Il solo fascino del passato è il fatto che è passato

di Amrita
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Domandare è lecito, rispondere è cortesia. ***
Capitolo 2: *** Caro, vecchio Mr. Churchill. ***
Capitolo 3: *** Sembrare un detective: istruzioni per l'uso. ***
Capitolo 4: *** Fissare con ostentazione non è di buon gusto. ***
Capitolo 5: *** Scommettiamo? ***
Capitolo 6: *** L'ora della dipartita. ***
Capitolo 7: *** John Hamish Watson. ***



Capitolo 1
*** Domandare è lecito, rispondere è cortesia. ***


Pioveva a Londra, quella sera.
Il fuoco crepitava allegramente nel camino dell'appartamento al 221b, Baker Street.
Un uomo in vestaglia stava seduto comodamente in poltrona, con il Times del giorno aperto sul suo grembo e i piedi allungati verso il calore delle fiamme. Improvvisamente ebbe un guizzo ed iniziò ad alzare nervosamente gli occhi dal giornale.
L'oggetto dei suoi sguardi era un altro uomo: alto, magro, naso importante e occhi grigi come la nebbia londinese, suo amico da una vita o quasi. Egli se ne stava in piedi, appoggiato allo stipite della porta, fumando una pipa con lo sguardo apparentemente perso nel vuoto.
All'improvviso si girò verso il compagno.
« Vuole chiedemi qualcosa, Watson? » esordì, facendo sobbalzare leggermente l'uomo in poltrona.
Il dottor John Watson guardò per un'attimo il suo amico. Poi si riebbe.
« Holmes, non vorrei sembrarle invadente ma, stavo pensando, che sono molti anni che condividiamo il nostro appartamento e abbiamo condiviso anche molte avventure però, come dire, io ancora non so molto di lei. » disse, con un certo rossore sulle guance.
« E cos'è che le preme di sapere sul mio conto? »
« Non saprei. Ha altri fratelli oltre al signor Mycroft Holmes? Come si chiamano i suoi genitori? Dove è cresciuto e dove ha imparato tutte le cose che sa? »
« Mio caro amico, non vedo come questo possa essere rilevante o persino minimamente importante, perciò mi approprierò del diritto di non rispondere alla sua domanda. » rispose Holmes con un sorriso. Poi, vedendo l'imbarazzo negli occhi del suo collega, continuò « Non si crucci per il mio passato, non è granchè interessante e si rilassi: la sua non era insolenza, ma semplice curiosità, è perfettamente nella norma, ma, come lei ben saprà, "domandare è lecito, rispondere è cortesia". »
« E la cortesia non è esattamente il suo forte, quando vuole, vero Holmes? » disse Watson, e risero per un momento assieme.
Il dottore liberò un lungo sbadiglio, dopodiché chiuse il giornale e si alzò.
« Bè, io vado a coricarmi, Holmes. Domani dicono che sarà una bella giornata e voglio godermela tutta dal mattino alla sera. » disse sorridendo.
« Passi una buona notte, amico. »
« Altrettanto. » rispose il dottore, chiudendo la porta della sua stanza.
Holmes sospirò, bevve una tazza di tè e poi si ritirò nella sua stanza, per cadere in un profondo sonno ristoratore.

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Capitolo 2
*** Caro, vecchio Mr. Churchill. ***


« Signorino! Ecco dove si era cacciato! Ma le sembra il caso di scorrazzare per i vicoli del paese a quest'ora? E' tutto il giorno che i suoi genitori la cercano. Quella povera donna, sua madre, la farà ammalare, se va avanti così! »
Questo fu ciò che esclamò una signora robusta, vestita con abiti semplici, ma di buona fattura, mentre si avvicinava al bambino.
Lo prese per il braccio e lo strattonò via.
« Ma Mrs. Scott! Stavo seguendo una pista importante, non posso assolutamente interrompere le indagini! » esclamò il piccolo agitando una piccola lente d'ingrandimento tra le mani, sconcertato.
« Certo, Holmes. Di quale caso di vitale importanza si trattava oggi? Una strage di formiche? Oppure forse un assassinio tra ratti di fogna? » disse la governante senza girarsi, alzando gli occhi al cielo e continuando a camminare a passo regolare.
« Assolutamente nulla di tutto questo! Vede... »
« Oh, faccia silenzio! » lo interruppe bruscamente.
Il bambino mise il broncio e continuò a camminare guardando per terra.
Una donna sul portico di casa si guardava attorno allarmata, ma appena vide la governante avvicinarsi con il bambino accanto fece un sospiro di sollievo. Poi, il suo viso rischiarato dalla preoccupazione, cedette il posto ad un'espressione severa.
Quando il bambino le fu vicino lei lo afferrò per la spalla e gli disse con tono duro, ma con un velo di sollievo « Sherlock! Smettila di andartene per conto tuo, oppure dovremo punirti severamente! »
« Grazie Mrs. Scott, ora può andare. Sarà stanca, ed è stata una giornata lunga. » aggiunse guardando la governante che annuì, poi guardò il bambino inespressivamente ed entrò in casa.
Quando fu sparita dietro la porta, la donna si chinò ed abbracciò il figlio. « Sherlock, mi fai preoccupare quando sparisci così! »
« Ma madre, sà benissimo che io conosco alla perfezione tutte le strade di questa cittadina e sarei in grado  di tornare indietro in qualsiasi caso. » esclamò il piccolo Holmes gonfiando il petto.
La madre sorrise dolcemente e gli accarezzò i capelli. « Ma certo, Sherlock. Entriamo ora, inizia a fare freddo. »

***

Il giovane Holmes girava per casa spensierato, quando sentì i genitori parlare febbrilmente in salotto. Stavano parlando di lui, perciò si accostò dietro la porta.
« Daniel, caro, non sia così duro con Sherlock, è solo un bambino... » disse sua madre.
« Lo comprendo, Madaleine, ma è irrefrenabile! E' intelligente tanto quanto Mycroft, ma... Mia cara, ti ammalerai per star dietro a lui, e il collegio è l'unica soluzione sensata. Devi fidarti di me. » esclamò una voce maschile, quella di suo padre.
Il piccolo Sherlock rimase sconvolto dalla notizia che aveva appena origliato e corse via. Inciampò sulle scale e cadde, facendo traballare anche il maggiordomo, l'anziano Mr. Churchill, che stava scendendo.
Il vecchio aiutò il bambino a rialzarsi.
« Perchè corre? Potrebbe farsi male! »
Il bambino si limitò a stropicciarsi gli occhi.
« Non voglio andare in collegio. » piagnucolò.
« Perchè dice questo? » chiese il maggiordomo.
« Ho sentito i miei genitori parlarne. » rispose con voce impastata.
Il maggiordomo guardò il vuoto per un breve lasso di tempo. Poi diede una pacca sulla spalla all'undicenne Holmes dicendogli
« Vada a darsi una rinfrescata, signorino. »
Il bambino corse via incespicando nei tappeti alcune volte, mentre il maggiordomo si dileguava.
Sherlock arrivò davanti alla porta della sua stanza, deciso e rinchiudervisi, ma poi cambiò idea e corse verso la camera del fratello maggiore Mycroft. Spalancò la porta e la richiuse alle sue spalle con foga.
Mycroft alzò pigramente gli occhi dal libro che stava leggendo, steso sul suo letto.
« Va tutto bene, fratello? »
Il piccolo Sherlock si avvicino al fratello senza una parola e si sedette sul letto accanto a lui. Poi lo guardò negli occhi e gli disse « Vogliono mandarmi in collegio, Mycroft! »
Mycroft assunse un'aria realmente dispiaciuta, ma ammonì il fratello ugualmente « Tante volte ti avevo avvisato, fratello mio, che avresti dovuto essere più tranquillo. E più socievole. Per quanto ne so, io sono il tuo unico amico e non è molto, Sherlock. »
« Non ci sei solo tu! Anche Mr. Churchill è mio amico. »
Mycroft rise sotto i baffi « Scommetto che anche Mrs Scott è un'ottima amica. »
« Assolutamente no! » replico l'undicenne indignato.
« Non è una buona ascoltatrice e non ha pazienza. In più è molto rude con me! » esclamo, incrociando le braccia al petto e raddrizzando la schiena.
Mycroft rise ancora e nascose di nuovo il viso dietro al suo libro.
Sherlock assunse una postura più rilassata e poi con sguardo implorante disse al fratello « Cosa posso fare? Non mi daranno un'altra possibilità, ne sono certo. »
Mycroft stava giusto abbassando il libro per rispondere al giovane fratello, quando bussarono alla porta.
« Sì? »
I genitori dei due ragazzi entrarono.
Madaleine, la madre dei due, cominciò a parlare.
« Sherlock, ci dispiace ma ho paura che saremo costretti, non ci lasci molta scelta, perciò abbiamo deciso che... »
Il bambino interruppe la madre dicendo « Avete deciso che andrò in collegio, lo so! »
« Sherlock! Non interrompere tua madre! » lo rimprovero il padre, che finì poi il discorso incominciato dalla coniuge.
« Sherlock, stai diventando troppo frenetico, non riusciamo più a starti dietro, perciò abbiamo deciso che ti trasferirai in Francia, più precisamente a Parigi. »
Sherlock guardò i genitori incredulo, poi scorse il vecchio Mr. Churchill che sorrideva fuori dalla porta e comprese: il caro vecchio maggiordomo l'aveva salvato dalle numerose e dolorose bacchettate che avrebbe ricevuto in collegio.
« Andrò con lui. » disse Mycroft senza abbandonare la sua lettura.
Sua madre restò interdetta « Ma Mycroft, non ne hai nessuna ragione! E poi devi finire gli studi... »
« Madre, ho diciott'anni e sono il fratello maggiore di Sherlock: voglio farlo sentire a casa anche quando non lo sarà. » affermò Mycroft.
Madaleine guardò il ragazzo per un po', poi si voltò verso il maggiordomo che annuì, come il padre dei due ragazzi.
« E va bene. » assentì infine.

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Capitolo 3
*** Sembrare un detective: istruzioni per l'uso. ***


Mycroft era assorto nella sua lettura come al solito, anche sul treno traballante. Sherlock se ne stava seduto sul sedile opposto con il mento appoggiato sui dorsi delle mani, davanti al finestrino. Aveva passato il tempo ad alitarci su e lasciare impronte delle sue mani sul vetro appannato.  La cosa che gli piaceva di più nel farlo era che poteva studiare le impronte.
Suo fratello alzò languidamente gli occhi dalle pagine e lo ammonì con tono rilassato « Sherlock, smettila di giocare: sporchi il vetro, così! »
« Non sto giocando, sto accrescendo la mia conoscenza sull'argomento impronte. » sentenziò il ragazzino senza girarsi.
Mycroft sorrise, chiuse il suo libro e lo mise nella sua valigia.
Si infilò il cappotto, poi si avvicinò al giovane fratello e gli mise una mano sul braccio, tenendo un piccolo cappotto nell'altra.
« Andiamo, Sherlock, siamo quasi arrivati. »
Il ragazzino si alzò sbuffando.
« Avanti, continuerai a fare manate sui vetri del traghetto. » disse Mycroft, aiutando il fratellino ad infilare il cappotto.

***

Sul traghetto, Mycroft immerse di nuovo il naso prominente tra le pagine, mentre Sherlock iniziò a scorrazzare in giro.
Dopo un'ora e mezza di viaggio, si sentì un'urlo. Poi, una donna corpulenta,vestita elegantemente e con un cappello dai colori sgargianti in testa, uscì correndo da una cabina, urlando « Al ladro! Al ladro! La mia collana! La mia bellissima collana! »
Gli occhi del piccolo Sherlock Holmes ebbero uno sprizzo di felicità: finalmente qualcosa che avrebbe potuto distrarlo dalla noia.
Si stava già dirigendo verso la donna, la quale era stata circondata da gentiluomini e gentildonne, quando si rese conto che aveva solo undici anni e quella donna non gli avrebbe mai dato retta. Rimase fermo, con lo sguardo rivolto verso il cielo. Poi improvvisamente si girò e corse nella cabina dove Mycroft si era appisolato con il libro ancora aperto sul petto. Sulle sue labbra si tirò uno sfuggevole sorriso. Aprì la valigia del fratello e prese un Giacchetto di lana e un cappello. Poi aprì la propria valigia e ne prese alcuni vestiti vari e una pipa, regalo di Mr. Churchill.
Indossò i vestiti del fratello e li riempì con i vestiti, finché non sembrò un grasso signore. Mise il cappello calato sugli occhi e la pipa tra le labbra. Uscendo, controllò il suo riflesso.
Poi, soddisfatto del suo travestimento, si diresse verso la dama.
« Salve, Milady, ho sentito il sua richiesta di aiuto. Io sono un detective, potrei aiutarla a ritrovare il suo manifatto se me lo permette. »
« Oh, lei è proprio un gentiluomo!» gli rispose la donna, riservandogli uno sguardo risentito.
Sospirò « Bè,  la ringrazio, signor...? »
« Uh... Signor Churchill, signora, per servirla. » rispose Sherlock con un  rapido inchino.
La dama sorrise poco convinta. « Va bene, Signor Churchill. Ebbene, non ritrovo più la mia preziosissima collana di diamanti. »
Il ragazzino annuì saccentemente, rigirandosi tra le labbra la pipa spenta. Riflettè per un attimo.
« Signora, le spiacerebbe mostrarmi la sua cabina? » esordì.
« Ma certo. » acconsentì la signora, e lo scortò.
« Bene, Madama, ora sono costretto a chiederle di lasciarmi solo, non ho modo di lavorare se mi sento osservato.  »
« Assolutamente, Mr. Churchill. Io sarò qui fuori, caso mai le servisse qualcosa. »
« Perfetto. » rispose Sherlock amabilmente.
Quando la donna ebbe richiuso la porta alle sue spalle, il giovane Holmes spostò il suo cappello all'indietro e mise la pipa in tasca. Iniziò ad andare in giro per la stanza, aprendo cassetti, leggendo fogli e osservando foto. Dopo circa un'ora uscì fuori dopo aver sistemato il suo travestimento e trovò la dama che aspettava impaziente.
« Allora, ha qualche novità? »
« Potrei dire di sì, ma ho bisogno di parlare con qualcuno prima. Tornerò fra poco, mi aspetti qui. » le rispose sorridente Holmes.
La dama annuì e guardò quella strana figura sparire dietro l'angolo. Poco dopo, egli fu di ritorno e le si parò davanti.
« E quindi? »
Sherlock osservò la donna sottecchi per un momento. Poi in tono calmo declamò « Cara signora, lasci cadere questa farsa nel nulla. Ritiri le accuse e io le prometto che non parlerò. »
La dama sbiancò, ma resistette. « N-non capisco di cosa stia parlando, io... »
Il giovane Holmes la interruppe « Ho scoperto il suo imbroglio, signora. Ho avuti sospetti fin dal primo momento. Su questo traghetto viaggiano solo persone rispettabili, nessuno si azzarderebbe mai a commettere un furto. In più, ho trovato delle carte e delle foto compromettenti per lei nella sua cabina, e nessuna custodia così sicura che avrebbe potuto contenere un'oggetto di tale valore. Con questa farsa voleva vendetta: voleva che il capitano del traghetto perdesse di affidibilità agli occhi dei suoi clienti. Una semplice vendetta personale per il suo cuore spezzato. Ho ragione? »
La donna guardò Holmes. « Ha ragione. » ammise infine.
« Sono ancora in tempo per accettare il suo patto? »
« Certamente, Miss. » rispose affabile il giovane Sherlock « Ma lei si ricordi di dire di aver ritrovato il suo prezioso falso collier di diamanti. »
« Lo prometto. » rispose la donna, scocciata.
« Bene. A presto, signora. » disse Sherlock, e se ne andò.
Durante le ore successive, la donna cercò invano di scoprire dove il detective che l'aveva boicottata fosse, ma, per il divertimento del geniale undicenne, non lo scoprì mai.

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Capitolo 4
*** Fissare con ostentazione non è di buon gusto. ***


« I signori Mycroft e Sherlock Holmes? » domandò una voce. Apparteneva ad una piccola donna sulla cinquantina, grassottella, ma dallo sguardo severo. I lunghi capelli castani erano tenuti stretti in uno chignon elegante e i suoi abiti profumavano di ciclamino.
« Siamo noi. » rispose prontamente Mycroft.
« Bene, seguitemi: c'è una carrozza che ci attende appena fuori dal porto. » disse la donna accennando un sorriso.
Il piccolo Sherlock si guardò intorno, conscio che non avrebbe rivisto tanto presto quel luogo per il viaggio di ritorno, perciò ne volle catturare ogni dettaglio.
Il fratello gli diede una leggera spinta per incoraggiarlo ad avanzare e così lui fece. Il suo sguardo venne catturato da una figura poco lontana: era una ragazzina poco più piccola di lui. Aveva il piccolo naso aquilino ma grazioso costellato di lentiggini, che facevano risaltare il verde dei suoi occhi, bordati da ciglia scure. Boccoli ramati le inconriciavano il volto.
Sua madre gli aveva detto tante volte che fissare con ostentazione la gente non era di buon gusto.
Nonostante ciò, era estremamente interessato a lei, ne era attratto, forse, per la scintilla di furbizia che brillava nei suoi occhi o, più probabilmente, per la velocita con la quale aveva sfilato via il portafoglio dalla tasca del nobiluomo davanti a lei.
« Sherlock? Muoviti, o faremo spazientire la Signora Churchill. » comunicò Mycroft impaziente.
« Perdonami. » rispose il piccolo Holmes spostando a malincuore lo sguardo, e salendo sulla carrozza.

***

Il veicolo sobbalzava ininterrottamente percorrendo le strade di Parigi facendo sbuffare Mycroft, il qual aveva ancora il suo libro tra le mani. La signora Churchill era seduta tranquillamente, mentre il giovane Sherlock era intento a scrutare la città. Non faceva caso alla scomodità del viaggio, troppo intento a catturare e memorizzare ogni particolare delle strade che percorreva nella traballante vettura.
Mycroft sembrò decidere che leggere era impossibile in quella occasione, ed iniziò a conversare con la donna che avrebbe ospitato lui e il suo frenetico fratellino per parecchio tempo.
« Allora, Mrs. Churchill, mi aggraderebbe avere qualche delucidazione sulla sua parentela con Mr. Churchill. Sa, dal momento in cui ci hanno dato la notizia del viaggio, non abbiamo avuto tempo per conversare a proposito di questi particolari. »
La donna annuì quasi impercettibilmente e con un sorriso garbato sulle labbra rispose a tutte le domande del giovane uomo.
La signora non era parente diretta del maggiordomo di casa Holmes, in quanto era con suo marito, Edgar Churchill, che l'uomo condivideva legami di sangue, essendo cugini.
Lei e suo marito avevano deviso di lasciare l'Inghilterra molti anni addietro per motivi economici, e, essendosi ambientati molto bene nella realtà parigina, erano rimasti nella suddetta città.
Iniziarono poi a divagare su argomenti più futili, conversando amabilmente con sorrisi cortesi.
La carrozza si fermò davanti a casa Churchill: una graziosa villetta, con un fazzoletto di terra sul retro.
Il signor Edgar Churchill uscì immediatamente dalla villa, accompagnato da una graziosa fanciulla, circa dell'età di Mycroft, il quale le riservò un lungo sguardo.
La ragazza sorrise. « Benvenuti, signori. Spero che il viaggio non vi abbia spossato troppo. In caso voleste riposare, le vostre camere sono pronte. » enunciò in un inglese grammaticalmente corretto, ma con un'evidente accento francese.
Il signor Churchill strinse la mano a Mycroft sorridendo garbatamente. Poi si avvicinò al ragazzino che si guardava attorno curioso.
« Lei dovrebbe essere il signor Sherlock Holmes, se non vado errando. »
« Esatto, sono io! » rispose Sherlock senza smettere di guardarsi attorno. « Ci sono molti teppisti da queste parti. » chiese infine, guardando il vecchio.
L'uomo guardò il ragazzo, stupito. « Come fa a saperlo? »
« E la prendono anche di mira, vedo. »
« Sì, ma cosa glielo fa dire? » chiese l'uomo.
« Semplicemente il fatto che molte delle sua finestre anno i vetri incrinati. La maggior parte sono quelle dei primi piani, perciò i suoi disturbatori devono avere circa la mia età. Il resto della casa è molto curato, perciò le finestre possono solo essere state rovinate da qualcuno. In più, anche altre case di questa zona presentano vetri incrinati, ma non sono tanto numerosi quanto i vetri della sua villa. Qual'è il motivo che li spinge ad attuare questi vandalismi?  »
Il vecchio fissò incredulo il geniale ragazzino, con la bocca leggermente aperta dallo stupore. Poi si ricompose. « E' perché sono Inglese, signor Holmes. Quei ragazzini provengono dai quartieri poveri di Parigi e li hanno strane idee sul nostro conto. »
« Capisco. » disse il piccolo Sherlock.
« Entriamo dentro, sarete stanchi. » osservò la giovane Churchill, e tutti assentirono, trascinandosi dietro le pesanti valigie.

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Capitolo 5
*** Scommettiamo? ***


Sherlock se ne stava in disparte sul retro della villa, appollaiato su un ramo in una posizione scomoda, fissando con particolare interesse un nido e scribacchiando appunti disordinati sul suo taccuino.
Il ragazzo, ormai quindicenne, non era cambiato poi molto: solitario, ma amabile, osservatore, intelligente, con un'ottima memoria e una logica impeccabile. Era diventato il pupillo del signor Churchill, il quale era sempre stato un tipo assetato di conoscenza che riuscì a trasmettere con molta facilità a Sherlock.

L'adolescente era intento a cercare di capire che volatile fosse la madre delle uova davanti a lui, partendo dalle uova stesse, quando sentì qualcuno correre e poi fermarsi bruscamente dall'altro lato della villa.
Sherlock scese dal ramo con un solo agile balzo e si spostò sulla parte anteriore della villa, pur rimanendo nell'ombra.
Stringendo gli occhi, scorse una figura femminile che si nascondeva nell'ombra.  Le si avvicinò senza farsi notare, ma quando le fu vicino, lei, senza nemmeno girarsi, disse « Non ti agitare, ragazzino, me ne vado subito. »
Sherlock non si scompose, ma chinò leggermente la testa su un lato. « Scusa il disturbo, "ragazzina", ma sei consapevole di trovarti nel mio giardino?»
La ragazza girò la testa e piantò il suo sguardo vivace in quello intelligente del coetaneo. Il quindicenne la riconobbe subito, era la bambina che aveva attirato il suo interesse quattro anni addietro, quindi sorrise.
« Il portafoglio di quell'uomo ti diede buoni frutti? »
La giovane ridacchiò. « Ecco dove ti avevo visto. Hai una buona memoria, vedo. Mi chiamo Irene. » disse tendendo la mano al ragazzo, che la strinse. « Sherlock Holmes. »
Irene si alzò, facendo svolazzare i capelli ramati « Non aspettarti che io ti dica il mio nome completo, Sherlock Holmes. »
« Ho i miei metodi. » le rispose Sherlock pacatamente.
« Non funzioneranno con me. » disse lei, sparendo dietro il recinto pieno di fiori rampicanti.
Il giovane rise e, incamminandosi verso l'albero su cui era seduto precedentemente, disse tra sé e sé « Scommettiamo?»

***
Irene camminava tranquilla e con una punta di soddisfazione per le strade di Parigi, quando, all'improvvisò, sentì qualcuno tirarla in un vicolo poco luminoso.
Tentò di liberarsi usando qualche mossa astuta, ma il suo oscuro avversario sembrava non voler laciare la presa, quindi puntò sulla compassione ed iniziò a singhiozzare.

« Irene Adler, 13 anni, nata nel New Jersey in America, ma di origini tedesche. Vivi a Parigi da quando eri piccola, ma parli un ottimo ed ingannevole inglese. Orfana di madre e di padre, vivi la tua vita giorno per giorno organizzando piccole astute truffe e borseggiando le signore e i gentiluomini.»
La ragazza, come sentì la voce maschile, ebbe un sussulto, raddrizzò la schiena e smise di piangere.
« Nonostante tu abbia una piccola "impresa", sento che hai una buona stoffa...» continuò la voce, più vicina al volto di lei.
Irene asciugò velocemente le lacrime con una mano, e poi con un ghigno disse « Sherlock, mi fa piacere rivederti. O meglio, sentirti. Non credevo che avresti preso sul serio la mia sfida, ma vedo che oltre ad averla accettata l'hai anche portata a termine in due sole settimane.»
Si spostarono in un punto più luminoso, e gli occhi verde smeraldo di lei risaltarono sotto la luce del sole.
« Saprai anche dirmi, allora, dove abito.»
Sherlock sorrise scuotendo la testa « Come ho già detto, vivi la vita giorno per giorno. Non hai una dimora fissa.»
« Be', devo ammettere che sei bravo. Ma ora devo proprio andare, ho un traghetto tra un paio d'ore. Sono certa che le nostre strade s'incroceranno ancora, un giorno.» aggiunse mentre si allontanava a passo veloce.
« E quel giorno ti prenderò, Irene, non puoi scappare a lungo.» le urlò dietro l'adolescente.
Irene si fermò, guardò Sherlock negli occhi a distanza di qualche metro e sussurrò « Scommettiamo?».

Sherlock la perse di vista tra la folla, ma portò l'immagine di lei e delle ultime parole che le aveva visto dire mentre tornava a casa.
 Era consapevole di poterla incastrare, quando sarebbe venuto il momento, ma qualcosa gli diceva che non sarebbe finita come nei piani.
Sherlock poteva influenzare il futuro, ma non manovrarlo a suo piacimento.
Accantonò, quindi, il problema, per gli anni successivi, ripromettendosi di rispolverarlo solo se e quando ne  avrebbe avuto bisogno.

*****Note*****

Ok, scusate se ci ho (abbiamo) messo tanto per questo capitolo ma, sapete, la scuola putroppo è la più importante tra le nostre priorità. Spero che riusciremo ad aggiornare presto, in ogni caso!
Per ora, spero che vi sia piaciuto, al prossimo capitolo! :)

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Capitolo 6
*** L'ora della dipartita. ***



Sherlock stava seduto in poltrona, con le lunghe gambe poggiate sul tavolino. Fumava la pipa con calma guardando un punto imprecisato fuori dalla finestra, perdendosi tra i suoi pensieri. Sul pavimento c'erano numerosi giornali sparsi e una pila pericolante di ritagli stava accanto ai piedi di Sherlock.
La porta sì apri ed entrò il signor Churchill. Si avvicinò al giovane e gli lasciò una pagina di giornale sul bracciolo della poltrona per poi andarsene senza dire una parola.
Sherlock si riscosse dalle sue riflessioni e prese il foglio tra le mani. lesse l'articolo evidenziato a matita da Churchill.
Poi, i suoi occhi si illuminarono, buttò sgraziatamente la pipa sul tavolino e fece cadere la pila di ritagli mentre arrivava alla porta della stanza con un balzo dicendo tra sé e sé « Finalmente forse ci sono!».
Mise il cappotto e uscì di casa curandosi poco del freddo pungente e del vento che gli scompigliava i capelli. Stette fuori molte ore e quando tornò a casa, iniziò a fare le valigie.
Un tremolante signor Churchill entrò nella stanza.
« Sherlock, mio caro, ma cosa stai facendo? » chiese pur immaginando la risposta.
Sherlock sollevò la testa e guardò il suo mentore con una scintilla negli occhi. Accennò un sorriso e disse « E' arrivata l'ora della mia dipartita. »
Il signor Churchill sorrise ed annuì. Non chiese la meta né il motivo del viaggio del giovane, sapeva già il necessario.
L'ormai vent'enne ragazzo chiuse l'enorme valigia con forza e si avvicinò all'anziano. Si strinsero la mano fermamente per alcuni minuti, guardandosi negli occhi, senza dire una parola. Poi, Sherlock afferrò la valigia e la trascinò fino in strada, dove una carrozza lo attendeva, cercando di non far rumore.
Gettò un ultimo sguardo alla casa nella quale era cresciuto e poi partì senza voltarsi.

***

Sherlock si guardò attorno attentamente. Aveva passato il viaggio leggendo un "avvincente" saggio sul vasellame cinese, e aveva usato le ultime 3 ore studiando la cartina della città dove avrebbe vissuto: Londra. Quando si ritrovò sul posto, non sembrò particolarmente entusiasta alla vista, ma si sentiva comunque fiero di far parte di quel mondo.

Passò i due anni successivi all'Università, studiando arduamente ed assiduamente le materie che riteneva avessero un alto valore pratico, e dando il minimo nelle materie sciocche. Successivamente, lasciò ufficialmente gli studi. Era però fermamente deciso a voler rimanere in città, perciò incominciò a cercare un appartamento.
Mise alcuni annunci molto specifici e rispose ad altri, senza riuscire a trovare nulla che lo appagasse.

Camminava sovrappensiero per Regent's Park, quando un'allegra e distinta signora gli si avvicinò sorridente.
« Holmes! Mio caro ragazzo, che piacere vederti. »
« Oh, salve Mrs Hudson. Cos'è che l'affligge? »
La donna non fece domande, e rispose candidamente « Mi sento sola, Mr. Holmes. Vede, dopo l'aiuto che mi ha dato con mio marito, vivo da sola. Posseggo un'appartamento, sopra al mio. Sto cercando un inquilino, ma non riesco a trovare nessuno che... »
« Ma è perfetto! » esclamò Holmes « Quanto chiede per l'affitto? »
Mrs Hudson sospirò sorridendo, e porse un foglio al giovane entusiasta.
Egli lo lesse ed annuì. « Capisco. E' un prezzo ragionevole, vista la collocazione dell'appartamento, ma ho paura che io non possa elargire una tale somma di denaro. »
« Oh, può trovare un coinquilino se lo desidera. » asserì lei.
Sherlock strinse le mani alla donna con un fuggevole sorriso e si allontanò.




***Note***
Allora, perdonate la lunga assenza e la infinita brevità (non so nemmeno se esiste questa parola) del capitolo, ma ho dovuto fare tutto da sola, visto che la mia "collaboratrice" è altamente svogliata (sì, cara, tutta colpa tua).
Enjoy.

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Capitolo 7
*** John Hamish Watson. ***


« Dr. Watson! E' in perfetto orario! Come tutti i soldati rispettabili, d'altronde. » disse Sherlock affabile, stringendo energicamente la mano di colui che sarebbe stato il suo inquilino: il dottor John Hamish Watson, un medico di guerra assolutamente innocuo ed emotivo come tutte le persone ordinarie.
Mrs. Hudson si affacciò ed invitò i due ad entrare.
L'appartamento si tovava in uno stato piuttosto caotico, dato che Sherlock aveva già traslocato. Watson sembrava apprezzare e gli bastò una visita veloce alle stanze per decidere che avrebbe traslocato il giorno seguente, e firmò il contratto con aria soddisfatta.
I due disfecero gli scatoloni insieme e si scambiarono giusto qualche parola. Holmes aveva notato che il compagno avrebbe voluto parlare di più e conoscerlo in qualche modo, ma lui riuscì a far emergere l'argomento solo in rare occasioni. Soprattutto perché gli sembrava inutile parlarne e perché non capiva il motivo per cui Watson desse tanta importanza a argomenti quali filosofia, astronomia e letteratura: tutte cose che riteneva assolutamente inutili e insensate.

I primi tempi di convivenza furono facili, Holmes usciva presto e cercava di essere il più puntuale possibile. Watson, dal canto suo, sembrava soddisfatto di quell'appartamento e del suo coinquilino. In più, Holmes notava con una punta di celata esaltazione, ascoltava con trasporto le magnifiche melodie eseguite in modo pressoché perfetto dal detective, che muoveva le dita agili sull'amato violino.

La scintilla tra i due, però, si accese in un preciso istante.
Watson aveva appena convinto un indolente Holmes a prender parte in un caso alquanto intrigante.
Infilando il cappotto, Sherlock, disse al suo amico « Andiamo, Watson, prenda il cappello! »
« Vuole che venga anch'io? » chiese il dottore quasi incredulo.
Holmes sorrise dentro per l'innocenza dell'altro.
« Sì se non ha di meglio da fare. » rispose con uno sguardo eloquente, e uscirono di casa trafelati.

***

Sherlock si svegliò con un lieve sorriso che rischiarava il viso maturo e il sole che filtrava deciso attraverso le tende, posandosi sugli occhi ancora chiusi del detective. Si svegliò e si vestì in pochi minuti, ma rimase ancora qualche istante a contemplare il vuoto. Pensò che, dopotutto, gli sarebbe piaciuto condividere con il suo unico amico almeno qualcuno dei ricordi che aveva rivissuto in quella nottata, ma non si sarebbe mai sognato di aprire un argomento tanto sentimentale. In fondo lui sapeva tutto di Watson, grazie alle sue doti di osservazione, mentre il caro John era all'oscuro di tutto il suo passato e se ne lamentava raramente. Proprio per questo, Holmes, sentiva che lui, quell'amico, quel compagno con il quale aveva condiviso le avventure più intriganti, era l'unica persona con cui avrebbe mai avuto un rapporto di lealtà e fiducia, un legame, così forte.
Scosse la testa con disappunto, cacciando quelle emozioni che rischiavano di offuscare la sua logica impeccabile.
Con un ultimo sospiro, il detective si lisciò la giacca ed uscì dalla stanza, pronto ad immergersi in un altra anonima giornata, in vista di qualcosa che potesse sollazzare la sua instancabile mente.

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