Dom Is Not A Boy's Name

di Dira_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dagli undici ai tredici ***
Capitolo 2: *** Dai Quattordici ai Quindici ***
Capitolo 3: *** I Sedici ***



Capitolo 1
*** Dagli undici ai tredici ***





Je crois, c'est inscrit dans nos gênes

Envoyer en l'air, sans regard en arrière
Pour enfin changer d'air dans une autre dimension
(Tout envoyer en l’air, Kyo)
 
 
Le Presentazioni del Primo Anno.
 
“Mi raccomando, frequenta solo le persone giuste.”
“Sì, mamma.”
“Le amicizie che ti farai a scuola dureranno per tutta la vita.”
“Sì, mamma.”
“Comportati come si conviene, non dare confidenza a gente del cui rango non sei sicura.”
“Sì, mamma.”

Violet era convinta di essere l’unica ad avere una madre che invece di abbracciarla e baciarla forte sulle guance si teneva a tre passi di distanza fissandola come se fosse un soldato in missione.

Violet aveva undici anni e non aveva la pretesa di capire perché sua madre fosse diversa dalle altre: non era importante, come non lo era il groppo alla gola e il desiderio di abbracciarla.
Perlomeno non era l’unica a comportarsi come una bambina: c’erano un sacco di mocciosi frignanti di fronte ai cancelli del grande parco di Beaux-Batons.
Si lisciò con le dita la gonna di velluto lanciando un’occhiata di sbieco al panorama, mentre sua madre continuava a parlare. Da lontano, lontanissimo, si vedevano la linea color avorio del grande palazzo che ospitava la scuola. Era oltre la foresta, una foresta incantata in una perenne primavera.
Nascose un sorrisetto mordicchiandosi le labbra.
Beaux-Batons.
Era la prima della sua famiglia a frequentare la prestigiosa Accademia francese. I suoi genitori infatti erano andati ad Hogwarts – un nome piuttosto brutto e scemo per una scuola.
Beaux-Batons invece aveva un suono bello, importante. Elegante.
Inspirò, cercando di tendere l’orecchio alla cacofonia di suoni francesi attorno a lei. Cosa ardua, dato che lo sapeva parlare appena: anche i loro elfi domestici parlavano solo inglese.
Forse era strano, rifletté Violet, essere nati in Francia e parlare un’altra lingua.
Ma del resto – e qui lanciò un’occhiata alla madre – sua madre veniva da Londra, e quindi era giusto che parlassero nella loro lingua madre e basta.
Si sentì strattonare appena per il colletto del cappotto leggero.
“Violet!” esclamò sua madre seccata. “Presta attenzione quando ti parlo! All’Accademia non vorranno ragazzine con il naso sempre per aria!”
Violet arrossì: non le piaceva che le venisse ricordato il naso a patata che sua madre le aveva detto avesse ereditato dal padre.  

“Avanti, adesso vai a raggiungere gli altri bambini. Le carrozze vi aspettano.”
“Sì.”

“E guarda dove metti i piedi!”
La avvolse in un abbraccio frettoloso che sapeva di balsamo con cui gli elfi domestici rendevano lucido il collo di pelliccia dei loro mantelli invernali. Poi si allontanò senza voltarsi.

Violet si sentì chiudere lo stomaco, ma mise un passo dietro l’altro, obbediente. Venne poi indirizzata assieme ad altri bambini verso uno studente più grande – un Préfet, qualunque cosa fosse – che li guidò verso le carrozze.
Violet spalancò la bocca, richiudendola prima che qualcuno le desse del pesce lesso: le carrozze erano… enormi, più grandi quelle che usavano lei e la madre per andare alle feste: erano tutte bianche con dettagli in oro. Sembravano grandi torte di panna.

Appena il Préfet si allontanò ovviamente esplosero le chiacchiere degli altri quattro bambini. Violet si limitò ad osservarli.
Due saltavano all’occhio: avevano entrambi i capelli di un biondo accecante, quasi bianco e i lineamenti sottili, belli come in un’illustrazione. Dovevano essere parenti, perché avevano gli stessi occhi, azzurri.
Sembrano principi…
Li poteva spiare comodamente dato che erano seduti davanti a lei. Sembravano simili di primo acchito, ma a ben guardarli lo erano solo nei colori: quello proprio davanti a lei aveva il viso spruzzato di lentiggini, e sembrava tipo da aria aperta e voli sulla scopa. Sorrideva e parlava concitato con l’altro, che era invece pallido e minuto, con gli occhi ancora arrossati di pianto.
Le sue riflessioni furono interrotte dalla carrozza che si mise in moto di colpo; con suo enorme spavento prese poi il volo.
Mael, c’est super!” esclamò il bambino lentigginoso sporgendosi dal finestrino. “Regardez! Nos parents semblent très petits!
Tal Mael per fortuna lo afferrò trascinandolo dentro. L’altro per tutta risposta si mise a ridere.
Che scemo – pensò sentendosi enormemente più matura.
Quando la carrozza si assestò e gli animi si tranquillizzarono, accadde quello che Violet temeva di più: le presentazioni.
Sapeva che il suo francese non era buono, per niente: aveva un accento ridicolo e le costruzioni delle frasi la lasciavano perplessa.   

Comment tu t’appelles?” La apostrofò proprio il suo dirimpettaio scavezzacollo. Violet notò che gli mancavano due denti da latte e aveva le labbra rosse e screpolate. Ed era comunque carino. C’era qualcosa di meno… volgare… nei suoi lineamenti rispetto agli altri maschi che aveva conosciuto, tipo quello stupido del figlio dei Malfoy.
L’altro non parve preoccupato dalla mancata risposta. “Je suis Nicky!” Insistette. Era un nome che sembrava tanto babbano, registrò immediatamente: e anche la felpa che indossava lo sembrava, come gli strani pantaloni di tela grezza e blu.
Un Nato babbano. Di sicuro.
Quindi lo ignorò, voltando la testa verso il finestrino, fedele ai suoi principi.  E si sentì arrivare un calcio. Un calcio vero!
Si voltò incollerita. “Non azzardarti, babbano!” sbottò, e il silenzio calò di colpo dentro la carrozza.
Mamma dice che è meglio non dire in giro che i babbani sono brutti e sporchi. Non va più di moda.  
Però loro sono francesi, non possono avermi capito.
Il bambino a sorpresa sfoderò un ghigno. “Sei inglese, eh?” disse, ghiacciandola sul colpo. “ Anche mio papà. Comunque non sono un Né-moldu¹. Ma anche se lo fossi, sarei comunque migliore di te!”
Dopo quell’affermazione anche gli altri bambini compresero il senso generale del discorso, perché venne subito investita dai loro sguardi. Occhiatacce, nel caso dell’altro biondo ma-senza-lentiggini.
Odiava quando gli altri la guardavano. E la giudicavano. È così che faceva la gente, diceva sempre sua madre: meglio abituarsi subito.
Lei non si era mai abituata.
Sentì infatti le lacrime pizzicarle agli angoli degli occhi. Le ricacciò indietro: doveva essere superiore.
Non ha importanza. Non me ne importa nulla! È solo uno stupido sangue sporco!
Doveva essere per forza uno di quelli, perché altrimenti non si spiegava perché fosse così incivile.
Agganciò saldamente lo sguardo fuori dal finestrino: stavano sorvolando la foresta, un manto color smeraldo lucente. Si perse a guardare quello spettacolo, fantasticando sul suo nuovo, brillante futuro.
“Ehi, sang-pur! Che guardi?”
Lanciò un’occhiataccia livorosa all’altro, reo di aver avuto l’ardire di rivolgerle nuovamente la parola. Quello per tutta risposta le fece un’enorme linguaccia.
Violet lo imitò senza riflettere, mettendosi subito dopo una mano sulle labbra: non si faceva!
Il ragazzino invece di arrabbiarsi rise. Si sentì arrossire, ma non fece in tempo a darsi della stupida, che la carrozza diede un brutto, enorme orribile scossone che li mandò tutti a sbattere contro gli schienali.
Violet si sentì di ghiaccio. Che stava succedendo?
Poi un altro scossone. Si accorse di piangere solo al terzo. La carrozza aveva aumentato la velocità, ed era certa che non stessero andando verso la scuola.

Perché cavolo nessuno veniva a salvarli?
“Domi!” Singhiozzò il mingherlino biondo. Ma non si chiamava Nicky?
 Calme-toi, ça devrait etre les chevaux.” Replicò l’altro con calma surreale. Era l’unico a non avere le lacrime agli occhi, ma anzi, un’espressione determinata. Poi aggiunse. “Je vais voir.”
È matto! Matto!

“Aspettiamo gli adulti!” esclamò, con le dita ben artigliate all’imbottitura dei sedili. “Ti farai ammazzare! I cavalli sono fuori e noi stiamo volando!”
“Ma va’!” Replicò ridendo. “Non avrai mica paura, principessa?” Sorrise soddisfatto alla sua bocca spalancata. Aveva … l’aveva chiamata… “Non preoccuparti, ci pensa Nicky!” e detto questo, tra le urla degli altri aveva aperto il finestrino ed era uscito fuori.
Violet si era immediatamente sporta. Si era buttato!
E invece no, quel matto si stava arrampicando sulla scaletta di servizio che era stata usata per montare i bagagli sul tettuccio.
“Si amazerà…” Sussurrò angosciato  quel Mael. Si stava rivolgendo a lei. “Perché lo fa sompre?”
 “Fa sempre questo?”
“Sua maman mi usciderà… le avevo promeso di non farglielo fare!”  

Violet si sporse ancora di più per seguire i movimenti dell’altro bambino. E capì qual’era il problema: il grosso cavallo alato correva come se ne andasse della sua vita. Si era imbizzarrito, o qualcosa di simile.
Un nuovo scrollone la fece precipitare indietro e tutti ripresero a gridare, lei compresa. Da fuori in compenso si sentì un’imprecazione decisamente scurrile e decisamente britannica.
Accadde tutto in pochi attimi: la carrozza presa a scendere come se stesse per schiantarsi, ma poi…
Non successe niente. Non si schiantarono. La carrozza si posò dolcemente a terra.
Pochi attimi dopo Lentiggini rientrò con un grosso taglio al sopracciglio e un sorriso tutto denti.
“Ehi!” esclamò quando fu abbrancato dal piccoletto singhiozzante. “… ça va, ça va Mael.” Lo rassicurò. “Comment ça va, vous?” Chiese a tutti e a nessuno con piglio da vero comandante.
Ci fu un attimo di sgomento totale. Poi tutti gli si buttarono addosso, entusiasmati dalla sua bravata.
Violet invece pensò che non si sarebbe più mossa di lì. Anche perché si sentiva tremare le gambe.
Ha calmato il cavallo. Ha calmato quel cavallo e… e… cavolo, se ho avuto paura!
Lo odio!
Poi finalmente, arrivarono gli adulti. Violet ignorò i tentativi di farla scendere tra le braccia di qualcuno. Con la sua migliore espressione sdegnosa scese la scalette da sola e prese la sua valigia come se non fosse successo niente.
Beaux-Batons era davanti a lei, in un tripudio di guglie bianche e celesti, con stendardi beccheggianti al vento. Non poteva arrivarci come una bimbetta terrorizzata.
Si sentì toccare la spalla.
“Stai bene?” Era quel Nicky, o Dom o…
Fece una smorfia altera. “Certo e tu hai fatto una stupidaggine! Saresti potuto cadere!”
“Andiamo, era un Abraxan²… mica un drago!” Poi scrollò le spalle. “Ah, ma poi qual è il tuo nome, Sang-pur?” Chiese. “Non me l’hai mica detto!”

“Che ti importa?” Ribatté per dispetto, in realtà contenta che avesse mollato gli altri per parlare in inglese con lei. E poi era alto, e biondo. Come un principe.
Pure il coraggio di un principe… - le suggerirono le sue letture.
Il momento fiabesco durò due secondi, perché l’altro la scrollò per la spalla. “Eddai, dimmelo! Come ti chiami?”
Non doveva essere abituato a sentirsi dir di no. Sembrava Malfoy. “Non strattonarmi così, stupido!”
“Dimmi il tuo nome, o ti chiamerò Sang-pur per sempre!”

Si era sbagliata: Scorpius non era così zoticone. “Non ti azzardare!” Esclamò: sì, era una purosangue, però in francese suonava malissimo. Inoltre, le disse una vocina, non era quello il modo in cui voleva che l’altro la ricordasse. “Senti chi parla comunque, anche tu non vuoi dirmi il tuo nome… qual è quello vero? Dom o Nicky?”
“Tutti e due!” Fece spallucce. “Mi chiamo Dominique³.”

“Io… ” Aveva pure il nome bello! Non doveva essere da meno, decise. “Mi chiamo Violet Parkinson – Goyle.” Concluse, alzando il mento come aveva visto fare a sua madre. “Non azzardarti quindi a darmi soprannomi stupidi!”
Il bambino si ficcò le mani nella tasca anteriore di quell’orribile felpa sformata con un’aria di chi aveva voglia di fare tutto il contrario. “Ma è troppo lungo…” Si lamentò infatti. Poi si illuminò. “Ho trovato… ti chiamerò Piggie!”  
“… cosa?” Era certa che il suo sopracciglio fosse davvero altero, ma aveva anche una gran voglia di dargli un ceffone. Come si permetteva!
“Sì, beh, il tuo nuovo nome per me. Violet non me lo ricorderei mai.” Le spiegò perfettamente tranquillo. “Assomigli un po’ ad un porcellino, no?” Notando la sua aria sconvolta – no, gelida – aggiunse. “Però di quelli carini!”
Violet non trovò di meglio che dargli le spalle e ricompattarsi con la folla di studenti. Non corse via, se ne andò dignitosamente. Come una vera Lady.
Stupido, stupido Vestito Babbano Pazzo! Ti odio!
Lo avrebbe odiato per sempre. 
 
 
Le nude verità del Secondo Anno.  
 
Dominique, dopo le sue prime vacanze estive come studentessa, avrebbe preferito beccarsi uno schiantesimo piuttosto che rimettere piede sul suolo di Beaux-Batons.
Ovviamente questa risoluzione non aveva minimamente convinto i suoi genitori: e così…
“Domi! Qui ce n’è una carrozza vuota, vieni!” La chiamò Mael, suo cugino. Lo raggiunse, buttandosi sui cuscini soffici e ascoltandolo pigramente riprendere i suoi cinguettii.
(Sul serio, Mael non parlava. Cinguettava leziosamente.)
Aveva scoperto di odiare la scuola: era noiosa, piena di lezioni barbose con professori che cianciavano di cose che non le interessavano.
Però…

C’era un motivo per rimanere: la fichissima foresta incantata che circondava la scuola, piena zeppa di creature magiche.
Batte Hogwarts con tutti i suoi unicorni. Qui ne abbiamo ben due branchi!
Il cugino si sporse dal finestrino per controllare il flusso di studenti che occupavano le carrozze. Fece una smorfia. “Guarda, c’è la Parkinson-Goyle!”
Dom non perse tempo a sporgersi: non ne valeva la pena. Violet – Piggie se chiedevano a lei - era la classica piccola, perfetta purosangue, circondata da sue copie-carbone. Girava per la scuola con il naso per aria. Sì, quando l’aveva conosciuta aveva pensato potesse essere una tipa simpatica…
Ma mi sono sbagliata alla grande.
“E allora?” Chiese annoiata, squadernando l’ultimo numero di Marvin il Babbano Matto.
Mael si morse un labbro, incerto. “No, è che…” Dom sospirò: sapeva bene che l’altro era fortemente attratto dal gruppo di Violet. Erano ben vestite e parlavano solo di vestiti.
Il massimo, per uno come Mael…  
Del resto con lei si parlava solo di draghi, Quidditch e fumetti.
Il massimo per me.
“Perché non vai a sederti con loro? Sarebbero contentissime …” Lo prese in giro.
“Nah, sono delle smorfiose!” Disse frettoloso, lanciandole un’occhiata. “Preferisco stare con te.”
“Che bugiardo.”
“Senti, quelle vogliono che diventi il ragazzo di una di loro!” Si lamentò a gran voce, incrociando le braccia. “E io non voglio!” Fece poi un risolino. “Però… quest’estate Sophie, quella con i ricci, non faceva che scrivermi. Pensano che tu…” si stoppò con un’altra risatina.
Dominique inarcò le sopracciglia, suo malgrado incuriosita. “Io cosa?”

“Beh … non indossi mai l’uniforme…” Iniziò sbuffando con disapprovazione. “Stai sempre con i jeans!”
“Non è obbligatoria, quindi col cavolo che la metto. Quindi?”

Mael scosse la testa, lanciandole un’occhiata divertita. “Non te lo dico, tanto lo scoprirai da sola!”
“Boh, come ti pare.” Se non voleva dirglielo pazienza. Non sarebbe certo morta di curiosità.
Sentirono aprire la porta, e poi a sorpresa salirono proprio la Parkinson e due delle sue amichette-gemellate.
“Oh, Weasley.” Disse questa arricciando il naso, quasi fosse scontenta di vederla.
“Ciao Piggie.” Replicò cortesemente, beandosi dell’aria infuriata dell’altra. L’anno prima, le poche volte che si erano incrociate per i corridoi – avendo lezione diverse e abitando in dormitori diversi si erano incontrate in tutto dieci volte - era stato uno spasso farla arrabbiare. Sembrava proprio un buffo porcellino d’India quando perdeva le staffe.
“Se devi cominciare a dire cavolate ce ne andiamo!” Sbottò infatti altezzosa.  
“Ma guarda che…” Si fermò prima di farle notare che nessuno l’aveva invitata.
Ma maman dice sempre che sono troppo diretta. Evvabbeh. Facciamo le cortesi.
“Dai, c’è un sacco di posto, tu e le tue amiche potete stare con noi.” Ad un’occhiata ammonitrice di Mael aggiunse di malavoglia. “Mi dispiace per il nomignolo.”
Ma anche no.
L’altra ragazzina sembrò quietata dalle sue scuse. Sorrise con evidente soddisfazione. “Allora va bene… forza ragazze, stiamo per partire!” Disse alle altre due.
Rispetto ad un anno fa il francese lo parla meglio… - notò spassionata.
Mentre le altre si accomodavano si buttò nuovamente nella lettura del fumetto.
“Dove hai passato le vacanze, Dominique?” Chiese una delle due amiche di Piggie, con un gran sfarfallare di ciglia.
Sentì Mael grugnire per nascondere un nuovo scroscio di risatine.
Ma che gli è preso?
“In Romania.” Rispose cercando di non sembrare scocciata. E lo era. Voleva sapere come andava a finire quel maledetto fumetto ed era tutta un’interruzione!
“Oh, e perché?”
Porco Crup, che nervi!

“Da mio zio Charlie. Lavora in una riserva, fa il guardiano di draghi.”
Le due ragazzine si produssero in squittii spaventati. Almeno la Parkinson si limitò ad inarcare un sopracciglio tentando, male, di mostrarsi poco impressionata.
“Ed hai visto un drago?” chiese una delle due vallette, che aveva trecce bionde e l’aria melensa.
Bleah. Tizie così danno una pessima fama alla nostra categoria. È per tizie così che maman vuole che sia più femminile. Ripeto, bleah.
“Certo.” Rispose, perché le era stato insegnato a dar udienza anche alla più cretina delle domande. “Se è per questo, li ho anche toccati.” Aggiunse orgogliosa.
“Sì, come no!” Esclamò immediatamente la Parkinson. “Non ci credo!”
Ah, no? Beh, affaracci tuoi… - pensò scoccandole un’occhiataccia. C’erano poche cose che il suo buon carattere – l’aveva preso da suo padre, ovviamente – non scusava.
Quando le persone le davano della bugiarda era una di queste.
 
L’anno prima si era quasi dimenticata di Dominique e dell’episodio della carrozza.
Aveva avuto altro a cui pensare: nuove regole da imparare, abituarsi a dormire assieme ad altre persone… e come se non bastasse, lezioni dove i professori pretendevano molto e spiegavano poco.
Non era stato facile. Per niente. 
Aveva avuto persino problemi nello stringere amicizie; le sue compagne di stanza infatti si erano rivelate quasi tutte mezzo-sangue o Nate Babbane.  
Non aveva neanche tentato di approcciarle quindi, e anche le altre avevano fiutato subito il suo disprezzo.
Aveva dunque passato i primi due mesi in totale solitudine. Non si era mai lamentata a casa: sua madre non avrebbe voluto saperla debole.
Però quando la nostalgia di casa si faceva acuta, a volte si ritrovava a cercare il ragazzino lentigginoso tra la folla. Spesso l’aveva scorto in Aula Magna, sempre circondato da altri ragazzi: era piuttosto popolare.
Non l’aveva mai avvicinato. Non avrebbe neanche avuto una scusa, come chiedergli di accompagnarla al dormitorio. Lei era nella Casa delle Rose e lui in quella dei Fiordalisi, site in ale opposte del castello.
Ma forse quest’anno avremo qualche lezione in comune …
Non che avesse importanza. Ormai non si sentiva più sola. Aveva delle amiche.
Quando era tornata a casa per Natale aveva finito per confessare tutto. Dopo averla rimbrottata, sua madre si era immediatamente mossa. Durante le vacanze Violet aveva quindi frequentato le compagnie giuste. Non le aveva incontrate prima perché erano in case diverse.  
Tornata, aveva smesso di cercare Lentiggini e i suoi assurdi capelli biondo stinto: le sue nuove amiche erano molto curiose e aveva paura che si accorgessero della sua predilezione per quello strambo ragazzino.
È sicuramente un babbanofilo, se non ha sangue babbano.
Se fosse venuta a saperlo sua madre…
Quell’estate però aveva avuto una sorpresa: sembrava che Geneviève, una delle sue amiche persempre, avesse visto Nicky ad una partita di Quidditch e l’avesse trovato divino.
Violet lanciò un’occhiata al divino che al momento, a dirla tutta, la guardava storto.
Non lo trovava così stupendo: okay, era molto più alto della media e sì, aveva un bel viso e certo, con i capelli un po’ più lunghi stava meglio, ma…
Non è così bello, ecco.
Comunque, quando le altre avevano concordato entusiasticamente con l’amica, lei si era accodata. 
E poi, se proprio qualcuna di noi deve averlo come ragazzo, meglio io. Sono più carina e poi già lo conosco. Non bene. Però mi ha dato quell’orrendo soprannome…
Per questo non si era ribellata quando Jenny – Geneviève – aveva ventilato l’idea di sedersi nella carrozza dove si erano sistemati Weasley e Delacour.
Si riscosse di colpo, dato che l’altro la apostrofò con la solita maleducazione. “Ehi, pensi che dica bugie? Mio zio lavora in quella riserva. Ho toccato un Ungaro Spinato!”
“Può essere.” Corse ai ripari, vedendolo sul piede di guerra. “Ma i draghi sono animali feroci e tu hai dodici anni. Pensi di essere un guardiano di draghi?” Chiese, trincerandosi dietro il sarcasmo.

“Lo sarò.” Replicò fieramente, e Violet pensò che poteva anche crederci dopotutto; Weasley non era il genere di persona che sparava smargiassate tanto per farsi bello agli occhi degli altri.
Non ne ha bisogno, accidenti a lui.  
“Saresti un bellissimo guardiano di draghi, Nicky…” Tubò Jenny e Sophie, l’altra amica, la seguì in un assenso concitato.
Bellissimo?” Le apostrofò confuso. “Non sono un ragazzo!”
Cadde un silenzio pesantissimo e Violet sentì la bocca spalancarsi proprio come sua madre odiava vederle fare.
Nel frattempo Delacour si era messo a ridere come un matto, nascondendo la faccia tra le mani.
“Ma certo che lo sei!” Non si diede per vinta Jenny, pallida come un lenzuolo.
“Vuoi che mi abbassi i pantaloni?” Propose con un ghigno quasi malvagio. “Mael, diglielo tu, magari a te credono.”
“Mi dispiace…” Confermò questo tirando su con il naso per le troppe risate. “… anche se è un maschiaccio, e si veste sempre malissimo posso assicurarvi che Domi è davvero una ragazza.”


Da quel giorno Jenny smise di lodare il divino e quando la notizia del fraintendimento giunse alle altre, tutte reputarono fosse doveroso non parlarne mai più.
Violet fu d’accordo: ma non smise di cercare quella testa argentata tra la folla.
 
****
 
Il Colpo di Pluffa del Terzo Anno.
 
“Letty, attenta!”
“Oh, Morgana! Violet!”

“L’ha presa in pieno!”
 
Un lampo bianco e … era avvisaglia di morte sentirsi fluttuare nel vuoto?


Il mio karma fa schifo.
Naturalmente non era una cosa che Violet avrebbe mai detto in giro. Aveva una reputazione da difendere ed era il caso che rimanesse lustra e brillante lì dov’era.
Violet era il tipo di persona che sapeva di dover pensare almeno tredici volte prima di parlare: era così che sapeva sempre dire la frase giusta, ed era per questo che si manteneva sulla cresta delle popolari del suo anno.
Ciò non toglieva che un po’ sfortunata doveva esserlo per forza.
Perché di tutto il maledetto stadio era stata l’unica a fare da bersaglio ad una Pluffa.
Naturalmente, era tutta colpa di Dominique Weasley.
Quella bifolca era una punizione del Destino per peccati che non aveva commesso: certo, era snob, sì, guardava tutti dall’alto in basso, ma Morgana, non era come uccidere gattini o ridere delle disgrazie altrui.
(Okay, l’ultima cosa la faceva, ma quella stupida dell’Azoulay se lo meritava se continuava a vestirsi come se fosse sua nonna).

Per tornare al discorso, era certa che la Weasley fosse una punizione che qualche entità superiore le aveva affibbiato alla nascita. C’era solo voluto un po’ prima che le loro strade si incrociassero.
Quella bionda stramba, sempre troppo alta, sempre troppo ridacchiante era pericolosa.  
Inutile che tutta la scuola non facesse che osannarla e seguirla come un cucciolo scodinzolante.
Violet Parkinson-Goyle non avrebbe cambiato idea su Dominique Weasley. Mai.
Mi ha colpito apposta, ne sono certa!
Insomma, quante possibilità c’erano che durante il Campionato Continentale Tra Squadre di Quidditch Scolastiche fosse lei, tra più di cinquecento studenti, ad essere presa in pieno da una palla lanciata dalla Cacciatrice con la precisione di tiro migliore di tutta la squadra?
Pochissime. E invece.
Sperò che almeno la sua morte avrebbe sbattuto quella deficiente dove meritava di stare: ad Azkaban. Così pensando, Violet fluttuava.  
 
… quando riprese coscienza, era viva e in infermeria. Le volte slanciate e bianchissime del soffitto l’abbacinarono e dovette chiudere gli occhi prima che le esplodesse la testa.  
Poi sentì un fruscio accanto a sé. Si irrigidì: qualcuno era rimasto con lei? Giusto e doveroso. Ma perché sentiva un acuto odore d’erba e pioggia come se quel qualcuno avesse passato le ultime ore a giocare a Quidditch?
Era forse Mathieu, il suo spasimante – sua madre le aveva consigliato di chiamarlo così?
“Ehi, ti sei svegliata Piggie?”
Oh, no. Non lei.

… e invece sì. Dominique Weasley era al suo capezzale con quel suo dannato sorriso beffardo: indossava ancora la divisa di Quidditch e aveva schizzato di fango il pavimento.
“Che diavolo ci fai qui?” Cercò di sembrare irritata, ma riuscì solo a pigolare. La testa le faceva davvero male. “Dovresti essere ad Azkaban.”
“Eh?” L’altra la guardò perplessa, poi si sporse. “Hai preso davvero una brutta botta, vero?”
“Sono perfettamente in me, stupida!” Sibilò, contenta di riuscire a fare perlomeno quello. “Mi hai quasi ammazzata! Avrebbero dovuto arrestarti!”

La Weasley scrollò le spalle con odiosa noncuranza. “Non l’ho mica fatto apposta, la Pluffa mi è scivolata di mano.”
“Sì, come no!” Sospirò. Urlare non era una buona idea. Si sentiva l’eco in testa e non doveva essere un buon segno. Odiava il Quidditch. “Di cinquecento persone, hai preso proprio me!”
“Veramente è la palla che ha preso la direzione della tua testa.” Obbiettò con tono ragionevole, giocherellando con i guanti di cuoio con aria annoiata. Avrebbe voluto farglieli ingoiare. “Smettila di lagnarti. Sai quante Pluffe in faccia mi sono presa io?”
“Ma io non sono una zoticona che gioca a fare l’uomo!” Ritorse. Dominique ridacchiò. Morgana, quella era la cosa che più detestava di quella bionda senza cervello. Non se la prendeva mai per nulla. Sembrava che qualsiasi offesa fosse una simpatica barzelletta per lei.

Tutta la sua vita è una barzelletta.
“Già, in effetti sei più una bambolina che gioca a fare la principessa del palazzo.” E poi aveva quel brutto vizio di risponderle per le rime. Violet odiava quando qualcuno lo faceva: era tipa da prima battuta, non da seconda.
In pratica non riusciva a controbattere.
Si sentiva frustrata in presenza dell’altra: le loro vite correvano parallele e raramente si incrociavano. Diverse amicizie, classi, dormitori e vite…
Eppure quando calpestavano lo stesso angolo di castello, alla stessa ora, succedeva qualcosa.
Di solito litigavano.
O meglio, io le finisco per urlare addosso, e lei se la ride.
Però c’erano delle volte in cui Violet si incantava a notare come la luce che filtrava dai grandi finestroni giocasse con riflessi argentati trai capelli dell’altra, o come a volte scoppiasse a ridere portandosi una mano dietro il collo sottile e bianchissimo.
Allora arrossiva puntualmente e distoglieva lo sguardo, ignorandola e tirando dritto.
Si sentiva sempre stupida quando si accorgeva che l’altra invece non l’aveva neanche notata.
Non riusciva a capire perché trovasse la Weasley bella. Non considerava una ragazza migliore di lei, mai. Sarebbe stato controproducente, diceva sua madre. Avrebbe alimentato i suoi già presenti complessi.
Ma Dominique era bella, anche con i suoi capelli sforbiciati corti, le labbra sempre screpolate e qualche livido o graffio causato da chissà quale creatura magica.
Quando c’era lei, riempiva un’intera sala con la sua presenza. Non perché fosse rumorosa o attirasse particolarmente l’attenzione. Semplicemente perché era lì e rideva.
Violet detestava Dominique nella stessa misura in cui l’ammirava.
“Ehi, Piggie… hai sete? Vuoi un bicchier d’acqua?”
Violet fece una smorfia, ignorandola. Le lanciò comunque un’occhiata, attenta a non esser notata: era strano che nessun ragazzo le si fosse ancora avvicinato. Era molto popolare, e nonostante fosse un maschiaccio aveva comunque sangue Veela che la rendeva molto più aggraziata della media.  

È strano, no?
Lei per esempio aveva Mathieu. Mathieu era figlio di un funzionario del Ministero molto in vista e amico di sua madre. Era per lui che si era seduta su stupidi sedili di legno congelandosi il sedere per quasi un’ora.
Pubbliche relazioni. Qualunque cosa voglia dire.
Ricordando la partita, si tirò di scatto a sedere. “Che ore sono?” Doveva essere già finita, se la Weasley era lì. Perché non c’era Mathieu al suo posto?
“Ora di cena…” Le fu risposto a conferma dei suoi sospetti. “Allora, questo bicchier d’acqua?”
“Non devi per forza vegliarmi, Weasley.” Sbuffò irritata. “Almeno abbiamo vinto?”
“Ovvio!” Ghignò. “Con tutte le reti che ho segnato!”
“Mathieu è il Cercatore, è lui che vi avrà fatto vincere.” Disse con sicurezza, mentre la Weasley faceva uno strano sorrisetto divertito. Aveva rinunciato a capire la sua mimica facciale un anno prima, quando aveva scoperto che invece che mago era strega.  “A proposito, dov’è?”
“Il tuo bello è a festeggiare, con il resto della scuola.”  La Weasley non aspettò il suo assenso per versare il bicchier d’acqua. Violet tese la mano ma fu shockata quando l’altra lo bevve al suo posto.

“Mica hai detto che lo volevi!” Sghignazzò alla sua espressione. “Se lo vuoi, adesso chiedi per favore!”
“Stupida bifolca! Vattene subito!” Sbottò furente e umiliata. Era così che si sentiva accanto all’altra. Sempre.  
Sembra che niente la tocchi. Cavolo, quanto la detesto!
La Weasley infatti si produsse in una delle sue risate. “Va bene, va bene Piggie, me ne vado. Cerca di non urlare troppo. La bocca ti diventa grande come un calderone, sai?”
Fu un vero miracolo se non tentò di affatturarla – e meno male che non sapeva dove fosse la sua bacchetta.

Quando l’altra fu uscita, si abbandonò sui cuscini, vinta e con un’emicrania pulsante.
Pochi attimi dopo arrivò l’infermiera guardandosi attorno alla ricerca di qualcuno.
“Oh, Weasley è andata via?” Chiese infatti. “Avevo paura di doverle preparare il letto accanto al tuo.”
“Perché?” Chiese tentando di mostrarsi disinteressata. C’era qualche motivo per cui quella scema avrebbe dovuto dormire in infermeria?

Forse si è fatta male durante la partita? Ma no. Scoppiava di salute come al solito.
La donna scrollò le spalle. “È stata qui con te tutto il pomeriggio. Si è rifiutata persino di andare a cambiarsi, non voleva lasciarti da sola.” Le spiegò mentre eseguiva complicati movimenti di bacchetta per controllarle i parametri vitali.
Violet ammutolì: sì, aveva notato che l’altra indossava ancora l’uniforme inzaccherata di fango.
Ma pensavo perché … beh, è la Weasley! È sempre vestita come una stracciona. Non è il genere di persona a cui dà fastidio qualche macchia di fango…
… pensavo.
“Perché?” Ripeté e stavolta l’infermiera le scoccò un’occhiata preoccupata, quasi che sentirle ripetere la stessa parola fosse indice di qualche complicazione post-trauma. Si schiarì subito la voce. “… cioè, intendevo dire, è rimasta davvero qui tutto il pomeriggio?”
“Tutto.” Confermò la strega. “Era così preoccupata … nonostante l’arbitro non l’abbia ammonita ha abbandonato la partita ed ha preteso di rimanere qui finché non ti fossi svegliata.” Fece una piccola smorfia, da autentica tifosa di Quidditch. “Per fortuna non è la nostra Cercatrice!”
Violet non credeva alle sue orecchie.  

Sembrava che stesse qui per sbaglio… addirittura pensavo che la Preside ce l’avesse costretta visto che mi ha quasi ucciso.
Dominique Weasley, si rese conto, era un maledetto, continuo mistero.
“Oh cara, ti si sta alzando la temperatura! No, queste guance rosse non mi piacciono affatto!”



 
Note:


Questo Plot!Bunny mi girava in testa da un bel po’. Potevo forse ignorarlo? No, fidatevi. Spero solo piaccia anche a voi. :) E' la mia prima femslash (a parte accenni qua è la in AUL).
Qui la canzone. Siamo in Francia, canzone francese. Anche il testo è molto attinente. xD
Una parola sul titolo: l’ispirazione è dovuta a ‘Hannah is not a boy’s name” un web comic adorabile che nulla ha a che fare con la nostra storia. A parte il titolo. :P
Si ambienterà, come si può capire, nei sette anni di scuola francese di Dominique e Violet.
Per chi non si ricordasse i loro volti (qui un po’ più adolescenti che fanciulleschi):
Dominique.
Violet.

1. Né Moldu: Nato Babbano in francese. Controllato nell’wikipedia francese. ;)
2. Abraxan: razza di cavallo gigante. Simile ad un grande palomino, viene utilizzato per tirare la carrozza da viaggio di Beaux-Batons nel quarto libro della saga.
3. Dominique: è un nome scomponibile. C’è anche da dire, che Dominique è un nome unisex in Francia. Da qui, la confusione di Violet e amichette. xD

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Capitolo 2
*** Dai Quattordici ai Quindici ***






On a parcouru les chemins, on a tenu la distance

Je te hais de tout mon corps, mais je t'adore

(Le Chemin, Kyo)
 


La Collisione del Quarto Anno.

 
A quattordici anni quando si litiga può essere un cataclisma. E lo è.
Perlomeno Violet la pensava così, alla ricerca di un posto dove piangere tutte le sue lacrime.
Non capiva.
La realtà era che non capiva, e questo la frustrava: quindi affilava la lingua e teneva tutti a distanza, il suo ragazzo in testa. Che poi, era lui il nocciolo del problema.
Mathieu Allard era il fidanzato perfetto: ricco, sufficientemente carino e affabile da suscitare invidia e ammirazione nelle altre ragazze del loro anno ed oltre.
Finita la scuola avrebbe studiato Magisprudenza, ed era un ottimo sportivo.
Eppure.
Eppure Violet non riusciva ad innamorarsi di lui. Mal di poco, avrebbe commentato sua madre: l’amore è un accessorio. Può esserci, ed è carino ci sia, ma non è necessario per un futuro buon matrimonio. Per lei era stato così, avrebbe dovuto essere diverso per sua figlia? Lo sperava, ma non era necessario.
 
‘Gli Allard sono una famiglia molto in vista. Certo, sei ancora una bambina, certo… ma non c’è nulla di male a frequentarsi. E sono più tranquilla se lui veglia su di te. E poi Mathieu ti piace, no?’
 
Piacerle.
Mathieu dietro le sue maniere che facevano sciogliere gli adulti, sua madre in testa, era un prepotente. Era cattivo: con gli amici si divertiva a tormentare le matricole, ed una volta l’aveva visto affatturare gravemente un ragazzo del Secondo solo perché aveva osato rispondergli male.
Mathieu era crudele, e quando la prendeva per mano era solo per portarla in un angolo riparato. Quando la baciava era come sentirsi attaccati. I morsi sulle labbra non se ne andavano per ore.
 Sophie aveva scherzato dicendo che invidiava la loro passionalità; Violet non sapeva se quella fosse passione, ma le faceva venire il voltastomaco. Le faceva schifo come il suo ragazzo le divorava le labbra, come le passava le mani sulle gambe.
Riusciva sempre ad allontanarsi con una scusa e allora l’altro rideva è la chiamava puritaine.
Ogni volta aveva intenzione di ribattergli, ma poi lasciava perdere: che senso avrebbe avuto? Dopotutto non che avesse tutti i torti. Molte delle sue amiche trovavano normali quei contatti.
Ma non era così che si era immaginata il suo principe azzurro. Sapeva fosse stupido, sapeva che il cavaliere dal bianco destriero era solo carta e inchiostro.
Eppure, dannazione. È sempre così?
Jenny, forse la più intelligente del loro gruppo dietro l’aspetto ordinario, l’aveva capita. Li aveva capiti.

 
‘Se non ti piace, perché non lo lasci? Ci sono un sacco di bei ragazzi a scuola, e di ottima famiglia che sarebbero felici di stare con te. Così tua madre non si arrabbierebbe se facessi saltare gli accordi con gli Allard, no?’
 
Certo, avrebbe potuto trovare un sostituto.
Sostituto…
Ma era squallido, e stupido, perché di quei ragazzi non le piaceva nessuno. Li trovava volgari, con i loro lazzi, le occhiate e quei corpi pieni di strana energia repressa.
Ma le altre non la pensavano come lei. Le altre li trovavano carini, belli, stupendi.
Forse sono io che ho un gusto troppo elaborato?
La lite si era proprio originata da quello: Sophie aveva cominciato a lodare il suo rapporto con Mathieu e lei, ricordando l’assalto del proprio ragazzo di quel pomeriggio le aveva ribattuto qualcosa di caustico – non ricordava neanche cosa. Avevano finito per litigare, e lei si era ritrovata fuori dal dormitorio dei Fiordalisi in un batter d’occhio.
 
“Piggie!”

Violet era consapevole che immersa nei propri pensieri tendeva a dimenticarsi di dove fosse, trovandosi spesso in ale del castello in cui non avrebbe dovuto trovarsi: per fortuna la spilla da Préfet fino a quel momento le aveva risparmiato non pochi grattacapi.

Naturalmente non poteva risparmiarle di imbattersi in Dominique Weasley, altrettanto munita di spilla.
Tirò fuori la sua migliore espressione fredda, sperando che nella penombra del corridoio non si notassero i suoi occhi rossi.
“Weasley.” La salutò appiattendo il tono in vaga noia.
Dominique Weasley ormai sembrava la ragazza che in effetti era: le sembrava assurdo – e imbarazzante – che tre anni prima l’avesse scambiata per un maschio.  
Almeno non ero l’unica…
Avrebbe potuto posare per qualche rivista di moda, la sciattona. Se, appunto, non fosse stata irrimediabilmente conciata come un maschio.
Aveva intuito che si vestisse in quel modo per praticità: era infatti sempre nella Foresta, quando non giocava a Quidditch. La loro graziosa uniforme doveva essere scomoda in quei contesti.
Ciò non toglie che si veste in modo orribile. Forse è per questo che i ragazzi la cercano solo per fare cose da ragazzi. Non la considerano neanche una donna!
Ad ogni buon conto, Dominique Weasley era una ragazza statuaria e con il sorriso sempre sulle labbra. Era lei il genere di persona che avrebbe avuto il principe azzurro perfetto, a differenza sua.
La detestava così tanto che aveva sempre le palpitazioni in sua presenza.
“Che ci fai qui? Questo è il territorio dei Bleu!¹” La apostrofò in inglese. Era raro che tra loro si parlassero in francese.  
“Non chiamarlo territorio. Non siamo animali.” Ribatté incrociando confortevolmente le braccia al petto. “Hai intenzione di darmi una nota?” Cosa che avrebbe dovuto fare, in quanto Préfet. 
“No, perché?” Replicò con un’alzata di spalle. “Ti ho chiamata perché mi sembrava ti fossi persa.”  
“Come faccio a perdermi in un palazzo che conosco? Le mie migliori amiche sono Fiordalisi, come te.”
La innervosiva, la Weasley. Sempre. E odiava avere le guance rosse dopo ogni loro battibecco.
Litigare con lei non era come litigare con qualunque altra loro coetanea: con le altre aveva sempre presa sulla situazione. Ne usciva sempre vincitrice. Ormai a scuola si sapeva che era meglio non infastidirla.
Ma la Weasley se ne fregava.
“Okay, non ti sei persa…” Convenne intanto l’altra. “Allora che ci fai ancora qui?”
“Sei la solita zotica!” La apostrofò nel panico. “Stavo solo riflettendo.”
“In un corridoio buio?” Ghignò, poi a sorpresa le afferrò la mano. Non fece in tempo a scostarsi, e neppure a tentare, perché la presa era incredibilmente salda. Non forte, non dolorosa come quella di Mathieu. Semplicemente aveva il potere di trattenerla lì.

“Lasciami.” Le ordinò, perché in compenso la bocca non gliel’aveva chiusa.
“Ti va di vedere il mio posto segreto?” Fu la sconcertante replica. Violet rimase senza parole e l’altra si arrogò il diritto di prenderlo come un assenso. “Dai, andiamo!”
“Aspetta!” Sibilò, perché urlare non era un’idea felice nel cuore del coprifuoco. “Dovresti fare il giro di ispezione!”
“Per stasera lascerò le coppiette a godersi la loro intimità.” Fu la replica imperturbabile. Violet tentò di liberarsi, ma era impossibile a meno di non far male ad entrambe con uno strattone brusco.

La maledetta doveva saperlo, dall’occhiata divertita che le lanciò sopra le spalle.
“Puoi anche evitare di tenermi per mano come una bambina!” Tentò perché sentiva il cuore arrivarle alla gola per la furia. Perché era furiosa. Era quello. Di sicuro.
“Se ti lascio, scappi. È una regola base nel mondo animale.”
“Non siamo nella foresta, razza di selvaggia!” Sbottò incredula, ma si sgonfiò come un palloncino quando vide che l’altra esibiva una calma serafica.  

“Anche gli esseri umani sono animali, Violet.” Chiamarla per nome fu un colpo basso. Non lo faceva mai, e quindi l’effetto era stato… sconcertante.
“Tu di sicuro sei l’anello di congiunzione trai due mondi.” Ritorse, facendola ridacchiare a bassa voce. Arrivarono nei pressi delle cucine e l’altra estrasse la bacchetta e mormorò qualcosa a mezza voce. La porta si aprì senza che nessun’allarme suonasse.
Non dev’essere la prima volta che sgattaiola via dopo il coprifuoco.
La seguì nella cucina e poi fuori, dalla porta di servizio: a quel punto voleva vedere quello stupido rifugio segreto. L’avrebbe schernita, e poi sarebbe andata a riferire tutto alla Preside.
Certamente avrebbe fatto così; a Beaux-Batons andava avanti solo chi sapeva approfittare dei momenti di debolezza altrui. Non per tutti, ma per lei funzionava così.
Non poteva permettersi debolezze quando la conosciuta defezione dalla terra natia dei suoi genitori già gettavano voci e sospetti sul suo cognome.
Non ci sono state molte famiglie purosangue ad andarsene, dopo la guerra. E quelle che l’hanno fatto…
Ma non voleva pensare a quello, perché era qualcosa che non la riguardava.
Ad ogni buon conto, il Rifugio Segreto si rivelò essere in mezzo alla Foresta Incantata, che anche di notte riluceva di un tenue lucore magico. Era uno spettacolo che spesso Violet osservava, dalla finestra della sua camera.
A distanza appunto.
“Non vorrai andare lì dentro? È piena di…”
“Creature magiche. Già.” Fece spallucce. “Di che hai paura?”
“Sei stupida o cosa? Ci è proibito entrarci non accompagnate da un professore!”

Dominique batté le palpebre. Per un attimo sembro volersi mettere a ridere – l’avrebbe uccisa – ma poi le sorrise e ogni anelito omicida crollò. “Di che ti preoccupi? Ci sono io. Non ti succederà niente!”
Era la frase più stupida che avesse mai sentito pronunciarle – e ne aveva sentite tante da quella boccaccia.

Eppure.
“Se vuoi puoi tornare indietro.” Le suggerì con l’aria di chi non l’avrebbe accompagnata.
Violet inspirò: non voleva tornare. Non veramente: non voleva andare a letto e pensare al litigio con Sophie né alle mani di Mathieu che tentavano di sollevarle la gonna.
Quindi la seguì, benché si premurò di non sembrare affatto eccitata da quella piccola fuga notturna.
“Allora.” Esordì sostenuta dopo dieci minuti di cammino notturno. “Manca molto?”
“Siamo arrivate.” Le comunicò scostando una fronda di felce e facendole cenno di passare.  
Violet fece una smorfia, obbedendole: era in mezzo ad un bosco e si stava infangando da capo a piedi. Non mi lascio certo impressiona…
Spalancò la bocca come tanto odiava fare – sentì infatti Dominique ridacchiare alle sue spalle.
Il Posto Segreto era il pascolo segreto degli unicorni. Se ne vociferava come leggenda all’interno della scuola: c’erano ben due branchi all’interno del bosco, ma raramente era possibile vederli dato che si nascondevano nel folto della foresta. 
Eppure la Weasley li aveva non solo trovati, ma era anche riuscita a farsi accettare da come si stava muovendo con sicurezza all’interno della radura.
“Vieni!” La invitò allegramente.  Violet voleva, ma conosceva la razza dai racconti d’infanzia – come qualsiasi bambina del Mondo Magico del resto.
“Scapperanno…” Mormorò. Le bastava vederli da lontano: le figure eleganti, le movenze aggraziate, i manti lucidi come argento che richiamavano i riflessi del ruscello che scorreva quieto in mezzo alla radura…
Quello era davvero il posto più bello che avesse mai visto.
“Non scapperanno.” Insistette. “Andiamo, fidati di me!”
La Weasley usava parole grosse. Parole che avevano un peso, e che lei non avrebbe mai pronunciato con quella leggerezza.

Eppure.
Le obbedì ancora una volta. Gli unicorni al suo arrivo alzarono immediatamente la testa per guardarla. Esitò, quasi inciampando. Dominique, muovendosi tranquillamente, la prese per mano e le fece cenno di imitarla. “Niente movimenti bruschi. A parte questo, hanno una voglia matta di capire chi sei. Sono curiosi.” Senza che potesse fare nulla, le prese una mano e la tese nell’aria. Con sua enorme sorpresa, uno degli unicorni si staccò dal branco e si avvicinò loro.
“Che… che sta…?” Balbettò, sentendosi assolutamente inadeguata a quella situazione. Odiava sentirsi in quel modo; e naturalmente le succedeva molto più spesso di quanto non volesse.
“Non essere nervosa. Non sono l’unica a sentirti tesa, sai?” Le sorrise Dominique: in quel momento sembrava più adulta di lei. E non c’entrava che fosse più alta o altro.
Quello il vero ambiente a cui quella bislacca bionda apparteneva. Non un’aula, né tantomeno una cena di gala. E capì anche che, per qualche assurda ragione, aveva permesso a lei di farne parte.
Sentì un lieve tocco umido sulla mano e si voltò sbigottita. Stava toccando un unicorno, o meglio, l’unicorno aveva posato il muso sul suo palmo.
“Mi…” Esordì intelligentemente e Dominique ridacchiò.
“Te l’avevo detto che sono curiosi, no? Appena ti conoscono diventano super-appiccicosi!”
“Posso?” Chiese ma non a lei.
Le fu data una gentile pacca sulla spalla “E chi ti ferma?”
Violet perse la cognizione del tempo, ad accarezzare e vezzeggiare gli unicorni che le si erano avvicinati. Sarebbe potuto anche sorgere il sole, e non se ne sarebbe accorta. Dopo un po’ si accorse però che Dominique era sparita dal suo fianco: la trovò stesa vicino al ruscello con le mani intrecciate dietro la nuca, talmente rilassata che sembrava fosse nel mondo dei sogni.
Si è mai sentita a disagio?
Probabilmente no. Si allontanò dal branco per raggiungerla. “Stai dormendo?” Le chiese esitante. Il magone era completamente scomparso e persino le labbra le facevano meno male di prima. Non si sentiva esattamente di buon’umore, ma c’era vicina.
Era bizzarro. Si sentiva … tranquilla.
“Sono sveglia.” Dominique socchiuse gli occhi  per guardarla. “Mi godo l’atmosfera, no? Gli unicorni non vengono qui per caso… penso sia il posto migliore di tutto il bosco.” Concluse, battendo poi significativamente lo spazio erboso accanto a sé.
Violet esitò, poi decise che era tardi ed era stanca. Si accomodò, ben attenta a non toccare punti troppo pieni di terriccio che avrebbero potuto riempirle di chiazze la gonna chiara. “È un bel rifugio.” Ammise. “Come hai fatto a scoprirlo?”
“Sai, sono una selvaggia…” Ghignò quella disimpegnata. Poi aprì gli occhi, fissando lei… e le sue labbra.

Avvampò. “Weasley, che c’è?”
“Sei caduta di faccia?”

Violet alzò gli occhi al cielo: solo lei se ne sarebbe potuta uscire con un’ipotesi del genere.
 “Non so quanto sai dei rapporti maschio-femmina, ma questi sarebbero gli effetti di un bacio.” Spiegò fissando il branco di unicorni che pascolava placidamente. Era grazie a loro che si sentiva bene dopo ore?
Dominique si voltò con un gran fruscio di foglie dalla sua parte. Lei non aveva paura di sporcarsi, visto che si era praticamente rotolata per mettersi di fianco. “L’ultima volta che ho controllato, i baci non erano morsi.” Le fece notare.
Violet sentì un peso in fondo allo stomaco. “E cosa ne sai?” Sbottò aggressiva. “Hai mai baciato un ragazzo?”
“No.” Fu la quieta risposta. “Ma delle tue amichette fornite di … come lo chiamate? Spasimante, solo tu sei ferita.”
“Non sono ferita.” La Weasley e le sue sparate. L’inglese non doveva saperlo poi così bene. “E comunque non capisco perché ti interessi. Non siamo amiche.”

Quella per tutta risposta fece una delle sue irritanti scrollate di spalle. “Sì, ma anche gli estranei si possono preoccupare. Si chiama empatia, ce l’hanno anche gli animali.” Il tono era disinvolto, ma Violet notò che si stava mordicchiando le unghie.
Mamma mi dice sempre che è un gesto orribile, e grida debolezza da tutti i pori.
“Scusa.” Le uscì spontaneo e se ne meravigliò per prima. Ma c’erano dei momenti in cui si poteva scoprire il fianco. Dominique l’aveva fatto per prima dopotutto. “… mi hai portata qui, e penso tu l’abbia fatto per…” Si fermò, perché non sapeva cosa dire. La guardò e notò che anche Dominique guardava lei.
“Stavi piangendo.” Rispose di rimando come se quello spiegasse tutto. “E non per farmi i fatti tuoi, ma se Allard ti fa del male forse dovresti mandarlo a quel paese.”
“Non mi fa male.” C’era di peggio, pensò. Si convinse. “È solo… appassionato.” Sophie sarebbe stata felice che avesse usato la sua definizione. “A volte i ragazzi sono un po’ irruenti, ma è normale.”
“Conosco i maschi.” Fu la replica. “E se qualcuno tentasse di mordermi, gli darei un pugno.”
“Questo è perché sei una primitiva.” Sbuffò. “I ragazzi sono fatti così… poi crescono e migliorano.” Era ciò di cui erano convinte le sue amiche. Forse era vero. Probabilmente lo era.

Non lo sopporto. Mi fa schifo. E so che non deve essere così. Che può essere meglio.
Deve, giusto?
“Io non credo che un bacio dovrebbe far male.” Disse lentamente Dominique. Era la prima volta che stavano così vicine, rifletté imbarazzata Violet. Si era seduta a pochi centimetri da lei, e ora il ginocchio dell’altra le sfiorava il bordo della gonna. 
Non avrei dovuto sedermi così vicina.
Erano ragazze, ma… Dominique non era una ragazza normale. Sotto molti punti di vista.  
Notò con la coda dell’occhio che non aveva più le labbra screpolate. Sembravano… morbide.
“Tu non hai idea di come sia … l’hai detto tu che non hai mai baciato un ragazzo.” Mormorò, perché le sembrava il caso di mormorare. Non bisognava disturbare gli unicorni.
“Vero.” Fu la serena ammissione. Perché diavolo continuava a guardarla quando in giro c’erano cose sicuramente più interessanti?
Tipo, gli unicorni. Va bene che è la regina della foresta, però…
“Non si fissa la gente, Weasley.” Tentò e non gli uscì affatto gelido come aveva preventivato. Anzi, le tremava la voce.
“Perché? Ti fa sentire a disagio?” Odiava quando aveva quel tono di presa in giro. Oh, se lo odiava.
“Ovviamente.” Sibilò. “Credo sia il caso di rientrare.” Sbloccò la situazione, sentendo che andava fatto. Doveva rompere quella strana atmosfera creatasi. Doveva…
Si sentì di nuovo afferrare, ma stavolta Dominique non le toccò la mano, ma la base del collo. Violet ebbe l’impulso di voltarsi e chiedere cosa diavolo stesse facendo. Lo fece.
E si baciarono.

Dominique si era alzata a sedere, portando il viso alla sua stessa altezza e quindi la collisione era stata inevitabile. E del tutto voluta.
Violet tentò subito di ritrarsi, mentre in un angolo della sua testa suonavano milioni di campanelli d’allarme.
È una ragazza! Non va bene! È una…
Dominique la prese per le spalle, tenendola ferma dov’era. Non c’era nessuna violenza, solo decisione. La tensione le scivolò via come un abito troppo largo. Smise di opporsi. E rispose al bacio.
Dominique sapeva di terra, foglie e qualcosa di pulito che non riusciva ad identificare… era un buon’odore, era fresco. Violet chiuse gli occhi abbandonandosi a quel contatto.
È così che deve essere – pensò di getto senza riuscire a vergognarsene.
Poi Dominique si ritrasse. “Questo è un bacio, Piggie.” Disse.
 
Non andò a denunciare le uscite segrete di Dominique, né quel giorno, né i seguenti.
 
Un Quinto Estivo e una Realizzazione.
 
“Domi!” Una pausa, poi una seconda esclamazione che aveva attraversato l’aria cristallina di un mattino estivo. “Domi, dove sei?”
Dominique non si era voltata al richiamo. Aveva continuato a spazzolare il dorso lucido del proprio cavallo alato. Proprio suo, di sua proprietà. Glielo aveva comprato suo padre dopo il suo primo anno a Beaux-Batons. In teoria, per festeggiare i suoi buoni voti.
In realtà, perché non me ne sono scappata in sella ad un Abraxas…
Arod non aveva la stessa stazza dei cavalli della scuola, essendo un Granian² dal lucido dorso grigio. Ma proprio per questo gli mancava da morire durante il periodo scolastico: cavalcarlo era come avere sotto di sé la potenza di dieci Firebolt.
Magari era banale, ma amava visceralmente l’estate. Per Arod, perché poteva rivedere suo fratello, perché poteva passare tutti i giorni nella tenuta sterminata di famiglia – i Delacour avevano terreni consistenti in Provenza - senza dover rendere conto a nessuna stupida regola. Per molti motivi non c’era momento migliore dell’anno per lei.

Certo, la maggior parte delle vacanze erano scivolate via, ma gli restava ancora tre settimane, ed aveva intenzione di succhiarle come avrebbe fatto con un frutto maturo. Con soddisfazione.
“Domi! Rispondere mai, eh?” La apostrofò Victoire, appoggiandosi alla staccionata del recinto dove tenevano Arod.
“Oh-oh. Madamoiselle Vic è tornata dalla sua piccola fuga d’amore!” La canzonò.  
Molte persone che le conoscevano pensavano, dato le indoli profondamente diverse, che dovessero detestarsi e tirarsi i capelli da sempre, come genetica prevedeva.
In realtà Dominique sapeva di essere l’unica di cui la sorella maggiore tollerasse i pareri, e viceversa, Vic era la sola che riuscisse a darle qualche consiglio sul suo aspetto senza farsi ridere in faccia.
Victoire si soffiò una ciocca di capelli via dal viso. “Quale fuga? Quest’anno non siamo ancora partiti.”
“Dove stavolta? Italia?” Diede una manciata di mosche morte all’animale, che le inghiottì golosamente sotto lo sguardo inorridito di Vic.

“Ci siamo stati l’anno scorso… in realtà sto cercando di convincerlo a lasciare l’Europa. Peccato appena senta parlare di altri continenti vada nel panico. Non riesce ad allontanarsi troppo dall’Inghilterra…” Sbuffò. “Ma lo convincerò.”
“Oh, nessun dubbio su questo.” Le strizzò l’occhio, saltando la staccionata e pulendosi le mani sulla maglietta.

Vic a quel gesto alzò gli occhi al cielo. “Morgana, Domi, la parola femminilità comincia a dirti qualcosa? Finalmente?”
“Impossibile. Una certa smorfiosa l’ha rubata da tutti gli scaffali prima che nascessi. Ne sono geneticamente mancante.” Le fece una linguaccia, alla quale Vic replicò con una tirata d’orecchie affettuosa; Vic era l’unica che poteva farla sentire una quindicenne e passarla liscia.

“Dov’è Louis?” Le chiese guardandosi attorno.
“Da qualche nostro vicino di casa con delle bambine. Lo sai com’è fatto, è l’idolo delle infanti par suo.” Disse, facendola ridere in una cascata di suoni argentini.
Vic era… perfetta.
No, sul serio.
Persino se ficcasse la testa in una gabbia di Schiopodi ne uscirebbe più bella di prima.
Dominique lo ammetteva solo a sé stessa, che certo non voleva gonfiare l’ego già spropositato dell’altra.
Qualcuno deve pur non cascare ai suoi piedi in adorazione.
Una persona diversa sarebbe cresciuta a pane e complessi di fronte ad un paragone del genere. Lei si era fatta furba: era diventata antitetica. Aveva funzionato? Alla grande.
Victoire la prese sottobraccio con noncuranza. “Che hai fatto ai capelli? Con questo taglio sembri uno spaventapasseri. Sono troppo corti!” La accusò scherzosamente facendola virare in direzione casa. “Dovrò metterci le mani.”
“Altolà sorella!” La apostrofò puntandole il dito contro, visto che sapeva quanto la infastidisse. “Sono fatta a modo mio. E ti dirò, sono ormai vicina alla perfezione.”

Victoire glielo scacciò via infastidita. “Sei impossibile! Stai facendo impazzire maman…”
Dominique sbuffò con quindicenne scoramento: la vera antagonista nella sua famiglia non era la sua incantevole sorella maggiore. Ma la sua stupefacente madre: assistente del Ministro della Magia, eroina di guerra ma anche incarnazione della femminilità e del buon gusto, magico e non.

Praticamente è la Donna Copertina di Francia.
Tutte quelle caratteristiche sarebbero state motivo di orgoglio traslato, se non avessero reso Fleur Weasley una donna estremamente esigente con i suoi tre figli. Certo, suo padre mediava, e piuttosto efficacemente, ma Madame Fleur era una donna cocciuta.
E non le piace che mi rotoli nel fango, indossi sempre gli stessi vestiti e passi la mia estate in sella a Arod o ad un manico di scopa.
Maman è una rompiboccini.” Sentenziò soddisfatta, mentre la sorella scuoteva la testa rassegnata.
“Perché non provi a capirla? Vorrebbe solo che tu ti comportassi…”
“Come una ragazza? Io sono una ragazza. Non è il mio comportamento che mi dà un paio di tette.”

Quello non riusciva a capire della madre: in pubblico non faceva adorarla, ma in privato era una critica continua su un aspetto del suo carattere che non voleva e soprattutto, poteva cambiare.
Non sarò mai tipa da pizzi e trine, cazzo.
Vic diceva che cercava solo di darle dei consigli che credeva le fossero utili. E che in pubblico la elogiava perché lo pensava sempre.
Forse. Ma preferirei non avesse ‘sto andamento schizofrenico.
Victoire intanto fece una smorfietta. “Davvero Domi, a volte sembri farlo apposta. Arrivare a tavola trascinandoti dietro una scia di fango come l’ultima volta? Dai, era voluto.”
“Nah.” Scrollò le spalle. “E poi a papà non dà fastidio.”
“Che zucca dura che hai!” Le tirò un pizzicotto sulla guancia. “A volte mi sembra di avere a che fare con un monello di strada e non con mia sorella!”
“Potresti scoprire che sono la stessa persona.” La informò seria, prima di afferrarla per un braccio e lasciarle cinque dita di polvere e terra sulla camicetta leggera.

Domi!
Rise mentre correva dentro casa inseguita dall’altra che aveva abbandonato l’aria da principessa per tentare di mozzarle la testa a suon di incantesimi. Dovette stopparsi di colpo all’ingresso del salotto buono perché Ted ne era appena uscito.
“Collisione evitata!” Esclamò mentre il ragazzo quasi si faceva indietro con un salto. “Ciao, petit prince!”
“Ciao Domi…” Sorrise il ragazzo lanciando un’occhiata perplessa alla fidanzata. “Che succede?”
“La peste continua a comportarsi come quando aveva cinque anni! Merlino, persino Lou ha più maturità di lei!” Si lamentò l’altra, rinfoderando come se nulla fosse la bacchetta. “Teddy, dille qualcosa!”

“Io…” 
Dominique rise, perché sapeva che l’indignazione della sorella sarebbe passata presto come sapeva che Ted invece sarebbe andato in crisi per ore. 

La strana coppia.
La abbracciò di slancio, stampandole un bacio sulla guancia e mollandola prima che tentasse un coppino sulla testa. “Sai che sei la mia ragazza preferita!” Sghignazzò prima di filare al piano di sopra.
In bagno trovò suo fratello di nove anni intento a lavarsi le mani con precisione chirurgica.
“Ecco qua il damerino!” Lo afferrò da sotto le braccia facendogli il solletico, ma diversamente da Victoire, il piccoletto, fiero poil de carotte, scoppiò a ridere.
“Lascia, Domi!” Ridacchiò divincolandosi senza la vera intenzione di allontanarsi. Tentò di tirarle un morso sul braccio, rendendola orgogliosa.
“Allora, oggi quale piccolo cuore hai spezzato?”
“Julie.” Rispose con nonchalance. “Non capisce che a me piace Josephine. Mi piacciono bionde e lei è mora. Ma non è mica colpa mia. Anche se sono sorelle, sono diverse.” La informò.
“Beh sai, capita.” Gli arruffò i capelli. “Ti immagini ad avere in casa due Vic?”
“O due Domi.” Replicò il furbetto asciugandosi le mani. “Mi prendi sulle spalle?”

“Mi hai appena offeso e vuoi che ti prenda sulle spalle?” Aggrottò le sopracciglia con intenzione, mentre l’altro ghignava, minimamente impressionato. 
“Eddai! Dai, Domi… dai, per favore!” Cantilenò poi con grandi occhi tondi, tirandole la maglietta per farla scendere alla sua altezza.

Dominique adorava stare in famiglia non perché stesse male in altri posti. Semplicemente… perché era la sua famiglia, e per quanto tutti virassero a sentirsi dei super-maghi, lei compresa, era l’unico posto dove non si sentisse osservata. Certo, con simpatia.
Ma pur sempre osservata.
L’unica persona in tutta la scuola che au contraire la guardava con aperto e critico astio era Violet.
Detta anche Violet-sparisco-ogni-volta-che-appari.
Tornò in salotto con il fratellino che canticchiava seduto comodamente sulle spalle.
“Dominique, potevi almeno cambiarti!” Esordì sua madre, con un vestito di cotone immacolato e dal taglio perfetto, reggendo una teglia di fumanti cibarie tra le mani.
Sì, Signori della Giuria, è perfetta anche come casalinga.
No-o!” Cantilenò imitando il tono di Louis solo per vederla spazientirsi.
Suo padre, grazie a Merlino vestito come se non dovesse accogliere ospiti, le fece invece quel sorriso che tutti dicevano avesse ereditato da lui. “Lavarti le mani possiamo chiedertelo invece?” Le chiese calmo.
“Massì.” Concesse facendo smontare Louis, che andò subito ad infastidire un sollevatissimo Ted.

 
Seduti a tavola, sua madre sganciò la bomba, ovvero il motivo per cui li aveva voluti tutti lì riuniti.
“Questo fine settimana è il compleanno del Ministro Colbert. Siamo tutti invitati.”
La prima reazione fu un discreto strozzarsi di Ted con il succo di zucca. Sua madre non lo degnò di un’occhiata, sapendo bene che era l’unica obiezione che il ragazzo avrebbe formulato.

Maman, ma io e Teddy partiamo per…” Victoire esitò.
“So che non avete ancora deciso la meta, tesoro.” Sorrise allegramente sua madre. La furbizia non era solo Weasley sotto quel tetto. “È un piccolo evento, e dovete ammetterlo, non vi ho mai coinvolti se non quando è stato strettamente necessario.”
Sfortunatamente sua madre aveva ragione. Victoire infatti annuì rassegnata: per quanto fosse strano, quelle cene non le piacevano.
No, non è strano. Sono piene di vecchiacci che la guardano come se volessero farle fare la danza dei Sette Veli. E Teddy non se ne accorge neanche. Una noia mortale.
Suo padre doveva essere già informato, perché le lanciò un’occhiata di avvertimento.
Che ovviamente, sentendosi l’adolescenza fuoriuscire dalle vene, disattese.
“Io non ci vengo.” Esordì a viso aperto.
“Dominique.” Replicò sua madre. “Posso sapere almeno il perché?”
“Perché non mi faccio due boccini così per un’intera serata. A queste cene è un miracolo se si arriva alla fine senza affogarsi nella vasca del punch.” Spiegò serenamente mentre Louis rideva nascondendo il viso tra le mani e suo padre aveva un leggero spasmo ilare alla mascella. Sentì una risata trattenuta persino dalle parti di sua sorella. Solo Ted fissava il piatto con l’aria di chi voleva trovarsi da tutt’altra parte.
So che non ti diverti, Dominique. Non si diverte nessuno a questo genere di eventi.” Sua madre era una maestra nel controllo della propria esasperazione. “È un favore quello che vi chiedo.”

E via con i sensi di colpa. Dominique li percepiva, com’era ovvio, ma l’idea di doversi stringere in un corpetto le faceva venir voglia di sfondare una finestra per scappare nei boschi.
Forse Piggie un po’ ha ragione. Dev’essere il mio lato selvatico-Veela. O forse qualcosa preso da papà, visto che è un proto-licantropo…
Piggie: quella sì che era una tipa da eventi del genere.
Probabilmente si emozionerebbe tutta all’idea di indossare un vestito color rosa polvere e stringere le mani a funzionari leccaculo.
Piggie: la ragazza che da sei mesi le sfuggiva come se avesse una muta di Crup inferociti alle calcagna. Non che avesse smesso di guardarla male. Quello continuava a farlo. Ma da lontano.
Dominique non era così stordita da non capire perché lo stesse facendo: ma le sembrava inutilmente melodrammatica.
… come sua madre, che in quel momento la guardava con lo sguardo accigliato delle grandi occasioni.
“Sarà solo per una serata. Ti prego, non mettermi in difficoltà.”
Dominique capitolò, come del resto faceva ogni volta; sua madre aveva un lavoro stressante, importante e suo glielo ricordò con un’occhiata: dopotutto il loro sostegno è l’unica cosa che chiedeva sua madre.

Beh… io userei il verbo pretendere. Ma comunque.
“Va bene, vengo.” Fece una pausa. “Ma ci andrò…” Gongolò vedendo che tutti attendevano con il fiato sospeso la fine della frase. “… nuda!”
 
… naturalmente al ricevimento non ci andò nuda.
Ci andò invece con un vestito scelto appositamente da sua sorella. Color giallo pastello.
Al momento aveva solo voglia di strapparsi i vestiti di dosso, correre nuda e gettarsi nella vasca del punch. Era già passata un’ora, ma gliene restavano il doppio. Come minimo.
Sua cugina Rose era convinta che incubasse da anni il gene della follia.
Se non me ne vado di qui, stasera si scatenerà in tutta la sua folle magnificenza.
Lanciò un’occhiata a sua sorella, che le sorrise incoraggiante. Trattenne un ghignetto ai capelli color melanzana di Ted coordinati volutamente al suo sfarzoso abito da cerimonia.
Sanno tutti che li odia…
Gli unici due che sembravano perfettamente a suo agio erano suo fratello, che puntava il tavolo delle cibarie come qualsiasi bambino e suo padre, che esibiva la solita aria di maschia calma.
E naturalmente sua madre, la Prèmiere dame della serata che, appena calcato il piede sul tappeto rosso della sala, si era impadronita dell’intero ambiente. Persino il Ministro sembrava passare in secondo piano in sua presenza.
Cheeeee palleeee…
Victoire le si avvicinò, toccandole il gomito. “Cerca di fare la brava.” La esortò.
Uh, la raccomandazione della mia vita.
“Cosa ci guadagno?” Replicò fissando con astio gli stivaletti che l’altra le aveva fatto indossare a forza.
Sapeva di essere figa: non facevano che ripeterglielo a scuola, oltre ad essere una consapevolezza interiore. Ma con un vestito svolazzante e degli stivaletti di camoscio morbido…
… si sentiva un idiota.
“Lo facciamo per maman. Non pensare che mi stia divertendo…”
“Balle. A te piace ‘sta roba.” Le ritorse contro. Victoire sin da bambina era stata la principessa delle lunghe serate pubbliche britanniche.

Io quella che si nascondeva sotto i tavoli con Jamie e Freddy.
“Solo quando ci sono persone che hanno ancora tutti i capelli in testa.” Replicò Vic sorridendo amabile ad un vecchio membro del Consiglio Legislativo. Dominique sghignazzò, accettando la diversione.
“Vic… vuoi che ti vada a prendere qualcosa dal tavolo delle bevande?” Tentò Teddy con aria infelice.
Vic gli baciò la guancia distratta. “Certo tesoro. E porta con te Lou, ti spiace?”
Quando Ted si fu allontanato con un entusiasta Louis alla mano, Dominique fece una panoramica della grande sala addobbata. I suoi genitori erano impegnati in una conversazione con  Signor Vattelappesca Pezzo grosso.

Eccellente…   
Doveva solo liberarsi di Vicky, poi sarebbe stata libera di nascondersi fino alla fine della serata.
“Non provarci.” Sillabò questa, intuendo i suoi pensieri. Non per niente, era stata una Corvonero.
“Provare a far cosa? Devo solo andare in bagno.”
“Bugiarda.”
“No, è vero! Non mi sono lavata i denti. Potrei rischiare di sputare pezzi di cibo in faccia…” Si fermò, perché l’altra aveva già raggiunto la soglia limite del coppino feroce.

“Morgana, dammi la forza…” Inspirò infatti. “Va bene, vai. Ma torna. Subito. Se maman scopre che ti sei imboscata come l’ultima volta…”
“Suvvia sorella, ormai ho quindici anni! Non lo farei mai.” Mentì con disinvoltura, prima di virare verso l’uscita.
Non fu facile raggiungere un punto deserto, dato che la gigantesca villa del Ministro era un dedalo di corridoi dove trotterellavano Elfi domestici ben lieti di indicarle la via del ritorno.
Alla fine riuscì a trovare il giardino.
Libertà!
Amava la sua famiglia, ma non riusciva a sopportare quegli eventi di socializzazione forzata.
Non aveva idea di come i suoi cugini ci riuscissero.
E loro di sicuro stanno messi peggio. In fondo in Francia è tutto in seconda battuta. Ma in Inghilterra…
Era uno dei motivi per cui sua madre aveva accettato senza troppi indugi il posto di assistente personale del Ministro. Allontanarsi da Londra era stata una boccata d’aria fresca. Persino Vic alla fine li aveva raggiunti.
Trovò la fontana centrale, immancabile in ogni giardino da ricconi. Quella aveva Maridi dall’espressione languida scolpiti in nuda pietra, che si abbarbicavano attorno al corpo centrale spruzzando acqua.
Sono piuttosto sicura che i Maridi non abbiano quell’espressione adorante in faccia…
Si tolse gli stupidi stivaletti ed immerse i piedi doloranti nell’acqua gelata.
Mooolto meglio!
Passò un po’ di tempo – parecchio – a sciabordare i piedi nell’acqua quando all’improvviso sentì rumore di tacchi sul selciato.
Si nascose, nel caso in cui Vic fosse venuta a cercarla. Non esattamente: a pochi metri da lei c’era Violet Parkinson-Goyle. Non si era accorta di lei, dato che la fontana la nascondeva.
Sembrava infelice.
Non l’aveva mai vista triste. Sdegnata, sprezzante o gelida, quello sì. Piggie era una maestra nelle smorfie di disappunto.   
A Dominique a volte ricordava un canarino chiuso in gabbia: il suo istinto, appena aperta la porticina, diceva lui di di volare via.
Però è stato in cattività tanto di quel tempo che appena fuori, muore. Non si adatta.  
Piggie era così: la troppa cattività non le avrebbe mai permesso di vivere libera. Ma non essendo un canarino, questo lo sapeva bene.
E così rimane chiusa nella sua bella gabbietta…
Ma l’istinto. L’istinto le faceva lampeggiare a volte nello sguardo qualcosa di doloroso, di frustrato.
Come in quel momento.
La vide scostarsi una ciocca di riccioli dalla pettinatura elaborata e chiudere gli occhi, rilasciando un lieve sospiro.
Dopo un po’ che la osservava, l’altra finalmente si accorse della sua presenza.
 
Quella festa non era diversa dalle altre a cui aveva atteso durante tutta l’estate.
Un copione talmente identico di volta in volta che erano quasi diventate una routine.
Vestirsi bene, pettinarsi tra le mani esperte della sua Elfa, aspettare la carrozza degli Allard, salire sulla carrozza degli Allard con l’aiuto della mano di Mathieu, baciare le guance della madre di Mathieu e quelle  di qualche parente invitato per l’occasione. Stare vicino a sua madre e sorridere, sorridere, sorridere.
L’estate per lei era il periodo peggiore dell’anno. Tornare da sua madre significava essere continuamente messa sotto analisi, pesato in ogni suo gesto. Giudicata.
Sua madre le voleva bene. Era la sua unica figlia, e dopo la morte di suo padre era rimasta sola, con lei di pochi mesi. Si era sacrificata per lei. Non si era mai risposata, per non installare un estraneo nella loro vita. Doveva esserle grata, e lo era. Lo sarebbe sempre stata.
Ma voleva tornare a scuola, dove nessuno era pericoloso quanto Pansy Parkinson, vedova Goyle.
Neppure la Weasley.
Quasi l’avesse chiamata dagli Inferi stessi, Dominique apparve. O meglio, la vide guardarla da oltre l’orribile e pacchiana fontana centrale del giardino.
Aveva i piedi nella vasca, il vestito sollevato fin sopra le ginocchia e i capelli ancora più corti di prima.
Ovviamente sembra una selvaggia.
Si fissarono per un attimo in sbigottito silenzio. O meglio, lei lo fece. La Weasley aveva già cominciato a ghignare. “Buonasera Piggie!” La apostrofò.
Avrebbe voluto affogarla.
Ciao un corno! Hai idea di che razza di fine semestre ho passato per colpa tua?
Era successa quella cosa. Quella cosa di cui non riusciva a capacitarsi.
Naturalmente non l’aveva detto ad anima viva. Era un segreto tremendo che doveva mantenere fino alla tomba. Non riusciva a capacitarsi di aver baciato Dominique Weasley. E non un bacetto a stampo, un momento di follia. Non era stato affatto un momento.
Il solo ricordo le valse una brusca tachicardia.
“Si può sapere cosa ci fai qui?”
“Mia madre è l’assistente del festeggiato. Fleur Weasley?”

Violet inspirò: sapeva bene chi fosse Madame Weasley. Quanto fosse potente, e quanto sua madre la detestasse. Non si era stupita quando l’aveva vista quella sera. Non era la prima volta che la incontrava.
“La conosco. Di solito non si porta dietro tutta la famiglia.” Ribatté in sua difesa.
“Sì, ma stavolta è riuscita a trascinarci tutti.” Si strinse nelle spalle. “Avrai visto mia sorella.”
Violet arrossì: certo che l’aveva vista. Era la ragazza più bella della sala, e Mathieu non le aveva tolto gli occhi di dosso per mezzo secondo.
Lei neppure.
“Perché non sei dentro?”
Dominique la guardò come se avesse appena detto una scemenza. “Secondo te?” Si indicò. “Guarda come sono vestita!”
Violet tentò di trattenere il sorriso divertito che le affiorò alle labbra. “Come si deve, per una volta?”
“No, come una cretina.” Sbuffò, dondolandosi sul bordo. “È già una tortura rimanere dentro questo affare. Figurati rimanerci con tanto di tacchi ad ascoltare qualche vecchia cariatide.”

“Capisco…”
Rimasero in silenzio, mentre Violet si sentiva sempre più a disagio. Quella cosa aleggiava tra di loro, e la irritava il fatto che l’altra sembrasse non rendersene conto.

Il giorno dopo mi ha salutato come se niente fosse successo! È successo invece!
Era riuscita anche a smettere di pensarci in quei mesi estivi. Dominique era tornata un puntino ininfluente nella linea che era la sua vita. Ma di notte, a difese abbassate, le cose non restavano le stesse.
Sognava altri baci, baci che non erano di Mathieu. Non erano direttamente di un ragazzo.
Aveva cercato di convincersi che quella sua fissazione fosse dovuta all’androginia di Dominique. Dopotutto aveva i capelli corti e l’aria dinoccolata di un ragazzo, no?
Certo. Con molta fantasia, al buio e con una benda sugli occhi posso anche pensarlo…
In quel momento ricordò il seno piccolo dell’altra che le premeva sul petto e le sue dita che giocavano con la stretta treccia che usava a scuola.
Ispirò bruscamente, distogliendo lo sguardo.
 
Dominique ricordò com’era stato il bacio con Violet nel momento in cui la vide arrossire.
Era stato un bel bacio. Non che avesse molta esperienza, ma sentiva che era stato così.
Non aveva mai pensato a baciare nessuno prima di quel momento nella foresta. Ma poi le era venuto in mente, di colpo e aveva pensato, ‘perché no?’.
Certo, avrei dovuto chiedermi anche ‘perché sì?’. Ma al diavolo.
Ormai era andata. E le era piaciuto. Era piaciuto ad entrambe, visto la risposta dell’altra.
Quindi non poteva essere stato sbagliato.
E lo pensava anche adesso, guardandola tormentarsi la ciocca arricciata di capelli.
“Non ho voglia di rientrare.” Le disse. “Mi fai compagnia?”
Violet avvampò peggio di prima. “N-no.” Borbottò, facendo persino un passo indietro. “Devo andare. Ero solo venuta a prendere una boccata d’aria.”
“Perché mi eviti?” Beh, visto che erano lì entrambe e per la prima volta dopo mesi Piggie le rivolgeva la parola, tanto valeva capire cosa diavolo le stesse prendendo.

“Non ti…” Fece una pausa. “Tu non…” Inspirò. “Tu non capisci proprio, vero?”
 
Era ovvio che non capisse. Era una sottospecie di selvaggia cresciuta nei boschi. Parentele notevoli a parte. Forse neanche ci arrivava.
“Devo andare. Mathieu e mia madre si staranno chiedendo dove sono.” Ripeté, e fece per andarsene. Naturalmente l’altra fu più svelta di lei e la acchiappò per un braccio.
“Abbiamo un problema?” Le chiese. “Io e te intendo.”
“No!” Esclamò con più forza di quanto fosse educato. “Cioè… sì!”
Dominique inarcò le sopracciglia divertita. “Sì o no?”
“Dannazione, Weasley!” Sbottò sentendo la collera aumentare assieme ai battiti del cuore. “Certo che abbiamo un problema! Tu mi hai…” Non riuscì a dirlo. Ammetterlo ad alta voce era diverso dal ripeterselo nel cuore della notte.

“Baciata.” Terminò per lei. “E allora?”
L’avrebbe affogata. Seriamente, avrebbe preso quella testa platinata e…

La cosa peggiore era la sua aria tranquilla. Come se non fosse stato niente.
“Per te baciare ragazze è normale? Cosa da tutti i giorni?” Cercò di indagare. Doveva sapere.
Non che cambierebbe nulla. Ma perlomeno mi servirebbe ad accantonare tutta questa storia.  
“No.” Si risedette sul bordo della vasca, ma stavolta nella sua direzione. “A parte te non ho mai baciato nessuno.”
 
Ecco cosa ci si guadagnava ad essere sinceri. Violet la stava guardando quasi avesse detto una cosa priva di senso.
“E perché hai baciato me?”
Ah, la teoria del Primo Bacio. Dominique sapeva che per certe ragazze era importante. Non per lei.

Dopotutto c’è sempre un inizio, no? Per me è più importante la fine.
Tipo, chi bacerai per il resto della tua vita. Non che mi interessi, ma credo sia più importante questo.
Violet aveva un’aria strana in quel momento. Non sembrava più arrabbiata, sembrava invece aspettarsi qualcosa. Aveva persino abbandonato quella posa da sto-per-tirarti-un-pugno-non-ti-avvicinare che aveva sempre in sua presenza. 
Dominique pensò che adesso avrebbe potuto avvicinarsi e toccarla, ma non lo fece. Perché non sapeva cosa stava succedendo per la prima volta in vita sua.
“Forse…” Esitò l’altra, umettandosi le labbra. Dom ricordò che erano morbide, e sapevano di frutta. Anche i suoi capelli profumavano di qualche balsamo a lunga durata, roba da purosangue che compravano solo in botteghe specializzate. “… forse ti piaccio?”
Batté le palpebre. Era quello, dunque?
Non aveva mai pensato che Piggie le piacesse. Certo, le piaceva stuzzicarla e farla arrabbiare. E sì, le dispiaceva che avesse un fidanzato stronzo. E quando l’aveva guardata giocare con gli unicorni aveva pensato che fosse molto più carina con quell’espressione gentile e sorridente.
Ma non voleva poi dire molto. Supponeva.
“No, non credo.” Rispose infatti. “L’ho fatto perché mi andava.”
Dominique era davvero convinta che la sincerità pagasse. Non era colpa sua se gli altri la pensavano in modo diverso. Vic diceva sempre che fosse troppo brutale. Che non riuscisse ad empatizzare.

Doveva essere vero, perché Violet la guardò come se le avesse tirato uno schiaffo.
Ti odio!” Le urlò in faccia, di colpo e ad un volume che non aveva usato neanche nelle liti più furiose con le sue amichette fotocopia. “Ti odio, Merlino, ti odio così tanto Weasley!”
“Woh, calmati! Cosa…” Voleva fermarla, ma le sembrava inutile come tentare di frenare una slavina con le mani. Impossibile.
“Perché mi hai baciata?! Perché hai fatto una cosa del genere!?” Continuava ad urlarle, serrando i pugni, mentre gli occhi scuri le si allargavano, inghiottendo l’iride nella pupilla.
Fermare una slavina con le mani… anche pericoloso.
“Non avresti dovuto, non avevi il diritto di avvicinarti a me!”
Quella doveva essere la vera Violet. Non la bambolina composta che vedeva tutti i giorni a Beaux-Batons.
Quella e la ragazza che sorrideva agli unicorni.
Dominique capì d’improvviso perché l’aveva baciata. 
Le si avvicinò e l’altra immediatamente fece un passo indietro. “Non ti azzardare!”
“Non sto facendo niente.”

“Non osare toccarmi!”
“E invece voglio farlo.” Mai fare movimenti bruschi, era quello il segreto della vita. Tese la mano e solo quando si rese conto che Violet non si sarebbe scostata, gliela fece scivolare sulla spalla.
“No…” Sussurrò con la voce che le tremava. “Non farlo…”
 
“Violet, cosa stai facendo?”

Vide l’altra immobilizzarsi come se le fosse stato appena fatto un incantesimo di pastoia.

Dietro di loro c’era una donna, avvolta in un vestito nero e sontuoso. I lineamenti anglosassoni, duri e appesantiti erano pura superbia. Ma Dominique riconobbe gli occhi: erano gli stessi di Violet, grandi e scuri, sebbene non accesi dalla stessa scintilla espressiva. Sembravano invece due pezzi di vetro.
“Io… niente mamma.” Violet sembrò sgonfiarsi come un palloncino. Chinò la testa e si morse le labbra, facendo un immediato passo indietro.
La terribile vedova Parkinson-Goyle.
Ne aveva sentito parlare dai suoi amici, Mael in testa, che le aveva assicurato fosse un autentico spauracchio della società francese.
Adesso capiva perché Violet ne fosse così succube. Quella donna riusciva a mettere a disagio persino lei.
“Lo spero. Non abbiamo tempo da perdere con persone del genere…”  
“Ehi! Persone come?” Non riusciva a rimanere in silenzio quando percepiva un’offesa. Era il suo sangue anglosassone, secondo sua madre.
La strega la trafisse con un’occhiata. Una coltellata. Dominique sapeva che anche lei doveva essere stata una quindicenne, come loro. Eppure…
“Mia figlia non perde tempo con gli animali.” Stillò dalle labbra, come un serpente avrebbe sgocciolato veleno. “Andiamo tesoro. I nostri amici si stanno chiedendo dove tu sia finita.”
Violet seguì la madre senza guardarsi indietro neppure una volta.
 
 
Due giorni dopo…
 
Victoire sarebbe dovuta partire alla volta del Belgio, per una breve fuga romantica con il proprio fidanzato, che aveva organizzato tutto per farsi perdonare della scarsa performance sociale al compleanno del Ministro.
Ma non era ancora partita.
Il motivo era uno solo, e si chiamava Dominique.
La sua sorellina quindicenne era un concentrato di scarsa empatia, incapacità di valutare il pericolo e autogenerante ironia. Separatamente, erano difetti micidiali. Concentrati davano… Domi.
Victoire sapeva che se non avesse condiviso nome e geni probabilmente l’avrebbe messa all’angolo della sua visuale e lì dimenticata.
Ma essendo sua sorella, era suo preciso dovere preoccuparsi.
Specialmente quando per due giorni si rifiuta di uscire da camera sua e persino di accudire quel suo maledetto serraglio di creature magiche …
I suoi genitori erano perplessi, Louis girava per la casa come un’anima in pena.
Vic sapeva di dover far qualcosa. Quindi disincantò la serratura della porta ed entrò.
Dominique era stesa sul letto e fissava il nulla cosmico. Primo sintomo inquietante: l’inattività non era parte del suo corredo genetico. Un loro parente babbano, medico, quando l’aveva conosciuta aveva ventilato l’ipotesi soffrisse di disturbi dell’attenzione.
Il secondo sintomo inquietante era la presenza di musica. Dominique aveva la sensibilità artistica di un fondo di calderone e non distingueva un jingle pubblicitario da una ballata sentimentale.  
Il caos nella camera e i vestiti buttati ovunque senza nessun criterio invece erano perfettamente normali.
“Domi?” Chiamò tranquillamente.
“Ohi V.” La apostrofò lanciandole un’occhiata. “La porta non era chiusa?”
Era.” Convenne con un sorriso, dandole una pacchetta sul ginocchio per farla spostare. Con uno sbuffo l’altra obbedì, semi rotolando dall’altra parte del letto.  

Dominique era la persona più equilibrata che conoscesse: non soffriva dei tipici complessi adolescenziali sul proprio aspetto fisico – lì non avrebbe comunque potuto – o sulla sua inadeguatezza sociale. Dominique era fiera di essere com’era. Si adorava, ma senza esagerare. Se aveva un difetto, ci rideva su.
In quel momento invece sembrava l’avesse investita un camion di pare adolescenziali, dall’espressione.
È colpa della festa? Forse ho esagerato ad usare l’incantesimo di Pastoia per infilarle scarpe e vestito…
“Che ti succede?” Le chiese: con lei bisognava sempre esser diretti. Girare attorno al problema la confondeva e basta.
“Uhm.” Emise. “Vic… come si capisce che ti piace qualcuno?”
Victoire dopo l’iniziale meraviglia, sorrise sollevata: dunque era quello. Semplici problemi sentimentali.
Era ora. Mi chiedevo se non avrebbe fatto la fine di zio Charlie, sposato ai suoi draghi.
“Beh, prima di tutto se si pensa a questa persona più del normale… e poi…” Diete un’occhiata all’impianto stereo. Non era settato sull’opzione radio. C’era dentro un cd.
 
She screams in silence
a sullen riot penetrating through her mind
Waiting for a sign
To smash the silence with the brick of self-control
 
“È un mix che mi ha fatto Gogo ere fa.” Spiegò alla sua espressione. “E poi?” La riportò sul discorso.
Victoire le tirò una ciocca di capelli che si ergeva più dritta delle altre. “E poi tutte le canzoni d’amore improvvisamente hanno senso³.”
Dominique spalancò appena la bocca. “Ah.” Disse, aggrottando le sopracciglia. “Questo è un po’ vero.”
Victoire la guardò divertita. Era raro vedere sua sorella con quell’espressione pensierosa sul viso.
“Chi è?”
“Si chiama Violet.”
Seguì un lungo silenzio imbarazzante. Da parte sua, che Dominique invece la fissava incuriosita.

“… Violet è un nome da ragazza.” Mormorò, cercando di capire se avesse capito bene.
“Sì, lo so.” Annuì.
“Domi, ti piacciono le ragazze?”
La quindicenne si strinse nelle spalle, tirandosi su e incrociando le gambe. “Non lo so. Non so neanche se mi piace sul serio lei.”
“Beh, immagino dovresti… parlarle.”
“Vale averla baciata?”
Victoire per un folle momento ebbe il desiderio, decisamente non nella sua indole, di infilarsi le mani nei capelli. Ma Dominique era sempre stata così: prima agiva, poi notificava.

“Immagino…” Esordì controllando il tono di voce e cercando di non mettersi a ridere istericamente. “… immagino di sì. E a lei? Tu piaci?”
“Sì, credo di sì.” Stranamente lo sguardo della sorella si adombrò di colpo. “Ma è questo che non mi piace.”
Victoire la fissò confusa. Okay, adesso aveva perso la presa sul filo del discorso. “Non ti piace che a lei tu piaccia?”
“No,” Scosse la testa. Prese a mordicchiarsi un’unghia. “Vabbeh, te lo dico” Sbottò alla fine.

 
Sua sorella sembrava sempre una specie di principessina snob, ma la realtà era che non scorreva solo sangue Delacour dentro quella graziosa personcina.
“Quella vecchia, grassa vacca ti ha detto cosa?!” Urlò saltando in piedi come una molla. Una molla comunque molto aggraziata.  
Secondo me Teddy dovrebbe aver paura per le sue palle.
“Senti, non è così grave…” Tentò, ma sua sorella non sembrò neanche ascoltarla.
“Dovrebbe stare ad Azkaban invece di infestare per i salotti bene della nostra Francia!” Ruggì, cominciando a fare avanti e indietro sul pavimento. “Ha osato dire a mia sorella … ha osato offenderci tutti quando quella famiglia è marcia fino al midollo!”
“Vicky?” Tentò di nuovo, sentendosi sollevata. Era sempre divertente vedere sua sorella in modalità berserker. “Dai, non è come se mi avesse maledetto.”
“Avrebbe potuto. Quella troia mangiamorte.” Sibilò con grazia, al di là del vocabolario. “… se maman sapesse…”
“No!” Esclamò di colpo. “Maman non saprà un tubo! Se la mettiamo in mezzo ci scappa un casino di proporzioni epiche!”

“Non sarebbe poi così brutta come soluzione. Certa feccia non dovrebbe avere il coraggio di alzare la testa in quel modo, insultando te, poi.”
Dominique si morse le labbra. Okay, le faceva piacere che la sua di solito altezzosa sorella sbraitasse in sua difesa. Però c’era il fatto Violet: sapeva della sua famiglia. A scuola lo sapevano tutti.

E penso che sia così stronza anche per pararsi le spalle dagli stronzi.
“Così però ci rimette Pi… Violet, e non è giusto. Non è mica colpa sua, se i suoi genitori fanno schifo. Mica li ha scelti.” Obbiettò ragionevole. Poteva non capire cosa accidenti provasse per Piggie, ma di sicuro non voleva metterla nei guai quando il massimo che aveva fatto era stato darle una volta della sporca mezzosangue quando avevano undici anni.
Con una madre del genere, è un miracolo che non mi ci chiami in continuazione.
Victoire le lanciò un’occhiata, poi sbuffò, sedendosi di nuovo sul ciglio del letto. “Hai ragione.” Un’altra occhiata, strana stavolta. “Ascolta… con te non funziona proibirti qualcosa. Però davvero, dovresti lasciar perdere quella ragazza. Sua madre è peggio di un Lethifold. Non voglio che tu rimanga ferita.”
“Ferita?” Sbuffò incredula. “Non è come se potesse lanciarmi una maledizione!”
Victoire le accarezzò inaspettatamente la guancia. “Non parlavo di ferite fisiche. Sei tosta, Domi. Ma guarda una mezza parola come ti ha fatto sentire per due giorni.”

Dominique si trovò a corto di obiezioni. Perché era vero. Violet le dava in continuazione della selvaggia e della zotica, ma non faceva mai male.  
Ma le parole di Madame Parkison in Goyle…
Fece una smorfia. “Tanto non è come se avessimo un rapporto o che. È stato solo un bacio.”
Pensò all’espressione atterrita e remissiva di Violet. Di come fosse sparita dalla sua testa non appena era arrivata sua madre.
Col cazzo. Io non sono seconda a nessuno.
“È okay. Accetterò il consiglio per stavolta, Vic.” Disse infine.
L’altra le arruffò i capelli. “Ti passerà Domi…” Le assicurò, alzandosi e baciandole la fronte. “Fidati.”
“Massì.” Convenne. “Ora sciò! Non è che puoi entrare nei miei spazi vitali come e per quanto vuoi, sorella.”

Victoire alzò gli occhi al cielo e disse qualcosa su Teddy e la vacanza rimandata per colpa sua che ascoltò a metà.  
La mia soglia di attenzione è già calata. Boom.
Quando Vic se ne fu andata, Dominique rilasciò un lungo sospiro di sollievo: parlare di sentimenti era sfiancante.
Si ributtò sul letto e lanciò un’occhiata allo stereo babbano. Era la prima volta che lo usava.
Sarebbe anche stata l’ultima.   
 
Are you locked up in a world
Thats been planned out for you
Are you feeling like a social tool without an use
Scream at me until my ears bleed, I'm taking heed just for you…
 
Dominique lo spense.
 
 
****
 
Note:


E il Quarto e Quinto sono andati! Rimangono gli ultimi due, e quindi un capitolo. ;D
Qui la prima canzone. Qua la seconda nel testo. Attenti al significato della canzone. Per me è piuttosto adatto a ‘ste due.
1. Bleu: contrazione per bleuets, ovvero fiordalisi in francese.
2. Granian: razza di cavalli alati. Dal manto grigio, hanno la stazza di un cavallo normale. Particolarmente veloci. Qui per maggior informazioni.
3. Citazione da Castle.

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Capitolo 3
*** I Sedici ***





It's time to let you know. Time to sit here and say.
 
I know we are the lucky ones.
(Lucky, Bif Naked)
 

Sesto Anno e la Rivelazione.

 
Violet aveva smesso di pensare a Dominique Weasley.
Sul serio.
Durante il Quinto anno erano successe le tipiche cose che accadevano durante  un anno scolastico. Prove, amiche, il proprio ragazzo. Tutto era ruotato attorno a quel piccolo, grande universo e nulla l’aveva sconvolto. Violet aveva smesso di cercare Dominique tra la folla. Gradualmente, aveva smesso di chiedersi cosa stesse facendo e se gli amici di cui era circondata la facessero ridere come quando era con lei.
L’aveva incontrata, certo. Avevano avuto delle lezioni assieme. Si erano persino salutate qualche volta, incrociandosi sole nei corridoi.
Dominique in quei momenti si limitava ad un mezzo sorriso disimpegnato ed a chiamarla ‘Violet’. Come due estranee: due studentesse di una scuola che si conoscevano, tutto lì. Rapporti civili.
Violet aveva smesso di pensare a Dominique Weasley, perché Dominique Weasley era chiaro non pensasse più a lei. Il suo sguardo le scivolava addosso come se fosse un volto tra la folla.
Aveva intuito che il punto di rottura c’era stato al compleanno del Ministro, quando sua madre si era comportata… come sua madre.  Ma andava bene così, anzi forse era stata la soluzione migliore, a posteriori.
Violet, sedici anni, ad anno iniziato e con una mole di compiti che la seguiva come un cucciolo affamato, aveva di meglio da fare che pensare al bacio scambiato nella radura degli unicorni con la ragazza dai capelli color argento.
Peraltro era stato il primo, ma non l’ultimo con una ragazza; quell’estate, l’estate dei suoi sedici anni, aveva conosciuto Louise, quattro anni più grande di lei, fidanzata con il fratello maggiore di Mathieu. Louise aveva grandi occhi color ametista, il sorriso insinuante, le lentiggini e già il corpo di una donna. Si erano baciate sotto i portici della villa estiva degli Allard, sita in un delizioso paesino della Costa Azzurra abitato solo da maghi, ritrovo per eccellenza della buona società purosangue.
Louise le aveva spiegato com’è che andavano le cose, quando ti piacevano le ragazze ma avevi un fidanzato.
 
“Nessuno ti impedisce di avere un’amica un po’ speciale, Violet. Nessuno. Non siamo come quegli incivili dei babbani, non facciamo caccia alle streghe per chi ci portiamo a letto, vero? Le streghe siamo noi. Basta tenerlo segreto, basta non parlarne. È così per tutti quelli come noi…”
 
Violet aveva compreso. Si erano sorrise e poi c’erano stati altri baci. Avevano nuotato nel lago a mezzanotte, e fatto l’amore sotto le stelle. Era stato bello, ma breve; Louise era tornata a Parigi con il suo fidanzato, e lei era tornata a Beaux-Batons.
Mathieu aveva visto le sue lacrime al commiato, ma non aveva detto nulla. Non pensava neppure gli importasse. Andava a letto con molte ragazze, alcune delle quali ogni mattina, a scuola, le auguravano amichevoli il buongiorno. Quando l’aveva scoperto, Violet non aveva provato nulla. Forse sollievo. Da quando il suo fidanzato la tradiva era meno insistente nel cercare un contatto con lei.
Le loro famiglie già parlavano di matrimonio, finita la scuola. Inizialmente per Mathieu, che si sarebbe diplomato quell’anno, poi sua madre aveva fatto pressioni perché invece si celebrasse dopo il suo, di diploma.
Violet aveva pensato che non faceva poi molta differenza, ma che preferiva non avere un anello d’oro al dito quando ancora ascoltava parlare le amiche del perfetto principe azzurro.
Il perfetto principe azzurro non esisteva; e se fosse esistito, a lei non interessava. Era solo uno stupido costrutto per chi non sapeva. Era chiaro che la faccenda degli ‘amici speciali’ non fosse solo in senso saffico… Louise non l’aveva detto, ma Violet sapeva che i matrimoni purosangue non erano un esempio di luminosa fedeltà. Violet lo sapeva come sapeva che sua madre si vedeva con un uomo, un alto funzionario del Ministero: un giorno Pansy Parkinson-Goyle avrebbe aggiunto un altro cognome alla lista, presentandoglielo come un dato di fatto.
Non ha mai voluto che fossimo solo io e lei.  
 
“Le donne come noi, Violet, non possono permettersi di sbattere semplicemente le ciglia come delle sciocche. Devono calcolare. Come in una partita a scacchi, come in una guerra. Le donne come noi, devono far politica mentre sono in camera da letto. Solo così avremo la posizione che ci spetta per nascita, solo così avremo un marito che ci rispetta, che ci è utile.”
 
Violet era consapevole di non essere bella – che era ciò che le aveva fatto intuire tra le righe sua madre con quel discorsetto. Aveva quel detestabile naso a patata, le ginocchia storte e qualche chilo di troppo. Mathieu Le Beau ci rimetteva più di lei, nel loro futuro matrimonio. Ma, come si vociferava nei salotti, sua madre sarebbe stata capace di vender draghi ai rumeni.
 
“… anche quella ragazzina insignificante di sua figlia. Priva di brio, priva di grazia… Gli Allard hanno proprio fatto un pessimo affare. Oh, ma Madame Pansy com’è furba…”
 
Quando Violet sentiva quelle vecchia dame ingioiellate parlare, aveva voglia di urlare. Aveva voglia di gridare, come aveva gridato contro Dominique. Ma era consapevole che quelle arpie non l’avrebbero guardata con la stessa calma tranquillità della Weasley.
“Violét?” La apostrofò Sophie dandole un colpetto sulla mano. Il professore spiegava Incantesimi e la sua pergamena era bianca. “Stai bene?”
Sophie andava a letto con Mathieu. Ne era abbastanza certa, e la notizia più che farla arrabbiare, l’aveva fatta ridere. Mathieu non era certo un asso a letto, date gli scarsi preamboli di cui la omaggiava. Però era ricco, e faceva bei regali.

Sophie, la gazza ladra… tutto ciò che luccica. Oh, come le piace tutto ciò che luccica.
“Sì, sto bene. Ero distratta.” Rispose, mentre la campana di fine lezione si annunciava prepotente. Radunò le sue cose mentre l’altra le parlava della partita che si sarebbe tenuta quel pomeriggio trai Bleu e le Rose, i due dormitori in cui era divisa la scuola: anche ad Hogwarts si teneva una cosa simile, rifletté distratta, anche se l’agonismo in terra scozzese raggiungeva livelli parossistici.  
Qui nessuno si fila il Quidditch, tranne i ragazzi, qualche ragazze che ha la femminilità media di un Orco e naturalmente…
“Domi, oggi li stracciamo!” Urlò uno dei suoi compagni all’attuale Capitano dei Bleu.
Dominique si era fatta crescere i capelli anche se cocciutamente li radunava in una coda sommaria e da cui sporgevano ciuffi asimmetrici. Comunque stava benissimo. Violet non sapeva se fosse stata una cosa voluta, ma aveva notato che ultimamente i maschi che fino all’anno prima le erano ronzati attorno camerateschi, avevano ridotto le pacche sulle spalle e moltiplicato le occhiate.
Dominique sembrava non accorgersi di nulla e continuava a trattarli come una mandria di grossi Crup amichevoli.
Violet era convinta che prima o poi, uno di quei ragazzi, forse il più intraprendente, forse il meno orribile, sarebbe riuscito a catturare lo sguardo della Weasley.
Non può continuare a comportarsi come un ragazzino di dodici anni per sempre, no?

Dominique le passò accanto, accompagnata dalla solita mezza dozzina di amici e dall’immancabile cugino.
Violet non poté fare a meno di guardarla e anche l’altra ricambiò. Era tutto ciò che era rimasto del loro strano rapporto durato quasi quattro anni: sguardi.
“Violet? Abbiamo la prossima lezione, vuoi arrivare in ritardo?” Era Jenny, che spesso capiva. Non abbastanza, per fortuna, da sapere.
La Weasley distolse lo sguardo, e passò un braccio attorno alle spalle del compagno rumoroso di prima, sghignazzando con lui. Violet prese la borsa e seguì le proprie amiche.
I loro universi si erano soltanto sfiorati. Tutto lì. Dopo essersi sfiorate, le era stato spiegato in Aritmazia, due linee potevano anche separarsi per sempre.
Lei e la Weasley erano quelle due linee.
 
****
 
Dominique amava fare due cose prima di una partita. La prima, non seguire le lezioni; la deconcentravano dal perfetto stato mentale in cui doveva trovarsi una volta scesa in campo.
La seconda, un sonnellino pomeridiano, e se il tempo lo permetteva farlo sotto il grande albero di tiglio vicino ai cancelli della scuola.
Da quell’anno anche il fratellino Louis la accompagnava. In effetti, al momento, se la stava dormendo della grossa appoggiato al tronco secolare.
L’idillio fraterno fu presto rotto.
“Dom?”
Dominique aprì un occhio per controllare chi la chiamasse. Naturalmente era Mael, che si era inginocchiato con un sorriso divertito. “Non avete paura che vi mangino le formiche?” Le chiese.

“Non se sai dove sdraiarti. Che vuoi, ninfetto?” Guardò verso il fratellino. “E fa’ piano, che dorme.”
Il ragazzo gonfiò le guance all’offesa, che poi tale non era. “Intercessione.” Si sedette accanto a lei, dando un’occhiata analitica al terreno e una distratta al bambino dormiente. “Nicolas, lo sai.”
Dominique alzò gli occhi al cielo: Nicolas era il secondo cacciatore dei Bleu. Un buon amico, un eccellente sportivo e un leale vice-capitano. Secondo le ragazze, era anche un bel tipo. Aveva un bel naso, sempre secondo il parere femminile del gruppo.

Dominique si chiedeva spesso come un naso potesse essere bello.
“Senti, perché non me lo dice di persona che vuole andare alla festa del dopopartita con me?”
“Gli diresti di sì?” chiese speranzoso Mael, che del ragazzo era buon amico.
“No.”
Mael emise un lamento, prendendosi teatralmente la testa tra le mani. “Qual è il tuo problema, Domi? Mi hai detto neanche due settimane fa che ti piaceva! Gliel’hai anche detto, in faccia!”
“Mi piace, sì.” Confermò. “Come amico.” Si frenò dal ridere vedendo l’espressione esasperata del cugino. “Che c’è? Dico solo la verità… mi dispiace, ma non riuscirei a vederlo come potenziale… err.”
Ragazzo.” Sbottò truce l’altro. “Santo cielo, sei una delle ragazze più belle, anche se…” E qui lanciò un’occhiata aspra ai suoi jeans. “Insomma, sei bella! È universalmente risaputo!”

“Beh, grazie. Lo so anch’io.”
“Allora perché non ti trovi un ragazzo!?”
Dominique gli diede un calcetto, indicando Louis che fece un lieve sospiro soddisfatto, continuando a sonnecchiare ai tiepidi raggi del sole autunnale.

“Perché non me ne frega un tubo.” Dichiarò solenne. I ragazzi le piacevano, ma come amici. Si trovava più a suo agio con loro che con, ad esempio, il prototipo delle amichette fotocopia di Piggie.  
Ma questo non significa che voglia farmi infilare la lingua in bocca e tastare il sedere da uno di loro.
Cioè, so che c’è dell’altro. Romanticherie, tramonti e promesse d’amore.
Non mi interessa manco quello.
Se un ragazzo le faceva un complimento le veniva solo da ridere.
Mael fece una smorfia scornata, prendendo a strappare fili d’erba forse per evitare di strappare i capelli a lei. Da bambino aveva quel vizio durante le liti. “Quando crescerai Domi?” Esordì. “ Non è tutto Quidditch, Arod e le tue vacanze in Romania. Potresti avere tutti i ragazzi che vuoi… e non ti dico tu ti debba innamorare, ma che ne so, fare esperienza?”
“Perché?”
“Perché non è normale che tu ti comporti così!” Sbottò di colpo. Dominique ammutolì. Sapeva che il cugino era un ansioso patologico, e che vedeva problemi quando spesso in realtà non c’erano.

Però a ben pensarci… del mio gruppo son l’unica che non si è ancora trovata nessuno con cui pomiciare tra una lezione e l’altra.
Dava da pensare, in effetti.
“I ragazzi non sono amici con cui giocare… capisci? Non puoi abbracciarli e trattarli come… non so, cuccioli! Ormoni, ne hai mai sentito parlare?” Aggiunse. “Possibile che non ti piaccia nessuno?”
Dominique avrebbe voluto tappare la bocca all’ansiogeno cugino visto che quando ci si metteva era davvero urtante. Ma non sapeva bene come: su quel lato le cose erano nebulose anche per lei.

Sua sorella le dava palesemente della tarda. In realtà era più una questione di priorità: per lei era più importante godersi la vita, non avere problemi e cercare di passare più giorni estivi possibili in Romania.
 “Non è che ti piacciono le ragazze?” Quella era la seconda domanda più quotata presso i più ficcanaso dei suoi amici. E la risposta era sempre la stessa.
“Non penso proprio.”
Ed era vero. Le ragazze che conosceva, anche quelle del suo gruppo, le trovava noiose da morire. Non avevano gli stessi interessi, non sapeva mai di cosa parlarci e finiva sempre che la fissavano in modo strano. Le sue cugine erano le uniche che fossero abituate al suo modo di fare visto - eufemisticamente secondo Rose – come rude.

L’unica persona che un po’, forse, m’è piaciuta…
Accantonò quel pensiero: si era ripromessa che non ci avrebbe più pensato.
E Dominique Weasley mantiene sempre fede ai suoi propositi.

“Se vado alla festa con Nicolas, chiudi il becco?” Chiese spazientita. Voleva farsi la sua oretta di sonno ristoratore e poi andare a mandare in rete la loro sicura vittoria.
Il cugino scrollò le spalle. “Non è che devi fare un favore a me. Se non vuoi andarci, è meglio che non lo illudi. È pazzo di te.”
Già, ma non io di lui…

Sembrava che per tutto il resto del mondo fosse shockante la sua mancanza di interesse per le faccende amorose.  Che poi non che fosse del tutto vero: aveva baciato una ragazza e le era piaciuto. Ma dopo Violet, non aveva provato la stessa divorante curiosità per nessun’altra.
E Piggie è ormai in odor di fiori d’arancio con Allard, no?
Si alzò in piedi di fronte all’aria perplessa di Mael e si caricò sulle spalle il fratellino senza che ci fosse alcun cambiamento nel ritmo del sonno.
Beato lui. Vorrei tornare anch’io ad avere undici anni. Non avevo amici così rompipalle, allora.
“Dove vai?” Le chiese Mael, con aria confusa. “Pensavo dovessi fare il tuo sonnellino.”
“No, sai…” Si aggiustò meglio Louis sulle spalle e ghignò. “Qua è pieno di formiche.”

Le urla di suo cugino si sentirono fino al palazzo.
 
****
 
Dominique non amava tutta la sua squadra.
Sapeva che non era giusto, che dovevano essere tutti uniti.
Funzionava per un branco, funzionava per gli esseri umani, che avessero sangue magico o meno.
Dominique adorava i suoi ragazzi, ma detestava Mathieu Allard.
Non soltanto perché era un tronfio deficiente, che passava metà del tempo ad accarezzarsi i muscoli e l’altra metà, probabilmente, questo non poteva saperlo, a misurarsi l’uccello e pretendere di essere il vincitore assoluto.
Dominique lo detestava proprio per chi era. Detestava Mathieu Allard perché sì.
Un giorno quel boccino glielo ficco su per il…
“Nicky?” La richiamò la seconda battitrice, una basca dalla mira micidiale. “Sei pronta?” Si assicurò la mazza alla cintura con un movimento deciso. “Intanto usciamo… lo sai che i ragazzi ci mettono anni.”
“Pronta, arrivo!” Replicò stringendo i legacci dei gambali e mettendosi la scopa sulle spalle.
Lo spogliatoio delle ragazze – ovvero solo lei e Amaya, anche se nelle partite minori giocavano due piccole ma agguerrite riserve del Secondo anno  - era l’ex-spogliatoio dei ragazzi, ceduto dai suddetti con la graziosa intercessione della Preside.
Poveracci. Sono costretti a cambiarsi nello sgabuzzino con un incantesimo di estensione irriconoscibile.
Amaya si avvicinò alla porta. “Che dici, andiamo ad infastidirli come l’ultima volta?” Ghignò.
Dominique fece un sorrisetto di rimando. L’ultima volta erano tutti scappati strillando come delle ragazzine, nudi in più gradi di imbarazzo. Era stato divertente.
Anche se Amaya secondo me non l’ha fatto proprio per farsi due risate…
“Nah, aspettiamoli. Se li agitiamo prima della partita capace che neanche riescono a salire sulla scopa.” Replicò, ignorando l’espressione delusa dell’altra.
La porta era però di legno sottile e da fuori si sentiva tutto. Dominique notò che la voce di Mathieu sovrastava le altre. Stavano ridendo.  
“Insomma, stasera è obbligatorio darci dentro, segaioli!” Fuori dai contesti formali, il pupillo degli Allard non era esattamente una bocca di rosa. “Chi non si trova una femmina, è un pallemosce!”
“Grazie tante, Mat!” Replicò il Portiere, famoso per l’acne da cui era afflitto, talmente tenace che neanche la più potente delle pozioni Antiforuncoli ne aveva avuto ragione. “Tu ce l’hai già la ragazza! Sei pure fidanzato!”

“Sì, anche se a volte si confonde e imbocca la camera sbagliata!” Seguirono qualche sghignazzo.
E nessuna smentita.
Dominique corrugò le sopracciglia. I sottointesi da spogliatoio non erano mai sottointesi. “Allard mette le corna alla Parkinson?” Chiese ad Amaya.
La ragazza la scrutò perplessa. “Guarda che lo sanno tutti… si fa metà dormitorio femminile delle Rose. Ma dove vivi, Nicky?”
Intanto l’esplosione di virilità dietro la porta continuava.
“Okay che la Parkinson non è una bellezza, amico…” Soggiunse il Portiere. “Ma davvero voi purosangue aspettate il matrimonio per impalmarvi la fidanzata?”  
“Magari non si aspetta così tanto… magari stasera le servo il piatto Allard al gran completo. Vedrete domani che bel sorriso.” Replicò e poi ci furono nuovi sghignazzi.
Amaya fece una smorfia. “Scimmioni.” Commentò poco turbata. “Direi che mi dispiace per la Parkinson, ma è talmente stronza che se li merita dei discorsi da spogliatoio così.”
Dominique non disse nulla: non capiva bene perché sentisse l’urgenza di entrare nello spogliatoio e trasformare Allard in un gigantesco, bavoso lumacone.
Non che io e Violet abbiamo più molto in comune… mai avuto, a dirla tutta. E poi, se vuole stare con un bastardo del genere, son fatti suoi.
Sentirono poi la porta aprirsi. Il primo ad uscire fu proprio Allard, che servì loro un sorrisetto.
“Oggi vediamo di spaccare il culo a quelle mezze seghe delle Rose, eh Capitaine?”
Dominique replicò il sorriso. “Puoi contarci, Allard.”
Lavoro di squadra. Lavoro di squadra.

Dominique scoprì alla veneranda età di sedici anni che non era sempre possibile convincersi delle cose solo ripetendosele.
 
****
 
I Bleu avevano vinto centocinquanta a centotrenta, e non per merito della Weasley.
Violet non capiva molto di Quidditch, aveva solo delle nozioni di base, apprese da Mathieu che invece ne era un patito… o ascoltando le chiacchiere rumorose della Weasley e dei suoi amici durante le lezioni o quando si sedevano vicino a lei in refettorio, durante i pasti.
Sapeva che il Cercatore – Mathieu – era un pezzo fondamentale della squadra. Quella che solitamente la portava alla vittoria: perlomeno così diceva lui.
La realtà che aveva più o meno intellegito dalle partite intra-scolastiche era un filino diversa: era Dominique che teneva i punteggi della squadra alti, assieme all’altro Cacciatore, Simon. Mathieu prendeva il boccino solo a fine partita, quando era ovvio e comprovato che la squadra avrebbe vinto.
Mathieu era un ragazzo dalla vittoria facile: prendersi la gloria era molto più semplice se i Cacciatori erano bravi.
Violet più o meno aveva capito questo, ma quel giorno la partita era andata in modo diverso.
Dominique aveva fatto pena: non aveva intercettato un passaggio ed era stata quasi disarcionata da un bolide. Violet non aveva idea di cosa significasse ‘volare come un giocatore dei Chudleys’ ma l’aveva sentito dire ad un addolorato Louis Weasley, mentre guardava la sorella quasi l’avesse tradito.
Ad intuito, non le era sembrato un complimento.
Violet aveva visto tutta la partita – faceva parte dei suoi doveri di fidanzata – e in effetti aveva notato come il gioco di Dominique quel giorno fosse stato scarso.
Per questo motivo, Mathieu aveva dovuto muovere il culo per una volta, ed ingaggiare un testa a testa furioso con il Cercatore dell’altra squadra. Era riuscito a strappargli il boccino da sotto il naso e la partita era stata vinta per puro rotto della cuffia.
Che diavolo le è preso? Quando gioca di solito si trasforma in una persona seria.  
Non aveva avuto molto tempo per rifletterci, perché appena scesa dagli spalti era dovuta andare incontro a Mathieu e seguirlo nel suo codazzo di gloria, portato a braccia dalla squadra festante.
Beninteso: tutta la squadra meno Weasley.
Adesso si trovava nella Sala Principale, a festa iniziata. Come invitata speciale, come annoiata particolare. Mal sopportava quel genere di chiassosa manifestazione di virilità da parte dei ragazzi e di compiaciuta civetteria da parte delle sue amiche.
Chissà se ad Hogwarts quando una delle loro Case vince è così…
Già scorrevano fiumi di Vino Elfico importato dalle Ardenne, e il refettorio era pieno di musica: le vittorie scolastiche erano l’unica manifestazione di natura non-ufficiale che la Preside permettesse.
Violet aveva indossato il suo vestito migliore e si era truccata. Un evento sociale in ogni caso era un evento sociale.
Prese un calice e lo sorseggiò. Fece una smorfia: l’alcolico era ovviamente allungato.
Dove c’è sangue babbano, ci sono cocktail allungati. È una costante.
Rivolse qualche parola alle amiche, accanto a lei, per quanto la musica lo permettesse. Mathieu era in mezzo alla sua squadra e …
Vide che Sophie era con lui, piena di sorrisetti e tocchi leggeri, amichevoli ma con un sottotesto esplicito per chi sapeva.
E Violet sapeva.
Improvvisamente ebbe voglia di vedere Dominique: non si parlavano da quasi due anni, se non qualche convenevole, ma non era quello il punto. Aveva voglia di vederla tra la folla, quella testa platinata, e sapere che c’era. Sapere che per un momento, per qualcuno aveva significata qualcosa.
Sempre che non si sia semplicemente divertita a sperimentare con te.
Louise la pensava così. E tu quella volta le hai dato ragione, no?
Jenny vedendo la sua espressione e intercettando la sua occhiata in direzione di Mathieu e Sophie, fraintese. “Violet, dovresti davvero fare quattro chiacchiere con Sophie.” Le disse seria. “Non può permettersi di comportarsi così con il tuo fidanzato. In pubblico per giunta!”
Violet batté le palpebre. Sorrise di circostanza, mentre gli occhi continuavano a cercare una persona del tutto diversa. “Non è certo l’unica amichetta di Mathieu. E poi…” Le venne un improvviso desiderio di dire la verità. Di urlarla. “… e poi non me ne importa nulla.”
“Scusa?” Ovviamente Jenny poteva capire, ma non poteva sapere. Non poteva sapere come per Mathieu non avesse un briciolo di stima, o affetto. Non poteva sapere  che nessun ragazzo avrebbe mai rapito il suo cuore. Non poteva sapere che nonostante i giorni passassero e le stagioni si avvicendassero, quella stramaledetta testa matta continuava a danzarle nella visuale. Bastava solo un nuovo accenno, una scintilla, per riaccendere quella cosa.

Qualunque cosa fosse, e Violet davvero, non voleva darle un nome.
“Io …vado.” Disse brusca. Dominique non era lì e lei non voleva restare. Non sarebbe andata a cercarla però, non avrebbe avuto senso: sarebbe andata a letto, dopotutto era già tardi.
“Violet!” La chiamò Jenny, ma non si voltò indietro.
Non riuscì a salire le scale che portavano ai dormitori superiori che si sentì afferrare per un braccio.
Dominique.
Ma non era lei, perché la stretta era forte, troppo. Era Mathieu.
“Ehi, dove vai?” La apostrofò con un sorrisetto confuso. “Non è quella la direzione per il tuo dormitorio.”
“I dormitori sono tutti al piano di sopra.” Replicò infastidita, sentendo una morsa allo stomaco. Davvero, non stava andando a cercare la Weasley anche se stava andando verso la parte destra dell’enorme scalinata di marmo.  

Il suo fidanzato fece una smorfia divertita. Puzzava di Vino Elfico. Tanto Vino Elfico.
L’avranno pure annacquato e speziato per farlo reggere ai Ne-Moldu, ma di sicuro lui ne ha bevuto abbastanza da ovviare al problema.
“Guarda che non sono stupido…” La mano era sempre lì, sul suo polso. “Tu vai a cercare l’unica Bleu che stasera non festeggia.”
Violet sentì il sangue gelarsi nelle vene: come aveva fatto a capire, quell’idiota del suo fidanzato, che …
No, decise, non era possibile che sapesse.

“Sto andando a letto, Mathieu. Cosa che dovresti fare anche tu, viste le tue condizioni. Sei ubriaco.” Replicò freddamente, cercando di liberarsi. Per tutta risposta, l’altro serrò la presa facendole ingoiare un gemito.
“Com’è scopare con una ragazza, quando sei una ragazza?” Ghignò, ignorando il suo consiglio. “Sono sicuro che t’è piaciuto stare tra le gambe di Louise.”
“Non so di cosa stai parlando, e lasciami, mi stai facendo male!” Louise aveva parlato? Non poteva averlo fatto. Eppure non c’era altra spiegazione.  

“Non pensare che Louise sia meglio di me… o Morgana ce ne scampi, che lo sia quel fenomeno da baraccone della Weasley. Con la famiglia che ha, è un miracolo che non ululi sul tetto della scuola.”
Violet si sentì come la sera del compleanno del ministro: umiliata e infuriata. Ma non con Dominique. Quella sera aveva odiato sé stessa.  

“Lasciala fuori.” Sibilò. “Lascia fuori la Weasley dalla nostra situazione. Situazione, poi…” Le venne quasi da ridere. Perché era ridicolo. “È una farsa. Noi siamo una farsa. Se tu vai a letto con le mie amiche, non vedo perché io dovrei darti una spiegazione su cosa faccio!”
Mathieu non diede segno di essere rimasto impressionato dalle parole. Era ubriaco, e quasi certamente capiva metà di ciò che gli aveva detto. In compenso le afferrò l’altro polso, spingendola di colpo contro il muro. “Tu sei la mia fidanzata.” Le mormorò con il viso vicinissimo al suo. Gli tremavano disgustose goccioline di saliva sulle labbra, labbra tanto decantate dall’universo femminile della scuola. “… che ti piaccia o meno, prima o poi dovrai farti toccare da me.”
Violet ebbe paura. Una realizzazione, intempestivamente stupida; Mathieu era più forte di lei, con o senza bacchetta ed erano in un corridoio vuoto, mentre la maggior parte delle persone era lontana, in mezzo al chiasso: nessuno l’avrebbe sentita chiedere aiuto.

“Mathieu… non … non qui, per favore.” Tentò.
“Perché no? Hai scopato la mia cognatina in riva ad un lago, questo in confronto è un lusso.” Replicò velenoso. Allora sì, sapeva, Louise aveva parlato. Forse aveva anche riso, di quella sua risata piena di malizia, quando l’aveva confessato al novello sposo, o chissà, ad un intero consesso di persone.

A Violet venne da piangere. Mathieu le ficcò le mani sotto il vestito, infilandole una gamba tra le sue, forzandola ad aprirle.
Non così. Non così, ti prego Morgana, non così.
Sentendo la bocca umida di Mathieu sul collo realizzò che la loro futura vita matrimoniale sarebbe stata, così. Perché Allard la detestava quanto lei detestava lui, perché erano entrambi intrappolati in un contratto che non avevano scelto, ma che era stato loro imposto.
Tentò di spingerlo via, lo morse, lo graffiò. Doveva farlo, non si sarebbe mai arresa a quello, lei.
Sono Violet Parkinson-Goyle, sono Violet Parkinson-Goyle… sono…
Realizzò di stare singhiozzando quando l’altro le sbatté con forza una mano sulla bocca, togliendole il fiato.
Non voglio. Per favore, non voglio. Sono una persona orribile, lo so, ma non voglio.
Non voglio, per favore…

E poi Mathieu schizzò all’indietro, strappandosi da lei come se fosse stato afferrato da una mano gigante.
… cosa…
Violet ci mise qualche secondo a rendersi conto che era stato un incantesimo a far ruzzolare l’altro dal lato opposto del corridoio.
Individuò immediatamente la bacchetta che l’aveva lanciato. E di chi era.
La Weasley era letteralmente sbucata dal nulla e stava a pochi passi da lei. Notò che indossava ancora il maglione e i pantaloni dell’uniforme da Quidditch.
“Dominique!” Le uscì fuori naturale come respirare. L’altra le lanciò un’occhiata.  
“Non stai bene.” Non le chiese, attestò. Dominique era assurda anche in quello. Poi si voltò verso Mathieu, che nel frattempo si era rialzato, stordito e furioso.
“Weasley!” Ruggì, tentando di riallacciarsi i pantaloni scordinatamente. “Weasley, fatti i cazzi…”
“Non ce l’ho, ma tu sì, e lo stavi decisamente usando nel modo sbagliato.” Lo interruppe. Violet fu quasi intimorita dalla totale mancanza d’espressione sul viso dell’altra che le lanciò poi una seconda occhiata.
Notò i suoi polsi lividi e forse anche il taglio sul labbro. Perlomeno dall’espressione, sembrava. Certo, il corridoio era buio, ma non si sarebbe stupita nello scoprire che la Weasley aveva la vista notturna di un gatto.

“Cos’è, vuoi attaccare briga?” Sbuffò Mathieu. I duelli erano mal tollerati dalla Preside: per eufemizzare.
Se vieni beccato c’è l’espulsione.
 
Dominique intuì che l’altro sottintendeva i duelli proibiti. Ma non gliene fregava nulla.
Di solito aveva un carattere che le impediva di arrabbiarsi con qualcuno. Però c’erano momenti che chiamava Bianco Assoluto.
Momenti in cui era talmente incazzata che il cervello le andava in panne e non riusciva proprio ricordarsi che la sua indole avrebbe dovuto essere pacifica.
Violet era a pochi passi da lei. Sempre dritta come un fuso, ma con il vestito strappato, e graffi… e lividi. E gli occhi enormi, sgranati, spaventati a morte.
Dominique non era riuscita a far presenza alla festa, quella sera. Si era resa conto di aver fatto schifo alla partita –suo fratello gliel’aveva sottolineato con indignazione più volte – e le era sembrato poco serio festeggiare una vittoria a cui non aveva contribuito.
Se alla fine aveva fatto un’improvvisata, era stato solo perché Mael l’aveva trascinata fuori dalla stanza.
Arrivata, aveva passato una manciata di minuti in compagnia della squadra, prima di accorgersi che qualcosa non andava. Non aveva subito capito cosa, poi aveva notato un’assenza. Piggie.
A quelle feste era sempre circondata dalle sue amiche come un castellana con il suo fortino, annoiata e altezzosa, ma c’era sempre. Non quella sera: c’erano le sue amiche, ma non lei.
Aveva chiesto in giro e le era stato risposto che aveva lasciato la festa seguita dal fidanzato.
A quel punto, qualcosa nella sua testa aveva fatto una somma e dato un risultato.
Era andata a cercarla e aveva visto quello.
Con l’ultimo barlume di calma aveva stimato una cosa: non era stata mai così arrabbiata in vita sua.
 
Mathieu intanto, vedendo che non ribatteva alla sua domanda, si sentì rassicurato. Afferrò di nuovo Violet per un braccio. L’altra però doveva aspettarselo, perché schizzò indietro con rapidità, suggendo alla presa. Allard le lanciò un’occhiata che prometteva ritorsioni. Riuscì comunque a sfoderare un sorrisetto di circostanza. “Se non ti spiace, io e la mia fidanzata ce ne…”
“No.” Lo interruppe di nuovo. “Tu sulle tue gambe non te ne vai.” Replicò con cortesia. Lanciò la bacchetta alle spalle. E gli tirò un calcio esattamente dove doveva.
 
 
Un’ora dopo circa.
 
Violet non riusciva a credere che fosse accaduto tutto ciò che era accaduto.
Tutto ciò che coinvolgeva Dominique Weasley aveva un quoziente di rilevante pazzia.
La Weasley aveva letteralmente preso a botte Mathieu iniziando, peraltro, da un mirato calcio nei testicoli.
Avrei dovuto pensarci io
In realtà non era stato neanche una rissa, come già si vociferava. Non ce n’era stato il tempo, visto che dopo neanche due minuti era arrivata tutta la squadra dei Bleu al gran completo. Era stato però Mael a prendere di peso la cugina e staccarla dal cumulo di gemiti in cui si era trasformato Allard.
Non pensavo avesse tutta quella forza. Sembra una ragazzina…
Non era stata usata magia e a posteriori, chiunque avesse avuto l’idea primigenia di tenersi la bacchetta in tasca, aveva avuto una gran pensata. Quando la Preside era arrivata, seguita da una corte di professori, si era capito che la questione era seria.
Ci mancava vedesse esplodere incantesimi ovunque…
Dopo aver visto lo stato in cui era ridotto Mathieu –il naso sembrava essergli esploso– Madame l’aveva spedito in infermeria. Poi aveva guardato la piccola folla di giocatori uno ad uno.
“Cos’è successo?”
Non c’era stato fiato: Violet aveva intuito che nessuno, a conti fatti, ci aveva capito niente.
Dominique si era chiusa in un mutismo ostile. Era dunque rimasta solo lei.
“Professoressa, io…” Aveva iniziato, ma la Preside, notandola, aveva sgranato gli occhi. Non c’era stato bisogno di parole. Violet non era mai stata così sollevata in vita sua.
Comprensione istantanea o meno, a Dominique era stato comunque ordinato di seguire il professore di Incantesimi nella cella delle punizioni: nome inquietante che in realtà designava una stanzetta in cui venivano fatti dormire i ragazzi che si macchiavano di effrazioni notturne. Una misura precauzionale per evitare che tornassero in dormitorio a vantarsene.
Ma Dom non ha fatto proprio nulla! Cioè… sì, ma…
Violet era confusa, seduta su uno dei letti dell’infermeria, divisa in settore femminile e maschile.  
Il giorno dopo avrebbe dovuto di sicuro parlare, spiegare, forse confessare.
Ma adesso… adesso vorrei solo… sapere.
L’infermiera, dopo averla medicata, era uscita raccomandandosi di chiamarla in caso di qualsiasi bisogno. L’aveva guardata con pena, con attenzione.
Sto bene. No, davvero. Sto bene.
Sarebbe potuto andare peggio. Mathieu avrebbe potuto farcela. Invece era arrivata la Weasley e aveva fermato tutto.
Perché?
Alzarsi e incamminarsi verso l’ala del castello dove c’era la cella di punizione fu tutt’uno. Non c’era un’anima in giro, era già tutto finito.  
Quindi era sola, tranne che per Dominique, dietro la vecchia porta che aveva davanti.
Si guardò attorno e poi vi si appoggiò. “Weasley?” La chiamò. Sperò che non dormisse. Conoscendola, poteva essere un’eventualità.

Ci fu un cigolio. Una branda: Dominique l’aveva salvata e dormiva su una branda.
“Piggie?” Chiese la sua voce dietro la porta. “Che ci fai qui?”
“Pensavi non sarei venuta?” La apostrofò di rimando. Si sentiva le gambe pesanti. La paura le stava passando e con essa l’adrenalina. Trovò dunque ragionevole sedersi a terra.

Ci fu un po’ di silenzio dall’altro lato. “Beh, mi sbaglierò, ma ti hanno detto di restartene buona buona in infermeria. Questa non è l’infermeria.”
“E quindi?”
“Di solito non fai tutto quello che ti dicono?”

Colpita e affondata.
“Stupida.” La rimbeccò, perché la palla in quella conversazione doveva rimanere a lei. “Piuttosto, stai bene?” Le venne in mente che Mathieu non era rimasto passivamente a farsi picchiare, ma aveva reciprocato con tutta la rabbia di cui era capace.
“Sono stata attaccata dai draghi, Parkinson. Pensi che mi possa lamentare di due schiaffetti isterici? E poi tranquilla, la Preside si è presa cura di me.”
Violet non poté fare a meno di sorridere sollevata. Si appoggiò con le spalle alla porta: era davvero stanca. “Io… grazie.” Esordì; quello era giusto, non la brandina. “Se non fosse stato per te…” Lasciò cadere la frase, sentendo un brivido scuoterla. Non era freddo. Erano ricordi freschi.

“Non c’è di che.” Ribatté l’altra come se non fosse stato niente.
Di nuovo.
Violet si infuriò di fronte all’ovvia ottusità dell’altra. “Ti rendi conto che rischi l’espulsione?!” Non la lasciò rispondere. “Ti rendi conto che rischi di mandare ai Dissennatori la tua carriera scolastica? Non c’era bisogno che tu lo picchiassi! I suoi genitori sono maghi influenti, non permetteranno che la Preside ti dia una semplice punizione!” Si sentiva un fiume in piena, non voleva respirare. Avrebbe perso tempo. “Sei una cretina! Cos’hai nella testa? Boccini ronzanti?!”
Dominique non le rispose ma la sentì muoversi dentro la stanza. Poco dopo sentì qualcosa colpire leggermente la porta dall’altra parte. Realizzò che si era seduta come lei, con la schiena contro la porta.
“È una domanda che mi fanno spesso.” Fu la risposta. “Comunque non farmi la predica. Tu l’hai morso.”
“Tu gli hai tirato un calcio… un calcio !”
“A gente del genere bisogna impedire di procreare.”

Violet batté le palpebre sbigottita, poi le venne da ridere, era inevitabile. Una risata sollevata, che liberò in silenzio, nascondendola dentro una mano.
“Perché?” Chiese, perché era il motivo per cui era lì. “Perché sei venuta a cercarmi? Io e te…” Lasciò la frase in sospeso. Non che si aspettasse che l’altra l’avrebbe completata, ma…
Io e te.” Replicò invece a sorpresa. “Non ne ho idea, non ce l’ho mai avuta. Non ci parliamo per secoli, però…” Violet non poteva credere che quell’esitazione fosse imbarazzo. “… però se sei nei paraggi, so sempre che ci sei. Non ho bisogno di guardare.”
“Ma se mi guardi sempre…”
“Beh, Piggie… questo è perchè mi guardi anche tu.”

Violet sospirò. Dominique aveva modi da selvaggia, era socialmente imbarazzante e…
Tirò un lungo sospiro.
… e le era sempre piaciuta da quando erano bambine. Il suo principe azzurro era una ragazza dai capelli color argento e le lentiggini.
Patetico, ma inevitabile. Tanto vale ammetterlo.
“Adesso cosa pensi succederà?” Le chiese Dominique scuotendola dalle sue riflessioni.  
“Non lo so… te l’ho detto, gli Allard sono…” Si passò un dito sulle labbra. Erano state guarite da pozioni ad hoc, ma se le sentiva ancora tumefatte, rigide. “…sono dei bastardi. Faranno di tutto per farti espellere dopo che hai umiliato il loro ultimogenito.”
“Non intendevo questo. Intendevo, tu che farai?”
Doveva essere l’adrenalina in circolo, o era la misura ad essere colma. Traboccante. “Romperò il fidanzamento.” Disse e la voce le uscì ferma come avrebbe voluto. “Non ho intenzione di respirare la sua stessa aria, a meno che non sia strettamente necessario.”

Dominique ridacchiò. “Brava Piggie! Ci hai messo tre anni, ma alla fine hai capito che avevi scelto uno stronzo per fidanzato.”
“L’ho sempre saputo.” Ribatté. “Ma non era un problema, perché non sono io che ho scelto. E neanche Mathieu. Hanno scelto i nostri genitori per noi.” Deglutì. Pronunciare il nome del ragazzo… avrebbe voluto che quella porta non ci fosse. Dominique l’aveva messa a disagio le poche volte che erano state vicine, ma in quel momento aveva davvero bisogno che la toccasse. “Non posso andare contro…”
“Il volere di tua madre?” Indovinò. “Fanculo tua madre!” Aggiunse con forza. “Se ti ha dato la vita, non significa debba per forza controllartela.”
“Tu non capisci.” Banale ma vero.
“Invece sì.” La Weasley era cocciuta, era testarda come una ventina di cavalli bizzosi. Eppure, se solo avesse avuto ragione… “Credimi, capisco. Quindi dimmelo. Cosa vorresti fare se potessi?”

“Se non dovessi rendere conto a mia madre e… tutto il resto?”
“Esatto.”

“Vorrei baciarti.” Lo disse di getto, perché nessuno la vedeva, Dominique per prima. Altrimenti non avrebbe aperto bocca come l’insignificante ragazzina che tutti gli adulti dicevano fosse.
Con Dominique non si sentiva mai in quel modo però. Sentiva un sacco di cose – molte delle quali poco carine – ma tutte intense. Per questo gliel’aveva detta: la verità.
Dominique intanto non rispondeva. Violet sentì la solita morsa allo stomaco, ma non si tirò indietro, non quella volta. “Sì, vorrei baciarti.” Ripeté.
“Ci sarebbe una porta di mezzo.” Fece una pausa. “Mi sembra un buon inizio, anche se infattibile.”
La morsa sparì come neve al sole di Agosto. “Per questo ho usato il condizionale, zucca vuota.” Sbuffò. E sorrise. Non avrebbe mai pensato di poterlo fare quella sera. E invece.
“Okay.” Replicò l’altra. “Condizionale sia. Cos’altro vorresti fare?”
Violet rimase presa in contropiede. C’erano tante cose che avrebbe voluto fare con lei, o senza. Troppe, forse. “Non… non lo so.” Incespicò. “Non ne ho idea!”
“Andiamo.” Fu incitata con tono spiccio. “Parla. Di solito ti dicono di fare tutto il contrario, no? La rivoluzione comincia dalle piccole cose. Tipo, aprire bocca e dire la tua.”

Violet appoggiò la fronte contro il legno fresco. E parlò. Tutta la notte.
 
La mattina dopo fu la Preside stessa a svegliarla. Se la trovò di fronte e considerando che era alta due metri e mezzo, Violet si sentì mostruosamente sovrastata.
“Signorina Parkinson-Goyle, buongiorno.” Esordì quasi gentilmente, notando la sua espressione atterrita. “Non dovrebbe trovarsi qui…” Non fece in tempo a formulare delle scuse, che la interruppe “… ma visto che c’è, la informo che sua madre è arrivata. Vada a rendersi presentabile. Tra venti minuti la voglio nel mio ufficio.”
Non le restò che annuire, alzandosi. Si stiracchiò, dolorante: dormire contro una porta di legno non era il massimo della comodità. “Posso…” Ricordò il fiume di parole che Dominique le aveva chiesto di pronunciare la sera prima. “… posso aspettare Weasley, Madame?”
Le fu ovviamente negato.
“Io posso uscire invece?” Fece una voce dall’altro lato della porta. “O devo essere scortata da auror?”
“Non faccia la buffona, Weasley.” La rimbeccò la strega, aprendole però la porta. Dominique uscì con la faccia più fresca e riposata della storia.

“Hai dormito sulla brandina mentre io ho dormito sul pavimento!” L’accusò, ignorando il batticuore che l’aveva assalita a vederla. In fondo era un vecchio e conosciuto amico.
“Certo che ci ho dormito. C’era.” Fece spallucce. Violet ebbe l’impulso di affatturarla, ma si contenne; la Preside era proprio lì dopotutto.
“Andate nei vostri rispettivi dormitori, non fatemelo ripetere.” Disse infatti. “Fra venti minuti vi voglio nel mio ufficio.”
Violet fece appena in tempo a sfiorare le dita di Dominique, prima che le separassero.  

 
****
 
Le fronde filtravano lame di luce che baluginavano sul volto, facendoti strizzare gli occhi abbacinati. Poco distanti, gli unicorni pascolavano tranquilli, sorvegliando con occhi attento e argentato i puledri che si abbeveravano al ruscello.
“Ehi, Weasley.”
Dominique reclinò la testa all’indietro e nella visuale le entrarono le gambe di Violet, fasciate dalle calze dell’uniforme. Lei prima di Dicembre si rifiutava di portarle.

“Ehi Piggie.”
L’interpellata sbuffò, ma lasciò perdere. Si sedette accanto a lei, sebbene ci mise ben mezzo minuto per scandagliare la zona alla ricerca del metro quadrato perfetto.

Beh, l’importante è il pensiero, dai.
“Ti sporcherai l’uniforme.” La prese in giro allungando soddisfatta le gambe fasciate di jeans. I babbani erano dei geni: perché solo dei geni avrebbero potuto inventare una stoffa così geniale.
“Va’ agli inferi.” Fu la replica, guardando con un mezzo sorriso distratto gli unicorni rivolgerle occhiate incuriosite.
“Se vuoi puoi andare a dir loro ciao.”
“Per ora preferisco rimanere qui.” Violet si toccò i capelli stretti nello chignon che andava di moda quell’anno, sistemandosi ad arte una forcina.

“Stai meglio con i capelli sciolti.”
“Quando mai mi hai visto coi capelli sciolti?”
Staresti meglio?”

Violet esitò, poi con un lieve sospiro spazientito si liberò dalla gabbia di fermagli e forcine per sciogliere i capelli in una lunga cascata color inchiostro.
A Dominique venne inspiegabilmente da sorridere. Come aveva previsto, quei poveri capelli si trovavano molto meglio liberi.
Come la loro padrona…
“Sei tornata.” Attestò. Violet era stata a casa ben due settimane dopo quello che era successo. Si era vociferato persino il suo ritiro da Beaux-Batons in vista di un trasferimento.
Dominique non ci aveva creduto neppure per mezzo secondo: non aveva proprio potuto.
“Certo che sono tornata… pensavi anche tu che mia madre mi facessa trasferire?”
“No.” Scosse la testa. “È solo che si diceva in giro.”
Violet si passò le dita trai capelli, sciogliendone un nodo. “Mia madre detesta Hogwarts, e Durmstrang è una specie di consesso di primitivi che si veste di pelle e beve sangue da teschi.” Sorrise dello sghignazzetto dell’altra. “E le altre scuole non sono così rinomate. Impossibile trasferirsi. E poi le ho detto che non l’avrei mai fatto.”

“Oh-oh!” Esclamò sentendosi inspiegabilmente più leggera. Sul serio, inspiegabilmente. “Stiamo tirando fuori la voce!”
Violet ovviamente replicò con una smorfietta disimpegnata. “Ringraziami Weasley. Se non fosse stato per la mia voce a quest’ora non saresti qui.”
“Mh.” Le concesse, prima di buttarsi all’indietro e posare la nuca sulla sua zolla d’erba preferita di tutta la radura. Notò con la coda dell’occhio che l’altra era rimasta immobile, fissando con estrema concentrazione un puledro che sgambettava di fronte all’occhio vigile della madre.
Dominique capì. E le tese la mano. “Grazie.” Disse, perché le parole avevano un potere, aveva ragione suo padre a dirlo. Le parole potevano attivare gli incantesimi. Le parole potevano ferire.
Violet le lanciò un’occhiata poi la prese e gliela strinse forte
Le parole erano cose importanti, pensò Dominique. Le parole potevano renderti libera.
 
Dominique non aveva mai visto tanti genitori riuniti insieme, sebbene l’ufficio che li ospitava fosse spazioso. I suoi genitori, sua madre nelle sontuosi vesti con cui lavorava e suo padre con ancora la Metropolvere sul giubbotto di pelle. La vedova Parkinson-Goyle, che sembrava un grosso ragno pasciuto seduto rigidamente e infine i coniugi Allard, che le sembravano due stronzi con una grave paresi ai muscoli del collo, da quanto tenevano il mento sollevato.
Violet era già accanto alla madre. Si era rimessa l’uniforme e teneva le mani in grembo, così strette da essere pallide come quelle di un morto.
“Weasley, eccola qui. Venga avanti, e chiuda la porta.”   
Dominique aveva obbedito alla Preside, lanciando un’occhiata ai genitori. Suo padre aveva un’espressione seria in viso, ma soprattutto stanca. Chissà in che parte del mondo stava lavorando quando l’avevano chiamato. Sua madre invece aveva un’aria anodina. Ma quando le si sedette accanto, le lanciò una lunga occhiata indagatrice.

“Ora che siamo tutti qui, possiamo iniziare.” Aveva esordito Madame, glissando elegantemente sull’assenza di Allard-figlio. “La questione è piuttosto grave.”
“Naturalmente lo è!” Madame Allard sembrava aver aspettato solo quell’attacco, per dar fuoco alle polveri. “Questa ragazza ha aggredito mio figlio e la sua fidanzata mandandoli in infermeria!” Il doppio mento le tremava furibondo e Dominique si era incantata a fissarlo.

Budino.
“È vero Domi?” Aveva chiesto suo padre, riscuotendola.
Dominique di fronte a suo padre si era sentita improvvisamente molto meno baldanzosa. L’atteggiamento dei genitori di Mathieu le faceva solo venir voglia di calcare la mano. Il viso di suo padre, no.
“Più o meno.” Aveva risposto senza distogliere lo sguardo.
Mathieu s’è inventato una storiella in tempo record. I miei omaggi…
“Sta mentendo!” Aveva sbraitato la donna. “È inaudito che venga permesso a certe creature evidentemente squilibrate di frequentare una scuola di ma…”
“Mi scusi.” Era intervenuta lentamente sua madre. “Ha appena paragonato
mia figlia ad un elfo domestico o ad un folletto, per caso?”
L’altra strega doveva aver capito di essere stata trasportata dall’emozione, perché aveva richiuso subito la bocca.

Sua madre non aveva bisogno di presentazioni per far sapere chi era e quanto contava. Dominique fino a quel momento l’aveva considerata una scocciatura. Fino a quel momento, appunto.
“Sua figlia ha aggredito Mathieu e Violet, Madame Weasley.” Aveva risposto per la moglie Monsieur Allard, che sembrava altrettanto spocchioso, ma più controllato. “Apparentemente senza nessuna ragione.”
La Preside aveva aspettato quel momento per intervenire. “È questo che stiamo cercando di capire. Dominique… vuoi dirci perché l’hai fatto? Mathieu dice che non ha idea del perché.”
Dominique voleva dirlo. Smascherare quel figlio di puttana e possibilmente non trovarselo più davanti. Non per me. Per lui. Se me lo trovo a meno due metri, giuro che lo rendo una ragazza.
Poi aveva lanciato un’occhiata a Violet. Aveva le labbra così livide che sembrava stesse per svenire da un momento all’altro.
Dominique aveva capito che non doveva essere lei a dirlo. Violet invece, con la mano della madre sul ginocchio, aveva bisogno di una bella terapia shock.
“Non ho aggredito Violet.” Ripeté. “E per quanto riguarda Allard, c’è un motivo, ma non lo dico.”
“Dominique, questo non è uno scherzo.” L’aveva incalzata sua madre. “È una cosa seria, rischi l’espulsione.” E non potrò proteggerti, se non mi aiuterai – era sembrato aggiungere la sua espressione.
Dominique aveva sentito una fitta di senso di colpa, ma era rimasta sulle sue posizioni davanti agli sguardi increduli e preoccupati dei suoi genitori.

La Vedova Parkinson Goyle invece non aveva ancora detto una parola. Ma aveva un piccolo sorriso che le contraeva le labbra di un rosso violento.
Vaffanculo. L’unica cosa bella che ha prodotto il tuo sangue puro del cazzo ce l’hai accanto e neanche te ne rendi conto.
“Non lo dico.” Aveva ripetuto, fissando Violet che l’aveva guardata di rimando. Le tremavano le mani, anche se cercava di tenerle ferme stringendole le une alle altre. Non farlo, non obbligarmi, non ce la faccio – questo urlavano i suoi occhi.
Dominique sapeva di rischiare, che Violet era terrorizzata, umiliata e che avrebbe preferito seppellire quel segreto nel suo subconscio e lasciarlo lì a marcire per il resto della sua vita.
Non posso permettertelo. Scusa tanto, ma mi hai trascinato dentro e quindi faccio la mia mossa.
“Non c’è altro da aggiungerei direi.” Aveva esordito Allard-Senior. “Olympe, è ben chiaro che la ragazza, come ha detto mio figlio, ha avuto un raptus di invidia nei suoi confronti e l’ha aggredito mentre era indifeso, in compagnia della sua fidanzata. Sono venuto a sapere che Mathieu ha assicurato la vittoria alla sua squadra. Forse questo non è andato giù a Madamoiselle Dominique, che a quanto ne so, è solitamente colei a cui sono imputate le loro vittorie.”
Ma per favore … Cioè, ci credete davvero?  
“Dominique… sei sicura di non voler aggiungere qualcosa in tua difesa? È la tua parola contro quella di Mathieu. Capisci, vero, che se non dici nulla sarò costretta ad espellerti?” Si era rivolta a lei, la Preside. Dominique aveva capito che l’altra sapeva com’erano andate le cose. Ma nella sua posizione non poteva far molto. Non c’erano testimoni e per quanto si sapeva, Mathieu non era considerato un bruto.
Le uniche a sapere erano lei e Violet. Violet doveva parlare, ma non lo stava facendo.
Non era l’unica ad averlo notato, perché sua madre lanciò un’occhiata gelida verso le due streghe inglesi. “La Signorina Parkinson-Goyle non ha ancora detto una parola. Eppure era presente, no?”
“Mia figlia è sotto-shock, Madame Weasley…” Il cognome era stato pronunciato con un insulto. Per un folle momento, a Dominique sembrò che suonasse come ‘donnola’. “Sarebbe una crudeltà forzarla a ricordare.”

Dominique aveva di nuovo guardato Violet, che le aveva lanciato un’occhiata prima di abbassare lo sguardo. Aveva sentito una morsa artigliarle le viscere.
Ho puntato ed ho perso?  
 
“Razza di … bionda demente.”
 
Era stata Violet, naturalmente. La stava guardando come se volesse come minimo lanciarle una maledizione senza perdono.  
Ottimo. Qui ti volevo Piggie. Se sei furiosa, ti scordi che brava bambolina obbedienti dovresti essere.
“Violet?” Aveva detto la donna-ragno. Violet aveva deglutito con la stessa faccia di qualcuno che aveva appena mandato giù una pozione orrenda, ma aveva poi ignorato il richiamo.
“La Weasley ha tanti difetti, ma non è una violenta.” Era poco più di un sussurro, ma c’era. “Non è stata lei ad aggredirmi. È stato Mathieu. Voleva…” Le era mancata la voce e a tutti era stato immediatamente chiaro cosa volesse fare.
“Non è possibile!” Era esplosa Madame Allard. “Siete fidanzati ufficialmente!”
Violet doveva aver preso la cosa per un insulto, perché l’aveva guardata malissimo. “Questo non gli ha impedito di tentare di violentarmi, Madame.”
L’aveva detto ed era calato un silenzio gelido come un inverno siberiano.

La prima a scongelarsi era stata incredibilmente la vedova. “Violet… è ciò che è successo?” Aveva chiesto con leggerezza, quasi parlasse del tempo. Ma in inglese.
Qualcuno si è appena dimenticato le imprescindibili buone maniere?
Rimasta di sasso, eh Vedova nera?

Violet aveva guardato dappertutto fuorché in direzione di sua madre. Ma aveva risposto. “Sì. I lividi che avevo ieri sera me li ha fatti Mathieu mentre mi teneva ferma.”
“E ci è…” La voce della strega era sempre più bassa. Dominique aveva visto con una certa soddisfazione i coniugi Allard farsi sempre più piccoli. I loro menti altezzosi non svettavano più granché.

“No, non c’è riuscito.” Violet si era morsa un labbro. “Perché Weasley è arrivata in tempo per fermarlo.”
“Ma… ma…” A Dominique aveva fatto quasi pena, la mammina apprensiva Allard. Sembrava totalmente sconvolta, incredula. “… ma questa pazza l’ha comunque ridotto in fin di vita!”
Quasi, appunto.
“Ridotti in fin di vita mi sembra una definizione inadeguata.” Si era inserita sua madre, la cui espressione avrebbe fatto concorrenza ad una Veela tutta completa. “Ho saputo che stamattina è stato dimesso. Oltretutto, mia figlia non ha neppure usato la magia.”
“Questo lo dice lei!”
“Lo dicono i fatti.” Lo aveva bloccato. “Ho incrociato prima Mael Delacour, che mi ha ridato
questa.” Suo padre aveva tirato fuori dal giubbotto la sua bacchetta. Dominique era rimasta a bocca aperta: un asso nella manica? Dall’espressione di sua madre, neanche lei ne era a conoscenza.
La Preside si era sporta a guardare, aggrottando le sottili sopracciglia. “Dove l’ha trovata?”
“Dietro un’armatura, almeno ad una decina di metri dal luogo dello scontro. Quindi, mi riesce difficile credere che mia figlia abbia lanciato incantesimi, se era chiaro che non l’aveva con sé. Possiamo fare un Prior Incantatem, se avete bisogno di altre prove.” Aveva concluso suo padre con una gentilezza che strideva con le espressioni bellicose degli altri. Se non fosse che era troppo gentile. Il che significava, Dom lo sapeva bene, che era più incazzato di tutti gli altri messi assieme.
Sangue Weasley über alles.
“Mio figlio…” Aveva tentato Allard Senior per poi chiudere la bocca, senza parole. “È comunque inammissibile che sua figlia…” E la voce si era spenta debolmente.
Lei e Violet si erano guardate nello stesso momento.
“Weasley non ha usato la bacchetta.” Aveva confermato Piggie. “L’ha usata solo per allontanare Mathieu da me, non per aggredirlo.” Si era morsa con forza le labbra, ma poi aveva continuato. “… non so cosa sarebbe successo, se non fosse venuta a cercarmi.”
“È così? La Weasley ti ha…” La voce di Pansy Parkinson-Goyle non era riuscita a trattenere lo smarrimento. Dopo, probabilmente sarebbe arrivato lo sdegno, appena ripresa dallo shock di sentire sua figlia esprimere un’opinione propria.
Dominique aveva trovato quel momento perfetto per dire la sua. Aveva rivolto un sorriso a trentadue denti alla donna-ragno. “… salvato, Madame. Rode, eh?”
Aveva visto l’ombra di un sorriso dietro la barba di suo padre.
La Preside aveva fatto un lungo, estenuato sospiro. Dominique sapeva quanto odiasse ospitare più di un genitore per volta nel suo ufficio. Ora capiva il perché.
“Alla luce della testimonianza della signorina Parkinson-Goyle, mi vedo costretta a rifiutare la vostra richiesta di espulsione per la signorina Weasley.” La Preside, Dom non se lo stava immaginando, stava sogghignando. O quasi. Più o meno. Perché si era poi subito accigliata. “Temo invece Mathieu dovrà rispondere a parecchie domande…”
 
“I tuoi genitori come l’hanno presa?”
Dominique si grattò la nuca, ritornando al tempo reale: due settimane dopo, due settimane di punizione spacca-reni.

Pulire le docce degli spogliatoi di Quidditch senza magia. Urgh. Sarà stata anche dalla mia parte, ma la Madame sa come farti passar la voglia di fare l’eroina.
Fece spallucce. “Mia ma’ voleva farmi il terzo grado, ma grazie a Morgana la carrozza sua e di papà partiva tipo subito. Mi sono arrivate un paio di Strillettere però.”
“Un paio?” La guardò inorridita. “Non ne basta una?”
“Sicuro. Una da mia madre, una da mia sorella.” Specificò.  
Violet appoggiò il mento sulle ginocchia, tirandosele al petto. Le fronde frusciavano gentili sopra le loro teste. “Mia madre non mi ha parlato. Se n’è andata subito anche lei.” Mormorò. “Credo che non sapesse che pesci prendere. Era furiosa, però.”
“Con te?”
“No.” Scosse la testa. “Con gli Allard. Se ne sono andati a gambe levate… non ho mai visto qualcuno correre così veloce verso la propria carrozza.”

Dominique sorrise, dandole un colpetto sulla caviglia. “Allora è andata bene!”
“Un po’.” Convenne  strappando un ciuffetto d’erba secca con aria distratta. “… ma mia madre non si arrenderà facilmente. Non passerà molto tempo prima che tenti di presentarmi qualcun altro.”
“Non ha imparato niente da ‘sta storia?”
“Lei…” Violet scrollò le spalle, ma non erano più curve, passive. Questo lo notò anche Dominique. “… lei è fatta così. Ci vorrà del tempo, penso. Ma perlomeno non sarà Mathieu. Non sarà mai più Mathieu.” Soffiò l’erba via dalla mano e soffiò sollievo.

“E chi sarà? Dico, il prossimo? Idee?” Le venne spontaneo chiederlo. Le venne anche spontaneo tirarsi a sedere per essere alla sua stessa altezza. C’era tanta differenza tra lei e Piggie: la mora era raggomitolata su sé stessa, sebbene elegantemente. Lei aveva le gambe incrociate e la posa rilassata.
Dominique non pensava avesse comunque molta importanza ai fini della storia.
Ce l’hai mai avuta?
Nah.
 
Violet guardò gli occhi azzurri della Weasley fissarla interrogativi.
Era matta come un cavallo, dato ultra-comprovato; solo per farla parlare aveva rischiato l’espulsione, solo per spingere lei a salire sul palcoscenico per improvvisare la sua parte si era giocata, a ribasso, la sua intera carriera scolastica.
Violet non si era mai ritenuta stupida. Anzi.
“Io ti piaccio, vero Nicky?” chiese e usò con intenzione il diminutivo con cui, anni prima, l’altra si era presentata. Le uscì piuttosto naturale, anche se si sentiva il cuore in gola; ma quello si supponeva facesse parte del gioco.
L’altra la fissò battendo le palpebre in fretta. Lo faceva sempre quando qualcosa la prendeva di sorpresa, che fosse la domanda di un professore o un Bolide in traiettoria.
Dominique non era timida. Non era neanche riservata. Era solo noncurante dei sentimenti altrui e soprattutto, incredibilmente, dei suoi.
“… forse.” Le concesse lentamente. Fece una pausa. “Me lo chiedi perché adesso vuoi baciarmi?”
Violet aveva imparato da quell’orribile esperienza che starsene zitti non era sempre un’ottima idea.

“Quanti mesi abbiamo ancora alla fine dell’anno?” Chiese allora.
“Non si risponde ad una domanda con un’al…”
“Weasley, concentrati!” Doveva definitivamente soffrire di qualche disturbo dell’attenzione. “Quanti?”
“Otto mesi, perché?” Doveva segnarsi la voce: sono stata la prima persona sulla faccia dei Due Mondi a farmi guardare come una bestia rara da Dominique Weasley.

Violet trovò molto più proficuo rispondere prendendole il viso tra le mani e baciandola.
Louise poteva essere stata una carogna delatrice – e avrebbe trovato il modo di fargliela pagare prima o poi – ma aveva avuto un merito: le aveva insegnato come baciare una donna. Il baci che si erano scambiati lei e Dominique a quattordici anni in confronto erano stati goffi e confusi.
Ma comunque dieci volte meglio.
Si staccò e dovette infatti appuntarsi mentalmente il secondo merito: aver lasciato senza parole la Weasley.
“Io…” Esordì. Poi tacque.
Violet poteva aver timore del mondo sin da bambina. Ma si cresceva, prima o poi. Non si smetteva di aver paura, ma ci si abituava ad essa come alla presenza di una vecchia amica. E alla fine, un giorno, si scopriva che il mostro non era così brutto come lo si dipingeva.
“Otto mesi di questo, Weasley. Interessata?”
Dominique corrugò le sopracciglia, con ancora le sue dita sulle guance. Non sembrava infastidita, e Violet ricordò che di solito l’altra non amava essere toccata sul viso.
Ma lei lo stava facendo, e sembrava andarle bene, perché le sorrise.  

“Sì, Piggie.” Disse. “Sono interessata. ”
 
In Aritmazia era stato loro spiegato che due le linee parallele non si incontravano mai. In seguito Violet aveva però scoperto che non era possibile tracciare due linee perfettamente parallele.
Non esiste la perfezione e quindi qui, nel mondo reale, si incontrano prima o poi. Si allontanano. E si incontrano di nuovo.

 
 
Nemmeno la luna è perfetta. E' piena di crateri. E il mare? Nemmeno lui! Troppo salato.
Insomma, le cose più belle non sono perfette. Sono speciali.
(B. Marley)
 
 
****
 
 
Note:

Avevo promesso che avrei sbrigato il Sesto e il Settimo in un capitolo. Lo so. T_T

(Devo davvero far qualcosa per questa grafomania).
A questo punto aspettatevi il folle Settimo come bonus track. Intanto, per ora, la storia è conclusa.
AUL mi chiama come un vampiro affamato.

Qui e qui le due canzoni ispiratrici.
Beaux-Batons me la sono immaginata come il castello di Chambord, nella Loira. Qui.
Butto lì due volti che mi hanno ispirato per Victoire e Louis .

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