What a turn-out.

di Lucenera88
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***



Capitolo 1
*** I ***


What a turn-out.

Faccio un passo in casa, la mano lascia andare la porta,
“In fondo, ho solo eliminato…”,
che si chiude da sola.
“…l’uomo più potente dell’universo”.
Silenzio.

Sospiro.
Mi tolgo le scarpe. Maledizione, si è rotto il tacco destro... erano anche scarpe di Gucci. Ma pazienza.

“Altre domande?...”
Non si muove nulla nell’appartamento… tutto è fermo al proprio posto, tutto è senza lati oscuri nella luce elettrica che non risparmia niente. Un ronzio di elettrodomestici accesi mi accoglie in cucina, per il resto sembra tutto muto.
Ma non è così.

“Il tuo punto debole è il rame?...”
Rame?
Ripeto mentalmente, le labbra sillabano la parola.
Ma non è possibile, la mia stessa voce risponde dentro di me.
“… che fai, prendi in giro?...”
Senza nemmeno pensarci su mi giro intorno. La mia testa sembra in una bolla d’acqua.
“Sì, lei lì dietro!”
Lei lì dietro.

Per un istante, mi si materializza davanti agli occhi una seconda me che alza un braccio semi-paralizzato.
Lì dietro …
Per un secondo mi sembra di mancare, sbatto gli occhi
Dietro…
Mi ritrovo nella cucina.
Apro i cassetti, “Credo spalanco le ante delle credenze, che a tutti piacerebbe sapere solo piatti trasparenti, bicchieri in stile semplice, che progetti solo pentole, hai per noi solo forchette e questa città”.
Lascio tutte le credenze aperte e indietreggio fino a tornare al centro della cucina, urtando il tavolino.

Che progetti hai per noi.
Mi calmo:
No, non ci sono di certo Brainbots in cucina.

“Innanzitutto: ragazzi, che folla!”
Quel pallone gonfiato blu sarà troppo occupato a festeggiare la sua “vittoria” in questo momento, per farmi sorvegliare.
“Immaginate le cose più orribili, spaventose, e cattive che possiate pensare…”
La mia faccia muta in un sorrisetto nervoso. Di quali cose malvagie poteva essere capace?
Eppure…

“Niente panico, Roxy, sto arrivando!”
Rivedo queste scene come se nulla fosse accaduto. No, non posso crederci.
Non posso.

“…la giustizia. E’ un’idea, un principio!”
Non ci credo. Punto.
“Ma anche il più sincero dei principi si consuma col tempo”.
Non ci credo. Dopotutto, aveva ragione. Perché ho sempre finto di non vedere?
“Tentatrice”.
La gola è chiusa, mi sembra di soffocare.
“Felice Metro-Day, Metro City!”
Non lo vedrò più… non è possibile.
“Il tuo punto debole è il rame?...”
E tutto per colpa sua… non è possibile…
Odio i miei singhiozzi, sembrano lo squittire di un topo, ma non riesco a contenerli,
esco dalla cucina, attraverso il salottino, apro tutte le ante,

…e moltiplicatele per sei!” - non sai nemmeno che cosa fare di noi.
Trovo una vecchia pagina di una rivista - le loro facce trionfanti ognuno per un motivo diverso,

“Per ora continuate a divertirvi, dai!”
Ti odio, ti odio!
Appallottolo la carta e la getto per terra, maledetta me!

Che progetti hai per noi.
Me l’avevano detto, me l’avevano detto sin dal liceo di non stare troppo azzeccata a quei due,

Cammino rabbiosa, mi guardo allo specchio del bagno – come sono patetica, le lacrime hanno fatto due rivoli bianchi sulla faccia nera,
“…sei caduto nella mia trappola”
Me l’avevano detto, “Megamind è un criminale, non ti appassionare troppo ai suoi articoli”,

Vado in camera da letto, mi sfilo il vestito senza preoccuparmene,
Me l’aveva detto anche Hal tante di quelle volte, “non la prenderei così alla leggera, Roxy… tu non lo prendi sul serio quello schizzoide ma se io fossi Metroman che gli farei…”.
Sono in canottiera e biancheria, sto borbottando da sola.
Mi getto sul letto a pancia in su, e fisso il soffitto.
Un ultimo singhiozzo senza lacrime.

Nel frattempo, vorrei continuaste con le solite, normalissime cose che fate voi gente normale”.
Ma come faccio? Me lo spieghi?
Hai esultato per mezz’ora con il cadavere di Metroman a pochi passi da te,
Tu e quell’insulso pesciolino – lo facevo migliore!

“Ce l’ha fatta, signore!”
Hai esultato e mi hai lasciata lì, legata come un salame, bianca e sconvolta, e non ti sei curato minimamente di me!
No, non voglio mettermi di nuovo a piangere!

“Parla più lento – tentatrice!”
Credevo, io credevo, io, io, credevo che fossi diverso,
“Tu sei prevedibile!”
Io, cre-crede-credevo che, che, che, e invece, aveva, ragione Hal, ave-va-no tutti… ra-…
“Tentatrice!”
A-alla, f-fine, non, non, no-non t-ti co-nosco, cre-credevo che…
“Oh, ragazze ragazze, siete carine – posso andare a casa ora?”
E- e in-ve-ce l’hai f-fat-to, co-come hai po-tu-to co-me?
La testa nel cuscino, sento di soffocare!
Co-come, sen-za Me-metro-man, co-come?

“E’ ora che scendiamo a fare il nostro esordio in società! Minion, al nascondiglio malefico! Raduniamo i Brainbots! Codice: alla conquista di Metrocity!”
Credevo… E-e- in-ve-ce s-sei… un… mo-stro! Un Cattivo!
“Ehm, signore, che ne facciamo di lei?” Minion punta un dito verso di me. Tu mi lanci un’occhiata con sufficienza, poi te ne esci con: “dì ai Brainbots di lasciarla da qualche parte” e torni a sorridere. Al settimo cielo.
“Miss Ritchie, ci rincontriamo…”
“Niente panico, Roxy!”
“Ragazze, siete carine…”
“Lei trova QUESTO prevedibile?!”

È tutto un incubo, un incubo, iniziato come un giorno qualunque in cui mi rapisci, e finito come mai potrebbe finire!
“Miss Ritchie, se non le spiace…”
Un incubo!
“Ce l’ho fatta! Metrocity è mia!”
Hai ottenuto quello che volevi, bravo!
“FUOCO!”
La luce del Raggio della Morte ricompare sotto le mie palpebre chiuse - apro gli occhi di scatto.
Sono sicuramente nello stato peggiore della mia vita. Ma non ci sono Brainbots a spiarmi.

 
Ti odio, ti odio,

e la cosa peggiore,

è che sto piangendo

per te.






note:
Spero che la ff vi sia piaciuta! come ho detto nella descrizione, la traduzione in italiano di alcune battute ha un po' rovinato il senso della storia, ma spero di aver comunque fatto un buon lavoro... 
Nella ff si accenna al liceo. Avevo già letto il primo episodio dei fumetti di Megamind (sono 2 volumi che io sappia), in cui Metroman afferma che per lui è facile rintracciare Roxanne perchè usa sempre lo stesso profumo fin dal liceo; inoltre, martedì ho dato un'occhiata veloce al secondo volume (che si chiama qualcosa tipo "blu, bello, bullo" da "Blue, Bad, Brilliant" dei videogiochi) in cui si racconta dei nostri tre eroi alle prese con la vita al liceo. Roxanne afferma di aver apprezzato l'articolo letto da Megamind - il quale ovviamente se la tira per essere riuscito ad ad attirare le attenzioni della ragazza. Purtroppo, non ho comprato il volumetto (pidocchiosa me, stava solo 3 euro!) e non so com'è andata a finire, ma fatto sta che i due già flirtavano ai tempi del liceo.
Infine, ammettiamolo: Roxanne non considerava minimamente Megamind come un vero cattivo, almeno fino al'assassinio di Metroman. Lo considerava semplicemente come l'attore di una grande sceneggiata di cui sia lei sia Minion - testimoni le loro occhiate solidali - erano pienamente consapevoli. E la scena "questi giochetti non funzionano con me - parla più piano - tentatrice" la dice tutta!
A presto, e grazie per l'attenzione!

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** II ***


What a turn-out.

 

Me lo ricordo bene. Sono sceso per strada quasi scavezzandomi il collo per le scalinate del condominio dove abito. Sì sì, me lo ricordo bene.
Era buio pesto, buio pesto dico. Insolito per l’una e mezza di pomeriggio.
Non tanto insolito, però, se a creare una nube Acchiappasole era un Genio del Male in tuta borchiata.

“E’ morto, è morto!”
La gente strillava per strada indemoniata, mi guardavo intorno ed ebbi la surreale sensazione di trovarmi in una scena apocalittica di qualche film.
“E’ morto, è morto! Oddio!”
Anche le auto sembravano totalmente impazzite. Travolto dalla baraonda di gente in fuga, mi trovai nel bel mezzo della strada, braccio alzato nel tentativo di fermare un taxi che per poco non mi investì, “taxi!”; ma nulla da fare, quel dannato autista mi aveva abilmente evitato, ed ingranando la marcia aveva mangiato l’asfalto.
Lo guardai scomparire ad un incrocio, al tempo stesso sbigottito e contrariato.

“Si salvi chi può!”
Decisi che sarei dovuto andare a piedi.
Qualcuno si chiederà perché io non fossi assieme a tutti quegli altri imbecilli in piazza quel giorno. Semplicemente non credevo ci sarebbe stato bisogno di me, è ovvio. Il museo non sarebbe stato veramente aperto al pubblico, si trattava di una mera cerimonia. L’intero palazzo sarebbe inoltre stato zeppo di zoticoni sputacchianti patatine dal lezzo di fast-food e tivù-spazzatura, le loro menti troppo occupate ad adorare il vitello d’oro della città che a sfogliare qualche pagina di Megamind Unmasked, la cui pubblicazione ho modestamente curato io stesso.
D’altronde, dedicata al Genio del Male era stata aperta solo una saletta semispoglia all’ultimo piano.
Sarà stato questo a farlo incazzare, pensavo mentre mi aggiravo pensieroso per i vicoli di una città entrata nel panico più totale.
Giuro, non avevo mai sentito tante sirene della polizia tutte insieme; confesso che se, svoltando l’angolo mentre cercavo di evitare persone che scappavano da tutte le parti e mi sgomitavano su tutte le parti del corpo manco fossi invisibile, avessi visto truzzi da discoteca ballare sotto un fascio di luci bianche, rosse e blu non me ne sarei stupito.
Auto sfrecciavano da tutte le parti, quelle dei civili sbandavano colpendo a caso cassonetti e idranti e facendosi i marciapiedi, volanti della polizia che battevano ogni vicoletto della città senza un senso apparente; malviventi spuntati da chissà dove si sentivano liberi di poter frantumare le vetrine dei negozi e trafugarne il contenuto alla piena luce – luce? Non direi – del sole.
Quale sole?!...

I televisori a schermo piatto alla vetrina di un negozio di elettrodomestici ancora integro trasmettevano gli ultimi istanti di vita della loro gallina dalle uova d’oro dal capello fonato, e mi fermai un istante a riguardare la scena che avevo già visto con noia alla televisione alcuni minuti prima.
Come una mosca bianca nella trappola di un astuto predatore, quella figurina mantellata schizzava da tutte le parti, schiantandosi inesorabilmente al suolo. Nello schermo affianco a quello che proiettava la sua fine, un’altra ripresa mostrava in contemporanea entrambe le inquadrature: quella nell’osservatorio e quella nel covo malvagio, il suo padrone col collo tirato in avanti a vedere la fine dell’acerrimo nemico.
La cosa mi mandò su di giri, lo ammetto, e sbirciando quel poco che si riusciva a vedere del laboratorio già iniziai a buttare giù mentalmente alcuni appunti per il mio prossimo studio: Chi la dura la vince. Il trionfo di Megamind. Avrei dedicato un intero capitolo alla sua attrezzatura e al Raggio della Morte… questo avrebbe significato contattare qualche fisico, magari anche un esperto di armi nucleari, bah, comunque, si può fare, si può fare, sì.
Sarebbe stato davvero il lavoro che mi avrebbe consacrato ai posteri.

“You mad genius, your dark gift has finally paid off!”
Così avrei cominciato, sì, con una “gloriosa” citazione che sicuramente sarebbe passata alla storia.

“E’ morto!”
Mamme che andavano in giro tenendosi stretti i bambini in rossi dal pianto, sbandate come randagi assordati dai botti del 4 luglio.
“Aiutateci!”
Non mi curai della barbarie di cui erano capaci quei poveri villani nutriti a pane e miti, e tirai dritto per una via principale cercando di evitare oggetti lanciati in mia o in altra direzione e passanti controsenso che mi strattonavano a momenti la giacca, quasi a volermi convincere a tornare sui miei passi.
Ma non importa quanti ostacoli poteva oppormi quella gente, io dovevo esserci.

Perfino io rimasti stupefatto dalla scena che trovai al mio arrivo, e automaticamente mi si calò la mascella.
La massa umana era lì, la stessa che era giunta lì per l’inaugurazione del museo, riempiva la piazzola antistante al municipio spintonando e stringendosi in un’onda instabile intrisa di terrore. Furgoncini della stampa parcheggiati malamente da tutte le parti, quegli sciacalli con tanto di badge andavano intervistando ogni cosa che respirasse e piangesse urlando… che attori, questi metrocitiani!
Mi avvicinai alla marmaglia, e imbastii una lotta con essa per giungere quanto più vicino a dove gli schermi giganti stavano venendo smontati da tecnici, sorvegliati da alcune pattuglie.
Una signora grassa e sudata alzò le mani al cielo e tentò di scaraventarmi - o forse di ingoiarmi nel suo panico lardoso - , ma per fortuna mi salvai insinuandomi nei vuoti della gente in direzione del sindaco, del commissario e delle altre autorità che erano nel disorientamento completo.
Sbracciando e ansimando, mi riposai un attimo per riprendere fiato ma quell’istante fu fatale perché un gomito mi colpì dritto lo zigomo sinistro e la testa roteò, gli occhiali penzolarono a un lato. Mi riebbi dalla botta e mi riaggiustai la montatura spaccata giusto in tempo per vedere la testa di quell’oca della reporter farsi largo a bracciate con una foga fuori dalla sua portata, e alla fine veniva tirata fuori dalla calca da qualcuno della sua banda.
Quella papera tutta sconvolta, ora che il tuo salvatore non c’è più chi ti salverà?
Mi trovai a sogghignare da solo, ma tanto sono esternamente amorfo, nessuno se ne sarà accorto.
Nel frattempo quei cani dei suoi colleghi l’avevano già accerchiata e sfiancata di domande, intervista all’intervistatrice, che buffo, ma era stata sottratta da terzi all’interrogatorio, poi la persi di vista – ma tanto, chissenefrega.
Prima che arrivassi io, Megamind aveva annunciato sugli schermi che nel tardi avrebbe fatto la sua entrata in scena per prendere possesso della città, ed era quello che importava per me e per tutti.

“Saluti, cittadini! Ora che il vostro eroe è stato finalmente schiacciato dalla evidente superiorità del sottoscritto nuovo Affascinante Signore di Metrocity, un Meraviglioso e Innominabile Male è stato sguinzagliato per le vie di questa ridente città! Ahuahaahahahaha!...
Temete per le vostre vite, perché d’ora in poi niente sarà come prima!
Il mio debutto inizia alle ore 20:00 presso il Monocipio, l’ingresso è gratuito, e mi raccomando venite numerosi!...”

Io ero ormai sotto i gradini del municipio a distanza dai giornalisti di testate locali e nazionali con tanto di telecamere e microfoni intenti a fregarsi le mani dalla contentezza: per loro quell’evento significava scoop.
Anche io mi fregavo le mani nell’attesa della sua comparsa.
La gente intanto veniva definitivamente sgombrata a manganellate dai poliziotti che intimavano un secco “Circolare!”, però in quelle note era chiarissima la frequenza tremolante della paura.

“O mio Dio! Si salvi chi può!”
Si salvi di può
strillano come donnette, ma sono comunque venuti con le loro gambe fin qui, potreste benissimo tornarvene a casa se non gradite lo spettacolo, pensavo con cinismo e con la consapevolezza di essere uno dei pochi eletti che lì c’era perché ci voleva stare, autentico fan di quell’autentico cattivo del cui trionfo non mi sarei perduto un singolo istante.
Finalmente, dopo un’attesa che parve interminabile e il buio che era calato sul serio, tra i pochi rimasti riverberò un tremito di agitazione.

“E’ lui! E’ qui! Arriva!”
Un tremito di agitazione mi percorse a quegli ultimi spasmi da pollaio messo in fuga dai vigilanti e dalla paura. Io non mi persi d’animo e cercai di lottare controcorrente, finché non fui pescato per un gomito dal mio capo. “Accidenti, Bernard!” bofonchiò quel venduto dall’aria vagamente texana, permettendomi di restare presso i gradini del municipio a godermi la scena da uno dei posti migliori.
Peccato che la tribuna spettasse ai poliziotti armati.
La pelle mi si accapponò quando le note di Highway to Hell provenienti dal fondo della Main St. risuonarono pizzicandomi i padiglioni delle orecchie.
Un fascio di meravigliosi fari blu elettrico avanzò verso di noi come uno stormo di lucciole addomesticate: oh sì, lo vedevo farsi man mano sempre più grande e maestoso, finché i Brainbots non ebbero infine circondato il loro Signore come avvolgendolo tra le stelle. Un elicottero – forse la polizia o il giornale – sorvolò l’esercito vincente lanciando un faro degno dei migliori concerti.
Nel vuoto della piazza un lacrimogeno scoppiò a sorpresa sotto la statua del deceduto pallone gonfiato, ingoiandola nell’oblio. Le luci della polizia e dei laser del grande Genio si riflettevano sulle mie lenti da miope, scomponendosi e moltiplicandosi in un fascio di colori di giubilo.
Se quella era la fine del mondo, perdio, mi piaceva. Mi piaceva eccome.

“Giù le armi!”

“Siamo fottuti” mi borbottò subito dopo il mio capo sopra la spalla, ma io, oltre la mia faccia di cera, non provavo che commiserazione per lui. Lui era fottuto, lui era quello dalla parte del pallone gonfiato in calzamaglia stralavata, quello che il Genio chiamava non a caso Mr. Goody Two-shoes. Ma per me, quella era finalmente l’occasione di salire alla ribalta.
Almeno così pensavo.

Quando la statua del defunto super-eroe cittadino fu avvolta dal fumo, tutto il mio corpo fu attraversato da una scarica di euforia immaginando che al diradarsi i poveri affranti cittadini di Metro City non avrebbero trovato che macerie o anche, perché no?, una statua ad ugual misura del loro nuovo Padrone malvagio.

Ma non era accaduto niente. Ancora adesso, mentre rimetto a posto i volumi lucidi e freschi di pubblicazione con titoli smielati come “Al nostro magnifico Eroe” o “Metro Man: la Leggenda per i secoli” tra un conato di vomito e l’altro, mi rivedo le luci dei laser nelle pupille e non posso credere che alla fine, dopo tanto trambusto, non sia successo niente.
Niente.

“Giù le armi!” con quanta foga l’aveva intimato, con quanta velocità quegli codardi dei poliziotti avevano obbedito.
Da domani sarà tutto diverso, avevo pensato, da domani non ci sarà un museo dedicato a questo prodotto di un buonismo intriso di falsità con un piccolo reparto dedicato al suo arcinemico, bensì un museo dedicato al suo arcinemico con un piccolo reparto dedicato a questo sconfitto buonismo buono veramente per nessuno; da domani, sarò io il capo e il curatore e questo buffone vicino a me dovrà farmi da lustrascarpe.

Prendiamo Bernard, a lui piace un sacco quel maniaco, avevano detto tra la derisione e la serietà, e poi Bernard era finito a catalogare volumetti di merda e a prendersi le beffe dei bambini. Anche se il museo non aveva ancora aperto, già avevo capito l’antifona. Già mi prendevano in giro da tempo, di questo pagavo le conseguenze dalla tesi di laurea sull’emergente Signore del Male intitolata “Augusto da un altro pianeta”, meno gradita di altri testi contemporanei di partito opposto quali “La Minaccia Azzurra”. Un best-seller.
E così, ad ogni convegno ero io la pecora nera, io, l’apatico nerd fissato per Megamind incapace di parlare di altro che della foggia del suo costume e della dinamica delle sue armi, rinchiuso lavoro dopo lavoro in librerie di second’ordine e fumetterie, talvolta circondato da grassoni intenti a stupidi giochi di ruolo e vittima degli scherzi di marmocchi che mi chiamavano solo per farsi prendere la riproduzione dell’ultimo mantello bianco dallo scaffale più in alto. Avevo ingoiato l’odore nauseabondo delle fumetterie per troppo tempo, e l’offerta al museo era un’occasione per salire di un gradino la scala delle considerazioni.

La reporter non si era data per vinta e aveva alzato un braccio.
“Credo… che a tutti piacerebbe sapere… che progetti hai per noi… e questa città”.
Domanda tuttavia più che lecita. Io fissai speranzoso il vincitore, pendevo dalle sue labbra.
“Progetti”. La parola mi aveva forato il cervello in tanti punti lasciando dei vuoti che andavano colmati, con l’immaginazione prima e coi fatti poi.

“Immaginate le cose più orribili, spaventose, e cattive che possiate pensare, e moltiplicatele per sei!”
Goduria allo stato puro!

Eppure, sono qua che risistemo “Metro Man: la leggenda per i secoli” nel suo scaffale alla sezione METRO MAN – BIOGRAFIE di questo museo di merda.
Sono ancora l’insulso bibliotecario, l’ultima ruota del carro, compatito da adulti e preso in giro dai bambini, anche se per fortuna se ne vedono pochi perché la paura di ritorsioni da parte di Megamind permane nonostante la calma apparente in cui è sprofondata la città.

“Nel frattempo, vorrei continuaste con le solite, normalissime cose che fate voi gente normale”.
Non avevo colto il senso di quelle parole allora.

Dopo le prime settimane di terrore assoluto, dopo quelli che venivano interpretati dalla gente comune come atti di vandalismo ma che a mio modesto parere non erano altro che manifestazioni della propria supremazia, la normalità è infatti tornata a divorare questa città dannata come un velo di sopore da cui nessuno vuole svegliarsi. Le scuole pensavano di riaprire, i negozi lo erano già o la gente sarebbe morta di fame, il museo con mio grande disappunto era la cosa che funzionava meglio.
Unico monito alla sua oscena presenza: la splendida vista della cupola blu del municipio antistante, confusa col cielo primaverile, che si poteva ammirare meravigliosamente – dico, meravigliosamente! – dall’alto del settore dedicato a Megamind all’ultimo piano dell’edificio.

Le cose non sono cambiate, e la mia delusione sta toccando i massimi storici.
Sono ancora il bibliotecario, l’ultima ruota del carro, compatito da adulti e preso in giro dai bambini, il nerd fanatico che deve persino subire le pagliacciate di questo ennesimo cliente strampalato vestito alla meno peggio, con addosso nientemeno che un pigiama – ma guarda, un pigiama! Da non credere - e una brutta copia di plastica della pistola de-idratante in mano.

“Giù le armi!” gridò e, in meno di un secondo, il Signore era già volato fuori l’entrata del municipio pronunciando le parole che avrebbero dovuto segnare l’inizio di una nuova Era:

“First of all: what a turn-out!”

 

 

 

 

 

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Nota dell’autrice:

Dopo un anno di silenzio, rieccomi qua!
Chiedo perdono per questo silenzio prolungato, ma come (forse) alcuni di voi sapranno, il mio soggiorno all’estero è stato abbastanza impegnativo e non ho avuto il tempo né la predisposizione mentale per riprendere a scrivere.
Vorrei però ringraziare tutti gli utenti che mi hanno recensita in questi mesi e che hanno apprezzato la mia storia, spingendomi a riprendere in mano le redini di quello che avevo lasciato: Grazie! Questo capitolo lo dedico a voi :)

Quella che inizialmente era una one-shot sta finendo per diventare una mini-serie in capitoli, a quanto pare. Se nel primo episodio abbiamo visto Roxanne Ritchi alle prese con i suoi sentimenti contrastati e alle sue sicurezze interdette, questa volta abbiamo un Bernard tutto nuovo. Non il solito topo di biblioteca senza carattere come può emergere in superficie, ma un vero e proprio nerd la cui unica aspirazione nel mondo è dimostrare di sapere proprio tutto sul proprio argomento… sindacando sul minimo particolare e credendosi migliore della maggioranza degli uomini. La tipica presunzione alla Uomo Fumetto dei Simpson, in poche parole.
Tuttavia, la verità è che lui è invisibile alla gente, e scorre nella vita normale come il più insipido degli uomini. Nessuno lo nota, e il fatto di continuare a non essere notato anche dopo un capovolgimento di forze non fa che aumentare le proprie frustrazioni.
L’idea mi è venuta dalle uniche battute pronunciate dal personaggio nel corso del film (peraltro, interpretato da Ben Stiller), quando si permette di giudicare il vero Megamind come non originale, avendo un’idea distorta e forse più alta del super-cattivo. La domanda che ci si pone, quindi, è:
se questo Bernard, apparentemente così scialbo, è un bibliotecario saccente in merito a Megamind e al mondo che lo circonda (non dimentichiamoci che ha parlato della pistola di Megamind come “cheap replica of his de-hydration gun”), cosa faceva, dov’era, quale impatto ha avuto su di lui la presa al potere del Bellissimo Signore del Male?
Ecco come io l’ho vista, e che dire… spero vi sia piaciuta.

Ps. Ho lasciato in inglese “First of all: what a turn out!” perché significa, come ho già specificato nel capitolo precedente, “Innanzitutto: Che capovolgimento!”
Ovvero, “chi se lo aspettava che le cose sarebbero finite così”.
In italiano è stato tradotto con “Ragazzi, che folla!”, e se avessi riportato la versione italiana non avrebbe avuto senso nel contesto.
“What a turn-out” è una battuta a mio avviso cruciale, perché è l’emblema del cambiamento nelle vite di tutti, ed è il filo conduttore della mini-serie.
La frase che pronuncia Megamind sull’innominabile Male sguinzagliato è un riferimento alla battuta in “Megamind – the Button of Doom” in cui il suo ologramma recita: “you’ve just unleashed an unspeakable Evil upon Metrocity”. (“avete appena sguinzagliato un Male innominabile su Metrocity!”).

Il volume “Megamind unmasked” esiste davvero, è il testo che Mergamind/Bernanrd tiene in consultazione durante uno degli incontri con Roxanne. Gli altri testi sono di fantasia.

 

Lucenera V.,
28 dicembre 2012.

 

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