Il solo fascino del passato è il fatto che è passato di Amrita (/viewuser.php?uid=114818)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Domandare è lecito, rispondere è cortesia. ***
Capitolo 2: *** Caro, vecchio Mr. Churchill. ***
Capitolo 3: *** Sembrare un detective: istruzioni per l'uso. ***
Capitolo 4: *** Fissare con ostentazione non è di buon gusto. ***
Capitolo 5: *** Scommettiamo? ***
Capitolo 6: *** L'ora della dipartita. ***
Capitolo 7: *** John Hamish Watson. ***
Capitolo 1 *** Domandare è lecito, rispondere è cortesia. ***
Pioveva
a Londra, quella sera.
Il fuoco
crepitava allegramente nel camino dell'appartamento al 221b, Baker
Street.
Un uomo in
vestaglia stava seduto comodamente in poltrona, con il Times del giorno
aperto sul suo grembo e i piedi allungati verso il calore delle fiamme.
Improvvisamente ebbe un guizzo ed iniziò ad alzare
nervosamente gli occhi dal giornale.
L'oggetto
dei suoi sguardi era un altro uomo: alto, magro, naso importante e
occhi grigi come la nebbia londinese, suo amico da una vita o quasi.
Egli se ne stava in piedi, appoggiato allo stipite della porta, fumando
una pipa con lo sguardo apparentemente perso nel vuoto.
All'improvviso
si girò verso il compagno.
«
Vuole chiedemi qualcosa, Watson? » esordì, facendo
sobbalzare leggermente l'uomo in poltrona.
Il dottor
John Watson guardò per un'attimo il suo amico. Poi si riebbe.
«
Holmes, non vorrei sembrarle invadente ma, stavo pensando, che sono
molti anni che condividiamo il nostro appartamento e abbiamo condiviso
anche molte avventure però, come dire, io ancora non so
molto di lei. » disse, con un certo rossore sulle guance.
«
E cos'è che le preme di sapere sul mio conto? »
«
Non saprei. Ha altri fratelli oltre al signor Mycroft Holmes? Come si
chiamano i suoi genitori? Dove è cresciuto e dove ha
imparato tutte le cose che sa? »
«
Mio caro amico, non vedo come questo possa essere rilevante o persino
minimamente importante, perciò mi approprierò del
diritto di non rispondere alla sua domanda. » rispose Holmes
con un sorriso. Poi, vedendo l'imbarazzo negli occhi del suo collega,
continuò « Non si crucci per il mio passato, non
è granchè interessante e si rilassi: la sua non
era insolenza, ma semplice curiosità, è
perfettamente nella norma, ma, come lei ben saprà,
"domandare è lecito, rispondere è cortesia".
»
«
E la cortesia non è esattamente il suo forte, quando vuole,
vero Holmes? » disse Watson, e risero per un momento assieme.
Il dottore
liberò un lungo sbadiglio, dopodiché chiuse il
giornale e si alzò.
«
Bè, io vado a coricarmi, Holmes. Domani dicono che
sarà una bella giornata e voglio godermela tutta dal mattino
alla sera. » disse sorridendo.
«
Passi una buona notte, amico. »
«
Altrettanto. » rispose il dottore, chiudendo la porta della
sua stanza.
Holmes
sospirò, bevve una tazza di tè e poi si
ritirò nella sua stanza, per cadere in un profondo sonno
ristoratore.
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Capitolo 2 *** Caro, vecchio Mr. Churchill. ***
«
Signorino! Ecco dove si era cacciato! Ma le sembra il caso di
scorrazzare per i vicoli del paese a quest'ora? E' tutto il giorno che
i suoi genitori la cercano. Quella povera donna, sua madre, la
farà ammalare, se va avanti così! »
Questo fu ciò che esclamò una signora robusta,
vestita con abiti semplici, ma di buona fattura, mentre si avvicinava
al bambino.
Lo prese per il braccio e lo strattonò via.
« Ma Mrs. Scott! Stavo seguendo una pista importante, non
posso assolutamente interrompere le indagini! »
esclamò il piccolo agitando una piccola lente
d'ingrandimento tra le mani, sconcertato.
« Certo, Holmes. Di quale caso di vitale importanza si
trattava oggi? Una strage di formiche? Oppure forse un assassinio tra
ratti di fogna? » disse la governante senza girarsi, alzando
gli occhi al cielo e continuando a camminare a passo regolare.
« Assolutamente nulla di tutto questo! Vede... »
« Oh, faccia silenzio! » lo interruppe bruscamente.
Il bambino mise il broncio e continuò a camminare guardando
per terra.
Una donna sul portico di casa si guardava attorno allarmata, ma appena
vide la governante avvicinarsi con il bambino accanto fece un sospiro
di sollievo. Poi, il suo viso rischiarato dalla preoccupazione, cedette
il posto ad un'espressione severa.
Quando il bambino le fu vicino lei lo afferrò per la spalla
e gli disse con tono duro, ma con un velo di sollievo «
Sherlock! Smettila di andartene per conto tuo, oppure dovremo punirti
severamente! »
« Grazie Mrs. Scott, ora può andare.
Sarà stanca, ed è stata una giornata lunga.
» aggiunse guardando la governante che annuì, poi
guardò il bambino inespressivamente ed entrò in
casa.
Quando fu sparita dietro la porta, la donna si chinò ed
abbracciò il figlio. « Sherlock, mi fai
preoccupare quando sparisci così! »
« Ma madre, sà benissimo che io conosco alla
perfezione tutte le strade di questa cittadina e sarei in
grado di tornare indietro in qualsiasi caso. »
esclamò il piccolo Holmes gonfiando il petto.
La madre sorrise dolcemente e gli accarezzò i capelli.
« Ma certo, Sherlock. Entriamo ora, inizia a fare freddo.
»
***
Il giovane Holmes girava per casa spensierato, quando sentì
i genitori parlare febbrilmente in salotto. Stavano parlando di lui,
perciò si accostò dietro la porta.
« Daniel, caro, non sia così duro con Sherlock,
è solo un bambino... » disse sua madre.
« Lo comprendo, Madaleine, ma è irrefrenabile! E'
intelligente tanto quanto Mycroft, ma... Mia cara, ti ammalerai per
star dietro a lui, e il collegio è l'unica soluzione
sensata. Devi fidarti di me. » esclamò una voce maschile,
quella di suo padre.
Il piccolo Sherlock rimase sconvolto dalla notizia che aveva appena
origliato e corse via. Inciampò sulle scale e cadde, facendo
traballare anche il maggiordomo, l'anziano Mr. Churchill, che stava
scendendo.
Il vecchio aiutò il bambino a rialzarsi.
« Perchè corre? Potrebbe farsi male! »
Il bambino si limitò a stropicciarsi gli occhi.
« Non voglio andare in collegio. »
piagnucolò.
« Perchè dice questo? » chiese il
maggiordomo.
« Ho sentito i miei genitori parlarne. » rispose
con voce impastata.
Il maggiordomo guardò il vuoto per un breve lasso di tempo.
Poi diede una pacca sulla spalla all'undicenne Holmes dicendogli
« Vada a darsi una rinfrescata, signorino. »
Il bambino corse via incespicando nei tappeti alcune volte, mentre il
maggiordomo si dileguava.
Sherlock arrivò davanti alla porta della sua stanza, deciso
e rinchiudervisi, ma poi cambiò idea e corse verso la
camera del fratello maggiore Mycroft. Spalancò la porta e la
richiuse alle sue spalle con foga.
Mycroft alzò pigramente gli occhi dal libro che stava
leggendo, steso sul suo letto.
« Va tutto bene, fratello? »
Il piccolo Sherlock si avvicino al fratello senza una parola e si
sedette sul letto accanto a lui. Poi lo guardò negli occhi e
gli disse « Vogliono mandarmi in collegio, Mycroft!
»
Mycroft assunse un'aria realmente dispiaciuta, ma ammonì il
fratello ugualmente « Tante volte ti avevo avvisato, fratello
mio, che avresti dovuto essere più tranquillo. E
più socievole. Per quanto ne so, io sono il tuo unico amico
e non è molto, Sherlock. »
« Non ci sei solo tu! Anche Mr. Churchill è mio
amico. »
Mycroft rise sotto i baffi « Scommetto che anche Mrs Scott
è un'ottima amica. »
« Assolutamente no! » replico l'undicenne indignato.
« Non è una buona ascoltatrice e non ha pazienza.
In più è molto rude con me! » esclamo,
incrociando le braccia al petto e raddrizzando la schiena.
Mycroft rise ancora e nascose di nuovo il viso dietro al suo libro.
Sherlock assunse una postura più rilassata e poi con sguardo
implorante disse al fratello « Cosa posso fare? Non mi
daranno un'altra possibilità, ne sono certo. »
Mycroft stava giusto abbassando il libro per rispondere al giovane
fratello, quando bussarono alla porta.
« Sì? »
I genitori dei due ragazzi entrarono.
Madaleine, la madre dei due, cominciò a parlare.
« Sherlock, ci dispiace ma ho paura che saremo costretti, non
ci lasci molta scelta, perciò abbiamo deciso che...
»
Il bambino interruppe la madre dicendo « Avete deciso che
andrò in collegio, lo so! »
« Sherlock! Non interrompere tua madre! » lo
rimprovero il padre, che finì poi il discorso incominciato
dalla coniuge.
« Sherlock, stai diventando troppo frenetico, non riusciamo
più a starti dietro, perciò abbiamo deciso che ti
trasferirai in Francia, più precisamente a Parigi.
»
Sherlock guardò i genitori incredulo, poi scorse il vecchio
Mr. Churchill che sorrideva fuori dalla porta e comprese: il caro
vecchio maggiordomo l'aveva salvato dalle numerose e dolorose
bacchettate che avrebbe ricevuto in collegio.
« Andrò con lui. » disse Mycroft senza
abbandonare la sua lettura.
Sua madre restò interdetta « Ma Mycroft, non ne
hai nessuna ragione! E poi devi finire gli studi... »
« Madre, ho diciott'anni e sono il fratello maggiore di
Sherlock: voglio farlo sentire a casa anche quando non lo
sarà. » affermò Mycroft.
Madaleine guardò il ragazzo per un po', poi si
voltò verso il maggiordomo che annuì, come il
padre dei due ragazzi.
« E va bene. » assentì infine.
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Capitolo 3 *** Sembrare un detective: istruzioni per l'uso. ***
Mycroft
era assorto nella sua lettura come al solito, anche sul treno
traballante. Sherlock se ne stava seduto sul sedile opposto con il
mento appoggiato sui dorsi delle mani, davanti al finestrino. Aveva
passato il tempo ad alitarci su e lasciare impronte delle sue mani sul
vetro appannato. La cosa che gli piaceva di più
nel farlo era che poteva studiare le impronte.
Suo fratello alzò languidamente gli occhi dalle pagine e lo
ammonì con tono rilassato « Sherlock, smettila di
giocare: sporchi il vetro, così! »
« Non sto giocando, sto accrescendo la mia conoscenza
sull'argomento impronte. » sentenziò il ragazzino
senza girarsi.
Mycroft sorrise, chiuse il suo libro e lo mise nella sua valigia.
Si infilò il cappotto, poi si avvicinò al giovane
fratello e gli mise una mano sul braccio, tenendo un piccolo cappotto
nell'altra.
« Andiamo, Sherlock, siamo quasi arrivati. »
Il ragazzino si alzò sbuffando.
« Avanti, continuerai a fare manate sui vetri del traghetto.
» disse Mycroft, aiutando il fratellino ad infilare il
cappotto.
***
Sul traghetto, Mycroft immerse di nuovo il naso prominente tra le
pagine, mentre Sherlock iniziò a scorrazzare in giro.
Dopo un'ora e mezza di viaggio, si sentì un'urlo. Poi, una
donna corpulenta,vestita elegantemente e con un cappello dai colori
sgargianti in testa, uscì correndo da una cabina, urlando
« Al ladro! Al ladro! La mia collana! La mia bellissima
collana! »
Gli occhi del piccolo Sherlock Holmes ebbero uno sprizzo di
felicità: finalmente qualcosa che avrebbe potuto distrarlo
dalla noia.
Si stava già dirigendo verso la donna, la quale era stata
circondata da gentiluomini e gentildonne, quando si rese conto che
aveva solo undici anni e quella donna non gli avrebbe mai dato retta.
Rimase fermo, con lo sguardo rivolto verso il cielo. Poi
improvvisamente si girò e corse nella cabina dove Mycroft si
era appisolato con il libro ancora aperto sul petto. Sulle sue labbra
si tirò uno sfuggevole sorriso. Aprì la valigia
del fratello e prese un Giacchetto di lana e un cappello. Poi
aprì la propria valigia e ne prese alcuni vestiti vari e una
pipa, regalo di Mr. Churchill.
Indossò i vestiti del fratello e li riempì con i
vestiti, finché non sembrò un grasso signore.
Mise il cappello calato sugli occhi e la pipa tra le labbra. Uscendo,
controllò il suo riflesso.
Poi, soddisfatto del suo travestimento, si diresse verso la dama.
« Salve, Milady, ho sentito il sua richiesta di aiuto. Io
sono un detective, potrei aiutarla a ritrovare il suo manifatto se me
lo permette. »
« Oh, lei è proprio un gentiluomo!» gli
rispose la donna, riservandogli uno sguardo risentito.
Sospirò « Bè, la ringrazio,
signor...? »
« Uh... Signor Churchill, signora, per servirla. »
rispose Sherlock con un rapido inchino.
La dama sorrise poco convinta. « Va bene, Signor Churchill.
Ebbene, non ritrovo più la mia preziosissima collana di
diamanti. »
Il ragazzino annuì saccentemente, rigirandosi tra le labbra
la pipa spenta. Riflettè per un attimo.
« Signora, le spiacerebbe mostrarmi la sua cabina?
» esordì.
« Ma certo. » acconsentì la signora, e
lo scortò.
« Bene, Madama, ora sono costretto a chiederle di lasciarmi
solo, non ho modo di lavorare se mi sento osservato.
»
« Assolutamente, Mr. Churchill. Io sarò qui fuori,
caso mai le servisse qualcosa. »
« Perfetto. » rispose Sherlock amabilmente.
Quando la donna ebbe richiuso la porta alle sue spalle, il giovane
Holmes spostò il suo cappello all'indietro e mise la pipa in
tasca. Iniziò ad andare in giro per la stanza, aprendo
cassetti, leggendo fogli e osservando foto. Dopo circa un'ora
uscì fuori dopo aver sistemato il suo travestimento e
trovò la dama che aspettava impaziente.
« Allora, ha qualche novità? »
« Potrei dire di sì, ma ho bisogno di parlare con
qualcuno prima. Tornerò fra poco, mi aspetti qui.
» le rispose sorridente Holmes.
La dama annuì e guardò quella strana figura
sparire dietro l'angolo. Poco dopo, egli fu di ritorno e le si
parò davanti.
« E quindi? »
Sherlock osservò la donna sottecchi per un momento. Poi in
tono calmo declamò « Cara signora, lasci cadere
questa farsa nel nulla. Ritiri le accuse e io le prometto che non
parlerò. »
La dama sbiancò, ma resistette. « N-non
capisco di cosa stia parlando, io... »
Il giovane Holmes la interruppe « Ho scoperto il suo
imbroglio, signora. Ho avuti sospetti fin dal primo momento. Su questo
traghetto viaggiano solo persone rispettabili, nessuno si azzarderebbe
mai a commettere un furto. In più, ho trovato delle carte e
delle foto compromettenti per lei nella sua cabina, e nessuna custodia
così sicura che avrebbe potuto contenere un'oggetto di tale
valore. Con questa farsa voleva vendetta: voleva che il capitano del
traghetto perdesse di affidibilità agli occhi dei suoi
clienti. Una semplice vendetta personale per il suo cuore spezzato. Ho
ragione? »
La donna guardò Holmes. « Ha ragione. »
ammise infine.
« Sono ancora in tempo per accettare il suo patto? »
« Certamente, Miss. » rispose affabile il giovane
Sherlock « Ma lei si ricordi di dire di aver ritrovato il suo
prezioso falso collier di diamanti. »
« Lo prometto. » rispose la donna, scocciata.
« Bene. A presto, signora. » disse Sherlock, e se
ne andò.
Durante le ore successive, la donna cercò invano di scoprire
dove il detective che l'aveva boicottata fosse, ma, per il divertimento
del geniale undicenne, non lo scoprì mai.
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Capitolo 4 *** Fissare con ostentazione non è di buon gusto. ***
«
I signori Mycroft e Sherlock Holmes? » domandò una
voce. Apparteneva ad una piccola donna sulla cinquantina, grassottella,
ma dallo sguardo severo. I lunghi capelli castani erano tenuti stretti
in uno chignon elegante e i suoi abiti profumavano di ciclamino.
« Siamo noi. » rispose prontamente Mycroft.
« Bene, seguitemi: c'è una carrozza che ci attende
appena fuori dal porto. » disse la donna accennando un
sorriso.
Il piccolo Sherlock si guardò intorno, conscio che non
avrebbe rivisto tanto presto quel luogo per il viaggio di ritorno,
perciò ne volle catturare ogni dettaglio.
Il fratello gli diede una leggera spinta per incoraggiarlo ad avanzare
e così lui fece. Il suo sguardo venne catturato da una
figura poco lontana: era una ragazzina poco più piccola di
lui. Aveva il piccolo naso aquilino ma grazioso costellato di
lentiggini, che facevano risaltare il verde dei suoi occhi, bordati da
ciglia scure. Boccoli ramati le inconriciavano il volto.
Sua madre gli aveva detto tante volte che fissare con ostentazione la
gente non era di buon gusto.
Nonostante ciò, era estremamente interessato a lei, ne era
attratto, forse, per la scintilla di furbizia che brillava nei suoi
occhi o, più probabilmente, per la velocita con la quale
aveva sfilato via il portafoglio dalla tasca del nobiluomo davanti a
lei.
« Sherlock? Muoviti, o faremo spazientire la Signora
Churchill. » comunicò Mycroft impaziente.
« Perdonami. » rispose il piccolo Holmes spostando
a malincuore lo sguardo, e salendo sulla carrozza.
***
Il veicolo sobbalzava ininterrottamente percorrendo le strade di Parigi
facendo sbuffare Mycroft, il qual aveva ancora il suo libro tra le
mani. La signora Churchill era seduta tranquillamente, mentre il
giovane Sherlock era intento a scrutare la città. Non faceva
caso alla scomodità del viaggio, troppo intento a catturare
e memorizzare ogni particolare delle strade che percorreva nella
traballante vettura.
Mycroft sembrò decidere che leggere era impossibile in
quella occasione, ed iniziò a conversare con la donna che
avrebbe ospitato lui e il suo frenetico fratellino per parecchio tempo.
« Allora, Mrs. Churchill, mi aggraderebbe avere qualche
delucidazione sulla sua parentela con Mr. Churchill. Sa, dal momento in
cui ci hanno dato la notizia del viaggio, non abbiamo avuto tempo per
conversare a proposito di questi particolari. »
La donna annuì quasi impercettibilmente e con un sorriso
garbato sulle labbra rispose a tutte le domande del giovane uomo.
La signora non era parente diretta del maggiordomo di casa Holmes, in
quanto era con suo marito, Edgar Churchill, che l'uomo condivideva
legami di sangue, essendo cugini.
Lei e suo marito avevano deviso di lasciare l'Inghilterra molti anni
addietro per motivi economici, e, essendosi ambientati molto bene nella
realtà parigina, erano rimasti nella suddetta
città.
Iniziarono poi a divagare su argomenti più futili,
conversando amabilmente con sorrisi cortesi.
La carrozza si fermò davanti a casa Churchill: una graziosa
villetta, con un fazzoletto di terra sul retro.
Il signor Edgar Churchill uscì immediatamente dalla villa,
accompagnato da una graziosa fanciulla, circa dell'età di
Mycroft, il quale le riservò un lungo sguardo.
La ragazza sorrise. « Benvenuti, signori. Spero che il
viaggio non vi abbia spossato troppo. In caso voleste riposare, le
vostre camere sono pronte. » enunciò in un inglese
grammaticalmente corretto, ma con un'evidente accento francese.
Il signor Churchill strinse la mano a Mycroft sorridendo garbatamente.
Poi si avvicinò al ragazzino che si guardava attorno curioso.
« Lei dovrebbe essere il signor Sherlock Holmes, se non vado
errando. »
« Esatto, sono io! » rispose Sherlock senza
smettere di guardarsi attorno. « Ci sono molti teppisti da
queste parti. » chiese infine, guardando il vecchio.
L'uomo guardò il ragazzo, stupito. « Come fa a
saperlo? »
« E la prendono anche di mira, vedo. »
« Sì, ma cosa glielo fa dire? » chiese
l'uomo.
« Semplicemente il fatto che molte delle sua finestre anno i
vetri incrinati. La maggior parte sono quelle dei primi piani,
perciò i suoi disturbatori devono avere circa la mia
età. Il resto della casa è molto curato,
perciò le finestre possono solo essere state rovinate da
qualcuno. In più, anche altre case di questa zona presentano
vetri incrinati, ma non sono tanto numerosi quanto i vetri della sua
villa. Qual'è il motivo che li spinge ad attuare questi
vandalismi? »
Il vecchio fissò incredulo il geniale ragazzino, con la
bocca leggermente aperta dallo stupore. Poi si ricompose. «
E' perché sono Inglese, signor Holmes. Quei ragazzini
provengono dai quartieri poveri di Parigi e li hanno strane idee sul
nostro conto. »
« Capisco. » disse il piccolo Sherlock.
« Entriamo dentro, sarete stanchi. »
osservò la giovane Churchill, e tutti assentirono,
trascinandosi dietro le pesanti valigie.
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Capitolo 5 *** Scommettiamo? ***
Sherlock se ne stava in
disparte sul retro della villa, appollaiato su un ramo in una posizione
scomoda, fissando con particolare interesse un nido e scribacchiando
appunti disordinati sul suo taccuino.
Il
ragazzo, ormai quindicenne, non era cambiato poi molto: solitario, ma
amabile, osservatore, intelligente, con un'ottima memoria e una logica
impeccabile. Era diventato il pupillo del signor Churchill, il quale
era sempre stato un tipo assetato di conoscenza che riuscì a
trasmettere con molta facilità a Sherlock.
L'adolescente era intento a
cercare di capire che volatile fosse la madre delle uova davanti a lui,
partendo dalle uova stesse, quando sentì qualcuno correre e
poi fermarsi bruscamente dall'altro lato della villa.
Sherlock
scese dal ramo con un solo agile balzo e si spostò sulla
parte anteriore della villa, pur rimanendo nell'ombra.
Stringendo
gli occhi, scorse una figura femminile che si nascondeva
nell'ombra. Le si avvicinò senza farsi notare, ma
quando le fu vicino, lei, senza nemmeno girarsi, disse « Non
ti agitare, ragazzino, me ne vado subito. »
Sherlock
non si scompose, ma chinò leggermente la testa su un lato.
« Scusa il disturbo, "ragazzina", ma sei consapevole di
trovarti nel mio giardino?»
La
ragazza girò la testa e piantò il suo sguardo
vivace in quello intelligente del coetaneo. Il quindicenne la riconobbe
subito, era la bambina che aveva attirato il suo interesse quattro anni
addietro, quindi sorrise.
«
Il portafoglio di quell'uomo ti diede buoni frutti? »
La
giovane ridacchiò. « Ecco dove ti avevo visto. Hai
una buona memoria, vedo. Mi chiamo Irene. » disse tendendo la
mano al ragazzo, che la strinse. « Sherlock Holmes.
»
Irene
si alzò, facendo svolazzare i capelli ramati « Non
aspettarti che io ti dica il mio nome completo, Sherlock Holmes.
»
«
Ho i miei metodi. » le rispose Sherlock pacatamente.
«
Non funzioneranno con me. » disse lei, sparendo dietro il
recinto pieno di fiori rampicanti.
Il
giovane rise e, incamminandosi verso l'albero su cui era seduto
precedentemente, disse tra sé e sé «
Scommettiamo?»
***
Irene
camminava tranquilla e con una punta di soddisfazione per le strade di
Parigi, quando, all'improvvisò, sentì qualcuno
tirarla in un vicolo poco luminoso.
Tentò di liberarsi usando qualche mossa astuta, ma il suo
oscuro avversario sembrava non voler laciare la presa, quindi
puntò sulla compassione ed iniziò a singhiozzare.
«
Irene Adler, 13 anni, nata nel New Jersey in America, ma di origini
tedesche. Vivi a Parigi da quando eri piccola, ma parli un ottimo ed
ingannevole inglese. Orfana di madre e di padre, vivi la tua vita
giorno per giorno organizzando piccole astute truffe e borseggiando le
signore e i gentiluomini.»
La
ragazza, come sentì la voce maschile, ebbe un sussulto,
raddrizzò la schiena e smise di piangere.
«
Nonostante tu abbia una piccola "impresa", sento che hai una buona
stoffa...» continuò la voce, più vicina
al volto di lei.
Irene
asciugò velocemente le lacrime con una mano, e poi con un
ghigno disse « Sherlock, mi fa piacere rivederti. O meglio,
sentirti. Non credevo che avresti preso sul serio la mia sfida, ma vedo
che oltre ad averla accettata l'hai anche portata a termine in due sole
settimane.»
Si
spostarono in un punto più luminoso, e gli occhi verde
smeraldo di lei risaltarono sotto la luce del sole.
«
Saprai anche dirmi, allora, dove abito.»
Sherlock
sorrise scuotendo la testa « Come ho già detto,
vivi la vita giorno per giorno. Non hai una dimora fissa.»
«
Be', devo ammettere che sei bravo. Ma ora devo proprio andare, ho un
traghetto tra un paio d'ore. Sono certa che le nostre strade
s'incroceranno ancora, un giorno.» aggiunse mentre si
allontanava a passo veloce.
«
E quel giorno ti prenderò, Irene, non puoi scappare a
lungo.» le urlò dietro l'adolescente.
Irene
si fermò, guardò Sherlock negli occhi a distanza
di qualche metro e sussurrò «
Scommettiamo?».
Sherlock la perse di vista tra
la folla, ma portò l'immagine di lei e delle ultime parole
che le aveva visto dire mentre tornava a casa.
Era
consapevole di poterla incastrare, quando sarebbe venuto il momento, ma
qualcosa gli diceva che non sarebbe finita come nei piani.
Sherlock
poteva influenzare il futuro, ma non manovrarlo a suo piacimento.
Accantonò,
quindi, il problema, per gli anni successivi, ripromettendosi di
rispolverarlo solo se e quando ne avrebbe avuto bisogno.
*****Note*****
Ok, scusate se ci ho (abbiamo) messo tanto per questo capitolo ma,
sapete, la scuola putroppo è la più importante
tra le nostre priorità. Spero che riusciremo ad aggiornare
presto, in ogni caso!
Per ora, spero che vi sia piaciuto, al prossimo capitolo! :)
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Capitolo 6 *** L'ora della dipartita. ***
Sherlock stava seduto in poltrona, con le lunghe gambe poggiate sul
tavolino. Fumava la pipa con calma guardando un punto imprecisato fuori
dalla finestra, perdendosi tra i suoi pensieri. Sul pavimento c'erano
numerosi giornali sparsi e una pila pericolante di ritagli stava
accanto ai piedi di Sherlock.
La porta sì apri ed entrò il signor Churchill. Si
avvicinò al giovane e gli lasciò una pagina di
giornale sul bracciolo della poltrona per poi andarsene senza dire una
parola.
Sherlock si riscosse dalle sue riflessioni e prese il foglio tra le
mani. lesse l'articolo evidenziato a matita da Churchill.
Poi, i suoi occhi si illuminarono, buttò sgraziatamente la
pipa sul tavolino e fece cadere la pila di ritagli mentre arrivava alla
porta della stanza con un balzo dicendo tra sé e
sé « Finalmente forse ci sono!».
Mise il cappotto e uscì di casa curandosi poco del freddo
pungente e del vento che gli scompigliava i capelli. Stette fuori molte
ore e quando tornò a casa, iniziò a fare le
valigie.
Un tremolante signor Churchill entrò nella stanza.
« Sherlock, mio caro, ma cosa stai facendo? »
chiese pur immaginando la risposta.
Sherlock sollevò la testa e guardò il suo mentore
con una scintilla negli occhi. Accennò un sorriso e disse
« E' arrivata l'ora della mia dipartita. »
Il signor Churchill sorrise ed annuì. Non chiese la meta
né il motivo del viaggio del giovane, sapeva già
il necessario.
L'ormai vent'enne ragazzo chiuse l'enorme valigia con forza e si
avvicinò all'anziano. Si strinsero la mano fermamente per
alcuni minuti, guardandosi negli occhi, senza dire una parola. Poi,
Sherlock afferrò la valigia e la trascinò fino in
strada, dove una carrozza lo attendeva, cercando di non far rumore.
Gettò un ultimo sguardo alla casa nella quale era cresciuto
e poi partì senza voltarsi.
***
Sherlock si guardò attorno attentamente. Aveva passato il
viaggio leggendo un "avvincente" saggio sul vasellame cinese, e aveva
usato le ultime 3 ore studiando la cartina della città dove
avrebbe vissuto: Londra. Quando si ritrovò sul posto, non
sembrò particolarmente entusiasta alla vista, ma si sentiva
comunque fiero di far parte di quel mondo.
Passò i due anni successivi all'Università,
studiando arduamente ed assiduamente le materie che riteneva avessero
un alto valore pratico, e dando il minimo nelle materie sciocche.
Successivamente, lasciò ufficialmente gli studi. Era
però fermamente deciso a voler rimanere in città,
perciò incominciò a cercare un appartamento.
Mise alcuni annunci molto specifici e rispose ad altri, senza riuscire
a trovare nulla che lo appagasse.
Camminava sovrappensiero per Regent's Park, quando un'allegra e
distinta signora gli si avvicinò sorridente.
« Holmes! Mio caro ragazzo, che piacere vederti. »
« Oh, salve Mrs Hudson. Cos'è che l'affligge?
»
La donna non fece domande, e rispose candidamente « Mi sento
sola, Mr. Holmes. Vede, dopo l'aiuto che mi ha dato con mio marito,
vivo da sola. Posseggo un'appartamento, sopra al mio. Sto cercando un
inquilino, ma non riesco a trovare nessuno che... »
« Ma è perfetto! » esclamò
Holmes « Quanto chiede per l'affitto? »
Mrs Hudson sospirò sorridendo, e porse un foglio al giovane
entusiasta.
Egli lo lesse ed annuì. « Capisco. E' un prezzo
ragionevole, vista la collocazione dell'appartamento, ma ho paura che
io non possa elargire una tale somma di denaro. »
« Oh, può trovare un coinquilino se lo desidera.
» asserì lei.
Sherlock strinse le mani alla donna con un fuggevole sorriso e si
allontanò.
***Note***
Allora,
perdonate la lunga assenza e la infinita brevità (non so
nemmeno se esiste questa parola) del capitolo, ma ho dovuto fare tutto
da sola, visto che la mia "collaboratrice" è altamente
svogliata (sì, cara, tutta colpa tua).
Enjoy.
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Capitolo 7 *** John Hamish Watson. ***
«
Dr. Watson! E' in perfetto orario! Come tutti i soldati rispettabili,
d'altronde. » disse Sherlock affabile, stringendo
energicamente la mano di colui che sarebbe stato il suo inquilino: il
dottor John Hamish Watson, un medico di guerra assolutamente innocuo ed
emotivo come tutte le persone ordinarie.
Mrs.
Hudson si affacciò ed invitò i due ad entrare.
L'appartamento
si tovava in uno stato piuttosto caotico, dato che Sherlock aveva
già traslocato. Watson sembrava apprezzare e gli
bastò una visita veloce alle stanze per decidere che avrebbe
traslocato il giorno seguente, e firmò il contratto con aria
soddisfatta.
I
due disfecero gli scatoloni insieme e si scambiarono giusto qualche
parola. Holmes aveva notato che il compagno avrebbe voluto parlare di
più e conoscerlo in qualche modo, ma lui riuscì a
far emergere l'argomento solo in rare occasioni. Soprattutto
perché gli sembrava inutile parlarne e perché non
capiva il motivo per cui Watson desse tanta importanza a argomenti
quali filosofia, astronomia e letteratura: tutte cose che riteneva
assolutamente inutili e insensate.
I
primi tempi di convivenza furono facili, Holmes usciva presto e cercava
di essere il più puntuale possibile. Watson, dal canto suo,
sembrava soddisfatto di quell'appartamento e del suo coinquilino. In
più, Holmes notava con una punta di celata esaltazione,
ascoltava con trasporto le magnifiche melodie eseguite in modo
pressoché perfetto dal detective, che muoveva le dita agili
sull'amato violino.
La
scintilla tra i due, però, si accese in un preciso istante.
Watson
aveva appena convinto un indolente Holmes a prender parte in un caso
alquanto intrigante.
Infilando
il cappotto, Sherlock, disse al suo amico « Andiamo, Watson,
prenda il cappello! »
«
Vuole che venga anch'io? » chiese il dottore quasi incredulo.
Holmes
sorrise dentro per l'innocenza dell'altro.
«
Sì se non ha di meglio da fare. » rispose con uno
sguardo eloquente, e uscirono di casa trafelati.
***
Sherlock
si svegliò con un lieve sorriso che rischiarava il viso
maturo e il sole che filtrava deciso attraverso le tende, posandosi
sugli occhi ancora chiusi del detective. Si svegliò e si
vestì in pochi minuti, ma rimase ancora qualche istante a
contemplare il vuoto. Pensò che, dopotutto, gli sarebbe
piaciuto condividere con il suo unico amico almeno qualcuno dei ricordi
che aveva rivissuto in quella nottata, ma non si sarebbe mai sognato di
aprire un argomento tanto sentimentale. In fondo lui sapeva tutto di
Watson, grazie alle sue doti di osservazione, mentre il caro John era
all'oscuro di tutto il suo passato e se ne lamentava raramente. Proprio
per questo, Holmes, sentiva che lui, quell'amico, quel compagno con il
quale aveva condiviso le avventure più intriganti, era
l'unica persona con cui avrebbe mai avuto un rapporto di
lealtà e fiducia, un legame, così forte.
Scosse
la testa con disappunto, cacciando quelle emozioni che rischiavano di
offuscare la sua logica impeccabile.
Con
un ultimo sospiro, il detective si lisciò la giacca ed
uscì dalla stanza, pronto ad immergersi in un altra anonima
giornata, in vista di qualcosa che potesse sollazzare la sua
instancabile mente.
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