Rosso di labbra, rosso di rosa

di JackoSaint
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** "Vamos chicos!" ***
Capitolo 3: *** Leandro Shura Alvarez: i retroscena ***
Capitolo 4: *** Proposta inaspettata ***
Capitolo 5: *** Una lettera e un caffè in compagnia ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


1. Prologo







Benritrovato popolo di EFP! Questa volta cambio assolutamente genere o almeno ci provo XD
Parto col ringraziare tutti voi per essere "sbarcati" su questa fic, grazie infinite!
E' una storia che da mesi ho in testa, ma non ho mai trovato il tempo per scriverla ^^ Per questo sono felicissima di potervela presentare, gente!
Che dire ancora?, buona lettura! ^^
GIO



<< Vive cada dia como si fuera el ùltimo >>
Vivi ogni giorno come se fosse l'ultimo





Rosso di labbra, rosso di rosa




- E’... difficile da spiegare, signora Ramìrez – Iniziavo sempre così, gli occhi abbassati in puro segno di resa davanti a quella stramaledetta paura di parlare. – Io... fa parte di me - .

Carolina Ramìrez, talentuosa psicologa di cinquant'anni, mi squadrò guardinga cercando di cavare qualcosa dal mio tremulo tono di voce. Probabilmente era lei la persona che mi conosceva di più, probabilmente mia madre non aveva mai potuto carpire il suo sapere. Mi andava bene così. – Pamela, sei grande oramai - .

Grande! Mi venne da ridere! Vent’anni buttati nel cesso, un’infanzia mai vissuta ed un’adolescenza normale solo sperata.

- Pamela – mi chiamò ancora. – Seguo il tuo caso da anni: ti ricordi quando eri piccola così? – Con la mano si sporse oltre la scrivania e posò il palmo aperto sulla testa di una bimba immaginaria, una bimba che non aveva mai conosciuto né un sorriso né un briciolo d’amore.

- Sì, mi ricordo - .

- E’ passato molto tempo da allora, eppure è ancora così difficile per te lasciarti alle spalle il passato - .

Per forza, tu puoi solo immaginare quello che io ho vissuto.

Mi scostai un ciuffo di capelli dal viso e solo allora decisi di degnare la signora Ramìrez di uno sguardo, un veloce sguardo che preannunciò il mio silenzio. Non volevo parlare.

- Eri una bellissima bambina, sei una bellissima ragazza e sarai una bellissima donna, Pamela – mi disse dolcemente stringendomi la mano. Lei voleva aiutarmi, eppure io la deludevo con i miei capricci...

Avvertii un brivido corrermi lungo la schiena. – Non ce la faccio, io... io non posso riuscirci – Calde lacrime iniziarono a rigarmi il volto, sintomo della mia debolezza. Sospirai per contenere singhiozzi più violenti. – Appena un uomo più grande di me mi si avvicina, appena tenta di toccarmi... - .

- Hai paura? - .

- Paura e... voglia di sparire – Soffocai queste ultime parole in un singulto strozzato e con la mano mi asciugai le lacrime che m'imperlavano il volto. – Proprio è... è più forte di me, signora Ramìrez - .

Mi sentii battuta. Battuta dal mio più grande incubo, battuta da ciò che fino a quel momento mi aveva rovinato l’esistenza.

- Androfobia – disse piano la signora Ramìrez, stringendomi ancora di più la mano. – Paura degli uomini. Una brutta gatta da pelare, vero? - .

Annuii.

- E se per caso dovessi innamorarti, Pamela? Come farai? - .

- Non credo potrà mai succedere - .

- La vita è fatta di imprevisti, tesoro - .

Non riuscii a contenermi: la sua voce, così dolce, mi sciolse in un pianto liberatorio. – E la mia vita non ha mai conosciuto amore! - .

- Sst – Si alzò e prendendomi per le spalle mi abbracciò da dietro, cullandomi come faceva mia madre tanto tempo fa. Tanto tempo fa... – Non dire queste cose, piccola mia - .

Annuii ancora, forse inconsciamente: dentro di me mi sentivo scoppiare, un terribile nodo alla gola non mi dava nemmeno la possibilità di piangere come avrei voluto. Senza tregua.

- Ho una bella notizia per te, Pamy – mi disse teneramente la signora Ramìrez, ancora cullandomi. I miei singhiozzi si fecero meno violenti. – Credo d’aver trovato una soluzione al tuo problema, una soluzione molto... molto insolita. Dopo così tanti anni dovresti essere ormai pronta - .

Mi incuriosì parecchio. Le lanciai un'occhiata, dopodiché tornai a guardare nel vuoto ed annuii. Ancora non sapevo che la soluzione di cui stava parlando mi avrebbe cambiato la vita.




GIO: Eh, che dire?, sono la solita depressa .-. XD
Scherzi a parte, spero di avervi incuriosito con questo corto (come sempre) prologo xD
Credo di aggiornare nel fine settimana -^^-
A presto popoloooo! :D






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Capitolo 2
*** "Vamos chicos!" ***


Cap. 2: Vamos chicos!








Capitolo 1:
"Vamos chicos!"

Non mi piacevano i film d’amore e le soap opera in stile Beautiful. Ogni volta che accendevo la televisione e mi trovavo davanti un obbrobrio simile, giravo subito canale dopo aver imprecato con la solita frase: “Che cazzata”.

Quella mattina il rituale si ripeté: tazza di tè alle labbra, telecomando stretto nell’altra mano, mi si parò davanti una disgustosa scena d’amore. Girai canale quasi senza accorgermene.

- Che cazzata - .

- Cosa? – La mia nuova coinquilina, una certa Alina (non chiedetemi il cognome) si allungò dal cucinino per rivolgermi un’occhiata incuriosita.

- Niente, niente - .

Era passato un mese dall’ultimo incontro con la signora Ramìrez e il suo “piano” stava svolgendosi nella più totale legalità. O almeno, appena me lo illustrò io non fui d’accordo, ma alla fine mi vidi costretta ad accettare. Lo trovavo teneramente stupido. Idiota. La psicologa mi aveva affidato ad una ragazza poco più grande di me, Alina (poco più grande... oramai era trentenne!), che abitava da sola nella periferia di Siviglia. Questa era la parte migliore della sua idea; l’altra invece dovevo ancora digerirla.

Ci stavo riflettendo sopra quando Alina, ancora in vestaglia da notte, si sedette al tavolo poggiando lì sopra una grossa tazza di caffelatte. – Dormito bene? - .

- Uhm - .

- Devi venire oggi, vero? - .

Non farmelo ricordare. La guardai storto sorseggiando lentamente il tè. Annuii.

Non volevo parerle antipatica o asociale, solamente la mattina nessuno doveva chiedermi nulla. Ero acida come uno yogurt andato male.

Alina lo sapeva, per cui non mi chiese più nulla. La osservai mentre incominciava, come ogni sabato, a smanettare con il cordless per tempestare i suoi amici di chiamate.

Che chiamate stupide. Quella specie di ochetta si divertiva a fissare incontri, uscite serali, pizzate, il tutto senza nemmeno chiedermi se io fossi d’accordo a rimanere a casa da sola. Ma lei sapeva anche questo, sapeva che io non avrei mai accettato di andare con lei a quelle festicciole.

Per questo non mi dispiaceva nemmeno tanto, anche se mi dava un po’ fastidio il fatto che lei sapesse tutto di me. Tutto. Tutto sul mio passato, tutto sui miei segreti, tutto sulla mia intimità. La signora Ramìrez l’aveva messa al corrente della situazione in quanto “coinquilina e cara amica sua”. Come se tutte queste scuse bastassero per giustificare la sua presa di posizione.

Finito il solito giro di chiamate mattutine, Alina bevve velocemente tutto il caffelatte (ormai tiepido) ed alzandosi si legò i lunghi capelli castani in un’alta coda. Sorrise: - Pronta, allora? - .

Solo dopo alcuni secondi mi resi conto che il tè era finito e che quindi non potevo usufruire della scusa di sorseggiarlo per non guardarla. Alzai lo sguardo. – Abbastanza - .

- Abbastanza? – mi disse leggermente incredula e sinceramente divertita. Era così solare, così amichevole... eppure mi stava antipatica. – Hai avuto fortuna, Pamy. Molte ragazze vorrebbero essere al tuo posto - .

- Al mio posto... - .

- Intendo ora – Sorrise con più decisione andando in camera sua per vestirsi. Lasciò volontariamente la porta semiaperta, cosicché potesse continuare a parlare: - Ti troverai benissimo con noi! - .

Benissimo! Avrei preferito un centro accoglienza per profughi o una clinica ospedaliera o un collegio... tutto pur di non dover condividere tutti i sacrosanti sabato mattina con un uomo!

- Sai Pamy?, il fatto che la signora Ramìrez sia mia amica ti facilita parecchio! – Finalmente uscì dalla stanza, ancora a piedi scaldi ma completamente vestita. – Almeno non devi pagarti i corsi - .

- E’ gratis? - .

- Non lo sarebbe... ma per gli amici si chiude sempre un occhio! – Un po’ zampettando, Alina si infilò le ballerine ai piedi e poi trionfalmente mi guardò. 

Pausa di silenzio, poi lei:

- Su, che aspetti? Devi ancora cambiarti e dobbiamo essere là tra mezz’ora! - .

- Ci sarà anche la signora Ramìrez? - .

- Certo! - .

La cosa mi tirò su il morale. Poggiai la tazza sul tavolo e, scambiandole un fugace sorriso (ipocrita!), mi diressi in camera mia chiudendo la porta.

 

 

Non ci volevo andare. Era inutile, era più forte di me. Entrai in auto con una certa riluttanza mentre Alina si apprestava di già ad accendere il motore. Senza accorgermene mi ritrovai con le cinture di sicurezza ad inchiodarmi al sedile. Sobbalzai.

Maledetta Alina!

- Mai viaggiare senza queste! – canticchiò lei indicando ciò che ora mi impediva di fuggire a gambe levate. – Ed ora rilassati, venti minuti e siamo arrivati - .

Venti minuti! Solo venti minuti mi separavano dal mio orribile destino!

Percorso il viale ghiaiato, Alina si avventurò sulla strada ed io, tanto per distrarmi, abbassai lo specchietto per sistemarmi i capelli. Ed eccomi, il rosso autunno della mia chioma e gli occhi color castagna. Finii di sistemarmi la matita e il lucidalabbra, ma perché lo stavo facendo? I trucchi mi disgustavano. Certo, mi rincuorava vedere il volto di Alina truccato al massimo ed il mio più sobrio e naturale. Pregai Iddio di non prendere la sua stessa mania.

Restammo in silenzio parecchi minuti. Fu lei ad aprire bocca:

- Non sei curiosa? – .

- Curiosa di cosa? - .

- Di conoscere la compagnia - .

Mi strinsi nelle spalle. – L’idea non... non mi entusiasta - .

- Non ti entusiasta l’impegno con cui la signora Ramìrez si è sempre presa cura di te? - .

- Quello sì - .

Alina imboccò una strada sfortunatamente più trafficata, segno che ci stavamo avvicinando al centro di Siviglia e quindi alla nostra destinazione. Trattenni un conato di vomito e mi limitai a sorridere tiepidamente. – E’ sempre stata molto gentile con me - .

Lei annuì, felice di sentirmi parlare di mia iniziativa.

Ad un certo punto mise la freccia, svoltò a destra e poi ancora a destra.

Parcheggiò davanti ad un edificio di due piani, bianco come la schiuma del mare. Trattenni, questa volta, il pianto.

Non si mosse, Alina, solo spense il motore e restò a guardarmi. Per un momento ebbi paura di svenire. – Leandro è una uomo magnifico – mi disse dolcemente. – E’ un po’ più grande di te ma... - .

- Lo so - .

- Cosa? - .

- Che è più grande di me - .

Lei sorrise, questa volta un sorriso che mi fece piacere. - ...ma sarà un ottimo maestro. Sai chi è, no? - .

- ...Sì, vagamente – Lo ammetto, non ero un’appassionata di danza. Poche volte guardavo le gare di ballo perché poco mi interessavano. – Ne ho sentito parlare - .

Alina annuì. – E’ un ballerino molto famoso, oltre ad essere una persona dolce e comprensiva. Lo sarà ancora di più con te e lo sarò anche io - .

Cavolo, mi ero quasi scordata che quella papera dalle sembianze umane fosse l’assistente di Leandro. Okay, stavo pensando seriamente di fuggire. Ma che razza di idea aveva avuto la signora Ramìrez? Improvvisamente mi parve ancora più idiota di prima. – Ma io... – Mi bloccai: solo il pensiero di avvicinarmi ad un uomo, solo il pensiero delle sue mani sul mio corpo...

- Ma non devi avere paura – Mi mise una mano sulla gamba, continuando a sorridere. – Vedrai, ballare ti farà dimenticare tutto. So che può essere difficile per te all’inizio... - .

Non sai nulla...

- ...ma d’altronde il tango è un ballo a coppia e la signora Ramìrez ha avuto un’idea favolosa! - .

Mi ritrovai a sbuffare, non so se per paura o per evitare di dire qualcosa. Alina scese dall’auto, così io feci lo stesso.

 

 

La palestra (era una palestra, quella?) più che parere tale aveva le sembianze di un grande salone. L’entrata principale era posta tra piccoli spalti da cui si poteva avere una visione completa della stanza. Oltre i parapetti si stagliava una graziosa pista da ballo dalle piastrelle bianche e splendenti; e in alto, appesi ad un soffitto molto elevato, regnavano due grandi lampadari.

Restai imbambolata a guardarmi in giro, sempre vicinissima ad Alina, e solo in un secondo tempo notai quelli che sarebbero stati i miei compagni e compagne di danza: se se stavano sulla destra, chi seduto su delle panchine chi invece in piedi, a parlare animatamente tra loro. Analizzai i loro volti: antipatici.

Alina, notando il mio disorientamento, mi tese una mano. – Vieni Pamela - .

Mi sentii una bambina al primo giorno di scuola, quando la mamma ti accompagna in classe e tu trattieni a stento le lacrime. Stessa cosa.

Insieme scendemmo i gradini, mano nella mano, e solo in quel momento mi accorsi che ora alcuni si voltavano a guardarmi, non solo quelli che parevano i miei futuri “compagni”, ma anche un uomo e una donna poco più avanti. Il primo stava allacciandosi una scarpa ed era comodamente seduto alla panchina. L’altra, invece, era la signora Ramìrez, che gli era davanti e gli parlava agitando le braccia. Non capii di cosa stessero discutendo così animatamente, solo trattenei un singulto spaventato quando la mia psicologa mi notò e sorrise cautamente, cosa che attirò l’attenzione dell’uomo. Ma restò seduto, fortunatamente, e non seguì la signora Ramìrez che invece ora stava dirigendosi verso di noi.

- Carolina! – la salutò Alina vedendola avvicinarsi e quindi accogliendola con una poderosa stretta di mano. – Già qui? - .

- Non potevo permettermi ritardi - .

- Vedo che hai già conosciuto Leandro - .

- Leandro, sì – La signora Ramìrez mi donò un dolce sorriso, poi mi prese la mano rubandomi dai miei pensieri: mi ero scioccamente impalata ad osservare Leandro e il mio sguardo seguiva in modo assai curioso i movimenti delle sue mani che si prodigavano ad allacciare i lucidi mocassini neri.

- Sì? - .

- Pamy, come stai? - .

Che domanda idiota, non potrei stare peggio. Lanciai una veloce occhiata a Leandro, come per assicurarmi che stesse ben lontano da me, poi ritornai con gli occhi fissi sulla signora Ramìrez: - Bene, direi - .

- Ottimo – Allungò un braccio verso Leandro (e da quel momento capii che sarebbe stato lui la mia dannazione) e mi invitò a seguirla.

Te lo sogni, cara mia.

Guardai ancora Leandro, ora in piedi a guardare un po’ me, un po’ gli altri ragazzi del corso. La prima cosa che percepii, oltre ad uno spropositato senso di terrore, fu l’inquietudine: vedere quegli occhi, due pietre d’ebano incassate tra folte ciglia corvine, mi faceva sentire piccola ed indifesa; come sempre, d’altronde, ma quella volta mi sentii battuta in partenza.

Incoraggiata dalla signora Ramìrez e da Alina (non chiedetemi come e perché), mi decisi ad avvicinarmi, guardinga, a colui il quale da quel momento avrebbe rovinato le mie sonnacchiose mattine di inizio weekend; e più mi avvicinavo più mi sentivo fuoriposto, più lo vedevo vicino più cercavo di distogliere il mio sguardo dal suo. Nonostante i miei sforzi, non ci riuscii.

- Leandro – lo salutò Alina con un sorriso che mi parve troppo intimo per essere soltanto amichevole.

Lui schiuse le labbra sanguigne in un leggero sorriso, sorriso con cui silenziosamente la congedò invitandola con lo sguardo a raggiungere gli altri allievi.

Mi sentii come un soldato che combatte senza scudo: “leggermente” indifesa. Feci per aprire bocca e sussurrare un “mi sento poco bene” con l’intenzione di darmi alla fuga, ma la signora Ramìrez mi precedette:

- Pamela, lui è Leandro Alvarez. Sarà il tuo insegnante di ballo a tempo indeterminato - .

A tempo indeterminato? Stai scherzando, vero??

Le parole mi morirono in bocca appena lui prese l’iniziativa. Mi guardò poco, sembrava non volesse farmi sentire in imbarazzo. – La tratterò con dovuto riguardo, signora Ramìrez. Non si preoccupi - .

La sua voce, un sussurrio a malapena accennato. Tutto in lui suggeriva attenzione e cautela... probabilmente sapeva tutto di me, probabilmente era stato informato. Mai una volta che potessi avere l’occasione di raccontare io la mia vita agli altri. Maledette psicologhe!

- Di questo ne sono sicura – fu la risposta della signora Ramìrez, dopodiché mi concesse un materno sorriso. – Ti verrò a prelevare tra due ore, Pamy. Se hai bisogno puoi pure chiamarmi - .

Mi... mi lasciava sola? No, non poteva lasciarmi sola! La guardai confusa, poi rivolsi un’occhiata intimidita a Leandro: nonostante il modo garbato con cui fino ad ora si era comportato, mi incuteva un certo timore a partire dal fatto che fosse piuttosto alto; ma non solo per quello, certo. – Ma- - .

- Tranquilla – E così, senza aggiungere altro, si congedò ed imboccò un corridoio tra gli spalti.

Leandro non disse nulla e, guardandomi un’ultima volta, girò elegantemente sui tacchi e batté le mani due o tre volte come per richiamare l’attenzione: - Vamos chicos! - .

E la mia prima lezione di danza incominciò.


Ehm ehm... eccoci al secondo capitolo! Non so dirvi quanti saranno in tutto, però ho molte idee in mente su questa fic... spero di riuscire a metterle dentro tutte senza fare casini! XD

Alle recensioni risponderò in forma privata, col tempo mi sono convinta che la cosa è più ordinata e soprattutto più "intima" tra scrittore e lettore ^^"

A presto gente, e grazie!

Gio


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Capitolo 3
*** Leandro Shura Alvarez: i retroscena ***


Capitolo 3: Leandro Shura Alvarez: i retroscena


Ed eccomi! Scusate per il ritardo, ma con tutti questi impegni aggiornare è abbastanza impegnativo... di certo non sparitò ancora, promesso! U.U
In questo capitolo inizieranno a presentarsi i primi abbozzi di trama... meglio dire i primi incasinamenti di trama... LOL
Buona lettura, e grazie! ^^
GIO




Capitolo 2
Leandro Shura Alvarez: i retroscena



La lezione di ballo non mi entusiasmò: in primis, tutti gli altri miei compagni sapevano già ballare abbastanza bene mentre io ero rigida come un tronco d’albero. Seconda cosa, le possibilità di fuggire si erano ridotte al minimo dato che Leandro mi aveva tenuto sotto costante vigilanza per tutta la durata del corso.

Non pensavo che il ballo fosse una disciplina da prendere così sul serio. O sai ballare o non sai ballare, punto.

- Si può migliorare ma non troppo, il ritmo devi avercelo nel sangue – mi disse negli spogliatoi una certa Angelina, mentre le altre ragazze stavano già uscendo. – Te la sei cavata bene, suvvia - .

Sbuffai poco convinta. – Semplicemente non credo di essere fatta per il ballo - .

- D’altronde non puoi pensare di raggiungere subito i livelli di Alina e Shura, no? - .

- Shura? - .

- Il secondo nome di Leandro – mi rispose lei notando il mio disorientamento, - strano che Alina non te lo abbia detto - .

Negai col capo. – Lo so solo ora – Mi allacciai con obbrobriosa lentezza le scarpe, sotto agli occhi attenti della mia nuova conoscenza.

Era una ragazza simpatica e semplice, dopotutto. Non aveva l’aria di tirarsela troppo, pareva una sempliciotta con una precaria vita da giovane donna molto impegnata.

- E perché lo chiami con il suo secondo nome? – le chiesi tanto per attaccare bottone: non mi piaceva assolutamente il silenzio.

Lei si caricò il borsone su di una spalla e sorrise. – E’ così che si fa chiamare dagli amici più intimi - .

- Sei sua amica? - .

- Andavamo al liceo assieme – .

Mi infilai velocemente la giacca e uscimmo dagli spogliatoi: la palestra era già vuota, probabilmente gli altri erano andati e la signora Ramìrez mi aspettava fuori dal portone.

- Andavamo al liceo assieme – ripeté lei, e mi parve di scorgere un sorriso nostalgico sul suo volto.

Non mi trattenni e feci per domandare altro, ma lei mi precedette:

- Erano bei tempi. Hai presente le marachelle che si combinano, no? Poi lui ha voluto smettere di studiare - .

- Non ha finito la scuola? - .

 - Già, ha abbandonato prima. Si è dato totalmente alla danza - .

Quel discorso mi incuriosii; mi incuriosii a tal punto che, una volta giunte fuori sotto ai raggi del sole, le chiesi se nel pomeriggio fosse libera per passare da me così da riprendere l’argomento. – Vorrei approfondire... approfondire la storia di Leandro, se non ti dispiace. Sembra che tu lo conosca bene - .

Angelina annuì, leggermente titubante. – Sì, parecchio; e mi farebbe piacere vederti per parlarti un po’ di lui ma... ma non da te, è meglio da me - .

- Perché...? - .

La signora Ramìrez apparve così d’improvviso che mi zittii istantaneamente. – Ciao tesoro, tutto a posto? - .

Le sorrisi distrattamente mentre lei mi passava una mano sulla guancia, poi rivolsi una veloce occhiata anche ad Angelina. – Sì, grazie... ho stretto già amicizia con lei, Angelina! - .

- Felicissima – mi rispose. – Alina? Sapete dov’è? - .

Mi strinsi nelle spalle. – A fine corso mi ha detto che aveva da svolgere alcune pratiche... ha aggiunto che mi avresti accompagnato tu a casa - .

- Sì, in effetti ci eravamo messe d’accordo - .

Non mi interessava assolutamente sapere dov’era quella megera, né tantomeno chi mi avrebbe portato a casa. Decisi quindi di passare in azione: - Uhm... oggi pomeriggio posso andare a casa di Angelina? - .

- Certo, certo. Dove...? - .

- In centro – rispose Angelina quasi si aspettasse quella domanda. Poi si rivolse a me sorridendo amichevolmente. – Alle due ti vengo a prendere, va bene? - .

- Sai dove abito? - .

- Con Alina, sì, tranquilla – Mi donò un lieve bacio sulla guancia, poi salutò con una stretta di mano la signora Ramìrez e si allontanò in direzione del parcheggio.

Io la salutai con la mano, eccitatissima al pensiero di spettegolare sulla vita del mio maestro di ballo. In più, non avevo ben afferrato il motivo per cui Angelina preferisse non venire a casa mia per parlare di lui... e questa cosa mi faceva supporre che avesse avuto un serio motivo per rispondermi così.

 

A mezzogiorno mangiai poco che niente e nelle due ore successive mi chiusi in camera mia.

Alina era come al solito impegnata nel giro di chiamate e alcune volte la sentivo accennare ad un’uscita prevista per quella sera che l’avrebbe tenuta occupata almeno fino all’una di notte.

Meglio, mi dissi. Piuttosto che averla tra i piedi, quella sera preferivo starmene da sola a guardare la televisione.

Dal salotto comunque non si dimenticò di chiedermi (urlando) se volessi andare con lei: rifiutai l’invito con gentilezza.

E proprio mentre stavo per infilarmi le scarpe da ginnastica, alle due e un quarto Alina mi richiamò nuovamente per annunciarmi l’arrivo della mia nuova amica.

Quasi feci salti di gioia ed entusiasmo, ma pensai bene di tenerli per me mentre salutavo la mia coinquilina e salivo in auto con Angelina.

Il viaggio fu piacevole, e nonostante la mia insistenza Angelina non mi anticipò nulla riguardo Leandro.

Iniziammo a parlarne solo quando, tè alle labbra, ci trovammo nella veranda accomodate su grandi poltrone di vimini.

- Allora, perché hai preferito vederci a casa tua? – le chiesi. Non stavo più nella pelle.

Angelina mi inquadrò da dietro la tazza da tè, poi sorrise più rilassata. – Per evitare la presenza di Alina - .

Ebbi l’orribile sensazione che quella strega mi avrebbe perseguitato incessantemente. - Alina? C’entra qualcosa? - .

- Parecchio. Non va molto d’accordo con Shura, anche se non sembra -  Mise da parte la tazza mentre io la osservavo attentamente, presa dal discorso. – Diciamo che... si odiano, sì - .

- Deve essere successo qualcosa di grave - .

Lei mi annuì. - Storia complicata. L’amara verità è che lei è una stronza - .

Che parole crude! Eppure, chissà perché, era assolutamente d'accordo con lei. – Se devo dirtela tutta, mi sta molto antipatica - .

- Non sto parlando del suo carattere, Pamy – mi disse lei con una certa confidenza, - ma del suo comportamento con Shura - .

Mi ritrovai a sorseggiare distrattamente il tè. – Dimmi - .

- Si dovevano sposare, loro due, un paio di anni fa circa – iniziò lei, catturando subito la mia attenzione:

- Sposare? - .

- Mai fidarsi di una come Alina – continuò Angelina. – Shura era pazzo di lei. Insomma, non so se rendo l’idea ma... ma Shura è un gran pezzo di ragazzo, e solo una deficiente sarebbe capace di tradirlo! - .

- E fammi indovinare, la deficiente sarebbe Alina - .

- Esatto! - .

A dir la verità non mi ero mai interessata di gossip amorosi, pensavo che l’amore tra uomo e donna fosse una grande presa per il culo. Ma per la prima volta, per la prima volta mi resi conto che pure le donne potevano fottere gli uomini e comportarsi peggio di loro.  La cosa mi fece rabbrividire.

- Diciamo che Alina se la spassava con un altro uomo da almeno... qualche mese, non so dirti con precisione. E Shura mica è scemo, dopo un po’ l’ha scoperta - .

- E poi? - .

- Poi logicamente ha cancellato tutti i preparativi per il matrimonio e l’ha mollata – rispose Angelina gesticolando furiosamente. – E non è ancora finita; più tardi si sono aperti dei processi per la custodia del figlio - .

Persi qualche battito. – Figlio? Alina ha avuto...? - .

- ...un figlio da Shura? Certo, proprio per questo lui voleva prenderla in moglie: per il piccolo - .

- Cristo – mi scappò. Non me lo sarei mai immaginato. – Quanti anni ha ora? - .

- Non lo so esattamente, credo cinque o sei. Si chiama Francisco - .

- Ed è rimasto a Shura - .

- Certo, è sicuramente un genitore più responsabile! - Angelina finì di bere il tè. – Ora è da parecchio che Alina tenta di riconciliarsi con Shura, ma figuriamoci se lui accetta le sue scuse – Poi, dopo un veloce momento di pausa, abbassò il tono di voce e si sporse verso di me: - E’ un uomo molto intelligente, di certo non andrà più a fidarsi di lei. Quando Francisco sarà un po’ più grande, però, il fatto di non avere una madre accanto lo farà sentire triste e... e incompleto, capisci? - .

Annuii.

- Shura lo sa. Lo sa ma non accetterà mai di rimettersi con Alina, perché proprio lei ha rovinato la formazione di una famiglia. Della loro famiglia e della famiglia di Francisco - .

Facemmo per un po’ silenzio. Ora avevo capito perché Angelina aveva voluto evitare la presenza di Alina, e la cosa mi parve paurosamente sensata.

- E tu, Pamela? Raccontami un po’ di te - .

Quella domandò mi freddò. - Ci sarebbero così tante cose da dire... – tentennai timidamente.

- Parti da qualsiasi cosa, tranquilla – sorrise Angelina, e finalmente realizzai di non trovarmi davanti alla mia psicologa, ma solo davanti ad una persona che stava chiedendomi informazioni sulla mia vita... mi sentii libera di dire quello che volevo.

 

 

- ...ed è per questo che preferisco la compagnia delle ragazze – conclusi con un certo tremore nella voce: - Non posso sopportare a lungo la presenza di uomini più grandi di me... - .

- Comprensibile – mi tranquillizzò Angelina: non pareva assolutamente sconvolta dalla mia vicenda e non sembrava essere in procinto di fare qualche osservazione che mi avrebbe messo in imbarazzo. – Tranquilla, con il tempo riuscirai a sconfiggere questa paura... dovrebbe crearti molti problemi - .

- Sì, in effetti – risposi, ora con più decisione. Accarezzavo la tazza da tè con lo sguardo perso nel vuoto. – Mi fa sentire bene il pensiero che lui sia lontano da me - .

- Dove si trova? - .

- A Madrid, almeno credo - .

- Ma...? - .

- No, da molto tempo non è più al fresco – Mi strinsi lentamente nelle spalle. – La giustizia funziona di merda, quando vuole – Stavo per riprendere a parlare, quando sentimmo qualcuno aprire la porta di casa.

Angelina si alzò sistemandosi il vestitino estivo che aveva addosso. – Oh, deve essere il mio fidanzato - .

- Il tuo fidanzato? - .

- Sì. Te lo presento, se vuoi - .

Non so perché, non so per cosa ma annuii. Mi disse di aspettarla lì il tempo necessario per andare a “ripescarlo”, quindi rientrò in casa lasciandomi sola per alcuni istanti. Li sentii parlare, lui aveva una voce molto più vivace di quella di Shura... o Leandro, non sapevo nemmeno come chiamarlo!

No, devo assolutamente scordarmi della sua storia. Che tristezza...

- ...avendo ospiti mi piacerebbe che tu venga a conoscere la mia nuova amica... da bravo padrone di casa...! - .

Risero e sentii i loro passi avvicinarsi sempre più in mia direzione... artigliai quasi goffamente la poltrona di vimini per poi inscenare un sorrisino più naturale possibile.

- Eccoci qui! – Finalmente (finalmente?!) Angelina e il suo fidanzato mi raggiunsero nella veranda.

Appena lo vidi, appena notai il sorrisino borioso che gli colorava il viso, feci del mio meglio per stringergli la mano, già tesa verso di me.

- Aiolos, piacere - .

- Pamela... Pamy per gli amici, piacere mio - .

Wow, la mia performance è stata veramente ottima! I miei sforzi hanno giovato a qualcosa!

Mi fece piacere notare che lui non aveva perso il sorriso. Pensai subito di stargli simpatica.

Aiolos, dopo avermi stretto la mano, si accomodò sul tavolo di vimini e si rivolse ad Angelina. – Stasera esco con gli altri - .

- Altri chi? - .

- Gli altri del corso, no? - .

- Bene -, e quasi di sorpresa lei mi graziò con un acceso sorriso. – Pamy, stasera sei libera? - .

- ...Sì, perché? - .

- Noi due possiamo andare fuori a cena, che ne dici? - .

Mi strinsi nelle spalle, stupita da quell’invito. - Sarebbe... bello, sì - .

- Ottimo! Vedrai, ci divertiremo molto! - .

Aiolos rise, e la cosa mi procurò un insolito piacere.




Ed eccoci a fine capitolo... allora allora!, per ora il passato di Pamela ve lo tengo segreto (abbiate pazienza! ^^"), come vi tengo segreto il tipo che "dovrebbe essere a Madrid" (LOL), mentre quello di Leandro (o Shura, zì **)  piano piano lo stiamo ricostruendo ^^
Ci sarà molto da scoprire anche riguardo il nostro Aiolos, che è entrato in scena (mah, chissà perchè! *fischietta innocentemente* XD) e riguardo altri personaggi che conoscerete nel prossimo capitolo XD
Mo' scappo, è stato un piacere scrivere questo capitolo ^^
Grazie ancora e buona domenica! ^___^
GIO


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Capitolo 4
*** Proposta inaspettata ***


Cap IV: proposta inaspettata



'GIORNO A TUTTI E BUONA PASQUA! AUGURO A TUTTI DI AVERE MOOOLTO CIOCCOLATO E...

sono ancora qui a parlare? Ops! ^^"
BUONA LETTURA
GIO




Capitolo 3
Proposta inaspettata

 

Iniziai a guardare Alina in modo differente. Forse mi dava l’impressione di essere una madre irresponsabile, forse non ce la vedevo proprio come moglie di Leandro... o forse era solamente confusa, pentita, e il volersi riavvicinare a suo figlio e al suo compagno mi faceva quasi compassione.

Di certo ora che sapevo qualcosa in più su di lei mai mi sarei sognata di essere al posto suo, dato che era risaputo quanto io fossi gelosa del suo corpo perfetto e della sua ottima abilità nel ballo.

Angelina mi invitò altre volte a casa sua e lentamente riuscii a farle sputare qualcosa anche su Aiolos:

- Studia giurisprudenza all’università qui vicino, si è fatto un sacco di amici – mi disse un giorno, mentre sorseggiavano tè a casa sua. – E’ un punto di riferimento un po’ per tutti, sai? - .

- Dovrebbe essere molto impegnato con gli studi, allora - .

- Già, poche volte ci concediamo tempo per noi – mi rivelò in risposta. – Lui dice che tutt’ora è più importante lo studio... per costruirci solide fondamenta sulle quali poggiare il nostro futuro - .

- “Nostro”? - .

- Uhm – mi annuì lei facendo su e giù col capo, e colsi un inaspettato e timido sorriso: - Mi ha detto che vorrebbe sposarmi, non appena possibile - .

Mi ritrovai ad accarezzare pensosamente il bordo della tazza: - Grandi progetti, quindi - .

- Già – La sua attenzione, chissà perché, venne calamitata su tutt’altro argomento. – Ho sentito che ieri, dopo la lezione, Leandro ti ha presa da parte per dirti qualcosa - .

Alzai gli occhi su di lei, leggermente colta di sorpresa. – Uhm... sì - .

- Be’... – Alzò piano le spalle, come se si aspettasse che io continuassi a parlare, - non capita tutti i giorni... - .

In effetti...

- Che ti ha detto di così sconcertante? Ho visto che sei uscita pallidissima - .

... mi ha fatto uno strano effetto

Mi scossi: - Ero solo un po’... stupita - .

- Perché? - .

- Mi ha detto che sono migliorata molto. Mi ha colpito la sua sincerità – Non era proprio tutto, ma lei parve non indispettirsi:

- Leandro ha fiuto per i talenti - .

- Me ne sono accorta – Poggiai la tazza sul tavolo: il suono che la ceramica produsse mi parve lontano, atono...

 

Un giorno prima...

 

Mi aspettava fuori dagli spogliatoi femminili. Lo vidi seduto alla sua solita panca, le gambe comodamente accavallate.

Non appena incontrai il suo sguardo, la mano con cui reggevo il borsone iniziò a sudare. Cercai di non farci caso, insomma, mi capitava sempre quando diventavo agitata.

Gli passai davanti cercando di non incrociare la sua occhiata scura, ma la sua voce mi fece tirare il freno a mano:

- Pamela Ruiz, giusto? - .

Dovetti ammettere a me stessa che mi aspettavo un inizio simile da parte sua. Mi voltai un poco, giusto per spiarlo oltre i capelli rosso ramato. - ...Sì - .

- Si sieda un momento qui, di fianco a me – Non m’indicò nulla, non si alzò nemmeno, non di mosse.

Nonostante il mio corpo si rifiutasse di accettare l’invito, qualcosa mi suggeriva di fare il contrario. Mi sedetti, quindi, e poggiai il borsone di fianco a me con un certo tremore.

La palestra, intanto, andava svuotandosi. Salutavo con un distratto cenno del capo le mie compagne, le quali parevano più attente a non perdere di vista il misterioso maestro di danza: ebbi la sgradevole sensazione che me le sarei ritrovate fuori dalla palestra, appostate ed in attesa che io uscissi per balzarmi addosso come avvoltoi su una carcassa abbandonata.   

Leandro Alvarez aspettò che anche l’ultimo alunno fosse uscito dalla palestra, cosa che mi fece innervosire parecchio. Teneva le braccia conserte, comodamente appoggiato al muro, e quella posa non faceva altro che mettermi ancor più in agitazione.

- E’ da un paio di settimane che la osservo – iniziò a dire lui col suo inconfondibile accento spagnolo che, mistero dei misteri, mi parve più marcato che mai. – La trovo molto migliorata - .

Non sapevo se ringraziare o starmene zitta: optai per la seconda opzione.

- Tra tutta le sue compagne, signorina – continuò, e qui alzò gli occhi su di me come se stesse tenendomi d’occhio, - lei è quella più portata per la danza, nonostante le sue iniziali difficoltà. Ha mai fatto qualche altro corso o sport? – .

Uhm, che domanda. Mi tremò la gola, ma stringendomi nelle spalle acquisii coraggio nel rispondere: - Pattinaggio. Mi piace molto - .

- Ora è tutto più chiaro – Il suo tono di voce parve sciogliersi un poco, divenendo più dolce e meno tagliente. – Sa, ho visto come muove i piedi. Passi molto eleganti, sì - .

Più andava avanti nel parlare, più mi sembrava che stesse girando attorno al nocciolo della questione. Non dissi nulla, comunque, e lo lasciai proseguire:

- Credo che il ballo la aiuterà molto nella vita. Lasciando da parte il suo problema psicologico, Pamela... – Tremai quando mi chiamò per nome, - avrei una proposta da farle, sempre se lei sia d’accordo. Non voglio obbligarla - .

Annuii leggermente rincuorata dalle sue ultime parole. Non sapevo se sentirmi benedetta (perché pareva una cosa importante!) oppure se rimpiangere il fatto che Leandro avesse notato il mio portamento. – Mi dica pure - .

- Tra... otto mesi, se non erro, si terrà un importante campionato di danza a Madrid. La mia compagna di tango è sempre stata Alina, ma quest’anno non me la sento di partecipare con lei... Motivi personali - .

Un nodo alla gola mi costrinse a rimanere zitta un’altra volta: avevo più o meno inteso cosa volessi chiedermi Leandro, e sapevo anche perché lui non si sarebbe presentato con Alina.

Leandro mi guardò ancora un momento, poi abbassò il capo chiudendo gli occhi: - Pamela, lei è veramente molto brava seppur giovane. In otto mesi sarei capace di farla diventare un’ottima ballerina di tango, se solo lei accettasse di accompagnarmi ai prossimi campionati come mia dama - .

In un primo momento non capii nulla di quello che mi aveva appena chiesto: non soppesai assolutamente la possibilità di presentarmi con Leandro Alvarez, noto ballerino di tango, ad una competizione di livello così elevato, anzi, l’idea non mi sfiorava nemmeno. Immaginarmi avvolta in uno di quei bellissimi vestiti da ballo tra le braccia di un uomo che, dovevo ammetterlo, mi incuteva ancora un certo timore, non era proprio il massimo.

Gli lanciai un’occhiata e lo trovai in attesa di una risposta. Un brivido mi passò lungo la schiena, le mie mani guizzarono a stringere i manici del borsone: - Dovrei... pensarci, signor Alvarez, è una proposta così... - .

- ...Inaspettata, sì – Mi tolse le parole di bocca con una spontaneità straordinaria. – Ci pensi, non abbia fretta. So quanto possa essere complicato per lei - .

Senza accorgermene gli regalai un timido sorriso. Mi alzai, mi caricai il borsone sulla spalla e, prima di andarmene, mi voltai ancora verso di lui. – Grazie comunque – dissi, e non seppi se quel ringraziamento era rivolto alla sua proposta oppure alla cautela con la quale mi aveva trattato. Come sempre, dopotutto...

 

 

...

- Pamela...? - .

Mi scossi, svampita, e mi trovai davanti Aiolos che mi guardava con una certa preoccupazione.

– Stai male, per caso? - .

Quasi scattai in piedi dalla sorpresa e dovetti far giostrare le dita per non lasciarmi sfuggire la tazza. – Uhm, no no, stavo solo pensando. Tranquillo – Il sorriso che allungai dopo mi parve stupidissimo.

Aiolos non ci fece caso, anzi, mi sembrò soddisfatto. Scattò via dal tavolo, mentre Angelina mi stava guardando amichevolmente:

- Non hai ascoltato nulla di quello che ho detto, vero? - .

- Su cosa? - .

- Lasciamo stare, nulla di importante – Con la mano mi fece notare un pacchetto di golosi biscotti che poco prima non c’era. – Li ha portati Aiolos. Vuoi? - .

- Uhm... no, grazie, grazie - .

Mi era parso di rivivere sulla pelle tutte quelle strane sensazioni che avevo provato davanti a Leandro Alvarez. Quello sguardo, quegli occhi mi stavano perseguitando da settimane. Quasi senza accorgermene presi un biscotto e me lo portai alla bocca, incominciando a masticarlo con nonchalance.

Aiolos ed Angelina sorrisero piano, poi lui si diresse in cucina, probabilmente per riscaldare qualcosa da mangiare.

Era appena tornato, quindi. Già, il tempo era passato velocemente.

- Angelina – la chiamai, e la trovai pronta ad ascoltarmi. – Dove abita Shura? - .

- Qualche isolato più avanti... perché? - .

Presi un altro biscotto e la guardai oltre quel dolce ammasso di pastafrolla. – Avrei bisogno di parlargli, ma non so esattamente dov’è casa sua - .

- Posso accompagnarti io, se non è un problema – .

Le sorrisi timidamente. – E’ quello che volevi chiederti. Oddio, se sei impegnata qui- - .

- Assolutamente no, tranquilla! – mi assicurò lei, e si alzò mettendo da parte la tazza da tè. – Dammi il tempo di infilarmi le scarpe e sono da te - .

Annuii piano. – Sì... grazie, Angelina – .

Ci scambiammo un sorriso sincero prima che lei sparisse oltre il salotto.

 

 

E dire che era solamente passato un giorno. Eppure ci avevo pensato, non avevo chiuso occhio per l’intera nottata e mi sembrava ingiusto fargli aspettare troppo. Sapevo dei suoi impegni, sapevo che era sempre occupato e anche per questo volevo togliergli il pensiero di testa.

In macchina cercai di sistemarmi in qualche modo i capelli, forse troppo lunghi. Mandai un messaggio ad Alina, le disse che sarei tornata a casa per cena e non prima.

Angelina, alla guida, non mi chiese nulla. Iniziai a sospettare che fosse estremamente curiosa, ma non potevo dirle nulla. Non stava nella mia natura parlare troppo di me, inoltre avevo pochissima autostima: la proposta di Leandro mi aveva quasi fatto piacere, pensai.

Arrivammo in men che non si dica ad imbucare uno stretto viale in ghiaia che portava ad un villino un po’ più lontano dagli altri.

Bella zona residenziale.

Le pareti della casa erano bianchissime e tutt’intorno il piccolo giardino all’inglese pareva ben curato. Dato che non osavo immaginare Leandro nelle vesti di giardiniere, mi limitai a pensare che avesse dei camerieri o qualcosa di simile.

Angelina parcheggiò proprio davanti all’entrata ed improvvisamente mi passò la voglia di scendere. La mia improvvisa sicurezza di prima era già stata spazzata via.

Ma sì, Pamela, ti farà bene... e poi in otto mesi ti abituerai all’idea...

Angelina mi aprì la portiera ed io, leggermente imbarazzata, uscii. Mi piacquero subito quelle piccole finestre in legno e quel tetto spiovente, e quasi ci vidi riflessa l’intenzione di Leandro di modellare la casa a suo piacimento. Era tutta personalizzata, sì, sicuramente anche lui ci aveva messo lo zampino.

- Vieni – mi invitò Angelina, ed insieme ci avviammo alla porta d’entrata. Fu lei a suonare il campanello, e fu sempre lei a presentarsi al cameriere (allora ci avevo azzeccato!) che ci aprii e ci invitò gentilmente ad entrare.

In quella casa si respirava calma, aria pura. Il parquet si adattava benissimo alle pareti chiare, e le molte arcate donavano uno spazio aperto e per niente severo. Le curve erano morbide, nulla era troppo spigoloso.

- Aspettate in salotto, per favore – ci disse il cameriere, un giovane dall’aria vispa. – Vado immediatamente a chiamare il signor Alvarez - .

- Grazie – ringraziammo all’unisono, accomodandoci su un piccolo divano in pelle.

Appena il cameriere sparì oltre un’arcata, iniziai immediatamente a studiare l’ambiente attorno a me. Angelina mi parve divertita:

- Non sei mai venuta a casa di Leandro? - .

- Uhm... no. Tu? - .

- Alcune volte, con gli altri nostri compagni. Prima aveva l’abitudine di tenere dei corsi teorici a casa sua - .

- Capito - .

Il nostro chiacchierare fu interrotto dall’arrivo del nostro maestro di danza: avvolto in quegli abiti così chiari, per nulla simili a quelli che indossava durante le lezioni, ci parve una persona totalmente diversa:

- Angelina, Pamela – ci salutò con un leggero sorriso, avvicinandosi per sedersi davanti a noi. – Gradite qualcosa da bere, signorine? - .

- No, grazie – rispose Angelina, poi mi lanciò una veloce occhiata. – Pamela voleva parlarle e l’ho accompagnata qui da lei... speriamo di non aver disturbato nulla di- - .

- Assolutamente no – fu la sua risposta. – Mi stavo concedendo un caffè. Mio figlio dorme e, a dir la verità, mi stavo proprio annoiando. Felicissimo della vostra visita, dunque – Mi rivolse un sorriso leggermente più caldo, anche se il suo cipiglio autorevole non scomparve del tutto. – Voleva parlarmi, signorina? - .

Appena mi sentii chiamare in giudizio mi parve di morire e resuscitare contemporaneamente. – Uhm... sì, ma nulla di così complicato - .

- Non mi dica che ha già deciso - .

Che intuito, maestro...

- Sono qui appunto per questo - .

Lui mi rivolse un’occhiata indecifrabile. Non colsi nervosismo nel suo sguardo, non mi parve nemmeno impaziente. Aprì piano i palmi delle mani, mostrando in quel gesto la sua piena disponibilità: - Prego, allora - .

Mi concentrai ancora un momento sui suoi occhi, ma non riuscii a carpire nessun suo sentimento. La voce mi tremò appena: - Ho deciso di accettare la sua proposta, signor Alvarez. Credo sia un’occasione che mai più mi capiterà - .

Lui non disse nulla. Restò a guardarmi, cose se volesse capire se l’avessi detto con sincerità o meno. Quando aprì bocca, venni quasi colta di sorpresa: - Mi chiami pure Leandro - .

Cosa diavolo c’entrava, quello? Mi ero forse guadagnata la sua simpatia? Non mi seppi rispondere, come sempre ero confusa.

Sorrise piano, il mio maestro, con una nuova nota di dolcezza, forse più accentuata di prima. – Bene – disse, - felice della sua scelta. Spero di non averla forzata in nessun mo- - .

- Assolutamente no - .

Angelina ci guardava leggermente spaesata, quasi stessimo parlando in una lingua a lei sconosciuta.

Leandro non parve farci caso ed improvvisamente troncò il discorso: - Venite – ci disse, alzandosi. – Andiamo a fare un giro della casa - .

Mentre mi alzavo, ringraziandolo così come fece anche Angelina, mi sembrò di essere insistentemente tenuta d'occhio dal suo impenetrabile sguardo.





Uhm uhm U.U Mi dispiace per questo abominevole e spaventevole ritardo ç_____ç *Si prostra ai piedi dei lettori* Chiedo venia, venia, veniaaaaa! ç____ç *____*

Okay, ora la smetto di scrivere stupidate XD Ringrazio i lettori ed i recensori per la pazienza che siete obbligati a tenere con me, e come sempre risponderò alle recensioni in forma privata ^^
Grazie e.... Buona Pasqua! <3
GIO


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Capitolo 5
*** Una lettera e un caffè in compagnia ***


Cap. 4: una lettera e un caffé in compagnia


E con la fine della scuola riprendono gli aggiornamenti! Come sempre, mi sei mancato caro EFP" *Abbraccia il sito* (Non chiedetemi in che modo) XD
Buona lettura e... buona estate a tuttiiii!!!! :D




Capitolo 4
Una lettera e un caffè in compagnia






Ogni mattina, ogni sacrosanta mattina direi, la prima cosa che facevo era quella di lanciare un’occhiata al calendario appeso di fianco al mio letto.

La mia era ormai un’abitudine probabilmente dettata dall’istinto o forse dal timore di deludere le sue aspettative; già, perché ogni giorno che passava si avvicinava quel fatidico giorno, il 21 settembre.

La data mi era stata confermata dalla signora Ramìrez, che parecchie volte veniva a farmi visita nonostante Alina le dicesse di non preoccuparsi per me. Mi aveva tirato da parte, sussurrandomi qualcosa del tipo: “Pronta per il 21 settembre? Il signor Alvarez mi ha detto tutto”.

Oh, porca paletta! Molte volte rimpiangevo di non aver declinato la sua proposta, perché non mi sentivo assolutamente pronta.

Comunque sia, quel pomeriggio mi trovavo nella mia stanza. Succhiavo con passione il tappo di una penna, intenta a fare alcune ricerche con il mio vecchio portatile. Scorrevo le diverse finestre che aprivo e, se non mi interessavano, le chiudevo immediatamente.

- Non pensavo fosse così famoso – mi dissi, inclinando un poco il capo. – Cioè, famoso sì, ma non così tanto - .

Perfetto, farai la figura della completa idiota...

E più cercavo informazioni su Shura, più mi sentivo piccola ed insignificante. C’era qualcosa oltre a quegli elenchi di vittorie, c’era qualcosa oltre la biografia... eppure non riuscivo a coglierla.

Mi pare di conoscerlo da una vita, a dire il vero, o comunque di averlo già incontrato in qualche altra circostanza...

Era la verità. Nei suoi modi di fare c’era qualcosa che richiamava ad una persona già vista, sperimentata.

Dovetti abbandonare i miei pensieri quando qualcuno bussò. Chiusi immediatamente il portatile e quel botto secco precedette lo scostarsi della porta.

- Sei qui, Pamy? - .

- Uhm uhm! – annuii accompagnandomi con un veloce movimento della testa.

Vidi la testa di Alina sbucare da dietro l’entrata. – Esco un momento. Se hai bisogno sai che numero fare - .

- Certo, tranquilla - .

L’uscio si chiuse di nuovo. Restai in silenzio ad ascoltare i passetti di quella megera che si dirigevano verso l’atrio; la porta che sbatte, il liberatorio giro della chiave nella serratura.

Sospirai sollevata, non mi dispiaceva rimanere a casa da sola per un po’. Anzi, mi faceva parecchio piacere: potevo rilassarmi, mangiare quello che volevo, fare cose che in presenza di Alina preferivo non fare.

Come, per esempio...

Aspettavo con ansia il momento che Alina uscisse di casa, a dire il vero. Già quella mattina aveva incominciato a dirmi che nel pomeriggio sarebbe uscita e sarebbe rimasta via per almeno due, tre orette.

Mi misi a sedere e poi scesi dal letto, infilandomi subito le ciabatte zebrate. Forse non era giusto nei suoi confronti, forse non se lo meritava; ma accipicchia, non riuscivo a contenere la mia curiosità.

Volevo andare a frugare nella sua camera: non avrebbe fatto male a nessuno anche se non era certo una bella cosa...

 

 

La sua camera si trovava proprio di fianco alla mia. Era un poco più spaziosa e dall’arredamento dava l’idea di una stanza più “adulta” della mia. Non c’erano piccoli peluche, poster di artisti, cuscini pomposi e cose varie. Era essenziale e molto easy, oltre ad essere sicuramente più ordinata della mia.

Chiusi la porta a chiave e mi sedetti sul suo letto. Lo trovai più basso del mio, ma non per questo meno comodo.

Decisi di partire dal comodino. Quasi mi stupii nell’aprirlo, perché non mi aspettavo così tante spille per capelli, cerchietti, elastici... ed era molto strano che questi non si trovassero nei cassetti del comò con lo specchio, dall’altra parte della stanza. Forse aveva l’abitudine di sistemarsi i capelli appena sveglia, ipotizzai.

Di certo la mia spedizione non voleva assolutamente mettere a soqquadro la sua stanza per scoprire cose di così esigua importanza: la verità era che mi aveva così tanto stupito il racconto della sua “love-story” con Shura che pensavo di trovare qualche indizio in più.

Solitamente ogni donna, di qualsiasi età, fa della sua camera da letto il nascondiglio per le cose più preziose.

Mettici un po’ di testa, Pamela. Alina dove potrebbe nascondere...?

Era difficile ragionare allo stesso modo della megera. Già il fatto che era stata capace di lasciarsi scappare un uomo come Shura la catalogava come una ritardata mentale o, che ne so!, una che vive con il cervello spento senza mai accenderlo.

Stavo ben attenta a rimettere tutto dove avevo trovato appena il mio intuito mi diceva che continuando a frugare in quel posto non avrei trovato nulla. Passai ben presto al comò, lasciando così da parte i comodini ai fianchi del letto. Non mi soffermai molto sulla biancheria intima e su quei capi d’abbigliamento così perversi che trovai: a ognuno la sua privacy, mi ripetevo,

Suvvia Pamela, non farti opinioni sulla gente in questo modo, lascia stare

mentre ancora frugavo tra i cassetti.

Solamente quando le mie dita accarezzarono quella che mi parve carta affilai lo sguardo e misi da parte mutandine e reggicalze fino a raggiungere l’angolo più remoto di quel cassetto.

Una cartolina, fu il mio primo pensiero. Invece no: si trattava di una piccola lettera, piccola perché più minuta rispetto alla normale conformazione delle buste. La presi tra le mani con la delicatezza e l’attenzione con le quali si fa roteare per aria un bicchiere di cristallo e la inquadrai con lo sguardo; o meglio, inquadrai la scritta che dominava a bordo busta.

A Leandro Shura Alvarez

...Una lettera che Alina non era mai riuscita a mandargli, per timore o per semplice ripensamento?

Mi adoperai per leggerne il contenuto e, sedendomi sul letto, afferrai saldamente la lettera non appena ebbi messo da parte la busta.

 

Cannes,                                                                                                                                                 12 agosto

Caro Shura,

qui a Cannes il tempo è favoloso. E’ da due settimane che si muore di caldo e sinceramente mi manca il clima di Siviglia. Mi sto divertendo molto, ogni giorno la guida turistica ci porta in posti nuovi e stupendi, vorrei molto poter condividere tutto questo con te e il bambino.

Prima di partire ho sentito che hai deciso di riprendere con le lezioni di danza, come facevi qualche annetto fa. In merito alla tua proposta, quella di farti da “vice” durante il periodo di insegnamento, sarei molto felice di tenere dei corsi con te. Davvero.

Come sta il piccolo, gli è passata quella brutta tosse? Spero proprio sia migliorato. Vorrei anche approfittare di questa lettera per ringraziarti di tutto. Nonostante i nostri... chiamiamoli conflitti, mi sento rassicurata al pensiero che Francisco si trovi con te e non con qualche tutore; non ho mai dubitato delle tue buone doti di padre, sul serio.

Un abbraccio (e un bacio ad entrambi!),

Alina

 

Restai per qualche secondo a fissare quelle righe, quelle parole così semplici, fluide, ma dense di significato.

12 agosto. Quasi un anno fa

Angelina mi aveva ripetutamente detto che i rapporti tra Leandro ed Alina non fossero affatto migliorati da quando lui aveva scoperto del tradimento. Eppure quella lettera pareva spontanea, quasi il suo contenuto non fosse stato assolutamente pensato. Sincera.

La cascata dei pensieri di Alina in quel momento, mi saltò in testa. E allora perché non l’aveva inviata? Qualcosa forse glielo aveva impedito? Non lo riteneva necessario, le pareva una lettera inutile? Non riuscii a trovare una risposta decente a nessuno dei quesiti che la mia mente partorii.

 

 

Dalla fretta slittai sul tappeto rischiando di schiantarmi contro il divano. Afferrai d’istinto il cordless che squillava, me lo portai all’orecchio:

- P-pronto? - .

Un sospiro divertito, una sottile risata. – Pamela - .

Artigliai il bracciolo dell’altro divano: - S-signor Alvarez? - .

- Leandro– mi corresse con gentilezza.

- Leandro, sì - .

- Ha il fiatone, Pamela. L’ho fatta correre per casa, era occupata? - .

Semplicemente sono scattata fuori dalla stanza di Alina pensando fosse il citofono...

- No, no!, ma si figuri! Ha bisogno di qualcosa? - .

- Avrei bisogno di parlare con Alina. E’ in casa? - .

- Oh, Alina – mi sfuggii. Mi venne spontaneo abbozzare un sorriso compiaciuto: - Uhm, è uscita un’oretta fa. Ha provato a chiamarla sul cellulare? - .

- Non ancora, ma lo farò - .

Per un attimo calò il silenzio tra di noi, un silenzio opprimente. A spazzarlo via, fortunatamente, la voce di Leandro:

- E lei, Pamela? Si trova in casa da sola? - .

- Sì. Vuole...? – Mi bloccai. Che diavolo stavo dicendo?

Sentii Leandro allungare un leggero sorriso, una di quelle sue espressioni enigmaticamente amichevoli. – Sì? - .

- No, nulla, mi chiedevo se... – Mi grattai la nuca, impacciata, - ...se per caso volesse venire a prendere un caffè qui da-da me... se non è troppo impegnato, naturalmente! - .

Insomma Pamela, si fa così no? Per cortesia si chiede, poi se...

- Con piacere. Posso portare anche mio figlio? - .

- Suo... sì, certo! - .

E fu così che il mondo mi capitombolò addosso. Da una parte mi sentii una stupida, (insomma, casa sua distava poco ed io dovevo ancora riordinare la stanza della megera!) dall’altra invece ringraziai Iddio per aver fatto sì che Leandro avesse accettato l’invito.

- Bene – mi scappò un’altra volta, ma ora ero più sciolta. – Allora... ci vediamo - .

- Tra mezzora va bene? - .

- Ve benissimo - .

- A dopo, Pamela. Grazie ancora - .

- Grazie a lei - .

Tu-tu-tu

Fui io a riattaccare per prima. Quella discussione si era protratta anche per troppo tempo.

Ritornai nella stanza di Alina, rimisi a posto quella lettera (l’unico indizio che avevo trovato, per mio sfortuna) e poi mi decisi a mettere un poco in ordine anche il resto della casa. Dovevo ammetterlo, non avevo mai fatto leva sulle mie capacità casalinghe, in effetti non ero mai stata abituata a fare le pulizie. Ero proprio un disastro.

Ma, forse perché spinta dal bisogno impellente di vedere almeno il salotto splendere, dopo qualche veloce spolverata qua e là l’ambiente domestico mi parve più accogliente e soprattutto più presentabile.

Il campanello mi trapanò i timpani prima del previsto. Buttai in un cassetto della cucina il panno della polvere, mi sfregai le mani ed aprii l’uscio.

- Buon pomeriggio, Pamela – Shura e Francisco erano lì davanti, il primo a tenere stretto al petto il secondo, forse troppo grande per permettersi il lusso di restare ancora in braccio al papà.

- Buon pomeriggio a lei, Leandro – Rivolsi un’occhiata anche al piccolo ospite, regalandogli un buffetto sulla guancia con estrema scioltezza. – Ciao - .

- Uhm? – Inclinò il capo in un’occhiata tremendamente incuriosita, quasi impacciata.

Per la prima volta sentii Leandro azzardare una risata. – Su, non essere timido - .

Allora il bambino, incoraggiato dal padre, mi rivolse uno sguardo più deciso. – S-salve! - .

Che bella voce, mi venne da dire. Ora che lo guardavo meglio mi ricordava sorprendentemente la fisionomia di Alina: a parte gli occhi, dello stesso colore di quelli del padre, il naso e la bocca sottile richiamavano i tratti della megera; megera che, ahimè, era una bella ragazza, e Francisco era proprio un bambino grazioso, in tutti i sensi.

Sorvolando tali pensieri, mi scostai dall’uscio per permettere loro di entrare. – Prego - .

- Grazie, Pamela - .

Appena dentro, Leandro lasciò Francisco libero di scorrazzare per la casa e, sempre vigilandolo con occhio attento (era proprio un padre responsabile, allora!), mi strinse la mano con l’atteggiamento di un caro, vecchio amico che non si vede da molto tempo. – Come sta? - .

- Io... io sto benissimo, grazie. Lei? -.

- Anch’io. Spero si stia esercitando sui passi che le ho insegnato la volta scorsa... - .

- Oh, certo, non si preoccupi - .

Ci dirigemmo in salotto. Francisco era già lì, appallottolato sul divano, a studiare alcuni giornali con fare interessatissimo. Probabilmente, pensai, sia lui sia Leandro erano già entrati nella casa di Alina, ma dato che Leandro non poteva sapere che io lo sospettavo, mi accinsi a chiedere se volesse fare il giro della casa.

- No, grazie – I miei sospetti vennero così saziati: - Sono già stato qui... Alina quando dovrebbe tornare? - .

Mi strinsi nelle spalle. – Ha detto che sarebbe stata via per due, massimo tre ore - .

Con mia sorpresa, nei minuti successivi, mentre preparavo il caffè, mi trovai molto bene sapendo di avere Leandro e suo figlio come ospiti. Li sentivo parlare del più e del meno in salotto e, quando stavo versando il caffè, Francisco correndo mi raggiunse e si aggrappò alla mia gamba.

- Ehi, furfante – Gli scompigliai amorevolmente i capelli.

- Posso avere un po’ di succo? – .

- Certo - .

- All’albicocca - .

- Sì, tranquillo. Però, uhm... – Mi ero già allungata per afferrare il succo e versarlo in un bicchiere. – Non berlo troppo in fretta perché è freddo - .

- Sì sì! - .

Gli diedi la bevanda ed in quel preciso momento alla cucina si affacciò Leandro: - Scusi, Pamela, non ho potuto trattenerlo - .

Mi ritrovai a ridere, divertita dalle sue parole. – Si figuri. Quanto... quanto zucchero vuole? - .

- Niente zucchero, grazie - .

Francisco, prosciugato il bicchiere e poggiatolo lì sul bancone, corse via farfugliando un veloce “grazie” e ritornò a rifugiarsi in salotto; poco dopo io e Leandro lo seguimmo, ognuno con la nostra tazza di caffè. L’atmosfera sapeva di sincera spontaneità.

 

 

Passammo almeno un’ora a parlare uno davanti all’altra, accomodati sui divani mentre Francisco giocherellava con delle formine lì sul tappeto.

Leandro, chissà perché, mi raccontò della sua vicenda con Alina e dell’evolversi del loro rapporto, cosa che finsi cogliermi impreparata. Il suo parlare era sciolto, quasi inespressivo, ma in quell’inespressività si coglieva il carattere di un uomo ormai completamente maturo, serio e responsabile. Lo si poteva notare anche dal modo in cui, a volte, guardava il figlio, un’occhiata carica di tenerezza mista ad un profondo legame affettivo. Mi parvero, più e più volte, legatissimi.

E così, tra un caffè e l’altro, ci scambiammo esperienze di vita. Io gli parlai della signora Ramìrez, dei ricordi che avevo di mia madre e di mio padre, ed accennai timidamente a mio fratello.

- La signora Ramìrez, è bene che lei sappia... – mi fermò di punto in bianco, poggiando la tazza ormai vuota, - mi ha raccontato molte cose su di lei. Non voglio farla sentire psicologicamente oppressa, posso immaginare quanto possa essere difficile - .

Gli regalai un dolce sorriso. - Non si preoccupi – Era bello notare l’attenzione con la quale mi prendeva, senza essere troppo invadente o avido di sapere. Mi faceva sentire bene.

– Non ora che suo fratello... Diego si chiama, giusto? - .

- ...Sì - .

- Ho sentito che è stato scarcerato - .

- Da molto tempo - .

- In confidenza, Pamela – Si sporse leggermente verso di me, lanciando un’occhiata a Francisco, troppo impegnato a giocare alle formine per percepire la tensione che ora si era venuta a creare.

Arricciai il naso, confusa: che Leandro sapesse qualcosa che io non sapevo?

- Non so quanto potrà durare ancora la sua custodia vigilata. Almeno, la signora Ramìrez mi ha rivelato che tra poco potrebbe essere libero di venirla a cercare, Pamela - .

Mi si conficcarono un paio di aghi nel cuore. Fu come percepire un dolore intenso. – E perché non ne sono stata informata? – mi precipitai.

- La signora Ramìrez non voleva spaventarla, ma mi sembra giusto avvisarla - .

- Ma... - .

- Non si agiti – Leandro tornò ad appoggiarsi allo schienale del divano. – Anche se così fosse, lei non correrebbe pericolo - .

La cosa non mi rincuorava affatto. Conoscevo bene mio fratello, conoscevo la sua determinazione.

- Pamela, quante probabilità ci sono che suo fratello Diego venga a cercarla in questa parte di mondo? - .

Lo guardai fugace, ma non seppi rispondergli ed annegai ogni proposito di aprir bocca nel nero dei suoi occhi.








Et voilà! *Ultimo tocco di tastiera* u.u"
Nel prossimo capitolo vi racconterò tutto quello che dovete sapere su Pamela e il suo amatissimo fratellone Diego, tranquilli ^^
Grazie per la lettura, come sempre risponderò a tutte le recensioni in forma privata °W°
A settimana prossima!
Gio



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