The Lost prince di emychan (/viewuser.php?uid=827)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1/2 ***
Capitolo 2: *** 2/2 ***
Capitolo 1 *** 1/2 ***
Fanfiction scritta per
il contest The
'Fairytales Industries'
sul forum di Efpfanfic!
Classificata 6 nel contest, ma vincitrice del premio speciale Miglior storia d'amore!!!!^^
Grazie mille!!!xD
Ho scelto di scrivere su
Rapunzel prendendo spunto un po' dalla favola cartacea e maggiormente
dal cartone Disney! Non so perchè, ma appena l'ho visto al
cinema mi sono venuti in mente questi due!Inizialmente Merlin doveva
essere nella torre e Arthur il ladro, probabilmente sarebbe stato
più facile mantenerli IC! Ma siccome mi piacciono le sfide,
ho cambiato le cose! Spero di essere comunque riuscita a renderli
'veri'!
La storia è
scritta in stile fiabesco, perciò non stupitevi di
nulla!!xDD
Disclaimers: I
personaggi sono della BBC e degli aventi diritto!
Questa è la
decima storia che scrivo nel fandom Merlin!!!!*__*
Posso ormai dire che non ho mai trovato un fandom più bello
ed accogliente di questo!^^
La dedico a chi ha commentato la mia ultima storia: elyxyz, Grinpow,
Aleinad, elfin emrys, Chibi Rye_chan, Bixie e Cassandra!Lo sapete
già, ma ve lo ripeto lo stesso...vi adoro!!!!xDDD
The lost prince
C'erano una volta, nel lontano regno di Camelot, un re e una regina.
I due si amavano molto e tutto il reame prosperava sotto il loro
gentile dominio, ma purtroppo, la loro felicità non era
completa.
Entrambi desideravano tanto un figlio. Un principe che ereditasse il
trono e che riempisse di gioia le loro vite, ma ahimè,
sembrava proprio che quello non fosse il loro destino.
La regina Ygraine pregava notte dopo notte di veder realizzato il suo
sogno, rivolgendosi al cielo con speranza incrollabile
finchè, una notte, una giovane maga chiese
ospitalità a corte.
«In cambio esaudirò un vostro desiderio»
promise ai sovrani e, sebbene il re fosse diffidente, la regina non
attese un secondo «Potresti donarci un figlio?»
chiese, convinta che fosse stato il destino a mandarla da loro.
In risposta, la giovane strega sorrise «Io posso
tutto» pronunciò con sicurezza «Mi
basteranno delle radici di raperonzolo e una goccia del vostro
sangue».
Nonostante la bizzarra richiesta, i sovrani sentirono i loro cuori
riempirsi di gioia a quelle parole.
Re Uther inviò subito dei servi a raccogliere quanto
richiesto e ospitò Nimueh, così veniva chiamata
la strega, nelle migliori stanze di palazzo.
Venuto il mattino, la fece chiamare nella sala del trono e le
consegnò le radici.
Nimueh tagliò i raperonzoli e li usò per
preparare un'insalata, la bagnò con la goccia di sangue dei
sovrani e mescolò il tutto per poi ordinare a Ygraine di
mangiarla.
La regina la consumò in pochi istanti e subito si
sentì diversa, piena.
Il re nominò Nimueh maga di corte e tutti, nel regno,
attesero col fiato sospeso di sapere se la magia era compiuta.
Pochi mesi dopo, il medico di corte, dichiarò che la regina
attendeva un erede.
Le feste si susseguirono per giorni e giorni in tutti i villaggi di
Camelot e l'estate successiva uno splendido bambino dagli occhi azzurro
cielo e i capelli biondi come il grano trasse il suo primo respiro nel
mondo.
Purtroppo alla sua nascita seguì subito un grave lutto.
La regina, già indebolita dalla gravidanza, non
riuscì a sostenere la fatica del parto e poche settimane
dopo, chiuse gli occhi per sempre.
Accecato dal dolore, il re diede la colpa a Nimueh e la fece arrestare.
«Come osi? Io ti ho dato ciò che volevi»
si infuriò la donna scoperta la sua condanna, ma il re non
volle neppure ascoltarla.
Furiosa, la strega distrusse con facilità le sue catene
«Tu mi hai tradita Uther Pendragon» lo
accusò «E per questo ti toglierò per
sempre ciò che ti ho donato».
Con quelle parole, Nimueh rapì il principe dalla culla in
cui riposava ignaro di tutto e sparì nel nulla portandolo
con sè.
Cavalieri e mercenari furono inviati in ogni parte del regno, la magia
venne bandita e trattata come il peggiore dei crimini.
Ogni mago, ogni strega trovata, finirono in prigione, ma mai nessuno
vide o sentì parlare di Nimueh o del principe Arthur.
Eppure Uther non perse mai la speranza di ritrovare suo figlio,
l'ultimo ricordo della sua defunta regina.
Ogni anno, nel giorno del compleanno del principe Arthur, ogni abitante
di Camelot festeggiava il lieto evento ed il cielo si
riempiva di lanterne luminose.
Migliaia di luci che, forse, un giorno l'avrebbero ricondotto a casa...
****
20 anni dopo
«Arthur caro, sono tornata!»
Scendendo dal davanzale della finestra, Nimueh sorrise ripulendosi il
lungo mantello nero da polvere e ramoscelli, scalare quella torre
diventava sempre più faticoso. Perfino con la magia.
Come ogni sera, entrare lì dentro le faceva dubitare di
essere davvero
riuscita nel suo piano.
Sconfiggere il fato. Incredibile quanto semplice le fosse risultato.
E tutto grazie alle sue sorelle. Quelle
due stupide.
Come se una semplice profezia fosse sufficiente a spaventarla. Lei, la
grande sacerdotessa della religione antica.
Era lei a forgiare il suo destino, non certo gli altri. Non certo una
veggente da due soldi e la custode di un lago dimenticato da tutti.
Quella torre era il simbolo della sua vittoria e della sconfitta del
cielo... e dei Pendragon ovviamente.
Negli ultimi vent'anni aveva cresciuto Arthur come un figlio,
rinchiudendolo in una gabbia d'oro al centro del nulla.
Una torre talmente nascosta da essere impossibile trovarla.
I pochi curiosi tanto avventati da spingersi fino a lì, non
avrebbero trovato modo di entrare.
Senza né porte né scale, nessuno poteva salire.
E anche se ci fossero riusciti, aveva terrorizzato così
tanto il principe sul mondo là fuori, sulla sua
crudeltà, che non si sarebbe mai fidato di nessuno.
Tranne lei ovviamente.
«Madre!» nel vederla, Arthur lasciò
cadere l'improvvisata spada di legno con cui amava fingere di
combattere nemici invisibili e le andò incontro sorridendo
stranamente eccitato.
I capelli biondi, un po' troppo lunghi, avvolti in un codino dietro
alla nuca «Finalmente siete arrivata!»
I suoi grandi occhi blu brillavano più del solito e la
stanza circolare in cui viveva da sempre era nel caos più
completo.
Libri gettati sul pavimento, il letto sfatto «Arthur, non ti
ho detto di tenere più pulito questo posto?» lo
rimproverò la strega, ripulendo il tutto con un paio
d'incantesimi.
Arthur sbatté le palpebre guardandosi attorno quasi stupito,
per poi scuotere le spalle «Lasciate perdere le
pulizie» le disse quasi saltellando tanta era l'emozione
«Vi ricordate che giorno è domani?»
Nimueh quasi sbuffò irritata, erano due settimane che ogni
sera le ricordava la stessa cosa .
Non capiva cosa ci trovasse di così bello o emozionante
nell'invecchiare.
«Il mio compleanno!» quasi le gridò
nell'orecchio.
A volte era davvero difficile fingere di sorridere.
Il compito non era certo facile, soprattutto quando il principe era
così carico di energie o voglia di blaterare a vuoto
«Lo so Arthur, me lo ripeti ogni giorno».
«Si, ma non vi ho ancora detto cosa voglio
quest'anno» le spiegò più lentamente,
come se il tono di voce cambiasse ogni cosa.
«Ti prenderò quella stupida spada se la smetti di
chiedermela» brontolò Nimueh mettendo al loro
posto le nuove provviste che aveva acquistato per lui.
Quel Pendragon mangiava per sei persone.
Era incredibile come qualcuno che se ne stava tutto il giorno chiuso in
pochi metri con un letto, uno scaffale di libri e una vecchia bambola
di ceramica per compagnia, potesse avere tante energie da consumare ed
un appetito quasi infinito da soddisfare.
«Si... la spada» mormorò Arthur,
improvvisamente incerto.
La strega si fermò ad osservarlo curiosa. Era strana quella
mancanza di esuberanza, credeva che la notizia l'avrebbe fatto
esplodere in risa e altro chiacchiericcio incessante.
In fondo erano mesi che la torturava perchè ne voleva una.
Una spada da cavaliere,
le aveva detto. Per
combattere i draghi, le aveva spiegato con orgoglio.
Il pensiero la faceva quasi ridere ogni volta.
Gli unici draghi che avrebbe mai visto erano quelli disegnati nei
libri, ma se significava farlo stare zitto, gli avrebbe comprato
un'intera armatura. Un intero esercito.
Chiudendo la mente al vano pettegolezzo di Arthur, lasciò
scivolare gli occhi sul letto e sulla bambola di ceramica seduta tra i
cuscini.
Era una normalissima bambola dal viso pallido e paffuto. I lunghi
boccoli neri composti intorno al viso e il vecchio vestito di seta
verde scucito sul bordo.
I tondi occhi verdi erano stranamente brillanti, come se potessero
vederla davvero.
Come se potessero giudicarla.
Nimueh sorrise, quasi sfidandola con lo sguardo.
«... E quindi sarebbe fantastico poterle vedere da vicino
almeno una volta. In fondo è solo per una notte»
concluse senza fiato Arthur.
La strega si voltò a fissarne il viso arrossato
«Come prego?» chiese confusa.
In risposta, il principe prese un profondo respiro, come facendosi
coraggio «Voglio vedere le luci»
pronunciò con aria seria e decisa.
«Le luci?» ribatté Nimueh senza capire.
«Si, le luci» annuì lui guardandola
quasi implorante «Le luci che ogni anno illuminano il
cielo» spiegò puntando il dito verso la finestra.
All'inizio la strega non capì. Si limitò a
guardare nella direzione indicata come aspettandosi di vedere qualcosa
di diverso dal solito cielo blu.
Fu solo quando vide le lontane torri bianche di Camelot che
capì.
Le lanterne! La
stupida festa che quel testardo di Uther continuava a celebrare ogni
anno sperando di ritrovare suo figlio.
Non aveva mai pensato che Arthur potesse vederle od esserne curioso,
almeno non abbastanza da superare la paura che credeva di avergli
instillato in tutti quegli anni.
«Lo sai che è troppo pericoloso. Non puoi uscire
di qui, hai idea di quanti stregoni e banditi vivono là
fuori? Ho dovuto nasconderti tutto questo tempo per proteggerti, vuoi
gettare all'aria tutto per un capriccio?» gli chiese
mordendosi le labbra rosso sangue.
I suoi occhi lucidi e preoccupati, come se stesse per piangere.
Fino ad allora quel trucco non avevano mai fallito.
Arthur distolse lo sguardo colpevole «Sarebbe solo per un
giorno» mormorò già meno convinto
«Starò attento».
«No Arthur» ribatté lei con tono
perentorio. Doveva mettere fine a quella discussione subito.
«Ma...»
«Ho detto di no!» sbottò spazientita
facendolo ritrarre di un passo.
Raramente alzava la voce, ma in quell'occasione era necessario. Era
troppo pericoloso.
Se Arthur cercava di scappare e riusciva ad arrivare a Camelot...
Nimueh non voleva neppure pensarci.
Tutti quegli anni di progetti, di idee e ambizioni. Tutti i suoi piani
attentamente costruiti. Sarebbe crollato tutto. E c'era sempre la
profezia a cui pensare.
Emrys, se esisteva davvero, poteva essere ovunque.
«Arthur, non capisci che lo faccio per te?» gli
posò le mani sulle spalle, fingendo una dolcezza e un amore
che non provava affatto. Quasi le veniva la nausea.
Sarebbe stato più facile usare un incantesimo per farsi
ubbidire, ma la profezia non era chiara. Non poteva ucciderlo diceva,
ma usare altri incantesimi? Piegarne la volontà? Era troppo
rischioso, il prezzo dello sbaglio troppo alto.
«Non sopporterei se ti accadesse qualcosa.
Là fuori, è pericoloso per un ragazzo senza magia
come te».
Dopo un attimo di esitazione Arthur incrociò i suoi occhi ed
annuì «Mi dispiace» mormorò
con voce roca e Nimueh gli sorrise abbracciandolo.
«Mi regalerete una spada vera, allora?» le chiese
con un sorriso forzato.
Alla strega bastava quello. Non le importava che fosse davvero felice o
che ricevesse ciò che desiderava per i suoi vent'anni.
Era sufficiente che restasse nella sua piccole torre.
«Certo» gli rispose «Adesso vieni a
sederti accanto al fuoco con me, tienimi compagnia».
Per il resto della sera Arthur fece esattamente quello.
Lesse per lei storie di draghi e cavalieri, di principi e principesse
mentre Nimueh fingeva di ascoltare la sua voce e l'emozione che
sprigionava da essa.
Da buon Pendragon, Arthur aveva nel sangue la cavalleria. L'eroismo.
Il desiderio di combattere e partire per grandi avventure.
Non era stato facile crescerlo lì dentro e fingersi sua
madre.
Inventare una triste storia su come era stato concepito con un uomo
senza magia.
Su come i druidi avevano ucciso suo padre e minacciato di uccidere il
bambino.
Su come Nimueh fosse scappata per proteggerlo e dovesse tenerlo
nascosto per lo stesso motivo.
Una storia lacrimevole, ma abbastanza stupida perchè un Pendragon ci
cascasse.
E presto, pensò Nimueh con soddisfazione, i suoi sforzi
sarebbero stati ripagati.
Alla morte di Uther, lei avrebbe riportato a Camelot il legittimo
erede.
Un re nelle sue mani. Disposto ad obbedire ad ogni suo desiderio.
Se non poteva ucciderlo, almeno poteva usarlo e la sua vendetta,
così, sarebbe stata assai più dolce.
****
Il mattino dopo, Arthur si ritrovò solo... come sempre.
Sua madre non restava mai con lui, sempre troppo piena di impegni e
luoghi da controllare.
Ripensando alla notte prima, il ragazzo sospirò
insoddisfatto. Si era preparato così a lungo, aveva pensato
e studiato il suo discorso un milione di volte. Aveva perfino sognato di poter
uscire, in confronto perfino una spada vera non era nulla.
Il suo unico desiderio era vedere le luci fluttuanti, perché
sua madre non riusciva a capirlo?
Imbronciandosi Arthur afferrò Morgana, la sua bambola di
porcellana.
Non avrebbe mai ammesso con nessuno di essergli bizzarramente
affezionato, era una cosa da femmine
in fondo, ma in un posto dove non c’era nessun altro a cui
parlare o con cui confidarsi, Morgana era sempre stata la sua unica
consolazione.
«Non è che non capisca che vuole
proteggermi» mormorò fissando il piccolo volto di
porcellana come se potesse dare una risposta a tutti i suoi problemi
«Però ci tenevo davvero tanto ad uscire di qui. A
vedere… cosa c’è là
fuori».
Sospirò passandosi una mano sul volto, gli occhi verdi di
Morgana sembrarono luccicare comprensivi «Io voglio diventare
un cavaliere. Voglio combattere eroiche battaglie. Voglio che il mio
nome sia famoso in tutta Albion. Come faccio ad avverare i miei sogni
se non posso neppure uscire di qui?».
La bambola continuò ad osservarlo silenziosa come sempre.
Con un piccolo sforzo d’immaginazione, Arthur credette di
vederla annuire.
«Non ho paura di maghi o banditi»
esclamò saltando giù dal letto e afferrando la
sua spada di legno puntandola in aria come se combattesse un nemico
invisibile.
«Se solo me ne desse l’occasione le dimostrerei
cosa sono in grado di fare» volteggiò al centro
della stanza fingendo un fendente e un affondo.
«Ucciderei mostri e ladri» afferrò una
vecchia padella col fondo bruciacchiato dal tavolo e la tenne davanti
al corpo come fosse uno scudo «E nessuno riuscirebbe a
sconfiggermi! Sarei un grande… che diavolo?»
Arthur si fermò con la bocca spalancata e gli occhi sgranati.
Un ragazzo.
Uno strano ragazzo dai corti capelli neri e le strane orecchie a
sventola stava cercando di intrufolarsi nella sua torre!
E davanti ai suoi occhi per di più! Chi si credeva di essere?
Il sangue prese a ruggirgli nelle orecchie e il cuore a battergli
all'impazzata nel petto.
Era paura
questa?
Inghiottendo, Arthur strinse la spada di legno fin quasi a farsi male.
Non doveva temere. Un vero cavaliere non aveva paura di nulla.
Questa era la sua grande occasione. Poteva dimostrare a sua madre che
era in grado di difendersi da solo.
Poteva sconfiggere questo bandito e dimostrarle il suo coraggio.
Così avrebbe ottenuto il permesso di uscire... forse.
Prendendo un respiro profondo, Arthur si avvicinò lentamente
all'intruso che incespicava sul davanzale della finestra ignaro di
tutto.
Finalmente parve riuscire ad issarsi con un gemito, ma subito perse
l’equilibrio e cadde faccia a terra con un tonfo e un grido
piuttosto stridulo.
L’enorme borsa di pelle che si portava dietro si
rovesciò sul pavimento facendo rotolare migliaia di monete
d’oro tutto intorno.
Un ladro
pensò Arthur trionfante,
un'idiota, ma pur sempre un ladro.
Non sarebbe potuta andargli meglio di così.
Con un gemito, il bandito alzò il viso.
Grandi occhi blu fissarono stupiti Arthur. Aprì la bocca per
dire qualcosa, ma prima che ci riuscisse, il principe lo
colpì con la padella.
Dritto in faccia.
Il suono echeggiò tra le pareti della stanza in modo
orribile e il misterioso ladro piombò a terra svenuto.
Arthur lo fissò trionfante chiedendosi cosa dovesse farne.
Forse doveva attendere sua madre per dimostrarle la sua forza e
convincerla a farlo uscire.
O forse era meglio legarlo, interrogarlo magari. Scoprire
perché era salito sulla sua torre.
Voleva rapirlo? Chiedere un riscatto a sua madre?
Chissà che tipo di crimini terribili aveva
commesso… anche se a guardarlo non sembrava così
malvagio.
Sembrava più che altro un’idiota. E una ragazza.
Con il volto tutto spigoloso e la pelle liscia come la porcellana di
cui era fatta Morgana.
Se non fosse stato per i vecchi vestiti da contadino,
l’avrebbe preso per una femmina.
Sentendosi stranamente
attratto dal viso dell’altro, Arthur
arrossì e scosse la testa, mettendosi a strappare delle
strisce di lenzuola per legare il suo prigioniero.
****
Merlin sbatté le palpebre confuso.
La faccia gli faceva un male cane e c'era uno strano ronzio nella sua
testa.
Confuso provò a massaggiarsi le tempie, solo per scoprire di
essere legato ad una sedia.
In che razza di posto era finito? Mentre fissava dubbioso le corde che erano lenzuola? lo
tenevano prigioniero, qualcuno si schiarì la voce.
Era il ragazzo che lo aveva colpito con una padella.
E pensare che, solo poche ore, prima quella torre gli era sembrata un
dono del cielo.
A pensarci bene doveva aspettarselo. La sua giornata, in fondo, aveva
fatto decisamente schifo.
Merlin veniva da Ealdor, un villaggio così piccolo e al
limite della mappa, che il re a malapena ne conosceva l'esistenza.
Ci abitavano solo poche famiglie di contadini che vivevano del raccolto
e dei loro animali. Quell'anno, però, il già
misero cibo era andato distrutto a causa della pioggia e, anche se
nessuno voleva ammetterlo, c'erano poche speranze di sopravvivere
all'inverno.
Merlin avrebbe forse potuto aiutare, ma sua madre glielo impediva
continuando a ripetergli che tutto sarebbe andato a posto. Che ci
avrebbero pensato gli
adulti.
A diciasette anni, Merlin si reputava un adulto e non sopportava di
sentire sua madre piangere tutta la notte senza fare nulla.
Hunit aveva sacrificato molto per lui. Lo aveva cresciuto da sola,
quando suo padre era morto tanti anni prima, aveva nascosto il suo
segreto e lo aveva aiutato a non sentirsi un mostro a causa dei suoi doni.
Merlin era un mago e dato che a Camelot la magia era punita con la
morte, non poteva né usarla né studiarla.
Conosceva solo i pochi trucchetti che gli venivano naturali come
spostare gli oggetti, rallentare il tempo e piccole altre cose, ma
sentiva di poter fare molto di più.
Sapeva di poter aiutare il villaggio, se solo avesse saputo come.
Eppure sarebbe bastato così poco.
Giusto qualche moneta d'oro per comprare delle provviste e tutto
sarebbe andato bene.
Solo che non aveva oro e non conosceva incantesimi per crearlo.
Per questo, l'idea di unirsi ad Alvarr e Mordred gli era sembrata tanto
geniale.
Non li conosceva da molto, ma erano noti nei d'intorni.
Druidi in fuga, banditi ricercati da Uther che si ribellavano al suo
dominio.
Non erano strettamente malvagi, vivevano rubando le tasse del re e il
denaro dei nobili, si aggiravano per le foreste e, soprattutto,
praticavano la magia.
In realtà le loro storie lo avevano sempre affascinato. Gli
sembravano così coraggiosi, così forti.
A vederseli davanti aveva provato solo diffidenza e una brutta
sensazione nel fondo dello stomaco a cui non sapeva ancora dare un nome.
Alvarr era già un uomo, dai lunghi capelli castani e la
folta barba dello stesso colore, ma Mordred era ancora un bambino dagli
occhi gelidi e il viso pallido come la neve.
Era stato lui a chiamarlo.
Emrys, gli
aveva detto nella mente, noi
possiamo aiutarti.
E, in qualche modo, Merlin si era ritrovato accucciato in un cespuglio
ad attendere che le guardie di Camelot passassero nel bosco per
tendergli un'imboscata e rubare le tasse dei villaggi ad ovest.
Avrebbero diviso il ricavato in tre e lui avrebbe salvato il suo
villaggio.
Sembrava un piano perfetto. Ovvio. Facile.
Se lo avesse scoperto, sua madre lo avrebbe ucciso.
Non era stato difficile far fermare i soldati.
Vedere un bambino dal volto ricoperto di lacrime in mezzo al sentiero
avrebbe distratto chiunque.
E con le, seppur goffe, magie di Merlin e la destrezza di Alvarr coi
suoi coltelli, anche prendere il denaro non era stato difficile.
La fuga invece era stata piuttosto complicata.
Purtroppo in seguito ai furti, Uther aveva aumentato le guardie e
seminarle tutte si era rivelato piuttosto difficile.
Quasi impossibile.
I tre erano scappati a lungo tra gli alberi, finchè Merlin,
nella sua eterna goffaggine, non era rotolato giù per un
dirupo finendo lungo disteso sull'umido terriccio di una radura che non
aveva mai visto prima.
Una radura deserta con un'altissima torre costruita al centro.
Perchè qualcuno avesse sentito il bisogno di costruire una
torre di pietra, senza porte né finestre e circondata da
spessi rampicanti in mezzo a un bosco, era un vero mistero.
Ma Merlin non poteva esser più felice che in quel momento.
Poteva nascondersi lì dentro e sperare che i soldati non lo
trovassero.
Purtroppo era più facile a dirsi che a farsi, come si saliva
su una torre senza entrata?
Usa i rampicanti,
gli aveva allora consigliato una voce. Non preoccuparti, ti reggeranno.
Il mago si era guardato attorno, ma non c'era nessuno nella radura e la
voce non era familiare.
Sembrava una donna. Sbrigati
o i soldati ti troveranno.
Sebbene seguire strane voci nella mente non era una buona abitudine,
vista la situazione in cui si trovava al momento, Merlin aveva deciso
di fare un'eccezione e, afferrate le piante, le aveva usate per scalare
l'infinita torre.
Non credeva davvero che ci fosse una fine a quella liscia parete,
né un modo per entrare, finchè infine, non era
arrivato ad una piccola finestra.
La sorpresa, però, era venuta dopo.
Quando prevedibilmente, era caduto per terra e alzando il viso, l'aveva
visto.
Un ragazzo.
Un affascinante ragazzo dai capelli d'oro e gli occhi azzurro cielo.
Per un attimo, Merlin aveva pensato ad un angelo e si era convinto di
essere finito in una delle favole di sua madre. Una di quelle dove
c'era una principessa da baciare per vivere felici e contenti. Non gli
sarebbe dispiaciuto baciare quel ragazzo.
Poi una padella lo aveva colpito dritto in faccia.
Ed eccolo lì.
Con la faccia dolorante. Legato ad una sedia.
Prigioniero in una torre sperduta con quello che, ovviamente, non era
né un angelo né una bella principessa, ma uno
psicopatico omicida.
Già... quella non era proprio la sua giornata...
****
«Ecco fatto, così non potrà
scappare» Arthur si allontanò di un passo per
osservare soddisfatto la sua opera.
Aveva usato un intero lenzuolo per legare l’intruso ad una
sedia al centro della stanza. Nemmeno un mago sarebbe mai riuscito ad
uscire da quei nodi.
Passandosi un braccio sulla fronte per asciugarsi il sudore, gli occhi
gli caddero sulla borsa d’oro ancora a terra.
Chissà dove aveva rubato tutte quelle monete…
doveva essere un vero bandito anche, se a guardarlo, non sembrava
proprio.
Per suo disgusto, non appena si soffermò sui lineamenti
dell'altro, sentì di nuovo le guance andargli a fuoco, che
gli prendeva?
Scuotendo la testa, decise di nascondere il bottino, almeno avrebbe
avuto un modo per ricattarlo e tenerlo a bada.
«Tu che dici Morgana? Ti sembra un malvagio
criminale?» Chiese alla bambola che osservava le procedure
dal suo cuscino di seta. Il suo sguardo sembrò luccicare
divertito.
«Già, neppure a me» brontolò
il ragazzo spingendo la borsa tra il materasso e i cuscini sotto a
Morgana «Fagli la guardia, mi raccomando» le
sussurrò.
Certo non era un nascondiglio brillante, ma lì dentro non
aveva molta scelta in fondo.
Nel frattempo il suo prigioniero parve sul punto di risvegliarsi.
Arthur impugnò la spada di legno ed attese in silenzio che
si accorgesse di lui.
«Dove?» mormorò l’altro
guardandosi attorno prima di focalizzare lo sguardo su di lui.
Arthur gli puntò la spada alla gola fissandolo minaccioso
«Chi sei e perché sei in casa mia?»
sibilò col suo miglior tono velenoso.
In tutta risposta, il ragazzo lo fissò come se fosse pazzo
«Casa tua?» gli chiese stranito guardandosi attorno
«Questa?»
il tono che usò non gli piacque affatto.
Come se fosse finito in una stalla o roba simile. Che razza di maleducato.
«Problemi?»
«Ah no… solo… è un
po’…» inghiottì il ladro,
sentendosi premere la punta della spada sulla tenera carne della gola
«Fuori mano» brontolò infine, senza
guardarlo negli occhi.
«E’ per evitare i banditi» se ne
uscì Arthur, guardandolo storto.
Chiaramente non era così minaccioso come credeva, invece di
fissarlo inorridito o pieno di paura, il ladro sorrise.
E nemmeno un sorriso tremante o falso. No. Un vero
sorriso.
Che il suo cuore sembrò trovare motivo sufficiente per
saltargli in gola «Allora?» si schiarì
la voce improvvisamente roca.
«E’ una storia molto divertente in
effetti».
«Non voglio una storia, voglio la verità. Chi.sei?»
Pronunciò lentamente, neanche fosse un bambino.
E stavolta, forse, lo convinse a parlare visto il modo in cui tese il
collo all’indietro per sfuggirgli «Merlin, mi
chiamo Merlin» disse in fretta.
Che nome ridicolo,
pensò Arthur. Come
tutto il resto.
«Bene Merlin,
cosa ti fa credere di poter venire qui ad uccidermi
impunemente?» gli chiese allora, ignorando quella parte di
sè che continuava a ripetergli che non c’era
niente da temere in questo ragazzo.
Che non era lì per fargli del male.
Che poteva fidarsi.
Ma Nimueh lo aveva avvertito, non doveva fidarsi di nessuno.
«Eh?» squittì l’altro
impallidendo visibilmente «Ucciderti?»
pronunciò come se nemmeno conoscesse il significato di
quella parola «Se non sapevo neppure che ci fosse qualcuno
qui!»
«Certo» brontolò incredulo Arthur
«Sei salito su una torre in mezzo al nulla per fare un
pisolino».
«Stavo
scappando. Sono caduto in un dirupo e, dopo quasi essermi
rotto la schiena, sono finito qui sotto e sono salito. Per nascondermi.
Tutto qui. Ora, se hai finito di giocare a guardie e ladri, posso anche
andarmene» gli spiegò in tono fortemente sdegnato
Merlin.
Arthur lo studiò in silenzio. Sembrava sincero.
A ben pensarci non sembrava neppure in grado di
mentire. Troppo stupido per essere convincente. O per inventare
qualcosa di decente.
Ma poteva davvero fidarsi e lasciarlo libero?
In fondo non era armato e anche se avesse tentato di fare qualcosa,
poteva sempre colpirlo di nuovo. Dubitava che potesse davvero
difendersi o ferirlo.
Però, se era riuscito a salire fin lì, poteva
essere uno stregone e sua madre lo aveva avvertito mille volte su
druidi e maghi.
Indeciso, Arthur si voltò verso la sua unica confidente,
Morgana fissava il tutto con un lieve sorriso dipinto sul viso.
Sembrava serena.
Non che potesse avere altre espressioni, ma sicuramente l'amica avrebbe
fatto qualcosa per salvarlo se fosse stato davvero in pericolo, no?
Forse doveva tenerlo legato fino al ritorno di sua madre, mostrarle
com'era riuscito a catturarlo.
Sicuramente gli avrebbe dato il permesso di vedere le luci adesso... ma
se invece non fosse stato sufficiente?
Se l'avesse semplicemente liberato? Arthur si sentì un
po’ invidioso del fatto che Merlin sarebbe stato libero di
andare dove voleva.
Forse sarebbe perfino andato a vedere le luci.
Quel pensiero gli fece venire un'idea.
Una pessima idea.
Sua madre sarebbe stata a dir poco furiosa, ma in cambio… avrebbe visto le luci.
Il principe scosse la testa.
No, non poteva. Era pericoloso. Assurdo. Fidarsi di qualcuno che aveva
appena conosciuto e che era un ladro, probabilmente anche un
mago… però, non era forse la sua unica chance?
Quante probabilità c'erano che qualcun altro scalasse la
torre?
Forse era questo che nei libri chiamavano destino.
«Ho deciso» pronunciò infine.
Merlin quasi sobbalzò sulla sedia «Tu mi
accompagnerai a vedere le luci fluttuanti» gli
puntò un dito contro come sfidandolo a rifiutarsi.
Merlin fissò in silenzio il dito puntato contro la sua
faccia «Luci?» aggrottò la fronte
confuso «Di che luci parli?»
«Non fingere di non saperlo» spalancò le
braccia «Ogni anno il cielo si riempie di strane luci,
laggiù» indicò la finestra
«Ed io voglio vederle da vicino, sapere cosa sono,
perché volano» gli spiegò con voce
eccitata.
Merlin, finalmente, parve capire «Parli delle lanterne per il
principe perduto?»
Arthur annuì vigorosamente, non sapeva si chiamassero
così né cosa fosse questo principe perduto, ma
l’altro sembrava sicuro, era più che sufficiente.
«Voglio che mi accompagni a vederle e poi che mi riporti qui,
semplice no?»
«Perché dovrei trascinarmi un’arrogante asino come te fino
a Camelot?» esclamò l’altro con tono
inorridito, come se il solo pensiero di dover restare solo con lui,
fosse troppo da sopportare.
Arthur si sentì stranamente ferito da quel rifiuto.
Lui era un’ottima compagnia, come osava pensare che
non fosse così quel ladro da due soldi?
«Primo, perché sei in mio potere. Secondo,
perché se non lo fai, non riavrai mai la tua bella
borsa» sorrise trionfante.
«La mia borsa?» ripeté Merlin
guardandosi attorno preoccupato.
Non si era neppure reso conto di averla persa, che razza di idiota.
«Mi serve, è importante»
cominciò a lamentarsi.
Arthur gli piazzò una mano davanti alla faccia per zittirlo
«E la riavrai… dopo che
avrò visto le luci».
Merlin parve pronto ad obiettare, lo vide tastare le corde improvvisate
un paio di volte e guardarsi furiosamente attorno alla ricerca di un
modo per fuggire.
Il principe non era preoccupato, non poteva andare da nessuna parte.
Lui lo sapeva bene.
«E va bene» sospirò infine sconfitto
«Farò come dici, basta che mi liberi, non sento
più le braccia» si lamentò.
Arthur quasi gridò di gioia, ma non poteva certo apparire
come un moccioso davanti a questo strano ladro.
Doveva fargli capire chi comandava.
Con aria diffidente sciolse le lenzuola e lo lasciò libero,
la spada fedelmente legata al suo fianco.
Quando Merlin non sembrò sul punto di colpirlo o buttarsi
giù dalla torre, andò a inginocchiarsi davanti al
letto «Tornerò presto Morgana»
bisbigliò alla sua bambola silenziosa fingendo di prendere
qualcosa.
Quando si voltò, Merlin lo fissava con un sorriso ancora
più ebete stampato sulla faccia.
Ovviamente l'aveva sentito «Che vuoi?» gli
sibilò sentendosi il viso andare a fuoco.
«Niente… è tenero».
«Io non sono tenero»
gridò punto nel vivo.
Con chi credeva di parlare quello? Lui era un cavaliere! Un guerriero!
I guerrieri non erano teneri.
«Va bene, va bene» alzò le mani per
placarlo «Piuttosto, come ti chiami? Se dobbiamo viaggiare
insieme avrò bisogno di saperlo, a meno che tu non
preferisca babbeo…
o asino».
«Arthur andrà benissimo»
brontolò ancora irritato dal commento di poco prima.
«Bene Arthur, sei pronto a scalare la tua piccola torre
allora?» sorrise l'altro e Arthur si rifiutò di
chiedersi perchè lo stomaco gli si stringeva ogni volta che
lo faceva.
****
Neanche mezz’ora dopo, i suoi piedi toccarono per la prima
volta l’erba fresca.
Il suo viso venne accarezzato dal vento.
Il suo naso sentì l’odore di fiori, alberi e libertà.
Era una sensazione incredibile, incontrollabile, insaziabile.
Era libero. Per la prima volta era fuori. Nel mondo.
Una bizzarra ondata di paura quasi lo fece svenire.
L’aveva fatto davvero. Aveva disobbedito. Aveva infranto la prima regola.
Sua madre lo avrebbe ucciso!
Però era libero. Poteva correre e saltare ed entrare in
quella grande pozza d’acqua tanto fredda da farlo
rabbrividire.
Arrampicarsi su quel ramo d’albero laggiù e
toccare i petali bianchi dei suoi fiori.
Poteva correre tutto intorno alla radura e lasciarsi cadere sul prato
per fissare le nuvole bianche.
Era a dir poco… fantastico!
Il sole era così caldo sul suo viso, sul suo corpo. Come
poteva essere così caldo là fuori?
«Si può sapere che ti prende? Mi hai fatto
prendere un colpo» Merlin si fermò al suo fianco,
il fiato corto e una mano premuta contro il petto «Correre in
mezzo alla foresta come un matto».
Arthur sorrise guardandolo riprendere fiato «Non sei molto
atletico, vero?»
«E tu non sei molto sveglio, vero?» lo
rimbeccò subito l’altro.
«Hey, come ti permetti?» saltò su
indignato.
«Stai andando dalla parte sbagliata» gli rispose in
tono mezzo divertito e mezzo irritato «Se vuoi vedere le
lanterne dobbiamo andare di là» indicò
la direzione opposta.
«Babbeo» brontolò per
concludere, ma nel modo in cui lo disse non c’era veleno,
solo... non sapeva dire cosa, sapeva solo che gli piaceva sentirlo
nella voce dell'altro.
«Potevi dirlo subito» brontolò.
«L’avrei fatto se non fossi scappato a
rincorrere le farfalle come un moccioso».
«Non sono un moccioso… è
che… è bello» mormorò
sfiorando l’erba con le dita.
Adesso che aveva conosciuto una cosa simile non era certo di voler
tornare indietro. Nemmeno dopo aver visto le luci fluttuanti.
«Avanti» sospirò l’altro
guardandolo divertito «Muoviamoci o non faremo in
tempo».
Senza farselo ripetere, Arthur saltò in piedi e si
avviò nella direzione indicata, continuando a girarsi di qua
e di là attratto da ogni novità, da ogni animale
e ruscello.
Tutto gli sembrava incantevole.
Perfino il sorriso di Merlin, che sembrava incapace di svanire, col
passare delle ore si fece stranamente meno irritante e la sua voce
quasi confortante.
In quella foresta il mondo sembrava infinito e privo di punti di
riferimento. Gli immensi alberi e i sentieri tutti uguali gli
sembravano spaventosi.
Anche se non lo avrebbe mai ammesso, Arthur era felice di non essere
solo.
****
Alla torre le cose non erano altrettanto tranquille.
Invece di tornare alla sera, come era solita fare, Nimueh aveva deciso
di tornare prima.
Da quando era andata via, poco prima dell'alba, aveva una strana
sensazione, un brutto presentimento.
Era successo qualcosa e la sua magia vibrava inquieta, avvertendola del
pericolo.
Fu col cuore stretto in una morsa di panico che la strega
chiamò a gran voce Arthur, dai piedi della torre, senza
ricevere risposta.
Fu con terrore che entrò dalla finestra solo per scoprire
che il suo prigioniero non c’era più.
La misera stanza circolare dove lo aveva condotto quando era ancora un
neonato, la fissava immobile e silenziosa quasi prendendosi gioco di
lei.
Com’era possibile?
Arthur non aveva magia, non poteva essere fuggito da solo. E nessuno
poteva trovare e scalare quella torre. Era impossibile.
A meno che… Emrys.
La profezia.
Ma come poteva averlo trovato lì?
Col viso contorto in un’espressione di puro odio, Nimueh si
avvicinò al letto afferrando la piccola bambola di ceramica
«Sei stata tu, non è vero?» la scosse
con forza «Che cosa hai fatto?» gridò,
ma la bambola rimase chiusa nel suo ostinato silenzio.
A Nimueh parve di vederla sorridere in scherno.
Accecata dalla rabbia, la strega gridò furiosa lanciandola
contro la parete.
Nell’impatto il viso della povera bambola si
incrinò, il lato sinistro si spezzò in mille
frammenti che caddero a terra con un orribile suono di morte.
«Avrei dovuto distruggerti quando ho scoperto che razza di
dannata strega eri» sibilò Nimueh ansimando.
Cosa avrebbe fatto adesso? Tanti anni di attenta pianificazione per questo? Il fato
avrebbe comunque seguito il suo corso?
No, non poteva permetterlo.
Doveva trovare Arthur. Doveva riportarlo lì.
Ma come? Dove lo avrebbe cercato?
Qualcosa attrasse la sua attenzione sul letto. C’era qualcosa
nascosto tra i cuscini, il corpo di Morgana lo aveva nascosto fino ad
allora.
Sorridendo, Nimueh afferrò la vecchia sacca marrone ricolma
d'oro.
Non appena la toccarono, le sue dita presero a formicolare in modo
familiare.
Magia
pensò trionfante, potente
magia.
Arthur era con un mago. E non un mago qualunque ovviamente.
«Emrys, eh?» disse all’indirizzo della
bambola ormai rotta «Lo vedremo sorella»
pronunciò minacciosa.
Avrebbe fermato qualsiasi destino. A qualunque costo.
Le sue labbra rosse si divisero in un ghigno spaventoso, rimessosi il
cappuccio rosso del mantello, Nimueh uscì.
****
TBC
La seconda e ultima
parte dovrebbe arrivare stasera o domani!
Spero vi sia piaciuta,
lasciatemelo sapere please!!!xDDD
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Capitolo 2 *** 2/2 ***
Ecco come promesso la
seconda parte!
Spero vi
piaccia!!!
The
lost prince
«Allora, spiegami di queste lanterne, cos’hanno di
tanto speciale?»
La notte li aveva trovati ancora nel folto della foresta.
Quando si era fatto troppo buio per continuare, Merlin aveva deciso di
trovare un posto in cui riposare e accendere un fuoco.
Aveva lasciato Arthur ad occuparsi della legna ed era andato a pescare
al fiume lì vicino.
Non era stato difficile procurare la cena per entrambi.
Far saltare i pesci fuori dall’acqua per catturarli era un
trucco che gli riusciva fin da bambino.
Bastava un po' di concentrazione, tutto qui.
Tornato indietro, aveva trovato il suo compagno di viaggio intento a
strofinare due rami secchi tra di loro con fin troppa forza, le guance
arrossate e lo sguardo brillante.
Quasi aveva riso di fronte a tanto impegno, ma c’era qualcosa
di Arthur che lo rendeva quasi… dolce.
Come un cucciolo di strada. Era difficile dirgli di no o lasciarlo da
solo.
E quello era anche il motivo principale per cui aveva accettato la sua
assurda richiesta.
Così, si era limitato a mormorare un breve incantesimo, uno
dei pochi che conosceva e aveva sorriso nel vedere il sorriso
soddisfatto dell’altro di fronte alle fiamme prodotte dai
suoi sforzi.
«Non lo so neppure io in realtà. Tutti questi anni
le ho guardate dalla mia finestra e ho desiderato di potermi
avvicinare. E’ come se sentissi che sono lì per
me» gli spiegò in tono malinconico.
Merlin lo fissò confuso gettando le lische del suo ultimo
pesce nel fuoco «Se ci tenevi così tanto
perché non sei mai andato a vederle?» gli chiese
logicamente.
Era strano. Tutto di Arthur era fin troppo strano.
Vivere in una torre nel nulla, senza porte né finestre.
Sognare da una vita di vedere le lanterne e non andare mai a Camelot.
Possibile che non avesse mai trovato il tempo? O qualcuno con cui
andare?
Aveva capito che usciva raramente, tutta la storia del correre come un
matto era stata piuttosto chiara, ma aveva la sensazione che ci fosse
qualcos’altro sotto.
Qualcosa che ancora non capiva.
«Te l’ho già spiegato, mia madre non
vuole che io esca, lei è… protettiva»
mormorò l’altro fissando quasi nostalgicamente la
strada dalla quale erano arrivati.
Merlin lo fissò incredulo. Certo gli aveva raccontato di sua
madre e del divieto di
uscire, ma non aveva davvero
creduto che non fosse mai uscito in vita sua.
Che razza di persona era questa misteriosa donna che non lo faceva
uscire perchè troppo
pericoloso?
Capiva il voler proteggere qualcuno, ma questo era esagerato, no?
Merlin poggiò le mani sul tronco d’albero su cui
se ne stavano seduti a riscaldarsi.
«E’ sbagliato» mormorò senza
volerlo. Arthur si voltò a guardarlo confuso, forse un
po’ irritato, esortandolo in silenzio a spiegarsi.
«Quando ami qualcuno devi accettare di lasciarlo vivere come
meglio crede, anche se sai che ne rimarrà ferito. Essere
tristi o provare dolore, sono cose che fanno parte della vita. I
pericoli sono necessari, non puoi tenere qualcuno in gabbia dicendo di
farlo per amore. Non è amore. E’
egoismo».
Arthur non rispose, tornando a fissare le fiamme col viso imbronciato.
Merlin sperò di non averlo offeso o fatto arrabbiare. Non
sapeva perché , ma non voleva che Arthur ce
l’avesse con lui o smettesse di fidarsi.
«E’ quello che è successo a te? Ti hanno
ferito?» chiese poco dopo senza guardarlo.
Merlin fu piuttosto stupito dalla domanda. Inevitabilmente
pensò alla sua magia, al modo in cui aveva sempre dovuto
tenerla nascosta.
A come era sempre stato considerato strano nel suo
villaggio, a come si era sempre sentito fuori posto, estraneo anche in
casa sua.
«E' complicato» scosse le spalle, ma Arthur
continuò a fissarlo intensamente.
Alla ricerca di una risposta più sincera. Più vera.
«E' perchè sei un mago?» se ne
uscì infine con un filo di voce.
Merlin quasi sobbalzò per lo stupore, sentendosi il cuore
mancare un battito «Cosa? Perchè? Io non sono un
mago!» balbettò in maniera decisamente poco
convincente.
Eppure era stato attento, non aveva usato i suoi doni di fronte
all'altro.
Arthur arricciò le labbra in quel modo che Merlin iniziava a
trovare fin troppo amabile.
«Come pensavo fai schifo a mentire» disse con aria
arrogante «Certo che sei un mago. Uno imbranato come te, non
sarebbe mai riuscito a scalare la torre senza la magia».
«Oh...» mormorò Merlin in risposta
sentendosi stranamente stupido.
Per fortuna Arthur sembrava averla presa piuttosto bene, non era
abituato a una cosa simile. Nessuno, a parte sua madre, sapeva dei suoi
poteri e adesso l'altro si comportava come fosse tutto perfettamente
normale.
«Anche mia madre è una strega e mi ha insegnato a
non fidarmi di druidi e stregoni, però... tu sei troppo
stupido per essere una minaccia» spiegò l'altro.
Merlin sorrise a quel suo stravagante modo di dirgli che si fidava, era
una sensazione piacevole. Un calore che si spandeva lentamente nel suo
petto.
«Io sono nato così, non ho studiato la magia, l'ho
sempre avuta. Da bambino credevo che ci fosse un motivo e che un giorno
l'avrei scoperto. Immaginavo di dover salvare il mondo o qualcosa di
simile. Qualcosa d'importante, che facesse la differenza» si
sentì spiegare. Era la prima volta che si apriva
così con qualcuno.
«E l'hai trovato?»
«Non sono più così certo che
esista» sorrise tristemente «Forse crescere
significa sapere che a volte non esiste un motivo. Che siamo qui e
basta. Senza una ragione».
Caddero di nuovo in un lungo silenzio. Entrambi persi nei loro ricordi
a contemplare le fiamme ormai troppo basse del falò.
«Lo troverai» se ne uscì infine Arthur
con tono stranamente deciso «Troverai il tuo scopo, il motivo
e sarà come... destino.
Perchè c'è sempre una ragione, per
tutto» gli spiegò.
I suoi occhi blu erano così luminosi che Merlin si
sentì arrossire senza alcun ragionevole motivo.
«Hai ragione» gli sorrise stranamente confortato da
quelle parole e quando l'altro ricambiò, il suo cuore
sembrò battere tre volte più veloce del normale
«Grazie» bisbigliò e per qualche motivo,
il suo corpo era scivolato lungo il tronco fino a sfiorare quello
dell'altro e i loro visi adesso erano così vicini da
sentirne il respiro sulle guance.
Per un attimo il mago odiò la donna che nel suo egoismo
aveva nascosto un simile prezioso gioiello in una torre. Come osava
fare una cosa simile al mondo? A lui?
Le sue dita salirono a sfiorare la mascella dell'altro e i suoi respiri
accelerarono.
Che stava facendo? Era impazzito?
«Io...» mormorò con voce roca.
Gli occhi spalancati di Arthur lo fissavano intensi, ingenui, fiduciosi.
«Devo raccogliere della legna» farfugliò
saltando in piedi e fuggendo nella foresta dandosi dell'imbecille.
Ancora non sapeva se lo era per quello che stava per fare o per quello
che non aveva fatto.
****
Rimasto solo, Arthur intratteneva pensieri molto simili.
Non aveva dubbi su cosa fosse quasi accaduto e il pensiero che in
fondo, un bacio non gli sarebbe affatto dispiaciuto, lo rendeva ancora
più nervoso.
Quelli erano pensieri da principesse,
non da guerrieri!
Lui doveva pensare a battaglie e tornei, a modi per dimostrare a tutti
il suo valore.
Non a come convincere Merlin a darsi una mossa e baciarlo davvero
invece di continuare a torturarlo con i suoi sorrisi e gli sguardi
languidi.
Forse stava impazzendo.
Ma Merlin era così... così... perfetto.
Insieme a lui si sentiva completo. A suo agio.
Non aveva mai provato una cosa simile prima di allora.
«Vedo che qualcuno si è trovato un amichetto».
Dal bosco, la familiare figura di una donna avanzò verso il
loro accampamento improvvisato.
«Madre» esclamò Arthur saltando in piedi
«Cosa ci fate qui?»
Nimueh sorrise, le labbra rosso sangue increspate e gli occhi di
ghiaccio fissi sul suo volto con rabbia «Vuoi dire come ti ho
trovato?» gli chiese di rimando studiandolo da capo a piedi.
Arthur sentì un forte senso di colpa strisciargli traditore
nel petto «Mi dispiace» bisbigliò
fissandosi gli stivali «Però... volevo davvero
vedere quelle lanterne e voi...» la voce gli morì
sulle labbra.
«Adesso basta con tutti questi capricci, torniamo a
casa» lo afferrò dal polso, ma Arthur si ritrasse
sfuggendo alla sua stretta «No» sibilò
guardandola dritto negli occhi, facendosi coraggio per la prima volta
in vita sua «Non voglio tornare là... forse non ci
tornerò mai più» inghiottì
cercando di non distogliere gli occhi, ma era difficile, così difficile.
«No?» ripeté lei e la sua voce era come
gelido vento «E dove vorresti andare allora?»
Prese a girargli intorno come un leone con la sua preda, il lungo
vestito rosso strusciava contro il terreno dietro di lei rendendola
quasi spaventosa «Pensi di poter restare con quel piccolo
stregone? Merlin?»
«Cosa?» squittì con voce stridula. Le
guance improvvisamente in fiamme.
«Non credere che non vi abbia visto. So cosa cerchi di fare,
ma tutte le moine del mondo non ti serviranno. E' un ladro e un
bugiardo. Quando gli avrai ridato ciò che vuole ti
abbandonerà senza un secondo sguardo. E allora che farai
Arthur? Tutto solo in questo mondo pieno di pericoli?»
Ma il principe strinse i pugni sfidandola con lo sguardo «Non
è così» negò con vigore.
Sua madre sorrise quasi soddisfatta «Dimostralo
allora» gettò qualcosa sul terreno, ai suoi piedi.
Abbassando gli occhi Arthur scoprì che era la borsa di
Merlin. L'oro che aveva usato per ricattarlo. Una vaga sensazione di
orrore si fece largo nel suo petto.
Era assurdo, non credeva davvero che Merlin lo avrebbe lasciato per il denaro.
Era certo che non l'avrebbe fatto. Non ora che...
Che... cosa?
Non c'era proprio niente tra di loro se non i suoi sciocchi pensieri.
«Ridagliela subito e scopri se hai ragione. O forse, hai paura della
risposta?»
Arthur boccheggiò nel vano tentativo di negarlo, di dirle
che aveva torto, che si fidava del mago e sapeva che non l'avrebbe mai
tradito, ma nessuna parola riuscì a lasciare le sue labbra.
Un rumore di rami spezzati alle loro spalle li avvertì del
ritorno di Merlin.
Il tempo di voltarsi e Nimueh era scomparsa nel nulla.
«Ho trovato un mucchio di rami» disse allegramente
Merlin trovandolo in piedi intento a fissare la foresta
«C'è qualcosa che non va?»
«No» mormorò Arthur
«Niente» scosse la testa tornando a sedersi sul
loro tronco, aiutando il mago a ravvivare le fiamme.
«Quanto manca alla città?»
«Non molto, domani mattina arriveremo in tempo per la festa,
dovremo stare attenti alle guardie. Non credo di essere esattamente
benvoluto in questo momento».
Arthur ripensò alla borsa che aveva nascosto in fretta tra i
suoi vestiti «Per l'oro che hai rubato?»
«Preso in prestito» brontolò l'altro,
quasi affrontato da quell'accusa.
Arthur voleva chiedergli perchè lo avesse fatto, ma la
risposta gli faceva troppo paura.
Sarebbe cambiato qualcosa tra di loro se avesse scoperto che era solo
per avidità?
Che non era la prima volta? In fondo lo sapeva, aveva saputo fin dal
principio che quell'oro era rubato. Perciò perchè
adesso avrebbe dovuto fare una differenza?
«Era per il mio villaggio comunque» se ne
uscì Merlin quasi leggendogli nel pensiero.
«Sarebbero morti di fame senza denaro. Non potevo starmene a
guardare senza fare niente... quando le cose andranno meglio,
troverò il modo di restituire tutto»
spiegò stendendosi a terra e chiudendo gli occhi
«Buonanotte».
Arthur lo fissò a lungo in silenzio.
Era strano come quella breve spiegazione potesse farlo sentire
sollevato. Felice.
Strano e un po' patetico.
Con un nodo in gola, Arthur si sdraiò a sua volta e chiuse
gli occhi.
«Buonanotte, Merlin»
bisbigliò a sua volta.
Pensieri di oro, lanterne e torri lontane, lo tennero sveglio tutta la
notte.
****
Camelot era meglio di ogni fantasia o sogno o illusione si fosse mai
fatto.
Ogni strada e vicolo erano pieni di persone.
Bancarelle di dolciumi e stoffe in ogni angolo, giochi organizzati in
ogni piazza.
La fontana nel cortile di palazzo era enorme, l'acqua fresca e
scintillante, per non parlare del palazzo reale.
Era perfino più alto della sua torre, con le mura bianche e
i gargoyles imponenti sulle torri.
Non aveva mai visto nulla di simile e dubitava che potesse esserci
qualcosa di più bello in tutto il mondo.
All'ingresso, era stato appeso un immenso affresco raffigurante i
regnanti.
La giovane regina Ygraine dai lunghi riccioli biondi e il dolce sorriso
rivolto a quello che doveva essere il famoso principe perduto, avvolto
in una coperta rossa tra le sue braccia.
Arthur era rimasto colpito dalla storia del regno e da quel re dal viso
severo che non si arrendeva al passaggio del tempo e continuava ad
attendere il figlio in modo quasi disperato.
Sorridendo di fronte alle sue infinite domande, Merlin lo aveva
trascinato in biblioteca dove un anziano signore dalla buffa barbetta a
punta si era pulito gli occhiali in un fazzoletto con aria pensosa
prima di dar loro una montagna di libri sull'argomento.
Arthur però, si era stufato in fretta di leggere.
Aveva passato fin troppo tempo sui libri, voleva stare all'aperto
adesso.
Voleva il sole e le risate. Le chiacchiere della gente. Le loro storie.
Voleva tirare con l'arco e assaggiare torte e biscotti, saltare la
corda ed usare finalmente
una spada vera.
Anche i cavalieri che pattugliavano le strade, indossando svolazzanti
mantelli rossi e lucide armature di metallo, erano meravigliosi.
Lo stemma di Camelot, dipinto in ogni dove, era un dragone d'oro
dall'aria maestosa. Arthur non poteva fare a meno di incantarsi a
guardarlo in ogni stendardo.
Quanto a Merlin, nessuno sembrava averlo riconosciuto, probabilmente a
causa dell'infinito numero di persone che si era riversato in
città in quel giorno di festa.
Arthur non si era mai sentito più felice di così.
Quando la sera iniziò ad avvicinarsi, la musica invase ogni
angolo della città e le torce cominciarono ad illuminare le
strade.
I bambini si disposero in grandi cerchi volteggiando a ritmo di tamburo
e ridendo felici.
Ben presto anche tutti gli altri seguirono il loro esempio sebbene in
modo più ordinato.
Arthur li osservò a lungo, cercando di capire i passi.
Non aveva mai ballato prima, ma sembrava divertente.
Quando finalmente si sentì pronto a provare,
afferrò il polso di Merlin e, sordo ad ogni sua protesta, se
lo trascinò dietro.
Gli passò una mano in vita come aveva visto fare a tutti gli
altri e volteggiò con lui fino a perdere il fiato.
Merlin rideva e inciampava per poi ricominciare a ballare. La fronte
presto imperlata di sudore e gli occhi luminosi.
Così da vicino, Arthur si accorse di essere più
basso di lui, sebbene di poco e lo strinse un po' di più
continuando a danzare felice tra le sue braccia.
Chiedendosi se non fosse solo un sogno quello di rimanere
così per sempre.
****
«Dove andiamo?» chiese curiosamente mentre si
addentravano nel bosco.
Dopo le danze, Merlin gli aveva chiesto di seguirlo ed era sparito tra
gli alberi dietro al palazzo reale.
«Non volevi vedere le lanterne?»
Il mago sorrise stranamente soddisfatto di sè, Arthur si
guardò attorno. C'era un lago, un piccolo lago dall'acqua
limpida.
Senza spiegarsi di più, il mago tese la mano verso l'acqua e
mormorò veloci parole in una lingua che non conosceva, ma
che aveva sentito milioni di volte sulle labbra di sua madre.
«Fidati di me, avrai un posto d'onore»
ammiccò facendolo arrossire, mentre una vecchia barca senza
remi si fermava accanto a loro, sulla riva.
Merlin salì senza esitazione e guardò il suo
compagno, sospirando Arthur lo seguì e si mise seduto sul
lato opposto, guardando l'acqua cristallina scivolare sotto di loro.
«Ti ho preso questo alla festa» gli disse il mago
quando la barca prese di nuovo a muoversi, spinta solo dalla magia.
Gli tese una sciarpa, simile a quella che lui portava attorno al collo,
nulla di più di un rettangolo di stoffa rossa, con un drago
d'oro ricamato sull'angolo, eppure Arthur sentì la gola
chiudersi in un nodo soffocante.
«Non devi metterla se non ti piace, ho solo pensato che fosse
carina... per ricordarti di oggi» mormorò Merlin
interpretando male la sua reazione.
Arthur non riuscì a rispondere. Provava troppe emozioni
tutte insieme per riuscire a metterle in parole, ma si legò
la sciarpa al collo con cura e gli sorrise «Grazie»
mormorò e d'improvviso, ogni incertezza non importava
più.
Era lui il cavaliere in fondo. E i cavalieri conquistavano, giusto? Si
prendevano quello che volevano e non chiedevano il permesso a nessuno.
Perciò se voleva conquistare uno stupido e goffo mago erano
affari suoi, giusto?
E così, senza indugiare oltre, Arthur si chinò in
avanti e posò le labbra su quelle di Merlin reclamandole
come sue. Suo territorio.
Il mago gemette sorpreso, ma non si ritrasse. Arthur lo
sentì sospirare e le sue braccia si strinsero intorno al
collo dell'altro avvicinando i loro corpi fino ad annegare nel suo
calore.
Intorno a loro, le lanterne si sollevarono lentamente nel cielo da ogni
angolo del regno, una scia di fuoco luminosa accese la notte mentre, al
centro del lago, su una piccola barca immobile, i due ragazzi
continuavano a baciarsi, ignari di ogni altra cosa.
****
«Eccolo».
Nimueh guardò con disgusto i due ragazzi che amoreggiavano
sulla barca.
Così ingenui, incapaci di pensare ad altro se non a loro
stessi. Guidati dai loro ormoni impazziti.
Non aveva mai capito come qualcuno potesse perdere così il
controllo di sè.
Ridicolo.
Meglio per lei in fondo.
Grazie a questo avrebbe potuto ottenere ciò che desiderava.
Peccato dover riporre fiducia in quei due idioti che l'accompagnavano.
Mordred e Alvarr. Non era stato difficile rintracciarli e accordarsi
con loro, ma era stato disgustoso dover negoziare con quei due.
Se Mordred aveva almeno del potenziale, Alvarr non era altro che un
bandito da due soldi. Assetato di soldi e sangue, la sua magia
così tenue da essere quasi ridicola.
In altre occasioni si sarebbe sbarazzata di lui senza pensarci due
volte.
Ma visto come stavano le cose...
«Perchè ce lo consegni?» gli chiese
Alvarr fissandola sospettoso. Non aveva dubbi che non avrebbe
rispettato il patto. Quelli come lui non lo facevano mai, ma non
importava.
«Il ragazzo che è con lui, è mio.
Merlin e l'oro non mi servono a nulla» spiegò con
voce minacciosa, quasi avvertendoli di cosa sarebbe accaduto loro se
avessero osato toccare Arthur.
Se Mordred sembrava capire con chi aveva a che fare, Alvarr non
sembrava minimamente preoccupato. Stupido.
Non sapeva nemmeno chi
fosse Arthur o cosa rappresentasse.
Emrys non
perirà così facilmente.
Nimueh sobbalzò sorpresa fissando il bambino druido, non si
aspettava avesse il potere di raggiungere la sua mente. Sarebbe stato
un peccato ucciderlo.
Fà la tua
parte, Mordred. E resta fuori dalla mia mente gli
sibilò di rimando, costringendolo a distogliere gli occhi.
«Andate ora» ordinò ai due.
Alvarr sembrò sul punto di lamentarsi, ma Mordred lo
fermò con un'occhiata.
Nimueh sorrise. Un vero
peccato, pensò guardandoli strisciare
silenziosi verso il lago.
Certo avrebbe potuto riportare Arthur alla torre con la forza, ma poi
avrebbe cercato di scappare. Conosceva il suo principe. Era testardo,
orgoglioso.
Era convinto di amare quel mago e avrebbe lottato fino all'ultimo
respiro per restare con lui.
Ed anche quel Merlin probabilmente avrebbe cercato di ritrovarlo, di salvarlo.
Separarli sarebbe stata solo una seccatura.
C'era un modo molto più semplice per dimostrare ad Arthur
quanto il mondo fosse crudele,quanto fosse facile rimanere feriti e
soli.
Presto sarebbe corso tra le sue braccia pregandola di riportarlo alla
torre.
Con sua madre.
La piccola avventura di Arthur Pendragon stava già per
volgere al termine.
****
Arthur scese dalla barca sentendosi stranamente instabile sui piedi.
Non poteva credere a ciò che era appena accaduto, era un
miracolo.
Le parole di Nimueh ormai non lo preoccupavano più, erano
distanti, senza importanza.
Merlin non stava fingendo, non stava mentendo, aveva ragione.
Nessuno avrebbe potuto fingere quello sguardo, quel sentimento.
Sua madre aveva ovviamente sbagliato, si convinse, il che gli fece
tornare in mente qualcos'altro.
«Merlin» mormorò attirando
l’attenzione dell’altro
«C’è qualcosa che avrei dovuto ridarti
molto tempo fa» continuò estraendo la borsa dai
vestiti dove l’aveva celata tutto il giorno, indeciso se
restituirla o meno, se fidarsi oppure no «Ma credo che ormai
non farà molta differenza» sorrise forse ancora un
po' incerto.
Il mago lo fissò in silenzio, a bocca aperta per lo stupore,
prima di posare le mani sulle sue «Non
dovevi…» cominciò.
Arthur scosse la testa «Dubito che sparirai nel nulla adesso
che hai di nuovo il tuo oro» scherzò anche se
c’era ancora un piccola parte di lui che non poteva fare a
meno di chiedersi cosa avrebbe fatto l'altro.
«Arthur, io…» bisbigliò il
mago chinando il viso verso il suo.
«Credo che quell’oro appartenga a noi»
entrambi sussultarono al suono improvviso di quella voce.
La borsa cadde sul terreno con un tonfo, rovesciando tutto il suo
contenuto.
Merlin saltò tra lui ed il nuovo arrivato con aria quasi
spaventata.
Era un ladro o qualcosa di simile? Merlin lo conosceva?
«Alvarr cosa ci fai qui?» chiese il mago con voce
stranamente stridula.
«Credevi forse di poterci scappare per sempre?»
l'uomo teneva un pugnale in mano, non lo aveva ancora puntato contro di
loro, ma il suo sguardo non era affatto promettente.
«Non è come credi, non avevo intenzione
di…» cominciò a spiegarsi Merlin,
tenendo le mani in alto come per mostrare all’altro che non
aveva intenzione di combatterlo.
«Di rubarci la nostra parte?» Alvarr sorrise
minaccioso, la stretta sul pugnale più salda.
Il mago deglutì a vuoto, gettando un’occhiata ad
Arthur che sembrava dirgli non
fare niente di stupido. Il principe quasi
sbuffò irritato.
«Ascolta, prenditi pure tutto, okay? Troverò un
altro modo per salvare il villaggio».
Alvarr finse di pensarci a fondo, passandosi una mano sulla guancia
ispida «Hai ragione» pronunciò infine
«Mi prenderò tutto. Compresa la principessina»
sibilò lanciandosi contro di loro.
Merlin spinse Arthur indietro facendogli perdere l’equilibrio.
Quando riuscì a rialzarsi, gli altri due erano un unico
groviglio di corpi a terra, ognuno in lotta per afferrare il pugnale,
anche volendo non avrebbe potuto aiutare il mago in quelle condizioni.
Rischiava di ferirlo.
Nel panico, Arthur sentì un fruscio di rami alle sue spalle,
dal bosco un bambino dal viso pallido e gli intensi occhi azzurri lo
fissò indecifrabile.
Solo guardarlo gli fece provare un tremito lungo tutta la schiena.
Inghiottendo, Arthur estrasse la spada di legno, rendendosi conto di
quanto ridicolo sembrasse a starsene lì con un giocattolo tra le
mani, ma quello era un bambino in fondo.
Quanto poteva essere difficile sconfiggerlo?
Solo una manciata di secondi ed ebbe la sua risposta.
Il bambino chiuse gli occhi e la sua unica difesa gli
scivolò dalle dita con facilità assurda finendo
dritta nell’acqua scura del lago. Arthur gridò
cercando di recuperarla, ma gli fu impossibile.
Il bambino sorrise avvicinandosi di un passo, Arthur
indietreggiò, ma inciampò rovinando a terra.
Il druido puntò la mano contro di lui e il principe strinse
gli occhi convinto che l'avrebbe ucciso.
«Arthur!» una folata di vento colpì il
suo avversario dritta nel petto scagliandolo contro un albero, Merlin
si inginocchiò al suo fianco «Stai bene?»
Arthur annuì ancora scosso, incapace di parlare.
«Dobbiamo andarcene prima che...» il mago si
interruppe all'improvviso, gli occhi sgranati e la bocca contorta in un
grido silenzioso.
«Merlin?» mormorò confuso Arthur, ma
dalla bocca dell'altro uscì solo un verso
strozzato.Inorridito, il principe lo afferrò quando il suo
corpo cominciò a vacillare riversandosi a terra. Piccole
gocce di sangue scivolarono dall'angolo della sua bocca e un pugnale
macchiato di terra spuntava dalla sua schiena.
«Merlin!»
gridò spaventato. Scuotendolo senza risultato.
La risata di Alvarr si alzò da poco distante.
Arthur alzò il viso cinereo per scoprire gli occhi castani
del druido fissarlo gongolanti, trionfanti «Uno scarafaggio
in meno» commentò con un sorriso e il principe non
ci vide più .
Furioso, si scagliò contro di lui tempestandolo di pugni e
calci.
Com'era possibile? Com'era accaduto?
Solo un attimo prima era tutto perfetto.
Solo un minuto prima credeva di aver trovato il suo posto ed
ora… ora… Merlin…
Alvarr si liberò ben presto di lui, togliendoselo di dosso
come se non fosse altro che un bambino e afferrandolo dai capelli
«Non ti disperare adesso, rivedrai presto il tuo stregone
principessina» gli mormorò all'orecchio.
Proprio allora il corpo dell'uomo sembrò prendere fuoco
davanti ai suoi occhi, un lampo di luce accecante che lo
tramutò in cenere lasciando il principe solo nella radura,
con il suo dolore e le sue ferite.
«Arthur, sei ferito?» qualcuno lo
abbracciò, piccole mani calde e familiari.
Arthur gridò e si divincolò, ma la presa si fece
più stretta «Andrà tutto bene,
vedrai» continuò a mormorare la voce, ma non era
vero. Non poteva più esserlo, perchè il suo
Merlin era morto e niente sarebbe più andato bene.
Minuti, forse ore dopo, Nimueh gli scostò i capelli dalla
fronte guardandolo con dolcezza «Va meglio adesso?»
Arthur scosse la testa «Merlin…»
provò a dire, a spiegare, ma la strega scosse il capo con
aria addolorata «Mi dispiace così tanto».
«Non è colpa tua» mormorò con
voce roca.
«Vieni, doniamo il suo corpo al lago e poi torniamo a casa,
va bene?»
Arthur annuì contro la sua spalla, incapace di opporsi,
incapace di dire o fare altro.
Sentendosi totalmente prosciugato,
con gli occhi carichi di lacrime e il cuore pesante.
A casa.
Solo poche ore prima aveva giurato a se stesso di non tornarci
più.
E adesso desiderava non averla mai abbandonata.
****
Merlin, Merlin
Qualcuno lo chiamava.
Era strano. Era sicuro di essere morto. O di doverlo essere, almeno.
Avrebbe spiegato perché si sentiva così leggero,
così scollegato
dal suo corpo.
Non era una sensazione spiacevole. Non sentiva dolore, né
preoccupazione.
Ma non era neppure piacevole.
Per prima cosa non gli piaceva il pensiero di essere morto, non ora che
aveva conosciuto Arthur. E di certo non per mano di Alvarr.
In più, non sentiva neppure la sua magia, quel piacevole
formicolio che gli scorreva nelle vene da sempre, era sparito.
Per finire, non si aspettava che la morte fosse così...
noiosa.
Galleggiava in un posto sconosciuto, freddo e scuro.
Avrebbe giurato che si trattasse di acqua, ma era impossibile.
Perchè mai l'aldilà doveva essere fatto d'acqua?
Merlin, Merlin
Ancora quella voce.
Sembrava una ragazza, ma non era familiare. Era certo di non conoscerla.
Forse sbagliava persona. Era possibile. Chissà quanti Merlin
c'erano tra i morti...
Svegliati!
Merlin spalancò gli occhi.
C’erano delle rovine intorno a lui.
Resti di un tempio dalle alte colonne distrutte e il pavimento ridotto
a sabbia bianca.
«Benvenuto Emrys, era molto che ti aspettavo».
Sull’altare davanti a lui, una donna lo guardava sorridendo.
Non era esattamente una donna, sembrava più un riflesso, col
corpo trasparente e limpido.
«Chi siete?» mormorò incuriosito,
trattenendosi a stento da toccarla per capire se era davvero
d’acqua come sembrava.
«Freya, la dama del lago» spiegò lei, i
lunghi capelli fluttuanti come onde «Attendo la tua venuta da
centinaia di anni ormai».
«Non capisco» rispose lui, sentendosi del tutto
fuori luogo.
Probabilmente c’era stato qualche tipo di errore, non
conosceva alcuna dama del lago e di certo non c’era motivo
per cui dovesse attendere proprio lui da tutto quel tempo.
«La tua venuta è stata profetizzata molto tempo fa
da una delle mie sorelle. Purtroppo la stessa visione, le
rivelò che tu ed Arthur sareste stati la causa della fine di
nostra sorella Nimueh. Lei è la più potente tra
di noi e non volle accettare la profezia. Relegò nostra
sorella in una forma minore, legando le loro anime così che
solo la sua morte potesse spezzare l’incanto»
spiegò con voce addolorata.
Merlin si sentì male per lei, ma ancora non capiva
«E' una storia molto triste e mi dispiace molto per vostra
sorella, ma io cosa c'entro?»
«Tu Emrys, ucciderai Nimueh e libererai Morgana. E' questo il
tuo destino».
«Ma non so neppure chi sia questa Nimueh».
«Si invece. Vent’anni fa, Nimueh rapì il
principe di Camelot e lo portò in un luogo lontano, una
torre nascosta agli occhi di tutti» raccontò Freya
con voce nostalgica.
Merlin trovava quella storia orrendamente familiare. Possibile
che…
«Aspetta un secondo, non vorrai dire che Arthur è
il principe perduto? Quel
principe perduto!»
Freya annuì sorridendo «Spetta a te
salvarlo».
A quelle parole il cuore del mago perse un battito, il suo Arthur era
un principe.
Il principe perduto. Ed era in pericolo!
«Cosa devo fare per salvarlo?» chiese con decisione.
La dama lo guardò con occhi sorridenti e allungò
la mano verso di lui, in attesa.
Dopo un attimo di incertezza, il mago sfiorò le sue dita con
le proprie e un’immensa luce si sprigionò
tutt’intorno costringendolo a chiudere gli occhi.
Quando li riaprì, tra le loro mani, c’era la spada
più bella che avesse mai visto.
Un'elsa d’oro su una lama brillante. Sui sue lati c'erano
delle scritte, una diceva Raccoglimi
e l'altra Gettami
via.
«Questa è Excalibur» gli
spiegò la dama del lago «L’unica arma in
grado di uccidere Nimueh».
Merlin l'esaminò a lungo incantato, prima di impugnarla e
accarezzarne la lama con reverenza.
«Va ora. Arthur ti attende».
«Aspettate, io non sono sicuro di...»
«Non c'è tempo Merlin, devi compiere il tuo
destino o sarà troppo tardi. Ti condurrò alla sua
torre, ma non posso aiutarti di più. La magia di Nimueh
purtroppo è più forte della mia».
Merlin cercò di farla ragionare, di spiegarle che non era un
guerriero, che non sapeva usare una spada, ma un attimo dopo sia Freya
che il lago erano spariti.
La torre in cui aveva incontrato Arthur si ergeva nella radura
silenziosa.
Merlin si guardò attorno confuso, non era la sua
immaginazione, era davvero tornato lì.
Era tutto vero.
Dopo essersi legato Excalibur in spalla, il mago si avvicinò
alla torre.
«Arthur!» chiamò a gran voce
«Arthur!» ma nessuno ripose e il cuore gli si
strinse per la paura. Che fosse arrivato tardi?
Se Nimueh aveva fatto qualcosa ad Arthur...
Non sapeva se era in grado di sconfiggerla, ma almeno ci avrebbe
provato, doveva
provarci.
Per il suo
principe.
Con un respiro afferrò le piante che l'avevano
aiutato a salire la prima volta, ma si spezzarono tra le sue dita.
La magia che le aveva animate sembrava come svanita nel nulla.
Provò a girare intorno alla torre, ma non trovò
alcun modo per entrare.
Iniziando a sentirsi disperato, Merlin provò a scalare la
torre a mani nude, ma ogni due passi scivolava di nuovo a terra.
Allora, come un miracolo, una corda d'oro cadde giù dalla
torre.
Merlin fissò in alto, convinto che fosse stato Arthur a
lanciarla.
Ma perchè non parlava? Forse non poteva? Nimueh aveva fatto
qualcosa alla sua voce?
Senza attendere oltre, Merlin afferrò la corda e
cominciò a salire.
****
Arthur era rimasto sdraiato sul suo letto per tutto il tempo.
Non piangeva, non aveva versato neppure una lacrima da quando Merlin
era morto.
Non gli piaceva piangere, non gli piaceva essere debole.
Eppure il dolore era così forte da tagliargli il respiro.
«Oh Morgana, cosa devo fare?» chiese con voce roca,
cercando la sua fidata compagna che però non era
lì. Quando le sue mani toccarono le coperte vuote, Arthur si
alzò, rovistando tra i cuscini alla ricerca della sua unica
amica «Morgana?» chiamò un paio di
volte, ma ovviamente lei non rispose.
In fondo non poteva davvero farlo anche se, spesso, gli sembrava quasi
viva.
Fu solo quando si inginocchiò sul pavimento per vedere se
era finita sotto al letto, che la vide.
La sua dolce bambola era riversa per terra, in un angolo della stanza.
Piccole schegge di ceramica la circondavano.
Con un nodo in gola Arthur la voltò. Il volto perfetto non
era più liscio e pallido, ma venato e rotto sul
lato sinistro, un occhio quasi pronto a cadere
«Morgana» mormorò tristemente
accarezzandole i capelli. Stava perdendo tutto ciò a cui
teneva di più. Tutto solo perchè era uscito da
quella stupida torre.
«Ci penso io, stai tranquilla» la
rassicurò togliendosi il fazzoletto che ancora portava al
collo e legandolo intorno alla testa della bambola come una benda.
Il drago d'oro ne copriva l'occhio ormai rotto «Ecco fatto,
così guarirai» le promise con voce rotta
«Almeno tu».
E forse era impazzito, ma gli sembrò di sentire una mano
accarezzargli la nuca con affetto.
Stringendosela al petto, tornò a sdraiarsi e chiuse gli
occhi cercando di dormire.
Tra le sue braccia, l'occhio di Morgana divenne dorato.
Una grande stanza familiare. Lunghe vetrate colorate. Voci che
ridevano, che gli parlavano.
Non sapeva perchè, ma sentiva di essere a casa.
Qualcuno lo teneva in braccio, un uomo dal volto molto triste.
Un uomo che aveva già visto. A Camelot.
E c'era uno stemma, un drago d'oro, sul soffitto della stanza.
Non era possibile, pensò inorridito.
Quando riaprì gli occhi, Arthur aveva la certezza di essere
il principe perduto di Camelot.
Era lui quell'Arthur.
Arthur Pendragon.
E Nimueh non era sua madre.
Era solo una bugiarda manipolatrice.
****
Quando finalmente arrivò in cima alla torre ed
entrò dalla finestra, ad attenderlo trovò una
brutta sorpresa.
Nimueh teneva Arthur dalla gola sorridendo a Merlin come un gatto di
fronte al topo.
«Bene, se non è il nostro caro piccolo stregone.
Ancora vivo allora?»
«Lascialo andare Nimueh» le ordinò con
molta più sicurezza di quella che provava realmente.
Il principe nel vederlo prese a dimenarsi nella stretta della donna, ma
la strega era molto più forte di quanto non sembrasse e non
si lasciò sorprendere.
Ridendo, mormorò un incantesimo. Una scarica di lampi prese
vita sul suo palmo, Merlin si gettò a terra per evitarla, ma
non fece in tempo a rimettersi in ginocchio che un altro lampo lo
colpì dritto al centro del petto.
«Merlin»
sentì gridare Arthur che, finalmente, con un calcio
riuscì a liberarsi e ad allontanarsi dalla strega.
«Siete davvero seccanti» sibilò lei con
odio «E tu Arthur, sei diventato fin troppo ribelle. Credo
proprio che ti terrò in catene da oggi in poi,
così vedremo se riuscirai a scappare di nuovo».
«Non tornerò mai con te, Nimueh! Preferisco
morire!»
«Oh, anche questo si può fare» gli
lanciò contro una palla di fuoco, Merlin afferrò
il principe dalle spalle tirandoselo addosso per salvarlo.
Estrasse la spada e si rialzò scagliandosi contro la strega,
ma lei era pronta a riceverlo e lo colpì con un'altro lampo
che lo fece ruzzolare a terra, il corpo tremante per il dolore.
Excalibur scivolò sul pavimento fuori dalla sua presa.
Nimueh sorrise preparandosi ad ucciderlo, poche parole magiche e una
palla di fuoco si formò sul palmo della sua mano
«Ultime parole, Merlin?» gli chiese con un sorriso
«O dovrei dire Emrys? Devo dire di essere profondamente
delusa, mi aspettavo molto di più».
Il mago sentì il cuore martellargli nel petto convinto che
fosse la fine, ma il sorriso di Nimueh scomparve all'improvviso.
Il suo viso una maschera di stupore ed orrore, quando la lama di
Excalibur spuntò dal suo petto facendola esplodere in cenere.
«Va all'inferno strega» sibilò Arthur,
guardandola sparire.
Solo quando i resti della strega toccarono terra, il principe si
permise di scivolare sudato ed ansimante sulle assi di legno del
pavimento.
«Stai bene?» gli chiese inginocchiandosi al suo
fianco. Osservandolo con cura, come se temesse di vederlo sparire da un
momento all'altro. Non lo biasimava, anche lui avrebbe reagito
così se lo avesse visto morire solo poche ore prima.
«Credo di si» rispose il mago massaggiandosi il
collo «E tu?»
«Mai stato meglio» sorrise Arthur « Ho
sempre saputo che sarei stato importante un giorno e adesso sono un principe».
Merlin si lasciò cadere sul pavimento sbuffando
«Il tuo ego diventerà ancora più grande
adesso».
«Porta rispetto per il tuo principe».
«Mio? Mi piace questa parola» rise il mago e Arthur
lo colpì ad una spalla per poi chinarsi su di lui e
baciarlo. A lungo.
«Oh tranquilli, non disturbatevi ad aiutarmi. Ce la faccio da
sola. In fondo essere rinchiusa in una stupida bambola per decenni
è stata una vera passeggiata».
I due si voltarono sorpresi, il principe pronto a combattere chiunque
li avesse interrotti, ma Merlin lo fermò.
Osservò in silenzio la donna che li aveva
interrotti, pelle color pesca e lunghi capelli neri intorno
al volto, Morgana non era così diversa dalla sua versione di
porcellana.
«Ciao Morgana» gli sorrise «E grazie per
avermi aiutato a salire sulla torre».
Morgana ammiccò «Di nulla, ero davvero stufa di
sorbirmi le lamentele di questo moccioso. Era ora di passare il compito
a qualcun altro».
«Morgana?»
Il principe squittì passando lo sguardo inorridito da lei al
mago.
«Chi altre? Quella Nimueh aveva davvero un gran coraggio,
quasi mi spiaccicava contro il muro» si lamentò
spazzolandosi il lungo vestito di seta verde.
«Tutto questo tempo eri... cosciente?»
lo strano rossore diffuso sul volto del principe convinse Merlin a fare
una lunga
chiacchierata con Morgana appena possibile.
«Oh tranquillo principino, i tuoi segreti moriranno con
me» era chiaro a tutti i presenti che stava mentendo.
«Bene, adesso scusatemi. Ho una sorella da ringraziare e una
casa a cui tornare. Finalmente».
Senza attendere risposta, la veggente svanì nel nulla.
Non che Arthur e Merlin se ne preoccupassero.
C'erano altre questioni
da risolvere in fondo.
E il letto era un luogo abbastanza comodo per farlo.
****
Come tutte le favole anche questa era finita.
Arthur tornò a Camelot per diventare il principe che era da
sempre destinato ad essere.
Uther lo accolse con un abbraccio e una virile pacca sulle spalle.
Erano Pendragon in fondo.
Ma grazie ai suoi lunghi racconti e alle sue infinite preghiere, le
leggi contro la magia vennero cancellate e Merlin nominato mago di
corte.
Il villaggio di Ealdor venne aiutato a superare quell'inverno e molti
altri a seguire e tutto il popolo accolse il suo principe perduto con
gioia.
Quanto a Morgana, la donna comparve qualche settimana dopo alla loro
porta, reclamando un'intera ala del castello perchè, a suo
dire, stare dentro ad un lago non era affatto divertente come ricordava
e l'acqua le rovinava i capelli.
Il mago sapeva che in realtà le mancava Arthur, anche se
nessuno dei due avrebbe mai ammesso di essersi affezionato all'altro.
Quanto ad Arthur e Merlin... beh... loro rimasero esattamente gli
stessi.
Pronti a litigare e a fare pace... ancora... ancora... ancora... felici
e contenti...
Per Sempre.
EnD
Finita
anche questa!!Spero che vi abbia divertito come ha divertito me
scriverla!xDDD
Non so se
avete notato, ma nelle ultime storie sto usando un carattere
più piccolo perchè quello precedente mi sembrava
gigante, riuscite a leggere comunque bene o preferivate quello di
prima?? Se vi infastidisce ditemelo pure, provvederò!xDD
A
presto!!
Kiss
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