She may be - Lei può essere

di _Trixie_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cento cose diverse ***
Capitolo 2: *** La Bella o la Bestia ***
Capitolo 3: *** Fino al giorno in cui morirò ***
Capitolo 4: *** La ragione per la quale sopravvivo ***
Capitolo 5: *** Tutti i miei ricordi ***



Capitolo 1
*** Cento cose diverse ***




She may be the face I can’t forget
The trace of pleasure or regret
Maybe my treasure or the price I have to pay
She may be the song that summer sings
May be the chill that autumn brings
May be a hundred different things
within the measure of a day

Lei può essere il viso che non posso dimenticare
la traccia di piacere o rammarico
forse il mio tesoro o il prezzo che devo pagare
lei può essere la canzone che l’estate canta
essere il freddo che l’autunno porta
Può essere cento cose diverse
nella misura di un giorno

(She - Elvis Costello)






La rividi dopo molto tempo.
In famiglia non abbiamo mai amato in modo particolare le rimpatriate e il cameratismo non è mai stato il nostro forte, amiamo piuttosto la competizione e nessuno tollera la sconfitta.
Pieni di orgoglio e di superbia saremmo pronti a calpestare il nostro stesso figlio.
Questo l’hanno già fatto.
I Black mi ripudiarono, ripudiarono Sirius il Traditore, votato a cause scialbe come la giustizia, la cavalleria, la fiducia. Divenni lo sporco Grifondoro.
Ma questo non era ancora successo quando la rividi, dopo molto tempo.
Era estate e alloggiavamo tutti pericolosamente riuniti sotto lo stesso tetto.
Mio padre, il rubicondo Orion Balck, con mia madre Walburga Black, sua cugina nonché suo primo amore, mio fratello minore Regulus, mingherlino e dall’aria sciupata e infine io. Fummo i primi a raggiungere la sconfinata villa di campagna che avevamo deciso di affittare per l’occasione.
Poi ci raggiunsero lo zio Cygnus, somigliante alla sorella Walburga, al braccio della moglie Druella Rosier, orgogliosamente in Balck, e le loro incantevoli figlie: Andromeda, la minore e la più romantica; Narcissa, altera e glaciale a prima vista, ma incredibilmente affettuosa se sapevi far breccia nel suo cuore e Bellatrix, la primogenita altera, elegante, splendida.
La tenuta era abbastanza grande da permetterci di abitarvi insieme senza essere costretti a vederci più del tempo necessario, ma in quelle poche calde settimane io e Bella passammo insieme ogni singolo istante.
Rimasi immediatamente incantato dal viso di mia cugina. Era cresciuta molto e, nonostante conservasse tratti infantili, sembrava già una giovane donna, pronta a sconvolgere il mondo, come ogni Black che si rispetti.
I folti riccioli d’ebano splendevano sotto la luce del sole, che sembrava quasi minacciare la sua pelle pallida. No, non pallida, piuttosto d’avorio. Era liscia, preziosa, pregiata. Gli occhi spiccavano sul candore della pelle, due pozzi neri che osservavano tutto con superiorità. Il naso era delicato, all’insù come quello di ogni spettabile aristocratica snob cresciuta tra i vizi. E poi la bocca. Quelle labbra piene e sensuali di un rosso acceso, quasi avessero vita propria.
Non credo che riuscirò mai a dimenticare il suo viso.



Una mattina particolarmente afosa, decidemmo di andare al ruscello. Era un piccolo rivo d’acqua profondo abbastanza da permettere ad un adulto di immergersi fino alla vita, si trovava piuttosto lontano dalla casa, a circa dieci minuti di cammino. Noi impiegammo almeno il doppio del tempo per raggiungerlo: giocammo lungo il tragitto, ci rincorremmo a tratti per poi sederci stanchi su un sasso.
Ma per tutto il tempo, ridemmo.
Quando infine giungemmo al ruscello, Bella non perse tempo e in pochi attimi si tolse il prezioso vestito che sua madre l’aveva obbligata ad indossare (“è così che si veste una signorina nella tua posizione sociale!”) e si tuffò in acqua con la sottoveste. Io mi tolsi la camicia, tenendo i pantaloni, e la seguii dopo pochi istanti.
La sensazione dell’acqua fresca era piacevole a contatto con la pelle e mi immersi sott’acqua, afferrando Bella per la caviglie e trascinandola sul fondo. Mia cugina riemerse con un sorriso agguerrito stampato sul volto e si avventò contro di me, la mia schiena cozzò dolcemente contro il fondo ghiaioso.
Tornai in superficie, ridevamo entrambi, spensierati, incuranti del resto del mondo.
Come due bambini.
Mi piaceva stare con Bellatrix, passare il tempo con lei, vederla ridere e ridere perché lei era felice.
Quando le nostre dita iniziarono a raggrinzire, uscimmo dall’acqua e ci sdraiammo sull’argine erboso per asciugarci.
Bella ha sempre avuto una personalità irrequieta, decisamente non adatta all’inattività, uno dei tratti che condividiamo.
Qualche minuto dopo infatti, iniziò a parlare. Mi raccontò delle sue noiose giornate, costretta a sopportare l’educatrice assunta dalla madre che pretendeva di trasformare lei e le sorelle in piccole dame altezzose.
Per quanto riguardava l’altezzosità non dovette certo faticare molto con mia cugina, ma risulta difficile ancora oggi accostare armoniosamente l’immagine di Bellatrix con quella di una dama educata e per bene.
Il discorso si spostò inevitabilmente sulle idee di superiorità dei maghi purosangue. Bella era infervorata, era convinta di ciò che diceva e parlava spedita e sicura che nessuno avrebbe potuto contraddirla.  Il mio viso si accigliò, ma lasciai che continuasse imperterrita il suo monologo.
Era giovane, non conosceva il mondo, avrebbe capito come stavano davvero le cose e allora avrebbe cambiato idea. Mi dissi che era intelligente, arguta, brillante, sicuramente avrebbe compreso, a tempo debito, quanto quelle ideologie fossero (e continuano ad essere) sbagliate e incivili.
Me lo ripetei più volte, ma la determinazione nella sua voce sembrava distruggere tutte le mie illusioni. Serrai le labbra.
Stavo bene accanto a lei, in sua compagnia, ma quelle sue idee mi irritavano.
Sapeva scatenare in me un piacere furioso e allo stesso tempo un tormento opprimente.




Decidemmo di far ritorno alla tenuta quando il sole era ormai alto nel cielo, i capelli ancora umidi, le vesti tra le braccia.  
A metà strada, incontrammo mia madre e zia Druella, che procedevano nella direzione opposta alla nostra e parlavano fitto fitto. Uno spettacolo decisamente insolito per i nostri occhi. Le due donne sedettero su una vecchia panchina di legno scheggiata e noi, cauti, ci nascondemmo a pochi metri da loro tra i cespugli.
Man mano che il loro discorso precedeva, le nostre facce divennero sempre più costernate. Sembravano trovarsi d’accordo su un argomento che avrebbe risolto non so quali diritti ereditari, e si complimentavano a vicenda, per aver entrambe avuto la medesima idea. Poi mia madre pronunciò una frase che rimase impressa nella mia mente per sempre “il matrimonio tra Bella e Sirius sarà perfetto!”. Stavano organizzando il matrimonio dei loro figli senza prendere in considerazione le opinioni dei diretti interessati e con l’unico obbiettivo di dirimere vantaggiosamente una questione d’eredità.
Io ne fui disgustato, non tanto dalla prospettiva di sposare Bella, ma per il modo in cui le donne pensavano di orchestrare le nostre vite!
Alzai lo sguardo su mia cugina e vi lessi solo un’indignata rassegnazione.
Sentimmo la panchina scricchiolare e le due donne si diressero nella stessa direzione da cui erano giunte. Ci alzammo e spolverammo via la terra dalle ginocchia e dai vestiti.
Espressi a Bella il mio parere, che per me era impensabile organizzare a tavolino il matrimonio del proprio figlio, che aveva diritto di scegliere, che nessuno avrebbe mai potuto costringerci a fare una cosa del genere, ma scoprii ben presto che lei non era della mia stessa opinione.
Mi disse che lei non avrebbe avuto nessun problema a sposarmi, che non v’era motivo di scandalo nell’organizzare un matrimonio e che un Black deve prima di tutto pensare alla propria casata e non a se stesso.
Compresi allora che Bella poteva essere il mio più grande tesoro, che avrei passato una vita felice insieme a lei, che il nostro matrimonio avrebbe appianato discussioni sull’eredità ed eravamo perfino fortunati perché, anche se il nostro non era amore, almeno era complicità, fiducia, affiatamento.
Ma non potevo accettare una cosa del genere, non potevo sposare mia cugina per compiacere la famiglia, non potevo farlo per principio.
Perderla sarebbe stato il prezzo da pagare per i miei ideali e le mie scelte.



Non confidai i miei malumori a Bella, mi limitai ad annuire stancamente per farle intendere che ero d’accordo con lei. Giungemmo alla tenuta per l’ora di pranzo sporchi di terra e con i capelli bagnati, ma nessuno ci rimproverò, si limitarono ad ordinare di lavarci e cambiare i vestiti.
Ubbidimmo senza fare storie:  il nostro unico obiettivo era poter stare seduti a tavola; tutti quegli sguazzi e gli appostamenti ci avevano messo un gran appetito, e saremmo stati disposti a tutto, persino ad un bagno, per poter finalmente mangiare.
La conversazione fu egemonizzata come al solito da mio padre e zio Cygnus e quindi nessun’altro vi prese parte, in quanto a nessun’altro importavano gli affari esteri o il Ministero. Non era possibile nemmeno intavolare una seconda conversazione, considerando che i due uomini erano seduti su lati opposti del lungo tavolo. Io e Bella ci limitammo a scambiarci qualche sguardo e a sorridere; Andromeda, Narcissa e Regulus giocherellavano con il cibo;  mia madre e zia Druella ammiccavano l’un l’altra con un cenno del capo nella nostra direzione.
Appena ci venne dato il permesso di alzarci da tavola, le sorelle Black, io e mio fratello, scattammo in piedi e corremmo verso il giardino davanti la villa.
Ci fermammo all’ombra di una quercia centenaria, appoggiandoci al suo tronco rugoso.
Regulus pizzicò Andromeda e scappò, la bambina lo rincorse e pochi istanti dopo Narcissa decise di dar man forte alla sorella. Corsero dietro alla casa, ma io e Bella potevamo ancora sentirli ridere e gridare.
Mia cugina propose di arrampicarci sulla quercia e io annuì con entusiasmo. Iniziammo la nostra impresa e lei mi superò velocemente e con facilità. L’aveva presa come una competizione e un Balck non perde, mai.
Si fermò a metà tragitto e si voltò a guardarmi, forse per deridermi.
Il sole s’insinuava tra la chioma dell’albero, scossa lievemente da un tenue venticello, lo stesso che faceva ondeggiare i capelli intorno al viso di Bella. Sentii il cinguettio di qualche uccellino, che magari aveva il nido sui rami che volevamo raggiungere. Un cane abbaiò, forse il mastino da caccia di mio padre. Un’ape ronzava vicino al mio orecchio e io la udii, più che vederla.
Poi lei rise, una risata argentea, cristallina, in apparenza identica a tutte quelle che avevo avuto la grazia di ascoltare e condividere in quei giorni.
In realtà echeggiava dal fruscio delle foglie, nel cinguettio degli uccelli, nell’abbaiare del cane, nel ronzio dell’ape.
Echeggiava nella canzone che l’estate cantava.  



Lei giunse per prima alla meta e mi attese a cavalcioni su un ramo con un sorriso di soddisfazione stampato in volto. La raggiunsi e passammo il pomeriggio a cavalcioni sul grande albero, inventando storie assurde e fingendo di essere maghi potenti e invincibili. Iniziammo la nostra discesa in contemporanea con il sole, ma toccammo terra ben prima di lui.  
La brezza di poche ore prima si era nel frattempo trasformata in un vento più insistente, l’aria si era fatta più fredda e in lontananza si poteva scorgere qualche nuvola. Si stava avvicinando un temporale. Non mi preoccupai, per quella sera ci saremmo accontentati di giocare al coperto.
Stavamo per entrare in casa, quando Andromeda corse verso di noi in lacrime. Si teneva un braccio, mi sembrò si fosse tagliata, ma non potei accertarmene perché Bella si frappose tra me e la sorella. Iniziò ad urlare, coprendo i singhiozzi di Andromeda. Invece di consolare la sorella la stava sgridando, perché un Balck non piange in nessuna occasione e per nessun motivo e soprattutto un Balck non mostra la propria debolezza perché non ne ha da mostrare. Andromeda cadde in ginocchio, incapace di sopportare i rimproveri della sorella. Era solo una bambina! Bellatrix la stava trattando come un animale, se non peggio. Improvvisamente, la schiaffeggiò.
Il sangue nelle mie vene si ghiacciò, lentamente, goccia a goccia.
Quella era la mia Bella, come poteva essere tanto crudele?
A sentire i genitori, sarebbe diventata mia moglie e forse la madre dei miei figli.
Le grida di Bellatrix si confusero con il vento che ormai soffiava imperterrito, facendo rabbrividire la piccola Andromeda.
La mia Bella, la mia dolce Bella, non poteva essere quella, non poteva aver picchiato la propria sorella.
La mia Bella era quel gelo che sembrava portare l’autunno.



Quella sera, Andromeda non cenò con noi: era stata punita perché aveva pianto e Bella elogiata.
Il mio stomaco si chiuse, dissi di non sentirmi molto bene e andai a letto subito dopo cena, lasciando Bellatrix vagamente indispettita.
Nel mio letto, ripensai a quella giornata. Ripensai a Bella.
Nell’arco di quelle poche ore si era mostrata in un modo e nel suo opposto, senza coerenza. Mi confondeva, mi disorientava, mi intrigava.
Mi chiesi per quale motivo non fossi intervenuto in difesa di Andromeda, ma non trovai risposta.
Allora ero solo un bambino e non potevo rendermi conto di essere folle quanto Bella. L’amavo.





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I personaggi non mi appartengono; la storia è stata scritta senza scopo di lucro e per puro diletto personale.

Grazie per la lettura.

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Capitolo 2
*** La Bella o la Bestia ***


She may be the beauty or the best
May be the famine or the feast
May turn each day into a Heaven or a Hell
She may be the mirror of  my dreams
A smile reflected in a stream
She may not be what she may seem
inside her shell…

Lei può essere la Bella o la Bestia
Può essere la carestia o la festa
Può tramutare ogni giorno nel Paradiso o nell’Inferno
Lei può essere lo specchio dei miei sogni
Un sorriso riflesso in un ruscello
Lei non può essere quella che può sembrare
Nel suo guscio…

(She - Elvis Costello)



L’anno seguente affittammo la stessa tenuta e vi trascorremmo buona parte dell’estate. Sospettai fin da subito che lo scopo principale fosse quello di avvicinare me e Bella, ma tenni per me i miei pensieri: noi non avremmo dovuto saperne nulla.
Andromeda e Narcissa non erano molto cambiate, se non che la prima aveva un’aria cupa, rassegnata e frustrata, mentre la seconda sembrava la regina dei ghiacci appena giunta dal suo freddo regno. Ma trovai Bellatrix nuovamente cresciuta.
Tra i Black è tradizione dare ai figli il nome di una stella, perché, inutile dirlo, ogni Black è destinato a brillare al di sopra di tutti, al pari solo di altri Black.
Per lei il nome Bellatrix è sempre stato più che appropriato. Come la stella della costellazione di Orione, lei splende di luce propria, lei illumina la luna, lei è la prima a sorgere costringendo il sole al tramonto, offuscandolo con la propria bellezza.
Dallo sguardo che Bella mi riservò per qualche istante, capii che anche io dovevo essere cresciuto: era passato solo un anno, ma sembrava che entrambi ci fossimo gettati l’infanzia alle spalle.
I lineamenti di mia cugina erano più spigolosi e marcati, altezzosi e decisi quanto poteva esserlo la ragazza. Tuttavia questa durezza non sembrava aver diminuito la sua Bellezza, al contrario, sembrava averla accresciuta, rendendo Bellatrix irraggiungibile e per questo ancor più rara.
Fugace, un pensiero mi attraversò la mente: camminavo con Bella sottobraccio per le strade di Diagon Alley, con una nidiata di marmocchi intorno cui entrambi rivolgevano sorrisi pazienti e amorevoli, la folla si diradava al nostro passaggio, consapevole che il nostro cognome era Black, le donne lanciavano sguardi di rimprovero ai mariti, ammaliati dalla mia donna.
Scossi la testa e guardai di nuovo Bella che, con una finta espressione di gioia dipinta sul volto, abbracciava mia madre e un sorriso m’increspò le labbra.
Già allora non avevo nessuna simpatia per l’autoritaria Walburga Black.
Da bravo damerino, mi prestai a sopportare le pacche sulla spalla di zio Cygnus e i vezzeggiamenti di zia Druella, teatrali e dettati dalla prospettiva di avermi come genero, oltre che come nipote.
I galeoni fanno miracoli: rendono affettuosi persino i Black.
Mentre le dita grassocce di zia Druella testavano per l’ennesima volta l’elasticità delle mia guancia, guardai Bella di sottecchi.
Un rossore di finto pudore era dilagato sulle sue guance nivee, a causa dei complimenti di mio padre.
Sapevo bene che faceva parte di una messa in scena, che Bella non sarebbe mai arrossita per dei complimenti, ma trovai quella sua innocenza incredibilmente irresistibile e provai l’impulso di dirle che l’avrei sposata, l’avrei protetta, l’avrei accompagnata, anzi, mostrata orgoglioso tra le vie di Diagon Alley.
Zio Orion notò il mio sguardo e rimproverò la moglie di voler godere del nipote tutta sola, quando anche le cugine era ansiose di poter stare in mia compagnia.
Raggiungemmo i miei genitori e Bella a qualche metro di distanza, Narcissa e Regulus confabulavano sommessamente dietro di noi, mentre Andromeda ci seguiva con passo malinconico.
Udimmo mia madre rimproverare il vecchio Orion per i complimenti troppo lascivi verso la nipote e seguii lo sguardo di mio padre, che scivolava dalla scollatura generosa ai fianchi di Bella.  
Notai allora che non era cambiato solo il viso di mia cugina, ma anche il corpo, fasciato in un leggero abito estivo, era ormai quello di una donna, prosperoso e, agli occhi di mio padre, voluttuoso.
Incrociai lo sguardo di Bellatrix e lei mi sorrise compiaciuta.  
Dopo altri convenevoli, particolarmente premurosi tra le due cognate, entrammo in casa. Le donne, che avevano intrapreso in quell’anno una fitta corrispondenza, assegnarono ad ognuno la camera. La mia era attigua a quella di Bella.



A noi ragazzi venne ordinato di fare un bagno e prepararci per il pranzo, così ci dirigemmo verso l’ala della casa occupata dalle nostre stanze. Regulus esplose d’indignazione quando nostra madre gli intimò di lavarsi e borbottò sotto lo sguardo di superiorità di Narcissa.
Andromeda non aveva ancora aperto bocca, e sentii la sua voce per la prima volta quando vedemmo le stanze.
Regulus occupava la camera di fronte alla mia, Andromeda e Narcissa ne condividevano una accanto a quella di mio fratello.
La minore tra le sorelle Black sbirciò in quella di Bella, e assunse un’espressione del tutto simile a quella di Regulus. Protestò animatamente per la scelta delle camere: lei e Narcissa avrebbero dovuto dividerne una molto più piccola di quella di Bella.
La sorella maggiore le riservò un’occhiata glaciale e, vivido, ritornò il ricordo di quello schiaffo in piena faccia. Temetti di sentire nuovamente quel suono secco e crudo, invece Bella le rispose che lei era la primogenita e che le decisioni di mamma e papà non si discutono.
Andromeda s’accigliò e assunse un’espressione contrariata, ma non replicò. Fu Bellatrix ad accanirsi sulla bambina, umiliandola come solo una sorella avrebbe potuto fare.  La trattò come quel pomeriggio di un anno prima, e Sirius si tenne pronto ad intervenire nel caso in cui la sua Bella, schiaffeggiasse nuovamente Andromeda. Lo schiaffo non venne e Bellatrix si limitò ad entrare a testa alta nella sua camera, sbattendo la porta. Gli occhi di Andromeda si inumidirono, ma deglutì e corse anche lei nella propria stanza, chiudendosi in bagno per nascondersi da Narcissa e Regulus che la schernivano, scossi da risa incontrollabili.
Sirius sospirò ed entrò nella sua camera, si sedette sul letto morbido.
Bellatrix era crudele, non era cambiata affatto dall’anno precedente e sposava ancora in tutto e per tutto l’ideologia di famiglia.
E’ passato un solo anno, poteva ancora cambiare, poteva ancora rendersi conto dei suoi sbagli.



Bellatrix fu l’ultima a sedersi a tavola. Quando anche il suo posto fu occupato, gli Elfi Domestici portarono pietanze adagiate artisticamente su lucenti piatti d’argento cesellato. Io mangiai con appetito, dimentico dell’episodio di poco prima.
In fondo, non era successo nulla, Bella probabilmente era solo un po’ nervosa e Andromeda stanca, entrambe avevano reagito in modo esagerato. Si sa, le donne sono fatte così.
Dopo pranzo zia Druella e mia madre insistettero perché io Bella facessimo una tranquilla passeggiata, magari fino al ruscello. La loro insistenza divenne ben presto un ordine e noi ubbidimmo. Non sarebbe stato poi cosi spiacevole e, se non fosse stato per il caldo, sarei stato ben felice di poter passeggiare da solo con la mia Bella.
Il sentiero era lo stesso e non parlammo finché gli alberi non ci nascosero alla casa e agli occhi attenti che spiavano dalle finestre. Le chiesi come aveva passato quell’anno, e mi sembra ieri che lei mi rivolse quel sorriso divertito e vagamente canzonatorio e mi rispose:
-Come tutti gli altri, Sirius. Tu, piuttosto, cosa hai? Mi sembri … diverso. Sei forse in imbarazzo, con me?-
-Io?! No, no, certo che no. E’ molto che non ti vedo, tutto qui. Ti trovo cambiata-
-Non ti piaccio più come l’anno scorso?-
-Ma cosa dici? Certo che mi piaci! Sei cresciuta, ma sei sempre Bellatrix-
-Oh, beh, anche tu sei cresciuto-
Arrivammo alla panchina dove il nostro matrimonio era stato organizzato. Ci fermammo, l’uno di fronte all’altra.
-Sei ancora decisa a sposarmi?-
-Certo-
-Perché?-
-Tu perché?-
-L’ho chiesto prima io-
-Non importa, io non rispondo se tu non rispondi!-
-Mi piace stare con te. Mi piace vederti. Non mi dispiacerà trascorrere la vita con te, credo-
Lei rise.
-Te l’ha insegnata zia Walburga questa?-
-No, certo che no. Perché?-
-Oh, nulla!-
Mi accigliai.
-Ora tocca a te-
-Sei sicuro?-
-Si, erano questi i patti. Prima io, poi tu!-
-D’accordo. Ti sposerò solo perché questo è quello che vogliono i nostri genitori. La famiglia, l’orgoglio, il sangue, vengono prima di tutto-
Mi sentii svuotato. Di tutte le mie energie, di tutta la mia vita.
Lei non provava davvero nulla per me? Lei era così fredda, era incapace di provare affetto? Agiva solo in base all’orgoglio? Al dovere?
Guardai il suo viso, quegli occhi complici, quelle guance lisce, quelle labbra che un giorno speravo di baciare.
La sua espressione mi mise a disagio, una gelida determinazione e un ardente ambizione fu tutto ciò che vidi.
Lai era la mia angoscia, la mia disperazione, la mia carestia.



Rise. Bellatrix rise e io la guardai disorientato, combattuto tra la furia e la vergogna.
-Ma in fondo, nemmeno a me dispiacerebbe passare la vita con te, mi sono sempre divertita in tua compagnia, mi piaci-
Aveva forse intuito i miei pensieri? Aveva forse pensato che avrei rifiutato le nozze ed era pronta a mentire pur di non mandare tutto all’aria?
No, non poteva essere.
Mi rilassai. Allora la mia Bella non agiva solo in base al dovere.
La guardai di nuovo negli occhi e la mia energia, la mia vita ritornarono a scorrere nel mio corpo, animandolo.
Ogni mio pensiero svanì e ogni fibra del mio essere esultò, fece baldoria, perché lei era accanto a me.



Riprendemmo a camminare. Non ricordavo che il sentiero che portava al ruscello fosse così lungo. Ricordavo però che Bella non amava in particolar modo camminare, e dopo il suo ennesimo lamento ci addentrammo nel bosco, sapendo che nei paraggi doveva esserci una piccola radura riparata dal sole, dove avremmo potuto sederci all’ombra di qualche albero.
Le presi la mano, facendole strada, scostando le radici dove sarebbe potuta inciampare, togliendo i rami dove avrebbe potuto tagliarsi. La sua mano era fresca e rimaneva inerme nella mia, e l’afa si fece improvvisamente più opprimente.
Trovai la radura troppo velocemente, avrei preferito tenerle la mano e sentirla dipendente da me ancora a lungo, forse per sempre.
Bella lasciò la mia mano e si sedette a terra con le gambe incrociate, incurante della terra che avrebbe potuto sporcarle il vestito. La imitai, sedendomi accanto a lei.
Non ricordo di cosa parlammo, non ricordo nemmeno se parlammo, ma ricordo che i nostri volti non erano mai stati più vicini di così. Percepivo il respiro di Bella sulla pelle, vedevo ogni piccola sfumatura dei suoi occhi scuri, sentivo il battito del suo cuore o forse era il mio o, magari, quello di entrambi.
Credevo di trovarmi in paradiso. Non sentivo più la terra sotto di me, né le chiome degli alberi sopra, né il ronzio degli insetti intorno. Tutti i miei sensi erano rivolti a Bellatrix.
Mi accarezzò una guancia, con quella sua mano elegante e fresca dalle dita sottili.
Mi sorrise e io mi avvicinai ancor di più, schiudendo le labbra, sperando di ricevere un suo bacio, anche lieve.

Ma Bella si scostò leggermente, sempre sorridendo, e annunciò che si era riposata abbastanza e che potevamo proseguire. Sembrava non essersi accorta del desiderio cha aveva acuito in me con la sua sola vicinanza e, ingenuamente, pensai che era giovane e che non poteva capire alcune piccole sottigliezze come quella, così come non poteva capire che le idee dei Black erano malsane.
Fissai i miei occhi nei suoi, dove il mio volto si rifletteva.
Di nuovo mi vidi al suo fianco tra le vie di Diagon Alley, solo io e lei, soli. Mi vidi mentre l’accompagnavo nelle boutique più alla moda e costose e la riempivo di regali: vestiti, scarpe, gioielli, borse. Ero certo del suo amore, lo vedevo nei gesti e negli sguardi che mi riservava e lei era certa del mio. Quei regali erano solo oggetti, ci saremmo amati anche se il mio amore fosse stata l’unica cosa che avrei potuto offrirle.
La scena cambiò. Bella era seduta accanto a me su un morbido divano, tra le braccia una bambina che non poteva avere più di qualche settimana, con qualche ciocca di capelli neri che si preannunciavano già ricci, come quelli di Bellatrix e gli occhi grigi risaltavano sulla pelle pallida, come i miei. I tratti alteri e perfetti erano chiaro segno che il suo cognome era Black. Quella era nostra figlia.
Il viso di Bella, addolcito dalla recente gravidanza era raggiante di gioia.
All’improvviso mi accorsi che un crocchio di famigliari ci attorniava, complimentandosi con me e Bella. Riconobbi mio fratello Regulus che sarebbe stato uno zio irresponsabile, su cui fare affidamento solo per far divertire la mia bambina. Poi fu la volta di zia Narcissa, che rivelava quella dolcezza e quella maternità di cui solo pochi eletti avevano la grazia di poter godere. Il campo visivo fu occupato da Andromeda, che scambiò parole d’affetto con Bella, ogni astio appianato. Infine vennero i nostri genitori, le nonne Druella e Walburga orgogliose di poter affermare che tutta quella felicità era merito loro, che avevano visto lungo, programmando il nostro matrimonio e i nonni che guardavano la nipote con occhi sognanti, pregustando i regali che le avrebbero fatto, i giochi che le avrebbero insegnato, l’orgoglio che le avrebbero instillato e al quale era naturalmente predisposta.
La scena cambiò nuovamente. Bella era ancora accanto a me, ancora seduta su quello stesso divano. Dietro di noi due ragazzi dai lineamenti perfetti, quanto quelli di mia figlia, stavano ritti, scrutando incerti un affascinante giovane che si contorceva nervoso le mani, seduto su una poltrona davanti a noi come se fosse foderata di spine. Compresi che l’incertezza dei due ragazzi in piedi, dei miei figli, derivava dal fatto che il giovane stava per chiedere la mano della sorella e, da fratelli protettivi, non sapevano se fidarsi o meno.
Lo spasimante esordì titubante con un solenne “Signore e Signora Balck, sono qui per chiedere umilmente la mano della vostra stupenda figlia…”
Io e Bella ci scambiammo uno sguardo orgoglioso: la vostra stupenda figlia. Era nostra, solo nostra, l’avevamo cresciuta noi.
La scena si dissolse davanti a me e io riaffiorai dagli occhi neri di Bellatrix, dove avevo visto riflessi tutti i miei sogni.    



Bellatrix distolse il suo sguardo dal mio e si alzò. Percorremmo la strada a ritroso, ritornando sul sentiero che portava al ruscello. Le presi di nuovo la mano, ancora una volta le sue dita giacevano inermi tra le mie. Non la lasciai fino a quando giungemmo al ruscello e lei corse avanti, sollevando il vestito e inginocchiandosi ai lati del rivo. Io la seguii più lentamente, fino a quando non fui alle sue spalle. Non mi inginocchiai come lei, ma rimasi in piedi, per ammirare meglio i nostri volti riflessi nell’acqua che scorreva limpida sul fondo ghiaioso. Bella sembrò accorgersi del mio volto riflesso accanto al suo e le sue labbra si aprirono in un sorriso sincero, non come quelli che riservava a tutti gli altri, ma un sorriso che era solo mio e suo.



Ripensai che tutti quei discorsi sulla purezza del sangue, sulla superiorità dei maghi sui Babbani e tutto il resto, non potevano appartenerle, non potevano appartenere alla mia Bella.
La sua era solo una maschera, dettata della convenzioni, dettata dalla paura di deludere chi le stava intorno. Se solo avesse saputo che io non l’avrei abbandonata in nessun caso, che nulla avrebbe potuto allontanarmi da lei, forse avrebbe tolto quella maschera che ha volte mi faceva venire i brividi.
Non potevo credere, allora, che Bellatrix non stesse indossando alcuna maschera, che le sue idee l’avrebbero accompagnata per tutta la vita.
Allora ero convinto che si rifugiasse in un guscio, per proteggersi. Promisi a me stesso che sarei stato io il suo guscio, che l’avrei protetta dal resto del mondo.



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Ciao a tutti =)
Credo abbiate notato che è la mia prima fanfiction e mi hanno fatto piacere le visite, anche senza recensioni. 
Ovviamente, mi farebbe davvero piacere sapere cosa ne pensate, anche se dovesse trattarsi di pensieri poco lusinghieri (come ha detto JKR in una sua intervista, anche il fallimento è importante).

Grazie per aver letto,
Trixie

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Capitolo 3
*** Fino al giorno in cui morirò ***


She, who always seems so happy in a crowd
Whose eyes can be so private and so proud
No one’s allowed to see them when they cry
She maybe the love that cannot hope to last
May come to me from shadows in the past
That I remember ‘till the day I die

Lei, che sempre sembra così felice tra la folla
Di cui gli occhi possono essere così privati e così orgogliosi
A nessuno è permesso vederli quando piangono
Lei può essere l’amore che non può sperare di durare
Può venire da me dalle ombre del passato
Che ricorderò fino al giorno in cui morirò

(She - Elvis Costello)


Anche quella piacevole estate finì, portandosi via gli ultimi momenti felici passati con Bellatrix.
Il primo settembre iniziammo entrambi il primo anno ad Hogwarts. Eravamo al settimo cielo: lontani dalla famiglia, soli io e lei.
Occupammo un intero scompartimento del treno di Hogwarts. La cosa fu possibile grazie al nostro cognome che, scoprimmo ben presto, incuteva un certo timore e rispetto.
All’arrivo al castello ci accolse la professoressa McGranitt, che ci guidò nella Sala Grande e ordinò tutti gli allievi del primo anno in ordine alfabetico. Fino a quel momento era stata l’unica a non dimostrare quel rispetto reverenziale nei nostri confronti. La mia reazione fu di ammirazione e curiosità, Bella invece mi sembrò indispettita.
La lunga coda di bambini fece il suo ingresso nella maestosa Sala Grande, dove gli altri studenti erano già seduti, impazienti e affamati.
Mentre procedevo tra i lunghi tavoli gremiti di studenti, sentii tutti gli sguardi puntati su di me. Provai un leggero fastidio. Bella invece sembrava trovarsi a proprio agio tra la folla, sembrava che non le importasse degli sguardi di centinaia di studenti, come non le importava del loro giudizio.
Lei era una Black, portava il nome di una stella, cosa avrebbe dovuto temere?!
Davanti al tavolo degli insegnati c’era un basso sgabello di legno, su cui era appoggiato un malconcio cappello. Mi avevano parlato di quel cappello, era il Cappello Parlante, che decideva in quale casa di Hogwarts avresti passato quei sette anni di scuola: Grifondoro, Tassorosso, Corvonero o Serpeverde.
Davanti a noi c’erano pochi studenti e ben presto la professoressa McGranitt chiamò “Bellatrix, Black”. Bellatrix scattò in avanti per sedersi sullo sgabello e calarsi sulla testa il Cappello, così come avevano fatto tutti gli altri prima di lei.
Il Cappello Parlante sfiorò appena i lucenti ricci corvini di Bella e urlò “Serpeverde!”
La casa verde e argento esplose in urla di gioia. Era naturale che un Balck finisse a Serpeverde, ma era comunque motivo di vanto. Sirius si accigliò. I pregi dei Serpeverde erano l’ambizione, la determinazione e l’astuzia. Ma era anche la casa dove la purezza di sangue era più importante di ogni altra cosa.
La McGranitt chiamò lo studente successivo “Sirius, Black”. sentire pronunciare il mio nome mi riscosse dai miei pensieri e sedetti al posto appena lasciato libero da Bella.



Incrociai lo sguardo di mia cugina, seduta tra i Serpeverde, accanto un posto vuoto, per me.
Il Cappello Parlante venne posato sulla mia testa, seguirono attimi di silenzio.
Davanti a me, solo il sorriso di Bella.
Avrei voluto raggiungerla, sedermi vicino a lei, dimostrarle che ancora una volta non l’avrei abbandonata.
Poi pensai che Serpeverde non la casa adatta a me, che rappresentava tutto ciò da cui volevo fuggire.
Ma Bella era là ad attendermi, per abbracciarmi e sorridermi come piaceva a me, con la prospettiva di passare sette anni insieme.
Era là ad attendermi con le sua ridicole idee sulla purezza di sangue.
Il Cappello Parlante urlò.
“Grifondoro!”
Sulla sala calò il silenzio.
Un Black. Un Grifondoro. Un Traditore.
Non distolsi i miei occhi da quelli di Bellatrix: vidi tutte le sue certezze, le sue illusioni, i suoi sogni infrangersi e andare in pezzi. Ricambiò il mio sguardo di scuse con uno di gelido disprezzo. Seppi con certezza che avrebbe voluto piangere, urlare e disperarsi come mai in tutta la sua vita.
Ma ovviamente non se lo permise, rimase seduta composta, apparentemente impassibile alla sentenza del Cappello Parlante che per lei era sentenza di morte “Grifondoro!”
I suoi occhi tornarono impenetrabili, privati e orgogliosi.
Finalmente il tavolo di Grifondoro esplose in grida di giubilo.
Fui costretto a distogliere il viso da quello perfetto di mia cugina e venni accolto dal tavolo rosso e oro come un fratello, o un amico che non vedevano da anni.
Ero amareggiato, ma per la prima volta in tutta la mia vita, mi sentii a casa.
Accolto, accettato, libero.



Bellatrix fu la ragione che mi spinse ad infrangere le regole della scuola per la prima volta.
Volevo parlarle, confidarle i miei pensieri, le mie ragioni, ottenere il suo perdono.
Subito dopo il banchetto venni condotto nel dormitorio di Grifondoro, ma vi rimasi per pochi minuti. Scesi di corsa le scale, tornando all’ingresso della Sala Grande, giusto in tempo per vedere un Prefetto di Serpeverde che conduceva i nuovi studenti nella loro sala comune.
Li seguii silenzioso, nascondendomi dietro le colonne e spiando Bella che conversava con degli studenti più grandi.
Scoprii che per entrare nella loro sala comune bisognava attraversare un muro nei sotterranei e prestai attenzione alla parola d’ordine. Poi, sempre silenziosamente, tornai nel mio dormitorio. Mi coricai con tutti gli altri, dopo aver parlato del più e del meno, con apparente noncuranza. In realtà non aspettavo altro che il castello cadesse nel sonno, per raggiungere Bellatrix.
Finalmente, potei scivolare giù dal letto e poi dalla torre di Grifondoro fino ai sotterranei di Serpeverde. Appena entrato notai che era pieno di teschi e altri manufatti non proprio allegri. Tirai un sospiro di sollievo, avevo temuto che qualcuno fosse ancora sveglio e allora sarebbero stati guai.
Trovai velocemente la strada per i dormitori, ma dietro la prima porta che aprii vidi solo ragazzi addormentati. Con la seconda ebbi più fortuna: erano ragazze.
Una di loro stava piangendo silenziosamente, con le tende del letto a baldacchino tirate.
Con una stretta al cuore riconobbi quei singhiozzi. Era Bellatrix.  
Lei dovette sentire la porta aprirsi, perché tacque immediatamente e rimase in ascolto.
Sussurrai il suo nome.
Mi riconobbe. Mi intimò di andarmene.
Non le prestai ascolto, mi avvicinai a lei e mi sedetti sul letto dopo aver scostato le tende.
Alla flebile luce della luna, notai che si era asciugata gli occhi, ma che erano ancora arrossati. Glielo feci notare.
-Hai gli occhi rossi. Hai pianto-
-Ti sbagli, sono stanca. Vattene, lurido traditore, o mi metto a urlare-
-Ascoltami prima, per favore-
Bella non rispose, continuando a guardarmi con quegli occhi neri carichi di odio e disprezzo.
Decisi di continuare.
-Non ha importanza la Casa cui apparteniamo. Le nostre ideologie non devono influire minimamente sul nostro rapporto. Sei sempre mia cugina-
-Tu non sei mio cugino. Mi ha promesso che non mi avresti mai lasciata, che mi avresti protetta. Io mi sono fidata, che ingenua! Che stupida! Mi hai mentito, mi hai deluso. Tu per me sei morto!-
Quel suo bisbiglio mi trapassò il cuore da parte a parte.



Bella si girò malamente e io capii che non c’era più nulla da fare, che l’avevo persa per sempre, a causa dei miei ideali.
In fondo avrei dovuto saperlo.
Ma i miei sogni erano ancora interamente fatti di lei. Il mio sogno era ed è lei.
La mia chimera, la mia stella, la mia Bellatrix.
Mia? Non era più mia e, forse, non lo era mai stata.
Ma l’amavo, l’amavo ardentemente e l’amo tutt’oggi.
Lei è quel tipo di amore privo di ogni purezza o innocenza.
E’ quel tipo di amore che diventa dipendenza e bisogno.
E’ quel tipo di amore che non ha alcuna speranza di durare, ma che si rivela un’eterna dannazione.



Tornai nel dormitorio di Grifondoro trascinando i piedi. Tornai nel mio morbido letto a baldacchino e piansi, come stava facendo Bella.
Mi addormentai solo dopo molto tempo, o forse solo dopo qualche minuto, sopraffatto dal dolore di averla persa.
La sognai per tutta la notte, anzi, la ricordai per tutta la notte.
Ricordai ogni Natale passato insieme a Grimmauld Place. Ogni cena, ogni matrimonio cui entrambi eravamo stati costretti a partecipare, vestiti da damerini e obbligati a comportarci come tali. Ogni gioco che avevamo condiviso. Ogni sorriso che mi aveva regalato. Ogni sguardo che ci aveva legato.
Ricordai quelle ultime due estati. Gli sguazzi nel ruscello, i litigi con Andromeda, la decisione del nostro matrimonio. Quel matrimonio che non era ancora stato celebrato, ma che già apparteneva al passato.
Bellatrix tornava da me da quelle ombre sfiorite. Ero sicuro che non l’avrei dimenticata fino al giorno della mia morte.

Fino ad oggi infatti, non l’ho dimenticata.
 

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Capitolo 4
*** La ragione per la quale sopravvivo ***



She may be the reason I survive
The why and wherefore I’m alive
The one I care for through the rough and ready years

Lei può essere la ragione per la quale sopravvivo
Il perché e il percome io sono vivo
l’unica per la quale mi preoccupo (attraverso gli anni)

(She - Elvis Costello)


Già, questo è il giorno della mia morte.
Mai avrei pensato di morire all’interno del Ministero della Magia e per mano tua, Bella.
Proprio tu, che sei la ragione per la quale sono sopravvissuto ad Azkaban.
Per te e per Harry.
Lo stesso Harry che tu vorresti uccidere e per il quale io sono fiero di morire, ora, per mano tua.



Io sono ancora vivo grazie a te.
Il pensiero di quegli anni felici trascorsi con te mi ha permesso di resistere ai Dissennatori di Azkaban.
Il ricordo dei nostri giochi a Grimmauld Place ha saputo rallegrarmi nelle stanze desolate e polverose di quella casa.
La certezza dell’impossibilità del nostro matrimonio mi ha fatto ridere, perché ho rischiato di dover condurre una vita peggiore di quella cui sono stato condannato.
Ho avuto una vita da recluso, certo. Ma ne sono consapevole e non ne sono l’artefice.
Se ti avessi sposata avrei avuto una vita da recluso, senza esserne consapevole e diventandone l’ingenuo l’artefice.



Tu sei l’unica ad essere sempre stata presente nei miei pensieri.
Per un motivo o per un altro,  non mi hai mai lasciato.
E sono sicuro che nei tuoi pensieri, nemmeno io ti ho mai lasciata.
Alla fine, ho mantenuto fede alla mia promessa. Non ti ho abbandonata.
Sei sempre stata l’unica della cui sorte mi sono preoccupato.
Quando scoprii che avresti sposato Rodolphus Lestrange, indagai sul suo conto.
Era un debole, uno che avresti potuto rivoltare a tuo piacimento, come un calzino, proprio come piaceva a te.
Se non altro, saresti stata felice.
Della tua felicità mi sono sempre preoccupato, maledicendomi perché la tua felicità è la rovina del resto del mondo.


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Innanzi tutto, grazie a chi è arrivato fin qui. 
Inoltre, avrete notato che la traduzione della canzone che accompagna la storia non è perfetta, soprattutto per quanto riguarda "The one I care for through the rough and ready years". Diciamo che l'inglese non è (per nulla) il mio forte, quindi se qualcuno avesse una traduzione migliore da suggerire, sarò grata del consiglio e la cambierò immediatamente.

_Trixie_

P.S. Ovviamente, il "traduttore" verrà citato nel capitolo. 

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Capitolo 5
*** Tutti i miei ricordi ***



Me, I’ll take the laughter and her tears
And make them all my souvenirs
For where she goes I’ve got to be
The meaning of my life is
She…She…
Oh, she…

Io, io prenderò le sue risate e le sue lacrime
E li renderò tutti  miei ricordi
Per dove va io ho modo di essere
Il significato della mia vita è
Lei ... Lei ...
Oh, lei ...

(She - Elvis Costello)


 

La tua felicità, che mi sta uccidendo. Letteralmente.
Tu vuoi uccidermi, lo capisco dallo sguardo estasiato che mi riservi ora, come mi hai riservato un tempo quei tuoi sorrisi.
Ma io li prenderò tutti, quei sorrisi. Come prenderò tutte le tue lacrime.
Non le dimenticherò nemmeno dopo la morte.
Farò di loro dei souvenir, per poter ricordare ogni nostra piccola sensazione, piacevole o meno.
Perché tu, Bella, sei così, sei una cosa e il suo opposto.



E io non ti lascerò mai, nemmeno dopo la morte.
Sono sicuro che mi hai amato per tutti questi anni, come io ho amato te.
No, non allo stesso modo.
Io ho accettato questo amore malsano e distruttivo.
Tu no. Per questo mi odi, perché non puoi smettere di amarmi.
Credi che uccidendomi proverai a te stessa che il tuo non è amore, né lo è mai stato.
Ma non hai capito che mi uccidi perché non puoi sopportare di amarmi.
Io non ti lascerò mai, nemmeno dopo la morte.
Perché tu non potrai mai allontanare da te il mio ricordo.
Di quell’amore tanto grande da diventare odio.



Tutta la mia vita ha avuto un senso grazie a te.
Tu sei stata il significato della mia vita.
Ed io della tua.
Se non avessimo saputo nulla l’uno dell’altra, avremmo fatto scelte diverse, avremmo amato e odiato persone diverse.
Tu sei il significato di questa vita di cui mi stai privando con gioia.
Tu sei l’amore che mi ha condannato alla dannazione.
Tu sei l’ultima persona che vedo prima di cadere oltre il velo.
Prima del buio.



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Complimenti ai prodi che sono giunti fin qui e spero che non ve ne siate pentiti.
Se vorrete misurarvi in un'altra ardua impresa, immagino che potrei anche scribacchiare qualcos'altro.
Alla prossima (forse) XD

_Trixie_
 

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