I will stay with you forever

di Fira
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lui non è solo un esperimento ***
Capitolo 2: *** Tu non sei come loro ***
Capitolo 3: *** La ragazza della spiaggia dagli occhi viola ***
Capitolo 4: *** Devo tornare da lei ***
Capitolo 5: *** Una bella giornata di sole ***
Capitolo 6: *** Ciao, Matrix! ***
Capitolo 7: *** Rivelazioni ***
Capitolo 8: *** Lui ha bisogno di te ***
Capitolo 9: *** La Persian frettolosa fece i micini ciechi ***



Capitolo 1
*** Lui non è solo un esperimento ***


Prima di iniziare, vorrei fare una piccola premessa. Come avete letto nella descrizione, questa FF è una "What if?". La parte di trama che ho cambiato, risiede nel primo film dei Pokèmon "Mew vs Mewtwo", "Mewtwo colpisce ancora", "Il ritorno di Mewtwo", chiamatelo come volete. Ciò che ho cambiato, lo capirete da soli, spero, leggendo. Per qualsiasi dubbio o chiarimento, basta commentare. Siate clementi, è la mia prima FanFiction. Questo primo capitolo è, come dire, un assaggino di quello che poi succederà dopo. La fict, non tratterà di Vivian(la protagonista) bambina, questa è solo un'introduzione. 
Ah. I Pokèmon non sono di mia invenzione, nemmeno i Personaggi tranne Vivian, i diritti sono del loro inventore, eccetera, eccetera, eccetera.
PS: mi farebbe molto piacere sentire il vostro parere sulla Fict. Se avete voglia, recensite, in modo che io possa farmi un'idea di ciò che sto portando avanti.
Buona lettura passerotti <3

PS2: Per coloro che leggono la FanFict da fuori, e quindi non da EFP, per vedere gli altri capitoli basta cliccare sul bottoncino sotto il titolo della Fict, dove c'è il titolo del capitolo, e spunteranno gli altri titoli :3













Avevo dieci anni quando lo vidi per la prima volta. Stava lì, dentro una grande capsula, tutto rannicchiato e attaccato a dei tubi, e faceva quasi tenerezza. Era così piccolo, e sembrava indifeso, legato alla vita per un sottile filo. Ricordo che fu mio padre a portarmi al laboratorio, per la prima volta. Era il giorno del quarto compleanno di Silver, e mi chiedevo perchè fossimo là, così lontani da casa nostra, dalla nostra famiglia in festa. Non volevo star lì, volevo essere a festeggiare insieme a tutti quanti il mio adorato fratellino.
« Un giono anche tu lavorerai qui, per portare avanti il mio grande progetto »
Mi disse lui poi, guardandomi con il suo solito sguardo completamente diverso da quello di un padre. Mi spiegò che l'esserino dentro quella capsula, Mewtwo lo chiamò, era la sua più grande scoperta, e che di lui ne avrebbe fatto grandi cose. Ciò che lui denominava "grandi cose", erano solo scopi egoistici, per un desiderio puramente egoistico, ma io ancora non potevo capirlo. Guardavo mio padre come se fosse un esempio da seguire, un modello. Pensavo che ogni cosa lui facesse, fosse quella giusta, ma mi sbagliavo. Subito dopo si avvicinò alla capsula di Mewtwo, ridendo di gusto, tenendo le braccia incrociate, mentre io iniziai a girare per il laboratorio. Ciò che mi spinse ad allontanarmi da mio padre, fu semplice curiosità bambina. Girando per la grande sala piena di computer e altre atrezzature, notai che c'erano altre capsule oltre quella di Mewtwo. Tre contenevano dei pokèmon, e la quarta, una strana luce colorata, meravigliosa.
Mi avvicinai a quella capsula, curiosa.
« Amber »
Sussurrò una voce dietro di me, che mi fece girare. Era il dottore che dirigeva il laboratorio. Mi sorrideva dolcemente, come un papà. Uno sguardo mai visto negli occhi di mio padre. Uno sguardo che però lasciava intravedere malinconia, tristezza, e un pizzico di speranza, speranza per la sua Amber, attaccata a delle macchine. Io piegai la testa, non sapendo di cosa stesse parlando.
« Chissà, quando tornerà da noi, potreste essere amiche, tu e lei »
Lei? Quindi qui dentro c'era una bambina? Una bambina come me? All'idea i miei occhi si illuminarono. Mi avvicinai sorridente alla capsula contenente Amber, e sorrisi, iniziando a guardarla, colta dalla stessa speranza di suo padre.
« Vivian, vieni qui! »
Urlò poco dopo mio papà. Io mi avvicinai lentamente a lui, sicura che mi dovesse rimproverare. Lo guardai. Sorrideva beffardamente, e teneva gli occhi fissi su Mewtwo. Mi tranquillizzai, sicura ormai che io non avessi combinato niente. Mi rimproverava spesso, sottolineando ogni mio sbaglio, ripetendo quanto non fossi simile a lui.
« Guardalo, il mio progetto. Sta andando avanti meravigliosamente. Ancora qualche anno, e poi sarà pronto per essere al mio servizio. Guardalo Vivian, guardalo! Haha! E' così piccolo eppure già i risultati degli esami sottolineano la sua grande potenza! »
Esclamò gonfiando il petto e lasciando che la superbia gli colmasse quel suo cuore così sporco. Continuò a parlare, convinto che lo stessi ascoltando, di risultati positivi, conquista del mondo, e altre cose che a me non interessavano, mentre io mi limitavo a guardare, nascosta dietro la sua gamba, Mewtwo. L'unica cosa che in quel momento mi incuriosiva, era quel piccolo essere indifeso. Mi avvicinai sempre di più alla capsula, sentendo dentro di me il bisogno di un contatto, e poggiai la mano sul vetro. In quell'istante Mewtwo aprì gli occhi, e mi fissò intesamente. Io mi spaventai e indietreggiando, caddi a terra, spaventata.
« Non fare la stupida e alzati, Vivian. »
Sentenziò mio padre, prendendomi per un braccio e tirandomi sù. Io mi nascosi dietro la sua gamba, come prima, sempre stata il mio punto di salvezza, la mia principale difesa, e guardai di nuovo la capsula. Gli occhi di Mewtwo erano chiusi, serrati. Pensai che forse la mia immaginazione mi avesse giocato un brutto scherzo, ma mi allontanai lo stesso dalla capsula, per precauzione. Un'ora dopo, partimmo da quell'isolotta, diretti verso casa.


Tornai lì a diciassette anni, dopo anni di studio intensivo, che secondo mio padre, servivano per portare avanti il suo progetto, che ancora a quell'età non avevo ben capito, o forse mi rifiutavo di capire. Sapevo benissimo che quello che avevo studiato, non mi sarebbe servito in parte a nulla, visto che avrei dovuto iniziare davvero a lavorare sul campo pratico per avere risultati. Il padre di Amber, la quale non sopravvisse, insieme agli altri tre pokèmon, all'interno della capsula, non era tanto convinto della mia presenza lì, a causa della mia giovane età, ma mio padre insistette così tanto, che alla fine si rassegnò. Mi sentivo come un oggetto, una marionetta di mio padre, che voleva che assomigliassi troppo a lui, cosa che io non volevo.
« Non deludermi Vivian. »
Mi disse quell'uomo austero e così freddo che era mio padre, prima di risalire sull'aereo che lo avrebbe portato a casa, lontano da me. All'inizio, non essendo molto pratica del lavoro che mi assegnarono, capitò di combinare qualche guaio, ma non venivo mai rimproverata. Ciò mi dava molto fastidio. Qual'era il loro problema? Non potevano rimproverarmi solo perchè ero la figlia di Giovanni? Erano convinti che sarei andata subito a lamentarmi da mio padre, provocando così la sua ira? Si sbagliavano. Io ero diversa da lui. Ero diversa anche da mio fratello Silver, che stava crescendo come se fosse la sua copia.
Erano pensieri che mi assillavano sempre, anche quando iniziai a prendere mano, e a non sbagliare nei calcoli e nell'ottenere i risultati delle analisi di Mewtwo. Era quello il mio lavoro, e non cambiò, fino a quando un giorno, successe ciò che segnò l'inizio della mia nuova vita.


Stavo guardando la capsula dove Mewtwo, ormai cresciuto, dormiva, quando dopo aver poggiato la mia mano, a distanza di otto anni, sul vetro, aprì gli occhi. Non sembrava più così indifeso e piccolo. Mi faceva quasi paura. Come successe anni prima, indietreggiai, però senza cadere. Iniziò a guardarci tutti quanti, uno ad uno, finchè fermò lo sguardo su di me, e richiuse gli occhi.
« Professore! Guardi qui! Onde celebrali, si intensificano! »
Decretò un'assistente entusiasta, mentre guardava dei valori sullo schermo di un computer. Erano tutti intenti, tranne me rimasta a osservare timorosa Mewtwo, a guardare lo schermo del computer che mostrava valori troppo alti, quando il vetro della capsula iniziò a fare delle crepe, riducendosi successivamente in mille pezzi. Io mi allontanai subuto, mentre gli altri si girarono, sbalorditi.
« Chiamate l'elicottero di Giovanni! »
Disse un assistente, correndo verso il telefono del laboratorio, con cui spesso chiamavo mia madre vista la mia permanenza lì da più di un anno. L'idea dell'arrivo di mio padre mi rincuorò in un certo senso. Stavo per rivederlo.
« Aspettate! Esaminiamo i suoi poteri psichici! »
Urlò il dottore, stuzzicando la curiosità di Mewtwo che alzò lo sguardo prima fisso nel vuoto verso di lui.
« Per anni abbiamo tentato di clonare Pokèmon con successo per dimostrare le nostre teorie. Tu sei il primo esemplare che sopravvive. Quello è Mew, il più raro tra tutti i pokèmon!-disse indicando un'immagine di Mew appesa al muro- Dal suo DNA abbiamo creato te, Mewtwo! »
Le parole del dottore, così entusiaste e piene di soddisfazione, non sembravano provocare nel Pokèmon sensazioni positive, al contrario, sembravano confonderlo, o quasi infastidirlo.
« Mewtwo? Sono quindi solo una copia, nient'altro che l'ombra di Mew? »
Disse infatti, con un velo di rabbia nella voce. Lo guardai con compassione.. Sembrava così sperduto.
« Tu sei migliore di Mew! Sei stato perfezionato grazie all'ingegno umano! Abbiamo usato nuove tecniche per incrementare i tuoi temibili poteri psichici! »
Temibili? Il dottore era dunque a conoscenza che i suoi poteri fossero davvero pericolosi? E nonostante questo ha continuato a portare avanti questo progetto? Avevo davvero paura, una paura matta di quell'essere che non sembrava affatto felice per le parole del dottore.
« Insomma sono il risultato di un vostro esperimento? Che ne sarà di me ora che si è concluso?»
Chiese Mewtwo, spaurito. Me lo chiedevo anche io. E mi chiedevo anche cosa ne avrebbe voluto fare mio padre, e se sarebbe riuscito a controllare i suoi "temibili poteri psichici" che tanto mi spaventavano.
« Oh l'esperimento non è finito, siamo solo agli inizi, gli esami veri cominciano adesso! »
Rispose il dottore, con aria di superiorità che infastidì Mewtwo, e anche me. Detestavo il modo in cui lo considerava. Era un essere vivente in primis, non solo un esperimento voluto da mio padre per i suoi scopi. Lo conosideravo diverso, il dottore, pensavo che volesse creare un essere vivente per far rivivere Mew, non come se volesse solo appagare la sua voglia di sperimentare cose nuove. Tutti che pensavano ai loro scopi, ai loro desideri. Mio padre, il dottore, tutta l'equipe. Pensavano solo a loro stessi, e non a ciò che avevano creato, a quell'essere il cui cuore batteva, e batteva forte. Subito dopo iniziarono tutti a congratularsi tra loro, ed erano felici, soddisfatti, entusiasti di aver creato un essere che non consideravano nemmeno vivo, ma solo un esperimento. Restai ferma immobile, presa dall'ira, con i pugni chiusi, a trattenere la mia rabbia.
« Basta! Non vi importa niente di lui! E' questo lui? Solo un esperimento? Una cavia da laboratorio? Mewtwo è molto più di tutto ciò! »
Urlai io, furiosa di quello scempio che mi si presentava davanti.
Tutti si zittirono, girandosi verso di me, e iniziarono a ridere.
Mi sentii presa in giro, come se quelle parole non fossero servite a nulla. Con gli occhi bassi, arresa, mi avviciai a Mewtwo, e lo guardai. Non sapevo che dire. Non avevo infondo nulla da dirgli in quell'occasione. Mi guardò, come quella volta di undici anni prima, ma questa volta non arretrai. I suoi occhi, così viola, profondi, malinconici, rabbiosi. Fu un istante e poi vidi tutto nero.












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Sì, il disegnino(la schifezza) qui presente, è stato creato dalle mie manine xD

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Capitolo 2
*** Tu non sei come loro ***


Quando riaprii gli occhi, fui abbagliata da una candida luce rosea familiare. Il sole illuminava il mio letto passando per le tende rosa che si spostavano sinuosamente, mosse dal venticello, e un delicato odore di muffin entrò per la porta della mia stanza, aperta. Mi stiracchiai le braccia, e mi legai i lunghi capelli castani con un elastico rimasto sul mio comodino, quando un dubbio, o meglio parecchi dubbi, mi passarono per la mente.
« Che ci faccio qui, a casa? Dove sono mamma e Silver? E Mewtwo? Dov’è?»
Mi alzai di scatto e uscii dalla mia stanza, correndo, alla ricerca di mia madre, o di mio fratello Silver, o di qualche inserviente intento a pulire o a far qualcos’altro.
Per prima cosa mi diressi nella stanza di Sil. Era lui che mi mancava di più. Volevo riabbracciarlo, affondare il mio viso tra la sua massa di capelli rossi, e dirgli quanto mi era mancato. Appena aprii la porta della sua stanza, la trovai completamente vuota. Nessun mobile, nessun segno del passaggio di mio fratello, niente di niente. Rimasi immobile a fissare quella stanza così triste, quando la voce di mia madre riecheggiò nelle mie orecchie, facendomi girare.
«E’ partito per diventare un allenatore di Pokèmon. Non tornerà per la cena. Non so nemmeno quando tornerà tesoro»
Disse mia madre, con le lacrime agli occhi. Non capivo il perché di quelle lacrime. Non l’avevo mai vista piangere in tutta la mia vita. Era sempre stata così composta, ai livelli di mio padre, forse per cercare di non sembrare inferiore a lui davanti alla famiglia. Perché quelle parole?
Cosa era successo durante la mia assenza?
« Mamma ma cosa… »
Non feci in tempo a parlare che lei scoppiò in un pianto fragoroso, e si lasciò andare tra le mie braccia, stringendomi forte. Mi guardò con quei suoi grandi occhi neri come i miei, e con la voce rotta dal pianto mi sussurrò:
« Vìv, promettimelo. Promettimi che non diventerai mai come tuo padre, che non farai lo stesso errore di tuo fratello. Ti prego, non tu, tesoro..non tu.. »
Quelle parole furono un colpo all’anima. Non aveva mai parlato in quel modo. Non sapevo nemmeno che dentro il suo cuore ci fossero angosce del genere. No, io non sarei mai diventata come mio padre, e avrei, se si può dir così, salvato Silver dalla sua influenza, e lei lo sapeva benissimo. La strinsi forte, cercando di rassicurarla, quando mi tornò in mente qualcosa.
«Mewtwo. Mamma, dov’è Mewtwo? E cosa è successo, perché sono qui?»
Pronunciare quelle parole fu uno dei miei più grandi errori. Mia madre scoppiò a piangere ancora più forte, e mi strinse a sé come se stesse tenendo una bambola di porcellana. Io la guardai confusa, in attesa di una risposta.
« Quell’essere orribile, che tu chiami Mewtwo, e che tuo padre chiama “il suo grande progetto”, ha distrutto il laboratorio, e ucciso tutti. L’equipe, il dottore, tutti.
Solo tu sei rimasta viva, e non so perché. E’ un miracolo tesoro, credevo di averti persa quando sono venuta a sapere dell’accaduto. Solo quando tuo padre è tornato dall’isola con te priva di sensi, e quel mostro, ho realizzato che tu fossi viva, ma anche che quell’essere era vivo, e che avrebbe potuto creare dolore, distruzione, e tanto altro! »
No. Non ci credevo. Era arrivato a tanto Mewtwo? Era stato capace di fare una cosa del genere? Mi staccai da mia madre, e mi raccolsi in un dolore troppo forte per essere descritto. Si era vendicato, per quello che avevano fatto. Per l’egoismo degli scienziati. Per lo stesso egoismo che muoveva le azioni di mio padre.
« Dov’è papà? E Mewtwo? » Chiesi a mia madre, girando lo sguardo verso la porta d’ingresso, quasi sicura che fossero nel laboratorio di Mogania, dove avevo studiato per anni.
«Sono a Mogania. Tuo padre ha attaccato a quel mostro degli strani macchinari che servono per bloccare il suo potere. Non me l’ha detto esplicitamente, ma credo che abbia paura di lui tesoro. Gli ha inculcato parole, su quanto potessero fare insieme, e gli ha promesso che non lo tratterà come hanno fatto gli scienziati. Dice che saranno soci. Mpf, soci, certo.Però ti prego resta qui, non andarci, è troppo pericoloso! »
Scossi la testa. Non potevo rimanere lì, dovevo andare a vedere costa stesse facendo mio padre. Senza dar retta a mia madre che mi urlava di restare e piangeva, uscii di casa, e mi diressi verso Aranciopoli, al porto.



Impiegai qualche giorno per arrivare a Mogania, tra nave e treni. Entrando nel laboratorio, un paio di scagnozzi di mio padre scommettevano su quanto tempo sarebbe durato Mewtwo nelle sue mani, che avevano fatto cose atroci a centinaia di poveri Pokèmon. Appena mi videro, cacciarono via i soldi, e mi salutarono, allontanandosi subito dopo.
Cercai mio padre per tutto il laboratorio, quando finalmente, lo trovai, insieme a Mewtwo. Indossava una strana armatura, che lo faceva sembrare un alieno-robot. Lo trovai leggermente buffo, ma mi limitai, e non risi.
«Vedo che sei qui, finalmente. Mi chiedo come tu possa esser riuscita ad arrivare qui, viva intendo »
Disse mio padre non appena mi vide. Era sempre così sprezzante. Si avvicinò a me, e mi prese per un braccio, avvicinandomi a Mewtwo. Io avevo paura. Una grande, enorme paura, e Mewtwo lo percepiva. E anche mio padre, ovviamente, che scoppiò in una fastidiosa risata grassa.
«Non aver paura stupida, è un nostro alleato, un socio, non è vero, Mewtwo? »
Chiese quell’uomo tanto crudele al Pokèmon, che si limitò ad annuire. Il fatto che indossasse quella specie di casco robotico, mi dava fastidio. Non potevo guardarlo in viso. Non potevo guardare i suoi grandi occhi viola, che tanto adorai dalla prima volta che mi guardarono.



Per mesi e mesi, mio padre sottopose Mewtwo ad esperimenti, e a sforzi sovraumani, che lui però riusciva sempre a superare. Non capivo il perché di tutto ciò. Era forte, e si vedeva, non c’era bisogno di metterlo alla prova in cose sempre più pericolose, perché ormai, aveva dimostrato di non soffrire nulla. Capitava spesso, che dopo giornate e pomeriggi interi passati a seguire tutti gli allenamenti di Mewtwo, scendevo nella sala dove stava, attaccato a mille cavi, e gli portavo qualcosa da mangiare.
Provai con tutto: mangime Pokèmon, cibo che solitamente ci preparava la cuoca, bacche, poffin, ma non mangiava mai.
Un giorno, quando gli avevo portato per l’ennesima volta qualcosa da mangiare, e per l’ennesima volta, rifiutò, nell’istante prima in cui stavo per andarmene, mi parlò. Era la prima volta che mi rivolgeva la parola, si era sempre limitato a guardarmi.
« Perché? »
Mi chiese. Io mi girai, incredula. Cosa voleva sapere?
Cosa significava quel “Perché” ?
« Perché ti comporti in questo modo con me? »
Rimasi in silenzio. Scossi la testa, e sorrisi.
Effettivamente me l’ero sempre chiesto. Non sapevo perché giorno dopo giorno gli portassi da mangiare nella speranza che mettesse in bocca almeno un boccone.
« Non lo so. Scusami tanto »
Dissi soltanto, girandomi per andare via, imbarazzata.
« Amber »
Urlò Mewtwo, lasciandomi sorpresa. Sapeva il mio nome, lo aveva sentito ripetere a mio padre miliardi di volte. Ma perché mi aveva chiamato proprio con quel nome? Lo stesso nome della figlia dello scienziato, che spense la sua vita nel laboratorio. Mi ricordo quando, una sera, mentre controllavo i valori di Mewtwo, mi raccontò la storia della bambina. Raccontò della sua morte, e della speranza che non abbandonò mai lo scienziato. Aveva infatti racchiuso un alito di vita della figlia in una capsula simile a quella di Mewtwo, e per anni aveva cercato di portare avanti la sua vita celebrale, in attesa di qualcosa che non accadde mai.
Raccontò anche del giorno in cui si spense. Aveva stabilito un contatto telepatico con Mewtwo, e con gli altri tre cloni presenti nel laboratorio, e poco dopo, morì completamente. Non capivo cosa lei avesse a che fare con me.
« Io mi chiamo Vivian, non Amber … » Risposi io, turbata. Mi accigliai, e abbassai la testa, confusa.
« Lo so, sciocca. Ma tu … Non sei come loro. Tu … Amber …»
Sembrava più confuso di me. Non ero come loro? Amber? Non capivo cosa volesse dire. Mi avvicinai a lui, a piccoli passi, quando d’improvviso, si portò le braccia sul viso, coperto dall’armatura, e si piegò, iniziando a far strani versi. Sembrava che stesse lottando con i ricordi, con la sua mente, con qualcosa che lo turbava. Forse stava provando per la prima volta il dolore di un ricordo. Stava forse ricordando Amber? Il contatto che aveva avuto con lei? Non potevo sapere cosa fosse successo quella volta, cosa gli avesse detto Amber. Povero Mewtwo. Non conosceva per intero cosa fosse la vita. Era rinchiuso lì dentro, e non sapeva quante bellezze c’erano fuori da quelle mura. Mi avvicinai sempre di più, quando lui tornò come prima, e lentamente, disse:
« La vita è meravigliosa » Io gli sorrisi dolcemente. Aveva ragione. Ma erano davvero parole sue? Stavo per chiederglielo, quando arrivò mio padre.
«Vivian, sali immediatamente »
Era la voce di papà. Voleva che salissi, per allontanarmi dal Pokèmon. Detestava quando mi avvicinavo a lui. Detestava quando chiunque si avvicinava al suo “grande progetto” . Per arrivare nella sala dove Mewtwo solitamente stava, bisognava scendere delle scale, che partivano da una specie di balcone interno sul quale mio padre si posizionava sempre, per congratularsi con Mewtwo, o per riempirlo di frottole sul quello che avrebbero potuto fare insieme. Io annuii, e lo raggiunsi, salendo le alte scale. Appena arrivai, mi prese per un braccio, come era solito fare, e mi spinse dietro di lui, allontanandomi come se non volesse che ascoltassi la conversazione tra lui e Mewtwo.
« Vai via. Torna a casa »
Mi urlò serio. A casa? Erano ormai mesi che passavamo tutto il nostro tempo a Mogania, e non eravamo mai tornati a casa. Perché tornare proprio in quel momento? Io feci per andar via, ma mi nascosi dietro la porta. Era troppo intento a guardare “il suo progetto” per accorgersi della mia presenza. Non volevo andare via. Volevo restare lì. Per vedere cosa stava per dirgli. Per restare con Mewtwo.
« Come và? I tuoi poteri ti soddisfano? »
Bisse mio padre, sghignazzando. Sapeva benissimo che tutto quello che gli faceva fare non era nulla in confronto a ciò che poteva sopportare.
« Ora conosco bene il mio potere, ma qual è il mio obiettivo?»
Chiese il Pokèmon, guardando prima le sue mani, e poi alzando lo sguardo verso quell’uomo tanto crudele. Quello era un dubbio che assaliva anche me. Papà parlava sempre di obiettivi precisi, ma restava sempre sul vago, non determinava mai.
« Servire il tuo padrone. »
Rispose lui. In quel momento sobbalzai. Servire? Padrone?
«Sei stato creato per combattere per me. Questo è il tuo obiettivo»
Continuò lui, serio e con una vena di sadicità nella voce. Lo odiavo, lo odiavo davvero in quel momento. Credevo che via via, con il tempo avrebbe capito che Mewtwo non era solo un esperimento riuscito, ma un essere vivente, che aveva il diritto di vivere, e non di sottostare al volere altrui. Il Pokèmon, turbato più di me, sentenziò:
«No, non può essere! Avevi detto che eravamo soci! Che saremmo stati alla pari! »
La rabbia di Mewtwo si poteva sentire anche a Kilometri di distanza. Era furioso, deluso, incredulo, e lo si poteva notare benissimo nonostante indossasse ancora quella maledettissima armatura che odiavo con tutta me stessa, e che lo teneva collegato a macchinari che non concentravano il suo potere, come sempre gli aveva inculcato mio padre, ma invece li limitavano, perché lui, il “grande” Giovanni, aveva paura di Mewtwo, e tanta.
« Sei stato creato dagli umani per ubbidire agli umani. Non potrai mai essere un nostro pari!»
Fu dopo che mio padre pronunciò quelle parole, che la mia rabbia scoppiò senza freni. Mi parai tra lui e la ringhiera del balconcino interno, come per far scudo in qualche modo a Mewtwo, e urlai:
«Non è solo un esperimento come lo devi capire? Sei anche tu come tutti loro, sei spregevole, malvagio, non hai un briciolo di amore o compassione dentro quel tuo cuore di ghiaccio! Ti odio! »
Urlai con tutta la mia forza, con tutta la rabbia che avevo in petto. Lo guardai con il fuoco negli occhi. In quel momento desiderai ardentemente che lui non fosse mai nato, che non avesse mai creato tanto dolore a tutti quei Pokèmon, a tutti quei poveri giovani che abbindolava per farli entrare nel suo Team Rocket, a mio fratello Silver, mia madre, me, e infine Mewtwo. Nel suo sguardo, la stessa rabbia, solo che per motivi diversi. Mi guardò in un modo tale, da mettermi paura, parecchia paura.
« Stupida. Non sei stata mai la figlia maggiore che desideravo. Mi hai sempre e solo deluso. E continui a deludermi anche adesso. Non sarai mai nessuno in questo mondo, MAI!»
E mi spinse con tanta violenza, che il mondo attorno a me roteò. Prima la ringhiera, poi Mewtwo, e infine, il pavimento.





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Un ringraziamento speciale a Vì che mi segue passo per passo evitando che io incappi in errori osceni :D

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Capitolo 3
*** La ragazza della spiaggia dagli occhi viola ***


Acqua. Tanta acqua. Un ragazzino con un cappello. Un rumore assordante, come una sirena. Freddo. Macchie di mille colori che s’infrangono. Un cielo meraviglioso. Freddo. Nuvole. Braccia che mi stringono saldamente. Due occhi, enormi, viola. Bellissimi.
 
Mi svegliai d'improvviso, spaventata, in un letto che sentivo non essere mio. Il cuore iniziò a battermi all’impazzata, e non voleva rallentare. Il distacco da quel sogno così reale che sembrava durare da chissà quanto, fu come un treno schiantato in piena sul viso. Mi misi a sedere con le gambe ancora coperte dalle lenzuola bianco latte illuminate dalla luce della Luna, e iniziai a guardarmi intorno impaurita.  Il simbolo del Centro Pokèmon appeso al muro, mi fece intuire dove mi trovassi. Sospirai. Mi lasciai abbandonare sul letto, e una strana tranquillità si appropriò di me, come se una forza esterna controllasse il mio stato d’animo da lontano. Iniziai a pensare. Non sapevo come fossi arrivata lì. Effettivamente, non sapevo neanche chi fossi. Ricordavo solo il mio nome, Vivian, e due enormi occhi viola che mi guardavano come se sapessero che quella sarebbe stata l'ultima volta che mi avrebbero visto.
«Chi sono io? Chi sono io? »
Ripeteva la mia mente, come un registratore, consapevole che quelle non erano parole mie, ma di qualcun altro. Ma riflettendoci, chi ero io? Fui colpita improvvisamente da un forte mal di testa. Sentivo in me la paura, l’angoscia che voleva uscire fuori, perché non sapevo nulla di me, proprio nulla, ma allo stesso tempo qualcosa lo impediva. Gemetti, mentre mi straziavo dal dolore, e pretti i palmi sulle mie tempie in fiamme. Caddi dal letto, e mi rannicchiai in posizione fetale. Urlai di dolore, e iniziai a chiedere aiuto. Dopo qualche minuto di angoscianti urla, la porta della stanza si spalancò, e una figura dai capelli azzurri chiarissimi, quasi grigi, si fiondò su di me.
«Cosa sta succedendo? Ragazzina? »
 Mi chiese preoccupato un uomo, iniziando a guardarmi dalla testa ai piedi, forse in cerca di qualche ferita, che non trovò. Davanti alla porta, un’infermiera dai capelli rosa raccolti, guardava la scena, ammutolita, e mi guardava spaventata. Io non riuscivo a rispondere, la testa stava per scoppiarmi, e mi attaccai disperata all’uomo, sperando che potesse aiutarmi.
«Infermiera Joy faccia qualcosa, si sbrighi!».
Sentenziò, guardando l’infermiera in cerca di aiuto, ma lei mi fissava, immobile. Cosa la faceva spaventare così? Perché non reagiva? Intanto, il grigio, colto d’iniziativa, mi prese in braccio, nell’intento ti portarmi chissà dove, forse fuori da quella stanza. Con gli occhi semi aperti, quello che riuscii a vedere furono solo neon, e pareti bianche. In seguito mi stesero su un lettino, e il mal di testa iniziò a placarsi. Al suo posto però, subentrarono immagini veloci, e come sottofondo, sentivo le voci dei miei due salvatori.
«Infermiera Joy, sembra essersi calmata»
Un bambino dai capelli rossi. Un Meowth. No, un Persian.
«Per grazia di Dio sì. Non ho niente per i pazienti umani, solo per i Pokèmon. Ancora non mi è arrivato il carico di medicine umane, e l’attrezzatura è andata distrutta dopo l’incendio del mese scorso. Signor Petri menomale che lei era qui!»
Una capsula. No, tre. Una luce. Occhi viola. Libri.
«Non si preoccupi, si figuri. Da quanto è nel Centro Pokèmon?»
Occhi viola. Camici. Computer. Cavi. Vetro. Fuoco.
«Da ieri notte. Me l’ha portata un uomo, dicendo di averla trovata sulla spiaggia, svenuta».
 Muffin. Treno. Armatura. Pokèmon. Occhi viola.
«Sulla spiaggia? E come è arrivata qua? »
Ringhiera. Pavimento. Dolore. Sangue
«Basta! »
Urlai alzando il busto e spalancando gli occhi, come per uscir fuori da quella serie di immagini che si presentavano a me, senza lasciarmi tregua. Iniziai ad ansimare, sudata. Che ci facevo lì? Chi ero? Perché tutte quelle immagini? Perché non riuscivo a ricordare niente, perché? Spaventata, mi coprii gli occhi con le mani, e iniziai a tremare. Mi sentivo persa, sola, disperata. Proprio in quel momento una mano soffice e gentile si poggiò sulla mia testa.
«Va tutto bene cara? Hai fatto spaventare sia me che il Signor Petri, sai?»
Disse l’infermiera che avevo capito si chiamasse Joy, con aria apprensiva. Io alzai il capo, con gli occhi umidi e spaventati, e guardai prima lei, e poi l’uomo che mi aveva portato in braccio. Aveva due occhi azzurri, bellissimi, come il ghiaccio. La chioma grigia, scompigliata, gli arrivava quasi sopra le spalle. Era un bell’uomo, avrei costatato più tardi. Tornai a guardare l’infermiera, sembrava così dolce. Mi passai una mano tra i capelli, disorientata, e risposi:
«Io … Io non mi ricordo niente, non so … niente. Dove mi trovo? Come sono finita qui? »
Chiesi all’Infermiera, toccandomi nervosamente i capelli, quando mi accorsi di qualcosa che mi lasciò a bocca aperta. Restai immobile a fissare la ciocca che avevo tra le mani. Sentivo che quello NON era il mio colore di capelli. Mi alzai di scatto, e iniziai a cercare uno specchio per la stanza, finché lo trovai, su una parete di quella stanza, e quello che vidi riflesso mi spaventò. Nero. Il colore dei miei capelli. Viola. Il colore dei miei occhi. Scura e profonda. La piccola cicatrice a X che mi ritrovavo proprio al centro del collo. Iniziai a toccarmi il viso, gli occhi, i capelli, il collo. Era possibile che la mia amnesia mi avesse portato a non riconoscermi? Eppure nei flashback, che fino a poco fa mi tartassavano la mente, ero diversa. E quegli occhi, così simili a quelli del sogno, a quelli delle visioni. Iniziai a non capire più niente, e mi portai le mani alla testa, e inarcai la schiena. Il mal di testa stava per tornare. Stavo per ripiombare nell’oblio, quando due braccia possenti ma gentili, mi strinsero, e una mano portò la mia testa su una spalla, quella dell’uomo dai capelli grigi.
«Calmati, stai tranquilla, qualsiasi cosa ti turba, sei al sicuro qui, non è vero infermiera Joy?»
Disse il signor Petri, rivolgendosi alla rosea infermiera, che subito annuì ripetutamente. Subito dopo, si avvicinò a me, e prendendomi per mano, mi staccò dalla rassicurante presa del grigio, e sorridendo dolcemente, mi sussurrò:
«Cara, forse è meglio che adesso tu vada a riposarti. Sembri stanca. Domani mattina verrò a svegliarti, così potremo parlare meglio di questa storia».
Io non volevo tornare in quella stanza. E se mi fosse tornato il mal di testa? E se mi fossi sentita male? E poi non avevo assolutamente sonno, pff. Aprii bocca per protestare, ma l’infermiera, prontamente mi ammonì.
«Ascolta me, cara. Domani sarai più riposata, ne sono sicura. Ora torna a letto, devo occuparmi dei Pokèmon del signor Petri. Riposa bene, mi raccomando!»
Io annuii silenziosamente, e mi avviai verso la porta della sala dove mi avevano portato, quando il grigio mi prese per un braccio, e mi disse:
«Forse è meglio che ti accompagno nella stanza. Mi sa proprio che ti perderesti in mezzo ai corridoi del dormitorio».
Io mi portai una mano dietro la nuca, imbarazzata. Non sapevo dove fosse la mia stanza, e sicuramente mi sarei persa, andando a finire chissà dove. Era gentile quell’uomo. Questo mi fece sentire in un certo senso, protetta. La disperazione di prima, sembrava attenuarsi.
«Rocco, Rocco Petri. Tu sei? »
Mi disse poi, mentre camminavamo per il corridoio, presentandosi.
«Vivian, o almeno così mi ricordo»
Risposi io, sospirando. Ci fermammo poi davanti ad una stanza, che sembrava esser quella in cui mi svegliai. Non sapevo che dirgli per ringraziarlo. Alzai lo sguardo verso di lui, in cerca delle parole, ma mi accorsi che mi stava osservando. Mi guardò a lungo, con i suoi bellissimi occhi ghiaccio, come per “studiarmi” in qualche modo. Non avrebbe potuto capir poi molto. Non traspariva nulla di me dal mio viso, perché la mia mente era un totale vuoto. Per un attimo mi sentii in imbarazzo, e abbassai lo sguardo.
«Ehm, grazie per avermi accompagnato Signor Petri. Buonanotte»
Dissi io, rossa in viso, entrando nella stanza. Non ci voleva poi così tanto, dovevo solo dire due parole.
«Buonanotte, Vivian»
Rispose lui, sorridendo, e chiudendo la porta. Sospirai. Mi ritrovavo sola in quella stanza troppo estranea. Notai una finestra accanto al letto. La spalancai, e iniziai a guardare la Luna, lasciando che la mente restasse libera da ogni pensiero. Non passò molto, che una sensazione di solitudine si appropriò di me, e la parte che voleva sapere prese il sopravvento. Chi ero io? Da dove venivo? Chi era la mia famiglia? Cosa ne era della mia vita, prima di scordare tutto?  Troppe le domande cui volevo dare una risposta.
Dimentica.
Sussurrò una voce dentro di me, come se mi stesse consigliando, e allo stesso tempo obbligando a fare quello che aveva appena detto. Dovevo davvero dimenticare tutto, e iniziare una nuova vita? Quell’amnesia che tanto mi straziava e mi divideva, era un castigo, o un dono? Qualsiasi cosa fosse, mi ritrovavo al punto di partenza. Avrei dovuto ricominciare tutto daccapo, andando avanti con forza, senza abbattermi. Avrei dovuto trovare uno scopo, una linea da seguire per andare avanti. Chiusi gli occhi un secondo, e l’immagine dei due grandi occhi viola mi si presentò davanti, come qualcosa di indelebile scolpita dentro di me. Quegli occhi. Ecco cosa sarebbe stato il mio scopo. Trovare quegli occhi. Chissà se avrebbero potuto placare quella tempesta che sentivo dentro di me. Dovevo trovarli, e al più presto. Forse non in quel momento, visto che mi piombò addosso un sonno improvviso che mi obbligò a tornare a letto, ma li avrei trovati.


La mattina, dopo una notte di incubi, fui svegliata dalla gentile Infermiera Joy, solo che questa volta non era in compagnia del signor Rocco. Un grande e paffuto esserino rosa, che scoprii chiamarsi Chansy, con un uovo infilato in una specie di grande tasca sulla pancia, la seguiva sorridente. Mi portarono una bella colazione, e mangiai avidamente tutto, presa da una fame improvvisa, come se non mettessi nulla nello stomaco da qualche tempo. La mattinata passò molto, ma molto lentamente. Fu un susseguirsi di domande, a cui non sapevo dar risposta. Le spiegai che non ricordavo nulla, a parte il mio nome (preferii non parlarle degli occhi viola), e che non sapevo cosa fare e nemmeno dove andare. Non avevo nemmeno un Pokèmon. Capendo la situazione, l’Infermiera mi raccontò poi di come ero arrivata lì, nel centro Pokèmon di Verdeazzupoli, una cittadina di Hoenn. Un pescatore del luogo, mi aveva trovata sulla spiaggia, senza sensi, e con un gesto di pietà mi aveva portata al Centro Pokèmon, dove l'Infermiera stessa mi sistemò nella stanza dove mi risvegliai. Mi chiesi come ci fossi finita sulla spiaggia. Il dubbio che io fossi una naufraga di qualche crociera mi balenò in testa, ma lei mi spiegò che in quel periodo dell’anno, le acque sono troppo impervie perché siano navigate da semplici navi da crociera, e quindi scartai l’idea. Dopo l’ora di pranzo, arrivò anche il Signor Rocco, che era venuto per ritirare i suoi Pokèmon, e dovetti ricominciare con la valanga di domande. Poco dopo arrivò anche l’uomo che mi aveva trovata nella spiaggia, un certo Chris, insieme a sua moglie e alla sua bambina, e piano piano il centro Pokèmon si riempì di persone, curiose di sapere chi fosse “la ragazza della spiaggia dagli occhi viola”, o in seguito “la smemorata”. Fortunatamente, Rocco, con l’aiuto dell’Infermiera, cacciò via tutti quanti. Ottenuta la così desiderata tranquillità, il grigio si avvicinò a me, e mi disse passandosi una mano sui lunghi capelli:
«Devi scusarli, è che qui a Verdeazzupoli non succede niente di interessante da molto tempo, e il tuo arrivo così strano, e il fatto che tu abbia perso la memoria, ha incuriosito la gente del luogo. Sai, siamo una quarantina qui, ci conosciamo tutti, le cose si sanno subito e in poco tempo. Ma stai tranquilla, alla fine si abitueranno, e si dimenticheranno di questa storia».
Avvampai dalla vergogna. Ero diventata un fatto di cronaca in così poco tempo?
«Non preoccuparti. Come biasimarli? Anch’io ancora devo abituarmi all’idea di essere una smemorata che viene dal mare che non sa cosa fare né dove andare».
Risposi io, sospirando. In verità sapevo cosa fare, gli occhi viola mi aspettavano chissà dove, ma in quel momento, mi sentivo davvero triste e abbattuta.
«Beh, se il problema è questo, potresti venire a stare da me per un po’. Ho una stanza per gli ospiti, potresti stare lì. Per un primo periodo, ti aiuterò io. Troveremo dei Pokèmon per te, un lavoro e poi una casa, poi però dovrai cavartela da sola, sai, tra qualche mese dovrò tornare al mio posto da camp … devo tornare al mio lavoro. Quindi, accetti? »
Mi disse lui gentilmente, porgendomi la mano. A me brillarono gli occhi in quel momento. Era gentile. Fin troppo gentile. Inizialmente non sapevo cosa rispondere. Era un estraneo, non sapevo nulla di lui, e lui non sapeva nulla di me. E’ vero, non sapevo nulla neanche io di me, però qualcosa mi frenava. Forse l’imbarazzo di andare a stare da una persona di cui conoscevo solo il nome? Eppure sarebbe stato così con tutte le persone del globo. Non conoscevo nessuno. Eliminai tutti quei problemi che la mia mente si poneva a raffica, e stringendogli la mano sfoggiando quello che pensavo potesse essere il mio miglior sorriso, esclamai:
«Accetto! »








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Un ringraziamento speciale alla mia twìn, a tutti coloro che leggono, e che hanno la voglia di recensire questo pasticcio.


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Capitolo 4
*** Devo tornare da lei ***



MEWTWO'S MIND
(Il capitolo che segue riporta fatti accaduti poco prima del risveglio di Vivian al Centro Pokèmon. Capitolo breve, ma Mewtwoso. :3)








Sciocca umana. Così fragile e indifesa, stesa su questo letto. Ma perché l’ho portata qui? Non dovevo stare a sentire quel ragazzino. Me ne sarei dovuto sbarazzare subito dopo quello che è successo all’isola, e invece, ora sono in questo lurido posto pieno di umani,  ad aspettare che lei si svegli Tsk. Potevo lasciarla in balia delle onde, divorata da qualche Pokèmon, o meglio, annegata e dispersa nelle acque. L’avrei potuta anche far sparire con queste mani, le più potenti del globo!
 
… Le stesse che adesso le stanno accarezzando il morbido collo …

 Che rabbia vedere quel maledetto segno fregiarle la pelle. Avrei potuto far di meglio, nel laboratorio. Eppure, dopo quella terribile caduta, difficilmente sarebbe sopravvissuta se non l’avessi portata lì. Fu il giorno quando fuggii da Giovanni, dopo che si era rivelato uguale a tutti gli altri esseri umani. Me lo ricordo come se fosse ieri. Lei era in un bagno di sangue. Sangue umano, lurido, ignobile. Sangue identico a quel bastardo che l’ha buttata giù. Uomini, che feccia. Quel maledetto che diceva di essere mio socio, quel bugiardo. Non ha avuto compassione nemmeno per un suo simile. L’aveva quasi uccisa. Se non fosse stato per me, a quest’ora sarebbe morta.
 
…E avrebbe tolto al mondo la felicità di essere abitato da un essere così gentile come lei …
 
Ma perché non l’ho lasciata morire e mi sono ostinato a curarla? Mi ricordo ancora il suo corpo distrutto attaccato a dei tubi, infilato dentro la capsula. E mi ricordo benissimo anche la sua schiena, bianca, macchiata dal sangue, e spezzata. E’ stato terribile tentare di rimetterla a posto. Però ci sono riuscito benissimo alla fine, ero soddisfatto di ciò che riuscii a fare, dopotutto, sono il Pokèmon più forte di tutti, sono capace di far qualunque cosa, anche mandare questo mondo nel più totale oblio.
 
… Eppure le ho sfregiato quella schiena così perfetta, con un segno che le resterà a vita …
 

Quanto tempo ho aspettato che si svegliasse? Mesi, dannazione! Ero sicuro che sarebbe stata utile per il mio obiettivo. Sarebbe diventata così la mia servizievole marionetta. Il mio giocattolo. E’ talmente debole, che avrei preso il suo controllo mentale in pochi secondi. L’avrei potuta mettere a capo di un esercito di Cloni, o le avrei potuto ordinare di uccidere, così avrei potuto conquistare il mondo più facilmente, e alla fine, raggiunto il mio obiettivo, l’avrei eliminata.

… Ma, ci sarei riuscito? Sarei riuscito a spegnere per sempre la vita di … di Vivian?...
 
La sola idea, adesso, mi fa ribrezzo. Nessuno al mondo ha il diritto di togliere il dono della vita a qualcun altro. E questo, l’ho capito solo grazie a Mew, e a quel ragazzo. Qual era il suo nome? La ragazza dai capelli rossi lo chiamava Ash. Sì, forse è quello il suo nome. Si era sacrificato per fermare la sanguinosa lotta che stavo portando avanti, tra originali e cloni, che sciocco. Credeva che mi sarei potuto fermare e … e aveva ragione. Ma cosa…? Si sta svegliando? No, si è solo mossa. Allora le capacità motorie le sono tornate. Mentre la portavo qui, volando, era immobile.
 
... La tenevo come se fosse una gemma di Cristallo …
 
Il corpo era abbandonato tra le mie braccia, e i capelli castani erano mossi dal vento, e … No. Così la potrebbero riconoscere. Altrimenti perché le avrei eliminato la memoria di tutta la sua vita? Deve stare lontano dalla sua famiglia, da suo padre, dalla stupida esistenza che conduceva prima. Devo cambiarla, in modo che non sia riconoscibile, altrimenti, la riporterebbero a casa, e tutto il mio lavoro sarà stato inutile, e poi chissà come la ridurrebbe quel bastardo.
 
… Però, non vorrei mutarle questo viso così … così dolce …
 
Ecco, così dovrebbe andar bene. Capelli neri. Come la pece. Come il buio in cui l’intera umanità merita di fiondare. E gli occhi? Negli occhi le resterà indelebile per l’eternità qualcosa di me. Così è perfetta. Sta per svegliarsi. Dovrò dirle addio. Le accarezzo il viso per l’ultima volta. Chissà se sarà capace di ricominciare tutto di nuovo. Meglio uscire da questo buco, o altrimenti mi vedrà. Le chiudo la finestra, potrebbe sentir freddo. Com’è triste questo cielo blu pezzato di stelle. Lo stesso che ci sovrastava mentre la stringevo forte per non farla cadere, portandola qui, a Verdeazzupoli. Mi ricorderò per sempre di lei. Mi ha difeso fino all’ultimo. Prima davanti gli scienziati, e poi davanti suo padre. E per farlo ha rischiato la sua vita. E’ ora di tornare dai miei cloni. Adesso inizieremo una vita nuova, lontano da qui, dagli umani e dal loro male, lontano da Vivian. Per tutto il tempo in cui è stata con me, ho sentito una strana sensazione allo stomaco. Pensavo fosse senso di colpa, dopotutto, stava per morire a causa mia, e sentivo che dovevo ricambiare in qualche modo. Ma adesso che le ho ridato la vita, e ho saldato il conto, perché, questo vuoto da appagare, questa sensazione che muta in continuo il mio stato d’animo, continua?
 
… Devo tornare da lei …













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Thanks to my twìn. Love u my dear.
Grazie a tutti quelli che continuano a seguirmi e a recensire la storia. :D

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Capitolo 5
*** Una bella giornata di sole ***


«Ahia! Fermo, fermo! Mollami, mi stai facendo malissimo! »
Urlai a Rocco spingendolo via e alzandomi dalla sedia. Lui scosse la testa e sbuffò.
« Se non ti fai togliere questa scheggia di vetro subito, scenderà sempre più infondo, e ti beccherai una bella infezione »
Decretò alzandosi da terra e posando l’ago e il disinfettante su un mobile.
« Non m’interessa. Male che vada, andrò dall’infermiera Joy!»
Replicai io, incrociando le braccia. Subito dopo mi voltai per andare nella mia stanza, ma dopo il primo passo, un dolore atroce al tallone mi costrinse a buttarmi giù, seduta a terra. Mi guardai dolorante la parte ferita. Ci mancava solo quel maledetto vaso. Io volevo semplicemente fare la donna di casa, pulire e sistemare tutto, ma l’unico risultato che ottenni furono una valanga di cocci, e le mani da ricercatore di rocce(che per me erano solo inutili sassi)  sul mio piede, che tentavano di estrarmi il corpo estraneo. Rocco non era il migliore in quel campo, e riuscì solo a farmi più male di prima. Erano ormai tre mesi che abitavo con lui a Verdeazzupoli, e da subito era nato un particolare feeling. I primi giorni però furono un totale disastro. Non sapevo come comportarmi, cosa fare, cosa dire, e me ne stavo chiusa nella mia stanza tutto il giorno. Poi, iniziammo a prendere sempre più confidenza, fino a quando, nacque una forte intesa. M’insegnò i fondamentali per allenare i Pokèmon, i vari tipi, le debolezze. Mi parlò dei cinque continenti, Kanto, Joto, Hoenn, Sinnoh  e Unima, delle speciali pokèball, e di tutto quello che c’era da sapere, che la mia mente aveva rimosso. Un giorno poi, discutendo sul mio futuro, mi portò a decidere di seguire la strada di allenatrice di Pokèmon. L’idea mi elettrizzava, nonostante io non possedessi nessun mostriciattolo. Mi aveva convinto a seguire quell’obiettivo, e dovevamo decidere quando avrei potuto avere il mio primo Pokèmon. E guarda caso la data del fatidico giorno era proprio quella.
« Vìvs »
Iniziò, chinandosi verso di me. (Adoravo quando mi chiamava in quel modo)
« Conciata così non potremo andare a catturare Pokèmon alla Grotta Ondosa. Ti faresti solo più male. Avanti, animati di coraggio e fatti estrarre questa scheggia. Prenditi il cuscino e mordilo, così scaricherai la tensione lì»
Mi disse alzandomi da terra e aiutandomi ad entrare nella mia stanza. Mi aveva portata lì in modo da stare più comoda, visto che da lì a poco sarebbe successo il manicomio. Mi sedetti sul letto, e presi il cuscino. Ero terrorizzata, ma tutte quelle attenzioni mi facevano sentire protetta e al sicuro, e poi Rocco era così … così speciale.
« E va bene. Però promettimi che non mi farai male! »
Gli dissi io, nascondendo il viso dietro il cuscino. Furono parole vane al vento. Per un’ora intera, non feci altro che urlare e fuggire saltellando con un piede solo per tutta la stanza, finché dopo aver visto le stelle, Rocco riuscì a liberarmi da quel grande fastidio.
« Mi hai fatto malissimo! »
Piagnucolai io con il broncio, cercando di non piangere. Avevo sentito un dolore atroce, e avevo elencato tutti i Santi e i beati in cerca di disperato aiuto, e il sarcasmo di Rocco non aiutava a confortarmi. Avevo (o almeno così sembrava) circa vent’anni, ma in quell’occasione ne dimostrai solo tre.
« Ohh povera Vìvs! »
Disse lui prendendomi in giro. Subito dopo si avvicinò a me, e mi scoccò un bacio sulla guancia, come per consolarmi. Io avvampai tutta in un colpo. Era la prima volta succedeva. Solitamente l’unico contatto che avevamo, era qualche cuscinata in faccia quando cercava di svegliarmi, o un fono in testa quando entrava in bagno, ignaro che in quel momento fosse occupato da me.
« Adesso preparati che andremo alla grotta Ondosa »
Mi disse sorridendo, alzandosi dal letto. Io annuii contenta. Sarebbe arrivato il mio momento. Per tre mesi Rocco mi aveva insegnato tutto ciò che bisognava sapere per diventare una bravissima Allenatrice. Per la cattura però, aspettammo così tanto tempo perché secondo lui non dovevamo affrettare la cosa. Chissà quale Pokèmon avrei potuto catturare. Iniziai a immaginarmi la scena. Ricerche, lotte, attacchi, Pokèball.  ma fu in quel momento che un piccolo dubbio mi attanagliò la mente.
« Rocco, ma io come cavolo lo dovrei catturare questo Pokèmon? »
Urlai sperando che mi sentisse. Aspettai qualche secondo, quando arrivò nella mia stanza, lentamente, come se gli avessi detto acqua fresca.
« Ma lo sai che non ci avevo pensato? Non hai nessun Pokèmon per catturarne altri, e di certo non posso prestarti i miei perché … non ti ubbidirebbero »
Disse tranquillamente, ridacchiando, come se la cosa nemmeno lo scalfisse. In quel momento mi venne l’istinto di ucciderlo, e speravo con tutta me stessa che avesse uno straccio di piano. Mi alzai dal letto lentamente, scura in viso, e mi avvicinai a lui, minacciosa. Non appena fui davanti il suo bel visino, poggiai le mani sulle sue spalle scolpite, e iniziai a strattonarlo, presa da una rabbia convulsa.
« E tu me lo dici adesso? Dopo una settimana che abbiamo prefissato il tutto? Ma sei scemo? Chiedimi subito scusa e cerca di rimediare, ORA!  »
Urlai continuando a strattonare il mio povero ospitante. Ci vollero circa tre secondi, e Rocco, liberandosi dalla mia morsa, mi prese per le braccia, fermando la mia furia omicida. Mi bloccai. Lasciò scivolare a terra la tracolla, e mi guardò dritta negli occhi, serio. Io in quell’istante mi sciolsi.
« Vìvs … scusami. Risolveremo la questione, più tardi »
Disse soltanto, con voce leggera, quasi come un sussurro. Pian piano, la dura presa si allentò, trasformandosi in un dolce abbraccio. Mi sorrise, solo come lui sapeva fare. Aveva un sorriso stupendo, rassicurante. Ciò che però in quel momento mi stavano mandando in paradiso però, erano le sue mani sui miei fianchi, e le mie braccia attorno al suo collo. I suoi occhi, erano fissi su di me, e sembravano non volersi staccare. Probabilmente ero diventata di tutti i colori, ma in quel momento, l’unico colore che avevo in testa, era quell’azzurro ghiaccio davanti a me. Iniziò ad avvicinarsi lentamente al mio viso, mentre il cuore mi batteva a mille, quando d’improvviso successe qualcosa d’inspiegabile.
NO!
Urlò una voce dentro la mia testa, e l’immagine dei due occhi viola che ogni notte da quando mi risvegliai al centro Pokèmon mi ossessionava, mi apparve, sovrastando ogni cosa. Il terribile mal di testa si avvalse di me, e le mie gambe iniziarono ad abbandonarmi. Rocco riuscì ad evitare che io cadessi a terra, tenendomi stretta.
« Vivian và tutto bene? E’ quel mal di testa di sempre?»
Mi chiese Rocco evidentemente preoccupato. Mi stese un attimo sul letto, e si voltò verso il mio comodino, aprendo il cassetto. Iniziò a frugare nervosamente dentro, quando trovò quello che stava cercando. Le medicine. Erano delle pasticche che dovevo prendere ogni volta che il mal di testa tornava. Era stata Joy a darmele, dopo che il carico di medicine per umani erano arrivate al Centro Pokèmon. Il grigio ne prese due dal barattolino, e me le mise in bocca. Si sciolsero immediatamente, e il mal di testa si placò. Poco dopo, era sparito. Aprii gli occhi prima tenuti chiusi per il troppo dolore, e guardai Rocco, sconsolata. Poco dopo, iniziai a piangere, fiondandomi su di lui, disperata.
« Suvvia Vivian, prima o poi passeranno. Hai sentito cosa ha detto l’infermiera Joy no? E’ l’amnesia che ti porta questi fastidi, e via via con il tempo, passeranno»
Disse lui abbracciandomi, tentando di rassicurarmi. Sapeva benissimo che non ci sarebbe riuscito mai e poi mai. Odiavo quel mal di testa con tutta me stessa. Mi accarezzò delicatamente i capelli, cercando in tutti i modi di far calmare il mio pianto.
« Maledizione! »
Urlai io con voce rotta dalle lacrime, trattenendo la voglia di spaccare tutto. Proprio in quel momento doveva venirmi quel mal di testa. E poi? Quegli occhi viola? Non stavo mica dormendo, ero sveglia. Con un gesto della mano, Rocco mi asciugò le lacrime, e mi guardò sorridendo.
« Dai, non piangere più. Sto per comunicarti una bella notizia, e il tuo umore così negativo, potrebbe rovinarla. Avanti Vìvs, fammi un sorriso e promettimi di essere più forte »
Io annuii asciugandomi le ultime lacrime che mi erano scese giù per le guancie, e gli sorrisi, alla meno peggio, cercando di essere credibile. Lui ricambiò il sorriso, e iniziò a parlare, tenendomi ancora abbracciata, guardando la finestra aperta della mia stanza.
« Per oggi non era in progetto la cattura del tuo nuovo Pokèmon, ma qualcos’altro. Oggi non andremo a catturare proprio niente, ma ci prepareremo per il nostro viaggio verso Albanova. Lì abita il professor Birch, uno studioso che solitamente dona ai nuovi allenatori un Pokèmon per iniziare la loro avventura. E’ amico mio, e già ci siamo messi d’accordo tempo fa, per farti avere un Pokèmon tutto tuo. Che ne pensi? Sei contenta?  »
Disse lui entusiasta, guardandomi negli occhi sorridente all’ultima frase. Se ero contenta? Mi chiedeva se ero contenta? Ovvio che lo ero, eccome. Avrei fatto un “viaggetto” con Rocco, e per lo più, avrei ricevuto il mio primo Pokèmon, o almeno quello che doveva essere tale nella mia nuova vita.
« E me lo chiedi? Certo che sono contenta, anzi, contentissima! Quando partiamo?»
Gli chiesi io entusiasta con gli occhi che mi brillavano.
« Tra dieci minuti, se ti sbrighi a sistemare tutte le tue cose»
Disse semplicemente, sciogliendo a malincuore l’abbraccio, alzandosi e uscendo dalla mia stanza. Io rimasi a bocca aperta. Mi lascia così, su due piedi, con dieci minuti a disposizione per sistemare tutto? Mi misi le mani tra i capelli. Non sapevo da dove iniziare. Non avevo nemmeno niente dove poter mettere i vestiti. Ero in preda al buio più totale, quando sentii un tonfo secco.
« Tieni, metti dentro il minimo indispensabile»
E fu così che mi ritrovai davanti la porta un borsone striminzito. Lo presi lentamente, sconvolta, e lo aprii. Era davvero microscopico. Mi avvicinai al mio armadio e spalancai le ante, guardando depressa il contenuto. Avevo una marea d’indumenti, tutti regalati da Rocco(che a quanto pare si ritrovava in mano un bel capitale visto la bellezza di alcuni), e non sapevo quali portarmi. Sospirai sconsolata, e iniziai a guardarli tutti, riflettendo. In una frazione di secondo, le mie mani iniziarono a lanciare verso il letto ogni sorta di vestito. C’era un casino assurdo nella mia stanza, tutto dovuto alla mia impossibilità di scegliere cosa portarmi. Dopo aver svuotato tutto l’armadio, mi girai verso il letto. Era un ammasso di colori. Iniziai quindi a dividere i vestiti che non mi sarei portata da quelli che avrei portato, finché alla fine riuscii a raggiungere un compromesso. Guardai soddisfatta il mucchietto di roba che avevo scelto, e poi, sbuffai. Adesso avrei dovuto cercare di sistemare quel groviglio di cose per cercare di farle entrare dentro il mini borsone. Mi girai un secondo per prenderlo, e quando mi voltai, lanciai un urlo. In pochi secondi Rocco fu nella stanza.
« Vivian? Perché hai urlato?»
Mi chiese lui, avvicinandosi velocemente. Io ero immobile e guardavo inorridita i miei vestiti perfettamente piegati sul letto che aspettavano solo di essere riposti dentro il borsone. Mi ero girata solo pochi istanti, lasciandoli in preda al caos più totale, e poi li avevo trovati in quel modo.
« I vestiti … i vestiti … »
Riuscii a dire soltanto, mentre li indicavo, strabuzzando gli occhi. Rocco scosse la testa, e uscì dalla stanza dicendo:
« Vìvs non perdere tempo e sistema il borsone»
Lo guardai con una faccia stile il quadro “L’urlo” e portai gli occhi sui miei vestiti, completamente spaventata. Ero indecisa sul sistemarli, o sul fuggire via in tempo tre secondi da quella stanza. Presa di coraggio poi, optai per la prima scelta, e lentamente, aspettandomi da un momento all’altro che i vestiti mi avrebbero attaccato o fatto chissà cosa, iniziai a riporli nel mini borsone, e con mio grande stupore, notai che entravano tutti perfettamente. Mi misi in spalla quindi l’obbrobrioso contenitore di indumenti impossessati, e uscii dalla stanza, cercando Rocco.
« Ho finito, andiamo?»
Chiesi poi all’uomo, dopo averlo trovato davanti alla porta d’uscita, che mi aspettava. Lui annuì, sorridente, e uscimmo fuori. Mentre poi Rocco chiudeva a chiave la casa, io iniziai a guardarmi intorno. La solita calma di ogni giorno aleggiava intorno a Verdeazzupoli, e le persone passeggiavano tranquillamente tra l’erba verde della città-isola e i grandi alberi che donavano ombra ai passanti. Una piacevole brezza marina mi mosse leggermente i lunghi capelli neri, e portai lo sguardo verso il cielo azzurro. Era proprio una bella giornata di sole.




























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Ancora mille grazie a tutti coloro che continuano a seguire e recensire la mia FanFiction! <3

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Capitolo 6
*** Ciao, Matrix! ***


Mi legai i capelli con un elastico, mentre aspettavo che Rocco finisse di chiudere tutto a chiave(aveva un sacco di serrature per evitare che qualche ladro entrasse , come se a qualcuno interessassero i suoi stupidi sassi). Faceva caldo quel giorno, nonostante a Verdeazzupoli il clima fosse abbastanza temperato.
« Bene, è ora »
Sussurrò poi non appena ebbe finito. In seguito prese dal suo piccolo marsupio che teneva attaccato alla cintura, nel fianco destro, una Pokèball, da cui uscì il suo Skarmory, possente e fiero come sempre. Inizialmente mi chiesi a cosa sarebbe potuto servire, ma la risposta arrivò in poco tempo. Il suo allenatore gli salì in groppa, e poi mi porse la mano, dicendo:
« Avanti Vìvs, sali. Skarmory ci porterà velocemente a Porto Alghepoli. Da lì poi, prenderemo la nave per Porto Selcepoli, e ci avvieremo a piedi verso Albanova»
Io lo guardai inorridita. Quel Pokèmon sarebbe riuscito a portarci entrambi alla meta? Rocco poi mi sorrise, percependo le mie perplessità.
« Non dirmi che hai paura!  Skarmory è un Pokèmon che ha una forza strabiliante, e può tranquillamente portarci lì senza problemi. Quindi, ora sali che siamo già in ritardo. Ti prometto che non ci succederà niente, Vivian »
Il suo sorriso era così rassicurante, che afferrai serena la sua mano, e lasciai che mi aiutasse a salire. Solo che quell’apparente tranquillità che si era avvalsa di me, poco dopo sparì, lasciando posto a un puro terrore. Skarmory si alzò da terra, tranquillamente, e in pochi secondi ci ritrovammo in cielo. Sbatteva velocemente le sue ali taglienti, e avevo paura che mi potesse ridurre a fettine in men che non si dica. Mi tenni stretta a Rocco non appena iniziammo a volare a tutta velocità, perché se non l’avrei fatto, possibilmente sarei volata via chissà dove. Per tutta la durata del volo, non proferimmo parola, perché il vento ci sbatteva in viso a grande velocità, e rimasi tranquillamente(se si può dir così) abbracciata a lui fino a quando, due orette dopo, non atterrammo alla spiaggia di Porto Alghepoli. 
« Eccoci qui, hai visto? Siamo arrivati sani e salvi, senza nessun problema! »
Mi disse Rocco, sorridente, mentre scendeva da Skarmory. Ma fece presto a parlare, troppo presto. Proprio quando stavo scendendo, nell’istante dopo in cui poggiai i piedi a terra, l’uccellaccio d’acciaio sbatté forte le ali per sgranchirsele, tagliando di netto i miei capelli svolazzanti, poco sotto il punto in cui erano legati dall’elastico.  La mia bella lunga chioma corvina, si disperse lentamente intorno, come fili d’erba portati in giro dal vento. Io mi sentii morire in un istante. Desiderai sia per me stessa sia per la vita del Pokèmon, che avevo solo sognato quello che era appena successo, e invece, era tutto reale. Una rabbia convulsa si era appena appropriata del mio corpo, e sembrava quasi che mi stesse per uscire fumo dalle orecchie. Non appena Skarmory si accorse del danno che aveva appena fatto, mi guardò spaventato, e iniziò ad arretrare lentamente. Io mi avvicinai a lui, rabbiosa, e in un secondo ci ritrovammo a inseguirci per tutta la spiaggia.
« Ti faccio arrosto stupido uccellaccio, ti pentirai di essere nato! Ti cucino alla diavola, con le patate, arrotolato con le zucchine, a pezzetti nell’insalata di riso, con il curry, a Cordon Blue, oppure fatto a crocchette, anzi no, meglio a brodo!! »
Mentre mi rendevo ridicola inseguendo quell’ammasso di acciaio, chiedendomi se sotto tutta quell’armatura ci fosse davvero sostanza, Rocco ci guardava divertito, e rideva. Subito dopo mi fermai, guardando in cagnesco Skarmory, che in pochi secondi sparì, richiamato dal suo allenatore nella Pokèball. L’uomo dai meravigliosi occhi azzurro ghiaccio si avvicinò a me, sorridente. In quell’istante lo stavo odiando a morte. Sorrideva, tutto felice, nonostante IO, in tutta quella situazione non ci trovassi niente di così divertente.
« Sei bella lo stesso con questi capelli. Anzi, ti risaltano il viso, e la profondità dei tuoi occhi viola si percepisce meglio. Prima bisognava guardarti a lungo per apprezzare la bellezza delle tue iridi, ora invece, ti colpiscono in pochi secondi »
Certo, se ne usciva così. Anche se quelle parole non mi dispiacquero. Passò poi una mano tra i miei capelli, che adesso erano corti e ribelli, iniziando ad accarezzarli, o meglio, studiarli, per render l’idea. Dopotutto, era una novità anche per lui il vedermi senza quella lunga chioma. Feci lo stesso anch’io, fino a quando le nostre mani non s’incontrarono. Ritrassi subito la mia, abbassando lo sguardo e arrossendo. Sentii uno strano groppo in gola, e dentro me stessa, non facevo altro che ripetere di non piangere. Per me era una disperazione aver perso i miei bellissimi capelli lunghi. La mia chioma corvina era l’unica cosa che mi era (forse) rimasta della mia vecchia vita, perché mica i capelli crescono in quel modo in pochi giorni, e la sola idea di averli persi, mi buttava giù di morale. Dio mio, è vero, erano solo capelli, mi ero mostrata solo superficiale comportandomi in quel modo, però, li adoravo. Erano l’unica cosa che mi piacesse davvero di me. C’è da dire anche che, non ero proprio una bomba sexy, però, non ero nemmeno pelle e ossa. Le curve le avevo, e si potevano notare, ma ai giusti livelli. Ma nonostante ciò, c’era sempre qualcosa di me che non mi convinceva. Come se non mi sentissi davvero mia in quel corpo. E poi, c’era quella piccola cicatrice a x sul collo e … e quel terribile squarcio nella mia schiena. Era orribile, ORRIBILE. La prima volta che lo vidi, urlai terrorizzata e inorridita. Una lunga cicatrice scura, percorreva tutta la mia schiena, partendo dalla nuca, fino a raggiungere il coccige. In poche parole, percorreva tutta la spina dorsale.
« Adesso avviamoci verso il porto. Il viaggio durerà circa un giorno, non ci vorrà molto, tranquilla »
Disse Rocco, destandomi dai miei pensieri. Poco dopo ci dirigemmo al porto di Alghepoli, e prendemmo la nave. Era pomeriggio inoltrato, e il sole iniziava a scendere verso l’orizzonte, donando al cielo un colore roseo\arancione. Il viaggio fu meravigliosamente tranquillo, nonostante i meteorologi più esperti avevano predetto una forte tempesta. Io lo passai però tutto il tempo nel bagno della cuccetta cercando di reprimere i conati di vomito, ma vabbè, è un dettaglio. Arrivati la mattina seguente a Porto Selcepoli, ci incamminammo(con mio totale disappunto visto che ero stanca morta) verso Ciclamipoli, dove ci fermammo per una breve pausa, al centro Pokèmon. Dopo di che, ripartimmo su Skarmory, attento ad ogni mia minima mossa, in attesa di essere colpito a tradimento dalla sottoscritta, alla volta di Ferrugipoli. Lì ci fermammo per una notte  a casa del padre di Rocco, un tipo davvero stravagante, amante anche lui delle rocce come il figlio, dirigente della Devon Spa, un’azienda che non ho ancora capito bene di cosa si occupa. Fu una sosta moolto, ma mooolto stressante. Per tutta la sera, a cena, il signor Petri non fece altro che buttare giù battutine su me e Rocco, che non fecero altro che farmi arrossire e mettermi in imbarazzo(Non che suo figlio non fosse imbarazzato, anzi). La mattina, dopo un bel sonno ristoratore nel letto di Rocco(sia ben chiaro, lui aveva dormito nel divano), fuggimmo velocemente da Ferrugipoli, e ci avviammo verso Albanova. Inizialmente il viaggio fu piacevole, ma quando Rocco iniziò a non rivolgermi la parola perché troppo impegnato a raccogliere sassi, la mia pazienza iniziò a traballare.
« Rocco, di questo passo, se inizi a raccogliere ogni pietra che incontri, ad Albanova non ci arriveremo mai »
Gli dissi io, tranquillamente, cercando di trattenere il mio nevrotico nervosismo pre-primo Pokèmon. Lui ovviamente capì subito il perché del mio comportamento da suocera inacidita.
« Vìvs, non ti preoccupare che il Pokèmon non se ne scappa, è lì, o meglio, sono lì, in attesa che tu scelga il tuo prediletto »
Mi rispose lui, prendendo da terra tutto soddisfatto una pietra nera con strisce amaranto, che mi disse poco dopo essere un meteorite. Io non ne capivo niente di sassi, e nemmeno di meteoriti, figuriamoci. Camminammo ore e ore, finché, stanca morta, non sentii più la sensibilità dei piedi. Mi sentivo stanchissima, non riuscivo nemmeno a parlare perché il avevo il fiatone, e all’improvviso una forza immensa si appropriò di me. Mi sembrò quasi di levitare, e non ero più stanca. Lo so, è assurdo, ma era come se una strana forza mi facesse andare avanti, come se mi sostenesse. Non ero abituata a tutto quel camminare, e pensavo che quegli strani effetti fossero tutto frutto della stanchezza, che si faceva sentire. Durante tutto questo, il mio caro accompagnatore, ovviamente era impegnato a guardare a terra, cercando qualche sasso, pardon, pietra rara, che secondo lui potesse spuntare magicamente dal terreno, in attesa di essere raccolta. Fatto sta che, camminando camminando, arrivammo verso tardo pomeriggio a Solarosa. Io ero stanchissima, poiché la forza poco dopo mi abbandonò, e implorai Rocco di fermarci lì, da qualche parte, ma ovviamente lui non condivise la mia idea. Uscì invece dalla Pokèball, per la terza volta, Skarmory, che appena mi vide, emise uno strano verso, tra l’impaurito e lo scocciato. E mi pare anche giusto. Chi vorrebbe portare in giro per Hoenn una pazza che non aspetta altro che attuare la sua vendetta? (Oh sì, mi sarei vendicata.) Attraversammo quindi in pochi minuti la strada che mancava per arrivare alla meta, e finalmente poggiamo i piedi su Albanova. In quell’istante una strana ansia mi salì addosso. Giusto che era sera, e sicuramente avremmo dovuto aspettare l’indomani mattina per la scelta del Pokèmon, ma ero lo stesso ansiosa. Chissà che mostriciattolo avrei potuto allenare, e far diventare mio compagno di avventure.
« Finalmente siamo arrivati, Vivian. Adesso, andiamo dal Professor Birch, che ci aspetta, così finalmente potrai avere il tuo Pokèmon »
Io a quelle parole spalancai la bocca.
« Adesso? Proprio adesso? »
Chiesi io, starnazzando, in preda ad un entusiasmo pari a quello di una ragazzina difronte Adriano, il Capopalestra di Ceneride(sì, era davvero un uomo attraente, e io lo avevo visto più di una volta nelle riviste di Pokè Scoop). Rocco ridacchiò, e mi poggiò una mano sulla spalla.
« Non proprio adesso, ma tra un po’, dopo cena. A proposito, il Professore ci aspetta al Laboratorio, e non so fino a quanto il suo stomaco potrà resistere»
Disse poi ridendo di gusto. Percorremmo la piccola e graziosa città di Albanova, fino a quando arrivammo davanti il Laboratorio di Birch. L’ansia intanto, si faceva sempre più sentire. Entrammo quindi dentro, prima Rocco, e poi a seguire, io. Iniziai a guardarmi intorno, fino a quando una calorosa voce ci accolse, frizzante.
« Rocco finalmente! Pensavo che non arrivassi più! E lei chi è? Vivian? La ragazza che ha perso la memoria? Ma che fanciulla deliziosa! Avanti venite, ceniamo, sarete sicuramente morti di fame!»
Era un tipo davvero simpatico. Robusto, con un ammasso di capelli castano scuro, che ribelli quanto i miei, gli davano un’aria giovane. Poteva avere sì e no l’età di Rocco, venticinque anni o giù di lì. Sembravano amici da tempo. Dopo questi veloci pensieri, andammo a mangiare. C’era di tutto in quel tavolo, sembrava che fosse venuto il Campione di Hoenn o chissà chi. Era proprio così, ma a quel tempo, chi se lo poteva immaginare …
Passò così una serata, tra risate, racconti, barzellette(sì, Birch è un tipo spiritoso, mooolto spiritoso), e arrivò il momento tanto atteso. Era tardi, è vero, ma non avevamo sonno nessuno di tutti e tre. E poi io sarei impazzita tutta la notte pensando che l’indomani mattina avrei avuto il mio primo Pokèmon. E così, Birch ci accompagnò in una stanza sigillata, piena di sfere Pokè poggiate su dei ripiani attaccati per tutte le mura. Al centro, tre Sfere Pokè troneggiavano su di un sostegno, infilate in delle capsule, che in seguito si aprirono, non appena Birch inserì dei codici.
« Bene Vivian, ci siamo. Scegli il tuo Pokèmon. Rocco ed io dobbiamo parlare un attimo di una cosa.  Ti aspettiamo nell’altra stanza, così potrai avere tutto il tempo possibile per la tua scelta»
Mi disse poi il giovane professore, sorridendo, prima di uscire dalla stanza insieme al ricercatore di rocce. Io rimasi lì, imbambolata, senza sapere cosa fare. Cioè, sapevo benissimo quello che dovevo fare, però, rimanere sola in quella situazione, sinceramente, non mi andava. Sospirai, arrendendomi all’idea che avrei dovuto far tutto da sola, e mi avvicinai alle Pokèball. Ero a conoscenza di ciò che contenevano, Rocco me l'aveva spiegato durante il viaggio. Una Torchic, il Pulcino di fuoco, una Treeko, la Lucertola di Erba, e l’ultima … quella specie di rana sgorbia con una tavola da Surf conficcata sulla testa, che padroneggiava l’elemento d’acqua. Ero più che sicura quale Pokèmon avrei scelto. Un Torchic sarebbe stato benissimo nella mia squadra. Era così dolce, morbidoso, con un musetto(?) tenerissimo, un pulcino in poche parole. Su ogni Pokèball era incisa la prima lettera del nome del Pokèmon, in modo da riconoscerne il contenuto. To(Torchic), Tr(Treeko) ed M. Non mi ricordavo proprio come si chiamasse quell’altro, tanto mi faceva ribrezzo. Era più forte di me. Fissai quindi tutta contenta la Pokèball con inciso To, e avvicinai la mano per prenderla, solo che, quando l’afferrai, non riuscivo ad estrarla dalla capsula. Iniziai con tutte le mie forze a tirare, per prenderla, ma dopo svariati tentativi, abbandonai. Decisi dunque di provare con la seconda, con inciso Tr. Voleva dire che non era destino che io ricevessi quel Pokèmon. Solo che la stessa situazione della Pokèball precedente, si verificò anche con questa. Mi misi le mani tra i capelli, o almeno quello che ne rimaneva, disperata. Iniziai a fan cenno di no con la testa, sconvolta. Nono, non volevo nemmeno provare a prendere la terza Pokèball, quella con la rana surfista. Dopo svariate lotte con il mio subconscio, decisi di provare ad estrarla. Tanto ero più che sicura che non sarei riuscita a prendere nemmeno quella. Afferrai dunque la Pokèball, e tirai con tutta la mia forza, convinta che non sarebbe uscita. E invece uscì dalla capsula senza problema, e poiché cercai di estrarla con una forza sovraumana, nel tirarla, lo scatto mi fece cadere a terra, di sedere, e la Pokèball mi volò dalle mani, finendo a terra. Fu un secondo, e da essa ne uscì fuori la rana blu, che non appena mi vide, mi saltò addosso.
«Muuud! Muuuud! »
Disse lui tutto contento, iniziando a saltarmi sulle gambe. Io ero più che inorridita. Continuavo a fissarlo sconvolta, e disgustata, mentre lui si divertiva ad esprimere il suo entusiasmo leccandomi il viso con quella sua linguaccia viscida, e saltandomi addosso come se fossi un tappeto elastico. Solo che quel SUO divertimento durò poco, visto che lo afferrai con tutte e due le mani, pronta a scaraventarlo via, a kilometri di distanza da me. L’avrei fatto(ovviamente no, era così dolce con quei suoi occhioni blu che mi guardavano contenti!), se non fosse arrivato Rocco insieme a Birch, attirati dallo schiamazzo che quel Pokèmon aveva appena provocato. Visto la posizione ambigua in cui mi trovavo, ossia quella di assassina di rane surfiste, decisi di non destare nell’occhio, e strinsi a me quel mostriciattolo, che iniziò tutto contento a leccarmi il viso ancora di più. Io cercai di trattenermi, e sorrisi come un’idiota ad entrambi.
« E quindi hai scelto Mudkip, Vivian?»
Mi chiese Rocco, avvicinandosi a me, e aiutandomi ad alzarmi porgendomi le mani.
« Come hai detto che si chiama? Matrix? »
Chiesi io, piegando la testa e inarcando un sopracciglio. Non avevo mai capito come si chiamasse quel Pokèmon. Però riflettendoci un attimo, Matrix era un nome carino. E poi anche di buon augurio per un coso microscopico dalle guancie arancioni che sembrava un esserino indifeso. Insomma, forse poi non era così tanto brutto. E nemmeno viscido. E poi quella tavola da surf sulla testa(e quella sul sedere, non la dimentichiamo), gli stava davvero bene. Sorrisi al mio piccolo Matrix. Chissà cosa avremmo combinato insieme, pensai contenta. Lui riuscì a sentire questa mia gioia, e mi guardò ancora più felice, con i suoi dolci occhioni. Lo accarezzai sulla testa, e il cuore iniziò a battermi forte. Avevo appena ricevuto il mio primo Pokèmon.











































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Yeah, eccomi qui, con un altro capitolo! Scusate il ritardo, ma nella mia città c'è stato un Black out durato parecchi giorni, e siccome poi ho anche combinato
un po' di pasticci, sono stata senza PC. Mi sono connessa a sgamo solo per postare il capitolo(già pronto per voi da un po'! <3), avete visto come sono buona?
Coomunque, almeno l'unica cosa positiva di questi giorni di Black out è stato che ho trovato Pokèmon Blu, e in quattro giorni l'ho finito tutto quanto, solo per
catturare Mewtwo(che alla fine ho liberato HAHAHAHAHAH sì, mi faceva pena povero tesoro <3 ).
Ringrazio tutti quelli che recensiscono sempre, e sono fedelissimi, e quelli che leggono e seguono la Fict. Un bacione, Viku-chan :3
Chiedo venia se trovate degli errori! Non l'ho riletto, ho postato così com'è perchè non ho tempo visto che sono qui di nascosto x) A presto miei cocchini <3

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Capitolo 7
*** Rivelazioni ***











La notte non riuscii a chiudere occhio neanche un po’. Ero entusiasta di Matrix. Riposava accanto a me, e controllavo ogni secondo che stesse dormendo e che non fuggisse via. Ovviamente il piccolo non dava l’impressione di voler scappare, anzi, al contrario, voleva starmi vicino, e non nella Pokèball, da cui era uscito una ventina di volte prima che mi rassegnassi all’idea che lo dovevo tenere sul letto con me. Prima di addormentarsi profondamente, però, ci fu spettacolo. Sembrava non volersi abbandonare al mondo dei sogni, e continuava a saltare come una rana tutto contento, finché, stanco morto, si accasciò sulle gialle coperte. Era un tesoro quando dormiva. Il suo pancino si alzava e si abbassava ad ogni regolare respiro, e qualche volta gli scappava un tenero “Muuuud”. Riuscii a chiudere occhio solo verso le cinque del mattino, e fui svegliata qualche ora dopo dallo stesso Matrix, che mi colpì il viso con leggeri tocchi della zampina.
«Muuud! Mudkip! »
Mi ripeteva lui, cercando di svegliarmi. Io ovviamente dopo la nottata passata in bianco, non avevo assolutamente voglia di alzarmi, e spostai con un gesto della mano(forse troppo violento visto che non pensavo fosse lui) il piccolo Pokèmon, che cadde a terra, fortunatamente senza farsi nemmeno un graffio.
« Dai Rocco, ancora dieci minuti, ti prego, ho sonno!»
Sussurrai io, ancora in dormiveglia, girandomi dall’altro lato, convinta che ci fosse Rocco lì a svegliarmi, come ogni mattina. Matrix, capendo la mia grande voglia di alzarmi, mi colpì con un potente getto d’acqua che mi portò in un battibaleno alla vita reale, staccandomi dal mondo dei sogni. Mi alzai subito dal letto, fradicia, e guardai il mio Pokèmon con la bocca spalancata, incredula. Non pensavo che un cosino così piccolo potesse colpire con un attacco del genere. Mi chinai verso di lui, e lo abbracciai forte, esclamando:
« Matrix ma sei potentissimo! Aww, ho fatto la scelta giusta prendendo te!»
Beh, forse mi ero troppo lasciata andare, visto che non stavo parlando con un bambino che aveva appena detto la sua prima parola, ma con un Pokèmon che aveva solo appena mostrato parte della sua potenza. E poi non è che avevo proprio scelto lui, ma la provvidenza, o perché no, qualcuno che mi veglia da chissà dove, era riuscito a farmi avere lui, avrei decretato più tardi, quando ormai avrei fatto di Matrix il mio miglior compagno di avventure. Ovviamente a quella mia reazione, l’autostima del Pokèmon salì alle stelle, tanto che iniziò a spruzzare potenti getti d’acqua ovunque, bagnando tutta la stanza. Io gli tappai la bocca, e riuscii a fermarlo. Aveva già mostrato abbastanza la sua potenza.
« Matrix, adesso però devi entrare nella Pokèball, altrimenti mi arrabbio, e dico a Birch cos’hai combinato! »
Gli dissi io, cercando di convincerlo in quel modo a rimanere nella Pokèball. Lui annuì, iniziando a lamentarsi. Non era una minaccia vera e propria. Mi stavo solo assicurando che lui sarebbe rimasto nella Pokèball durante il viaggio di ritorno. Non oso immaginare cosa sarebbe successo se mentre volavamo su Skarmory per il viaggio di ritorno, Matrix fosse uscito dalla Sfera Pokè. Rabbrividii al solo pensiero, e, dopo averlo richiamato nella sua Sfera, mi cambiai, indossando dei vestiti adatti per il viaggio di ritorno, togliendomi il mio pigiama a righe rosa e bianco tutto inzuppato. Decisi quindi di indossare un paio di pantaloncini di jeans e una semplice maglietta nera con uno scollo a V, poiché faceva davvero caldo. Misi quindi in spalla il mio mini borsone pieno e strapieno di vestiti, e uscii dalla stanza, facendo finta che non fosse successo nulla. Iniziai quindi a cercare Birch o Rocco, senza trovarli. Girai per il laboratorio per un abbondante quarto d’ora, finché non sentii delle voci provenire da una stanza. Mi avvicinai cautamente, e riconobbi la voce di Rocco. Decisi di non entrare subito. Ero curiosa di sapere di cosa stessero parlando. Beh, forse era maleducazione origliare, però …
«No! Non posso lasciarla! Potranno aspettare ancora un po’. Tanto manca un mese, non è necessaria la mia presenza lì ».
Esclamava l’uomo dagli occhi di ghiaccio. E sembrava davvero serio. Di cosa stavano parlando? Chi non poteva lasciare? E mancava un mese a cosa?
« Non ci siamo capiti, Rocco. Il tuo posto in questo momento è lì, e ti sei trattenuto a Verdeazzupoli già troppo. Poi lo sai meglio di me, ci sono procedure standard e altre cose da fare prima dell’inizio. Mi hanno chiesto di dirtelo e io … »
Birch stava per finire la frase, quando l’altro lo interruppe.
« Lo so! »
Esclamò Rocco a voce alta, sbattendo un pugno su quello che capii, dal suono che fece, essere un tavolo. Strabuzzai gli occhi. Non capivo di cosa stessero parlando. Poco dopo, continuò dicendo:
«E’ venuto Drake l’altro giorno, a dirmelo. E lasciamo stare i messaggi di Adriano sul Pokègear ».
Drake! Quel grande omaccione doma Draghi che era venuto a trovare Rocco un mese fa. Mi ricordavo di lui solo per il suo bellissimo Flygon, e per la sua grande imponenza. Poteva avere la sua sessantina d’anni, ma sprigionava la forza di un ventenne. Mi accigliai, e mi portai una mano dietro la nuca. Cosa stava succedendo? Cosa centravano Adriano e Drake con quello di cui stavano parlando?
« Adriano? Il Capopalestra di Ceneride?»
Chiese poi Birch. Prestai molta attenzione alla domanda del giovane professore, poiché volevo saperne di più sulla questione.
«Sì, esatto, proprio lui. Vogliono assegnargli il mio posto, ma lui non vuole, dice che sarebbe una mancanza di rispetto nei miei confronti, e che quella posizione spetta a me. Anche se … »
Scossi velocemente la testa, colta da un deja-vù . Era come se quella scena, in cui io origliavo una conversazione importante, mi si fosse già presentata. Indietreggiai un po’. Temevo di essere scoperta, e in quel momento, sarebbe stato tragico.
« Anche se? »
Lo incalzò poi Birch. Sembrava curioso quanto me, solo che lui era a conoscenza di ciò di cui stavano parlando, mentre io NO. Ero completamente all’oscuro di tutto. Il cuore iniziò a battermi forte.
« Anche se avevo deciso già da un po’ di abbandonare. Vedi, il mio sogno di collezionare rocce rare mi ha sempre seguito fin da quando ero piccolo. E il titolo che ricopro adesso, beh, mi ostacola in questa mia aspirazione. Ne abbiamo già parlato ieri sera, mentre Vìvs stava scegliendo il suo Pokèmon … »
E certo. Sempre i sassi c’entrano. Buttai giù un respiro profondo, tranquillizzandomi. Allora il suo problema erano quelle stupide pietre? Mi ero preoccupata che fosse qualcos’altro. Mi arrabbiai però per un piccolo particolare. Mi avevano dato da fare la sera prima così loro avrebbero potuto parlare, certo. Togliamo di mezzo la rompi scatole, così possiamo parlare di sassi quanto vogliamo. Ero davvero furiosa. La mia presenza li infastidiva così tanto?
« No Rocco, non puoi abbandonare il tuo posto per le tue rocce e per lei. »
Esclamò però Birch. Lei? Chi era questa lei? Mi accigliai ancora di più, mentre un senso di profonda gelosia si avvalse del mio piccolo e delicato cuoricino.
« Birch, non puoi capire. Vedi, io … io … Vivian … io la … ».
Bum. La mia faccia contro il pavimento freddo e il buio totale. Gli occhi viola. Erano tornati. Lì, per torturarmi, per strapparmi via l’anima. Solo che questa volta non vennero da soli, ma in compagnia di voci lontane.
 
… creato per combattere per me …
… eravamo soci …
… ti odio …
… mai la figlia maggiore che …
 

Potrei giurare di aver sentito anche la mia di voce tra quelle frasi sconnesse, apparentemente per me senza un senso preciso. La mia voce che diceva “Ti odio”. Chi è che odiavo? Gli occhi viola subito dopo sparirono, e davanti a me, apparvero due occhi azzurri come il ghiaccio, e il mio cuore cominciò a battere ancora più forte.
« Vivian? Vivian? »
Era la voce di Rocco. Avevo ripreso conoscenza. Quindi ero come al solito svenuta. Effetti dell’amnesia, diceva sempre l’infermiera Joy, ma quelle reazioni alle pazzie della mia mente iniziavano a stufarmi. E anche quegli occhi viola, che tanto amavo, ma che tanto odiavo. Sì, dentro di me bruciava il desiderio di vederli davvero, e non nelle mie semplici e odiose visioni, ma ultimamente, apparivano sempre nel momento sbagliato. Mi sentii sollevare da terra. Rocco mi aveva presa in braccio, e le sue forti braccia mi tenevano stretta, e i suoi occhi mi guardavano preoccupati. Adoravo quel suo sguardo così in timore.
« Sto bene. Vi stavo cercando, e appena sono arrivata qua, ho avuto un malore. Stai tranquillo, davvero »
Mentii io, su entrambe le questioni. Non potevo mica dirgli che stavo origliando la loro conversazione e che improvvisamente gli occhi viola mi sono apparsi per rovinare tutto. Mi avrebbe presa per pazza, e per impicciona. Lui sospirò, e scosse la testa.
«Ehm, sì, però adesso puoi anche mettermi giù!».
Esclamai io poi, imbarazzata. Subito dopo poggiai di nuovo i piedi a terra. Sorrisi al mio salvatore. Effettivamente era come se Rocco fosse il mio eroe. Era sempre lì, a salvarmi da tutti i miei malori, dalle schegge di vetro, e da ogni cosa che mi facesse del male, tranne ovviamente, dalle lame taglienti del suo Skarmory.
 «Vuoi che ci fermiamo un altro giorno qui, invece di ripartire subito? »
Mi chiese poi, guardandomi ancora preoccupato. Io mi sentivo bene, ormai ero abituata a quei malori.
« No, non preoccuparti, possiamo andare anche adesso»
Risposi dunque, sorridendogli, per tranquillizzarlo. Era sempre così premuroso nei miei confronti.  Poco dopo partimmo per tornare a Verdeazzupoli, dopo aver salutato Birch che non fece altri che raccomandarmi di stare attenta con Matrix, poiché nonostante fosse un piccolo scricciolo, racchiudeva dentro di sé una potenza indescrivibile. Potenza che avrei potuto far conoscere a Skarmory quando Rocco lo mandò fuori dalla Pokèball non appena arrivammo a piedi a Solarosa, per portarci a Mentania in volo, ma che non mostrai. Da lì poi saremmo andati a piedi a Ciclamipoli, che si trovava vicino. Si era difatti fissato che dovessimo andar in quel luogo, perché qualche chilometro più in là della città c’era un deserto in cui secondo lui avrebbe potuto trovare qualche roccia rara, e poiché eravamo di passaggio, potevamo anche andarci. Fatto sta che, dopo vari tran tran su quel PICCOLO e terrorizzato Skarmory, arrivammo a Ciclamipoli, verso sera. Ci sistemammo nel Centro Pokèmon della città, dove ci accolse una donna IDENTICA a Joy(che si chiamava anch’essa Joy, questo è quello che mi lascio molto turbata), che disse, esser una sua cugina. Quella sera stessa, nonostante io fossi stanca morta, Rocco mi portò al Casinò della città, dopo aver insistito molto. Mi disse che lì avrei conosciuto molte persone importanti di Hoenn, che venivano lì per chiacchierare e per passarsi il tempo. Io alla fine accettai, e dopo essermi vestita elegantemente su richiesta di Rocco che mi aveva spiegato che quello non era un luogo in cui presentarsi in pantaloncini, uscimmo dal Centro Pokèmon per raggiungere il locale. Non appena entrammo, fui colpita dalla bellezza di quel posto. Era pieno di tavoli da Pokè Poker, e da Slot Machine con raffigurazioni di Pokèmon, in cui giocavano persone vestite con abiti sfarzosi, eleganti, con un certo portamento. Ma ciò che colpì principalmente la mia attenzione fu un grandissimo lampadario di cristallo. La luce si rifletteva nella miriade di meravigliose pietre che ricadevano come i rami dei Salici Piangenti, illuminando tutto il Casinò. Io lo osservai meravigliata, mentre Rocco mi guardava sorridente.
« Cosa ti avevo detto? »
Io lo guardai di sottecchi. E va bene, aveva ragione. Mi passai una mano tra i capelli, sfoggiando una delle migliori espressioni da diva, lasciando muovere delicatamente i miei corti capelli corvini, e mi sistemai il vestito lilla che mi arrivava sotto le ginocchia, finendo a palloncino. Afferrai per mano Rocco, vestito con un semplice ma elegante smoking nero, e lo trascinai con me verso una Slot Machine. Iniziammo poi a giocare(con i suoi soldi, giacché non voleva che uscissi nemmeno uno spicciolo), ridendo come dei matti ogni volta che perdevamo o che vincevamo. Con i gettoni che vincemmo da tutte le giocate, Rocco mi comprò poi una bambola identica a Matrix, morbidissima quanto lui, che guarda caso, chiamai Mudkip. Il resto della serata la passammo a salutare gente. A quanto pare il belloccio era molto conosciuto ad Hoenn, visto che si avvicinarono un sacco di persone, chiedendo se tornasse non ho ben capito dove, ma soprattutto, chiedendo chi fossi io. Lui mi presentava semplicemente come “Vivian”, ovviamente, senza dare spiegazioni alcune a nessuno. E cos’altro poteva dire? Stavamo poi chiacchierando con il Capopalestra di Ciclamipoli, quando una voce maschile, sarcastica, possente ma molto fastidiosa, fece voltare Rocco.
« Signor Petri, qual buon vento la porta qui? Voci indiscrete arrivate al mio orecchio mi hanno detto che si era perso tra le morbide braccia di una bella ragazza! »
Subito dopo mi voltai anch’io, per vedere chi si era appena rivolto il quel modo a Rocco, ma il mio cuore perse un battito non appena i miei occhi s’incrociarono con quelli scuri di lui. 



























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Ecco tornata Viku-chan, la ragazza dai capelli multicolor(°-°). Ho aspettato un po', anche perchè notando che nessuno recensiva(A parte Roxy-chan *abbraccio coccoloso*), m'era presa la sconsolazione(FOREVER ALONE). Poi ho pensato che questo è il periodo delle vacanze, e ho capito che FORSE tutti i miei lettori sono in giro per il mondo(pensiamola così, avanti xD),  e allora mi son detta "Oh Viku, non farti prender dalla sconsolazione e posta capitoli a motore"! In compenso, in questo periodo, visto che sono stata a casetta con la tosse, mi sono portata PARECCHIO(ma PARECCHIO PARECCHIO, da far paura, quindi state tranzolli che i capitoli non mancheranno°°) con la Fict, e ho scritto qualche altro capitolo, che posterò più in là con il tempo. ORA, sono io quella che va in vacanza :3 Ma tornerò, state tranquilli! Vi lascio in sospeso con questo tizio misterioso(?). Si accettano scommesse per indovinare chi è, BUHAHAHAHAHAHA!
*momento sclero*
Guardami adesooooo, tra un minuto vado viaaaaa! Alla fine del mooooondooo, lontanissimo da teeeeeeeeeeeee!
Bye bye pupattoli :3

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Capitolo 8
*** Lui ha bisogno di te ***


Il volto di Rocco mutò in una frazione di secondo. Il suo sorriso così semplice e meravigliosamente bello, si era trasformato in un’espressione quasi di odio, come se la presenza di quell’uomo lì, lo infastidisse. Mi nascosi dietro di lui, intimorita. Gli occhi di quel signore, così familiari, così maligni, m’incutevano una paura mai provata prima, e il cuore iniziò a battermi all’impazzata, senza una precisa motivazione.
« Se si affida a semplici voci arrivatele chissà come, non so quanto potrà andare avanti, signor Giovanni. E poi potrei chiederle la stessa cosa anch’io, sa? Se non sbaglio, lei possiede un Casinò ad Azzurropoli. Cosa la porta qui ad Hoenn? »
Chiese poi Rocco, guardandolo con aria di sfida. L’uomo iniziò a ridere con una risata grassa che mi fece quasi tremare. Era come se ogni particella del suo essere provocasse in me sensazioni talmente negative che non riuscirei nemmeno a descrivere. Ma come potevo sapere io chi fosse davvero quell’uomo …
« Affari, Signor Petri, affari. Mi stupisco del fatto che lei non ci fosse arrivato. Le donne le danno alla testa, non è vero? »
Silenzio. In quel momento scese il silenzio, come se tutti fossero spaventati da … Giovanni. Qualcosa mi fece intuire che ciò che si creò intorno a me non era paura ma semplice omertà. Omertà verso un uomo che possedeva tra le mani forse troppo potere per essere contrastato.
«Mpf, immagino quali siano i suoi “affari”».
Rispose l’uomo dagli occhi azzurro ghiaccio, stringendo i pugni. Io guardai Rocco, ancora dietro di lui, e gli accarezzai una spalla, come per dirgli di star tranquillo.
«Andiamo via, dai »
Gli sussurrai, volendo tornare a casa poiché il mal di testa stava per tornare, ma Giovanni non gli diede nemmeno il tempo di rispondere che si avvicinò a me, a grandi passi, guardandomi maliziosamente, e mi afferrò per un braccio, portandomi a sé. A quel contatto, la pelle iniziò a bruciarmi, e sentii come se una sensazione di infinito odio esplodesse dentro di me. Un odio che forse, non mi apparteneva personalmente.
« E quindi è lei la famosa ragazza? Com’è bella, davvero un’ottima scelta. »
Lo guardai dritto negli occhi, con le iridi colme di odio, e stavo per cercare di liberarmi dalla sua mano agganciata saldamente al mio braccio, quando Giovanni mollò la presa, e indietreggiò lentamente, guardandomi sconvolto. Dal vassoio che un cameriere portava tra le mani, volò misteriosamente, come scaraventato via da una forza invisibile, un bicchiere colmo d’acqua, che si rovesciò completamente sull’elegante giacca arancione di Giovanni.
« No, non è possibile … lei … il suo viso … no … i suoi occhi … identici a quelli di … Mewt … no … Viv ... »
Sussurrava lasciando intravedere sul suo viso orrore e stupore, ignorando l’acqua che lo aveva appena bagnato. Sembrava essere spaventato da me. Mi fissava gli occhi, incredulo. Io corsi da Rocco, che mi abbracciò forte, tenendomi stretta, come per proteggermi da quell’uomo. Girai il viso verso il suo petto, e vi poggiai la testa, chiudendo le palpebre, cercando di reprimere il mal di testa che iniziava a farmi pulsare forte le tempie. Poco dopo sentii il rumore di un vassoio scaraventato a terra, e riuscii a percepire il sussurro terrorizzato del cameriere cui era volato via il bicchiere di prima.
«Via, andiamocene»
Disse poi Rocco, serio. Uscimmo da lì in poco tempo, e ci avviammo velocemente verso il Centro Pokèmon, che si trovava vicino al Casinò. Mi teneva stretta, per mano, come per non lasciarmi andare. Si sentiva forse in colpa per l’atteggiamento di Giovanni nei miei confronti. Appena arrivati, ci sistemammo nelle nostre camere. Rocco insistette tanto per farmi compagnia, perché si era accorto del mio malessere, ma io gli dissi che preferivo stare da sola. E poi non sarei riuscita a chiudere occhio con lui accanto. Non appena si arrese, tornò nella sua camera, ed io mi cambiai, indossando il mio bel pigiama, fortunatamente asciutto dopo che Matrix lo aveva bagnato tutto quanto la mattina, per svegliarmi. Mi sdraiai quindi sul letto, e iniziai a fissare il soffitto, aspettando che il sonno mi venisse a trovare. Non era poi così tanto diverso dallo stesso soffitto che iniziai a fissare mesi prima, quando mi risvegliai priva di ogni memoria al centro Pokèmon di Verdeazzupoli. Sorrisi debolmente. Erano cambiate così tante cose da quel giorno. Mi girai verso il muro, e sospirai. Passò un’abbondante ora, ma nonostante ci provassi, non riuscii nemmeno ad appisolarmi per cinque minuti. Decisi quindi di alzarmi dal letto, abbandonando ogni speranza di prender sonno, e mi avvicinai alla finestra. Spostai le azzurre tende, e spalancai le due ante, lasciando che una piacevole arietta serale entrasse nella stanza. La grande finestra dava su un piccolo praticello appartenente alla struttura, dove gli allenatori potevano allenare i loro Pokèmon tranquillamente. Era ben curato, e il venticello faceva muovere lentamente i verdi fili d’erba, creando una straordinaria sensazione di pace e tranquillità che entrò nel mio cuore con parecchia facilità. I miei occhi, che trasparivano una serenità che sembrava non potesse mai crearsi nelle mie viola iridi, dopo l’apparente sgomento che era apparso prima, osservavano lentamente quel semplice scenario che mi si presentava davanti, quando una delicata figura rosa volteggiò sinuosamente a venti metri dalla finestra.
« Mew! »
Sentii poi. In quell’istante, tutti i miei sensi si attivarono, e iniziai a cercare la rosa figura che pareva un Pokèmon, per identificarlo, e mi sporsi dalla finestra. Forse troppo. Infatti, caddi a terra, dall’altro lato, fortunatamente senza farmi male. Tanto mi trovavo al piano terra, e si dia il caso che, nonostante fossi una primatista in quanto agli svenimenti, ero abbastanza resistente agli urti. Mi alzai quindi da terra, e iniziai a camminare a piedi nudi sull’erba, cercando quel Pokèmon che mi era apparso poco prima davanti gli occhi.
« Mew! »
Mi voltai di scatto, subito dopo aver sentito il verso dell’esserino roseo, quando me lo ritrovai davanti. Mi guardava con quei suoi occhi blu cielo, meravigliosi, che emanavano una dolcezza indescrivibile. Erano simili agli occhi viola delle mie molteplici visioni, solo che avevano un colore di verso. Era un Mew. Conoscevo quel Pokèmon. Rocco mi aveva fatto vedere una volta una sua immagine su un libro di Pokèmon estinti, e non appena lo guardai, urlai un “Mew!” come se sapessi già di che Pokèmon si trattasse, nonostante fosse la prima volta che lo vedessi. Strabuzzai gli occhi, convinta di avere una visione, e avvicinai una mano, per accarezzarlo. Ero più che sicura che ormai sulla terra non ci fossero più esemplari di Mew, e volevo essere certa che quella che avevo davanti, non fosse una proiezione della mia mente, ma la realtà. Con mio stupore, il Pokèmon si lasciò accarezzare tranquillamente, e anzi, sembrava contento. Iniziò subito dopo a volarmi intorno, entusiasta, fino a quando non si fermò di nuovo davanti al mio viso, e mi fissò intensamente con i suoi grandi occhi blu. E tutto intorno a me, mutò. Il prato verde, il cielo, i palazzi accanto, il centro Pokèmon, e anche Mew, sparirono, lasciando solo il buio più totale. Non capivo dove mi trovassi, ma qualcosa dentro di me, colmò il mio cuore di coraggio, e iniziai a camminare nelle tenebre, guardando a destra e a sinistra, in cerca di qualcosa o qualcuno. Chiamai Mew, poi Rocco, ma non ricevetti risposta. Dopo qualche minuto, sentii qualcuno ridere, e riuscii a intravedere una figura lontana. Curiosa, mi avvicinai a quella che da quella distanza sembrava una bambina, fino a quando le fui davanti. La piccola, che poteva avere sì e no cinque anni, indossava una lunga felpa nera con una grande R rossa stampata davanti, e si guardava allo specchio. I morbidi capelli castani le ricadevano sulle spalle, e con i suoi vispi e dolci occhi neri, osservava contenta la sua figura riflessa nello specchio. Il suo viso sembrava così familiare. Si metteva in posa davanti allo specchio, cercando di non inciampare nella lunga felpa che le stava grande, e sul volto paffuto, un’espressione d’innocente cattiveria le donava un’aria buffa. Sembrava stesse imitando qualcuno
« Io sono Vivian, preparati ad essere sconfitto! Dammi tutti i tuoi Pokèmon, tutti tutti, altrimenti chiamo il mio grande papà e passerai dei guai molto moltissimo grossi! Parola di futura capa dei Rocket! »
A quelle parole sobbalzai. Vivian? Si trattava di me da piccola? Mi avvicinai di più a lei, e allungai una mano, che attraversò la figura della bambina, facendomi raggelare il sangue. Si trattava quindi di una proiezione della mia mente? Un mio ricordo? Arretrai di qualche metro, confusa. Mi sentii attraversare da qualcosa, e una sensazione di gelo mi colpì lo stomaco, ma svanì nell’istante dopo che la proiezione di Mew mi trapassò completamente. Il gattino rosa osservava la piccola me, che si guardava allo specchio, con curiosità, e un sorrisetto si disegnò sul suo musetto. Se quelle erano davvero memorie della mia vita precedente, allora da piccola ero sorvegliata da un Mew. Ma … perché?
« Un giorno diventerò la tua preferita, papà, te lo prometto … »
Sussurrò poi la bambina, poggiando la manina sullo specchio. Un istante dopo, la bambina si voltò verso di me, e cambiò aspetto. Al posto della castana con la grande felpa nera, mi apparve una bambina un po’ più grande, di circa dieci anni, con occhi e capelli verde acqua scuro, vestita di una candita vestaglia bianca. Sembrava quasi un angelo. Si avvicinò a me, lentamente, con un dolce sorriso in viso, e mi prese la mano. Immediatamente, il mio corpo mutò, prendendo le parvenze della piccola me stessa che avevo visto poco prima. La proiezione del Mew, invece, sembrò prender forma più reale.
« Ciao! Io sono Amber! »
Mi disse la bimba dagli occhi verde acqua, entusiasta. Spalancai la bocca, incredula. Amber. Sentivo dentro di me come se quel nome fosse apparso in più di un’occasione durante la mia vita. La mia precedente vita. Piegai la testolina, e la guardai negli occhi.
« Ciao, io … io sono Vivian »
Risposi semplicemente. Amber ridacchiò e si portò le mani dietro la schiena, e iniziò a dondolare con i piedi. Il suo sorriso era così semplice, sereno.
« Lo so già! »
Esclamò lei con la sua voce squillante, ma non per questo fastidiosa. La sua presenza donava una tranquillità mai provata prima. Pareva esser davanti ad un angelo, un dolcissimo e tenerissimo angelo. Mi guardai di nuovo intorno. Eravamo ancora nelle totali tenebre. Mi voltai di scatto verso Amber e le chiesi:
« Cosa ci faccio qua? Che cosa sta succedendo? »
Lei ridacchiò ancora, e mi prese per mano, di nuovo, e iniziammo a camminare nell’oscurità, seguiti dal Mew che avevo incontrato prima nel prato del Centro Pokèmon. La bambina sembrava così tranquilla, come se sapesse cosa fare, dire, e dove andare.
« Ci sono tante cose che non sai piccola Vivian, e che non saprai mai se non guardi dentro il tuo cuore. Un giorno il mio papà ti aveva detto che saremmo potute diventare amiche, sai? E le amiche si aiutano nel momento del bisogno. E si fanno anche tanti regali! »
La guardai, sempre più confusa. Stava parlando forse di cose avvenute nella mia vecchia vita? Quella di cui non ricordavo nulla? Avrei trovato tutte le risposte dentro di me? Amiche, aveva detto. Mi trovavo forse in difficoltà in quel momento, visto quello che mi aveva detto la piccola Amber.
« Sì, amiche! »
Cinguettò lei entusiasta, come se stesse parlando della cosa più bella al mondo.
« E siccome sono tua amica, ti aiuterò. E per aiutarti ti farò un regalo, un regalo bellissimo, vedrai! »
Sorrideva mostrando tutti i denti, come solo una bambina dal cuore puro sapeva fare. Le sorrisi anch’io, lasciando che il mio lato bambino uscisse fuori.
« Di che regalo si tratta? »
Chiesi poi, lasciandomi coinvolgere sia dal suo entusiasmo sia dalla mia curiosità bambina. Lei mi lasciò le mani, e tutto d’un tratto il gran sorrisone si trasformò in un semplice sorriso, e socchiuse gli occhi, guardandomi con apprensione. Io mi accigliai, notando il cambiamento di Amber.
« Un regalo speciale. Che non dovrai tenere solo per te, ma che dovrai donare anche a qualcun altro »
Dopo aver detto ciò, mi lasciò la mano, e avvicinò la sua al mio petto. Con l’indice, mi sfiorò la parte in cui si trovava il cuore, e una strana luce viola uscì fuori proprio da quel punto. Abbassai lo sguardo, e una piccola sfera nera mi uscì dal costato. Amber la prese delicatamente, e vi poggiò di nuovo l’indice, rendendo la luce della sfera da nero pece, a un candido bianco. Subito dopo la sfera rientrò dentro di me, e guardai la bambina, incredula.
« Adesso, il tuo cuore si è svegliato, non dorme più »
Piegai la testa, e iniziai a tastarmi il petto, confusa. Il mio cuore si era … svegliato?
« Cosa vuol dire, prima stava dormendo? »
Gli chiesi io, ingenuamente, preoccupata. Sembrava che la mia anima, stando a contatto con quella della piccola Amber, si pulisse da ogni cosa negativa, tornando bambina.
« Sì. Sei stata per tanto tempo a dormire, perché stavi per morire, ma lui ti ha salvata. Poi ti sei svegliata, ma il tuo cuore è rimasto a dormire. Adesso però è sveglio! Hai visto come brillava! E’ bellissimo, proprio come te, e anche lui lo pensa! »
Esclamò ridacchiando, e gingillando. Sembrava nascondere qualcosa, qualcosa che non voleva rivelarmi per intero, poiché rimaneva sempre sul vago, parlandomi di questo lui. Presi un respiro, cercando di capirci qualcosa di più. Iniziai a pensare alle cose più assurde, quando un lampo mi attraversò la mente. Gli occhi viola! Era forse stato il suo padrone allora? Qualcosa, dentro di me, nel mio cuore mi disse di sì. Dopotutto, Amber mi aveva detto che le risposte le avrei trovate tutte lì, e quale momento migliore adesso che si era, per così dire, svegliato?
« Però adesso, tocca a te salvarlo Vivian! Altrimenti il suo cuore si spegnerà per sempre, e sarà inghiottito dalle tenebre! »
Mi disse unendo le mani, come in segno di preghiera.
«Lui ha bisogno di te …»
Concluse poi sussurrando, lasciando che sul suo viso apparisse un velo di tristezza. Dovevo quindi salvare il padrone degli occhi viola. Ecco perché sentivo il bisogno di trovarlo, di poter rivedere quegli occhi che tanto amavo, in cui desideravo perdermi. Mi sentii riempire il cuore in quell’istante.
« Come posso aiutarlo? »
Gli chiesi io, prendendo le sue manine pallide tra le mie, aspettando una risposta. Amber mi sorrise, e mi guardò dolcemente. Subito dopo, fu come se le mie mani si perdessero nel nulla, e l’immagine della bambina iniziò a svanire, diventando evanescente.
« Devi dirglielo. Devi farglielo capire »
Esclamò con voce flebile, dolcemente, come se stesse parlando di aiutare un bambino sperduto.
« Cosa? Cosa gli devo dire? Che cosa devo fargli capire? »
Iniziò ad allontanarsi, pian piano, come se stesse volteggiando via, per tornare alla sua reale dimensione. Io la guardavo aspettando la sua risposta, avida di sapere il modo in cui avrei potuto aiutare lui, unica cosa che in quel momento m’interessava, e che riempiva ogni giorno le mie giornate insieme a Rocco. Spalancò le braccia, e con un travolgente entusiasmo nella voce, mentre si stava per dissolvere completamente, enunciò:
«Che la vita è meravigliosa! »
Sentii come se il cuore mi esplodesse, e subito dopo, il buio totale.
















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Hello! Eccomi tornata qui dopo due settimane di riposo°°
Che dire? Vi presento il bo capitolo! Ossia che non mi ricordo che capitolo è. Forse l'ottavo? Mmm.
Spero sia stato di vostro gradimento. Alla prossima miei cari <3
Grazie a tutti quelli che seguono e recensiscono. E grazie anche a te che stai leggendo ora e sei arrivato fino a qui :)

 

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Capitolo 9
*** La Persian frettolosa fece i micini ciechi ***


« Vìvs. Vìvs. Vìvs? Svegliati, devi vestirti che dobbiamo andare subito al Deserto »

La delicata voce di Rocco cercava di destarmi dal mio profondo sonno, come quasi ogni mattina. Solo che quel giorno, il risveglio fu diverso. Mi sentivo una persona nuova, come se qualcuno mi avesse liberato da un enorme peso. Presi un grande respiro, e mi stiracchiai le braccia, intorpidite dal troppo star ferma. Subito dopo dischiusi gli occhi, e li incrociai con quelli dell’uomo dai morbidi capelli grigio azzurro. Un leggero sorriso si disegnò sulle mie labbra, che fu subito ricambiato. Era un modo meraviglioso di svegliarsi, non avrei chiesto assolutamente altro. Mi misi a sedere sul letto, e mi stiracchiai la schiena, quando due pensieri mi colpirono la mente. Amber. Che fine aveva fatto? Era stato solo un sogno? Il pigiama. Sì, ero in pigiama, e l’idea che Rocco mi vedesse in quello stato, m’imbarazzava. Afferrai la prima cosa che avevo accanto, ossia la Pokèball di Matrix, e gliela lanciai contro, per farlo andar via. Lui l’afferrò al volo senza nessun problema, e mi guardò sorridendo compiaciuto.

« Ma ti sembra modo? Sono in pigiama! »

Esclamai io, portandomi le coperte fin sopra la testa, con il viso in fiamme. Lui si mise a ridere, e si sedette accanto a me, spostando delicatamente il lenzuolo. Che aveva intenzione di fare? Mi tolse le coperte da sopra la testa, e mi spostò una ciocca di capelli del lungo ciuffo che ricadeva sull’occhio destro dietro l’orecchio. Sorrise. Io avvampai tutta in un colpo. Aveva un sorriso meraviglioso, stupendo. Lo adoravo. E adoravo anche lui. Abbassai subito lo sguardo, prima fisso su i suoi occhi. Ero innamorata di Rocco? Beh, che novità. Sentivo dentro di me una sorta di attrazione nei suoi confronti, ma non ci avevo mai effettivamente pensato. Alzai lentamente lo sguardo verso di lui, ma lo riabbassai subito, mentre un lieve calore riaffiorò sulla mia pelle, leggero. La conclusione cui ero arrivata mi aveva molto imbarazzata, e quasi quasi non riuscivo a guardarlo negli occhi. Ero innamorata di Rocco. Lo stesso Rocco che si accorse del mio imbarazzo(si accorgeva di tutto quell’uomo, mannaggia), e che con la mano, mi alzò il viso, fino a far combaciare il mio sguardo con il suo. Ma perché diavolo restava in silenzio? Nessuno dei due si azzardava a proferire parola. Ci guardavamo solo negli occhi, senza fiatare. Il mio cuore iniziò a battere fortissimo, e sembrava che stesse per uscire dalla gabbia toracica. Poco dopo, Rocco iniziò ad accarezzarmi i capelli, e avvicinò il suo viso al mio. Persi un battito in quel momento. Mancava poco. Ne ero più che sicura. Chiusi gli occhi, in attesa di perdermi nella totalità dei miei sensi, quando si spalancò la porta della mia stanza, e sia io che Rocco ci girammo, sorpresi. In quel momento sentii un ghigno misterioso proveniente dalla mia testa, come se qualcuno ridesse di ciò che fosse appena accaduto.

« Eeeveee! »

Un piccolo Eevee fece irruzione nella mia stanza, e iniziò a correre a destra e a sinistra, finché non si andò a nascondere sotto il letto. Durante tutta questa corsa pazza, i miei occhi seguivano sconvolti il piccolo volpino, mentre la rabbia iniziava a prendere il posto dello stupore. Immediatamente dopo, entrò nella stanza l’Infermiera Joy di Ciclamipoli, ansimando. Si poggiò allo stipite della porta, e riprese fiato. Rocco sospirò.

« Tutto bene? »

Le chiese poi, alzandosi dal letto. Io feci lo stesso, con la furia che iniziava a impossessarsi di me. Mi misi in ginocchio a terra, guardando sotto il letto per cercare il piccolo Pokèmon, desiderosa di vendetta. Ovviamente NON per coccolarlo, ma per farlo fuori, visto quello che aveva appena interrotto. Avrei aggiunto anche lui alla lista dei mostriciattoli da far fuori. Prima avrei disintegrato Skarmory, che si era gentilmente preso il disturbo di farmi da parrucchiere personale con tanto di risultati disastrosi, e poi lui, quel piccolo Eevee che adesso mi guardava in cagnesco(?) da sotto il letto.

« Sì, tutto apposto. Quel monellaccio di un Eevee selvatico è entrato nel Centro Pokèmon e ha iniziato a combinar guai. Spero che non abbia provocato niente di grave entrando qui »

Rispose poi l’Infermiera, ricomponendosi. Ma no, quel dolce Pokèmon non aveva combinato nulla, soprattutto, non aveva interrotto NULLA. Allungai una mano per cercare di afferrare il volpino, ma si spostava troppo velocemente, sfuggendo alle mie mani assetate di vendetta. Rocco si passò una mano tra i capelli, sospirando di nuovo, e si voltò verso di me, delicatamente chinata a terra stile “La finezza non è presente nel mio DNA”.

« Vivian, cosa stai facendo?»

Mi chiese, chinandosi anch’egli, solo che in modo molto, ma molto più adeguato alla situazione. Io non gli risposi. Volevo afferrare quel diavoletto. Affondai entrambe le braccia sotto il letto, e iniziai a muoverle convulsamente, finché non acchiappai il Pokèmon per la parte tra il collo e la schiena, quella con cui solitamente le madri afferrano i cuccioli, e lo trascinai fuori. Lo alzai all’altezza del mio viso, e soddisfatta ghignai:

« T’ho preso finalmente! Adesso assaggerai la furia di … oh!»

Mi fermai un attimo, e lo guardai dritto negli occhi. Il piccolo Eevee stava sfoggiando una delle sue migliori espressioni da cucciolo abbandonato, guardandomi con quegli occhioni neri dolcissimi, e piegando il morbido musetto verso il basso, come se stesse imitando una fasulla tristezza. In quell’istante mi vennero gli occhi a cuoricino.

« Ma come sei dolceee! »

Cinguettai io, abbracciandolo forte. Sono più che sicura che sul suo musetto si fosse dipinto un sorrisetto soddisfatto, ma in quel momento la mia dolcezza era arrivata alle stelle per rendermene conto. Una parte di me in quel momento mi urlava di ucciderlo, ma un’altra parte m’implorava di tenerlo con me. Avevo un debole per le cose dolci. Beh, relativamente dolci, giacché ero completamente innamorata di una rana blu con una tavola da surf conficcata nella testa, e una nel sedere. Il piccolo Eevee iniziò a strusciarsi addosso a me, cercando di arruffianarmi, quando dai miei pantaloncini poggiati accanto al letto su una sedia, presi una Pokèball che avevo comprato a Solarosa.

« Ciao piccolo Eevee! Vuoi far parte della mia squadra? Che ne dici?»

Lui annuì, continuando a strusciarsi, e premetti il pulsantino della Sfera Pokè, sperando che si lasciasse catturare. Il Pokèmon entrò senza nessun problema, ma la sfera iniziò a muoversi. Sapevo cosa stesse succedendo, Rocco me lo aveva spiegato un po’ di tempo prima. Quando si cattura un Pokèmon, ed entra per la prima volta in una Pokèball, non è sicuro che il mostriciattolo decida di restar dentro, diventando così parte della tua squadra, e può invece uscir fuori, liberarsi. Attesi una decina di secondi, finché la sfera si fermò.

« Benissimo Vìvs, hai appena catturato il tuo secondo Pokèmon! »

Esclamò raggiante Rocco. Io mi voltai verso di lui, e ricambiai il sorrisone. Mi brillavano gli occhi, ed ero felice. E così, passo velocemente quella mattinata iniziata bene, tra una veloce colazione, e una lunga e stancante camminata verso il Deserto. Se devo essere sincera, le camminate con Rocco sono una noia bestiale. Restò tutto il tempo a guardarsi in giro attento, cercando e ricercando le sue tante amate rocce, senza considerarmi minimamente. Intanto ciò che io, povera ragazza smemorata senza la benché minima idea di cosa ne avrei fatto del mio futuro, potevo fare in quel frangete, era solo gingillare della mia ultima conquista. Riflettei tutto il tempo su quale ipotetico nome avrei potuto affibbiare al mio nuovo Pokèmon, ma un dubbio mi assalì. Cercai, infatti, di ricordarmi di tutte le evoluzioni di Eevee, e rammentai le sue sette evoluzioni, comprese quelle di Shinnon. Non potevo di certo dargli un nome in quel momento, sapendo che prima o poi avrebbe preso una forma differente. Avrei potuto chiamarlo ‘Freccia’, anche quando fosse diventato, ad esempio, un Glaceon? O chiamarlo ‘Luce’ prima che diventasse un Umbreon? No, non era ancora il momento di dargli un nome. Così, dopo mille e mille pensieri e intrecci di nomi, arrivammo al tanto agognato Deserto.

«Eccoci qua! Dovrebbero esserci delle rovine da poco scoperte, sai Vivian? Il Deserto in cui ci troviamo esiste da ormai milioni di anni. Chissà quali segreti nasconde tra i suoi granelli di sabbia»

Esclamò solenne lui, ottenendo come risposta solo un annoiato sbuffo, osservando contento la distesa sabbiosa che si stendeva davanti a noi. Effettivamente però, non era un deserto molto esteso. Non era una di quelle robe assurde, chilometriche. Cioè sì, poteva essere sì e no qualche chilometro, ma nulla di particolarmente eclatante, dove si ci potesse irrimediabilmente perdere. E così ci inoltrammo dentro quel Deserto caldo e ventoso, dopo aver ovviamente indossato un paio di occhialoni contro le piccole tempeste di sabbia. Qui e lì, si potevano scorgere le figure di allenatori intenti a far allenare i propri Pokèmon contro le avverse situazioni di quel luogo, e anche qualche mostriciattolo trascinato dal vento. Posso giurare anche di aver visto un cactus con un cappello muoversi minacciosamente verso di noi, ma sicuramente era solo un effetto ottico dovuto al caldo.

«È lì. Guarda, quello è il sito ritrovato. Dicono che dentro ci siano delle strane iscrizioni, potrei anche darci un’occhiata mentre cerco la pietra per cui sono venuto qui»

Mi disse l’uomo, indicandomi attento una sorta di grotta al centro del Deserto che pareva esser spuntata lì all’improvviso, come portata su dal moto sottoterreno. Chissà cosa ci fosse nascosto dentro quel singolare loco. Piegai la testa, incuriosita da ciò, e poi mi voltai verso Rocco.

«Beh, non scopriremo mai cosa c’è se non entriamo, non credi?»

Domandai io sorridente, pronta per affrontare un’avventura di speleologia con lui. Immaginai già esplorazioni della grotta con tanto di corde salvavita, torce che si spegnevano improvvisamente, Pokèmon che apparivano senza preavviso, ma il mio entusiasmo si smorzò quando lui, mi impedì di seguirlo.

«Eh no, tu resti qui, non puoi mica correre un rischio del genere. Fai uscire dalla Pokèball Mudkip, così starà lui attento che non ti capiti nulla qui fuori. E mi raccomando, non ti allontanare!»

Possibile che nonostante gli avessi dato prova più di una volta del mio esser matura, ancora mi considerasse una bambina?! Incrociai le braccia indispettita e lo osservai entrare nella rovina estraendo una torcia dallo zaino. Sbuffai ancora, peggio di una vaporiera e iniziai a lamentarmi tra me e me quasi come se fossi una marmocchia di dieci anni. Bella dimostrazione di maturità, davvero! Mi sedetti su un sasso un po' spigoloso e mi lamentai per la scomodità, ma dopo poco non ci feci più caso. Alzai lo sguardo verso il cielo azzurro senza neanche una nuvola e mi persi nel suo chiaro ciano, esibendo al nulla uno dei miei migliori sorrisi da ebete. Mi persi tra mille pensieri, cercando di ricordare qualcosa sul sogno della notte prima, quando qualcosa sotto il mio sedere iniziò a muoversi fastidiosamente, e vidi le mie gambe prima tremare e poi i miei piedi sollevarsi da terra. E così, dopo pochi istanti mi ritrovai con la faccia sulla sabbia bollente e con il deretano all'aria. Cosa diamine era successo? Mi alzai velocemente da terra, quando notai con mio dispiacere che il sasso su cui mi ero poco delicatamente seduta non era altro che la testa di un Graveler, che era molto, ma molto furioso. Spalancai lentamente la bocca in una smorfia di sgomento e paura e lanciai un urlo che avrebbe fatto invidia alle migliori cantanti liriche della regione e non, e iniziai a correre come un'idiota, seguita dal combattivo Graveler che sbatteva minacciosamente i pugni. Avrei chiamato Matrix in battaglia? Neanche morta, nonostante il nemico fosse di tipo roccia e quindi debole all'acqua, quel bestione avrebbe spiaccicato con una sola mano la mia povera rana surfista! E così iniziò l'esilarante(non per me) inseguimento, che terminò nel momento in cui inciampai in qualcosa che mi fece tornare di nuovo con la faccia sulla sabbia, e che fece sbattere Graveler in una delle pareti delle rovine, facendo perdergli i sensi.

«Maledizione...»

Esclamai io, a voce bassa. Con le ginocchia doloranti e graffiate, mi alzai massaggiandomi un polpaccio, e cercai di vedere in cosa avessi inciampato. Mi guardai in giro, davanti ai miei piedi specialmente, ma non vidi nulla, niente completamente. Ma in cosa diavolo ero inciampata? Feci spallucce, sospirando, quando qualcosa non mi mordicchiò la gamba, e feci un salto girandomi verso dietro. E poi lo vidi, vidi l'affarino in qui ero inciampata, lo stesso che si era divertito a mordermi. Un Trapinch! Anzi, unA Trapinch, che tra l'altro iniziò anche a farmi strani versacci e a colpirmi le gambe con quella sua testaccia più grande del suo corpo.

«Che vuoi tu da me, eh? Mollami, sparisci, dileguati!»

Le dissi io stringendo i pugni e voltandomi dall'altro lato. Il caldo e il mio incontro con il Graveler avevano già peggiorato la situazione, e la Trapinch non giovava sicuramente a sistemare tutto. Mi portai il ciuffo all'indietro, facendomi aria con la mano, quando un altro morso mi colpì, questa volta alla caviglia. Mi girai furiosa verso il Pokèmon, con l'intento di darle un calcio per farla volare via, quando mi accorsi che la Trapinch era arretrata di qualche metro, e mi guardava con gli occhi socchiusi, in posizione di attacco.

«Ah è così allora? Vuoi combattere? E sia!»

Dissi io afferrando sorniona la Ball di Matrix, mandando in campo il Pokèmon. Il Mudkip si voltò verso di me, facendomi un versaccio annoiato, e si sedette a terra convinto di poter fare quello che voleva, scottandosi tutto il sederino e saltando per la scottatura.

«Allora? Cos'hai intenzione di fare? Crogiolarti qui oppure sconfiggere questo Trapinch che ha morso due volte la tua allenatrice?»

Gli domandai io con le mani sui fianchi, spronandolo a lottare anziché rimanere a poltrire. Non l'avessi mai fatto, Matrix si riempì di forza d'animo, e senza che io gli dicessi nulla, corse all'attacco verso Trapinch, con Azione. La Pokèmon, aspettò il momento giusto e si spostò di mezzo metro con un salto, evitando l'attacco improvviso del Mudkip, che per pochi centimetri non sbatté contro uno dei minacciosi muri delle rovine. Trasalii per lo spavento, e percepii il mio battito cardiaco accelerarsi, che si placò nel momento in cui vidi Matrix sano e salvo. Trapinch intanto se ne stava tranquillamente a prendersi gioco del mio Pokèmon, camminando a piccoli passetti altezzosi, come se fosse una duchessa.

«Matrix, Pistolacqua!»

Esclamai io infastidita dall'atteggiamento della Pokèmon, sperando che sta volta la mia cara ranocchia centrasse in pieno la Trapinch, che riuscì invece a schivare l'attacco, contro ogni mia previsione. La piccola non attese momento, e decise di contrattaccare, caricando contro Matrix, che fu colpito dritto sul muso con la sua grande testaccia. Il Pokèmon si lamentò frignando, finché una misteriosa folata di sabbia s'alzò d'improvviso, interrompendo la lotta. Portai una mano sul viso per coprirmi gli occhi dai fastidiosi granelli, e iniziai a chiamare il mio Pokèmon.

«Matrix! Matrix dove sei?»

Domandai più volte non vedendo nulla. Mi dovetti fermare a causa della sabbia che mi era finita in bocca, e sperai fermamente che Matrix non fosse stato portato via dalla piccola tempesta di sabbia. Per un momento mi preoccupai davvero, fino a quando non mi ritrovai il muso blu di Mudkip dritto sulla mia faccia, e a quel punto la tempesta cessò.

«Ma ti sembra modo di finirmi sulla faccia così?!»

Sbraitai, alzandomi sulle punte e tenendo le braccia tese. Mudkip mi guardò con un sorriso sghembo e io mi lasciai abbandonare a quel musetto innocente. Mi sedetti a terra facendo attenzione a non poggiarmi su un sasso dalla dubbia identità, e iniziai a guardarmi intorno con fare circospetto, alla ricerca del Trapinch di prima. La trovai a pochi metri da me e Matrix, a pancia in su, poggiata sulla grande testa. Non riusciva ad alzarsi, come se fosse una tartaruga poggiata sul guscio, e agitava le zampette, in continuo, velocemente. Mi avvicinai a lei contenta e beffarda, e la indicai spudoratamente, iniziando a ridere.

«Adesso non fai più la duchessa vero? Eh? Ti faccio vedere io chi comanda, vai, sfera Pokè!»

Effettivamente, esagerai in quel momento ad atteggiarmi in quel modo nei confronti della Trapinch, ma cosa potevo fare se non adirarmi? Forse mantenere la calma. Non era proprio una situazione perfettamente tranquilla e ideale, Graveler infuriato e capelli pieni di sabbia a parte, e la mia pazienza era crollata sotto terra, anzi, per rimanere in tema, sotto le dune di sabbia. Osservai la ball agitarsi a destra e a sinistra come la mattina, quando avevo 'catturato' Eevee, e attesi trepidante la resa del Pokèmon, che non tardò ad arrivare. Esultante di gioia, feci un saltello insieme a Matrix che era contento di avere un nuovo compagno di viaggio, e mi apprestai velocemente ad acciuffare la pokèball, che infilai nello zaino da viaggio, contenta e soddisfatta. Pochi istanti dopo, riconobbi accanto a me una figura familiare e cordiale, che batteva le mani contento. Rocco! L'esploratore dagli occhi di ghiaccio mi diede una pacca sulla spalla, scuotendo il capo divertito, ma si fece serio qualche secondo dopo.

«Sei stata brava Vivian, ma ti do un consiglio: non catturare i primi Pokèmon che incontri, devi fare una scelta giusta, in base ai tipi. Più la tua squadra è varia, più saranno le probabilità di diventare una Pokèmon master. E ricorda: la Persian frettolosa fece i micini ciechi!»

Io ascoltai tutto in silenzio, annuendo ad ogni sua parola, facendo tesoro di quei consigli, e gli sorrisi appena, per fargli capire che sì, avevo metabolizzato la cosa e più in là avrei fatto attenzione a non sbagliare e a prendere tutto con le pinze per evitare di incappare in stupidi errori. Lui ricambiò il sorriso, e sono sicura di aver visto uno strano e dolce luccichio nei suoi occhi. Ma potrei aver sbagliato. Da quel momento in poi la giornata passò velocissimamente, visto che dopo aver raggiunto una pensione lì vicino, riposammo fino a pomeriggio inoltrato. Da lì, partimmo poi in groppa a quel pollo laminato troppo cresciuto di Skarmory, arrivando fino Porto Alghepoli, dove stremati, Rocco decise di andare a dormire in un centro Pokèmon. Ovviamente in camere separate.

No davvero, lo giuro.

L'indomani, evidentemente, il signor Petri aveva così tanta voglia di tornare a casa per esaminare le pietre e i sassi estratte dalle rovine del Deserto, che alle sei del mattino mi aveva buttata giù dal letto e fatta salire per l'ennesima volta su quell'elicottero dalle lame facili. Inutile ribadire il mio disappunto, ma nulla più dei suoi occhi sarebbero riusciti a convincermi a far quello che diceva lui. E così tornammo a casa, e senza dir nulla, mi gettai su quello che per mesi era stato il 'mio' letto, e neanche il tempo di alzare la testa per guardare il soffitto avana della stanza, caddi in un sonno profondo.



















...Okay dopo un anno e mezzo sono tornata, più sclerata che mai. Vi sono mancata? Spero di sì, o almeno, spero che vi sia mancata Vìvs :3 Comunque sia, spero che questo mio ritorno sia stato di vostro gradimento, ho altri capitoli pronti, non c'è più il rischio che vi molli. Un bacio, Viku-chan. Mi raccomando, recensite! <3

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