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Ok, ok non spaventatevi!^^
Non è nelle mie abitudini, ma una piccola premessa a questa fic era necessaria.
Cercherò di essere breve perciò, vi prego, non saltate subito al primo
capitolo. Come si può notare ho inserito un 'nuovo personaggio', partorito dalla
mia testolina bacaata. Quello che ci terrei a dire riguarda proprio lui, o
meglio , LEI. Maria, così si chiama la ragazza in questione, non vuole
assolutamente essere la tipica Mary-sue da fan-fic collaudata. Ho cercato di
fare del mio meglio per darle una caratterizzazione più naturale possibile.
Fatta anche di difetti, non solo di pregi. Quindi mi farebbe piacere se non
scartaste questa fic a priori solo per la sua presenza. E la prima
raccomandazione è fatta. La seconda riguarda l'ambito puramente shipposo della
questione... è necessario premettere che la fic comincia all'inizio della terza
serie, quando Ephram (amore mio!**) è appena tornato dalle famose otto
settimane a New York e dovrebbe riuscire a coprire l'intera serie fino alla
fine (Questo è l'obbiettivo che mi sono posta!^^ E' un'impresa titanica ma mi
impegnerò!). Perciò molti degli avvenimenti che descriverò saranno quelli che
avvengono nel telefilm vero e proprio. Altri invece saranno inseriti da me,
cercando di incastrare tutto nel modo più omogeneo e sensato possibile, per
descrivere in modo più dettagliato i rapporti fra i vari personaggi. Detto
questo, la mia fic non sarà una Ephramy*. Sebbene all'inizio la situazione si
presenterà proprio così, ci sono cambiamenti in vista... e non sono quelli che
tutti voi vi aspettate, credetemi. Perciò anche qui, vi scongiuro, non partite
in quarta con l'idea che la fine sia scontatissima o banalissima, perchè,
giurin giuretta, non sarà così! Mentre invece ho deciso che per quantoriguarda Bright e Hannah lascerò che le cose
si evolvano, come devono... seppure con un inizio un po' diverso. Perciò,
Bright/Hannah fans non fuggite prima del tempo perchè vi assicuro non rimarrete
delusi!XD Credo di aver più o meno detto tutto, perciò concluderei pregandovi
di leggere la mia fic e di farlo senza, ribadisco, senza pregiudizi di nessun
genere! Io mi impegno a portare avanti la storia con costanza e di mantenere
sempre la qualità alta. Ci tengo a questa fic e voglio che esca come si deve!^^
A questo punto potete anche
scappare!XD
E se avete resistito e volete
ANCHE leggere la fic, mi farebbe piacere se mi lasciaste una recensione!^^ Si
accettano anche le critiche. Quindi non fatevi scrupoli!^^
Baciotti
Micchan
*Io odio Amy Abbott con tutto il
cuore. E' l'unico personaggio di questo magnifico telefilm che proprio non
riesco a tollerare. Nonostante tutto, nella fic non verrà presentata in maniera
volutamente negativa o cose del genere. Semplicemente con l'andare dei
capitoli, il suo rapporto con Ephram subirà dei cambiamenti. Ah! un'altra cosa
very IMPORTANT: il rapporto che lega Ephram a Maria è molto particolare e forse
a qualcuno potrà sembrare poco realistico o possibile giusto perchè siamo in
una fan fic. Io vorrei che anche e soprattutto queste persone provassero a
guardare la cosa in un'ottica diversa. Vedere questo rapporto per quello che è,
senza i pregiudizi di cui parlavo prima, perchè potrebbero rendersi conto che è
più naturale di quello che sembra a loro. ^_-
Everwood, Colorado. Ogni
cosa è iniziata lì ed ogni cosa finirà lì.
Perchè Everwood non è solo
una cittadina di qualche migliaio di abitanti...
Everwood è l'eterna
partenza, Everwood è terra di arrivi, Everwood è una storia che si intreccia e
si scioglie infinite volte. Everwood è mille vite, una dentro l'altra.
Ephram Brown gettò uno sguardo
annoiato al di là del vetro. La finestra grondava d'acqua. Quel maledetto
temporale era riuscito a schiacciare con la sua sorda violenza perfino la leggera
delicatezza dei ricami che le gocce di pioggia avevano tessuto sulla superficie
trasparente. Un foglio bianco piegato in quattro occhieggiava pericolosamente
dal bordo del cassetto in cui era stato malamente infilato. Sbuffò sonoramente,
afferrandolo e gettandolo sulla scrivania con un gesto svogliato. Lui si
sentiva esattamente così: schiacciato, annientato, distrutto dall'insensata
cattiveria della vita. Eh sì, perchè qualcuno o qualcosa doveva pur esserci.
Qualcuno che ce l'aveva a morte con lui o qualcosa che aveva fatto sì che il
suo sogno gli crollasse davanti agli occhi. La Juilliard... che ora poteva
essere solo un'utopia. Otto settimane passate a New York per prepararsi ad
un'audizione che come unico risultato aveva avuto quello di riportarlo con i
piedi per terra; per Everwood poteva essere un genio, ma per la dura e
sprezzante realtà della Grande Mela rimaneva solo un mediocre. Bell'affare,
davvero. L'unica cosa che gli era rimasta di quella scuola era un foglio
intestato con su scritto che i suoi risultati non erano sufficienti per essere
ammesso. E come se non bastasse dover sopportare il peso di quella umiliazione,
appena tornato Andy gli aveva manifestato, con tutto il trasporto che un padre
può avere per suo figlio, la sua gioia per questo suo primo progetto di un
futuro tutto 'in musica'... Un pianoforte nuovo, scuro e lucido come piaceva a
lui, un computer portatile ed uno spazio tutto suo. Uno studio fantastico,
attrezzato nel garage ormai vuoto. Vuoto perchè il grosso fuoristrada nero
della famiglia Brown era stato venduto, per permettere che potesse godere di
tutto quello di cui chiunque studiasse alla Juilliard avesse bisogno. Con che
coraggio avrebbe potuto confessare che era stato rifiutato? No, meglio un
comodo sorriso di circostanza e un entusiasmo forzato. Così, almeno in
apparenza, sarebbero stati tutti felici.
Il boato di un tuono
particolarmente potente lo riscosse dai suoi pensieri appena in tempo, perchè
potesse sentire il suono insistente del campanello. Il dottor Brown era ancora
in studio e Delia era a casa di qualcuna delle sue amichette di cui lui nemmeno
ricordava il nome. Scese le scale e attraversò di corsa il salotto della casa
deserta per andare ad aprire la porta.
- Va bene, eccomi. Eccomi! -
Rimase bloccato, con le dita ancora strette intorno alla maniglia e lo sguardo
fisso sulla figura che gli stava davanti. Una ragazza completamente fradicia lo
fissò di rimando con gli occhi verdissimi seminascosti da lunghe ciocche
ramate.
- Non ho intenzione di restare
qua fuori un minuto di più, Brown! - Il suo viso accigliato venne illuminato
per un attimo dal bagliore di un lampo e lui avrebbe potuto giurare che sotto
quella smorfia si nascondeva un sorriso.
- Maria? - La voce gli uscì
leggermente strozzata per l'emozione. Se quella che aveva davanti non era
un'allucinazione, voleva dire che forse c'era ancora un raggio di sole, oltre
la tempesta che l'aveva investito.
- Ciao, Ephram. - Si sciolse in
un sorriso radioso, intenerita dalla sua reazione. Si scostò un ricciolo ribelle
dal viso, mentre lui le si avvicinava. Fece per abbracciarla, ma lei si tirò
indietro. - Aspetta, così ti bagnerai tutto! - Fu il suo turno di sorridere. Le
circondò le spalle e la strinse a sè, incurante dell'acqua che gocciolava tutto
intorno a loro. Lei ricambiò il suo gesto, passandogli una mano fra i capelli.
- Ehi... se vogliamo prenderci una polmonite, siamo sulla strada buona! - Dopo
qualche secondo, la sensazione dei vestiti freddi e bagnati sulla pelle
cominciava ad essere un po' fastidiosa. Ephram la lasciò andare un po' a
malincuore e dopo aver sollevato una valigia enorme, la invitò ad entrare.
- Che cosa ci fai in
quest'angolo di mondo? Insomma, Everwood è un posto dimenticato da tutti,
fuorchè da coloro che ci abitano! - La borsa e il cappotto zuppo di Maria erano
stati abbandonati nell'ingresso. La ragazza si stava asciugando i capelli,
frizionandoli energicamente con un asciugamano di spugna rosa.
- E' una storia lunga.
Piuttosto, sono due anni che non mi vedi e questo è tutto quello che ti viene
in mente di dirmi? - New York. Maria faceva parte di quella che era la 'vecchia
vita' di Ephram e dei Brown. Si erano visti per l'ultima volta al funerale di
Julia, ma lui era troppo scosso e troppo preso dal suo dolore per accorgersi
che lei gli stava soltanto chiedendo di potergli stare vicino. Da quando si
erano trasferiti in Colorado, si sentivano ogni tanto via e-mail, ma non era
certo come essere ancora insieme. Diede un ultima scossa e poi appoggiò
l'asciugamano umido sul bracciolo del divano. Si accomodò e allungò la mano per
prendere la tazza che Ephram le stava porgendo.
- In certi casi, nulla è meglio
di un buon caffè! - Le si sedette accanto e lei si appoggiò alla sua spalla.
- Questo non è caffè! Questa è
acqua scura riscaldata... solo in America si ha il coraggio di chiamarlo caffè!
- Dimenticavo la tua venerazione
per l'espresso italiano! Da quando hai fatto quel viaggio di studio a Firenze,
non sei più la stessa. - Ridacchiò, sorseggiando il suo caffè.
- Se l'avessi provato, mi daresti
ragione! - Appoggiò la tazza sul tavolino e sfilò anche quella di lui dalla sua
mano, ancora prima che avesse finito di bere. - La prossima volta te ne preparo
uno io, come si deve.
- Adesso mi dici che ci fai qui?
- Riprese, accarezzandole il braccio per poi affondare la mano nell'intreccio
dei suoi riccioli rossi.
- Non demordi mai, eh? - Lui
alzò le spalle, sorridendo divertito. - E va bene. Mio padre è partito per
l'ennesimo meeting internazionale; Spagna, Francia... la solita storia. E la
nonna, che di solito mi prendeva in custodia, è decisamente troppo vecchia e
troppo stanca per avere ancora a che fare con me. Perciò eccomi qua!
- E tua madre? - Maria sospirò
profondamente e prese a torturarsi le mani, mentre cominciava la parte più
dolorosa del suo racconto. Le faceva male tornare su certi argomenti, ma non si
sentiva di nascondergli qualcosa di così importante.
- Mia madre... beh, mia madre al
momento sta in una clinica, a Denver. Neanche troppo lontano, tutto sommato. -
Sorrise amaramente, cercando di rivalutare i lati meno tristi della faccenda.
Ephram si fece improvvisamente più attento... sembrava esserci dietro qualcosa
di più serio del previsto.
- Una clinica? E' malata? - Come
domanda suonava straordinariamente stupida, ma non era riuscito a trattenersi
dal fargliela.
- In un certo senso... Si può
forse definire sana una persona che, nonostante sappia di essere predisposta a
sviluppare linfomi al fegato, ritiene divertente imbottirsi di superalcolici? -
Ci vollero un paio di minuti, prima che lui si rendesse conto dell'effettiva
entità di quella rivelazione. - Mia madre è un'alcolizzata, questa è la verità.
- Riprese, prima che potesse venire interrotta.
- Accidenti, mi dispiace... - La
strinse leggermente, cercando di farle capire che le era vicino, sempre.
- Oh, non serve, credimi! Questa
storia va avanti da troppo tempo... è quasi un anno e mezzo, ormai. L'ho
sentita promettermi che avrebbe smesso almeno un milione di volte, prima che
papà si decidesse a farla ritirare dove avrebbero potuto aiutarla. O almeno
così crede lui. L'ultima volta che sono andata a trovarla, nascondeva una
bottiglia di scotch nell'armadietto del bagno... è sempre così. Ci ricade
puntualmente, è più forte di lei! Ma adesso basta. Io non ne voglio più sapere
di lei, ho chiuso. - Agitò le mani davanti a sè per rafforzare il concetto.
- Non dire cose di cui potresti
pentirti. - Lei si alzò in piedi, scuotendo energicamente la testa.
- Sono stufa di soffrire a causa
sua! Mi sono illusa troppe volte che tutto potesse tornare come prima. Quello
che mi sembra chiaro è che non avrò mai più una vera famiglia e devo
rassegnarmi. - Ephram la seguì e si fermò esattamente difronte a lei.
- Tu almeno hai ancora una
madre. - Concluse tristemente, non potendo impedire che il sorriso di Julia
Brown si affacciasse in mezzo al caos dei suoi pensieri.
- Oh Dio! Ephram... scusami,
scusami... - Gli prese le mani e le strinse appena.
- Non parliamone più. - Sorrise
lui, abituato ormai al sopportare accenni più o meno velati alla madre morta. -
Piuttosto ancora non mi hai detto perchè sei venuta proprio qui.
- Avevo voglia di vederti... e
anche di vedere questa famosissima Everwood di persona. Ho colto l'occasione al
volo! L'unico problema sarà convincere il dottor Brown ad avermi fra i piedi
per un po'! - Un guizzo divertito attraversò i suoi occhi color smeraldo.
- Considerala già cosa fatta! -
La sollevò di peso e la prese in braccio, mentre lei scoppiava a ridere. -
Benvenuta ad Everwood, Maria.
Le sue mani scivolavano sui tasti bianchi del vecchio
pianoforte a coda, mentre una dolce melodia si diffondeva nella stanza. Aveva
gli occhi chiusi, eppure seguiva perfettamente le note tracciate sul
pentagramma, come se le dita conoscessero a memoria gli accordi da eseguire. Maria
stava seduta sul divano alle sue spalle, la testa appoggiata allo schienale e
gli occhi fissi su di lui. Lo ascoltava come rapita, senza distogliere lo
sguardo... ad ogni nota la sua stretta sul cuscino che aveva fra le braccia
aumentava e il suo respiro si accorciava. Conosceva Ephram da una vita, eppure
era tanto che non lo sentiva suonare in quel modo... Si alzò lentamente,
riappoggiò il cuscino dove l'aveva preso e si avvicinò silenziosamente. Gli
circondò le spalle da dietro, stringendolo appena con le braccia sottili.
- Cosa c'è? - Si interruppe, voltandosi leggermente verso
la ragazza.
- No... non smettere. Continua a suonare... - Maria gli
sorrise dolcemente e fece per allontanarsi, ma lui la trattenne.
- Non mi dai fastidio... suono meglio quando mi stai
vicina. Succedeva anche con mia madre. - Lei si spostò appena e si appoggiò al
pianoforte. Abbastanza distante per permettergli di suonare tranquillamente, ma
abbastanza vicina perchè potesse guardarla negli occhi. Ephram riprese da dove
aveva interrotto, lasciando che fosse la musica stessa a guidare le sue mani...
Maria picchiettava con le dita sulla superficie lucida, tenendo lo sguardo
fisso verso il basso. Aveva gli occhi velati di lacrime e non voleva che lui se
ne accorgesse. Riuscì a nascondersi giusto per qualche secondo, prima che un
singhiozzo traditore sfuggito per sbaglio la facesse scoprire.
- Dimmi che cos'hai. Avanti. - Chiuse lo spartito e il
copritasti del pianoforte, prima di avvicinarsi a lei che nel frattempo si era
allontanata e stava cercando di frenare quelle lacrime involontarie.
- Tu devi dirmi che cos'hai. - Respirò a fondo, cercando
di mascherare i singhiozzi che le incrinavano la voce.
- Andiamo, Maria. Tu stai piangendo e io dovrei avere
qualcosa? - Le appoggiò entrambe le mani sulle spalle, sorridendo nervosamente,
come ogni volta che era agitato.
- Se non ti conoscessi a fondo, potrei pensare che suoni
così soltanto perchè sei straordinariamente bravo... se non sapessi che ti
chiami Ephram Brown. - Ribattè, afferrandogli il collo della felpa e
strattonandolo leggermente. - Quel pezzo non l'hai scelto a caso, vero? Ti ho
sentito suonarlo molte volte... ma dopo ciò che è successo, pensavo che quella
sera sarebbe stata l'ultima. - Era un brano abbastanza lungo ed era deisamente
più complicato di molti altri, ma era anche il preferito di Ephram. E di sua
madre Julia. Per questo, se lei avesse potuto assistere a quel fantomatico
concerto, l'avrebbe ascoltato una volta di più. - Non credevo che te l'avrei
risentito suonare. Meno che mai che l'avresti fatto così. - Lasciò andare la
presa, sospirando pesantemente. - Mi sono accorta fin troppo facilmente che
stai male per qualcosa, Ephram... e sono io ad essere preoccupata. Da morire. -
Abbassò lo sguardo, sentendo di avere nuovamente gli occhi lucidi.
- Ehi, io non ho niente, d'accordo? - Si sedette sul
divano, appoggiandosi con le braccia allo schienale. Maria lo fissò incerta per
un attimo e poi si sistemò in fianco a lui.
- Piuttosto dimmi che non te la senti di parlarne, ma non
cercare di mentirmi. - Fece per alzarsi, ma lei gli circondò le spalle
attirandolo dolcemente all'indietro. Ricambiò immediatamente il gesto,
nascondendo il viso contro la spalla di lei mentre le lunghe ciocche ramate gli
solleticavano una guancia ad ogni minimo movimento che lei compiva. - Io non ti
chiedo niente, ma sappi che per te ci sarò in qualsiasi momento, Ephram. -
Riprese, accarezzandogli teneramente i capelli. - Se deciderai di parlarmene,
ti ascolterò. In qualsiasi momento. -
- Questo discorso assomiglia sempre più al testo-tipo di
uno di quei manga tutti cuoricini e occhioni luccicanti che ti piacciono tanto,
te ne rendi conto? - Si discostò leggermente, appoggiando la fronte a quella di
lei.
- Oh no, quelli possono essere molto peggio, credimi! -
Sorrise divertita.
- Chissà perchè non mi è difficile crederci...
- Non la finirai mai, eh? - Sbuffò lei, fingendo di
offendersi. - Prima o poi ti costringerò a leggerne qualcuno senza che tu ti
accorga di che cosa effettivamente avrai fra le mani. E succederà quando meno
te lo aspetti...
- Ehi! Questa è una minaccia bella e buona! - Continuò
lui, dandole corda. Lei scoppiò a ridere ed Ephram non potè fare a meno di
imitarla.
- Dovresti sorridere più spesso. - La fissò, leggermente
spiazzato. - C'era qualcuno a cui lo ripetevo sempre... - Continuò, osservando
la reazione di lui. - Due anni fa. Quando abitava ancora a New York...
- E questo qualcuno, lo conosco per caso? - Finalmente era
arrivato a capire dove voleva andare a parare.
- No, non credo... - Avrebbero potuto andare avanti a
giocare in quel modo per ore. Era una delle cose che più gli piacevano di
Maria: la sua capacità di fargli dimenticare tutti i problemi quando ne aveva
bisogno e poi, di aiutarlo ad affrontarli al momento giusto. - E' la persona
che amo di più e la più importante per me, in questo momento. Lui... ha gli
occhi più espressivi e il sorriso più dolce che abbia mai visto. Quando
sorride, acquisisce un fascino tutto suo... in quei momenti è così tenero che
me lo mangerei di baci. Letteralmente. - Si sollevò appena e si avvicinò ancora
di più a lui. Ephram affondò senza rendersene conto nel verde mare dei suoi
occhi... sapeva che ciò di cui parlava Maria era qualcosa di assolutamente
platonico, poichè era esattamente quello che provava lui. Non era semplice
amicizia, ma non era nemmeno amore nel senso tradizionale del termine. Nemmeno
loro due erano ancora riusciti a definire ciò che li legava. Avevano risolto
per un 'ti amo' reciproco, ma senza alcuna implicazione di attrazione fisica.
Stava meditando di risponderle con un malizioso ma sincero "Fa'
pure"... prima che il sonoro scatto della porta d'ingresso che si apriva
spezzasse il silenzio che si era creato intorno a loro.
- MARIA!!! - Delia Brown attraversò il corridoio di corsa
e si gettò al collo della ragazza che si era alzata per andarle incontro.
- Ciao Deels! Come sta il mio vecchio cappellino da
baseball? - Prese il cappello dei New York Yankees della ragazzina e se lo
calcò sulla testa.
- E' un miracolo che non si stia decomponendo. Credo che,
se potesse, lo terrebbe anche per dormire e per fare la doccia. - Un uomo sulla
cinquantina entrò nella stanza, sfilandosi la giacca di tweed.
- Salve dottor Brown. Come sta? La trovo in forma! -
Sciolse il suo abbraccio e mosse un passo verso Andy, sistemandosi una ciocca
di capelli dietro l'orecchio con un gesto nervoso.
- Anch'io ti trovo in forma, Maria. Sono passati poco più
di due anni, ma sei... cresciuta, dall'ultima volta che ci siamo visti. -
Osservò, analizzando il corpo non più così infantile della ragazza. - Sei
diventata molto bella. - Le sorrise, prima che il suo sguardo saettasse su
Ephram, ancora seduto sul divano.
- La ringrazio. - Esauriti i convenevoli, sapeva di dover
puntare al vero nocciolo della questione. - Io... avrei bisogno di parlare con
lei.
- Intuendo a cosa si stesse riferendo, Andy la fermò
subito. C'era qualcun'altro con cui doveva scambiare due chiacchiere, prima. -
Aspetta Maria... credo che potremo intavolare questa conversazione più tardi, con
calma. Immagino che adesso Delia muoia dalla voglia di mostrarti la sua camera,
non è vero tesoro? - Sorrise alla figlia che prese per mano la ragazza e la
condusse verso le scale che portavano al piano superiore.
- Ho un sacco di cose da farti vedere! Brittany mi ha
prestato uno smalto bellissimo, sai? Però non sono ancora capace di metterlo
bene. Non sono ancora abituata a fare queste cose...
- Se vuoi ci penso io! Verrà benissimo, vedrai! - Le loro
voci rincorsero rapidamente i passi concitati, sparendo su per gli scalini di
legno.
- Che cosa ci fa qui? - Lo sguardo severo del dottor Brown
non prometteva nulla di buono.
- Ce l'ha mandata suo padre. - Ribattè secco Ephram. - Lei
mi ha detto che starà in Europa per un po'. Per lavoro... o giù di lì. Non
c'era nessuno che potesse ospitarla, per questo è venuta qui. - 'Ma immagino
che tu non ci crederai.' concluse mentalmente.
- E io dovrei fidarmi? - Incrociò le braccia, puntando gli
occhi in quelli del figlio.
- Appunto. - Sorrise nervosamente fra sè e sè. - Va bene.
Non fidarti. - Aprì il frigorifero e ne estrasse una lattina d'aranciata. - Per
me non c'è problema, ma cosa hai intenzione di fare con lei? Vuoi lasciarla in
mezzo alla strada? - Sorseggiò la sua bibita, continuando a fissare il padre
con quell'aria impertinente.
- Se credi che in questo modo mi convincerai più
facilmente, sei fuori strada Ephram!
- Ah... sei davvero incredibile! Non riesci proprio a
capire, vero? - Sbottò, trattenendo a stento una risatina isterica. - Ti è così
difficile concepire di poter fare qualcosa che sei certo mi potrebbe rendere
felice?
- Oh sì, certo. Immagino il tipo di felicità che ti
procurerebbe l'avere quella ragazza che ti gira per casa... - Le parole di Andy
lasciavano adito a molti spiacevoli sottointesi che Ephram colse al volo.
- Ma... ah... cosa?!? Guarda che Maria... no, ma tu non
puoi essere veramente convinto che... oh, perfavore! - Camminò per un po'
avanti e indietro, prima di bloccarsi di fronte al padre. - Ti volevo solamente
chiedere di ospitare un'amica per un po'.
- Tu sei un adolescente maschio. Lei è una bella ragazza
con... beh, con tutte le cose al posto giusto: non credo che i tuoi ormoni la
possano considerare un'amica ancora per molto. - Concluse, visibilmente
imbarazzato.
- Vi scongiuro, qualcuno mi uccida! - Sospirò amareggiato.
- Se la tua preoccupazione è che al tuo prossimo rientro potresti trovarmi che
mi rotolo in un letto con lei, beh... sta' tranquillo. Sia io che i miei ormoni
non abbiamo la minima intenzione di varcare di nuovo la soglia proibita nè con
lei nè, al momento, con nessun'altra ragazza. - Se solo Ephram avesse avuto una
vaga idea di quello che suo padre gli stava nascondendo da otto settimane a
quella parte, si sarebbe espresso in tutt'altri termini. Il dottor Brown lo
fissò poco convinto per qualche secondo, prima di sospirare con aria
rassegnata.
- Vuoi dire che non ci saranno baci, abbracci o effusioni
di alcun genere?
- Se stai pensando a pomiciamenti e cose così, no.
Assolutamente no... che diavolo ti viene in mente. - Si infilò le mani in
tasca, con fare visibilmente esasperato.
- D'accordo. Prima di dare il nulla osta definitivo voglio
parlare con lei, però. Ora sali in camera tua e dille di raggiungermi qui. -
Ephram lo fissò senza dire nulla, prima di uscire dalla cucina voltandogli le
spalle. Salì velocemente le scale e percorse l'ampio corridoio fermandosi a
metà strada, davanti alla porta della stanza di Delia. Dall'interno si
sentivano provenire le risate argentine di Maria e di sua sorella. Si soffermò
ad ascoltarle per un attimo, prima di bussare sul legno chiaro.
- Che c'è? - La voce di Delia uscì leggermente soffocata,
fra una risata e l'altra. Abbassò la maniglia e si affacciò oltre l'uscio.
- Mi dispiace interrompere la vostra rimpatriata... -
Sorrise vedendole letteralmente aggrovigliate l'una all'altra su uno dei due
letti, decisamente occupate in una gara di solletico all'ultimo sangue. - ...
ma il grande capo richiede la tua presenza, Maria. - Si avvicinò e sollevò di
peso la sorella per permetterle di alzarsi.
- D'accordo... e non credere di avermi battuta, Deels! -
Sorrise la ragazza sistemandosi i capelli spettinati.
- Questa è solo una fuga per evitare la sconfitta! -
Sogghignò di rimando Delia avvinghiandosi al collo di suo fratello per non
perdere l'equilibrio.
- Ok, adesso sotterra l'ascia di guerra, Penna Bianca! -
Ephram la lasciò cadere sul letto, bloccandola fra le sue braccia.
- Resti tu con me? - Chiese, mettendosi seduta.
- No, devo scendere insieme a Maria. Non mi fido a
lasciarla da sola con papà... - Le scompigliò affettuosamente i capelli, prima
di raggiungere la ragazza che stava già scendendo le scale.
- Ehi! Aspettami! Non vorrai gettarti da sola nelle fauci
del mostro? - Le passò un braccio intorno ai fianchi, conducendola verso la
cucina.
- Non ti preoccupare, saprò difendermi! - Sorrise
divertita, prima di voltarsi e spingerlo con le spalle al muro, appena fuori
dalla porta.
- Beh? Che intenzioni hai? - Lei si avvicinò,
soffermandosi a pochi centimetri dal suo viso.
- Voglio soltanto accertarmi che tu te ne stia qui, in
silenzio, fino a che non avrò finito con tuo padre... - Si sollevò appena e
avvicinò la bocca a quella di Ephram. Si sciolsero in un bacio leggero, a fior
di labbra... qualcosa di assolutamente diverso dal canonico bacio fra
innamorati. Erano un abitudine che avevano preso così... quasi per caso: il
modo più semplice e diretto per esprimere l'amore, la dolcezza e il rispetto
che si suscitavano l'un l'altra. Non lo facevano in pubblico, non per vergogna,
ma perchè gli altri avrebbero potuto facilmente equivocare... vivendo la scena
dall'esterno. Se lo concedevano quando erano soli, erano quei momenti
speciali... tutti loro. Mentre Maria si allontanava, dandogli le spalle, Ephram
si soffermò a pensare che quelle erano ciò che agli occhi di suo padre
sarebbero apparse esattamente come 'effusioni' o 'sbaciucchiamenti', per lo
più...
- Dovrai cercare di trattenerti, Brown, se non vuoi che
tuo padre sperimenti su di te gli ultimi ritrovamenti della neurochirurgia... -
Si disse scherzosamente, incrociando le braccia al petto. Gettò un'occhiata
oltre lo stipite della porta: Maria stava già parlando, gesticolando
animatamente all'indirizzo del dottor Brown.
- ... per questo abbiamo pensato a lei. - Sorrise, arrotolandosi
una ciocca di capelli intorno al dito. - Sia io che mio padre sappiamo che
lei... sì, insomma, che è una persona di cui ci si può fidare. E poi Everwood
non è certo una metropoli... in realtà penso che sia questo ad aver fatto gioco
forza su papà: pensava che qui avrei avuto meno incentivi ad incamminarmi su
una cattiva strada.
- Una cattiva strada... - Le fece eco il dottor Brown,
grattandosi il mento. Senza aspettarsi una risposta più 'risposta', Maria si
sfilò una busta azzurrina dalla tasca e la appoggiò sul tavolo di fronte a lei.
- L'ha scritta mio padre. Voleva assolutamente che lei
avesse l'assicurazione di un adulto. Probabilmente ha pensato che, se fosse
stato al suo posto, ne avrebbe avuto bisogno...
- Va bene, Maria. - Non volendo impicciarsi di cose che
non lo riguardavano, se non da molto lontano, si trattenne dal fare domande
sulla madre della ragazza che non era stata nominata neppure una volta durante
tutta la conversazione. Prese la lettera e la ripose in un cassetto, con
l'intenzione di leggerla in seguito. - Puoi usare il secondo letto che c'è
nella stanza di Delia. Sono sicura che sarai un'inquilina modello... un po'
quello che Ephram non sarà mai! - Concluse ridendo.
- La ringrazio dottor Brown... davvero... - Si alzò,
scostando la sedia. - Penso che andrò a disfare la valigia... chiederò a Delia
se c'è un po' di spazio per me nel suo armadio.
- Beh... buona fortuna! - Scherzò Andy. Le rivolse un
ultimo sorriso, prima di alzarsi e di uscire dalla porta. Il corridoio era
vuoto, ma si sentiva ancora, leggerissimo, l'eco di passi che salivano le
scale.