Aspettando l'alba.

di HaruHaru19
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1: Aspettando l'alba. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2: Almost one step above. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3: Don't be afraid of what you are. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4: Never show your true feelings. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5: I won't let you stop me, for any reason in the world. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6: Only one thing can kill a dream: the fear. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7: Do judge a book from its cover, but read even inside if you want to be taken seriously. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1: Aspettando l'alba. ***


Salve a tutti e tutte! Sono tornata e con una 2Min questa volta! Non so ancora se avrà un continuo o meno, per ora la segno come una One Shot, ma avevo intenzione di scrivere una long fic riguardante la 2Min quindi chi lo sa. Se questa OS piacerà e mi verrà l'ispirazione per il continuo allora continuerò!
Fatemi sapere cosa ne pensate! Commenti e recensioni sono sempre ben accetti.


Aspettando l'alba
 
Uno...Due...Tre...Quattro...
Lo sguardo mi cadde su una goccia di pioggia che lenta scivolava lungo il vetro della finestra, lasciando lievi segni irregolari del suo passaggio. Altrettanto lentamente rivolsi di nuovo la mia attenzione allo spoglio rivestimento bianco del soffitto.
A quanto ero arrivato?
Non lo so. Avevo perso il conto, di nuovo.
Decisi di riniziare. Ormai era diventata un'abitudine.
Passavo la notte praticamente insonne, vittima del mal di testa che peggiorava e peggiorava, torturato sempre dal solito pensiero. Poi, alle prime luci dell'alba, iniziavo a contare lentamente fino a dieci e solo una volta finito di contare mi alzavo dal letto. Non potevo alzarmi e basta. Dovevo contare. Lo facevo dall'inizio e lo avrei fatto fino alla fine.
Mi concentrai nuovamente. Dovevo farcela.
Uno...Due...Tre...Quattro...Cinque...Sei...Sette...Otto...Nove...Dieci.
Bene, alziamoci.

Sempre privo di qualsiasi forma di fretta, scivolai fino alla fine del letto e lentamente mi misi in piedi. Gettai le braccia verso il soffitto, permettendo ai muscoli di allungarsi e liberare l'organismo da quello stato di intorpidimento del quale era stato schiavo per tutta la notte.
I muscoli facevano male e gli occhi mi bruciavano, ma ignorai tutto.
Avevo assaporato un tipo di dolore che andava ben oltre tutto ciò. Se resistevo a quello, potevo sopportare queste sciocchezze.
Un fulmine lampeggiò fuori dalla finestra, inondando di luce la piccola stanza d'albergo in cui mi trovavo. Quella manciata di secondi di chiarezza mi permisero di notare il piatto lasciato sul piccolo tavolo. Jinki era venuto anche quella notte, come sempre, di nascosto a lasciarmi qualcosa con cui riempirmi lo stomaco. L'avevo sentito entrare, mentre fingevo di dormire. Aveva ripreso il cibo del giorno prima, intatto, e l'aveva scambiato con quello che adesso avevo davanti agli occhi.
<< Non fare così, Taemin... >> aveva sussurrato nella mia direzione, attento a non svegliarmi. Peccato che non stessi dormendo e anche quella notte avevo ascoltato il suo solito consiglio preoccupato, ma che a me suonava solo come un rimprovero forzato.
Non osava entrare nella stanza di giorno, si assicurava prima che stessi dormendo. La prima e ultima volta che l'aveva fatto gli avevo tirato contro la sedia che adesso giaceva scassata in un angolo della stanza. L'avevo colpito in piena fronte e ricordo ancora la sensazione di piacere che avevo provato. Ricordo di aver sperato che si fosse fatto male, che la testa gli si fosse rotta nello scontro. Volevo che qualcuno soffrisse almeno quanto avevo sofferto io, di quanto stavo ancora soffrendo io.
In realtà non volevo fargli male, per questo fingevo di dormire. Almeno così gli avrei permesso di avere tutte quelle accortezze nei miei confronti, di atteggiarsi a bravo leader qual era. Gli avrei permesso di fare per me tutto quello che prima veniva fatto da un'altra persona. Gli avrei permesso di fare qualsiasi cosa, bastava che la facesse in silenzio.
Svogliato tolsi il coperchio e guardai dentro la scodella. Zuppa. Almeno era adatta a contrastare il clima gelido che imperversava fuori da quelle quattro mura. Presi il cucchiaio di fianco al piatto e lo riempii con una piccola porzione di zuppa che portai alla bocca.
Che schifo, è gelida.
Storsi la bocca in un'espressione disgustata e adagiai il cucchiaio nel suo precedente posto.
Io questo schifo non lo tocco. Credo proprio che non mangerò neanche oggi.
Sentii il bisogno di togliermi dalla bocca il sapore del cibo e mi attaccai alla bottiglia d'acqua, lì vicino, sempre portata da Jinki.
Presi una lunga sorsata perchè la sete si faceva sentire, ma non appena la buttai giù, riaffiorò la sensazione di disgusto. Non sapeva di niente e quel suo vuoto rispecchiava anche fin troppo il mio stato d'animo, così abbandonai la bottiglia e mi diressi in bagno.
Aprii l'acqua della doccia e attesi per qualche attimo che si facesse calda, poi mi spogliai e m'infilai dentro la doccia. Prestai attenzione nel lavarmi, massaggiando delicatamente la testa e passando su ogni ciocca di capelli la giusta dose di balsamo, per poi risciacquarla delicatamente. Dopo un'eternità uscii e mi asciugai il corpo, adagio.
Quando ebbi finito mi concentrai sull'immagine macabra che mi rimandava lo specchio posto di fronte a me. Il mio completo riflesso era decisamente diverso da come l'avevo visto l'ultima volta. La pelle era secca e spenta, le occhiaie attorno agli occhi erano violacee e marcate, ma soprattutto i muscoli che avevo messo su negli ultimi tempi stavano adagiati a casaccio su un corpo diventato troppo magro e fragile. L'impressione che ebbi di me stesso fu quella di un malato nei suoi ultimi giorni di vita, che tira avanti tanto per abitudine con un corpo distrutto e mangiato dalla malattia.
Sì, ero malato. Malato d'amore. O perlomeno, di ciò che ne derivava.
Decisi di porre fine a quella triste vista spengendo la luce del bagno e andando a ripararmi nella confortevole oscurità della camera da letto. Scelsi attentamente cosa mettermi da vestire tra i pochi abiti puliti che mi erano rimasti e gli indossai. Poi mi asciugai i capelli e li pettinai, avendo cura che cadessero perfettamente. Ora li avevo biondi ossigenati. Non avevo mai azzardato un colore tanto chiaro, ma erano diverse le cose alle quali mi sarei dovuto abituare adesso.
Le cose cambiano continuamente. Non possiamo permetterci il lusso di abituarci troppo a qualcosa, figuriamoci poi se potremmo mai permetterci di affezionarci a qualcuno.
No. Sarebbe stato troppo doloroso una volta arrivati al momento dell'addio, e io l'avevo provato sulla mia stessa pelle.
Col mio fare lento erano passate ormai ore e la luce fioca di quel pomeriggio grigio d'inverno penetrava nella stanza e, non volendo, incontrai nuovamente il mio sguardo stanco nell'altro specchio. Gli occhi arrosati circondati dalle occhiaie mi riportarono a quel giorno che ormai mi sembrava così lontano, ma non avevo la certezza di quanto esattamente fosse lontano.
Da quanto tempo stavo rinchiuso in quella stanza? Cinque giorni? Una settimana? Dieci giorni?
Non avrei saputo dirlo. Il tempo sembrava una cosa così lontana da me. La condizione del tempo non mi apparteneva più, ormai mi limitavo a vagare in quel piccolo spazio limitato, senza accorgermi del fatto che stavo precipitando sempre più in basso. O forse lo sapevo benissimo e avevo ormai accettato la cosa. Ma allora perchè non riuscivo ad accettare la sua scelta?
 
<< Quindi te ne vai? >> gli chiesi, osservandolo passivamente mentre infilava le sue ultime cose nella valigia.
<< Sì. >> rispose secco, premurandosi di evitare il mio sguardo.
<< E' tutto quello che hai da dirmi? >> domandai ancora, la voce sempre più acuta. Mi resi conto che stavo raggiungendo pericolosamente il limite. Dovevo dosare bene le mie parole e i miei silenzi. Se avessi aggiunto anche un'altra sola parola, la voce si sarebbe incrinata e sarei poi scoppiato a piangere senza ritegno.
<< Taemin... >> sospirò lui con voce quasi supplichevole, incontrando finalmente i miei occhi vergognosamente lucidi << Ti prego, non ricominciare con questa storia... >>
<< Ho forse detto qualcosa? >> mentii spudoratamente, fingendomi spavaldo, come se la cosa quasi non mi toccasse.
<< Ti ho già detto che questa cosa è molto più grande di quanto vuoi accettare che sia. >> disse scuotendo la testa << E' una competizione che non posso vincere questa volta. Prova a capirmi. >>
<< No. >> risposi freddamente.
<< Perchè sei così testardo? >>
<< Perchè sei così vigliacco? >> dissi a mia volta quasi ridendogli in faccia.
Minho chiuse gli occhi per un secondo, portandosi le mani al volto. Prese un respiro profondo e poi tornò a guardarmi, se possibile ancor più distaccato di prima.
<< Non possiamo stare insieme, Taemin. Non lo accetterebbero. Per questo me ne vado in America. Starti lontano è l'unico modo per dimenticarti ed è quello che ho deciso di fare. Io ti dimenticherò. Ti prego, fammi questo favore. Dimenticami anche tu. >>

 
Il boato di un tuono mi riportò alla realtà e lentamente mi avvicinai allo specchio. Avevo una dannata voglia di spaccarlo in mille pezzi. Di prenderlo a pugni o tirarci qualcosa contro. Volevo solo che quell'immagine orribile di me stesso sparisse immediatamente, ma non avevo tempo. Dovevo prepararmi.
Presi il correttore e iniziai ad applicarlo sotto e attorno agli occhi. Quelle chiazze dovevano sparire. Successivamente passai un velo di fondotinta e compattai il tutto con cura. Infine decisi di mettermi anche un filo di eye-liner, giusto per sottolineare lo sguardo che altrimenti sarebbe stato troppo spento. Dovevo essere perfetto. Dovevo rimettermi in piedi e se non ci fossi riuscito, avrei fatto come una marionetta rotta che viene sistemata con un po' di colla.
L'apparenza è fondamentale.
Ogni Idol lo sa. E' una delle regole base da rispettare.
Però anche quella di mantenere l'armonia all'interno del gruppo è una regola base, ma lui non si era fatto tanti problemi ad infrangerla.
Ma ripensandoci chi l'aveva infranta per primo? Lui o io?
 
<< Stai scappando! >> urlai battendo un pugno contro il muro << Ti stai nascondendo dietro stupide scuse e pretendi che io faccia altrettanto! Ammettilo! Guardami negli occhi e dimmi che in realtà non mi hai mai amato, che le tue parole e le tue promesse non erano altro che gigantesche buffonate. Sii l'uomo che fingi di essere e smetti di mentirmi! >>
Lo vidi avvicinarsi rapidamente per poi afferarmi per le braccia. Si abbassò quanto bastava per arrivare a far combaciare i nostri sguardi e in quel momento mi persi nei suoi grandi occhi neri, implorando affinchè mentisse ancora. Mi resi conto che ero totalmente dipendente da lui. Avrei accettato qualunque cosa, anche che continuasse a mentirmi, purchè rimanesse al mio fianco.
Ma poi i suoi occhi cambiarono. Da caldi e profondi divennero freddi e distaccati, come li avevo visti poco prima e capii che era davvero tutto finito.
<< Hai ragione, Taemin. >> mi soffiò contro un orecchio << Non ti ho mai amato. Sei stato solo un passatempo. Scusami se mi sono preso gioco di te, ma ora lasciami andare. Perderò l'aereo, altrimenti. >>
<< Spero che si schianti al suolo. E spero anche che sopravvivano tutti, tranne te. Sarebbe la giusta punizione per avermi spezzato il cuore. >> gli risposi allontanandolo il più possibile da me.
Lo sentii chiaramente ridere senza il minimo ritegno mentre prendeva la valigia e si dirigeva verso la porta, superandomi.
<< Arrivederci, Taemin. >> disse.
<< Addio Minho. >> risposi rapido, dandogli le spalle.
Non appena udii la porta della camera chiudersi, lasciai cadere la prima lacrima, alla quale seguirono molte e molte altre.
<< Che bastardo... >> singhiozzai scivolando a terra, la schiena premuta contro la porta << Si è anche portato con sé il mio cuore, senza neanche chiedermi il permesso...>>
Mi portai una mano al petto, all'altezza del cuore e percepii immediatamente il vuoto.
<< Che bastardo... >> mormorai di nuovo, ma questa volta ebbi l'impressione che fossero i residui del mio cuore a parlare.

 
Tre colpi forti alla porta dissolsero i pensieri in cui mi ero nuovamente perso.
<< Taemin... >> la sua inconfondibile voce mi raggiunse da dietro la porta.
Mi precipitai ad aprire e me lo trovai di fronte, come ogni giorno.
<< Kibum Hyung... >> lo salutai con voce roca.
Lui mi sorrise caldamente. Mi chiesi perchè gli altri non se ne fossero già tornati al dormitorio, ma subito dopo mi parve palese il fatto che non se ne sarebbero andati da quell'albergo finchè non avessero ottenuto quello che volevano.
<< Hai mangiato? >> chiese con un tono che esprimeva semplice educazione, ma non mi sfuggì il suo sguardo che corse veloce sulle mie guancie scavate e ai polsi troppo esili.
<< No, non mi andava... >> risposi adagiandomi allo stipite della porta.
<< Ah, capisco... >> disse come se la cosa non gli interessasse granchè, ma sapevo benissimo cosa si celasse dietro quella sua recita ben costruita. << Vuoi venire con me a fare un giro? >>
Sapevo che lo avrebbe chiesto. Ogni giorno sempre la solita scena...
Ci pensai un po' su, ma la sola idea di uscire da quelle solide e sicure quattro mura mi fece venire un capogiro.
Come potevo affrontare il mondo? Io, che non riuscivo neanche a stare sulle mie stesse gambe? Ero troppo fragile, troppo debole e troppo minuscolo in confronto al mondo che c'era là fuori. Come sarei potuto sopravvivere senza colui che mi dava la forza?
Gettai uno sguardo alla finestra. Aveva smesso di piovere, ma la giornata non sarebbe stata niente di meglio rispetto a quello squallido grigiore che riuscivo ad intravedere.
Tempo perfetto, a mio parere.
Mi voltai nuovamente verso Kibum che mi fissava ansioso e gli sorrisi falsamente.
<< Oggi non me la sento di uscire. Magari facciamo domani, va bene? >>
<< Non preoccuparti. Torno domani. >> disse con finto entusiasmo, assieme al quale notai anche la poca speranza abbandonare i suoi occhi, di nuovo. << Se mi vuoi sai dove cercarmi. Io, noi, siamo sempre qui. Capito? Siamo qui con te, non andiamo da nessuna parte. >>
<< Lo so Hyung, grazie. >> risposi richiudendo la porta.
Sapevo che erano lì e che ci sarebbero stati finchè non fossero riusciti a tirarmi fuori da quella stanza. Per un attimo ebbi pure l'impressione che una parte di me provasse gratitudine, ma immediatamente ricordai che era impossibile che provassi qualcosa. Come può una persona senza più un cuore, provare qualcosa?
Scuotendo la testa andai di fronte allo specchio e iniziai a struccarmi lentamente. Poi, con altrettanta pigrizia mi distesi sul letto e iniziai a fissare il soffitto.
Anche per oggi, avrei atteso. Avrei aspettato finchè non mi fossi sentito abbastanza forte da poter affrontare il mondo esterno.
Ma per il momento mi sarei limitato a salutare l'alba contando fino a dieci.
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2: Almost one step above. ***


Haru's Corner: Specificando sin dall'inizio che aver avuto l'ispirazione per questo capitolo non include il fatto di averla avuta anche per il resto della storia, mi sento in dovere di dirvi che non ho proprio idea di come si svolgerà la fic! XD Quindi per favore non fatemi domande del tipo "cosa accadrà? riuscirà a fare questo o quest'altro?" perchè non saprei proprio cosa rispondervi. LOL Mi affiderò totalmente alle mie doti di improvvisatrice, delle quali sono totalmente priva! xD
Comunque, un altro punto fermo è questo: dato che "Aspettando l'alba" era nata come una OS e tenendo soprattutto di conto il fatto che la amo smisuratamente, mi dispiacerebbe davvero molto se, continuandola, venisse fuori uno schifo totale e rovinasse il concetto della One Shot, per questo devo chiedervi un favore: se penserete che i prossimi capitoli non sono abbastanza buoni, per favore ditemelo e io smetterò di pubblicare la storia! >.< Detto questo, godetevi il capitolo! LOL


Secondo Capitolo: Almost one step above.

La mattina dopo aprii gli occhi e mi ritrovai a fissare intensamente il soffitto. Non mi ero accorto di essermi addormentato, ma probabilmente la stanchezza si era fatta sentire e io avevo ceduto ai continui richiami di Morfeo, perchè voltandomi verso la finestra vidi che il sole era già alto nel cielo e stranamente luminoso per quella giornata invernale.
Notai che avevo dormito con i vestiti indossati il giorno precedente. Mi svestii velocemente scagliando gli abiti in un angolo della stanza e mi gettai sotto la doccia. Ci misi pochi minuti, avevo solo voglia di togliermi di dosso quella sgradevole sensazione di apatia e volevo farlo il prima possibile. Uscito dalla doccia, con ancora i capelli umidi, mi diressi di nuovo nell'altra stanza, sentendomi incredibilmente leggero e notai il cibo sul tavolo. Mi ci avvicinai lentamente e scoprii esserci dentro del riso fritto. Senza neanche accorgermene mi ci avventai sopra famelico e, nonostante fosse freddo e un po' insapore, lo mangiai tutto. Con lo stomaco dolente perchè non più abituato a un lavoro simile e la testa piegata indietro, bevvi l'intera bottiglia come se non avessi toccato nemmeno una goccia d'acqua per giorni. Improvvisamente mi accorsi che era proprio così. Per quanti giorni non avevo mangiato, bevuto e dormito decentemente? Non lo sapevo. Non sapevo nemmeno che giorno fosse ad essere sincero.
Mi allungai verso il cellulare e guardai il display che mi informava del fatto che quel giorno era Venerdì 21 Gennaio 2011. In quel momento l'orologio digitale scattò dalle 11:07 alle 11:08 esatte e fu in quell'attimo preciso che realizzai il fatto che quella mattina mi ero alzato dal letto senza contare i miei dieci secondi. Cos'era cambiato dal giorno prima? Dove avevo trovato la forza per fare tutto quello che fino a quel momento non ero stato capace di fare? L'avevo effettivamente persa oppure mi ero semplicemente convinto di non averla più perchè schiavo di un'ossessione?
Balzai in piedi in un secondo. Dovevo scoprirlo. Ma come?
In due minuti ero completamente vestito, ma con una veloce occhiata allo specchio mi accorsi che ero in condizioni pessime. Come poteva una persona avere delle occhiaie così marcate? E quando il mio volto era diventato così scavato? In altre parole, come avevo potuto lasciarmi andare così? Non sapevo neanche quello, ma dovevo rimediare in qualche modo.
Afferrai un paio di occhiali scuri e il mio amato cappello di lana nera e dopo averli indossati uscii dalla stanza chiudendomi la porta alle spalle. Non fu così tremendo come temevo, anzi era stato relativamente facile.
Superai a passo svelto la porta della camera di Jinki e mi fermai di fronte a quella successiva. Bussai e fissai per qualche secondo la porta finchè un JongHyung assonnato e in mutande non la spalancò lasciandomi di stucco.
<< Ma che problema hai? >> chiesi assicurandomi rapidamente che non ci fosse nessuno nei paraggi.
<< Taemin? >> mi chiese ignorando la mia domanda e fissandomi come se avesse appena visto un fantasma.
<< Sì, è il mio nome. >> sbuffai spintonandolo nella stanza << Ed entra dentro, prima che ti veda qualcuno! >>
Mi chiusi la porta alle spalle, mentre JongHyun sembrava essersi ripreso dal suo stato di sonnambulo e ancora mi osservava stralunato. Fortunatamente per lui, per me e per l'intera umanità, Kibum lo costrinse a riprendersi con uno schiaffo ben assestato alla base del collo.
<< Scimmio! Quante volte ti ho detto che bisogna vestirsi prima di uscire? >> gli urlò senza tanti complimenti.
<< Avevo sonno... >> rispose questo massaggiandosi la zona dove era stato colpito e allontanandosi in prossimità dei letti, con un'espressione a metà tra l'offeso e l'indifferente.
<< Saresti meno stanco se la smettessi di fare sempre le ore piccole con le modelle in giro per locali! >> Kibum lo rimproverò ancora una volta prima di dedicarsi a me << Taemin! Sarei venuto a chiamarti tra poco... C'è forse qualcosa che devi dirmi? >>
<< In effetti sì, devo dirti qualcosa, Hyung... >>
<< Cosa? >>
<< Sto morendo di fame! >> esclamai.
Notai i suoi occhi brillare per qualcosa che io scambiai per soddisfazione.
<< Cosa vuoi mangiare? >> mi domandò mentre le labbra si stendevano in un sorriso sornione.
<< Gelato! >> risposi sicuro.
<< Andiamo... >> mi disse mettendomi una mano sulla spalla mentre con l'altra afferrava la giacca.
Sì, era soddisfazione. La Diva era riuscita nel suo intento. Ormai ero fuori da quella stanza.

<< Che schifo! Ma di che sa chiedere un gelato al pistacchio e limone? >> mi domandò Kibum per la terza volta.
<< Ho detto che mi piacevano i colori messi insieme. >> risposi con un'alzata di spalle << E poi il gusto non è così pessimo come credi... >>
<< Fai come vuoi, la bocca è la tua! >> rispose lui di rimando << E comunque anche in fatto di colori, l'assortimento è pessimo! >>
<< Stai zitto, Hyung! >> lo presi in giro << Pensa piuttosto a mangiare il tuo stupido gelato rosa prima che si sciolga... >>

<< Taemin! Mangia il gelato prima che si sciolga! >> mi consigliò Minho allungandomi un pacchetto di fazzolettini.
<< Ah, Hyung! Ho fatto un casino! >> risi di me stesso, impegnato a dare battaglia a un cono gelato troppo grande e capendo di aver perso clamorosamente quando mi accorsi di averne più sulla faccia che nello stomaco.
<< Sei un disastro vivente, Minnie! >> scherzò lui, aiutandomi a pulire il viso togliendo i residui di gelato con le sue stesse mani.
Gli mostrai la lingua abbandonandomi a un gioco infantile quando mi accorsi che il suo sguardo era cambiato completamente. Mi stava osservando intensamente, il sorriso di poco prima era scomparso del tutto dal suo volto, come se non ci fosse mai stato, la sua mano immobile sulla mia guancia sinistra.
Mi persi per un attimo in quei suoi occhi così grandi e così aperti che da sempre suscitavano la mia curiosità e che in quel momento sembravano volermi chiedere qualcosa. Immaginai come dovesse apparire il mio volto in quel momento: probabilmente era un immenso punto interrogativo.
<< Taemin, perdonami... >> disse quelle parole che, se prima erano per me un mistero, ripensandoci adesso suonavano incredibilmente ironiche.
Ma in quel momento non capii e continuai a vagare in un ammasso di bugie per molto tempo. Ero ingenuo e solo, per questo gli credetti.
<< Di cosa parli, Hyung...? >> non riuscii neanche a finire quella frase, perchè le sue labbra andarono a sigillare le mie.
Se solo avessi saputo come sarebbe andata a finire lo avrei immediatamente allontanato. E invece, come uno stupido qualsiasi, ricambiai quel maledetto bacio.


<< Taemin-ah! >> la rumorosa risata di Kibum mi distolse da quel ricordo doloroso << Ti sei incantato? Guarda che hai fatto: ti è caduto tutto il gelato per terra! >>

<< E' caduto! E' caduto! >> le voci animate degli operatori del Dream Team attorno a me si facevano sembre più alte e preoccupate.
Ma mi ero già accorto di cosa era accaduto. Solo che non riuscivo a reagire.
Minho aveva perso la presa durante uno di quei stupidi giochi sportivi indetti dal Dream Team ed era caduto da un'altezza di almeno tre metri se non di più. La zona di atterraggio era ricoperta di imbottitura, ma lui si era spinto troppo ed era andato a finire contro l'unica cosa pericolosa del gioco: il cornicione di ferro. Non so dire di preciso se fu più forte il rumore dell'osso della gamba mentre si spezzava o l'urlo di dolore atroce che uscì dalla bocca di Minho un secondo dopo. So solo che entrambi i suoni scatenarono in me puro terrore, per questo non riuscivo a muovermi. Restavo immobile a fissare Minho, da lontano, mentre si contorceva a terra per il dolore. Urlava, si agitava, piangeva.
Sì, piangeva. E fu la prima ed ultima volta che lo vidi in quello stato.
Soffriva, era palese. Ma io non riuscivo a fare niente. Perfino i suoi compagni di squadra erano corsi attorno a lui, cercando di dargli il maggior sollievo possibile mentre aspettavano l'arrivo della dottoressa. E io? Cosa stavo facendo?
Niente.
Lo guardavo soffrire e basta.
Ovviamente avrei voluto fare di più. Sarei voluto correre da lui e rassicurarlo, mentre cacciavo via il dolore a pedate. Ma mi resi conto che non ne ero in grado. Se fossi stato al posto suo, lui sarebbe stato il primo a correre da me e a prendermi in braccio, portandomi al sicuro. Io invece ero negato, ero debole.
Lui soffriva ed io ero capace solo di farmi divorare dalla paura e dalla preoccupazione.
Come sarei mai potuto essergli d'aiuto?


Ci mancò poco che non scoppiassi a ridere in mezzo alla strada. Fino a neanche un anno prima, anzi fino al giorno precedente, ero così debole da non riuscire neanche a reagire alle situazioni d'emergenza, mentre ora ne ridevo come se non avessero mai avuto niente a che fare con me.
Ma ne valeva la pena? Ero davvero diventato così forte da poter sopportare di cancellare tutto ciò che era stato o anche questo Taemin, così coraggioso e impertinente, era soltanto l'ennesima maschera?
<< Taemin-ah... >> la voce ansiosa di Kibum mi richiamò ancora una volta << Sei troppo distratto, troppo pensieroso. Forse è ancora troppo presto per te, scusa se ti ho fatto pressione. >>
<< Non ti agitare troppo, Hyung... >> lo canzonai << Davvero, non ho niente! >>
Kibum si limitò a sospirare guardandomi con uno sguardo che non mi piacque per niente.
<< Forza, andiamo a casa! >> mi sorrise.

<< ...E dobbiamo andare a casa prima della partenza di Minho... >> il nostro manager concluse il discorso riguardo ai nostri impegni, per poi allontanarsi rispondendo al telefono.
Prima della partenza di Minho? Che andasse a trovare i suoi genitori?
Mi guardai attorno e notai che gli altri ragazzi si stavano scambiando occhiate fugaci che non mi convinsero per niente, mentre Minho teneva il proprio sguardo volontariamente puntato a terra.
Ingenuamente pensai che qualcosa lo turbasse, perciò lo presi da parte e decisi di chiarire i miei dubbi.
<< Parti? >> gli chiesi candidamente, mostrandomi il più gentile possibile.
<< Sì. >>
<< Vai a trovare i tuoi genitori? >>
<< No. >>
<< Ah. >> rimasi per un attimo perplesso. Il primo dubbio era chiarito, ma questo mi portò ad avere molti altri punti oscuri nella faccenda.
<< E allora dove vai? >>
<< Ehm... >> esito lui, sempre mantenendo il contatto visivo per il minor tempo possibile.
<< Allora? >>
<< San Francisco. >> sputò tutto d'un fiato.
<< San Francisco? >> domandai sempre più stralunato.
<< America. >> puntualizzò lui.
<< So dov'è San Francisco! >> mi spazientii << Solo non capisco cosa ci vai a fare! >>
<< Se proprio devo essere sincero, lo faccio per allontanarmi da te. >> disse con un tono che mi dette ai nervi.
<< Devo essermi perso il momento in cui ti ho fatto qualcosa di male, perchè proprio non riesco a capire perchè ti dovresti allontanare da me! >>
<< Non hai fatto nulla di male, Taemin >> disse scrollando le spalle << Solo non possiamo più stare insieme... >>
In quel momento ebbi la risposta ed arrivò tutta d'un colpo, dritta contro il mio cuore, il quale si sbriciolò nell'impatto con la realtà.
Non avevo fatto niente di male, è vero. Ero stato solo così stupido da convincermi che mi amasse.
Rimasi in silenzio ripetendo tra me e me le sue parole, cercandovi un significato diverso che sfortunatamente non trovai. Vidi le sue labbra muoversi, ma il suono non raggiunse le mie orecchie. Chissà cosa stava dicendo... Non che me ne importasse, certo. Non mi amava. Non lo aveva mai fatto. Punto. Non mi interessava nient'altro. Poteva tenersi per sé le sue stupide e false scuse, io non me ne facevo di niente.


Camminando lungo la via di casa con Kibum di fianco a me pensai che, anche se inizialmente la mia era solo una maschera, avrei fatto di quella maschera il mio punto d'appoggio, la mia forza.
Mi aveva chiesto di dimenticarlo? Bene, lo avrei fatto.
Perfetto. Ascolta attentamente Choi Minho: questa è l'ultima volta che ti permetto di ferirmi così. Adesso non ti perdono più, per me non esisti più. Non mi arrabbierò più per una persona come te. Dovrei forse sopportare altri drammi? Ma dimmi, per chi? Per te? No. Le tue bugie hanno torturato il mio cuore anche per troppo tempo.
Io mi lascerò tutto quanto alle spalle. La tua cattiveria mi scivolerà addosso. Ti saluto. Eh sì, hai capito bene: questo è un addio.
Non mi ferirai mai più.
Vai pure via, ti lascio andare.
Lascerò che piova finchè tutto il mio amore per te non si sarà trasformato in odio.
Per ora non sono così forte da superarti fingendo indifferenza, ma ho iniziato a muovermi.
A breve ti sarò almeno un gradino sopra.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3: Don't be afraid of what you are. ***


Haru's Corner: Ecco finalmente il terzo capitolo. Scusate il ritardo assurdo, ma ho avuto diversi problemi. Spero che sia di vostro gradimento e vi ricordo che commenti e recensioni sono sempre ben accetti! Alla prossima! Ciao!

Aspettando l' alba.
 
Capitolo 3: Don't be afraid of what you are.

 
 
Il freddo vento invernale sferzava violento pungendomi l'unica parte del viso che ero stato costretto a lasciar scoperta per poter vedere, mentre l'aria gelida trapassava senza fatica i tripli strati di vestiti che stavo indossando, penetrando fino alle ossa e causandomi quindi una serie di brividi inconsulti che mi scuotevano dalla testa ai piedi.
<< Hyung, muoviti ad aprire quella dannata porta! >> l'urlo di JongHyun arrivò puntuale come un orologio svizzero. Dopotutto erano quasi cinque minuti che Jinki trafficava con un mazzo di chiavi esageratamente grande, al fine di trovare quella con cui avrebbe aperto la porta del dormitorio, mentre noi tre cercavamo di tenere caldi perlomeno gli organi vitali, sebbene fossimo a diretto contatto con i classici venti gradi sotto lo zero di Seoul.
<< Ho fatto, ho fatto... >> mormorò il leader, aprendo finalmente la porta per poi sparire nell'oscurità del corridoio, seguito a ruota da un Kibum troppo infreddolito perfino per lamentarsi.
<< Forza, Taemin-ah! Entra! >> JongHyun mi spinse poco galantemente in casa per poi catapultarsi a sua volta dentro subito dopo, continuando a mormorare qualcosa riguardo cantanti falliti a causa di sinistre perdite di voce.
Rimasi un paio di secondi a fissarlo perplesso, chiedendomi se il freddo gli avesse per caso ibernato l'ultimo neurone superstite. Con una scrollata di spalle mi trascinai a passo pesante fino alla mia camera da letto, tirandomi dietro la gigantesca valigia.
Arrivato sulla soglia della stanza, abbandonai il bagaglio e corsi con la mano sulla fredda superficie della parete alla ricerca dell'interruttore della luce. Lo trovai e lo premetti ma, non appena la luce invase la stanza, sentii lo stomaco chiudersi in una morsa e il cuore balzare in gola, dove pulsava dolorosamente.
Ebbi la devastante sensazione di essere finito nella casa di un perfetto estraneo: la mia collezione di scarpe era disordinatamente posta alla rinfusa lì dove l'avevo lasciata prima di partire, così come la felpa rigirata sul letto e le cuffie del vecchio i-Pod arrotolate e gettate in malo modo sulla scrivania.
Tutte le mie cose erano rimaste così come le avevo lasciate, immerse nel mio totale e caratteristico disordine, ma ciò che mi lasciò senza fiato fu il completo vuoto dell'altra metà della stanza. Ogni suo oggetto era sparito. Non era rimasto niente di lui, neanche un vecchio calzino dimenticato in un angolo. Perfino il suo letto era stato smontato e messo chissà dove.
Non sapevo neanche io cosa mi aspettassi di trovare al mio ritorno, ma certamente non ero pronto ad affrontare una verità così deprimente e soprattutto così evidente.
Riuscivo a percepire il vuoto. Era come se ogni sua minima cosa che mancava in quella stanza mi stesse urlando contro la sua assenza.
Probabilmente fu in quell'esatto momento che realizzai con estrema precisione la gravità della situazione in cui mi trovavo.
Capii che non ce l'avrei fatta da solo.
Sapevo che la depressione era dietro l'angolo, invitante come una torta al cioccolato nella vetrina di una pasticceria, ma soprattutto ero cosciente del fatto che mi sarebbe bastato lo schioccare di due dita per farmi cadere nella depressione più nera, ora come non mai.
<< Taemin-ah! >> la voce di Kibum mi risvegliò dallo stato di intorpidimento << Sto preparando la cioccolata calda, ne vuoi una tazza?>>
<< No, grazie. >> risposi con un sorriso forzato; la fastidiosa sensazione di occlusione alla bocca dello stomaco era tornata a torturarmi.
<< Ok... >> disse con un filo di voce prima di scomparire nel corridoio.
Nel giro di venti secondi però, lo vidi catapultarsi di nuovo all'interno della mia stanza, trascinando Jinki con sé.
Li guardai sbalordito e perplesso, chiedendomi cosa stessero facendo e temendo per la mia incolumità, conoscendo la forza distruttiva dell'elemento "Kim Kibum".
Come avevo giustamente temuto, Kibum mi prese per un braccio, lanciandomi letteralmente fuori dalla mia stessa camera.
<< Jong---! >> urlò quel pazzo furioso << Tieni occupato Taemin finché non avremo finito, va bene? >>
<< Finito di fare cosa, scusa? >> chiesi guardandolo spaesato.
<< Non mi piace la tua stanza, quindi tu stai lontano finché io e Jinki non avremo finito di rimodernarla, ok? >>
<< Ma io stavo per ordinare del pollo fritto... >> cercò di svignarsela il leader.
<< Tu adesso mi aiuterai! >> decretò il più giovane con l'ultima parola, chiudendomi la porta in faccia e bloccando qualsiasi via di fuga al proprio Hyung.
Fissai disorientato la porta chiusa per qualche secondo, finchè la figura di JongHyun che saliva le scale a passo pesante non catturò la mia attenzione.
<< Cosa urlava quel sociopatico? >> mi domandò con il suo classico sopracciglio alzato.
<< Ha detto che devi tenermi compagnia finché lui e Jinki-Hyung non hanno finito di sistemarmi la stanza. >> risposi citando le parole del folle.
<< Perchè non può farlo JongHyun? >> la voce di Jinki ci arrivò ovattata da dietro la porta.
<< Perchè lui non ne è capace! E aiutami a spostare 'sta roba! >> rispose esasperato Kibum.
<< Andiamo via prima che cambi idea e mi costringa a fare chissà cosa! >> JongHyun mi trascinò fino alla camera che condivideva con Kibum e si buttò a pelle d'orso sul letto.
Lo seguii esitante, sedendomi sulla poltrona girevole.
<< Allora, Taemin? >> il cantante cercò un appiglio per iniziare una conversazione << Cosa mi racconti? >>
<< Niente di che >> risposi con un'alzata di spalle << Non ho fatto molto in questi ultimi tempi, a parte sprecare il mio tempo attenggiandomi ad ameba. >>
<< Sai Taemin, forse ti sembrerà un po' scontato, ma c'è un detto che dice "meglio aver amato e perso che non aver amato affatto! >>
<< Se è per quello Hyung, anch'io ne conosco uno... >> risposi << dice "meglio tacere a passare da idioti che aprir bocca e togliere ogni dubbio!" Lo conoscevi? >>
Il nostro adorato main vocalist mi guardò con un'espressione a metà tra il divertito e l'essere comprensivo.
<< Prova a fidarti del tuo Hyung. >> mi disse in tono quasi paterno.
Scossi la testa cercando di cancellarmi quello stupido sorriso dolceamaro dal viso << L'ultima volta che l'ho fatto ne sono uscito piuttosto malmesso. >>
A quel punto JongHyun si alzò dal suo letto dove era sdraiato e venne a sedersi accanto a me. Mise una mano tra i miei capelli e li scompigliò ridendo.
<< Ah, il nostro piccolo Minnie sta crescendo! >> disse stringendomi con un braccio dietro le spalle << Imparerai a superare anche questi momenti, non preoccuparti. >>
<< Vedremo... >> dissi assecondandolo.
<< Ti va di giocare a carte? >> propose improvvisamente.
<< Va bene. >> acconsentii.
Passarono così, tra una partita e l'altra, qualche battuta, chiacchiere varie e una serie di urla di Kibum, ben tre ore. Sentimmo più volte il leader uscire e rientrare in casa a causa di alcune compere commissionate dalla Diva. Poi, dopo un fin troppo lungo e strano periodo di silenzio che ci fece temere il peggio per il povero Jinki, apparve il fashion-maniac.
<< Ok, ho finito! >> esclamò entusiasta.
<< Certo, io invece sono l'avatar che non ha fatto niente, vero? >> disse un sarcastico e distrutto Jinki.
<< Vai a vedere, Taemin! >> mi consigliò Kibum.
Decisi di assecondarlo e, dopo aver attraversato il corridoio, entrai nella mia camera, quasi elettrizzato e un po' impaurito.
Per i primi secondi rimasi perplesso alla vista di una camera quasi totalmente estranea. Gli spazi erano completamente diversi: riconoscevo la mia stanza, ma Kibum aveva rigirato gran parte del mobilio e fatto piccole modifiche qua e là in modo tale da renderla quasi irriconoscibile. Era carina, forse un po' troppo rosa, ma mi piaceva.
Soprattutto perchè adeso il senso di vuoto era sparito: non era come se l'assenza di Minho occupasse lo spazio, era come se Minho non fosse mai esistito.
Corsi alla finestra spalancandola e, ignorando i lamenti per il freddo dei bandmates, mi cullai nel vento gelido per qualche secondo, permettendo al freddo di insinuarsi fino alle ossa, svegliandomi.
<< Hyung? >> chiesi voltandomi verso Kibum << E' ancora valida l'offerta per la cioccolata calda di prima? >>
<< Umma te la prepara subito! >> rispose correndo in cucina, trascinandosi dietro anche Jinki e JongHyun.
Regalai alla notte un ultimo sorriso e lentamente chiusi le ante della finestra.
Avrei definitivamente cancellato Minho dalla mia vita.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4: Never show your true feelings. ***


Haru's bla bla bla: Salve a tutte! Eh, sì: sono tornata! Mi dispiace di farvi aspettare così tanto tra un capitolo e l'altro, ma (come ho già detto mille e più volte) portare avanti due long fics contemporaneamente e, nel frattempo, fare anche la quinta liceo è un'impresa piuttosto ardua. In ogni modo, mi sono affrettata ad aggiornare questa fic perchè, in un atto di masochismo puro, ho deciso di iniziare a scrivere un'ulteriore long fic che sarà interamente ispirata dalla mia esperienza a Parigi (solo 10 giorni alla partenza! Sono così emozionata! :3) nella quale racconterò ogni singola emozione e/o evento che accadrà al Music Bank e alla mia vacanza di quattro giorni a Parigi, in generale! ;) Spero che seguirete anche quella storia in futuro, ma per il momenti godetevi questo nuovo capitolo di "Aspettando l'alba"! Grazie a tutti quelli che mi hanno scritto e letteralmente coperta di complimenti: siete decisamente troppo gentili! *manda baci* Vi ricordo che commenti e recensioni sono sempre ben accetti! ;) Alla prossima! (sperando che sia il prima possibile :P)

Capitolo 4: Never show your true feelings.


Potevo percepire i tiepidi raggi del sole d'inizio Maggio riscaldarmi la pelle e la leggere brezza scompigliarmi i capelli mentre correvo veloce verso casa, con le cuffie dell'i-Pod ben inserite nelle orecchie; nonostante il fiato corto e il pesante borsone sulle spalle, feci l'intera scalinata correndo. Una volta arrivato di fronte alla porta di casa suonai il campanello, saltellando sul posto a tempo di musica. Danzai per qualche secondo trascinato dalla melodia e suonai nuovamente il campanello. Attesi mezzo minuto, ma non ricevetti risposta.
<< Perchè ci mette così tanto?? >> chiesi fra me e me aggrottando le sopracciglia e suonando per la terza volta. Nessuno venne ad aprirmi perciò, sbuffando, presi il mio mazzo di chiavi da una tasca laterale del borsone ed aprii la porta.
<< Ma dove è finito? Eppure aveva detto che sarebbe rimasto in casa... >> mi chiesi, entrando. Feci un rapido giro dell'abitazione, scoprendola deserta e, solo nel momento in cui feci per entrare nella mia camera e posare il borsone, mi accorsi che c'era un biglietto attaccato alla porta.

"Taemin-ah~ Sei di nuovo in ritardo! La devi smettere di allenarti così tanto o finirai con il sentirti male! Comunque, sono dovuto uscire per un impegno improvviso, ma sarò a casa molto presto: spero di trovarti lì al mio ritorno, altrimenti...
Se hai fame ti ho lasciato qualcosa di già pronto nel frigo. A dopo!"

Key Umma.

Lessi con un sorriso il messaggio scritto da Kibum con tanto di minaccia lasciata in sospeso e scesi in cucina. Trovai dei NaengMeyon e mi ci fiondai sopra affamato.
Ero uscito la mattina presto per andare ad allenarmi come d'abitudine, ma mi ero trattenuto in sala da ballo un bel po' oltre l'orario di pranzo e adesso ero affamato da morire. Finii l'intera porzione e poi mi avventai su del pollo avanzato e messo da parte probabilmente da Jinki. Sapevo che l'avrei pagata cara una volta che il leader fosse tornato a casa, ma in quel momento tutto ciò che desideravo era porre fine alla fame e quel pezzo di pollo sembrava urlarmi in faccia "mangiami"!
Terminato il vorace pasto, detti una sistemata al campo di battaglia che era divenuta la cucina dopo il mio arrivo e, proprio mentre stavo nascondendo le prove del mio pollicidio, sentii suonare il campanello. Oltrepassai il salotto fischiettando e, prima di aprire la porta, mi soffermai davanti allo specchio per ravviarmi i capelli che adesso erano più corti e del colore del fuoco, e notai che ero cresciuto almeno tre o quattro centimetri da qualche mese a quella parte. Mi accorsi che stavo facendo aspettare Kibum e mi affrettai ad aprire la porta: non volevo una spedizione punitiva degli Hyungs contro di me, quindi era meglio comportarsi da bravo maknae.
<< Bentornato Hyung~ >> urlai aprendo la porta di scatto, ritrovandomi la faccia perplessa del postino che mi fissava scandalizzato.
Oh, diamine. La devo smettere di aprire la porta senza controllare prima chi c'è ad aspettarmi dall'altra parte.
<< B-buongiorno... >> lo salutai inchinandomi, mentre le guance raggiungevano la stessa tonalità dei capelli.
<< Buongiorno. >> mi rispose lui sorridendo e porgendomi una lettera << Ho una consegna per Lee Taemin-ssi. E' lei? >>
<< Oh, sì. >> risposi afferrando la lettera e gettandole un'occhiata.
<< Ok, perfetto. >> disse lui allungandomi una cartella dove depositai la mia firma << Arrivederci. >>
<< Arrivederci... >> risposi con voce flebile richiudendo la porta dietro di me.
Ritornai in casa e salii nella mia camera a passi pesanti leggendo nuovamente il nome del mittente, sperando di aver letto male la prima volta, ma un secondo e terzo controllo mi confermarono che la mia ansia era giustificata: il nome Choi MinHo risaltava sulla candida carta delle lettera come sangue sulla neve.
Non avevo la minima intenzione di leggere quella lettera che bruciava come fuoco vivo tra le mani, anzi, la mia intenzione era quella di stracciarla in mille e più pezzi per poi bruciarli. Non riuscivo a gestire la rabbia che provavo dentro di me. Se ne era andato senza farsi troppi problemi e non avevo avuto nessuna notizia di lui per mesi; ormai la mia vita aveva assimilato nuovi orari, nuovi impegni e, soprattutto, nuovi interessi. Ma allora perchè ancora lui? Perchè adesso? Proprio adesso che avevo imparato a vivere e a respirare di nuovo, lui tornava a distruggere tutto quello che avevo creato? Durante la sua assenza avevo creato nuovi ricordi. Per sopportare il dolore rifiutavo quello che ora era divenuto il mio passato e avevo imparato ad associare la sua faccia a quella di un perfetto sconosciuto. Ormai il mio interesse per lui era inferirore a quello che avevo per il cambiamento del livello delle maree.
Ormai avevo una vita diversa e lui non ne faceva più parte.
<< Per me non esisti più. >> dissi strappando la lettera a metà e, nello stesso istante, mi arrivò alle orecchie il rumore della porta di casa che si chiudeva con un tonfo.
<< Taemin-ah~ Sono a casa~ >> la voce di Kibum mi giunse come un trillo e, spaventato dal fatto che potesse scoprire la lettera, mi affrettai a nasconderla in un cassetto della scrivania, sotto altri foglie e cianfrusaglie varie, affinchè nessuno la trovasse mai.
<< Sono qui, Hyung! >> risposi uscendo dalla camera e correndo giù per le scale con un sorriso forzato stampato sul volto << Sono qui. >>


I mesi passavano e le lettere continuavano ad arrivare con la media di una ogni due settimane. Fortunatamente fui abile abbastanza da farle sparire prima che finissero nelle mani di uno degli Hyungs. Adesso si trovavano impilate una sull'altra assieme alla prima che avevo ricevuto e che avevo strappato, ben nascoste nel cassetto della scrivania.
Ovviamente nessuna di quelle lettere era stata letta, ma era stata semplicemente messa nel dimenticatoio e fatta sparire.
In un'afosa giornata di metà Luglio, stavo vagando per la casa in preda a febbre alta e violenti brividi, quando l'improvviso squillare del telefono mi fece sobbalzare dalla paura. Probabilmente era Kibum che voleva sapere come stavo: mi aveva avvertito che mi sarei ammalato a forza di allenarmi così tanto, ma non potevo evitarlo. Danzare mi faceva sentire libero dai pensieri. Comunque, mi avvicinai barcollante all'apparecchio per rispondere, dato che gli altri membri erano fuori per impegni lavorativi, ai quali non avevo potuto partecipare a causa della febbre.
<< Pronto? >> dissi parlando dentro la cornetta, con gli occhi chiusi e la fronte premuta contro la parete fredda alla ricerca di qualsiasi tipo di sollievo.
<< Taemin... >> mi rispose una voce flebile dall'altra parte. Gli occhi si aprirono di scatto, fissando impauriti il muro bianco. Le mani e le gambe ebbero un fremito e riuscii a rimanere in piedi per miracolo.
<< MinHo... >> cercai di dire, ma dalla mia bocca uscì solo una specia di sussurro smorzato.
<< Taemin... >> ripetè con quella voce incredibilmente bassa e stanca << Sto morendo... >>
<< Cosa? >> quasi urlai << Hyung... Hyung! Cosa hai det... >> mi bloccai, così come fece il sangue nelle mie vene, non appena sentii la linea morta del telefono.
Rimasi immobile per qualche secondo e quando finalmente realizzai la situazione, corsi a perdifiato fino in camera. Una volta lì presi un paio di vestiti a caso e li pigiai dentro una valigia, poi presi il portafoglio con tutti i contanti che riuscii a trovare in casa e i documenti.
Passati neanche tre minuti ero già fuori casa, correndo lungo la via. Sentivo le gambe molli e la testa incredibilmente leggera, ma continuai a correre nonostante rischiassi di rovinare a terra da un momento all'altro. Spuntato nella via principale cercai di fermare un taxi qualsiasi, gettandomi letteralmente in mezzo alla strada.
Appena riuscii ad attirare l'attenzione di uno di questi mi ci infilai dentro immediatamente e ignorai l'espressione semi-sconvolta del tassista.
<< All'aeroporto di Incheon. >> dissi ancora con il fiato corto << Se ci arriviamo in meno di dieci minuti, le pago doppio la corsa! >>


Il tempo sembrava essersi fermato in un eterno panorama di tramonti ed albe, incorniciato dal freddo metallo del finestrino, mentre l'aereo si preparava all'atterraggio. Sigillai le mani attorno le ginocchia non appena percepii il cambiamento di pressione attorno a me e attesi di poter scendere. Una volta fatto ciò e recuperata la mia piccola valigia, mi catapultai fuori e chiamai un taxi che mi portò a una delle tante vie principali della città. Sceso dal taxi ebbi un capogiro talmente forte che mi costrinse a sedermi su una panchina per qualche minuto: la febbre alta, l'angoscia per la condizione misteriosa di MinHo, le poche ore di sonno, il viaggio estenuante e il caldo torrido del sole estivo di San Francisco avevano creato un insieme di situazioni che non riuscivo a gestire. Mi tolsi la leggera felpa e la stivai dentro la valigia, prendendo un paio di respiri profondi, alla ricerca di un po' d'aria fresca che sembrava inesistente nel territorio ostile che mi circondava. La stanchezza gravava su di me come un macigno, ma l'ansia mi spinse a iniziare le mie ricerche: dato quel poco o niente di cui ero a conoscenza, scelsi d'iniziare a cercarlo negli ospedali che mi sembrarono il luogo più adatto. Ne trovai uno non molto lontano e vi entrai chiedendo informazioni in un inglese più che scarso.
<< We have no patients named Choi Minho, I'm sorry. >> mi rispose cordialmente la donna al banco di accettazione.
<< Ok. >> dissi con un accento vergognoso << Thank you. >>
Uscii dalla struttura con un senso di delusione, ma cercai di non darci troppo peso. Dopotutto San Francisco era una città immensa e sarei stato decisamente fortunato a trovarlo al primo colpo. Comprai una cartina della città e segnai tutti gli ospedali che vi trovai, per poi partire di nuovo alla ricerca. Ne scartai uno dopo l'altro; non importava a chi chiedessi, la risposta era sempre negativa e più di una volta mi trovai un muro davanti, sentendomi dire che non potevano divulgare notizie simili a sconosciuti. Non aveva importanza se era qualcosa che per me poteva fare la differenza tra la vita e la morte e purtroppo non riuscivo a spiegarlo a causa della barriera linguistica. Probabilmente pensavano che fossi un pazzo uscito da chissà dove, con il mio inglese stentato e gli occhi lucidi a causa della febbre.
A fine giornata, con dieci ospedali visitati e nessuna informazione in mano, mi sedetti sul bordo del marciapiede, prendendomi la testa fra le mani. Mi sentivo come se il mio cervello stesse per scoppiare. Avevo vissuto due volte lo stesso giorno, effettivamente, viaggiando da Seoul a San Francisco. Mi sembrava un'assurdità che fossi riuscito a fare tutto ciò in un'unica lunga giornata di quarantotto ore. Alzai lo sguardo sui pochi passanti che ancora popolavano la strada a quell'ora e, per la quarta volta in quel giorno, ritrovai MinHo in un ragazzo, il quale si rivelò a una seconda occhiata più attenta semplicemente un alto ragazzo asiatico. Con un tuffo al cuore, il mio sguardo si posò successivamente su una cabina telefonica, di quelle che popolavano le città poco più di dieci anni prima. La raggiunsi velocemente, ma la mia euforia calò di botto quando realizzai il fatto che non ricordavo più il suo numero e che il mio cellulare si trovava a decine di migliaia di chilometri di distanza, a Seoul, per non poter essere rintracciato. A quel punto non riuscii più a trattenere le lacrime che portarono con loro rabbia e tensione. Non solo ero stato così stupido da non riuscire a nascondere i miei sentimenti, ma non ero riuscito neanche a ottenere quello per cui ero fuggito da casa. Cosa avevo in mente di fare? Non sapevo mettere insieme una frase in inglese con un minimo di senso e, soprattutto, l'idea che MinHo non si trovasse più in quella città si stava facendo strada tra i miei pensieri e si stava insinuando sempre di più tra le mie paure.
Che stupido che ero stato. Per quanto ne sapevo, lui poteva benissimo trovarsi dall'altra parte del mondo e io, che mi preoccuavo come un matto per lui, non mi ero minimamente fermato a pensare agli Hyungs che probabilmente stavano morendo d'ansia, chiedendosi dove fossi finito. Con tutto quello che loro facevano per me, io me ne ero andato senza lasciare neanche un messaggio. Riuscivo a immaginare la scena: loro che tornavano dopo una giornata di lavoro e non trovavano più il loro adorato maknae malato che avevano lasciato a casa a riposare. Poveri Hyungs. Che ingrato che ero.
Con questo pensiero e un pesante senso di colpa, cercai un taxi e mi feci accompagnare all'aeroporto dove comprai un biglietto di sola andata per Seoul, che pagai con la carta. Attesi l'arrivo del volo per un paio d'ore e feci il check-in. Una volta salito sull'aereo, sprofondai nel sedile e socchiusi gli occhi. Sentivo che sarei scivolato nel mondo dei sogni da un momento all'altro e , agganciata la cintura di sicurezza, attesi la partenza.
Poi, mentre l'aereo prendeva velocità lasciandosi dietro una realtà estranea, finalmente mi abbandonai al niente.  

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Capitolo 5
*** Capitolo 5: I won't let you stop me, for any reason in the world. ***


Haru's blablabla: Eccomi di nuovo qua, con un nuovo capitolo. Anzi, questo è un capitolo un po' particolare, un capitolo un po' di...svolta! :P Dopotutto si tratta del penultimo capitolo (ebbene sì, il prossimo sarà l'ultimo, al quale seguirà un epilogo che dichiarerà la vera fine di questa storia) e piano piano tutti i nodi stanno venendo al pettine... Ma non voglio anticiparvi niente, per il momento! :P Con tutta la fatica che ho fatto nello scriverlo, spero almeno che sia venuto fuori un lavoro decente. A proposito: la mia Beta non ha potuto nè rivedere nè correggere il capitolo perciò, se trovate degli errori, per favore chiudete un occhio per questa volta, ok? ;P Detto questo vi lascio alla lettura del capitolo, sperando che sia di vostro gradimento e...mi raccomando: recensite in tanti! :D Bye bye, alla prossima!

Waiting for the dawn.
Capitolo 5: I won't let you stop me, for any reason in the world.
 
Arrancando su per le scale esterne del condomio, mi trascinavo dietro il borsone che avevo utilizzato come valigia, ignorando che giorno fosse, ormai stanco e spossato a causa del viaggio, della febbre e del carico di emozioni che mi portavo sulle spalle. Solo il sole che si apprestava a tramontare, portando via con sè parte del caldo afoso di quella giornata, mi suggeriva che era quasi giunta l'ora di cena.
Praticamente arrivato alla porta di casa mi spaventai quando vidi questa spalcancarsi improvvisamente e sobbalzai su me stesso irrigidendomi, quando il mio orizzonte fu completamente invaso dal viso furioso di Kibum.
<< Dove. Sei. Stato?! >> mi urlò a pochissimi centimetri dal viso << Hai idea di quanto ci hai fatto stare in ansia? Al nostro ritorno, non solo non ti troviamo più dove ti avevamo lasciato malato, ma non sapevamo neanche dove tu fossi; scomparso da giorni, il cellulare in casa, tu da solo chissà dove... >>
<< Kibum-ah, basta. >> s'intromise JongHyun frapponendosi fra me e Key, abbracciandomi << Non lo vedi che sta male? >>
<< Mi dispiace, Hyung... >> cercai di dire, ma il lead vocalist mi zittì e mi strinse ancora più forte.
<< L'importante è che sei tornato sano e salvo... >> mi bisbigliò ad un orecchio << Ma tu scotti! >> esclamò poi portando una mano alla mia fronte e constatando quanto malato fossi << Vieni dentro. >> disse infine trascinandomi in casa e chiudendo la porta dietro di sè, una volta che anche Kibum fu entrato, portandosi dietro la mia valigia.
<< Taemin-ah? >> la voce di Jinki lo anticipò di mezzo secondo, quando vidi la sua testa spuntare dalla zona cucina e fissarmi quasi come se fossi un fantasma.
<< Hyung, mi dispiace... >> mi avvicinai titubante, aspettandomi un' ulteriore sfuriata, ma mi fermai non appena mi accorsi che impallidiva sempre di più man mano che la distanza tra di noi diminuiva << Hyung, stai bene? >>
<< Sì, sì... >> rispose riprendendosi, ma il tono con cui pronunciò quelle parole non mi piacque per niente.
Mi guardai attorno e mi accorsi che anche gli altri ragazzi fissavano imbarazzati il pavimento, ben attenti a non incontrare il mio sguardo.
<< Perchè vi comportate così? >> domandai alterandomi. << Mi state nascondendo qualcosa? >>
<< Taemin... Sto morendo... >>
Improvvisamente quella frase mi rimbombò nella mente come un fulmine a ciel sereno.
Che sapessero qualcosa della condizione di MinHo e che mi stessero nascondendo qualcosa di importante al riguardo? Perchè sembravano tutti così terrorizzati all'idea di dirmi come stavano le cose? Perchè mi evitavano? Perchè non si decidevano a parlare? Che fosse successo qualcosa di brutto a... No, non riuscivo neanche a pensarlo.
Un fortissimo giramento di testa mi fece traballare e se non fosse stato per gli ottimi riflessi di JongHyun, il quale mi afferrò al volo, sarei sicuramente rovinato a terra.
Anche gli altri Hyungs si raccolsero attorno a me, chiamando il mio nome e cercando di farmi riavere, quando improvvisamente udii la sua voce chiara e limpida, in mezzo a quel vociare confuso, pronunciare il mio nome. Non avevo idea se quel suono fosse reale o solo frutto della mia immaginazione, perciò feci richiamo a tutte le mie forze e, non so neanche io come, riuscii ad aprire gli occhi e ad alzarmi in piedi e mi sentii inspiegabilmente bene, ma nonostante ciò, Jinki continuava a fissarmi preoccupato, come se fossi sull'orlo del precipizio, pronto a caderci dentro di nuovo.
E lui stava lì, di fronte a me, e improvvisamente mi resi conto che tutti i miei sforzi erano stati invani: lui, talmente bello da strappare in mille pezzi ogni singolo frammento di ricordo che conservavo di lui, mi osservava con quegli occhi grandi e le labbra piene arricciate in un broncio quasi infantile.
Non riuscivo a capire come fosse possibile e, per un secondo, mi domandai se fosse reale o meno: non lo avevo mai visto così in salute, con gli occhi svegli e la pelle luminosa. Come poteva stare male? Come poteva essere a un passo dalla morte? Cosa ci faceva a Seoul? Non era a San Francisco? Forse ero stato troppo avventato, forse avevo capito male. Sentivo però che c'era qualcosa che mi sfuggiva, ma non riuscivo a capire cosa fosse.
E poi lui mi sorrise, ma era un sorriso strano. La schiera di denti perfettamente bianchi mi invitava a correre tra le sue braccia, ma ciò che m'impedì di farlo era lo sguardo: i suoi occhi non sorridevano, ma mi guardavano con aria compiaciuta, quasi strafottente e in quel momento realizzai che mi stava osservando come se fossi uno dei suoi premi sportivi e capii che per lui non ero altro che un obbiettivo, qualcosa da conquistare. Di nuovo.
In quell'attimo ogni traccia di timore e angoscia sparì dal mio viso e la mia espressione si trasformò, irradiando rabbia. 
<< Ciao Taemin. >> pronunciò di nuovo il mio nome.
<< MinHo... >> lo salutai a mia volta, se così può essere definito, dato il tono di voce con cui parlai.
<< MinHo? >> scoppiò a ridere << Che ne è stato del caro e vecchio "Hyung"? Dove è finita la tua educazione? >>
<< E' andata a farsi fottere insieme al mio rispetto per te! >> sputai velenoso, assottigliando talmente tanto gli occhi da renderli due fessure.
<< Non potresti essere un po' più gentile? >> disse con voce innocente avvicinandosi sempre di più << Dopotutto non ci vediamo da così tanto tempo... >>
<< E credevo che non ci saremmo mai più rivisti. >> piegai la testa da un lato, squadrandolo << Sbaglio o fino a un paio di giorni fa stavi per morire? >>
<< Ah, giusto. Quella telefonata. >> sembrò ricordare dopo un attimo di esitazione << Credevo di essermelo sognato, ma a quanto pare l'ho fatto davvero. Credo però che ci sia stato un malinteso... >>
<< Di che diamine stai parlando, MinHo? >> quasi urlai, a causa di tutta la rabbia che stavo tentando di trattenere.
Lui azzerò la distanza tra di noi e mi sfiorò una guancia con la mano in un gesto esaperatamente lento, ma non riuscivo a cacciarlo, rimanevo in attesa di una risposta che ancora mi veniva negata, con lo sguardo incatenato al suo. Con la coda dell'occhio notai come Jinki ci osservava ansioso, lui che era quasi morto dalla preoccupazione quando aveva visto MinHo avanzare verso di me.
<< Non negherò quello che ti ho detto l'altro giorno, ma temo che tu  sia stato troppo precipitoso. Quella sera avevo bevuto parecchio e, come ogni volta che alzo troppo il gomito, finisco col rimurginare su vecchi ricordi rendendomi una specie di ameba depressa. Per questo ti ho chiamato: quella notte ho realizzato che mi era impossibile starti lontano, ho realizzato che stavo morendo a causa della tua mancanza. Per questo sono tornato. Non stavo facendo altro che autodistruggermi. Sono qui per il tuo perdono. >> concluse il suo discorso con enfasi, avvicinando pericolosamente le sue labbra alle mie.
Mi allontanai rapidamente, spostandomi di lato con una risata sprezzante, tornando poi a fissarlo con disgusto, man mano che il sorriso amaro si spengeva sulle mie labbra.
Quindi la sua era solo una morte metaforica? Una specie di messa in scena per farmi correre di nuovo da lui come un cagnolino con la coda fra le gambe? Non gli era passato neanche dall'anticamera del cervello che io potessi pensare che lui stesse male, che stesse per morire e quindi preoccuparmi per quell'idiota? Ma chi si credeva di essere? Anzi, chi credeva che io fossi, da pensare di potermi trattare così? Lui non sapeva, neanche immaginava, attraverso quanto dolore avevo vissuto io per tutto quel tempo. Non aveva neanche la benchè minima idea di quanto vicino fossi arrivato alla vera morte da quando lui era partito.
Gettai un'occhiata veloce agli altri ragazzi che avevano assistito a tutta la scenetta melensa zitti come mosche e, ancora ammutoliti, attendevano una mia ipotetica risposta.
Mi avvicinai lentamente, stampandomi un sorriso in faccia.
<< Oh, Hyung... >> dissi ammorbidendo il tono della voce << Non pensavo che ci fosse dietro tutta questa storia, ma sono felice che tu sia ancora vivo. >>
<< Davvero? >> i suoi occhi brillarono per l'emozione mentre, incauto, si avvicinava sempre di più a me.
Era quasi scontato che la sua felicità fosse dovuta alla mia decisione di resa e, molto probabilmente, si aspettava che corressi fra le sue braccia, pronto ad essere di nuovo il suo giocattolino. Peccato solo che non ne avevo la minima intenzione. Il sorriso che mi impegnavo a mostrare come il più sincero possibile scomparve rapido, la mano destra si chiude a pugno e con la sinistra afferrai il colletto della sua camicia di cotone con rabbia.
<< Sì, così posso ucciderti con le mie stesse mani! >> esplosi infine colpendolo il più violentamente possibile al volto.
MinHo cadde per terra e io mi gettai su di lui continuando a tempestarlo di pugni. Ogni colpo che gli assestavo portava con sè mesi interi di sofferenza, di ansia, di rabbia, di disperazione. Ogni volta che o colpivo pensavo al perchè lo stavo facendo e, mentre i pugni aumentavano d'intensità, mi ritrovai con il volto rigato di lacrime.
Sia JongHyun che Kibum tentarono di farmi calmare, ma non fecero altro che prendersi entrambi una gomitata da parte mia, Kibum nelle costole e JongHyun alla base del collo.
Per quanto rigurdava MinHo vederlo immobile sotto di me aiutò solo a farmi infuriare ancora di più: se ne stava lì, senza reagire in alcun modo, limitandosi a proteggersi il volto con le braccia incrociate sopra di esso, lasciando che mi sfogassi. Ebbene, se le cose stavano così allora mi sarei sfogato: mi sarei sfogato per tutto.
 Ma, proprio mentre stavo per sferrare l'ennesimo cazzotto, JongHyun mi afferrò da dietro le spalle e mi tirò via con forza, separandomi da MinHo, il quale si stava rialzando aiutato da Kibum e Jinki.
<< Lasciami! >> gridai ripetutamente << Lasciami andare, Hyung! >>
<< Non finchè non ti sarai calmato. >> asserì lui.
 Cercai allora di divincolarmi dalla sua presa ferrea, ma non potetti fare niente con le braccia muscolose di JongHyun che bloccavano gran parte dei miei movimenti.
Mi allontanò ancora di più, trascinandomi dall'altra parte della stanza. 
Stavo facendo del mio meglio per calmarmi, aiutato anche dalle parole di conforto di JongHyun, quando la voce di jinki mi giunse alle orecchie.
<< Dormirai nella mia stanza per il momento, c'è abbastanza spazio per entrambi... >> lo sentii dire rivolto a MinHo.
<< Cosa? >> esplosi nuovamente e, in un attimo, JongHyun mi afferrò per i polsi al fine di bloccare ogni mio ipotetico tentativo di prendere ancora a pugni la faccia del rapper. Mi liberai lentamente dalla sua presa e con lo sguardo gli feci capire che non ne avevo la minima intenzione: le nocche insanguinate e doloranti delle mie mani mi avrebbero fatto desistere comunque.
<< Taemin-ah, non fare il bambino... >> cercò di mediare subito il più grande.
<< Non sto facendo il bambino! >> dissi << Ma non sono neanche uno stupido! >>
<< Taemin-ah... >> cercò di interrompermi lui.
<< Non lo voglio vicino a me! Non lo voglio in casa mia! >>
<< Taemin... >>
<< La sua persona mi disgusta. Non voglio vederlo neanche da morto, mi... >>
Non riuscii a finire la frase perchè lo schiaffo di Jinki arrivò rapido e secco a colpirmi il volto. Mi portai una mano insanguinata alla guancia e lo fissai esterrefatto: Jinki non aveva mai alzato le mani su di noi. Mai. Era la prima volta che perdeva la pazienza così tanto da arrivare a colpire qualcuno, me in particolare.
Il suo sguardo infuriato mi metteva in soggezione, ma volevo davvero esprimere le mie motivazioni e, superando la paura, tentai nuovamente di parlare.
<< Ma io... >>
<< Basta, Taemin. >> mi interruppe subito, con un tono di voce che mi fece rabbrividire e zittire immediatamente << Non voglio mai più sentire certe frasi uscire dalla tua bocca. Adesso chiedi scusa a MinHo e vai a dormire. Il tuo cervello non funziona come dovrebbe, stasera. >>
<< Non ho niente di cui scusarmi con lui. >> sputai facendo un mezzo cenno con la testa nella sua direzione. 
<< Sono io che detto le regole qui dentro. Non tu. >>
Decisi di non aggiungere altro, in quanto era una battaglia persa in partenza e mi arresi all'autorità del leader.
Guardai con disprezzo MinHo un'ultima volta, evitando accuratamente di scusarmi così come lui evitava volontariamente il mio sguardo, poi mi avviai a passo provocatoriamente lento verso le scale, ricacciando indietro le lacrime di indignazione che minacciavano di uscire da un momento all'altro.
<< Minnie-goon... >> disse Kibum con tono dispiaciuto, cercando di trattenermi afferrandomi delicatamente per un polso.
Lo strattonai via con forza e salii in camera, sbattendo violentemente la porta dietro le mie spalle, causando volontariamente più rumore possibile.
Mi gettai sul letto portandomi le mani doloranti sul viso, cercando di calmarmi. Guardai fuori dalla finestra e notai che aveva appena iniziato a piovere. Le gocce di pioggia che scivolavano lente lungo il vetro mi riportarono indietro nel tempo e mi ritrovai a rivivere il momento in cui pensavo seriamente che non ce l'avrei fatta.
Eppure ero ancora lì, forse anche più forte di prima.
Pieno di dolori, ma forte abbastanza da sopportarli.
In lacrime, ma ancora con la forza di tornare a sorridere.
Piegato, ma non spezzato.
No, questa volta non avrei permesso a nessuno di fermarmi, per nessuna ragione al mondo. Così, fissando il lento scivolare della pioggia, caddi in un sonno profondo.
 
La mattina successiva mi svegliai con un fortissimo mal di testa. Avevo l'impressione che la febbre fosse passata, ma mi sentivo come se fossi finito sotto un tir in corsa. Aprii lentamente gli occhi e lo sguardo mi cadde sulle mani piene di sangue rappreso e, lentamente, un miscuglio di ricordi cominciarono a riaffiorarmi nella mente, man mano che questa diveniva sempre più lucida.
<< Non ti sembra un tantino troppo rosa? >> la sua voce arrivò nel momento esatto in cui mi aspettavo di sentirla.
Alzai lo sguardo verso la fonte da cui proveniva la sua voce e incontrai il suo sguardo. Notai che il viso era pieno di piccoli tagli e tumefazioni, incluso un labbro spaccato e un grande ematoma violaceo sotto l'occhio sinistro. L'avevo conciato seriamente male, ma qualcosa nei suoi occhi era cambiato: sembrava quasi sincero e, per paura di finire col credergli, distolsi rapidamente lo sguardo.
<< A me piace così. E adesso esci immediatamente dalla mia stanza se non vuoi che ti spacchi nuovamente la faccia. >>
<< Tua? Un tempo questa era la nostra stanza. >>
<< Un tempo le cose erano molto diverse da come lo sono adesso. >>
<< Per favore, non fare così. Capisco che tu possa essere arrabbiato per quello che ho scritto nelle lettere, ma ti ho anche già detto che... >>
<< Io non ho letto le tue lettere. >> lo interruppi, aggrottando le sopracciglia.
A cosa si riferiva? Non avevo la minima idea di che cosa potesse esserci scritto dentro quelle lettere.
<< Mai? >> domandò sorpreso, rimanendo interdetto per un attimo << Neanche una? >>
<< No. >> la cosa mi stava incuriosendo.
<< Ah. Beh, forse è meglio così, a questo punto... >> disse più rivolto a se stesso che a me.
Mi misi a sedere sul letto rimurginando a cosa aveva appena detto, fissandolo di traverso. Cosa c'era mai scritto in quelle lettere, da essere potenzialmente capace di farmi infuriare ancora di più? Che diamine mi stava nascondendo ancora?
Lui sospirò e, puntellando i gomiti sulle ginocchia, si sporse in avanti, appoggiando il mento sopra le mani giunte.
Lo guardai a metà tra il sospettoso e il curioso, aspettando di sentire cosa aveva da dirmi e mi chiesi perchè mai dovessi sempre finire a dargli così tanta attenzione, pur senza volerlo. Era colpa di quei suoi stupidi, grandi occhi. Doveva essere per forza per quello!
Vidi MinHo deglutire a vuoto prima di raddrizzare la schiena e guardarmi con lo sguardo più supplichevole con cui avevo avuto a che fare in vita mia. 
<< Ascoltami solo per una volta, Taemin. >> disse con voce profonda << Ti prego, voglio una seconda possibilità con te. >>

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Capitolo 6
*** Capitolo 6: Only one thing can kill a dream: the fear. ***


Haru's (endless) BLABLABLA: Ammettetelo, ci speravate che fossi sparita per sempre, eh? E invece no, vi è andata male. Sono sopravvissuta agli ultimi e intensi mesi di quinta liceo, a un'influenza che mi ha buttata completamente ko per parecchio tempo e, nonostante gli esami di maturità imminenti, sono pure riuscita a scrivere. Sono ancora qui e, dopo un paio di secoli, sono tornata per pubblicare questo ultimo capitolo di "Aspettando l'alba". Chi l'avrebbe mai detto che sarei riuscita ad arrivare fino in fondo? Ricordate quanto ero titubante perfino all'idea di rendere l'originaria one shot una long fic? Ebbene, a quanto pare avevate ragione voi. Ho detto che questo è l'ultimo capitolo della fic (e in effetti lo è), ma la vera ed effettiva conclusione della storia avverrà con la pubblicazione di un breve epilogo che pubblicherò non so quando (spero presto).
Però voglio comunque ringraziare tutti voi che avete letto e amato questa fic, voi che avete commentato ogni capitolo e che, odio sviscerato a parte nei miei confronti (XD), mi avete sopportata durante le mie lunghissime assenze solo per poter leggere il continuo. Grazie mille anche a chi ha inserito la storia tra i preferiti, tra le storie seguite e quelle ricordate. Vedere un proprio lavoro apprezzato dagli altri fa sempre piacere, perciò sento il bisogno di ringraziarvi sinceramente. Spero vivamente di poter scrivere tante altre storie ugualmente amate e di non perdere mai questa passione, sia per la scrittura che per gli SHINee.
Ringraziandovi ancora, vi saluto
Eleonora. ^^


Capitolo 6: Only one thing can kill a dream: the fear.
 
Ero stato fortunato quella mattina. Quel giorno i vari artisti dell'SM erano occupati con i loro impegni e di conseguenza le sale da ballo erano tutte vuote e silenziose, quasi come se fossero state impregnate di calma liquida fino a quel momento. Avevo infatti tutta l'intenzione di far rimbombare quelle mura fino a farle crollare.
Era passato un altro giorno dal ritorno di MinHo e tutto quello che riuscivo a fare era trattarlo con indifferenza mentre girovagava per il dormitorio, dal momento che ignorarlo completamente mi era praticamenti impossibile: o me lo ritrovavo davanti aprendo la porta del bagno, con solo un asciugamano bianco legato alla vita a coprirlo, o lo vedevo passarmi davanti mentre, cambiando svogliatamente canale televisivo, me ne stavo sdraiato sul divano nero del salotto o addirittura me lo trovavo a pochi centimetri dal viso, ogni mattina appena sveglio, mentre mi fissava con tanto di occhioni da cucciolo e sorrisino sghembo da super figo in azione.
E ogni volta che lo vedevo mi risaliva la rabbia che provavo nei suoi confronti unita alla voglia di prenderlo a pugni. Per questo mi ero alzato prestissimo quella mattina ed ero corso a perdifiato fino allo stabilimento della casa discografica, intenzionato a ballare fino a sera. Accesi lo stereo e lasciai che l'opzione casuale scegliesse uno dei brani a caso.
Non avevo voglia di rivederlo mentre mi dava il buongiorno tutto sorridente: certo, ero furioso con lui, ma ero terrorizzato dalla probabilità di fargli seriamente del male, a seguito di uno scatto d'ira causato da quelle sue improvvise e irritanti premure o, ancora peggio, temevo il fatto che prima o poi sarei caduto di nuovo nella sua trappola e sarei finito con il perdonarlo.
Alzai il volume e tentai di fermare il flusso dei pensieri con l'aiuto della musica. Provai a rilassarmi, liberando la mente da ogni problema irrisolto, e permisi al ritmo di impadronirsi di me. Iniziai con qualche passo poco complicato dal momento che risentivo ancora dei postumi dell'influenza e perciò non ero sicuro di poter affaticare le gambe senza conseguenze. Pian piano però, non appena notai che riuscivo a seguire il ritmo, azzardai una coreografia leggermente più impegnativa, mentre gocce di sudore iniziarono a imperlarmi il viso e a scivolare giù lungo il corpo. Finalmente riuscivo a sentirmi libero e leggero, senza bisogno di sprecare energie preoccupandomi per MinHo.
Il suo nome però, improvvisamente, mi catapultò tra i ricordi della discussione che era avvenuta tra noi due il giorno prima.
 
<< Una seconda possibilità? >> mi dovetti sforzare per non ridergli in faccia. << Stai scherzando, vero? >> chiesi poi ritornando serio << Cosa c'è, non ti sei divertito abbastanza a San Francisco? E' per questo che sei tornato? Hai intenzione di giocare ancora un altro po' con me? >>
<< Non è così, Taemin. >> il suo tono sembrava quasi seriamente dispiaciuto << Per favore, ascoltami: ho sbagliato, mi sono comportato come un essere spregevole e mi merito tutto il tuo odio, ma credimi se ti dico che ora sono diverso, che ora ho capito che sei l'unica persona senza la quale non potrei vivere e che sarei mille volte più stupido se ti lasciassi andare via così, senza far nulla per tenerti con me. Ti prego, Taemin, t'imploro: dammi una seconda possibilità. >>
Per un attimo pensai che magari potevo concedergli almeno l'opportunità di dimostrarmi quanto era cambiato, ma poi ripensai a tutti i mesi che avevo passato nella sofferenza a causa sua e ritenni che le sue belle parole non erano abbastanza. Poteva pure guardarmi con quegli occhi grandi, implorarmi di riprenderlo quanto voleva, ma non sarei caduto nella sua recita di nuovo. Era sempre stato bravo a recitare e per questo non potevo fidarmi. Dopotutto mia madre lo diceva in continuazione quando ero piccolo: "Non sposare mai un'attrice, soprattutto se brava, perchè non saprai mai quando dirà la verità o quando ti starà mentendo." E, oggettivamente parlando, MinHo era un ottimo attore.
<< Non do seconde possibilità. Tantomeno a te. >> chiusi il discorso duramente << E ora lasciami in pace, MinHo. Vai a giocare con qualcun altro, io con te ho chiuso per sempre. >>
<< Sai, speravo che tu non mi avessi dato retta per una volta. >> disse lui quasi fra sé e sé, un sorriso dolce amaro che gli sfiorava le labbra << Ma invece ti sei mostrato come il bravo dongsaeng di sempre, di nuovo. >>
<< A cosa ti riferisci? >> gli domandai bloccandomi sul posto, sospettoso.
<< Ti avevo chiesto di dimenticarmi e lo hai fatto senza esitazioni. Peccato che io non sia stato altrettanto abile a dimenticare te. >>
 
Un mancamento improvviso mi colse alla sprovvista e mi ritrovai con la fronte premuta sul pavimento, ansimando dalla fatica. Con un enorme sforzo riuscii a girarmi per poter respirare meglio e mi portai invano una mano sugli occhi per proteggermi dalle luci. Sentivo le forze venirmi sempre meno e inaspettatamente la visione di un MinHo che mi guardava dall'alto con aria spaventata e affranta mi oscurò l'accecante bagliore delle luci. Se solo avessi avuto le forze, avrei sorriso a quell'illusione.
<< Mi sopravvaluti come sempre, MinHo. >> bisbigliai con un filo di voce << Come fai ad essere così certo che io ti abbia dimenticato? >>
Lanciai un ultimo sguardo triste a quel perfetto miraggio e poi svenni dallo sfinimento.
Quando mi svegliai, la prima cosa che mi venne in mente fu il terrore che provavo al pensiero di una nuova strigliata da parte di Kibum. Eppure, non appena aprii gli occhi, me lo ritrovai davanti mentre mi fissava con un'espressione estremamente preoccupata, ben lungi dall'intenzione di rimproverarmi. Kibum non era il solo in quella stanza, bensì anche gli altri quattro membri, HeeJin e addirittura il nuovo manager che avevamo assunto, se ne stavano lì a fissarmi tutti insieme, creando un quadretto abbastanza strano ma anche divertente. Sembrava quasi che stessero osservando un fenomeno da baraccone, impauriti e curiosi allo stesso tempo, e devo ammettere che dopo un po' i loro sguardi iniziarono a inquietarmi non poco.
<< Che avete da guardarmi così? >> mi arrabbiai a causa della strana situazione.
Fortunatamente sembrarono riprendersi e JongHyun fu il primo a parlare.
<< Eri così carino mentre dormivi. Non sembravi stressato come negli ultimi tempi... >>
<< Certo che sono stressato! >> urlai mettendomi a sedere << C'è sempre qualcuno che mi fissa mentre dormo in questa dannata casa! Ma qual è il vostro problema? Siete inquietanti! Andatevene! >> mi sfogai tirando loro un cuscino che colpì in piena faccia il nuovo manager.
<< Questi due giorni di riposo assoluto ti hanno fatto bene, a quanto vedo. >> fu JinKi ad esprimersi al riguardo.
<< Due giorni? Ho dormito per due giorni di seguito? >> chiesi perplesso.
<< Sì. MinHo ti ha trovato svenuto sul pavimento della sala da ballo e perciò ti abbiamo fatto ricoverare all'ospedale, ma dopo ventiquattro ore di sorveglianza, i medici hanno deciso di riportarti a casa a patto di lasciarti riposare finchè non ti saresti ripreso da solo. >> la spiegazione di Jinki mi chiarì molti punti, incluso il fatto che il MinHo con il quale avevo parlato poco prima di svenire non era un'iilusione, bensì quello originale. Al solo pensiero di ciò, sentii le guance andarmi a fuoco per l'imbarazzo.
<< Allora è così... >> mormorai abbassando la voce ed evitando volontariamente lo sguardo di MinHo.
<< Ok, direi che è meglio se ti lasciamo riposare per il momento. >> intervenne Kibum << Forza, tutti fuori da questa stanza ora! >>
Li guardai sfilare uno per uno finchè non uscirono dalla mia stanza. MinHo fu l'ultimo a lasciarla ma, giunto sulla soglia, chiuse la porta e tornò indietro, ponendosi nuovamente di fronte a me.
<< Sono contento che tu stia meglio. Sai, mi sono spaventato quando ti ho visto svenire... >>
<< Sì, ma adesso sto bene >> dissi guardando tutto intorno a me, tranne lui << Perciò credo proprio che tu possa andare. >>
<< Ok. >> disse, ma sembrava titubante nel fare qualcosa. Poi, infine, si decise a parlare << Volevo chiederti una cosa riguardo a quello che hai detto l'altro giorno... >>
<< Perchè cosa ho detto? >> chiesi fingendo di non sapere di cosa stesse parlando. 
<< Hai detto qualcosa riguardo al... >>
<< Mi dispiace, ma non mi ricordo niente. Non so di cosa stai parlando. >>
<< D'accordo, ho capito... >> sospirò prima di lasciare definitivamente la stanza.
Mi sentii un po' in colpa per aver mentito così spudoratamente e le preoccupazioni che avevo causato ai miei Hyungs mi pesavano incredibilmente sulla coscienza.
Mi guardai attorno finché non si chiuse la porta dietro di sé e il mio sguardo finì con l'essere catturato dalla scrivania. Improvvisamente mi venne in mente quello che MinHo mi aveva detto il giorno che era rientrato nella mia vita e, titubante, mi alzai dal letto raggiungendo il cassetto. Lo aprii e vi tirai fuori le lettere che, per mesi, avevo tenuto nascoste a chiunque. Lentamente presi la prima, quella che avevo stracciato a metà, e la ricongiunsi iniziando a leggere. Poi presi la seconda che avevo ricevuto e lessi anche quella e lo stesso feci con la terza, la quarta e tutte le altre lettere che mi erano arrivate nel tempo.
<< So che hai mentito e che ti ricordi tutto benissimo! >> esclamò MinHo catapultandosi di nuovo nella stanza << Ma voglio chiederti perchè n... >> si zittì non appena mi vide.
Mi girai verso di lui, tremante e con gli occhi lucidi, per poi tornare di nuovo a posare la mia attenzione su quelle maledette lettere.
<< Taemin... >> mormorò lui avvicinandosi sempre di più, lentamente.
Cercai con tutte le forze di ricacciare indietro le lacrime che premevano contro i bordi degli occhi, ma queste scesero comunque andando a sciogliere l'inchiostro posato su quei fogli.
<< Taemin, io... >> MinHo riprovò a parlare, mentre una sua mano raggiungeva la mia spalla.
La spinsi via con rabbia e mi voltai verso di lui mostrandogli le carte che ancora tenevo in mano.
<< Stai scherzando, vero? E' tutto uno stupido scherzo, non è così? >> chiesi sarcasticamente, il respiro che si faceva sempre più corto << Fai quello che fai e poi hai anche il ridicolo coraggio di presentarti di fronte a me, implorandomi di farti rientrare nella mia vita? >>
<< Lasciami spiegare... >>
<< Spiegare? Cosa vorresti spiegare, sentiamo! >> lo interruppi nuovamente << Mi sembra tutto abbastanza chiaro. Ecco, è tutto scritto qui! >> urlai tirandogli contro le lettere che tenevo in mano << Confessioni su confessioni di ogni volta che ti sei preso gioco di me. Mesi e mesi di tradimenti e finzioni. Una relazione fatta di bugie e sotterfugi. E' questo che mi nascondevi, vero? E' per questo che sei scappato in America, giusto? E lo hai pure scritto! Davvero, ammiro il fatto che tu abbia avuto la faccia di confessare, visto che sei solo un miserabile codardo... >>
Lui stava zitto e immobile, capace solo di fissarmi con una stupida espressione triste e dispiaciuta, ma anche così dannatamente falsa.
<< Ma sai qual è la cosa più divertente? Trovo esilarante il fatto che, mentre io perdevo il mio tempo a sostenerti e a guardarti costantemente le spalle, tu non facevi altro che pugnalarmele. E' assurdo quanto io ci abbia provato a far funzionare questa relazione quando sapevo fin dall'inizio che era impossibile. Ma immagino che sia stato tutto un mio errore: il non essermi fatto amare quanto volevo, non l'aver seguito le giuste priorità e l'averti dato il mondo senza ricevere mai niente in cambio, tutto, tutto quanto è stato un mio sbaglio. Ma adesso siamo arrivati al limite, vero MinHo? Tutto questo è assurdo. Non ho mai chiesto niente di più di un sorriso o uno sguardo, al limite un abbraccio, ma non tanto, mai troppo. E ho sperato e ho aspettato che il tuo amore per me diventasse realtà almeno un po', sempre da solo come uno stupido. Sapevi che il mio cuore soffriva e allora perchè non hai fatto finire tutto prima? Perchè hai continuato a torturarmi per sfamare il tuo egoismo? >>
Mi zittii, sfiancato e senza fiato, e poi i nostri sguardi s'incontrarono. I miei occhi arrossati continuavano a chiedere un perché, ma non ricevettero mai una risposta.
 
Quando vidi arrivare il manager, pronto a portarmi all'aereoporto, afferrai l'ultimo bagaglio rimasto e mi diressi verso la porta, dove già mi attendevano le valige più pesanti. Aprii la porta e iniziai a mettere fuori i bagagli, nel silenzio assordante che rimbombava in quella casa. Il nuovo manager mi stava aspettando in macchina, HeeJin era impegnato a lavorare sulle nuove schedules dopo aver convinto la compagnia che per me sarebbe stato meglio proseguire la mia vita come una persona qualunque e che quindi interrompevo il mio contratto con l'agenzia. E JongHyun era scoppiato a piangere quando li avevo informati che finalmente avrei preso l'aereo diretto a Chicago, dove avrei iniziato la mia nuova vita, e si era rinchiuso in camera sua. Jinki e Kibum invece stavano cercando di consolarlo, ma con scarsissimi risultati dal momento che anche il loro umore si trovava sotto i loro piedi. Li avevo delusi una volta per tutte, ma era arrivato il momento in cui dovevo iniziare a pensare a me stesso per evitare di ricadere nella depressione che già una volta mi aveva roso fino alle ossa. Desideravo tantissimo salutarli un'ultima volta ancora, ma qualcosa mi diceva che non sarei riuscito nel mio intento se avessi incontrato i loro sguardi tristi. Per questo partivo. Un paese diverso, una lingua che capivo a malapena, una routine completamente sconosciuta che attendeva solo me per iniziare: doveva pur cambiare qualcosa. Non avevo più intenzione di farmi scivolare il tempo dalle mani, non volevo più vedere il bello della vita passarmi davanti agli occhi per poi sparire in un attimo mentre io assistevo alla sua dipartita come uno spettatore estraneo. Non volevo più essere quello che faceva il tifo dagli spalti, ma quello che giocava la partita. E che magari poi finiva anche col vincerla quella partita.
Qualcosa di estremamente rapido si frappose tra me e il mondo esterno, impedendomi di passare. Mi scontrai contro il petto di MinHo prima di sospirare e spingerlo senza risultati da una parte.
<< Togliti. Devo passare. >>
<< Non ti farò partire. >>
Ghignai a quell'affermazione, roteando gli occhi. << Mi sembrava di aver già chiarito il fatto che non influenzerai mai più la mia vita, in alcun modo. >>
<< Eppure stai scappando. >>
<< Non sto scappando. Sto scegliendo di vivere. >> dissi sottolineando il concetto << E' diverso. >>
<< Non andare. >>
<< Fammi passare. >>
<< Non andare. >>
<< Finirò col perdere l'aereo, così. >> sbuffai irritato.
<< Non lasciarmi. >>
I nostri sguardi si incontrarono di nuovo e finalmente vidi quello che bramavo di vedere nei suoi occhi da tanto, troppo tempo, ormai.
Pentimento.
Non c'era più falsa tristezza o strafottenza in quello sguardo, ma solo la coscienza di aver sbagliato e il pentimento per non aver fatto la cosa giusta. Non poteva più continuare a negare il fatto che si era comportato male e, finchè rimanevo lì a dargli il contentino, non si sarebbe mai comportato come doveva. Ma ora stavo per partire e l'avrei fatto. Aveva davanti agli occhi il risultato delle sue azioni e il sapere che questa volta non sarei tornato indietro lo terrorizzava. Sapeva che non poteva più fare nulla. Tutto quello che gli era concesso era raccogliere quello che aveva seminato, ovvero polveri e macerie dei miei sogni, gli stessi che lui per primo aveva infranto.
<< Ormai hai perso il treno, MinHo. Non hai idea di quanti tentativi e sforzi ho fatto per far ritardare la partenza, ma alla fine è partito. E tu l'hai perso. >>
Abbassò le braccia e si mise da una parte, lasciando libero il passaggio. 
Lo oltrepassai, ma mi fermai dopo un paio di passi.
<< A questo punto non mi rimane altro che augurarti buon viaggio. >>
<< Grazie. >> risposi per poi incamminarmi, ma mi fermai di nuovo e mi girai ancora e lo sorpresi a guardarmi con malinconia. << Solo la paura può uccidere un sogno. Non avere paura e la prossima volta assicurati di essere in tempo per prendere il treno che verrà. >>
<< Ci sarò su quel treno, Taemin. >> disse lui, il riflesso del tramonto che bruciava nei suoi occhi << Lo prometto. >>
Annuii pensieroso, avrei giurato che la sua voce si era incrinata per un attimo mentre pronunciava quelle parole. 
Nel frattempo il manager aveva caricato le valige in macchina e mi incamminai verso di lui con l'ultimo bagaglio sulla spalla. 
<< Ciao, Taemin-ah... >> sentii bisbigliare alle mie spalle. Alzai il braccio che avevo libero e ricambiai il saluto con un cenno della mano mentre la mia pelle si illuminava dei colori del tramonto.
Era ironico come ancora una volta mi ritrovavo ad aspettare ancora. Ma questa volta speravo che il nuovo giorno portasse con sé eventi ben diversi dai precedenti. Voler dimenticare era un atteggiamento infantile, ora me ne rendevo conto, ma ero intenzionato a collezionare ricordi nuovi e decisamente più sereni. Adesso ero abbastanza forte per affrontare il mondo esterno.
Ma, per un' ultima volta ancora, mi sarei limitato a salutare l'alba contando fino a dieci.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7: Do judge a book from its cover, but read even inside if you want to be taken seriously. ***


Haru's blablabla: Non ci credo! Finalmente sono riuscita a concludere questa long fic (e fuori una! :P) che in realtà amo profondamente, ma è stata davvero dura trascinarla avanti fino ad oggi. Ebbene, non ho molto da dire se non GRAZIE! Grazie mille a chi legge le mie storie, a chi mi sostiene e mi invoglia a continuare a scrivere (perchè, in realtà non ci posso stare senza leggere e scrivere per troppo tempo), grazie a chi ama le mie storie e grazie anche a chi le critica in maniera costruttiva aiutandomi a migliorare sempre di più. Grazie a chi ha avuto pazienza e chi ha seguito questa fic fino all'ultimo! Ma soprattutto grazie a voi che leggete e recensite (quando avete voglia, eh! :P). Grazie a chi ha inserito "Aspettando l'alba" tra le preferite: FeIdEn91 , Hana_ , Kpoplove , LukeY , Min Bi , sarettablack , unbreakable , Uruka , xiah. Grazie a chi l'ha inserita tra le ricordate:  Bommie , HisaHime , _Sharitah_ e a chi l'ha inserita tra le seguite:  BigghLuv , Cry Baby , goddess , Hwang Jae , Jenny219 , JinkiJoon , Joy Redbird , Lee Fei Taemin , LittleMaknae , MiikHy Deafening , SamMeemk , sarettablack , SweetCherryBlossom , unbreakable , Yukosshi , _LoVe_TaE_ 
Dopo questa lunghissima lista, non mi rimane altro da dire che: GODETEVI QUEST'ULTIMO CAPITOLO! :D
Con affetto, Eleonora.


Capitolo 7: Do judge a book from its cover, but read even inside if you want to be taken seriously.

 

Il brusio delle persone che mi circondavano si faceva sempre più alto. C'era un vociare allegro che creava un'atmosfera molto rilassata e accogliente. Non importava che tutte quelle persone, le quali mi osservavano ansiose e trepidanti di parlarmi, fossero dei perfetti sconosciuti per me. Qualcuno che, con altissima probabilità, non avrei mai più incontrato in vita mia. La sala era ghermita di persone e, onestamente, non me lo aspettavo. Certo, sapevo che il mio ultimo libro stava vendendo molto bene, ma l'entusiasmo dei lettori era palpabile e mi dava l'idea esatta del successo ancor maggiore che avevo ricevuto con questo lavoro, piuttosto che con quello precedente. Sospirai sorridendo a una ragazzina, forse una studentessa liceale vista la giovane età, che mi fissava con il libro stretto fra le mani e gli occhi lucidi. Sarebbe stata una giornata lunga e impegnativa: firmare autografi, sorridere alle macchine fotografiche, parlare con i presenti, magari svelare anche qualche pettegolezzo di banale contenuto per far contenta la stampa e dar loro qualcosa di cui parlare nel nuovo numero del proprio settimanale scandalistico. Non era qualcosa che mi aveva preso alla sprovvista quando feci l'incontro con il pubblico per la presentazione del mio primo libro: era tutto più o meno come quando ero un idolo delle ragazzine, l'unica differenza era che, al posto delle fans, adesso trovavo lettori.

Ero diventato uno scrittore in quegli anni. Messa da parte la musica, mi ero dedicato anima e corpo a un'altra forma di arte, forse più personale e diretta di quanto mi fosse mai stato concesso di avere durante i miei giorni di cantante. All'inizio i primi lettori non erano altro che vecchie conoscenze, fans che avevano deciso di sostenermi nel nuovo capitolo della mia vita e che mi incoraggiavano ancora, nonostante le avessi abbandonate senza un apparente motivo. Ma poi i critici avevano iniziato ad apprezzare i miei lavori, avevo iniziato ad accumulare credibilità e il pubblico si era sempre più allargato. Col tempo ero diventato uno scrittore di successo e avevo imparato perfettamente l'inglese. Stavo a Chicago, la cosiddetta città del vento, con i suoi temporali spaventosi e i suoi inverni glaciali, ma anche la città dei primi grattacieli e del blues. Amavo quella città, su questo non c'era dubbio. Vivevo a Chicago da dieci anni, ormai. Non odiavo il clima un po' ostile, perché mi aveva insegnato a respirare. Non odiavo le strade chiassose e le persone onnipresenti, perché mi avevano reso parte di qualcosa. Non odiavo la mia scelta di partire per l'America, perché mi aveva reso più forte. Finalmente vivevo, e non c'era cosa migliore al mondo. Risentivo della lontananza dalla mia famiglia e dagli amici, ma ero rimasto in contatto con molti di loro. Alcuni erano pure venuti a trovarmi nel mio artistico loft: JinKi, Kibum e JongHyun per primi. Ma io non ero mai tornato a Seoul. Quella città rappresentava la fonte delle mie lacrime, il nido delle sofferenze. Adesso ero felice e non volevo barattare quel prezioso attimo di benessere per nuovi drammi.

Non avevo più visto MinHo. Non avevo avuto nessun tipo di contatto con lui, dopo il nostro addio a Seoul. Per un bel po' di tempo, la rabbia e la ferita per il suo tradimento avevano bruciato sotto la pelle, ma poi ero maturato e il dolore era scomparso. Lentamente mi ero trasformato in una persona nuova, ora ero un ventottenne più saggio e più riflessivo, una persona che aveva deciso di lasciarsi alle spalle tutti gli errori e i dissidi del passato, qualcuno che non si faceva più uccidere dalla solitudine. Ne era passata di acqua sotto i ponti e, finalmente, era tutto scivolato via. Non mi rimaneva altro che continuare a guardare e in avanti e non c'era altro se non la mia strada.

Fra un sorriso e un autografo, il tempo passò più velocemente del previsto e, quando la sala si fu svuotata gradualmente, posai la penna sul tavolo, spossato. Chiusi gli occhi passandomi una mano sul viso e mi rilassai completamente sulla poltrona. Immaginai di trovarmi tra le confortevoli pareti di casa mia, magari con un bicchiere di vino rosso di mano mentre mi rilassavo godendomi la serata. L'indomani avrei avuto un incontro con l'editor, prima di partire per una nuova presentazione a New York, due giorni dopo. Rilassarmi un po' mi avrebbe fatto solo bene.

I pensieri scivolarono a cosa avrei potuto mangiare per cena, magari mi sarei fatto consegnare qualche piatto take away, tanto per evitare anche la fatica del cucinare. L'idea mi allettava.

Qualcuno si schiarì la voce e mi fece scivolare la propria copia sotto gli occhi, per farla autografare. Mi ricomposi velocemente ma, nel mentre in cui stavo per chiedere a chi dovessi dedicarla, la persona che si trovava davanti a me parlò.

<< Se te ne vai adesso, ti porterai via la parte più grande di me. Non andare, loro non sanno quanto è difficile trovare un amore come il nostro. Come potremmo lasciarlo scivolare via?Finiremo col pentirci di quello che ci stiamo dicendo oggi... >>

Sorrisi mentre firmavo sulla pagina candida del libro. Conoscevo quelle parole, le avevo scritte io, facevano parte della mia opera. Non era certo la prima volta che un lettore recitava una piccola parte della storia per poi commentarla con me o per farmi domande al riguardo. Alzai lo sguardo e incontrai quello del mio lettore, nascosto dietro alle sottili lenti degli occhiali da vista che portava elegantemente sul naso, i quali circondavano in modo pulito e poco pacchiano gli occhi grandi. Aveva capelli scuri, lunghi abbastanza da ricoprire le orecchie e parte della fronte, ma non in modo esagerato, e leggermente spettinati dal vento forte che soffiava fuori da lì. Indossava dei jeans neri su delle scarpe eleganti e lucide, mentre il resto era nascosto da un trench blu scuro lungo fino a metà coscia. Risalii con lo sguardo, passando per la pelle diafana del collo e il tratto deciso della mandibola, fino ad arrivare alle labbra piene e rosse come un frutto primaverile maturato. Le stesse labbra che di lì a mezzo secondo dopo si riaprirono.

<< Abbracciami, perché è difficile per me dirti che mi dispiace. Dopo tutto quello attraverso il quale siamo passati, dopo tutto quello che è stato detto e fatto, tu rimani semplicemente la parte di me che non riesco a lasciar andare. Non potrei attendere un altro giorno ancora, non vorrei dover rimanere ancora più a lungo lontano da colui che amo. Davvero, non sono il tipo che chiede scusa facilmente, ma voglio seriamente farti sapere che sono dispiaciuto. E non importa se ci ho messo così tanto tempo, ma importa il fatto che voglio sistemare ogni cosa con te. Scusami, ma non chiedo altro che un abbraccio. >>

<< Non c'è una conversazione simile nel libro. >>

<< Lo so >> rispose l'uomo << Ma ci tenevo davvero a farti sentire queste parole. >>

Mi alzai e mi avvicinai lentamente a quella figura slanciata e più alta di me solo di qualche centimetro. Lo vidi guardarmi titubante, inconsapevole di cosa stavo per fare. Poi azzerai la distanza fra i nostri corpi e lo abbracciai. Respirai l'odore dei suoi capelli e della sua pelle e il corpo, sotto gli spessi strati di vestiti, mi sembrò molto più magro di quanto ricordassi.

<< Come stai, MinHo? >> gli sussurrai a un orecchio per poi sciogliere l'abbraccio e incontrare nuovamente il suo sguardo << Ti è peggiorata la vista? >> chiesi indicando gli occhiali con un gesto rapido della testa.

<< Tutto è peggiorato da quando non mi sei più accanto, Taemin. >>

<< Non parlare così. >> adesso ero io che mi sentivo in colpa, quindi finsi un sorriso di cortesia << Sono qui, vedi? Vada come vada, finiamo sempre con il ritrovarci perché non ha più importanza quanto io sia stato arrabbiato con te in passato, ormai dobbiamo semplicemente andare avanti ed evitare di far diventare grigio un altro colore ancora. >>

<< Permettimi di portarti a cena. >> propose lui, prendendomi alla sprovvista.

Ci pensai un po' su, ma infine decisi che poteva andar bene. Non avevo impegni, ero libero e una cena tra vecchi amici poteva portare solo a buone cose, no? Accettai e vidi i suoi occhi illuminarsi come quelli di un bambino, nonostante avrebbe compiuto trent'anni nel giro di una settimana, se non ricordavo male la sua data di nascita. Mi infilai cappotto, sciarpa e guanti per proteggermi dal freddo pungente che avrei trovato una volta uscito dall'edificio, raccolsi le mie cose e salutai con un gesto della mano il mio PR che stava ancora discutendo con qualche pezzo grosso in fondo alla sala ormai deserta.

Uscimmo dall'edificio e fummo aggrediti dalle ventate gelide tipiche di Chicago. Io ero abituato a quel clima ormai, ma vidi che MinHo cercava di non dar a vedere il fatto che il vento tagliente penetrava tra le pieghe di quei vestiti troppo leggeri e gli attanagliava la pelle, perciò mi avvicinai a lui e gli cinsi la vita con un braccio, preoccupato anche del fatto che potesse scivolare sulle lastre di ghiaccio che si facevano sempre più spesse e che ricoprivano gran parte del marciapiede. Lo sentii sussultare, ma non ero certo se fosse stato per il freddo o per il mio tocco, perciò mi infilai rapido in un locale nel quale ero già stato un paio di volte e che non si trovava molto lontano. Ci sedemmo a un tavolo e ordinai io per entrambi, dato che la conoscenza dell'inglese di MinHo era rimasta tale e quale a come me la ricordavo, una cioccolata calda con panna e degli stuzzichini tanto per fermare un po' la fame prima dell'ora di cena. MinHo si guardava attorno, curioso di trovarsi in un ambiente così diverso da quello al quale era abituato, mentre io osservavo lui.

<< MinHo? >> richiamai la sua attenzione, curioso di sapere una cosa.

Lui mi guardò serio, e con quegli occhi profondi mi spronava ad andare avanti.

<< Ti vedi con qualcuno, per caso? >> chiesi rapido, timoroso di aver strappato il filo invisibile che teneva in equilibrio il nostro rapporto.

Lo vidi sospirare, abbassare gli occhi per poi rialzarli e fissarli nei miei. << Ci ho provato, ma con il tempo ho realizzato che stavo solo prendendo tempo fino al giorno in cui sarei stato abbastanza coraggioso per venire a chiederti scusa onestamente. Ho capito che per te ci sarei sempre stato, fino a quando le stelle non avrebbero brillato più, fino a quando il paradiso avesse iniziato a bruciare. Ho capito che ci saresti stato tu nella mia mente e nella mia anima anche se non potevo averti fisicamente, sempre, fino al giorno della mia morte. Ma non parliamo di me, raccontami di te. Non ti vedo da dieci anni, Taemin. Non hai idea di quanto tu mi sia mancato. Dieci anni.>> i suoi occhi divennero lucidi, sembravano pietre preziose, nere come la pece e brillanti come il Sole << Ti vedi con qualcuno? >> mi rigirò la domanda che io stesso gli avevo fatto un paio di minuti prima.

<< Mentirei se ti dicessi che non ho incontrato nessuno in tutto questo tempo, ma qualcosa mi diceva che non erano quelli giusti. >> risposi.

<< Cosa te lo faceva intendere? >>

<< Lo capivo perché desideravo che loro fossero te. >> confessai allungando una mano sul tavolo e strinsi leggermente la sua. MinHo osservò a lungo le nostre mani posate una sull'altra, timidamente, e poi intrecciò le sue dite con le mie.

<< Sai, mi infuriavo ogni volta che ti immaginavo tra le braccia di un altro. Le tue mani intrecciate alle sue, le sue labbra sulle tue, la sua bocca che ti sussurrava le parole che io avrei voluto dirti. Adesso capisco come ti sei sentito quando... >> tremò leggermente prima di iniziare di nuovo a parlare << Prova a capirmi, Taemin: ho fatto degli errori, ma sono solo un uomo! Per questo ti chiedo scusa ancora una volta, e mille altre volte ancora te lo dirò, fino alla fine dei tempi, finché non mi crederai e deciderai di fidarti nuovamente di me. Perché voglio essere io l'uomo che ti sussurrerà le parole che avrai bisogno di sentirti dire. Voglio essere l'unico a conoscere il sapore delle tue labbra, l'unico a tenerti stretto a me e ad abbracciarti quando avrai paura, l'unico ad accarezzare questi adorabili capelli che ti sei fatto... >> aggiunse passando una mano tra i miei capelli, che adesso brillavano di un castano caldo e luminoso << Ma soprattutto voglio essere l'unico uomo al quale appartiene il tuo cuore. Perché, per me, è così. Non c'è nessun altro al di fuori di te. E posso giurarti che sarà sempre così, da ora in poi. >>

<< Ti credo, MinHo >> dissi sorridendo. Avevo atteso così tanto tempo. Non per sentirgli dire quelle parole che, nonostante tutto, mi facevano pure piacere, ma per vedere lo sguardo con il quale mi osservava. C'era dispiacere, in quello sguardo. E pentimento. E voglia di iniziare da capo. E amore. Soprattutto amore.

<< Ti amo, MinHo. >> cercai di non fargli notare troppo la mia voce spezzata e gli occhi che si stavano inumidendo a causa delle lacrime << Impacchettiamo i nostri vecchi sogni e anche le nostre vecchie vite. Sono sicuro che riusciremo a trovare un posto dove il Sole brilla ancora, perché non possiamo tenere tutto questo nascosto nelle tenebre. >>

Lui si sporse verso di me e, aiutandosi con la mano dietro il mio collo, mi accompagnò verso il suo viso finché le nostre labbra non si scontrarono nel bacio più morbido e vero che avessi mai dato.

Ci staccammo per prendere fiato e MinHo mi sorrise << Ti amo, Taemin. Ti ho sempre amato. >> e le nostre labbra si incontrarono una volta ancora.

Questa era la felicità. Eravamo finalmente felici, tutto il resto non ci importava.

Non ci importava degli sguardi e dei bisbigli a mezza voce delle persone attorno a noi. Non ci importava delle cioccolate non più calde che ancora aspettavano di essere bevute. Non ci importava niente, se non di noi.

Non importava che io fossi Lee Taemin.

Non importava che lui fosse Choi MinHo.

Non importava che, fuori per le strade, il vento gelido correva rapido a ferire le persone.

Tutto quello che importava era che, da adesso, non ci sarebbe più stata una fredda e solitaria notte d'inverno a tenerci lontani.

Perché io ero Lee Taemin. Perché lui era Choi MinHo. Perché ci amavamo.

E questo non sarebbe cambiato mai, neanche dopo aver visto migliaia di albe assieme.

<< Sono stato bravo questa volta, vero Taemin? >> rise lui mentre i nostri nasi si sfioravano << Sono riuscito a prendere il treno in tempo, questa volta! >>

Ricordavo quelle parole. Era il consiglio che gli avevo dato l'ultima volta che ci eravamo visti, prima che io partissi lasciandomelo alle spalle.

<< In realtà c'è un aereo che parte fra tre giorni per New York. >> risposi io ammiccando << Cosa ne dici, te la senti di venire con me? >>

<< Sì. >> soffiò teneramente lui, avvicinandosi di nuovo alle mie labbra. << Ora e per sempre, io ci sarò. >>

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