A Splitting Of The Mind

di shoved2agree
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** 5. ***
Capitolo 6: *** 6. ***
Capitolo 7: *** 7. ***
Capitolo 8: *** 8. ***
Capitolo 9: *** 9. ***
Capitolo 10: *** 10. ***
Capitolo 11: *** 11. ***
Capitolo 12: *** 12. ***
Capitolo 13: *** 13. ***
Capitolo 14: *** 14. ***
Capitolo 15: *** 15. ***
Capitolo 16: *** 16. prima parte ***
Capitolo 17: *** 16. seconda parte ***
Capitolo 18: *** 17. ***
Capitolo 19: *** 18. ***
Capitolo 20: *** 19. ***
Capitolo 21: *** 20. ***
Capitolo 22: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** 1. ***


POV: Gerard
Rating: Arancione
Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Altri
Genere: Drammatico, Mistero, Sentimentale
Note: Slash, AU, Traduzione

La storia non è mia, ma di shoved2agree che mi ha dato il permesso di tradurla. Qui troverete il link originale.




 

 

 

 A SPLITTING OF THE MIND

***

1.

 

Take a look around and what do I see
It's looking like the whole world's goin just a little crazy
And I know it can't be all of them and just not me
So I guess I'm going just a little crazy






Dal primo momento in cui posai gli occhi su di lui, decisi che mi piaceva. Voleva dire qualcosa, perchè di solito non mi piaceva nessuno. Non potevo permettermi di farmi piacere nessuno o credere in nessuno. Non più.
Era arrivato una mattina, a testa bassa, con gli occhi fissi sul pavimento, le spalle rigide e, complessivamente, provando a sembrare di non esistere.
Lo vidi apparire sull'entrata e velocemente si sedette sulla poltrona che Magda gli fece notare. Lui non si guardò attorno, ne' fece alcun rumore, ne' parlò. Si sedette soltanto, il più comodo possibile fra i soffici cuscini della poltrona a strisce blu e bianche.
Strinse strettamente insieme le mani e le posizionò attentamente sulla sua pancia, rivolgendo i pollici al soffitto. Un momento dopo sciolse la presa e una mano volò sulla sua bocca, dove iniziò a rosicchiare l'unghia del dito. Dopodichè, come se ne accorse, rimosse l'unghia dalla bocca e strinse nuovamente le mani sulla pancia. Poi, invece, cominciò a girarsi i pollici.
I miei occhi scivolarono dalle mani che mi avevano distratto, alla sua faccia. Dio, era giovane. Troppo giovane per essere in un posto del genere. Doveva essere parecchio messo male. La sua faccia era pallida; come se fosse stata messa sotto il chiaro di luna. Girai la testa per controllare i suoi occhi. La sua faccia poteva sembrare come il chiaro di luna, ma senza dubbio non c'erano stelle nei suoi occhi. Erano color nocciola, avrei potuto dire. Non riuscivo a vederli. Ma non avevo bisogno di vedere. 
Semplicemente lo sapevo. Aveva tutta l'aria del 'povero bambino', ma, con suo merito, non la stava sfruttando. Il mio primo giorno avrei ucciso per avere l'aria della 'povera piccola vittima'.
Una risata gorgogliò nella stanza e lui sobbalzò. Spaventato, si guardò intorno con cautela solo per scoprire che tutti erano incollati a quella stupida televisione. Diede un veloce sguardo alla stanza, supponendo che tutti la stessero guardando.
Ora, mi concentrai sulle sue labbra. Subito potei dire che quelle labbra erano state toccate da altre persone, ed erano state deluse. Ma non c'era amore sul suo viso. Non c'erano i resti di chi aveva baciato i suoi occhi, o la sua bocca, o la sua anima. Aveva nascosto il loro ricordo dentro se' stesso e questo decisamente mi dava fastidio. Se le persone nascondono delle cose, poi devono effettivamente cercare per ritrovarle. Va bene se le perdi, o le collochi fuori posto, o le trasmetti a qualcun altro, ma puoi ancora inciamparci dentro. Come il tuo primo bacio. Se è stato un bel ricordo, non provare a nasconderlo altrove- solamente, conservalo da qualche parte. Se lo nascondi, non ci inciamperai più. Ma, se lo dimentichi o lo metti nel posto sbagliato, non saprai mai quando potrebbe tornare. Non saprai mai quando spunterà fuori nel tuo subconscio e ti darà una bella sorpresa . Ma se è stato un brutto bacio, proverai a dimenticarlo e perderai il ricordo in modo da non ricaderci più.
E' abbastanza triste quando le persone si dimenticano di perdere un ricordo e sono perseguitate da esso per il resto della loro vita. Ma il cervello non è come un sistema di archivio, o un grande tunnel dove ci sono due uscite che dicono “prendi” e “lascia”. Non puoi fisicamente archiviare i tuoi ricordi; non puoi proprio decidere quali perdere per il tuo bene o quali semplicemente collocare fuori posto.
Ero l'unico che lo sapeva, naturalemente, sapevo come farlo. Se ero davvero annoiato e Jasper non era lì, passavo attraverso i ricordi delle settimane e li archiviavo, ma la maggior parte del tempo li lasciavo andare, non è un grande problema una volta che hai capito il segreto. Sebbene avrei scommeso che se qualcun altro l'avesse fatto, sarebbe stato innovativo. Immagina di essere capace di perdere i ricordi di un incidente tragico della tua infanzia, o dimenticare tutte le morti a cui hai assistito. Pensa quanto un dottore o il responsabile di un' ambulanza vorrebbero essere capaci di fare cose come questa.
Quindi, è così che funzionano tutti i ricordi. Non chiedetemi come lo so -
semplicemente, lo so. E ora che lo sapete, se sentirò di un innovativo nuovo studio sui ricordi, io già ne sarò al corrente. Lo capirò se deciderete di non credermi. Dopo tutto, sono solo un adolescente e questo non mi da molta credibilità, non è vero?
Torniamo al nuovo ragazzo. Aveva preso a guardare la TV ora, invece della propria pancia. Io odiavo la TV! Nessuno realizza quanto facilmente quella scatola possa uccidere le tue cellule celebrali?
Infastidito, sfregai i denti così forte che Ben si girò.
“Non è una buona idea adesso, vero?” Disse con la sua fastidiosa calma, in modo tranquillo.
Intenzionalmente roteai gli occhi e smisi di sfregare i denti. Non volevo essere lì. Odiavo l'ora della TV. Pensavano che fossimo tutti interessati a chi veniva eliminato da American Idol. A chi importava? Metà del cast non sapeva cantare, comunque.
Avevo scommesso sulla ragazza, pur non avendo mai guardato lo show. Avrebbe vinto, comunque, lo sapevo.
Scivolai nella mia poltrona, in modo che la mia schiena fosse appoggiata contro il bracciolo imbottito e le mie gambe fossero messe l'una sull'altra. Un altro fremito di risate percorse la stanza e diedi un'occhiata alla televisione, chiedendomi che cosa ci fosse di 
così divertente in American Idol. Davvero, quello non era proprio Idol, ma una programma TV di merda.
Porca puttana! Presto! Avevo bisogno di qualcosa per scrostare i miei occhi e stordirmi prima che tutta quella stupidità filtrasse dentro il mio cervello.
Qualcuno doveva aver cambiato canale perchè ora che ci pensavo, non sentivo proprio più il suono di American Idol. Mi doveva essere sfuggito. Come avevo potuto permettere a una piccola osservazione di sfuggirmi? Oh già, era stato l'arrivo del nuovo ragazzo. Quello con i capelli neri disordinati, vecchio sile. Potevo ancora sentire il gel per capelli che aveva usato. Sì, certamente se li era lavati da quando era arrivato qui, ma, come ho detto, sapevo certe cose.
E io sapevo che lui aveva usato il gel per capelli.
Ci fu un silenzioso click, ma alle mie orecchie suonò forte, perchè lo avevo aspettato per tutto il giorno. La TV era spenta! Alleluia!
“Ora di pranzo!” disse Magda con una voce allegra, raggiante verso tutti noi.
Gemetti e presi tempo per slegare le mie gambe dai braccioli della sedia. Speravo disperatamente che Ben non decidesse di aspettarmi. Comunque, lui non aspettò me, ma il nuovo piccolo ragazzo dai capelli neri che era seduto cercando di mostrarsi il più modesto possibile nella sua poltrona. Lui gli offrì una mano per alzarsi dalla sedia. Il ragazzino dai capelli neri aveva imparato a sue spese come fosse difficile togliersi dai cuscini di quella particolare sedia. Ti inghiottiva; ti succhiava il culo al centro della poltrona.
Risi di soppiatto quando lo afferrò per un braccio e provò a tirarlo fuori.
“Ecco, lascia che ti aiuti. Posso toccarti il braccio?” chiese Ben con attenzione, la sua mano ancora aperta e abbastanza vicina a quella del ragazzo. La piccola vittima scosse la testa violentemente e ritrasse le sue mani, terrificato, stringendole sul corpo, guardando fisso Ben come se lui lo stesse minacciando. Ben alzò le mani in fretta, come ad indicare che non c'era nessuna disputa.
Alzai un sopracciglio e sorpassai Ben sulla strada verso la porta. Mi fermai, la mia schiena rivolta verso i due, e scossi lentamente il capo. Girai la testa verso di loro, con un mezzo sorrisetto.
“Cos'hai da ghignare, Gerard?” mi disse in modo brusco Ben, guardando poi il ragazzino e vedendolo atterrito.
Alzai un dito per indicare il paziente e cominciai a togliere la cravatta che avevo intorno al collo. Lentamente, sistematicamente, e con attenzione me la tolsi, preferendo invertire tutti i procedimenti piuttosto che snodarla. La tolsi dal mio collo e la feci penzolare davanti alla poltrona del ragazzino. Lui mi stava scrutando così intensamente che mi sentii addirittura offeso. Se l'avessi beffato, lo avrebbe saputo, e non avrebbe dovuto ricorrere al tentativo di studiarmi. Finalmente decise che le mie intenzioni erano chiare, o qualcosa del genere; afferrò il nodo della cravatta che gli avevo porso. Con un movimento rapido lo tirai fuori dritto in piedi. Barcollò per un po', ma non mi mossi per tenerlo fermo. Non voleva che nessuno lo toccasse. Avevo rispetto per questo. Anche se fosse caduto e si fosse rotto la testa, non lo avrei toccato.
Se essere toccato era contro i suoi desideri, io non lo avrei fatto. Non era troppo difficile da comprendere.
Una volta fuori dalla poltrona, arrossì decisamente. Lasciai andare la cravatta e quella cadde, lenta, nelle sue mani. La infagottò e la porse a me. Scossi la testa e andai a pranzo; avevo fame, dopo tutto.

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Capitolo 2
*** 2. ***


 A SPLITTING OF THE MIND

***


2.
 Look straight at me and you see yourself.




 

 

 

Bhè, buongiorno Gerard!” dentro di me rabbrividii, ma fuori regalai alla donna della mensa uno dei miei sorrisi più smaglianti, come se l'avessi tirato fuori dal cassetto. 

Ignorai i suoi persistenti tentativi di conversare con me e mi feci strada verso il mio tavolo. Sì, era il mio tavolo. Nessuno si sedeva al mio tavolo senza il mio permesso. Nessuno.
Diedi uno sguardo alla mia minestra di pollo con tagliolini. Questa volta non era una minestra di lettere.Comunque potevo garantire che Ray avrebbe annunciato di poterci vedere dentro un messaggio. Forse era per questo che avevano smesso di servire piatti con le lettere. Ebbi il mio consueto momento di silenzio per il fatto che avevano tolto la zuppa di lettere dal menu, prima di scartare con attenzione il mio cucchiaio di plastica. Lo strinsi fermamente perchè senza dubbio non volevo farlo cadere. Poi avrei dovuto prendere un altro cucchiaio. E non avevo particolarmente voglia di farlo.
“Hey! Ben, Magda, Suzie! Veloci, venite a vedere questo!” la voce di Ray squillò attraverso la caffetteria. Sbuffai quando si allontanò dalle sue tagliatelle con attenzione. “Guardate, è un messaggio!”
Sapevo di poter contare sul fatto che Ray avrebbe trovato messaggi anche nel nulla. Sperai solo che loro non decidessero di togliere anche le tagliatelle dal menù. Mi piacevano abbastanza le tagliatelle. Una volta finito, fissai la ciotola, fino agli ultimi depositi di pasta lasciati sul fondo, chiedendomi dove sarebbero andati e in quale oceano sarebbero finiti. Tirai fuori il mio taccuino per gli schizzi da dentro la tasca della giacca e lo aprii sul tavolo. Presi la matita e la feci toccare sulla punta della lingua, prima di premerla sulla pagina.
Non c'era esattatamente nessun ragionamento artistico dietro ciò. Solo un' abitudine, davvero. Comiciai a disegnare il nuovo ragazzo dai capelli neri. Era davvero disegnabile. Aveva i lineamenti perfettamente cesellati e la bellezza sfuggente di un modello, del 
mio prossimo modello. Non disegnai il suo corpo. Volevo ottenere i controrni esattamente nel modo giusto. Dovevano essere nel modo giusto. Disegnarli sbagliati sarebbe stato un disastro. Ma era infreddolito, come lo eravamo tutti, con le giacche, le sciarpe e lunghi pantaloni da ginnastica. Io non avevo freddo; indossavo la giaccia solo perchè mi avevano costretto. Preferivo la mia camicia nera, formale e abbottonata, con una cravatta. Ma questo accadeva solo il Martedì e il Giovedì. Vedete, solo in quei giorni potevo indossare una cravatta*. Negli altri giorni mi attenevo alle felpe.
Erano abbastanza bravi riguardo i vestiti, in quel posto. Potevi indossare qualsiasi cosa volevi, entro i limiti ragionevoli. Voglio dire, non avrebbero permesso a un maniaco depresso di indossare una cravatta e lasciarlo da solo nel bagno, non è vero? Ma loro credevano in me. Sapevano che non mi sarei ucciso presto. Non avevo ancora scoperto il significato della vita, e loro lo sapevano.
“Uh, ciao.”
La mia testa sembrò muoversi meccanicamente. Era davvero spassoso. Guardai dritto il nuovo ragazzo dai capelli neri. Quello con gli occhi tristi e le labbra baciate tragicamente. Grugnii e guardai in basso di nuovo. Smisi di graffiare con la mia matita per un secondo e udii il respiro pesante, terrificato del ragazzo, sentendo un morso di compassione. Mi chiesi quale infermiere gli avesse suggerito di parlare con me. Probabilmente Ben. Diedi un' occhiata a Ben. Mi stava guardando.
Sì, Ben lo aveva spinto a questo. Il problema era: perchè? Certo, voglio dire, se un ragazzino voleva parlare con me, bene. Non gli avrei risposto, ma non gli avrei dato un calcio sulle palle e non avrei riso vedendolo rotolare dolorante sul pavimento.
“Posso sedermi? Per favore?”
Annuii e si appollaiò sulla fine della sedia di fronte a me. Guardava soltanto il pavimento. Poi si alzò in piedi e corse via. Perplesso, mi rimisi a disegnare. Un paio di secondi dopo tornò e si sedette di nuovo. Questa volta restò e mi guardò disegnare fino a che un' infermiera gli si avvicinò e gli parlò. Si allontanò e lui la seguì. Mi chiesi dove stesse andando. L'attività che veniva dopo, in quello stupido programma, era la doccia, ma mancava ancora un'ora perlomeno. Vidi Ben che si avvicinava a me e quando mi sorpassò, lo udii mormorare “Grazie, Gerard, per non essere stato uno stronzo.”
Non riuscii a concentrarmi per il resto del pranzo. Perchè Ben mi aveva ringraziato per non essere stato uno stronzo con il nuovo ragazzino? Perchè era così d'obbligo che fossi tutto tranne che uno stronzo con quel ragazzino? Avrei avuto una porzione extra di pudding dopo cena?


Per le docce aspettai fino all'ultimo, come sempre. Ovviamente, dentro, le docce non potevano essere chiuse, c'erano troppi ragazzi che pensavano al suicidio, quindi erano soltanto semi-chiuse. Non mi importava come le chiamassero. Mi facevo la doccia da solo e loro me lo lasciavano fare, per lo più. Incrociai le gambe e mi sedetti sulle panche, aspettando che l'ultima persona finisse e uscisse fuori.
“Puoi andare, Gerard” chiamò Ben.
Lo guradai con una faccia confusa. Sapeva che andavo per ultimo. Ero sempre andato per ultimo. Ultimo significava che quell'idiota del nuovo ragazzino era già andato prima di me, altrimenti non sarei stato l'ultimo. Strinsi le spalle, rimanendo insolente.
“Tutti se ne sono andati,” disse “Tu sei l'ultimo.”
Mi accigliai e diedi un'occhiata alle docce. Ero abbastanza sicuro. Erano vuote. Dove era andato quindi il nuovo ragazzino? Certamente non l'avevo visto lì dentro. Non potei fare altrimenti che chiedermi se c'era una ragione per cui il nuovo ragazzo doveva farsi la doccia separatamente.
Mi stavo lavando, mettendoci davvero poco impegno, quando Ben mi interruppe. Arrossii violentemente ma lui ignorò la mia apparente mancanza di vestiti e si sedette su una delle panche che separavano le docce.
“Devo chiederti un favore,” Disse Ben, con un tono davvero serio. Potevi vedere che non era normale. Di solito era veramente calmo e spensierato, ma ora non lo era.
Chiusi la doccia, dandogli la mia piena attenzione. Qualunque cosa per tirare fuori una gamba da quel posto. Mi porse un asciugamano, lo avvolsi intorno alla vita e mi ferami a guardarlo, in attesa.
“Conosci il nuovo ragazzo? Frank?”
Ahhh, il suo nome era Frank. Interessante. Annuii affermativamente.
“Noi tutti pensavamo che sarebbe restato pietrificato nel vederti.” Ben ridacchiò per la mia faccia offesa. “Ma non era così spaventato, qualcosa di cui tutti siamo stati sorpresi, considerando le ragioni per cui è qui. No, non te lo posso dire. E' personale. Ma preferiamo che rimanga in giro con te, piuttosto che con Ray o qualcuno degli altri ragazzi, okay? E' ancora spaventato da te, ma almeno cercherà di farsi degli amici.”
Al che feci un passo avanti e scossi violentemente la testa in segno di protesta. Io non volevo amici. Non avevo bisogno di amici. Non avrei fatto amicizia con questo ragazzo. Ben sembrò atterrito. “Non devi essere suo amico, Gerard.” disse irosamente. “per quanto lo aiuterebbe, se tu semplicemente non puoi fare una cosa semplice come questa, non ti preoccupare.”
Vergognandomi, abbassai gli occhi. “Sei veramente insensibile come dicono, non è vero?” senza aspettare la risposta, si grattò il mento e uscì.
Sì, ero insensibile. Le persone come me non potevano avere amici. Le persone come me non potevano lasciare che altre persone si avvicinassero. Le persone come me non avevano bisogno di amici. Semplicemente pensai a cosa sarebbe potuto succedere se avessi avuto degli amici.
Non riusciva a realizzare quanto poteva essere fatale per me? Lo guardai andarsene, sentendomi colpevole come una merda. Appena lasciata la doccia, mi imposi come missione personale di scoprire cosa avesse portato Frank lì da me. 

 

 

 

 

 

 

Note di traduzione:  

 

* la frase orginale era "

 You see, only on days starting with a T could I wear a Tie", nel senso che sia Tuesday (martedì) che Thursday (giovedì) iniziano con la lettera T, proprio come tie (cravatta). 

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Capitolo 3
*** 3. ***


 A SPLITTING OF THE MIND

***


3.
And I don’t know what to do; you’re beautiful.




 

 

 

 

Mi aspettavo un gran numero di cose, oltre a quelle che trovai quando entrai nell' archivio. Trovai il suo file facilmente e lo sfogliai. Tutte le cose
mediche non erano molto interessati perchè non mi dicevano davvero il perchè fosse qui. Mi dicevano cosa c'era che non andava in lui. Aveva avuto una sottospecie di trauma che l'aveva portato alla fobia sociale e un disordine ossessivo-compulsivo, per dirla semplicemente. Cercai a fondo nel suo file, determinato a trovare cosa fosse questo trauma. Lessi di una relazione della polizia, una relazione del terapista e una valutazione psicologica del suo psichiatra. Dalle parole di un paio di professionisti dal cuore di ghiaccio, fui capace di 
mettere insieme (mentre ipotizzavo un sacco di altre cose) i sei tragici mesi precedenti della sua vita.
Risultava che fosse diventato amico di due ragazzi, o uomini, entrambi sui vent'anni, il più grande ne aveva 23, nove in più di Frank al tempo. I due ragazzi gli avevano dato un senso di tregua dalla sua normale vita da emarginato sociale. Lo avevano preso sotto la loro ala e lo avevano introdotto nel turbinoso mondo della droga e della violenza.
Il sesso, comunque, era arrivato dopo, quando entrambi i ragazzi lo avevano stuprato nella macchina del più grande. Poi, come se nulla fosse successo, lo avevano mandato a casa, promettendogli di vederlo il giorno successivo. La mattina dopo, quando lo videro di nuovo, lo fecero ancora. Poi entrambi se ne andarono. Frank era troppo spaventato e pieno di vergogna per dirlo a qualcuno, perchè lui pensava fosse colpa sua, come pensano la maggior parte delle vittime di stupro. Pensava di non poterlo dire a nessuno, perchè nessuno gli avrebbe creduto, pensava che i ragazzi non potessero essere stuprati.
Se lo tenne dentro per mesi, e questo lo deteriorò. Divenne ossessionato dal fatto che era 'sporco' e sviluppò il bisogno di lavarsi tutto il tempo. Peggiorava sempre di più, fino a quando i suoi genitori non se ne accorsero.
Sentii un'ondata di odio verso i genitori di Frank. Dovevano aver completamente ignorato o non notato il fatto che loro figlio si facesse la doccia più volte durante il giorno e avesse paura di interagire con altri esseri umani. Lo affrontarono e lui ebbe un completo esaurimento. Loro, non intenzionalmente, gli avevano fatto comprendere del tutto quello che stava succedendo.
Lui pensava che fosse ridicolamente ironico che l'unica cosa a cui i suoi genitori erano completamente contrari era avvenuta, così cominciò a ridere. La sua risata presto si trasformò in un' insana, isterica risata che fece accapponare la pelle a qualsiasi persona lì fuori. Era escluso dalla società, aveva paura che tutti potessero fargli del male. Una volta all'ospedale, la sua risata si dissolse in un' incontrollabile rabbia, e poi in un pianto isterico.Tutti erano spaventati che avesse perso la ragione e fu costretto alla terapia, dove scoprirono che era stato aggredito sessualmente. Quando la terapia si dimostrò inutile, considerando il suo stato mentale, fu ammesso in un istituto mentale di minima sicurezza. Fu lì che sperarono che potesse effettivamente cominciare a stare meglio.
Tutto questo perchè non erano sicuri di quanto lui stesse pensando al suicidio e non volevano rischiare niente. Con dei genitori così ricchi, pensai che dovessero averla presa bene, in modo codardo, per aver mandato il proprio figlio in un istituto psichiatrico. Ma erano quel tipo di persone considerate perchè vivevano nell'alta società, sarebbe stato inaccettabile avere un figlio che era stato stuprato e che aveva un esaurimento mentale. 
Dannazione, avevano anche dovuto fare i conti con il fatto che loro figlio aveva avuto rapporti sessuali (per quanto non avesse voluto) con un 
uomo!
Come mi staccai dalla sua cartella, sentii un vero senso di vomito svilupparsi nello stomaco. Il ragazzo aveva ragione -nessuno pensa veramente che ragazzi e uomini possano essere stuprati.
Non riuscivo proprio a capire perchè volesse parlare con me. Capivo perchè Ben aveva pensato che Frank potesse essere spaventato da me – ero così vicino di età ai due stupratori. Ma non potevo mandar via la sensazione che ci fosse qualcosa di più, nel fatto che aveva parlato con me quella mattina.
Lasciai l'ufficio e chiusi la porta, incapace di levare quella nauseante sensazione dal mio stomaco. Povero ragazzo, ora sapevo perchè avesse degli occhi così tristi e perchè non ci fosse amore sul suo volto. Avevo anche ragione (effettivamente, quando non ne avevo?)- le sue labbra parlavano di una tragedia.


Mi sentii consumatamente colpevole quando vidi Frank la mattina dopo. Avevo dormito male; i miei pensieri erano tormentati da quello che era gli successo. Ci avevo pensato così tanto che mi ero quasi dimenticato delle persone accanto a me. Sembrava che per una volta avessi qualcosa per cui preoccuparmi, oltre ai miei problemi quotidiani.
Durante la colazione mi sedetti, giocando spensieratamente con il cibo. Avevo preso i cornflakes e spesi tutta la colazione stuzzicandoli con il cucchiaio, provando a farli stare sotto la superficie. Dopo che il penoso servizio di latte aveva ridotto i miei cornflakes in una poltiglia gialla e molliccia, tirai fuori il blocco da disegno. Ora ero determinato più che mai a finire il mio ritratto di Frank.
Avevo appena cominciato, quando Ben chiamò il mio nome e riluttante misi via il mio taccuino, seguendolo nella sessione settimanale di terapia di gruppo che loro ci 
costringevano a frequentare. Mettemmo le nostre scomode sedie di plastica in cerchio e ci sedemmo, guardandoci con attenzione l'uno con l'altro. Ben, notai, era seduto vicino a Frank. Presi un posto direttamente di fronte a lui. Il nostro capo di terapia era una strizzacervelli chiamata Dr.ssa Markman. Era carina, ma non mollava mai nel chiederci 'come ti senti riguardo a ciò?'
“Diamo il benvenuto”, disse Markman piacevolmente, “al nostro nuovo membro, Frank.”
Ci fu un mormorio di saluti che mi ricordò fortemente un raduno di alcolisti anonimi. Markman decise di lasciare Frank da solo per un momento e cominciò con Ray, chiedendogli come avesse trascorso la settimana passata.
Mi sintonizzai fuori dal discorso di Ray. Avevo già sentito il suo ultimo messaggio. Ray era convinto che qualche essere superiore gli stesse mandano dei messaggi. Si era inoltre preso la libertà di ripetere ogni messaggio a me. Ma con Ray, ascoltavi un messaggio e li avevi ascoltati tutti. Erano tutti uguali, davvero, solo con parole differenti.
Mi sedetti silenziosamente, fissando Frank, che stava a sua volta fissando Ray con uno sguardo di mezzo disgusto e incredulità sulla sua faccia. Mi guardò, ma spostai il mio sguardo prima che potesse confermare che lo stavo davvero fissando.
Proseguimmo il cerchio e quando arrivò il mio turno, scossi la testa facendo finta di diventare intensamente interessato alle mie unghie. Così, come al solito, fui saltato e fummo costretti a sopportare il resoconto emozionale della settimana di Lisa. Dopo che finì, Markman passò a Frank. Lui alzò lo sguardo e la colpì con un'occhiata implorante.
“Come è stata la tua prima settimana, Frank?” chiese lei, troppo premurosa per i miei gusti. Frank alzò le spalle involontariamente. “Dai,” lo incitò.
“E' stata una merda!” ringhiò, scioccandomi. “Non dovrei essere qui.”
Markman era sorpresa, ma anche un po' contenta. Ovviamente, era felice di aver ottenuto qualche risposta emozionale da Frank. “Ora, Frank.”
“Sono tutti così strani. Tutti hanno qualcosa che non va con se' stessi! Io non sono malato. Io sto bene. Voglio uscire di qui. Deve dire ai miei genitori che sto bene!”
“Hey!” urlò Ray “Sei tu quello troppo strano! Ti fai, come dire, tre docce al giorno, per ore ogni volta. Non tocchi nessuno e non permetti che nessuno ti tocchi. E ti trucchi. Questo è strano di per se'!”
“Non posso fare a meno del bisogno di lavarmi!” esplose Frank, alzandosi. “Non sapete cosa vuol dire. Non potrete mai cominciare a capire!” Frank si risedette pesantemente e si nascose la faccia fra le mani.
Sentii la nauseante sensazione incrementarsi nello stomaco dieci volte di più e avvertii il cuore cominciare a battere davvero violentemente. Come guardai Frank, sentii una travolgente percezione di inondamento nel corpo. Sembrava scorrere attraverso le mie vene e mi causò un formicolio nelle dita. L'eccesso di sangue mi fece sentire un po' stordito.
Ma dentro sentivo questa strana cosa. Il solo modo in cui avrei potuto descriverla era che come una strana onda di qualcosa, che cascava attraverso il mio corpo. Era una sensazione, un' emozione, ma pensai di non averla mai provata prima. Era inusuale, e odiavo quando succedeva qualcosa che non capivo. Il fatto che si verificasse 
in tutto il mio corpo mi rendeva notevolmente più ansioso.
“Va bene, Frank, possiamo parlarne dopo, in privato,” disse Markman.
Frank ci sorprese ancora di più, iniziando a ridere. “Lei pensa che possiamo semplicemente parlarne?” disse incredulo. “Non posso soltanto parlare e aspettarmi che vada meglio”. Si rivolse a Ray “Vuoi sapere perchè mi lavo per ore tutto il tempo? Perchè mi sento sporco. Io sono sporco!”
Non mi piaceva che Frank parlasse di se' stesso in quel modo. Volevo dargli uno schiaffo e dirgli di smetterla di dire così, ma non potevo. Era troppo rischioso. La grande onda dentro di me stava arrivando a un livello pericoloso, e minacciava di rompersi.
“Non importa quanto mi lavi, mi sento sempre sporco! Posso strofinare il mio corpo fino a che non diventa rosso vivo e lasciare che l'acqua mi scorra addosso per ore, ma niente funziona. Sono così sporco. Fuori e dentro. Non posso diventare pulito!” Frank stava diventando davvero isterico adesso.
Markman stava riflettendo. Io, comunque, ero teso e mi sentivo vicino ad un attacco di cuore. Quella strana sensazione che inghiottiva il mio corpo era così estranea e mi stava mandando infamiliari pensieri nella testa, che stavano per arrivare alla mia lingua. Dovetti coprirmi la bocca. Non perchè fossi scioccato, ma perchè ero spaventato da quello che avrei potuto dire senza riflettere.
“Shhh, Frank, va bene. Non dobbiamo parlare di questa cosa qui. Calmati, va bene.” Markaman stava provando a riprendere il controllo della situazione.
“Così sporco! E così brutto! Io sono brutto. Cosa potrei pensare? Chi uscirebbe mai con un perdente come me?”
Markman si sedette davanti, intensamente interessata. “Ti senti tradito, Frank?”
Tutti gli altri nel gruppo erano perplessi. Non sapevano perchè Frank si sentisse sporco. Ma io lo sapevo, e per una volta, avrei voluto essere ignorante come loro. Avrei voluto non sapere. Avrei voluto disperatamente essere incosciente come loro.
“Sì, mi sento fottutamente tradito!” urlò Frank. “Ero così fottutamente brutto all'inzio, e ora sono anche peggio! Nessuno sarà mai capace di amarmi. Non lo vede? Voglio solo essere pulito!”
Il mio respiro stava diventando debole adesso. Frank era rannicchiato sul pavimento, singhiozzando piano. Ben era sconcertato e, per una volta, lo era anche Markman. La grande onda dentro di me si era ingrossata in una misura di proporzioni pericolose. Distesi le gambe e mi sedetti di fronte al mio posto, il sudore che mi correva lungo il collo.
Sapevo che non avrei dovuto farlo. Non potevo farlo, ma il cuore mi stava urlando, urlando più forte di quanto protestasse la mia testa. La stanza era silenziosa, tranne che per i singhiozzi di Frank. I miei palmi stavano sudando e la camera stava diventando insopportabilmente calda. La gola era costrittiva. Mi sentivo come se fossi stato intrappolato in una piccola stanza con un centinaio di palloni rimbalzanti che stavano rendendo la camera una fonte di attività frenetica. Eccetto che la piccola stanza era nella mia testa, e i palloni erano parole, pensieri e avvertimenti. Metà dei palloni mi stava dicendo -no, urlando- di stare zitto e rilassarmi. Mi dicevano che non ne valeva la pena. Scoprirlo fu un destino molto peggiore piuttosto che i pensieri negativi del ragazzo che conoscevo appena.
Ma di nuovo, l'altra parte mi stava implorando di aprire la bocca e dirlo. Mi sporsi in avanti, realizzando che quello che stavo per fare poteva essere potenzialmente la mia rovina. E per questo me la stavo facendo sotto dalla paura.
“Io non penso che tu sia brutto. Io penso che tu sia bellissimo.”
Dentro di me, l'onda si infranse. Le parole suonavano meglio nella mia testa piuttosto di come vennero fuori quando le dissi. E seriamente, le stavo rimpiangendo. Non per quello che dissi. Credevo completamente in quello che avevo detto. Mi ero però reso conto che forse era stato uno sbaglio dirle a tutti.
Ci fu un botto, e un collettivo sospiro risuonò all'interno del cerchio. Poi il silenzio si fece intenso a un livello pauroso.
Guardai Ben. Era per terra. Era caduto dalla sua sedia in stato di shock. Ecco perchè il botto. E, si, intedo letteralmente. Ben, letteralmente, era caduto dalla sua sedia e stava seduto sul pavimento, guardandomi, con uno sguardo di shock totale e completo inciso sul volto. Markman era un po' più composta, ma avrei potuto dire che anche lei era troppo vicina al cadere dalla sedia.
“Gerard?” disse in tono sommesso.
Ero solo vagamente consapevole di tutto ciò che mi stava accadendo intorno. I miei occhi e le mie orecchie erano rivolte a Frank. Mi stava fissando anche lui, ma non in stato di shock e non mi stava fissando come se avessi potuto far nascere una testa di dinosauro sulle mie spalle.
Mi stava guardano con gli occhi tristi, che, notai, brillavano un pochino di più.
Improvvisamente non rimpiansi più quelle parole.
“Gerard?” lo shock nella sua voce non si poteva nascondere.
Girai la mia faccia verso Markman. Probabilmente aveva tante domande che moriva dalla voglia di farmi. Quelle parole, quelle che avevo detto a Frank, erano, dopo tutto, le prime parole che avevo mai detto in terapia. Erano la prima volta che parlavo dopo due anni.
Avevo rotto il mio silenzio per Frank. Solo perchè pensavo che lui fosse bellissimo. E sapevo che era mia responsabilità, anche sotto minaccia di scoperta, assicurarmi che di tutte quelle persone, Frank 
dovesse essere la più importante, che lo sapeva e lo capiva.

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Capitolo 4
*** 4. ***


A SPLITTING OF THE MIND

***
 

4.
He poured his heart right out through his eyes.
 


 



Vi è mai successo di stare rannicchiati di fronte alla boccia di un pesce e guardare negli occhi un pesce rosso? Quello ricambia lo sguardo, apre e chiude la sua bocca, facendo un 'gloop' come rumore. Bene, ovviamente non potete sentire il suono del 'gloop', ma penso che sia il tipo di rumore che cerca di fare. Se voi poteste sentirlo sott'acqua, sarebbe il tipo di suono che potreste udire. Ma, a questo punto, era l'unico modo per descrivere come tutti mi stavano guardando. Specialmente Markman. Era quella che apriva e chiudeva la bocca in stato di shock. Mi aspettavo quasi di sentire il suono del 'gloop' e fui un po' deluso quando non lo fece.
Mi girai per leggere l'orologio e fui contento di notare che mancavano precisamente quattro minuti alle tre. Alle tre quella stupida sessione di terapia di gruppo finiva ed era il momento del tempo libero. Mi sistemai di nuovo sulla sedia e incrociai le braccia, guardando avidamente l' orologio. Poiché potevo, iniziai a contare i secondi. Mi irritava che l'orologio fosse difettoso. Per ogni minuto, contava solo 59 secondi. Era fuori di un intero secondo. Gesù, significava che ogni ora, l'orologio mancava un cumulativo di sessanta secondi. Questo orologio era stato qui per anni. Cristo, non potevo immaginare quanto tempo era stato perso tutti questi mesi.
Se ogni minuto perdeva un secondo, significava perciò che ogni ora era fuori di sessanta secondi, o un minuto. Ogni giorno perdeva un totale di ventiquattro minuti, e ogni settimana 168 minuti. Merda, significava che ogni anno (velocemente lo calcolai nella mia testa) era un totale di 8736 minuti persi. Significava che per i due anni, sei mesi, dodici giorni, undici ore e trentaquattro minuti in cui ero stato costretto a risiedere in questo fottuto posto, avevo perso ancora di più.
“Gerard!” sobbalzai con violenza, il mio treno di pensieri era stato interrotto rudemente.
Mi accigliai, ruotai il collo e guardai Markman, esasperato. Per fortuna si era ricomposta e non mi stava più fissando come un pesce rosso stupefatto. Grande cosa, comunque; sembrava piuttosto stupida.
Alzai un sopracciglio, perplesso. Mi considerò per un momento, poi guardò Frank. Roteai gli occhi e sospirai, seccato. Scivolai nel mio posto, stringendo le braccia strettamente intorno al petto, aspettando il suo turno per ricominciare a darmi attenzione.
Diedi di nuovo uno sguardo all'orologio. Erano le tre in punto. Eccellente. Era tempo di uscire.
Mi alzai di scatto e andai fuori dalla stanza. Ero contento di uscire fuori da lì. Ora sapevo come si sentiva un animale in uno zoo o in un acquario. Gli occhi fissi, impassibili, erano abbastanza snervanti dopo un po'.
Avevo fatto meno di dieci metri dall' entrata, quando:
CRASH!!
Saltai spaventato e girai la testa nella direzione dai cui era venuto il rumore. Ci misi un secondo a rendermi conto che mi trovavo nell' ala ovest. L'ala ovest di questo posto era la più vecchia e la più malridotta, comparata al resto dell'impianto. Per 
loro era il posto perfetto per entrare. Ero stato scoperto. Sapevo che non avrei dovuto aprire la bocca. Avevano seguito le tracce della mia voce e ora erano venuti a prendermi. E non avrebbero sbagliato.
Spaventato, feci mezzo passo indietro. Sentii la paura salirmi in gola. Ansimai per prendere fiato, le vie respiratorie chiuse dal terrore. Mi costrinsi a continuare ad arretrare. Provai a girarmi e correre, ma il mio corpo era bloccato dolorosamente.
Tutti quanti corsero fuori da stanze differenti e si misero attorno a me, fissando in direzione dell'ala ovest. Comunque, non sapevano cosa stessero guardando, come facevo io. Ben aggrottò le sopracciglia, incapace di capire cosa avesse provocato il rumore. Cominciò a camminare verso il corridoio che alla portava alla fine dell' ala ovest. Zach si unì a lui e fecero grandi passi attraverso il corridoio, per poi scomparire una volta girato l'angolo. Provai ad avvertirli, ma non mi notarono.
Cominciai a pensare agli aghi. Centinaia di aghi. Iniziai a immaginare le loro punte metalliche che premevano sulla mia pelle, depositando ogni tipo di farmaco dentro il flusso sanguigno e i muscoli. Poi pensai agli innumerevoli esami del sangue, esperimenti e accertamenti. Avrei sofferto molto se loro avessero lottato per tenermi in vita sempre vigili con macchine e pompe. Le fascette metalliche e le catene mi avrebbero tenuto in questo luogo ed avrebbero inflitto un inimmaginabile dolore al mio corpo già martoriato e rotto. Avrebbero cercato di dirmelo. Ci avrebbero provato così tanto. Avrebbero provato a costringermi a dir loro tutti i miei segreti. Ma non gliel'avrei mai detti. Quindi avrebbero trovato un modo con la forza, con seghe e coltelli. I bisturi terrificanti, taglienti come rasoi, mi avrebbero aperto la testa e avrebbero estirpato i segreti dal mio cervello. Poi, il mondo sarebbe finito.
Ben e Zach ritornarono. Entrambi si riunirono faticosamente al gruppo, stranamente bagnati. Li guardai dall'alto in basso, allarmato.
“Dannato tetto, è crollato,” borbottò Zach scuotendo i suoi stivali fradici e bagnati. “Quella maledetta pioggia ha causato la caduta dei sostegni.”
Pioggia? 
Pioggia? PIOGGIA! Non loro! Soltanto pioggia! Aspetta! Non avevo notato che stesse piovendo. Pregai Dio che Zach avesse ragione. Aspetta, no, doveva aver ragione perché l'avrei saputo se fossero stati qui, ormai. Probabilmente non sarei stato qui guardano con aria sciocca Ben e Zach, se loro fossero stati da qualche parte dentro l'edificio.
Tirai un gigantesco sospiro di sollievo. Non avevo mai pensato effettivamente a cosa avrei fatto se fossero mai venuti per me. Ma ora che era diventata una vera possibilità, ero andato in bianco. Non pensavo che la mia mente potesse andare in bianco prima, in tutta la mia vita. Ma questo è ciò che ti fa la paura. Non potevo muovermi e non potevo pensare. Sarei stato un facile bersaglio se fossero stati 
loro. Non ero mai fuori controllo. Non avevo mai non notato il fatto che stesse piovendo.
Vedete cosa mi stava facendo quel dannato ragazzino?
Una volta che la notizia del tetto crollato si sparse nel gruppo, tutti si allontanarono. Non era più interessante. Io non me ne andai. Restai dov'ero, non guardando nulla in particolare. Mi portai le mani sulla testa, controllando due volte che il mio cervello fosse ancora lì. Un paio di guardie della sicurezza si unirono alla piccola comitiva. Non le avevo viste nell'edificio da mesi. Di solito pattugliavano l'esterno, assicurandosi che nessuno scappasse o fuggisse via.
Ben, Zach, le guardie e altre persone che non avevo mai visto si ammucchiarono in gruppo. Aggrottai le sopracciglia, ovviamente ero escluso dal loro piccolo raduno.
Feci mezzo passo indietro e, girandomi, mi ritrovai davanti a Frank. All'inizio pensai che mi stesse fissando, ma era solo la mia vanità a parlare. Effettivamente stava fissando impotente in fondo al corridoio. Mi ci volle un momento per realizzare che sicuramente la stanza di Frank era collocata nell'ala ovest. La sua camera era letteralmente a tre passi dalle docce. Lo sapevo perché avevo visto il numero della stanza nel suo file e sapevo com'era fatto questo posto dentro e fuori.
Guardò in fondo al corridoio per un altro lungo minuto, prima di andare via, sembrando stranamente malsano. Quel ragazzino mi confondeva sul serio.


Camminai verso il mio tavolo e mi sedetti, pensando intensamente a tutto quello che era successo nei dieci minuti passati.
“Gerard, Gerard! Hey!” ero stato da solo a mala pena per un minuto, quando Ray mi si avvicinò e si buttò sul mio tavolo. Mi rannicchiai. Poteva essere davvero, davvero infuriato. Abbassai la testa, ignorandolo visibilmente.
“Non pensavo che tu potessi parlare,” disse sorpreso.
Pensai che anche un feto di due giorni senza cervello o un ritardato sarebbe stato capace di dire che io ero incazzato e volevo essere lasciato solo. Anche quel feto senza cervello avrebbe capito che io lo stavo ignorando volutamente. Ma comunque, qualche volta, le capacità mentali di Ray erano minori di quelle di un feto di due giorni, dal cervello morto.
“Non mi aspettavo che tu parlassi, lo sai? Ho avuto del tutto uno shock. Ho sentito questa voce che non avevo mai sentito prima e mi ci sono voluti anni per realizzare che eri tu. Perché, Gerard? Perché hai detto quelle cose a Frank? Lo volevo dire? Ti piace? Ti 
piace? Più di un amico?”
Sentii la furia incrementarsi dentro di me. Girai il mio blocco da disegno e ferocemente strappai una pagina bianca. Premetti la matita sulla pagina, così forte che la punta si spezzò. Scrissi in arrabbiate lettere maiuscole: 'VAI VIA!' Le sottolineai anche due volte per enfatizzare il concetto.
Penso che fu la doppia sottolineatura che lo fece capire a Ray. Fu una buona cosa il fatto che decisi di metterla o l'idiota avrebbe potuto pensare che stavamo giocando a nascondino. Non lo guardai nemmeno una volta. Ero bravo a ignorare le persone. Ero veramente bravo a ignorare le persone.
Avrei potuto vincere il premio nazionale come ignoratore supremo, se una cosa del genere fosse esistita.
“Gerard, possiamo avere quattro chiacchiere in privato, per favore?” ignorare Markman era molto più difficile che ignorare Ray. Ci provai. Ci provai intensamente. Ma era molto più persistente di Ray. Diedi una gomitata alla nota che avevo mostrato al ragazzo poco prima, indicando cosa volessi. Adesso rimpiansi di averla sottolineata due volte. Ora due sottolineature mi facevano sembrare uno stronzo arrogante e rude.
Aspettate! Io ero uno uno stronzo arrogante e rude, non è vero?
Markman si sporse più vicino, in modo che nessuno tranne me potesse sentire quello che stava dicendo. “Vieni nel mio ufficio, ora.” il suo tono significava che era dannatamente seria. Alzai lo sguardo e guardai dentro i suoi occhi, sfidandola a ripeterlo di nuovo. Non volevo andare. Non volevo andare.
“Vai, o sai cosa succederà. Non pensare che io voglia farlo,” mi intimidì, e le credetti.
So di aver detto che non volevo andare. Ma lei mi stava ricattando. Fottutamente ricattando. La stronza corrotta. Sbattei i pugni sul tavolo, sconfitto. Le diedi uno sguardo di pieno disprezzo e mi allontanai dal tavolo verso il suo ufficio.
Non ero realmente arrabbiato con lei. E lei non era realmente arrabbiata con me. Avevamo una sorta di rapporto odio-amore. Sapevo che mi amava. Non quel tipo di amore, comunque. Più come, io la 'affascinavo', come disse una volta. A me non importava di lei. Ma naturalmente lei non mi credeva. Pensava che 
loro fossero frutto della mia immaginazione.
Ma aveva torto. Erano reali, che lo ammettesse oppure no.


Colpii rumorosamente la porta aperta, sperando di infastidire Markman, ma invece spaventai Frank. Lui si alzò in piedi, quando mi vide, e fece un esitante passo indietro. Mi accigliai e ritornai a Markman, che mi aveva raggiunto.
Alzai un sopracciglio, chiedendomi il perché della presenza di Frank. Lei mi diede uno sguardo esasperato e velocemente entrai nella stanza. Avrei giurato che teneva quello sguardo specialmente per me. Se gli sguardi avessero avuto un nome, quello sguardo si sarebbe chiamato lo sguardo 'Gerard', considerando che sembrava usarlo soltanto con me. Sì, infatti l'avevo soprannominato da solo. Si sarebbe dovuto chiamare lo 'sguardo Gerard'.
“Non andare, Frank. Voglio avervi entrambi qui,” disse Markman, inducendo Frank a risedersi di nuovo. Era riuscita farlo risedere e dopo diresse la sua attenzione verso di me.
Ooh, un altro 'sguardo Gerard'. Li avrei contati. Uno.
“Vieni a sederti,” disse.
Due.
Mi chiesi cosa sarebbe successo se avessi deciso di scappare via. Sarebbe stato dannatamente divertente se lei avesse deciso di inseguirmi. Con quelle scarpe, sarei stato a metà strada da Timbuctù prima che lei potesse fare due passi. Oh, la Timbuctù australiana, comunque. Solo in caso ve lo stesse chiedendo.
Oh, un altro sguardo. Tre.
Mi feci avanti verso l' elegante sedia di pelle e mi sedetti sgraziatamente. Quelle sedie costose erano la sola ragione per cui mi piaceva andare in quell'ufficio. Comparate ai duri, modellati, scomodi, bullonati mobili di plastica del resto del posto, quello era il paradiso. Mi misi comodo, piegando le gambe sotto il sedere. Markman emise un rumore di disapprovazione che le riecheggiò nella gola, ma non fece nessun effettivo commento sul fatto che i miei piedi erano sul suo mobilio.
Quattro.
Si schiarì la gola.
Cinque.
“Vi ho raccolto entrambi qui per quello che è successo durante la terapia di gruppo. Ve lo ricordate tutti e due?” chiese Markman.
In fretta frugai nella tasca interna della mia giacca per prendere il blocco da disegno e una matita. Girai una pagina bianca. Accidenti, avevo passato così tante pagine bianche recentemente. Pensai di aver bisogno presto di un nuovo quaderno.
'No' scrissi velocemente. 'Mezz'ora dopo la terapia di gruppo la mia memoria si è stranamente svuotata. Penso che dovrei andarmene. Sono ovviamente inutile in questa conversazione.' Lo feci scivolare sul tavolo. Potei vedere che anche Frank stava leggendo. Markman lo lesse e increspò le labbra.
Sei.
Due cose successero dopo, ed entrambe non me le aspettavo. Mi aspettavo che Markman se la prendesse con me. Se la prendeva molto con me. Avevo ricevuto più prediche e ramanzine di tutti gli altri pazienti messi insieme. Ma non lo fece. Mi diede soltanto un' occhiata, poi guardò altrove. Aveva uno sguardo strano sulla faccia. Era quasi come di delusione.
L'altra cosa che non mi aspettavo fu la risata di Frank. Non era una risata in piena regola o magari un riso soffocato. Era più come un 'hump'. Sapete, quel tipo di rumore che si fa quando qualcosa è divertente, ma non è ancora una risatina? Con la coda dell'occhio gli rivolsi uno sguardo sconcertato. Aveva quel lieve sorriso sulla faccia. Rideva proprio per qualcosa che avevo detto? Era realmente capace di sorridere? Pensai che lo fosse.
E devo dirlo. Era veramente bello quando sorrideva. Anche se era solo un piccolo, minuscolo arricciamento delle labbra. La sua faccia sembrò illuminarsi. Sapete, tornare alla vita. Davvero non so perché, ma quando sorrise il mio cuore improvvisamente cominciò a battere un po' più veloce e quella strana onda iniziò a formarsi di nuovo dentro di me.
Stavo per alzarmi; per dar seguito alla dichiarazione della mia presenza inutile in quella stanza.
Sette.
Mi sedetti di nuovo. Questa volta il suo sguardo era abbastanza severo. Pensai che ora si sarebbe arrabbiata.
La sua attenzione fu deviata da me quando il suo Blackberry squillò. Sembrava imbarazzata e chiese scusa, ma procedette comunque nel leggere il messaggio.
Si lamentò e ci diede la risposta. 
“Metà delle camere nell'ala ovest sono completamente danneggiate dall'acqua,” disse a entrambi. “Inclusa la tua, Frank.”
Frank proprio non reagì. Anzi, sembrò un po' nauseato.
“Va bene,” sospirò.
“Non abbiamo altre stanza libere,” continuò lei a malincuore. “Dobbiamo trasferirti.”
Frank si sedette in avanti, allarmato. Mi poggiai in avanti anche io. Non volevo che Frank se ne andasse. Lo volevo davvero in giro. Se lo avessero trasferito, probabilmente non lo avrei visto più. Questo mi rese un po' triste.
Sebbene mi uccideva ammetterlo, ed era straordinariamente dura metterlo su un foglio, scrissi in piccole, precise lettere:
'Non può andarsene. Può stare nella mia stanza'.
Lo feci scivolare sul tavolo verso Markman, questa volta attento a non lasciare che Frank lo leggesse. All'inizio pensai che fosse delusa dal fatto che non avevo parlato.
Lo sguardo sul suo viso era senza prezzo. La guardai mentre leggeva ciò che avevo scritto. Sembrava assolutamente a terra. Aveva anche iniziato a fare di nuovo la cosa del pesce rosso.
“Gerard. T-t-tu non devi. Lo sai? Nessuno te l'ha chiesto.”
Annuii. Sì, lo sapevo. Fece scivolare indietro il foglio e scrissi: 'Voglio farlo.'
Markman mi esaminò per molto tempo. Pensai che Frank fosse catturato da quello che stava succedendo perché stava guardando avanti e indietro fra di noi, in cerca di un' ulteriore illuminazione.
Ritornò a lui. “Gerard si è offerto di condividere la sua stanza finché non ripariamo la tua vecchia camera, Frank.”
Lui si morse un labbro e mi guardò attraverso quei begli occhi nocciola.
“Davvero?” sussurrò.
Annuii, “Sì,” mimai con la bocca.
“Okay.” Dovetti sforzarmi per sentire la tenue risposta.
Il Blackberry di Markman suonò di nuovo e lei velocemente digitò o scrisse -qualsiasi cosa- un messaggio a un destinatario sconosciuto. Bhè, conosciuto a lei, sconosciuto a me.
Si alzò in piedi e fece cenno a Frank di fare lo stesso. Quando mi mossi per copiarli, lei scosse la testa.
Otto.
“Aspetta.” fu tutto quello che disse prima che lei e Frank lasciassero la stanza.
Le feci la linguaccia mentre era girata e sentii una risatina soffocata provenire da Frank. Di nuovo, era la seconda volta in dieci minuti che ero stato capace di immettere un barlume di felicità in lui e nel suo cuore, nella sua mente e nel suo corpo spezzati.
Cominciai a curiosare intorno alla scrivania di Markman, cercando qualcosa, qualsiasi cosa di interessante, ma non c'era nulla. Sulla sua scrivania c'erano un sacco di fogli, ma nessuno che avesse qualche rilevanza per me. C'era anche la foto di una giovane ragazza, ma non sapevo chi fosse. Mi chiesi se fosse la figlia di Markman. Sapevo che non erano biologicamente simili -non si assomigliavano per niente.
“Non hai nemmeno un grammo di auto-controllo o senso comune, Gerard?” schioccò Markman, facendo fallire la mia ricerca fra le sue cose.
Nove.
Indicai la fotografia della giovane ragazza.
“Niente che ti riguardi,” rispose, mettendo da parte la questione. “Prendi un posto.”
Mi risedetti e inclinai la testa, guardandola con l'aria di chi aspetta qualcosa.
“Stai facendo questo per essere dispettoso, o perché hai un cuore?” disse, cominciando direttamente con la domanda scottante.
Mi finsi ferito e simulai di essere offeso. Tirai su col naso altezzosamente e serrai le braccia.
“C'è qualcosa che sta succedendo fra te e Frank?” chiese con attenzione.
Scossi la testa. Portai il foglio vicino alla fine della scrivania e presi la matita. Come cominciai a scrivere, Markman chiese “Perché hai parlato con Frank?”
Scrissi: 'Non sta succedendo niente. Non stressare il tuo piccolo cuore malato. Dovevo parlare. Si stava distruggendo.'
Lesse e annuì. “Sai cosa gli è successo?” chiese.
Annuii. In grandi, evidenti lettere maiuscole, scrissi una parola: 'STUPRO.'
Dieci.
Fece un rumore simile al 'tsk'. “Sei uno spione, Gerard. Era privato e confidenziale. Vorresti che Frank leggesse il tuo file?”
Ha! Anche se Frank avesse voluto leggere il mio file, non avrebbe potuto. Non era con tutti gli altri. Lo avevo cercato. Infatti, avevo girato tutta l'intera stanza dall'alto in basso solo per trovarlo. Sapevo che i file in quella stanza erano solo copie degli originali. Gli originali erano nell'ufficio di Markman. Gli originali che non potevo ottenere. Questo mi infastidiva eccessivamente. Cosa c'era di così scioccante per cui non avevano fatto una copia del mio file?
Scrissi: 'Il mio file non è lì. L'ho cercato. Dov'è?'
“Non penso che vorresti leggere il tuo file,” disse Markman lievemente.
Roteai gli occhi e riappoggiai la grafite sul foglio. Misi per scritto il mio forte desiderio: 'Penso di volerlo!'
“Ti stai preoccupando per Frank perché ti ricorda qualcuno?” disse improvvisamente Markman. Era stata a pensare per un po'. “Un altro ragazzo, circa con la stessa età?”
Scossi la testa. Non conoscevo un altro ragazzo con la stessa età. Ero stato bloccato qui per due anni e mezzo. Conoscevo solo le persone che venivano e se ne andavano.
Markman prese un profondo, vacillante respiro. Si sfregò gli occhi, sbavando il mascara. “Ha qualcosa a che fare con 
loro?”
Feci finta di pensarci per un attimo. Mi picchiettai il mento come se stessi pensando intensamente. Mi appoggiai in avanti e scrissi: 'Tutto ha a che fare con loro.'
Dopo averlo scritto, restammo stati seduti in silenzio per molto tempo. Non solo la quotidiana manciata di secondi, sto parlando di minuti. Markman sembrava non avere più risorse mentali. Io non facevo comunque nessun rumore, quindi fondamentalmente fu un silenzio da parte sua. Stetti in silenzio per tutto il tempo.
“Gerard, sei qui da molto tempo.”
No merda, Sherlock! Pensi che non lo sappia che sto qui da molto tempo?
“Molti nel personale credono in te. Credono che tu sia di più di ogni altro paziente.”
Lo so! Sono come, il re di questo posto. No, non proprio.
“Penso che tu stia cominciando ad abusare di questa fedeltà.”
Ahhhhh, cosa? Chi ti ha dato quest'idea?
“Io penso che tu sia degno di fedeltà. Ma penso che per altri aspetti tu non lo sia.”
Tipo per cosa?
“Specialmente quando arrivano i farmaci.”
Pensai seriamente che Markman potesse leggere la mia mente. Disse qualcosa e risposi nella mia testa e lei sembrò sapere quello che stavo pensando. Bizzarro.
“Voglio provare qualcosa di nuovo.”
Roteai gli occhi. Ci risiamo.
“Mi piacerebbe cambiare i tuoi farmaci. Sai di essere sotto un farmaco che si chiama Navane?
Concordai annuendo con la testa.
“Voglio provare un medicinale diverso. Si chiama Clozapine. Penso che risponderai bene a questo. Comunque, dovrebbe avere un paio di effetti collaterali. Voglio che tu sia consapevole del fatto che il Clozapine ha portato allo sviluppo di agranulocitosi in qualche paziente.”
A-gran-u-cosa? Non aveva molto senso.
“L' agranulocitosi è una significante repressione dei globuli bianchi nel tuo corpo. Può essere pericoloso per la vita. L'abbassamento dei globuli bianchi del sangue significa che il tuo corpo può essere compromesso nelle capacità di combattere le infezioni. Quindi una volta che vai sotto questo farmaco, devi dirci se cominci a notare i primi segni di infezione, okay?”
No, non era okay. Non volevo morire per colpa di qualche stupido medicinale. Non ero malato. Non mi importa quello che dite. I farmaci non potevano guarirmi. Nient'altro funzionava, perché questo avrebbe dovuto? Forse era tempo di accettare che io non potevo essere aggiustato, semplicemente perché non ero rotto.
Incrociai le braccia, sapendo che c'era qualcosa di più. C'era sempre qualcosa di più.
“Per il rischio di agranulocitosi, dovrai fare gli esami del sangue tutte le settimane per controllare il conto dei globuli bianchi,” Markman lo disse molto, molto velocemente.
Awww, dannazione no! Odiavo gli aghi. Non c'era nessun fottutissimo modo per farmi conficcare un ago ogni settimana. No, no, no!
Scrissi un grandissimo 'NO!' sul foglio e lo strappai. Lo tirai a Markman e infilai il blocco da disegno della tasca. Poi me ne andai. Per una volta, lei non provò a fermarmi.

 

***

 

Luci spente!” la voce stridula, degna di un istituto, risuonò lungo i corridoi e riuscì a penetrare sotto la crepa nella parte inferiore della porta della mia stanza.
Giuro, ci trattavano come bambini di due anni in quel posto. Accidenti, cosa avrei dato per essere capace di controllare come spegnere quella dannata luce da solo.
Le luci si spensero, mandando la stanza in una paurosa oscurità, illuminata solo da un paio di raggi di luna che filtravano attraverso le finestre di vetro rinforzato sopra le nostre teste.
Sentii Frank che si muoveva in una posizione comoda, ma altrimenti non udii nessun altro rumore provenire da lui prima di addormentarmi. Mi addormentavo sempre immediatamente. Non l'avevo mai detto a nessuno. Non che parlassi, comunque.
 

Qualcosa mi svegliò quella notte. Pensai che fosse estremamente strano il fatto che mi fossi svegliato da solo nel mezzo della notte. Non mi alzavo mai. Dormivo sempre, sempre, tutto il tempo. Ero il sogno di ogni madre. Non avevo mai bisogno di andare al bagno o cose del genere.
Fu questo il motivo per cui mi svegliai, pensavo fosse mattina. Ma realizzai velocemente che era ancora notte quando vidi che non c'erano le onde sulla parete. Sapete, la luce di prima mattina attraversava le finestre, e i vetri rinforzati avevano uno strano bagliore, che faceva una specie di ondulazione sul muro di fronte a me. Qualche mese la luce che entrava era assolutamente brillante e poteva essere accecante. Ma in altri periodi dell'anno, era smorta e cupa. Vedete, era a causa delle stagioni.
Restai nel buio per un momento, infastidito e assonnato. Poi sentii un rumore. Le mie orecchie si drizzarono. Non potevo dire cosa fosse il rumore, ma ero assolutamente certo di volerlo sapere. Lo sentii di nuovo. Lentamente mi girai, lontano dal pavimento per guardare in direzione di Frank. Era sveglio. Non potevo vedere la sua faccia, stava contro il pavimento. Ma sapevo che era sveglio. Mi chiesi per un momento se anche lui avesse udito il rumore.
Lo sentii di nuovo. Questa volta fui capace di identificarlo. Appena la realizzazione si trascinò su di me, mi sentii di nuovo male.
Frank stava piangendo.
Non proprio piangendo, comunque. Singhiozzando. Stava facendo del suo meglio per piangere silenziosamente e per se', tranne che per pochi profondi frementi respiri e strozzamenti. Ora sapevo cosa avevo ascoltato tutto il tempo.
Udii un irregolare e incostante gemito e rumori degli strozzamenti dolorosi, come se stesse combattendo per tenerseli dentro. Stava cercando di nascondermelo. Si vergognava di piangere di fronte a me, ma vedendolo, non poteva nasconderlo molto a lungo.
Dopo gli scappò un singhiozzo, velocemente taciuto. Lo continuai a guardare silenziosamente, aspettando di vedere cosa avrebbe fatto. Per cinque minuti buoni lottò per non lasciar scappare nessun suono, quando finalmente girò la testa sul cuscino e si lasciò andare. Anche se il cuscino ovattava i rumori, erano ancora identificabili.
Come mi distesi per ascoltarlo, mi sentii come se fossi stato un intruso. Ma non sapevo cosa fare. Stava provando a nascondermi il suo pianto, quindi lo avrebbe umiliato se lo avessi riconosciuto. Ma ogni singhiozzo di Frank mi pugnalava dritto nel cuore.
I singhiozzi di Frank stavano volando liberamente adesso. Era vero dolore. Era il suono del dolore reale,straziante, emozionale che lasciava il suo corpo.
Non potevo sopportarlo ancora per molto. Non potevo che Frank facesse questo a entrambi ancora per molto. Silenziosamente uscii dal mio letto e mi feci posto nel suo. Mi rannicchiai e sussurrai il suo nome. I suoi singhiozzi cessarono immediatamente. Diventò rigido come un pezzo di legno, poi lentamente si girò per guardarmi.
Avevo ragione; l'umiliazione era evidente sul suo volto.
“Vai via,” disse, combattendo per tenerseli dentro di nuovo.
Sebbene avesse smesso di fare rumore, le lacrime stavano ancora scendendo liberamente. Le piccole gocce di acqua salata correvano a fiumi sulle guance e brillavano sotto la luce della luna. I suoi occhi erano nascosti nell'oscurità, ma sapevo che erano rossi e gonfi.
Non avevo mai visto nessuno così. Così crudo. Così dolorante.
Forse voleva parlare? Mimai il gesto di parlare. Pensai che nessuna parola sarebbe stata degna di essere detta in quella situazione imbarazzante.
“Perché tu vuoi parlare? Non parli mai comunque!” soffocò con una voce così aspra che ne fui scioccato. Ma non mi sarei arreso. Mi sedetti sul pavimento, mettendomi comodo. “Non è che non parlo,” sussurrai. “E' solo che ascolto sempre.”
I singhiozzi semplicemente scoppiarono dopo questo. Gli strazianti, vincolanti singhiozzi che mi ferivano come coltelli.
Allungai una mano e toccai il suo braccio gentilmente, attraverso le lenzuola. Lo stavo toccando, ma in un altro senso no. La sua mano si sporse e afferrò strettamente la mia. Eravamo mano nella mano, ma il lenzuolo ci separava e ostacolava le nostre mani da un vero e proprio tocco. Avevo trovato un modo attorno alla sua paura di toccare gli altri e farsi toccare. Premette la sua e la mia mano sulla faccia, provando a nascondersi. Strinse gli occhi chiusi e pianse così forte da farmi male. Ma ora avevo capito, non stavo provando a migliorarlo, ne' a farlo evitare di piangere. Lo stavo semplicemente aiutando a piangere.
Tenni la sua mano attraverso le lenzuola per molto tempo. I minuti sembrarono scivolare via con niente. Quello che mi sorprese di più fu la quantità di lacrime che versò. Le potevo vedere scivolare sulle guance e sopra il suo mento. Alcune correvano sulla punta del naso, altre dentro la bocca. Non avevo mai visto nessuno piangere così tante lacrime. Era quasi come se stesse buttando via il suo cuore e la sua anima attraverso gli occhi.
Fortunatamente però, io ero lì a raccoglierli e forse, un giorno, sarei stato quello che lo avrebbe aiutato a rimetterli a posto. 

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Capitolo 5
*** 5. ***


 A SPLITTING OF THE MIND

***

5.

We can’t all be heroes; somebody has to sit on the sides and clap as they go by

 

 


 

Indietro! Torna indietro! Tornerò indietro se avrai bisogno di me! Colpisci! Mira all'angolo! Vai, vai, vai! L'angolo, Gerard! Bel colpo! Rimani fermo, Gerard!”
Tossii violentemente quando un' onda mi sommerse. Spostai follemente l'acqua con le mani, cercando di tenere il viso al di sopra delle onde fluttuanti. La palla navigò sopra la mia testa e atterrò di fronte al giocatore avversario. Lui la trascinò fra le sue braccia e cominciò a nuotare con la testa fuori dall'acqua. Aveva muscoli lisci e molto definiti sulle spalle, e la schiena flessa mentre le sue braccia potenti si muovevano facilmente attraverso l'acqua.
Le mie gambe si mossero in un pigro calcio quando guardai la palla passare dall' altra parte della piscina ed esultai quando il nostro portiere la deviò. Ero pronto a muovermi, quando il nostro capitano prese la palla e la lanciò con forza incredibile verso di me. Alzai le mani per prenderla, fiducioso delle mie capacità.
Era direttamente davanti a me. Poi realizzai di trovarmi sott'acqua, quando una mano potente premette sulla mia spalla sinistra. Combattei contro quella, ma il mio avversario teneva duro. E non sembrava che stesse per lasciarmi andare. Gli diedi un calcio sulle palle e ottenni il risultato di cui avevo disperatamente bisogno. Appena la mia testa riemerse in superficie, vedendo che il gioco si era spostato di nuovo dall'altra parte della piscina. Nessuno mi stava guardando. Nessuno sembrava interessato al fatto che ero quasi annegato. Il mio avversario era a diversi metri da me, tenendosi l'inguine e lottando per rimanere a galla.
Mi guardai attorno selvaggiamente, la testa mi girava per mancanza di ossigeno. Fu in quel momento che vidi gli altri. C'erano due ragazzi, entrambi della stessa età. Tutti e due indossavano la cuffia blu, come me. Eravamo nella stessa squadra, ma non li riconoscevo. Mi videro, ed entrambi mi urlarono. Due uomini di grandi dimensioni apparirono dietro di loro e li tirarono sotto. Le loro urla furono bruscamente interrotte nel momento in cui sparirono sotto la superficie. Mi buttai in avanti, intento a salvarli ma caddi vittima dello stesso destino. Ingoiai un sorso d'acqua quando andai sotto e non potei respirare per prendere aria. Il mio avversario mi prese strettamente per la cuffia, stringendola in pugno. Armeggiai con il nodo sotto al mento e lo sciolsi velocemente. Nuotai lontano dal diavolo con la cuffia bianca, verso i due ragazzi che stavano scalciando e si stavano dimenando violentemente. Il ragazzo sulla destra mi vide e si tolse la cuffia per imitarmi, scappando dalla presa dei suoi aggressori. Allora realizzai chi fosse.
Era Frank.
La cuffia aveva nascosto i suoi capelli e lo aveva reso quasi irriconoscibile. Entrambi nuotammo l'uno verso l'altro. I miei polmoni stavano scoppiando per mancanza l'aria, ma non potevo lasciarli entrambi da soli. L'altro ragazzo riuscì a togliersi la cuffia, ma il suo aggressore lo trattenne sott'acqua per il collo. Non sapevo chi fosse.
Frank nuotò nella mia direzione e lo afferrai, tirandolo verso di me con tutta la forza che potevo radunare. Uscimmo in superficie insieme, ansimando disperatamente in cerca di aria. Feci un salto nell'acqua per cercare l'altro ragazzino. Non era uscito in superficie con noi. Terrorizzato per lui, tornai sott'acqua di nuovo per cercarlo. Le sue dita grattarono debolmente sul polso dell'aggressore, ma senza risultato. Mi vide e con ogni grammo di forza, urlò:

GERARD!”

 

***


Stai bene?”
Strinsi il petto mentre si muoveva rapidamente su e giù, aspirando l'aria preziosa. Stavo ansimando come se avessi nuotato un miglio senza fermarmi e senza prendere abbastanza fiato. Scostai le ciocche umide dalla faccia. I miei capelli e i miei vestiti erano impregnati di sudore. Sbattei gli occhi diverse volte, realizzando che non ero in una piscina nel mezzo di una pericolosa partita di pallanuoto. Ero nel mio letto, appena risvegliato da un incubo.
C'erano due cose sbagliate in questo. La prima, Io non avevo incubi. Non avevo mai avuto incubi. Non sognavo mai la notte. So che può suonare strano, ma anche io ero strano. Io non sognavo -e senza dubbio non avevo incubi.
La seconda cosa era la pallanuoto. Non sapevo giocare a pallanuoto. Non avevo mai giocato a pallanuoto in vita mia. Penso di non aver mai visto una partita in televisione. Come diavolo potevo sapere come si giocasse? Oh e chi cazzo gioca a pallanuoto, comunque?
“Stai bene?” ripeté Frank, ansioso.
Mi sedetti e realizzai perché il corpo mi facesse così male. Non ero nel mio letto; ero per terra fra il mio letto e quello di Frank.
Annuii e lentamente mi misi in piedi, distendendo teneramente i muscoli doloranti. Sentii un crampo alla schiena e gemetti. Nota per me stesso: non dormire sul pavimento.
Frank mi guardò per un momento, poi annuì e lasciò la stanza. Girò a sinistra. Stava andarsi a fare una doccia. Sapevo che l'avrebbe fatto.
Mi sedetti sulla fine del letto e riflettei su quel sogno. Avevo riconosciuto Frank, ma non sapevo 
per niente chi fosse il secondo ragazzo. Non poteva essere che non conoscessi la sua faccia, ma non potevo dargli un nome. Era solo un pensiero che fosse un completo estraneo e non lo avessi mai visto in vita mia. Ma questo non poteva essere giusto. Sapevo come funzionavano i sogni. Un sogno è, per metterla semplice, il tuo subconscio che corre dietro a se' stesso. Alcuni scienziati provano a dirci che il sogno è il modo che ha il tuo cervello per scartare i ricordi inutili, ma io sapevo che non era così che funzionavano i ricordi. Non puoi solo scartare un ricordo o buttarlo come un pezzo di immondizia. Sicuramente, puoi perderlo o metterlo fuori posto e immagazzinarlo per sempre. Ma non puoi scartarlo. Sono tutte sciocchezze.
Possibile che questi scienziati non se ne rendevano conto? Una volta che crei un ricordo, quello è nella tua testa per sempre. Se mai volessi sbarazzartene, avresti bisogno di perderlo e perderlo essendo sicuro di non inciamparci mai più. Dio, questi dilettanti non ne avevano idea!
Ma questo significava anche che non era logico per me sognare di un ragazzo che non avevo mai incontrato e di uno sport che non avevo mai praticato.
Non aveva senso. 
Non avevo proprio senso. Non aveva senso! Perché niente di tutto ciò aveva senso? Pensai che ci fosse qualcosa di sbagliato in me.

 

***



Indietro! Torna indietro! Tornerò indietro se avrai bisogno di me! Colpisci! Mira all'angolo! Vai, vai, vai! L'angolo, Gerard! Bel colpo! Rimani fermo, Gerard!”
L'onda di acqua piena di cloro mi schizzò la faccia, riempiendomi naso e bocca. Tossii e sputai, sfregandomi gli occhi irritati. Stavo annaspando nell'acqua vigorosamente e sbattei gli occhi senza fermarmi. Li sfregai, e li sbattei con sguardo appannato. La vista era offuscata, ma potevo vedere abbastanza bene. Potevo vedere il difensore dell'altra squadra nuotare verso di me come se avesse un obbiettivo definito nella sua testa. Avrei scommesso 100 dollari che quell'obbiettivo fosse per prevenire che io prendessi la palla. 
Misi la testa sott'acqua e nuotai un paio di metri per guadagnare una certa distanza fra di noi. Quando lo sentii sfiorare il mio piede, mi girai in avanti e cominciai a nuotare sul dorso, in modo da tenerlo d'occhio. Afferrò la mia gamba e mi riportò indietro con lui. Subito vidi i due ragazzi. Quello sulla destra era Frank. Lo riconobbi, ma il secondo ragazzo restava un mistero. Affondai i denti nella mano del difensore e nuotai lontano da lui. Frank riuscì a liberarsi da solo e tornò ad aiutare l'altro ragazzo. Mi unii a loro, ma non importava cosa avessimo fatto, non avremmo potuto liberarlo dal suo aggressore.
I miei polmoni stavano esplodendo, e non potevo restare sott'acqua ancora per molto. Nuotai in su per prendere aria, ma quando mi tuffai giù di nuovo, il ragazzo era ancora trattenuto. Frank era scomparso. Lo cercai con ansia e lo vidi. Stava annegando. Mi girai verso l'altro ragazzo. Un paio di secondi prima stava sgambettando debolmente, ma ora era immobile. Erano annegati entrambi. Non avevo salvato nessuno dei due.

***


Non poteva essere corretto. Il sogno era lo stesso, ma poi era diventato molto differente. In questo sogno erano annegati entrambi. Nel primo sogno avevo salvato Frank e l'altro ragazzo non era affogato. Decisi di parlare con Frank. Non gli avrei detto cosa era successo nel sogno. Ma sentivo il bisogno di parlare con qualcuno sul fatto che avevo avuto questi incubi.
“Cosa vuol dire che non sogni? Tutti sognano.” disse lui.
Io no!” risposi, esasperato.
“Bhè, evidentemente, sì.”
Alzai un sopracciglio e lui fece spallucce, un sorriso schivo affiorò sulle sue labbra. “Bene.”ammisi sconfitto e camminai fuori dalla nostra stanza, scontroso.
Vagai nella caffetteria, del tutto consapevole del fatto che era presto, e che non ero mai arrivato alla colazione così in anticipo. Ma quello stupido sogno mi aveva svegliato e non potevo riaddormentarmi. La caffetteria era vuota. Chiaramente nessun altro sia alzava così presto. Diedi un'occhiata di lato. Non avevano ancora servito la colazione. Le porte scorrevoli oltre il bancone erano ancora chiuse e bloccate.
“Gesù, è un po' presto per te, Gerard, non credi?” Ben rise mentre mi passava accanto. Si sedette al tavolo più vicino e aprì il quotidiano del mattino. Potevo sentire l'odore del suo caffè da qui.
Fanculo, avevo bisogno di caffè. Avevo bisogno di 
quel caffè.
Con noncuranza camminai oltre Ben e mi sedetti al suo tavolo. Mi guardò sorpreso. Sì, era qualcosa fuori dall'ordinario per me sedermi al tavolo di qualcun' altro ma... uh, era 
caffè, capitemi.
Guardò dove stavo fissando e ridacchiò. Avvolse le mani strettamente attorno alla tazza e la spinse verso il petto. “Non puoi averlo. Accettalo,” disse schiettamente.
“Per favore,” lo implorai.
Ben sobbalzò, in stato di shock. Suppongo che ne avesse tutto il diritto. Non avevo mai parlato con lui direttamente, mai.
“Uh, no! C'è la caffeina dentro.”
Oh, ma davvero? In nessuno modo? Non era mica la ragione per cui volevo quella dannata cosa.
“No, non puoi avere la caffeina, Gerard. Lo sai.”
Grazie per avermi informato, Ben! Sai in quale lavoro riusciresti splendidamente? Potresti essere una di quelle persone a cui telefoni per chiedere informazioni. Gli chiedi ogni tipo di domanda. Gli chiedi l'ora esatta, o cosa devi fare se si rompe un preservativo, o perché la tua torta di meringhe al limone non è come quella che Jamie Oliver fa in TV. Sono proprio 
coooosì informati. Ben ci sarebbe stato benissimo.
Dopo la colazione, fu deciso che invece del nostro quotidiano momento di 'riposo' avessimo il momento 'all'aperto'. Oh sì! Il momento 'all'aperto'! Ciò che avevo voluto per un sacco di tempo. Sì, ero così felice di andare fuori a correre. Lo sapete? Sarebbe stato meglio se avessi telefonato e avessi detto loro dov'ero e in quale stanza stavo, in modo da venirmi a prendere. Non potevo uscire fuori. Sarebbe stata una specie di pubblicità per 
loro. Non ero così stupido.
“Vieni a giocare, Gerard!” esclamò Ray, con la faccia arrossata. Faceva abbastanza freddo fuori, quindi tutti stavano ancora indossando i giacconi. Diversamente, il suo giaccone non lo aveva addosso. Arghh, volevo proprio risolvere il problema.
Scossi la testa e incrociai le braccia. Restai dov'ero. Fui toccato dall'idea che Ray avesse fatto un cambiamento speciale nel suo gioco del football, in modo invitare anche me. Cercai Frank. Lui era abbastanza coraggioso per avventurarsi all'esterno.
“Sei proprio un guastafeste.”
Grazie per averlo notato. Annuii, d'accordo con Ben.
“Per la prima volta da mesi il tempo è grandioso, la temperatura è perfetta e tu vuoi restare dentro imbronciato?” disse Ben astutamente.
Normalmente avrei abboccato, e mimato qualche tipo di insulto con le mani, ma quel giorno non potevo essere seccato. Ero stanco e preoccupato da quei sogni. Guardai fuori dalla finestra verso Frank, mentre vagava senza meta, evitando che gioco selvaggio del touch football* di Ray.
Bhè, era touch football per tutti eccetto che per Ray. Lui aveva appena fatto cadere Zach nel prato. Risi da solo quando a Ray fu ordinato un timeout di cinque minuti.
“Perchè non vai a farti una doccia ora?” suggerì Ben. “Questi ragazzi vorranno lavarsi dopo che hanno finito e tu dovrai combattere per tenerli fuori.”
Era davvero una buona idea. Perchè non ci avevo pensato?
Annuii assonnato. Forse una doccia fredda avrebbe potuto svegliarmi. Dato che non potevo prendere il caffè, l'acqua fredda sarebbe stata sufficiente. Ben mi condusse al blocco delle docce e aprì la porta. Normalmente avrebbe dovuto stare con me, ma nessuno era più preoccupato a guardarmi.
Come dicevo -Non mi sarei ucciso. Stavo ancora lavorando per quella cosa sull' intero significato della vita.
Versai lo shampoo sul palmo e mi insaponai i capelli umidi. Allontanai le mani e vidi diverse ciocche di lunghi capelli neri intrecciarsi nelle mie dita. Grandioso, ora stavo facendo la muta. La mia settimana stava andando di meglio in meglio.
La porta della doccia si aprì nel momento stesso in cui mi stavo lamentando e alzai lo sguardo, sorpreso. Ben non poteva essere tornato. No, tutti mi lasciavano da solo quando ero lì.
Frank scattò nella doccia, sembrando un uomo in missione. Stava camminando con le mani in avanti, i palmi rivolti verso l'alto. Si fermò per un momento e le agitò disperatamente. Dal modo in cui si muoveva, potei dedurre che aveva preso qualcosa fra le mani che lo aveva sporcato. Si tolse la maglietta e stava per togliersi i pantaloni, quando si guardò attorno e mi vide.
La sua bocca si aprì in un espressione di orrore. La mia bocca di aprì in un espressione di incredulità. Mio Dio, Frank aveva un bellissimo corpo. Lui istantaneamente fece per coprirsi il torso, ma non poteva permettere che le mani sporche andassero in contatto con la sua pelle. Mi stava fissando (ero nudo, ricordate?) come un cervo catturato dagli abbaglianti. Lo fissai anche io, e non potei fare a meno di notare che i suoi occhi guardavano in basso. Mi stava evitando. Ero stato preso alla sprovvista. Mi allontanai da lui, divertito ma non imbarazzato. I miei capelli avevano ancora bisogno di essere risciacquati e trattati; non sarei andato da nessuna parte. Spostò lo sguardo anche lui, la faccia di un rosso ardente. Potevo vederlo dall'angolo dell' occhio ed ero intensamente interessato a vedere cosa avrebbe fatto. Sicuramente non avrebbe voluto essere nudo con un altro uomo attorno, dopo quello che gli era successo.
Chiusi gli occhi per accertarmi che la schiuma non li bruciasse e mi sciacquai i capelli. Mi tirai indietro e aprii l'acqua calda. L'acqua fredda era troppo da sopportare, con quel tempo. Una volta che aprii gli occhi fui sorpreso di vedere Frank a due docce di distanza lavarsi con fervore.
Lo fissai. Sapevo che era sbagliato. Ma era così bello. Tutto di lui. 
Come avrebbe mai potuto qualcuno fare del male a qualcosa di così bello? Avrei scommesso che i suoi stupratori avessero strappato le sue ali di farfalla quando erano piccoli. Ora sapevo a cosa assomigliasse. I miei occhi percorsero il suo corpo avidamente, con uno sguardo. Istantaneamente memorizzai ogni contorno e ogni increspatura del suo piccolo corpo. Era una cosa sbagliata e io lo stavo strumentalizzando, ma non riuscivo a staccarmi. Era così bello.
“Non guardarmi!” comandò Frank e io non ebbi altra scelta che ubbidire.
Diedi un' ultima occhiata prima di spegnere la mia doccia, afferrando un asciugamano e scomparendo dietro l'angolo dello spogliatoio.
Ahimè. Era un bellissimo disastro**.

Dopo il nostro piccolo incedente, Frank continuò a ignorarmi per il resto della settimana. Era gentile e parlava con me solo quando era necessario (il che non era spesso), ma smise di sedersi al mio tavolo e nemmeno mi guardava più quando andavamo a letto la sera. Ogni volta che avevamo un contatto visivo (il che accadeva spesso) diventava tutto rosso e mi induceva a fare lo stesso. Quello che succedeva era che lui mi guardava, ma distoglieva lo sguardo quando lo guardavo io e vice versa. Ma eravamo tutti e due abbastanza lenti e non penso che entrambi fossimo realmente intenzionati a distogliere lo sguardo, quindi continuavamo il contatto visivo.
Dopo quella settimana ero stressato più di quanto non lo fossi mai stato. Ogni singola notte avevo lo stesso sogno, ma era sempre messo in atto differentemente. La terza notte salvai Frank ma non riuscii a salvarmi. La quarta notte salvai me e Frank. La quinta notte salvai me e Frank di nuovo, ma l'altro ragazzo annegò. L'unica cosa che sembrava consistente in questi sogni era il fatto che non importava cosa facessi, non potevo salvare il secondo ragazzo. 
Avevo provato ogni modo possibile, ma il sogno terminava sempre con lui che annegava, o che urlava disperatamente perchè lo aiutassi.

***

Frank si aggrappò a me disperatamente. “Ti prego, aiutalo,” mi urlò nell' orecchio appena mi sforzai di tenerli entrambi a galla. Annuii. Dovevo salvarlo, quel giorno. Frank lasciò andare la mia schiena e mi immersi sotto, nuotando fermamente verso quel povero ragazzo. Ero arrabbiato e posizionai i piedi contro il petto del suo avversario. Lo calciai via con tutta la forza che avevo. Il mio tallone contro il suo sterno lo fece crollare, rinunciando alla presa. Afferrai il ragazzino e nuotai con lui verso la superficie. Spinsi la sua testa fuori dall'acqua e lo trascinai alla fine della vasca. Come raggiunsi il lato della piscina, sentii una donna gridare. Il ragazzo mi fu strappato dalle braccia da un uomo sopra di me. Cercai di resistere, ma non ci riuscii.
Oh mio Dio! Michael!” La donna che avevo sentito urlare strinse il corpo del ragazzo sul suo grembo e cominciò a piangere.
Aspetta. Il ragazzo era morto? No! L'avevo salvato!!! Era vivo.
“Michael! Michael, piccolo, svegliati! E' la mamma. Svegliati Michael! Ti prego piccolo, svegliati. Apri gli occhi! Cosa gli hai fatto?”
L'ultima domanda era diretta a me. Non avevo fatto niente. Lo avevo salvato! Era salvo adesso!
“Come hai potuto, Gerard? Come hai potuto?” La voce frenetica della donna fu interrotta da soffocamenti e singhiozzi.
Come avevo potuto cosa? Di cosa stai parlando? Lo avevo salvato. Lo avevo salvato!

***


Oh mio Dio! Gerard? Stai bene?” Frank saltò dal suo letto mentre io cadevo dal mio e atterravo fracassandomi le ossa sul pavimento.
Mi sedetti, guardandomi attorno febbrilmente. Lo avevo salvato. Era vivo. Di cosa stava parlando la donna? Come avevo potuto cosa? Non avevo fatto nulla.
“Hai sognato di nuovo?” chiese lui con ansia. Era rannicchiato dietro di me e sembrava estremamente preoccupato.
“Ho bisogno di parlare con Markman,” ansimai.
“Non puoi. Non vedrà nessuno oggi. Ha una specie di riunione importante.”
Lentamente recuperai il respiro, ma la mia mente era avvolta dall'esito del mio ultimo sogno. Ero spaventato adesso. La signora mi stava incolpando per qualcosa che non avevo fatto. Chi era quella signora? E chi diavolo era Michael?
Per la prima volta in tutta la settimana, io e Frank camminammo insieme per andare a fare colazione. Camminò con me fino alla caffetteria, prima di girare e tornare verso le docce. Era una cosa carina che si preoccupasse un po' per me, per essere sicuro che prendessi posto dove c'erano altre persone. Mi sedetti al mio tavolo, che era ancora vuoto. Tutti sapevano che non si dovevano sedere lì.
Perchè non avevo potuto salvare il ragazzino? Forse se io... no. Non avrebbe funzionato. Magari se avessimo nuotato verso la fine con il marcatore, o verso la parte bassa? No, no, no! Merda, era senza speranza. Come avrei dovuto salvarlo?
“Chiedo il permesso di sedermi,” alzai lo sguardo per vedere Ray raggiante verso di me. Stranamente, non sentii spuntare le mie solite sensazioni di risentimento. Anzi, il tentativo di Ray di imitare la comunicazione di un pilota con il controllo del traffico aereo, non mi esasperò come avrebbe dovuto.
Cosa c'era di sbagliato in me?
Incontrai gli occhi di Ray di nuovo, qualcosa che senza dubbio non facevo spesso, e annuii. Il suo sorriso diventò più ampio, se fosse possibile, e si sedette. Prima che potesse parlare, feci un salto. “Cosa faresti se stessi provando a salvare qualcuno, ma nonostante quello che fai, e nonostante quanto ci provi, non puoi salvarlo?”
Ray arricciò le labbra e sembrò che stesse pensando intensamente. Lo guardai con ansia. Quando non rispose, sentii insinuarsi di nuovo quel familiare senso di fastidio.
Gesù Cristo! Sapevo che sarebbe successo. 100 dollari che Ray stava pensando che quello fosse un rompicapo.Nel suo stupido piccolo cervello probabilmente stava provando a determinare se quella fosse una domanda a trabocchetto oppure no. Meglio ancora, probabilmente stava contando quante 's' o 'f' ci fossero nella frase. Stavo per abbandonare la domanda dalla conversazione, quando lui si sedette in avanti.
“Non ti preoccupare, Ray.E' una cosa stupida-.”
“Forse la ragione per cui non puoi salvarlo è perchè non deve essere salvato,” disse Ray, parlando lievemente e pesando le parole con attenzione.
Aggrottai le ciglia. Non si adattava. Certo che dovevo salvarlo. Gesù, Ray. Scossi la testa.
“No!” la sua voce si alzò, sicura di se'. “Pensaci! Tu hai detto che non importa quando duramente ci provi e non importa cosa fai, non puoi mai salvarlo, giusto? Bhè, suona come se lui non fosse destinato a essere salvato.”
Per la prima volta da sempre, mi trovai a non poter ribattere quello che aveva detto Ray. Volevo veramente sentire cosa volesse dire. Fantastico, c'era definitivamente qualcosa di sbagliato in me.
“Pensi?” chiesi, dubbioso.
“Bhè hai presente in Super Mario Bros 4 , quando arrivi al livello 10, il palazzo di fuoco? E tu 
pensi di dover salvare Peach, la principessa, ma non importa quanto ci provi, non riesci mai a raggiungerla?
Il mio cuore affondò.
“E tu spendi ore provando a sconfiggere Bowser e le guardie, ma appena ti avvicini appare una stupida trappola e muori? Continui a provarci, fino a quando non realizzi che non è lei che devi salvare, ma 
Yoshi! Il dinosauro verde,” spiegò Ray utilmente.
Annuii perplesso, chiedendomi se questo mi stesse portando da qualche parte. “Una volta che hai salvato Yoshi, quello corre davanti, smonta le stupide trappole e salva Peach per te!” Ray finì e mi guardò con aspettativa.
Ero ancora perplesso. Chi cazzo era Yoshi? Un dinosauro verde? Huh?!?
“Non ho capito,” mormorai.
Ray borbottò rumorosamente. “Quello che sto dicendo è una metafora per la tua situazione.”
Oh, wow! Perchè dici così? Ora ha tutto più senso. Grazie, Ray.
“Ok, adesso, fai finta di essere Mario,” disse.
Annuii.
“Oh! Oppure vuoi essere Luigi??” chiese improvvisamente.
Feci una breve risata. Luigi? Come lo chef dei Simpson? Ah-ah! Oh, merda. Ray non stava ridendo. Non era uno scherzo. Merda, um, Gerard sei un idiota! Svelto, scegline uno! Scegli! Mario o Luigi?
“Mario!” dissi frettolosamente.
“Ok, e Mario sia. Peach è il ragazzo che stai cercando di salvare. Non importa cosa fai, non puoi salvarlo, o salvarla.” Ray rise per la sua freddura. “Ora c'è la parte più importante -Yoshi. C'è qualcun altro nella situazione che potrebbe fare la parte di Yoshi?”
FRANK! Cazzo, anche quando Ray faceva risuonare la sua pazzia, era sempre il più ragionevole.
Forse dovevo concentrarmi a salvare Frank, perchè Frank era la persona destinata a salvare questo Michael... No, che cazzo. Non si adattava. Tutta questa cosa non aveva senso. Mario Bros?? Cosa stavo pensando? L' idiozia di Ray era filtrata in me.
Avevo davvero bisogno di parlare con Markman. Lei avrebbe saputo la risposta. Sapeva tutte le risposte alle mie domande. Bhè. Non tutte. La maggior parte. Alcune.
Ray sembrava soddisfatto della sua metafora e non avevo il coraggio di dirgli quanto fosse realmente assurda.
“Gerard, ora parliamo del perchè sono veramente qui,” disse Ray davvero seriamente.
Lo guardai. Oh certo, non si era seduto con l'intenzione di discutere di qualcosa che non fosse Mario Bros.
Ray si appoggiò sul tavolo. Mi indicò di fare lo stesso. Mi sporsi in avanti, attento a non lasciare che i nostri capelli si incontrassero. Non potevo permettere che i miei capelli venissero contaminati.
“Stai cercando di evadere?” sussurrò Ray, concentrandosi intensamente su di me.
COSA? Evadere? Forte.
“Puoi dirmelo. Stai cercando di scappare da qui?” gli occhi di Ray luccicavano di emozione e aspettativa.
Scossi il capo e vidi la sua testa cadere come un sassolino nell'acqua. Guardate, anche io sapevo usare le metafore. O era qualcosa di simile?
“Oh? Ma non stai per andartene?”
No. Scossi la testa.
“Trasferimento?”
Diavolo, no! Regnavo in quel posto. Cominciai a scuotere la testa violentemente.
“Ti congedano?”
Ahah, proprio no. Scusa Ray. Scossi la testa.
“Oh santo cielo,” disse lui, davvero avvilito.
“Perchè me lo chiedi?” domandai. Forse qualcuno stava parlando di me dietro la mia schiena.
“Bhè, ho avuto una specie di messaggio questa mattina...” si spense.
Oh per favore. Mi alzai. Avevo bisogno di andare via da quel maniaco.
“Ma i miei cereali di solito sono precisi,” borbottò Ray.
Dovetti mettermi un pugno in bocca per non scoppiare a ridere. Bhè, non letteralmente. Non possedevo questo talento. Bob sì però. Me l'aveva fatto vedere. Comunque era abbastanza sgradevole. Corsi fuori e mi nascosi in una rientranza. Una volta fatta uscire fuori la risata, ero di nuovo me stesso.
Ben mi fermò prima che potessi andare troppo lontano. “E' il momento della ricreazione,” mi disse.
Oh, davvero? Non ne avevo idea. Ero stato qui per soli 30 mesi! Pensavo di sapere l'intero programma ormai. Guardate, sarebbe stato veramente utile come uno di quegli informatori a cui telefoni col cellulare.
“Bagno,” mormorai.
“E' da quella parte,” mi informò Ben e mi condusse lontano da dove volevo andare. Camminai fino a quando fui fuori dalla sua vista e mi sedetti aspettando che lui si muovesse. Perchè doveva essere in servizio proprio ora?
Non ci volle molto per fargli lasciare il posto. Ricevette una chiamata d'aiuto da Zach per calmare una certa ragazza matta.
Mi precipitai in avanti verso la porta di vetro che separava il dove ci era permesso andare da dove non ci era permesso andare. Le mie dita tremarono un po' mentre inserivo il codice di sicurezza. 64593. La piccola luce che originariamente era rossa, improvvisamente divenne verde e sentii un silenzioso ticchettio. Era sbloccata. La aprii e scivolai dentro.
Mentre camminavo in avanti cercando Markman, mi ritrovai a ghignare. Sapevo che il codice della porta sarebbe stato corretto. 
Sapevo certe cose, ricordate? Non esistevano colpi di fortuna, quando si parlava di Gerard.
Mi diressi verso la sala conferenze. Sentii delle voci lontane e seppi di essere nel posto giusto. C'era in corso un dibattito abbastanza animato. Mi sentivo un po' ansioso nel camminare in una stanza piena di strane persone. Questo era un posto che non potevo avere sotto controllo. Forzai le mie mani a girare il pomello e aprii la porta.
La maggior parte delle voci si spensero immediatamente. Un gruppo nel mezzo continuò a discutere vanamente, non notando la mia presenza. Markman era in mezzo a quel gruppo. Lentamente realizzarono che qualcosa era cambiato, si zittirono e si guardarono attorno.
Markman sembrò tirare fuori gli occhi dalle orbite quando mi vide.
“Gerard?!” esclamò, facendo cadere la cartella che stava sventolando in faccia all'altro uomo un momento prima. “Cosa ci fai qui?”
“Continuo ad avere sogni,” le dissi, ignorando gli occhi stralunati.
“Non puoi essere qui. Come diavolo hai fatto a superare la porta?” si precipitò verso di me, diventando leggermente allarmata.
Scansai la sua domanda. Non era importante. “Continuo ad avere sogni,” ripetei.
“Tutti quanti sognano,” sibilò. Afferrò il mio braccio e bruscamente mi portò via dagli altri colleghi. “Chi hai ucciso per entrare qui?” domandò.
Ero scioccato. Era seria? Era seria. Gesù, ecco un modo per sconfiggere un uomo. “Non ho ucciso nessuno,” dissi, inorridito. “Ma in questi sogni c'è un ragazzino che non importa quanto ci provi, non riesco a salvarlo.”
“Jillian, questo è un paziente?!” La voce era estremamente arrabbiata. “Chiamo la sicurezza.”
“No!” esclamai e mi liberai dalla stretta di Markman. Perchè non voleva ascoltarmi? “Io ci provo e ci riprovo a salvarlo, ma lui annega sempre. Pensa che non sia io che lo debba salvare, o qualcosa del genere?”
“Come ha fatto un paziente a entrare qui?”
Continuai a parlare. Fregandomene di tutti gli altri. Avevo bisogno di risposte. “La notte scorsa sono riuscito a salvarlo, ma in un certo senso no, perchè lui apparentemente era morto lo stesso. Ma lui non era morto, capisce?”
“E' così che gestisce l'impianto, Jillian? Lasciando che i pazienti corrano in preda a una furia omicida?!”
Continuai. “Sa cosa dovrei fare? Dovrei salvarlo? Concordare quella signora sul fatto che gli ho fatto qualcosa? Ma non penso di avergli fatto qualcosa.”
“Fatelo uscire di qui!”
“GERARD!” mi urlò Markman. Rimasi zitto e la guardai in attesa.
La stanza eruttò. “Quello è Gerard?”
“E' molto più giovane di quello che pensavo.”
“Pensavo che non parlasse.”
“Tu sei 
il Gerard?”
“Non si assomigliano per niente.”
Supplicai silenziosamente Markman ma lei era fuori dalla mia portata adesso. Era diventata tutta rossa ed ero certo che quei testimoni fossero la sola ragione per cui ero ancora vivo. Probabilmente l'avevo proprio mandata in rovina. Scommisi che adesso mi avrebbe privato di tutti i miei benefici. Merda, mi piaceva fare di testa mia.
Due guardie arrivarono sulla porta. Quello più vicino mi afferrò, ma lo scansai via. Balzai sul tavolo delle conferenze solo per scappare da loro.
“Gerard, ti prego, scendi,” implorò Markman.
“Allora mi ascolti!”
“Sono solo sogni!” mi urlò di nuovo.
Le due guardie presero la malaccorta decisione di salire sul tavolo dietro di me. Fermamente si mossero in avanti. Le donne urlarono e tutti corsero per spostarsi dal tavolo.
La stanza era in subbuglio mentre io correvo dappertutto per scappare dalle guardie. Non erano cattive, ma decisamente non avrebbero dovuto seguirmi sopra il tavolo. Saltai sulla fine e corsi fuori dalla porta. Il secondo uomo lesse i miei movimenti e cercò di afferrare il mio polso sinistro, mentre lo sorpassavo. Reagii istintivamente torcendo la parte superiore del corpo e tentando di usare il mio peso per liberare il polso dalla sua morsa. Poi pensai che sarebbe stata un' idea fantastica scagliare il polso destro attraverso la vetrata colorata della porta.
Il rumore fu quello che mi spaventò di più. Non avevo realizzato che le finestre dai vetri colorati potessero rompersi così rumorosamente. Cocci colorati volarono ovunque e furono presto accompagnati da gocce di sangue. 
Il mio sangue! Ce n'era tantissimo.
La stanza si raggelò improvvisamente e diventò silenziosa. Strinsi il polso. Oh merda, faceva male. Dolore, tanto e tanto dolore ardente. Oh mio Dio c'era un enorme frammento di vetro che spuntava sulle mie nocche! Oh mio Dio.
Markman corse verso di me e molto sensibilmente avvolse un tovagliolino da tè attorno al mio palmo e al mio polso. Rimase incastrato in molti posti dove c'erano i pezzi di vetro conficcati nella mano. La sua di mano traballava mentre lo avvolgeva.
Dovetti usare tutto il mio autocontrollo e orgoglio per non urlare ogni volta che tirava fuori un pezzo di vetro.
Se ci fosse stato un Dio, mi avrebbe fatto svenire proprio in quel momento.
“Solo sogni, Gerard.” ripetè, la sua voce vibrava.
Sentii lacrime di dolore scendere dagli occhi e lottai per tenermele dentro fieramente. Io non piangevo. Piangere era una debolezza.
“Ma se sono 
solo sogni, allora chi è Michael? Cosa gli ho fatto?” dissi disperatamente, con la voce strozzata.
Markman lasciò cadere il mio polso come se la stesse bruciando. Poi si staccò da me come se io l' avessi minacciata. Si strinse le mani sulla bocca e mi guardo come non aveva mai fatto prima. La stanza semplicemente esplose dopo ciò.
Confusamente la vidi lasciarsi cadere in una sedia. Oh Gesù, ora Dio si stava rimettendo in pari con me. L'avrei perdonato per aver fatto tutto quel ritardo, perchè ero un ragazzo che perdonava sempre, sapete?
Santo cielo, sperai che qualcuno mi prendesse. Non era così convenzionale come sembrava.

 

 

Note di traduzione:

* il touch football è un gioco simile al football americano.
** la frase originale era "He was such a beautiful disaster", ma spero concordiate con me sul fatto che in italiano non rende proprio ç__ç 

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Capitolo 6
*** 6. ***


A SPLITTING OF THE MIND

***

 

 6.

It is not a lie, it's a terminological inexactitude.








Bhè, se c'era una cosa di cui ero certo nella vita, era che non mia piaceva questa cosa dell'isolamento. Voglio dire, a chi sarebbe piaciuta?
Per prima cosa, era veramente, veramente, veramente noiosa. Così noiosa che nessuna parola avrebbe mai riassunto quanto lo fosse. Mai.
Non potevo evitare di chiedermi se fosse una punizione o cosa. Lo presumevo per colpa del piccolo incidente nella sala conferenze. Non era davvero andata nel modo che volevo io. Uno, ero finito in una stanza totalmente bianca con le pareti imbottite. Questo non era davvero nel mio piano originale, posso assicurarvelo. E due, non avevo sicuramente programmato di scagliare la mia mano contro la finestra. Nella frazione di secondo in cui l' avevo deciso, sembrava un' idea favolosa.
Non era un'idea favolosa.
Faceva male.
Difatti faceva ancora male. Non aiutava nemmeno il fatto che fosse la mano destra. Solo adesso realizzavo quanto la usassi. Inoltre avevo appena scoperto come ci volesse un millisecondo a fare il più lieve dei movimenti per sentir divampare il dolore.
La fasciatura cominciava da metà del braccio, copriva il polso e le nocche prima di terminare sulle dita. Era molto particolare vedere i mozziconi delle dita spuntare da sotto la benda spessa e pesante. Sembrava come se avessi un bastone alla fine del braccio. Un bastone bianco che puzzava di disinfettante e medicine, ma comunque un bastone. Mi piaceva far finta di essere un supereroe, e far finta che il mio superpotere fosse la capacità di sparare piccoli bastoni dalla fine della mano.
Sì, era davvero facile annoiarsi in quel posto.
Ma era questo che non capivo. Era un istituto mentale, giusto? Per quanto ne sapessi, un istituto mentale si presupponeva che aiutasse a migliorare la sanità mentale dei suoi pazienti. Quindi perché avevano l'isolamento? Se c'era qualcosa che poteva far diventare qualcuno matto, era una desolata stanza bianca, senza finestre ne' porte. Oh, e non dimentichiamoci la completa e assoluta solitudine. Non vedevo nessuno da giorni. O erano settimane? Non c'era il senso del tempo lì. Quindi sì, pensavo che lo scopo della camera di isolamento NON fosse produttiva proprio per niente. Semmai fosse servita a qualcosa, era per progettare di rendere le persone ancora più pazze.
Mi domandavo perché avessero scelto il bianco. Di chiunque fosse stata l'idea, non era stata molto buona. Il bianco era così sconcertante. Voglio dire, l'unico colore in quel posto erano i miei capelli neri. Era divertente, quel posto era così bianco che una semplice ciocca dei miei capelli risaltava come un ragazzo in uno spogliatoio femminile. Pensavo che fossero i muri e il pavimento bianco a far dare di matto le persone. Immaginate se ci fosse stato un recinto rosa o un recinto blu. Sarebbe stato abbastanza rilassante. Ma no. Avevano scelto di usare il bianco.
Scesi dal letto e mi sdraiai sul pavimento. Mi appoggiai sulla schiena, con le braccia stese, e alzai lo sguardo verso il soffitto. Non c'era nemmeno nessun segno o una vite lì, per me contavano. Ora pensavo che volessero veramente rendere le persone più pazze mettendole in isolamento.
Avevo sempre bisogno di qualcosa da fare. Avevo bisogno di disegnare. O al massimo guardare qualcosa e pensarci su. In quei giorni, o settimane, in cui ero stato confinato in quella 
prigione, avevo pensato ogni singolo pensiero che potesse essere pensato, riguardo ogni singola cosa in quella stanza.
Sì, avevo anche pensato al sesso. Non ci pensavo molto. Non sapevo veramente come fosse. Non l'avevo mai fatto prima. Non è che non mi interessasse. Era solo che avevo le più grandi preoccupazioni nella mente, che sorpassavano di molto il semplice impulso umano di fare sesso.
Mi chiesi dove fosse la porta. C'era una fessura nella parte inferiore del muro di fronte a dove stavo io, da dove passavano il cibo, ma era piccola. La mia mano di bastone sarebbe stata troppo grossa per entrarci. Forse quando mi avessero nutrito la volta seguente, avrei potuto chiedere quando sarei potuto uscire fuori. O avrei potuto solo chiedere della stanza. Sapevo che potevano vedermi. C'era una piccola telecamera nascosta nell'angolo oltre il bagno. Bhè, ipoteticamente nascosta. Ma sapevo che era lì. Mi chiesi se potessero sentirmi.
Rimasi direttamente nella mira della telecamera e cominciai a parlare. Parlai della mia mano e di quanto mi facesse male e di come un paio di antidolorifici non avrebbero funzionato. Poi chiesi che giorno fosse. Dissi alla telecamera che ero completamente sconcertato riguardo a quanto tempo e quanto a lungo ero stato lì. Poi chiesi di uscire. Promisi anche che non sarei mai più andato dove non dovevo andare. Ci giurai per dimostrarlo.
Nessuna risposta.
Stupidi stronzi.
Dopo questo decisi che l'unico modo per avere un po' di attenzione era fare qualcosa di drastico. Avevo abbandonato l'idea di parlare con la telecamera almeno dieci pasti prima, che presumevo fossero cinque giorni. Ora, decisi, mi sarei affamato. Il vassoio fu spinto attraverso la fessura della parte inferiore del muro e lo presi. Ma poi presi il bicchiere d'acqua e lo rovesciai in un angolo. Il piatto di cibo andò nell' altro angolo. Le inconsistenti posate di plastica che si rompono anche se le guardi andarono nel mezzo. Poi aspettai il pasto successivo. Quando arrivò classificai ogni cosa nel rispettivo angolo e usai i due vassoi per divertirmi un po'. Mi alzai e misi ciascun piede su un vassoio e poi provai a 'sciare' attraverso la stanza. Non funzionava tanto bene perché la stanza era lunga solo pochi passi, ma c'era potenziale.
Non passò molto tempo prima che avessi abbastanza vassoi per cominciare a costruire un castello.
Ma non potevo giocare a fare l'architetto ancora a lungo. Stavo cominciando davvero a sentire il mal di testa e lo stomaco mi faceva male. Mi arrampicai sgraziatamente sul letto e svenni.
Quando mi svegliai, la stanza era spoglia. Dannati! Avevano preso il mio gioco e i miei blocchi da costruzione. Bhè, pensai che non era presupposto divertirsi in isolamento.
Nel successivo pasto che entrò, c'era una piccola nota di accompagnamento. Diceva: 'Mangia o metteremo un tubo nella tua gola che mangi al posto tuo.'
La nota semplicemente urlava MARKMAN! Era una tale stronza sarcastica a volte. In più era l'unica che sapesse come farmi credere alle sue minacce.
Doveva essere ancora molto arrabbiata con me.
Comunque non capivo il perché. Doveva essere una cosa da ragazze.
Trovai anche dove fosse la porta. Sfortunatamente, non la trovai da solo.
Stavo disteso sul pavimento, facendomi gli affari miei, quando un'intera sezione di muro scomparve improvvisamente. Il modo in cui la luce esterna entrò dentro e le sagome delle persone la facevano sembrare una scena da film. Ve lo sto dicendo, era perfetto. Tutto ciò di cui avevano bisogno era il fumo e sarebbe stato degno di Oscar. Accidenti, avrei voluto che i miei occhi avessero delle telecamere. Ovviamente loro non apprezzavano la bellezza artistica di ciò che avevano appena creato. Mi dissero solo di alzarmi e di seguirli . Diventai tranquillo. Ero proprio felice di vedere un altro essere umano. Ero così sicuro che si fossero dimenticati di me.
In base al modo con cui stavano stringendo il mio braccio, ipotizzai che loro pensassero che avrei cercato di fuggire via non appena fossi uscito da quella maledetta stanza. Bhè, a essere onesto, lo stavo pensando. Ma non ne sarebbe valsa la pena. E per di più, ero abbastanza sicuro di essere sulla strada giusta per vedere Markman. Avevo aspettato per confrontarmi con quella donna malefica per tantissimo tempo.
In altre parole, significava che avevo avuto un sacco di tempo per pensare a Michael.
Era divertente; effettivamente mi importava di questo ragazzo come se lo conoscessi o qualcosa del genere.
I miei pensieri furono interrotti quando arrivai all'ufficio di Markman. Non ero mai arrivato al suo ufficio da quella direzione prima e ne fui sorpreso. Uno dei miei accompagnatori bussò cortesemente alla porta. Roteai gli occhi. Gesù, avrei proprio voluto far irruzione nel mio solito modo. Una volta che Markman ci invitò dentro, improvvisamente realizzai di essere nervoso. Forse ero un po' preoccupato di ciò. Sapete, solo un po'.
“Abbiamo 
molto di cui discutere.”
Feci uno sbaglio a guardare nella direzione della voce.
Oh Gesù.

Quello sguardo!
Questo era tutti gli 'sguardi Gerard' mai gettati su di me riuniti in uno solo e moltiplicati per circa settecento. Aspettate, faceva settecento milioni.
Indicò la sedia dall'altra parte della scrivania. Mentre mi facevo strada lentamente, lei congedò i miei accompagnatori. Improvvisamente non volevo che se ne andassero. Avevo bisogno di testimoni per la mia morte!
“Come hai ottenuto il codice della porta, Gerard?” il tono di Markman indicava che lei era dannatamente seria.
Strinsi le spalle e mi alzai rabbiosamente.
“Hai minacciato qualcuno del mio personale?” domandò.
“No.” Pensavo che la mia voce potesse calmarla un po'. Avevo una voce piuttosto tranquilla. Avrei potuto fare cantante, se avessi voluto.
“Hai ricattato qualcuno del mio personale per farti dire il codice? O hai chiesto loro di 'dimenticare' opportunatamente di chiudere la porta?"
“No,” risposi in completa onestà.
La furia originaria di Markman si era un po' sbollita adesso. “Hai ottenuto il codice da qualche altro paziente?”
“No.”
“Qualcuno del mio personale ti ha minacciato o ricattato? Se sta succedendo qualcosa, Gerard, ho bisogno di saperlo. E' l'unico modo in cui potrei essere capace di aiutarti.”
“No, niente del genere.”
“Allora come hai fatto a entrare dalla porta, Gerard?” chiese Markman, esasperata e completamente sconcertata.
Capivo che lei fosse confusa. Il mio cervello era una cosa abbastanza eccezionale. Per quale altro motivo 
loro avrebbero voluto cercare i segreti che c'erano dentro? Non mi aspettavo che Markman capisse.
“Sono andato fino alla porta e ho inserito il codice. 64593. Questo è il codice. Questo è quello che è sempre stato. Non so come facevo a saperlo. Soltanto sapevo il codice. L'ho immesso, la luce è diventata verde e mi ha lasciato entrare. Soltanto sapevo che era 64593.” Pensai che fosse una spiegazione piuttosto chiara.
Markman si sedette pesantemente nella sua costosa sedia di pelle. “Non riesco a capirti. Non riesco proprio a capirti,” disse semplicemente, guardandomi con puro stupore. “perché dovevi capitarmi proprio tu, non lo so. Cosa ho fatto per meritarmi questo?”
“Ha imbrogliato al suo esame di fisica dell'ultimo anno,” proposi.
Markman alzò lo sguardo acutamente. “Cosa?” disse con sospetto.
Odiavo davvero ripetermi. Sospirai. “Lei ha chiesto cosa avesse fatto per meritarsi questo e io ho detto che probabilmente è perché lei ha imbrogliato all'esame di fisica dell'ultimo anno.”
Il silenzio era agghiacciante. Non solo non si sentiva cadere un solo spillo, ma nemmeno un capello.
“Oh, e suppongo che tu soltanto 'lo sappia', dunque” disse Markman con voce strozzata.
Bhè...sì! No, avevo fatto un'ipotesi. Certamente lo sapevo. Sapevo certe cose. Comunque avevo ragione, non è vero?
“So certe cose,” specificai astutamente.
“Ok! Sai, Gerard, sto cominciando a pensare che non sia tu ad aver bisogno di protezione dal mondo. Sto cominciando a pensare che sia il mondo ad aver bisogno di protezione da te.”
Mi accigliai. Non capivo. “Che cosa vuole dire?”
Scosse la testa, respingendo quell'affermazione. Questo mi faceva arrabbiare. Non poteva dire una cosa del genere e poi non elaborarla. La guardai ferocemente, infuriato. Ero così stufo che non mi venisse detto niente. Non ero più un bambino. Era sempre 'non vorresti saperlo' ho ' non hai 
bisogno di saperlo'. Sì, volevo fottutamente sapere! Altrimenti non avrei fatto la fottuta domanda per primo. Pensate che non volessi leggere i miei file? Certo che volevo leggere i miei fottuti file, erano i miei fottuti file!
“Non mi dite mai niente!” schioccai.
“Sì, io lo faccio,” rispose, provocandomi.
Il mio cuore sobbalzò. Questa poteva essere la mia occasione. Mi sedetti in avanti avidamente. “Allora chi è Michael?” chiesi impaziente.
Le mie aspettative svanirono fra i due millisecondi in cui feci la domanda. perché mi fossi preso la briga di tenerle ancora alte, non lo sapevo. Ma quando mi diede la risposta, le persi. No potevo accettare di udire ciò. Non dopo due fottuti anni spesi a sentire la stessa cosa.
“Io non posso dirtelo.”
Sì, era così. Le stesse quattro parole più fottute che avessi mai sentito in tutta la mia vita. Me le disse di nuovo; proprio dopo che si era difesa dalla mia accusa del fatto che non mi diceva mai niente.
Con rabbia, sbattei la mia mano sana sul suo tavolo. Markman sobbalzò e mi guardò cautamente. “Perché non può dirmelo?” urlai.
“Perché non posso,” rispose.
“Non me lo sto inventando! Lui è reale!” insistetti. Ero stato preoccupato del fatto che forse, solo forse, fosse soltanto un ragazzo nella mia testa.
“Ti credo, Gerard. Lui è reale.” Lo faceva suonare come se ammetterlo fosse intensamente doloroso per lei. “Ma non posso dirti chi sia.” Ora stava finendo la conversazione con quell'aria di definitività che possedeva sempre. Comunque, la sua riluttanza nel non dirmi nulla mi faceva capire che c'era qualcosa di grande riguardo quel ragazzo. E sapevo di essere proprio nel mezzo di ciò. Volevo solo sapere 
cosa fosse ciò in cui ero in mezzo.
“Ma 
perché non può dirmelo?”
Markman chiuse gli occhi per un momento e fece un profondo respiro. Non l'avevo notato prima, ma sembrava indubbiamente esausta. Aveva occhiaie scure sotto gli occhi e la sua faccia era molto pallida e tesa. Mi chiesi se questo avesse qualcosa a che fare con me.
“Non posso dirtelo, Gerard, non perché non voglia, ma perché non mi è permesso. Penso che tu e diverse altre persone potreste beneficiare di questa informazione, ma non ho la libertà di rivelarti nulla.”
Ohhh, non aveva la libertà di rivelarmi nulla! Oh bhè, questo rendeva tutto migliore, non è vero? Scommetto che c'era un grande uomo cattivo che veniva da Mario Land e le aveva detto che non le era concesso di dire nulla al povero Gerard.
“Visto che siamo in tema, come sta la tua mano?” chiese Markman debolmente.
Ma che cazzo? Non eravamo 
'in tema'. Essere 'in tema' era come parlare di scuola, riassumendo le vacanze di primavera e poi chiedendo in quale college sarebbe andato Jonny. Stavamo parlando di qualcosa di completamente differente.
Ma, a proposito della mia mano... faceva male! Faceva veramente, veramente male. Un po' di morfina sarebbe stata apprezzata. Ma non dissi niente di questo. Invece mi sedetti in avanti e incrociai le braccia con aria di sfida sul petto. Se non mi aveva parlato per settimane, o mesi, quando ero in reclusione, forse potevo smetterla di parlare con lei. Non era particolarmente difficile. Lo avevo fatto per due anni, nessun problema.
“Non ricominciare di nuovo,” mi avvertì Markman.
Oh sì? Mettimi alla prova.
Mi conosceva troppo bene. Buona cosa che la conoscessi anche io. Strinsi gli occhi e la fissai insolentemente.
“Quanto stai soffrendo?”
Grandioso, stava iniziando con le domande a tempo indeterminato. Mi avrebbero fatto parlare di certo. La ignorai. Lei mi aveva ignorato e mi aveva lasciato a marcire, o perlomeno a diventare pazzo, in una piccola stanza bianca per settimane; pensavo di meritare una piccola vendetta.
Studiai le mie unghie. Erano abbastanza danneggiate. Le avevo rosicchiate parecchio, di recente. Pensai di averle masticate tutte nelle prime 
ore in cui ero stato in isolamento. Odiavo davvero essere annoiato. Ci sarebbe voluto un po' prima che fossero ricresciute di nuovo correttamente .
Potevo vagamente sentire Markman che parlava in sottofondo, ma 
non potevo sentirla! Proprio come lei non poteva sentire me.
Una cosa che disse mi filtrò attraverso e mi riempì di terrore.
“Abbiamo iniziato a somministrarti il Clozapine.”
Non era ne' una domanda, ne' una minaccia. Era un' affermazione. Ma oh merda. Merda merda merda. Fanculo fanculo fanculo. Neanche per sogno avrei fatto un esame del sangue ogni settimana. Balzai in avanti e afferrai la penna e il foglio più vicini. In enormi, arrabbiate lettere maiuscole scrissi: 'NON ERO CONSENZIENTE!!'
Aggiunsi anche due punti esclamativi. Sapevo dalle esperienze passate che due punti esclamativi o una sottolineatura erano più efficaci. Con Ray perlomeno. Una volta che finii, realizzai che non era così efficace come speravo che fosse. Per prima cosa, credevo che fosse praticamente impossibile capire la mia scrittura. Non ero mai stato bravo a scrivere con la mano sinistra. Avrei ucciso per essere ambidestro in quel momento.
Lei alzò le spalle e proprio allora capii quanto fosse fottutamente fastidioso quando qualcuno lo faceva.
“Non ho avuto bisogno del tuo consenso, Gerard. Sono la tua dottoressa; Mi è permesso prescriverti qualunque medicinale che penso possa farti bene. Nella mia opinione medica, il Clozapine è la migliore medicina per te, al momento.” Stava prendendo piacere dalla mia paura e dal mio terrore. Era veramente una stronza corrotta. Ma era brava a leggere la scrittura disordinata. Glielo concedevo.
Scrissi: 'non lo prenderò.' Bhè, piuttosto scrissi qualcosa che assomigliava a queste parole.
Lei sorrise. “Non lo stai ancora prendendo. Penso che dovrai fare il prossimo esame del sangue... Venerdì. Oggi è lunedì.” mi informò utilmente.
Ahhhhhhhhhhhh, merda! Ora avrei cominciato ad aver paura dell'arrivo del venerdì. Non sarei mai più stato capace di vivere un giorno normalmente. I giorni sarebbero stati costantemente tormentati dalla paura degli aghi che mi bucavano le braccia per prendere il 
mio sangue. Sentii la pressione del sangue che cominciava a salire.
Ero nel panico. Ero spaventato. Non ero mai stato così spaventato da quando il tetto era cascato e pensavo che 
loro mi avessero trovato. Non potevo sopportare gli aghi. Gli aghi davvero, davvero mi mettevano sotto tensione. Non l'avevo realizzato, ma avevo cominciato a sudare freddo. Strinsi strettamente i braccioli della poltrona di pelle, pienamente consapevole che le mie braccia stessero tremando.
Le punte immaginarie. Potevo vederle adesso. Le cupe punte immaginarie posate sopra le vene nel mio braccio, aspettando di immergersi e scavarci dentro.
Mi rannicchiai indietro, il sudore che scivolava dalla pelle con un umido suono di 'slurp' . Markman venne verso di me. Sembrava abbastanza preoccupata. Faceva bene ad essere preoccupata! Mi aveva mandato in questo attacco di panico!
Mi rannicchiai ulteriormente e vomitai violentemente su tutto il tappeto. Markman non aveva reagito molto. Anzi, veramente era tornata indietro e aveva cominciato a maneggiare con il suo Blackberry.
Mi lanciai dalla sedia, il turpe sapore di vomito e bile ancora nella mia bocca. Non sapevo cosa fare. Era come tutta la questione della 'mano attraverso la finestra'. Non stavo pensando. E poiché non stavo pensando, afferrai il primo oggetto che trovai. Era un antico vaso e si ruppe in un milione di pezzi. Con un movimento avevo potuto frantumare 150,000 dollari sul pavimento.
Markman era ancora perfettamente in piedi. Non credo che volesse vedermi rompere il suo vaso da 150,000 dollari sul pavimento.
“Prima che tu distrugga le mie cose, fatti dire una cosa,” disse lei lievemente e uniformemente. “Dopo di quello che è successo nella sala conferenze di fronte al ministro Helter, sento di doverti avvertire. Sei così vicino,” sostenne le dita per farmi vedere. Il suo pollice e il suo indice si univano per formare una 'O'. Era tipico di quando un genitore voleva ammonire un bambino che si era comportato male. Guardai obliquamente le sue dita e realizzai disgustato che erano premute strettamente insieme. Non avevo più possibilità. Non ero vicino, ero lì.
“Sei 
così vicino a Greenwood. Ti prego, non prenderla come una minaccia, Gerard. Questo è il miglior avvertimento che possa darti. Fai il bravo.”
Il mio stomaco cadde proprio come il vaso. Ma invece di rompersi inoffensivamente sul tappeto, fece un rumore sordo.
I miei accompagnatori erano tornati e mi avevano preso, gentilmente questa volta, per le braccia e lentamente mi avevano portato fuori. Mi girai per guardare Markman. Non capivo. Non poteva essere seria. Non potevo essere così vicino all'andare a Greenwood.
Greenwood non era il tipo di posto dove andavano i ragazzi come me. La riguardai disperatamente, implorandola in silenzio. Avevo solo bisogno che mi dicesse che non era vero. Non potevo andarmene da lì- Non potevo andare a Greenwood.
Non avevo fatto niente di male.
Tutti sapevano che Greenwood era un posto per pazzi. Ma non solo per pazzi.
Per pazzi 
criminali.
Non avevo fatto niente di male.

 

***
 


Pensai che mi stessero portando di nuovo in isolamento, ma invece fui accolto nell'infermeria. C'ero stato un paio di volte, ma non ci avevo mai passato la notte. Era così serena. Era vuota, tanto per cominciare.
Potei anche scegliere il mio letto. Era bello riprendere un po' di controllo.
L'infermiere era un giovane ragazzo che sembrava appena uscito dall'università. Era troppo allegro, ma perlomeno significava che non era un incallito vecchio diavolo che seguiva le regole alla lettera. Si offrì di portarmi un po' di cibo, ma rifiutai. Ero ancora molto nauseato e avevo fatto l'errore di guardarmi attorno mentre ero entrato. Chi diavolo metteva le siringhe negli armadi di vetro, in modo che tutti le vedessero?
Mi raggomitolai a mo' di palla sotto le coperte pesanti, sentendomi assonnato, ma anche molto sveglio. Abbracciai la mia V-Bag sul petto, sperando di non averne bisogno. Mi piaceva che l'avessero classificata così, chiamandola V-Bag. Sicuramente suonava molto meglio di sacchetto per il vomito.
Poi feci l'errore di pensare. Avevo evitato di pensare a questa cosa molto a lungo. Infatti, prima, mentivo veramente quando dicevo di aver pensato ogni pensiero che potesse essere possibilmente pensato in isolamento. Mi ero impedito fisicamente di pensare a 
lui.
Quando sei stressato o quando soffri, puoi andare avanti giorni senza pensare a nulla. E' un'altra delle cose misteriose del cervello umano. E' un po' come la cosa dei ricordi. E' quando le persone si stressano che dimenticano le cose semplici come l'igiene di base o come si ride. E' lo stesso di quando sei malato. Dimentichi il compleanno di tua sorella o che il cane ha bisogno di essere vaccinato.
Comunque, quando sei estremamente annoiato, le cose sono un po' differenti. Credo di aver bisogno di offrire un concetto totalmente differente di quello che succede quando una persona è estremamente annoiata.
Per molto tempo, in isolamento, tutto ciò a cui avevo pensato era stato a come potevo uscire da lì. Avevo pensato anche ad altre cose, ma erano tutte benevole. Avevo usato tutto il potenziale del mio cervello per portare anche Frank a essere un pensiero benevolo, perché era più che possibile per i pensieri benevoli subentrare e diventare pensieri dominanti. Tutto ciò che si otteneva era un po' di emozione.
Credetemi; avevo tantissime emozioni che si concentravano su Frank. Sapevo che una volta entrato nei miei pensieri, sarebbe stato impossibile rimuoverlo.
Non molto dopo, anche se avevo combattuto duramente per non farlo, mi addormentai pensando a Frank.
 

***


Mi svegliai il mattino seguente, il primo sonno sereno dopo molto tempo. Bhè, non era stato esattamente sereno, ma era stato profondo. Anche se il mio subconscio era stato inondato dai pensieri di Frank, dei muri bianchi, di Michael e di Greenwood, non avevo sognato, il che era stato splendido.
In altre parole, avevo dormito come un sasso. Non che i sassi sognino, comunque.
Quando aprii gli occhi, vidi il sole. Vidi i raggi di prima mattina penetrare attraverso le finestre di vetro rinforzato. Non avrei mai pensato di essere felice nel vedere il sole, ma lo ero. Non avevo davvero realizzato quanto l' isolamento avesse influito su di me. Normalmente non mi lasciavo influenzare da queste cose, ma quello l'aveva fatto davvero. Inoltre non avevo mai realizzato di quanto avessi bisogno della routine e della regolarità in un giorno normale.
Non ero intenzionato mai più a passare attraverso quella porta.
L'infermiere arrivò e cambiò la fasciatura alla mia mano. Non avevo più la mia mano di bastone. Ora era soltanto una mano mummificata. Una volta fatto, mi portò alla mia stanza abituale, dove potei cambiarmi. Mi disse di andare a fare colazione da solo una volta pronto.
Oh, Gesù. Colazione. Cibo. Persone. Routine.
Non mi potevo cambiare abbastanza in fretta. Mi tolsi i vestiti da recluso. Tutto ciò in cui consistevano erano una camicia a maniche lunghe e un paio di pantaloni. Oh, ed erano dolorosamente bianchi, l' ho menzionato? Infatti penso sia doveroso dire che erano innaturalmente bianchi. Sospettavo che avessero usato troppa candeggina. Li buttai sul pavimento. Decisi che gli addetti alle pulizie li avrebbero tirati su. Sapevo che era da egoisti, ma io ero una persona egoista.
Notai che il letto di Frank era stato spostato. Non sapevo se essere sconvolto oppure offeso.
Mi rannicchiai nell'angolo dove normalmente c'era il suo letto e feci scorrere le dita sul pavimento. La polvere che avevo accumulato sulle dita era profonda di almeno un paio di settimane. Me n'ero andato per un sacco di tempo. Probabilmente avevano aggiustato la sua solita camera, oppure era stato trasferito.
Pregai che non fosse quest'ultima ipotesi. Non credevo di poterla accettare in quel momento.
Avevo bisogno di parlargli. Dovevo parlargli.
Pensavo mi mancasse.
Il che era strano perché non mi era mai mancato nessuno prima.
Camminai verso la caffetteria, affamato e infelice. Era ancora molto presto quindi la stanza era abbastanza deserta. Ben e Zach erano lì, e altre due persone che conoscevo solo di vista.
Ben e Zach mi guardarono quando entrai. Zach mi salutò col capo e Ben sorrise. Ricambiai l'accenno di capo, ma non sorrisi.
Io non sorridevo.
Facevo qualche sorriso sghembo e sogghignavo e qualche volta ghignavo. Ma non sorridevo mai.
Ci guardammo l'un l'altro per un momento, poi interruppi il contatto visivo. Camminai lentamente fra di loro verso il bancone. Afferrai una scatola di cereali e versai il contenuto dentro una tazza. Non rovesciai nemmeno un cornflake. Ero estremamente preciso quando si trattava di versare i miei cereali. Versai anche il latte sopra i cereali e presi un cucchiaio. I cornflakes ci mettevano esattamente tre minuti e mezzo prima di cominciare a diventare zuppi per il latte. Ma andava abbastanza bene per i cereali.
Tornando sulla mia strada, passato il posto di Ben e Zach, mi fermai. C'era qualcuno seduto al mio tavolo. Al 
mio tavolo.
Come avevano potuto.
Andai di soppiatto oltre il tavolo e mi sedetti, guardando furioso questo ragazzo. Mi domandai se avesse diciott' anni. Chi pensava di essere? Nessuno gli aveva detto che quello era il mio tavolo? 
IL MIO TAVOLO!
Incrociai le braccia, attaccandolo con un insolente sguardo arrabbiato. Lui sembrava completamente imperturbato e a dirla tutta mi stava sorridendo.
Mi rannicchiai. I suoi denti mi dicevano tutto ciò che avevo bisogno di sapere. Aveva i denti di un accanito fumatore o un accanito tossicodipendente. Guardai le sue dita. Macchie di nicotina le ricoprivano e le unghie erano praticamente morte.
Mi vide che stavo fissando le sue dita e dignitosamente le tirò fuori, in modo che le potessi vedere meglio. Alzai un sopracciglio con incredulità ripugnante. Mi sorrise di nuovo e mi porse una mano.
“Sono Bert,” si presentò.
“Perché sei qui, Bert?” risposi svogliatamente, non prendendo la sua mano.
Un ghigno insolente si allargò sulla sua faccia e si appoggiò in avanti. Fece cenno di avvicinarmi. I suoi occhi erano così grandi e luminosi che avrei giurato che fosse fatto in quel momento. Una volta che fummo vicini in modo cospiratorio, mi rise in faccia. Indietreggiai e stavo per tirarmi indietro, quando lui parlò con una voce davvero strana.
“E' un po' come Godzilla. Io lo chiamo Godzilla. Ma è molto più spaventoso.” Bert mi stava sussurrando con insistenza, contorcendosi le mani penosamente.
Mi risedetti. Sembrava che il piccolo povero Bert avesse preso qualche fungo guasto. Sapevo che la prima regola, quando si andavano a raccogliere funghi, era avere sempre avere qualcuno con te se collassavi. Mi chiesi se Bert avesse fatto overdose di Funghi Magici e avesse una spettacolare allucinazione di un Godzilla simile a un mostro che lo stava venendo a prendere. Quando era collassato, nessuno era lì per dirgli che non era reale, quindi il suo cervello pensava ancora che Godzilla lo stesse cercando. Era estremamente semplice manipolare il cervello e ingannarlo. Io lo sapevo.
“Hey, Bert, facciamo un patto,” dissi in modo incoraggiante. Lui mi sorrise e annuì. Indicai il tavolo. “Questo è il mio tavolo. Sì, il 
mio tavolo. Qualora tu ti risiedessi qui di nuovo, gli dirò dove sei. Okay? Questo è il nostro patto. Vai via dal tavolo e non dirò nulla a Godzilla. Okay? Bene.”
Il sorriso di Bert sparì e lui divenne completamente terrorizzato. Deglutì con un rumoroso 'gulp', prima di annuire convulsamente. Sì alzò e sgattaiolò via, colpendomi con uno sguardo spaventato mentre se ne andava.
Ahah. Cacchio, ero un bastardo. Ahah, ma era divertente comunque.
“Sei uno stronzo.”
Normalmente quando qualcuno me lo diceva, non mi importava. Ridevo e concordavo. Ma quando veniva da Frank, faceva veramente male. Alzai lo sguardo verso di lui, che stava dalla parte opposta del tavolo. Sbattè il vassoio con rabbia.
“Perché gli hai detto quelle cose? Pensi che sia stato divertente terrorizzarlo? Sei mai stato sotto effetto di droghe?” Frank mi guardò feroce, con aria accusatrice.
Per qualche ragione non ebbi il coraggio di dire che l'avevo fatto, anche perché era seduto al mio tavolo. Il cuore cominciò a farmi male. Non volevo che Frank fosse arrabbiato con me.
“Come hai potuto? Sei veramente così superficiale? Stai cercando di essere il migliore, non è vero? E' questa l'unica ragione per cui sei mio amico?” Frank stava tremando, ma non potevo determinare se fosse per rabbia o paura o se stesse per scoppiare in lacrime.
No, no, no. Nessuna di queste cose andava bene. Sì, ero un po' egoista. Ma non aveva niente a che fare con Frank. Era un brutto sogno. Frank non poteva essere arrabbiato con me. Oh ti prego, non essere arrabbiato con me.
Lui si sedette e tolse il suo vassoio da mezzo. Si appoggiò in avanti sul tavolo. Potevo vedere che stava stringendo i denti insieme. “Sei amico con me solo perché sai che sono tranquillo, non è vero? Sai che sono un piccolo, debole bambino. Sono perfetto per te e per il tuo enorme ego. Sai che non combatto. Sai che mi arrendo troppo presto. Sai che sono così debole e patetico che con combatterei mai fino alla fine. Sai che mi sono arreso. E' conveniente per te, non è vero? Sai che ti lascerò fare quello che vuoi. Sono solo un pietoso, piccolo ragazzino che non combatte e sia arrende troppo facilmente.”
Sentivo che il mio corpo stava per esplodere. Davvero. Il mio corpo sarebbe esploso. Sarei diventato una nebbia rosa e i piccoli pezzi restanti di me sarebbero volati dappertutto per la caffetteria. Piccoli pezzi di Gerard avrebbero ridipinto il soffitto e coperto i tavoli. Ma sapevo che una parte non sarebbe stata distrutta. L'unica parte che aveva innescato l'esplosione, sarebbe sopravvissuta. Sarebbe esplosa insieme a tutto il resto. Ma sarebbe restata intatta. Il mio cuore sarebbe atterrato di fronte a Frank.
Frank aveva rubato il mio cuore tempo fa, quando per la prima volta era entrato nella sala TV. Credevo che, se fossi esploso, sarebbe stato giusto darlo a lui.
Si alzò e si andò a sedere vicino a Bert. Potevo vederlo mentre lo confortava, come se fossero stati amici molto uniti. Mi abbracciai strettamente. Volevo così tanto esplodere. Come poteva Frank pensare così di me? Non lo avrei mai, mai toccato e non gli avrei mai fatto qualcosa di male. Come poteva in alcun modo compararmi a quei due uomini che l'avevano condotto qui?
Raccolsi il cucchiaio. I miei cornflakes erano zuppi. Senza dubbio non c'erano sopravvissuti. Supposi che i tre minuti e mezzo fossero passati.
Avrei voluto morire come i miei cereali.
Avrei voluto avere tre minuti e mezzo di tempo per morire.

 

***


 

Restai avvilito per il resto della giornata. Frank era scomparso dopo la colazione e nel momento 'all'aperto' non era ancora ricomparso. Speravo che stesse bene.
Ben soltanto mi chiese una sola volta di uscire fuori quel giorno. Uscii fuori solo perché mi auguravo di contrarre in qualche modo il morbo della quercia velenosa e morire per quello. Il cielo era nero e minacciava pioggia. Si adattava al mio umore malsano.
Camminai fuori; le parole di Frank si rincorrevano costantemente nella mia testa. Sicuramente non pensava a me in quel modo? Pensai di scusarmi con Bert ma mi dissuasi a non farlo. Non era per Bert. Sì, era stato crudele dirgli quelle cose, ma quel che era fatto era fatto. Il povero ragazzo era costantemente in trip, non c'era molto che potessi dire per confortarlo.
Perché nessuno mi aveva mai detto niente? Sapevo che c'era qualcosa di più in quello che Frank aveva detto. Sapevo che quello che aveva detto non poteva essere stato innescato da me che ero stato meschino con Bert. Ero meschino con tutti. Ero stato meschino con Ray vicino a Frank e lui non aveva mai battuto ciglio. Qualcosa turbava Frank. Non volevo che lui fosse turbato. Lo volevo felice.
Mi vergognavo a dire che non ero mai stato fuori. Non so perché. Era così triste. Non lo so. Sapevo così tante cose, ma non potevo spiegarmi questa semplice cosa.
Era come un grande cortile. Da una parte c'era mezzo campo da basket col pavimento di gomma. Le linee erano sbiadite da molto tempo per via dell'uso continuo. Non sapevo giocare a basket. Ancora, un'altra cosa che non sapevo. Camminai fuori dall'area pavimentata e andai sul prato. Il resto del cortile era coperto da soffice, verde erba. Supposi che non avesse nevicato da poco, perché l'erba era abbastanza rigogliosa ed era cresciuta troppo in alcuni punti.
Mi sedetti in un particolare pezzo d'erba troppo cresciuta, davanti al recinto. Erano troppo dannatamente bravi a nascondere questa prigione. Solo perché non c'erano sbarre alle finestre, non voleva dire che non c'ero dentro. Feci percorrere le dita sul muro, toccando attentamente la superficie. Era liscia e persino le mie dita extrasensibili non trovarono molte imperfezioni su di esso.
La mia attenzione fu subito catturata da una discussione che stava avendo luogo proprio vicino alla porta. Magda, l' infermiera un po' sovrappeso, stava cercando di negare a Bob i suoi cerotti. Da quanto potei dedurre, lei si rifiutava di dargli un secondo pacchetto.
Sapevo che non poteva resistere a Bob ancora per molto. Lui era così carismatico e persuasivo. Avrebbe potuto vendere i preservativi al Papa. Dannazione, avrebbe anche potuto convincere il Papa a diventare gay.
Molto sicuro, un momento dopo Bob stava camminando allegramente verso il tronco dell'albero tagliato di recente in un angolo del cortile, dietro al campo da basket.
Mi alzai e lo seguii.
Si avvicinò al tronco e gli si inginocchiò accanto. Iniziò a parlare, ma poiché non era rivolto verso di me, non riuscii a sentire le sue parole. Avanzai.
“Ciao, Gerard,” disse lui, gentilmente.
“Ciao, Bob,” risposi con imbarazzo.
“Hanno tagliato quest' albero per colpa tua,” disse aprendo il primo pacchetto di cerotti. Quando non risposi, si girò e si sedette sui talloni. Sapeva che non avevo idea di cosa stesse parlando. “Quando sei scomparso, Ray ha detto a tutti che eri scappato.”
La mia bocca si aprì per l'incredulità.
Bob annuì e continuò, “Ray a detto che ti sei arrampicato su questo albero e sei scappato oltre il muro. Il giorno dopo l'hanno fatto a pezzi. Non volevano dare a nessun altro idee del genere.”
“Non sono scappato,” obbiettai.
“Certo che non lo sei. E' di Ray che stiamo parlando, ricordi? Ma in entrambi i casi, la vita di Percy sta per finire. Sto solo provando a renderglielo un po' più facile.”
Bob si girò e fece scorrere le dita sopra il tronco. Non potei trattenermi. “Chi è Percy?”
Lui diede un colpetto alla corteccia dell'albero. “Questo è Percy. O cosa rimane di lui.”
Avrei potuto andarmene, scuotendo la testa e chiedendomi perché fossi bloccato in quel posto con quelle persone. Ma restai fermo, quando mi ricordai lo sguardo triste di Frank. Forse era il tempo di smetterla di essere così stronzo con le persone.
Mi inginocchiai accanto a Bob e gentilmente posai una mano su Percy.
“Mi dispiace.” Non sapevo se dirigere le mie scuse a Bob, oppure a Percy, qundi decisi di dirlo a entrambi.
Annuì in segno di approvazione e mi passò una scatola di cerotti. Risi quando vidi la piccola immagine di Mr Bean. Guardai la scatola di Bob. Lui aveva i gatti.
Bob si guardò bene attorno per verificare che la costa fosse pulita. “Ho comprato forniture extra oggi,” sussurrò e tirò fuori dalla tasca della giacca una crema antisettica. Mi sorrise e aprì il coperchio. Ne spremette un po' sulle dita e l'applicò sulla superficie recisa dell'albero. Io aprii un cerotto e attentamente lo misi sopra l'area in cui Bob aveva spalmato la crema. Lui annuì in segno di approvazione e si mosse verso la macchia successiva.
“Era così triste.”
La mia testa scattò in alto e lo guardai con stupore. “Frank?”
“Non hanno voluto dirgli dov'eri. Tutto ciò che aveva erano le predizioni di Ray. Prima che lui decidesse che tu eri scappato, ha detto a Frank che eri stato trasferito. Poiché non sei tornato entro la fine della settimana, è quello che tutti quanti hanno creduto. Era così infuriato con te per averlo abbandonato. Sei stato via per un sacco di tempo, Gerard. Era arrabbiato con te questa mattina perché quando è molto, molto triste, si arrabbia.”
Il mio cuore fece una capriola. “Ma sono tornato, non dovrebbe essere felice?”
Bob arricciò le labbra. “Conosco a malapena Frank. Forse potresti chiederglielo tu?”
“Ora mi odia.”
Bob alzò un sopracciglio e roteò gli occhi. “E' stato a guardare qui per i dieci minuti che sono passati. Non penso che ti odi.”
Mi guardai attorno attentamente e vidi Frank seduto sul bordo dell'area pavimentata, mentre giocherellava con un filo d'erba. Vidi il suo cuore cominciare a muoversi, appena alzò lo sguardo, e frettolosamente evitò i miei occhi. Cominciai a sudare, ma non sapevo se fosse una forma di nervosismo o di aspettativa.
La voce gentile di Bob perforò il mio stupore. “Togli i tuoi fottuti piedi dal fiore, mi sta facendo diventare matto.”
Diedi uno sguardo veloce ai miei piedi e fui sorpreso di vedere un fiore giallo schiacciato sotto la mia scarpa sinistra. Rimossi colpevolmente il piede.
“Attacca solo un cerotto intorno al suo centro. Avvolgila.”
Guardai Bob in stato di shock. Mi passò uno dei suoi cerotti con i gatti. Avevo usato tutti i miei di Mr Bean su Percy. Intontito, lo avvolsi attorno al centro del fiore. Bob mi sorrise di nuovo. “Sì, Gerard, sento delle voci, ma non sono pazzo. Sento le voci della natura. Sento i fiori, l'erba, le foglie, gli alberi.... tutto. E' un dono. E io amo il mio dono. Comunque, i fiori sono fastidiosi. Pensano di essere i migliori perché sono l'aspetto più bello della natura. Sono tutte femmine,” aggiunse, esasperato.
Mi alzai in piedi, non sicuro se andare verso Frank o lasciare che lui venisse verso di me. Se fossi andato da lui, avrebbe potuto arrabbiarsi con me di nuovo. Non sarebbe stata davvero una buona cosa. No, no, nient'affatto buona. Cominciai a tornare sui miei passi nell'erba troppo cresciuta nel recinto.
“Gerard?” mi chiamò Bob.
“Sì?”
“Cammina più lievemente sull'erba.”
Un enorme sorriso si allargò sulla mia faccia. Avevo deciso che era più carino NON essere stronzo con nessuno.
Impari qualcosa di nuovo ogni giorno. Chi avrebbe mai pensato che la natura avesse una voce? Come ci pensai, provai a poggiare i piedi con meno forza.


Gerard?” Frank si rivolse verso di me con insistenza.
Ero determinato a parlare per primo. Tolsi tutti i pensieri del benessere del prato fuori dalla mia testa. “Frank,” dissi fermamente. “Voglio che tu sappia che non ti toccherò mai, mai, ne' ti farò niente del genere. Io-”
Lo so,” sussurrò lui miseramente. “Non volevo dire quelle cose. Pensavo te ne fossi andato. Avevo accumulato tutto dentro ed ero arrabbiato. Non volevo dire quelle cose,” ripetè, con le labbra tremanti.
“Ti credo.” Anche se ero stato angosciato tutto il giorno per ciò, sapevo che si sarebbe risolto.
Speravo che tutto si potesse risolvere.
“So che che non faresti mai una cosa del genere. Tu sei buono. Sei così buono con me. Sei un buon ragazzo. Una buona persona.”
Frank stava parlando veloce e in modo convulso e respirava pesantemente. Lo condussi nella zona privata del cortile. Era deserto e abbandonato quel lato. Tutti stavano giocando a basket, o così sembrava.
Qualcosa non andava in Frank. Lo avevo percepito quella mattina. Qualcosa lo stava divorando dentro.
“Frank, cosa c'è che non va?”
Una volta che dissi queste parole, Frank sembrò così sollevato che il mio cuore si addolorò per lui.
“Promettimelo.”
“Prometterti cosa?”
“Promettimi che non lo dirai a nessuno. Non puoi dirlo a 
nessuno. Nessuno. Non puoi scriverlo da nessuna parte. Non puoi pronunciarlo. Non puoi dirlo ad altra anima viva. Inclusa Markman. Non puoi dirglielo. Devi promettermi che morirai prima di poterglielo dire. Me lo prometti, Gerard? Promettimelo. Per favore, Promettimelo.”
Lo stomaco mi salì in gola.
“E' qualcosa di brutto? Frank? perché non posso dirlo a Markman? E' su di lei?”
“Promettimelo, Gerard!” urlò Frank. “Non puoi dirlo a Markman! Se glielo dici, lei lo dirà ai miei genitori. E se mio padre mai lo scoprisse, confermerebbe tutto quello che ha detto su di me. Okay? Se lo scoprisse, sarebbe colpa mia. 
Ti prego, promettimi che non lo dirai a nessuno.”
Frank non poteva sembrare più disperato o avvilito. Annuii. “Lo prometto.”
Annuì e si fermò a respirare profondamente. Si fregò gli occhi con furia. “E' un male, Gerard. Non so cosa fare. E' un peccato. Ma non voglio che tu mi giudichi. Non mi giudicherai?”
“Non ti giudicherò,” confermai sedendomi in avanti sulle ginocchia e bloccando gli occhi su Frank. Lui stava seduto davanti a me, le sue ginocchia lontane di pochi centimetri.
Annuì e cominciò a deglutire. Arrivò perfino a tirarsi i capelli. “E' un male,” gemette.
“Dimmelo,” lo esortai. Non volevo niente di più che avvolgerlo nelle mie braccia e abbracciarlo stretto. Volevo solo tenerlo vicino e dirli che era al sicuro. Volevo solo proteggerlo.
“Non so cosa fare. Non posso pensare. Non fa bene, non è vero?” chiese.
“Dimmelo!” lo stavo praticamente implorando adesso. Volevo solo portare Frank via dalla sua miseria.
“E' un male,” disse di nuovo, chinando il capo sfrenatamente.
“Niente è così male da non poterne parlare.”
“Io-Io-Io-Io-Io-Io....” balbettò. “Io-Io penso...” fece una pausa per guardarmi negli occhi. “Non so cosa fare, Gerard. Ma, Io penso, Io penso....”
Il silenzio era così doloroso e angosciante. Pensai veramente di stare per esplodere. Ogni secondo. La nebbia rosa stava tornando.
“Io penso di essere gay,” si lasciò sfuggire. Abbassò gli occhi, imbarazzato.
Lasciai che la notizia mi penetrasse dentro. Ripensai a quello che aveva detto all'inizio.

E se mio padre mai lo scoprisse, confermerebbe tutto quello che ha detto su di me. Okay? Se lo scoprisse, sarebbe colpa mia.
Oh mio Dio. Frank pensava che essere gay significava che lo stupro diventava improvvisamente una cosa lecita. Se suo padre avesse scoperto che era gay, avrebbe dato la colpa a Frank ed era chiaro che Frank volesse essere biasimato.
Nessuno pensa che gli uomini possano essere stuprati. Se avessi mai incontrato entrambi gli uomini, li avrei brutalmente uccisi. Lo giuro.
Lo stavo ancora fissando intensamente e lui improvvisamente mandò la testa indietro. I suoi occhi stavano nuotando fra le lacrime. Era il mio turno di fare respiri profondi. Lentamente allungai una mano e con gentilezza appoggiai le mie dita su un ginocchio di Frank. Lui non reagì affatto.
Presi un momento per pensare, prima di parlare. “Suppongo,” dissi lentamente, parlando alle ginocchia di Frank. “Suppongo che andremo all' inferno insieme, allora.” Lasciai che i miei occhi corressero di nuovo verso l'alto.
La sua bocca si aprì un poco, ma lui velocemente la richiuse. Serrò gli occhi un secondo per ricomporsi e presi la mia opportunità di continuare a parlare.
“Ma, Frank, non è un peccato. Non è un 
male. E non è un problema che deve essere risolto.”
Gli occhi di Frank si aprirono e per un momento mi sentii sbalordito.
Lo sguardo nei suoi occhi era completamente e totalmente sollevato. Era come se avesse finalmente avuto l' occasione di dare a se' stesso la tregua di cui aveva bisogno così disperatamente. Ci guardammo l'un l'altro per molti lunghi minuti e sentii il suo sguardo dividersi in me. Mi aveva trafitto attraverso il muro che avevo speso tanti anni a costruire intorno a me stesso. Guardava direttamente nella mia anima.
Normalmente non ero il tipo di persona che credeva nel 'gli occhi sono lo specchio dell'anima' o altre stronzate del genere. Ma ora, non sembravano più stronzate. In effetti chiunque lo avesse scoperto era un fottuto genio. Doveva essere abbastanza incasinato pure lui. Ma questo andava bene. Qualche volta va bene essere incasinati.
Un momento dopo, come un segnale, il cielo si aprì e la pioggia cominciò a cadere. Credo che anche le nuvole non riuscissero a trattenere le lacrime.





Note di traduzione:
Libera!

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Capitolo 7
*** 7. ***


A SPLITTING OF THE MIND

 

*** 
 

7.

Have you ever been so afraid you wished you were dead?





 

 Non potevo respirare. Ero vagamente consapevole del rapido alzarsi e abbassarsi del mio petto, ma semplicemente non riuscivo a sentire l'ossigeno salire nei polmoni. Le dita della mano sinistra erano arricciate strettamente intorno alla montatura di metallo del letto; così strettamente che stavano minacciando di ammaccare la fredda e dura superficie. Mi strinsi disperatamente il petto con la mano destra, come se avesse potuto aiutarmi ad aspirare.

La corpulenta infermiera fece un altro esitante passo indietro, guardando con ansia tra me e Ben. Il laccio colorato appeso liberamente nella sua mano. Sopra i miei rumorosi respiri affannosi, la sentii dire “Devo somministrargli un sedativo?”
Un sedativo? Neanche per sogno, cazzo!
Lei si girò e rovistò distrattamente per estrarre una siringa. La guardai totalmente inorridito mentre toglieva il cappuccio di plastica alla fine dell'ago. Poi provò a fare un passo nella mia direzione, il che per conseguenza incrementò la gravità del mio attacco d'ansia di dieci volte.
Sì, ovviamente non stavo pensando in modo molto razionale in quel momento.
“Non toccarmi!” riuscii a sputare. La mia sudata mano destra non poteva tenersi alla sbarra di metallo ancora a lungo, quindi la lasciai andare sul letto e mi ritrovai ad agitare il dito in direzione dell'infermiera, provando invano a fermarla dall'avvicinarsi ancora di più. Non sapevo perché pensassi che agitare il dito avrebbe fatto qualche differenza, ma non è che stessi esattamente pensando in modo razionale in quel momento. Potevo sentire il cuore martellare forte e dolorosamente nel petto ed ero sorpreso che non fosse ancora esploso. La nausea mi stava cominciando a bagnare con irregolari onde e stavo fisicamente tremando.
“Fermati!” ansimai e aspirai in una boccata d'aria. Serrai gli occhi appena la stanza cominciò a girare intorno a me, nonostante stessi steso orizzontalmente sul letto e non mi stessi muovendo. “Oh, Dio.”
Gerard. Mantieniti. Sotto. Controllo.
Mi sentivo seriamente come se stessi per morire, o al massimo per svenire. Un secondo prima che stessi per lasciarmi andare al mio destino funesto, sentii qualcosa di lanoso e caldo chiudersi sulla mia mano sinistra. Il primo pensiero che mi saltò in mente fu che avessero avvolto un orsacchiotto intorno alla mia mano.
Spaventato, mi costrinsi ad aprire gli occhi e mi vergogno di ammettere che per mezzo secondo mi aspettavo ancora di vedere l'orsacchiotto. Comunque, quello che vidi veramente fu molto meglio.
Frank era in piedi accanto a me, tenendo la mia mano con entrambe le sue. Mi sorrideva rassicurandomi. “Calmati, Gerard. Non pensarci. Pensa soltanto a respirare. Fuori e dentro. Bravo!” Stava respirando costantemente per me, e mi ritrovai a imitarlo.
Fuori e dentro. Fuori e dentro.
Sentii la velocità del cuore calmarsi costantemente e ritornare al battito riposato.
Una volta che sentii l'ossigeno scorrere di nuovo liberamente al cervello, notai che Frank stava indossando dei guanti. Ecco perché avevo sentito qualcosa di caldo e lanoso intorno alla mano. Stava indossando quelli blu scuro che Ray gli aveva dato il giorno prima.
Ray si era rivolto a noi e aveva annunciato che Dio gli aveva detto di darli a Frank perché evidentemente lui ne avrebbe avuto bisogno in futuro.
Frank li aveva accettati molto cortesemente e aveva ringraziato con sincerità Ray. Io avevo soltanto scosso la testa e roteato gli occhi, come facevo sempre quando Ray ritrasmetteva uno dei suoi 'messaggi'. perché, dai, erano tutte stronzate.
Una volta che mi ero completamente calmato, l' infermiera si mise in piedi al mio fianco. “Possiamo provarci di nuovo?” chiese, alzando la manica della mia felpa.
“No!” esclamai, strappando il braccio dalla sua presa e cullandolo contro il petto.
Oh, ho menzionato che non avevo 
ancora fatto il fottuto esame del sangue?
“Gerard,” mi rimproverò Ben e lo guardai torvo.
“Gerard,” disse Frank dolcemente. La sua voce catturò la mia attenzione e alzai lo sguardo verso di lui. “No farà male, lo sai,” disse calorosamente.
“Io-Io-Sì! Lo so!” dissi per difendermi. “E' solo che non mi piacciono gli aghi.”
Gli aghi erano la mia più grande paura al mondo. Bhè, tecnicamente, la mia seconda più grande paura, se contiamo che essere scoperto da 
Loro era la mia prima. Quindi, potevo solo immaginare come avrei reagito se Loro mi avessero trovato e mi avessero attaccato con gli aghi. Non potevo sopportare il pensiero degli aghi immaginari che venivano introdotti nella mia carne. Solo il pensiero della piccola incavatura che facevano prima di perforare la pelle, mi rendeva disgustato. Poi, oh dio, il modo in cui veniva premuto strato dopo strato di pelle prima di raggiungere il muscolo....
“Va bene, tesoro, ho solo bisogno di trovare la vena, prima.” Il mio incubo a occhi aperti fu pietosamente interrotto dall'infermiera che delicatamente tirava su il mio braccio destro.
Con riluttanza lo abbandonai e lasciai che lei alzasse la manica. La guardai con estrema attenzione, preparato in pieno a strapparlo via se lei avesse preso un ago. Portò il laccio intorno al mio bicipite che, notai con dispiacere, era piuttosto piccolo, e lo strinse. Cominciò a premere gentilmente con le dita sulla curva del gomito. Sapevo che stava perdendo il suo tempo per sentire una vena sul mio braccio destro. Non c'era nessuna vena che scorresse in quel particolare punto, lo sapevo. Bhè. Ce n'era una, ma era abbastanza piccola, quindi non c'era NESSUNA FOTTUTA SPERANZA che io la lasciassi scavare attorno alla mia carne per farlo sanguinare. Ripeto: NESSUNA FOTTUTA SPERANZA!
Abbastanza sicura, un momento dopo tolse il laccio e si spostò dall'altra parte del letto per cercarla nel mio braccio sinistro. Scacciò via Frank e strappò la mia mano tremante dalla sua presa confortevole. Fu in quel momento, quando lasciò andare la mia mano, che sentii come se la mia linea della vita fosse stata tagliata. Improvvisamente mi sentii come un astronauta a cui era stato staccato il filo che connetteva all'astronave, e quella se ne stava andando lentamente alla deriva, sola e spaventata, nell'immenso vuoto. Io ero l'astronauta e Frank il mio filo. Stavo per chiudere gli occhi e lasciarmi trasportare nel vuoto che c'era nella mia mente, quando quell'orsacchiotto prese la mia mano destra.
“Non voglio essere un astronauta,” dissi senza pensare e freneticamente mi aggrappai alla mano di Frank.
“Cosa?” La sua fronte si aggrottò e si inclinò un po' come se non mi avesse capito bene.
Scossi la testa, imbarazzato, e borbottai, “Non ti preoccupare, è una cosa stupida.”
Frank strinse la mia mano per confortarmi. “Sono sicuro che non fosse niente di troppo stupido,” mormorò delicatamente.
Non so se avete mai notato quando state per dire una parola che comincia con il prefisso 'tr', come 'troppo', o 'trenta', la lingua sporge fuori un pochino fra i denti. Io notavo le piccole cose come questa. In particolare, notavo fosse gradevole vedere la piccola lingua di Frank schioccare ogni volta che lui diceva una parola che cominciava con il prefisso 'tr'. Okay, sì, era una piccola cosa stramba il fatto che avessi l'abitudine di guardare le tragiche labbra di Frank, ma non c'era niente di 
troppo sbagliato*.
“Ahhh,” l' urletto dell'infermiera deviò la mia attenzione dalle labbra perfette di Frank, al mio braccio.
“C'è una graziosa, succosa vena in questo braccio,” mi informò.
Avrei voluto che lei non parlasse delle mie vene come se fossero vermi. Ero già abbastanza spaventato da come erano realmente. Ora avevo una vivida immagine mentale di un gigante, grassoccio, verme blu che veniva perforato e bucato con le enormi punte immaginarie delle lance. Potevo vedere la grande quantità di sangue che schizzava su tutto il prato non appena le lance cominciavano a penetrare la pelle del verme. Fanculo, questo faceva schifo.
L'infermiera allentò il laccio, fece un passo indietro e raccolse un paio di pacchetti dal cassetto chiuso a chiave dell'armadietto a cui era appoggiato Ben. Li piazzò sul tavolo vicino al letto e cominciò ad aprirli. I battiti del mio cuore cominciarono a salire di nuovo, appena lei aprì l'imballaggio sterile che conteneva l'ago.
“Gerard.” Ignorai Frank e guardai soltanto l'ago enorme nella mano dell'infermiera.
“Gerard?” mi morsi un labbro quando quello cominciò a tremare un po', appena l'infermiera si infilò i guanti.
Gerard.” Trasalii mentre strappava un tampone di alcol e puliva la curvatura del mio gomito. Gettò il tampone usato nel secchio e prese l'ago.
“Può tamponare il mio braccio di nuovo?” chiesi velocemente mentre lei mi guardava, sorpresa.
“Certo,” disse lentamente, aprì un altro pacchetto sterile e disinfettò la mia pelle di nuovo.
“Può farlo di nuovo, per favore,” implorai appena lei finì per la seconda volta.
“Gerard,” disse Ben con esasperazione. Non osavo guardarlo per paura che quell'astuta infermiera potesse immergere l'ago mentre ero distratto.
“Ci sono germi,” protestai ostinatamente. “Ancora una volta, per favore?”
Nonostante la mia supplica, l'infermiera strinse di nuovo il laccio e mise su di nuovo la temuta farfallina dell'ago. Mentre si muoveva lentamente verso il mio braccio, sentii qualcosa di morbido toccare il lato del mio viso. Frank aveva coperto la mia faccia con la sua mano libera e con delicatezza la girai per guardarlo in volto.
“Non guardare,” disse dolcemente.
“Ma...,” cominciai, ma Frank semplicemente scosse la testa e questo fu abbastanza per farmi stare zitto.
Un piccolo sorriso si intromise sul suo volto, quando ci guardammo l'un l'altro, e mi mio cuore ondeggiò un poco. Ero così intento a guardare la faccia di Frank, che persi perfino il tranquillo avviso dell'infermiera: “L'aculeo sta penetrando, Gerard.”
Trattenni il respiro e strinsi 
forte la mano di Frank mentre sentivo la fredda, cupa punta forare la mia pelle e scivolare con precisione nella vena. Frank scosse la testa, appena cominciai a girare gli occhi per guardare.
“Non guardare,” ordinò, fissandomi in modo scherzoso. Deglutii e annuii mansuetamente.
Un secondo dopo sentii il silenzioso scatto, appena l'infermiera spinse il flaconcino nell'adattatore collegato alla farfallina dell'ago. Istantaneamente avvertii il sangue cominciare a scorrere attraverso il tubicino di plastica dentro la fiala.
Appena il minaccioso suono del sangue che zampillava nella fiala raggiunse le mie orecchie, afferrai più duramente e più strettamente la mano di Frank. Potevo sentire il sangue che fluiva dalle vene nel flaconcino in perfetta sincronia con il rapido battito del mio cuore.
Diedi un'occhiata a Frank e fui sorpreso di vedere una piccola smorfia sulla sua faccia. Mi sorrise per rassicurarmi e disse, “Gerard? Um.... stai facendo un esame del sangue, Gerard, non un bambino.”
“Cosa?” ansimai, confuso.
“Potresti non stringere la mia mano come se stessi avendo le doglie? Per favore?” disse con tono di scusa.
L' espressione indignata sulla mia faccia doveva essere proprio divertente, perché Frank gli diede uno sguardo, prima di ridacchiare.
Raramente aveva mai riso così, quindi decisi di fare tesoro di quello sguardo di pura felicità e gioia che era visibile sul suo giovane volto. La sua bocca si allargò in un sorriso così largo che era abbastanza per farmi vedere la sua intera arcata dentale. Allentai la morsa in modo significativo e cominciai a far scivolare la mano dalla presa di Frank, fino a pizzicare appena il suo palmo con il pollice e l'indice.
“Va meglio?” chiesi sarcastico, ma non con un sarcasmo cattivo, comunque. Non avrei mai, mai, parlato in quel modo a Frank.
Lui sospirò in una maniera esagerata. “Sì,” rispose.
“Fatto. Fai pressione qui, Gerard.” Non avevo capito per un momento cosa stava succedendo e mi ci volle un secondo per rendermi conto che l' infermiera stava parlando con me. Frank lasciò andare la mano dalla mia presa quando mi girai a guardare il braccio. L'ago era sparito e invece l' infermiera stava tenendo un batuffolo di cotone sopra l'area della puntura. “Fai pressione,” ripeté e afferrò la mia mano ora libera, guidando le dita verso il batuffolo di cotone. Una volta che il sangue si fermò, mise un piccolo cerotto circolare sopra il punto.
Ed ecco ciò che era. Era finito.
Che fottuta prova.


Guarda, non è stato così male, non è vero?” chiese Ben astutamente, tormentandomi di proposito mentre uscivo dall'infermeria.
Mi fermai nel camminare e lo guardai risentito. “Qualche volta, ti odio davvero,” dissi semplicemente e me ne andai, pregando Dio che Frank mi seguisse.
Mi seguì, ovviamente. Non so come potessi dubitare che lui non mi avesse seguito. Io l'avrei sempre seguito. Avrei seguito Frank in capo al mondo, e ora sapevo che lui avrebbe fatto lo stesso per me. Era un sentimento fantastico avere una notizia del genere. Ti riscaldava profondamente il cuore. Ogni volta che andavo da qualche parte e Frank decideva di venire con me, che fosse restare a guardare un film o fare qualche patetica attività artistica, mi sentivo così fottutamente fantastico che avrei potuto esplodere. Sono serio, era definitivamente un sentimento che tutti dovrebbero avere il privilegio di di provare almeno una volta nella vita. C'era da dire, comunque, che non avevo mai seguito Frank. Se avesse voluto andare nella sala della ricreazione, l'avrei accompagnato. L'avrei sempre accompagnato. 
Sempre. Non era una fottuta bugia. Avrei seguito Frank in capo al mondo.
Ci sedemmo nella caffetteria , uno di fronte all'altro, al mio tavolo. Ero stranamente affamato. Ora che la dura prova dell'esame del sangue era superata, potevo permettermi di pensare ad altre cose. Una di queste cose a cui stavo pensando era che erano passate 12 ore da quando avevo mangiato. Era un tempo abbastanza lungo, sapete. Specialmente perché i pasti in quel posto erano strettamente regolati. Grazie al cielo, comunque, stavano ancora servendo la colazione al bancone vicino al muro lontano.
Frank ed io ci alzammo di nuovo e ci facemmo strada verso il bancone. Riconobbi la donna della caffetteria e cominciai a ricoprire il toast freddo con il burro di noccioline. Quando finii, aspettai Frank. Lui non stava dando troppa attenzione a spalmarlo come avevo fatto io. Mi piaceva che il mio toast fosse coperto interamente. Mi piaceva avere il burro di noccioline fosse spalmato su tutti i lati, in modo che quando davo un morso, la porzione che mordevo avesse sempre la stessa soddisfacente quantità che c' era spalmata sopra.
Ci fu silenzio mentre mangiavamo. Non era un silenzio sconfortante, comunque. Veramente era abbastanza rilassante sapere che non avevamo bisogno di parlare; le parole non erano necessarie.
“Vuoi fare a cambio?” chiese Frank alla fine, offrendomi un pezzo allettante del suo toast.
“Okay,” risposi, accettando la sua offerta e porgendogli un pezzo del mio.
Feci un espressione di disgusto quando Frank compose un sandwich mettendo la mia parte di toast con il burro di noccioline sopra la sua con la marmellata. Non ero mai stato un grande fan dell'idea sandwich-burro-di-noccioline-e-marmellata. Scossi la testa lentamente. Frank sapeva esattamente che fossi disgustato, ma non ne sembrava sconcertato. Alzò le spalle e morse con nonchalance la sua creazione.
Dietro le spalle di Frank, vidi Ray che si avvicinava verso di noi ed emisi un sospiro di irritazione. Mi chiedevo cosa avesse da dire oggi. Forse che il cielo stava per cadere? O forse che l'erba stava per morire? A chi cazzo sarebbe importato?
Frank si guardò intorno e mi rivolse un rumore simile al 'tsk'. “Non essere così cattivo”, disse.
Non avevo chance di difendermi, perché Ray si sedette vicino a Frank e sorrise a entrambi. Si passò una mano fra la massa di capelli, eccitato. “Ho una
grande notizia,” schiamazzò, a mala pena capace d contenersi. “E' grande, ragazzi. Come dire, così spaventosamente grande che vi sbalordirà!”
Lasciai cadere la testa in avanti, senza nemmeno curarmi di apparire interessato. A Frank doveva essere dispiaciuta la mia apparente maleducazione perché lui stava fingendo di essere interessato e gli chiese quale fosse questa 
grande notizia.
Alzai lo sguardo di nuovo. Okay, forse un pochino ero interessato, ma non avevo intenzione di lasciare che Ray lo capisse. Di solito provavo un piacere speciale ad ascoltare i messaggi di Ray; alcuni erano proprio originali e divertenti. Lui si guardò attorno in modo cospiratorio e si mise in disordine i capelli con agitazione. “Non qui,” sussurrò. “Fuori, dove loro non possano sentirci. Sto per alzarmi e andarmene, okay? Ma non seguitemi subito. Aspettate cinque minuti e poi raggiungetemi fuori vicino a Percy.” Un secondo dopo si alzò dalla sedia e si sforzò di camminare con disinvoltura verso la porta. Ridacchiai; Ray stava prestando più attenzione a se' stesso di quanto stesse cercando di non fare.
“Chi è Percy?” chiese Frank, perplesso.
Capii che doveva non aver sentito la storia di Bob sul ceppo dell'albero vicino al muro sul retro. “Percy è,ah... um... il ceppo dell'albero,” dissi con disagio.
“Il ceppo dell'albero?” ripeté lui, incredulo.
“Solo... accettalo, va bene?”
Frank annuì. Era come me; non chiedeva della pazzia delle altre persone in quell'inferno. Solo, l'accettava. Veramente, era la sola cosa che potevi fare.
“Sono già passati i cinque minuti?” chiese un minuto dopo, fra un boccone del toast.
“No, ne sono passati due e mezzo,” risposi con noncuranza.
“Come fai a saperlo?” domandò, guardandosi attorno per cercare un orologio.
“Solamente lo so.”
Questo era un altro di quei momenti in cui Frank non mi chiese nulla. Avrebbe potuto chiedermi come facevo a saperlo, ma lui sapeva che era meglio non chiedere dell' origine della mia conoscenza. Dannazione, nemmeno io sapevo l'origine della mia conoscenza. Solamente lo sapevo, era semplice come era.
 

Come ci dirigemmo fuori, Frank provò a chiedermi cosa ci dovesse dire Ray.
“Stai mettendo troppi pensieri in tutto questo,” gli dissi.
Frank alzò le spalle. “E' divertente,” disse. “Mi piace Ray. A te non piace?”
“Certo, mi piace Ray,” risposi frettolosamente. Okay, era una bugia. Non era una bugia in piena regola; era più una piccola bugia, una mezza bugia. Non è che odiassi esattamente Ray o mi disgustasse in qualche modo; solo che non mi piaceva molto. Era tutto ciò che io non ero: PAZZO.
Vedete non ero pazzo come la maggior parte delle persone in quel posto. Ancora non avevo capito il perché fossi lì. Apparentemente ero lì per una ragione ma fanculo se sapessi quale ragione fosse. Comunque, effettivamente, più tardi cominciai a capire quale ragione fosse. Pensavo avesse qualcosa a che fare con Frank. Pensavo di esser stato messo in quel luogo per salvare Frank. Proprio come lo avevo salvato dalla partita di pallanuoto nel mio sogno, pensavo di essere predestinato a salvarlo anche nella vita reale.
Ma non sapevo ancora a pieno come lo fossi. Ma ero sicuro che l'avrei capito. Come facevo sempre.
Frank mi diede una gomitata appena uscimmo fuori. “Cosa sta facendo?” mi chiese.
“Forse è morto,” risposi aspramente, ma un po' speranzoso.
“Gerard,” mi rimproverò lui, inorridito dalla mia mancanza di compassione.
Sì, ero una persona terribile, okay?! Ma io odiavo veramente uscire all'aperto. Ogni volta mi sentivo come se indossassi un grande cartello rosso sulla schiena. Ora non mi importava uscire fuori se Frank lo voleva, perché, come ho detto, lo avrei seguito anche in capo al mondo. Ray, comunque, era una storia molto differente e stava giocando con il fuoco nel chiederci di incontrarlo all' aperto.
Ci dirigemmo verso il muro di dietro, dove Ray stava disteso a mo' di stella, sul prato, guardando il cielo. Quando ci vide arrivare, riparò gli occhi dal sole e si mise mezzo a sedere per accoglierci.
“Comportatevi naturalmente,” ci disse a voce bassa. Pensavo che ci stessimo comportando assai naturalmente e che era Ray quello che si stava comportando in modo sospettoso. “Sdraiatevi,” disse, accarezzando l'erba a entrambi i suoi lati.
“No,” dissi senza pensarci un secondo. Non mi sarei seduto sul prato. Guardai Frank per cercare supporto e, abbastanza sorpreso, lo ottenni.
“Non voglio sedermi, Ray. Scusa, ma è tutto sporco e...,” Frank si affievolì. Lo guardai sfregarsi le mani nervosamente, prima di infilarle a fondo nelle tasche della sua felpa nera.
Ray sembrava infastidito dalla reazione. Si sedette decentemente e incrociò le braccia, frustrato. “Al massimo vi potete sedere? State attirando l'attenzione su di noi!”
Guardai Frank. Avrei fatto tutto ciò che voleva. Lui era un po' indeciso e potei perfino sentire la battaglia interna combattere nella sua testa. Mi rendeva così triste vederlo combattuto in quel modo. Alla fine, si sedette di fronte a Ray, mantenendo salve le sue preziose mani pulite nelle tasche. Mi sedetti anch'io, ma lasciai le mie mani libere di grattare sul prato.
“Guardate il cielo,” disse Ray ardentemente, non appena ci sedemmo.
Alzai la testa per guardare il cielo, ma non ci vidi nessuna conseguenza. C'erano un paio di nuvole bianche e lanuginose che formavano motivi bizzarri, ma non ci vedevo niente di inusuale. Tornai a guardare Ray e alzai un sopracciglio.
“Le nuvole!” esclamò lui.
Diedi di nuovo un'occhiata alle nuvole, il mio interesse svanì rapidamente. “Che cosa hanno le nuvole,” domandò Frank educatamente.
Ray emise un verso di disapprovazione dal fondo della gola e resistetti alla tentazione di alzarmi e andarmene.
“Non riuscite a vedere il messaggio?”
No, Ray, ovviamente non vediamo nessun fottuto messaggio, stupido idiota!
Ray incrociò le braccia e indicò un mucchio di nuvole. “Lì! Non riuscite a vedere le parole?”
Tutto ciò che vedevo era... aspetta un attimo... un mucchio di nuvole!
Frank si appoggiò su di me. “Le vedi?” sussurrò, in modo che Ray non potesse sentire.
“No,” risposi schiettamente, guardando disperatamente le nuvole, sperando che le parole potessero miracolosamente formarsi se avessi guardato abbastanza intensamente e a lungo.
“Okay, bene,” sentii Frank mormorare.
“Non le vedete?” disse Ray di nuovo, infine. Io e Frank scuotemmo entrambi la testa, causando al ragazzo respiri sconsolati. “Dai, è lì,” insistette. “Non state guardando abbastanza intensamente.”
“E' solo intensamente che puoi guardare le nuvole bizzarre prima di determinare che sono solo nuvole,” schioccai.
Mi aspettavo che Ray si arrabbiasse con me, ma lui non reagì molto. Sospirò di nuovo. “Oh, bhe. Suppongo che a voi non sia stato dato questo dono. Volete sapere cosa dice?”
“No!”
“Sì.”
Gemetti e misi il muso a Frank. Non aveva bisogno di continuare a incoraggiare Ray in quel modo. Era crudele abbandonarsi alle sue fantasie. Ray brillòpositivamente verso Frank e continuò a ignorarmi completamente. Si avvicinò a Frank e, cupamente sottovoce, disse, “Stanno arrivando.”
Il mio stomaco si lasciò cadere. Cadde così lontano che ero sicuro avesse lasciato il mio corpo e fosse scomparso nella terra sotto i miei piedi. Probabilmente adesso era a metà strada dalla Cina. “Cosa hai detto?” dissi con voce soffocata.
Ray e Frank si girarono entrambi a guardarmi, la confusione avvolse le loro facce per il mio improvviso cambio di carattere.
“Loro stanno arrivando,” ripeté Ray. La mia bocca diventò secca e provai a deglutire, ma senza risultato. “Hey, accidenti, stai bene?”
Loro stavano arrivando.
Loro stavano arrivando.
Loro stavano arrivando!
Sperai disperatamente che fosse solo un' altra delle allucinazioni di Ray. Doveva esserlo. Lui riceveva sempre questo tipo di messaggi. Nessuno di quelli era mai stato corretto prima. Quindi, adesso non poteva predire il futuro in modo accurato. Poteva? Forse stavo esagerando. Sì. Okay, stavo esagerando. Sì, non era logico. Ray non poteva predire il futuro. Nessuno poteva predire il futuro. Solo i supereroi potevano farlo. E i supereroi esistevano solo nei miei fumetti. Non era vero. Non era proprio vero.
Perché non riuscivo a convincermi?
Mi alzai e mi guardai attorno con ansia, in parte aspettandomi di vedere Loro che venivano verso di me con le pistole e le maschere. Ma non c'era nessuno.
Per ora.
Anche Ray e Frank si alzarono. Frank camminò verso di me, ma Ray sgambettò via, con un'espressione vuota sul viso. Non riusciva a calibrare questa situazione!?
“Gerard, che succede?” chiese Frank con cautela, stando in piedi direttamente nella mia linea di sguardo.
Mi rivolsi verso il recinto, i miei occhi analizzarono il cortile con un senso di urgenza che non sentivo da molto tempo. Una volta che la mia schiena toccò la fredda superficie, scivolai per rannicchiarmi. “Niente che importi,” dissi preoccupato.
Frank non fece pressione sul problema, e lo ringraziai nella mia testa. Si accovacciò accanto a me ed esaminammo il cortile assieme. Non penso che sapesse cosa stesse cercando, ma non volevo dirglielo. Non volevo spaventarlo.
“Come sta il tuo braccio?” chiese Frank, dopo un lungo silenzio. Dovevano essere passati sette minuti buoni da quando ci eravamo scambiati l'ultima parola.
Smisi di agitarmi per un secondo e mi focalizzai sul mio braccio. Lo piegai cautamente, ricordandomi il consiglio dell' infermiera di prendermela con calma per il resto del giorno. Non faceva male. Tirai su la manica della felpa per mostrare il punto e tolsi il cerotto. Tutto ciò che potevo vedere era uno piccolo, rosso buchetto di una puntura di spillo. Era davvero patetico, considerando la sofferenza e il trauma mentale che avevo sopportato.
“Non hai il livido,” mi avvertì. “Fortunato.”
Livido!? C'era la possibilità di farmi venire un livido? perché nessuno me l'aveva detto? Bastarda di un' infermiera.
“Quando l'hanno fatto a me l' infermiera ha sbagliato la vena, quindi ha dovuto provare di nuovo. Poi. La seconda volta, la vena è collassata e e ha causato questo enorme livido tutt'intorno alla mia pelle. Fa abbastanza schifo.”
Perché diavolo pensava che lo volessi sapere?!? Un momento, perché aveva fatto l'esame del sangue?
“perché hai fatto l'esame del sangue?” chiesi, punzecchiando delicatamente il mio braccio, senza guardare Frank.
Gli ci volle un secondo per rispondere e quando lo fece, realizzai che dal suo tono di voce che fosse davvero imbarazzato. “Hanno dovuto controllare che non avesi l' AIDS... e altre malattie veneree, capisci?”
“Oh. OH!” mi lasciai sfuggire un momento dopo, realizzarlo mi colpì come una tonnellata di mattoni. Come avevo potuto essere così stupido e superficiale? Gerard, sei un mostruoso bastardo senza cuore! “Oh, Frank, mi dispiace. Non volevo....” non trovavo le parole. Non avevo idea di cosa dire su ciò. Cosa potreste dire su qualcosa del genere?
“Va bene,” disse lui frettolosamente, ignorando la mia insensibilità.
Ma non andava bene. Lui ovviamente non stava bene. “Frank?” dissi con sincerità.
“Gerard!” schioccò. “Va bene, okay? Sto bene, ti prego, lascia perdere questa cosa.”
“Okay.”
“Grazie.”
Questa volta il silenzio tra di noi era imbarazzante. Odiavo i silenzi imbarazzanti. Mi sforzai disperatamente di pensare a qualcosa di cui parlare, ma Frank lo fece per primo.
“E' seria Markman riguardo il fatto che devi fare l'esame del sangue tutte le settimane?”
Oh, potevi fottutamente scommetterci che lo fosse! La stronza satanica godeva intenzionalmente nell'infliggermi quella tortura. Era tutto parte del suo piano diabolico per rendere la mia vita miserabile. Certo, non dissi nulla di tutto questo a Frank. Quindi tutto quello che risposi alla domanda di Frank, fu: “Penso di sì.”
“E' abbastanza crudele, non lo sa che non ti piacciono gli aghi?”
“Oh, lo sa.”
Frank sorrise un po' al mio sarcasmo. “C'è qualche modo in cui tu possa fare il test una volta al mese, o qualcosa del genere? Forse?”
Ci avevo pensato, ma non suonava una buona idea. Ci voleva meno di una settimana perché la cosa dell' agranulocitosi si sviluppasse. Se avessi consentito a fare il test solo una volta al mese, conoscendo quanto fossi fortunato, avrei sviluppato la malattia e sarei morto. Ciao ciao Gerard.
“Non voglio che si ammalino i globuli bianchi. Non voglio morire,” dissi.
“Entrambi non vogliamo che tu non muoia,” disse Frank con calma.
Bhè, almeno c'era una persona a cui piacevo in quel posto miserabile. Questo era incoraggiante. Guardai in avanti ed esaminai di nuovo il cortile. I miei occhi si allargarono quando individuai qualcuno che non era mai stato lì, in piedi sull' area pavimentata.
“Jasper!” esclamai, lanciando i fili d'erba che ero intento a sradicare.
“Cosa?!” guaì Frank, spaventato dal mio improvviso sfogo.
Sorrisi e mi alzai in piedi. “Jasper,” ripetei.
Jasper non ricambiò il sorriso. Effettivamente non sorrideva mai. Era davvero un uomo per bene, sapete, era stato nell'esercito e tutto il resto. Gli feci cenno e lui mi ricambiò il saluto. Indossava un' uniforme militare. I bordi della sua camicia verde erano adornati con decorazioni d'oro e aveva una fascia d'oro drappeggiata sopra il petto. Aveva tutte le sue medaglie d'oro attaccate fieramente e potevo vedere la fibbia della cintura d'argento che brillava verso di me. Mi accennò con urgenza, ma non mi diressi verso di lui.
Ero con Frank. Sarebbe stato scortese abbandonarlo. Stavo cercando di essere una persona migliore. Scossi la testa e la inclinai verso Frank.
“Gerard? Con chi stai parlando?” disse Frank, reggendosi al mio braccio.
“Oh, è solo Jasper,” risposi sbrigativamente. Jasper non era importante, poteva aspettare.
“Chi?”
“Jasper, è lì.” Indicai Jasper poi guardai Frank. Lui deglutì mentre guardava verso Jasper, ma la sua faccia rimase assente. Non capivo come Frank potesse non notarlo. Era abbastanza evidente con la sua divisa militare. “Sta indossando un' uniforme militare. Il tipo di uniforme che gli uomini indossano nelle parate.”
Frank vacillò un pochino, mentre la sua testa ruotava verso me e verso Jasper e poi di nuovo verso di me.
“Che succede?” chiesi, preoccupato.
“E' solo che... Non-Non posso-lui non è... non lo vedo, Gerard,” balbettò lui, a disagio.
Mi accigliai. Forse Frank aveva bisogno di fare una visita oculistica o qualcosa del genere, perché lui era definitivamente lì. “E' lì!” esclamai e lo indicai.
Frank guardò obliquamente dove stavo guardando, ma nessun segno di riconoscimento attraversò la sua faccia. “Gerard,” disse attentamente, “non c'è nessuno lì.”
Lo derisi. Certo che c'era qualcuno lì. “Oh, sta entrando dentro,” dissi “un momento, torno subito. Voglio solo sapere cosa vuole.”
“Gerard,” disse debolmente, sembrando spaventato per qualche ragione sconosciuta.
“Un momento,” dissi e procedetti verso la porta.
Seguii Jasper dentro e dentro il ripostiglio delle forniture che era situato nel mezzo del corridoio che connetteva l'ala est con l'ala ovest.
“Blocca la porta,” comandò appena fummo dentro.
Ero un po' sconcertato dai modi di Jasper, ma seguii le sue indicazioni. Stavo per chiedergli cosa diavolo stesse succedendo, quando lui iniziò a gridarmi.
“In nome di Dio, cosa diavolo stai pensando di fare?” urlò, facendomi indietreggiare. “Come hai potuto diventare così incurante, Gerard? PERCHE' sei diventato così incurante? Mi rompo il culo ogni giorno provando a salvarti, Gerard! Immagina la mia sorpresa e il mio sbigottimento quando mi sono alzato e ti ho visto chiacchierare con quel ragazzino punk come se non avessi proprio nessuna prudenza!”
“Il suo nome è Frank,” mormorai in modo provocatorio.
Jasper mi afferrò duramente per le spalle e mi spinse a forza contro il muro. Era così vicino che potevo vedere le vene attraversare la sua faccia, più vecchia e matura. Era più grande di me e molto, molto più forte. Non aveva mai usato la violenza su di me in quel modo e questo mi fece capire che era successo qualcosa, o che sarebbe successo molto presto.
“Ti ho chiesto di dirmi il suo nome?” ribollì Jasper contro la mia faccia.
Deglutii, notando nervosamente i suoi occhi iniettati di sangue. “E' mio amico,” dissi.
“NO! Gerard, ci siamo già passati. Tu non puoi avere amici! Non riesci a capire quanto potrebbe essere fatale per te avere degli amici?”
“Non mi importa.”
Jasper lasciò andare la mia spalla e fece un passo indietro per esaminarmi. Si tolse il cappello e lo cacciò sotto il braccio. Non disse nulla; soltanto scosse la testa verso di me come se avessi fatto qualcosa di terribile.
“Ti stai innamorando di qualcuno che non può ricambiare il tuo amore,” disse infine. Non stava più urlando. Era tornato ai suoi modi abituali e composti.
“Non ne sono innamorato.”
Mi tirò il suo cappello con evidente fastidio. Lo afferrai sorpreso e lo tenni con apprensione fra le mie mani. Non ero molto sicuro se lo volesse indietro oppure no.
“Perché devi innamorarti di una persona che sai che non puoi avere?” chiese Jasper.
“Non sono innamorato di lui,” insistetti e gli ritirai il cappello. Lui non mosse la mano per afferrarlo, quindi quello rimbalzò leggermente sul suo petto e atterrò di fronte al pavimento polveroso.
Fece un passo verso di me. Io feci un esitante passo indietro. “E' vittima di uno stupro, Gerard. Lo sai, hai letto il suo file.” fece un altro passo verso di me. Io feci un altro passo indietro. “Non può sopportare di essere toccato. Ha sopportato un grande danno celebrale a causa delle mani di quei due uomini. Niente di quello che farai sarà mai capace di rimediare a questo. So che tu pensi di poterlo guarire, ma non puoi.”
“Posso provarci.”
Avanzò ancora, ma io ero schiacciato contro il muro e non avevo dove andare.
“E allora tu, Gerard? Chi ti conforterà? Smettila di pensare con il cazzo e comincia a pensare con il cervello. Non ti è stata data questa conoscenza per essere buttata, lo sai?”
Diventai tutto rosso appena Jasper parlò. “non sto pensando di fare sesso con Frank,” dissi, mortificato. Era vero. Non aveva mai attraversato la mia mente.
“Ma lo farai. Un giorno. E diavolo, forse Frank non potrebbe essere in grado di provarlo! Ma chi sarà lì a confortarti, Gerard, quando Frank scoppierà in lacrime a metà? Chi raccoglierà i pezzi del tuo cuore quando realizzerai che l'amore della tua vita ti guarda e vede solo quei due uomini? Chi asciugherà le tue lacrime quando capirai che tu e Frank non potrete più essere intimi? Non sarai mai capace di essere vicino. Non sarai mai capace di confonderti con una persona, Gerard!”
Non mi importava. Tutto quello che Jasper stava dicendo mi stava soltanto facendo capire quanto mi stessi innamorando di Frank.
“Non mi stai ascoltando, non è vero?” disse alla fine. Doveva aver notato lo sguardo stordito sulla mia faccia.
“No.”
“Non fare il furbo con me, ragazzo.” mi rimproverò.
“Sto dicendo la verità.”
“Hai sempre cercato di fare il furbo su questo.”
“Sta zitto.”
Gli occhi di Jasper erano vicini a uscire dalla sua testa, ma non mi importava. Volevo uscire da quel piccolo ripostiglio dei viveri senz'aria e trovare Frank.
“Non voglio risollevare la questione, Gerard,” disse. “Ma non ricordi l'ultima volta?”
Scossi la testa lentamente. Quale ultima volta?
“Gerard, sai cosa voglio dire.”
Ma non lo sapevo. Non riuscivo a pensare a cosa volesse dire. Quale ultima volta?
“Non puoi lasciare che le persone ti si avvicinino, Gerard. E' quello che vogliono Loro. Questo li fa avvantaggiare. Non pensi che loro potrebbero cercare la persona a cui sei sentimentalmente attaccato? Cosa farai dopo?
“Proteggerò Frank,” dissi automaticamente.
Jasper sembrava preoccupato adesso. “E' quello che hai detto anche l'ultima volta.” sussurrò.
“Cosa è successo l'ultima volta? Non ricordo. Dimmelo. Dimmelo!” domandai.
La nostra conversazione fu interrotta da un odioso colpo alla porta. Mi girai impaurito. “Apri questa posta ora, Gerard!” sentii gridare Zach.
“Jasper,” urlai. “Dimmi cosa è successo l'ultima volta.”
“Hai provato a proteggerlo, ma hai fallito. Non puoi vincere contro di Loro. A Frank verrà fatto del male proprio come all'altro ragazzo. Lascialo andare. E' per il suo bene. Sai cosa è successo l'ultima volta.” Jasper aveva raccolto il suo cappello e lo stava distrattamente rigirando nella mano destra.
“No, non ricordo! Quale altro ragazzo?”
“Sai il suo nome. Hai provato a salvarlo. Non ricordi, Gerard? Hai provato a salvarlo, ma hai fallito. Non fallire questa volta.”
Stavo uscendo fuori di testa. Non sapevo di cosa stesse parlando. Non ricordavo. Sapevo di saperlo, semplicemente non riuscivo a ricordare. Mi portai le mani in faccia e premetti le labbra contro i pollici, provando a farli smettere di tremare.
“Pensa! Gerard! Smettila di impanicarti e usa il cervello. Le informazioni sono lì, hai solo bisogno di trovarle. Tu....” Jasper smise di parlare bruscamente e smise di rigirare il cappello che aveva fra le mani. Lentamente alzò la testa per guardare il soffitto e mi ritrovai a imitarlo.
Improvvisamente realizzai che Zach non stava più bussando alla porta. In effetti, ricordavo che avesse bussato solo una volta. Cosa gli era successo. Oh, buon Dio.
Jasper era spaventato. Potevo vederlo sulla sua faccia. Io adesso ero terrorizzato. Mi stavo sforzando di continuare a emettere ogni respiro e le mie mani stavano tremando. Qualcosa di brutto stava accadendo fuori, potevo percepirlo. Lentamente Jasper si rimise in testa il cappello e si girò verso di me. “Devi uscire di qui,” sussurrò. “Ora!”
Il suono degli spari raggiunse le mie orecchie e afferrò il mio intero corpo. Loro non stavano più arrivando. Loro erano qui.
“CORRI, GERARD!” urlò lui e mi spinse verso la porta.
Le mie dita erano intorpidite e armeggiarono inutilmente sulla serratura. Ogni prezioso istante che passava mentre le mie dita si rigiravano per aprire la serratura, vedevo aumentare la paura e la disperazione. Sembrò quasi un' eternità, prima che sentii lo schiocco e fui capace di spingere verso il basso la maniglia. Il corridoio fuori era deserto. Le luci appese sopra la mia testa tremolavano minacciosamente. Mi sentivo come in un brutto film dell'orrore. Mi sentivo come il protagonista principale che veniva inseguito da mostri che potevano vedermi, ma io non riuscivo a vederlo. Stavo rabbrividendo così tanto adesso, che quando respirai il mio respiro venne fuori in rantoli tremolanti.
Sapevo di non poter restare dov'ero, quindi, pur in preda al terrore, feci un piccolo passo in direzione dell'ala ovest. Quando niente saltò fuori davanti a me, cominciai a correre. Non sapevo dove stessi correndo. Sapevo solo che dovevo fuggire.
Girai l'angolo con andatura straordinaria, le mie scarpe che slittavano pericolosamente sul linoleum lucido. Pensavo di non aver mai corso così veloce in tutta la mia vita. Alzai lo sguardo per un momento, per orientarmi di nuovo, quando vidi Loro. Stavano in piedi alla fine del corridoio, all'entrata delle docce, guardandomi. Aspettandomi. I miei occhi si dilatarono e la nausea mi scivolò addosso violentemente, come un'onda malvagia. Pensai che avessi smesso di respirare. Il mio cervello non stava prendendo ossigeno e nemmeno i miei muscoli. Dovevo correre, ma non potevo.
Ce n'erano cinque di Loro. Stavano tutti allineati in fila, spalla contro spalla. Erano vestiti con vestiti neri dalla testa ai piedi. Le loro facce erano nascoste dietro maschere nere. Sul loro petto potevo vedere il voluminoso profilo di una giacca antiproiettile e nella mano sinistra stringevano tutti una pistola. Non era un normale tipo di pistola, comunque; quelle pistole non erano caricate a proiettili. No, no, no. La loro intenzione era di prendermi vivo.
Non avrei mai permesso che mi prendessero vivo.
Girai la mia schiena verso di Loro e corsi più intensamente e più velocemente di prima. Non avrei mai lasciato che mi prendessero. I segreti appartenevano al mio cervello. Non li avrebbero mai presi.Questo pensiero corse più e più volte attraverso il mio cervello e come uno shock elettrico, riuscì a farmi muovere. 
Girai a destra verso la caffetteria. Anch'essa era deserta. Dov'erano tutti? perché nessuno veniva ad aiutarmi? Erano stati uccisi? Frank era morto per colpa mia? Mi rifiutai di pensare ancora a questa possibilità. Mi stavo facendo strada attraverso il centro della stanza, quando qualcosa mi colpì forte sulle spalle. Inciampai e caddi a faccia avanti su uno dei tavoli di metallo. Gemetti e mi girai di schiena, la testa che pulsava dolorosamente dove aveva sbattuto violentemente contro il mobile. Potevo sentirmi indugiare sull' orlo dell' incoscienza e combattei disperatamente per restare sveglio. Dovevo continuare a correre. Dovevo scappare.
La figura mascherata si profilò minacciosamente sul mio volto e io urlai. Istintivamente lanciai il mio pungo serrato contro la sua faccia e quello si congiunse con la plastica stampata che nascondeva i suoi lineamenti. Lui grugnì e si sedette, lasciandomi rotolare e combattei per tenermi in piedi. Appena ritrovai l'appoggio, due altre persone senza viso afferrarono le mie braccia e mi spinsero contro il muro.
Ero spaventato. Ero terrificato. Ero così impaurito che avrei voluto morire.
L'unico pensiero che ero capace di elaborare era: voglio morire.
La paura debilitante era quel tipo di paura che nessuno dovrebbe mai essere costretto a sopportare.
Adesso Loro mi stavano circondando. Ce n'erano molti più di cinque. Non potevo contarli, il mio cervello semplicemente non poteva, ma riuscivo a riconoscere che erano troppi per scappare. Era finita. Il mondo sarebbe finito.
Uno di Loro fece un passo in avanti dal gruppo senza faccia e si mise davanti a me
“Trovato,” mi schernì.
Mentre stavo lì, sperando almeno di chiudere gli occhi, vidi il guanto della sua mano che veniva trasportato lentamente dentro la tasta. Tirò fuori un bisturi e lo sventolò in modo tormentoso di fronte al mio viso.
Prese il bisturi nella mano destra e cominciò a muoverlo verso la mia testa. La sinistra mi tirò i capelli via dalla fronte.
“Vediamo cosa possiamo trovare qui, sì?” disse rocamente e premette l'orribile lama affilata contro la mia pelle.
Non sentii nessun dolore mente tagliava la cute. L'adrenalina che pompava attraverso il mio corpo era abbastanza per attenuare tutto.
Ma, era così. Stava per prendere i segreti dentro il mio cervello. Era tutto finito.
Fui sorpreso quando lui smise improvvisamente e lasciò cadere il bisturi. Le altre due persone che mi stavano tenendo per le braccia d'un tratto abbandonarono la presa e subito dopo caddero sul pavimento. Tutti Loro indietreggiarono di colpo. Non capivo cosa stesse succedendo. Avevano scordato cosa volessero? Ero morto?
“Gerard. Va tutto bene. Sei solo impaurito. Va bene essere impauriti. Dimmi, perché sei spaventato?”
“Li faccia andare via,” singhiozzai. “Voglio solo che se ne vadano.”
“Ci sto provando,” disse Markman con calma. “Ti sto per somministrare un sedativo, Gerard. Riesci a capirmi?”
Guardai prima Markman e poi Loro. Stavano ancora nella stanza. Ce n' erano centinaia. Stavano in piedi immobili, perfettamente allineati, fissandomi attraverso le loro maschere indistinte. Mi stavano guardando.
Markman iniettò il sedativo nella mia gamba e potei avvertirlo mentre cominciava a fare effetto. Infatti, potevo quasi sentirlo cantare mentre fluiva attraverso le vene. Sentii gli occhi chiudersi e permisi al farmaco di cantare per farmi addormentare.


 


 

Note di traduzione:
* il pezzo originale era: I don’t know if you’ve ever noticed but when you go to say a word starting with the prefix ‘th’, like “that”, or “Thursday”, your tongue pokes out forward between your teeth a little. I noticed little things like that. In particular, I noticed how endearing it was to see Frank’s little tongue flick whenever he said a word beginning with the prefix ‘th’. Okay, yes, it is a little creepy that I have a habit of staring at Frank’s tragic lips, but really there is nothing that wrong with it. 
Ho cercato di trasformarlo in italiano nel miglior modo possibile (:

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Capitolo 8
*** 8. ***


A SPLITTING OF THE MIND

 

*** 
 

8. 

We Scream To Avoid Suffering In Silence


 


 Stavo avendo un brutto momento, provando a determinare se fossi morto o no. Non pensavo di essere morto... ma sapevo di potermi sbagliare. Anche se il mio sbagliarmi era un evento raro, era ancora possibile. La testa mi faceva male e mi sentivo come se fossi stato imbottito di cotone idrofilo. Se ero vivo, probabilmente erano le medicine che mi facevano sentire così. Ma se ero morto, senza dubbio era perchè loro avevano rubato tutti i miei segreti e riempito lo spazio vuoto col nonsenso. Quando dico nonsenso mi sto riferendo alle cose inutili come differenziare un polinomio dall' ordinanza del presidente degli Stati Uniti. Capite, inutili stronzate come queste.

Aprire gli occhi mi faceva tremendamente male, ma ero determinato a capire dove fossi, quindi li sforzai a obbedire al mio desiderio. Le luci nella stanza, sebbene sfuocate, istantaneamente obbligarono i miei occhi a chiudersi di nuovo. Lentamente, stavo riacquistando sensibilità negli arti ma fui inorridito dallo scoprire che non importava quanto duramente provavo a muoverli, non si muovevano. Sicuri che non ero paralizzato? No, non potevo esserlo. Potevo sentire il tocco leggero delle lenzuola sulla mia pelle. Cosa stava succedendo? Perchè non riuscivo a muovermi? E cosa cazzo era questo suono che squillava?
Sbattei le palpebre rapidamente e riaprii di nuovo gli occhi, trasalendo per la luce. Appena i si adattarono lentamente, realizzai che ero nel letto di un ospedale. Perchè diavolo ero nel letto di un ospedale? Cosa era successo? Porca troia. I miei occhi guizzarono con ansia intorno alla stanza, raccogliendo tutte le informazioni per una possibile uscita. Il suono squillante crebbe progressivamente a tempo con il mio sbattere di ciglia.
Ero più che ovviamente vivo, ma perchè? Loro non avevano ottenuto ciò che volevano? Cominciai a ripercorrere tutti i segreti nel mio cervello, cercando quello che avevano rubato. Ero arrivato alla lettera 'H' nel mio inventario, quando la porta si aprì e Markman fece un passo con calma. Non stavo ancora entrando nel panico; ogni cosa sembrava essere in ordine, fino ad ora.
“Stai male?” disse Markman gentilmente.
Non le risposi; volevo solo procedere oltre la 'K' e tutti i segreti vitali che si avvicinavano velocemente. Non avevo bisogno di nessuna distrazione in quel momento.
“Il bendaggio è troppo stretto?”
Quando me lo chiese, mi bloccai nel mio inventario. Il respiro si fermò in gola quando capii che la pressione nella mia testa era causata dal bendaggio stretto. Non avevo più bisogno di completare l'inventario. Markman aveva già confermato da sola le mie paure.
Doveva essere stato vero. Loro avevano tagliato la mia testa. Loro avevano preso i miei segreti.
“A cosa stai pensando?” incalzò lei. Mi accigliai e un dolore lancinante mi colpì attraverso la fronte. Stava cercando di fregarmi per farmi parlare. Sapevo che lo stava facendo. Ma avevo imparato la lezione, lo sapevo meglio questa volta. Loro erano capaci di intercettare la mia voce.
Provai di nuovo a muovere il braccio, ma scoprii che ero stato imprigionato con delle cinghie imbottite. Furiosamente mi divincolai e combattei contro le cinghie, ma senza risultato. Questo era il mio peggior incubo,ero completamente indifeso. Lei non riusciva a capirlo? Il fatto che ero ancora vivo significava che loro non avevano raggiunto il loro piano di rubare i segreti e uccidermi. E poiché il mondo non era in pericolo e non stava per finire, era ovvio che loro avessero preso il segreto sbagliato. Significava che loro sarebbero tornati, presto, non appena fossi stato ancora debole. Tirai con violenza i nodi. Non era troppo tardi. Il mondo non era finito, per ora, c'era ancora un' opportunità. Potevo sconfiggerli.
Markman capì cosa stessi cercando di fare. “Non posso togliere le cinghie, Gerard. Per favore, calmati.”
Calmarmi!?! A cosa stava pensando? Era quello che loro volevano!
“Lei lavora per loro, Gerard. Sai che lo fa. Questo spiega tutto, no?” Jasper apparì dal nulla e si appoggiò sul bordo del mio letto. Lo guardai a bocca aperta. Lei stava lavorando per loro? Siamo sicuri di no?
La mia bocca restò aperta in stato di shock, mentre la testa ruotava per guardare sbigottito Jasper e adocchiare Markman con cautela. Jasper alzò il sopracciglio chiazzato di grigio verso di me. “Non essere stupido,” disse in modo paterno come osai di dubitare della sua accusa. Per quanto odiassi Markman, lei era una di quelle poche persone di cui sentivo di fidarmi. Non aveva mai fatto niente che mi avesse fatto pensare che lei fosse alleata con loro.
Ringhiai a Jasper e lui indietreggiò. Con rabbia, si alzò in piedi e mi guardò. Stava indossando di nuovo l'uniforne militare, ma era un po' più scompigliata di quanto lo fosse durante il nostro ultimo incontro. Cosa gli era successo?
“Gerard?” mi chiamò Markman per ottenere la mia attenzione e mossi a scatti il mio sguardo verso di lei, timoroso, aspettandomi in ogni momento la contro-reazione di Jasper in risposta alla mia mancanza di rispetto. “Con chi stai parlando?”
“Menti,” sibilò Jasper. “Non osare dirglielo, Gerard. Non osare,” minacciò attraverso la mascella serrata.
Deglutii spaventato e voltai la mia testa verso Markman.
I suoi occhi scorsero verso Jasper, poi di nuovo verso la mia faccia. “C'è qualcun altro nella stanza?”
Sì, certo che c'è! Non riesci a vederlo? Quel bastardo mi sta fottutamente minacciando!
“Pensi che sia un bastardo, Gerard?” domandò Jasper compiaciuto.
Un momento, poteva leggere la mia mente? Porca di quella puttana!
“Chi è, Gerard?” disse Markman preoccupata. “Chi è?”
Mi morsi il labbro tremante, mentre gli occhi si spostavano di nuovo e in avanti fra Jasper e Markman, che stava in piedi al lato opposto del duro e pesante letto d'ospedale.
Con gli occhi implorai Jasper di andare via. La sua presenza mi stava mandando brividi lungo tutta la spina dorsale.
“Sto cercando di salvarti!” ruggì lui. “Sono qui per salvarti, Gerard, non per farti del male. Qual'è il problema? Vuoi che loro ti prendano e ti taglino di nuovo la testa? Sono qui per proteggerti!”
Stronzate. Le parole corsero selvaggiamente attraverso la mia testa e Jasper mi guardò in modo furioso.
“Gerard, guardami,” ordinò Markman, e io obbedii.
Jasper si stava agitando con rabbia. “Non dirglielo, Gerard,” mi avvisò di nuovo.
“C'è qualcun altro nella stanza, Gerard?” chiese lei, esaminandomi intensamente.
I miei occhi corsero di nuovo avanti e indietro tra la preoccupazione di Markman e la furia di Jasper. Era quasi come se fossi a un match di tennis guardando la palla che andava avanti e indietro.
Valutai le mie opzioni. Dovevo rischiare di essere scoperto di nuovo e informare Markman della presenza di Jasper, oppure dovevo credere a Jasper, che non mi aveva mai portato fuoristrada in passato, e stare zitto?
“C'è qualcun altro nella stanza?” ripetè lei, enfatizzando le parole e non staccando mai gli occhi dai miei.
Deglutii e con un ultimo sguardo verso Jasper sollevai il mento per guardare faccia a faccia Markman. Poi annuii una sola volta. Era solo un piccolo accenno, ma lei capì. Mi chiedevo se anche lei potesse leggere la mia mente. Sarebbe stato più che possibile per lei.
Un'onda di realizzazione ricoprì Markman, ma io ero sconcertato della natura della sua improvvisa scoperta.
Con esitazione diedi un' occhiata a Jasper, ma fui sorpreso di vedere che era scomparso. Mi sedette, allarmato. Significava che loro stavano tornando di nuovo? Girai il busto, sforzandomi di esaminare tutti gli angoli della stanza, nella vana speranza di vedere Jasper nascosto in uno di quelli. Era svanito misteriosamente come era apparso. Dopo un intero minuto passato a non sentire nessun tipo di spari, mi convinsi che al momento ero salvo e mi rilassai.
Markman era appoggiata sul tavolo e stava annotando qualcosa in quella che sembrava una cartella ufficiale. Una cartella che sospettavo contenesse il mio file. Il grande file che apparentemente non avrei voluto leggere. Che stronza, odiavo quando era lei a dedidere la mia vita al posto mio, proprio come in quel caso. Passarono un paio di minuti e lei non sembrava mostrare segno di fermarsi dallo scrivere la sua lunga nota. Ero completamente confuso adesso. Markman non aveva mai registrato così a lungo qualcosa che avessi detto o fatto. Paura, sospetto e rimorso colpirono sconfortevolmente il mio petto in sincronia con il mio cuore, quando capii che forse Jasper aveva ragione. Forse lei era alleata con loro. Stava scrivendo tutto per riferirlo a loroLi aveva aiutati per tutto il tempo? Porca troia.
Stavo cercando di calmarmi. Entrare nel panico non mi avrebbe portato presto fuori da quelle cinghie. Avevo bisogno di avere le mani libere. Non potevo restare immobile in quel modo. Mi stava rendendo ansioso. E non era un segreto che l'ansia e io non eravamo migliori amici.
Mi schiarii la gola rumorosamente per attirare l'attenzione di Markman. Lei mi guardò stupita per un secondo, prima di alzare un solo dito verso di me. Quel dito stava pienamente a significare: “aspetta.”
Ma io non volevo aspettare. Volevo leggere il mio file. Ora. Non dopo, non in un minuto. Ora.
Markman portò una sedia accanto al mio letto e si sedette aggraziatamente. Incrociò le gambe e si appoggiò la cartella sulle ginocchia. Mi guardò con l'aria di chi aspettava qualcosa. La guardai con l'aria di chi aspetta qualcosa. Eravamo entrambi in attesa l'uno verso l'altro, quella mattina.
“Puoi parlarmi dell'altra persona che è nella stanza con noi?” domandò.
No. Scossi la testa e premetti strettamente le labbra insieme, per simboleggiare la ripresa del mio voto di silenzio. Ooooohhhhh, Markman non era felice di questo. Le ghignai brutalmente,sapendo quanto la stavo irritando.
Strattonai la cinghia che teneva la mia mano destra fissa al letto. Se lei voleva una risposta da me, dovevo aver bisogno di un braccio libero per scrivere. Lei sospirò e si strofinò gli occhi, chiaramente esasperata. Mi sentii solo un pochino colpevole per quanto piacere ottenessi nel rendere il suo lavoro dieci volte più faticoso di quanto doveva essere. Nonostante i suoi timori, sciolse la cinghia e io stesi il mio braccio, pieno di riconoscimento. Mi passò un pezzo di carta, una matita e un libro da appoggiare sopra. Li afferrai impazientemente e scrissi: 'Quello è il mio file?'
Come glielo passai, lei scosse la testa, divertita. Quando non rispose, tirai su il libro per vedere su cosa mi stessi appoggiando. Era un manuale intitolato 'Il percorso della sanità mentale: Le relazioni Dottore/Paziente' scritto da J.A. Slater, M.D. Ridacchiai per il titolo e lo sostenni affinchè Markman lo vedesse. Alzai un sopracciglio, domandandomi il perchè della presenza del libro nella mia stanza, per prima cosa. Credevo che, dopo tutti quegli anni, fossi ancora intrigante e incomprensibile per lei. Era ovviamente così sconcertata per la mia genialità, che aveva dovuto ricorrere a leggere i sui vecchi manuali scolastici di medicina. L'unica cosa che mi confondeva era la parte del 'Sanità mentale' nel titolo. Pensava veramente che potessi avere una malattia mentale? Non ero un malato di mente. Non ero depresso o un suicida o qualcosa del genere.
“Nel dubbio, si torna alle nozioni di base,” borbottò Markman e arrossì.
Annuii e feci spallucce. Era una buona mentalità, supposi. Uno spasmo di dolore mi trafisse di nuovo la fronte e realizzai di aver completamente scordato il bendaggio intorno alla mia testa. La toccai cautamente.
“Oh,” disse Markman, improvvisamente. Anche lei si era scordata della mia ferita, pensai. “Suppongo che tu tia stia chiedendo cosa sia successo alla tua testa.”
Veramente no. Sapevo esattamente cosa era successo.
“Ti sei scontrato abbastanza forte con quel tavolo,” mi disse. Avvertivo un accenno di rammarico nella sua voce, o cosa? “Ti sei aperto la fronte in modo abbastanza grave.”
No! Non mi ero aperto la testa sul tavolo. Loro l'avevano aperta. Questo è quello che è successo. Non provare a mentirmi!
“Ma non ti preoccupare,” mi rassicurò, scambiando la mia confusione per preoccupazione. “Il miglior chirurgo plastico della East Coast sta arrivando qui per riparare la tua ferita alla testa. Ha promesso che la cicatrice sarà invisibile. E' veramente il meglio del meglio.” Enfatizzò il 'meglio' più del necessario.
Perchè il miglior chirurgo plastico della East Coast era in volo per il New Jersey per riparare la mia testa? Perchè ero così speciale??? Scossi il capo e abbassai lo sguardo sulle coperte.
“Che succede?” chiese Markman, porgendomi il pezzo di carta e la matita.
La presi e pensai per un momento. Perchè avrebbe dovuto mentirmi? Cosa avrebbe ottenuto? Ogni secondo che passava mi faceva pensare di più e di più alla possibilità che lei fosse alleata con loro.
Scrissi: 'Non è successo questo.' Lo alzai per farlo leggere a Markman e la guardai intensamente aspettandomi una reazione che l'avrebbe tradita e avrebbe rivelato la sua obbedienza a loro. Non ottenni la reazione che mi aspettavo, o che volevo. Lei sembrava autenticamente confusa al momento.
Tu cosa pensi che sia successo?” La sua voce era tranquilla.
Scrissi cosa era successo in quei pochi minuti prima che lei mi sedasse. Descrissi dettagliatamente loro e il loro tentativo di rubare i miei segreti. Lasciai fuori la parte di Jasper, comunque. Non avevo molta voglia di scoprire quale sarebbe potuta essere la sua reazione nello scoprire che l'avevo tradito. Aggiunsi alla fine: 'Devono aver rintracciato la mia voce.'
“Oh, Gerard,” sospirò lei, appena lesse cosa avevo scritto. “Non avevo idea,” disse scioccata. “Devi essere stato così spaventato.”
Annuii con esitazione.
“Gerard, so che te ne ho giù parlato in passato, ma ti ricordi la conversazione che abbiamo avuto rigurdo quella malattia chiamata schizofrenia?”
Vagamente, sì, ricordavo quella parola. Ricordavo inoltre di aver ignorato tutto quello che Markman aveva detto perchè era assurdo. Annuii ancora con esitazione. Perchè lo stava riportando a galla? Non ero pazzo.
“Ricordi che ti è stata diagnosticata la schiziofrenia?”
Il mio cuore battè dolorosamente all'interno del petto e mi rifiutai di guardare negli occhi Markman. Non mi sarei seduto lì lasciando che lei mi convincesse che fossi pazzo. Non ero pazzo. Ray era pazzo. Bob era pazzo. Io non ero per niente come loro. Non ero pazzo. Girai la testa e fissai il muro, determinato a bloccare ogni cosa che Markman stesse cercando di dirmi. Stava mentendo.
Si allungò in avanti e mise la mia cartella sul pavimento. “Per favore, guardami,” mi chiese.
Scossi la testa e continuai a tenere gli occhi sulla parete. La stavo fissando così intensamente che quasi mi aspettavo che cadesse sotto l'intensità del mio sguardo. Sentii Markman sospirare e risedersi, non riuscendo a capire di nuovo. Continuai a guardare il muro fino a quando sentii bussare alla porta. Essa si aprì e Markman accolse il nuovo arrivato.
“Gerard,” annunciò lei a gran voce. “Questo è il Dr. Reynolds, il chirurgo plastico.”
“Ciao, Gerard!”
La sua allegria mi faceva star male. Lo ignorai. Aveva capelli biondi alla moda e laceranti occhi blu che erano davvero troppo ansiosi per attirarmi. Disprezzavo la sua attrattiva; mi ricordava vagamente la mia apparenza insignificante.
“Sono proprio qui per dare un'occhiata ai tuoi punti, Gerard. Ti dispiace?”
Prese la mia mancanza di risposta per un no. Le sue lunghe dita da milionario tolsero con destrezza la benda intorno alla mia testa, fino a quando l'aria fresca solleticò la ferita. Girò la mia testa verso di lui per esaminare attentamente i punti. “Bene,” mormorò fra se'. “E' completamente guarita,” mi informò. “Dubito che ci sarà perfino una cicatrice. Sei in debito con me,” aggiunse scherzosamente.
Ma neanche per sogno! Non sono in debito con te, stronzo arrogante. Non ho chiesto le tue dita esperte per avere una testa perfetta. Non mi sarebbe importato se avessi avuto un' enorme cicatrice lunga tutta la fronte o no.
“E' sicuro?” gli chiese Markman con apprensione. Ovviamente lei non credeva nel suo modo di fare sicuro quanto lui.
“Certo. Lo portate a casa oggi?”
“Sì, il gonfiore nel cervello è diminuito a un livello stabile per il trasporto. Lo riporterò a Bluestone stanotte e lo controllerò lì. La familiarità è meglio per Gerard, credo.”
Il Dr. Penso-Di-Essere-Così-Figo-Ma-Non-Lo-Sono-Sul-Serio avvolse il bendaggio attorno alla mia testa mentre parlava con Markman. Era come se non fossi nemmeno nella stanza. Non avevano nessun rimorso nel discutere del mio futuro di fronte a me, ma questo mi irritava.
Lui lo approva?”
“Lui non ha voce in capitolo,” rispose Markman freddamente, offesa dal dubbio del Dr. Reynolds.
Chi era lui? Dio, i segreti stavano davvero uscendo fuori adesso. Feci finta di ignorarli ancora, ma segretamente stavo ascoltando con molta attenzione.
Il Dr. Reynolds rise innocentemente. “Non intendevo offenderla. La prego, accetti le mie scuse. Cosa risulta dall'ultima tomografia computerizzata?”
Markman attraversò la breve distanza per prendere la grande busta sotto il mio grafico ed estrasse i negativi della mia tomografia computerizzata. Li passò al Dr. Reynolds, il quale li mise contro il tavolo luminoso vicino al bagno. Markman si mise accanto a lui, raggiungendo a malapena con la testa le sue ampie spalle.
“Questa e' di tre anni fa,” sussurrò Markman e indicò lo schermo sulla sinistra. La sua intenzione era quella di prevenire che sentissi, ma sentivo tutto, comunque. “Questa è stata fatta stamattina.”
Il Dr. Reynolds fischiò sottovoce. “La crepa si sta ingrandendo,” mormorò, tracciando le dita sull' ecografia. Strizzai gli occhi, ma non riuscii a vedere la traccia di nessuna crepa nel mio cranio. A cosa si stava riferendo? Perchè stava guardando su un'ecografia vecchia di tre anni? Non mi ricordavo di aver avuto un'ecografia tre anni prima. Non riuscivo nemmeno a ricordare cosa avessi avuto per cena la settimana passata. Non ricordavo quasi nemmeno cosa avessi avuto per colazione .
Aspettate, un momento. Sì, ricordavo. Ricordavo un giorno. In quel giorno, avevo mangiato il toast con il burro di noccioline. E Frank il toast con la marmellata. Oh Frank, come avevo potuto dimenticarlo? Era stata colpa sua se ora ero qui. Era stata colpa sua, ma non riuscivo a trovare nel mio cuore la forza di incolparlo. Se lui non fosse stato così sconvolto quel giorno, nella sessione di terapia di gruppo, non gli avrei mai parlato. Se non avessimo mai creato quella bizzarra complicità quel giorno, non avrei mai sentito il bisogno di offrirgli la mia stanza. Se non avessimo condiviso la stanza, non avrei mai sognato di parlargli. Se non avessi mai aperto la bocca, loro non avrebbero intercettato la mia voce e non avrebbero provato a rubare i segreti nel mio cervello.
Sapevo cosa significava questo, ora. Significava che dovevo stare lontano da Frank. Era troppo pericoloso per me stargli ancora vicino. Era troppo allettante aprire la bocca con lui attorno. Perdipiù, Jasper aveva avuto ragione su tutto. Quando loro sarebbero tornati a finire ciò che avevano iniziato, Frank non avrebbe potuto essere accanto a me. Ero diventato troppo attaccato emotivamente a lui. Si sarebbe solo che fatto male se avessimo continuato a essere amici ancora a lungo. Era un rischio che non volevo correre.
Tenevo troppo a lui, adesso.
Lacrime di disperazione mi punzecchiarono gli occhi, ma con un battito di ciglia le mandai via furiosamente. C'era solo una cosa da fare ora. Sapevo che Frank non avrebbe voluto essere tagliato fuori dalla mia vita in quel modo. Lo avrebbe ferito troppo. Non sarebbe stato capace di sperare, sapevo che non l'avrebbe fatto. Avevo bisogno di essere trasferito. Non potevo tornare a Bluestone.
Su un pezzo di carta scrissi la mia richiesta a Markman: 'Non posso tornare a Bluestone. Per favore, non mi ci riporti. Ho bisogno di essere trasferito in un altro istituto. Non mi importa dove. Ormai è troppo pericoloso per tutti avermi intorno. Quando loro torneranno per finire ciò che hanno iniziato, cercheranno Frank.Loro sanno che è l'unica persona di cui mi importa. Non sarò capace di proteggerlo. Proprio come l'altro ragazzo. Non so chi fosse, eccetto che provai a salvarlo. Ho fallito quella volta, non fallirò di nuovo. Per favore, mi aiuti.'
Aspettai fino a dopo che il Dr. Reynolds se ne andasse, prima di consegnarglielo. Markman lo lesse, scuotendo la testa tutto il tempo. Sembrò abbastanza combattuta per un minuto, e mi sentii speranzoso. Comunque, adesso, avrei dovuto sapere meglio come affiggere ogni speranza in quella donna.
“Riposati un po',” mi disse e uscì.
Riuscii ad addormentarmi alla fine, ma ebbi l'incubo più terrificante della mia vita.
Stavo camminando attraverso una grande casa e mi ero senza dubbio perso. I muri bianchi erano uno identico all'altro e le stanze erano vuote di ogni oggetto. Non riuscivo a distinguere le camere ed ebbi la disperata sensazione che stessi girando i cerchio attraverso quella casa enorme. Finalmente arrivai alla fine dell' enorme scalinata e la salii con trepidazione. Non avevo idea di cosa mi aspettasse e il sudore stava colando dalla mia fronte. Con un vago movimento mi scostai via i capelli inzuppati dal viso e fui sorpreso di quanto fossero diventati umidi. L'altra cosa che capii fu che anche i miei vestiti erano bagnati fradici e mi stavano trascinando giù. Stava diventando dura continuare ad avanzare passo dopo passo per salire le scale. Il peso divenne troppo per me e caddi sulle ginocchia. Comunque, invece di cadere sulla dura scalinata di marmo, caddi bruscamente in una pozzanghera d'acqua.
Frank si afferrò a me in un istante. Avvolsi il mio braccio protettivamente intorno a lui mentre usavo l'altro per farci continuare a stare in piedi. 
Aiutami,” urlò nel mio orecchio.
Lo feci aggrappare alla parete mentre nuotavo verso il centro della pozza. Come camminai sull'acqua, essa diventò improvvisamente sempre più dura sotto i miei piedi, fino a che non sembrò di camminare nel cemento. Terrificato, diedi un'occhiata ai miei piedi e capii che stavo di nuovo su una superficie solida. Ero tornato nella villa anonima.
Frank,” urlai, girandomi.
C'era sangue dappertutto. Le mura bianche della villa gocciolavano di un liquido rosso e viscoso. Colava giù dalle pareti lentamente, lasciando una macchia scura. Il mio stomaco si contrasse insopportabilmente appena mi accorsi dell'orribile visione. Feci un passo indietro e il mio piede sguazzò in qualcosa. Sconcertato, lasciai che il mio sguardo cadesse sul pavimento. Il sangue colato dalle pareti stava formando delle pozzanghere ed io ero in piedi esattamente in mezzo a una di esse. Le mie sneacker erano macchiate di rosso, come il davanti dei miei vestiti.
Come avevano fatto i miei vestiti a sporcarsi? C'era sangue anche sulle mie mani ed entrai in panico prima che provassi a strofinarlo via sui jeans. I miei sforzi riuscirono solo a farmi macchiare tutto sui polsi e gli avambracci.
Così tanto sangue.
Rintracciai Frank a distanza di venti metri buoni, sdraiato immobile nelle pozze di sangue. Come corsi verso di lui, le piccole onde che creai si infransero sul suo corpo senza vita. Stavo cercando nel suo volto ogni singolo cenno di vita, ma lui era vuoto di vita, proprio come quella casa era vuota di colori. Non importava quanto avessi corso, il corpo di Frank non poteva più avvicinarsi. Urlai per la frustrazione e rallentai per fare una sosta.
Il muro alla destra del corpo di Frank improvvisamente si aprì e una figura ne uscì. Indossava una maschera inespressiva e non riuscii a identificarlo. Si inginocchiò e fece correre un dito pallido sulla faccia di Frank. Si rimise in piedi e alzò l'indice perchè io vedessi. Poi premette il dito sporco sulla sua faccia e strofinò il sangue sulla maschera esattamente dove avevo immaginato che fossero le labbra.
Si abbassò di nuovo per bagnare il dito nella pozza di sangue vicino alla testa di Frank. Quando girò la mano, il liquido rosso gocciolò lentamente lungo l'indice e sul palmo. Inorridito, realizzai che mi stava sorridendo. La macchia di sangue sulle labbra della sua maschera si era curvata malvagiamente in un ghigno.
Improvvisamente la mano pulita rimosse la maschera e mi lasciai sfuggire un grido di terrore quando riconobbi la persona che c'era dietro. Lui mi guardò e alzò le dita macchiate, questa volta verso le sue vere labbra, coprendole di sangue. Le mie mani si strinsero assieme, mentre lui procedeva leccandosi la bocca, asciugando il liquido con la lingua.
Sei un mostro,” gli urlai.
Lo sguardo folle nei suoi occhi incrementò quando cominciò a ridere spaventosamente. Quel rumore risuonò nella mia testa, mentre lottavo per comprendere. L'uomo ripugnante che leccava il sangue in piedi accanto al corpo di Frank non era un estraneo. Era qualcuno che conoscevo fin troppo bene. Ero io sotto la maschera. Io ero il mostro.


Nella macchina per tornare a Bluestone tremai costantemente. Ero stanco, spaventato e avevo freddo. Non avevo il coraggio di chiudere gli occhi per paura di riaddormentarmi e vedere di nuovo il sangue. C'era così tanto sangue. Troppo. Markman mi importunò per tutto il viaggio di ritorno affinchè parlassi con lei, ma guardai solo il finestrino. Quando accettò che non avrei parlato con lei, mi mise una matita in mano e mi intimò di scrivere cosa stessi provando. Come diavolo avrei potuto scrivere come mi sentivo? Cos'era questo? Un esame delle medie?
 Non volevo tornare. Non potevo tornare. Come avrei potuto guardare negli occhi di Frank e informarlo che non avrei più potuto stargli accanto? Non era che io nonvolessi più stargli accanto, era solo che non potevo. Sapevo che non mi avrebbe capito. Ovviamente, non avrebbe capito. Mi avrebbe offeso se lui avesse capito e fosse soltanto andato via. Mi avrebbe fatto male. Ma di nuovo, ero solito soffrire. Meritavo di soffrire. Meritavo che tutte le sofferenze del mondo venissero gettate su di me. Non meritavo di essere felice. Ero un mostro.
Ma non ero pazzo. No, no, no. Era l'unica cosa di cui ero certo. Non ero pazzo.

***

 



Sapete che è possibile morire per mancanza di sonno prima che per mancanza di cibo? Non avrei mai creduto fosse vero, fino a quando smisi di dormire. Ogni volta che avevo il coraggio di chiudere gli occhi, vedevo di nuovo il sangue. Lo vedevo colare dalle pareti e raggrumarsi sul pavimento. Mi sarei voluto svegliare ogni volta cercando di non urlare. Avrei voluto premermi il cuscino in faccia e urlarci dentro fino a quando tuttto il mio ossigeno non fosse uscito fuori e avessi dovuto smettere.
Non potevo permettermi di vedere Frank sdraiato lì, morto, ancora una volta. Mi forzai di rimanere sveglio. Il prezzo che questa azione stava avendo sul mio corpo era incredibile. Come ho detto, non avrei mai creduto che si potesse morire per mancanza di sonno. Ma, se sono fortunato io, puoi esserlo anche tu.
Sapevo di aver detto molte volte di non volermi uccidere. Solo perchè non avevo intenzione di suicidarmi non voleva dire che qualche volta non volessi morire. Da quando ero tornato, non avevo mai incontrato Frank e ogni secondo che passava senza che io vedessi il suo viso perfetto, era un violento e brutale colpo al cuore. Rifiutavo di lasciare l'infermeria. Mi appallottolai sotto le lenzuola e fissai il muro. Uno potrebbe pensare che fissare un muro per 23 ore al giorno, ogni giorno, possa essere faticoso, ma sareste sorpresi. Ero sorpreso di non aver scoperto prima questo passatempo. Lo sapevate che c'erano 1958 segni sul muro accanto al mio letto? Li contavo ogni giorno, solo per assicurarmi di non aver sbagliato. Occasionalmente contavo solo 1950 segni, il che era sbagliato, così iniziavo di nuovo la mia conta.
Oh, un'altra cosa che scoprii: veramente, sinceramente, disprezzavo Markman.
“Non starai qui molto a lungo,” mi disse dopo che rifiutai di muovermi per un'altra settimana.
Il mio umore salì alle stelle fuori dalla finestra, in quel momento. Davvero stava per trasferirmi? Oh, ti amo, Markman.
“Alzati,” mi intimò.
Oh, fottiti. Non mi stai per trasferire, non è vero?
“Muoviti,” mi ordinò, ma io resistetti. “Okay,” disse, la sua voce alzata di un'ottava. Camminò verso la credenza con rabbia e tirò fuori un laccio e un ago. “Facciamo l'analisi del sangue settimanale adesso, va bene?”
Ohhhhh cazzo, certo che no! La fissai impaurito, pensando che stesse scherzando, ma non stava scherzando. In quel momento scoprii che l'assenza di sonno ti rende incredibilmente stanco.
Anche contro Markman ero inutile. Non potevo fare il prelievo del sangue ora. Avevo bisogno di Frank. Frank era la mia ancora di salvezza. Sentii divampare un altro attacco d'ansia. Per favore, non lo fare!
Fermò il laccio attorno al mio bicipite e lo strinse più strettamente del necessario.
Scossi la testa verso di lei, la faccia tradita in un misto di paura, disperazione e dolore. I miei occhi si stavano riempiendo di lacrime di nuovo e la supplicai di fermarsi. Non potevo farlo ora. Avevo bisogno di Frank. Cosa cazzo avevo pensato? Mandarlo via non era la soluzione. Lui era la mia ancora di salvezza. Ero il più grande fottuto idiota su questo pianeta. Fanculo Jasper e fanculo loro.
“Allora verrai con me la sessione di terapia di gruppo?” si fermò lei, tentando di bucare la mia pelle con l'ago.
Uh-huh. Singhiozzai e annuii, seccato dal fatto che mi aveva manipolato ancora.


Quando arrivammo insieme, tutti quanti stavano trascinando le sedie nel cerchio decentrato. Subito potei percepire la presenza di Frank nella stanza, ma non avevo il coraggio di alzare gli occhi dal pavimento per cercarlo. Mi sedetti il più possibile lontano da Markman. Quella donna malefica mi aveva segnato troppe volte perchè potessi ancora fingere di piacerle. Aprì la seduta presentando a tutti il nuovo ragazzo. Si chiamava Adam e anche lui era pazzo. Lo potei avvertire dal modo in cui parlava. La sua voce era agitata e le frasi che diceva erano sconnesse. Era davvero scoraggiante.
“Vorresti cominciare, Ray?”
Ray amava proprio essere il primo a parlare a questi incontri. Personalmente pensavo vivesse di ciò. Trovava che fosse un immenso onore condividere i suoi 'messaggi' con tutti. Se mai avessi ricevuto strani messaggi come lui, non l'avrei certo urlato al mondo. Sarebbe stata l'ultima cosa che avrei fatto. L'avrei tenuto per me. Sarebbe stato un mio segreto.
“Uno dei miei messaggi si è realmente avverato!” I suoi occhi erano pazzi di gioia mentre condivideva la sua conquista con il gruppo.
“Adesso, adesso, Ray, ne abbiamo parlato prima.” lo smontò Markman.
Lo sguardo scoraggiato negli occhi di Ray era incredibile. Per un momento pensai che il povero ragazzo stesse per scoppiare in lacrime. Invece aggrottò le ciglia e incrociò le braccia con riluttanza sul petto.
“Gerard mi crede,” annunciò con un tono da dato-di-fatto.
Gli credevo? Perchè mi stava mettendo in mezzo?
“Non ti ricordi?” Le nuvole,” mi sollecitò.
Non dirlo. Non dirlo.
“Le nuvole mi hanno detto 'stanno arrivando' e l'hanno fatto, non è vero, Gerard? Sono arrivati.”
Tutti quanti mi stavano guardando curiosamente. Feci spallucce, rifiutandomi di confermare o negare niente. Non volevo pensarci. Mi morsi il labbro nervosamente e mi sforzai di pensare a qualcos'altro. Pensare a qualsiasi altra cosa era meglio che pensare a loro. Alla fine mi fissai sui ricordi di Frank, per assicurarmi che non fossero andati perduti nella mia mente.
Dopo che mio silenzio continuò per molto tempo, Markman invitò Adam a parlare. Ray era andato in frantumi per il fatto che non avevo sostenuto la sua affermazione, ma non mi importava molto. Adam ci raccontò di come lo avessero rapito gli alieni quando stava nuotando nell'oceano in una notte nuvolosa. Al momento trattenermi dallo scoppiare a ridere mi stava quasi uccidendo. Le costole mi facevano male quando finì il suo resoconto. Sapevo di aver un sorrisetto enorme sulla faccia, ma sembrava fossi l'unico. Come poteva non essere divertente anche per qualcun altro? Seriamente, erano tutti drogati?
Non avevo in programma proprio per niente di contribuire a quella riunione ed ero positivo, poiché Markman ne era consapevole. Comunque, non significava che non ci avrebbe provato.
“Gerard,” cominciò, “Penso sia il tuo turno.”
Alzai un sopracciglio verso di lei, accondiscendente. Davvero, quanto era stupida? Con uno sguardo annoiato sulla faccia, scossi la testa. Io, parlare alla riunione? Ah, ti piacerebbe.
La persona successiva a parlare fu Frank e avevo aspettato impazientemente di sentire cosa avesse da dire più degli altri. Non mi importava dei messaggi fra le nuvole, o degli alieni che rapivano poveri bagnanti. Mi importava di Frank e di tutto quello che aveva da dire.
“Mi sono dimenticato del mio compleanno,” disse flebilmente.
“Quand'è stato il tuo compleanno?” chiese Markman.
“Due settimane fa. Halloween. Ho realizzato soltanto questa mattina che è Novembre. Mi sono dimenticato del mio compleanno,” ripetè lui tristemente.
Per me, i compleanni erano uno spreco di tempo e di memoria. Non riuscivo ad accettare l'attenzione e i colori e i rumori associati ad essi. Erano solo esperienze piene di dolore. D'altra parte, io non avevo nessun amico. Chi mai mi avrebbe fatto un regalo o chi mi avrebbe preparato una torta? Nessuno. Esattamente. Per Frank comunque, i compleanni dovevano signicare molto, evidentemente. E ora ne aveva perso uno. Fanculo, sperai di non avere niente a che fare con ciò. Con la fortuna che avevo, probabilmente sì.
“Perchè non l'hai detto a nessuno?”
“L'unica persona a cui volevo dirlo non era qui.”
Il mio cuore sobbalzò dolorosamente all'interno del petto. Cazzo, cazzo, cazzo. Era colpa mia. Oh, dio, mi odiavo. Non creare contatto visivo. Non creare contatto visivo. Non alzare la testa. Continua a guardare per terra, Gerard. Sii uomo. La colpevolezza si infilò intensamente nel mio stomaco. Potevo avvertire tutti gli occhi che mi fissavano di nuovo e volevo scomparire.
“Ti piacerebbe avere una torta, Frank?” chiese Markman.
“No, grazie,” mormorò. La sofferenza che riempiva la sua voce in quel momento mi faceva quasi venir voglia di gridare.
Perdonami, Frank. Mi dispiace così, così, così tanto. Ti prego, perdonami. Mi dispiace. Non volevo ferirti, Frank. Giuro che non volevo farlo.
Mi ci volle tutto l' autocontrollo che riuscii ad accumulare per tenere la bocca chiusa. Il cuore continuava a scoppiettare nel petto, ma combattei contro ciò. La colpevolezza mi stava consumando più velocemente di quanto avessi mai creduto possibile.
Dopo questo Frank non disse più nulla. Mi fermai anch'io. Non mi interessava più niente così tanto da continuare a sentire. Comunque, ero così esausto per l'assenza di sonno che i miei occhi si chiusero da soli con una spinta. Non mi ci volle molto per cadere in uno stato di incoscienza.
Oh, cazzo. Così tanto sangue!
Mi svegliai bruscamente e scivolai lateralmente giù dalla sedia. Seppellii la faccia fra le mani tremanti e morsi duramente il palmo per placare le grida. Non guardare Frank, mi comandai. Mezzo secondo dopo presi la saggia decisione di andarmene. Come me ne andai, il mio stomaco grugnì rabbiosamente per la mancanza di cibo a cui mi ero attenuto per tutta la settimana passata, quindi decisi di andare a cena prima e poi ritirarmi nuovamente in infermeria.
Le persiane sopra le finestre di vetro rinforzato erano state saldate e l'intera caffetteria era immersa nella luce d'oro del tramonto. Brutto giorno per essere un vampiro.
Il menù di oggi consisteva in zuppa, zuppa e altra zuppa. Odiavo la zuppa. Avevo preso una ciotola di zuppa di pollo, comunque, e il mio stomaco mi vinse. Mi feci strada fra i tavoli per arrivare al mio. Sembrava esattamente come l'ultima volta che l'avevo visto.
Praticamente non c'era pollo nella mia zuppa di pollo. Avrebbe dovuto invece chiamarsi zuppa di verdure con aggiunta di pollo, decisi. Feci un' annotazione mentale per ricordarmi di citare la mia rinominazione della zuppa alle donne della caffetteria qualche volta. C'erano tre pezzi di pollo spezzettato, sei pezzi di mais e ventitrè piselli verdi, quando Frank si sedette esitante al mio tavolo. Mi rannicchiai e mi alzai, evitando i suoi occhi. Se avessi guardato nei suoi straordinari, attraenti occhi nocciola, mi sarei sbriciolato e avrei ceduto.
“Non vuoi parlarmi più.” Era più un'affermazione che una domanda. Sì! Certo che voglio parlare con te. Voglio farti ridere e vedere il tuo sorriso, quel bellissimo sorriso. Voglio vedere il tuo viso illuminarsi e diventare vivo. Voglio vedere le stelle brillare dai tuoi occhi. Ti voglio, Frank, ma non posso averti. Non riuscii a costringermi ad annuire; Non riuscivo a trovare il fegato per troncare la nostra relazione. Sospirai tristemente e mi allontanai verso l'infermeria.
Come mi ci avvicinai, fui cacciato via e mandato alla mia vecchia stanza. Mandai allo stupido infermiere lo sguardo più stronzo e odioso che potessi trasmettere, ma doveva esserne stato immune, perchè non lo sconcertò. Me ne andai via camminando pesantemente, mandando Markman all'inferno nella mia mente. La odiavo.
Dopo che le luci si spensero, divenne sempre più difficile restare sveglio. L'oscurità era definitivamente in competizione con la mia testa nel suo tentativo di richiamarmi in quel sonno pieno di terrore. Mi addormentai solo una volta che mi appoggiai scomodamente contro la dura sbarra di metallo del letto.
Un gemito agonizzante mi scappò dalle labbra quando mi svegliai tremando sena controllo. Sembrava sempre di più che avessi dovuto chiedere delle pillole per dormire affinchè potessi scappare da quegli incubi. Non che Markman me le avrebbe date, comunque. Mi avrebbe ricattato, se avesse saputo di cosa avevo bisogno. Non le avrei ceduto quella sottospecie di potere senza lottare.
Dopo ciò, cominciai a camminare. Non avevo mai sentito prima di persone che si erano addormentate in piedi. Certo, le mucche potevano, ma io non ero una mucca. Camminai su e giù attraverso la stanza così tante volte che ne persi il conto. Volevo toccare il muro da una parte della stanza per poi barcollare verso la porta e picchiare le dita contro il legno. Solo una volta caddi, e ciò mi rese più determinato a risollevarmi. Hey, non si dice “cadi sette volte, rialzati otto?”
Questo mi spronò a continuare per un altro paio di volte.
Il bussare alla porta fu così inaspettato che pensai di essermelo immaginato. Mi assalì il panico mentre quella si apriva lentamente. Ovviamente non era nulla di brutto ciò che varcò l'entrata; era Frank. Disperatamente, lo ignorai e continuai la mia camminata. Lui si mise in piedi di lato e mi guardò camminare, con un sorriso divertito su quel viso così divino. Il mio cuore corse avanti ai miei pensieri, quando gli diedi un'occhiata.
“Posso chiederti perchè stai camminando?” chiese timidamente.
Puoi chiederlo, certo. Non risposi a parole, ne' diedi segni di aver udito la domanda. Lui sospirò e si sedette sul mio letto, piegando le ginocchia verso il busto.
“Non devi proteggermi,” mormorò. “So che tu pensi di doverlo fare, ma sono qui per dirti che non è necessario.”
Come faceva a saperlo? La mia camminata vacillò e lo guardai di nuovo con difficoltà.
“Come uscirò da qui mi segnerò a un corso di karate,” mi spiegò e non potei dire se stesse giocando o se fosse serio. “Se qualcuno prova a farmi qualcosa di nuovo, è morto.”
Sorrisi di fronte al suo tono sottovoce così composto. “Non sto andando da nessuna parte. Non puoi liberarti di me così facilmente, Gerard.”
Smisi di percorrere le assi di legno e lui disse qualcosa che suonava vagamente come “finalmente”. Girai la faccia verso di lui e incrociai le braccia. Non poteva prenderlo come uno scherzo. Ma il suo viso era la personificazione della serietà quando lo guardai. Nonostante la stanza fosse buia, potevo vedere tutto. I miei occhi potevano brillare, in questo senso.
“Non sei stanco? Sembri esausto,” osservò.
Mi misi la mano destra intorno al collo ed emisi un sospiro. Non avevo bisogno di annuire a Frank perchè lui capisse. “Ancora i sogni?” chiese.
Annuii, e lui arricciò le labbra con tristezza. Fece correre sbadatamente una mano fra i capelli corvini. “Vuoi parlarmene?”
Volevo. Ma non avrebbe avuto lo stesso effetto se l'avessi scritto. Frank diede una pacca allo spazio accanto a lui sul letto, e io mi sedetti. Era dura non essere attratti da Frank, quando il suo odore era così fottutamente fantastico. Inalai a fondo, sentendomi solo un poco colpevole. Lui prese il mio blocco da disegno da dove era stato abbandonato sul pavimento, e accettai la sua idea. Lasciai fuori dal mio resoconto la maggior parte dei dettagli sanguinosi, ma sapevo che non potevo evitare la parte del decesso di Frank. Non sembrava spaventato come avevo creduto, quando lesse quello che avevo scritto. Anche quando lesse la parte che riguardava la sua morte, restò molto calmo e tranquillo.
“Pensi che il mio morire sia una metafora per l'altro ragazzo, Michael?” sussurrò alla fine.
Annuii. Era quello che avevo sospettato anch'io. Era fantastico il modo in cui la pensavamo allo stesso modo in alcune cose.
“E'....... interessante,” notò lui, sottolineando la parte che descriveva il sangue sulle mie mani. “Non ti arrabbiare con me, “ disse timidamente, “ma hai mai ucciso qualcuno?”
Grugnii con aria infelice. Frank mi passò il blocco da disegno e scrissi rabbiosamente: 'Non me lo ricordo!'
Lui si tirò percettibilmente indietro e mi sentii furioso con me stesso. Per rimediare al fatto, scrissi: 'Mi dispiace. Quello che volevo dire è che non lo so. Non penso. Penso che l'avrei saputo se avessi avuto tendenze omicide.'
Lui annuì lentamente e mi sorrise in modo rassicurante. Grugnii di nuovo e lasciai che la mia testa cadesse indietro contro il muro. Sentii Frank che frugava nella sua tasca per cercare qualcosa e mi girai di lato per vedere. Tirò fuori il paio di guanti blu scuro che Ray gli aveva dato mille anni fa. Se li mise e rimasi sconvolto quando afferrò saldamente la mia mano.
“Ho un' idea,” mormorò. Con gli occhi lo incoraggiai a continuare. “Bene, nei tuoi sogni hai detto che continui a trovarmi morto, giusto? Bhè, forse se resto qui e ti tengo la mano mentre dormi, attraverso il tuo subconscio passerà il fatto che non sono morto e che sono seduto proprio qui accanto a te.”
Il cuore quasi mi scoppiò di felicità in quel momento e non potei evitare che un sorriso mi riempisse la faccia. Annuii con entusiasmo. Frank mi sorrise radiosamente quando capì che pensavo che la sua idea fosse geniale. Senza indugiare prese il cuscino e lo piegò contro la spalla e il collo. La sua mano guantata si fece strada con incertezza verso il mio viso e gentilmente guidò la mia testa dolorante sulla sua spalla. Lasciai che la testa cadesse sul cuscino e appena prima di addormentarmi sentii le sue mani stringere forte le mie, in modo rassicurante.
Mi stava facendo capire che non avrei più sofferto in silenzio.

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Capitolo 9
*** 9. ***


A SPLITTING OF THE MIND

 

***

9.

Caution: Joy May Kill   



 

 

Fissai con tristezza la lancetta dell’orologio, aspettando disperatamente che si muovesse. Giuro su Dio che non si era mosso di più di cinque minuti. Sapete una cosa? Avrei scommesso che Markman aveva tolto quelle fottute batterie per garantire che la lancette non si muovessero affatto. Avrei scommesso che sarei stato costretto a stare lì con quegli idioti in quella seduta di gruppo per sempre.
Un sospiro di frustrazione mi uscì dalle labbra, e guadagnai un'occhiataccia di disapprovazione da parte di Markman. Resistetti alla tentazione di riguardarla male. Quello non era il giorno per irritarla o per essere nella sua lista nera. Vedete, quello era il giorno in cui avevo effettivamente bisogno di qualcosa da quella donna. Era qualcosa di molto importante e qualcosa che solo lei poteva aiutarmi ad ottenere. Non mi avrebbe aiutato minimamente infastidirla prima di avere la possibilità di discuterne con lei. Beh in realtà, considerando che mi astenevo ancora dal parlare, non sarebbe stata molto una discussione.
La notte passata avevo speso un' ora a scrivere ciò che volevo su una pagina del mio quaderno degli appunti, per passarglielo. Avevo cercato di essere il più gentile e il più chiaro possibile nella mia richiesta. Avevo anche fatto un disegno di cosa volevo, perciò non c’era possibilità che lei capisse male. Ciò non significava che non fossi preoccupato che lei potesse gettarmi nuovamente la carta in faccia.
Pensavo di avere di più da guadagnare, di quella reazione.
Sapevo di non essere un angelo. Sapevo quanto riuscissi a esasperare Markman. Per questo stavo uscendo dal mio modo di fare abituale per essere gentile e disponibile con lei, quel giorno. Riuscivo ad essere molto affascinante quando mi sforzavo.
Il resto della seduta di terapia di gruppo fu trascinato con così tanta lentezza che ero sicuro che il tempo stesse andando a ritroso. Dopo un po' mi ritrovai ad evitare di guardare l’orologio solo per il fastidio che mi stava causando. Tuttavia mi attenni all'intenzione di non far incazzare Markman e non sospirai più né emisi rumori per esprimere la mia noia durante la seduta. Feci anche finta di ascoltare intenzionalmente Ray, mentre ci informava tutti che “il cambiamento stava arrivando!”. Indugiai su quel messaggio per un po’, chiedendomi se lui si riferisse al mio cambiamento di carattere nei confronti di Markman. Non ci ripensai troppo perché mi tornarono subito in mente i miei giudizi sulla sanità mentale di Ray. O meglio, sulla sua mancanza di sanità mentale.
Frank quel giorno si era seduto accanto a me. La sua gamba coperta dal jeans era esattamente a dodici centimetri e mezzo dalla mia, di gamba, che era coperta da un jeans economico. Stava pigramente forando un buco nei pantaloni e ciò confermava i miei sospetti sul fatto che si stesse annoiando anche lui. Sapevo esattamente come si sentiva. Anche se mi faceva sentire bene. Per molto tempo mi ero sentito bloccato in quel buco infernale, continuamente pieno di gente pazza. Mi faceva sentire bene avere finalmente qualcuno che non era pazzo in cui mi potessi identificare. Frank non era pazzo,era solo... triste. Ero abbastanza sicuro che si potesse però curare la tristezza. Beh, in realtà se non si poteva curare la tristezza, avrei voluto semplicemente trovare un altro modo per farlo stare meglio. Ero determinato a farlo tornare a posto. Non m’importava cosa avesse detto Jasper. Jasper si sbagliava.
Okay, sì, allora cosa sarebbe successo se io non avessi saputo come farlo tornare a posto? Scommettevo che un idraulico non sapeva riparare un lavandino che perdeva fino a quando non esaminava il quadro completo e tutte le possibili variabili. Stavo solo offrendo il mio tempo e aspettando fino a quando Frank non mi avesse rivelato il quadro completo di se' stesso. E per quadro completo mi riferivo ai suoi pensieri e ai suoi sentimenti, non al suo corpo. Accidenti questo era imbarazzante. Non potevo credere di aver dimenticato l’incidente della doccia insieme.
Comunque, il punto era che anche se non sapevo come avrei fatto per farlo tornare a posto, ero ancora fiducioso sulla mia abilità di farlo.
Nella sessione di gruppo di quella mattina non ero sorpreso che Frank avesse scelto di parlare. Sapevo che non si sentiva a suo agio a parlare con l’intero gruppo, ma per qualche ragione, in ogni sessione, diceva qualcosa. Anche se era solo una frase su come si sentiva, trovava sempre qualcosa da dire. Sospettavo che volesse che Markman riportasse ai suoi genitori che lui collaborava e cercava di stare meglio, per fare in modo che loro pensassero all'ipotesi di lasciarlo ritornare a casa. Io non volevo che Frank tornasse a casa. Ma comunque non avrei cercato di fermarlo, se l'avesse fatto.
“Sei emozionato per Natale?” chiese Markman a Frank. Sebbene lui avesse dato la sua sentenza obbligatoria su come si sentisse “bene”, Markman lo stava spingendo a parlare di come trascorrere le vacanze in arrivo.
Frank inspirò ed espirò prima di parlare. Annuì circa quattro volte, ma nessun sorriso si allargò sul suo volto come di solito succedeva quando era entusiasta di qualcosa. “Sì. Credo.”
Markman si sporse in avanti “Sei arrabbiato di dover trascorrere il Natale lontano dalla tua famiglia e dai tuoi cari, Frank?”
Doveva essere in grado di leggermi nella mente, perché questo era esattamente ciò che avevo pensato quando avevo visto lo sguardo disperato sul volto di Frank. Certo che non era entusiasta di dover trascorrere il Natale in quella casa piena di coglioni. Chi ne sarebbe stato felice? Faceva freddo da morire e la neve era disgustosa e sporca. Ed ero sicuro che il riscaldamento sarebbe mancato anche quell' anno, come tendeva a fare attorno a quel periodo. Se non fosse andato di nuovo, avevo giurato che sarei stato il primo a prendere le coperte. Ray poteva andare anche a farsi fottere, se pensava di poter prendere le mie coperte quell’anno.
Frank fece spallucce “Sì, penso di sì,” rispose. Ruppe il contatto visivo con Markman e tornò a forare il buco dei suoi jeans. Fissai assente per un po' le sue piccole dita e le unghie rosicchiate dolorosamente, mentre prendeva e dipanava il filo blu.
“Gerard?”
Mi rivolsi educatamente a Markman, con lo sguardo deciso a non essere scortese o sconsiderato. Sembrò un po’ sorpresa per un secondo, perché di solito la ignoravo durante quelle sedute. Ma non quel giorno. Quel giorno ero buono.
“Hai qualcosa da voler condividere con noi?” chiese lei.
Improvvisamente mi resi conto che mi stavano guardando di nuovo tutti. Sento di dover ribadire che la mia partecipazione alle sedute spesso era nulla, così quando scelsi di partecipare a quella sessione, gli altri partecipanti erano diventati molto interessati. Io ero, dopo tutto, un ragazzo estremamente interessante.
Alzai un dito per richiedere pazienza, poi aprii il quaderno degli schizzi e scrissi una risposta. Quando finii di scrivere la risposta attentamente pianificata cominciai a passarla a Markman.
“La leggo io se vuoi” si offrì Frank, con l’interesse acceso sul volto.
Annuii e glielo porsi. Prima lo lesse rapidamente e sentii il cuore sobbalzare, mentre sorrideva divertito.
“Gerard pensa,” cominciò “Che ci sia una mancanza di spirito natalizio quest’anno”.
Era vero naturalmente, chiunque poteva vederlo. C’era più vita in una casa di riposo che lì dentro. Tuttavia il fatto che mi interessasse il fatto che non c’era spirito natalizio era una bugia. Sul serio, non me ne fregava un emerito cazzo del Natale o di tutto ciò che aveva a che fare con esso. A meno che a Frank importasse. Allora mi sarebbe importato.
Markman annuì con entusiasmo. “Qualcun altro si sente così?”. Rivolse la domanda al gruppo. Mi aspettavo i soliti mormorii di assenso, ma fui sorpreso di quanto rumorosa fu la risposta. Ci fu un coro di “Si!” E “Ha ragione!”.
Cazzo, il mio piano mi si stava ritorcendo contro. Stavo solo cercando di far sembrare che partecipassi e non facessi il 'difficile'. In realtà di questo non mi interessava molto.
Mi rannicchiai sulla sedia, mentre Markman iniziava a chiedere consigli sui modi per aumentare lo spirito natalizio. Si stabilì il silenzio per un breve momento, mentre la gente cominciava a riflettere. Ray, naturalmente, doveva parlare per primo.
“Dovremmo mettere su uno spettacolo di Natale!” esclamò.
Quasi mi vomitai in bocca.
Frank mi guardò di traverso e si mise a ridere. “Te lo stai provocando da solo” mi disse. Scossi la testa tristemente e capii che non aveva senso andare oltre. Frank era abbastanza intuitivo. Pensavo che anche lui potesse leggere nella mia mente. Oh cazzo, sperai che non potesse. Il povero ragazzo sarebbe andato fuori di testa se avesse letto i miei pensieri.
Il suggerimento di Ray venne messo da parte perché non c’era abbastanza tempo per organizzare qualcosa prima di Natale. Penso che mi sarei sparato se la sua idea fosse andata avanti. Ci furono suggerimenti per talent show, spettacoli corali e ogni tipo di attività che consideravo una tortura. Adam suggerì di fare ghirlande di Natale con i rami. Quest’idea sembrò andar bene per un po’ fin quando Bob parlò. “Sai quanto fa male ad un ad un ramo essere staccato dal proprio tronco?” farfugliò con veemenza.
L’idea delle ghirlande fu respinta rapidamente dopo ciò. Pensavo che in parte fosse stato perché Bob sembrava così furioso all’idea, che nessuno osava contraddirlo. Il gruppo stava venendo condotto sempre di più verso una tortura denominata “Travestimento di Natale”. Markman aveva suggerito un’attività che coinvolgeva gruppi in cui si facevano abiti di Natale. In gruppi da tre, si dovevano creare costumi da albero di Natale, da Babbo Natale e da regalo gigante, utilizzando solo carta colorata diversa, colla, forbici e nastro adesivo.
Pensavo che l’idea fosse fottutamente ridicola, ma tutti gli altri ne sembravano entusiasti. Furono ancora più eccitati quando Markman suggerì dei premi per i costumi migliori.
Si stava trasformando in un disastro, cazzo. Da quel momento in poi non avrei mai più partecipato a quelle sedute. Portavano solo problemi. Recuperai il quaderno degli schizzi dalle mani serrate di Frank e cominciai a scrivere un’altra idea. Non avrei voluto riproporre quell'idea, ma ogni cosa era meglio del Travestimento di Natale. Frank si chinò per vedere cosa stavo scrivendo. “Secret Santa” annunciò sollevato. “Questa è una buona idea!” sembrava molto sorpreso e mi sentii sconcertato.
“Regali!” disse Ray.
“E’ una buona idea” Markman riaffermò ciò che aveva detto Frank. “Chi vota per il Secret Santa?
Il sollievo emanato da me e Frank soli, fu così potente che era quasi tangibile. Sapevo che era stato terrificato dall'idea di vestirsi e di dover essere toccato. E forse, non ne ero sicuro, ma pensavo che lui fosse spaventato dall'idea dell’intero lavoro di gruppo. Ultimamente avevo notato di sembrare l'unica persona che Frank volesse fra i piedi.
Io. Si, lo so, il ragazzo fottutamente pazzo, eh?
Pensavo che il Secret Santa fosse una buona idea. Tutto quello che si doveva fare era sorteggiare il nome di una persona fuori da un cappello e poi dare a quella persona un regalo. Quindi, ricevevi un regalo da chi estraeva il tuo nome fuori dal cappello. Un gioco da ragazzi, e niente di troppo personale.
Nella mia angoscia per l'assurdità degli altri suggerimenti, il tempo sembrava essere passato molto rapidamente. Un rapido sguardo all'orologio confermò che eravamo andati fuori orario di dieci minuti. Sebbene fossi molto tentato di scaraventarmi fuori dalla stanza, mi ricordai il mio piano per essere rispettoso e cooperativo nei confronti di Markman. Mi ero imposto di stare seduto e di aspettare fino a quando non fossimo stati liberi di andare. Ci vollero altri cinque minuti perchè Markman terminasse la sessione, la quale terminò solo perché l'orario di visite era cominciato. Mandò tutti fuori, promettendo di organizzare l'estrazione per il Secret Santa a fine giornata.
Frank si alzò e cominciò ad uscire, ma io rimasi dietro. All'inizio avevo programmato di uscire immediatamente, ma mi resi conto di un altro modo in cui sarei potuto entrare nelle grazie di Markman. Lei era inginocchiata a terra, mentre risistemava delle carte in giro, dandomi la schiena. Mi guardai attorno e notai che tutti erano scomparsi e avevano lasciato le sedie in cerchio. Questo era strano, perché all'inizio di ogni sessione ci era richiesto di fare il cerchio, in primo luogo. Pertanto, le mie capacità eccellenti di deduzione mi dissero che alla fine di ogni sessione Markman doveva riordinare tutte le sedie e pulire la stanza. E sembrava anche che nessuno si fosse mai fermato per aiutarla.
Presi il retro della mia sedia e la misi sulla sedia di Frank. Poi misi quella di Ray, Adam, Bob, Bert, Lisa e Hayley in cima alla sua. Una volta fatto, ritenni questo accatasto troppo instabile per metterci altre sedie, quindi ne cominciai un altro. Presto avrei fatto tre pile di sedie. Due delle pile erano di otto sedie, la terza pila ne aveva solo quattro. Considerai di spostare su alcune sedie per farne ancora, ma decisi di non sforzarmi. Finsi di non essere sorpreso dal peso della prima pila che cominciai a trascinare verso il muro, dove non sarebbero state tra i piedi. Mi voltai per tornare indietro per prendere le rimanenti due pile e notai Frank e Markman che mi fissavano.
Perché tutti dovevano sempre scioccarsi così quando agivo un po’ fuori dal mio modo di fare? Era piuttosto offensivo vedere i loro volti scioccati perché avevo fatto qualcosa di bello e premuroso. Era davvero così strabiliante per me di fare qualcosa di bello? Continuai a ignorare entrambi e trascinai le altre due pile verso il muro.
Ciò che mi sconvolse di tutta quella situazione era che, proprio come io ero capace di essere premuroso, Markman era capace di essere gentile.
"Grazie, Gerard", disse mentre la oltrepassavo per uscire dalla stanza.
Le feci un cenno di riconoscimento, sperando che lo interpretasse come un 'di niente'.
Frank ed io camminammo verso la sala giochi. Nessuno di noi aveva mai visitatori e in questo modo l’orario di visita era del tempo che passavamo insieme. Ci sedemmo l’uno accanto all'altro, su uno dei divani con il sedile rotto che continuamente si afflosciava. Non mi dispiaceva che il divano fosse rotto. La mancanza di supporto sul sedile significava che Frank ed io eravamo spesso schiacciati vicini, come oggetti pesanti tesi ad affondare verso il centro. Lui si sedette sul margine del suo posto e coprì con un braccio il lato, per evitare di scivolare verso il centro. Io non mostrai il mio disappunto per la sua decisione di resistere e alla fine mi sedetti come al solito.
“Che problema hai?” chiese.
Mi finsi ferito, portando una mano al petto. Lui mi sorrise timido per il mio scherzo e disse “Beh?”
Scrissi sul mio quadernino: “Sto cercando di entrare nelle grazie di Markman.”
“L’ho notato” confermò.
“Pensi che funzionerà?” scrissi.
“Sì, penso di sì. L’intera cosa dello spirito natalizio è andata bene. Sembrava davvero contenta e felice di te!”
Ridacchiai e scrissi: ‘E' un cambiamento’
Frank non mi restituì il quaderno dopo aver letto ciò che avevo scritto.
“Perché però, Gerard? Che cosa vuoi?”
Questo era un segreto. Non potevo dire a Frank che cosa volevo e perché avevo bisogno di entrare nelle grazie di Markman per essere in grado di farlo. Era come se non gli avessi mai detto nessun segreto. Avevo tutta una serie di segreti chiusi nella mia testa. Questo, però, era un segreto speciale. Per me, comunque. Frank mi ridiede improvvisamente il quaderno, come se avesse pensato che avevo bisogno di rispondere alla domanda. Io lo sventolai e lui sospirò. Sapeva che non avrebbe ottenuto una risposta da me. Non oggi. Poi spostò la sua attenzione da me al televisore. Lasciai indugiare i miei occhi sul suo bel viso per un momento, prima di dare un’occhiata anch’io alla TV. Era su un canale commerciale e la pubblicità lampeggiava sullo schermo. Lo sapevate che daOmer’s Party Supplies si può acquistare un albero di Natale sintetico di due metri a soli $ 35?! Santo cielo, le cose che si imparano quando si guarda la televisione. Lo spot per Omer’s Party Supplies finì e immediatamente cominciò un’altra pubblicità. C'era una ragazza giovane, seduta sulla strada, indossando solo un vestito e un cardigan leggero. Indovinai l'annuncio per qualche grazia divina ed ebbi ragione.
“Per favore, fate oggi le donazioni all’appello di Natale del Presidente. Aiutate a tenere i ragazzi fuori dalle strade questo Natale.” La voce cupa e maschile dell’annunciatore riempiva la stanza. Poi un altro uomo, che pensai fosse l’attuale Presidente, passò sullo schermo dopo l'appello. Fissò implorante in basso alla telecamera. Quando parlò mi sentii immediatamente stizzito. Qualcosa nella sua voce mi era eccezionalmente familiare. Anche se non ricordavo di aver mai visto quell’uomo prima nella mia vita, me lo ricordavo da qualche parte.
“Conosci quest’uomo?” Scribacchiai le parole sul mio quaderno così velocemente che uscirono confuse.
Frank lesse e si accigliò. “E’ il Presidente degli Stati Uniti, Gerard” mi disse come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Il presidente ora stava dando qualche numero da chiamare dove le persone potevano dare denaro per la causa, ma io non riuscivo a concentrarmi su cosa stesse dicendo. Lui era nella mia testa e lo conoscevo, da qualche parte. Non era solo il fatto che fosse il Presidente. C’era qualcos’altro.
Con la coda dell’occhio vidi Zach entrare nella stanza. Lanciò un'occhiata alla televisione per un lungo secondo, guardando come il Presidente domandasse per le donazioni. Poi sembrò scattare qualcosa. Non capivo dove fosse la tragedia, ma la sua faccia cambiò immediatamente. Per un secondo terrificante voltò il viso frustrato verso di me e poi percorse la breve distanza verso la televisione, la sua mano tesa a premere il pulsante di accensione e spegnimento. Lo spot era quasi finito e l’unica visuale era lo schermo nero e qualche scritta accompagnata da una voce. Tutto quello che sentii fu “ Autorizzato dal Partito Democratico, Washington D.C. Illustratovi da Donald-”
Riuscì a premere il pulsante prima che la voce dell’uomo avesse finito di parlare. Sia Frank che io fissammo con smarrimento totale Zach, che si era girato verso di me assolutamente terrorizzato. Frank allora mi guardò in cerca di un’illuminazione. Non sapeva neanche cosa avessi fatto. Alzai le spalle verso Zach, ma lui riuscì solo a deglutire nervosamente, con gli occhi impauriti. Cominciai a mettermi un po’ sulla difensiva. Non era colpa mia se la televisione era su quel canale. Non ti azzardare a darmi la colpa! Perché mi stai guardando? Non ho cambiato io il canale! Perchè mi stai guardando?!
“La dottoressa Markman ti sta aspettando adesso, Gerard” riuscì a dire Zach alla fine.
Rimasi accigliato mentre uscivo dalla stanza, confuso. Cosa c' era di così brutto da fargli spegnere la TV? Era solo una pubblicità per qualche appello di beneficenza per il Natale. Ce n'erano a centinaia in quel periodo dell’anno. Sperai che Frank fosse in grado di scoprire cosa stava succedendo mentre ero via, perché ora mi ero incuriosito.
Fui educato nel bussare alla porta di Markman, invece di irrompere come facevo di solito. Mi chiamò e come prima cosa notai il modo in cui mi guardava mentre entravo. Teneva il Blackberry in mano e capii subito che Zach l’aveva informata a proposito dell’intero incidente della TV. Il mio cuore affondò. Speravo di non essermi cacciato nei guai. Il giorno in cui di fatto mi distaccavo dal mio modo di essere per fare il bravo era forse il giorno in cui mi mettevo nei guai. Tuttavia Markman non lo menzionò per niente, ed io non avevo intenzione di tirare fuori l’argomento. Mi sedetti su una delle sue sedie, astenendomi dal mettere le mie scarpe sui suoi mobili.
Mi osservò come faceva sempre. I suoi occhi indugiarono sulla cicatrice che divideva la mia fronte a metà e uno sguardo pentito e colpevole le attraversò gli occhi come un lampo, come succedeva sempre quando la vedeva. Non ero preoccupato. Sapevo che la cicatrice sarebbe scomparsa, alla fine . Quel il chirurgo plastico aveva fatto effettivamente un lavoro notevole e l’unico motivo per cui si riusciva a vedere ancora qualcosa era perché stavo ancora in stato di guarigione.
Un giorno avrei voluto chiedere a Markman perché lei si sentisse così colpevole per quanto riguardava mia testa. Non aveva niente a che fare con lei.
“Mi ha fatto piacere vederti partecipare oggi” disse.
Ah, il mio piano stava funzionando. Annuii.
“E grazie per aver rimesso a posto le sedie.”
Annuii nuovamente e mi sorpresi di averle proprio sorriso.
“Perché questo improvviso cambiamento?”
Sapevo che era una tipa intelligente. Sapeva che quando le mie azioni erano fuori dal mio modo di essere, c’era qualcosa in atto. La conversazione si stava svolgendo esattamente come l’avevo programmata nella mia testa.
Aprii il mio quaderno e tolsi il primo foglio dove avevo scritto la scorsa notte. Tutto ciò che avevo scritto era “Ho bisogno di qualcosa”.
Markman prese il foglio e notai che aveva dello smalto sulle unghie. Non si metteva lo smalto da mesi. Non era una cosa strana ma semplicemente…diversa. Ero così occupato a guardarle le unghie che mi persi la sua espressione appena lesse la mia sentenza. Come facevo a sapere che foglio darle, se mi ero perso la sua espressione?
Fanculo io e fanculo le sue unghie.
“Che tipo di cosa?” chiese lei.
Presi la matita e risposi alla sua domanda: ‘Un favore.’
“Che tipo di favore?”
Sospirai e scrissi: ‘Ho bisogno che lei mi dia qualcosa.’ Stavo quasi per finire la frase, quando mi ricordai in tempo di aggiungere un ‘per favore’ alla fine.
‘Per favore’
Pensai per un momento al passato e cercai di ricordare se le avessi mai chiesto qualcosa. Non avevo mai chiesto nulla a Markman. Era lei che chiedeva a me.
“Okay” disse.
Strabuzzai gli occhi. Aveva detto semplicemente okay? Aveva detto di sì? Credevo di sognare.
“Ma….”
Caaaaaaaaaaaazzo. Avevo la matita tra i denti e la morsi. Ovviamente doveva esserci un “ma”. Non poteva dire semplicemente di sì, non è vero? La guardai in malo modo.
“Farò del mio meglio per darti quello che vuoi, Gerard,” disse con calma, “ma tu devi fare qualcosa per me in cambio. Okay?”
Grugnii rifiutando di impegnarmi. Non avevo intenzione di entrare in affari con quella donna. Chissà cosa voleva che facessi in cambio. Incrociai arrabbiato le braccia e senza pensarci misi i piedi sui suoi mobili. Lei non fece una piega. Continuò solamente a fissarmi mentre combattevo interiormente il mio dilemma.
Volevo veramente, ma veramente dire di sì. Vedete, la cosa che volevo che Markman facesse per me era un regalo di Natale per Frank. Avevo saltato il suo compleanno, perciò avrei dovuto fare uno sforzo ancora più speciale per Natale, quell’anno. Sapevo che era il suo primo Natale lontano dalla sua famiglia perciò volevo farlo sentire un pochino meglio.
Fissai per molto tempo un quadro incorniciato sul muro, mentre pensavo alla mia risposta. Entravo continuamente nel suo ufficio, ma non avevo mai guardato attentamente quel quadro. Era molto bello, pensai. C’era un’alta figura definita al centro della tela. L’espressione sulla sua faccia era di assoluto terrore. L’uomo si trovava in una stanza enorme,completamente vuota con i muri bianchi. Le pareti e il pavimento sembravano estendersi all’infinito. In confronto al resto della stanza, lui era molto piccolo. Lungo una parete c’era una porta parzialmente aperta. Proprio sulla maniglia c’erano quattro dita arrotolate attorno alla cornice. Questo era tutto ciò che si poteva vedere. Solo quattro dita. Non si poteva vedere il mostro o la persona a cui appartenevano, perciò potevo solo immaginare cosa c’era dall’altra parte. Mi spaventò, perché mi ricordò vividamente loro.
Potevo immaginarmi nella grande stanza bianca e arrivare alla terrificante realizzazione che loro stavano arrivando e che io non avevo via di uscita. Mi tirai su e mi avvicinai al quadro per guardarlo meglio. Il mio stomaco si contrasse non appena mi resi conto che intorno ai margini nel quadro c’erano più dita. Sulla cornice della finestra e solo sul davanzale contai otto dita arrotolate sul legno.
Mi voltai immediatamente, il mio cuore martellava e avvertii delle gocce di sudore lungo la schiena. Mi sforzai di fare qualche sospiro profondo. Sarei stato salvo fino a quando non avessi aperto bocca come il ragazzo del dipinto.
Era al centro della stanza con la bocca aperta. Sapevo che lui aveva rotto il suo silenzio e che loro lo avevano trovato. Chiunque avesse dipinto quella tela, aveva un modo inquietante di entrare nella mia testa. Lo indicai e Markman capì che stavo chiedendo chi fosse l’artista.
Sembrò fermarsi per un momento, mentre cercava il nome dentro sua testa.
“Il ragazzo che lo dipinse era un paziente davvero affettuoso e un mio caro amico. Soffriva di schizofrenia.”
Notai che Markman disse che il ragazzo “era” un paziente, perciò le chiesi dove fosse ora. Mi chiedevo se fosse stato curato. O forse l’avevano preso. Era un pensiero terrificante.
Markman mi rivolse solo un' occhiata triste e non rispose alla mia domanda. Deglutii imbarazzato. Pensai che dopotutto doveva essere morto.
Mentre Markman era persa tra i ricordi, colsi l’opportunità di trovare un’idea per il regalo di Frank, che avevo disegnato e descritto nei dettagli la notte passata. Prima di consegnarlo scrissi sul foglio: “Cosa vuole in cambio?”
Markman aprì il cassetto della scrivania e tirò fuori un timer a forma di uovo e lo mise sul tavolo. Era bianco e grande quanto il palmo della mia mano. Aveva grandi numeri sui margini ed indicava le sei.
“La mia unica richiesta è che da adesso in poi dovrai restare nel mio ufficio per una nostra seduta per un minimo di quaranta minuti .” Markman controllò il suo orologio e girò il timer in modo che la linea nera puntasse verso il venti. “Questo pomeriggio sei stato qui dentro già per venti minuti. Perciò lo imposterò per i venti minuti rimanenti.”
Cavolo questa donna aveva capito tutto. Nell'ultimo mese o giù di lì, se mi prendevo la briga di venire a quelle sedute, tendevo a rimanere nella stanza solo per cinque minuti. Avevo cose migliori da fare che stare seduto ad ascoltare Markman che predicava, pregava, faceva conferenze, gridava, sgridava e parlava. Pensai se appunto fosse stata una cattiva idea. Avrebbe potuto mettermi a fare qualche lavoro in cucina o qualcosa di simile. Pensai che potevo sopravvivere per quaranta minuti. Anche il timer era una buona idea. In quel modo avrei potuto tenere un occhio sul tempo e fare il conto alla rovescia dei minuti.
Annuii dando il mio consenso al patto con Markman, con uno sguardo compiaciuto. Infine le cedetti il mio importantissimo foglio. Avevo scritto tutto a proposito del fatto che mi sentissi colpevole di aver saltato il compleanno di Frank e che ora volevo rimediare facendogli un regalo di Natale. Sapevo che di solito in quel posto ci scambiavamo carte scritte a mano e progetti d’arte come regali, ma io volevo fare qualcosa in più per Frank quella volta.
Non era niente di grande o costoso... Pensavo che fosse una cosa gentile, se non altro. Non credevo che Markman avrebbe capito, ma non aveva importanza. Sapevo sarebbe significato molto per Frank.
Markman aveva finito di leggere la lettera e ora stava esaminando la mia bozza.
Sì, avevo utilizzato proprio una pagina del mio quaderno degli appunti per scriverci sopra degli appunti!
“Penso sia un’idea favolosa”
Avevo sentito bene?
“Anche questo disegno è molto bello. Lo porterò a casa con me stasera e lo darò a mio figlio. Lui saprà dove trovare qualcosa del genere, ne sono sicura.”
Fermi tutti, Markman aveva un figlio?! Da quando? Questa informazione era nuova e mi lasciò spiazzato. Se aveva un figlio, doveva essere sposata. Se era sposata doveva avere un marito. Gesù. Come poteva essere sposata e aver fatto sesso e fatto figli quando io ancora non lo facevo?! Parlando di ingiustizie.
Misi da parte questa nuova informazione. Volevo analizzare e digerirla in un secondo momento. Tutto quello su cui dovevo concentrarmi era l’astenermi dall’abbracciare Markman. Davvero, non pensavo che sarebbe stata così disponibile e pronta ad aiutarmi. Dopo tutto, ero stato uno stronzo con lei nell'ultimo anno o giù di lì. Sorrisi e scrissi un ringraziamento per la sua lettura.
“Prego”
Controllai il timer. Dovevo restare ancora undici minuti alla seduta, prima di poter andare. Canticchiai nella mia testa la musichetta della pubblicità dell' Omer's Party Supplies. Faceva un po’ così: ‘Da da da daaaaa da daaaaa da ba bup da bup.’ Era molto orecchiabile in realtà.
Markman tirò fuori due paia di forbici e qualche foglio di carta. Aveva i nomi di tutti scritti sul foglio per il Secret Santa. Senza che mi venisse chiesto, presi un foglio e cominciai a tagliare i foglietti di carta.
Ritagliai quello di Frank e fui estremamente tentato di 'perderlo' per caso, ma decisi di no. Supposi che potevo permettere a qualcun altro di fargli un regalo. Ero così concentrato nel tagliare lungo le linee, che mi prese un colpo quando il timer si fermò con un “driiiing”.
Misi tutti i miei pezzi di carta nella scatola e feci un cenno di saluto a Markman. Frank mi aspettò all’ingresso. “Ti sei messo in qualche guaio?” chiese immediatamente.
Scossi la testa e sorrisi.
Sembrò sollevato. “Sai, Zach ha chiamato Markman appena hai lasciato la stanza. E’ stato strano.”
Era estremamente strano. Chiesi a Frank cos’altro doveva dire. Lui ci pensò per un momento. “Beh, Zach ha detto a Markman che tu avevi visto l’appello di Natale e poi lei ha detto qualcosa e lui ha risposto, “Non lo so”.
Ci pensai per un lungo momento. Non capivo, ma non pensavo di poter risolvere il mistero mentre ero così affamato. Mi diressi verso la caffetteria. Markman e Ben erano lì da un lato, con una piccolo folla attorno. Sapevo che erano lì per il Secret Santa, ma me ne sarei preoccupato più tardi.
Frank e io ci mettemmo in fila e prendemmo una ciotola di zuppa. Ero in buona confidenza con il pomodoro, considerando che era rosso sangue, ma quel posto era conosciuto per il suo cibo ingannevole. Presi tre pezzi di pane e aspettai Frank mentre faceva lo stesso, eccetto che lui aveva scelto la zuppa di zucca.
Ci sedemmo al nostro tavolo e cominciammo a mangiare, in quanto eravamo tutti e due affamati. E sì, avevo cambiato idea. Questo non era più il mio tavolo. Adesso era il nostro tavolo. Quando i delicati rumori dei risucchi di Frank si fermavano, mi fermavo anch’io. Dopo, senza nessuna parola o occhiata, facemmo scivolare le ciotole l’uno verso l’altro. Mi piaceva la zuppa di pomodoro, ma mi piaceva abbastanza anche quella di zuppa. Scoprii non molto tempo dopo che anche Frank era nella stessa situazione. Finivamo metà della nostra ciotola prima di scambiarcela di nuovo. Era bello. Mi piaceva. Era una cosa nostra.
Dopo cena Frank ed io andammo a disegnare I nostri Secret Santa. Ben teneva la scatola sopra la testa di Frank, perciò lui non poteva vederla. Lui salì sulla sua punta dei piedi per estrarre una striscia di carta. Dopo un rapido sguardo sopra la sua spalla nella mia direzione, guardò la carta. Mostrò a Markman chi l'aveva scritto. Lei gli prese il pezzo di carta e lo gettò fuori. Poi venne il mio turno.
Anche se avevo sempre visto il Natale come una scusa dei rivenditori per alzare i prezzi e delle persone per comportarsi stupidamente, non potei fare a meno di sentirmi un pochino emozionato. Aprii il pezzo di carta.
Adam.
Che cazzo voleva Adam per Natale? Non sapevo nulla di lui, eccetto che era stato rapito dagli alieni. Mi morsi il labbro mentre pensavo. Questa sarebbe stata dura. Anche se mi piacevano le sfide. Mi piaceva lavorare col cervello. Era un cervello carino, e fottutamente fantastico, sapete?
Frank sembrava veramente felice. Era vivace quasi quanto lo era mentre stavamo al nostro tavolo a fare le nostre cose.“Chi ti è capitato?” chiese subito. Poi cambiò idea. “No, non dirmelo. Io non ti dirò chi mi è capitato. Non dirmelo, okay?”
Non alzai il sopracciglio verso di lui, come normalmente avrei fatto. Avrei voluto che fosse sempre così felice.

 

 

***

 

Markman arrivò alla sua conclusione del patto per dare il regalo a Frank da parte mia. Ogni giorno, per due settimane, mi ero seduto, come mi era stato richiesto, per quaranta minuti nell’ufficio di Markman per la nostra seduta. Qualche volta il tempo scorreva molto velocemente, perché avevamo delle conversazioni interessanti. Effettivamente per me era stato raro fissare il timer. Avevamo sempre qualcosa da fare. Un giorno giocammo a scarabeo. Sì, seriamente. Giocammo a scarabeo. Vinse lei, ma solo perché io ero impicciato con la ‘x’ e volevo aggiungere dieci punti al mio punteggio. Quel giorno restai nel suo ufficio anche oltre lo squillo del timer.
Era la vigilia di Natale ed ero leggermente ansioso, perché Markman da tempo non mi aggiornava sul regalo di Frank. Sperai che non l’avesse dimenticato. Ma alla fine della seduta tirò fuori la scatola da sotto il tavolo ed io balzai dalla mia sedia, prendendolo con gratitudine. Lo aprii con attenzione e guardai all’interno. Era perfetto. Era esattamente quello che volevo. Markman notò lo sguardo compiaciuto sul mio volto, si asciugò esageratamente la fronte sospirando, “Fiuu! Sono contenta che vada bene”.
Annuii con entusiasmo. Spesi il resto del tempo della seduta a gambe incrociate sul pavimento, attento a confezionare per bene il regalo di Frank. Misi un involucro di carta verde con dei piccoli bastoncini di zucchero disegnati dappertutto.
Finchè il timer non suonò, stetti con il regalo stretto al petto.
Desiderai di poter parlare in quel momento, perché volevo ringraziare Markman. Invece decisi di mimare le parole con la bocca, le quali sembrarono avere su di lei altrettanto impatto. Corsi in camera più in fretta che potevo e nascosi il regalo sotto il letto, coperto da una pila di vestiti, in modo che Frank non potesse vederlo.

Sembrava che i cuochi fossero di buon umore, perché cucinarono del pollo arrosto per cena. Lo stato d’animo di Frank era di nuovo giù, nonostante fosse la Vigilia di Natale. Lo vidi tristemente mentre sceglieva la verdura. Mi fece male vederlo così triste. Desiderai di sapere come tornare indietro nel tempo, in modo da poter tornare al giorno in cui lui aveva incontrato quei uomini. Sfortunatamente, la chiave per viaggiare nel tempo non era uno dei miei segreti.
Quella notte sognai nuovamente Frank. Era un sogno pazzo, che includeva bastoncini di zucchero e dei polli e nonostante la ridicola e divertente immagine di loro che danzavano assieme, Frank non voleva sorridere. Il mio sogno svanì quando mi svegliai a causa di qualcosa che toccò il mio piede sinistro. Strabuzzai gli occhi nell'oscurità, lottando rapidamente per mettere a fuoco la figura scura alla fine del mio letto. Ridicolmente, per un breve istante pensai che fosse Babbo Natale.
“Scusa” Non era Babbo Natale; era Frank.
Mi tirai su e Frank si mosse sotto luce della luna che filtrava attraverso la finestra sopra il mio letto.
“Sono le due del mattino” mi informò, leggendomi nel pensiero.
Buon Natale! Scrissi su un foglio che poi gli diedi, mentre sorrideva per la prima volta dopo tanto tempo. “Scusa se ti ho svegliato” disse.
Scossi la testa. Non m’importava. Non pensavo che fosse giusto che io dormissi mentre Frank non dormiva. Il mio cuore fece improvvisamente un salto quando ricordai che il regalo di Frank era sotto il mio letto. Sorrisi e scrissi: ‘Ho qualcosa per te.’
L’allegria sul suo viso era identica a quella di un bambino la mattina di Natale mentre era accanto ad un albero pieno di regali. “Anch’io!” esclamò correndo fuori dalla stanza.
Mi trascinai sotto il letto per prendere il regalo di Frank. Era stato spinto fino all’angolo e per un momento non riuscii a trovarlo, perché la maglietta nera lo nascondeva alla mia vista. Mi tirai fuori proprio mentre lui tornava.
“Non è molto” mi disse.“E ho avuto bisogno dell’aiuto di Markman”
Trattenni una risata. Frank capì subito. “Era per questo che eri così gentile con Markman? Così che lei potesse aiutarti?”
Io sorrisi d’accordo e lui mi sorrise di rimando.
“Apri tu per primo” decise lui, spingendo il pacchetto verso di me. Era meglio non discutere. Strappai via la carta e rimasi a bocca aperta. Era il set di colori che avevo visto in TV circa un mese prima. Aveva dieci colori diversi, cinque pennelli di diverse dimensioni ed era perfetto. Prima ero stato solo in grado di utilizzare matite e pessimi colori ad acqua, ma ora avevo i colori adatti. Li strinsi al petto già immaginando tutte le cose belle che avrei dipinto. C’era un tubetto di vernice bianca che avrei potuto mescolare con il rosso per fare il rosa. La mia testa elaborò i milioni di colori possibili che potevo creare e il miliardo di immagini che avrei potuto immortalare.
Feci a Frank un sorriso così grande che le guance mi fecero male. Tirai fuori il suo regalo e lui lo accettò, la luce della luna brillava sui bastoncini di zucchero disegnati sull’involucro. Strappò la carta del suo regalo più velocemente di quanto io avessi già fatto con il mio. Praticamente gettò il coperchio della scatola e ci infilò le mani dentro.
“Oh. Gerard.”
Tirò fuori dalla scatola i guanti e ci infilò le mani dentro. Erano perfettamente adatti, come sapevo che sarebbero stati. Tenne le mani sotto la luce della luna agitando le dita. Le falangi sul retro che brillavano nella penombra.
“Li amo. Non credo che me li toglierò adesso. Lo sai questo, sì? Li terrò sempre. Taglierò giusto le dita in estate, o qualcosa del genere.
Sorrisi e annuii. Era questo il piano.
Frank lasciò che la scatola vuota scivolasse fuori dal letto, mentre gattonava più vicino a me.
“Buon Natale, Gerard”

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Capitolo 10
*** 10. ***


A SPLITTING OF THE MIND

 

***


10.

'Tis the season   

 

 


Avevo un problema.
Non avevo preso niente ad Adam per il Secret Santa.
Ero una persona terribile. Stranamente mi sentivo abbastanza in colpa per questo.
Condivisi questa informazione con Frank, mentre ci incamminavamo per andare all'enorme pranzo di Natale che organizzavano ogni anno. Ce la mettevano sempre tutta a Natale, nel cercare di farci dimenticare che eravamo tutti matti e rinchiusi in un ospedale psichiatrico. Bhè, io non ero matto, e neanche Frank... ma chiunque altro sì.
Frank sospirò e mise su una faccia delusa. Ecco quando mi sentivo 
davvero in colpa. La delusione di Adam era qualcosa a cui potevo sopravvivere, ma era sempre un brutto momento quando affrontare la sua.
Odiavo il Natale.
Presi un piatto e mi misi in fila per il cibo. Mentre ero in coda riesaminai nella mia testa tutto ciò che conoscevo su Adam. Era un ragazzo. Aveva 17 anni. Era stato rapito dagli alieni mentre nuotava. Niente che mi aiutasse. Ray era in piedi davanti a me e fissai con sguardo assente la simmetrica macchia nera sulla sua giacca. Era collocata esattamente dove pensavo che fossero le sue scapole. Improvvisamente desiderai di essermi preoccupato di partecipare alla sessione di arte che c'era stata recentemente. Se avessi partecipato, forse avrei potuto scoprire cosa piaceva ad Adam. Quindi avrei potuto avere qualcosa su cui lavorare.

Ray si avvicinò al bancone e strappò dalla carta di alluminio un grosso piatto di patate. Mentre lo guardavo fare ciò, giuro che una lampadina accesa apparve sulla mia testa, con un 'ding' risuonante. Era esattamente come succedeva ai personaggi dei cartoni, nei cartoni del sabato mattina.
Dopo aver preso il pranzo mi precipitai di nuovo al mio tavolo e tirai fuori il mio quaderno degli schizzi. Scrissi cosa avevo bisogno che Frank prendesse per me. Avrei potuto prenderlo da solo, ma per farlo avevo bisogno di usare le corde vocali. Sarebbe stato un pericolo abbastanza grande per me, parlare di nuovo e rischiare che 
Loro mi trovassero, specialmente dopo quello che era successo l'ultima volta. Prima che Frank avesse il tempo di sedersi, gli diedi il foglio e gli tolsi il piatto da sotto le mani. Lui lesse il foglio, mi diede uno sguardo scocciato ed esasperato e tornò indietro al bancone del cibo. Lo guardai attentamente, mentre si piegava per parlare con una delle donne della caffetteria. Diedi uno schiaffo di gioia al tavolo quando ottenne il rotolo di carta stagnola che avevo richiesto, tornando poi di fretta indietro.
“Felice?” chiese, schiaffandomi violentemente il rotolo nella mano tesa. Era abbastanza ovvio che era irritato con me.
Annuii seriamente e gli ridiedi il piatto di cibo che avevo tenuto in ostaggio. Prevedevo che Frank in due minuti avrebbe dimenticato di essere irritato con me e avrebbe cominciato a incuriosirsi sul perché avevo tenuto il suo cibo in ostaggio. Perlustrai la stanza, cercando Adam e trovandolo seduto a uno dei tavoli lontani. Era molto positivo perché avevo fino alla fine di quella volta per confezionare il suo regalo di Natale e, per quanto era lontano, il migliore.
“Cosa stai creando?” mi chiese Frank due minuti dopo, mentre srotolavo circa un metro di carta sul mio grembo. Stavo usando il tavolo come uno scudo per evitare che gli occhi di Adam vedessero ciò che stavo facendo.
Non sarebbe stato il miglior regalo di Natale del mondo per il Secret Santa, ma stavo sperando che fosse abbastanza per lui. Avevo deciso di fargli un cappello. Pensavo fosse stato Ray a dirmi che la tecnologia aliena non poteva penetrare attraverso i cappelli di carta stagnola, che successivamente significava che le specie aliene non potevano leggerti nella mente.
Forte, huh? Bhè. Sapete, sarebbe anche potuto essere, se non fossero state un mucchio di stronzate. Comunque, non mi potevo permettere il lusso di essere scettico al momento. Era colpa mia se non avevo preso prima un regalo ad Adam. Plasmai il foglio a forma di scodella; la sua circonferenza era come credevo che dovesse essere la circonferenza della sua testa. Feci anche il cappello più profondo, in modo che Adam non avrebbe dovuto preoccuparsi del fatto che sarebbe potuto cadere.
Per tutto il tempo per cui feci questo, Frank mi guardò con un leggero sguardo di incredulità sulla faccia. Proprio come quando mangiava, mantenne perfettamente lo sguardo. Quando finii alzai il cappello per farlo vedere a Frank e lui abbassò dubbioso un sopracciglio verso la mia bellissima creazione.
Lo guardai accigliato e la misi via sotto al tavolo, in modo che non si vedesse. Sperai almeno che qualcun altro avesse dimenticato il regalo, così il mio non sarebbe sembrato così brutto.
Praticamente buttai il resto del mio pranzo quando tutti cominciarono ad alzarsi per prepararsi allo scambio di regali. Afferrai il cappello di carta stagnola e mi sedetti nel cerchio, ignorando gli sguardi strani che stavo ricevendo. Frank si sedette accanto a me, come faceva sempre, che fosse arrabbiato con me o no.
Ray si sedette dall'altra parte e mi diede una gomitata sul braccio. “Buona idea!” sussurrò, annuendo verso il cappello che tenevo in mano.
Davvero? Ray pensava che fosse una buona idea? Lo fissai, cercando nel suo viso qualche accenno di presa in giro. Ma non ce n'era nessuno. Improvvisamente mi sentii un po' meglio per il mio regalo.
Guardai attorno al cerchio. Bob aveva un bellissimo fiore blu appoggiato sulla pancia. Ray aveva un pacchetto incartato male. Hayley stava tenendo un solo foglio sul suo petto, nascondendo da occhi indiscreti il disegno dall'altra parte. Le falangi sui guanti di Frank erano avvolte protettivamente attorno al suo regalo.
Lo scambio di regali andò sorprendentemente bene. Cominciò Hayley, dando il suo regalo a Bert. Poi Bert si alzò e diede il suo regalo a Bob. Bob poi si alzò in piedi, con il fiore blu stretto fra le mani come se fosse il corpo fragile di un neonato. Camminò verso Frank che, notai, aveva smesso di respirare. Bob porse il fiore a Frank, con uno sguardo gioioso ma incredibilmente innocente sul viso. Frank, ricordandosi di respirare di nuovo con un rantolo, accettò la rosa.
“Grazie, Bob,” disse piano.
Mi chiedevo dove Bob avesse preso il fiore, ma non me ne curai particolarmente. Sapevo che non importava quanto bello fosse, non sarebbe mai stato bello come Frank. Non importava quanto il fiore ci potesse provare, non avrebbe mai potuto compararsi. Non ai miei occhi, comunque.
Non stavo prestando attenzione quando Adam si avvicinò a me con il suo regalo.
“Mi dispiace, Gerard,” mormorò. “Non sapevo cosa darti.” Mi porse la matita come se gli stesse bruciando le dita. Gliela strappai dalle mani nervose e la esaminai. Era una normale matita, come mille altre che avevo sparpagliate nella mia camera. Invece di mostrare la mia delusione, cercai nella mia tasca una vecchia matita che avevo riposto lì la settimana precedente. Era la mia matita preferita, ma l'avevo temperata fino a ridurla ad un mozzicone di tre centimetri. Adesso era inutile, o così pensavo. Mostrai ad Adam il mozzicone della matita e provai a spiegargli che ne avevo bisogno di una nuova, perciò il suo regalo era perfetto. Per dimostrare ciò, misi la matita di Adam nella cartella della mia agendina da disegno. Ciò lo rincuorò immensamente, facendolo tornare al suo posto ancora col sorriso. Come rimisi l'agendina di nuovo dentro la tasca, feci in modo che nessuno vedesse le altre tre matite che avevo messo via.
Era il mio turno di dare il regalo ad Adam. Imbarazzato, gli porsi il cappello e lui lo prese, con sguardo sorpreso. L'unico rumore nella stanza veniva dall'accartocciarsi della carta, mentre Adam esaminava il cappello. Era come se non avesse 
nessuna fottuta idea di cosa fosse. Era una situazione davvero imbarazzante e mi sentivo come uno stupido. Tutti quanti stavano fissando me e il mio stupido regalo. Deglutii il groppo che avevo in gola e spostai gli occhi sul pavimento.
“Lascia che ti faccia vedere,” esclamò Ray alzandosi dal suo posto. Si mise davanti ad Adam e gli prese il cappello dalle mani. Ray gli mise il cappello con attenzione, modellando la carta d'alluminio in base alla sua testa, in modo che gli stesse meglio. “Ora non possono leggerti la mente,” lo informò, come se fosse un dato di fatto, lasciandomi sbalordito.
Adam guardò con aria infantile e stupefatta fra me e Ray. “Questo li fermerà?” chiese incredulo, come se non potesse credere alle sue orecchie.
Feci spallucce e annuii. Mi sorrise 
radiosamente, come se gli avessi appena dato un milione di dollari. Mi ci volle mezzo secondo per tornare al mio posto e portarmi fuori da sotto i riflettori. Che esperienza traumatica. Grazie a Dio sarebbe passato un anno prima di rifare una cosa del genere.
Odiavo il Natale.
Il mio comportamento in quella seduta doveva aver compensato dal mio comportamento a pranzo, perché dopo che mi sedetti, la mano guantata di Frank si appoggiò sulla mia coscia. Lasciò che la mano si soffermasse per un breve secondo; lungo abbastanza per farmi realizzare che era un gesto intenzionale. Poi, veloce come aveva avuto contatto con la mia gamba, la sua mano scomparì di nuovo nel suo mondo personale. Mi girai per guardare Frank, ma lui evitò il mio sguardo e invece cominciò a fissare il suo fiore blu.
Il Secret Santa era finito e io e lui tornammo al nostro tavolo. Ci eravamo appena seduti, quando Ray ci annunciò la sua presenza e chiese di sedersi con noi.
“Per favore?” ci supplicò, come se sedersi al tavolo con noi avesse potuto curare il cancro o qualcosa del genere.
Frank guardò me, e io guardai Ray. Non volevo davvero dire “sì”, ma non avevo nessuna buona ragione per dire no. Frank mi rompeva sempre sul fatto di essere carino con Ray. Inoltre, Ray mi aveva dato una mano con il regalo di Adam. Ero in una specie di debito con lui. Così sospirai e annuii.
Era stata una cattiva idea. Sapevo che avrei dovuto fare ciò che 
io volevo fare. Perché? Perché precisamente due minuti dopo che Ray si sedette, Bob si avvicinò al tavolo e ci chiese se si poteva unire a noi. Così, dovetti dire di sì. Non potevo proprio dire di no. Non dopo che avevo permesso a Ray di sedersi al nostro tavolo. Annuii di nuovo, estremamente riluttante, e Bob si sedette.
Avevo aperto i cancelli dell'inferno. Che fottuto idiota. Una volta che Adam e Bert video che avevo permesso a Bob e Ray di sedersi con noi, corsero di fretta verso il tavolo, come insetti attirati dalla luce. 
Dovemmo risistemare l'ordine dei posti, ma eravamo comunque finiti tutti e sei ammassati in un tavolo che raramente vedeva più di due occupanti. Ero seduto nel mezzo della panca con Frank accanto a me e Ray dall'altro lato. Bob, Adam e Bert occupavano la panca di fronte.
Ray aveva afferrato il foglio di carta d'alluminio rimasto e stava facendo altri cappelli. Doveva ovviamente avere più esperienza di me con quel progetto, perché il suo era dieci volte meglio. Adam e Bert lo stavano aiutando con entusiasmo, mentre Bert chiedeva se quelli avrebbero potuto nasconderlo da 'Godzilla'. Frank stava parlando del suo fiore con Bob. Io non stavo parlando con nessuno. Nessuno stava parlando con me.
Nessuno non voleva più parlare con me.
Chi stavo prendendo in giro?
Non era che nessuno volesse 
più parlare con me; era che nessuno aveva mai voluto parlare con me comunque.
Tranne Markman
Lei voleva sempre parlare con me. Ma lei non contava. Lei era pagata per parlare con me.
“Adam e Ray, i vostri genitori sono qui!” Zach interruppe la mia autocommiserazione. Il giorno di Natale un sacco di parenti si presentavano intorno alla metà del pomeriggio per andare a trovare i loro bambini. Bhè, i genitori a cui 
importava.
Adam e Ray uscirono fuori con eccitazione per incontrare i loro genitori, lasciando noi quattro al tavolo. Questo mi fece un po' piacere. Se quella situazione fosse stata un'equazione, allora sarebbe potuta essere risolta se avessimo perso ancora il cinquanta per cento delle variabili.
La mamma di Bob arrivò dieci minuti dopo e Bert fece la saggia scelta di lasciare il nostro tavolo con Bob. Pensavo si ricordasse del nostro primo incontro. L'incontro dove gli avevo detto che se si fosse seduto di nuovo al mio tavolo, avrei detto a 'Godzilla' dov'era. Cavolo, ero proprio uno stronzo.
Frank si spostò dall'altra parte del tavolo in modo che fossimo di nuovo faccia a faccia. Preferivo sedermi in questo modo, chiaramente perchè era più facile vedere il suo viso perfetto. Era di nuovo giù di morale ora che tutti se n'erano andati e aveva cominciato a guardare in modo assente fuori dalla finestra. Tirai fuori dalla tasca il mio blocco da disegno e la matita di Adam. Il mio blocco da disegno era tutto per me. Pensavo di poter morire,se mai gli fosse successo qualcosa.
Girai una nuova pagina e premetti la matita sul foglio. Avevo deciso il mio prossimo progetto. Stavo per disegnare Frank. E stavo per farlo bene questa volta, al contrario del terribile disegno che gli avevo fatto la prima volta che l'avevo visto. Studiai Frank per un paio di secondi, poi abbassai gli occhi e trasferii ciò che avevo visto sul foglio. La mia testa fece su e giù rapidamente mentre memorizzavo una linea per poi trascriverla sul foglio. Ci volle un po' per Frank prima che realizzasse cosa stavo facendo, e quando lo capì ne rimase terrificato.
“No, no. Non disegnarmi. Ti prego. Non sono un buon modello. Non sono abbastanza o bello abbastanza. Sono troppo...”
Fissai Frank intensamente. Sapevo la parola sospesa sulle sue labbra pallide. Brutto. Stava per definirsi brutto. Ma non glielo avrei permesso. Non era vero. Non gli avrei permesso di dirmi una bugia così palese.
Alla fine gli feci abbassare gli occhi e la parola velenosa scomparve dalle sue labbra. Diventò silenzioso e incrociò le braccia. Invece di protestare, mi guardò lavorare, con uno sguardo di rimprovero sul volto. Mi rese ridocolosamente felice avere l'opportunità di poterlo immortalare sulla carta, quindi fui indifferente alla sua assenza di entusiasmo.
Comunque, più i minuti passavano e il mio disegno diventava maggiormente definito, più l'atteggiamento critico sembrava scomparire. Fissò il mio disegno, guardando mentre prendeva vita sulla carta. Ogni volta che alzavo gli occhi verso Frank, li alzava anche lui e avevamo un contatto visivo. 
Ogni volta. So che suona davvero patetico e stupido, ma ogni sguardo che ci scambiavamo mi faceva balzare forte il cuore nel petto.
“I tuoi genitori sono qui, Frank.” Ben sembrò materializzarsi accanto al tavolo e si rivolse a Frank.
La testa di Frank si spostò verso la porta a vetri scorrevole così velocemente che mi sorpresi che non avesse schioccato. Si alzò per metà dal suo posto per avere un aspetto migliore. Il mio cuore affondò così tanto nel mio corpo che mi senti male. Sapevo che dovevo lasciare Frank da solo per un po'. Era passato tanto tempo da quando aveva visto i suoi genitori e sapevo che sarei solo stato di troppo. Buttai giù una nota per Frank su un pezzo di carta e raccattai le mie cose. Mi alzai e feci scivolare il pezzo di carta davanti a lui. Analizzò la nota che lo informava che lo avrei lasciato per un po' da solo con i suoi genitori. Quando Frank non reagì a cosa avevo scritto, cominciai ad allontanarmi da lui verso la mia camera. Lo avevo appena sorpassato quando lui riflessivamente si girò e mi prese il braccio, facendomi perdere l' equilibrio e facendomi tornare di nuovo al tavolo.
“Non andare. Ti prego, resta con me.” Appena Frank finì di parlare, annuii. La sensazione di malattia nel mio stomaco si intensificò quando realizzai che non mi stava semplicemente 
chiedendo di restare con lui, mi stava letteralmente implorando.
Dopo la sua richiesta, mi sedetti accanto a lui. Di nuovo stavo prevedendo l'imbarazzo. I genitori di Frank non mi avrebbero voluto lì. Lo sapevo. Deglutii un paio di volte e mi chiesi cosa stesse dicendo loro Markman. Li aveva fermati prima che entrassero nella caffetteria ed erano rimasti a parlare per i cinque minuti che erano passati.
Ora, non avevo mai incontrato prima i genitori di Frank e non sapevo nulla su di loro. A parte questo, avevo già un'immagine nella mia testa di come mi aspettavo che fossero. Tutto ciò che sapevo era che erano ignoranti e si erano davvero vergognati di ciò che era successo a Frank. Come entrarono nella caffetteria e cominciarono ad avvicinarsi al tavolo, li esaminai. La mamma non era per niente come l'immagine che avevo nella mia testa. Pensavo a lei come una snob d'alta classe che vestiva abiti di marca costosi. Ma non era così. Sembrava una mamma normale. Indossava un vestito tutto blu e un grande cardigan sulle spalle.
Il padre di Frank, dall' altra parte indossava un completo. Era il giorno di Natale e stava facendo visita a suo figlio in un istituto mentale; la sua scelta di abbigliamento mi confuse. Non stava andando a una riunione o a un ristorante costoso. Chi voleva impressionare? Pensava che le persone non l'avrebbero giudicato se fosse sembrato importante? O, sospettai, si era vestito in quel modo per distrarre le persone dal fatto che era così ovviamente imbarazzato di stare lì?
“Frank!” la mamma, comunque, sembrava davvero felice di essere lì. L'autentico piacere che aveva nel rivedere suo figlio di nuovo sembrava essere attaccato pure a Frank, perchè lui sorrise appena la salutò.
Lei si fermò appena raggiunse il tavolo e porse una mano. Fu quando realizzai cosa Markman avesse detto ai genitori di Frank. Aveva detto loro della sua forte avversione riguardo l'essere toccato. Markman li aveva avvisati di non provare ad abbracciarlo o stringerlo in nessun modo. Frank porse la mano guantata a sua madre e lei la strinse forte alla sua, sorridendo tristemente a suo figlio. Quando la lasciò andare, Frank si girò verso suo padre, che stava stendendo la mano freddamente. Si strinsero la mano in modo inquieto, qualcosa che presumetti non avessero mai fatto prima.
Una volta che i genitori si sedettero di fronte a lui e me, Frank mi presentò. “Mamma, Papà,” disse, guardando a turno tutti e due. “Questo è il mio amico, Gerard.”
Sua madre mi salutò calorosamente e sentii una specie di affezione verso di lei. Suo padre, invece, fu freddo come il sottile strato di ghiaccio che ricopriva tutte le finestre della caffetteria. Decisi che non mi piaceva.
Frank cominciò a descrivere un giorno ordinario per i suoi genitori, alla domanda di sua madre “dimmi tutto”, come aveva chiesto.
Tirai fuori la matita di Adam dalla tasca e la rigirai spensieratamente fra le mani, mentre Frank parlava. Era interessante sentirlo descrivere un giorno. Mi fece chiedere se effettivamente fosse residente nello stesso posto dove stavo io.
La mamma commentò in tutti i modi possibili. Lo considerai un modo da parte sua di interagire con Frank. La sua risposta sembrò un po' troppo premeditata e prudente. Era spaventata. Spaventata di dire qualcosa di sbagliato. Potevo quasi respirare quanto si sentisse colpevole. Non era solo il tipico senso di colpa che aveva una madre che aveva confinato suo figlio in un ospedale psichiatrico. A quanto mi dissi fra me e me si sentiva più colpevole della sua ignoranza su ciò che era successo, che di ciò che stava accadendo a Frank.
Stava tenendo il segreto e mi stava facendo diventare pazzo per cercare di capire.
“La dottoressa Markman dice che stai migliorando,” disse lei raggiante, cambiando il soggetto dal cibo, alla salute di Frank.
Frank e io ci guardammo l'un l'altro. Perchè diceva questo? Entrambi sapevamo che lui aveva ancora molta strada da fare prima di andarsene. Era la fottuta dottoressa, non avrebbe dovuto saperlo?
“Presto potrai tornare a casa.”
Smisi di rigirare la penna e fissai assiduamente il disegno inciso nel tavolo di metallo. Sapevo dove avrebbe portato quella conversazione. Mi sentivo di nuovo male.
Frank rimase in silenzio per un momento, pensando intensamente tanto quanto io stavo fissando il tavolo. “Credo,” disse.
Il padre decise di intervenire e, seriamente, avrei preferito che non lo avesse fatto.
“Ma manchi a tutti,” disse.
“A chi?” schioccò Frank. Sapeva di non aver nessun amico a casa. Nessuno avrebbe chiesto di lui.
“Tutti. Sai? I vicini e alcuni amici di famiglia. Manchi a tutti.”
Strizzai la penna nella mia mano e mantenni gli occhi bassi. Accanto a me, la gamba di Frank si muoveva con rabbia. “Cosa gli avete detto?” chiese, con la voce a livello misurato. “Cosa vuoi dire?” la mamma di Frank aveva realizzato che la situazione si stava deteriorando e stava disperatamente cercando di calmare le acque.
“Avete detto loro che sono in un costoso collegio Svizzero? O che sto da uno zio in Canada? Oh, oh, lo so, sono in una prestigiosa scuola di comportamento maschile dall'altra parte del paese, non è vero?” La voce di Frank grondava di sarcasmo.
Avrei scelto la terza opzione.
I genitori non risposero e il mio cuore affondò. Odiavo aver ragione riguardo cose terribili come queste. Perchè non potevo aver ragione sui numeri della lotteria, in modo da poter uscire fuori da quel buco infernale?
“Bhè?” chiese Frank, guardandoli entrambi.
“Smettila di fare lo sciocco,” disse duramente il padre.
La madre arricciò le labbra e gli lanciò uno sguardo di disgusto. Improvvisamente ebbi un'altra illuminazione su quale fosse il segreto della mamma di Frank. Ma non volevo pensarci. Non credevo che lui avesse potuto sopportare di sentirlo in quel momento. Diedi un'occhiata alle sue mani e la mia peggior paura fu confermata.
“Non sto facendo lo sciocco,” disse Frank con rancore.
"Sì invece. Sei sempre stato sciocco. Sei sciocco, non pensi e poi ti trascini nelle situazioni. Se solo fossi cresciuto e ti fossi comportato come uno della tua età per una volta in vita tua, non saremmo stati qui.”
La madre si allungò tavolo e prese la mano di Frank. “Non voleva dire questo, tesoro. Non è colpa tua. Frank, noi-.”
“-dov'è la vostra fede?” si lasciò sfuggire lui, spostando lo sguardo in tono d'accusa dalla mano di sua madre alla sua faccia.
Il padre fu troppo lento e non mosse in tempo la sua mano dal tavolo. Frank lo guardò e istantaneamente capì che anche la fede di suo padre era assente. Tutto ciò che si poteva vedere era la sottile striscia di pelle sul dito dove stava l'anello, che era più pallida del resto. Frank ritrasse le mani sotto al tavolo e le unì insieme, in preda al panico.
“C-Co-Cosa? Perchè? Che succede?” chiese.
Da quando quella visita era cominciata, avevo notato che Frank stava diventando sempre di più visibilmente sconvolto. I suoi occhi stavano diventando rossi e il mento stava tremando. Non era come se stesse per cominciare a piangere, era più come se stesse cercando di imbottigliare troppe emozioni perchè il suo corpo riuscisse a contenerle. Improvvisamente sperai che i suoi genitori se ne andassero.
“Non vi amate più?” domandò, chiaramente angosciato. “Per quanto? Da quanto?”
“Oh, non lo so. Non è chiaro, piccolo,” mentì.
“E' successo dopo che me ne sono andato, non è vero? Non mentitemi!” esclamò appena sua madre scosse la testa.
“Sì, Frank. Ci siamo separati un mese dopo che sei venuto qui,” disse bruscamente il padre.
“E' colpa mia,” dichiarò lui. I suoi genitori non risposero velocemente come speravo che facessero. “Oh, Dio,” gemette Frank, tenendosi la testa fra le mani e nascondendo la faccia da noi tutti.
“Lo vedi cosa hai fatto?” disse arrabbiata la madre.
“Oh, è colpa mia? Non voleva che gli mentissimo. Se vuoi che lo tratti come un bambino, va via. Lui ha bisogno di crescere e reggersi in piedi da solo.” Il padre sbattè il pugno sul tavolo con rabbia.
“Come osi dire ciò?! Come osi!”
“E' il mio stipendio che paga questo posto e dico quello che voglio. Se tu 
avessi fatto più attenzione al genere di persone con cui usciva...” il padre di Frank lasciò la frase aperta, ma non aveva bisogno di interpretazioni.
Improvvisamente mi accorsi che la parte inferiore della mia mascella era sul pavimento. Bhè, non letteralmente, ma ero così sbalordito che mi sentivo così. Non riuscivo a credere a ciò che stavo sentendo e vedendo. I genitori di Frank erano nel mezzo di una devastante conversazione su chi incolpare per lo stupro di loro figlio. Se c'era qualcuno da incolpare, erano i due bastardi che l'avevano fatto, prima di tutto. Nessuno dei due genitori aveva provato a consolare Frank o a spiegargli le condizioni della loro separazione. Strinsi con rabbia il pugno attorno alla matita e digrignai i denti.
“Oh, ora è colpa mia!? Stavo lavorando tanto quanto te. Sei responsabile quanto me.”
“A malapena. Se non lo avessi viziato così tanto, forse non sarebbe diventato così -” Il padre fu bloccato dalla madre prima dell' esclamazione indecente.
Accanto a me, Frank aveva cominciato a piangere, ma sapevo che nessuno dei due genitori l'aveva notato. Erano troppo impegnati nel loro piccolo mondo perchè importasse. Realizzai in quel momento perchè non avessero notato lo strano comportamento di Frank dopo lo stupro. Erano troppo egoisti e egocentrici per occuparsi di loro figlio. Persone come queste non avrebbero dovuto avere bambini. Non se non potevano seguirli diligentemente.
La matita che tenevo in mano si spezzò in due quando la strinsi furiosamente. Lanciai i pezzi di legno e grafite sulla superficie del tavolo, facendo sorprendentemente molto rumore. Sapevo cosa dovevo fare. Non avevo scelta.
“SMETTETELA!” urlai e mi alzai in piedi, irritato. Sapevo che l'azione del minuto seguente mi sarebbe costata, ma non mi importava. Lo stavo facendo per Frank.
Anche il padre si alzò. “Non so chi ti credi di essere, ragazzo, ma cerca di restare fuori dagli affari altrui,” ringhiò, scuotendo il suo dito accusatore verso di me minacciosamente.
Girai attorno al tavolo per stargli faccia a faccia. Ero alto quanto lui, fortunatamente. “Andate via,” insistetti. “Lasciate questo posto, ora.”
“Non provare a minacciarmi,” soffiò lui, usando il dito per colpirmi duramente sul petto.
Mi ci volle ogni minimo osso per mantenere l' autocontrollo del corpo e per non prendere il dito e spezzarglielo in due. Sapevo che avrei potuto farlo. Avrei potuto probabilmente rompere anche il suo polso. Con un rapido movimento l'avrei potuto far contorcere sul pavimento. Ma non lo feci. La rabbia che mi era salita sul viso dai miei piedi restò contenuta, mentre guardavo l'uomo che aveva reso Frank così triste in quel giorno in cui lui sarebbe dovuto essere felice.
“Lascerete questo posto. E non tornerete fino a quando Frank non vi inviterà specificatamente. Ve ne andrete da qui e lascerete che Frank continui la sua vita. Ve ne andrete. Ora. Non avete il diritto di tornare qui e comportarvi in quel modo che ha chiaramente lasciato Frank sconvolto e afflitto. Non c'è nessuno da incolpare per ciò che gli è successo, eccetto quelle due persone che hanno commesso quell'atto orribile. Ne' lei, ne' sua moglie, ne' Frank siete responsabili di ciò che è successo. Quello che gli è capitato non è nulla di cui vergognarsi, ma mi sta diventando abbastanza chiaro che il vostro senso comune è stato oscurato dal vostro egoismo e dalla vostra avidità. Suggerisco di svegliarvi dal vostro stupore e realizzare che avete un figlio straordinario.”
Mi fermai per riprendere fiato e mi preparai ad affrontare la replica del padre di Frank, ma quella non arrivò. Sembrava davvero sconvolto, invece di essere arrabbiato. Guardò Frank che ora stava fissando entrambi, deglutendo rumorosamente. I suoi occhi erano umidi di lacrime e sapevo che suo padre aveva capito ora di essere il responsabile di quelle lacrime. Quello fece un passo indietro da me e guardò sua moglie. Poi, senza una parola, i due se ne andarono, atterriti e imbarazzati.
Appena lasciarono la stanza, mi guardai attorno. Tutti mi stavano fissando. Di nuovo. In aggiunta a questi sguardi, notai che Ben e Zach stavano in piedi prudentemente vicino al tavolo. Era più come se si stessero preparando a porre fine a una battaglia. Sicuramente non pensavano che potessi far male al padre di Frank, non è vero? Solo una persona nella stanza si stava muovendo, ed era qualcuno che non vedevo da un po'.
Jasper si stava facendo strada fra i tavoli davanti a me, scuotendo la testa con un espressione di orrore ingessata sul viso serio. Ogni due passi si guardava dietro le spalle.
Sapevo chi stesse cercando.

Loro stavano arrivando. E sapevo che questa volta mi avrebbero preso. Ero stato capace di scappare una volta. Nessuno era così fortunato due volte. Mi portai le mani alla bocca, terrificato, ed esaminai tutte le finestre. Mi aspettavo di vedere le loro dita aggrappate sulla finestra da un momento all'altro.
Sentii un trambusto alla mia sinistra e girai la testa per vedere. Frank si era alzato dalla sedia ed era corso verso l'ala ovest. Jasper mi raggiunse e prese rudemente il mio braccio.
“ hanno visto tutto. Loro sanno di lui. Loro stanno arrivano a prendere anche lui.”
Il terrore e la paura mi inondarono per un secondo, quando realizzai cosa avevo fatto. Dovevo salvarlo. Loro stavano arrivando per me e avrebbero usato Frank per farlo. Girai i tacchi e corsi velocemente dietro a Frank, ignorando le persone dietro di me che chiamavano il mio nome e stendevano le braccia per fermarmi. Le mie gambe si caricarono di nuova adrenalina mentre correvo verso la camera di Frank e sbattevo la porta aperta, chiamando con urgenza il suo nome.
Ma la sua camera era vuota e ciò poteva significare solo due cose. La prima opzione mi volò attraverso la mente, ma fisicamente feci smettere al mio cervello di pensare alla seconda opzione. Invece mi comportai come la prima e girai l'angolo per andare verso le docce, pregando ogni Dio di cui avevo sentito parlare che Frank fosse lì.
Non sapevo quale Dio mi avrebbe aiutato, ma non mi importava. Tutto ciò che mi importava era che la prima cosa che avevo visto quando avevo aperto la porta era stata lui. Era in piedi, completamente vestito, sotto il getto della doccia, tremando incontrollabilmente. Entrai nelle docce e chiusi la porta dietro di me. Una porta chiusa non li avrebbe fermati, ma forse li avrebbe rallentati. O meglio, speravo che potesse rallentarli.
Andai di corsa verso Frank, una nuova sensazione di emergenza si impossessò di me. Loro non lo avevano ancora preso. Questo significava che avevo ancora una chance di proteggerlo. Avrei fatto tutto, se questo significava salvarlo. Mi sarei costutuito se lo avessero lasciato solo. Era troppo tardi per scappare adesso. Dovevo scendere a patti. La mia vita o quella di Frank. Non avevo mai dovuto pensarci. Automaticamente decisi che avrei dovuto farlo.
L' acqua che uscì dalla cima della doccia era fredda in maniera glaciale e in un paio di secondi dopo sotto il getto con Frank, i miei denti cominciarono a battere incontrollabilmente e i vestiti mi si incollarono alla pelle.
“Frank, dobbiamo uscire da qui.”
Lui mi guardò con indifferenza.
“Ti prego. 
Loro stanno arrivando.”
In quel momento ebbe una reazione. L'orrore attraversò il suo viso e odiai il fatto di averlo spaventato. Stese le mani e mi afferrò le braccia, strattonandomi verso di lui. Le sue dita, ancora coperte dai guanti fradici, si spostarono per toccare le mie labbra.
“No, no, no, no, no, no, no.” Continuò a ripetere la sillaba più e più volte mentre me le toccava. “Perchè hai aperto la bocca, Gerard? Perchè l'hai fatto?”
Stavo per rispondergli, ma lui mi bloccò. “Non sai cosa significa questo?” domandò, le sue parole appena distinguibili sopra il rumore delle docce. “Non lasciarmi,” mi pregò.
Non capivo. Non stavo andando da nessuna parte. Non l'avevo chiarito? Dovevo proteggerlo. Diedi un'altra nervosa occhiata attorno alla stanza, ma non c'era traccia di loro. Non ancora.
“Non capisci?” urlò lui. “Ogni volta che ti comporti così Markman ti porta via da me. Perchè hai aperto la bocca? Tutto quello che hai fatto è stato dare a Markman una ragione per portarti via da me. Non lascerò che lei ti porti via. Ho bisogno di te, Gerard.”
Non sapevo di cosa Frank stesse parlando. Ogni volta che mi comportavo come? Cosa significava? Feci un passo indietro dall'acqua gelata e guardai di nuovo attorno alla stanza. Un grido di spavento uscì dalle mie labbra quando vidi delle ombre scure che volavano attraverso la finestra, verso il muro lontano. Lottai per trattenere la presa di Frank, ma tutto quello che riuscii a fare fu togliere il guanto dalla sua mano destra. Tirai disperatamente il guanto bagnato sul pavimento e mi rigirai verso di lui.
Loro sono qui,” gli dissi, tendendogli implorante la mia mano.
Frank mi sorprese balzandomi addosso e avvolgendo le sue braccia attorno al mio petto, seppellendo la sua faccia fra le mie spalle. “Non sono reali, Gerard,” disse, con voce soffocata. Cercai di levarmelo di dosso, ma era incollato a me come una sanguisuga. Lui saltò in piedi e mi avvinghiò le gambe attorno alla vita. Per un momento pensai che le mie gambe cedessero sotto il peso improvviso e inaspettato. Tenni ferma una mano per sostenere Frank, mentre l'altra che usavo per mantenermi in , la appoggiai al muro. Non ero mai stato così vicino a lui, ma solo perchè non avevo avuto l'occasione di farlo. Il cuore mi battè dolorosamente nel petto, mentre alzavo lentamente la testa per guardare di nuovo la finestra.
Quando vidi le dita avvinghiarsi sul davanzale, sentii i soffocanti, debilitanti sintomi di terrore che tornavano. Le ginocchia cedettero sia per il peso di Frank, sia per la paura. Era l'esatto contrario di quello che volevo che facessero. Volevo correre, ma il mio corpo si rifiutava di cooperare, e così anche Frank.
La mia mente andò in bianco quando guardai le dita avvinghiate al davanzale della finestra, ora attorno al bordo della porta. La mia mente era andata in bianco solo una volta e questo mi aveva fottutamente spaventato. Il mio cervello era incredibile; non andava mai 'in bianco'. Qualche volta la grandezza dei pensieri che lo attraversavano non mi faceva dormire. Dove andava tutto?
Realizzai di essere collassato in una delle grandi pozzanghere d'acqua, direttamente sotto il violento e gelato getto della doccia. Frank si era solo stretto più forte a me e strinse la presa fino a far male. Usai la mia mano libera per trascinarmi indietro, mentre 
Loro cominciavano a entrare nella stanza attraverso la finestra e la porta. Strisciarono attraverso la finestra come serpenti e si trascinarono oltre la porta come se fossero in processione. Le gambe scivolarono inutilmente sulle piastrelle umide, mentre mi spingevo di nuovo verso il muro. Frank era un peso morto che non riuscivo a tenere. Potevo sentire il suo naso e le sue labbra premute sull'incavo del mio collo, stava tremando incontrollabilmente per il freddo. Se non fosse morto quel giorno a causa loro, ero sicuro che si sarebbe preso la polmonite. In tutti e due i casi, sarebbe stata colpa mia.

Cominciai a iperventilare. L'aria non arrivava ai polmoni e Frank mi stava stringendo così impossibilmente forte e stretto che non riuscivo a inalare correttamente. Loro si affollarono attorno a me, riempiendomi la vista con le loro figure terrificanti. Mi lasciai scappare un singhiozzo soffocato. Non avevo abbastanza aria per piangere sul serio, quindi tutto ciò che potei fare fu emettere singhiozzi strangolati, mentre le lacrime mi inondavano le guance. Ero felice che la faccia di Frank fosse sepolta sotto al mio collo e che lui non potesse vedereli, e quindi che non potesse vedermi piangere.
Il loro capo fece un passo in avanti dalla folla ed estrasse una pistola dalla cintura. Pigramente sbloccò la sicura e la inclinò. Poi la abbassò e la puntò alla testa di Frank. Era a meno di 30 centimetri dalla sua faccia e sapevo che ciò avrebbe spiaccicato su tutto il muro Frank... e me.
Con un grido che suonava come un animale morente, spostai il mio corpo e mi misi tra Frank e la pistola. Mi rannicchiai quando sentii la pistola premuta contro il mio cranio. 
Loro stavano per spappolare il mio cervello contro il muro per procurarsi i miei segreti direttamente da sopra le piastrelle. Serrai gli occhi e aspettai la fine.
Gerard, lascialo andare.”
“Gerard. Gli stai facendo male. Lascia. Ti prego. Ho bisogno di aiuto qui!”
Cosa hai fatto? Lascia andare tuo fratello. Sta sanguinando.”
“Frank, lascia.”
Santo cielo, Gerard! Cosa hai fatto? Lascialo andare. Dio mio, qualcuno chiami il 911!”
“Gerard, va bene. Sei al sicuro adesso. Nessuno ti farà del male. Ti prego, mettiti seduto. Frank ha bisogno di aiuto.”
Gerard, lascia. E' ferito. Abbiamo bisogno di un' ambulanza, Oh mio dio, sono stati tutti feriti.”
Il panico cominciò ad attenuarsi per qualche ragione sconosciuta. Stavo lentamente riacquistando la mia capacità di pensare. Una voce maschile continuò a risuonare nella mia testa, ma non la riconobbi. Sentivo delle mani strette alle mie spalle, che cercavano di tenermi dritto. Le mani riuscirono nel loro intento e il minuto successivo la mia vista fu annebbiata, mentre ero appoggiato di nuovo contro al muro. Le docce avevano smesso di funzionare, ma il pavimento era ancora umido con pozzanghere. Le mano stavano ora cercando di staccare Frank da me, ma nessuno dei due voleva lasciar andare la presa.
I proprietari delle mani continuarono a parlarmi: “Lascia. Gerard, 
lascia.” Le voci mi stavano implorando. Non potevo lasciar andare. Loro gli avrebbero fatto del male. Loro gli avrebbero sparato. Dovevo proteggerlo.
“Gerard. Devi lasciarlo andare. Per favore, credimi.” Markman si accovacciò accanto a me, la sua mano posata delicatamente sulla mia spalla. La guardai per un secondo, prima di guardare il resto della stanza. Le sole persone che potevo vedere erano quelle del solito personale. 
Loro non erano da nessuna parte dove potessero essere visti. Doveva essere uno scherzo. I miei occhi guizzarono attorno ansiosamente solo per ritornare a Markman.
“Se ne sono andati,” mi disse.
Avevo fiducia in lei, le credevo. Quindi, contro tutti i miei miglior giudizi, lasciai andare Frank. Ma anche quando lo lasciai andare, loro non poterono levarmelo di dosso. Lui si stava tenendo a me con una specie di morsa mortale. Quando gli iniettarono un potente sedativo tranquillante, lui mormorò il mio nome. Si accasciò fra le mie braccia quasi immediatamente e non ne fui sorpreso. C'erano abbastanza medicinali in quell'ago da poter far addormentare un elefante. La mia testa sbattè e non mi opposi quando qualcuno tolse Frank dalle mie braccia.
Stavo gelando di freddo e tutte quelle persone nella stanza mi stavano soffocando.
“Hai bisogno di cambiarti. Ti ammalerai. Si gela.” Markman mi mise in piedi e mi sostenne per tutta la strada verso l'infermeria. Lasciò subito la stanza mentre l' infermiere mi toglieva i vestiti e mi aiutava a mettere un nuovo set di abiti asciutti. Stavo ancora tremando incontrollabilmente, nonostante le molte lenzuola che mi ero avvolto addosso quando lei era tornata.
Mi sedetti sul bordo del letto, guardando le ombre della tenda che mi separava da Frank. “Starà meglio,” mi disse Markman.
“Stavo cercando di salvarlo,” le dissi tristemente.
“Lo so.”
Loro erano qui. Poi sono scomparsi. Giuro che loro erano qui, non sto mentendo.”
“Lo so.”
“Non capisco.”
“Domani,” disse, mettendomi in mano due pillole blu e un bicchiere d'acqua. Non volevo prendere le pillole, ma lei era molto convincente. Le ingoiai in un solo sorso e potei sentirle subito dissolversi nel mio stomaco. “Domani, ti spiegherò tutto.”

Mi distesi sul letto e Markman restò con me fino a quando tutto non si fece buio.



 

****

Non so quanto a lungo mi fecero dormire le pillole, ma era ancora buio nell' infermeria quando mi svegliai. Supposi che fossero le quattro e mezza del mattino. Rimasi steso nell'oscurità per un po', lasciando che la mia testa si ripulisse e ripercorrendo l'inventario dei miei segreti. Erano ancora lì. Non potevo crederci. Non faceva neanche più freddo.
Tolsi le coperte e mi feci strada verso la tenda che era tracciata attorno al letto di Frank. Ci scivolai attorno e restai nelle tenebre per un momento, assicurandomi che Frank non fosse sveglio. Qualunque medicinale gli avessero somministrato, stava ancora ovviamente pulsando nelle sue vene. Diedi un' occhiata alla stanza di nuovo, prima di strisciare accanto a lui sul materasso. Mi stesi accanto a lui, guardando il suo petto che si alzava e si abbassava. Una volta che mi accertai che fosse vivo, mi mossi a guardare il suo volto. Sembrava così tranquillo quando dormiva.
Mentre lo guardavo, sentii il cuore che cominciava a farmi male di nuovo. Poi, anche se sapevo di non doverlo fare, mi appoggiai su di lui e gli scostai i capelli dal viso. Dopodichè premetti le labbra sulla sua fronte e lo baciai. Non si mosse, né si rannicchio su di me come si faceva nei film, ma pensavo di preferirlo in questo modo. Sapevo che non era giusto per Frank che lo toccassi, ma non potevo fermarmi. Ero una persona cattiva. Una persona terribile.
Rimasi steso con lui fino a quando non mi addormentai. Non era mia intenzione addormentarmi, ma mi sentivo al sicuro accanto a Frank. Dormivo meglio quando mi sentivo al sicuro.
“Gerard?” sussurrò, svegliandomi. “Non hai freddo?”
Ero disteso sopra alle sue lenzuola stavo tremando di nuovo. “Sì.”
“Vieni sotto le coperte,” mi intimò, alzandole.
Strisciai sotto le coperte e Frank si spostò più vicino a me. Era incredibilmente confortevole.
“Gerard? Oh, Gerard?” disse con voce silenziosa e subito mi misi a sedere. Girai la testa per guardarlo allungare la mano con le sue dita spoglie, per toccare delicatamente le mie guance umide. Poi, senza più parole si rimise disteso e avvolse un braccio attorno a me. Sembrava non gli importasse che le nostre pelli nude si stessero toccando.
“L'ho ucciso,” sussurrai a Frank. Abbassai la voce a meno si un sussurro, spaventato che qualcuno potesse sentire la mia terribile confessione. “Frank. Gli ho sparato. Ho sparato a mio fratello.”
Ero una persona terribile.

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Capitolo 11
*** 11. ***


 A SPLITTING OF THE MIND

***


11.

You Are As Sick As Your Secrets


 




Mi dispiace,” borbottò Frank, con gli occhi incollati al pavimento. Non poteva sostenere il mio sguardo. Neanche io riuscivo a guardarlo.
Ignorai le sue scuse e arricciai le labbra, stendendo le braccia per toccare i resti inzuppati del mio amato quaderno.
“Mi dispiace,” ripeté.
Sospirai e delicatamente sollevai l'angolo di una delle pagine imbrattate su quella che era sotto. Nonostante il mio tocco delicato, l'angolo della pagina si strappò e mi lasciò con un pezzo di carta bagnata della misura di un francobollo fra le dita. Fu qui che mi arresi. Non ci sarebbe stato nessun tentativo di salvataggio. Era completamente rovinato. Tutto il mio lavoro era andato.
“Scusa.”
Frank si strinse le braccia attorno, cercandone di trovare conforto per il fatto che ero arrabbiato con lui.
E io ero arrabbiato con lui. Lo meritava? No. Certo che no. Ma senza dubbio non stavo pensando logicamente al momento. C'erano 
mesi di irrecuperabile lavoro fra quelle pagine fradice. Tutti i miei lavori erano rovinati e tutte le mie teorie erano state spazzate via. Tutte le ore che avevo passato in tarda notte, prendendo nota di come funzionassero i ricordi e di come la mente reagisse nei casi di grande noia erano stati buttati. Le mie conversazioni scritte fra Frank e Markman, cancellate.
Ero distrutto. Ero stato così deciso a salvare Frank quel fatidico pomeriggio di Natale, che non avevo nemmeno pensato al benessere del mio quaderno quando mi ero tuffato nella doccia con Frank. Con inesorabile rabbia tirai su quel disastro bagnato e lo buttai con eccessiva forza nel cestino di metallo vicino al mio letto. Il peso del libro fece sbattere rumorosamente il cestino sul pavimento della mia stanza.
Frank indietreggiò da me con aria drammatica. “Mi dispiace,” esclamò.
“Smettila di dirlo!” schioccai, rifiutandomi di girarmi per guardarlo.
Frank respirò bruscamente quando lo dissi. Mi sentivo cattivo. Non avevo mai alzato la voce con lui prima, non pensavo. Non meritava di ricevere la mia rabbia. Non era colpa sua. Non mi aveva obbligato a stare sotto la doccia con lui. Non mia aveva obbligato ad aprire la bocca per attrarre 
Loro. Non mi aveva obbligato a fare nulla. Quindi perchè ero così ansioso di accusarlo?
“Sì, bhè, non è che anche tu sia esattamente un santo, Gerard,” disse, ferito. Prima che potessi rispondere, lui si girò di scatto e se ne andò dalla mia stanza.
Le parole di Frank mi pugnalarono nel cuore come un coltello e il respiro venne fuori dalla mia gola a fatica. Il terrore e la vergogna e il senso di colpa mi colpirono lo stomaco come un peso di piombo, opprimendomi e avvelenandomi. Era la prima volta che Frank aveva menzionato l'orrendo atto che avevo commesso, da quando gliel'avevo confessato, nella calma oscurità dell'infermeria. Doveva aver pensato che fossi un mostro. Lo sapevo. Mi piegai in due, tenendomi la testa fra le mani e provando a sopprimere il senso di nausea che avvertivo nello stomaco.
Ero un 
assassino.
Ogni volta che ci pensavo, sentivo come se stessi collassando dall'interno. Era come se fossi demolito, come un castello di sabbia preso in alta marea. Rimasi rannicchiato, ripetendo le fatidiche parole nella mia testa.
Gerard, lascia. E' ferito. Abbiamo bisogno di un'ambulanza. Oh mio dio, sono stati tutti feriti.

Le parole si ripeterono come un disco rotto.


Gerard, lascia. E' ferito. Abbiamo bisogno di un'ambulanza. Oh mio dio, sono stati tutti feriti.

Gerard, lascia. E' ferito. Abbiamo bisogno di un'ambulanza. Oh mio dio, sono stati tutti feriti.

Gerard, lascia. E' ferito. Abbiamo bisogno di un'ambulanza. Oh mio dio, sono stati tutti feriti.

Gerard, lascia. E' ferito. Abbiamo bisogno di un'ambulanza. Oh mio dio, sono stati tutti feriti.

Gerard, lascia. E' ferito. Abbiamo bisogno di un'ambulanza. Oh mio dio, sono stati tutti feriti.

OH MIO DIO, SONO STATI TUTTI FERITI.

Gerard?”
Mi strinsi le spalle in segno di protezione, coprendo me e la mia faccia piena di lacrime da Ben.
“Vieni a pranzo.”
Scossi la testa. Non avevo fame. Pensai che non sarei riuscito mai più a mangiare un pasto. Non con tutta la colpa che mi opprimeva e mi avvelenava.
“Non stavo chiedendo.” disse lui severamente.
“Non ho fame,” mormorai.
“Bhe, almeno vieni e siediti dove io possa vederti,” ordinò Ben, provando a farmi scendere dal letto.
Mi tirai indietro da lui. “Bene,” grugnii. “Sarò subito fuori.”
Ben lasciò andare il mio braccio. “Due minuti,” mi avvisò e uscì.
Usai i due minuti esatti per sciacquarmi la faccia. Non volevo che nessuno vedesse che avevo pianto. Piangere era un segno di debolezza. Avevo già mostrato la mia debolezza per Frank una volta e non volevo farlo di nuovo. Specialmente non mentre stavamo litigando. Ero un assassino senza cuore ed ero abbastanza sicuro che gli assassini senza cuore non piangessero.
Mentre camminavo verso la caffetteria, notai subito Frank. Desiderai che il mio corpo avesse un faro di segnalazione per avvisarlo. Non era seduto al nostro tavolo. Era seduto con Ray e Bob, con la faccia rivolta nella direzione opposta al mio tavolo. Mi sedetti e fissai il modo in cui sedeva con le spalle rannicchiate e il modo in cui accoccolava le braccia al petto in modo rassicurante. Mi fece male al cuore vedere che era seduto lontano da me. Incrociai le braccia sopra lo stomaco, nella futile speranza che questo avrebbe fermato la mia nausea e mi avrebbe dato un po' di conforto.
Mi sedetti con le braccia incrociate e il mento abbassato sul petto per molto tempo. Mi forzai di contare nella mia testa, per prevenire il pensiero di ciò che avevo fatto. Ero arrivato a 603, quando un'ombra apparve sul tavolo, distraendomi. L'uomo che aveva fatto l'ombra mi si sedette di fronte e potei avvertire i suoi occhi su di me. Lo ignorai. Non sapevo chi fosse e non mi importava.
Uno. Due. Tre. Quattro. Cinque. Sei. Sette. Otto. Nove. Dieci. Undici. Dodici. Tredici. Quattordici. Quindici...
“Forse dovresti provare a mangiare qualcosa,” disse lo sconosciuto e fece scivolare un vassoio di cibo verso di me.
Fottiti. Sbrogliai le braccia e spinsi via il vassoio, l'odore mi faceva sentire peggio di quanto già fossi. Alzai lo sguardo per vedere chi fosse quel fastidioso coglione. Notai che era più o meno sulla trentina, con capelli alla moda tinti di nero che sospettavo fossero messi in piega con un ridicolo eccesso di lacca. Indossava un camice bianco, il che confermò la mia ipotesi che fosse un dottore. Ma non era nessuno dei dottori che avevo mai visto. Le sue braccia erano piegate sul tavolo sopra una cartella color crema.
Nel momento in cui notai questo particolare, diventai intensamente interessato a quello sconosciuto.
Le sue braccia erano appoggiate sul mio file.
“Non hai mangiato niente dalla scorsa notte,” puntualizzò e spinse il vassoio verso di me con più forza del necessario.
Sentirglielo dire mi fece venire la pelle d'oca. Mi aveva ovviamente guardato per tutto il giorno. Era l'unico modo che avesse avuto per sapere che non avevo mangiato nulla da quando, la notte passata, sotto insistenza di Frank, ero stato forzato a farmi entrare in gola tre cucchiai di minestra.
Gli lanciai lo sguardo più insolente che potessi fare e il suo mento appuntito si alzò pieno di sé, in risposta al mio disgusto. Mi fece sentire meglio sapere che mi aveva contrastato. Non come Markman. Potevo lanciare a Markman tutti gli sguardi che volevo e raramente ottenere da lei una reazione buona come questa.
Lui si spinse in avanti e protese la mano verso di me. “Sono il Dottor Leto,” mi informò.
Ahh, era un dottore. Lo sapevo. Ma perchè era qui? Dov'era Markman? Era tenuta a darmi una risposta. Ignorai la mano protesa del Dr. Leto e realizzai che non vedevo Markman da tre giorni interi. Ero stato così occupato a commiserarmi nella mia colpevolezza che non avevo notato la sua assenza.
“Dov'è la Dottoressa Markman?” verbalizzai i miei pensieri al Dr. Leto.
Imbarazzato, ritrasse la mano e disse, “Ha avuto un' emergenza di famiglia e sta facendo una pausa.”

BUGIE!

Qualcuno l'aveva presa. Qualcuno sapeva che lei mi avrebbe raccontato tutto. Stava per spiegarmi cosa stava succedendo. Me l'aveva promesso. Qualcuno non voleva farmi sapere qualcosa. Era morta? Loro l'avevano uccisa? Ero il prossimo? Frank era il prossimo? Frank era al sicuro?
Guardai oltre la spalla del Dr. Leto per vedere Frank, per controllare che stesse bene. Ingoiai un'altra ondata di nausea quando lo vidi. Ero in perdita. Cosa potevo fare? Non mi era rimasto nessuno ad aiutarmi. Faceva parte delloro piano per prendermi? Oh Dio.
Il Dr. Leto si girò per vedere chi stavo guardano. “E' un tuoi amico?” chiese. “Come si chiama?”
Non risposi; il mio cervello aveva cose più importanti a cui pensare. Avevo bisogno di uscire da lì. Potevo convincere Frank a venire con me? Il Dr. Leto aprì il mio file e cominciò a sfogliare le pagine cercando qualcosa. Potevo sentire il fruscio delle pagine e abbassai lo sguardo, chiedendomi se potevo vedere cosa ci fosse nel mio file. Meditai per un breve momento su cosa avessi trovato o no, cosa ci fosse di così terribile, poichè Markman non me lo lasciava vedere. Era forse quel giorno il giorno in cui finalmente l'avrei scoperto? Lanciai un altro sguardo nervoso alla schiena di Frank. Sarei dovuto andare a parlare con lui?
“Frank,” disse il Dr. Leto. “Il nome del tuo amico è Frank. Perchè è seduto lì giù? Avete litigato?”
La mia attenzione fu distolta da Frank e tornò all'irritante dottore. Sospirai, incupito, e lo fissai. Perchè non poteva semplicemente lasciarmi da solo? Poi, i miei occhi si abbassarono sul tavolo, per posarsi sul mio file aperto.
Ora, se avessi saputo cosa stavo per vedere quando abbassai lo sguardo, non l'avrei mai fatto. Giuro che non l'avrei mai fatto. Mi ci volle un secondo per realizzare cosa fosse ciò che stavo guardando. Era una fotografia parzialmente oscurata. Mi ci vollero altri due secondi e mezzo per realizzare di cosa fosse la fotografia.
Passati questi due secondi e mezzo, diedi di matto. Con estremo orrore, mi spinsi indietro via dalla panca, lontano dalla foto, e collassai sul pavimento. Mi alzai goffamente in piedi, la mia testa piena di incoerenti voci e urli. A fatica uscii dalla caffetteria e girai l'angolo, prima di ritrovarmi sulle ginocchia, a vomitare violentemente. Poiché non avevo mangiato niente per tutto il giorno, quello che vomitai fu acqua e bile. Ogni volta che l'immagine della fotografia appariva nella mia testa, nuove onde di nausea mi divoravano, fino a quando tutto ciò che potei fare furono patetici conati secchi. Collassai sulla schiena, aggrappandomi alla gola e al petto, lottando per respirare. Era come se qualcuno avesse messo un pesante vestito sul mio naso e la mia bocca, strozzandomi. Ma mia gola era bloccata dolorosamente, come se stessi fisicamente soffocando, anche se nessuno mi stava toccando. L'immagine della fotografia si era bruciata nel mio cervello e nelle mie palpebre. Anche quando chiudevo gli occhi, tutto ciò che riuscivo a vedere era il violento rosso della pozza di sangue attorno a un corpo senza vita e il modo raccapricciante in cui le dita erano appena piegate sul palmo. Mi forzai di tenere gli occhi aperti, troppo spaventato per restare nel buio. Il mio cuore batteva pericolosamente forte in tutto il corpo mi sentivo intorpidito. Mi sentivo morire. L'immagine del corpo morto nella fotografia era tutto ciò che riuscivo a vedere e pensare. Il fatto che riuscissi a fatica a respirare e che non avessi nessuna sensazione alle estremità, prese posto davanti al fatto che il Dr. Leto mi avesse mostrato una fotografia di una persona innocente che avevo ucciso.
Quante altre persone avevo ucciso? Perchè non riuscivo a ricordare?!
Permisi al mio corpo e alla mia preziosa mente di chiudersi in una disperata richiesta di speranza. Tutte le voci e le figure si stavano affollando attorno a me come esseri incorporei. Stavano gridando e urlando il mio nome, cercando di farmi rispondere, ma io non potevo. Volevo dir loro di aiutarmi, ma ero scivolato in uno stato in cui non riuscivo a reagire.
Carpii dei pezzetti di frasi, ma le due o tre parole non avevano alcun senso da sole. Era come cercare di completare un puzzle con solo metà dei pezzi.
“Gerard.”

Cinquanta milligrammi.”

Shock.”

Diazepam.”

“Nessuna risposta.”

Pupille dilatate.”

“Chiamante un'ambulanza.”

“Chiamate il Princeton Presbyterian.”

“UNA PERSONA MOLTO IMPORTANTE!”

C'era così tanto sangue per terra. Era come se qualcuno avesse aperto un rubinetto, ma avesse dimenticato di chiuderlo. Il sangue sgorgava dai corpi non diversamente da come l'acqua era progettata per una fontana. Sangue misto a saliva usciva dagli angoli delle bocche aperte sugli angoli viscidi del pavimento. Il sangue schizzava sulle pareti bianche come pittura rossa. C'era così tanto sangue. Era sopra ogni parte di me; su tutti i miei vestiti. Sui miei capelli e sulla mia bocca; scivolando sul mio collo e gocciolando sul mio mento.
Dio mi stava distruggendo? Era riuscito finalmente a raggiungermi? Era per questo che mi sentivo scivolare via dal mio corpo? Oppure erano loro? Alla fine mi avevano preso? Mi avevano tagliato la testa? Era così che ci si sentiva a morire? Avevo finalmente preso i miei segreti?
“Gerard? Puoi sentirmi?!”
La mia visuale si riempì di luce accecante per un breve secondo, poi svanì. Un secondo dopo la luce tornò, poi sparì di nuovo. Ero così confuso. I miei pensieri stavano tornando improvvisamente e alla rinfusa.
“Se puoi sentirmi, Gerard, stringimi la mano.”
Non riuscivo più a sentirmi le mani, figuriamoci quelle di qualcun altro.
“Se puoi sentirmi, Gerard, ho bisogno che mi stringi la mano.”
Non posso farlo, cazzo! Non l'hai ancora capito? Se avessi potuto stringere la tua fottuta mano l'avrei fatto la prima volta!
“Non risponde.”
Il cuore mi martellava nel petto e potevo sentire l'aria fredda che veniva soffiata sulla mia bocca. Ipotizzai che stessi indossando una maschera d'ossigeno. Questo pensiero mi rassicurò. Sembrava che non fossi morto, dopo tutto. “Cosa gli avete dato?”
La voce mansueta del Dr. Leto disse, “Diazepam.”
“Gli avete dato il ValiumQuanto Valium?” potevo avvertire la furia nella voce di Markman. Bene.
La prima risposta del Dr. Leto fu incomprensibile. Tutto quello che fece fu borbottare. Markman lo insultò di nuovo e lui in sua difesa disse, “Stava avendo un serio attacco di panico. Doveva essere sedato.”
Sentii il tacchettio dei tacchi alti di Markman sul pavimento, mentre camminava verso l'altro lato del mio letto. Potevo immaginare come fosse la sua faccia al momento. “Quanto?” chiese di nuovo.
“Cinquanta milligrammi.”
Questa cifra non aveva nessuna rilevanza per me, ma ovviamente ne aveva per Markman, perchè uscì fuori di testa. “CINQUANTA MILLIGRAMMI!” urlò. “Avrebbe potuto avere un arresto cardiaco!”
“Ma non l'ha avuto!”
“Ma avrebbe potuto! A cosa stavi pensando? Volevi forse essere quello che avrebbe dovuto telefonare ai suoi genitori?”
Ci fu un silenzio da parte del Dr. Leto dopo questo. “E' stato un incidente,” disse alla fine.
“Cos'è stato? Avresti potuto uccidere il povero ragazzo?!”
“E' a malapena un bambino, Jillian,” sputò il Dr. Leto. “Hai visto cos'ha fatto. L'hai visto tu stessa.”
Mi sentivo come se stessi ascoltando una soap opera. Una soap opera dove io ero il protagonista di cui tutti parlavano frequentemente, quando non c'era. Era abbastanza intenso. Markman non rispose alla dichiarazione del Dr. Leto e immaginai che stesse fissando il muro, digrignando i denti con rabbia.
“Non volevo fargli vedere la foto,” disse il Dr. Leto con rancore.
Markman rise aspramente. “Sono sicura che non volevi.”
“Non volevo!” insistette il Dr. Leto.
Cazzo, avrei voluto vedere cosa stava succedendo. Essere capace solo di sentire mi stava rendendo pazzo. Era in corso una probabile rissa? Mi sentivo abbastanza onorato di come Markman mi stesse difendendo. Sembrava riluttante a lasciare che il Dr. Leto mi chiamasse un assassino senza cuore, anche se era così ovvio che lo fossi.
Il Dr. Leto smosse alcuni fogli mentre parlava, “Sai cosa vuol dire questo ora, vero?”
“Illuminami?”
“Il modo in cui ha reagito... abbastanza indicativo del suo senso di colpa, non pensi?”
Desiderai che Markman esplodesse, ma mantenne il tono di voce misurato. “Non vuol dire niente.”
“Lo faranno andare al processo.”
“Gerard Way non è ancora abbastanza in salute per affrontare un processo, di qualsiasi crimine; lo sai da solo, Dottore.”
Il Dr. Leto imprecò.
Tenni gli occhi chiusi mentre lasciava la stanza e feci finta di dormire, ma avrei dovuto fare di meglio per ingannare Markman.
“Ti lascio da solo per tre giorni e mi mandi fuori di testa, Gerard?”
Porca troia, sapeva che avevo sentito tutto? Sapeva che ero sveglio? C'era qualcosa che questa donna non sapeva? Giuro che ci sono cose che lei sa di me che neanche io conosco. Bhe, in primo luogo, sapeva cosa avevo fatto, mentre io non lo sapevo. Sapeva di me e Frank? Ci avrebbe separati se l'avesse saputo? Mi avrebbe accusato di approfittarmi di lui? Sapeva che mi piaceva Frank? Che mi piaceva più di un amico? Sapeva che gli volevo bene? Che stavo sul confine di innamorarmi di lui?
Frank lo sapeva? Sapeva che mi piaceva così tanto che mi faceva fisicamente male essere arrabbiato con lui o che lui fosse arrabbiato con me? Avrei avuto l'occasione di dirglielo? O avrei dovuto partecipare al processo come il Dr. Leto aveva detto e mi avrebbero mandato dritto a Greenwood? Avrei passato il resto della mia vita in un istituto psichiatrico per criminali pazzi trattato come un mostro per ciò che avevo fatto?
“Il battito cardiaco e la pressione si stanno riprendendo.” Un' infamiliare voce femminile raggiunse le mie orecchie. Un' infermiera?
Un momento dopo il mio frenetico treno di pensieri fu brutalmente fermato, quando la proprietaria della voce femminile mi mandò nell'oscurità.

***


Riprendersi dai sedativi è una delle cose più irritanti di questo mondo. Ero stato sedato un paio di volte nei mesi passati e lo odiavo. Odiavo la sensazione in cui la mia testa era fra le nuvole e piena di nonsense. Odiavo come il luccichio delle luci appariva ai miei occhi. Odiavo il sentirmi appena uscito dal letargo che avvertivo ore dopo. Odiavo il fatto di andare a dormire in un posto e svegliarmi in un altro.
Ero sorpreso di trovarmi ancora in ospedale. Il Princeton Presbyterian per l'esattezza. C'ero stato anche prima. Ero nella stessa stanza dove ero stato quella volta che 
Loro mi avevano aperto la testa e avevano portato quello stronzo del chirurgo plastico per aggiustarla. Ero sorpreso perchè per metà mi aspettavo di svegliarmi e trovarmi in cella, attendendo il mio giorno del giudizio.
Mi guardai attorno e fui un po' scioccato di vedere Markman seduta vicino al muro. Stava sonnecchiando con la testa appoggiata al palmo della mano, su una di quelle scomode sedie di plastica da ospedale. Era lì da molto? Mi sentii abbastanza toccato. Forse non era un diavolo mascherato, dopo tutto.
Tossii intenzionalmente, per vedere se fosse sveglia e sembrò che lo fosse, perchè aprì gli occhi immediatamente.
“Oh, Gerard.” sembrò sopraffatta dall'emozione per un momento. Ciò mi sorprese ancora di più. Avrei giurato che mi odiasse. Si raccolse i capelli castani in un disordinato chignon, mentre si avvicinava al lato del mio letto. Alzai lo sguardo verso di lei, aspettando che dicesse qualcosa per prima.
Mi puntò il dito contro. “Non farmi mai più una cosa del genere!” esclamò.
Le sorrisi mansuetamente e lei roteò gli occhi. Ero grato che le cose stessero tornando normali fra di noi. Ma sarebbero restate normali?
“Mi dispiace,” mormorai. Non mi stavo scusando per averla spaventata e lei lo sapeva, perchè scosse la testa verso di me. “Non voglio andare via!
“Pensi davvero che ti lascerò andare così facilmente? Ho bisogno di qualcuno che mi faccia stare allerta per molto tempo, Gerard. Ma, ora capisci perchè non volevo farti vedere il tuo file? C'è un metodo nella mia pazzia, lo sai.”
Mi aveva protetto per tutto il tempo. Le avevo dato filo da torcere anche su questo. Che fregatura del cazzo. Markman prese una borsa sotto al mio letto e ne tirò fuori un paio dei miei jeans e una felpa.
“Perchè non ti cambi, così posso riportarti a casa?”

Annuii, incapace di crederci. Non si ricordava di ciò che avevo fatto? Perchè si stava comportando come se non fossi un assassino senza cuore? Poco prima che Markman raggiungesse la porta, si girò e mi guardò. “Me lo diresti se ricordassi qualcosa riguardo quel giorno, non è vero?”
Con gli occhi chiusi, annuii automaticamente. Ero ancora sorpreso dal fatto che mi permettessero di tornare a casa per capire ciò che stava dicendo.

Gli effetti successivi del sedativo furono che dormii per tutto il viaggio di ritorno a Bluestone e poi per il resto del pomeriggio in infermeria. Diavolo, ultimamente stavo trascorrendo un sacco di tempo in quel posto. Mentre riposavo nel buio, ripensasi a quando tutto ciò era iniziato. Coincideva con l'arrivo di Frank. I loro piani per rubare i miei segreti, il sogno riguardante Michael, i ricordi estranei che non ricordavo di aver fatto, tutto era cominciato quando mi ero aperto a Frank.
Era tutta colpa sua.
Ma non mi importava.
Non avrei potuto in un altro modo.
Cazzo, mi stavo trasformando in una fottuta checca.
Non era ancora passata un'ora da quando era passato il coprifuoco, che Frank sgattaiolò dentro per vedermi. Me lo aspettavo tutto timoroso e impaurito dopo la litigata che avevamo avuto prima del mio attacco di panico. Ma lui mi sorprese di nuovo. Cazzo, mi stavo stufando delle sorprese.
“Abbiamo avuto la nostra prima litigata e tu sei scoppiato a piangere per me,” scherzò, lisciando le lenzuola del mio letto. Notai che indossava i suoi guanti da scheletro.
Pensai che fosse la sua versione per un' offerta di pace. Qualunque cosa fosse, sapevo che significava che mi aveva perdonato.
“C'è un po' di spazio per me?” chiese.
In risposta mi spostai e lui subito si mise accanto a me e si stese. Inalai il suo profumo, non realizzando quanto mi fosse mancato fino a quando non lo avevo avuto di nuovo. Mi rotolai dalla mia parte per guardarlo e lui mi mimò, in modo che fossimo faccia a faccia. Si sostenne sul gomito e sorrise. Sapevo che non era una buona idea. Ero spaventato. Avevo paura di come avrei potuto ferirlo. Avevo ucciso quelle persone. Avevo ucciso mio fratello. Non sapevo cosa mi aveva spinto a farlo, e non volevo scoprirlo.
“Oh, hey, Gerard? Ho trovato questo,” disse Frank e prese un pezzo di carta dalla sua tasca. Era tutto spiegazzato, come sei fosse stato accartocciato in una palla, ma poi riaperto. “Era appallottolato nel tuo cestino. Stavo pulendo la tua stanza,” aggiunse.
Non sapevo cosa fosse quel foglio, ma sapevo che non era niente di grande importanza. Doveva essere qualcosa come uno schizzo che avevo sbagliato o una teoria che non aveva funzionato. Frank mi offrì il foglio e lo lessi nella flebile luce di uno dei monitor. Era la mia teoria di come funzionassero i ricordi. Ci stavo rimuginando sopra la prima volta che vidi Frank nella sala TV.
“E' vero?” chiese lui speranzoso. “Puoi davvero perdere un ricordo?”
“Già. Una specie,” sospirai e afferrai il foglio.
Frank respirò bruscamente. “Davvero?” disse incredulo. “Come? Fammi vedere come?”
“Non è semplice. E' più facile rimpiazzare il ricordo.”
Frank tornò a fissare il foglio. “Non dice nulla a proposito del rimpiazzare, qui,” mi accusò, agitandomi il foglio in faccia. “Dimmi come funziona.”
Volevo solo stare steso lì con lui; non volevo sprecare tempo discutendo di irrilevanti teorie per il suo divertimento.
“Ti prego.”
Sospirai. “Bhe, usiamo l'esempio dell'imparare ad andare in bici, okay? Immagina che tu stai pedalando sulla bici attorno a una strada e cadi e ti fai male. Da quel momento puoi fare due cose. Puoi tornare in sella o puoi riporre la bici in garage e non usarla mai più. Se scegli di riporre la bici in garage, l'unico ricordo che avrai della bici è quello brutto di quando sei caduto. Oppure puoi restare in sella e continuare e se scegli questo, il ricordo che andrai a favorire è quello bello di te che si rialzi e torni in sella. Quindi tecnicamente hai rimpiazzato il ricordo cattivo della caduta con quello buono del rialzarti. Ha senso?”
Era abbastanza difficile tentare di spiegare queste cose a persone che non avevano un cervello come il mio. Frank annuì entusiasta, pendendo da ogni mia parola.
“Funziona per tutte le cose?” chiese.
“Abbastanza,” risposi. La maggior parte delle persone inconsciamente rimpiazzano i ricordi per tutto il tempo. E' qualcosa che puoi fare senza premeditazione. Non come l'atto di perdere i ricordi. Quello richiede un sacco di premeditazione. Cominciai a elencare alcune ragioni comuni per cui le persone rimpiazzano i ricordi. “Molte persone lo fanno con i film paurosi, i morsi degli animali, i primi appuntamenti...”
“I primi baci?” gli sfuggì a Frank.
“Già... aspetta, cosa?” dissi, spostando gli occhi dal soffitto alla sua faccia.
Anche nell'oscurità della stanza potevo vedere la pura eccitazione nei suoi occhi. Stava letteralmente sprizzando da tutti i pori. Che cosa gli era successo? Ripensai alla prima volta che lo avevo visto. Avevo notato che quel giorno le sue labbra erano state toccate da un' altra persona, ma lo avevo dimenticato fino a quel momento. Ora aveva senso.
“Mi aiuterai?” chiese.
“No,” risposi, imbarazzato e riluttante. Non sarei stato io a trarre vantaggio da Frank. In nessun modo. Nemmeno fra un milione di anni.
“Ma tu hai detto...”
“Non posso.”
“Perchè no?”
Mi scostai da Frank quando lui si avvicinò. Stavo trovando la disperazione ora?
“Voglio rimpiazzare quel ricordo, Gerard. Non sai cosa vuol dire averli mentre persistono sulle tue labbra e sul tuo corpo.”
“Mi stai usando,” gli feci notare febbrilmente, cercando una scusa.
“E' una bugia, e tu lo sai,” sussurrò. Si tolse i guanti e lasciò che una mano scivolasse sul lato della mia faccia.
Non avrei dovuto farlo. Era la cosa sbagliata da fare, va bene? Non sapevo neanche cosa fare. Non avevo mai baciato nessuno prima. Frank lasciò andare la mano dalla mia faccia quando non risposi ne' reagii. Rotolò via da me mettendosi su un fianco, guardando il soffitto. “Mi dispiace,” mormorò.
Mi misi suoi gomiti per guardarlo. Mi restituì lo sguardo, gli occhi chiusi in attesa. Lasciai che la mia mano destra si appoggiasse sul lato del suo viso, e accarezzai la sua guancia così lievemente che avrebbe potuto confonderlo con una boccata d'aria. Lasciai che la mia mano scivolasse sul suo volto, fin quando raggiunse la parte dietro della testa, poco sotto le orecchie. Trascinai il pollice sopra l'angolo delle sue labbra, e lui tremò.
Spaventato che avessi fatto qualcosa di male, mi allontanai. Persi il coraggio e mi stesi, evitando il contatto visivo con Frank.
“Mi fido di te.”
Ci volle un secondo perchè queste parole penetrassero. Odiavo che Frank si fidasse di me così ciecamente. Ero così spaventato di potergli fare del male.
“Che succede?” chiese alla fine, non con cattiveria, ma con preoccupazione.
“Sai cosa ho fatto,” gli ricordai.
Fece un rumore con la gola che suonava come di disapprovazione. “E' stato un incidente,” mi disse con fermezza.
“Non lo sai.”
“Neanche tu.”
“Potresti sbagliarti.”
“Anche tu.”
Sorrisi nell' oscurità. Se solo Frank avesse saputo quanto fosse improbabile che mi sbagliassi.
Lui continuò, “Non sono spaventato da te, lo sai. Se fossi capace di farmi del male, penso che l'avresti già fatto.”
Pensai che questo avrebbe dovuto confortarmi, invece mi diede i brividi. Non gli avevo fatto del male, non ancora. Ma non c'era nessuna garanzia che non potessi farlo. “Non posso,” dissi infine.
“Okay,” disse Frank avvilito. “Penso che andrò a letto.” Senza una parola di più se ne andò.
Non si era neanche girato a guardarmi.


Comunque, si sedette con me a colazione, la mattina dopo, comportandosi come se non fosse successo nulla la notte prima. Non avrei risollevato la questione, anche se ero stato sveglio fino alle tre, rimuginandoci sopra e pensando a cosa sarebbe successo se fosse andata diversamente. Mentre mangiavamo, Frank mi disse tutto ciò che era successo nelle quaranta ore che ero andato via. C'era stato un avvenimento emozionante. Fidatevi, le cose emozionanti accadevano solo quando non ero lì.
Oltre ad aver traumatizzato me, il Dr. Leto aveva anche insultato Bert, e ciò aveva causato il tentativo di Bert di attaccare il Dr. Leto con una forchetta di plastica. Bert era stato capace di infliggere sulla faccia liscia e sul collo del Dr. Leto un sorprendente numero di graffi, prima che gli inservienti riuscissero a toglierglielo di dosso. Mi appuntai mentalmente di congratularmi con Bert, non appena fosse uscito dall' isolamento. Stavo riconsiderando il suo divieto di sedersi al mio tavolo.
Ray e Adam arrivarono per darmi in bentornato. Non sapevo perchè entrambi persistevano nell'essere carini con me; forse era uno dei sintomi della loro pazzia?
“Quella donna non la smette di guardarti,” disse Frank improvvisamente, indicando una strana pallida donna che stava in piedi vicino all'entrata dei visitatori. Ci girammo tutti per guardarla e mi misi a fissarla per un po', cercando di innervosirla, ma lei sostenette il mio sguardo con facilità. Sembrava abbastanza familiare, veramente.
“So chi è,” disse Adam cupamente.
“Chi?” chiedemmo Frank, Ray e io all'unisono, con impazienza.
“E' del Governo. E' una di quelle persone che stanno cercando di occultare il mio rapimento.”
Io e Frank ci risedemmo, delusi. “Oh, certo,” dissi. Ray sembrava affascinato dalla storia, comunque.
Adam abbassò la voce, quindi tutti ci dovemmo avvicinare per sentirlo. “Non l'ho mai detto a nessuno, ma ho un chip di rilevamento dietro al collo,” rivelò lui. Si guardò attorno nervosamente prima di continuare. “Gli alieni me l'hanno messo in modo da potermi ritrovare. Il Governo ha un'unità top secret che ha a che fare con il paranormale, e lei ne fa parte. Mi stanno guardando da mesi.”
“Wow.” gli occhi di Ray erano spalancati dalla meraviglia. Sembrava essere l'unico che credesse ad Adam. Io e Frank certamente no. Per cominciare, non c'era nessuna cosa come gli alieni. Lo sapevo. Io sapevo delle cose, ricordate?
“Sono sempre gli stessi dietro all'occultamento dell' Y2K*, sapete?” spiegò Adam.
Sentire Adam che menzionava l' Y2K mi ricordò che che quel giorno era Capodanno. Me n'ero completamente dimenticato, con tutto ciò che era successo a partire da Natale. Il giorno dopo sarebbe stato un completo anni nuovo. Un completo nuovo inizio.
La sessione di terapia di gruppo era stranamente presto quella mattina, subito dopo colazione. Non mi piacevano i cambi di routine. Mi piaceva sapere esattamente quando sarebbero successe le cose. Mi stavo scocciando delle sorprese. Ray, Frank e Adam si incamminarono nella stanza di fronte a me, ma io mi fermai prima di entrare. Stavo avendo una pessima sensazione riguardo ciò. Specialmente da quando Adam aveva identificato la donna dalla faccia pallida come un' agente del Governo. La cosa strana era che gli credevo. Aveva ragione e nemmeno lo sapeva.
Vidi Markman che camminava verso la stanza, quindi la fermai. “Ho bisogno di parlarle,” le dissi con urgenza.
“Non ora.” mi scostò e provò a continuare a camminare.
“E' importante.”
Non ora,” rispose, ma non riuscendo ad andare da nessuna parte perchè mi ero piantato di fronte a lei.
Sospirai, incupito. “Quella è venuta a prendermi, non è vero? Sa che ho ucciso quelle persone.”
Markman impallidì e mi afferrò il braccio, trascinandomi dietro l'angolo. “Stai calmo,” sibilò. Sì, sibilò come se avesse paura che qualcuno stesse ascoltando. Era diventata paurosa e paranoica come me.
“Mi aveva detto che non sarei dovuto andare via,” farfugliai. “Non volevo fargli del male. Davvero, non volevo. Stavo cercando di salvarlo. Per favore, non mi porti via da qui.” ero sul limite dell'implorazione.
“Stai calmo, stai calmo!” disse lei, portandomi sempre più lontano dalla stanza. “Non posso parlare ora di questo, Gerard.”
“Perchè no?!”
SHHHHHH!” disse, a metà fra l'urlo e il sussurro.
“Per favore, lo lasci che mi portino via,” implorai, aggrappandomi al suo braccio. Non volevo andarmene. Non potevano farmi andare via.
Markman stava tremando. “Non possiamo parlarne ora, Gerard.”
“Di cosa Gerard non ha il permesso di parlare?” una voce marchile interruppe la nostra conversazione silenziosa. Entrambi diventammo muti e fissammo le tre persone che ci si erano accostate all'entrata. Sia io che Markman ci fermammo dove eravamo arrivati. Stringendoci l'uno a l'altra e deglutii con dolore. Il mio cervello ronzò alla ricerca di una scusa. Il più vecchio, l'uomo canuto, era accompagnato dalla donna dalla faccia pallida per prima, ed da un altro uomo di mezza età. Erano tutti vestiti come se stessero andando in tribunale, con i vestiti perfettamente stirati e i capelli immacolati. Forse stavano per portarmi direttamente al processo per l'omicidio di tutte quelle persone.
“Di cosa non puoi parlare, Gerard?” mi chiese di nuovo il più vecchio.
Un momento dopo ebbi un lampo di genio. Era per questo che amavo il mio cervello. Incrociai le braccia sul petto e feci finta di essere seccato. Non ebbi il coraggio di guardare Markman.
Bhè,” sospirai. “Volevo restare sveglio stanotte per guardare i fuochi d'artificio di Capodanno in televisione, ma non mi è concesso. E lei non mi vuole dare una ragione vera e propria. Voglio dire, è solo mezzanotte. Sono già stata sveglio fino a mezzanotte in passato. E' stupido. E io continuo a chiederle perchè, ma lei continua a dirmi di smetterla di parlarne e di accettare la sua decisione.”
Sapevo istantaneamente che avevano abboccato alla mia bugia. Ero molto bravo a capire le persone, specialmente quelle che non sapevano nascondere le loro reazioni.
“Stai andando da qualche parte di speciale?” mi chiese il più vecchio.
“Uhmmm...no. Sì,” cambiai decisione precipitosamente. “Terapia di gruppo. 
Molto importante.”
“Sono sicuro che la Dottoressa Markman possa giustificarti per una volta.”
Markman non discusse. Non mi guardò nemmeno mentre se ne andava rapidamente.
Il mio stomaco cascò su pavimento quando il più vecchio mi prese il braccio e mi portò nella direzione opposta alla stanza di terapia. Mi portò in caffetteria, che ora era deserta. Ci sedemmo al tavolo nel mezzo. Non mi piaceva sedermi lì. Non era il mio solito tavolo. I due uomini si sedettero ai lati, mentre la donna si sedette di fronte a me. Mi guardai attorno e fui preoccupato nel vedere un'altra mezza dozzina di uomini in abito nero in piedi accanto al muro, con lo sguardo molto serio.
“Ora, Gerard, sai perchè siamo qui?” mi chiese il più vecchio.
“Non devi rispondere, Gerard,” la donna interferì immediatamente e guardò accigliata l'uomo.
Perchè non mi era permesso rispondere? Ero perplesso. Guardai la donna, fissandola senza capire. “Chi è lei?” domandai senza far rumore.
Sembrava che le avessero appena dato uno schiaffo in faccia. “Sono il tuo avvocato, Gerard,” rispose indignata.
“Oh.” avevo un avvocato? Gesù, quindi era qui per salvarmi.
“Gerard, non ti ricordi di me?”
“No. Mi dispiace,” aggiunsi, un po' in imbarazzo.
“Sono sicura di sì. Sono Lindsey, ricordi?” stava diventando nervosa e ansiosa adesso e continuò a fissare i due uomini.
Deglutii e scossi la testa.
“Mi ha assunta tuo padre...?” si scambiò uno sguardo con l'uomo di mezza età.
Scossi la testa di nuovo.
L'uomo di mezza età si avvicinò. “Gerard, sai chi sono?” domandò.
Aggrottai la fronte prima di rispondere. “Umm, no. Mi dispiace.” Ero andato a quell' incontro con l'intenzione di restare muto, ma sembrava non ci fosse bisogno di fingere.
“Non ha senso,” l'uomo più vecchio si mise in mezzo con rabbia e io mi allontanai dal tavolo.
L'uomo di mezza età era abbastanza sorpreso che non lo avessi riconosciuto. Si stava abbastanza emozionando e io mi sentii un po' imbarazzato. “Ci siamo incontrati?” domandai esitante. “Perchè forse se lei mi dice quando ci siamo incontrati potrei avere più fortuna nel ricordarla. Vede, qualche volta il mio cervello si sovraccarica un po'. E' stato troppo impegnato ultimamente...?”
Lui non rispose alla mia domanda. Mi fissò soltanto, con un uno sguardo commovente. Mi morsi il labbro. “Mi sembra un po' familiare,” proposi, cercando di consolarlo. Dio, non era mica la fine del mondo se non me lo ricordavo. Non era nessuno di importante. Piegai la testa di lato, scervellandomi. “E' stato in TV? E' un dottore o qualcosa del genere?”
Lindsey mise la sua mano sul mio braccio, intimandomi di non dire più niente. Quando smisi di parlare, l'uomo più vecchio disse, “Penso che abbiamo finito qui.”
Si alzò in piedi e tutti gli altri fecero lo stesso. Diedi un'occhiata dura agli uomini in fila nella stanza.
“Sono delle spie?” sussurrai a Lindsey.
“Cosa?!” esclamò lei. Avevo la sensazione che non le piacessi. Era ovviamente un avvocato superpagato di gran classe che non aveva tempo per persone come me.
“Spie. Come la CIA?”
“No,” disse in tono di disapprovazione.
Non lasciai perdere. Percorsi tutti i diversi tipi di organizzazione nella mia testa. FBI? CIA? I Servizi Segreti? MI6? Cazzo, non ne avevo idea. E veloci come erano arrivati, i due uomini e la donna, Lindsey, se ne andarono. Mi lasciarono con un milione di domande in mente.
Che bizzarra mezz'ora. Avevo un sacco da raccontare a Frank.
Sfortunatamente non ebbi l'occasione di stare solo con Frank per il resto della giornata. Non fino a quando spensero le luci e Frank sgattaiolò nella mia stanza e fui in grado di raccontargli le novità.
“Spie?” disse Frank impressionato. “Sei sicuro? E' abbastanza figo.” rise e scosse la testa.
Feci spallucce. “Pensavo che fossero venuti per arrestarmi,” confessai.
“Perchè avrebbero dovuto? E' stato un incidente, ricordi?”
“Non si spara accidentalmente a più persone, Frank,” dissi, alzando un sopracciglio verso di lui.
Frank non continuò l'argomento. Invece si alzò dal mio letto, dando un'occhiata all'orologio. Usando i miei cuscini per dargli un'altezza maggiore, lui poggiò il mento alla finestra e guardò fuori.
Ero accanto a lui e guardai fuori nella notte. Meno di un minuto dopo, Frank fece un “ohhh,” sembrava che avesse avvistato il primo fuoco d'artificio da lontano. Guardò lo spettacolo con un piccolo sorriso sul volto.
Non era durato abbastanza come avessi voluto. Ciò mi fece desiderare veramente che avessimo il permesso di stare in piedi per vedere la meravigliosa esibizione che era trasmessa in televisione. Meno di cinque minuti dopo che era finito, Frank e io eravamo nel letto vicini l'uno a l'altro di nuovo. Eravamo stesi in un confortante silenzio da molto tempo e ancora non cominciavo ad addormentarmi.
“Non volevo metterti in una situazione imbarazzante la scorsa notte,” disse improvvisamente Frank. “Grazie per non esserti approfittato di me. Pensavo davvero che potesse funzionare. Mi dispiace di essere stato stupido.” scivolò nel silenzio prima di sussurrare a se' stesso come un pensiero ad alta voce, “così stupido.”
“Non penso che tu sia stupido,” gli dissi e mi rotolai sul fianco per guardarlo. Lui fece lo stesso ed era come se fossimo di nuovo in infermeria. Eccetto che questa volta non c'era nessuna sciocca aspettativa o pressione.
Mi appoggiai lentamente e Frank ripeté ciò che mi aveva detto la notte passata. “Mi fido di te.”
Mi misi mezzo seduto in modo da appoggiarmi meglio sopra di lui. Era decisamente più rilassato della notte passata e lo ero anche io. Anche se non avevo ancora idea di cosa stessi facendo, ero calmo. Piegai la mano sotto il suo orecchio di nuovo e Frank stese le braccia per far correre delicatamente le sue dita lungo la mia mascella. Mentre mi avvicinavo, le farfalle nel mio stomaco diventavano sempre di più, fino a quando fu quasi impossibile tollerarle. Quando le mia labbra furono a circa tre centimetri da quelle di Frank, esitai di nuovo. Lui fece un respiro profondo e chiuse gli occhi, alzando il mento. Non volendo deluderlo, coprii quegli ultimi tre centimetri, fino a quando le mie labbra premettero su quelle di Frank.
Aveva le labbra più morbide che potessi immaginare. Anche più morbide di quelle modelle nei centri commerciali con le labbra rifatte. La mia testa sembrò esplodere quando i sensori nelle mie labbra registrarono cosa stessero facendo. I miei pensieri sembravano scivolare nel nulla, eccetto per quella parola ripetuta, 'FRANK'. Aspettai mezzo secondo prima di premere la mia bocca un po' più forte sulla sua e aprirla.
Superai il confine dei denti su cui avevo barcollato per diverse settimane e mi tuffai nell'abisso oscuro. Frank era il mio paracadute. Non sapevo perchè fossi così preoccupato. Era una cosa bellissima e pensavo che in fondo fossi abbastanza bravo.
Frank aprì la bocca e premette le labbra umide sulle mie, spingendo il suo naso sulla mia guancia. Le nostre labbra, tumide di saliva, scivolavano le une sulle altre, mentre il bacio progrediva da essere innocente all'essere intenso e passionale. Pensai che forse dovevo fermarmi. Non pensavo che fosse l'ideale andare oltre l'innocenza in un getto. Sentii Frank che si allontanava ancor prima che si rendesse conto di farlo. Di nuovo preoccupato di aver fatto qualcosa di male, staccai le labbra dalle sue e mi risiedetti. Gli occhi di Frank rimasero chiusi, mentre respirava abbastanza affannosamente, con le guance arrossate. Poi, un adorabile timido sorriso si aprì sulle sue labbra e lui alzò un dito per toccarle, con vero senso di meraviglia nelle sue azioni.
Aprì gli occhi e mi fece un sorriso così puro che il mio stomaco fece una capriola.
“Ha funzionato?” chiesi nervosamente.
“Ha funzionato.”

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Capitolo 12
*** 12. ***


 

 A SPLITTING OF THE MIND

***

12.

Alive.





Era fantastico quanto potesse essere interessante la fantasia del pavimento quando la guardavi per un lungo periodo di tempo.
Era la Settimana del Tirocinio.
Ecco perchè stavo guardando il pavimento.
La Settimana del Tirocinio veramente durava due settimane, ma Le Due Settimane del Tirocinio suonava stupido, quindi mi riferivo a questro terribile periodo di tempo come La Settimana del Tirocinio. O, in realtà, avrei potuto chiamarla Settimana dell' Inferno. Ritenevo che entrambi in termini fossero appropriati.
Comunque, stavo fissando il pavimento perchè i tirocinanti erano già andati in laboratorio. Stava andando abbastanza bene, considerando che tutti partecipavano. Eccetto me, ovviamente. Io stavo fissando il pavimento.
Ero già stato assegnato al mio tirocinante. Ogni tirocinante era assegnato a un paziente, che dovevano analizzare nel corso del loro stage. Ogni anno provavo compassione per quel povero idiota che pensava di poter diventare il mio miglior amico alla fine delle due settimane. Il primo anno la povera ragazza lasciò perdere dopo tre giorni di me che la ignoravo e non ritornò fino alla fine del tirocinio. L'anno scorso l'insolente ragazzo era restato tutto il tempo e aveva provato di tutto per farmi interagire con lui, dall'insultarmi all'implorarmi. Aveva fallito l'incarico;
Avevo sentito Markman parlarne con lui. Mi fece molto piacere sentirla rimproverarlo per avermi chiamato stupido.

Il mio tirocinante quell'anno aveva speso le ultime ore provando a instaurare un contatto visivo con me, ma l'unico contatto visivo che avevo era col pavimento, quindi non ottenne molto. Gli ci volle un po' per capire chi fossi io, perchè mi rifiutavo di indossare la targhetta col nome. Tutti quanti gli altri stavano indossando quelle idiote targhette col nome da speed dating che sfacciatamente dichiaravano: 'Ciao! Il mio nome è...' Non c'era nessuna possibilità che autorizzassi quell' etichetta per farmi avvicinare qualcuno. C'erano tre ragioni dietro la mia riluttanza verso di loro. Prima di tutto, ci facevano sembrare ridicoli. C'era solo un'eccezione a questa regola ed era Frank. Lui sembrava ridicolosamente carino invece. Quando Markman gli aveva dato l' etichetta, lui con obbedienza l'aveva appiccicata subito alla maglietta. Non si era preparato a contrastare Markman così apertamente come avevo fatto io. Io, d'altra parte, l'avevo accartocciata immediatamente e poi lanciata sotto la sedia di Ray non appena me l'avevano data. Markman non aveva reagito ed era semplicemente passata alla persona seguente.
La seconda ragione per cui mi rifiutavo di indossare l'etichetta col nome era intenzionalmente per divertirmi. Pensavo che fosse più interessante e divertente per i tirocinanti dover indovinare chi fossimo. La terza ragione riguardava la scusa dell'auto-preservazione. Ero stato braccato. Loro mi stavano cercando. Non avrei indossato la targhetta che diceva loro chi ero. Non ero un idiota del cazzo. Madonna, sul serio.
Una tirocinante si stava girando attorno, tenendo in mano un pezzo di carta e una penna. Quando mi raggiunse, la ignorai. Rimase avvilita per un lungo momento. Tutti gli altri accanto a me avevano accettato il foglio e la penna gentilmente. Non si aspettava che qualcuno non collaborasse. Rimase lì in silenzio, a guardarmi, tenendo ancora il foglio verso di me, nonostante fosse chiaro che non l'avrei accettato. Mi domandai perchè non poteva posarmelo in grembo e andare avanti, oppure solo saltarmi. Non fece nessuna delle due. Balbettò ed esitò e si guardò attorno disperatamente verso i suoi colleghi per un consiglio. Alla fine, Frank si sentì dispiaciuto per lei e accettò i materiali al mio posto. Li sistemò sotto la mia sedia e la ragazza lo prese come un incentivo ad andare avanti.
Lo scopo del primo esercizio era scrivere dieci cose brutte nella nostra vita, o dieci cose che ci preoccupavano, o una combinazione di entrambe. Dopo aver scritto le dieci cose, dovevamo andare dal nostro tirocinante per discuterle e trovare dei modi per affrontarle.
Fanculo quella merda.
Nessuno indossava una targhetta con scritto Gerard, e io ero l'unica persona senza targhetta. Nonostante questo, al mio tirocinante ci volle un sacco di tempo per realizzare chi fossi. Comunque, una volta che mi identificò attraverso il processo di eliminazione, venne verso di me.

Diedi un'occhiata alla lista di Frank, vedendo che lui aveva scritto tre cose. Volevo disperatamente leggere quali fossero. Avrei ucciso per sapere cosa lo preoccupava, in modo da poterlo aiutare. Dannazione, avrei commesso persino un genocidio per scoprire le cose brutte nella vita di Frank.
So che non dovrei scherzare riguardo agli omicidi. Non sembrava molto appropriato in quel momento, considerando le circostanze.

Non scrivi la tua lista, Gerard?” mi chiese il tirocinante.

Sì, lo sto facendo. Solo perchè non voglio scriverlo sul foglio non vuol dire che non ci sto pensando. Chi ha bisogno di un foglio quando hai una mente come la mia?
Il tirocinante prese il pezzo di carta da sotto la mia sedia e mi porse la penna che aveva in mano. “Perchè non me le dici, in modo che le possa scrivere? Come ti suona?”
Mi suona di merda. Ma che diavolo? Avrei fatto la lista nella mia testa, giusto per fare qualcosa.

Dieci cose brutte nella vita di Gerard (la mia):

1. Sono un assassino.
2. Ho sparato a mio fratello; carne della mia carne, sangue del mio sangue.
3. Ho baciato Frank. Okay, non suona male al momento, ma aspettate.
4. Ho un fidanzato che non ho il permesso di toccare. Il bacio è stato un avvenimento unico, ovviamente.
5. Non so
 nemmeno se Frank sia il mio fidanzato. Come viene classificato un fidanzato dopotutto?
6. Ho visto di nuovo Lindsey questa mattina. Era passata per ritirare alcuni fogli. Ma ancora, l'attacco di cuore che ho avuto nel vederla rientra nella lista delle mie cose cattive.
7. Ho fame.
8.Devo fare le analisi del sangue questo pomeriggio.
9. La donna della caffetteria che fa la zuppa di pollo con 
vero pollo ha cambiato lavoro.
10. Markman non “spiega tutto”, e ora sta negando che queste parole siano mai uscite dalla sua bocca.

Diavolo, stavo entrando nella parte, avrei continuato.

11.Ho paura di essere mandato in prigione.
12. Ho paura che se non andrò in prigione, finirò a Greenwood, che è peggio della prigione perchè gli altri pazienti sono assassini, stupratori e pedofili 
oltre ad essere pazzi e mentalmente instabili.
13. Ancora non dormo nel vero senso del termine.
14. Ho ancora paura di poter ferire Frank.
15. Frank mi crede incondizionatamente.
16.Mi sono innamorato di Frank. Questa potrebbe essere enfatizzata come la peggior cosa della mia vita al momento.
17. Sono in disperata attesa di baciare Frank 
di nuovo. Ecco perchè la numero tre rientra nelle mie prime dieci.
18. Il mio nuovo quaderno è troppo nuovo e duro.
19. Penso che la medicina che sto prendendo mi abbia fatto prendere due chili e mezzo. Voglio dire, da quando ho iniziato la cura fino ad ora ho messo su due chili e mezzo. Mi sento e mi vedo definitivamente più grosso. Markman dice che è solo un effetto collaterale della medicina e che non devo preoccuparmi. Facile da dire per lei. Va bene, comunque, ho smesso di prenderla così non avrà più importanza.

Avrei potuto elencare così tante, tante cose brutte nella mia vita al momento. Dannazione, questa lista mentale avrebbe superato il cento, se avessi continuato. Ma mi stavo annoiando ora. Quindi, pensai di fermarmi a 20. E salvai la peggiore per ultima.
20. Jasper è tornato.

Mi stava guardando. Mi stava fissando. Il suo severo sguardo ostinato stava davvero iniziando a snervarmi. Era così arrabbiato con me. Riuscivo a sentire la furia che fuoriusciva da lui. Era nei suoi occhi e nel suo linguaggio del corpo. Le labbra erano premute strettamente insieme e le braccia erano incrociate sopra la fascia d’oro sul suo petto. 
Continuai anche io a ignorarlo.
Gerard?” mi sollecitò il mio tirocinante.
Quando non riposi, lui si alzò e per un breve secondo mi sentii trionfante. Ma no, tutto quello che stava facendo era muoversi in modo da appostarsi di fronte a me.
“Gerard?”

Cazzo.
Mentre l’uomo diceva di nuovo il mio nome, accidentalmente lo guardai. Era direttamente nella mia linea di visuale e prima che mi potessi fermare, lasciai che i miei occhi schioccassero sui suoi per creare un contatto visivo. Non volevo farlo. Era una reazione automatica. I nostri occhi si incontrarono per mezzo secondo. No, fu anche meno di mezzo secondo, ma ancora, il danno era fatto. Un sorriso compiaciuto apparve sulla faccia del tirocinante, quando realizzò che mi aveva sconfitto.

Bastardo.
Avevo fatto un grande sforzo per guardare intenzionalmente nell’altra direzione e girare il mio naso verso di lui, come se fosse fegato di pecora. Imperturbato, mi sorrise.

Io sono Brendon.”
No, tu sei un coglione. Fine della storia.
Diedi un altro sguardo alla lista di Frank; non aveva aggiunto nient’altro. Infatti, ero quasi sicuro che avesse cancellato la seconda. Non riuscivo a vedere perchè, poichè Frank vedeva che stavo provando a leggere cosa aveva scritto e girava la pagina. Deluso, guardai altrove e controllai per vedere se Jasper fosse ancora in giro.
Improvvisamente balzai di sorpresa quando la sua grande mano sfregiata si posò sulla mia spalla, mentre lo stavo cercando nella stanza. Si abbassò in modo da potermi sussurrare all'orecchio.

Vieni con me,” chiese. No, veramente, non me lo stava chiedendo, mi stava ordinando di farlo.
Ma non ero una recluta nel suo plotone. Non dovevo eseguire i suoi ordini. Non era il mio ufficiale comandante. Non rispondevo a nessuno.

Ora!” ruggì, strizzandomi la spalla così forte che giurai di aver sentito le mie ossa rompersi.
Mi alzai dalla sedia più veloce di un proiettile, con la spalla pulsante. La sedia si rovesciò dietro di me, ma non mi preoccupai di fermarmi a rimetterla in piedi. Mi precipitai fuori dalla stanza dopo di Jasper, ben consapevole del confuso silenzio che avevo lasciato sulla mia scia. Lo seguii, anche se riluttante. Non volevo seguirlo e scoprire di cosa mi volesse parlare. Ma ero spaventato di dover affrontare la sua ira se non avessi fatto ciò che aveva chiesto.
Jasper era cambiato un sacco negli ultimi mesi. Di solito era amichevole e simpatico e mi raccontava sempre fighissime storie di guerra. Ma da quando era arrivato Frank, era diventato lunatico, crudele e rabbioso. Non sapevo cosa avessi fatto di male.
Una volta che fummo nella mia stanza, Jasper cominciò ad aggredirmi verbalmente. “Cosa stai facendo?!” urlò.
I miei occhi si spalancarono per la sorpresa. In quel preciso momento non stavo facendo nulla. Battei le ciglia verso Jasper e rimasi in silenzio, tenendo il sarcasmo per me.
“Ti
 avevo detto di tagliarlo fuori. Sei stupido, ragazzino? Non riesci a vedere quale minaccia sia lui?”
Oh. Frank. Giusto.
“Devo ricordarti, Gerard, quanto vicini sono arrivati 
loro? Ti hanno tagliato dentro la testa! L'unica cosa che separava loro dai tuoi segreti erano un paio di millimetri di osso! Perchè non mi ascolti?!” Jasper era più arrabbiato di come lo avessi mai visto prima. Tentai di allontanarmi da lui, cercando di essere il più discreto possibile nella mia ritirata. Ero così spaventato che potesse farmi del male.
“Io sono-” cominciai.
“NON PARLARE!” muggì lui, con gli sputi di saliva che volavano dalla bocca. “Loro possono rintracciare la tua voce! Non hai sentito niente di quello che ti ho detto?!! Non mi piace aver sprecato il mio tempo, Gerard. Ci sono tantissime altre persone fouri da qui che potrei aiutare!”
Inalai duramente, imbarazzato e ferito.
“Me ne vado. Sei da solo, Gerard. Non durerai un giorno senza di me, ragazzo. Lo rimpiangerai per il resto della tua breve vita fino a quando
 loro non arriveranno. Avresti dovuto ascoltarmi.”
“Non mi lasciare!” implorai e mi aggrappai al braccio di Jasper. Dovevo a lui il fatto che ero ancora vivo dopo molto incontri ravvicinati con loro. Lo ammettevo. Non poteva lasciarmi, Non poteva. Proprio... non poteva.

Quando parlai, Jasper ruggì di furia. “Hai un istino suicida, ragazzo,” ringhiò, strappando il braccio dalla mia presa.
Non poteva lasciarmi. Avevo bisogno di lui. Sarei morto senza di lui. Era sempre stato qui ad avvertirmi. Senza Jasper non sarei durato una settimana. Oh, Dio.
“Ti prego, non andartene. Mi dispiace. Farò tutto ciò che vuoi.” Nella mia angoscia non realizzai quanto vincolanti fossero le mie parole.
Jasper alzò il mento e si avvicinò in tutta la sua altezza. Nonostante la sua età, era ancora più alto di me. La sua faccia era arrossata per aver urlato e le vene sul suo collo stavano letteralmente per esplodere. Incrociò le braccia. “Taglia via Frank,” mi disse con il suo innegoziabile tono di comando.
Un silenzioso urlo di angoscia uscì dalla mia bocca. Non potevo farlo. Semplicemente non potevo. No.

Addio, Gerard,” disse Jasper,con la sua voce monotona, serrando la mano sopra la maniglia della porta.
“Non farmi questo. Ti prego. Non lasciarmi. Farò tutto. Tutto tranne questo. Ti prego. 
Ti prego.” Sapevo che sarebbe stato inutile. La mia gola stava bruciando e lo stomaco mi faceva male. Non potevo farlo da solo. Non volevo morire. Non volevo perdere Frank. Non potevo accettare il pensiero di nessuna delle due cose.
Forzai Jasper via dalla porta e lo riportai al centro della stanza. Mi piantai tra lui e la porta. Non l'avrei lasciato andare senza lottare.
“Perchè mi stai facendo scegliere!?” urlai.
“PERCHE' STAI ANCORA PARLANDO?!” mi urlò in risposta, a voce doppiamente più alta.
Mi rannicchiai via dalla collera di Jasper, spaventato.
“Non puoi proteggerlo. E' per la sua e la tua incolumità. Sai cos'è successa l'ultima volta che pensavi di poter proteggere qualcuno da 
loro. Non deve finire nello stesso modo. Lo salverai lasciandolo andare.”
“Tu non capisci,” dissi, supplichevole. “E' diverso.”
Jasper arricciò le labbra impaziente e sbattè I piedi. “Sei un patetico idiota,” disse maliziosamente.
Il petto mi diede dolorosi spasmi e gli occhi mi bruciarono quando Jasper mi canzonò così apertamente. Non avevo nient'altro da dire. Ero stato sconfitto. Non ero mai stato sconfitto in tutta la mia vita. Quella volta che Ray mi aveva battuto a Monopoly non contava, comunque.
Mi chiesi perchè Jasper non stesse ancora parlando e alzai lo sguardo per guardarlo. All'inizio pensai che fosse me che stava guardando con quell'intensa avversione, ma quando mi guardai in giro realizzai che era Frank che stava ricevendo il suo disgusto. Sembrava che Frank fosse lì da un po', perchè era senza parole. Sembrava anche spaventato. Non lo biasimavo. Jasper era un uomo spaventoso.
Tutto ciò che Frank riusciva a fare era fissarmi. Deglutì e spostò gli occhi da me a dove stava Jasper, dietro di me. Ancora non capivo perchè fosse così spaventato. Jasper non stava più urlando.
“Cosa c'è?” chiesi preoccupato e feci un passo in avanti. Ignorai il rumore di disapprovazione che fece Jasper dietro di me.
Per mia sorpresa Frank fece un passo indietro da me. Fu in quel momento che realizzai. Frank era spaventato da 
me. Mi stava guardando e una paura insopportabile veniva fuori da lui. Cosa avevo fatto?
“T-tu hai bisogno di a-aiuto, Gerard,” balbettò Frank e arretrò in modo da stare vicino alla porta.
“Cosa?” respirai, stupito e ferito.
“Non stai parlando con nessuno, Gerard.”
“Sto parlando con Jasper,” risposi immediatamente e indicai dietro di me, dove stava Jasper.
“No. Non stai parlando con nessuno,” disse lui fermamente. “Non c'è nessuno lì.”
Perchè avrebbe dovuto dirlo? Perchè Frank avrebbe dovuto mentirmi così apertamente e spudoratamente? Certo che stavo parlando con qualcuno. Stavo parlando con Jasper. Jasper non era 'nessuno'.

Perchè dovresti dire così?” sussurrai, con la bocca che mi si stava seccando.
“Sei malato, Gerard.”
“No, non lo sono,” dissi, la voce che mi si stava alzando in modo difensivo.
Perchè Frank stava dicendo quelle cose? Non ero malato. Non ero pazzo. Stavo parlando con Jasper. Jasper era reale. Non mi piaceva questa cosa.
Perchè Frank avrebbe dovuto ferirmi in quel modo? Che idea crudele di scherzo era? Oh, Dio, cosa stava succedendo? Mi girai per confrontarmi con Jasper di nuovo, ma lui era sparito. Com'era possibile? Non lo avevo visto andare via tramite la porta. Non poteva essersene andato.
Porca puttana.
“Non sono malato,” ripetei, ma non riuscivo a convincere me stesso e sapevo che non stavo convincendo Frank.
“Sei malato,” sussurrò Frank con aria infelice.
“Non lo sono,” borbottai e setacciai la stanza per cercare Jasper. Non poteva essere solo sparito. Non era successo. Le persone non scompaiono. “Era qui. Giuro. Non sono pazzo. Era qui. Era... Era 
proprio qui. Non sono pazzo. Ti prego credimi, Frank.”
“Mi stai spaventando,” rivelò Frank e si rifiutò di guardarmi negli occhi. “Smettila.” si strinse le braccia attorno allo stomaco, stringendosi e abbracciandosi per trovare conforto, come faceva sempre quando era triste o spaventato.
Lo avevo spaventato? Com'era possibile? Come aveva fatto a restare accanto a me sapendo che avevo sparato a mio fratello, ma diventare spaventato per la possibilità che fossi un malato mentale?
“Non sono pazzo,” borbottai, stroncato.
Proprio quando pensavo che Frank non avrebbe detto niente di peggiore, completò, “Perchè non lasci che lei ti aiuti?”
La mia confusione e la mia angoscia lasciarono posto in quel momento a un' intensa rabbia. 
Lei. Io odiavo lei. La odiavo così tanto da far male. Aveva rivoltato Frank contro di me. Ora lui pensava che fossi pazzo. Ora pensava che ero come il resto degli altri. Non ero come il resto degli altri. Non ero pazzo. Jasper era reale. Non ero malato. Markman aveva rivoltato Frank contro di me. Lei non aveva mia creduto che loro fossero reali. Ma era la sua prerogativa. Poteva credere a ciò che le piaceva. Ma non aveva il diritto di rivoltare Frank contro di me.


Abbassai il mento e camminai dietro a Frank verso l'ufficio di Markman. Stavo andando a dirle esattamente cosa pensavo. Non volevo più stare lì. Frank pensava che fossi pazzo. Mi guardava e pensava a me nello stesso modo in cui pensava a Ray, Bob e Adam. Non potevo sopportare il pensiero della condanna di Frank.
Non avevo un piano quando raggiunsi l'ufficio di Markman, ma sapevo che potevo contare sul mio cervello per aiutarmi. Aprii selvaggiamente la porta con un calcio ed entrai dentro. Markman e circa dodici tirocinanti si congelarono e girarono le loro teste per guardarmi. Non avevo calcolato che i tirocinanti fossero nella stanza, ma ora era troppo tardi per tornare indietro. Avevo fatto il mio ingresso in scena, ora avevo bisogno di seguirlo.
“Come ha potuto?!” esclamai verso Markman, con le mai chiuse in un pugno. “La odio. La odio! Come ha potuto?! Era tutto ciò che avevo! Come ha potuto farmi questo? Credevo in lei! La odio. La odio. LA ODIO!”
Decisi che avevo espresso la mia opinione e uscii fuori, cercando di fare più rumore possibile con i piedi. Resistetti alla tentazione di rompere qualcosa. Ero già abbastanza nei guai così; non volevo avere a che fare anche con accuse di vandalismo.
Mentre tornavo nella mia stanza provai un grande piacere nello sbattere la porta più forte che potessi. Fu in quel momento che desiderai che la mia porta avesse una serratura. Volevo chiudere tutti fuori. Chiuderli fuori dalla mia stanza, dalla mia testa e dalla mia vita. Mi gettai a faccia in giù sul letto e seppellii la testa nel cuscino, desiderando disperatamente di poter soffocare.

Dille che vuoi andartene,” mi ordinò Jasper, riapparendo di nuovo.
Mi stavo stancando a morte di Jasper ma sapevo, nonostante tutto ciò che era successo, che lui aveva a cuore i miei migliori interessi. Dovevo iniziare a credergli di nuovo.
Mentre Markman apriva la porta e metteva dentro la sua testa sconcertata, io mi alzai in piedi e la informai del mio desiderio.

Voglio andarmene.”
“Perchè?”
Qualche volta, era più pesante di due fottuti tronchi d'albero. Non avevo espresso chiaramente i miei sentimenti nel suo ufficio due fottuti minuti prima? “Cosa ne pensa?” schioccai.
“Bhe, non puoi andartene.”
“Voglio un trasferimento.”
Scosse la testa. “Non posso farlo. Gerard, che succede? Ti sei comportato in modo strano prima. Forse vuoi parlare con me in modo che possa aiutarti?”
“Mi trasferisca.”
Sospirò. “No. Non è negoziabile, Gerard.”
“Si fotta, allora.” Era la prima volta che insultavo Markman in faccia. Mi faceva sentire ridicolosamente bene. Così bene, infatti, che sentivo il bisogno di dirlo di nuovo. “Si. Fotta,” ripetei e incrociai le braccia in modo ribelle. Enfatizzai le parole questa volta. Era un vaffanculo per tutte le volte che aveva cercato di convincermi che ero pazzo e per tutti i fottuti esami del sangue.
Quando insultai Markman, lei inalò a fatica e fissò gli occhi sul pavimento. Sembrava ferita. Bene. Lo meritava.
Si alzò, lisciando ossessivamente la gonna. “Tornerò quando ti sarai calmato,” disse con calma.
Jasper si alzò in piedi. “Dille che non puoi più vedere Frank. Dille di dirgli che non puoi più vederlo,” mi comandò.
“Cosa!?” strillai a Jasper con orrore. “Non posso farlo,” sibilai.
Markman si fermò e mi guardò divertita. “Stai parlando con me?” chiese improvvisamente, lanciando uno sguardo alla stanza con sospetto.
“Menti,” schioccò Jasper, alzando un sopracciglio verso di me, arrabbiato.
“Certo che sto parlando con lei,” storsi il naso, obbedendo agli ordini di Jasper di parlare con Markman.
“Certamente,” Markman mi fece l'eco e uscì dalla porta.
Jasper si avvicinò a dove ero seduto sul letto e mi fece alzare in piedi. “Dille di dire a Frank che non vuoi che siate più amici,” mi ordinò, la sua faccia a un centimetro dalla mia.
“Non posso,” sostenei stancamente.
Jasper mi spinse fuori dalla porta. Il rumore che feci inciampando e cadendo sul telaio della porta fece girare Markman a guardarmi.
“Diglielo o me ne andrò. Non sto scherzando, Gerard.” Jasper stava stringendo il mio braccio destro strettamente e dolorosamente, per impedirmi di ritornare nella mia stanza. “
DIGLIELO!
“Ho bisogno che dica a Frank che non voglio più essere suo amico,” sputai fuori e Jasper lasciò andare la presa dal mio braccio.
Ti prego Dio, fai che non abbia sentito quello che ho appena detto.
Markman non fece caso a me ed ebbi l'angosciante presentimento che non solo Markman aveva sentito quello che avevo detto, ma anche Frank. Guardai di lato e, abbastanza sicuro, vidi Frank in piedi nel corridoio, la rivelazione spalmata sul suo bellissimo viso.
Fanculo, Dio.
Markman fece un passo verso Frank, con le braccia stese un poco con gesto compassionevole. “Frank,” disse inutilmente.
Frank mi stava soltanto fissando. Avrei desiderato che non lo facesse. Pensavo fosse sotto shock perchè non si mosse, ne' battè ciglio. Soltanto mi fissava, ferito duramente dalle mie parole. Mi odiavo. Odiavo la mia vita. Numero 21 nella mia lista di cose cattive: sono davvero un mostro.
Markman osservò l'intera silenziosa comunicazione con una mano sulla bocca. Non sapevo perchè le importasse. Frank sarebbe stato meglio senza di me. Sperai che non pensasse che fossi così tanto stupido da credere che approvava la nostra amicizia... o la nostra relazione.
Le pallide labbra di Frank cominciarono a muoversi quando lo fissai e ci volle un secondo perchè le parole uscissero.
“Dica a Gerard che neanche io voglio più essere suo amico,” annunciò a Markman.
No, no, no, no, no, no. No, non doveva accadere. Non doveva arrendersi così facilmente. Voglio essere tuo amico. Lo voglio. Non mi conosci per niente? Non capisci che sto 
ovviamente mentendo?

Markman mosse lo sguardo da Frank verso di me, con le mani ancora sulla bocca, in shock, sospettavo. Guardai altrove per fissare il linoleum, vergognandomi e angosciandomi profondamente. Era per il meglio, giusto? Jasper non mi avrebbe fatto fare niente che non fosse stato per il mio bene. Anche Frank sarebbe stato più salvo, dopo quello che era successo con loro l'ultima volta. Voglio dire, gli avevano quasi sparato in testa. Il suo cervello avrebbe potuto spappolarsi su tutte le piastrelle bianche e blu del bagno e sarebbe stata tutta colpa mia. Proprio come era colpa mia il fatto che Michael era morto.

***

 

Era la seconda settimana della Settimana del Tirocinio e Brendon era ancora in giro. Come sempre, stavo facendo un grandissimo sforzo per ignorarlo, ma era fottutamente persistente. Si portava sempre dietro un taccuino per prendere appunti. Era come se ogni fottuta cosa che facessi fosse la cosa più fottutamente interessante al mondo, perchè la scriveva. Sbadigliavo, veniva scritto. Sospiravo, veniva scritto. Mangiavo solo tre bocconi a cena, veniva scritto.
Mi stava facendo fottutamente incazzare.
Ma essere incazzati era un'ottima alternativa all'essere devastati. Fedeli alle nostre parole, Frank e io non eravamo più amici. Lui non mi dava nemmeno un'occhiata se capitava che ci passassimo vicino o che fossimo nella stessa stanza allo stesso tempo. Invece stava con Adam, Ray, Bob e Bert. Ero così follemente geloso, che faceva male. Non potevo credere che la mia vita fosse diventata da vivibile a inutile in meno di una settimana.
Jasper, d'altro canto, era entusiasta di tutta la situazione.
“Non è grandioso non dover vivere nella paura tutto il tempo?” mi chiese giovialmente, con tono allegro. Ora che Frank se n'era andato era la persona più fottutamente gentile sul pianeta.
Non risposi e semplicemente premetti più a fondo la faccia nel cuscino. Asfissia, ecco che arrivo.
“Gerard,” mi chiamò Markman, disturbandomi. “Hai un minuto per venire nel mio ufficio prima che ti sospenda tutti i privilegi.”
Grugnii e feci una grande ostentazione mentre cadevo dal letto e trascinavo i piedi verso la porta. Non c'era nessuna fottuta possibilità che andassi a farmi la doccia con il resto degli imbecilli o che che mi permettessi di stare in un'area supervisionata con qualcun altro. Markman uscì fuori e lasciò che la superassi, prima di seguirmi nel suo ufficio. Mi trascinai il più lentamente possibile, intenzionato a fermarmi per ammirare i segni sui muri o le serrature delle porte.
“Un minuto,” mi ricordò Markman.
Giuro che fosse veramente pesante come due tronchi d'albero. Erano già passati almeno quattro minuti. Lo sapevo. Sapevo certe cose.
Brendon stava già aspettando fuori dall'ufficio di Markman quando entrai. Grugnii esageratamente nel vederlo e roteai gli occhi.
Lui annotò quello che avevo appena fatto.
Fanculo, brutto coglione. Giuro che prendo quella penna e te la ficco su per il culo la prossima volta che scrivi quello che faccio.
Crollai sulla sedia e misi i piedi sulla scrivania di Markman, incrociando le caviglie. Appoggia la testa pulsante sul palmo della mano e cominciai i miei quaranta minuti di sguardo fuori dalla finestra. Avrei avuto mal di testa almeno per un giorno adesso. Avrei davvero apprezzato un paio di antidolorifici, ma mi rifiutavo di chiederli a Markman. Preferivo soffrire. Dopo tutto, lo meritavo. Non potevo rimuovere l'immagine della faccia di Frank e il profondo senso di tradimento che lo ricopriva nella mia mente.
“Gerard, ti prego, dimmi cosa sta succedendo,” implorò Markman quando si sedette davanti a me.
Come se potessi dirtelo, strega malefica.
“Preferisci scriverlo?” Markman si alzò e piazzò un foglio bianco e una penna davanti alle mie gambe stese. Alzai un sopracciglio e mossi le gambe in modo che il foglio cadesse per terra. Pensavo di essermi espresso abbastanza chiaramente. Markman sospirò e chiuse gli occhi per un momento, per riprendersi. Avrei sperato che si rompesse almeno una volta. “Come si chiama?” chiese.
Mi accigliai e guardai lateralmente verso Brendon. Intendeva lui?
“Non Brendon,” disse, facendo il suo irritante gioco della lettura del pensiero. “L'altro uomo nella stanza.”
Inorridito, girai la testa verso Jasper, che stava in piedi rigidamente accanto alla libreria di mogano accanto alla finestra. Lentamente e minacciosamente mosse la testa da parte a parte, gli occhi meschini puntati con concentrazione su di me.
“Gerard....” disse rapidamente Markman, con il viso speranzoso.
Deglutii e scossi la testa rapidamente. Mi avrebbe ucciso. Potevo vederlo nei suoi occhi. L'avrebbe fatto. E perchè lei lo chiedeva comunque? Frank non le aveva detto di Jasper?
“Frank capisce,” disse infine, dopo che mi rifiutai di rispondere alla sua domanda.
Quando menzionò Frank, mi alzai in piedi e me ne andai. Non volevo che Markman vedesse che grande disastro avevo fatto dando retta a Jasper. Non volevo che lei mi vedesse più mentre cercavo di non piangere. Dico piangere perchè non importava quanto ci provassi, qualche volta non potevo evitare che quelle lacrime mi corressero sulle guancie. Evitai tutti per il resto della settimana. Restai nella mia stanza ed emersi solo per mangiare proprio all'inizio o proprio alla fine di ogni ora dedicata a ciascun pasto.

L'ultimo giorno della Settimana del Tirocinio ero seduto in modo infelice, cinque posti ed esattamente 3.5 metri da Frank. L'ultima sessione che i tirocinanti tennero prima di andarsene era l'opposto della sessione che avevano tenuto il primo giorno. Invece di dieci cose brutte, dovevamo scrivere dieci cose belle nella nostra vita.
Non riuscivo a pensarne nessuna.
Era per questo che ero triste.
Avevo allontanato l'unica cosa bella della mia vita.

***


Quel giorno era la sesta settimana da quando avevo rovinato la mia vita. Frank non aveva cercato di riparare la nostra amicizia e Jasper mi aveva persino vietato di guardarlo. Le poche volte che ero stato abbastanza sfortunato da dare un'occhiata a Frank in una delle mie brevi escursioni verso la caffetteria, il cuore aveva cominciato a farmi anche più male. Era come venir mangiati dall'interno. Il mio stomaco aveva un costante, disperato peso dentro e il petto faceva male come se ci fossi rimasto sopra per giorni. Fortunatamente, gli occhi avevano smesso di gocciolare da quella volta nell'ufficio di Markman.
Mi incamminai nel suo ufficio la mattina della sesta settimana, pronto a evitare tutte le sue domande riguardo Jasper. Fuori era un giorno patetico. Miserabile quasi tanto quanto mi sentivo io. Le nuvole erano rabbiose e scure e la pioggia batteva così forte che avevo paura che il tetto potesse cadere di nuovo.
Mi sedetti e guardai Markman con l'aria di chi aspetta qualcosa. Sperai veramente che mi volesse solo offrire di giocare a scarabeo con lei. Sebbene la odiassi ancora, avevo ancora bisogno di rapporti umani.
“E' l'unico studente che ho valutato con grande importanza,” mi disse passandomi un blocco di fogli che dedussi fosse una relazione.
Lo accettai alzando le sopracciglia. Qual'era il punto?
“Leggilo soltanto,” disse semplicemente e si risiedette sulla sedia, unendo insieme le mani.
Abbassai gli occhi sul semplice foglio bianco e le righe di parole e cominciai a leggere.

 

Bluestone Institute
di Brendon Urie


Non sono troppo fiero di ammettere quanto devo essere stato ingenuo all'inizio del mio tirocinio all' Ospedale Psichiatrico di Bluestone, a Princeton, in New Jersey, la scorsa settimana. Fin da ragazzo aspiravo a diventare un dottore e successivamente, uno psichiatra. Perciò, questo voleva dire che ero entusiasta di scoprire come avrei passato due settimane preliminari del mio anno di tirocinio al Bluestone Institute, il principale ospedale del paese per la cura psichiatrica di giovani adulti.
Nella settimana orientativa i miei colleghi ed io fummo informati del nostro primario incarico di assistenza per la durata del tirocinio. Subito dopo che ci fu detto il compito, ammetto di essere stato deluso. Ogni tirocinante fu assegnato a un paziente sul quale doveva scrivere una relazione. La relazione poteva essere clinica o personale, come preferivamo. Il motivo dietro la mia delusione era nel fatto che avrei dovuto guardare oltre il comportamento e i cosigli ai pazienti, non solo osservarli come se fossero animali in gabbia.
Fui assegnato a un paziente di diciannove anni di nome Gerard. Mi furono dati scarsi dettagli su di lui, comparati alle informazioni che i miei colleghi avevano ricevuto sui loro pazienti. Imperturbato, comunque, dalla mia poca conoscenza su Gerard, affrontai il primo giorno di tirocinio con grandi aspettative. Io, come molti dei tirocinanti, mi aspettavo di formare un immediato legame col paziente nel poco tempo che avevo a disposizione. Avevo già programmato di usare questo legame per farmi un'idea utile della sua persona e della condizione mentale da assistere per scrivere questa relazione.
Gerard mi ignorò per tutta la durata del tirocinio. Posso dire onestamente che Gerard ed io abbiamo avuto un contatto visivo approssimatamente cinque volte in due settimane.Comunque, nonostante questa mancanza di comunicazione e interazione, ho intuito molto velocemente che fosse un ragazzo incredibilmente intelligente. Ogni cosa che fa, a cominciare dal modo in cui cammina, fa parte di un grande piano metodico. Quando giunsi a questa conclusione decisi di prendere l'opportunità di verificare questa deduzione con alcuni membri del personale che 'conoscono' Gerard.
Non trovai nessun membro del personale disposto a sostenere la mia deduzione sulla supposizione del funzionamento sistematico di Gerard. Molti membri del personale discutevano con convinzione sul fatto che Gerard fosse abbastanza famoso nell'ospedale per la sua imprevedibilità.
Il primo esempio che mi fu dato della 'imprevedibilità' di Gerard fu in primo luogo ciò che era successo meno di dodici mesi prima.
Fino a quel momento era “selettivamente muto”, “insolitamente anti-sociale” e “disinteressato in ogni aspetto della sua esistenza.” Comunque, era stato capace di sbalordire tutti i pazienti e gli psichiatri scegliendo di interagire con un altro paziente (Iero, Frank. Anni:16, #22013) durante una sessione di terapia di gruppo. Mi è stato detto che entrabi i ragazzi erano diventati inseparabili.

Altri esempi degni di nota della imprevedibilità di Gerard sono inerenti ai sintomi della sua malattia mentale. Gerard soffre di schizofrenia paranoide. Più specificatamente, soffre di rifiuto alla terapia per la schizofrenia paranoide. Anche se non sono riuscito a verificarlo da solo, ho scoperto che Gerard soffre di vividi deliri di persecuzione. Crede di essere stato braccato da una fondazione a cui si riferisce solo come 'loro' e crede che loro trovino piacere nell' “aprire la sua testa e rubare i suoi segreti.” In aggiunta, Gerard è convinto che se 'loro' riusciranno nel loro intento di “ucciderlo” e rubare I suoi segreti, il mondo “finirà.”
Gerard nega di essere mentalmente malato. Non appena l'argomento viene sollevato, lui si estrania notevolmente. La sua psichiatra curante, la dottoressa Jillian Markman, mi ha rivelato che Gerard intatti era passato in una fase di accettazione, molti anni fa, ma ciò aveva avuto una ricaduta dando come risultato un “brutto trauma cerebrale.” Da quel trauma aveva cominciato a lottare con ferma fiducia e con problemi emozionali.
E' stato per questi problemi consolidati di fiducia che l' amicizia di Gerard con Frank Iero è stata vista con così tanta speculazione e meraviglia. Gerard, che aveva una lunga storia di comportamenti insensibili ed egoisti, ha terminato la sua amicizia il primo giorno del mio tirocinio. Questo atto casuale che è stato giudicato come 'crudeltà' da molti membri del personale e ha ostacolato il ricovero emozionale di Frank in modo significativo. La mia esposizione sulla loro amicizia è stata breve ma posso solo immaginare la gioia che ha portato a entrambi, considerando il livello di pura tristezza che ho riscontrato dai loro-



Non riuscivo a convincermi a girare pagina. Non potevo più permettermi di leggere. Erano solo due pagine nella relazione e ancora stavo combattendo per dividere le bugie e la verità. Non sapevo quand'era che Brandon stava mentendo e quando stava semplicemente costatando i fatti e le osservazioni che aveva ottenuto. Le bugie erano così profondamente impiantate nelle parole mi stavano quasi prendendo in giro. Non ero un malato mentale. Non ero 'insolitamente anti-sociale'. Non soffrivo di rifiuto alla terapia di schizofrenia paranoide. Non sapevo nemmeno cosa fosse! Loro non erano un delirio. Li avevo visti. Non potevo proprio inventarmeli! Come cazzo poteva pensare che mi fossi inventato una merda come quella? Solo per divertirmi!? Porca puttana.
E un'altra cosa! Cos'era questo “brutto trauma cerebrale” che avevo apparentemente subito? Penso che me lo sarei ricordato se mi fossi fatto male alla testa! Non sono un fottuto bamboccio.
“Che roba è?” ringhiai, brandendo il foglio in modo seccato.
“La verità, Gerard,” rispose Markman, con il suo fare da strizzacervelli.
No, cazzo, non lo era.
“Come ti fa sentire?”
“Di merda! Non voglio che degli sconosciuti scrivano bugie e stronzate su di me e lascino che altre persone lo leggano. Chi altro l'ha visto?”
Avrei dato la caccia a ogni singola copia di quel foglio e l'avrei bruciata. Giuro che l'avrei fatto.
Markman si avvicinò e alzò la penna. “Solo io.”
Cazzo, grazie. Era davvero una strega malefica. Il mio odio per lei si stava lentamente confermando.
“Niente di questo è vero. Come può valutare questo lavoro così 
colto, se sta mentento? Non si sente ferita dal fatto che pensa che lei sia così stupida da non notare che si sta inventando le cose?” alzai le sopracciglia, mentre glielo chiedevo.
“Lo finisci?” mi chiese.
“No,” risposi ostinatamente e incrociai le braccia sul petto.
“Bhè, forse potresti leggere questo,” disse bruscamente e mi passò un altro foglio.
Aggrottai le ciglia e lo raccolsi dal tappeto beige.

 

Alive
di Spencer Smith


Sono stato assegnato a un paziente di 16 anni, Frank Iero. Frank sta ricevendo un trattamento psichiatrico al Bluestone Institute da Giugno dell'anno scorso. E' stato ammesso a Bluestone dopo aver sofferto di un crollo psicologico causato dall'aggressione e l'abuso sessuale di due uomini. E' stato cinque mesi dopo l'incidente che è arrivato il crollo psicologico e, come risultato, Frank fu ammesso all' Ospedale Mentale di base di Newark. Frank passò meno di un mese in questo ospedale prima che il suo caso fosse assegnato alla psichiatra rinomata e degna di nota, la dottoressa Jillian Markman e lui fu trasferito al Bluestone Institute, il miglior ospedale del paese per giovani adulti.

Mi fermai per un momento. Perchè erano tutti così ansiosi di elogiare Markman? Voglio dire, dai, seriamente? Sapevano di cosa stessero parlando? Rinomata? Aveva qualche famoso paziente che teneva nascosto o qualcosa del genere? Analizzai un paio di paragrafi, saltanto tutte le parti preliminari che sapevo già.


Frank è stato incredibilmente gentile e cooperativo durante il mio tirocinio. Ha partecipato a tutte le attività e ha conversato con me abbastanza volentieri. Comunque, venendo da una condizione familiare amorevole e finanziariamente stabile e avendo avuto una piccola esposizione alla disperazione, mi ci è voluta più di una settimana per realizzare che Frank è un ragazzo eccezionalmente triste. Mi ci è voluta un'altra settimana per prendere coraggio e chiedergli cosa fosse che lo rendeva così triste. Lui rispose con un nome: Gerard.

Questo mi scioccò. Mi aspettavo che Frank menzionasse forse l'abuso di cui era stato vittima, o l'angoscia mentale che ne aveva risultato, ma mi sbagliavo. Gerard è un altro paziente dell'ospedale. E' un ragazzo insolente che non ha rispetto degli altri. Ha tagliato Frank, il suo unico amico, fuori dalla sua vita, dopo che Frank si era confrontato con lui per il suo comportamento. Proprio mentre pensavo a qualcosa da dire a Frank, lui mi sorprese anche di più, dicendomi: “Ma lui mi rende anche felice.” Quando chiesì perchè, lui sorrise e scosse la testa. “Non capiresti,” mi ha detto. “Nessuno lo capisce. Ma lui mi capisce. Lui mi fa dimenticare. Mi fa sentire speciale. Mi fa sentire vivo.”

Non voglio più leggerlo,” mormorai e allontanai la relazione per ridarla a Markman.
Ma lei non la accettò. “Voglio che lo leggi. Voglio che tu sappia,” disse. “Voglio che tu realizzi che non sei l'unica persona nell'ospedale, Gerard. Voglio che ti fermi a pensare a qualcun altro per una volta.”
Odiavo che pensasse a me in quel modo. Certo che sapevo che non ero l'unica persona nell'ospedale. E Frank era tutto ciò a cui pensavo. Questo casino era colpa di Jasper. Era stato Jasper a farmelo fare.
Mi girai sulla sedia per cercarlo, ma lui non era apparso nella stanza. Non lo vedevo, ma questo non significava che non si fosse nascosto. Mi alzai e mi preoccupai di controllare dietro le tende e sotto la sedia. Non mi avrebbe sorpreso se ci si fosse nascosto sotto. Stava aspettando che lo tradissi, poi sarebbe apparso da un luogo assurdo e mi avrebbe punito.
Markman si alzò e mi seguì con gli occhi mentre setacciavo la stanza. Non c'erano molti posti dove un vecchio veterano di guerra avrebbe potuto nascondersi, ma ce n'erano abbastanza per tenermi occupato per cinque mintui. Markman non commentò quello che stavo facendo. Era come se aspettasse che glielo dicessi io.
“Stai cercando me?” Jasper annunciò la sua presenza in modo compiaciuto, dalla sua postazione preferita, accanto alla libreria.
Il mio cuore affondò e gli diedi un'occhiata di terrore. Era sempre in giro. Perchè non poteva lasciarmi solo come faceva sempre? Rimasi inginocchiato, l'angoscia mi prese. Ero così esausto. Ero così stanco di tutto. Non potevo più farcela.
“Qual'è il suo nome, Gerard?” chiese Markman in modo cordiale.
Perchè continuava a chiedermelo? Sapeva il suo nome. Frank sapeva di Jasper. Frank aveva parlato a Markman di me. Lei avrebbe dovuto sapere. Frank avrebbe dovuto dirglielo. Lui pensava fossi malato. Ma non ero malato. Non ero pazzo.
“Non posso aiutarti se non me lo dici,” mi implorò lei.
Non volevo alzare lo sguardo dal tappeto. Non volevo più essere lì. Non volevo più essere spaventato.
Markman venne avanti e si accucciò accanto a me. “Lascia che ti aiuti,” sussurrò.
“Lei già lo sa,” mormorai.
“Lo so?”
“Frank gliel'ha detto e lei ha detto a lui che io sono pazzo. Io non sono pazzo.”
“Cosa?”
La guardai. Era confusa. Era 
autenticamente confusa. Frank gliel'aveva detto, va bene?
“Frank non mi ha mai detto niente del genere su di te.”
Non l'aveva fatto? Incespicai sui miei stessi piedi. “Non posso più parlarne,” annunciai e scorrazzai fuori dalla porta, lasciano Markman e Jasper dietro di me. Mentre camminavo senza una meta, mi vennero in mente le parole di Frank. 

“Gerard, non c'è nessuno qui.”
“Non sono reali, Gerard.”
“No. Non stai parlando con nessuno. Non c'è nessuno qui.”

E se Frank non avesse mentito? E se io fossi stato pazzo? E se mi fossi inventato Jasper? Voglio dire, Frank non avrebbe mai mentito su questo, o no? Nessuno aveva mai fatto un commento su Jasper. Non era proprio la persona che passa più inosservata. Era per questo che ero lì? Ero per questo che ero in quel fottuto posto? Ero pazzo? Frank aveva ragione? Frank era stato e ancora era l'unica persona a cui credevo e vice versa. Aveva lasciato che lo toccassi. Mi aveva chiesto di baciarlo. Non c'era nessun motivo perchè mentisse.
Oh cazzo, mio Dio, ero un fottuto schizzato.
Era questa la ragione per cui avevo ucciso mio fratello? Sicuramente era l'unica ragione per aver fatto una cosa del genere. Forse non ero in me. Forse 
era stato un incidente. Forse era stata colpa di Jasper. Forse non era colpa mia dopo tutto. Cosa significava? Se era vero, significava che Frank aveva sempre avuto ragione. Aveva sempre detto che non era stata colpa mia. Forse non lo era. Forse era stato solo un incidente. Perchè non riuscivo a ricordare?
Mi stavo concentrando così tanto che ebbi uno shock quando andai quasi a sbattere contro Jasper. Mi allontanai da lui. “Lasciami solo,” schioccai e cercai di spingerlo via.
“Non parlarmi così!” disse infuriato Jasper.
“Posso parlarti come mi pare. Tu non sei reale.” Da questo momento le cose sarebbero diventate molto interessanti.
Jasper, con mia grande sorpresa, ghignò. “Oh, davvero?” disse in modo arrogante.
Continuai a camminare. “Non sei reale. Frank ha detto di non poterti vedere. Io credo a Frank,” dissi, con la voce tremante. Non riuscivo nemmeno a convincere me stesso, come pensavo di poter convincere Jasper?
“Frank?” ruggì Jasper con una risata. “Sei ancora preso da lui?”
“Gli credo,” mormorai.
“No!” Jasper mi prese il braccio e mi tirò indietro per guardarlo in faccia. “Tu credi a 
me. Sono io quello che ti ha salvato il culo tutte quelle volte. Sono io quello che ha fermato loro dal prenderti.”
Mi strappai dalla sua presa. “Frank non ha niente da guadagnare e tutto da perdere nel confortarmi così. Non avrei dovuto ascoltarti.”
Jasper smise di ghignare. “Ti sta mentendo, Gerard. Lo ha fatto dall'inizio. E' alleato con loro. Proprio come lo è 
lei.”
“No,” dissi improvvisamente. “Non sta mentendo. Tu non sei reale. Sei nella mia testa. Ti ho creato io.”
Jasper mi pizzicò forte sul bicipite. “Certo che sono reale. Se non lo fossi, potrei fare questo?” mi diede un pugno sul braccio. “L'hai sentito. Sai che sono reale. Se tu mi avessi inventato, saresti riuscito a sentirmi?”
Questo era una prospettiva dannatamente buona. Stavo perdendo questa discussione. Non dovevo rispondere. Se Jasper non era reale, perchè potevo sentirlo? Non aveva senso. Forse non ero pazzo. Mi sentii quasi speranzoso per un minuto.
“Gerard?” Markman era apparsa di nuovo.
Gesù Fottutamente Cristo! Perchè quella donna non mi lasciava da solo?!
“Perchè mi segue sempre? Perchè non capisce che lei non mi piace?” chiesi in modo irritato.
“No, Gerard, perchè
 tu non capisci? Non sto andando da nessuna parte. Ti seguirò sempre. Rimarrò sempre al mio posto. Non mi arrenderò mai con te. Sarò sempre qui. Sarò qui sia che tu mi voglia, sia che tu non mi voglia. Penso sia tempo che ti abitui all'idea. Non sono come gli altri, Gerard. Mi rifiuto di arrendermi con te.”
Oh. Forse gliene fregava davvero qualcosa.
“Te ne frega qualcosa?” domandai dubbioso.
Markman sospirò. “
, Gerard. Me ne frega qualcosa.”
“Anche a me,” si intromise con rabbia Jasper.
Mi allontanai da entrambi e cercai di deglutire, ma la mia gola era come se fosse fatta di cartavetrata. Nella mia testa aggiunsi le ultime due cose brutte alla mia lista.

22. Sono pazzo.
23. Sono
 solo.

 

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Capitolo 13
*** 13. ***





A SPLITTING OF THE MIND

***

13.


Nobody Said Loving Him Was Going To Be Easy

 






Ci sono cose brutte nella vita. Ci sono cose brutte e poi, ci sono cose brutte.
C'era una fottuta telecamera nella mia fottuta stanza.
Questa era una delle cose brutte di cui parlavo. No, in realtà era una delle cose molto brutte che pensavo esistessero solo nei film.
Lei mi stava guardando.
Quella fottuta stronza mi stava spiando. Cazzo, non potevo credere di non aver mai visto quella fottuta telecamera per così tanto, fottutissimo tempo.

Ero così fottutamente arrabbiato che avrei potuto prendere a pugni il muro. Sì, ero così arrabbiato.
Era uno di quei momenti in cui ero grato di non essermi mai fatto una sega a letto.
La volta successiva che avessi visto Markman, mi sarei accertato che conoscesse esattamente cosa pensavo di tutta questa storia dello spiare. Fottuto Cristo, mi vestivo lì. Non sarei stato più capace di guardarla ancora, se mi avesse visto nudo.
Diedi uno sguardo all'offensivo pezzo di tecnologia. Mi chiedevo se lei mi stesse guardando in quel momento. Strinsi gli occhi con sospetto verso la lente, mi alzai e mi incamminai per andare a fare colazione. Ero determinato a confrontarmi con Markman riguardo questo il prima possibile. Fottuta stronza, nessuno mi può spiare.
Attraversai infuriato la caffetteria, fino al bancone del cibo. Mentre mi versavo un po' di disgustosi cereali non identificati che erano stati probabilmente impacchettati con un' astronomica quantità di zucchero, resistetti al bisogno di vomitarli sul pavimento. Anche se ero trattato con molta clemenza dal personale in quel buco infernale, sapevo che Ben non avrebbe esitato nel farmi raccogliere ogni singolo fiocco d'avena. Non volevo sprecare tempo strisciando sul pavimento. Dovevo finire velocemente il cibo e poi trovare Satana.
Sbattei la mia tazza di cereali sul tavolo e trovai un po' di soddisfazione nel grande casino che avevo fatto. Non mi importava. Qualcun altro l'avrebbe pulito. Tutta questa storia dello spiare mi aveva portato a un umore di merda. Forse avrei potuto insultare qualcuno. Avrebbe potuto aiutarmi a migliorare il mio umore.
Esplorai la stanza per cercare delle potenziali vittime. Come al solito il mio 'built-in Frank homing device*'
 si attivò e la prima persona su cui si posarono i miei occhi, fu Frank. Avevo davvero bisogno di trovare un manuale su come disabilitare quello stupido coso. Frank era seduto con i suoi nuovi migliori amici; Bob, Ray e Adam. Non sapevo dove fosse Bert. Non lo vedevo da un po'. Ma comunque, non potevo insultare nessuno di loro quando c'era Frank nei paraggi. Era ovvio che la sua opinione su di me fosse affine a quella che aveva sulle alghe, e non volevo retrocedere così presto ad alga di laghetto. Quindi, loro erano off-limits.
Avrei potuto dire qualcosa a Ben o Zach, ma raramente reagivano ai miei insulti o al mio sarcasmo. Non pensavo fossero pagati così tanto da appagarmi con una reazione. Questo non mi lasciava con molte altre opzioni. Cazzo.
Mi ficcai in bocca tre cucchiaiate di cereali, in una rapida successione che mi fece gonfiare le guance. Mentre masticavo, alzai lo sguardo e vidi Frank che mi si avvicinava. Creammo un contatto visivo e gli angoli della sua bocca si contrassero, come se stesse cercando di non sorridere. Questo mi risollevò significativamente il morale. Non mi importava che probabilmente stesse sorridendo per la mia immaturità. Stava sorridendo. Nientemeno che a me.
Mi domandai se avessi dovuto accoglierlo. Se Frank mi stava sorridendo, voleva dire che non era più arrabbiato con me? Sì.

No.
Avrei potuto. Forse avrei potuto chiedere scusa?
No.
Sì.
Porca troia, Gerard, deciditi.
Ok, no, non sarei andato ad accoglierlo. Non mi sarei mosso. Non era una buona idea. No.
Sospirai e focalizzai di nuovo l'attenzione sui cereali. Erano chiaramente nuovi e mi ero sbagliato prima. Erano praticamente senza zucchero. Dovevano essere un tipo di nuovi cereali 'salutari', perchè avevano il sapore di piccoli pezzi di cartone. Probabilmente era stata un'idea di Markman quella di cambiare i cereali. Sapevo di potermi fidare di lei per quanto riguardava il rendere le nostre vite patetiche, un fiocco d'avena alla volta.
Comunque, da quella volta in cui quasi le credevo quando mi disse che le fregava di me, ero stato costretto a cambiare la mia opinione. Non gliene fregava un cazzo di me. Non si fidava di me. Aveva messo una telecamera nella mia stanza. Pensava che potessi fare disastri e non accettava il fatto di non sapere cosa stessi facendo.
Avrei ignorato il fatto che, tecnicamente parlando, avevo fatto qualcosa che non andava fatto in quella stanza. Tre notti prima ero stato steso nell'oscurità della mia stanza e l'onda di colpevolezza mi aveva avvolto. Era la colpevolezza per come avessi baciato Frank. Non importava che me lo avesse chiesto lui. Dovevo dire di no. Era per questo che non aveva combattuto per me. Se gli fosse importato di me nel modo in cui a me importava di lui, mi avrebbe detto che mi stavo comportando da stupido e che quel Jasper non poteva comandarmi. Ma non lo aveva fatto.
Perciò ero giunto alla conclusione che stavo meglio senza di lui. Era per questo che non sarei andato ad accoglierlo e a scusarmi. Non puoi provare a essere amico di qualcuno, se quello non prova per te le stesse cose che tu provi per lui. Quindi eccomi, di nuovo solo. Proprio nel modo in cui sarei dovuto stare.
Frank non mi guardò di nuovo. Non mi importava.
Ok, sì, mi importava, ma stavo imparando a non farlo.
Quando lui e i suoi nuovi amici lasciarono il loro tavolo per sedersi all'aperto, volutamente mi girai verso di loro e fissai il corridoio che portava all'ufficio di Markman. Sicuramente sarebbe apparsa presto.
Mezz'ora dopo stavo ancora fissando il corridoio. Satana non era ancora risorto. Sospirai e spostai le gambe per mettermi in una posizione più comoda.
“Che stai facendo?” chiese con sospetto Ben, mettendosi in piedi accanto a me. Si chinò al livello dei miei occhi e osservò il corridoio.
Senza distogliere la visuale dal corridoio, risposi, “Niente.”
“Gerard?” disse lui con tono di rimprovero.
Sospirai di nuovo e presi un momento per strofinarmi gli occhi. “Aspettando,” lo informai.
“Chi?”


“Gesù,” schioccai. “Chi pensi che sia?”
Ben fece un passo avanti e mi squadrò. “Sei serio?”
Ero tentato di dire si sì, ma decisi di essere sensibile. “Certo che non sono serio. Non sono matto.”
Sapevo che Ben era tentato dal replicare sull'ultima parte, ma non lo fece. Rimase molto professionale.
“Sto aspettando Markman,” gli dissi.
“La dottoressa Markman,” mi corresse Ben. “Ma non ti preoccupare, non è qui.”
Distolsi gli occhi dal corridoio. “Cosa?!” esclamai con rabbia. “Ma ho bisogno di parlare con lei. E' urgente!”
“Potresti parlare invece con il Dr. Leto....” Ben si zittì quando feci un suono disgustato per l'alternativa che mi stava offrendo.
“Preferirei mangiarmi le unghie,” mormorai e abbassai la testa sul tavolo.
Ben capì che la conversazione era finita e se ne andò, lasciandomi da solo nella grande caffetteria. Non potevo credere che lei non fosse lì. Credevo ciecamente nel fatto che l'avesse programmato. Le cose brutte accadevano sempre quando non c'era. Il Dr. Leto sembrava attratto dalle cose brutte.
Forse mi stava intenzionalmente evitando. Forse sapeva che avevo scoperto della telecamera e non voleva affrontare la mia ira. Sapevo essere abbastanza minaccioso quando ero arrabbiato. Dovevo averlo imparato da Jasper. Parlando di Jasper, sembrava che fosse scomparso di nuovo. Comunque non me ne lamentavo. Lo odiavo.
Stavo diventando sempre più convinto del fatto che fosse solo un'allucinazione. Non che lo avessi mai ammesso a Markman. E' solo che era opportuno pensarlo. Non ne sarei mai stato pienamente convinto, comunque, perchè avrebbe significato ammettere di essere pazzo. E io non ero pazzo. No. Ray era pazzo. Io? No, avevo solo un'allucinazione minore che poteva essere stata causata da qualsiasi cosa.
Dannazione, avrei potuto avere un tumore al cervello. Questo avrebbe spiegato molto. Avrebbe spiegato perchè Markman fosse così affascinata dalle ecografie del mio cervello. Dovevo ricordarmi di parlargliene; se l'avessi mai rivista.
La mia diagnosi interiore fu interrotta dall' arrivo rumoroso e in cerca di attenzioni di Bert nella caffetteria. Stava farfugliando incontrollatamente riguardo qualcosa; non riuscivo a capire cosa, comunque. Notai che sembrava piuttosto spaventato. Alzai lo sguardo verso di lui e seguii i suoi movimenti stravaganti attraverso la stanza, leggermente preoccupato per come si stava comportando. Finalmente arrivò e si fermò davanti al mio tavolo. Stava tremando mentre mi puntava il dito addosso in modo accusatorio.
“Tu!” ringhiò, sputandomi addosso.
Era così fottutamente disgustoso. Colpii con forza il tavolo con la mano mentre balzavo in piedi. “Hai qualcosa da dirmi, Bert!?” gli ringhiai anch'io, facendo un minaccioso passo avanti verso di lui.
Berst si affrettò a indietreggiare di diversi passi. “Gli hai detto dov'ero. Avevi detto che non l'avresti fatto! Mi vendicherò per questo!” urlò.
Okay, ora ero confuso. Alzai un sopracciglio e rimasi in silenzio. Bert digrignò i denti verso di me come un animale selvatico e schizzò fuori dalla doppia porta che conduceva al cortile.
“Qual'è l'unica cosa a cui tiene il piccolo, freddo Gerard?” urlò Bert correndo in giardino.
Non capivo di cosa stesse parlando fino a quando non vidi a chi si stava avvicinando. Giurai che se avesse puntato un 
dito verso Frank, gli avrei rotto il collo. Corsi fuori e oltre, dove Bert si stava avvicinando a Frank; strinsi la mia mano destra in un pugno mentre mi avvicinavo.
“Moriremo tutti!” Bert stava urlando a Frank. “Ed è colpa del tuo piccolo, prezioso Gerard. L'hai reso tu così. Non doveva parlare! Ma tu l'hai fatto parlare! E' anche colpa tua!”

Frank fece molti cauti passi indietro mentre Bert gli urlava in faccia. “Bert, ti prego, calmati,” disse energicamente. “Non è colpa mia.”
“Puoi giurarci che lo è, lurido frocio,” Bert sputò quando mi avvicinai dietro di lui.
Il viso di Frank era ferito e sommerso dalla vergogna e lui abbassò gli occhi sul prato, mortificato e umiliato. Questo mi rese furioso. Così furioso che avrei voluto fare davvero tanto male a Bert. Volevo che sentisse il dolore che aveva causato a Frank con i suoi crudeli commenti. Tutta quella rabbia, a cominciare da quella mattina, da quando avevo scoperto che Markman mi stava spiando, si impennò dall'interno. So di aver detto che ero così arrabbiato che avrei voluto prendere a pugni il muro; ma traevo più piacere nel pensare di prendere a pugni la faccia di Bert.
“Ohi, stronzo,” schioccai, alzando la mia mano destra.
Bert si girò per affrontarmi, ma non lo fece perchè colpii violentemente il lato della sua faccia con il mio pugno, con tutta la forza e la rabbia che potessi radunare. La sua faccia si schiantò di lato e lui cadde pesantemente sulle ginocchia, reggendosi il viso fra le mani. Passarono un paio di secondi e nessuno si mosse. Guardai Frank, ma lui stava fissando Bert, con il volto impallidito. Proprio quando pensavo che fosse finita, in modo tremante Bert si rialzò in piedi e fece un passo verso di me, sputando sangue mentre lo faceva. Non mi mossi. Non volevo che pensasse che mi sarei messo a scappare da lui. Si fermò e indicò l'albero alla mia destra.
“I suoi figli sono lì. Sarà qui presto. Spero che ti mangi per primo,” disse, con voce grossa e il sangue che gli colava sul mento.
Feci un errore a girarmi a destra, per guardare la piccola lucertola posata innocentemente sul ramo dell'albero. Proprio quando distolsi gli occhi da Bert, lui scattò in avanti verso di me. Crollai indietro, atterrando sul suolo duro con un rumore che sapeva di ossa rotte, sotto l'albero. Dopo un secondo che stavo per terra, Bert era sopra di me, sfogando la sua vendetta sul mio povero viso. Nell' arco di quattro secondi, Bert fu capace di darmi un pugno sul lato della faccia tre volte, in una successione rapidissima. Ciò mi fece sospettare che avesse avuto esperienze precedenti nel menare qualcuno.
Non ero mai stato picchiato in vita mia e non avevo mai realizzato quanto potesse fare male. Il dolore era intenso. Era come se un maligno treno merci si fosse schiantato sulla mia faccia. La grande forza che Bert era capace di mettere nel suo pugno era incredibile. Ogni colpo faceva girare la mia testa di lato e stavo lottando per spostarmi in un singolo respiro. Fu in questo momento che rimpiansi di averlo colpito per primo. Se avessi saputo che era capace di polverizzarmi la faccia, probabilmente ci avrei pensato due volte prima di difendere Frank in quel modo.
Ci vollero ancora due colpi alla mascella inferiore prima che la mia visuale diventasse assurda. Brillanti luci sembravano esplodermi davanti agli occhi e non riuscivo a vedere. Temporaneamente, in quel periodo di ciecità, sentii il peso di Bert scomparire dal mio stomaco. Battei gli occhi rapidamente e vidi che Bob e Ray avevano fisicamente tolto Bert da sopra di me e stavano combattendo per farlo resistere dal saltarmi addosso di nuovo.
“E' tutto quello che sai fare?” lo canzonai, girando la testa di lato e lasciando che il sangue gocciolasse.
Grande sbaglio.

Bert si lanciò di nuovo verso di me, liberando le braccia dalla presa di Bob e Ray. Mi fece male quando mi atterrò sullo stomaco e non ebbi il tempo di fare un respiro, che le sue mani sudate sporche di sangue afferrarono la mia gola esposta. Il panico mi salì quasi immediatamente quando realizzai che non potevo proprio respirare. Non potevo nemmeno deglutire. Alzai le mani e gli presi il polso, cercando di portarle via dalla mia gola. Fu in quel momento che mi sentii spaventato. Non capivo come fosse stato capace di schiacciarmi. Sgambettai senza risultato e ciò non sembrò disturbare Bert proprio per niente.
Non riuscivo nemmeno a valutare da quanto mi stesse cercando di soffocare. Sapevo solo che sembrava fosse passata un'ora quando tre infermieri presero Bert e lo bloccarono per terra. Risucchiai avidamente l'aria e con attenzione mi afferrai la gola. La bocca era ancora piena di sangue e mi rotolai sullo stomaco per lasciare che sgocciolasse sull'erba. Tastai la mia bocca e la mia lingua con cautela, pregando Dio di avere ancora tutti i denti. Fortunatamente non sentii nessun vuoto fra le gengive. Cazzo, grazie.
Avevo un grande taglio lungo tutto l'interno della bocca, sulla guancia destra; quella che il pugno di Bert sembrava preferire. Lentamente mi misi in ginocchio e mi piegai in avanti, guardando affascinato il mucchio di sangue che sembrava scorrere dal mio naso e gocciolare sull'erba. Era ridicolosamente schifoso come molto del sangue stesse affluendo anche sulle labbra. Qualcuno mi mise in mano un asciugamano e lo portai al naso, nel futile tentativo di fermare l'emorragia. Non pensavo che il mio naso fosse rotto, comunque, ringraziando dio. Era solo un po' dolorante se lo toccavo e sembra essere ancora nella sua posizione. La parte sinistra della mia faccia, comunque, vibrava ancora. Era una profonda, lancinante pulsazione che si diffondeva attraverso le ossa. Era calda da toccare, il che sapevo che indicava un' infiammazione. Era bello sapere che avevo imparato qualcosa da quelle stupide serie TV sui medici che spesso eravamo costretti a guardare.
“Gerard? Riesci a sentirmi?” Era il Dr. Leto, che sembrava molto preoccupato e ansioso. Non gli si addiceva.
“Hmmm,” risposi, aprendo gli occhi.
“Dobbiamo portarti dentro. Puoi alzarti?”
“Hmmm,” ripetei, radunando tutte le mie forze. Afferrai le molte mani che mi stavano venendo offerte e lasciai che mi rimettessero in piedi. Come fui in piedi, le ginocchia mi cedettero, ma delle mani forti mi tennero su. Non avevo davvero idea di cosa stesse succedendo. Pensavo solo a concentrarmi sul tenere l'asciugamano sulla mia faccia.
In qualche modo, finii in infermeria, appollaiato in modo imbarazzante su una barella, con mezza dozzina di persone che mi ronzavano attorno con fare urgente. Il Dr. Leto mi tolse l'asciugamano dal naso e quasi vomitai nel vedere la massa coagulata di sangue sul materiale bianco. Il mio stomaco si stava agitando insostenibilmente e avevo il forte sospetto che fosse per il sangue ingoiato. Una delle infermiere, una ragazza incredibilmente alta, mi passò una borsa del ghiaccio e mi insegnò come tenerlo sulla faccia. Avrei fatto tutto ciò che mi avrebbero detto, perchè, se tutto fosse andato bene, sarebbero stati tutti così preoccupati per me che si sarebbero scordati di rimproverarmi. Per tutti, intendevo Markman, ovviamente. Era una vana speranza.

Il Dr. Leto mi puntò una torcia negli occhi. Aggrottò le ciglia e la puntò di nuovo. Mi preoccupai per un secondo, fino a quando disse “Risposta delle pupille, normale.” L'infermiera alta annuì e scrisse un piccolo appunto su quello che ipotizzai fosse il mio file, prima di riempire una casella sul foglio che teneva in mano. Cercai di vedere cosa stesse scrivendo, ma il Dr. Leto mi rimise giù. 
“Segui il mio dito, Gerard,” mi ordinò lui, tenendo il dito di fronte al mio naso. Sospirai e feci quello che mi era stato detto. Sembrava soddisfatto dalla mia risposta e ciò mi fece guadagnare un altro punto.

“Ti senti stordito?” chiese.
“No.”
“Hai la vista sfocata?”
“No.”
“L'udito è nella norma?”
“Sì.”
“Ti senti assonnato?”
“No.”
“Sai chi sono?”
“Sì,” sospirai, innervosito. Mi stavo già stufando di queste domande. “Sto bene,” annunciai.
“Sai chi sono? Come mi chiamo?” il Dr. Leto ignorò la mia dichiarazione e continuò con le domande.
Ghignai. Volevo così tanto dire qualcosa di ironico e scortese, anche se non dovevo. Oh, che diavolo. Lo meritava.
“Sei il dottore incompetente che mi ha mandato in overdose da Valium,” proclamai.
Tutte le infermiere si fermarono a guardare il Dr. Leto, che lentamente stava diventando tutto rosso. Rosso di rabbia -comunque- non di imbarazzo. Mi guardò in cagnesco e sbattè la torcia sul tavolo.
“Sta bene,” grugnì e se ne andò dalla stanza.
“Sto bene,” ripetei, annuendo in modo rassicurante alle infermiere che sembravano davvero divertite. “Posso andare ora?” avevo un affare di cui occuparmi.
L'infermiera alta che credevo ciecamente dovesse essere una supermodella, non mi lasciò andare. Mi fece ristendere e mi premette quella fredda borsa del ghiaccio sulla faccia. Il ghiaccio mi aveva intorpidito tutto il lato del viso, quindi non sentivo molto dolore. Anche il naso aveva smesso di sanguinare. Un altro punto.
“Perchè non posso farlo da un'altra parte?” chiesi, cercando di creare una conversazione con la supermodella.
“Devi essere tenuto sotto osservazione,” disse, porgendomi una nuova borsa del ghiaccio.
“Ma il Dr. Leto ha detto che sto bene. Davvero. Nessuna lesione cerebrale, giuro!”
“La dottoressa Markman dice di tenerti sotto osservazione fino al suo arrivo.”
Lo stomaco mi si rivoltò spiacevolmente. Mi avrebbero tenuto in cattività fino a quando lei non sarebbe arrivata per uccidermi? Era proprio una cosa meschina.
Pensai che non era stata davvero una cosa da me dare un pugno a Bert in quel modo. Probabilmente avrei dovuto lasciare che se ne occupasse Markman. Era tutta colpa sua. Se non mi avesse spiato, in primo luogo non mi sarei arrabbiato. E se non fossi stato arrabbiato, non sarei stato così frettoloso nel prendere a pugni Bert. Vedete, colpa sua.
Ma ancora, lei non aveva visto lo sguardo sul volto di Frank. Si vergognava già di sé stesso ancor prima di quello che era accaduto; non aveva bisogno che Bert gli dicesse stronzate come, “lurido frocio” in faccia.
Non c'era nulla di male nell'essere frocio. Avrei dovuto saperlo.
Sperai che Frank stesse bene. Dovevo davvero uscire da lì e vederlo. Avevo solo bisogno di trovarlo e dirgli che era perfetto com'era. Era bellissimo. Avevo bisogno di ricordarglielo.
Spesi le ore seguenti pensando ai modi per spiegare a Frank che Bert era un bugiardo e che non doveva vergognarsi o essere imbarazzato. In effetti, ero così immerso nei miei pensieri che non sentii il rumore dei tacchi alti fino a quando la sua proprietaria non apparve davanti alla porta. Deglutii mentre Markman mi osservava dall'entrata. Mi preparai per le urla o la ramanzina, ma non arrivarono. Non disse nulla. Non significava che non fosse infuriata. Veramente significava che era assurdamente infuriata. Significava che fumava di rabbia. Era sorprendente che il vapore non stesse uscendo dalle sue orecchie.
Markman camminò verso il comodino e prese la torcia del Dr. Leto. Mi misi a sedere automaticamente e guardai l'annuncio dei nuovi regolamenti di rianimazione appesi sul muro dietro di lei. Guardai l'annuncio ed evitai ogni contatto visivo. Non la guardai nemmeno mentre seguivo il suo dito lungo il mio campo visivo. Quando si alzò per andare a vedere gli appunti che il Dr. Leto aveva scritto, notai che tutte le infermiere avevano lasciato la stanza. Il panico risalì nella mia gola. Come potevano lasciarmi così?!
Markman chiuse il mio file e guardò l'orologio sul muro. “Hai trenta secondi per giustificarti,” ordinò furiosa.
Guardai anche io l'orologio. La seconda lancetta aveva appena passato il due. Mi ci volle fino all'otto per cominciare a salvarmi dall'eterna dannazione. Merda, avevo appena perso tre secondi. Inspirai a fatica. “Non è stata colpa mia,” proclamai. Okay, non era un completa bugia; lui mi aveva sputato per primo.
Markman non rispose. Rimase lì, digrignando i denti fino a quando non finirono i miei trenta secondi. Non dissi nient'altro in mia difesa. Ero già affondato.
“E' una mia supposizione che tu abbia colpito Bert per primo?” disse Markman con calma.
“Hmmm,” mormorai, tenendo poco chiara la mia risposta.
“Significa che hai cominciato tu.” Non era una domanda.
Gesù, che cos'era? Jerry Springer**? Non pensavo davvero che fosse il caso di chi aveva iniziato cosa.
“Ho ragione, Gerard?”
“Sì, bhè, lui ha continuato!” esitai. “E' comunque male, sa?”
“Okay,” disse lei semplicemente.
Ero scioccato. No, non poteva finire la conversazione in quel modo. Avevo ancora bisogno di difendere la mia causa. Decisi di dirle quello che aveva detto Bert.
“Ha chiamato Frank 'lurido frocio',” dissi, sentendo risalire un po' di rabbia. Chiusi la mando destra in un pugno e trasalii per il dolore che mi provocò.
Markman si alzò e chiuse gli occhi per un secondo. “Oh,” soffiò leggermente.
“Non gliel'ha detto, non è vero?” chiesi.
Markman scosse la testa verso di me. “No, non l'ha fatto,” disse, pesando ogni singola parola mentre la diceva.
“Non dico che giustifichi quello che ho fatto, ma deve capire, nessuno merita di essere chiamato così,” la informai.
“Lo so. Sono d'accordo.” Markman sembrava assorta dai suoi pensieri. Si sedette e spostò la mia cartella sul suo grembo. La guardai mentre iniziava a scrivere qualcosa. Comunque non mi preoccupò il fatto di vedere cosa stesse scrivendo. Non ne valeva la pena stavolta.
Dondolai le gambe sotto la barella e improvvisamente mi ricordai di alcune cose che dovevo chiederle. Decisi di iniziare delicatamente.
“Ho un tumore al cervello?” chiesi, provando -e non riuscendo- ad apparire disinvolto.
Markman mi guardò e il suo sguardo mi allarmò. Non avevo davvero un tumore al cervello, non è vero? Porca troia, forse sì. Forse era per questo che vedevo Jasper. Doveva essere inoperabile. Significava che stavo per morire? So che ho detto che volevo morire in passato, ma stavo solo scherzando.
“Non che io sappia,” disse Markman infine.
La mia velocità cardiaca rallentò di nuovo. “Allora perchè è così interessata al mio cervello e continua a fare le ecografie?” insistei.
Markman si bagnò le labbra mentre pensava. Sembrava abbastanza riluttante nel voler rispondere alla mia domanda. “Bhè,” cominciò, e io mi avvicinai impazientemente. Sarebbe stata finalmente onesta con me riguardo qualcosa? “Un po' di anni fa hai avuto un incidente.”
Non me lo ricordavo. Non mi ricordavo un sacco di cose degli anni passati. “Che incidente?” chiesi avidamente.
Markman fece un respiro profondo e si fermò per un lungo momento. Alla fine, disse “E' stato solo un incidente.”
Feci un rumore scocciato con la gola. “Un incidente d'auto? O un incidente sportivo? Cos'è stato? Me lo dica?!” domandai.
“No. Vuoi sapere qualcosa riguardo le ecografie o no?” disse bruscamente. Mi azzittii e la lasciai continuare. “Hai avuto un incidente e questo ti ha comportato quella lesione cerebrale. Vogliamo fare le ecografie regolarmente per tenere d'occhio la situazione. E' tutto.”
E' tutto? La bocca mi si seccò e lo stomaco mi vibrò. Avevo una lesione cerebrale? Non potevo avere una lesione cerebrale. Mi sentivo bene. Alzai la mano libera per tenermi la testa. C'era qualcosa di sbagliato nel mio cervello?! No, no, non poteva essere. C'erano i miei segreti dentro. Non potevo avere i segreti del mondo in un cervello danneggiato.
Markman si alzò e venne verso di me. Prese la mano con cui mi stavo tenendo il cranio e la strinse. “Sapevo che non avrei dovuto dirtelo,” disse, aggravata.
“Ci sono i miei segreti dentro,” sussurrai in modo ridicolo.
“Lo so. Andrà tutto bene. Stai bene. Davvero. Te lo prometto.”
La guardai dubbioso. Non stavo bene. Nemmeno un po'. Markman si risiedette e cominciò a scrivere altri appunti. Io mi ristesi sul letto, appoggiando ancora la borsa del ghiaccio sulla mia faccia. Fissai il soffitto, ricordando la notte che Frank era sgattaiolato lì e mi aveva chiesto per la prima volta di baciarlo. Questo mi fece male al cuore, oltre che alla testa.
Spiai la telecamera nell'angolo della stanza e la ragione iniziale per cui volevo parlare con Markman mi ritornò in mente. Mi alzai di nuovo e puntai il dito verso di lei.
“C'è una telecamera nella mia stanza,” la accusai.
Markman non reagì come mi aspettavo. Non alzò nemmeno lo sguardo. “Sì',” disse con tono assente. “C'è una telecamera in tutte le stanze.”
“Tutte le stanze?!” ripetei, inorridito.
“A parte i bagni,” rettificò.
“E' una seria violazione della privacy!” urlai.
Markman mi guardò. Era confusa sul perchè fossi arrabbiato. Le avrei detto il perchè. “Lei ci sta spiando!” esclamai.
“A mala pena,” mi derise. “I filmati sono esaminati solo se necessario. Sono usati solo per determinare le cause delle dispute o altri incidenti o episodi.”
Rimasi stizzito, infastidito da come aveva contraddetto la mia discussione.
Ora era il turno di Markman di tirarsi avanti. “Perchè sei così preoccupato, Gerard?” mi chiese, stringendo gli occhi verso di me.
“Non lo sono,” risposi automaticamente.
“Hai fatto cose che non dovevi fare?” si ostinò.

“No,” replicai, non guardandola. Rialzai lo sguardo proprio in tempo per vederla sorridere mentre si rimetteva seduta sulla sedia. “Un momento,” dissi sospettoso, e Markman alzò lo sguardo in maniera innocente. “Lei sa qualcosa?”
“No, non so niente.”
Ha. Il primo segno di colpevolezza è negare l'accusa. Allargai gli occhi. “Lei sa?”
Lei sapeva. Sapeva di me e Frank. Potevo vederlo. Potevo percepirlo. Porca troia Eva. Non mi ero mai sentito così imbarazzato in vita mia.
“Sapere di cosa?”
“Di me e Frank?” dissi, guardandola attentamente per vedere la sua reazione.
Lei cercò di far finta di non avere idea di cosa stessi parlando, ma fallì miseramente. “Non so niente,” mentì velocemente.
“Come fa a saperlo?” domandai. “Ha detto che non guarda i filmati! Ha detto così!”
Markman stava cominciando ad agitarsi. “Non l'ho fatto,” insistette.
Balzai giù dal letto e, quando capii, lasciai che la borsa del ghiaccio cadesse per terra. “Gliel'ha detto.”
Markman evitò il mio contatto visivo, e fu tutto ciò di cui avevo bisogno per confermare le mie paure. “Gliel'ha detto,” ripetei, sfinito. Sembrava proprio che il piccolo segreto mio e di Frank non fosse affatto un segreto. “Perchè avrebbe dovuto farlo?” domandai.
“Gerard....” Disse Markman impacciatamente, alzandosi.
“Perchè avrebbe dovuto dirlo a lei?” domandai di nuovo, determinato a ottenere una risposta.
“Non ripeterò nulla di quello che Frank mi ha detto, specialmente non a te,” disse con calma, liquidandomi.
Con rabbia, diedi un calcio alla borsa del ghiaccio, facendola slittare sulle piastrelle. Avevo bisogno di una risposta. Se Markman voleva obbedire a questa stupida regola della confidenza dottore-paziente, lo avrei chiesto direttamente a Frank. Ignorai l' odine di Markman di fermarmi e mi diressi verso la caffetteria. Mi guardai attorno per cercare Frank, ma non era a nessun tavolo. Nessun problema, probabilmente era nella sua stanza.

Avevo ragione, come sempre. Presi un secondo per bussare prima di entrare. Non sapevo ancora l'intera storia, quindi non potevo arrabbiarmi con lui. Forse Markman lo aveva torturato per farsi dire cosa avevamo fatto. Chi può sapere?
“Oh, Gerard? Stai bene?” chiese Frank immediatamente, appena mi vide. Era steso sul letto, a fissare il soffitto. Anche a me piaceva farlo. Ma non era questo il problema.
“Gliel'hai detto!” esclamai, ignorando la domanda.
Frank si raggelò, quasi cadendo dal letto. “Te l'ha detto?” sussurrò, sconvolto.
Digrignai i denti. “Non ne ha avuto bisogno,” mormorai con rabbia. “Perchè gliel'hai detto?” Ero deluso. Non capivo perchè Frank avrebbe dovuto dire qualcosa di così personale a Markman. Ora, Ray, avrei capito, ma Markman?!
Frank mi guardò turbato. “Non capisci!” mi urlò.
“Bhè illuminami!” gli urlai anch'io.
Lui si alzò e venne verso di me. “Avevo bisogno di dirlo a qualcuno,” disse, con voce molto più bassa.
“Perchè?” dissi sarcasticamente. “E' una cosa brutta?”
“No, non lo è, veramente,” tirò su con il naso. Mi sentivo in colpa ora. Fantastico, grazie, Frank.
“Pensavo che fosse il nostro segreto. Non credevo che ne avremmo parlato con la nostra terapista. Riveli sempre i dettagli delle tue avventure amorose?”
Appena l'ultima frase lasciò la mia bocca, mi pentii di averla detta. Sapevo cosa stavo insinuando ed era terribile. Le uniche altre persone da cui Frank era stato baciato erano dei rifiuti umani.
“Mi dispiace,” dissi immediatamente, ma fu inutile. Frank aveva già elaborato quello che avevo detto e ne era rimasto ferito. Devastato. Tradito. Era così ovvio. Mi ero abbassato al livello di Bert.
S
i morse il labbro inferiore e incollò gli occhi al pavimento. “Mi sento in colpa,” disse. “Quando ti senti inutile troppo a lungo, ti senti in colpa ogni volta che avverti la felicità. Ho bisogno di qualcuno che mi dica che va bene sentirsi così. E' tutto.”
“Fra-,” cominciai, ma lui mi zittì.
“Per favore, vattene.”
Il mio cuore cominciò a rompersi in mille pezzi. Potevo sentirli scivolare nel mio corpo; i frammenti appuntiti mi causavano spasmi di dolore dappertutto. Feci molti passi indietro, fino a quando non mi ritrovai fuori dalla stanza. Frank mi sbattè la porta in faccia. L'avevo fatto. Avevo rovinato entrambi.
La faccia mi pulsava di nuovo e cominciai la lunga camminata della vergogna verso l'infermeria. Avevo solo fatto metà strada, quando Bob e Ray mi chiamarono. Le prime volte li ignorai, ma continuavano. Alla fine mi girai e li seguii nella stanza di Ray, in modo da zittirli.

“Che stai facendo?” domandò Ray.
“Sto parlando con te,” risposi, domandandomi perchè stessi dichiarando l'ovvio.
“No. Risposta sbagliata.”
Aspettai un secondo, ma non mi disse quale fosse la risposta giusta. Mi girai per andarmene.
“Perchè stai scappando da lui?” Bob alzò le sue mani in aria.
“Cosa?” dissi, davvero confuso ora. Non avevo tempo per questo.
Ray e Bob si sorrisero l'un l'altro e si scambiarono uno sguardo. “Dovremmo dirglielo?” domandò Ray.
Bob annuì; la sua faccia era la personificazione della serietà. “Penso che abbia il diritto di sapere. I colori non mentono.”
Spalancai gli occhi. Perchè ero sempre io quello bloccato dai pazzi? Perchè i pazzi erano attratti da me? Era per il mio odore? Era per il mio taglio di capelli? Voglio dire, ma che cazzo?
Ray spese dieci secondi buoni per controllare la stanza. Guardò ogni singolo angolo e anche sotto il letto. Non avevo idea di cosa stesse cercando. In realtà, non volevo saperlo. Si schiarì la gola come se stesse per fare un annuncio molto importante. “Ho un messaggio per te,” disse con un tono di voce basso e cupo.
Non mi preoccupai di reagire.
“Siamo sicuri che sia per te,” aggiunse Bob.
“Affermativo,” fece eco Ray. “Vedi, ho preso i cereali stamattina e mi hanno lasciato un messaggio. Era anche un messaggio abbastanza importante. Voglio dire, un messaggio che avrebbe potuto scandalizzare o ferire qualcuno.”
Anche se stavo segretamente deridendo entrambi, era di fatto interessante sapere cosa fosse in realtà il messaggio. Qualche volta, Ray se ne usciva con quale messaggio fottutamente fantastico. Diceva cose che ti facevano davvero pensare, “Wow, com'è possibile che se ne sia uscito con una cosa del genere?”
“E poi abbiamo capito che era per 
te,” esclamò Ray. “Sai come facciamo a saperlo?”
“No,” risposi onestamente. Non ne avevo la benchè minima fottuta idea.
“Avevo tre pezzi di cereali rossi e quattro blu nella mia tazza stamattina. Bob aveva la stessa cosa. Era un segno.”
Bob annuì con entusiasmo. “E' vero. Li ho contati di persona. E' da tanto tempo che è stato stabilito che se c'è maggiore concentrazione di pezzi blu piuttosto che di pezzi rossi nella tazza di cereali, allora il messaggio è per te. Semplice come appare.”
Allargai un po' gli occhi. Ho già usato la parola ridicolo prima? Bhè, tutta questa storia era ridicola.
“I colori non mentono,” disse Ray.
“Non mentono,” concordò Bob.
Annuii lentamente. “Devo andare,” dissi. Feci cenno a entrambi e uscii dalla porta.
“Aspetta, Gerard!” mi chiamò Ray. “Non vuoi sapere qual'era il messaggio?”
Mi fermai e sospirai. “Bene,” mormorai. “Qual'era?”
“Vuoi dirglielo tu?” chiese Ray a Bob.
Bob scosse la testa. “No, è il tuo messaggio. Glielo dici tu.”
Ray si avvicinò in tutta la sua altezza. “Il messaggio,” disse drammaticamente. “Nessuno ha detto che amarlo sarebbe stato facile.”
Quasi caddi. Normalmente, mi sarei chiesto se fossero seri, ma sapevo già che lo erano. Erano seri da morire. “Cosa?” rimasi senza fiato.
“Nessuno ha detto che amarlo sarebbe stato facile,” ripetè Ray.
“Chi te l'ha detto? Dimmelo,” insistetti io, quando si scambiarono uno sguardo.
“I cereali, Gerard,” sostenne Ray.
“No cazzo, non sono stati loro!” urlai. “Le tazze di cereali non ti danno messaggi del genere!” Era tutto fottutamente folle. Normalmente ero tollerante -molto tollerante, in effetti- verso gli stupidi messaggi nei cereali di Ray. Ma questo mi avevo proprio spinto al limite. Bob e Ray avevano giudicato la relazione di me e Frank sin dall'inizio. Non potevo credere che pensassero che fossi così stupido da credere che i cereali mi stavano dando un messaggio. Tutta questa storia dei cereali era sono un modo per nascondere le loro vere opinioni.
“Anche questo tipo di messaggi!” si difese Ray, agitando le braccia con rabbia.
“Sei fottutamente pazzo,” lo criticai.

“Neanche tu sei esattamente sano, Gerard! Almeno io non ho gli amici immaginari,” aggiunse lui.
Bob si mise fra di noi e ci allontanò l'uno dall'altro. “Che importa da dove viene il messaggio,” intervenne con calma. “L'importante è quello che ha detto il messaggio, giusto?” ci guardò entrambi. “Giusto?”
La testa mi pulsava, l'interno della guancia mi stava bruciando, il pugno e le nocche mi stavano facendo male. Non volevo davvero essere lì, a discutere su qualche stupido messaggio. Mi sentivo già spaventosamente male per quello che avevo detto a Frank; non avevo bisogno di una lezione su come 'amarlo' da due delle persone più pazze del posto. Ma non mi volevo fare altri nemici. Ray avrebbe potuto dire quello che avevo detto a Frank, e sarebbe finita. Anche più di quanto era finita ora.
“Scusa,” mormorai. Mi dispiaceva. Non era esattamente gentile chiamare qualcuno pazzo -anche se lo era.

Mi guardai attorno nella stanza di Ray. C'ero già stato prima; molte volte, se ricordavo bene. Era un posto... strano. Strano era davvero l'unico modo per descriverlo. Notai che aveva spostato il letto di nuovo al centro della stanza. Lo faceva un sacco di volte e gli infermieri lottavano sempre per farglielo rimette all'angolo. Avevo smesso per un po', ma sembrava che avesse ricominciato a farlo. Non capivo perchè dovesse dormire al centro della stanza. Non ne ero sicuro, ma avevo il presentimento che avesse qualcosa a che fare con i messaggi che aveva ricevuto sin dal primo giorno.
La stanza era sempre molto buia. Anche se le luci erano accese, era sempre molto tetra e scura. C'era un grande lenzuolo nero sulla finestra che eliminava un sacco di luce. Una volta gli chiesi perchè tenesse sempre la sua stanza al buio. Lui mi disse che era perchè “i messaggi che interpretava dalla luce sul muro erano sempre brutti.”

Sorrisi da solo ricordando quella conversazione. Probabilmente era stata la prima conversazione che avessimo mai avuto. Era proprio in quel momento che avevo capito di essere l'unica persona sana in quel posto. Era proprio in quel momento che mi ero rassegnato alla solitudine. Quando Frank era arrivato, avevo pensato che forse tutto sarebbe cambiato. Finora, ero stato capace di mandare a puttane ogni singola opportunità che avevo avuto con lui. Pensai che la mia vita era migliore quando tenevo la bocca chiusa. Forse era giunto il momento di smettere di parlare di nuovo. Hmmm.
“Parliamo del vero problema,” cominciò Bob, girandosi verso di me. “Perchè stai scappando da Frank? Perchè ti stai arrendendo?”
Lo guardai male. Non ero venuto lì per essere rimproverato. “Non mi piace più,” mi difesi.
Bob e Ray si scambiarono un sorrisetto. “So che sei un ragazzo davvero intelligente, quindi questa te la lascio passare,” disse Ray gentilmente.
“Ha bisogno di qualcuno che combatta per lui,” mi informò Bob.
“Devi combattere per lui,” confermò Ray.
Questo mi fece sentire stupido e irritato. “Perchè dovrei combattere per lui quando lui non combatterà mai per me?” chiesi.
“Ha bisogno di qualcuno che combatta per lui. E' lui quello tutto rotto e ferito. Tu sei soltanto solo. Lui è rotto, Gerard. Ha bisogno di qualcuno che lo ricomponga. Ha bisogno di qualcuno che combatta per lui. Ha bisogno di sapere che è amato.” Ray continuò a ripetere ancora questa frase.
Combattere per lui.
Era questo che dovevo fare? Dovevo smettere di accettare i suoi continui rifiuti e dirgli come mi sentivo? Significava che avrei dovuto ammettere che lo amavo? Potevo a malapena dire la parola nella mia testa; come potevo dirglielo in faccia?
Non ebbi il tempo di sentire nient'altro di quello che avevano detto Ray e Bob, perchè Markman mi trovò. “Andiamo,” mi ordinò, indicando il corridoio. Obbedii e lasciai la stanza senza dire nemmeno una parola e entrambi i miei consiglieri. Accettai la borsa del ghiaccio da Markman e la seguii. “Dove stiamo andando?” le domandai.
“In ospedale.”
Spalancai gli occhi. “Ma sto bene,” annunciai. Stavo bene.
“E' solo una precauzione. Voglio solo fare alcuni test.”
“Ecografie?” domandai.
“Sì.”
“Per vedere il mio tumore al cervello?” domandai. Non ero ancora convinto di non averne uno. Comunque, avrei preferito avere un tumore al cervello piuttosto che una lesione cerebrale come diceva lei.
Markman mi guardò di traverso e quasi mi sorrise. “Se dici così.”

Combattere per lui.
Eravamo quasi arrivati alla porta di vetro chiusa a chiave che conduceva all'ingresso principale. Una volta superata questa porta, eri aperto al mondo. Riuscivo già a vedere fuori. Non uscivo da quel posto da un po' e non vedevo l'ora di cambiare scenario. Markman strisciò la sua carta e digitò il codice di accesso così rapidamente che me lo persi. Tutto ciò che vidi era lei che premeva il bottone di 'apertura'. La luce diventò verde e la serratura fece un leggero rumore sordo mentre si sbloccava.
“Aspetti,” dissi di sfuggita quando feci un passo attraverso la porta.
Combattere per lui.
“Torno subito,” promisi, lasciando la borsa del ghiaccio nelle mani di Markman, prima di girarmi e tornare indietro verso l'ala ovest.
Combattere per lui. Ray aveva ragione. Nessuno aveva mai detto che amarlo sarebbe stato facile. Questa volta sapevo esattamente cosa dovevo dire. Dovevo combattere.


 

 

 

Note di traduzione:
* letteralmente “apparecchio incorporato fatto in casa riguardo Frank”, nel senso che è come se avesse un recettore che indica quando Frank è nei paraggi. In italiano faceva abbastanza schifo, quindi ho deciso di mantenerlo nella lingua originale perchè rende molto di più.

**
The Jerry Springer Show, diretto da Jerry Springer, è un talk show dove famiglie problematiche o disfunzionali si recano per discutere i loro problemi davanti al pubblico presente in studio, in modo che il pubblico stesso o gli altri ospiti possano offrire loro suggerimenti e consigli su come migliorare o risolvere le varie situazioni.

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Capitolo 14
*** 14. ***


A SPLITTING OF THE MIND

***

14.

 

If All Is Not Lost, Where Is It?


 





Rallentai e inconsciamente mi lisciai la maglietta, mentre mi avvicinavo alla stanza di Frank. Volevo battere il pugno sulla porta, aprirla con un calcio e fargli vedere quanto mi avesse reso furioso. Ma non lo feci. Certo che non lo feci.
Solamente bussai con gentilezza e aspettai. Mi domandavo se Frank sapesse che fossi io alla porta, e mi stesse solo ignorando. Mi sarei ignorato anch'io.
Infine aprii la porta ed entrai dento. Il grande discorso che mi ero preparato in testa, svanì.
Frank stava dormendo. Che delusione. Sospirai e feci un passo avanti. Era rannicchiato in mezzo al letto, con le coperte sparpagliate attorno a lui. Sembrava malato. Era l'unica parola per descriverlo. Aveva le braccia strette attorno alla pancia e i capelli sudati attaccati alla fronte, anche se faceva abbastanza freddo nella stanza.
Mi chiesi se avesse qualcosa a che fare con quello che avevamo detto io e Bert. Avevo sentito di problemi emozionali che si manifestano come problemi fisici. Avevo reso io Frank così?
Cazzo.
Lo stomaco mi faceva male e tutto ciò che volevo era sdraiarmi accanto a lui e stringerlo fra le braccia. Volevo solo rimediare. Odiavo sentirmi così inutile.
Nonostante il mio travolgente desiderio di abbracciarlo, non mi avvicinai di più. Non volevo svegliarlo. Stetti per un minuto a fissarlo, il senso di colpa per quello che avevo detto prima mi stava divorando dentro. Mi odiavo così tanto.
Alla fine mi ricordai che Markman mi stava aspettando, quindi uscii desolato dalla stanza e chiusi di nuovo la porta. Sulla strada per tornare da Markman, passai davanti alla sala giochi, dove trovai Ray e Bob che stavano giocando a poker. Diedi un'occhiata alla mano che aveva Ray. Aveva tre sei. Non male. Entrambi mi prestarono attenzione quando mi avvicinai a loro.
“Penso che Frank abbia qualcosa di strano,” dissi. “Penso sia malato. Potete passare a controllarlo dopo? Adesso sta dormendo.”
Ray sembrava davvero preoccupato. “Certo,” disse. Guardò Bob. “Te l'ho detto che aveva qualcosa di strano stamattina.”
Bob annuì serenamente. “Ci occuperemo di lui,” promise.
Li ringraziai entrambi e me ne andai. La mia preoccupazione non si era ridotta, ma non c'era niente che potessi fare. Sospirai e ritorrnai da Markman.
Fui sorpreso di vedere che mi stava ancora aspettando alla porta di vetro. Mi aspettavo che mi venisse a cercare. Sembrava che mi 
avesse creduto quando le avevo detto che sarei tornato subito. Non avrei mai creduto di usare quella parola per descrivere il nostro rapporto.
“Cosa stavi facendo?” mi disse, mentre tornavo verso di lei con aria indifferente.
“Cercavo di rimediare ad alcune cose,” risposi in modo enigmatico.
“Oh.” Markman annuì intenzionalmente. Ero sicuro che potesse leggere la mia mente.
Ero un po' scocciato di non aver potuto dire a Frank quello che volevo. Non avevo potuto dirgli che avrei combattuto per lui.
Ora sapevo che quello che avevo programmato di dirgli non sarebbe stato proprio poetico. Non sarebbe stato degno di nota. Non sarebbe passato alla storia come la più grande dichiarazione d'amore di tutti i tempi. Ma pensavo che avrebbe significato qualcosa per lui.Gliel' avrei detto quella notte, tornato da quello stupido, inutile viaggio. Odiavo essere strappato via prima di avere l'opportunità di mettere a posto le cose. Cosa sarebbe successo se Frank si fosse svegliato odiandomi ancora? Cosa sarebbe successo se quella notte sarebbe stato troppo tardi per rimediare?
Fanculo.
Sbuffai rumorosamente mentre seguivo Markman nella macchina che ci stava aspettando. A proposito, era una macchina fottutamente bella. Non avevo idea di che modello fosse; tutto ciò che sapevo era che la volevo per me. Non sapevo guidare, ma quanto poteva essere difficile?
Mentre mi sedevo sul sedile di cuoio, notai per la prima volta da un po' che la faccia mi faceva di nuovo male. Tutta la parte sinistra del mio viso stava pulsando in modo orribile.
Sarebbe stata una giornataccia.
In un giorno avevo scoperto tre cose: venivo spiato, ero un incompetente nelle risse ed ero anche un incompetente nel mantenere ogni tipo di relazione sentimentale. E poi, tornato all'istituto psichiatrico, dovevo preoccuparmi di quello che stava passando Frank.
Speravo davvero, davvero, sinceramente che mi perdonasse. Era davvero bello baciarlo. Cosa non avrei dato per farlo di nuovo. Avrei rinunciato a quella macchina. Anche se non era mia, ci avrei rinunciato.
Sembrava che ci stessero aspettando, all'ospedale. Mentre entravamo, fummo raggiunti da due uomini con un completo nero. Uno camminava rapidamente davanti a noi, e l'altro dietro.
Non avevo mai visto nessuno dei due. Non avevo idea di che cazzo stesse succedendo. Sembrava che fossero una specie di scorta di sicurezza. Questo pensiero mi rese furioso. Non avevo intenzione di scappare o qualcosa del genere. Sapevo che Markman non mi credeva veramente.
In realtà, sembravano un po' familiari. Avevo visto persone con il completo nero come il loro una o due volte a Bluestone.
Merda, sembrava così probabile che potessi scappare?
Era una fottuta giornataccia.
Il mio umore era diventato anche più tetro quando raggiungemmo il reparto Radiografie. Tenni il broncio per tutto il tempo dell'ecografia. Feci, comunque, tutto ciò che quella stupida macchina mi diceva di fare. Non volevo mandare niente a puttane. Odiavo quel posto e volevo tornare a casa.
Ah, non è patetico e ridicolo considerare casa tua un istituto mentale?
Dopo l'ecografia mi fu ordinato di sedermi su una delle sedie in sala d'aspetto, fuori dalla stanza. C'erano sette dottori, inclusa Markman, tutti attorno al tavolo luminoso, indicando la mia ecografia e discutendo l'un l'altro riguardo qualcosa. Mi divertì per un po', ma dopo mi sentii molto imbarazzato. Mi ricordai del mio apparente trauma cerebrale e mi chiesi se era per quello che si stessero animando così tanto.
Porca troia! Forse avevano trovato un tumore al cervello! Sapevo che ne avevo uno.
Uno degli uomini in completo nero stava in piedi, distante molti metri . Se ne stava rigidamente a testa alta, come se fosse in un campo pratica dell'esercito o qualcosa del genere, e l'istruttore gli stesse urlando in faccia. Inoltre stava guardando con attenzione verso il corridoio. Non riuscivo a capire cosa stesse fissando. Qualcosa riguardo il muro alla fine del corridoio doveva essere davvero interessante per lui. Notai che aveva un auricolare nell'orecchio. Il filo scendeva giù lungo il suo collo e sul colletto della camicia bianca e stirata. Interessante.
Provai ad attirare la sua attenzione. “Quindi, di cosa siete? FBI?” chiesi.
Nessuna risposta.
Tentai di nuovo. “CIA?”
Niente.
Pensai per un po'. “Servizi Segreti?”
L'uomo in completo nero mi diede un'occhiata per mezzo secondo, prima di ricominciare a fissare il nulla. Allargai gli occhi.
“Porca troia!” esclamai. “Servizi Segreti? Il Presidente è qui?!
L'uomo in completo nero mi guardò. “No, signore,” disse bruscamente.
La mia emozione svanì. “Che peccato,” dissi. “Avrei davvero voluto incontrare il Presidente.”
L'uomo in completo nero si girò per guardarmi, con un intenso sguardo di perplessità sul volto. Ero confuso quanto lui. Non capivo perchè mi stesse guardando in quel modo. Cosa c'era di strano nel voler incontrare il Presidente?
“Che ho detto?” chiesi, sulla difensiva.
“Gesù Cristo.” L'uomo scosse la testa in quella che supposi fosse incredulità e riprese a guardare intensamente in fondo al corridoio.
Gli lanciai un'occhiataccia. Ero così stanco delle persone che mi nascondevano i segreti. Ora anche completi sconosciuti mi stavano nascondendo segreti. Camminai con passo pesante verso di lui e mi misi proprio davanti al suo campo visivo. “Cosa?!” domandai.
“Niente, signore.”
Feci un rumoroso suono di disgusto e mi allontanai da lui, verso il bagno.
Chiusi la porta, la bloccai e scivolai fino a quando non mi rannicchiai sul pavimento. Un piccolo nodo d'ansia mi si stava formando nello stomaco. Avevo davvero paura che qualcosa nella mia ecografia non andasse bene. Markman non ci aveva mai messo così tanto. Non c'erano mai stati neanche sette dottori a discuterne. Mi lamentai per un paio di minuti, prima di prendere la brutta decisione di controllarmi la faccia allo specchio.
Il mio bel viso era rovinato. Il livido era già uscito sotto il mio occhio sinistro e sulla guancia, e mi faceva sembrare un mostro. C'erano anche parecchi piccoli tagli e abrasioni che non avevo notato prima. Il labbro spaccato era anche peggio di come pensassi. Toccai con cautela la pelle scura attorno all'occhio e sussultai per il dolore. L'unica cosa buona era che non era molto gonfio. Grazie a Dio, perchè non avevo bisogno di sembrare anche in pesce palla.
Era davvero, davvero, un giorno terribile. Volevo che fosse già finito.
Mi bagnai le mani sotto il rubinetto e provai a pulire un po' del sangue secco che le infermiere avevano mancato. Faceva troppo male toccarmi la faccia, quindi smisi. Accartocciai il pezzo di carta igienica che avevo usato per asciugarmi le mani e lo lanciai nel cestino. Mentre lo guardavo entrare nel cestino nero, notai un giornale piegato in due e lo aprii nel mezzo. I miei occhi si illuminarono increduli. Non ci era permesso leggere il giornale nell'istituto psichiatrico e morivo sempre di sapere cosa stesse succedendo nel mondo esterno. Strappai il foglio e lo appoggiai sul pavimento del bagno. La prima cosa che catturò i miei occhi fu il titolo in prima pagina.


Diceva: Ballato alla difesa del figlio maggiore

Sotto il titolo c'era una foto di Lindsey, il mio inquietante avvocato. L'immagine prendeva tutta la prima pagina. Sembrava abbastanza seria in quella foto. Era in piedi accanto ad altri uomini che sembravano remotamente familiari. Velocemente girai alla pagina dopo per vedere se la storia continuava. Non avevo idea di che storia si trattasse, ma proprio quando stavo per cominciare, Markman bussò alla porta e mi chiamò. Impaurito, alzai lo sguardo.
“Solo un secondo,” dissi. Sarei morto se mi avesse beccato a leggere un giornale. Piegai la prima pagina e la infilai dentro la tasca dei jeans. Rimisi il giornale dentro al cestino e lo coprii con la carta igienica. Nessuno l'avrebbe mai saputo.
Aprii la porta e ci trovai davanti Markman. Mi stava porgendo la vestaglia ospedaliera che ti era richiesta di indossare quando stavi per sottoporti alle ecografie.
“Puoi rimettertela, per favore,” mi domandò, con voce forzata.
Sapevo perchè. “Altre ecografie?” dissi. Qualcosa stava andando definitivamente male.
“Altre ecografie,” confermò lei con calma, dandomela in mano.
Markman era più vicina al piangere di quanto l'avessi mai vista prima.

 

***


Era ora di cena quando tornammo a Bluestone. Markman non mi aveva più detto niente dall'incontro in bagno. Il nodo nel mio stomaco si stringeva dolorosamente per ogni minuto di silenzio che passava fra di noi nella macchina.
Mi fece venir voglia di piangere. Ero letteralmente stufo di questa ansia.
Sapevo che c'era qualcosa di brutto nella mia testa. Non era solo la mia paranoia. Era reale.

Markman non ebbe nemmeno il tempo di accompagnarmi dentro. Ordinò a uno degli uomini col completo nero di portarmi all'ingresso e farmi entrare. Alleviato dall'essere tornato a casa, mi diressi verso la caffetteria. Non perchè avessi fame, ma perchè sapevo che erano tutti lì. Presi una tazza di zuppa come sempre e mi sedetti lentamente al mio tavolo. Tutti mi stavano fissando. Certo che mi fissavano -ero il fottuto idiota che era stato preso a pugni quella mattina.
Mi obbligai a ingoiare due cucchiaiate di tiepida pappetta verde prima di arrendermi. Frank non era in caffetteria. Vidi Bob e Ray, comunque, e decisi di unirmi e sedermi al loro tavolo. Non mi ero mai seduto a un altro tavolo prima. Mi sentivo strano e alieno. Mi stavo sedendo con loro perchè avevo bisogno di notizie su Frank.
“Buona sera, Gerard,” disse Bob.
“Come sta Frank?” ignorai i suoi complimenti. Non mi sentivo a mio agio a sedermi a quel tavolo. Volevo andarmene.
“Avevi ragione,” disse Ray.
Naturalmente, Ray. Io ho sempre ragione. Io so certe cose.
“Frank è malato.”
Lo sapevo. “Sta bene, comunque?”
“Non sta per morire, se è quello che intendi?”
Guardai male Ray. Non era divertente fare battute sulla morte. Per niente. Non quando avevi ucciso qualcuno con le tue stesse mani. Non era per niente divertente.
Lasciai il tavolo senza ringraziare. Ero preoccupato per Frank. Non avevo mai avuto un amico per cui mi fossi preoccupato.
Anche se, tecnicamente parlando, Frank e io non eravamo amici al momento, mi sentivo ancora obbligato a preoccuparmi per lui. Andai nella mia stanza e mi stesi sul letto. La testa mi pulsava ancora e tutto ciò che volevo era chiudere gli occhi e finire quella giornata.
Mi domandai se dovessi andare a cercare Frank, ma mi addormentai prima di prendere una decisione.
Mi svegliai quattro ore dopo a causa dell'incredibile dolore che emanava la parte sinistra della mia faccia. Fanculo, Bert. Spero di averti rotto il mento. Se non l'ho fatto, sarò felice di riprovarci di nuovo.
Restai nell'oscurità per molto tempo, con gli occhi chiusi, sperando di potermi addormentare di nuovo. Non riuscivo a decidere quando alzarmi per cercare l'inserviente in servizio e pregare per qualche antidolorifico. Volevo, ma non volevo che qualcuno sapesse che non sapevo sopportare il dolore. Potevo solo immaginare il dolore e la vergogna che Frank doveva affrontare ogni giorno. Questo non era niente.
Passò un'altra ora e io non ne potevo più. Andai verso la porta e la aprii, sbattendo le palpebre a causa delle luci accecanti. Era strano, di solito non c'erano così tante luci a quell'ora della notte. Ero a malapena da due minuti sulla porta, quando Ben arrivò correndo nel corridoio, portando asciugamani e secchi. Sembrava sorpreso di vedermi.
“Che succede?” mi chiese.
Era per questo che mi piaceva Ben. Tutti gli altri mi avrebbero rimandato a letto. Almeno Ben mi dava un'opportunità per spiegare la mia situazione.
“Non riesco a dormire,” dissi, e inconsciamente mi toccai la faccia ferita.
“Oh, certo. La dottoressa Markman ti ha prescritto qualche antidolorifico. Ne vuoi uno?
Annuii; potevo già sentire il sollievo.
“Sono occupato al momento, quindi dovrai aspettare un paio di minuti, okay?” Ben se ne andò di nuovo, senza aspettare la mia risposta.
Erano le 2.15 del mattino, cosa stava facendo?
Ero un ficcanaso. Mi piaceva sapere tutto ciò che succedeva in quel posto dimenticato da Dio. Era l'unico modo per passare le giornate, a volte. Cominciai a camminare nella direzione da cui avevo visto arrivare Ben. Come girai l'angolo, notai che le luci del bagno erano accese e la porta di Frank era aperta. Il mio stomaco si contrasse con dolore e accelerai i passi verso il bagno. Mi guardai attorno e vidi Frank accovacciato sul pavimento, che vomitava in un secchio. Lui non mi vide e io non annunciai la mia presenza. Indossava solo un paio di boxer neri e una maglietta completamente nera. Non avevo mai visto le sue gambe così scoperte, tralasciando l'incidente della doccia.
Da dove ero, potevo vedere che i suoi vestiti e i suoi capelli erano sudati e incollati alla pelle. Ovviamente aveva la febbre.
Rimasi accanto alla porta e continuai a guardarlo vomitare, fino a quando tutto ciò che potè fare furono conati secchi. Stavo quasi per parlare, quando Ben mi diede una gomitata. Lo guardai riluttante e lui mi guardò infastidito. Indicò la mia stanza, ovviamente per ordinarmi di tornarci dentro.
Pensava davvero che avrei lasciato Frank da solo? Nessuna chance.
Notai la bottiglietta d'acqua e gli asciugamani puliti che aveva in mano. Glieli presi e andai verso Frank. Mi accovacciai accanto a lui in modo apprensivo e gli porsi la bottiglietta.
Frank la accettò svogliatamente e fece qualche grande sorso.
“Non ti voglio qui,” disse appoggiando la bottiglietta, abbracciandosi lo stomaco.
“Non me ne andrò.” Neanche per sogno, amico.
Frank mi guardò con la coda dell'occhio in modo sprezzante. Stava per dire qualcosa, quando la mano gli scivolò sulla bocca, nel panico. Cercò di prendere il secchio, ma fu troppo lento e l'acqua che aveva appena ingoiato tornò su, nelle sue mani, e tutto addosso. Presi il secchio e glielo porsi, sentendomi incredibilmente dispiaciuto per lui. Velocemente bagnai un po' l'asciugamano nel lavandino e aspettai fino a quando lui finì di vomitare nel secchio. Silenziosamente glielo porsi, e lui me lo prese dalle mani.
Mi avvicinai delicatamente con un altro asciugamano e cominciai a pulirgli la faccia. Lui si irrigidì tutto mentre lo facevo, ma non mi fermò. Mi guardò soltanto, mentre lo aiutavo a ripulirsi. Cominciai a tamponargli il corpo, ma mi fermai prima di raggiungere l'ombelico. Entrambi deglutimmo rumorosamente e velocemente tolsi l'asciugamano. Frank lo prese, le sue guance erano diventate tutte rosse. Bhè, anche più rosse, considerando che il suo viso era già arrossato dalla febbre.
“Non voglio che tu mi veda così,” sussurrò.
Indicai la mia faccia. “Non sto molto meglio.”
Un piccolo sorrisetto apparve mentre era concentrato a pulirsi la maglietta. Velocemente diedi un'occhiata alla porta, e fui felice di vedere che Ben se n'era andato. Presi tutto il mio coraggio e mi avvicinai, sfiorando la guancia di Frank con la punta delle dita. Lui non si tirò indietro, ne' si mosse.
“Non riesci a vedere quando sei bello, non è vero?”
Lo pensavo. Non avevo mai creduto a nient'altro in vita mia. Ma ancora, Frank scostò la mia mano e si spostò via da me. Non riuscivo a comprendere perchè non capisse.
Frank,” lo implorai.
“Non riesco a vederlo, Gerard,” sussurrò lui con aria infelice. “Tu non capisci.”
“Cos'è che non capisco?” chiesi.
Frank guardò verso la porta, ma era ancora deserto. Si avvicinò e bisbigliò, “Non me lo merito.”
“Stronzate,” dissi, alzando la voce.
Frank scosse la testa e si allontanò da me, tenendosi la testa affaticata fra le mani. C'era un imbarazzante silenzio fra di noi, e sapevo che lui voleva che me ne andassi. Ma non me ne sarei andato. Gli avrei fatto capire che ero lì per restare. Volevo che capisse che non l'avrei abbandonato, ne' l'avrei lasciato perdere come avevano fatto tutti gli altri. Gli avrei provato che non volevo usarlo.
“Combatterò per te,” dissi.
Frank non reagì, ma sapevo che aveva sentito quello che avevo appena detto. Sospirai leggermente e cambiai argomento. “Sei arrabbiato per quello che ha detto Bert?”
“No.”
“Sei un pessimo bugiardo,” gli dissi.
“Non sto mentendo. Non dovresti arrabbiarti quando qualcuno ti dice la verità su qualcosa” rispose lui svogliatamente, ancora evitando il contatto visivo con me.
“Cosa?!” esclamai, indignato. “Bert è un cazzone.”
“No, non lo è. Ha ragione. Sono sporco. Lui riesce a vederlo. Non è solo nella mia testa. Non posso ripulirmi. Non posso.”
Si strinse i polsi sul viso, cercando di contenere la collera. Oh, cosa non avrei dato per avvicinarmi e tenerlo fra le mie braccia. Sapevo che non importava quante volte potessi provare ad alleviare la sua tortura, avrei sempre fallito.
“Li odio!” esplose lui, colpendo rabbioso una piastrella del pavimento con il pugno chiuso. Stava letteralmente tremando adesso; la sua piccola ossatura si stava consumando per la combinazione di odio e disgusto che aveva per quei bastardi. “Odio tutti.” si girò verso di me. “Odio te!”
Incrociai il suo sguardo furioso. “Perchè?” chiesi, ferito. “Dimmi, perchè?”
“Ti odio perchè mi fai sentire così,” mi disse, accumulando sempre più rabbia.
“Così come?” feci pressione. Mi avvicinai, volevo disperatamente che me lo dicesse.
Frank strinse la maglietta fradicia. “Così,” confessò.
Scossi la testa, non riuscivo a capire.
Così,” ripetè disperatamente. La collera che bruciava dentro di lui giusto un momento prima, sembrava essere scomparsa.
Non mi mossi, ne' parai mentre Frank cercava di trovare freneticamente la parola nella sua testa. Sarei dovuto restare nel mio letto. Quel ragazzo sarebbe stato la mia fine.
Così,” mormorò Frank a se' stesso.
Sapevo cosa stava cercando di dire. “Vivo,” aggiunsi, e lui alzò la testa.
“Sì!” esclamò lui. “Come fai a saperlo?”
Scrollai le spalle, non desideroso di rivelare il fatto che avevo letto la relazione del suo tirocinante.
Frank si strascicò in avanti e prese le mie mani. “Non so cosa ci sia in te. Ma tu mi fai sentire vivo,” disse “Sei come una medicina. Mi fai dimenticare. Guardo te e non li vedo. Vedo te. Sei come una medicina,” ripeté. “La mia medicina speciale. Non mi importa di quello che hai fatto, Gerard, non mi importa,” insistette mentre si avvicinava a toccare la mia faccia tumefatta. “Mi dispiace così tanto. Ti prego perdonami, Gerard.”
Sembrava che Frank fosse su qualche montagna russa emozionale, dicendo tutto ciò che gli passava per la mente. Non ebbi il coraggio di dirgli nulla; ero troppo spaventato di poter dire la cosa sbagliata. Volevo solo abbracciarlo. Era a meno di un metro da me. Volevo abbracciarlo. Avevo bisogno di lui. Ma proprio quando avevo preso coraggio per avvicinarmi di più, lui si tirò via bruscamente. Il mio cuore affondò per l'amara delusione.

Sono stanco,” disse debolmente, alzandosi. Uscì dal bagno lasciandomi seduto stupidamente sul pavimento.
Odiavo sentirmi così. Mi sentivo come una stupida ragazzina adolescente con una stupida cotta per una celebrità. Mi stava consumando. Non riuscivo più a sopportare il rifiuto. Volevo che le cose tornassero ad essere quelle che erano. Per quel poco di sanità mentale che mi era rimasta, volevo di nuovo Frank.
Lasciai il bagno e tornai nella mia stanza. Mi stesi sopra le lenzuola; la faccia mi pulsava ritmicamente.
Odiavo la mia vita.

Non lasciai la stanza per andare a fare colazione fino a quando non furono passate le 8. Non volevo affrontare il mondo. Odiavo il mondo e tutti i suoi abitanti, compreso me stesso.
Eccetto Frank.... ovviamente.
Zach venne da me con le medicine. Mi guardò mettere le pillole in bocca e prendere un sorso d'acqua. Ma quando se ne andò, le sputai. Non ero un fottuto pazzo. Non avevo bisogno di prendere quelle fottute pillole anti-pazzia. Nascosi le pastiglie zuppe in un tovagliolo e le misi in tasca. Lo facevo da un po' e non mi era mai successo niente di male. Non mi sentivo diverso a non prendere le pillole, quindi mi sentivo giustificato a sputarle ogni mattina.
Nessuno doveva saperlo.

 

Avevo appena cominciato a mangiare i cereali, quando Frank apparve dal nulla, tenendo in mano il vassoio del cibo. Quasi soffocai dalla sorpresa, mentre si sedeva di fronte a me. Non capivo più cosa fossimo. Eravamo amici o no? Cioè, la notte passata aveva detto di odiarmi, proprio un momento prima di dirmi che ero la sua “medicina”. Frank spostò di lato il vassoio e si strinse le braccia attorno. Velocemente ingoiai il boccone e aspettai, sperando che fosse lui a parlare per primo.
“Mi dispiace per ieri notte,” mormorò, senza creare contatto visivo.
Annuii anche se non mi stava guardando. Presi un altro boccone di cereali per evitare di dire qualcosa. Oh Dio, sarebbe stato quello il momento in cui le cose avrebbero potuto andare bene per me? Decisi che forse potevo scusarmi per aver detto quella stronzata sul fatto del bacio.
Impugnai saldamente il cucchiaio, preparandomi a parlare. Ero nervoso per il fatto che Frank avesse scordato quello che avevo detto, e tutto ciò che avrei fatto sarebbe stato ricordarglielo. “Mi dispiace per quello che ho detto,” dissi con calma. “Ieri. E tutte le altre volte.”
Appena la parola 'dispiacere' lasciò la mia bocca, Frank cominciò a scuotere la testa. “Non mi importa,” disse, con un apparente desolazione nella voce. “Non importa. Non so perchè mi sono comportato come se importasse. Non importa.”
Non mi stava ancora guardando. Ero sicuro che la mia faccia lo spaventasse. Non avevo ancora avuto il tempo di controllare le ferite quella mattina, e non sapevo quanto potessero essere disgustose. Faceva ancora un male del cazzo. Fottuto Bert. Giurai che se si fosse mostrato ancora e se anche solo mi avesse guardato, gli avrei fatto saltare tutti i denti. Lo avrei distrutto. Nessuno si prendeva gioco di me.
Frank e io tornammo in silenzio, e ricominciai a mangiare i miei cereali. Erano i cereali più disgustosi di tutta la mia vita; non sapevo perchè li avessi scelti. Non sapevo nemmeno perchè li stessi mangiando. Mi faceva male muovere la mascella e quei cereali mi tagliavano dentro la bocca, pungendo tutto ciò con cui venivano a contatto. Mi domandai quanto ci potesse volere per far notare al personale che avevo smesso di mangiare. Forse potevo iniziare una protesta. Non mangiare fino a quando non avessi ottenuto risposte riguardo la mia testa.
Se c'era qualcosa di sbagliato, sarebbe stato un disastro. Lì dentro avevo segreti che erano fondamentali per la sopravvivenza della razza umana. Letteralmente. I miei segreti non erano abbastanza protetti se avevo avuto un trauma cerebrale come diceva Markman. Bhè, qualcosa di sbagliato ci doveva essere, perchè lei era stata abbastanza turbata da qualcosa il giorno prima.
Deicisi di smettere di pensare a cosa fosse successo il giorno precedente e focalizzai la mia attenzione di nuovo su Frank. Stavo proprio per chiedergli come si sentisse, quando lui alzò la testa verso di me per un breve secondo. Poi, appena quel breve secondo fu passato, distolse lo sguardo e spostò lo sguardo verso qualcosa dietro di me. Mi girai per guardare.
Cazzo.
Cazzo.
Cazzo.
Cazzo.
Era troppo tardi per andarmene. Dovevo saperlo saperlo che lei stava arrivando. Sapevo certe cose. Lei era la rappresentazione materiale della mia rovina. Avrei dovuto saperlo.
Velocemente mi rigirai e aspettai. Con vergogna speravo che potesse soltanto passarmi accanto.
Ma non lo fece.
Certo che non lo fece.
Non ero così fortunato.
“Ciao, Gerard,” disse Lindsey, sedendosi. Mi guardò la faccia, “Wow, che impressionante occhio nero,” commentò.
Sembrava veramente impressionata. Mi fece sentire un po' fiero. Desideravo vedere come fosse conciato Bert quella mattina. Desideravo che lei vedesse com'era conciato Bert quella mattina. Poi sarebbe rimasta impressionata. Avevo avuto il tempo di colpirlo solo una volta, ma ci avevo messo un sacco di rabbia in quel pugno. E' inutile prendere a pugni qualcuno se non lasci il segno.
Lindsey tirò fuori una grande cartellina dalla sua borsa gigante e la mise sul tavolo. “Ora, Gerard, ho bisogno di discutere di alcune cose con te, prima che arrivino gli altri.”
La bocca mi si prosciugò. “Chi altri?” domandai immediatamente.
Lei guardò imbarazzata Frank e poi guardò me. “Qualche signore vorrebbe farti un intervista,” disse con calma. “Avevo chiesto alla dottoressa di informarti.”
“Markman non mi ha detto un cazzo,” schioccai, incrociando le braccia.
Lindsey arricciò le labbra, ma non commentò. Diedi un'occhiata a Frank, che stava guardando me e lei molto attentamente. Notai che si stava mordendo violentemente il labbro inferiore, come se avesse paura di qualcosa.
“Possiamo cominciare?” chiese Lindsey, fissando visibilmente Frank, per farlo andare via.
Io e Frank ci scambiammo uno sguardo. Era come ai vecchi tempi. Noi contro tutti gli altri. Dio, se mi mancava. “Frank, rimani,” dissi con fermezza.
Lui sorrise abbassando la testa. Non era proprio un sorriso. Non era un' espressione di felicità. Non era nemmeno diretto a me, ma capii ciò che potei. Quando avevo detto che avrei combattuto per lui, dicevo veramente.
Lindsey non sembrò troppo perturbata da ciò che avevo detto. Alzò solamente le spalle e aprì la cartellina. Ne tirò fuori un foglio e vidi che era tutto scritto a mano.
“Okay, Gerard. Sto per -,” comincio lei.
Decisi di interromperla prima che andasse troppo lontano col suo discorso. “Di che si tratta, comunque?”
Sembrava stranamente preoccupata. “Solo qualche domanda,” disse.
Io e Frank ci scambiammo un altro sguardo. “Su che cosa?” mi impuntai.
Era incerta nella sua risposta, una cosa che mi innervosiva incredibilmente. Odiavo quando nessuno non mi diceva niente. Un giorno sarei fottutamente esploso. O anche meglio, sarei scappato. Cazzo, desideravo ardentemente quel giorno. Non importava che non avessi neanche un soldo. Ero quasi sicuro che avrei potuto inventarmi qualcosa.
“Sulla tua sanità mentale,” rispose alla fine Lindsey.
Ciò mi fece bruciare lo stomaco. Forse c'era veramente qualcosa di sbagliato nella mia testa. Non sapevo cosa avrei potuto fare se tutta questa cosa del danno cerebrale si fosse rivelata vera. Non sapevo cosa significasse per la validità dei miei segreti. Cazzo. Appoggiai con stanchezza la fronte sul palmo della mano. Ero estremamente esausto per l'assenza di sonno e per la costante preoccupazione per Frank. Mi sarei sempre preoccupato per lui. Sapevo che soffriva ogni singolo giorno. Sapevo che era profondamente segnato e incredibilmente depresso. Avevo paura che avrebbe potuto fare qualcosa di stupido. E se avesse fatto qualcosa di stupido, anche io avrei fatto qualcosa di stupido. E mi ero ripromesso di non farlo mai.
Cazzo.
Pensai che gli 'altri' di cui Lindsey stava parlando fossero arrivati presto, perchè lei imprecò quando li vide camminare attraverso l'entrata visitatori. Lo fece. Davvero. Disse, “cazzo,” e rimise tutti i fogli dentro la cartellina, rimettendola poi nella sua borsa. “Torno subito,” promise, allontanandosi verso l'uscita
Io e Frank la guardammo mentre se ne andava; ero totalmente sconcertato da tutta quella storia. Sapevo che Frank si sentiva allo stesso modo; gli si leggeva in faccia. “Pensi che sia, sai, per Michael?” sussurrò lui.
Sentire quel nome mi fece sentire fisicamente male. Era come se qualcuno mi avesse dato un calcio nello stomaco con insistenza. Il terrore mi assalì, frantumandomi il cuore. Con rammarico, annuii. Certo che era per Michael.
Lei era un avvocato stronzo e spietato. Avevi bisogno di qualcuno così quando avevi ucciso qualcuno.
Frank sembrava terribilmente preoccupato adesso. Continuava a girarsi attorno, cercando di vedere dove fossero Lindsey e gli altri. Mi piaceva il fatto che gli importasse così tanto. Mi faceva sentire un po' meno male. Sperai disperatamente che non fossero venuti ad arrestarmi. Sperai che fossero venuti semplicemente per farmi delle domande, come aveva detto Lindsey. Le domande le potevo sopportare.
Dopo cinque minuti Lindsey tornò verso me e Frank. Allarmato, Frank si avvicinò e mi prese la mano. “Vieni a cercarmi,” mi ordinò. “Appena hai fatto, vieni a cercarmi.”
Annuii. Fu in quel momento che capii che eravamo di nuovo amici. Proprio in quel momento. Frank era preoccupato per me. Significava che gli importava.
“Devi venire con me adesso, Gerard,” disse Lindsey. Lasciai la mando dalla stretta di Frank e mi alzai tristemente in piedi. Ecco che tornava la paura. Seguii Lindsey fuori dalla caffetteria e poi dentro una delle stanze per gli ospiti.
C'erano già tre uomini nella stanza, tutti mi fissarono intensamente appena entrai. Mezzo secondo dopo aver visto i tre uomini, notai la telecamera appoggiata di fronte a una sedia solitaria dietro un tavolo.
Cazzo, no. Questo era fottutamente stupido. Mi sarei rifiutato di fare l'intervista o l'interrogatorio o quello che cazzo era. Era un'invasione della privacy. C'erano già delle telecamere in tutte le stanze, cazzo!
“Siediti, Gerard,” mi disse uno degli uomini, indicandomi la sedia solitaria. Quel tipo non mi piaceva. I suoi baffi mi davano sui nervi, erano ridicoli.
Mi sedetti timidamente e guardai a turno tutti e tre gli uomini – quello coi baffi, lo stupido uomo in giacca e cravatta e il fastidioso tizio dall'aria per bene. Avevo il forte presentimento che sarebbe stato un disastro.
“Possiamo cominciare?” disse quello coi baffi, che presumetti fosse il direttore del programma.
“No,” mormorai, più forte di quanto volessi.
Lui ignorò il mio desiderio. “Puoi dirmi come ti chiami?”
Ma che cazzo? Aveva detto il mio nome meno di 120 secondi prima. Sapeva chi ero. Guardai Lindsey ed espressi tutto il mio fastidio. Lei aggrottò la fronte e annuì, come per dirmi di rispondere alla domanda.
“Gerard,” dissi.
“Gerard come?”
Aprii la bocca, ma non ne uscì fuori nessuna risposta. Esitai per un momento. Gerard come? Gerard.....cazzo. Cazzo. Cazzo. Non lo sapevo. Come facevo a non sapere il mio cognome? Perchè non lo sapevo? Oh Dio, c'era qualcosa di sbagliato nella mia testa. Gerard....? Gerard come? Il panico cominciò a risalirmi nel petto. Guardai i tre uomini che mi stavano ancora osservando con grande interesse. Deglutii.
“Gerard?” disse rapidamente l'uomo coi baffi.
Scossi la testa e mi asciugai le mani sudate sui jeans. Mi girai verso Lindsey e pregai Dio che lei mi potesse aiutare. “Non lo so,” sussurrai. Non sapevo perchè avessi sussurrato. Tutti sentivano quello che stavo dicendo. “Non lo so,” ripetei, improvvisamente nel panico.
“Forse dovremmo andare avanti,” disse Lindsey dolcemente.
L'uomo coi baffi aggrottò la fronte. “Quanti anni hai, Gerard?”
Questa la sapevo. “Diciannove.” Il fatto di riuscire a rispondere alla domanda mi calmò. Il battito cardiaco rallentò lentamente.
“Bene. Cosa hai mangiato ieri a colazione?”
“Um, cereali.” Ma che domanda era?
“Come si chiama tua madre?”
Sbattei gli occhi. Non lo sapevo. Non sapevo nemmeno che aspetto avesse mia madre. Asciugai di nuovo le mani sudate sui jeans. Non volevo ammettere di non saperlo. Guardai di nuovo Lindsey, nel tentativo disperato che mi salvasse. Sembrava estremamente preoccupata e inquieta. Scossi la testa di nuovo verso di lei.
“Non lo so,” sibilai.
“Che aspetto ha tuo padre?”
La voce mi tremò incredibilmente quando risposi, “Non lo so.”
I tre uomini si scambiarono uno sguardo. Pensavano che stessi mentendo. Non stavo mentendo, cazzo!
Non lo so! Va bene? Siete contenti?
“Come si chiama il tuo animale domestico?”
“Non lo so.”
“Dove sei nato?”
“Non... lo so?”
“Qual'era il tuo film preferito da bambino?”
Non mi preoccupai nemmeno di rispondere. Non lo sapevo. Non me lo ricordavo. Il panico ricominciò ad assalirmi. Il mio brillante cervello era rotto. I miei ricordi erano persi. Loro dovevano averli rubati. Riuscivo a ricordare solo gli eventi che risalivano a meno di tre anni prima. Tutti i miei ricordi erano attinenti a questo posto. Dovevano essere stati loro. Quella volta che mi avevano aperto la testa. Pensavo di averli conservati -tutti i miei segreti- intatti. Loro non avevano provato a rubare i miei segreti no, non era loro intenzione. Avevano rubato i miei ricordi. Tutto. Tutto perduto.
“Oh, Dio,” farfugliai. Mi alzai, spostando la sedia dietro di me. “Devo andarmene.”
Lo stupido uomo in giacca e cravatta si alzò in piedi con me. “Risiediti,” mi ordinò. Lo feci. Immediatamente. Avevo paura.
Lindsey sembrò esplodere. “Come si permette di parlare così al mio cliente,” si scatenò contro di lui.
“Questa è un'investigazione federale!” la aggredì lui. “Io sono un agente federale. Non si azzardi a parlarmi così!”
“Mi rivolgerò a lei nel modo che ritengo opportuno,” schioccò Lindesy.
L'uomo dall'aria per bene si intromise nel discorso. Fu in quel momento che mi ricredetti. Non potevo più farcela. Aveva detto che era un'investigazione federale. Era una cosa brutta. Non volevo andare in prigione. Non potevo. Avrei preferito essere mangiato vivo.
Non sapevo perchè avessi ucciso Michael, ma non ne avevo l'intenzione. Pensai di provare a spiegarlo all'uomo coi baffi. Avrei proclamato la mia sentenza di colpa se l' avessi ammesso?
Volevo piangere. Volevo davvero. Fin dal giorno precedente, quando avevo scoperto che c'era qualcosa che non andava in me. Sapevo che piangere era un segno di debolezza, e non c'era modo che piangessi di fronte a quei bastardi. Ma faceva così male. Il costante e debilitante senso di colpa per quello che avevo fatto, lo stress per Frank, il fatto che non avevo nessun ricordo e adesso la paura che quegli uomini mi portassero via. Mi allontanai dal tavolo e mi alzai in piedi. Me ne sarei andato.
No, non è vero. L'uomo coi baffi mi ordinò di risedermi. Che diavolo erano tutti quegli ordini quella mattina?
“Fanculo,” sputai verso di lui, ma lui rimase imperturbato. Mi rimisi seduto sulla sedia, tenendomi la testa fra le mani. Chiusi gli occhi e cercai di calmarmi.
“Guardatelo,” esclamò Lindsey. Presumetti che stesse parlando di me. “Non è nelle condizioni di affrontare queste circostanze. State nuocendo alla salute del mio cliente.”
“Il suo cliente sta bene,” disse con arroganza l'uomo in giacca e cravatta.
Non, non sto bene! Fottuto coglione.
Mi sentivo fisicamente male e avevo la nausea. Sperai vivamente di non vomitare.
“Gerard,” disse Lindey, “non rispondere a nessun' altra domanda, va bene? Non dire una parola.”
“Non può dire questo al suo cliente!” ribatté l'uomo in giacca e cravatta. “Ho l'ordine del tribunale di verificare lo stato mentale dell'accusato.”
Potevo solo sentire cosa stava succedendo, eppure sapevo che stavano facendo un sacco di gestacci. Ma appena l'uomo disse la parola 'accusato', capii di essere nei guai. Ero realmente stato accusato di un crimine. Sarei andato il prigione.
“Non chiamatelo così!” Lindsey sembrava estremamente arrabbiata. “E' solo un ragazzo.”
“No, è un assassino, Ballato!”
Alzai la testa e fissai con orrore l'uomo in giacca e cravatta. Il silenzio riempì la camera. Era un silenzio terribile, da far gelare le ossa. Tutti sapevano che l'ultima frase non avrebbe dovuto essere detta. I miei occhi si riempirono di lacrime, ma a fatica riuscii ad asciugarle.
“Mi dispiace,” dissi con voce strozzata, il panico e la paura mi si stavano stringendo attorno alla gola come un paio di mani. “Io... io non volevo..... non volevo. E' stato un-un-un incidente. Sono....”
Lindsey sfrecciò al mio fianco. “Shhhh!” sibilò, Sovrastando le mie deboli scuse.
La realizzazione sembrò colpire tutti e tre gli uomini allo stesso tempo. “Tu ricordi!” mi accusò l'uomo di bell'aspetto, brandendo ferocemente il dito verso di me.
Scossi la testa, ma era troppo tardi. Tutti e tre gli uomini si stavano scambiando sguardi gongolanti, l'uno con l'altro. Le cose cominciarono d'un tratto ad andare molto velocemente da quel momento. L'uomo coi baffi spense la telecamere e la rimise dentro la borsa. L'uomo di bell'aspetto fece un commento sul perchè votasse sempre il partito Repubblicano e l'uomo in giacca e cravatta fissò soltanto la mia faccia pietrificata. Meno di cinque minuti dopo la mia confessione, erano pronti per andarsene. “Ci vediamo in tribunale, Ballato,” disse compiaciuto l'uomo in giacca e cravatta, poi tutti e tre uscirono dalla stanza.

Mi girai verso Lindsey. “Non voglio andare in prigione,” dissi.
Lei scosse la testa. “Non andrai in prigione,” rispose.
“Allora dove?”
“Greenwood,” disse brevemente e guardò altrove.
Cazzo. C'era solo una cosa da fare.
Non realizzai di star camminando verso la stanza di Frank fino a quando non mi ritrovai davanti alla sua porta. Non mi ricordavo nemmeno come avevo fatto a lasciare la stanza dell'intervista. Scivolai dentro la sua stanza e chiusi la porta. Non avrei pianto. Volevo farlo, ma mi rifiutai. Dovevo essere io quello forte. Non ci possono essere due persone afflitte in una relazione.

Appena Frank vide la mia faccia, impallidì. Sapeva che era andata male. Sapeva quello che avevo fatto. Camminò verso di me e silenziosamente mi strinse le braccia attorno, affondando la testa nel mio petto. Lo abbracciai, non volevo lasciarlo andare.
Volevo fuggire da quel posto. Volevo scappare. Non c'era nessuna speranza che loro mi portassero via. Sarei evaso.
“Vieni con me,” soffiai a Frank.
Lui alzò lo sguardo. “Dove?”
“Via da qui.”
Premette di nuovo la faccia contro il mio petto. “Okay,” disse, con voce ovattata.
Sarei scappato.
E Frank sarebbe venuto con me.



 

 

 

Note del traduttore: ok, non ci sto molto con la testa in questo periodo, quindi se notate qualche errore o qualsiasi cosa che ritenete sbagliata nella traduzione, vi prego di dirmelo.
 

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Capitolo 15
*** 15. ***


A SPLITTING OF THE MIND

***

15.

You Don’t Get Mood Swings From Eating Cornflakes




 

 



“Sembri insolitamente felice oggi, Gerard,” commentò Markman, tirandosi avanti per appoggiare i gomiti sulla scrivania.
Mi irrigidii, cercando di immaginare i miei lineamenti facciali. Stavo sorridendo? Probabilmente sì. Era stato un caso, comunque, una svista. Non avevo intenzione di sorridere. Bhè, almeno non davanti a Markman. Frank era un'eccezione. Frettolosamente abbassai gli angoli delle labbra per formare uno sguardo corrucciato, e lo rivolsi subito nella sua direzione.
Markman non si turbò per il mio sguardo. Sapeva di avermi colto in un momento di debolezza. Il mio unico desiderio era che non avesse dedotto da quel sorriso la mia intenzione di scappare. Sembrava un po' esagerato mettere tutte queste cose assieme, ma l'avevo già sottovalutata una volta, e l'avevo pagata cara.
“Stai programmando qualcosa?” scherzò.
Sapevo che stava scherzando, ma questo non mi impedì di farmi sentire preoccupato. Aveva i suoi modi per capirlo.
Sapevo che se fossi restato ancora in quella stanza, avrei potuto tradirmi. “Posso andarmene?” chiesi. Erano passati solo quindici dei quaranta fatidici minuti.
“No.”
Cazzo. Pensai di averla resa ancora più sospettosa, chiedendo di andarmene. “Bene,” dissi imbronciato.
Markman mi squadrò, sospettosa. Assumetti un'espressione innocente. Mi stava guardando un po' troppo intensamente per i miei gusti. Evitai di guardare altrove, per evitare di incrementare ancora i suoi sospetti. Sapeva che stava succedendo qualcosa.
Gesù Cristo, donna! Esci dalla mia testa!
Strinsi gli occhi verso di lei. Se puoi sentirmi, guarda da un'altra parte, ora. Dissi la frase nella mia testa e appena la completai, Markman si risedette e interruppe il contatto visivo.
Accidenti, porca puttana. Era stata una coincidenza, va bene?
“Mi dispiace ricordartelo, Gerard, ma è passato un mese dai tuoi ultimi esami del sangue.”
Una sola goccia di sudore cominciò a corrermi sul lato della faccia. Ero totalmente conscio di tutto il suo viaggio dalla mia fronte, fino al colletto.
“No.”
“No?” sembrava sorpresa. Era seria? Insomma, si aspettava veramente che dicessi “ma sì, certo”, facendola facile? Stronza.
“No!” esclamai, stringendo con forza le braccia al petto, per proteggere le mie vene.
Cercò di farmi ragionare. “Gerard, ti prego, non fare il difficile.”
Ero io il difficile? Seriamente!? Ma che cazzo? Voleva infilarmi un pezzo di metallo nella pelle e nelle vene, per poi estrarmi Dio solo sa quanto sangue. No! Non doveva succedere. No.
Markman sospirò. “Non puoi negoziare. Possiamo farlo ora o più tardi, ma dobbiamo farlo oggi.”
“La prossima settimana?” Ah, se tutto fosse andato secondo i piani, non sarei nemmeno stato lì la settimana successiva.
“No,” disse lei con fermezza; il mio cuore affondò.
Cercai di arrampicarmi sugli specchi. “Domani!” insistetti.
No.
“Che cazzo di cretinata,” mormorai con rabbia, sbuffando.
“Sta attento a quello che dici,” schioccò lei.
Alzai lo sguardo, sorpreso. Non aveva mai alzato la voce con me, soprattutto non per le mie imprecazioni. Stava succedendo qualcosa. “Qual'è il suo problema?” chiesi.
Non ne rimase colpita. Bhè, non era mai colpita da me. Era sempre delusa o scontenta del mio comportamento. Non facevo mai niente di buono, e quando lo facevo si limitava a sorprendersi o a scrutinarmi intensamente. Era abbastanza irritante.
Markman non rispose alla mia domanda. Tornammo di nuovo in silenzio. Era successo un sacco di volte ultimamente. Era come se non sapesse pensare a cosa rispondermi. Comunque non era il nostro consueto silenzio; quel vecchio silenzio sfumato di fastidio e aspettazione che avevamo l'uno per l'altro. Questo nuovo silenzio era diverso; come se lei si sentisse colpevole. Si sentiva colpevole perchè sapeva che ero nei guai e sapeva che non c'era niente che potesse fare. Non ne avevamo mai parlato. Nessuno dei due aveva mai menzionato quel fottuto interrogatorio che avevo fatto la settimana passata, o cosa avevo detto. Non avevamo nemmeno parlato di quello che avevo fatto.
Sospirai un po' troppo esageratamente e strinsi più forte le braccia al petto. Markman era una donna astuta. Non mi sarei sorpreso se avesse potuto produrre un ago dal nulla e infilzarmi mentre ero distratto. Sapevo che avrebbe voluto. Sapevo certe cose.
Per rompere il fastidioso silenzio decisi di risollevare il problema del nuovo cuoco e della qualità del cibo che cucinava. Alzai lo sguardo. “Il nuovo cuoco sta cercando di avvelenarci,” dissi.
Markman non ne rimase colpita, di nuovo. Non ho forse detto che non rimaneva mai colpita da me?
“No,” disse bruscamente, senza nemmeno distogliere gli occhi dalla sua agenda.
“Um, sì, invece sì!” insistetti. “Ha provato la zuppa di pollo? E' fottutamente disgustosa. Mi sorprendo che non sia ancora morto nessuno.”
Lei cercò di nascondere un sorriso. Non ci riuscì. Lo vidi. “Cosa vuoi che faccia per questo, Gerard?”
“Riassuma la vecchia cuoca.”
“Non posso.”
“Perchè no?”
“Perchè è così.”
Roteai gli occhi. Mi piaceva la zuppa di pollo. No, mi correggo. Amavo la zuppa di pollo. La vecchia cuoca faceva la migliore zuppa di pollo che avessi mai assaggiato. Ma poi se n'era andata, ed era arrivato questo fottuto coglione di cuoco e ci mancava poco che avvelenasse tutto l'istituto psichiatrico.
“Glielo dico, sa di rifiuti tossici.”
“No, non è vero. Non fare la persona melodrammatica.” Markman abbandonò l'agenda per continuare la conversazione.
Un terribile pensiero mi attraversò la mente. E se lui stesse cercando di ucciderci? Veramente? Se stesse cercando di uccidere me? Porca puttana. E se loro lo avessero mandato come infiltrato nell'istituto per avvelenarmi in modo che potessero entrare e prendermi? Tutto ciò sarebbe derivato da una ciotola di cibo avvelenata, che mi avrebbe fatto svenire, in modo che loro potessero arrivare a rubarmi i segreti. Fanculo.
Cominciai improvvisamente a spaventarmi. Fortunatamente non avevo ancora mangiato quella mattina. Altra cosa buona: avrebbe potuto mettere veleno per topi nelle mie uova strapazzate, per quello che ne sapevo.
“Gerard, a cosa stai pensando?” Markman ritornò alla sua frase da strizzacervelli preferita.
Mi domandavo se dovessi dirglielo. Forse mi avrebbe aiutato a farlo. O forse mi avrebbe chiamato pazzo e avrebbe cercato di convincermi ad agire diversamente.
“Non posso aiutarti se non me lo dici.”
Respirai bruscamente. Avrei dovuto dirglielo. Avrei dovuto chiederglielo. Se qualcuno sapeva come stavano andando le cose in quel posto, era proprio Markman.
“C'è qualche possibilità che il nuovo cuoco sia cattivo?” Merda, non era uscito nel modo giusto. Cattivo era la parola sbagliata.
“Cosa?” Pensai che fosse del tutto confusa.
Mi sforzai di trovare le parole giuste. Riesaminai il mio vocabolario, ma non ne venne fuori niente. Sospirai e provai a spiegarlo a parole mie. “Voglio dire... il cuoco, non c'è possibilità che stia cercando di avvelenarmi, non è vero?”
Dopo tutto quel tempo ancora non capivo perchè Markman rimanesse scioccata dalle cose che dicevo. La mia ultima accusa sembrava averla resa senza parole. Certamente non era molto professionale, questo era certo.
“Come mai te ne esci con queste affermazioni?” chiese lei, dopo essersi ricomposta. Si sfregò gli occhi con stanchezza e mi guardò esasperata.
Mi sentii incredibilmente imbarazzato. Doveva suonare davvero assurdo; anche se non impossibile. Alzai le spalle e guardai altrove. Non volevo più parlarne. Markman non me la fece passare. Mi mise sotto pressione per avere più dettagli.
“Perchè pensi che qualcuno dovrebbe farti del male, Gerard?”
Fissai il pavimento, con gli occhi vaganti sopra gli orribili motivi del tappeto. Se mai avessi dovuto avere un tappeto a casa mia, sarebbe stato senza motivi e di un solo colore, come il blu. Niente a che fare con la merda policromatica che c'era attorno. In realtà, forse avrei preferito le piastrelle.
“Gerard,” Cazzo, era persistente quel giorno. Era l'ultima volta che le dicevo qualcosa. Avrebbe potuto pensare che avessi ucciso il presidente o qualcosa del genere.
Sbuffai e presi un momento per stirarmi le braccia. Si erano un po' intorpidite per tutto il tempo che le avevo tenute piegate sul petto.
“Perchè pensi che il cuoco stia cercando di farti del male?” mi ripropose di nuovo la domanda ed ero sicuro che fosse stato in caso che l'avessi dimenticata. Me l'aveva già detta una volta quella fotttuta domanda; non dimenticavo le cose così velocemente.
“Era solo un pensiero,” mormorai.
Markman mi ispezionò da vicino. “Pensi che forse potrebbe avere qualcosa a che fare con loro?” disse timidamente. Non aveva mai parlato di loro. Era come se pensasse che avrei dato di matto, sentendoli menzionare. Aveva ragione, fottuta psichiatra. Strinsi gli occhi verso di lei. Tossisci se puoi sentirmi.
Non tossì. Non fece nulla. Riconsiderai la situazione. Forse lo stava tenendo per se'. Se poteva leggere la mia mente, non me l'avrebbe detto esplicitamente. Dovevo trovare un altro modo per metterla in trappola.
“Per favore, non ignorarmi,” disse lei, mentre apriva il mio file e cominciava a scrivere.
Aggrottai di nuovo la fronte. L'avevo guarda male una marea di volte quel giorno. Non era colpa mia se me n'ero uscito con un pensiero casuale che avevo in testa. Era solo la maniera in cui funzionava il mio cervello. Era un cervello degno di nota, quindi non avevo messo in dubbio il pensiero che mi era passato per la mente. Doveva avere qualche significato o importanza.
“Non lo so. Forse,” dissi sfuggente. Non volevo parlare di loro in quel momento. Loro mi spaventavano a morte, quindi cercavo di pensarci il meno possibile. Comunque non ero del tutto convinto che fossero stati loro a infiltrarsi nella situazione. Erano estremamente intelligenti. Non si sarebbero preoccupati di avvelenarmi. Avrebbero preferito usare i loro mezzi con forza brutale, per intromettersi nel mio cervello. In effetti, ero sicuro che avrebbero preferito che fossi cosciente, in modo da potermi sentire mentre mi aprivano la testa.
Un brivido freddo mi percorse la schiena al solo pensiero. Era per questo che cercavo di non pensare mai a loro.
“No,” mi corressi. “Non penso che sia per loro. E' troppo semplice, troppo amatoriale.”
“Gerard, nessuno sta cercando di avvelenarti. Te lo giuro.”
Un'altra possibile spiegazione apparve nella mia testa. E se il cuoco fosse stato lì per vendicarsi di me? E se sapesse delle persone che avevo ucciso? Se mi volesse punire per quello che avevo fatto? Solo Dio sapeva quante persone erano morte a causa mia. Ero un assassino, ma non ero andato in prigione come avrei dovuto. Forse era stanco di aspettare che il sistema giudiziario americano mi punisse, quindi voleva prendersene lui la responsabilità. Aveva senso.
Stava cercando di uccidermi.
Mi coprii la bocca con la mano quando realizzai che avevo mangiato le lasagne la notte passata. Veramente, ora che ci pensavo, mi ero sentito un po' male di stomaco dopo cena. Il veleno avrebbe dovuto penetrarmi nel flusso sanguigno proprio in quel momento. Chi poteva sapere quanto altro veleno avevo assunto durante quel mese, dopo aver mangiato il suo cibo. Potevo essere arrivato al dosaggio letale. Oh dio. Mi domandai se fosse troppo tardi per vomitare.
Lei si alzò, allarmata. “Gerard, che succede?” chiese immediatamente.
Stavo andando fuori di testa, e doveva anche apparire così, perchè Markman era piuttosto preoccupata.
“E se mi stesse punendo?” dissi, terrificato.
Markman camminò attorno alla scrivania e si accovacciò accanto a me. “Chi ti sta punendo?”
“Il cuoco!”
“Perchè dovrebbe volerti punire?”
“Perchè li ho uccisi!” urlai, nascondendomi la testa fra le mani.
Dopo ciò aspettai disperatamente che lei mi dicesse che non li avevo uccisi. Aspettai che mi dicesse che non dovevo preoccuparmi di essere punito, perchè non avevo fatto nulla di male. Ma non lo fece. Ero colpevole.
Strinse la spalla per confortarmi. “Gerard, nessuno sta cercando di punirti. Nessuno sta cercando di avvelenarti. Stai diventando paranoico; è un sintomo della tua malattia, ricordi? Ci siamo già passati. Nessuno sta cercando di farti del male. Sei al sicuro. Te lo giuro.”
Non volevo più stare lì. Dovevo trovare Frank e dirglielo. Lui mi avrebbe creduto. Lui non mi avrebbe fatto sentire pazzo. Certamente non mi avrebbe detto che stavo diventando paranoico. “Posso andarmente, per favore?”
Markman si alzò. Mi annuì con rammarico e mi affrettai velocemente verso l'uscita.

Camminai con passo rapido verso la caffetteria. Presumetti che Frank fosse lì. Era molto presto, ma lui amava svegliarsi presto e fare colazione quando la mensa era ancora relativamente vuota. Normalmente andavamo a colazione insieme, ma quella mattina avevo avuto ridicolosamente presto il mio appuntamento con Markman, quindi ci era andato da solo.

Arrivai in caffetteria e scrutai attentamente i tavoli, cercando Frank. Stranamente, non era lì. Individuai Ray e Bob e decisi di chiedergli se sapessero dove fosse andato.
Avevano una pagina di giornale davanti a loro e stavano dibattendo animatamente riguardo qualcosa. Mentre mi avvicinavo, realizzai che un grosso pezzo di carta era stato strappato dalla pagina. Che strano. Ora che ero più vicino, potevo sentire quello su cui stavano discutendo.
Te l'avevo detto che non era morta,” disse compiaciuto Ray, indicando il foglio.
Bob era chiaramente infastidito. “Come facevo a saperlo? Ho fatto una ragionevole supposizione basata sui fatti a disposizione.”
Ray mi vide in piedi accanto al tavolo e ghignò. “Vedi, Gerard, te l'avevo detto che non potevano aver ucciso la moglie del Fantasma.”
Ma. Che. Cazzo? Alzai un sopracciglio. Ray spostò il pezzo di giornale e realizzai che si trattava di una pagina di un fumetto. Immediatamente riconobbi Calvin, Hobbes e Garfield. “Fantastico, Ray,” dissi senza entusiasmo.
Ray era rimasto ossessionato dalla pagina del Fantasma per quasi un mese, fino a quando Ben non aveva cominciato a dargli delle nuove pagine ogni domenica. Regolarmente mi aggiornava su che cosa stesse succedendo nella storia. Lo ascoltavo, ma solo perchè di solito non avevo niente di meglio da fare.
“Avete visto Frank?” chiesi, cambiando argomento.
Uno sguardo torvo si posò sul viso di Ray. “Sì,” disse amaramente. “Era qui, poi ha cominciato a dare di matto per qualcosa e ha strappato metà del giornale. Dopo se n'è andato. Ha strappato Spiderman! Ora non saprò mai cos'è successo a Ruby,” finì, con voce sorprendentemente angosciata.
“Dov'è andato?” chiesi. Sia Bob che Ray alzarono le spalle. “Grazie,” mormorai e me ne andai in direzione della stanza di Frank. Non mi piaceva quello che mi aveva detto Ray. 'Dare di matto per qualcosa' non era per niente una cosa buona. Sperai che lui stesse bene. Forse aveva visto i numeri della lotteria o qualcosa del genere e aveva vinto un milione di dollari. Non ne avevo idea.
Bussai timidamente tre volte alla sua porta e aspettai. Nessun suono uscì dalla sua stanza, quindi aprii la porta. Mi guardai attentamente attorno, ma era vuota. Che strano. Non riuscivo a pensare a un altro posto dove potesse essere. Chiusi la porta e restai nel corridoio per un momento, pensando intensamente. Diedi un'occhiata all' entrata del bagno e notai che non era completamente chiusa.
Cazzo.
Con calma aprii la porta ed entrai dentro. Mentre camminavo attraverso lo spogliatoio, sentii lo scorciare di una sola doccia. Questo mi confuse, perchè da parecchi mesi ormai che Frank non sentiva il bisogno di fare la doccia al mattino. Quando girai l'angolo, il mio cuore affondò. Era così danneggiato. Forse non c'era modo per guarirlo.
Era rannicchiato con le ginocchia al petto, e le braccia strette attorno ai polpacci. La sua testa era appoggiata sulle gambe ed era seduto sotto il violento getto della doccia. Era completamente vestito e bagnato dalla testa ai piedi. Spaventato, corsi verso di lui e quasi scivolai sulle numerose pozzanghere che si erano formate sulle piastrelle. Arrivai ai rubinetti della doccia e li chiusi. I miei jeans si erano bagnati quando il getto si era interrotto, prima di spegnersi del tutto; l'acqua era fottutamente gelida. Perchè cazzo Frank avrebbe dovuto stare sotto l'acqua ghiacciata?
Alzò la testa e capii che stava piangendo.
Oh dio.
“Su,” mormorai, cercando di metterlo in piedi. La stanza era stranamente silenziosa senza lo zampillare della doccia. Ora l'unico suono che riuscivo a sentire era quello dei singhiozzi di Frank e il gorgogliare della fognatura mentre l'acqua ci scivolava dentro. Frank lasciò che lo accompagnassi agli spogliatoi. Avevo un braccio attorno alla sua vita e il suo braccio era attorno al mio collo. Lo feci sedere su una delle panche e presi un asciugamano dalla pila che c'era accanto al muro. Avevo appena finito di avvolgerglielo sulle sue spalle, quando la porta si aprì ed entrò Ben.
“Gerard, cosa stai-,” cominciò. “Sta bene?” corse verso di lui e lo esaminò, incredibilmente preoccupato.
“L'ho appena trovato,” dissi con calma, dando un'occhiata a Frank. Lui stava fissando la porta, il suo corpo tremava violentemente per il freddo.
“Chiamo la dottoressa,” mi disse Ben, e se ne andò.
Mi risiedetti accanto a Frank e delicatamente alzai il suo viso, perchè mi guardasse. Mentre mi guardava, una goccia d'acqua cadde dalla frangia, per poi corrergli lungo la fronte e poi sulle ciglia. Mi avvicinai e con affetto gli tirai indietro i capelli.
“Dimmi,” sussurrai.
I suoi occhi si spostarono oltre le mie spalle mentre Ben tornava rapidamente seguito da Markman e Zach. Markman gli diede uno sguardo e ordinò, “Qualcuno gli porti dei vestiti asciutti, per favore.”
Si avvicinò a lui. “Frank, devi cambiarti i vestiti,” disse, in modo molto dolce e disponibile. Non pensavo di averla mai vista così... gentile. “Qualcuno ti può aiutare, se vuoi?”
Frank guardò proprio me appena lei finì la domanda. Anche Markman mi fissò, ma non fece nessun commento.
“Dai,” dissi e lui si alzò in piedi. Presi i vestiti asciutti e un nuovo asciugamano da Zach e portai Frank nello spogliatoio più vicino. Chiusi la porta, ma non c'erano serrature. Mi avvicinai per tirare giù l'orlo della sua maglietta. Con obbedienza lui alzò le braccia, mentre gli toglievo la maglietta bagnata dalla testa. La lanciai sul pavimento, facendola atterrare con un tonfo. Gli porsi l'asciugamano pulito e glielo avvolsi attorno alle spalle scoperte. Mi accucciai e cominciai a slacciargli le scarpe. Gliele levai e poi tolsi anche i calzini. Li spostai di lato.
“Mi dispiace, Gerard,” mormorò Frank.
Mi fermai e scossi la testa. “Non devi dispiacerti. Non hai nulla per cui dispiacerti.”
Sospirò soltanto. Mi alzai in piedi e spostai lo sguardo sui suoi jeans. Esitai nel raggiungerli. “Posso?” chiesi.
Lui annuì senza esitazione. Slacciai il bottone dei pantaloni e abbassai la zip. Il mio cuore battè sorprendentemente forte quando lo feci. Tutta la situazione era assolutamente qualcosa di non sessuale, ma mi sentivo ancora nervoso. Avevo già visto una volta Frank nudo, ma non così da vicino. Lui non sembrò assolutamente turbato mentre gli tiravo giù i jeans e i boxer, lasciandolo nudo. Mi forzai di non guardare. Non ne aveva bisogno in quel momento.
I pantaloni erano così bagnati e fradici che era praticamente impossibile tirarli giù dalle ginocchia e dai piedi. Alla fine, comunque, finirono sul pavimento insieme alla maglietta. Appena i suoi piedi furono liberi, si mise l'asciugamano attorno alla vita. Presi i vestiti asciutti dal pavimento e glieli porsi uno alla volta, e lui cominciò goffamente a rivestirsi. Il suo corpo era ancora umido, quindi gli fu davvero difficile mettersi i jeans asciutti. Ci volle lo sforzo di entrambi per farli scivolare sulle sue gambette magre, per poi chiuderli attorno ai fianchi.
Feci un passo indietro dopo che ebbe fatto e realizzai che stava ancora un po' tremando. Mi tolsi la giacca e gliela porsi in modo che se la mettesse. Era un po' grande, ma ci stava benissimo. Frank si avvicinò e mi abbracciò per un breve momento, prima di aprire la porta e uscire. Markman stava ancora aspettando. Gli disse qualcosa e lui annuì. Lei gli mise una mano sulla schiena e lo guidò fuori. Proprio mentre se ne stava andando, mi diede un' occhiata fugace che mi lasciò senza respiro.

Ancora non sapevo cosa avesse sconvolto Frank. Era frustante dover aspettare fino a quando non avesse finito con Markman. Per una volta desiderai che gli amici valessero di più degli psichiatri altamente qualificati.
Mi incamminai fuori dalle docce verso la sua stanza. Sapevo che non gli sarebbe importato se mi fossi steso per un po' sul suo letto. Lo avrei aspettato lì. Poi gli avrei chiesto cos'era successo.

Mi sdraiai sul suo letto sfatto e chiusi gli occhi. Ero davvero stanco; mi ero alzato prestissimo per quella sessione di terapia con Markman. Mi appisolai quasi subito, pensando a come poter aiutare Frank.

Frank gattonò dentro al letto, svegliandomi dal sonnellino. Con mia sorpresa, si stese accanto a me e si rannicchiò contro il mio corpo, mettendo la testa sulla mia spalla. Istintivamente gli avvolsi un braccio attorno e lo avvicinai. Non parò, sembrava davvero triste.
Mi faceva male vederlo così. Ogni volta che soffriva sentivo il dolore allo stomaco incrementarsi sempre di più. Volevo solo che stesse meglio. “Cos'è successo?” chiesi.
Non rispose. Lo guardai e vidi che aveva gli occhi chiusi. Non glielo richiesi. Non ne avevo il coraggio. Mentre aspettavo che che mi dicesse qualcosa, cominciai a pensare al piano di fuga. In quel preciso momento era abbastanza irrealizzabile. Sarebbe stata più dura di quanto pensassi uscire da quel posto senza essere visti. Ovviamente ci 'saremmo preoccupati' di tutti coloro che erano di sorveglianza, ma mi sentivo male al pensiero di fare male a qualcuno, anche se era qualcuno di fastidioso come Ben o Zach.
“A cosa stai pensando?” disse Frank, tracciando distrattamente col dito un disegno sul mio petto.
Abbassai lo sguardo verso di lui. “A te.”
Sorrise timidamente. “Bugiardo.”
Gli restituii il sorriso e scossi la testa. Pensavo che non ci fosse minuto che non pensassi a lui. “Mi stai spaventando,” confessai e lui guardò altrove, con un po' di vergogna. “Ti prego, dimmi cos'è successo.”
Frank si sedette e si allungò per prendere qualcosa da sotto il materasso. Mi porse un pezzo di giornale e poi si rannicchiò come una piccola palla, con la testa nascosta sulla pancia. Incerto, diedi un' occhiata al giornale. Lo aprii e quasi sorrisi quando vidi il fumetto di Spiderman di Ray sull'altra pagina. Ritornai dall'altra parte, e lessi il titolo di testa. La paura che mi sommerse fu quasi insopportabile. Mi stavo sentendo male.

 

Ragazzo di tredici anni picchiato e stuprato.

“Frank...” dissi terrificato. “Cos'è questo?”
“Guarda la foto,” urlò, con la voce satura di paura e dolore. Una sola lacrime gli cadde sulla guancia.
Saltai il testo e fissai le due mani disegnate dai bozzettisti della polizia, alla fine dell'articolo. Non le riconobbi, ma Frank ovviamente sapeva. “Frank, sono loro?” sapevo già la risposta.
Scoppiò in lacrime. “Sì,” singhiozzò. “Sono loro. Oh, Dio, Gerard.”
Mi sedetti frettolosamente e mi avvicinai a lui. Cadde fra le mie braccia e io le strinsi attorno a lui per farlo sentire al sicuro. Pensavo di sapere cosa volesse dirmi. L'articolo diceva che il ragazzo era stato assalito nella parte sud di Princeton. Bluestone si trovava nella parte nord.
Gli stupratori di Frank erano qui, a Princeton, e lui ne era terrorizzato. La sua paura era così tangibile che stava contagiando anche me.
Le sue lacrime spesse cadevano velocemente. “Loro hanno detto -lui ha detto- oh Dio, Gerard, non posso. No. Ti prego. No. Non posso. Non di nuovo.” le sue parole erano biascicate, messe alla rinfusa. Pensai che avesse capito che riuscivo a malapena a capirlo, perchè fece un paio di respiri profondi e provò di nuovo. “Ha detto – oh Dio, aveva ragione. Gerard, stanno venendo per me.”
“Cosa?” era l'ultima cosa che mi aspettavo che dicesse.
Frank singhiozzò ancora. “Ha detto, 'ci vediamo la prossima volta'. Non posso di nuovo, Gerard. Ti prego non lasciare che lo facciano. Non di nuovo. Oh, Dio, fa così male. No. No. No. Ti prego. No. Oh aiutami, ti prego. Gerard.”
Lo abbraccia stretto, aggrappandomi con disperazione al lato della sua maglietta. Avevo perso le parole ancora prima di dirle. Non sapevo cosa fare. Chiusi gli occhi e mi concentrai a tenere sempre più stretto Frank. Potevo sentire le sue unghie scavare nella mia schiena, ma il dolore era quasi superficiale se comparato a quello che stava scendendo dagli occhi di Frank. Tutto il suo corpo tremava, mentre singhiozzava contro il mio petto.
“Non lascerò,” dissi. “Non lascerò che ti facciano del male. Mai.”
Mi domandai se lui avesse ragione. Sapevano veramente dove fosse o era solo una coincidenza?
“Mi senti?” dissi, cercando di sovrastare i suoi singhiozzi. Si acquietò per un momento. “Sei al sicuro. Nessuno ti toccheranno mai più. Capisci? Non lascerò che ti prendano. Sono qui per proteggerti. Non ti faranno del male. Nessuno ti farà mai del male di nuovo. Mi senti?!” urlai, dando uno scossone a Frank. Le mie emozioni stavano prendendo il meglio di me.
Con la testa ancora contro il mio petto, Frank annuì una, due volte. Sospirai e feci scivolare una mano sulla sua schiena. Raggiunsi la sua testa e feci correre le dita fra i suoi capelli. “Non lascerò che ti facciano del male,” dissi lentamente, chiudendo gli occhi, sentendolo piangere silenziosamente.

 

***


Gli occhi di Frank erano ancora rossi e la sua faccia ancora macchiata quando ci sedemmo al nostro tavolo in caffetteria. Lui fissò il suo sandwich come se fosse pieno di vermi. Guardai il mio. Non l'avrei mangiato. Avevo una fame da lupi, ma non avrei messo niente in bocca. Non ero ancora convinto dell'innocenza del cuoco. Per quello che sapevo poteva aver riempito il pane di arsenico.
“Neanche tu hai fame?” Chiese Frank quando notò che avevo spostato di lato il cibo.
Alzai le spalle. Mi domandavo se dovessi dirgli dei miei sospetti. Ero abbastanza sicuro che avrebbe riso, dicendomi di smetterla di fare lo sciocco e di mangiare quel dannato sandwich. Non volevo che lo facesse; avrebbe ferito i miei sentimenti. Ma non volevo neanche mentirgli.
“Che succede?”
Colto in flagrante.
“Gerard, che succede?” Frank non si arrese.
Guardai verso il bancone, per essere sicuro che il cuoco non mi stesse ascoltando. Sapete, giusto nel caso in cui fosse davvero cattivo. Mi avvicinai e lui fece lo stesso, in modo che le nostre teste quasi si toccassero. “Ho paura che il nuovo cuoco stia cercando di avvelenarmi,” sussurrai e e guardai con preoccupazione l'incriminato pezzo di cibo.
Frank non commentò. Sbattè gli occhi un po' di volte, la sua espressione era indescrivibile. Mentre lo guardavo, il suo sguardo si abbassò sul mio sandwich messo da parte. Prima che potessi reagire, lui lo raggiunse e diede un grande morso nel mezzo.
Ansimai e trattenni il respiro. Mi aspettavo seriamente che potesse cadere a terra, morto. Ma non lo fece; masticò il pane e il burro di arachidi pensosamente, prima di ingoiarlo.
“No, è buono,” annunciò, posizionando di nuovo il panino mezzo mangiucchiato sul mio vassoio. Non sembrava più così appetitoso.
Guardai Frank attentamente, nel caso svenisse o impallidisse, ma non successe nulla. Sembrava stesse bene. Dannazione. Mi ero sbagliato... di nuovo. Non mi ero mai sbagliato prima. Comunque, il risultato era stato inconcludente. Il cuoco avrebbe potuto non avvelenare quel particolare pasto; non ero ancora convinto.
Frank sospirò. “Gerard, nessuno sta cercando di avvelenarti.”
“Sembri Markman,” brontolai.
“Markman ha ragione,” mi rispose. Lo disse senza nessun cenno di sarcasmo o sorpresa.
Misi il broncio e abbassai gli occhi sul vassoio. Frank fece un verso di disapprovazione. “Bhè, non dovrai preoccupartene ancora a lungo, giusto?”
“Huh?” onestamente non sapevo a cosa si stesse riferendo.
Mi guardò divertito. Si spiegò meglio. “Stiamo ancora per scappare, vero?”
Questo mi sorprese. Credevo che tutta quella cosa su 'gli stupratori sono in città e mi stanno cercando' significasse che non voleva lasciare la sicurezza che gli forniva l'istituto.
“Vero?” sembrava un po' agitato.
Lo guardai accigliato. “Vuoi andartene? Pensavo che...”
La sua faccia divenne improvvisamente pallida. “Non possiamo restare qui,” disse, enfatizzando con forza le parole. “Stanno arrivando a prenderti. Ti porteranno via da me. Hai promesso di proteggermi. Come potresti farlo se fossi in prigione, Gerard?” la voce di Frank era piena di paura.
Annuii con fervore. “Non lascerò che ti facciano del male. Troverò un modo. Te lo prometto.”
Frank si abbracciò forte lo stomaco. Non avevo idea di come far uscire entrambi dall'istituto senza essere visti. Un paio di notti prima ero uscito dalla mia camera e avevo provato ad aprire la porta di vetro, ma il codice era cambiato da quando ero riuscito a decifrarlo molti mesi prima. A meno che non lo decifrassi in 24 ore, avrei dovuto trovare un altro modo. Non consideravo nemmeno l'entrata per i visitatori. L'unico modo per entrare o uscire da quella porta era sgattaiolare oltre i membri del personale alla reception. Anche la porta di servizio era inaccessibile. Poteva essere aperta solo se una persona aveva una carta d'identità e sapeva il codice giusto. Considerando che non avevo ne' il codice, ne' la carta d'identità, ero fregato.
Pensavo che Bluestone avrebbe dovuto essere un istituto di minima sicurezza. Finora, era dannatamente impossibile uscirne.
Anche se, in qualche modo, io e Frank fossimo riusciti a scappare dall'edificio, c'era ancora il grande problema della recinzione, e la possibilità che ci fossero delle guardie. Pensai fosse assurdo che un piccolo istituto mentale di minima sicurezza potesse avere delle guardie. Era come se volessero prevenire il fatto di uscire o di entrare.
Ero così immerso nel mio inutile progetto del piano che non notai il il pezzo di carta che era svolazzato nel mio vassoio. Frank lo notò e lo prese. Alzò un sopracciglio e lo aprì. Si guardò attorno e vide Bob e Ray che correvano via. Ci scambiammo uno sguardo. Era uno sguardo che diceva chiaramente: 'oh santo cielo, e adesso?'
Lui schiarì la gola e lesse il messaggio. “Incontriamoci da Percy alle 15.30 precise. Assicuratevi di non essere seguiti. X.”
“X?” ripetei sghignazzando.
Frank ghignò, finalmente un' espressione gradita dopo tutta quella mattinata. Guardò l'orologio. “12.50.” mi disse.
Non avevo tempo per questo. Avevo altre cose più importanti da fare quel giorno. Anche continuando a ripetermelo, mi ritrovai a camminare dietro Frank alle 15.30. Bob e Ray ci stavano aspettando accanto al ceppo dell'albero conosciuto come Percey. Io e Frank ci scambiammo uno sguardo afflitto e ci avvicinammo.
“Siete seguiti?” domandò Ray.
Entrambi ci girammo per guardarci dietro le spalle. Non c'era nessuno dietro di noi, nemmeno nel raggio di venti metri. Ray annuì soddisfatto, e ci disse di sederci. Esitammo, ma il suo sguardo feroce ci forzò a metterci in ginocchio in meno di tre secondi.
“Spero ti sia piaciuto il giornale,” commentò Ray, guardando scaltramente Frank.
Lui diventò tutto rosso. “Mi dispiace,” mormorò. Sapeva quanto Ray fosse ossessionato dai suoi fumetti.
“Lo rivoglio,” disse l'altro in modo brusco.
Frank si girò verso di me e fece un grande respiro. “Non ce l'ho, Ray,” disse dispiaciuto.

Ray alzò le braccia irritato. “Bhè, ora non saprò mai cosa è successo a Ruby!”
“E' per questo che ci volevi qui?” dissi io con rabbia. Avevo altre cose migliori da fare. Non avevamo bisogno di un interrogatorio su dove fosse quel fottuto fumetto. Non capivo perchè Ray amasse così tanto Spiderman.
Bob scosse le mani. “No, non è per questo,” disse, cercando di calmare Ray con uno sguardo. “Abbiamo qualcosa che dobbiamo condividere con voi.”
Ray diede un'occhiataccia all'amico. “Ma dovevo saperlo!”
Feci un sonoro rumore di rabbia con la gola. “Scivola dal terrazzo e cade dal ventesimo piano, ma Spiderman riesce a salvarla poco prima che stia per spiaccicarsi al suolo.” Come cazzo facevo a saperlo?
Ray spalancò gli occhi. Sogghignò trionfante. “Sapevo che non l'avrebbe lasciata morire!”
Bob mi sorrise e diede un colpetto sul ginocchio di Ray. “Possiamo dirglielo ora?” gli chiese.
Ero solo per metà interessato a quel discorso. Non sapevo se ci fosse qualcos'altro che avrebbero potuto dirmi che avrebbe potuto cambiare tutto.
“Vogliamo aiutarvi a scappare.”
Aprii la bocca, sbalordito. Come cazzo facevano a saperlo? Era una cosa negativa. Più persone sapevano quello che stavamo progettando di fare, più persone avrebbero potuto coglierci sul fatto. Guardai Frank. Era terrorizzato tanto quanto me. Ci girammo entrambi verso gli altri due. Ero vicino al dare un ceffone a Ray. Ero convinto che mi avesse spiato, o almeno che avesse sentito le mie conversazioni.
“Non stiamo per scappare,” mentii. Dovevo convincerli in qualche modo.
Bob e Ray risero. “Va bene!” disse Bob. “Non lo diremo a nessuno. Vogliamo aiutarvi.”
Oh, grandioso.
Frank mi lanciò uno sguardo preoccupato. Sapeva che poteva solo che finire male. Poteva non conoscere Ray quanto me, ma lo conosceva abbastanza per sapere che era incredibilmente instabile. Cominciai a pensare a come corrompere Ray e Bob per fargli dimenticare quella conversazione. Senza accorgermene presi un filo d'erba e cominciai ad arrotolarlo fra le dita.
“Gerard,” disse Bob con fermezza.
Alzai lo sguardo. “Che c'è?”
“Non farlo.” indicò il filo d'erba che avevo in mano.
Oh, giusto. Rimisi il filo d'erba per terra e roteai gli occhi.
Ray si schiarì la gola. “Posso dirvi cos'è successo?” non aspettò la mia risposta e proseguì.
“Bhè, è stato poco tempo fa, Gerard, te lo ricordi?”
Ne dubitavo.
“Te lo ricordi?! Ti ho chiesto se stavate progettando di scappare?”
Porca puttana, aveva ragione. Cazzo.
“Ma tu hai detto di no?”
Bhè, non ci pensavo, a quel tempo.
“Comunque, è venuto fuori che i miei cereali avevano ragione, si erano solo sbagliati riguardo il quando. Gerard, i miei cereali hanno predetto che sarebbe successo questo!”
“Dovrei applaudirti o qualcosa del genere?” dissi sarcasticamente.
Lui mi ignorò. “Ero così deluso al tempo che decisi di smetterla di mangiare cereali. Ero così stufo che avessero torto. Ma è questa la cosa! Non avevano torno! Appena l'ho realizzato ho capito che dovevo mangiarli di nuovo. E loro mi hanno detto esattamente come sareste scappati.”
Non riuscivo a credere che stavamo parlando delle predizioni dei cereali.
“Come?” chiese Frank.
“L'allarme antincendio,” disse Ray, con l'aria di chi la sapeva lunga.
Mi sentivo così incredibilmente stupido. Era come se avessi tradito il mio cervello. Ma certo! Il punto di evacuazione dell' istituto era il parcheggio del personale. Una volta fuori, tutto quello che avremmo dovuto fare sarebbe stato staccarsi dal gruppo e correre via. Era davvero semplice e mi sentii irritato per non averci pensato prima.
La speranza sul volto di Frank era qualcosa di meraviglioso. Mi fece venire voglia di baciarlo. Si girò verso di me. “Funzionerà?” chiese, con gli occhi luminosi come stelle.
“E' brillante,” si intromise Ray, guardando fra me e lui.
Lo ignorai e mi rivolsi a Frank. “Funzionerà,” dissi onestamente. Stavo silenziosamente invidiando il fatto che Ray avesse battuto il mio cervello. “Ma-”
“Ma cosa!?” ci interruppe di nuovo. “Gerard, funzionerà. L'unica cosa è... che dovrete andarvene stanotte.”
Alla mia destra, Frank annuì.


 

***


 

Il mio cuore pulsava ansioso a 110 battiti al minuto mentre stavo sdraiato nella cupa oscurità della mia stanza. Era troppo veloce per i miei gusti. Dopo che Ray aveva annunciato che se volevamo andarcene, dovevamo andarcene quella sera, tutto sembrava aver cominciato a muoversi a velocità doppia. Non dico che non volevo andarmene, ma sono che non volevo essere scoperto perchè il piano faceva schifo o non era stato pensato adeguatamente. Avevo seri dubbi. Le probabilità di successo erano così poche che nemmeno esistevano. Cazzo.
Piegai il braccio sinistro e trasalii. Nonostante le mie proteste, subito dopo l'incontro con Ray e Bob ero stato portato a fare l'esame del sangue. Sì, ero stato un po' aiutato dal fatto che Frank fosse lì, ma tremavo ancora così tanto che l'infermiera aveva mancato la vena e aveva dovuto fare il prelievo due volte. Giuro, tutto il personale della clinica era formato da incompetenti.
L'istituto era così silenzioso di notte, che mi ero preoccupato inutilmente di non sentire il segnale. Mi alzai in piedi quando sentii la voce di Ray risuonare nel corridoio. Strinsi con forza la maglietta fra le mie mani e strisciai verso la porta. Sentii dei passi e due degli inservienti in servizio corsero velocemente verso la stanza di Ray. Feci un respiro profondo e aprii la porta. Guardai attentamente fuori. Dopo aver visto che era deserto, uscii e la richiusi senza far rumore. Potevo ancora sentire Ray che continuava e sapevo che non avevo tempo da perdere. Lui poteva far sorgere un dramma dal nulla, e quella notte lo stava certamente facendo.
Attraversai frettolosamente il corridoio, lontano dalla stanza di Ray, e verso la caffetteria. Doveva esserci la luna piena, perchè la mensa era illuminata quando la attraversai. Da lì mi diressi verso il corridoio che portava all'allarme antincendio. Mi era familiare quel corridoio; lì vicino c'era l'ufficio di Markman.
Di solito non ci era permesso stare lì, a meno che non dovessimo vedere qualcuno. Riconobbi la piccola scatola di vetro a metà del corridoio, vicino alla porta che diceva 'Dr. Jared Leto'. Mi misi di fronte all'allarme e cominciai ad arrotolare la maglietta attorno al mio pugno. Le istruzioni dicevano, 'Rompere il vetro in caso di incendio'. Era esattamente come avevo programmato.
Proprio mentre stavo per infrangere il vetro, sentii un rumore dalla fine del corridoio. Esitando, guardai nella direzione da cui proveniva. Markman era sorpresa nel vedere me, quanto io nel vederla. Si bloccò a metà strada, mentre stava chiudendo a chiave il suo ufficio. Abbandonò la porta e cominciò a camminare verso di me.
“Gerard,” disse lentamente. “Cosa stai facendo?”
Alzai di nuovo il pugno. Non avrei lasciato che mi fermasse.
Nel momento in cui capì cosa stavo per fare, si fermò a qualche metro da me. “Gerard, non farlo.” disse, in un modo assurdamente calmo; Stavo sudando tantissimo e il cuore mi batteva forte. Fece un passo avanti, ma io tirai in avanti il pugno minacciosamente.
“Sai bene che qui ci sono molte persone che reagiranno molto male alla situazione che stai per creare.”
Era quello che volevo. Volevo il caos. Senza il caos ci avrebbero segnalati come persi quasi immediatamente. Avevamo bisogno di una copertura.
“Gerard, dimmi cosa stai pensando?” chiese Markman, facendo un altro passo avanti. “Perchè vuoi farlo?”
“La smetta!” sibilai, guardando nervosamente prima Markman, poi l'allarme.
Lei mi guardò intensamente. Porco diavolo, non stavo per uccidere nessuno.
“Gerard, perchè vuoi farlo? Per avere attenzione?”
“La smetta!” ripetei. Non avevo bisogno delle sue abilità da strizzacervelli in quel momento. Il tempo stava scorrendo. Dovevo far suonare l'allarme, o sarebbe finita.
“Gerard, non ne trarrai alcun beneficio. In effetti, ti ho già avvisato sul fatto di non metterti più nei guai. Oppure...”
Cominciai ad aprire e chiudere con ansia il pugno coperto dalla maglietta. C'ero quasi. “Non capisce?” ringhiai. “Pensa davvero che possa stare qui ad aspettare che vengano a prendermi per portarmi via? Non posso aspettare qui. So di aver fatto una cosa cattiva e mi dispiace, ma non posso lasciarlo. Lui ha bisogno di me. Ho detto che l'avrei guarito, ma ho bisogno di più tempo. Non posso lasciare che mi portino via da lui.”
Dire che Markman fosse sorpresa sarebbe stato riduttivo in quel momento. “Lo stai facendo per Frank,” precisò, silenziosamente.
“Io lo amo,” sussurrai in modo squallido. Era la prima volta che lo ammettevo a qualcuno. Era la prima volta che dicevo quelle tre parole a voce altra. Ugh, che patetico.
Con la frase ancora sulla lingua, mi girai e diedi un pungo al vetro, più forte che potei. Il vetro si infranse rumorosamente e cadde sul pavimento, attorno ai miei piedi. Avvolsi le dita tremanti attorno alla leva rossa e la tirai giù.





 

Note del traduttore: Allora, siamo arrivati al capitolo 15! Ne mancano ancora 6 (se consideriamo che il capitolo 16 è diviso in due parti), quindi penso di riuscire a finire la traduzione entro la fine di Aprile (scuola permettendo).
Volevo inoltre cogliere l'occasione per ringraziare particolarmente Agua, che è stata la mia beta per questo capitolo.

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Capitolo 16
*** 16. prima parte ***


A SPLITTING OF THE MIND

***

16.
prima parte


We're Not In Wonderland Anymore, Alice.


 



 


Pensai di aver un po' sottovalutato le conseguenze delle mie azioni.
Okay, forse le avevo 
un po' troppo sottovalutate.
Oh bhè, comunque lo facevo abbastanza spesso.
Lasciai andare la leva rossa e quella tornò nella sua posizione originale, silenziosamente. Mi ci volle un momento per scrollare sul pavimento i pezzi di vetro che mi si erano attaccati alla maglietta. Quando non ebbi più pezzetti addosso, appallottolai la maglia e mi feci strada verso la caffetteria, dove dovevo incontrare Frank. Potevo appena sentire le urla degli altri pazienti che, dopo aver sentito l'allarme, uscivano pieni di panico dalle loro stanze.
Una piccola, piccolissima parte di me aveva creduto che Markman mi avrebbe lasciato andare. Questa piccola parte era ovviamente nel torto, perchè in realtà mi prese il braccio e lo strinse duramente appena lo raggiunse.
Mi bloccai verso di lei e feci un respiro profondo.
“Mi lasci andare,” dissi tranquillamente. Volevo darle una chance per lasciarmi andare prima che fossi stato costretto ad andarmene con la forza. Mi girai per guardare in fondo al corridoio.
“Sai che non posso.”
Lentamente mi voltai per guardarla. “Sì, invece può.”
Markman sembrava davvero agitata. Era come se sapesse che qualcosa di brutto era successo, o che stava per succedere, il che era strano perchè tutto quello che avevo fatto era stato premere l'allarme, non innescare una bomba a idrogeno. In ogni caso, mi diede un grande senso di soddisfazione sapere che non avrebbe avuto una notte tranquilla. “Non posso,” ripetè, cominciando a frugare con la mano libera nella sua enorme borsa.
Riuscivo a percepire il tempo che stava passando. Le voci impaurite degli altri pazienti sovrastavano il suono dell'allarme antincendio. Strappai il braccio dalla presa di Markman e non mi sentii affatto propenso all'idea di sorreggerla mentre le facevo perdere l'equilibrio.
“Gerard!” esclamò lei.
“Non può?” dissi con calma. “O non vuole?”
Non rispose. O forse, non sapeva rispondere. Comunque, non mi importava. “Se sarò fortunato,” dissi con cattiveria, “questa sarà l'ultima volta che ci vediamo.” Cominciai ad allontanarmi. Mi domandavo se sarei stato così fortunato. Avevo sprecato gli ultimi tre anni della mia vita accanto a Markman. Tre patetici anni. Chissà cosa mi sarebbe successo se non avessi mai incontrato Frank. Un momento, in realtà lo sapevo: avrei continuato ad essere patetico. Cazzo, che liberazione.
“Mi dispiace,” mi chiamò lei da dietro.
Mi bloccai. Cioè, non erano parole inconsuete da dire a qualcuno prima di una separazione, ma era strano che Markman me lo stesse dicendo. Non mi aveva mai detto una cosa del genere. Non volevo girarmi a guardarla di nuovo, ma la curiosità mi stava uccidendo. Sapevo che non glielo avessi chiesto in quel momento, me ne sarei pentito per il resto della mia vita. Forse si stava scusando per avermi messo in isolamento per tutte quelle fottute settimane? O forse, si stava scusando per non aver creduto a 
Loro?
“Per cosa?” dissi, voltandomi. Doveva essere per Loro. Era la cosa più importante per cui si potesse scusare. Si stava pentendo di non avermi creduto e per aver provato a farmi sentire pazzo.
Sembrava triste. Perchè mai sarebbe dovuta essere triste? Avrebbe dovuto rallegrarsi del fatto che non ci saremmo visti mai più. Se fossi stato in lei, l'avrei fatto.
“Mi dispiace per averti rovinato la vita,” disse.
Sembrava davvero desolata. Che sorpresa. Comunque, non era questo il punto. Era stato quello che mi aveva detto a sorprendermi.
Strabuzzai gli occhi tre volte, aspettando che si spiegasse. Un momento, Markman mi aveva 
rovinato la vita? Quando? Perchè? Stava dicendo letteralmente o in senso figurato? Sapevo che aveva reso la mia vita dannatamente squallida, ma non così tanto da dire che l'avesse rovinata. C'era qualcos' altro che non mi aveva detto?
“Un momento!” urlai, mentre se ne andava via da me. Perchè 
lei se ne stava andando via da me? Non le era concesso! Ero io che dovevo andarmene da lei. Significava qualcosa. Porca puttana. “Che vuol dire?” chiesi, avvicinandomi di qualche passo.
Non si fermò, né rispose alla mia domanda. Non che mi aspettassi davvero che mi sentisse o mi desse qualche indizio. La volevo seguire e chiederle la risposta, ma sapevo che non c'era tempo. Frank mi stava aspettando. Dovevo andare da lui. Sospirai rumorosamente e mi diressi verso la caffetteria.
Perchè Markman mi aveva rovinato la vita? Aveva qualcosa a che fare con i miei vuoti di memoria? Aveva qualcosa a che fare con Micheal? Forse lo aveva ucciso lei, per poi dare la colpa a me?
Okay, no, che idea stupida. Poteva essere una stronza, ma non un'assassina. Ma nemmeno io. Cazzo. Cazzo, lo ero. Fottiti mondo. Fottiti Markman. Anzi, fottetevi tutti. Eccetto Frank. Comunque, non ero esattamente contrario all'idea di fottere Frank. Non sapevo davvero come... Cazzo, che mi stava succedendo? Perchè avevo iniziato a pensare con il pisello, pur avendo un cervello del genere?

La soddisfazione che avevo sentito prima con Markman tornò non appena vidi il caos che avevo creato. Dico caos perchè era l'unica parola del mio vocabolario che avrebbe potuto descriverlo. Mi fermai a dare un'occhiata, prima di entrare in caffetteria. Era talmente ovvio che il fuoco e i malati mentali fossero incompatibili. Nonostante non ci fosse nessun incendio, anche solo il pensiero mandava tutti nel panico. Il fatto che l'allarme fosse così rumoroso non aiutava di certo. Era così necessario che fosse così assordante? Ero quasi sicuro che se il volume fosse stato dimezzato, avrebbe funzionato comunque.
Pensai che la più grande paura di tutti fosse il fatto che quella era una clinica di sicurezza e che fosse impossibile uscire dall'edificio senza aiuto. E' abbastanza ovvio essere spaventato, quando pensi che stai per morire perchè non c'è nessun modo per scappare. Guardai alla mia destra e vidi Adam che cercava di rompere il vetro di una delle finestre. Mi sentii un po' in colpa quando realizzai che probabilmente si sarebbe rotto la mano. Non volevo che nessuno si facesse male. Non ero così sadico. Forse era questo ciò di cuoi si preoccupava Markman?
Due persone di cui non avevo mai saputo il nome si erano nascoste sotto i tavoli della caffetteria e altre due erano entrate in cucina e stavano cercando di usare le padelle d'acciaio per abbattere la porta d'ingresso. Hayley si era incollata al muro, e guardava la scena con gli occhi spalancati e pieni di paura. Tutti gli altri stavano correndo alla rinfusa come galline isteriche. Fu divertente per tre secondi e mezzo secondi. Poi la situazione diventò fastidiosa e un po' sconcertante. Sapevo di essere l'unica persona sana di mente in quel buco infernale.
Chiusi tutti fuori e ispezionai la caffetteria alla ricerca di Frank. Dopo un po' che lo cercavo e non lo vedevo, cominciai a sentirmi davvero preoccupato. Non vedevo neanche Ray e Bob. Forse erano ancora nelle loro camere? Attraversai la stanza e girai verso l'ala ovest, cercando di stare alla larga da Bert. Aggrottai la fronte quando gli passai vicino. Non sapevo che fosse uscito dall'isolamento. Quando cazzo era successo? Markman mi ci aveva lasciato un sacco di tempo per essere entrato in un'area protetta, ma prendere a pugni qualcuno sembrava che comportasse niente di più di un paio di giorni di detenzione. Parlando di ingiustizie. Nonostante la rabbia che avevo per il modo in cui mi aveva picchiato, lo evitai. Non potevo preoccuparmi di Bert e la sua delusione per Godzilla al momento. Ci sarei tornato, in un altro momento.
Ero arrivato a metà del corridoio e mi ero accorto che non era passato ancora nessuno. La sensazione di preoccupazione si trasformò in paura. E se Frank fosse stato bloccato nella sua stanza? Se gli altri matti gli avessero fatto del male? Digrignai i denti mentre mi affrettavo verso la fine del corridoio. Girai l'angolo che portava alla sua stanza e mi fermai.
A metà della strada davanti a me c'era un tizio che camminava avanti e indietro, brandendo un pezzo di legno come se fosse una spada laser. Dove cazzo l'aveva presa?! Abbandonai il pensiero quando mi accorsi che c'erano Ben, Zach, Frank, Bob, Ray e molte altre persone in fila in fondo al corridoio.
“Indietro! Indietro!” urlò il tizio con la 'spada laser', mentre Ben cercava di avvicinarsi. Frank fece qualche passo indietro quando il ragazzo oscillò minacciosamente il pezzo di legno verso di loro. “Non prenderete mai il mio cuscino!” gridò a Ben. “Tutto questo è solo un espediente per prendermelo! Non lascerò che lo tocchiate! Non vi servirà mai!”
Un cuscino? Seriamente? E Markman credeva che fossi 
io il pazzo?
Porca puttana. Avrebbe dovuto essere facile! L'allarme antincendio doveva spegnersi e io dovevo trovare Frank, dopodichè saremmo scappati. Feci un passo avanti, ma Ben alzò una mano per fermarmi. Mi bloccai e realizzai che il ragazzo con la spada laser non mi aveva ancora visto. Potevo usarlo a mio vantaggio. Strisciai dietro di lui e gli saltai addosso, facendolo schiantare per terra. Immediatamente mi rialzai in piedi, con i pugni alzati in caso avessi dovuto combattere. Il mio desiderio di lottare fu inutile; il ragazzo rotolò sul pavimento, lamentandosi come un bambino. Chi è ora il Jedi, stronzo?
Per qualche strana ragione, Ben e Zach sembravano contenti di vedermi. Ben mi stava fissando come se fossi un cazzo di re, o qualcosa del genere. Zach mi guardò con ansia. “Stai bene?” chiese, preoccupato.
“Sto bene,” dissi lentamente, confuso. Ora 
mi trattavano addirittura come se fossi il re.
“Sei sicuro?” domandò Zach. “Non sei ferito ne' niente?”
Gli diedi un'occhiataccia. “Perchè?”
“Sei sicuro di non essere ferito?” mi chiese di nuovo lui, ancora più agitato.
“Sì...”
Zach annuì e si girò verso Ben. “Stai con Gerard, io comincio l'evacuazione.”
Spalancai la bocca. Non c'era nessuna fottuta possibilità di scappare con un babysitter alle calcagna. Scossi la testa violentemente. “No,” mi opposi.
Ben sembrava ugualmente infastidito. “Neanche per idea. Hai bisogno di me per portare i pazienti fuori.”
“Allora, cosa facciamo con Gerard?”
Era come se fossi diventato invisibile. Non potevo credere che stessero veramente discutendo su chi mi dovesse fare da tata. Che incubo del cazzo. Desiderai di non aver mai dato retta a Ray. Desiderai di non aver mai abbassato quella leva. “So badare a me stesso,” mi intromisi.
Ben meditò per un momento, ignorandomi. “Affidarlo a una delle guardie di sicurezza?” suggerì, abbassandosi per prendere il pezzo di legno.
A Zach sembrò una buona idea. “Tutte le guardie ne sono al corrente, vero?”
Entrambi cominciarono a camminare verso la caffetteria e mi ordinarono di seguirli. Lo feci, in modo davvero riluttante.
Ben mi diede un'occhiata. “Penso di sì. E' importante?” sussurrò.
L'altro sospirò, irritato. “Sì! Non puoi prendere e darlo in custodia alla prima guardia di sicurezza che passa. Immagina se venisse rapito.” sussurrò, l'ultima frase la disse così a bassa voce che 
quasi non la capii. Accidenti, rapito? Seriamente? Non ero mica un ragazzino.
Lo stomaco mi si contorse dolorosamente quando mi guardai attorno per cercare Frank. Stava camminando a grande distanza da me, quindi alzai il braccio, intimandogli di avvicinarsi. Fece una corsa per raggiungermi. Gli misi un braccio attorno in modo protettivo, mentre cercavo ancora di sentire cosa stessero dicendo Zach e Ben. Come cazzo era possibile che mi rapissero? Non ero nessuno di così importante.
O forse lo ero. Questo avrebbe spiegato un sacco di cose. Cazzo.
Accidenti, avevo scordato quanto combaciasse bene il mio corpo con quello di Frank.
Quando raggiungemmo la caffetteria pensai di essermi salvato, perchè Ben e Zach sembravano aver dimenticato la loro discussione su chi dovesse badare a me, quando irruppero nello scenario. In quella stanza c'era un delirio pauroso. Osservai preoccupato che le scenette drammatiche di Bert erano persino peggiorate.
Mi sforzai di restare calmo. Avevo un lavoro da svolgere. No, cazzo, avevo una 
missione. Dovevo proteggere Frank e portarci fuori da quel posto. Il risultato non era negoziabile.
“E' abbastanza drammatico per te, Gerard?” chiese con calma Ray, posizionandosi accanto a me.
“Non volevo che qualcuno si facesse del male,” mormorai, guardando Adam che continuava a sbattere il pugno contro la finestra.
Ray scosse lentamente la testa. “E' troppo tardi adesso,” disse. Aveva ragione. Non potevamo sapere che sarebbe stato così pericoloso e che tutti avrebbero reagito in quel modo. Avevo abbassato quella leva e ora dovevo uscire da quel posto. Di nuovo, non era negoziabile.
Zach riapparì accanto al nostro gruppo. “Voglio che tutti voi veniate con me ora,” ordinò, scortandoci attraverso la mensa e poi in un'area della clinica con cui non avevo molta familiarità. Ci fece affrettare verso l'entrata del personale, tirando fuori maldestramente la carta di sicurezza mentre giungevamo davanti alla porta. La fece scivolare attraverso la fessura e lo guardai attentamente mentre immetteva il codice di accesso, premendo frettolosamente i numeri sulla tastiera.
Nove. Sette. Uno. Nove. Due.
Me lo sarei ricordato.
La luce diventò verde e la porta si aprì. Zach abbassò la maniglia di metallo e spinse. Tenne la porta aperta mentre noi tutti uscivamo fuori. Resistetti al desiderio di mettermi davanti. Volevo evitare ogni inutile sospetto che avrebbe potuto crearsi se avessi avuto troppa impazienza di uscire fuori. Non pensavo di dovermi preoccupare troppo, comunque; Zach era incredibilmente occupato e distratto. Attraversammo un altro piccolo corridoio che ci portò a una doppia porta di vetro. Oltre quelle, riuscivo a vedere il parcheggio. Zach strisciò di nuovo la carta, ma non digitò nessun codice. Le porte fecero un sonoro 
schiocco e lui le aprì entrambe.
Potei percepire quasi immediatamente la fredda aria notturna sul mio viso, e fu in quel momento che assaggiai la libertà. Mi girai indietro per guardare Frank e vidi la speranza nei suoi occhi. Stava per succedere, e ora lo sapeva anche lui. Non avrebbe più avuto bisogno di contare sui miei sogni e le mie aspettative irrealizzabili. Finalmente se le stava creando da solo.
Alzò lo sguardo e mi sorrise.

Sorrise.
Volevo dirgli che lo amavo. In quel momento. Volevo urlarglielo. Volevo sussurrarglielo. Volevo solo che sapesse che lo amavo più di ogni altra cosa al mondo.
Ma non lo feci.
Certo che non lo feci.
Invece gli misi un braccio attorno, cercando di fargli da scudo contro la morsa dell'aria notturna. Desiderai di essermi portato la giacca. Frank ce l'aveva, fortunatamente, e questo era tutto ciò che mi importava.
Ispezionai il parcheggio. C'erano quattro macchine nell'oscurità, parcheggiate sul cemento. A sinistra della porta da cui eravamo appena usciti c'era una fila di siepi e alberi che delimitavano l'area. A destra c'era un alto muro che supposi fosse quello che circondava il cortile. Focalizzai la mia attenzione sulle siepi. Immaginai che se io e Frank ci fossimo scivolati sotto, le avremmo potute usare per nasconderci mentre raggiungevamo il cancello automatico d'acciaio che presidiava l'entrata. Era l'ultima barriera da superare per la libertà. C'era un piccolo posto di guardia lì vicino, ma sapevo che avrebbe potuto essere vuoto.
“Merda,” la frustrazione di Zach mi fece girare di nuovo. Era davanti alla porta e stava ripetutamente abbassando e alzando una levetta.
Lo fissai per qualche secondo, prima di intromettermi, “Penso sia rotta.”
Lui guardò me, e poi l'interruttore. Cercò di accendere i fari che presumetti fossero collegati all'interruttore. Fui dannatamente contento nel vedere che le luci non funzionavano. Sarebbe stato più facile scappare nel buio. Zach ci riprovò un altro paio di volte, prima di arrendersi. L'unica luce nel parcheggio era quella che proveniva da un flebile riflettore sul muro.
La mia attenzione si spostò sul cancello d'entrata. Fece un rumore stridulo mentre si apriva, quel che bastava per far entrare un tizio sconosciuto. L'uomo provò a richiudere le due porte, ma poi si arrese e si incamminò verso il nostro piccolo gruppo. Feci una veloce riflessione e quasi mi vennero le vertigini quando realizzai che io e Frank avremmo potuto scappare attraverso il varco che la guardia aveva cercato inutilmente di chiudere. Ogni cosa sembrava essere capitata al momento giusto. Era troppo bello per essere vero. Mentre l'uomo si avvicinava, capii che era una delle guardie di sicurezza che controllavano il perimetro.
“Perchè ci hai messo così tanto?” schioccò Zach.
La guardia fece un'alzata di spalle. “Sono qui, giusto?”
L'altro fece un brontolio con la gola. “Fai il tuo lavoro,” ordinò. “Bada a Gerard.”
Anche se non lo vidi, ero sicuro che la guardia avesse appena sbuffato. Zach se ne andò di nuovo.
Con naturalezza, cominciai ad avvicinarmi ai cespugli. Non era ancora ora di andare. Se la guardia non avesse visto che io e Frank eravamo spariti, sicuramente l'avrebbe notato Zach, tornando con il successivo gruppo di persone. Ma dovevamo essere pronti.
L'uomo ispezionò il gruppetto. “Chi di voi è Gerard?” chiese, scrutandoci uno a uno.
Un momento, era serio?
“Io.” Ray fece un passo in avanti, alzando la mano come se fosse stato chiamato da un'insegnante.
Oh Ray, sei una fottuta leggenda. Grazie. Grazie. Grazie un milione di volte. Giuro che ti ripagherò un giorno. Croce sul cuore. Non ti prenderò mai più in giro per i messaggi dei cereali.
La guardia annuì. “Bene,” disse con voce rauca. “Siediti dove posso vederti.” Ray con obbedienza si mise seduto su un gradino. Dopo questo, la guardia smise di guardare me e Frank. La cosa ci diede una gioia immensa. Frank mi strinse forte la mano e lentamente ci avvicinammo ancora di più ai cespugli.
“Ora?” sussurrò.
Scossi la testa. Dovevamo aspettare che Zach tornasse. Doveva vedere che eravamo lì.
Sembrò passare un'eternità prima che tornasse con un nuovo gruppo di persone. Il senso di urgenza che aveva prima sembrava essersi un po' attenuato, probabilmente perchè aveva capito che non c'era nessun incendio. Forse adesso era più interessato a scoprire chi aveva fatto scattare l'allarme, in primo luogo rovinando la quiete notturna. Non avevo solo bisogno di sembrare innocente; dovevo sprizzare innocenza da tutti i pori. Zach era una delle persone che riusciva a capire quando dicevo una stronzata.
Ben lo seguì fuori, tenendo un asciugamano avvolto attorno alla mano di Adam.
Cazzo, Adam si era fatto uscire il sangue?
Ben Fece sedere il ragazzo accanto a Ray e gli parlò per circa un minuto, con tono calmo, cercando di rassicurarlo.
“Qualcuno deve restare qui fuori,” disse a Zach. Ci eravamo abbastanza allontanati, e dovetti tendere le orecchie per capire quello che stavano dicendo.
“Resto io,” si offrì Zach.
No. No. No. Cazzo. Avevamo appena perso la nostra occasione. Pensai che lo avesse capito anche Frank, perchè mi lasciò la mano, per poi stringersi a se'.
“No, resto io.” Markman si avvicinò a Ben e Zach. Da dove cazzo era saltata fuori?
Il mio stomaco si riempì di paura e delusione. I due inservienti tornarono dentro, lasciando Markman e la guardia accanto alla porta. Non si era ancora guardata attorno. Non ci aveva visto accanto alle siepi. Per quello che ne sapeva, potevamo ancora essere dentro l'edificio. Forse era quello il momento buono per andarsene?
Sì. Andiamo.
Strinsi la mano di Frank e lo trascinai dentro ai cespugli. Si stupì, ma lasciò che lo spingessi nella sporcizia, dietro qualche arbusto potato di recente.
“Ora?” disse con voce incredula.
“Sì,” risposi, scostando le foglie per vedere dove fosse Markman. Sarebbe stata lei il più grande ostacolo. Sapeva cosa avevo intenzione di fare e non avevo dubbi che sarebbe stata attenta al massimo. Sapevo che la ragione per cui era lì fuori era che mi stava cercando. Nessuna speranza. Non avrei lasciato che mi fermasse. Avrei fatto di tutto per impedirlo.
“Gerard...”
Ancora accovacciato, mi girai sulle suole delle scarpe per guardare in faccia Frank. “Lei sa.”
“Lei sa cosa?”
Diedi un altro sguardo attraverso le foglie. Markman si era accucciata per parlare ad Adam. Probabilmente era preoccupato per qualcosa, come essere scoperto dagli alieni che stavano cercando di rapirlo di nuovo. Raramente usciva fuori, perchè aveva paura di essere rapito. Una volta mi aveva detto che è più difficile venire catturati, se si è sotto un tetto. In effetti, aveva senso.
“Era lì quando ho fatto scattare l'allarme. Sa quello che stiamo per fare.”
Non sapevo dire se Frank fosse arrabbiato con me o con lei. “Perchè non mi hai detto niente?” sibilò, furioso. Anche nell'ombra, riuscivo a vedere la desolazione sul suo viso.
Mi ressi al cespuglio con le mani. “Perchè non avrebbe cambiato nulla. Ce ne andiamo stanotte, sia che lo sappia. Sia che non lo sappia. Te lo prometto.”
Frank si allontanò da me. “Non fare promesse che non puoi mantenere,” disse piano. Aveva abbandonato la speranza. No. Cazzo.
Parlando a voce bassa, risposi “Ti porterò fuori di qui.”
“E a cosa servirebbe?” esclamò lui, e io cercai di zittirlo. “Anche se riuscissimo a scappare ci prenderebbero dopo nemmeno un miglio! Poi sicuramente ci separeranno.” Si alzò in piedi. “Non posso andarmene. Non me ne vado. Markman sa quello che stiamo per fare. Quando ci prenderanno ti porteranno via da me per sempre. Preferisco passare qui il poco tempo che ci è rimasto per stare insieme, piuttosto che solo dieci minuti fuori da questo posto.”
“No,” sussurrai con tono infelice. Mi stava facendo a pezzi il cuore. Mi provocava dolore al petto.
“E' 
finita, Gerard, non lo capisci? Non possiamo andarcene. Non provarci nemmeno, Gerard, non provarci.”
“Non è finita,” insistetti. “Ho detto che l'avrei fatto.
 Te l'ho promesso.
Mi allungai per prendere la sua mano, ma lui la rifiutò tristemente e uscì fuori dai cespugli, tornando verso il parcheggio. La disperazione mi colpì, pesante come una tonnellata di mattoni. Guardai attraverso le foglie, cercando di decidere cosa fare. Non potevo andarmene- Frank me l'aveva detto molto chiaramente.
Torna indietro, dannazione.
Notai che Markman aveva individuato Frank e che aveva lasciato la sua postazione accanto alla porta. Lei camminò verso di lui. Cazzo. Cazzo. Cazzo. Frank era troppo occupato a ripulirsi i vestiti sporchi di terra per notare che lei si stava avvicinando rapidamente. Lo intercettò e con calma lo guidò verso la parte buia dell'edificio. Che cazzo stava facendo? Pensava veramente che Frank le avrebbe detto dove fossi? Tutto quello che potevo vedere era che Markman si era avvicinata a Frank in modo cospiratorio, come una spia che riferisce un messaggio. Non sapevo se stessero parlando di me, ma molto probabilmente era così. Spalancai gli occhi quando vidi che passava qualcosa, un pacchetto, a Frank. Era troppo buio per vedere cosa ci fece. Dovevo ricordarmi di chiedergli cosa fosse. Lo scambio del pacchetto sembrò segnare la fine della loro conversazione, perchè lei fece qualche passo avanti, guardandosi attorno, per ispezionare l'area. Con mia completa sorpresa, appena la guardia guardò da un'altra parte, guidò Frank fuori dall'oscurità e lo mandò verso i cespugli. Lo stava rimandando da me. Tutto questo non aveva senso...
Markman lanciò un ultimo sguardo nella mia direzione, poi tornò vicino ad Adam e Ben, come se nulla fosse successo. Appena Frank corse verso di me, mi alzai in piedi.
“Che cos-,” cominciai a chiedere, ma lui mi zittì. Mi strinse la mano e mi spinse verso il cancello d'entrata. Quasi inciampai nella fretta. Frank mi spostò alla sua destra, il suo viso era arrossato per l'emozione.
“Sbrigati!” mi fece, il suo entusiasmo era tangibile.
“Che cosa ti ha detto? Frank? 
Cosa ha detto?” domandai.
Lui si fermò mezzo secondo e disse, “Corri.”
“Cosa?” che cazzo significava?
“Ha detto di correre. Quindi corri, dannazione, Gerard.”
Oh. Giusto. Perchè tutto questo aveva molto senso, cazzo. Perchè mai ci avrebbe detto di correre? Voleva che che scappassimo? Meno di mezz'ora prima aveva detto che non mi avrebbe mai lasciato scappare. Che cazzo di gioco stava facendo?
“Gerard!” esclamò Frank, scuotendomi il braccio per dirmi di sbrigarmi.
“Ma-” cercai di obiettare di nuovo.
Frank brontolò, scuotendomi più forte il braccio. Quel ragazzo stava cercando di staccarmi il braccio dall'articolazione, giuro.
“Te lo dico dopo, ok? Ora corri, per l'amor di Dio!”
Finalmente mi decisi a credergli, e lo seguii. Il suo umore sembrava aver fatto un giro di 180 gradi nello spazio in meno di due minuti. Un secondo prima stava per lasciar perdere e il secondo dopo mi incoraggiava a scappare. Volevo disperatamente sapere cosa avesse detto Markman e cosa gli avesse dato. Qualcosa era cambiato da quando lei mi aveva stretto il braccio accanto all'allarme antincendio. Ero dannatamente curioso e mi domandavo se Frank lo sapesse. Avrei dovuto farglielo dire.
Mentre pensavo dovevo aver rallentato, perchè quasi caddi quando Frank mi scosse il braccio con violenza, per farmi accelerare. Decisi di prestare attenzione; Non volevo cadere e rovinarmi i jeans.
Corremmo verso il cancello, abbassandoci e usando i cespugli come copertura. Appena raggiungemmo la fine dei cespugli, realizzai che la distanza fra gli arbusti e il cancello era più o meno tre metri. Dovevamo percorrere la distanza senza essere visti da nessuno di quelli che stavano nel parcheggio. Cazzo.
Prima che aprissi bocca per chiedere a Frank cosa dovessimo fare, lui era già uscito dai cespugli ed era schizzato verso il posto di guardia. Mannaggia a lui e alla sua impulsività. Avrei preferito prendere in considerazione tutte le opzioni che avevo in testa e formulare un piano.
“Sbrigati,” sibilò, facendomi cenno con la mano, appena arrivò. Guardai ansiosamente verso Zach e gli altri. E se mi avessero visto? “Gerard!” insistette Frank, chiamandomi dal punto di salvezza dall'altra parte del perimetro.
Uscii di corsa dalle siepi e percorsi i tre metri. Trattenni il respiro, cercando di appiattirmi più che potessi per passare attraverso il piccolo varco. Non ero magro come Frank e il cancello cominciò a cigolare mentre cercavo di passare. Cominciai a impanicarmi e il sudore cominciò a scivolarmi sulla fronte. Se avessi spinto il cancello,o lo avessi aperto di più, avrebbe fatto il terribile rumore che aveva fatto quando prima la guardia lo aveva aperto. Un centimetro in più e avrei rovinato tutto.
“Non preoccuparti!” disse Frank con tono di urgenza.
Se lo dici tu, Frank. Spinsi il cancello con entrambe le mani, aprendolo quel poco che bastava per scivolarci attraverso, rabbrividendo per il rumore che fece. Sperai di non aver attirato l'attenzione sul cancello, ma non avrei potuto fare nient'altro. Avevo speranza nel fatto che se Markman fosse stata, per qualche inspiegabile ragione, dalla nostra parte, ci avrebbe dato il tempo che bastava per arrivare in fondo alla strada.
Appena riuscii a passare, Frank mi strinse la mia mano di nuovo e insieme corremmo verso la fine della via, lontano dalla clinica. Bhè, lui correva veloce e io stavo cercando di non morire, mentre provavo a stargli appresso. Pensai di non aver mai corso così tanto in tutta la mia vita. Giurai che se quel piano avesse funzionato mi sarei rimesso in forma.
Ero così indietro che la mano di Frank scivolò dalla mia. Lui corse ancora un paio di metri, prima di girarsi. Era innervosito, ma fu così gentile da non dirmi niente di cattivo. “Sbrigati,” mi incoraggiò. “Guarda, c'è la macchina!”
Grazie a Dio.
C'era stata una buona ragione per cui Ray aveva insistito così tanto perchè ce ne andassimo proprio quella notte e non un altro giorno. Quando avevamo fatto la nostra decisione di attivare l'allarme e di far evacuare l'istituto, Ray aveva chiesto a suo fratello di aspettarci e prenderci a mezzo miglio di distanza, nel caso fossimo riusciti a scappare. Dovevamo andarcene il prima possibile, perchè suo fratello avrebbe lasciato lo stato dopo quella notte. Cioè, stavamo davvero affidando tutta la nostra vita a Ray. Per quello che ne sapevo, suo fratello avrebbe potuto essere un assassino di autostoppisti. Comunque, se non fossimo stati uccisi, gli avrei dovuto ripagare il grande favore.
Gli abbaglianti della macchina si accesero appena ci avvicinammo e il motore prese vita. Immaginavo fosse un buon segno -ci stava veramente aspettando e non era una specie di serial killer. Diedi un'occhiata alla strada che avevamo appena percorso, ma non c'era nessuno. Forse Markman ci stava coprendo? Non ci credevo molto, ma sembrava essere l'unica spiegazione al momento, perchè Zack e gli altri membri del personale non ci stavano inseguendo.
Passai i cinque secondi che mi dividevano dall'automobile convincendomi ad aprire la portiera e a entrare dentro. Avevo un radicato problema di fiducia, secondo quello che Brendon aveva scritto così gentilmente nella sua tesina. Perchè mai non avrei dovuto avere problemi di fiducia, visto che delle persone fuori da lì mi stavano cercando per 
farmi a pezzi il cervello.
Quando questo pensiero mi attraversò la mente, mi bloccai.
Forse era una trappola.
Forse non c'era il fratello di Ray nell'automobile.
Forse c'erano
 loro?!
Porca troia. Indietreggiai.
Frank si fermò davanti all'auto, con la mano posata sulla maniglia. “Gerard!” esclamò. Il mio corpo era praticamente immobilizzato.
Non potevo farlo. Non potevo entrare in macchina senza sapere. Sapevo che Frank non mi avrebbe mai messo in una situazione in cui 
loro potessero farmi del male, ma Ray...? Forse era il suo modo per vendicarsi della storia dei cereali e per essere stato uno stronzo con lui. Se fossi entrato in macchina sarei morto, e anche Frank.
Poi il mondo sarebbe finito.
Poteva era stato tutto programmato. 
Loro avevano reclutato Ray per spiarmi nella clinica. Forse era per questo che ce ne dovevamo andare quella notte e non un'altra. Sapevano che una volta fuori, non sarei stato capace di correre. Pensai che forse ci sarebbe stata un'imboscata.
Improvvisamente Frank fu al mio fianco, ma non cercò di spingermi verso la macchina. Lo sapeva? Avevo ragione? Avevo sempre ragione. “Entra in macchina, Gerard,” mi supplicò lui. 
Mi supplicò. Non potevo farlo entrare nell'auto sapendo che sarebbe morto.
“- non posso,” mi sforzai di dire. La paura mi sgorgava dalle orecchie e mi corrodeva il petto.
Mi lanciò uno sguardo implorante. “Cosa c'è che non va?”
“E se ci fossero 
loro?” Le parole, dette a voce alta, sembravano diventare reali. Arretrai di un passo. Stavo per tornare indietro.
Frank diede un'occhiata alla macchina e per un momento pensai veramente che sarebbe venuto con me. Indicò l'auto. “Entra in macchina, Gerard,” ordinò, cominciandomi a spingere verso quella.
Impuntai i talloni. “No.”
“Sì,” fece lui con ostinazione.
“Vai tu,” dissi. Non volevo che se ne andasse. Sarei morto se fosse entrato in macchina senza di me.
Mi guardò e alzò le mani. “Stai dicendo seriamente? Non vado da nessuna parte senza di te!”
Oh, grazie al cielo.
“Non posso lasciare che prendano i miei segreti!” sibilai, in modo che il conducente dell'auto non mi potesse sentire.
Non riuscii a capire lo sguardo che attraversò la faccia di Frank in quel momento. Era uno sguardo di... sofferenza? O qualcosa di ugualmente doloroso. Non ne ero sicuro, ma sembrava terrorizzato. Terrorizzato 
per me o da me?
“Oh, Gerard,” gemette agonizzando, coprendosi la faccia con le mani.
Restammo in silenzio per quello che a me sembrò un'ora, ma in realtà furono un paio di secondi. Cercai di capire cosa fare. Mi chiesi se potessi continuare a camminare e se
 loro mi avrebbero lasciato scappare dall'imboscata.
“Okay,” Frank si girò determinato verso di me. “Ecco cosa facciamo. Contiamo fino a cinque, poi prendi la mia mano ed entriamo insieme in macchina.”
Mi stavo sentendo male. “No, Frank,” implorai.
“Ti ricordi quando mi hai detto che non avresti permesso a nessuno di farmi del male?”
Annuii lentamente. Certo che me lo ricordavo. Era il mio dannato discorso.
“Bhè, sono qui per dirti che se entrerai in macchina, sarai al sicuro. 
Loro non sono nell'auto, Gerard. Credimi. Non permetterò che loro ti facciano del male. I tuoi-,” si fermò per un momento, come se le parole successive fossero impronunciabili. “I tuoi segreti sono al sicuro,” disse infine.
Non gli credevo e lui lo sapeva. Meditò per un altro minuto.
“Se mi ami,” disse, “non mi farai andare da solo.” Camminò verso la macchina e aprì la portiera. Mi lanciò un ultimo sguardo supplicante ed entrò nell'auto.
Cercai di urlare, per avvertirlo, ma la voce mi si bloccò in gola. Era un ricatto. Mi stava ricattando emozionalmente. Piccolo bastardo; era fortunato che lo amassi così fottutamente tanto. Come aveva fatto a usare il mio affetto emozionale contro di me? Sapeva che lo amavo? Porca troia, doveva essere questo quello che Markman gli aveva detto prima!
Che stronza traditrice doppiogiochista.
Ovviamente non avevo scelta. Non potevo lasciare che Frank se ne andasse, perchè essenzialmente era come dirgli che non lo amavo. Feci un respiro profondo, il mio petto si gonfiò quando inspirai l'aria. Espirai intensamente, cercando di abbandonare la paura che riempiva ogni singolo pensiero che mi passava per la mente. Con un intenso senso di nausea, mi avvicinai alla macchina e mi abbassai per scivolare all'interno.
Una volta dentro, mi sedetti dritto con la schiena, il più vicino possibile alla portiera, senza cadere fuori.
Non avevo il coraggio di guardare il conducente. Frank venne verso di me e chiuse la portiera. Un momento dopo, la macchina cominciò a muoversi dal lato della strada. Cercai mentalmente di scansare tutta la paura fuori dal mio corpo, ma finii solo con amplificarla.
“Ehi,” fece il conducente di spalle, ma lo ignorai.
“Sei entrato in macchina,” disse lentamente Frank, con aria sbigottita.
Lo guardai. “Certo che si.” mi bloccai. “Ti amo.” Ecco. L'avevo detto. Gli avevo detto quello che volevo dirgli da tantissimo tempo. Probabilmente era stato uno sbaglio. Anche se quello era un momento perfetto, lo ammetto.
Frank non mi guardò. “Lo so,” disse debolmente. Era fatta.
Fu tutto il conseguente silenzio ad uccidermi. Non mi rispose. Avrebbe dovuto dire, “Ti amo anch'io.” Ma non lo fece. Forse non sentiva lo stesso per me? Non lo sapevo. Sapevo solo che avevo fatto la figura dell'idiota davanti a uno sconosciuto che avrebbe potuto essere un assassino.
“Non posso-.” cominciò Frank.
“Va bene,” dissi a voce alta, parlandogli sopra. “Dimentica quello che ho detto. E' stato stupido. Mi dispiace.”
“...non era stupido,” mormorò lui, stringendo con dolore le mani sullo stomaco.
Seguì un altro minuto di silenzio e l'unico suono era quello del motore ruggente mentre lasciavamo la strada deserta. Non avevo la minima idea di dove stessimo andando. Probabilmente non era una cosa buona. L'ansia mi era un po' passata da quando avevo scoperto che il conducente non indossava una di quelle maschere senza volto o la giacca antiproiettili che indossavano sempre
 loro. Ma non significava molto.
Feci un salto quando Frank si spostò verso di me. Mi appoggiò la mano sul lato sinistro del viso, in modo che mi girassi a guardarlo. Prima che avessi il tempo di formulare qualsiasi pensiero su cosa stesse facendo, lui si avvicinò, premendo le sue labbra morbide sulle mie. Sapevo che era intenzionale e istantaneamente mi avvicinai per ricambiare il bacio. All'inizio la situazione fu incerta, entrambi non eravamo sicuri di come e cosa stessimo facendo.
Improvvisamente non mi importò più se il conducente stava progettando di uccidermi. Avrebbe 
potuto uccidermi, per quanto me ne importava in quel momento.
Frank si staccò un po', facendo passare la mano fra i miei capelli, stringendo la presa, per poi avvicinarsi di nuovo. L'esitazione di entrambi fu meno significativa la seconda volte e la passione sembrò prevalere sopra il timore e l'ansia. Smisi di respirare e l'istinto prese il sopravvento sulle mie labbra inesperte. Allungai le dita per tirare su la sua maglietta e l'alzai lentamente, toccando con delicatezza la pelle sopra le costole. Lui rabbrividì, ma non interruppe il bacio. In effetti strinse la sua mano libera alla mia, ancora di più, e la posò sulla candida pelle scoperta. Lo presi come un segnale per far correre le mie mani su e giù sulla sua schiena.
Le sue tiepide labbra bagnate mi stavano causando una sensazione di intenso piacere che non avevo mai provato in vita mia. Mi sentivo la mente esplodere. Ero quasi sicuro che quello fosse il giorno più bello della mia vita.
Si staccò ancora, in modo che le nostre fronti si toccassero e le labbra di uno andassero alla ricerca di quelle dell'altro. Dopo ciò, si allontanò lentamente. Era un po' rincuorante; avevo bisogno di un momento per rimettere a posto me e i miei pensieri.
Il silenzio questa volta non era imbarazzante o forzato. Li leccai le labbra, sentendomi ancora stordito per ciò che era appena successo. Frank mi aveva baciato. Era incredibile.
Gli diedi un'occhiata fugace, ma lui non mi stava guardando. Era seduto accovacciato sul sedile, con le mani sopra lo stomaco. Stava fissando intensamente il tappetino per terra, con un piccolo sorriso sulle labbra. Le labbra che avevo appena baciato.
Il conducente si schiarì la gola. “Bhè,” disse con voce bonaria, “Di certo non mi aspettavo questo.”
Io e Frank arrossimmo come due scolarette. Mi sentivo veramente imbarazzato e immaturo. Vedete che effetto mi faceva quel ragazzo?
“Sono Lou, comunque,” disse vivacemente il guidatore, girandosi per guardarci entrambi.
Scusa, potresti gentilmente tenere gli occhi sulla strada? Non desidero finire a pezzi sul lato della strada perchè ti sei distratto e sei andato a sbattere contro una roulotte.
Decisi di mettermi la cintura.
Ci presentammo e Lou annuì, come se gli stessimo confermando la nostra identità.
“Quindi siete amici di Ray, giusto?”
Rimasi in silenzio. Potevo considerare Ray un mio amico? Okay, forse in un altro mondo. Frank rispose per entrambi, parlando di Ray e del suo carattere, cose di cui io non avrei mai potuto parlare senza mentire. “Grazie per averci aiutati,” disse infine, e io feci eco.
Lou alzò le spalle. “Che figo. Come sta Ray, comunque? Riceve ancora quei messaggi fuori di testa?” Feci una risatina prima che potessi fermarmi e Frank mi lanciò un'occhiata infastidita. Lou rise. “Va tutto bene,” disse “E' una cosa abbastanza folle. Spero solo che stia ricevendo gli aiuti di cui ha bisogno. Dicono che la dottoressa sia molto brava, giusto?”
“Già,” fece Frank con entusiasmo.
Io non dissi una parola. Se avessi cominciato a parlare male di quella donna malefica, non avrei più smesso.
“Bene, bene,” disse Lou. “Allora, a proposito, dove vi sto portando?”
Guardai Frank. Sperai che lui lo sapesse, perchè io non ne avevo la minima idea. Sapevo che dovevano andare a casa sua per prendere delle 'cose', ma non sapevo dove fosse. Presumetti che fosse abbastanza vicina.
Frank si avvicinò e tirò fuori un pezzo di carta dalla tasca. “Belleville,” disse. “Sai dov'è?”
Lou notò il mio sollievo. Ero sollevato che si fosse dimostrato valido. Mi ero sbagliato a dubitare di Ray e sorrisi ripensando al fatto che credevo che mi volesse vendere ai miei nemici.
“Quanto manca?” chiesi.
Lou ci pensò per un secondo. “Bhè,” disse lentamente “se prendiamo la I-78 e poi usciamo dalla carreggiata... forse un' ora al massimo. Voglio dire, è mezzanotte e non ci dovrebbe essere tanto traffico, quindi probabilmente ci metteremo poco tempo.”
Frank annuì con entusiasmo. Probabilmente perchè sapeva dove cazzo fossero la I-78 e la carreggiata. Supposi che fossero delle autostrade, ma questo era tutto ciò che potevo dedurre. Sospirai. Non mi piaceva non avere il controllo. L'imprevedibilità della situazione che avevo già assimilato mi stava rendendo davvero nervoso. Ero fuori da Bluestone da meno di 30 minuti e già mi sentivo vulnerabile ed esposto. Non mi aspettavo di sentirmi in questo modo così presto.
Stetti in silenzio per il resto del viaggio, concentrato a non far aumentare la mia già persistente nausea allo stomaco. Frank e Lou chiacchierarono di cose irrilevanti come band e chitarre. Non provavo interesse per nessuna delle due cose in quel preciso momento e non partecipai alla conversazione.










Note del traduttore: Il capitolo, a causa della lunghezza, è stato diviso dall'autrice in due parti. Tradurrò la seconda al più presto :) Ringrazio tantissimo Ginny che mi ha fatto da beta.

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Capitolo 17
*** 16. seconda parte ***


A SPLITTING OF THE MIND

***

16.
seconda parte


 


We're Not In Wonderland Anymore, Alice.

 

 

 

 


Lou aveva previsto accuratamente la durata del viaggio. Cinquanta minuti dopo aver lasciato Bluestone, Frank si avvicinò a lui per dargli le indicazioni per raggiungere casa sua dopo l'uscita dell'autostrada.
Il sole aveva cominciato a sorgere e il cielo stava diventando di un brillante giallo rossastro. Non avevo mai visto una vera alba, e la sua bellezza sembrava sfuggirmi. Ero sicuro che se non fossi stato nel bel mezzo di una fuga da un istituto psichiatrico, l'avrei apprezzata di più.

Lou si fermò sul lato di una strada di periferia, di fronte a delle case. “Siete sicuri che volete che faccia solo questo per voi?” chiese, tirando il freno a mano e girandosi per guardarci.
Frank annuì. “La stazione è a un paio di minuti da qui. Prendiamo qualcosa a casa e poi il treno ci porterà... da qualche parte. Staremo bene. Grazie mille per averci aiutato.”
Lou sembrava dubbioso del piano di Frank, ma non disse nulla. “Okay,” fece, allungando la mano per stringere sia la mia che quella di Frank. “Piacere di avervi conosciuti. Buona fortuna per qualsiasi cosa voi abbiate intenzione di fare.”
Entrambi uscimmo dall'auto e Lou se ne andò, lasciandoci soli sulla strada deserta. Frank annuì, ripetendosi silenziosamente qualcosa e camminando verso una delle case. Mi affrettai per stargli dietro. L'abitazione che stavamo raggiungendo era la classica casa da sogno americana. Era una delle più grandi e imponenti della strada. Anche con la flebile luce del mattino, potevo distinguere l'erba tagliata in modo impeccabile e la vernice immacolata. La perfezione della casa non mi si addiceva. Rendeva il posto freddo e inanimato.
Seguii Frank, osservando ancora la casa. Camminò attraverso il prato, verso un cancello, e lo aprì. Mi fece cenno di passare ed entrai nel giardino sul retro. Era un po' meno perfetto di quello davanti, ma ancora dannatamente immacolato. Non mi sorpresi che i suoi genitori avevano così tanta difficoltà ad accettare quello che gli era successo -erano circondati da stereotipi di vita comoda e senza difetti.
Non ero ancora entrato dentro e tutto questo già mi ricordava La Donna Perfetta. Ora sembrava un fottuto film dell'orrore. Mi avevano costretto a guardarlo durante l'ora di ricreazione e ne avevo odiato ogni singolo minuto.
Frank si avvicinò alla porta di servizio, alzando i soprammobili per guardarci sotto. Presumetti che stesse cercando la chiave. Se mai avessi avuto una casa tutta mia, non avrei mai lasciato la chiave sotto una statua. Che cosa stupida. E' come invitare i ladri a casa tua e togliergli il disturbo di cercare un modo per aprire la porta.
“Dannazione,” mormorò Frank, dopo aver controllato sotto tutte le statue. Alzò lo sguardo. “Quella finestra non è chiusa,” disse, indicando la finestra più inaccessibile di tutta la casa. Grugnii. Non mi sarei arrampicato su una finestra. Lui venne verso di me e mise la sua mano sulla mia spalla. “Dammi una spinta,” mi ordinò, alzando una gamba.
Lo guardai, cercando di convincerlo a non cimentarsi nell'impresa, la lui mi ignorò. “Alzami,” ripetè, e io strinsi le mani insieme, in modo che ci potesse mettere il piede sopra. Radunai tutta la mia forza e alzai Frank più che potessi. Le sue dita sfioravano il cornicione sotto la finestra, ma non era abbastanza alto per saltare su.
“Ehi!”
Entrambi saltammo per la sorpresa e feci appena in tempo a prendere Frank, prima che sbattesse la testa per terra. Ci girammo e vedemmo un uomo che ci guardava oltre il recinto.
“Chiamo la polizia!” esclamò l'uomo.
Corri. Corri. Corri. Corri. Corri.
Invece di correre nell'altra direzione, Frank si avvicinò all'uomo dietro il recinto. “Signor Lynch!” urlò. “Sono io! Frank!”
L'uomo allontanò il telefono dall'orecchio e strinse gli occhi verso di lui. “Frank Iero?”
Lui annuì, con entusiasmo. “Vivo qui,” spiegò.
Il signor Lynch alzò le mani al cielo, sbalordito. “Che cosa ci fai qui? Sono le 5 del mattino. Pensavo fossi andato in Colorado o qualcosa del genere. Sei stato in collegio? No, no, aspetta, era a Washington. Credo.”
Anche se ero a più di dieci metri di distanza, capii che Frank era totalmente sconvolto dalla bugia che i suoi genitori avevano detto al vicino. Un collegio era del tutto diverso da un istituto mentale. Non erano nemmeno comparabili.

“Giusto?” riprese il signor Lynch.
Frank annuì. “Già,” mentì. “A Washington, ha ragione. Ho deciso di tornare a casa per la pausa di metà trimestre, ma ho scordato le chiavi nel dormitorio. Pensavo che mamma ne avesse lasciate un paio di riserva in giardino. Voglio farle una sorpresa per quando torna dal lavoro.”
Mr. Lynch credette a ogni bugia che gli disse. “Chi è quello,” chiese, indicando me. Perchè cazzo mi stava guardando così? Mi fissava come se mi conoscesse, il che era impossibile.
“E' il mio compagno di stanza. I suoi genitori sono all'estero... in Italia!” Frank sembrava così soddisfatto della sua bugia che ora doveva aggiungere dei dettagli. “Non sapeva dove andare, quindi l'ho invitato da me.”
Annuii guardando il vicino pazzo. Non mi piaceva. Avevo uno strano presentimento su di lui.
“Per caso ha una una chiave di riserva?” chiese Frank, speranzoso.
Mr. Lynch annuì. “Sì, tua madre mi ha dato quelle del guardino, da quando ha cominciato questo lavoro notturno. Entro a prendertele.”
Se ne andò e tornò qualche minuto dopo con il paio di chiavi, porgendole a Frank da sopra il recinto. “Puoi tenerle,” disse. “Ne hai bisogno più tu di me. Dì a tua mamma che può ridarmele appena te ne vai.”
Mi fissò di nuovo.

Frank annuì, lo ringraziò e si incamminò con naturalezza verso la porta. Aprì la serratura ed entrammo dentro. Appena la porta si chiuse, disse “Che strano. Anche a te è sembrato strano, vero?” Sbirciammo attraverso le tende e notammo che il signor Lynch era ancora in piedi davanti al recinto, mentre guardava la casa.
Ci scambiammo uno sguardo preoccupato. “Facciamo in fretta,” dissi, chiudendo le tende in modo che nessuno ci vedesse. Frank annuì e mi fece strada verso la sua camera. Mentre percorrevamo il salotto e salivamo le scale, mi sentii innervosito da tutto quell'arredamento perfetto. Fissai i divani coperti di plastica e scossi la testa, cercando di non guardare il sedere di Frank davanti a me, mentre saliva le scale.

La sua stanza era ricoperta da un leggero strato di polvere. Sembrava che nessuno ci fosse entrato per mesi. Frank si fermò sull'entrata, fissando con aria scoraggiata il letto al centro della stanza. Non sapevo perchè. Forse aveva qualcosa a che fare con i due uomini? Non me la sentii di chiederglielo. Entrai e girovagai all'interno della grande camera, guardando i suoi effetti personali. In un angolo c'era una gigantesca collezione di CD, nell'altro una chitarra elettrica circondata da diversi tipi di amplificatori. Diedi un'occhiata fuori dalla finestra e vidi che il vicino stava ancora guardando la casa da dietro il recinto. Ma che cazzo?
Frank distolse lo sguardo fisso e mi lanciò un vecchio zaino. “Puoi aprire quel cassetto per me?” disse, indicando l'armadio. Mentre mi abbassavo per afferrare la maniglia, vidi che lui aveva tirato fuori un piccolo pezzo di metallo dal cassetto delle calze ed era scivolato sotto il letto. Sentii il rumore delle assi del pavimento che venivano spostate, mentre ispezionava lo spazio che aveva appena creato. Un minuto dopo si rialzò, tendendo in mano un mazzo di dollari. Spalancai gli occhi, sorpreso. Pensai che così tanti soldi dovessero essere messi in banca, o comunque in un posto più sicuro che sotto le assi del pavimento. Piegò le banconote fra le mani e le mise davanti a me. Le fece cadere ai miei piedi.
“C'è un'altra borsa lì,” disse con calma, indicando il cassetto che dovevo aprire. Perchè era diventato improvvisamente così triste? Aveva qualcosa a che fare con la stanza?
Oh cazzo.
Sapevo cos'era. Sentii una stretta allo stomaco pensandoci.
Presi uno dei mazzi di soldi e gli diedi un'occhiata. Il primo era più di mille dollari. Non avevo dubbi che gli altri fossero uguali. “Da dove vengono?” chiesi. Morivo dalla voglia di sapere perchè Frank tenesse cinquemila dollari nascosti sotto il letto.
“Non ha importanza,” rispose lui, mentre cominciava a togliere i vestiti dalle stampelle dell'armadio. “Ecco. Prova questa,” disse, porgendomi una maglietta. “Per me è troppo grande. E tu devi cambiarti i vestiti,” spiegò, mentre aggrottavo la fronte.
Bhè, sì, so che devo cambiarmi. Quello che non capisco è perchè cazzo tieni cinquemila dollari nella tua camera da letto.
“Frank, da dove vengono i soldi?” insistetti.

Lui mi ingnorò e continuò a mettere i vestiti nell'altro zaino.
“Frank?” dissi, con più insistenza.
Frank lanciò lo zaino per terra. “Ho detto che non ha importanza!” esclamò con rabbia, uscendo dalla stanza.
Lo seguii con lo sguardo, sbigottito. Che cazzo stava succedendo? Porca troia, sperai che non se la fosse presa, o qualcosa del genere. Dovevo seguirlo? Decisi di contare fino a dieci prima di raggiungerlo.
Uno. Due. Tre. Quattro. Cinque. Sei. Sette. Otto. Nove. Dieci.
Okay. Andiamo.
Misi la maglietta che mi aveva dato sul letto e uscii in corridoio. Non avevo nessuna idea di dove fosse andato. Percorsi tutto il secondo piano della casa, cercando in tutte le stanze e i bagni, ma non lo trovai. Notai che la camera dei genitori sembrava davvero vuota. Aprii i loro cassetti e vidi che non c'era traccia dei vestiti del padre, e nel bagno c'era un solo spazzolino. Supposi che si fossero separati. Mi chiesi se Frank sapesse che suo padre se n'era andato. Forse lo sapeva, ed era per questo che era agitato.

Scesi le scale e mi incamminai verso il salotto. Frank era seduto sul sofa coperto di plastica, mentre guardava fisso la TV spenta. Mi misi accanto a lui, ma lui non disse nulla. Io non dissi nulla, perchè non avevo idea di cosa dire. Non sapevo se dire qualcosa per confortarlo, per scusarmi, o qualcosa di divertente. Avrei dovuto dirgli qualcosa di confortante, ora che ci penso.
“Mi avevano chiesto di scappare con loro.”
Allungai le orecchie, perchè stava parlando davvero piano. Diceva ogni parola molto lentamente, come se si stesse sforzando di farle uscire dalla sua bocca.
“E io volevo. Quindi ho cominciato a prelevare i soldi dalla banca, ogni settimana. Ne prendevo un po' ogni volta, in modo che papà non se ne accorgesse.”
Astuto. Sapevo che il padre di Frank si sarebbe sicuramente incazzato, se avesse scoperto per cosa suo figlio avrebbe usato i soldi. 
“Ma poi hanno detto che non potevo più venire con loro, e che se ne sarebbero andati da soli.” Si fermò, facendo un respiro profondo. “Bhè, il resto lo sai,” disse tristemente, alzandosi in piedi. “Finisco di preparare la roba. Prendi un po' di cibo per il viaggio?”
Annuii, ma lui stava già salendo le scale. Lo guardai andarsene, il cuore mi faceva di nuovo male. Odiavo vederlo così. Dovevo aiutarlo. Ma come?
Entrai in cucina e cominciai a mettere in una busta qualche barattolo di zuppa e altri cibi non deperibili. Aprii il frigorifero e ci guardai dentro. Era pieno di avanzi, e considerai la possibilità di prendere un po' di contenitori. Probabilmente l'avrei fatto, se avessi saputo che potevano essere tenuti fuori dal frigo. Presi due bottiglie d'acqua e lo richiusi. C'era mezzo filone di pane sulla panca della cucina, e presi anche quello. Lo misi vicino ai barattoli di zuppa.
Accanto a dove era il pane, c'era una lunga lista di cose da fare, ovviamente scritte dalla mamma di Frank.

La presi in mando e lessi. Era terribilmente banale.


-Pagare la bolletta del riscaldamento
-Chiamare il giardiniere
-Comprare le batterie per la telecamera
-RSVP al matrimonio di Tom e Sue
-Controllare l'olio
-Comprare latte e pane
-Pagare l'assicurazione
-!! Richiamare: Dottoressa Markman (dottoressa di Frank)


Mi fermai appena lessi la nota riguardo Markman. Quanto tempo fa aveva chiamato la madre di Frank? Perchè l'aveva chiamata? Sembrava strano. Mi guardai attorno per cercare il telefono e cercai nei messaggi vocali. C'era un vecchio messaggio salvato e premetti il pulsante play, sperando che fosse quello di Markman.
Avevo ragione. Cazzo, sì. Come diceva la data di registrazione, il messaggio era stato ricevuto ieri, alle 11:45. Forse gliel'aveva lasciato dopo che Frank aveva dato di matto per l'articolo di giornale.
“Salve, signora Iero, sono la dottoressa Jillian Markman di Bluestone, la dottoressa di Frank. La chiamo perchè ho urgente bisogno di parlare con lei di suo figlio e delle sue cure future, quindi la prego di richiamarmi appena può. Può contattarmi direttamente al 594-133-4212. Grazie.”
Attaccò e la voce pre-registrata mi disse di nuovo la data e l'ora. Interessante. Mi domandai a cosa si stesse riferendo. Non c'era nessun modo per saperlo, quindi non sprecai altro tempo cercando di darmi una risposta. Misi tutto il cibo sulla panca e mi segnai mentalmente di riprenderlo prima di andarcene. Esitai a lasciare la cucina. Dovevo lasciare un messaggio o una cosa simile? Sentivo la responsabilità di far sapere alla mamma di Frank che suo figlio stava bene. Si sarebbe preoccupata non appena avesse scoperto che era scomparso dalla clinica. Presi il foglio delle cose da fare e lo girai dalla parte bianca. Afferrai una penna e scrissi:

'Cara madre di Frank,
Mi occuperò di lui. Lo prometto.
Abbiamo preso un po' di cibo, spero non ti dispiaccia.
Sinceramente,
Gerard.'


Feci un cenno di approvazione e lo posizioni al centro della panca, dove ero sicuro che l'avrebbe visto. Avevo appena lasciato la cucina, quando Frank scese le scale, portando i due zaini. Presi quello più vuoto e ci misi dentro più cibo che potessi. Lui mise gli ultimi due barattoli di zuppa nella borsa e poi se la rimise in spalla.
“Cos'è questo?” chiese, indicando il mio biglietto.
Arrossii. “Non volevo che tua mamma si preoccupasse,” dissi sulla difensiva. “Voglio che sappia che ti accudirò io.”
Frank fece un sorrisetto e prese la penna che avevo lasciato accanto al biglietto. Sembrava che volesse aggiungere qualcosa a quello che avevo scritto, ma poi poggiò di nuovo la penna e si diresse verso la lavanderia. Lo seguii, ma lui si fermò di nuovo. Si girò a guardare il biglietto e sospirò, combattuto. Appoggiò lo zaino sul pavimento della cucina e tornò verso la panca. Riprese la penna e aggiunse qualcosa a quello che avevo già scritto. Dopo aver finito la frase, rimise a posto la penna e fissò il foglietto. Poggiai anch'io la borsa e mi avvicinai a lui. Aveva scritto una sola riga, con la sua caratteristica calligrafia disordinata. Tutto ciò che diceva era: 'Non preoccuparti per noi.'
Era come se non potesse prendere coraggio e scrivere come si sentisse veramente. Sapevo cosa voleva dire. Sapevo che moriva dalla voglia di dire a sua madre quanto gli facessero male le bugie sul collegio. Misi un braccio attorno alla sua spalla e lo avvicinai a me. Premetti le labbra sul lato del suo viso. “Scrivilo,” sussurrai fra i suoi capelli.
Lui scosse la testa. “No.”
Posò la penna e si staccò dal mio abbraccio. “Andiamo.”

Sospirai e ripresi la mia borsa dal pavimento, per poi incamminarmi verso la lavanderia. Decidemmo di uscire dalla porta di lato, in modo che il terribile vicino di Frank non ci vedesse. Avevo ancora uno strano presentimento su di lui.
Frank mise le chiavi nella cassetta delle lettere e cominciammo a percorrere la strada. Diedi un ultimo sguardo alla casa e mi affrettai a raggiungerlo. Adesso il sole era del tutto sorto. Non avevo realizzato che eravamo stati lì dentro per così tanto tempo. Sorpassammo un paio di persone che stavano camminando e facendo jogging. Chi cazzo fa jogging così presto? No, in realtà, chi cazzo fa jogging?
“Mettiti questo,” disse brevemente Frank, porgendomi un berretto. Sopra c'era il logo di qualche compagnia industriale.
Fissai il cappello. Non me lo sarei mai messo. Frank mi guardò. Me lo misi.
Non volevo litigare. Ovviamente era molto nervoso.
Non ci volle molto a raggiungere la stazione. Anche se era mattino presto, c'erano già tantissime persone che andavano a lavorare. Frank si avvicinò al tabellone delle partenze. “Penso che dovremmo prendere il primo treno che parte,” disse.
Annuii e lui andò a comprare i biglietti, lasciandomi solo. Deglutii nervosamente mentre la gente mi passavano accanto. Non ricordavo di essere mai stato circondato da così tante persone in tutta la mia vita. Pregai che Frank si sbrigasse. Un uomo d'affari mi venne addosso e quasi mi fece cadere. Si scusò mentre se ne andava, affrettandosi a prendere il treno. Andai a sbattere contro il muro, guardando tutti attentamente. Speravo che nessuno cercasse di accoltellarmi. O spararmi.
Frank apparve di nuovo, tenendo in mano due biglietti. “Andiamo,” disse. “Parte fra tre minuti.”
“Così tante persone,” mormorai, aggrappandomi alla sua manica e seguendolo fino al binario.
Ero spaventato. Lo ammetto. Improvvisamente bramavo la salvezza e la quiete della clinica. Chi avrebbe mai pensato che mi sarebbe mancato quel buco infernale?

“Gerard?” Frank mi scosse con forza. Mi ripresi di scatto e lo guardai. “Stai bene?” chiese.
Non mi ricordavo di essere passato dal binario affollato al sedile sul treno. Forse avevo dato un po' di matto e, con un tentativo disperato, avevo spento il cervello, come precauzione per non vedere cose che mi spaventassero ancora di più.
“Uh huh,” dissi con aria assente, dando un'occhiata al finestrino e realizzando che ci stavamo muovendo. “Aspetta, dove siamo in questo momento?”
Lui s
embrava preoccupato, e mi fece bere un po' d'acqua. Feci quello che voleva che facessi, perchè era inutile cercare di contrastarlo -me l'avrebbe fatto fare comunque, in uno modo o nell'altro. Rimanemmo sul treno per un'altra ora prima che Frank mi portasse nel bel mezzo del nulla.
“Che stai facendo?” chiesi, appena il treno se ne andò,lasciandoci al binario. “Questa non è la nostra fermata.”
Frank mi guardò come se fossi un po' tardo. “Dobbiamo cambiare treno. Non possiamo prendere un treno solo, o sarebbe troppo facile per loro trovarci. Dobbiamo coprire le nostre traccie.”
Stava parlando come se fossimo braccati o qualcosa del genere. Pensai che fosse eccessivamente prudente. Non era la CIA che ci stava inseguendo. Nonostante questo, gli permisi di comprare un nuovo paio di biglietti per il treno successivo. Lo prendemmo e ci restammo sopra un'ora, prima di scendere di nuovo, a una fermata a caso. Lo facemmo di nuovo e di nuovo e di nuovo, fino a quando il sole non cominciò a tramontare.
Quando Frank propose di fermarci, ero del tutto esausto, perso e irritabile. Avevamo fatto un pisolino durante i vari viaggi, ma morivo dalla voglia di stendermi e dormire veramente. Non avevamo dormito per niente la notte passata e ora stavamo cominciando a pagarne il prezzo, entrambi.
Avevamo smesso di parlare dopo in quinto cambio di treno, perchè tutti e due avevamo troppa paura di arrabbiarci l'uno con l'altro e dire qualcosa che avremmo potuto non pensare.


Finimmo a Pittsburgh, in Pennsylvania. Onestamente non me ne fregava un cazzo di dove fossimo. Tutto ciò che mi importava era trovare un qualsiasi posto dove poter dormire.
Lasciammo la stazione del treno e ci incamminammo verso la strada principale. Per fortuna c'era ancora molta gente in giro. Cercai di evitare ogni contatto visivo; non volevo che mi accoltellassero. Sbadigliai, mentre percorrevamo la via, cercando un motel che non fosse troppo sospetto. Alla fine ne trovammo uno che a entrambi sembrava abbastanza decente.
Ci stavamo facendo strada verso la reception, quando Frank si bloccò. Si mise una mano in tasca e mi porse un mucchio di banconote da cinquanta dollari spiegazzate. “Vai e prendi la stanza senza di me,” disse.
Um, cosa? “Perchè?!” dissi con orrore, stringendo con forza i soldi nel pugno.
“Sono troppo piccolo per prendere una stanza per me e non possiamo essere visti insieme. Andrà bene, comunque, non ti angosciare.” Mi sorrise, cercando di scacciare la mia paura. Perchè cazzo Frank si stava comportando come se fossimo in una specie di missione di spionaggio segreta? Eravamo scappati da un fottuto istituto mentale, non da una fottuta prigione. Non eravamo ricercati come criminali. Frank doveva spiegarmi un sacco di cose.
“Frank,” dissi con tono di urgenza. “Ti prego, non farmi questo.”
Lui aggrottò le ciglia. “Vuoi dormire in un letto stanotte, Gerard?” chiese.
“Certo!” dissi, infastidito.
“Allora vai e prendi una stanza,” disse, indicando la reception.
Gli lanciai uno sguardo furioso e camminai molto lentamente verso l'ufficio illuminato da una brillante luce al neon. Aprii la porta, rabbrividendo non appena la campanella annunciò la mia presenza. Una donna anziana apparì dal locale sul retro.
Si mise dietro il bancone, assumendo l'aria di chi aspetta qualcosa.
“Ho bisogno di una stanza,” mormorai.

Sperai disperatamente che non fosse una di loro.
Forse
 loro mi stavano aspettando?
“Solo per te, tesoro?” chiese, aprendo un registro davanti a me. Entrai nel panico. Cosa avrei dovuto scrivere? Ovviamente non potevo scrivere il mio vero nome e non avevo idea di cosa mettere al posto del numero di telefono e dell'indirizzo. Oh cazzo, perchè non lo stava facendo Frank?
Capii che la sua era una domanda e annuii, anche se non avevo sentito una parola di quello che aveva detto. Si girò a prendere la chiave. “Riempi questo,” disse rapidamente, porgendomi una penna.
Compilai il modulo con delle bugie. Cercai di non esitare troppo mentre scrivevo, in modo che non si insospettisse e capisse che mi stavo inventando tutto.
Le porsi il denaro, non avevo capito quanto mi stesse chiedendo quindi le misi tre banconote in mando. Sembrava soddisfatta di quello che le avevo dato perchè mi diede la chiave.

“Grazie,” mormorai, andando via il più veloce possibile, senza chiudere la porta.
Guardai il numero della camera e salii le scale per raggiungerla. Misi la chiave nella serratura e la aprii. Appena accesi la luce tirai un sospiro di sollievo, perchè la camera era almeno decente. Frank apparve dietro di me, chiuse la porta e mi abbracciò.

“Sono così orgoglioso di te,” disse con entusiasmo, stringendomi forte. Lo abbracciai anch'io e restammo nel bel mezzo della stanza, ognuno nelle braccia dell'altro. Non volevo lasciarlo andare. “Ti perdono anche questo,” fece, indicando l'unico letto nella stanza. Era un letto matrimoniale. Fece in sorrisetto. “Indovina cosa condivideremo,” disse allegramente, buttandosi sul materasso. Non l'avrei mai pensato, seriamente.
Controllai due volte che la porta fosse chiusa prima di togliermi le scarpe e raggiungerlo.
“E' incredibile,” disse Frank con la bocca impastata, cercando di scacciare il sonno. “Ce l'abbiamo fatta, Gerard.”
“Ce l'abbiamo fatta,” ridissi. Ancora non ci credevo.
Lui non disse nient'altro e lo guardai con la coda dell'occhio, per vedere se stesse per addormentarsi. Mi alzai e, più delicatamente che potessi, gli tolsi le scarpe. Le lanciai sul pavimento e tirai fuori il lenzuolo sotto di lui. Glielo misi addosso e lui sorrise, con gli occhi ancora chiusi mentre gli rimboccavo le coperte. Mi sdraiai accanto a lui, alzandomi il lenzuolo fino al mento, scrutando con ansia la camera. Non avrei dormito quella notte. Non volevo che Frank lo sapesse, ma ero terrorizzato. Il pensiero di non essere al sicuro mi faceva male allo stomaco. Quando avevo pensato di scappare non avevo nemmeno pensato alla brutalità del mondo esterno a cui ora improvvisamente mi dovevo adattare. Il mondo verso era un posto spaventoso e solo ora lo capivo. Bluestone era un rifugio sicuro comparato a tutto questo.
Dalla strada sentii delle persone che gridavano e il rumore delle sirene e il labbro inferiore mi tremò un po'. Non avrei pianto ne' niente; avevo solo una fottutissima paura. L'unica cosa che mi bloccava dal chiamare Markman per chiederle di venire a prendermi era Frank. Lo amavo più di ogni altra cosa e avrei sacrificato tutto per stare per lui.
Avevo sacrificato tutto per stare con lui.
Era abbastanza chiaro che non fossi più nel Paese delle Meraviglie.

 

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Capitolo 18
*** 17. ***


 

A SPLITTING OF THE MIND

***

17.


 

The main symptom of a psychiatric case is that the person is perfectly unaware that he is a psychiatric case.

 

 



Aprii gli occhi.
Dove cazzo... Oh.
Oh! Cazzo.
Mi misi di corsa a sedere, lasciando andare le lenzuola che avevo accoccolato sotto il petto. I miei occhi scrutarono la stanza in modo frenetico, mentre cercavo di capire a pieno quello che mi circondava. Alla fine, posai lo sguardo sullo spazio vuoto accanto a me nel letto. Barcollai un po' mentre mi alzavo frettolosamente, e mi appoggiai al muro. Dove cazzo era Frank? Se n'era andato?
Corsi verso il bagno e afferrai la maniglia. Esitai, tenendola chiusa non appena sentii lo scrosciare della doccia. Lasciai andare la maniglia con un sospiro di sollievo. Non mi aveva abbandonato. Grazie a dio.
Mi girai e controllai la stanza di nuovo. Ancora non realizzavo il fatto di essere nella stanza di un motel, in qualche città sconosciuta. Non pensavo di essere mai stato in un motel. Era strano.
Improvvisamente, con immensa sorpresa, lo stomaco mi brontolò. Di solito non ero così affamato. I pasti a Bluestone erano così regolari che non c'era nessun rischio di avere fame. Forse era per questo che avevo messo su due chili e mezzo.
Presi uno degli zaini che avevamo lanciato sul pavimento la notte prima e iniziai a tirare fuori un po' di cibo. Sapevo che c'era un filone di pane da qualche parte...

Ah. Mentre lo tiravo fuori sentii un rumore metallico. Mi fermai, tenendo stretto in mano il pezzo di pane. Con la mano libera rovistai nello zaino, cercando di trovare l'origine di quel suono. Tirai fuori una busta di carta marrone. Non mi ricordavo di averne presa una da casa di Frank.
Cazzo. Era questo che gli aveva dato Markman! Il pacchetto. Me l'ero dimenticato. Come cazzo avevo potuto dimenticarmelo? Non mi scordavo le cose. Che mi stava succedendo ultimamente?
Rimisi il pacchetto nella borsa e quello suonò di nuovo mentre lo tenevo in mano. La curiosità mi punzecchiava. Alzai lo sguardo in direzione del bagno. Mi chiesi quanto ancora ci avrebbe messo. Volevo davvero sapere che cosa gli avesse dato Markman. Cosa poteva essere di così importante da tenerlo segreto?
Di certo non mi sarei fatto male se avessi dato una piccola occhiata. Frank ci metteva un sacco a fare la doccia. Se fossi stato attento avrei potuto togliere il nastro adesivo senza rompere la carta. Già.
No. Sarebbe stato come tradire la fiducia di Frank. Avrei aspettato.
Mi alzai in piedi e tirai fuori un pezzo di pane dall'involucro di plastica. Ne presi un morso e mi bloccai, deluso. Il pane era raffermo e immangiabile. Forse se l'avessi tostato...?
Mi alzai di nuovo e controllai la piccola cucina per cercare tostapane, ma tutto ciò che trovai fu un bollitore, un frigo quasi vuoto e un ferro da stiro. Perchè avevano un ferro da stiro e non un tostapane?
Si può tostare il pane con un ferro da stiro?
Presi un altro morso di pane e lo masticai pensieroso. No, proprio per niente. Fanculo, avrei mangiato qualcos'altro. Mi inginocchiai ancora una volta per raggiungere lo zaino e, mentre frugavo, toccai di nuovo il pacchetto. Quello tintinnò ancora. Cazzo, mi stava uccidendo.
Lo tirai fuori dalla borsa e con delicatezza tolsi il nastro adesivo dalla carta. Non si ruppe. Esitai di nuovo. Fanculo, ero già arrivato a buon punto. Aprii la busta e ci feci scivolare una mano dentro. Toccai una bottiglietta. La tirai fuori e la guardai.
Era un flacone di pillole. Lessi l'etichetta: Clozapine 100mg compresse.

Cazzo.
Le mie pillole.
O meglio, le pillole che Markman mi aveva prescritto per controllare la mia non-esistenza di “allucinazioni”. Che cazzo ci faceva Frank con queste? Rovesciai per terra il resto del contenuto del pacchetto. C'erano altre tre bottigliette della stessa medicina. Davvero, Frank pensava che ne avessi bisogno? Non ero pazzo. Non avevo bisogno di pillole per stare meglio, quando tanto per cominciare non ero nemmeno malato. Forse Frank non sapeva cosa contenesse la busta quando Markman gliel'aveva data.
Oh, un momento. E se Frank lo avesse saputo? E se...
Guardai timorosamente verso la porta del bagno, me era ancora chiusa. Non nego che avevo avuto dei presentimenti su Frank e sulle sue intenzioni. C'era sempre stata una piccola parte di me che dubitava che fosse stata veramente una coincidenza il fatto che lui fosse stato ricoverato nella mia stessa clinica. Quella piccola parte di me aveva anche paura che fosse stato mandato da Loro per entrare nell'istituto e diventare mio amico. Era una preoccupazione valida.
Forse aveva messo le pillole lì in modo che le potessi trovare. Sapeva che ero un ficcanaso sfacciato. O forse aveva commesso un errore. Forse voleva nasconderle, ma non ne aveva avuto il tempo o l'occasione. Per quello che ne sapevo, potevano essere sonniferi. Frank avrebbe potuto programmare di lasciarne cadere una nel mio piatto quando non stavo guardando e poi rubarmi i segreti mentre ero drogato, in stato di incoscienza. Poteva essere stato il suo piano per tutto il tempo -portarmi fuori da Bluestone in modo da potermi narcotizzare e rubare i miei segreti.
Girai la testa di scatto, quando improvvisamente realizzai che Frank mi stava guardando, in piedi davanti all'entrata del bagno. Barcollai per rimettermi in piedi, tenendo ancora in mano uno dei flaconi di pillole.
Frank mi lanciò uno sguardo confuso, in risposta alla mia espressione afflitta. Poi posò gli occhi sulla bottiglietta che avevo in mano. Un' espressione terrorizzata gli coprì il viso mentre apriva la bocca, come se si volesse giustificare. Il suo sguardo mi preoccupò. Era terrorizzato perchè sapeva che avevo trovato il nascondiglio delle pillole con cui stava programmando di drogarmi, o era terrorizzato perchè sapeva che il suo piano era fallito?
“Posso spiegarti,” disse velocemente. Mi morsi il labbro. Non volevo che lavorasse per Loro. Per favore non ditemi che lavora per Loro. Penso che avrei accettato ogni altra giustificazione.
“Me le ha date Markman.”
Ritiro tutto – avrei accettato ogni altra giustificazione tranne questa
Lo guardai. Non sapevo se mi stesse dicendo la verità oppure no. Era un eccellente bugiardo. Aveva detto per mesi a tutti che stava bene, e loro gli avevano creduto. “Mi stai mentendo?” domandai.
Lui spalancò gli occhi. Aveva paura di essere scoperto, forse? “No,” rispose sinceramente.
Mi morsi di nuovo il labbro, preoccupato. Anche Frank sembrava preoccupato. “Me le ha date la dottoressa Markman,” insistette. “Ha detto....,” si zittì appena realizzò di non poter finire la frase.
“Cos'ha detto?” chiesi, cercando di mantenere un tono di voce normale, per nascondere la mia rabbia. Non sapevo se essere arrabbiato con Frank o con Markman. Probabilmente Markman.
“Perchè non mi credi?” rispose improvvisamente, facendo un impertinente passo avanti. Presi una grande boccata d'aria, e inspirai nel futile tentativo di contenere la collera. L'atteggiamento difensivo di Frank non lo aiutava.
Non risposi alla sua domanda. Se fosse stato uno di 
Loro, o se anche fosse stato mandato da Loro, non volevo fargli capire che sapevo chi fosse. Dovevo essere cauto. Sarebbe stata una fine patetica per la mia storia- morire perchè ero stato così stupido da innamorarmi di uno di Loro.
Porca troia. Forse era per questo che non mi aveva mai risposto “Ti amo”. Forse non mi amava perchè mi aveva usato per tutto il tempo. Cazzo.
Frank venne verso di me, e io lo guardai nervosamente. Stava per accoltellarmi con qualche pugnale nascosto?
“Gerard, cosa c'è che non va?” chiese, avvicinandosi per toccare la mia mano.

Mi allontanai da lui, con sua grande sorpresa. “Cosa ho fatto?” mi domandò, mantenendo il tono di voce calmo e regolato.
Guardai verso la porta d'ingresso, ma fui velocemente riportato alla situazione, perchè lui mi tirò verso di se'. Terrorizzato, feci un passo indietro per liberarmi dalla sua presa e lasciai che il suo braccio cadesse nel vuoto, senza vita, sconfitto. “E' per le pillole?” chiese.
Non ce la facevo più. Dovevo sapere. Sì, avrebbe potuto mentire, ma me ne sarei occupato dopo.
“Lavori per Loro?” farfugliai, preparandomi mentalmente a correre fuori dalla porta. Fissai intensamente i suoi occhi, cercando qualcosa che potesse confermarlo.
Frank spalancò la bocca e inclinò la testa di lato. “Oh,” disse silenziosamente, alzando una mano per scostarsi i capelli dalla faccia.
Oh? Perchè l'aveva detto? Non era la reazione che mi aspettavo. Mi aspettavo una reazione di panico per aver capito che la sua copertura era fallita. Mi ero persino preparato al fatto che mi avrebbe accoltellato. Scosse la testa lentamente, sulla sua faccia c'era un misto di tristezza e colpevolezza.
“Non lavoro per Loro, Gerard.”
Oh, grazie a dio. Ora, meglio che stesse dicendo la verità -non credo che il mio cuore potesse sopportare ancora tutto questo. Pensavo che stesse dicendo la verità -mi stava guardando negli occhi. Era un segno di sincerità, giusto? Cazzo, non lo sapevo.
“Me lo giuri?” dissi sospettoso.
Lui sospirò. “Sì.” poi mi guardò e disse, molto dolcemente, “non sono reali, Gerard.”
Markman ce l'aveva fatta. Lo aveva convinto che fossi pazzo. Non ero pazzo. Esistevano. Li avevo visti. Se non fossero stati reali, allora come avrei potuto vederli? Non si possono vedere cose che non esistono. Diedi un' occhiata al flacone che avevo in mano. Erano le mie medicine. Frank le aveva prese da Markman perchè era d'accordo con lei. Pensava che fossi pazzo e che dovevo essere 'guarito'. Non ero pazzo.
“Pensi che sono pazzo.”
Frank spalancò gli occhi. “No!” rispose immediatamente. La sua risposta era stata troppo veloce per essere sincera.
“Non era una domanda,” dissi bruscamente, continuando a fissare il flacone.
Frank si afferrò i capelli in modo pietoso. “Non penso che tu sa pazzo,” obiettò debolmente.
Alzai un sopracciglio. “Oh, non pensi che io sia pazzo.”
Frank scosse energicamente la testa. “No, sei solo...” si zittì di nuovo.
Aprii il tappo della bottiglietta. “Che cosa? Malato?! E' quello che ha detto anche Markman? Ha detto che sono malato e che queste pillole possono guarirmi?” Rovesciai le pastiglie sul palmo della mano e gliele offrii perchè potesse vederle.
“Mi stai spaventando,” disse Frank con calma, rifiutandosi di guardare le pillole che avevo in mano.
Lo ignorai. “Ti ha detto di tutte le persone che ho ucciso, Frank? E' per questo che sei spaventato? Markman ti ha detto che ti avrei fatto del male se non le avessi prese? Pensi che ti voglia uccidere, Frank? E' per questo che hai preso le pillole? Markman ti ha detto che sarei impazzito se non le avessi prese, e che ti avrei fatto del male? Non ti farei mai del male! Nessuna pillola cambierà questo.”
“Sono sicuro che non avevi nemmeno intenzione di fare del male a Michael,” mormorò lui.
Lanciai il flacone e le pillole che avevo in mano contro il muro, con tutta la forza che potevo. Frank arretrò visibilmente verso il bagno, mentre le pillole si disseminavano nella stanza come proiettili.
“Non parlare di lui!” urlai. Feci qualche passo avanti, ma mi fermai, cercando di contenere la rabbia. Non aveva nessun diritto di parlare di Michael. Non sapeva niente. Michael era mio fratello. Avevo fatto una cosa orribile, ma era stato uno sbaglio. Non significava nulla. Non aveva niente a che fare con Frank.
E non significava che fossi pazzo.

Anche Frank sembrava arrabbiato. “Smettila di urlarmi contro!”, gridò, stringendo i pugni.
“Non sono pazzo! Michael non ha niente a che fare con questo!” esclamai, impugnando un altro flacone di pillole che avevo raccolto.
Non ti ho mai detto che fossi pazzo! Sei solo malato! Ma le pillole possono guarirti, se la smetti di fare il coglione e lasci che Markman ti aiuti!”
“Lei non può aiutarmi. Non sono malato. Non c'è niente di sbagliato in me!”
“Sono solo pillole, Gerard. Non è una fottuta lobotomia!”
Alzai le braccia al cielo. “Lobotomia?! NON SONO MATTO!”
Frank rimase in silenzio. Alla fine alzò le mani, arreso. “Non so cosa vuoi che dica.”
Abbassai la voce adesso. “Dimmi cosa ti ha detto.”
Lui sospirò, incupito. “Mi ha detto che devo farti continuare a prendere le tue medicine, o avresti potuto avere uno dei tuoi episodi. E' tutto!”
“E tu cosa le hai detto?”
“Le ho detto 'okay'. Cos'altro avrei potuto dire?”
“Ti ha detto che sono pericoloso?”
Frank non rispose. Lo presi come un sì. 
“Non ti farò del male.”
“Troppo tardi,” disse tristemente, non volendomi guardare negli occhi.
Porca troia. Ecco come farmi sentire una merda. “Quindi, come pensavi di farmi prendere le pillole?” chiesi.
Frank sembrava perplesso. “Non lo so! Non ci ho pensato.”
“Mi volevi drogare?”
“No!” rispose lui, indignato. “Smettila di essere paranoico, ti prego. Non mi conosci affatto? Non ti avrei mai potuto drogare. Non sono uno di loro. Sono solo io.”
Non ero paranoico. Essere paranoici era il classico sintomo di una persona pazza, ma io non ero pazzo -quindi non potevo essere paranoico. Aveva senso per me. Non riuscivo a capire perchè Frank si comportasse il quel modo.
“Sai cosa stai facendo?” chiese.
“Cosa?” risposi con indifferenza.
“Stai facendo il paranoico. Se prendessi le pillole non avresti questo tipo di pensieri.
Restai a bocca aperta. “Vuoi che smetta di essere me? Se prendo le pillole smetterò di pensare come me. Quindi non sarei più io. E' questo che vuoi?”
“Voglio che tu sappia che sei al sicuro.”
“Sono al sicuro.”
Frank strinse i pugni. “Gerard!” esclamò. “Meno di cinque minuti fa eri convinto che io fossi uno di Loro. E scommetto che hai pensato che ti avrei fatto del male, non è vero? Pensavi che ti avrei accoltellato, drogato o fatto a pezzi il cervello? Non vuoi liberarti da questo tipo di pensieri? Come puoi conviverci?”
“...Hanno senso a volte,” mormorai.
“Cosa?!” disse Frank, alzando la voce. “Cosa su questa terra ti potrebbe far pensare che voglio ucciderti? Cosa te lo fa pensare?”
Perchè non me l'hai detto.
Lo guardai intimidito. Lui alzò un sopracciglio, dubbioso. Silenziosamente alzai il flacone di pillole perchè lo potesse vedere. “Che altro?” domandò. “Qual'era l'altra idea? Cosa consolidava questa convinzione nella tua mente?”

“Non importa,” dissi, cercando di avvicinarmi al bagno. Era l'unica stanza in cui potevo andare senza dover sostenere lo sguardo accusatorio di Frank.
“Dimmelo,” domandò, bloccandomi il passaggio.
“Non importa!” insistetti.
“Smettila di scappare da me,” schioccò lui. “Dimmi a cosa stai pensando. So che qualcosa ti sta percorrendo la mente in questo istante. Dimmelo.”
“Non me l'hai mai detto,” mormorai. Sembrava meschino, ora, detto a voce alta.
Frank capì subito di cosa stavo parlando. Aggrottò la fronte. “E' per questo che pensavi che fossi uno di loro?” disse indignato.
Alzai le spalle e fissai le pillole sul tappeto.
“Che cazzo, Gerard,” disse lui, piegandosi sulle ginocchia per cominciare a raccogliere le pastiglie che avevo sparso ovunque.
Mi inginocchiai anch'io, tirando su quelle più vicine a me. “Non è così difficile,” mentii. Dire quelle parole era la cosa più difficile che avessi mai fatto in tutta la mia vita.
Frank mi guardò, offeso. “Vuoi che te lo dica?”
“No. Dimentica quello che ho detto.”
“Ti amo. Ecco, l'ho detto. Sei contento ora?” disse senza sincerità.
Scagliai sul pavimento le sette pastiglie che avevo raccolto e mi alzai in piedi. “Sai una cosa?” dissi con rabbia, “Vaffanculo, Frank.”
Frank spalancò la bocca. Non mi importava. “
Vaffanculo,” ripetei, per poi uscire dalla camera dell'albergo.
Percorsi tutta la balconata e scesi le scale. Camminai fino all'uscita del motel e arrivai in strada. Non avevo ancora raggiunto la seguente postazione, che cominciò a salirmi il panico. Mi bloccai, guardandomi attorno terrorizzato. Oh santo cielo, era stata una pessima idea. Mi sentivo terribilmente esposto. Fino a quel momento ero sempre stato accompagnato da Markman o da Frank quando mi facevo vedere in pubblico. Non ero mai stato in una strada da solo. Respirai a fatica, mentre un camion mi sfrecciava accanto.
Dovevo levarmi dalla strada. Ero scappato da un istituto mentale, dopo tutto. Una sconosciuta forza malefica mi stava dando la caccia; probabilmente non era il massimo stare in mezzo al marciapiede. Mi guardai attorno e mi fiondai nell'edificio più vicino, che sembrava una specie di piccolo ristorante. Mi avvicinai furtivamente all'ingresso ed entrai dentro. Esaminai la stanza e scrutai tutti i clienti. Nessuno di loro mi stava guardando. Era una cosa buona, Loro spiavano ovunque. Dovevo essere cauto.
Mi chiesi se Frank mi sarebbe venuto a cercare. Speravo che lo facesse, ma non me lo aspettavo. Non volevo parlargli in quel modo, ma mi aveva fatto incazzare. Solo perchè era afflitto non voleva dire che poteva scagliarmi contro quelle parole come se non significassero nulla.
“Hey, cosa ti porto?”
Lentamente spostai gli occhi dalla strada e guardai la giovane cameriera, pazientemente in piedi davanti al mio tavolo. Entrai nel panico e scossi nervosamente la testa. “Niente,” mormorai, distogliendo lo sguardo. Era passato molto tempo dall'ultima volta che avevo parlato con una ragazza che non fosse matta.
Markman non contava perchè lei era una strega.
La ragazza non se ne andò. Che cazzo voleva? “Stai aspettando qualcuno?” chiese.
Scossi di nuovo la testa e sospirai.
“Mi dispiace, ma non puoi restare qui se non ordini niente.”

La guardai di nuovo, spalancando gli occhi. Davvero mi avrebbe cacciato? Mi sarebbe piaciuto vederla. Non volevo sollevare una discussione però. Avrei attirato attenzione su di me. Chi poteva sapere dove Loro avessero delle spie? L'uomo che stava mangiando le uova con le mani dall'altra parte della stanza poteva essere una spia, per quanto ne sapevo.
“Ti porto del caffè?” propose lei, sorridendomi.
Oh, cazzo, sì. Annuii. “Okay,” dissi, cominciando a frugare nelle tasche per cercare i soldi. Sapevo di avere qualche moneta e un po' di banconote che mi erano avanzate dai milioni di biglietti dei viaggi in treno che avevo acquistato il giorno prima. “Quant'è?” domandai, poggiando il denaro sul tavolo. Non ero portato per tutta questa faccenda dei soldi.
La cameriera mi fece un largo sorriso. “Bhè, tesoro,” disse. “Per te... metà prezzo.”
Per me? Che cazzo significava? Sapeva chi ero? Ci eravamo mai incontrati prima? Le lanciai uno sguardo perplesso. Lei mi toccò la spalla e si avvicinò. “Bhè, quelli carini hanno lo sconto,” sussurrò nel mio orecchio.
Huh? Oh. Che schifo. Non mi piacevano le ragazze. Velocemente presi cinque dollari dal tavolo e glieli porsi, in modo da mandarla via. Una delle cameriere al tavolo accanto la sgridò, e lei se ne andò. Grazie al cielo.

Frank non venne a cercarmi. Fissai la strada per un' ora, ma non lo vidi. Significava che non gli importava? Ero ancora terribilmente arrabbiato con lui, ma volevo che gli importasse abbastanza di me da venirmi a cercare. La cameriera tornò ancora tre volte in quell'ora, cercando di riempirmi la tazza, ma non glielo lasciai fare. Sospettavo che le sue intenzioni non fossero proprio oneste. La quarta volta tentò di iniziare una conversazione con me. “Quindi,” disse, “hai la ragazza?”
Aggrottai la fronte. Avevo avuto un ragazzo? Bhè, pensavo di avere ancora un ragazzo. Ma lei non mi aveva chiesto se avessi un fidanzato. Mi aveva chiesto se avessi una fidanzata -e io non ce l'avevo. Scossi la testa e lei fece un ampio sorriso. “Ma non mi dire?!” esclamò, sghignazzando. Non capivo come questo potesse essere utile al suo lavoro. Avrebbe fatto meglio il caffè che mi serviva o qualcosa del genere?
Scrollai le spalle mentre lei tirava fuori il suo taccuino e scriveva qualcosa. Mi porse un pezzo di carta. Lo presi, ma solo perchè mi sembrava l'unica cosa che potessi fare. Ci aveva scritto sopra un numero di telefono. “Mi chiamerai?” disse dolcemente, toccandomi di nuovo la spalla.

Velocemente mi affrettai verso l'uscita. “Certo,” mentii, sbrigandomi a uscire dal bar. Davvero non capivo cosa fosse successo. Piegai il foglio in un piccolo quadratino e lo misi in tasca. Volevo sbarazzarmene, ma avevo paura che la ragazza mi stesse ancora guardando. Non volevo subire l'ira di una qualche cameriera respinta. Mi feci strada attraverso i palazzi, verso il motel. La mia rabbia per Frank si era lentamente dissolta durante quell'ora e sparì del tutto mentre tornavo verso la camera d'albergo.
Lentamente salii le scale del primo piano e notai che Frank era seduto sull'ultimo gradino, aspettandomi. Arricciò le labbra quando mi vide, e si alzò in piedi con aria imbronciata. Scese i gradini e mentre mi passava accanto mi spinse con forza contro il petto uno degli zaini. Mi fece male, ma non dissi nulla. Probabilmente lo meritavo.

Lo seguii al piano terra e poi verso la stazione. Era relativamente vuota e prendemmo il primo treno che passò. Frank era ancora silenzioso. Non sapevo cosa fare. Mi chiesi se dovessi dire qualcosa o lasciare che continuasse quel doloroso silenzio imbarazzante. Decisi che dovevo dire qualcosa. Ma cosa? Passai quasi un'ora pensando a centinaia di pretesti per iniziare una conversazione, e alla fine dissi “Hai fame?”. Tirai fuori gli spiccioli che avevo trovato in tasca al bar, e glieli porsi.
Non si era nemmeno accorto che stavo parlando. Continuava a fissare il finestrino, come se volesse darmi le spalle. Rifiutato, ricominciai a pensare a qualcosa di meglio da dire.
Per tutto il giorno cambiammo treno un'altra volta. Non capivo perchè lo stessimo ancora facendo. Frank si stava comportando come se stessimo scappando da dei cacciatori di taglie o qualcosa del genere. Nessuno ci stava seguendo. La giornata continuò in questo modo ancora e ancora, e io mi sentivo pronto a gettare la spugna. Se avessi saputo che avrei sprecato i miei primi due giorni di libertà su un fottuto treno, probabilmente sarei restato nell'istituto psichiatrico.
Era tardo pomeriggio quando Frank finalmente di decise a lasciare la stazione. Uscì in strada senza nemmeno controllare se lo stessi seguendo. Il motel che aveva scelto questa volta era molto più carino e aveva persino la piscina. Senza dire una parola mi diede delle banconote e indicò la reception. Questa volta mi sentii un po' più rassicurato a prendere la stanza e, considerato l'umore di Frank, avevo chiesto una camera con due letti.
Il tizio della reception mi diede la carta e mi incamminai verso la mia camera. Frank mi seguì, ancora silenzioso e imbronciato. Porca troia, era possibile essere incazzati per sei ore di fila?

Una volta entrati nella stanza, Frank lanciò la borsa su one dei due letti e si avvicinò al bagno. Ne avevo avuto abbastanza.
“Frank, smettila,” dissi energicamente. Lui si bloccò, tenendomi le spalle. “Mi dispiace,” feci, estremamente sincero. 
Si girò. “Per cosa?” disse. Potevo percepire una nota di sarcasmo.
“Per tutto.”
“Vabbè,” mi rispose, facendo spallucce e incamminandosi di nuovo verso il bagno. Il suo comportamento mi stava dando i nervi. Non potevamo dimenticare tutta la faccenda del 'Pensavo che fossi uno di Loro e che stessi cercando di drogarmi'?
Grugnii e lasciai cadere lo zaino per terra. “Frank,” dissi di nuovo.
Lui si voltò. “Cosa, Gerard?” disse ferocemente. “Cosa vuoi che dica?”
Potresti dirmi che mi ami anche tu. Sai, è solo un suggerimento.
Non lo dissi a voce alta perchè sapevo che avrebbe reagito male. “Mi dispiace,” feci. Frank scrollò le spalle, e io sospirai. “Mi dispiace,” ripetei. “Mi dispiace.”

Aggrottò la fronte. “Smettila,” disse.
Ma non avrei smesso. “Mi dispiace.”
“Smettila di dirlo, Gerard.”
“Mi dispiace.”
Frank strinse gli occhi e alzò il sopracciglio in modo adorabile. Era così carino quando era arrabbiato.
“Mi dispiace.”

Lui sbattè i piedi per terra, con rabbia. “Smettila!”
“No,” risposi con ostinazione. “Non la smetterò fino a quando non la finirai di essere arrabbiato con me.”
Frank mi guardò e si strinse con forza le braccia al petto. Continuai, “Mi dispiace.”

“Non sono arrabbiato,” disse lui, sforzandosi di mantenere la voce a un livello normale.
“Allora perchè mi hai ignorato per tutto il giorno?”
“Non sono arrabbiato, sono solo preoccupato.”
Non me lo aspettavo. Il mio cuore si gonfiò al pensiero che a Frank importasse così tanto di me da preoccuparsi. Pensavo fosse un segno. Deve importarti molto di qualcuno per preoccupartene, quando quel qualcuno non è nemmeno lì.
“Oh. Perchè?”
“Perchè cosa?”
“Perchè sei preoccupato per me? Pensi che forse mi troveranno?” Era l'unica ragione logica per cui Frank si potesse preoccupare per me. Loro erano le uniche persone che mi stavano cercando.
“Già,” mormorò lui, girandosi per rovistare nello zaino, “qualcosa del genere.”
“Non lascerò mai che mi prendano, Frank” non capiva quello che avevo detto, ma sapevo che l'aveva sentito. “Sarò qui per proteggerti.” Feci un esitante passo avanti verso di lui, ma mi fermai quando fu lui ad avvicinarsi.
Non aveva bisogno di dire nulla; tutto quello che stava cercando di dire era scritto sul suo viso pallido e sfinito. Stesi un braccio per toccarlo, ma improvvisamente tentennai, ricordandomi quanto fosse sensibile sul fatto di essere toccato, anche se da me. Frank guardò il mio braccio steso, bloccato a pochi centimetri dal suo. Lo lasciai cadere nel vuoto.
Le sue guance diventarono rosse. “Porca troia,” disse, la devastazione e la collera erano evidenti nella sua voce.
“Cosa?” dissi subito, chiedendomi cosa avessi fatto di male.
Era come se ci fosse stato un cambiamento in lui. Si allontanò. Camminò avanti e indietro, martoriandosi i capelli e sbattendo i piedi. Lo guardai a bocca aperta, terribilmente confuso. Non sapevo che cazzo stesse succedendo. Non l'avevo mai visto così furioso.
“Frank,” dissi a voce alta, cercando di attirare la sua attenzione. Cercai di fermarlo quando mi passò davanti, ma lui mi spinse via con rabbia.
“HANNO ROVINATO TUTTO!” esclamò.
“Chi? Cosa hanno fatto? Che cosa stai-.”
“Chi cazzo pensi, Gerard?” disse lui in modo isterico.
Sbattei stupidamente le palpebre. “Um...”
Frank alzò le mani in aria. “Mi hanno rovinato la vita. E ora guarda! Hanno rovinato anche la tua!”
Sicuri che non stesse parlando di Loro? Lavorava per Loro, non è vero?! Porca puttana, forse sì! Forse il suo compito era stato quello di avvicinarmi per rubare i miei segreti, ma era entrato in contatto troppo stretto con me e ora volevano prendere anche lui?
Fanculo tutto.
“I due che mi hanno STUPRATO, Gerard!”
Okay, non erano Loro. Non nego che fossi rincuorato. Okay, passiamo alla modalità terapista amatoriale.
“Guarda cosa ti hanno fatto, Gerard,” disse lui con enfasi.
Non sapevo che mi avessero fatto qualcosa. Era tutto così confuso. Desiderai di aver avuto più esperienza con questo tipo di situazioni emozionali. “Frank...”
“No, tu non lo vedi? Lo vedo in te. Hai paura di farmi del male, sempre. Non puoi neanche toccarmi senza sentirti colpevole. Non mi puoi trattare come se fossi normale. Sei sempre incerto su cosa dire e cosa fare, perchè hai paura di ferirmi. Ti hanno rovinato!”
“No, aspetta, Frank, che cosa? Non è vero.”
Frank si accigliò per la mia contestazione. “Sì invece. Quanto è difficile vivere nella costante incertezza su come comportarsi con me? Non provare a mentirmi dicendomi che non ci pensi mai due volte prima di fare qualcosa quando ti sono accanto! Stai meglio senza di me.”
Cazzo. “No,” esclamai. “Smettila di parlare così.”
Frank cercò di farmi abbassare gli occhi. “Gerard,” disse alla fine. “Non riuscivi nemmeno a toccarmi il braccio un attimo prima, quindi non azzardarti a fingere che non sia vero.”
“Non ti lascerò.”
“Bene,” disse. Sembrava che stesse cercando di fare l'indifferente, ma riuscii a rilevare un piccolo spiraglio di felicità in lui. “Ma devi promettermi che mi tratterai come se fossi normale. Trattami come se fossi il tuo fidanzato, Gerard, non come la piccola vittima di uno stupro.”
“Okay, ma...” stavo tentando freneticamente di trovare la parola giusta, ma lui mi bloccò.
“Non sento gli scarafaggi sotto pelle quando mi tocchi, Gerard. Non trattarmi come se fossi malato, anche se lo sono. Trattami come una persona normale. Ti prego. Voglio solo ricominciare a essere normale. Perchè non capisci?”
Detto questo, si ritirò in bagno, sbattendomi la porta in faccia.
Restai di fronte alla porta, un milione di pensieri mi stavano penetrando la testa. Dovevo seguirlo? Cosa voleva dire quando aveva detto di 'trattarlo come se fosse normale'? Avevo fatto qualcosa di diverso? Onestamente pensavo di averlo trattato come se fosse relativamente normale. Pensavo avesse interpretato la mia esitazione come sua colpa. Onestamente, la mia esitazione era causata dal fatto che ero un verginello inesperto di classe A, che non sapeva nemmeno come comportarsi in una relazione.
Strinsi la maniglia della porta, ma non la aprii. Non ancora. Avevo bisogno di un piano. Forse potevo entrare e baciarlo?
Sì.
No.
O forse potevo risiedermi sul letto e guardare i cartoni.
Sì.
Lasciai andare la maniglia e presi il telecomando della televisione dal tavolo di lato. La tv si accese e il canale del notiziario apparve lentamente sullo schermo. C'era giornalista che leggeva i titoli di testa. Mi chiesi se cambiare canale, oppure ascoltare.

“Sei minatori morti in un'esplosione in una miniera del Texas. Le autorità stanno cercando la causa dell'esplosione e la miniera verrà chiusa per tempo indeterminato. Ora, passiamo la linea al nostro inviato politico, Susie Carter, a Washington DC. Susie, stamattina il Presidente ha rilasciato una dichiarazione riguardo il suo primo figlio...”
L'inviata annuì energicamente. “Buon giorno a tutti, sì, sono passate 40 ore da quando il figlio più grande del Presidente Way è stato segnalato come disperso da un istituto mentale di sicurezza a Princeton, in New Jersey, e solo questa mattina il Presidente Way ha deciso di fare un appello implorante per cercare qualsiasi informazione-.”
Spensi la TV con aria di aspettazione. Non dovevo stare lì. Dovevo stare con Frank. Improvvisamente mi avvicinai alla porta e la spalancai. Feci un passo avanti e mi fermai. Davvero, non avevo pensato a cosa avrei fatto 
dopo averla aperta. Frank si girò lentamente per guardarmi, stava sotto la doccia. Deglutii, cominciando a giocherellare con la mia cintura. Avevo quasi pensato di levarmela, quando poi mi saltò in mente che avrei dovuto prima togliermi la maglietta. Lasciai stare la cintura e mi levai la maglietta, lanciandola poi sul pavimento.
Lui si spostò dal getto della doccia e mi fissò. Con un movimento rapido finii di slacciare la cintura e mi abbassai i pantaloni. Mi liberai anche di quelli e camminai nudo verso la doccia. Frank aprì il vetro, e lo presi come un permesso per potermi unire a lui. La porta si chiuse da sola dietro di me e d'un tratto divenni conscio del fatto che ero nudo, nel piccolo cubicolo della doccia, insieme a Frank, anche lui nudo. Era davvero attraente.
Mi avvicinai, toccandogli la parte dietro del collo, e istintivamente lo baciai. Probabilmente era la cosa più sfrontata che avessi mai fatto verso di lui... da sempre. Certo, lo avevo baciato una volta, ma non pensavo potesse venire davvero contato, considerando quanto ero stato terribile. Frank alzò il mento e si sporse verso di me, per ricambiare il bacio. Ero cosciente del fatto che eravamo entrambi nudi e che ci stavamo 
praticamente toccando in altri posti, oltre le nostre labbra.
Non aspettai molto prima di fare il passo successivo. Se Frank voleva che lo trattassi come una persona normale, avrei fatto esattamente quello che morivo dalla voglia di fare fin da quando l'avevo conosciuto. Mi staccai dalle sue labbra e, prima che potesse reagire, cominciai a baciarlo sul collo, sul mento, sulle clavicole. Tornai su e premetti la bocca sulla pelle morbida della sya gola. Con le labbra aperte, cominciai a succhiare delicatamente. Frank emise un rantolo, ma dopo la sorpresa iniziale, lasciò cadere la testa all'indietro, in modo che avessi un miglior approccio. Strinse le mani sulla mia schiena, infilando le unghie nella carne. Inalai e succhiai forte contro il suo collo. Il suo respiro divenne di nuovo affannoso e spostò le mani dietro la mia testa.
Non sapevo quanto a lungo dovevo succhiare, ma quando pensai che fosse abbastanza, mi staccai. Mi sentivo abbastanza fiero del colore del succhiotto che gli avevo fatto, sulla sua pelle diafana. Mi avvicinai e gentilmente baciai il livido un paio di volte, prima di staccarmi di nuovo. Frank si portò una mano al collo per toccarlo, con uno sguardo sbalordito sul volto. Non sapevo se fosse una cosa buona o cattiva. Non volevo che lo vedesse come una specie di marchio di possesso. Dopo un paio di secondi, un sorriso adorabile spuntò sul suo viso, rincuorandomi. Feci un passo avanti e alzai il suo mento, lasciandogli un rapido bacio sulle labbra, prima di posare la mano sul suo petto. Frank mi strinse di nuovo la mano dietro la testa e mi spinse verso un bacio più appassionato. Aprii la bocca e cercai di ricambiarlo con lo stesso fervore che lui mi stava mostrando. Allo stesso tempo, lasciai che la mia mano scivolasse sul suo petto, sempre più giù, accarezzandolo inconsapevolmente. Fu quando le mie dita arrivarono sotto il suo ombelico che lui reagì. Respirò affannosamente, e si staccò dal bacio. Mentre mi fissava, i suoi occhi erano spalancati e le guance erano arrossate. Non sapevo cosa stesse pensando, ma ero quasi sicuro che mi stava dicendo inconsciamente di andare avanti. Mi spostai lentamente più giù, un paio di millimetri al secondo, portando le mani verso il basso.
Mi sembrò un' eternità prima che la mia mano raggiungesse il suo pene. Frank mi guardò ancora intensamente, mentre stringevo la mano attorno al suo membro.
Sembrò eccitarsi immediatamente nella mia mano, ovviamente per il suo imbarazzo e per il mio divertimento. Arrossì violentemente, non riuscendo più a guardarmi negli occhi. Decise invece di fissare il canale di scolo sul pavimento della doccia.

Non era un segreto che non avevo mai fatto una sega a qualcuno, ma me ne ero fatte molte da solo. C'era più di un vantaggio nel richiedere di avere una doccia singola, a Bluestone. Decisi di usare l'acqua che cadeva su di noi come lubrificante, cominciando a muovere il polso su e giù. Lui spalancò la bocca e cominciò ad avvicinarsi verso di me per reggersi, mentre io toccavo col pollice la punta del suo pene. Incoraggiato dal piacere di Frank e dal suo linguaggio del corpo, feci scorrere le dita sulla parte di sotto un paio di volte, prima di tornare su e accarezzarlo di nuovo.
Fu il suo gemito la cosa che mi sbalordì di più. In realtà gemeva tantissimo. Mi sentivo così orgoglioso; ovviamente stavo facendo qualcosa di giusto. Davvero, tutto quello che stavo facendo gli piaceva. Stavamo andando meglio di quanto pensassi. Frank si spinse verso la mia mano e si aggrappò a me, incrementando il senso di urgenza. Strinse le mani alla mia vita e sentii le sue unghie infilate di quasi un centimetro nella carne della mia schiena. Seppellì il viso nel mio collo, nel vano tentativo di affogare i gemiti che stava facendo, mentre io continuavo ad alternare le carezze fra la base e la punta del membro. 
Non avevo mai visto Frank venire, quindi lo guardai attentamente, cercando qualche segno per capire quanto mancasse. Non potei trattenermi dal sorridere, vedendo le facce che faceva. La bocca era un po' aperta e lui cercava di inalare l'aria con piccoli, bruschi respiri. Gli occhi erano strettamente chiusi e la fronte era corrugata. Capii immediatamente quando stava per arrivare, quindi velocizzai il movimento per aiutarlo.
L'unica parola che riuscii a capire fra i gemiti, quando venne, fu “cazzo.” Arricciò le dita dei piedi sulle piastrelle e sulla sua faccia apparve un' espressione di sforzo, mentre veniva sulla mia gamba. Appena ebbe finito, lo lasciai andare, ma lui non si mosse. Il cuore mi battè fortissimo nel petto alla vista di Frank che veniva di nuovo, rendendomi quasi eccitato. Improvvisamente lui realizzò che aveva le unghie conficcate nella mia schiena e con un senso di colpevolezza lasciò andare le braccia dalla mia vita e fece un passo indietro, cercando di tenersi al muro. Il suo respiro era affannoso e irregolare, come se avesse appena fatto una corsa. Si passò una mano fra i capelli umidi e ansimò forte.
Ancora non mi guardava. Non mi importava. Ero lì, con uno stupido sorriso sulla faccia, mentre guardavo la sua reazione. Sembrava che stesse passando da uno stadio all'altro, prima di incredulità, poi meraviglia, poi riflessione, poi imbarazzo e, alla fine, vergogna. La vergogna arrivò quando improvvisamente realizzò che era venuto sulla mia gamba, e l'acqua non ci era ancora passata sopra per ripulirla. Velocemente diede un'occhiata alla mia faccia, poi tornò sulla mia gamba. Le sue guance tradivano i suoi sentimenti.
“Oh,” mormorò, avvicinandosi per pulirmi la gamba. Gli presi il polso e con dolcezza lo allontanai, cercando di dirgli senza parole che non era necessario.
Non era per niente a suo agio con questa situazione. Era abbastanza chiaro che ero quasi eccitato e dal suo sguardo combattuto si capiva che non era sicuro se dovesse, o volesse, ricambiare il gesto. Alzò lo sguardo e io scossi la testa, rispondendo alla domanda che c'era nei suoi occhi.
“Mi dispiace,” grugnì, indicando vagamente verso i miei genitali.
“Va bene,” dissi sinceramente. Non mi aspettavo che Frank ricambiasse la cosa. Sarei stato benissimo anche se avesse tenuto le mani a posto. Non gli avrei fatto pressione. Avrei aspettato. Avrei potuto aspettare per sempre.
Le sue guance erano ancora molto arrossate mentre usciva dal cubicolo della doccia e poi nella stanza del motel. Aspettai che lui chiudesse la porta del bagno, poi iniziai a masturbarmi. Non ci volle molto perchè venissi, considerando quanto mi aveva reso eccitato Frank, con i suoi gemiti e le sue espressioni facciali. Sorrisi stupidamente, prendendo un po' di tempo per ripulirmi. Uscii dalla doccia e cercai di ritardare l'entrata nella camera. Non sapevo come avrebbe reagito; sarebbe stato contento, infuriato, o tutti e due? Spesso le sue emozioni erano irrazionali, quindi non importava quanto avessi potuto farlo sentire bene, probabilmente si sentiva ancora imbarazzato, forse anche umiliato.
Sapevo che se Frank avesse mai deciso di toccarmi, probabilmente mi sarei sentito incredibilmente imbarazzato, e io non ero mai stato molestato o stuprato. Potevo solo immaginare quali pensieri contrastanti gli stavano passando per la testa in quel momento. Quello che avevo fatto poteva senza dubbio aver portato a galla qualche terribile ricordo. Sperai solo che mi facesse entrare.
Presi i jeans dal pavimento e me li rimisi. Poi tirai su la maglietta e velocemente la odorai. Aggrottai la fronte, decidendo se rimettermela o no. Poi entrai nella stanza. Frank era seduto accanto al piccolo tavolo, intento a mangiare un sandwich. Alzò gli occhi verso di me, indugiando per un breve secondo, poi distolse lo sguardo. Presi uno degli zaini per terra e ci frugai dentro.
“C'è una maglietta pulita che posso mettermi?”
Frank si girò di nuovo per guardarmi e le sue guance si arrossarono di nuovo, alla vista del mio petto scoperto. Tossì rumorosamente e indicò l'altro zaino sul pavimento. Cercai nell'altra borsa e tirai fuori una maglietta che aveva preso a casa sua, ma che era troppo grande per lui. La misi e mi sedetti sul letto, guardando Frank che mangiava pensieroso il suo panino.
Non sapevo cosa dire. Non sapevo se chiedergli se stesse bene, o solo far finta che non fosse successo niente, cioè quello che lui stava facendo. Sospirai.
“Frank.”
Mi guardò con aria di aspettativa. “Hmm,” disse, con la bocca piena. Distolse di nuovo lo sguardo; non riusciva a creare un contatto visivo con me.
Sospirai di nuovo. “Non importa.” Mi stesi sul letto e non cercai di contrastare la stanchezza che cercava di abbassarmi le palpebre. Proprio quando mi stavo per addormentare, sentii Frank scivolare accanto a me nel letto.
“Hey, um, dove... sai...” Sembrava ancora molto imbarazzato, come la sega gliel' avesse fatta sua madre, o qualcosa del genere.
“Cosa?”
“Dove... dove hai imparato... a farlo?” mi chiese timidamente.
Aprii un occhio. “Da nessuna parte. Ho... improvvisato.”
Frank si stese accanto a me, poggiando la testa sulla mia spalla. “Dovresti avere una patente per questo,” disse seriamente.
Risi. “Vabbè.”
Frank si fece più serio. “No, Gerard, veramente. E' stato...”
Lo avvicinai e premetti le labbra sulla sua fronte. “Vai a dormire.”
“E' stato fantastico.”


***


Mi svegliai quando Frank iniziò a scuotermi. “Cosa vuoi per colazione?” chiese. Brontolai e mi girai su un fianco. Frank mi scosse ancora più forte. “Bhè?”
“Stupiscimi,” mormorai, e lui sospirò.
“Bene,” fece. Sentii che si alzava dal letto. “Torno subito,” disse, e sentii la porta chiudersi. Tenni gli occhi chiusi, cercando di riaddormentarmi, ma fu inutile. Aprii gli occhi con riluttanza e mi stiracchiai, ancora assonnato. Presi il telecomando dal comodino e accesi la tv. Mi domandavo se potevo trovare qualcosa di decente. Lentamente cambiai da un canale all'altro, fissando meccanicamente ogni canale per un paio di secondi.
Cazzo!
Mi tirai giù dal letto e mi schiantai praticamente contro la TV, colpendola col dito per alzare il volume. In meno di un secondo mi ero ritrovato a fissare una mia foto.
Perchè cazzo ero in televisione!? Che cazzo era? Dove cazzo erano i titoli di testa e i giornalisti quando ce n'era bisogno! Markman aveva spifferato tutto?
Alcune righe apparirono sulla parte bassa dello schermi e sgranai gli occhi per leggere:
GRANDE TIMORE PER LA SALVEZZA DEL FIGLIO MAGGIORE
SEIMILA DOLLARI PER QUALUNQUE INFORMAZIONE SU DOVE SIA
IL PUBBLICO ESPRIME PREOCCUPAZIONE PER IL SUO PASSATO VIOLENTO

Velocemente cambiai canale per cercare qualcosa, qualunque cosa, che spiegasse che cosa stava succedendo. Che cazzo era tutta questa cosa del 'figlio maggiore' di cui stavano parlando?
Sul
 canale su cui mi fermai c'era una specie di dibattito mattutino. Alzai il volume di altre dieci tacche, nonostante fossi a un passo dalla tv. Due donne erano sedute ai lati opposti di un tavolo, di fronte a un schermo su cui cui c'era la mia faccia. Cercai di non sbattere gli occhi, in modo da non perdere niente. Dal testo sullo schermo capii che una delle due signore era la conduttrice e l'altra era un'ospite, una famosa psichiatra con 35 anni di lavoro alla spalle
La conduttrice stava parlando, “...ma il pubblico ha il diritto di essere spaventato, stiamo parlando di un ragazzo mentalmente instabile, con un passato incredibilmente violento. Chissà dov'è? Potrebbe essere fuori dalle nostre scuole, in preda alle stesse allucinazioni che l'hanno portato a uccidere qui tre uomini! Oh, non dimentichiamoci poi cos'è accaduto al piccolo Mikey Way.”
Mikey? Michael? Stavano parlando del fratello che avevo ucciso?
La dottoressa scosse la testa, con molto disappunto della presentatrice.
“Dottoressa, sicuramente non può negare ciò che ha fatto Gerard.” disse quella con veemenza. “E' stato un omicidio.”

La psichiatra reagì all'accusa dell' altra donna.”Non è stato un omicidio,” disse fermamente. “Omicidio vuol dire uccidere illegalmente un'altra persona in, e vorrei insistere molto su questo, 'modo malvagio e premeditato.' Non venga a dirmi che Gerard Way ha commesso un omicidio. In effetti, Gerard è stato vittima della situazione tanto quanto gli uomini che ha non intenzionalmente ferito.”
“Come può dire che sia Gerard la vittima? Non vedo-.”

La dottoressa la interruppe, “Anche la vita di Gerard è finita quel giorno. Parla come se lui avesse fatto questo tragico atto di violenza e ora si trovasse in un albergo a 5 stelle alle Bahamas. No. Si sta dimenticando del fatto che è stato rinchiuso in un istituto mentale di sicurezza negli ultimi tre anni. Ci sono persone, persone come lei, che pensano che solo perchè Gerard non è ancora stato punito dalla legge, allora vuol dire che non ha pagato per ciò che ha fatto. E' mai stata in un istituto di igiene mentale?
La presentatrice scosse lentamente la testa. “No.”
“Allora non ha alcun diritto di giudicare.”
La presentatrice si girò verso la telecamere e disse, “Torneremo subito dopo una breve pausa.”
Stavano parlando di me e di quello che avevo fatto in diretta nazionale. Tutti lo sapevano. Chi era quella donna, e perchè mi difendeva? Ero un assassino. Avevo ucciso delle persone. E' questo quello che fanno gli assassini.
Feci qualche passo indietro per sedermi sul bordo del letto, aspettando disperatamente la fine della pubblicità. Perchè tutti sapevano chi ero?

Il mio battito accelerò di nuovo non appena lo show tornò in onda.
“Ben tornati. Per quelli che ci hanno appena raggiunti, stiamo discutendo della scomparsa di Gerard Way, il figlio maggiore del Presidente Way. Oggi in studio abbiamo una psichiatra, la dottoressa Connie Waters. Ora, dottoressa, prima di interromperci stavamo parlando del fatto che lei crede che Gerard possa essere considerata come un'altra vittima della sparatoria alla Casa Bianca.”
“Sì. Penso che i dottori responsabili della salute mentale di Gerard non sono riusciti a controllarlo quella notte.”
“E quindi? Non sono stati loro a fargli premere il grilletto.”
“Gerard soffre di Schizofrenia Paranoide da quando aveva 15 anni ed è ben documentato il fatto che soffre di fervidi deliri di persecuzione. Sono sicura che la gente ricorda l'episodio spaventoso di quattro anni fa che Gerard fece nel giorno dell'insediamento* quattro anni fa come la punta dell'iceberg. La schizofrenia è un disturbo che provoca molta agitazione per tutti i membri della famiglia del malato. La sfortuna di Gerard è stata che suo padre ha partecipato alle elezione e ha vinto proprio quando gli è stata diagnosticata la malattia, quindi il peggioramento della patologia è stata resa pubblica a tutti.”
Aggrottai la fronte. Sembravo proprio io. A cosa cazzo si riferiva tutto questo parlare del giorno dell'insediamento? E mio padre aveva vinto le elezioni? Non ricordavo nulla di tutto ciò. Forse mi avevano confuso con qualcun altro? Doveva essere così.
“Ora, non ho mai avuto l'occasione di parlare con Gerard, ma so che i suoi deliri e le sue allucinazioni riguardando un' organizzazione segreta che gli da la caccia e un generale dell'esercito in pensione che lo aiuta ad evitare la cattura. Gerard aveva queste allucinazioni prima della sparatoria alla Casa Bianca e le ha tutt'ora. Posso dire, in pura sincerità, che ovunque sia, è ancora terrorizzato dal fatto di essere scovato da questa organizzazione.”
Come
 cazzo faceva a saperlo? Cazzo. Cazzo. Cazzo. Non era un'allucinazione. Era reale. Jasper era reale. Mi aveva salvato così tante volte che avevo perso il conto. Non si vedono cose che non sono reali. Cazzo. Volevo spegnere la televisione, ma non potevo. Dovevo sapere quali altre bugie stessero diffondendo sul mio conto.
La presentatrice si avvicino, ovviamente interessata. “Ma questo cosa c'entra col fatto che Gerard non era sotto controllo quella sera, come ha detto lei prima?”
La dottoressa annuì di nuovo. “Lasciate che spieghi in po' di più. Una volta che a Gerard fu diagnosticata la patologia, come rimedio è stato messo sotto farmaci anti-psicotici ed è andato in terapia. Fu in questo periodo che le allucinazioni e i deliri cessarono, divenne completamente lucido e accettò la sua condizione. In quel momento non presentava alcun sintomi. Ma, nonostante i suoi brillanti referti medici, Gerard ebbe una ricaduta e commise un gesto che portò alla morte dei tre uomini. Posso dire quasi sicuramente che questa ricaduta non si manifestò solo nel giro di quell'ora. Penso che Gerard mostrasse segni di peggioramento già da alcune settimane. Forse il suo amico dell'esercito era riapparso, o forse i vecchi pensieri paranoici avevano ricominciato a perseguitarlo.”

La presentatrice la fissò attentamente. “Perchè nessuno ha fatto qualcosa?” chiese. “Se mostrava segni di peggioramento già da prima, perchè nessuno l'ha fermato prima che potesse prendere la pistola?”
“Non lo so,” disse onestamente la dottoressa. “Non ho idea del perchè nessuno l'abbia capito. Gerard è un ragazzo incredibilmente intelligente e se fosse stato lucido come dichiaravano i dottori, avrebbe senza dubbio detto a qualcuno che quei terribili pensieri erano tornati. La domanda è, perchè la persona con cui si confidava non ha fatto niente?”
“I dottori non hanno mai detto nulla?”
“Certo che sì!” esclamò lei, “ma ciò che hanno detto erano solo un mucchio di sciocchezze, le peggiori che io abbia mai sentito. A dirla tutta, la settimana prima dell'incidente Gerard non era stato sotto il regolare controllo dei dottori. La sua dottoressa abituale era la Dottoressa Jillian Markman, ma lei lasciò il caso al Dr. Jared Leto per occuparsi della morte della figlia. Chi sa, forse non aveva affidato il caso nelle mani della persona giusta, forse non ha detto al Dr. Leto che Gerard stava mostrano di nuovo i suoi sintomi, o forse il Dr. Leto non è riuscito a vedere nulla, oltre il suo enorme ego. Chi sa? Tutto ciò che so è che non ha aiutato Gerard quando il ragazzo ne aveva più bisogno, e guardi cos'è successo.”
“Quindi pensa che bisogna accusare entrambi per ciò che è accaduto?”
“Penso che ognuno debba prendersi la propria parte di responsabilità, sì.”
“Cosa non hanno fatto?”
“Ancora non lo so.”
Partì la pubblicità e feci il primo respiro dopo quasi cinque minuti. Stavano parlando di me. Questo mi spiegava tutto. Questo programma mi stava informando su tutto ciò che Markman mi aveva tenuto nascosto negli ultimi tre anni. Aveva senso. Forse ero davvero pazzo. Ma forse non era stata colpa mia. Potevo davvero alleggerirmi la coscienza dando la colpa a Markman e al Dr. Leto per quello che avevo fatto? Era giusto?
Mi riavvicinai a due passi dalla televisione non appena la pubblicità terminò. Porca troia. Non mi importava dei detersivi per il bagno.
“Ora, Dottoressa Water, è mai stato rivelato ciò che è successo quella notte alla Casa Bianca? L'unica cosa informazione che ho trovato è che Gerard era in preda a un'allucinazione che gli faceva credere di essere in pericolo e che aveva bisogno di proteggersi, cioè quello che ha fatto con la pistola. Sono proprio confusa su come Mikey abbia potuto rimanere vittima della sparatoria.”

Fissai la bocca della dottoressa Water, aspettando che parlasse per darmi la risposta. Non ricordavo cosa avevo fatto quella notte e probabilmente questa era l'unica occasione che avevo per scoprirlo.
“Ecco ciò che è grossomodo successo. Gerard era giunto alla conclusione che l'organizzazione che gli dava la caccia lo avesse trovato, e che i soldati fossero dentro l'edificio. Ha intrappolato una delle guardie che erano nella stanza con lui e gli ha preso la pistola. Poi è andato a cercare Mikey per, come ha detto quella notte a suo padre, 'salvarlo'. Lungo il tragitto ha cominciato a sparare su quello che lui credeva un gruppo di soldati, ma che in realtà erano soltanto altre guardie. Credo che lui abbia preso le armi di questi agenti e che poi abbia continuato a cercare Mikey. Quando arrivò nella sua camera, scoprì che era vuota e poi si diresse verso l'entrata principale dell'Ala Nord. Lì trovo Mikey e la sua guardia del corpo, che aveva sentito gli spari di poco prima. Per quanto posso immaginare, non credo che lui li abbia visti come una minaccia ma piuttosto, continuando la sua allucinazione, abbia creduto che i soldati si stessero avvicinando in silenzio dietro di loro per catturare suo fratello. E ovviamente, se si mette insieme un ragazzo terrorizzato, una pistola e una malattia mentale...”
“Quindi lui ha sparato ai soldati?”
“Sì.”
“E Mikey e la sua guardia del corpo sono stati colpiti per sbaglio?”
“Esattamente.”
“Oh santo dio.”
Oh mio dio.
“Gerard è stato trovato dai suoi genitori mentre abbracciava il corpo di Mikey, in un mare di sangue appartenente al corpo senza vita della guardia del corpo. Gerard continuava a dire che tutto ciò che aveva fatto era stato provare a 'salvarlo'. Ora, la parte successiva è abbastanza vaga, ma credo che Gerard abbia risalito le scale, facendosi del male dopo aver realizzato ciò che aveva fatto. Un' altra guardia gli ha sparato alla spalla per disarmarlo, quindi Gerard ha lasciato andare la pistola, ma l'impatto lo ha fatto barcollare e cadere giù dalle scale.”
La presentatrice si teneva le mani sulla bocca, guardando inorridita la dottoressa. Mi girai, corsi verso il piccolo lavello della cucina e vomitai tutto ciò che avevo nello stomaco. Tutto quel sangue nei miei sogni. Il sogno in cui camminavo attorno a un grande casa bianca. Il sogno dove il sangue sgocciolava dai muri e copriva il pavimento. Il sogno in cui le mie mani erano insanguinate e non riuscivo a capire perchè. Non era un sogno. Era ciò che era successo veramente. Quel sangue era tutto attorno all'uomo che avevo ucciso, nell' Ala Nord della Casa Bianca. Le mie mani sporche di sangue.
Fra un conato di vomito e l'altro sentii qualche pezzetto di conversazione.

“- è fortunato ad essere vivo, considerata la gravità della caduta. In realtà si può considerare un miracolo della medicina quello che l'ha fatto uscire dal coma con niente più di un' amnesia.”
Vomitai di nuovo, la gola mi bruciava terribilmente. Non ero stato per niente fortunato ad uscire dal coma. Dovevo morire. Meritavo di morire. Era il debito da pagare per tutte quelle persone morte e ferite. Ero malato.
“-nessun ricordo dell'accaduto, comunque.”
Mi girai e fissai di nuovo lo schermo, abbracciando il tavolo per tenermi. Avevo le gambe deboli e la testa mi girava dolorosamente.
“Ho sentito dire che Gerard ha avuto un danno cerebrale?” chiese la conduttrice e il mio interesse sembrò aumentare di 100 volte. Era questo ciò che volevo sapere. Cosa c'era di sbagliato nel mio cervello? Se era vero, non potevo tenerci dentro i miei segreti. Avrebbe detto ciò che Markman non mi aveva voluto dire?
“Una specie di trauma cerebrale non avrebbe potuto avere una specie di conseguenza?”

La dottoressa sembrava perplessa. “Ci sono state delle voci a riguardo, ma niente di concreto. I gravi traumi cerebrali spesso portano conseguenze più gravi, e a volte fatali.”
“Per esempio?”
La dottoressa ci pensò per un momento. “Emorragia intercranica, epilessia, aneurisma cerebrale.”
Mi girai di nuovo per vomitare nel lavandino. Era questo quello che non andava nel mio cervello? Cos'erano tutte quelle cose? Non avevo la minima idea di cosa cazzo fosse un aneurisma cerebrale o un' emorragia inter-qualcosa.
“E gli altri effetti?”
La dottoressa sembrava contenta del fatto che la presentatrice le stesse facendo questa domanda. “Bhè,” disse, “con mia esperienza di lavoro con le persone che soffrono di trauma cerebrale, posso dire che vengono notati molti effetti secondari. Qualche esempio include cose come visioni, abilità motorie ridotte, risposte emozionali inappropriate o inadeguate alle situazioni, depressione e aggressività. Sono molto variabili. Comunque, forse l'effetto secondario più comune è la perdita della memoria, cioè quello di cui Gerard, come abbiamo detto, soffre da tre anni. La sua perdita di memoria è stata ritenuta parziale, perchè non abbiamo potuto fare nessuna indagine vera e propria -semplicemente, non sappiamo cosa sia esattamente successo e lui non può dircelo.”
Non sentii la porta aprirsi e fu solo quando mi girai a guardare lo schermo che vidi Frank davanti alla TV, con uno sguardo terrorizzato e pietrificato sul volto.
“Non dovevi scoprirlo così,” disse, lasciando cadere la borsa che aveva in mano e correndo verso di me.
I miei occhi sembravano distrutti, a causa della nausea. “Tu lo sapevi?” sussurrai.
“Avevo capito chi eri e l'ho chiesto a Markman.”
“M-ma... perchè l'ha detto a te... e non a me?”
Sembrava che Frank stesse per piangere. “Perchè non voleva che avessi a che fare con questa cosa. Gerard, saresti stato meglio se non l'avessi saputo.”
“Ora, passando a una notizia un po' più piacevole, Mikey Way festeggerà il suo sedicesimo compleanno la prossima settimana e i dottori hanno annunciato che probabilmente verrà rilasciato dall'ospedale il mese prossimo.” La presentatrice stava parlando di nuovo verso la telecamera e io mi sforzai di comprendere quello che stava dicendo. Stava parlando di Mikey, di mio fratello Mikey? Il Mikey a cui avevo sparato, il Mikey che avevo ucciso. Non era morto?! Non avevo ucciso mio fratello?
Guardai Frank, che sembrava scioccato tanto quanto lo ero io. “E' vivo,” mi sforzai di dire.
“Non lo so,” rispose Frank, prendendomi il braccio. “Giuro che te l'avrei detto se l'avessi saputo. Gerard, mi credi, non è vero?”
C'era solo una cosa che potevo fare. Con delicatezza allontanai Frank dal mio braccio. “Aspetta qui,” gli dissi, prendendo una manciata di monete dal tavolo.
“Dove vai?” chiese lui preoccupato, non appena aprii la porta.
“Torno fra cinque minuti,” dissi. “Prendi tutte le nostre cose. Quando torno ce ne andiamo.”
Frank annuì con aria stupita ed io lasciai la stanza, chiudendo la porta dietro di me. Corsi giù per le scale e attraversai il tragitto che conduceva al telefono pubblico, dall'altra parte della strada. Entrai nella cabina telefonica, alzai la cornetta e inserii qualche moneta nella fessura. Una volta ricevuto il segnale di chiamata, digitai: 594-113-4212.
Quella fottuta stronza mi doveva spiegare un sacco di cose.

“Pronto?”
“Mi ha fatto credere che fosse morto,” schioccai dentro la cornetta, più brutalmente che potessi.
Ci fu un breve silenzio, poi sentii Markman sospirare. “Gerard.”
“Non è morto,” sibilai. “Alla televisione hanno detto che farà sedici anni la prossima settimana. Lei mi ha mentito. LEI MI HA MENTITO! MI HA FATTO CREDERE CHE L'AVESSI AMMAZZATO!”
“Gerard, non hanno detto nient'altro su Mikey?”
“Hanno detto che lo rilasceranno dall'ospedale. Perchè? E' importante?”
“Non hanno detto nient'altro su di lui?”
“No. Perchè? Cosa avrebbero dovuto dire?”

“Gerard-.”
“Voglio vederlo. Mi dica dov'è. Voglio parlare con lui. Devo scusarmi. Devo-.”
“Gerard, dove sei?”
“Dov'è lui? Se non me lo dice allora lo troverò da solo. Voglio trovarlo.”
“Dove sei? Ti vengo a prendere.”
Per la rabbia sbattei la cornetto contro la finestra di plastica. Feci un paio di respiri profondi e poi rimisi il ricevitore vicino all'orecchio. “In primo luogo, è lei quella che ci ha aiutato a scappare.”
“Bhè, è stata una decisione davvero sbagliata da parte mia, non è vero?”
“No, non è vero. L'ho quasi guarito.”
“Frank? E' ancora con te?”
“Mi sto prendendo cura di lui, sta bene,” la rassicurai.
“E chi si sta prendendo cura di te, Gerard?”
“Non ho bisogno di nessuno che si curi di me,” le dissi. Era vero; avevo badato a me stesso negli ultimi tre anni. Non avevo bisogno di aiuto. Il mio compito era aiutare Frank. Era lui quello da guarire.
Markman stette in silenzio per un secondo. “Tutti quanti abbiamo bisogno di qualcuno che si curi di noi. Mi dispiace che io non ci sono riuscita con te, Gerard.”
Sembrava davvero commossa. Sperai che non iniziasse a piangere. Non mi piaceva avere a che fare con le donne, quando piangevano. “
Va tutto bene. Non penso sia colpa di nessuno,” dissi. “Non posso farci nulla se sono pazzo.”

“Gerard, tu non sei pazzo.”
Il credito telefonico finì proprio nel momento in cui una lacrima mi scivolò sulla guancia. “Sì, lo sono.”




Note di traduzione: *il giorno dell'insediamento è il giorno in cui il Presidente degli Stati Uniti, appena entrato in possesso del potere, si trasferisce alla Casa Bianca con tutta la sua famiglia.

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Capitolo 19
*** 18. ***


A SPLITTING OF THE MIND

***

18.


…And then your life isn't your own anymore


 


 

Avevo paura che guardare Jasper avrebbe potuto scatenare una ribellione nella mia testa. E se tutte le cellule pazze e danneggiate che avevo nel cervello avessero preso il sopravvento su quelle sane? Tutte le mie speranze di poter in qualche modo riacquistare una dignità mentale sarebbero sparite? Cosa sarebbe successo alle mie cellule sane? Sarebbero morte tutte?
C'era qualcosa di crudelmente ironico nell'ammettere di essere pazzo e poi girarti e vedere una manifestazione fisica della tua malattia che bussa alla finestra della cabina telefonica in cui stai dentro.
Avevo paura che se avessi ammesso che Jasper era lì, avrei perso tutte le cellule sane che mi rimanevano.
Sembrava del tutto fattibile, quindi decisi di ignorarlo.
Aprii la porta e uscii fuori.
“Che diamine stai facendo nel bel mezzo di una strada,” sibilò Jasper, cercando di afferrarmi.
Normalmente mi sarei tirato indietro e avrei reagito, una volta che aveva raggiunto il mio braccio. Ma reagire al suo contatto voleva dire riconoscere la sua presenza, quindi non feci nulla.
Gerard,” disse lui con rabbia, la sua fronte si corrugò subito.
Non reale. Attraversai la strada.
Non reale. Entrai nel parcheggio del motel e mi diressi verso le scale.
Non reale. Misi un piede al piano terra.
“Oh, cazzo!” è difficile ignorare qualcuno che ti colpisce violentemente dietro la testa. “Perchè cazzo mi fai questo?!” esclamai, prima di rendermene conto.
Dannazione.
Jasper sapeva di avere la mia piena attenzione. “Vieni con me,” disse, guardandosi attorno.
Tolsi il braccio dalla sua presa. “Assolutamente no,” risposi. Porca troia, dovevo ignorarlo, non incoraggiarlo.
“Riguarda Frank.” Sapeva perfettamente cosa dire per avere la mia più completa attenzione. Sospirai rabbioso e con riluttanza lo seguii verso la piscina. Appena mi avesse detto quello che doveva dirmi riguardo Frank, me ne sarei andato e avrei continuato a ignorarlo.
“Non so davvero come dirtelo....,” disse lui, fingendosi preoccupato.
Aggrottai la fronte. “Sputa il rospo, cazzo.”
Jasper non sembrava contento del mio comportamento. “Se non vuoi il mio aiuto, io-.”
“Me ne andrò?” dissi malignamente, finendo la sua frase. “Cos'è? Te ne andrai? Dove andrai? Tornerai dentro la mia testa?”
“Di cosa stai parlando?”
Mi avvicinai a lui e lo colpii col dito sul petto. “Vedi questo?” dissi, premendo contro il suo corpo. “Non è reale. Ti ho creato io. Non sei reale. Sei solo una stupida allucinazione che ho creato io.” Mentre lo colpivo non potei fare a meno di chiedermi se un'allucinazione potesse essere reale tanto quanto qualcosa che non lo era. La sua carne sembrava solida e reale tanto quanto quella di Frank, e Frank non era un'allucinazione. A meno che...
Mentalmente mi diedi uno schiaffo. Frank non era un'allucinazione. Non l'avevo creato io. Avevo visto altre persone parlare con lui. Markman percepiva la sua presenza, e lei era una strizzacervelli. Quindi, doveva essere reale. Okay. Cazzo.
Per dieci secondi avevo provato una paura fottuta nel pensare a Frank,
Jasper sembrava stranamente tranquillo, considerando che l'avevo appena accusato di essere un' allucinazione. Scosse la testa. “Se tu non fossi scappato via, avrei potuto fermare tutto questo. Ti sta facendo il lavaggio del cervello.”
Se Jasper era solo un'allucinazione creata da me, perchè cazzo mi faceva delle domande di cui non sapevo la risposta e diceva cose che non capivo?
“Gerard, Frank è uno di loro.” Percepii un po' di soddisfazione nella sua voce.
“Ha!” dissi trionfante. “Non è vero. Ci siamo già passati. Ci siamo chiariti!”
Lui aggrottò la fronte sentendo la mia risposta.
Mi allontanai dalla piscina e mi diressi verso le scale. Avevo detto a Frank che sarei tornato in cinque minuti, ma dovevano esserne passati almeno dieci. Non volevo farlo aspettare ancora. Proprio mentre raggiungevo la porta della camera, Jasper mi strinse dolorosamente l'avambraccio. “E' uno sbaglio. Morirai.”
“Lasciami!” sibilai, dimenandomi sotto la sua presa.
Mi lasciò andare con riluttanza e io cullai il braccio sul mio corpo.
“Quando arriveranno a prenderti, io sarò lì a guardare. Ti guarderò morire, Gerard. Te lo giuro. Non meriti di essere vivo. Ti guarderò morire, Gerard.”
Sapevo che non stava scherzando. Era serio. Tutto questo mi lasciò senza fiato.
“Non mi prenderanno mai,” mormorai, posando la mano sulla maniglia della porta, cercando di usarla per sostenere il peso delle mie ginocchia tremanti.
Jasper aveva uno sguardo sanguinario sul viso. “Lo faranno.”
“No, non è vero,” risposi ferocemente. Improvvisamente sentii avvampare dentro di me un senso di ribellione. Lui stava per dire qualcos'altro, ma fu interrotto perchè Frank aprì la porta. Lasciai andare la maniglia e lo guardai impacciatamente, poi lanciai uno sguardo minaccioso a Jasper. Fottuto testa di cazzo.
“Con chi stai....,” cominciò Frank, tirando fuori la testa dalla porta. Era diventato molto pallido, realizzando che non c'era nessuno nel corridoio, tranne me. Bhè, Jasper era lì, ma non pensavo che lui potesse vederlo.
“...parlando?” finì la frase a voce bassa, guardandomi preoccupato.
“Nessuno,” dissi brevemente, spingendolo protettivamente entro la stanza. Lo guardai entrare e poi diedi un'ultima occhiata a Jasper, prima di chiudere la porta. Mezzo secondo prima che rompessimo il contatto visivo, lui ghignò.
Frank sapeva che stavo mentendo. Lo potevo percepire nell'improvviso cambiamento del suo linguaggio del corpo. Era lontano da me, con le braccia incrociate sul petto. “Gerard,” disse piano.
Sapevo cosa avrebbe detto. Solo che questa volta non aveva bisogno di dirlo. Già lo sapevo. Ero pazzo. Ero pericoloso. Essere pazzo mi portava a uccidere le persone. Ecco perchè tutti mi volevano portare indietro -non volevano che ammazzassi nessun altro.
“Andiamo,” ordinai, infilando tutte le nostre cose nelle borse. Mi ricordavo chiaramente di avergli detto di prepararsi, in modo da potercene andare non appena fossi tornato. “Frank?” dissi seccato, un po' infastidito dal fatto che non mi stesse aiutando. Alzai la testa per guardarlo e vidi che era ancora fermo. Ma non stava fissando me; guardava la TV, ancora sintonizzata sullo stesso programma che aveva dato dello squilibrato assassino a sangue freddo, con un ex comandante dell'esercito come amico immaginario. Per Frank fu probabilmente uno spiacevole ricordo al ragazzo con cui aveva condiviso il letto quella notte. Non mi importava cosa pensasse, fino a che non mi avesse abbandonato.
“Frank,” dissi, prendendolo per il braccio. Lui non fece resistenza e lasciò che lo portassi fuori dalla stanza, giù per le scale. Ignorai i commenti volgari di Jasper riguardo la mia morte imminente. Mentre camminavo per strada, verso la stazione, non potei fare a meno di pensare a cosa avesse potuto cambiare il suo carattere così all'improvviso. Bhè, non era stata una cosa davvero improvvisa. Si stava comportando da stronzo da un bel po'.
Mentre mi giravo per essere sicuro che Frank mi stesse ancora seguendo, ebbi un'illuminazione. Tutte le stronzate di Jasper erano cominciate da quando lui era arrivato. Merda, Jasper era geloso di Frank. Arricciai un po' il labbro appena ci pensai. Guardai di nuovo Frank e lui agrottò la fronte, vedendo il sorriso sul mio volto.
“Che c'è di così divertente?” brontolò.
Mi chiedevo se avessi dovuto dirglielo. Sì, doveva sapere. “Penso che Jasper sia geloso di te,” dissi.
Lui si fermò di nuovo, con gli occhi spalancati. Cercai di rassicuralo. “Va tutto bene,” continuai. “So che non è reale. Pensavo solo che fosse divertente.”
Non sapeva come reagire. Mi lanciò uno sguardo cauto e notai che la distanza fra noi due era aumentata di un altro metro. Forse dirglielo non era stata una grande idea. Oh bhè, non era certo la cosa più pazza che gli avessi mai detto.
Raggiungemmo la stazione e presi in mano il foglio con l'orario dei treni per informarmi. “Devo fare pipì,” fece improvvisamente, guardandosi attorno per cercare un bagno.
“Mm va bene,” dissi, cercando di convincermi che sapevo leggere quel mucchio di parole e numeri sulla carta degli orari.
Vidi che Frank non era ancora andato in bagno, e lo guardai. Mi guardava con aria di attesa, come se stesse aspettando che dicessi qualcosa. “Huh? Oh. Oh. Ah già, devo fare pipì anche io,” aggiunsi velocemente, e lui sembrò sollevato. “Vengo con te.”
Mi sentivo stupido a credere che Frank sarebbe stato bene ad andare al bagno degli uomini da solo. Sapevo che non sarebbe successo nulla, ma lui non la pensava in questo modo. Bhè, non più. Non dopo...
Lo seguii nel bagno pubblico e incespicai. Odiavo quei posti. Erano fottutamente disgustosi. Ero contento del fatto che non dovevo davvero fare pipì, e che non avrei dovuto toccare niente di quel luogo. Frank doveva pensarla allo stesso modo. Sembrava davvero sofferente mentre camminava cautamente fra i rifiuti che ricoprivano letteralmente il pavimento, verso uno degli orinatoi.
Sentii la porta aprirsi mentre qualcuno entrava, e mi girai a guardare. Improvvisamente desiderai di essermi messo un cappello o qualcosa del genere, perchè un vago sguardo di riconoscimento attraversò la faccia della guardia di sicurezza. Anche Frank doveva averlo vista, perchè un istante dopo era già al mio fianco, pronto a portarmi via da quel posto disgustoso e puzzolente. Eravamo appena passati dietro la guardia, quando quella prese lo zaino che stavo portando. “Andiamo,” domandò. “Cosa c'è dentro?”
“Perderemo il nostro treno,” cercò di spiegare Frank, tentando di riprendere la mia borsa dalla presa dell'uomo. La maggior parte dei nostri soldi erano lì, e non ce ne potevamo andare senza. “La prego, signore,” lo implorò.
La guardia lasciò andare lo zaino, ma solo per focalizzare l'attenzione su di me. Non aspettai che potesse capire chi ero; aprii la porta e corsi fuori, verso il binario. C'era già un treno in sosta, e Frank premette con urgenza il bottone che avrebbe aperto le porte. Diedi un'occhiata al bagno e visi che la guardia era uscita fuori. Lo stomaco mi si rivoltò, non appena vidi che stava parlando alla radio che aveva sulla spalla. Cosa stava dicendo? Stava informando i suoi colleghi di aver appena trovato Gerard Way: omicida/figlio maggiore/malato di mente?
Frank mi prese la mano e la mia attenzione tornò al treno e al grande spazio che c'era fra il binario e la porta. Aggrottai la fronte mentre lui mi guidava oltre il buco, dentro il treno. Quello spazio era davvero pericoloso. Qualcuno avrebbe dovuto farci qualcosa. Potevi perderci i bambini, lì in mezzo.
Nessuno ci guardò. Erano tutti troppo immersi nel loro mondo per notare che eravamo entrati. Il treno partì quasi immediatamente e sembrò che la guardia non avesse fatto nulla. Sapevo che non era vero, comunque. Mi chiedevo se la polizia ci stesse aspettando alla stazione successiva, pronta ad arrestare me e Frank, dividendoci per sempre.
Una voce pre-registrata uscì dalle casse, per annunciare che mancavano due minuti alla stazione successiva. Mentre il treno rallentava, Frank mi fece cenno e poi scendemmo. Mi guardai attorno. Non vedevo nessuna guardia, solo qualche scolaretto e delle donne che andavano a lavoro. Sospirai di sollievo.
“Gerard,” sibilò Frank, in piedi davanti alla porta di un altro treno. Spalancai gli occhi, realizzando che dovevo prestare più attenzione, o mi sarei perso. Mentre lo seguivo sull'altro treno, cominciai a domandarmi cosa avrei fatto se mi fossi perso. Non potevo di certo andare dalla guardia di sicurezza più vicina, chiedergli di chiamare i miei genitori e farmi venire a prendere. Perchè avrei dovuto chiedere ai miei genitori una cosa del genere, quando non li sentivo da tre anni? Ovviamente non mi volevano più bene. Non dopo quello che avevo fatto. Avrebbero potuto? In effetti, probabilmente avevo avuto più fortuna con Markman.
Almeno lei non mi aveva abbandonato dopo quello che avevo fatto. La presentatrice dello show di quella mattina aveva detto che Markman era la mia dottoressa già da prima che facessi del male a Michael. E adesso, tre anni più tardi, seguiva ancora il mio caso. Forse dovevo dare più merito a quella donna malefica. Probabilmente era l'unica persona al mondo, oltre Frank, a cui importava di me. Mi ci volle un grande sforzo per non commuovermi, ripensando a quanto fosse fottutamente patetica la mia vita.
Mi sforzai di prestare attenzione, quando Frank mi diede una gomitata per dirmi che dovevamo di nuovo cambiare treno. Corsi attraverso il binario e riuscii a saltare sul nuovo vagone giusto prima che le porte si chiudessero. Mi sentivo un po' colpevole per non aver pagato nessuno dei treni, ma Frank si rifiutava di spendere del tempo per comprare i biglietti. Non mi importava, avevo solo paura che qualche controllore ci potesse arrestare per questo. Non ero del tutto sicuro che sui treni quei giorni ci fossero i controllori, o se potessero arrestare le persone. Non importava – ciò che importava era prestare attenzione.

Frank scese dal treno praticamente dopo cinque minuti. In piedi davanti al binario, si guardava attorno attentamente, cercando un altro vagone su cui salire. Toccai la sua mano. “Frank, fermiamoci per un minuto.”
Lui si oppose. Mi squadrò e aggrottò la fronte. “Perchè non indossi il cappello?” schioccò, notando che non lo indossavo.
Mi accigliai. “Um...”
Mi guardò in modo severo e tirò fuori il cappello che avevamo preso a casa sua, quello con il logo della compagnia mineraria. “Mettilo,” mi disse.
Cominciai a protestare, e la sua faccia diventò rossa di rabbia. “Gerard,” disse furiosamente, colpendomi forte sul braccio. “Quella guardia ti ha riconosciuto!”
“Sì, ma va tutto bene,” risposi velocemente, ignorando il colpo che mi aveva appena inflitto. Cazzo, faceva male. “Se n'è andato. Siamo salvi.”
Frank si morse il labbro. “E se non ce ne fossimo andati? Non lascerò che ti portino via da me,” disse fermamente, ricominciando a camminare.
Camminammo per almeno 35 minuti, attraversando l' affollata strada principale, alla ricerca di un motel economico. Frank camminava davanti a me, tenendomi disperatamente il braccio con la mano. Pensavo che non volesse che mi perdessi.
Alla fine, scelse quello che sembrava più invitante e mi mandò dentro. Le sue istruzioni dell'ultimo momento mi risuonarono nella testa: “Non mantenere il contatto visivo. Tieniti il cappello in testa. Fai veloce. Usa uno pseudonimo realistico!”
Uscii ed entrai in soli cinque minuti. Frank sembrava contento del mio sforzo, e fu ancora più contento della camera che avevo preso. Proprio mentre mi sedevo sul bordo del letto, lui si stese accanto a me sul materasso, cominciando a scombinarmi i capelli. Mi spostai timidamente da sotto le sue dita.
“Penso che dovremmo tagliarli,” disse, ignorando il mio tentativo di farlo smettere.
“No!” dissi terrificato, alzandomi in piedi, lisciando protettivamente i miei lunghi capelli.
Lui sembrava deluso. “Gerard, sono troppo riconoscibili. La tua faccia è su ogni singolo canale e i tuoi capelli sono la cosa che si nota di più. Anche se li tagliassimo più corti dei miei... forse potremmo decolorarli?!”
Sembrava così emozionato all'idea di tagliarmi i capelli. A me sembrava una cosa terribile. Avevo avuto i capelli corti in passato, e non mi stavano per niente bene. Mi facevano la faccia grassa. E non immaginavo nemmeno il disastro che sarebbe uscito fuori con la decolorazione. Sarei stato orrendo. Frank mi avrebbe lasciato dopo uno sguardo. Perchè stare con un pazzo omicida, se non è nemmeno carino? Le mie sopracciglia non ci sarebbero state nemmeno intonate!
Frank notò l'espressione terrorizzata sul mio viso. Diventò un po' più cupo. “Gerard, è -.”
“Bene,” lo interruppi. “Qualunque cosa. Fai quello che vuoi.”
Non sembrava ferito come mi aspettavo. Anzi, mi sorrise. “Sarà grandioso, te lo prometto,” fece, contento. Il suo stupido entusiasmo mi rese ancora più difficile accettare l'idea. “Sembrerai un gentiluomo,” disse sognante. Già, lo disse davvero in tono fottutamente sognante, come se fosse una ragazzina di 12 anni.
Mi toccai imbarazzato i capelli oleosi. Non gli piacevano?
“Gerard,” cominciò lui seriamente, ma lo interruppi.
“Okay. Va bene. Ma non decolorati.”
Frank annuì intensamente e sorrise di nuovo. Feci un respiro amareggiato e mi diressi verso il bagno per cercare lo shampoo. “Cosa volevi dire?” dissi.
Frank non rispose. Uscii dal bagno e vidi che mi stava fissando. Si stava mordendo il labbro con agitazione.
“Vuoi...” cominciò, ma si fermò subito. “Vuoi-vorresti... Ugh. Gerard.” sembrava in presa a una lotta interiore su come continuare la frase. Non mi mossi, ne' dissi una parola. Alla fine parlò di nuovo. “Lo sai,” disse, fingendo un sorriso, “Non importa. E' un'idea stupida. Vado a comprare le forbici. Torno subito.”
Lo guardai andarsene, confuso dai vari cambi di umore che aveva da tutta la mattina. Era stressato per qualcosa. Doveva essere qualcosa di grande, qualcosa che lo rendeva nervoso e irrequieto. Probabilmente pensava che non l'avessi notato. Ma invece l'avevo notato. Certo che sì. Non mi poteva nascondere nulla. Sapevo che chiederglielo sarebbe stato inutile. Non me l'avrebbe detto. Dovevo capirlo nel modo in cui voleva lui.
Improvvisamente lo stomaco mi allertò del fatto che non avevo fatto colazione, brontolando dolorosamente. Cercai nella borsa di Frank e tirai fuori la colazione che avevamo comprato quella mattina. Mangiai pensieroso i pasticcini, chiedendomi se dovessi accendere la televisione oppure no. Non ci eravamo spostati di molto dalla città dove avevamo passato la notte precedente, ed ero preoccupato che non fossimo davvero in salvo. Se la guardia mi aveva riconosciuto, poteva aver avvertito le autorità, e quelle avrebbero potuto setacciare ogni motel di ogni paese vicino alla stazione del treno. Diavolo, forse erano già nel motel, e il proprietario ci aveva venduti per 'una cifra a sei numeri'.
Accesi la TV e impallidii non appena misi a fuoco la mia faccia. Non ero mai stato 'qualcuno'.
Fanculo mio padre e le sue ambizioni. Perchè non potevo essere figlio di qualcun altro? Perchè non potevo essere figlio di qualcuno che non era troppo occupato per venire a trovare suo figlio dall'altra parte di questo fottuto paese?
Girai i canali fino a quando non vidi qualcosa di simile a un rispettabile telegiornale. Alzai il volume e mi sedetti, aspettando qualcosa di nuovo. Avvicinai lo zaino di Frank e ci rovistai dentro. Tirai fuori le bottiglie di pillole sulle quali avevamo discusso il giorno prima e le disposi sul letto davanti a me. Le analizzai. Davvero avrebbero fermato tutti quei pensieri, come aveva detto lui? Avrebbero davvero mandato via Jasper? Avrebbero davvero mandato via Loro? Sembrava troppo bello per essere vero.
“Notizia dell'ultimo momento-.” Girai la testa di scatto e tutti i pensieri riguardanti le pillole sparirono dalla mia mente. “Il figlio maggiore, Gerard Way, è stato avvistato quattro ore fa alla stazione di Greenville, in Ohio. Una guardia di sicurezza ha tentato di fermare Way e ha avvisato le autorità poco dopo le 7:55. I dottori hanno ripetuto le loro gravi preoccupazioni sulla salute mentale del ragazzo e sul peggioramento delle sue abilità all'interno della società. Si pensa che Way sia ancora nell'area di Miami Valley, che include in Ohio le comunità di Dayton, Springfield, Middletown e Hamilton. Le informazioni che porteranno alla sua cattura sono salite a tre milioni di dollari stanotte.”
Caspita, tre milioni di dollari. Forse avrei potuto consegnarmi e dare il denaro a Frank. Ero davvero così importante? Non capivo. Offrivano una ricompensa così alta perchè ero importante, o perchè ero pericoloso? E se fossi stato davvero pericoloso? Se avessi fatto a Frank quello che avevo dato a Mikey? Non potevo fargli del male. Non era un'opinione. Ero lì per guarirlo. Presi uno dei flaconi di pillole che avevo lasciato e tolsi velocemente il tappo. Prima che potessi pensare qualcosa, tirai fuori una delle pastiglie e la ingoiai senz'acqua.
Cosa cazzo avevo fatto!? Entrai subito nel panico e mi infilai le dita in gola, correndo verso il lavandino. Vomitai violentemente un paio di volte, prima di forzarmi a smettere. Scivolai lungo il muro, trattenendo le lacrime che mi inondavano gli occhi. Fottutamente patetico. Mi sfregai le palpebre con forza, determinato a non far sembrare che avessi pianto, quando Frank fosse tornato. Non potevo piangere. Ero io quello forte. Dovevo essere forte per lui. Dovevo guarirlo.
Giuro di aver sentito la pillola che veniva assorbita dal mio stomaco. Mi rese quasi furioso il pensiero che la medicina stava per venire rilasciata nel mio flusso sanguigno, per poi essere pompata in tutto il mio corpo.
Quando Frank tornò, ero ancora seduto sul pavimento, accanto al lavandino. Mi guardò preoccupato, ma riuscii debolmente a mandare via i suoi dubbi. Il nuovo programma alla tv riguardava il tempo. Non c'era stato nessun riferimento alla telefonata che avevo fatto a Markman quella mattina. Non l'aveva detto a nessuno? Aveva mantenuto il segreto?
Frank si mise seduto accanto a me. “Sto condividendo la stanza con una persona che, a detta del Governo, vale tre milioni di dollari,” disse cupo.
Non capivo perchè stesse risollevando l'argomento. Voleva vedermi? Sicuri che Frank non mi avrebbe dato via per tre milioni di dollari? No. “Huh?” grugnii vagamente, facendo finta di non essere terrorizzato all'idea di quale potesse essere la risposta.
Frank aggrottò la fronte. “Non puoi dare un prezzo alle persone, Gerard. E' una cosa orrenda. La gente dovrebbe aiutarti perchè tiene a te e al tuo benessere, non perchè se lo fa viene pagata.”
“Sono d'accordo,” dissi immediatamente.
Frank si alzò e prese un asciugamano dal bagno. Lo stese sul pavimento e ci mise una sedia sopra. “Siediti qui,” mi ordinò, indicando la sedia. Mi sedetti, sentendo un fremito di paura non appena pensai al mio imminente taglio di capelli. Frank prese il collo della mia camicia e fece un rumore di disapprovazione. “Togliti la maglietta, il collo è troppo alto per tagliare in modo adeguato,” disse, riempiendo una bottiglietta d'acqua dal lavandino.
Con obbedienza mi tolsi la maglietta e mi misi fermo, mentre Frank prendeva una ciocca dei miei capelli.
“L'hai mai fatto prima?” chiesi con noncuranza, mentre tagliava il ciuffo.
“No.”
Deglutii dolorosamente. “Oh,” mi sforzai di dire.
“E' un problema, Gerard?” rispose lui scherzosamente.
“Uh, no,” dissi non convinto, quando lui fece cadere un'altra ciocca sull'asciugamano ai miei piedi.
“Sarai bellissimo, fidati di me,” disse gioiosamente. Si bloccò e aggiunse, “Aspetta, più bello di quanto tu già sia!”

Gli ci volle un quarto d'ora per distruggere i miei capelli. Bhè, almeno credevo fosse quello che avesse fatto, considerando il suo metodo. Aveva iniziato a tagliare una sezione di capelli, prima di spostarsi dall'altra parte e poi ritornare alla prima parte. Almeno non sarei stato riconoscibile, era una cosa buona?
Alla fine Frank fece un passo indietro per ammirare il suo lavoro. “Lo amo,” dichiarò. “Dai. Guarda,” disse, spingendomi verso il bagno.
Esaminai il mio riflesso nello specchio. Non era terribile, ma non era nemmeno tanto grandioso. Passai un paio di minuti cercando di sistemarli, ma senza successo. Mi forzai di sorridere e uscii dal bagno per affrontare Frank. Mi grattai la schiena nuda, coperta dai resti dei miei capelli. Dovevo davvero farmi una doccia.
Immediatamente Frank vide oltre il mio sorriso. “Non ti piacciono,” disse tristemente.
“A te piacciono?” chiesi. Lui annuì. Annuii anche io. “Allora piacciono anche a me. Ma ora devo andare a lavarmi.”
Annuì di nuovo e io mi incamminai di nuovo verso il bagno. Chiusi la porta e mi tolsi i pantaloni, cercando di non pensare all'ultima volta dentro la doccia. Non potei fare a meno di sorridere, ripensando alla faccia di Frank. Presi il mio tempo per lavarmi, poi, dopo aver fatto, spesi altri 10 minuti per cercare di sistemarmi i capelli. Non erano troppo male da bagnati, appiccicati sul collo. Mi rimisi i jeans e tornai nella stanza per riprendermi la maglietta.
Appena uscii dal bagno ci fu un movimento turbinoso da parte di Frank. Non ne ero del tutto sicuro, ma pensavo di averlo visto prendere un pezzo di carta dalla sua camicia. Alzai un sopracciglio mentre mi rivestivo, ma lui brontolò. Guardò dall'altra parte, cercando di evitare il mio sguardo tagliente. Mi sedetti accanto a lui sul letto e lui prese la bottiglia di pillole che avevo lasciato sulle coperte nella fretta di andare a vomitare.
“Cosa stavi facendo con queste?” chiese timidamente. Sapevo che non voleva ripetere la litigata del giorno prima.
“Te lo dico se tu mi dici cos'è il pezzo di carta che hai nascosto nella camicia,” dissi.
Lui strinse con colpevolezza le labbra, lasciando cadere lo sguardo sul rigonfiamento che aveva sul petto. Sospirò e lo tirò fuori. “Ti prego, non arrabbiarti,” mi implorò. Con delicatezza presi il foglio dalla sua mano. “Ti prego,” ripetè disperatamente, mentre lo leggevo.
Avevo visto quel foglietto due volte. La prima volta quando l'avevo scritto, e la seconda quando Frank l'aveva usato per convincermi a baciarlo. Tenevo in mano il foglietto che avevo scritto riguardo le mie teorie su come perdere e rimpiazzare i ricordi. “Perchè ce l'hai tu?” domandai. Non ero arrabbiato, ma piuttosto incuriosito. Pensavo di aver soddisfatto le sue domande in questo campo, rimpiazzando il ricordo del suo primo bacio.
Frank sembrava sollevato del fatto che non fossi arrabbiato. Si notava dal suo linguaggio del corpo. Con incoscienza si avvicinò a me. “Lo stavo solo rileggendo, nel caso avessi saltato qualcosa.”
“Oh.” Non ero convinto del fatto che mi stesse dicendo tutta la verità.
“Puoi dirmi di più sul come rimpiazzare i ricordi?” chiese. I suoi occhi traboccavano di una specie di emozione infantile, come se potessi dirgli come rendere Natale tutti i giorni.
“Ti ho detto tutto ciò che so,” mentii.
Frank spalancò la bocca. “Bhè, hai detto che sai rimpiazzare quasi tutto. Giusto, non è vero? L'hai detto tu.”
“Sì, ma-.”
“Come il bacio!” esclamò lui. “Ha funzionato!”
Non mi piaceva la piega che stava prendendo. Sembrava che Frank potesse scoppiare in lacrime da un momento all'altro. Bhè, quello o sarebbe esploso. Stava provando una specie di emozione fuoriluogo. Sospettavo che più che emozione, fosse paura; paura di cosa il suo cervello gli potesse ricordare. Aveva le mani così strette assieme, che le nocche erano diventate bianche.
“Quindi, se funzionasse per altre cose... simili a questa?” si fermò per mordersi il labbro inferiore. Apparve una macchiolina di sangue, ma sparì non appena premette di nuovo le labbra. Continuò, “Mi aiuteresti, Gerard?”
“Aiutarti a fare cosa?” chiesi cautamente.
“A fare sesso con me.” Non era una domanda, ne' un'affermazione. Era una proposta. Guardai nei suoi occhi e dal fatto che luccicavano di lacrime capii che stava ricordando la prima esperienza sessuale che aveva avuto, e cosa era successo. “Per favore,” aggiunse, come se questo potesse influenzare la mia decisione.
No. No. Assolutamente no. Mai. L'avrebbe distrutto. Non volevo distruggerlo ancora di più. Dovevo guarirlo. Non sai riuscito a guarirlo, compiendo l'atto che per primo l'aveva distrutto. No. Era ridicolo. No. Non potevo.
“No.”
Per favore.
La sua disperazione silenziosa mi ruppe il cuore. Riuscivo a sentire il dolore pulsare nel petto, e sapevo che il mio cuore si stava rompendo. Non potevo vederlo così. Dovevo essere forte.
“No.”
Frank non disse una parola. Si alzò lentamente e si diresse verso il bagno, chiudendo la porta dietro di se. Sentii il rumore della serratura che lo separava da me. Non l'avrei seguito. Gli avrei dato il suo spazio.

Non uscì. Ci stava dentro da almeno tre ore. Avrei potuto rompere la serratura in un attimo, ma resistetti alla tentazione di controllare come stava. Usai quel tempo per pensare. Ero solo un giocattolo per lui? Ero un modo per farlo sentire meglio con se' stesso? Era per questo che non mi aveva mai detto che mi amava? Forse non mi amava. Forse l'unica cosa che voleva da me era che lo guarissi, in modo da lasciarmi e trovare qualcun altro. Qualcun altro che non fosse pazzo.
Ma se era questo che Frank voleva, glielo avrei dato. Volevo renderlo felice.
Mi sedetti accanto alla porta. “Sì,” dissi.
La porta si aprì subito. “Non prendermi per il culo, Gerard,” rispose lui minacciosamente.
Scossi la testa. “Se è quest che vuoi, lo farò.”
Scivolò al mio fianco e mi prese la mano. “Ti credo,” insistette. “Ora? Vuoi farlo ora?”
Scossi la testa. “No. Aspettiamo 24 ore.”
Frank lasciò andare la mia mano, imbronciato. “Cosa?”
“Voglio che tu ci pensi.”
Lui si alzò in piedi e si allontanò. Si mise al centro della stanza, sbattendo le braccia verso di me.
“Pensi che non ci abbia mai pensato? Pensi che non mi sia mai tormentato per questo? Pensi che sia soltanto un capriccio?” disse incredulo.
Scossi la testa. “Certo che no. Ma voglio che ci pensi, consapevole di ciò che succederà.” Controllai l'ora sull'orologio accanto al letto. “Alle 4 di domani pomeriggio farò sesso con te, Frank. Okay? Voglio che ci pensi. Senza possibilità. Farò sesso con te, anche se mi dici che non lo vuoi fare.”
Diventò improvvisamente molto nervoso e diede un'occhiata all'orologio. “Bene,” disse apprensivo. “Okay. Alle 16.00. Accetto.” Controllò di nuovo l'orologio non appena quello passo alle 16.02. “Okay.”
Sapevo che sarebbe stato nervoso per le seguenti 24 ore, ma era l'unico modo che avevo per constatare quanto fosse sicuro di quello che voleva che facessi. Sapevo che aveva cambiato idea innumerevoli volte. Anzi, avrei scommesso che aveva già cambiato idea almeno dodici volte in 5 minuti, da quando gli avevo detto che l'avrei fatto. Lo sapevo. Sapevo certe cose, ricordate?
Poi gli proibii di parlare fino alle 4 del pomeriggio dopo. Volevo che prendesse la decisione finale da solo, senza alcuna influenza da parte mia.
Il resto del giorno passò in modo davvero noioso. Restai agitato tutta la notte, immaginando che qualcuno potesse entrare in camera e arrestarmi, ma non venne nessuno. Pensai che l'uomo al bancone non mi avesse riconosciuto, dopo tutto. A parte questo,il mattino dopo non ebbi il coraggio di andare da lui per allungare la nostra permanenza per un' altra notte. Scelsi di chiamare la reception e di lasciare i soldi sul vassoio di servizio fuori dalla nostra camera. Dovevano aver preso il denaro, perchè nessuno venne a chiamarci all'ora del check out, con mio grande sollievo.
Giuro che avrei potuto dire ogni volta che Frank cambiava opinione. Era una cosa da spezzare il cuore e mi sentivo colpevole per averlo sottoposto a una cosa del genere. Ma dovevo essere sicuro. Dovevo essere sicuro che Frank fosse sicuro di ciò che mi aveva chiesto.
Eravamo stesi sul letto e la TV riproponeva foto della mia faccia ogni cinque minuti.
Alla fine Frank si stancò di tutta quella propaganda e abbassò il volume. Rotolai su un fianco per guardarlo, ricordandomi della domanda che volevo fargli.
“Come facevi a sapere chi fossi?” chiesi.
Lui fece spallucce. “L'ho capito. Era abbastanza ovvio, per me.”
Improvvisamente mi sentii davvero stupido. Come aveva fatto a capire chi fossi in un paio di mesi, quando io non ne avevo avuto idea per tre anni? Non dico che Frank fosse stupido- sapevo che era intelligente. Ma come aveva fatto a capirlo lui, con il suo cervello normale, e non io, con il mio cervello straordinario? “Come?”
Mi squadrò. “Bhè, all'inizio non sapevo esattamente chi fossi, ma ho capito che eri qualcuno di importante. Poi l'ho chiesto a Markman e lei ha confermato i miei sospetti.”
“Dio, mi sento così stupido,” mormorai, girandomi sulla schiena per sfuggire al suo sguardo.
Frank mi toccò il braccio. “Come avresti potuto saperlo? Gerard, loro non ti hanno detto nulla.”
“Era davvero così ovvio?” chiesi.
Frank sembrava indeciso. “Non troppo. Okay, aspetta, rispondi a questo: di quanti infermieri sai il nome?”
Riflettei intensamente, cercando di dire il maggior numero di nomi per impressionarlo. 'Bhè, c'è Ben. E Zach.' aggrottai la fronte. Non riuscivo a pensare a nessun altro. Mi fermai a questi due. Glieli dissi.
Frank annuì. “Esattamente. Gerard, l'ho notato subito. Ci sono un mucchio di altri infermieri a Bluestone, ma solo due interagiscono con te. E quasi per tutto il tempo sei tu il loro paziente. Ho trovato strano il fatto che tu avessi due infermieri personali. E poi mi sono sempre domandato la ragione per cui tutti sono così carini e gentili con te, nonostante tu sia una testa di cazzo.” Sorrise per scusarsi e prese un altro momento per pensare. “Oh! Ricordi quando stavamo nella sala giochi e hanno trasmesso L'appello di Natale del Presidente e Zach si è scapicollato per spegnere la tv? Non sapevano se avresti riconosciuto tuo padre. Questo mi ha reso ancora più curioso.”
Dovevo essere stato cieco mentre ero a Bluestone. Ora che Frank menzionava tutte queste cose, sembrava davvero ovvio. Perchè cazzo il mio cervello non aveva considerato il fatto che Ben e Zach mi stavano sempre appresso?
“Ci sono un sacco di altre cose,” disse Frank, accarezzandosi pensoso il mento.
“Quando sei andato da Markman?” chiesi, domandandomi quante altre cose mi fossi perso.
“Ricordi il giorno che ti sei picchiato con Bert? Bhè, Ben e Zach sono entrati in un bel guaio per non averti protetto e per aver prolungato la rissa così a lungo. Sono stati rimproverati da un qualche ufficiale in divisa. L'uomo gli ha detto qualcosa sulla disciplina dell'ufficio principale e sulla rivalutazione dei loro obblighi per il progetto. Continuavano a parlare e ad accanirsi contro qualcuno, penso, ma lo chiamavano in modo strano -Mad Gear, credo?” si fermò. “Penso che stessero parlando di te.”
Ma che cazzo? Perchè parlavano di me? Mad Gear era una specie di nome in codice che mi avevano dato? Che cazzo di nome era Mad Gear? Non ero matto, cazzo! Avrebbero potuto darmi un nome più emozionante, come 'Batman', per esempio.
“E' abbastanza forte,” dissi lentamente.
“Già.” Frank tornò ad essere silenzioso e io meditai.
Ricordavo quel giorno, quando mi ero picchiato con Bert perchè lui aveva chiamato Frank “frocio”. Ricordavo il pugno di Bert sulla mia faccia. Ricordavo anche che erano stato Ray e Bob a togliermelo di dosso, non un inserviente. Gli inservienti erano arrivati dopo che Bert aveva cercato di strangolarmi. Sì, giusto, erano comparsi gli inservienti e anche il Dr. Leto. Sì, erano arrivati tutti contemporaneamente e questo mi aveva fatto pensare che fossero da qualche parte a discutere di qualcos'altro. A discutere di me e delle mie tendenze omicide, probabilmente.
Sospirai, sentendomi colpevole. Frank non disse nient'altro.
Le 4 di pomeriggio arrivarono più velocemente di quanto mi aspettassi. Non dico che avevo paura di cosa sarebbe successo. Ero un ragazzo. Anche io mi eccitavo. Ma il mio istinto protettivo nei confronti di Frank mi stava distruggendo. Non era solo una scelta. Era anche la pressione. E se non avessi potuto farlo? Se non fossi stato all'altezza? Se fossi venuto precocemente e Frank fosse rimasto deluso?
Fanculo.
“Sì.” mi guardo dritto negli occhi. “Voglio farlo. Ho aspettato come mi hai detto.”
Annuii seriamente. “Okay.”
Non era difficile leggere la sua faccia. Riuscivo a vedere un vago senso di eccitazione, ma era sovrastato dalla paura. Comunque, non sapevo a chi fosse diretta la paura. Aveva paura di me? O aveva paura del dolore che, forse irrazionalmente, si aspettava. O forse aveva paura che avrebbe funzionato e non si sarebbe sentito più allo stesso modo. Forse aveva paura di cosa potesse fare. Non sapevo. Tutto ciò che sapevo era stavo per fare ciò che lui voleva. Voleva che lo facessi. Certo che lo volevo anch'io, ma non volevo che ne uscisse fuori un disastro.
“Pensi che dovremmo, non so, usare il preservativo?” chiese imbarazzato. Forse questo poteva rallentare un po' le cose.
Frank arrossì e tirò fuori una scatola. Non disse una parola e non ruppe il silenzio, mentre prendevo la scatola di preservativi dalle sue mani. Fu quando mi passò un tubetto di lubrificante che sentii il bisogno di schiarirmi la gola a voce alta. Potevo fare di meglio. Desiderai di avere più esperienza. Desiderai di non essere un fottuto verginello.
“Stai bene?” chiese Frank.
Annuii, ignorando il panico che cominciava a salirmi su nel petto. “Tu stai bene?” gli risposi.
Sorrise. “Sì.” Si avvicinò e mi diede un bacio di incoraggiamento.
Quel solo gesto riuscì a calmare immensamente i miei nervi. Sapevo che stava solo facendo finta di essere

sicuro. Ma se lui era abbastanza forte da fare finta, allora avrei fatto finta anche io. Io e Frank eravamo bravi a baciarci; non dovevamo fingere. Forse dovevo solo concentrarmi sul fatto di baciarlo e lasciare che tutto il resto... succedesse.
Buona idea, Gerard.
Mi avvicinai a Frank, per ricambiare il bacio. Lui si stese sul letto e posizionai con calma il mio corpo sul suo, con le labbra ancora unite insieme mentre ci mettevamo in questa posizione. Sapevo che non avrei avuto problemi ad eccitarmi. Ero sempre molto eccitato quando lui si comportava in questo modo -energico e peccaminoso.
Iniziò a tirarmi la maglietta. Lasciai che me la togliesse, e poi feci lo stesso con lui. Feci scorrere una mano sul suo petto e mi sentii fiero del suo tremito sotto il mio tocco. Ma questo sembrò segnare la fine di ogni preliminare. “Voglio farlo ora,” sussurrò, mentre si toglieva la cintura e i jeans. Mi rotolai su un fianco e mi tolsi anch'io i jeans. Presi la scatola di preservativi e ne estrassi uno. Grazie a dio già sapevo come mettere un preservativo, o la voglia di Frank avrebbe potuto indebolirsi per la mia mancanza di esperienza. Sapevo certe cose.

Lo guardai di sott'occhio, era steso con le palpebre abbassate, e stava mormorando qualcosa. Velocemente aprì gli occhi, sentendo che lo stavo guardando. “Fallo,” disse con tono di urgenza, aprendo le gambe verso di me. Oh cazzo, era davvero eccitante.
Il panico risalì di nuovo e cercai di calmarmi, prendendo un momento per spremere il lubrificante sul mio pene, coperto dal preservativo. Mi abbassai in modo da rimanere in ginocchio davanti alle gambe di Frank. Sapevo cosa dovevo fare dopo. Non era troppo difficile. Il fatto che lui mi stesse fissando con quello sguardo disperato non mi aiutò.
“Frank, ne sei assolutamente sicuro?”
Lui annuì e io deglutii l'ondata di nausea. Quanto cazzo ero patetico? Stavo per perdere la mia verginità e ancora mi comportavo come un fottuto bambino. Mi avvicinai di più a Frank e mentre posizionavo il membro vicino all'entrata, lui alzò le labbra verso di me. Tenendo ancora in mano il pene, entrai dentro di lui. Non sapevo cosa fosse più incredibile -il modo in cui Frank si contorceva per farmi entrare, o la sensazione di essere dentro di lui. Era così dannatamente stretto. Non riuscivo nemmeno a pensare alla parola giusta per descrivere il piacere che stavo provando. Gli diedi un'occhiata per vedere come stesse. Premendo il corpo più vicino al sul suo, spinsi dentro il resto dell' erezione, guardando attentamente la sua faccia. 
Lasciò che un gemito di dolore scappasse dalle sue labbra e percepii ancora di più la tensione del suo corpo. Lo toccai lateralmente sul viso e lui mi guardò. “Stai bene?” sussurrai, e lui annuì energicamente. Stava mentendo.
“Continua,” disse flebilmente, spostando la testa di lato, con la fronte aggrottata per il disagio e l'imbarazzo.
Ero appena uscito di un centimetro e vidi che Frank si era fermato. Il suo corpo, prima così in tensione e contratto, si era improvvisamente rilassato e lui era diventato immobile sotto di me. Il suo sguardo si era attenuato. Sapevo che era una cosa brutta. Frank aveva mollato. Sarebbe restato steso lì, e mi avrebbe fatto finire perchè era tutto ciò che poteva fare.
Un istante dopo mi tirai fuori da lui. La mia erezione era inesistente e mi tolsi il preservativo. C'era qualcosa di incredibilmente spassionato e struggente nell'interrompere un rapporto con il proprio fidanzato.
“Mi stanno toccando,” disse Frank a voce bassa, con gli occhi ancora chiusi, mentre io mi sedevo chiedendomi cosa fare. Ci vollero meno di trenta secondi per farmi consumare completamente dalla colpevolezza. “Riesco a sentirli.”

Mi avvicinai e presi Frank fra le mie braccia. Lui si strinse a me. “No, non sono qui,” dissi forzatamente.
“Non ha funzionato,” disse lui, impassibile. “Perchè non ha funzionato? Gerard, è la tua teoria. Perchè non ha funzionato?”
Non risposi. Lo abbracciai al mio corpo più strettamente che potessi. “Mi dispiace,” sussurrai.
“Mi dispiace 
così tanto.” Non sapevo cosa fare. Frank cominciò a piangere sul mio petto. Non sapevo come rendere migliore la situazione. Desiderai non aver mai accettato. Dovevo guarirlo, non farlo piangere sul mio petto. Avrei dovuto dire di no. Non avrei mai dovuto lasciare che mi portasse a compiere un simile gesto. Avrei dovuto seguire il mio istinto. Non potevo aiutarlo. Ero un fallimento. Avevo quasi ucciso mio fratello cercando di aiutarlo, e ora avevo distrutto l'amore della mia vita, cercando di fare la stessa cosa.
Non meritavo di essere vivo. Non meritavo nemmeno di marcire in cella; meritavo l'iniezione letale. Non avrei potuto più fare del male a nessuno.
Mi ci volle un attimo per realizzare che Frank aveva pianto tutto se' stesso e che ora stava dormendo sul mio petto scoperto. Gentilmente poggiai la sua testa sul cuscino e scesi dal letto per sgranchire i miei muscoli doloranti. Mi rimisi i jeans e mi sedetti accanto al tavolo di plastica. Mi sentivo troppo male per mangiare e troppo preoccupato per la salute di Frank per pensare anche solo di dormire. Decisi di restare alzato fino a quando non si fosse svegliato, in modo da poter controllare come stesse. Non volevo che facesse qualcosa di stupido. Guardai verso la finestra coperta dalle tende e sospirai. Il sole non era ancora tramontato; sarebe stata una notte lunghissima.

Ero sorpreso di quanto potesse dormire Frank. Doveva essere esausto. Supposi che ricordarsi del proprio stupro doveva essere abbastanza estenuante per chiunque. Era ancora addormentato quando io abbassai accidentalmente la testa, appoggiandola sul tavolo alle 3 di mattina.
Mi svegliò alle 6, con uno sguardo determinato sul viso. “Voglio provarci di nuovo,” disse, mentre io lo guardavo confuso, stirandomi i muscoli rattrappiti. Mi ci volle un attimo per elaborare quello che aveva detto. Quasi mi ruppe in due. Era più distrutto di quanto pensassi. La disperazione di salvarsi da quei dolorosi pensieri lo stava consumando. Pensava che io potessi salvarlo. Non ero un salvatore. Ero pazzo. Io non salvavo vite, le peggioravo.
“Uh, no,” dissi, guardandolo negli occhi.
La sua reazione mi fece capire che si aspettava quella risposta. Sembrava scoraggiato, ma non del tutto sconfitto. “Ti prego. Prometto che non piangerò questa volta.”
“Assolutamente no.”
“Perchè no? Non vuoi fare sesso con me?”
Frank provava indifferenza per i miei sentimenti e per il mio diritto verso una scelta che mi faceva sentire inutile. Sembrava che mi volesse usare per soddisfare i propri bisogni. Mi faceva male al cuore. Stava usando il mio affetto per lui contro di me.
Sapeva che lo amavo. Essere innamorati è come strapparsi il cuore, metterlo su un tavolo, porgere un coltello alla persona che ami e dirgli, “so che non gli farai nulla.” Avevo dato a Frank quel fottuto coltello e ora lui stava per fare a pezzi il mio cuore.
“Non mi piace quando mi parli così,” mormorai, posando gli occhi sul tappeto sbiadito.
Sapevo che non pensava tutte le cose che aveva detto. Aveva paura. Aveva paura che li avrebbe portati dentro per sempre.
“Tu non capisci,” disse lui, abbattuto.
“Cos'è che non capisco?”
“Non riuscirò mai ad amarti, finchè loro non se ne saranno andati.
 Voglio amarti, Gerard. Voglio passare il resto della mia vita con te, ma non posso! Hanno preso qualcosa di me che se n'è andato per sempre! Una piccola parte di me si è spezzata e ora sono distrutto. Sono triste, patetico e spaventato. Ho paura che tu possa abbandonarmi perchè non posso darti quello che meriti. Devo farlo perchè è l'unico modo. So che possiamo rimpiazzarli, se ci proviamo abbastanza.”
“Frank, pensi davvero che il sesso sia l'unico modo?”
Lui urlò per la frustrazione. “No, Gerard, non il sesso. Dire sesso è primitivo e violento e... No, è l'intimità che voglio, Gerard!”
Era questo che aveva sempre voluto? Intimità sessuale? Sentii una scarica di adrenalina e mi alzai in piedi. “Okay,” dissi. “Proviamo di nuovo.”
La sua faccia non mostrò segni di qualla che poteva essere chiamata esattamente felicità, ma era uno sguardo di determinazione. Saltò sul letto e mi guardò ansioso.
“Ma,” dissi.
Frank aggrottò la fronte.
“Facciamo a cambio.”

Non era più accigliato. Era solo dannatamente confuso. Non pensavo avesse capito cosa volevo.
Glielo indicai. “Sarai tu a penetrarmi.”
Sembrava che gli avessi appena chiesto di accoltellarmi. Scosse la testa violentemente. “Non, non lo vuoi, Gerard.”
Lo raggiunsi nel letto e gli baciai la fronte. “Invece voglio.” Strinsi le mani su di lui e lo avvicinai a me.
Scosse la testa e fece una smorfia, come se provasse dolore. “No,” sussurrò. “Fa male,” mormorò al mio orecchio, mentre lo baciavo sul collo. Gemette debolmente mentre succhiavo il livido che gli avevo fatto giusto un paio di notti prima. Mi spostai da lui e gentilmente gli tolsi la camicia, prima di rimetterlo sdraiato sul materasso. Attaccai di nuovo le labbra al suo collo e ricominciai a baciarlo, spostandomi verso le clavicole. Quando raggiunsi i suoi capezzoli, ci passai un momento sopra. Frank reagì proprio come mi aspettavo -consenziente, ma ancora un po' riservato. Sapeva che non avrei fatto nulla di illecito. Credeva in me in modo assoluto. Forse mi credeva troppo.
Feci scivolare il palmo della mano sui suoi jeans. Lui sussultò, ma non vidi nessun segnale che mi incitava a fermarmi. Per essere così distrutto, era molto facile farlo eccitare. Gli tolsi i pantaloni, ma non lo toccai. Non ancora. Controllai il suo viso. Conoscevo così bene i suoi bei lineamenti. In totale, probabilmente avevo passato più di 100 ore a guardarlo e a studiarlo. Riuscivo a leggere il suo volto meglio di chiunque altro. Sapevo il significato di praticamente tutte le sue espressioni facciali. Sapevo certe cose, ricordate?
Prima che potessi chiedergli se stesse abbastanza bene da poterlo toccare, sentii le sue dita tirare l'orlo della mia maglietta. Mi risiedetti per levarla, ma appena mi mossi per avvicinarmi di nuovo, Frank mi bloccò. Si allungò esitante verso il mio rigonfiamento, causato dalla mia eccitazione. Non aveva mai provato a toccarmi lì e trattenni il respiro, mentre le sue dita sfioravano i pantaloni. Lentamente prese abbastanza coraggio per infilare la mano nei jeans e premere delicatamente. Prima che potessi fermarmi, emisi un lieve gemito. Poi, con mia grande sorpresa, Frank cominciò a mimare ciò che stavo per farli giusto qualche momento prima. La sua mano si mosse ritmicamente su e giù sulla mia erezione. Il mio battito cardiaco aumentò drasticamente, mentre Frank diventava sempre più impaziente. Mi intimorii un po' realizzando che ero sul punto di venire nei pantaloni e sapevo che si doveva fermare. Velocemente misi la mia mano sulla sua e la spostai. Sembrava che si volesse scusare, ma tolsi quello sguardo dalla sua faccia quando gli sfilai la cintura dai pantaloni, levandoglieli in un attimo. Per non farlo sentire troppo scoperto, me li levai anch'io. 
Pensavo di essere già eccitato, ma sembrava che Frank volesse provarmi che mi stavo sbagliando. Mi stese sul letto e aprì le gambe sopra le mie anche. Sentivo il cuore battermi forte dentro le orecchie. Mi baciò lentamente, prima di sfregare la sua erezione contro la mia. Mi era sempre parsa come una cosa impetuosa, frenetica e peccaminosa, ma lui sembrava dargli un nuovo significato. Tutto il suo corpo era rilassato e sembrava essere davvero a suo agio. Pensavo che togliere la paura di essere penetrato avesse cambiato tutto. Non credo che avesse mai considerato l'idea di essere lui a comandare.
Le nostre labbra si incontrarono di nuovo, disperatamente. Era tutto così furioso e passionale e pensavo di stare per morire. Ciecamente presi un preservativo e lo misi in mano a Frank. Improvvisamente si staccò per guardarlo.
Poi guardò me. “Sei sicuro?” chiese.
Come risposta, aprii le gambe. Lui annuì, diventando tutto rosso. Ancora imbarazzato, si spalmò il lubrificante fra le dita. Abbassò lo sguardo verso di me, ma prima che potessi fare qualcosa, fece scivolare le dita dentro di me.
Non era niente di comparabile a ciò che avevo mai provato. Lasciai che un silenzioso “ah,” mi scappasse dalle labbra e sentii i muscoli tendersi sotto i suoi polpastrelli. Si concentrò per vedere dove fossero sepolte le sue dita all'interno del mio corpo. Non potei fare a meno di sorridere per il suo sguardo pietrificato e ansioso. “Mi dispiace,” disse.
Ovviamente non lo pensava, perchè mise dentro un altro dito. Gemetti per l'improvvisa ondata di dolore. Avevo sottovalutato quanto potesse fare male il sesso anale. Frank non sapeva cosa fare, ora che le sue dita erano dentro di me, quindi le tirò fuori velocemente.
Fece passare una mano sul fondo della mia schiena e la posizionò sulla mia apertura. Sapevo che non sarebbe stato gradevole, quindi mi preparai. Annuii e grugnii rumorosamente mentre lui faceva entrare la sua erezione. Nonostante la quantità di lubrificante che aveva usato, faceva fottutamente male. La mia vista si annebbiò per un momento. Non avevo realizzato quanto potesse diventare intensa quella sensazione. Rendeva difficile persino pensare.
Sentii la testa di Frank sepolta sul mio collo. Riuscivo a sentirlo mentre mormorava “Oh mio Dio,” sempre di più, mentre il mio corpo si stringeva su di lui, come se volesse cacciarlo fuori. Velocemente alzai le gambe per aggrapparle attorno alla sua schiena, in modo che potesse muoversi più agevolmente su di me. Poi le usai per spingerlo ancora più a fondo dentro di me. Oddio, cazzo. Faceva male. La penetrazione ancora più profonda mi fece lamentare. Provai subito una sensazione di bruciore, come se il mio corpo stesse protestando per essere stato allungato in modo così innaturale.
Frank allungò una mano per stringermi i capelli, mentre io lo spingevo sempre più dentro. I suoi gemiti erano soffocati, ma erano ancora riconoscibili come gemiti di piacere. Sembrava che il mio corpo si fosse abituato alla sua presenza, perchè il dolore che aveva causato all'inizio si stava attenuando. Gli ci volle un attimo per ricominciare a muoversi. Fui contento del fatto che restò steso lì, dentro di me, per un po'. Non avrei buttato via nessun momento di quell'atto così doloroso.
Alla fine Frank si alzò per guardarmi. Il braccio che stava usando per reggersi stava tremando. “Oh mio Dio,” mormorò, baciandomi distrattamente. Smise di baciarmi per un secondo e capii che stava cercando di dire qualcosa. “E'-.” lo bloccai con un altro bacio. Poi, realizzando che aveva un lavoro da compiere, cercò di muoversi dentro e fuori, su di me. Sapevo che questo non avrebbe aiutato ad alleviare la mia sofferenza; non era giusto. Davvero, Frank avrebbe dovuto baciarmi ogni volta che sussultavo.

Le sue spinte diventarono sempre più profonde, minuto dopo minuto. Si spingeva sempre più dentro, e faceva sempre più male fino a quando -”cazzo!” esclamai, inarcando la schiena sul letto. Non sapevo cosa avesse fatto, ma avevo sentito qualcosa di fantastico.
Frank si fermò e mi lanciò uno sguardo preoccupato. “Fallo di nuovo,” dissi, gemendo per i resti dell'onda di piacere che stavano scivolando via.
Lui annuì, scioccato dal fatto che provavo piacere, e cominciò a spingersi fino a quando non ritrovò quel punto. Aggrappai le gambe strette attorno al suo bacino, cercando di farlo mantenere in quella posizione. Il respiro di Frank diventava sempre più affannoso, mentre spingeva contro quel punto sempre più velocemente. Mi dimenai contro il suo corpo sudato e sapevo che sarebbe venuto presto.
Il braccio con cui si reggeva, improvvisamente si piegò e lui ruppe il contatto visivo con me, seppellendo di nuovo la testa sulla mia spalla. Mi strinse i capelli con più forza e premette le labbra sul mio collo. Ora che era sdraiato sul mio corpo, sapevo che sarei venuto entro 15 secondi, considerando che la mia erezione era schiacciata fra i nostri corpi sudati.
“Sto per....,” dissi, arricciando le dita dei piedi, mentre sentivo quella sensazione salirmi velocemente verso l'inguine. Mi vergognai un po' della mia verginità, stavo per venire troppo presto.
“Già,” sentii mormorare Frank sul mio collo, prima che gemesse a voce alta, senza esitazione.
Fu abbastanza da farmi scoppiare. Mi lasciai andare e feci cadere la testa sul cuscino, mentre venivo sul suo stomaco. Sentii tutto il mio corpo in tensione e lasciai andare Frank. Lui cercò di spingersi ancora una volta, ma non riuscì a resistere. Mentre venne, pronunciò il mio nome. Si lasciò scappare un gemito gutturale e disse, “Gerard.” Porca troia, quanto lo amavo.

Dopo ciò, tutto divenne molto silenzioso. Frank aveva ancora la testa appoggiata sul mio petto e la guardai alzarsi e abbassarsi, mentre facevo entrare l'aria nei polmoni. Alla fine lui si staccò e si tolse il preservativo usato. Prese la mia maglietta sporca e me la passò in modo che mi ripulissi.
“Comunque dovresti lavarla,” disse lui, come un dato di fatto, mentre buttava il preservativo nel cestino.
Si stese di nuovo accanto a me, accarezzando con le dita una macchia che avevo sul collo. Sospettavo che fosse stata provocata da più di un semplice bacio. Restammo in un placido silenziosi e cominciai ad addormentarmi. Avevo dormito solo tre ore quella notte e perdere la mia verginità mi aveva davvero distrutto. Nessuno immagina quanto sia mentalmente e fisicamente stancante perdere la verginità.
“Pensi che potrò mai essere come te?” chiese Frank, muovendo delicatamente il dito sul mio petto scoperto.

“Come me?” ero confuso. Come me in che senso? Non doveva essere come me. Ero un assassino. Ero pazzo. Non dovevo essere un modello per nessuno.
“Ho visto la tua faccia, Gerard. Era l'espressione più sincera che tu abbia mai fatto. Ti sei abbandonato a me, Gerard. Voglio imparare a farlo. Voglio guardarti nello stesso modo in cui tu mi guardavi. Pensi che riuscirò mai a farlo?”
“Sì.”
“Davvero?” mi guardò in attesa, come se volesse che dicessi qualcos'altro.
“Un giorno,” risposi, stringendolo per confortarlo.
“Un giorno sarò capace di guardarti come fai tu con me?” disse speranzoso.
Lo baciai sul lato della testa. “Già lo fai.”
Le sue guance diventarono scarlatte, non riuscendo a pensare a cosa dire. Alla fine continuò, “perchè non provi a dormire un po', prima del checkout?”

Mi addormentai praticamente subito.
Ero troppo preoccupato di non svegliarmi in tempo per dormire bene e mi svegliai da solo due ore dopo. Mi misi a sedere e con sorpresa realizzai che Frank non era nella stanza. Potevo vedere anche nel bagno, e lui non era nemmeno lì. Notai, con sollievo, che il suo zaino c'era ancora e che non se n'era andato durante la notte.
Significava che sarebbe tornato?

Mi vestii con ansia e preparai tutte le nostre cose, mentre l'ora che checkout diventava sempre più vicina. Con mio grande fastidio, Frank tornò giusto quindici minuti prima che ce ne dovessimo andare. Teneva in mano un foglio.
“Dove sei stato?” chiesi esasperato, mentre mi allacciavo le scarpe.
Frank mi porse il foglio e io lo presi cautamente. “Cos'è?” domandai.
“Leggilo,” disse lui, senza fiato.
Analizzai il pezzo di carta e lo lessi a voce alta. “Il National Naval Medical Centre, a Bethesda, nel Maryland, negli USA, è un'istituzione federale -Frank, che diavolo è?”
“Continua a leggere,” disse lui, con gli occhi spalancati.
Sospirai e andai avanti. “Un' istituzione federale che conduce ricerche mediche e odontoiatriche per provvedere alle salute dei leader americani, compresi....” non avevo più fiato mentre i miei occhi si spostavano per leggere le seguenti sei parole.
“compresi il Presidente e la sua famiglia,” finà lui. 
“Davvero?” dissi, un'ondata di speranza mi corse nelle vene.
“Hanno detto che tuo fratello è in ospedale. Deve essere lì. Forse riusciremo a trovarlo e-.”
Zittii Frank stringendolo fra le mie braccia spingendolo di lato. Lo feci sedere, presi il suo viso e premetti le mie labbra sulle sue, baciandolo con folle frenesia.

Frank rise e le mie guance diventarono rosse a quel pensiero. Potevo trovare Michael -Mikey- e potevo scusarmi con lui. Avevo davvero l'opportunità di rimettere le cose apposto. Per la prima volta in vita mia sentivo una speranza pura, immacolata. Anche se non potevamo entrare in ospedale, potevamo trovare un modo per fargli avere un messaggio per chiedergli di incontrarci da qualche parte.
Ma sarebbe venuto? Forse non avrebbe voluto. Scossi la testa. Non ci volevo pensare.

Avrei trovato mio fratello.

 

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Capitolo 20
*** 19. ***


A SPLITTING OF THE MIND
 

***

19.


Not With A Bang But A Whimper







Non avevo mai avuto l'occasione di capire il valore del denaro. Ero stato in un fottuto ospedale psichiatrico per tre anni e non avevo nessun ricordo dei sedici anni prima. Non ci avevano mai dato dei soldi a Bluestone. Non ce n'era bisogno. Non era che ci fosse un negozio all'ingresso che vendeva modellini di siringhe e pillole, o souvenir con su scritto 'Sono sopravvissuto a Bluestone!”, quindi non mi agitai troppo quando Frank mi disse che stavamo per finirli.
Non sembrava molto agitato neanche lui al tempo, quindi non me ne preoccupai. Ma era passata una settimana e ora lo guardavo mentre apriva con agitazione tutte le tasche dei nostri vestiti, cercando disperatamente del denaro.

Alla sua richiesta esplicita, infilai una mano nella tasca dei miei jeans e tirai fuori un paio di banconote spiegazzate. Le lisciai meglio che potessi sul letto, cercando il numero sull'angolo, per vedere quanto valessero. Avevo due banconote da cinquanta dollari, una da venti e una da un dollaro.
Frank prese dal letto i soldi che avevo trovato e li aggiunse agli altri, sul pavimento della camera.
“Come li abbiamo spesi?” chiesi. Ero davvero perplesso su come i cinquemila dollari che avevamo preso da casa sua potessero essere svaniti così velocemente. Non capivo. Cinquemila dollari erano un sacco di soldi.
“Stanze dei motel, cibo, biglietti dei treni, tariffe dei taxi, tutto quanto, Gerard,” disse lui con calma.
Mi stavo sentendo male. Senza denaro non avremmo avuto nessun posto dove dormire. Neanche per sogno avrei dormito per strada. Gli animali ci facevano le loro cose. Terribili, terribili cose. Sarebbe stato troppo difficile proteggere Frank senza una porta chiusa che ci separava dal resto del mondo. “Cosa facciamo?”
Lui non rispose. Era occupato a ricontare il denaro per la terza volta.
Sapevo cosa voleva dire. Pensavo fosse il momento che Markman e tutti gli altri stessero aspettando. Sapevano che avremmo finito i soldi. Sapevano che ci saremmo arresi, prima o poi.
Sospirai e mi sdraiai di nuovo sul letto, distrutto. Frank mi raggiunse un secondo dopo. Appoggiò la testa sulla mia spalle e io gli misi un braccio attorno. Era così bello abbracciarlo e stargli vicino.
“Vuoi...?” chiese a voce bassa, girando il viso per baciare la mia guancia.
Istantaneamente il mio stomaco brontolò. “Non penso,” risposi, cercando di sembrare tranquillo. L'ultima cosa che volevo era che Frank provasse a iniziare qualcosa di fisico. Ogni volta che lo facevamo tutto diventava un casino enorme.
“Cosa c'è che non va?”
Spostai lo sguardo dai suoi occhi grandi e alzai le spalle. “Niente. Solo che non sono dell'umore adatto.”
“Va bene,” disse lui debolmente.
Stavo per finire le scuse. Non era che non volevo fare sesso con Frank; ero solo terrorizzato all'idea di fargli male di nuovo. Avevamo cercato due volte di riprodurre la nostra prima esperienza, e tutte e due le volte erano finite in lacrime. Non avevo nemmeno avuto l'occasione di entrare dentro di lui. La seconda volta ero io il passivo, ma Frank era diventato troppo ansioso e agitato per tutta la situazione, e quindi troppo sconvolto per affrontare le facce di dolore che facevo, cercando di sostenere la sua erezione. Quella volta era finita in lacrime per la sua frustrazione, e per lo sconforto che provava per se stesso.
Era fottutamente sfiancante.
Non capivo davvero perchè lui sentisse come se avessimo bisogno di farlo. Avevo provato a spiegargli che c'erano altri modi di fare sesso che non comprendevano la penetrazione, ma lui si rifiutava di abbandonare l'idea. Era diventato ossessionato da tutta la storia del rimpiazzare i ricordi. Era colpa mia se si comportava così. Se non gli avessi mai spiegato quel concetto, molti mesi prima nell'infermeria di Bluestone, lui non sarebbe mai diventato così.
Il debole suono delle sirene mi riempì le orecchie e istantaneamente mi misi in allerta. Frank fece lo stesso. Sembrava che le sirene si stessero avvicinando e le mie mani cominciarono a sudare, mentre il rumore si faceva sempre più forte. E se fossero arrivati proprio in quel momento al motel, pronti ad arrestarmi e a mandarmi in prigione? Il suono delle sirene aumentò e cercai di convincermi che appartenessero a qualche ambulanza o ai vigili del fuoco. Poi, con mio grande sollievo, il rumore cominciò ad affievolirsi, fino a quando non sparì del tutto.
Frank scese dal letto e guardò attraverso le tende. “Se ne sono andati,” disse, lanciandomi uno sguardo. “Puoi rilassarti.”
Aggrottai la fronte. Ero rilassato. Mi sentivo come se fossi in vacanza, cazzo. Bhè, quel tipo di vacanza dove non puoi restare per più di una notte nello stesso luogo e dove tutto il paese ti sta dando la caccia per poter ottenere una ricompensa da milioni di dollari. Mi misi seduto e strinsi le braccia al petto. Frank mi fissò per un paio di secondi, e poi tornò a sbirciare fuori dalla finestra.
“Cos'è?”
“Cos'è cosa?” domandò lui.
“Quello sguardo?”
“Quale sguardo?” Frank si girò per alzare un sopracciglio.
Analizzai la sua faccia. No, non c'era più. Non sapevo se l'avessi immaginato, ma per un momento avevo visto lo sguardo del 'oh mio dio, sei così bello, ti amo', che io gli avevo fatto innumerevoli volte. Probabilmente mi sbagliavo. Non ero convinto che il sentimento di Frank fosse così forte. Sapevo di piacergli, e lui credeva in me, ma quasi due settimane prima aveva detto di non amarmi...ancora. Ancora non mi amava. C'era una speranza. Anche se c'era una forte speranza che lui potesse iniziare ad amarmi, se gli avessi dato tempo, sapevo che non ci sarebbe stato abbastanza tempo.
Quelle tre settimane erano state le migliori della mia vita. Avevo provato, sentito, fatto esperienza e imparato più di quanto pensassi possibile. Ma tutto questo stava per finire. Deve sempre finire. Sapevo che sarebbe successo. Solo non sapevo che sarebbe finito così presto. Senza soldi non c'era altra possibilità della fine. Ma almeno sarebbe finito a modo nostro.
“Cosa c'è, Gerard?” mi chiese Frank di nuovo.
“Niente, sto bene,” mentii.
Lui strinse gli occhi verso di me. “No, non è vero, Gerard. Dovresti vedere la tua faccia. Sembri terrorizzato. Le sirene se ne sono andate. Nessuno sta venendo a prenderti.”
“Quanto denaro ci è rimasto, Frank?” chiesi.
Sembrava nervoso. “Lasciami controllare,” disse lui fermamente.
“Quanto?”
Sospirò e si arrese. “Intorno ai 400 dollari.”
Era anche meno di quanto pensassi. Porca troia. Frank mi guardò tristemente per un secondo, prima di scivolare di nuovo nel letto, rannicchiandosi accanto a me. Strinse le braccia attorno al mio petto e poggiò la fronte sulla mia schiena. “Mi dispiace,” disse avvilito. “Avrei dovuto prestare più attenzione a quello che spendevamo. E' colpa mia.”
Non risposi. Non perchè credevo che quello che aveva detto Frank fosse vero, ma perchè non sapevo come dirgli che stavamo per dividerci. Sapevo che aveva pensato a questa possibilità ma, come me, voleva evitarla a tutti i cosi. Mi abbracciò più stretto.
Percepii vagamente il suo bacio sul mio collo, ma ero troppo impegnato a pensare ad altre cose per reagire.
Non avevamo nessuna prova che Mikey fosse ricoverato a questo Naval Medical Centre. La notizia era un'inutile informazione su di lui. Invece, era tutto riguardo me. Odiavo quando tutte le cose erano riferite a me. Era la ragione principale per cui avevo sempre vietato a Markman di annunciare il giorno del mio compleanno, a Bluestone. Non mi piaceva essere al centro dell'attenzione. L'attenzione portava solo cose brutte. Cose brutte come Loro.
La mano di Frank scivolò sotto la mia maglietta e le sue dita cominciarono ad accarezzare con provocazione il mio petto. Mi ci volle una grande forza di volontà per ignorare le sue avance. Non aveva bisogno di altro incoraggiamento. Mi ero focalizzato sulla nostra situazione attuale, e la situazione non prevedeva che la mano di Frank scivolasse sotto la mia maglietta.
Non c'era nessuna possibilità che riuscissimo ad entrare nell'ospedale senza essere cacciati fuori. Lo sapevamo. Eravamo arrivati in città da due giorni e da quando ci eravamo trasferiti nel motel più vicino all'ospedale, stavamo cercando di trovare un modo per parlare con Mikey senza essere beccati. Presto divenne chiaro che l'unico modo che avevo per vedere Mikey era essere scoperto. E, ora che avevamo quasi finito i soldi, sembrava essere la decisione più appropriata.
“Ugh,” grugnii di sorpresa, mentre le dita di Frank si sfregavano contro i miei capezzoli. Mai nessuno mi aveva toccato lì. Non ero sicuro che mi piacesse. “Frank,” dissi, in tono di disapprovazione.
“Hmmm?” rispose lui, baciando con insistenza il mio collo.
“Non-.” cominciai, ma mi interruppi con un gemito, quando lui baciò una parte del mio collo particolarmente sensibile.
Staccò le labbra solo per aggrapparsi all'orlo della mia maglietta e per sfilarmela di dosso.
Frank aveva dei grandi problemi col sesso, ma sembrava che non avesse problemi con tutti gli altri preliminari. Cominciò a baciarmi la schiena, le sue mani corsero giù sul mio petto, fermandosi di nuovo per accarezzarmi di nuovo i capezzoli. Mi mantenni immobile, cercando di fargli pensare che non ero interessato a qualsiasi cosa avesse programmato. D'un tratto si fermò, quando raggiunse la cintura dei miei jeans.
Forse ci dovevamo fermare?

Frank si mise a sedere e usò le mani per girare il mio viso, in modo che potessi guardarlo. Sapevo dove questo ci avrebbe portati. Sapevo come sarebbe finita. Fanculo. Un istante dopo stavo già accarezzando il suo volto con le mie mani. Presi un breve secondo per guardarlo, prima di premere le labbra contro le sue. Lui ricambiò quasi immediatamente, e cominciò a stringermi i polsi fra le dita. Lo baciai con più forza, per vedere quanto in là potesse arrivare. Con mia grande sorpresa la sua mano destra si staccò per tirarmi i capelli. Spinse la lingua nella mia bocca, una cosa che non aveva mai fatto con così tanta violenza. Ovviamente si doveva sentire molto più a suo agio, sia con me che con se stesso. Non soddisfatto della nostra posizione, avvinghiai un braccio attorno al suo piccolo polso e velocemente spostai Frank in modo che stesse sdraiato sulla schiena, mentre cavalcavo le sue labbra. Smisi di baciarlo e mi rimisi seduto, prendendo un momento per guardarlo. Anche lui mi guardò, con la faccia arrossata e la bocca bagnata per il breve, violento bacio che avevamo appena provato.
Il bisogno selvaggio e animalesco che avevo avuto giusto un momento prima sembrava che stesse per affievolirsi in modo drammatico, per sostituirsi a un bacio più dolce e leggero sulle sue labbra. Mi staccai da lui per un secondo e gli scostai con affetto i capelli. Gli diedi un altro persistente piccolo bacio sulla bocca, mentre lo stuzzicavo. Lui sorrise senza timore e cercò di riavvicinarmi per farsi baciare di nuovo. Velocemente presi i suoi polsi e per giocare li immobilizzai sulla sua testa.
Fu uno sbaglio. “No,” disse lui timidamente, girando il viso di lato, con gli occhi chiusi.
Cazzo.
Lasciai andare subito le sue braccia e tolsi da sopra il suo corpo. Ero un fottuto idiota. Perchè cazzo avevo pensato che mettersi a cavalcioni e immobilizzare una persona vittima di un trauma potesse andare bene? “Scusa,” sussurrai, accarezzandogli con delicatezza il viso. Il mio stomaco brontolò e mi sentii disgustato. Lo sguardo sulla faccia di Frank mi ruppe il cuore. “Scusa,” ripetei, baciandogli la spalla, tentando di confortarlo. “Scusa.”
“Va tutto bene,” disse lui piano, stringendo forte la mia mano.
Era come se stessi prendendo a pugni un muro. “Non va bene,” dissi in tono miserabile. “Non sono bravo in queste cose. Scusa.” Cercai di staccarmi da Frank. Non pensavo che mi volesse vicino in quel momento. Ma lui non lasciò andare la mia mano ed esitai, mentre mi spingeva più vicino.
“Smettila,” disse bruscamente. Feci come mi aveva detto e mi rimisi seduto accanto a lui.
“Scusa,” dissi di nuovo.
“Va tutto bene.”
Lo guardai miseramente. “Ma non va bene, Frank. Continuo a farti del male. Non importa cosa faccio! Non sono capace in queste cose.”
“Non è così male,” disse lui con aria solenne.
Sospirai esasperato e guardai dall'altra parte.
“Non essere incazzato con me,” disse lui, seccato.
Alzai le mani. “Non sono incazzato. Ti sembro incazzato?” Okay, forse sembravo un po' arrabbiato. Succede, quando capisci di essere un fallimento.
Sembrava perplesso. “Perchè ti comporti sempre così?”
“Hai mai pensato a come mi sento quando compari tutto ciò che faccio a loro? Mi spezza il cuore, Frank.”
“Ti fermi sempre.”
“Cosa?” Questo non rispondeva alla mia domanda. Lasciò andare la mia mano. Improvvisamente realizzai ciò che aveva detto. “Certo che mi fermo. Non ti vorrei mai fare del male.”
Frank sembrava spazientito. “E' questo il punto, coglione! Ti fermi! Ti importa! Non ti ho mai comparato a loro; sei tu che lo fai.”
Pensavo che fosse un complimento. Forse significava che ero una persona migliore e che loro non erano niente in confronto. Almeno, speravo che significasse questo.
Lui si sostenne la fronte e si avvicinò per baciarmi, ma io mi spostai. “Frank,” sibilai. Perchè lo stavamo facendo di nuovo? Non ero bravo. Gli avrei fatto del male.
“Gerard,” disse con stanchezza.
“Non voglio farti di nuovo del male,” mi opposi debolmente, mentre lui prendeva il mio braccio e cercava di avvicinarmi. “Ne' voglio spaventarti.”
Frank abbassò la testa, come se fosse rimasto ferito. “Come altro pensi di imparare? Non posso dirti cos'è che mi fa riaffiorare i ricordo. Nemmeno io so cos'è che li riporta a galla. Non è come un manuale. E non mi importa se fai qualcosa che possa spaventarmi, perchè so che ti fermerai e che non lo farai mai più.” 
“Okay,” dissi. Amavo lui e tutta la sua gloria filosofica.
“Bene. Ora baciami di nuovo.”
“Okay,” dissi di nuovo e velocemente mi avvicinai per baciarlo. Quando lo baciavo mi sentivo diverso. Mi sentivo coraggioso, come se potessi fare qualsiasi cosa. Quando lo baciavo non pensavo alle persone a cui avevo sparato, o a Loro, o alla prigione. Non pensavo nemmeno ai miei segreti.
Tutto ciò a cui pensavo era Frank, e le sue soffici labbra e a quanto fosse liscio il suo viso. Sapevo che non si poteva nemmeno comparare alla mia faccia. Le mie labbra erano più screpolate del solito e non ero sicuro di voler bere l'acqua del rubinetto. Chi sapeva che c'era dentro. Per quello che ne sapevo, Loro potevano avrla avvelenata. Sicuramente nemmeno il mio viso era morbido. Non era che fossi un concorrente del No-Shave November*, ma avevo una specie di barba ispida e incolta.
Frank si spostò da quella posizione e si mise sopra di me, con le gambe sfacciatamente aperte sopra il mio inguine. La sua sfacciatagine di certo non aiutava il rigonfiamento sempre più evidente nei miei pantaloni. Sembrava che Frank avesse una specie di potere magico su di me, perchè mi faceva eccitare almeno dodici volte più veloce del normale. Ovviamente non notò la mia erezione fino a quando sfiorò col ginocchio quell'area, causandomi un gemito che mi fece alzare le anche.
“Oh.” fu tutto ciò che disse. Le mie guance diventarono rosse per l'imbarazzo. Frank abbassò lentamente la mano per toccare i pantaloni che contenevano la mia erezione. Fece un respiro profondo e slacciò il bottone dei jeans, per poi abbassare la zip. Mi lanciò uno sguardo determinato e fece scivolare la mano dentro i miei pantaloni, avvolgendola attorno a me.
Non mi aveva mai toccato in questo modo. Mi morsi il labbro con trepidazione e piacere, mentre lui esitante tirava fuori dai jeans il mio pene, e lo prendeva in mano. Con l'altra mano aprì il tubetto di lubrificante e lo spremette fra le dita. Fece scivolare la mano su e giù per molte volte, e il mio cuore accelerò il battito.
Cazzo. Era meglio di qualsiasi cosa che avessi mai fatto con me stessi. Il mio respiro si bloccò e cominciai a boccheggiare, mentre Frank muoveva più veloce la mano. Chiusi gli occhi e li strinsi per la forza che aumentava sempre di più nella sua mano. Mi accarezzò per un secondo delicatamente i testicoli e gemetti come un ragazzino in preda a una scarica ormonale. Non riuscivo a trattenermi. Sentivo il piacere crescere sempre di più e senza pensarci strattonai le lenzuola.
Mi lasciai scappare un lamento di delusione, quando Frank si fermò improvvisamente. Aprii gli occhi e vidi che stava aprendo un pacchetto di preservativi. Mi lanciò uno sguardo di scusa e srotolare il profilattico sulla mia erezione. Annuì in modo energico e si avvicinò. Ero fottutamente eccitato e mi sentivo come se stessi per esplodere. Lui mi baciò e poi si sdraiò sul letto, aprendo le gambe verso di me.
Mi misi seduto e nonostante la mia frustrazione sessuale, chiusi le sue gambe. I suoi occhi si spalancarono per la confusione. “Gerard,” protestò. “Sto bene. Guarda. Niente lacrime.”
Non dissi una parola. Invece spostai le sue gambe di lato, e poi spostai le sue anche, in modo che si mettesse di fianco, con le gambe a metà strada dal petto. Il suo sguardo divenne sempre più sospettoso mentre mi stendevo dietro di lui, modellando il mio corpo in modo che combaciasse perfettamente col suo. Mi tenni la testa con la mano e Frank si guardò le spalle per vedermi. Baciai con innocenza le sue labbra.
“Va bene?” chiesi preoccupato. Non mi sarei mai rimesso sopra di lui. Ci avevamo provato e avevamo fallito. Era giunto il momento di provare qualcos'altro. Non sapevo perchè non l'avessi capito prima, ma ovviamente Frank aveva dei problemi col fatto di essere immobilizzato. Lo faceva entrare nel panico.
“Sì,” rispose lui, con tono sorpreso. “Non avrei mai pensato...”
Ebbi un lampo di genio e presi la scatola di preservativi dal comodino. Ne aprii uno e lo srotolai sulle mie dita, per poi ricoprire il tutto di lubrificante.
“Frank,” dissi, “Sto per infilare le mie dita... dentro di te... Okay?”
Lui fece un respiro profondo, per prepararsi. “Okay,” disse con voce roca e vidi che si stava mordendo violentemente il labbro inferiore. Feci anch'io un respiro profondo e cominciai a spingere le dita dentro di lui. Non si impaurì. Non si agitò. Restò fermo, guardando davanti a se'. Avevo infilato il dito quasi di un centimetro e mezzo, quindi il peggio stava per arrivare. Mi avvicinai e baciai protettivamente la guancia di Frank. “Ancora un pochino,” sussurrai nel suo orecchio, spingendo il dito più a fondo. Frank spalancò gli occhi, ancora straordinariamente calmo. Dalle rughe che apparvero sulla sua fronte capii che gli dava fastidio, ma che stava cercando di resistere.
Non sapevo quanto mancasse prima che lui si abituasse al primo dito, ma alla fine lo fece. Non sapevo se il peggio dovesse ancora arrivare, o se era già passato. Comunque, soffrii per lui mentre spingevo dentro lentamente il secondo dito. Scosse la testa e abbracciò il cuscino, emettendo un silenzioso lamento con la gola.
Baciai il suo collo esattamente venti volte, cercando di alleviare in qualche modo il supplizio. Sapevo che la maggior parte del dolore era di tipo mentale. Ma lui doveva superarlo, se voleva rimpiazzare il ricordo. L'unico modo per superarlo era soffrire di nuovo. Spinsi lentamente le dita e poi le feci scivolare fuori. Ripetei questo movimento così tante volte che persi il conto.
“Va tutto bene,” gli mormorai all'orecchio, accarezzandogli con conforto i capelli. Con mia sorpresa, lui annuì.
“Credo in te,” disse, aprendo gli occhi per guardarmi. Con lo sguardo ancora fermo sul suo, spinsi dentro il terzo dito. Frank grugnì per il dolore e chiuse gli occhi. “Non mi piace,” farfugliò, con le spalle rigide.
“Vuoi che mi fermo?” chiesi.
Non rispose per quasi un minuto. Tenni le dita ferme, aspettando che lui parlasse. “No,” rispose alla fine, e lo presi come un incoraggiamento a continuare. Frank gemette molte altre volte, ma non mi chiese mai di smettere. Non ero sicuro se fossero gemiti di piacere o di dolore. Probabilmente un misto dei due.
“Dimmi quando sei pronto.” Tirai fuori il terzo dito e continuai con le altre due, fino a quando non mi diede il segnale. Con delicatezza rimossi le dita da dentro di lui e gettai il preservativo di lato. Focalizzai l'attenzione sulla forma del mio corpo contro il suo e posizionai con attenzione il mio pene. Poi alzai lo sguardo per vedere come stesse Frank. Aveva ancora gli occhi chiusi e stava stringendo con forza il cuscino che aveva sotto la testa.
Decisi di procedere. Non c'era motivo di chiedergli se stesse bene, perchè ovviamente non stava bene. Spinsi la punta del pene detro di lui e immediatamente tutto il mio corpo fu invaso da scariche di piacere. Mi ero scordato di quanto fosse stretto. Riuscivo a sentire i suoi muscoli che si contraevano attorno a me, sempre di più. Tolsi lo sguardo dalla mia erezione e feci correre le dita fra i capelli di Frank. “Frank?” dissi.
Lui annuì e notai che le rughe sulla sua fronte si erano fatte ancora più pronunciate. “Sto bene,” rispose. Guardai la sua faccia con attenzione e mi spinsi più dentro. La sua testa rovesciata indietro sul mio petto, con la gola esposta. La sua bocca era spalancata e lui si lasciò sfuggire un breve gemito. Continuai a spingermi, sentendomi in colpa, mentre Frank si contorceva per il dolore. Ma non c'era nessun segno di panico. Pensavo che stesse bene per davvero. Forse sarebbe stato questo il modo per guarirlo.
Poggiai la mano libera sulle sue anche e lo accarezzai per confortarlo, mentre aspettavo che lui si adattasse. Il mio cuore battè all'impazzata quando il suo corpo si avvolse su di me, bollente. Rispettavo Frank e non avrei fatto nulla senza chiedere il suo permesso, ma fantasticai brevemente su come sarebbe stato aggrapparsi alle sue anche e spingersi ancora più dentro. Mi flagellai mentalmente per aver formulato un pensiero così pericoloso.
Frank mosse indietro una mano e accarezzò delicatamente il mio sedere. Mi tirai fuori quel poco che bastava e poi mi spinsi di nuovo dentro con la minor forza possibile. Frank grugnì e seppellì il viso nel soffice cuscino di cotone. Ripetei l'azione dopo essermi tirato un po' più fuori. Non sentii la sua reazione, sovrastata dai miei stessi gemiti. Era la pressione... e il calore... e la resistenza. Tutto questo mi stava per far esplodere. Continuai a spingermi con leggerezza dentro di lui e mi sforzai di vedere come stava, mentre le ondate di piacere mi correvano addosso.
Spostai la mano dalle sue anche, per toccare il suo pene. Lentamente lo tirai per farlo eccitare, e questo gli fece spostare la testa da dove era prima, soffocata sul cuscino. Girò il viso per guardarmi e io lo baciai. Gemette dentro la mia bocca, mentre io continuavo a sollecitarlo. Stava diventando difficile coordinare il fatto di spingermi dentro di lui, mentre lo masturbavo e intanto lo baciavo per rassicurarlo. Nonostante tutto, sapevo che sarei venuto presto.
Ruotai le anche, cominciando a prendere un ritmo semplice e sensuale. Frank reagì positivamente a tutto ciò che stavo facendo, e questo mi diede speranza. Anche di più, ora che stava gemendo di piacere. Mi fermai mentre lui cominciò improvvisamente ad annaspare. “Stai bene?” dissi con urgenza, un po' distratto.
Lui rispose con un gemito e venne nella mia mano. Non avevo capito che fosse così vicino. Ero stato colto alla sprovvista. Come cazzo avevo fatto a non saperlo? I miei pensieri riguardo il suo culmine inaspettato si realizzarono mentre ogni singolo muscolo del suo corpo diventò rigido, contratto attorno alla mia erezione. Cercai di spingermi dentro quella che si poteva descrivere solo come una morsa, ma senza risultato. Arricciai le dita dei piedi, non riuscendo più a sostenermi. Lasciai cadere la testa indietro, sul letto, probabilmente emettendo qualche imbarazzante rumore.
Mentre la mia visuale si schiariva, mi avvicinai per vedere come stesse Frank. Stava ancora respirando affannosamente, con una mano poggiata sul petto. Lo baciai sull'angolo della bocca e cercai di voltarlo perchè mi potesse guardare in faccia. Lui obbedì e si attaccò al mio petto, premendo le labbra sulla mia pelle.
“Non pensavo che potesse fare questo effetto,” mormorò, mentre si grattava la schiena.
“Neanche io,” confessai. “Va tutto bene, comunque?”
“Sì. Ha fatto-ha fatto... meno male... di quanto ricordassi.”
Aggrottai la fronte, anche se non mi poteva vedere. Non ero sicuro a cosa si stesse riferendo. Si riferiva alla prima volta che l'avevo immobilizzato? Davvero gli avevo fatto così male? O stava parlando degli altri uomini? Non lo sapevo, e non ero sicuro di volerlo sapere. “Ne sono felice,” dissi flebilmente.

“Grazie, Gerard,” disse lui, con tono solenne. Notai che si stava tenendo ancora la mano sul petto.
“Non c'è di che,” dissi imbarazzato. Era strano sentirsi ringraziare dal proprio fidanzato per aver appena fatto sesso.
Restammo abbracciati l'uno all'altro nella stanza buia per molto tempo. Morivo dalla voglia di chiedere a Frank se avesse funzionato -se avevamo rimpiazzato con successo il suo ricordo. Non avevo idea se fosse possibile sostituire un ricordo così maligno, quindi ero davvero curioso. Non manifestai il mio interesse, ne' ebbi il coraggio di chiederglielo, quindi la mia curiosità rimase insoddisfatta, con mio grande sgomento.
Lui non disse nulla riguardo ciò nemmeno il mattino dopo. Mi svegliai mentre lui era sul letto, intento a sistemare in piccole pile tutto il denaro che avevamo. Non sapeva che fossi sveglio, quindi lo guardai silenziosamente per qualche minuti. Di tanto in tanto si toccava ancora il petto con la mano destra, come se gli desse fastidio.
“Fa male?” chiesi. Frank si girò per guardarmi, e mentre lo fece tolse la mano dal petto. Avevo paura di avergli fatto male, la notte passata.
Lui sorrise. “No.”
Alzai un sopracciglio, cercando un chiarimento, ma lui scosse la testa e si girò verso la televisione. Mi misi a sedere e lo baciai amorevolmente. Posai la mano sul suo petto. “Allora perchè-.”
Frank bloccò la mia domanda, baciandomi a sua volta. “Te lo dirò un altro giorno. Te lo prometto. Sto solo cercando di abituarmi prima.”
Gli lanciai uno sguardo di incomprensione e mi diressi verso il bagno. Ero quasi da due minuti sotto la doccia, quando Frank bussò alla porta, chiamandomi con urgenza. “Vieni a vedere!” urlò.
In meno di due secondi ero già in piedi al centro della stanza, bagnato fradicio, con l'asciugamano stretto fra le braccia. Frank alzò il volume della televisione, mentre io mi avvolgevo l'asciugamano attorno alla vita. C'era una giornalista nel bel mezzo dell'annuncio delle notizie:”-tornerà alla Casa Bianca in tarda mattinata o nel primo pomeriggio.”
Non sentii più nulla dopo ciò. Non ne avevo bisogno. Sapevo esattamente di cosa stesse parlando. Avevo solo una piccola speranza di vedere Mikey. Tornai velocemente in bagno e mi rivestii. Non avevo un piano, e questo mi spaventava.
“Gerard?” disse preoccupato Frank, quando mi fermai sull'entrata, mentre cercavo di pensare.
“Sto pensando,” dissi, colpendomi la testa con i palmi delle mani. Forse potevo trovare l'entrata del personale ed entrare da lì? No. Forse potevo corrompere qualcuno...? No, non avevamo soldi. Forse potevo travestirmi. Potevo decolorarmi i capelli. Sicuramente questo mi avrebbe dato un grande vantaggio. Sì, avrebbe potuto funzionare.
“Gerard?” chiese Frank di nuovo.
“Devo vederlo prima che se ne vada,” dissi a voce alta, parlando fra me e me.
Vidi con la coda dell'occhio che lui annuì. “Come?” disse. 
Alzai il dito, come se stessi per esporre un piano geniale, ma non ne uscì nulla. Rimasi lì, con aria stupida, deluso dal mio cervello. “Travestimento,” dissi infine.
Frank non sembrava sorpreso. “Gerard, tutti ti stanno cercando.”
“Lo so,” schioccai. Fanculo il mio inutile cervello di merda. Perchè non funzionava quando ne avevo bisogno?
“Potremmo solamente entrare...”
“Ed essere scoperti? Non potrei nemmeno arrivare davanti al bancone che già le spie, o i servizi segreti, o come cazzo si chiamano, mi saranno addosso. Non riuscirò mai a vedere Mikey.”
“Noi,” mi corresse con calma Frank.
“Cosa?”
“Non potremmo nemmeno arrivare davanti al bancone. Non riusciremo mai a vedere Mikey.”
“Non posso chiederti di farlo. Una volta che avranno preso me, smetteranno di cercarti. Sarai libero, Frank.”
Frank sembrava indignato. “Verrò con te.”
“No.”
“Verrò con te,” disse in modo ostinato, spingendo le sue cose nello zaino con forza.
Mi si gonfiò il cuore a vederlo mentre camminava per la stanza, raccogliendo tutti i nostri averi. Avevamo accumulato un sacco di roba nelle ultime tre settimane. “Come se ti lasciassi andare da solo,” bofonchiò fra se'.
Avevo ancora bisogno di un piano. Se fossi entrato nell'ospedale non avrei mai visto Mikey. Dovevo negoziare con qualcuno. Dovevo dire a qualcuno che mi sarei consegnato, ma solo dopo aver visto Mikey.”
Mi ci volle più di un'ora per prendere coraggio e alzare la cornetta. Superato il breve attacco di panico, composi il numero di Markman sulla tastiera del telefono dell' albergo. Il mio dito tremò sull'ultimo numero. Una volta premuto, sarebbe partita la chiamata e sarebbe finito tutto.
Con determinazione premetti il tasto 'due' e posizionai la cornetta accanto al mio orecchio. Frank era appollaiato sul letto di fronte a me, con il viso arrossato. Non sapevo perchè fosse andata così.
“Pronto?”
Cazzo. Aveva a malapena suonato due volte. Markman doveva aver avuto il telefono a portata di mano. Aprii la bocca, ma non ne uscì nessun suono.
“Pronto? Gerard?”
Come cazzo faceva a sapere che ero io?
Frank mi strinse la gamba. “Dì qualcosa,” sibilò. Si avvicinò alla cornetta in modo da sentire cosa stesse dicendo lei.
“Salve,” dissi con voce gracchiante.
“Oh, grazie a Dio,” disse Markman, immaginando che si stesse tenendo la testa per il sollievo. “Stai bene?”
“Sì.”
“E invece-,” cominciò, ma la bloccai.
“Voglio vederlo,” dissi.
“Okay.”
Okay? Gli mi uscirono quasi fuori dalle orbite e Frank sembrava davvero scioccato.
“Voglio vedere Mikey,” ripetei, giusto per assicurarmi che avesse capito bene.
“Va bene,” disse lei e Frank mi strinse di nuovo la gamba, questa volta per la gioia. “Gerard, Frank è con te?”
Non risposi immediatamente. Guardai Frank e lui annuì energicamente. Scossi la testa. Non volevo che avesse a che fare con questa storia. Si allungò per prendermi il telefono dalla mano, per parlare direttamente con Markman, ma io mi spostai. “Sì,” dissi con riluttanza.
Sembrava sollevata. “Sta bene?”
“Sì,” risposi. Frank sorrise compiaciuto. Non mi sarei più liberato di lui.
“Bene,” disse contenta Markman. “Molto bene. Questo mi fa sentire molto meglio. Dove siete?”
“Mi promette che me lo farà incontrare?” dissi con prudenza.
“Te lo prometto. Sapete dove vi trovate?”
Guardai di nuovo Frank. Stavo per consegnare entrami. In tre secondi sarebbe tutto finito. “Al Kennedy Motel. Stanza numero nove.” Era finita.
Ci fu uno strano rumore al telefono, quando Markman finì. Sembrava che si stesse muovendo. Probabilmente era così. Probabilmente stava arrivando al motel in quel momento, con Dio sa quante altre persone.
“Okay, Gerard, veniamo a prenderti. Resta dove sei, okay?”

Mi feci prendere dal panico.
Frank si avvicinò e mi abbracciò stretto. Davvero non credevo a quello che avevo appena fatto. Mi chiedevo quanto ci sarebbe voluto prima che Markman ci raggiungesse. Se era in ospedale come pensavo, probabilmente sarebbe arrivata in meno di cinque minuti.

Mi sbagliavo. Ci vollero sei minuti. Il suono rombante di mezza dozzina di auto nel parcheggio ci informò del suo arrivo. Ovviamente aveva portato una scorta. Frank mi guardò nervosamente e io cominciai a sentirmi male. Non volevo che finisse. Perchè non potevo restare con lui per sempre in un merdoso motel economico?
Le forme di numerose persone apparvero improvvisamente davanti alla finestra e cercai di vederle sbirciando attraverso le tende. Frank sembrava terrorizzato dalll'improvvisa incursione e saltò sul letto, allontanandosi il più possibile dalla finestra. Bussarono alla porta. La guardai, poi guardai Frank. Stava tremando, e strinsi le braccia attorno a lui. Non lo biasimavo. Non sapevo cosa sarebbe successo una volta aperta la porta.
Mi alzai e mi incamminai verso l'entrata. Mi avvicinai. “Chi è?” chiesi.
Dietro di me, Frank fece una risatina e io gli sorrisi. Mi stavo comportando nel classico modo da Gerard.
“Sono io, Gerard,” disse Markman, cercando di aprire la porta.
“Chi è io?”
Sapeva che la stavo prendendo per il culo, ma non capì lo scherzo e si irritò. “La dottoressa Markman,” fece, “Stai trattando davvero male il medico che è stato in pensiero per te nelle ultime tre settimane.”
Sentii una voce maschile dire qualcosa, ma non capii bene cosa avesse detto. Sentii invece la brusca risposta di Markman, “sta zitto e lascia fare a me.” Alzai un sopracciglio, sorpreso. “Mettilo via,” la sentii schioccare.
Cazzo. C'erano degli uomini con delle pistole lì fuori? Questo mi spaventò. Improvvisamente non volevo più aprire la porta. Mi avrebbero sparato? Avrebbero sparato a Frank?
“Gerard, mi fai entrare?”
Pensai di chiederle una parola segreta, ma poi lasciai perdere. Tutta la storia degli uomini con le pistole mi spaventava a morte, e non volevo far arrabbiare nessuno. Sospirai. “Va bene,” dissi, sbloccando la serratura.
La porta si aprì immediatamente e Markman fece un passo in avanti.
“Oh, salve,” dissi con noncuranza, come se non la stessi aspettando.
Lei non sorrise. Ignorò gli uomini con le uniformi scure e rigide, con gli occhiali da sole. Frank fu subito al mio fianco, pronto a stringermi forte il braccio, non appena uno degli uomini ispezionò la stanza per chissà quale motivo.
“Va tutto bene,” mormorai, aggrappando con protezione il mio braccio attorno alla vita di Frank.
Markman si avvicinò cautamente a noi. Spostò lo sguardo da me a lui per parecchie volte. “State tutti e due bene?”
Annuimmo all'unisono e lei sembrò incredibilmente sollevata. I suoi occhi si posarono sul mio braccio attorno alla vita di Frank, ma non commentò.

“Dobbiamo sgomberare la stanza,” disse uno degli uomini con la divisa nera, dando il segnale agli altri quattro. Markman annuì e ci condusse fuori dalla porta.
“Non dimenticatevi le nostre cose,” protestai, indicando gli zaini che avevamo posizionato vicini.
Non riuscii a vedere se si fossero presi la briga di prende gli zaini, perchè fui praticamente gettato dentro una delle auto. Guardai fuori dal finestrino e vidi un mucchio di persone attorno che mi stavano guardando. Alcune avevano il telefono e stavano filmando l'intera scena. Grugnii con disgusto per il modo in cui si stavano comportando. Io non avrei mai filmato la cattura di una persona, e loro avrebbero dovuto mostrarmi lo stesso rispetto.
“Ignorali,” mi sollecitò Markman. Alzai il dito medio verso di loro mentre gli passavamo davanti, ma Markman rovinò il mio divertimento. “Non possono vederti,” disse con indifferenza.
Dannazione. Frank stava tranquillo accanto a me. Stava stringendo forte la mia mano sulla sua pancia, guardandosi le ginocchia. “Va tutto bene,” gli sussurrai.
Lui annuì. “Lo so.” Velocemente lo baciai sulla testa e lui arrossì. Non pensavo che si sentisse a suo agio con tutte quelle persone attorno.
Dieci minuti dopo eravamo dentro l'ospedale, seduti a un grande tavolo insieme a Markman. C'erano due uomini in divisa in piedi accanto al muro della piccola stanza, mi fissavano. Non avevo idea del perchè mi seguissero e mi stessero dietro per tutto il tempo. Potevano lavorare per Loro, per quanto ne sapevo.
Markman scrutò con attenzione me e Frank. “Quello che avete fatto è stato davvero da irresponsabili,” cominciò.
Aggrottai la fronte. Non era lei che ci aveva fatto scappare? Pensai di dirlo, ma poi mi fermai. Non volevo che passasse dei guai, se nessuna sapeva quello che aveva fatto.
“Come avete fatto a sopravvivere? Dove avete dormito?”
“Quando potremo vedere Mikey?”
“Dove avete preso i soldi?”
“Quando potrò vedere Mikey?” ripetei. Ovviamente non mi aveva sentito.
“Più tardi,” rispose, liquidando la mia domanda.
Mi alzai in piedi con rabbia. “Voglio vederlo ora,” dissi con voce pacata. Me l'aveva promesso.
Markman arricciò le labbra e si scambiò uno sguardo con uno degli uomini in nero che si era avvicinato quando io mi ero alzato. “Non è una buona idea, Gerard.”
La furia mi salì dentro. Accanto a me, Frank spalancò la bocca in stato di shock. Non poteva credere che Markman stava per rimangiarsi quello che aveva detto. Me l'aveva promesso! “Me l'ha promessio!” esclamai, dando un pugno sul tavolo. “Voglio vederlo.”
Sembrava turbata. “No.”
Feci un passo verso di lei e alzai il pugno, ma uno degli uomini vicini mi tirò indietro. Inciampai e Frank si alzò per tenermi. “Me l'ha promesso,” dissi, la mia rabbia si trasformò in delusione.
“Mikey se n'è andato, Gerard,” disse pesantemente Markman, e io entrai nel panico.
“E' morto?!” esclamai e Frank mi strinse forte il braccio. Non poteva essere morto. Alla televisione avevano detto che non era morto!”
Markman era agitata. “No! No. Non è morto. E' vivo. E' solo...diverso. Non so cosa ricordi di lui, Gerard, ma se n'è andato. Non è più lo stesso Mikey.”
Non capivo. Come poteva essere vivo, ma essersene andato allo stesso tempo? Dovevo parlargli. Dovevo dirgli che mi dispiaceva. “Io-Io-Io non-ugh,” dissi senza utilità, e mi risedetti.
“Non capisci?” chiese Markman.
“No. Cosa c'è che non va in lui? Perchè non posso vederlo? Gli ha mai chiesto se lui vuole vedere me?
Markman si strofinò gli occhi, afflitta. “Non ti riconoscerà, Gerard. Non sa chi sei.”
“Perchè no?!” Lei mi guardò come se non potesse rispondere. “La smetta di proteggermi,” urlai, stringendo i pugni.
Chiuse gli occhi e fece un respiro profondo. “Okay,” disse infine. “Meriti di sapere.”
Non dissi nulla per paura che potesse cambiare idea. Mi sporsi in avanti e ascoltai con attenzione.
“Quando Mikey è stato accidentalmente...” Si fermò e mi lanciò uno sguardo di avvertimento. “...colpito.”
“Quando gli ho sparato,” la interruppi con franchezza.
“Accidentalmente,” disse lei a voce alta.
Aprii la bocca per dire qualcosa, ma Frank mi mise una mano sulla gamba. Scosse la testa. Con riluttanza restai zitto e lasciai che Markman continuasse. 
“Quando Mikey è stato colpito accidentalmente, ha avuto un arresto cardiaco. Vuol dire che il suo cuore ha smesso di battere. Okay?” Io annuii senza dire nulla e lei continuò. “Il suo cuore ha smesso di battere, quindi il cervello non riceveva ossigeno. E' molto importante che il cervello riceva ossigeno. Lo sai questo?”
“Sì.”
Markman fece un respiro profondo. “Alla fine in ambulanza sono riusciti a rianimarlo, ma quando arrivarono in ospedale scoprirono che si era sviluppata un' Encefalopatia ipossico-ischemica. So che non sai cosa vuol dire,” aggiunse, vedendo lo sguardo perplesso sul mio viso. “E' un termine usato per descrivere un danno cerebrale causato dall'assenza di ossigeno e di sangue al cervello e spesso porta a un ritardo mentale.”
La guardai confuso. Non capivo.
“Mikey non è più Mikey, Gerard. Fisicamente è un ragazzo di sedici anni, ma mentalmente non lo è. E' come un bambino. Non è capace di muoversi e parlare e comunicare. Non ricorda molto. Da quello che sappiamo, di te non ricorda nulla. E'...” non riusciva a pensare alla parola adatta.
“Danneggiato,” disse piano Frank.
Era danneggiato. L'avevo danneggiato io. Gli avevo sparato e l'avevo distrutto. Ero un mostro. Mi sentivo meglio al pensiero che fosse morto, piuttosto che intrappolato nella sua mente danneggiata.
“Voglio vederlo,” dissi, incapace di posare gli occhi sul pavimento.
Markman scosse la testa. “E' una cattiva idea, Gerard. Non porterà a nulla. Ti turberà soltanto.”
“Per favore,” avevo bisogno di un qualche tipo di finale.
“No, Gerard.”
Per favore.”
Sospirò. “Aspetta qui,” mi disse, lasciando la stanza.
Non mi sentivo molto speranzoso. “Stai bene?” mi chiese Frank, stringendomi la mano.
“No,” risposi brevemente.
“Andrà tutto bene.” Cercò di confortarmi. Si sbagliava. Non sarebbe andato tutto bene.
Markman non tornò per molto tempo, ma quando lo fece fu accompagnata da una donna bionda che portava un camice. Si presentò come la Dottoressa Gold e si sedette accanto a me. Evitai il suo contatto visivo. Non mi sentivo degno di guardare nessuno in quel momento. Ero un mostro.
“Ciao, Gerard,” disse la Dottoressa Gold, prendendo la mia mano. La strinse energicamente. “La Dottoressa Markman mi ha detto che vuoi salutare Mikey.” Annuii con furore. Anche lei annuì. “Va bene,” disse. “Possiamo farlo. Gli piacciono i visitatori. Ma prima di vederlo, voglio parlare con te di un paio di cose, okay? Voglio prepararti.”
Annuii di nuovo. Preparatemi, ma fate in fretta. Ho un fratello da vedere.
“Ci sono molte cose che rendono Mikey nervoso. Diventa ansioso se qualcuno urla o fa molto rumore. Non gli piacciono le sorprese o i movimenti inaspettati, quindi cerca di restare tranquillo. Puoi farlo, Gerard?”
“Sì.”
“Okay. Un'altra cosa: L' autolesionismo è abbastanza comune nelle persone con un danno cerebrale e a Mikey piace staccarsi le unghie, quindi non ti allarmare per i guanti e il nastro adesivo sulle sue mani. Sono per proteggerlo. Inoltre soffre di spasmi muscolari involontari e tic nervosi, quindi stai attento. La cosa più importante è ricordare che mentalmente ha più meno sei anni, quindi non ti aspettare troppo da lui.”
“Posso vederlo ora?” chiesi. Non riuscivo a credere che Markman stesse facendo tutto quello che aveva detto. Volevo che Mikey mi riconoscesse. Volevo che stesse bene.
“Certo.”
Mi portò via dalla stanza e io guardai Frank mentre me ne andavo. Lui annuì per incoraggiarmi. La dottoressa Gold mi fece passare per diversi corridoi e si fermò di fronte a una porta. “Ricorda quello che ho detto,” mi fece con tono di avvertimento, e aprì la porta.
Era proprio come me l'ero immaginato. Bhè, almeno fisicamente. Mio fratello era seduto a un tavolo di plastica verde brillante, pieno di fogli, pastelli e matite colorate. Indossava una maglietta gialla delle Tartarughe Ninja e un paio di boxer blu con il logo di Superman. Aveva un paio di occhiali posati sul naso. Non mi ricordavo che indossasse gli occhiali. Mi sedetti al tavolo, di fronte a lui.
“Ciao, Mikey,” dissi nervosamente.
Non si accorse nemmeno che mi ero seduto. Invece prese strettamente in pugno una matita rossa e scarabocchiò furiosamente sul foglio. La donna accanto a lui scosse la testa per il suo modo di colorare. “Su, Mikey,” disse pazientemente, prendendo la matita dalla sua mano. “Come si tiene una matita?” cercò di posizionarla nel modo giusto, fra il pollice, l'indice e il medio.
Mikey fece un rumoroso suono di disaccordo e bruscamente spinse via la sua mano.
“Mikey,” disse lei a voce alta. “Non è così che si trattano le persone.”
Non la ascoltò. Scagliò la matita per terra e incrociò le braccia con rabbia. Fece una specie di commento incomprensibile. “Dillo a parole tue,” disse la donna, raccogliendo la matita.
“N-n-no!” farfugliò, buttando giù dal tavolo tutte le matite che riusciva a raggiungere.
Mi sentivo male. Il cuore mi faceva male per lui. Quello non era mio fratello. Mio fratello se n'era andato. L'avevo distrutto io. La donna, che supposi fosse la sua terapista, mi diede uno sguardo di conforto. “Sta avendo un po' una giornataccia,” spiegò, rimettendo di nuovo tutte le matite sul tavolo.
Diedi un'occhiata a Mikey. Stava fissando il soffitto. Alzai la testa per vedere cosa avesse catturato la sua attenzione, ma non c'era nulla. Stava fissando il nulla. Le persone normali non fissano il nulla. Guardai le sue mani e vidi che una delle due stava tremando. Immaginai che fose uno di quegli spasmi muscolari involontari di cui parlava la dottoressa.
“Parlagli,” mi incoraggiò la terapista.
Entrai nel panico. Cosa dovevo dire? “Hey, Mikey,” dissi a voce alta. Con mia sorpresa Mikey mi guardò. “Hey,” ripetei, sorridendo il meglio che potessi.
I suoi occhi si abbassarono e riprese a colorare. Mi avvicinai per vedere cosa stesse facendo. “E' veramente un bel disegno,” commentai, indicando le figure stilizzate che stava disegnando. Improvvisamente notai un tatuaggio ad acqua di Batman sul suo avambraccio. “Sono supereroi?” chiesi. Immaginai che gli piacessero i Supereroi e che li stesse disegnando.
Annuì, dondolandosi avanti e indietro con la sedia. “Sì,” si sforzò di dire.
Una delle figure aveva i capelli neri. “Quello è Batman?” chiesi.
Mikey fece un ringhio rumoroso con la gola. Sembrava arrabbiato. Non sapevo cosa avessi fatto di male. “No, stupido!” esclamò, con parole disarticolate e forzate, come se fosse difficile per lui pronunciarle. “Non è Batman!” disse, con voce più alta. “E' mio fratello. E' Gee-rard.” grugnì di nuovo, contraendo la mano. “Non Batman.”
La terapista si era alzata e mi stava fissando. Il cuore cominciò a battermi veloce. Non ne ero sicuro, ma pensavo che Mikey mi avesse definito indirettamente come un supereroe. Certamente stava disegnando me come uno di quelli. Fui assalito da una strana sensazione.
“Dov'è tuo fratello?” chiesi semplicemente.
Mikey alzò la testa di nuovo, sullo stesso punto del soffitto, e notai che si stava dondolando avanti e indietro. Non riusciva a sedersi fermo. Ripetei la domanda altre due volte, ma lui non rispose. Non riuscivo ad attirare la sua attenzione.
“Mikey,” dissi in modo energico. “Dov'è Gerard?”
Non mi guardò. “Si è perso,” disse con indifferenza, portandosi alla bocca una delle dita coperte. La terapista glielo tolse immediatamente.
Cosa significava? Non capivo cosa stesse cercando di dirmi quel cervello di sei anni. Improvvisamente Mikey si tolse gli occhiali e li gettò sul pavimento. “Bugie!” esclamò. Restai seduto, sbigottito dal suo strano comportamento. Ricominciò di nuovo a dondolarsi avanti e indietro.
Sentivo gli occhi che cominciavano a riempirsi di lacrime. Non volevo piangere di fronte a lui. Volevo chiedergli cosa pensasse di me, ma ero troppo spaventato di quello che avrei dovuto sentire. Improvvisamente Mikey rivolse l'attenzione verso di me e io mi asciugai velocemente gli occhi. “Mi dispiace,” dissi con voce strozzata.
“Perchè?” chiese lui.
“Ho fatto una cosa molto brutta e un sacco di persone sono state ferite.”
Mikey inclinò la testa di lato, con curiosità. “A-anche Gee-rard ha fatto una cosa molto brutta. E' m-mio fratello,” aggiunse, come se l'avessi dimenticato.
“Gerard è molto dispiaciuto,” dissi, combattendo per non piangere.
“Ho fame,” annunciò lui, grattandosi lo stomaco.
Mi seppellii la testa fra le mani e lasciai che le lacrime mi scivolassero sul viso. Sentii qualcuno stringermi le braccia attorno e alzai la testa, sorpreso. Mikey mi stava abbracciando. “Qualunque-qualunque cosa hai fatto, tutti ti p-p-perdonano,” disse, come dato di fatto.
“Tu mi perdoni?” chiesi disperatamente.
Mikey mi diede un colpetto sul braccio. “Um, v-v-vuoi un s-s-sand-wich?”
Scossi la testa. Lui fece spallucce e si sedette di nuovo. Un momento dopo battè furiosamente i pugni sul tavolo, spezzando i pastelli in due.
“Mi dispiace,” urlai, mentre la terapista cercava di placarlo. Lui cercò di scansarla e molte infermiere corsero dentro per aiutarla. “Mikey, mi dispiace!”
Lui si bloccò e mi guardò attraverso le braccia di una delle infermire. I suoi occhi erano spalancati e pensai che forse mi avesse riconosciuto. “Troverai mio f-f-fratello?” chiese, stringendo gli occhi verso di me. “Si è un po' p-perso.”
Annuii silenziosamente. Lui sembrava soddisfatto. “Ciao ciao”
Le infermiere portarono Mikey fuori dalla stanza e io lo guardai allontanarsi, cercando di capire quello che aveva detto. Doveva significare qualcosa. Doveva essere di più di una frase sconclusionata detta da un ragazzo malato.
“Stai bene?” una voce maschile, sconosciuta, parlò dietro di me e io mi girai. Riconobbi vagamente l'uomo. L'avevo già visto a Bluestone una volta, e l'avevo visto in televisione una o due. Supposi che quell'uomo fosse mio padre.
Non risposi. Fissai stupidamente l'uomo, così alto e virile, mentre si sedeva garbatamente al posto di Mikey. Guardò pensieroso i disegnini e gli scarabocchi.
“Stai bene?” chiese di nuovo, senza guardarmi.
“No.”
“Normalmente è più lucido di così,” disse lui, strizzando gli occhi verso il disegno del supereroe. “Mi dispiace che tu l'abbia visto in questo stato. E' doloroso.”
“Non mi ha riconosciuto,” dissi piano.
“Non riconosce nemmeno me e tua madre. Sono sicuro che la Dottoressa Gold ti abbia detto che Mikey non è più qui. E' una persona diversa.”
“E' tutta colpa mia. Se non avessi-,” dissi, digrignando i denti.
“No, non è vero.”
“Invece sì!”
“Non voglio parlare di questo con te,” disse sbrigativo. “E' successo. E' stato un incidente. Io e tua madre l'abbiamo superato, dovresti farlo anche tu.”
Incrociai le braccia e rimasi silenziosamente imbronciato. Certo che lui poteva dimenticare e andare avanti, non aveva ucciso nessuno.
Non era stato rinchiuso senza ricordi per quattro anni in una clinica psichiatrica.

“Ho incontrato Frank,” disse mio padre. “E' un ragazzo adorabile.”
“E' il mio fidanzato,” specificai.
“Lo so. Non ho problemi per il fatto che tu sia gay, Gerard.” Lo guardai sorpreso. Lui sorrise per la mia faccia stupita. “Non sono un mostro,” disse. “Sei mio figlio. Ti voglio bene. Ma sai cosa succederà ora, vero?”
Certo che sapevo cosa sarebbe successo. Mi avrebbero spedito a Greenwood e avrei passato il resto della mia vita in una cella imbottita per quello che avevo fatto. Mi avrebbero separato per sempre da Frank.
“Abbiamo trovato un nuovo posto per te,” disse lui gentilmente. “Si chiama Brock Institute.”
“Perchè non posso restare a Bluestone?” chiesi speranzoso.
“Bluestone non è il posto migliore per te, al momento. Devi stare in un luogo sicuro, dove puoi essere aiutato.”
“Posso avere tutto l'aiuto di cui ho bisogno a Bluestone. Markman mi aiuterà.”
“Ha cercato di aiutarti per tre anni, Gerard, e non è stato abbastanza. Dobbiamo provare qualcos'altro. Brock è un posto nuovo e penso ti piacerà. E' carino. L'ho visto proprio stamattina. E lì sarai al salvo, te lo prometto.”
Lasciai che le mie spalle crollassero per la sconfitta. “Frank può venire con me?”
Mio padre scosse fermamente la testa. “Non è un posto per Frank, lo sai.”
“Cosa succederà a lui?” chiesi.
“Bhè, la Dottoressa Markman ha detto che lo riporterà a Bluestone, per poi decidere cosa fare con lui.”
Mi sentii un po' più confortato. A Bluestone sarebbe stato in salvo. Ray, Bob e Adam probabilmente erano ancora lì. Mi chiesi se sarebbe venuto a trovarmi. Voleva venire a trovarmi? Io non l'avrei mai fatto se fossi stato in lui. Non ero nemmeno sicuro se mi potesse ancora guardare, dopo aver visto ciò che avevo fatto a Mikey. Dovevo trovare un altro modo per mantenerlo al sicuro.
“Puoi fare una cosa per me?” chiesi, frugando nelle tasche per cercare il vecchio ritaglio di giornale.
“Qualunque cosa.”
Tirai fuori il vecchio articolo con la foto degli stupratori di Frank. Indicai gli uomini. “Hanno fatto del male a Frank. Puoi trovarli e arrestarli, per favore? O almeno toglierli dalla strada, in modo che lui non si debba più preoccupare? Non posso più proteggerlo e ho bisogno di sapere e loro non verranno a prenderlo.”
Lui scrutò la pagina per un momento. “Gerard, penso sia qualcosa di cui dobbiamo discutere con Frank.”
“Allora facciamolo,” dissi, iniziando ad alzarmi.
“Più tardi,” disse pazientemente. “Abbiamo un sacco di tempo.”
Con la coda dell'occhio vidi qualcuno muoversi e mi girai per vedere chi fosse: Jasper. Il mio cuore cominciò a battere velocemente. Che cosa ci faceva qui? L'ultima volta mi aveva detto che mi avrebbe guardato morire. Stavo per morire? “Devo andare,” dissi, cominciando a camminare verso la porta. Dovevo andarmene. Dovevo nascondermi.
Mio padre mi seguì. “Non ho ancora finito di parlarti,” disse.
“Un minuto,” dissi distrattamente, mentre Jasper mi faceva segno di voler parlare con me.
“No, Gerard, Ora.” Mi mise una mano sulla spalle e io la tolsi con forza. Mezzo secondo dopo uno degli uomini più vicini mi sbattè la mano sul petto, facendomi crollare sul pavimento. Singhiozzando per respirare, mi abbracciai il petto e guardai mio padre, improvvisamente circondato da sei uomini che si stavano avvicinando a me.
“Basta,” esclamò lui, allontanandoli. Si abbassò accanto a me e cercò di toccarmi, ma io mi scostai. “Stai bene?” chiese.
Il dolore nel petto era incredibile. Quell'uomo doveva avere la super forza, o qualcosa del genere. Mi tirai in avanti, e poi in piedi. Aprii la porta e borbottai vedendo il corridoio pieno di persone. Frank era l'unico che mi guardava preoccupato. Tutti gli altri mi fissavano con diffidenza, come se si aspettassero che potessi sparargli.
“Gerard,” disse mio padre.
Lo ignorai e mi spinsi fra la folla, spostandomi il più lontano possibile da Jasper. Attraversai il corridoio e corsi dentro un bagno il bagno per disabili. Chiusi con forza la porta e la bloccai. Poi mi girai, bloccandomi nel vedere che Jasper era nella stanza con me.
“Non sei reale,” dissi, con voce tremante.
“Sì, come dici tu,” rispose sbrigativo. Si appoggiò al muro e mi ispezionò con uno sguardo compiaciuto sul viso. “Allora, paparino ti vuole mandare a Brock?” mi canzonò. “Devi ringraziarlo da parte mia.”
Mi girai per riaprire la porta, ma Jasper mi afferrò per le spalle e mi spinsi indietro. Era in piedi davanti alla porta, in modo che non potessi andarmene. “Lasciami,” dissi energicamente.
Loro hanno delle spie a Brock. Non riuscirai a superare una settimana.”
Mi si seccò la bocca e la gola mi si riempì di paura. Scossi la testa, incredulo. Mio padre non mi avrebbe mai mandato in un luogo dove Loro avevano delle spie. Dovevo dirglielo. Ci doveva essere un altro posto.
La maniglia della porta si mosse, e Jasper ghignò. “Il tuo paparino ti manderà a Brock, Loro verranno a prenderti e finalmente potrò guardarti morire. Finalmente!” disse gioioso. “Ne ho abbastanza delle tue stronzate.”
“Ma loro prenderanno i miei segreti! Jasper, il mondo finirà!”
Lui alzò le spalle. “Suppongo sia questo il modo in cui debba finire: non con un'esplosione, ma con un fastidioso piagnisteo. Sei sempre stato troppo patetico e debole per essere un custode di segreti.”
La porta si aprì e Jasper fece un passo indietro. Markman si accovacciò accanto a me, mentre io mi strofinavo la gola dolorante.
“Non può lasciare che mi prendano,” dissi, stringendole il braccio. “Non posso andare. La prego,” implorai. “Il mondo finirà!”
Non sapeva cosa fare. Perchè non sapeva cosa fare? Li aveva mandati via molte altre volte. Era l'unica persona di cui avessero paura.
Arrivarono due uomini che mi presero per i piedi. Urlai e scalciai verso di loro. Ero sicuro che mi stavano portando a Brock. Mi avrebbero portato verso la mia stessa morte. La furia che gli scagliai contro aumentò solo il loro desiderio di trattenermi. Mi lasciarono sul pavimento e mi tennero fermo mentre scalciavo e gridavo. Tutte le persone attorno a me stavano gridando e urlando indicazioni.
Sentii uno degli uomini girarmi la testa di lato, poi sentii un ago scivolarmi dentro la pelle.
“No,” dissi debolmente.
Jasper rise soltanto.






*il 'No-Shave November' è un evento annuale in cui i partecipanti sono tenuti a non rasarsi la barba per tutta la durata del mese di Novembre.

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Capitolo 21
*** 20. ***


A SPLITTING OF THE MIND

 

***

20.


I'm probably one of the most dangerous men in the world if I want to be. But I never wanted to be anything but me.







Sembrava che fossi stato condannato alla presenza permanente del mio tirocinante, il tirocinante che avevo conosciuto durante la Settimana Infernale: Brendon.
Mi ricordavo di lui. Pensava di essere mio amico. Si sbagliava. Non era un mio amico. Era il mio nemico.
Certo, non era così tanto nemico come Loro, ma ritenevo appropriato classificarlo in questo modo. Mi ricordavo molto chiaramente la brutalità con cui aveva scritto a Markman quelle bugie, nella sua tesina su di me. Mi aveva chiamato insensibile ed egoista. Mi aveva chiamato pazzo.

Non sono pazzo,” dissi a Brendon e alla Dottoressa Morgan con impazienza. Mi stavo entrambi fissando attentamente, con le penne pronte a scrivere la continuazione della mia terapia involontaria.
Era una bugia, ovviamente. Sapevo di essere pazzo. Avevo distrutto mio fratello a causa di questa pazzia. Ma non volevo essere lì, quindi dovevo convincere la Dottoressa Morgan e Brendon che ero sano e che dovevo essere dimesso. Dovevo convincerli entrambi che stavo abbastanza bene da poter riprendere la vita in comunità.
Non sarebbe mai successo, ma qualcuno deve pur sperare.
Non pensi di essere pazzo?” ripeté la Dottoressa Morgan. Non mi piaceva. Per niente. In effetti, la odiavo. Era anche più brava di Markman a leggermi la mente, e questo mi spaventava. Avevo il suo metodo per guardarmi negli occhi e costringermi a dirle come mi sentivo. Quindi ero stato costretto ad alzare due muri da quando ero arrivato a Brock e l'avevo conosciuta. Non poteva essere umana. Ovviamente era malefica.
Annuii, d'accordo con quello che aveva detto.
“Quindi, eri lucido quando hai ferito Mikey?” chiese.
Che cazzo di domanda era?! Come si fa a chiedere una cosa del genere? Cazzo. Ecco perché era malefica. Non doveva chiamarsi Dottoressa Morgan, ma Dottoressa Malefica.
Non le risposi. Sentivo stringermi il petto mentre lei mi costringeva a pensare a come avevo distrutto Mikey. Avevo speso un sacco di tempo per trovare il modo di non pensarci, ma la Dottoressa Malefica sollevava l'argomento ogni volta che mi vedeva.
“Gerard?” mi fece pressione.
“Non lo so!” dissi sulla difensiva. Ad essere onesto, non mi ricordavo nemmeno di aver ferito Mikey, quindi non avevo modo di sapere se fossi lucido al momento oppure no.
La Dottoressa Malefica mi guardò con attenzione e velocemente cambiai espressione facciale. Non volevo che vedesse quanto dolore mi causasse pensare a Mikey. “Quindi, non pensi di essere pazzo, Gerard?”
“Pazzo è una parola molto forte,” obiettai con noncuranza, guardandomi le unghie. Comportarmi con noncuranza era uno dei muri che avevo costruito. Era molto efficace. Dovevo dare l'impressione di essere indifferente e sotto controllo. Essere stabile era esattamente l'opposto di essere pazzo, e io non potevo essere entrambi.
La Dottoressa Malefica sembrava sorpresa. “Sto usando le tue parole, Gerard,” disse. “Sei tu che le hai usate per primo, dicendomi che non eri pazzo. In effetti, non penso che tu sia pazzo. Sei solo malato.”
Il mio muro di indifferenza cominciò a inclinarsi dopo la parola 'malato'. Molte volte Markman aveva cercato di convincermi che ero malato. Frank aveva provato a fare lo stesso. Non ero malato.
Malattia implicava debolezza e debolezza implicava che non ero in grado di mantenere i segreti.
Jasper si sbagliava; non ero una scelta patetica e debole per un custode di segreti. Li avevo mantenuti al salvo per anni. Avrei pagato per sapere se qualcun altro potesse fare questo lavoro meglio di me. Molti custodi di segreti erano durati al massimo sei mesi, ma non io.
Strinsi con forza i pugni. “Non sono malato,” dissi, pesando ogni parola, sputandola fuori come se fosse veleno.
La Dottoressa Malefica annuì. “Quindi, non sei malato, e non sei nemmeno pazzo?” chiese.
Esattamente.
“Allora perché pensi di essere qui?” continuò con indifferenza.
“Non lo so.”
“Sì che lo sai.” La sua calma era frustrante.
“Onestamente non ne ho idea.” Era una bugia.
“Certo che sì.”
“No, seriamente, Dottoressa-.”
Lei scosse la testa per la mia protesta. “Sì, sai esattamente perché sei qui. Dimmelo.”
“No.” Sapevo esattamente perché ero lì, ma non volevo ammetterlo.
“Dimmelo.” La sua foce era ferma, ma lei era ancora profondamente composta. La odiavo. Mi avrebbe fatto dire qualcosa di cui poi mi sarei pentito.
Sbattei il pugno sul bracciolo della sedia. “No, la smetta.”
“Dimmelo.”
“Perché ho distrutto mio fratello! Okay?!” Le parole mi uscirono di bocca prima che ne fossi del tutto sicuro.
La Dottoressa Malefica restò in silenzio, mentre io praticamente tremavo per la rabbia. Era un'informazione privata. Mi aveva costretto a dirgliela. Come osava usare le sue abilità con me? Aveva dei poteri. Non aveva il diritto di farmi dire cose come quella.
“Distrutto?” disse lei piano.
Mi alzai dalla sedia e uscii dalla stanza. Non mi sarei sottoposto a nessun'altra domanda su Mikey. Lei non aveva il diritto di sapere quanto quel dolore mi stesse lacerando l'anima e consumando lo stomaco. Era una cosa privata.
Ero a Brock perché ero un mostro.

Mi feci strada verso la mensa e mi sedetti a un tavolo vuoto. Lì non ne avevo uno personale. Non mi piaceva sedermi a uno nuovo tavolo a ogni pasto. Lo odiavo, ma potevo controllarlo. Non osavo sfidare nessuno in quel posto. Sembrava che mi potessero uccidere a mani nude.
A Bluestone le persone mi rispettavano e mi temevano. Mi lasciavano da solo. Avevo una reputazione. Ma lì a Brock ero il ragazzo nuovo, e tutti sanno che il ragazzo nuovo viene trattato come una merda.
Tirai fuori il blocco da disegno dalla giacca e lo presi fra le mani. Un secondo dopo, uno degli altri pazienti me lo prese. Si allontanò da me mentre cercavo di raggiungerlo.
“Cosa abbiamo qui?” disse quello con superiorità, sfogliando le pagine. Entrai nel panico, mi alzai dietro di lui, ma lui scappò dietro al tavolo che ci divideva. “Oh, chi è questo?” chiese, alzando uno schizzo incompleto che avevo fatto di Frank. “E' così carino.”
“Ridammelo!” esclamai, allungandomi senza successo sul tavolo davanti a lui.
“Sembra una di quelle persone viola. Lo è? La mia ragazza lo era. Aveva la pelle viola. Ecco perché è morta.”
“Ecco perché l'hai uccisa,” schioccai, prendendo il quaderno dalle sue mani.
Lui fece spallucce. “Era una del popolo viola. Non era umana. Gli umani non hanno la pelle viola, testa di cazzo.”
“Misha, lascia Gerard da solo.” Finalmente arrivò un' infermiera che aveva notato il fastidio che mi stava arrecando Misha, e si avvicinò per porre fine a questa storia. “Vai a sederti ad un altro tavolo.”
Lanciai un'occhiataccia al ragazzo e lui si allontanò. Non ero una testa di cazzo. Lui lo era. E Misha? Che cazzo di nome era Misha? Mi risedetti al tavolo e lisciai le pagine che lui aveva spiegazzato. Smisi di passare le dita fra le pieghe per guardare il disegno che avevo fatto. Mi mancava così tanto Frank.
Velocemente chiusi il quaderno e lo rimisi dentro la giacca, mentre l'infermiera si avvicinava al mio tavolo. Mi porse un piccolo bicchiere di carta, e io lo accettai con obbedienza. Poi, come avevo fatto per il resto della settimana, mi buttai le pillole in bocca, facendo finta di ingoiarle con un sorso d'acqua. Dopo averle nascoste sotto la lingua, dietro la gengiva inferiore, aprii la bocca affinché l'infermiera potesse ispezionarla. Mi guardò con più attentamente del normale, ma non vedendo nessun segno di falsità, se ne andò ad avvelenare il paziente successivo.
Appena si girò di spalle, mi sputai le pastiglie in mano prima che si disintegrassero nella mia bocca, e le nascosi in tasca. Alla prima occasione le avrei gettate nel water. Era troppo facile.
Mi allarmai quando Brandon apparve improvvisamente dietro di me, e tolsi con discrezione la mano dalla tasca, poggiandola con imbarazzo sulla gamba. “Posso sedermi?” chiese, indicando il posto di fronte a me.
Scossi la testa. “No, lo sto tenendo per una persona.”
Brendon sembrava un po' sorpreso dalla mia risposta. Era come se pensasse che fosse un vero oltraggio da parte mia dire che qualcuno in quel buco infernale avrebbe gradito condividere il tavolo con me.
“Chi?” chiese stupidamente. Bhé, tutto quello che diceva era stupido; lui era stupido.
“Gesù,” dissi con noncuranza, cominciando a giocherellare con il bicchiere di plastica vuoto di fronte a me.
Brendon si guardò attorno come se pensasse che Gesù stesse veramente per apparire. “Oh,” disse infine. “Bello scherzo.”
Lo guardai, con lo sguardo più disgustato che riuscissi a fare. “La mia scelta di credere in una divinità e in suo figlio ti diverte? Sono abbastanza sicuro che sia illegale discriminare qualcuno per la sua religione.”
Il comportamento professionale di Brendon sparì. Si spostò dalla sedia che avevo prenotato per Gesù e se ne andò. Sogghignai e tirai fuori di nuovo il mio quaderno. Ma, prima di farlo, mi accertai che Misha non fosse dietro di me. Se avesse provato di nuovo a prendere il mio taccuino, gli avrei dato un pungo nell'occhio. Perché sull'occhio? Perché fa fottutamente male – me l'aveva insegnato Bert. Avevo appena finito di ombreggiare il disegno di Frank, quando Brendon riapparve. Si sedette al posto di Gesù e alzò un sopracciglio.
“Tu non sei religioso,” disse trionfante. “Non credi nemmeno in Gesù.” Sembrava così fiero ad averlo scoperto.
Feci spallucce. Ero stato capace di allontanarlo per almeno cinque minuti, e ne ero felice. Non mi importava se sapeva che stessi mentendo riguardo la storia di Gesù. Pensavo che fosse la mia indifferenza a irritarlo. Non riuscivo a capire come questo uomo potesse essere un dottore. Personalmente non lo consideravo tale; per me, era più simile ad un'alga da stagno. Mi piaceva la frase 'alga da stagno'. Mi ricordava un sacco di persone: Bert, la Dottoressa Malefica, Ray (okay, solo qualche volta), il Dr. Leto...
“Gerard, penso che abbiamo cominciato con il piede sbagliato,” disse Brendon.
Lo ignorai.
“Ora lavoro a Brock a tempo pieno. Mi occuperò del tuo caso...bhè... molto a lungo, okay, Gerard? Quindi, penso che tu debba cominciare a riconoscermi come un dottore. Ma, più importante, che tu cominci a riconoscermi come qualcuno che ti vuole aiutare.”
Lo canzonai facendo un rumore a voce alta, non potei evitarlo. Brendon stava cercando di essere il migliore in quel posto, e mi sentivo un po' in colpa a prenderlo in giro mentre cercava di instaurare un rapporto con me. Non sembrava afflitto, comunque. Anzi, sembrava pieno di energie.
“Non pensi che io ti possa aiutare?” chiese, mentre cercava di capire il perchè della mia presa in giro.
“Certo che non mi puoi aiutare,” gli dissi con tono superbo. “Markman non ce l'ha fatta, cosa ti fa pensare che tu ci riusciresti?”
Non rispose perchè non aveva nessuna risposta. Annuii, soddisfatto, e usai il mio dito indice per sfumare una linea sulla fronte di Frank.
“Come sta Frank?” chiese in modo informale, indicando il mio disegno.
Gli lanciai un'occhiataccia. Come cazzo facevo a sapere come stesse Frank?
Brendon doveva aver capito di aver superato il limite, perchè velocemente si alzò e se ne andò. Probabilmente aveva interpretato il mio sguardo nel modo giusto, come un avvertimento del fatto che gli stavo per spaccare la faccia.
Non ero stato da solo nemmeno per dieci minuti, che la Dottoressa Malefica arrivò per informarmi che la sessione di terapia di gruppo stava per cominciare, e che era richiesta la mia presenza. Roteai gli occhi e la seguii verso la sala in cui erano state messe tutte le sedie in cerchio. Mi sedetti cautamente su una sedia vuota, guardando con attenzione gli altri pazienti. Con mio grande sollievo, sembravano tutti disinteressati alla mia esistenza e alla mia partecipazione a quella sessione.
Non l'avrei mai detto a nessuno, ma ero spaventato. Avevo paura degli altri pazienti. Erano persino più pazzi di quelli che avevo incontrato a Bluestone. Volevo tornare alla mia vecchia clinica più di qualsiasi altra cosa. Volevo vedere di nuovo Frank e addormentarmi accanto a lui. Dannazione, non ero nemmeno contrario al rivedere Markman. Almeno lei non usava le sue forze malefiche per costringermi a tirare fuori i miei sentimenti.
Le tecniche della Dottoressa Malefica erano la cosa che mi rendevano più ansioso in quella terapia. Non volevo che mi facesse dire nulla che poi avrei rimpianto, di fronte agli altri matti. Asciugai i palmi sudati sui pantaloni di cotone blu che stavo indossando. Aggrottai la fronte vedendo la macchia che le mie mani sporche avevano lasciato sul tessuto. Un'altra cosa che odiavo di quel posto era la totale assenza di privilegi. Non avevo nulla. Non potevo uscire. Non potevo prendere spuntini dalla caffetteria, e non mi era concesso indossare nulla che non fosse quella divisa che ci avevano dato il primo giorno.
Mi ero svegliato indossando i pantaloni azzurri del pigiama e una maglietta bianca. Non sapevo nemmeno cosa fosse successo ai miei jeans.
Erano i miei jeans preferiti. Se fossi stato sveglio quando li avevano presi, avrei lottato ferocemente per tenerli.
Ero anche obbligato a portare le pantofole. Avevo detto a ogni infermiera e ad ogni inserviente che non volevo indossarle, ma a loro non importava. Era davvero ingiusto. Era ingiusto “conquistarsi” i privilegi per i vestiti. Vestiti rispettabili e appropriati alla mia età sarebbero dovuti essere considerati come una regola primaria. Mi segnai mentalmente di parlare con mio padre, affinchè usasse la sua influenza per creare una specie di regolamento.
La Dottoressa Malefica aveva già iniziato la terapia, ma io non stavo prestando attenzione. Stavo ispezionando gli altri pazienti. Misha era seduto tutto fermo sulla sua sedia, e ascoltava molto attentamente la dottoressa. I suoi capelli dritti erano strapieni di gel, che gli faceva alzare molte ciocche all'insù. Accanto a Misha c'era una donna più grande di nome Jess. Avevo sentito la settimana precedente della sua litigata con un'infermiera che reputava inutile darle due porzioni di cibo per cena ogni sera. Jess aveva detto chiaramente che una era per lei e una era per suo marito, che l'avrebbe raggiunta a breve. Suo marito era incredibilmente arrabbiato, per essere un uomo morto da dodici anni.
“Morirete tutti.”
Girai la testa per guardare il ragazzone che si era alzato in piedi per annunciare la sua predizione al gruppo. Non sapevo il suo nome, ma indossava una maglietta nera con sopra dei mostruosi disegni a forma di teschio, quindi decisi di chiamarlo Skull*.
La Dottoressa Malefica sembrava sconcertata da quello che aveva detto il ragazzo. “Jonas, non è appropriato,” disse, indicandogli di sedersi. Il suo nome era Jonas? Che nome stupido. Decisi di continuare a riferirmi a lui come Skull.
“Certo che non è appropriato, ma è la verità,” disse lui, rimanendo in piedi. Si girò indicando tutti ad uno ad uno. “Morirete.” Indicò la persona successiva. “Morirai anche tu. E tu.” indicò Jess. “E anche tu. Vi ucciderò tutti.”
Restai senza fiato. Adesso Skull sembrava un nome davvero appropriato per quello psicopatico. Perchè la dottoressa gli permetteva di minacciare tutti? Se avesse puntato il suo dito scheletrico verso di me, glielo avrei spezzato in due.
“Jonas, smettila. Non ucciderai nessuno.”
“Ucciderò tutti,” insistette Skull, indicando le tre persone successive nel cerchio. Ero io il prossimo. Se avesse provato a minacciarmi, avrei mostrato a lui e a tutti quanti che sbaglio fosse mettersi contro Gerard Way. “E ucciderò te!” disse apertamente, puntando il dito nella mia direzione.
Mi bloccai. Non mi alzai dalla sedia, ne' gli spezzai il dito come avevo programmato. La paura mi teneva incollato al mio posto. “E...” Skull si fermò improvvisamente e si girò piano per guardarmi, come avesse percepito il mio intenso odio verso di lui. “Oh,” fece, spalancando gli occhi in maniera incredibile. Sembrava sorpreso. “Errore mio. Non sarò io a ucciderti.” disse, parlando direttamente a me.
Che cazzo stava succedendo?
“No. Non avrò l'occasione di ucciderti. Loro ti prenderanno per primi. Fanculo,” mormorò. “E' ingiusto.”
Senza pensarci, mi alzai dalla sedia e mi buttai su Skull con tutta la forza che avevo. Lo colsi di sorpresa, prendendolo per la gola mentre lo appendevo al muro, togliendolo dal circolo di sedie.
“Come sai di Loro?!” schioccai, comprimendogli più forte che potevo la trachea con la mano. Sapevo che non avrei ottenuto risposta se avessi continuato a soffocarlo, ma era troppo bello per smettere.
Riuscii a tenerlo per la gola un paio di secondi, prima che qualcuno mi tirasse indietro. Non mi opposi; odiavo essere sedato. I sedativi mi facevano male alla testa per ore. Skull si massaggiò con cautela il collo e mi sputò. “Hai paura, frocio?” raschiò malignamente. “Hai paura perchè Loro stanno per venirti a prendere?” si passò il dito sulla fronte, simulando di aprirla.
Mi avvicinai a lui di nuovo, ma gli infermieri mi tirarono indietro e mi trascinarono nella direzione opposta. Tutti quelli che erano nel cerchio adesso stavano in piedi, guardandomi interessati, con le loro stupide facce. La Dottoressa Malefica sembrava davvero sconcertata. Scommettevo che stesse pensato di avermi inquadrato del tutto. Nessuno inquadrava Gerard.
“Come sai di Loro?” urlai, mentre i due infermieri mi tenevano per le braccia, intenti a portarmi fuori dalla stanza.
Skull non rispose. Mo sogghignò, tenendosi una mano sulla gola.
Non lottai contro i due infermieri, mentre mi scortavano nella mia camera. Mi fecero entrare e poi mi fecero sedere sul pezzo di legno che spacciavano per un letto. “Ti comporterai bene?” chiese uno dei due.
Annuii con rispetto in modo che non pensassero che fosse necessario legarmi al letto. Se ne andarono, lasciandomi da solo e terrorizzato.
Come cazzo faceva Skull a sapere chi fossero Loro? Non avevo mai detto una singola parola che li riguardasse, in quel posto. Non li avevo neanche menzionati alla Dottoressa Malefica. Certamente lei sapeva di quella situazione, Markman aveva scritto un sacco sul mio file. Ma, era Skull la loro spia? Era lui la spia di cui mi aveva avvertito Jasper? Skull era uno di Loro? Mi sdraiai sul letto, accoccolandomi in posizione fetale contro il muro. Passai un sacco di tempo messo così. Volevo essere forte, ma ero solo un patetico pezzo di merda che aveva distrutto suo fratello e aveva perso l'amore della sua vita.
La porta si aprì e il mio battito accelerò immediatamente, considerando subito che potessero essere Loro. Non avevo il coraggio di girarmi a guardare. Il mio visitatore si sedette sul bordo del materasso.. Decisi che fosse la Dottoressa Malefica, basandomi soltanto sul fatto che la sua piccola ossatura non riempisse quasi per nulla il letto.
“Gerard,” cominciò. Mi sentii orgoglioso di aver indovinato chi fosse. Tenni gli occhi aperti, non facendole capire che la stessi ascoltando. “Non badare alle minacce di Jonas, davvero. Minaccia di far male alle persone da due anni, ogni giorno, e ancora non ha fatto male a una mosca. Non devi avere paura di lui.”
Aveva torto marcio. Non avevo paura di Skull. Avevo paura di Loro. Skull potevo sopportarlo. Potevo sopportare il fatto che mi avesse chiamato 'frocio'. Ma non sopportavo il fatto che sapesse che Loro mi stavano per uccidere. Non sopportavo il fatto che Jasper avesse ragione. Stavo per morire. Presto. Sapevo chi ero. Sapevo certe cose, ricordate?
“Gerard?”
Restai fermo fino a quando la Dottoressa Malefica lasciò la stanza. Forse pensava che stessi dormendo? Non lo sapevo. Non mi importava. Tutto ciò che mi importava era rimanere in vita... e Frank.

Alla fine mi addormentai. Non sognai. Non sognavo da molto tempo. La cosa non mi dispiaceva -i miei sogni di solito riguardavano sangue, fratelli morti o fidanzati morti. Mi svegliai improvvisamente quando qualcuno mi chiamò. Mi stavano dicendo che avevo visite. Pensavo fosse uno sbaglio. Non ricevevo visitatori.
Frank era dall'altra parte del paese e nessun altro si sarebbe preoccupato di me.
Feci finta di essere ancora addormentato e alla fine l' infermiera scomparì. Forse aveva detto al mio visitatore di andarsene. Mi chiedevo se fosse Lindsey. Forse era qui per prepararmi al processo? La porta si aprì di nuovo e poco tempo dopo sentii il passo di un paio di scarpe di cuoio sul pavimento. La persona si sedette al bordo del mio letto, ma era molto più pesante della Dottoressa Malefica.
“Gerard?”
Il visitatore era mio padre. Che sorpresa. Ma non una sorpresa piacevole. Avevo deciso che non mi stava molto simpatico -praticamente mi aveva condannato a morte, mandandomi in questo posto. Lo ignorai. Preferivo far finta di dormire, piuttosto che dover conversare con lui.
Mio padre mi strinse forte la spalla e mi girò in modo che fossi di schiena, per poterlo guardare. Non mi aspettavo questa reazione improvvisa, e istintivamente aprii gli occhi. Diedi uno sguardo al suo volto severo e cercai di girarmi di nuovo. Non sembrava contento di quello che stavo facendo.
“Gerard,” disse seccato, bloccandomi la spalla sul materasso, per non farmi muovere. “Non essere scortese.”
Non risposi, né alzai gli occhi al cielo. Lo guardai soltanto, sconfitto.
“Come stai?”
“Bene,” mentii. Non stavo bene. Stavo per morire. Mi chiesi se avrei avuto l'opportunità di salutare Frank. Forse potevo scrivergli una lettera.
Mio padre realizzò improvvisamente che mi stava stringendo molto forte la spalla, e la lasciò andare. Rotolai di fianco per guardare il muro.
“Oh, Gerard,” sospirò lui, frustrato. “Mi avevano avvisato del fatto che tu non saresti stato pronto a vedermi di nuovo.”
“Sono le stesse persone che ti hanno avvisato di dimenticarmi mentre ero a Bluestone?” chiesi d'un tratto, guardandomi alle spalle.
Sembrava imbarazzato. “Non mi sono dimenticato di te. Mi hanno detto che la tua guarigione sarebbe stata più facile se non ti fossi venuto a trovare.”
Mi morsi il labbro e scossi la testa, deluso. “Certo che sì. Grazie a dio che c'è qualcuno che pensa al posto tuo. “Oh, hey, ti hanno già detto cosa mangerai a colazione domani?” chiesi sarcastico. “O, e se ti dicessero che mangerai uova, mentre tu vuoi i cereali? Dovrai mangiare le uova?”
Sapeva di meritarlo. Mi aveva abbandonato. “Gerard, mi dispiace.”
“Non ho mai avuto nemmeno un visitatore. Mai. Sai, pensavo davvero di essere un orfano senza famiglia, lasciato in affidamento allo stato. Ma per tutto questo tempo sono stato tuo figlio, e tu non sei mai venuto a farmi visita.”
Seguì un silenzio imbarazzante. Non lo avrei mai perdonato per avermi abbandonato. Ne aveva tutto il diritto, certo, considerando ciò che avevo fatto a Mikey, ma questo non lo rendeva meno doloroso.
“Devo andare,” disse lui, rompendo il silenzio. Mi toccò con delicatezza la spalla. “C'è qualcosa che posso fare per te?”
Decisi di cogliere l'occasione per chiedergli dei miei vestiti. “Puoi farmi riavere i miei vecchi abiti?” domandai.
“Oh, no, Gerard, è qualcosa che ti devi guadagnare. Sono sicuro che te li ridaranno appena te li sarai meritati. Niente più battaglie,” disse scherzoso.
Sospirai e mi afferrai la maglietta di cotone. “Non posso indossare questa roba,” obiettai.
“Cos'ha che non va?”
“Prude ed è orrenda.”
“E allora? Comportati bene e in un men che non si dica riavrai i tuoi jeans.”
Non avevo tempo. Stavo per morire. Mi sarei dannato se fossi morto con un paio di pantofole. “Non voglio morire vestito così,” dissi scontroso.
Mio padre sembrava allarmato. “Gerard, non stai per morire. Perchè dici una cosa del genere?”
Alzai un sopracciglio. “Certo che sì. Loro potrebbero venirmi a prendere da un momento all'altro.”
Era davvero confuso. “Loro? Gerard, no! No! Loro non sono reali. Sono un'allucinazione. Loro sono la ragione per cui hai ferito Mikey. Ricordi? Non ti faranno del male, perchè non sono reali. Okay?”
Non mi aspettavo che mi capisse. Nessuno mi capiva. Loro erano reali. Stavano arrivando per prendere i miei segreti, e non c'era modo di fermarli. Anche Skull lo sapeva. Avrebbero preso i miei segreti, e il mondo sarebbe finito.
Mi fermai improvvisamente, quando ebbi un'idea geniale. Forse non potevo fermarli e sapevo che sarebbe stato altrettanto inutile cercare di non farli entrare nel mio cervello. Ma potevo controllare cosa sarebbe successo dopo che avrebbero preso i miei segreti. Potevo evitare la fine del mondo. Non potevo salvarmi, ma potevo salvare l'umanità.
Mio padre se ne andò, e ricominciai a fissare il muro. Potevo evitare la fine del mondo -solo che non ero sicuro come.
Quella sera non lasciai la stanza per andare a cena, e nemmeno per andare a colazione il mattino dopo, quindi le infermiere mi minacciarono di mettere un punto rosso accanto al mio nome, se non fossi andato alla mensa per pranzo. Il punto rosso era la cosa peggiore che ti potesse capitare in quel posto. I punti bianchi erano i migliori. Se avevi cinque punti bianchi, passavi di categoria e ottenevi dei privilegi. Se avevi più di cinque punti rossi, tutti i tuoi bianchi venivano cancellati; scendevi di categoria e perdevi i tuoi privilegi. Ne avevo già tre rossi e anche se non avevo nessun privilegio da perdere, non avevo particolarmente voglia di essere conosciuto come il ragazzo che aveva raggiunto cinque punti rossi nella sua prima settimana.
Quelli bianchi ti venivano dati se in qualche modo aiutavi a pulire l'aula di disegno. Io ne avevo solo uno, e Brendon me l'aveva dato quando mi aveva visto raccogliere una cartaccia dal pavimento. L'avevo raccolto soltanto perchè pensavo che fosse qualcosa che avessero scritto gli altri pazienti. Speravo che fosse una specie di pettegolezzo che potessi usare a mio vantaggio. I punti rossi li avevo avuti per aver soffocato Skull, per aver preso a parolacce Brendon e per aver lanciato le mie pantofole dalla piccola finestra del bagno, il primo giorno.
Alla fine me ne avevano dato subito un altro paio, quindi i miei sforzi per riavere le mie scarpe erano stati inutili, ma ne era valsa la pena. Volevo davvero sapere cose avrebbe pensato il giardiniere, trovandole nei cespugli.
Mangiai il pasto più velocemente che potessi, tenendo gli occhi bassi per tutto il tempo. Sapevo che la gente mi stava guardando. Non era un posto molto emozionante; l'avevo capito nelle prime ventiquattro ore. La mia rissa con Skull, il giorno prima, probabilmente era stata la cosa più interessante che fosse successa da molto tempo.
Appena mi misi il panino al butto d' arachidi in bocca, mi alzai e mi diressi verso la mia camere. Ero solo a un paio di mentre dalla porta, quando qualcuno saltò di fronte a me, bloccandomi l'ingresso.
“Hey!” Non capivo come tutti potessero essere così allegri in quella prigione. L'entusiasmo di quel ragazzo mi fece venire la nausea.
Cercai di allontanarmi, ma lui mi seguì. Feci un respiro profondo e cercai di non guardarlo. “Va avanti” gli dissi in modo scortese.
“Sono Pedro,” disse, porgendomi la mano. Lo guardai accigliato. Non ero lì per farmi degli amici, specialmente non qualcuno che si chiamasse Pedro.
Feci un altro passo di lato, ma lui mi copiò, ancora intenzionato a fermare il mio cammino. “Fanculo,” dissi rabbiosamente.
“Come ti chiami?” persistette Pedro, con la mano ancora stesa, in un gesto di benvenuto. “Se me lo dici ti farò passare.”
Fissai la sua faccia brufolosa. Stava mentendo? Dirglielo sarebbe stato dannoso? Avrebbe già dovuto sapere chi ero. Il mio nome era sulla Lavagna Punti, da quanto sapevo. Il mio nome era quello con tutti i punti rossi. Non si poteva non vedere.
“Gerard,” risposi scontroso.
Pedro sorrise. “Piacere di conoscerti, Gerard,” disse lui, mettendo più avanti la mano, cercando di stringere la mia. Non vedevo nessun lato negativo in una stretta di mano, quindi presi la sua e la strinsi con forza, cercando di intimidirlo. Lui improvvisamente mi strinse il polso con l'altra mano e mi fece quasi cadere, inclinandomi verso di lui. Raggiunse la mia mano libera e la prese con fermezza, scrutando attentamente il mio palmo con i suoi occhi spenti.
“Ma che cazzo?” mi opposi, tirando indietro la mano.
Pedro sembrava infastidito. “Voglio solo leggerti il palmo,” disse, allungandosi per riprendermela di nuovo. Velocemente misi la mano nella tasca del pigiama.
“Fanculo,” dissi in modo acido, continuando a camminare.
“Si chiama Chiromanzia. E' una vera e propria arte,” mi informò lui, correndo per raggiungermi. Mi scosse la mano davanti al viso. “Vedi queste linee?” mi chiese, facendo passare un dito al centro del suo palmo. “E' chiamata Linea del Cuore. Esprime le tue emozioni, specialmente l'amore. Sei mai stato innamorato? Scommetto che posso dirtelo guardando la tua linea.”
Mi fermai per guardare Pedro, e il suo entusiasmo contagioso. La Chiromanzia era un trucco. Ero sicuro che non si potesse dire a qualcuno di essere stato innamorato soltanto leggendo la linea della sua mano? “Allora vai,” dissi consenziente, porgendogli la mia mano sinistra.
Perdo la strinse con forza e con leggerezza fece correre le dita sul mio palmo. “Vedi questa?” disse, tracciando una scia sulla linea superiore. “Questa è la tua Linea del Cuore.” Mi guardò e sorrise. “Sei innamorato,” disse risoluto.
“Sì,” ammisi con imbarazzo.
“Di un ragazzo,” continuò.
Spalancai gli occhi. “Come fai a dirlo dal mio palmo?” chiesi, sorpreso.
Pedro sembrava divertito. “No. Jonas ti ha chiamato frocio. Significa soltanto una cosa, sai?”
“Fanculo Jonas,” grugnii, portando indietro la mano.
Lui la prese di nuovo. “Non ho finito,” disse con tono di disapprovazione, continuando ad analizzare il mio palmo. “Ora, la prossima è la tua linea della vita. Ti dice quando morirai.” Mi lasciò andare la mano e me la mostrò. “Vedi?” disse, indicando la sua. “Questa mi dice che vivrò sessantasette anni. Morirò di infarto miocardico.”
Ero convinto che il novantacinque percento di ciò che diceva Pedro fossero stronzate. L'altro cinque percento era di dubbio, ma ero incredibilmente curioso. Sarei morto presto. Nessuno lo sapeva tranne me. Se Pedro era un vero chiromante, mi avrebbe detto quando sarei morto. Gli presentai il mio palmo e gli chiesi di leggere la mia linea della vita.
Pedro sembrava preoccupato. “Gerard, molte persone non vogliono sapere quando moriranno. O come. E' una cosa grossa, sul serio. Potrebbe mandarti in pezzi. Ho detto a Mel che sarebbe morta esattamente dopo una settimana e indovina cosa è successo una settimana dopo? E' morta.
“Fallo,” gli ordinai.
Con riluttanza, prese il mio palmo e lo esaminò. Poi, dopo un minuto, cominciò a dare di matto. Lasciò andare la mia mano come se fosse una granata, e si allontanò timorosamente da me.
Anche io mi spaventai. “Cosa?” domandai con urgenza. “Cosa dice?”
Pedro si afferrò la testa. “Gerard!” disse lui, nel panico. “Non ne hai una!”
“Che cazzo vuol dire?” chiesi, con il cuore che cominciava a battermi veloce. Mi guardai i palmi, in attesa di risposta.
Si guardò attorno, nervoso. “Gerard, non hai una linea della vita.”
Stava per caso dicendo che ero già morto? Ero uno zombie? Non capivo.
“La morte sta arrivando a prenderti, Gerard!” Pedro cominciò ad allontanarsi da me, come se volessi ucciderlo. Si girò a guardarmi solo una volta.
“Aspetta!” lo chiamai, cercando di raggiungerlo. “Come morirò?” lo implorai. Volevo essere pronto.
Pedro esitò per un secondo. “Il tuo cervello esploderà, Gerard. Mi dispiace.” se ne andò, lasciandomi davanti alla porta della mia camera, in stato di shock.
Feci un passo di lato per appoggiarmi al muro. Le mie ginocchia stavano per cedere e mi sentivo svenire. Il mio cervello sarebbe esploso. Anche Pedro sapeva che Loro stavano arrivando per aprirmi la testa. Non avevo una linea della vita; ero già morto. Velocemente mi rimisi in piedi e andai a cercare la Dottoressa Malefica. Dovevo convincerla a trasferirmi in un' altra clinica. Avevo bisogno di più tempo per pensare a un modo per nascondermi da Loro.
Brock era molto diversa da Bluestone e i dottori non erano immediatamente raggiungibili. A Bluestone potevo entrare nell'ufficio di Markman quando volevo. Invece qui dovevo parlare prima con una segretaria.
“Hai un appuntamento?” chiese la segretaria, guardandomi attraverso gli occhiali.
“No, ma è urgente. Devo vedere la dottoressa. Immediatamente. E' questione di vita o di morte.” Letteralmente.
Lei scosse la testa. “Mi dispiace, ma in questo momento la Dottoressa Morgan non è raggiungibile. Vuole lasciarle un messaggio?”
“No!” dissi scocciato, sbattendo i piedi per terra come un bambino. “Per favore, solo cinque minuti.”
“Che succede, Gerard?” alzai lo sguardo e vidi la Dottoressa Malefica che mi fissava dall'entrata del suo ufficio. Mi sforzai di calmarmi. “Devo parlarle.”
Lei annuì. “Okay, avanti,” disse gentilmente, facendomi cenno di entrare.
Feci un grande sospiro di sollievo e mi affrettai ad entrare nella stanza. Mi sedetti sul divano di pelle. La dottoressa mise una sedia vicino a me e si sedette.
“Sono abbastanza sorpresa che tu voglia parlare con me,” disse. “Non hai mai mostrato interesse per questa cosa, in passato.”
“Devo essere trasferito,” dissi schiettamente, ignorando la sua osservazione sulla mia solita assenza di partecipazione alla terapia.
“Ah,” disse lei, annuendo come se si aspettasse che dicessi una cosa del genere. “Perchè Loro stanno venendo a prenderti? Corretto?” mi derise. Non capiva quanto fosse potente la loro organizzazione. Non capiva che il mondo era in pericolo.
“Sì,” risposi, stringendo insieme le mani con forza. “Come fa a saperlo?”
“Tuo padre mi ha detto che avevi l'impressione che Loro stessero per venirti a prendere,” disse, perforandomi con gli occhi.
Come aveva potuto dirle tutto! Non ne aveva il diritto. Scacciai il bisogno di lamentarmi. Avevo cose più importanti di cui discutere. “Allora, quando posso trasferirmi? Andrò da qualsiasi altra parte.”
“Non ti trasferirò,” disse lei.
Chiusi gli occhi e contai fino a dieci. Una volta riaperti, dissi di nuovo, “voglio essere trasferito. Dove posso andare?”
La dottoressa scosse la testa. “Non andrai da nessuna parte, Gerard. Mi dispiace.”
Mormorai un fiume di improperi. Era un disastro. Perchè non capiva cosa sarebbe successo?
“Gerard, voglio leggerti una cosa.” disse lei, prendendo un foglio dalla dal cassetto della scrivania. Me lo porse. Lessi con disgusto le prime righe:
'Tipi di Schizofrenia: Schizofrenia Paranoide -Queste persone hanno molto sospetto per gli altri e spesso hanno grandi manie di persecuzione alla base del loro comportamento. Allucinazioni, e molto più frequentemente illusioni, sono una parte prominente e comune della malattia.'
“Suona familiare, Gerard? Grandi manie di persecuzione? Ti ricorda qualcosa?
“Se si riferisce a Loro, si sta sbagliando,” dissi con rabbia.
“Davvero?” chiese. “Qualcun altro ha mai visto Loro, Gerard? Hai detto che ti sono venuti a trovare parecchie volte. Perchè nessun altro li ha visti? Gerard, tu li hai descritti come soldati di un esercito. Perchè nessun altro ha mai visto dei soldati dell'esercito girovagare attorno alla clinica?”
Non era ovvio? “Le persone sono accecate dai propri problemi. Perchè dovrebbero badare ai miei?” dissi.
“Allora, neanche Frank li ha mai visti? Era lì quando tu pensavi che Loro ti avessero trovato, no? Non lo stavi stringendo quando gli hanno puntato una pistola alla tempia? Perchè lui non li ha visti? A lui importa di te. Gli importa dei tuoi problemi. Non avrebbe dovuto vederli. Infatti, non li ha visti. Forse non li ha visti perchè non sono mai esistiti?”
Avevo gli occhi bagnati di lacrime. Non volevo ascoltarla. Non sapevo perchè Frank non li avesse mai visti. Non ci avevo mai pensato prima. Mi diceva sempre che Loro non erano reali. Forse non lo erano davvero. “Perchè io li ho visti, se non c'erano veramente?” chiesi. Ero così confuso. Non capivo. Ero del tutto pazzo. Non sapevo più cosa fosse reale.
“Perchè soffri di una malattia mentale chiamata schizofrenia. Hai delle allucinazioni. Loro sono un'allucinazione. Jasper è un'allucinazione.”
“Ma Pedro ha detto...” cominciai, e la Dottoressa Malefica mi guardò esasperata.
“Ti ha detto che stai per morire?” chiese.
Come faceva a saperlo? Annuii cautamente.
“Pedro mi ha detto che sarei stata sbranata da un orso in campeggio all'età di trentacinque anni. Indovina quanti anni ho, Gerard?” chiese.
Mi chiedevo se fosse una domanda a trabocchetto. Non volevo dire un'età che fosse troppo alta. Non volevo che si arrabbiasse con me per aver detto che sembrava più vecchia di quanto in realtà fosse. Feci spallucce.
La dottoressa incrociò le braccia. “Farò trentotto anni fra due mesi. Non ho mai visto un orso in vita mia, e odio il campeggio.”
“Quindi?”
“Quindi? Pedro si inventa le cose. Dice bugie. Gli piace spaventare la gente dicendogli quando moriranno. Ti ha detto quando morirà lui? A me ha detto che morirà per mano di cannibali metropolitani dei tempi d'oggi. Molto fantasioso.”
A me aveva detto che sarebbe morto di arresto cardiaco. Quel fottuto testa di cazzo. Come aveva osato inventare stronzate su di me? Mi guardai i palmi, e poi le linee. Non sapevo quale fosse quella della vita, ma probabilmente non era inesistente, come diceva Pedro. Forse non ero ancora morto, dopo tutto.
“Non distrarti ora, Gerard. Sai cosa voglio dire quando ti dico che soffri di Schizofrenia?”
Scossi la testa. “Non ne voglio parlare,” dissi, coprendomi le orecchie con le mani. Non volevo sentire più quella parola: Schizofrenia. Era tutto ciò di ci aveva parlato Markman. Era sempre: ho questo disturbo, oppure ho una malattia. Aveva tentato di convincermi che ero difettoso -ma non lo ero. Il mio cervello era perfetto -ecco perchè ero stato scelto per custodire i segreti. Non sarei mai stato scelto se avessi avuto qualche problema al cervello.
“Gerard,” disse la dottoressa con delicatezza, togliendomi le mani dalla testa.
“Mi trasferirà?” chiesi. Lei scosse la testa. Mi alzai. “Me ne andrò nella mia stanza,” dissi, uscendo fuori. Mi fermai alla porta e mi girai a guardarla. “A morire,” aggiunsi, per un effetto drammatico.
Passai i tre giorni successivi rannicchiato sul mio letto, guardando il muro. Li aspettavo. La Dottoressa Malefica venne a vedere come stavo almeno dieci volte. Provò di tutto per farmi uscire dalla stanza, ma mi rifiutai. Avrei aspettato lì fino alla fine.
Mi ero arreso. Non avevo la più pallida idea di come poter salvare il mondo, ma non mi importavo molto, comunque. Non avevo neanche scritto la mia lettera a Frank. Mi chiedevo se pensasse a me tanto quanto io pensavo a lui. Probabilmente no.
Mentre giacevo nel mio stato di rassegnazione, combattendo il sonno, decisi di passare attraverso i miei ricordi. Ne trovai uno delle mie prime settimane a Bluestone. Stavamo guardando un film. Non riuscivo a ricordare il titolo. Tutto quello che sapevo era che si trattava di un' orribile commedia romantica. C'era una scena, comunque, che era rimasta impressa nel mio cervello. La protagonista si era addormentata sul letto, e il suo amore si era sdraiato su di lei, e ricordavo chiaramente che l'avesse svegliata con un bacio devoto sulle labbra. Dopo che si era svegliata, vissero tutti felici e contenti. Era un film di merda.
Pensavo che le cose da film non succedessero mai nella vita reale. Ma ovviamente mi sbagliavo. Perchè mi sbagliavo? Perchè Frank mi stava dando il bacio del risveglio in quel momento. Anche se i miei occhi erano chiusi, sapevo che era lui. Riuscivo a sentire il suo odore. Ed era fantastico.
Aprii gli occhi e strinsi le braccia attorno a Frank, abbracciandolo stretto. Lo allontanai e lo sdraiai sul materasso. Poi mi sdraiai anche io, quasi sopra di lui, baciandolo per davvero. Mi fermai solo per chiedergli “Perchè sei qui?”
Lui alzò le spalle. “La Dottoressa Morgan ha detto a Markman che eri davvero depresso. Allora Markman me l'ha detto, e mi ha chiesto se potevo venirti a trovare. E io ho detto di sì.”
“Non sono depresso,” obiettai debolmente. Forse sì, non ne avevo idea. In ogni caso l'avrei negato.
Frank si morse il labbro. “Bhè, parli del fatto che stai per morire, Gerard. E' una cosa abbastanza deprimente.”
“E' vero.”
Lui non rispose, né dibatté. Prese la parte inferiore della mia testa e mi avvicinò per potermi baciare di nuovo.
“Come stai?” lo interruppi. Non era che non volevo stare lì per sempre con Frank a baciarlo. Era che avevo un sacco di cose da dirgli, prima che se ne andasse. Non poteva restare a lungo. I tempi di visita in quel posto erano molto brevi, specialmente per persone come me che non avevano nessun privilegio.
Frank annuì. “Sto bene,” disse.
“Non mentire,” lo avvertii, e lui sembrò irritarsi.
“Quindi non mi è concesso stare bene?” chiese.
“Non ti è concesso dire che stai bene quando non è così.” Non poteva stare bene per davvero. L'ultima volta che l'avevo visto era ancora afflitto.
Frank mi allontanò e si mise a sedere. “Che ne sai di come sto? Non sai nulla di me da due settimane.”
“E' questo il punto!” insistetti. “Sono solo due settimane. Non può succedere nulla in due settimane.”
Sembrava arrabbiato. “Possono succedere molte cose in due settimane,” si oppose.
Non gli credevo. “Per esempio?” Forse si era fatto un nuovo amico. Forse aveva conosciuto qualcuno di nuovo. Forse questa persona era più di un amico. Forse aveva trovato qualcun altro da amare.
“Molte cose, okay?”
Annuii. Mi ero sbagliato. Era ancora afflitto. Pensavo di poterlo mettere a posto, ma avevo fallito. Avevo fallito come per qualsiasi cosa che avessi fatto. Avevo fallito anche come custode dei segreti.
“Cosa c'è che non va?” chiese lui. Era bravo a capire quando stavo soffrendo.
Mi sedetti contro il muro, portandomi le ginocchia al petto. “Ho fallito.” Ero un perdente. Non sapevo nemmeno perchè Frank fosse venuto a trovarmi. Non capivo proprio perchè volesse vedermi. Gli avevo detto che l'avrei guarito, e lui mi aveva lasciato scopare con lui, credendo che questo lo avrebbe rimesso a posto.
Improvvisamente Frank mi prese la mano e la premette sul suo petto. “Cosa stai-?” dissi. L'ultima volta che qualcuno mi aveva preso la mano, avevo scoperto che il mio cervello sarebbe esploso.
“Shhh!” disse a voce alta, posandomi due dita sulle labbra. “Lo senti?” chiese. Si avvicinò a me, piegandomi il braccio.
In quell' esatto momento ero davvero perplesso su cosa stesse cercando di comunicarmi. Scossi la mano, ma Frank non si mosse. Rimosse il mio palmo dal suo petto per togliersi la maglietta. Poi portò di nuovo la mia mano su di sé, ma questa volta non c'erano vestiti a contatto con la nostra pelle. “Lo senti?” chiese di nuovo.
“Sento il tuo cuore che batte?” dissi lentamente, confuso.
Frank sorrise. “Esattamente.”
“Huh?”
“Il mio cuore sta battendo, Gerard.”
Annuii. “Bhè, sì, se non battesse saresti morto,” dissi in modo ragionevole.
Sospirò. “Gerard, ho aspettato che il mio cuore ricominciasse a battere per almeno due anni.”
Oh. Oh. Non diceva in modo letterale. Mi sentii abbastanza stupido.
“Ho aspettato per tantissimo tempo. Ha smesso di battere perchè mi sentivo morto. Mi sentivo così disgustoso, sporco e me ne vergognavo, mi sentivo violentato e il mio corpo si è spento. Non volevo vivere più e sembrava che il mio cuore avesse smesso si battere. E' stato fermo per così tanto che pensavo sarebbe rimasto così per sempre.” Sembrava davvero triste, riportando a galla quel ricordo. Mi diede un colpetto sul braccio. “Ma poi sei arrivato tu, con le tue stupide teorie e la tua stupida faccia, e hai cominciato ad aiutarmi!” Premette la mia mano più forte sul suo petto. “Sei arrivato e sei riuscito a farlo battere per un paio di secondi, e per quei preziosi secondi io mi sono sentito vivo. Ma poi si è fermato e io sono tornato ad essere morto.”
Lentamente alzai la mano libera per toccare la sua guancia.
“Poi è ricominciato di nuovo. Non ricordi? Mi hai chiesto perchè il petto mi facesse male? Non mi faceva male. Era la migliore sensazione del mondo. Gerard, io non sono ancora morto. Riesco a sentire il cuore battere tutto il tempo. Mi sento vivo, tutto il tempo. Gerard, tu...”
“Ti ho guarito,” dissi, incredulo.
Sì,” disse lui a voce bassa. “Gerard, sto bene. Starò bene.”
Mi avvicinai e lo presi fra le mie braccia. Non pensavo che sapesse davvero quanto significava per me sentigli dire tutto questo. Non sarei morto preoccupandomi ancora per lui, e questo mi confortava immensamente.
Frank mi restituì l'abbraccio, più stretto di quanto avesse mai fatto. Era l'abbraccio d'addio. “Markman mi dimette,” mormorò sul mio petto.
Non avevo nulla da dire. Premetti le labbra sulla sua testa e sperai che non vedesse la piccola lacrima che mi stava scorrendo sulla guancia. Lo avevo guarito. Avevo distrutto Mikey, ma avevo guarito Frank. Mi sentivo come se avessi ripagato qualche debito del karma con l'universo. Avrei dovuto sapere fin dall'inizio cosa avevo fatto a Mikey. Forse era stato perchè ero stato troppo impegnato a un modo per guarire Frank. Per tutto quel tempo avevo cercato di trovare un modo per farmi perdonare da mio fratello.
“Ti amo.”
Aveva il viso sepolto sul mio petto, ma lo spostai per baciarlo. Non mi importava se vedeva quelle stupide lacrime e la mia debolezza. Lo amavo più di qualsiasi altra cosa. Lo avevo guarito.
“Ti amo,” ripetè lui, con le labbra ancora premute sulle mie. Lo aveva detto per la prima volta. Mi amava.
Frank restò abbracciato a me fino a quando l'infermiera arrivò per farlo andare via. Ora era davanti alla porta, con i capelli arruffati e la maglietta arricciata sulla vita.
“Ciao, Gerard,” disse con tristezza.
“Ti amo,” gli ricordai, e lui sorrise gioiosamente.
“Ci vediamo dopo?” chiese, aprendo la porta.
Scossi la testa. Non l'avrei visto più tardi. Frank si morse il labbro e annuì. “Giusto,” disse, ricordando la rivelazione sulla mia morte imminente. “Bhè, sappi solo che ti amo, okay? Ti amo e starò bene. Okay?”
Annuii. Frank si alzò in piedi per baciarmi un' ultima volta, poi se ne andò.
Toccai la porta, sfiorandola come una ragazzina. Il mio cuore era troppo pieno per rompersi, ma riuscivo già a sentire le crepe che si formavano. Non ebbi il tempo di rimuginare sul mio ultimo incontro con Frank, perchè la mia ombra contro la porta tremò, offuscata da qualcuno che si era messo davanti alla finestra.
Mi girai, cercando con paura la finestra. Molte altre ombre si erano posate di fronte al vetro. Una delle figure era così prominente che riuscivo a vedere la sua maschera bianca. Ero senza fiato, il mio battito cardiaco era accelerato, ma non restai fermo. Improvvisamente sapevo come salvare il modo. Sapevo certe cose, ricordate?
Aprii il mio quaderno e premetti la matita sul foglio. Scrissi esattamente ventiquattro parole. Ventiquattro parole avrebbero salvato il mondo. Tornai sui miei passi e aprii la porta. Avevo appena fatto tre passi verso l'ufficio della Dottoressa Malefica, quando qualcuno chiamò il mio nome.
Mi girai e vidi Markman camminare verso di me. Non ero mai stato così felice di vedere quella donna in tutta la mia vita. La raggiunsi, con il pezzo di carta ancora stretto in mano.
“Gerard,” disse amabilmente Markman. Presumetti che fosse contenta di vedermi fuori dal mio letto.
Non avevo tempo per le gentilezze. Piegai il foglio in due, rendendolo delle dimensioni di una carta da gioco, e glielo porsi. “Non lo legga fino a quando non sarò morto,” le ordinai.
Sembrava sorpresa. “Scusa?” disse, abbassando lo sguardo verso il pezzo di carta.
Glielo misi in mano. “Per favore, non lo legga fino a quando non sarò morto. Se lo legge prima rovinerà tutto. Capisce?”
Markman mi toccò il braccio. “Gerard, perchè parli della tua morte?”
“Me lo prometta!” esclamai, guardandomi attorno nervosamente. Loro stavano arrivando. Erano lì fuori. Non avevo più tempo.
Lui accettò il foglio con cautela. “Cos'è questo?” chiese.
“Non lo legga fino a quando non sarò morto. L'ha capito?”
Annuì. “Certo,” disse. “Ma Gerard, lo sai che vivrai molto pià di me, non avrò mai l'occasione di leggerlo. Me ne andrò prima che sia il tuo turno.”
“Il mio turno è arrivato,” dissi fermamente, cominciando ad allontanarmi. Markman mi seguì nella mensa. Vidi Skull seduto a uno dei tavoli. Alzò lo sguardo verso di me e sogghignò.
In quel momento capii che era lui la loro spia. Era quello di cui Jasper mi aveva avvertito. Lo avrei ucciso prima che Loro avessero ucciso me.
“Gerard!” disse Markman persistente. Mi ero dimenticato di quanto fosse persistente. Normalmente potevo accettarlo, ma ora? Ero pronto a farla cadere per terra. “Cos'è questo? Se non me lo dici lo aprirò.”
Sapevo che probabilmente sospettava che fosse una lettera di suicidio. Probabilmente pensava che con tutto questo parlare della mia morte, avessi programmato di uccidermi. Non mi sarei mai suicidato. Non potevo fare una cosa del genere a Frank; sarebbe stato da egoisti. Ma non volevo che leggesse il foglio, quindi mi girai a guardarla.
“E' uno dei miei segreti,” dissi a voce bassa, in modo che Skull non potesse sentire.
Markman alzò un sopracciglio, sorpresa. “E lo stai affidando a me? Perchè?”
“Perchè lei è l'unica che può farlo. Lei è forte e intelligente. Frank non è pronto. Non voglio dare a lui questo peso. Mi dispiace di averlo dato a lei, dottoressa, ma non posso lasciare che Loro li prendano tutti. Se succedesse...” mi fermai e lanciai uno sguardo velenoso a Skull. “Il mondo finirebbe e tutti quanti morirebbero. Frank morirebbe. Non voglio che lui muoia.”
“Gerard, nessuno morirà.”
Lui sì,” dissi, prima di gettarmi su Skull. Mi stava aspettando. Mi aspettava da settimane. Si alzò in piedi mentre io mi avvicinavo a lui. Chiusi la mano in un pugno e la schiantai contro la sua faccia. Lui cadde all'indietro. Non avevo un coltello o una pistola, quindi dovevo finirlo con le mie mani. Ero molto bravo con le mani.
Skull si rimise in piedi, alzando le braccia sulla faccia per proteggersi. Lanciai il mio pugno destro di nuovo, ma non ebbi l'occasione di fare altri danni. Qualcuno mi prese per i bicipiti, trascinandomi indietro. Mi divincolai, cercano di scappare da quella presa, ma riuscii solo a farmi del male. Skull non si era ancora ripreso, ma fece un passo verso di me. Mi prese la testa e la sbattè con violenza sul tavolo di metallo. Il buio seguente fu qualcosa di terrificante.

 

***



Quando mi svegliai, mi accorsi di non poter muovere le braccia. Riuscivo a sentirle, ma erano legate così strettamente al letto che non riuscivo a muovermi nemmeno di un centimetro. Cercai di spostare le gambe, ma anche quelle erano legate. Non avevo idea di dove fossi. La stanza era completamente vuota, fatta eccezione per me e per il letto. Le pareti erano bianche e il soffitto era alto. Anche l'unica finestra nella stanza era alta, completamente irraggiungibile da essere umano. Questo avrebbe dovuto confortarmi, se non fosse stato per il fatto che Loro non erano umani.
La testa non mi faceva per niente male. Questo mi sorprese. Mi aspettavo un gran dolore, dopo che Skull mi aveva sfracassato la testa sul tavolo. Fottuto coglione. Almeno ero riuscito a dargli un bel pugno, prima che il suo amichetto riuscisse a impedirmelo. Il suo naso sanguinava -forse glielo avevo rotto? Il pensiero mi rallegrò. Un naso rotto sarebbe stato benissimo con la sua brutta faccia da traditore.

Chiusi gli occhi per un minuto. Frank sarebbe stato bene. Potevo vederlo nei suoi occhi. Era di nuovo vivo. Ce l'avevo fatta. Lo avevo guarito. Aprii gli occhi e non mi sorpresi di vedere Jasper appoggiato al muro.
“Tu,” dissi acidamente. Lo stavo aspettando.
“Io,” rispose lui con arroganza, alzando lo sguardo.
Seguii il suo sguardo e sobbalzai quando il vetro della finestra cadde in mille pezzi. Sentii i frammenti cadere per terra, e guardai mente Loro cominciavano a strisciare attraverso la finestra, sul pavimento. Erano esattamente come me li ricordavo. Comunque, non ero spaventato nel vederli riempire ogni centimetro della stanza con le loro divise scure e le loro facce senza lineamenti. Non ero spaventato perchè sapevo di averli sconfitti. Non lo sapevano ancora, ma io sì, e questo placava ogni mia paura.
Il loro capo fece un passo in avanti dalla massa e si mise davanti al mio letto. Mi sogghignò, piegando le labbra della maschera nella stessa posizione.
“Ciao, Gerard,” disse piano, con la sua voce indelebilmente roca. In lontananza, vidi Jasper ridere di me. £Hai paura?” chiese, tirando fuori tranquillamente un bisturi dalla tasca della sua veste antiproiettili.
Scossi la testa e il suo ghigno si affievolì. Si avvicinò lentamente e mi toccò leggermente la fronte con il bisturi.
“Stai sprecando il tuo tempo,” mi sforzai di dire. Avevo mentito prima. Ero spaventato. Ero terrorizzato. Ero abbastanza sicuro che me la sarei fatta addosso. Li avevo già affrontati prima, ma non ero mai stato così fottutamente indifeso.
“Oh?” disse il capo, divertito, facendo correre le dita coperte sulla mia guancia.

“Ne ho dato via uno,” dissi, lanciando a Jasper uno sguardo vendicativo.
Il sorriso del capo sparì completamente. “Stai mentendo,” disse immediatamente, girandosi a guardare Jasper.
Quello fece un passo avanti, puntando il dito verso di me. “Stai mentendo. Non ne daresti mai via uno! Ti ho detto che saresti morto se mai l'avessi detto a qualcuno. Due persone non possono sapere lo stesso segreto! Stai mentendo. Saresti morto se ne avessi ceduto uno.”
“Bhè,” dissi freddamente. “Immagino che vogliate darci un'occhiata, non è vero?”
Il capo fece immediatamente un passo avanti e mi prese per i capelli, per tenermi la testa ferma. Poi mi trapassò la pelle con il bisturi, come se stesse tagliando il burro.
Era il dolore più atroce che avessi mai sentito in tutta la mia vita. Era come essere preso ripetitivamente a calci sulla testa. Il dolore stava scivolando in modo insopportabile all'interno del mio cranio. La mia coscienza divenne vaga mente il capo continuava a tagliare e cominciava a togliere tutti i segreti che avevo protetto per una vita intera. Improvvisamente sentii salirmi la nausea ed ebbi giusto il tempo di girare la testa e vomitare sul cuscino. Il capo sembrava posseduto mentre raspava dentro il mio cervello. Sapevo che stava contando i segreti, ma non poteva contarli tutti. Non avrebbe mai trovato il numero nove. Il numero nove se n'era andato. Attualmente era in possesso di Markman. Non lo aveva ancora letto, ma dopo aver scoperto che ero morto l'avrebbe fatto, e il segreto sarebbe passato a qualcun altro.
Mi sentivo colpevole ad aver messo in pericolo Markman, passandole il segreto? Sì, mi sentivo incredibilmente colpevole. Ma lei era l'unica altra opzione. Non avrei mai potuto darlo a Frank. Quei segreti avevano preso tutta la mia energia e alla fine, anche tutta la mia vita. Non avrei mai potuto fargli una cosa del genere. Lo amavo troppo. Markman sapeva badare a se' stessa. In più, Jasper sapeva che la odiavo, quindi non avrebbe mai sospettato del fatto che avrei affidato a lei i miei segreti. Senza 
tutti i segreti, Loro non potevano fare nulla. Il mondo era in salvo. Frank era in salvo.
Il capo ringhiò con furia quando capì che non avevo mentito. Non sapevo quanto a lungo sarei riuscito a tenermi sveglio. Stavo cadendo sempre di più in stato di incoscienza. Sentivo come se stessi in caduta libera verso le tenebre, anche se il mio corpo era inchiodato stretto al letto. Poi, proprio quando pensavo di cadere nel buio eterno, mi risvegliai sentendo Jasper e il capo litigare violentemente. Tutti gli altri si stavano muovendo nervosamente nella propria fila, realizzando che la loro ricerca durata quasi due decadi era finita in modo negativo e improvviso.
Ogni volta che mi riprendevo, era come se avessi raggiunto la fine di una corda elastica. Sbattei rapidamente gli occhi e il cuore mi battè fortissimo, alla ricerca di una speranza. Gli occhi mi lacrimavano per il dolore violento. Sperai disperatamente di poter fermare questa ripresa di coscienza. Volevo solo che la corda si rompesse.
Il Loro capo si profilò minacciosamente davanti al mio viso. “Dov'è?” urlò, tenendomi stretto per il collo, costringendomi a guardarlo. Lo fissai accigliato, non comprendendo a pieno le sue parole. Mi dimentai flebilmente, ma all'improvviso realizzai che tutta la parte sinistra del mio corpo si era intorpidita in maniera preoccupante. Non riuscivo a controllare la parte sinistra del mio viso e la mia visuale si stava annebbiando. Mi sentivo strano. Percepivo le lacrime che mi scendevano dagli occhi. Non capivo cosa mi stesse succedendo.
Capivo, comunque, che stavo morendo.
Il capo cominciò a gridare e ad urlarmi in faccia, ma non riuscivo nemmeno a capire cosa stesse dicendo. Sembrava che parlasse in un'altra lingua. Non mi faceva più paura.
Crollai di nuovo, ma capii che sarebbe stata l'ultima volta; mi sentivo trascinare giù. Loro mi stavano trascinando giù, verso il buio eterno. Il mio cervello continuò a tenermi sveglio, ma sapevo che non poteva continuare per sempre. Alla fine avrebbe ceduto. Quando fosse successo, Loro mi avrebbero avuto. Per sempre.
Sorrisi pensando a Frank. Pensai ai lui quando la corda finalmente si spezzò, e io caddi. Questa volta sapevo che non mi sarei svegliato. Il mio cervello aveva ceduto. Questa volta Loro mi avevano. Sapevo che mi avevano. Sapevo che non mi sarei svegliato. Non questa volta. Mai più. Lo sapevo.
Sapevo certe cose.
Ricordate?

 

 

 

Note di traduzione: *Skull, ovvero teschio/cranio in inglese.

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Capitolo 22
*** Epilogo ***


A SPLITTING OF THE MIND

 

***

Epilogo


Twenty-Four Words




 



Frank era in ritardo. Esitò sul lato della via, guardando a sinistra per controllare che non stessero arrivando macchine. Nonostante fosse a soli sei metri dalle strisce pedonali, decise di attraversare subito la strada per raggiungere il marciapiede sull'altro lato. Si sbrigò, tenendo le braccia strette al busto, mentre una folata di vento gelido lo travolgeva.
Il tribunale aveva fatto stranamente tardi quella mattina, con molto disappunto da parte sua. Aveva programmato appositamente i piani per quel pomeriggio e adesso si era scombussolato tutto. Rabbrividì ancora, quando un'altra folata di vento lo attraversò, facendogli arrivare in faccia un pezzo di immondizia. Si tolse l'incarto della cioccolata di dosso e fece un sospiro di sollievo, vedendo la familiare sirena che ornava il logo di Starbucks. Entrò nel bar e ispezionò la stanza, mentre si faceva riscaldare dai termosifoni del locale.

La Dottoressa Markman lo aspettava solo da cinque minuti. Anche lei era arrivata in ritardo ed era riuscita a rimediare un piccolo posto dentro il locale affollatissimo. Si legò i capelli in una coda scompigliata e sobbalzò un poco, quando qualcuno si strusciò contro il tavolo, lasciandola sbigottita. Lanciò uno sguardo diffidente al ragazzo che aveva continuato con noncuranza sulla sua strada e giurò di aver visto esattamente la stessa persona proprio dieci minuti prima alla banca. Aggrottò la fronte, realizzando che quel ragazzo che era andato a sbattere contro il suo tavolo era proprio lo stesso che era stato in fila dietro di lei quando aveva depositato l'assegno sul suo conto. In effetti, era lo stesso ragazzo che si era seduto al tavolo di fronte al suo, al ristorante ittico dove aveva mangiato il giorno prima con suo marito.
Si chiese improvvisamente se il silenzioso ragazzo con la testa rasata e dai lineamenti forti e orientali la stesse seguendo. Lo guardò per un momento, mentre lui era seduto da solo a un altro tavolo nel locale affollato, prima di ricomporsi e ridere di sé stessa per aver capito quanto fosse diventata paranoica. Aveva bisogno di una vacanza. Sapeva che doveva scappare da tutto prima che la paranoia peggiorasse.
Quella sensazione era cominciata proprio un anno prima, quando uno dei suoi pazienti le aveva dato un foglio delle dimensioni di una carta da gioco. Era solo un presentimento, ma a volte Markman rabbrividiva senza ragione, nel pensare che qualcuno con cattive intenzioni la stesse guardando.
“Hey, Dottoressa,” Frank la salutò energicamente e si sedette di fronte a lei. “Scusa per il ritardo.”
Markman accettò le scuse, non volendo menzionare che non stava aspettando da molto, aggiungendo anche il fatto che quel pomeriggio aveva dovuto prendere una strada diversa e più lunga verso la città, perchè pensava che un uomo anziano con la testa rasata nella macchia dietro di lei la stesse seguendo e doveva seminarlo nel traffico. 
“Come stai, Frank?” chiese lei, con un apparente segno di preoccupazione nella voce.
Frank alzò le spalle e annuì. “Bene,” disse.
Anche la Dottoressa Markman annuì. “Mi fa piacere,” disse con tono incoraggiante. “E' da un po' che non ti vedo.”
Frank si sentì in colpa per quel semplice commento. C'era una ragione valida per cui Markman non lo vedeva da un po'. Aveva cercato di evitarla in tutte le occasioni, a partire dal funerale. Era stato rilasciato da Bluestone lo stesso giorno, e da quel momento aveva usato ogni singola scusa per non parlare con lei del perchè stesse facendo ciò che stava facendo.
“Come va in tribunale?” Markman continuò la sua domanda, ignara della colpa che Frank si sentiva addosso per il commento precedente.
Lui deglutì maldestramente. “Tutto bene,” disse con indifferenza, non volendo ammettere quanto fosse pietrificato per l'imminente processo a cui doveva testimoniare. L'unica cosa che lo confortava era che avrebbe mandato due uomini orribili in prigione. “Dottoressa, non voglio essere scortese, ma ho un appuntamento alle due,” disse con imbarazzo, guardandosi l'orologio. Non era una bugia. Doveva davvero essere da un'altra parte alle due. Comunque, aveva programmato quella cosa alle due per scampare all'appuntamento con la sua ex terapista. “Perchè mi volevi vedere?”
Markman era pienamente consapevole del fatto che Frank non fosse a suo agio. Non l'avrebbe chiamato, chiedendogli di vederlo, per niente. Prese un pezzo di carta dalla tasca dei suoi jeans e lo mise sul tavolo davanti a lui. Frank alzò un sopracciglio, guardando il foglio di quaderno piegato con cura. Lo prese e lo aprì. Mentre lo fece, notò le pieghe e gli strappi, come se il precedente proprietario del foglio lo avesse aperto e chiuso innumerevoli volte.
Mentre Frank leggeva il foglio, Markman lo fissò attentamente, cercando una qualsiasi reazione che avesse potuto smascherare i suoi sentimenti. Comunque, invece di essere sollevato, lui sembrava confuso. Alzò un sopracciglio verso di lei.
“Che cos'è?” domandò, rileggendo di nuovo le ventiquattro parole.
Markman era sbigottita. Il suo viso rifletteva solo una parte della delusione che provava dentro. “Non significa nulla per te?” chiese lei disperatamente, cercando di capire la reazione di Frank a quel foglio.
Lui scosse la testa lentamente. “Dovrebbe?” chiese, perplesso.
Markman sospirò. “Speravo di sì. Non capisco cosa significhi.”
“Bhè, che cos'è?” chiese Frank di nuovo, incuriosito.
Markman si rimise seduta. Non sapeva se poteva dirglielo. Lo avrebbe ferito, senza dubbio. Ma, poteva anche andare meglio di quanto potesse immaginare. “Era uno dei suoi segreti.” Non sapeva se doveva dirgli della loro esistenza, ma non sopportava più il fatto di non sapere.
La prima reazione di Frank fu di rabbia. Strinse forte il pezzo di carta fra le mani tremanti e guardò in modo accusatorio la terapista. “Perchè me l'hai dato?” chiese brutalmente.
“Sai cosa significhi, Frank?”
“Perchè me l'hai dato?!” esclamò, lasciando cadere il foglietto, mentre la collera lo assaliva.
Markman si ricompose e spinse di nuovo il pezzo di carta verso di lui. “Frank, non significa nulla per te?”
“Perchè mi stai facendo questo?” chiese. “Sto bene.”
“Non mentire, Frank.”
Si alzò in piedi, puntando il dito verso Markman. “Sto bene. Sei stata tu a farmi uscire. Sto bene.”
Anche lei si alzò in piedi come Frank, ma non era arrabbiata come lui. No, la dottoressa Markman era disperata. Gli porse di nuovo il foglio. “Frank, sei assolutamente sicuro che questo non significhi nulla per te?!” ripetè con urgenza.
Frank prese il foglio dalle sue mani e lo scosse. “E' un'assurdità!” disse con tono feroce. “Non significa nulla. Non ha senso! Lui era pazzo e tu sei pazza a pensare che tutto ciò che ti ha detto significhi qualcosa.”
“Significa qualcosa e tu lo sai. Ti prego, dimmelo. Frank, non capisci...”
“E' un'assurdità!” esplose lui, strappando selvaggiamente il foglio in due. Al tavolo all'angolo, il ragazzo con la testa rasata si scosse con imbarazzo.
Markman si bloccò, vedendo il foglio che aveva portato sempre con se' per una anno intero venir disintegrato in due, e poi in quattro pezzi. “Oh,” disse, scandalizzata. Si rimise sulla sedia, tenendosi la testa dolorante fra le mani.
Fu in quel momento che Frank realizzò quanto la donna fosse triste. Lo sfinimento era evidente sul suo viso e quando si era seduta si accorse che sembrava essere invecchiata di una decade in un solo anno. Si risedette e, sentendosi in colpa, cercò di ricomporre il foglietto.
“Non ti preoccupare,” disse Markman con stanchezza, porgendogli la mano. “Tu stai bene. Era proprio un'assurdità, ma ho pensato che volesse dire qualcosa. Avevo bisogno che significasse qualcosa. Volevo che fosse morto per un motivo.”
Frank spostò gli occhi verso il pezzo di carta. Rilesse di nuovo le parole e un nodo gli si formò nello stomaco. “Almeno tu hai potuto vederlo,” disse piano.
Bevendo un sorso di caffè, Markman realizzò improvvisamente che si era raffreddato. Fece una faccia disgustata e posò il bicchiere di plastica, cercando di pensare a qualcosa di discreto per rispondere al commento di Frank.
“Lo sapeva,” disse.
“No, non è vero,” fece lui tristemente.
“Sì, lo sapeva. Sapeva che lo amavi.”
“Ma non mi ha mai sentito dirlo. Non ho mai...”
Markman scosse la testa. “Lo sapeva, Frank.”
“Come?”
“Sapeva certe cose,” disse lei. Non poteva credere di aver ripetuto quelle parole. Era una frase pericolosa e doveva stare attenta a chi la diceva. Tutti quanti avrebbero pensato che fosse matta ad assecondare quell' illusione, ma Frank capì. Frank sapeva come lei che c'era qualcosa di più profondo.
Lui scosse la testa. “Pensava di sapere certe cose.”
Markman guardò il foglio strappato. “Durante l'ultimo anno del liceo,” cominciò, “Presi fisica perchè il mio tutor mi disse che ne avevo bisogno per entrare all'università di medicina. Quindi partecipai al corso, e odiai ogni singola lezione perchè non ci capivo nulla. C'era un'equazione che non sono mai riuscita a capire, non importava quanto ci provassi, non riuscivo a ricordarmela. Allora, il giorno dell'esame, mi sono scritta quell'equazione e tutti i risultati che dovevo ricordarmi sulla gamba, per poi coprirla con la gonna. Poi, a metà esame, ho copiato l'equazione dalla gamba sul mio compito.”
Frank sorrise. “Hai imbrogliato,” disse, sorpreso.
“Lui lo sapeva,” disse schiettamente Markman.
Il sorriso di Frank scomparve.
“Nessuno ha mai saputo che avessi barato al mio esame finale di fisica. Non l'ho mai detto a nessuno. Ma lui lo sapeva, Frank. Lo sapeva e sapeva anche che tu lo amavi. Sapeva che saresti stato bene. Lo sapeva.”
Frank non ebbe il tempo per rispondere, perchè la sua attenzione si spostò sul nervoso ragazzino che era appena entrato nel locale. Si alzò in piedi, si scusò e corse verso il ragazzo biondo, che stava fermo immobile in un lato della stanza affollata. Lui sembrò davvero sollevato di vederlo, e lasciò che Frank prendesse la sua mano e che lo portasse davanti al tavolo dove c'era Markman.
“Dottoressa, questo è il mio amico, Maes,” disse Frank prontamente, per poi presentare Markman a Maes. “Era la mia terapista,” disse, e Maes annuì, con gli occhi ancora spalancati per la paura. “Lo porto a fare la sua seduta alle due,” disse Frank, guardandosi l'orologio.
“Aspetterò...” fece Maes, indicando un angolo della sala. Frank annuì e il ragazzino se ne andò, tenendo le mani strette nelle tasche del suo giacchetto, come se fosse spaventato che qualcuno potesse toccarle.
Nel breve istante in cui Maes aveva tolto le mani dalle tasche per indicare l'angolo, Markman aveva notato subito il paio di guanti che stava indossando. Li conosceva perchè era stata lei a comprarli.
“Spero che tu sappia cosa stai facendo,” disse cautamente, mentre Frank si risedeva.
Lui si girò a guardare Meas, rannicchiato nell'angolo. “E' proprio come me,” disse, ignorando l'avvertimento della dottoressa. “E' un ragazzo diverso, ovviamente, ma è lo stesso.”
“Frank, fai attenzione.”
Frank si alzò in piedi e sorrise per la prima volta da tutto il giorno. “Certo,” rispose. Prese i pezzi di carta dal tavolo e li mise con cura dentro il portafoglio.

I sospetti di Markman crebbero immediatamente. “Pensavo che avessi detto che era un'assurdità,” disse, alzandosi per guardarlo.
Lui rimise il portafoglio nella tasca dei suoi jeans. “Già,” fece, “ma era la sua assurdità.”
Lei non era convinta, e Frank lo sapeva. Markman sapeva che le parole dovevano significare qualcosa per lui. Significavano qualcosa, ma non gliel' avrebbe mai detto. Markman non l'avrebbe mai saputo, ma non importava. Frank le aveva preso il foglio. Era libera.
“Arrivederci, Dottoressa,” disse, toccandole il braccio in modo affabile.
“Abbi cura di lui,” rispose preoccupata lei, mentre Frank camminava verso Maes.
Lui
 annuì e mise un braccio attorno a Maes, guidandolo fuori dal bar. Mentre Markman rovistava nella borsa per cercare il suo portamonete, non notò che il ragazzo con la testa rasata si era alzato ed era uscito.
Frank avrebbe dovuto fare molto più che avere cura di Maes. Già, aveva piani migliori e molto più grandi. Avrebbe fatto esattamente ciò che c'era scritto sul quel pezzo di carta delle dimensioni di una carta da gioco.
Frank lo avrebbe guarito.


 

Note della traduttrice: Oh mio dio, non posso credere che sia finita ç__ç Questa storia ha richiesto quasi un anno di traduzione, e anche se mi dispiace tantissimo abbandonarla, sono comunque contenta di vedere realizzati i frutti del mio lavoro. Spero vi abbia emozionato quanto ha emozionato me e adesso posso dire ancora più fermamente che questa fanfiction rimane la mia preferita in assoluto.
Grazie a tutte le persone che hanno seguito, recensito e messo fra i preferiti, siete state tutte fantastiche e mi avete motivato tantissimo. Ho visto crescere il numero dei lettori sempre di più e questa cosa mi ha reso davvero felice La storia si è diffusa nel fandom grazie a un vero e proprio passaparola, e l'ho trovata davvero una cosa bellissima. Ovviamente ringrazio anche da parte dell'autrice :) Se volete complimentarvi con lei direttamente, potete scriverle qui sul suo account di Twitter.
Adesso che ho finito la traduzione, ho molto più tempo per pensare alle mie storie, quindi chissà, forse mi ritroverete presto su EFP con una nuova long XD
Grazie ancora a tutti, in particolare alle mie Fucking Killjoys, che mi hanno supportato (o sopportato? LOL) capitolo per capitolo.
Vi lascio con la traduzione di una serie di FAQ, ovvero delle domande a cui l'autrice ha risposto per risolvere alcuni dubbi che i lettori le hanno posto al termine della storia. Spero vi aiutino :) se ancora avete qualche dubbio, potete scrivermelo nella recensione, e cercherò di rispondere al meglio.
Detto questo, vi saluto. Pace, amore e Frerard ♥ xoxo C.


 

***


Come è morto Gerard?
Ci sono due opzioni:
1. Come menzionato esplicitamente nei capitoli 8,12,13,14 e 17, e in modo implicito in molti altri, Gerard ha una lesione cerebrale che ha portato poi a un grave trauma la notte in cui ha sparato a Mikey. Qualche volta, per effetto di questa lesione al cervello, si forma un aneurisma, e quando Skull ha fatto sbattere la testa di Gerard contro il tavolo, nel capitolo 20, questo aneurisma è esploso e lui ha avuto un ictus per l'emorragia che aveva provocato.

Quindi il dolore che provava Gerard era reale, anche se la sua mente fragile lo aveva interpretato credendo che Loro gli stessero aprendo il cervello.

2. 
Loro alla fine sono riusciti a prenderlo.

Frank ha visto Gerard prima che lui morisse?
No, Gerard ha avuto un'allucinazione della visita di Frank nel capitolo 20. Ma sapeva che lui lo amava.

Contro chi sta testimoniando Frank, nell'epilogo?
Il padre di Gerard ha aiutato Frank a prendere gli stupratori, e Frank deve testimoniare contro i due uomini per farli incarcerare.
 

Era Jasper l'uomo calvo che stava pedinando Markman nell'epilogo?
Non vi dirò cosa credere. Se pensate che lo sia... probabilmente avete ragione.

Cosa diceva la lettera di Gerard?
Ci sono due risposte diverse (scegliete quella in cui volete credere):
1. La lettera era inutile. Gerard era pazzo e ciò che aveva scritto non aveva senso, come ha detto Frank.
2. E' sottointeso che la lettera contenga il segreto di Gerard su come “guarire” le persone, da qui la decisione di Frank si “guarire” Maes, nella frase finale.


Loro esistono davvero?
Cosa ne pensate?

Erano Loro che stavano seguendo Frank fuori dal ristorante, nell'epilogo?
Dipende se pensate che Loro sono reali.

Cosa è successo a Ray, Bob, Bert e Adam?
Sono ancora abbastanza pazzi, quindi probabilmente resteranno a Bluestone ancora per un po' di tempo.

COSA SIGNIFICA TUTTO QUESTO!?!?
Art is the weapon.
Sto scherzando. Non ho idea del perchè abbia scritto questa maledetta cosa.


 

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