Dom Is Not A Boy's Name di Dira_ (/viewuser.php?uid=35716)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dagli undici ai tredici ***
Capitolo 2: *** Dai Quattordici ai Quindici ***
Capitolo 3: *** I Sedici ***
Capitolo 1 *** Dagli undici ai tredici ***
Je crois, c'est inscrit dans nos gênes
Envoyer en l'air, sans regard en
arrière
Pour enfin changer d'air dans une autre
dimension
(Tout envoyer en l’air, Kyo)
Le
Presentazioni
del Primo Anno.
“Mi raccomando,
frequenta solo le persone
giuste.”
“Sì, mamma.”
“Le amicizie che ti farai a scuola dureranno per tutta la
vita.”
“Sì, mamma.”
“Comportati come si conviene, non dare confidenza a gente del
cui rango non sei
sicura.”
“Sì, mamma.”
Violet era convinta di essere l’unica ad avere una madre che
invece di
abbracciarla e baciarla forte sulle guance si teneva a tre passi di
distanza fissandola
come se fosse un soldato in missione.
Violet aveva undici anni e
non
aveva la pretesa di capire perché sua madre fosse diversa
dalle altre: non era
importante, come non lo era il groppo alla gola e il desiderio di
abbracciarla.
Perlomeno non era
l’unica a
comportarsi come una bambina: c’erano un sacco di mocciosi
frignanti di fronte
ai cancelli del grande parco di Beaux-Batons.
Si lisciò con le
dita la gonna
di velluto lanciando un’occhiata di sbieco al panorama,
mentre sua madre
continuava a parlare. Da lontano, lontanissimo, si vedevano la linea
color
avorio del grande palazzo che ospitava la scuola. Era oltre la foresta,
una foresta
incantata in una perenne primavera.
Nascose un sorrisetto
mordicchiandosi le labbra.
Beaux-Batons.
Era la prima della sua
famiglia a frequentare la prestigiosa Accademia francese. I suoi
genitori infatti
erano andati ad Hogwarts – un nome piuttosto brutto e scemo
per una scuola.
Beaux-Batons invece aveva un
suono bello, importante. Elegante.
Inspirò, cercando
di tendere
l’orecchio alla cacofonia di suoni francesi attorno a lei.
Cosa ardua, dato che
lo sapeva parlare appena: anche i loro elfi domestici parlavano solo
inglese.
Forse era strano,
rifletté
Violet, essere nati in Francia e parlare un’altra lingua.
Ma del resto – e
qui lanciò
un’occhiata alla madre – sua madre veniva da
Londra, e quindi era giusto che
parlassero nella loro lingua madre e
basta.
Si sentì
strattonare appena
per il colletto del cappotto leggero.
“Violet!”
esclamò sua madre
seccata. “Presta attenzione quando ti parlo!
All’Accademia non vorranno
ragazzine con il naso sempre per aria!”
Violet arrossì: non le piaceva che le venisse ricordato il
naso a patata che
sua madre le aveva detto avesse ereditato dal padre.
“Avanti, adesso
vai a
raggiungere gli altri bambini. Le carrozze vi aspettano.”
“Sì.”
“E guarda dove
metti i piedi!”
La avvolse in un abbraccio frettoloso che sapeva di balsamo con cui gli
elfi
domestici rendevano lucido il collo di pelliccia dei loro mantelli
invernali. Poi
si allontanò senza voltarsi.
Violet si sentì
chiudere lo
stomaco, ma mise un passo dietro l’altro, obbediente. Venne
poi indirizzata
assieme ad altri bambini verso uno studente più grande
– un Préfet,
qualunque cosa fosse – che li
guidò verso le carrozze.
Violet spalancò la bocca, richiudendola prima che qualcuno
le desse del pesce
lesso: le carrozze erano… enormi,
più
grandi quelle che usavano lei e la madre per andare alle feste: erano
tutte
bianche con dettagli in oro. Sembravano grandi torte di panna.
Appena il Préfet
si allontanò ovviamente esplosero le chiacchiere degli altri
quattro bambini. Violet si limitò ad osservarli.
Due saltavano
all’occhio: avevano
entrambi i capelli di un biondo accecante, quasi bianco e i lineamenti
sottili,
belli come in un’illustrazione. Dovevano essere parenti,
perché avevano gli
stessi occhi, azzurri.
Sembrano
principi…
Li poteva spiare comodamente
dato che erano seduti davanti a lei. Sembravano simili di primo
acchito, ma a
ben guardarli lo erano solo nei colori: quello proprio davanti a lei
aveva il
viso spruzzato di lentiggini, e sembrava tipo da aria aperta e voli
sulla
scopa. Sorrideva e parlava concitato con l’altro, che era
invece pallido e
minuto, con gli occhi ancora arrossati di pianto.
Le sue riflessioni furono
interrotte dalla carrozza che si mise in moto di colpo; con suo enorme
spavento
prese poi il volo.
“Mael, c’est super!” esclamò il
bambino lentigginoso sporgendosi dal finestrino.
“Regardez! Nos
parents semblent
très petits!”
Tal Mael per fortuna
lo afferrò trascinandolo dentro.
L’altro per tutta risposta si mise a ridere.
Che scemo
– pensò sentendosi enormemente
più
matura.
Quando la carrozza si
assestò e gli animi si tranquillizzarono,
accadde quello che Violet temeva di più: le presentazioni.
Sapeva che il suo francese non era buono, per niente: aveva un accento
ridicolo
e le costruzioni delle frasi la lasciavano perplessa.
“Comment tu t’appelles?”
La apostrofò proprio il
suo
dirimpettaio scavezzacollo. Violet notò che gli mancavano
due denti da latte e
aveva le labbra rosse e screpolate. Ed era comunque carino.
C’era qualcosa di
meno… volgare… nei suoi lineamenti rispetto agli
altri maschi che aveva conosciuto,
tipo quello stupido del figlio dei
Malfoy.
L’altro non
parve preoccupato dalla mancata risposta. “Je
suis Nicky!” Insistette. Era un nome
che sembrava tanto babbano,
registrò
immediatamente: e anche la felpa che indossava lo sembrava, come gli
strani
pantaloni di tela grezza e blu.
Un Nato babbano.
Di sicuro.
Quindi lo
ignorò, voltando la testa verso il finestrino,
fedele ai suoi principi. E
si sentì
arrivare un calcio. Un calcio vero!
Si voltò
incollerita. “Non azzardarti, babbano!”
sbottò, e
il silenzio calò di colpo dentro la carrozza.
Mamma dice che
è
meglio non dire in giro che i babbani sono brutti e sporchi. Non va
più di
moda.
Però loro
sono
francesi, non
possono avermi capito.
Il bambino a sorpresa
sfoderò un ghigno. “Sei inglese, eh?”
disse, ghiacciandola sul colpo. “ Anche mio papà.
Comunque non sono un Né-moldu¹.
Ma anche se lo fossi, sarei comunque
migliore di te!”
Dopo
quell’affermazione anche gli altri bambini compresero
il senso generale del discorso, perché venne subito
investita dai loro sguardi.
Occhiatacce, nel caso dell’altro biondo ma-senza-lentiggini.
Odiava quando gli
altri la guardavano. E la giudicavano. È
così che faceva la gente, diceva sempre sua madre: meglio
abituarsi subito.
Lei non si era mai
abituata.
Sentì
infatti le lacrime pizzicarle agli angoli degli occhi.
Le ricacciò indietro: doveva essere superiore.
Non ha
importanza. Non me ne importa nulla! È solo uno stupido
sangue sporco!
Doveva essere per
forza uno
di quelli, perché altrimenti non si spiegava
perché fosse così incivile.
Agganciò
saldamente lo sguardo fuori dal finestrino: stavano
sorvolando la foresta, un manto color smeraldo lucente. Si perse a
guardare
quello spettacolo, fantasticando sul suo nuovo, brillante futuro.
“Ehi, sang-pur!
Che guardi?”
Lanciò
un’occhiataccia livorosa all’altro, reo di aver
avuto
l’ardire di rivolgerle nuovamente la parola. Quello per tutta
risposta le fece
un’enorme linguaccia.
Violet lo
imitò senza riflettere, mettendosi subito dopo una
mano sulle labbra: non si faceva!
Il ragazzino invece di
arrabbiarsi rise. Si sentì arrossire,
ma non fece in tempo a darsi della stupida, che la carrozza diede un
brutto,
enorme orribile scossone che li mandò tutti a sbattere
contro gli schienali.
Violet si
sentì di ghiaccio. Che stava succedendo?
Poi un altro scossone. Si accorse di piangere solo al terzo. La
carrozza aveva
aumentato la velocità, ed era certa che non stessero andando
verso la scuola.
Perché cavolo
nessuno veniva a salvarli?
“Domi!”
Singhiozzò il mingherlino biondo. Ma non si chiamava
Nicky?
“Calme-toi, ça devrait etre les chevaux.”
Replicò l’altro con calma
surreale. Era l’unico a non avere le lacrime agli occhi, ma
anzi,
un’espressione determinata. Poi aggiunse. “Je
vais voir.”
È matto! Matto!
“Aspettiamo
gli adulti!” esclamò, con le dita ben artigliate
all’imbottitura dei sedili. “Ti farai ammazzare! I
cavalli sono fuori e noi
stiamo volando!”
“Ma
va’!” Replicò ridendo. “Non
avrai mica paura,
principessa?” Sorrise soddisfatto alla sua bocca spalancata.
Aveva … l’aveva
chiamata… “Non preoccuparti, ci pensa
Nicky!” e detto questo, tra le urla degli
altri aveva aperto il finestrino ed era uscito fuori.
Violet si era
immediatamente sporta. Si era buttato!
E invece no, quel
matto si stava arrampicando sulla scaletta
di servizio che era stata usata per montare i bagagli sul tettuccio.
“Si amazerà…”
Sussurrò angosciato quel
Mael. Si stava
rivolgendo a lei. “Perché lo fa sompre?”
“Fa
sempre questo?”
“Sua maman mi usciderà… le avevo
promeso
di non farglielo fare!”
Violet si sporse
ancora di più per seguire i movimenti dell’altro
bambino. E capì qual’era il problema: il grosso
cavallo alato correva come se
ne andasse della sua vita. Si era imbizzarrito, o qualcosa di simile.
Un nuovo scrollone la
fece precipitare indietro e tutti ripresero
a gridare, lei compresa. Da fuori in compenso si sentì
un’imprecazione
decisamente scurrile e decisamente britannica.
Accadde tutto in pochi
attimi: la carrozza presa a scendere
come se stesse per schiantarsi, ma poi…
Non successe niente.
Non si schiantarono. La carrozza si
posò dolcemente a terra.
Pochi attimi dopo
Lentiggini rientrò con un grosso taglio al
sopracciglio e un sorriso tutto denti.
“Ehi!”
esclamò quando fu abbrancato dal piccoletto singhiozzante.
“… ça va,
ça va Mael.” Lo rassicurò.
“Comment ça va, vous?”
Chiese a tutti
e a nessuno con piglio da vero comandante.
Ci fu un attimo di
sgomento totale. Poi tutti gli si
buttarono addosso, entusiasmati dalla sua bravata.
Violet invece
pensò che non si sarebbe più mossa di
lì. Anche
perché si sentiva tremare le gambe.
Ha calmato il
cavallo. Ha calmato quel cavallo e… e… cavolo, se
ho avuto paura!
Lo odio!
Poi finalmente,
arrivarono gli adulti. Violet ignorò i
tentativi di farla scendere tra le braccia di qualcuno. Con la sua
migliore
espressione sdegnosa scese la scalette da
sola e prese la sua valigia come se non fosse successo niente.
Beaux-Batons era
davanti a lei, in un tripudio di guglie
bianche e celesti, con stendardi beccheggianti al vento. Non poteva
arrivarci
come una bimbetta terrorizzata.
Si sentì
toccare la spalla.
“Stai
bene?” Era quel Nicky, o Dom o…
Fece una smorfia
altera. “Certo e tu hai fatto una
stupidaggine! Saresti potuto cadere!”
“Andiamo, era un Abraxan²… mica un
drago!” Poi scrollò le spalle. “Ah, ma
poi
qual è il tuo nome, Sang-pur?”
Chiese.
“Non me l’hai mica detto!”
“Che ti
importa?” Ribatté per dispetto, in
realtà contenta
che avesse mollato gli altri per parlare in inglese
con lei. E poi era alto, e biondo. Come un principe.
Pure il coraggio
di un principe… - le
suggerirono le sue letture.
Il momento fiabesco
durò due secondi, perché l’altro la
scrollò
per la spalla. “Eddai, dimmelo! Come ti chiami?”
Non doveva essere abituato a sentirsi dir di no. Sembrava Malfoy.
“Non
strattonarmi così, stupido!”
“Dimmi il tuo nome, o ti chiamerò Sang-pur per
sempre!”
Si era sbagliata:
Scorpius non era così zoticone. “Non ti
azzardare!” Esclamò: sì, era
una
purosangue, però in francese suonava malissimo.
Inoltre, le disse una vocina, non era quello il modo in cui voleva che
l’altro
la ricordasse. “Senti chi parla comunque, anche tu non vuoi
dirmi il tuo nome…
qual è quello vero? Dom o Nicky?”
“Tutti e due!” Fece spallucce. “Mi chiamo
Dominique³.”
“Io…
” Aveva pure il nome bello! Non doveva essere da meno,
decise. “Mi chiamo Violet Parkinson –
Goyle.” Concluse, alzando il mento come
aveva visto fare a sua madre. “Non azzardarti quindi a darmi
soprannomi
stupidi!”
Il bambino si
ficcò le mani nella tasca anteriore di
quell’orribile felpa sformata con un’aria di chi
aveva voglia di fare tutto il
contrario. “Ma è troppo
lungo…” Si lamentò infatti. Poi si
illuminò. “Ho
trovato… ti chiamerò Piggie!”
“…
cosa?” Era certa che il suo sopracciglio fosse davvero
altero, ma aveva anche una gran
voglia di dargli un ceffone. Come si permetteva!
“Sì,
beh, il tuo nuovo nome per me.
Violet non me lo ricorderei mai.” Le spiegò
perfettamente
tranquillo. “Assomigli un po’ ad un porcellino,
no?” Notando la sua aria
sconvolta – no, gelida
– aggiunse.
“Però di quelli carini!”
Violet non
trovò di meglio che dargli le spalle e
ricompattarsi con la folla di studenti. Non corse via, se ne
andò dignitosamente.
Come una vera Lady.
Stupido, stupido
Vestito Babbano Pazzo! Ti odio!
Lo avrebbe odiato per
sempre.
Le nude
verità
del Secondo Anno.
Dominique, dopo le sue
prime vacanze estive come
studentessa, avrebbe preferito beccarsi uno schiantesimo piuttosto che
rimettere piede sul suolo di Beaux-Batons.
Ovviamente questa
risoluzione non aveva minimamente convinto
i suoi genitori: e così…
“Domi! Qui
ce n’è una carrozza vuota, vieni!” La
chiamò Mael,
suo cugino. Lo raggiunse, buttandosi sui cuscini soffici e ascoltandolo
pigramente riprendere i suoi cinguettii.
(Sul serio, Mael non
parlava. Cinguettava leziosamente.)
Aveva scoperto di
odiare la scuola: era noiosa, piena di
lezioni barbose con professori che cianciavano di cose che non le
interessavano.
Però…
C’era un
motivo per rimanere: la fichissima foresta incantata
che circondava la scuola, piena zeppa di creature magiche.
Batte Hogwarts
con tutti i suoi unicorni. Qui ne abbiamo ben due branchi!
Il cugino si sporse
dal finestrino per controllare il flusso
di studenti che occupavano le carrozze. Fece una smorfia.
“Guarda, c’è la
Parkinson-Goyle!”
Dom non perse tempo a
sporgersi: non ne valeva la pena. Violet
– Piggie se chiedevano a lei - era la classica piccola,
perfetta purosangue,
circondata da sue copie-carbone. Girava per la scuola con il naso per
aria. Sì,
quando l’aveva conosciuta aveva pensato potesse essere una
tipa simpatica…
Ma mi sono
sbagliata alla grande.
“E
allora?” Chiese annoiata, squadernando l’ultimo
numero di
Marvin il Babbano Matto.
Mael si morse un
labbro, incerto. “No, è che…”
Dom sospirò:
sapeva bene che l’altro era fortemente attratto dal gruppo di
Violet. Erano ben
vestite e parlavano solo di
vestiti.
Il massimo, per
uno come Mael…
Del resto con lei si
parlava solo di draghi, Quidditch e
fumetti.
Il massimo per
me.
“Perché
non vai a sederti con loro? Sarebbero contentissime
…” Lo prese in giro.
“Nah, sono
delle smorfiose!” Disse frettoloso, lanciandole
un’occhiata. “Preferisco stare con te.”
“Che bugiardo.”
“Senti, quelle vogliono che diventi il ragazzo di una di
loro!” Si lamentò a
gran voce, incrociando le braccia. “E io non
voglio!” Fece poi un risolino.
“Però…
quest’estate Sophie, quella con i ricci, non faceva che
scrivermi. Pensano che
tu…” si stoppò con un’altra
risatina.
Dominique inarcò le sopracciglia, suo malgrado incuriosita.
“Io cosa?”
“Beh
… non indossi mai
l’uniforme…” Iniziò sbuffando
con
disapprovazione. “Stai sempre con i jeans!”
“Non è obbligatoria, quindi col cavolo che la
metto. Quindi?”
Mael scosse la testa,
lanciandole un’occhiata divertita.
“Non te lo dico, tanto lo scoprirai da sola!”
“Boh, come
ti pare.” Se non voleva dirglielo pazienza. Non
sarebbe certo morta di curiosità.
Sentirono aprire la
porta, e poi a sorpresa salirono proprio
la Parkinson e due delle sue amichette-gemellate.
“Oh,
Weasley.” Disse questa arricciando il naso, quasi fosse
scontenta di vederla.
“Ciao
Piggie.” Replicò cortesemente, beandosi
dell’aria
infuriata dell’altra. L’anno prima, le poche volte
che si erano incrociate per
i corridoi – avendo lezione diverse e abitando in dormitori
diversi si erano
incontrate in tutto dieci volte - era stato uno
spasso farla arrabbiare. Sembrava proprio un buffo porcellino
d’India quando
perdeva le staffe.
“Se devi
cominciare a dire cavolate ce ne andiamo!” Sbottò
infatti
altezzosa.
“Ma guarda
che…” Si fermò prima di farle notare
che nessuno
l’aveva invitata.
Ma maman dice sempre che sono troppo diretta.
Evvabbeh. Facciamo le cortesi.
“Dai,
c’è un sacco di posto, tu e le tue amiche potete
stare
con noi.” Ad un’occhiata ammonitrice di Mael
aggiunse di malavoglia. “Mi dispiace
per il nomignolo.”
Ma anche no.
L’altra
ragazzina sembrò quietata dalle sue scuse. Sorrise
con evidente soddisfazione. “Allora va bene… forza
ragazze, stiamo per
partire!” Disse alle altre due.
Rispetto ad un
anno fa il francese lo parla meglio…
- notò
spassionata.
Mentre le altre si
accomodavano si buttò nuovamente nella
lettura del fumetto.
“Dove hai
passato le vacanze, Dominique?” Chiese una delle
due amiche di Piggie, con un gran sfarfallare di ciglia.
Sentì Mael
grugnire per nascondere un nuovo scroscio di
risatine.
Ma che gli
è
preso?
“In
Romania.” Rispose cercando di non sembrare scocciata. E
lo era. Voleva sapere come andava a finire quel maledetto fumetto ed
era tutta
un’interruzione!
“Oh, e
perché?”
Porco Crup, che nervi!
“Da mio zio
Charlie. Lavora in una riserva, fa il guardiano
di draghi.”
Le due ragazzine si
produssero in squittii spaventati. Almeno
la Parkinson si limitò ad inarcare un sopracciglio tentando,
male, di mostrarsi
poco impressionata.
“Ed hai
visto un drago?” chiese una delle due vallette, che
aveva trecce bionde e l’aria melensa.
Bleah. Tizie
così
danno una pessima fama alla nostra categoria. È per tizie
così che maman vuole che sia più femminile. Ripeto,
bleah.
“Certo.”
Rispose, perché le era stato insegnato a dar
udienza anche alla più cretina delle domande. “Se
è per questo, li ho anche
toccati.” Aggiunse orgogliosa.
“Sì,
come no!” Esclamò immediatamente la Parkinson.
“Non ci
credo!”
Ah, no? Beh,
affaracci tuoi…
- pensò scoccandole un’occhiataccia.
C’erano poche cose che il suo buon carattere –
l’aveva preso da suo padre, ovviamente
– non scusava.
Quando le persone le
davano della bugiarda era una di
queste.
L’anno prima
si era quasi dimenticata di Dominique e
dell’episodio della carrozza.
Aveva avuto altro a
cui pensare: nuove regole da imparare, abituarsi
a dormire assieme ad altre persone…
e
come se non bastasse, lezioni dove i professori pretendevano molto e
spiegavano
poco.
Non era stato facile.
Per niente.
Aveva avuto persino
problemi nello stringere amicizie; le
sue compagne di stanza infatti si erano rivelate quasi tutte
mezzo-sangue o
Nate Babbane.
Non aveva neanche
tentato di approcciarle quindi, e anche le
altre avevano fiutato subito il suo disprezzo.
Aveva dunque passato i
primi due mesi in totale solitudine. Non
si era mai lamentata a casa: sua madre non avrebbe voluto saperla
debole.
Però quando
la nostalgia di casa si faceva acuta, a volte si
ritrovava a cercare il ragazzino lentigginoso tra la folla. Spesso
l’aveva
scorto in Aula Magna, sempre circondato da altri ragazzi: era piuttosto
popolare.
Non l’aveva
mai avvicinato. Non avrebbe neanche avuto una
scusa, come chiedergli di accompagnarla al dormitorio. Lei era nella
Casa delle
Rose e lui in quella dei Fiordalisi, site in ale opposte del castello.
Ma forse
quest’anno avremo qualche lezione in comune …
Non che avesse
importanza. Ormai non si sentiva più sola.
Aveva delle amiche.
Quando era tornata a
casa per Natale aveva finito per
confessare tutto. Dopo averla rimbrottata, sua madre si era
immediatamente
mossa. Durante le vacanze Violet aveva quindi frequentato le compagnie giuste. Non le aveva incontrate prima
perché erano in case diverse.
Tornata, aveva smesso
di cercare Lentiggini e i suoi assurdi
capelli biondo stinto: le sue nuove amiche erano molto curiose e aveva
paura
che si accorgessero della sua predilezione per quello strambo ragazzino.
È
sicuramente un
babbanofilo, se non ha sangue babbano.
Se fosse venuta a
saperlo sua madre…
Quell’estate
però aveva avuto una sorpresa: sembrava che
Geneviève,
una delle sue amiche persempre,
avesse visto Nicky ad una partita di Quidditch e l’avesse
trovato divino.
Violet
lanciò un’occhiata al divino
che al momento, a dirla tutta, la guardava storto.
Non lo trovava
così stupendo: okay, era molto
più alto della media e sì, aveva un bel viso e
certo, con i
capelli un po’ più lunghi stava meglio,
ma…
Non è
così
bello, ecco.
Comunque, quando le
altre avevano concordato
entusiasticamente con l’amica, lei si era accodata.
E poi, se
proprio qualcuna di noi deve averlo come ragazzo, meglio io. Sono
più carina e
poi già lo conosco. Non bene. Però mi ha dato
quell’orrendo soprannome…
Per questo non si era
ribellata quando Jenny – Geneviève –
aveva ventilato l’idea di sedersi nella carrozza dove si
erano sistemati
Weasley e Delacour.
Si riscosse di colpo,
dato che l’altro la apostrofò con la
solita maleducazione. “Ehi, pensi che dica bugie? Mio zio lavora in quella riserva. Ho toccato un
Ungaro Spinato!”
“Può essere.” Corse ai ripari, vedendolo
sul piede di guerra. “Ma i draghi sono
animali feroci e tu hai dodici anni. Pensi di essere un guardiano di
draghi?” Chiese,
trincerandosi dietro il sarcasmo.
“Lo
sarò.” Replicò fieramente, e Violet
pensò che poteva anche
crederci dopotutto; Weasley non era il genere di persona che sparava
smargiassate tanto per farsi bello agli occhi degli altri.
Non ne ha
bisogno, accidenti a lui.
“Saresti un bellissimo
guardiano di draghi, Nicky…” Tubò Jenny
e Sophie, l’altra amica, la seguì in un
assenso concitato.
“Bellissimo?” Le
apostrofò confuso. “Non sono un ragazzo!”
Cadde un silenzio
pesantissimo e Violet sentì la bocca spalancarsi
proprio come sua madre odiava vederle fare.
Nel frattempo Delacour
si era messo a ridere come un matto, nascondendo
la faccia tra le mani.
“Ma certo
che lo sei!” Non si diede per vinta Jenny, pallida
come un lenzuolo.
“Vuoi che mi
abbassi i pantaloni?” Propose con un ghigno quasi
malvagio. “Mael, diglielo tu, magari a te credono.”
“Mi dispiace…” Confermò
questo tirando su con il naso per le troppe risate.
“… anche
se è un maschiaccio, e si veste sempre malissimo posso
assicurarvi che Domi è davvero
una ragazza.”
Da quel giorno Jenny
smise di lodare il divino e quando
la notizia del fraintendimento giunse alle altre,
tutte reputarono fosse doveroso non parlarne mai
più.
Violet fu
d’accordo: ma non smise di cercare quella testa
argentata tra la folla.
****
Il Colpo di Pluffa del
Terzo Anno.
“Letty,
attenta!”
“Oh, Morgana! Violet!”
“L’ha
presa in
pieno!”
Un lampo bianco e
… era avvisaglia di morte sentirsi
fluttuare nel vuoto?
Il mio karma fa
schifo.
Naturalmente non era
una cosa che Violet avrebbe mai detto
in giro. Aveva una reputazione da difendere ed era il caso che
rimanesse lustra
e brillante lì dov’era.
Violet era il tipo di
persona che sapeva di dover pensare
almeno tredici volte prima di parlare: era così che sapeva
sempre dire la frase
giusta, ed era per questo che si manteneva sulla cresta delle popolari
del suo
anno.
Ciò non
toglieva che un po’ sfortunata doveva esserlo per
forza.
Perché di
tutto il maledetto stadio era stata l’unica a fare
da bersaglio ad una Pluffa.
Naturalmente, era
tutta colpa di Dominique Weasley.
Quella bifolca era una
punizione del Destino per peccati che
non aveva commesso: certo, era snob, sì, guardava tutti
dall’alto in basso, ma
Morgana, non era come uccidere gattini o ridere delle disgrazie altrui.
(Okay, l’ultima cosa la faceva, ma quella stupida
dell’Azoulay se lo meritava
se continuava a vestirsi come se fosse sua nonna).
Per tornare al
discorso, era certa che la Weasley fosse una
punizione che qualche entità superiore le aveva affibbiato
alla nascita. C’era solo
voluto un po’ prima che le loro strade si incrociassero.
Quella bionda stramba,
sempre troppo alta, sempre troppo ridacchiante
era pericolosa.
Inutile che tutta la
scuola non facesse che osannarla e
seguirla come un cucciolo scodinzolante.
Violet Parkinson-Goyle
non avrebbe cambiato idea su
Dominique Weasley. Mai.
Mi ha colpito
apposta, ne sono certa!
Insomma, quante
possibilità c’erano che durante il Campionato
Continentale Tra Squadre di Quidditch Scolastiche fosse lei, tra
più di
cinquecento studenti, ad essere presa in pieno da una palla lanciata
dalla
Cacciatrice con la precisione di tiro migliore di tutta la squadra?
Pochissime. E invece.
Sperò che
almeno la sua morte avrebbe sbattuto quella
deficiente dove meritava di stare: ad Azkaban. Così
pensando, Violet fluttuava.
… quando
riprese coscienza, era viva e in infermeria. Le
volte slanciate e bianchissime del soffitto l’abbacinarono e
dovette chiudere
gli occhi prima che le esplodesse la testa.
Poi sentì
un fruscio accanto a sé. Si irrigidì: qualcuno
era
rimasto con lei? Giusto e doveroso. Ma perché sentiva un
acuto odore d’erba e
pioggia come se quel qualcuno avesse passato le ultime ore a giocare a
Quidditch?
Era forse Mathieu, il
suo spasimante – sua madre le aveva
consigliato di chiamarlo così?
“Ehi, ti sei
svegliata Piggie?”
Oh, no. Non lei.
… e invece
sì. Dominique Weasley era al suo capezzale con
quel suo dannato sorriso beffardo: indossava ancora la divisa di
Quidditch e
aveva schizzato di fango il pavimento.
“Che diavolo
ci fai qui?” Cercò di sembrare irritata, ma
riuscì solo a pigolare. La testa le faceva davvero male.
“Dovresti essere ad
Azkaban.”
“Eh?” L’altra la guardò
perplessa, poi si sporse. “Hai preso davvero una brutta
botta, vero?”
“Sono perfettamente in me, stupida!”
Sibilò, contenta di riuscire a fare
perlomeno quello. “Mi hai quasi ammazzata! Avrebbero dovuto
arrestarti!”
La Weasley
scrollò le spalle con odiosa noncuranza. “Non
l’ho
mica fatto apposta, la Pluffa mi è scivolata di
mano.”
“Sì,
come no!” Sospirò. Urlare non era una buona idea.
Si sentiva
l’eco in testa e non doveva essere un buon segno. Odiava il
Quidditch. “Di
cinquecento persone, hai preso proprio
me!”
“Veramente è la palla che ha preso la direzione
della tua testa.” Obbiettò con
tono ragionevole, giocherellando con i guanti di cuoio con aria
annoiata. Avrebbe
voluto farglieli ingoiare. “Smettila di lagnarti. Sai quante
Pluffe in faccia
mi sono presa io?”
“Ma io non sono una zoticona che gioca a fare
l’uomo!” Ritorse. Dominique
ridacchiò. Morgana, quella
era la
cosa che più detestava di quella bionda senza cervello. Non
se la prendeva mai
per nulla. Sembrava che qualsiasi offesa fosse una simpatica
barzelletta per
lei.
Tutta la sua vita
è una barzelletta.
“Già,
in effetti sei più una bambolina che gioca a fare la
principessa del palazzo.” E poi aveva quel brutto vizio di
risponderle per le
rime. Violet odiava quando qualcuno lo faceva: era tipa da prima
battuta, non
da seconda.
In pratica non
riusciva a controbattere.
Si sentiva frustrata
in presenza dell’altra: le loro vite
correvano parallele e raramente si incrociavano. Diverse amicizie,
classi,
dormitori e vite…
Eppure quando
calpestavano lo stesso angolo di castello,
alla stessa ora, succedeva qualcosa.
Di solito litigavano.
O meglio, io le
finisco per urlare addosso, e lei se la ride.
Però
c’erano delle volte in cui Violet si incantava a notare
come la luce che filtrava dai grandi finestroni giocasse con riflessi
argentati
trai capelli dell’altra, o come a volte scoppiasse a ridere
portandosi una mano
dietro il collo sottile e bianchissimo.
Allora arrossiva
puntualmente e distoglieva lo sguardo,
ignorandola e tirando dritto.
Si sentiva sempre
stupida quando si accorgeva che l’altra invece
non l’aveva neanche notata.
Non riusciva a capire
perché trovasse la Weasley bella.
Non considerava una ragazza migliore
di lei, mai. Sarebbe stato controproducente, diceva sua madre. Avrebbe
alimentato
i suoi già presenti complessi.
Ma Dominique era
bella, anche con i suoi capelli sforbiciati
corti, le labbra sempre screpolate e qualche livido o graffio causato
da chissà
quale creatura magica.
Quando c’era
lei, riempiva un’intera sala con la sua
presenza. Non perché fosse rumorosa o attirasse
particolarmente l’attenzione. Semplicemente
perché era lì
e rideva.
Violet detestava
Dominique nella stessa misura in cui l’ammirava.
“Ehi,
Piggie… hai sete? Vuoi un bicchier
d’acqua?”
Violet fece una smorfia, ignorandola. Le lanciò comunque
un’occhiata, attenta a
non esser notata: era strano che nessun ragazzo le si fosse ancora
avvicinato. Era
molto popolare, e nonostante fosse un maschiaccio aveva comunque sangue
Veela
che la rendeva molto più aggraziata della media.
È strano,
no?
Lei per esempio aveva
Mathieu. Mathieu era figlio di un
funzionario del Ministero molto in vista e amico di sua madre. Era per
lui che
si era seduta su stupidi sedili di legno congelandosi il sedere per
quasi un’ora.
Pubbliche relazioni.
Qualunque cosa voglia dire.
Ricordando la partita,
si tirò di scatto a sedere. “Che ore
sono?” Doveva essere già finita, se la Weasley era
lì. Perché non c’era Mathieu
al suo posto?
“Ora di cena…” Le fu risposto a conferma
dei suoi sospetti. “Allora, questo
bicchier d’acqua?”
“Non devi per forza vegliarmi, Weasley.”
Sbuffò irritata. “Almeno abbiamo
vinto?”
“Ovvio!” Ghignò. “Con tutte le
reti che ho segnato!”
“Mathieu è il Cercatore, è lui che vi
avrà fatto vincere.” Disse con sicurezza,
mentre la Weasley faceva uno strano sorrisetto divertito. Aveva
rinunciato a
capire la sua mimica facciale un anno prima, quando aveva scoperto che
invece
che mago era strega. “A
proposito, dov’è?”
“Il tuo bello è a festeggiare, con il resto della
scuola.” La
Weasley non aspettò il suo assenso per
versare il bicchier d’acqua. Violet tese la mano ma fu
shockata quando l’altra
lo bevve al suo posto.
“Mica hai
detto che lo volevi!” Sghignazzò alla sua
espressione. “Se lo vuoi, adesso chiedi per favore!”
“Stupida
bifolca! Vattene subito!” Sbottò furente e
umiliata. Era così che si sentiva accanto
all’altra. Sempre.
Sembra che
niente la tocchi. Cavolo, quanto la detesto!
La Weasley infatti si
produsse in una delle sue risate. “Va
bene, va bene Piggie, me ne vado. Cerca di non urlare troppo. La bocca
ti
diventa grande come un calderone, sai?”
Fu un vero miracolo se non tentò di affatturarla –
e meno male che non sapeva
dove fosse la sua bacchetta.
Quando
l’altra fu uscita, si abbandonò sui cuscini, vinta
e
con un’emicrania pulsante.
Pochi attimi dopo
arrivò l’infermiera guardandosi attorno alla
ricerca di qualcuno.
“Oh, Weasley
è andata via?” Chiese infatti. “Avevo
paura di
doverle preparare il letto accanto al tuo.”
“Perché?” Chiese tentando di mostrarsi
disinteressata. C’era qualche motivo per
cui quella scema avrebbe dovuto dormire in infermeria?
Forse si è
fatta
male durante la partita? Ma no. Scoppiava di salute come al solito.
La donna
scrollò le spalle. “È stata qui con te
tutto il
pomeriggio. Si è rifiutata persino di andare a cambiarsi,
non voleva lasciarti
da sola.” Le spiegò mentre eseguiva complicati
movimenti di bacchetta per
controllarle i parametri vitali.
Violet
ammutolì: sì, aveva notato che l’altra
indossava
ancora l’uniforme inzaccherata di fango.
Ma pensavo
perché
… beh, è la Weasley! È sempre vestita come una stracciona. Non è il
genere di persona a cui dà fastidio qualche macchia di
fango…
… pensavo.
“Perché?”
Ripeté e stavolta l’infermiera le
scoccò un’occhiata
preoccupata, quasi che sentirle ripetere la stessa parola fosse indice
di
qualche complicazione post-trauma. Si schiarì subito la
voce. “… cioè,
intendevo dire, è rimasta davvero qui tutto il
pomeriggio?”
“Tutto.” Confermò la strega.
“Era così preoccupata … nonostante
l’arbitro non l’abbia
ammonita ha abbandonato la partita ed ha preteso di rimanere qui
finché non ti
fossi svegliata.” Fece una piccola smorfia, da autentica
tifosa di Quidditch. “Per
fortuna non è la nostra Cercatrice!”
Violet non credeva alle sue orecchie.
Sembrava che
stesse qui per sbaglio… addirittura pensavo che la Preside
ce l’avesse
costretta visto che mi ha quasi ucciso.
Dominique Weasley, si
rese conto, era un maledetto, continuo
mistero.
“Oh cara, ti
si sta alzando la temperatura! No, queste
guance rosse non mi piacciono affatto!”
Note:
Questo Plot!Bunny
mi girava in testa da un bel po’. Potevo forse ignorarlo? No,
fidatevi. Spero solo piaccia anche a voi. :) E' la mia prima femslash
(a parte accenni qua è la in AUL).
Qui la canzone. Siamo in Francia, canzone francese.
Anche il testo è
molto attinente. xD
Una parola sul titolo:
l’ispirazione è dovuta a ‘Hannah
is not a boy’s name” un web
comic adorabile che nulla ha a che fare con la nostra storia. A parte
il titolo.
:P
Si
ambienterà, come si può capire, nei sette anni di
scuola francese
di Dominique e Violet.
Per chi non si
ricordasse i loro volti (qui un po’ più
adolescenti che fanciulleschi):
Dominique.
Violet.
1. Né
Moldu: Nato
Babbano in francese. Controllato nell’wikipedia francese. ;)
2. Abraxan:
razza
di cavallo gigante. Simile ad un grande palomino, viene utilizzato per
tirare la
carrozza da viaggio di Beaux-Batons nel quarto libro della saga.
3. Dominique:
è un
nome scomponibile. C’è anche da dire, che
Dominique è un nome unisex in
Francia. Da qui, la confusione di Violet e amichette. xD
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Capitolo 2 *** Dai Quattordici ai Quindici ***
On a parcouru les chemins, on a tenu la distance
Je te hais de tout mon corps, mais je t'adore
(Le
Chemin, Kyo)
La Collisione del Quarto Anno.
A quattordici anni quando si
litiga può essere un cataclisma. E lo è.
Perlomeno Violet la pensava
così, alla ricerca di un posto dove piangere tutte le sue
lacrime.
Non capiva.
La realtà era che non capiva, e questo la frustrava:
quindi
affilava la lingua e teneva tutti a distanza, il suo ragazzo in testa.
Che poi,
era lui il nocciolo del problema.
Mathieu Allard era il
fidanzato perfetto: ricco, sufficientemente carino e affabile da
suscitare
invidia e ammirazione nelle altre ragazze del loro anno ed oltre.
Finita la scuola avrebbe
studiato Magisprudenza, ed era un ottimo sportivo.
Eppure.
Eppure Violet non riusciva
ad
innamorarsi di lui. Mal di poco, avrebbe commentato sua madre:
l’amore è un
accessorio. Può esserci, ed è carino
ci
sia, ma non è necessario per un futuro buon matrimonio. Per
lei era stato così,
avrebbe dovuto essere diverso per sua figlia? Lo sperava, ma non era necessario.
‘Gli
Allard sono una famiglia molto in vista. Certo,
sei ancora una bambina, certo… ma non
c’è nulla di male a frequentarsi. E sono
più tranquilla se lui veglia su di te. E poi Mathieu ti
piace, no?’
Piacerle.
Mathieu dietro le sue
maniere
che facevano sciogliere gli adulti, sua madre in testa, era un
prepotente. Era
cattivo: con gli amici si divertiva a tormentare le matricole, ed una
volta
l’aveva visto affatturare gravemente un ragazzo del Secondo
solo perché aveva
osato rispondergli male.
Mathieu era crudele, e
quando
la prendeva per mano era solo per portarla in un angolo riparato.
Quando la
baciava era come sentirsi attaccati. I morsi sulle labbra non se ne
andavano
per ore.
Sophie
aveva scherzato dicendo che invidiava
la loro passionalità; Violet non sapeva se quella fosse
passione, ma le faceva
venire il voltastomaco. Le faceva schifo come il suo ragazzo le
divorava le
labbra, come le passava le mani sulle gambe.
Riusciva sempre ad
allontanarsi
con una scusa e allora l’altro rideva è la
chiamava puritaine.
Ogni volta aveva intenzione
di
ribattergli, ma poi lasciava perdere: che senso avrebbe avuto?
Dopotutto non
che avesse tutti i torti. Molte delle sue amiche trovavano normali quei
contatti.
Ma non era così
che si era
immaginata il suo principe azzurro. Sapeva fosse stupido, sapeva che il
cavaliere dal bianco destriero era solo carta e inchiostro.
Eppure,
dannazione. È sempre
così?
Jenny, forse la più intelligente del loro gruppo
dietro l’aspetto ordinario,
l’aveva capita. Li aveva capiti.
‘Se
non ti piace, perché non lo lasci? Ci sono un sacco
di bei ragazzi a scuola, e di ottima famiglia che sarebbero felici di
stare con
te. Così tua madre non si arrabbierebbe se facessi saltare
gli accordi con gli
Allard, no?’
Certo, avrebbe potuto
trovare
un sostituto.
Sostituto…
Ma era squallido, e stupido,
perché di quei ragazzi non le piaceva nessuno. Li trovava
volgari, con i loro
lazzi, le occhiate e quei corpi pieni di strana energia repressa.
Ma le altre non la pensavano
come
lei. Le altre li trovavano carini, belli, stupendi.
Forse
sono io che ho un gusto troppo elaborato?
La lite si era proprio
originata da quello: Sophie aveva cominciato a lodare il suo rapporto
con
Mathieu e lei, ricordando l’assalto del proprio ragazzo di
quel pomeriggio le
aveva ribattuto qualcosa di caustico – non ricordava neanche
cosa. Avevano
finito per litigare, e lei si era ritrovata fuori dal dormitorio dei
Fiordalisi
in un batter d’occhio.
“Piggie!”
Violet era consapevole che immersa nei propri pensieri tendeva a
dimenticarsi
di dove fosse, trovandosi spesso in ale del castello in cui non avrebbe
dovuto
trovarsi: per fortuna la spilla da Préfet
fino a quel momento le aveva risparmiato non pochi grattacapi.
Naturalmente
non poteva risparmiarle di imbattersi in Dominique Weasley, altrettanto
munita
di spilla.
Tirò fuori la sua
migliore
espressione fredda, sperando che nella penombra del corridoio non si
notassero
i suoi occhi rossi.
“Weasley.”
La salutò appiattendo
il tono in vaga noia.
Dominique Weasley ormai
sembrava
la ragazza che in effetti era: le sembrava assurdo – e
imbarazzante – che tre
anni prima l’avesse scambiata per un maschio.
Almeno
non ero l’unica…
Avrebbe potuto posare per
qualche rivista di moda, la sciattona. Se, appunto, non fosse stata
irrimediabilmente conciata come un maschio.
Aveva intuito che si
vestisse
in quel modo per praticità: era infatti sempre nella
Foresta, quando non giocava
a Quidditch. La loro graziosa uniforme doveva essere scomoda in quei
contesti.
Ciò
non toglie che si veste in modo orribile.
Forse è
per questo che i ragazzi la cercano solo per fare cose da ragazzi. Non
la
considerano neanche una donna!
Ad ogni buon conto,
Dominique
Weasley era una ragazza statuaria e con il sorriso sempre sulle labbra.
Era lei
il genere di persona che avrebbe avuto il principe azzurro perfetto, a
differenza sua.
La detestava così
tanto che
aveva sempre le palpitazioni in sua presenza.
“Che ci fai qui?
Questo è il
territorio dei Bleu!¹”
La apostrofò
in inglese. Era raro che tra loro si parlassero in francese.
“Non chiamarlo
territorio. Non
siamo animali.” Ribatté incrociando
confortevolmente le braccia al petto. “Hai
intenzione di darmi una nota?” Cosa che avrebbe dovuto fare,
in quanto Préfet.
“No,
perché?” Replicò con
un’alzata di spalle. “Ti ho chiamata
perché mi sembrava ti fossi persa.”
“Come faccio a
perdermi in un
palazzo che conosco? Le mie migliori amiche sono Fiordalisi, come
te.”
La innervosiva, la Weasley.
Sempre. E odiava avere le guance rosse dopo ogni loro battibecco.
Litigare con lei non era
come
litigare con qualunque altra loro coetanea: con le altre aveva sempre
presa
sulla situazione. Ne usciva sempre vincitrice. Ormai a scuola si sapeva
che era
meglio non infastidirla.
Ma la Weasley se ne fregava.
“Okay, non ti sei
persa…”
Convenne intanto l’altra. “Allora che ci fai ancora
qui?”
“Sei la solita zotica!” La apostrofò nel
panico. “Stavo solo riflettendo.”
“In un corridoio buio?” Ghignò, poi a
sorpresa le afferrò la mano. Non fece in
tempo a scostarsi, e neppure a tentare, perché la presa era
incredibilmente
salda. Non forte, non dolorosa come quella di Mathieu. Semplicemente
aveva il
potere di trattenerla lì.
“Lasciami.”
Le ordinò, perché in
compenso la bocca non gliel’aveva chiusa.
“Ti va di vedere
il mio posto
segreto?” Fu la sconcertante replica. Violet rimase senza
parole e l’altra si
arrogò il diritto di prenderlo come un assenso.
“Dai, andiamo!”
“Aspetta!” Sibilò, perché
urlare non era un’idea felice nel cuore del
coprifuoco. “Dovresti fare il giro di ispezione!”
“Per stasera lascerò le coppiette a godersi la
loro intimità.” Fu la replica
imperturbabile. Violet tentò di liberarsi, ma era
impossibile a meno di non far
male ad entrambe con uno strattone brusco.
La maledetta doveva saperlo,
dall’occhiata divertita che le lanciò sopra le
spalle.
“Puoi anche
evitare di tenermi
per mano come una bambina!” Tentò
perché sentiva il cuore arrivarle alla gola
per la furia. Perché era furiosa. Era quello. Di sicuro.
“Se ti lascio,
scappi. È una
regola base nel mondo animale.”
“Non siamo nella foresta, razza di selvaggia!”
Sbottò incredula, ma si sgonfiò
come un palloncino quando vide che l’altra esibiva una calma
serafica.
“Anche gli esseri
umani sono
animali, Violet.” Chiamarla per nome fu un colpo basso. Non
lo faceva mai, e quindi
l’effetto era stato…
sconcertante.
“Tu di sicuro sei
l’anello di
congiunzione trai due mondi.” Ritorse, facendola ridacchiare
a bassa voce.
Arrivarono nei pressi delle cucine e l’altra estrasse la
bacchetta e mormorò
qualcosa a mezza voce. La porta si aprì senza che
nessun’allarme suonasse.
Non
dev’essere la prima volta che sgattaiola via dopo
il coprifuoco.
La seguì nella
cucina e poi
fuori, dalla porta di servizio: a quel punto voleva
vedere quello stupido rifugio segreto. L’avrebbe schernita,
e poi sarebbe andata a riferire tutto alla Preside.
Certamente avrebbe fatto
così;
a Beaux-Batons andava avanti solo chi sapeva approfittare dei momenti
di
debolezza altrui. Non per tutti, ma per lei funzionava così.
Non poteva permettersi
debolezze quando la conosciuta defezione dalla terra natia dei suoi
genitori
già gettavano voci e sospetti sul suo cognome.
Non
ci sono state molte famiglie purosangue ad
andarsene, dopo la guerra. E quelle che l’hanno
fatto…
Ma non voleva pensare a
quello, perché era qualcosa che non
la
riguardava.
Ad ogni buon conto, il
Rifugio
Segreto si rivelò essere in mezzo alla Foresta Incantata,
che anche di notte
riluceva di un tenue lucore magico. Era uno spettacolo che spesso
Violet
osservava, dalla finestra della sua camera.
A
distanza appunto.
“Non vorrai andare
lì dentro?
È piena di…”
“Creature magiche. Già.” Fece spallucce.
“Di che hai paura?”
“Sei stupida o cosa? Ci è proibito entrarci non
accompagnate da un professore!”
Dominique batté
le palpebre.
Per un attimo sembro volersi mettere a ridere –
l’avrebbe uccisa – ma poi le
sorrise e ogni anelito omicida crollò. “Di che ti
preoccupi? Ci sono io. Non ti
succederà niente!”
Era la frase più stupida che avesse mai sentito pronunciarle
– e ne aveva sentite
tante da quella boccaccia.
Eppure.
“Se vuoi puoi
tornare
indietro.” Le suggerì con l’aria di chi
non l’avrebbe accompagnata.
Violet inspirò:
non voleva tornare. Non veramente:
non voleva andare
a letto e pensare al litigio con Sophie né alle mani di
Mathieu che tentavano
di sollevarle la gonna.
Quindi la seguì,
benché si
premurò di non sembrare affatto eccitata da quella piccola
fuga notturna.
“Allora.”
Esordì sostenuta
dopo dieci minuti di cammino notturno. “Manca
molto?”
“Siamo
arrivate.” Le comunicò
scostando una fronda di felce e facendole cenno di passare.
Violet fece una smorfia,
obbedendole:
era in mezzo ad un bosco e si stava infangando da capo a piedi. Non mi lascio certo impressiona…
Spalancò la bocca
come tanto
odiava fare – sentì infatti Dominique ridacchiare
alle sue spalle.
Il Posto Segreto era il pascolo segreto degli unicorni. Se ne
vociferava come leggenda all’interno della scuola:
c’erano ben due branchi
all’interno del bosco, ma raramente era possibile vederli
dato che si nascondevano
nel folto della foresta.
Eppure la Weasley li aveva
non
solo trovati, ma era anche riuscita a farsi accettare da come si stava
muovendo
con sicurezza all’interno della radura.
“Vieni!”
La invitò
allegramente. Violet
voleva, ma
conosceva la razza dai racconti d’infanzia – come
qualsiasi bambina del Mondo
Magico del resto.
“Scapperanno…”
Mormorò. Le
bastava vederli da lontano: le figure eleganti, le movenze aggraziate,
i manti
lucidi come argento che richiamavano i riflessi del ruscello che
scorreva quieto
in mezzo alla radura…
Quello era davvero il posto
più bello che avesse mai visto.
“Non
scapperanno.” Insistette.
“Andiamo, fidati di me!”
La Weasley usava parole grosse. Parole che avevano un peso, e che lei
non
avrebbe mai pronunciato con quella leggerezza.
Eppure.
Le obbedì ancora
una volta. Gli
unicorni al suo arrivo alzarono immediatamente la testa per guardarla.
Esitò,
quasi inciampando. Dominique, muovendosi tranquillamente, la prese per
mano e
le fece cenno di imitarla. “Niente movimenti bruschi. A parte
questo, hanno una
voglia matta di capire chi sei. Sono curiosi.” Senza che
potesse fare nulla, le
prese una mano e la tese nell’aria. Con sua enorme sorpresa,
uno degli unicorni
si staccò dal branco e si avvicinò loro.
“Che…
che sta…?” Balbettò,
sentendosi assolutamente inadeguata a quella situazione. Odiava
sentirsi in
quel modo; e naturalmente le succedeva molto più spesso di
quanto non volesse.
“Non essere
nervosa. Non sono
l’unica a sentirti tesa, sai?” Le sorrise
Dominique: in quel momento sembrava
più adulta di lei. E non c’entrava che fosse
più alta o altro.
Quello il vero
ambiente a cui quella bislacca bionda apparteneva. Non
un’aula, né tantomeno
una cena di gala. E capì anche che, per qualche assurda
ragione, aveva permesso
a lei di farne parte.
Sentì un lieve
tocco umido
sulla mano e si voltò sbigottita. Stava toccando un
unicorno, o meglio,
l’unicorno aveva posato il muso sul suo palmo.
“Mi…”
Esordì intelligentemente
e Dominique ridacchiò.
“Te
l’avevo detto che sono curiosi,
no? Appena ti conoscono diventano super-appiccicosi!”
“Posso?”
Chiese ma non a lei.
Le fu data una gentile pacca
sulla spalla “E chi ti ferma?”
Violet perse la cognizione
del
tempo, ad accarezzare e vezzeggiare gli unicorni che le si erano
avvicinati.
Sarebbe potuto anche sorgere il sole, e non se ne sarebbe accorta. Dopo
un po’
si accorse però che Dominique era sparita dal suo fianco: la
trovò stesa vicino
al ruscello con le mani intrecciate dietro la nuca, talmente rilassata
che
sembrava fosse nel mondo dei sogni.
Si
è mai sentita a disagio?
Probabilmente no. Si
allontanò
dal branco per raggiungerla. “Stai dormendo?” Le
chiese esitante. Il magone era
completamente scomparso e persino le labbra le facevano meno male di
prima. Non
si sentiva esattamente di buon’umore, ma c’era
vicina.
Era bizzarro. Si sentiva
… tranquilla.
“Sono
sveglia.” Dominique socchiuse
gli occhi per
guardarla. “Mi godo l’atmosfera,
no? Gli unicorni non vengono qui per caso… penso sia il
posto migliore di tutto
il bosco.” Concluse, battendo poi significativamente lo
spazio erboso accanto a
sé.
Violet esitò, poi decise che era tardi ed era stanca. Si
accomodò, ben attenta
a non toccare punti troppo pieni di terriccio che avrebbero potuto
riempirle di
chiazze la gonna chiara. “È un bel
rifugio.” Ammise. “Come hai fatto a
scoprirlo?”
“Sai, sono una selvaggia…”
Ghignò quella disimpegnata. Poi aprì gli occhi,
fissando lei… e le sue labbra.
Avvampò.
“Weasley, che c’è?”
“Sei caduta di faccia?”
Violet alzò gli
occhi al
cielo: solo lei se ne sarebbe potuta uscire con un’ipotesi
del genere.
“Non
so quanto sai dei rapporti
maschio-femmina, ma questi sarebbero gli effetti di un
bacio.” Spiegò fissando
il branco di unicorni che pascolava placidamente. Era grazie a loro che
si
sentiva bene dopo ore?
Dominique si
voltò con un gran
fruscio di foglie dalla sua parte. Lei non aveva paura di sporcarsi,
visto che
si era praticamente rotolata per
mettersi di fianco. “L’ultima volta che ho
controllato, i baci non erano
morsi.” Le fece notare.
Violet sentì un
peso in fondo
allo stomaco. “E cosa ne sai?” Sbottò
aggressiva. “Hai mai baciato un ragazzo?”
“No.” Fu la quieta risposta. “Ma delle
tue amichette fornite di … come lo
chiamate? Spasimante, solo tu sei ferita.”
“Non sono ferita.” La Weasley e le sue sparate.
L’inglese non doveva saperlo
poi così bene. “E comunque non capisco
perché ti interessi. Non siamo amiche.”
Quella per tutta risposta
fece
una delle sue irritanti scrollate di spalle. “Sì,
ma anche gli estranei si
possono preoccupare. Si chiama empatia, ce l’hanno anche gli
animali.” Il tono
era disinvolto, ma Violet notò che si stava mordicchiando le
unghie.
Mamma
mi dice sempre che è un gesto orribile, e grida
debolezza da tutti i pori.
“Scusa.”
Le uscì spontaneo e
se ne meravigliò per prima. Ma c’erano dei momenti
in cui si poteva scoprire il
fianco. Dominique l’aveva fatto per prima dopotutto.
“… mi hai portata qui, e
penso tu l’abbia fatto per…” Si
fermò, perché non sapeva cosa dire. La
guardò e
notò che anche Dominique guardava lei.
“Stavi
piangendo.” Rispose di
rimando come se quello spiegasse tutto. “E non per farmi i
fatti tuoi, ma se
Allard ti fa del male forse dovresti mandarlo a quel paese.”
“Non mi fa
male.” C’era di
peggio, pensò. Si convinse. “È
solo… appassionato.” Sophie sarebbe stata felice
che avesse usato la sua definizione. “A volte i ragazzi sono
un po’ irruenti,
ma è normale.”
“Conosco i maschi.” Fu la replica. “E se
qualcuno tentasse di mordermi, gli darei
un pugno.”
“Questo è perché sei una
primitiva.” Sbuffò. “I ragazzi sono
fatti così… poi
crescono e migliorano.” Era ciò di cui erano
convinte le sue amiche. Forse era
vero. Probabilmente lo era.
Non
lo sopporto. Mi fa schifo. E so che non deve essere
così. Che può essere meglio.
Deve,
giusto?
“Io non credo che
un bacio
dovrebbe far male.” Disse lentamente Dominique. Era la prima
volta che stavano
così vicine, rifletté imbarazzata Violet. Si era
seduta a pochi centimetri da
lei, e ora il ginocchio dell’altra le sfiorava il bordo della
gonna.
Non
avrei dovuto sedermi così vicina.
Erano ragazze,
ma… Dominique
non era una ragazza normale. Sotto molti punti di vista.
Notò con la coda
dell’occhio
che non aveva più le labbra screpolate.
Sembravano… morbide.
“Tu non hai idea
di come sia …
l’hai detto tu che non hai mai baciato un ragazzo.”
Mormorò, perché le sembrava
il caso di mormorare. Non bisognava disturbare gli unicorni.
“Vero.”
Fu la serena
ammissione. Perché diavolo continuava a guardarla quando in
giro c’erano cose
sicuramente più interessanti?
Tipo,
gli unicorni. Va bene che è la regina della
foresta, però…
“Non si fissa la
gente,
Weasley.” Tentò e non gli uscì affatto
gelido come aveva preventivato. Anzi, le
tremava la voce.
“Perché?
Ti fa sentire a
disagio?” Odiava quando aveva quel tono di presa in giro. Oh,
se lo odiava.
“Ovviamente.”
Sibilò. “Credo
sia il caso di rientrare.” Sbloccò la situazione,
sentendo che andava fatto.
Doveva rompere quella strana atmosfera creatasi. Doveva…
Si sentì di nuovo
afferrare,
ma stavolta Dominique non le toccò la mano, ma la base del
collo. Violet ebbe
l’impulso di voltarsi e chiedere cosa diavolo stesse facendo.
Lo fece.
E si baciarono.
Dominique si era alzata a
sedere, portando il viso alla sua stessa altezza e quindi la collisione
era
stata inevitabile. E del tutto voluta.
Violet tentò
subito di ritrarsi,
mentre in un angolo della sua testa suonavano milioni di campanelli
d’allarme.
È
una ragazza! Non va bene! È una…
Dominique la prese per le
spalle, tenendola ferma dov’era. Non c’era nessuna
violenza, solo decisione. La
tensione le scivolò via come un abito troppo largo. Smise di
opporsi. E rispose
al bacio.
Dominique sapeva di terra,
foglie e qualcosa di pulito che non riusciva ad
identificare… era un
buon’odore, era fresco. Violet chiuse gli occhi
abbandonandosi a quel contatto.
È
così che deve essere – pensò di
getto senza riuscire a vergognarsene.
Poi Dominique si ritrasse.
“Questo è un
bacio, Piggie.” Disse.
Non andò a
denunciare le
uscite segrete di Dominique, né quel giorno, né i
seguenti.
Un
Quinto Estivo e una Realizzazione.
“Domi!”
Una pausa, poi una
seconda esclamazione che aveva attraversato l’aria
cristallina di un mattino
estivo. “Domi, dove sei?”
Dominique non si era voltata
al richiamo. Aveva continuato a spazzolare il dorso lucido del proprio
cavallo
alato. Proprio suo, di sua proprietà.
Glielo aveva comprato suo padre dopo il suo primo anno a Beaux-Batons.
In
teoria, per festeggiare i suoi buoni voti.
In
realtà, perché non me ne sono scappata in sella
ad
un Abraxas…
Arod non aveva la stessa
stazza dei cavalli della scuola, essendo un Granian² dal
lucido dorso grigio.
Ma proprio per questo gli mancava da morire durante il periodo
scolastico:
cavalcarlo era come avere sotto di sé la potenza di dieci
Firebolt.
Magari era banale, ma amava visceralmente l’estate. Per Arod,
perché poteva
rivedere suo fratello, perché poteva passare tutti i giorni
nella tenuta
sterminata di famiglia – i Delacour avevano terreni
consistenti in Provenza - senza
dover rendere conto a nessuna stupida regola. Per molti motivi non
c’era momento
migliore dell’anno per lei.
Certo, la maggior parte
delle
vacanze erano scivolate via, ma gli restava ancora tre settimane, ed
aveva
intenzione di succhiarle come avrebbe fatto con un frutto maturo. Con
soddisfazione.
“Domi! Rispondere
mai, eh?” La
apostrofò Victoire, appoggiandosi alla staccionata del
recinto dove tenevano Arod.
“Oh-oh. Madamoiselle Vic è tornata
dalla sua piccola fuga d’amore!” La
canzonò.
Molte persone che le
conoscevano pensavano, dato le indoli profondamente diverse, che
dovessero detestarsi
e tirarsi i capelli da sempre, come
genetica
prevedeva.
In realtà
Dominique sapeva di
essere l’unica di cui la sorella maggiore tollerasse i
pareri, e viceversa, Vic
era la sola che riuscisse a darle qualche consiglio sul suo aspetto
senza farsi
ridere in faccia.
Victoire si
soffiò una ciocca
di capelli via dal viso. “Quale fuga? Quest’anno
non siamo ancora partiti.”
“Dove stavolta? Italia?” Diede una manciata di
mosche morte all’animale, che le
inghiottì golosamente sotto lo sguardo inorridito di Vic.
“Ci siamo stati
l’anno scorso…
in realtà sto cercando di convincerlo a lasciare
l’Europa. Peccato appena senta
parlare di altri continenti vada nel panico. Non riesce ad allontanarsi
troppo
dall’Inghilterra…” Sbuffò.
“Ma lo
convincerò.”
“Oh, nessun dubbio su questo.” Le
strizzò l’occhio, saltando la staccionata e
pulendosi le mani sulla maglietta.
Vic a quel gesto
alzò gli
occhi al cielo. “Morgana, Domi, la parola
femminilità comincia a dirti
qualcosa? Finalmente?”
“Impossibile. Una certa smorfiosa l’ha rubata da
tutti gli scaffali prima che
nascessi. Ne sono geneticamente mancante.” Le fece una
linguaccia, alla quale
Vic replicò con una tirata d’orecchie affettuosa;
Vic era l’unica che poteva
farla sentire una quindicenne e passarla liscia.
“Dov’è
Louis?” Le chiese
guardandosi attorno.
“Da qualche nostro
vicino di
casa con delle bambine. Lo sai com’è fatto,
è l’idolo delle infanti par suo.”
Disse, facendola ridere in una cascata di suoni argentini.
Vic era… perfetta.
No,
sul serio.
Persino
se ficcasse la testa in una gabbia di Schiopodi
ne uscirebbe più bella di prima.
Dominique lo ammetteva solo
a
sé stessa, che certo non voleva gonfiare l’ego
già spropositato dell’altra.
Qualcuno
deve pur non cascare ai suoi piedi in
adorazione.
Una persona diversa sarebbe
cresciuta a pane e complessi di fronte ad un paragone del genere. Lei
si era
fatta furba: era diventata antitetica. Aveva funzionato? Alla grande.
Victoire la prese
sottobraccio
con noncuranza. “Che hai fatto ai capelli? Con questo taglio
sembri uno
spaventapasseri. Sono troppo corti!” La accusò
scherzosamente facendola virare
in direzione casa. “Dovrò metterci le
mani.”
“Altolà sorella!” La
apostrofò puntandole il dito contro, visto che sapeva
quanto la infastidisse. “Sono fatta a modo mio. E ti
dirò, sono ormai vicina
alla perfezione.”
Victoire glielo
scacciò via
infastidita. “Sei impossibile! Stai facendo impazzire maman…”
Dominique sbuffò con quindicenne scoramento: la vera
antagonista nella sua
famiglia non era la sua incantevole sorella maggiore. Ma la sua
stupefacente
madre: assistente del Ministro della Magia, eroina di guerra ma anche
incarnazione della femminilità e del buon gusto, magico e
non.
Praticamente
è la Donna Copertina di Francia.
Tutte quelle caratteristiche
sarebbero state motivo di orgoglio traslato, se non avessero reso Fleur
Weasley
una donna estremamente esigente con i suoi tre figli. Certo, suo padre
mediava,
e piuttosto efficacemente, ma Madame
Fleur era una donna cocciuta.
E
non le piace che mi rotoli nel fango, indossi sempre
gli stessi vestiti e passi la mia estate in sella a Arod o ad un manico
di
scopa.
“Maman
è una rompiboccini.” Sentenziò
soddisfatta, mentre la sorella
scuoteva la testa rassegnata.
“Perché
non provi a capirla?
Vorrebbe solo che tu ti comportassi…”
“Come una ragazza? Io sono
una
ragazza. Non è il mio comportamento che mi dà un
paio di tette.”
Quello non
riusciva a capire della madre: in pubblico non faceva adorarla, ma in
privato
era una critica continua su un aspetto del suo carattere che non voleva
e
soprattutto, poteva cambiare.
Non
sarò mai tipa da pizzi e trine, cazzo.
Vic diceva che cercava solo
di
darle dei consigli che credeva le fossero utili. E che in pubblico la
elogiava
perché lo pensava sempre.
Forse.
Ma preferirei non avesse ‘sto andamento
schizofrenico.
Victoire intanto fece una
smorfietta. “Davvero Domi, a volte sembri farlo apposta.
Arrivare a tavola
trascinandoti dietro una scia di fango come l’ultima volta?
Dai, era voluto.”
“Nah.”
Scrollò le spalle. “E
poi a papà non dà fastidio.”
“Che zucca dura che hai!” Le tirò un
pizzicotto sulla guancia. “A volte mi
sembra di avere a che fare con un monello di strada e non con mia
sorella!”
“Potresti scoprire che sono la stessa persona.” La
informò seria, prima di
afferrarla per un braccio e lasciarle cinque dita di polvere e terra
sulla
camicetta leggera.
“Domi!”
Rise mentre correva dentro
casa inseguita dall’altra che aveva abbandonato
l’aria da principessa per
tentare di mozzarle la testa a suon di incantesimi. Dovette stopparsi
di colpo all’ingresso
del salotto buono perché Ted ne era appena uscito.
“Collisione
evitata!” Esclamò
mentre il ragazzo quasi si faceva indietro con un salto.
“Ciao, petit prince!”
“Ciao Domi…” Sorrise il ragazzo
lanciando un’occhiata perplessa alla fidanzata.
“Che succede?”
“La peste continua a comportarsi come quando aveva cinque
anni! Merlino,
persino Lou ha più maturità di lei!” Si
lamentò l’altra, rinfoderando come se
nulla fosse la bacchetta. “Teddy, dille qualcosa!”
“Io…”
Dominique rise, perché sapeva che l’indignazione
della sorella sarebbe passata
presto come sapeva che Ted invece sarebbe andato in crisi per ore.
La
strana coppia.
La abbracciò di
slancio, stampandole
un bacio sulla guancia e mollandola prima che tentasse un coppino sulla
testa. “Sai
che sei la mia ragazza preferita!” Sghignazzò
prima di filare al piano di
sopra.
In bagno trovò
suo fratello di
nove anni intento a lavarsi le mani con precisione chirurgica.
“Ecco qua il
damerino!” Lo
afferrò da sotto le braccia facendogli il solletico, ma
diversamente da
Victoire, il piccoletto, fiero poil de
carotte, scoppiò a ridere.
“Lascia,
Domi!” Ridacchiò
divincolandosi senza la vera intenzione di allontanarsi.
Tentò di tirarle un
morso sul braccio, rendendola orgogliosa.
“Allora, oggi
quale piccolo
cuore hai spezzato?”
“Julie.”
Rispose con nonchalance.
“Non capisce che a me piace Josephine. Mi piacciono bionde e
lei è mora. Ma non
è mica colpa mia. Anche se sono sorelle, sono
diverse.” La informò.
“Beh sai,
capita.” Gli arruffò
i capelli. “Ti immagini ad avere in casa due Vic?”
“O due Domi.” Replicò il furbetto
asciugandosi le mani. “Mi prendi sulle
spalle?”
“Mi hai appena
offeso e vuoi
che ti prenda sulle spalle?” Aggrottò le
sopracciglia con intenzione, mentre
l’altro ghignava, minimamente impressionato.
“Eddai! Dai, Domi… dai, per favore!”
Cantilenò poi con grandi occhi tondi,
tirandole la maglietta per farla scendere alla sua altezza.
Dominique adorava stare in
famiglia non perché stesse male in altri posti.
Semplicemente… perché era la
sua famiglia, e per quanto tutti virassero a sentirsi dei super-maghi,
lei
compresa, era l’unico posto dove non si sentisse osservata.
Certo, con
simpatia.
Ma
pur sempre osservata.
L’unica persona in
tutta la
scuola che au contraire la guardava
con aperto e critico astio era Violet.
Detta
anche Violet-sparisco-ogni-volta-che-appari.
Tornò
in salotto con il fratellino che
canticchiava seduto comodamente sulle spalle.
“Dominique, potevi
almeno
cambiarti!” Esordì sua madre, con un vestito di
cotone immacolato e dal taglio
perfetto, reggendo una teglia di fumanti cibarie tra le mani.
Sì,
Signori della Giuria, è perfetta anche come
casalinga.
“No-o!”
Cantilenò imitando il tono di Louis solo per vederla
spazientirsi.
Suo padre, grazie a Merlino
vestito come se non dovesse accogliere ospiti, le fece invece quel
sorriso che
tutti dicevano avesse ereditato da lui. “Lavarti le mani
possiamo chiedertelo
invece?” Le chiese calmo.
“Massì.” Concesse facendo smontare
Louis, che andò subito ad infastidire un
sollevatissimo Ted.
Seduti a tavola, sua madre
sganciò la bomba, ovvero il motivo per cui li aveva voluti
tutti lì riuniti.
“Questo fine
settimana è il
compleanno del Ministro Colbert. Siamo tutti invitati.”
La prima reazione fu un discreto strozzarsi di Ted con il succo di
zucca. Sua
madre non lo degnò di un’occhiata, sapendo bene
che era l’unica obiezione che
il ragazzo avrebbe formulato.
“Maman,
ma io e Teddy partiamo per…” Victoire
esitò.
“So che non avete
ancora
deciso la meta, tesoro.” Sorrise allegramente sua madre. La
furbizia non era
solo Weasley sotto quel tetto. “È un piccolo
evento, e dovete ammetterlo, non
vi ho mai coinvolti se non quando è stato strettamente
necessario.”
Sfortunatamente sua madre
aveva
ragione. Victoire infatti annuì rassegnata: per quanto fosse
strano, quelle
cene non le piacevano.
No,
non è strano. Sono piene di vecchiacci che la
guardano come se volessero farle fare la danza dei Sette Veli. E Teddy
non se
ne accorge neanche. Una noia mortale.
Suo padre doveva essere
già
informato, perché le lanciò un’occhiata
di avvertimento.
Che ovviamente, sentendosi
l’adolescenza fuoriuscire dalle vene, disattese.
“Io non ci
vengo.” Esordì a
viso aperto.
“Dominique.”
Replicò sua
madre. “Posso sapere almeno il perché?”
“Perché non mi faccio due boccini così
per un’intera serata. A queste cene è un
miracolo se si arriva alla fine senza affogarsi nella vasca del punch.” Spiegò
serenamente mentre Louis
rideva nascondendo il viso tra le mani e suo padre aveva un leggero
spasmo
ilare alla mascella. Sentì una risata trattenuta persino
dalle parti di sua
sorella. Solo Ted fissava il piatto con l’aria di chi voleva
trovarsi da
tutt’altra parte.
“So che non ti diverti,
Dominique.
Non si diverte nessuno a questo genere di eventi.” Sua madre
era una maestra
nel controllo della propria esasperazione. “È un favore quello che vi chiedo.”
E via con i sensi di colpa.
Dominique li percepiva, com’era ovvio, ma l’idea di
doversi stringere in un
corpetto le faceva venir voglia di sfondare una finestra per scappare
nei
boschi.
Forse
Piggie un po’ ha ragione. Dev’essere il mio lato
selvatico-Veela. O forse qualcosa preso da papà, visto che
è un
proto-licantropo…
Piggie: quella sì
che era una
tipa da eventi del genere.
Probabilmente
si emozionerebbe tutta all’idea di
indossare un vestito color rosa
polvere e stringere le mani a funzionari
leccaculo.
Piggie: la ragazza che da
sei
mesi le sfuggiva come se avesse una muta di Crup inferociti alle
calcagna. Non
che avesse smesso di guardarla male. Quello continuava a farlo. Ma da
lontano.
Dominique non era
così
stordita da non capire perché
lo
stesse facendo: ma le sembrava inutilmente melodrammatica.
… come sua madre,
che in quel
momento la guardava con lo sguardo accigliato delle grandi occasioni.
“Sarà
solo per una serata. Ti
prego, non mettermi in difficoltà.”
Dominique capitolò, come del resto faceva ogni volta; sua
madre aveva un lavoro
stressante, importante e suo glielo ricordò con
un’occhiata: dopotutto il loro
sostegno è l’unica cosa che chiedeva sua madre.
Beh…
io userei il verbo pretendere.
Ma
comunque.
“Va bene,
vengo.” Fece una
pausa. “Ma ci andrò…”
Gongolò vedendo che tutti attendevano con il fiato
sospeso la fine della frase. “… nuda!”
… naturalmente al
ricevimento
non ci andò nuda.
Ci andò invece
con un vestito
scelto appositamente da sua
sorella.
Color giallo pastello.
Al momento aveva solo voglia
di strapparsi i vestiti di dosso, correre nuda e gettarsi nella vasca
del
punch. Era già passata un’ora, ma gliene restavano
il doppio. Come minimo.
Sua cugina Rose era convinta
che incubasse da anni il gene della follia.
Se
non me ne vado di qui, stasera si scatenerà in tutta
la sua folle magnificenza.
Lanciò
un’occhiata a sua
sorella, che le sorrise incoraggiante. Trattenne un ghignetto ai
capelli color melanzana
di Ted coordinati volutamente al suo sfarzoso abito da cerimonia.
Sanno
tutti che li odia…
Gli unici due che sembravano
perfettamente a suo agio erano suo fratello, che puntava il tavolo
delle
cibarie come qualsiasi bambino e suo padre, che esibiva la solita aria
di
maschia calma.
E naturalmente sua madre, la
Prèmiere dame della
serata che, appena
calcato il piede sul tappeto rosso della sala, si era impadronita
dell’intero
ambiente. Persino il Ministro sembrava passare in secondo piano in sua
presenza.
Cheeeee
palleeee…
Victoire le si
avvicinò,
toccandole il gomito. “Cerca di fare la brava.” La
esortò.
Uh,
la raccomandazione della mia vita.
“Cosa
ci guadagno?” Replicò fissando
con astio gli stivaletti che l’altra le aveva fatto indossare
a forza.
Sapeva di essere figa: non facevano che ripeterglielo a
scuola, oltre ad essere una consapevolezza interiore. Ma con un vestito
svolazzante e degli stivaletti di camoscio morbido…
… si sentiva un
idiota.
“Lo facciamo per maman. Non pensare che mi stia
divertendo…”
“Balle. A te piace ‘sta roba.” Le ritorse
contro. Victoire sin da bambina era
stata la principessa delle lunghe serate pubbliche britanniche.
Io
quella che si nascondeva sotto i tavoli con Jamie e
Freddy.
“Solo
quando ci sono persone che hanno
ancora tutti i capelli in testa.” Replicò Vic
sorridendo amabile ad un vecchio
membro del Consiglio Legislativo. Dominique sghignazzò,
accettando la
diversione.
“Vic…
vuoi che ti vada a
prendere qualcosa dal tavolo delle bevande?” Tentò
Teddy con aria infelice.
Vic gli baciò la
guancia
distratta. “Certo tesoro. E porta con te Lou, ti
spiace?”
Quando Ted si fu allontanato con un entusiasta Louis alla mano,
Dominique fece
una panoramica della grande sala addobbata. I suoi genitori erano
impegnati in
una conversazione con Signor
Vattelappesca Pezzo grosso.
Eccellente…
Doveva solo liberarsi di
Vicky,
poi sarebbe stata libera di nascondersi fino alla fine della serata.
“Non
provarci.” Sillabò questa,
intuendo i suoi pensieri. Non per niente, era stata una Corvonero.
“Provare a far
cosa? Devo solo
andare in bagno.”
“Bugiarda.”
“No, è vero! Non mi sono lavata i denti. Potrei
rischiare di sputare pezzi di
cibo in faccia…” Si fermò,
perché l’altra aveva già raggiunto la
soglia limite
del coppino feroce.
“Morgana, dammi la
forza…”
Inspirò infatti. “Va bene, vai. Ma torna. Subito.
Se maman scopre che ti sei
imboscata
come l’ultima volta…”
“Suvvia sorella,
ormai ho
quindici anni! Non lo farei mai.”
Mentì con disinvoltura, prima di virare verso
l’uscita.
Non fu facile raggiungere un
punto deserto, dato che la gigantesca villa del Ministro era un dedalo
di corridoi
dove trotterellavano Elfi domestici ben lieti di indicarle la via del
ritorno.
Alla fine riuscì
a trovare il
giardino.
Libertà!
Amava la sua famiglia, ma
non
riusciva a sopportare quegli eventi di socializzazione forzata.
Non aveva idea di come i
suoi
cugini ci riuscissero.
E
loro di sicuro stanno messi peggio. In fondo in
Francia è tutto in seconda battuta. Ma in
Inghilterra…
Era uno dei motivi per cui
sua
madre aveva accettato senza troppi indugi il posto di assistente
personale del Ministro.
Allontanarsi da Londra era stata una boccata d’aria fresca.
Persino Vic alla
fine li aveva raggiunti.
Trovò la fontana
centrale, immancabile
in ogni giardino da ricconi. Quella aveva Maridi
dall’espressione languida
scolpiti in nuda pietra, che si abbarbicavano attorno al corpo centrale
spruzzando acqua.
Sono
piuttosto sicura che i Maridi non abbiano quell’espressione
adorante in faccia…
Si tolse gli stupidi
stivaletti ed immerse i piedi doloranti nell’acqua gelata.
Mooolto
meglio!
Passò un
po’ di tempo –
parecchio – a sciabordare i piedi nell’acqua quando
all’improvviso sentì rumore
di tacchi sul selciato.
Si nascose, nel caso in cui
Vic
fosse venuta a cercarla. Non esattamente: a pochi metri da lei
c’era Violet
Parkinson-Goyle. Non si era accorta di lei, dato che la fontana la
nascondeva.
Sembrava infelice.
Non l’aveva mai
vista triste.
Sdegnata, sprezzante o gelida, quello sì. Piggie era una
maestra nelle smorfie
di disappunto.
A Dominique a volte
ricordava un
canarino chiuso in gabbia: il suo istinto, appena aperta la porticina,
diceva lui
di di volare via.
Però
è stato in cattività tanto di quel tempo che
appena fuori, muore. Non si adatta.
Piggie era così:
la troppa
cattività non le avrebbe mai permesso di vivere libera. Ma
non essendo un
canarino, questo lo sapeva bene.
E
così rimane chiusa nella sua bella gabbietta…
Ma l’istinto.
L’istinto le
faceva lampeggiare a volte nello sguardo qualcosa di doloroso, di
frustrato.
Come in quel momento.
La vide scostarsi una ciocca
di riccioli dalla pettinatura elaborata e chiudere gli occhi,
rilasciando un
lieve sospiro.
Dopo un po’ che la
osservava,
l’altra finalmente si accorse della sua presenza.
Quella festa non era diversa
dalle altre a cui aveva atteso durante tutta l’estate.
Un copione talmente identico
di volta in volta che erano quasi diventate una routine.
Vestirsi bene, pettinarsi
tra
le mani esperte della sua Elfa, aspettare la carrozza degli Allard,
salire
sulla carrozza degli Allard con l’aiuto della mano di
Mathieu, baciare le guance
della madre di Mathieu e quelle di
qualche parente invitato per l’occasione. Stare vicino a sua
madre e sorridere,
sorridere, sorridere.
L’estate per lei
era il
periodo peggiore dell’anno. Tornare da sua madre significava
essere
continuamente messa sotto analisi, pesato in ogni suo gesto. Giudicata.
Sua madre le voleva bene.
Era
la sua unica figlia, e dopo la morte di suo padre era rimasta sola, con
lei di
pochi mesi. Si era sacrificata per lei. Non si era mai risposata, per
non
installare un estraneo nella loro vita. Doveva esserle grata, e lo era.
Lo
sarebbe sempre stata.
Ma voleva tornare a scuola,
dove nessuno era pericoloso quanto Pansy Parkinson, vedova Goyle.
Neppure
la Weasley.
Quasi l’avesse
chiamata dagli
Inferi stessi, Dominique apparve. O meglio, la vide guardarla da oltre
l’orribile e pacchiana fontana centrale del giardino.
Aveva i piedi nella vasca,
il
vestito sollevato fin sopra le ginocchia e i capelli ancora
più corti di prima.
Ovviamente
sembra una selvaggia.
Si fissarono per un attimo
in
sbigottito silenzio. O meglio, lei lo fece. La Weasley aveva
già cominciato a
ghignare. “Buonasera Piggie!” La
apostrofò.
Avrebbe voluto affogarla.
Ciao
un corno! Hai idea di che razza di fine semestre
ho passato per colpa tua?
Era
successa quella cosa. Quella cosa
di cui non riusciva a capacitarsi.
Naturalmente non
l’aveva detto
ad anima viva. Era un segreto tremendo che doveva mantenere fino alla
tomba.
Non riusciva a capacitarsi di aver baciato
Dominique Weasley. E non un bacetto a stampo, un momento di follia. Non
era
stato affatto un momento.
Il solo ricordo le valse una
brusca tachicardia.
“Si può
sapere cosa ci fai
qui?”
“Mia madre è l’assistente del
festeggiato. Fleur Weasley?”
Violet inspirò:
sapeva bene
chi fosse Madame Weasley. Quanto
fosse potente, e quanto sua madre la detestasse. Non si era stupita
quando
l’aveva vista quella sera. Non era la prima volta che la
incontrava.
“La conosco. Di
solito non si
porta dietro tutta la famiglia.” Ribatté in sua
difesa.
“Sì, ma
stavolta è riuscita a
trascinarci tutti.” Si strinse nelle spalle. “Avrai
visto mia sorella.”
Violet arrossì:
certo che
l’aveva vista. Era la ragazza più bella della
sala, e Mathieu non le aveva
tolto gli occhi di dosso per mezzo secondo.
Lei neppure.
“Perché
non sei dentro?”
Dominique la guardò come se avesse appena detto una
scemenza. “Secondo te?” Si
indicò. “Guarda come sono vestita!”
Violet tentò di trattenere il sorriso divertito che le
affiorò alle labbra. “Come
si deve, per una volta?”
“No, come una cretina.” Sbuffò,
dondolandosi sul bordo. “È già una
tortura
rimanere dentro questo affare. Figurati rimanerci con tanto di tacchi
ad
ascoltare qualche vecchia cariatide.”
“Capisco…”
Rimasero in silenzio, mentre Violet si sentiva sempre più a
disagio. Quella cosa aleggiava tra
di loro, e la
irritava il fatto che l’altra sembrasse non rendersene conto.
Il
giorno dopo mi ha salutato come se niente fosse
successo! È successo invece!
Era riuscita anche a
smettere
di pensarci in quei mesi estivi. Dominique era tornata un puntino
ininfluente
nella linea che era la sua vita. Ma di notte, a difese abbassate, le
cose non
restavano le stesse.
Sognava altri baci, baci che
non erano di Mathieu. Non erano direttamente di un ragazzo.
Aveva cercato di convincersi
che quella sua fissazione fosse dovuta all’androginia di
Dominique. Dopotutto aveva
i capelli corti e l’aria dinoccolata di un ragazzo, no?
Certo.
Con molta fantasia, al buio e con una benda
sugli occhi posso anche pensarlo…
In quel momento
ricordò il
seno piccolo dell’altra che le premeva sul petto e le sue
dita che giocavano
con la stretta treccia che usava a scuola.
Ispirò
bruscamente,
distogliendo lo sguardo.
Dominique ricordò
com’era
stato il bacio con Violet nel momento in cui la vide arrossire.
Era stato un bel bacio. Non
che avesse molta esperienza, ma sentiva che era stato così.
Non aveva mai pensato a
baciare nessuno prima di quel momento nella foresta. Ma poi le era
venuto in
mente, di colpo e aveva pensato, ‘perché
no?’.
Certo,
avrei dovuto chiedermi anche ‘perché
sì?’. Ma al
diavolo.
Ormai era andata. E le era
piaciuto. Era piaciuto ad entrambe, visto la risposta
dell’altra.
Quindi non poteva essere
stato
sbagliato.
E lo pensava anche adesso,
guardandola tormentarsi la ciocca arricciata di capelli.
“Non ho voglia di
rientrare.”
Le disse. “Mi fai compagnia?”
Violet avvampò
peggio di
prima. “N-no.” Borbottò, facendo persino
un passo indietro. “Devo andare. Ero
solo venuta a prendere una boccata d’aria.”
“Perché mi eviti?” Beh, visto che erano
lì entrambe e per la prima volta dopo
mesi Piggie le rivolgeva la parola, tanto valeva capire cosa diavolo le
stesse
prendendo.
“Non
ti…” Fece una pausa. “Tu
non…” Inspirò. “Tu non
capisci proprio, vero?”
Era ovvio che non capisse.
Era
una sottospecie di selvaggia cresciuta nei boschi. Parentele notevoli a
parte.
Forse neanche ci arrivava.
“Devo andare.
Mathieu e mia
madre si staranno chiedendo dove sono.” Ripeté, e
fece per andarsene.
Naturalmente l’altra fu più svelta di lei e la
acchiappò per un braccio.
“Abbiamo un
problema?” Le
chiese. “Io e te intendo.”
“No!” Esclamò con più forza
di quanto fosse educato. “Cioè…
sì!”
Dominique inarcò le sopracciglia divertita.
“Sì o no?”
“Dannazione, Weasley!” Sbottò sentendo
la collera aumentare assieme ai battiti del
cuore. “Certo che abbiamo un problema! Tu mi
hai…” Non riuscì a dirlo.
Ammetterlo ad alta voce era diverso dal ripeterselo nel cuore della
notte.
“Baciata.”
Terminò per lei. “E
allora?”
L’avrebbe affogata. Seriamente, avrebbe preso quella testa
platinata e…
La cosa peggiore era la sua
aria tranquilla. Come se non fosse stato niente.
“Per te baciare
ragazze è
normale? Cosa da tutti i giorni?” Cercò di
indagare. Doveva sapere.
Non
che cambierebbe nulla. Ma perlomeno mi servirebbe
ad accantonare tutta questa storia.
“No.” Si
risedette sul bordo
della vasca, ma stavolta nella sua direzione. “A parte te non
ho mai baciato
nessuno.”
Ecco cosa ci si guadagnava
ad
essere sinceri. Violet la stava guardando quasi avesse detto una cosa
priva di
senso.
“E
perché hai baciato me?”
Ah, la teoria del Primo Bacio. Dominique sapeva che per certe ragazze
era
importante. Non per lei.
Dopotutto
c’è sempre un inizio, no? Per me è
più
importante la fine.
Tipo,
chi bacerai per il resto della tua vita. Non che
mi interessi, ma credo sia più importante questo.
Violet aveva
un’aria strana in
quel momento. Non sembrava più arrabbiata, sembrava invece
aspettarsi qualcosa.
Aveva persino abbandonato quella posa da sto-per-tirarti-un-pugno-non-ti-avvicinare
che aveva sempre in sua presenza.
Dominique pensò
che adesso
avrebbe potuto avvicinarsi e toccarla, ma non lo fece.
Perché non sapeva cosa
stava succedendo per la prima volta in vita sua.
“Forse…”
Esitò l’altra,
umettandosi le labbra. Dom ricordò che erano morbide, e
sapevano di frutta.
Anche i suoi capelli profumavano di qualche balsamo a lunga durata,
roba da
purosangue che compravano solo in botteghe specializzate.
“… forse ti piaccio?”
Batté le
palpebre. Era quello,
dunque?
Non aveva mai pensato che
Piggie le piacesse. Certo, le piaceva stuzzicarla e farla arrabbiare. E
sì, le
dispiaceva che avesse un fidanzato stronzo. E quando l’aveva
guardata giocare
con gli unicorni aveva pensato che fosse molto più carina
con quell’espressione
gentile e sorridente.
Ma non voleva poi dire
molto.
Supponeva.
“No, non
credo.” Rispose
infatti. “L’ho fatto perché mi
andava.”
Dominique era davvero convinta che
la
sincerità pagasse. Non era colpa sua se gli altri la
pensavano in modo diverso.
Vic diceva sempre che fosse troppo brutale. Che non riuscisse ad
empatizzare.
Doveva essere vero,
perché
Violet la guardò come se le avesse tirato uno schiaffo.
“Ti
odio!” Le urlò in faccia, di colpo e ad
un volume che non aveva usato
neanche nelle liti più furiose con le sue amichette
fotocopia. “Ti odio,
Merlino, ti odio così tanto Weasley!”
“Woh, calmati!
Cosa…” Voleva
fermarla, ma le sembrava inutile come tentare di frenare una slavina
con le
mani. Impossibile.
“Perché
mi hai baciata?!
Perché hai fatto una cosa del genere!?” Continuava
ad urlarle, serrando i
pugni, mentre gli occhi scuri le si allargavano, inghiottendo
l’iride nella
pupilla.
Fermare
una slavina con le mani… anche pericoloso.
“Non avresti
dovuto, non avevi
il diritto di avvicinarti a
me!”
Quella doveva essere la vera Violet. Non la bambolina composta
che vedeva tutti i giorni a Beaux-Batons.
Quella e la ragazza che
sorrideva agli unicorni.
Dominique capì
d’improvviso perché
l’aveva baciata.
Le si avvicinò e
l’altra
immediatamente fece un passo indietro. “Non ti
azzardare!”
“Non sto facendo niente.”
“Non osare
toccarmi!”
“E invece voglio
farlo.” Mai
fare movimenti bruschi, era quello il segreto della vita. Tese la mano
e solo
quando si rese conto che Violet non si sarebbe scostata, gliela fece
scivolare
sulla spalla.
“No…”
Sussurrò con la voce che
le tremava. “Non farlo…”
“Violet,
cosa stai facendo?”
Vide l’altra immobilizzarsi come se le fosse stato appena
fatto un incantesimo
di pastoia.
Dietro di loro
c’era una
donna, avvolta in un vestito nero e sontuoso. I lineamenti
anglosassoni, duri e
appesantiti erano pura superbia. Ma Dominique riconobbe gli occhi:
erano gli
stessi di Violet, grandi e scuri, sebbene non accesi dalla stessa
scintilla
espressiva. Sembravano invece due pezzi di vetro.
“Io…
niente mamma.” Violet
sembrò sgonfiarsi come un palloncino. Chinò la
testa e si morse le labbra,
facendo un immediato passo indietro.
La
terribile vedova Parkinson-Goyle.
Ne aveva sentito parlare dai
suoi amici, Mael in testa, che le aveva assicurato fosse un autentico
spauracchio della società francese.
Adesso capiva
perché Violet ne
fosse così succube. Quella donna riusciva a mettere a
disagio persino lei.
“Lo spero. Non
abbiamo tempo
da perdere con persone del genere…”
“Ehi! Persone
come?” Non
riusciva a rimanere in silenzio quando percepiva un’offesa.
Era il suo sangue anglosassone,
secondo sua madre.
La strega la trafisse con
un’occhiata. Una coltellata. Dominique sapeva che anche lei
doveva essere stata
una quindicenne, come loro. Eppure…
“Mia figlia non
perde tempo
con gli animali.”
Stillò dalle
labbra, come un serpente avrebbe sgocciolato veleno. “Andiamo
tesoro. I nostri
amici si stanno chiedendo dove tu sia finita.”
Violet seguì la
madre senza
guardarsi indietro neppure una volta.
Due
giorni dopo…
Victoire sarebbe dovuta
partire alla volta del Belgio, per una breve fuga romantica con il
proprio fidanzato,
che aveva organizzato tutto per farsi perdonare della scarsa
performance
sociale al compleanno del Ministro.
Ma non era ancora partita.
Il motivo era uno solo, e si
chiamava Dominique.
La sua sorellina quindicenne
era un concentrato di scarsa empatia, incapacità di valutare
il pericolo e autogenerante
ironia. Separatamente, erano difetti micidiali. Concentrati
davano… Domi.
Victoire sapeva che se non
avesse
condiviso nome e geni probabilmente l’avrebbe messa
all’angolo della sua
visuale e lì dimenticata.
Ma essendo sua sorella, era
suo preciso dovere preoccuparsi.
Specialmente
quando per due giorni si rifiuta di uscire
da camera sua e persino di accudire quel suo maledetto serraglio di
creature
magiche …
I suoi genitori erano
perplessi, Louis girava per la casa come un’anima in pena.
Vic sapeva di dover far
qualcosa. Quindi disincantò la serratura della porta ed
entrò.
Dominique era stesa sul
letto
e fissava il nulla cosmico. Primo sintomo inquietante:
l’inattività non era
parte del suo corredo genetico. Un loro parente babbano, medico, quando
l’aveva
conosciuta aveva ventilato l’ipotesi soffrisse di disturbi
dell’attenzione.
Il secondo sintomo
inquietante
era la presenza di musica. Dominique aveva la sensibilità
artistica di un fondo
di calderone e non distingueva un jingle pubblicitario da una ballata
sentimentale.
Il caos nella camera e i
vestiti buttati ovunque senza nessun criterio invece erano
perfettamente
normali.
“Domi?”
Chiamò
tranquillamente.
“Ohi V.” La apostrofò
lanciandole un’occhiata. “La porta non era
chiusa?”
“Era.” Convenne
con un sorriso,
dandole una pacchetta sul ginocchio per farla spostare. Con uno sbuffo
l’altra obbedì,
semi rotolando dall’altra parte del letto.
Dominique era la persona
più
equilibrata che conoscesse: non soffriva dei tipici complessi
adolescenziali
sul proprio aspetto fisico – lì non avrebbe
comunque potuto – o sulla sua
inadeguatezza sociale. Dominique era fiera di essere com’era.
Si adorava, ma
senza esagerare. Se aveva un difetto, ci rideva su.
In quel momento invece
sembrava l’avesse investita un camion di pare adolescenziali,
dall’espressione.
È
colpa della festa? Forse ho esagerato ad usare l’incantesimo
di Pastoia per infilarle scarpe e vestito…
“Che
ti succede?” Le chiese: con lei
bisognava sempre esser diretti. Girare attorno al problema la
confondeva e
basta.
“Uhm.”
Emise. “Vic… come si
capisce che ti piace qualcuno?”
Victoire dopo
l’iniziale
meraviglia, sorrise sollevata: dunque era quello. Semplici problemi
sentimentali.
Era
ora. Mi chiedevo se non avrebbe fatto la fine di
zio Charlie, sposato ai suoi draghi.
“Beh, prima di
tutto se si
pensa a questa persona più del normale… e
poi…” Diete un’occhiata
all’impianto
stereo. Non era settato sull’opzione radio. C’era
dentro un cd.
She
screams in silence
a sullen riot penetrating through her mind
Waiting for a sign
To smash the silence with the brick of
self-control
“È un
mix che mi ha fatto Gogo
ere fa.” Spiegò alla sua espressione. “E
poi?” La riportò sul discorso.
Victoire le tirò
una ciocca di
capelli che si ergeva più dritta delle altre. “E
poi tutte le canzoni d’amore
improvvisamente hanno senso³.”
Dominique
spalancò appena la
bocca. “Ah.” Disse, aggrottando le sopracciglia.
“Questo è un po’ vero.”
Victoire la
guardò divertita.
Era raro vedere sua sorella con quell’espressione pensierosa
sul viso.
“Chi
è?”
“Si chiama
Violet.”
Seguì un lungo silenzio imbarazzante. Da parte sua, che
Dominique invece la
fissava incuriosita.
“…
Violet è un nome da
ragazza.” Mormorò, cercando di capire se
avesse capito bene.
“Sì, lo
so.” Annuì.
“Domi, ti
piacciono le
ragazze?”
La quindicenne si strinse nelle spalle, tirandosi su e incrociando le
gambe. “Non
lo so. Non so neanche se mi piace sul serio lei.”
“Beh, immagino dovresti… parlarle.”
“Vale averla baciata?”
Victoire per un folle momento ebbe il desiderio, decisamente non nella
sua
indole, di infilarsi le mani nei capelli. Ma Dominique era sempre stata
così:
prima agiva, poi notificava.
“Immagino…”
Esordì
controllando il tono di voce e cercando di non mettersi a ridere
istericamente.
“… immagino di sì. E a lei? Tu
piaci?”
“Sì, credo di sì.”
Stranamente lo sguardo della sorella si adombrò di colpo.
“Ma
è questo che non mi piace.”
Victoire la fissò confusa. Okay, adesso aveva perso la presa
sul filo del
discorso. “Non ti piace che a lei tu piaccia?”
“No,” Scosse la testa. Prese a mordicchiarsi
un’unghia. “Vabbeh, te lo dico”
Sbottò alla fine.
Sua sorella sembrava sempre
una
specie di principessina snob, ma la realtà era che non
scorreva solo sangue
Delacour dentro quella graziosa personcina.
“Quella vecchia,
grassa vacca ti ha detto cosa?!” Urlò
saltando in piedi come una molla. Una molla comunque
molto aggraziata.
Secondo
me Teddy dovrebbe aver paura per le sue palle.
“Senti, non
è così grave…”
Tentò, ma sua sorella non sembrò neanche
ascoltarla.
“Dovrebbe stare ad
Azkaban
invece di infestare per i salotti bene della nostra Francia!”
Ruggì,
cominciando a fare avanti e indietro sul pavimento. “Ha osato dire a mia sorella … ha
osato offenderci tutti quando quella
famiglia è marcia fino al midollo!”
“Vicky?”
Tentò di nuovo,
sentendosi sollevata. Era sempre divertente vedere sua sorella in
modalità
berserker. “Dai, non è come se mi avesse
maledetto.”
“Avrebbe potuto.
Quella troia
mangiamorte.” Sibilò con grazia, al di
là del vocabolario. “… se maman sapesse…”
“No!” Esclamò di colpo. “Maman non
saprà un tubo! Se la mettiamo in mezzo ci scappa un casino
di proporzioni
epiche!”
“Non sarebbe poi
così brutta
come soluzione. Certa feccia non dovrebbe avere il coraggio di alzare
la testa
in quel modo, insultando te, poi.”
Dominique si morse le labbra. Okay, le faceva piacere che la sua di
solito altezzosa
sorella sbraitasse in sua difesa. Però c’era il
fatto Violet: sapeva della sua
famiglia. A scuola lo sapevano tutti.
E
penso che sia così stronza anche per pararsi le
spalle dagli stronzi.
“Così
però ci rimette Pi…
Violet, e non è giusto. Non è mica colpa sua, se
i suoi genitori fanno schifo.
Mica li ha scelti.” Obbiettò ragionevole. Poteva
non capire cosa accidenti
provasse per Piggie, ma di sicuro non voleva metterla nei guai quando
il
massimo che aveva fatto era stato darle una
volta della sporca mezzosangue quando avevano undici anni.
Con
una madre del genere, è un miracolo che non mi ci
chiami in continuazione.
Victoire le
lanciò un’occhiata,
poi sbuffò, sedendosi di nuovo sul ciglio del letto.
“Hai ragione.” Un’altra
occhiata, strana stavolta. “Ascolta… con te non
funziona proibirti qualcosa.
Però davvero, dovresti lasciar perdere quella ragazza. Sua
madre è peggio di un
Lethifold. Non voglio che tu rimanga ferita.”
“Ferita?” Sbuffò incredula.
“Non è come se potesse lanciarmi una
maledizione!”
Victoire le accarezzò inaspettatamente la guancia.
“Non parlavo di ferite
fisiche. Sei tosta, Domi. Ma guarda una mezza parola come ti ha fatto
sentire
per due giorni.”
Dominique si
trovò a corto di
obiezioni. Perché era vero. Violet le dava in continuazione
della selvaggia e
della zotica, ma non faceva mai male.
Ma le parole di Madame Parkison in Goyle…
Fece una smorfia.
“Tanto non è
come se avessimo un rapporto o che. È stato solo un
bacio.”
Pensò
all’espressione
atterrita e remissiva di Violet. Di come fosse sparita dalla sua testa
non
appena era arrivata sua madre.
Col
cazzo. Io non sono seconda a nessuno.
“È
okay. Accetterò il
consiglio per stavolta, Vic.” Disse infine.
L’altra le
arruffò i capelli. “Ti
passerà Domi…” Le assicurò,
alzandosi e baciandole la fronte. “Fidati.”
“Massì.” Convenne. “Ora
sciò! Non è che puoi entrare nei miei spazi
vitali come
e per quanto vuoi, sorella.”
Victoire alzò gli
occhi al
cielo e disse qualcosa su Teddy e la vacanza rimandata per colpa sua
che
ascoltò a metà.
La mia soglia di attenzione
è
già calata. Boom.
Quando Vic se ne fu andata,
Dominique
rilasciò un lungo sospiro di sollievo: parlare di sentimenti
era sfiancante.
Si ributtò sul
letto e lanciò
un’occhiata allo stereo babbano. Era la prima volta che lo
usava.
Sarebbe
anche stata l’ultima.
Are
you locked up in a world
Thats been planned out for you
Are
you feeling like a social tool without an use
Scream at me until my ears bleed, I'm taking
heed just for you…
Dominique
lo spense.
****
Note:
E il Quarto e Quinto sono
andati! Rimangono gli ultimi due, e quindi un capitolo. ;D
Qui
la prima canzone. Qua
la seconda nel testo. Attenti al significato della canzone. Per me
è piuttosto
adatto a ‘ste due.
1. Bleu:
contrazione per bleuets,
ovvero fiordalisi in francese.
2. Granian:
razza di cavalli alati. Dal manto grigio, hanno la stazza
di un cavallo normale. Particolarmente veloci. Qui per
maggior informazioni.
3. Citazione da Castle.
|
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Capitolo 3 *** I Sedici ***
It's time to let you know. Time to
sit here and say.
I
know we are the lucky ones.
(Lucky, Bif
Naked)
Sesto Anno e la Rivelazione.
Violet
aveva smesso di pensare a Dominique Weasley.
Sul serio.
Durante il Quinto anno erano
successe le tipiche cose che accadevano durante
un anno scolastico. Prove, amiche, il proprio ragazzo.
Tutto era ruotato
attorno a quel piccolo, grande universo e nulla l’aveva
sconvolto. Violet aveva
smesso di cercare Dominique tra la folla. Gradualmente, aveva smesso di
chiedersi cosa stesse facendo e se gli amici di cui era circondata la
facessero
ridere come quando era con lei.
L’aveva
incontrata, certo. Avevano
avuto delle lezioni assieme. Si erano persino salutate qualche volta,
incrociandosi sole nei corridoi.
Dominique in quei momenti si
limitava ad un mezzo sorriso disimpegnato ed a chiamarla
‘Violet’. Come due
estranee: due studentesse di una scuola che si conoscevano, tutto
lì. Rapporti
civili.
Violet aveva smesso di
pensare
a Dominique Weasley, perché Dominique Weasley era chiaro non
pensasse più a
lei. Il suo sguardo le scivolava addosso come se fosse un volto tra la
folla.
Aveva intuito che il punto
di
rottura c’era stato al compleanno del Ministro, quando sua
madre si era
comportata… come sua madre.
Ma andava
bene così, anzi forse era stata la soluzione migliore, a
posteriori.
Violet, sedici anni, ad anno
iniziato e con una mole di compiti che la seguiva come un cucciolo
affamato,
aveva di meglio da fare che pensare al bacio scambiato nella radura
degli
unicorni con la ragazza dai capelli color argento.
Peraltro era stato il primo,
ma non l’ultimo con una ragazza; quell’estate,
l’estate dei suoi sedici anni,
aveva conosciuto Louise, quattro anni più grande di lei,
fidanzata con il
fratello maggiore di Mathieu. Louise aveva grandi occhi color ametista,
il
sorriso insinuante, le lentiggini e già il corpo di una
donna. Si erano baciate
sotto i portici della villa estiva degli Allard, sita in un delizioso
paesino
della Costa Azzurra abitato solo da maghi, ritrovo per eccellenza della
buona
società purosangue.
Louise le aveva spiegato
com’è
che andavano le cose, quando ti piacevano le ragazze ma avevi un
fidanzato.
“Nessuno
ti impedisce di avere un’amica un po’ speciale,
Violet.
Nessuno. Non siamo come quegli incivili dei babbani, non facciamo
caccia alle
streghe per chi ci portiamo a letto, vero? Le streghe siamo noi. Basta
tenerlo
segreto, basta non parlarne. È così per tutti
quelli come noi…”
Violet aveva compreso. Si
erano sorrise e poi c’erano stati altri baci. Avevano nuotato
nel lago a
mezzanotte, e fatto l’amore sotto le stelle. Era stato bello,
ma breve; Louise
era tornata a Parigi con il suo fidanzato, e lei era tornata a
Beaux-Batons.
Mathieu aveva visto le sue
lacrime al commiato, ma non aveva detto nulla. Non pensava neppure gli
importasse. Andava a letto con molte ragazze, alcune delle quali ogni
mattina,
a scuola, le auguravano amichevoli il buongiorno. Quando
l’aveva scoperto, Violet
non aveva provato nulla. Forse sollievo. Da quando il suo fidanzato la
tradiva
era meno insistente nel cercare un contatto con lei.
Le loro famiglie
già parlavano
di matrimonio, finita la scuola. Inizialmente per Mathieu, che si
sarebbe
diplomato quell’anno, poi sua madre aveva fatto pressioni
perché invece si
celebrasse dopo il suo, di diploma.
Violet aveva pensato che non
faceva poi molta differenza, ma che preferiva non avere un anello
d’oro al dito
quando ancora ascoltava parlare le amiche del perfetto principe azzurro.
Il perfetto principe azzurro
non esisteva; e se fosse esistito, a lei non interessava. Era solo uno
stupido
costrutto per chi non sapeva. Era
chiaro che la faccenda degli ‘amici speciali’ non
fosse solo in senso saffico…
Louise non l’aveva detto, ma Violet sapeva che i matrimoni
purosangue non erano
un esempio di luminosa fedeltà. Violet lo sapeva come sapeva
che sua madre si
vedeva con un uomo, un alto funzionario del Ministero: un giorno Pansy
Parkinson-Goyle avrebbe aggiunto un altro cognome alla lista,
presentandoglielo
come un dato di fatto.
Non
ha mai voluto che fossimo solo io e lei.
“Le
donne come noi, Violet, non possono permettersi di
sbattere semplicemente le ciglia come delle sciocche. Devono calcolare.
Come
in una partita a scacchi, come in una guerra. Le donne come noi, devono
far
politica mentre sono in camera da letto. Solo così avremo la
posizione che ci
spetta per nascita, solo così avremo un marito che ci
rispetta, che ci è utile.”
Violet era consapevole di
non
essere bella – che era ciò che le aveva fatto
intuire tra le righe sua madre con
quel discorsetto. Aveva quel detestabile naso a patata, le ginocchia
storte e
qualche chilo di troppo. Mathieu Le Beau
ci rimetteva più di lei, nel loro futuro matrimonio. Ma,
come si vociferava nei
salotti, sua madre sarebbe stata capace di vender draghi ai rumeni.
“…
anche quella ragazzina insignificante di sua figlia.
Priva di brio, priva di grazia… Gli Allard hanno proprio
fatto un pessimo
affare. Oh, ma Madame Pansy com’è
furba…”
Quando Violet sentiva quelle
vecchia dame ingioiellate parlare, aveva voglia di urlare. Aveva voglia
di
gridare, come aveva gridato contro Dominique. Ma era consapevole che
quelle
arpie non l’avrebbero guardata con la stessa calma
tranquillità della Weasley.
“Violét?”
La apostrofò Sophie dandole un colpetto sulla mano. Il
professore spiegava Incantesimi e la sua pergamena era bianca.
“Stai bene?”
Sophie andava a letto con Mathieu. Ne era abbastanza certa, e la
notizia più
che farla arrabbiare, l’aveva fatta ridere. Mathieu non era
certo un asso a
letto, date gli scarsi preamboli di cui la omaggiava. Però
era ricco, e faceva
bei regali.
Sophie,
la gazza ladra… tutto ciò che luccica. Oh, come
le piace tutto ciò che luccica.
“Sì,
sto bene. Ero distratta.”
Rispose, mentre la campana di fine lezione si annunciava prepotente.
Radunò le
sue cose mentre l’altra le parlava della partita che si
sarebbe tenuta quel
pomeriggio trai Bleu e le Rose, i
due
dormitori in cui era divisa la scuola: anche ad Hogwarts si teneva una
cosa
simile, rifletté distratta, anche se l’agonismo in
terra scozzese raggiungeva
livelli parossistici.
Qui
nessuno si fila il Quidditch, tranne i ragazzi,
qualche ragazze che ha la femminilità media di un Orco e
naturalmente…
“Domi, oggi li
stracciamo!”
Urlò uno dei suoi compagni all’attuale Capitano
dei Bleu.
Dominique si era fatta
crescere i capelli anche se cocciutamente li radunava in una coda
sommaria e da
cui sporgevano ciuffi asimmetrici. Comunque stava benissimo. Violet non
sapeva
se fosse stata una cosa voluta, ma aveva notato che ultimamente i
maschi che fino
all’anno prima le erano ronzati attorno camerateschi, avevano
ridotto le pacche
sulle spalle e moltiplicato le occhiate.
Dominique sembrava non
accorgersi di nulla e continuava a trattarli come una mandria di grossi
Crup
amichevoli.
Violet era convinta che
prima
o poi, uno di quei ragazzi, forse il più intraprendente,
forse il meno
orribile, sarebbe riuscito a catturare lo sguardo della Weasley.
Non può continuare a comportarsi
come un
ragazzino di dodici anni per sempre, no?
Dominique le
passò accanto,
accompagnata dalla solita mezza dozzina di amici e
dall’immancabile cugino.
Violet non poté
fare a meno di
guardarla e anche l’altra ricambiò. Era tutto
ciò che era rimasto del loro
strano rapporto durato quasi quattro anni: sguardi.
“Violet? Abbiamo
la prossima
lezione, vuoi arrivare in ritardo?” Era Jenny, che spesso
capiva. Non
abbastanza, per fortuna, da sapere.
La Weasley distolse lo
sguardo, e passò un braccio attorno alle spalle del compagno
rumoroso di prima,
sghignazzando con lui. Violet prese la borsa e seguì le
proprie amiche.
I loro universi si erano
soltanto sfiorati. Tutto lì. Dopo essersi sfiorate, le era
stato spiegato in
Aritmazia, due linee potevano anche separarsi per sempre.
Lei e la Weasley erano
quelle
due linee.
****
Dominique amava fare due
cose
prima di una partita. La prima, non seguire le lezioni; la
deconcentravano dal
perfetto stato mentale in cui doveva trovarsi una volta scesa in campo.
La seconda, un sonnellino
pomeridiano, e se il tempo lo permetteva farlo sotto il grande albero
di tiglio
vicino ai cancelli della scuola.
Da quell’anno
anche il
fratellino Louis la accompagnava. In effetti, al momento, se la stava
dormendo
della grossa appoggiato al tronco secolare.
L’idillio fraterno
fu presto
rotto.
“Dom?”
Dominique aprì un occhio per controllare chi la chiamasse.
Naturalmente era
Mael, che si era inginocchiato con un sorriso divertito. “Non
avete paura che vi
mangino le formiche?” Le chiese.
“Non se sai dove
sdraiarti.
Che vuoi, ninfetto?” Guardò verso il fratellino.
“E fa’ piano, che dorme.”
Il ragazzo gonfiò le guance all’offesa, che poi
tale non era. “Intercessione.”
Si sedette accanto a lei, dando un’occhiata analitica al
terreno e una
distratta al bambino dormiente. “Nicolas, lo sai.”
Dominique alzò gli occhi al cielo: Nicolas era il secondo
cacciatore dei Bleu. Un buon amico,
un eccellente
sportivo e un leale vice-capitano. Secondo le ragazze, era anche un bel
tipo.
Aveva un bel naso, sempre secondo il parere femminile del gruppo.
Dominique si chiedeva spesso
come un naso potesse essere bello.
“Senti,
perché non me lo dice
di persona che vuole andare alla festa del dopopartita con
me?”
“Gli diresti di
sì?” chiese
speranzoso Mael, che del ragazzo era buon amico.
“No.”
Mael emise un lamento, prendendosi teatralmente la testa tra le mani.
“Qual è
il tuo problema, Domi? Mi hai detto neanche due settimane fa che ti
piaceva!
Gliel’hai anche detto, in faccia!”
“Mi piace, sì.” Confermò.
“Come amico.” Si frenò dal ridere
vedendo
l’espressione esasperata del cugino. “Che
c’è? Dico solo la verità… mi
dispiace, ma non riuscirei a vederlo come potenziale…
err.”
“Ragazzo.”
Sbottò truce l’altro.
“Santo cielo, sei una delle ragazze più belle,
anche se…” E qui lanciò
un’occhiata aspra ai suoi jeans. “Insomma, sei
bella! È universalmente risaputo!”
“Beh, grazie. Lo
so anch’io.”
“Allora perché non ti trovi un
ragazzo!?”
Dominique gli diede un calcetto, indicando Louis che fece un lieve
sospiro
soddisfatto, continuando a sonnecchiare ai tiepidi raggi del sole
autunnale.
“Perché
non me ne frega un tubo.”
Dichiarò solenne. I ragazzi le piacevano, ma come amici. Si
trovava più a suo
agio con loro che con, ad esempio, il prototipo delle amichette
fotocopia di
Piggie.
Ma
questo non significa che voglia farmi infilare la
lingua in bocca e tastare il sedere da uno di loro.
Cioè,
so che c’è dell’altro. Romanticherie,
tramonti e
promesse d’amore.
Non
mi interessa manco quello.
Se un ragazzo le faceva un
complimento le veniva solo da ridere.
Mael fece una smorfia
scornata, prendendo a strappare fili d’erba forse per evitare
di strappare i
capelli a lei. Da bambino aveva quel vizio durante le liti.
“Quando crescerai
Domi?” Esordì. “ Non è tutto
Quidditch, Arod e le tue vacanze in Romania.
Potresti avere tutti i ragazzi che vuoi… e non ti dico tu ti
debba innamorare,
ma che ne so, fare esperienza?”
“Perché?”
“Perché non è normale che tu ti
comporti così!” Sbottò di colpo.
Dominique
ammutolì. Sapeva che il cugino era un ansioso patologico, e
che vedeva problemi
quando spesso in realtà non c’erano.
Però
a ben pensarci… del mio gruppo son l’unica che non
si è ancora trovata nessuno con cui pomiciare tra una
lezione e l’altra.
Dava
da pensare, in effetti.
“I ragazzi non
sono amici con
cui giocare… capisci? Non puoi abbracciarli e trattarli
come… non so, cuccioli!
Ormoni, ne hai mai sentito parlare?” Aggiunse.
“Possibile che non ti piaccia
nessuno?”
Dominique avrebbe voluto tappare la bocca all’ansiogeno
cugino visto che quando
ci si metteva era davvero urtante.
Ma
non sapeva bene come: su quel lato le cose erano nebulose anche per
lei.
Sua sorella le dava
palesemente della tarda. In realtà era più una
questione di priorità:
per lei era più importante
godersi la vita, non avere problemi e cercare di passare più
giorni estivi
possibili in Romania.
“Non
è che ti piacciono le ragazze?” Quella
era la seconda domanda più quotata presso i più
ficcanaso dei suoi amici. E la
risposta era sempre la stessa.
“Non penso
proprio.”
Ed era vero. Le ragazze che conosceva, anche quelle del suo gruppo, le
trovava
noiose da morire. Non avevano gli stessi interessi, non sapeva mai di
cosa
parlarci e finiva sempre che la fissavano in modo strano. Le sue cugine
erano
le uniche che fossero abituate al suo modo di fare visto -
eufemisticamente
secondo Rose – come rude.
L’unica
persona che un po’, forse, m’è
piaciuta…
Accantonò quel
pensiero: si
era ripromessa che non ci avrebbe più pensato.
E Dominique Weasley mantiene sempre fede
ai suoi propositi.
“Se vado alla
festa con Nicolas,
chiudi il becco?” Chiese spazientita. Voleva farsi la sua
oretta di sonno
ristoratore e poi andare a mandare in rete la loro sicura vittoria.
Il cugino scrollò
le spalle.
“Non è che devi fare un favore a
me.
Se non vuoi andarci, è meglio che non lo illudi.
È pazzo di te.”
Già, ma non io di lui…
Sembrava che per tutto il
resto del mondo fosse shockante la sua mancanza di interesse per le
faccende
amorose. Che poi
non che fosse del tutto
vero: aveva baciato una ragazza e le era piaciuto. Ma dopo Violet, non
aveva
provato la stessa divorante curiosità per
nessun’altra.
E
Piggie è ormai in odor di fiori d’arancio con
Allard,
no?
Si alzò in piedi
di fronte
all’aria perplessa di Mael e si caricò sulle
spalle il fratellino senza che ci
fosse alcun cambiamento nel ritmo del sonno.
Beato
lui. Vorrei tornare anch’io ad avere undici anni.
Non avevo amici così rompipalle, allora.
“Dove
vai?” Le chiese Mael,
con aria confusa. “Pensavo dovessi fare il tuo
sonnellino.”
“No, sai…” Si aggiustò meglio
Louis sulle spalle e ghignò. “Qua è
pieno di
formiche.”
Le urla di suo cugino si
sentirono fino al palazzo.
****
Dominique non amava tutta la
sua squadra.
Sapeva che non era giusto,
che
dovevano essere tutti uniti.
Funzionava per un branco,
funzionava per gli esseri umani, che avessero sangue magico o meno.
Dominique adorava i suoi
ragazzi, ma detestava Mathieu Allard.
Non soltanto
perché era un
tronfio deficiente, che passava metà del tempo ad
accarezzarsi i muscoli e
l’altra metà, probabilmente, questo non poteva
saperlo, a misurarsi l’uccello e
pretendere di essere il vincitore assoluto.
Dominique lo detestava
proprio
per chi era. Detestava Mathieu Allard perché
sì.
Un
giorno quel boccino glielo ficco su per il…
“Nicky?”
La richiamò la
seconda battitrice, una basca dalla mira micidiale. “Sei
pronta?” Si assicurò
la mazza alla cintura con un movimento deciso. “Intanto
usciamo… lo sai che i
ragazzi ci mettono anni.”
“Pronta,
arrivo!” Replicò
stringendo i legacci dei gambali e mettendosi la scopa sulle spalle.
Lo spogliatoio delle ragazze
–
ovvero solo lei e Amaya, anche se nelle partite minori giocavano due
piccole ma
agguerrite riserve del Secondo anno
-
era l’ex-spogliatoio dei ragazzi, ceduto dai suddetti con la graziosa intercessione della Preside.
Poveracci.
Sono costretti a cambiarsi nello sgabuzzino
con un incantesimo di estensione irriconoscibile.
Amaya si avvicinò
alla porta.
“Che dici, andiamo ad infastidirli come l’ultima
volta?” Ghignò.
Dominique fece un sorrisetto
di rimando. L’ultima volta erano tutti scappati strillando
come delle
ragazzine, nudi in più gradi di imbarazzo. Era stato
divertente.
Anche
se Amaya secondo me non l’ha fatto proprio per
farsi
due risate…
“Nah,
aspettiamoli. Se li
agitiamo prima della partita capace che neanche riescono a salire sulla
scopa.”
Replicò, ignorando l’espressione delusa
dell’altra.
La porta era però
di legno
sottile e da fuori si sentiva tutto. Dominique notò che la
voce di Mathieu
sovrastava le altre. Stavano ridendo.
“Insomma, stasera
è
obbligatorio darci dentro, segaioli!” Fuori dai contesti
formali, il pupillo
degli Allard non era esattamente una bocca di rosa. “Chi non
si trova una
femmina, è un pallemosce!”
“Grazie tante, Mat!” Replicò il
Portiere, famoso per l’acne da cui era
afflitto, talmente tenace che neanche la più potente delle
pozioni
Antiforuncoli ne aveva avuto ragione. “Tu ce l’hai
già la ragazza! Sei pure
fidanzato!”
“Sì,
anche se a volte si
confonde e imbocca la camera sbagliata!” Seguirono qualche
sghignazzo.
E nessuna smentita.
Dominique corrugò
le
sopracciglia. I sottointesi da spogliatoio non erano mai
sottointesi. “Allard mette le corna alla
Parkinson?” Chiese ad
Amaya.
La ragazza la
scrutò
perplessa. “Guarda che lo sanno tutti… si fa
metà dormitorio femminile delle
Rose. Ma dove vivi, Nicky?”
Intanto
l’esplosione di
virilità dietro la porta continuava.
“Okay che la
Parkinson non è
una bellezza, amico…” Soggiunse il Portiere.
“Ma davvero voi purosangue
aspettate il matrimonio per impalmarvi la fidanzata?”
“Magari non si
aspetta così
tanto… magari stasera le servo il piatto Allard al gran
completo. Vedrete
domani che bel sorriso.” Replicò e poi ci furono
nuovi sghignazzi.
Amaya fece una smorfia.
“Scimmioni.” Commentò poco turbata.
“Direi che mi dispiace per la Parkinson, ma
è talmente stronza che se li merita dei discorsi da
spogliatoio così.”
Dominique non disse nulla:
non
capiva bene perché sentisse l’urgenza di entrare
nello spogliatoio e
trasformare Allard in un gigantesco, bavoso lumacone.
Non
che io e Violet abbiamo più molto in comune… mai
avuto, a dirla tutta. E poi, se vuole stare con un bastardo del genere,
son
fatti suoi.
Sentirono poi la porta
aprirsi. Il primo ad uscire fu proprio Allard, che servì
loro un sorrisetto.
“Oggi vediamo di
spaccare il
culo a quelle mezze seghe delle Rose, eh Capitaine?”
Dominique replicò
il sorriso.
“Puoi contarci, Allard.”
Lavoro di squadra. Lavoro di squadra.
Dominique scoprì
alla
veneranda età di sedici anni che non era sempre possibile
convincersi delle
cose solo ripetendosele.
****
I Bleu
avevano vinto centocinquanta a centotrenta, e non per merito
della Weasley.
Violet non capiva molto di
Quidditch, aveva solo delle nozioni di base, apprese da Mathieu che
invece ne
era un patito… o ascoltando le chiacchiere rumorose della
Weasley e dei suoi
amici durante le lezioni o quando si sedevano vicino a lei in
refettorio,
durante i pasti.
Sapeva che il Cercatore
–
Mathieu – era un pezzo fondamentale della squadra. Quella che
solitamente la
portava alla vittoria: perlomeno così diceva lui.
La realtà che
aveva più o meno
intellegito dalle partite intra-scolastiche era un filino diversa: era
Dominique che teneva i punteggi della squadra alti, assieme
all’altro
Cacciatore, Simon. Mathieu prendeva il boccino solo a fine partita,
quando era
ovvio e comprovato che la squadra avrebbe vinto.
Mathieu era un ragazzo dalla
vittoria
facile: prendersi la gloria era molto più semplice se i
Cacciatori erano bravi.
Violet più o meno
aveva capito
questo, ma quel giorno la partita era andata in modo diverso.
Dominique aveva fatto pena:
non aveva intercettato un passaggio ed era stata quasi disarcionata da
un
bolide. Violet non aveva idea di cosa significasse ‘volare
come un giocatore dei Chudleys’ ma
l’aveva sentito dire ad un
addolorato Louis Weasley, mentre guardava la sorella quasi
l’avesse tradito.
Ad intuito, non le era
sembrato
un complimento.
Violet aveva visto tutta la
partita – faceva parte dei suoi doveri di fidanzata
– e in effetti aveva notato
come il gioco di Dominique quel giorno fosse stato scarso.
Per questo motivo, Mathieu
aveva dovuto muovere il culo per una volta, ed ingaggiare un testa a
testa
furioso con il Cercatore dell’altra squadra. Era riuscito a
strappargli il
boccino da sotto il naso e la partita era stata vinta per puro rotto
della
cuffia.
Che
diavolo le è preso? Quando gioca di solito si
trasforma in una persona seria.
Non aveva avuto molto tempo
per rifletterci, perché appena scesa dagli spalti era dovuta
andare incontro a
Mathieu e seguirlo nel suo codazzo di gloria, portato a braccia dalla
squadra
festante.
Beninteso:
tutta la squadra meno Weasley.
Adesso si trovava nella Sala
Principale, a festa iniziata. Come invitata speciale, come annoiata
particolare. Mal sopportava quel genere di chiassosa manifestazione di
virilità
da parte dei ragazzi e di compiaciuta civetteria da parte delle sue
amiche.
Chissà
se ad Hogwarts quando una delle loro Case vince
è così…
Già scorrevano
fiumi di Vino
Elfico importato dalle Ardenne, e il refettorio era pieno di musica: le
vittorie scolastiche erano l’unica manifestazione di natura
non-ufficiale che
la Preside permettesse.
Violet aveva indossato il
suo
vestito migliore e si era truccata. Un evento sociale in ogni caso era
un
evento sociale.
Prese un calice e lo
sorseggiò. Fece una smorfia: l’alcolico era
ovviamente allungato.
Dove
c’è sangue babbano, ci sono cocktail allungati.
È
una costante.
Rivolse qualche parola alle
amiche, accanto a lei, per quanto la musica lo permettesse. Mathieu era
in
mezzo alla sua squadra e …
Vide che Sophie era con lui,
piena di sorrisetti e tocchi leggeri, amichevoli ma con un sottotesto
esplicito
per chi sapeva.
E Violet sapeva.
Improvvisamente ebbe voglia
di
vedere Dominique: non si parlavano da quasi due anni, se non qualche
convenevole, ma non era quello il punto. Aveva voglia di vederla tra la
folla,
quella testa platinata, e sapere che c’era.
Sapere che per un momento, per qualcuno aveva significata qualcosa.
Sempre
che non si sia semplicemente divertita a sperimentare
con
te.
Louise
la pensava così. E tu quella volta le hai dato
ragione, no?
Jenny vedendo la sua
espressione e intercettando la sua occhiata in direzione di Mathieu e
Sophie,
fraintese. “Violet, dovresti davvero fare quattro chiacchiere
con Sophie.” Le
disse seria. “Non può permettersi di comportarsi
così con il tuo fidanzato. In
pubblico per giunta!”
Violet batté le
palpebre.
Sorrise di circostanza, mentre gli occhi continuavano a cercare una
persona del
tutto diversa. “Non è certo l’unica
amichetta di Mathieu. E poi…” Le venne un
improvviso desiderio di dire la verità. Di urlarla.
“… e poi non me ne importa nulla.”
“Scusa?” Ovviamente Jenny poteva capire, ma non
poteva sapere. Non poteva sapere
come per Mathieu non avesse un briciolo
di stima, o affetto. Non poteva sapere
che nessun ragazzo avrebbe mai rapito il suo cuore. Non
poteva sapere
che nonostante i giorni passassero e le stagioni si avvicendassero,
quella
stramaledetta testa matta continuava a danzarle nella visuale. Bastava
solo un
nuovo accenno, una scintilla, per riaccendere quella
cosa.
Qualunque cosa fosse, e
Violet
davvero, non voleva darle un nome.
“Io
…vado.” Disse brusca.
Dominique non era lì e lei non voleva restare. Non sarebbe
andata a cercarla
però, non avrebbe avuto senso: sarebbe andata a letto,
dopotutto era già tardi.
“Violet!”
La chiamò Jenny, ma
non si voltò indietro.
Non riuscì a
salire le scale
che portavano ai dormitori superiori che si sentì afferrare
per un braccio.
Dominique.
Ma non era lei,
perché la
stretta era forte, troppo. Era Mathieu.
“Ehi, dove
vai?” La apostrofò
con un sorrisetto confuso. “Non è quella la
direzione per il tuo dormitorio.”
“I dormitori sono tutti al
piano di
sopra.” Replicò infastidita, sentendo una morsa
allo stomaco. Davvero, non stava
andando a cercare la Weasley anche se stava andando verso la parte
destra
dell’enorme scalinata di marmo.
Il suo fidanzato fece una
smorfia
divertita. Puzzava di Vino Elfico. Tanto Vino Elfico.
L’avranno
pure annacquato e speziato per farlo reggere
ai Ne-Moldu, ma di sicuro lui ne ha bevuto abbastanza da
ovviare al problema.
“Guarda che non
sono stupido…”
La mano era sempre lì, sul suo polso. “Tu vai a
cercare l’unica Bleu che
stasera non festeggia.”
Violet sentì il sangue gelarsi nelle vene: come aveva fatto
a capire,
quell’idiota del suo fidanzato, che …
No, decise, non era possibile che sapesse.
“Sto andando a
letto, Mathieu.
Cosa che dovresti fare anche tu, viste le tue condizioni. Sei
ubriaco.” Replicò
freddamente, cercando di liberarsi. Per tutta risposta,
l’altro serrò la presa
facendole ingoiare un gemito.
“Com’è
scopare con una
ragazza, quando sei una ragazza?” Ghignò,
ignorando il suo consiglio. “Sono
sicuro che t’è piaciuto stare tra le gambe di
Louise.”
“Non so di cosa stai parlando, e lasciami, mi stai facendo
male!” Louise aveva
parlato? Non poteva averlo fatto. Eppure non c’era altra
spiegazione.
“Non pensare che
Louise sia
meglio di me… o Morgana ce ne scampi, che lo sia quel
fenomeno da baraccone
della Weasley. Con la famiglia che ha, è un miracolo che non
ululi sul tetto
della scuola.”
Violet si sentì come la sera del compleanno del ministro:
umiliata e infuriata.
Ma non con Dominique. Quella sera aveva odiato sé stessa.
“Lasciala
fuori.” Sibilò.
“Lascia fuori la Weasley dalla nostra situazione. Situazione,
poi…” Le venne
quasi da ridere. Perché era
ridicolo.
“È una farsa. Noi siamo
una farsa. Se
tu vai a letto con le mie amiche, non vedo perché io dovrei darti una spiegazione su cosa
faccio!”
Mathieu non diede segno di
essere rimasto impressionato dalle parole. Era ubriaco, e quasi
certamente
capiva metà di ciò che gli aveva detto. In
compenso le afferrò l’altro polso,
spingendola di colpo contro il muro. “Tu sei la mia fidanzata.” Le
mormorò con il viso vicinissimo al suo. Gli
tremavano disgustose goccioline di saliva sulle labbra, labbra tanto
decantate
dall’universo femminile della scuola. “…
che ti piaccia o meno, prima o poi
dovrai farti toccare da me.”
Violet ebbe paura. Una realizzazione, intempestivamente stupida;
Mathieu era
più forte di lei, con o senza bacchetta ed erano in un
corridoio vuoto, mentre
la maggior parte delle persone era lontana, in mezzo al chiasso:
nessuno
l’avrebbe sentita chiedere aiuto.
“Mathieu…
non … non qui, per
favore.” Tentò.
“Perché no? Hai scopato la mia cognatina in riva
ad un lago, questo in
confronto è un lusso.” Replicò
velenoso. Allora sì, sapeva, Louise aveva
parlato. Forse aveva anche riso, di quella sua risata piena di malizia,
quando
l’aveva confessato al novello sposo, o chissà, ad
un intero consesso di
persone.
A Violet venne da piangere.
Mathieu le ficcò le mani sotto il vestito, infilandole una
gamba tra le sue,
forzandola ad aprirle.
Non
così. Non così, ti prego Morgana, non
così.
Sentendo la bocca umida di
Mathieu sul collo realizzò che la loro futura vita
matrimoniale sarebbe stata, così.
Perché Allard la detestava quanto
lei detestava lui, perché erano entrambi intrappolati in un
contratto che non
avevano scelto, ma che era stato loro imposto.
Tentò di
spingerlo via, lo
morse, lo graffiò. Doveva farlo, non si sarebbe mai arresa a quello, lei.
Sono
Violet Parkinson-Goyle, sono Violet
Parkinson-Goyle… sono…
Realizzò di stare
singhiozzando quando l’altro le sbatté con forza
una mano sulla bocca,
togliendole il fiato.
Non
voglio. Per favore, non voglio. Sono una persona
orribile, lo so, ma non voglio.
Non voglio, per favore…
E poi Mathieu
schizzò
all’indietro, strappandosi da lei come se fosse stato
afferrato da una mano
gigante.
…
cosa…
Violet ci mise qualche
secondo
a rendersi conto che era stato un incantesimo a far ruzzolare
l’altro dal lato
opposto del corridoio.
Individuò
immediatamente la
bacchetta che l’aveva lanciato. E di chi era.
La Weasley era letteralmente
sbucata dal nulla e stava a pochi passi da lei. Notò che
indossava ancora il
maglione e i pantaloni dell’uniforme da Quidditch.
“Dominique!”
Le uscì fuori
naturale come respirare. L’altra le lanciò
un’occhiata.
“Non stai
bene.” Non le chiese,
attestò. Dominique era assurda anche in quello. Poi si
voltò verso Mathieu, che
nel frattempo si era rialzato, stordito e furioso.
“Weasley!”
Ruggì, tentando di
riallacciarsi i pantaloni scordinatamente. “Weasley, fatti i
cazzi…”
“Non ce l’ho, ma tu sì, e lo stavi decisamente
usando nel modo sbagliato.” Lo interruppe. Violet fu quasi
intimorita dalla totale
mancanza d’espressione sul viso dell’altra che le
lanciò poi una seconda occhiata.
Notò i suoi polsi lividi e forse anche il taglio sul labbro.
Perlomeno
dall’espressione, sembrava. Certo, il corridoio era buio, ma
non si sarebbe
stupita nello scoprire che la Weasley aveva la vista notturna di un
gatto.
“Cos’è,
vuoi attaccare briga?”
Sbuffò Mathieu. I duelli erano mal tollerati dalla Preside:
per eufemizzare.
Se
vieni beccato c’è l’espulsione.
Dominique intuì
che l’altro sottintendeva
i duelli proibiti. Ma non gliene fregava nulla.
Di
solito
aveva un carattere che le impediva di arrabbiarsi con qualcuno.
Però c’erano
momenti che chiamava Bianco Assoluto.
Momenti in cui era talmente
incazzata che il cervello le andava in panne e non riusciva proprio
ricordarsi
che la sua indole avrebbe dovuto essere pacifica.
Violet era a pochi passi da
lei. Sempre dritta come un fuso, ma con il vestito strappato, e
graffi… e
lividi. E gli occhi enormi, sgranati, spaventati a morte.
Dominique non era riuscita a
far presenza alla festa, quella sera. Si era resa conto di aver fatto
schifo
alla partita –suo fratello gliel’aveva sottolineato
con indignazione più volte
– e le era sembrato poco serio festeggiare una vittoria a cui
non aveva
contribuito.
Se alla fine aveva fatto
un’improvvisata, era stato solo perché Mael
l’aveva trascinata fuori dalla
stanza.
Arrivata, aveva passato una
manciata di minuti in compagnia della squadra, prima di accorgersi che
qualcosa
non andava. Non aveva subito capito cosa, poi aveva notato
un’assenza. Piggie.
A quelle feste era sempre
circondata dalle sue amiche come un castellana con il suo fortino,
annoiata e altezzosa,
ma c’era sempre. Non quella sera: c’erano le sue
amiche, ma non lei.
Aveva chiesto in giro e le
era
stato risposto che aveva lasciato la festa seguita dal fidanzato.
A quel punto, qualcosa nella
sua testa aveva fatto una somma e dato un risultato.
Era andata a cercarla e
aveva
visto quello.
Con l’ultimo
barlume di calma
aveva stimato una cosa: non era stata mai così arrabbiata in
vita sua.
Mathieu intanto, vedendo che
non ribatteva alla sua domanda, si sentì rassicurato.
Afferrò di nuovo Violet
per un braccio. L’altra però doveva aspettarselo,
perché schizzò indietro con
rapidità, suggendo alla presa. Allard le lanciò
un’occhiata che prometteva
ritorsioni. Riuscì comunque a sfoderare un sorrisetto di
circostanza. “Se non
ti spiace, io e la mia fidanzata ce ne…”
“No.” Lo
interruppe di nuovo.
“Tu sulle tue gambe non te ne vai.”
Replicò con cortesia. Lanciò la bacchetta
alle spalle. E gli tirò un calcio esattamente dove doveva.
Un’ora
dopo circa.
Violet non riusciva a
credere
che fosse accaduto tutto ciò che era accaduto.
Tutto ciò che
coinvolgeva
Dominique Weasley aveva un quoziente di rilevante pazzia.
La Weasley aveva letteralmente preso a botte Mathieu
iniziando, peraltro, da un mirato calcio nei testicoli.
Avrei
dovuto pensarci io…
In realtà non era
stato
neanche una rissa, come già si vociferava. Non ce
n’era stato il tempo, visto
che dopo neanche due minuti era arrivata tutta la squadra dei Bleu al gran completo. Era stato
però Mael
a prendere di peso la cugina e staccarla dal cumulo di gemiti in cui si
era
trasformato Allard.
Non
pensavo avesse tutta quella forza. Sembra una
ragazzina…
Non era stata usata magia e
a
posteriori, chiunque avesse avuto l’idea primigenia di
tenersi la bacchetta in
tasca, aveva avuto una gran pensata. Quando la Preside era arrivata,
seguita da
una corte di professori, si era capito che la questione era seria.
Ci
mancava vedesse esplodere incantesimi ovunque…
Dopo aver visto lo stato in
cui era ridotto Mathieu –il naso sembrava essergli
esploso– Madame
l’aveva spedito in infermeria.
Poi aveva guardato la piccola folla di giocatori uno ad uno.
“Cos’è
successo?”
Non c’era stato
fiato: Violet
aveva intuito che nessuno, a conti fatti, ci aveva capito niente.
Dominique si era chiusa in
un
mutismo ostile. Era dunque rimasta solo lei.
“Professoressa,
io…” Aveva iniziato,
ma la Preside, notandola, aveva sgranato gli occhi. Non c’era
stato bisogno di
parole. Violet non era mai stata così sollevata in vita sua.
Comprensione istantanea o
meno, a Dominique era stato comunque ordinato di seguire il professore
di
Incantesimi nella cella delle punizioni: nome inquietante che in
realtà
designava una stanzetta in cui venivano fatti dormire i ragazzi che si
macchiavano di effrazioni notturne. Una misura precauzionale per
evitare che tornassero
in dormitorio a vantarsene.
Ma
Dom non ha fatto proprio nulla! Cioè…
sì, ma…
Violet era confusa, seduta
su uno
dei letti dell’infermeria, divisa in settore femminile e
maschile.
Il giorno dopo avrebbe
dovuto di
sicuro parlare, spiegare, forse confessare.
Ma
adesso… adesso vorrei solo… sapere.
L’infermiera, dopo
averla
medicata, era uscita raccomandandosi di chiamarla in caso di qualsiasi
bisogno.
L’aveva guardata con pena, con attenzione.
Sto
bene. No, davvero. Sto bene.
Sarebbe potuto andare
peggio.
Mathieu avrebbe potuto farcela. Invece era arrivata la Weasley e aveva
fermato
tutto.
Perché?
Alzarsi e incamminarsi verso
l’ala del castello dove c’era la cella di punizione
fu tutt’uno. Non c’era
un’anima in giro, era già tutto finito.
Quindi era sola, tranne che
per Dominique, dietro la vecchia porta che aveva davanti.
Si guardò attorno e poi vi si appoggiò.
“Weasley?” La chiamò. Sperò
che non
dormisse. Conoscendola, poteva essere
un’eventualità.
Ci fu un cigolio. Una
branda: Dominique
l’aveva salvata e dormiva su una branda.
“Piggie?”
Chiese la sua voce
dietro la porta. “Che ci fai qui?”
“Pensavi non sarei venuta?” La apostrofò
di rimando. Si sentiva le gambe
pesanti. La paura le stava passando e con essa l’adrenalina.
Trovò dunque
ragionevole sedersi a terra.
Ci fu un po’ di
silenzio
dall’altro lato. “Beh, mi sbaglierò, ma
ti hanno detto di restartene buona
buona in infermeria. Questa non
è
l’infermeria.”
“E
quindi?”
“Di solito non fai tutto quello che ti dicono?”
Colpita
e affondata.
“Stupida.”
La rimbeccò, perché
la palla in quella conversazione doveva rimanere a lei.
“Piuttosto, stai bene?”
Le venne in mente che Mathieu non era rimasto passivamente a farsi
picchiare,
ma aveva reciprocato con tutta la rabbia di cui era capace.
“Sono stata
attaccata dai draghi, Parkinson.
Pensi che mi possa
lamentare di due schiaffetti isterici? E poi tranquilla, la Preside si
è presa
cura di me.”
Violet non poté fare a meno di sorridere sollevata. Si
appoggiò con le spalle
alla porta: era davvero stanca. “Io…
grazie.” Esordì; quello era giusto, non la
brandina. “Se non fosse stato per te…”
Lasciò cadere la frase, sentendo un
brivido scuoterla. Non era freddo. Erano ricordi freschi.
“Non
c’è di che.” Ribatté
l’altra come se non fosse stato niente.
Di
nuovo.
Violet si infuriò
di fronte
all’ovvia ottusità dell’altra.
“Ti rendi conto che rischi l’espulsione?!”
Non la lasciò rispondere.
“Ti rendi conto che rischi di mandare ai Dissennatori la tua
carriera
scolastica? Non c’era bisogno che tu lo picchiassi! I suoi
genitori sono maghi
influenti, non permetteranno che la Preside ti dia una semplice
punizione!” Si
sentiva un fiume in piena, non voleva respirare. Avrebbe perso tempo.
“Sei una
cretina! Cos’hai nella testa? Boccini ronzanti?!”
Dominique non le rispose ma
la
sentì muoversi dentro la stanza. Poco dopo sentì
qualcosa colpire leggermente
la porta dall’altra parte. Realizzò che si era
seduta come lei, con la schiena
contro la porta.
“È una
domanda che mi fanno
spesso.” Fu la risposta. “Comunque non farmi la
predica. Tu l’hai morso.”
“Tu gli hai tirato
un calcio…
un calcio lì!”
“A gente del genere bisogna impedire di procreare.”
Violet batté le
palpebre
sbigottita, poi le venne da ridere, era inevitabile. Una risata
sollevata, che
liberò in silenzio, nascondendola dentro una mano.
“Perché?”
Chiese, perché era
il motivo per cui era lì. “Perché sei
venuta a cercarmi? Io e te…” Lasciò la
frase in sospeso. Non che si aspettasse che l’altra
l’avrebbe completata, ma…
“Io
e te.” Replicò invece a sorpresa.
“Non ne ho idea, non ce l’ho
mai avuta. Non ci parliamo per secoli,
però…” Violet non poteva credere che
quell’esitazione fosse imbarazzo. “…
però
se sei nei paraggi, so sempre che
ci
sei. Non ho bisogno di guardare.”
“Ma se mi guardi
sempre…”
“Beh, Piggie… questo è
perchè mi guardi anche tu.”
Violet sospirò.
Dominique aveva
modi da selvaggia, era socialmente imbarazzante e…
Tirò un lungo
sospiro.
… e le era sempre
piaciuta da
quando erano bambine. Il suo principe azzurro era una ragazza dai
capelli color
argento e le lentiggini.
Patetico,
ma inevitabile. Tanto vale ammetterlo.
“Adesso cosa pensi
succederà?”
Le chiese Dominique scuotendola dalle sue riflessioni.
“Non lo
so… te l’ho detto, gli
Allard sono…” Si passò un dito sulle
labbra. Erano state guarite da pozioni ad hoc,
ma se le sentiva ancora
tumefatte, rigide. “…sono dei bastardi. Faranno di
tutto per farti espellere
dopo che hai umiliato il loro ultimogenito.”
“Non intendevo questo. Intendevo, tu
che farai?”
Doveva essere l’adrenalina in circolo, o era la misura ad
essere colma. Traboccante. “Romperò
il fidanzamento.” Disse
e la voce le uscì ferma come avrebbe voluto. “Non
ho intenzione di respirare la
sua stessa aria, a meno che non sia strettamente necessario.”
Dominique
ridacchiò. “Brava Piggie!
Ci hai messo tre anni, ma alla fine hai capito che avevi scelto uno
stronzo per
fidanzato.”
“L’ho
sempre saputo.” Ribatté.
“Ma non era un problema, perché non sono io che ho
scelto. E neanche Mathieu. Hanno
scelto i nostri genitori per noi.” Deglutì.
Pronunciare il nome del ragazzo… avrebbe
voluto che quella porta non ci fosse. Dominique l’aveva messa
a disagio le
poche volte che erano state vicine, ma in quel momento aveva davvero bisogno che la toccasse.
“Non
posso andare contro…”
“Il volere di tua
madre?”
Indovinò. “Fanculo tua madre!” Aggiunse
con forza. “Se ti ha dato la vita, non significa
debba per forza controllartela.”
“Tu non capisci.” Banale ma vero.
“Invece sì.” La Weasley era cocciuta,
era testarda come una ventina di cavalli
bizzosi. Eppure, se solo avesse avuto ragione…
“Credimi, capisco. Quindi dimmelo.
Cosa vorresti fare se potessi?”
“Se non dovessi
rendere conto
a mia madre e… tutto il resto?”
“Esatto.”
“Vorrei
baciarti.” Lo disse di
getto, perché nessuno la vedeva, Dominique per prima.
Altrimenti non avrebbe
aperto bocca come l’insignificante ragazzina che tutti gli
adulti dicevano
fosse.
Con Dominique non si sentiva
mai in quel modo però. Sentiva un sacco di cose –
molte delle quali poco carine
– ma tutte intense. Per questo gliel’aveva detta:
la verità.
Dominique intanto non
rispondeva.
Violet sentì la solita morsa allo stomaco, ma non si
tirò indietro, non quella
volta. “Sì, vorrei baciarti.”
Ripeté.
“Ci sarebbe una
porta di
mezzo.” Fece una pausa. “Mi sembra un buon inizio,
anche se infattibile.”
La morsa sparì
come neve al
sole di Agosto. “Per questo ho usato il condizionale, zucca
vuota.” Sbuffò. E
sorrise. Non avrebbe mai pensato di poterlo fare quella sera. E invece.
“Okay.”
Replicò l’altra.
“Condizionale sia. Cos’altro vorresti
fare?”
Violet rimase presa in
contropiede. C’erano tante cose che avrebbe voluto fare con
lei, o senza.
Troppe, forse. “Non… non lo so.”
Incespicò. “Non ne ho idea!”
“Andiamo.” Fu incitata con tono spiccio. “Parla.
Di solito ti dicono di fare tutto il contrario, no? La rivoluzione
comincia
dalle piccole cose. Tipo, aprire bocca e dire la tua.”
Violet appoggiò
la fronte
contro il legno fresco. E parlò. Tutta la notte.
La mattina dopo fu la
Preside
stessa a svegliarla. Se la trovò di fronte e considerando
che era alta due
metri e mezzo, Violet si sentì mostruosamente sovrastata.
“Signorina
Parkinson-Goyle,
buongiorno.” Esordì quasi gentilmente, notando la
sua espressione atterrita.
“Non dovrebbe trovarsi qui…” Non fece in
tempo a formulare delle scuse, che la
interruppe “… ma visto che
c’è, la informo che sua madre è
arrivata. Vada a
rendersi presentabile. Tra venti minuti la voglio nel mio
ufficio.”
Non le restò che
annuire,
alzandosi. Si stiracchiò, dolorante: dormire contro una
porta di legno non era
il massimo della comodità.
“Posso…” Ricordò il fiume di
parole che Dominique le
aveva chiesto di pronunciare la sera prima. “…
posso aspettare Weasley, Madame?”
Le fu ovviamente negato.
“Io posso uscire invece?” Fece una voce
dall’altro lato della porta. “O devo
essere scortata da auror?”
“Non faccia la buffona, Weasley.” La
rimbeccò la strega, aprendole però la
porta. Dominique uscì con la faccia più fresca e
riposata della storia.
“Hai dormito sulla
brandina
mentre io ho dormito sul pavimento!”
L’accusò, ignorando il batticuore che
l’aveva assalita a vederla. In fondo era
un vecchio e conosciuto amico.
“Certo che ci ho
dormito.
C’era.” Fece spallucce. Violet ebbe
l’impulso di affatturarla, ma si contenne;
la Preside era proprio lì dopotutto.
“Andate nei vostri
rispettivi
dormitori, non fatemelo ripetere.” Disse infatti.
“Fra venti minuti vi voglio
nel mio ufficio.”
Violet fece appena in tempo a sfiorare le dita di Dominique, prima che
le
separassero.
****
Le fronde filtravano lame di
luce che baluginavano sul volto, facendoti strizzare gli occhi
abbacinati. Poco
distanti, gli unicorni pascolavano tranquilli, sorvegliando con occhi
attento e
argentato i puledri che si abbeveravano al ruscello.
“Ehi, Weasley.”
Dominique reclinò la testa all’indietro e nella
visuale le entrarono le gambe
di Violet, fasciate dalle calze dell’uniforme. Lei prima di
Dicembre si
rifiutava di portarle.
“Ehi
Piggie.”
L’interpellata sbuffò, ma lasciò
perdere. Si sedette accanto a lei, sebbene ci
mise ben mezzo minuto per scandagliare la zona alla ricerca del metro
quadrato
perfetto.
Beh,
l’importante è il pensiero, dai.
“Ti sporcherai
l’uniforme.” La
prese in giro allungando soddisfatta le gambe fasciate di jeans. I
babbani
erano dei geni: perché solo dei geni avrebbero potuto
inventare una stoffa così
geniale.
“Va’
agli inferi.” Fu la
replica, guardando con un mezzo sorriso distratto gli unicorni
rivolgerle
occhiate incuriosite.
“Se vuoi puoi
andare a dir
loro ciao.”
“Per ora preferisco rimanere qui.” Violet si
toccò i capelli stretti nello
chignon che andava di moda quell’anno, sistemandosi ad arte
una forcina.
“Stai meglio con i
capelli
sciolti.”
“Quando mai mi hai visto coi capelli sciolti?”
“Staresti
meglio?”
Violet esitò, poi
con un lieve
sospiro spazientito si liberò dalla gabbia di fermagli e
forcine per sciogliere
i capelli in una lunga cascata color inchiostro.
A Dominique venne
inspiegabilmente
da sorridere. Come aveva previsto, quei poveri capelli si trovavano
molto
meglio liberi.
Come
la loro padrona…
“Sei
tornata.” Attestò. Violet
era stata a casa ben due settimane dopo quello che era successo. Si era
vociferato persino il suo ritiro da Beaux-Batons in vista di un
trasferimento.
Dominique non ci aveva
creduto
neppure per mezzo secondo: non aveva proprio potuto.
“Certo che sono
tornata…
pensavi anche tu che mia madre mi facessa trasferire?”
“No.” Scosse la testa. “È solo
che si diceva in giro.”
Violet si passò le dita trai capelli, sciogliendone un nodo.
“Mia madre detesta
Hogwarts, e Durmstrang è una specie di consesso di primitivi
che si veste di
pelle e beve sangue da teschi.” Sorrise dello sghignazzetto
dell’altra. “E le
altre scuole non sono così rinomate. Impossibile
trasferirsi. E poi le ho detto
che non l’avrei mai fatto.”
“Oh-oh!”
Esclamò sentendosi
inspiegabilmente più leggera. Sul serio, inspiegabilmente.
“Stiamo tirando
fuori la voce!”
Violet ovviamente
replicò con
una smorfietta disimpegnata. “Ringraziami Weasley. Se non
fosse stato per la
mia voce a quest’ora non saresti qui.”
“Mh.” Le
concesse, prima di
buttarsi all’indietro e posare la nuca sulla sua zolla
d’erba preferita di
tutta la radura. Notò con la coda dell’occhio che
l’altra era rimasta immobile,
fissando con estrema concentrazione un puledro che sgambettava di
fronte
all’occhio vigile della madre.
Dominique capì. E
le tese la
mano. “Grazie.” Disse, perché le parole
avevano un potere, aveva ragione suo
padre a dirlo. Le parole potevano attivare gli incantesimi. Le parole
potevano
ferire.
Violet le lanciò
un’occhiata
poi la prese e gliela strinse forte
Le parole erano cose
importanti, pensò Dominique. Le parole potevano renderti
libera.
Dominique
non aveva mai visto tanti genitori riuniti
insieme, sebbene l’ufficio che li ospitava fosse spazioso. I
suoi genitori, sua
madre nelle sontuosi vesti con cui lavorava e suo padre con ancora la
Metropolvere sul giubbotto di pelle. La vedova Parkinson-Goyle, che
sembrava un
grosso ragno pasciuto seduto rigidamente e infine i coniugi Allard, che
le
sembravano due stronzi con una grave paresi ai muscoli del collo, da
quanto
tenevano il mento sollevato.
Violet
era già accanto alla madre. Si era rimessa
l’uniforme e teneva le mani in grembo, così
strette da essere pallide come
quelle di un morto.
“Weasley,
eccola qui. Venga avanti, e chiuda la porta.”
Dominique aveva obbedito alla Preside, lanciando un’occhiata
ai genitori. Suo
padre aveva un’espressione seria in viso, ma soprattutto
stanca. Chissà in che
parte del mondo stava lavorando quando l’avevano chiamato.
Sua madre invece
aveva un’aria anodina. Ma quando le si sedette accanto, le
lanciò una lunga
occhiata indagatrice.
“Ora
che siamo tutti qui, possiamo iniziare.” Aveva
esordito Madame, glissando elegantemente sull’assenza di
Allard-figlio. “La questione
è piuttosto grave.”
“Naturalmente lo è!” Madame Allard
sembrava aver aspettato solo quell’attacco,
per dar fuoco alle polveri. “Questa ragazza ha aggredito mio
figlio e la sua
fidanzata mandandoli in infermeria!” Il doppio mento le
tremava furibondo e Dominique
si era incantata a fissarlo.
Budino.
“È
vero Domi?” Aveva chiesto suo padre, riscuotendola.
Dominique
di fronte a suo padre si era sentita
improvvisamente molto meno baldanzosa. L’atteggiamento dei
genitori di Mathieu
le faceva solo venir voglia di calcare la mano. Il viso di suo padre,
no.
“Più
o meno.” Aveva risposto senza distogliere lo
sguardo.
Mathieu
s’è inventato una
storiella in tempo record. I miei omaggi…
“Sta mentendo!” Aveva
sbraitato la donna.
“È inaudito che venga permesso a certe creature
evidentemente squilibrate di
frequentare una scuola di ma…”
“Mi scusi.” Era intervenuta lentamente sua madre.
“Ha appena paragonato mia
figlia ad un elfo domestico o ad un
folletto, per caso?”
L’altra strega doveva aver capito di essere stata trasportata
dall’emozione,
perché aveva richiuso subito la bocca.
Sua
madre non aveva bisogno di presentazioni per far
sapere chi era e quanto contava. Dominique fino a quel momento
l’aveva
considerata una scocciatura. Fino a quel momento, appunto.
“Sua
figlia ha aggredito Mathieu e Violet, Madame Weasley.”
Aveva risposto per la moglie Monsieur Allard, che sembrava altrettanto
spocchioso, ma più controllato. “Apparentemente
senza nessuna ragione.”
La
Preside aveva aspettato quel momento per
intervenire. “È questo che stiamo cercando di
capire. Dominique… vuoi dirci
perché l’hai fatto? Mathieu dice che non ha idea
del perché.”
Dominique
voleva dirlo. Smascherare quel figlio di puttana e
possibilmente non trovarselo più davanti. Non per
me. Per lui. Se me lo
trovo a meno due metri, giuro che lo rendo una ragazza.
Poi
aveva lanciato un’occhiata a Violet. Aveva le
labbra così livide che sembrava stesse per svenire da un
momento all’altro.
Dominique
aveva capito che non doveva essere lei a
dirlo. Violet invece, con la mano della madre sul ginocchio, aveva
bisogno di
una bella terapia shock.
“Non
ho aggredito Violet.” Ripeté. “E per
quanto
riguarda Allard, c’è un motivo, ma non lo
dico.”
“Dominique,
questo non è uno scherzo.” L’aveva
incalzata
sua madre. “È una cosa seria, rischi
l’espulsione.” E non potrò proteggerti,
se non mi aiuterai – era sembrato
aggiungere la sua
espressione.
Dominique aveva sentito una fitta di senso di colpa, ma era rimasta
sulle sue
posizioni davanti agli sguardi increduli e preoccupati dei suoi
genitori.
La
Vedova Parkinson Goyle invece non aveva ancora detto
una parola. Ma aveva un piccolo sorriso che le contraeva le labbra di
un rosso
violento.
Vaffanculo.
L’unica cosa bella
che ha prodotto il tuo sangue puro del cazzo ce l’hai accanto
e neanche te ne
rendi conto.
“Non
lo dico.” Aveva ripetuto, fissando Violet che
l’aveva guardata di rimando. Le tremavano le mani, anche se
cercava di tenerle
ferme stringendole le une alle altre. Non
farlo, non obbligarmi, non ce la faccio
–
questo urlavano i suoi occhi.
Dominique
sapeva di rischiare, che Violet era
terrorizzata, umiliata e che avrebbe preferito seppellire quel segreto
nel suo
subconscio e lasciarlo lì a marcire per il resto della sua
vita.
Non posso permettertelo.
Scusa
tanto, ma mi hai trascinato dentro e quindi faccio la mia mossa.
“Non
c’è altro da aggiungerei direi.” Aveva
esordito Allard-Senior.
“Olympe, è ben chiaro che la ragazza, come ha
detto mio figlio, ha avuto un
raptus di invidia nei suoi confronti e l’ha aggredito mentre
era indifeso, in
compagnia della sua fidanzata. Sono venuto a sapere che Mathieu ha
assicurato
la vittoria alla sua squadra. Forse questo non è andato
giù a Madamoiselle
Dominique, che a quanto ne so, è solitamente colei a cui
sono imputate le loro
vittorie.”
Ma per favore …
Cioè, ci
credete davvero?
“Dominique…
sei sicura di non voler aggiungere qualcosa
in tua difesa? È la tua parola contro quella di Mathieu.
Capisci, vero, che se
non dici nulla sarò costretta ad espellerti?” Si
era rivolta a lei, la Preside.
Dominique aveva capito che l’altra sapeva com’erano
andate le cose. Ma nella
sua posizione non poteva far molto. Non c’erano testimoni e
per quanto si sapeva,
Mathieu non era considerato un bruto.
Le
uniche a sapere erano lei e Violet. Violet doveva parlare,
ma non lo stava facendo.
Non
era l’unica ad averlo notato, perché sua madre
lanciò un’occhiata gelida verso le due streghe
inglesi. “La Signorina
Parkinson-Goyle non ha ancora detto una parola. Eppure era presente,
no?”
“Mia figlia è sotto-shock, Madame
Weasley…” Il cognome era stato pronunciato
con un insulto. Per un folle momento, a Dominique sembrò che
suonasse come ‘donnola’.
“Sarebbe una crudeltà forzarla a
ricordare.”
Dominique
aveva di nuovo guardato Violet, che le aveva
lanciato un’occhiata prima di abbassare lo sguardo. Aveva
sentito una morsa
artigliarle le viscere.
Ho puntato ed ho perso?
“Razza di
… bionda demente.”
Era
stata Violet, naturalmente. La stava guardando come
se volesse come minimo lanciarle una maledizione senza perdono.
Ottimo. Qui ti volevo
Piggie.
Se sei furiosa, ti scordi che brava bambolina obbedienti dovresti
essere.
“Violet?”
Aveva detto la donna-ragno. Violet aveva
deglutito con la stessa faccia di qualcuno che aveva appena mandato
giù una
pozione orrenda, ma aveva poi ignorato il richiamo.
“La
Weasley ha tanti difetti, ma non è una violenta.”
Era poco più di un sussurro, ma c’era.
“Non è stata lei ad aggredirmi. È stato
Mathieu. Voleva…” Le era mancata la voce e a tutti
era stato immediatamente
chiaro cosa volesse fare.
“Non
è possibile!” Era esplosa Madame Allard.
“Siete
fidanzati ufficialmente!”
Violet
doveva aver preso la cosa per un insulto, perché
l’aveva guardata malissimo. “Questo non gli ha
impedito di tentare di
violentarmi, Madame.”
L’aveva detto ed era calato un silenzio gelido come un
inverno siberiano.
La
prima a scongelarsi era stata incredibilmente la
vedova. “Violet… è ciò che
è successo?” Aveva chiesto con leggerezza, quasi
parlasse del tempo. Ma in inglese.
Qualcuno si è
appena
dimenticato le imprescindibili buone maniere?
Rimasta di sasso, eh Vedova nera?
Violet
aveva guardato dappertutto fuorché in direzione
di sua madre. Ma aveva risposto. “Sì. I lividi che
avevo ieri sera me li ha
fatti Mathieu mentre mi teneva ferma.”
“E ci è…” La voce della
strega era sempre più bassa. Dominique aveva visto con
una certa soddisfazione i coniugi Allard farsi sempre più
piccoli. I loro menti
altezzosi non svettavano più granché.
“No,
non c’è riuscito.” Violet si era morsa
un labbro.
“Perché Weasley è arrivata in tempo per
fermarlo.”
“Ma… ma…” A Dominique aveva
fatto quasi pena, la mammina apprensiva Allard.
Sembrava totalmente sconvolta, incredula. “… ma
questa pazza l’ha comunque
ridotto in fin di vita!”
Quasi,
appunto.
“Ridotti
in fin di vita mi sembra una definizione inadeguata.”
Si era inserita sua madre, la cui espressione avrebbe fatto concorrenza
ad una
Veela tutta completa. “Ho saputo che stamattina è
stato dimesso. Oltretutto,
mia figlia non ha neppure usato la magia.”
“Questo lo dice lei!”
“Lo dicono i fatti.” Lo aveva bloccato.
“Ho incrociato prima Mael Delacour, che
mi ha ridato questa.” Suo padre aveva tirato fuori dal
giubbotto
la sua bacchetta. Dominique era rimasta a bocca aperta: un asso nella
manica? Dall’espressione
di sua madre, neanche lei ne era a conoscenza.
La
Preside si era sporta a guardare, aggrottando le
sottili sopracciglia. “Dove l’ha trovata?”
“Dietro
un’armatura, almeno ad una decina di metri dal
luogo dello scontro. Quindi, mi riesce difficile credere che mia figlia
abbia
lanciato incantesimi, se era chiaro che non l’aveva con
sé. Possiamo fare un Prior Incantatem,
se avete bisogno di altre prove.” Aveva concluso suo padre
con una gentilezza
che strideva con le espressioni bellicose degli altri. Se non fosse che
era troppo gentile. Il che
significava, Dom lo sapeva
bene, che era più incazzato di tutti gli altri messi
assieme.
Sangue Weasley über
alles.
“Mio
figlio…” Aveva tentato Allard Senior per poi
chiudere la bocca, senza parole. “È comunque
inammissibile che sua figlia…” E
la voce si era spenta debolmente.
Lei
e Violet si erano guardate nello stesso momento.
“Weasley
non ha usato la bacchetta.” Aveva confermato Piggie.
“L’ha usata solo per allontanare Mathieu da me, non
per aggredirlo.” Si era
morsa con forza le labbra, ma poi aveva continuato.
“… non so cosa sarebbe
successo, se non fosse venuta a cercarmi.”
“È
così? La Weasley ti ha…” La voce di
Pansy
Parkinson-Goyle non era riuscita a trattenere lo smarrimento. Dopo,
probabilmente sarebbe arrivato lo sdegno, appena ripresa dallo shock di
sentire
sua figlia esprimere un’opinione propria.
Dominique
aveva trovato quel momento perfetto per dire
la sua. Aveva rivolto un sorriso a trentadue denti alla donna-ragno.
“…
salvato, Madame. Rode, eh?”
Aveva
visto l’ombra di un sorriso dietro la barba di
suo padre.
La
Preside aveva fatto un lungo, estenuato sospiro.
Dominique sapeva quanto odiasse ospitare più di un genitore
per volta nel suo
ufficio. Ora capiva il perché.
“Alla
luce della testimonianza della signorina
Parkinson-Goyle, mi vedo costretta a rifiutare la vostra richiesta di
espulsione per la signorina Weasley.” La Preside, Dom non se
lo stava
immaginando, stava sogghignando.
O quasi. Più o meno. Perché si era poi subito
accigliata. “Temo invece Mathieu dovrà rispondere
a parecchie domande…”
“I tuoi genitori
come l’hanno
presa?”
Dominique si grattò la nuca, ritornando al tempo reale: due
settimane dopo, due
settimane di punizione spacca-reni.
Pulire
le docce degli spogliatoi di Quidditch senza
magia. Urgh. Sarà stata anche dalla mia parte, ma la Madame sa
come
farti passar la voglia di fare l’eroina.
Fece spallucce.
“Mia ma’
voleva farmi il terzo grado, ma grazie a Morgana la carrozza sua e di
papà
partiva tipo subito. Mi sono arrivate un paio di Strillettere
però.”
“Un
paio?” La guardò
inorridita. “Non ne basta una?”
“Sicuro. Una da
mia madre, una
da mia sorella.” Specificò.
Violet appoggiò
il mento sulle
ginocchia, tirandosele al petto. Le fronde frusciavano gentili sopra le
loro
teste. “Mia madre non mi ha parlato. Se
n’è andata subito anche lei.”
Mormorò.
“Credo che non sapesse che pesci prendere. Era furiosa,
però.”
“Con te?”
“No.” Scosse la testa. “Con gli Allard.
Se ne sono andati a gambe levate… non
ho mai visto qualcuno correre così veloce verso la propria
carrozza.”
Dominique sorrise, dandole
un
colpetto sulla caviglia. “Allora è andata
bene!”
“Un po’.” Convenne
strappando un
ciuffetto d’erba secca con aria distratta.
“… ma mia madre non si arrenderà
facilmente. Non passerà molto tempo prima che tenti di
presentarmi qualcun
altro.”
“Non ha imparato niente da ‘sta storia?”
“Lei…” Violet scrollò le
spalle, ma non erano più curve, passive. Questo lo
notò anche Dominique. “… lei
è fatta così. Ci vorrà del tempo,
penso. Ma
perlomeno non sarà Mathieu. Non sarà mai più
Mathieu.” Soffiò l’erba via
dalla mano e soffiò sollievo.
“E chi
sarà? Dico, il
prossimo? Idee?” Le venne spontaneo chiederlo. Le venne anche
spontaneo tirarsi
a sedere per essere alla sua stessa altezza. C’era tanta
differenza tra lei e
Piggie: la mora era raggomitolata su sé stessa, sebbene
elegantemente. Lei
aveva le gambe incrociate e la posa rilassata.
Dominique non pensava avesse
comunque
molta importanza ai fini della storia.
Ce
l’hai mai avuta?
Nah.
Violet guardò gli
occhi
azzurri della Weasley fissarla interrogativi.
Era matta come un cavallo,
dato
ultra-comprovato; solo per farla parlare aveva rischiato
l’espulsione, solo per
spingere lei a salire sul
palcoscenico per improvvisare la sua parte si era giocata, a ribasso,
la sua
intera carriera scolastica.
Violet non si era mai
ritenuta
stupida. Anzi.
“Io ti piaccio,
vero Nicky?”
chiese e usò con intenzione il diminutivo con cui, anni
prima, l’altra si era
presentata. Le uscì piuttosto naturale, anche se si sentiva
il cuore in gola;
ma quello si supponeva facesse parte del gioco.
L’altra la
fissò battendo le
palpebre in fretta. Lo faceva sempre quando qualcosa la prendeva di
sorpresa,
che fosse la domanda di un professore o un Bolide in traiettoria.
Dominique non era timida.
Non
era neanche riservata. Era solo noncurante dei sentimenti altrui e
soprattutto,
incredibilmente, dei suoi.
“…
forse.” Le concesse
lentamente. Fece una pausa. “Me lo chiedi perché
adesso vuoi baciarmi?”
Violet aveva imparato da quell’orribile esperienza che
starsene zitti non era
sempre un’ottima idea.
“Quanti mesi
abbiamo ancora
alla fine dell’anno?” Chiese allora.
“Non si risponde
ad una
domanda con un’al…”
“Weasley,
concentrati!” Doveva
definitivamente soffrire di qualche disturbo dell’attenzione.
“Quanti?”
“Otto mesi, perché?” Doveva segnarsi la
voce: sono stata la prima persona sulla
faccia dei Due Mondi a farmi guardare
come una bestia rara da Dominique Weasley.
Violet trovò
molto più
proficuo rispondere prendendole il viso tra le mani e baciandola.
Louise poteva essere stata
una
carogna delatrice – e avrebbe trovato il modo di fargliela
pagare prima o poi –
ma aveva avuto un merito: le aveva insegnato come baciare una donna. Il
baci
che si erano scambiati lei e Dominique a quattordici anni in confronto
erano
stati goffi e confusi.
Ma
comunque dieci volte meglio.
Si staccò e
dovette infatti
appuntarsi mentalmente il secondo merito: aver lasciato senza parole la
Weasley.
“Io…”
Esordì. Poi tacque.
Violet poteva aver timore
del
mondo sin da bambina. Ma si cresceva, prima o poi. Non si smetteva di
aver
paura, ma ci si abituava ad essa come alla presenza di una vecchia
amica. E
alla fine, un giorno, si scopriva che il mostro non era così
brutto come lo si
dipingeva.
“Otto mesi di questo, Weasley. Interessata?”
Dominique corrugò
le
sopracciglia, con ancora le sue dita sulle guance. Non sembrava
infastidita, e
Violet ricordò che di solito l’altra non amava
essere toccata sul viso.
Ma lei lo stava facendo, e sembrava andarle bene, perché le
sorrise.
“Sì,
Piggie.” Disse. “Sono
interessata. ”
In Aritmazia era stato loro
spiegato che due le linee parallele non si incontravano mai. In seguito
Violet
aveva però scoperto che non era possibile tracciare due
linee perfettamente
parallele.
Non esiste la perfezione e quindi qui,
nel mondo reale, si incontrano prima o poi. Si allontanano. E si
incontrano di
nuovo.
Nemmeno la
luna è perfetta. E' piena di crateri. E il mare? Nemmeno
lui! Troppo salato.
Insomma, le
cose più belle non sono
perfette. Sono speciali.
(B. Marley)
****
Note:
Avevo promesso che avrei sbrigato il Sesto e il Settimo in un capitolo.
Lo so. T_T
(Devo davvero far qualcosa
per
questa grafomania).
A questo punto aspettatevi
il
folle Settimo come bonus track. Intanto, per
ora, la storia è conclusa.
AUL mi chiama come un vampiro affamato.
Qui e qui
le due canzoni ispiratrici.
Beaux-Batons me la sono
immaginata come il castello di Chambord, nella Loira. Qui.
Butto lì due
volti che mi
hanno ispirato per
Victoire e
Louis .
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