L'Angelo caduto

di FairyCleo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Incubi ***
Capitolo 2: *** Cambiamenti ***
Capitolo 3: *** Sanguinare ***
Capitolo 4: *** Can you hear me? ***
Capitolo 5: *** Vampire ***
Capitolo 6: *** A hole in my mind ***
Capitolo 7: *** Celine ***
Capitolo 8: *** Arcangel ***
Capitolo 9: *** L'ospite ***
Capitolo 10: *** The Devil's cache ***
Capitolo 11: *** Memories ***
Capitolo 12: *** Damon ***
Capitolo 13: *** Gelosie ***
Capitolo 14: *** Incontri inaspettati ***
Capitolo 15: *** Who are you? ***
Capitolo 16: *** Possessed ***
Capitolo 17: *** Lucifer ***
Capitolo 18: *** Colpe e colpevoli ***
Capitolo 19: *** The Devil's Truth ***
Capitolo 20: *** Eternity... ***
Capitolo 21: *** Hidden Truth ***
Capitolo 22: *** La missione ***
Capitolo 23: *** I tuoi occhi ***
Capitolo 24: *** Luce ***
Capitolo 25: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Incubi ***


Disclaimers: I personaggi non mi appartengono. Non scrivo a scopo di lucro.
 
Incubi
 
Alla fine era successo. Alla fine, non avevano potuto evitarlo.
Crudele, inesorabile, l'Apocalisse stava per bussare alle porte del nostro mondo, pronta a renderlo il campo di una battaglia che forse non avrebbe mai visto la fine.
 
Alla fine, tutti i cacciatori erano venuti a conoscenza di quello che fino a qualche tempo prima era stato un segreto custodito da pochi.
Alla fine, i cacciatori sapevano che gli angeli e i demoni si sarebbero presto scontrati, che Lucifer e Michael avrebbero trovato il modo di giungere alla resa dei conti, e che nessuno sarebbe stato in grado di fermarli.
 
Dean Winchester era seduto sul cofano della sua bambina, la splendida Chevrolet Impala del ' 67 ereditata da suo padre.
Reggeva una birra tra le mani, e fissava in silenzio l'orizzonte puntellato di stelle. Sembrava il solito Dean di sempre, il ragazzo dal viso cosparso di efelidi che avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di salvare non solo i propri cari, ma chiunque fosse stato in grado di raggiungere, eppure, da qualche tempo, quel ragazzo non era più lo stesso.
La verità era che Dean non sentiva più niente: Dean non sentiva più il sapore della birra che gli scorreva giù per la gola, non sentiva il tocco della lieve brezza serale che gli sfiorava la pelle, né il dolore o la rabbia per ciò che stava accadendo. Niente. Dean non sentiva più niente.
C’era solo un enorme vuoto nel suo petto, un vuoto che sembrava impossibile da colmare.
 
Tutto ciò che aveva attorno si era sgretolato, e lui non era stato capace di evitarlo.
Davvero non capiva perché tutte le persone che amava finissero per morie. Sua madre, suo padre, le povere Jo ed Ellen, Pamela...
Così come non capiva perché lui sopravvivesse sempre a tutti. A tutti.
E, quando finalmente decideva di immolarsi, quando finalmente decideva di morire per una giusta causa, uno stormo di angeli imbastarditi decideva di riportarlo indietro con l’assurda spiegazione che lui era "speciale".
Lui non era affatto speciale. Quegli stupidi angeli dovevano aver sbagliato persona, ne era ogni giorno più sicuro. Come potevano aver ragione se alla fine non era in grado di proteggere nessuno?
Ormai aveva capito di non poter più proteggere Sammy come aveva fatto un tempo, quando lo aveva cresciuto come se fosse stato figlio suo.
Lo aveva visto avvelenarsi col sangue di Ruby, con il sangue di quel demone schifoso. Lo aveva visto voltargli le spalle, tronfio, sicuro di sé, e lo aveva visto tornare indietro, accogliendolo a braccia aperte nonostante l’arroganza, nonostante il dolore.
Eppure, qualcosa tra loro sembrava essersi definitivamente spazzato, quell’equilibrio in cui era spesso lui a prevalere non esisteva più.
Suo fratello gli aveva dimostrato di essere diventato un adulto e di poter decidere a prescindere dalla sua volontà, e questo, nonostante tutto, nonostante sapesse che prima o poi ciò sarebbe giunto, era riuscito a mandarlo in crisi.
 
Se accanto a lui non ci fosse stato quello sfigato dotato di ali che rispondeva al nome di Castiel, non avrebbe avuto la minima idea di cosa poter fare, escludendo il farsi esplodere il fegato per colpa dell’alcol.
 
Stava sorridendo, Dean. Il pensiero di Castiel terrorizzato dalle avances della bella Chastity gli aveva fatto tornare in mente un barlume di leggerezza ritagliato in una marea di sconforto.
Quell'angelo era un idiota. O forse era un eroe, ormai non riusciva più a capire.
Eppure, non riusciva proprio ad accettare quel suo fottutissimo "ho fatto tutto questo solo per te". Era stato il modo migliore per complicare ulteriormente le cose.
Tutti si aspettavano qualcosa da lui, tutti si aspettavano che lui risolvesse ogni singola cosa andata male, sembrava quasi che lo considerassero Dio! Ma non lo era, e non ci teneva neppure ad esserlo, se per questo!
Non credeva di farcela, quella volta. Avrebbe davvero voluto bere fino a piombare in coma etilico. Avrebbe voluto solo chiudere gli occhi e non riaprirli mai più. Eppure, non l’avrebbe fatto, e non l’avrebbe fatto perché lui era Dean Winchester, e doveva dare l'impressione che fosse invincibile, o tutti sarebbero caduti nel baratro che non era stato in grado di richiudere.
Era talmente perso nei suoi pensieri che non si era neanche accorto dell'arrivo di suo fratello prima che l’auto si piegasse sotto il suo peso.
 
"Tutto questo pensare ti farà andare in fumo il cervello Dean..."- aveva asserito, prendendo la bottiglia di birra ormai vuota dalle mani del fratello per poi offrirgliene immediatamente un'altra. Sam sapeva come blandirlo, così come sapeva cosa fosse in grado di aiutarlo a distendere i nervi.
Dean aveva accettato quel dono senza troppi complimenti, continuando a fissare l’orizzonte, continuando a perdersi fra i suoi mille pensieri di morte e di dolore.
 
"Che cosa ne sarà di tutto questo, Dean?" – gli aveva domandato suo fratello, con lo sguardo perso verso il cielo.
Eccola lì, appena sfornata, un'altra domanda esistenziale.
Avrebbe voluto mettersi a gridare, avrebbe voluto urlargli che lui non poteva saperlo, e smetterla di tormentarlo, ma si era trattenuto. Non sarebbe servito a niente avere una reazione del genere, se non a peggiorare le cose.
"Non lo so, Sam. Non ne ho la più pallida idea".
 
Continuato a fissare il vuoto, in attesa che da qualche parte potesse giungergli una risposta sensata da dare al suo fratellino sapientone. Magari poteva piombare giù dal cielo, perché no? Ormai, poteva aspettarsi qualsiasi cosa.
 
Sam si era accorto di aver toccato un tasto dolente. Se Dean gli avesse dato un pungo non avrebbe battuto ciglio.
Era stanco. Sam era terribilmente stanco. Stanco di quella situazione, stanco che le cose andassero sempre male, stanco che fossero sempre loro a pagare le conseguenze di una vita che non avevano scelto veramente.
 
Sovrappensiero, si era strofinato gli occhi con la mano destra.
"Perché non te ne vai a dormire, Sam?" – non avrebbe voluto suonare così sgarbato, ma non aveva potuto evitarlo. Aveva bisogno di stare da solo, di pensare, e di bere in santa pace la sua birra.
In silenzio, un po’ amareggiato, era sceso giù dal cofano, stirando con le mani la stoffa dei jeans.
 
"Dean…".
"Mmmm?" – aveva mugugnato, le labbra posate sul bordo della bottiglia.
"Hai notizie di Castiel?".
 
Casualmente - o forse no - proprio mentre Dean stava per rispondergli, il suo telefono aveva preso a squillare. Era veramente incredibile quanto puntuale potesse essere il caso, a volte.
 
"Parli del diavolo...".
Dire che Sam aveva arricciato il naso a quella battuta sarebbe stato un vero e proprio eufemismo.
“Cass…”.
“Dove sei Dean?”.
Il solito. Sempre il solito irruento. Avrebbe mai appreso le abitudini umane? Forse, sarebbe stato compito suo insegnargliele, ma non ne aveva davvero più le forze.
"Sono al Motel Red Horse, sulla..." - ma non gli era stato necessario terminare la frase, perché Castiel, l'ormai ex-angelo del Signore, era apparso proprio a tre centimetri dal suo naso.
"Dannazione Cass! Quante volte dovrò ripetere che devi 'rispettare il mio spazio personale'?".
Lo avrebbe strangolato. Gli aveva fatto prendere un colpo, facendolo sussultare all’improvviso. La birra che stava bevendo gli era finita sui jeans, ed ora avrebbe dovuto solo aspettare che si asciugassero visto che non aveva fatto in tempo a fare il bucato e non aveva ricambi puliti.
 
Ma Cass sembrava non averlo minimamente ascoltato.
Continuava ad osservare Dean con quelle iridi blu un tempo appartenute al devoto Jimmy Novack.
Era strano. Era terribilmente strano, e il maggiore dei Winchester non aveva potuto fare a meno di notarlo. Era pallido e affannato, quasi come se avesse corso, e la sua fronte era imperlata di sudore.
Non erano soliti vedere Cass in quelle condizioni. Cosa poteva essergli accaduto?
 
"Dobbiamo parlare".
Il suo tono era stato perentorio, e aveva incuriosito ancora di più i due fratelli Winchester.
"Ok Cass... Siamo tutt'orecchie" - Sam non aveva potuto fare a meno che incitarlo. Voleva sapere, doveva sapere. Esattamente come Dean. Non aveva potuto non notare il cambiamento d’espressione che c’era stato in suo fratello. Tra lui e Cass c’era una sorta di empatia di cui era quasi invidioso. Tra Dean e Cass c’era qualcosa che tra lui e Dean non esisteva più.
 
"Non qui... Potrebbero sentirci".
Così dicendo, aveva sfiorato i due fratelli sulla fronte prima che potessero protestare, conducendoli altrove.
 
Si trovavano in una lussuosissima stanza d'albergo, decisamente molto, molto diversa da quello a cui erano abituati solitamente, e nonostante l’attimo di spaesamento, non avevano potuto non apprezzare.
 
"Ma che cosa...?".
 
Castiel si era seduto su di una delle due grandi poltrone di pelle che arredavano la stanza.
Quell'immagine aveva turbato profondamente il nostro Dean, rendendolo nervoso. Cass non si era semplicemente seduto, si era letteralmente accasciato sulla poltrona, sprofondando nella morbida imbottitura che sembrava quasi soffocarlo.
Tutto questo era a dir poco surreale. Surreale e inaccettabile.
Solo quando aveva posato lo sguardo sul suo volto e aveva visto le palpebre chiuse pesantemente sui suoi occhi si era accorto che Cass era veramente stanco. Ma come poteva essere piombato in una condizione così tanto debilitante?
 
"C'era proprio bisogno di farlo, Castiel?" - Sam gli aveva rivolto quella domanda distrattamente, accarezzando la morbida coperta su cui era seduto.
L'angelo aveva aspettato fin troppo tempo prima di rispondere.
"Mi dispiace... Sono stato costretto... Non riuscivo a trovare un momento in cui eravate entrambi addormentati e così...".
"Sei dovuto intervenire".
Era stato Dean a completare la sua frase.
Cass si era limitato ad annuire, reprimendo una smorfia di dolore.
Il cacciatore cominciava davvero ad agitarsi.
Erano in preda ad un casino enorme, e non avevano un piano, quindi perché tutta quella segretezza? Chi poteva scoprire delle intenzioni che non c’erano?
 
“Che succede, Cass? Che ti sta succedendo?”.
 
Castiel aveva aperto gli occhi piano, quasi avesse timore di vedere ciò che lo circondava, cominciando a fissare il vuoto.
"Io... credo di non poter rimanere ancora molto a lungo".
Dean e Sam si erano guardati senza riuscire a capire le parole appena pronunciate dal loro amico.
"Che cosa significa?".
Sam si era alzato in piedi, stravolto e anche un po’ irritato da quella specie di giochetto.
Castiel lo aveva guardato dritto negli occhi, ma il suo era stato uno sguardo diverso rispetto a quelli che era solito sfoderare. I suoi occhi erano il riflesso della stanchezza e della rassegnazione, come se avesse subìto una sconfitta immane, una sconfitta da cui era impossibile riprendersi.
Che cosa gli era capitato?
A Dean era appena salito il cuore sino in gola.
 
"Non ce la faccio".
 
Quella frase era stata come una doccia fredda. Non ce la faccio? Cosa voleva dire con quel suo ‘non ce la faccio’?
 
"Senti un po' brutto gallinaceo sacro, che cazzo significa che non ce la fai? Non ti permetto di comprarti in questo modo, capito? Non ci pensare nemmeno a lasciarci nella merda, Cass, o giuro che ti faccio il culo".
Infuriato, Dean gli si era parato davanti, trattenendosi a stento dall'afferrarlo per il collo.
L’avrebbe fatto ragionare lui a suon di pugni, ecco cosa avrebbe fatto! Non poteva permettergli di mollare.
 
Castiel non aveva osato neppure guardarlo in faccia, ma non perché si sentisse in colpa. Sembrava più che altro che non avesse le forze per farlo.
 
"Qui tutti siamo con i pantaloni calati fino alle caviglie, Cass, ma nessuno ha pensato di darsela a gambe, e tu non sarai il primo, hai capito?".
"Dean... calmati...".
"No Sam! Lui c'è dentro fino al collo come noi! Non può tirarsi indietro!".
"Io non voglio tirarmi indietro, Dean".
Non aveva urlato pronunciando quella frase. Non c’era stato alcun tipo di astio, o rancore. Era stata una semplice, triste constatazione.
"E allora cosa diamine vuoi?" - la rabbia stava ribollendo nelle vene del maggiore dei Winchester.
 
Ma l'angelo non avrebbe risposto.
Dean aveva appena dimostrato di non essere in grado di capire.
Castiel aveva pensato, aveva sperato che la loro vicinanza, che il loro legame avrebbe aiutato Dean a capire quello che lui non poteva dire apertamente, ma che continuava a tormentarlo, consumandolo lentamente sin ne profondo.
 
"Sei un fottutissimo codardo! Uno strafottutissimo codardo!".
 
Alla fine, aveva lasciato che la su rabbia esplodesse. Aveva afferrato Castiel per il bavero e aveva iniziato a colpirlo con tutta la forza che aveva in corpo.
Le sue nocche si erano spaccate contro gli zigomi dell'angelo, ed entrambi avevano iniziato a sanguinare.
 
"DEAN! SMETTILA!".
 
Sam si era gettato sul fratello nell’evidente tentativo di fermarlo, ma quest'ultimo aveva dimostrato di avere molta più forza di quello che si credeva, e gli era bastato un pugno ben assestato per farlo stramazzare al suolo.
 
Castiel non si era mosso. Non aveva neanche provato a reagire, e Dean aveva continuato a colpirlo finché non era rimasto senza forze e senza fiato.
Dean aveva lasciato che il bavero del suo trench gli scivolasse dalle mani, permettendo a Castiel di lasciarsi ricadere pesantemente sulla poltrona macchiata del suo stesso sangue.
 
"Dean..." - Sam , tenendosi le mani strette sul ventre, si era messo seduto sul pavimento di marmo dell'hotel, continuando a spostare lo sguardo dall'angelo al fratello.
 
"Sei troppo codardo persino per difenderti da me" - gli aveva sputato addosso, e si era affrettato ad aiutare Sam a rialzarsi.
 
Cass era rimasto sulla poltrona, nascondendo il viso sporco di sangue tra le mani.
 
"Cerca di svegliarti, Sam... Devo andarmene via da qui".
 
Era troppo stanco, era troppo debole, e per questa ragione, il suo gioco di prestigio si era infranto. Dean e Sam si erano svegliati, e Cass si era ritrovato rannicchiato su di una vecchia poltrona sgangherata di una casa in rovina, solo e ferito.
Una tosse convulsa lo aveva colto all'improvviso, facendolo sobbalzare più volte. Il petto gli bruciava come se fosse stato in preda alle fiamme, e sentiva la gola graffiarsi ogni volta che tossiva.
Rivoli di sangue bollente colavano tra le dita della mano, solo così le sue labbra bianche e screpolate si erano di nuovo tinte di rosso.
 
E aveva capito di non essere semplicemente solo, ma anche tremendamente spaventato.
Stava piangendo, Castiel. Stava piangendo perché era stato costretto a spezzare senza pietà un legame per lui più importante della sua stesse esistenza solo per mettere al sicuro l’uomo che aveva salvato.
 
La profezia si sarebbe compiuta, alla fine, ma non come tutti avrebbero creduto o sperato.
Dean e Sam Winchester avrebbero fermato l'Apocalisse, lo sapeva bene, e lui avrebbe cercato di aiutarli finché ne avesse avuto l'occasione, finché il corpo del suo tramite non lo avesse abbandonato.
 
Uno strano torpore improvviso stava dilagando in tutto il suo corpo.
Era una sensazione nuova, una sensazione mai provata prima d'ora. Non sapeva bene perché, ma lentamente, tutti i pensieri stavano scivolando via. Tutto il dolore, la rabbia, le sensazioni di stanchezza e di impotenza erano state lenite.
Non avrebbe saputo dire cosa gli stesse accadendo.
L’unica cosa importante, era sapere che Dean fosse al sicuro.
 
Continua…

 

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Capitolo 2
*** Cambiamenti ***


Cambiamenti
 
"Non ci posso credere!! Non posso credere che possa essere diventato un simile pezzo di merda cagasotto!".
Dean aveva sbattuto con violenza il cofano della sua bambina dopo avervi riposto all'interno l'ultima sacca stracolma di vestiti sporchi.
 
Sam aveva un’espressione torva in viso. Anche se solitamente trovava divertenti gli improperi di suo fratello, in quell’occasione lo aveva trovato tremendamente fuori luogo. Cass aveva qualcosa di molti diverso dal solito, era così evidente! Perché non aveva provato a cavargli fuori la verità di bocca invece di prendere a pugni entrambi? Aveva perso completamente il lume della ragione!
Dean non era più in grado di gestire la sua rabbia, e questo poteva rivelarsi molto pericoloso. Per gli altri, ma soprattutto per se stesso.
 
"Non pensi di aver esagerato, Dean?".
Esagerato? ESAGERATO! Suo fratello voleva ricevere un altro pungo ben assestato, evidentemente.
"Sali in macchina, Sam"- aveva ordinato, prima di sparire dietro la portiera.
Ma quest’ultimo si era limitato ad osservarlo, immobile, attraverso il finestrino abbassato.
"Ti ho detto di salire in macchina!".
Altro tentativo inutile. Ma si poteva sapere perché ce l’avevano tutti con lui?
"Porca puttana Sammy! Tu e quell’altro state facendo una gara per farmi incazzare, per caso? SALI IN MACCHINA, ADESSO!" – e aveva sbattuto violentemente i pugni sul volante, furente.
"Entrerò in macchina quando tu la smetterai di fare il coglione” – così dicendo, aveva aperto la portiera dalla parte del pilota.
"Che stai facendo?".
"Scendi. Guido io. Non ho nessuna intenzione di farmi scarrozzare da uno psicopatico colto attacchi d'ira".
Non riusciva a credere alle proprie orecchie. Quel moccioso stava facendo sul serio? Andiamo, era lui il poliziotto cattivo, non poteva farsi rubare la parte!
"Sto aspettando, Dean".
Onde evitare di farsi venire un attacco di cuore, il maggiore dei Winchester si era spostato sul sedile del passeggero, lasciando che suo fratello prendesse il suo posto alla guida. Avrebbe voluto strangolarlo, avrebbe voluto strangolare entrambi. Come era potuto precipitare tutto in così poco tempo?
Sam lo aveva visto poggiare il capo contro il finestrino gelido e chiudere gli occhi, stanco, sfinito.
Gli doleva il cuore a vederlo in quello stato, e gli doleva il cuore nel sentirsi tanto impotente.
 
Sospirando, aveva ingranato la prima, cominciando pian piano ad accelerare.
Il piano era raggiungere casa di Bobby al più presto. Forse, lui sarebbe stato in grado di trovare una soluzione a quell’enigma. Forse, Bobby avrebbe potuto aiutarli a capire cosa stesse turbando tanto Castiel.
 
*
 
Il sole splendeva ormai alto nel cielo quando Castiel si era destato dal suo sonno.
Contrariamente a quello che asserivano gli umani, non si sentiva affatto riposato. Aveva dormito nella stessa posizione per tutta la notte e gli facevano male tutte le articolazioni. Poteva giurare che quella sensazione sgradevole che avvertiva in bocca fosse sete.
Tutti questi piccoli particolari, tutti questi piccoli tasselli di un puzzle ormai del tutto completo, gli avevano provocato un’insolita contorsione all’altezza dello stomaco.
Quello che aveva temuto più di ogni altra cosa era diventato fin troppo evidente, ormai. Non c’era più modo per lui di tornare indietro. Non c’era più modo per lui di fare niente.
Sconvolto, aveva nascosto il viso tra le mani, nel vano tentativo di nascondere quelle lacrime di cui tanto si stava vergognando.
Non avrebbe dovuto cedere, era questo che si stava ripetendo. Anche se il peggio doveva ancora avvenire, non poteva permettersi di crollare su se stesso come un castello di sabbia asciugatosi al sole.
Ma come poteva non farlo? Come poteva continuare ad essere se stesso ora che una miriade di sensazioni nuove e sconosciute lo stavano assalendo tutte in una sola volta?
 
Panico. Era quello il nome della sensazione che si era completamente impossessata di lui in quella circostanza. Puro panico.
Preso da una foga che non avrebbe saputo spiegare, aveva iniziato a spogliarsi, nonostante le dita tremanti glielo stessero impedendo.
Aveva gettato via il trench, la cravatta, e si era praticamente strappato la camicia da dosso, facendo saltare la lunga serie di bottoni in giro per quella stanza polverosa e sudicia. Gli era occorso un attimo di tempo per poter recuperare il respiro. Il petto gli doleva tremendamente, e non riusciva quasi più a controllare il movimento convulso delle sue spalle.
Seminudo e tremante, si era avvicinato ad un vecchio specchio andato in parte in frantumi. Non avrebbe voluto guardarsi, non avrebbe voluto sapere, ma non aveva scelta. Non poteva permettersi ulteriori errori. Non poteva permettersi di avanzare alla cieca, anche se molto probabilmente non sarebbe riuscito ad accettare quello che vi avrebbe visto.
La sua immagine veniva riflessa decine di volte dai vari frammenti rimasti ancora incastrati in quella cornice un tempo tinta d’oro.
Quel corpo era così limitato, era così indifeso, eppure diventava ogni momento sempre di più suo. Come era potuto accadere? Era così ingiusto, così sbagliato.
Lui era un angelo. Lui era enorme, splendente e immacolato. Lui non provava stanchezza, non provava dolore, non provava sofferenza, lui non aveva paura. Allora, perché stava provando ognuna di quelle sensazioni tutte insieme?
Esitante, aveva allungato la mano sino a sfiorare la propria immagine riflessa.
Lui non era quello che stava vedendo. No, non poteva esserlo affatto.
 
Con una decisione che sembrava ormai non appartenergli più, aveva serrato le palpebre, cercando di concentrarsi il più possibile per recuperare le ultime energie angeliche rimastegli. Doveva provare a tornare indietro, doveva almeno provare a rimediare a quell’errore che lo avrebbe marchiato a vita.
Ed ecco che una flebile luce aveva improvvisamente invaso la stanza, una flebile luce fuoriuscita da quel corpo che probabilmente non avrebbe neppure dovuto produrla.
 
Stremato, e dopo aver preso un lunghissimo respiro, Castiel aveva aperto gli occhi.
Quello che aveva temuto, era apparso davanti ai suoi occhi chiaro come il sole.
 
Aveva nascosto nuovamente il viso tra le mani, stavolta per nascondere un pianto impossibile da controllare.
Le sue ali, le sue maestose e candide ali, le stesse che aveva mostrato a Dean il giorno in cui gli si era rivelato, erano diventate un ammasso informe di piume mutilate e grondanti sangue.
Ma la cosa peggiore non era stata l’aveva visto ciò. La cosa peggiore, era stata l’aver notato che le poche superstiti, quelle che partivano dalle sue scapole, stavano diventando nere come la pece.
 
La vista di quello scempio lo aveva fatto impazzire dal dolore, un dolore che stava dilagando nel suo petto, inesorabile, un dolore che lo aveva fatto urlare per la prima volta in tutta la sua lunga, lunghissima vita.
Era crollato in ginocchio, sbattendo ripetutamente il pugno destro sulle vecchie assi di legno, fino a sanguinare, fino ad accasciarsi sul pavimento, esausto e tremante.
Non aveva più alcuna speranza, ormai. L’unica cosa rimastagli a fargli compagnia, era la disperazione.
 
*
 
Dean e Sam erano finalmente arrivati a casa di Bobby.
L'uomo, che considerava i ragazzi come se fossero suoi figli naturali, aveva notato subito che tra di loro le cose erano diventate molto più complicate di quanto non lo fossero di solito.
Aveva sperato con tutto il cuore che la loro riappacificazione fosse stata totale, ma evidentemente le sue erano state speranze vane. Cosa avrebbe dovuto fare con loro? Metterli in punizione? Prenderli a legnate?
Non aveva più a che fare con due bambini piccoli, relativamente facili da gestire. Quelli erano due uomini, ormai, due uomini cocciuti che sostenevano le proprie tesi fino allo sfinimento, anche se in quella circostanza somigliavano più a due mocciosetti capricciosi.
 
Ad una prima occhiata sommaria, gli era parso che fosse Dean quello più irritato dei due. Era entrato in casa senza neanche salutarlo, e si era chiuso in bagno sbattendo la porta con violenza. Perché quella testa calda doveva sempre essere tanto sconsiderato?
 
"Ma si può sapere che vi prende, idioti?".
Sam aveva sospirato prima di rispondergli. Avrebbe volentieri preso suo fratello a schiaffi, quella era la verità, ma voleva dimostrare di essere lui quello più maturo.
"Dean è particolarmente suscettibile ultimamente, Bobby. Ha sempre i nervi a fior di pelle” – aveva ammesso, chinando il capo e cominciando a frugare distrattamente nel proprio borsone alla ricerca di chissà cosa – “Ed ora ha dato di matto… Forse non dovrei essere così irruento, Bobby, ma è successa una cosa strana con Castiel...".
Bobby si era messo sull’attenti.
"Che vuoi dire, figliolo?".
Sam, che nel frattempo si era diretto in cucina per prendere una birra, si era accasciato sulla sedia, sfinito.
Bobby l'aveva imitato, aspettando che lui cominciasse a parlare. C’era una strana espressione dipinta sul suo volto. Sam era stanco, preoccupato, ma sembrava allo stesso tempo arrabbiato e deluso.
Che cosa poteva essere accaduto di così tanto sconvolgente? Cosa poteva aver detto o fatto Castiel di così tanto terribile da aver scaturito in loro reazioni tanto contrastanti?
 
"Ha detto che non ce la fa più".
Sam aveva pronunciato quella frase con un tono così pacato da essere quasi surreale.
"Che significa che non ce la fa più?" – aveva domandato Bobby, stranito.
"Non so cosa intendesse di preciso" - distrattamente, Sam stava grattando via l'etichetta dalla bottiglia di birra - "Ma avresti dovuto essere lì" - l'aveva guardato dritto negli occhi - "Era stanco... Sembrava malato... Non era più lui".
 
Bobby aveva letto immensa preoccupazione negli occhi del suo ragazzo.
Non sapeva bene cosa dire. Non era in grado di formulare ipotesi o opinioni a riguardo. Di certo, era molto strano. L’angelo non si era mai tirato indietro durante una battaglia. E, di certo, ora era più chiaro il motivo di quelle loro reazioni così contrastanti.
"Dean non l'ha presa bene, vero?".
"Bè, a dir la verità, Dean l'ha preso a pugni".
"Idiota" - aveva scosso la testa con fare canzonatorio.
"Sembrava una furia. Ho cercato di fermarlo, ma mi ha dato un pugno da manuale e sono caduto al suolo... Ero sconvolto. Credimi se ti dico che l’ha ridotto uno straccio. Ed io non ho fatto niente per aiutarlo".
Entrambi stavano guardando la porta del bagno da cui Dean non voleva accennare ad uscire.
"E' terribilmente instabile".
"Lo so, ragazzo... Ma questo non giustifica quello che ha fatto".
"Già...".
Sam aveva chinato il capo. Gli era passata persino la voglia di continuare a bere.
"Che fine ha fatto, ora, Castiel? Dove lo avete lasciato?" – era preoccupato. Sam aveva detto che gli sembrava malato, e l’aver appreso che Dean lo avesse usato come sacco da boxe non aveva di certo contribuito a migliorare le cose.
"L'abbiamo lasciato lì Bobby” – aveva detto un Dean accigliato appena uscito dal bagno – “E, sinceramente, spero che ci marcisca finché non rinsavisce".

Continua…

 

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Capitolo 3
*** Sanguinare ***


Sanguinare
 
Un'altra notte aveva avvolto il mondo con il suo manto nero come l’ebano.
Castiel era rimasto per tutto il tempo sul pavimento sporco di quella vecchia casa, rannicchiato, immobile, terrorizzato, incapace di ripararsi dal freddo pungente che lo aveva raggelato sin dentro alle ossa.
Non aveva avuto la forza di trascinarsi fino alla poltrona.
Erano state le sue ali mutilate e sanguinanti a fargli da coperta.
Era pallido, terribilmente pallido, e nonostante stesse continuando a battere i denti dal freddo, il suo corpo era ricoperto da centinaia di gocce di sudore.
 
Ed ecco che, per la prima volta in quella sua lunga, lunghissima esistenza, Cass si era ritrovato a pensare alla morte. Aveva visto alcuni angeli morire in battaglia, trafitti dalle lame lucenti dei loro stessi fratelli. Aveva visto la loro luce spegnersi, le loro essenze svanire come bolle di sapone.
E ne aveva visto altri cadere e morire da esseri umani, privati della loro Grazia, privati dell’unica cosa che li rendesse ciò che erano, creature nate per amare incondizionatamente loro Padre.
Lui era caduto. Aveva preso quella decisione non perché non amasse più Dio, ma perché aveva imparato ad amarlo in modo nuovo, in un modo diverso, forse un po’ più umano, ma non meno intenso. Eppure, per quanto lui fosse caduto, per quanto avesse preso autonomamente quella decisione, non riusciva ad accettare davvero quella sua nuova condizione. La verità era che non avrebbe mai e poi mai creduto che le cose potessero precipitare fino a quel punto, che lui potesse cambiare così tanto.
La vista delle sue ali mutilate lo aveva convinto che sarebbe morto, che non ci sarebbe stata possibilità per lui di rendere felice suo Padre, di cambiare le cose, che sarebbe morto atrocemente in una stanza polverosa, imprigionato in un corpo che non era veramente il suo, solo e dimenticato da tutti, senza avere la minima possibilità di ritornare in Paradiso.
 
Quanto tempo avrebbe aspettato la Morte prima di raggiungerlo e di mieterlo? Quanto tempo poteva impiegare a morire, lui che non era più un angelo, ma che non era neppure un uomo?
 
Improvvisamente, il fiato gli era mancato, ed era certo che quella che lo stava devastando fosse proprio una stretta al cuore, l’urlo disperato di chi aveva bisogno di aiuto.
 
"D-Dean... Sam...".
Erano in pericolo. Per qualche assurdo scherzo del destino, riusciva ancora a percepire le loro essenze e a rendersi conto di ciò che avrebbe potuto minacciarli. Era il legame che aveva con lui a permettergli di fare ciò. Era il legame che aveva con Dean.
Disperato, aveva cercato di rimettersi in piedi, ma era caduto rovinosamente al suolo, tossendo ripetutamente sangue bollente.
Ma poteva arrendersi? Poteva lasciar morire coloro che aveva deciso di salvare a prescindere dalla sua stessa esistenza?
*
 
"DEAN! FA ATTENZIONE!".
"SAM! E’ ALLE TUE SPALLE!".
“BOBBY!”.
 
Un'orda di demoni inferociti aveva superato le barriere di sale e sigilli apposte alle pareti della casa di Bobby, cogliendo i tre cacciatori di sorpresa.
Sam era stato ferito ad un braccio, e Dean aveva cercato di salvare la pelle a lui e a Bobby, mostrando una determinazione che per un periodo era sembrata non appartenergli più.
Continuava ad affondare il coltello di Ruby nelle carni dei poveracci di cui si erano impossessati senza nessuna pietà, facendo sgorgare al suolo il loro sangue empio.
I proiettili riempiti di sale sparati da Bobby erano riusciti a rallentarli, e molti di loro erano stati spinti in uno dei tanti pentacoli disegnati sui pavimenti della casa ed esorcizzarli grazie all'aiuto di Sam.
"Ma quanti diamine sono?" – il cacciatore più anziano era esasperato da quelle continue apparizioni. Quell’attacco era stato imprevedibile, e anche se loro stavano avendo la meglio, sembrava che volesse continuare fino all’infinito.
"Non lo so, Bobby!" – aveva esclamato Sam dopo averne esorcizzato un altro.
"Sembra che ne stiano arrivando ancora!".
"Ma come hanno fatto ad entrare?".
"Non lo so, Dean!!! STA ATTENTO!".
Il ragazzo si era girato appena in tempo per sgozzare il suo aggressore, affondando un colpo preciso e letale senza fare troppi complimenti. Aveva però cantato vittoria troppo presto: un altro demone era apparso alle sue spalle afferrandolo all'improvviso.
"DEAN!".
Bobby e Sam avevano urlato il suo nome all'unisono, ma nessuno dei due era potuto intervenire, e questo perché entrambi erano stati attaccati e immobilizzati dai compari di quell’abominio.
 
Ed ecco che una luce improvvisa aveva illuminato la stanza, costringendo i tre cacciatori a serrare le palpebre. Quello che ne era seguito non sarebbe stato per niente gradevole.
Un uomo sulla quarantina, elegante, accuratamente rasato e vestito in giacca e pantaloni blu aveva appena fatto capolino nella stanza. I suoi occhi neri come la notte stavano passando in rassegna quelli che erano evidentemente i suoi prigionieri, e il ghigno che era comparso sulle sue labbra non lasciava presagire nulla di buono.
 
"Bene… Molto bene! Vedo che finalmente ce l'abbiamo fatta a catturare la vostra attenzione, miei cari. E non solo quella. Direi che è proprio il caso di premiare i miei uomini, non trovate?".
 
Il sorriso che si era allargato sui loro volti compiaciuti si era tramutato in un urlo di orrore nell’attimo in cui si erano resi conto di star diventando cenere.
 
Dean, Sam e Bobby erano stati inchiodati alle pareti con la forza del pensiero un minuto dopo, incapaci di potersi difendere in nessun modo.
 
"Dunque! Vediamo cosa abbiamo qui" - così dicendo, l’essere misterioso aveva cominciato a passare in rassegna i suoi muovi amici.
Il suo tono di voce stava facendo irritare terribilmente Bobby. Chi diavolo era? E cosa voleva da loro?
"Abbiamo tre cacciatori, giusto? I famigerati fratelli Winchester e il vecchio Bobby Singer... Mi credete se vi dico che sono a dir poco onorato?".
"Chi sei? E che cosa vuoi da noi lurido bastardo?" - era stato proprio Bobby a parlare, gli occhi che ardevano come fuoco.
Il demone si era avvicinato a lui, incuriosito da tanta baldanza. Che quel vecchio fosse solo molto stupido?
"Chi sono io per voi non ha minimamente importanza. Cosa voglio, ne ha ancora meno".
 
Aveva iniziato ad aggirarsi per la stanza come se fosse alla ricerca di qualcosa.
A Sam sembrava quasi che stesse annusando l'aria, proprio come un segugio.
Dean, stranamente, era stato l'unico a non essersi ancora pronunciato, attento a studiare ogni suo singolo movimento. Non gli piaceva, quell’abominio, non gli piaceva affatto.
Dal modo in cui si era liberato dei suoi compari, doveva trattarsi di un pezzo grosso. Ma di chi?
 
Seguendo quella traccia invisibile, il demone si era avvicinato a Dean, accostando il naso contro il suo collo, fino a sfiorarne la pelle con la punta.
"Che sai facendo brutto pervertito?" – stava cercando di divincolarsi da quella morsa, ma era stato tutto inutile. Era completamente impotente. Impotente, e terrorizzato. Che diavolo aveva in mente quel bastardo?
 
Sam e Bobby continuavano a non capire le sue reali intenzioni. Che cosa stava facendo a Dean?
 
Arrivato all'altezza delle mani del cacciatore, il demone si era fermato improvvisamente, inspirando a fondo l'odore che esse stavano emanando.
"Vi siete incontrati" – aveva asserito. La sua non era stata una domanda. Sapeva qualcosa che loro non erano riusciti a capire.
"Ma che stai dicendo?" – Dean stava impazzendo. Chi aveva incontrato? Che cosa aveva sulle mani?
Improvvisamente, si era accorto di poter muovere la mano destra, la stessa su cui si era soffermato quel mostro.
Aveva cercato di aiutarsi con essa facendo leva sul muro per liberarsi, ma era stato tutto inutile: il demone l'aveva afferrata con forza e l’aveva avvicinata tantissimo al suo viso, inspirando a pieni polmoni, per poi leccare il sangue incrostato rimasto sotto le sue unghie, cadendo poco dopo in ginocchio.
 
"LASCIAMI STARE BRUTTO SCHIFOSO!".
 
Ma quell'essere sembrava non aver sentito l’ordine impartitogli da Dean. Alle stregue di un vampiro assetato, aveva continuato a leccare le ormai esigue tracce di sangue, tracce diventate alle stregue di una droga.
 
Dean stava guardando Sam e Bobby con occhi imploranti, pur sapendo che nessuno dei due avrebbe potuto aiutarlo.
Perché stava accadendo tutto ciò?
 
Affannato, il mostro aveva smesso di leccare la mano di Dean, rimanendovi però aggrappato fino a posarvi sopra la guancia destra, tenendo gli occhi chiusi, apparentemente sfinito.
 
"Lasciami bastardo… Ti ho detto di lasciarmi…".
 
Scosso improvvisamente da quella situazione di torpore, il demone si era rimesso in posizione eretta, cercando di sistemare i vestiti stropicciati, in un evidente stato di eccitazione.
 
Dean non riusciva a spiegarsene il motivo, ma sembrava che ci fosse qualcosa di diverso in lui, qualcosa di più minaccioso e incontrollabile.
Quasi come se Dean avesse avuto una sorta di premonizione, il mostro lo aveva afferrato per la gola, stringendolo con così tanta forza da impedirgli di respirare.
 
"Dimmi dov'è" – aveva ordinato, perentorio – “Dimmelo”.
Stava diventando viola.
"Ti ho detto di dirmi dov'è!".
 
Se il demone non fosse stato colpito pesantemente alla nuca da qualcuno apparso improvvisamente, Dean sarebbe morto.
Erano tutti piombati al suolo con un tonfo pesantissimo, ma ignorando il dolore, Sam e Bobby si erano precipitati sul maggiore dei Winchester per aiutarlo.
 
Chi? Chi aveva osato colpirlo?
Dopo un iniziale stordimento, il demone si era girato di scatto, sorridendo compiaciuto nel vedere chi si stava mostrando ai suoi occhi.
 
"Ciao, tesoro. Non sai che piacere averti qui con me, piccolo Castiel".
 
Si stava reggendo in piedi a stento. Aveva addosso solo i pantaloni e le scarpe, tremava, e sanguinava copiosamente dal naso e dalle orecchie. I suoi splendidi occhi blu sembravano velati, spenti, ed era evidente che bruciasse di febbre.
 
Sembrava quasi impossibile che avesse avuto la prestanza di colpire quell'abominio con tanta forza, sembrava quasi impossibile che fosse riuscito ad arrivare sino a lì.
 
Il demone stava per aggredirlo, alle stregue di un leone che stava per catturare la sua preda. I suoi occhi neri erano sgranati, e sembrava sudare, quasi come se fosse in crisi di astinenza.
 
"Sei... Meraviglioso..." – gli aveva sussurrato, estatico – “Meraviglioso”
.
Dovevano fare qualcosa. Dovevano fare qualcosa o sarebbe stato troppo tardi.
Peccato solo che ogni loro tentativo fosse stato vano: il demone, stavolta, li aveva inchiodati al suolo con una pressione che a stento gli stava permettendo di respirare.
"Maledetto! Lascialo stare!”.
 
Ma le parole strozzate di Sam erano state inutili.
Il demone si era chinato sul corpo tremante di Castiel, spingendolo violentemente contro il pavimento.
Inerme, era caduto pancia in giù sulle assi impolverate, sbattendo violentemente la fronte e provocandosi una ferita molto, molto profonda.
 
Mordendosi le labbra, il demone gli aveva bloccato i polsi con le mani, chinandosi su di lui per respirare a fondo il suo odore. Era partito dalle scapole, risalendo fino ad arrivare sino all'incavo della sua spalla.
Si era soffermato a lungo tra i suoi capelli prima di afferrargli il mento con la mano destra, girargli di forza la testa verso di sé e leccargli famelico il sangue che aveva sporcato il suo volto.
 
"TI HO DETTO DI LASCIARLO STARE!".
Sembrava che Sam fosse l’unico ad avere ancora la forza di lottare nonostante la paura si leggesse chiaramente nei suoi occhi.
Ma tutto era stato vano.
Come ipnotizzato, il demone aveva continuato a leccare il sangue dal volto di Castiel fino a succhiarne una grande quantità dalla ferita aperta, fino al punto di far credere loro che volesse divorarlo.
 
Castiel era completamente inerme. Sembrava troppo stanco persino per respirare.
Che poteva fare se non lasciare che continuasse? Avrebbe fatto qualsiasi cosa purché lasciasse in pace i suoi amici, purché lasciasse in pace Dean.
 
"Sei... Così perfetto... Così... Meraviglioso..." - continuava a ripetergli, mentre gli sfiorava i capelli con la guancia - "Dammi il tempo di sistemare questi scocciatori... E dopo ti prometto che staremo insieme per tanto tempo... Anzi, credo proprio che staremo insieme per sempre...".
 
Contrariato, si era staccato dal corpo di Castiel, dirigendosi verso le sue prede.
 
"Ora, Sam Winchester, tu verrai con me. C’è qualcuno di molto speciale che non vede l’ora di fare la tua conoscenza. Bobby, Dean, per ora vi saluto. Credo proprio che ci rivedremo presto all'Inferno".
 
Stava per ucciderli. Stava per sferrare il colpo finale, quando una luce potentissima si era propagata per la stanza, abbagliandolo, e un suono, un suono devastante come un uragano lo aveva fatto chinare dal dolore.
Dean, Sam e Bobby, avevano chiuso gli occhi d'istinto, temendo il peggio.
 
Non avevano potuto vedere il modo in cui il demone si fosse dissolto, troppo impegnati a proteggersi da quel rumore devastante.
Non avevano potuto accorgersi immediatamente che tutto era finito.
Non avevano potuto accorgersi immediatamente che non c’era più nessuna traccia di nessuno, che non c’era più nessuna traccia nemmeno di Castiel.
 
Continua…

 

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Capitolo 4
*** Can you hear me? ***


Can you hear me?
 
I tre cacciatori stavano cercando di mettere ordine nella stanza devastata dal demone, ma solo nel tentativo di rimettere ordine nei loro pensieri.
Dean aveva cercato di rintracciare Castiel sia pregando fino allo sfinimento che provando e riprovando a chiamare sul suo cellulare, ma inutilmente.
Non c’era stato nessun segno di risposta. Che non volesse ascoltarli? Che li stesse ignorando deliberatamente? Ma come poteva essere se poco prima aveva cercato di salvare tutti loro a costo della vita? E chi era quella bestia che li aveva attaccati? Cosa voleva da loro? Cosa voleva da Castiel?
In preda all’ira e alla frustrazione, aveva finito con il lanciare il cellulare contro il muro, distruggendolo.
 
"Dean...".
Sam si era avvicinato al fratello chinatosi al suolo per raccogliere i resti di quello che fino a qualche istante prima era stato il suo telefono, ma Dean non aveva neanche alzato il capo, evitando di guardarlo in volto.
"Ho fatto proprio un bel lavoro... Io non l'avrei ridotto in pezzi così piccoli neppure se l'avessi preso a martellate...".
Dean aveva abbozzato un sorriso, ma i suoi occhi dicevano tutt’altro.
"Sono stato un vero stronzo...” – aveva asserito – “Non avrei dovuto trattarlo in quel modo".
Si stava limitando ad ascoltarlo, in silenzio. Era come se non ci fosse più alcuna traccia di quell’uomo arrabbiato con il mondo che avrebbe distrutto tutto e tutti. Era lui quello distrutto. Era lui quello che sembrava non avere più la forza di rialzarsi.
"Hai visto cosa gli ha fatto quel figlio di puttana? Hai visto come lo toccava? Mi ha fatto venire il voltastomaco quello schifoso...".
"Non potevamo fare niente, Dean..".
“Non è vero” – aveva asserito, stringendo forte tra le mani i pezzi del cellulare raccolti – “Non ci ho nemmeno provato a fare qualcosa. Non ci ho nemmeno provato…”.
Sam aveva poggiato una mano sulla schiena del fratello nel tentativo di rincuorarlo.
"Che fine hai fatto Castiel? Che fine hai fatto?” – aveva sussurrato, con le lacrime agli occhi.
“Vorrei saperlo anche io Dean... Vorrei tanto saperlo anche io"
 
*
 
La stanza era stata sistemata alla meno peggio. Erano venuti giù molti dei quadri appesi alle pareti, alcuni scaffali erano andati distrutti, e di conseguenza i tavoli e la scrivania erano diventati un ammasso di libri sistemati alla rinfusa.
Tutto sommato erano stati fortunati, essendosela cavata con molto poco: qualche livido sparso qua e là e qualche graffio. Solo Sam aveva riportato una ferita più profonda ad un braccio, ma Bobby aveva provveduto immediatamente a disinfettarla e a medicarla, facendolo tornare più o meno come nuovo.
 
Vinto dalla stanchezza, Dean si era addormentato malamente sul divano, rifiutandosi di mandare giù un boccone.
 
Sam stava continuando a guardarlo, sentendosi completamente impotente. Le cose erano precipitate in un modo che non avrebbero potuto prevedere, e Dean aveva accusato il colpo più di tutti.
Suo fratello si era pentito profondamente di aver punito Castiel invece che chiedergli una spiegazione, invece che aiutarlo, ed ora si stava tormentando per non essere stato in grado di difendere se stesso, di difendere Cass, di difendere tutti loro.
Aveva sempre creduto che Dean soffrisse di una forma acuta della “sindrome della crocerossina”, ma ormai Sam non aveva più voglia di scherzarci su.
Era anche colpa sua se si trovava in quello stato. Era colpa della sua arroganza, della sua boria. Non era stato veramente in grado di comprendere quanto Dean avesse fatto per lui, aveva completamente dimenticato che avesse offerto la sua anima ad un demone pur di salvarlo.
Ma era giunto il momento di rimediare. Era giunto il momento di ricambiare tutta la dedizione che gli aveva dimostrato in più occasioni.
 
"Che cosa volevano da Cass, Bobby?".
L'anziano cacciatore era ancora alla sua prima birra. Continuava a posare la bottiglia alle labbra, ma alla fine, non faceva altro che inumidirle con il liquido ambrato. Per la prima volta in vita sua, era troppo sconvolto per poter bere. La sua mente era affollata da troppi pensieri vorticosi. Cosa avrebbe dovuto rispondere a Sam? Cosa avrebbe dovuto dire a Dean, una volta svegliatosi?
"Non lo so ragazzo. Ma qualunque cosa volessero… Hai visto cosa ha fatto quando ha visto il suo sangue? Cosa era diventato? Era rivoltante..." - aveva ripetutamente sfregato la mano contro il viso, nel tentativo di far scivolare via dalla sua mente quelle immagini disgustose.
"Bobby....".
"Mmm?".
"Tu pensi che Cass sia…" – non aveva avuto il coraggio di proseguire.
I cacciatori si stavano guardando negli occhi, seri.
"Figliolo... Sarò sincero con te. Io non credo che sia sopravvissuto... Hai visto in che condizioni era quando è arrivato… Quell’abominio l’ha ridotto ancora peggio, se possibile… E Cass non è più un angelo".
Sam aveva scosso il capo, incredulo.
"No Bobby, non posso credere che Cass non ci sia più. E’ impossibile. E' al nostro fianco da quando è cominciato tutto questo immane casino, si è ribellato per noi! Ha fatto tutto quello che ha fatto per me e per Dean! Non può essere morto. Mi rifiuto di crederlo".
Il cacciatore più anziano non sapeva cosa dire o cosa fare. Era stato sincero con Sam, ma capiva perfettamente lo stato d’animo del suo ragazzo, quanto egli si sentisse in colpa.
"Non avremmo mai pensato che un angelo potesse vegliare su di noi. Abbiamo sempre avuto solo te, Bobby. Papà non c’è mai stato per noi. Tu sei stato la nostra famiglia, il nostro punto di riferimento. E lui… Lui è piombato all’improvviso, arrogante e presuntuoso, potente come non mai. Eppure… Alla fine è diventato un elemento fondamentale della nostra squadra.
E’ stato lui a trascorrere del tempo con Dean quando me ne sono andato. Non l'ha lasciato neanche per un attimo. Ha cercato di guidarmi, di farmi capire quanto grandi fossero i miei errori.
Se dovesse essere morto..."- aveva stretto gli occhi prima di continuare la frase - "Se è morto, la sua anima, la sua essenza, non potrà tornare a casa. Cass non tornerà in Paradiso".
Bobby aveva sgranato gli occhi dalla sorpresa, sconvolto da quella verità così palese che lui però non era stato in grado di vedere.
"E' un fuggiasco..." - aveva detto con rassegnazione, posando la bottiglia sul tavolo, fissandola, stravolto.
Sam aveva annuito, girando poi il capo verso un Dean ancora addormentato.
Non poteva sapere che suo fratello avesse sentito ogni cosa.
 
*
 
Bobby e Sam si erano addormentati uno sulla poltrona della scrivania, l'altro chinato sul tavolo, con in mano ancora una bottiglia di birra mezza piena.
In casa era calato un silenzio surreale, un silenzio che stava facendo rimbombare i pensieri nella mente di un Dean che non era più riuscito a pensare ad altro, se non alle parole di Sam.
Lentamente, senza fare rumore, si era rimesso in piedi, e con passo felpato era uscito sul patio.
Dopo aver chiuso la porta, vi si era abbandonato con le spalle, chiudendo gli occhi e lasciandosi scivolare fino a terra, respirando piano.
Con mani tremanti, aveva inserito la sua scheda SIM in uno dei suoi tanti cellulari, e aveva composto il numero di Castiel per l’ennesima volta.
Uno... Due... Cinque... Sette… Dieci squilli.
Scoraggiato, aveva lasciato che il telefono gli scivolasse dalle dita, fino a cadergli in grembo.
Non poteva essere vero... Cass non poteva essere morto.
Cass era invincibile. Era sceso all'Inferno per riportarlo in vita, aveva lottato contro i suoi stessi fratelli, si era ribellato, e non aveva mai ceduto.
Un momento di debolezza poteva capitare a tutti, soprattutto a chi si trovava in una condizione nuova, proprio come era successo a lui.
Si sentiva tremendamente in colpa.
Invece di dirgli ciò che pensava, invece di dargli conforto, gli aveva dato addosso, ammazzandolo di botte.
Aveva visto quanto fosse stanco, così stanco da non provare neppure a difendersi, ma non vi aveva dato peso, perché si era sentito tradito, abbandonato da colui che era diventato non solo un amico, ma un fratello.
Aveva pensato solo a se stesso, e adesso non poteva non sentirsi che un verme strisciante.
Le immagini di ciò che si erano svolte sotto i suoi occhi impotenti lo avevano fatto rabbrividire dall'orrore.
Erano lì per Castiel. Ma perché? Ordini di Lucifer? Ma cosa poteva volere da lui quel maledetto schifoso?
 
Dean aveva chiuso gli occhi con forza, cercando di trovare una soluzione a quell’enigma, ma era solo uno il nome che continuava a rimbombare nella sua mente, lo stesso che aveva pronunciato senza neppure rendersene conto.
 
“Cass…”.
Non sapeva perché l’avesse detto, non sapeva cosa dire, non sapeva neppure se Cass potesse sentire la sua voce.
Di una sola cosa era certo: che il suo amico, ovunque si trovasse, era vivo.
Si trattava di più di una semplice sensazione, anche se non ne comprendeva la ragione.
"Ovunque tu sia, Cass, giuro che verrò a prenderti. Fosse l'ultima cosa che farò, Cass, ti riporterò a casa".
 
Con uno scatto deciso si era issato sulle proprie gambe, era sceso giù per le scale e aveva preso a camminare senza una meta precisa, fissando il cielo stellato.
 
"MI SENTI CASTIEL? SONO QUI! E TI GIURO, TI GIURO CHE VERRO' A RIPRENDERTI!".
Aveva urlato quella frase con tutto il fiato che aveva in gola.
"Dovessi smuovere Inferno e Paradiso Cass, te lo prometto. Tornerai a casa da me".
 
Continua…

 

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Capitolo 5
*** Vampire ***


Vampire
 
Era da poco scoccata la mezzanotte.
Le strade della città erano semideserte, popolate solo dai ragazzi e dalle ragazze della notte che facevano la spola tra un locale e l'altro.
Un nutrito gruppo di giovani decisamente ubriachi era appena uscito da un pub, cominciando sin da subito a fare baldoria danneggiando auto e cassonetti. E c'era da dire che quello era solo l'inizio!
 
"Ehi John! Guarda che paraurti ha questo gioiellino! Che ne dici di collaudarlo?" - e aveva iniziato a prenderlo a calci fino a farlo quasi accartocciare su se stesso.
"Oh! Guardate un po’! Forse non era stato poi un così grande acquisto!".
"Già!".
Stavano ridendo, evidentemente molto soddisfatti del loro operato.
Sarebbe stata una lunga notte quella a venire. Una notte che non avrebbero mai potuto dimenticare.
 
"Nessuno vi ha insegnato che non si rompono le cose altrui?".
Colti di sorpresa, i ragazzi avevano cominciato a guardarsi intorno, preoccupandosi che quella potesse essere la voce di uno sbirro. Peccato solo che fossero stati incapaci però di individuare da dove provenisse quella voce seria e stranamente sensuale.
"Ma che cazzo... chi c'è qui?".
"Che cosa vuoi?".
"Noto con piacere che lo scorrere dei minuti vi fa diventare sempre più gentili... Ho come l'impressione che una buona lezione di galateo non vi farà affatto male".
 
Senza alcun preavviso, uno di loro era stato scaraventato dall'altra parte della strada. Nessuno, però, era stato in grado di capire chi o cosa fosse stato a farlo.
 
"JOHN!!!".
 
L’intenzione di quei teppisti sarebbe stata quella di correre in soccorso del loro compare, ma nel vedere cosa lo aveva attaccato, l’intero gruppetto si era come pietrificato.
 
Quello che avevano davanti era un ragazzo, non c’erano dubbi. Era un ragazzo dai capelli neri, ma questo ragazzo si era avventato sulla gola del loro amico.
Quel ragazzo lo stava mordendo. Ma perché un ragazzo stava mordendo al collo il loro amico rimasto completamente immobile?
Era bastato osservare il suo viso per rendersi conto che no, quello non era un semplice ragazzo.
I suoi occhi erano a dir poco mostruosi. La pelle attorno ad essi era cosparsa di capillari cremisi, brillavano di una luce sinistra, una luce che li aveva pietrificati, e la sua bocca… La sua bocca sporca di sangue era munita di lunghi, lucenti canini grondanti liquido scarlatto.
 
"Cosa-cosa diavolo sei tu?" – aveva chiesto uno di loro, balbettando vistosamente.
 
"Cosa sono, dici?” – li aveva scherniti la creatura – “Oh, io sono quello che vi porterà sulla retta via".
Era bastata quella semplice frase a farli correre via tutti a gambe levate, sperando che la sbronza cancellasse dalla loro memoria quell’incontro indesiderato.
 
Dal canto suo, il ragazzo era scoppiato in una sonora risata, sfoderando un sorrisetto a dir poco perverso.
"Non c’è che dire, quella battuta fa sempre un certo effetto!".
Pensando ancora alle facce di quei poveri idioti, si era rimesso in piedi, scuotendo la polvere dell'asfalto dai suoi vestiti.
Il suo viso era tornato normale, rivelando i lineamenti invidiabili di un ragazzo dalla pelle diafana e dalla bocca carnosa, un ragazzo dagli occhi così chiari da sembrare simili al ghiaccio.
 
"Ed ora, mio caro, cerca un modo per toglierti dalla bocca quel sapore orribile" - aveva esclamato, incamminandosi poco dopo lungo la via come se non fosse accaduto assolutamente nulla.
 
Era veramente una bellissima notte. Peccato solo che non ci fosse la luna piena, o almeno, lo era per le tante coppiette sdolcinate che non avrebbero avuto modo di godere del suo chiarore per completare il loro quadretto romantico.
Al contrario, per lui era decisamente meglio così. Il buio era suo amico. Il suo unico amico. Avrebbe mai potuto lamentarsi del suo migliore amico?
 
Stava appunto ragionando sul dove fermarsi a bere tutto l’alcol che riusciva a reggere quando si era bloccato di colpo, colto da un improvviso, pungente odore di sangue fresco. Era un odore molto intenso, fin troppo intenso, anche per uno che aveva un olfatto fine come il suo. Se l’esperienza non lo stava traendo in inganno, era molto probabile che lì vicino fosse stato sgozzato o accoltellato qualcuno piuttosto di recente.
Era cosciente che avrebbe dovuto farsi gli affari suoi, ma che poteva farci se puntualmente veniva messo KO dalla curiosità?
 
Seguendo la traccia di quell’odore così penetrante, era arrivato in un vicolo buio.
Ovviamente, non si era sbagliato.
Nonostante il buio pesto, la sua vista gli aveva permesso di riconoscere perfettamente il corpo di un uomo completamente coperto di sangue. Era riverso al suolo, seminudo, con solo i pantaloni addosso.
Sarebbe stato saggio andare via da lì immediatamente. Qualunque cosa fosse accaduto a quel povero diavolo, non erano affari suoi. Del resto, le persone morivano tutti i giorni, no?
 
Sarebbe andato via se alle sue orecchie non fosse giunto improvvisamente quello che aveva tutta l’aria di essere un rantolo.
Ma come poteva essere? Andiamo, quel tizio non poteva essere ancora vivo dopo aver perso tutto quel sangue!
 
Incerto sul da farsi, si era avvicinato al corpo, nonostante l'odore così penetrante del sangue avesse cominciato a dargli alla testa. Solo dopo essersi chinato su di esso si era reso conto di essersi sbagliato, che il ragazzo non fosse affatto morto.
Era debole, debolissimo, ma il battito c'era ancora.
Non era un eroe. Non era uno che si faceva coinvolgere. Un conto era mettere paura ad un branco di ubriachi idioti, ma presentarsi in ospedale con una vittima di aggressione tra le braccia era tutta un'altra storia.
Certo, aveva dalla sua parte una serie di trucchetti davvero spettacolari, ma se le cose fossero andate diversamente da come aveva previsto che avrebbe fatto?
Diamine, era in momenti come quello che si domandava perché continuasse a ficcare il naso in giro.
Nonostante stesse pensando di andare via e non fare un bel niente, si era tolto la giacca di dosso, posandola con attenzione su quel busto nudo e martoriato.
 
"Ehi… Riesci a sentirmi?” – aveva provato a chiedere in un sussurro.
Era da stupidi credere che una persona ridotta in quello stato avesse potuto davvero sentirlo, figurarsi rispondere ad una domanda.
Aveva sbuffato sonoramente, ormai già consono di quale fosse la decisione che aveva preso.
“Cerca di resistere… Capito?".
Delicatamente, anche se ancora un po’ incredulo, lo aveva sollevato, adagiandogli il capo nel proprio grembo.
Fino a poco prima, non aveva avuto occasione di osservare il suo viso.
Era pallido e sofferente, con i capelli umidi di sangue e sudore, eppure, c’era qualcosa di estremamente dignitoso in quei lineamenti, qualcosa che lo aveva fatto sussultare.
 
"Ma guarda un po’ che doveva capitarmi…” – si era detto, sorridendo appena – “Coraggio amico... Dopotutto, potrebbe ancora essere la tua serata fortunata".
 
Aveva preso un bel respiro, e senza perdere ulteriore tempo si era dato un morso al polso con tanta forza da sanguinare, posando subito dopo la ferita grondante sulle labbra pallide e ruvide dell'uomo.
 
"Andiamo… Devi berlo... Coraggio… Bevi...".
 
Gli c’era voluto un po’ di tempo, ma alla fine aveva iniziato a bere qualche goccia del sangue che gli era stato così gentilmente offerto.
"Bravo... Bevi... Ti sentirai meglio… EHI!".
 
D’improvviso, l’uomo aveva afferrato con le poche forze ritrovate il braccio offertogli, cominciando a bere con avidità da quella ferita che sembrava essere diventata il calice della vita.
Il ragazzo gli stava sostenendo il capo, sorridendogli benevolo mentre con l'altra mano gli accarezzava distrattamente i capelli.
"Basta così, campione" – lo aveva schernito, sottraendo dalla sua presa quella fonte di nutrimento - "Ne avrai ancora più tardi, promesso".
L'aveva sollevato come se fosse stato una piuma, reggendolo fra le braccia come si fa con un bambino indifeso. Dal canto suo, il giovane ferito si era addormentato di colpo, forse svenuto di nuovo, abbandonando pesantemente il capo sul suo petto.
 
Si era incamminato a passo sicuro, per nulla preoccupato che potessero vederlo o schernirlo.
Di certo, c’era solo una cosa: era ben altra la preda che aveva avuto in mente di portare a casa con sé alla fine di quella serata.
 
Continua…
________________________________________________________________________________

Salve!
Chiedo venia, ma non mi sembrava che avesse molto senso fare capolino sin dal primo capitolo.
Per prima cosa, vorrei ringraziare tutti coloro che hanno letto e recensito fino ad ora questo mio scritto. Sono veramente contenta di ciò.
Spero vivamente di avervi incuriositi e che continuerete a rimanere con me fino alla fine.
A questo punto, direi che tutti i personaggi della nostra storia sono stati introdotti. Tutti, o quasi.
Mi auguro che questo Crossover non sia troppo azzardato.
E mi auguro di poter aggiornare al più presto.
Dopotutto, abbiamo un angelo di cui occuparci!
Un bacione!
A presto!
Cleo


 

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Capitolo 6
*** A hole in my mind ***


A hole in my mind
 
Dean e Sam stavano preparando i bagagli. Volevano rimettersi in viaggio il più presto possibile per cercare di scoprire che fine avesse fatto Castiel.
Non avevano idea di come avrebbero fatto, dove avrebbero cercato, ma darsi per vinti non era un’opzione plausibile.
Dean aveva fatto a Sam e a Bobby un accorato e piuttosto bizzarro discorso in cui sosteneva che Castiel fosse vivo, sottolineando che lui sentisse la sua presenza, e qualsiasi cosa ciò volesse dire, andargli contro sarebbe stato da pazzi.
Bobby aveva inizialmente proposto di evocare il demone che li aveva attaccati, ma era stato tutto inutile.
Quel bastardo doveva essere stato eliminato durante l'esplosione di energia emanata da Castiel. Quel tentativo lo aveva abbastanza scoraggiato, ma non aveva sortito lo stesso effetto su Dean.
 
"Ho giurato che avrei smosso Inferno e Paradiso pur di trovarlo, e giuro su quello che vi pare che lo farò".
 
Bobby e Sam si erano guardati a lungo dopo aver udito le parole di Dean.
La scomparsa di Castiel sembrava avergli conferito una nuova energia, una voglia di darsi da fare che credevano fosse scomparsa definitivamente.
"Lui sarà con noi quando fermeremo l'Apocalisse" - aveva poi aggiunto, categorico.
Speravano con tutto il cuore che avesse ragione.
 
"Mi raccomando ragazzi, tenetemi aggiornato" - Bobby li aveva accompagnati fino alla macchina, visibilmente preoccupato.
"Sta tranquillo. Ci terremo in contatto".
"Farò tutto quello che posso per sapere che fine ha fatto Cass. Capito, Dean?".
"E' vivo, Bobby. So che per voi le mie sono tutte fantasie di uno che sta annegando nei propri sensi di colpa, ma posso assicurarti che non è così.
E' più di una sensazione Bobby. E' una certezza. Io so che è vivo. Dannazione, dovessi anche salire su un aereo, io lo riporterò a casa".
L'anziano cacciatore gli aveva posato entrambe le mani sulle spalle. Era tremendamente orgoglioso di lui, ma allo stesso tempo temeva che potesse cadere e farsi male, farsi molto più male di quello che credeva.
Dean si era legato a Castiel come non lo aveva fatto mai con nessuno.
Certo, Sam era suo fratello, era tutta la sua famiglia, ma Cass… Cass sembrava molto, molto di più.
"Ehi...".
"Sì Sam... Sto arrivando".
Aveva dato una pacca sulla schiena a colui che considerava suo padre in seconda ed era salito in macchina, pronto ad affrontare quella nuova sfida.
La sua determinazione aveva contagiato persino Sam, più deciso che mai a ritrovare Castiel.
Glielo doveva. Lo doveva a lui, lo doveva a Dean.
E in un certo senso, sapeva benissimo di doverlo anche a se stesso.
 
*
 
Erano circa le due del mattino quando il ragazzo dagli occhi di ghiaccio e il suo nuovo amico erano arrivati a destinazione.
Il cielo si era coperto improvvisamente di un denso strato di nuvole nere, e tra qualche minuto sarebbe venuto giù un bel temporale.
 
"Tempismo perfetto" – gli aveva sussurrato all’orecchio, prima di adagiarlo dolcemente sul suo letto.
 
Era rimasto in stato di semi-incoscienza per tutto il tragitto, ma nonostante tutto aveva continuato a rimanergli aggrappato, dimostrando di avere una forza d’animo non comune a tutti.
"Non ti va proprio di morire, vero?" - gli aveva detto, spostandogli una ciocca di capelli dalla fronte. Aveva un brutto taglio che necessitava di essere immediatamente curato. Forse, sarebbe stato meglio che gli avesse fatto bere un altro po’ di sangue, alla fine dei conti.
Ma pazienza, era qualcosa a cui poteva rimediare in modi più convenzionali.
Ora che vedeva il suo viso illuminato dalla luce della abat-jour non aveva potuto non notare che sotto quel denso strato di sangue incrostato si nascondesse proprio un bell’uomo. Non che lui nutrisse apprezzamento verso le persone del suo stesso sesso, sia chiaro, ma non aveva potuto non notarlo.
Era alto, e i muscoli del suo corpo sembravano appena sbozzati, rendendo la sua fisionomia delicata. Aveva una folta chioma di capelli scuri scompigliati e un sottile strato di barba incolta sul mento.
 
“Bene… Vediamo un po’ chi c’è qui sotto” – aveva esclamato, iniziando a pulirgli il volto con un fazzoletto imbevuto di acqua tiepida.
 
Era una situazione in cui non si era trovato molto spesso, ma doveva ammettere di sentirsi piuttosto a suo agio. Aveva dovuto ammettere che l’odore del suo sangue inizialmente gli aveva causato non pochi problemi, ma aveva avuto modo di fare pratica, ed ora si sentiva decisamente più tranquillo.
 
Avrebbe tanto voluto che aprisse gli occhi, anche se temeva quel momento.
Non sapeva bene cosa dirgli, e temeva la reazione che avrebbe potuto avere quell’uomo nel vederlo.
"Che cosa ti hanno fatto?" - aveva detto, triste.
Non aveva documenti addosso, non aveva un cellulare, era mezzo nudo, coperto di sangue, aveva rischiato di morire in un vicolo sporco e buio. Le ipotesi che aveva cominciato a formulare a riguardo non erano state di certo le più rosee, ma aveva preferito scacciare immediatamente simili pensieri, aspettando di apprendere come si fossero svolti i fatti direttamente dalle parole di quel poveretto.
 
Il suo viso era stato quasi del tutto pulito, ma il collo e il torace erano messi davvero male.
Gli era rimasta una sola cosa da fare, anche se questo prevedeva momenti di indicibile imbarazzo.
Ancora continuava a domandarsi perché cavolo avesse deciso di atteggiarsi a supereroe di turno, ma pazienza.
 
"Spero davvero che nessuno ci veda" - aveva esclamato, prima di cominciare a slacciargli la cinta dei pantaloni.
 
Fare il bagno ad un uomo svenuto non si era solo rivelato imbarazzante come aveva temuto, ma anche piuttosto complicato.
Per una persona ‘normale’ sarebbe stato oltremodo spossante muoversi con quel peso addosso, ma per lui non c’erano stati problemi di quel genere. La verità era che temeva di fargli del male. Ora che vedeva la sua pelle bianchissima gli era parso ancora più fragile di quanto già non gli fosse sembrato in precedenza.
 
Lo aveva lavato con grande cura fino a non far rimanere sul suo corpo neanche la più remota traccia di sangue, avvolgendolo poi in un grande accappatoio bianco.
Dopo avergli infilato alla meno peggio uno dei suoi pigiami migliori e rimboccato le coperte, si era seduto accanto a lui, con l’intenzione di vegliare sul suo sonno.
 
Quella lavanda improvvisata gli aveva permesso di appurare che le violenze fisiche da lui subite fossero state più che mai brutali, facendolo arrivare alla conclusione che lo avessero picchiato selvaggiamente, ma per fortuna sembrava che non ci fosse stato dellaltro.
 
La cosa che più lo aveva lasciato perplesso, però, erano quei due grandi solchi che aveva lungo le scapole. Erano le ferite più strane che avesse mai visto in tutta la sua vita. Perfettamente simmetriche, non erano guarite del tutto nonostante gli avesse somministrato la sua cura speciale.
Chiunque fosse stato a fargliele doveva essere un pazzo maniaco, non c’erano dubbi.
Quel pensiero lo aveva fatto sorridere con tristezza. Era certo che molti avessero detto di lui la stessa cosa fino a non troppo tempo addietro.
Ancora stentava a credere quanto potesse essere facile trovarsi completamente solo all’improvviso.
 
I suoi tristi pensieri erano stati interrotti bruscamente dell’agitarsi convulso del suo protetto.
Stava sudando, e aveva cominciato a lamentarsi nel sonno.
Aveva agito d’istinto, chinandosi sul letto e cominciando ad accarezzargli i capelli e la fronte madida di sudore senza neppure rendersene conto.
 
"Ehi… Non fare così” – gli aveva sussurrato – “Andrà tutto bene... Devi stare calmo... Andrà tutto bene".
"D-Dean...".
Era stato un sussurro, un impercettibile sussurro, eppure era certo di aver sentito la sua voce.
"Dean...".
Stavolta, lo aveva sentito chiaro e tondo. Era un nome quello che aveva pronunciato, il nome di un uomo. Pensieroso, si era steso al suo fianco, sussurrandogli piano all’orecchio di stare tranquillo, senza mai togliere la mano dai suoi capelli.
Fortunatamente, era riuscito nel suo intento, perché qualche istante dopo, il suo ospite si era nuovamente addormentato, anche se sul suo viso continuava a persistere un’atroce espressione di paura. 
 
*
 
Il resto della notte era trascorso con estrema tranquillità. Era rimasto accanto al suo protetto per tutto il tempo, senza mai abbandonarlo. Quest'ultimo aveva dormito sereno nonostante la febbre alta che lo aveva tormentato per diverse ore.
Dal canto suo, il giovane aveva trascorso la maggior parte del tempo a pensare. Non riusciva a dimenticare il tono con cui aveva pronunciato quel nome, come se lo stesse implorando.
Ciò poteva significare che quella persona, quel Dean, fosse un amico a cui stava chiedendo aiuto, o che fosse il suo carnefice, carnefice a cui stava supplicando di fermarsi.
 
Probabilmente si stava crucciando più del dovuto, ne era consapevole, ma ormai era più che coinvolto in quella storia che ancora non sapeva, e non aveva la benché minima intenzione di tirarsi indietro.
Chiedergli come erano andate le cose non sarebbe stato semplice, lo sapeva, ma doveva farlo.
Si era ripromesso che appena si fosse svegliato gli avrebbe dato da bere dell'altro sangue per farlo guarire completamente, ma prima avrebbe dovuto spiegargli il perché di quel gesto.
Sapeva già che non sarebbe stato semplice farsi ascoltare, e proprio per questo aveva deciso che nutrirsi gli sarebbe stato di grande aiuto nell’affrontare quella situazione.
 
Ecco perché alle prime luci dell'alba era scivolato giù dal letto, dileguandosi in cucina, non accorgendosi che il suo protetto aveva appena aperto gli occhi, accarezzato dal tiepido sole del mattino.
 
I suoi occhi, quegli occhi blu come il mare, si erano appena dischiusi cercando di mettere a fuoco quello che avevano di fronte.
Lentamente, si era messo seduto sul letto, con le spalle appoggiate alla testiera del letto, pentendosene immediatamente. Quel gesto innocuo gli aveva causato delle terribili fitte alle scapole, fitte che gli avevano provocato una forte nausea apparentemente impossibile da controllare.
Era debole, debole, dolorante e terribilmente disorientato.
 
Nulla attorno a sé gli era familiare. Dove si trovava? E perché era lì?
Era molto confuso, e il mal di testa che lo stava tormentando di certo non gli era d’aiuto.
 
Un improvviso rumore proveniente da una delle stanze accanto a quella in cui si trovava lo aveva fatto trasalire.
Cosa doveva fare? Doveva rimanere in camera, o doveva andare a controllare? Ma cosa avrebbe fatto, in quel caso? Era troppo debole per difendersi, lo sapeva bene. Però, quella stanza avrebbe potuto realmente proteggerlo? Sapeva bene che non era affatto così.
 
Facendosi coraggio, si era diretto verso il luogo da cui aveva sentito provenire il rumore, nonostante riuscisse a stento a stare dritto sulle proprie gambe. Le sue membra erano ancora intorpidite.
Il suo cuore stava battendo all’impazzata, e stava sudando copiosamente.
Sperava con tutto se stesso che chiunque ci fosse dall'altra parte fosse una persona amica.
 
Mai e poi mai avrebbe pensato di trovarsi davanti una scena simile, una scena che non era stato in grado di spiegare.
C’era un ragazzo, davanti a lui. Un ragazzo alto, con i capelli neri e un fisico asciutto e scolpito, ma dal viso chiazzato di rosso, lo stesso rosso del liquido che aveva visto sgorgare dalla sacca che reggeva tra le mani.
 
Terrorizzato, aveva cercato di indietreggiare, ma sfortunatamente aveva sbattuto contro una sedia, facendola cadere rumorosamente al suolo.
Quell’essere si era girato di scatto verso di lui, gettando il capo all'indietro per la rassegnazione.
Immobilizzato dalla paura, il ragazzo aveva assistito in silenzio alla scena, a dir poco incredulo: il ragazzo dal volto spaventoso aveva gettato nella spazzatura la sacca vuota, si era pulito le labbra con un tovagliolo, e si era nuovamente rivolto a lui con lo sguardo, mostrando un viso più che normale, mostrando un viso più che umano, un viso adornato da due occhi color del ghiaccio.
 
"Ti prego non... Non farmi del male..." - aveva biascicato, senza staccare gli occhi da quel viso che qualche istante prima era stato una maschera di morte.
"Sta calmo. Non ho intenzione di farti del male" – gli aveva detto, avvicinandosi.
Nel disperato tentativo di scappare, era inciampato, precipitando rovinosamente.
Ma, qualche istante prima che cadesse al suolo, si era ritrovato tra le braccia della persona da cui cercava di scappare.
I suoi occhi erano serrati dal terrore. Non sapeva come avesse fatto a raggiungerlo in così poco tempo, e non voleva neppure saperlo. Stava tremando dal terrore. Voleva che lo lasciasse, voleva che lo lasciasse subito.
"Ehi… No, sta calmo...” – aveva cercato di rassicurarlo, parlandogli con voce suadente –“Non voglio farti del male, amico... Voglio solo aiutarti".
Lo aveva sollevato completamente, riportandolo in camera da letto e mettendolo sotto le coperte.
Dal canto suo, il giovane era rimasto immobile, pauroso e pensieroso insieme.
Quello che aveva davanti, quello che lo stava reggendo fra le braccia, era un mostro. Lo aveva visto con i suoi occhi, aveva visto il suo viso deforme, come poteva volerlo aiutare?
Era... Era premuroso... Troppo premuroso e lui aveva cominciato a sentirsi più a disagio che mai.
 
Sapeva che era assurdo, sapeva che era da pazzi, ma quella presenza lo stava rassicurando e lo intimorendo allo stesso tempo.
Con esitazione, aveva aperto gli occhi fino a poco prima serrati, specchiandosi nei suoi, specchiandosi in quelle lastre di ghiaccio che paradossalmente sembravano calde come il fuoco.
 
"Bene... Vedo che hai deciso di partecipare anche tu alla riunione dei mori con gli occhi chiari! Facciamo progressi!" – aveva esclamato con voce bassa e suadente.
Quella battuta lo aveva spiazzato.
"Io mi chiamo Damon. Damon Salvatore" – gli aveva detto – “E tu sei?”.
Ma quella domanda non aveva ricevuto risposta. Doveva usare un altro metodo, a quanto sembrava.
"Senti, mi dispiace per quello che hai visto poco fa... So che è inusuale, ma non devi avere paura di me... Io voglio aiutarti. Credi che sarei stato così gentile, altrimenti?" - sorridendo, gli aveva sistemato il colletto della giacca del pigiama.
 
Era confuso, ancora più confuso di prima. Nonostante quello che aveva appena visto, quel ragazzo, Damon, gli sembrava sincero.
I suoi occhi erano così limpidi… Aveva avuto la sensazione che potesse leggergli dentro, e gli era parso che lui fosse triste, molto triste.
 
"Come ti senti?".
 
Domanda più che adeguata. Come spiegare che avvertiva la sensazione di essersi smarrito?
Un peso opprimente gli stava schiacciando il petto, ma era il vuoto che aveva nella mente a rendere tutto così terribilmente spaventoso.
Improvvisamente, e solo dopo averci riflettuto, si era accorto di come stavano davvero le cose, e i suoi occhi si erano sbarrati dal terrore.
 
"Ehi... Stai bene?".
 
Lacrime. Il ragazzo stava piangendo.
 
"Non lo so” – aveva risposto, cercando di reprimere un singhiozzo – “Io non ricordo. Non ricordo neppure il mio nome".
 
Se il ragazzo non avesse perso i sensi per lo shock, probabilmente questo sarebbe capitato a lui.
 
Continua…

 

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Capitolo 7
*** Celine ***


Celine
 
Era passato più di un giorno, ma di Castiel non c'era la minima traccia.
Dean non aveva riposato neppure un attimo, dedicando anima e corpo alla ricerca dell'amico apparentemente sparito nel nulla. Le occhiaie stavano deturpando il suo viso ormai troppo stanco, e Sam era certo che se non avesse riposato almeno per un paio d’ore presto sarebbe collassato.
 
"Dean, è passato solo un giorno... Non potevi pretendere che filasse tutto liscio come l'olio".
"Lo so Sam. Ma speravo almeno di farmi venire in mente qualche buona idea!" – aveva risposto, acido.
Continuava a fare su e giù per la stanza del motel che avevano fittato per la notte, incapace di stare fermo, incapace di trovare una soluzione a quell’enigma.
"Se continui così farai un solco nel pavimento".
Esasperato, aveva allargato le braccia in segno di resa, alzando gli occhi al cielo. Suo fratello si stava divertendo a tormentarlo o cosa?
Sfinito, ed oltremodo irritato, si era lasciato cadere sul letto, facendolo scricchiolare in maniera sinistra.
 
"Cerca di dormire Dean... Magari Cass riuscirà a contrattarci in sogno".
 
Aveva pensato a quell’eventualità. Ci aveva pensato eccome, ma Cass era ridotto troppo male per fare una cosa del genere. E come avrebbe potuto addormentarsi, sapendo che Cass poteva morire atrocemente da un momento all’altro?
In silenzio, vinto dallo sconforto, si era raggomitolato su di un fianco.
"Troveremo un modo Dean... Te lo promet-".
 
Ma non aveva potuto finire di pronunciare quella frase, perché un istante dopo Sam era stato scaraventato contro la porta del bagno della stanza, porta che si era ridotta in mille pezzi.
 
Dean era balzato in piedi, in allerta, scoprendo che suo fratello era stato attaccato dallo stesso bastardo che aveva fatto del male a Castiel.
 
"Sei vivo, lurido schifoso!".
 
Si era scaraventato su di lui senza pensare, afferrando all’ultimo minuto il pugnale di Ruby, con l’intento di torturare quell’abominio fino a renderlo docile come un agnellino.
Era diventato una iena. Avrebbe fatto giustizia, avrebbe scoperto cosa voleva quello schifoso da Castiel, e ci sarebbe riuscito se un’esplosione di luce improvvisa non avesse invaso la stanza, costringendolo a tornare sui suoi passi.
I due fratelli si erano protetti gli occhi con le mani comprendendo perfettamente quello che stava loro accadendo in quella stanza.
Era durato tutto il tempo di un battito di ciglia.
Quando avevano aperto gli occhi, non c’era più alcuna traccia di quel bagliore accecante.
Per un brevissimo istante, Dean aveva sperato che si trattasse di Cass, ma era evidente che la figura che si trovava davanti ai loro occhi non era quella del loro angelo custode.
 
Era una donna. Una giovane donna dai lunghissimi capelli castani, ed era inginocchiata accanto al corpo che fino a qualche istante prima era stato occupato dal demone.
 
Stava sussurrando al suo orecchio di non avere paura, che presto sarebbe tornato a casa e che sarebbe di certo andato tutto bene, scomparendo insieme a lui senza neanche dare il tempo ai due fratelli di protestare.
 
"Dean, pensi che sia...".
"Salute a voi, fratelli Winchester".
 
Era piombata così all’improvviso da farli sobbalzare. La scena avrebbe avuto qualcosa di comico se qualcuno non avesse saputo come stavano realmente le cose: due uomini adulti stavano tremando di fronte ad una donna apparentemente innocente, una donna la cui voce era come una melodia irresistibile e il cui aspetto era a dir poco celestiale.
Era di media statura, dal fisico asciutto ma formoso, aveva la pelle chiarissima e i capelli castani lunghi fino al fondoschiena, arricciati solo alle punte. I suoi occhi erano di un verde scurissimo, un verde velato da piccole pagliuzze dorate.
Indossava un semplice paio di jeans chiari, una maglia larga e bianca e ballerine dello stesso colore.
Era una donna come tante altre. Una donna che, però, era stata scelta come tramite da un angelo.
 
"Non dovete temermi, fratelli Winchester” – aveva proseguito, cercando di rassicurarli e di riempire quel silenzio opprimente – “Io sono Celine, e sono un angelo del Signore".
                              
*
 
"Celine, eh? Gran bel nome!" - Dean aveva pronunciato quella frase con un pizzico di tremore nella voce, rimettendosi in piedi. Gli era sembrato di rivivere il momento in cui aveva conosciuto Castiel.
"Che cosa ne è stato del demone, Celine?" – aveva chiesto un Sam che continuava a sentirsi terribilmente in soggezione.
Lei continuava a guardarli, seria. Sam aveva percepito un velo di preoccupazione in quegli occhi così belli.
"Lui non esiste più. L'uomo che aveva posseduto si trova nel proprio letto, adesso. Non ricorderà nulla di tutte le atrocità che ha vissuto".
Chiara e concisa. Tipico degli angeli, aveva pensato Dean.
"Perché sei qui, Celine?" - non poteva proprio fare a meno di ripetere il suo nome.
 
L’angelo aveva chinato il capo, chiudendo gli occhi dolcemente, quasi avesse avuto bisogno di un istante per raccogliere le idee e le energie necessarie per rispondere.
"Io sono qui per Castiel, Dean".
L’agitazione si era impossessata di entrambi i ragazzi, ma era stato su Dean che aveva avuto l’effetto peggiore.
"Ehi, senti Celine, abbiamo già abbastanza problemi con il Paradiso e con l'Inferno. Sappiamo che Cass ha disobbedito, ma non puoi… Non puoi punirlo. Non te lo lascerò fare" - voleva suonare come un avvertimento, ma era sembrato più lo sfogo di un uomo disperato.
 
Lei non aveva proferito parola, continuando a guardarlo dritto negli occhi, quasi come se volesse leggergli dentro, nell'anima.
"Io non voglio fargli del male".
I due fratelli si erano scambiati un'occhiata incerta.
"Come facciamo ad esserne sicuri?".
Sam pensava che Dean avesse osato troppo. Dopotutto, quello era sempre un angelo, e anche se non riusciva a spiegare il perché, lei lo intimoriva.
 
Nell’udire quelle parole, Celine si era avvicinata a loro, posando entrambe le mani sul petto dei due fratelli, esattamente all'altezza dei loro cuori.
Dean e Sam erano stati improvvisamente pervasi da un calore che non avevano mai avvertito prima d'ora. Era una sensazione nuova, una sensazione a loro quasi sconosciuta.
Non sapevano come avesse fatto, ma quell’angelo, Celine, era riuscita a rassicurarli. Ora sapevano di potersi fidare ciecamente di lei.
 
"Sam, Dean, ho bisogno del vostro per ritrovare mio fratello".
 
A quanto sembrava, Dean era stato preso alla lettera. Alla fine aveva davvero smosso il Paradiso pur di ritrovare Castiel.
 
*
 
L'angelo li stava osservando, in silenzio.
Sembrava che stesse attendendo le loro domande, domande che non avrebbero tardato ad arrivare.
 
"Sei una fuggiasca anche tu?" – aveva chiesto Sam, che continuava a tormentarsi le mani da quando lei era arrivata.
Dean non riusciva a smettere di guardarla.
Sapeva che quella non era la sua vera forma, che quello che avevano davanti era solo il suo tramite umano, ma continuava a pensare che fosse bellissima.
Il solo guardarla lo intimoriva, eppure, allo stesso tempo, lei era stata capace di infondergli calma e speranza come solo Cass era riuscito a fare prima di allora.
Chi era quell’angelo? Non vedeva l’ora di scoprirlo. Non vedeva l’ora di sapere se aveva o meno notizie su Castiel.
 
Prima di rispondere, Celine si era seduta sul bordo della finestra, sbirciando fuori.
Quel gesto era talmente comune, talmente umano. Sì, era proprio diversa dagli altri angeli.
 
"Se fossi stata una fuggiasca, non avrei avuto le energie necessarie per esorcizzare il demone e distruggerlo".
Era vero. Proprio per questo Dean era diventato improvvisamente scuro in viso.
"Se sei ancora alle dipendenze di Zach, perché vuoi aiutare Cass?".
Celine gli stava sorridendo, triste.
"Noi angeli non siamo tutti uguali, Dean. Avete mai sentito parlare di Cori Angelici?".
Dallo sguardo dei ragazzi, era evidente che non fossero ferrati in materia.
"In ordine decrescente di potere, alla prima gerarchia vi sono i serafini, i cherubini e i troni.
Alla seconda gerarchia appartengono dominazioni, virtù e potestà.
Alla terza principati, arcangeli e angeli".
"Stai dicendo che gli arcangeli sono tra i più sfigati della catena alimentare?".
Sam aveva dato una gomitata a Dean.
"Ahi!".
"Idiota!".
Quella scenetta sembrava che avesse divertito profondamente Celine.
"Gli arcangeli sono anche serafini o cherubini oltre ad essere tali".
"Bene! Che fregatura...".
Sam aveva intenzione di strangolarlo se non l'avesse finita con quel sarcasmo da quattro soldi.
"Tu, a che ordine appartieni?".
"Io sono un serafino, Sam. Zach, come lo chiama Dean, appartiene all'ordine dei principati".
 
Un Serafino. Celine era un serafino. Avevano davanti l’incarnazione della pura potenza angelica.  
Forse adesso Dean avrebbe smesso di fare il cretino.
 
"Scusa se te lo chiedo, ma se sei un Serafino, perché hai bisogno di noi per cercare Castiel? Non dovresti sapere tutto di tutti?".
 
La domanda di Dean era stata più che legittima, ma Celine si era improvvisamente rabbuiata.
 
"E’ proprio questo il punto, Dean. Io... Io non riesco più a sentirlo da tempo, ormai".
Sembrava che i suoi occhi fossero diventati liquidi.
Possibile che un angelo, un angelo tanto potente, provasse anche solo una parvenza di sentimenti umani?
Senza vergognarsi, si era asciugata gli occhi con la manica della sua maglietta.
“Non riesco più a percepire la sua essenza... Per questo ho iniziato a cercarvi disperatamente. Ma voi siete stati marchiati, e per me era impossibile rintracciarvi...
Vi ho trovato seguendo il demone... Aveva addosso l'odore di mio fratello...".
Possibile che quel mostro avesse ancora su di sé l' odore del sangue di Castiel? Quel pensiero aveva fatto rabbrividire Dean.
"Quel… Quel mostro aveva cercato di rapirlo e di bere il suo sangue" - Sam aveva pronunciato quella frase nel modo più delicato possibile, sempre se esso potesse esistere per comunicare una cosa del genere.
"Cass ha scatenato un'energia pazzesca... E poi è sparito... Non abbiamo idea né di dove sia, né di come abbia fatto a fare una cosa del genere. Stava male, Celine... E, la sua Grazia... Sì, insomma, lo sai" - aveva chinato il capo, sconfitto.
Lei aveva chiuso gli occhi, in lacrime.
"Cass...".
"Che cosa non ci stai dicendo, Celine?".
Dean le aveva poggiato una mano sulla spalla, come per infonderle coraggio e spronarla a continuare ad andare avanti.
Lei lo aveva guardato negli occhi, finalmente in grado di comprendere che fosse proprio vero quello che si diceva su di lui. Dean Winchester non era un umano come tutti gli altri.
"Sono tante le cose che non sapete… Sono troppe… E fino a qualche tempo fa non credevo che fosse corretto, credevo che fosse meglio per tutti tenerlo segreto, ma… Sono convinta che tacere non serva. Ora so che il momento di raccontare la storia di Castiel è arrivato. E’ giusto che voi sappiate quale sia la vera storia di Castiel".
 
Continua…

 

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Capitolo 8
*** Arcangel ***


Arcangel
 
Celine aveva il viso stanco. Era come se si fosse persa nei ricordi di un tempo talmente lontano da non poter essere compreso dagli umani, ma era come se allo stesso tempo quei ricordi fossero vivi, veri, proprio come se li stesse vivendo in quell’istante, e che essi fossero talmente dolorosi da averla schiacciata con il loro peso così opprimente.
 
"Castiel non era un comune angelo...” – aveva detto, dopo aver fissato a lungo un punto impreciso fuori dal vetro rimasto miracolosamente intatto durante il suo arrivo – “Mio fratello era un arcangelo".
 
Quella confessione aveva lasciato di stucco Dean e Sam, increduli davanti a quelle parole.
 
"Un arcangelo? Come poteva essere un arcangelo?" – Dean non era riuscito a trattenere la propria sorpresa. Cass, il suo Cass, era un arcangelo, una delle creature più potenti create da Dio in persona.
Cosa gli era capitato? Era stato forse degradato? Ma gli angeli potevano essere degradati?
 
Celine lo aveva lasciato riflettere, attendendo il momento di riprendere a raccontare quella storia dall’incipit così sconvolgente.
 
"Cassiel era il suo nome originario, il nome che gli aveva dato nostro Padre. Lui era stato creato poco tempo prima che scoppiasse la battaglia contro Lucifer, poco prima che nostro fratello cadesse.
Quelli sono stati tempi bui. Bui ed estremamente duri. Il Paradiso era spaccato in due diverse fazioni, e credetemi se vi dico che era molto più vicino all’Inferno di quanto possiate immaginare. Ovunque regnavano morte e distruzione. Ho visto fratelli e sorelle uccidersi a vicenda senza pietà. Ho visto un orrore tale che non potrei spiegarvi nemmeno se volessi. A volte, sento ancora le urla dei caduti riecheggiare nella mia mente.
Michael era potente oltre ogni immaginazione. Splendeva come non mai di una luce che non credevamo possedesse, ma Lucifer era pur sempre nostro fratello, un fratello a cui tutti, egli stesso, volevano bene, un fratello contro cui è stato tremendamente difficile combattere.
Cassiel era un arcangelo, ma era troppo giovane e impreparato, un soldato non adeguato ad affrontare un conflitto di tale portata. Nonostante il suo smarrimento iniziale, ha fatto tutto quello che era nelle sue possibilità per salvare il Paradiso. Ha fatto tutto quello che ha potuto finché non è perito in battaglia… E questo è successo perché Cassiel ha voluto salvare me".
 
Era morto? Cassiel era morto? Entrambi i fratelli Winchester si erano guardati in viso, increduli. Quella storia non poteva essere vera, ma nessuno dei due aveva avuto il coraggio di obiettare.
 
"Mi sono lasciata sorprendere dai miei fratelli ribelli come una novellina. Mi avevano presa alle spalle. Sarei morta se lui non fosse sopraggiunto, se lui non mi avesse protetta. Ma non era pronto... Non era abbastanza istruito per poterli fermare tutti.
Eppure, nonostante non fosse ancora all’altezza, ha liberato un’energia inimmaginabile pur di farmi scudo, pur di proteggermi. Era amore… Era l’amore più puro ed innocente che avessi mai visto in tutta la mia lunga vita.
E' stato il suo amore, è stato il suo sacrificio a fermare gli alleati di Lucifer, in modo da permettere a Michael di imprigionarlo nella gabbia. E’ stato solo grazie a Cassiel se abbiamo vinto quella guerra immonda".
 
Cass aveva salvato il Paradiso. Castiel, o qualsivoglia Cassiel, aveva salvato non solo Celine, ma tutti i suoi fratelli sacrificando la propria esistenza.
Lo stomaco di Dean aveva appena fatto una dolorosa capriola. Quel gesto gli aveva fatto tornare in mente il momento in cui aveva sacrificato la propria vita a favore di quella di Sam. Quel gesto gli aveva fatto capire quanto simile a lui fosse stato e fosse ancora Castiel.
 
"La guerra era terminata, e noi avevamo vinto, ma pagando un prezzo troppo alto. Avevo visto tanti fratelli cadere, ma nessuno di loro si era esposto così palesemente per salvare la mia vita come lui. Cassiel non aveva mai dimostrato particolare simpatia nei miei riguardi. Mi rispettava, ma ero solo una delle sue tante sorelle. Eppure, ha deciso di immolarsi per salvarmi, ed io mi sentivo responsabile della sua scomparsa, responsabile e in colpa.
E' stato in quel frangente che mi sono accorta di provare un turbinio di diverse emozioni di cui non conoscevo neanche l'esistenza, emozioni che nostro Padre aveva donato a voi esseri umani.
Rabbia, dolore, amarezza. Non riuscivo a gioire per la vittoria riportata.
Avevamo subito troppe perdite, e non riuscivo a credere che nessuno riconoscesse il valore dei nostri caduti, soprattutto quello di Cassiel.
Col cuore in pezzi, mi sono ritirata nella mia solitudine, a meditare e a pregare.
E' stato allora che mi sono accorta della presenza di una flebile energia che aleggiava nell’aria. Non riuscivo a crederci, ma quella era l'essenza di mio fratello, era l’essenza di Cassiel. Era una cosa impossibile, lo sapevo bene, ma forse mio Padre mi aveva ascoltata, e aveva deciso di concedere a lui una seconda possibilità e a me il modo di ringraziare quel fratello che mi aveva amata fino al punto di perdere la propria vita.
Quello era Cassiel, non c’erano dubbi, ma era diverso... La sua luce non era più così brillante, la sua essenza era stata come… mutilata”.
 
“Castiel è nato dal sacrificio di Cassiel...” – aveva osato intervenire Sam, ancora sconvolto, ma ormai perfettamente consapevole che quella fosse l’unica storia plausibile.
“Sì, Sam. Mai prima di allora si era verificata una cosa simile" - Celine aveva preso a tormentarsi le mani - "Era diventato un semplice angelo. Un angelo smarrito e spaventato. Un angelo che tutti evitavano, di cui nessuno voleva prendersi cura.
Non ricordava nulla della sua brevissima esistenza precedente. Niente. Né delle missioni che gli erano state assegnate, né del suo sacrificio fatto per salvarmi. La sua mente era completamente vuota" - si era stretta le braccia attorno al petto, cercando conforto dal suo stesso abbraccio.
"Che cosa è successo, dopo, Celine? Tu che cosa hai fatto con Castiel?”.
"Ho fatto quello che era giusto fare, Sam. Mi sono presa cura di lui".
"Bene. Gli angeli non sono tutti dei fottuti bastardi, a quanto pare. C’è qualcuno di speciale, fra di loro”.
La giovane donna aveva sorriso, prima di rispondere.
"I miei fratelli non sono stati della tua stessa opinione, Dean".
Il suo sguardo si era indurito.
" ‘Perché mai un serafino dovrebbe prendersi cura di un angelo di così basso rango?’, era questo che continuavano a ripetermi" - era scesa di scatto dal davanzale - "Ci hanno emarginati. Hanno minacciato di abbassarmi di rango se avessi continuato a provare sentimenti umani nei suoi confronti, se avessi continuato a comportarmi come una di quelle ‘sciocche madri umane’, perché quello non era il mio compito. E' stato allora che Castiel si è fatto assegnare alla guarnigione guidata da Anna.
Pensavo che mi avesse abbandonata, che per la paura di essere punito avesse deciso di allontanarsi da me. Ma poi ho scoperto come erano andate realmente le cose, ho scoperto che si era allontanato perché loro avevano deciso di punirmi.
Mi aveva salvato per la seconda volta, Dean. Mi aveva salvata, ed io non ho mai potuto ringraziarlo".
"Che significa che non hai più potuto ringraziarlo?".
"Io non ho mai più visto Castiel da allora".
 
Celine non vedeva suo fratello da centinaia di migliaia di anni, e questo per colpa di quell’ammasso di stupidi bastardi piumati che la chiamavano sorella.
Era una crudeltà, una crudeltà gratuita! Dean si era sentito vuoto, strappato a metà senza Sam, come poteva immaginare di trascorrere l’eternità senza di lui al proprio fianco, senza suo fratello?


"Mi hanno spezzato quel cuore che non credevo di avere. Lo hanno ridotto in centinaia di minuscoli frammenti impossibili da rimettere insieme. Non sono più stata il serafino di un tempo. I miei pensieri erano sempre rivolti al mio adorato fratello, a quel fratello che era stato costretto a lasciarmi.
Sono andata avanti, e non ho fatto nulla per incontrarlo solo perché non volevo che fosse lui a rimetterci. Anna è sempre stata severa ed intransigente, e temevo per la sua incolumità. Se lo avessero giudicato, per lui non ci sarebbe stato scampo, visto che sin dall’inizio era stato considerato uno scarto, un angelo di serie D, un peso più che una benedizione.
In verità, il loro odio era generato dall’invidia. Nostro Padre aveva salvato lui, solo lui, e questo loro non riuscivano ad accettarlo. Avevano condannato me per i sentimenti umani che avevo sviluppato quando i loro erano ben più infimi e vili.  
Non ho avuto sue notizie fino ad un anno fa, quando mi hanno detto che un semplice angelo era stato in grado di salvare dalle fiamme dell’Inferno colui che aveva spezzato il primo sigillo e dato il via all'Apocalisse. Non riuscivo a credere che si trattasse del mio Castiel, che proprio lui avesse riportato in vita Dean Winchester”.
 
Gli occhi di Celine stavano brillando. Era palese l’orgoglio che provava nei confronti di Castiel, quanto profondamente lo amasse.
Erano troppe le domande che entrambi i fratelli avevano da porre a quella creatura così unica. Ma prima c’era da attendere che terminasse il suo racconto.
 
"Scendere all'Inferno è stato pericoloso per lui. Ho pensato che gli avessero affidato questo compito per punirlo o semplicemente per fare da apripista agli altri angeli, e che non fosse in grado di portarlo a termine, che potesse morire.
Invece, ti ha riportato in vita, ti ha marchiato, ed è ritornato in Paradiso come se fosse stata la cosa più naturale del mondo. E questo perché l’arcangelo che era in lui non era veramente andato via.
L'amore di Castiel è grande Dean. E’ così grande da smuovere l’Inferno. Così grande che potrebbe far tremare il Paradiso. E lui l’ha donato a te".
 
Dean era piombato in un imbarazzo a dir poco malcelato, imbarazzo che era stato immediatamente notato da Sam. Di certo, anche se Cass era un angelo, quella rivelazione non era semplice da accettare per uno come Dean Winchester.
 
"Ho iniziato a cercarlo da quando ho saputo che era caduto per aiutare voi due” – Celine aveva interrotto il filo dei loro pensieri – “Non riuscivo a credere che Castiel avesse perso la sua Grazia, e per un breve periodo sono stata in collera con entrambi. Ma poi ho capito che aveva di nuovo fatto tutto ciò per amore. Non avrei dovuto cercarlo, ma come potevo dimenticarmi di lui? Del fratello che amavo così incondizionatamente? Volevo raggiungerlo, volevo aiutarlo, ma lui si nascondeva agli occhi del Paradiso. Era come un topolino da stanare. Eravate l’unico modo che mi permettesse di mettermi in contatto con lui, ma lui… Castiel vi ha marchiato, e per me siete diventati irraggiungibili. Proprio come lui.
Il nostro legame si era spezzato. Non sapevo più come cercarlo, dove cercarlo. Sono scesa sulla Terra, disperata, prendendo il corpo che questa donna mi ha gentilmente offerto per protrarre la mia causa.
Stavo perdendo le speranze, ma poi ho avvertito quell'esplosione di energia che non avrei mai potuto confondere con nessun'altra.
Era lui, era mio fratello Castiel.
L'energia dell'arcangelo che si era assopita dentro di lui si era manifestata nonostante la perdita della Grazia. Ancora una volta, mi aveva lasciata senza parole”.
"Cass sa farsi valere” - Dean aveva pronunciato quelle parole con orgoglio. Il suo Cass non era poi così sfigato come sembrava.
"Ma ora, ora lui non è qui. E quel demonio non ha saputo dirmi niente su di lui. Se fosse morto, Dean? Se fosse morto, come potrei dirgli per l’ultima volta quanto lo amo? Come?".
Si era coperta gli occhi con le mani, nascondendo le lacrime.
Dean l'aveva costretta a girarsi verso di sé e le aveva afferrato il volto tra i suoi grandi palmi, guardandola dritta nei suoi splendidi occhi liquidi.
"Cass è vivo, Celine. Io riesco a sentirlo. So che può sembrarti assurdo, ma è così. Io lo sento. E posso garantirti che ovunque si trovi, è ancora qui con noi".
“Tutto questo non ha alcun senso” – aveva esclamato la ragazza, fra le lacrime – “Come puoi tu, un comune essere umano, riuscire a sentire e a vedere ciò che a me è celato?" - non era stato un rimprovero, e non vi era risentimento nella sua voce. Si trattava solo di una semplice constatazione, una constatazione che la stava facendo soffrire terribilmente.
"Non ne ho la più pallida idea. E credimi se ti dico che la cosa mi spaventa, e non poco. Ma lo ritroveremo Celine. Giuro sul mio nome che lo ritroveremo".
 
Continua…
________________________________________________________________________________
 
*Cleo ricompare magicamente*.
 
Bene, spero che il capitolo vi sia piaciuto.
Ho sempre pensato che Cass fosse speciale più di ogni altro angelo, che in lui si nascondesse un potere inimmaginabile, e che Dio lo avesse benedetto perché lui ama, a differenza dei suoi fratelli, ama in maniera incondizionata.
E questo suo amore, prima riversatosi su Celine, adesso si è riversato su Sam e principalmente su Dean.
 
Spero che il personaggio di Celine vi piaccia. E’ un angelo non convenzionale, me ne rendo conto, un angelo che ha sviluppato sentimenti umani senza frequentare la ‘nostra specie’. Ho forse osato troppo?
Mi auguro di no…
 
Vi saluto, augurandomi di ritrovarvi nei prossimi capitoli.
Un bacio grande.
A presto.
Cleo

 

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Capitolo 9
*** L'ospite ***


L’ospite
 
Damon aveva passato l'intera giornata a vegliare il sonno dello sfortunato ragazzo che aveva raccolto come un gattino trovato per strada.
Dopo aver perso i sensi non si era più ridestato. Il suo respiro era leggermente affannato, e aveva ancora la febbre. Non gli piaceva, non gli piace affatto, ma non aveva medicinali in casa, e voleva rimanere fedele al proposito di non somministrargli altro sangue senza il suo permesso. Proprio per questo non vedeva l’ora che si svegliasse.
 
Non aveva più ripetuto quel nome.
A ben pensarci, probabilmente non si ricordava neppure chi fosse questo Dean, viste le sue ultime rivelazioni.
Si era ritrovato in casa un uomo bello, ferito, febbricitante, e che per giunta aveva perso la memoria. Davvero un bel quadretto.
 
"Ah... Damon, Damon... Ma come fai a trovarti sempre in situazioni tanto surreali?"- si era detto, stiracchiandosi sulla poltrona in maniera un po' scomposta.
Doveva ammettere che un po' di compagnia non gli dispiacesse affatto, tutto sommato, anche se al momento il suo ospite non era in grado di sostenere una conversazione. Evidentemente il suo letto era veramente comodo!
 
Era rimasto da solo così tanto a lungo da aver dimenticato cosa significasse avere un'altra persona in casa.
Senza che potesse rendersene conto, la sua mente era tornata a due anni addietro, anni in cui tutto era diverso, anni in cui tutto, anche le sue innumerevoli sofferenze, aveva un senso.
 
Erano stati i lamenti sommessi del suo ospite ad averlo riportato bruscamente al presente. Si stava finalmente svegliando.
 
Non riusciva a spiegarsene la ragione, ma quando i suoi meravigliosi occhi blu si erano posati un po' incerti su di lui, Damon aveva avuto un fremito.
La sensazione che gli leggesse sin dentro l'anima era ogni volta sempre più intensa. Che cosa aveva di strano quel gattino?
 
"Buon risveglio, bell'addormentato...".
Gli aveva versato un bicchiere d'acqua, e si era seduto sul letto accanto a lui, aiutandolo a sollevarsi e a berne qualche sorso.
L’uomo era evidentemente terrorizzato.
"Ancora questo sguardo? Non voglio farti del male, come devo fartelo capire?".
Si era appiattito contro la testiera del letto, senza distogliere un attimo gli occhi da quelli di Damon.
"Che cosa sei tu?".
"Non devi avere paura di me" – aveva detto, facendogli una carezza sulla fronte - "Non ci sono giri di parole per dirlo. Io sono un vampiro".
"Un-un vampiro?" – aveva detto, incuriosito più che spaventato, in realtà.
Damon aveva annuito, sorridendo.
"Sì, un vampiro! Un succhia-sangue, un… Ok, no, lascia stare, non preoccuparti... Non vado in giro a nutrirmi della gente... Questo lo faccio solo se è lei a chiedermelo. Bevo sangue rubato dagli ospedali, per lo più...
Mi rendo conto che ciò sia profondamente meschino, ma devo pur sopravvivere, non trovi?".
Se non era scappato via terrorizzato dopo quella rivelazione, poteva star certo che non l’avrebbe fatto mai più.
 
Il suo ospite non sembrava per nulla impressionato. Continuava a fissarlo, cercando di smascherarlo, di scoprire se avesse dell’altro da nascondere. Forse, voleva che gli raccontasse qualche particolare in più della sua esistenza vampiresca, ma lui non era per niente in vena.
Sorridendo in maniera un po’ incerta, Damon si era seduto in maniera più comoda sul letto, proprio accanto a lui.
"Dunque, appurato che non sono un assassino anche se mi nutro di sangue, passiamo al punto. Come ti senti?”.
Toppato. Aveva toppato alla grande.
Il bel viso dell’uomo si era rabbuiato, e i suoi occhi si erano intristiti così tanto da fare male al cuore.
Ma ciò non poteva essere evitato. Era l’unico modo per poterlo aiutare a stare meglio.
“Non ricordi proprio niente?".
L'uomo aveva scosso il capo, triste.
"Neanche il tuo nome?".
Aveva lo sguardo perso nel vuoto.
"E' tutto un enorme buco nero... Mi dispiace...".
Damon aveva sfoderato lo sguardo più serio del suo intero repertorio.
"Ehi... Non osare dire che ti dispiace, va bene? Non è colpa tua se non ricordi niente".
 
La sua reazione non aveva tardato ad arrivare: un sorriso abbozzato si era instaurato sulle sue labbra screpolate.
“Che cosa mi è successo?”.
"A dir la verità non lo so. Ti ho trovato in un vicolo buio, mezzo nudo, ferito e coperto di sangue. Non ti avevo mai visto prima, noi non ci conosciamo, ma non potevo lasciarti lì... ".
Il ragazzo era visibilmente impressionato da quel racconto a lui sconosciuto. Gli sembrava impossibile che fosse lui il protagonista di quella storia così terribile, una storia senza incipit.
"Eri messo piuttosto male, e così ti ho dato da bere il mio sangue. Non impressionarti, il sangue dei vampiri è curativo se assunto in piccole dosi. E se non si muore avendolo in circolo".
"Perché? Che cosa accadrebbe in quel caso?".
Era riuscito a catturare la sua attenzione, a quanto sembrava. Era inutile, smemorati o meno, l’argomento ‘vampiri’ finiva sempre per attrarre tutti quanti.
"Bè, se ti interessa nutrirti di sangue per tutto il resto dell'eternità avvisami... Potrebbe essere divertente avere accanto un compagno smemorato".
D'istinto, l'uomo dagli occhi del cielo si era allontanato da lui, quasi come se avesse preso la corrente.
"Ehi! Che fai? Sto scherzando! Vieni qui...".
Senza permettergli di rifiutare, lo aveva attirato a sé, cominciando a sbottonargli la giacca del pigiama.
"Che cosa-che cosa vuoi farmi?".
Damon sembrava non averlo sentito, e gliel'aveva sfilata completamente.
"Ti prego, non farmi del male...".
Il vampiro l'aveva spronato a spingersi contro di lui, facendogli affondare il viso nell'incavo della sua spalla, per poi sporgersi in avanti e guardare la sua schiena nuda.
"Hai proprio due brutte cicatrici, lo sai?" - aveva passato delicatamente le dita su di esse - "Vorrei tanto sapere che cosa ti hanno fatto… Bastardi…".
Non era riuscito a trattenersi. Nell’udire quelle parole, si era come sciolto, e aveva abbracciato con forza il suo salvatore, soffocando le sue lacrime amare contro di lui.
Damon si era pentito di quel gesto. Evidentemente non era stato il momento adatto per rivelargli quella verità e per fare simili osservazioni.
Doveva aver sofferto immensamente, e il non sapere cosa gli fosse accaduto lo stava facendo sentire ancora peggio.
Aveva commesso un errore, ma era ancora in tempo per rimediare. Gli aveva dato da bere il suo sangue. Aveva condiviso con quel ragazzo qualcosa di suo, e compiendo quel gesto era come se avesse giurato a se stesso di proteggerlo.
 
"Ssshh... Ehi, amico… Non piangere… Finché rimarrai con me, nessuno ti farà del male... Lo giuro sul mio onore".
Si era scostato dal suo petto, guardandolo con quei suoi occhi rossi di pianto.
Era stato sconvolto abbastanza per oggi, sarebbe stato saggio concedergli un po’ di normalità.
"Ehi, devi rimetterti in forze! Vieni di là con me. Ti mostrerò come se la cava un vampiro ai fornelli!" - gli aveva asciugato le lacrime con il tocco delle proprie dita ed era piombato giù dal letto, per poi sparire dietro la porta della camera da letto, lasciandogli il tempo di pensare.
 
Lui lo stava guardando, sorridendo titubante.
Non riusciva a credere di essere nelle mani di un essere simile, di un mostro, infondo, ma un mostro che aveva dimostrato di avere un cuore grande.
 
"Stavo pensando!" - aveva detto comparendo all'improvviso davanti a lui, facendolo sobbalzare - "Finché non ricorderai chi sei dovrò darti un nome. Non posso continuare a chiamarti 'ehi'...".
Un nome… Già, chissà qual era il suo.
"Che ne pensi di Brian?".
Brian... Anche se lo aveva colto un po' alla sprovvista, Damon non aveva scelto male.
"Penso che potrebbe andare bene...".
"Allora affare fatto, Brian!"- era a dir poco soddisfatto - "Ora, vieni i cucina! Per una volta che ho un po' di compagnia, non voglio proprio lasciarmela scappare".
 
*
 
Brian - come lo aveva chiamato Damon - si era accomodato sul divano di pelle nera sistemato in cucina, e stava osservando incuriosito e incredulo il vampiro mentre preparava la cena.
 
Non riusciva ancora a credere a quel racconto pieno di lacune. Aveva perso la memoria, era stato probabilmente torturato, lasciato a morire in un vicolo, ed era stato trovato e salvato da un vampiro che gli aveva dato da bere il suo sangue e che stava cucinando per lui dopo avergli dato un nome, proprio come si fa con gli animali domestici.
Si sentiva ancora molto stordito, e anche un po' stupido a dire il vero, e non sapeva se fidarsi o no di 'Damon il vampiro'. Quella cosa beveva sangue umano. Lo aveva ammesso senza fare troppi complimenti, ma se fosse stata solo una tattica? Qualcosa gli stava dicendo che forse non avrebbe dovuto fidarsi di lui. Ma i suoi occhi, la luce che emanavano quelli che all’apparenza potevano sembrare pezzi di ghiaccio gli stava suggerendo che poteva credere alle sue parole, anche se sembravano così bizzarre.
E poi, se avesse voluto fargli del male lo avrebbe già fatto, no?
 
Non aveva potuto fare a meno di pensare che fosse bello osservarlo mentre si destreggiava col coltello come un cuoco esperto.
Nell'aria stava aleggiando un profumo di verdure saltate in padella davvero invitante, ma solo quando il suo stomaco aveva iniziato a fare i capricci, Brian si era accorto di avere fame.
"Non ci vorrà molto... Il tempo che la carne si insaporisca per bene e la metterò a cuocere".
Si era accorto che Damon aveva messo a marinare due fese di carne di dimensioni colossali, e un dubbio amletico lo aveva assalito.
"Ma tu... Tu mangi?".
Facevano progressi. Bene… Molto bene.
"Bè, so che può sembrare strano, ma mangiare può aiutarmi a non sentire l'altro tipo di fame... Mai come l'alcol, però. Quello è davvero miracoloso!".
Damon aveva un sorriso contagioso, oltre a possedere un carisma a dir poco unico. Era in grado di metterlo a suo agio con i suoi modi e le sue battute continue. Brian si sentiva sempre più rilassato.
"Voilà!" – così dicendo, aveva messo la carne al fuoco.
 
Dieci minuti dopo, era pronto in tavola.
Brian aveva avuto qualche problemino nell'alzarsi dal divano, ma Damon era stato pronto a sorreggerlo.
"Ti sto dando proprio un bel da fare... Scusami".
Aveva deciso di farlo stare sul divano. Era troppo debole, e poco gli importava se si fosse macchiato. Quella casa era fin troppo immacolata adesso che ci pensava. Era giunto il momento di viverla pienamente.
 
“Dai qui…”.
Nel vedere Damon intento a tagliargli la carne, Brian era arrossito di colpo.
"Non sono messo così male...".
"Dici? E' evidente che non ti sei guardato allo specchio... Il tragitto dalla camera da letto sino a qui ti ha distrutto. Ora da bravo, apri la bocca...".
Ritrovando una forza improvvisa – forza scaturita dal crescente imbarazzo - Brian aveva strappato la posata dalle dita di Damon, addentando avidamente il boccone.
"Ma che bravo bambino" – aveva ironizzato, e si era sistemato sul divano, accanto a lui, col proprio piatto in grembo.
"Lo sai che le verdure ti aiutano a crescere sano e forte, vero?" – lo aveva preso in giro Damon dopo aver visto che le aveva scartate tutte.
"Non sei affatto simpatico".
"Tu finisci quello che hai nel piatto, poi parleremo del mio umorismo inglese".
Brian stava guardando le verdure con stizza. Doveva proprio mangiarle?
"Da bravo".
Dopo aver roteato gli occhi mimando finta disperazione, aveva ceduto, iniziando a masticare un po’ incerto le varie verdure servitegli come contorno.
"Sai, non pensavo sapessi cucinare così bene...".
"Uomo di poca fede!".
 
"Dovrai essere in forze, per domani".
"Domani?".
"Sì..." - Damon stava giocherellando con le posate.
"Che cosa accadrà domani?".
Con un po' di tensione in viso, gli aveva comunicato che lo avrebbe accompagnato al commissariato per la denuncia.
"Denuncia? Io non ricordo neanche come mi chiamo... E poi cosa dovrei denunciare? Non so neanche che cosa mi hanno fatto! Che dovrei dirgli?"- si era rabbuiato improvvisamente. Non voleva che gli altri gli facessero delle domande, non voleva e basta. Perché Damon voleva fargli passare una cosa del genere?
"Sta tranquillo... Dovrai dirgli che hai perso la memoria e che qualcuno ti ha evidentemente fatto del male… Io ho visto i segni che hai sul corpo, e…".
“I segni che ho sul corpo? Io pensavo che avessi visto solo quelli sulla schiena! Tu… Come…”.
"Sai, questi sono i vantaggi del farsi fare il bagno da un ragazzo avvenente come me mentre si è svenuti".
"Che significa che mi hai fatto il bagno?" – era arrossito nuovamente, questa volta con maggiore violenza.
Damon gli aveva rivolto uno sguardo inequivocabile, cercando di trattenere a stento una risata.
"C'è altro che dovrei sapere?" – era al limite dell’imbarazzo.
"E pensi che te l’avrei tenuto nascosto?".
Non gli aveva risposto, limitandosi a sorridere.
"Bene! Si torna a letto, campione...".
Sarebbe stato inutile ribellarsi, così, docile come un agnellino, si era lasciato prendere in braccio e rimettere a letto.
Il fatto che fosse così premuroso continuava a metterlo in imbarazzo, ma non aveva intenzione di allontanarlo. Non sapeva bene perché, ma nutriva fiducia in quell’essere così bizzarro.
Sperava con tutto il cuore di non sbagliarsi.
 
"Dovrò ricordarmi di comprarti uno spazzolino da denti" - gli aveva detto Damon prima di spegnere la luce e uscire dalla stanza.
Sperava con tutto il cuore che la notte gli portasse consiglio. Sperava con il cuore che lo portasse ad entrambi.
 
Continua…

 

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Capitolo 10
*** The Devil's cache ***


The Devil's cache
 
Una vecchio palazzo in rovina di un quartiere degradato era diventato da qualche mese il fulcro di un continuo via vai di persone di ogni età, di entrambi i sessi e di differenti strati sociali. Erano stati in tanti a credere che in quella topaia si fosse aperto chissà qualche club esclusivo stracolmo di alcol, droga e spogliarelliste molto disponibili, club in cui bisognava vendere l’anima al Diavolo pur di entrare.
Nessuno avrebbe mai immaginato che le cose fossero in un certo senso proprio come si immaginavano.
 
Un uomo sulla trentina, con folti capelli biondi e la carnagione scura, aveva appena varcato la soglia del palazzo, dirigendosi a grandi passi verso l'ultimo piano.
 
Il suo volto era contratto in una smorfia di puro terrore malcelato. Era evidente che stesse cercando di mantenere i nervi saldi, ma la cosa gli stava riuscendo piuttosto male.
Il detto 'ambasciator non porta pena' non sarebbe stato applicabile in quel caso. Era sempre più convinto che le cose per lui sarebbero finite male, molto male, ma non poteva sottrarsi al suo compito. Non poteva far attendere ancora a lungo colui che lo stava aspettando.
 
Aveva preso un bel respiro per darsi coraggio non appena l’ascensore lo aveva condotto a destinazione.
Nello stesso istante, i suoi occhi avevano cambiato colore, diventando neri come la pece.
 
Aveva bussato alla vecchia ma ancora solida porta tagliafuoco, attendendo che si aprisse, attendendo di ricevere il permesso di entrare.
Non aveva dovuto aspettare a lungo. Con uno scricchiolio sinistro, la porta si era aperta, mostrando colui che si celava al suo interno, colui che lo stava attendendo con grande, indomabile trepidazione.
 
Era un uomo sulla quarantina quello che si era trovato davanti. Aveva i capelli e la barba biondi, e si suoi occhi di ghiaccio erano vigili, attenti. La pelle del suo viso era consumata, come se fosse stata bruciata dall’interno, come se qualcuno avesse iniziato a staccarla con un taglierino poco affilato, un taglierino la cui lama era stata riscaldata nel fuoco.
 
Stava osservando distrattamente qualcosa oltre il vetro sporco della finestra che dava sulla strada.
Era in attesa, in trepidante attesa, ma chi avrebbe dovuto comunicargli le novità sembrava diventato improvvisamente muto come un pesce.
 
"Parla" – aveva ordinato con la sua voce suadente, voce che aveva in sé qualcosa di spaventoso e surreale.
Il demone era trasalito a quell'ordine perentorio, rendendosi conto di quanto fosse stato sciocco a far attendere tanto a lungo suo padre.
"Mio signore... Non porto buone notizie. Non c’è un modo delicato per dirvelo ma... Russell è stato ucciso".
 
Gli occhi del suo signore si erano ridotti ad una piccolissima fessura. Quella lunga attesa non l’aveva fatto ben sperare, ma quello era decisamente molto lontano da ogni genere di pronostico che aveva fatto.
"Come può essere accaduto?" – aveva chiesto, apparentemente tranquillo.
Il demone aveva ingoiato rumorosamente prima di rispondere.
"Angeli, mio signore".
Tra di loro era piombato un silenzio pesante come un macigno.
"Angeli...".
Il demone aveva annuito, terrorizzato.
"Non la smetteranno mai di occuparsi degli affari altrui, non è vero?".
Il suo interlocutore non aveva saputo cosa rispondere.
"Perché mai un angelo dovrebbe occuparsi di un caduto?".
Nella sua voce aveva letto un velo d'invidia, reazione che non aveva affatto previsto. La situazione stava prendendo una piega davvero inaspettata.
"Ti ho fatto una domanda".
Gli si era gelato il sangue nelle vene.
"Sì mio signore... Perdonatemi"- si stava tormentando le unghie con così tanta foga che presto le avrebbe spezzate - "Io non lo so, mio signore. Non lo so".
 
Si era girato verso di lui, osservandolo con sufficienza.
"Mi domando perché continuo a servirmi di esseri inetti come voi".
Era stato quello il momento in cui si era reso veramente conto di non avere alcuna speranza.
"Mio signore...".
"Che cosa vuoi, ancora?".
"L'angelo che ha ucciso Russell... Era un serafino" – a quel punto, tanto valeva tentare il tutto per tutto.
"Un serafino, dici?”.
“Sì, padrone. Gli angeli la chiamano Celine...".
 
Si era girato lentamente, tornando a fissare quel punto impreciso dietro il vetro sporco.
 
"Celine... Ma certo... Mi avevano detto che ha sempre avuto un debole per il piccolo Cass... Avrei dovuto capirlo subito".
Lentamente, si era diretto verso il suo sottoposto, e una volta trovatosi di fronte a lui gli aveva posato una mano sulla spalla.
"Forse, ho ancora bisogno di te" – gli aveva sorriso, maligno.
"Signore... Obbedirò ad ogni vostro ordine" – aveva risposto, cercando di apparire serio, deciso.
"Oh... Lo credo bene... Dimmi, hai mai incontrato qualcuno che ha osato dire di no al Diavolo? Io credo proprio di no".
 
*
 
Dean e Sam si erano messi in viaggio, e sul sedile posteriore dell’Impala aveva preso posto la bella Celine.
Sam aveva provato a chiederle se preferisse sedersi davanti, ma lei aveva gentilmente declinato l’offerta, asserendo che avrebbe viaggiato in maniera più che adeguata.
Il maggiore dei Winchester era piuttosto nervoso. Era la prima volta quella che scarrozzava sulla sua bambina un’autorità del genere. Non voleva proprio fare brutta figura.
 
"E' la prima volta che viaggi in una macchina?" – le aveva chiesto, osservandola dallo specchietto retrovisore.
"Sì...".
Il serafino era piuttosto incuriosito da tutto ciò che la circondava. Sembrava quasi una bambina che vedeva il mondo per la prima volta.
 
"Celine..." – il minore dei Winchester aveva interrotto il filo dei suoi pensieri, attirando il suo sguardo gentile.
"Sì, Sam?".
"Posso chiederti una cosa personale?".
Aveva annuito.
"Di chi è il corpo che stai occupando?".
La ragazza si era lisciata i capelli con la mano, e aveva preso a guardare fuori dal finestrino, estraniandosi per un istante che a Sam e a Dean era sembrato un eternità.
"Si chiamava Martina...".
"Chiamava?".
"Sì Dean. Lei e la sua famiglia hanno avuto un terribile incidente stradale. Avevo intenzione di salvarli, ma quando sono arrivata era troppo tardi, ormai. Lei era ridotta in fin di vita, mentre i suoi cari non c'erano già più. Avrei voluto curarla, o almeno alleviare il dolore in attesa dei soccorsi, ma lei mi ha pregata di porre fine alle sue sofferenze. Mi ha detto che la sua vita non aveva alcun senso senza i suoi cari, ed io ho esaudito le sue preghiere. Ma prima le ho chiesto il permesso di prendere il suo corpo.".
"Quindi, la sua anima non è lì dento, adesso?".
"No, Dean. E' nella gloria del Signore".
Quell'affermazione aveva fatto trasalire il maggiore dei Winchester.
"Dio è morto".
"Non dire cose che non sai" – era stata la risposta secca di Celine.
"E tu come fai a dire il contrario? L'hai visto in giro ultimamente? Anzi, l'hai mai visto?".
"E' proprio questo il vostro più grande errore. Che è lo stesso commesso dai miei fratelli".
"Che vuoi dire?" – le aveva chiesto Sam.
"Il fatto che io non riesca a vederLo non significa che io non riesca a sentirLo. Lui è sempre con noi, sempre.
Non è un guardiano, Dean. Sedare le sciocche liti che avvengono tra Suoi figli non è il Suo compito. E' un Padre, non un domatore".
 
Il silenzio di entrambi aveva lasciato perfettamente intendere che quella risposta non li avesse affatto convinti.
 
"Dean, Sam, vostro padre non c'è più, ma ciò non significa che voi non continuiate a sentirlo vicino.
Voi onorate la sua memoria ogni giorno seguendo i suoi insegnamenti, portando avanti il suo nobile scopo.
Anche se a volte dubitate e prendete delle decisioni seguendo solo i vostri ideali, decisioni che vi fanno sbagliare, ciò non significa che le conseguenze delle vostre azioni siano una sua responsabilità. Sì, vi ha messi al mondo, vi ha cresciuti, ma vi ha lasciato liberi di scegliere. So che per noi angeli è diverso, che noi non godiamo di questo privilegio, ma non saprei spiegarvi in maniera diversa com’è l’amore che ci lega, che mi lega a Lui.
Voi amate vostro padre, nonostante tutto. Lo amate anche se vi ha lasciati. E proprio perché lo amate, siete in grado di ammettete i vostri errori e di porre rimedio".
"Cosa che invece lassù non fa nessuno".
Una lunga pausa di silenzio aveva seguito l’affermazione di Dean.
"Quindi, tu pensi che tutto questo sia come un grande esame per gli angeli? E se non dovesse essere superato cosa accadrebbe? La fine del mondo? Tutte le persone che vivono sulla terra morirebbero per che cosa?".
Celine si era rattristata.
"Dean... Le persone hanno bisogno di credere... Ma ultimamente non riescono più a farlo. Hanno preteso di vedere per credere, ma nessuno sembra rendersi conto delle catastrofi che accadono ogni giorno".
"E non è un bene?".
"No che non lo è! L’uomo è così perso nella futile materialità da non rendersi conto che l’Apocalisse è ormai sopraggiunta! Dall'esito di questa battaglia dipende la salvezza delle anime che popolano questo mondo, quelle stesse anime che non vogliono più credere in Dio".
"Quindi tu pensi che se la gente pregasse di più, i tuoi fratelli cambierebbero idea e Dio si farebbe vivo?".
Sam aveva colpito e affondato.
"Per quanto riguarda mio, NOSTRO Padre, ti ho già detto che Lui è sempre qui con noi, che lui non smette mai di aiutare, anche se le sue vie sono infinite e misteriose. Per quanto riguarda i miei fratelli... Non lo so, ma credo che potrebbe essere una soluzione".
 
A nessuno dei due era sembrata molto convinta di quella sua ultima affermazione.
"Non so più a cosa aggrapparmi, se non alla speranza e alla mia fede".
"Certo che siete curiosi".
"Che vuoi dire, Dean?".
"Fate tanto i superiori, e poi per aiutarci pretendete delle preghiere, anzi delle suppliche!".
 
Celine si era abbandonata contro lo schienale, stanca, sconfitta.
"I miei fratelli si atteggiano a supereroi di marmo, ma non sono affatto così. Secondo voi, avrebbero messo su tutto questo colossale casino, altrimenti?".
Quella battuta aveva fatto sorridere Dean.
"A tutti piacerebbe essere supereroi... Anzi, gli angeli dovrebbero esserlo e basta... Siamo soldati, Dean, soldati votati al bene, all’amore. Ma le carte in tavola sono state cambiate, e nulla è più come dovrebbe essere".
"Ehi, parla per voi! Io resto sempre Batman!".
Sam avrebbe voluto ucciderlo seduta stante. Aveva appena fatto dell’ironia da quattro soldi con un serafino. Se l’avesse scuoiato vivo lui non sarebbe intervenuto.
Contrariamente ad ogni sua più funesta previsione, però, Celine aveva sfoderato un sorriso divertito.
"Sì Dean... Tu continui ad essere Batman, sta tranquillo".
 
Sam non riusciva a crederci. Quell’angelo aveva capito la battuta idiota di suo fratello.
A quel punto, non aveva più dubbi. Era davvero giunta la fine del mondo.
 
*
 
Lucifer non era riuscito a celare la propria sorpresa.
Celine, un serafino, era venuta sulla terra per aiutare il piccolo, sfortunato angelo caduto.
 
Certamente la loro storia aveva qualcosa di incredibile, soprattutto la parte riguardante colui che un tempo rispondeva al nome di Cassiel. Quello sciocco di un arcangelo aveva provato sentimenti umani, sentimenti che lo avevano distrutto.
Ma era proprio per questa sua peculiarità che l'angelo caduto di terz'ordine che era diventato era talmente prezioso.
Se fosse riuscito ad averlo, tutto sarebbe stato molto più semplice.
Non vedeva l’ora che quel momento si avverasse.
 
Chissà se aveva fatto bene a fidarsi di quello sciocco demone di bassa lega, alla fine dei conti.
In caso contrario, avrebbe saputo come sistemarlo, e a quel punto sarebbe sceso lui stesso in campo.
 
Avrebbe dovuto pazientare un po', lo sapeva bene. Avrebbe ingannato l'attesa immaginando di bagnare le proprie labbra col sangue fresco di Castiel.
"Sì... Quando ti avrò, tutto sarà diverso... Tutto sarà finalmente compiuto".
Aveva soffiato distrattamente sul vetro della finestra sporca davanti a cui sostaa da ore, facendo ghiacciare quella liscia superficie trasparente.
"Sì, tutto sarà compiuto".
 
Continua…

 

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Capitolo 11
*** Memories ***


Memories

"Forza dormiglione! I patti erano chiari!".
 
Damon lo aveva svegliato di soprassalto tirando bruscamente le coperte del suo letto, ottenendo come una reazione un mugugno incomprensibile e il vederlo raggomitolarsi su di un fianco.
 
"Qualsiasi cosa tu abbia detto o cercato di dire non mi interessa! Fila giù dal letto! ADESSO!".
Doveva alzarsi, o avrebbe cominciato a saltare sul materasso come un bambino pur di infastidirlo.
 
Anche se molto contrariato, alla fine Brian si era messo seduto, strofinandosi energicamente gli occhi ancora impastati dal sonno con la mano.
"Come ti senti?" – gli aveva domandato, lasciandosi cadere pesantemente accanto a lui.
"A dir la verità, ho una gran confusione in testa".
"Ti senti ancora debole, non è vero?".
“Mentirei se ti dicessi il contrario”.
 
Forse stava per sbagliare. Forse, avrebbe dovuto essere più delicato, ma avevano un mucchio di cose da fare, e al suo nuovo amico servivano energie nell’immediato. Proprio per questa ragione, Damon aveva tirato su la manica della maglietta che indossava, lasciando scoprendo il candido ma possente polso.
"Che cosa stai facendo?".
Ma era diventato sin troppo evidente che stesse per darsi un morso.
"NO! FERMO!".
Aveva afferrato il suo braccio un istante prima che quegli aguzzi canini affondassero nella carne, impedendogli di commettere quella immane sciocchezza.
Damon era rimasto a dir poco sorpreso da quel gesto. L’energia che aveva dimostrato di avere non avrebbe dovuto appartenere ad un essere umano, men che meno ad un uomo che aveva riportato quelle ferite.
"Non voglio che tu soffra a causa mia" – aveva detto, serio, guardando dritto negli occhi.
 
Era confuso. Era decisamente confuso. Da quando qualcuno mostrava tutto quell’interesse nei suoi riguardi?
 
"Tu sei proprio sicuro di non…".
“Sì” – lo aveva interrotto, tirando di nuovo fuori quel tono perentorio.
"Bè, preparati, allora. Ho lasciato sulla poltrona dei vestiti che dovrebbero andarti bene.Ti porto a fare colazione fuori e dopo andremo in commissariato".
“Damon…”.
“Ne avevamo già parlato” – aveva asserito, scendendo giù dal letto – “Ti aspetto in cucina”.
        
*
 
Durante tutto il tragitto da casa di Damon al bar, il vampiro non aveva fatto altro che ripetere al ragazzo la versione dei fatti che avrebbero dato al commissario.
C'erano due o tre piccoli dettagli che dovevano essere necessariamente omessi per evitare di finire al manicomio, ovviamente, ma riempire gli spazi vuoti era diventato difficile.
 
"Dunque, io ti ho trovato in un vicolo buio, eri sporco di sangue, ti ho soccorso, ho visto che avevi solo delle ferite in fronte e sulle spalle, eri confuso e...".
"E ti ho pregato di non portarmi in ospedale. Poi, tu mi hai portato a casa, e io ho perso i sensi.
Mi hai ripulito, medicato, nutrito, ed ora sono qui, senza sapere neanche chi sono" - aveva ripetuto meccanicamente.
"Direi che può andare, no? Sempre se a qualche piedipiatti non verrà in mente di accusarmi di rapimento o altro…".
"Damon..." – aveva chiesto improvvisamente.
"Sì?".
"Cosa c'era nel sacchetto che hai messo nel portabagagli?".
"Ci sono i pantaloni e la biancheria che avevi addosso quando ti ho trovato".
Quella rivelazione aveva fatto raggelare il sangue nelle vene a Brian.
“Perché li hai tenuti?”.
"Brian… Potrebbero esserci sopra tracce dei tuoi aguzzini… Impronte… Capelli… O che so io… Potrebbero essere utili agli investigatori…".
“Ho capito…”.
“Ehi… Su col morale… Sono certo che ne verremo a capo”.
 
*
 
Non aveva toccato quasi nulla della sua ricca colazione. Era pallido e terribilmente provato.
 
Damon era preoccupato. Che gli era preso? Si sentiva poco bene?
Non era da lui comportarsi da mamma chioccia, ma proprio non riusciva a stare tranquillo nel vederlo in quello stato.
 
"Brian...".
"Damon... Ti prego, non costringermi a farlo" – lo aveva interrotto, trattenendo a stenti le lacrime.
Gli si era stretto il cuore. Perché quel ragazzo era piombato nella sua vita se non era in grado di aiutarlo? Se finiva sempre per sbagliare?
"Ehi… Non piangere… Non farei mai niente che possa ferirti".
 
Non sapeva come fosse possibile, ma aveva visto che le lacrime avevano lasciato posto ad un sorriso di gratitudine, facendo allentare la stretta che Damon aveva avvertito proprio all’altezza dello stomaco.
 
Si era reso davvero conto di quanto tutto dovesse essere terribile e spaventoso per lui solo dopo quella supplica. La sua insistenza non aveva fatto altro che peggiorare le cose.
Voleva aiutarlo, doveva aiutarlo, ma non nel modo convenzionale. Era convinto che fosse giunto il momento di utilizzare metodi che gli piaceva definire alternativi.
 
"Ti va se proviamo a fare un esperimento?" - gli aveva fatto quella domanda a bruciapelo.
"Che genere di esperimento?" – era diventato improvvisamente curioso.
Damon stava sorridendo, evidentemente intento a programmare il da farsi.
"Facciamo così, tu mangia qualcosa, e poi torniamo a casa...".
Brian aveva guardato contrariato il contenuto del proprio piatto. Doveva proprio costringerlo a mangiare?
"Guarda che posso essere molto persuasivo, se voglio..." - aveva appoggiato i gomiti sul tavolo, posando il mento sul dorso della mano destra e rivolgendogli uno sguardo a dir poco ammaliatore.
 
Aveva portato un boccone di croissant in bocca, masticandolo con tale velocità da farselo andare di traverso. Tutto quello, pur di mascherare il rossore delle sua guance. Lo odiava quando si comportava in quel modo. Lo odiava con tutta l’anima.
 
*
 
"Tu vuoi fare che cosa??".
 
Erano da poco arrivati a casa, e mentre erano in ascensore, Damon aveva spiegato a Brian quali fossero le sue intenzioni, ottenendo esattamente la reazione che aveva previsto.
 
"Hai capito cosa voglio fare. Voglio ammaliarti" – era semplice. Perché far diventare le cose complicate?
 
Brian si stava tormentando un bottone della camicia blu che indossava.
Damon gli aveva spiegato quali fossero le abilità di un vampiro, asserendo che lui era molto bravo nell'ammaliare le proprie prede.
"Io non sono una tua preda"- aveva risposto, offeso.
Il vampiro gli aveva cinto le spalle con un braccio.
"Ne sei proprio sicuro?".
"Smettila!".
Irritato, si era divincolato come un gatto, sfuggendogli.
"Ve bene, ho capito, scusami” – aveva detto, sfoderando uno sguardo da cucciolo che non aveva mai usato prima.
Era inutile, non riusciva proprio ad avercela con lui.
 
"Quindi tu pensi che possa funzionare?" – era stato proprio lui a tornare sull’argomento.
"Non ne ho la certezza. Potrebbe aiutarti. Così come non potrebbe".
 
Non sapeva cosa fare. E se fosse stata una pratica terribilmente dolorosa? Se avesse rischiato di morire?
 
"Ehi..." - Damon gli aveva posato una mano sulla spalla - "Puoi fidarti di me. Sai che non ti farei mai del male".
 
*
 
Le pupille di Damon avevano mutato la propria forma, ingrandendosi proprio come accade quando gli occhi si trovano esposti ad una grande fonte di luce.
Alla fine Brian aveva acconsentito di sottoporsi a quello speciale trattamento. Sarebbe stato da sciocchi non sfruttare quell’occasione. Damon voleva aiutarlo, non voleva dubbi riguardo a questo. Gli era stato chiaro guardandolo negli occhi. Non sapeva niente di lui, niente, se non il suo nome, il suo cognome, e che era un vampiro. Forse, gli altri sarebbero scappati solo nel sapere quest’ultima verità, ma non lui. Lui non aveva niente, niente e nessuno all’infuori di Damon, e per nulla al mondo l’avrebbe ferito o tradito.
Era un uomo buono, un uomo che voleva aiutarlo, e lui gli avrebbe permesso questo e molto altro, perché sapeva di potergli affidare la sua stessa vita.
 
"Ora mi dirai che cosa ti è successo. Tutto quello che ti è successo... Non ci saranno più barriere fra me e te. Liberati. E dopo sarà tutto più facile".
 
Brian era caduto in una sorta di trance. Era come se qualcuno gli stesse scavando nella mente, come se qualcuno stesse cercando di rompere un muro che aveva creato senza neanche rendersene conto.
Non riusciva a rilassarsi. Le tempie avevano cominciato a pulsargli in maniera dolorosissima, e cominciava a credere che il cuore gli sarebbe uscito fuori dal petto da un momento all'altro.
 
"Che cosa ti è successo?" – gli aveva ripetuto il vampiro.
 
Per quanto avrebbe voluto, non riusciva a staccare gli occhi da quelli di Damon. Erano come due magneti che continuavano ad attirarlo senza alcuna pietà.
Non era quello che gli era stato detto. Perché anche lui gli stava facendo del male? Perché lo stava costringendo? Perché gli aveva detto che poteva fidarsi ed ora lo stava tradendo?
 
"No...".
 
Damon lo aveva spinto contro il muro, ripetendogli ancora una volta di raccontargli cosa gli fosse accaduto.
 
"Devi ricordare" – gli aveva imposto, avvicinando ancora di più il viso a quello del ragazzo – “Ricorda”.
 
Ma Brian continuava a ripetere che non l'avrebbe fatto, e il vampiro non riusciva a spiegarsene la ragione.
Sembrava immune al suo potere, e questo non era mai successo prima di allora.
 
“Devi ascoltarmi. Devi dirmi cosa ti è accaduto. Altrimenti non potrò aiutarti”.
 
Aveva avuto appena il tempo di finire la frase, che Brian aveva posato entrambe le mani sul petto del vampiro, spingendolo via con tutta la forza che aveva in corpo, urlando un ultimo disperato ‘no’.
 
Damon era caduto all’indietro, vinto dall’inutile sforzo di penetrare nella mente del suo protetto. Non gli era mai capitato nulla del genere prima di allora. Quella sua abilità aveva sempre funzionato perfettamente, a meno che il soggetto che aveva cercato di soggiogare non avesse ingerito della verbena, ma quello non era il caso di Brian.
Era madido di sudore e ancora più pallido del previsto, se ciò poteva essere possibile per un vampiro.
 
Brian non si era spostato dalla parete, continuando a guardarlo con gli occhi sgranati e il fiato corto.
Era stravolto.
Non si rendeva conto di quello che aveva fatto, era evidente. Sapeva solo che per un brevissimo istante si era sentito tradito, ma che adesso, guardando Damon, l’unica cosa che provava era un immenso senso di colpa. 
 
Damon si era sollevato sulle ginocchia, sollevando il capo quanto bastava per poter incontrare gli occhi di Brian.
Vi aveva letto dentro la paura. La paura e il tradimento. E si era sentito morire.
 
"Brian, stai bene? Mi dispiace... Non pensavo che...".
 
Ma lui lo aveva aiutato a sollevarsi, cingendogli la vita con le braccia.
Damon aveva sorriso, imbarazzato. Era straordinaria, straordinaria la fiducia che quel ragazzo aveva riposto in lui. Nonostante fosse impaurito, nonostante si fosse sentito tradito, era bastato che lui gli chiedesse scusa per sistemare le cose.
 
"Non... Non hai della verbena addosso..."- aveva affermato, cercando di uscire da quello stato di profondo imbarazzo - "Come puoi respingermi con tanta forza?".
"Non so di cosa tu stia parlando” – aveva asserito il ragazzo – “Ma sappi che mi dispiace".
"Sta tranquillo... Almeno potremo dire di averci provato, no? Vieni…".
 
Era letteralmente sprofondato sul divano.
 
"Non mi era mai capitato nulla di simile in tutta la mia vita. Mi hai respinto! E non riesco a capire come tu abbia fatto..." - si era passato una mano sul viso, evidentemente stanchissimo - "Tu stai bene?"
Brian era estremamente sorpreso. Era assurdo che anche in quel frangente Damon fosse preoccupato per lui.
"Sì. Mi pulsano ancora un po' le tempie, ma nel compenso sto benone".
"Meglio così" – e aveva chiuso gli occhi, reclinando di poco il capo.
 
Si era soffermato ad osservare il suo petto che si muoveva sotto i vestiti ad ogni respiro.
Erano tante le domande che avrebbe voluto fargli, alcune piuttosto stupide, a dire il vero. Se era tecnicamente morto, perché continuava a respirare, per esempio?
Ma tra tante domande, ce n’era una che continuava a tormentarlo, una domanda che continuava a frullargli nella mente, imperterrita. Ed ora, sapeva di poterla fare senza aver paura.
 
"Damon?".
"Sì, Bri?".
Bri... Gli piaceva quel diminutivo.
"Come hai fatto a diventare un vampiro?".
Il ragazzo aveva riaperto i suoi grandi occhi di ghiaccio, incatenandoli ai suoi.
Era convinto di non aver osato troppo, ma era certo di aver rievocato un ricordo poco piacevole. Li avesse avuti lui, i suoi ricordi indietro, adesso starebbero parlando di quello. A quanto sembrava, era stato il destino a scegliere per loro, e il destino aveva voluto che fosse Damon a parlargli del suo passato.
"Ti piacciono le storie lunghe, Bri?" – gli aveva domandato, sorridendo con un velo di tristezza.
Era certo che non gli sarebbe mai più capitato di udire un racconto come quello.
 
*
 
Damon Salvatore gli aveva raccontato la sua storia mentre sorseggiava un bicchiere di sangue fresco versatogli con premura dal suo protetto. Lo aveva fatto con un tono distaccato, pacato, quasi come se avesse parlato della vita di qualcun altro, come avesse quasi raccontato la trama di un film.
 
Era il figlio maggiore di uno dei padri fondatori della città in cui era nato e vissuto, una città denominata Mistyc Falls.
Si era innamorato follemente di una ragazza venuta da lontano, una certa Katherine Pierce, una vampira che aveva preferito a lui suo fratello minore, Stefan, pur non disdegnando le sue attenzioni.
 
Gli aveva raccontato di come aveva iniziato a bere il suo sangue in attesa che lo trasformasse. L’unico suo desiderio era quello di stare insieme a lei, di trascorrere l’eternità al suo fianco, ma era inconsapevole del fatto che la sua amata Katherine soggiogasse il fratello a fare la stessa cosa.
 
Gli aveva parlato della cattura di quest’ultima e di come il padre avesse scoperto il loro doppio gioco, decidendo di uccidere i suoi stessi figli di propria mano. Aveva avuto un fremito nel pronunciare il nome del suo papà, ma non si era interrotto. Non voleva mostrarsi debole ai suoi occhi.
 
Era passato poi al racconto della loro rinascita ancora incompleta, ancora incompiuta, e di come si erano nutriti, trasformandosi definitivamente in creature della notte, in mostri condannati per l’eternità, costretti ad indossare gli anelli forgiati per loro dalla strega Emily Bennet per poter stare alla luce del sole, dell' odio che lo aveva portato ad allontanarsi da Stefan, e del suo vagare per 145 anni nella speranza di liberare la donna che aveva amato dalla cripta in cui era stata rinchiusa, per poi scoprire che lei non era mai stata imprigionata e che il suo amore era stato solo una finzione.
 
Gli aveva parlato di Elena Gilbert, la doppelganger di Katherine, fidanzata del fratello di cui si era innamorato perdutamente e che non aveva mai ricambiato i suoi sentimenti, della maledizione della sole e della luna, dei licantropi, delle streghe e dei vampiri originari. Gli aveva raccontato tutto. Eppure, a Brian era parso che mancasse ancora qualcosa.
 
"Solo ad un idiota può capitare di innamorarsi per ben due volte della donna di suo fratello" – aveva commentato, con l’amaro in bocca – “Ma questo è quanto" - aveva poi concluso – “Questa è la storia di Damon Salvatore, il vampiro più patetico di sempre”.
 
"Wow..." – era stato il commento del ragazzo, un commento impossibile per lui da trattenere.
"Wow?".
"Sì Damon, wow. Anche se ricordassi solo una minima parte di ciò che è stata la mia vita, sono certo che non sarebbe neanche lontanamente paragonabile a tutto quello che hai vissuto tu" – aveva detto, mentre si tormentava il bottone della camicia. Era diventato un modo per scaricare la tensione, ma Damon cominciava a credere che di lì a poco lo avrebbe sicuramente staccato via.
 
"Sei spaventato?" – gli aveva chiesto, serio, cogliendolo in contropiede.  
Damon gli aveva raccontato di essere stato un killer spietato, ma proprio non riusciva ad avere paura di lui. Come avrebbe potuto, sapendo tutto quello che aveva passato? Sapendo di tutte le angherie che aveva dovuto subire?
"No. Non lo sono affatto".
Damon gli stava sorridendo, incerto.
"Pensi che io sia pazzo?".
"Chi? Tu? No… Come ti viene in mente?".
Brian gli aveva dato uno spintone, fingendosi offeso.
"Una sola cosa non ho capito..." – aveva poi aggiunto, serio, e Damon si era irrigidito di colpo. Brian era troppo sveglio perché potesse sfuggirgli qualcosa - "Perché sei venuto a stare qui da solo invece di rimanere a Mistyc Falls con i tuoi cari, se hai accettato che Elena fosse solo una tua amica e che Katherine fosse stato solo un grande sbaglio?".
 
Damon aveva posato il bicchiere sul tavolo, perdendosi nell'osservare una goccia di sangue che scivolava lungo il bordo. Non era tutto quello che gli aveva raccontato. Non era tutto, ma aveva sperato che Brian non chiedesse. O forse no. Forse aveva solo sperato che quella conclusione spingesse Brian a portarlo fino a quel punto, spingesse Brian a chiedergli se ci fosse dell’altro.
 
"Loro sono morti” – aveva esordito, continuando a fissare il vuoto – “Loro sono tutti morti".
 
Era stato come se una cascata di acqua gelida lo avesse investito in pieno, impedendogli di respirare.
 
"Mi-mi dispiace..." – aveva balbettato, maledicendosi.
"Va tutto bene" – gli aveva risposto, non osando però guardarlo in viso – “Va tuuuuutto bene”.
 
Aveva agito d’istinto. Senza pensare, gli aveva posato la mano sulla spalla, non rendendosi conto che quel gesto si era rivelato molto, molto di più.
Damon si era sentito invadere come da uno strano, confortante calore, un calore mai avvertito prima di allora e, senza rendersene conto, si era addormentato con il capo posato sulla spalla di Brian, riscoprendosi stranamente sereno, sereno come non lo era mai stato prima di allora.
 
Continua…

 

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Capitolo 12
*** Damon ***


Damon

"E' iniziato tutto nel 1864. Avevo ventidue anni, ed ero figlio di uno dei padri fondatori della felice cittadina in cui vivevo, Mystic Falls".

Così, Damon Salvatore aveva iniziato a raccontare la sua vera storia, mentre sorseggiava un bicchiere di sangue versatogli da Brian.
"Avevo una vita felice. Ero un ragazzo ben educato, forse anche un po’ troppo ingenuo, finché un bel giorno, essa non è stata sconvolta dall'arrivo della persona che più ho amato e odiato allo stesso tempo, dall’arrivo di Katherine Pierce”.

"Katherine era la tua...".
"Ragazza?" - aveva sbuffato, irritato - "Katherine non era la ragazza di nessuno. Men che meno la mia".
"Eppure tu l'amavi".
Aveva risposto dopo un’eternità di tempo, dopo aver pensato a lungo e aver a lungo trattenuto il respiro.
"Sì".
 
Continuava a guardare dritto davanti a sé, inerme. Sembrava che il ricordo di quello che aveva vissuto si stesse facendo largo nella sua mente a fatica, come un fiume bloccato da una diga che non voleva cedere.

"Ho amato Katherine Pierce più della mia vita. E' stato per amor suo se ho iniziato a bere il suo sangue. A berlo spontaneamente, intendo".
"Lei era… Era una vampira?".
Aveva semplicemente annuito.
"Io volevo bere il suo sangue, dovevo bere il suo sangue, morire avendolo in corpo e nutrirmi di un essere umano per completare la transizione. Dopo, sarei stato come lei, e sarei stato con lei per sempre".
"Sembra…. Romantico… Ma non avevi paura?" – aveva chiesto, curioso.
"Paura di cosa? Della morte? Di non sapere che fine avrebbe fatto la mia anima? Di non riuscire a controllare la mia sete e di diventare un assassino? Un mostro?".
Rabbia. Era pura rabbia quella che gli stava scorrendo nelle vene. Gli occhi di ghiaccio si erano ridotti a due strette fessure.
"Avrei fatto tutto qualsiasi cosa per lei. Qualunque cosa, Brian. Qualunque".

Non capiva come tutto ciò fosse possibile, come tutto ciò potesse essere vero. Si poteva amare fino a tal punto? Fino a perdere tutto? Fino a rinunciare alla propria umanità?

"Sono stato uno stolto... Pensavo che mi amasse. Ma i suoi obiettivi erano ben altri. Si divertiva a giocare con me, mentre regalava il suo cuore a mio fratello".
“Avevi un fratello?”.
"Già! Avevo un fratello! Il piccolo, desiderato, galante Stefan".

Stava parlando di suo fratello con una punta di risentimento verso se stesso. Sembrava che l'avesse odiato per tutta la vita e che fosse finalmente riuscito a perdonarlo e a perdonarsi solo recentemente.

"Katherine faceva il doppio gioco. Si divertiva con me, il suo stupido ragazzo-oggetto, devoto fino alla morte, e cercava in tutti i modi di conquistare mio fratello".
"Ma lui, lui l'amava?".
"Sì… Ma non credo che l'abbia mai amata quanto l'ho amata io".

Non conosceva Stefan, e probabilmente non l'avrebbe mai conosciuto, ma credeva ciecamente alle parole di Damon.

"Ho accettato di dividerla con lui pur di non perderla".
Gli si era stretto il cuore nell’udire ciò. Nei suoi occhi poteva leggere tutto il dolore che stava cercando di reprimere.
Che pena… Che pena infinita.

Per cercare di lenire la sua sofferenza e per incoraggiarlo ad avanzare in quel travagliato mare di ricordi, Brian gli aveva versato un altro bicchiere di sangue. Il liquido scuro non gli faceva più ribrezzo come prima, ma il suo forte odore metallico continuava a dargli fastidio.

Dal canto suo, Damon aveva bevuto avidamente, non lasciandone neppure una goccia.

"Lo soggiogava. Lei lo ammaliava per costringerlo a bere il suo sangue. Lo avrebbe, ci avrebbe trasformati in vampiri, e avrebbe continuato ad avere mio fratello e me per il resto dell'eternità. Il suo piano non faceva una piega. Due uomini al prezzo di uno".
"Ma?" – perché era certo che ci fosse un ma.
"Ma le cose sono andate diversamente da come aveva previsto.
In città sapevano della presenza dei vampiri, ed erano tutti decisi ad eliminarli. Lei era certa che non l'avrebbero presa, eppure non è stato così".

Si era preso una lunga pausa prima di continuare.

"Era in camera di mio fratello quando l'hanno catturata. Mio padre aveva cercato di insabbiare questo piccolo particolare. Sapeva tutto di noi e di quello che facevamo con lei, e ci ha usati per prenderla. Sai, non poteva macchiare il buon nome della famiglia.
Disperato, ho pregato mio fratello di aiutarmi a liberarla prima che la chiudessero nella cripta insieme agli altri vampiri e appiccassero il fuoco".
“E... Ci siete riusciti?".

Damon si era concentrato sul bicchiere vuoto tra le sue mani.
Sembrava che stesse scegliendo le parole giuste per descrivere ciò che gli era accaduto ma che nessuna fosse abbastanza adatta alla circostanza. Come avrebbe potuto esserlo, del resto? Come?

“Abbiamo raggiunto la carrozza in cui l'avevano caricata di peso. Siamo riusciti a tirarla fuori. Ma poi... Poi, ci hanno uccisi".
"Cosa?" – era convinto di non aver sentito bene.
"Hanno sparato a me e a mio fratello. Siamo morti insieme per salvare la donna che amavamo. Sapevamo che prima o poi avremmo esalato l’ultimo respiro, ma non pensavamo... Non pensavamo che sarebbe accaduto in quel modo... Non per mano sua".
Era confuso.
"Per mano sua?".
Gli occhi del vampiro si erano riempiti di lacrime bollenti.
"Ci ha sparati nostro padre".


Aveva appena avuto un tuffo al cuore. Non poteva essere vero. Non potevano essere morti per mano del padre.
"Ma come ha potuto? Come... Eravate i suoi figli!!".
"Non poteva permettere che si infangasse il buon nome della nostra famiglia, te l’ho detto. Tutto, avrebbe fatto pur di mantenere alto l'onore dei Salvatore" – aveva detto, posando il bicchiere sul tavolo - "Mi ci vuole qualcosa di più forte".

Si era alzato dal divano dirigendosi verso il frigo bar, per voi versarsi in enorme dose di brandy e mandarla giù tutta d'un fiato.
Brian non aveva emesso un suono. Cosa avrebbe potuto dire dopo aver appreso una verità così difficile, dopo un racconto che parlava di una storia con protagonista un padre contro natura?

"Ci siamo svegliati il giorno dopo confusi e spaventati. Eravamo terribilmente deboli.
Emily Bennett, la strega al servizio di Katherine, aveva forgiato per noi degli anelli che ci permettevano di stare alla luce del sole. Questo è il mio" – e gliel’aveva mostrato - "La transizione non era però completa. Non ci eravamo nutriti. E io non volevo farlo. Non aveva più senso. Katherine era morta. Perché continuare a vivere?".
"Volevi… Volevi lasciarti morire?" – ogni parola diventava sempre più difficile da accettare.
"Sì, Brian. Io volevo morire. Ma mio fratello, il mio caro fratellino Stefan, è tornato a casa. Voleva salutare nostro padre. E' stato così che ha scoperto che era stato lui ad averci uccisi. Giuseppe Salvatore ha confessato di averci sparato con le sue stesse mani perché non poteva accettare di avere due abomini per figli. E’ stato a quel punto che ha cercato di uccidere Stefan. Lui si è difeso, ed ha avuto la meglio. Mio fratello ha bevuto il sangue di nostro padre, ed ha completato la transizione".
"Aspetta, anche Stefan è diventato un vampiro?".
Damon aveva semplicemente annuito, buttando giù un altro sorso di liquore.
"E' stato proprio lui ha portarmi il mio primo regalo. Una giovane donna che aveva soggiogato e da cui avrei dovuto nutrirmi. Adorava l’essere che era diventato, mi parlava di un mondo meraviglioso, un mondo in cui potevo fare tutto. Così, mi ha tentato, ed io ho ceduto al suo volere.
E' stato... Non riuscirei a descrivere neanche volendo quello che ho provato mentre mi nutrivo di lei. Mi sentivo... Vivo. Vivo ed estremamente potente".
Ormai si era attaccato direttamente alla bottiglia, vuotandola quasi tutta.
"Ho giurato a mio fratello che lo scopo della mia vita sarebbe stato odiarlo. E sono andato via da Mystic Falls, più arrabbiato che mai.
Mi sono nutrito, ho rapito donne, le ho soggiogate e uccise perché non sapevo cosa fare della mia inutile immortalità. E l’ho fatto per anni, finché non ho scoperto che Katherine era viva, che i vampiri non erano bruciati durante il rogo della cripta, e ho cercato di liberarla, nel 2010".

"Nel 2010? Damon, dopo tutti quegli anni tu...".
"Che vuoi farci? Ero ancora innamorato di lei. E vuoi sapere qual è stato il bello? Che sono tornato a Mystic Falls per lei, tutto quello che ho fatto l'ho fatto solo per lei, e dopo 145 anni ho aperto le porte della cripta per scoprire cosa? Che lei non c'era. Lei era riuscita ad evitare di essere rinchiusa e si era sbattuta altamente dell'idiota che adesso tu hai davanti".
 
Aveva scaraventato la bottiglia a terra, riducendola in mille pezzi.
Brian quasi non lo riconosceva più. Era fragile. Terribilmente fragile e pericoloso allo stesso tempo.

"Damon...".
"No Brian. Non compatirmi. Non provarci nemmeno".
"Ma io non pensavo che...".
"Che fossi così idiota?".
"Ma certo che no…" – sconfitto, Brian si era chinato e aveva iniziato a raccogliere le schegge di vetro sparse sul pavimento.

Damon era molto a disagio. Non aveva previsto di reagire in quel modo.
Gli era capitato solo un'altra volta di raccontare la sua storia, ma niente di tutto quello era avvenuto.
Che cavolo gli era preso? Non era più il vampiro di prima, irrazionale e stupido, e doveva dimostrarlo. A Brian, ma soprattutto a se stesso.
Per questo, dopo aver preso un bel respiro, si era chinato ad aiutarlo.

"Se ti dicessi che dopo ho fatto un'altra cazzata che mi diresti?".
“Che sarei qui pronto ad ascoltarla, e a prestare attenzione a tutto quello che ti va di dirmi”.

Sorridendo amaramente, gli aveva spiegato che durante il suo ritorno a Mistyc Falls aveva conosciuto la ragazze del fratello, una ragazza di nome Elena Gilbert, una ragazza che era la doppelganger di Katherine Pierce.

"Una doppelcosa?".
"Una doppelganger. La sua sosia".
"Sosia? La sosia di Katherine? ".
“Sì. Elena era esattamente identica a lei. Ma non perché la natura abbia giocato un brutto scherzo… E’ stata la magia, a farlo. Ed io mi sono innamorato di lei, Brian. Mi sono innamorato per due volte della stessa donna, anche se forse ciò non è del tutto esatto".

Gli aveva raccontato di come Elena fosse totalmente diversa da Katherine, di come non avesse mai ricambiato i suoi sentimenti nonostante la sua insistenza.
Aveva confessato di essersi riappacificato con Stefan, di aver accettato la semplice amicizia di Elena mettendosi definitivamente da parte.
 
Gli aveva parlato anche della maledizione della sole e della luna, dei licantropi, delle streghe e dei vampiri originari. Non aveva omesso niente. O quasi.

"Solo ad un idiota può capitare di innamorarsi per ben due volte della donna di suo fratello" – aveva commentato, con l’amaro in bocca – “Ma questo è quanto" - aveva poi concluso – “Questa è la storia di Damon Salvatore, il vampiro più patetico di sempre”.
 
"Wow..." – era stato il commento del ragazzo, un commento impossibile per lui da trattenere.
"Wow?".
"Sì Damon, wow. Anche se ricordassi solo una minima parte di ciò che è stata la mia vita, sono certo che non sarebbe neanche lontanamente paragonabile a tutto quello che hai vissuto tu" – aveva detto, mentre si tormentava il bottone della camicia. Era diventato un modo per scaricare la tensione, ma Damon cominciava a credere che di lì a poco lo avrebbe sicuramente staccato via.
 
"Sei spaventato?" – gli aveva chiesto, serio, cogliendolo in contropiede.  
Damon gli aveva raccontato di essere stato un killer spietato, ma proprio non riusciva ad avere paura di lui. Come avrebbe potuto, sapendo tutto quello che aveva passato? Sapendo di tutte le angherie che aveva dovuto subire?
"No. Non lo sono affatto".
Damon gli stava sorridendo, incerto.
"Pensi che io sia pazzo?".
"Chi? Tu? No… Come ti viene in mente?".
Brian gli aveva dato uno spintone, fingendosi offeso.
"Una sola cosa non ho capito..." – aveva poi aggiunto, serio, e Damon si era irrigidito di colpo. Brian era troppo sveglio perché potesse sfuggirgli qualcosa - "Perché sei venuto a stare qui da solo invece di rimanere a Mistyc Falls con i tuoi cari, se hai accettato che Elena fosse solo una tua amica e che Katherine fosse stato solo un grande sbaglio?".
 
Damon aveva posato il bicchiere sul tavolo, perdendosi nell'osservare una goccia di sangue che scivolava lungo il bordo. Non era tutto quello che gli aveva raccontato. Non era tutto, ma aveva sperato che Brian non chiedesse. O forse no. Forse aveva solo sperato che quella conclusione spingesse Brian a portarlo fino a quel punto, spingesse Brian a chiedergli se ci fosse dell’altro.
 
"Loro sono morti” – aveva esordito, continuando a fissare il vuoto – “Loro sono tutti morti".
 
Era stato come se una cascata di acqua gelida lo avesse investito in pieno, impedendogli di respirare.
 
"Mi-mi dispiace..." – aveva balbettato, maledicendosi.
"Va tutto bene" – gli aveva risposto, non osando però guardarlo in viso – “Va tuuuuutto bene”.
 
Aveva agito d’istinto. Senza pensare, gli aveva posato la mano sulla spalla, non rendendosi conto che quel gesto si era rivelato molto, molto di più.
Damon si era sentito invadere come da uno strano, confortante calore, un calore mai avvertito prima di allora e, senza rendersene conto, si era addormentato con il capo posato sulla spalla di Brian, riscoprendosi stranamente sereno, sereno come non lo era mai stato prima di allora.

Continua…
________________________________________________________________________________

Salve a tutti!
Approfitto nuovamente di questo spazio per ringraziare tutti coloro che stanno spendendo un po' del loro tempo nella lettura della mia storia.
Siete davvero delle persone speciali!
Dunque, questo capitolo teoricamente non doveva esistere. E’ stato un di più rispetto a quello che avevo già scritto, una sorta di One Shot nella Long.
Damon doveva avere più spazio, doveva avere DECISAMENTE più spazio!
Per tutti quelli che hanno visto The Vampire Diaries forse sarà stato un po' noioso, ma a coloro che non l'hanno mai visto avrà permesso di capire meglio il mio Damon, il perché è diventato quello che è.
Ho riportato le cose come stanno nella serie tv fino al punto in cui ho parlato dei vampiri originari.
In seguito, ho iniziato ad inventare.
Stefan ed Elena sono vivi e vegeti, ma, per i miei fini narrativi, mi occorreva che non lo fossero più.
Per questo, chiedo scusa a tutti i fan di The Vampire Diaries.
Bene, credo di aver detto abbastanza!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto!
Vi aspetto al prossimo!
Un bacione!
Cleo

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Capitolo 13
*** Gelosie ***


Gelosie
 
Tre settimane. Erano trascorse tre settimane dalla sparizione di Castiel, e di lui non c'era neanche l'ombra.
Era come se si fosse volatilizzato, come se fosse svanito nel nulla, o peggio ancora, come se non fosse mai esistito.
Dean era sull'orlo di una crollo emotivo e Sam non sapeva come fare per evitare che ciò accadesse.
Lo stesso valeva per Celine. Ormai, il serafino trascorreva gran parte della giornata alla ricerca di suo fratello e il restante tempo insieme ai Winchester, ma non riusciva a dar loro conforto se era la prima a non riuscire a darsi pace.
 
Guidato dalla disperazione, Sam aveva deciso di telefonare a Bobby, informandolo delle novità che stentavano ad arrivare e chiedendogli un qualunque tipo di aiuto.
 
"Bobby, la situazione è insostenibile. Dean non può farcela. E sinceramente, sto cominciando a vacillare anche io. Siamo stanchi. Io… Io non so più che cosa fare".
 
L'anziano cacciatore lo aveva ascoltato senza interromperlo, comprendendo perfettamente lo stato d’animo del suo ragazzo.
 
"E’ sconvolto, Bobby. E Celine... Celine non si può descrivere.
Io so di essere un fottutissimo egoista, me no ce le faccio più. Non riesco più a gestire tutto questo.
Dean ha smesso di dormire e passa gran parte della giornata a bere. E' convinto di essere la causa della scomparsa di Castiel. Non si lascia aiutare, ed è come… E’ come…”.
“Un peso” – Bobby aveva completato la frase al posto suo.
“Lo so che è terribile da dire, so che sono un mostro, ma non ce la faccio più. Sono esausto. Volevo prendere in mano la situazione, ma non così. Non così".
 
Si aspettava una sfuriata. Aveva creduto che Bobby cominciasse a sbraitare urlandogli contro che era un emerito idiota, egoista e bastardo e che se avesse parlato di nuovo in quel modo lo avrebbe fatto ragionare a suon di legnate, ma così non era stato. Che cosa aveva in mente il vecchio Bobby Singer?
 
"Sam, carica le sacche in macchina, e porta qua il tuo culo e quello di tuo fratello. Se Celine vuole farci compagnia, dille che è la benvenuta".
 
Non gli aveva dato il tempo di rispondere: aveva messo giù il telefono prima che lui potesse farlo.
 
*
 
Convincere Dean a tornare da Bobby era stata un'impresa, ma convincerlo a sedersi dalla parte del passeggero era stato ancora peggio. Non aveva fatto altro che lamentarsi per tutto il viaggio della 'guida pessima di Sam', ma farlo guidare non sarebbe stato saggio. Era troppo stanco, e data la miriade di cose che avevano lasciato in sospeso, non potevano permettersi di morire in un incidente stradale. Era stato proprio per quello che Sam lo aveva lasciato borbottare per tutto il tempo, che lo aveva lasciato lamentarsi fino a che non era crollato dal sonno con il capo appoggiato al finestrino umido.
 
Celine aveva promesso di raggiungerli entro sera. Prima voleva continuare a cercare Castiel per un altro po’ di tempo, sperando che finalmente quella fosse la volta buona, che quella fosse la volta in cui finalmente avrebbe scoperto qualcosa su Cass.
 
Erano arrivati a sera tarda, quando ormai la strada era deserta e il freddo era diventato insopportabile.
Bobby li aveva accolti calorosamente, offrendogli birra ghiacciata e hamburger.
Li aveva trovati in condizioni pessime, soprattutto Dean, ed era rimasto contento nel vederlo mangiare di gusto. Il suo ragazzo era stanco, era anche più stanco di come lo aveva descritto Sam, e non poteva permettergli di crollare. Non poteva permetterglielo e basta.
 
Aveva parlato pochissimo per tutto il tempo, e sembrava fosse stato seduto su di un cuscino di spilli tanto era teso ed agitato. Dopo cena, si era precipitato al computer con una cassa di birre in mano, cominciando a spulciare tutti gli articoli che potessero in qualche modo essere ricollegati a Castiel, bevendo avidamente dalla lattina ghiacciata.
 
"Guardalo, Bobby. Guardalo. Si sta logorando. Io non ce la facevo davvero più da solo. Non sono come lui, non sono in grado di prendermi cura di qualcuno. Mi spiace solo di averlo capito troppo tardi ".
"Sam…” – l’anziano cacciatore non sapeva bene cosa dirgli. Per la prima volta in vita sua era davvero in difficoltà – “Sai che tormentarti tanto non ti aiuterà, vero? Non ti vedevo così preoccupato da quando hai saputo che Lucifer ha portato le sue chiappe fuori dalla gabbia".
"E' proprio questo il punto, Bobby. Io capisco che Dean sia preoccupato, ma non può mettere tutto da parte per cercare Castiel. Abbiamo l'Apocalisse da fermare, ma pare che lui l’abbia dimenticato".
 
Non poteva essere. Non poteva aver sentito davvero quello che aveva sentito. Sam non poteva aver pronunciato parole tanto dure, non dopo che aveva giurato davanti a lui che avrebbe aiutato Dean a trovare Castiel, che aveva un debito con lui e che doveva saldarlo ad ogni costo.
Il sangue di demone che aveva bevuto doveva avergli fritto il cervello, non c’erano alternative! O forse, un’alternativa c’era, ma il solo pensarlo l’aveva fatto sentire tremendamente stupido.
 
"Sei... Tu sei geloso di Castiel?".
Sembrava incredibile, ma aveva appena colpito e affondato.
"E se molto più semplicemente se ne fosse andato e basta? Se si fosse reso conto che è una battaglia persa e ha capito che c'era solo da perdere?
Che ne sappiamo noi, dopotutto, di quello che può passare per la testa di un rinnegato, di un caduto?".
 
Ma che cavolo stava dicendo? Cosa? Fare un discorso del genere su Castiel era aberrante!  
La famiglia era l’unica cosa in cui avevano sempre creduto, e Cass era diventato a tutti gli effetti un componente della loro. Era stato proprio lui a dirglielo! La gelosia gli aveva fatto cambiare improvvisamente idea?
 
"Hai parlato a Dean di queste cose?".
Quella domanda non aveva ricevuto una risposta immediata.
"Ormai per lui esistono solo Castiel e Celine. Passa più tempo con quel serafino che con me. Se Dean non odiasse gli angeli penserei che hanno una storia".
Bene. Oltre a quella che aveva sviluppato nei confronti di Cass aveva fatto capolino anche la gelosia per Celine. Che splendidi progressi.
"Figliolo, sinceramente, credo che tu stia un po' esagerando".
"Sfido chiunque a stare accanto ad una persona a cui si vuole bene senza che lei ti prenda minimamente in considerazione".
Bè, era vero che Dean fosse molto stressato in quanto continuava a ritenersi responsabile per Cass, ma era da non tenere neppure lontanamente in considerazione che potesse essersi dimenticato di Sam. Era fuori questione! La stanchezza giocava brutti tiri, Sam avrebbe dovuto saperlo. Allora perché stava reagendo in quella maniera sconsiderata? La gelosia poteva davvero portare a tanto?
 
Improvvisamente, una forte corrente d'aria annunciata da quello che avevano riconosciuto come un battito d’ali aveva invaso la stanza, e Sam aveva alzato gli occhi al cielo, trattenendo a stento l’irritazione nel veder apparire il serafino proprio davanti a Dean.
 
"Celine!".
"Ciao Dean".
 
L'angelo si stava guardando intorno, incuriosito da quell’ambiente così nuovo e così caotico.
Sam e Bobby avevano fatto capolino nella stanza, e mentre il minore dei Winchester stava guardando la ragazza quasi con disprezzo, Bobby ne era rimasto piacevolmente incantato.
 
"Salute, Bobby Singer".
"Salute a te…” – aveva balbettato – “Tu se la famosa Celine, dico bene?".
La ragazza aveva annuito, sempre bellissima, nonostante il velo di tristezza presente sul suo viso.
 
"Hai novità di Castiel?".
Dean non era proprio riuscito a trattenersi, troppo smanioso e desideroso di sapere, ma la ragazza aveva fatto cenno di no col capo, facendolo piombare nuovamente nella più totale disperazione.
 
"Non dobbiamo perdere la speranza" – gli aveva sussurrato, posandogli una mano sulla guancia coperta di peli ispidi. Eramo giorni che Dean non si radeva.
 
Bobby era stato l’unico ad accorgersi che Sam aveva stretto i pugni fino a farsi sbiancare le nocche. Stava arrivando al limite della sopportazione, e cominciava a temere che presto potesse commettere una sciocchezza.
 
"E' qui che è successo, non è vero?" – aveva detto il serafino mentre chiudeva gli occhi – “C’è ancora l'eco dell'energia che ha sprigionato. E' quasi incredibile".
 
Si stava aggirando per la stanza con la mano destra tesa in avanti, quasi come se stesse toccando qualcosa che era visibile solo a lei e a nessun altro.
"Castiel..." – aveva sussurrato, incapace di trattenere le lacrime. Quanto dolore le aveva causato la sua paura? Quanto? E quanto ne aveva causato a Castiel? A volte, avrebbe solo voluto tornare indietro e sistemare ogni cosa.
 
Bobby era sempre più incredulo. Quell’angelo stava piangendo. Celine stava piangendo e Dean l’aveva abbracciata forte, accarezzandole dolcemente i capelli.
"Mi dispiace Celine... Mi dispiace".
 
"Ragazzi..."- Bobby non pensava che fosse il termine più adatto per rivolgersi anche ad un angelo, ma cosa doveva dire? - "Avete bisogno di riposo. Anche tu, Celine. Ammetto di non aver mai conosciuto molti angeli in vita mia, ma non riesco a stare tranquillo sapendo che siete messi così male.
Non so cosa facciate per riposare, ma casa mia per te è aperta. E lo sarà sempre".
 
Troppo. Quello era stato semplicemente troppo. Sam si era sentito tradito anche da Bobby, anche da colui che considerava suo padre, e non era riuscito a sopportarlo.
Irato, si era voltato verso la porta di ingresso, sbattendola violentemente alle proprie spalle dopo essere uscito senza neppure salutare.
 
"Sammy! Ma cosa…?".
"Lasciatelo stare" - Bobby aveva fermato Dean poco prima che si precipitasse a recuperarlo - "E’ solo stanco. Ha bisogno di stare un po' da solo per schiarirsi le idee".
“Che cosa non mi stai dicendo, Bobby?”.
“Niente figliolo… Proprio niente”.
 
Continua…
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Ed ecco che vediamo che Sam comincia a mostrare il suo pessimo carattere.
Non è un personaggio che amo molto, sapete?
Come tutti gli uomini - e le donne - ha i suoi difetti, e adesso ha sviluppato una gelosia immane a causa delle poche attenzioni che gli sta rivolgendo suo fratello.
Da un lato lo capisco. Sono sempre stati lui e Dean, solo lui e Dean. Ed ora, è come se lui fosse diventato invisibile agli occhi di chi è morto pur di salvarlo. Bobby avrebbe dovuto prenderlo a schiaffi, ecco cosa avrebbe dovuto fare! Ma ha preferito aspettare, ha preferito lasciarlo sbollire e far correre…
Speriamo che abbia fatto bene!
A presto!
Bacini
Cleo

 

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Capitolo 14
*** Incontri inaspettati ***


 
Incontri inaspettati
 
Tre settimane dopo il suo bizzarro salvataggio, Brian si trovava ancora a casa di Damon.
La sua memoria continuava a non voler tornare, ma sembrava proprio che la cosa non gli importasse più di tanto. Dopo soli cinque giorni trascorsi in compagnia di quel bizzarro vampiro era arrivato alla conclusione che se nessuno era venuto a cercarlo, a nessuno importava nulla di lui.
 
Damon non gli aveva più proposto di rivolgersi alla polizia.
Aveva preso quella decisione per non ferirlo, principalmente, e poi per via di un’altra ragione che non avrebbe mai creduto di poter prendere nemmeno in considerazione. La verità era che si era talmente abituato alla sua presenza che il solo pensiero di poterlo perdere lo faceva stare male.
Non gli importava di sapere chi fosse stato prima di perdere la memoria, non gli importava affatto. Gli bastava sapere chi era la persona che si trovava con lui in quel preciso istante.
Tutto stava andando per il meglio, alla fine dei conti, e la loro vita da coinquilini stava procedendo senza nessun intoppo. A dire il vero, sembrava che vivessero insieme in quell’appartamento da sempre. Avevano persino diviso i compiti da svolgere in casa proprio come due bravi studenti universitari.
 
C’era una sola cosa che continuava a disturbare Damon, che lo punzecchiava, impedendogli di vivere con piena tranquillità quegli attimi di normalità. La questione era che aveva taciuto. Aveva taciuto, sul fatto che durante quella notte di deliri causati dalla febbre, Brian aveva pronunciato il nome di un uomo, Brian aveva invocato più volte quel Dean.
 
"A cosa pensi, Damon?".
Il vampiro era trasalito, facendo un salto sul divano. Come facesse Brian a porgli sempre le domande al momento giusto era un autentico mistero.
Non voleva dirglielo. Farlo significava ammettere di aver taciuto, forse anche mentito, e non poteva perderlo per quella stupidaggine, per quel Dean. Il preciso momento in cui era diventato così sentimentale non era stato in grado di individuarlo, ma al momento gli importava ben poco. Non voleva trovarsi mai più da solo, mai più.
 
"Pensavo a quanto sia bello avere un amico come te".
"Bugiardo".
"Perché bugiardo? Sai che sei un uomo di poca fede?".
Brian gli aveva dato uno spintone, fingendosi offeso - "Mi domando perché continui a fare questo tipo di battute".
 
Senza indugiare troppo su quella bizzarra domanda, Damon aveva sorriso distrattamente prima di tornare a guardare la tv.
Il notiziario delle 20.00 stava elencando una serie di sciagure che susseguitesi a catena l’una dietro l’altra.
La voce della cronista stava parlando di persone che morivano in massa, di uragani, di terremoti. Ogni genere di catastrofe sembrava essersi abbattuta sulla terra in poche settimane.
Non gli piaceva. Non gli piaceva affatto. Neanche Brian era stato in grado di nascondere la propria apprensione.
 
"Che diamine sta accadendo?” – aveva commentato Damon, con un tono indecifrabile – “Sembra che stia per scoppiare l'Apocalisse”.
 
Si era accorto che era cambiato. Si era accorto immediatamente che sul suo viso era comparsa un’espressione di sorpresa, un’espressione che non aveva mai visto prima di allora. Ma cosa aveva visto in tv? O forse, era stata la sua battuta a causare una simile reazione?
 
"Ehi, Bri... Tutto bene?".
"Sì” – aveva risposto, secco – “Io credo di sì".
 
Non sapeva come spiegargli quello che stava provando. Sentiva come un dolore al petto, come un senso di oppressione, come se qualcosa gli stesse impedendo di respirare.
 
"Damon, ti va se usciamo a prendere qualcosa da bere?" – gli aveva chiesto a bruciapelo, cogliendolo di sorpresa.
Qualcosa non andava, era evidente, ma non avrebbe insistito. Non l’avrebbe fatto nemmeno se sapeva che quel suo turbamento aveva a che fare con il passato che non riusciva a ricordare.
 
*
 
Sam aveva guidato per chilometri, vagando senza meta per delle ore, la mente affollata da una serie di immagini per nulla piacevoli. Era furioso. Furioso e deluso, e aveva bisogno di bere fino ad arrivare allo stordimento. Voleva lavare via la rabbia e i cattivi pensieri, e voleva farlo subito.
Per questa ragione aveva inchiodato all’improvviso, fermandosi nel primo bar che aveva incontrato lungo il suo cammino, un bar decisamente elegante e alla moda per i suoi standard, un bar dove si era già scolato una quantità abnorme di cicchetti che non erano neppure di suo gusto.
Voleva solo ubriacarsi e non pensare più a niente, ubriacarsi e togliersi di dosso tutta la stanchezza di quei maledetti giorni trascorsi vagando senza meta alla ricerca di Castiel.
 
Non aveva idea di come avrebbe fatto a tornare a casa dopo quella sbronza, ma non gli importava. Anzi, perché avrebbe dovuto tornare a casa? Avrebbe dormito in macchina, piuttosto, ma per niente al mondo sarebbe tornato da Dean in quello stato pietoso.
Non aveva la benché minima intenzione di far pena a suo fratello pur di tornare ad avere la sua attenzione. Non era quello il modo.
 
Nonostante la sbronza, aveva notato che la barista del locale non gli aveva staccato gli occhi di dosso neanche per un istante. Era carina. Era molto, molto carina. Stava appunto pensando di comportarsi da perfetto idiota e cominciare a flirtare con lei quando i suoi occhi – seppur annebbiati dall’alcol – si erano posati su due persone appena entrate nel locale.
Sarebbe stato impossibile non riconoscere una di loro, nonostante non indossasse più né il trench sgualcito, né la cravatta perennemente al contrario.
No, non c’era dubbi. Quello era Castiel, quello era il bastardo che avevano cercato inutilmente per settimane, quello era il bastardo per cui aveva iniziato a sentirsi messo da parte da suo fratello Dean.
 
Accompagnato da un ragazzo giovane e aitante, era entrato nel locale come se niente fosse, prendendo posto insieme a lui su uno dei divanetti di pelle sistemati in quella che era stava denominata zona vip. Era vestito elegantemente, e disinvolto più che mai, stava scherzando con quel ragazzo come se fossero molto, molto intimi.
Ma che ci faceva Castiel lì? Da quando aveva cominciato a frequentare i locali e ad andarsene in giro noncurante del fatto che la maggior parte degli angeli lo stesse braccando?
Per un attimo aveva creduto di aver avuto delle allucinazioni causate dall'alcol, ma si era reso conto che quella che stava vivendo fosse la pura realtà nel momento in cui Cass si era girato verso il bancone, proprio nel punto dove lui era seduto, con l’unico obiettivo di attirare l'attenzione della barista con cui aveva flirtato fino a qualche istante prima.
Aveva finto di non vederlo. Quel bastardo aveva fatto finta di non vederlo, e tranquillo come non mai era tornato a scherzare con il suo nuovo amico.
 
Suo fratello e Celine erano arrivati al punto di strapparsi i capelli dal dolore causato dalla sua scomparsa, e lui dava tutta l'impressione di fare il cascamorto con quel bell'imbusto. Castiel stava flirtando con un uomo! Lui che non aveva mai neppure dato un bacio nella sua millenaria esistenza stava flirtando!
Era assurdo. Era a dir poco assurdo.
Una rabbia incontrollabile gli era montata addosso. L'avrebbe volentieri preso a pugni.
E, a dir la verità, si era alzato in piedi per farlo, quando quello che aveva visto l'aveva bloccato.
I due si erano abbracciati, e il ragazzo dai capelli neri aveva dato un bacio sulla guancia a Cass.
Gli aveva dato un bacio sulla guancia.
C'era in corso l'Apocalisse e loro avevano perso tempo per cercare un bastardo che nel frattempo era caduto tra le braccia di uno che aveva almeno dieci anni meno del suo tramite e centinaia di migliaia di anni meno di lui.
Aveva voglia di farlo salire in macchina a suon di calci e raccontare a Dean tutto quello che aveva visto, ma temeva che suo fratello non gli avrebbe creduto, che suo fratello non avrebbe voluto accettare quella che ormai era la realtà.
E proprio allora, aveva capito cosa doveva fare, incanalando la sua rabbia in un modo decisamente creativo.
 
"Pronto?".
"Dean?".
"Sammy! Ma dove cazzo sei and...".
"Chiudi il becco e stammi a sentire. Devi raggiungermi subito. Non hai idea di quello che ho davanti".
“Dove ti trovi?”.
“Oh, fidati! Non puoi nemmeno immaginarlo”.
 
*
 
"E abbiamo sperimentato di essere credibili come coppia!".
"Piantala Damon... Ci mancava solo che mi baciassi in bocca".
"Invece di ringraziarmi! Quel tipo non faceva altro che fissarti! Chissà che cosa aveva in mente di farti quel brutto pervertito...".
"Idiota".
"E poi, non sai che ti perdi... Tutti desiderano un mio bacio!".
"Io non sono tutti".
Non lo sopportava quando si comportava da cretino. Si era già sentito abbastanza in imbarazzo quando lo aveva baciato sulla guancia e aveva cominciato a guardarlo come se volesse mangiarlo, perché continuare? Si era messo in testa che quel ragazzo nel locale lo avesse puntato alle stregue di un segugio, e che quello fosse un modo divertente per fargli capire come stavano le cose, ma adesso era troppo. Non gli piaceva giocare in quel modo. Non gli piaceva giocare affatto.
"Come sei suscettibile!".
"Credo che sia inutile proteggermi da un presunto maniaco sessuale se vivo a casa di uno che lo è di sicuro".
"Che cosa? Oh, questo non dovevi proprio dirlo!".
 
Damon aveva sollevato Brian come senza fatica, sbattendolo sul letto e imprigionandogli i polsi con le proprie mani.
“Adesso come la mettiamo?” – gli aveva sussurrato con voce suadente, impedendogli di muoversi liberamente.
Il terrore si era instaurato sul volto di Brian.
Damon era migliaia di volte più forte di lui. Se avesse voluto fargli del male non avrebbe saputo come difendersi.
"Smettila Damon... Lasciami and-".
Ma non aveva neppure fatto in tempo a finire di pronunciare la frase, che le dita del vampiro avevano cominciato a spostarsi sotto il suo mento e lungo i fianchi, intente a fargli il solletico.
 
Damon non voleva affatto farlo spaventare. Voleva solo prenderlo un po' in giro, e ci stava riuscendo alla perfezione.
 
Stava ridendo a sua volta quando qualcuno lo aveva sorpreso prendendolo alle spalle, scaraventandolo al suolo senza che lui potesse opporsi.
 
"Lascialo stare brutto figlio di puttana!".
 
Lui non poteva saperlo, ma quelli che erano apparsi improvvisamente nella sua camera da letto erano Dean, il Dean che aveva chiamato Brian in sonno, e la sorella, Celine.
 
Il maggiore dei Winchester si era avventato sulla bestia che stava facendo del male al suo angelo proprio mentre Celine si era precipitata a soccorrerlo.
Solo dopo era apparso dal nulla anche Sam.
 
"Ma tu sei quello del bar! Brutto maledetto..." - non aveva fatto in tempo a finire la frase, perché Dean lo aveva colpito al volto, facendolo stramazzare al suolo.
 
"Sta tranquillo! Va tutto bene! Ti porteremo via da qui!".
 
Ma lui sembrava tutto fuorché tranquillo. Guardava la ragazza davanti a sé senza sapere chi fosse. Il suo unico pensiero era rivolto a Damon, all’uomo che stavano pestando senza nessuna ragione.
 
"Lasciami... Lasciami andare! DAMON!".
 
Il vampiro, ripresosi dal colpo ricevuto, stava combattendo il suo aggressore, ma quando aveva sentito la voce di Brian chiamarlo con tanta apprensione, aveva perso il controllo, e si era scagliato contro Dean digrignando i canini da vampiro. I suoi occhi erano iniettati di sangue e il suo viso era diventato spaventoso.
 
Il cacciatore si era trovato schiacciato tra lui e il muro, impossibilitato a muoversi.
 
"Ma cosa...? SAM ATTENZIONE! QUESTO BASTARDO E’ UN VAMPIRO!".
 
Stava per morderlo. Damon stava per affondare i canini nel collo dell’uomo dagli occhi verdi, ma questo non sarebbe mai accaduto. Brian si era divincolato dalla presa di Celine e si era precipitato verso i due ragazzi, abbracciando forte Damon da dietro, posando la fronte contro la sua nuca.
 
"Damon... Damon... Non farlo... Sta calmo... Respira... Va tutto bene... Tutto bene...".
 
Dean stava guardando Sam terrorizzato, incapace di capire cosa stesse accadendo.
 
Lentamente, il viso di Damon era tornato normale, così come il suo respiro.
Senza staccare gli occhi di dosso a Dean, si era girato quanto bastava per abbracciare a sua volta il ragazzo che era stato in grado di operare quel miracolo, del ragazzo che aveva sfidato quel branco di pazzi pur di salvare proprio lui.
 
Sam continuava a tenergli la pistola puntata contro, in attesa di un suo passo falso, e proprio come Celine e Dean non riusciva a capire cosa stesse accadendo.
 
"Sam, abbassa la pistola".
Aveva sentito bene? Suo fratello gli aveva chiesto di abbassare l’arma? Ma era forse impazzito?
"Dean, ma che dici?" – aveva protestato.
“Sam…”.
“No, io non…”.
"ABBASSA QUELLA CAZZO DI PISTOLA PER LA MISERIA!".
 
Suo malgrado, Sam aveva obbedito all'ordine impartitogli.
La situazione aveva in sé qualcosa di a dir poco surreale.
 
Cass se ne stava abbracciato a quel mostro schifoso come se fosse stata la cosa più preziosa che avesse mai avuto. Aveva reagito in quel modo per salvare quella bestia, o per salvare lui? Dean non era ancora stato in grado di capirlo. Ma se avesse voluto salvare lui, perché non lo aveva neanche guardato in viso?
 
"Ora voglio sapere chi siete e che cosa ci fate in casa mia" – aveva tuonato il vampiro dagli occhi di ghiaccio.
 
Era proprio giunto il momento di dare delle spiegazioni.
 
Continua…

 

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Capitolo 15
*** Who are you? ***


Who are you?
 
La verità, anche se triste e terribile, aveva fatto capolino. La verità, anche se era stata come una pugnalata al cuore, era venuta a galla, facendolo sprofondare in un abisso di disperazione da cui Dean non avrebbe saputo come venirne fuori.  
Castiel non era tornato perché aveva preferito stare lontano da loro, no. Cass non era tornato perché non avrebbe saputo come riconoscere la strada di casa, Cass non era tornato perché non ricordava né chi fossero loro, né chi fosse egli stesso.
 
Continuava a guardarli con un misto fra curiosità e sospetto, senza essere in grado di riconoscerli.
Nei suoi occhi, in quegli occhi che aveva visto in tantissime occasioni ad una distanza davvero molto ravvicinata, Dean non leggeva altro che smarrimento.
Certo, Cass era vivo, e non poteva non essere un sollievo immenso per lui, ma cos’era senza la sua memoria, senza i suoi ricordi?
Gli mancava l’aria. Aveva faticato troppo per vedere le sue speranze andare in fumo, per potersi redimere, per poter sperare di ottenere il suo perdono. Quella era una punizione, non c’erano dubbi. Era un modo per punirlo del suo comportamento idiota e sconsiderato.
Cass non era più lui. Cass era lontano mille miglia, perso in chissà quale impenetrabile buco nero. Quello che si era stretto contro il petto di quel vampiro di terz'ordine non era il suo angelo. Almeno, non lo era più.
Quello era un uomo, un uomo spaventato che non era più in grado di riconoscere la persona che aveva salvato dalle fiamme dell’Inferno, un uomo che non aveva più alcun ricordo di tutto quello che aveva fatto per lui e insieme lui.
Dean non sapeva se essere più arrabbiato o deluso, sollevato o amareggiato. Non sapeva più niente. Sapeva solo che avrebbe dato qualsiasi cosa pur di poter tornare indietro ed evitare che tutto quello accadesse. Sapeva solo che avrebbe dato qualsiasi cosa per avere indietro il suo Cass.
 
Damon continuava a guardare i suoi tre ospiti con diffidenza, un po’ perché era stato attaccato alle spalle come un animale, un po’ perché era certo che quello che aveva davanti fosse proprio quel Dean e per questo non gli stava affatto simpatico.
 
Aveva detto loro che Brian non ricordava più niente, glielo aveva quasi urlato, ma il perché lo avesse fatto visto che non si erano ancora presentati non era riuscito a spiegarlo neppure a se stesso.
Cosa diavolo erano? Come avevano fatto a piombare in casa in quel modo? E soprattutto, cosa volevano da Brian?
 
Quest’ultimo aveva l’aria di chi aveva appena commesso un terribile delitto di cui era oltremodo dispiaciuto.
Era come se sentisse di doversi ricordare di loro, ma purtroppo il vuoto era l'unica cosa presente nella sua mente.
 
"Cass..."- Dean aveva fatto per avvicinarsi a lui, ma Damon gli si era parato davanti, impedendogli qualunque genere di contatto.
"Levati, maledetto succhia-sangue".
"Credo che prima tu debba dirmi chi sei e cosa ci fai a casa mia, non credi?”.
“Se non ti levi di torno entro tre secondi giuro che…”.
 
"SMETTETELA! Basta! Tutti e due.".
 
Alla fine, Castiel era sbottato. La sua voce era ferma nonostante la confusione e lo smarrimento.
Continua a spostare lo sguardo da Dean a Damon, cercando di capire, di ricordare, e di trasmettere al vampiro calma e sicurezza, anche se lui era il primo ad averne bisogno.
"Possibile che tu non ti ricordi di noi?".
Celine non riusciva a credere di averlo perso di nuovo. Aveva perso prima Cassiel, poi Castiel, e ora, forse non ci sarebbe stato modo di avere un contatto con questa sua nuova forma, Brian, come l'aveva chiamato Damon.
 
Castiel non aveva fatto altro che guardarla. Cos’altro doveva fare, del resto? Mettersi a piangere come un bambino per il non essere stato in grado di ricordare niente, o assumere un atteggiamento arrogante nei confronti di chi si era ricordato di lui solo dopo tutto quel tempo?
 
Eppure, nonostante l’apparente rabbia, lui si era lasciato toccare il volto da quella splendida donna che gli si stava avvicinando con passo esitante. Si era lasciato toccare senza nessuna esitazione, come se stesse sentendo dal profondo del cuore di potersi fidare di lei.
 
Un attimo dopo, senza che potesse spiegarsi come o perché, una luce bianca era fuoriuscita dalle mani delicate della donna e aveva avvolto amorevolmente il viso per nulla spaventato di Castiel.
Damon stava osservando la scena sconvolto, senza essere in grado di capire cosa stesse accadendo.
Era durato meno di un attimo, ma non sarebbe mai stato in grado di dimenticarlo. Era come se la luce del giorno avesse rischiarato una notte fin troppo buia. Era stata la cosa più straordinaria che avesse mai visto in tutta la sua vita.
 
"Castiel..." – lo aveva chiamato, con voce tenera e tremante – “Cass…”.
"Chi sei tu?" – non aveva potuto non chiederglielo.
A quella parole, si era allontanata da lui di scatto, tra le lacrime, sconvolta dal fallimento perpetrato.
"Mi dispiace... Mi dispiace immensamente. Io ci ho provato... Ma…".
Si era lasciata cadere sul divano, tra i singhiozzi.
 
Castiel stava guardando Damon con aria interrogativa, sempre più confuso, sempre più amareggiato.
 
"Perché continui a chiamarmi con questo strano nome? Che cosa mi hai fatto, prima? E voi, come avete fatto ad apparire dal nulla? Siete dei vampiri come Damon?".
 
Aveva detto tutto d'un fiato, con una curiosità nella voce che aveva fatto tremare Dean, perché era la stessa curiosità con cui gli aveva sempre posto le domande più imbarazzanti.
 
Nessuno di loro sapeva da dove cominciare. Raccontargli quello che sapevano avrebbe potuto provocare più danni che altro. C’era bisogno di riflettere con grande attenzione. Non si poteva sbagliare. Ne andava della salute di Castiel.
 
"E tu..."- aveva poi proseguito, rivolgendosi a Sam - "Tu mi guardavi perché sapevi chi ero, non è vero? E noi che pensavamo fossi una specie di maniaco...".
Sam lo avrebbe strangolato in quel preciso istante. Come aveva osato pensare una cosa del genere di lui? Come?
"Siamo impazziti a causa tua! Ti abbiamo cercato inutilmente per settimane! Pensavamo che fossi morto o che fossi in pericolo! Quando ti ho visto entrare con questo bell'imbusto nel locale, quando ho visto la tua tranquillità, mi sono sentito preso per il culo!" - aveva detto senza mezzi termini - "Dean non faceva altro che pensare a te! Come dovevo sentirmi?".
 
Damon si era sentito mancare dopo aver visto l’espressione comparsa sul volto di Castiel.
 
"Dean..." - si era girato verso di lui, pronunciando il suo nome con uno strano tono - "Dean".
 
Sembrava quasi che pronunciare quel nome lo stesse aiutando a fargli prendere coscienza del suo significato, del valore che aveva la persona a cui apparteneva.
 
"Sì, Cass, sì… Sono io. Non puoi non riconoscermi. Non te lo permetto, hai capito brutto figlio di puttana?".
 
E, alla fine, qualcosa in lui era scattato, e un fiume improvviso di immagini aveva preso ad affollare la sua mente con una prepotenza che gli stava impedendo di respirare.
Eccola lì, sopraggiunta senza alcun preavviso, la vita che non ricordava. Eccoli lì, i ragazzi che aveva davanti. Ecco Dean, Sam, Bobby, Crowley, gli angeli e... E Celine.
 
Sconvolto dallo sforzo di riordinare ogni cosa, Cass aveva perso i sensi. Se non ci fossero stati Dean e Damon sarebbe caduto rovinosamente al suolo.
 
*
 
Avevano messo a letto Castiel, prendendo posto al suo capezzale.
Solo dopo aver preso tutti quegli accorgimenti, Dean, Sam e Celine avevano cominciato a raccontare al vampiro, anche se con una punta di diffidenza da parte dei cacciatori, quella che era la storia di Castiel.
 
Damon non si era perso neanche un passaggio.
Era trasalito quando Dean gli aveva detto che Cass e Celine erano degli angeli e che loro erano due cacciatori, ma aveva preferito non intervenire.
 
Gli avevano raccontato di come Cass aveva salvato Dean dall'Inferno, dei sigilli che avevano tentato invano di non spezzare, dell'arrivo di Lucifer, dell'Apocalisse in corso, della caduta del loro angelo custode, della sua difficoltà nell'accettare la sua nuova condizione di essere umano, del suo crollo, del demone che li aveva attaccati, fino ad arrivare al punto in cui era sparito sprigionando l'ultimo brandello di energia della sua primordiale esistenza da arcangelo.
 
Damon aveva ascoltato ogni cosa in silenzio, quasi fosse in trance.
Continuava a guardare Castiel, pensando ogni istante sempre più a quanto fosse incredibile tutto quello che gli avevano raccontato.
Non avrebbe mai potuto immaginare che quel corpo tanto fragile di cui si era preso cura fosse solo un contenitore per qualcosa di molto più grande, di qualcosa a cui non si sarebbe mai dovuto avvicinare, essendo lui un abominio, un figlio della notte, una creatura oscura. Aveva protetto chi avrebbe potuto ucciderlo con uno schiocco delle dita. Chissà, magari lo avrebbe fatto se avesse recuperato la memoria prima di allora e se avesse avuto ancora i suoi poteri. Magari lo avrebbe distrutto come si fa con un batterio cattivo.
 
Eppure non riusciva ad avere paura di quell'essere che avrebbe potuto privarlo della vita con uno sguardo, e questo non perché al momento era diventato pressoché innocuo. C’era qualcosa di più. Cass gli aveva trasmesso sicurezza, calore, tutto quello di cui aveva sempre avuto bisogno.
Un angelo, un uomo, una persona bisognosa di aiuto aveva riposto fiducia in lui, e non poteva non gioire per questo, non poteva non essergliene era grato.
 
"Non hai niente da dire?".
 
Dean si aspettava qualcosa, qualunque cosa, ma non quel silenzio divenuto così ingombrante. Certo, non era facile apprendere la verità, ma quel ragazzo era un vampiro! Doveva averne viste di cose strane, no?
 
Damon aveva aspettato prima di rispondere. Dolcemente, aveva posato una mano sui capelli di Cass, accarezzandoli con grande attenzione.
Quel gesto così intimo aveva fatto venire una stretta lo stomaco a Dean, e Sam aveva notato subito il suo disagio.
In quella stanza si era innescato un meccanismo di gelosie da far invida ad uno scrittore di romanzetti rosa.
 
"Cosa vuoi che dica, Dean?".
Il cacciatore lo stava guardando, accigliato. Se quella sottospecie di vampiro avesse continuato a fare lo stronzo lo avrebbe decapitato lì all'istante.
"Perché non l'hai portato in una stazione di polizia, per esempio?".
"Non ha voluto. Mi ha pregato di non fargli fare una cosa del genere ed io non ho insistito".
"Era ferito quando è sparito. Perché non l' hai portato in ospedale?".
"Perché era coperto di sangue, ma in realtà aveva solo un taglio sulla fronte e due ferite sulle scapole piuttosto profonde che però sono riuscito a curare".
"Come?".
Gli stava dando profondamente fastidio quel tono da interrogatorio, ma non era il momento più adatto per fare scenate. Avrebbe risposto, ma solo per vedere quale sarebbe stata la reazione di faccia d’angelo.
 
"Con il mio sangue".
Dean stava vivamente sperando di aver capito male.
"Brutto figlio di puttana! Gli hai dato da bere il tuo sangue?" – aveva urlato, scattando in piedi. Voleva ammazzarlo. Voleva ammazzarlo senza pietà.
Damon si era drizzato sul letto, minaccioso. A quanto pare quel Dean scattava per molto poco. Lo avrebbe rimesso in riga in un baleno. Cacciatore o no, lui era un vampiro, ed era molto, molto più forte di lui.
 
Era stata Celine a mettersi tra loro per evitate il peggio.
"Adesso basta. Smettetela. Lui non vorrebbe questo".
"Come fai a saperlo? Dopo quello che gli ha fatto! Gli ha fatto bere il suo sangue!".
"Perché è mio fratello, Dean" - Celine gli aveva posato la mano sul viso - "Perché è il mio Castiel. Il nostro Castiel"- aveva aggiunto, guardando prima Dean e poi Damon - "E non vorrebbe mai vedervi litigare in questo modo. E lo sapete bene entrambi".
 
Sam si sentiva completamente estraneo a quella situazione. Vedere suo fratello e un vampiro ingelosirsi per uno stupido angelo caduto, per un rinnegato, non aveva alcun senso.
Il sangue gli stava ribollendo nelle vene. Se Castiel non ci fosse stato, tutto quello non sarebbe mai accaduto. Sì... Quel pennuto angelico era la causa di tutti i loro problemi, era tutta colpa sua.
 
"Dean... Damon...".
Cass stava riprendendo conoscenza.
 
Il vampiro lo aveva aiutato a mettersi seduto, sistemandogli il cuscino dietro la schiena in modo da farlo state più comodo, mentre Dean gli aveva portato alle labbra un bicchiere d'acqua, permettendogli di bere.
 
Celine si rivedeva molto in loro due. Le stavano ricordando il periodo in cui Cassiel era diventato Castiel e lei si era presa cura di lui senza chiedere nulla in cambio.
Un briciolo di tristezza si era insinuato nel suo cuore che finalmente stava guarendo da anni di dolore e privazioni. Evidentemente, il suo piccolo Castiel non aveva più bisogno di lei.
 
"Stai bene Cass?".
"Come ti senti?".
Cass continuava a guardare entrambi, perplesso.
"Starei meglio se entrambi mi lasciaste respirare".
 
Era ancora un po’ confuso, ma ricordava ciò che era successo sia prima che dopo l'aggressione subita da quel demone.
Non riusciva a capire, però, come avesse fatto a trovarsi lì, in quel vicolo. Aveva un ricordo molto preciso dell’abominio che lo aveva aggredito, e ricordava di essersi svegliato coperto di sangue, ma non cosa fosse successo tra quei due avvenimenti, ma non era quello che più lo stava tormentando. Aveva ricevuto le cure di Damon, per fortuna, e non gliene sarebbe stato mai abbastanza grato.
 
"Dean...".
"Sì, Cass?" – gli stava tremando la voce. Quasi non riusciva a credere che finalmente avesse pronunciato il suo nome.
"Che cosa è successo dopo che il demone ha cercato di attaccarvi?".
 
Dean stava per rivelargli quello che era accaduto. Non voleva che fra di loro ci fossero più segreti, ma una voce nella sua testa gli aveva detto di non farlo. Era la voce di Celine.
 
Non raccontargli mai del suo passato. Ti prego. Non lo sopporterebbe.
 
Aveva ragione.
Ma prima che Dean potesse dargli qualunque tipo di risposta, Castiel si era accorto di lei, e i suoi occhi si erano riempiti di lacrime.
 
"Non posso credere che tu sia qui. Non posso crederci".
Celine stava sorridendo con grande felicità.
"Ho giurato che non ti avrei mai lasciato, fratello mio. Come potrei mai mentirti?".
Si erano abbracciati. Dopo centinaia di anni, finalmente erano di nuovo insieme.
 
"Mi sei mancato così tanto".
"Anche tu".
 
Dean stava cercando di nascondere le sue emozioni. Lui sapeva bene cosa volesse dire stare lontani da chi si ama più della propria vita, e non poteva non gioire per Castiel. Alla fine, tutto si era concluso per il meglio, escludendo il dannato vampiro.
 
"Sei delusa dal mio comportamento, sorella mia?" – aveva chiesto, con la paura di essere giudicato e rimproverato.
"Come potrei essere delusa da te, se stai prendendo ogni decisioni seguendo la voce che viene dal tuo cuore?" - si era chinata su di lui e gli aveva dato un tenero bacio sulla fronte - "Sono qui. Ci sono sempre stata Cass, e giuro sulla mia vita che ci sarò per sempre".
 
Continua…
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E alla fine, Dean si è rivelato la chiave di volta.
Quanto è bello il rapporto che lega l'umano all'angelo? Che il Destiel esista o meno, che sia una fantasia di fans "visionari" o un'operazione di marketing di cui vengono elargiti solo indizi, Cass e Dean sono fatti per ritrovarsi sempre e comunque, alla fine.
Mi rendo conto che si è trattato di un capitolo un po' sdolcinato, vagamente OOC, forse, ma che volete farci?
Mi ispirano tanto Angst e tanta dolcezza...

Scappo!
Ringrazio tutti coloro che hanno letto e recensito...
Siete speciali!
Un bacio
Cleo

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Capitolo 16
*** Possessed ***


Possessed
 
Celine era rimasta in camera da letto, stesa al fianco di suo fratello, decisa a recuperare sin da subito il tempo perduto. Era rapita da lui, da quella sua forma umana, forse non bella come la sua essenza angelica, ma altrettanto gradevole. Quei suoi occhi blu come il cielo erano talmente buoni e profondi da renderle impossibile distogliere lo sguardo. Era Castiel, anche se molto diverso. Era suo fratello. E non l’avrebbe abbandonato per nessuna ragione al mondo.
 
Dean e Damon si erano spostati in cucina, mentre Sam si era ritirato in bagno.
 
Non si guardavano più in cagnesco, ma la tensione era ancora palpabile. Uno dei due avrebbe dovuto rompere il ghiaccio, o le cose sarebbero andate per le lunghe solo perché entrambi erano due testoni orgogliosi.
 
"Ti va una birra?" – era stato proprio Damon a fare il primo passo.
"Credevo che voi vampiri avesse in frigo solo scorte di sangue!".
 
Ma dopo ave visto l’interno del suo frigo, Dean aveva potuto appurare che oltre alle sacche di sangue vi erano cibarie di ogni tipo. L’aveva comprato solo per Castiel o lo teneva lì per altre ragioni molto più subdole?
 
Sorridendo un po’ incerto, aveva preso la birra offertagli proprio dalle mani del vampiro.
 
"Mi sembra incredibile. Io, Dean Winchester, un esperto cacciatore, sto bevendo una birra nella cucina di un succhia-sangue che ha salvato la vita a Cass" – e aveva bevuto un lungo sorso, accompagnato da un Damon che a stento aveva soffocato un sorriso.
"Ma come? Anche tu…".
"L'alcol aiuta a controllare la fame".
L’alcol aiutava i vampiri a controllare i loro istinti omicidi? Ma che novità era quella?
"Fra un po' sarà l'alba... Non dovresti ritirarti nella tua bara rivestita di velluto?".
"Spiritoso...".
"Guarda che dico sul serio! Non avrai mica strani istinti? Per una volta che risparmio uno di voi...".
"Non fare lo sbruffone con me, ragazzino. Se sei tanto esperto, dovresti sapere che esistono dei diversivi" - e nel pronunciare quella frase, gli aveva mostrato l'anello che portava al dito.
"Mi stai dicendo che un anello ti permette di stare alla luce del sole senza finire arrosto?".
"E' un anello forgiato da una strega piuttosto potente, cacciatore. Come vedi, ho mille risorse".
"Forte…" – aveva commentato, veramente colpito e preoccupato nel contempo.
"Non puoi immaginare quanto!".
 
Era strano. Quel vampiro era l’apoteosi della stranezza. Beveva alcolici, aveva un anello che gli permetteva di stare alla luce del sole, e quella storia sul suo sangue, poi… Non aveva ancora avuto l’occasione di chiedergli che voleva dire che lo aveva usato per salvare Castiel.
 
"Fammi capire, ora mi dirai che per ucciderti dovrei piantarti un paletto nel cuore, vero?".
Damon era sempre più convinto che lo stesse prendendo per i fondelli.
"Bè, potresti decapitarmi, ma è molto più facile impalarmi, non trovi?".
"Senti un po', ma che razza di vampiro sei tu? Si può sapere?" – era veramente irritato.
"Uno molto, molto speciale, a quanto pare".
Dean aveva bevuto un'altra lunga sorsata di birra, cercando di stare calmo, mentre Damon aveva finito la sua, aprendone subito un'altra.
 
"Avete una storia?".
Dean aveva fatto quella domanda a brucia pelo.
"Che cosa?".
"Tu e Castiel, avete una storia?”.
"Ma ti è dato di volta il cervello?".
"Bè, eri steso su di lui quando siamo arrivati. E Sam mi ha detto che eravate molto intimi anche al bar. Che dovrei pensare?".
Damon era perplesso, decisamente perplesso. Quel Dean era fatto a modo suo, non c’erano dubbi. Apparentemente spavaldo e temerario, si era rivelato in realtà molto più fragile di quanto potesse sembrare.
 
"Sei per caso geloso, Dean Winchester?".
Il cacciatore gli aveva rivolto lo sguardo più duro del suo intero repertorio. Era finito il momento di giocare. Era finito per davvero.
 
"Se fai del male a Castiel, Damon, prima ti impalerò, e poi ti decapiterò. Poi, se sarà necessario, ti darò fuoco. Così sarò sicuro di averti sistemato una volta per tutte".
 
Aveva posato la bottiglia sul tavolo senza staccare gli occhi da quelli di Dean. Capiva perfettamente la sua reazione. Forse, anche lui avrebbe fatto lo stesso.
 
"Non farei mai del male a Castiel, Dean. E no. Noi non abbiamo una storia. Lo stavo solo prendendo un po' in giro quando ci avete interrotto. E, per quanto riguarda il bar, credevamo che Sam fosse una specie di maniaco, te l’ha detto proprio Cass. Lo stava guardando come un assatanato, avresti dovuto esserci per capire. Mi sono avvicinato a lui solo per dissuaderlo dal fare qualcosa di stupido che lo avrebbe fatto ritrovare completamente dissanguato".
 
Sembrava davvero sincero. Ma poteva fidarsi fino in fondo?
 
"A proposito di tuo fratello… Sei sicuro che stia bene? E' chiuso in bagno da un bel po' di tempo".
Doveva ammettere che avesse ragione. Che stava combinando? Ora che ci pensava, lo aveva visto un po’ nervoso, prima. Forse, avrebbe dovuto parlargli in privato.
 
"Sam!"- aveva urlato Dean, alzandosi dal divano - "Sam!".
Ma non aveva ricevuto alcuna risposta.
Si era allora fermato davanti alla porta del bagno, evidentemente allarmato.
"Sammy, tutto bene?".
Ma, ancora una volta, non c’era stata risposta. A quel punto, temendo il peggio, Dean aveva provato ad aprire la porta, scoprendo che non era stata chiusa a chiave.
Grande era stata la sua sorpresa nel comprendere che, nonostante la luce fosse accesa, Sam non si trovava all'interno della toilette.
"Ma cosa diavolo... SAM!".
 
Un lampo di luce proveniente dalla stanza da letto aveva invaso improvvisamente il corridoio, costringendo Dean a voltarsi e ad incontrare lo sguardo di Damon.
Entrambi temevano che fosse appena accaduto qualcosa di terribile a Castiel.
 
*
 
"Che cazzo hai fatto Sammy?".
 
Dean era sotto shock. Suo fratello aveva la mano destra posata su di un simbolo enochiano che aveva tracciato con il proprio sangue sulla parete, e non era stato difficile capire perché di Celine non ci fosse più traccia.
Castiel lo stava guardando, immobile. Era come se fosse stato incatenato al materasso da una forza invisibile ai loro occhi, e Dean sapeva fin troppo bene cosa questo volesse dire.
 
Quello non era Sam, e non c’era stato bisogno di guardare il colore dei suoi occhi per capirlo.
 
"Ciao, ragazzi… E’ un piacere vedervi qui tutti insieme".
"Maledetto, lurido figlio di puttana… Come hai fatto ad impossessarti di mio fratello, come?".
“Vedo che non ti sfugge proprio niente, Winchester… I miei complimenti”.
 
Damon non riusciva a capacitarsi di quello che stava accadendo. Che quello non fosse il gigante capellone era più che evidente, ma quello che aveva appena sentito dire a Dean era stato a dir poco traumatico. Come aveva fanno un demone ad impossessarsi di un cacciatore?
Ma al momento non era importante. Aveva mandato via l’angelo, e Castiel era in pericolo, incapace di difendersi. Doveva fare qualcosa. Proprio per questo aveva provato ad attaccare Sam, ma Dean l'aveva bloccato.
"Vacci piano cow boy. Quello resta sempre mio fratello".
"Benissimo, allora che proponi di fare?".
 
Anche se di una razza diversa, Damon era un cacciatore proprio come lui, e i cacciatori si capivano al volo. Senza che ci fosse bisogno di parole, Dean aveva fatto un piccolo cenno con il capo al vampiro, vampiro che con uno scatto ferino si era portato dietro il corpo del demone ad una velocità impressionante, bloccandogli entrambe le braccia con tutta la forza che aveva in corpo.
 
Dean non aveva perso tempo, e aveva estratto una bottiglietta dalla tasca, stappandola con violenza e versandone il contenuto addosso al corpo posseduto del fratello che aveva cominciato a bruciare e ad urlare dal dolore.
 
"Ti fa male brutto bastardo, non è vero? Esci dal corpo di mio fratello. ESCI!”.
Ma il demone aveva iniziato a ridere di gusto, noncurante del dolore provato.
"Che cos’hai da ridere, brutto bastardo?".
Damon gli avrebbe volentieri spezzato l'osso del collo, ma se Dean non aveva tirato fuori dell’altro oltre ad un po’ di acqua santa, ciò voleva dire che c’era la possibilità di uccidere Sam.
“Perché non la pianti di ridere e non ci dici cosa vuoi, eh?” – gli aveva chiesto allora il vampiro, stringendo sempre più forte quelle braccia possenti.
Il demone stava continuando a ridere, e il fatto che lo stesse facendo con la voce di Sam stava rendendo tutto molto più inquietante e terribile.
"Sapevo, lo sapevo che sareste caduti nella mia trappola! Avevo calcolato tutto!".
"Come hai fatto ad entrare nel corpo di mio fratello?" – aveva urlato Dean, sorvolando su quello che aveva appena sentito.
"Andiamo Dean... Credi che quello stupido tatuaggio possa tenere lontano me o quelli come me dopo tutto il sangue di demone che Ruby gli ha dato da bere?".
Dannazione. Sapeva che prima o poi ci sarebbero state delle conseguenze a quella pratica disgustosa, ma non tanto traumatiche.
"Che cosa vuoi da noi?" – gli aveva chiesto allora Damon, sopperendo al silenzio di Dean.
Il demone stava continuando a ridere di gusto.
"Da te niente, inutile vampiro. Sei stato solo un piccolo intoppo nel mio piano perfetto. Ma non preoccuparti! Il mio signore sta arrivando, e saprà che ruolo trovarti in questa meravigliosa storia!".
Il sangue si era raggelato nelle vene del cacciatore. Cosa voleva dire che il suo signore stava arrivando?
 
Damon aveva perfettamente compreso che la situazione stava per complicarsi ulteriormente, e l’aveva compreso dopo aver letto il terrore negli occhi del cacciatore.
“Dean, cosa…”.
 
"Ciao, Dean".
Una voce, una voce terrificante aveva interrotto la frase di Damon, e lentamente, all’unisono con il cacciatore, si era girato verso il punto da cui proveniva.
Era certo che il mondo, di lì a breve, gli sarebbe crollato addosso.
 
Continua…

 

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Capitolo 17
*** Lucifer ***


Lucifer
 
"E’ un onore poter finalmente fare la tua conoscenza".
 
Cera un uomo seduto accanto a Castiel, un uomo comparso dal nulla che gli stava languidamente accarezzando il petto.
Cass non poteva muoversi, non poteva scappare, e Dean non sapeva come fare per aiutarlo. Dallo shock, aveva lasciato cadere la bottiglia d'acqua santa al suolo, facendone rovesciare tutto il contenuto.
 
Damon aveva reagito esattamente all’opposto. Quella scena lo aveva disgustato profondamente, imponendogli di intervenire a costo della propria vita.
"No! Fermati Damon, no!".
Dean aveva previsto che sarebbe stato tutto inutile. Ancora prima di lasciar andare il corpo posseduto di Sam, il vampiro era stato scaraventato contro il muro, rimanendovi inchiodato.
"Damon! EHI, NO!".
Dean era stato circondato dalle enormi braccia di Sam, e muoversi era diventato impossibile. Che cosa stava accadendo? E come avevano potuto abbassare la guardia in quel modo, come?
 
"Ben fatto Russell... Ben fatto. Avrai una ricompensa per questo".
"Mio signore, non credo di meritarmi tutte queste attenzioni da parte vostra".
"Io, invece, credo proprio di si!".
 
Il suo sorriso malvagio aveva preannunciato quello che stava accadendo. Russell aveva mollato la presa su Dean, iniziando a contorcersi con violenza prima di vomitare tutto d'un fiato quella tanto familiare nube nera che una voragine sul pavimento aveva inghiottito con avidità.
Il corpo inerme del ragazzo era caduto tra le braccia del fratello.
 
"Sam… Sammy… Ehi… Ma che diamine…".
 
Dean si era accorto di non riuscire più a muovere il proprio corpo dal collo in giù, e la cosa era peggiorata dal fatto che suo fratello lo stesse schiacciando, alle stregue di un pesante macigno impossibile per lui da sostenere.
 
"Ma chi sei tu, maledetto bastardo!".
 
Damon non era riuscito a trattenersi. Aveva osservato tutto con estremo disgusto.
Lui aveva fatto delle cose terribili durante la sua esistenza, ma non aveva mai osato tanto. E, soprattutto, non lo aveva fatto mai con tanta freddezza e tanta lucidità, e mai con tanta goduria.
 
"Taci. Essere immondo".
 
A quelle parole, Damon si era accorto di non riuscire ad articolare più nessun suono, nonostante potesse muovere le labbra. Che cosa gli aveva fatto? Come aveva fatto?
 
La sensazione di essere in trappola non faceva che aumentare. Come potevano liberarsi?
Quell’abominio li aveva messi tutti sotto scacco con la semplice forza del pensiero, ma era troppo evidente che l’unico ad essere davvero in pericolo fosse Castiel.
 
Continuava a toccargli il petto con avidità, sorridendo maligno. Che cosa voleva da lui? Cosa voleva fargli?
 
"Ora che tutto è sistemato, possiamo tornare ad occuparci di noi due".
 
"Che cosa vuoi da lui, lurido bastardo?" – magari non riusciva a muoversi, ma era perfettamente in grado di parlare. Se le parole avessero potuto uccidere, Dean le avrebbe già usate per farlo.
 
"Dean, Dean... Non ci siamo neanche presentati come si deve e già mi offendi? Non ti hanno insegnato le buone maniere?".
Un dolore insopportabile aveva straziato l'addome del cacciatore che aveva iniziato a tossire sangue, rischiando di rimanerne soffocato. Sam non accennava a riprendere i sensi, e questo non contribuiva a migliorare le cose.
Sarebbe morto se non si fosse subito alzato da lì.
 
"Sapevo che avrei dovuto pazientare un po', ma che alla fine sarei riuscito ad avervi nelle mie mani. E tutti insieme. Sono stato davvero fortunato".
 
"Lucifer, sei un… SEI UN BASTARDO!".
 
Dean stava cercava di mostrarsi sicuro di sé, ma la sua impotenza era più che evidente. Lo aveva sfidato apertamente, osando pronunciare il suo nome ad alta voce.
 
Lucifer. Dean lo aveva chiamato Lucifer. Damon aveva provato ad attaccare il Diavolo in persona.
Non riusciva a respirare. Era troppo. Era troppo anche per lui che aveva affrontato per decenni il male che faceva parte della sua stessa natura e che l’aveva represso e spedito nel posto più buio e lontano del suo cuore.
Come si potevano sconfiggere il Diavolo? Come potevano anche solo scacciarlo via da lì? Come potevano salvare Castiel?
 
"Dean, dovresti ormai saperlo! Io non ho intenzione di fare del male a te o a Sam. Soprattutto, non a quest'ultimo. Potrei mai ferirei il mio tramite, o quello di Michael?".
 
I tramiti?
 
"A giudicare dall’espressione del nostro amico vampiro, credo che voi non gli abbiate raccontato questo piccolo particolare? Ho ragione, Damon Salvatore? Tu non sai niente di chi siano loro in realtà?".
 
Come faceva il Diavolo a sapere il suo nome? Il pensiero che la sua anima si trovasse all'Inferno aveva preso piede nella sua mente. Non si era mai curato molto di quel particolare, ma ora se n’era sentito schiacciato, soffocato.
 
"Non ti farò del male. Non rientri nei miei interessi. Io sono qui solo per il mio piccolo Castiel".
 
La voce del demonio era melliflua, in un certo qual modo quasi sensuale.
Castiel stava rabbrividendo dall’orrore ad ogni suo tocco. Tutto quello che gli stava facendo era sbagliato.
Cosa voleva da lui? Non era più un angelo, non aveva la minima idea di quali fossero i piani del Paradiso, e non glieli avrebbe confessati in ogni caso.
Avrebbe potuto torturarlo, smembrarlo, scuoiarlo vivo, ma non avrebbe detto una parola a quell'essere orrendo, a quell'abominio. Mai.
Avrebbe urlato se avesse potuto. Ma non poteva, perché era sotto il suo totale controllo, era alla mercé di quel mostro dal tocco di ghiaccio.
Sembrava che avesse deciso di prolungare quella terribile attesa fino all'infinito, quasi per dargli un assaggio delle torture che avrebbe dovuto sopportare in seguito.
 
"Fratellino mio, non posso credere quanto sia stata grande la mia fortuna. Gli sforzi vengono sempre ripagati, alla fine. Mi spiace solo dover rovinare il corpo di questo bel tramite... Sai, devo riconoscere che la tua è stata una scelta ben ponderata...".
 
Cosa voleva fargli? Che cosa voleva da Castiel?
L'ansia stava divorando Dean e Damon.
 
Come poteva valicare quel limite? Anche se era un caduto, Castiel era pur sempre suo fratello. Dean non riusciva a capire. Non riusciva ad accettare tutto quell’orrore. Se solo avesse potuto muoversi…
 
Damon era lo specchio della tensione. Stava cercando con tutte le sue forze di liberare le proprie membra da quella stretta di ferro, ma inutilmente. Tutto sembrava vano contro la volontà del Demonio.
Non era possibile sapere che avrebbero dovuto assistere a quell'orrore senza poter fare niente. No, non potevano permetterlo.
 
"Non osare torcergli neanche un capello maledetto pervertito figlio di puttana".
 
Nonostante volesse suonare come un avvertimento, il tremore nella voce di Dean aveva causato tutt’altra relazione. La sua era stata una supplica, la supplica di chi non aveva più carte da giocare.
 
Gli occhi di Castiel erano diventati liquidi. Ancora una volta, era preoccupato non per se stesso, ma per i suoi amici. La supplica di Dean gli aveva spezzato il cuore.
 
"Dean! Ma cosa vai a pensare!" - il Demonio si era messo seduto sul bordo del letto, abbandonando suo fratello per un istante - "Non ho bisogno di quello che pensi! Ci sono ben altri modi per rendermi appagato".
 
Lucifer si era alzato in piedi, dirigendosi lentamente verso Damon, per poi passargli delicatamente una mano tra i capelli.
 
"E, in ogni caso, avrei proprio l'imbarazzo della scelta".
 
Disgustoso. Era disgustoso. A che razza di gioco stava giocando?
Aveva detto che non avrebbe torto un capello a nessuno dei tre, che il suo obiettivo era solo ed esclusivamente Castiel, ed ora si stava divertendo a designare ognuno di loro come possibile vittima dei suoi giochi perversi. A quale scopo? Solo per dimostrargli che otteneva sempre ciò che desiderava?
 
Dean sentiva la rabbia ribollire dentro di sé. Dovevano fare qualcosa, e in fretta, se avessero voluto salvare la pelle. Ma cosa?
Celine avrebbe avuto possibilità se quel dannato sigillo non l'avesse spedita chissà dove?
 
Era stato come se Dean fosse stato improvvisamente colto da un lampo di genio, un lampo di genio che gli aveva permesso di trovare una soluzione.
Il sigillo. Era quella la chiave di volta.
Celine non ci avrebbe messo molto tempo a ritornare indietro ed aiutarli se lo avessero distrutto, e poi lei era un serafino! Poteva, doveva essere in grado di aiutarli! Anche perché, che alternative avevano?
Ma come poteva raggiungere il sigillo e distruggerlo se era bloccato al suolo?
Se solo Sam si fosse svegliato...
 
"Credo che tu non abbia raccontato tutta la tua storia al piccolo Castiel. Non è vero, Damon?".
 
Quella frase aveva distolto Dean dai suoi pensieri.
Ok, sicuramente non era né il momento, né il luogo adatto per raccontare pettegolezzi, ma non aveva potuto fare a meno di vedere Damon chiudere di colpo i suoi grandi occhi di ghiaccio per evitare di doversi confrontare con Lucifer.
Damon poteva muoversi, allora! Forse non se n’era ancora reso conto. Doveva sfruttare quell’occasione. Doveva farlo e basta!
 
Con dei flebili sussurri, aveva cominciato a chiamare suo fratello, sperando che il Diavolo fosse troppo impegnato nel suo monologo per scoprirlo.
"Sam... Forza Sam... Svegliati... Apri gli occhi amico... Coraggio...".
Ma Sam non accennava a muovere un muscolo.
 
"Lo immaginavo...” – aveva proseguito il Demonio – “Perché non sei stato sincero? Non si fa così con gli amici, no? Oh, ti stai chiedendo come faccio a sapere tutte queste cose, non è vero? Sai, questi sono i vantaggi di essere il Diavolo…".
 
"Sammy... Andiamo...".
 
"Sai, Damon, credo proprio che dovrei chiedere al vecchio Klaus qualche consiglio... Mi ha davvero sorpreso! E sorprendere me è davvero una grande impresa".
 
"Sam... Non abbiamo tutto il giorno!".
Dean non poteva vederlo, ma sapeva che Cass era ancora immobile sul letto.
"Cazzo Sam! Svegliati!".
Forse, imprecare era servito, perché il ragazzo aveva avuto come uno spasmo, iniziando poco dopo a muovere le palpebre.
 
Damon era stato come distrutto da quelle parole, era come se esse avessero riaperto un'antica ferita mai del tutto rimarginata. Gli veniva da piangere.
 
Soddisfatto del risultato ottenuto, il Diavolo era tornato accanto al letto, rivolgendo tutte le sue attenzioni a Castiel.
 
"D-Dean..." - Sam aveva finalmente aperto gli occhi.
"Fermo. Resta fermo finché non te lo dico io." – gli aveva sussurrato - "Poi prendi il coltello e distruggi il sigillo".
Stava sperando con ogni singola fibra del proprio essere che Sam ce la facesse.
 
Lucifer era tornato ad occuparsi di Castiel, sorridendo compiaciuto.
"Credo che ora sia arrivato il momento di andare".
 
"SAM, ADESSO!".
 
A quell’ordine, aveva estratto il pugnale di Ruby dalla cinta dei pantaloni del fratello e si era lanciato contro la parete su cui era stato disegnato il sigillo in enochiano, piantandolo su un punto a caso della circonferenza per infrangerlo.
Subito dopo, la stanza aveva iniziato a tremare, preannunciando l’arrivo di Celine.
 
Era accaduto tutto in un attimo, in un lungo. lunghissimo, interminabile attimo.
Celine si era materializzata nella stanza impugnando la propria arma, pronta a colpire, ma nello stesso istante Lucifer aveva sollevato il corpo di Castiel, facendosi scudo con esso. A quel punto, il serafino aveva esitato, nell’evidente desiderio di non ferire di propria mano il suo adorato fratello.  
E poi, senza alcun preavviso, lui e Lucifer erano scoparsi, e Celine, non aveva potuto fare altro se non colpire il morbido materasso rimasto ormai vuoto.
 
Continua…

 

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Capitolo 18
*** Colpe e colpevoli ***


Colpe e colpevoli
 
"NO! NO! NO!".
 
Dean non riusciva a crederci, non riusciva ad accettare di essersi fatto fregare, non riusciva neanche a pensare di aver perso nuovamente Castiel.
Non gli importava che fosse stato il Demonio in persona ad avergli fatto quel brutto tiro, non poteva giustificarsi dicendo a se stesso che quell’abominio fosse il maestro degli inganni, no. Cass era finito nelle sue mani, e a quel punto solo Dio – ovunque egli fosse – poteva sapere cosa volesse fare con lui.
 
Era arrabbiato, era così arrabbiato da non riuscire a respirare. Non avevano alcuna possibilità di ritrovarlo se Celine non poteva più percepire la sua presenza. Non avevano alcuna possibilità di ritrovarlo dato che non riuscivano a capire dove si nascondesse il Diavolo.
 
Stava impazzendo. Rabbia, dolore, terrore e sconforto si erano sovrapposti, impedendogli di pensare lucidamente. Aveva cominciato a distruggere tutto quello che gli capitava sotto mano, nel disperato tentativo di sbollire la rabbia e di dare sfogo a quel turbinio di emozioni così sconvolgenti.
Perché tutto quello a cui teneva finiva per rompersi? Perché tutte le persone a cui voleva bene si trovavano costantemente in pericolo? E perché, alla fine, lui non riusciva mai a fare niente di concreto per aiutare chi amava?
 
"Dean! Calmati, ti prego".
 
Sam stava cercando di farlo ragionare, ma tutto sembrava inutile.
Si sentiva talmente in colpa. Si era lasciato usare, si era lasciato manovrare da un demone. Come aveva potuto essere così debole? Come aveva potuto permettere che una cosa del genere accadesse?
 
"L'ha preso! Ce l’ha portato via da sotto il naso, Sam! E non si tratta di un demone qualunque, ma di Lucifer! DEL DIAVOLO! Non sappiamo dove siano, non sappiamo cosa voglia fare con Cass! DIMMI COME FACCIO A CALMARMI!".
 
Per evitare che si ferisse, Sam l'aveva afferrato per la vita, bloccandogli le braccia nel tentativo di placarlo, ripetendogli che comportarsi in quel modo non sarebbe servito a niente, che non sarebbe servito a ritrovare Castiel. Solo Dio poteva sapere quanto si sentisse in colpa, ma cosa poteva fare? Se lo avesse detto a Dean cosa sarebbe cambiato?
 
Celine si era abbandonata ad un pianto disperato, dimenticandosi della propria arma ancora conficcata nell'imbottitura del materasso.
Aveva fallito. Aveva fallito miseramente, infrangendo la promessa che aveva fatto a Castiel. Suo fratello si trovava in pericolo, e lei non poteva aiutarlo. Ancora una volta, lei non poteva fare niente.
 
"E' colpa vostra, E’ solo colpa vostra" - Damon era rimasto seduto al suolo, con le spalle poggiate al muro, il capo chino e gli avambracci posati sulle ginocchia. Le sue mani erano unite, quasi come se volessero reggersi a vicenda - "E' solo colpa vostra".
"Che cosa vuoi, Damon? Cosa vuoi?" - il fatto che avesse aiutato Cass non gli permetteva di prendersi certe libertà. Dean continuava a pensare che fosse ancora un lurido vampiro assassino che non meritava altro oltre alla morte.
"Voi!" - Damon aveva alzato il capo di scatto, gli occhi diventati rossi a causa dello sforzo di trattenere le lacrime - "Voi li avete condotti qui! Lui soprattutto!" - aveva detto, indicando Sam - "E' colpa vostra se quel bastardo l'ha rapito!".
Sam stava faticando a tenere fermo un Dean che continuava a scalciare con tutte le sue forze.
"Sta zitto!".
"Stava bene qui con me! Era al sicuro! E’ stata tutta colpa vostra!”.
Il suo viso era diventato deforme e gli occhi si erano iniettati di sangue. Presto sarebbe esploso, e nessuno sarebbe stato in grado di placare la sua ira.
Ma Dean non sembrava affatto intimorito.
"Come fai a non capire che prima o poi l'avrebbe trovato comunque, brutto bastardo?".
"Avrei cercato di proteggerlo!".
"Oh, davvero? L’avresti protetto come hai fatto adesso?".
"ADESSO BASTA!".
 
Sam aveva urlato con tutto il fiato che aveva in gola prima che il peggio accadesse. Era stravolto. Stravolto e stanco.
 
"Come potete credere che Cass volesse vedervi in queste condizioni? Lui voleva che andassimo d'accordo, e invece guardatevi! Mi vergogno di voi!".
 
Dean aveva dato uno strattone a suo fratello, liberandosi dalla sua presa.
 
"Mi dispiace Damon. Lo so, è colpa mia. Non ero in me. Non so quando quel figlio di puttana abbia iniziato a controllarmi, ed è solo colpa mia se è riuscito a farlo. Non mi perdonerò mai per questo. Mai”.
Era sincero. E sperava con tutto il cuore che Damon lo avesse capito.
"E Dean, mi dispiace. Non ero io. Non potrei mai essere geloso di Cass. Sarebbe assurdo! Non ti biasimo per non esserti accorto prima che quello che avevi di fronte non era davvero io. Capisco cosa provi. Cass è uno di noi, è nostro fratello. Ed è solo colpa mia se ora si trova chissà dove. Io… Io farò tutto quello che posso per aiutarti a trovarlo. Mi dispiace. Mi dispiace da morire".
 
Dean non aveva saputo cosa dire. Era rimasto ad ascoltarlo, in silenzio, sentendosi un idiota e un egoista.
 
"Celine..." – Sam si era seduto sul letto, le aveva afferrato il viso tra le mani e le aveva asciugato le lacrime con il tocco delicato delle sue dita - "Io non ce l’ho con te… Non potrei mai avercela con te. Mi dispiace. Ti prego, se puoi, perdonami".
 
Stava per piangere, ma non si sarebbe concesso una simile debolezza. Erano tutti troppo sconvolti per potersi accollare anche il suo dolore. No, quello era il momento di reagire, di tentare il tutto per tutto. Non poteva lasciare Castiel nelle mani del Diavolo. Non poteva e basta.
 
"Ve lo prometto. Farò tutto ciò che serve per ridarvi Castiel. Ma voi dovete aiutarmi. E potete farlo solo aiutando voi stessi".
 
*
 
Dovevano progettare un piano. E dovevano farlo subito.
Nessuno aveva idea di cosa passasse nella mente di Lucifer, dunque era meglio non perdere altro tempo.
 
Celine era ancora molto scossa, ma era animata dal desiderio di ritrovare suo fratello e di sistemare definitivamente le cose.
Non riusciva a credere di essersi fatta scappare l'opportunità di uccidere Lucifer e di fermare l'Apocalisse come una novellina, ma soprattutto non riusciva a credere di non essere riuscita a proteggere Castiel.
Sapeva bene che se avesse anche solo avuto l’opportunità di ferire il Diavolo avrebbe dovuto avere a che fare con Michael e Raphael, ma era un rischio che avrebbe corso più che volentieri. Era arrivato il momento di sistemare le cose una volta per tutte, e l’avrebbe fatto a costo della vita.
 
Sam continuava a tormentarsi, anche se stava cercando di non darlo a vedere. L’aver bevuto sangue demoniaco si era dimostrato un enorme sbaglio. La cosa peggiore, però, era che non aveva idea di come confessare a Dean che spesso ne sentiva ancora il bisogno. Controllarsi stava diventando sempre più difficile, ed erano tante le volte in cui aveva temuto di cedere. Ma non poteva scaricare su Dean anche quel peso. Non adesso, almeno. Ci sarebbe stato il tempo per raccontarsi quella verità, ci sarebbe di certo stata un’altra occasione.
 
Dean era troppo intento a cercare di capire dove si trovasse la torre in cui il malvagio principe delle tenebre aveva segregato il loro amico per poterlo interrompere. Si stava lambiccando il cervello. Dov’erano lui e Castiel?
 
"Quel bastardo si sarà rinchiuso in una botte di ferro. Non ho la più pallida idea di come faremo ad entrare, ammesso di scovare il suo nascondiglio".
 
Stava cercando di riflettere. Dove si sarebbe nascosto se fosse stato il Diavolo?
 
Damon, invece, era rimasto in disparte. Sembrava perso in una dimensione lontana, irraggiungibile, una dimensione forgiata dai ricordi. Il Diavolo aveva riaperto una ferita troppo profonda, una ferita incurabile, facendo sì che i fantasmi del passato lo travolgessero con le loro urla strazianti.
 
Avrebbe tanto avuto bisogno di parlare con qualcuno per scacciare via quel peso così opprimente, ma con chi? Con un Winchester?
Loro non avevano idea di cosa provasse un vampiro. Si erano sempre e solo limitati a farli fuori senza porsi troppe domande. I mostri erano mostri e basta. Non c'erano differenze tra loro, Dean glielo aveva dimostrato chiaramente, e se avevano deciso di imporsi una tregua, era stato solo per il bene di Cass.
Un cacciatore non poteva pensare che un mostro avesse un cuore che potesse andare in frantumi. Non poteva e basta. Peccato solo che Damon non avesse ancor capito chi fossero davvero Dean e Sam.
 
"Dean, mi stai ascoltando?" - Sam si era reso conto che il fratello era altrove, e che stesse osservando con insistenza Damon.
"Cosa? Sam, Scusa. Non ci sono con la testa... ".
"Dicevo, Celine continua a non percepire Castiel...".
“Fantastico” - si era passato una mano tra i capelli.
"Ma riesce a sentire chiaramente Lucifer".
"Cosa?" Dean e Damon lo avevano chiesto all’unisono.
"Sì, io riesco chiaramente a sentire la presenza di Lucifer, ma…”.
“E' una trappola" – l’aveva interrotta Damon, lo sguardo duro, la voce ferma e disgustata.
"Purtroppo credo che Damon abbia ragione" - Celine aveva cominciato ad accarezzare distrattamente le lenzuola del letto sfatto su cui pochi minuti prima era stato disteso suo fratello.
"Perché vuole attirarci nel suo covo? Che cosa vuole da noi?" - Dean si era lasciato cadere sulla poltrona, con le braccia penzoloni. Si sentiva impazzire. Perché era tutto così difficile?
"Dean, credo… Credo che la trappola sia solo per me".
"Cosa te lo fa credere?" - Sam non capiva il perché di quella supposizione.
"Non vi toccherebbe mai. Siete troppo preziosi per lui, per l'Apocalisse e per quello che comportate. Damon gli è indifferente, lo ha già detto, ed io... Io ho cercato di ucciderlo. Due volte, per giunta".
"Credi che voglia solo vendicarsi? O gli servi per qualcuno dei suoi loschi scopi?".
"Questo saprò dirvelo solo quando lo raggiungerò. Da sola".
 
Era fuori questione. Non l'avrebbero mai lasciata andare da sola. Era vero, erano delle nullità al suo cospetto, ma non potevano tirarsi indietro. Non l'avrebbero mai fatto. Si trattava di Cass, e non solo.
 
"Non ti lascerò andare da sola" - Damon era stato chiaro.
"Non puoi...".
"Non posso fare niente contro di lui. Lo so. Me l'ha appena dimostrato. Ma, forse, posso essere un diversivo".
Era molto coraggioso, ma Celine non voleva rischiare la vita di nessuno. Neanche quella di un vampiro, visto che aveva aiutato Castiel e che si era dimostrato una creatura dal cuore gentile.
"Damon... Potresti...".
"Morire?" - sembrava quasi che lui fosse in grado di leggerle nel pensiero - "Ho vissuto troppo a lungo senza una ragione. Ora posso fare qualcosa di concreto. Posso salvare un amico e provare a fregare quel bastardo. Posso dare una mano. Lo sai bene. Sai che ti sarei molto più utile di loro".
Dean e Sam si erano sentiti feriti. Soprattutto Dean.
"Ehi, bellezza, senti un po'...".
"No Dean. Ha ragione".
"Celine. Non vi lasceremo andare" - Sam era stato categorico - "A costo di imprigionare te nel cerchio di olio sacro e di impalare lui al muro, non vi lasceremo andare da soli".
Dean era rimasto stupefatto dalle affermazioni del fratello. Quando voleva, sapeva proprio farsi valere.
Damon e Celine si erano scambiati un lungo sguardo d’intesa.
I Winchester li avrebbero seguiti in ogni caso, non c'era modo di fargli cambiare idea, era fin troppo evidente.
"E' deciso allora" - aveva concluso Dean - "Ora, ci resta solo capire dove si trovano".
Un attimo dopo, Celine era sparita nel nulla.
 
Continua…
________________________________________________________________________________
 
Eccomi qui!
Alla fine – per quanto Sam non mi stia molto simpatico – non era davvero geloso di suo fratello il nostro Winchester più “piccolo”.
Ora, so perfettamente che avendo il tatuaggio nessun demone può impossessarsi del corpo di uno dei due, ma ho immaginato che il sangue demoniaco ingerito da Sam avesse indebolito il simbolo, permettendo ad un demone più forte del comune di possederlo. Non so se sia legittimo o meno, ma permettetemi questa licenza.
 
Sono unici i nostri amici, non trovate? Forti e coraggiosi. Sembrano non aver paura di niente e nessuno, neppure del male in persona.
Speriamo che possano trovare Cass al più presto.
 
Scappo!
Un bacione
Cleo

 

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Capitolo 19
*** The Devil's Truth ***


The Devil’s Truth
 
A volte la paura diventa l'unica cosa a cui aggrapparsi, l'unica cosa che riesce a farti andare avanti, l'unica cosa che riesce a farti sentire vivo.
Era proprio questo il sentimento provato da un Cass che stava lentamente riprendendo conoscenza.
La traversata fatta in braccio a Lucifer era stata troppo per lui, per un umano ancora fragile e poco avvezzo a quella pratica.
Prima, spostarsi in quel modo era d’obbligo. Gli era toccato diventare un essere umano per comprendere veramente cosa intendesse Dean quando gli diceva che non si trattava di un’esperienza piacevole.
 
Si era svegliato dopo quanto tempo? Erano trascorsi minuti, secondi, ore? E dove si trovava?
Era stato adagiato su di una vecchia e logora branda, aveva freddo e si sentiva terribilmente stanco, ma almeno aveva di nuovo il controllo del proprio corpo.
Con cautela, si era sollevato per guardarsi intorno, mettendosi seduto sul bordo del sottile materasso.
Si trovava in una enorme stanza praticamente vuota, immerso in una penombra asfissiante. I vetri rotti della finestra lasciavano entrare la gelida aria della notte, con il risultato che il freddo gli fosse penetrato ormai fin dentro alle ossa. Gli unici mobili presenti erano la branda su cui era seduto, un vecchio tavolo e alcune sedie malandate.
 
E c’era una porta, una grande porta di ferro che si trovava proprio di fronte a lui.
Poteva provare a scappare, ma a cosa sarebbe servito se non a prolungare le sue sofferenze e a fari divertire ancora di più chi lo aveva rapito?
Ancora non capiva cosa Lucifer volesse da lui. Era spaventato. Spaventato e stanco.
Per un attimo, aveva desiderato essere di nuovo il Brian di Damon, di essere a casa sua, a farsi viziare e prendere un po' in giro.
Il suo amico vampiro gli mancava così tanto… L'aveva protetto in maniera quasi ossessiva, non l'aveva mai lasciato, e adesso... Adesso si sentiva così solo…
 
Si era preso cura di lui proprio come sua sorella Celine.
Quasi non riusciva a credere che fossero stati separati subito dopo essersi rincontrati. Gli era mancata così tanto.
Celine era speciale. Cass non aveva mai capito perché un serafino potente come lei si fosse abbassato ad occuparsi di un semplice angelo, ma non le sarebbe stato mai abbastanza grato. Era grazie a lei se aveva capito sin da subito cosa volesse dire sentirsi amati, e nonostante fosse stato necessario abbandonarla, nonostante lo avesse fatto solo per proteggerla, non avrebbe potuto negare che gli si era spezzato il cuore.
 
Prima, lei, poi Damon, per non parlare di Dean e di Sam… Perché doveva perdere tutte le persone che avevano fatto qualcosa di buono per lui? Perché doveva sempre rinunciare a chi gli voleva bene?
Ma Cass sapeva di non poter biasimare nessuno all’infuori di se stesso.
Se avesse parlato con Dean invece di prendere quella stupida decisione, forse tutto quello non sarebbe accaduto. Lui non si sarebbe trovato lì, in trappola, e Dean e Sam non avrebbero corso alcun rischio. Certo, non avrebbe conosciuto Damon, ma lui non sarebbe stato in pericolo. Aveva sentito cosa gli aveva detto il Demonio, ma non era stato in grado di capire il significato di quella sua frase. Sapeva solo che Damon era stato ferito, e che, ancora una volta, era stata solo colpa sua. Se non avesse preso quella stupida decisione, Celine lo avrebbe trovato molto prima, e adesso sarebbe stato al suo fianco, avrebbe atteso con ansia in suo arrivo, invece di temere quello di Lucifer.
 
Ed ecco che, improvvisamente, una sensazione di gelo molto più acuta di quella data dal contatto dell'aria notturna con la sua pelle sembrava avergli gelato persino il cuore.
Era terribile. Non riusciva a respirare. Era come se si fosse trovato intrappolato in una prigione di ghiaccio, come se fosse stato gettato nell’acqua gelida dell’Antartide e il freddo gli impedisse di nuotare, gli impedisse di mettersi in salvo.
 
Ed era tutto merito del Diavolo. Lucifer aveva appena fatto capolino della stanza, anche se lui non era stato in grado di vederlo.
 
"Ciao, Castiel".
 
Erano inutile fingere che non si trovasse lì. Aveva provato a girarsi verso il punto da cui proveniva la sua voce, ma non aveva fatto in tempo, perché era stato scaraventato dall'altra parte della stanza, sbattendo violentemente la schiena e la nuca contro il muro. A causa del forte impatto, la vista gli si era annebbiata, e aveva cominciato a sentire le membra intorpidite e la testa pesante.
I passi di Lucifer erano diventati ovattati. Era in grado di distinguere solo i suoi contorni, per questa ragione non era stato in grado di vedere il sorriso soddisfatto apparso sul suo viso.
 
"Mi piace tanto giocare con te, fratellino... ".
 
Non riusciva a tenere gli occhi aperti. Le orecchie gli stavano fischiando, ma non poteva cedere, non ora. Sarebbe stato bello lasciarsi cadere nell'oblio e non sapere cosa gli avrebbe fatto, ma qualcosa continuava a dirgli che Damon, Dean, Sam e Celine sarebbero presto apparsi dal nulla nel tentativo disperato di aiutarlo, e non poteva permetterlo.
Avrebbe urlato loro con tutto il fiato che aveva in gola di andare via, di mettersi al sicuro perché per lui non c'erano più speranze, che tutto era inutile. Si sentiva responsabile per loro. Anche se non era più un angelo, lui doveva continuare a proteggere i suoi cari, doveva farlo a costo della vita.
 
"Non-non toccarmi...".
 
Ma Lucifer non l’aveva ascoltato e lo aveva sollevato di peso per riportarlo sulla branda.
Aveva cercato di divincolarsi, ma era stato tutto inutile. Lucifer era più forte di lui, era più forte di chiunque altro.
 
"Perché ti comporti da bambino cattivo, Castiel? Tu sei prezioso... Sei molto, molto prezioso".
 
Lo aveva sistemato sulla branda con cura, cercando di non causargli ulteriore dolore. Forse, aveva un po’ esagerato con quella dimostrazione di forza.
 
"Che cosa vuoi, Lucifer?".
 
Era straordinario. Nonostante fosse stato sottomesso, aveva ancora la forza di rimanere lucido e provare a reagire. Il suo potere era molto più grande di quello che avesse immaginato.
 
"Castiel... Tu mi stupisci... Credo proprio di averti sottovalutato".
 
Nonostante la paura, il suo sguardo era fiero, fiero e deciso come quello dei soldati di Dio. Lucifer era certo che Michael sarebbe stato molto orgoglioso di lui… Peccato solo che non si fosse reso conto di chi si fosse lasciato scappare.
 
"Non hai ancora risposto alla mia domanda".
"Quanta fretta... Tipico di voi… Umani... Volete sapere tutto e subito".
Aveva allungato una mano per sfiorargli la schiena.
"Ti ho detto di non toccarmi" – aveva detto, alzandosi di scatto per evitare il tocco del Diavolo.
Quest’ultimo, dal canto suo, aveva sorriso, divertito e ammirato da tanto ardore.
"Ti mancano le tue ali, non è vero? Così come ti manca l'avere a tua disposizione il potere di fare il bello e il cattivo tempo. Non è così, fratellino mio?".
 
Cass non riusciva a capire dove volesse andare a parare. Perché aveva tirato fuori quel discorso?
Si stavano osservando in silenzio, quasi come se si stessero studiando. A Castiel non piaceva il modo in cui Lucifer lo stava guardando. A Castiel non piaceva niente di lui. Come poteva aver rinunciato all’amore di suo Padre e dei suoi fratelli per pura vanità? Come?
 
"Io posso restituirti ogni cosa" – aveva asserito improvvisamente, interrompendo il filo dei suoi pensieri.
"Cosa? Tu… Tu non sai quello che dici".
 
Come osava! Lui, un rinnegato, il rinnegato, paragonarsi a Dio?
Castiel non aveva mai provato quel sentimento prima d'ora. Era un qualcosa che gli stava facendo ribollire il sangue nelle vene, era un sentimento che aveva fatto aumentare il battito cardiaco, era un sentimento che aveva oscurato il suo cuore. Quella era la prima volta che Castiel stava provando l’odio, e lo stava provando verso colui che un tempo era stato suo fratello.
 
Non era stato in grado di ricordare il giorno della caduta di Lucifer. Aveva come un vuoto riguardante quegli avvenimenti, e per tanto tempo aveva provato verso di lui solo incomprensione e un pizzico di amarezza. Dopotutto, era sempre suo fratello ma, improvvisamente, tutto era diventato diverso.
Il Diavolo stava mostrando la sua vera natura, sfoggiando la tecnica per cui era diventato famoso fra i terrestri e fra gli angeli: aveva appena cercato di tentarlo.
 
"Io so esattamente quello che dico, piccolo Castiel. Non ti mentirei mai".
 
Era proprio quello il punto. Gli angeli non potevano mentire, semmai, si limitavano ad omettere. Ma lui, lui aveva perso quello caratteristica o no? Che cosa non gli stava dicendo?
Ma, in ogni caso, lui non avrebbe mai rivoluto indietro i propri poteri dalle sue mani. Suo Padre era l’unico a potergli concedere quell’onore, suo Padre era l’unico a poterlo rendere di nuovo quello che era stato, ma lui doveva prima meritarselo.
 
"Non puoi restituirmi la mia Grazia, Lucifer".
"Oh, questo lo so bene. Ma posso offrirti qualcosa di molto meglio, qualcosa che non ha un peso così grande e che non comporta tutte quelle assurde responsabilità.
Non posso renderti quello che eri, è vero. Ma posso farti diventare molto, molto di più. Posso farti tornare ad essere quello che non riesci a ricordare".
 
Era stato in grado leggere confusione sul bel volto umano di Castiel.
Era proprio come pensava. Nessuno aveva raccontato a quella creatura che una volta, anche se per un periodo brevissimo, era stato l'arcangelo Cassiel, ferito in battaglia e abbandonato alla propria sorte da tutti, fuorché dalla dolce Celine, che lo aveva protetto, ma che gli aveva mentito.
Quanto tempo aveva trascorso da solo, lontano da tutto e tutti?
Sì… Lucifer era convinto di aver finalmente trovato il suo punto debole, e adesso sapeva esattamente cosa fare.
 
"Io posso restituirti ogni cosa".
"Ma che cosa dici? Di cosa stai parlando? Io... Io non capisco...".

Il ghigno comparso sul volto del Diavolo era spaventoso.
C'era quasi. Gli sarebbe bastato fare pressione nei punti giusti, e sarebbe stato suo.

"Oh... Piccolino mio... Piccolo, dolce, bellissimo Castiel..." - aveva allungato la mano fino ad accarezzargli il viso con la punta delle dita, disegnando il contorno della sua guancia, forzando le labbra con il pollice per farle schiudere.

Castiel avrebbe voluto reagire, avrebbe voluto urlare e scappare via, ma non ne era in grado. Aveva troppa paura. Che cosa voleva fargli?

"Ti prego...".

Sul volto del Diavolo era comparso un autentico stupore.

"Ho sentito bene? Tu, stai pregando, me?".


Lo sguardo supplice di suo fratello lo aveva spinto a togliere la mano, e Cass si era ritirato dal ribrezzo.

"Non fare così... Sei andato così bene fino a poco fa...".

Lucifer si era seduto accanto a lui in maniera più comoda.

"Allora, cosa mi avevi appena chiesto?" – stava sorridendo, cercando di mostrarsi affabile.

Castiel non aveva avuto il coraggio di fissare quelle pupille maledette senza tremare di paura. Era difficile, era troppo difficile.

"Volevi sapere cosa voglio da te, no?".
Si era limitato a fare cenno di sì col capo.
"Tu non ricordi proprio niente, non è vero?" - gli si era avvicinato ancora di più, cingendogli la vita con un braccio e costringendolo a posare il capo sulla sua spalla. Con una mano gli stava accarezzando i capelli, mentre con l'altra lo stava tenendo fermo, stringendolo contro di sé.

Cass non sapeva quale miracolo lo avesse spinto a non urlare. Perché gli stava facendo quello? Perché?
Lucifer stava inspirando forte il suo odore.
 
"Non hai idea di quanto tu mi sia mancato, fratellino mio... Non hai idea di quanto mi sia mancato tutto questo... Stringerti a me, darti conforto, proteggerti col mio amore...".

Amore? Il Demonio stava parlando a lui di amore?

Continuava a parlare con quella sua voce melliflua che tanto orrore stava provocando in Castiel.

"Sei bellissimo tutt'ora, ma non hai idea di quanto fossi bello prima, fratellino mio. Di quanto fossimo belli entrambi".

Faceva di proposito quelle pause lunghissime per far sì che Castiel si ponesse altre domande e nello stesso tempo assimilasse per bene le parole che stava scegliendo con cura. Il suo piano perfetto stava per essere messo in atto, e non vedeva l’ora di scoprirne il risultato.

"Tu non puoi ricordarlo, e loro non te l’hanno detto, ma un tempo tu eri un arcangelo, proprio come me".

Lucifer aveva sentito Castiel irrigidirsi tra le sue braccia.
"Tu menti...".
"Come potrei mentirti? Perché, poi?".
Castiel era confuso. Come poteva essere stato un arcangelo? Il Diavolo gli stava mentendo, era così evidente. Ma perché, allora, stava provando il desiderio di continuare ad ascoltarlo?
"Sai, io e te eravamo soliti trascorrere molto tempo insieme. Eri il mio fratello prediletto, ed io ero lo stesso per te. Eravamo talmente uniti da suscitare gelosia nel cuore degli altri nostri fratelli, specialmente nel cuore di Celine".
A quelle parole, Castiel aveva scostato il capo per guardarlo negli occhi.
"Celine?".
Aveva proprio fatto centro. Castiel non ricordava niente di quello che era stato, di quello che era accaduto con Celine. Lui si era documentato nell’ultimo periodo, aveva fatto domande in giro, venendo a conoscenza di cose molto interessanti, di cose che lo avrebbero aiutato a raggiungere il proprio scopo.
"Sì, fratellino mio... Proprio Celine".
"Ma... Non può essere... Lei... Lei..".
"Lei ti stava cercando solo per punirti".
"Punirmi?".

A Castiel era crollato il mondo addosso.
Come poteva essere?
Lui l’aveva guardata negli occhi, era stato stretto dalle sue braccia e non aveva percepito nulla di sbagliato in tutto quello.
L'orrore lo stava provava proprio adesso che Lucifer continuava a toccarlo. Come potevano essere stati ciò che lui diceva se si sentiva così sporco?

"Perché mi hai lasciato da solo se eri così tanto legato a me? Perché mi hai abbandonato?".
"Fratellino mio..." - gli aveva preso il volto tra le mani, costringendolo a guardarlo negli occhi - "Io non ho mai voluto lasciarti. Mi hanno costretto. Quando mi hanno cacciato dal Paradiso, io ho visto Celine colpirti e te precipitare. Pensavo fossi morto" e lo aveva abbracciato forte, nascondendo il suo malefico ghigno.
Cass non sapeva cosa fare.
“Ma io... Io... Non può essere… Non può essere…”.
"Tu pensi che io non abbia sofferto? Sono stato chiuso in quella maledetta gabbia per millenni, struggendomi per la tua morte senza sapere che in realtà eri vivo.
Ma poi... Poi mi hanno liberato, ed io ti ho sentito. Ho sentito che eri vivo, e ho lasciato tutto per venire a cercarti. Ed ora sei qui, fra le mie braccia, di nuovo al mio fianco, di nuovo al sicuro, e questo mi riempie il cuore più di qualunque altra cosa".

Il cuore.
La creatura più crudele mai esistita, aveva detto di avere un cuore.
Come poteva credergli? Gli aveva fatto del male solo per mostrargli la sua forza. Come credergli?
Nonostante il suo racconto non facesse una piega, non riusciva a fidarsi. Non poteva fidarsi. Celine non poteva aver cercato di ucciderlo. Si era preso cura di lui per anni, lo aveva aiutato quando tutti lo avevano rinnegato! Poteva averlo fatto solo per raggirarlo? E poi, cos’era quella storia dell’essere stato un arcangelo?

Lucifer riusciva a vedere il suo struggimento, la sua indecisione.
"Vuoi che ti aiuti?".
Cass era sempre più confuso.
"Vuoi che ti aiuti a ricordare?".
A quel punto, ricordare era tutto quello che desiderava, e Lucifer gli stava offrendo la conoscenza.
Cosa doveva fare? Lui doveva sapere... Sentiva di dover sapere.
Forse, per una volta, Lucifer era stato davvero sincero. Dopotutto, chi era lui per giudicarlo? Era un caduto, un rinnegato. In fondo, era molto più simile a lui di quanto avesse mai creduto.

"Che cosa mi farai?".

Il Demonio stava sorridendo, radioso.

"Tu fidati di me, e tutto sarà di nuovo come prima".

Castiel aveva annuito, e aveva serrato pugni e occhi.
Era pronto a qualunque cosa volesse fargli il Diavolo.

"Molto bene fratellino mio. Molto bene".
Un attimo dopo, aveva imposto le mani sul capo di Castiel, allargando ancora di più quel sorriso malefico che solo il Diavolo poteva sfoderare.
Tutto quello che aveva sempre desiderato, stava finalmente per compiersi.
 
Continua…
___________________________________________________________________________________________                                                                                     

Sto letteralmente sconvolgendo tutto.
Non so perché, ma sto riscrivendo interamente gli ultimi capitoli.
So solo che così, la storia funziona meglio.
Povero Castiel...
Mi sento quasi in colpa per quanto lo sto facendo soffrire...
Sarò forse diventata sadica??
Mah!
Approfitto ancora una volta di questo spazio per ringraziare tutti coloro che hanno letto e recensito!
Siete speciali, e date un senso al mio lavoro!
Un bacione grande!
Cleo

 

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Capitolo 20
*** Eternity... ***


 
Eternity
 
Celine era via da più di mezz'ora, ormai, il che non aveva fatto altro che far agitare ancora di più Dean, Damon e Sam che, nel frattempo, si stavano armando di tutto punto per affrontare i demoni che avrebbero ostacolato il loro cammino.
 
"E voi credete che un po' di acqua santa serva a tenerli a bada?".
Damon era scettico, molto scettico.
"Noi non lo crediamo, noi lo sappiamo, succhia-sangue. Non possiamo limitarci ad usare il coltello di Ruby, e non siamo in grado di fare un esorcismo di massa, quindi... ".
"Dean ha ragione. Dobbiamo tenerli buoni il più possibile finché Celine non raggiungeremo Castiel".
 
A quanto sembrava, non c’erano molte alternative. Proprio per questo, Damon aveva ricominciato a calare crocifissi nelle brocche piene d'acqua, ripetendo la formula insegnatagli dai due fratelli per benedirla.
 
"Certo che è proprio strano vedere un vampiro che benedice dell'acqua!".
Damon aveva sorriso all'esclamazione di Sam.
"Nella vita non si sa mai in cosa ci si può imbattere".
"Puoi dirlo forte, vampirello!".
Il ragazzo aveva lanciato un'occhiata canzonatoria a Dean.
"Senti..."- aveva proseguito - "Lo so che non sono affari nostri ma... Che cosa voleva dire prima Lucy quando ha detto che non hai raccontato tutta la tua storia a Cass?".
Il crocefisso era scivolato dalle mani del vampiro, irrigiditosi di colpo dopo aver sentito la battuta di Dean.
"Damon... Chi è Klaus?".
 
Un lungo silenzio aveva seguito quella domanda. Sperava che Dean non avesse compreso le parole di Lucifer per via del trambusto, ma si era sbagliato. Non sapeva bene cosa fare. Poco prima, egli stesso aveva espresso il desiderio di parlare con qualcuno, ma adesso che ne aveva l’opportunità, si stava tirando indietro.
 
“Damon…”.
"Klaus era uno degli originali".
"Intendi dire un Alfa? Il primo vampiro della storia?".
Aveva atteso ancora, cercando di riordinare le idee.
"Non so se fosse o no il primo vampiro della storia, Sam. Ma posso dirti che era uno dei più vecchi".
 
Sam e Dean si erano guardati incuriositi dopo aver visto Damon allontanarsi per bere avidamente da una sacca di sangue.
Sospettavano che questo Klaus avesse fatto a Damon qualcosa di terribile, ma mai avrebbero creduto di sentir pronunciare dal vampiro le parole che stavano per sopraggiungere.
 
"Klaus ha ucciso mio fratello Stefan".
Dean era rimasto pietrificato. Non si era mai curato del fatto che un vampiro potesse avere o meno una famiglia, e non aveva mai pensato che potesse soffrire per la perdita di uno dei suoi cari.
Adesso, invece, aveva scoperto che Damon aveva avuto un fratello e che era morto. Il fratello era morto, e forse era per questo che viveva in quell’appartamento, solo.
Non voleva neppure pensare a come si sarebbe sentito lui se avesse perso definitivamente Sam.
 
"Mi… Mi dispiace molto… Era un vampiro anche lui?".
Damon aveva annuito alla domanda di Sam.
“Io… Non ho mai raccontato a nessuno tutto questo, e… Mi sento così… Così…” – gli mancavano le parole per descrivere quale fosse il suo stato d’animo. Non era il momento per parlare di quello. Dovevano pensare a Castiel. Ma come poteva concentrarsi su di lui se il suo cuore non era leggerlo? Se i ricordi continuavano a tormentarlo?
"Noi amavamo la stessa ragazza... Lei si chiamava Elena, ed era… Lei era meravigliosa. Io l’amavo come non avevo mai amato nessuno prima di allora, ma lei era innamorata di lui, di Stefan...
Non sono mai stato alla sua altezza" – c’era un velo di amarezza nella sua voce. Aveva le lacrime agli occhi. Era un momento difficile per lui, che non si sentiva ancora pronto a scavare così in fondo nei propri ricordi - "Noi dovevamo proteggerla da Klaus. Quel bastardo voleva ucciderla per spezzare la maledizione del sole e della luna e permettere a tutti i vampiri che non erano in possesso di oggetti stregati come il mio anello di uscire alla luce del sole. Noi pensavamo di essere al sicuro, pensavamo che avesse rinunciato a portare al termine il suo folle piano ma... Non è andata così".
 
Si era nascosto il viso tra le mani tremanti. Gli mancava il fiato, e temeva che il petto potesse esplodergli da un momento all’altro.
Ai fratelli Winchester si era stretto il cuore, soprattutto a Dean. Non avrebbero mai creduto che Damon, all’apparenza così duro e sicuro di sé, fosse in realtà così fragile.
 
"Ero nella mia stanza quando mi sono sentito spingere con violenza sul letto. Klaus era entrato senza farsi notare ed è riuscito ad ammaliarmi, ordinandomi di non muovere un muscolo".
"Ti aveva... Ammaliato?" – Sam non riusciva a capire fino in fondo le parole di Damon. Di cosa stava parlando?
"Sì... Quelli della mia razza possono ammaliare gli umani che non sono sotto l'influsso della verbena, ma Klaus e gli altri originari possono ammaliare anche noi vampiri".
 
Vampiri ammaliatori di vampiri. Dean stava pensando che neanche Stephenie Mayer sarebbe mai arrivata a tanto.
 
"Mi ha chiesto dove fosse Elena. Lui la voleva ad ogni costo, ma io non sapevo dove fosse. Era di sicuro con Stefan, ma potevano trovarsi ovunque.
Mi ha costretto a dirgli che sarebbero tornati a casa insieme entro sera, anche se forse non avrebbe avuto bisogno di me per scoprirlo" - aveva preso un lungo respiro prima di continuare - "C’era tutto il pomeriggio da aspettare, e lui doveva ingannare il tempo… E ha deciso di farlo occupandosi di me".
 
Damon stava fissando il vuoto. Stava rivivendo attimo per attimo tutto quello che era stato costretto a subire, e non sapeva neppure lui chi gli stava dando la forza di non crollare.
 
"Mi ha fatto tutto quello che ha voluto. E’ andato avanti per ore, le ore più difficili della mia vita. Mi ha torturato, mi ha impalato, mi ha morso, mi ha avvelenato con la verbena. Lui mi ha... Mi ha umiliato, ed io... Io non ho potuto fare altro se non urlare e sperare che mi ammazzasse, questo finché Stefan ed Elena non sono tornati.
Purtroppo mio fratello ha sentito le mie urla e si è precipitato ad aiutarmi, ma non ha fatto in tempo neanche ad aprire la porta... Klaus l'ha ucciso davanti ai miei occhi. L’ha impalato... Dritto al cuore. Ed io non ho potuto fare niente".
 
Sam sapeva esattamente come ci si sentisse. Gli erano tornati in mente i tragici momenti in cui Dean era morto tra le sue braccia.
 
"Elena doveva rimanere nascosta, erano questi i patti. 'Se qualcosa va male, se uno di noi non dovesse tornare, nasconditi o scappa', glielo avevamo ripetuto fino allo sfinimento, ma lei... Si trattava di Stefan, capite? Non l'avrebbe mai lasciato. Quando ha visto che Stefan non era sopravvissuto e che io ero ridotto male, ha capito che non c'era più niente da fare. Lei… Lei, aveva un pugnale con sé...".
"Damon... non mi starai dicendo che..."
"La donna che amavo si è uccisa davanti a me, Dean. Non sopportava di aver perso Stefan per sempre. Klaus non è riuscito a fermarla. Si è conficcata il pugnale nel cuore. La mia Elena non c'era più...".
 
Non era più stato in grado di trattenere le lacrime.
Le sue spalle erano scosse da tremiti, e non si era reso conto di essersi morso il labbro a sangue.
 
Non sapevano come reagire, cosa dirgli, come placare il suo dolore. Purtroppo, non sapevano di non aver ancora sentito il resto della storia.
 
"Klaus era furioso. Chissà quanto tempo avrebbe dovuto attendere prima che nascesse un nuovo doppelganger, un nuovo essere identico in tutto e per tutto alla mia Elena che gli permettesse di spezzare la maledizione".
“Un… Un cos-“ – ma Sam aveva bloccato Dean prima che ponesse quella domanda. Gli avrebbe spiegato lui, più tardi, cos’era un doppelganger. Non era il momento di interrompere un Damon fin troppo restio a continuare. Il dolore causato dalla perdita del fratello e della donna che amava era ancora troppo intenso.
 
"Mi ha costretto a seguirlo... Mi ha fatto diventare il suo schiavo. Ha continuato ad infliggermi ogni genere di tortura possibile e immaginabile, e quando non si divertiva più, inventava nuovi giochi sempre più sadici, sempre più crudeli. Dio solo sa quanto tempo ho passato chiuso in quel maledetto magazzino. Ero terrorizzato, solo e impotente. Non aveva più voglia di vivere".
 
Damon aveva appena pronunciato il nome di Dio. Forse, apparteneva davvero ad una specie molto diversa da quelle con cui avevano avuto a che fare in passato.
 
"Come hai fatto a salvarti?" - Sam si stava torturando le mani dal nervosismo. Non avrebbe mai immaginato di udire una storia del genere.
"Semplicemente, si è stancato di me. Ha deciso che non valeva la pena uccidermi, e mi ha lasciato mezzo nudo, collassato e devastato dalle violenze in aperta campagna. Non ero degno di morire per mano sua".
 
Quelle parole avevano rievocato nelle menti dei due fratelli il racconto del ritrovamento Castiel.
Damon doveva aver rivisto in lui il se stesso usato, ferito e lasciato al proprio destino da un autentico mostro.
 
"Volevo morire. Era l'unica cosa a cui pensavo. Che senso aveva continuare a vivere se loro non c’erano più? Se Elena non era più con me?
Ero intenzionato a lasciarmi morire di fame, ma poi qualcuno mi ha trovato, mi ha portato con sé e mi ha curato. Non ho idea di chi fosse. Avevo la vista annebbiata, ma doveva sapere che fossi un vampiro, perché ricordo che mi ha dato da bere del sangue.
Quando mi sono svegliato, però, mi sono ritrovato da solo.
Questa persona mi aveva lasciato una lettera dicendo che l'eternità doveva pur servire a qualcosa, e che, evidentemente, io non avevo dato ancora un senso alla mia.
Mi ha aperto gli occhi, anche se ancora non so come abbia fatto. Le sue parole erano, sono diventate parte di me. Così, ho affittato la mia vecchia casa, e sono venuto qui, per ricominciare.
Chi l'avrebbe mai detto che mi sarei imbattuto in un angelo caduto braccato da Lucifer in persona, da un angelo che ha per amici due che di solito fanno fuori quelli come me?".
 
Stava ridendo fra le lacrime.
Forse, avrebbe avuto bisogno di un abbraccio, ma Sam era arrivato alla conclusione che sarebbe stato troppo imbarazzante, e lo stesso aveva fatto Dean.
 
"Non gli permetterò di fare del male a Cass. Né ora, né mai. Se è arrivato il momento di dare un senso alla mia eternità, direi che è proprio questo".
 
Dean non aveva potuto nascondere la fitta di gelosia che aveva provato nel sentire quelle parole.
In un certo senso, lui e Castiel avevano un rapporto speciale, e quel ragazzo, quel vampiro, si era messo tra di  loro. Ma non era il momento di fare il sentimentale, non dopo aver sentito quella storia, non dopo aver capito cosa spingesse Damon a fare quello che faceva.
Cass aveva bisogno di tutti loro per uscire illeso da quella situazione, ed ora sapeva che Damon non si sarebbe tirato indietro per nessuna ragione al mondo.
Sì, si era proprio sbagliato su di lui, e per una volta, non aveva fatto fatica ad ammettere il proprio errore.
 
"L'ho trovato".
“Celine!”.
 
Era piombata all’improvviso, facendoli sobbalzare. Avevano il cuore in gola, non vedevano l’ora che comunicasse loro le novità, qualunque esse fossero.
Purtroppo, però, Celine non sembrava affatto sollevata.
 
Continua…
________________________________________________________________________________
 
Povero Damon, povero, povero Damon.
Sono stata molto cattiva? Mi rispondo da sola: sì. Amo l’Angst, lo amo con tutta l’anima, ma mi rendo conto che spesso mi faccio prendere un po’ la mano.
 
So che adesso tutte le fans di Klaus vorranno uccidermi. Io lo adoro. Trovo che sia un personaggio straordinario. Ma è il cattivo della questione, e lui non usa mezzi termini.
Mi preoccupa la reazione di Celine. Che cosa avrà scoperto? Lo sapremo presto…
Un bacione
Cleo

 

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Capitolo 21
*** Hidden Truth ***


Hidden Truth

Castiel stava aleggiando a mezz'aria.
Il suo corpo era diventato rigido, e il viso cadaverico aveva un’espressione indecifrabile. I bei tratti erano duri, severi, e dal suo corpo si stava propagando una luce livida e sinistra.

Lucifer era oltremodo soddisfatto. Non era stato semplice per lui penetrare nella sua mente, farlo cedere al suo volere, renderlo umile e docile proprio come avrebbe dovuto essere. Ma nonostante la sua iniziale resistenza a quella pratica così invasiva, così dolorosa, Castiel aveva accettato. Il suo piano aveva funzionato alla perfezione, ed era stata un’autentica goduria sentire le sue urla strazianti che riempivano l’aria.

Lucifer aveva dovuto infrangere il muro , la barriera che Cass aveva innalzato nella sua mente a mo’ di protezione, e non era stato per niente facile. Certo, non si trovava nel corpo del suo vero tramite, ma non credeva che quella pratica potesse sottrargli così tanta energia.
Castiel era potente, era terribilmente potente.
Quasi stentava a credere che quella fosse la realtà, che potesse esistere una creatura così straordinaria, una creatura che presto lo avrebbe affiancato nell’avventura che avrebbero presto vissuto.
Sì, tutto sarebbe andato come aveva previsto, forse anche meglio di come aveva previsto.
Castiel aveva dimostrato di essere piuttosto credulone, alla fine dei conti. Sarebbe stato compito suo fargli capire che non doveva fidarsi di nessuno, nessuno all’infuori di lui, ovviamente.

Doveva ammettere di essere stato piuttosto bravo. Il povero, ingenuo Castiel aveva subito un autentico lavaggio del cervello, una pratica che lo aveva convinto di essere stato il fratello preferito di Lucifer, quello che tutti avevano invidiato per quella sua condizione di prediletto dell'arcangelo più bello, dell’arcangelo più vicino a Dio. Adesso, Cass era certo di essersi schierato dalla sua parte durante la ribellione contro suo Padre e Michael, Cass era convinto di aver lottato al suo fianco per difenderlo e supportare la sua causa, Cass era convinto di averlo amato come non aveva mai fatto con nessuno.

Lucifer era stato talmente bravo da avergli fatto credere che Celine fosse stata la più gelosa tra i suoi fratelli e sorelle, e che l’unica ragione per cui si era tanto affaccendata per cercarlo era quella di ucciderlo, di punirlo per aver aiutato lui a cadere e ad allontanarsi dalla gloria di suo Padre.
E quei fratelli Winchester, poi… Loro lo avevano abbandonato al suo destino, decidendo di aiutare il serafino a privarlo della vita.

Sì, Lucifer era rimasto davvero soddisfatto dalla sua opera, ma la parte più divertente doveva ancora sopraggiungere.

All’ingenuo Castiel aveva solo fornito dei ricordi nuovi di zecca, senza però conferirgli il potere che gli aveva promesso. Come aveva detto lo stesso Castiel, lui non poteva restituirgli la sua Grazia, ma sapeva esattamente quale fosse l'alternativa più adatta alla situazione.
Cass doveva però cedere definitivamente al suo volere, prima. Lui gli aveva fornito la conoscenza che aveva desiderato, ma c’era la necessità che si fidasse di lui ciecamente.
Doveva diventare il suo fedele cagnolino, doveva essergli completamente devoto, e questo lo avrebbe fatto prima di offrendogli da bere il suo sangue, sangue che a quel punto Castiel avrebbe accettato come un’autentica benedizione. E dopo, dopo sarebbe stato suo per sempre, sarebbe stato l’arma perfetta con cui avrebbe distrutto il Paradiso, l’arma con cui avrebbe sconfitto Michael.

Era meraviglioso, così bello, al contrario di quel suo tramite che si stava distruggendo senza possibilità di appello. Ma presto, anche quell’altra condizione sarebbe cambiata. Sam gli avrebbe detto di sì, e qualcosa gli stava suggerendo che sarebbe stato proprio Cass a dargli una mano.

Quest’ultimo aveva avuto un fremito, e la pelle del suo volto si era contratta all’improvviso, mentre le palpebre avevano cominciato a tremare, prossime ad aprirsi. Le sue splendide iridi azzurre avevano fatto capolino dietro il sottile strato di pelle, specchiandosi in quelle del Demonio. Un lampo di luce argentata le aveva attraversate, ma era stato solo un attimo fugace, l’attimo che aveva preannunciato il tanto atteso momento.

"Bentornato, fratello mio".

Gli stava accarezzando il volto, mentre Cass gli stava rivolgendo il più serio e duro degli sguardi.
Quasi sorprendendo lo stesso Lucifer, Castiel aveva sollevato le braccia, afferrandogli entrambi i polsi in una ferrea stretta, senza mai distogliere lo sguardo.

"Bentornato, Lucifer".

C’era una nota quasi scherzosa nella sua voce. Sembrava quasi che lo stesse prendendo un po’ in giro.
Con una finta dolcezza che avrebbe potuto ingannare anche il più esperto dei cacciatori, il Diavolo gli aveva posato un bacio sulla fronte, sorridendo beato.

"Ora sei qui con me. E resteremo insieme per sempre".

                                                                                                       *

"Celine, che ti prende?" - Dean l’aveva afferrata poco prima che cadesse a terra, in ginocchio, mentre lanciava un urlo spaventoso.
I suoi occhi si erano sbarrati, e stava premendo forte entrambe le mani all’altezza del cuore, come se esso fosse stato trafitto in pieno dal dardo infuocato del nemico.
Era pallida e sudata, e continuava a fissare un punto impreciso oltre la spalla di Dean, come se stesse vedendo qualcosa che agli altri era impossibile scorgere.

"No... Non può essere...".

I tre ragazzi continuano a non capire, e la preoccupazione era ben leggibile sui loro visi.

"Celine..."- Sam si era inginocchiato davanti a lei, posandole entrambe le mani sulle spalle e scuotendola leggermente un paio di volte - "Celine, che cosa sta succedendo?".

Il serafino non sembrava in grado di rispondere. Era sotto shock, incapace di riprendersi.

"Celine..." - persino Damon aveva cercato di attirare la sua attenzione, ma tutto sembrava vano.

Ma poi, alla fine, si era sciolta in lacrime, aggrappandosi ad un Dean che non aveva fatto altro se non stringerla tra le proprie braccia.
Che cosa era accaduto? Cosa aveva visto di tanto terribile da averla ridotta in quello stato? Cosa era capitato a Cass?

"Dean...".
Celine aveva staccato il bel viso devastato dal pianto dal rifugio sicuro che aveva trovato nell'incavo della sua spalla, guardandolo con gli occhi arrossati dal pianto.
Il cacciatore aveva inghiottito rumorosamente, terrorizzato dalla sola idea di udire ciò che lei aveva da dirgli.
Ma non poteva non sapere. Per il suo bene, e soprattutto per quello di Cass, non poteva non sapere.

"E' tutto perduto... E’ finita, Dean… Noi non possiamo fare più niente per lui".
 
Continua…

 

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Capitolo 22
*** La missione ***


La missione

Castiel non era più quello di un tempo.
Non era più un arcangelo, non era più un angelo, non era più un uomo, non era più niente.
Ogni suo sguardo era diretto solo a lui, ogni suo respiro veniva eseguito solo per lui. La sua volontà era anche la sua, i suoi pensieri dovevano essere uguali a suoi, e ogni sua parola era diventata sacra, inviolabile, una sorta di nettare da cui attingere avidamente.
Era quello il risultato finale della mossa del Diavolo. Manipolare la sua mente gli era servito a fargli credere che non ci fosse nessuno di più importante all’infuori di lui.  
Lucifer poteva ritenersi più che soddisfatto del suo operato. Il suo nuovo cagnolino se ne stava lì, fermo, immobile, pronto a soddisfare ogni suo più oscuro desiderio, pronto a rendersi utile nella speranza di compiacerlo con ogni mezzo.

"Le cose sono tornate com'erano un tempo, fratellino. Hai visto? E tu che eri stato tanto diffidente... Non ti senti meglio, adesso?”.
Castiel aveva annuito, aspettando che lui continuasse a parlare con quella sua voce di cui non riusciva a fare a meno.
“Me ne compiaccio. Ma ora, ho bisogno che tu faccia una cosa per me...".
Era impaziente. Voleva che l’ordine da eseguire gli venisse impartito immediatamente. Qualunque cosa.
Avrebbe fatto qualunque cosa per colui che gli aveva restituito i ricordi perduti, per colui che lo aveva aiutato a capire chi fosse in verità.
Come aveva potuto fidarsi di lei? Come aveva potuto credere che lei, un tronfio serafino, avesse potuto occuparsi di lui senza un secondo fine, senza che sotto ci fosse un’altra spiegazione?
Era stato uno sciocco. Era stato un autentico sciocco. Lui era stato una delle creature più potenti mai esistite. Era stato un arcangelo, proprio come Michael o Raphael, proprio come colore che avevano osato minacciarlo.
Inizialmente, non aveva creduto che il Demonio fosse sincero, aveva solo pensato che volesse ingannarlo, ma così non era stato. Lucifer non si trovava nel corpo del suo vero tramite, e non avrebbe mai potuto avere le forze necessarie per creare in lui dei falsi ricordi. A che pro, poi? Lui era un umano indifeso a cui avrebbe potuto fare tutto quello che voleva, che senso avrebbe avuto mentirgli?
Non gli aveva potuto restituire la Grazia, proprio come aveva previsto, ma non gli importava. Gli aveva dato la conoscenza, gli aveva restituito i suoi ricordi, mostrandogli chi fossero davvero Celine, Sam e Dean.
Si era fidato di due umani, come aveva potuto essere talmente sciocco? Come? Nessuno lo avrebbe mai più usato, nessuno.
Ci sarebbe stato Lucifer a proteggerlo dal mondo, ci sarebbe stato suo fratello a difenderlo dal male. E ci sarebbe stato fino alla fine.
 
"Castiel, fratello, io sono convinto che l’equilibrio debba essere ristabilito, e che ci sia solo un modo per farti recuperare non solo la tua Grazia, ma anche i poteri che hai perduto. Pensa Castiel, pensa come sarebbe se tornassi a spendere come un tempo! Michael e i nostri fratelli dovrebbero chinarsi davanti a te, dovrebbero farlo davanti a me, dovrebbero chiederci scusa per il dolore che ci hanno fatto patire. Loro ci hanno scacciati, rinnegati. Se tu avessi di nuovo i tuoi poteri, potremmo, insieme, vendicarci del dolore che ci è stato fatto e ristabilire l’ordine. Mi capisci, vero?”.
 
Lo capiva, lo capiva eccome. Lui sarebbe tornato la creatura splendente dei suoi ricordi, e nessuno gli avrebbe più dato degli ordini, nessuno gli avrebbe detto che non capiva o non era in grado di fare qualcosa.
Non sapeva bene perché, ma si era convinto che se avesse riconquistato la sua forma originaria, forse suo Padre si sarebbe rivelato ai suoi occhi, decidendo di ascoltarlo, forse suo Padre non lo avrebbe rinnegato, e avrebbe a quel punto potuto perdonare sia lui e Lucifer.
Ma per ottenere il perdono, c’era sicuramente un prezzo da pagare. C’era sempre un prezzo da pagare, questo lo sapeva bene, ma non era più disposto a cedere.

"Cosa vuoi che faccia?" - Il Demonio gli si era avvicinato ancora di più, mettendogli una mano sulla spalla e sussurrandogli piano all’orecchio la sua volontà - "Voglio che tu la uccida. Voglio che tu uccida Celine".

                                                                                                        *

"Non può essere andata come hai detto! Non ci credo!".

Dean non riusciva a pensare che le parole di Celine potessero essere vere. No, doveva essersi sbagliata, non c’erano alternative. Cass, il suo Cass, non poteva aver ceduto alle lusinghe del Diavolo. No, era troppo intelligente, era troppo sveglio, era troppo buono per farsi infettare da quella serpe velenosa.

Non riusciva a ragionare. Non riusciva neppure a respirare!
Se quello che aveva appena detto Celine fosse stato anche solo lontanamente plausibile, questo poteva solo voler dire che l’avevano perso. Lui aveva perso Cass per sempre.

"Dean...”.
 
Sam non sapeva più cosa fare. Gli eventi erano precipitati all’improvviso, e quella nuova situazione era diventata troppo grande per loro, miseri cacciatori trovatisi ad avere a che fare con creature celesti impegnate in una lotta secolare.
Lucifer aveva davvero vinto, alla fine, aveva avuto Castiel. Ma perché il loro angelo aveva ceduto? Perché il loro amico aveva creduto alle menzogne di quel mostro? Che fosse davvero tanto potente, così potente da imbrogliare persino uno dei suoi fratelli?

Dean si era lasciato scivolare lungo la parete bianca fino a sedersi al suolo, reggendosi forte il capo tra le mani.

Non può averlo fatto, Sam! Non Castiel!" – di quel passo si sarebbe strappato via i capelli. Ma non c’erano soluzioni. Non c’era modo di uscirne vivi.
Il suo stomaco era stretto in una dolorosissima morsa, una morsa dettata da un profondo senso di colpa, perché lui lo sapeva che era solo colpa sua.
 
"Se lo avessi ascoltato… Se solo... Se solo mi fossi reso conto di quanto stava soffrendo, di quanto si fosse sentito solo e abbandonato, tutto questo non sarebbe mai accaduto. Lui sarebbe ancora il mio stupido pennuto sacro con l'impermeabile sempre pronto ad aiutarci! Sarebbe ancora il fratello per cui rischierei la vita! E non un, un...".
"ORA BASTA DEAN! STA ZITTO!".
Damon si era alzato di scatto, raggiungendolo con un solo balzo e sollevandolo dal colletto della camicia a più di venti centimetri da terra. Aveva puntato i suoi occhi di ghiaccio in quelli verdi e stanchi di Dean, questo prima che si incendiassero del colore del fuoco.

"Damon! Lascialo!".
"Fatti da parte, Sam!".
Con uno spintone, lo aveva scaraventato contro il comò, riducendolo in mille pezzi. Non voleva intromissioni. Era una faccenda tra lui e Dean e doveva sbrigarselo da solo. Persino Celine sembrava averlo capito.

"Stammi a sentire, stupido inutile umano! E' di Castiel che si tratta! E’ di un uomo buono e gentile, incapace di odiare che stiamo parlando! E’ alle stregue di una pecorella smarrita! L'unica cosa di cui aveva, di cui ha bisogno è una guida! Possibile che tu non l’abbia capito? E’ stato ingannato! Lui non è più un angelo, per quanto questo ti possa sembrare strano! Cass mangia, dorme, ride, va in bagno, piange, soffre, e si sente solo, solo! Quel bastardo manipolatore avrà fatto in modo che lui pendesse dalle sue labbra, lo avrà raggirato con le sue lusinghe, con i suoi mezzucci, e lui non ha potuto non cedere. E’ solo Dean, lui si sente solo! E mi vergogno di te perché non sei stato in grado di capirlo!
Cosa vorresti fare, sentiamo! TU continui a dire di essere suo fratello e che faresti qualsiasi cosa per lui, ma a me sembra che tu te ne stia solo qui a piangerti addosso! E’ questo che vuoi? BENE!
Per me puoi anche marcire in questa maledetta stanza! Potete marcire qui tutti e tre!
Io non lo lascerò alla mercé del Diavolo!
Lui è mio amico, l’unico che ha accettato di essermi amico senza volere da me qualcosa in cambio, ed io farò tutto ciò che è nelle mie possibilità per aiutarlo!
Finché continuerò a reggermi sulle gambe, io lotterò per salvargli la vita! Hai capito, brutto idiota?".

Gli aveva urlato contro tutto quello che aveva dentro, noncurante delle possibili conseguenze. Cosa voleva fare, voleva forse ucciderlo? Dean era ridotto così male, era un tale straccio che gli sarebbe bastato stringere senza neanche troppa forza la sua gola per squarciarla. Non gli importava niente dell’eventuale reazione di Sam o di Celine. Lui non aveva niente da perdere, se non Castiel.
 
Ma quella sua sfuriata, quel fiume di parole così dure, aveva sortito un effetto ben diverso da quello che Dean aveva creduto.
 
Damon aveva ragione, Damon aveva ragione su tutto. Lui aveva lottato, non si era mai arreso, e non poteva di certo farlo proprio adesso che c’era in ballo la sorte di Cass.

"Mettimi giù".
Lentamente, Damon lo aveva lasciato andare, permettendogli di posare di nuovo i piedi a terra, mentre cercava di regolarizzare il proprio respiro.
Improvvisamente, Dean gli era sembrato un altro, tutti e tre sembravano essere diventati altri.


“Sam, tirati su e prendi le sacche. Dobbiamo andare”.


E dopo, senza esitazione, i tre ragazzi avevano raggiunto Celine, pronta a mettersi all’opera.
Era arrivato il momento di portare indietro Castiel.
                                                                                                                *

Cass era rimasto da solo nella fredda stanza che aveva accolto il suo risveglio.
Lucifer era dovuto andare via, lasciandogli così il tempo di pensare alla proposta che gli aveva appena fatto.
 
Non poteva sapere che il demonio lo stava osservando di nascosto, sorridendo compiaciuto.
Poteva vederlo mentre stringeva con forza lo stiletto angelico che gli aveva donato, lo stiletto con cui avrebbe dovuto uccidere Celine e diventare completamente suo.
Era certo che lei si sarebbe materializzata lì fra breve. Celine era fin troppo prevedibile, soprattutto quando si trattava di Castiel.

Il suo adorato piccolino era serio in volto, ma non poteva non pensare che i suoi grandi occhi blu fossero più belli che mai.
Cass stava per diventare suo in maniera ancora più totale, ancora più tangibile e vera.
Tutti gli anni di dolore e sofferenza sarebbero stati finalmente ripagati.

Ora, doveva solo attendere che venisse portato a compimento il secondo passo, doveva attendere che Castiel eliminasse Celine.

E, proprio come aveva previsto, Lucifer non aveva dovuto attendere molto.
Un familiare battito d'ali aveva annunciato il suo arrivo. Adesso, i giochi sarebbero iniziati per davvero.

Celine era sorridente e piena di speranze.
Non poteva sapere quello che la sorte le aveva riservato.

Ma ora, finalmente, tutto sarebbe andato come previsto.
 
Continua…
_______________________________________________________________________________
Ci siamo quasi.
Ormai, questo poema (non pensavo che sarebbe stata così lunga questa storia), sta per arrivare alla fine.
Il povero Cass è stato corrotto dal potere di Lucifer.
Era confuso, vulnerabile, e quel mostro ha saputo approfittare della sua debolezza.

 
Cosa accadrà, adesso?
Ringrazio tutti coloro che hanno letto e recensito.

Un bacione grande!
Al prossimo capitolo!
Cleo

 

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Capitolo 23
*** I tuoi occhi ***


I tuoi occhi…
 *


Castiel e Celine si stava scrutando, anche se in maniera del tutto differente. Lei sembrava la dolcezza fatta persona, mentre lui era diventato freddo, insensibile, non era più lui.

Continuava ad osservare sua sorella dall'alto al basso, sprezzante,
Era più che evidente che fosse convinto di poterla avere vinta contro di lei.

Lentamente, era avanzato di un passo, avvicinandosi al serafino. Era un umano, non aveva ancora riavuto i suoi poteri e non aveva a disposizione la forza necessaria per respingere un suo eventuale attacco, ma dalla sua parte aveva l’astuzia, l’astuzia e la benedizione di Lucifer.

“Cass… Fratello mio…”.
"Sai, Celine, ti stavo proprio aspettando" - la sua voce era diventata spaventosa. Non era neanche più la sua voce.
“Lo so bene".
 
Le doleva il cuore tanto era crudele la scena che stava vivendo. Come poteva Lucifer aver esercitato un simile controllo su di lui? Cass sembrava essere diventato una creatura crudele e insensibile, ma lei era certa che dietro a quei grandi occhi diventati di ghiaccio ci fosse ancora in suo adorato Castiel.

"Qui ci sia annoia facilmente, purtroppo... Non c'è molto da fare in un magazzino spoglio e freddo" – aveva detto lui, quasi cambiando discorso.
"E' normale che sia così, Cass. E’ questo che accade quando si diventa prigionieri".
"Io non sono un prigioniero. Posso andare via da qui quando voglio".
Le stava tremando la voce. Avrebbe avuto bisogno di un attimo per ricomporsi, ma ogni istante era diventato sin troppo prezioso.

"Se è vero quello che dici, perché non l’hai fatto? Perché non sei andato via?".
Aveva sfoggiato uno sguardo a dir poco irato, uno sguardo che non gli si addiceva affatto.
"Guardati intorno, guarda, Cass. Sei solo qui... Sei completamente solo.
Che cosa ti ha raccontato Lucifer per convincerti a rimanere in questo posto orribile, rendendoti pronto a soddisfare ogni sua più assurda richiesta?".
"Non credo che ti riguardi".
"Cass… Ti prego… Non fare così, fratello mio".

Castiel era scoppiato a ridere, ma le sue erano risate amare.

"Fratello mio? Ora sarei diventato tuo fratello?".
Si era sentita profondamente ferita da quell’ironia volutamente non celata.
"Tu sei sempre stato mio fratello. E’ per questo che ti sto chiedendo di posare lo stiletto che nascondi dietro la schiena e di ascoltarmi, perché ti amo".

L'angelo caduto la stava osservando sconcertato, e non perché fosse sorpreso del fatto che Celine si fosse accorta dello stiletto.
Come poteva parlare a lui d’amore dopo che aveva cercato di ucciderlo?
 
"Che cosa ti ha raccontato quel mostro, Cass? Ti prego, dimmelo. Ho bisogno che tu me lo dica".

Lei sapeva esattamente cosa si erano detti, lo aveva letto nella mente di Lucifer, ma voleva sentir pronunciare quelle terribile e infamanti parole dalle labbra del fratello che tanto amava.

"Forse dovresti chiederlo a me, non trovi?".
Lucifer era comparso all'improvviso, accompagnato dal gelo e da un profondo senso di disagio.
Coloro che un tempo erano stati fratello e sorella, coloro che avevano combattuto e amato fianco a fianco, ora si stavano guardando alle stregue di due acerrimi nemici.

"Lucifer...".
"Celine...".


Gli occhi del serafino erano velati dalla tristezza. Stava soffrendo, Celine stava soffrendo per quel fratello che aveva rinnegato tutto quello che era stato. Come aveva potuto farlo? Come aveva fatto la sua mente a partorire un piano talmente diabolico, talmente crudele?

"Oh Celine, ti prego! Dopo tutto questo tempo, ancora stai lì a chiederti il perché...".
"Sì, Lucifer. E continuerò a chiedermelo in eterno".
"E’ evidente che tu non abbia di meglio da fare, ho ragione? O forse ce l'hai! Stai utilizzando il tuo tempo cercando di imbrogliare il mio Castiel".

Celine non riusciva a credere quanto Lucifer potesse essere spregevole.
Aveva davvero detto mio rivolgendosi a Castiel? Aveva davvero detto che stesse cercando di imbrogliarlo? Solo il Demonio poteva pensare di usare contro di lei la sua stessa arma.
Ma la cosa che più di tutte la stava addolorando, era il modo in cui Cass continuava a guardare Lucifer. Perché era finita in quel modo? Perché?

"E' questo che ti ha detto? Che eri il suo prediletto?" - era incredula - "Che eri il suo adorato fratellino? Davvero Castiel, non posso pensare che tu gli abbia creduto".

Sapeva che i poteri di Lucifer erano spropositati, nonostante non si trovasse nel corpo del suo vero tramite, ma era davvero convinta che l'amore di Cass fosse più forte. Doveva solo risvegliarlo, ma doveva fare in fretta.


"Che cosa vuoi da lui, Lucifer?".

Il Diavolo si era avvicinato a Cass, cingendogli la vita con un braccio.
"Io voglio solo stare con il mio adorato fratellino. E voglio stare insieme a lui per sempre. Diglielo Cass! Non è vero che vuoi stare con me per sempre?".

Era accaduto tutto all’improvviso. Castiel era partito all'attacco, come guidato da un ordine silenzioso impartitogli da quel mostro e aveva levato lo stiletto per aria, pronto a colpire Celine senza il minimo rimorso.

Ma lei era riuscita a schivarlo, e il fendente di Castiel aveva ferito solo l'aria.
Non voleva attaccarlo, non era sua intenzione. Cass era solo un essere umano, e se Celine avesse usato solo una minima parte del suo potere avrebbe potuto ucciderlo.

"Perché mi fai questo, Castiel?" – stava continuando a chiedergli.
"Osi anche chiedermi perché?" – si stava scagliando su di lei senza alcun rimorso, con la sola volontà di uccidere.

Lucifer stava trovando quella scena a dir poco surreale, ma meravigliosa.
Era riuscito a mettere l’uno contro l’altro i due cari fratelli, alla fine dei conti.
Sapeva perfettamente che Castiel non fosse in grado di ucciderla, ma era un diversivo a dir poco perfetto.
Mentre lui era impegnato a distrarla con i suoi inutili attacchi, lui avrebbe potuto scagliarle il colpo finale.
Solo che, qualcosa non stava andando come aveva previsto.

Castiel era stato vicinissimo dal ferire Celine, ma quest'ultima, nello stesso istante in cui la lama l'aveva sfiorata, era riuscita ad afferrare il polso di suo fratello.
In un solo attimo, tutto era cambiato, diventando diverso e più bello.

Celine gli stava parlando, ma non con la bocca. Lei gli stava parlando con il cuore, raccontandogli come stavano davvero le cose.


Accortosi di quello che stava facendo, e con un solo possente gesto Lucifer l'aveva scaraventata lontano, facendole sbattere violentemente la schiena contro il muro.
Attorno a lei si era alzato un muro di fuoco, un muro creato dalla combustione di una sostanza che le era fin troppo familiare.

"Olio-olio sacro" – stavolta non sapeva proprio come venirne fuori.
 
*

"Non-non può essere! Non è vero! Tu... Tu stai mentendo!".

Cass non poteva credere a quello che Celine gli aveva raccontato. Aveva inventato quella storia assurda di sana pianta solo per farlo cedere, ne era sicuro.
Lui sapeva di essere stato l’arcangelo Cassiel, glielo aveva raccontato Lucifer, ma che fosse morto per difenderla era fuori questione! Che lei lo avesse accudito quando era rinato sotto forma di semplice angelo, lo era ancora di più.
Non aveva senso, non era una cosa possibile. Lucifer non poteva avergli mentito!

Perché gli altri fratelli lo avevano emarginato, allora? Perché lo avevano costretto ad una solitudine forzata se non perché aveva osato aiutare il Diavolo?

Lucifer era furioso.
Aveva instaurato in lui il dubbio, e non sarebbe stato facile per Castiel credere alle parole di Celine, ma quanto ancora poteva resistere?

Quando aveva sentito che Castiel era caduto e che stava diventando umano, aveva avuto l'idea brillante di usarlo a suo piacimento.
Il suo sangue ibrido aveva un odore inebriante, un odore che faceva letteralmente impazzire i suoi figli, e sarebbe stato l'ideale per renderli più forti e più obbedienti. Era quello il suo piano iniziale, ma poi si era reso conto che averlo al proprio fianco come alleato gli avrebbe giovato molto, molto di più.
Pochi erano stati i fratelli che si erano ribellati insieme a lui, e la maggior parte di loro erano stati uccisi, mentre i superstiti non erano stati in grado di rendergli omaggio, e a causa della loro inettitudine era stato rinchiuso per secoli in quella maledetta gabbia ad anelare la libertà, il riscatto e il potere che gli spettavano di diritto.

E non poteva di certo rinunciare ora che c’era così vicino.

"Tu menti!" - aveva urlato Castiel a Celine.
Lucifer aveva sfoderato uno dei suoi sguardi più convincenti, parlandogli con voce melliflua, caricata di un’ansia che non aveva nulla a che vedere con la paura di perdere il suo amore e il suo rispetto.
"Sì Castiel! Lei sta mentendo. Lei vuole ucciderti perché è invidiosa e crudele...".
"Non credergli Castiel! Non puoi credere a lui!".

Cass era stravolto. La sua mente era attraversata da una serie di ricordi contrastanti.
Ricordava di aver volato accanto a Lucifer, ma nello stesso tempo ricordava di aver passato dei momenti felici con Celine, e di averla protetta. Cominciava a ricordare anche di Dean e Sam Winchester, dell'Inferno e di come l’avesse attraversato per riportare alla vita l'anima di Dean.
Ricordava l'affetto, le risate, gli sguardi fugaci e le battute pungenti e sporche di quest'ultimo, ricordava di avergli detto che non ce la faceva più ad andare avanti portando quella croce, e che Dean l'aveva pestato a sangue nel tentativo di farlo ragionare. Ricordava di essersi fatto quasi ammazzare per salvarlo ancora una volta, e lo ricordava perfettamente, lo ricordava come se fosse appena accaduto.
Ma come poteva ricordare delle cose così vere e reali se Lucifer gli aveva detto, gli aveva mostrato che la realtà era tutt’altra?

E poi, in quella miriade di ricordi così rumorosi, così vividi, una cosa su tutte le altre aveva prevalso, e questa cosa era la prima volta che aveva potuto guardare negli occhi di Dean. Erano così limpidi, così buoni, pervasi da una sofferenza che nasceva dall’anima. Gli era bastato guardarli per un solo istante per capire chi fosse veramente Dean Winchester, chi fosse veramente l’uomo che aveva salvato dalla perdizione. Dean era un ragazzo diventato uomo troppo in fretta, una persona triste e piena di paure non legate alla propria sorte, ma a quella della sua famiglia, l'unica cosa veramente importante per lui.
E quel fugace ricordo, gli aveva finalmente fatto comprendere per quale ragione era caduto, quegli occhi, quell’uomo, gli avevano fatto comprendere che il Diavolo lo avesse solo raggirato.

"No".
Catiel aveva allontanato di scatto Lucifer dal proprio corpo.
"Cosa?" – che aveva intenzione di fare? Come osava respingerlo?
"Tu menti" – lo aveva detto con odio e risentimento.
"Cass, ti ho detto che io non mento mai. Perché pensi che lo avrei fatto proprio con te?".

Come aveva fatto, come aveva potuto essere così forte quell’inetto di un serafino? Come aveva potuto fare breccia nel cuore di Castiel con tanta facilità? Come?

Lucifer aveva posato una mano sulla spalla di Castiel, cercando di sistemare le cose.

"Io capisco come ci si sente ad essere soli, abbandonati da tutti, evitati come se si fosse portatori di un morbo, come ci si senta ad essere incompresi. Te ne sei forse dimenticato?".

Quella parole avevano profondamente scosso Castiel, ma non nel modo in cui aveva sperato il Diavolo.
I ricordi del periodo felice trascorso insieme a Celine, del suo allontanamento forzato, della derisione, della solitudine, si erano improvvisamente fatti vivi, ferendolo, ma facendogli chiedere quale fosse stato il motivo per cui sua sorella non gli avesse rivelato la verità riguardo alla sua vera natura e quello che aveva fatto per lei. Perché non aveva dubbi, un motivo doveva esserci, doveva esserci eccome.

"Ma non sei stanco di essere illuso e abbandonato da tutti, Castiel? Prima Celine... Poi Dean... Poi Sam, ed ora anche Damon... Tutti ti hanno abbandonato. Ognuno di loro ti ha fatto credere di essere importante, di valere qualcosa, e adesso non ti è rimasto niente, niente. Non sono venuti neanche a cercarti. Hanno mandato solo lei, e tu ne conosci fin troppo bene la ragione".

Cass aveva stretto forte i pugni. Il suo cuore stava battendo così forte che sembrava volesse uscire fuori dal petto.

"Non è vero! Sta solo cercando di ingannarti e farti cedere! Non avremmo mai potuto dimenticarci di te! Mai!" - Celine era disperata.

"Io non ti tradirei mai, fratellino, mai. Tengo troppo a te..." - Lucifer gli stava accarezzando i capelli, fingendosi tenero.
Non riusciva a non rabbrividire a quel tocco. Come poteva tenere a lui ma non provare conforto da quelle carezze pesanti come schiaffi?
"Dirai di sì, non è vero? Lo farai? La ucciderai e poi verrai con me, starai con me per sempre. Tornerai ad essere più bello e più potente che mai, non è vero, Cass?".

Il Diavolo si era chinato maggiormente contro di lui, socchiudendo gli occhi, e avvicinando pericolosamente le labbra a quelle di Castiel. Sarebbe bastato un attimo, e si sarebbero incontrate. Sarebbe bastato un attimo, e forse un patto segreto che non aveva ancora fatto sarebbe stato stipulato senza che lui lo volesse veramente.

Castiel stava sudando freddo..
Non voleva che ciò accadesse. Non poteva permettere che ciò accadesse.
 
"No".
"Cosa?".
"Lasciami stare".
"Che cosa?".
"LASCIAMI STARE! Io non verrò con te! Tu mi hai mentito! Tu mi hai fatto credere che loro mi odiassero, TU HAI CERCATO DI USARMI!".

Pervaso da un’ira incontrollabile, il Demonio aveva stretto con forza il mento di Castiel, costringendolo a tenere il capo immobile davanti a sé, costringendolo a guardarlo senza possibilità di appello.

"Tu verrai con me. Tu sei mio. MIO! L’Apocalisse deve essere portata a compimento, e grazie a te, io sarò l’unico vincitore!".

"Lascialo stare Lucifer!" – era disperata. Disperata e incapace di fare anche solo il più piccolo gesto per poter aiutare suo fratello.
"Sta zitta! ZITTA".

Era bastato solo uno sguardo, e Celine era caduta a terra, urlando dal dolore.

"No! Celine!".

Ora, nessuno avrebbe potuto mettersi tra lui e Castiel.
"Non farle del male! No! Non vogl..." - ma non aveva fatto in tempo a finire la frase.
Lucifer aveva stretto le labbra di Castiel nella sua morsa con tanta forza da farle sanguinare.
 
Sconvolto, cercando di urlare, aveva provato ad allontanarlo da sé, ma ogni gesto, ogni tentativo di lottare sembrava inutile.
Lucifer era troppo forte, troppo, e le urla di Celine non stavano facendo altro che peggiorare le cose .
Era perso. Si era ribellato, non avrebbe mai accettato di firmare quel patto, e adesso sarebbe stato vittima di torture fisiche inimmaginabili.
Come aveva potuto credere alle sue parole? Come aveva potuto cedere? Come aveva potuto fidarsi del Diavolo?

Dopo un’eternità di tempo, il Demonio aveva mollato la presa sulle labbra gonfie e sanguinanti di Castiel.

"Non avresti mai dovuto ribellarti a me" - aveva detto, sollevandolo di peso - "Non avresti dovuto farlo! Eri mio! Mio! NON AVRESTI DOVUTO FARLO!”.

Lo aveva sollevato di peso, sbattendolo senza nessuna premura sulla logora branda, tenendogli le mani bloccate sul sottile materasso, incrociandogliele proprio sopra la testa.

Castiel era terrorizzato, e si sentiva perduto, ormai.

Quel mostro orribile si era messo a cavalcioni su di lui nell’evidente tentativo di ferirlo, di umiliarlo.

"Tu non mi abbandonerai" – aveva urlato, mentre con un solo potente strattone aveva fatto saltare i bottoni della camicia di Castiel – “Tu non andrai via da me!”.
 
Si stava maledicendo per la sua ingenuità.
Poteva sperare solo che quella tortura finisse presto, che il Diavolo si stancasse di lui.

Ma poi, poco prima che il suo stomaco venisse squarciato da quell’essere così perverso che un tempo era stato uno dei suoi fratelli, una sensazione di calore profondo aveva invaso il suo cuore, donandogli una sensazione di conforto che poche volte in vita sua aveva provato.
La sua paura sembrava essersi placata, i brutti pensieri erano volati via, come il dolore, il timore della morte. E lui sapeva di chi fosse il merito di ciò.

"Celine...".
Cass aveva appena sussurrato il suo nome, ma Lucifer lo aveva sentito, capendo improvvisamente che qualcosa non andava.
“Che cosa sta…” – ma non era riuscito a parlare. Animato da una forza inimmaginabile, Cass era riuscito a rimettersi seduto, permettendo ad una calda luce improvvisa di intromettersi tra loro,  scaraventandolo al suolo.
 
Celine, imponente e radiosa come non mai, era venuta a prestargli soccorso.
La luce della sua vera essenza aveva invaso ogni singolo centimetro di quella stanza.
Il serafino era venuto per difendere Castiel, e stavolta nessuno sarebbe stato in grada di fermarla.

Stava guardando Lucifer dall'alto della sua statura umana, resa maggiore dal fatto che si trovasse in piedi sul materasso.
Castiel era nascosto dietro le sue gambe, ancora scosso, alle stregue di un bambino che si nascondeva dietro la propria madre. Lei gli stava tenendo una mano sul capo per dargli conforto, in un gesto sincero, in un gesto terribilmente, tremendamente umano.

"Come hai fatto a liberarti lurida serpe!?".
Il serafino non aveva risposto, limitandosi a sorridere.
"Credo che tu abbia fatto male i tuoi conti, Lucifer".

E, pochi istanti dopo, la porta di ferro che aveva imprigionato Cass in quella stanza si era improvvisamente distrutta, provocando un immenso boato.
Damon Salvatore, seguito dai fratelli Winchester, aveva fatto il suo ingresso, maestoso e sicuro come poche volte lo era stato in vita sua.

D’istinto, il Demonio si era girato verso il cerchio di fuoco ancora ardente, scoprendovi intrappolata all’interno una figura in tutto e per tutto simile a Celine, una figura che gli aveva sorriso compiaciuta prima di dissolversi nel nulla.
Non era solo quello il fuoco che stava bruciando imperterrito. Ve n’era uno molto più forte che aveva cominciato ad ardere negli occhi del Diavolo.


Continua…

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Perdonatemi per il capitolo lunghissimo! Spero almeno che vi sia piaciuto! =)
Alla fine, Lucifer è stato proprio raggirato. Celine è riuscita ad avere la meglio. E’ proprio vero: le donne ne sanno sempre una più del Diavolo! U.U
Scappo!
Un bacione!
Cleo

 

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Capitolo 24
*** Luce ***


Luce


"Hai finito di dettare leggere, Lucifer. Lascia stare Castiel".
 
Damon aveva esordito con quella frase ad effetto mentre Dean e Sam avevano puntato contro il Diavolo i loro fucili, pronti a sparare.

Grazie al vampiro era stato uno scherzo fare fuori i demoni che erano stati messi di guardia al nascondiglio del Diavolo. Era veloce, sicuro, potente, e il suo viso deforme era in grado di incutere un bel po’ di paura.

Ma Lucifer non sembrava per nulla impressionato o preoccupato. Con estrema noncuranza, si stava pulendo i jeans con la mano, fingendo indifferenza.

"Cosa dovrei fare, Damon? Dovrei tremare, adesso?".

Gli occhi del vampiro erano iniettati di sangue. Se avesse potuto, gli avrebbe strappato il cuore fuori dal petto, ma era certo che sarebbe stata fatica sprecata perché quel mostro non poteva avere un cuore.

"Ti conviene ascoltarlo, Lucifer".

Celine era diventata più combattiva che mai. Stava emanando un’energia potentissima, liberando in aria delle scariche di pura elettricità.

Dean e Sam avrebbero dovuto sentirsi in inferiorità rispetto ai loro alleati, ma così non era. Erano pronti a tutto pur di salvare Castiel, e per fare ciò avevano dovuto liberarsi totalmente della paura.
Morire era stato già messo in conto da entrambi, e sarebbe stato un onore farlo nel tentativo di salvare Castiel.

"Non c’è che dire, hai proprio uno strano gruppo di amici al tuo seguito. Un potente serafino, un bellissimo vampiro, un ragazzo con il sangue ibrido e uno riportato indietro dall'Inferno...".
"Poche storie Lucy. Lascia andare Cass".

Dean non aveva abbassato il fucile, nonostante sapesse fin troppo bene che non avevano nessuna possibilità di ferirlo, men che meno di ucciderlo.
 
"Non capisco perché lui vi stia tanto a cuore..."- aveva detto Lucifer, indicando Castiel - "Dopotutto, è solo un peso per voi. E' solo un essere umano, uno sciocco e inutile essere umano.
Non farà altro che rallentarvi e indebolirvi. Guardate dove vi ha condotti, guardate! A causa sua, siete piombati esattamente nella tela del ragno!" – e aveva spalancato le braccia in un gesto plateale per enfatizzare le sue parole.

Celine non era riuscita più a trattenersi, irritata oltre ogni dire da tanta crudeltà, e aveva liberato un’energia angelica che mai prima di allora avevano avuto l’opportunità di vedere.
Dean, Sam, Cass e persino Damon, erano stati costretti a schiacciarsi contro il pavimento per minimizzare gli effetti dell'onda d'urto che li aveva travolti.

Il serafino si era scagliato contro il caduto senza alcuna esitazione, pronta a scrivere la parola fine a quella storia che non avrebbe proprio dovuto esistere.
 
*
 
Lo scontro tra i due titani si stava rivelando spaventoso, e Lucifer, purtroppo, stava avendo la meglio su Celine.
Né Dean, né Sam erano stati in grado di seguirne i movimenti, e lo stesso valeva per Damon, rimasto immobile a lungo prima che si rendesse conto di una cosa fin troppo palese, una cosa che gli aveva fatto raggelare il sangue, perché era certo che Cass sarebbe rimasto vittima dello scontro.

Aveva cercato di rimettersi in piedi nel tentativo disperato di aiutare sua sorella, incurante di proteggersi da quei colpi che continuava a fendere l'aria, incurante delle decine di ferite che erano comparse sul suo corpo.

Era umano. Era un semplice essere umano, e sapeva che non avrebbe potuto fare niente contro Lucifer.
 
“Cass, allontanati” – le aveva urlato Celine – “Allontanati da qui!”.

Un urlo agghiacciante aveva seguito quelle parole, segnando la fine di quello scontro
Il Diavolo aveva colpito Celine dritta al cuore, e lo aveva fatto con il suo stesso pugnale.
Un fiotto di luce accecante aveva seguito quel gesto così vile. Un fiotto di luce accecante aveva decretato la morte della sorella di Castiel.

 
*

"HO VINTO! HO VINTO!".

Era riuscito nel proprio intento. Lucifer aveva ucciso Celine, aveva ucciso quella sciocca presuntuosa, e adesso nessuno avrebbe potuto anche solo lontanamente pensare di fermarlo, nessuno avrebbe potuto ostacolare i suoi piani.

Cass era crollato al suolo, inerme, incapace di credere che quella fosse la realtà. Sua sorella era morta per salvarlo, la sua Celine non c'era più, ed era solo colpa sua.
Di lei non era rimasto che l’involucro sanguinante del suo tramite, di lei ormai non c’era rimasto più niente.

Era tutto perduto. Ogni speranza era diventata vana, e Cass era fermamente convinto che fosse solo colpa sua.

"Cass! Devi venire qui, Cass! DOBBIAMO ANDARCENE!" - Dean aveva urlato quella frase con tutto il fiato che aveva in gola. Dovevano provare a fuggire, doveva portarlo via da lì prima che fosse troppo tardi, doveva almeno provarci.

"Lui… Lui… Ha ragione" – aveva detto in un sussurro appena udibile, in un sussurro strozzato da quella desolante sensazione di dolore - "Io… Io sono solo un peso... E’ solo colpa mia se Celine è morta. E’ tutta colpa mia e della mia inettitudine".

Lucifer non riusciva a credere alle proprie orecchie. Castiel aveva appena ammesso la propria colpevolezza. Castiel aveva appena detto che lui aveva ragione! Forse, alla fine, avrebbe avuto ancora l’opportunità di farsi dire di sì, e questo per via di quelle sciocche emozioni umane che erano in grado di confonderlo e di renderlo una preda facilmente plasmabile.

"Cass! No Cass no! Non devi neanche pensare ad una cosa del genere! Tu non hai fatto niente! Cass, mi devi ascoltare! CASS!” - Dean non riusciva a credere che Cass potesse aver formulato un pensiero tanto assurdo, un pensiero tanto abominevole. Non era colpa sua, non lo era affatto! E non poteva permettergli di cadere ancora una volta nella trappola del Diavolo, non dopo che Celine era morta per salvarlo.
 
Ma lui non lo stava ascoltando. Castiel non aveva occhi che per il corpo inerme del tramite di sua sorella, e Lucifer sapeva che quello era il momento di insistere, che quello era il momento più opportuno per farlo cedere.

"Sì Castiel, tu sai che ho ragione. Lo sai perfettamente... Sai benissimo che in questa forma sei solo un peso, e che le cose possono cambiare solo se verrai con me. Sai che se lo farai tutto sarà diverso, tutto sarà più giusto. Sai che sono l’unico che può rimettere le cose a posto, Castiel. E sai che sono l’unico che potrebbe ridarti indietro tutto quello che desideri".

Quello che desiderava. L’unica cosa che avrebbe voluto sarebbe stata sentire di nuovo la voce di sua sorella, vederla in vita. E forse, se fosse andato con Lucifer, questo poteva essere possibile. Per questo, tremante, aveva deciso di dirigersi verso colui che un tempo era stato il più bello tra tutti gli angeli, perché voleva sistemare le cose, perché voleva avere indietro sua sorella.

"Cass, no, ti prego, fermati!”.

Non poteva lasciarglielo fare, Damon non poteva permettergli di compiere una sciocchezza simile.
Per questo aveva cercato di balzare su Castiel, ma Lucifer lo aveva preceduto, imponendogli una punizione talmente crudele da farlo accasciare al suolo tra urla spaventose. Damon stava letteralmente bruciando vivo.

"Damon! No!” – Sam era corso nella sua direzione nel tentativo di aiutarlo, ma era stato tutto inutile. Era come se il vampiro si trovasse sotto il sole cocente di mezzogiorno, e l’odore delle sue carni era diventato insopportabile.

"C-Cass… Caaasss!!" – Damon non voleva arrendersi. Doveva fare qualcosa, doveva cercare di fermarlo, doveva impedire a Castiel di dire di sì al Diavolo, ma non riusciva neanche più a pensare. Il dolore delle sue carni che bruciavano era diventato insopportabile, e sperava solo di perdere i sensi da un momento all’altro. Forse, se Cass avesse visto di che morte orribile lo aveva fatto morire Lucifer, avrebbe capito che non poteva seguirlo.
 
“Dean!" – Sam non sapeva cosa fare – “FA QUALCOSA!”.

Ma Dean non si era mosso e Cass aveva cominciato a piangere.
Forse, era giunto il momento di agire, ma il sangue demoniaco che aveva bevuto sarebbe stato in grado di aiutarlo a mettere fuori gioco il Diavolo?

Purtroppo, non lo era stato. Sam aveva provato ad imporre su Lucifer il controllo mentale che gli aveva permesso più volte di esorcizzare uomini posseduti dai demoni, ma sul Diavolo non avevano avuto nessun effetto. Non gli avevano fatto neppure il solletico! Alla fine, sfinito, era caduto a terra in ginocchio.

"Sammy… SAM!".

Dean non avrebbe mai creduto di potersi mai trovare davanti ad una scena così dolorosa, davanti ad una scena così straziante. Damon stava letteralmente bruciando vivo, Sam era piegato in due dalla fatica e Cass… Cass stava per consegnarsi definitivamente alla causa primaria di tutti i mali, all’odio in persona.
E lui, misero essere umano, non sapeva più cosa fare per far cessare tutto quel dolore, non sapeva più cosa fare per salvare la vita a chi amava più di ogni altra cosa al mondo.

Lucifer continuava ad avanzare fiero verso di lui, sicuro di portare a compimento i suoi loschi scopi al più presto.


“Vuoi che la smetta, non è vero, Castiel? Vuoi che la smetta di fare del male a quella nullità, non è così? Vuoi che loro non siano più in pericolo? RISPONDI!”.
“Lasciali in pace…”.
“Se vuoi che lo faccia, dei venire con me”.
“Io…”.
“Vieni con me!”.
“NO!”.
 
Furioso, Lucifer aveva fatto in modo che cadesse in ginocchio, piegandosi alla sua volontà.
 
“Tu dovrai obbedirmi, sarai al mio fianco quando arriverà il momento, tu mi affiancherai durante l’Apocalisse, ed io…”.
“NO CASS! NON LO DEVI ASCOLTARE!” – Dean aveva cercato di avvicinarsi ad entrambi, ma era stato tutto inutile. Cera come una barriera invisibile, qualcosa che gli stava impedendo di avvicinarsi quanto sarebbe bastato per rassicurare Cass, per mettergli anche solo una mano sulla spalla.
Non gli importava di soffrire, non gli importava se il Diavolo lo avesse o no ucciso, doveva almeno provare. Doveva provare a far ragionare Castiel.
“Cass!”,
“Dean…” – non voleva che lo raggiungesse. Non voleva che anche lui finisse vittima delle atrocità commesse da Lucifer a causa sua – “Vai via”.
“Sì, Winchester! VAI VIA!”.
E Dean si era chinato in avanti, tossendo una copiosa dose di sangue, incapace di mascherare il dolore causatogli da quel mostro.
“NO! Smettila, ti prego!”.
“Dimmi di sì, Castiel, ed io la smetterò. Lascerò vivi tutti i tuoi amici, non torcerò loro neppure un capello. Te lo giuro. Io non mento. Io non mento mai”.
 
Aveva avuto il coraggio di dirgli ancora una volta che lui non mentiva.
Lui, che poco prima aveva creato ricordi fasulli di un passato che non sarebbe più tornato, lui, che gli aveva promesso qualcosa che non poteva dargli, lui, che voleva solo raggiungere i suoi scopi, aveva cercato di raggirarlo un’altra volta.
 
Ma non gliel’avrebbe più permesso. Lui non avrebbe più permesso a Lucifer di imbrogliarlo, lui non avrebbe più permesso a quel mostro di usarlo per fare del male ai suoi amici.
Per questa ragione, Castiel era caduto in ginocchio, prostrandosi davanti a lui.
Per questa ragione, Castiel aveva aspettato che il Diavolo si avvicinasse, bramando di possederlo.
Per questa ragione, aveva afferrato il pugnale angelico di Celine che reggeva tra le mani ancora sporco del suo sangue, e per questa ragione, l’aveva spinto nel proprio petto, trafiggendosi il cuore.

"CAAAAAAAASSSSSSSSSSSSS!!!!!".

Avevano urlato il suo nome, nonostante la fatica, nonostante il dolore che stavano provando.

Dean aveva creduto di morire. Il suo cuore si era ridotto in mille pezzi, squarciato da dolore così grande causato dall’aver visto il suicidio del suo amico.


“No… Castiel… No…”.
 
Il Demonio non era stato in grado di agire, colto alla sprovvista dal folle gesto di quello sciocco essere umano. Lo aveva visto cadere all’indietro, grondando sangue e lacrime.
Aveva perso. Il suo piano non sarebbe stato portato a compimento. Castiel era morto, e lui non aveva abbastanza forza per riportalo in vita. Non avrebbe potuto avere accanto il soldato che aveva bramato, l’alleato perfetto. Aveva perso, sì, ma aveva ancora a disposizione il suo sangue, quel sangue che emanava l’odore più inebriante che avesse mai avuto l’opportunità di accarezzare i suoi sensi.
 
Per questa ragione il Diavolo non si era perso d’animo. Per questa ragione, il Diavolo aveva estratto la lama da quel petto ormai senza vita, osservando per pochi istanti il liquido scarlatto prima di portarlo alle labbra, e leccarlo avidamente sotto gli sguardi attoniti e sconvolti dei presenti.
Solo che qualcosa di diverso era accaduto, qualcosa che nessuno era riuscito a spiegarsi, qualcosa che aveva fatto scomparire dal volto del Demonio anche la più remota traccia di godimento.

"Ma cosa…? Cosa..? No! No! NO!".
Aveva lanciato lo stiletto contro il muro, guidato solo e unicamente dall’ira.
Con gli occhi iniettati di sangue, si era girato verso Damon, ancora in fiamme, ancora in preda ad un dolore fisico che nessuno avrebbe mai dovuto sopportare.
"TU! MALEDETTO! TU!".

Dean aveva approfittato dell’avanzare di Lucifer verso Damon per correre da Castiel. Stava ancora espellendo sangue dalla bocca, e qualcosa gli stava dicendo che il suo stomaco sarebbe presto diventato simile ad una poltiglia, ma non gli importava. Doveva raggiungere Castiel, doveva provare a parlargli, doveva pregare lui o chiunque altro ci fosse all’ascolto affinché potessero restituirgli il suo amico.


"Cass… Cass… No…” – la vista del suo corpo martoriato era stata troppo anche per uno come lui, anche per uno che aveva affrontato la morte e alla fine era riuscito ad imbrogliarla. Cass non avrebbe mai dovuto trovarsi in quella condizione. Cass non era stato creato per morire, non privandosi della propria esistenza con le sue mani, almeno. Castiel avrebbe dovuto vivere in eterno o avrebbe dovuto soccombere durante un’epica battaglia per la salvezza del mondo intero, non per salvare le loro vite. Perché, per quanto quel gesto avesse potenzialmente salvato il mondo intero dal piano malefico ordito dal Demonio, Dean sapeva che era stato solo per salvare loro se si era piantato quel pugnale nel petto, Dean sapeva che Cass era morto solo per permettere a loro di scappare – “Non avresti dovuto farlo…Non avresti dovuto… Avremmo trovato una soluzione… Avremmo… Io…”.

Dopo aver recuperato un minimo di energia, Sam aveva provato a raggiungere Damon e a fargli scudo dall’attacco del Demonio, ma era stato tutto inutile ancora una volta, perché gli era bastato dargli uno schiaffo per scaraventarlo lontano.

"Gli hai dato da bere il tuo sangue immondo!” – gli aveva gridato contro, prendendolo a calci – “TU HAI ROVINATO TUTTO! TUTTO!”.
Damon aveva iniziato ad urlare con maggiore forza, vinto dalla furia di Lucifer.
Voleva ucciderlo, voleva privarlo di quella sua inutile esistenza, ma prima voleva farlo soffrire come non aveva mai fatto soffrire nessuno, voleva che quella nullità implorasse la morte, voleva che lo supplicasse di ammazzarlo.

“SMETTILA! BASTA!” – Dean era distrutto. Perché infierire in quel modo? Perché continuare su quella linea? Aveva perso, non c’era più modo per lui di utilizzare Castiel per i suoi scopi, e anche se questo lo stava in minima parte rincuorando, non avrebbe potuto alleviare definitivamente il suo dolore.
Avevano perso troppo in quello scontro impari, troppo.
Celine era stata annientata, Cass si era suicidato, Damon stava bruciando vivo e stava cedendo sotto i colpi di Lucifer, e lui e Sam erano completamente impotenti. Avevano perso tutti, tutti. Nessuno ne sarebbe uscito vincitore. E mai, mai come il quel momento, avrebbe voluto avere il suo angelo accanto.

“Dove sei Cass…? Dove sei?”.
 
Non avrebbe saputo come spiegare quello che era accaduto da lì a breve, non avrebbe saputo come spiegare il perché, all’improvviso, una luce intensa e calda come mai nessuna si stava propagando dallo squarcio ancora sanguinante sul petto di Castiel.

Dean era stato costretto ad indietreggiare, appiattendosi contro la parete, mentre osservava incredulo le ferite richiudersi e il sangue dissolversi su quel corpo così piccolo che fino a qualche tempo addietro era appartenuto a Jimmy Novack.
La luce stava diventando di secondo in secondo sempre più intesa, e adesso non si stava propagando più solo dalla ferita ormai richiusa, ma era un’emanazione della sua stessa pelle, di quella pelle bianca e splendente che era tornata perfetta come un tempo.
 
E poi, Cass aveva aperto gli occhi, sollevandosi di scatto dal suolo.
Ma non era stata quella la sola cosa che aveva fatto venire a Dean le lacrime agli occhi, no, perché dietro la sua schiena, dietro la schiena di Cass, sei splendide paia di enormi ali dalle piume bianche e dorate avevano fatto capolino, mostrandosi in tutta la loro maestosità.
 
“Cass…” – aveva sussurrato Dean, il cui cuore era di nuovo colmo di speranza – “Cass…” – aveva ripetuto, anche se sapeva bene che chi aveva davanti fosse molto, molto di più del semplice angelo che lo aveva salvato dall’Inferno.


Lucifer si era bloccato di colpo, incredulo davanti a quello che i suoi occhi gli stavano mostrando. Castiel era morto, si era suicidato e lo aveva fatto davanti a lui, come poteva essere tornato indietro? Chi aveva osato intercedere a suo favore?

Dean ne aveva approfittato per raggiungere suo fratello, che pian piano stava riacquistando i sensi perduti durante la botta presa contro il muro, ma lo aveva fatto senza staccare mai gli occhi di dosso da Castiel.
Non stava più sanguinando, e anche Damon aveva smesso di bruciare. Evidentemente, il Diavolo era  troppo distratto da quello che stava accadendo per curarsi di loro.
 
“Io-io non capisco… Tu! Come hai fatto a…? Io…” – ma poi, l’aveva visto. 
Lucifer aveva visto che accanto a quella figura così grande, così maestosa, si era affiancata una luce intensa, una luce che non avrebbero dovuto vedere, una luce che avrebbe dovuto bruciargli gli occhi come era accaduto a Pamela, ma che invece stava infondendo loro qualcosa di simile alla speranza.
 
“Dean, ma cosa…?”.
“Ce l’hanno fatta, Sam. Alla fine, Celine e Cassiel sono riusciti a ritrovarsi”.
 
“NON VI PERMETTERO’ DI TOCCARMI! VOI NON POTETE BATTERMI! IO SONO LUCIFER, IO SONO LA STELLA DEL MATTINO! ED IO VI UCCIDERO’! IO VI UCCID-NOOOOOO!”.
 
Non avrebbero mai saputo com’erano andate le cose.
Sam, Dean e Damon avevano chiuso gli occhi e si erano tappati le orecchie dopo che una voce, la voce di Celine, aveva detto loro che quello era l’unico modo per non riportare danni, riaprendoli solo nell’attimo in cui quella raffica di forte vento fortissima che li aveva investiti era cessata.
 
Era durato tutto meno di un istante, ma di Lucifer non c'era traccia più alcuna traccia.
 
Con grande esitazione, Dean era stato il primo a schiudere gli occhi, seguito poi da Sam e da Damon, scoprendo che gli unici presenti in quella stanza oltre a loro erano Castiel e Celine, e che nonostante brillasse di luce pura, il serafino non avrebbe provocato nessun danno ai loro corpi fatti di carne e ossa.

Era tutto passato. Dean Damon e Sam erano di nuovo in perfetta salute, proprio come se non avessero mai sofferto per mano del Demonio.
 
“Ma cosa… Cosa è successo?”.
“E’ finita, Dean…” – era stata Celine a parlare, con quella sua voce così calma, così rassicurante – “Non siamo riusciti ad ucciderlo, non è nelle nostre possibilità, ma lo abbiamo indebolito. Ora, avete tutto il tempo per trovare il modo di fermarlo definitivamente”.
 
Continuavano a non capire come ciò fosse possibile, ma al momento non gli importava. Cass era vivo, Lucifer era altrove, e non c’era niente di più importante di quello al momento. Il resto avrebbe potuto attendere. Ora, l’unica cosa che contava era riabbracciare Castiel.

"Dean... Sam..." – aveva ricominciato a parlare – “Dovete prendervi cura di Cass”.

"Che significa, Celine? Che vuoi dire?" - Sam non riusciva a capire. Aveva solo visto Cass irrigidirsi al suono di quella voce che riuscivano ad udire solo nella loro mente e nel loro cuore.
"Cassiel è vivo Sam... Lo è sempre stato, ma aspettava solo il momento adatto per manifestarsi".
I tre ragazzi la stavano ascoltando, desiderosi di capire, di sapere, mentre Castiel continuava a stare in silenzio, al suo fianco.
"Cass vi ama, qualunque sia la sua forma. Vi ama più della sua stessa vita. Ti ama più della sua stessa vita, Dean, è proprio per questo che è riuscito a sentirti, anche se nella sua precedente forma lui non ti ha mai conosciuto”.
“Vuoi dire che sono stato io a…”.
"Sì, Dean. Il vostro legame è molto più profondo di quello che pensi. Non so come abbia fatto, ma è tornato indietro, ed io sono venuta qui insieme a lui”.
 
Erano tante, erano tantissime le domande che avrebbero voluto fargli, ma non ce n’era il tempo, perché, senza che loro potessero fare nulla per impedirlo, Celine stava svanendo.
"Celine, ma tu stai...?".
"Questo non è il mio posto Damon. Non più, ormai. Sarò sempre accanto a Cass. Non potrà più vedermi, ma potrà sentirmi”.
Castiel aveva chiuso gli occhi, sempre in silenzio, cercando di reprimere una smorfia di dolore.
"Damon, sei stato un amico prezioso, una persona importante che gli ha permesso di comprendere cosa sia davvero la fiducia" - sembrava che stesse parlando come se per la loro amicizia non ci fosse alcun futuro - "La tua eternità ha finalmente trovato uno scopo, Damon Salvatore, e la tua anima ha finalmente raggiunto la pace".
Gli occhi di ghiaccio di Damon erano colmi di stupore. Si era sempre chiesto dove si trovasse la sua anima, ed ora aveva avuto la conferma da parte sua che non fosse all’Inferno, fra le grinfie del Diavolo.

"Cass…” – nella voce di Celine c’era stato un fremito – “Io devo andare...".


Non era stato in grado di frenare le lacrime. Sapeva che Celine sarebbe sempre vissuta nel suo cuore e nella sua memoria, che lui avrebbe sempre potuto sentire la sua presenza, ma poteva essere abbastanza proprio ora che si erano ritrovati?
Non avrebbe mai ringraziato a dovere quella creatura così bella e splendente.
 
Celine aveva sacrificato la propria vita pur di salvarlo, ripagando il debito che sentiva di avere con lui.
Non sapeva dove sarebbe andata, adesso. Gli era stata data solo quella breve opportunità di tornare per sistemare le cose, e lei era certa che ciò fosse stato possibile solo grazie all’intervento del Padre, di quel Padre che tutti credevano morto, ma che in realtà non aveva mai abbandonato i suoi figli.
 
Non voleva che Castiel piangesse, ma sarebbe stato ingiusto chiedergli di fare in contrario.
Così, fra la commozione generale, Celine era andata via, con la consapevolezza di aver fatto tutto quello che era nelle sue possibilità per salvare chi l’aveva amata senza nessuna condizione.
 
Continua…
_____________________________________________________________________________

E così, siamo arrivati quasi alla fine.
Mi si stringe il cuore, soprattutto per la sorte toccata alla mia Celine.
Era quello il suo destino, lei doveva sacrificarsi per amore.

Per ora vi saluto, ma ci rivedremo per l’epilogo.
Un bacio grandissimo!
Grazie di tutto!
Cleo

 

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Capitolo 25
*** Epilogo ***


Epilogo


La storia è ciclica. Tutto sembra cambiare, ma finisce per ripetersi, e solo vivendo si capisce quanto la vita possa accomunare tutti esseri, umani e non.

Cassiel aveva sacrificato se stesso per amore, e Celine aveva fatto lo stesso.
Damon era stato curato da uno sconosciuto, e Damon aveva curato a sua volta chi aveva avuto bisogno di aiuto.
Dean e Sam avevano salvato centinaia di vite, e adesso erano stati loro ad essere salvati.
 
Celine non c'era più, ma lei e Cass avevano dimostrato ai presenti che la forza dell'amore e il senso di giustizia riescono ad andare al di là di tutto, al di là della vita e anche della morte.

I quattro amici avevano dato degna sepoltura al corpo della ragazza che aveva ospitato Celine, pregando a lungo per lei e per il serafino prima di riportare a casa Damon.
 
Durante tutto il viaggio, nessuno aveva avuto la forza di proferire parola. Ognuno di loro era perso nei propri pensieri, nelle sensazioni e nelle emozioni fortissime provate in poco meno di un giorno.

Dean aveva acquisito una consapevolezza tutta nuova per quanto riguardava il suo rapporto con Cass. Arcangelo, angelo, umano, non gli importava quale fosse la sua forma. Aveva deciso che gli sarebbe stato accanto a prescindere, e che sarebbe stato la luce nei momenti di buio, la spalla su cui piangere nei momenti di solitudine e il fratello con cui ridere nei momenti di gioia.

Sam non aveva potuto fare altro che pensare alle conseguenze delle sue azioni, alle conseguenze del bere il sangue demoniaco, pratica che più volte lo aveva condotto sull'orlo del baratro.
Non lo aveva affatto reso più forte, lo aveva solo reso vulnerabile e un facile bersaglio per demoni e creature oscure. Se non ci fosse stata la sua famiglia a difenderlo, sarebbe caduto, e questa volta per sempre.
Era felice di aver ritrovato Cass. Aveva un fratello in più, adesso, un fratello di cui si sarebbe preso cura e che si sarebbe preso cura di lui a sua volta.
L’unica cosa che avrebbe voluto fare era arrivare da Bobby, sedersi sul divano insieme a loro, e sì, per una volta tanto festeggiare mangiando una di quelle torte piene di conservanti che piacevano tanto a Dean. Non sapeva bene perché, ma era certo che anche a Cass sarebbe piaciuta parecchio.

Damon credeva di essere quello che aveva imparato di più da quell'uomo spaventato e sporco di sangue che aveva trovato in quel vicolo buio. Aveva imparato cosa fosse il vero amore, cosa fossero lo spirito di sacrificio e la bontà d’animo. Aveva imparato che non era semplice fare della propria vita una cosa meravigliosa, darle un senso, ma che quando ciò avveniva, si poteva accettare anche di farsi amare senza sentirsi debole, senza avere rimpianti.

E Castiel... Castiel aveva capito di avere al proprio fianco delle persone a dir poco straordinarie, persone a cui importava realmente della sua vita, persone che sarebbero morte per lui, che lo avrebbero protetto fino alla fine. Non c’erano più dubbi, non c’erano più esitazioni.
E lui, nel bene o nel male, avrebbe fatto per loro la stessa, identica cosa.

                                                                                                         *

Erano ormai arrivati davanti al portone del palazzo in cui abitava Damon.

Il vampiro sapeva bene che quello sarebbe stato il momento degli addii, e proprio per questo stava guardando Castiel con il volto addolorato. In cuor suo, sentiva che quella sarebbe stata l’ultima volta in cui gli avrebbe parlato, e doveva ammettere che quello fosse uno dei momenti più difficili di sempre.
 
"Ehi..." - gli si era avvicinato con cautela, quasi avesse avuto paura di fargli del male.
Cass lo stava guardando con quei suoi occhi meravigliosi, in attesa che lui facesse o dicesse qualcosa, qualsiasi cosa.

Ma poi, senza pensarci, Damon lo aveva abbracciato con forza, chiudendo gli occhi dall’emozione.
Dopo un’iniziale esitazione, anche Cass lo aveva abbracciato, sorridendo sereno.

"Prova a metterti a piangere e giuro che ti faccio male sul serio".
"Ti ho appena dimostrato di essere super-potente... Sicuro di volermi sfidare, Damon?".
"Vedi di non farti ammazzare. Hai capito, Cass?" – gli aveva detto, serio, staccandosi da lui e guardandolo negli occhi.
"E tu, mi raccomando, non raccogliere tutti gli uomini feriti che trovi in giro... Sai, non tutti potrebbero essere facilmente gestibili come me".
Da quando quel novellino aveva iniziato a fare ironia?
"Sai, una volta avevo giurato a mio fratello che mi sarei fatto una nuova pettinatura e sarei diventato un supereroe...".
Cass stava sorridendo, anche se con un pizzico di mestizia.
"Io credo che tu abbia tenuto fede al giuramento, Damon".

Dean e Sam avevano osservato la scena in silenzio.
Sentire Castiel fare delle battute era molto più surreale che vederlo abbracciare un vampiro.


"Non vi metterete a fare un altro genere di effusioni qui davanti a noi, non è vero? Non sono ancora pronto per vedere voi due che pomiciate!".
 
Sam aveva dato una gomitata a Dean. Sapeva che quella battutaccia fosse frutto di un pizzico di gelosia, così come sapeva che per nessuna ragione al mondo Dean avrebbe mai ammesso di provarla.

"Dimmi la verità, Dean Winchester: stai solo rosicando perché sai che io ho più charme di te e che nessuno, angelo o umano che sia, può resistermi!".
Dean era rimasto a bocca aperta, incapace di rispondere.
"Salvatore 1, Winchester 0" - aveva decretato Sam, trattenendo malamente una risata.
 
*

Il momento di andare via era giunto, alla fine.
Era stato proprio Dean il primo a stringere la mano al suo nuovo alleato, raccomandandogli di non uccidere nessuno, e ringraziandolo di cuore per quello che aveva fatto per Cass.
Sam gli aveva augurato buona fortuna, sperando che le cose per lui potessero andare sempre meglio.

"Ci rivedremo, Castiel?" – Damon aveva gli occhi lucidi. Sarebbe tornato ad essere solo, dopo la sua partenza, solo in quell’appartamento che per un po’ di tempo si era riempito di risate e di parole.
Non avrebbe voluto farlo andare via, ma non poteva chiedergli di restare. Aveva la sua missione da compiere, e peccare di egoismo non era più nel suo stile da un bel po’ di tempo.
"Sono sicuro che ci rivedremo, Damon. Ne sono sicuro".
“Ci conto".

Damon aveva accompagnato Castiel alla macchina, chiudendo egli stesso la portiera dopo che aveva preso posto sul sedile posteriore. Poco dopo, Dean aveva messo in moto.
"Damon..." - Castiel lo stava guardando dal finestrino.
"Sì, Cass?".
"Grazie di tutto" – e, dopo avergli sorriso un'ultima volta, Cass era sparito dietro il finestrino.

Il peso della solitudine sembrava averlo completamente schiacciato all’improvviso. Non avrebbe voluto salire nell’appartamento, ma cosa avrebbe potuto fare?

Si era buttato direttamente sul letto, sfinito, devastato, e di nuovo solo.
Non riusciva a darsi pace, non dopo quello che aveva appreso in quegli ultimi giorni. Certo, lui non era un cacciatore, ma sentiva che quella era diventata anche la sua battaglia, in un certo senso, ed era una battaglia che voleva combattere in prima persona, anche senza Dean, anche senza Sam, anche senza Cass.

Stava per addormentarsi quando qualcuno aveva bussato alla sua porta.
Chi poteva essere a quell'ora? Qualche tempo addietro, avrebbe detto che chiunque fosse stato evidentemente voleva morire di una morte lenta e dolorosa, ma quel Damon non esisteva più da un bel po’.
Per questo, senza fare troppo il presuntuoso, e sì, sperando in cuor suo che potesse trattarsi di Cass, era corso alla porta, spalancandola.

"Ciao Damon".


Mai, mai in vita sua avrebbe creduto di trovarsi davanti lei.
Era identica alla sua Elena, identica a lei in tutto e per tutto, se non negli occhi, meno dolci, ma più consapevoli di come fosse fatto il mondo.
"Katherine... Che ci fai tu qui?".

Gli stava sorridendo, sincera per la prima volta in vita sua. Era davvero contenta di vederlo.
 
"Posso entrare?".
Anche se un po' titubante, Damon non se l'era sentita di rifiutare.
"E' molto diverso qui rispetto alla tua casa a Mystic Falls, ma è carino".
"Che cosa vuoi, Kath?".
Lei aveva esitato per un breve istante, rivolgendogli uno sguardo triste e un po’ imbarazzato, due sentimenti che Damon non aveva mai avuto l’opportunità di vedere su quel volto che aveva amato così tanto.
"Sono venuta a riportarti questo" – e gli aveva mostrato un anello, un anello identico a quello che lui portava al dito.
"E’ l’anello… E’ l’anello di Stefan. Kath... Ma come fai ad...?".

E gli era bastato guardarla per capire tutto, per far sì che tutto fosse chiaro come il sole da cui dovevano proteggersi. La donna che aveva amato e per cui era diventato un vampiro, la donna che aveva odiato e cercato di uccidere gli aveva salvato la vita dopo le torture inflittegli da Klaus. Era stata lei a nutrirlo, a curarlo e a riportarlo alla vita, e non si sa come, aveva recuperato l’anello che Klaus aveva sottratto a Stefan dopo averlo brutalmente ucciso.

"Kalus è morto, Damon".
"Cosa?".
Lei aveva sorriso ancora una volta, dandogli il tempo di assimilare quella notizia.
"Sì, lui… Posso restare per un po’, Damon? Credo che tu voglia sapere, non è così?”.
E, sorridendo, le aveva fatto strada, chiudendo la porta alle loro spalle.
 
Non aveva potuto fare a meno di pensare che la vita fosse proprio piena di sorprese, e che volte, ma solo a volte, sono le persone che ci sembrano meno eccezionali a sorprenderci, a spingerci ad andare avanti e a non mollare.
E questo, lo aveva imparato da Sam, da Dean, da Celine, da Cass, ed ora anche da Katherine Pierce.

 
Fine

E così, abbiamo scritto tutti insieme la parola fine a questa storia.
Ringrazio davvero di cuore tutti coloro che hanno letto e recensito, il particolare Liz91 che è stata sempre la prima a darmi il suo parere e il suo sostegno.
Mi auguro che Celine, Damon, Cass, Sam, Dean e perché no, anche Katherine, restino con voi per un bel po’ di tempo.
Un bacione!
E grazie ancora di tutto!
Cleo

 

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