa che non avevano fatto in tutti quegli anni.

Sospirando di sollievo, Teddy vide che Mira era nella sua sala comune così, dopo aver borbottato “Fatto il misfatto” rimise apposto la pergamena, decisamente più tranquillo.

Aveva paura che la ragazza avesse incrociato i responsabili degli attacchi.

Probabilmente, se avesse prestato più attenzione, si sarebbe accorto dei tre puntini ancora fermi a poca distanza dalla torre di Corvonero, che portavano i nomi di tre Serpeverde che conosceva bene.

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Capitolo 17
*** Il momento di Ginny ***


 

Buongiorno a tutti e buon San Faustino ai single!! :D

Prima di lasciarvi il capitolo, voglio farvi una domanda che mi avevano posto un pò di tempo fa a cui non avevo saputo rispondere, spero che qualcuno riesca a sciogliermi questo dubbio.

Ma secondo voi, si dice lo Weasley o il Weasley???

Nel frattempo, grazie a tutti quelli che leggono e recensiscono :D

Ora vi lascio il nuovo chap, spero vi piaccia anche se non è venuto bene come speravo...

Baciiii

Ale

 

 

17. Il momento di Ginny

Tornati a scuola da pochissimi giorni, alcuni studenti di Grifondoro avevano già dovuto inserire sulla propria agenda un appuntamento improrogabile, il primo allenamento di Quidditch di gennaio.

Harry era stato irremovibile, dopo due settimane di stop avevano tutti bisogno di volare per smaltire i chili acquisiti durante le feste ed essere pronti per la partita contro Corvonero dei primi di febbraio.

Era un gelido tardo pomeriggio, una meravigliosa mezzaluna splendeva e non c’era una sola nuvola in cielo.

I giocatori di Grifondoro avevano volato per quasi tre ore prima che Harry si rendesse conto che Demelza e Jimmy si erano praticamente congelati sulle scope, che Dean e Ron si e no che riuscivano a vedere la Pluffa nel buio della serata e che lui stesso non riuscisse più a scorgere il Boccino.

Quando il Capitano aveva decretato finito l’allenamento, Samuel era addirittura volato dentro lo spogliatoio con la sua Firebolt, e quando gli altri erano entrati dietro di lui lo avevano trovato già vestito.

Il ragazzo era poi scappato via, urlando di essere in tremendo ritardo per l'appuntamento con una Tassorosso.

“E’ inutile, non cambierà mai…” commentò Ginny divertita, vedendo l’amico percorrere il sentiero che portava al castello di corsa.

Harry, infilandosi il maglione della divisa, annuì.

I due non avevano ancora chiarito la loro situazione, anche perché Ron li fissava in cagnesco ogni volta che li vedeva anche solo parlare.

Il ragazzo non voleva rinunciare al suo migliore amico, ma non voleva nemmeno perdere lei.

Era quindi bloccato tra fuochi e preferiva rimandare il più possibile i discorsi seri con Ginny, per evitare di litigare con lo Weasley.

La testa di Ron in quell’istante scattò dritta, gli occhi persi nel vuoto apparentemente senza motivo.

“Harry…” borbottò, con l’espressione spaventata che aveva quando vedeva un ragno camminargli troppo vicino “…che giorno è domani?”

“Giovedì, perché?” rispose “Ti senti bene Ron?”

Quello deglutì.

“Che…che materie ci sono di giovedì?”

“Trasfigurazione, Difesa e Pozioni, perché? Ehi, mi stai spaventando” fece il Capitano, sempre più agitato.

“Harry…ti ricordi i due temi di Piton che abbiamo sempre rimandato durante le vacanze…” iniziò il Portiere.

“Certo, quelli su…oh…non…”

Il ragazzo sbiancò.

“Non li abbiamo più fatti, domani dobbiamo consegnarli…” concluse Ron per lui.

L’altro scattò in piedi.

“Oh Merlino!”

“Già, porco Merlino!”

Harry terminò di corsa di vestirsi.

“Chiederemo ad Hermione di aiutarci” borbottò mentre infilava i pantaloni.

“Non lo farà. Lo sai che non lo farà. È dal primo giorno di vacanza che ci dice di non ridurci all’ultimo minuto” mugugnò lo Weasley, sempre più disperato.

Due rotoli di pergamena da 50 cm, uno sulla Felix Felicitis e l’altro sulla Pozione Antilupo.

Un lavoro già di per se infinito, che senza l’aiuto di Hermione si trasformava in un’impresa praticamente disperata.

Entrambi lo sapevano, ci avrebbero messo tutta la notte.

“Il prossimo allenamento sarà…non lo so, ve lo dirò domani!” urlò in Capitano, scappando poi al castello seguito a ruota da Ron.

Ginny, Dean, Demelza e Jimmy scoppiarono a ridere, tornando a vestirsi.

Dean salutò tutti, lanciò un’occhiatina non corrisposta a Ginny e se ne andò.

La rossa si alzò in piedi, guardandosi intorno e cominciando a spostare vestiti, scope, sciarpe e cappelli.

“Vieni Gin?” domandò Demelza, avvicinandosi alla porta con Jimmy.

“Voi andate avanti, io arrivo. Non trovo la bacchetta…” rispose lei.

Quando i due si allontanarono, la ragazza si inginocchiò a terra per guardare sotto panche ed armadietti.

C’era di tutto.

Un vecchio Boccino senza ali, magliette sporche, una mazza da Battitore, piedi…

Piedi?

Ginny non fece in tempo a realizzare quel pensiero che era già a terra, schiantata.

Mentre si accasciava però, batté la testa sulla panca, ferendosi alla fonte.

“Una Weasley?” mormorò il tipo sopra di lei.

“Mi hanno detto è una brava ragazza, potrebbe essere…”

“Mah, tentiamo. Reperius Cordis”.

La luce a cui ormai erano abituati si sprigionò dal petto della ragazza ma, per l’ennesima volta, non era come speravano loro.

Quando venne ripetuto l’incantesimo, i due si accorsero che Ginny sanguinava ancora.

“La portiamo in infermeria?” domandò l’uno.

L’altro fece per pensarci.

“No, lasciamola qui, qualcuno la troverà…”

E si voltò per andarsene, seguito poi dal suo compare.

 

Harry e Ron erano seduti ad uno dei tavoli della Sala Comune, sepolti tra pergamene e libri di pozioni.

Hermione, come il Portiere aveva pronosticato, si era rifiutata categoricamente di aiutarli, anzi li aveva addirittura rimproverati per la loro pigrizia.

La Caposcuola si era poi seduta di fronte al fuoco, a chiacchierare allegramente con Ted e ad accarezzare un Grattastinchi stranamente tutto fusa.

I due erano talmente concentrati nei loro temi da non accorgersi di una figura appostata di fronte a loro, con un’espressione truce in viso.

“Dov’è Ginny?” chiese seccamente Camille.

Non si era ancora riappacificata con Harry e cercava di rivolgergli la parola il meno possibile.

“Era in spogliatoio” rispose il fratello.

“Dean è qui da mezz’ora, Demelza e Jimmy da venti minuti. Lei non è ancora arrivata” sottolineò la ragazza.

A quel punto anche Ron alzò la testa, e i due si guardarono preoccupati.

“Demelza, hai visto Ginny?” domandò il Capitano alla compagna di squadra.

“Quando siamo andati via dallo spogliatoio stava cercando la bacchetta” rispose lei, tornando poi a parlottare con una sua compagna di dormitorio.

“Credo sia il caso di andare a controllare” suggerì Harry, alzandosi in piedi senza più preoccuparsi dei temi.

Ron si alzò a sua volta, stringendo la bacchetta in mano con un’espressione determinata.

Entrambi stavano pensando la stessa cosa, Ginny poteva essere incappata negli schiantatori.

“Tu dove vai?” domandò il moro, vedendo la sorella seguirlo fuori dal buco del ritratto.

“Vengo con voi, mi pare ovvio” rispose lei retorica.

“Sognatelo!” esclamò lui.

“Muoviti Harry, non ho voglia di parlare, dobbiamo trovare Gin”.

Mentre camminavano incrociarono fantasmi e professi, e fortunatamente non era ancora scattato il coprifuoco o sarebbero anche finiti nei guai.

Fuori era ancora più freddo di quando si erano allenati e, uscendo, Camille rabbrividì.

Quando Harry provò a poggiarle il suo mantello sulle spalle, però, lei glielo restituì, guardandolo con un’espressione torva.

Orgogliosa fino alla fine, non gliela avrebbe data vita così facilmente.

La porta dello spogliatoio era socchiusa, la luce all’interno ancora accesa.

I tre si appostarono dietro l’uscio, con la bacchetta spianata, poi Harry aprì la porta di colpo, bloccandosi all’istante.

“Ginny!” urlò, vedendola a terra riversa in una pozza rossa

Tutti e tre si inginocchiarono al suo fianco, cercando nel frattempo di capire da dove potesse venire tutto quel sangue.

Poi videro la ferita alla fronte e Ron scattò immediatamente in piedi, puntandole la bacchetta addosso per invertire lo schiantesimo.

“Aspetta!” lo fermò Camille “Portiamola in infermeria così. Non possiamo saperlo, potrebbe soffrire. La farà riprendere Madama Chips”.

Il Portiere non se lo fece ripetere e prese la sorella tra le braccia, poiché era decisamente il più muscoloso tra i due ragazzi e forse Harry non sarebbe riuscito a portarla di corsa al castello.

Quando arrivarono davanti all’infermeria Madama Chips stava parlando con la McGranitt, ed entrambe trattennero rumorosamente il fiato vedendo Ginny svenuta tra le braccia del fratello.

“Cos’è successo?” domandò l’infermiera, facendoli entrare ed indicando il letto pià vicino.

La donna fece riprendere la ragazza, medicandole poi la ferita sulla fronte.

La vicepreside, con un’espressione a metà tra il preoccupato e l’esasperato, li trascinò lontano dalle due.

“Potter e Wasley, perché ci siete sempre voi di mezzo?” chiese.

Camille non rispose, anzi probabilmente nemmeno sentì quella domanda, troppo impegnata a guardare l’amica borbottare qualcosa a Madama Chips.

“L’abbiamo trovata in spogliatoio. Dopo l’allenamento non tornava così siamo andati a controllare, eri in un bagno di sangue” spiegò Harry.

La McGranitt aprì la bocca per dire qualcos’altro, ma si fermò vedendo arrivare l’infermiera.

“Starà bene” li rassicurò “deve aver battuto la testa su qualcosa duro perché la ferita era profonda, ma siete arrivati in tempo. La tengo in osservazione fino a domani, dovrà prendere tutto il giorno la Pozione Rimpolpasangue”.

La vicepreside annuì, più tranquilla.

“Forza voi, tornate alla torre” ordinò ai ragazzi.

“Non…non possiamo salutarla?” chiese Lil.

“La vostra amica ha bisogno di riposo, tornerete domani” rispose Poppy.

A quel punto, i tre non poterono far che abbassare gli occhi rassegnati, uscendo poi dall’infermeria.

Mentre camminavano, Ron scosse la testa, ancora preoccupato per la sorella.

“Non mi va di fare i temi, io vado a dormire…” disse.

Harry sospirò.

“Prepariamoci alla madre di tutte le punizioni..."

 

Le lezioni pomeridiane erano appena finite quando Camille entrò in infermeria.

Ginny era seduta sul letto con una fascia stretta intorno alla fronte e guardava un mazzo di fiori appoggiati sul comodino.

“E questi?” chiese l’amica ridacchiando “Dal mio caro fratellino?”

Lei scosse la testa.

“Da Dean” rispose “è venuto a trovarmi dopo pranzo, io ho fatto finta di dormire. Sono venuti anche Demelza e Jimmy, si sentono in colpa poverini. Pensano che se non mi avessero lasciato sola non sarebbe successo nulla”.

Camille annuì, anche lei la pensava allo stesso modo.

“Come ti senti?” domandò.

“Meglio, davvero” fece Ginny “quella Pozione Rimpolpasangue fa davvero schifo, ma almeno stasera posso tornare a dormire nel mio letto”.

“E…non hai visto chi è stato, vero?” chiese.

L’altra scosse la testa.

“Piedi. Sono l’unica cosa che ricordo, poi mi sono ritrovata qui..."

In quel momento, la porta si aprì di nuovo, mostrando Harry.

“Ciao…” salutò, evidentemente imbarazzato “…come stai Gin?”

Camille scattò in piedi, dando un bacio sulla guancia all’amica e facendo per andarsene, senza degnare il fratello di uno sguardo.

“Oh dai, smettetela!” sbottò Ginny “Siete due bambini! Santo cielo ma non vi vedete?!? Vi mancate a vicenda ma aspettate che sia l’altro a fare la prima mossa!”

E quel punto, per la prima volta dopo settimane, i due si guardarono davvero, senza sguardi truci, senza frecciatine, solo come semplici fratelli.

“Su, fate pace!” aggiunse la rossa “Per me!”

E tanto per essere più convincente fece loro due occhioni da cucciolo, a cui entrambi non poterono resistere.

“Be, Harry…”

“…mi dispiace Lil” la interruppe lui, abbracciandola.

Lei, che inizialmente era rimasta un po’ interdetta, non potè far altro che stringerlo a sua volta.

“Mi dispiace anche di aver chiamato quel Serpeverde Sporco Mangiamorte, prima o poi forse gli chiederò scusa…” continuò.

Camille ridacchiò.

“Credo di poterti perdonare…” rispose “…non è colpa tua se sei l’idiota che sei”.

Harry, ridendo a sua volta, annuì.

“Era ora…” borbottò Ginny sollevata, stanca di doversi dividere tra quei due testardi della sua migliore amica e del ragazzo che le piaceva.

La ragazza si voltò di nuovo verso l’amica, avvicinandosi al suo orecchio.

“Vi lascio soli” sussurrò con un sorrisetto malandrino, di quelli made in James Potter che lei raramente sfoggiava.

Mentre usciva e Harry si sedeva accanto alla Weasley, Lil non potè fare a meno di farle l'occhiolino.

“E questi fiori?” chiese lui.

“Un ammiratore…” rispose la ragazza.

“Oh…” commentò Harry abbassando lo sguardo, non trovando nulla di più intelligente da dire.

Lei gli accarezzò una mano.

“Non hai nulla di cui preoccuparti” lo rassicurò sorridendo.

Lui la guardò speranzoso.

 

Dopo due ore seduto a chiacchierare con Ginny, Harry aveva deciso di aiutare Hermione in un suo vecchio progetto, al quale ne lui ne Ron avevano mai dato peso.

Alla luce di quel che era successo all’amica, però, entrambi erano convinti di voler smascherare gli schiantatori, così quella sera, prima di scendere nei sotterranei per la punizione di Piton, si erano seduti di fronte a lei.

“Hermione, vuoi davvero cominciare quelle indagini?” domandò Harry.

“Perché noi ci stiamo, ti aiuteremo” aggiunse Ron.

La caposcuola sorrise, e annuì.

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Capitolo 18
*** Una meravigliosa punizione ***


 

NOTE IN FONDO! BUONA LETTURA :D

 

18. Una meravigliosa punizione

Era una fredda mattina, gelida anche per gli standard di gennaio, nonostante qualche timido raggio di sole iniziasse ad illuminare il grande parco di Hogwarts.

Quando Samuel entrò in dormitorio con due pesanti occhiaie sotto gli occhi, stava ormai albeggiando.

Era distrutto, fosse stato per lui avrebbe dormito tutto il giorno, dopo una notte di follie passate con una Tassorosso del settimo.

Ancora non riusciva a credere di essere in grado di far capitolare anche le ragazze più grandi di lui, stava battendo anche suo padre.

Si buttò di peso sul letto e, senza nemmeno togliersi i vestiti, si addormentò.

 

Un fastidioso ticchettio si insinuò nelle orecchie di Sam.

“Spegni quella dannata sveglia Ted” biascicò, ficcando la testa sotto il cuscino.

Gli sembrava di essersi addormentato da cinque minuti.

“Alzati, la prima ora abbiamo la McGranitt. Lo sai che non tollera ritardi” gli rispose l’amico togliendogli il cuscino dalle mani.

“Ti prego” gemette l’altro, coprendosi con il piumone fin sopra le orecchie “voglio dormire!”

Ma Teddy rimase impassibile, prese la coperta e praticamente la sradicò dal baldacchino, lasciando l’amico completamente scoperto.

“Non è colpa mia se sei arrivato all’alba” replicò “potevi venire a dormire prima. Io scendo, ti aspetto a colazione”.

Samuel allora si alzò, ributtandosi poi sul letto con il piumone appena raccolto addosso.

In quell’istante, Ted fece capolino dalla porta e, vedendo quel pigrone dell’amico, gli puntò la bacchetta addosso.

Aguamenti”.

L’urlo del ragazzo si sentì per tutta la torre di Grifondoro e servì per svegliare tutti i dormiglioni come lui.

“Va bene, va bene. Mi alzo” ringhiò, stiracchiandosi e andando in bagno, premurandosi di sbattersi la porta alle spalle.

Ted ridacchiò, divertito da quella scenetta, e scese in Sala Grande.

 

“Molto bene signor Black, siamo lieti di vedere che ha deciso di raggiungerci” commentò la professoressa McGranitt quando entrò di corsa nell’aula di Trasfigurazione.

“Dove diavolo sei stato?” sibilò Ted quando l’amico gli si sedette accanto.

“Ho fatto un po’ tardi, e non per colpa mia. Dai, non è una tragedia” si affrettò ad aggiungere, vedendo l’espressione esasperata dell’amico.

In fondo era vero, non era colpa stata colpa sua se la ragazza con cui aveva passato la serata precedente aveva deciso di scaricarlo con una scenata particolarmente lunga proprio quella mattina.

Ok, mentre prometteva amore eterno a lei era stata anche una sua compagna di dormitorio, ma in fondo chi se la sarebbe presa tanto per una sciocchezzuola simile?!?

“Black, Lupin, siete pregati di fare silenzio” li rimproverò la vicepreside “ora che siamo finalmente tutti, affronteremo l’argomento estremamente delicato della Trasfigurazione Umana. È probabilmente una delle branche più difficoltose della magia, un solo errore e vi ritroverete per sempre una proboscide al posto del naso, o con delle belle branchie sul collo”.

Buona parte della classe, a quel punto, poggiò la bacchetta sul banco, guardandola con un’espressione preoccupata.

Nessuno sarebbe voluto somigliare ad un elefante.

“Avete degli specchi davanti a voi, per oggi proverete a cambiare il colore delle vostre sopracciglia” continuò l’insegnante “signor Lupin, può cominciare a studiare la parte teorica sul libro, visto che sarebbe un esercizio praticamente inutile per lei. Per la prossima lezione voglio un tema sulle differenze tra la pratica della Trasfigurazione Umana e i poteri di un Metamorphomagus”.

Teddy, che già pregustava un periodo di nullafacenza (non vedeva l’ora di iniziare quella parte del programma per godersi qualche ora di riposo), sbuffò sonoramente e si rassegnò, tirando fuori il manuale.

Alla fine dell’ora, l’unica ad essere riuscita nel compito era Camille, ma in compenso Deimos Lestrange era riuscito a far evanescere le sue sopracciglia.

“Bene” decretò l’insegnante “non mi aspettavo niente di eccezionale la prima volta. Voi esercitatevi, la prossima lezione continueremo. Lupin, aspetto il tuo tema”.

Sbuffando di nuovo, Teddy prese la borsa e seguì gli amici fuori.

“Ci speravi è Ted?” lo canzonò Samuel “Nessuno riesce a farla alla McGranitt, lo sai”.

“Tranne i nostri genitori…” sottolineò Lil, ricordando i tempi in cui i Malandrini erano riusciti a diventare Animagus sotto il naso dei professori.

Teddy borbottò qualcosa di incomprensibile in risposta.

In quell’istante, i gemelli Lestrange li superarono, cosa che non sfuggì a Sam.

“Ehi Di!” urlò “Esci con me?”

La ragazza si fermò, girandosi lentamente.

“Smettila con quello stupido nomignolo” sibilò.

“Oh, va bene” rispose lui “però tu esci con me?”

E allora Deimos si frappose tra i due, con un’espressione particolarmente contrariata in viso.

“Senti Black, finiscila di importunare mia sorella se non vai in cerca di guai” sbottò.

Samuel rise.

“E con chi mi metterei nei guai? Con te?” domandò sarcastico.

Per tutta risposta l’altro sfoderò la bacchetta, seguito immediatamente dal Black.

“Fermatevi!” urlò Dione mettendosi tra loro.

Parecchi ragazzi intanto si erano fermati, curiosi di vedere come sarebbe finata.

Ted sembrava indeciso, non sapeva se fermare o no l’amico, Camille invece era accigliata, odiava i duelli e sperava di non dover intervenire per salvare il fondoschiena di quell’idiota di Sam.

“Smettetela entrambi” esclamò Dione “oppure vi schianto”.

“Togliti di mezzo, sorella” l’avvertì Deimos, continuando a guardare negli occhi l’avversario.

“Si Di, fatti da parte. Riprenderemo il nostro discorso quando avrò fatto le chiappe a strisce rosse e oro al tuo fratellino” aggiunse il Grifondoro, con un sorrisetto strafottente.

Ciò che nessuno dei due sapeva, però, era che il quel periodo Dione non riusciva proprio a controllare gli Incantesimi Non Verbali.

Si stavano esercitando a farli in tutte le materie e lei ci teneva così tanto ad impararli da tentare in tutti i momenti disponibili.

L’unico problema era che, avendo forzato troppo i suoi poteri, a volte, quando provava una grande varietà di emozioni, tendeva a perdere il controllo.

E in quel momento, stava provando davvero tante emozioni.

Fastidio per l’essere in ritardo a lezione di Difesa Contro le Arti Oscure.

Rabbia contro quell’attaccabrighe del fratello.

Stanchezza per l’insistenza di Samuel.

Paura di essere beccati da qualche professore e di finire in punizione.

E in fondo al cuore, anche se lei non se ne era ancora resa conto, c’era un punta di felicità, perché Sam non si era ancora rassegnato e continuava a chiederle di uscire.

In un secondo il Grifondoro si ritrovò a terra, con la divisa bruciacchiata all’altezza del petto.

“Ehi Di, volevi uccidermi?!?” esclamò scandalizzato il ragazzo, mentre la schiera di sostenitori di Deimos e lui stesso scoppiavano a ridere.

Lei, spaventata da ciò che aveva fatto, lasciò cadere la bacchetta a terra e gli si avvicinò.

“Scusami...” borbottò imbarazzata.

Ma la sfortuna, o fortuna, dipende dai punti di vista, volle che la professoressa McGranitt passasse di li proprio in quel momento e si fermasse vedendo quella piccola folla di studenti.

“Che succede qui?” domandò, vedendo Samuel a terra e Dione al suo fianco.

“E’ stata colpa mia” rispose immediatamente lei, alzandosi in piedi “l’ho colpito con un incantesimo”.

“Sta bene, signor Black?” si informò la donna.

“Meravigliosamente, professoressa” la rassicurò lui, scattando in piedi.

“Bene” disse l’insegnante “sapete bene che i duelli sono proibiti, quindi stasera sconterete entrambi una punizione”.

Dione, che si era aspettata qualcosa del genere non appena aveva visto la vicepreside, annuì.

Samuel invece no.

“Ma professoressa!” protestò “Io sono la vittima!”

La donna lo guardò con un sorrisetto.

“Dubito che la signorina Lestrange l'abbia colpito senza motivo Black, per cui stasera lei l’aiuterà a pulire i telescopi della Torre di Astronomia, senza magia naturalmente”.

Sam la guardò con un’espressione trionfante.

“In punizione insieme?” domandò.

La McGranitt annuì.

“Subito dopo le lezioni pomeridiane vi recherete alla Torre” specificò.

“Professoressa, la prego, non insieme!” gemette Dione, facendosi avanti “Sono disposta a tutto, ma non con lui!”.

“Non accetto proteste” rispose lei “farete così”.

Mentre l’insegnante se ne andava e la folla si disperdeva, Sam guardò la Serpeverde.

“Allora a stasera, compagna di detenzione” la salutò lui.

Lei si allontanò irritata, senza nemmeno rispondere.

“Sembra che alla fine avrai il tuo appuntamento…” commentò Teddy avvicinandosi all’amico.

Samuel esultò.

 

“Fuori la bacchetta, ragazzo” abbaiò Argus Gazza, fermo e impettito davanti all’ingresso della Torre di Astronomia con Mrs. Purr.

Samuel la tirò fuori dalla veste e gliela consegnò.

“Torno tra un paio d’ore” aggiunse il vecchio custode, prima di avviarsi in corridoio.

Il ragazzo salì le ripide scale a chiocciola, arrivando poi nella stanza dei telescopi.

Dione era già li, con uno straccio in mano.

“Sei in ritardo” gli fece notare.

“Ciao anche a te” rispose lui.

La ragazza tornò al suo telescopio, maledicendosi per non essere in grado di controllare la sua magia.

Probabilmente sua madre avrebbe avuto un infarto se l’avesse vista con quello strofinaccio in mano, avrebbe detto che somigliava ad un Elfo Domestico.

“Hai intenzione di aiutarmi?” domandò, vedendo Samuel comodamente seduto.

“Preferisco guadarti” rispose lui “sei divertente, sei concentrata come se stessi studiando”.

“Ah si?” disse lei, tirando a terra il panno “Sai cosa diverte me? Stare davanti al camino al caldo, invece che qui al gelo. Quindi, se sei così gentile da darmi una mano, riusciamo a finire entrò un’ora decente”.

“Uff, come sei noiosa…” commentò il ragazzo, alzandosi in piedi “…siediti e goditi lo spettacolo”.

“Che cosa…” ma Dione non terminò la frase, perché Samuel aveva tirato fuori una bacchetta “E quella?”

Lui le fece l’occhiolino.

Gratta e netta” declamò ad alta voce, facendo risplendere telescopi, banchi, sedie e pavimento.

“Ho consegnato la bacchetta di Ted” le spiegò poi, vedendo la sua espressione confusa “lui sta facendo un tema per la McGranitt, non ne avrebbe avuto bisogno. Gazza non riconoscerebbe mai la differenza”.

“Complimenti” disse lei, sinceramente ammirata “bella idea”.

“Lo so” rispose lui “ma visto che ho avuto la fortuna di ottenere un appuntamento non potevo sprecare tempo a pulire telescopi”.

Dione si sedette su un banco vuoto, seguita immediatamente da lui.

“Ci sei riuscito alla fine, l’hai avuta vinta”.

“Non potrei essere più felice”.

La Torre di Astronomia era la più alta del castello.

Una classe senza tetto, per far si che gli studenti potessero scrutare il cielo notturno senza l’impedimento di un vetro.

Ogni volta che pioveva, o che comunque minacciava brutto tempo, la professoressa Sinistra correva ad incantare la stanza per far si che potesse rimanere tutto al coperto.

Ma quella sera, con un cielo straordinariamente limpido sopra le loro teste, non c’era nulla a ripararli dalla gelida aria serale di gennaio, tanto che Dione rabbrividì.

Samuel non ci pensò due volte, si tolse il mantello e glielo poggiò sulle spalle.

“Grazie…” borbottò lei imbarazzata.

Lui alzò le spalle, sorridendole.

“Allora, perché ti ostini a non voler uscire con me?” domandò.

“Perché sei un bullo arrogante e strafottente e…”

“Ehi! Piano con i complimenti, potresti accrescere il già smisurato ego…” la bloccò.

“E tu invece, perché ti ostini a chiedermelo?” chiese la ragazza, avvicinandosi.

“Perché tu mi piace sul serio!” rispose immediatamente Sam.

“Non sarà invece che sono l’unica a dirti di no e quindi sono diventata la tua sfida personale?!?”

Samuel le passò la mano intorno alle spalle.

“Non dire idiozie” mormorò.

Dione gli tolse immediatamente il braccio, con un’espressione che non ammetteva repliche.

Il ragazzo capì l’antifona e smise di comportarsi da dongiovanni, non voleva rovinare l’unica occasione in cui parlavano senza litigare.

“Si…ok…ma come mai ti piace così tanto il Quidditch?”

Lei rise.

“La prima volta che sono salita su una scopa avevo sei anni ed eravamo alla festa di compleanno di Draco. Mi ricordo ancora come lui e altri tre bambini erano scappati in giardino mentre tutti gli adulti erano impegnati in noiose chiacchiere, e di come io li avevo seguiti perché ero stufa di sentire parlare mia madre e mia zia Narcissa di quale sarebbe stato il matrimonio migliore per me. Mi ero ritrovata in quello che poi sarebbe diventato il campo personale di Draco e avevo visto i bambini volare con le loro scope giocattolo. Chiesi a mio cugino di farmi provare e lui mi diede il suo manico, ma non appena salii caddi a terra, sporcandomi tutta. Tornai da mia madre e lei, trovandomi così ridotta, mi portò a cambiarmi prima che qualcuno potesse vedermi. Quella sera, quando tornammo a casa, i miei genitori mi dissero che se avessi tenuto per me quella mia passione avrei potuto volare ogni tanto nel giardino del castello. Entrambi ritenevano che una signorina di buona famiglia non dovesse interessarsi a cose maschili come il Quidditch, non sarei più stata considerata un buon partito. Alla fine però mi regalarono la mia prima scopa e papà mi insegnò a giocare”.

“Mmh, non ce lo vedo Rodolphus a fare l’insegnante…” commentò Sam.

“So che non avete una buona opinione della mia famiglia” disse lei “ma ti assicuro che sono stati i migliori genitori del mondo. Ci hanno sempre voluto bene, ci hanno sempre dato tutto. Non hanno voluto che venissimo a Hogwarts per tenerci lontani dai pregiudizi della gente, speravano che studiando a Durmstrang le colpe dei loro errori non sarebbero ricadute su di noi, e avevano ragione. Certo, spesso ho dovuto rispettare decisioni che non erano mie, ma ho l’infanzia migliore che potessi desiderare”.

“Anche io ho avuto un’infanzia meravigliosa, ma perché l’ho vissuta in simbiosi con i miei amici” raccontò il ragazzo.

“Camille e Ted?”

“Non solo loro. Certo, Teddy è il mio miglior amico e Lil praticamente mia sorella, ma sono cresciuto anche con Noah, con Harry, con Ron, Ginny e i loro fratelli. Eravamo un’unica grande squadra, dove andava uno c’erano anche gli altri. È stato fichissimo”.

Dione rise, pensando ad un Sam in miniatura che correva per campagne con una schiera di ragazzini.

E da quel momento parlarono di tutto.

Delle proprie famiglie, di Deimos, Mizar e Draco, di Durmstrang, di Hogwarts, dei Malandrini e tanto altro ancora.

Senza che se ne rendessero conto, in tempo passò in un secondo, arrivando al tramonto.

Il cielo era diventato di mille tonalità, rosso, arancione, giallo.

Mentre il sole si abbassava dietro le montagne, il buio cominciò a cadere sul castello e le prime stelle fecero la loro comparsa.

“E’ meraviglioso…” commentò lei.

“Potremmo tornare a vederlo insieme…” buttò lì Samuel, guardando la sua reazione con la coda dell’occhio.

“Forse…” rispose Dione sorridendo.

Lui s’illuminò.

“Davvero?”

Ma la ragazza non fece in tempo a rispondere, perché Gazza entrò nella classe con la sua adorabile gatta al seguito.

“Tornate nelle vostre Sale Comuni” ringhiò.

I due allora si alzarono, facendo poi le scale uno dietro l’altro.

Davanti alla porta della Torre, ad aspettare la cugina, c’era Mizar.

La ragazza di tolse il mantello da sopra le spalle, restituendolo a Sam.

“Grazie ancora” disse.

Prima che lei se ne rendesse conto, lui le diede un bacio sulla guancia.

“Non c’è di che” sussurrò, prima di andarsene “ciao Lestrange”.

“Oh, ciao Black” esclamò Mizar interdetto, abituato com’era alla totale indifferenza di chiunque che non fossero i suoi cugini o Camille.

“Non dire nulla” lo fermò Dione prima che cominciasse, come al suo solito, con congetture su una loro possibile storia d’amore “non è così male, anzi anche abbastanza simpatico, ma niente di più”.

“Si si, come no” commentò il ragazzo con un sorrisetto, mentre percorrevano il corridoio.

Camminando, incrociarono due ragazzi, tra i quali riconobbero la ragazza di Beauxbatons che era stata smistata con loro il primo giorno di scuola.

L’ho già vista da qualche parte…” pensò Mizar, poco dopo averli superati.

Era certo di averla vista fuori da Hogwarts, oppure che somigliasse straordinariamente a qualcuno di sua conoscenza.

Preso da questo pensiero, non si accorse che, poco dietro di loro, Mira si era fermata.

“Che c’è?” domandò Noah vedendola impalata.

“Cos’hai detto poco fa?” chiese la ragazza.

“Io non ho fiatato, Mira” rispose lui.

La francesina si guardò intorno, accorgendosi che erano rimasti soli in corridoio.

Era certa di aver sentito quella voce forte e chiara dopo aver incrociato il fratello e la cugina, era pronta a metterci la mano sul fuoco.

Ma se Noah non aveva aperto bocca e non si vedevano fantasmi in giro, chi diamine era stato a parlare?!?

“Mi sa che sto diventando pazza…” concluse scuotendo la testa e riprendendo a camminare, mentre l’amico ridacchiava.

 

La stanza era quasi del tutto buia, illuminata solo da un candela che bruciava al centro del grande tavolo e permetteva di leggere la lista di nomi scritta sulla pergamena.

Il ragazzo era chino su quelle parole, una piuma d’aquila in mano con la quale le stava sbarrando una dopo l’altra.

“Sei in ritardo” disse sentendo la porta sbattersi.

“Lo so” rispose l’altro “ma credo di essere arrivato ad una conclusione”.

“Parla”

Il secondo ragazzo sorrise.

“Chi sono le persone buone per antonomasia?” chiese.

“I marmocchi, credo…”

“Esattamente. E sono quasi certo di averne trovato uno”.

***

 

Salve a tutti! Ora, prima che mi diciate che ho copiato spudoratamente una mia one-shot, vorrei dirvi solo che penso che sia una situazione perfetta per Samuel, spero che la penserete come me.

Una piccola nota, questo è l'ultimo capitolo della parte barbosa della storia, perchè dal prossimo inizierà quella dinamica. Finalmente direi :P

In realtà avevo programmato anche un altro capitolo prima della seconda parte, ma alla fine ho deciso di tagliarlo per evitare di annoiare tutti, sia voi che me stessa.

Vorrei ringraziare tutti quelli che sono arrivati fin qui, e spero che vi sia piaciuto!

A prestissimo (conto di postare domenica o al massimo lunedì)!

Baciiiii

Ale

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Capitolo 19
*** Il rapimento ***


 

Buoooooondì a tuttii!!!!!

Con questo capitolo entriamo nel vivo della storia, spero vi piaccia!

Buona lettura,

Ale

Ps. Grazie a tutti quelli che leggono e recensiscono! :D

Pps. La Rowling non ci ha mai dato moltissime informazioni su Pix, quindi ho provato a immaginarmelo io. Spero di non aver fatto un disastro...

 

 

19. Il rapimento

“Mi raccomando Juliet, non disturbare i professori” si raccomandò Remus.

“Si papà” rispose lei.

“E non entrare nella Foresta Proibita senza Hagrid” aggiunse.

“Si papà”.

“E…”

“…e non nasconderti nell’ufficio di Silente, non andare a Hogsmeade, non cercare di entrare nel Reparto Proibito della biblioteca” lo interruppe la bambina, ripentendo a macchinetta le solite raccomandazioni del padre.

L’uomo la guardò di sottecchi.

“Mi sono fatto dare la Mappa da Ted” l’avvertì.

La piccola annuì con un sorrisetto, poi scappò fuori dalla classe.

Tutti ad Hogwarts conoscevano Juliet Andromeda Lupin.

Tutti, insegnati, fantasmi e studenti, l’avevano vista girovagare per i corridoi quando Remus era costretta a portarla a scuola perché Dora era impegnata in qualche riunione e la nonna non poteva tenerla con sé.

Juliet amava stare lì, amava seguire le lezioni, parlare con i fantasmi, organizzare scherzi con Pix, passare il tempo a cercare unicorni con Hagrid.

Spesso e volentieri era sgusciata nelle classi durante le ore di scuola, e si ricordava ancora di come una volta la McGranitt, intenerendosi nel vederla seduta per terra in fondo all’aula in religioso silenzio, l’aveva fatta mettere al suo posto alla cattedra, permettendole di seguire Trasfigurazione come una studentessa normale.

Un sacco di volte Teddy l’aveva riportata dal padre addormentata tra le sue braccia, dicendo che l’aveva trovata su un libro di Storia della Magia.

In parecchie occasioni poi, quando Hagrid doveva andare nella foresta, lei lo seguiva e scorrazzava felice sotto lo sguardo vigile del guardiacaccia, che una volta le aveva anche permesso di cavalcare l’ippogrifo Fierobecco.

Una volta, addirittura, dopo averla cercata in lungo e in largo, Remus l’aveva trovata nell’ufficio di Silente, intenta a giocare con una neonata Fanny.

Nell’anima di quella bambina vivevano due entità contrastanti.

C’era la parte malandrina, quella che non potevi non avere se eri cresciuta con Ted, Samuel, Harry e tutti gli altri, ma c’era anche quella studiosa, da degna figlia di suo padre quale era.

Dopo una giornata intera passata a combinare disastri qua e la, era capace di sedersi davanti al camino con un librone in mano e perdersi in mondi immaginari.

Non aveva preso praticamente nulla da Tonks se non i Poteri da Metamorphomagus.

Non era sbadata come Dora e Ted, ma era scapestrata tanto quanto un Grifondoro, bastava vedere come avesse chiesto a sua madre di comprargli un ippogrifo, dopo aver cavalcato Fierobecco.

Allo stesso tempo, però, nelle giornate che passava a scuola era felicissima di rinunciar per un pomeriggio alle sue marachelle per chiudersi in biblioteca, nonostante Madama Pince le impedisse di barricarsi dentro il Reparto Proibito, dove a dire della bambina c’erano libri decisamente più interessanti.

Quel giorno però, non aveva la minima intenzione di rintanarsi dentro il castello.

Nonostante la gelida aria invernale fuori splendeva un meraviglioso sole, quindi aveva tutta l’intenzione di andare nel parco, magari finalmente sarebbe riuscita a vedere la Piovra Gigante.

I corridoi erano pieni di studenti insonnoliti che vagavano qua e la come zombie, senza una meta precisa.

Juliet si affacciò in Sala Grande, sperando di incrociare il suo fratellone.

Sorrise felice vedendo una sgargiante chioma turchese, correndo poi verso di lui.

“Ehi Juls!” esclamò Samuel vedendola arrivare e facendo voltare anche Ted.

“Juliet, sei arrivata allora!” disse il ragazzo, facendola sedere sulle sue ginocchia.

“Proprio ora” trillò la bambina.

“Juliet, come mai qui?” biascicò Harry, accorgendosi di lei mentre alzava a fatica gli occhi dal suo tè.

“La mamma oggi aveva una riunione importante, i nonni sono via” spiegò “ciao Lil!”

“Juls, ciao!” salutò la secondogenita dei Potter, arrivando in quel momento con Hermione e Ginny “Andiamo ragazzi? Siamo in ritardo”.

Samuel e Ted si alzarono, avvicinandosi alle due compagne di classe.

“Vieni a Pozioni con noi, sorellina?”  domandò Teddy, scompigliandole i capelli verdi.

La bambina si fece scura in volto, poi scosse mestamente la testa.

I sotterranei erano praticamente off limits per lei, da quando ci si era avventurata la prima volta e Piton l’aveva riportata di peso da suo padre.

Dopo quell’episodio non aveva più tentato di assistere alle sue lezioni, ma in compenso gli aveva affibbiato l’affettuoso soprannome di brutto pipistrellaccio.

“Ci vediamo a pranzo allora” disse Sam dandole un buffetto sulla testa e allontanandosi con gli altri.

Juliet mise su un piccolo broncio vedendoli andare via, ma per fortuna intervenne Hermione.

“Io la prima ora devo andare in biblioteca a studiare Antiche Rune, se vuoi puoi venire con me” le propose.

Lei si illuminò.

“Mi insegnerai a leggere le Rune?” chiese.

La ragazza annuì.

“Sei sicura di non voler venire con noi al campo da Quidditch, Juls?” domando Harry “Non vorrai chiuderti qui dentro con questo bel tempo vero?”

Ogni volta che la bambina arrivava ad Hogwarts tutti cercavano di coinvolgerla in qualcosa per controllarla, sapeva bene che quella peste aveva una propensione particolare per i guai.

Lei ponderò le due idee, ricordandosi del progetto che aveva prima di incrociare gli amici, ma alla fine scelse la prima opzione.

“Posso giocare tutto il giorno, ma Hermione non può mica starmi sempre dieto. Preferisco imparare il Runico” disse.

“Davvero?!?” chiese Ron sbalordito.

Juliet gli si avvicinò, facendogli segno di abbassarsi al suo livello, poi si avvicinò al suo orecchio.

“Pix mi aspetta prima di pranzo” bisbigliò “abbiamo in mente uno scherzetto a Mrs. Purr, vedrai che mi divertirò lo stesso”.

Mentre il Weasley ridacchiava, lei tornò dalla Caposcuola e la prese per mano.

“Andiamo?!” esclamò.

Mentre le due se ne andavano, Harry incrociò le braccia al petto.

“Quella ragazzina diventerà peggio di tutti noi messi insieme, garantito” commentò.

 

Juliet entrò di corsa nel castello, dirigendosi verso dove trovava sempre Pix, la Sala Trofei.

Dopo essere stata in biblioteca con Hermione era davvero andata nel parco, ma invece di cercare la Piovra Gigante si era divertita a giocare con due cuccioli d’unicorno che Hagrid stava curando dietro la sua capanna.

“Pix! Ehi Pix!” chiamò.

“Ehi, tu dai capelli strambi! Tuo padre mi ha detto che non devo più coinvolgerti nei miei scherzi!” disse il Poltergeist.

La bimba piantò i piedi per terra.

“Se non giochi con me vado a cercare il Barone Sanguinario” lo minacciò.

Lo spiritello fischiò nel suo fischietto.

“Giochi sporco” borbottò.

“Lo so” rispose ridacchiando Juliet “ma almeno ci divertiremo insieme!”

“Io non prendo ordini da nessuno” gli ricordò Pix.

La bambina si toccò il mento, pensando così intensamente da far allungare i suoi capelli di almeno dieci centimetri.

“Mi aiuti a colorare Mrs. Purr o no?” chiese poco dopo.

Il Poltergeist mise mano al berretto arancione, portando la visiera dietro la testa.

“Andiamo!” esclamò.

 

Remus lanciò uno sguardo veloce alla Mappa del Malandrino, ormai per la millesima volta quella mattina.

Vide che Juliet era al terzo piano, poi notò un puntino di fianco a lei.

Oh Merlino…” penso il professore scuotendo la testa esasperato “…è di nuovo con Pix”.

Fino ad allora quell’accoppiata non aveva mai portato niente di buono e seppe, come solo un genitore può sapere, che la figlia stava per combinarne un’altra delle sue.

 

Un miagolio terrorizzato spezzò il silenzio del corridoio, mentre Mrs. Purr correva via con un nuovo manto rosso e oro.

Juliet rideva a crepapelle, stava quasi per cadere a terra.

“Bel lavoro Pix!” esclamò, dando il cinque allo spiritello.

“Grazie, lo so” rispose quello.

“Ora devo andare, mio fratello mi aspetta per pranzo” disse poi la bambina.

Il Poltergeist annuì.

“Allora ci vediamo, Lupetta” la salutò “non vedo l’ora che tu venga qui, saremo una squadra perfetta!”.

Juliet sorrise.

“Alla prossima, Pix”.

Quello fischiò di nuovo, poi scappò attraverso un muro.

La bambina si voltò, dirigendosi verso la Sala Grande, ma fece solo pochi passi prima che due figure le si parassero davanti.

“Non dovresti dar fastidio agli animali” disse il primo “non ci si comporta così…”

Mentre il secondo levava la bacchetta, Juliet si sentì paralizzata.

Dalla sua bocca non uscì nessun suono ma i suoi capelli diventarono bianchi candidi, il riflesso della paura.

Stupeficium” mormorò il ragazzo.

In un attimo lei era a terra, schiantata.

“Ok” fece il primo “proviamo la tua teoria”

L’altro le puntò nuovamente la bacchetta addosso.

Reperius Cordis” disse.

Erano abituati a vedere una luce più o meno tenue sprigionarsi dai corpi delle loro vittime, ma non erano preparati a quello.

Una luce azzurra illuminò ancora di più il corridoio e li accecò, mentre entrambi sorridevano fieri di loro.

“E’ lei” esclamò uno.

“Assolutamente si” confermò l’altro.

Mentre ripetevano l’incantesimo, non riuscirono a frenare l’eccitazione per aver trovato almeno una piccola parte di ciò che cercavano.

“Si comincia davvero” commentò il primo mentre percorrevano le scorciatoie e i passaggi segreti, direzione settimo piano.

 

Remus guardò per l’ennesima volta la Mappa.

Vide Pix girovagare nei sotterranei, ma fortunatamente Juliet non era con lui.

Piton non avrebbe sopportato un’altra sua incursione nella sua classe.

Controllò nei corridoi, nelle classi, in biblioteca, nel parco.

L’uomo aggrottò le sopracciglia, sua figlia non c’era.

“Juliet Lupin” borbottò, senza farsi sentire dagli studenti che si stavano esercitando contro un Molliccio.

E per la prima volta da che ne aveva memoria, quella vecchia pergamena lo tradì.

Di nuovo, non c’era traccia della bambina.

“Potete andare per oggi, ragazzi” disse, chiudendo la lezione con dieci minuti di anticipo.

Usci dalla classe per primo, mentre ancora quelli preparavano le loro borse, diretto in Sala Grande.

“Teddy!” esclamò vedendo il figlio maggiore.

“Papà!” salutò quello.

“Hai visto tua sorella?”

Il ragazzo si fece pensieroso.

“Non da colazione, perché?”

“E’ scomparsa dalla Mappa” rispose il padre “io vado da Hagrid, poi in caso ad Hogsmeade, non sarebbe la prima volta che scappa a Mielandia. Voi perlustrate il castello”.

Ted annuì, mentre l’uomo usciva di corsa nel parco.

“Dividiamoci” suggerì Samuel.

Fu una fortuna che fosse ora di pranzo, perché in quel momento arrivarono anche Harry, Ron, Hermione, Noah, Luna e Mira.

“Che succede Ted?” chiese il primo.

“Non riusciamo a trovare Juliet” rispose quello.

“Ci date una mano?” chiese Sam.

“Certo” esclamò Ron.

“Bene, allora dividiamoci”.

E così fecero.

Harry e Ron corsero nel parco e al campo di Quidditch.

Hermione frugò in biblioteca.

Camille e Ginny cercarono nei sotterranei.

Samuel guardò in tutte le classi.

Mira pensò alla Sala Grande e ai corridoi.

Luna andò alla torre di Astronomia.

Noah chiese a tutti i professori.

Ted controllò la torre di Grifondoro, la sorella riusciva sempre a scoprire le parole d’ordine, Merlino solo sapeva come.

Ma di nuovo, di Juliet non c’era traccia.

 

“Non può essere scomparsa nel nulla!” esclamò Tonks.

Si erano riuniti nell’ufficio di Silente, i tre Lupin e la McGranitt.

L’Auror era seduta tra la vicepreside e il figlio, mentre in marito percorreva la stanza a grandi passi.

“Non è nel castello” disse Ted.

“E nemmeno ad Hogsmeade” aggiunse Remus.

Qualcuno bussò alla porta e tutti si voltarono speranzosi, ma era solo Hagrid.

Respirava a fatica, probilmente aveva fatto la strada di corsa, aveva un fucile in mano e Thor al suo fianco.

“Signore, ho setacciato la foresta” raccontò “non c’era. Ci ho chiesto anche ai Centauri, ma non hanno visto nessuna bambina oggi”.

“Grazie Hagrid, puoi andare, ma tieni gli occhi aperti” rispose stancamente Silente.

Il guardiacaccia annuì, lanciò uno sguardo dispiaciuto ai Lupin e uscì.

“LA MIA LUPETTA!” gridò una vocina.

Pix irruppe nella stanza attraverso il quadro di Armando Dippet, che parve parecchio irritato da quell’intrusione.

“I FANTASMI…LA BAMBINA…PRESA!” strepitò.

“Pix, calmati…” lo supplicò Silente.

“La bambina! Il Frate Grasso ha detto che è scomparsa!” gridò.

Ninfadora, non riuscendo proprio a trattenere un singhiozzo, si lasciò andare.

“Tu sei stato l’ultimo a vederla” notò Remus “sai dove potrebbe essere?”

Il Poltergeist scosse la testa, facendo sospirare l’uomo.

“Chi l’ha presa?” chiese ancora lo spiritello.

“Non si sa…” rispose la McGranitt “…manca solo lei all’appello”.

Pix lasciò cadere il fischietto, uscendo poi attraverso il muro e borbottando qualcosa di simile a la mia amichetta…

“Vi chiedo perdono,è tutta colpa mia"si accusò Silente“avrei dovuto prestare più attenzione a quegli attacchi, ma ero certo che fossero scherzi. Ovviamente cercavano qualcosa, e pare che l’abbiano trovata…”

“Ma è solo una bambina!” gemette Tonks “Non ha nemmeno la bacchetta!”

Rimasero tutti in silenzio, mentre Remus continuava a fare su e giù.

Si sentiva terribilmente colpevole, avrebbe dovuto controllare meglio Juliet.

“Signor preside, le chiedo un periodo di permesso” decise “vorrei unirmi alle ricerche”.

“Che diavolo dici papà?!?” domandò Teddy.

“Lei non è più nel territorio del castello, altrimenti l’avrei vista. Sono certo che Malocchio non obietterà se mi unirò alla squadra di Auror di tua madre. È il padrino di Juls, vorrà venire con noi anche lui”.

Dora sospirò.

“Remus, la Mappa potrebbe aver…”

“La Mappa” la interruppe lui, insolitamente duro “non mente mai”.

“Vai pure, Severus ti sostituirà e chiameremo Lumacorno per Pozioni, sono certo che non obietteranno” assicurò il preside.

La donna si alzò, prendendo il marito per mano.

“Voglio venire con voi” disse Ted.

Tonks gli fece una carezza, mentre una lacrima le solcava la guancia.

“Devi rimanere qui. Juliet potrebbe saltar fuori. Lo sai com’è fatta tua sorella, le piace tanto giocare a nascondino…” mormorò.

“Tenetemi informato” aggiunse il ragazzo, mentre entrambi prendevano in mano la Polvere Volante.

L’ultima cosa che vide dei suoi genitori furono i capelli di sua madre, diventati di un cupo grigio topo, senza rendersi conto che erano esattamente uguali ai suoi.

 

Samuel e Ted entrarono nel dormitorio, entrambi in silenzio.

Mentre il primo si buttò sul letto di peso, il secondo iniziò ad andare su e giù per la stanza.

“Voglio andare nella foresta” esclamò Teddy fermandosi di botto.

“Hagrid l’ha perlustrata palmo a palmo” gli ricordò l’amico.

“Lo so” disse l’altro “ma papà ha controllato Hogsmeade e noi il castello. Mi fido di Hagrid, ma noi la conosciamo meglio di lui, potrebbe essergli sfuggito qualcosa. Dai, solo un’occhiata veloce”.

Sam lo guardò scettico.

“Senti,se non vuoi accompagnarmi dammi almeno la Mappa, lo so che papà te l’ha restituita prima” esclamò il Metamorphomagus.

“Tu odi la foresta, Camille ed io abbiamo sempre dovuto trascinarti…” notò.

“Vuoi sentirmi dire che ho paura di entrarci?” domandò l’altro.

Samuel sorrise malandrino.

“Non vedo l’ora!”

I capelli di Ted virarono dal grigio verso un pericoloso rosso rubino.

“Sei un bastardo!” esclamò.

“Sempre”.

“Sei con me?”

“Sempre”.

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Capitolo 20
*** La cripta ***


 

Buongiorno a tutti!!!!!

Come avrete notato ho cambiato il nome della serie, perchè "Gocce di Memoria" mi sembrava più adatto per storie che rispettavano i libri della Rowling.

Siccome sono parecchio fuori di testa, probabilmente lo cambierò ancora, ma per adesso rimane così!

Voglio ringraziare tutti coloro che hanno recensito, ma spero che non me ne vogliate se faccio un ringraziamento speciale a ginevra james, per aver segnalato questa storia per essere inserita tra le scelte.

GRAZIE A TUTTI QUANTI! :D

Conto di postare il prossimo capitolo sabato, o al massimo domenica, nel frattempo spero che questo vi piaccia, anche se è un pò più cortino del solito...

Buona lettura!

Ale

 

 

20. La cripta

Nei corridoi del castello regnava un silenzio irreale.

La notizia della sparizione di Juliet si era sparsa talmente velocemente in tutte le case che nessuno si era arrischiato a lasciare la sicurezza della propria Sala Comune, temendo di fare la stessa fine della bambina.

Ted e Samuel camminavano con la Mappa del Malandrino davanti al naso, pronti a nascondersi nel caso in cui avessero incrociato qualche professore, ma per fortuna videro solo Pix.

Lo spiritello del caos, preoccupato per la sua amichetta tanto quanto loro, aveva assicurato ai due che avrebbe distratto Gazza e gli insegnanti per permetter loro di entrare uscire dal castello.

Arrivati davanti al grande portone si sentirono picchiettare sulle spalle ed entrambi trasalirono, pensando alla McGranitt, o peggio ancora Piton, poi si voltarono lentamente.

“Dove andate?” domandò la voce di Camille, nonostante lei fosse invisibile.

“Non toccava a Harry tenere il Mantello questa settimana?” chiese Sam.

Lei se lo tolse, tornando visibile.

“Appena vi ho visto uscire me lo sono fatto dare. Perché non mi avete portato con voi?!” fece stizzita la ragazza.

“Andiamo nella Foresta” spiegò Ted.

Lil alzò le sopracciglia.

“Sei tu ad odiarla, non io” gli ricordò “muovetevi, venite sotto, almeno non ci vedranno quanto attraverseremo il parco”.

“Chi ti ha detto che vieni con noi?!” domandò Sam.

Camille gli lanciò un’occhiata inceneritrice, non ebbe nemmeno bisogno di rispondere.

Aprirono silenziosamente il portone e sgusciarono fuori, sul prato illuminato da una splendida mezzaluna.

Non avevano più undici anni e ormai il mantello non riusciva a coprirli completamente, quindi dovettero abbassarsi notevolmente.

Superarono la capanna di Hagrid, dove nonostante fosse quasi mezzanotte brillava la luce accesa.

Videro il guardiacaccia affacciarsi alla finestra ben tre volte mentre passavano, e si accorsero che ancora teneva il fucile in mano.

Doveva essere ancora in agitazione per Juliet, al pari degli altri insegnanti.

Pochi passi ancora e si trovarono immersi tra il buio degli alberi.

Erano stati centinaia di volte nella foresta, a partire già dal primo anno.

Quando i Malandrini avevano raccontato delle loro scorribande tra quegli alberi, i tre ragazzi avevano iniziato ad immaginare cosa avrebbero potuto combinare loro così, dopo appena la prima settimana di scuola, con la Mappa alla mano e in Mantello sopra le spalle, vi si erano addentrati.

Quella sera Ted aveva avuto un incontro particolarmente spiacevole con le Acromantule, da cui era derivato l’odio che il ragazzo provava per quel luogo.

“Allora, da dove cominciamo?” chiese Samuel, levando la bacchetta accesa sopra la testa per fare un po’ di luce.

“Per ora seguiamo il sentiero, poi vedremo”.

E così fecero.

Mentre Teddy era in testa al gruppo e illuminava la strada, Samuel lo faceva per Camille e la Mappa.

Videro due cuccioli d’unicorno saltellare tranquilli, senza sapere che erano gli stessi con i quali Juliet aveva giocato quel pomeriggio, videro pipistrelli volare qua e la, sentirono i versi dei gufi tra gli alberi.

“Che ci fate qui?” esclamò ad un certo punto una voce.

Si voltarono tutti e tre di colpo e capirono che i genitori avevano commesso un errore scrivendo la Mappa, i Centauri non erano visibili.

Nonostante tutto, tirarono un sospiro di sollievo quando videro che era Fiorenzo, l’unico della sua tribù che aveva un rapporto normale con gli umani.

“Non dovreste essere qui” continuò “la foresta non è un luogo sicuro per tre giovani maghi, specialmente di notte”.

“Stiamo cercando tracce di mia sorella” rispose Ted.

“La bambina che viene spesso con  Hagrid?” domandò il Centauro.

Tutti e tre annuirono all’unisono.

“Voi avete visto nulla?” chiese Sam

Fiorenzo scosse la testa.

“Hagrid ci ha rivolto la stessa domanda, ma nessuno è entrato nella foresta oggi, nessuno tranne lui…e voi” rispose.

I ragazzi abbassarono gli sguardi delusi, ma nessuno dei tre aveva intenzione di rinunciare.

“Immagino che comunque vogliate controllare” disse ancora “vi prometto di non farne parola con il guardiacaccia, ma voi non dovrete farvi vedere dai miei fratelli. Sapete bene che non amano incursioni umane nei nostri territori, non si farebbero scrupoli a denunciarvi al preside”.

“Grazie Fiorenzo” sorrise immediatamente Teddy.

Quello annuì.

“E fate attenzione, mi raccomando” aggiunse.

Ma probabilmente i tre neanche lo sentirono, perché si erano già avviati nuovamente sul sentiero.

Il Centauro scosse la testa, sperando che quei tre non si cacciassero troppo nei guai.

 

Mentre camminavano un pipistrello planò a pochi centimetri dalle loro teste e Camille, con un urletto spaventato, si gettò addosso a Sam.

“Odio i pipistrelli” sbottò poi, mentre i suoi amici ridacchiavano.

“Guardiamo la?” chiese il Black, indicando un gruppo di alberi particolarmente intricato.

Teddy scosse energicamente la testa.

“La vive Aragog” disse.

“Aragog è morto e sepolto nell’orto di Hagrid” gli ricordò l’amico.

“Però ci vivono i suoi adorabili figlioletti” obiettò il Metamorphomagus “ma lasciamo il sentiero, questo si”.

E così fecero, lo abbandonarono e si addentrarono tra il buio e gli alberi.

Camminarono per un po’, trovandosi senza nessun riferimento tranne gli alberi, i cespugli e le ombre.

“Ammettiamolo, ci siamo persi” esclamò alla fine la ragazza.

“Non ci siamo persi” obiettò Sam “siamo solo in un punto imprecisato. Andiamo avanti e ci ritroveremo di sicuro in un posto che abbiamo già visto”.

E continuarono a camminare, mentre lei non staccava gli occhi della Mappa osservando i puntini che portavano i loro nomi.

“Siamo ufficialmente fuori dal territorio della scuola” annunciò Camille ad un certo punto “siamo scomparsi anche da qui”.

“Perfetto!” esclamò Ted “Controlliamo”.

I suoni della foresta cominciavano ad essere inquietanti, tanto che spesso e volentieri tutti e tre si voltavano di scatto per vedere cosa gli fosse appena passato dietro.

Avevano di nuovo incrociato i Centauri, solo che non il buon Fiorenzo di prima, bensì Conan e Mogorian, decisamente i più restii del branco a sopportare gli studenti di Hogwarts.

Per evitare di essere visti si erano nascosti dietro un cespuglio con il mantello sulle teste, rimanendo immobili e in silenzio finchè quelli non si erano allontanati.

“E quella?” fece Samuel indicando davanti a loro.

Era una roccia appoggiata tra due alberi, che ad un occhio impreparato non avrebbe attirato l’attenzione ma a loro, che avevano esplorato quei luoghi più e più volte, parve incredibilmente strano, anche perché non avevano mai notato sassi così grande li dentro.

“E’ una semplice roccia” rispose Ted.

Camille si avvicinò e gli girò intorno, notando qualcosa alla base.

“Finisce sotto terra” notò.

La ragazza tornò dagli amici, poi levò la bacchetta.

Reducto” esclamò.

Ma quella non si mosse.

Reducto” ripetè, stavolta più decisa.

Niente.

“Wow, facciamo cilecca stasera…” la prese in giro Sam.

“E’ impossibile” disse lei, levando nuovamente la bacchetta e tentando un altro incantesimo.

Quando fallì di nuovo, Ted gli si avvicinò.

Iniziò a battere le mani sulla superficie, finchè la sua mano non vi affondò dentro.

Inizialmente ritirò le dita sorpreso, poi ve le appoggiò cautamente.

“E’ un ologramma” disse.

“Un olochè?!?” domandò Sam confuso.

“Un’immagine tridimensionale” spiegò sbrigativa lei “è geniale! Chi penserebbe ad una cosa così Babbana dentro la foresta proibita?!?”

Samuel inserì lentamente la mano al posto di quella dell’amico, per poi ritirarla velocemente.

“Che ficata!” esclamò.

“Bene” fece Teddy “siamo tutti d’accordo che qui dentro c’è qualcosa, direi di entrare”.

E per primo superò l’ologramma, sparendo dentro la roccia.

“Dopo di lei, milady” esclamò l’altro, facendo un buffo inchino.

Camille ridacchiò, poi superò a sua volta la barriera.

Quando anche Samuel entrò, accesero tutti e tre le bacchette.

Si trovarono in una spoglia stanzetta ovale, con una scalinata che andava verso il basso di fronte a loro.

Non ebbero bisogno di parlare, in un secondo stavano già percorrendo quei gradini, con la bacchetta spianata e pronti per qualsiasi evenienza.

Non c’era assolutamente nulla oltre alla pietra, alla polvere che copriva il pavimento e alle ragnatele che passavano da una parete all’altra.

“Non mi piace” sussurrò la ragazza “c’è troppo silenzio…”

Arrivarono in un’altra stanza ovale, molto più grande della prima ma altrettanto spoglia.

“Che cos’è questo posto?” domandò Sam.

“Una…una cripta credo” rispose Camille, leggermente intimorita.

Illuminarono l’ambiente, ma di nuovo non c’era nulla.

Poi si accorsero di una cosa sul fondo della stanza.

Era un piedistallo, con un’urna di porcellana poggiata sopra.

“Lo credo anche io” convenne Teddy.

Fece qualche passo, arrivando davanti al contenitore e alzando leggermente il coperchio.

“Ceneri” annunciò, richiudendolo immediatamente.

Anche Samuel lo raggiunse.

“Di chi saranno?”

“Forse un vecchio preside” rispose l’amico.

“Non credo, lo avrebbero messo dentro i confini della scuola, non così inoltrato nella foresta” ribattè.

“Bene, abbiamo appurato che qui non c’è nulla e sinceramente l’idea di stare qui con un morto mi mette i brividi, possiamo andare?” esclamò Camille continuando, al contrario degli altri due, a illuminare la stanza “Ahhhhhhhh!”

Quando lei urlò i ragazzi si voltarono immediatamente e, vedendo un pipistrello poco lontano dall’amica, scoppiarono a ridere.

“Dai Lil! Non puoi spaventarti per così poco!” esclamò Samuel.

Lei gli lanciò l’ennesima occhiata inteneritrice.

“Andiamo o no?”

“Credo che questo posto sia diventato la tana di un sacco di animaletti, guarda quanti topi!” aggiunse il ragazzo puntando la bacchetta verso il pavimento.

“Per favore…” fece la Potter, con una vocetta sempre più stridula.

E fu allora che Ted dimostrò la sua proverbiale sbadataggine.

Mentre camminava un topo gli passò davanti ai piedi e lui, per evitare di schiacciarlo, sbattè sul piedistallo, il quale oscillò un po’ e alla fine si abbattè a terra, portandosi dietro l’urna.

La porcellana si infanse in mille pezzi, le ceneri si mescolarono alla polvere a terra.

“Ops” borbottò il Metamorphomagus.

Camille scosse la testa esasperata.

“Sei sempre il solito Ted. Vi prego, andiamo”.

Reparo” borbottò il ragazzo, rialzando poi il piedistallo e poggiandoci sopra il contenitore.

Non riuscì però a recuperare le ceneri, ormai irrimediabilmente confuse con polvere e sporcizia.

“Nessuno mette piede qui dentro da anni, solo gli animali” notò Sam “chi vuoi che se ne accorga?!?”

“Speriamo…” rispose l’altro.

Camille percorse la scalinata più velocemente degli altri, decisa più che mai ad uscire dalla cripta e sperando di non dover tornarci mai più.

Uscendo dall’ologramma respirò l’aria fresca della foresta e sorrise involontariamente, decisamente più tranquilla.

“Lo sentite?” mormorò Samuel avvicinandosi agli amici e sfoderando di nuovo la bacchetta.

Lil e Teddy udirono un fruscio, sempre più forte, sempre più vicino.

“Sembra una voce” bisbigliò la ragazza, un po’ preoccupata.

“Viene da qui dentro” aggiunse il Metamorphomagus, indicando la roccia.

Rimasero in silenzio e sentirono che la voce si faceva più nitida, che cominciava a somigliare terribilmente ad un sibilo.

“Andiamocene” borbottò Sam “di corsa”.

I tre scapparono immediatamente tra gli alberi e i cespugli, cercando di non voltarsi mai indietro finchè, finalmente, si ritrovarono chissà come sul sentiero.

“Cosa. Diavolo. Era.” fece Camille, in tono spiritato che proprio non gli si addiceva.

“Qualcosa di strano, che era nella cripta con noi” rispose il Black, chiudendo il gruppo con la bacchetta sguainata, pronto a difendere gli amici da qualsiasi cosa fosse stato quello strano suono.

Seguirono qualche scorciatoia segnata sulla Mappa e arrivarono al limitare degli alberi, dove si fermarono per riprendere fiato.

Rimasero un attimo lì, indecisi se continuare a cercare tracce di Juliet o tornare al castello.

Camille tirò fuori il Mantello dell’Invisibilità.

“Torniamo in Sala Comune” suggerì “sono quasi le due del mattino”.

Mentre Samuel si avvicinava all’amica, Teddy non riuscì ad evitare di lanciare uno sguardo triste in mezzo agli alberi, deluso per non aver trovato niente che potesse aiutare nelle ricerche della sorella.

Sam gli si avvicinò, poggiandogli le mani sulle spalle e guardandolo negli occhi, serio come probabilmente non era mai stato in vita sua.

“Ted, la ritroveremo. Te lo giuro, faremo qualsiasi cosa per riportarla a casa” gli assicurò.

Quello rimase un attimo titubante, poi annuì e gli sorrise.

“Grazie”.

Lil si avvicinò a loro, dando ad entrambi un bacio sulla guancia e guardandoli con quel sorriso pieno di amore e speranza che sfoggiava raramente.

“Andrà tutto bene” aggiunse.

E poggiò sopra a tutti e tre il Mantello coprendoli meglio che poteva, per essere sicura che non fossero visti mentre attraversavano il parco.

Non sapevano di essere appena venuti a conoscenza di uno dei segreti di Hogwarts, di quelli che Silente e gli insegnanti si erano impegnati a mantenere tali.

Non sapevano di aver appena profanato la tomba del peggior mago oscuro di tutti i tempi.

Non sapevano di aver irrimediabilmente disperso le ceneri di Lord Voldemort.

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Capitolo 21
*** Malinconia ***


 

Buongiornooooo :D

Come promesso, eccomi qua a rompervi le scatole come al solito!

Prima di tutto voglio ringraziare tutti coloro che leggono, ma soprattutto chi recensisce :D poi volevo fare un piccolo annuncio...

Il prossimo aggiornamento sarà sabato, scusate per questo ritardo ma fino a venerdì avrò i lavori dentro casa quindi mi dovrò trasferire da mia nonna e starò sempre senza computer :(

Vi faccio un piccolo spoiler per accendere la vostra curiosità...nel prossimo capitolo San Valentino e.......(rullo di tamburi :p )........ci sarà un altro rapimento :P

Detto questo, buona lettura! Spero vi piaccia!

Baciiii

Ale

 

 

21. Malinconia

Caro Teddy,

come promesso eccomi qui con qualche notizia.

Vorrei poterti dire che va tutto bene e che entro poco tempo ritroveremo tua sorella, ma credo sia giusto dirti tutta la verità.

Siamo in alto mare tesoro, non abbiamo ne una traccia ne una pista.

Malocchio ha permesso a tuo padre di unirsi a noi, così abbiamo iniziato setacciando Hogsmeade, ma non c’era nulla.

Ora James e Sirius stanno facendo delle indagini, speriamo che portino a qualcosa.

Tuo padre mi chiede di dirti che gli manchi tanto, e ti prega di riferire agli altri ragazzi che gli dispiace avervi lasciato in balia di Piton e Lumacorno.

È sempre il solito, non riesce proprio a scendere dalla sua adorata cattedra.

Ok, mi rendo conto di star sproloquiando, sinceramente non so neanche io cosa sto dicendo.

Tra poco andremo al Ministero, forse ci sarà qualche novità.

Manchi tanto anche a me tesoro, vorrei che lo sapessi.

Non perdere mai la speranza, riporteremo Juliet a casa.

Mamma

 

Teddy posò la lettera sul comodino, mentre il buffo gufetto di sua madre riprendeva il volo.

Niente.

Erano passati dieci giorni e Juliet sembrava scomparsa nel nulla.

Dire che aveva il morale a terra era un eufemismo.

Era talmente preoccupato da non riuscire più a dormire bene la notte, da mangiare poco, da non seguire più le lezioni.

Aveva preteso il monopolio della Mappa del Malandrino, e aveva iniziato a controllarla in ogni secondo libero.

Durante le ore di scuola, addirittura, la teneva sul banco al posto dei libri coperta da un monticello di pergamene, nuove e scritte.

Si incantava a fissare gli studenti che non erano in classe, la gente che si spostava nel parco, la foresta proibita.

Ne lui, ne Sam, ne Camille avevano più parlato della cripta e di quella strana voce simile ad un sibilo, e alla fine avevano deciso di credere che fosse stata tutta suggestione.

“Andiamo?” domandò Samuel, che aveva appena finito di infilarsi la divisa da Quidditch.

Per la prima volta da che Hogwarts ne aveva memoria, erano ben dieci giorni che non si comportava da idiota.

Non aveva fatto scherzi, non era uscito con nessuna ragazza, era stato buono con gli insegnanti.

Non lo avrebbe mai ammesso, ma vedere il suo migliore amico così giù di morale gli spezzava il cuore.

“Tu vai avanti” rispose Teddy “ti raggiungo dopo”.

L’altro aprì la bocca per ribattere, ma la richiuse immediatamente quando si rese conto di non aver nulla di serio da dire.

Alla fine gli diede una pacca sulla spalla, prese la scopa e uscì.

In un altro momento, con un bel sole che intiepidiva l’aria, sarebbe stata la giornata ideale per il Quidditch, ma nessuno aveva voglia di giocare, in realtà nessuno aveva voglia di fare nulla.

Era come se una cappa di tristezza fosse calata sulla torre di Grifondoro, anche perché quelli che di solito animavano la sala comune come Harry, Ron e Samuel non riuscivano proprio a divertirsi con un Ted completamente assente al loro fianco.

“Niente” esclamò il Battitore agli amici di fronte a lui “secondo me rimane a letto tutto il giorno”.

Davanti al camino c'erano infatti Harry, Ron e Ginny in divisa, Hermione e Camille con sciarpe e cappelli rossi e oro.

“Ragazzi, noi dovremmo scendere. Jimmy, Demelza e Dean sono già andati a fare colazione” disse il Capitano “vorrei davvero andare da lui, ma siamo in ritardo”.

“Ci pensiamo noi” esclamò Lil, salendo con la Caposcuola su per le scale che portavano ai dormitori maschili.

Quando entrarono nella stanza, capirono che Sam aveva ragione, Teddy si era davvero ficcato di nuovo sotto le coperte.

Camille non ci pensò due volte, si tolse le scarpe ed entrò nel letto con l’amico, mentre l’altra si sedette di fianco a loro.

“Non hanno trovato niente…” sussurrò il Metamorphomagus mentre la Potter lo abbracciava “…niente di niente”.

“Andrà tutto bene Teddy, la riporteremo a casa…” bisbigliò lei di rimando, mentre i capelli dell’altro diventavano sempre più grigi, sempre più spenti.

Hermione gli accarezzò dolcemente la testa.

“Non puoi stare qui a deprimerti” gli disse “vieni al campo, almeno ci facciamo quattro risate”.

Per tutta risposta, lui sfuggì alla presa di Camille, ficcando poi la testa sotto il cuscino.

Lei allora glielo tolse, poi gli stampò un bacio sulla guancia.

“Alzati dai, prima che decida di trascinarti sugli spalti in pigiama” lo avvertì.

E il ragazzo annuì, si tirò su a sedere e guardò le amiche.

“Grazie” disse loro.

 

“ED ECCO CHE ENTRA LA SQUADRA DI GRIFONDORO!”  annunciò il commentatore mentre i sette rossi e oro facevano il loro ingresso.

Harry scese a terra per stringere la mano a Jeremy Stretton, il Capitano dei Corvonero, mentre Madama Bumb faceva  le solite raccomandazioni prepartita.

Era la prima volta che le due squadra si incontravano, quindi era anche la prima volta che Samuel e Noah di trovavano l’uno contro l’altro.

Nonostante fosse la sua terza partita il Corvonero era agitato come se fosse stato alla prima, temendo di fare una figuraccia colossale contro il fratello.

“OGGI VEDREMO I DUE FRATELLI BLACK L’UNO CONTRO L’ALTRO! CHI SARA’ IL MIGLIORE?!?”  gridò il commentatore.

“Appunto…” pensò Noah.

“LA PLUFFA VIENE LIBERATA, INIZIA LA PARTITA!”

E il giovane Cacciatore fece appena in tempo a sentire quelle parole che Jeremy gli lanciò la palla, cogliendolo leggermente impreparato.

Si buttò in avanti verso la porta di Ron, evitando i Bolidi che suo fratello gli stava sparando contro.

Scartò Ginny e Dean, risalì un po’ in quota, prese la mira e…

“10 A 0 PER CORVONERO! LA NUOVA SCOPERTA DI STRETTON E’ VERAMENTE UN MITO, VAI BLACK!”

Samuel alzò gli occhi verso il commentatore, poi scosse la testa.

Era Terry Steeval, un Corvonero coetaneo di Harry, ovvio che non fosse totalmente imparziale.

Intanto Noah, nonostante fosse il più piccolo della squadra, era inarrestabile.

Ogni volta che avevano la Pluffa Jeremy e Randolph Burrow, il terzo Cacciatore, lanciavano al ragazzo, non solo per la sua bravura ma anche per approfittare del fatto che Samuel non mirava mai troppo forte al suo fratellino.

Quindi, mezz’ora dopo l’inizio della partita, il risultato era di 80 a 40 per Corvonero, i quali esultavano apertamente.

La squadra però non aveva tenuto conto del fatto che, dopo aver fatto cilecca contro Serpeverde, i Grifondoro non avevano la minima intenzione di perdere ancora.

Nel frattempo, sugli spalti, Hermione e Camille fissavano di sottecchi Ted, che ogni tanto scambiava qualche parola con Neville.

“Come vanno le indagini?” bisbigliò Lil, cercando di non farsi sentire dall’amico.

La Caposcuola scosse la testa.

“Siamo fermi” mormorò “ho interrogato tutti quelli che erano stati schiantati, ma non si ricordano assolutamente nulla. Praticamente un buco nell’acqua”.

L’altra annuì, delusa.

Aveva sperato che almeno Hermione, decisamente la più intelligente fra loro, potesse avere qualche indizio.

In quel momento la folla trattenne il respiro, i due Cercatori si erano lanciati in picchiata.

Harry spinse la sua Firebolt più che poteva, tentando in ogni modo di battere l’avversario.

Voleva vincere, lo voleva più di qualsiasi altra cosa, non avrebbe sopportato di essere il Capitano peggiore che la sua casa avesse mai avuto.

E alla fine la sua forza di volontà prevalse, mentre stendeva il braccio e afferrava la pallina d’oro.

“HARRY POTTER PRENDE IL BOCCINO, GRIFONDORO VINCE” annunciò afflitto Terry Steeval.

Contrariamente al solito, la folla rosso e oro non esultò, ma si lasciò andare ad un leggero battimani.

La squadra toccò terra, si inchinò ai propri tifosi poi si diresse silenziosamente verso gli spogliatoi.

Nessuno aveva voglia di festeggiare, non avrebbero mai mancato così tanto di rispetto a Teddy.

“Torniamo al castello” disse il Metamorphomagus alle amiche “voglio scrivere a mio padre”.

“Ma Ted…”

“No Lil” la interruppe lui “sono venuto a vedere la partita per farvi contenti, ma ora preferisco sapere se ci sono novità su mia sorella”.

Camille sospirò, ma annuì e si avviò per le scale con gli altri due.

Le tifoserie di Grifondoro e Serpeverde sedevano in due aree confinanti, per cui gli studenti dovevano usare la stessa scala per scendere tanto che, tra gli altri, incrociarono anche Mizar, Deimos e Dione.

“Ehm…ho lasciato il cappello sugli spalti! Voi andate avanti” esclamò il biondo ai due cugini.

Deimos annuì.

“Ci vediamo in sala comune” rispose Dione, con un sorrisetto malizioso.

La Potter lanciò uno sguardo interrogativo ai due amici, trovando Hermione che la fissava felice mentre Teddy…Teddy guardava la foresta, con uno sguardo totalmente perso.

“Va da lui” mormorò la Caposcuola “ci vediamo dopo”.

Lil le lanciò uno sguardo pieno di gratitudine, poi si avviò verso la zona di Serpeverde.

“Ehi Potter! Hai sbagliato strada! Tornatene in mezzo ai tuoi adorati Mezzosangue!” urlò qualcuno.

“Vai a mangiare Vermicoli Zabini” rispose di contro lei.

Tutti i Serpeverde rimasti sugli spalti la fissavano interrogativi.

Chiunque sapeva dell’astio che c’era tra le loro case, nessuno capiva come mai Camille si fosse avventurata così di buon grado tra coloro che non sopportava.

Mizar la stava aspettando poco più in la, con un sorriso trionfante in volto.

“Pensavo non saresti venuta” disse.

“E perché mai?” domandò lei.

Il ragazzo alzò le spalle.

“E’ da tanto che non parliamo, dalle vacanze di Natale”.

Lil arrossì e abbassò lo sguardo.

“Lo so, scusami” borbottò “ma prima c’è stata tutta la storia di Harry, poi l’attacco a Ginny, adesso il rapimento di Juliet…sono stata un po’ incasinata…”

Mizar le alzò il volto, posandole una dolce carezza sulla guancia imporporata.

“Temevo ce l’avessi con me…” sussurrò.

“Come potrei?! Semmai sarebbe dovuto essere il contrario…”

Il Serpeverde scosse la testa.

“Te l’ho già detto, non me la sono presa per ciò che mi ha detto Harry. Ci sono abituato ormai”.

Lei gli si avvicinò un po’ di più.

“E’ da tanto che non studiamo insieme…” buttò li.

Mizar ridacchiò.

“Lo so, infatti i miei voti in Pozioni ne hanno notevolmente risentito”.

“Potremmo…potremmo rimediare…”

Lui la guardò un po’ stupito e per un attimo lei temette che avrebbe rifiutato.

“Sarebbe perfetto” rispose invece.

La ragazza si aprì in un sorriso che le illuminò il viso.

“Posso avere l’onore di accompagnarla a scuola, madame?” scherzò il ragazzo porgendole il braccio.

Camille lo afferrò immediatamente.

“E se ci vedono i tuoi cugini?” chiese poi, un tantino preoccupata.

I suoi amici ormai sapevano del rapporto che avevano, e piano piano anche Harry lo avrebbe accettato.

Il problema erano i Serpeverde, radicati nella loro convinzione che i Potter fossero stupidi Filobabbani.

“Se ne faranno una ragione” rispose lui, marciando a testa alta verso il castello.

 

Hermione e Teddy stavano attraversando il parco in completo silenzio.

La Caposcuola aveva più volte tentato di intavolare un discorso, ma le parole gli erano sempre morte in bocca quando si era accorta che l’amico non aveva la minima intenzione di chiacchierare.

“Ted, ascolta…”

“TEDDY!” urlò qualcuno alle loro spalle.

Per un folle, meraviglioso attimo i loro cuori si riempirono di speranza, e si girarono di scatto.

Nella testa di Hermione si era formata l’idea che fosse qualcuno con buone notizie su Juliet.

Ted, invece, sperò che fosse proprio sua sorella.

Ma entrambi si sbagliavano, erano solo Luna e Mira.

“Ciao ragazze” salutò spento il Metamorphomagus.

“Vieni con me a scuola Luna?” si intromise Hermione, portandosi via l’amica per lasciare i due ragazzi soli.

Sperava che almeno Mira riuscisse a tirarlo su di morale.

“Come stai?” domandò la francesina, una che le due si erano incamminate.

Ted sorrise malinconico.

“Così…”

“Non…non ci sono notizie?” chiese ancora.

Il ragazzo scosse la testa.

“Niente di niente. Si è volatilizzata”.

Caddero in un silenzio imbarazzato, lui perché non aveva voglia di parlare neanche con la ragazza che gli piaceva, lei perché non sapeva bene cosa dirgli per risollevarlo un po’.

Alla fine, sorprendentemente, fu Ted a riprendere il discorso.

“Scusami, torno a scuola, voglio scrivere a mio padre” disse.

“Oh, d’accordo…ciao…” rispose lei dispiaciuta.

E fu allora che fece un gesto che la lasciò interdetta.

Si abbassò verso su di lei e le sfiorò la guancia con le labbra.

“Ciao…” mormorò, per poi voltarsi e tornare alla torre.

Mira rimase bloccata li finchè Noah, di ritorno dallo spogliatoio, la trovò ancora imbambolata e la trascinò in sala comune ridacchiando.

 

“Guarda guarda chi si vede…” esclamò una voce.

Dione sospirò rassegnata, capendo all’istante di chi fosse.

“Vai avanti Deimos, vado a vedere cosa vuole” disse.

Il ragazzo la guardò infastidito.

“Non mi piace che parli con quel Black” la avvertì “è un Sporco Traditore”.

“Non voglio uscirci, solo parlarci” gli fece notare lei.

Deimos la fissò indagatore e Dione alzò gli occhi al cielo.

“Prometto di non uscirci” esclamò poggiandosi una mano sul cuore “e lo sai che mantengo sempre le mie promesse”.

Il gemello la guardò ancora un attimo, decidendo se crederle o meno.

“Ci vediamo in sala comune” disse alla fine, voltandosi verso la scuola.

Dione tornò indietro a passo di marcia, dirigendosi verso quel fastidioso ragazzo.

Lui la stava aspettando appoggiato sul muro dello spogliatoio e la sua espressione divertita dimostrava che aveva ascoltato tutta la discussione.

“Mi stavi per far litigare con Deimos” gli fece notare.

Samuel ridacchiò.

“Meglio così, è un’idiota” rispose.

Dione alzò un sopracciglio.

“Ti faccio notare che stai parlando di mio fratello”.

“Lo so perfettamente” ribattè il Battitore “andiamo ad Hogsmeade insieme?”.

La Serpeverde sorrise.

“Credo tu abbia sentito cosa ho promesso a Deimos…”

“Certo che si”.

Lei lo guardò sorpresa, ma anche un po’ confusa.

Se aveva sentito, perché continuava ancora a chiederglielo?!

Samuel le si avvicinò, abbassandosi per parlarle all’orecchio.

“Per quanto io odi tutti quelli che non mantengono le proprie promesse…” sussurrò “…sono certo che entro la fine dell’anno infrangerai la tua”.

Lei rise.

“Non tutte cadono ai tuoi piedi Black” disse.

Lui la fissò con il suo sorriso malandrino.

“Vedremo…”

E quell’unica parola racchiudeva tante cose.

Dione non sapeva che quando aveva promesso al fratello di non uscire mai con Sam gli aveva spezzato il cuore, anche se il ragazzo non aveva ancora capito cos’era quell’infelicità che gli era nata dentro, quel potente crac che gli era risuonato nel petto e nella testa.

Per qualche strana ragione, il Battitore aveva pensato che c’era un solo modo per sfuggire a quella sensazione.

Conquistarla.

E fosse stata l’ultima cosa che avrebbe fatto, ci sarebbe riuscito.

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Capitolo 22
*** Ora o mai più ***


 

Ciao a tutti!! Come promesso, eccomi di ritorno! :D

Devo ammettere che questo capitolo me lo ero immaginato migliore, ma spero che vi piaccia lo stesso...

Buona lettura!!

Bacioni,

Ale

Ps. Il film babbano a cui Camille farà riferimento è Alice in Wonderland

Pps. Voglio farvi un piccolo spoiler per il prossimo capitolo, tanto per alimentare un pò la vostra curiosità...il titolo sarà "Il piano", immaginate perchè :P

Pps. GRAZIE A TUTTI QUELLI CHE LEGGONO E RECENSISCONO! :D

 

 

22. Ora o mai più

Lentamente, un insolitamente caldo gennaio aveva lasciato il posto ad un gelido febbraio, mentre il tempo sembrava non passare più.

Ad Hogwarts le cose stavano tornando alla normalità, o almeno quasi tutti stavano dimenticando il rapimento di Juliet, poiché non vi erano stati più attacchi di nessun genere.

Ovviamente, i Grifondoro non erano dello stesso avviso.

Teddy cercava in ogni modo di sembrare allegro, soprattutto per i suoi amici che non sapevano più come prenderlo, ma non appena rimaneva solo cadeva di nuovo nello stato catatonico che lo caratterizzava in quei giorni.

Cercava in ogni modo di mantenere almeno i suoi capelli, la parte di se che più rappresentava il suo stato d’animo, del loro solito colore, ma non riusciva proprio a contrastare del tutto quel cupo grigio.

Il risultato finale era una chioma striata che variava dal blu al grigio e che sarebbe potuta sembrare buffa, se non fosse stato che tutti sapevano della situazione in cui versava il ragazzo.

Gli Auror avevano intensificato le ricerche, spronati da un arcigno Malocchio Moody che minacciava maledizioni a destra e a manca per chiunque non si fosse impegnato nelle indagini.

In un certo senso era stata una fortuna che Juliet fosse figlia di Tonks e Remus, o forse non se ne sarebbero preoccupati fino a quel punto.

Teddy scambiava una fitta corrispondenza con la famiglia, ma Dora provava in ogni modo a convincere il figlio a non pensarci, provava a fargli capire che avrebbero fatto qualsiasi cosa per riportare la sorellina a casa.

Nell’ultima lettera che il ragazzo aveva ricevuto sua madre lo aveva pregato di prendersi una pausa da tutti quei pensieri e, per esempio, di godersi San Valentino.

Perché si, la festa degli innamorati bussava ormai alle porte.

Ad Hogwarts le coppiette stavano decidendo come trascorrere la giornata, c’era chi si sarebbe rintanato da Madama Piediburro, chi sarebbe rimasto a scuola, chi invece non aveva ancora deciso.

C’era chi, come Samuel, avrebbe avuto l’imbarazzo della scelta tra le decine di ragazze che speravano di passare la festa con lui, o chi, come Camille, sapeva di non poter stare con chi voleva.

Harry entrò di soppiatto in sala comune, nascondendo qualcosa dietro la schiena e sperando di risultare invisibile.

Odiava il dover condividere il Mantello con la sorella, specie se lei lo teneva in momenti come quello, dove per lui era fondamentale non far vedere a Ron ciò che stringeva nel pugno.

L’amicizia con lui era fondamentale nella sua vita, non vi avrebbe rinunciato per nulla al mondo, ma allo stesso tempo voleva regalare qualcosa a Ginny quel giorno.

Non voleva fargli un regalo vero e proprio per il fatto che in fondo non avevano esattamente una storia, ma con quella rosa rossa che stringeva tra le dita sperava di farle capire quanto tenesse a lei, nonostante Ron si mostrasse parecchio restio all’idea di loro due insieme.

Le voci giravano per i corridoi ed Harry sapeva perfettamente l’opinione che la parte maschile della scuola aveva su Ginny, per cui sperava ardentemente di riuscire a sistemare le cose con il suo migliore amico prima che qualcuno gliela portasse via.

In quell’istante qualcuno gli picchiettò sulla spalle e Harry si voltò di scatto, portando il fiore dietro le spalle.

“Dove vai?” domandò Hermione.

“Da…da nessuna parte” balbettò lui.

“E quella rosa rossa che cerchi di nascondere?!”

Il ragazzo sbiancò.

“Io…bè…ecco…”

“Ginny è fuori con Camille” gli disse “ma non sarebbe il caso di parlare con Ron prima?”

Harry abbassò gli occhi.

Anche Hermione lo aveva capito, non si poteva più rimandare.

“Credo proprio di sì, lo farò quando si sveglierà” convenne.

La Caposcuola gli sorrise.

“Vado in biblioteca a studiare, poi voglio sapere come va” esclamò, afferrando i libri che aveva poggiato su un tavolo ed imboccando il buco del ritratto.

 

Ron si trovò da solo in dormitorio, rendendosi poi conto di essersi svegliato veramente tardi.

Sospirò, ricordandosi di che giorno fosse.

San Valentino.

Era più di una settimana che si arrovellava sul da farsi, chiedendosi se fosse ora o meno di dichiararsi ad Hermione.

Temeva di fare una figuraccia colossale, di distruggere la loro amicizia.

Sovrappensiero iniziò a vestirsi, infilando distrattamente un maglione fatto da mamma Molly, leggermente irritato per quella sua indecisione.

Uscendo in corridoio trovò Dean e Calì avvinghiati in un bacio mozzafiato, cosa che non fece altro che aumentare il suo malumore.

Era stanco, terribilmente stanco di quella situazione.

Stanco di fingere di non essere infastidito dai discorsi sui ragazzi tra lei, Camille e Ginny, di ingelosirsi quando la vedeva chiacchierare troppo amabilmente con qualche ragazzo alle riunioni dei Prefetti, di dover nascondere i suoi sentimenti per lei.

E di punto in bianco, vedendo tutta quella gente sbaciucchiarsi, capì.

Perché doveva rinunciare ad essere felice?

Perché doveva lasciar perdere senza tentare?

Iniziò a scendere le scale di corsa, senza rendersi conto di Harry che lo chiamava.

“Ron! Fermati!” esclamò “Dobbiamo parlare!”

Il Portiere si voltò di scatto, senza smettere di camminare.

“Dov’è Hermione?” domandò.

Harry lo guardò confuso.

“In biblioteca…ma aspetta! Devo dirti una cosa!”

“Parliamo dopo” rispose quello “devo trovarla”.

E uscì di corsa dal buco del ritratto, lasciando indietro l’amico con un’espressione ebete.

 

Camille stava raccontando a Ginny dell’ultima volta che aveva studiato con Mizar, mentre si dirigevano verso la torre di Grifondoro.

Le stava dicendo di come erano arrivati, per l’ennesima volta, ad un passo dal baciarsi, e di come Colin Canon li avesse interrotti sul più bello.

Il ragazzo si era trovato, per puro caso, in biblioteca nello stesso momento, così ne aveva saggiamente approfittato per farsi spiegare dalla compagna di corso l’ultimo argomento di Pozioni, sotto lo sguardo leggermente infastidito del Serpeverde.

Nel frattempo varcarono il buco del ritratto, e nello stesso momento successero due cose: Harry si diresse verso di loro con le mani dietro la schiena mentre l’intera sala comune si voltò verso la finestra.

Fuori c’erano due gufi reali, che stavano beccando insistentemente sul vetro.

Due bambine del primo andarono ad aprire, rimandando senza fiato quando videro cosa trasportavano.

Un enorme mazzo di rose rosse, con un biglietto al centro.

“Saranno almeno cento!” squittì eccitata una delle due, mentre la sua amica prendeva la piccola busta e guardava a chi erano indirizzati quei fiori.

“Camille Potter” lesse ad alta voce, parecchio delusa.

La ragazza e Ginny scattarono in avanti, lasciando Harry indietro.

Nessuna delle due si accorse dell’espressione estremamente piccata che aveva in viso, ne tantomeno della rosa che stringeva in mano.

Harry la guardò, poi la fece evanescere con uno scatto veloce della bacchetta.

A sua sorella avevano regalato una mazzo immenso, che figura ci avrebbe fatto lui con quel misero fiorellino?!?

Senza dire nulla uscì dalla sala comune, sempre più arrabbiato e senza una meta precisa.

Intanto, una Camille estremamente arrossita stava aprendo il bigliettino che avevano spedito con le rose.

Alla migliore professoressa di Pozioni che abbia mai avuto.

Buon San Valentino,

M.

Lesse e rilesse quelle poche parole, cercando di trovarvi altri significati, mentre Ginny esultava silenziosamente al suo fianco.

La Potter prese una rosa e la avvicinò al naso, sentendone il meraviglioso profumo.

“Va da lui” disse immediatamente l’amica.

Camille la guardò incerta.

“Fregatene di ciò che dice la gente, Harry e gli altri capiranno” continuò “la scelta è solo tua”.

Lil le sorrise, decisa più che mai, poi si voltò e si diresse fuori dalla torre.

Mentre correva per le scale si rese conto che non sapeva dove trovarlo, forse avrebbe dovuto controllare la Mappa del Malandrino.

Pensò anche che poteva essere in sala comune, ma in tal caso lo avrebbe fermato in sala grande, fregandosene di tutta la gente presente.

Arrivata alla fine della scalinata di marmo Camille si fermò, e di colpo ebbe la necessità di appoggiarsi al muro.

Mizar era di fronte a lei, davanti alla porta della sala con i suoi cugini.

Come se fosse stata colpita da un fulmine, in quell’istante si rese conto di cosa provava davvero per quel ragazzo.

Fissava i suoi capelli biondi muoversi al ritmo della brezza che c’era in corridoio, fissava la sua bocca rosea, i suoi lineamenti dolci.

Lo guardava ridere con Dione ad una chissà quale battuta di Deimos, appoggiato con noncuranza al muro in una posa talmente aggraziata da far invidia ad un qualsiasi modello.

Camille rimase perfettamente immobile a guardarlo, dimenticandosi perfino di respirare, finchè i suoi polmoni non reclamarono spasmodicamente l’aria e gli occhi iniziarono a bruciarle.

Fino a quel momento non si era accorta di nessun cambiamento nei suoi pensieri, ma a quel punto dovette necessariamente accettare un fatto fondamentale per lei.

Si era innamorata di Mizar.

Disperatamente, perdutamente innamorata.

Trasse un respiro, finalmente consapevole dei suoi sentimenti verso quello strano ragazzo, e mosse il primo passo.

Ne fece un altro.

Poi un altro.

Un altro ancora.

Alla fine si mise a correre, fermandosi solo quando fu certa di essere tra le sue braccia.

 “Ehi Lil che….” ma Mizar dovette necessariamente interrompersi, perché la ragazza, incurante di tutti i presenti, aveva poggiato le labbra sulle sue.

L’intera sala cadde nel silenzio, mentre i due si baciavano sotto lo sguardo trionfante di Dione e quello sconvolto di Deimos.

Gli altri erano tutti curiosi di vedere come sarebbe andata a finire, consci della storica battaglia tra le case di Grifondoro e Serpeverde.

Quando si staccarono, parecchio tempo dopo, lui la guardò.

“E con tuo fratello? Con i tuoi amici?” domandò.

“Quest’estate ho sentito una frase in un film babbano. Non si vive per accontentare gli altri” gli bisbigliò all’orecchio.

Mizar continuò a fissarla incerto, non gli importava di ciò che avrebbero pensato i suoi cugini, ma non avrebbe mai messo in pericolo il rapporto tra Camille e la sua famiglia.

Lei stava iniziando a sentirsi ferita, perché non voleva capire quanto tenesse a lui?!

Senza che potesse fermarla una lacrima di delusione le solcò la guancia.

“Se mi vuoi davvero Mizar, troveremo il modo di superare qualsiasi problema, faremo accettare a tutti la nostra storia” sussurrò “decidi ora, o lasciami andare”.

Il Serpeverde inizialmente non rispose, poi finalmente le sorrise, si chinò su di lei e posò le labbra sulle sue, mentre tutti gli altri studenti, eccetto Deimos, scoppiavano in un applauso sincero.

Mentre si baciavano non potevano sapere che stavano avendo gli stesso pensieri.

Per un attimo entrambi furono certi che sarebbe andato tutto bene, che tutti avrebbero accolto con favore quella relazione.

Si convinsero che nulla sarebbe mai andato storto.

Non avevano idea di quanto si stessero sbagliando.

 

Ron correva più veloce che poteva verso la biblioteca.

Doveva trovarla, doveva dirle ciò che provava, a costo di perderla davvero.

Quando arrivò davanti alla sala, però, dovette necessariamente fermarsi.

Una piccola folla era ferma fuori dalla stanza, con Madama Pince in testa a tutti.

Una coltre di fumo denso e nero usciva dalla biblioteca e Ron la riconobbe immediatamente.

Aveva visto centinaia di volte i suoi fratelli intenti a provare la Polvere Buiopesto Peruviana nel vecchio capanno dei genitori, troppe per non capire al volo cosa fosse.

Il ragazzo guardò gli studenti presenti uno ad uno, ma non vide la faccia della Caposcuola.

Probabilmente è andata a chiamare la McGranitt…” pensò, ma decise comunque di chiedere alla bibliotecaria “Madama Pince, ha visto Hermione Granger?”

La donna guardò tutte le ragazze intorno a loro, poi si portò le mani sulla bocca.

“Oh santo cielo! Sono certa che non sia uscita, deve essere rimasta dentro!” esclamò.

Non appena sentì quelle parole Ron si lanciò in mezzo alla polvere, senza pensare al fatto che non avrebbe visto praticamente nulla.

“HERMIONE!” chiamò “HERMIONE!”

Ma lei non rispose.

Strizzando gli occhi il ragazzo iniziò a passare tra gli scaffali, vedendo fogli e libri qua e la, lasciati in giro per scappare in fretta dalla stanza.

Poi vide la sua borsa, poggiata accanto ad una pila di tomi.

“HERMIONE!” gridò di nuovo, senza però ottenere nulla.

In quel momento, a terra, vide una cosa che non doveva esserci, perché la ragazza non se ne sarebbe mai separata volontariamente.

10 pollici e tre quarti, legno di vite, nucleo in corda di cuore di drago, lucidata da poco, trattata come un gioiello prezioso, la bacchetta di Hermione era li.

Il cuore di Ron perse un battito, mentre un’idea spaventosa cominciava a prendere campo nella sua mente.

“HERMIONE!” urlò “HERMIONE TI PREGO, RISPONDIMI!”

E di nuovo, nessuno replicò.

Lei non c’era.

Era stata portata via.

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Capitolo 23
*** Il piano ***


 

Buongiorno a tutti :)

Scusate per il ritardo, ma purtroppo in questo periodo la mia ispirazione ha deciso di prendersi una bella vacanza, quindi faccio una fatica enorme a scrivere.

Il capitolo non è venuto come speravo, ma mi auguro che vi piaccia comunque.

Bacioni,

Ale

PS. Grazie di cuore a tutti coloro che recensiscono e mi sostengono :)

 

23. Il piano

Hermione si svegliò di botto, trovandosi su un duro e minuscolo lettino.

Si guardò intorno, rendendosi conto di essere in un angusto luogo immerso nella penombra, tremendamente simile ad una caverna.

C’era un altro letto simile al suo di fronte a lei, sfatto ed anche più piccolo.

Faticò non poco ad alzarsi in piedi, sentendosi debole e spossata, ma senza comprenderne il motivo.

I suoi vestiti erano completamente impolverati, le calze della divisa erano strappate all’altezza delle ginocchia, il maglioncino era scucito su una spalla.

Non capì come potesse essersi ridotta in quel modo, ne tantomeno come potesse essere finito in quel posto, ricordava solo di essere andata in biblioteca, di essere stata avvolta da una strana nebbia, poi il vuoto, era stata colpita alle spalle ed era svenuta.

Di fronte a lei c’era un tavolo, con un paio di sedie di fianco e una candela consumata sopra, l’unica cosa che illuminasse tutto lo spazio.

“Hermione…sei tu?” chiamò una vocina.

La ragazza si voltò di colpo, avendo anche un piccolo capogiro, mentre una figura minuta veniva fuori dal buio.

Era vestita con una maglietta troppo grande che le arrivava alle ginocchia, con un paio di calzini a coprire i piedini nudi, il visino era visibilmente dimagrito e solcato dalla paura.

“Juliet!” esclamò quando si rese conto di chi fosse, correndo poi ad abbracciarla “Stai bene? Tutto ok? Ti stanno cercando tutti! Dove siamo?”

La bambina affondò la testa nell’incavo del suo collo, mentre la Caposcuola la stringeva più che poteva, e fece per rispondere, ma fu preceduta ed interrotta.

“Era ora che ti svegliassi, Mezzosangue” commentò una voce che veniva da davanti a loro, e che lei riconobbe subito.

“Malfoy!” ringhiò, raddrizzandosi e portando la bambina dietro alle sue spalle per difenderla “Dove siamo? Liberaci immediatamente!”

Si avvicinò a quella voce, trovandosi però ostacolata da una spessa grata di metallo che li separava.

Il ragazzo la guardò con un sopracciglio alzato.

“Secondo te lo farei?” domandò retorico.

Lei non gli rispose, continuando a fissarlo con uno sguardo di fuoco.

“Appunto” aggiunse beffardo lui.

Hermione si frugò nelle tasche.

“Dov’è la mia bacchetta?!” urlò.

“Ad Hogwarts, credo” rispose Draco “perlomeno io l’ho lasciata li”.

La ragazza, presa da un impeto di rabbia, iniziò a battere sulle sbarre alla Babbana, ma quelle ovviamente non si mossero di un millimetro.

“Quindi sei stato tu!” esclamò, sempre più infuriata “Sei tu che attacchi tutta quella gente!”

Lui si sedette su una sedia al di la della grata, apparentemente tranquillo come una pasqua.

“Ti ho portato via dalla biblioteca da solo, ma per la verità gli attacchi sono opera mia e di Deimos” specificò “mi sono divertito un sacco a vedere l'espressione disperata di Lenticchia. Dopo che ha trovato la tua bacchetta era talmente preoccupato che non gli passato nemmeno in testa di controllare meglio. Tu ed io siamo rimasti nascosti dentro il Reparto Proibito fino a due ore fa”.

“Perché?” domandò lei.

Draco iniziò a giocherellare con la sua bacchetta, rigirandosela tra le dita.

“Visto che sei rinchiusa li dentro non credo ci sia nulla di male a raccontartelo, tanto non avrai modo di dirlo a nessuno” disse.

Juliet si avvicinò ad Hermione, arpionandole una mano e stringendosi al suo fianco.

“Diciassette anni fa mia zia Bellatrix scovò un libro di Arti Oscure, dove c’era un incantesimo che poteva riportare in vita i morti…”

“Non esiste nessun incantesimo del genere” lo interruppe Hermione.

Malfoy si alzò si nuovo, avvicinandosi così tanto alle sbarre che la ragazza dovette spostarsi.

“Forse non per voi” sussurrò, in modo che solo lei potesse sentirla “sacrifichereste mai tre anime innocenti, tre persone perfettamente sane, per riportarne in vita una?”

“Certo che no” bisbigliò lei, lanciando un’occhiata allarmata a Juliet e abbassando ancora di più la voce, per non far udire quelle parole alla bambina.

“Esattamente, noi invece si. Per questo a voi questa magia è preclusa, e probabilmente lo sarà sempre” aggiunse il Serpeverde.

Hermione deglutì.

“Volete ucciderci?” domandò.

Malfoy sbuffò.

“Non fare la guastafeste Granger, non togliermi il gusto di vedere la tua faccia mentre ti spiegherò tutto il piano” esclamò, fingendosi scocciato.

“Potrei raccontarlo a tutti e fermarvi” gli fece notare lei.

Draco la guardò incerto, poi scoppiò a ridere di gusto.

“La vostra cella è stata incantata da Bellatrix e Rodolphus Lestrange, credo che la loro magia sia nettamente superiore della vostra. Sono stati bloccati tutti i vostri poteri, guarda la marmocchia, non riesce neanche più a cambiare colore”.

A quel punto Hermione si voltò, notando che effettivamente i capelli di Juliet erano neri come la pece, così come non erano mai stati, e capì anche cosa fosse quel senso di vuoto che sentiva dentro.

“In ogni caso” continuò il ragazzo “voglio dirti tutto. Come stavo dicendo, diciassette anni fa zia Bella scoprì un incantesimo antico, che non era quasi mai stato tentato, e qualora lo fosse stato non aveva avuto successo. Si diceva che, se avessi sacrificato tre persone dai cuori puri e se avessi avuto un pezzo del corpo del defunto, avresti potuto riportarlo in vita. I pochi antichi maghi oscuri che lo tentarono fecero resuscitare chi volevano, ma tutto quello che ottennero fu un corpo inerte, un guscio vuoto. Un mago indiano, allora, capì cosa mancava. Un’anima. Silente probabilmente non tenne conto di quest’incantesimo, perché fece cremare il Signore Oscure e ne conservò le ceneri, invece che spargerle da qualche parte. Quindi, i miei zii ne rubarono un po’, nell’attesa di trovare tutti gli ingredienti che servivano loro”

“E ora li hanno?” chiese la ragazza.

“Aspetta Mezzosangue, fammi andare per gradi” sbottò Draco, stavolta seriamente infastidito da tutte quelle interruzioni “dieci anni fa la mia famiglia fece evadere i Mangiamorte, nella speranza che potessero aiutarli nella ricerca, ma fallirono tutti e, lentamente, furono catturati di nuovo, uno ad uno. Zia Bella quindi decise di recarsi in India, presso i discendenti di quell’antico mago che aveva perfezionato l’incantesimo. Gli venne raccontato che, il più delle volte, i cuori puri albergano in ragazzi, in persone giovani, perché inevitabilmente nella crescita faremo qualcosa che ci guasterà. E qui entriamo in gioco noi. Quest’estate i nostri genitori hanno deciso di trasferire i miei cugini perché Deimos potesse aiutarmi nella ricerca. Dione e Mizar ovviamente non sanno nulla, poiché non lo avrebbero mai accettato, sono troppo buoni. Ti dirò che ancora mi chiedo perché siano finiti a Serpeverde, sono dei Tassorosso mancati. Deimos è abituato a eseguire gli ordini senza chiedere, quindi nemmeno sa del piano, ma io mi sono fatto dire tutto da mio padre, non mi andava di finire nei guai senza nemmeno saperne il motivo”.

Hermione non replicò, mentre un’idea particolarmente agghiacciante si faceva strada nella sua testa.

“Quindi ora ci ucciderete?” mormorò.

Di nuovo, Malfoy scoppiò a ridere.

“Non dire sciocchezze Grander, tu non hai un cuore puro. Inizialmente lo pensavamo, ma abbiamo controllato. Se non darai troppo fastidio forse i miei zii ti lasceranno in vita” rispose.

“Allora perché mi avete preso?”

“Stavi diventando scomoda, avresti potuto scoprirci, e noi non potevamo rischiare”.

“E gli altri ingredienti?” chiese ancora la Caposcuola, stentando un pò su quell'ultima parola.

Non le piaceva pensare a persone innocenti come ingredienti di un incantesimo.

“Per l’anima abbiamo un’idea che controlleremo a breve, per quanto riguarda il pezzo del corpo…per quello ci aiuterò Mira Dumas”.

Hermione alzò le sopracciglia.

“La ragazza di Beauxbatons?! È in combutta con voi?!”

“Certo che no sciocca, ma è entrata in possesso delle ceneri del Signore Oscuro, anche se non ha idea di cosa siano in realtà. È la sorella di Mizar”.

A quel punto, le strabuzzò gli occhi sconvolta.

“La sorella di Mizar Lestrange? Scherzi?”

“Assolutamente no, ma il mio caro cuginetto non lo sa e non so quando lo scoprirà. Non sta a noi dirglielo, almeno per ora”.

Draco si alzò, avvicinandosi ad una massiccia porta di legno alle sue spalle che la ragazza non aveva notato prima.

“Devo tornare a scuola, divertitevi” le schernì.

“Aspetta Malfoy!” esclamò Hermione “Non siamo più ad Hogwarts, vero?”

“Certo che no, siamo al centro di una proprietà della mia famiglia, in mezzo ad un bosco” rispose.

“E come ci siamo arrivati?”

Il ragazzo tirò fuori dalla tasca della divisa un pettinino verde, sventolandolo davanti a lei.

“Sia benedetta la Stanza delle Necessità, mi sorprende sempre” esclamò “avevo chiesto una passaporta per andare e tornare, e quando ho aperto la porta a terra c’era questo”.

La Caposcuola non rispose, mentre lui apriva la porta, dietro la quale c’era una scalinata immersa nella penombra.

“Dimenticavo, non tentate di scappare” aggiunse, voltandosi di nuovo verso di loro “sarebbe tutto inutile”.

E, sghignazzando apertamente, salì di corda i gradini.

Hermione iniziò a spostarsi qua e la per la stanza, cercando una via di fuga, mentre Juliet si arrampicava su una sedia.

“Non c’è niente, ho già provato io” mormorò la bambina.

“Sei sempre stata qui?” le chiese la ragazza, sedendosi di fianco a lei.

“Oh si, sono sempre stata sola, ma ogni tanto è venuta a trovarmi zia Bella. Mi ha chiesto come sta la nonna, e mia detto pure che le somiglio” rispose la piccola, storcendo il nasino mentre pronunciava quell’ultima frase, evidentemente non amava molto quella somiglianza con il ramo cattivo della sua famiglia.

“Credo si sia rincitrullita” continuò “ogni volta che ci incontriamo a Diagon Alley non ci guarda neanche in faccia. Lei ci odia”.

Juliet scese dalla sedia e abbracciò forte Hermione, affondando di nuovo la testa nell’incavo del suo collo, e fu allora che la Caposcuola si ricordò dell’inconsueto colore di capelli della bambina.

“Juls, perché sono neri?” domandò.

“Sono i miei capelli naturali, come quelli di nonna Andromeda...e di zia Bellatrix” rispose “quelli di Teddy invece sono biondi, come papà”.

Alla bimba sfuggì un piccolo singhiozzo.

“Mi mancano. Mi manca la mamma, papà e pure Ted” bisbigliò.

Hermione sospirò.

“Ci troveranno tesoro, dobbiamo solo aspettare…” sussurrò, rendendosi però conto che non poteva assicurarle nulla.

Erano in mezzo ad un bosco, non sapevano in che punto preciso, non avevano modo di uscire ne di comunicare con l'esterno.

Erano in trappola.

In quel momento non riuscì a fare a meno di correggersi mentalmente.

"Aspettare...e sperare".

 

 

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Capitolo 24
*** Un corpo, due anime ***


 

Ok, qui la cosa si fa tragica, non riesco più a scrivere un capitolo decente.

Ringrazio tutti coloro che nelle recensioni tentano di rassicurami dicendo che il capitolo è bello, ma a me fanno sempre più schifo.

Bo, non so cosa mi prende.

Vi lascio il nuovo capitolo, scusate se non è un granchè.

Bacioni,

Ale

 

24. Un corpo, due anime

Hogwarts non era mai sembrata così ostile.

Da che anche Hermione era scomparsa, l’intera scuola aveva alzato la guardia.

Gruppetti di studenti si muovevano a ranghi qua e la, nessuno lasciato solo.

I professori accompagnavano sempre da una lezione all’altra gli studenti più piccoli, spesso anche quelli più grandi.

Silente e la McGranitt avevano seriamente discusso di una eventuale chiusura della scuola, ma il consiglio si era strenuamente opposto.

Essendo formato perlopiù da membri di antiche famiglie Purosangue e vecchi Serpeverde, non capivano perché solo per la sparizione di semplici Mezzosangue dovevano rimetterci tutti.

Pensavano anche che, essendo Juliet un’esterna della scuola, la sua scomparsa fosse anche di minor conto.

C’era addirittura chi, come i Serpeverde, ritenevano che fosse la giusta punizione per Remus.

Al sicuro nella sua Sala Comune Pansy Parkinson, mentre chiacchierava con Dafne Greengass, si era azzardata a dire che gli stava bene, così imparava a usare Hogwarts come una succursale di un asilo Babbano.

Memorabile però era stata la reazione di Dione, che aveva sentito per caso quelle parole.

“Come puoi essere così crudele?!?” aveva sbraitato, facendo girare tutti la Sala Comune verso di loro “E’ una bambina santo cielo!”

E per concludere in bellezza le aveva pure mollato un bel ceffone sulla guancia.

Pansy era rimasta in silenzio, rossa come un peperone sia per la rabbia che per l’imbarazzo, sapendo che non poteva risponderle.

Se nel resto della scuola le gerarchie e le classi sociali erano scomparse ormai da tempo, giù nei sotterranei esisteva ancora una lista di famiglie a cui bisognava portare un rispetto assoluto e i Lestrange, al contrario dei Parkinson, erano una di queste.

Pansy non avrebbe mai potuto maltrattare Dione senza essere come minimo diseredata dai suoi genitori.

Dione, dal canto suo, non aveva mai usato l’influenza che aveva il suo nome, ma quella volta era stata ben lieta di sfruttarlo per dare una lezione a quell’oca.

La maggior parte dei Serpeverde non temeva i rapimenti, poiché ritenevano che essendo stati presi una Sanguesporco e una Mezzosangue loro non sarebbero nemmeno stati sfiorati.

Il resto della scuola era molto meno ottimista, nonostante Silente avesse anche chiamato una squadra di Auror per sorvegliare la scuola.

Gli agenti di solito rimanevano intorno al perimetro o si addentravano nella foresta proibita, ma spesso li si vedeva anche girare per i corridoi.

Quando i Malandrini entravano a scuola, per esempio per aggiornare il preside sulle indagini, venivano accerchiati dal nutrito clan dei loro figli per sapere qualcosa di più.

Ormai anche loro tenevano sempre gli occhi aperti, non volevano rischiare di perdere qualcun altro.

Camille non riusciva a girare senza essere costantemente controllata sa Samuel e Ted, Ginny veniva sorvegliata da Harry e Ron.

Quest’ultimo poi era sempre più preoccupato e scontroso, spaventato com’era per la sorte della sua Hermione.

Per qualche strano motivo si riteneva responsabile, pensava che se la fosse andato a cercare prima forse non sarebbe mai scomparsa.

La Mappa del Malandrino non veniva mai riposta, era sempre controllata da qualcuno per essere certi che la Caposcuola o Juliet non ricomparissero da qualche parte del castello.

I ragazzi non avevano paura, erano più che determinati a ritrovare le loro amiche, a costo di setacciare l’intero mondo magico, e anche quello Babbano.

A poche ore dalla scomparsa di Hermione Ron e Harry avevano seriamente accarezzato l’idea di abbandonare la scuola, di unirsi alle squadra di ricerca di Auror o di intraprendere delle indagini da soli.

Miracolosamente Lily era riuscita a prevedere le decisioni del figlio, e gli aveva spedito una lunga lettera in cui lo pregava di aver fiducia in suo padre e negli altri, poiché James e Sirius avevano giurato sul loro onore che avrebbero riportato entrambe a casa.

Pur senza abbandonare definitivamente la loro idea avevano deciso di continuare le indagini che avevano intrapreso tempo prima, interrogando coloro che erano stati attaccati e battendo palmo a palmo la biblioteca.

Fino a quel punto era stato un buco nell’acqua, non avevano trovano nulla che potesse aiutarli, nemmeno il più piccolo degli indizi.

Ron aveva pregato di Silente di lasciargli la bacchetta di Hermione, che teneva sul comodino per vederla ogni mattina, come monito di ciò che rischiava di perdere.

I signori Granger tenevano una fitta corrispondenza  con i Malandrini e venivano visitati ogni finesettimana per essere aggiornati sulle ricerche.

Anche se non lo dimostravano entrambi erano distrutti.

Temevano di perdere per sempre la loro unica figlia per una cosa, la magia, che loro non avrebbero mai potuto combattere.

Al pari di Teddy con i suoi genitori, anche Harry si sentiva praticamente ogni giorno con i suoi, per sapere costantemente gli sviluppi delle ricerche.

Sospettava di essere diventato un tantino asfissiante.

Il ragazzo camminava a passo spedito verso la Guferia, con una lettera per suo padre da affidare ad Edivige.

Ron di era offerto di accompagnarlo, ma il Cercatore aveva preferito che l’amico accompagnasse Ginny in biblioteca.

Stringeva tra le mani una pergamena bella lunga, in cui tentava di mostrarsi tranquillo ai loro occhi ma dove chiedeva esplicitamente ulteriori notizie.

Superò rapidamente il quadro di Sir Cadogan, il cui protagonista tentò anche di intavolare una conversazione, ma si fermò nel corridoio successivo sentendo dei passi alle sue spalle.

Si voltò sfoderando allo stesso tempo la bacchetta, alzando ancora di più la guardia.

“Chi c’è?” domando ad alta voce.

Nessuno rispose, ma i passi ripresero finchè Draco Malfoy non svoltò l’angolo con un sorrisetto beffardo sul volto.

“Salve Potter” disse “come mai da queste parti?”

“Potrei farti la stessa domanda” rispose Harry “la tua Sala Comune non è sottoterra?!”

Draco non rispose, continuando a fissarlo sorridendo.

”Come sta la Granger?!” chiese poi.

Harry diventò rosso dalla rabbia.

“Non ti riguarda”.

In quell’istante il sorriso del Serpeverde si allargò ancora di più, mentre alle spalle del Grifondoro compariva un’altra figura senza che questo se ne accorgesse.

Un lampo di luce guizzò nell’aria, colpendo poi Harry in piena schiena.

“Deboluccio, questo Potter” commentò Deimos avvicinandosi a loro “farsi atterrare da un Petrificus, ma dai…”

Draco annuì.

“In effetti di solito è un osso duro” convenne “sarà in pensiero per la sua adorata Sanguesporco”.

I due scoppiarono a ridere all’unisono, mentre gli occhi di Harry schizzavano da uno all’altro Serpeverde, confusi ed infuriati.

“Basta Draco” esclamò Deimos ad un certo punto, tornando serio di botto “fammi vedere questa famosa Stanza delle Necessità”.

Malfoy annuì, poi iniziò a camminare su e giù.

Pochi secondi dopo, di fronte all’arazzo di Barnaba il Babbeo bastonato dai Troll comparve una lucida porta di legno.

Corpus locomotor” declamò il Lestrange puntando la bacchetta sul corpo inerte del ragazzo.

Se per Harry e gli altri quel posto diventava un luogo di piacere, per i due Serpeverde diventò una specie di stanza delle torture.

Quando Draco spalancò la porta si trovarono in una spoglia stanza di pietra, con un semplice tavolo e due sedie poste al centro con un mucchietto di catene attaccate al muro di fronte.

Fecero cadere pesantemente il ragazzo a terra e lo incatenarono alla parete.

“Bene” fece Deimos “sei il migliore in Occlumanzia, fallo tu”.

Il cugino annuì, poi puntò la bacchetta sulla fronte dell'altro Cercatore.

Legiliments”.

E Draco vide tutti i pensieri di Harry.

Vide le risate con Ron e Hermione, le partite di Quidditch con i Malandrini, le passeggiate con Ginny, i sogni, le paure…

Alla fine vide qualcosa che non doveva esserci.

Vide un Harry di otto o nove anni fissare intensamente un serpente allo zoo, lo vide parlarci, lo sentì esprimersi in Serpentese, mentre Lily e James lo guardavano attoniti e spaventati.

Vide un bambino di appena cinque anni ordinare ad un serpentello di spaventare la sorellina che giocava in giardino, che poi era scappata chiamando la madre.

Un attimo dopo trovò ciò che cercava.

Da che ne aveva memoria aveva sempre sentito la storia di come era perito il Signore Oscuro, ma quel giorno non c’era stato nessun Mangiamorte e quindi non avevano la certezza di come fossero andate realmente le cose.

Vide una radura in un bosco, i Potter, Black e Lupin vestiti elegantemente, vide una donna con un abito da sposa.

Vide un ometto basso e grassottello a terra, a metà strada tra loro e il Signore Oscuro.

Vide comparire Silente, vide un raggio di luce verde scaturire dalla bacchetta del preside, vide Lord Voldemort cadere definitivamente.

Harry, che aveva solo pochi mesi quel giorno, non poteva avere memoria di quell’evento.

Quello che stava guardando doveva essere per forza un ricordo di prima mano, non una semplice immagine ricostruita grazie ai racconti altrui.

Draco lasciò definitivamente andare la mente di Harry, con un’espressione trionfante in viso.

“C’è!” esultò “Tua madre aveva ragione! Nel corpo di Potter vive anche l’anima del Signore Oscuro!”

Deimos esultò a sua volta.

“Meraviglioso” esclamò “possiamo ributtarlo fuori”.

“Non dovremmo farlo sparire? Potremmo non avere un’altra occasione” gli fece notare Malfoy pensieroso.

L’altro scosse la testa.

“Mia madre ritiene che convenga aspettare, ora la guardia è troppo alta. Faremo aspettare qualche settimana. Lasciamolo fuori e basta”.

E così fecero.

Uscirono dalla stanza e lasciarono Harry a terra, poi gli puntarono la bacchetta addosso.

Oblivion” esclamò Draco.

Confundus” aggiunse Deimos.

Quando fu colpito ad entrambi gli incantesimi, il Grifondoro svenne.

“Forse non dovevamo incantarlo allo stesso momento…” commentò il Lestrange.

“Forse…” convenne l’altro “…torniamo in Sala Comune. Andiamo”.

E ridendo si avviarono, mentre Harry rimase a terra svenuto.

 

“Non c’era bisogno che mi accompagnassi” ridacchiò Camille baciandolo sulla guancia.

“Non mi sento sicuro sapendo che vai in giro da sola” ribattè Mizar “e poi mi fa piacere starti vicino”.

Girarono l’angolo, poi videro una figura a terra.

“Harry!” esclamò Lil spaventata, correndo accanto al fratello.

Si inginocchiarono al suo fianco e lei cominciò a scuoterlo, finchè non si riprese.

Gli occhi di Harry iniziarono a vagare stancamente tra i due, poi Mizar si rese conto che era pietrificato e borbottò il controincantesimo.

“Cosa è successo?” chiese aiutandolo a sedersi.

“Non…non ricordo…” mugugnò il ragazzo massaggiandosi la testa, dove trovò pure un bel bernoccolo “…non ricordo niente. Perché sono venuto quassù?”.

“Dovevi spedire la lettera a mamma e papà” gli rispose dolcemente la sorella.

“Riportiamolo in Sala Comune” decise il Serpeverde “non è prudente rimare qui”.

Insieme aiutarono Harry ad alzarsi, poi si incamminarono verso la torre di Grifondoro.

Non incontrarono nessuno per strada, professori o fantasmi che fossero.

Quando serviva non c’erano mai.

Nel momento in cui arrivarono davanti al buco del ritratto Camille pronunciò sbrigativa la parola d’ordine, poi fecero per entrare.

“Alt! Fermatevi!” gridò la Signora Grassa.

“Che c’è signora?” domandò irritata la ragazza.

“Lui non è un figlio di Godric” esclamò indicando Mizar “non può entrare”.

Camille fece per ribattere, ma lui la fermò.

“Ha ragione” disse semplicemente “non posso. Ti aspetterò qui, non mi muoverò di un centimetro. Promesso”.

Lei fece per pensarci.

"Torno subito" gli assicurò alla fine, poi si avviò dentro, chiamando a gran voce Samuel e Ted.

Quando il quadro si richiuse di botto Mizar si appoggiò al muro li accanto.

Sfilò lentamente la bacchetta dalla divisa, rigirandosela poi tra le dita.

Non gli andava di farsi trovare con la guardia abbassata.

Poco senti dei passi avvicinarsi, finchè non vide Ron e Ginny.

“Che ci fai quassù Lestrange?” domandò il ragazzo “Non abiti nei sotterranei?”

La sorella lo fulminò.

“Educato, Ron” commentò, rivolgendosi poi al Serpeverde “devo chiamarti Camille, Mizar?”

Lui scosse la testa.

“Conviene che entriate, abbiamo trovato Harry svenuto in un corridoio” disse.

Ai due non servì sentire altro, corsero immediatamente dentro la Sala Comune.

“Che diavolo succede?” urlò Ron avvicinandosi al gruppetto attorno ad un divano di fronte al fuoco.

Il suo migliore amico era lì, con una tazza di tè in mano ed un’espressione infuriata sul viso.

“Harry!” disse sedendosi al suo fianco “Come stai?”

“Bene” sbottò quello “ma mi hanno obliviato. Camille dice che mi hanno trovato pietrificato”.

Vedendo che nessuno si era fatto seriamente male la piccola folla si disperse, lasciando solo loro davanti al camino.

“Io dico di andare nei sotterranei e vendicarci” fece Samuel senza smettere di fare avanti e indietro sul tappeto “tanto lo sappiamo che sono stati i Serpeverde”.

Quatta quatta Ginny trascinò via Camille, mentre i ragazzi continuavano a fare le loro supposizioni.

“Mizar ti aspetta fuori” bisbigliò la Weasley.

“Lo so” rispose l’altra “ma non voglio lasciare Harry solo”.

Ginny le fece l’occhiolino.

“Prometto di sacrificarmi e di fargli compagnia finchè non vorrà andare a dormire” disse.

La Potter lanciò un’occhiata indecisa al fratello, poi guardò di nuovo l’amica.

“Sicura?” domandò.

La ragazza le diede una spintarella.

“Vai, ti sta aspettando”.

Camille le sorrise, poi si avviò verso il buco del ritratto.

Ginny tornò verso il divano, sedendosi accanto a Harry.

Samuel e Teddy erano misteriosamente scomparsi (la ragaza sospettava che fossero andati ad organizzare la loro vendetta), mentre Ron stava chiedendo all’amico se volesse salire in dormitorio con lui.

“No…” rispose quello cercando di sorridergli “…ma grazie lo stesso. Preferisco rimanere ancora un po’ qui. Tu vai, tranquillo”.

Ma il ragazzo non si mosse.

“Vai Ron, rimango io con Harry” disse Ginny sedendosi.

“Ma…”

“Ron!” lo interruppe la sorella, non ammettendo repliche.

Quello le lanciò un’occhiataccia, ma poi rinunciò alla sua ritrosia nel vederli insieme, giusto perché quella sera il suo migliore amico meritava un po’ di tranquillità.

Il rosso gli diede una pacca sulle spalle, poi si avviò per le scale.

Ginny attese che il fratello scomparisse, poi si avvicinò ancora un po’ al ragazzo.

“Io invece ho il permesso di farti compagnia?” domandò.

Harry si sforzò di sorridere anche a lei.

“Ne sarei felice” rispose.

“Mi dispiace” continuò la ragazza, scompigliandogli lievemente i capelli.

Lui ne approfittò appoggiando la testa alla sua spalla con una velocità tale che per un attimo Ginny pensò che fosse svenuto.

“Non sono arrabbiato perché sono stato attaccato, ma perché non sono riuscito a difendermi” le spiegò “come posso sperare di diventare un buon Auror se non riesco a vincere un semplice duello?!”

“Sei stato obliviato Harry, per quanto ne sai potreste anche essere stati dieci contro uno” gli fece notare lei.

“Forse, ma in ogni caso sono stato battuto. E non mi piace”.

Ginny ridacchiò.

“Voi maschi siete assurdi, non siete proprio capaci di perdere. Magari sei stato pure colpito da quelli che hanno rapito Hermione e Juliet, rischiavi di fare la loro stessa fine e pensi solo al fatto che sei stato battuto. Capisco che ti senti ferito nell’orgoglio, ma devi ringraziare il cielo che non sia andata peggio. Capito?”

Ma non ricevette risposta.

“Harry?” domandò.

Niente.

“Harry?”

Di nuovo nulla.

Lo guardò in faccia, trovandolo addormentato.

Rise sommessamente ed il ragazzo si mosse, tanto che Ginny pensò di averlo svegliato.

Ma non era così.

Harry si accoccolò ancora di più a lei, appoggiando la testa sul suo grembo e stringendole la mano, intrecciando le loro dita.

Ginny iniziò ad accarezzargli dolcemente i capelli, finendo poi per incantarsi a fissare il fuoco.

Mentre il suo sguardo si perdeva tra le fiamme non si accorse che Harry, stringendosi a lei ancora di più, sorrideva.

 

Mizar e Camille erano stretti sotto una coperta fatta comparire dal ragazzo, seduti sul duro pavimenti di pietra della torre di Astronomia.

“Io non ho paura quando sto con te” stava dicendo lei “lo so che mi difenderesti”.

Mizar le aveva appena detto che temeva che potesse succederle qualcosa.

“Ti difenderei da tutto e da tutti” convenne il ragazzo “ma io non sono coraggioso come i Grifondoro Lil, o non sarei di certo finito a Serpeverde. Odio i duelli, quando mio padre ha cercato di insegnarmi a combattere ha rinunciato dopo un’ora. Io amo i libri, amo studiare, sono un secchione. Ho paura di non essere in grado di proteggerti, se qualcuno ci attaccasse”.

Lei avvicinò le labbra alle sue.

“Sono certa di si, invece” sussurrò “mi fido di te”.

E lo baciò.

Stavo insieme ormai da qualche settimana, ma ogni volta che si baciavano era come se lo facessero per la prima volta.

Non si erano neanche resi conti di quanto fosse forte il legame che li univa, forse non si erano resi veramente conto di ciò che provavano l’uno per l’altra.

I baci che si scambiavano erano pieni d’amore, tutti se ne erano accorti tranne loro.

Quando si staccarono Mizar la guardò negli occhi, sorridendole poi dolcemente.

“Non ci credo, è la prima volta…” le sussurrò.

“Cosa?” domandò lei confusa.

“Che mi innamoro” rispose semplicemente lui “ti amo, Camille Potter”.

Lei lo fissò attonita per qualche secondo, poi si lanciò di nuovo sulle sue labbra.

“Ridimmelo” sussurrò poco dopo.

“Ti amo, Lil” ripetè lui.

La ragazza sorrise, poi si abbasso sul suo orecchio.

“Ti amo anch’io” mormorò dolcemente, e lo baciò ancora.

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Capitolo 25
*** Le verità celate ***


 

Salveeeeeeeee!!!!! :D

Grazie a tutti! Per le recensioni, per i complimenti, ma soprattutto per l'incoraggiamento che mi è stato utilissimo!!

Questo capitolo in effetti mi piace abbastanza, quindi spero che piaccia anche a voi! :)

Baciiiiii

Ale

PS. La Pozione Corroborante l'ho trovata su HP e il Prigioriero di Azkaban, la frase del corvo è la stessa di HP e i Doni della Morte.

PPS. Piccolo spoiler, nel prossimo capitolo un BACIO! :P

 

 

25. Le verità celate

Marzo stava velocemente volgendo al termine, portandosi via le giornate fredde e piovose e aprendo finalmente la strada alla primavera.

In una tiepida mattinata, Mira camminava tranquilla per i corridoi, godendosi appieno quei primi scampoli di vero bel tempo, quelle prime tracce di sole.

“Dumas” salutò una voce alle sue spalle.

La ragazza alzò gli occhi al cielo.

“Vattene via Malfoy” sbottò.

Erano più di due mesi che quel ragazzo le stava alle costole, il più delle volte accompagnato da Deimos, suo (ancora gli riusciva difficile pensare di essere parente di un tipo del genere) cugino.

Di solito, quando era con i suoi amici, i Serpeverde non osavano avvicinarsi, ma il vero problema erano quei momenti in cui si trovava da sola, quando quei due si materializzavano inspiegabilmente al suo fianco.

“Deliziosa come sempre, cherie…” commentò il ragazzo, con un sorrisetto falso “sai quanto io detesti doverti correre dietro, quindi dammi ciò che voglio e sarò ben lieto di non rivolgerti mai più la parola”.

Mira si portò involontariamente una mano sul cuore, accanto al quale era poggiato l’ultimo dono di sua madre, quella boccetta che doveva custodire nonostante non sapesse nemmeno cosa contenesse.

“Tra poco arriverà Noah, lasciami in pace” mormorò lei, fulminandolo con un’occhiataccia.

Draco scosse leggermente la testa.

“Non provarci, lo so che il mio caro cuginetto è in infermeria con la febbre” ribattè.

“E’ tuo cugino?!” domandò sbalordita lei.

“Oh si stellina, mia madre è una Black” rispose “ma non cambiare discorso, dammi quella maledetta ampolla e ti lascerò in pace”.

Mira provò ad accelerare, ma Malfoy la fermò per un braccio.

“Fino ad ora abbiamo giocato” la avvertì “ma ti conviene non farmi perdere la pazienza, lo dico per te”.

Lei si divincolò.

“Te lo ripeto, lasciami in pace” e si lanciò nell’aula di Trasfigurazione, al sicuro sotto lo sguardo vigile della McGranitt.

Draco scosse la testa, ma gli venne spontaneo l’ennesimo sorrisetto.

Un osso duro…” pensò, mentre tornava il Sala Comune per godersi la sua ora libera “…ma dopotutto è pur sempre una Lestrange”.

 

“…per cui ragazzi, per domani voglio un saggio di 50 cm sui vantaggi e gli svantaggi della Pozione Corroborante”.

Quest’ultima frase di Lumacorno fu accolta con un sonoro sbuffo dall’intera classe di Pozioni del quarto anno, consci dell’enorme mole di compiti che dovevano fare per il giorno successivo.

Tutti iniziarono a gettare i libri, le pergamene e le piume alla rinfusa nelle borse o nei calderoni, poi uscirono velocemente dall’aula, ognuno diretto nella propria Sala Comune per immergersi immediatamente nello studio.

Quando Mira uscì dalla classe, non fece in tempo ad imboccare le scale che di trovò Deimos da un lato e Draco dall’altra.

“Salve cugina” salutò il Lestrange “com’è andata la lezione?”

La ragazza non rispose, ma accelerò il passo.

“Oh, rimani pure in silenzio se credi, ma tanto lo sappiamo che Lumacorno ti odia” disse Draco passandole un braccio sulle spalle, che lei spostò immediatamente.

“Sai, se ti decidessi a dire a tutti chi sei inizierebbe a lodarti” gli suggerì il cugino “lui adora le famiglie antiche e potenti, e tu ne potresti fare parte…forse”.

Forse non avete capito che non voglio essere una Lestrange” sibilò lei “ne tantomeno usare le vostre scorciatoie”.

I due sorrisero beffardi.

“Così corretta…” commentò Draco scuotendo la testa.

“…ecco perché non sei a Serpeverde con noi” aggiunse l’altro incrociando le braccia al petto.

Mira approfittò di quell’attimo di distrazione per cerca di sfuggire ma fu inutile, la riacciuffarono subito.

“Ok, sono stufo” annunciò tranquillo Deimos “dacci quella boccetta e prometto che ti lasceremo in pace. Parola d’onore. Se non ce la darai di tua spontanea volontà la prenderemo con la forza”.

La ragazza finì di salire le scale in silenzio, con entrambi al suo fianco, pensando.

Sua madre l’aveva supplicata di tenerla con cura, ma in fondo non sapeva neanche cosa contenesse.

Iniziò a portarsi le mani al collo, ma si bloccò subito.

“No” esclamò, non avrebbe tradito l’ultimo desiderio di Sophie.

“Bene”  constatò Malfoy “l’hai voluto tu”.

E fu una fortuna enorme che si trovarono sulla strada di Mizar e Camille, perché altrimenti l’avrebbero portata via senza pensarci troppo.

Non appena Lil vide arrivare i due Serpeverde diede un ultimo bacio al suo ragazzo e si avviò su per la scalinata di marmo, mentre Mizar si avvicinava ai parenti.

Di nuovo, Mira approfittò dell’attimo di distrazione di Draco e Deimos, e scappò alla sua torre.

“Perché vi vedo così spesso con quella ragazzina?” chiese Mizar indicando il punto da cui Mira era sparita.

“Zio Rabastan ti crucerà quando scoprirà che esci con quella” esclamò Deimos, senza preoccuparsi della domanda che il cugino gli aveva fatto.

“Già” convenne Draco con un’espressione schifata “non solo è una Potter, è pure una Grifondoro!”

Zio Rabastan” li scimmiottò “se ne farà una ragione, cosa che dovreste fare anche voi. Ma non cambiate discorso, perché vi vedo sempre con quella ragazzina?!”

Entrambi si guardarono incerti, non sapendo bene cosa dire.

“Draco si è preso una cotta per lei!” improvvisò Deimos, sparando la prima cosa che gli venne in mente.

“Cosa?!” domandò il suddetto Draco.

“Cosa?!” gli fece eco Mizar “Ma avrà si e no quindici anni!”

“Si bè, al nostro caro cuginetto piacciono piccole!” continuò  il Lestrange , tentando di sviare l’attenzione dal discorso Mira.

Il suddetto cuginetto fulminò Deimos, che però non si fermò.

“Glielo detto io che Pansy e Dafne sono molto meglio, ma lui non sente ragioni” continuò.

Mizar ormai rideva, lasciando perdere la sua curiosità per burlarsi anche lui almeno un po’ di Malfoy.

“Oh va bene, smettiamola con questa farsa” esclamò ad un certo punto quest’ultimo.

Deimos lo guardò confuso, Draco non poteva essere tanto idiota da rivelare tutto a Mizar.

“Quella è tua sorella”.

Appunto.

Il gemello Lestrange si battè inconsciamente una mano sulla fronte.

Perché doveva avere un cugino tanto stupido?!?

Mizar però lo guardava con un’espressione strana, un misto tra rabbia ed incertezza.

“Smettila con queste idiozie Draco” mormorò “sai bene quanto me che mia madre è morta quando ero piccolo, e che mio padre non ha più avuto nessuna compagna”.

“Bè, pare invece che Sophie sia rimasta viva e vegeta fino a poco tempo fa” spiegò Malfoy con tutta la naturalezza, ma soprattutto il tatto, di questo mondo “noi cercavamo di convincere Mira a rivelarti la sua vera identità”.

L’altro sospirò.

“Draco, questa è una bugia” disse, tentando di rimanere calmo “e questo gioco non mi piace per niente, quindi smettila prima che decida di prendere la bacchetta e schiantarti all’istante”.

Il Cercatore si avvicinò a lui, guardandolo negli occhi con un sorrisetto beffardo.

“Se non ci credi, perché non vai a chiederglielo?”

Il ragazzo sostenne il suo sguardo, ma alla fine si voltò e, decisamente in modo poco conforme alla ferrea educazione che gli era stata impartita, corse via a gambe levate.

“Complimenti” commentò Deimos “sicuramente un gran modo di dirglielo”.

“Oh falla finita” esclamò Draco “tanto prima o poi l’avrebbe saputo, questo dispettuccio è servito per vendicarci della sua storiella con la Potter”.

L’altro esplose involontariamente in una risatina.

“In effetti…” convenne “…dopotutto, siamo o non siamo dei Serpeverde?!”

 

Mizar non era mai stato alla torre di Corvonero, anzi in realtà non sapeva nemmeno dove fosse di preciso.

Andò fino al corridoio dove riteneva si trovasse l’ingresso per la Sala Comune ma non vide nulla, quindi l’entrata non poteva essere nascosta in un dipinto come per i Grifondoro.

Alla fine però notò una scala a chiocciola, sapientemente nascosta in un incavo del muro.

Salì di corsa in stretti cerchi che davano alla testa, e finalmente giunse davanti ad una porta.

Era una liscia superficie di legno antico, senza maniglia ne serratura, solo con un battente di bronzo a forma di corvo.

Tese titubante la mano e bussò una volta sola, facendo risuonare quel colpo nel silenzio che lo circondava.

A quel punto il becco del corvo si spalancò, ma invece di aprire la porta gli fece una domanda.

“Chi viene prima, la fenice o la fiamma?”

Mizar lo guardò confuso, non ne aveva idea.

“Non lo so, non sono un Corvonero”.

“Allora ragazzo dovrai rimanere fuori” gli annunciò il battente.

“Ma non c’è una parola d’ordine e basta?” domandò lui.

“Perché, se ci fosse la sapresti?”

Il ragazzo fece per rispondere, ma si blocco.

In effetti…” pensò.

“Senti, non puoi semplicemente chiamarmi Mira Dumas?” domandò poi.

Guardò il corvo, ma quello aveva richiuso il becco ed era tornato inerte, pronto a fare entra un vero membro della sua casa.

Mizar scese rassegnato la scala a chiocciola e, arrivato in corridoio, diede un paio di calci al muro di pietra, preso da un improvviso impeto di rabbia.

E fu allora che si accorse di non essere solo.

Una bambina di undici o dodici anni appena lo stava fissando atterrita, con la sciarpa di Corvonero stretta al collo.

Si guardarono per un attimo, poi il ragazzo scattò verso di lei, che arretrò impaurita con un balzo.

“Tranquilla, non voglio farti nulla” sussurrò inginocchiandosi di fronte a lei, la quale fece un altro passo indietro “mi chiameresti Mira Dumas? Dille che c’è suo…fratello che l’aspetta”.

Lei non disse di si, ne tantomeno annuì, ma strisciò di lato e, senza dare mai le spalle al Serpeverde, si avvicinò alla scala a chiocciola e corse su.

Mizar non sapeva se lei lo avrebbe fatto, ma comunque aspettò.

Quasi dieci minuti dopo, proveniente dalle scale, sentì un frenetico scalpiccio e si voltò, trovandosi di fronte Mira.

Sua sorella.

Si fissarono in silenzio, lei era semplicemente incredula.

“E’ vero?” domandò alla fine il ragazzo, con una voce stranamente ferma.

Mira abbassò gli occhi, incapace di dire nulla.

“Rispondimi, ti prego” la supplicò.

E lei, anche se impercettibilmente, annuì.

Mizar cadde a terra in ginocchio.

“Come hai potuto non dirmelo? Cos’è, lo sanno tutti tranne io?” domandò “Ho dovuto scoprirlo da Draco. Non sei mai venuta a cercarmi, non ti sei mai avvicinata…”

Mira gli si avvicinò, inginocchiandosi al suo fianco e abbracciandolo senza pensarci troppo.

Lui rimase per un attimo immobile, poi la strinse a sé, mentre le lacrime rigavano i visi di entrambi.

 

La Sala Comune era strapiena di gente, ma nessuno osava avvicinarsi ai divani di fronte al fuoco, dove sedevano Draco e Deimos palesemente arrabbiati.

Avevano litigato furiosamente, poiché dopo la tranquillità iniziale il Lestrange si era reso conto che Mira poteva sempre dire a Mizar cosa volevano da lei, e alla fine loro avrebbero dovuto raccontargli tutto.

Draco, ovviamente, non era d’accordo, così avevano finito per discutere davanti a tutta la Sala Comune.

Per quanto Deimos potesse essere disinteressato alla sorte del resto del mondo, non gli andava di dover distruggere il cugino.

Quando avrebbero fatto sparire Mira avrebbero anche spezzato il cuore di Mizar, ora che l’aveva trovata non avrebbe mai accettato di perderla di nuovo.

Poteva non essere tanto da Lestrange, da Serpeverde, ma poco gli importava.

Gli interessava solo di difendere la sua famiglia, e quello non sarebbe mai cambiato.

“Senti” mormorò a Draco, il quale nemmeno si voltò per ascoltarlo, semplicemente lo ignorò “non mi va di far star male Mizar. Mia madre mi ha detto che le ceneri dovrebbero essere in una cripta nella foresta, fuori dai confini di Hogwarts. Loro non hanno mai voluto prenderle direttamente da li perché temevano che Silente si accorgesse del furto e alzasse di nuovo la guardia. Noi però potremmo prenderla, così potremmo lasciare in pace Mira. Nessuno si renderebbe conto che siamo entrati e usciti”.

Malfoy si girò a guardarlo, pensando se si potesse fare o meno.

“Ci sto” decise alla fine “aspetteremo che tutti vadano a dormire”.

L’altro gli sorrise tendendogli la mano, che lui afferrò.

 

La torre di Astronomia non era mai stata sfruttata tanto come quell’anno.

C’erano le coppiette che vi passavano la notte, le amiche che vi spettegolavano, chi la usava per traffici illeciti.

Quella sera, però, Mizar e Mira erano seduti appoggiati al muro, mano nella mano.

“Com’era la mamma?” domandò a bruciapelo lui.

Lei rimase un attimo in silenzio, mentre un dolce sorriso le increspava le labbra.

“Meravigliosa” rispose trafiggendolo con i suoi occhi azzurri “per quanto potessimo essere solo io e lei, non mi ha mai fatto sentire la mancanza di un papà. E…lui?”

Mizar sorrise a sua volta.

“Immagino che tu abbia sentito le…voci…che girano su, e confermo che sono vere, non avrebbe senso negarle. Ti assicurò però che con me è stato un padre esemplare, non mi ha mai fatto mancare nulla” rispose “lei ti manca?”

Mira si trincerò dietro un’espressione malinconica, che il fratello si sarebbe abituato a vederle spesso in viso.

“Tiro avanti, ma quando perdi una persona ti rimane dentro, ti ricorda sempre quanto sia facile soffrire”.

Rimasero in silenzio, ognuno immerso nei suoi pensieri.

Lei stava pensando a suo fratello, a quanto fosse felice di averlo ritrovato, lui invece al loro padre, a quanto si sarebbe infuriato quando se lo fosse ritrovato davanti.

Come diavolo aveva potuto nascondergli una parte della sua famiglia per diciassette anni?

“Perché non sei venuta a cercarmi prima?” domandò ad un certo punto.

“Avevo paura che non mi credessi, che mi rifiutassi” sussurrò lei, vergognandosi un po’.

In quel momento si affacciò di sotto, vedendo due ombre che percorrevano il parco.

“Che diavolo sono quelle?” pensò.

Mizar guardò di sotto a sua volta.

“Io non vedo niente” disse.

La sorella si voltò confusa verso di lui.

“Io non ho detto nulla” disse.

Lui si girò a guardarla stranito.

“Sicura?” domandò “Io ti ho sentita parlare”.

“Non ho fiatato, stavo solo pensando” rispose sicura.

E fu allora che ricordo.

Ricordò della volta che aveva spiato suo fratello in biblioteca con Camille, e lui aveva sentito cosa lei stesse pensando.

Ricordò di quella voce che gli era risuonata in testa alla festa di Halloween, o quando lo aveva incrociato in corridoio quella volta con Noah.

Mizar, allo stesso tempo, capì dove avesse già visto la sorella.

“Il sogno…” mormorò incredulo “…tu sei quella del sogno! La ragazza di spalle!”

“Hai…hai fatto anche tu quell’incubo? Quello della stanza buia?” domandò lei.

Il fratello annuì.

“Da sempre, da quando ne ho memoria” rispose.

Mira lo guardò, mentre un’idea prendeva campo nella sua mente.

“Non saremo…telepatici?” chiese.

“Non credo, per esempio ora non sento cosa pensi. Credo che abbiamo una qualche specie di connessione mentale” suppose.

“Ma è meraviglioso!” esclamò la ragazza battendo le mani “Potremo sentirci sempre, anche quando saremo lontani!”

Lui la guardò paziente.

“Non credo che funzioni a comando, credo sia casuale, per farlo sempre dovremmo allenarci molto” commentò.

Lei sbuffò, si era già abituata a quell’idea.

“In ogni caso, che diavolo erano quelle?” domandò poi.

Il fratello scosse la testa.

“Non ho visto nulla…”

Lei si voltò di verso il parco, ma le ombre erano scomparse.

Scosse le spalle lasciando perdere, probabilmente era stato solo uno scherzo dei suoi occhi.

“Su, indovina cosa sto pensando” ridacchiò lei, fissandolo con un sorrisetto sbarazzino.

Lui chiuse gli occhi, concentrandosi.

“Emmm, non prenderla a male…ma non sento nulla” sussurrò.

Lei lo guardò ancora.

“E ora?” chiese.

Mizar serrò di nuovo le palpebre, pensando.

“Che mi vuoi bene?” provò, aprendo solo un occhio e continuando a strizzare l’altro.

Mira lo abbracciò.

“E così sarà sempre” gli sussurrò all’orecchio.

 

“Dannazione!” ruggì Deimos scaraventando a terra l’urna di porcellana, che andò in pezzi “E’ vuota! VUOTA!”

Draco si guardò intorno con la bacchetta accesa, quella era decisamente la stanza più spoglia che avesse mai visto.

“Dev’esserci stato qualcuno prima di noi, oppure Silente le ha spostate” continuò il ragazzo.

“Andiamocene cugino, questo posto non mi piace” disse Malfoy, continuando a girare in tondo.

L’altro non rispose, ma cominciò a salire le scale di corsa.

Draco lo seguì a ruota, desideroso di lasciare quella cripta il più presto possibile.

Quando furono fuori, al sicuro nella foresta proibita, il Cercatore si sentì abbastanza tranquillo da riporre la bacchetta.

“Dovremo per forza prendere le ceneri che ha Mira” commentò mentre percorrevano il sentiero “si torna al piano originale”.

Deimos annuì, scuro in volto.

“A breve la spediremo insieme alle Mezzosangue”.

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Capitolo 26
*** Primavera ***


 

SAAAAALVE A TUTTI!!! NOTE IN FONDO :D

 

26. Primavera

E alla fine, dopo un lungo e freddo inverno, il caldo tepore primaverile aveva avvolto anche Hogwarts.

Gli studenti passavano sempre meno ore nelle loro Sale Comuni, preferendo invece sdraiarsi nel parco per godersi l’aria fresca, tanto che per l’uscita mensile di Hogsmeade tutta la scuola si era svuotata, professori compresi, riversandosi per le strade del villaggio.

Aberforth Silente probabilmente non aveva mai visto tutta quella gente per bene nel suo locale, abituato com’era a loschi figuri e traffici illeciti.

Un certo gruppetto di studenti si era avventurato sulla colla collina che sovrastava il villaggio, per godersi la pace del giardino della famigerata Stamberga Strillante.

Solo loro ancora si avvicinavano a quella casa perché, sebbene nelle notti di luna piena Remus fosse perfettamente innocuo grazie alla Pozione Antilupo, le urla si sentivano ancora.

A mantenere quella nomea ci avevano pensato Samuel, Harry e Ron che, sfruttando il Mantello dell’Invisibilità di James Potter, si fingevano irrequieti fantasmi per spaventare gli studenti.

Se ne stavano tutti li, sull’erba verde del prato, per rilassarsi sotto il calduccio irradiato dal bel sole che splendeva.

Ginny, sdraiata tra Harry e Ron, aveva timidamente allungato la mano a sfiorare quella del suo Capitano e lui, ben attento a non farsi vedere dal migliore amico, aveva intrecciato le loro dita.

Samuel, poco più in la, si era sfilato la maglietta per tentare di abbronzarsi, peccato che alla fine invece della tintarella aveva ottenuto solo qualche presa in giro dagli amici.

Noah, Neville e Luna erano seduti sul gradino d’ingresso della casa, discutendo animatamente degli inesistenti sviluppi delle ricerche di Hermione e Juliet.

Camille e Ted erano seduti accanto a Sam, ma al contrario degli altri stavano fissando intensamente il sentiero, dove aspettavano di veder comparire da un momento all’altro due figure, una di certo più reticente dell’altra.

“Dici che verranno?” domandò la ragazza in un sussurro, sinceramente preoccupata.

Lui non aveva dubbi.

“Non si farà dire di no, ne sono più che sicuro” rispose sogghignando “se servirà lo porterà qui addirittura schiantato”.

 

“Muoviti Mizar, dai!” esclamò Mira tirando il fratello, il quale sembrava parecchio remissivo al seguirla.

“Senti Mira, io non credo sia il caso…” tentò lui, fermandosi di botto sul viale.

“Oh, non fare il guastafeste!” protestò la ragazza “Luna mi ha già chiesto tre volte perché siamo così amici, probabilmente se lo starà domandando anche Camille”.

Lui assunse di rimando un’espressione colpevole.

“Ehm…non arrabbiarti…” iniziò “…ma ha minacciato di lasciarmi se non le avessi spiegato tutto. Pensava che la stessi tradendo con te”.

“Anche meglio!” esclamò lei sorprendendolo “Allora andiamo!”

E il povero ragazzo non ebbe alternative, dovette necessariamente seguire la sorella.

Mentre camminavano verso la Stamberga Strillante si ritrovò a sperare che ad aspettarli ci fosse solo Camille, al massimo insieme a Ted Lupin.

Non era mai stato un tipo coraggioso, non gli andava di scontrarsi con un gruppetto di Grifondoro e i loro pregiudizi.

Ovviamente però, stesi sul prato c’erano tutti, davvero tutti.

“Ragazzi!” salutò Mira, attraversando l’erba alta.

Mizar si avvicinò quatto quatto, fissando intensamente a terra e senza rendersi conto di cosa gli succedeva intorno.

“C’è qualcosa di interessante li?” domandò una voce al suo fianco.

Il ragazzo sussultò e alzò di botto lo sguardo, trovandosi davanti due meravigliosi occhi color nocciola.

“Nervoso?” continuò Camille sorridendogli comprensiva.

Lui, dopo una piccola esitazione iniziale, annuì e lei gli strinse forte la mano.

“Andrà tutto bene” lo rassicurò dandogli un bacio a fior di labbra “ti adoreranno. Come me”.

Si fecero avanti, avvicinandosi al punto in cui Mira li aspettava, esattamente di fronte ai loro amici.

“To’, un serpentello fuori rotta. I sotterranei sono dall’altra parte, sai” commentò il primogenito dei Black, con solito tono canzonatorio.

Camille lo fulminò.

“Piantala Sam” lo redarguì.

Mira gli tese una mano e se lo trascinò accanto, era incredibile quanto un ragazzo grande e grosso come lui potesse trovarsi in imbarazzo e soggezione.

“Signori, vi presento mio fratello” annunciò indicandolo, notando poi che era diventato di una simpatica tonalità rossastra.

Tutti rimasero sconcertati, ma il primo ad aver coraggio di aprire bocca fu Ron.

“Non dire sciocchezze Mira” esclamò “se foste fratelli vorrebbe dire che tu sei una Lestrange”.

Ginny si girò ancora più sconvolta verso il suo di fratello.

“Wow Ron…” commentò “…perspicace, non c’è che dire…”

Noah, Luna e Neville nel frattempo si erano avvicinati, e il primo aveva un’espressione decisamente adirata.

Si vedeva lontano un miglio che era offeso per non aver saputo prima una cosa del genere, visto che considerava Mira come una delle sue migliori amiche.

“Perché non lo hai mai detto?” domandò.

Lei lo guardò stupida, non si aspettava un tono così freddo.

“Volevo prima dirlo a Mizar” rispose tranquilla.

Non pensava di dover chiedere scusa, ne tantomeno di doversi giustificare.

“Ma come lo avete scoperto?” chiese Harry.

“Mia madre me lo ha detto con una lettera dopo che è morta” spiegò lei “se ne è andata dall’Inghilterra prima che io nascessi”.

“Oh Santo Cielo! Come la mamma di Hagrid!” notò Luna “E’ una gigantessa anche lei?”

A quel punto tutti si girarono verso di lei, ma nessuno decise che fosse il caso di risponderle.

Camille, cogliendo quell’attimo di disattenzione, diede una spintarella a Mizar e lo guardò con un’espressione inequivocabile, ben attenta a non farsi vedere dagli altri.

Il ragazzo fece un passo avanti e si schiarì la gola, diventando ancora più paonazzo.

“So di non andarvi molto a genio perché sono un Serpeverde” cominciò “ma spero che cambierete idea, perché sono deciso a fare felice Camille, ma soprattutto a non lasciarla per un bel pezzo”.

“Lo spero per te” lo avvertì Samuel con uno sguardo vagamente minaccioso “altrimenti un’orda di vendicativi Grifondoro potrebbe decidere di darti la caccia”.

Mizar guardò istintivamente Lil, ma lei sorrise e scosse la testa, facendogli capire che l’amico scherzava, o almeno così sperava.

Ma Harry non aveva ancora detto nulla, se ne stata li, a fissare in tralice quel biondino, decidendo se credergli o meno.

Alla fine però di alzò e gli si avvicinò, porgendogli la mano.

“Mia sorella è una delle persone più importanti per me” disse “quindi sappi che se le spezzerai il cuore, io ti spezzerò le gambe. Alla Babbana, s’intende”.

Il Serpeverde non disse nulla, si limitò a stringergli le dita e ad annuire.

“Tutto sistemato allora” esclamò felice Camille, prendendolo per mano e trascinandolo seduto sull’erba al suo fianco.

Samuel a quel punto si alzò, stiracchiandosi e afferrando la maglietta.

“Buon ozio signorine” disse mentre si vestiva “io vado dalla cara Taylor”.

“Chi? Quella di Tassorosso?” chiese Ginny.

Lui annuì, con un ghigno malizioso in viso.

“Ma dai! Quella si è fatta praticamente tutta la sua casa, e metà delle altre” ribattè Camille.

“Appunto!” convenne il ragazzo facendole l’occhiolino “Perché io dovrei essere da meno?!”

E si avviò giù per la collina con il suo solito fare baldanzoso.

Mentre gli altri scuotevano la testa, esasperati da quel comportamento da Don Giovanni, anche Ted si alzò.

“Dove vai?” chiese Ron.

“Torno al castello, devo rispondere alla lettera di mio padre” rispose.

“Ma Teddy…” tentò Camille.

“Non Lil” la fermò lui “avevo promesso a Mira che ci sarei stato per sostenerla, ma voglio sapere se ci sono novità. Forse voi ve lo siete dimenticati, ma mia sorella e una nostra amica sono scomparse”.

Quando iniziò a percorrere il sentiero tutti sospirarono dispiaciuti, sentendosi un po’ in colpa per come si stavano comportando in quel periodo.

Dopo più di un mese dal secondo rapimento di notizie non ce ne erano, nonostante Harry e Ron avessero continuato le loro ricerche.

Avevano chiesto a tutti gli attaccati, studiato in un modo in cui i rapitori potevano essere entrati e usciti dalla scuola, setacciato la parte della foresta proibita entro i confini di Hogwarts palmo a palmo.

Alla fine si erano rassegnati a dover aspettare le informazioni degli Auror, cercando in un modo o nell’altro di continuare le loro vite.

Mira lanciò al ragazzo un’occhiata malinconica e indecisa, non sapendo bene come comportarsi.

Non era mai stata brava a consolare le persone tristi.

“Va da lui” gli sussurrò Mizar.

La francesina si girò, trovandosi di fronte al fratello e alla sua ragazza.

“Sicuri?” chiese lei dopo un po’ “Non dite che farei anche peggio?”

Camille le diede una spintarella.

“Vai” mormorò.

Mira non se lo fece ripetere, saltò in piedi e gli corse dietro, dimenticandosi pure di salutare gli amici.

 

Samuel si sedette sulla panchina di fronte ai Tre Manici di Scopa, salutando ragazzine urlanti qua e la.

A volta si ritrovava a pensare di essere stanco di tutte quelle attenzioni, ma quei pensieri scomparivano immediatamente quando una bella ragazza gli faceva chiaramente intendere quanto sarebbe stata felice di passare del tempo con lui.

Taylor Murray si avvicinò con il suo solito fare da gatta, con un minigonna decisamente troppo corta per quello che diceva il regolamento della scuola e una scollatura ancora pià profonda.

Teneva la bacchetta infilata tra i capelli, perché come diceva lei “le dava un’aria ancora più sexy di quanto già non fosse”.

“Ciao Sam” cinguettò “mi aspettavi da molto?”

Il ragazzo di alzò, stampandole senza perdere tempo un bacio sulle labbra.

“Solo pochi minuti” sussurrò con fare sensuale, soffiandole all’orecchio.

Taylor non era certo una che si faceva sorprendere, ma si ritrovò ad arrossire.

“Vogliamo andare?” continuò Sam porgendole il braccio, che lei afferrò decisamente orgogliosa.

Mentre passeggiavano per High Street lei lanciava qua e la occhiatine alle altre ragazze come per mostrare a tutte la sua conquista, mentre Samuel camminava e pensava a tutt’altro, almeno finché non incontrarono una certa Serpeverde.

Dione si fermò di fronte a loro, continuando a tirare fuori dolcetti dalla sua busta di Mielandia.

Fissò Sam con un’espressione divertita, lanciando poi un’occhiatina esasperata all’oca che si portava dietro.

Era inutile, quel donnaiolo non sarebbe mai cambiato.

“Ciao Di” salutò il ragazzo fermandosi senza preavviso e guadagnandosi uno sguardo di fuoco dalla sua accompagnatrice “Sei sola?”

Lei annuì.

“Deimos e Draco sono rimasti a scuola e penso che tu sappia meglio di me dove sia Mizar” disse.

Sam si scrollò di dosso senza tante cerimonie il braccio della Tassorosso.

“Se vuoi posso tenerti compagnia io…” propose.

Taylor lo guardò scioccata.

“Cioè, tu esci con me e ci provi con un’altra?!” esclamò scandalizzata “Dico tesoro, mi hai vista?!?”

Samuel la squadrò da capo a piedi.

“Si” decretò, per poi tornare a fissare Dione “allora, facciamo un giro?”

Taylor guardò entrambi a bocca aperta, evidentemente offesa, poi se ne andò pestando i piedi per terra.

“Credo sia il caso che io torni a scuola” constato la ragazza allontanandosi.

“Cosa?!” esclamò il Grifondoro inseguendola “Prima me la fai scappare e poi te ne vai?!”

Lei si girò con un sorrisetto ed annuì.

“Perché?”

Dione si fermò, incrociando le braccia al petto.

“Perché quella tipa con cui volevi uscire è una vipera in piena regola” disse “lo scorso mese ha talmente insultato una mia compagna di dormitorio che lei voleva lasciare scuola. Voleva scappare in America prima che le voci false che quella aveva messo in giro raggiungessero i suoi genitori”.

“E tu hai paura?” chiese Sam ridacchiando “Temi che possa incastrarti in un angolo e affatturarti? Non ti facevo così codarda…”

“Non. Sono. Codarda.” sibilò “Non voglio avere problemi con nessuno, specialmente con una come lei. Ora torno a scuola, ciao Samuel”.

E si avviò per il sentiero, senza nemmeno dargli il tempo di replicare.

Il ragazzo rimase li arrabbiato per un po’ ma alla fine, quando fu certo che lei fosse già arrivata al castello, tornò anche lui ad Hogwarts.

 

“Teddy! Teddy aspetta!” chiamò Mira correndo a perdifiato per il sentiero.

Il ragazzo si bloccò e si voltò, costringendosi a sorridere.

“Ciao Mira” rispose.

Lei arrivò di fronte a lui, poi si piegò in due afferrandosi la pancia con il fiatone.

“Non…non ho mai…corso così…velocemente…in tutta…la mia vita…” biascicò tra un sospiro e l’altro.

Ted rise, ma era una risata spenta, spenta come il grigio dei suoi capelli.

“Come…come va?” chiese lei poco dopo, ottenendo in risposta una scrollatina di spalle.

“Aspetto” disse.

“Non ci sono novità? Sono passati quasi tre mesi ormai…”

Il Metamorphomagus scosse stancamente la testa, con un’aria che lo fece sembrare molto più vecchio dei suoi sedici anni.

“Niente di niente. Brancolano nel buio” rispose.

Mira abbassò gli occhi, non sapendo bene cosa dire.

Era incredibile quanto fosse impacciata in quelle situazioni, non sapeva mai come consolare chi stava male.

“Vieni a scuola con me?” domandò lui a bruciapelo, sorprendendola non poco.

“Oh si! Molto volentieri!” rispose.

Ted gli allungò la mano e lei, dopo un attimo di incertezza iniziale, la strinse, facendosi condurre nell’ultimo tratto del sentiero.

Il castello e il parco erano completamente silenziosi, si sentivano solo i cinguettii provenienti dalla foresta proibita, perfino Hagrid aveva abbandonato la vanga di fronte alla sua capanna ed era corso al villaggio, probabilmente per farsi uno Whisky Incendiario alla Testa di Porco.

Mira era imbarazzatissima, non sapeva proprio cosa fare.

Teddy Lupin per lei era la sua prima cotta, la prima volta che girasse per mano con un ragazzo, al contrario di lui che, bene o male, aveva già avuto le sue esperienze.

D’altronde, se eri il migliore amico di Samuel Black non potevi di certo essere del tutto estraneo all’universo femminile.

Passarono davanti alla Sala Grande, percorsero la scalinata di marmo e chiacchierarono tantissimo, tanto che Ted si ritrovò a sorridere sincero, a dimenticarsi della scomparsa di Juliet.

Solo quando arrivarono nel corridoio che nascondeva l’entrata della torre di Corvonero Mira si accorse di dove fossero.

“Come diavolo facevi a sapere che sarei dovuta venire qui?” domandò.

Lui ridacchiò.

“Sono figlio di un Malandrino, conosco Hogwarts meglio di casa mia” rispose.

Piombarono in un vago silenzio imbarazzato, e lei si imporporò ancora di più.

“Bè…allora…” balbettò lui “…allora ciao…”

Lei annuì.

“Ciao” sorrise.

Teddy si abbassò su di lei e le sfiorò la guancia con le labbra, poi si girò si avviò, salvo poi fermarsi di nuovo.

Si girò di colpo e, ancora prima che lei potesse essersi avviata per la scala a chiocciola la raggiunse e le poggiò entrambe le mani sulle guance.

Si guardarono negli occhi per qualche minuto, dimenticandosi dov’erano, dimenticandosi degli amici, dei problemi, di tutto.

C’erano solo loro, e il resto non era importante.

Quando Ted si abbassò su di lei, il cuore di Mira iniziò ad accelerare, tanto che lei penso che prima o poi le sarebbe uscito dal petto, e riuscì solo ad intravedere che i capelli di Ted erano diventati di un miracoloso rosso rubino, perché poi lui baciò.

Quando le loro labbra si sfiorarono la ragazza gli gettò le braccia al collo, stringendosi ancora di più a lui.

Non sapeva bene cosa doveva fare, quindi all’inizio si limitò a seguire i movimenti di lui, ma alla fine venne tutto da sé.

Ricordava bene i racconti delle sue compagne di Beauxbatons, ricordava come alcune avessero dato dei primi baci meravigliosi ed altri decisamente più deprimenti.

Lei decretò immediatamente di far parte di quella prima categoria, sentendo dolci brividi percorrerle la schiena.

Per la prima volta in vita sua capì cosa significasse sentire le farfalle nello stomaco, come potesse una persona dimenticarsi del mondo intorno a se, come potesse sembrare che anche il tempo si fosse fermato.

Qualche tempo dopo (nessuno seppe mai definire quanto) sentirono qualcuno che si schiariva la gola.

Si voltarono, rimanendo però l’uno tra le braccia dell’altro, e si trovarono di fronte Noah e Luna.

“Scusate il disturbo, ma ci state bloccando il passaggio” disse il ragazzo, particolarmente acido.

“Ci vediamo a cena” sussurrò Teddy, dandole poi un altro bacio a fior di labbra “ciao ragazzi”.

Mira si voltò a guardare i due amici, ma se Luna sembrava felice, Noah era decisamente arrabbiato.

Il Cacciatore iniziò a salire le scale di corsa, sotto lo sguardo delle altre due.

“Si è offeso” la avvertì Luna, e Mira sospirò per poi annuire.

La francesina salì a sua volta fino alla torre e quando entrò vide Noah che stava andando verso i dormitori maschili, nonostante lei lo chiamasse per fermarlo.

Mira lo seguì e lo trovò a letto, con le tende del baldacchino chiuse.

“Noah…” lo chiamò.

“Lasciami solo” rispose.

“Noah, per favore”.

“Vai”.

Lei però non lo ascoltò, scostò le tende e si sedette al suo fianco.

“Ascoltami, avevo paura che avessi iniziato a scansarmi se avessi saputo che sono una Lestrange” spiegò, senza però ottenere risposta.

“Noah, scusami” riprovò.

“Mi ferisce che tu non ti sia fidata di me. Andavo bene per sfogarti, per parlarmi di Teddy, ma per le cose importanti no. Mi dici che sono il tuo migliore amico e poi non mi racconti ciò che veramente conta” sbottò.

Lei abbassò gli occhi.

“Scusami…”

“Complimenti per la tua nuova conquista, sarete una bella coppia” aggiunse.

“Noah…”

“Lasciami solo, per favore” la interruppe.

Mira non si mosse, anzi si tolse le scarpe e si sdraiò al suo fianco, chiudendo di nuovo le tende.

“Sono pronta ad aspettare qui finchè non mi perdonerai. Ti voglio bene, sei il migliore amico che io abbia mai avuto, non intendo assolutamente perderti” esclamò.

Il ragazzo si girò a guardarla, azzurro nell’azzurro.

Si fissarono a vicenda per un po’, ma alla fine lui scoppiò a ridere, lasciandola completamente basita.

“Spiegami” disse “hai finto di essere arrabbiato per tutto questo tempo?”

Il ragazzo, tra un sogghigno e l’altro, annuì e Mira fece per alzarsi, ma Noah la riacciuffò al volo, schiacciandola sul letto e tenendole un braccio intorno alla vita.

“Prima ero davvero arrabbiato perché non ti sei fidata di me, ma poi mi è passata. Volevo fartela sudare un po’…” le bisbigliò all’orecchio.

Lei provò di nuovo ad alzarsi, ma lui la fermò prendendola per mano.

“Resta con me” disse, con un tono fermo che lei non gli aveva mai sentito.

La ragazza si sedette di nuovo e lui si abbassò poggiando la testa sulla sua pancia.

“Se Teddy ti farà soffrire, giuro sul mio onore che dovrà vedersela con me” le assicurò.

Lei non rispose, non capendo bene il significato nascosto di quelle parole, prendendo poi ad accarezzargli i capelli corvini.

Così sdraiati, Mira non si accorse della lacrima solitaria che gli solcò il viso, ne tantomeno del velo di malinconia che gli coprì gli occhi azzurro cielo.

***

 

Prima di tutto, non era assolutamente mia intenzione rendere Noah un innamorato non corrisposto, nel disegno iniziale lui e Mira sarebbero rimasti solo amici, ma poi le parole mi sono uscite fuori da sole e non ho potuto fare a meno di scriverle.

Come sempre, scusate per il ritardo, ma in questi giorni lavoro e quindi non praticamente mai tempo di mettermi al computer :(

Detto questo, spero che questo capitolo vi sia piaciuto, a me sembra carino :P

Fatemi sapere!

Baciiiii

Ale

Ps. VOGLIO RINGRAZIARE tutti coloro che, nonostante i miei scandalosi ritardi, hanno comunque voglia di leggere e recensire :) :) :)

Pps. Potreste aver trovato degli Orrori invece che degli Errori, ma purtroppo sono di fretta e ho dovuto rileggerlo di corsa, visto che avevo promesso di postare oggi!! Se così fosse vi prego di scusarmi, prima o poi lo sistemerò.

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Capitolo 27
*** Due cuori e un campo da Quidditch ***


 

Buongiorno buongiorno buongiorno :D

Io non so davvero come ringraziarvi per le recensioni e i complimenti, mi fate sempre un sacco felice :P :P :P

Spero che questo capitolo vi piaccia, credo sia quello che qualcuno aspettava da molto :)

Buona lettura,

Bacii

Ale

 

Note:

- So che Ginny non ha avuto come allenatore Baston, ma usare solo Angelina come termine di paragone mi sembrava un pò pochino

- Io odio descrivere le partite di Quidditch perchè non so mai cosa scriverci, ma almeno un paio dovevo necessariamente mettercele e per fare una cosa decente ho scopiazzato un pò quelle della Rowling, pardon :( La Firebolt è immune al malocchio, lo so, ma dovevo pur metterci un pò di pepe :P

 

 

27. Due cuori e un campo da Quidditch

Gli studenti si accapigliavano, venivano cacciati dalle aule per essersi presentati a lezione con i colori della squadra del cuore tra i capelli, amici di una vita facenti parte di case diverse diventavano acerrimi nemici, i professori stessi si ritrovavano a sentirsi in competizione con i propri colleghi.

Se la tensione a scuola era così alta, poteva esserci un solo ed unico motivo.

Stava arrivando la finale della Coppa del Quidditch, Grifondoro contro Tassorosso.

Dopo che i Serpeverde erano stati sconfitti dai  Corvonero, questi ultimi erano stati a loro volta battuti dai Tassi, i quali erano finiti in finale con i Grifondoro che, apparte la prima partita persa contro i verde argento, avevano sempre vinto.

Quando quella mattina si svegliò, Harry sentì un’ansia che non aveva mai provato.

Era la sua prima finale da Capitano, ci teneva un sacco a vincere.

Sirius e James avevano promesso ai ragazzi di rimanere a vedere l’incontro, approfittando del dover fare rapporto quella mattina presto a Silente sulle ricerche, e quello era un altro motivo per cui Harry ci teneva a giocare una partita esemplare.

Di fronte al grande Cercatore James Potter voleva dimostrare a tutti di essere un degno figlio di suo padre.

Si vestì silenziosamente, tentando di non svegliare Ron e Dean che ancora dormivano profondamente, afferrò la Firebolt e scese in Sala Comune, dove inaspettatamente trovò Ginny.

Indossava già le vesti da Quidditch e teneva la scopa al suo fianco, pronta come il suo Capitano a scendere in campo.

Sentendo i passi la ragazza si voltò a vedere chi stava arrivando, e quando si accorse di chi fosse gli sorrise comprensiva.

“Non riesci neanche tu a dormire?” gli chiese.

Harry scosse la testa, sedendosi poi al suo fianco ed incantandosi a guardare un’unica ciocca di capelli rossi che, sfuggita alla rigida cosa di cavallo, le stava solleticando il viso.

“E’ la prima volta che mio padre mi vede giocare un incontro vero, non quelle partitelle estive che facciamo nel campo dei tuoi genitori. Ho paura di fare una figuraccia colossale” rispose.

Ginny scosse la testa.

“Sei stato un grande Capitano Harry, il migliore che io abbia mai avuto” gli assicurò.

“Tu sei mia amica, sei di parte…” ribattè lui.

La ragazza si voltò a fissarlo negli occhi, e lui non potè fare a meno di notare quanto fossero dolci e profondi.

“Non sei noioso come Baston ne puntiglioso come Angelina” disse “quindi puoi andare”.

Harry si ritrovò a sorridere a sua volta.

“bè, grazie allora” rispose “e tu invece? Qual è la tua scusa?”

Ginny si voltò a fissare la finestra, perdendosi con lo sguardo nel vuoto.

“Stanotte mi sono svegliata di colpo, mi sono resa conto solo ora che questa è l’ultima partita che giocheremo insieme” mormorò “anzi, questi sono gli ultimi mesi che passeremo insieme. Tu il prossimo anno andrai all’Accademia Auror, mentre io rimarrò qui”.

Harry le si avvicinò, stringendole senza pensarci troppo la mano e posandole l’altra sulla guancia.

“Ascoltami” sussurrò “non vado a vivere al Polo Sud, l’Accademia è a Londra. Ci vedremo ad ogni vacanza e io farò in modo di trovarmi ad Hogsmeade ogni volta che ci andrai”.

“Sarà pur sempre una volta al mese…” obiettò lei con una smorfia “…per dieci mesi”.

Il ragazzo le si avvicinò ancora di più.

“Se tu mi aspetterai, io ti aspetterò”.

Ginny si voltò a guardarlo di nuovo negli occhi, ma in quel momento si rese conto di essere a pochi centimetri dal viso di lui.

Prima che il suo cervello potesse pensare un qualcosa, qualsiasi cosa, di coerente, Harry si stava già avvicinando.

Prima che la sua testa potesse connettere che stava per baciarla, lui era già a pochissimi millimetri dalle sue labbra.

E ovviamente, come succedeva sempre, anche allora furono interrotti.

“Ehi piccioncini, sta scendendo Ron” borbottò Samuel piombando alle loro spalle.

I due lo fissarono infuriati, ma si alzarono lo stesso.

“Ne parliamo dopo…” gli bisbigliò all’orecchio lei, salendo poi le scale del dormitorio femminile per andare a chiamare Camille.

Harry si avvicinò al suo Battitore.

“Ti odio Sam, sappilo” mormorò.

Lui alzò le spalle con fare noncurante.

“Se volevi farti vedere da Ron potevi farlo, ma poi avresti dovuto sopportare la sua rabbia e il calo delle sue abilità di Portiere” borbottò di rimando.

Il Capitano sospirò sapendo che l’amico aveva perfettamente ragione, non poteva permettersi di farlo infuriare proprio quel giorno, poco prima della partita.

“Scendiamo a colazione?” chiese il suddetto Portiere, arrivando in quel momento con Dean.

“Oh si, direi di si. Harry ha molta fame, vero?” domandò Sam, fissando il Cercatore con un sorrisetto.

Quello nemmeno rispose, semplicemente annuì.

 

“Mi stava per baciare! Cioè, hai capito?!? Dopo sei anni passati a corrergli dietro lui mi stava per baciare e arriva quello che ci interrompe!” strepitò Ginny percorrendo a grandi passi il pavimento della stanza.

Camille, svegliatasi da pochi minuti, si stava vestendo lentamente, tentando in qualche modo di ascoltare gli sfoghi della sua amica.

Da quello che la sua mente insonnolita era riuscita a comprendere, Harry stava per baciarla ma qualcuno era arrivato a fermarli.

“Chi vi ha interrotti Gin?” biascicò pazientemente.

“Samuel!” sbottò lei “Doveva dirci che stava scendendo Ron…”

Lil si sedette sul letto per infilarsi le scarpe.

“Direi che ha fatto bene allora” commentò.

La Weasley si fermò, fissandola con gli occhi ridotti a due fesure.

“E perché, di grazia?” chiese.

“Perché sai bene che Ron non approverebbe, anzi, probabilmente avrebbe anche mollato un pugno in faccia a Harry” rispose la Potter, alzandosi e avvicinandosi alla porta.

“Ma…”

“Ginny, lo hai capito anche tu che mio fratello è cotto quanto te” la interruppe “quando sarà il momento accadrà, e sono certa che per te sarà meraviglioso. Ora scendiamo a colazione, prima che ci diano per disperse”.

 

Tra le case di Grifondoro e Tassorosso era sempre corso buon sangue, ma quel giorno, alla vigilia della prima volta dopo anni in finale per la Coppa, anche i più buoni e leali Tassi si erano trasformati in piccole Serpi.

Insulti e cori volavano da tutte le direzioni, era stato addirittura riesumato il buon vecchio Perché Weasley è il nostro re, inventato dai Serpeverde qualche anno prima.

La scuola si era divisa in due, i verde argento, nonostante avessero sempre concesso ai Tassorosso la stessa considerazione che di solito riservavano agli elfi domestici, preferivano addirittura tifare loro piuttosto che i tanto odiati Grifondoro.

I Corvonero invece erano divisi a metà, alcuni sostenevano i rosso oro ed altri i loro avversari.

Però, anche se la tifoseria di Potter e compagni era decisamente meno nutrita dell’altra, era parecchio più agguerrita.

Quella mattina a colazione, Seamus Finnigan aveva quasi sfiorato la rissa alla Babbana con Zacharias Smith, reo di aver tentato in tutti i modi di innervosire Ron.

Jimmy Peakes poi era dovuto correre in infermeria, a causa di una fattura Orcovolante sparatagli contro da un Serpeverde che Demelza Robbins non era riuscita a riconoscere.

Samuel si era però debitamente vendicato, facendo spuntare un bel palco di corna sulla testa di Derek Carter, uno dei due battitori avversari.

Insomma, un clima pre-partita così non si era mai visto, neanche alle finali con i Serpeverde.

“Sono stanco di tutti questi cori” esclamò Harry alzandosi di botto dal tavolo, stufo di sentir canticchiare Perché Weasley è il nostro re e di vedere le orecchie di Ron diventare sempre più rosse.

“Manca mezz’ora” notò Ginny guardando l’orologio di Camille “scendiamo al campo e facciamola finita”.

Quando i sette membri della squadra si alzarono, un coro di applausi si levò dalla loro tavolata, in aggiunta ai fischi di quelle provenienti da Tassorosso e Serpeverde.

Ride bene chi ride ultimo” sibilò Samuel tra i denti, lanciando occhiate di fuoco a tutti.

 

“Capitani, stringetevi le mani” ordinò Madama Bumb fissando i due giocatori.

“Ti toglierò quel sorrisetto dalle labbra, Potter” sussurrò Zacharias Smith.

“Solo dopo che avrai mangiato la nostra polvere” aggiunse il Grifondoro.

Montarono in sella alle loro scope e tornarono dai loro compagni, mentre l’arbitro si avvicinava al baule delle palle.

Con un calcio il coperchio si alzò, facendo uscire Bolidi e Boccino, il quale svolazzò prima intorno alle teste dei Cercatori poi iniziò a fare su e giù per il campo.

Quando la Pluffa fu liberata, dopo una piccola baruffa venne acchiappata da Demelza, che senza troppe cerimonie iniziò a puntare gli anelli di Tassorosso.

In quel momento Harry si dimenticò degli altri, dirigendosi invece verso la tribuna degli adulti.

Li si aspettava di trovare James e Sirius, ma invece vide solo sua madre e Maya, che lo salutarono radiose.

Dopo un attimo di smarrimento iniziale fece loro l’occhiolino e guardò in basso, verso gli spalti della tifoseria di Grifondoro, e scosse la testa esasperato.

Suo padre e il suo padrino si erano infiltrati li, tra gli studenti, ed esibivano rispettivamente maglia, sciarpa e bandiera della loro casa il primo e addirittura il petto nudo colorato a strisce rosso e oro il secondo.

A quasi quarant’anni erano peggio dei diciassettenni.

In quell’istante il Cercatore avversario gli si lanciò di fianco e Harry non potè far altro che inseguirlo senza nemmeno sapere il perché, non vedendo il Boccino da nessuna parte.

Pochi secondi prima che si scontrassero con il suolo l’altro si rialzò, ma il Grifondoro era talmente concentrato nella ricerca della pallina da non accorgersene neppure.

Si rialzò all’ultimo, tanto che la folla urlò e lui sfiorò l’erba con i piedi.

Guardò in altro e vide il suo avversario ridere.

Che sciocco che era stato, era stata una finta e non lo aveva capito.

Se fosse caduto a quella velocità c’erano buone possibilità di finire in infermeria e tanti saluti alla Coppa, oltre che al suo addio alla fascia da Capitano in grande stile.

“10 A 0 PER TASSOROSSO!” gridò il commentatore, un Corvonero che Harry non conosceva.

Il Capitano alzò gli occhi, Ron stava tirando un calcio al vuoto con un’espressione furiosa sul volto, mentre i cori di Perché Weasley è il nostro re esplodevano di nuovo dalle tifoserie dei Tassi e delle Serpi.

Pochi secondi dopo, però, Ginny segnò due reti e Dean una, spinti dalla voglia di ribaltare il risultato.

Harry prese di nuovo quota, guardandosi intorno furiosamente e cercando un luccichio d’oro.

Mentre sorvolava le tribune però la scopa iniziò a muoversi stranamente, sbalzandolo qua e la.

Per un po’ riuscì a trattenersi, ma quando la Firebolt iniziò a ribaltarsi e a girare su se stessa si trovò appeso solo per le mani.

La folla trattenne il respiro, persino James smise di sventolare la bandiera e sfoderò la bacchetta insieme a Sirius, ma quando i due provarono un incantesimo la scopa iniziò a correre a tutta velocità per il campo, mettendo a dura prova la forza di Harry.

Stringeva il manico così saldamente da sentire male alle dita, ma preferiva decisamente quel dolore a quello che avrebbe provato se avesse lasciato la presa.

La Firebolt iniziò a salire e, tra le urla generali, il Cercatore rimase appeso solo per un braccio.

Mentre il ragazzo tentava disperatamente di non cadere da almeno trenta metri di altezza sentì due Bolidi sfrecciargli di fianco e un grosso schianto, seguiti dal guizzo di una scopa spinta al massimo.

Alzò lo sguardo e vide che la sua non si muoveva più, così ne approfittò per riarrampicarsi in sella.

Guardò in giù e vide la tribuna di Serpeverde completamente distrutta, ma soprattutto si rese contro che Samuel vi era appena atterrato sopra, aveva scagliato la scopa lontano e si stava dirigendo verso un gruppetto di studenti.

Prima ancora che Harry potesse raggiungerlo il Battitore si era lanciato su Malfoy e lo aveva afferrato per il colletto della camicia.

“Sam! Sam fermati!” urlò il Capitano atterrando e correndo a staccarlo da Draco.

“Questo bastardo ti stava facendo il malocchio!” sbraitò quello, cercando di divincolarsi dalla presa dell’amico per prendere finalmente a pugni il tanto odiato cugino.

“Calmati!” gridò Harry, mentre venivano raggiunti dalla McGranitt e da Madama Bumb.

“Che sta succedendo qui?!” domandò impaziente la prima.

“Malfoy stava facendo il malocchio a Harry” rispose immediatamente Black.

“Questo è pazzo professoressa, mi ha attaccato ingiustamente. Dovrebbe essere espulso” esclamò indignato il Serpeverde.

“Ti ho visto Malfoy, smettila di mentire” sibilò Samuel “non avrei mai messo in pericolo la finale per nulla”.

“Non hai le prove, cugino” gli fece notare lui.

Madama Bumb sospirò spazientita.

“Per questa volta passi, Black, ma solo perché stiamo dando un pessimo spettacolo” decise “torniamo a giocare. Minerva, per cortesia, pensi tu agli spalti?”

Quella annuì, e con un veloce colpo di bacchetta aggiustò tutto ciò che i Bolidi di Sam avevano distrutto.

“Farò finta che tu abbia perso accidentalmente il controllo Black, o dovrei espellerti davvero” disse la vicepreside.

Draco strabuzzò gli occhi.

“Professoressa, non ritengo giusto che la passi così lisc…”

“Taci Malfoy” lo fermò lei “augurati che io non scopra che stavi sul serio facendo il malocchio al signor Potter, o l’unico ad essere espulso sarai tu”.

Il Serpeverde abbassò lo sguardo, arrossendo di rabbia.

“In ogni caso, tu ed io faremo i conti dopo, Black” aggiunse prima di tornare a sedere, fissando il Battitore con un’espressione seria e minacciosa.

“RIGORE A TASSOROSSO! DOPO LO STRANO COMPORTAMENTO DI SAMUEL BLACK MADAMA BUMB CONCEDE UN RIGORE A TASSOROSSO” annunciò il commentatore.

Mentre il mare rosso e oro fischiava di indignazione, Zacharias Smith si posizionò di fronte a Ron con un’espressione beffarda, preparandosi a tirare.

Tutti sapevano che il Portiere sotto pressione crollava, e Harry aveva capito meglio di chiunque altro che il suo migliore amico era sui carboni ardenti.

Si girò dall’altra parte, perché nonostante fosse un Grifondoro non aveva il coraggio di guardare.

Quando Madama Bumb fischiò serrò gli occhi, aspettando la reazione dei loro tifosi.

E quelli, inaspettatamente, urlarono di gioia.

Il Capitano si voltò, trovandosi di fronte ai compagni che abbracciavano Ron, tranne Ginny che si era lanciata a recuperare la Pluffa.

In quel momento lo vide davvero, il Boccino brillava a terra.

Guardò verso l’altro Cercatore, trovandolo che guardava da tutt’altra parte, e si lanciò verso il basso.

Mentre spingeva la sua Firebolt sentì un fruscio al suo fianco, trovandosi accanto l’avversario che tentava di raggiungerlo.

Si raddrizzarono quel tanto che bastava per sfiorare l’erba ed entrambi stesero la mano.

Il Cercatore lo guardò, poi cercò di rallentarlo con una spallata, ma fu inutile poiché l’unica cosa che ottenne fu di sbilanciare Harry che, cadendo, riuscì a spingersi in avanti e ad afferrare il Boccino d’Oro.

Quando toccò terra il Grifondoro si guardò la mano e, vedendo la pallina che si muoveva frenetica tra le sue dita, scoppiò in una risata trionfante.

“HARRY POTTER PRENDE IL BOCCINO!” gridò il commentatore “GRIFONDORO VINCE LA COPPA DEL QUIDDITCH!”

La folla gridò, riversandosi nel campo come un’unica onda rosso e oro, mentre la squadra si lanciava ad abbracciare il suo Capitano.

Fu stritolato da Ron e Ginny, poi da Dean, Demelza e Jimmy.

Per la prima volta da che ne aveva memoria vide Samuel in ginocchio per terra a piangere, di gioia s’intende.

Lo capiva, aveva rischiato di compromettere la partita distruggendo le gradinate.

Si sentì tirato in alto, trovandosi seduto sulle spalle di James e Sirius.

“Sei stato grande Harry!” urlò il primo “Sei definitivamente mio figlio!”

“Perché, ne avevi dubbi?” chiese una voce dietro di loro.

“Mamma!” esclamò il ragazzo.

“Oh Lily non è il momento, la Coppa ci aspetta!” gridò Sirius.

Portato in trionfo dai due uomini Harry si diresse verso la tribuna dei professori, alla base della quale c’era Silente con il trofeo in mano.

“Congratulazioni” disse il vecchio Preside.

Il Capitano alzò la Coppa per mostrarla ai tifosi, poi la diede ai compagni di squadra perché potessero vederla, in fondo non avrebbe mai vinto senza di loro.

Harry scese e ci fu un abbraccio generale, decine di persone che si stringevano l’un l’altra.

James e Sirius baciarono il trofeo, emozionati come se avessero vinto loro, la McGranitt sorrise e batté le mani, lasciandosi pure andare e abbracciando un Samuel ancora con gli occhi lucidi, il Capitano prese in braccio Ginny facendole fare una giravolta nell’aria.

Dopo mezz’ora buona di festeggiamenti la folla si diradò e i Grifondoro si diressero verso la loro Sala Comune, dove sapevano che la festa sarebbe continuata, mentre i giocatori andarono in spogliatoio a cambiarsi

In campo, oltre a James e Sirius che ancora esultavano e alle loro moglie, rimasero solo Mizar e Camille.

“Sei pronto?” bisbigliò lei.

“No” rispose lui deglutendo.

La Potter annuì.

“Bene. Andiamo.” mormorò “Papà!”

James si voltò verso la figlia, fissando interrogativo il ragazzo al suo fianco.

“Piacere signore, io sono Mizar Lestrange” fece lui, porgendo la mano a Potter Senior.

Quello assottigliò lo sguardo, mentre sul viso di Sirius compariva un’espressione sconvolta.

Lil si fece avanti, prendendo il coraggio a due mani.

“Papà, lui è il mio ragazzo” disse.

I due uomini strabuzzarono gli occhi e rimasero in silenzio mentre le mogli si guardarono senza sapere bene che dire.

Lily Evans Potter trasse un respiro, poi si fece avanti e strinse la mano tesa di Mizar al posto del marito.

“E’ un piacere conoscerti” sorrise, cercando di sembrare sincera.

“Papà?” sussurrò Camille, scuotendo il padre che era rimasto immobile.

Quello, per tutta risposta, cadde a terra come un sacco di patate, svenuto.

Tutti fissarono il corpo inerte di James poi Lily, tremendamente imbarazzata, si rivolse ai due ragazzi.

“Scusatelo, troppe emozioni tutte insieme” buttò li “gli parlerò io”.

Camille prese Mizar per mano, trascinandolo via.

“E fate i complimenti a Harry da parte nostra!” urlò Maya mentre loro si allontanavano.

I due lanciarono un ultimo sguardo agli adulti, vedendo le donne chine su James e Sirius ancora immobile al suo posto.

“E’…è andata bene, dai…” tentò Camille.

Mizar fece una smorfia.

“Ok, è andata malissimo…” si corresse “…ma almeno non ti hanno affatturato”.

 

“James! Sveglia!” esclamò Lily dando degli schiaffetti al marito.

Quando quello riaprì gli occhi, si ritrovò nel campo da Quidditch ormai vuoto, con la moglie e i due amici accanto.

“Non è possibile” gemette l’uomo “non voglio crederci”.

Sirius annuì.

“Sta con un Lestrange! Di tutti i bravi ragazzi che poteva avere si è trovata un Lestrange, un Serpeverde!” sbraitò.

“La mia bambina…” mormorò l’ex Cercatore, prendendosi la testa tra le mani “…la mia bambina ha un fidanzato…”

“…e pensa che si farà baciare, si farà toccare, si farà spogli…” cominciò Sirius, ma fu interrotto dall’amico.

“NON DIRE QUELLA PAROLA!” gridò “La mia bambina non si farà…quella cosa li…da un Lestrange!”

“Ha sedici anni James” gli ricordò l’amico “tu a quell’età non pensavi ad altro”.

“E’ ancora piccola per certe cose!” obiettò l’altro.

Lily e Maya, nel frattempo, osservavano quella scenetta da lontano, ridacchiando sommessamente.

“Che dici, dobbiamo fargli notare che Lil è cresciuta?” domandò la signora Potter.

L’altra ci pensò, poi scosse la testa.

“Mmmmmm no, facciamoli litigare ancora un po’”.

 

La festa andava avanti da ore, i Fuochi Forsennati Weasley brillavano nel cielo, casse di Burrobirra erano uscite fuori da chissà dove, la musica suonava più forte che mai.

Samuel, decisamente ubriaco, girava qua e la con un bicchiere in mano e la Coppa nell’altra, senza permettere a nessuno di toccarla.

Per una volta in vita sua Harry si era lasciato del tutto andare e ballava su uno dei tavoli di legno massiccio, almeno finchè non vide passare Ginny, quando la trascinò su con lui.

La ragazza lo guardò senza capire.

Erano in una stanza stracolma e c’era Ron a pochi metri di distanza, che diavolo voleva fare?!?

Lui la fissò con un sorriso dolce, poi si avvicinò per sussurrarle qualcosa all’orecchio.

“Dove eravamo rimasti?” mormorò.

In un secondo Ginny si ritrovò tra le sue braccia e, quello dopo, sentì le labbra di Harry sulle sue.

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Capitolo 28
*** Temporanee incomprensioni ***


 

Saaaaaalve!!!! Note in fondo :D

 

28. Temporanee incomprensioni

“Ron, hai da fare?”

“Oh, Harry scusami. Devo andare in biblioteca a finire la ricerca per Piton”.

 

“Ron, possiamo parlare?”

“Non ora Harry, ho promesso a Neville di aiutarlo con il tema di Incantesimi e sono già in ritardo”.

 

“Ron, puoi sederti e non scappare, almeno per un momento?”

“Vorrei tanto amico, ma la McGranitt vuole che sistemi i turni delle ronde. Mi aspetta nel suo ufficio”.

 

Ginny si sedette accanto al suo ragazzo, gli diede un bacio sulla guancia e si voltò in direzione di ciò che fissava lui.

“Guardalo” sibilò Harry, staccando poi con rabbia un pezzo di pane e ingoiandolo quasi senza masticarlo “pur di evitarmi sta parlando con uno del primo anno, del primo anno! Non li ha mai nemmeno guardati in faccia fino ad ora”.

“Gli passerà” sussurrò la ragazza, servendosi una porzione di insalata.

“Domani troverò il modo di incastrarlo” decise il ragazzo “non mi sfuggirà”.

 

Da che Hermione era scomparsa, Ron si accontentava sempre di sentire i resoconti delle indagini dai suoi amici, che avendo padri Auror erano sempre aggiornatissimi su quelle poche novità che c’erano, ma da quando tentava in ogni modo di non parlare con Harry le notizie scarseggiavano, così aveva deciso di controllare se per caso i suoi genitori sapessero qualcosa di nuovo.

Quando Leotordo vide il suo padrone avanzare tra le cacche e le piume dei suoi coinquilini, iniziò a fischiare felice per il nuovo compito che stava per affidargli.

“Zitto Leo” si lamentò Ron “mi farai venire mal di testa…”

Quando il giorno del suo quindicesimo compleanno Ronald Weasley aveva visto arrivare quella palla di piume sul davanzale di una finestra del dormitorio, aveva pensato che fosse solo il gufetto di qualcuno con un biglietto di auguri, ma quando si era reso conto che quello era il regalo da parte di tutti i suoi amici aveva saltato di gioia per tutta la casa di Grifondoro, ignorando totalmente gli altri doni.

Ben presto però Leotordo (nome affibbiatogli da Ginny per la felicità del fratello) si era rivelato una piccola scocciatura.

Al contrario degli altri gufi era rimasto minuscolo e aveva addosso una discreta dose di follia.

Per più di un anno non aveva mai potuto portarlo in Guferia, poiché sembrava normale per lui dar fastidio a tutti gli altri animali, ma alla fine aveva deciso che se lui poteva sopportarlo potevano farlo anche gli altri volatili.

“Portala alla mamma” disse il ragazzo, legandogli una lettera alla zampa.

Il gufetto si alzò in volo, girò per un attimo intorno alla testa Ron, lanciò un fischio acutissimo e si buttò giù dalla finestra, sparendo nel buio della sera.

Il Portiere sorrise vedendo quella figuretta scoordinata che andava qua e la poi, sentendo la porta aprirsi, si voltò con la bacchetta sguainata.

“Oh, sei tu…” mormorò riponendola, quando si rese conto che era Harry.

“Dobbiamo parlare” sentenziò il ragazzo, mettendosi davanti all’uscio chiuso.

“Non ora amico, voglio andare a studiare un po’ Trasfigurazione” rispose lui, facendo qualche passo avanti.

L’altro alzò un sopracciglio.

“In sette anni che andiamo a scuola insieme mai, dico mai, ti sei portato avanti con lo studio. Puoi evitare di farlo anche adesso” sbottò.

“Ok” esclamò Ron incrociando le braccia al petto “vuoi parlarmi? Parla”.

Harry rimase un attimo sorpreso dalla freddezza della sua voce, ma poi sospirò e si fece avanti, mettendogli le mani sulle spalle.

“Ron, tu sei il mio migliore amico” sussurrò “io non voglio perderti”.

“Io ho visto Ginny soffrire quando uscivi con la Chang, quando la vedevi solo come un’amica. Non voglio vederla stare male quando la lascerai” sibilò.

“Non ho la minima intenzione di lasciarla” disse “io sono innamorato di lei”.

Il pugno non lo vide arrivare, semplicemente si ritrovò a terra, con le cacche dei gufi spiaccicate sulla divisa.

“Che diavolo fai?!” gridò massaggiandosi la guancia.

“Mi sono sfogato…” rispose lui.

Harry si rialzò, facendosi di nuovo avanti ma stavolta con guardia ben alzata.

“Io amo Ginny, voglio essere felice con lei, voglio che lei sia felice” ripetè.

E allora l’amico non tentò di picchiarlo, semplicemente si andò ad affacciare alla finestra, perdendosi a guardare il parco.

“Sapevo che prima o poi sarebbe successo…” mormorò, girandosi poi verso l’amico “…promettimi di non lasciarla Harry, stavolta davvero non reggerebbe il colpo”.

Il Cercatore sorrise trionfante, facendosi poi avanti a braccia aperte.

“Non ti aspetterai un abbraccio?!?” esclamò Ron facendo un balzo indietro “Non ti abbraccerò”.

Harry rise, si fece avanti e lo strinse ugualmente.

“Torniamo in Sala Comune” disse “non vorrei rubarti del tempo che potresti usare per studiare Trasfigurazione…”

L’altro lo guardò sbalordito.

“Non crederai sul serio che voglia avvantaggiarmi?!?”

 

“Oh santo cielo!” esclamò Mira facendo cadere la forchetta sul piatto e portandosi una mano al petto “Devo correre in dormitorio!”

“Cosa? Adesso? Ma stiamo cenando!” protestò Noah mentre lei si alzava.

“Vado e torno, tranquillo” urlò di rimando la francesina, correndo nel corridoio tra le due tavolate.

Luna si avvicinò al minore dei Black, abbassando leggermente la voce.

“Cosa ci nasconde?” mormorò.

Noah lanciò uno sguardo insicuro al portone della Sala Grande.

“Vorrei saperlo anch’io…”

 

“C’è qualcosa che non va, è passato troppo tempo” esclamò il ragazzo alzandosi da tavola, quando erano ormai venti minuti che Mira era partita “vado a cercarla”.

“Vengo con te” ribatté Luna, facendo per alzarsi a sua volta.

“No” la fermò lui “posso andare da solo”.

E si allontanò, lasciando l’amica palesemente preoccupata.

Anche se non c’erano stati altri attacchi, continuava ad essere poco prudente girovagare per i corridoi da soli.

Luna portò la mano sulla tasca della divisa, stringendo la bacchetta e preparandosi ad andare a cercare entrambi.

 

Noah camminava apparentemente tranquillo, anche se in realtà teneva la guardia ben alzata, conscio che poteva essere attaccato da un momento all’altro.

Da degno figlio di un Malandrino conosceva i passaggi segreti del castello a memoria, ma sapeva che se li avesse imboccati non avrebbe mai incrociato Mira, così decise di rimanere allo scoperto, usando le strade normali.

Camminava più silenziosamente possibile, tanto che ad un certo punto sentì due serie di passi alle sue spalle.

Uno veloce, quasi uno scalpiccio di bambino, l’altro più lento, quasi strascicato.

Si voltò prendendo in mano la bacchetta, poi si accorse chi ci fosse dietro di lui.

“Toh” commentò “le pecore nere della famiglia”.

Draco rise.

“A dire il vero, cugino” obiettò Deimos “gli unici traditori delle nostre casate siete voi. Noi non saremo mai sporchi babbanofili”.

Noah assunse un’espressione irriverente, di quelle che lo facevano somigliare terribilmente a suo fratello Samuel.

“Come mai non siete a cena?” domando.

“Non credo sia affar tuo, Black” commentò il biondo.

“Era pura curiosità, Malfoy” ribattè il Corvonero.

Rimasero in silenzio, durante il quale Noah cominciò a sentirsi piuttosto intimorito, in fondo si trovava in un corridoio vuoto con due Serpeverde più grandi e parecchio versati nelle Arti Oscure, mentre gli altri due sembravano tranquilli e beati, con un sorrisetto stampato in viso.

“Ok, smettiamola” disse Deimos ad un certo punto “ti abbiamo seguito, volevamo te”.

Il Corvonero fece un passo indietro.

“Spiacente, ma non sono interessato” tentò “a proposito, non sapevo questi vostri gusti. Gli zii come l’hanno presa?”

“Fai poco lo spiritoso” lo avvertì Draco, levando la bacchetta “buonanotte cuginetto”.

L’ultima cosa che Noah vide fu un lampo di luce rossa, ma prima che il suo cervello potesse capire ccosa stava per succedere, lui era già a terra privo di sensi.

“Fin troppo facile, pensavo che ci avrebbe dato un po’ di filo da torcere…” commentò Malfoy.

“E’ un Corvonero” gli fece notare l’altro “non brillano certo per coraggio”.

Deimos levò la bacchetta, puntandola sul petto del piccolo Black.

Reperius Cordis”.

E di nuovo, esattamente come era successo con Juliet, il corridoio venne inondato da una luce azzurrina, tanto che i due Serpeverde dovettero coprirsi gli occhi.

“E’ il secondo” esclamò felice Malfoy.

“Oh si” convenne l’altro, muovendo di nuovo la bacchetta e facendo tornare tutto apposto “andiamo al settimo piano. Spediamolo dalle altre due”.

Corpus Locomotor” declamò Draco poi, con il corpo inerme di Noah a mezz’aria davanti a loro, si avviarono su per i passaggi segreti.

 

Mira entrò in Sala Grande decisamente più tranquilla, dirigendosi verso il suo solito posto tra Noah e Luna.

Si era spaventata moltissimo quando si era resa conto di non essersi rimessa il ciondolo di sua madre dopo la doccia e di averlo incautamente lasciato in dormitorio.

Da quando Draco e Deimos avevano manifestato il loro interesse per l’ultimo dono di Sophie era estremamente imprudente lasciarlo in giro.

Ci aveva anche messo parecchio a ritrovarlo, non ricordando dove l’avesse riposto prima di chiudersi in bagno.

Quando arrivò da Luna, però, si rese conto che qualcosa non andava, i posti vuoti erano due.

“Dov’è Noah?” domandò l’amica.

Mira la guardò confusa.

“Perché dovrei saperlo?” chiese.

Luna scattò in piedi.

“E’ venuto a cercarti” esclamò.

La francesina scosse la testa.

“Lo sapevo che non dovevo mandarlo da solo!” strepitò l’altra “Andiamo, sbrigati!”

Le due corsero in corridoio, sotto lo sguardo ancora poù confuso dei professori che non capivano cosa stesse succedendo.

“Tieni gli occhi aperti” mormorò Luna, e Mira si accorse che aveva completamente perso la sua consueta aria sognante.

Salirono per i piani, ma non incontrarono nessuno se non fantasmi.

Ad un certo punto arrivarono ad un pianerottolo, quello in cui i Grifondoro e i Corvonero si dividevano per arrivare alle rispettive torri, e in quel momento la videro.

“Oh no” bisbigliò Mira cadendo il ginocchio “e sua, la riconoscerei tra mille”.

Davanti a lei c’era una bacchetta che raccolse con le dita tremanti, mentre le lacrime le inondavano le guance.

“NOAH! NOAH!” urlò Luna al corridoio vuoto, che produsse l’eco delle sue grida “ESCI FUORI, QUESTO SCHERZO NON MI PIACE AFFATTO!”

“Non l’avrebbe mai abbandonata. L’hanno preso” sussurrò l’altra.

“Dobbiamo avvertire gli altri” esclamò Lunatica “torniamo in Sala Grande”.

Mira annuì, stringendo la bacchetta tra le mani.

Corsero di nuovo di sotto e quando arrivarono tanto trafelate la folla si zittì, mentre loro di dirigevano al tavolo dei Grifondoro.

“Mira! Che succede?” domandò preoccupato Ted, vedendo arrivare la sua ragazza in lacrime.

“L’hanno…l’hanno preso…” singhiozzò.

Luna si rivolse direttamente a Samuel.

“Non…non troviamo più Noah…” borbottò.

“Cosa?!?” esclamò il Battitore scattando in piedi.

L’altra annuì.

“Temiamo che sia stato rapito”.

***

 

Sicuramente questo capitolo sarebbe potuto essere migliore, ma tra il lavoro e tutto il resto non trovavo mai il tempo per scrivere :(

Spero che comunque vi sia piaciuto almeno un pò e ringrazio in anticipo chiunque avrà voglia di recensire :D

A presto!

Baciiiii

 

Ps. Mi rendo conto che Luna è un pò troppo OOC in questo capitolo. Scusate, non so nemmeno io come possa essere venuta così ;(

Pps. Il prossimo capitolo sarà intitolato "Un bacio rubato". Ora, a voi i pronostici :P

Ppps. Nei primi due capitoli avevo postato le foto dei miei personaggi, solo che nessuno le ha mai commentate. Non so se non le avete viste o non avete avuto il coraggio di dirmi che i personaggi che ho scelto sono orrendi, ma anche se fosse così mi piacerebbe molto sapere la vostra opinione. Ora ve le riposto, spero che avrete voglia di commentarle :)

Dione: http://i52.tinypic.com/316tbfl.jpg 

Deimos: http://i56.tinypic.com/oiwqkx.jpg 

Mizar: http://i56.tinypic.com/13zzbdx.jpg 

Mira: http://i52.tinypic.com/o0neir.jpg 

Camille: http://i51.tinypic.com/kdo6k4.jpg 

Samuel (Lasciate perdere la mano fasciata e lo zigomo ferito, mi piaceva troppo questa foto per non metterla): http://i56.tinypic.com/290sq4l.jpg

Noah: http://i54.tinypic.com/j9117l.jpg

Ted (immaginatelo con i capelli azzurri): http://i52.tinypic.com/6gjsz9.jpg

Juliet (lei invece con i capelli verdi): http://i55.tinypic.com/2r5sw0w.jpg

 

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Capitolo 29
*** Un bacio rubato ***


 

Buondiiiiiiiii e buone vacanze a tutti :P :P

Grazie a tutti per le recensioni dello scorso capitolo!!!!!!!!!! :D :D :D

Spero che questo nuovo vi piaccia!

Baci

Ale

PS. SPOILER!! Titolo del prossimo chap: IL TERZO CUORE PURO...chi sarà la prossima vittima?!?!?

 

 

 

29.  Un bacio rubato

Di nuovo, sulla scuola era calato un alone di silenzio.

Da quando anche Noah era scomparso, se possibile, gli studenti erano ancora più guardinghi di prima.

Si sospettava di tutti, di amici, di fratelli, di compagni di classe o di dormitorio.

Non ci si fidava più di nessuno.

I genitori cominciavano a temere per l’incolumità dei figli, si chiedevano se Silente fosse ancora in grado di tenerli al sicuro, quasi giornalmente la McGranitt doveva rispondere a valanghe di lettere di padri o madri terrorizzati, tentando in ogni modo di far capire loro che le voci che giravano sulla poca sicurezza di Hogwarts erano infondate, ma ormai erano molti gli adulti che si chiedevano se fosse il caso di spostare i propri pargoli in altre scuole di magia.

E c’era anche chi, come Sirius Black, si recava praticamente ogni giorno al castello.

Tutti sapevano del temperamento dell’uomo, tutti conoscevano la sua impulsività, per cui non fu una sorpresa vederlo girare per i corridoi disperato ed infuriato, chiamando a gran voce il nome del figlio più piccolo.

Nessuno si sorprese vedendolo minacciare Piton puntandogli la bacchetta al collo, poiché il professore gli aveva detto di tacere.

I Black erano stati informati subito dopo il rapimento e, se il padre aveva dato sfogo alla parte folle ereditata dalla sua famiglia, Samuel era caduto in uno stato catatonico, da far invidia alla tristezza che si era impadronita di Ted dopo la scomparsa di Juliet.

Si erano seduti davanti alla scrivania di Silente e, mentre il preside parlava cercando di calmare i singhiozzi di Maya, Sirius aveva preso a solcare a grandi passi l’ufficio, tentando di trattenersi dal distruggere tutto ciò che intralciava il suo cammino.

Silente aveva spiegato loro di come avrebbe rafforzato le indagini e le ronde degli insegnanti, per cercare di venire a capo di quella spinosa situazione e di ritrovare tutti e tre.

In un momento particolarmente imbarazzante un po’ per tutti, era stato costretto ad ammettere di brancolare totalmente nel buio, proprio come l’ufficio Auror.

In ogni caso, di Noah si erano perse le tracce.

Non c’era nulla in comune con gli altri rapimenti se non che, esattamente come per Hermione, la bacchetta del ragazzo era rimasta a scuola.

Era stata anche esaminata da Ollivander che aveva concluso che nessuno che non fosse il suo proprietario l’avesse usata e che le uniche impronte che vi erano presenti sopra erano quelle di Noah e di Mira, colei che l’aveva ritrovata.

Anche al Ministero la tensione era alta.

Gli Auror lavoravano fin dalle prime ore del mattino per arrivare a notte fonda, e solo un paio rimanevano in ufficio a smistare le notizie e a coordinare le indagini, tutti gli altri erano impegnati nelle ricerche sul campo.

Erano disposti a tutto, anche a rivoltare Inghilterra ed Europa se necessario, ma aveva giurato di riportare quei tre a casa.

Ad Hogwarts intanto, anche i ragazzi stavano svolgendo le loro personali indagini, cercando una traccia, un indizio, qualsiasi cosa

Samuel aveva iniziato a saltare le lezioni, finendo parecchie volte in castigo tra l’altro (e saltando pure quelli), preferendo invece setacciare da cima a fondo la scuola.

Non parlava quasi più, non rideva, non scherzava.

Era diventato l’ombra di se stesso.

Noah era il suo fratellino, il più piccolo, e lui non lo aveva difeso come avrebbe dovuto.

Si sentiva terribilmente in colpa, avrebbe dato qualsiasi cosa per essere al suo posto, per essere lui quello in potenziale pericolo.

Quella mattina, invece di essere a Pozioni, stava setacciando il settimo piano.

Aveva controllato tutti i nascondigli, tutti i corridoi, tutti i passaggi segreti, senza però trovare nulla.

Alla fine, rassegnandosi all’ennesimo buco nell’acqua, aveva deciso di tornare al dormitorio per prendere il mantello e tornare nella foresta proibita, che era certo nascondesse qualcosa.

E fu allora che, un secondo prima di girare l’angolo e di ritrovarsi di fronte alla Signora Grassa, sentì due voci che bisbigliavano.

Sam si accovacciò dietro al muro, tendendo l’orecchio il più possibile per cercare di capire le loro parole.

…dobbiamo sbrigarci, mio padre comincia ad essere impaziente” mormorò una delle due.

Lo so” convenne l’altra “ma non abbiamo idea di chi sia il terzo. Devono avere pazienza, dobbiamo indagare di più”.

Samuel si bloccò, quella conversazione era parecchio interessante.

Ne manca solo uno, cerchiamo di farcela prima delle vacanze” continuò la prima voce.

Non serve che me lo ricordi, lo so bene quanto te”.

Il Grifondoro voltò l’angolo, intendo quelle parole in un modo ben preciso.

“Siete stati voi!” urlò “Dov’è mio fratello?”

Draco e Deimos si voltarono, rimanendo però impassibili.

“Tu sei pazzo Black” commento il primo.

Samuel si fece avanti  prendendolo per il colletto del maglione.

“Dov’è Noah?” sibilò.

Malfoy ridacchiò.

“Di nuovo, come alla partita di Quidditch, non hai prove”.

Il Battitore portò una mano alla bacchetta, ma sentì qualcuno fermarlo.

“Sam” tentò Harry “calmati”.

Il ragazzo si voltò, trovandosi di fronte lui e Ron.

“C’entrano loro!” sbraitò “Li ho sentiti parlare! Sono loro che rapiscono la gente!”

“Queste sono accuse infamanti Black. Attento, potrei chiedere a Silente di espellerti” gli notare Draco, con un sorrisetto tranquillo.

“Attenti voi piuttosto” li avvertì lui, guardandoli con gli occhi ridotti a due fessure “perché se scopro che avete anche solo sfiorato mio fratello me la pagherete molto cara”.

Deimos scoppiò a ridere.

“Guardaci” disse “stiamo tremando di paura!”

Samuel alzò il pugno, ma Ron lo fermò e lo trascinò dentro la Sala Comune.

Harry guardò i due Serpeverde, che a loro volta lo fissavano strafottenti.

“Spero per voi che non ci entriate niente” li avvertì “o non sarà così divertente”.

Deimos non rispose, ma Draco si fece avanti.

“Anche se non siamo amici Potter, ho un consiglio per te” mormorò “guardati le spalle”.

 

“Sono stati loro, sono sicuro!” gridò Sam, circondato dai suoi amici davanti al camino spento.

“Samuel, abbiamo bisogno di prove, non possiamo accusali solo perché li hai sentiti parlare di non sai cosa” tentò di farlo ragionare Ted.

“Li ho sentiti Teddy!” esclamò quello “Sono loro, ne sono certo! E tu Lil, faresti meglio a stare lontano da quel Lestrange, nascondono qualcosa”.

Tutti si voltarono verso la ragazza, seduta sulla poltrona dietro di loro.

“Non dire fesserie Sam” esclamò, aprendo finalmente bocca “conosci Mizar, sai che non farebbe male ad una mosca”.

Il ragazzo diede un pugno al muro.

“Sei una sciocca!” urlò “E’ un Mangiamorte porco Merlino! Nelle sue vene scorre sangue Mangiamorte!”

Teddy gli si avvicinò, posandogli le mani sulle spalle.

“Non abbiamo prove, purtroppo. Dobbiamo aspettare” mormorò.

“Ma…”

“Samuel” lo interruppe “siamo nella stessa situazione. Tu hai perso Noah, io Juliet. Soffro quanto te, ma cerco di essere razionale, possiamo solo aspettare”.

Il Battitore abbassò gli occhi, poi abbracciò l’amico.

“Per la prima volta in vita mia ho paura…” sussurrò, in modo che solo lui potesse sentirlo.

“Lo so” rispose l’altro “anche io sono preoccupato”.

Rimasero abbracciati mentre gli altri tiravano un sospiro di sollievo, se Sam si fosse scagliato contro Malfoy senza prove il caro Lucius avrebbe fatto di tutto per farlo cacciare.

Ma pochi secondi dopo, senza alcun preavviso, si staccò dal Metamorphomagus e corse su per le scale, apparentemente senza motivo.

Entro il dormitorio sbattendo la porta e iniziò a setacciare il baule dei libri.

Trovò un pezzo di pergamena, afferrò una piuma d’aquila e iniziò a scribacchiare poggiandosi su un muro.

Si affacciò alla finestra, portò due dita alla bocca e fischiò.

Il ragazzo udì un fruscio d’ali e sorrise istintivamente, vedendo in lontananza una figura avvicinarsi, poi il gufo si poggiò sul davanzale, beccando affettuosamente il dito del suo padrone.

“Portala a papà, di corsa” mormorò mentre gli legava la lettera alla zampa.

Il gufo stridette, spalancò le ali e prese il volo.

Su quel frammento di pergamena c’erano poche, ma importantissime, parole.

Controllate i Lestrange e i Malfoy, nascondono qualcosa.

Sam

 

Di nuovo, stava saltando Trasfigurazione, ma era certo che quella volta sarebbe stato punito in modo davvero esemplare.

Non potevi evitare più di dieci lezioni di Minerva McGranitt e sperare di rimanere incolume.

Era in un corridoio del settimo piano, a pochi passi dalle aule dove i suoi amici stavano studiando, ed era appoggiato ad una finestra da quasi mezz’ora, guardando il parco senza vederlo davvero.

“Sam” disse una voce dolce, seguita da una piccola mano che si poggiava sulla sua spalla.

Il ragazzo alzò gli occhi, trovandosi accanto Dione.

“Ciao…” borbottò “…come mai non sei a lezione?”

Lei alzò le spalle.

“Ora buca” spiegò.

Samuel annuì, tornando a fissare il parco.

“Come stai?” chiese.

“Così…” mormorò il ragazzo “…e non è divertente vedere che mi parli solo ora che mio fratello è scomparso”.

La ragazza accennò un sorriso, spostando una ciocca di capelli castani che le era  caduta sugli occhi.

“Volevo essere gentile, ma se preferisci posso andarmene…”

Fece un passo indietro, ma lui le afferrò il polso e la avvicinò a se.

“Resta” sussurrò fissandola negli occhi.

Lei non si mosse, rimase immobile a pochi centimetri da lui, e fu allora che Samuel abbassò il viso ancora di più.

Dione non riuscì a rompere la catena che legava i loro sguardi, o forse semplicemente non volle, fatto sta che di li a poco, dopo mesi di corteggiamento a senso unico, si stavano baciando.

Fu un bacio dolce, un bacio colmo di sentimenti non rivelati, il bacio più bello che entrambi avessero mai dato.

“Che diavolo fai sorella?” ringhiò una voce.

Si voltarono entrambi, trovandosi di fronte un Deimos Lestrange particolarmente infuriato.

“Allontanati da lui, piccola traditrice” sibilò.

Samuel tentò di porsi davanti a lei, ma Dione fu più veloce e si mise a metà strada tra i due ragazzi.

“Non avrei mai pensato di vedere una Lestrange tra le braccia di un babbanofilo” mormorò furente “e tu Black, vedi di starle alla larga”.

E se ne andò, non prima però di aver lanciato un’ultima occhiata inceneritrice ad entrambi.

La ragazza fece per seguilo, ma Sam la fermò.

“Non andare Di, ti prego” disse “tuo fratello nasconde qualcosa”.

“Non costringermi a scegliere, Samuel”.

Il ragazzo mollò la presa del suo polso, guardandola confuso.

“Perché? Sceglieresti lui?”

Dione rimase un attimo in silenzio, fissandolo negli occhi.

“Si, sceglierei lui. È mio fratello, sceglierei sempre lui”.

Il Grifondoro si ritrasse, guardandola con la stessa espressione che riservava di solito solo ai Serpeverde.

“E allora vai. Io devo ritrovare il mio di fratello, non posso perdere tempo con te”.

Dione gli lanciò un ultimo sguardo misto tra delusione, dispiacere e rabbia, poi si voltò, seguendo gli stessi passi di Deimos.

Il Battitore si voltò, tornando di nuovo a fissare il parco.

“Signor Black, proprio lei cercavo” esclamò una voce avvicinandosi, e Samuel riconobbe in lei la McGranitt.

Strizzò gli occhi, cercando di ricacciare indietro una lacrima solitaria che invece gli aveva solcato il viso.

“Eccomi professoressa” rispose girandosi “qual è la punizione stavolta?”

 

“Deimos! Deimos fermati!” gridò Dione, seguendolo su per le scale del dormitorio.

“Vattene sorella” sbottò quello “torna dal tuo traditore”.

“Per favore Deimos, ascoltami un attimo” lo pregò, prendendolo per la manica del maglione.

“Cosa vuoi?”

“Ti prego, cerca di capire, a me Samuel piace sul serio”.

Il ragazzo accennò un sorriso, e Dione pensò di averla spuntata.

“Racconta ai nostri genitori che ti sei presa una cotta per il figlio di Sirius Black, sarà divertente vedere la loro reazione” sibilò.

Lei non rispose e lui si avviò per le scale, sbattendo poi la porta del suo dormitorio.

Dione si accasciò sulle scale, Deimos sul suo letto.

Dione sperò che tutto potesse risolversi, Deimos di trovare finalmente il terzo cuore puro, l’unico desiderio che voleva si avverasse davvero.

 

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Capitolo 30
*** Il terzo cuore puro ***


 

Buongiorno!!!!

Ovviamente scusatemi come al solito per l'immenso ritardo, e grazie mille a tutti coloro che mi seguono e recensiscono!!! :D

Nel prossimo capitolo avremo gli ultimi attacchi e poi...la resa dei conti!!!

Nel frattempo spero che questo vi piaccia almeno un pochino, anche se purtroppo non è venuto bene come speravo :(

Fatemi sapere!!

Bacioni

Ale

Ps. Alla fine, quando mi riferisco al poeta di fine 800, parlo di Oscar Wilde. Quella frase che ho attribuito a lui l'ho trovata sul libro La ragazza che rubava le stelle, dove si diceva che era sua.

 

 

30. Il terzo cuore puro

Aprì gli occhi di scatto, sentendosi incredibilmente strano.

Era in un luogo buio, talmente oscuro da non permettergli di vedere nemmeno il pavimento su cui era seduto.

Deimos si alzò in piedi lentamente, barcollando un po’ tra l’altro, e si guardò intorno.

Dove diamine era finito?

“C’è nessuno?” domandò, senza però ottenere risposta.

“C’è nessuno?” chiese ancora, stavolta a voce più alta.

Ma l’unica cosa che udì fu l’eco delle sue parole.

Ed ecco che, da quella strana nebbiolina che circondava i suoi piedi, comparve una via.

Il ragazzo vi si diresse, trovandosi poi in un basso e stretto corridoio ancora più buio.

Si tastò il corpo alla ricerca della bacchetta, ma si accorse che indossava solo il suo pigiama di seta nero, non aveva la divisa.

Notò per la prima volta di essere a piedi nudi, ma non sentiva freddo, anzi.

Nonostante l’oscurità, seppe di dover proseguire, anche alla cieca se necessario, ma doveva continuare a camminare.

Alla fine del percorso si ritrovò di fronte ad una massiccia porta, anch’essa nera.

Si guardò alle spalle, ma quando si accorse di essere completamente solo si voltò di nuovo, sospirò e abbassò la maniglia.

Quello che vide al di là lo lasciò un po’ confuso, trovandosi in un luogo che conosceva fin troppo bene.

La prima cosa che vide fu la luce verdastra emanata dalle lampade, poi si accorse dei sofà e delle poltrone nere, infine i tappeti verde e argento e il colossale camino di marmo.

La Sala Comune dei Serpeverde era di fronte a lui, ma sembrava come ovattata, piena com’era della fitta nebbia che aveva già visto prima.

Deimos fece un passo avanti e di colpo la porta alle spalle scomparì, lasciandolo incerto sul da farsi.

Era certo che fosse un sogno, non tanto per quella strana nebbiolina che aleggiava quanto per il fatto che non sarebbe mai uscito dalla sua stanza in pigiama e a piedi nudi.

E in quell’istante lo vide, o meglio si vide.

Vide se stesso appostato dietro alla libreria che affiancava le scale che portavano ai dormitori, con la bacchetta stretta in pugno e l’aria concentrata.

“Che stai facendo?” domandò al suo doppio.

Quello non vi badò, continuando a guardare fisso di fronte a se.

Deimos allungò una mano, ma quando provò a toccare la testa dell’altro fece un balzo indietro impaurito.

Gli era passato attraverso, quindi ebbe definitivamente la conferma di stare sognando.

In fondo le opzioni erano due, o era un sogno o era morto e si trovava di fronte al suo fantasma, quindi preferiva di gran lunga la prima ipotesi.

In quell’istante sentì un rumore, dei piccoli passi che venivano dalle scale del dormitorio.

Ancora pochi secondi, poi Dione comparve di fronte a lui.

Indossava già la divisa, aveva i capelli perfettamente pettinati e l’aria tranquillamente sveglia.

Irrazionalmente si ritrovò ad invidiarla, lei si svegliava sempre presto ed era sempre fresca come una rosa.

Nel momento in cui la sorella poggiò il piede sul pavimento di pietra, però, l’altro lui levò la bacchetta.

“NO!” gridò il ragazzo, ma fu inutile.

Lo vide, si vide, chiudere gli occhi e voltarsi dall’altra parte, poi un lampo di luce rossa si diresse verso Dione, e verso di lui.

 

La stanza da letto era immersa nel silenzio, non si sentiva una voce, non si vedeva un movimento.

Deimos si svegliò di soprassalto, trovandosi seduto sul letto.

Il fiato corto, la fronte imperlata di goccioline di sudore, il pigiama nero altrettanto bagnato.

Ansimando per lo spavento si guardò intorno, i suoi tre compagni di stanza ancora dormivano profondamente, così anche lui si ributtò a peso morto sul cuscino tentando di calmarsi.

Era stato il peggior incubo che avesse mai fatto, oltretutto completamente senza senso.

Non avrebbe mai attaccato sua sorella.

Si dice che i sogni mostrino ciò che veramente vogliamo, ma se così fosse stato significava che lui avrebbe voluto schiantare Dione.

No, decise che non poteva essere.

Si girò su un fianco e chiuse insistentemente gli occhi, tentando in ogni modo di dormire.

Fu inutile, per quanto ci provasse non riusciva proprio a prendere sonno, preoccupato com’era per il significato di quell’incubo.

Si sedette di nuovo, appoggiando la schiena alla spalliera e incrociando le braccia al petto.

Un solo motivo avrebbe potuto spingerlo ad attaccare la sorella, il fatto che lei potesse avere il terzo cuore puro.

Non si era mai chiesto davvero come funzionasse l’incantesimo che sua madre aveva in mente, ma era più che certo che non fosse una cosa buona, per cui si sentiva terrorizzato all’idea che Dione potesse essere l’ultima persona che cercava.

Scosse forte la testa.

Non poteva essere, era praticamente impossibile.

Dione era una Lestrange, era figlia di Mangiamorte, era cresciuta, al pari di lui, circondata dalla magia nera.

Ma in fondo al cuore sapeva che sua sorella era sempre stata diversa, sapeva che non aveva mai nemmeno sfiorato un libro di Arti Oscure, sapeva che a Durmstrang aveva sempre aiutato i più deboli, quelli messi da parte da tutti.

Non sarebbe mai stata la Lestrange che Rodolphus e Bellatrix avevano tentato di crescere.

Di colpo quella consapevolezza si radicò nella sua mente e seppe che, finchè non avesse avuto la certezza che sua sorella non fosse la persona che cercavano, quel dubbio lo avrebbe seguito per sempre.

Si voltò, l’orologio segnava le sei e mezza del mattino.

Per quella sua irragionevole abitudine di alzarsi praticamente all’alba, Dione tra tutti i Serpeverde era sempre la prima a scendere in Sala Comune, per cui anche Deimos si vestì silenziosamente, deciso ad aspettarla laggiù per essere certo di aver torto.

Scese le scale più piano possibile, voltandosi ogni volta che sentiva un rumore, poi si nascose di fianco alla libreria, proprio come nel sogno.

Nei venti minuti che seguirono più e più volte pensò di tornare indietro, di rimettersi a dormire e di lasciar perdere la sorella, certo com’era che quello stupido sogno l’avesse condizionato inutilmente, ma quando sentì dei passi provenire dalle scale si nascose e si rimase immobile.

Non appena la vide levò la bacchetta con un orribile senso di dejavu, poi serrò gli occhi e pronunciò mentalmente l’incantesimo Non Verbale.

Quando sentì il tonfo sospirò, abbassò la bacchetta e aprì gli occhi, senza però avere il coraggio di voltarsi.

Vide vicinissime le scarpe nere, le gambe coperte dalle calze, poi il mantello della divisa e infine il volto, con gli occhi chiusi e un’espressione tranquilla.

Dione era caduta su un fianco, una mano correva lungo il corpo e l’altra era accanto al viso, i libri che teneva in mano erano scivolati a terra, alcuni fogli si erano sparsi sul pavimento.

Il ragazzo si infilò la bacchetta in tasca, poi prese la sorella tra le braccia e la depose delicatamente sul divano.

Le carezzò una guancia e le scostò una ciocca di capelli dal viso, poi si preparò all’incantesimo successivo.

Reperius cordis” borbottò.

Per un pò non accadde nulla, tanto che si ritrovò a sospirare di sollievo ma poi, di colpo, si ritrovò accecato da quella luce azzurra che conosceva fin troppo bene.

Deimos cadde in ginocchio, portandosi le mani tra i capelli.

Era lei, era davvero lei quella che cercavano.

Sua sorella possedeva il terzo cuore puro.

Le si sedette accanto, pensando a quanto potesse essere impossibile tutto ciò che stava succedendo.

Le accarezzava ritmicamente la guancia, sentendo il terrore che mano a mano gli cresceva dentro.

Doveva scrivere a sua madre, doveva dirle che dovevano lasciar perdere, non poteva davvero fare del male alla propria figlia.

Si abbassò su di lei, posandole un bacio sulla fronte.

Non aveva provato nulla quando avevano portato via la piccola Juliet, tantomeno gli altri due, ma non voleva credere di stare per rapire la gemella.

Dione era sempre stata l’unica persona a cui volesse davvero bene, sarebbe andato e tornato dall’inferno per lei, sarebbe anche morto per lei.

L’amava, Dio quanto l’amava.

“Mi dispiace sorellina, perdonami…” sussurrò.

Si rialzò, puntandole di nuovo la bacchetta addosso.

Corpus…corpus locomotor” pronunciò, dirigendosi poi verso il passaggio di pietra, con il corpo della ragazza fermo a mezz'aria davanti a lui.

I sotterranei erano vuoti, non incrociò nessuno ne vide fantasmi.

Mentre camminava per i corridoi silenziosi, la dolce brezza notturna muoveva i capelli della gemella e Deimos si incantò a guardarli.

Era stato educato in un certo modo, con il rigido stampo dei Purosangue, ed era sempre stato abituato ad obbedire.

Quando i suoi genitori gli avevano affidato la missione non si era neanche preoccupato di come sarebbe andata a finire, poiché sapeva che in ogni caso avrebbe dovuto portarla a termine.

Al contrario di Draco non aveva mai chiesto ai suoi i dettagli del piano per cui non sapeva con esattezza come sarebbe dovuto avvenire l’incantesimo.

In quei momenti però il terrore si stava impadronendo di lui, perché temeva per la sorte della sua sorellina.

Per quanto non approvasse le scelte di Dione lei era sempre sangue del suo sangue, non l’avrebbe mai messa davvero in pericolo.

Ma non sapeva come la pensava sua madre.

La parte irrazionale del suo cervello stava dicendo che Bellatrix non avrebbe mai sacrificato la figlia, ma quella razionale, quella che la conosceva fin troppo bene, stava urlando che la donna non si sarebbe fatta scrupoli pur di riavere Lord Voldemort.

Lui decise di ascoltare la prima voce, così continuò il suo cammino.

Imboccò il primo passaggio segreto che vide, e salì una stretta scala a chiocciola che lo portò al quinto piano, poi prese una stradina coperta da un arazzo che lo condusse dritto dritto al settimo piano, solo qualche corridoio più in là della Stanza delle Necessità.

Quando varcò la soglia nel camino già brillavano le fiamme smeraldine della Metropolvere.

Prese un po’ di Polvere Volante da un vasetto posato a terra e la lanciò nel camino.

“Villa Lestrange” mormorò.

Nell’istante in cui depose la sorella tra le fiamme, quella svanì.

Il ragazzo rimase a fissare il fuoco finchè quello non si spense, con la luce smeraldina che si rifletteva nei suoi occhi scuri.

Mentre lo guardava gli venne in mente, all’improvviso e senza sapere come, una frase che aveva intravisto su uno dei libri Babbani di Mizar, una di un certo poeta di fine ‘800.

Quando gli dei vogliono punirci, esaudiscono i nostri desideri.

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Capitolo 31
*** La fine dei giochi ***


 

Buonasera a tutti :)

Stasera diversamente dal solito posto di sera, visto che sono riuscita a finire il capitolo :P

Come avrete notato ci stiamo avviando verso la fine della storia, per cui vi lascio la scelta.

Preferite 4 capitoli un pò più lunghi o 6 un pò più cortini??

Pechè sono indecisa su come dividerli :(

Fatemi sapere!!

Buona lettura!

Baciiii

Ale

Ps. GRAZIE GRAZIE GRAZIE a tutti quelli che leggono e recensiscono!! :D :D :D

 

 

 

31. La fine dei giochi

La porta della stanza del dormitorio del settimo anno si aprì cigalando, permettendo a Samuel di entrare.

I suoi inquilini dormivano profondamente, c’era Harry che si era assopito con gli occhiali ancora indosso, Ron che russava sonoramente, Neville coperto fino alle orecchie, al contrario di Seamus completamente scoperto e Dean che chissà come era finito completamente capovolto, con i piedi sopra il cuscino.

Il ragazzo si avvicinò di soppiatto al comodino di Harry dove, poggiata sotto la bacchetta, c’era la Mappa del Malandrino.

Il Battitore la prese, lasciandovi invece un pezzo di pergamena dove diceva all’amico di averla presa lui e uscì di nuovo, senza che nessuno si accorgesse di nulla.

Mentre scendeva le scale scosse la testa, se fosse stato un ladro avrebbe potuto portar via tutto senza che nessuno se ne rendesse conto.

Arrivato nei pressi del buco del ritratto si fermò, aprì la Mappa e tirò fuori la bacchetta.

Era già mattina, ma visto che era ancora in vigore il coprifuoco non voleva finire nei guai per una cosa che già di per se gli sembrava moooolto difficile da fare.

Giuro solennemente di non avere buone intenzioni” disse.

E la pergamena prese vita.

I corridoi erano sostanzialmente vuoti, c’erano solo un paio di Prefetti di ronda al terzo piano (ma lui sapeva che erano due fidanzatini per cui era più che certo che stessero facendo tutto fuorchè sorvegliare), c’era Pix sulla torre di Astronomia e probabilmente una specie di riunione di fantasmi al quinto piano, visto che erano tutti radunati in una vecchia aula in disuso.

Lei non si vedeva, ma Sam pensò semplicemente di non riuscire a scorgere il suo nome in mezzo a tutti i puntini che affollavano la Sala Comune di Serpeverde.

Uscì dalla torre silenziosamente, poi iniziò a camminare con la Mappa davanti al naso.

Imboccò i passaggi segreti che conosceva come le sue tasche, ritrovandosi dritto dritto davanti al muro dove, secondo i Malandrini, c’era l’entrata del dormitorio verde argento.

 Si appoggiò alla parete di pietra fissando l’ingresso e aspettando, o meglio sperando, di vedere uscire Dione.

Quando la sera prima avevano litigato aveva sentito di essere completamente dalla parte della ragione poi però, pensandoci su durante la notte, aveva capito che se una ragazza gli avesse chiesto di scegliere tra lei e Noah lui non ci avrebbe nemmeno ragionato.

Evidentemente anche lei doveva aver fatto lo stesso.

E così, per la prima volta in vita sua, aveva deciso di mettere da parte l’orgoglio e di chiederle scusa, sperando di poter avere un’altra possibilità.

Il tempo iniziò a scorrere finchè non arrivò l’ora della colazione, quando i primi studenti uscirono dalla Sala Comune.

Rimasero quasi tutti sorpresi vedendo Samuel Black li davanti così di buon ora, e poco manco che ci scappasse la rissa con Malfoy dopo un non proprio gentile scambio di battute.

Alla fine, quando uscì anche Deimos, il Grifondoro decise di fermarlo.

“Lestrange!” chiamò “Dov’è Dione?”

L’altro si fermò, fissandolo con gli occhi ridotti a due fessure.

“Perché dovrei dirtelo?” chiese.

“Perché voglio parlarle”.

Deimos alzò le spalle.

“Non è un mio problema. Aspettala pure, se vuoi”.

Il Battitore rispose con un gestaccio Babbano non proprio educato, poi tornò a fissare il muro mentre l’altro saliva a colazione.

Ma quando ormai erano parecchie decine di minuti che l’aspettava, Sam decise di lasciar perdere, dirigendosi anche lui verso la Sala Grande.

Non poteva tirare fuori la Mappa perché c’era troppa gente nei corridoi, così pensò che fosse uscita ancora prima che lui arrivasse (infrangendo anche lei il coprifuoco) e sperò ardentemente di vederla già seduta al tavolo.

Ma di nuovo, lei non c’era.

Per tutta la colazione gli occhi del ragazzo vagarono da quella tavolata alla porta e viceversa, ma non vide mai Dione entrare.

Iniziò seriamente a preoccuparsi, di quei tempi non si poteva stare troppo tranquilli, e decise che, se non avesse saputo nulla entro l’ora di pranzo, avrebbe dato l’allarme.

Ma il caso volle che quella mattina, la prima ora, avessero Trasfigurazione proprio con i Serpeverde così Deimos, quando la McGranitt glielo chiese, fu costretto a giustificare l’assenza della sorella.

“Questa mattina non si sentiva molto bene” spiegò “a quest’ora sarà già da Madama Chips”.

E Samuel dovette necessariamente mettersi il cuore in pace e rimandare a quel pomeriggio, al più tardi la mattina successiva, le sue scuse.

Se Grifondoro e Serpeverde avessero avuto altre lezioni in comune quel giorno, però, Sam avrebbe capito che qualcosa non andava.

Deimos ripetè quella spiegazione a tutti gli insegnanti ed era praticamente impossibile che l’infermiera ci mettesse così tanto a curare una banale febbre o un altrettanto banale raffreddore.

Gli altri Serpeverde che lo sentirono lo trovarono assolutamente strano, ma sapevano che non era saggio contraddire Deimos e si tennero per loro quei dubbi.

Sam continuò a sperare per tutta la mattina di incrociarla, ma quando neanche a pranzo la vide dovette necessariamente rassegnarsi ad aspettare il giorno successivo, senza sapere che quell’incontro non ci sarebbe mai stato.

 

“Deimos! Draco!” gridò una voce alle loro spalle “Proprio voi cercavo!”

I due si voltarono, vedendo arrivare un Mizar particolarmente trafelato.

“Che c’è?” domandò sbrigativo il Lestrange, che per tutta la giornata era stato particolarmente irritabile.

Draco ne capiva perfettamente il motivo, il cugino ovviamente no.

“Dov’è Dione?” chiese il ragazzo, senza considerare minimamente il tono acido dell’altro.

“Perché dovrei saperlo io?” sbottò Deimos.

“Perché sei suo fratello e frequentate le stesse lezioni” rispose Mizar, cominciando ad essere irritato anche lui.

L’altro scrollò le spalle.

“Stamattina mi ha detto di non sentirsi bene, forse è rimasta a dormire” buttò lì.

“Non si è presentata nè a pranzo nè a colazione!” obiettò l’altro.

Deimos sbuffò.

“Oh, Mizar, smettila di asfissiarmi” ringhiò “se sei tanto preoccupato valla a cercare, io ho altro a cui pensare”.

Detto questo girò su i tacchi e se ne andò, seguito poco dopo da Draco.

“Ci sei andato giù pesante è…” commentò.

L’altro non rispose.

“Deimos?”

“Mettiamo fine a questa storia, sono stanco”.

E imboccò velocemente un passaggio segreto, tirando fuori la bacchetta.

 

Harry camminava a passo spedito con la lettera di suo padre stretta in mano, dopo essere corso in Guferia con la risposta stava tornando di fretta alla torre.

Dovette necessariamente fermarsi, vedendo Draco Malfoy e Deimos Lestrange mettersi sulla sua via.

“Non  è saggio girare per i corridoi da soli, Potter” sogghignò il Cercatore.

“Potrei dire la stessa cosa a voi” gli fece notare lui, avvicinando velocemente la mano alla tasca della bacchetta.

“Noi siamo in due” rettificò Deimos “tu solo” e tirò fuori la sua di bacchetta da dietro la schiena.

Harry, seppur preso in contropiede, fece lo stesso.

“Lasciatemi passare, se non volete guai” mormorò.

Ma Draco rise.

Stupeficium!” urlò.

Protego!” rispose Harry “Ma siete impazziti?!?”

Petrificus Totalus!” ritentò Malfoy.

Il Cercatore, usando l’abilità sviluppata durante gli allenamenti, riuscì ad evitare l’incantesimo, ma non si accorse che anche Deimos stava mirando a lui.

Incarceramus!” esclamò il ragazzo, prendendo Harry in pieno petto.

Il Grifondoro cadde a terra legato come un salame e subito dopo Draco gli puntò la bacchetta addosso.

Silencio” disse zittendolo definitivamente.

I due Serpeverde gli si avvicinarono, vedendo gli occhi furiosi del Cercatore e guardando la bocca aprirsi e chiudersi senza che ne uscisse alcun suono.

“Hai perso smalto Potter” fece Malfoy “una volta ci avresti dato più filo da torcere…”

Quello aprì e richiuse la bocca rabbiosamente, cercando di liberarsi dalle corde.

“Si, bè, in ogni caso…” mormorò Deimos con la bacchetta spianata “…buonanotte Potter. Stupeficium”.

Il lampo di luce rossa colorò tutto il corridoio ed Harry chiuse gli occhi, mentre i due Serpeverde sorridevano.

“Manca solo Mira” constatò Draco “con lei come faremo?”

L’altro sorrise ancora di più.

“Sarà fin troppo facile” rispose “ho messo sotto Imperio una sua compagna di corso, ce la porterà dritta dritta davanti alla Stanza delle Necessità”.

“Imperio?” domandò Malfoy confuso e leggermente atterrito.

“Via Draco, tra tutte le cose che ho fatto quest’anno l’Imperio è forse quella meno grave” constatò.

Il cugino annuì.

“Mettiamo apposto Potter, poi aspettiamo lei”.

 

“Anne, Anne dove andiamo?” domandò confusa Mira.

Anne Thompson, una compagna di stanza che in tutto quell’anno non le aveva mai rivolto la parola, l’aveva presa per un polso e trascinata via.

“Anne, per favore, rispondimi!” esclamò.

La ragazza si voltò, fissandola con gli occhi ridotti a due fessure.

“Ci stanno aspettando al settimo piano” sibilò “muoviti”.

E riprese a camminare.

Mira tentò di divincolarsi dalla sua presa ferrea ma fu inutile, dovette per forza seguirla per le scale.

“Ci siamo” disse ad un certo punto, mentre stavano per girare in un altro corridoio.

Quando lo fecero, alla francesina si gelò il sangue nelle vene.

Ad aspettarla appoggiati ad un muro c’erano i due Serpeverde che negli ultimi mesi aveva cercato in ogni modo di evitare.

“Molto bene Anne” constatò Deimos sorridendole ed alzando la bacchetta “Stupeficium”.

La ragazza cadde a terra schiantata, sotto gli occhi impauriti di Mira.

Oblivion” aggiunse Draco, cancellandole per sempre dalla memoria il ricordo dell’essere stata soggiogata dal cugino.

“Che…che volete farci?” chiese Mira indietreggiando, con gli occhi che le si riempivano di lacrime.

Non era mai stata una tipa coraggiosa, non avrebbe mai retto un duello contro quei due.

“A quella oca della tua compagna nulla” disse Malfoy “quanto a te, sai bene che vogliamo la catenina di Sophie”.

“Per cui…” continuò Deimos alzando la bacchetta.

“Vi prego, lasciatemi andare” mormorò lei indietreggiando sempre di più, mentre le guance le si rigavano di lacrime.

Il cugino sorrise vedendola voltarsi e tentare di correre via, poi le mirò alla schiena.

Stupeficium”.

 

La McGranitt entrò come una furia nell’ufficio di Silente, senza preoccuparsi nemmeno di bussare.

“Minerva, che…?” tentò di parlare lui, ma fu interrotto.

“In cinque Albus! Sono spariti in cinque!” urlò, con la voce che le tremava.

“Weasley è venuto da me dicendo che non trovava più il suo compare, così abbiamo controllato e ci siamo accorti che sono scomparsi cinque studenti!”

Silente si alzò in piedi, parlando con una voce fin troppo calma.

“Chi manca all’appello?” domandò.

“Potter, la signorina Dumas, i gemelli Lestrange e Draco Malfoy” rispose lei concitata.

“Sicura che non siano qui in giro? Per esempio nella foresta” provò il preside.

La McGranitt scosse forte la testa.

“Abbiamo controllato quella stramba mappa, non sono da nessuna parte” esclamò.

Silente annuì.

“Minerva, chiama l’Espresso” disse.

“Cosa?!”

L’uomo la fissò con i suoi penetranti occhi azzurri.

“I ragazzi vanno mandati a casa. Finchè il responsabile di queste aggressioni non verrà trovato Hogwarts non è più un luogo sicuro per loro” mormorò.

 

La tavolata di Grifondoro era più silenziosa che mai.

Ron esibiva una faccia da funerale, le guance di Ginny e Camille erano rigate dalle lacrime, Sam e Ted fissavano i loro piatti rimasti intoccati.

Quando avevano saputo che anche Dione e Mira erano scomparse erano andati in crisi, soprattutto Samuel che si biasimava per non averla cercata di più.

Nel momento in cui il preside si alzò il vociare si spense all’improvviso.

“Come tutti ormai saprete, oggi sono stati rapiti cinque studenti” cominciò “per cui, per salvaguardare tutti voi abbiamo deciso che domattina prenderete l’Espresso e tornerete a casa. La speranza è che il responsabile di queste aggressioni venga trovato al più presto, cosicchè potrete tornare” Silente abbassò per un attimo gli occhi, ma poi tornò a guardarli “è più sicuro così, mi dispiace. Stasera farete i bagagli, domattina il treno vi aspetterà ad Hogsmeade”.

Il brusio si interruppe di botto sentendo quelle parole, perché tutti sapevano cosa l’uomo avesse accuratamente evitato di specificare.

Se il responsabile non fosse stato trovato la scuola sarebbe rimasta chiusa.

“Non partirò senza di loro” esclamò Sam.

“Torneremo con i nostri genitori” rispose Teddy, bevendo in un sorso la sua acqua.

“Non ho intenzione di non rivedere mai più mio fratello” aggiunse Camille.

Rimasero in un silenzio grave, ognuno immerso nei suoi pensieri.

“Andiamo a fare i bagagli” disse Ginny all’improvviso “tanto mi pare che nessuno di noi ha molta fame…”

E strisciando pesantemente le panche a terra la combriccola si diresse fuori.

 

“La foresta proibita…”

“Che cosa?”

“La foresta proibita…”

“Chi sei?”

“Mizar, aiutaci…”

 

Il ragazzo si svegliò di scatto, guardandosi freneticamente intorno.

Aveva sentito la voce di Mira.

Non era stato solo un sogno, lo capiva bene, era successo esattamente come quando riuscivano a leggersi nella mente.

Balzò in piedi e si vestì di fretta e furia, correndo poi fuori dalla stanza.

 

Tic tic tic.

Il silenzio della stanza era stato rotto.

Tic tic tic.

“Camille…”

Tic tic tic.

“Camille…” ritentò Ginny “…c’è il gufo di Mizar fuori dalla finestra”.

Tic tic tic.

“Lil, sta battendo sul vetro”.

La ragazza aprì un occhio solo, vedendo che effettivamente c’era un volatile che chiedeva di entrare.

Si alzò, andando ad aprirgli mentre sbadigliava sonoramente.

Per vendicarsi di quell’attesa, il gufo pensò bene di beccarle un dito, poi volò di nuovo via.

Camille srotolò la pergamena e lesse quelle poche parole.

Credo di sapere dove siano, ti sto aspettando fuori dal buco del ritratto.

Mizar

“Ginny! Ginny svegliati!” esclamò improvvisamente sveglia, afferrando poi i vestiti sul letto e togliendosi velocemente la camicia da notte.

“Che c’è?” biascicò lei.

“Corri a svegliare gli altri” rispose “Mizar li ha trovati”.

“Che cosa?” domandò sedendosi sul letto.

“Non c’è tempo per le spiegazioni, Mizar li ha trovati. Vestiti e vai a chiamare gli altri!” esclamò, senza nemmeno preoccuparsi di aver svegliato le restanti due compagne di stanza.

“Lil aspetta, potrebbe essere una trap…” ma si interruppe scuotendo la testa.

Camille era già corsa via.

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Capitolo 32
*** Nella foresta ***


 

Di nuovo, scusatemi per lo spaventoso ritardo :(

Non so perchè, ma in questo periodo la mia voglia di scrivere e la mia ispirazione sono praticamente sotto zero...

In ogni caso mancano solo tre capitoli, per cui cercherò di postarli entro la fine della settimana prossima perchè davvero, nonostante quanto io ami questa storia, non ne posso più!!! :S

Il capitolo che leggerete pensavo sarebbe venuto meglio, ma non sono riuscita a fare più di così, scusate.

Buona lettura,

baci

Ale

PS. Ringrazio in anticipo chiunque avrà voglia di recensire, oltre ovviamente chi ha recensito i precedenti chap :)

 

 

 

32. Nella foresta

“Che succede?!” disse Sam uscendo dal buco del ritratto, con i capelli scarmigliati e lo sguardo insonnolito.

“Mizar li ha trovati!” esclamò Camille “Sono nella foresta proibita!”

Uno ad uno lo seguirono Ted, Ron e Ginny, ognuno più o meno stanco.

“Ho sentito la voce di Mira in sogno” aggiunse il Serpeverde.

“In che senso scusa?” chiese Ron, facendo poi un sonoro sbadiglio.

“Mia sorella ed io abbiamo una specie di connessione mentale” spiegò Mizar “spesso riusciamo a leggerci nel pensiero. È una specie di telepatia”.

I ragazzi lo guardarono incerti, per quanto il sonno potesse permetterlo loro.

“Siamo sicuri che sia vero?” domandò Teddy assottigliando lo sguardo “Chi ci assicura che non sia una trappola?”

Mizar parve indignato.

“Non metterei mai in pericolo la mia ragazza” sibilò, facendo arrossire Camille.

“C’è un modo molto semplice per scoprirlo” rispose il Methamorphomagus, rientrando in Sala Comune.

Gli altri gli lanciarono un’occhiata confusa, poi si fissarono a vicenda.

“Dove va?” chiese Ron, ma quelli alzarono le spalle.

Quando Ted tornò, poco dopo, reggeva tra le mani una vecchia pergamena.

“Ma certo!” esclamò Ginny “La Mappa!”

L’amico annuì.

“Giuro solennemente di non avere buone intenzioni”.

Quando la Mappa del Malandrino prese vita, tutti guardarono immediatamente la parte che ritraeva la foresta.

“Non c’è nessuno” constatò Teddy, non vedendo alcun puntino tra gli alberi.

“Aspetta…” mormorò Sam, e tutti si voltarono a guardarlo “…la foresta non fa completamente parte dei confini di Hogwarts, c’è un posto che è terra di nessuno”.

“Si, e allora?” fece Ron.

“Noi siamo andati fuori dai confini della scuola” continuò.

Camille strabuzzo gli occhi.

“La cripta!” esclamò.

Sam annuì.

“Che cripta?” chiese Mizar incerto.

“Vi spieghiamo strada facendo” disse l’altro cominciando a camminare “dobbiamo muoverci”.

“Fermi!” esclamò Teddy fissando la Mappa “La McGranitt sta per passare di qui e Piton è davanti al portone, dobbiamo aspettare!”.

Sam provò a parlare, ma in quel momento sentirono tutti dei passi poco distante.

“Dentro! Dentro! Dentro!” disse Ted spingendo gli amici, Mizar compreso, ad di là del buco del ritratto.

“Shhhhhhh" li ammonì.

I Grifondoro tesero le orecchie e sentirono, nel silenzio del corridoio, il ticchettio delle scarpe della vicepreside a pochi passi da loro.

Mizar invece, si incantò a fissare l’ambiente.

Lui che era abituato alla freddezza della Sala Comune di Serpeverde, trovò sconcertante il calore di quel luogo.

Si affacciò verso le alte finestre, vedendo un panorama mozzafiato.

“Bello vero?” gli domandò Camille.

“Silenzio!” sibilò Teddy a quel punto “E’ proprio qui fuori!”

Tutti abbassarono gli occhi sulla Mappa, trattenendo il fiato alla vista del puntino che portava il nome di Minerva McGranitt di fronte a quelli che portavano i loro.

Sam fissò la pergamena battendo il tempo con i piedi poi, non appena la vicepreside svoltò l’angolo del corridoio di fronte al quadro, alzò lo sguardo.

“Forza, prendiamo i passaggi segreti”.

 

Un lento fruscio muoveva le fronde degli alberi, una splendida mezzaluna riusciva a rischiarare il cielo, gufi e civette fischiavano per far sentire la loro presenza.

Il parco di Hogwarts non era silenzioso quella notte, ma dava un senso di pace tale da non essere paragonabile a nient’altro.

Il gruppetto uscì da una stradina ben nascosta dietro le serre, dopo aver percorso l’unico passaggio segreto che i Malandrini non erano riusciti a scoprire nei loro sette anni di scuola.

Nascosta dietro un arazzo a pochi passi dalla Sala Comune c’era una stretta e ripida scala a chiocciola, che portava dritta dritta a pochi passi dalla foresta.

“Sbrighiamoci” sussurrò il Battitore guardandosi intorno, per poi correre nel buio degli alberi.

Gli altri lo seguirono e, poco dopo, stavano già percorrendo il sentiero con le bacchette spianate e la guardia alta.

“Dove dobbiamo andare?” chiese Ron.

“Arriviamo vicino alla tana di Aragog, poi lasciamo il sentiero” rispose Camille alle sue spalle, con un tono di voce perfettamente tranquillo.

Il ragazzo trasalì.

“A-Aragog?” balbettò, era ben noto a tutti il suo terrore per i ragni.

“Non entreremo nella tana” cercò di tranquillizzarlo lei “solo passargli accanto”.

Ron deglutì incerto, ma alla fine annuì.

Se non fossero stati tutti così preoccupati per i loro amici, probabilmente sarebbero tutti scoppiati a ridere vedendo con quanta attenzione il Portiere si stesse guardando intorno, pronto a scattare se avesse visto uno degli adorabili eredi della grande acromantula di Hagrid.

Di colpo la foresta divenne estremamente silenziosa, quasi come se tutto fosse all’erta al pari di loro.

Colpita da tutto quel silenzio Ginny si voltò, e fu una fortuna perché ebbe modo di gridare: “Giù!”

Una cascata di frecce passò esattamente dove erano le teste dei ragazzi poco prima, seguiti immediatamente da una mandria di infuriati centauri.

“Qualcosa non quadra stanotte” sussurrò Ted guardandosi intorno, non capendo cosa potesse aver fatto arrabbiare tanto quelle solitamente pacifiche creature.

“La foresta avverte il pericolo” mormorò la Cacciatrice “sa che sta per succedere qualcosa”.

Ricominciarono a camminare riflettendo su quelle parole, tendendo anche le orecchie per cogliere qualsiasi rumore.

“E’ ora di lasciare il sentiero” disse Sam “la c’è il nido delle acromantule”.

Di fronte a loro, decisamente a troppi pochi passi, c’era un gruppo particolarmente intricato di alberi davanti al quale, nonostante il buio, si vedevano inquietanti movimenti.

“Giriamogli al largo” borbottò Ron deglutendo di nuovo “velocemente”.

Lasciarono il sentiero, iniziando a sentirsi tesi come corde di violino.

“Siamo fuori dai confini” annunciò Camille ad un certo punto, la quale teneva gli occhi fissi sulla Mappa illuminata da Ginny.

“Manca poco” sussurrò Samuel guardandosi freneticamente intorno.

E di fatti, di li a poco, si trovarono di fronte alla grande roccia che nascondeva l’ingresso della cripta.

Quel punto della foresta era ancora più silenzioso, ma tutto era rimasto esattamente come lo avevano lasciato loro.

“Vado prima io” disse il bel Black “se tra cinque minuti non torno a chiamarvi cercate aiuto”.

“Vengo con te” si fece avanti Teddy.

“Io pure” aggiunse Mizar.

“Andremo tutti” sentenziò Ginny.

Sam sospirò, ma poi annuì.

Forse, in effetti, era meglio restare uniti.

“Dove dobbiamo andare?” domandò Ron, che in effetti non vi era mai entrato.

“Seguitemi” mormorò Sam, superando poi la barriera.

I due Weasley, che non avevano mai visto in vita loro un ologramma, trattennero il respiro.

“Che diavolo è?” domando il Portiere “Una specie di passaporta?”

Prima che Camille o Teddy potessero spiegarlo loro, Mizar parlò.

“E’ un ologramma” disse “quella non è una roccia vera, solo un’immagine di essa”.

Ron lo guardò, se possibile, ancora più confuso, poi scosse le spalle e allungò la mano.

“Coraggioso, Ronald…” commentò la sorella.

Quello fece una smorfia poi, vedendo che le sue dita non avevano subito danni dopo aver attraversato la barriera, seguì l’amico.

Uno ad uno varcarono la soglia della caverna, ma coloro che l’avevano già vista trovarono un ambiente completamente diverso da quello che ricordavano.

Se la prima volta avevano trovato tutto buio e sporco, in quel momento il fuoco delle torce illuminava a giorno la stanza.

Non vi era più un filo di polvere a terra, tanto che era perfettamente possibile vedere che le scale erano di marmo scuro, non di semplice pietra.

Il Battitore fece segno agli altri di tacere, poi iniziò silenziosamente a scendere.

I cuori dei ragazzi iniziarono a battere forte, così forte che un po’ a tutti parve che potessero uscire dai loro petti, tanta era la tensione.

Mancavano pochi gradini quando Sam si fermò, guardò i suoi amici e sospirò.

“State attenti” bisbigliò, per poi levare la bacchetta davanti ai suoi occhi.

Scese le ultime scale con un balzo, trovandosi davanti l’ultima scena che sperava di vedere.

 

La prima cosa che gli balzò agli occhi fu il muro di fronte a lui, illuminato dal fuoco.

Dipinto sopra, di un nero corvino, c’era un segno, un simbolo che i ragazzi conoscevano fin troppo bene.

Il Marchio Nero.

Subito dopo si accorse delle tre figure incappucciate di fronte a lui, infine dei quattro ragazzi sdraiati a terra.

Juliet, Noah e Dione erano privi di sensi, posti agli angoli di un triangolo disegnato sul pavimento.

Al centro vi era Harry, anche lui schiantato, intorno al quale vi erano i Mangiamorte.

“Bene, bene, bene” cinguettò Bellatrix Lestrange “abbiamo ospiti”.

I ragazzi provarono a levare le bacchette, ma fu inutile, i tre adulti furono più veloci e loro in un attimo si trovarono a terra legati.

Sentirono dei mugolii e voltandosi videro Hermione e Mira, legate e controllate da Draco.

“Lasciateci!” urlò Sam “Non azzardatevi nemmeno a sfiorare mio fratello!”

Bellatrix rise.

“Iniziamo”.

E fu allora che accadde l’inaspettato.

Deimos, che al contrario del cugino non stava prestando grande attenzione ai due ostaggi, si fece avanti.

“Non possiamo, madre” mormorò “non possiamo uccidere Dione. Troveremo un altro modo per far risorgere il Signore Oscuro”.

Rodolphus e Rabastan, che fino a quel momento erano rimasti in silenzio ed ad occhi bassi, si voltarono a guardare la donna.

“Silenzio Deimos” ringhiò quella “il sacrificio avverrà come prestabilito”.

“Ma madre, non puoi voler uccidere la tua stessa figlia!” ribattè il ragazzo, con un tono implorante che nessuno dei ragazzi, in tutti quei mesi, non gli avevano mai sentito.

Bellatrix scavalcò i ragazzi svenuti a terra, avvicinandosi al figlio.

Gli mollò uno schiaffo in piena faccia, poi lo guardò con occhi folli.

“Ucciderei chiunque, pur di riavere Lord Voldemort con me” sibilò.

Deimos si voltò e sostenne lo sguardo della madre poi, con un unico e fluido movimento tirò fuori la bacchetta e si voltò verso i ragazzi legati a terra.

Diffindo!”

“NO!” gridò Bellatrix vedendo le corde cadere a terra, perfettamente recise.

Tutti insieme puntarono le bacchette verso Draco, Rodolphus e Rabastan, e nulla valsero i loro Sortilegi Scudo contro tanti schiantesimi lanciati tutti insieme.

Bella, vedendo i suoi alleati privi di sensi, mosse la sua bacchetta e un lampo azzurro colpì il figlio, legandolo al muro con una spessa catena di ferro.

Ma Deimos non si diede per vinto e puntò la bacchetta contro il corpo inerme della sorella.

Innerva” urlò.

E in un istante acceddero un sacco di cose contemporaneamente.

Bellatrix, vedendo la figlia aprire lentamente gli occhi, gridò di rabbia e levò la bacchetta contro il figlio.

Samuel a quel punto alzò la sua contro la donna.

Avada Kedavra!” urlò Bella, presa da una furia selvaggia.

Dione vide il lampo di luce vede sprigionarsi dalla bacchetta e si alzò in piedi a braccia aperte, frapponendosi tra l’incantesimo e il gemello.

“No Di!” gridò quello preso da un istantaneo terrore.

Sam si rese conto in anticipo di ciò che stava per succedere e mirò a Bellatrix, sperando di riuscire in qualche modo a fermare la maledizione.

Per la prima volta in vita sua provò il desiderio di fare davvero del male, desiderò di fermare la donna con tutto se stesso.

Avada…Avada Kedavra!” urlò, poi, vedendo il lampo di luce verde colpire la donna, lasciò cadere la bacchetta preso dalla paura per ciò che aveva fatto.

“No Dione, no!” gridò Deimos di nuovo, e Samuel chiuse gli occhi, capendo cosa avrebbe visto a terra quando si sarebbe voltato.

Il suo gesto era stato inutile, perché sapeva che di corpi morti a terra ne avrebbe visti due.

Bellatrix e Dione.

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Capitolo 33
*** L'amore di un fratello ***


 

Buongiorno a tutti :D

Nonostante i buoi propositi non sono riuscita a scrivere prima di adesso, quindi pardon :(

Mi auguro che con questo capitolo riuscirete a rivalutare un pò Deimos, ma soprattutto che vi piaccia!! :)

Baciiii

Ale

Ps. Grazie in anticipo a chi avrà voglia di recensire!! :D

Pps. L'incantesimo che c'è verso la fine è opera mia (e infatti si vede :S). Ho voluto scriverlo in latino per provare a darli un aspetto un tantino più magico, ma credo che le frasi non abbiano un gran senso (ho usato google traduttore, che è praticamente inutile), per cui metto la traduzione in fondo :)

 

33. L’amore di un fratello

I-incarceramus” borbottò Mizar, rivolto verso suo padre e suo zio.

Riusciva si e no a guardarli, non poteva credere che avessero provato ad uccidere sangue del loro sangue.

Levò la bacchetta prima contro l’uno poi verso l’altro con l’intenzione di lanciar loro qualche maledizione, ma alla fine la riabbassò scuotendo la testa.

Non poteva abbassarsi al loro livello, era migliore di così.

Bellatrix era riversa a terra poco più in la, a pancia in sotto e con i capelli sparsi tutto intorno, fino a coprirle gli occhi.

Sapeva bene che lei non aveva mai davvero amato suo zio Rodolphus, che era sempre stata legata al Signore Oscuro, ma non avrebbe mai pensato che sarebbe arrivata ad uccidere la sua stessa figlia per lui.

Diede loro le spalle, voltandosi verso il resto dei suoi compagni.

Harry era stato risvegliato da Ginny, Noah da Ron e Juliet da Ted, ed in quel momento erano tutti in piedi, circondavano Samuel chino sul corpo inerme di Dione.

Dione.

Dione morta.

Quando nella sua mente si formò quel pensiero, provò una stretta fortissima al cuore.

Non avrebbe più visto il suo sorriso, non avrebbe più sentito la sua voce, le sue risate.

Semplicemente non avrebbe più avuto lei.

Si avvicinò lentamente agli altri, mentre Camille gli tendeva e poi stringeva dolcemente la mano.

Dione aveva un’espressione tranquilla in viso, sembrava soltanto addormentata.

Si inginocchiò per accarezzarle una guancia, accorgendosi che Samuel le stringeva spasmodicamente le dita.

Mizar immaginava cosa stesse provando il ragazzo, poiché probabilmente il dolore che li attanagliava era lo stesso.

Lui aveva perso la cugina, l’altro la (quasi) ragazza.

Gli avevano insegnato a non mostrare mai i suoi sentimenti, gli avevano detto che era disonorevole, da deboli, non da Purosangue, ma quando una lacrima gli solcò il viso sentì che tutte quelle cose che gli avevano inculcato in testa sin da bambino erano solo bugie, e ne ebbe la conferma vedendo il fiume in piena che inondava le guance dell’altro.

Per quanto potesse essere orgoglioso, Samuel non riusciva proprio a placare il suo dolore, per cui non tentò nemmeno di nascondere lacrime e singhiozzi.

Quando aveva quattordici anni e cominciava a rendersi conto dell’esistenza del genere femminile, il Grifondoro si era preso una batosta sentimentale così grossa da fargli decidere di non innamorarsi più davvero.

Nel momento in cui aveva visto Dione, però, tutte le sue certezze si erano sgretolate, l’unica ragazza che si ostinava a respingerlo era anche la sola che era riuscita a fargli battere di nuovo il cuore.

Gli sembrava assurdo averla persa prima ancora di aver avuto modo di confessarle i suoi sentimenti.

“Avvicinatela a me” disse Deimos ad un certo punto.

Tutti si voltarono a guardarlo e si accorsero di come gli occhi di Sam sparassero scintille.

“Che diavolo vuoi tu?” ringhiò.

“Portala qui” ripetè “c’è una possibilità”.

La speranza parve riprendere campo nel cuore del giovane Black, che senza troppe cerimonie scostò la mano di Mizar e prese la ragazza tra le braccia, posandola però dolcemente ai piedi del gemello.

“Che intendi dire?” domandò, con un tono quasi tranquillo che non aveva mai usato con Deimos.

“C’è un incantesimo” rispose lui “è magia oscura, ma di solito queste magie oscure funzionano”.

“Cosa devo fare?” chiese il Battitore, ma l’altro scosse la testa.

“Niente” esclamò “fai silenzio”.

E Sam si zittì davvero.

Se c’era anche una sola possibilità di salvare Di, lui non l’avrebbe di certo guastata.

Manes, quaeso, orationem meam exaudi…”

“Che razza di lingua è?” lo interruppe Samuel.

Deimos lo guardò stizzito.

“Latino, ignorante” sibilò “ora chiudi il becco”.

Gli altri pensavano che Sam a quel punto avrebbe reagito, ma dovettero ricredersi quanto rimase sul serio zitto.

Ma lui non era dello stesso avviso, non si era nemmeno accorto del tono acido dell’altro, preoccupato com’era per la sorte di Dione.

Manes, quaeso, orationem meam exaudi.

Ab interitum eam trans.

Tibi meum adventum resigno, sanguis sanguinem meum,

vitam meam do.

Liber retro, Dione Lestrange (*)” pronunciò “Torna a casa sorellina…”

Il ragazzo si puntò a fatica la bacchetta sul palmo della mano libera, facendovi sopra un lungo solco.

Lasciò cadere qualche goccia sul petto di Dione e, non appena il liquido toccò i vestiti della sorella, nella cripta brillò un’accecante luce bianca.

 

Non appena quel lampo si affievolì, Sam la guardò immediatamente in viso.

Normalmente avrebbe contrastato con tutte le sue forze l’uso della magia oscura, ma a quel punto non gli importava.

Poteva non essere tanto da Grifondoro, ma se c’era qualcosa, qualsiasi cosa, che poteva ridargliela lui l’avrebbe fatta.

Deimos si accasciò al muro con il fiato corto e l’espressione sofferente, tanto che Mizar gli si avvicinò preoccupato.

“Tutto ok?” chiese.

“Sto bene” ribattè quello, anche se i suoi occhi dicevano tutt’altro “è più importante lei”.

Rimasero in silenzio, tutti con il cuore che batteva a mille.

“Che cos’è questo rumore?” domandò Ginny ad un certo punto.

“Scricchiolii” rispose Ron con fare ovvio, tanto da beccarsi un’occhiataccia dalla sorella.

Hermione guardò la volta del soffitto.

“Sono decisamente troppi” constatò “dobbiamo muoverci, questo posto sta per crollare”.

Sentendo queste parole, Mizar puntò la bacchetta contro la catena che imprigionava il cugino.

Reducto!” esclamò, ma quella nemmeno si scalfì.

Diffindo!” ritentò.

Sorprendentemente, anche Ron si fece avanti a dargli manforte.

Relascio!” provò.

Ma di nuovo, niente.

Deimos sorrise amaramente, posando la bacchetta a terra accanto a se.

“La mamma sapeva bene quello che faceva” disse con una totale rassegnazione nella voce “voi andate, io rimarrò qui”.

“Ma che diavolo di…” cominciò il cugino, per poi interrompersi in un secondo.

Dione aveva aperto gli occhi.

Samuel, accorgendosi di ciò che era successo, sorrise e si chinò a baciarle la mano.

“Stai…stai bene?” le chiese.

Lei, con uno sguardo totalmente frastornato, si tirò a sedere.

“Cos'è successo?” domandò in un sussurro.

Ma prima ancora che il ragazzo potesse risponderle, Deimos urlò.

Si appoggiò di nuovo al muro, stringendosi il petto con la mano libera.

“Di…Dione” mugugnò “vieni qui”.

Lei neppure ci pensò, si alzò e, seppur barcollando, si avvicinò.

“Che succede fratellino?” chiese preoccupata.

Lui sorrise dolcemente.

“Ho fatto l’incantesimo” rispose, poi, vedendo il suo sguardo confuso, aggiunse: “quell’incantesimo”.

E Dione, nel sentire quelle parole, trattenne rumorosamente il fiato, mentre le lacrime iniziavano a rigarle le guance.

“Dimmi che stai scherzando” mormorò.

Sam si avvicinò loro.

“Che sta succedendo Di?”

Lei si lasciò sfuggire un singhiozzo, poi si voltò a guardarli.

“L’incantesimo che ha fatto Deimos…lo…lo ucciderà…” spiegò piangendo “…lo avevamo trovato a Durmstrang, è un incanto che può essere fatto solo tra gemelli, non so perché. Ha trasferito…la sua…la sua forza vitale in me…entro poco tempo morirà”.

E sembrò che, nel dire quelle parole, si rendesse conto che fossero realtà.

Si accasciò sul petto del fratello, iniziando a piangere a dirotto.

Nessuno riuscì più ad aprir bocca, non di fronte ad una tale dimostrazione d’amore.

“Troveremo…troveremo una cura” singhiozzò lei “se ci muoviamo, Madama Chips ti curerà”.

“Shhh” la zittì Deimos stringendola a sé, per quello che probabilmente era l’ultimo abbraccio della loro vita.

E il destino, beffardo come solo lui può essere, fece in modo che quel momento non potesse durare.

Le pareti della cripta cominciarono a tremare pericolosamente, polvere e detriti cominciarono a cadere dal soffito, cosicché tutti iniziarono a provare a liberare il Serpeverde.

Nessuno sarebbe stato così ipocrita da disperarsi per lui o uscire fuori con un ti voglio bene, ma era solo merito suo se erano tutti vivi, dovevano almeno tentare di salvarlo.

Quando però fu ovvio che non c’era modo di distruggere la catena e una pietra rischiò di colpire in testa Ted e Juliet, Deimos disse loro di lasciar perdere e quelli, ringraziandolo sinceri, imboccarono le scale.

Non gli andava molto a genio l’idea di condannarlo a morte, ma lui era stato perentorio, era arrivato in ogni caso alla fine, non c’era motivo per cui dovessero morire tutti nel crollo che sarebbe avvenuto di li a poco.

Dione continuava a piangere, non voleva saperne di abbandonare il gemello, mentre Sam continuava a tentare in tutti i modi di distruggere la catena.

Glielo doveva, lui aveva salvato Di, quindi avrebbe fatto tutto il possibile per aiutarlo.

Nel frattempo Deimos e Mizar, da degni Serpeverde quali erano, si stavano scambiando uno sguardo che valeva più di mille parole.

Il biondo sapeva che l’altro lo aveva fatto perché si sentiva in colpa, sapeva che non avrebbe mai accettato di essere la causa della morte della gemella.

Sapeva che avrebbe sempre fatto qualsiasi cosa per lei, incluso morire se necessario.

Gli si avvicinò, inginocchiandosi al suo fianco e stringendogli la mano.

“Non te l’ho mai detto” iniziò Deimos “ma sei stato un cugino abbastanza decente”.

Mizar sorrise.

“Anche tu”.

L’altro lo guardò fisso negli occhi, stavolta più serio.

“Tieni alto il nome dei Lestrange, sempre” disse.

Il biondo annuì.

“Sempre”.

Si guardarono occhi negli occhi, senza lacrime, senza addii, solo un saluto silenzioso come voleva l’etichetta con cui erano cresciuti.

Alla fine fu Deimos a parlare per primo.

“Penso di poter sopportare di vederti fidanzato con una Mezzosangue, ma voglio che tu mi faccia un favore. Chiedi scusa a Mira da parte mia” sospirò “avrei dovuto cercare di essere migliore con lei, dopotutto abbiamo lo stesso sangue”.

“Lo farò” gli assicurò l’altro “e sono certo che ti perdonerà”.

Si fissarono di nuovo, poi il prigioniero sorrise.

“Vattene dai” mormorò “non sono un tipo da addii lacrimosi”.

Mizar gli sorrise di nuovo.

“Ti voglio bene cugino, te ne vorrò sempre” aggiunse, prima di salire le scale con i corpi di Rabastan, Rodolphus e Draco schiantati e fermi a mezz’aria davanti a lui.

Deimos abbassò gli occhi su Dione, che stava ancora piangendo.

“Basta Di, dovete andare” sussurrò.

Samuel imprecò sonoramente, ficcandosi la bacchetta in tasca.

“Se hai qualche idea” disse al Serpeverde “sarebbe ora di tirarla fuori, ho provato tutti gli incantesimi che conosco”.

“Lascia perdere” rispose l’altro “mia madre non lasciava mai niente al caso, voleva che restassi qui. Non riuscirai a spezzare la catena e comunque morirò entro poco tempo, l’incantesimo prosciuga l’essenza vitale”.

Dione, al sentir quelle parole, pianse ancora più forte.

“Di” mormorò il ragazzo “ascoltami…”

“Perché lo hai fatto?” lo interruppe lei, mentre le lacrime le rigavano il viso.

“Perché sei la mia sorellina” rispose lui dolcemente “e perché era tutta colpa mia, non sarebbe successo nulla se quando avrei dovuto mi fossi opposto a nostra madre. In ogni caso la mia vita non avrebbe più avuto senso senza di te. Tu sei il mio sole, la mia aria, non sarei riuscito ad andare avanti senza vedere il tuo sorriso ogni giorno, quindi va bene così”.

“Non può andare bene” protestò la ragazza “stai per…per…morire…”.

Lui sorrise.

“Non credere che mi piaccia l’idea di morire. Se proprio devo, però, preferisco farlo per te, che sei la persona più importante della mia vita. Sarei finito ad Azkaban per sempre dopo questa storia, sarei cresciuto e morto li dentro, almeno me ne andrò per qualcosa di giusto e pagherò per i miei errori” rispose, alzandole poi il viso con la mano libera “sto espiando le mie colpe”.

La ragazza riabbassò gli occhi con un singhiozzo sonoro.

“Non puoi lasciarmi Deimos…” mormorò “…avevi promesso di esserci sempre. Non posso vivere senza di te, tu sei parte di me. Tu e Mizar siete tutto ciò che rimane della nostra famiglia, come farò se anche tu non sarai più al mio fianco?!”.

Lui le prese la mano e la strinse forte.

“Dione, guardami”.

Lei lo fissò intensamente negli occhi.

“Io sarò dovunque andrai”.

Uno spasmo.

Una smorfia di dolore.

“Dobbiamo andare” esclamò Samuel sentendo le pareti vibrare sempre più pericolosamente e costringendo Dione ad alzarsi.

“No!” urlò lei divincolandosi “Non lo lascio qui! Dobbiamo portarlo via! Madama Chips lo curerà! Sono sicura!”.

“Andate” borbottò il Serpeverde.

Samuel lo guardò.

“Prenditi cura di lei” continuò il ragazzo.

“Lo farò” annuì Sam.

“Ti voglio bene sorellina” aggiunse poi rivolto alla gemella.

“Anch’io Deimos” rispose lei tra le lacrime.

Il soffitto cominciò a crollare, Samuel prese Dione in braccio e corse fuori dalla caverna.

Mentre salivano le scale, lei non riuscì a staccare gli occhi dal punto dove sua madre aveva incatenato il fratello, da dove lui la guardava ancora sorridendo.

Sarò dovunque andrai.

Quelle parole non le avrebbe mai dimenticate.

***

(*) Spiriti dei morti, vi invoco, ascoltate la mia preghiera.
Riportatela dall’aldilà.
Rinuncio al mio essere per te, sangue del mio sangue,
rinuncio alla mia vita.
Torna libera, Dione Lestrange.

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Capitolo 34
*** Confessioni ***


 

Sono di nuovo in ritardo, lo so e quindi scusatemi tanto :(

Questo capitolo è abbastanza bruttino, ma di meglio non sono davvero riuscita a fare per quanto io mi sia impegnata, ma spero che comunque vi piaccia almeno un pochino.

Al prossimo, che visto che sarà l'ultimo cercherò di scrivere davvero al massimo delle mie capacità...

Bacioni,

Ale

 

 

34. Confessioni

Quando il suolo cominciò a tremare i ragazzi si chiesero se non fosse il caso di andare a cercare Samuel e Dione.

Teddy, con i capelli tornati di un miracoloso azzurro cielo, fece scendere Juliet dalle sue braccia.

“Vado a vedere che succede” disse rivolto agli altri.

“Vengo con te” si fece avanti Harry, seppur zoppicante.

Ron scosse la testa.

“Non hai nemmeno la bacchetta” gli ricordò “andrò io con Teddy”.

Harry non ebbe nemmeno il tempo di ribattere, poiché pochi secondi dopo videro Sam con Dione tra le braccia correre fuori dall’ologramma.

Nell’istante esatto in cui lui poggiò il piede sull’erba della foresta proibita, la terra tremò come se ci fosse stato un terremoto e un rombo sordo provenne da sotto di loro.

“E’ andata” mormorò Hermione “la caverna deve essere crollata”.

A sentir quelle parole Dione si divincolò dalle braccia di Samuel, correndo poi verso la pietra dell’ingresso e iniziando a prenderla a pugni.

Quando fu ovvio che il passaggio si era chiuso scivolò a terra, iniziando di nuovo a piangere.

Si rese conto solo allora che era finita, che non avrebbe più rivisto il gemello, che non lo avrebbe più riabbracciato.

Samuel le si avvicinò.

“Di” sussurrò dolcemente, poggiandole una mano sulla spalla “lui ci sarà sempre, vivrà nel tuo cuore”.

“Lo…lo so…” rispose lei “…ma mi mancherà”.

Il Battitore annuì, poi con un rapido e fluido gesto la prese di nuovo tra le sue braccia.

“Torniamo a scuola” disse infine agli altri.

E il capannello si avviò verso il castello, con Harry che si sorreggeva a Ginny in testa.

Dietro di loro c’erano Ron che abbracciava Hermione, il quale sorrideva felice per aver ritrovato la ragazza che tanto amava, Mira che sosteneva Noah, Teddy con Juliet di nuovo tra le sue braccia, Samuel e Dione e, a chiudere la fila, Mizar e Camille con le bacchette puntate contro i Lestrange e Draco.

Quando erano usciti della caverna Mizar senza troppe cerimonie aveva lasciato cadere padre, zio e cugino a terra, i quali si erano ripresi dallo schiantesimo a causa della botta.

Quando Rabastan aveva visto lo sguardo furioso del figlio aveva abbassato gli occhi e sorriso malinconico.

“Mi odierai sempre, lo so” aveva borbottato, fissando di nuovo il ragazza con una triste consapevolezza nello sguardo.

“Sempre” aveva confermato quello, pieno di rabbia nei suoi confronti “ci avresti uccisi tutti se ne avessi avuto la possibilità. E mia madre? Morta pochi mesi dopo la mia nascita, vero?”

Rabastan aveva abbassato nuovamente lo sguardo.

“Lo hai saputo…” aveva commentato.

L’uomo si era poi voltato verso Mira, la figlia che non aveva mai conosciuto.

Lei aveva fissato suo padre con una delusione che non aveva mai provato per nessun altro al mondo.

Finché non aveva avuto la conferma che l’uomo era stato un Mangiamorte aveva sempre immaginato quel momento, l’istante in cui avrebbe potuto fiondarsi tra le sue braccia e sentirsi finalmente completa.

A quel punto, però, provava solo un immenso disgusto.

“Sei identica a tua madre…” aveva bisbigliato Rabastan, cercando di usare un tono dolce.

Mira nemmeno gli aveva risposto, si era voltata facendo una smorfia.

L’uomo aveva infine sospirato rassegnato, ormai certo di aver perduto per sempre entrambi i suoi figli.

I due adulti si erano poi avviati di buon grado davanti ai ragazzi, perché ormai nessuno dei due aveva qualcuno che lo teneva legato a quel mondo.

Avevano entrambi perso i loro figli e Rodolphus, che camminava con gli occhi persi nel vuoto, anche sua moglie.

Non sembravano temere il futuro che li attendeva.

E poi c’era Draco, che al contrario di loro tremava come una foglia.

Temeva la punizione che gli spettava, temeva le conseguenze delle sue azioni, temeva Azkaban.

Trovarono il sentiero poco dopo, vedendolo illuminato dalla luna che filtrava tra gli alberi.

Era come se anche l’astro volesse che tornassero al sicuro a scuola, che volesse condurli la.

Quando uscirono dagli alberi camminarono svelti verso il portone, senza nemmeno il timore di essere scoperti.

Non pensarono neppure a controllare la Mappa del Malandrino perché per prima cosa volevano portare gli amici in infermeria, ma forse sarebbe stato più intelligente farlo, soprattutto dopo essersi resi conto di chi ci fosse al di la del portone.

La McGranitt.

Piton.

Insieme.

“Oh santo cielo!” esclamò la vicepreside portandosi una mano al cuore “c-che diavolo succede?”

Anche il Maestro di Pozioni assunse un’espressione quasi incredula, che però fu sostituita da una determinata quando vide i due Lestrange legati come salami.

Severus si fece avanti levando la bacchetta, puntando senza troppe cerimonie ad entrambi.

“E-esigo una spiegazione!” continuò la McGranitt.

Samuel guardò Dione tra le braccia, guardò i suoi occhi rossi e la sua aria distrutta.

“Credo che i nostri amici debbano essere controllati da Madama Chips” disse “poi risponderemo alle vostre domande”.

La vicepreside annuì, imboccando per prima le scale e dirigendosi rapidamente in infermeria.

Svegliò l’infermiera, la quale aprì immediatamente la stanza ai ragazzi che erano stati rapiti.

“Qualcuno dovrà spiegare questa storia al preside” disse la donna.

“Ci penserà Draco” rispose Mizar “e verrò anche io”.

“Io pure” si fece avanti Camille.

La capocasa di Grifondoro annuì, facendo strada ai tre verso lo studio del preside.

Pallini acidi” disse poi al gargoyle di pietra, il quale si spostò con un balzo.

Quando varcarono la soglia, Camille si ritrovò stretta in una morsa implacabile, che si rivelò essere di Lily Potter.

“Ma-mamma” biascicò “non respiro”.

“Stai bene tesoro?” chiese apprensiva la donna appoggiandole le mani sulle guance “E Harry?”

“Tutto apposto mamma, tranquilla” rispose “Harry è in infermeria con gli altri”.

Lily si voltò (e Camille si accorse di quanto fosse affollata quella stanza) e fece un cenno a Maya e Ninfadora, evidentemente preoccupate quanto lei.

Le tre donne uscirono senza dir nient’altro dallo studio, correndo poi giù per le scale.

C’erano anche James, Sirius e Remus, tutti con un grande sollievo negli occhi.

Era chiaro che, per quanto volessero sapere i motivi di tutta quella storia, erano più interessati alla salvezza dei figli.

Silente fece comparire altro quattro poltrone davanti a lui, facendo loro segno di sedersi.

In fondo allo studio c’era Piton, con la bacchetta ancora puntata contro i prigionieri.

“Vorrei sapere come sono andate le cose, se possibile” disse il preside.

“Bè, tutto è iniziato…” cominciò Mizar, ma fu interrotto.

“Immagino che lei sappia molto, signor Lestrange” lo fermò con un sorriso “ma penso che il signor Malfoy sia ben più informato di tutti noi”.

E Draco alzò finalmente gli occhi, nei quali videro tutti la grande paura che provava.

Il ragazzo sospirò, poi trovò chissà dove il coraggio di guardare il vecchio preside negli occhi.

“Tutto è cominciato a settembre, quando i miei zii hanno deciso di trasferire i miei cugini qui ad Hogwarts…”

 

Samuel accarezzava dolcemente la mano di Dione, che dormiva placida sul lettino dell’infermeria.

Da quando Madama Chips le aveva dato una massiccia dose di pozione per il sonno senza sogni non si era allontanato nemmeno per un attimo da lei, ed era deciso a farlo.

Quando sua madre gli si era avvicinata per sentire come stava lui gli aveva risposto a mezza bocca, impegnato com’era a controllare che i respiri della ragazza fossero perfettamente regolari.

Era pur sempre tornata dalla morte, doveva essere più che certo che stesse più che bene.

Sentì una mano poggiarsi sulla spalla e, quando si voltò, vide suo padre sorridergli benevolo.

“Non la lasci mai, è?” commentò.

Lui scosse la testa.

“Voglio esserci quando si sveglierà” rispose.

Sirius annuì, poi si voltò verso sua moglie che lo aveva chiamato.

“Papà” lo fermò Sam “devo…devo parlarti…”

L’uomo tornò verso il figlio.

“Non qui” aggiunse, ma poi lanciò uno sguardo incerto verso Dione.

“Resto io con lei” si fece avanti Mizar e l’altro, seppur inizialmente indeciso, annuì.

Mentre uscivano dall’infermeria il Serpeverde si sedette sulla sedia di Sam, fissando la cugina almeno finchè non sentì un dito tamburellargli sulla spalla.

Il ragazzo si voltò di scatto, trovandosi faccia a faccia con James Charlus Potter.

“Oh, salve signore” salutò incerto.

“Così tu saresti il fidanzato della mia bambina, giusto?” domandò quello assottigliando gli occhi.

Mizar arrossì fino alla punta delle orecchie, poi annuì.

“Normalmente ti schianterei all’istante, perché non sopporterei di vedere la mia Lil assieme ad un Serpeverde però, e dico però, mi sembri un tipo a posto, quindi voglio darti una possibilità” disse.

“Gra-grazie signore” rispose il ragazzo, porgendogli coraggiosamente la mano.

James la fissò a lungo, ma non diede il minimo segno di volerla stringere.

“Non ho finito” sibilò “voglio dirti solo una cosa. Se tu farai soffrire la mia bambina io ti spezzerò le ossa, una per una”.

Mizar deglutì.

“E’ quasi la stessa cosa che mi ha detto Harry…” notò.

L’uomo annuì.

“Evidentemente ho educato bene mio figlio” disse.

Il ragazzo non rispose, chiedendosi se non fosse il caso di ritirare la mano, visto che l’Auror continuava a tenere le sue perfettamente incrociate la petto.

Quando stava per riabbassarla, però, James gli strinse le dita, guardandolo finalmente con lo sguardo leggermente più addolcito.

“E’ la mia bambina, abbi cura di lei” mormorò.

Mizar sorrise felice.

“Può starne certo, signore”.

 

Padre e figlio si diressero fuori dall’infermeria, camminando in silenzio finchè non arrivarono nel parco, sotto la luce della luna e delle stelle, fermandosi alla fine al limitare della foresta proibita.

“Ho usato l’Avada Kedavra” disse il ragazzo tutto d’un fiato, fissando l’uomo negli occhi.

Sirius rimase un attimo interdetto, poi incrociò le braccia al petto.

Sam si aspettava urla e schiaffi, ma in realtà non avvenne nulla di tutto ciò.

“Lo sapevo già” rispose l’uomo “ma speravo che mi dicessi che fosse una bugia”.

Il Battitore abbassò lo sguardo, vergognandosi come mai aveva fatto in vita sua.

“Era per difenderci, se Bellatrix fosse sopravvissuta ci avrebbe ucciso tutti”.

“So anche questo” aggiunse.

Samuel sospirò, poi prese coraggio e fece la domanda della quale temeva la risposta.

“Mi spezzeranno la bacchetta? Finirò ad Azkaban?”

“Ci sarà quasi certamente un’udienza, ma faremo il possibile per non farti finire in prigione” gli assicurò “non marcirai ad Azkaban per esserti difeso da una Mangiamorte”.

“Ho ucciso una donna papà”.

Negli occhi di Sirius brillarono una marea di sentimenti.

Delusione, rabbia, preoccupazione, paura.

“Che avrebbe ucciso voi se non avessi reagito” gli ricordò.

Abbracciò il figlio di slanciò, stringendolo a sé più che poteva.

“Non finirai ad Azkaban, Sam” gli assicurò “fosse l’ultima cosa che faccio”.

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Capitolo 35
*** L'udienza ***


 

Alla fine ci siamo davvero, siamo arrivati all'ultimo capitolo.

Mi è dispiaciuto tanto scrivere la parola fine, anche se da una parte ne sono stata felice perchè la mia ispirazione iniziava a fare le valigie per andare in vacanza pure lei.

E' stato un piacere scrivere per voi, quindi spero che anche per voi sia stato un piacere leggerla.

Lungi da me l'idea di essere una scrittrice perfetta, ma con le vostre meravigliose recensioni mi avete fatto sperare che le mie storie siano degne di essere lette, e per questo grazie.

Grazie alle 20 persone che hanno messo la storia tra le preferite, grazie alle 7 che l'hanno inserita tra le ricordate, alle 51 che la seguono e alle 16 che in questo periodo mi hanno inserito tra gli autori preferiti.

Grazie anche a tutti quelli che hanno recensito e in modo particolare, non me ne vogliano gli altri, Ginevra James, Sara_Marauders, kikka15, Le3Funkazziste, Cloe Black, Akkarin92, bethpotter ed Eralery, perchè ad ogni singolo capitolo hanno sempre, sempre, commentato :)

Va bè, ora vi lascio perchè se comincio non finisco più e non vi lascio più leggere, quindi GRAZIE GRAZIE GRAZIE per avermi fatto compagnia tutto questo tempo, per essermi stati vicino e per avermi risollevato nei miei frequentissimi momenti di crisi.

Nei prossimi mesi mi prenderò una piccola pausa dalla scrittura, perchè d'estate lavoro tutto il giorno e perchè gli esami d'ammissione all'università si stanno avvicinando pericolosamente :S ma spero di riuscire a tornare verso settembre con una storia sulla New Generation.

Ancora sono indecisa, per ora mi dedicherò a qualche one-shot che ho in programma di scrivere da parecchio tempo.

Ok, mi rendo conto di stare divagando quindi vi lascio sul serio, buona lettura!!

Bacioni,

Alessia

Ps. Mi sono scordata una piccola nota, la parte dell'udienza l'ho presa dall'udienza di Harry nell'Ordine della Fenice.

Pps. GRAZIE ANCORA DI TUTTO!!! :D

 

 

 

 

35. L’udienza

E alla fine, anche se lentamente, le cose erano tornate alla normalità.

La primavera aveva lasciato spazio ai primi caldi soli estivi, le piogge iniziavano a farsi più rare, la gente abbandonava i maglioni di lana per indumenti più freschi, l’euforia per l’arrivo delle vacanze cominciava a farsi spazio nella mente dei ragazzi.

Juliet era tornata alla sua scuola elementare Babbana, adducendo come scusa per la sua lunga assenza un improvviso trasferimento per lavoro dei genitori.

Per quanto Lucius e Narcissa Malfoy avessero tentato di salvarlo, Draco era stato condannato dal Wizengamot a passare l’estata ad Azkaban poi, se lo avesse voluto, avrebbe potuto riprendere l’Espresso per Hogwarts il primo settembre per il ripetere il settimo anno e quindi diplomarsi.

Nel caso in cui non avesse accettato, sarebbe rimasto qualche annetto in più in prigione.

Inutile dire che il ragazzo aveva afferrato quell'opportunità al volo, esattamente come sarebbe inutile dire che Dione aveva sprizzato gioia da tutti i pori quando aveva scoperto che avrebbe passato un altro anno a stretto contatto con l’adorato cugino.

Poi c’era lei, Dione, che la prima cosa che aveva fatto dopo essersi ripresa era stato chiedere a Silente di recuperare il corpo del gemello.

Il preside l’aveva accontentata, ma aveva riportato a scuola anche quello di Bellatrix, che però la ragazza non aveva nemmeno voluto vedere per l’ultima volta.

I due erano stati sepolti separatamente, lei da due impresari magici chiamati dalla McGranitt, che l’avevano tumulata in una fredda e piovosa sera senza nessuno a darle l’ultimo saluto, lui in una calda domenica mattina, davanti ai ragazzi e una piccola delegazione di insegnanti.

Riposavano entrambi nel grande cimitero di famiglia immerso in un intricato bosco inglese, ma se Bella era solo una delle tante lapidi sparse qua e la, Dione aveva erigere per Deimos una cripta tutta sua.

Di comune accordo, poi, avevano deciso di vendere tutte le proprietà di famiglia (esclusa l’area del cimitero) e di comprare una casa a Diagon Alley, dove Mizar avrebbe frequentato l’Accademia di Medimagia e dove le ragazze sarebbero tornate durante le vacanze.

Mira aveva deciso di rimanere in Inghilterra, poiché in ogni caso non aveva più nessuno da cui tornare in Francia, per cui avrebbe terminato i suoi studi ad Hogwarts.

A scuola, nel frattempo, erano arrivati gli esami finali.

Samuel, Teddy, Camille, Ginny e Dione avevano dato l’ultima prova lo stesso giorno in cui Harry, Ron, Hermione e Mizar avevano iniziato i propri, cavandosela egregiamente in tutte le materie tranne Pozioni, dove per riuscire a superare il praticamente impossibile esame di Piton avevano dovuto copiare tutto da Lil.

Per i M.A.G.O., invece, se Harry e Ron ostentavano una quasi totale indifferenza (anche se in realtà se la facevano sotto, perché dai risultati di quell’esame dipendeva il loro futuro), Hermione era andata in crisi.

Davanti ai tanti mesi di assenza della ragazza, a due settimane dall’inizio delle prove la McGranitt le aveva proposto di fare gli esami da sola trenta giorni dopo, per permetterle di rimettersi in pari con tutto ciò che aveva perso, ma lei aveva rifiutato dicendo di essere arrivata al terzo ripasso di tutti i programmi e che, anche se non si sentiva assolutamente pronta, sperava di riuscire a finire in tempo.

Il giorno della prima prova, al tavolo degli insegnanti si erano aggiunti una decina di vecchietti dall’aria secolare, che inizialmente erano sembrati a tutti buoni come il pane.

Inutile dire quanto quelle previsioni fossero sbagliate.

Erano i professori più severi che avessero mai visto, pignoli, puntigliosi e antipatici.

Un paio di ragazze di Corvonero si ritrovarono in preda ad una crisi di nervi durante i loro orali, a causa di domande eccessivamente complicate fatte loro.

Nonostante tutto, tra pianti, crisi isteriche, risposte copiate e calderoni fatti saltare in aria, gli esami erano arrivati e passati, tenendo gli studenti occupati giorno e notte.

Hermione aveva fatto un figurone in tutte le materie, sorprendendo perfino gli esaminatori stessi con la sua praticamente sconfinata cultura.

In particolare, il professore di Antiche Rune era rimasto così impressionato da lanciarsi con lei in una lunga discussione sulla sua opinione della traduzione di una stele appena ritrovata su una montagna irlandese.

“Quell’uomo si è innamorato di te, Hermione” aveva commentato ridacchiando Mary Saunders, una sua compagna di corso di Tassorosso.

Alla fine anche Ron era riuscito a cavarsela, anche se aveva incespicato un po’ in Pozioni e si era colorato la testa invece che le sopracciglia di Trasfigurazione.

E poi c’era stato Harry, che pensava di aver dato il miglior esame della sua vita.

Se c’era una cosa che desiderava davvero era diventare un grande Auror al pari di James e Sirius, quindi si era impegnato come mai prima per raggiungere i voti richiesti per entrare in Accademia.

All’orale era andato da Dio, aveva visto la McGranitt sorridere orgogliosa quando rispondeva impeccabilmente alle domande dell’esaminatrice, Piton rimanere quasi sorpreso della sua discreta preparazione in Pozioni.

Quando era arrivato il momento di Difesa, poi, era stato semplicemente il massimo.

Su invito di Lupin, l’esaminatore l’aveva sfidato a duello e, quando Harry aveva visto volar via la bacchetta dell’uomo grazie al suo Expelliarmus, aveva saputo che era andata.

Era stato promosso.

Era un mago diplomato.

Quando era uscito dalla stanza era come se si fosse tolto un macigno dallo stomaco, e aveva passato il resto della giornata a fantasticare con Ron del loro futuro come Cacciatori di Maghi Oscuri.

In quella stessa mattina, mentre il Cercatore si stava definitivamente diplomando, Samuel si era seduto davanti al Wizengamot.

Esattamente come Sirius aveva pronosticato, infatti, il figlio sarebbe stato giudicato.

La sera prima dell’udienza il ragazzo era tornato a dormire a casa sua e quando la McGranittt gli aveva proposto di fare direttamente le valigie lui aveva rifiutato, perché gli sembrava decisamente di cattivo auspicio.

Sarebbe tornato subito dopo la sentenza, avrebbe trascorso con gli amici le ultime ore ad hogwarts.

Così quella fatidica mattina, quando Maya lo aveva chiamato, Sam si era alzato con un grande peso sullo stomaco, si era infilato velocemente l’abito scuro che sua madre gli aveva preparato la sera prima ed era sceso a fare colazione.

“Buongiorno tesoro” lo aveva salutato la donna, e quando aveva poggiato il bollitore del thè sul tavolo il ragazzo aveva notato che le tremavano le mani “vieni, è pronto”.

Sirius lo aveva salutato con un cenno della testa, poi era tornato girare il cucchiaio nella sua tazza di caffè, con lo sguardo perso nel vuoto.

Sam aveva spalmato una generosa dose di marmellata sulla sua fetta di pane tostato, ma poi, quando era stato il momento del primo morso, aveva lasciato perdere e aveva buttato giù in un sorso il suo succo di zucca.

“Andiamo papà?” aveva domandato poi, non riuscendo più a sopportare la tensione che faceva vibrare la casa stessa.

L’uomo aveva annuito, afferrando la giacca di pelle che portava sempre e avvicinandosi al camino della cucina.

Maya aveva stretto Samuel a se, baciandogli la fronte.

“Comunque vada, noi saremo sempre qui” gli aveva assicurato.

Sam aveva annuito, poi aveva seguito suo padre tra le fiamme verdi che illuminavano il camino.

 

“Aula dieci, eccola qui” disse James indicando una grande porta scura di fronte a loro.

Aveva voluto esserci anche lui quel giorno, per stare vicino al suo migliore amico e al suo figlioccio.

La porta era socchiusa, per cui bussarono e, quando quella iniziò a spalancarsi, sospirarono.

Mossero pochi passi, poi Sirius e James si sedettero sulle gradinate mentre lui si avviava verso la sedia al centro della stanza.

Quando si sedette, le catene poste sui braccioli tintinnarono minacciosamente, ma non lo legarono.

Preso da una leggera nausea guardò su, verso le persone sedute sulle panche di fronte a lui.

Ce n’erano una cinquantina, tutte con una veste color prugna e una “W” d’argento ricamata sul lato sinistro del petto, la maggior parte dei quali lo fissavano con un cipiglio severo.

Al centro esatto della fila c’era Cornelius Caramell, il Ministro della Magia, e al suo fianco il suo assistente, Percy Weasley.

Normalmente il capo del Wizengamot sarebbe stato Silente, ma in quella precisa occasione aveva lasciato il posto al Ministro, perché sapeva che non sarebbe mai riuscito ad essere totalmente imparziale con un suo studente.

“Molto bene” cominciò l’uomo “ora che l’imputato è presente possiamo iniziare”.

“Sissignore” rispose Percy con voce zelante, sistemandosi gli occhiali cerchiati di corno e afferrando la piuma.

“Udienza disciplinare del ventinove giugno” continuò Caramell “per l’uso di Maledizioni Senza Perdono da parte di Samuel Regulus Black. Inquisitori: Cornelius Oswald Caramell, Ministo della Magia; Amelia Susan Bones, Direttore dell’Ufficio Applicazione della Legge sulla Magia. Scrivano di corte: Percy Ignatius Weasley”.

Samuel deglutì, sentendo suo padre agitarsi alle sue spalle.

Non aveva mai assistito ad un processo, davanti a tutte quelle solennità temette di non avere speranze.

“Signor Black, lei conferma di aver usato una Maledizione Senza Perdono su un essere umano?” chiese il Ministro.

“Si, ma…” iniziò lui.

“Lei è a conoscenza che l’uso di un incanto proibito su una persona procura una condanna a vita ad Azkaban?”

“Si, ma…”

“E lo ha usato in ogni caso? A sangue freddo?”

“Si, ma…”

“Molto bene, ragazzo” lo interruppe ancora “credo che la corte non abbia bisogno di sentire altro”.

“L’ho fatto per salvare tutti quanti!” esclamò Sam balzando in piedi “Saremmo morti tutti, se non avessi reagito”.

Caramell alzò un sopracciglio con aria scettica, ma fu Amelia Bones a continuare.

“Raccontaci come sono andate le cose” suggerì.

Samuel annuì, poi si sedette di nuovo e iniziò a parlare.

Non tralasciò nulla, nemmeno il dettaglio più insignificante.

Parlò così velocemente che un paio di volte Percy dovette chiedergli di ripetere, e quando arrivò alla fine si ritrovò a dover respirare profondamente per riprendere aria.

Madama Bones annuì, poi sussurrò qualcosa all’orecchio del Ministro, che si rivolse al resto della corte.

“Ritengo che abbiate tutti abbastanza elementi per deliberare” disse.

Quando dalla platea si levò un mormorio d’assenso, il ragazzo si ritrovò a trattenere il respiro.

“Quanti a favore della condanna?” domandò la Bones.

Samuel chiuse gli occhi.

 

Muoveva veloci passi su quell’erba che conosceva e amava, dritto al grande albero dove avrebbe trovato i suoi amici.

Era stato alla torre, Samuel, ma di loro aveva visto solo i bagagli pronti.

Seamus e Dean gli avevano detto che erano tutti fuori ad aspettarlo, sulla riva del lago, e lui non aveva nemmeno risposto alle loro domande, pensando invece a correre fuori.

Li aveva cercati tra le decine di gruppetti sparsi qua e la, per poi individuarli finalmente sotto un grande faggio.

Si era avvicinato un passo dopo l’altro, finchè anche gli altri lo avevano visto ed erano scattati in piedi.

“Allora?” aveva chiesto Teddy fremendo d’attesa “Ti hanno assolto?”

Samuel aveva abbassato gli occhi con un’espressione neutra, così indecifrabile che i ragazzi avevano iniziato a temere il peggio, pensando che il loro amico era stato condannato ad Azkaban.

Poi, all’improvviso, aveva alzato di nuovo lo sguardo, e aveva sorriso.

 

“Quanti a favore della condanna?” aveva chiesto Madama Bones.

Samuel aveva chiuso gli occhi, mentre il silenzio si faceva così totale che aveva potuto sentire Percy scribacchiare sulla sua pergamena.

“Quanti a favore dell’assoluzione?” aveva domandato ancora la donna.

Aveva strizzato le palpebre ancora di più, finchè Caramell aveva sbattuto il martello sul battente di legno.

“Assolto da tutte le accuse” aveva decretato.

Nell’udire quelle parole il ragazzo aveva provato un sollievo così grande da sentirsi leggero.

Aveva aperto gli occhi, vedendo suo padre e James avvicinarsi e abbracciarlo più che potevano.

Sirius lo aveva stretto a se come se quella potesse essere l’ultima volta, per poi trascinarlo fuori senza nemmeno un cenno ai giurati.

“Forza, usciamo da qui e andiamo a ubriacarci da Rosmerta!” aveva esclamato l’uomo.

“Felpato!” lo aveva ammonito James “Si suppone che tu sia l’adulto responsabile!”

“Oh, sta zitto Ramoso, più invecchi e più diventi rompiscatole! Mio figlio rischiava Azkaban e si è salvato, qui bisogna festeggiare!”

 

Il primo ad abbracciarlo fu Teddy, stritolandolo in una morsa d’acciaio.

Vennero poi Camillle, Harry, Ginny, Noah, Mizar e tutti gli altri.

L’ultima fu Dione, che si avvicinò di soppiatto e lo baciò dolcemente sulle labbra.

Quando sentì quel contatto Sam si rese conto che era realtà, che era tutto successo davvero, che era salvo sul serio.

“L’avevo detto che sarebbe andato tutto bene…” sussurrò poi la ragazza, fissandolo con in viso un’espressione trionfante.

Tornarono seduti a terra, Samuel e Dione si abbracciarono e rimasero stretti l’uno all’altra.

“Su, racconta” ordinò Noah al fratello, curioso di sapere come erano andate le cose.

E Sam iniziò a raccontare, salvo poi interrompersi di botto quando si rese conto che tra loro mancava qualcuno.

“Ehi, ma dove sono Ron e Hermione?” chiese.

I ragazzi misero su un’espressione furba, poi fu Ginny a rispondere.

Si sciolse dall’abbraccio di Harry e indicò con un sorrisetto malizioso due figure sdraiate e avvinghiate sulla riva del lago.

Samuel aguzzò la vista, tentando di distinguere qualcosa di familiare, poi, quando vide una chioma rossa ed un’altra crespa, fu come se avesse avuto l’illuminazione.

“Sono loro?!?” chiese, tra lo sconcertato e il divertito.

Ginny annuì e Sam scoppiò definitivamente a ridere, per poi scattare in piedi.

“Dai Teddy, andiamo a dargli fastidio!” esclamò.

Camille si battè una mano sulla fronte, scuotendo la testa esasperata.

“Non cambierai mai, Samuel…” commentò.

Quello le fece l’occhiolino, poi tese la mano a Teddy.

Il metamorphomagus affondò il viso nei capelli di Mira e si strinse a lei ancora di più, cercando di far capire all’amico che non aveva nessuna voglia di muoversi da li.

Ma ovviamente fu inutile, perché quello lo prese per un braccio e lo costrinse ad alzarsi.

“Andiamo dai!” esclamò il Battitore “Qualcuno deve per forza prenderli un po’ in giro!”

E si avviò verso di loro trascinandoselo dietro.

Quando sentirono Ron mandarli al diavolo il primo a scoppiare a ridere fu Harry, seguito poi da tutti gli altri.

Camille aveva proprio ragione, Samuel non sarebbe cambiato mai, sarebbe rimasto per sempre il degno erede di suo padre, Malandrino fino alla fine.

Ma a loro, dopotutto, non importava.

Erano amici, e non c’era niente di più importante al mondo.

 

 

 

fine

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