Incubo di un Giorno di metà Inverno

di Silyia_Shio
(/viewuser.php?uid=100657)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Acqua sul Cuore ***
Capitolo 2: *** Bambole di Porcellana ***
Capitolo 3: *** Illusione di Cristallo ***
Capitolo 4: *** Neve Rosso Sangue ***
Capitolo 5: *** Fragile e Delicata ***
Capitolo 6: *** Specchi della Paura ***



Capitolo 1
*** Acqua sul Cuore ***


Acqua sul Cuore

La campanella dell’ultima ora suonò anche quel giorno strappando Lidia dalle braccia di Morfeo. Quella notte, come le precedenti, non aveva chiuso occhio, ormai sembrava fosse diventata la regola o una condanna: il tuo sonno notturno sarà tormentato dagl’ incubi e di giorno il tuo umore sarà del colore che i tuoi occhi hanno catturato per tutta la notte.
Lo sognava, ogni volta che poggiava la testa sul cuscino e la sua mente sembrava abbandonarsi alla forza della stanchezza, sognava il suo volto sorridente inghiottito da delle tenebre fredde e pungenti che dilaniavano il cuore e poi quando tutto sembrava esser calato in un soffice nulla, lo sentiva urlare; ed a quel punto si svegliava.
Apriva gli occhi di scatto in un buio che non poteva tranquillizzarla, che la faceva sentire solo più sola.
E questa mancanza di sonno di certo non giovava alle sue flebili amicizie ed alla sua fragile situazione scolastica. In classe si isolava, non parlava quasi con nessuno e questo in fondo non le risultava insopportabile: fin da piccola non le piaceva esser circondata dalla gente e con la crescita finì di richiudersi sempre di più dentro i suoi pensieri nel suo piccolo mondo sicuro.
In fondo di cosa avrebbe potuto parlare? Le ragazze della sua classe erano tutte frivole, pensavano solo alle tendenze, ai ragazzi ed a cosa fare il sabato sera. Non che lei fosse completamente estranea a quei pensieri, anzi, i vestiti le piacevano molto e ogni volta che andava a fare compere cercava degli abiti particolari, così da distinguersi, da farsi notare, forse.
Ed i ragazzi. Beh, alle medie aveva provato qualcosa per un ragazzo per molto tempo. Lei credeva fosse amore, quello con la A maiuscola e che fossero destinati a vivere per sempre felici e contenti; ma quando si dichiarò, il che fu un’impresa straordinaria dato la sua incredibile mancanza di coraggio, lui non le rispose, non disse né sì né no, semplicemente la ignorò. Poi, poco tempo dopo lui si rifece sentire e per un po’ di tempo giocarono. Lei voleva fargli vedere che era cambiata che non era più fragile come un tempo, che poteva tranquillamente accogliere le sue frasi stracolme di doppi sensi ed addirittura ricambiarle. Però così facendo ottenne il risultato di approfondire la ferita che stava appena iniziando a cicatrizzarsi.
Così arrivò alla conclusione che non voleva più avere niente a che fare con i ragazzi. O meglio, li guardava e qualche volta le capitava di costruirsi dei castelli in aria ma alla fine li distruggeva.
E poi cos’era rimasto? Ah sì, il sabato sera. Beh, non avendo amici non si creava neanche il problema.
E di questo, della mancanza di amici, i professori si preoccupavano. Ad ogni colloquio con i genitori, il suo adorabile tutor consigliava di mandare la ragazza da uno psicologo. Ma per sua fortuna i suoi genitori non gli davano retta, perché loro erano abituati ai silenzi della figlia e sapevano qual’era il motivo della sua nuova indifferenza.

Lidia buttò con un gesto rassegnato l’astuccio nella cartella ed ora che anche l’ultimo pezzo mancante era entrato nel suo zaino rosso, poté uscire da quella scuola che aveva fatto tante promesse e ne aveva mantenuta nessuna.


Fuori dal portone in legno scuro un meraviglioso panorama bianco l’accolse e quella meraviglia le rasserenò almeno un po’ il cuore. Aveva sempre amato la neve.
Aveva perso il pullman, o forse non l’aveva preso di proposito?
Non le andava di tornare a casa a rinchiudersi in quelle quattro mura buie e silenziose; così, anche se era senza ombrello e la sua giacca fosse troppo leggera per l’inverno, aveva ripreso a camminare lungo la Dora. Era bello vedere la neve adagiarsi leggera sulle acque del fiume che scorrevano tranquille seguendo il solito percorso, giungendo alla solita fine. Il fiume non aveva bisogno di decidere che strada prendere, dove andare, a lui bastava seguire il percorso tracciato dalle acque che lo avevano preceduto. Invece lei doveva sempre riflettere bene sulle sue azioni, decidere la migliore e per questo non rischiava, ma infondo non le importava non poter essere libera.
Raggiunse il “suo angolo” così chiamava quel piccolo fazzoletto di terra raggiungibile seguendo una scalinata un po’ vecchia in pietre che partiva da dietro un cancelletto rosso sbiadito al bordo della strada principale. In teoria lei non doveva trovarsi lì, anzi, nessuno doveva andarci, per questo c’era quel cancello. Le pietre della scala erano in un costante equilibrio precario ed a volte si rompevano anche, inoltre erano scivolose per la vicinanza del fiume; in conclusione un luogo non molto sicuro. Però a Lidia piaceva quel luogo. Lo avevano scoperto lei e Lui. Già, lui che amava l’acqua, lui che era il suo sole, lui che profumava di erba fresca ricoperta di rugiada e lui che non le chiedeva mai perché fosse sempre così triste.
Lidia osservò il suo riflesso oscillare sull’acqua, i suoi capelli lunghi e neri a contatto con la neve si erano arricciati e le bianche danzatrici brillavano come perle sparse su fili neri, i suoi occhi come sempre erano lucidi, come se dovesse piangere. Risucchiata dalle sue iridi si ricordò di un giorno di un anno prima: anche quella volta aveva perso il pullman, anche quel giorno non aveva l’ombrello, però quella volta pioveva e quella volta Lui c’era e l’aveva accolta sotto il suo ombrello blu mare, come i suoi occhi, due specchi d’ oceano.
Invece quel giorno Lui non era al suo fianco, non l’avrebbe riparata sotto il suo ombrello.

Una leggera, solitaria lacrima scese all’improvviso sulla sua guancia, bruciando la pelle che solcava, creando un rumoroso caos nella sua mente che la distolse dai ricordi.
Se la asciugò con il dorso della mano. Non voleva piangere, aveva già versato molte lacrime e Lui di sicuro avrebbe voluto vederla forte e combattiva.
Com’era sua abitudine iniziò a giocherellare con l’acqua tracciando sulla superficie del fiume linee immaginarie che per lei assumevano le sembianze di tanti rami di rose rampicanti.
E fu forse per questo o perché infondo ancora stava pensando a Lui che non si accorse dei lacci d’acqua che si stavano arrampicando lungo il suo braccio, dell’acqua che stava rotando assumendo le sembianze di uno specchio increspato e della mano liquida che le si poggiò sulla spalla.
Ma quando finalmente tornò in sé e si accorse che qualcosa era cambiato, che qualcosa non stava seguendo il giusto ordine, era ormai troppo tardi.
Aveva cercato di liberarsi, si era dimenata, ma i lacci erano aumentati ed avevano aumentato la presa, e la mano sulla sua spalla si era allungata in un braccio ed un viso era sbucato dallo specchio liquido; e quegli occhi le avevano tolto ogni energia permettendo ai lacci di trascinarla nel fiume.

Non voleva piangere ma l’acqua che spingeva sul suo cuore era tanta e forte.
L’Acqua dei suoi occhi.
L’Acqua del fiume.
L’Acqua della pioggia.
L’Acqua di quei lacci e di quell’essere.
L’Acqua delle sue lacrime.




*****

eccomi con un' original fanfic!
l'inizio è decisamente triste, lo so e di questo mi scuso ma in futuro spero di riuscire a mantenere la tristezza solo come un leggero velo!^^
spero sia di vostro gradimento questo primo capitolo e che scegliate di seguire la vita al di là dello specchio della nostra Lidia!

uh, vi devo avvertire però che io sono un bradipo nell'aggiornare ma spero di riuscire a far lavorare il mio cervellino e di postare presto il secondo!

grazie a chi leggerà ed a chi magari recensirà!
un saluto

Silyia

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Bambole di Porcellana ***


Bambole di Porcellana :
 

 L’aria nei suoi polmoni si stava facendo pesante e sembrava le stesse strappando la pelle della gola.
Gli occhi bruciavano, bruciavano tantissimo e l’acqua che le avvolgeva il corpo continuava a vorticare con forza strattonandola; e quell’essere, non sapeva come, le stava urlando nella mente.
Lidia cercava disperatamente di mantenere l’ossigeno nei polmoni premendosi una mano sulla bocca mentre l’altra si appigliava a scogli invisibili.
Se almeno quella voce stridula avesse smesso di colpire e distruggere i suoi pensieri e la sua lucidità, forse sarebbe riuscita ad uscire dal fiume; ma quella creatura continuava imperterrita a graffiarle la pelle e la mente.
Era impossibile che qualcosa del genere stesse realmente succedendo. Eppure, nonostante la ragazza cercasse di convincersi che tutto quello non era vero, che eventi simili potevano solo avvenire nei libri, la mancanza d’ ossigeno e le ferite che stava provando non potevano che essere vere, perché le sentiva, le sentiva come solo le ultime sensazioni prima della fine si possono provare.
Cercò, provò in tutti i modi di mantenere le energie, di non perdere la concentrazione, di tenersi in vita però il suo corpo e la sua mente protestarono. La sua testa chiedeva riposo e tutte le sue cellule necessitavano nuova aria.
Così anche le sue ultime energie scemarono, la mano abbandonò le sue labbra viola, l’aria morta uscì in bolle dalla sua bocca e finalmente il riposo che tanto aveva bramato le fu concesso.
 
~
 
“Ragazze, ma come siamo scortesi! È un ospite e bisogna trattarla come tale. Su forza, lasciate in pace questo povero corpo.”
Quando Lidia riprese i sensi sembrava che quel gioco non dovesse mai finire. L’acqua continuava a strattonarla, la sua mente era martellata da continue grida stridule ed il suo corpo veniva incessantemente graffiato e lacerato.  
Ma per sua fortuna, così credette, una voce leggera e serena fece terminare quel gioco dove lei era una bambola tra le mani di troppe bambine vogliose di giocarci.
Quando finalmente riuscì a trovare un po’ d’ energia e ad aprire gli occhi, a poco distanza dal suo viso, scorse quello delicato e fanciullesco di una ragazza; i grandi occhi scarlatti puntati sulla sua figura alla ricerca di un qualche segno di vita.
“Oh, è viva!” esordì pronunciando quelle parole come una bambina quando vede esaudito il suo più grande desiderio. Danzando la fanciulla passava da una roccia all’altra leggera e felice con i lunghi capelli bianchi ad ondeggiarle lungo la figura snella ed infine giungendo vicino ad un ragazzo gli si aggrappò al braccio, sorridendo come una giovane amante.
Lidia tentò d’alzarsi puntellando i gomiti e cercando di far leva, ma il suo sforzo venne ricambiato con una dolorosa caduta sulla schiena contro la parete della roccia su cui era stata adagiata.
Si guardò intorno sperando di capire la situazione e di veder qualcuno correre in suo aiuto, così com’era tipico nelle favole: la bella principessa è in difficoltà e dal nulla compare il coraggioso principe sul suo perfetto cavallo bianco. Ma se lei non fosse stata la principessa? E se nessuno fosse venuto ad aiutarla? In fondo perché? Era già tanto se quella ragazza dagli occhi scarlatti avesse impedito alle creature d’acqua di continuare il loro gioco.
Invece qualcuno venne.
Proprio nell’attimo in cui sentì le calde lacrime arrivarle agli occhi, si sentì sollevare e si ritrovò tra le braccia perfette dell’amato della bianca fanciulla.
Lidia osservò il ragazzo, incapace di pensare se tutto quello fosse la giusta via. In fondo perché non doveva esserlo? Il bel principe era arrivato anche se al suo fianco aveva già un bella principessa, ma a chi importava? Qualcuno era venuto ad aiutarla e l’avrebbe portata in un posto sicuro, quello era tutto ciò che potesse chiedere in quel momento, ed a nient’altro poteva pensare.
Una risatina allegra la fece voltare e di nuovo davanti a sé vide il viso della bella fanciulla bianca.
“Non ti preoccupare, adesso Bario ti porta nella tua stanza e quando starai bene verrai a prendere il thè con me, va bene?” chiese, ma alla sua domanda non si aspettava una risposta perché sarebbe stato così, perché lei lo voleva.
Stanca chiuse gli occhi, di nuovo, sentendosi protetta da quella calda perfezione così irreale.
 
~
 
Riaprì gli occhi che la luce del sole filtrava timido dalla finestra e che con fatica attraversava le tende per posarsi sul suo viso.
Si mosse leggermente e capì dove si trovava: il suo corpo giaceva sotto qualche strato di coperte morbidissime e candide, i suoi capelli corvini si spandevano su un morbido cuscino ricoperto anch’esso dal tessuto prezioso del lenzuolo, indosso vestiva una camicia da notte bianca probabilmente di seta che stonava vicino alle bende dal colore bianco spento che le fasciavano parti di braccia e gambe. Si mise a sedere sul grande letto, anche se incapace di abbandonare la voglia di ributtarsi in mezzo a quel mare di coperte morbide, e si guardò intorno. Il letto a baldacchino era circondato da tende anch’esse di un bianco brillante, decorate da disegni floreali in azzurro. I muri erano ricoperti da scaffali stracolmi di bambole e pupazzi vari che la puntavano con i loro occhi brillanti.
Strinse tra le dita il velluto della gonna. Lei aveva sempre avuto timore delle bambole di porcellana come quelle che ora la stavano fissando. Quelle bambole erano così perfettamente finte, acconciate con codini e pettinature varie che però seguivano diligentemente la piega dei boccoli, la pelle bianchissima ma con le guancie belle rosee, le labbra piccoline ma dalla forma perfetta laccate di rosso o rosa confetto e gli occhi, occhi grandissimi e brillanti che facevano pensare ad un’improvvisa presa di vita da parte delle bambole. Infine le bambole erano costantemente vestite con abiti giganteschi pieni di pizzi e fiocchetti. Adorabili, davvero, veramente adorabili specialmente per la loro espressione angelica che sembrava dovesse nascondere un omicidio.
Per sua fortuna qualcuno bussò alla porta strappandola dai suoi pensieri macabri che presentavano come protagoniste quelle bellissime bambole di porcellana.
La porta si aprì silenziosamente rivelando la marmorea figura di Bario.
Lidia osservò il giovane ed imbarazzata si passò una mano tra i capelli sperando non fossero esageratamente in disordine.
“Vedo che vi siete svegliata. Se siete d’accordo vorrei accompagnarvi a prendere il thè con Leidy.”
La ragazza scese dal letto e constatando che le ferite non le facevano male si avvicinò al ragazzo sotto gli occhi attenti delle bambole.
Mentre percorrevano i lunghissimi corridoi, Lidia notò che il colore dominante dell’intero edificio era il bianco, anche Bario vestiva di bianco.
Scesero una scalinata dai corrimano riccamente decorati e una volta attraversato l’atrio uscirono all’esterno, dove un giardino di rose bianche si estendeva a perdita d’occhio.
Camminarono per un bel lasso di tempo una volta entrati nel giardino di rose, che ora a riguardarsi alle spalle poteva assomigliare ad un labirinto, finché non raggiunsero un gazebo in marmo bianco lungo il quale si arrampicavano delle rose rosse.
Vicino ad una colonna bianca strangolata dal rosso delle rose, la bianca fanciulla accarezzava i petali dei fiori. Al centro del gazebo nascevano dal pavimento un tavolino e due sedie poste l’una di fronte all’altra, sul tavolino vi era posta una tovaglia rossa sulla quale era stati poggiati vassoi di dolciumi, due tazzine bianche ed una teiera provenienti dallo stesso set da thè.
Sulle sedie vi erano stati messi due cuscini rossi sui quali stavano sedute due bambole di porcellana, una dai capelli bianchi vestita di nero e l’altra dai capelli neri vestita di bianco; così com’erano lei e la bianca fanciulla.
“Leidy, la ragazza è venuta a prendere il thè con voi.” disse Bario introducendo la ragazza.
La bianca fanciulla si volse sorridendo come una bambina. 


***

ecco il secondo capitolo!
finalmente ce l'ho fatta ad aggiornare!^^""
beh, non so cosa scrivere come commento dell'autrice quindi lascio che siate voi lettori a commentare!
grazie mille per la lettura!

alla prossima! ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Illusione di Cristallo ***


Illusione di Cristallo:
 


…correva, correva lungo un sentiero in mezzo al bosco, i rami si ripiegavano minacciosi sulla sua testa creando una galleria che sembrava la dovesse risucchiare per impedirle di giovare della luce che brillava alla fine del tunnel, il vento soffiava sibillino facendo produrre alle foglie una canzone malinconica ed inquietante che la spingeva a correre più veloce per scappare da quella minaccia che era il buio, a terra le foglie cadute si spezzavano sotto i suoi passi o si univano alla danza dei piccoli mulinelli d’aria. Eppure per quanto corresse non lo raggiungeva. Lui era lì davanti a lei sorridente come sempre, circondato dalla luce brillante e calda che la avvolgeva come un soffice e sicuro mantello ogni volta che gli stava vicino. Lui era lì e lei aveva bisogno della sua luce, ma Lui era così irraggiungibile.
Corse più in fretta, per quanto il vestito da bambolina glielo permettesse. I rami si allungavano per afferrarla. Quella era una caccia, e lei, lei era la preda.
Un ramo le graffiò  il braccio ma non se ne curò, né del dolore bruciante né del sangue che colava. In quel momento voleva solo una cosa, desiderava che Lui la accogliesse tra le sue braccia e scacciasse le tenebre, di quel bosco e del suo cuore.
Voleva risentirlo vicino a sé come una volta.
Incominciava ad avere il fiato corto, i muscoli bruciavano e le gambe tremavano ma non si sarebbe mai fatta catturare dal buio perché la sua destinazione era Lui.
Però il piede che doveva darle la spinta per continuare la corsa rimase bloccato a terra e Lidia in pochi secondi si trovò col gusto amaro della terra sulle labbra.
Una maledetta radice si era avvolta lungo la sua caviglia allungando la distanza tra lei e Lui.
Affondò le unghie nella terra per fermare le lacrime che bruciavano violente sotto le palpebre.
Le tenebre erano vicine, le sentiva pesare sul cuore ed il calore della luce stava lasciando spazio ad un freddo pungente.
Alzò il viso sperando Lui fosse ancora lì a sorriderle, sperando non l’avesse abbandonata.
E Lui, Lui era lì, vicino a lei. Le sorrideva e la guardava col suo solito sguardo intenerito.
Lui era sempre al suo fianco, qualsiasi cosa facesse, per quanto goffa e fragile fosse, lei poteva contare sulla sua luce.
Anche quella volta era al suo fianco.
Era caduta, stava piangendo, era sporca di terra ma lui le si era inginocchiato di fronte e le stava porgendo una mano.
Sorrise tra le lacrime che alla vista del bel viso di Lui avevano iniziato a correre veloci lungo le guance e tra i singhiozzi si gettò tra le braccia di Lui, dove avrebbe trovato riparo dal buio, dove il suo cuore sarebbe stato leggero come una piuma.
Ma Lui, prima che le braccia di Lidia potessero cingere il suo collo, s’infranse nella sua luce e tra le lacrime luminose Lidia cadde nel nulla buio e freddo.
E il suo cuore tornò pesante…
 
 
Aprì gli occhi di colpo col cuore che martellava contro il petto, il respiro affannato e gli occhi che bruciavano. Aveva sperato di non sognare più, almeno lì dove sembrava che la pace regnasse ed la mano della sofferenza non la potesse raggiungere; invece il fantasma della sua luce continuava ad infestare le sue notti.
Con la vista ancora imprigionata nell’ombra si passò un mano sulla fronte sperando, con quel gesto, di allontanare le immagini del sogno.
“Oh, si è svegliata, credevo fosse caduta in un sonno senza fine.” disse una voce vicino al suo viso con una leggera sfumatura di sarcasmo.
Lidia sbatté un po’ di volte le palpebre.
Subito vide solo delle lucine colorate, poi delle immagini sfuocate ma infine riuscì a mettere a fuoco il viso di un ragazzo, di Bario.
Il cavaliere era a una spanna di distanza dal viso di Lidia e la stava scrutando coi suoi chiari occhi azzurri sui quali scivolava qualche ciuffo scappato dalla coda bassa, le labbra inclinate in un sorriso sarcastico brillavano come ciliegie sulla neve, il fresco respiro accarezzava le gote della ragazza improvvisamente rosse.
“Ahm.. ecco.. stavo facendo un sogno..”disse per dissimulare l’imbarazzo. Ma forse più di tutto lo disse per convincere sé stessa che non l’aveva perso di nuovo, che era solo la sua mente a volerle ricordare quanto fosse stata inutile in quel momento; di sicuro non lo disse perchè voleva raccontare a quel ragazzo enigmatico quello che aveva sognato.
“Credo sia più corretto definirlo incubo.” rispose il giovane allontanandosi dal letto ed avvicinandosi alla finestra dove aprì le tende bianche.
Una chiara luce invase la stanza ferendo gli occhi di Lidia; però quando riprese il dono della vista il panorama che si apriva al di là della finestra le fece dimenticare le spiacevoli emozioni che continuavano a presentarsi nitide al suo cuore.
La ragazza scostò con un gesto veloce le coperte e come incantata corse alla finestra, di fianco a Bario, per ammirare il paesaggio.
“È bellissimo.” mormorò
“Le piace la neve?”
“Sì!” rispose voltandosi verso il ragazzo, sul viso brillava un sorriso da bambina.
“Leidy ne sarà felice, piace molto anche a lei!” sussurrò il cavaliere, guardando il bianco spettacolo. L’espressione che Bario mostrò fu come una stilettata al cuore: le labbra erano inclinate in un dolce sorriso e lo sguardo che le stava porgendo era carico di tenerezza; lo stesso sguardo che Lui le donava.
Poi, mentre Lidia stava fissando quel viso incorniciato da onde marroni sul quale rivedeva l’unica persona che la facesse sentire bene, il ragazzo si allontanò.
“La prego di prepararsi e di scendere a prendere il thè con Leidy, dovrebbe essersi svegliata ora.” si congedò chiudendosi la porta alle spalle e lasciando la ragazza sola.
Lidia spostò lo sguardo dalle decorazioni della porta al mare bianco che si estendeva al di fuori della finestra; ma non vedeva la neve bensì quello sguardo.
 
 
Anche quella mattina, come le precedenti, percorse i desolati corridoi passando davanti a vuote stanze e scese le scale in legno scuro con solo l’eco dei suoi passi a tenerle compagnia.
Arrivata nell’atrio imboccò il primo corridoio alla destra della scalinata, attraversò il soggiorno dove di solito vedeva Bario intento nella lettura di qualche tomo dall’aspetto antico e saggio ed entrò nel “Porticato delle Ninfee”, così chiamato poiché il porticato era stato costruito sopra le acque di un lago colorate dal bianco delle ninfee. Esso fungeva da ponte tra la villa ed il tempio a pianta circolare dove Leidy aveva deciso di prendere il thè in occasione della caduta della prima neve. Il frontone d’ingresso presentava una ragazza sulle rive di un lago dal quale usciva una donna avvolta da spruzzi d’acqua, le colonne che reggevano l’architrave rappresentavano ad alternanza o una sirena intenta a suonare una lira o una fanciulla sulla quale si arrampicava un’onda fino all’altezza dei fianchi. Ma ciò che più affascinò Lidia fu la volta a stella. Sopra la sua testa s’increspavano le onde di un lago di preziosi: l’intera volta era ricoperta da pietre preziose dal colore dell’acqua che sfumavano dal blu abisso poco lontano dal nero all’azzurro nuvola così simile al bianco. Inoltre i preziosi erano stati collocati in modo che sembrasse che lì sopra scorresse veramente dell’acqua.
Ammaliata dallo spettacolo che scorreva sopra il suo capo non si accorse d’aver raggiunto l’estremità del porticato così si trovò di fronte alla statua di un angelo piangente: la figura era chiaramente femminile, i tratti delicati del viso erano incorniciati da lunghi capelli mossi che ricadevano sui seni, le palpebre erano calate e dalle ciglia scendevano le lacrime che terminavano all’altezza delle labbra carnose; le mani erano chiuse sul petto all’altezza del cuore come a volerlo proteggere e le ali che spuntavano candide dalla schiena erano abbandonate lungo i fianchi della fanciulla.
Lidia osservò l’espressione triste della statua e poggiò una mano su quelle fredde dell’angelo; poteva percepire la tristezza e la solitudine che avevano causato la nascita di quelle lacrime brillanti, come se quella statua fosse stato lo specchio della sua anima.
Lo stringersi di una mano intorno al suo polso la riportò alla realtà, strappandola dai suoi pensieri che da quand’era arrivata in quel luogo, qualunque esso fosse, aveva cercato di evitare; perché quella compagnia era diventata l’unica che le rimaneva da mesi ed anche la più fastidiosa.
Infondo ascoltare i suoi pensieri comportava solo dolore, prendere decisioni anche quindi era meglio lasciarsi trasportare dalla corrente e dare il compito al destino di guidare la sua vita.
“Lidia, dai vieni a prendere il thè!”
Il cinguettio di Leidy costrinse la ragazza a spostare lo sguardo dall’angelo bianco ad un’altra fanciulla bianca che le stava sorridendo angelicamente.
“Si.” rispose facendosi trascinare da quella bambina adolescente.
In un batter d’occhio si ritrovò seduta su una sedia di fronte a Leidy con un tavolino a dividerle. La scena era identica al primo thè che aveva preso in compagnia di quella spensierata ragazza e del suo cavaliere ed anche di tutti i successivi: loro due ai lati del tavolino arricchito da una preziosa tovaglia sulla quale vi era qualsiasi tipo di dolce, al centro la teiera identica alle tazzine, Leidy con la sua espressione da bambina e Bario in piedi al suo fianco come un fratello maggiore molto paziente che si deve prendere cura della sua piccola sorellina.
Presero il thè e Leidy, tra un dolcetto e l’altro, cinguettò di argomenti vari come se tutto quello fosse normale, come se Lidia fosse sempre vissuta con loro.
 
“Allora dopo le porterò il cappotto.”
Bario le aprì la porta della stanza.
“Come?”
“Per la gita sul lago.”
“Ah, certo.”
 
 
Come se niente fosse, come se le ore fossero diventati secondi, Lidia si ritrovò in sella ad un meraviglioso cavallo dal manto nero lucente, un frisone se si ricordava bene le lezioni impartitole dalla cugina appassionata di quest’animale. A fianco c’era Leidy, in sella ad un elegante lipizzano dal mantello totalmente bianco; e dietro di loro cavalcava Bario su un purosangue arabo dal manto ambrato; i tre animali si muovevano elegantemente tra gli alberi del bosco facendo schioppettare la neve sotto il loro passo.
Ammaliata dal paesaggio Lidia si ritrovò improvvisamente catapultata sulle rive di un meraviglioso lago dalle acque che dipingevano tutte le gradazioni del blu, in alcuni punti il ghiaccio aveva già iniziato la sua corsa per il dominio di quello specchio cristallino.
E nel silenzio di quello spettacolo non poteva certo immaginare che delle ombre aspettavano solo il giusto momento per mandare in frantumi quel cristallo prezioso che era la sua vita tranquilla con la bianca principessa ed il bel principe.


***   
 
Ed eccoci al 3° capitolo, di nuovo!
sotto l'osservazione di Lucifer_Light ho modificato questo capitolo ma solo dal punto di vista narrativo. Spero vi piaccia la nuova versione!
finora la narrazione è stata molto statica, mi sono principalmente concentrata sul presentare questi 3 personaggi ed in particolar modo ho descritto un bel po' lo stato di apatia della protagonista; però dal prossimo capitolo arriva l'azione ed anche Lidia si sveglierà!
finalmente, incominciavo a non sopportarla più neanch'io che l'ho creata!^^""
 
Ringrazio Frandruccia per aver commentato e per adorare così tanto questa storia!
Grazie davvero!
P.S... Bario soddisfa le tue aspettative?
 
Ringrazio anche chi solo decide di aprire questa storiella e di darci un lettura! 

Infine ringrazio il critico ufficiale che mi permette di migliorare!

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Neve Rosso Sangue ***


Neve Rosso Sangue:
 

 
Un silenzio surreale avvolse il bosco, non si sentiva più il cinguettio degli uccelli o il lamento dell’aria attraverso i rami spogli, anche i cavalli avevano smesso improvvisamente d’emettere un solo nitrito; l’unica canzone che Lidia potesse udire era il battito del suo cuore attanagliato da un inaspettato senso d’irrequietezza.
Gettò un sguardo a Leidy che le stava di fianco sorridendo come sempre, eppure vedeva in lei un barlume nuovo che non seppe definire e che fece aumentare la sua ansia. Spostò lo sguardo su Bario, il quale osservava attento le ombre che cingevano i tronchi degli alberi in attesa dell’arrivo di una tempesta, che era sicuro sarebbe arrivata.
E quando vide la mano del cavaliere posarsi sul pomello dello spadone che portava sulla schiena, Lidia si ricordò della frase con cui veniva descritto l’arrivo di un uragano: “ il silenzio assoluto preannuncia l’arrivo della vera forza distruttiva della tempesta ”
«Che bello, si balla!» le parole di Leidy introdussero l’arrivo dell’ uragano.
Non fece neanche in tempo a batter ciglio che il silenzio venne distrutto bruscamente dalle urla dei soldati, dal cozzare dello spadone di Bario contro le fragili lame e dallo scricchiolare della neve che accoglieva nella sua gelida morsa i vuoti corpi dei soldati caduti.
Rimase incantata, Lidia, dai movimenti del cavaliere: si muoveva velocemente spostandosi da un gruppo all’altro per impedire che anche un solo soldato potesse passare oltre, i suoi affondi venivano eseguiti con eleganza e leggerezza nonostante colpissero con forza le corazze fino ad attraversarle raggiungendo la carne, il suo volto non dava segno di fatica ed il respiro era regolare come il movimento di un’onda.
«Prendete la ragazza, a lui ci penso io!» tuonò una voce dal limitare della foresta. Poco dopo un’ombra si staccò da quelle si avvinghiavano ai tronchi degli alberi e si avventò contro Bario.
Lidia non riusciva a muoversi, non poteva credere che stesse succedendo, non poteva accettare le immagini che assorbivano i suoi occhi. Anche quando vide un gruppo di soldati correre verso lei e Leidy, anche in quel momento non riuscì a muoversi ed a staccare il suo sguardo dal duello tra Bario e quell’uomo che somigliava ad un’ombra.
Neanche il tocco gelido di Leidy sul suo braccio riuscì a risvegliarla da quello stato di paralisi.
« Non preoccuparti, io e Bario non permetteremo che i cattivi ti facciano del male!»
Il gruppo era vicino, sempre più ma con un unico movimento fluido Bario allontanò la spada del suo avversario e tracciando un’amplia curva la sua lama colpì i soldati facendoli stramazzare al suolo. Però quando riprese il combattimento con l’ombra un soldato che era riuscito a sfuggire al suo sguardo scivolò via dai corpi dei suoi compagni ed avanzò veloce verso le due ragazze. In un attimo fu a pochi metri di distanza. Estrasse la spada, la impugnò deciso, caricò il colpo.. ma la lama non finì mai il suo percorso.
Cadde la spada e Lidia aprì gli occhi.
Davanti a lei la chiara figura di Leidy danzava leggera e lame di ghiaccio s’innalzavano verso il cielo trafiggendo corpi ormai privi d’anima.
Muoveva le mani, la principessa, e la neve in spade, lance e frecce si solidificava. Con movimenti leggeri delle affusolate dita comandava le armi ed esse obbedivano andando a lacerare le protezioni e le carni di quei poveri ragazzi che cadevano sulla neve tingendola del rosso vermiglio del loro sangue.
Ogni corpo che cadeva aumentava la luce negli occhi della fanciulla.
Ogni goccia di sangue che bagnava la sua pelle aumentava il suo sorriso. Sorriso che ridestò Lidia, ghigno che le fece desiderare per la prima volta di scappare da quella delicata fanciulla.
Il suo corpo si mosse da solo e con la speranza di poter scappare da quell’inferno d’urla, ghigni e lame si gettò tra le braccia delle ombre del bosco.
 
 
I soldati del suo plotone cadevano come petali a fine sbocciatura e non per mano di un esercito bensì sotto la lama e la follia di un cavaliere e della sua dama; e tutto perché una ragazzina aveva ben pensato di vivere in un sogno, avvolta da una perfezione criminale.
Magari, se solo quella pazza non avesse saputo modellare il ghiaccio, magari avrebbero avuto qualche possibilità in più. Ma non era né il luogo né il momento adatto per fare congetture, bisognava trovare il modo migliore per non perdere altri soldati e riuscire a catturare la ragazzina dagli occhi neri.
Una tigre di ghiaccio comparve sopra la testa di Bario puntando i suoi affilati artigli verso la gola dell’Ombra che respingendo un fendente del cavaliere si spostò di lato a scansare la bestia.
E quando la statua di ghiaccio, pronta ad un altro attacco, s’infranse in un pioggia di cristalli la soluzione che il soldato stava cercando gli si presentò di fronte come una fiamma nell’oscurità.
« Hey vecchio, hai intenzione di farti ammazzare da simili trucchetti?»
« Taci ragazzo! È facile parlare quando impugni una simile spada.»
Un’altra creazione di ghiaccio s’infranse sotto il tocco della sciabola mangia magia.
Un altro fendete di Bario venne bloccato dall’Ombra.
« Piuttosto, ritorna nella foresta e va’ alla ricerca di quella stupida ragazzina!»
« E lasciare il divertimento a voi? Non se ne parla!» la risata della fiamma si unì allo stridio del ghiaccio contro la sua lama.
« Muoviti, o questa battaglia diventerà una strage!»
Lo sguardo dell’Ombra troncò la risata del ragazzo. Uno sguardo al campo di battaglia e la fiamma corse verso il bosco spegnendosi tra gli alberi.
Certo, quel ragazzo sarebbe servito lì, lui era l’unico in grado di annullare la magia di quella folle però d’altro canto era l’unico che poteva mandare in missione da solo e dato che sicuramente la dama gli avrebbe lanciato alle calcagna qualche creatura di ghiaccio, mandare un qualsiasi soldato contro la magia significava perdere la ragazzina; quindi, lui era l’unico che poteva farcela.
 
 
Correva, scivolava tra gli alberi da molto eppure il grido della battaglia le giungeva ancora alle orecchie, rimbombava e s’infrangeva contro la visione del ghigno di Leidy.
Era stanca ed il freddo le graffiava la pelle però voleva scappare il più lontano possibile, scappare e non fermarsi mai, annullarsi in una corsa infinita senza meta né pensieri né preoccupazioni.
Ma il suo corpo non era d’accordo, non poteva reggere neanche quella corsa.
In uno sforzo d’evitare il tronco di un albero, visto all’ultimo secondo poiché celato dal velo delle lacrime, la vista le si offuscò e cadde in avanti abbandonando i palmi delle mani contro la ruvida corteccia. S’inginocchiò tra le radici, la testa poggiata al petto ruvido dell’albero e le mani abbandonate sulla fredda neve.
Voleva tornare alla sua vita per quanto grigia e noiosa fosse, nonostante Lui non ci fosse, voleva tornare ed allontanarsi da tutto quello.
Si morse il labbro e sentì il suo sangue sulla lingua.
Voleva.. lei aveva sempre voluto ma aveva mai fatto qualcosa per ottenere ciò che voleva?
 
 
Correva nell’oscurità di quel bosco che male si addiceva al bianco brillante del suolo ricoperto di neve, dietro le sentiva, le bestie di ghiaccio che gli davano la caccia. Se fosse stata un situazione normale si sarebbe fermato e le avrebbe distrutte tutte con un unico movimento ma ogni volta che questo pensiero lo assaliva, si ricordava delle parole del suo maestro e del suo sguardo: doveva assolutamente trovare quella ragazzina ed in fretta.
Poi, finalmente, quando ormai riusciva già a vedere il verde brillante dei prati oltre la foresta, scorse a qualche metro alla sua destra la figura tremate della ragazza. Percorse quei pochi metri a grandi falcate e quando le fu vicino le afferrò il braccio.
« Forza, andiamo!»
La ragazza voltò il viso di scatto puntandogli addosso i suoi grandi occhi neri, occhi che in quel mondo appartenevano a solo una persona e che di sicuro erano messaggeri di niente di buono. Per un secondo si sentì risucchiato da quei pozzi dal colore dell’abisso che lo costrinsero ad abbandonare la presa; ma quando la vide alzarsi spaventata e cercare una via di fuga, tornò padrone di sé stesso.
« Non è di noi che devi avere paura, forza prendi la mia mano e andiamo via!»
Lidia lo guardò negli occhi e lo vide scostare lo sguardo.
Cosa doveva fare? Da quando aveva visto quel ghigno dipinto sul volto di Leidy il solo pensiero di passare ancora del tempo in sua compagnia le circondava il cuore con catene di paura però non poteva neanche fidarsi di quel ragazzo, nonostante il suo viso le ispirasse una calda protezione non era certa che andare con lui non le avrebbe causato altri problemi.
Lo osservò ancora. La sua presenza era così calda, così sicura, sensazioni che con Bario non aveva provato; il cavaliere sì, dava l’impressione di sicurezza però stargli vicino era come averlo lontano ed anche tra le sue braccia non aveva mai provato calore, solo un freddo distacco.
Forse stringere la sua mano era la soluzione migliore, nei peggiori dei casi sarebbe potuta scappare di nuovo.
Si avvicinò titubante ed allungò la sua mano scossa dalla paura. A quel gesto il ragazzo le mostrò uno splendido sorriso rassicurante e con una calda voce le sussurrò :« Brava.».
Ma quando lei gli stava ormai per stringere la mano, un lupo dal mantello azzurrino le passò di fianco e con un balzo andò a mordere il ragazzo alla spalla.
Il rosso scarlatto del sangue tinse la bianca neve e le zanne cristalline della fiera. 


***

eccomi con il 4° capitolo scritto quasi tutto in un'unica serata!
Qui compare un nuovo personaggio molto importante e si accenna ad un mistero, ma i segreti verranno svelati.. non si sa bene quando!

als always (miscela di tedesco ed inglese)
spero vi sia piaciuto
e spero di poter leggere i vostri pareri!

un bacio e
Buona Notte!

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Fragile e Delicata ***



Fragile e Delicata:
 

 

Un urlo leggermente strozzato dalle sue stesse mani le raschiò la gola e si disperse nella foresta. Vedeva il sangue colare copioso dalla spalla del ragazzo macchiandogli la giacca nera che assumeva un colore più scuro e scivolare lungo la mano destra fino a gocciolare a terra.
Il ragazzo d’altro canto, come insofferente alla ferita, aveva già estratto la scimitarra dalle venature rosse e muovendo velocemente la lama parava gli artigli del lupo, il quale andò in frantumi non appena la rossa lama gli trapassò la gola.
Il ragazzo ripose la sua arma nella cintola e osservando Lidia con un sorriso incrinato dal dolore per la ferita, le allungò la mano sana.
«Presto, vieni.»
«Lidia..» una voce all’apparenza calda e sicura scivolò tra i rami secchi degli alberi ed insinuandosi dentro il suo corpo le fece fremere il cuore.
In un attimo tra lei e la fiamma si frappose un muro invalicabile. Una parete di cristallo che lasciava trasparire la magnificenza del mondo esterno ma che la teneva catturata in quella fragile prigione che era il suo sogno. Bario le aveva preso la mano che stava allungando all’altro ragazzo e le aveva cinto la vita attirandola a sé.
Il principe aveva allontanato la bambina dal mercenario.
«..non puoi prendere la sua mano, se tu lo facessi ricadresti nell’incubo della sofferenza. Rimani con noi e ti prometto che il tuo cuore conoscerà la leggerezza della felicità.»
Quant’erano dolci quelle parole per una ragazzina abbandonata in un buio bosco dove la luce che illuminava il suo sentiero era scomparsa. Cosa poteva mai desiderare di più della felicità? Anche lei voleva risentire il battito veloce che quel caldo sentimento causava al suo cuore. In fondo lei voleva solo vivere in un sogno dove non c’erano più lacrime.
Sentì il suo corpo rilassarsi, il peso della decisione giusta da prendere era svanito; ora si sarebbe di nuovo abbandonata a Bario ed a Leidy, perché con loro c’era il sogno.
«Lidia! Ti prego Lidia ascoltami…»
Nel buio bosco dove la bambina si era persa una flebile scintilla cercava d’illuminarle il cammino ma la sua luce era troppo debole ed il buio troppo pungente per gli occhi di quella bambina ormai stanca di correre verso il nulla alla ricerca del suo sentiero.
Le parole della fiamma giunsero ovattate alle orecchie della bambina, tutte tranne le ultime:  «..Lidia, il sogno in cui credi di vivere in realtà è il vero incubo!»
Le ultime pungenti parole prima del sonno.
 
 
La fiamma conosceva quel trucco, aveva visto molta, moltissima gente cadere addormentata sotto il tocco di quel ragazzo perfetto eppure non riusciva ancora a spiegarsi come fosse possibile; l’unica cosa che sapeva era che quando le persone si risvegliavano avevano irrimediabilmente gli occhi neri ed opachi e sembrava fossero state svuotate dalla loro anima.
Quando sentì il corno dell’Ombra risuonare il suo urlo di ritirata alto nel cielo capì d’aver fallito eppure svanendo nel buio sperò con quelle parole d’aver mosso qualcosa nello spirito di quella ragazza, una qualsiasi cosa che le impedisse di diventare un guscio vuoto.
 
 
Non cercò neanche di seguirlo, infondo il suo ordine era semplicemente quello d’impedire a Lidia di scappare e l’aveva portato a termine.
O forse, lo lasciò scappare sperando inconsciamente d’aver dato vita ad una fiammella di speranza, per lui e per tutti gli altri.
Bario osservò la fragile ragazzina che teneva tra le braccia e sollevandola s’incamminò verso il lago.
Quando giunse al limitare dell’anello d’alberi che proteggeva lo specchio brillante d’acqua, la visione che gli si presentò davanti agli occhi avrebbe shockato chiunque altro, ma non lui, lui ormai era abituato a quel dipinto grottesco di un pittore impazzito.
Leidy, come una delicata bambina, danzava leggera sulla neve alzando petali cristallizzati di acqua e sangue e come se i corpi ai suoi piedi fossero bambole, li sistemava su sedie di ghiaccio rappresentando un delizioso squarcio dell’ora del thè.
E sorrideva, sorrideva come una bambina con un’innocenza sbagliata.
Spesso aveva desiderato domandarle perché, capire perché si comportava così. E qualche volta gliel’aveva anche chiesto, ma proprio come se Leidy fosse una bambina non era mai riuscito a farla ragionare ed a farle spiegare i suoi comportamenti. Lei rispondeva con frasi vaghe che rimanevano in sospeso nell’aria finché non venivano cancellate da un suo sorriso da bimba.
« Oh, Bario sei tornato!» la vocina squillante della principessa distolse il principe dai suoi pensieri che la osservò correre nella sua direzione, e vedendo quell’ingenuità dipinta sul suo viso non poté non riservarle un sorriso, infondo era pur sempre una fragile bambina che aveva bisogno d’affetto.
 
 
 
Dolci e leggere note aleggiavano tra il reale ed il sogno nella stanza dove Lidia stava riposando e lentamente la riportarono alla realtà, sempre che di realtà si possa parlare.
Aprendo gli occhi questa volta non ci fu nessuna luce ad accarezzarle il viso con il suo tocco leggero, la camera sembrava piombata in una tenebra di nebbia dove l’unico suono regnante era la delicata melodia che il carillon sul comodino stava riproducendo.
Lidia scese dal letto poggiando i piedi sul freddo pavimento in legno e camminando lentamente con la paura di produrre un qualsiasi scricchiolio che andasse a distruggere quel perfetto silenzio, si avvicinò alla finestra e sempre con lentezza aprì le tende. Fuori dal vetro appannato i contorni del giardino, del prato e più in là del bosco si perdevano in un’opaca nebbia; anche la neve senza il sole aveva smesso di brillare ed ora pareva quasi cenere.
Stranamente il suo cuore si sentì quasi leggero, quel paesaggio si rifletteva perfettamente sui suoi occhi o meglio, la sua anima si rifletteva nei minimi dettagli in quello spettacolo triste e piatto; per una volta non le sembrava di sporcare con la sua presenza il dipinto di qualche impressionista.
Con lenti movimenti fece scivolare lungo il suo corpo la camicia da notte di seta assaporando il morbido tessuto accarezzarle la pelle, prese uno degli abiti da bambolina che ogni giorno troneggiavano ai piedi del letto e con scrupolosità lo indossò. Quella mattina sembrava che quella vita le calzasse a pennello, o forse era lei ad essersi plasmata in modo da essere perfetta per quei rituali.
Scese la scalinata con una leggerezza che mai avrebbe creduto potesse appartenerle, uscì in giardino e con passo aggraziato percorse il sentiero che l’avrebbe condotta nella piccola serra, dove Bario le aveva chiesto, tramite un foglietto decorato dall’elegante firma del cavaliere, di recarsi per la colazione. Quella mattina se qualcuno l’avesse vista percorrere il giardino di rose con quella leggerezza e lo sguardo perso nel vuoto che ogni tanto si posava su qualche rosa, assurdamente ancora in vita, l’avrebbe potuta scambiare per Leidy.
 
 
L’aveva sempre odiato quell’uomo. Odiava il suo sorriso dolce che rivolgeva a Leidy, odiava il suo portamento fiero, odiava l’aura d’infinito potere che emanava ed infine odiava i suoi profondi occhi neri.
Eppure la piccola bambina bianca lo amava e lui, il suo principe, non poteva allontanarla da quell’uomo perché sapeva che la lontananza di quelle nere piume l’avrebbero fatta soffrire. E così lasciava che sul viso della principessa si disegnasse un sorriso di profonda felicità e permetteva che quel bianco, nonostante tutto così puro, si fondesse col nero del Corvo quando Leidy correva ad abbracciare quell’uomo.
Forse però più di tutto Bario lo odiava perché sapeva che le macchie che intaccavano il bianco brillante di Leidy erano causa di quell’uomo.
Quella mattina quando, entrando nella sera, lo avevano trovato ad osservare un giglio bianco, l’unico tra tutti i gigli, il cavaliere avrebbe voluto bloccare la corsa della sua principessa ed impedirle d’andare a macchiarsi però era rimasto al suo posto perché tra lui ed il Corvo, il principe di Leidy era quest’ultimo.
 
 
Quando Lidia arrivò dove i fiori sbocciavano anche d’inverno non si stupì più di quanto elaborata e raffinata potesse essere una semplice serra, semplicemente la osservò con attenzione registrando ogni minimo particolare. L’intera struttura sembrava un altro tempio a pianta circolare con la cupola a stella, la quale veniva sorretta da un’alternanza di colonne decorate con gigli e fate o con rose e farfalle. Tra le colonne erano catturate lastre di vetro decorate con spirali verdi che andavano a rappresentare dei rampicanti, invece sui vetri della cupola era stato dipinto un mare di nuvole dalle quali spuntavano dei timidi raggi di un finto sole. La porta d’ingresso stonava con il resto della serra; i vetri, racchiusi in una cornice di legno bianco, erano di una superficie liscissima con l’unica eccezione della parte superiore la quale era stata decorata con una cascata di piccole farfalle ed infine i pomelli erano in argento, uno intagliato con delle immagini di gigli e l’altro di rose.
Finito d’esaminare la serra Lidia aprì con lentezza le porte venendo accolta da differenti fragranze e dalla voce cristallina di Leidy che cinguettava felice.
«Lidia..» l’accolse o la presentò Bario, la voce leggermente incrinata da un tono simile alla paura.
A quel nome la bianca principessa ed il nero principe si volsero verso la sua figura avvolta dalla nebbia esterna; e quando gli occhi neri di Lidia incrociarono gli abissi nascosti in quelli del Corvo, la delicata leggerezza che l’aveva avvolta fino a quel momento si frantumò lasciando dentro il suo animo solo un fragile velo di nulla che minacciava di strapparsi rilasciando impetuosi tutti i dubbi che aveva di nuovo deciso di sigillare.  


***

Hola!
finalmente dopo un'eternità rieccomi a postare!^^""
come mio solito questo capitolo l'ho scritto in una sola giornata, morire se riesco a scrivere un po' per volta!XD
comunque, giusto per attirarmi un po' l'odio di chi legge, non ho svelato neanche un segreto anzi, ne ho aggiunti molti altri per non parlare dei personaggi che provano in contemporanea emozioni opposte!
boh, spero vi piaccia almeno un po' oh anime pie che leggete!
per farmelo sapere vi basterebbe commentare!XD
ok, la smetto di mendicare recensioni, tanto non ci riesco.

Al prossimo capitolo,
bye!^^ 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Specchi della Paura ***


Specchi della Paura:
 

 
 
Cos’era quella sensazione? Perché si sentiva risucchiata da quei pozzi neri? Perché, quando aveva incrociato il suo sguardo, le era parso d’affogare in un nero mare di paura e disperazione? E perché, perché rimanendo lì nella stessa stanza di quell’uomo le sembrava d’esser ricoperta di lame che le pungevano la pelle in attesa di trafiggerla?
Lo sentiva, il velo che le proteggeva il cofanetto contenente i suoi sentimenti si stava sfilacciando, piano, molto lentamente; eppure l’argentata superficie iniziava a rivelarsi. E Lidia lo sapeva, quando il velo si fosse stracciato del tutto, il piccolo scrigno sarebbe scoppiato e le emozioni, le paure, l’indecisione che da sempre le turbinavano nel cuore e solo grazie a quella preziosa scatolina le avevano dato un attimo di riposo, sarebbero tornate ad infestare la sua mente pretendendo d’essere ascoltate.
Ma lei non poteva permetterlo, non era forte abbastanza da sopportare tutto quel carico emotivo, si sarebbe di nuovo sentita schiacciare. Doveva scappare, di nuovo, impedire che gli artigli continuassero a strappare la debole stoffa del velo che la proteggeva.
Abbassò lo sguardo sulle sue dita che torturavano la stoffa del vestito e quando sentì gli occhi dell’uomo in nero posarsi minacciosi sulla sua figura, prese un respiro che le bruciò la gola.
«Scusate, mi sento poco bene.. vo..vorrei tornare nella mia stanza, se permesso.»   
Quando rialzò gli occhi, incrociando il suo sguardo impaurito con quello indagatore di Bario, vide Leidy muoversi come un petalo al vento verso di lei e vedendo la bianca mano avvicinarsi al suo viso, il suo corpo si ritirò da solo.
Sfoggiando un’espressione rattristata, che a Lidia ricordò molto una presa in gira, la principessa abbassò il braccio e spostando il suo sguardo verso il nero principe le diede il permesso di ritirarsi; chiedendo, però, conferma all’uomo in nero.
«Ma certo, se non si sente bene, sarebbe un gesto scortese trattenerla. Sono sicuro avremo altre occasioni per conoscerci.»
La risposta, accompagnata da un sorriso da stregatto, le infusero la stessa sicurezza della consapevolezza d’esser braccata da un branco di lupi famelici.
Dopo un grazie esalato come se in quella stanza non ci fosse ossigeno, Lidia si girò lentamente verso la porta, la aprì con mano stremante e dopo essersela richiusa alle spalle percorse qualche passo barcollante per poi scappare lontano dal predatore.
Corse senza prestare attenzione alla via che stava seguendo. Corse ringraziando l’aria fredda che le graffiava il viso perché stava congelando i battiti troppo veloci del suo cuore. Corse sperando che la stanchezza le cancellasse quella sensazione di pericolo.
Corse finché un respiro non le tagliò la gola ed i polmoni la costrinsero ad appoggiarsi a qualcosa.
Respirò a fondo realizzando che la corsa era stata inutile: il suo cuore batteva ancora più forte, il respiro le mancava accrescendo la sensazione d’esser un coniglietto accerchiato da lupi ed il suo corpo era intirizzito.
Si morse un labbro perché ora era certa che alla corte della bianca principessa non sarebbe mai stata al sicuro e non sapeva dove andare, cosa fare.
Il freddo divenne più pungente come a marcare il gelo della solitudine. Si strinse le gambe al petto affondando il viso tra la stoffa morbida del vestito.
 
 
 
 
Era straziante quella situazione, sentirsi impotenti, inutili, dimenticati. Quando c’era quell’uomo, lui diventava al pari di un pupazzo vecchio e malandato: buono per una bambina sola in un castello di falso cristallo ma un mero oggetto da abbandonare quando vicino alla bimba si posava un bellissimo uccello dal manto nero, luccicante, pulito e morbido.
Lo odiava e non poteva fare niente per allontanare la sua principessa, perché lui era il Corvo, lui era la paura. Ogni volta che incrociava i suoi occhi rivedeva la sua vecchia vita ed il volto sereno di Lei ed ogni volta affogava nella paura che quei ricordi riportavano a galla. Paura d’esser ancora inutile e paura di perderla.
E odiava. Odiava sé stesso.
Così stava immobile, Bario, appoggiato ad una colonna della serra ad osservare la danza di sorrisi della principessa e del principe.
Se Lidia non fosse scappata magari l’atmosfera sarebbe stata meno pesante, rimuginò il cavaliere osservando la porta in legno bianco. Ma come darle torto? Aveva incrociato quello sguardo, gli specchi della paura. Aveva visto in faccia le sue debolezze.
 
 
 
 
Freddo.
Paura.
Vuoto.
Era come aver finito l’ossigeno mentre si sprofondava verso gli abissi di un mare scuro ed aver già abbandonato all’acqua l’ultima bollicina d’aria. Lei lo sapeva, l’aveva vissuta quell’esperienza ed in quel momento le sembrava di riviverlo, peccato però che il suo corpo non fosse avvolto da un velo infinito d’acqua. Era viva, stava respirando, era sulla terra ferma eppure, stava morendo.
Non riusciva più neanche a pensare, non sentiva le lacrime, non sentiva i battiti del suo cuore, non sentiva il suo corpo. Era come se lei non ci fosse più.
 
« Lidia... »
Una voce nella buia foresta arrivò flebile alle orecchie della bambina. Per un attimo, un solo attimo, la foresta si era zittita, non c’era più il vento forte, gli ululati dei lupi o quelle voci stridule che si parlavano l’una sull’altra in quel pastoso buio; c’era solo quella voce ed una piccola debole fiammella.
«Lidia..»
Perché la stavano chiamando? Di chi era quella voce? Lei stava affogando, perché qualcuno doveva porgerle una mano?
Un timido calore si poggiò sul suo braccio diventando sempre più forte a mano a mano che la ragazza riprendeva coscienza d’esistere.
« Per favore, alza il viso, Lidia..»
Alzò il viso? Forse sì, non se lo ricordava però era certa di quello che stava vedendo: una Fiamma.
 
 
 
Gli occhi che gli si presentarono davanti quando la ragazza abbandonò il rifugio delle sue braccia non erano più quelli dell’altra volta: erano spenti, vuoti.
Doveva portarla via di lì.
« Lidia, mi senti? Sono venuto qui per portarti via.»
La ragazza non dava segno di sentirlo. Lo guardava ma non lo vedeva. Lei era lì eppure era come se non ci fosse.
« Stai male, vero? Se mi dai la mano e vieni con me farò di tutto per farti star meglio!»
Inclinò leggermente il viso come ad osservarlo ed a capire se stava dicendo il vero, forse era riuscito a farsi sentire.
Il ragazzo allungò la mano a sfiorare quella di Lidia. Al contatto la ragazza abbassò lo sguardo ad osservare la mano di lui poggiarsi sulla sua.
 
 
 
Il calore si spostò sulla sua mano gelata.
Poteva fidarsi di quelle parole confuse eppure dolci? Poteva aggrapparsi ad una fiamma così piccola in un gelo così grande? Poteva quella mano strapparla via da quel luogo e cancellare quelle sensazioni?
Strinse quella mano, Lidia.
Voleva rinascere in quel calore ed essere protetta da quella mano.
 
 
 
La stretta che si chiuse sulla sua mano fu leggera come un velo che si attorcigliato intorno al braccio ma sul punto di sciogliersi.
Sorrise e sorridendo le strinse la mano con più forza. Non l’avrebbe lasciata.
«Andiamo?»
La ragazza non rispose ma si abbandonò alle sue braccia quando gliene passò una dietro la schiena ed una sotto le gambe per tirarla su e poggiarsela al petto.
 
 
 
«Starai meglio!»
Lidia appoggiò il viso al corpo caldo del ragazzo, sperando che quel calore le facesse sciogliere il gelo che sentiva dentro.
L’ultima cosa che sentì fu una lacrima bollente scivolarle lungo la guancia destra.
 
 
 
Rideva. Ballava. Cinguettava.
Scattava verso la porta?
Accadde in un secondo. La sensazione di mancanza, d’invasione. In un attimo, vedendo Leidy correre verso la porta e spalancarla per guardare il cielo, sentì che Lidia non era più con loro, erano riusciti a portarla via.
La debole fiamma  aveva appena scatenato un incendio nel bosco dove la bambina si era persa. 




***

Per prima cosa voglio dire che non sono molto convinta di questo capitolo e che quindi molto probabilmente lo rivedrò e sistemerò, ciò nonostante ho voluto postarlo lo stesso dato che sono in terribile ritardo, chiedo scusa!
Sapete com'è, le ragazze a volte smettono di scrivere perchè sono in pausa di riflessione col proprio ragazzo.. beh, io sono stata in pausa di riflessione con me stessa!^^"
Per ora com'è il capitolo? tanto osceno?
Spero non abbiano creato eccessiva confusione i continui scambi di punti visti, in tal caso provvederò per mettere dei segni che separino.

Ora vi lascio alle critiche,
Buona Notte!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=724794