The last Digital star

di coco1994
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap.00_Looking back ***
Capitolo 2: *** Cap.01_Finestra sulla vita di sempre ***
Capitolo 3: *** Cap.02_Squarcio nel cielo ***
Capitolo 4: *** Cap.03_Blocco di luce ***
Capitolo 5: *** Cap.04_Tra i neri bastioni ***
Capitolo 6: *** Cap.05_La padrona del Digimon di fuoco ***
Capitolo 7: *** Cap.06_Di fuoco e vendetta ***
Capitolo 8: *** Cap.07_Yin e Yang ***
Capitolo 9: *** Cap.08_Castello di vetro ***
Capitolo 10: *** Cap.09_Follia ***



Capitolo 1
*** Cap.00_Looking back ***


CAP.00_LOOKING BACK


Questa notte è diversa dalle altre.

Ad uno sguardo disattento può sembrare quieta e silenziosa, ma basta un minimo di sensibilità - quella sensibilità che tu hai - per capire... che non è così.

Lo sai.
Lo senti.
Lo percepisci.
Per questo ti svegli.

Stavi sognando. Un sogno meraviglioso.

Volavi sopra un mare di nuvole, libera e leggera, e con quel tuo sguardo intensissimo osservavi diretta il Sole, senza stringere neanche un po' i tuoi occhi strani.
Il Sole, la stella.
E tu brillavi come lui. Una cometa splendente, eri questo nel sogno.

Libera.
E felice.

Tieniti stretto questo ricordo, piccola, tienitelo stretto.
Passerà del tempo, da adesso in poi, prima che tu possa anche solo immaginare di brillare.


Giri la maniglia della finestra, ed esci in terrazza. Non stai seguendo un istinto misterioso. Sai solo che fuori c'è qualcosa. E tu vuoi scoprire cos'è.
Così vedi cosa sta succedendo a pochi passi dal tuo palazzo.
La sorpresa di blocca. Non può essere vero, pensi scuotendo la testa.
Alzi gli occhi, e la luna vi si specchia.
Lontana, e incastrata e in un cielo limpido, pulito e calmo - punteggiato da una miriade di stelle. L'unica parentesi di normalità, aperta e già chiusa, su questa notte strana.
Ti viene uno strano pensiero.
Ti chiedi se sia così che si sente la marmellata - che non ti piace nemmeno più di tanto - schiacciata dalle due fette di pane. Nel tuo caso, poi, qualcuno deve aver anche fatto un errore, perché quello che c'è sopra di te è inuquivocabilmente pane bianco, normale e uniforme, mentre quello sotto è pane integrale, scuro, articolato e pieno di semi.
Nemmeno il buongusto di fare un panino omogeneo.

Le stranezze che stanno avvenendo attraggono ancora il tuo sguardo, che si volge di nuovo verso il basso, dove i tuoi occhi si trovano a ingoiare la scena.
Stavolta, qualcosa scatta dentro di te.
Credi all'evidenza. Sai che è tutto vero.
E ti trovi a desiderare di far parte di ciò che vedi.
Ora lo vuoi. Disperatamente. E forse, soltanto forse, potresti anche ottenerlo.

E resti lì, alla tua ringhiera, gli occhi persi in quello spettacolo, per un tempo che sembra non finire mai.


E' la tua parentesi, il tuo momento magico.
Personale.
Segreto.
Perfetto.
Ma non eterno.

Senza preavviso, arriva qualcosa. Percepisci anche questo. E l'incanto è rotto.

Annaspi, ansimi, cerchi di inghiottire quell'aria che è la stessa di prima, eppure non è uguale.
Le tue mani, strette alla ringhiera, cedono, e tu cadi, cadi di schianto su pavimento della terrazza.

E ti trovi con la schiena a terra, e il tuo volto guarda il cielo, le orecchie ancora piene dei rumori che vengono da sotto, raddoppiati ora da un fischio acuto e penetrante.

Solo allora ti chiedi perché non c'è nessuno. Con tutto quel rumore, non c'è nessuno.

Neanche per te. Per te, e per ciò che sta arrivando e che, ormai, ti è accanto.
E tu sei sola, piccola, abbandonata.

Dai tuoi occhi pieni di Luna spunta una sola lacrima.

Sorpresa nel terrore. Tu non piangi mai.



E allora, solo allora, capisci chiaramente di essere perduta.



Un'intensa luce illumina la strada. Una bianca cupola illumina ogni cosa.
Troppa energia, tutta insieme.
Si consuma su se stessa, lasciando spazio a un timido raggio di Sole che a est fa la sua comparsa.
Non è più la notte. Ma c'è quiete e silenzio. E non c'è più nessuno.


Ora, davvero, non c'è più nessuno.





In un altro mondo, in un altro tempo, un urlo squarciò la notte nera.
Un’altra notte nera.

Era un incubo, ciò che aveva scatenato il grido. Ma non un incubo come tanti.
Un incubo reale, terrificante, terribile, come solo quelli causati da un ricordo sanno esserlo.

Con questa maledizione quell’anima che nella notte si era risvegliata viveva e ricordava, e ricordando soffriva.

Perché si sa che, in fondo, il passato è la cosa da cui non ti libererai mai e quella che spesso, troppo spesso, torna a farti visita.
Quella il cui ricordo può portare alla pazzia.

Ed è inutile chiedersi se sia peggio il rimorso per ciò che si è fatto o il rimpianto per qualcosa che fatto non è stato.
In entrambi casi, resta sempre il dubbio sulla decisione presa.


E il dolore per aver fatto la scelta sbagliata.

Rieccomi! Finalmente, direi. Dopo una lunga e attenta consultazione con me stessa, ho deciso di pubblicare questo capitolo, che ha due caratteristiche principali:

1) è criptico! Volutamente. Non dovevo svelare troppo e al contempo non dovevo scrivere un'accozzaglia di parole che non destassero neanche un briciolo di interesse in chi mi leggerà. Spero di essere riuscita nell'impresa e sarebbe per me una cosa meravigliosa, visto che ho adorato scrivere - e comporre artisticamente - questo capitolo.

2) è un prologo! Il che significa che seguiranno un discreto numero di capitoli, già più o meno decisi qualitativamente ma non quantitativamente. Cercherò di darmi una regolata entro la prossima uscita.

Tengo tantissimo a questa storia. L'idea ha cominciato a svilupparsi in seconda media (N.B. Al momento devo iniziare la quarta superiore), ma della base originale non rimane quasi niente, il che - rileggendo ciò che in quel periodo avevo scritto - non può essere considerato che un bene. Tuttavia, la maturazione della storia dentro la mia testa mi ha fatto compagnia per più di quattro anni, e non posso che sentirmi felice di essere finalmente riuscita a metterla su carta (perdonate la licenza poetica).
In quanto alla storia in sè... beh, il titolo generale è abbastanza esplicativo già di suo, e leggendo tra i personaggi si può capire che i cari vecchi Digiprescelti non saranno lasciati da soli... Ovviamente, non vi dico chi e/o cosa arriverà/arriveranno col proseguire della storia.
Comunque sia... mi auguro davvero che vi piaccia, perché uno scrittore non è nessuno se non ha i suoi lettori!! :) Se questa fic, la mia prima long fic, vi piace, ci terrei a saperlo. Se non vi piace, anche. Gradirei, in quel caso, critiche costruttive, che mi aiutino a migliorare. E non sto parlando solo di questo capitolo, ma in generale.
Bene! Dopo questo piccolo poema vi lascio. Aspetto le vostre recensioni e prometto di aggiornare presto, perché mi rendo perfettamente conto che solo con questo prologo non si capisce granché.

Arrivederci!

coco1994

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Capitolo 2
*** Cap.01_Finestra sulla vita di sempre ***


CAP01_Finestra sulla vita di sempre

 
Gliel’avevano ripetuto mille e mille volte, durante i suoi attacchi d’ira furente. Gliel’avevano ricordato spesso, mentre si rendevano conto di come pian piano la sua pazienza stesse evaporando come neve al Sole.
In sostanza, gli avevano detto che doveva mantenere la calma e il sangue freddo talmente tante di quelle volte che persino lui, testardo come pochi, aveva capito che avevano ragione.
Nonostante ciò, quella mattina, Daisuke Motomiya stava seriamente contemplando l’ipotesi di un omicidio. O meglio, di un Digicidio.
La ragione di questa sua rapida discesa verso il male era la piccola creatura bianca e blu che il ragazzo si era appena tolto dal viso, dove – deduceva – questa era andata a cadere mentre cercava di prendere non so cosa dallo scaffale sopra il letto.
La piccola creatura, che rispondeva al nome di DemiVeemon, era appena a venti centimetri dal volto del ragazzo e gli stava sorridendo con la sua solita aria innocente di sempre.
Daisuke stava appunto meditando quale fosse il modo migliore per togliere definitivamente di mezzo quell’impiastro, quando la creatura aprì bocca.
<< Buongiorno, Daisuke! >> gli disse, allegro.
Allegro?!?
La parte razionale della mente di Daisuke, che stranamente aveva la voce del suo amico Koushirou, gli recitò all’orecchio qualcosa sul fatto che DemiVeemon era un Digimon giocherellone e sempre di buon umore, sicuro che il mondo viva sempre nell’allegria e nella felicità e il suo comportamento è dovuto a ques…
Il ragazzo massacrò senza alcuna pietà quella vocina, riducendola al silenzio insieme a ogni buon proposito che fino a quel momento si era prefissato. E si occupò del Digimon.

A questo punto, si rivela necessario un chiarimento. Daisuke non era un ragazzo sadico e malvagio, ma aveva i suoi punti deboli, ovvero: il mangiare, il dormire, e Hikari Yagami. Il problema non era rappresentato né dal cibo, né dalla povera Hikari, che nello stesso momento, ignara di tutto, era impegnata nella non invidiabile impresa di svegliare il fratello. Quella mattina, però, DemiVeemon per errore gli era piombato addosso, svegliandolo. Togliendo al ragazzo almeno mezz'ora di sonno.
Malvagità pura, dal punto di vista di Daisuke.

 
<< Buongiorno. >>
Una ragazza sui vent'anni, dai capelli rossicci, si voltò di scatto, e per poco non lasciò cadere la tazza di caffé che aveva in mano.
<< E tu cosa ci fai già qui? >> un modo come un altro per augurare buongiorno.
<< Non farti venire un accidente solo perché sono sveglio in anticipo, Jun. Qualcosa mi è caduto addosso dallo scaffale. >>
Daisuke si aspettava uno dei tipici "te l'avevo detto" di sua sorella, che avrebbe avuto come argomento l'ordine e la pulizia. Ma Jun non disse niente.
Sospetto nella mente di Daisuke.
<< Jun, che hai combinato? >> chiese immediatamente, e lo sguardo sfuggente dell'altra confermò che quella vipera aveva ordito qualcosa a suo danno.
<< Jun... >> cominciò, proprio mentre scattavano le sette e mezzo.
<< THE SHOW MUST GO ON! >>
Daisuke fece un salto di mezzo metro, mentre la canzone dei Queen, sparata al massimo volume dalla sua sveglia, faceva tremare i vetri della casa.
<< Ma porc... >> imprecò correndo verso camera sua.
<< Fratellino, io vado! >> gli giunse candida la voce di Jun, proprio mentre il ragazzo riusciva a spegnere quel fracasso – non prima, purtroppo, che Freddie Mercury riuscisse ad emettere un altro paio di splendidi, ma in quel momento inopportuni, acuti.
<< Juuuuuun! >> le urlò. Ma nessuno rispose. Quella brutta...

 
Quella mattina Iori Hida era arrivato presto a scuola, come al solito. Doveva in qualche modo sfuggire alle grinfie sia di Upamon, che alle cinque e mezzo di mattina aveva fame, sia del nonno, che insisteva sul fatto che per svegliarsi bene, niente di meglio di un allenamento di kendo. Si massaggiò la spalla, trattenendo una smorfia, laddove, nonostante le protezioni, il shinai* di suo nonno aveva lasciato un livido. Chikara Hida avrà anche avuto settantacinque anni, ma picchiava duro.
Cercando di non fare caso alla spalla – gli faceva proprio male – Iori cominciò a passare in rassegna i suoi cinque amici già arrivati.
Accanto a lui c'era Takeru, che veniva presto per fargli compagnia.
Subito dopo Miyako e Sora, arrivate insieme. La prima era indispettita, come al solito, e per una cosa stupida, cioè dal fatto di non essere arrivata per prima nonostante gli sforzi. Niente di nuovo, quindi. La seconda la guardava sorridendo, divertita dall'assurdità della sua amica.
Alla sua destra, Koushirou e Mimi. Lui sembrava devastato, poverino. Del resto, aveva appena subito gli attacchi dei fan di Mimi, che un giorno o l'altro l'avrebbero sicuramente linciato, se la ragazza continuava a stargli appiccicata come ormai da mesi era abituata a fare, o per chiedergli aiuto nei compiti, oppure semplicemente per rintronarlo di chiacchiere.
<< Cosa guardi? >> chiese Takeru notando l'analisi.
<< Notavo che mancano i soliti quattro. >>
<< E Jyou dove lo metti? >>
<< Oh, ma lui è già arrivato... >>

 
Mezz'ora prima, davanti ai cancelli dell'istituto.
Iori mastica una gomma, appoggiato all'inferriata. Non c'è nessuno, finché
...
<< IOORIII! >>
Una sorta di tornado gli passa accanto, e lui riconosce Jyou solo grazie alla voce che gli grida alla velocità della luce.
<< Ciao-Iori-scusa-se-non-mi-fermo-ma-se-faccio-ancora-tardi-Himeka-mi-ammazza-salutami-tu-tutti-gli-altri! >>
<< Chiaro. Ci pensò io! >> gli risponde. Ma dubita che l'abbia sentito.
Parecchi minuti dopo, sempre appoggiato alla ringhiera, Iori vede una tranquillissima Himeka varcare i cancelli dell'istituto, salutarlo, e dirigersi poi senza fretta all'entrata della divisione superiore.

 
Gli altri ragazzi ridevano – anche se la risata di Koushirou era più che altro isterica, visto che aveva ancora diverse paia d'occhiate che gli trafiggevano la schiena.
<< Buon vecchio Jyou... L'amore non l'ha cambiato così tanto! >> commentò Mimi sorridendo angelicamente.
Himeka era la ragazza del loro amico fin dal secondo attacco di Diaboromon nel mondo reale. Era quella a cui Jyou aveva sottratto la bicicletta perché Daisuke e Ken potessero raggiungere i loro Digimon e farli digievolvere in Imperialdramon... Aldilà del fatto che questo avvenimento aveva salvato probabilmente la Terra, alla fine di tutto Jyou aveva ritrovato la ragazza. A scuola. Nella classe accanto. Ed era finita come era finita.
Himeka in sè non era cattiva. Ma era una ragazza. E come tale poteva tirare fuori un lato non proprio simpatico, se si arrabbiava.
Un gruppo di ragazze di terza media passò accanto ai Digiprescelti ridendo come oche e dandosi gomitate indicando i sei.
Questi smisero subito di ridere e su di loro calò un silenzio tra il divertito e l'imbarazzato.
<< Ehi Takeru... mi sa che guardano te! >> mormorò Sora con la voce piena di malizia. Miyako e Mimi ridacchiavano e nel complesso non sembravano tanto diverse dalle oche precedenti, secondo Iori. Non che non avessero ragione.
Il povero Takeru dissimulò l'imbarazzo, per quanto possibile, con un colpo di tosse. Ma non si poteva più negare il fatto che, da un po' di tempo a questa parte, una buona fetta degli sguardi femminili dell'istituto fossero per lui. Comprensibilmente, perché ogni giorno che passava Takeru assomigliava sempre più a suo fratello, e Yamato Ishida aveva tanti difetti, ma l'essere brutto non rientrava decisamente tra quelli.
A questo c'era da aggiungere il fatto che Yamato, quell'anno, era passato alle superiori, e la presenza di Takeru consolava i cuori infranti di decine e decine di ragazze, disperate per la partenza del loro grande amore, anche se, se dobbiamo proprio essere onesti, era sufficiente attraversare una strada per avere l'occasione di incontrare il maggiore dei fratelli. Ma Iori aveva la spaventosa sensazione che, comunque fosse, nel cuore di ragazze come quelle passate poco prima, ci fosse posto per entrambi i ragazzi e che da quel momento in poi, ovunque fosse andato, Takeru sarebbe stato perseguitato da stormi di ragazze decisamente interessate a lui.

 
Lo Yamato Ishida in questione, nello stesso momento, starnutì.
<< Sei raffreddato? >> gli chiese un ragazzo alto e moro, con due occhi azzurri come lui, che rispondeva al nome di Ken Ichijoji.
<< Non credo. >> disse l'altro, prendendo un fazzoletto.
<< Yamato! Ken! >>
I due si voltarono, e incontro a loro arrivò Daisuke, occhiali sulla testa, zaino in spalla e DemiVeemon i braccio.
<< Ciao Daisuke. >>
<< Ciao. >>
Entrambi erano tipi di poche parole.
<< Perché sei qui, Ken? >>
<< Oggi a scuola ho un’assemblea di professori alle prime due ore. Entro più tardi. E tu>> gli chiese indicando il Digimon in braccio al suo amico << Perché porti DemiVeemon a scuola? >>
Daisuke storse il naso. << È colpa di quella pazza di mia sorella. L'ha traumatizzato, stamani. >>
In effetti, il piccolo Digimon non aveva un'aria molto sana. Yamato provò pena per lui. In fondo, era stato un obiettivo di Jun Motomiya, anni prima, e sapeva bene di cosa fosse capace.
<< Non ha una bella cera, infatti. >>
<< L'avevo strapazzato anch'io un po', prima. Mi aveva fatto una carognata, non è vero? >> disse tirandogli le guance, come per punizione aveva già fatto.
<< Smettila, Daisuke! Non vedi che sta male? >>
<< Uffa... d'accordo. Ah, Yamato. >> Daisuke si rivolse all'altro ragazzo. << Ma tu fai sempre questa strada? >>
Un leggero calcio negli stinchi da parte di Ken gli ricordò che non avrebbe dovuto fare quella domanda. Ma ormai il danno era fatto.
<< No, cambio strada tutti i giorni. >> disse l’altro, fingendo di non aver visto il calcio.
Sia Daisuke che Ken tacquero. Del resto, sapevano tutti la storia...

 
Due settimane prima dell'inizio del corrente anno scolastico.

 Casa Ishida.
Al rumore della porta che si apriva, Hiroaki Ishida uscì
dalla cucina, in mano un mestolo sporco di pomodoro
che riuscì a schizzare dappertutto.
<< Disgraziato! Eppure lo sapevi che c'era Takeru a
cena! Ti avevo detto di tornare in orario! >> sbraitò
contro il suo primogenito.
<< Ciao, nii-san! >> sorrise invece Takeru, uscendo
in grembiule dalla cucina. Vedendo lo sguardo molto
distratto del fratello, si accigliò.
<< È successo qualcosa? >>

Casa Takenouchi.
<< Beep... Beep... Beep...>>
Il telefono squillava, mentre Sora apriva la
porta di casa propria.
<< Click! Ciao Sora! Sono io! >>
<< Oh... ciao Mimi..>>
Silenzio all'altro capo del filo.
<< ...Va tutto bene, Sora? È successo qualcosa? >>

 

 

<< Beh, io e Sora... >>

<< Io e Yamato... >>

 

Ci siamo lasciati.

 

Le reazioni alla notizia furono molteplici.
Le orecchie di Sora furono perforate dagli ultrasuoni di Mimi, che sbraitò per circa mezz'ora su quando, come e soprattutto perché – esattamente come avrebbero fatto Hikari e Miyako una volta saputa la notizia.
Anche Takeru ululò un << CHE COSA?? >> che si sentì in gran parte del condominio, mentre Hiroaki, dietro di lui, esclamava << Sora era la tua ragazza? >>.
In generale, la notizia fu accolta da tutti con stupore.
Beh, non proprio tutti.
Taichi, dal canto suo, quando gli venne comunicata la notizia – era a casa di Koushirou – si limitò ad alzare un sopracciglio e a commentare con un << Ah, davvero? >>.
Le ragioni della rottura dei due restarono oscure. Nessuno ne ha mai saputo nulla. Non sembrava ci fosse stato qualche episodio spiacevole, né litigi. Semplicemente, il giorno prima stavano insieme. Il giorno dopo, non più.
A quanto pareva, solo Taichi aveva intuito già da prima che le cose non andavano bene, ma quali fossero stati i segnali da lui colti è una cosa che resta sconosciuta ai più.
Tuttavia, il ragazzo poteva aspettarsi di tutto. Ma non questo...

 Dieci giorni prima del corrente anno scolastico.
Davanti ai tabelloni delle classi.

 << Miya! Siamo nella stessa sezione! >>
<< Davvero, Hika-chan? Fantastico! Chi c'è in classe con te? >>
<< Takeru e Daisuke. Ormai mi sono rassegnata... >>
<< Io invece ho un sacco di persone nuove, che meraviglia! ... Ehi... perché Taichi ha quella faccia? >>
La ragazza più bassa, dai capelli castani, si voltò verso suo fratello, e vi lesse sul viso un'espressione di disperazione pura.
<< Che c'è, Taichi? >> gli chiese avvicinandosi.
Il ragazzo era fermo davanti ad un tabellone recante la scritta "Divisione superione, Classe 1-2**".
Sotto, una lista di nomi. Tra i tanti, questi tre.
Ishida Yamato.
Takenouchi Sora.
Yagami Taichi.
<< Non è possibile... >> stava mormorando il ragazzo.
<< Uh oh. >> commentò Miyako all'orecchio di un'esterrefatta Hikari. << Prevedo scintille! >>

 
Miyako non era completamente nel giusto, però. Perché i due ex-fidanzatini non si urlavano addosso ogni volta che si vedevano – da qui la prova che si erano lasciati consensualmente.
A dir la verità, non si parlavano. Mai. Né incrociavano gli sguardi. Pareva impossibile che Taichi rimanesse amico di entrambi, eppure lui, in qualche modo, ce la fece. Ma si sa, la pazienza non è mai stata una delle maggiori virtù del Digiprescelto del coraggio. Resse la situazione per più di tre mesi. E poi...

 
<< Taichi, dove accidenti mi stai portando? >>
Sora era parecchio irritata dal comportamento del ragazzo.
<< Mi vuoi dire dove stiamo andando? >>
Per tutta risposta, Taichi si fermò di botto, e aprì la porta di una classe. Dentro, in attesa del ragazzo castano, c'era Yamato.

 
A quanto ci ha raccontato Taichi poi, le espressioni dei due ragazzi quando si videro erano una di quelle cosa da registrare e da rivedere nei momenti di malinconia, per farsi due risate.
Immediatamente, i due cominciarono ad accampare scuse per filarsela...

 
Taichi sbatté la porta dietro di sè, interrompendo qualsiasi borbottio.
<< Eh, no! Dove credete di andare? Adesso mi state ad ascoltare. >>
Avanzò di qualche passo verso i due.
<< Abbiamo una situazione da sviscerare! >>

 
Taichi Yagami urlò addosso ai suoi due migliori amici per almeno mezz'ora. Il cielo solo sa di cosa abbia parlato per così tanto tempo, nonostante appena in fondo al corridoio ci fosse il resto del gruppo dei Digiprescelti accorsi non appena avevano saputo.
Taichi si sgolò ben bene, finché non ebbe concluso di dire tutto ciò che doveva e, qualunque cosa sia stata, funzionò. Pian piano le cose tra Yamato e Sora si sono riaggiustate.
Tuttavia, il ragazzo tende ancora ad arrivare a scuola sempre all'ultimo secondo, per evitare qualsiasi situazione imbarazzante.
Ma se solo questo è il problema, ne siamo felici tutti.

 << Ehi, Yamato, mi sa che dobbiamo andare. >>
<< Già, hai ragione. >>
<< Ci vediamo Ken! >>
<< Ciao! >>
<< Ciao! >>

 Soprattutto i nervi di Taichi...

 

 A proposito di Taichi...
Dov'era in quel momento?
<< Corri! Sbrigati! >>
<< Hikari, abbi pietà! Mi sono appena svegliato... >>
<< Oh, povero piccolo! >> sbottò la ragazza con spaventoso sarcasmo, quando riuscì a recuperare un po' di fiato. Taichi, dal canto suo, qualsiasi cosa dicesse, non sembrava affatto provato dalla corsa mattutina.
<< Ma siamo quasi arrivati! >>
<< È quel "quasi" che mi preoccupa! >>
Correvano lungo il perimetro dell'edificio scolastico, mentre la lancetta dei minuti si avvicinava implacabile alle 8.
Varcarono il cancello un attimo prima del suono della campanella.
<< Eccoli! >> li salutò Takeru, un luminoso sorriso in volto (dietro di lui, ragazze di prima media sospirarono estasiate alla vista).
<< Ci siamo anche noi! >> arrivò da dietro dei due Yagami la voce di Daisuke.
<< Visto? >> disse Taichi indicando Daisuke e Yamato. << Non siamo nemmeno gli ultimi! >>
Hikari gli tirò uno schiaffo tra capo e collo, poi si diresse a grandi falcate verso la propria classe.

 

Ore 9.45, secondo piano, divisione media.
Hikari Yagami consegnò il compito di Biologia almeno mezz'ora prima del previsto, e, seguita da un coro di "Ma come fai?" uscì a fare quattro passi in corridoio.
Si fermò a guardare il cielo, alla finestra, e solo a quel punto si permise di concentrarsi sulla questione che ormai da diversi giorni la assillava.
Quella nuova sensazione...
Ad essere sinceri, era iniziata già da due settimane, e non accennava a diminuire. Era come un presentimento, ma la cosa strana era che, in tutto quel tempo, questo non era né svanito né si era accentuato.
La ragazza ispirò a fondo, spostando sulla schiena alcune ciocche ribelli dei suoi lunghi capelli castani. Ricordava bene ciò che, circa un anno prima, le aveva detto Koushirou.

 
<< Hikari, ascoltati. >> le aveva detto un giorno che erano tornati a Digiworld a fare il punto della situazione.
<< Ascoltati? >> aveva chiesto lei senza capire. Il rosso aveva storto il naso.
<< Ormai è chiaro che percepisci prima di tutti noi se accade qualcosa qua a Digiworld. Lo so che non è il massimo come definizione, ma sei una sorta di antenna radio per le anomalie. >>
<< Grazie tante, Izzy. >>
<< Dai, lo sai che scherzavo. Diventi sempre più simile a Miyako ogni giorno che passa, la sua vicinanza non ti fa bene. >> sussurrò, nonostante l'altra fosse parecchio distante da loro.
<< Quello che intendo dire, comunque >> disse Koushirou tornando serio << è che non devi prendere sottogamba i tuoi presentimenti. Potrebbero essere molto importanti. >>
<< D'accordo, Izzy. Starò attenta. >> gli aveva promesso.

 
Ah, pensò Hikari. La fa facile lui. Le emozioni, se lievi, si assomigliano un po' tutte, come poteva sapere se si trattasse di un pericolo in avvicinamento o qualcos’altro?
Ma questa non è forse diversa da tutte le altre che ricordi?
Hikari scosse la testa, per scacciare dalla mente quella voce talvolta inopportuna che aveva identificato come "coscienza".
Ma in fondo la voce aveva ragione, e questo la ragazza lo sapeva.
È anche vero, rifletté, che se il pericolo è grande, lo saprei con più certezza rispetto a come è ora. Devo solo stare attenta, e quando verrà il momento, lo saprò.

 

Oh, lo saprai sicuramente, Hikari. Ma se, quando quel momento verrà, fosse già troppo tardi?

 

 

 

Buonasera... Anzi, buonanotte!
Ecco il primo, vero capitolo. Non è un granché, lo so, perché non succede niente, ma essendo passati tre anni dalla fine della serie precedente (mese più, mese meno: Digimon Adventure 02 finisce a Dicembre 2002, questa storia inizia il primo settembre 2005) dovevo in qualche modo presentare i personaggi e specificare i cambiamenti avvenuti in loro (e tra loro).
Già in questo capitolo ho definito la rottura della coppia Sora/Yamato – chiedo scusa a tutti coloro che amano il Sorato, ma, ahimé, è contro la mia natura farli restare insieme.
Rendere Takeru un rubacuori come il fratello è stato troppo divertente, inoltre ce lo vedo parecchio bene...
Ma parliamo di altre cose serie (si fa per dire...). Il secondo scontro con Diaboromon, a cui si fa accenno parlando della ragazza di Jyou – il nome Himeka gliel'ho dato io! – l'ho incastrato a marzo 2003, perché all'inizio del film Miyako si sta provando la divisa delle scuole medie e secondo i miei calcoli (ho tutta una tabella adatta allo scopo) doveva essere marzo (il mese tra due anni scolastici) e del 2003 (Miyako è del 1991). Se avessi cercato meglio, avrei trovato queste informazioni su Internet, ma a fare i calcoli da sola mi sono divertita!
Alla fine i Digiprescelti sono risultati così divisi per anno scolastico:
  • Iori (11 anni) in sesta elementare;
  • Daisuke (quasi 13 anni), Takeru (13) e Hikari (quasi 13) in seconda media;
  • Ken (13) in terza media (ha la stessa età di Daisuke, Takeru e Hikari, ma l'ho messo un anno avanti in ricordo dell'intelligenza dovuta al seme delle tenebre);
  • Miyako (14) in terza media;
  • Mimi (quasi 15) e Koushirou (15) in quarta media;
  • Taichi (16), Yamato (16) e Sora (16) in prima superiore;
  • Jyou (17) in seconda superiore.

Le date di compleanno le ho cercate su Internet...
Venendo agli asterischi...
*dovrebbe essere la spada che nel kendo è usata nei combattimenti e dovrebbe essere un nome maschile.
** Il primo numero indica l'anno, il secondo la sezione. Credo. L'ho visto in un manga... :D

Nel prossimo capitolo prometto che qualcosa accadrà. Visto il finale di questo qua, si può intuire attorno a cosa ruoterà il prossimo! Lo metterò il prima possibile.
Oh, un grazie a Kymyit che ha recensito lo scorso cap e messo questa storia tra le seguite, nonostante si intuisse poco o niente dal prologo! Grazie infinite per la fiducia.
E grazie anche a coloro che hanno letto soltanto. Mi fa tanto, tanto piacere. Al prossimo capitolo!

 

Ciao!
coco1994

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Capitolo 3
*** Cap.02_Squarcio nel cielo ***


Cap.02_Squarcio nel cielo.

 

<< Ehi, Hikari, sei sicura che vada tutto bene? >>

Miyako vedeva la sua amica un po’ sottosopra, la mattina del 2 settembre. Talmente sottosopra che non la sentiva neanche parlare.

<< Hikari! >> le urlò in un orecchio. Ok, forse un po’ troppo forte, visto in salto che fece fare a lei e a mezzo corridoio, ma almeno l’aveva scossa.

<< Ma che ti prende? >>

<< A me sarebbe preso qualcosa? Ma sei fuori come sembri? >>

La reazione spaesata dell’altra le fece credere che forse era proprio così.

<< Lasciala stare, Miyako. Stanotte ha dormito poco. >> Taichi si materializzò alle loro spalle.

<< E per quale motivo? >>

<< Questo. >> disse Hikari, indicando la finestra.

Kaboom!

Uno schianto di tuono rimbombò nel cielo coperto di nuvole.

Miya non fece commenti su un’ipotetica fobia di Hikari per i fulmini, perché lei in primis ne soffriva, però le sembrava strano.

<< Gatomon non riusciva a dormire. Per un gatto, è difficile non ascoltare i tuoni. >>

Ah, ecco. Adesso era tutto chiaro. Hikari era sempre Hikari. Non si faceva scuotere da cose del genere.

 

Sbam! La porta di casa Yagami venne chiusa con forza dalla più piccola di famiglia, che si accasciò al muro della cucina, la testa fra le mani e la nausea che saliva prepotente. Sarà anche una persona che non si scuoteva per delle sciocchezze, ma in quel momento ne aveva fin sopra i capelli di quella cavolo di sensazione, che diventava sempre più… urgente? La verità era che continuava a non capirci assolutamente niente, e questo stava diventando insopportabile. Alzò gli occhi e notò Gatomon che la guardava ansiosa.

Non ce la faceva proprio più.

<< Mi devi aiutare. >> disse, la voce ferma e risoluta.

Il Digimon, sentendo che la voce della sua compagna umana non tremava, si rilassò e assunse un’aria seria. Non fece domande, tranne una.

<< Cosa devo fare? >>

 

Gatomon si rivelò una confidente perfetta. Non fece domande a caso e si sforzò di capire quello che Hikari riteneva importante della sua sensazione.

<< Dovrei aver capito. Ma cosa posso fare io? >>

<< Sono quasi certa che stanotte stessi sognando qualcosa di importante, però… >>

<< Ti ho svegliato. Mi– >>

<< No. >>

Come?

<< Non hai interrotto il mio sogno. >> Gatomon assunse un cipiglio interrogativo.

<< L’ho sognato quando ci siamo addormentate di nuovo. >>

<< E prima no? >>

<< Prima no. >>

<< Perché? >>

<< Non so nemmeno se ci sia un motivo. >>

La conversazione viaggiava allegramente su un binario morto.

<< Quindi, ricapitolando. >> cominciò Gatomon, per interrompere quello scoraggiante silenzio.

<< Hai questa sensazione da due settimane, ma è lieve e non capisci se si tratta di un pericolo o no, anche se lo sospetti fortemente. Ti sei scervellata giorno e notte su cosa potresti star percependo perché ti sembra che sia vagamente apparsa una sensazione di urgenza, ma a Digiworld è tutto a posto. Come se non bastasse, non ti ricordi il sogno probabilmente decisivo che hai fatto stanotte. >>

Hikari divenne rosso pomodoro.

<< Non me lo ricordare. >>

<< E invece te lo devo ricordare. È probabilmente tutto lì il problema. >>

La ragazza balbettò qualcosa in risposta, tremendamente imbarazzata. Assomigliava tantissimo a suo fratello, quando faceva così.

<< C’è anche da dire che il mal di testa dev’essere dovuto al fatto che qualcosa sta iniziando a succedere. >>

E chissà cosa.

<< Ah, Hikari, tu mi farai impazzire! Prima i fulmini, poi questo, la mia testa scoppia! >> il Digimon cominciò a strofinarsi le zampe sul muso.

<< Cosa hai detto? >>

Hikari se ne stava immobile, la bocca spalancata per lo stupore.

Cos’è che aveva appena detto? Se lo stava già dimenticando…

Riprese a parlare, piano.

<< Dicevo, prima i fulmini, poi– >>

<< Gatomon, sei un genio! >>

Eh?

Hikari scattò in piedi e corse alla finestra.

I fulmini erano la chiave!

O meglio, il fulmine. Il più grande di tutti. Ricordava di aver pensato che non ne aveva mai visto uno così grande… Aveva anche svegliato suo fratello.

Spalancò le tende, e guardò la pioggia, proprio mentre – manco a farlo apposta – ricominciava a tuonare. Fulmini, fulmini, grandi fulmini… squarci nel cielo.

Ma certo, fu tutto quello che Hikari pensò, mentre il suo corpo cadeva a terra e la mente lo abbandonava, volando verso i più remoti confini di sogno e realtà.

 

Hikari vide il fulmine cadere su Digiworld.

Vide il cielo, spaccato.

Vide nel mezzo qualcosa che volava, qualcosa di nero, grande, immenso.

Vide quanta malvagità quell'affare stesse emettendo.

Vide una nebbia nera che usciva da lì.

Vide Digimon scappare terrorizzati.

 

Rumore di una porta che si apriva.

<< Hikari! >>

<< Calmati, Taichi! Sta vedendo! >>

 

Vide una foresta morta, una lastra di marmo coperta da uno spesso strato di cenere.

Vide che c'era un simbolo lì nascosto, e si chiese cosa fosse.

 

<< Cosa? >>

<< È importante, lasciala stare! >>

<< Sta avendo una visione? >>

<< Sì! >>

 

Vide il fuoco. Prima una fiammella, poi un falò, infine un incendio che imperversava senza sosta.

 

<< Da quanto tempo è così? >>

<< Quasi mezz’ora. >>

<< CHE COSA? >>

<< Taichi, datti una calmata! Non la devi svegliare! >>

 

Vide villaggi bruciati.

Vide cumuli di cenere.

E poi... Vide qualcuno, tra la cenere. Qualcuno che camminava sopra la cenere.

Qualcuno... Chi?

 

<< Hikari! >>

<< Ecco, l’hai svegliata, pezzo di cretino! >> inveì Sora.

<< N-no… era finita… >> riuscì a sussurrare la ragazza stesa a terra.

<< Ah! Visto? >>

<< Zittisciti Taichi, o divento seriamente cattiva. >>

Hikari scosse la testa, nella speranza di connettere il cervello.

<< Cos’hai visto, Hikari? >> chiese Gatomon in ansia.

Quella era la domanda giusta!

<< Qualcuno... Qualcuno cammina tra le ceneri... >>

Doveva ringraziare la sua amica, una volta o l’altra.

<< Qualcuno... cammina... ma... non so chi... >>

Oddio.

<< Non c’è tempo! >> strillò raggiungendo gli ultrasuoni sulla penultima sillaba.

Non c’è che dire, rappresentava bene l’urgenza.

Tutti e quattro scattarono al computer, travolgendo tutto ciò che avevano sul loro cammino. Avrebbero messo in ordine tutto…  Ma non ora.

 

Miyako Inoue si stava asciugando i capelli, dopo essersi bagnata come un pulcino tornando a casa da scuola – accidenti a lei che non si portava mai un ombrello… non c’era nemmeno Ken-kun che l’avrebbe riaccompagnata a casa e almeno quello avrebbe giustificato l’assenza – quando suonò il cellulare. Inciampando tre volte di lì alla camera, imprecando come una signorina perbene non dovrebbe mai fare, raggiunse l'apparecchio in tempo per accorgersi che non era una chiamata, ma un messaggio. Ma prima di mettersi a protestare per quell'ingiustizia – sarebbe stato divertente vedere a chi si sarebbe rivolta – lesse il laconico messaggio.

"Miya, ho visto qualcosa su Digiworld. Ti spiegherò tutto dopo. Raduna gli altri e venite qua il prima possibile. Io, Tai e Sora partiamo ora. Non c’è più tempo."

E la ragazza non perse tempo. Tentando di infilarsi un paio di jeans correndo, andò in salotto.

<< Miya, che succ… >> iniziò Mantarou, ma lei lo ignorò – come sempre – e uscì di casa, scendendo al piano di sotto.

Primo obiettivo, Iori. Secondo, Takeru. Terzo, tutti gli altri. Poi, Digiworld.

 

Miya fu bravissima, va detto. Ci mise davvero poco. Ma in quel quarto d'ora che impiegò a radunare gli altri, nel mondo digitale successe di tutto.

 

I nove Digiprescelti mancanti all'appello si materializzarono su Digiworld esattamente 14 minuti e 37 secondi dopo che il primo trio era arrivato, sempre nel loro quadrante, in un punto imprecisato nella prateria.

Nella… cosa?

<< Ma che diavolo… >>

Intorno a loro non c’era niente, perché non si poteva considerare quel disco di terra bruciata largo un centinaio di metri qualcosa. O perlomeno, non lo si poteva considerare qualcosa di vivo.

<< Palmon! >> urlò piena d’angoscia la voce di Mimi.  Il piccolo Digimon pianta giaceva per terra riverso e coperto di ferite poco distante da loro. La ragazza si inginocchiò accanto alla sua amica e due grosse lacrime le scivolarono lungo le guance. Gli altri la raggiunsero.

<< Tentomon! >> adesso era Izzy ad urlare scorgendo il proprio amico a terra, nelle stesse condizioni di Palmon.

Avanzando ancora fu il turno di Jyou. Poi di Yamato. Oltre a Gomamon e Gabumon, altri Digimon giacevano svenuti e feriti tutto intorno a loro.

I ragazzi e i Digimon coscienti si guardarono negli occhi ammutoliti.

<< Cosa è succ… >> ricominciò Daisuke, ma anche questa volta fu interrotto da Miya che gli crollò addosso, una mano tesa avanti a sé, gli occhi fissi e spalancati verso qualcosa all’orizzonte.

 

I ragazzi e i Digimon correvano a perdifiato lungo le dolci discese della prateria, rischiando di inciampare e di rompersi le ossa piuttosto che fermarsi.

I loro tre amici erano lì.

<< Hikari! >>

<< Sora! >>

<< Taichi! >>

Miya scrollava Hikari per le spalle, tentando di farle riprendere conoscenza in modo tutto suo.

<< Vi prego svegliatevi! >>

Mimi puliva il viso di Sora, sporco di una qualche sostanza nera.

<< Ma questa è fuliggine…? >>

Le proprie dita sporche furono l’ultima cosa che la ragazza vide, perché l’istante successivo una rovente nuvola di cenere e gas li investì, spedendoli nell’incoscienza nel giro di pochi secondi.

 

Nel nulla nero d’improvviso apparve qualcosa. Cosa fosse di preciso, Mimi non lo sapeva.

Oh! Uno scintillio… Metallo? Le due fessure che erano gli occhi si aprirono ancora un po’, e… ahi. Troppa luce. Istintivamente, ancora buio.

<< Mimi? >>

… Sora? …

… Sora!

Di colpo Mimi fu completamente sveglia. Si trovò distesa su un letto matrimoniale, in una stanza sconosciuta.

<< Mimi! >> la voce dell’amica era piena di sollievo.

<< Dove siamo? >> mormorò l’altra. Che stanza era quella?

<< Nella camera dei miei genitori, a casa mia. Loro non ci sono. >>

Ah, ecco.

<< Sora, cosa… >> alzarsi in piedi le provocò un gemito di dolore.

<< Ferma! Stai seduta, hai la caviglia gonfia. >>

Solo allora Mimi notò com’era ridotto il suo piede sinistro, e la larga escoriazione che lo copriva. Oddio.

Distolse immediatamente lo sguardo.

<< Dove sono gli altri? >>

<< Ci siamo un po’ divisi. Iori è a casa sua e Jyou con lui ad occuparsi di Daisuke. Ha il polso più gonfio della tua caviglia. >> Mimi, onestamente, faticava ad immaginarselo. << Anche Yamato e Takeru sono lì. Ken è a casa per non far insospettire i suoi, anche perché ha solo una sbucciatura al gomito. Taichi e Hikari sono qua. Lui cucina >> effettivamente si sentiva odore di cibo, constatò Mimi annusando l’aria interessata. << e lei sta ancora dormendo. Koushirou e Miyako sono su Digiworld e aiutano Gennai. I Digimon sono con loro, e quando li abbiamo lasciati stavano abbastanza bene. >> il peso che aveva sullo stomaco si alleggerì decisamente.

Poi Mimi squadrò la sua amica.

Lo sguardo che Sora aveva in quel momento le fece capire che sapeva la sua prossima domanda e avrebbe tanto voluto che non le venisse posta.

Questo non poteva proprio farlo.

<< Sora… Cos’è successo? >>

E con un sospiro di rassegnazione la rossa cominciò a raccontare.

 

<< Tu non lo sai, ma da qualche settimana Hikari stava percependo qualcosa di strano. Non proprio fuoriposto, ma diverso dal solito, quello sì. >>

<< Perché non lo sapevo? >> Cos’era quella storia?

<< Non fraintendermi, Mimi. Non lo sapeva nessuno di noi. Hikari aveva paura di dare un falso allarme, quindi se ne è stata buona e zitta, anche perché non era esattamente sicura di ciò che avrebbe dovuto comunicarci, visto che nemmeno lei lo sapeva. Insomma… Non stava capendo proprio nulla, finché Gatomon le ha ricordato i fulmini e ha avuto una visione. Ha visto che un fulmine avrebbe squarciato il cielo di Digiworld, ha visto un incendio, e qualcuno che camminava sulla cenere. >>

<< Qualcuno chi? >>

<< Non lo sappiamo, ancora. Io e Taichi eravamo con Hikari quando si è svegliata >> cambiò tono su queste tre parole, e Mimi si segnò mentalmente di chiederle più tardi il perché. << e siamo subito corsi su Digiworld, dopo averti mandato il messaggio… >>

 

 

 

Digiworld, poche ore prima. Tre ragazzi si materializzarono nella prateria.

<< Sei sicura che sia qui il posto giusto? >> aveva chiesto il castano Taichi.

<< Si, certo… Sora! Chiama Biyomon! >>

<< Già fatto! >> le aveva urlato, sopra il vento che spazzava il i prati.

Il Digimon rosa stava volando veloce verso di loro, seguito, più lontano, da Agumon.

<< Sora, che è successo? >>

<< Hikari ha bisogno di vedere Gennai. Puoi portarci da lui, subito? >>

Biyomon l’ aveva guardata, tanta confusione negli occhi.

<< Come… sì, certo. È qui. >> Le labbra di Hikari erano diventate due linee sottilissime. Si stava chiaramente dando della stupida.

<< Cosa succede? >>

<< Oh, ragazzi, non lo so. Ma… ma… si avvicina qualcosa di pericoloso. L’ho visto.>> Biyomon non poteva sbiancare, ma comunque aveva spalancato i grandi occhi azzurri e aveva fatto cenno di seguirla.

Dal canto suo, Sora aveva cominciato a farsi prendere dal panico.

 

Stavano correndo verso il villaggio dei Tanemon, dove c’era Gennai. Era stato un sollievo scorgere la sua figura in lontananza. Lui avrebbe saputo cosa fare…

 

Poi Hikari aveva urlato. Si era fermata in mezzo al prato, le mani strette alle tempie, il viso al cielo. E un attimo dopo, Sora aveva capito perché.

 

Una luce abbagliante aveva illuminato una prateria fino ad allora ingrigita dalle nuvole. I sei si erano girati e si erano trovati di fronte al fulmine più grande che avessero mai visto, un taglio irregolare tra le nuvole, che aveva colpito il suolo con la forza di una bomba, spedendoli a gambe all’aria.

Le successive urla erano state coperte dall’assordante rombo di tuono che aveva seguito il lampo.

Hikari si era alzata, ed aveva cominciato a correre in cima al dolce pendio, dove si era fermata a controllare la scena.

<< È come il mio sogno. >> aveva sussurrato a suo fratello e a Sora.

E infatti, dalla spaccatura che c’era nel cielo, era scesa galleggiando una fortezza nera, un punto oscuro contro l’orizzonte limpido. L’aria che aveva oltrepassato scendendo era diventata violacea, fumosa, infettata da qualsiasi cosa quell’edificio stesse emettendo. Morte e sofferenza, sembrava urlare tutto questo.

Poi, quando era appena a poche centinaia di piedi da terra, dalla fortezza era arrivato un boato come di un vulcano.

Una colonna di miasma nero era schizzata verso l’alto, per poi ricadere al suolo, scivolando come un’onda. Sora aveva abbassato lo sguardo. Ovunque, Digimon stavano scappando, e fuochi più o meno grandi si erano sviluppati tutto intorno a dove il fulmine aveva colpito il suolo. Un girone infernale, ecco cosa sembrava.

Il terrore cieco che l’aveva già attaccata si era a quel punto impadronito di lei.

 

Si era sentita strattonata per un braccio.

<< Hikari! Andiamo! >> stava urlando Taichi.

Ma sua sorella non si era mossa. Sora l’aveva guardata negli occhi, e aveva capito che in quel momento la sua mente era altrove. Poi l’onda li aveva colpiti, e prima che toccassero terra i tre ragazzi e i loro Digimon avevano già perso i sensi.

 

<< Mi sono svegliata sull’erba, con Tai che mi chiamava. Vi abbiamo visto a terra, e abbiamo capito che ci avevate seguito, e un’altra onda vi aveva colpiti. >> Sora abbassò lo sguardo.

<< Mi dispiace. >>

Come scusa? << Cosa dici? >>

<< Avremmo dovuto avvertirvi. >>

L’affermazione era talmente assurda che Mimi restò a bocca aperta per qualche secondo.

<< Ma sei scema? >>

<< No, dico sul… >>

<< Non mi fare l’Hikari addossandoti colpe che non hai, Sora! Ahi! >> Nella foga si era alzata in piedi e il piede le aveva fatto male da morire, ma almeno alla sua amica scappò un sorriso.

Adesso andava meglio.

<< D’accordo, scusa. >>

<< Scuse accettate. Adesso aiutami ad alzarmi. Non ho intenzione di stare a letto un minuto di più. >> si puntellò sui gomiti tanto per chiarire il concetto, ma nel farlo appoggiò ancora il piede e represse a stento un ululato di dolore. Sora alzò gli occhi al cielo e la prese alla cintola per aiutarla a camminare.

 

<< Ci capisci qualcosa, Koushirou? >>

<< Devo essere sincero? >>

<< Ok, lasciamo perdere. >>

Miyako osservava con sconforto le informazioni che avevano sulla fortezza volante e su come fosse apparsa, e per ora la motivazione “magia” era la più quotata.

Ma, ahimè, il punto era un altro.

Dove accidenti era stato quell’affare, prima?

Aveva perso il conto di quante registrazioni avevano visionato fino a quel momento, eppure non avevano trovato né una traccia, né un indizio potesse portarli a dove la fortezza era stata costruita, e Miya si stava irritando.

Sembrava che nessuno l’avesse mai vista, prima di allora, il che era piuttosto improbabile, quindi questo significava che qualcuno la stava nascondendo. Ma chi, e perché soprattutto?

Koushirou aveva avanzato l’ipotesi che coloro che l’avevano nascosta fossero stati minacciati e a quel punto si tornava alla questione di partenza: di chi era la fortezza? Chi la comandava? A quale scopo?

Domande, domande, domande, e Miya non ce la faceva più. Tirò un cazzotto al computer che aveva davanti, e si fece un male cane. Imprecò tra i denti.

<< Miya? >> chiese Izzy.

<< Cosa vuoi? >> ringhiò l’altra, pronta ad attaccare briga al successivo commento di Koushirou. Non era bello, ma gliene fregava meno di zero. Doveva scaricare i nervi prima che quelli crollassero.

Il saggio Izzy stette zitto e Miya dovette desistere dai suoi propositi.

Sbang! Fece la sua testa sbattendo sulla scrivania alla quale era seduta.

L’allarme partì.

EEEEOOOOEEEEOOOOEEEEOOOOEEEEOOOOEEEEOOOO!!

<<  MIYAAAA! >> ruggì Koushirou, lanciandosi verso il computer.

Bang! Fece la porta, buttata giù da un Centarumon in allerta insieme a una valanga di Rockmon.

<< Che succede? >>

<< Ci attaccano! >>

<< Da dove? >>

<< Non lo so! >>

<< Chi ci attacca? >>

<< Non lo so! >>

<< Chi ha detto che ci attacca? >>

<< Un Digimon sconosciuto! >> Come?

<< Quanti sono? >>

<< Almeno tre! >> Cosa?

<< Sileeeenzio! >>

Era arrivato Gennai. Entrando con l’aria di essere il capo – ed effettivamente era il capo – marciò fino alla stanza di Izzy e Miyako.

<< Si può sapere che cosa succede qui? >>

Miya era un po’ preoccupata.

Perché non usava mai la testa? Anzi… Perché la usava sempre nel modo sbagliato?

<< Scusate… eheheh… colpa mia! >> sorrise.

Izzy non aveva mai visto Gennai arrabbiato, ma del resto di sapeva che Miyako era capace di far saltare i nervi a chiunque.

 

Tre ore dopo, i due avevano appena finito di riparare i danni. Come se non bastasse, a metà del lavoro Hawkmon li aveva raggiunti informandoli che i Digimon feriti si erano ripresi completamente – e questa era la buona notizia – e che quindi lei sarebbe rimasta a far loro compagnia – e questa, come scoprirono nei minuti seguenti, era la brutta notizia, perché non si zittì nemmeno un secondo.

<< Izzy, c’è qualcosa di strano in questo computer. >>

Nessuna risposta.

<< Izzy! >>

<< Eh? Cosa? >> non era carino dire al Digimon che aveva scollegato il cervello per non sentirla più.

<< Il computer ha qualcosa che non va! >>

<< Non è possibile. L’ho finito di controllare ora. >> rispose piccato. Lui non poteva sbagliare quando c’erano di mezzo i pc.

Lo sguardo gli volò comunque allo schermo.

<< È solo arrivato un e-mail… >> la schernì.

Poi guardò con più attenzione.

<< È una richiesta di aiuto! >>

 

Taichi era entrato con tutta la delicatezza di cui era capace, nella camera in cui Hikari dormiva. Ovviamente urtò qualcosa, provocando un fracasso infernale.

Sora fu immediatamente al suo fianco, e gli sibilò.

<< Che accidenti fai, testa di legno? >>

<< Lo sai che non l’ho fatto apposta! >>

<< Sora, perché mi hai mollato in mezzo al corridoio? >> li raggiunse ovattata la voce di Mimi.

<< Oh, Mimi scusami! >>

Povera Hikari. Non poteva neanche dormire in pace.

Ma la ragazza non stava dormendo… O almeno, non completamente.

Si era alzata a sedere, e aveva gli occhi aperti. E spenti.

<< Hikari? >> la chiamò suo fratello quando se ne accorse.

Ma la ragazza era in un luogo in cui nessuna voce poteva raggiungerla.

 

Drin, drin, driiiiiin!

Iori riuscì in qualche modo a rispondere al cellulare.

<< Pronto? >> Takeru alzò gli occhi. Iori era cortese anche in quelle situazioni…

<< Iori, sono Taichi! Non riesco a chiamare Izzy! >>

<< Ehm… è qui con me. Però è un po’ occupato. >>

<< Mi servono subito lui e Gennai! >>

<< Non si può proprio! >>

<< Ma qui Hikari ha cominciato a profetizzare! >>

Iori rimase immobile per lo stupore e una saetta l’avrebbe certamente fulminato, se Ankylomon non l’avesse prontamente protetto.

<< Che cosa succede? >> chiese Taichi allertato dal rumore.

<< Siamo nei guai anche noi! >>

La voce di Daisuke giunse imprecando fino alle orecchie del ragazzo più grande.

<< Dove siete? >>

<< Nel deserto. >>

<< Arriviamo! >>

Ed effettivamente arrivarono immediatamente. In un deserto trasformato campo di battaglia.

Gatomon, Agumon, Biyomon e Palmon digievolsero subito all’arrivo dei loro compagni. E si gettarono sul nemico.

Bell’affare, in quanto sembrava senza corpo definito.

<< Ragazzi! >>

<< Taichi! Ma Hikari… >>

<< Sto bene! Cosa succede? >>

<< Non hai… >>

<< No, non ho visto niente, ma non è il momento, ne parliamo dopo! >>

Angewomon trasse in salvo la sua amica prima che fosse investita da una valanga di cenere.

<< Ma è fatto della stessa sostanza che ci ha attaccati! >>

<< Sì! E continua a crescere! >>

Un Koushirou annerito e fumante corse dai ragazzi appena arrivati tentando di spiegare la situazione.

<< Ha attaccato un gruppo di Digimon che– >>

Kabuterimon lo spostò dalla traiettoria di un fulmine uscito dalla nube.

<< tenevano d’occhio questo settore e– >>

Altro spostamento.

<< Io e Miya abbiamo avvertito Iori e Ken– >>

Altra interruzione.

<< poi siamo dovuti correre– >>

Sbam!

<< qua immediatamente perché– >>

Kaboom!

<< la situazione– >>

Boom!

<< stava diventando– >>

Fu buttato in un cespuglio rinsecchito.

<< E BASTA! Troppo grave… >> concluse.

<< Calmati, Izzy! Abbiamo capito! >>

<< Un’ultima cosa. Dobbiamo trovare il fuoco da cui parte la cenere, anzi, l’incendio, vista quanta cenere c’è. Però… >>

Si guardò sconsolato attorno. Per chilometri e chilometri attorno a loro c’era solo un piatto deserto. Se ci fosse stato un incendio, l’avrebbero visto. L’unica cosa invisibile era l’orizzonte dietro il loro nemico.

<< Benissimo. Splendido, davvero splendido. >>

Li avevano incastrati proprio per bene.

 

 Poi, d’un tratto, qualcosa tranciò in due il muro di cenere. Una colossale colonna di fuoco orizzontale penetrò il mostro come un coltello taglia il burro, e lo disperse. I Digimon e i ragazzi, decisamente ammaccati, scorsero avanzare tra gli ultimi rimasugli di cenere un Digimon rosso fuoco. Un Digimon strano. Che non avevano mai visto.

Due piccole corna ai lati della testa fiammeggiavano, le mani erano in proporzione troppo grandi e le braccia avevano delle specie di ali collegate alla schiena. Sarà stato alto al massimo un metro e aveva due occhi neri e lucenti come l’inchiostro, fissi su di loro. Con un’espressione decisamente femminile e nient’affatto positiva.

Il Digimon alzò solo una mano e l’attacco che seguì bastò a farli volare oltre il confine del settore, verso le rovine al bordo della foresta.

 

<< Porca miseria! Chi era quella? >> si alzò sputacchiando Daisuke, abbracciando il suo Demi-Veemon

<< Mai visto prima un Digimon come quello. Eppure credevo di averli visti tutti. >> meditò Koushirou.

<< Qualcuno si è fatto male? >>

Sembrava di no. Almeno quello.

<< Cielo. >>

Sora fissava a occhi sbarrati un muro mezzo distrutto. Seguendo il suo sguardo, si poteva vedere un lungo brano scritto alla parete in un’elegante grafia antiquata, e Hikari in piedi davanti a esso.

Mimi sgranò i grandi occhi verdi.

<< È la profezia di Hikari… >>

<< Quale profezia? >>

<< Quella profezia… >>

 

 

Risplende una stella, una via senza scelta

segnata, seguita, non c’è via d’uscita.

Il fiume che scorre, il male è alle porte

la lotta ormai persa, la fiamma dispersa.

Brucia ora il mondo, luci di luna

là nel profondo, il perché di sfortuna.

A incendio domato, il passato è tornato

qui è l’ultima stella:

adesso è infine tempo di una scelta.

 

 

 

Hikari era ferma, imbambolata davanti a quelle poche parole.

<< E questo che cavolo significa? >>

 

 

 

 

 

 

 

Rieccola! Direte voi. Chiedo scusa di essere stata assente per tanti, troppi giorni, ma a causa di alcune novità (non tutte brutte, anzi) ho saltato completamente una settimana di lavorazione. E una volta tornata, rileggendo ciò che avevo scritto, l’ho trovato penoso, e ho dovuto ricominciare. Credo che a volte capiti anche a voi.

Ho appena finito, e pubblico subito il capitolo perché già domani potrei non sopportarlo più, ed è qualcosa che non posso permettermi, se ho intenzione di andare avanti con questa storia.

Allora, passando al capitolo: è un po’ più lungo del precedente – ma magari non si nota nemmeno – ma la cosa fondamentale è che finalmente succede qualcosa! Arrivano i cattivi, di cui, in tutta sincerità, per ora non si sa niente.

Hikari ha profetizzato! O meglio, ha riportato qualcosa che comunque era già stato scritto. Ma, come al solito con i testi antichi, non si capisce un bel niente. Sappiate che si tratta quasi della condensazione di tutta questa storia (a proposito, avevo promesso che avrei definito di quanti capitoli fosse composta… ma ancora non lo so, davvero non lo so, mi dispiace da morire. Sarà decisamente una cosa lunga, di questo sono sicura.).

Ultima cosa. Sto usando il forum/editor per la creazione del codice html perché non ho il mio computer con Nvu, e non ho ben capito come funzioni, quindi mi limito al minimo. Quando riavrò il mio fido pc, modificherò la forma del testo come quelli precedenti. Si tratta di un dettaglio di poca importanza che volevo comunque precisare.

Bene! Fine delle note e/o precisazione. Un enorme grazie a Kymyit che ha recensito anche lo scorso capitolo, e a tutti quelli che leggono.

Ciao ciao! A presto,

coco

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Capitolo 4
*** Cap.03_Blocco di luce ***


Cap. 03_Blocco di luce

 

 

Tic tic tic.

Dita guantate battevano su una tastiera semi invisibile e sospesa nell’aria. La tenue luce verdastra emanata da essa illuminava appena il volto allungato e coperto della creatura seduta davanti allo schermo e regalava un’aria ancor più maligna al sorriso che questa aveva dipinto in viso.

Ma la verità era che tutto, in lei, emanava cattiveria, con una tale intensità da poter essere definita oscurità. E poco importava che il suo viso digitale fosse dolce e sorridente.

Il Digimon scoppiò d’un tratto in una risata esaltata << Yahaha! Sono un genio! Sono veramente un genio! >> afferrò un Digimon inginocchiato accanto a lei e lo obbligò ad osservare le immagini della disfatta dei Digiprescelti.

<< Sono o non sono lo stratega migliore del mondo? >>

Il Digimon terrorizzato mugolò una risposta a bassa voce.

Sbam! Con uno schianto, fu spedito contro una parete.

<< Come scusa? Non ho sentito bene… >>

<< Sì… Signora. >>

<< Molto bene. E non trovate sia stato tremendamente divertente? >>

Una decina di teste annuirono, soddisfacendo le aspettative.

<< E questo era sono l’inizio! >> urlò il Digimon a pieni polmoni, salendo sul computer.

<< Preparatevi al seguito del grande show di Darklullabymon! >>

Applausi coordinati scattarono immediatamente. Doveva essere una scena prestabilita.

Bastò un suo cenno, e i Digimon la lasciarono sola.

Quel Digimon chiamato Darklullabymon scese dal computer, d’un tratto seria, e osservò intensamente lo schermo.

<< Tu però… Sembri un osso più duro degli altri. >> Picchiettò le dita sulla tastiera, intonando un’agghiacciante marcetta la cui eco si sparse nei corridoi come una presenza strisciante.

Schioccò le dita e un’ombra apparve nell’angolo della stanza.

<< Lei è tornata? >>

<< Sì, signora. >> rispose la creatura appena arrivata.

<< Benissimo. Chiamale entrambe. Ho un lavoretto per loro. >>

L’ombra si dileguò.

<< Vediamo un po’ cosa sai fare, piccola. >> e dedicò un sorriso malefico alla figura di Hikari Yagami nello schermo.

 

 

 

<< Non è che sei di gran conforto così, sai? >>

Jyou si limitò a schiaffare un pezzo di panno umido sulla fronte di Izzy.

<< Concordo con lui. >> commentò Miyako, stesa sul letto accanto.

<< Non vedo il perché di dover consolare due idioti. >>

<< Grazie. >>

<< Grazie. >>

<< E piantatela! È normale secondo voi farsi venire la febbre a furia di scervellarsi per capire quella cavolo di profezia? >>

<< Ma Jyou, è importante! >>

<< Lo so anch’io che è importante! Ma non è una giustificazione per l’ammalarsi. In fondo ho la mente di un medico. Ragiono in questi termini. >>

E in questi giorni sono anche parecchio nervoso, concluse nella sua testa.

Ma chi non lo era?

Prima la fortezza, poi gli attacchi, il Digimon misterioso, la profezia…

Era un po’ troppo per una mente di Digiprescelto ormai da un paio d’anni abituata all’ozio e capiva perché Miyako e Izzy avessero passato giornate intere sotto il sole del deserto davanti all’iscrizione.

Dopo quasi una settimana dal ritrovamento, però, né Koushirou, né Miyako, né Hikari, né chiunque altro aveva scovato nuovi indizi in merito a una qualsiasi delle questioni aperte.

L’unica cosa, che peggiorava la situazione, era che Gennai, controllando da cima a fondo l’archivio dei Digimon, non aveva trovato da nessuna parte informazioni sul Digimon rosso, il che stava a significare sia che non avevano la più pallida idea di come batterlo, sia che, se non era nel Database, doveva esserci in giro qualcuno che inventava nuovi Digimon dalla potenza assai maggiore del normale. E potevano quindi essercene altri…

Da qualsiasi punto la si guardasse, la situazione non era delle migliori.

 

Qualche giorno dopo, Mercoledì 14 Settembre 2005. Palestra.

 

<< Shun, sono libero! >>

<< Daisuke, a te! >>

 

Giocavano a calcio, i ragazzi della 2 – 3. Era il loro sport preferito durante l’ora di ginnastica. Hikari aspettava seduta in un angolo la fine dell’ora. Si era già esercitata alla trave, e osservava pensierosa i suoi amici correre come dannati dietro a quel pallone nero e bianco.

 

<< Gooooal! >>

<< Hikari, Hikari, hai visto? Sono bravo, vero? >>

 

Annuì a Daisuke cercando anche di fargli un sorriso, ma non ci riuscì.

<< Ehi. >>

Takeru si sedette accanto a lei. Dei ragazzi della sua classe, era l’unico che preferisse il basket, e quindi non riusciva a giocarci quasi mai. Non era male neanche a calcio, ma visto che il numero dei ragazzi era dispari, si immolava senza alcun rimpianto e spesso – anzi, quasi sempre – era lui a non giocare.

<< Come stai? >>

<< Come devo stare, secondo te? Mi sento uno straccio. Prima le visioni, poi la profezia… >>

<< … e gli attacchi che ci hanno distrutto e il Digimon che ci ha fatti volare alzando una mano. Sì, capisco che tu possa sentire una leggera tensione. >>

Hikari gli rivolse un mezzo sorriso.

<< Non è solo quello, è che mi sembra di stare impazzendo. Mi sembra– >>

<< … di non controllarti più? >>

La ragazza scattò in piedi.

<< Se il tuo intento era di dimostrarmi che mi capisci meglio di quanto io capisca me stessa, ci sei riuscito, ma non potevi scegliere un qualsiasi altro momento? >> si scagliò su di lui, forse a voce un po’ troppo alta.

E infatti…

<< Yagami, Takaishi, qualche problema? >>

Hikari pareva già essersi resa conto di avere esagerato vedendo lo sguardo mortificato di Takeru.

<< No, Sukemiya-sensei. >>

<< Allora fate silenzio. >>

La ragazza si sedette di nuovo, un po’ impacciata e lievemente arrossita, accanto al suo amico.

<< Mi dispiace. >>

<< Figurati. Mi avevi detto che sei nervosa, ho sbagliato io a insistere. >>

<< No, davvero, è colpa– >>

<< Smettila, e ti perdonerò definitivamente. >>

<< D’accordo. >>

Stettero in silenzio per diversi minuti, durante i quali Daisuke dedicò un altro goal a Hikari, con più decisione di prima. Forse c’entrava il fatto che Takeru fosse il suo rivale numero uno…

Hikari sbottò in un piccola risata, senza che fosse successo nulla.

<< Sei impazzita sul serio? >> Takeru si stava già alzando per cercare un dottore.

<< No… Però pensavo che è vero che non riesco più a controllarmi. >>

Risero insieme, allora, e in campo Daisuke scagliò una forte pallonata al muro.

<< Comunque… >> cominciò Takeru. << volevo chiederti se avevi notato una cosa. >>

<< Stiamo parlando di? >>

<< Della mostri controllati dalla nebbia. >>

<< Oh. >> Hikari si rabbuiò.

Tre giorni prima, metà dei Digimon che lavorano alla ricostruzione dei villaggi nella prateria era impazzita all’improvviso, distruggendo di nuovo tutto e ferendo i compagni. Coloro che non erano svenuti subito avevano descritto una cenere nera – la cenere nera – che li circondava, e gli occhi scarlatti.

Così come per gli altri attacchi, questo episodio si era concluso da solo, dopo aver seminato ancora distruzione. Altri casi erano avvenuti nei giorni precedenti, sempre con la stessa modalità, e la conclusione era che il nemico stesse cercando di intimidirli. E nonostante i grandi discorsi incoraggianti di Daisuke, si poteva dire che ci stesse riuscendo.

<< Non so te, ma a me ricordavano un po’– >>

<< I mostri del Mare Nero? >>

Takeru annuì, mentre Hikari sospirava.

<< Sì, anche a me hanno fatto questo effetto. È la prima cosa che io e Gatomon abbiamo pensato. Buffo, no? I Digimon venivano controllati e noi abbiamo subito pensato a qualcosa del passato. >>

Il ragazzo biondo non lo trovava buffo, proprio per niente. Sapeva che ancora, a volte, Hikari aveva incubi sul Mare Nero. Gliel’aveva detto Gatomon. Ed era quasi pronto a giurare che l’apatia della ragazza fosse dovuta a quello, quel giorno.

<< Ma è mai possibile che le cose brutte ritornino sempre, in un modo o nell’altro, anche stiracchiando la realtà in questo modo? Cioè, insomma… io vedo una foto – bada bene, una foto, e proprio io sono la prima a vederla, ma guarda un po’ – e c’è proprio un Digimon di tre quarti che mi guarda con occhi rossi e ricoperto di cenere e nonostante si stia parlando di tutt’altra cosa, ovviamente mi viene in mente il Mare Nero, e quello creature che cercavano di prendermi e… >>

Si prese le mani, stropicciandosi la testa. Takeru non sapeva che fare.

Hikari era un po’ cambiata negli ultimi anni, era cresciuta. E grazie a Miyako aveva perso un po’ di peli sulla lingua. Ma questo sfogo, questo sfogo… non era per niente da Hikari. O Miyako le aveva impiantato una personalità uguale alla sua, oppure la Digiprescelta della Luce stava raggiungendo a gran velocità il punto critico.

Takeru le passò un braccio attorno alle spalle, ma lo ritirò quasi subito quando il sibilo di Daisuke lo raggiunse fin dall’altra parte del campo.

<< Senti >> iniziò a parlare, cercando di essere il più delicato possibile. << non hai pensato che forse questa somiglianza non sia casuale? Che in questa storia potrebbero c’entrare anche… insomma… loro? >>

Stava già sentendosi dire qualcosa come “Non lo dire neanche per scherzo!” quando Hikari sgonfiò tutta d’un tratto.

Ahia. Anche lunatica… E mentre il ragazzo tentava disperatamente di ricordare se un mese prima al mare non avesse non fatto il bagno per via delle… insomma, delle sue cose, per cercare di dare un senso almeno a questo ultimo suo comportamento, Hikari parlò ancora.

<< Sì, ci ho pensato. Ma non credo che ci sia un nesso particolare. >>

<< Se lo dici tu. >>

<< Poi sarebbe troppo facile, perché io e Angewomon saremmo capaci di liberarli dalla cenere così come abbiamo fatto con le spirali del Male. >>

La ragazza registrò a scoppio ritardato ciò che aveva detto, e anche Takeru. Si voltarono di scatto l’uno verso l’altro, mentre suonava la campanella, e si resero conto di aver avuto entrambi la stessa folle idea.

 

<< Eccomi qua, Hikari-chan! >> veleggiò Daisuke fuori dagli spogliatoi.

Ma la ragazza non era lì ad aspettarlo.

<< Guarda che se cerchi Hikari, è scappata a fine ora con Takaishi-san. >>

Hikari… che scappa… con… TAKERU?

<< TAKAISHIIIIIIII! >>

 

I capelli di Hikari le volteggiavano attorno al viso e lei che non era abituata ancora ad averli lunghi si era come al solito dimenticata un elastico.

Oh, no, ce l’aveva.

Eccolo lì, un sottile filo azzurro legato attorno al polso.

Perché ce l’aveva? Perché era scappata insieme a Takeru a Digiworld, appena finita l’ora di ginnastica, per uno scopo talmente surreale da lasciarla basita. Ma quell’elastico al polso le ricordava che era la realtà, così come il fatto che Takeru le fosse a fianco e che Angewomon e Magnangemon stessero volando davanti a loro sospesi e nel vuoto e che… e che davanti a loro, alla base del precipizio, ci fosse un esercito di Digimon controllati dalla cenere nera, che puntavano i loro occhi fissi e scarlatti su loro quattro.

Batté i denti per il freddo. Non si era nemmeno cambiata, ed erano ovviamente finiti ai bordi del Polo Nord digitale.

Takeru le posò una mano sulla spalla, e un fiotto di calore penetrò nel corpo della ragazza permettendole di smettere di tremare.

<< Io e Magnangemon siamo qua solo per tenere d’occhio la situazione. Ma prima prova a vedere se ti riesce, insomma, liberarli. >>

<< Non penso ci riuscirò. Perlomeno non con tutti. >>

<< Ti ricordo che sei anni fa hai liberato dalle catene un esercito di Numemon. >>

<< Ma era diverso! >>

<< Fa’ finta che non lo fosse. >>

E Hikari si sforzò, mettendoci tutto l’impegno possibile.

Pensa, Hikari, pensa… Come hai fatto?

Mi sono detta qualcosa… ma cosa?

Pensa Hikari, scava nella mente… Cosa ti sei detta per tirare fuori la tua luce?

<< Non ce la faccio, non ce la faccio! Ho bisogno di aiuto! >>

<< Oh, andiamo, Hikari. Non puoi arrenderti senza averci provato! >>

Agì prima ancora che il pensiero la raggiungesse.

Si portò sul bordo del baratro, stese le braccia avanti a sé.

Le sue mani si illuminarono, e Angewomon si accese come un faro.

Flash!

Un disco di calda luce benefica fu scagliato nel baratro investendo ogni cosa nel raggio di cinquanta metri, un disco che si consumò quasi immediatamente nell’aria pulita dei climi freddi, portando a sorpresa con sé tutta la cenere, tutto l’oscuro che c’era in quel luogo.

 

<< Ma cosa… come… >>

<< Rockmon, sei tornato! >>

<< Perché, dov’ero andato? >>

 

<< Ce l’abbiamo fatta di nuovo… >> commentò la ragazza osservandosi le mani.

<< Hikari, sei un genio assoluto! >> la abbracciò il suo Digimon regredendo a livello campione.

<< E anche te, Takeru >> aggiunse cortese rivolta al ragazzo, che avvicinandosi abbracciò la Digiprescelta della Luce con un enorme sorriso.

Un incomprensibile gorgoglio si alzò chiaro alle loro spalle. Era Daisuke.

Accantò a lei, Iori e Ken erano un po’ imbarazzati e Miyako sogghignava con aria perfida, mentre un Gennai nella sua forma giovanile cercava di non scoppiare a ridere.

<< Ehm… possiamo spiegare tutto… >>

Con un urlo belluino, Daisuke fece per gettarsi su Takeru, ma fu bloccato dal proprio Digimon.

<< Gatomon! >> Hikari le rivolse uno sguardo supplice, ma la sua amica era intenta a studiarsi le unghie.

<< Dopo facciamo i conti. >> le sibilò.

Il Digimon gatto sfoderò per niente turbata il suo miglior sorriso femminile e felino.

 

Nella sua solita stanza nera, Darklullabymon osservava esaltata la scena riprodotta nello schermo.

<< Avevo visto giusto! Del resto non avevo dubbi… Ragaaaaazzi! >>

Dieci Digimon irruppero.

<< Abbiamo un contrattempo! >> rise sguaiata.

I poveri dieci non avevamo idea se essere tristi per la notizia o felici, visto il comportamento del loro capo.

Nel dubbio, rimasero immobili.

<< Oh, ma non dovete preoccuparvi! Ho già la soluzione! E sarà un grande spettacolo! Preparatevi alla terza parte! >>

Pausa teatrale.

<< L’annientamento della minaccia! >>

Applausi, e inchini da parte di Darklullabymon che poi li congedò.

Osservò la ragazza nello schermo.

<< Ti sei comportata proprio come previsto. Adesso vedrai cosa ti combino… >>

Il dito le sfiorò un tasto, e apparve una piccola stanza, con tre figure all’interno.

<< È il momento! >> canterellò. << Ora tocca a voi! >>

 

Nell’occhiata che Miya stava gettando a Hikari c’era, tra le altre emozioni di incredulità e soddisfazione, anche un pizzico di irritazione. Non che fosse gelosa di Hikari… Però, insomma, lei che vede, lei che declama le profezie, lei che irradia la luce-che-libera-tutti-e-che-porta-il-bene.

Sempre Hikari, Hikari, Hikari.

E lei che ci stava a fare lì?

Non si sentiva gelosa. Si sentiva inutile.

La cosa strana era che non provava più il bisogno impellente di informare il mondo del suo stato d’animo. E indovina un po’ chi le aveva insegnato a trattenersi?

Hikari. Di nuovo Hikari.

Aveva comunque voglia di mangiarsi le mani.

<< Miya. >>

Una voce la chiamava. E, guarda un po’, era la voce di Hikari.

Si voltò di scatto, l’esasperazione negli occhi.

<< Puoi seguirmi un momento? >>

Cosa? E perché? Mi devi dire qualcosa? È successo qualcosa?

Ingoiò le mille domande che le stavano salendo in gola, e annuì, seguendola poi nel corridoio di casa Yagami, dove i dodici Digiprescelti si erano radunati per fare il punto della situazione.

La sua amica chiuse piano la porta della propria camera, e accese la luce.

<< Senti, Miya… >>

<< Sì? >>

<< Mi dispiace. >>

Come?

<< E di cosa? >>

<< Mi dispiace essere una di quelle persone faccio-tutto-io. Darebbe noia anche a me. >>

Si era sbagliata. Aveva omesso l’ennesima qualità di Hikari: la lettura nel pensiero o giù di lì.

<< Ma non sono arrabbiata con te. Mi sento solo… un po’ inutile, ecco. Non è che proprio ti invidio, perché mica mi piacerebbe avere le tue visioni, però contare un po’ meno di zero, quello sì, mi farebbe piacere. >>

Lunghi secondi di silenzio. Un’altra cosa preziosa che Hikari le aveva insegnato.

<< Miyako. >> perché usava il suo nome intero? << Mi rifiuto di farti un’altra volta il discorso su quanto tu sia importante. Hai un’ottima memoria, non ti dimentichi mai di nulla ed è una cosa di cui potresti anche vantarti, quindi fammi il favore di tornare indietro con la mente a quando ti ho fatto questo discorso e ripetertelo parola per parola finché non mi giuri di averlo capito veramente. >>

Wow, Hikari logorroica!

<< Solo se tu mi giuri di ripensare a quando ti ho fatto quel lungo monologo sullo scusarsi. >>

<< Quella parte in cui non mi devo scusare per colpe che non ho? >>

<< Esatto. >>

<< Ok. >>

Altro silenzio, un po’ più lungo del precedente.

<< Io avrei fatto. >>

<< Anch’io. >>

<< Allora tutto a posto. >>

<< Sì. >>

Due colpi leggeri alla porta le distrassero.

<< Ehm… ragazze? Tutto ok? >>

<< Sì, Izzy, sì. >>

<< Allora sbrigatevi. Si va alle rovine. >>

 

<< Di quando hai detto che sono queste rovine, Gennai? >>

<< Non l’ho detto. >>

<< Ah. >>

Taichi e Gennai stavano avendo questa intelligente conversazione davanti al muro con la profezia.

<< Comunque, da che ricordo, sono sempre state qui. E visto che io sono a Digiworld praticamente fin dalla sua creazione… >>

<< … non possiamo sapere niente. >>

<< Esatto. Ho cominciato l’Archivio da quando sono qua, ma del prima non so niente. >>

Hikari accarezzò le antiche scritte sul muro.

<< Ma la profezia… quella non l’avevi mai vista, giusto? >>

Gennai sospirò. << È vero. Non era visibile, ma questo non esclude che ci fosse già. Gran parte delle cose che esistono a questo mondo sono invisibili. >> non poté non pensare alla fortezza nera.

Ma perché le loro ricerche dovevano essere sempre così impossibili? Cos’è, avevano per caso firmato un contratto?

<< Uffaaaa! >> si lamentò Miyako riassumendo l’umore generale. << Sentite, io vado a sgranchirmi le gambe qua intorno, che non ne posso più! >>

<< Da sola? Sei matta? >>

<< Macché matta e matta! Ci sarà Hawkmon con me! >> il Digimon annuì, convinto.

<< Sì, perché già che tutti insieme è stato fin troppo facile vincere contro la cenere, andare da soli renderebbe tutto più divertente! >>

Ken guardò supplice la ragazza da capelli viola << Miya, ti prego… Fatti accompagnare da qualcuno. Vengo io, non mi pesa. >>

La giovane divenne di mille colori, anche se il predominante era il rosso acceso.

<< No, non ti disturbare, che viene– >>

<< Io! Vado io! >> si propose Hikari.

<< Tu non dovresti assolutamente stare di sola, Hikari. >>

<< Ma tanto andiamo solo qua dietro! >>

Detto questo, le due ragazze di defilarono.

Passarono dieci secondi, non uno di più. E l’urlo di Miyako Inoue penetrò le orecchie di coloro che erano rimasti indietro.

Raggiunsero il luogo da cui era venuto l’urlo col cuore in gola, già in assetto da battaglia, ma tutto ciò che Greymon e gli altri trovarono furono una Miyako bianca come un lenzuolo e un’Hikari che, in ginocchio, teneva la testa di un Digimon ferito.

<< Gennai, aiutalo! >>

Il vecchio (quasi) saggio non ci pensò due volte e si gettò sul povero Elecmon.

<< Gen… nai… >>

<< Sta’ zitto e non parlare. >>

<< La… la cen– >>

<< Zitto! >>

<< NO! >> gridò il Digimon. << È importante! Abbiamo.. Abbiamo nascosto.. noi.. la fortezza.. >>

Detto questo, sembrò svenire.

<< Cosa.. ma perché? >>

Elecmon lo guardò con aria sconfitta.

<< Volevano.. hanno minacciato le Digiuova della città della rinascita.. >>

Ah.

Questo non era propriamente una giustificazione. Ma spiegava molte cose.

Gli Elecmon si occupavano da sempre della città della rinascita e dei nuovi nati. Avevano con i piccoli il legame più forte di tutti.

I padroni della fortezza erano stati furbi.

<< Io.. sono scappato e.. mi dispiace, davvero, mi dispiace da morire.. >>

Era assolutamente disgustoso, prendersela con i bambini.

La solita furia cieca di impadronì di Takeru, al pensiero di tutta quella cattiveria.

<< Vi hanno costretto anche a costruire la fortezza? >>

<< No, noi.. l’abbiamo solo modificata. >>

<< Modificata come? >>

<< Takeru, smettila di tartassarlo di domande! Non vedi che sta male? >>

Ma Elecmon stesso, scosse la testa.

<< No, ha ragione. Ma non sappiamo praticamente niente su di loro. Il capo l’ho visto solo due volte e non ho mai sentito pronunciare il suo nome. >>

<< Sapresti descrivercelo? >>

<< È una lei.. ma.. un’altra volta.. non.. ora.. >>

Vacillò per un attimo.

<< Elecmon! >>

<< Non.. non c’è tempo. Stanno per andare via. Se volete prenderli, dovete sbrigarvi. Vi porterò io. >>

E così, con le minacce, la padrona della fortezza era riuscita a costringere gli Elecmon a tacere il nascondiglio.

E a nessuno dei Digiprescelti, a nessuno, venne in mente che, se c’era riuscita una volta, poteva farlo di nuovo.

 

Il villaggio degli Elecmon si trovava sulla scogliera.

Era uno dei posti più belli di Digiworld, selvaggio e al tempo stesso accogliente, con gli schizzi del mare che a volte spruzzavano di acqua e sale i tetti delle capanne del villaggio.

Takeru e Patamon c’erano stati diverse volte, per salutare quell’Elecmon che avevano conosciuto prima della prima Digievoluzione in Angemon.

Ma il villaggio che avevano davanti in quel momento era un villaggio morto. Spento. Grigio.

<< Dove sono nascosti, Elecmon? >>

Il povero Digimon indicò la scogliera.

<< Qua sotto c’è un’enorme grotta. Lungo la parete della scogliera c’è una sporgenza.. è lì che.. dovete entrare. >>

<< D’accordo. Gennai.. noi andiamo. Resta qua con Elecmon. >>

Gennai annuì.

Sul gruppo scese il silenzio, mentre si inoltravano tra le capanne.

Poi ad un tratto, Elecmon urlò qualcosa che i ragazzi non capirono.

<< Cosa succede? >>

Daisuke corse indietro.

<< Oh, no. >>

<< Dai? >>

Al posto dello spiazzo dove Elecmon e Gennai li aspettavano c’erano altre capanne, e una strada identica a quella che avevano appena passato.

<< Trappola.. >>

<< Eh, già. >> disse una voce alle loro spalle.

 

Un Digimon strano li osservava divertito. Era piccolo e nero, con gli occhi grandi e bianche che li fissavano rilucendo maligni. Sembrava avesse addosso del fuoco grigio, che copriva le membra sottili simili a quelle di un uccello. Ma la cosa più importante era che fosse di cenere.

<< Benvenuti nel mio regno, Digiprescelti. Lieta di incontrarvi ancora. >>

Poi il suo corpo esplose e al suo posto, verso il cielo, si svilupparono pilastri di cenere nera.

<< Attento! >>

Jyou fu scaraventato a terra dal proprio Digimon, ed evitò l’attacco veramente per un soffio. Passarono cinque secondi, poi alzò la testa, trovandosi in un corridoio e circondato ovunque da cenere. Incandescente, pensò, scottandosi al contatto con una parete.

<< Gomamon? >>

<< Sì? >>

<< Come stai? >>

<< Va tutto bene. >>

I due si incamminarono. Al primo incrocio svoltarono a sinistra, poi a destra, ancora a destra, per due volte, completamente a caso.

<< Gomamon? >>

<< Sì? >>

<< A me sembra un labirinto. >>

<< Anche a me. Mi sa che siamo in un guaio. >> commentò il Digimon, affermando ciò che era ormai l’ovvio.

 

Un po’ di tempo dopo, fuori dai confini del labirinto, all’interno, comunque, di una sorta di campo di forza.

<< Dannazione, dannazione, dannazione! Siamo di nuovo qua! >> Taichi tirò l’ennesimo cazzotto al terreno, lasciando il settimo solco in appena due ore.

<< Taichi.. non cominci a chiederti se sia meglio se rimaniamo qua? >>

Il ragazzo guardò Agumon incredulo.

<< Cosa? >>

<< Cioè magari.. anche gli altri sono usciti. E sono qui, da qualche parte. >>

Taichi lo stava ritenendo un cretino patentato, questo era certo.

<< Non dire idiozie. Andiamo. >>

Ma Agumon non lo sarebbe stato a sentire, questa volta.

<< No, Tai. Non ha senso continuare a correre come mosche da una parte all’altra di un labirinto che ci porta sempre nel solito punto! So che sei preoccupato per Hikari, so che sei preoccupato per Sora, so che sei preoccupato per tutti, ma cavolo, non ti sfiora neanche l’idea che potrei esserlo anch’io? >>

Stupore, dicevano gli occhi del suo partner umano. Il ragazzo castano si lasciò cadere a terra, sistemandosi a gambe incrociate sulla roccia dura.

<< Scusami. >>

<< Figurati. >>

<< Cosa suggerisci di fare? >>

<< Perché non ci pensiamo ora, insieme? >>

<< Mi sa che non possiamo fare altro, visto che tu non hai idee. >>

<< Potremmo separarci. Io torno dentro e tu stai qua fuori. >>

<< Ma sei scemo? Se io non ci sono, chi ti protegge? >>

<< Ma se non puoi neanche Digievolvere in questo labirinto, hai ancora i segni di quando abbiamo tentato! >>

<< E questo cosa centra? Sono comunque più utile di te anche a livello intermedio! >>

<< Facciamo il giro del labirinto. >> Agumon alzò gli artigli della mano destra per bloccare il commento di Taichi. << No, non sono partito di testa. Sì, ce li ho gli occhi. Sì, lo vedo quanto è grande. Ma è tanto per fare qualcosa. >>

<< Mi piace questo piano. Andiamo. >>

E corsero lungo il perimetro di cenere.

Run, run, run.

Run, run, run.

Run, run, run.

Finché non scorsero una figura in lontananza. Jyou.

Se Agumon non iniziò a far presente di aver avuto ragione, era perché sul volto di Jyou c’era un’espressione che ad entrambi piaceva meno di zero.

 

Nello stesso momento, in un punto imprecisato del labirinto.

<< Gatomon, ce la fai ancora a camminare? >>

<< Certo. E te? >>

<< Non preoccuparti per me. Sei tu quella con meno energie. >>

Le orecchie del Digimon gatto si afflosciarono.

<< Su, non ti preoccupare. Non è colpa tua se quest’affare >> Hikari indicò il labirinto attorno a loro << ti indebolisce. >>

<< Mi sento inutile. >>

<< Ma non lo sei. >>

<< Tu percepisci niente? >>

<< Sì. >>

<< Come sì? E non mi dici niente? >>

<< No, perché non è niente che ci serva per uscire. Questo posto è malvagio, e dicendolo sto affermando l’ovvio. Tutto quello che sento è l’oscurità di questo luogo. >>

Camminarono ancora, alla disperata ricerca di una via d’uscita.

<< Questo posto è nuovo! >> sentì Gatomon commentare.

Davanti a loro c’era una sorta di piazza con otto percorsi disponibili. Non aveva idea di quale fosse quello giusto.

Poi mise un piede nello slargo.

 

Avete presente la gravità? Lo so che è una domanda sciocca. Ma per secoli non siamo stati capaci di identificarla, nonostante fosse – si può dire – sempre intorno a noi.

Anche ora, sappiamo che c’è, sappiamo che è quella cosa che fa cadere a terra i sassi o noi, ma non la percepiamo veramente, perché ci siamo abituati, ma soprattutto perché è costante.

E se d’un tratto non fosse più costante?

 

Le ginocchia di Hikari si piegarono e la ragazza cadde rovinosamente al suolo.

Puntellò le braccia, ma cedettero anche quelle, e si trovò con la faccia sul suolo roccioso della scogliera. Si sentiva come se una mano invisibile la stessa schiacciando a terra.. la mano di un gigante.

<< Hikari! >>

Scappa, Gatomon, scappa, ti prego!

Qualcosa tolse il Digimon dalla sua visuale, gettando Gatomon verso una parete incandescente. La partner Digitale di Hikari cadde a terra, fumante.

Chiunque fosse stata ad attaccarla, si avvicinò a un’Hikari ancora stesa al suolo stendendo una mano verso di lei...

 

Fiamme uscivano dall’entrata nel labirinto.

<< Sono iniziate ora! >> urlò verso Taichi e Agumon Jyou.

Gomamon rabbrividiva al pensiero di cosa sarebbe successo se fossero stati ancora dentro.

<< E gli altri? >>

Il ragazzo più grande guardò il castano col panico negli occhi.

I quattro cominciarono a correre, urlando a gran voce i nomi dei loro amici...

 

Yamato aveva preso Gabumon in collo e correva come un forsennato, mentre le fiamme si facevano sempre più vicine.

<< Yamato! >>

Era la voce di Taichi! Fosse benedetto il suo migliore amico.

Svoltò al primo incrocio dalla parte opposta alla voce del ragazzo.

<< Cosa fai, cosa fai? >>

<< Zitto! >>

La voce non si allontanava, anzi, pareva più vicina. Sembrava a destra...

Andò a sinistra.

Sembrava sulla sinistra avanti a loro...

Svoltò stretto a destra.

E poco dopo...

Bum! Fece il fuoco quando raggiunse il varco, ma ormai i due erano usciti.

<< Ragazzi! >>

Yamato contò veloce i suoi amici.

<< Dov’è Hikari? >> ahi. Domanda sbagliata da fare, a un Taichi nel panico più totale.

BUM! Un altro colpo, ancora più assordante, quando il labirinto esplose.

<< HIKARI! >>

<< Non ti preoccupare, è qui con me. >>

 

Il Digimon di cenere galleggiava a un palmo da terra dietro di loro un braccio alzato quasi per farsi notare, e l’altro stretto attorno al collo di Hikari.

<< NEE-CHAN! >> ruggì Taichi, lanciandosi verso la nemica.

Un istante e il gruppo fu circondato da un cerchio di fiamme.

Taichi continuò la sua corsa e i suoi vestiti presero fuoco, mentre attraversava le fiamme.

 

Hikari era terrorizzata, questo era sicuro.

Ma credette di impazzire, quando suo fratello le corse incontro incurante del falò.

<< TAICHI! >>

Un’ombra fulminea passò e lo respinse ancora dentro il cerchio, carponi per la botta ricevuta.

Stava bene? Doveva stare bene, altrimenti lei...

La coda dei suoi occhi fu catturata da un doppio movimento. Il primo, colei che aveva spinto indietro suo fratello, il Digimon rosso che avevano già incontrato.

Ma la seconda figura...

Era più alta dell’altra, e camminava tra la cenere.

La figura della sua visione.

Lo stupore fa tanto intenso da soverchiare la paura, non appena ne distinse i contorni. E in quell’istante capì che aveva visto chiaro nel sogno. Era la sua mente che aveva bollato come falsità l’idea stessa, poiché inconcepibile.

Tutto questo avvenne nel giro di un istante. La sua aguzzina era rimasta ancora al suo urlo precedente.

<< Zitta. >> le intimò. Un colpo alla testa, e la mente di Hikari si tinse di nero.

Così non udì le urla di suo fratello, né vide gli occhi spalancati e terrorizzati dei suoi amici, sempre più lontani, mentre veniva portata via oltre le nuvole.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Buonanottissima! Che cosa sto facendo, qui? Non lo so neanche io, ma... non ho sonno. Se i miei mi beccano ora mi scuoiano viva, meno male che dormono. Ma ora vado via, quindi due cosine veloci veloci...

Mi dite come è stato scritto questo capitolo, che mi sembra orrendo, e se qualcosa del mio stile di scrittura dovrebbe essere decisamente cambiato? Perché non riesco a essere oggettiva.

Altra cosa... Sono caduta nel banale col rapimento di Hikari? Non penso, però non si sa mai.

Questo capitolo mi ha fatto dannare. Per questo a un certo punto mi sono rotta e l’ho scritto di getto, che sennò non si procedeva. E se questo mi ha fatto dannare... col prossimo prenderò in seria considerazione l’idea di spaccare il computer. Ma non lo farò, non vi preoccupate ( non penso proprio lo farete, no no. )

Un grazie immenso alle due anime meravigliose che hanno recensito lo scorso capitolo, Kymyit ( lo sai che ancora non so scrivere bene il tuo nome? Mi confondo con le y e la i ) e Werewolf1991.

Un bacio e alla prossima!

coco verso lo svenimento da mancanza di sonno

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Capitolo 5
*** Cap.04_Tra i neri bastioni ***


Cap. 04_Tra i neri bastioni

 

 

Erano quasi le sei di pomeriggio di Sabato 17 Settembre quando il campanello di casa Yagami suonò tre volte.

Ad aprire la porta fu Yuuko Yagami casalinga di quasi cinqu... ehm, quasi quarant'anni-portati-veramente-bene, che accolse con un sorriso una ragazza che conosceva quasi quanto i suoi due figli.

Sora Takenouchi sorrise con altrettanto calore.

<< Scusi il disturbo, signora Yagami. Taichi è in casa? >>

<< Sì, è in camera sua. Deve star attraversando una fase difficile, è molto scontroso in questi giorni. >> pensò ad alta voce, scostandosi per far entrare la rossa.

<< Dimmi, sai per caso se centri una ragazza? >>

Sora rise.

<< Non credo. O almeno Taichi non me l'ha detto. >>

L'idea che Taichi tacesse a Sora una cosa del genere fece ridere entrambe quasi fino alle lacrime.

<< Oh, d'accordo. Smetterò di preoccuparmi. Me l'ha detto anche Hikari, stamani, quando l'ho sentita. A quanto pare si stanno divertendo molto là al lago da Miyako. >>

<< Sì, Miya me l'ha detto. >>

<< Spero tanto non siano andati a pescare. Hikari potrebbe dare in escandescenze. Sta diventando alquanto ambientalista. >>

La donna osservò l'orologio.

<< Comincia ad essere tardi... devo uscire a comprare alcune cose. Ti occupi tu di Taichi?

<< Non comincia a credere che sia abbastanza grande da saper badare a se stesso? >>

<< Sì, certo, però... Di te mi fido molto di più! >>

Sora sorrise comunque, ma quella sapeva tanto di risposta inventata sul momento per tappare un buco. Perché qualsiasi cosa le dicessero, Yuuko Yagami era preoccupata per suo figlio.

Sora glielo lesse negli occhi mentre la donna le dava le spalle e usciva. Dal canto suo, non smise di sorridere neanche per un attimo, finché la porta non si chiuse con un tonfo sordo, e lei e Taichi rimasero soli. Allora, e solo allora, un’ombra scura le attraversò il bel viso, che sotto lo strato compatto di fard era ancora più pallido del solito.

Aveva mentito due volte a Yuuko Yagami.

La prima volta, dicendo che non sapeva se centrasse una ragazza. Perché una ragazza era la causa del comportamento di Taichi.

La seconda volta, concordando sul fatto che alla casa al lago di Miyako Hikari si stesse divertendo.

Perché la ragazza in questione era Hikari, non era affatto a casa della sua amica e dubitava seriamente si stesse divertendo.

 

Dentro la propria camera Taichi era in un delle fasi apatiche che, dal rapimento di Hikari – il giorno prima – si alternavano a fasi d’ira furente.

Era già il terzo cambio d’umore, e durante la prima fase – quella di ira furente – aveva quasi strangolato Elecmon a mani nude, prima che quello scappasse gettandosi dalla rupe e scomparendo nei cunicoli tra le rocce. Avevano provato a inseguirlo, certo, ma quel traditore conosceva meglio la zona, e si era dileguato.

In compenso, avevano trovato la caverna. Su questo, almeno, Elecmon non aveva mentito. La caverna era immensa, scavata proprio sotto il villaggio e vuota. Talmente vuota e talmente enorme che l’eco del pugno che Taichi aveva sferrato sulla roccia a quella vista era rimbombata tra i pilastri naturali per lunghi minuti.

 

<< Taichi. >>

Il tocco leggero e fresco della mano della ragazza parve riscuoterlo dai suoi pensieri.

Gli occhi nocciola incontrarono i rossi, dove non poterono non notare quella stessa tristezza che loro stessi erano i primi a riflettere.

<< Sora... >>

Il profumo della ragazza lo avvolse quando le braccia di lei gli circondarono le spalle.

<< Tuo madre sospetta qualcosa. >> disse l’altra dopo qualche minuto di silenzio, e allentò la presa.

<< No! >> gracchiò la voce di Taichi districandosi dall’abbraccio.

<< Non ti preoccupare. Non sospetta di Hikari. La replica della sua voce che Gennai ci ha fornito è perfetta. Però sente che te hai qualcosa che non va, ed è preoccupata per suo figlio. E anch’io lo sono. >>

In un’altra occasione, Taichi avrebbe commentato con un “Per tuo figlio?” e lei lo avrebbe colpito delicatamente alla testa, sorridendo allo scherzo.

Ma, in quell’occasione, gli occhi della ragazza erano troppo spaventati, e Taichi troppo pieno di qualsiasi altra emozione che non fosse il sarcasmo, che, al posto di un commento ironico, il ragazzo non poté che emettere un lungo sospiro, appoggiandosi di nuovo a Sora in cerca di conforto.

<< Scusami. >>

<< Non è colpa tua. È solo che ci sono alcuni momenti in cui sembri senza forze, sembri sconfitto. Non ti ho mai visto così, e non so come aiutarti. Vorrei che nel tuo sguardo apparisse ancora il tuo spirito combattivo, che tu mi prendessi la mano e mi tirassi verso il computer esclamando fiducioso “Ora andiamo a riprendere mia sorella!” e invece non lo fai, e ho paura che tu ti stia arrendendo. >>

<< Pensi davvero che mi possa arrendere prima di aver riportato a casa mia sorella? >>

<< Non ho mai detto questo. Ma vorrei che Hikari fosse qui immediatamente, così da non vedere mai più nei tuoi occhi quest’aria completamente persa. Che mi terrorizza. >>

Lo sguardo di Taichi si incrinò sulle ultime parole di Sora.

<< Mi d... >>

Un dito venne premuto sulle sue labbra, zittendolo.

<< Lo so. Lo so. Ma non è il caso. >>

Ancora un lungo silenzio, interrotto solo dal ticchettare di un orologio.

<< Vado a prendere un bicchiere d’acqua. Hai sete? >>

Sora annuì, e il ragazzo si diresse in cucina.

<< Grazie. >> emerse la voce di Gatomon da sotto le lenzuola di Hikari.

<< Cosa? >>

<< Ti ringrazio per averlo scosso. >>

<< Non mi devi ringraziare. Non l’ho fatto solo per Hikari, l’ho fatto anche per me stessa. >>

<< E con ciò? Dove sta il problema? È giusto che tu ti sia occupata anche di te. Non sei egoista. >>

<< Grazie. >>

<< Di niente. Hai compiuto un gesto importante. >>

Ma la motivazione per cui, secondo lei, Sora ci era riuscita preferì tenersela per sé.

 

Digiworld. Nello stesso momento.

Iori stava rapidamente perdendo sensibilità al braccio destro.

Erano ore, ormai, che andava in giro sventolandolo a destra e a manca, nella speranza – per ora vana – che il Digivice che aveva in mano captasse il segnale di quello di Hikari.

<< Vuoi che facciamo cambio? >>

Un Ken appena arrivato gli sorrise.

Iori rispose con un mezzo sorriso.

<< Magari... >>

Agganciò il prezioso apparecchio digitale alla cintura, e scrollò il braccio intorpidito.

<< Che percorso farete? >>

<< Più o meno il tuo, solo volando, invece che in acqua. >>

<< Mi auguro che Koushirou si sbrighi ad aumentare il raggio d’azione dei Digivice. >>

<< Miya mi ha detto che sono a buon punto. >>

<< Ne sono contento. >>

Armadillomon voltò lo sguardo esasperato, mentre Worrmon alzava gli occhi al cielo.

Perché avevano sempre i turni vicini, quei due ragazzi cortesi fino all’esasperazione, che così non si finiva più?

 

Sempre Digiworld. Ore 19.35.

Takeru aspettava con impazienza che i suoi amici lo raggiungessero. Non erano nemmeno cinque minuti che li aspettava, ma aveva qualcosa si troppo importante da dirgli.

Era appena arrivato nel mondo Digitale, dopo una doccia gelata durata quasi un’ora che era finalmente riuscita a svegliarlo. Aveva fatto il turno di notte, insieme a Taichi. Dalle 23.00 alle 4.00, ed era stato in coma tutta la mattina finché, intorno alle 14.00, era crollato sul divano e lì i suoi amici l’avevano lasciato dormire, accanto a Daisuke (turno 4.00 – 8.00 insieme a Yamato).

Ma cosa potrebbe dover dire a loro, se aveva lasciato la Terra da non più di dieci minuti?

E qui li avrebbe stupiti.

Aveva appena scoperto dove si trovava Hikari.

 

<< So dov’è Hikari. >>

A Daisuke quasi cadde la mascella dallo stupore.

<< E da quando? >>

<< Che domanda mi fai? Da ora. Secondo te me lo tenevo per me? >>

<< Takeru. >> la voce del fratello della loro amica scomparsa era grave. << Sei sicuro? >>

Nemmeno il pensiero dell’ombra del dubbio passò negli occhi del ragazzo quando pronunciò << Sì. >>

Taichi lanciò un’occhiata veloce a Sora, ma non la intercettò nessuno. O quasi.

<< Allora andiamo a riprendercela! >>

 

<< Alt, alt, alt! Fermi tutti! >> gridò Jyou placcando Taichi.

<< Ma che fai? >>

<< Non possiamo gettarci alla cieca! Non faremmo altro che farci catturare tutti. >>

<< Ma ti pare questo il momento di mettersi a fare strategie? >>

<< Non dico questo! >>

Jyou si pose davanti ai suoi amici, scrutandoli uno a uno. << Ma almeno aspettiamo che sia notte. Siamo troppo più deboli di loro, e non guardatemi storto che è così. Se entriamo ora, avete idea di quanti Digimon ci saranno ad aspettarci? >>

<< Se invece aspettiamo un orario come le tre di stanotte, gran parte dei Digimon starà dormendo. Ci sarà la sorveglianza, ovviamente, ma se ci muoviamo con cautela abbiamo più possibilità di farcela piuttosto che procedendo ora con un attacco totalmente privo di buonsenso. >>

Lo sguardo dei presenti sembrava poco convinto.

<< Ha ragione. >> intervenne però Koushirou. Ken annuì, e anche Iori.

<< Ma siete fuori? Ogni secondo che passa Hikari potrebbe... >>

<< Però se ci facciamo catturare non la aiutiamo, giusto? Io sono d’accordo con Jyou. >> fece Sora.

<< Anch’io. >> disse Takeru.

<< Pure io. >> si aggiunse Mimi alla lista.

<< Che cosa? >>

Taichi abbassò lo sguardo, sconfitto da quello della ragazza rossa.

<< Possiamo almeno vedere dov’è questa fortezza? >>

<< No, è troppo lontano da qua. Te lo spiegherò a casa. >>

E prima che chiunque altro dicesse qualcosa, puntò lo sguardo al computer lì accanto, e lui e Patamon si dissolsero oltre lo schermo.

 

Darklullabymon osservava il gruppetto molto interessata, scoppiando in una risata fragorosa alle ultime parole di Takeru.

<< Uahuahuah!!! Chissà dove crede che sia il nascondiglio. Dì, Pattogmon, secondo te dove pensano che sia? >>

Il Digimon di cenere galleggiò accanto allo schermo, fingendo di meditare.

<< In cima al Monte Mugen! >>

Darklullabymon parve sinceramente colpita.

<< Wow, non ci avevo pensato! Potrebbe anche essere. Vorrà dire che staremo a vedere. >>

Una piccola parte del cervello della Digimon si chiese se i ragazzi avessero davvero individuato il giusto nascondiglio. Non era un’ipotesi da scartare a priori, dopotutto la Digipietra di quel ragazzo era la Speranza. Però di cosa preoccuparsi? Non c’era mica lei nella fortezza. Il suo esercito era lì esclusivamente per occuparsi degli attacchi esterni.

Inoltre, con due guardiani come quelli che aveva, le possibilità che quei ragazzini trovassero e salvassero la loro amica era meravigliosamente tendente allo zero.

 

Miyako tenne il muso per il breve tragitto attraverso i mondi. All’arrivo stava quasi per dire la sua quando lo scappellotto di Mimi la colpì sulla nuca. Così come successe a Taichi, Yamato e Daisuke.

<< Branco di deficienti. Volevate ucciderci tutti? >> sibilò la ragazza castana.

<< Mi dispiace. >> mormorò Takeru.

<< Ormai quel che è fatto è fatto. >>

<< Comunque grazie, Jyou. >>

<< Di niente. >>

<< Scusate, cosa... >> Di che accidenti stavano parlando?

Jyou sospirò << Non vi ha mai nemmeno sfiorato la mente il pensiero che ci potessero star ascoltando? >>

<< A quanto pare, no. >>

Un bisbiglio che assomigliava tremendamente alla parola idioti uscì dalle labbra di Iori.

<< A-allora tu... lui... io... noi... >> disse Daisuke indicando a caso i membri del gruppo, una faccia da scemo stampata sul viso.

<< Sì, ho mentito. Ho cominciato ad accampare scuse, o Taichi si sarebbe lanciato a capofitto ovunque Takeru gli avesse detto fosse stata sua sorella. Speravo che avreste letto fra le righe... >>

<< Meno male che hai capito tu, Takeru. >>

<< Mi dispiace ancora di aver detto di sapere dov’è Hikari. >>

<< Magari pensano che tu abbia sbagliato. >>

<< Questo è sicuro. >> affermò il ragazzo biondo, compiaciuto.

<< Cioè... nei limiti. Ma ho detto apposta “è troppo lontano” perché credessero avessi sbagliato. >>

<< Era vicino a dove eravamo? >>

<< È vicino in qualsiasi posto di Digiworld si sia. >> disse Takeru con aria misteriosa.

<< Puoi dirci dov’è questo benedetto posto? >> esplose Taichi.

E Takeru glielo spiegò, e non poté che divertirsi di fronte alle facce dei suoi amici.

 

 

Yuuko Yagami trovò un biglietto, tornando a casa.

“Ciao mamma! Oggi resto a dormire da Yamato, suo padre lavora tutta la notte. E prima andiamo a cena insieme con Sora e gli altri, è tanto che non ci vediamo tutti insieme. Scusa se non ti ho avvertito prima, a scuoiarmi ci pensi domani, ok? Salutami papà!”

Un biglietto molto “da Taichi”. Magari aveva risolto i suoi problemi...

 

 

Casa di Miya, ore 00.00.

Undici figure vestite di nero erano in piedi davanti a un computer, ognuno con un colorato animaletto in braccio e in mano un piccolo apparecchio digitale. Accanto a loro, una specie di gatto con i guanti stava dritto sulle zampe posteriori, in attesa.

<< Siete pronti? >>

<< Sì, Daisuke, sì. >>

<< La copertura? >>

<< Apposto. Nessuno ci cercherà prima di domani mattina. >>

<< Allora possiamo andare. >>

<< Sì, Daisuke, sì. >>

Takeru si fece avanti.

<< Vado avanti io. Sono l'unico che sa dove andare. >>

<< Allora andiamo. >>

<< E basta, Daisuke! >>

Takeru Takaishi alzò il proprio Digivice, e si lasciò catturare dalla luce dello schermo.

 

Andare a Digiworld è facile. Relativamente. Devi avere un Digivice, ma, una volta che hai quello, i problemi sono risolti. Lo punti verso un computer, urli la frase “Apriti Digivarco!” (ma anche se non la urli probabilmente funziona lo stesso) et voilà! sei a Digiworld. È un po' come il concetto della porta e della chiave. Una volta che hai la chiave, puoi aprire la porta quando vuoi, attraversi un corridoio e giungi a destinazione.

Ma il corridoio verso Digiworld, nessuno si è mai chiesto se davvero è vuoto?

 

I ragazzi non si erano mai chiesti da dove si passasse, prima di andare a Digiworld. Forse perché il viaggio durava pochissimo, o forse perché tutto veniva in mente, in quel corridoio di luce, meno che guardarsi intorno. Nemmeno Koushirou aveva mai riflettuto a fondo sulla questione, e considerava la cosa un grande smacco alla sua fama.

Ma a questo avrebbe pensato dopo. Al momento dovevano sbrigarsi.

Il Digivice di Takeru cominciò a splendere come una piccola stella nel momento stesso in cui cominciarono il viaggio direzione Digiworld. O meglio, direzione settore scogliera, detto altresì villaggio Elecmon. Insieme a Izzy aveva calcolato che doveva essere quello, il passaggio giusto.

E infatti.

<< Ora! Buttatevi a sinistra! >> urlò Takeru a bassa voce.

Sì, a bassa voce. Perché c'era un altro corridoio, in quell'universo bianco pieno di qualcosa che non era né digitale né terreno. E in fondo al corridoio, proprio alla fine, la fortezza nera troneggiava su di loro.

<< Wow. >>

Non l'avevano mai vista, così da vicino. Era veramente immensa, con tutti quelle torrette e guglie e torri alte centinaia di metri, e la sua base di trecento metri quadrati o giù di lì, secondo la stima calcolata ad occhio da Izzy.

<< Com'è che non l'abbiamo mai vista? >>

<< Credo si sposti. Solitamente dovrebbe galleggiare alla deriva. >>

<< E perché ora non lo fa? >>

<< Perché li stiamo cogliendo di sorpresa? >>

<< Perché hai questo tono interrogativo, Takeru? >>

Il silenzio che seguì fu molto imbarazzante, e per fortuna durò attimi.

<< Aaaaah, ci pensiamo in un altro momento! Ora che l'abbiamo trovata andiamo! >> sbottò Taichi innervosito, mettendosi a camminare lungo il corridoio.

<< Fai piano! >> Sora gli corse dietro, e il resto dei ragazzi la seguì.

 

<< Sicuri che non ci abbiamo intercettati? >>

<< No. Ma se un Digimon come quella della cenere o quello del fuoco non ci ha ancora sbarrato la strada o ci ha fritto in questi venti minuti che siamo qua, allora forse non ci hanno sentito arrivare. E ora zitto, che sennò ci sentono sicuramente. >>

Erano proprio sotto le mura della fortezza e si stava cominciando a porre il problema del “da dove entriamo?”

Questa sì che era un'ottima domanda.

Il gruppo si mosse lento e silenzioso lungo il confine dell'enorme edificio, pestando il prato che, come un disco, circondava la fortezza.

Koushirou li aveva informati che secondo lui i trattava di uno di quei cerchi d'erba che erano parsi come bruciati nella prateria. Probabilmente alcuni lo erano davvero, ma uno dei tanti doveva essere stato strappato e portato là come contorno per–

A quel punto, Mimi l'aveva zittito.

<< Sora! Sora, Sora, Sora! >> cinguettò Biyomon.

<< Sssh! Che c'è? >>

<< Guarda quelle finestre! >> disse indicando uno dei piani alti.

Erano alte e strette, e avrebbero lasciato filtrare pochissima luce anche se ci fosse stato il sole, invece di quel leggero chiarore simile ai raggi della luna piena.

<< Cosa... >>

<< Ma insomma... Non vedi che non ci sono vetri? >>

 

<< Un piccolo sforzo... Ci siete quasi... Bravi! >>

Gli sforzi combinati di Palmon e di tutti i Digimon che sapevano volare erano riusciti a trasportare i loro compagni dentro quelle finestre tre piani più in alto.

Hawkmon si accasciò alla parete.

<< Miya... Non sapevo fossi così pesante. >>

<< E con questo cosa vorresti dire? >>

<< Che pesi troppo. >>

Sora la bloccò prima che riducesse il Digimon a un ammasso di piume.

<< Takeru, dove porta il segnale del Digivice di Hikari? >>

Il ragazzo sbirciò l'apparecchio da dentro la tasca, cercando di impedire che illuminasse a giorno il corridoio.

<< Di qua. >> disse, indicando un passaggio perpendicolare a quello in cui erano.

 

Takeru li guidò attraverso un intrico di gallerie e corridoi, oltre scale, porte e torri.

<< Ma una via più veloce non c'è? >>

<< Stiamo andando a caso, Miya. A caso, sai che significa? >>

<< Volete stare zitte? >>

Camminavano da più di due ore. Nel castello regnava il silenzio.

<< Perché non abbiamo trovato ancora nessuno? >>

<< Non dire così, che porta male. >>

Takeru abbassò l'ennesima maniglia.

La porta rimase chiusa.

<< Ha già portato male, a quanto pare. >>

 

Non solo quella porta era chiusa. Anche tutte quelle raggiungibili da quel corridoio.

I ragazzi raggiunsero l'ultima – escludendo quella da cui erano entrati – quasi con disperazione.

Daisuke abbassò la maniglia.

Niente.

Il ragazzo mormorò una parola non proprio carina.

<< Magari questo significa che Hikari è qui vicino! >> suggerì Miya una volta che tornarono al corridoio principale.

<< E se fosse? Buttiamo giù la porta svegliando tutto il castello? >>

Sarebbe stato un suicidio. Ma se Hikari era davvero così vicina a loro...

Poi i Digimon si mossero tutti insieme, negli occhi lo sguardo di chi è pronto alla battaglia, perché, in mezzo al corridoio, un fiammella galleggiava a mezz'aria.

Nemmeno Daisuke perse tempo a imprecare. Si misero a correre verso la porta da cui erano venuti.

 

Corsero per chissà quanto tempo, cercando comunque di fare meno rumore possibile, perdendosi in quel labirinto di corridoi.

Si fermarono solo molto più tardi.

<< Li abbiamo seminati? >>

<< Non lo so. Adesso– >> ma Sora non poté finire la frase, perché Biyomon la buttò a terra salvandola da un attacco di fuoco.

Dalle tenebre emerse il Digimon con le corna che avevano già incontrato, e li osservò con lo stesso sguardo del loro primo incontro.

 

Patamon si mosse prima ancora che Takeru gli dicesse qualcosa. La sua bomba d'aria non raggiunse però l'obiettivo, che se ne liberò con un brusco cenno della mano sinistra, prima di gettarsi sul ragazzo biondo.

<< Takeru! >> urlò Yamato, ma il Digimon era troppo veloce, e troppo forte per chiunque di loro.

 

Takeru udì un passo, e si arrischiò ad aprire gli occhi. La mano del Digimon fiammeggiava a dieci centimetri dal suo volto. Deglutì a fatica.

Dallo stesso corridoio da cui erano venuti emerse una figura ammantata. Solo i suoi occhi erano visibili.

A Taichi ricordò qualcuno.

Sbiancò. No, non poteva essere...

<< Veemon! >>

<< Sì! >>

Il dinosauro si lanciò contro la figura. Un attimo, e fu atterrato dal Digimon di fuoco, che si posizionò poi di fianco al nuovo arrivato.

Daisuke corse dal suo Digimon, stringendo i pugni in direzione dei due.

<< Bastardi! >> sibilò, ma tra le altre emozioni si poteva scorgere la paura e la curiosità, che attanagliava tutto il gruppo.

Ma quest'ultima durò poco, perché la figura si tolse il cappuccio, e si slacciò il mantello.

E Taichi capì perché l'avesse scambiata per sua sorella, perché davanti a loro, a fissarli con occhi vuoti, c'era un ragazza umana.

 

 

 

 

 

Dite un po', vi aspettavate quest'entrata? Io credo di no.

Ditemi se vi è piaciuta.

Ora chiudo subito e vado a letto, aggiungerò qualcosa domani.

Buonanotte a tutti!

coco1994

 

[Dopo una lunga nanna...

Bene! Adesso sono sufficientemente lucida per qualche commento a questo capitolo.

Chiedo per prima cosa scusa per non aver inserito una parte sui pensieri di Gatomon. È stato un mio errore, ma recupererò col prossimo capitolo, perché mi è venuta nel frattempo un'idea...

Allora: il mondo di mezzo tra Digiworld e il mondo umano me lo sono inventato di sana pianta quando si poneva il problema di dove nascondere la fortezza senza che nessuno la trovasse. È una soluzione come un altra e spero sia stata di vostro gradimento. Penso che lavorerò ancora in questo scenario... ma più avanti, nella storia.

Il fatto che sia stato Takeru a trovare Hikari è rilevante. Non dimenticatevelo col proseguire dei capitoli.

Ed ecco qua... un nuovo arrivo. Un essere umano.

Chi è? Perché è lì?

Segreto, ovviamente. Non mi uscirà una sola parola di troppo, dovrete attendere i capitoli per sapere.

Lo scorso capitolo avevo affermato che per scrivere questo sarei diventata scema. Due cose:

  1. non è questo capitolo quello difficile, ma il prossimo. Avevo sottovalutato quanto potesse risultare complicato far scovare ai Digiprescelti la fortezza, quindi è tutto scalato di un capitolo.

  2. Ho comunque le idee più chiare del previsto, quindi non ci impiegherò troppo. Contenti?

Pattogmon è il nome del Digimon che provoca la cenere. Il mio fido Google Translator mi ha reso noto che “Pattog” è la parola ungherese per “crepitio”. Di tutte le parole che mi sono messa a cercare in varie lingue, era la più carina, quindi ho messo questa.

Spero che la storia stia diventando più interessante. La parte che ho scritto fino a ora era più un cappello per la storia in sé, che inizierà nei prossimi capitoli.

Vi aspetto!

coco1994]

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Capitolo 6
*** Cap.05_La padrona del Digimon di fuoco ***


Cap. 05_La padrona del Digimon di fuoco

 


 

Quando Gatomon aveva visto il Digimon rapire Hikari, si era sentita completamente persa.

Aveva alzato la testa, annerita e fumante per lo scontro col muro rovente, e non aveva potuto fare niente per impedire che la sua migliore amica venisse portata via. Aveva urlato, questo era ovvio, ma nessuno aveva sentito la sua voce, inghiottita ormai nel crepitare delle alte fiamme che le divampavano intorno. Il fuoco aveva cominciato a penetrare, dopo aver invaso il labirinto, nello slargo in cui lei era stata lasciata. Il calore e il fumo le avevano annebbiato la vista, ed era scivolata nel buio dell'incoscienza.

Era notte fonda quando si era svegliata nel letto della sua amica. Aveva pianto a lungo constatando che no, non era stato un incubo. Hikari era scomparsa davvero.

Taichi non c'era. Si era chiesta dove fosse andato a finire. Forse era tornato su Digiworld a cercarla. Se era così, perché non l'aveva portata con lui? Credeva di essere l'unico a voler un bene dell'anima a Hikari?

Qualche volta la presupponenza di quel ragazzo la lasciava sconcertata.

Disperata, distrutta, malandata, si era sfogata lanciandogli contro maledizioni per chissà quanto tempo – considerava alla stregua di un miracolo che Taichi fosse riuscito a scamparle tutte.

Poi, il vuoto. Non aveva fatto i conti con la stanchezza. L'avevano pestata fin troppo perché si riprendesse semplicemente con una lunga dose di sonno. E in quel momento, non riusciva nemmeno ad alzarsi dal pavimento.

In quel momento, voleva solo sapere se Hikari stava bene.

Anzi...

Doveva sapere se Hikari stava bene, o il mondo umano avrebbe dovuto fare i conti con un Digimon impazzito.

Al centro del petto, là dove batteva il cuore, stava sentendo sgocciolare via la sua vita, verso un luogo da cui non si poteva tornare.


Si era costretta a calmarsi. Se avessero voluto uccidere Hikari, l'avrebbero potuto fare subito. Perché rimandare, se la ragazza fosse stata considerata un pericolo serio? Avevano avuto parecchie occasioni per porre fine alla minaccia.

Che avessero intenzione di ricattarli? Non poteva escludere la cosa, ma le sembrava alquanto improbabile. Anche se l'avevano fatto per costringere gli Elecmon a coprirli...

Appena fosse tornato, avrebbe chiesto a Taichi se fossero arrivate richieste di riscatto o simili.

Oppure era una trappola per loro. Di certo si aspettavano che cercassero di salvarla, e magari avevano intenzione di sfruttare quel momento per porre fine alle vite dei Digiprescelti e dei loro Digimon.

La situazione non sembrava affatto positiva. Comunque, era molto probabile che Hikari fosse viva.

Il peso nel cuore di Gatomon si era alleggerito indicibilmente. Doveva smetterla di piangersi addosso ed agire. O almeno pensare. Aveva chiuso gli occhi, cominciando a riflettere.

Le dinamiche del rapimento le erano chiare. Il capo dei loro nemici aveva costretto Elecmon ad attirarli in trappola, forse all'insaputa dello stesso Digimon o (e questa le sembrava più probabile) ricattandolo ancora. A creare il labirinto era stato il Digimon di cenere, il nemico x1 per intendersi.

Il Digimon di fuoco, nemico x2, aveva appiccato l'incendio per allontanare i ragazzi da Hikari e permettendo alla compare di procedere alla cattura.

Fin qui tutto chiaro. Ma Gatomon aveva visto una terza ombra, proprio prima di svenire.

Chi era?

Cosa voleva?

Ma soprattutto... perché non l'aveva finita quando aveva potuto?




La ragazza davanti a loro non dimostrava più di tredici anni. Aveva i capelli lunghi fino alla vita, di un colore tra il biondo platino e il viola chiaro, e quello pareva l'unico colore in lei, se si escludeva il tenue rosa nelle labbra.

Era vestita di nero e calzava una paio di anfibi alti fino al ginocchio. Era esile e slanciata, immobile come una statua e i suoi occhi, di un blu tanto intenso da sembrare viola, li osservavano come se di loro non si interessasse minimamente...




Aveva chiesto a Taichi del riscatto mentre ancora il ragazzo stava finendo di passare dal monitor, ma la sua risposta era stata negativa, così come quella per la sua domanda successiva, se avessero o meno trovato la sua amica.




<< Una... ragazza? >> mormorò Daisuke emettendo un verso strozzato.

<< Ma... chi sei, cosa– >>

<< Cosa ci fa qui? Come sei–>>

<< ...entrata, Perché– >>

<< Perché sei qui? >>

La fiamma del Digimon accanto alla ragazza sembrava essersi intensificata.

Koushirou mosse impercettibilmente la testa verso la creatura infuocata.

<< È il tuo Digimon? >>

Il gruppo trattenne bruscamente il fiato.

<< Sei un Digiprescelto pure tu? >>




Aveva chiesto un'altra cosa, a Taichi: se il labirinto fosse crollato o meno.

<< Sì, per colpa del fuoco. È una fortuna che tu fossi fuori di lì, perché è crollato su se stesso. >>




Un ringhio basso e minaccioso proruppe dalla gola del Digimon. No, no, non era per niente positivo.

Lo sguardo di Izzy si indurì, ascoltando quel suono.

<< Sei con loro? >>

La ragazza non negò, né annuì. Come dice il detto, chi tace, acconsente.

I ragazzi misero mano ai Digivice.




Gatomon aveva smesso di respirare. Non l'aveva detto a Taichi, ma lei non era mai uscita da quel labirinto. Almeno, non con le proprie gambe.

Eppure i suoi amici l'avevano ritrovata fuori da quella trappola infernale.

Ma come?

Esisteva solo una spiegazione.




Gatomon avanzò lentamente, a quattro zampe per avere più o meno lo stesso punto di vista del giorno del rapimento di Hikari.

<< Gatomon! >>

Con una zampa, fece loro cenno di aspettare.

Si fermò a pochi passi dalla ragazza e notò che l'altezza era quella giusta.



Qualcuno l'aveva portata via di lì.

Ma chi?



Il Digimon infuocato la scrutò in allerta, ma non la attaccò.

Gatomon si alzò sulla zampe posteriori, puntando piano il dito contro la ragazza.



Il pensiero di chi potesse essere l'aveva fatta cadere in uno stato di trance. I suoi amici l'avevano lasciata stare, credendo fosse sotto shock per Hikari, che era in parte la verità, e Gatomon non aveva ritenuto opportuno parlare loro dei suoi sospetti. Fino a quel momento.

Aveva un'idea su chi fosse stato, e stava per averne la conferma.



<< Grazie. >> disse, la voce forte e chiara.

Per poco Miya e Mimi non inciamparono stando ferme, ma almeno ebbero il buonsenso di stare zitte.

La ragazza davanti al Digimon gatto non mutò espressione, ma un guizzo indecifrabile passò nei suoi confermando che no, non era una statua.

<< Tu sei l'ombra che ho visto e che mi ha portato fuori dal labirinto, prima che fosse troppo tardi. >>

Il silenzio nella galleria si fece assordante.

Non ci capivano più niente. Non avevano appena detto che, chiunque fosse, faceva parte dei nemici?

Quel Digimon li aveva attaccati, li aveva feriti e aveva contribuito a rapire Hikari. E se quella ragazza era sua compagna... doveva per forza essere dalla parte del buio.


Ma non bisogna essere troppo presupponenti.

Si commettono errori stupidi e grossolani. Talvolta, anche fatali.



Passi giunsero alle loro orecchie dalla porta da cui erano entrati.

Voci concitate raggiunsero i Digimon e i ragazzi.

Il gruppo agì prima ancora di pensare. Corsero a nascondersi in un corridoio vicino, fino ad una spessa porta in legno massiccio.


<< Chi va là? >>


Pregando con tutto il cuore, Yamato abbassò la maniglia, ma la porta non si aprì.

Dando mentalmente fondo a tutto il linguaggio scurrile di cui erano provvisti, i membri del gruppo si schiacciarono contro la parete tentando tutti e ventitré – non era stata una grande scelta tattica, andare tutti insieme, non se ne erano mai accorti fino a quel momento – di nascondersi in due metri quadrati di ombra.

Aspetta... ventitré?

Ken cominciò a contare, cercando di mantenere la calma, le orecchie tese allo spasmo, per capire quando e quanto in fretta sarebbe arrivata la loro morte.


Fu però un rumore di gocce – gocce che cadevano a terra – quello che il gruppo sentì, seguito subito da una voce strozzata – la stessa di prima – e da un tonfo sordo.

Aiuto!” fu il pensiero incontrollato di Miya.


<< Chiedo... Chiedo... scusa... signora... signora... >>

<< Ho un nome, idiota, e tu sai qual'è. >> la voce dell'essere di fuoco risuonò carica di ribrezzo.

<< Signora A-Amimon... >>

<< Cosa stavi pensando di fare? >>

<< Ho sentito delle voci e sono... sono venuto a controllare... >>


Se la sua speranza era quella di essere lodato per l'impegno che metteva nel suo lavoro, beh, restò ampiamente deluso.


Sedici, diciassette, diciotto...


<< Mi auguro che questa sia la prima e l'ultima volta che ci punti un'arma contro. Non ci andrò leggera, dovesse succedere ancora. >>

<< S-Sì... Lo giuro... >> mormorò il Digimon sconosciuto, e da ogni sillaba trasudava paura.


Diciannove, venti, ventuno...


Altri passi arrivarono in lontananza. Dovevano essere cinque o sei Digimon... o magari erano umani, visto che lì ce n'era già uno.

Un fruscio nell'aria. Che si fossero... inchinati?


<< Sono le 3.00. C'è il cambio di turno... Dovete passare ai piani inferiori. >>

<< Chiaro. Voi, fate qualcosa per la mano di questo deficiente. >>

<< Dobbiamo punirlo, signora? >>


Un brivido corse lungo la schiena di Yamato, ma non lo diede a vedere. Accanto a lui, Mimi fece un salto di circa mezzo metro, quando Ken l'afferrò per un braccio.

<< Cosa succede? >> sussurrò.

E Ken glielo disse.


<< No. Ci abbiamo già pensato noi. >>


La maggior parte dei piedi che c'erano in quel corridoio si mossero insieme verso destra, sparendo oltre una porta, anch'essa aperta, anch'essa non chiusa, perché solo le porte dalle quali volevano passare loro erano tutte chiuse?

Era possibile odiare un oggetto così profondamente? Non era esattamente una di quelle domande che Daisuke si poneva, ma al momento lo stava sperimentando sulla sua pelle.

Ma prima che uscissero, un'altra voce aveva parlato, una giovane voce femminile, leggermente incrinata, come se non fosse usata spesso.


<< Anche le torri inferiori? >>


Era stata poco più che un sussurro, ma entrambi i gruppi – nemici e amici – la udirono, e mentre i primi si affrettavano a rispondere, i secondi smisero di respirare nell'attesa di cosa la ragazza avrebbe detto poi.


<< Sarebbe meglio, signora. In questo caso, non dobbiamo fallire nel vigilare il tesoro. >>


Detto questo, quei sei o sette Digimon uscirono da una delle porte sbarrate fino a qualche minuto prima.

<< Avete sentito? >>

<< No. >>

<< Cosa? >>

Yamato fissò terrorizzato il suo migliore amico.

<< Iori e Armadillomon non sono qui. >>


Era accaduto mentre scappavano dalla fiamma del Digimon piromane.

Iori non aveva pensato ad altro che non fosse correre, tenendo il suo amico in braccio, finché i polmoni non iniziarono ad ardere oltre il limite della sopportazione.

A quel punto, fermandosi, riprendendo fiato, si accorse di essere solo.

<< Dove sono gli altri? >>

<< Non lo so. >> confessò sconsolato Armadillomon.


Lo scomposto e irruente chiarore delle fiamme emesse da Amimon fendeva ancora l'oscurità.

Passò un minuto, poi due. La fiamma si fece più flebile, e per quanto non ci fosse alcun rumore di passi i membri del gruppo potevano giurare che le due si stessero allontanando in direzione della porta. Ma l'argomento principale non era quello.

<< Non sono... qui? >> gracchiò Taichi.

Il giovane cantante scosse la testa.

<< Ci voleva solo questa. >>


<< Mi dispiace. >>

<< Non ti preoccupare... Cercavi di salvarci la pelle, no? >>

Armadillomon si guardò intorno.

<< Proviamo a trovarli. >>

Iori tirò fuori il Digivice, pregando che non fossero troppo lontani.

Rimase imbambolato.

<< Allora? >>

Allora, o si erano allontanati di più di cinque chilometri dai loro amici, oppure uno a caso tra lui e Armadillomon e il resto del gruppo si trovava nei guai fino al collo.


Gatomon non aveva nemmeno sentito della sparizione dei loro compagni, totalmente presa dalla decisione che doveva prendere.

Quelle due sapevano sicuramente dove trovare Hikari.

Di tutti quelli che c'erano nel castello, sicuramente Amimon e la sua compagna erano quelle con cui sarebbe stato più facile dialogare.

E se non parlava con loro in quel momento, le probabilità di trovare la loro amica erano più o meno nulle.

Del resto, anche se era sicura che fosse stata la ragazza a salvarla dalle fiamme, non era pronta a scommettere che avrebbero ripetuto il bel gesto, non uccidendola appena fosse uscita allo scoperto.


<< Non capti il segnale di nessuno? >> il Digimon lo fissava sconvolto.

<< Non è colpa mia! >> Iori si ritrasse sulla difensiva. << Comunque non ricevo un segno di vita che sia uno. >>

Armadillomon gli fece cenno di seguirlo con la zampa.

<< Allora non ci resta che girovagare finché non troviamo qualcuno. >>

<< Sempre che non siano nemici che non desiderano altro che friggerci. >> mormorò il ragazzino. E per aver dovuto abbandonare i modi affettati e squisiti che da sempre erano il suo marchio di fabbrica, doveva essere parecchio teso.


<< Al diavolo! >> pensò il Digimon gatto. Non poteva farsi sfuggire quell'occasione.

<< ASPETTATE! >> urlò uscendo dall'ombra protettiva.

E nessuno la fermò, ovviamente. Stavano pensando a tutt'altro.

Le speranze che quelle due, fermate con la mano sulla maniglia dall'urlo di Gatomon, decidessero di andarsene ignorandoli totalmente vennero infrante in tanti piccoli pezzi di cristallo.


<< Adesso si scende o si sale? >>

Era una possibile risposta “non ne ho la minima idea”?

<< Proviamo a salire. >>

In cima a quei trentotto scalini trovarono l'ennesimo, identico corridoio. Iori controllò il Digivice. Scosse la testa nei confronti di Armadillomon, che lo guardava speranzoso.

Si incamminarono mesti, fino a raggiungere una porta socchiusa. Bastò spingerla, per passare dall'altra parte.


Il primo pensiero di Taichi – totalmente illogico – fu “Meno male che Iori non è qui, magari troverà Hikari e la porterà fuori”

Il primo pensiero di Sora fu di urlare, ma non lo fece.

Il primo pensiero di Mimi fu uguale a quello di Sora, e a trattenerla fu solo la mano di Yamato, che aveva la testa completamente azzerata.

Il primo pensiero di Jyou fu “Aiuto!”.

Il primo pensiero di Daisuke fu una parola irripetibile.

Il primo pensiero di Miyako fu “Dov'è Ken?”.

Il primo pensiero di Ken non si può dire, segreto personale.

Il primo pensiero di Izzy fu “Siamo tutti morti”, tesi avvalorata dal fatto che per terra ci fossero due gocce di metallo fuso e fumante, e accanto un bastone carbonizzato con un abbozzo di lama in cima – un modo come un altro per scoprire che il calore che Amimon o come cavolo di chiamava era capace di sprigionare era sufficiente a fondere una lama.

Gatomon non ebbe primi pensieri, impegnata com'era in una gara di sguardi contro entrambe le figure davanti a lei.


<< Wow. >>

Armadillomon era senza parole.

Lui e Iori si trovavano al centro di un enorme tunnel verticale, cavo al centro, dalle pareti interamente coperte da cavi, decisamente più in linea col fatto che si trovassero in un mondo fatto di energia, piuttosto che di quel castello stile ottocentesco.

Il corridoio circolare su cui si trovavano lasciava un ampio buco al centro, completamente vuoto se non fosse per una sottile linea nera, che nessuno dei due notò.

Avvicinandosi al parapetto, guardarono in alto, e poterono vedere quel cielo biancastro di quella dimensione intermedia. Nel centro della porzione di cielo lasciata intravedere dalle mura, proprio al centro, c'era un pozza nera e liquida come petrolio, che lasciava scorrere verso il basso un sottile filamento della stessa sostanza di cui era composta.

I due lo seguirono con lo sguardo e i loro occhi scesero inevitabilmente verso il basso.


Gatomon si schiarì la voce.

<< Voi sapete dov'è Hikari. >>

Non era una domanda.

Comprensione negli occhi dei suoi compagni, curiosità in quelli di Amimon, vuotezza in quelli della ragazzina.

Il Digimon gatto si sforzò di essere calma e pacata, nonostante sapesse quanto fosse evidente il contrario.

<< Potete... dirmi dov'è? >> mormorò.

Diretta come non mai, ma del resto, non era il momento per giri di parole.


Sotto i due, nel lungo tunnel, c'era un sfera, di quella sostanza nera.

Iori aveva un brutto presentimento.

<< Dobbiamo scendere. >>

<< E come, di grazia? >>

Per tutta risposta, il ragazzino scavalcò la balaustra, e scese lentamente verso il basso, finché non ci fu più niente a cui aggrapparsi prima del piano di sotto – che, ma guarda un po', si trovava proprio all'altezza della sfera nera.

Facendosi coraggio, si lasciò cadere da un'altezza di cinque metri. Spalla lussata per lo sforzo di aggrapparsi al corrimano inferiore, ma almeno era vivo.

<< Vieni! >>

Quasi si ruppe la clavicola sforzando ancora il braccio malandato per tenere il proprio amico.

<< Scusa! >>

<< Non è niente. >>

Sporgendosi il più possibile, e strizzando gli occhi più che poteva, cercò di penetrare con lo sguardo quella sfera nera, e Armadillomon con lui.

Poi, qualcosa apparve al suo interno.

Iori e il suo Digimon sgranarono gli occhi.


A parlare fu la ragazza, contro ogni aspettativa.

Non modificò espressione, ma parlò.

E pose un'altra domanda, con quella sua voce che, caricata di emozioni, sarebbe potuta essere veramente splendida << Perché volete renderci delle traditrici... >>


Armadillomon era di nuovo senza parole.

Non che quelle del ragazzo accanto fossero granché interessanti.

<< Non ci credo... >> stava mormorando Iori.


<< ...quando in realtà non ne avreste bisogno? >>


<< Credici, invece. >> riuscì a mormorare il Digimon << Quella là dentro è Hikari. >>



Suonò, il Digiterminal nella tasca di Takeru. Tutti e venti i suoi amici sobbalzarono, e quando tornarono a girarsi di nuovo, né Amimon né la ragazzina erano più lì.

Taichi aveva voglia di mettersi a urlare, ma dopo aver ridotto Takeru a una polpettina, e aveva una luce omicida negli occhi quando si voltò verso il ragazzino biondo, fermo come un idiota a leggere i propri messaggi.

<< È di Iori. >> disse, dissolvendo i maligni propositi dalla testa del comandante generale dei bambini prescelti (che ormai erano ragazzini/ragazzi prescelti, dovevano ancora chiedere a Gennai se fosse possibile cambiare titolo).

<< Ha trovato Hikari. >>


La gioia iniziale sfumò ben presto quando si accorsero che il Digivice di Iori era irrintracciabile, e così ebbe inizio una lunga discussione per mezzo di messaggi, nonostante Koushirou continuasse a intimare loro di non esagerare, che avrebbero potuto intercettare i messaggi.


Iori, in quale zona del castello vi trovate?”

Non ne abbiamo assolutamente idea.”

Ce la potete descrivere?”

Facile. È un tunnel verticale immenso, circolare, dal diametro di un cinquantina di metri. In alto si vede il fuori. Ma se non ce ne siamo imbattuti prima che incrociassimo il Digimon di fuoco, ritengo già un miracolo il fatto che io e Armadillomon lo si sia trovato. A proposito... avete seminato il Digimon?”

Si chiama Amimon e... beh, è una lunga storia. C'è anche una ragazzina umana con lei. Non fare più domande ora, che non sappiamo altro. Ci sono guardie? Potresti riuscire a portare Hikari via lì da solo, e poi, tipo, uscire, in modo che ci si possa trovare meglio?”

Dall'altra parte, Iori mantenne un autocontrollo tremendo alla notizia. “Non vedo guardie. Però non ho la più pallida idea di come far uscire Hikari da dove è ora.”

E dov'è ora? Dimmelo, Iori!”

... Taichi? Beh, non te lo so descrivere. È dentro una sorta di sfera liquida, di colore nero, leggermente trasparente. Te lo dico chiaramente: non so cosa sia. E non la posso raggiungere perché né io né Armadillomon abbiamo le ali.”

Deduzione: Hikari era sospesa dentro una sfera sospesa nel vuoto.

Splendido.

Restate lì, allora. Noi tentiamo di arrivare da voi.”

Non ci muoviamo.”



Taichi chiuse il Digiterminal.

<< Qualche idea, Koushirou? >>

<< Perché lo chiedi solo a lui? >>

<< Se vuoi suggerire qualcosa, Miyako, spara. >>

Il silenzio di lei le chiuse definitivamente la bocca.

Izzy si sentiva leggermente sotto pressione.

<< Credo che dovremmo chiedere a Gatomon la strada. >>

<< A me? >>

Il ragazzo le gettò un'occhiata eloquente.

<< E anche a Takeru. >>

Se chiedere a Gatomon una strada che non conosceva era strano, chiederlo a Takeru era pura follia.

<< E perché? >> chiese Daisuke prima ancora del diretto interessato. Ovviamente, pensarono le tre ragazze del gruppo scambiandosi sguardi d'intesa. Il secondo leader dei Digiprescelti non avrebbe mai voluto che fosse Takeru a possedere “la mappa della strada verso Hikari”.

<< Perché credo che tra le loro Digipietre ci sia un'intesa particolare. Il fatto stesso che sia stato proprio il Digivice di Takeru a reagire con quello di Hikari mentre percorreva verso Digiworld un tragitto che tutti noi avevano passato, prima o poi, e il discorso che vi fece Azulongmon, in cui non ha detto che tra le due Digipietre ci fosse un legame, ma intanto ha svelato che entrambe sono più importanti di qualunque altra qualità, perché permettono la vita, mi hanno fatto venire quest'idea. Non mi baso su altro, ma è l'unica cosa che mi è venuta in mente. >>

Daisuke dovette dichiararsi d'accordo, e anche Takeru annuì.

<< Ma come facciamo? >> chiese però.

<< Vi basate sul vostro istinto...? >>

<< Il mio istinto, al momento, non mi dice niente. >>

<< Prova a concentrarti un pochino! >>

Il ragazzino biondo allora chiuse gli occhi, notando che anche Gatomon aveva fatto lo stesso.

Si sentì da subito molto sciocco.

Zitto e non ti lamentare, lo apostrofò la sua coscienza.

Zitta tu, e lasciami in pace, ribatté.

Come vuoi. Basta che pensi.

Obbedì.


Gatomon stava cercando di trovare l'origine di quel buco nel petto.

Ovviamente non aveva niente del genere... niente di fisico.

Ma stava cominciando ad avere una mezza idea del come quel buco si fosse formato.

Ne seguì le tracce più che poté, ma il filo era troppo sottile, e più che andava avanti, più le sue energie si disperdevano. Continuò, imperterrita, certa che alla fine di quel tunnel ci fosse Hikari.

Sempre più vicina, sempre più vicina...

Crollò quando era quasi alla meta.

<< Gatomon! Cos'hai? >>

Come poteva spiegare cos'aveva?

<< Mi sento... vuota. >>

Notò che Takeru la fissava con uno sguardo strano.

Si rivolse a lui.

<< Credo che Hikari sia di là. >> indicò l'unica porta aperta.

Lui annuì.

<< Una ventina di metri più in basso. >>

<< E cosa aspettavate a dircelo? >> Takeru ignorò Daisuke, afferrando il Digiterminal.

<< Cosa scrivi? >>

<< Chiedo se potrebbe essere acqua, quella che circonda Hikari. >>

<< Idiota! L'acqua non è nera! >>

Si dette lui stesso dell'idiota non appena pronunciò quelle parole.

Perché un'acqua così c'era. Quella del mare nero.

Ken Ichijoji si dovette appoggiare al muro, perché le gambe non lo sorreggevano più.


Iori osservò meglio la sostanza. Poteva veramente essere acqua.

Cercò di distinguere meglio i particolari dentro la pozza nera da cui l'acqua scendeva. Era solo un'impressione, o c'era davvero una costa?

Non era un'impressione. Era davvero quel posto. Lo scrisse a Takeru, cercando di dissimulare il panico.


Correndo verso la zona individuata da lui e Gatomon – e confermata da un Ken che sudava freddo – Takeru informava il gruppo del fatto che stavano esaurendo il tempo.

Il Mare Nero era Oscurità. Hikari era Luce. Immergere Hikari in quell'acqua significava oscurare poco alla volta la scintilla che aveva in sé, fino a spegnerla del tutto. Per questo Gatomon si sentiva male.

<< La porta potrebbe essere questa. >>

La spalancarono, e si trovarono nel tunnel descritto da Iori.

<< Wow. >>

<< Ragazzi! >>

La voce di Iori proveniva da sotto.

<< Dovete scendere qua! >>

Per fortuna, quella volta c'era Palmon.


<< Cosa prevede ora il piano? >>

<< Liberare Hikari e fuggire. >>

<< Grazie. Ma come? >>

<< Io butterei dentro Takeru. >>

Miyako propose quella soluzione con un'espressione seria in volto.

<< Non scherzare, Miya! >>

<< Non sto scherzando. Lo capisco anch'io, che non è il momento. >>

Yamato si pose in automatico davanti al fratello, accorgendosi che la ragazza diceva sul serio.

<< Non sono impazzita. Pensateci: se è vero che Hikari sta perdendo la sua Luce, l'unico modo per farla reagire è riempirla di Speranza. Non è quello che ha detto Azulongmon? La Speranza è la capacità di tenere sempre accesa una Luce nel cuore. E se forniamo a Hikari la Speranza... >>

<< … le forniamo la Luce! Miya, sei un genio! >> sorrise Takeru entusiasta.

La successiva finta modestia di Miyako fu coperta dalle proteste a gran voce del gruppo, soprattutto da parte di Patamon, Yamato e Daisuke – anche se non per lo stesso motivo degli altri.

<< Ragazzi, non abbiamo niente da perdere! >>

<< Tu hai da perdere la vita, visto che la testa l'hai dimenticata chissà dove! >>

<< Non esagerare! >>

<< BASTAAA! >> urlò Mimi sfinita.

Questo li zittì.

Li zittì tutti.

E sentirono la voce della ragazza rimbombare acuta fino alla cima del tunnel, e in risposta giunse chiaro un ringhio non molto amichevole.

<< Scusate. >> disse Mimi, il viso del tutto privo di colore.

Almeno adesso non c'erano più scuse per rimandare il piano.


<< Allora è deciso: Biyomon superdigievolverà in Garudamon non appena io entro nella sfera. Voi state pronti qua, io libero Hikari, voi ci acchiappate al volo e voliamo fuori di qua prima che ci prendano. >>

Tutti annuirono.

<< A tra poco! >> sorrise loro Takeru, prima di buttarsi in quell'acqua nera, conscio che le vite di tutti dipendevano da quanto sarebbe stato veloce.


Hikari Yagami galleggiava in quell'acqua malvagia da un giorno e mezzo, ormai.

Aveva subito capito dove si trovava, e i ricordi e la paura l'avevano subito assalita, accelerando quel processo di distruzione che i suoi nemici avevano iniziato buttandola là dentro.

Non sapeva dove si trovava, non sapeva come uscire, non sapeva come stavano i suoi amici e dove fossero, non sapeva niente.

D'improvviso si rese conto di stare cedendo al panico.

Ecco, quello non doveva assolutamente farlo.

Si era perciò rinchiusa dentro se stessa, nello stesso angolino della sua coscienza, che si era subito messa a parlare a tutto spiano delle sue idee e impressioni – che erano anche le idee e impressioni di Hikari, e tutte molto interessanti. La ragazza aveva gradito la compagnia della sua stessa mente, trovando un appiglio in quelle parole, in quei discorsi che in qualsiasi altro momento avrebbe messo a tacere.

Era una pace fittizia, però, se ne rendeva conto anche lei.

Infatti il male era cominciato a strisciare anche lì, si era insinuato anche in quel suo piccolo baluardo, cercando di sottometterla alla sua forza.

Hikari richiamò alla mente i ricordi di Miyako che la aiutava a trovare la strada per uscire da quell'oscurità.

Ma quella volta era diverso, quella volta... Lei non doveva scappare, doveva scacciare il male da dentro se stessa... e non era sicura di potercela fare.

Desiderò che Miya arrivasse in quel momento, che le ripetesse parola per parola quel suo discorso fatto ormai anni prima, e che ancora nessuna delle due aveva dimenticato.

Ma Miya non c'era.

Non c'era nessuno, lì per lei, mentre l'oscurità la aggrediva desiderosa di distruggere anche quell'ultima sua resistenza.

Hikari si oppose, urlò scalciò, ma niente, niente fermava quella massa nera.

Si arrese, ad un certo punto.

Non c'era più nulla da fare.

Chiuse gli occhi, annullando se stessa, e sperando che così la fine fosse meno dolorosa.


Hikari!


Sorpresa!

Cosa stava succedendo?

La mente di Hikari era ormai completamente oscurata, e con essa quello che restava della ragazza.

O forse no?

Non c'era più luce, là, nella testa.

Ma se n'era accesa un'altra, da qualche altra parte.

Nel cuore.

Tenere sempre accesa una Luce nel cuore.

Una frase si fece strada nella mente oscurata, illuminandola come se fosse un raggio di Sole.

Ricordi vecchi anni si fecero strada nell'inconscio di Hikari.

Questo è il significato della Digipietra della Speranza.

Speranza?

Takeru!

Hikari spalancò gli occhi, per la prima volta dopo quelli che le erano parsi anni.

Davanti a lei, il viso di Takeru la osservava sorridente.

Era venuto, ancora una volta.

Sorrise Hikari in risposta, e il nero attorno a lei venne decolorato dalla forza della Luce appena rinata, per poi spezzarsi in piccoli frammenti.

<< Avevi ragione, Takeru. >>

<< Uh? >>

<< Centrava davvero il Mare Nero. Anche stavolta. >>

Si sorrisero di nuovo, mentre precipitavano. Hikari non sapeva niente del piano che non li avrebbe fatti piombare nel vuoto, ma non aveva paura.

Era con Takeru.




 


 

Da-dan! Risposte nuovamente uguali a zero, ma almeno tutto è bene quel che finisce bene. Cioè, non è esattamente finito, però... Vabbè, ne riparliamo poi.

Se ci riesco, dovrei inserire un disegno – bruttino perché fatto da me – che dovrebbe essere come io mi immaginerei la ragazza, anche se è più carina di come l'ho fatta.

Oltre a questo non ho altro da dire se non scusarmi per il ritardo, per le domande che non hanno avuto risposta e per ringraziare Werewolf1991 per le sue recensioni.

Ciao ciao e alla prossima!

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Capitolo 7
*** Cap.06_Di fuoco e vendetta ***


Cap.06_Di fuoco e vendetta


Elecmon tremava, in ginocchio sul freddo pavimento di lastroni di pietra. Tremava, come fosse in mezzo alla neve. Davanti a lui, sopra di lui, troneggiava un'ombra scura.

<< Cosa vuoi? >> il sibilo echeggiò tra le spesse pareti e il Digimon a terra raccolse tutto il coraggio che aveva per parlare.

<< I... i bambini, le... Digiuova, io... ho fatto ciò che vi avevo detto, ho mantenuto... la promessa. Vi ho consegnato- >>

L'essere grigio urlò. La cenere nera avvolse Elecmon e lo sbatté forte alla parete, su comando della sua padrona, folle di rabbia.

Perché Hikari Yagami era scappata, erano riusciti a farla fuggire, e poco importava che quel Digimon avesse collaborato al rapimento. Era lì, davanti a lei, e non avrebbe dovuto esserci.

Pattogmon, furiosa, lo colpì ancora .

E ancora.

E ancora.

Nella preziosa Città della Rinascita, spinta dal vento, arrivò la polvere e in mezzo ai morbidi cuscini a cubi un nuovo Digiuovo si formò.




<< Fammi capire bene. C'era una ragazza umana nel castello che avete assaltato? >>


<< Sì, c'era una ragazzina, Wallace, e non abbiamo assaltato il castello, quante volte te lo devo ripetere? >>


<< Dettagli. Ti pare importante pensare a sottigliezze del genere quando c'è una questione così importante aperta? >> ribatté quasi infastidito il ragazzo dall'altra parte del filo.


Daisuke mise giù la cornetta mezzo secondo, inspirando a fondo. In biondo Digiprescelto americano riusciva a fargli saltare i nervi con una facilità impressionante.

<< Lasciamo perdere. Cos'altro vuoi sapere? >>

<< Chi è, ovviamente. >>


<< E secondo te se lo sapessi non te l'avrei detto? Piuttosto, perché non mi hai chiesto come sta Hikari? >>


<< Se non fosse stata in perfetta salute, tu non saresti mai stato a parlare con me. >>


Colpito e affondato.


<< E dopo che è successo? >> chiese untuoso l'americano, senza neanche cercare di trattenere la soddisfazione per la sua frecciatina giunta a segno.


Il respiro di Daisuke accelerò impercettibilmente e il ragazzino tormentò un foglietto pieno di scarabocchi con la mano libera.

<< Siamo volati via con Garudamon, abbiamo seminato chi ci seguiva e siamo infilati dritti dritti nel tunnel fino a casa. >> grugnì.


<< Non mi interessano gli inseguimenti. Voglio sapere come siete riusciti a tirare fuori Hikari di lì. Eri rimasto alla sfera d'acqua nera. >>

Il silenzo tombale che seguì fece intuire a Wallace di aver toccato un tasto scoperto.

Sogghignò, pur essendo dall'altra parte del mondo.

<< Centra per caso Takeru o un qualsiasi esemplare di sesso maschile? >> insinuò.


Tu-tu-tu-tu-tu.


<< Bingo, Terriermon. >>





<< Etciù! >>

<< Non starnutire mentre stai cucinando, Takeru! >>

Il più piccolo dei due fratelli emise un lamento a bassa voce prima di ricominciare a mescolare il contenuto della padella. Perché quando andava a trovare l'altra metà della sua famiglia suo padre faceva sempre tardi al lavoro? Perché gli toccava sempre cucinare?

<< Hai il raffreddore già a Settembre? >> indagò Yamato dalla sua posizione scomposta sul divano.

<< Non fino ad ora.>>

<< Forse ti sta pensando qualcuno. >> suggerì candidamente il maggiore.

<< E chi? Sentiamo. >>

Immediatamente dopo, Takeru ebbe voglia di tagliarsi la lingua. Aveva dato a Yamato una perfetta possibilità di prendersi gioco di lui.

E infatti l'altro sogghignò, prima di rispondere e il piede del ragazzo più grande dondolò malizioso da oltre la spalliera del divano.

<< Vediamo un po'... Hikari? >>

Le guance di Takeru assunsero una delicata tonalità bordeaux e ringraziò di avere tutto il diritto di non girarsi. Quello che non sapeva, né immaginava, era che anche le orecchie gli erano arrossite, che suo fratello le aveva viste e che proprio per questo si stava silenziosamente contorcendo dalle risate sul divano.

<< Sai fare di meglio. >> asserì il minore, fiero di essere riuscito a dare alla voce un tono neutro.

<< Hai ragione. >> concordò Yamato tentando di darsi un contegno. << Potrebbe essere stata Miyako, così contenta di aver dato l'idea giusta. Oppure Taichi, che credo si sentirà debitore nei tuoi confronti da qui all'eternità. No, aspetta... è Daisuke. Guardati le spalle, la prossima volta che esci di casa. >>

<< Yama-nii. >>

<< Sì? >>

<< Piantala. E apparecchia, che tra poco è pronto. >>

Rise, Yamato, scompigliando i capelli biondi di quel fratello così simile a lui e sempre più imbarazzato.


Negli ultimi tempi Yamato era stato parecchio più allegro del solito, ma, a essere sinceri, Takeru non si era ancora abituato a vederlo ridere così spesso. Gli avvenimenti degli ultimi giorni gli avevano fatto un po' accantonare la questione, ma in quelle ore di tranquillità poteva tornare a rifletterci sopra in tutta calma.

Yamato Ishida aveva passato anni con l'aria di bel tenebroso, precedentemente anche dannato, successivamente affascinante – a giudicare dai commenti che aveva raccolto a scuola nei cinque anni precedenti. Adesso era sì tenebroso, ma non proprio come il novilunio, per usare una metafora, ma più come un'eclissi. Ovvero: schivo e solitario nei luoghi pubblici, ai concerti, con i conoscenti, ma inaspettatamente allegro, solare e così sorprendentemente affabile in compagnia dei suoi amici più cari.

La prima volta che era scoppiato a ridere a una battuta di Taichi, il suddetto ragazzo, nonché suo migliore amico, l'aveva guardato come se fosse un alieno e gli aveva chiesto con tatto insospettabile se fosse per caso sbronzo come la volta che gli aveva somministrato un concentrato di whisky al posto di acqua. Alla risposta negativa del biondo, poi, era crollato a terra, svenuto, con un sonoro clunk. Sul serio, era stato più sconvolto da questo che dalla sua rottura con Sora.

Già, Sora... Forse era dovuto a lei il repentino cambiamento di Yamato.

Takeru aveva una teoria. Mettendo insieme:

-il fatto che Taichi non fosse sorpreso della rottura tra i due con

-il fatto che né Sora né Yamato si fossero mai urlati addosso, né che ci fosse stato alcun litigio e

-la nuova allegria di Yamato

Takeru aveva cominciato a pensare che le cose tra i due non andassero più bene già da un po' di tempo prima dell'allontanamento definitivo, che entrambi fossero perciò un po' giù di morale e che questo avesse contribuitò all'ombrosità di entrambi; che Taichi avesse intuito la cosa – magari, stando parecchio tempo solo con l'uno o con l'altra, si era accorto dello strano comportamento che avevano quando erano insieme –, che, conseguentemente a ciò, Yamato e Sora si fossero lasciati e che solo dopo la fine di questa imbarazzante situazione di disagio suo fratello avesse cominciato finalmente a rilassarsi un po'.

Ovviamente si trattava solo di teoria e se non fosse stato un gran codardo avrebbe chiesto conferma a Yamato seduta stante...


<< Takeru? Perché la padella sta fumando? >>

...

<< Merda! >>


Peccato che lui fosse un gran codardo.



<< Buono. Un po' bruciato, ma buono, nel complesso. >>

<< Se ti dà fastidio il fatto che l'abbia cotto un po' troppo, la prossima volta te ne occupi tu. >>

<< Dai! Rilassati. Ho detto che mi è piaciuto! >>

<< Bah. >>

Takeru si buttò sul divano. Che Yamato non si aspettasse che fosse lui a rimettere a posto la tavola.

L'altro si sedette subito accanto a lui.

<< Lasci tutto nel mezzo? >>

<< Se ne occuperà papà. È la penitenza per essere arrivato in ritardo. >>

<< Mamma mia, come sei pigro. >>

<< Di noi due, l'atleta sei tu. >>

Stettero in silenzio per un po'.

<< Senti, Yamato... >>

Il cenno del maggiore fece capire a Takeru che lo stava ascoltando.

<< Cosa ne pensi di... tutta questa faccenda? >>

<< Io non penso niente, Takeru. >> sospirò stanco Yamato. << Io sono ossessionato da questa faccenda. >>

<< E da lei. >> aggiunse Takeru.

<< E da lei. >> confermò Yamato.

Il minore non disse più niente e si limitò a chiudere gli occhi. Davanti ai suoi occhi apparve ancora quella faccia, quella ragazzina, che dalla prima volta che l'aveva vista tormentava i giorni e le notti a lui così come a suo fratello.

Ma nessuno dei due sapeva perché.



Quando le avevano detto che la ragazza Yagami – o Hikari-chan, come la chiamava lei – era fuggita, Darklullabymon non aveva detto niente. Appollaiata sulla solita poltrona, davanti al solito schermo, non aveva battuto ciglio ed era rimasta zitta. Il Digimon che era dovuto andare a darle la notizia avrebbe voluto mettersi a piangere, o scappare, se fare l'una, l'altra o tutte e due le cose insieme non avesse significato, oltre ogni ragionevole dubbio, morte certa.

Gli era uscito un debole piagnucolio e nello stesso istante Darklullabymon si era alzata.

Incedendo a passo signorile lungo la stanza, sul viso neanche l'ombra del solito, ironico sorriso, si era avvicinata alla creatura tremante che, a terra, si prostrava davanti a lei. L'aveva colpita con la punta del lungo bastone rosso, costringendola a guardarla.

<< Trovami quelle tre. >> aveva sussurrato.


Quando Darklullabymon aveva uno sguardo gioioso, bisognava avere paura, perché significava che qualcuno sarebbe finito male.

Quando Darklullabymon era triste, bisognava avere terrore. Perché chi fa errori, viene punito.

Ma quando Darklullabymon aveva quell'espressione, significava che aveva subito un torto.

E allora era molto, molto peggio.

Qualcuno l'avrebbe pagata cara, e sarebbe stato chi di dovere.




Izzy imprecò sonoramente, sbattendo la mano sullo schermo del computer.

<< Una volta smattavi se solo mi permettevo di sfiorarne uno con un dito, sai? >>

<< Taci. >>

<< Neanche per idea. Cosa disturba il nostro piccolo genio? >>

<< Taichi, ho le scatole già frantumate di mio, sei pregato di non infierire. >>

Per tutta risposta l'altro prese una sedia e si accomodò nell'aula computer come se fosse sul divano di casa sua.

<< Questa non è nemmeno la tua divisione scolastica, posso sapere cosa accidenti ci fai qui? >> esplose Koushirou alzandosi in piedi.

<< Se mi dai un pugno, te lo rendo. Più forte. E ti stendo. Quindi, calmati e siediti. >>

Il rosso si lasciò pesantemente cadere sulla sedia, davanti al portatile.

<< Non riesco a contattare Gennai. >>

Taichi si fece immediatamente più attento.

<< Credi sia successo qualcosa? >>

<< No, Tentomon dice che è tutto a posto. È andato alla base e lì gli hanno detto che Gennai non vuole vedere nessuno, però speravo che le mail le leggesse... che fosse magari impegnato solo nella ricerca di informazioni e che non volesse essere disturbato per quello. >>

<< Cosa gli volevi chiedere? >>

<< Se sapeva qualcosa di nuovo. Se qualcuno si era fatto vivo. Se per lui è una buona idea andare a recuperare il Digivice di Hikari e, se no, se poteva essere replicato. Cose così, insomma. Quotidiana amministrazione per la salvaguardia del mondo digitale e delle nostre vite, sai, cose normali. E invece sono tre giorni che gli ho scritto e tre giorni che continua a ignorare le mie mail. >>

Man mano che parlava, il viso del ragazzo assumeva un colore sempre più simile a quello dei suoi capelli e questo impensieriva Taichi. Una volta sola aveva visto Izzy perdere il controllo e non era stato bello. Proprio per niente.

<< Izzy? >> chiese incerto.

L'altro espirò a fondo.

<< Ora mi calmo. >>

E si calmò davvero. Per fortuna.

Qualcuno bussò forte alla porta.

<< Sì? >>

Entrò un ragazzo alto e biondo che, se la memoria di Taichi non l'ingannava, doveva chiamarsi Hiro di nome e Fujimiya di cognome e doveva essere in seconda superiore, nella sezione accanto alla sua.

<< Sei tu Koushirou Izumi? >>

<< Ehi, bello. Siamo praticamente in classe accanto, mi scoccia che tu mi confonda con uno che va alle medie. >>

<< Ehi! >>

<< Non era un commento offensivo, Koushirou, era solo un concetto. >>

Il biondo appena arrivato si voltò verso il Digiprescelto della Saggezza.

<< Quindi sei tu Koushirou Izumi. >>

"Che genio"

<< Sì, sono io. Di cosa hai bisogno? >>

In risposta ebbe un dito accusatore che puntato al naso.

<< Tu. Sei. Il. Bastardo. Che. Sta. Con. Mimi. >> tuonò con gli occhi che fiammeggiavano.

<< No. >> rispose Izzy a macchinetta – quella scena sapeva di ripetuto deja-vu.

Il ragazzo chiamato Hiro lo guardò perplesso.

<< No? >>

<< No. >>

<< Ma tutti dicono... >>

<< Tutti sbagliano. >>

<< Ma io ti ho visto! >>

<< Errore. Hai visto Mimi attaccata al mio braccio, non io attaccato a lei. Senso unico, chiaro? >>

A giudicare dalla faccia dell'energumeno no, non aveva capito.

<< Mi spiego meglio. Io non sto con Mimi. Mimi sta con me. >>

<< Non me la racconti giusta. Perché Mimi vorrebbe stare con un'ameba come te? >>

Taichi, che si era promesso e ripromesso di non entrare nella conversazione, si mosse agitato sulla sedia. Quello era un insulto bello e buono.

<< Perché non glielo chiedi a lei? >>

<< Lei non vuole parlare con me. >>

<< E allora chiediti perché non voglia parlare con te! >>

<< Stai dicendo che a Mimi non piaccio? >>

<< E che ne so io? >>

La conversazione ristagnava, e Izzy stava di nuovo perdendo la pazienza.

<< Comunque sia, volevo solo avvertirti di stare lontano da lei. O te la vedrai brutta. >>

<< Allora puoi farmi a polpettine qui e ora perché dubito seriamente che Mimi mi si tolga dai piedi in fretta! >>

<< Non la insultare! >>

Ecco, erano passati entrambi agli urli.

<< Non la sto insultando! Sto solo dicendo che è lei che mi cerca, forse perché le sto simpatico! Certo molto più di te! Siamo amici, d'accordo? Amici! Da un sacco di tempo! Da anni! Questo vuol dire che mi trova simpatico e si trova bene in mia compagnia! Non so che altro dirti, è chiaro? >>

Koushirou poté ritenersi fortunato che Fujimiya non colse l'insulto in mezzo a quella sequela di affermazione.

<< Quindi non state insieme? >>

<< No. >> commentò stanco Izzy, tenendosi la testa con le mani.

<< Siete solo amici? >>

<< Sì. >>

<< Sicuro? >>

<< . >>

Hiro Fujimiya restò un attimo in silenzio.

<< Allora... io vado. Scusate il disturbo. >>

<< Nulla. >>

I passi si allontanarono, fino a scomparire giù per le scale.

<< Ma tu sei sicuro che per te Mimi sia solo un'amica? >>

<< Taichi. >>

<< D'accordo, sto zitto, sto zitto. >>



Talvolta i digiprescelti si chiedevano come non fossero ancora andati fuori di testa.

Probabilmente il segreto era tutto lì, incastrato a metà strada tra l'abitudine e la flessibilità fisico-mentale, con una punta di forza d'animo che li caratterizzava da quando erano stati scelti.

L'equilibrio: ecco cosa li salvava dalla follia. La capacità di poter pensare alla propria vita e allo stesso tempo di preoccuparsi di quelle altrui che erano state loro affidate.

Ma camminare continuamente lungo quella linea sottile, quanto è faticoso...

Impegnarsi ogni giorno nel creare barriere e scudi, che proteggono e sostengono. Ma pesano.

Giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno.

Sulla Terra e anche su Digiworld – un luogo dal tempo dilatato. E chi ci è vissuto, ha imparato sulla pelle ciò che vuol dire eternità.



Gennai lesse stancamente la mail di Izzy. Poi spense il computer e si gettò sul proprio letto di dati ed energia.

Non aveva più forze. L'energia che l'aveva animato fino a pochi giorni prima si era dissolta in un lampo, come se non fosse mai esistita. Il che non era esattamente sbagliato visto che non si era trattato che di una bugia.

"Non si può cancellare il passato"

"Le colpe non si lavano col tempo."

"Gli errori si pagano sempre, prima o poi.

Ci aspettano, da qualche parte sul nostro cammino."

Quanto era vero. Sprofondò di nuovo la testa nelle mani e il rimorso lo assalì di nuovo, famelico, sadico, desideroso come non mai di trascinarlo verso il fonso, verso quel punto dal quale non si può tornare.


<< Gennai? >>

L'uomo ignorò la chiamata. Anzi...

<< Gennai? >>

...forse non la sentì nemmeno.

<< Gennai, lo so che non vuoi essere disturbato, ma devo. Siamo nei guai. >>

Ancora. Dov'era la novità?

<< Siamo molto nei guai. Guarda tu stesso. >>


Il comando centrale accese lo schermo e proiettò immagini già viste, di fuoco e fiamme.

Solo che stavolta Gennai sapeva cosa guardare, il dettaglio che spiegava la sua colpevolezza e che lo dilaniava dentro.

Infatti un artiglio gli perforò il petto all'altezza del cuore.

Le colpe passate l'avevano raggiunto.




Bi-bip. Bi-bip. Bi-bip.

<< Oh. >>

<< Mh? >>

<< È arrivata un'e-mail di Gennai... >>


"Siamo stati attaccati di nuovo e continueranno a farlo. Non venite. Non servirebbe a niente."



***



Erano andati lo stesso.

Erano andati tutti – anche se Hikari aveva impiegato un po' a convincere il fratello, e Miya aveva quasi avuto un attacco isterico, placato da Ken.

E si erano resi conto che davvero non potevano fare niente.


A voler essere sinceri, Mimi voleva piangere. E singhiozzare. E urlare.

Ma aveva già pianto, singhiozzato e urlato in terra digitale, anni prima, e non era servito a niente. Quindi non pianse, pur davanti a quella devastazione e a quella strabiliante distesa di cenere che ricopriva interamente il deserto e quello che un tempo era il villaggio degli Yokomon.

<< Quando è... successo? >>

Gennai sentì il suo sussurro e le rispose, stanco.

<< Circa sei ore fa. >>

<< Sei? >> esclamò Daisuke.

<< Perché non ci avete avvertiti prima? >> attaccò Takeru.

<< Non sarebbe servito a nul- >>

<< Ma avremmo preferito sapere. >>

Gennai fuggì lo sguardo intenso di Sora.

<< Lo so. Ma se vi avessi chiamato, vi sareste messi in mezzo. E se vi foste messi in mezzo, sareste tutti morti. >>

Corse un brivido lungo la schiena di Mimi.

<< Non ho idea di quale sia stato l'ordine, ma ho contato le Digiuova alla Città della Rinascita. Per ora, non manca neanche uno dei Digimon che abitava quei villaggi. >>

<< Quanti sono stati i villaggi attaccati in tutto? >>

<< Otto. >>

Hikari chiuse gli occhi, ma non pianse. Sarebbe stato da ipocriti. Sapeva più che bene che quell'attacco non era che vendetta per via della sua fuga. Era tutta colpa sua.

Quella era davvero colpa sua.

<< È stato il Digimon di cenere a fare tutto questo? >>

<< Non dire idiozie, Mimi. Se li avesse attaccati solo la cenere le case sarebbero in piedi. >> commentò piccato Izzy << Tutto questo può essere solo colpa del fuoco. Può essere solo colpa... loro. >>

<< Quella ragazza ha massacrato tutti quei Digimon? >>

<< Tecnicamente è stato il Digimon... Amimon. Ma se lei lo guida, sì, è stata lei. >>

Nella mente di Takeru successe d'un tratto qualcosa di molto doloroso. L'immagine della ragazza che tanto l'aveva perseguitato si sovrappose a urla, grida e al fuoco.

"È malvagia. Malvagia, Takeru."

Eppure, l'idea stessa stonava.

Non si era mai fatto problemi a considerare parte del male e indegno all'esistenza chi se lo meritava. Quella ragazza e il Digimon se lo meritavano. Per quale motivo, in fondo al cuore, lui non era ancora convinto?

Sì voltò verso Hikari e la vide bianca come il marmo e altrettanto fredda, ma insieme anche spezzata, dal dolore, dal senso di colpa, dalla confusione che aveva in testa. Avrebbe voluto gridarle che non era colpa sua; ma né lui né lei avevano la forza di smentire il fatto che comunque tutto questo era almeno a causa sua. Per quanto indiretta, Hikari era la radice del massacro.

Lo sapeva lui, lo sapeva lei. E lo sapeva Gennai, perché la guardò con occhi pieni di compassione quando la ragazzina gli pose una domanda che prevedeva una risposta che sarebbe stato meglio non sapesse.

<< Non ci sono davvero superstiti? >>

Un preghiera, nella voce di Hikari, che strinse il cuore a Takeru.

<< Manca ancora da ispezionare l'ultimo villaggio, quindi non saprei dirti... >>

Hikari chiuse gli occhi e Gennai con lei.

Avevano capito ciò che c'era da capire.



Otamamon scavava triste e sconsolato tra la cenere alta almeno quattro metri. Tossì quando la polvere quasi lo soffocò e scivolò nella buca che aveva appena finito di scavare.

Qualcosa gli toccò la spalla.

<< AAAAAAAAH! >>

Un Gekomon accorse.

<< C'è qualcuno! >>


I soccorritori presero a scavare con più foga. Forse qualcuno era sopravvissuto a tutto quel massacro.

Il piccolo Digimon estratto dalla cenere sembrava quasi in buona salute, sotto lo strato compatto di cenere che lo avvolgeva.

<< Respira, piccolo... respira... >>

Ci vollero lunghi minuti, prima che il piccolo mostro digitale tossisse e riprendesse a respirare.

Grida di gioia si levarono sul campo.

Il sopravvissuto tossi ancora e con la bocca tentò di formare delle parole.

<< Non ti sforzare, piccolo... >>

Doveva trattarsi di qualcosa di molto importante, però, perché non sembrava intenzionato a cedere. Otamamon si avvicinò per sentire.

<< Otama-nii... che vuol dire Shio? >>









E finalmente... completa il capitolo! Squilli di tromba, stendardi al vento! Ce l'ho fatta!

Beh, lasciatemi gioire un po', su. È stato un "parto lungo e doloroso", come si è potuto facilmente notare, direi.

Che ne pensate? Non succede abbastanza per il tempo di attesa che vi ho fatto passare, ma tendo a dilungarmi nella quotidianità. Diciamo che volevo far presente che si trattava comunque di ragazzi e ragazzini umani, che vanno a scuola e cose simili – cose normali.

Comunque il tempo delle – prime – risposte è sempre più vicino, non disperate! Dai dai dai resistete che ci siamo quasi!

Un abbraccio a tutti coloro che leggeranno e commenteranno – che saranno sempre le solite e dolcissime Werewolf1991 e Kymyit, ma se qualcun'altro si fa avanti, io non mi arrabbio – io qua vi saluto,

coco1994

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Capitolo 8
*** Cap.07_Yin e Yang ***


Cap.07_Yin e Yang



Shio = sostantivo di lingua giapponese.

Significato: marea...




Dolore. Dolore nel cuore, negli occhi, nell'anima di Hikari.

Soffriva, e non ci voleva certo un genio per capirlo.

Ken Ichijoji, però, un genio lo era, e quindi il suo sguardo indagatore non si soffermò ad analizzare le mere conseguenze del dolore, ma ne ricercò la causa, all'interno di quell'oceano castano che iniziava negli occhi della ragazza e proseguiva nella sua anima immensa. Per Ken fu facile entrare e ancora più facile fu trovare ciò che cercava.

Ecco lì, incastrato tra il cuore e la mente.

Il rimorso.

Ovviamente.

Non ne fu sorpreso. Conosceva quel sentimento fin troppo bene; l'aveva tormentato a lungo, costringendolo a riflettere sul male da lui inferto, e lo tormentava ancora, durante le lunghe notti di pioggia e tuoni che lo tenevano sveglio e le ombre di camera sua che, come burattini del tempo trascorso, si incrociavano sinuose davanti ai suoi occhi, per fargli rivivere ancora e ancora quel passato, quella macchia che si sarebbe portato dentro per sempre.

Per questo aveva imparato a conviverci, col rimorso. Ora che poteva vivere di nuovo non aveva intenzione di sprecare la sua seconda possibilità crogiolandosi nel dolore; preferiva agire, essere attivo, e rimediare.

Chissà se Hikari l'avrebbe pensata come lui. Chissà se fosse il caso di dirglielo.

Si mordicchiò il labbro, nervoso, e subito fu sottoposto a sua volta a uno sguardo indagatore.

Miyako lo fissava dritto in volto – ma come riusciva quella ragazza a percepire subito quando lui cambiava stato d'animo? – e gli occhi parevano punti interrogativi; "Tutto bene?" sembravano chiedere.

Sì. Io sto bene.

No. Hikari sta malissimo.

Quasi, quindi. "Quasi" tutto bene. Solo perché lui era troppo vigliacco per parlare.


<< Hikari. >>

La ragazzina castana si riscosse dal torpore.

Ken si trovò nel più completo imbarazzo. Doveva dirle che non era realmente colpa sua? Ma non poteva affermare che non fosse lei la causa, perché lo era.

Forse doveva dirgli che capiva. Ma no, Hikari non aveva mai schiavizzato decine e decine di Digimon, come lui, invece, aveva fatto. Non doveva portarla al suo livello.

Esitò.

<< Non... >>

Forse doveva solo essere sincero.

<< Non pensare che sia male che tu sia ancora qua con noi. >> disse tutto d'un fiato, fissandosi le punte dei piedi. Ma quanto era fifone?

Alzò appena le iridi azzurre e un nodo gli si sciolse nel petto, quando vide che Hikari gli stava rivolgendo un mezzo sorriso.

<< Non lo farò. Prometto. >>

<< Be-bene. >>

Adesso balbettava anche? Come doveva sembrare idiota.


Adesso balbettava anche? Come... come... com'era tenero!

Ma quanto le piaceva quel ragazzo? Miyako represse un sospiro estasiato, arrossendo all'idea. Doveva essere buffissima da vedere; dopo anni di questo sentimento ancora si comportava come un'idiota ogni volta che Ken se ne usciva con un'espressione a suo dire carina.

Il ragazzo scelse proprio quel momento per arrossire – aveva forse paura di essere stato invadente? – tornando a fissarsi la punta delle scarpe.

Stavolta Miyako non represse il sospiro.

Sora, al suo fianco, le diede una gomitata, ridendo con gli occhi. Ridendo a crepapelle con gli occhi. Per un istante solo, ovviamente, prima che la testa le si riempisse di nuovo di tristezza.



Giovedì 22 Settembre 2005, Casa Takenouchi. Ore 20.11


Non che la signora Takenouchi non fosse preparata ad affrontare con sua figlia un qualsiasi argomento di una certa profondità, ma quando Sora se ne uscì con la domanda "Mamma, perché c'è così tanta gente con una naturale inclinazione alla malvagità, alla megalomania e al prodominio?" proprio mentre le stava servendo la cena, la donna rimase un pochino sconcertata.

Sorrise incerta alla sua figlia adolescente.

<< Perché mi fai una domanda del genere, tesoro? >>

Sora la squadrò.

<< Ho fatto prima io la mia domanda. Devi rispondere tu, per prima. >>

<< Lo so. Ma mi chiedevo cosa ti avesse fatto pensare a questo proprio mentre stiamo cenando. Almeno un po' di dubbio e preoccupazione me lo concedi, no? >>

<< D'accordo, questo sì. >> rise << Ora però mi rispondi? >>

<< Tesoro, come posso sapere la risposta? Io, grazie al cielo, non ho una, come la chiami tu, "naturale inclinazione alla malvagità, alla megalomania e al predominio".

Sora se l'aspettava, ma avrebbe gradito lo stesso una risposta da sua madre. Aveva sì superato la fase in cui si crede che i genitori abbiano risposte a tutto, ma sperava lo stesso che la donna fosse capace di aiutarla a dare un senso a tutto quel caos che stava succedendo a Digiworld. Era anche vero che non poteva raccontare alla madre tutta la storia.

Riflettendoci con calma, mentre finiva di mangiare e rimetteva sistemava la tavola, si accorse che chiedere una cosa del genere alla mamma era stato inutile, era troppo estranea agli...

<< Sora? >>

<< Sì? >>

<< Non è il tuo cellulare che sta squillando? >>

Oh, sì.

<< Pronto? >> chiese, stesa sul tappeto, il cellulare in una mano e una tazza di tè nell'altra.

<< Sora! >>

<< Non urlare per telefono, Mimi, per favore... >>

<< Sì, scusa. Me lo dici tutte le volte e io... No, non divaghiamo! C'è un sopravvissuto! >>

Sora sussultò forte e una goccia di tè bollente le ustionò il mignolo.

<< [Ahi!] Che cosa? >>

<< Come "che cosa"? Dai Sora, svegliati! Un Digimon è sopravvissuto all'attacco! >>

Gli angoli della bocca le si curvarono in un sorriso. << Come sta ora? >>

<< Bene, direi. Dorme, mi ha detto Izzy. >>

Mimi sembrava allegra. L'altra ragazza ne apprezzò lo sforzo di vedere solo il lato migliore della situazione, visto che cercare di vederlo significava presupporre che questo esistesse.

<< Sono... contenta. >> sussurrò la rossa.

<< Anch'io, Sora. Tanto. >>


La ragazza tornò in salotto, un po' alleggerita.

<< Buone notizie? >>

Sua mamma la osservava, mentre lavava alcuni piatti che non era riuscita a far entrare nella lavastoviglie.

<< Sì. >>

Scaldò ancora la tazza di tè ormai fredda – aveva discusso a lungo con Mimi del tutto dimentica che liquido dorato che stringeva con la mano sinistra. Avevano parlato del come e del perché della vicenda, ma soprattutto si erano interrogate sui significati nascosti del termine "shio".

Già, shio. Marea. Il piccolo DemiMeramon salvato aveva chiesto il significato di quel termine. Perché avesse voluto sapere in un momento come quello (aveva appena ripreso a respirare!) il significato di un termine che conosceva sicuramente (abitava su un isolotto vulcanico, accidenti!) nessuno lo sapeva, visto che il piccolo Digimon stava beatamente continuando a dormire dalla notte prima.

<< Tesoro... >>

Era la voce di sua mamma.

<< Sì? >>

<< Riguardo ciò che hai detto prima... Scusa se non ti ho dato una risposta precisa. >>

Ci mise un attimo, ma mise a fuoco la domanda.

<< Non fa nulla, mamma. >> sorrise.

<< Comunque ci ho pensato un po'. >>

<< Davvero? >> sorpresa, nella voce di Sora.

<< Sì. È una domanda interessante. >>

Sora scrutò sua madre aprire una cassetto, riporre le posate, aprirne un altro e riporre i piatti, per poi girarsi verso di lei, osservandola con quello sguardo che un adulto rivolge a un altro adulto.

<< Credo che tu abbia fatto bene a usare la parola "inclinazione", per la domanda. Inclinazione indica qualcosa che si è portati a fare, non qualcosa che si è. Ma ci sono più cause possibili per avere ognuno di questi stessi effetti che hai elencato nella domanda, quindi ritengo sia sbagliato tentare di dare un perché generalizzato. È il modo migliore di sbagliare, di alimentare errori e pregiudizi che certo non aiutano a trovare una soluzione, ma soprattutto non permettono di capire le motivazioni intrinseche in ogni gesto, giuste o sbagliate che siano. >>

<< Ma questo vuol dire che ci sono motivi giusti per essere malvagi. >>

<< In assoluto no. Però dipende tutto anche da cosa si intenda per malvagio. >>

"Per malvagio io intendo una creatura che distrugge e non prova rimorso per ciò che ha fatto, mamma. Che gioisce nella sofferenza altrui. Che segue egoisticamente il proprio ideale, senza curarsi di niente."


"Non dire idiozie, Sora."

"E Ken dove lo metteresti, dentro questa visione del mondo?"

...

...

...

Possibile che metà della sua coscienza avesse la meglio sull'altra metà?

<< Hai ragione, mamma. >>

La donna si slacciò una catenella che aveva al collo, un piccolo cerchio diviso in due gocce, una bianca e una nera, entrambe con al centro un piccola pallina del colore inverso.

Sora capì dove voleva andare a parare.

<< Questa è filosofia, mamma. Non realtà. >>

<< Secondo me, può essere applicata alla realtà. Tieni, te la regalo. Così ti ricorderai, ogni tanto, di guardare il mondo in questo modo, considerando anche l'improbabile, non solo l'evidenza. >>

Sora esitò un solo istante.

<< D'accordo. >>

Il simbolo dello Yin e dello Yang scintillò, mentre allacciava la collana al proprio collo sottile.




Venerdì 23 Settembre 2005. Casa Ishida. Ore 11.34.


Yamato sbatté con violenza un pezzo di panno bagnato sulla propria fronte e imprecò genericamente contro il mondo, reo di non avere quell'odioso mal di testa che gli trafiggeva le tempie dal pomeriggio precedente.

Yamato mal sopportava il mal di testa e la malattia fisica in generale. Detestava sentirsi debole, lui che aveva una reputazione di duro da difendere. A suo padre, prima che andasse a lavoro, aveva biascicato, delirando dal sonno e dal dolore, che stava troppo male per andare a scuola ma che non si doveva preoccupare, gli sarebbe bastata una mattinata di riposo per riprendersi del tutto.

Sì, certo, come no.

Un'ulteriore fitta fu seguita da una lunga sequela di improperi. Oltre a essere particolarmente doloroso, quel mal di testa lo stava distruggendo con la lunghezza. Gli stava anche impedendo di pensare; fatto assai negativo, visto che era stato il pensare troppo a qualcosa a provocare l'inizio di quelle fitte lancinanti che gli facevano vedere le stelle.

Shio.

Shio.

Shio.

Shio.

Shio.


Quanti vicini si sarebbe trovato davanti alla porta nei successivi dieci secondi, se si fosse messo a urlare con tutto il fiato che aveva?




Pattogmon era furiosa. Furiosa e gelosa.

Aveva sbagliato, non lo negava. La ragazzina era fuggita. Anzi... tutto il gruppo di quei nanerottoli era entrato nella loro fortezza, aveva recuperato la loro prigioniera e poi se n'era andato indisturbato.

Pattogmon glielo aveva permesso, nonostante fosse di guardia. Per questo aveva pagato.

Ma perché a quelle due la loro padrona non aveva detto niente?

Erano state anche loro di guardia. Ne era certa.

Eppure non le aveva punite – anzi! Le aveva addirittura mandate a far vedere a quel branco di idioti che sono comunque più forti di loro.

Avrebbe potuto farlo anche Pattogmon.

Invece, Darklullabymon l'aveva punita – ne portava ancora i segni – e a Dodo e Kiki, niente. Niente. NIENTE!

E quelle due non avevano nemmeno ringraziato.

Darklullabymon le aveva graziate e non avevano detto nulla!

Diciamocelo, non che fossero di molte parole. E non erano nemmeno granché emotive. Soprattutto la ragazzina.

Ma il punto non era questo. Era che tutto era tremendamente ingiusto nei suoi confronti.

Sentire quelle parole da un Digimon che sguazzava nell'ingiustizia poteva sembrare ipocrita. Ma

poiché Pattogmon sguazzava anche nell'ipocrisia, un pensiero del genere non ne sminuiva la coerenza con la sua personalità di cinico essere maligno.




Takeru teneva tra le braccia il piccolo DemiMeramon, sveglio.

<< Non credo sia una buona idea tornare al tuo villaggio. >> cercò di dissuaderlo.

<< Ma io lo voglio vedere. >> disse il piccolo con le lacrime agli occhi. << Voglio vedere la mia casa! >> aggiunse poi, con voce stridula.

Accidenti.

Avrebbe preferito buttarsi da quella rupe, piuttosto che dover essere lui a raccontare a quel piccolo Digimon che era inutile tornare al suo villaggio, poiché la sua casa non c'era più.

<< Aspetta, Takeru. Dallo a me, ci penso io. >>

Il biondo alzò un sopracciglio.

<< Come vuoi... >> mormorò, tendendo il Digimon a Ken.


Daisuke e Iori correvano. Come dannati.

<< Fammi Armordigievolvere in Raidramon! >> stava urlando Veemon.

<< Ci riesci in corsa? Non possiamo perdere tempo! >>

<< Ci provo! >>

Iori, accecato dalla luce, inciampò; gli altri rotolarono lungo il sentiero, finché qualcosa non li raccolse issandoseli sulla schiena.

<< Danno. >> mormorò Daisuke.


<< Dove sono i nostri compagni e DemiMeramon? >>

Il Gazimon di guardia li scrutò con occhio critico, dalla punta dei capelli di Daisuke (pieni di rametti) ai pantaloni fumanti di Iori (“Ti avevo detto di non appoggiarti ai fulmini gialli!”), poi rispose.

<< Perché lo volete sapere? >>

<< Perché sì! >> gli urlò in faccia Daisuke.

<< 'spetta che controllo... >> fece il Digimon grattandosi un orecchio.

<< Forse non ci siamo spiegati... >>

Gazimon guardò Iori.

<< TI DEVI MUOVERE! >>

Il grido echeggiò lungo tutta la montagna.

<< Al molo. Ha-Hanno rintracciato DemiMeramon prima che salisse su una nave per tornare a casa... >> pigolò nel vento.

Erano già partiti.


DemiMeramon non aveva paura del fuoco, normalmente. Lui era un essere di fuoco e quell'elemento poteva al massimo fargli venire mal di pancia, se ne mangiava troppo a colazione.

Ma quel fuoco era così rabbioso, così... cattivo.

E quei due Digimon che volteggiavano a pelo delle fiamme non sembravano per niente buone, come la ragazzina che, in piedi su un ramo di un albero, osservava la scena.

Anche i due ragazzi che gli avevano detto che il suo villaggi era bruciato – altre lacrime gli caddero quando ci ripensò – dovevano pensarlo, visto che entrambi i loro Digimon personali avevano compiuti la Digievoluzione e si frapponevano, guardinghi, tra loro e le nuove arrivate.

<< Guarda! Guarda! Avete sbagliato! >> stava esclamando quella grigia, e sembrava entusiasta.

<< Che cosa hanno sbagliato? >> sussurrò DemiMeramon al ragazzo moro che lo teneva in braccio.

<< Avete visto? Ne avete mancato uno! >> continuò quella grigia, indicando il piccolo con una mano e preparando un colpo con l'altra.

Ken Ichijoji si lanciò per terra rotolando su un fianco, mentre un blocco di cenere incandescente bruciava il terreno nel punto esatto in cui si trovava fino a un attimo prima.

<< Stingmon! >> urlò a gran voce, per farsi sentire da sopra le urla terrorizzate di DemiMeramon.

<< Sono troppo veloci! Non capisco da dove arriveranno! >>

Un ghigno baluginò nell'aria dietro di lui.

<< Mi dispiace. >>

<< Raggio celestiale! >>

L'attacco di Angemon impedì che il Digimon insetto finisse secco, ma non sfiorò nemmeno Pattogmon, che volteggiò nell'aria, un smorfia di leggero disappunto in volto.

<< Non siete male, voi due. >> disse rivolta a Takeru e all'angelo.

Aspettò il colpo successivo e lo sfruttò per colpire Angemon in pieno petto, scaraventandolo a terra. Il Digimon uscì tremando dal buco, ancora a livello Campione.

<< Non siete male davvero. >> affermò di nuovo.

<< Ma io sono meglio. >>

Con noncuranza sparò due colpi, senza guardare. Uno fu per Stingmon, che abbatté due alberi prima di riuscire a fermarsi; l'altro per i due rimasti e Takeru, che si era gettato in mezzo nella speranza – vana – di fermare l'attacco.

Boom!

L'esplosione che avvenne a pochi centimetri da loro li scaraventò all'indietro. Ken fece quello che poteva per proteggere DemiMeramon con le braccia, ma non servì a molto, perché il piccolo ricominciò a piangere, disperato. Il ragazzino desiderò poterlo fare anche lui.


Pattogmon volò furiosa verso la sua compagna. << PERCHÉ MI HAI INTRALCIATO? >>

Amimon si limitò a pulirsi lo schizzo di saliva che l'aveva centrata in fronte.

<< Casomai sei tu che hai bloccato il mio colpo. >>

Impedì che le mani dell'altra le artigliassero la gola, nel chiaro intento di cancellarla dalla faccia della terra.

<< Magari, se ti sbrighi, non scappano. >> aveva suggerito. Poi un urlo la colse di sorpresa.


DemiMeramon piangeva ancora, singhiozzando dal terrore.

Voleva che tutto finisse.

Proprio come l'altra volta, quando quelle due che si occupavano del fuoco avevano attaccato il suo villaggio se ne erano andate, di punto in bianco, lasciandolo lì.

Aspetta: non proprio “di punto in bianco”. Prima era stata urlata quella parole, poi c'erano state frasi sconnesse, infine il silenzio e lui era svenuto.

DemiMeramon non ce la faceva più.

Voleva che finisse.

Urlò al cielo l'unica parola che gli venne in mente, l'unica speranza di far finire l'incubo.

<< SHIO! >>


Takeru rimase pietrificato sul posto, quando l'urlo di DemiMeramon raggiunse il suo orecchio, quello delle nemiche, e gelò sul posto, quando lo sguardo della ragazzina si inchiodò su di loro.

Il biondo era sicuro che fosse girata, in quel momento, ad osservare dall'altra parte del bosco qualcosa che non era dato sapere; eppure si ritrovò a dubitarne. Si era mossa troppo velocemente e ora li stava fissando in un modo... cosa c'era in quello sguardo?

Aveva troppa paura. Il cervello non ragionava.

Quello di Ken, per fortuna sì.

<< Tu sei Shio? >> lo sentì sussurrare.

Cullate dal vento, le parole giunsero alle tre che, dall'alto, li guardavano. Un attimo dopo, erano sparite.


<< Ken! Takeru! DemiMeramon! >>

<< Stingmon! Angemon! Grazie al cielo state bene! >>

<< Siete riusciti a cavarvela, meno male. Le avevamo viste cercarvi, ma non siamo arrivati in tempo. >>

Silenzio.

<< ...Ragazzi? >>

<< Il nome... quella ragazza... >>

<< Cosa? >>

<< Il nome di quella ragazza... questo è Shio. >>


[Si chiama Shio? Tai]

[Così è quello “Shio”! Mimi]

[Davvero se ne sono andate dopo? Sora]

[Grazie al cielo state tutti bene! Jyou]

[Io e Hikari veniamo da voi. Miyako e Hikari.]





Shio.

Lei è Shio.

Avrebbe dovuto immaginarlo.

Se solo la testa non gli facesse così male...

Possibile che il dolore sembrasse raddoppiato?

Shio, Shio, Shio.

Shio, Shio, Shio.



Yamato ficcò la testa sotto l'acqua gelida del lavandino. Doveva pensare.

Doveva assolutamente trovare una spiegazione a tutto questo. Non ci teneva a diventare matto.

Aveva la pelle bianca come il marmo e gli occhi iniettati di sangue.

Pensa, Yama, pensa...

Perché quella ragazza lo tormentava?

Perché il nome della ragazza lo tormentava?

Perché l'accompagnatrice di Amimon?

Perché un nome del genere?


Perché?

Perché?

Perché?

Perché?

Perché?


Perché “Shio” gli faceva così male?

Perché sembrava di avere la soluzione a portata di mano, ma era troppo stupido da poterla cogliere?


Fissò ancora la propria immagine.

Perché marea?

La odiò. Si odiò.

<< PERCHÉ SHIO? >> si urlò addosso.


Un attimo, un istante. Il treno rientrò sui binari, i vetri si infransero, la mente di Yamato si aprì.

Il pugno, diretto al muro, perse forza e scivolò lungo la parete, mentre da una tempia all'altra del ragazzo sembrò piantarsi un lungo chiodo arroventato.

Cadde in ginocchio e sputò acida bile.


<< Mi piace il mare. Ma la marea la adoro! >>


Parole, limpide come l'acqua che scorreva per terra e che Yamato guardava attraverso le fessure tra le dita della mano con cui sorreggeva il proprio viso.


<< Perciò chiamami Shio. Non Shiori. >>


La piccola pozzanghera d'acqua si allargò, ingrossata dalle lacrime che cadevano dagli occhi celesti del ragazzo.


<< Yamato? Yamato? >>


Il padre di Yamato lo trovò lì.

<< Yamato, che succede? >>

<< Shio. >> sussurrò di rimando il ragazzo.

<< Non Shiori. >>

La valigetta di suo padre cadde a terra. Il biondo si riscosse e guardò l'uomo che, appoggiato al muro, lo fissava ad occhi spalancati.

<< Papà? >>






Scusatemi, ma ora devo chiudere! Scriverò le mie note d'autore domani! Un abbraccio a tutti!

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Capitolo 9
*** Cap.08_Castello di vetro ***


Cap.08_Castello di vetro









Bene, poi non ho inserito le note d'autore alla fine del capitolo precedente...
Diciamocelo, non che avessi granché da dire. Immagino che coloro che hanno letto siano stati felici di scoprire che non posso più rimandare il momento delle prime spiegazioni. E infatti, eccole qua. Leggete, leggete...




Un'ombra scura strisciò sul pavimento della stanza di Pattogmon.
<< Signora? >>
La creatura si prostrò fino a toccare il pavimento.
Pattogmon storse il naso davanti all'umiltà del servo, ignorando come fosse uguale a quella che lei stessa esibiva nei confronti del suo capo.
<< Che vuoi? >>
<< Ho trovato... ciò che mi ha chiesto. >>



Digiworld, villaggio dei DemiMeramon. O quel che ne rimane.

Dov'è il bene e dov'è il male?
Prima risposta: nel mondo.
Più precisamente?
In ogni essere vivente.
È sicuramente così?
Perché lei, Sora, non riusciva proprio a trovare nulla di buono in quell'umana che aveva incenerito mezza Digiworld.
Non le trovava proprio niente di buono e il simbolo del Taijitu, al suo collo, le sembrava solo un'enorme bugia.
E invece il bene esiste, da qualche parte, nell'anima. È naturale.
La domanda, quindi, non è più se lo Yang esista, ma dove sia finito.

Forse era stato inghiottito.
Forse non erano riusciti a tenerlo vivo e la caduta nel buio più profondo era stata inevitabile e quasi facile.
Forse.
A queste cose non c'è una risposta precisa.
L'unica cosa certa è che, da quel baratro, non si scappa da soli. Nessuno può lasciarsi alle spalle il male, dopo che questo l'ha preso con sé.
Non da solo, almeno.



Amimon aveva visto una scintilla. Un taglio netto nell'anima di Shio.
Era uscita dalle labbra del ragazzo moro ed aveva acceso la miccia appena lanciata da quel Digimon piccolo, minuscolo, insignificante che lei nemmeno aveva considerato; eppure quel Digimon era riuscito a sopravvivere alla sua sua furia, cogliendo addirittura una parola, la parola – segreta, proibita – che aveva poi sbandierato ai quattro venti senza riguardo alcuno, senza curarsi nemmeno per un istante delle conseguenze.

<< SHIO! >>

Il mondo aveva sentito, e quel ragazzo troppo intelligente aveva capito.

<< Tu sei Shio? >>

E adesso l'incendio imperversava, là dove solo lei poteva coglierlo, all'interno della sua compagna.
Là, dove fino a poco prima non c'era che un infinito, gelido ghiacciaio.

Gira la ruota,
ancora una volta
il mondo brucia...






Quando Yamato lo chiamò, Hiroaki parve svegliarsi da quella specie di torpore. Si avvicinò al figlio e lo aiutò ad alzarsi.
<< Forza, vieni. >>
Lo costrinse a sedersi sul divano, ignorando le sue proteste (“Ora sto bene!” “Sì, certo.”) e lo coprì con una coperta.
<< Papà, non sono malato. >>
<< Non dire fesserie. >> lo sentì dire dall'ingresso, dove era andato per alzare il riscaldamento.
<< Papà! >>
<< Che c'è? >>
<< Piantala! >> gli gridò esasperato.
La testa gli doleva ancora. Non per le fitte, non più.
Ma per il pensiero che gli si era affacciato in testa.
L'idea che Shio e la Shiori che ricordava fossero la stessa persona e che l'avesse conosciuta già prima di Digiworld.
L'uomo lo fissò per un attimo, poi si sedette accanto a lui, con l'aria di volergli assolutamente dire qualcosa.
<< Yamato >> chiese infatti << Perché prima hai citato quel nome? >>
<< Shiori? >>
Hiroaki annuì, leggermente più pallido del solito.
<< Non lo so. >> rispose. Non era del tutto una bugia. << Mi è solo tornato in mente. >>
<< Ah. >>
<< Lo trovi strano? >>
Hiroaki scattò come una molla << No. >> e Yamato lo guardò con sufficienza, non riuscendo a trattenere uno sbuffo.
<< Papà, dimmelo chiaramente. Mi credi un cretino? >>
<< No, certo che no >>
<< E allora perché mi prendi in giro? >>
<< Io non ti sto prendendo in giro. >>
<< Perché quanto mi riguarda, mentire lo è. E tu mi stai rifilando una bugia dopo l'altra! >> esclamò, riducendo gli occhi a due fessure.
Hiroaki si voltò verso di lui decisamente irritato << Non mi urlare addosso! >>
<< Se te lo meriti, lo faccio! >>
Si osservarono in cagnesco per pochi secondi.
<< Ascoltami bene, papà. Sono due giorni che ho un mal di testa indecente che probabilmente è dovuto a questa Shiori, ma non so né come né perché. Tu invece sì e non me lo vuoi dire! >>
<< Cosa te lo farebbe credere? >>
<< Il tuo atteggiamento! >>
<< E non ti sfiora il pensiero che, sapendo di che si tratta, io possa preferire stare zitto? >> urlò Hiroaki, con tutto il fiato che aveva in gola. Se ne pentì subito dopo.
<< Scusa, Yamato. >>
<< No, scusami tu, papà. Ho iniziato io. >>
Si bloccarono un attimo e tra loro scese uno dei soliti silenzi.
<< È davvero tanto... grave? >> mormorò titubante il ragazzo.
Hiroaki si lasciò sfuggire un sospiro. << Più che altro, è tremendamente triste. >>
<< Riguarda anche noi? >>
<< In parte. >>
<< Davvero non mi puoi dire niente? >>
<< Preferirei di no. >>
Yamato si tolse la coperta di dosso e prese fiato.
<< Non conta niente il fatto che io voglia saperlo? Non sono più un bambino, papà. Mi rendo conto che a questo mondo ci sono cose tremende, però so accettarle. E se nel mio, nel nostro, passato è accaduta una cosa simile, vorrei sapere di che si tratta. >>
Hiroaki lo guardò appena.
<< Soprattutto perché è qualcosa che mi è stata tenuta nascosta. Forse anche a lungo, ma non saprei. Perché non mi ricordo nulla. >>
E io detesto questa situazione. Non lo disse ma lo pensò così intensamente che si chiese, per un attimo, se suo padre non avesse percepito più quel pensiero che le sue parole precedenti; fatto sta che, comunque, l'uomo emise un lunghissimo sospiro, poi si voltò verso di lui e disse << D'accordo. Ti racconterò ciò che vuoi. >>
L'animo di Yamato si modificò e da pesante, triste e dolorante che era divenne leggero e sollevato, ma anche ansioso e preoccupato.
A cosa stava andando incontro?
<< Grazie. >>
Hiroaki non rispose all'ultima affermazione; iniziò direttamente a raccontare.

<< Stiamo parlando di un sacco di tempo fa. Era il Dicembre 1994... Abitavamo ancora nell'appartamento a Hikari Ga Oka. >> Tutti e quattro, era implicito. Più di dieci anni fa. Era una storia così vecchia? << Nevicava da giorni e faceva un freddo tremendo, ma tu e Takeru non volevate sentire ragioni. Volevate giocare nella neve, a tutti i costi. Vi portammo ai giardini del quartiere e lì incontraste, per la prima volta, la bambina chiamata Shiori. >>
<< Ne sei sicuro? >>
<< Era lei che ripeteva sempre di volere quel soprannome, per quel motivo che ricordi. Amava il mare e la marea la affascinava. Fu una delle prime cose che disse, quel pomeriggio e che ha ripetuto a lungo. >>
<< Chi era? >> chiese subito Yamato.
<< Shiori era una bambina dell'età di Takeru. Abitava con la sua famiglia – gli Yamamiya – nel quartiere accanto e come voi voleva uscire a giocare nella neve. Il parco vicino a casa loro, però, era gelato. Quindi vennero nel nostro, il più vicino, e lì vi siete conosciuti. >>
<< Aveva tre fratelli più grandi di lei e per questo non aveva problemi a giocare con te, che avevi quasi il doppio della sua età. Anzi: Takeru, con i suoi due anni e mezzo, era quasi troppo infantile per lei. Vi trovò simpatici, molto simpatici, da subito. Tanto che vi chiese il numero del nostro appartamento e il giorno dopo ce la trovammo alla porta di casa, insieme a suo padre, che chiedeva se volevate giocare con lei e che aveva anche portato i biscotti. >> gli angoli della bocca dell'uomo si curvarono all'insù. << Faceva troppo freddo per andare al parco e quindi rimanemmo in casa. Passò il pomeriggio a descriverci vita morte e miracoli di tutta la sua famiglia, con una proprietà di linguaggio che... >> scosse la testa. << Ci sconvolse, davvero. Non pensavo di poter tenere una conversazione di quel livello con una bambina di quell'età. >>
Yamato cominciò a immaginarsela: un esserino minuscolo e chiacchierone, seduto al tavolo che avevano allora, che gesticolava in continuazione per allargare lo spazio che lui, troppo piccolo, lasciava vuoto.
E non poté fare a meno di dargli il viso della ragazzina di Digiworld.
Ovviamente miniaturizzato e, sempre ovviamente, sorridente.
<< Venne a casa nostra il giorno dopo e il giorno dopo ancora, per tutte le vacanze di Natale. Anche dopo, spesso veniva a trovarvi il pomeriggio, quando eri tornato dall'asilo. Era diventata una sorta di costante, nella nostra vita, sorprendentemente divertente. >>
<< Ma io non me la ricordo. >>
<< Non ne dubito. Abbiamo fatto in modo che vi dimenticaste di lei, io e Natsuko. >> affermò Hiroaki, senza guardarlo negli occhi. Si vergognava. << Non è stato difficile, visto che è durato tutto troppo poco. >>
L'uomo si massaggiò le tempie e tacque, perso per un attimo nei propri pensieri.
<< Non capisco... >>
<< Te l'ho già detto: non ne dubito. Quando è successo ciò che è successo, ve l'abbiamo tenuto nascosto, perché eravate piccoli e non vi volevamo spaventare. Poi traslocammo, in un quartiere diverso. Io e Natsuko iniziammo a non andare più d'accordo. Prima per cose stupide, senza senso, poi i nostri litigi si aggravarono e il resto... lo sai. Non dico che il nostro divorzio sia stato causato da ciò che successe a Shiori; ma eravamo talmente tesi e nervosi che ogni piccola cosa sembrava gigantesca. Non reggemmo la situazione. Non intendo difendere la nostra decisione, perché non è il nostro scopo ora. Volevo solo darti un esempio di come la storia che ti racconto sia grave. >>
<< E adesso, veniamo al dunque. >> si raddrizzò. Si era curvato piano piano, mentre parlava, quasi schiacciato dal peso del ricordo. Si raddrizzò, ergendosi in tutta la sua statura – tale e quale a quella di Yamato e continuò, con voce atona, con poche parole precise.
<< Shiori Yamamiya, una notte, scomparve. >>
<< Significa... cosa significa? >> Yamato deglutì, per scacciare il gelo in lui. << È morta? >>
<< No. >> disse l'uomo, guardandolo a malapena in viso. << La portarono via. >>
Nonostante fosse una semplice stanza, nonostante l'infuriare della pioggia contro i vetri impedisse il completo silenzio, le parole di Hiroaki echeggiarono tra le pareti; quantomeno, fu l'effetto che fecero nelle orecchie di Yamato. Aprì la bocca, per parlare, ma non ne uscì che un suono basso e gutturale, che sembrava chiedere << Quando? >>
<< In una notte orribile. >>
<< Shiori Yamamiya fu rapita la notte dell'attentato e da allora se ne sono perse le tracce. >>




Soffiò su Digiworld un vento freddo.
Un vento strano, non previsto.
Portava ovunque il suo segreto messaggio. Ma nessuno pareva capace di coglierlo.

Un Digimon rosso fuoco si alzò dal bordo della scogliera dove sedeva.
<< Non mi piace questo vento. Torniamo alla fortezza, Shio. >>
La creatura accanto a lei non parve sentirla, lo sguardo perso nel vuoto.
Poi Shio si voltò di scatto, inchiodando gli occhi viola nella direzione da cui veniva il vento.
Lei aveva sentito.

Stava arrivando un cambiamento, e camminava nel vento di Digiworld.





Il modo in cui sua madre stava guidando non lasciava presagire nulla di buono.
Sterzava lungo le strade bagnate dalla pioggia con una foga che raramente le aveva visto in corpo, scaricando sull'asfalto tutta il suo nervosismo – doveva essere parecchio, visto come sgommava.
Era andato a prenderlo a scuola: aveva aperto la portiera della macchina, gli aveva detto << Sali. >> con voce perentoria ed era partita.
Al momento, Takeru si trovava sul sedile del passeggero e stringeva lo schienale ogni volta che Natsuko affrontava una curva schizzando di gocce appena cadute gli eventuali passanti.
<< Mamma, dove andiamo? >> mormorò, ma la donna parve non farci caso; continuò a tenere gli occhi incollati alla strada e ad aggredire l'asfalto, sicuramente colpevole di qualche atroce delitto.
Poi, di punto in bianco, si fermarono. O meglio, Natsuko parcheggiò in corsa – con una certa abilità, gliene doveva dare atto – e inchiodò a venti centimetri dalla Volvo davanti a loro.
Takeru fece per scendere, ma lei lo bloccò.
<< Stiamo andando da Yamato. >>
Il ragazzino la guardò ansioso.
<< Che è successo? >>
Natsuko si aspettava quella domanda. Lei non andava mai a casa dell'altra metà della loro famiglia; Takeru lo sapeva e aveva intuito la presenza di qualcosa che non andava. La donna sospirò, rassegnata.
<< Devo raccontarti una storia... >>

Ad aprirgli la porta giunse Hiroaki, pallido. Takeru gli passò oltre, dirigendosi in camera di suo fratello.
Bussò.
<< Ti ho detto che volevo stare solo! >> sentì urlare. Evidentemente si riferiva a papà.
<< Yama-nii. >>
Sentì un trafficare di chiavistelli, poi la porta di aprì.
<< Takeru? >> aveva gli occhi rossi e ancora umidi.
<< Papà ha chiamato me e la mamma. >> sussurrò. Gli tremò il labbro inferiore: non poté evitarlo.  << Yama-nii... >> Aveva voglia di urlare fino a rimanere atono, di rompere qualcosa, di vomitare e di piangere. Suo fratello si scostò, per farlo entrare in camera e, a giudicare dei cocci sul pavimento, si rese conto che Yamato doveva aver già fatto tutto ciò.
<< Lo so, Takeru. Lo so. >> gli mormorò con voce bassa.
E rimasero lì, a guardarsi piangere, per lunghi minuti, consapevoli entrambi dei pensieri dell'altro. Consapevoli di stare piangendo perché entrambi sapevano.
Non avevano idea di dove fosse Shiori Yamamiya e non avevano nessuna garanzia che lei e Shio fossero la stessa persona. Eppure, nonostante questo, erano sicuri che fosse la verità. La tremenda verità.
Sapevano che quella ragazzina che li aveva attaccati e distrutti era la stessa bambina che avevano conosciuto, la stessa che, da più di dieci anni, era sparita.
E avevano dei sospetti.
Che Shiori avesse trascorso quei dieci anni a Digiworld.
Che Shiori avesse trascorso dieci anni nella fortezza nera, con Amimon come unica alleata, circondata e sopraffatta da folli.
<< Dieci anni... >>
Erano tre quarti della tua vita, a tredici anni.
<< Se va bene. >> mormorò Yamato.
<< Cosa intendi? >>
<< Che prima della sconfitta dei Padroni delle Tenebre, il tempo a Digiworld era dilatato. Quindi, o si trovava in un posto in cui il tempo scorreva come sulla Terra, oppure Shiori ha trascorso su Digiworld ben più di dieci anni. >>
Takeru boccheggiò. Si rifiutò di fare un conto preciso, altrimenti sarebbe impazzito veramente.


<< Posso entrare? >> chiese dopo un po' la voce di Natsuko da dietro la porta.
<< Sì. >>
Lasciò aperta la porta. Dietro di lei, in corridoio, Hiroaki li osservava. La donna stringeva in mano un rettangolo di carta, che porse ai suoi due figli. Era una fotografia.
C'erano bambini, in quella foto – una montagna di bambini soffocati da piumini e sciarpe, al centro di un prato coperto di neve.
<< Il sesto compleanno di Yamato. >> mormorò Natsuko.
Al centro della foto, un bambino biondo stringeva una sua versione miniaturizzata e sorrideva apertamente da dietro una torta con sei candeline. Poco dietro c'era  un sedia e sopra di essa, in piedi, una bambina minuscola, sottile, che sventolava una mano in segno di saluto e sorrideva all'obiettivo, ciuffi di capelli scuri che incorniciavano grandi occhi viola.
Era sicuramente lei. Aveva i capelli troppo scuri, questo è vero; ma gli occhi erano viola e i lineamenti inconfondibili, almeno per loro due, visto che entrambi li vedevano nei sogni ogni notte, da quel benedetto giorno in cui a Digiworld si era trovati – o ritrovati, era il caso di dirlo – faccia a faccia.

Poi, un pensiero si fece strada nella mente di Yamato. Era un'idea bizzarra e senza logica, almeno finché non cominciò a rifletterci sopra seriamente. Non si stupiva del fatto che né lui, né suo fratello, né uno qualsiasi dei restanti Digiprescelti non fosse mai venuto a conoscenza della presenza di un altro essere umano a Digiworld.
Stiracchiando la realtà, poteva credere che nessun Digimon da loro conosciuto lo avesse mai saputo.
Ma c'erano entità che dovevano esserne a conoscenza. Entità che avevano incontrato e che conoscevano.
E dovevano aver mentito.
Il sangue gli salì alla testa.
<< Takeru >> ringhiò << dobbiamo andare a Digiworld. Ora! >>



Due figure correvano nel vento, oltre fiumi, le città e le montagne.
Correvano nel vento come se ne andasse della loro stessa vita. Magari era proprio così.
Amimon non ricordava quando aveva avuto paura, l'ultima volta. Era stato troppo tempo fa.
Eppure il terrore la stava sommergendo, puro e atavico.
Shiori, invece, si ricordava l'ultima volta che aveva avuto paura, nonostante fosse stata tanto tempo prima. Non solo quella quella volta, si ricordava, ma anche la precedente. E quella prima. E quella prima ancora.
Shiori ricordava ogni volta che aveva avuto paura. Ma soprattutto ricordava perché aveva avuto paura, tutte quelle volte.
Così il terrore nacque ancora in lei, a distanza di anni, rinnovato da quella sensazione schiacciante di essere stata scoperta.
Continuò a correre. Sempre più veloce, sempre più veloce. Dietro di sé, ad ogni passo, una scia di ricordi, un scia di rimpianti, una scia di rimorsi.
E, ma lei non lo sa, una scia di speranze infrante e sogni spezzati.
Desideri, insomma.
Frammenti dolorosi di un passato distrutto.


Non appena sua sorella era entrata di corsa aprendo la porta con un calcio, trafelata e con le due borse della spesa sballottate qua e là, urlando a gran voce << Ragazzi! >> (a lui e alla povera Gatomon, che era uscita di botto dal mondo dei sogni) con una nota isterica nella voce, Taichi aveva capito che c'era qualcosa che non andava bene per niente.
Fece per correre verso la camera, ma un amorevole pugno lo centrò dietro l'orecchio destro, mandandolo a gambe all'aria e un altro urlo <> gli perforò le orecchie.
<< Che accidenti fai, Hikari? >> chiese alzandosi, mentre Gatomon rideva alle sue spalle, almeno finché la Digiprescelta della Luce non la zittì con uno sguardo di ghiaccio.
<< Non ci sono problemi a Digiworld? >> chiese speranzoso il Digimon gatto.
<< Certo che ci sono problemi a Digiworld. Ci sono sempre problemi a Digiworld. >> disse Hikari secca. << Ma non solo lì, stavolta. >>
<< Non capisco... >>
<< Non devi capire. Non so nulla nemmeno io, tranne che, in questo esatto momento, per un motivo noto solo a lui e a suo fratello, Yamato sta andando a prendere a pugni Gennai! >>
<< Che cosa? >>
<< Ti ho detto che non lo so! Basta che adesso ti sbrighi >> esclamò Hikari battendo i tacchi e indicando il computer << e vai a fermarlo! >>

La torre di Gennai era nel panico. Pochi minuti prima, un Digimon lupo bianco e blu era entrato salendo fino in cima.
Taichi non soffocò l'imprecazione che gli era salita alle labbra; lasciò Izzy a tranquillizzare i Digimon sul fatto che no, non erano sotto attacco e seguito dal resto dei suoi amici corse a perdifiato su per le scale, verso la sommità della torre, verso la stanza di Gennai. Entrò senza bussare, spalancando una porta che pareva essere stata appoggiata alla parete dopo essere stata divelta dai cardini. Dentro la stanza, Gennai era a terra che si massaggiava la gola e in piedi, di fronte a lui, Yamato cercava di divincolarsi dalla stretta di Takeru, lo sguardo livido inchiodato al punto del pavimento su cui giaceva l'essere digitale.
Taichi scattò, placcando Yamato con una perfetta mossa da rugby, bloccandolo a terra dopo qualche attimo di zuffa.
<< Si può sapere che ti è preso? >> << Cosa ci fate qui? >> si urlarono addosso nel medesimo istante. Il biondo voltò la testa verso suo fratello.
<< Sei stato tu? >>
<< Non potevo permetterti di fare del male a Gennai. >>
<< Ma ti ha dato di volta il cervello? >> urlò Yamato verso Takeru. Taichi rimase senza parole. Il biondo non aveva mai, mai, urlato in quel modo all'altro ragazzo.
<< No, tu hai perso la testa! Lo so che sei arrabbiato! >> ribatté Takeru, urlando anche lui. << So perché sei arrabbiato e lo sono anch'io, come potrebbe essere diversamente? Lo so che tutta questa... cosa è tremenda, che rimanere lucidi è difficile, ma lasciarsi prendere dall'ira non aiuta e non risolve niente! >>
Gridò con tutto il fiato che aveva in gola. Yamato smise di divincolarsi dalla stretta di Taichi e si calmò un poco.
<< Hai ragione. >> mormorò a Takeru. Che iniziò a piangere.
Allora, solo allora, il Digiprescelto del Coraggio si accorse che il ragazzo che teneva stretto aveva gli occhi rossi e lucidi.
<< Che succede qua? >>
Yamato non piangeva mai. Mai. Per nessun motivo.
A quanto pare, invece, un motivo c'era.
Il resto del gruppo entrò piano nella stanza, anche Koushirou e Tentomon, saliti da pochi secondi. Takeru si asciugò rabbioso le lacrime, ma quelle continuava a cadere. Allora rinunciò, lasciandosi cadere a terra da dove, scambiatosi un'occhiata con suo fratello, iniziò a raccontare.

Quando finì, mezz'ora dopo, la voce la sua voce era roca, dalla fatica e dal pianto. Ventun teste lo osservano senza produrre alcun suono, se si escludevano i singhiozzi di Miyako e Mimi.
<< È terribile. >> mormorò Jyou, dando voce all'unico pensiero che circolava nelle teste dei presenti.
Yamato si liberò facilmente dalla stretta di Taichi che, sconvolto, era fermo in ginocchio.
<< Sì, è terribile. È terribile perché nessuno di noi sapeva niente, conseguentemente Shiori ha passato dieci anni prigioniera nella fortezza. O sbaglio? >> sibilò a Gennai.
<< No. Non sbagli. >>
La creatura digitale si alzò da terra appoggiando la testa tra le mani forti. Illusione, pura illusione. Lui era vecchio, era vivo da tanto tempo. Era vecchio dentro, nonostante il corpo di un giovane. Era un vecchio che ne aveva passate tante. Guardò i ragazzi di fronte a lui, ad uno ad uno, soffermandosi sui due fratelli biondi, vedendo le loro lacrime e il loro dolore.
Chiuse gli occhi un attimo e subito se ne aprirono altri, nella sua testa. Erano occhi viola,  contornati da ciuffi di capelli neri, e appartenevano a un ricordo. Erano enormi, quegli occhi viola; o almeno a lui erano parsi così, quella volta che si erano inchiodati verso di lui, pieni di terrore, gridando una muta richiesta di disperato aiuto, finché una spessa coltre nera e maligna non li ricoprì, cancellandoli dal mondo.
Provò rimorso per il suo errore e rimpianto per non averlo mai confessato. A chi avrebbe giovato, del resto?
Gli occhi del maggiore dei due biondi lo scrutavano pieno di quello che poteva sembrare odio, ma non era che disperazione. << Tu sapevi! >>
Non era una domanda, ma un'accusa.
<< Sì. >> rispose.
Forse Yamato non si aspettava una risposta così diretta; fatto sta che rimase sorpreso.
Gennai, però, non si fece illusioni. Sapeva che da un secondo all'altro il ragazzo gli sarebbe saltato al collo, con l'intento di fargli più male possibile.
Gennai lo sapeva; come sapeva che, se davvero Yamato avesse voluto farlo a pezzi, ne avrebbe avuto tutto il diritto.




La fortezza nera si stagliò davanti a loro, illuminata dalla tenue luce dello spazio di mezzo.
Per la prima volta, la sua visione donò ad Amimon sollievo. La fortezza sapeva di sicurezza e stabilità.
Per Shiori la fortezza sapeva sì di forza e sicurezza, ma anche di casa.
E quel pensiero non le donava che una cupa desolazione.

Era andata alla scogliera, quella mattina, per mettere ordine in sé.
Per cercare di recuperare quello che Ichijoji e DemiMeramon le avevano tolto.
Non era così grave che sapessero il suo nome.
O meglio, il suo soprannome.
Ancora meglio: uno dei suoi soprannomi.
Ma non c'era riuscita e quel vento bizzarro l'aveva allarmata.
Due emozioni in due giorni; un record.

Entrando nell'atrio, cominciò di nuovo a chiudere le crepe che aveva nell'anima.
Pensava alla fortezza. Solida, impenetrabile, nera. Esattamente come doveva essere la sua anima sporca.
<< Dodo! >>
Pattogmon uscì da un corridoio.
<< Va meglio, oggi pomeriggio? >>
Amimon aggrottò le sopracciglia.
<< Cosa vuoi? >>
<< Sono solo preoccupata. >>
Pattogmon rimase seria per cinque secondi. Poi scoppiò a ridere.
Una risata fredda, sadica e crudele. Una risata... vittoriosa.
<< Come potrei preoccuparmi per voi? Non siamo nemmeno più amici... >>
Una luce malefica le brillò negli occhi.
<< Altri lo sono, vero? >>
Shiori la fissò immobile, mentre pian piano capiva.
Avevano saputo.
Avevano saputo che avevano fatto fuggire Hikari.

Amimon si lanciò con un urlo verso il Digimon di cenere, atterrandolo.
Poi qualcosa atterrò lei.
<< Scappa! >> urlò a Shiori, prima di svenire. Ma lei non ci provò nemmeno.
Rimase solo immobile sulle sue gambe appena divaricate, senza nemmeno guardare i sette Digimon che le arrivavano addosso, sopraffacendola come le rocce fanno con un fiore.

Dov'era finito il suo castello di pietra? Crollato, distrutto, andato per sempre.
Perché, dopotutto, era solo un castello di vetro.









Ed eccomi qua! Alla solita ora di sempre, quarto d'ora più, quarto d'ora meno.
Sempre come al solito, non so che dire nelle note. Il capitolo dovrebbe parlare da sé (o almeno spero).
Cominciano le risposte!
Chi è quella ragazza, perché è lì e similari; altre sono le domande, comunque, le cui risposte sono ancora in sospeso.
Spero comunque che questa storia piaccia e intrighi, almeno un po'.
Ho un piccola nota per chi mi segue: il discorso di Gennai sul rimpianto e il rimorso, non vi pare di averlo già visto da qualche parte?
Un grazie di cuore a Werewolf1991 e a kymyit, che recensiscono sempre, a ChibiRoby che ha aggiunto la storia alle seguite e a Kyz, che ha fatto altrettanto e che da un mese mi garantisce una recensione al prossimo capitolo - cioè questo. Spero sia di tuo gusto.
Un abbraccio enorme (che contenga tutti quanti!)
coco

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Capitolo 10
*** Cap.09_Follia ***



Capitolo 09:

F  o  l  l  i  a

 

 

 

 

 

 

 


 

“Questo dolore puro, senza oggetto, questa essenza di dolore è senza dubbio il dolore del folle; non ci rendiamo mai conto (per quanto sappiamo nominare la follia e liberarcene) che i folli, molto semplicemente, soffrono.”

Roland Barthes, Amare Schumann

 

 

 

 


 

Quel palazzo era un vero labirinto. Bastava svoltare un angolo e subito appariva una scala, che immancabilmente finiva con l’intrecciarsi con un’altra sua simile proveniente – o almeno così sembrava – direttamente dalle tenebre. Inoltre, perfino i corridoi più brevi erano disseminati di porte, collegamenti e scorciatoie per cui, chiaramente, si finiva per non completarne nemmeno uno. Dopo pochi minuti, quindi, Shiori si era già completamente persa.

La creatura che l’accompagnava non aveva detto una parola da quando avevano lasciato il salone: si limitava ad avanzare, in silenzio, stringendole una spalla e costringendola così a camminare. Non che a Shiori importasse granché. Ben poche cose attiravano la sua attenzione in quel momento e certamente non una mano su una spalla, per quando la mano fosse gelida e la stretta scomoda e quasi dolorosa.

Uno strattone le fece inequivocabilmente segno di fermarsi. Alla loro destra c’era una porta nera e lucida, a due battenti e talmente grande che pareva strano trovarla all’interno di un edificio e non all’ingresso. L’essere lasciò andare la bambina e appoggiò il palmo tra le due maniglie, dando una leggera spinta; i due battenti si aprirono, senza fare il minimo rumore.

Shiori fu fatta entrare. Davanti a lei si aprì una stanza grande, e spoglia. Sembrava un specie di grotta, costruita senza cura; le stesse pietre grezze e scure, appena sbozzate, coprivano pavimenti soffitto e pareti e si interrompevano solo alla porta di ingesso, alla porticina del bagno e all’unica finestra della stanza. Una feritoia, più che una finestra, posta molto in alto sulla parete di fondo, e da lì passava un singolo fascio di luce offuscata, che colpiva in pieno il viso della bambina, senza nemmeno accecarla. Davanti alla porta, sulla sinistra, si appoggiavano le quattro gambe di un tavolo di legno rozzamente intagliato su cui stavano due sgabelli capovolti. Addossato alla parete di fondo c’era un letto a due piazze e accanto, nell’angolo a destra, la porticina del bagno, di legno morbido e chiaro, coperta da uno spesso strato di polvere scura.

Vivere lì non poteva che essere terribile. E lo sarebbe stato, per lei, perché quella…

<< Questa è la tua stanza. >> disse il suo accompagnatore.

Appunto.

L’essere uscì senza dire nient’altro e la porta chiusa a chiave vibrò un’unica nota sorda, la cui eco durò a lungo nel silenzio perfetto della stanza. Nello stesso istante, la gola di Shiori si strinse e la bambina annaspò, alla ricerca di aria. Sembrava che non ce ne fosse mai abbastanza. Alzò gli occhi e le parve che le alte pareti si chiudessero su di lei: chiuse gli occhi, raggomitolandosi su se se stessa e continuando a ripetersi che no, non era vero, non era vero, non era…

Un piccolo lamento giunse alle sue orecchie. Tre piccoli tonfi, tre passi, si avvicinarono a Shiori e qualcosa le sfiorò lieve una spalla, per poi aggrapparsi alla manica destra del pigiama della piccola, il suo preferito, quello verde con le mucche alate. Shiori allentò la presa alle ginocchia e alzò il viso. Accanto a lei, esattamente alla stessa altezza, c’era l’altra creatura, quella lilla uscita dall’uovo bianco e decorato. Quella che le avevano affibbiato e che, si rese conto, non voleva nemmeno vedere perché dava un sapore definitivo a quell’incubo da cui non si sarebbe mai svegliata.

Lo seppe improvvisamente, con la più assoluta certezza. Era perduta. E mentre pensava a questo e il cervello andava in tilt, la piccola creatura lilla alzò le braccia e con gli occhi pieni di tutta la pena e la tristezza mai provate da qualcuno, tentò di abbracciarla.

Il mondo di Shiori si tinse di rosso.

Scrollò con violenza il braccio; l’esserino, colto alla sprovvista, inciampò e cadde, ma Shiori lo intercettò a metà strada, con una pedata data con la precisa intenzione di fare più male possibile. Il colpo fu violento, tale da mozzare il fiato alla creatura e fu solo per questo che non urlò; volò per la stanza e cadde rantolando ai piedi del letto, e da lì non si alzò più.

Lo stomaco di Shiori si contorse come un disperato gatto arrabbiato e la bambina urlò, urlò fino a non avere più voce, finché non sentì la gola bruciare e il sapore rugginoso del sangue sulla lingua.

Rovesciò il tavolo e gli sgabelli, gettò a terra le coperte e ridusse a brandelli le lenzuola. Corse alla porta e la tempestò di pugni e calci, sbucciandosi nocche e piedi e poi diede un’ultima, sonora testata, graffiandosi a sangue, prima di cadere, nuca a terra e occhi rivolti al soffitto.

“Alzati.” le disse la rabbia.

“Alzati e fai capire che stai male.”

“Alzati e fai soffrire.”

Shiori si tirò in ginocchio.

"Alzati."

Puntellandosi con una mano, fece per tirarsi su…

"Alzati."

… e ricadde supina.

"Debole. Debole. Sei debole."

Ci riprovò. Un ginocchio, poi l'altro, entrambe le mani spinsero contro la pietra… e cadde ancora.

"Debole."

Digrignò i denti.

"Debole."

Le gambe non risposero all'impulso – ma forse si risparmiò solo il dolore di un'ulteriore ricaduta.

"Debole."

Non le era mai importato essere debole, di tanto in tanto. Lei era una bambina forte; ma comunque piccola, comunque umana. C'erano casi in cui la debolezza era gradita. C’erano stati, ne era certa.

Eppure sentiva che non ne avrebbe più avuto diritto.

"DEBOLE!"

Non poteva permetterselo più, non poteva da quando aveva provato a piangere, nel momento in cui il portone della fortezza si era chiuso dietro di lei, e non era finita bene. Al primo singhiozzo che si era azzardata a fare – il primo, in realtà, che non era riuscita a trattenere, che nonostante tutto le era uscito dalle labbra – aveva ricevuto il primo ceffone della sua vita. E le aveva fatto male, perché non era un ceffone di una madre o di un padre, ma di un mostro che l'aveva appena portata via da loro e per il quale non era che carne da battaglia.

Appoggiò un piede nudo sulla pietra e la mano opposta la mantenne in equilibrio. Con l'altra, stretta a pugno, spinse per terra, con tutte le forze rimaste.

"Debole?"

Ecco, era in piedi. E quindi?

Si guardò intorno, persa. Non aveva nulla da fare. Si mosse verso l'angolo sinistro, oltre i resti del tavolo e dell’unico sgabello rimasto, perché l'altro era volato contro la parete. Evitò il letto, duro e freddo, e appoggiò la fronte al muro fresco. Sollievo.

Le gambe tremarono un'ultima volta e Shiori scivolò a terra, stringendosi ancora alle ginocchia.

"Sì, sei debole."

La piccola tirò su col naso.

"Sì, lo so." rispose a se stessa.

Dall'altro lato della camera, la creatura ferita singhiozzò ancora, dopo un lungo silenzio, e Shiori si sentì un mostro. Si spostò un po' a sinistra, in modo che il letto la nascondesse alla vista di chiunque fosse entrato. Lì rimase, per lungo tempo, a piangere di nascosto le ultime lacrime che avrebbe sparso tra quelle mura maledette.

 

La stanza era immersa nel buio, ma non un buio totale; dall'unica finestra filtrava una luce tenue, ma sufficiente a distinguere i contorni delle cose.

Quando Shiori riprese conoscenza era stesa sul pavimento. Un pavimento di pietra fredda e dura, la stessa che c'era in ogni luogo nel castello, ma le bastò un attimo per capire che quella era la sua camera ed era stesa nello stesso identico punto dove si era rintanata la prima notte che aveva trascorso alla fortezza – trenta centimetri a sinistra del letto, invisibile a chiunque fosse entrato dalla porta.

Ma non ci si era stesa da sola, dopo aver lottato contro la propria rabbia, uscendo perdente dallo scontro. E la cosa peggiore, constatò alzandosi, era che, dall'altra parte della stanza, non c'era nessun Digimon ferito, ferito da lei, a emettere singhiozzi di dolore.

Dov'era Amimon?

Fu questo a spaventarla, più di tutto il resto, più della sua mente confusa che non riusciva a ricordarsi cosa fosse successo. Cominciò a lottare contro la nebbia nella sua testa, sforzandosi di concentrarsi come riusciva sempre a fare. Scappare dentro la sua mente le era sempre risultato facile; e allora perché non ne era capace? Perché ogni tentativo le faceva più male? Voleva urlare. Strinse la testa, pronta a sbatterla contro il muro…

C’era qualcosa, sulla sua tempia destra. Stringendo gli occhi si avvicinò alla luce e pose le dita nel fascio luminoso. Era sangue raggrumato.

Era stata colpita – per la prima volta da che ne aveva memoria. E mentre si chiedeva come fosse successo, si ricordò chi era stato.

Un sorta di artiglio le perforò il petto e ridusse in briciole il suo cuore a pezzi. Gemette piano e mentre si accasciava tremando sulle ginocchia un conato di vomito la scosse. Sputò bile sul pavimento – da quanto era lì? Da quanto non mangiava? – e solo a quel punto percepì la presenza di qualcuno in piedi nell’ombra. I brividi divennero singulti violenti, qualcosa sferzò l'aria e lei comprese chi era lì. Dietro di lei c'era Darklullabymon, che le puntava il bastone alla schiena.

 

Il solito corteo accolse Darklullabymon alla sua uscita dalla camera.

<< Chiudete la porta. >> ordinò << Sprangatela. >>

I Digimon obbedirono velocemente e con efficienza. Nessuno si azzardò a chiedere il perché di tutte quelle precauzioni con una stanza vuota.

 

Darklullabymon non c'era più. Ne era certa. Ma non era altrettanto certa che fosse un bene.

Smise pian piano di tremare e constatò che la porta davanti a lei era aperta. Doveva scappare. Andarsene. Doveva trovare Amimon.

E da quando saresti capace di fare per lei qualcosa che non le provochi dolore?

Strinse gli occhi. Era molto tempo che non aveva pensieri del genere. Diversi anni, almeno da quando…

Plic.

Una goccia cadde a terra, molto vicina a lei e produsse quel suono ovattato di quando l’acqua cade nell’acqua. D’un tratto le parve di non sapere più come respirare.

Plic.

Oh, no, non era un’impressione. Stava davvero soffocando.

Plic.

Si raddrizzò. Attorno a lei c’era solo acqua. Quella non era la sua stanza. Conosceva comunque quel posto – comprese immediatamente – era perfettamente logico che lei fosse lì. Darklullabymon sapeva del suo terrore. Sapeva del suo trauma.

Quale posto migliore, quindi, per spedire una traditrice?

L'acqua continuava ad arrivare da non si sa dove. Le aveva ormai raggiunto i fianchi e procedeva inesorabile verso la vita.

Sperò di non essere lasciata lì a marcire a lungo, o sarebbe impazzita prima.

Quel castigo sarebbe stato diverso.

Non poteva essere leggero.

Non poteva essere veloce.

Non poteva, perché la colpa era stata troppo grave.

L'acqua le superò il petto e il cervello le urlò di alzarsi, prima di affogare. Rimase comunque a terra.

Quando sarebbe iniziato? Temeva la punizione, ma prima fosse iniziata, prima sarebbe finita. E non voleva diventare pazza appena prima della fine.

L'acqua le lambì i capelli, che presero a vorticare come serpenti, poi, alla fine, raggiunse la gola.

Una mano le si posò sulla spalla.

Shiori non si sorprese. Si voltò lentamente, per vedere in volto la risposta che dentro di sé sapeva, cioè sotto che forma la sua incontrovertibile fine le sarebbe arrivata.

Incrociò lo sguardo con l'essere dietro di lei e non sentì che dolore.

Ed espresse il primo desiderio dopo tanti anni di vuoto, dopo tante notti senza speranza, dopo tanti anni di nulla. Espresse il suo primo desiderio, e fu di smettere di esistere.

 

 

 

Venerdì 30 Settembre 2005. Tokyo.

Ogni singola volta che a Digiworld si presentava un problema (piuttosto spesso, quindi), la risposta preferita di Daisuke alla domanda “Che facciamo?” era immancabilmente “Andiamo a prendere a calci quelli che hanno fatto tutto ‘sto casino, così dopo non ci provano più” e alla fine, seppur con qualche rifinitura che rendeva il tutto forse un po’ meno virile ma certamente più efficace, più o meno era sempre quello il piano messo in pratica.

Bei tempi, quelli, pensava Daisuke mentre camminava verso casa: i cattivi erano da una parte, i buoni dall’altra e anche quei buoni che avevano per un motivo o per un altro deviato dal sentiero giusto, se non ci ponevano rimedio da soli, necessitavano al massimo di una bella dose di ceffoni per rinsavire.

Ultimamente, rifletteva ancora, non era più così facile. I cattivi erano più cattivi che mai e i buoni passavano le giornate in depressione per via di una negligenza altrui, invece che cercare contromisure al disastro. Perché, comunque la si mettesse, il senso di colpa c’era. Punto.

Daisuke diede un calcio a una lattina trovata per strada, irritato come non mai.

<< Dai… >> gli sussurrò Demiveemon dallo zaino che il ragazzo portava sulle spalle.

<< Scusa. >> Il ragazzo si chinò a raccogliere la lattina – aranciata – e la gettò nel primo cassonetto appropriato che incontrò sul suo cammino.

Quella era, senza ombra di dubbio, la crisi peggiore che il gruppo aveva avuto da quando era un Digiprescelto. Andava a scuola e vedeva gli sguardi persi di Hikari e Takeru; si trovavano insieme e Miyako non lo prendeva più in giro, mentre Iori non lo faceva più sentire scemo; e batteva a calcio Ken. Infine, non gli serviva uno psicologo per capire che anche lui non si comportava del tutto normalmente. Gli bastava sua sorella.

Si trascinò lungo la scala fino a casa sua, dove trovò la porta aperta e la mamma ad accoglierlo con un sorriso.

<< Salve, erede maschio. Com’è andata a scuola oggi? >>

Scrollando le spalle, Daisuke mugugnò un << Al solito >> prima di lasciarsi cadere sul letto. << C’è Jun? >>  gridò, mezzo soffocato dai cuscini.

<< Non ancora. >> rispose la donna dalla cucina proprio nel momento esatto in cui la porta d’ingresso si apriva ancora e un allegro << Sono a casa! >> echeggiava tra le pareti, strappando un lamento a Daisuke. No, sua sorella non sarebbe riuscito a sopportarla.

<< Mamma! Io esco! >> gridò ancora, mentre si infilava un paio di pantaloni più adatti.

<< Adesso? >> domandò la signora Motomiya uscendo perplessa dalla cucina.

<< Sì. >>

<< E dove vai? >>

<< A correre! >>

E infilò la porta ben prima che sua sorella avesse finito di levarsi scarpe, sciarpe, cappotto e una lunga serie di accessori strettamente necessari.

Fuori lo accolse un gelido venticello autunnale che dieci minuti prima, poteva giurarlo, non c’era. Strinse forte tra le braccia lo zaino con Demiveemon e imboccò il viale che portava al parco, sforzandosi di concentrarsi soltanto sulle prime foglie gialle che cadevano dagli alberi e su niente di più impegnativo.

Si fermò diverso tempo dopo, esclusivamente perché la milza lo minacciò di andare in vacanza a tempo indeterminato. Era tanto che non si portava così al limite e, al di là del dolore, si sentì soddisfatto di se stesso. Si appoggiò alle ginocchia, madido di sudore, scostandosi dal viso alcune ciocche con un gesto veloce della testa. Fulminò con gli occhi alcuni nonnini che passavano per caso e lo fissavano interdetti e anche un gruppo di ragazzine, tra cui forse una o due non lo guardavano con evidente disgusto. Si sdraiò sulla prima panchina libera, di un bel verde brillante, lasciando la testa oltre il bordo, pensoso.

Il buio arrivò dopo poco e Demiveemon, purché si impegnasse a comportarsi come cane, poteva stare fuori dalla borsa senza che nessuno si accorgesse di lui.

Il piccolo Digimon blu si avvicinò titubante al collo del ragazzo e si sporse appena.

<< Ehi >> sussurrò, << Stai bene? >>

<< Boh >> rispose sinceramente l’altro.

Demiveemon si agitò un poco, titubante, prima di afferrare con forza lo scollo della maglietta di Daisuke e di tirare con forza, puntando i piccoli piedi nelle costole, finché non si trovò a fissarlo negli occhi.

<< Senti, Dai >> iniziò, << non ti arrabbi, vero, se ti dico che secondo me stai perdendo un po’ la testa? >>

<< Dici? >> mormorò sarcastico quello.

<< Sì, >> continuò Demiveemon serio, << dico. >>

Qualcosa di quello che vide spinse Daisuke a prendere più sul serio del solito le parole del suo Digimon e così scelse di mettersi a sedere di sua spontanea volontà.

<< D’accordo, d’accordo… Hai ragione. >> Daisuke sospirò, << Me ne rendo conto, però… non so come fare per riprendermi. Non so cosa fare! E se non so cosa fare con me, come posso aiutare gli altri? Perché anche gli altri sono… >>

<< Lo so. >>

<< Quindi, se lo sai, capisci bene che sono a un punto morto! Cioè, è una situazione che non ho mai affrontato e io ho qualche problema con certe novità. >>

<< Lo so. >>

<< Certe novità mi mandano in panico! >>

<< Lo so. >>

<< E allora, visto che sai tutto, perché non mi trovi tu una soluzione? Perché non so che fare! >>

<< Lo so. >>

<< Lo so che lo sai, dannazione, te l’ho detto io che non lo so… Ahi! >> gridò di dolore il ragazzo, quando la testata del Digimon lo colpì al naso.

<< Ehi, Daisuke. >>

<< Che vuoi? >>

<< Solo ricordarti… che raramente tu hai saputo cosa fare. >> sciorinò Demiveemon tutto d’un fiato. Quando vide che il ragazzo non solo non gli tirava un pugno in testa, ma non aveva ancora capito, alzò gli occhi al cielo e decise di continuare.

<< Intendo dire che tu sei più un tipo per l’azione, che per il ragionamento. Perciò, >> tossicchiò, << prima di diventare completamente pazzo, pensa a chi potrebbe sapere cosa fare. >> poi sorrise, concludendo, << Non c’è nulla di male a chiedere aiuto quando ne hai bisogno. >>

<< Oh. >> era rimasto sorpreso. Demiveemon l’aveva colto del tutto in contropiede, ma finalmente il cervello del ragazzo iniziava di nuovo a recepire i messaggi.

Il suo Digimon aveva ragione. Dannatamente ragione.

<< Demiveemon, >> annunciò solenne, << tu sei un genio. >>

<< Io sono normale. >> ribatté la piccola creatura, << Sei tu che sei stupido. >> spiegò candidamente mentre Daisuke digitava un numero di cellulare.

<< Ma che divertente. >> il ragazzo si schiarì la voce. << Grazie… per avermi tirato su. >> si sentì in dovere di dire, mentre il telefono dall’altra parte squillava.

<< Figurati. Mi sembrava ti stessi fondendo con la panchina e, con tutto il rispetto, se proprio ti vuoi fondere con la panchina, scegli una posizione più comoda… Aspetta. Intendevi su di morale? >>

<< Lascia stare. E sappi, comunque, che semmai mi volessi fondere con qualcosa, sarebbe un letto. >>

 

 

 

Gocce scivolavano lungo le pareti di pietra fredda, scorrendo tra le scanalature, fino al pavimento su cui cadevano una dopo l'altra producendo un suono ritmico, insistente e agghiacciante.

Amimon aprì gli occhi a quel suono. Troppo buio per distinguere qualcosa. Mosse appena le braccia, solo per sentire il rumore di catene in ferro spesso e resistente. Mosse le gambe e accadde lo stesso. In più c'era solo il rumore dell'acqua increspata.

Era inginocchiata nel buio. Ma non era sola.

<< Ben svegliata. >>

Amimon strinse i denti a quel suono. Da un angolo buio emersero due figure che il Digimon conosceva bene, una che avanzava diritta, a suo modo regale, l'altra che saltellava evidentemente ebbra di gioia. Darklullabymon si avvicinò ad Amimon senza produrre alcun rumore, con al seguito Pattogmon con un sorriso da orecchio a orecchio. Il Digimon di cenere mostrò fino all'estremo il suo intero corredo di denti aguzzi, l'espressione con cui un vincitore sadico guarda lo sfidante distrutto al termine del gioco.

Tutto questo Amimon lo registrò appena, soffermandosi invece sul fatto che Darklullabymon non avesse il solito bastone. << Non ti farà niente. >> esclamò Pattogmon notandone lo sguardo e per qualche strana ragione sembrò esaltata.

Darklullabymon si avvicinò ancora. << Niente di fisico, tesoro. >> le sussurrò.

L'acqua raccolta ai piedi di Amimon sfrigolò, quando il Digimon sentì il sangue salirle alla testa.

Pattogmon sembrò leggermente seccata. << Hai ancora spazio per l'odio, in quella tua testolina? Non sei semplicemente disperata? >>

<< Dov'è Shiori? >> chiese Amimon senza considerare nemmeno per un secondo la sua vecchia compagna.

Un breve secondo di silenzio, il sorriso di Pattogmon che si allargava ancora, gli occhi di Darklullabymon che si riempivano di gioia malata, la mente di Amimon che registrava e capiva.

D'altronde la soluzione gliel'avevano data appena dieci secondi prima. “Niente di fisico, tesoro”.

Amimon scattò in avanti e le catene dietro di lei si tesero allo spasmo, senza però cedere.

<< Dov'è Shiori? >>

Darklullabymon si pose l'indice sulle labbra e sorrise anche lei.

Non avevano alcuna intenzione di dirglielo.

Darklullabymon scosse le testa e seguita da Pattogmon le dette le spalle, varcando la soglia.

Da dietro la porta sprangata, Amimon cacciò il primo urlo.

 

 

 

Daisuke arrivò perfettamente in orario e già questo dette a Taichi parecchio da pensare.

Era seduto mollemente al tavolino di un bar e osservava un po’ il cielo notturno, un po’ la gente che passava, ognuna, a modo suo, particolare: si partiva dalla ragazza carina da morire con tre spasimanti palesemente innocui a cinque metri di distanza al bambino dagli occhi azzurro cielo che cercava di mangiare un gelato ben più grande di lui, mentre i nonni lo guardavano con occhi adoranti. Taichi si concesse un attimo l’aria quotidiana e tranquilla di quella sera di settembre. Sapeva di normalità, di casa e di sicurezza e Taichi raccolse un chicco di quella pace che emanava e lo assaporò fino in fondo, perché aveva imparato a considerare come doni preziosi ognuno di quegli attimi dolci.

Era appena passata l’ora di cena quando scorse la chioma di Daisuke in lontananza e ritornò con i piedi per terra. Un po’ se l’era aspettata la richiesta che Daisuke gli aveva fatto a telefono un paio d’ore prima – “Avrei bisogno di parlarti. Quando possiamo vederci?” – ma non era sicuro di quale piega quel futuro discorso avrebbe preso.

<< Ciao. >> esordì avvicinandogli una sedia. L’altro, sedendosi, gli rivolse un cenno col capo e Demiveemon gli sorrise. Questo tranquillizzò un po' il ragazzo più grande.

Taichi scrutò il volto di Daisuke, che guardava per terra; erano sempre simili, ma anno dopo anno le differenze si facevano sempre più nette. I capelli del più giovane, oltre ad avere una piega diversa, erano palesemente più rossi; gli occhi più grandi contribuivano a dargli quell’aria da eterno bambino giocherellone che lo contraddistingueva; infine, per quanto fosse presto per dirlo con assoluta certezza, Taichi era sicuro che Daisuke l’avrebbe superato in altezza.

Daisuke ordinò un caffè e un pezzo enorme di dolce al cioccolato e quando arrivò cominciò a mangiarla con gioia evidente, passando di tanto in tanto qualche boccone a Demiveemon, sotto il tavolo.

<< Mi sa che non hai cenato. >> dedusse Taichi.

<< Ehatto. >> borbottò l’altro inghiottendo l’ultimo pezzo di torta. Con la pancia piena diventava dieci volte più cordiale. << Ero a correre. >> Spostò il piatto vuoto sul bordo del tavolo e una cameriera stupita da tanta velocità lo portò via.

<< Sai… mi aiuta a pensare. >> confessò.

<< Be’, ti capisco. E a cosa hai pensato? >>

Daisuke smise di nuovo di guardarlo in faccia – accidenti, l’effetto benefico del cibo era già finito? – e Taichi sentì di cominciare a innervosirsi. Maledizione, doveva dire una sola frase e lo faceva patire così? Era un bel po’ che conviveva con i nervi a fior di pelle e ora ci si metteva pure…

Calma.

Inspirò, espirò.

Calma.

Non serviva a nulla arrabbiarsi, lo sapeva. Oltretutto, non era giusto trattarlo male solo per scaricare un po’ di tensione. Sarebbe stato sufficiente aspettare e Daisuke avrebbe vuotato il sacco da solo, non era il tipo da tenersi tutto dentro. Be’, neanche lui stesso era il tipo da tenersi tutto dentro, ma una volta l’aveva fatto e ancora non aveva detto niente a nessuno*, comunque…

<< Taichi, devi fare qualcosa. Devi dare agli altri una scrollata. >>

Cosa?, pensò.

<< Cosa? >> esclamò.

<< Svegliarli. Rimetterli in sesto. >> spiegò Daisuke, << insomma, toglierli da questo stato di… paura e rimorso e tristezza e rabbia e dolore in cui sono! >>

Ah, e così aveva la fama di riuscire a compiere miracoli? Come poteva quello anche solo pensare che lui, da solo, potesse guarire tutti i loro amici da quel colpo basso che avevano ricevuto e riportarli a come erano? E poi anche lui, Taichi, non ne era uscito bene. Era un ragazzo normale e anche lui era stato male, anche lui soffriva, anche lui…

<< Per favore. >> bisbigliò Daisuke. << Puoi aiutarli solo tu. >>

Oh. Così, non solo sapeva compiere miracoli, ma era anche il solo a saperlo fare. Almeno secondo il suo amico.

<< E tu? >> gli venne da chiedere.

Il viso di Daisuke si fece rigido, granitico, con un’espressione che Taichi non gli aveva mai visto. Lo osservò mentre, a occhi bassi, faceva piccoli respiri veloci, affannati, poi uno più profondo appena ebbe raggruppato la forza necessaria. A quel punto, con una voce che sembrava ghiaccio invernale spezzato dall’ennesima tempesta, dischiuse la bocca in modo irregolare, come una frattura, e parlò.

<< Ho paura. >>

Dirlo gli era costato tanto, era evidente; ma era anche evidente che non aveva potuto farne a meno, come testimoniavano le mani tremanti strette intorno a Demiveemon.

<< Ho paura, Taichi. >>

Questo fece molta impressione al ragazzo più grande e qualcosa, dentro di lui, si mosse. Gli ci volle solo un attimo a capire. Gli occhi di Daisuke erano gli stessi occhi di sua sorella, che lo guardavano spenti e non sorridevano più assieme alla bocca; erano gli occhi di Takeru, che aveva incontrato due giorni prima, che alla domanda “Come stai?” avevano smentito quel “Bene” sussurrato a mezza voce. Inoltre, poteva giurare che anche gli altri loro compagni avessero lo stesso sguardo.

Pensò che se lui stesso, Taichi, non era nemmeno un adulto, loro non potevano nemmeno essere considerati ragazzi, ma solo ragazzini. Poco più che bambini.

Pensò che lui aveva visto Shiori per la prima volta un mese prima, per cui non poteva ricordarla bambina eppure, sentendo quello che le era successo, se l’era comunque immaginata.

Shiori, nella sua mente, aveva il volto di sua sorella a tre anni che in ginocchio sull’asfalto di Hikari Ga Oka tossiva e quasi si strozzava senza riuscire a soffiare nel fischietto per svegliare Greymon; se lui non ci fosse stato?

Poi aveva avuto il volto di Takeru a sette anni che, sul monte Fato, vedeva Angemon diventare piume; se Angemon non fosse mai rinato?

Pensò che fino a quel momento, l’idea di perdere aveva solo sfiorato i Digiprescelti. Chi non ha mai penso, non ha mai avuto bisogno di rialzarsi e non ha la più pallida idea di come fare.

Onestamente, non avevano realmente perso; ma era come se fosse successo e questa era la strada diretta verso la perdita di sé – e rimettersi insieme, poi, è molto, molto più difficile.

Daisuke se n’era reso conto e l’idea lo terrorizzava.

Taichi non poteva biasimarlo. Non poteva biasimare nessuno. Poteva solo cercare di invertire il processo, lui, che aveva la capacità di seppellire la paura in fondo al suo cuore, accanto a tutte le cose buone che aveva visto e fatto e lì, quindi, renderla insignificante. Sapeva la strada. Doveva solo mostrarla agli altri.

Per questo non si sentì indeciso, nemmeno per un istante, quando strinse la spalla di Daisuke, gli sorrise e gli disse << Ci penso io. >>

 

 

 

Amimon si svegliò dopo ore. Il sottile strato di fuoco che la ricopriva era pallido e incerto e si poteva intravede la pelle nera sottostante. La gola, invece, ardeva con forza, per il gran urlare. Una goccia d’acqua la colpì sulla schiena e Amimon percepì che le ci volle un po’ a evaporare. Si stava spegnendo ed era la prima volta da che era digievoluta in Amimon, anni prima, poco dopo che Shiori aveva capito che lei non era un nemico.

Shiori. Shiori. Dov’era Shiori? Come poteva fare per saperlo?

<< Ehm ehm. >>

Appoggiata allo stipite della porta, Pattogmon la guardava, ancora gioiosa.

<< Non mi inviti a entrare nei tuoi appartamenti? >>

Amimon abbassò veloce la testa. Poteva immaginare Pattogmon che scoppiava di gioia a quella vista, ma non le interessava. Doveva avere la mente chiara per riuscire ad avere l’informazione che le serviva.

 

 

 

Il piano di Taichi era semplice. Breve e conciso, portava direttamente all’effetto desiderato: per questo gli piaceva tanto. Aveva lasciato Daisuke sulla porta di casa da appena dieci minuti che già si trovava davanti all’appartamento di Yamato e aspettava che il ragazzo gli aprisse.

Il suo piano era semplice e portava direttamente all’effetto desiderato: per questo avrebbe funzionato.

Bastava continuare a ripeterselo, poi se ne sarebbe convinto.

Aveva scelto di iniziare con qualcuno di facile, qualcuno di poco problematico. Certo, il suo migliore amico era scosso e addolorato; ma Yamato era forte. Di fronte a Gennai era esploso, buttando fuori tutto e bastava che si ricomponesse per tornare quello di prima. Oltretutto, Taichi era certo che avesse già iniziato.

Il problema, però, erano gli altri. Non erano solo spaventati: erano anche stanchi. Lottare continuamente per la salvezza di un mondo era qualcosa che sfibrava l’anima; bastava perdere l’equilibrio acquisito con fatica che ci si rendeva subito conto di quanto fosse difficile ciò che si faceva.

Perciò doveva agire in fretta; si era dato dello stupido un numero infinito di volte per aver perso così tanto tempo. A quel punto, quindi, non poteva fare tutto da solo. Aveva bisogno di aiuto.

Yamato aprì finalmente la porta e non poté trattenere un po’ di stupore quando vide davanti a sé il suo migliore amico, considerato che era quasi mezzanotte. Tuttavia si scostò subito, lo fece entrare e non fece domande, così Taichi iniziò a parlare e gli disse tutto, proprio tutto, come aveva più o meno intenzione di fare con altre dodici persone prima dell’alba. Quando ebbe finito, si rese conto di aver trovato tutto l’aiuto necessario.

Il biondo aprì di nuovo la porta con una mano e tese l’altra a sganciare il cappotto dall’attaccapanni lì accanto.

<< Da chi iniziamo? >> chiese con la sua voce bassa e musicale.

Taichi fece una smorfia e sorrise << Dal più vicino. >>

<< Allora Mimi. >>

Taichi si arrestò a metà scala.

<< Come? >>

<< Mimi è la più vicina. >>

<< Credevo fosse… >>

<< Credevi male. >>

<< Allora non inizieremo dal più vicino. Io Mimi non la affronto senza Sora. >>

Calò un attimo il gelo, quando Taichi pronunciò il nome proibito, ma solo un attimo; dopotutto, loro erano Taichi e Yamato e Sora era una ragazza che conoscevano quasi meglio di loro stessi.

<< Mi sembra una richiesta legittima. >> commentò il biondo.

<< Lo so. Andiamo da Izzy. >>

<< Non è il più vicino, dopo Mimi. >>

<< Non importa. Andiamo da Izzy. >>

Il piano di Taichi, secondo Yamato, poteva essere definito come una terapia d’urto dolce. In sostanza, si trattava di mandare il Digiprescelto del coraggio a parlare con tutti, uno per uno, per analizzare ansie e paure e trovare un modo di superarle con il suo solito ottimismo. Insomma, dovevano per prima cosa operare sul piano psicologico. L’idea non era male; il punto era che Yamato aveva cercato il più possibile di non ridere al pensiero di un Taichi psicologo, ma non gli era riuscito molto bene e quando il ragazzo castano, dopo aver fatto altezzosamente finta di niente, gli aveva scoccato un’occhiataccia, Yamato era scoppiato a ridere. Dopo diversi minuti, un Taichi rabbioso aveva fatto notare al biondo che anche lui avrebbe dovuto fare lo psicologo; solo per questo era andato da lui prima di tutti. Solo a questo punto Yamato chiuse la bocca.

Da Izzy ci fu da affrontare per la prima volta il problema principale: come non farsi beccare dai parenti e, soprattutto, come non essere scambiati come ladri. Lì la fortuna era il giardino tutto intorno, con alti alberi robusti da scalare. Era già capitato che ci salissero per arrivare a bussare alla camera di Koushirou, quando era divertente cercare di coglierlo di sorpresa, nonostante alla fine venissero sempre scoperti.

Non ci vollero più di dieci minuti a raggiungere la finestra giusta. Si sarebbero sentiti piuttosto soddisfatti di loro stessi se non fosse stato per il fatto che, a due metri dall’arrivo, Izzy avesse aperto la finestra, sbottando: << Che accidenti state facendo? I miei stasera sono a teatro. Sono sicuro di avervelo detto. >>

Comunque sia, riuscirono ad entrare nella casa.

<< Sei ancora in piedi? >>

Il ragazzo più piccolo annuì e riprese posto alla scrivania, davanti – ovviamente – a un computer, << Sto lavorando al software di rintracciamento della fortezza. >>

Yamato aggrottò le sopracciglia << Non era quel programma che stavi sviluppando con… >>

<< Con Gennai? Già >> concluse Izzy, già perso nell’analisi dei suoi dati << e non ho intenzione di abbandonarlo, qualsiasi cosa sia successa, perché ci servirà comunque e buttarlo via sarebbe da idioti. >> Afferrò il mouse e modificò velocemente qualche riga.

<< Allora, qual è il piano? >> indagò senza staccare gli occhi dallo schermo.

<< Prego? >>

<< Qual è il piano? >>

<< Be’, l’idea era venire qui a dare un calcio alla tua depressione perché tu poi potessi aiutarci con gli altri, ma non mi sembri granché depresso, onestamente, >> dichiarò Yamato.

<< Se sono depresso? Certo che sono depresso. Ma non permetterò che questo mi fermi. >> chiarì il ragazzo, << Comunque mi sembra un buon piano. >> aggiunse cortese.

A Taichi venne da ridere. Si stava dimostrando più facile del previsto: nemmeno Izzy era un problema.

<< Benissimo. Senti, ci puoi accompagnare oppure… >>

<< Se mi dai due secondi per avviare una scansione, sono tutto vostro. >>

<< E poi, sarebbe possibile far venire qui i nostri Digimon? Non importa subito, però, prima di parlare ai ragazzini… Insomma, sarebbe meglio averli. Si può? >> 

<< Mi stai prendendo in giro? >> domandò Izzy, offeso.

 

Jyou stava studiando. Ovviamente. Del resto, sapeva di essere una persona piuttosto ansiosa, l'università lo terrorizzava, perciò come risolvere il problema in modo migliore, se non iniziando a studiare per l’ammissione almeno un anno prima dei test?

Una settimana prima era incappato in un argomento piuttosto complesso, che lo aveva mandato un po’ in panico; quella sera, però, ne stava venendo a capo e non si sarebbe fermato finché…

Dlin dlon.

Chi accidenti era a quell’ora? Avrebbe avuto tutto il diritto di non rispondere e mentre stava seriamente considerando la cosa, suonarono di nuovo. Poi ancora. E ancora. Non sarebbe riuscito a concludere niente con quel rumore.

Si alzò con rabbia, deciso a litigare con chiunque fosse dall’altro lato della porta, quando udì la voce di Izzy dire, stancamente << Jyou. Lo sappiamo che sei sveglio e stai studiando, ma è importante. Potresti aprire, per favore? >>

Dieci minuti e poche spiegazioni più tardi, Jyou era stato mezzo al corrente di tutto.

<< Quindi sareste voi i miei psicologi? >>

<< Frena il sarcasmo, vecchio. Lo sappiamo che sei tu il più psicologo tra noi, visto che hai esaminato la facoltà di psicologia fin nei minimi dettagli. >>

<< D’accordo, d’accordo. Allora, qual è il messaggio di Taichi? >>

<< Non è il massaggio di Taichi, è il concetto che volevamo rimanesse impresso… >>

<< Come ti pare. Questo messaggio? >>

<< Vuoi le parole precise? >> intervenne Yamato, perché sennò facevano tardi, << “Piantatela di piangervi addosso e vedete di non perdere la testa che da solo mica posso fare granché. Accidenti.” >>

<< Non è molto dolce per essere una terapia d’urto dolce. >>

<< Be’, la parte dolce c’è già stata. >>

Jyou inarcò un sopracciglio, lasciando correre, << Da chi è Taichi, ora? >>

<< L’abbiamo mandato… >> iniziò Yamato.

<< L’hai mandato. >> corresse Koushirou.

<< Sì, insomma, l’ho mandato da Sora. >> sorrise, << Dopotutto è capace di rigirarsi la signora Takenouchi come gli pare, se dovesse beccarlo. >>

 

<< La prego, signora, lo so che è tardi, ma Sora mi deve assolutamente aiutare con matematica che sennò domani prendo meno di venti! >> sciorinò Taichi appena si aprì la porta. Era patetico, ma non gli era venuto in mente niente di meglio. Non quando si era accorto che le luci in casa erano accese, che la mamma di Sora era sveglia e cercare di far scappare la sua amica da una finestra equivaleva a un suicidio.

La signora Takenouchi osservò la nuca abbassata del ragazzo che conosceva da sempre con un cipiglio un po’ sorpreso e un po’ divertito << Taichi, è l’una di notte. Tua mamma sa che sei qui? >>

Il ragazzo rabbrividì al pensiero.

<< No! Ero a dormire da un amico quando mi sono ricordato che domani c’è il compito e io >> pigolò << non avevo aperto libro. >>

<< Da chi eri? >>

<< Oh, ehm… da Izzy. Che è molto bravo, però è un anno dietro di noi e io ho bisogno d’aiuto subito. >> sorrise, cercando di sembrare tenero e innocente.

La signora lo osservò per un po’, con un’espressione che Taichi non riuscì a decifrare.

<< D’accordo. >>

<< Davvero? >>

La mamma di Sora gli fece cenno di entrare e lo guardò inscenare un ulteriore melodramma davanti a sua figlia, stupita dal fatto che il ragazzo non ricordasse che quella era la stessa identica scusa che usava da piccolo per portare Sora fuori a giocare a calcio con lui.

 

Da Mimi, Taichi arrivò in ritardo. Senza Sora.

<< Dove è Sora? >> sillabò Koushirou.

<< Sua mamma era sveglia. >> mormorò Taichi, ricevendo occhiate di pietà, << No, tranquilli, è stata gentile: sono riuscito a spiegare tutto a Sora, però non c’era verso di farla uscire. >>

Jyou incrociò le braccia. << Adesso è un problema. Chi va da Mimi? >>

<< Io no. >>

<< Io no. >>

<< Neanch’io. >>

<< Assolutamente no, Izzy, tu da Mimi ci vai. >>

<< Non da solo. >>

Jyou si strofinò le tempie.

<< Yama, va con lui. >>

<< Co… perché? >>

<< Perché riesci a trasmettere calma e serenità. >>

<< Non riuscirai ad abbindolarmi, Tai. >>

<< Sono serio! >>

<< Stop! Basta così. Io e Yamato da Mimi, voi iniziate con gli altri. Taichi da Hikari, Jyou da Iori, poi vedete un po’. >>

Annuirono assieme, poi si divisero, cominciando a correre. Erano solo le una e quarantatré. La notte era ancora giovane.

 

Qualcosa rimbalzò sullo stomaco di Miyako.

<< Poyomon… smettila. >> mormorò. Ovviamente, la creatura non smise.

Maledizione! Per una volta che riusciva a dormire, non poteva subire quello!

Si tirò a sedere a sedere di scatto e spalancò la bocca per urlare, ma soffici piume rose gliela tapparono. Ma non era Poyomon. Era Biyomon.

<< E tu cosa ci fai qui, ora? >> chiese la ragazza, sputando penne.

<< Sono venuta a prenderti. Andiamo da Sora. >> disse Biyomon allegra, spalancando la finestra.

<< Ah no, non ci penso nemmeno. Non mi porterai in volo con il rischio di farmi cadere. >>

<< Neanche se siamo in due? >> chiese, sempre sorridendo, indicando Poyomon.

Ah, splendido. Adesso sì che era al sicuro. Miya sbuffò, ma decise di obbedire.

Alla fine il viaggio non fu male. Casa di Sora non era troppo lontana e spesso la facevano camminare sui tetti comportandosi semplicemente come corrimano.

Quando scivolò nella finestra aperta di Sora sentì che da grande avrebbe fatto la spia. Sì, era deciso.

<< Vi aspettavo. >> sussurrò Sora senza accendere la luce, << Ciao, Biyomon! Sei stata bravissima! >>

Colpì con il dorso della mano la poltrona rossa vicino al suo letto e Miya si sedette, un po’ di malumore. Voleva tornare a casa, andare a letto e tirarsi le coperte fin sopra la testa, senza scocciature.

<< Miya. >> mormorò Sora dolcemente.

<< Che vuoi? >> borbottò nervosa.

<< Possiamo parlare un po’? >>

<< Tanto ormai sono qui. >>

Sora guardò Poyomon, che le rivolse un’occhiata rassegnata.

<< Senti… ecco, i Digimon sono un po’ preoccupati per voi. Sembra che stiate perdendo un po’ la testa. >>

<< Cosa? >> scattò Miyako. Adesso era arrabbiata.

<< Hai capito. Però io non sono d’accordo. >>

<< Lo credo bene, io sono perfettamente… >>

<< Secondo me, hai già perso del tutto la testa. >> dichiarò Sora senza mezzi termini.

L’altra ragazza assunse un vacuo sguardo di sorpresa a quella frase, che si tramutò presto in ira. Era furiosa.

<< Ah, davvero? E allora tu… >>

<< Sssssh! >> sibilarono in coro i due Digimon e Miyako si trovò, di nuovo, quasi soffocata dalle piume. Sora la raggiunse, scuotendo la testa.

<< Vedi? >>

Miya sputò una penna rosa e si lasciò cadere a terra.

<< E anche se fosse? >> mormorò con rabbia, << meglio pazza che in questa situazione. Meglio pazza che sapere di Shiori. >>

Quello era il punto. Quello era il problema, proprio come le aveva detto Tai.

Loro non hanno mai realmente perso. Non conoscono veramente la sconfitta, perciò non sanno come uscire da questo caos. Probabilmente continuano a pensare “E se fosse successo a me?” che non è una stupidaggine. Cosa aveva Shiori di diverso? Nulla. Era una di noi. Quindi, come tale, l’idea di essere al suo posto è ancora più paurosa. È quell’idea che alimenta la paura, quell’idea che rende la sconfitta da ipotetica a reale.

Quel ragazzo era un genio. E un capo perfetto. Sora sapeva che non sempre voleva avere quel titolo, ma se necessario aveva tutto ciò che serviva per spronare gli altri e guidarli: fegato e forza d’animo. Quel che restava era diffondere l’uno e l’altra e dimostrare che andare avanti è ancora possibile.

<< Io invece preferisco così. Sapere e non essere pazza, perché mi dà l’opportunità di fare qualcosa per risolvere questa situazione >> prese fiato, << e vorrei che tu scegliessi lo stesso. >>

<< Non posso. >>

<< Sì che puoi. Ti conosco e ora come ora sono più lucida di te, quindi posso dirti con sicurezza che puoi farlo, se lo vuoi. >>

<< Ma ho… >>

<< Paura? Anch’io. Ma non lascerò che la paura mi domini. Chi ha paura perde subito. Chi ha paura e coraggio di affrontarla, può vincere. Io preferisco andare per una strada che non sia già segnata, che mi dia possibilità di scelta. >>

Indicò la collana che aveva al collo.

<< Prima che sapessimo di Shiori, mia mamma mi dette questa. Le avevo chiesto perché ci fossero tante persone con “inclinazioni alla malvagità” e lei mi rispose – non subito, in realtà – che la parola inclinazione era giusta: indica qualcosa che si è portati a fare. Inoltre, per questo unico effetto ci sono più cause. Bisogna analizzare i retroscena, le motivazioni, per trovare una soluzione. Pensa a Ken. Pensa a Shiori. >> si sganciò la collanina dal collo, << e pensa che questo discorso può valere anche per coraggio e vigliaccheria. Pensa che nessuno dei due è un assoluto, ma che possono unirsi e scambiarsi in ogni momento, per permetterti di fare ciò che ritieni giusto. >>

Guardò Miya, che fissava lei e la collana con gli occhi spalancati lucenti nel buio.

<< Appena Izzy avrà perfezionato il software per rintracciare la fortezza nera, io e gli altri vecchi Digiprescelti andremo a cercare di tirare fuori Shiori da lì. Se vuoi venire ad aiutarci, sei la benvenuta, ma non sei obbligata. Noi andremo comunque e lotteremo finché possibile. >> sospirò, in pace con se stessa. << Questo è tutto quello che volevo dirti >> concluse, << e sono felice che tu mi abbia... >>

<< Verrò. >>

Sora si voltò. Miya piangeva silenziosa.

<< Verrò. >>

<< Davvero? >> chiese piano Poyomon.

<< Sì. >> rispose, mentre il suo Digimon le stringeva il collo, felice << Davvero. >>

 

<< Sora mi ha mandato un messaggio. Miya è tornata a casa e sta meglio. >> annunciò Mimi.

<< Allora abbiamo finito! >>

<< Già. Miya era l’ultima. >>

Taichi rimase un attimo imbambolato. Aveva funzionato? Il suo piano banale e costruito alla meno peggio aveva funzionato? Questo sapeva molto di miracolo.

<< Te l’ho mai detto che sei un genio? >> disse allegro Agumon, rifilandogli una gomitata al fianco.

<< Bene, gente. >> esclamò Jyou con tono autoritario, << Sono le tre e mezzo di notte e io sono il più grande qui, quindi vi voglio vedere filare a casa prima che qualcuno si addormenti in mezzo di strada provocandomi un mucchio guai. >>

<< Guarda che sappiamo cavarcela da soli. >> borbottò Daisuke, che era voluto venire a tutti i costi.

<< Ne dubito. Ti stai addormentando qui. Ti vedo che sei aggrappato a quel lampione come se ne andasse della tua vita. >>

<< Non è vero! >>

<< Filare, ho detto! >>

Uno dopo l’altro, gli diedero ascolto.

Mimi andò verso casa insieme a Yamato, Koushirou e i loro Digimon, leggermente sovrappensiero. Vuotò il sacco a venti metri dal suo condominio.

<< Ehi, Izzy, ma i dati di quel software per il rintracciamento non ce li aveva tutti Gennai? >>

Chiamato in causa, il ragazzo si arrestò e si diede dell’idiota per aver anche solo pensato che Mimi non se lo ricordasse; era con lui e Tentomon quando aveva spedito il tutto all’essere digitale, il giorno prima della faccenda Shiori.

<< Già. >> confessò.

<< E allora? >>

<< E allora sono andato a prenderlo >> ammise, << e ho parlato con Gennai. >>

Yamato si fermò << Stai scherzando. >>

<< No. >>

Il biondo cominciava ad arrabbiarsi << E per quale assurdo motivo tu… >>

<< Avevo una domanda. >>

<< Quale? >> ringhiò.

Izzy rispose proprio mentre Mimi si mise tra loro per impedire la rissa.

<< Mi chiedevo come potessero pensare che non ce ne saremmo mai accorti. Tu non te lo sei mai chiesto? >>

<< Io sì. >> disse Mimi, dopo un attimo.

<< Anch’io. >> ammise Yamato. << Cosa ti ha risposto? >>

Koushirou riportò alla mente la scena.

<< Mi ha raccontato della notte dell’attentato >> spiegò << mi ha raccontato di come Shiori Yamamiya abbia fatto saltare tutti i loro schemi riuscendo a percepire la digievoluzione di Koromon a un quartiere di distanza. Di come così Parrotmon fu fatto scivolare sulla Terra. Di come la digievoluzione in Greymon avesse a quel punto strappato il muro tra i due mondi, permettendo a Darklullabymon di passare e di tornare indietro con Shiori. Di come le loro stesse difese li avessero chiusi nella torre, permettendo loro di uscire solo quando Shiori era già nella torre. >> lo attraversò un pensiero, << vi ricordate che Elecmon disse che loro avevano modificato la fortezza? Gennai mi ha spiegato che prima non era che un’alta torre circondata da un giardino pieno di rose bianchissime. Dopo la cattura di Shiori, svanì tutto insieme. >>

<< Ancora non hai risposto alla domanda. Stringi. >>

<< Quando gliel’ho chiesto, si è messo a ridere, una risata amara. Ha detto che non pensava che non l’avremmo mai saputo, come tutti i suoi colleghi, ma non sapevano come fare. Avevamo più o meno sei anni, non potevano dirci che il giorno in cui eravamo stati scelti per salvare il loro mondo una di noi era stata rapita e, per quanto ne sapevano, uccisa. Poi si sono occupati di creare i Digivice e i Digimedaglioni per contrastare Apokarimon, poi è arrivato Piedmon e ha quasi distrutto il lavoro di una vita, insieme ai compagni di Gennai. Così lui si è trovato da solo a conoscere la verità, insieme ai Digimon supremi. >>

<< Azulongmon sapeva e non ce l’ha detto? >>

<< Già. È stato quando gli ho chiesto il perché che lui ha tirato in ballo la vergogna. Mi sembrava una cosa stupida, gliel’ho fatto notare, così mi ha fatto un discorso piuttosto serio… >> Izzy chiuse gli occhi. Ricordava tutto, parola per parola.

 

<< Credi che sia una cosa stupida, Koushirou? Ebbene, ti sbagli. La vergogna può molto, perché significa che in passato hai commesso un errore e niente è più difficile che affrontare i propri errori. Nessuno è perfetto, eppure facciamo di tutto perché niente rovini la nostra immagine. Umani, Digimon o esseri come me non sono diversi. Ho passato secoli a rimuginare da solo su quello che avevo fatto e piano piano il dolore è diventato talmente abituale da non essere più una sorpresa. Quando mi misi in contatto con voi, sull'Isola di File, ero talmente abituato che non è stato difficile tacere. Mi sembravate così piccoli... >>

Lui, Izzy, si era alzato furibondo << Anche Shiori era piccola! >> aveva urlato.

<< Infatti. >> aveva continuato Gennai, senza scomporsi << Avevo già rovinato la vita a una creatura innocente e indifesa, che forse già da tempo era stata cancellata. A quel tempo vidi Takeru, il più piccolo di voi, stringere al petto l'uovo di Patamon e ho pensato che, forse, un peso come quello di Shiori non era giusto passarlo a bambini come voi. Qualcosa del genere era meglio affidarla a vecchi come me. >>

 

<< A quel punto me ne sono andato, non prima di dirgli che non l’avremmo perdonato lo stesso. >>

<< E ti ha risposto? >> chiese Mimi titubante.

Koushirou annuì, gravemente << Ha detto che il nostro perdono non l’avrebbe comunque pulito. >>

 

 

 

<< Allora. >> esordì Pattogmon cercando senza successo un posto comodo dove sedersi nella cella << Come ti senti dopo essere stata totalmente, definitivamente e completamente sconfitta da me? >>

Amimon si lasciò sfuggire un sorriso sghembo, scoccando a Pattogmon uno sguardo di completo disgusto << Mi sento invidiosa per la fortuna che hai avuto. >>

Il sorriso del Digimon di cenere si incrinò un istante solo.

<< E così vuoi sapere come il mio genio vi ha sconfitte? Ti accontenterò. >> schizzò d’acqua il volto di Amimon << ho risvegliato la rosa di Shiori. >>

Quello fu un brutto colpo per il Digimon a terra.

<< Cosa hai fatto? >>

<< Ho dovuto impiegare tutto il mio potere per farlo, ma ci sono riuscita. L’ho risvegliata e – bam! – per qualche minuto ero capace di rintracciare la traccia di Shiori quel giorno in cui i ragazzini sono entrati qui e ho scoperto che ad aprire la porta del tunnel dove era Hikari siete state voi. A quel punto è stato facile. La vostra reazione è stata solo un sovrappiù. >>

Pattogmon era pazza. Non era solo marcia fino al midollo, era anche pazza. Risvegliare una rosa era rischioso. Poteva uccidere chi ci provava, oltre alla persona a cui era dedicata. Che rimaneva comunque in pericolo per tutto il tempo in cui la rosa era sveglia.

<< E la rosa? >> boccheggiò Amimon.

<< Quale rosa? Ah! Quella rosa. Be’, è con Shiori. Le servirà, nel posto in cui è ora. >>

 

 

 

Il compito era andato meglio del previsto, considerando che non aveva aperto libro e aveva dormito meno di quattro ore. Forse era lo stato di ottimismo in cui si trovava: doveva analizzare a fondo la cosa, assolutamente.

Ma in altro momento. Aveva da fare.

Davanti al proprio computer, con la casa deserta, Taichi frugò nello zaino ed estrasse il disco che Izzy gli aveva dato prima di entrare in classe quella mattina.

Stasera non hai il club di calcio, giusto? Ho chiesto in giro e sono tutti occupati, quindi lo devi fare tu. Inserisci il disco nel computer, poi installi il programma lì presente sul Digivice. È facile, giuro. Poi vai a Digiworld e vedi se rilevi qualcosa, ma, per favore, non fare nient’altro!

Sì, Izzy, certo, Izzy. Come no.

Digiworld lo accolse con raffiche di vento che quasi lo fecero volare via.

Grazie, disse ironico verso non si sa dove e non si sa chi. Estrasse il Digivice dalla tasca e guardò se c’erano lucine a lampeggiare. Niente. Sarebbe stato troppo comodo e facile. Iniziò a camminare e Agumon lo raggiunse poco dopo. Un passo dopo l’altro attraversarono la prateria e raggiunsero il più freddo, ma più calmo, ghiacciaio.

A quel punto apparve una lucina.

C’era riuscito al secondo tentativo! Bene, il programma di Izzy sembrava funzionare, ma ormai che era lì tanto valeva controllare con cura. Si voltò, alla ricerca di un televisore… e trovò Yamato Ishida a un metro da lui.

<< Che ci fai qui? >> gli scappò da urlare.

<< Sono a fare il baby-sitter. >> spiegò << Izzy mi ha detto di averti dato il programma e ho pensato che non avresti mai fatto come ti era stato indicato. >>

<< Ho verificato che il programma funziona! >>

<< E stavate per andare a vedere la fortezza da vicino. >> concluse Gabumon.

Agumon sbuffò << D’accordo, d’accordo, è vero. >> si accostò a Tai << Ma perché sono sempre così? >> gli chiese all’orecchio.

<< Non ne ho idea. >> sbottò il ragazzo.

<< Via, via. Veniamo in pace. >>

<< Prego? >>

<< Pensavamo di accompagnarvi. >>

In quattro fu più facile trovare il televisore giusto. Si trovava tra due alti blocchi di ghiaccio, in una conca tutt’altro che rassicurante. Si guardarono intorno prima di scendere, senza notare la figura acquattata tra i rami di un abete che li osservava da almeno dieci minuti.

Explomon, quello era il suo nome, lavorava nella fortezza; all’aspetto ricordava una marionetta, fatta però di candelotti di dinamite. Non era molto forte negli scontri diretti, per questo faceva spesso la guardia fuori dall’entrata della fortezza e spaventava gli impiccioni con esplosioni ben mirate. Quella però era un’occasione troppo ghiotta. Ben due Digiprescelti e i loro Digimon in una scatola di ghiaccio che aspettava solo di essere chiusa. Era pronto con due candelotti già da un pezzo e aveva individuato i punti giusti in cui lanciarli. Aspettava solo che si decidessero a scendere.

Eccoli che mettevano i piedi – o le zampe – oltre il bordo… ecco che scivolavano giù… ecco che erano in fondo. Flesse le braccia all’indietro, per lanciare le bombe esplosive. Poi qualcosa fece saltare in aria lui.

I quattro in fondo alla conca si voltarono di scatto e videro un ragazzo con un Digimon, in piedi sopra di loro.

<< Mi dovete un favore. >> sorrise Wallace.

Taichi sorrise << Che ci fai qui? >>

<< L’ho chiamato io. >> spiegò Yamato << Ho pensato che ci sarebbe servito più aiuto possibile. >> poi, più serio, concluse. << Mi devi un’intercontinentale. >>

<< Che state facendo? >> urlò Terriermon.

<< Stiamo andando la vedere la fort… >> iniziò Taichi, ma fu interrotto da Yamato.

<< Fai piano! E se ci fossero altre sentinelle? >>

Taichi annuì rapidamente.

<< Venite giù! >> urlarono ai due in cima.

Quando li raggiunsero, mostrarono loro il Digivice col software. << Izzy ha aggiunto un programma per rintracciare la fortezza nera, lo stiamo testando. L’abbiamo individuata nello spazio di mezzo qua fuori e volevamo vedere se effettivamente fosse tutto a posto. >>

<< Come fate a capire che è qui? >>

<< Seguiamo la lucina. >>

Wallace girò il cellulare verso i giapponesi << E se vi dicessi che non c’è nessuna lucina? >>

Ai due sfuggì imprecazione colorita.

<< Dev’essersi spostata. >>

<< Be’, sei un genio, Agumon. >>

<< Su, risaliamo. >>

Avevano tre Digimon e nessuno sapeva volare. Quindi si inerpicarono faticosamente lungo la ripida parete di ghiaccio, mentre Terriermon volteggiava, giungendo in cima prima di loro e notando qualcosa in lontananza.

<< Ragazzi? >>

<< Cosa vuoi? >>

Terriermon indicò in lontananza. << La vostra fortezza vola? Se sì, ecco, è laggiù. >>

Quella era davvero la fortezza. Volava tra le montagne innevate del settore limitrofo, abbassandosi sempre di più.

<< Dove sta andando? >> chiese Yamato.

<< Non lo so, però… >>

<< Yamato! >> urlò Gabumon << Guarda le torri! >>

Erano circondate di nebbia viola.

<< Che significa quando c’è tutto quel gas? >>

<< Che sta per attaccare! >>

I sei si catapultarono nella neve, scendendo a rotta di collo lungo il pendio.

<< A cosa starà puntando? >>

<< Non ne ho idea, non conosco quel settore! >>

Sbucarono in una valle, circondati a montagne aguzze. Calpestando un soffice tappeto d’erba fresca continuarono a correre verso la fortezza, che, davanti a loro, continuava ad avanzare. Dovevano precederla e avvertire del pericolo chiunque fosse sul suo cammino, dovevano farcela a tutti i costi.

Taichi aveva preso il Digivice per far megadigievolvere Agumon quando l’immensa struttura si fermò, lontana da tutto, su un altopiano roccioso. I sei si fermarono, incerti.

La fortezza proseguì ancora un po’, a scatti, mentre la nebbia viola iniziava a disperdersi, come se ciò che la tratteneva non ci fosse più. Guizzò verso l’alto, disperdendosi in gran parte nell’aria. Il castello si arrestò del tutto, a mezz’aria, e un cupo rombo vibrò una nota sorda per tutta la valle. Poi, sopra tutto, si udì un lungo urlo acuto, da animale ferito, che gelava il sangue.

A quel punto il rombo si fermò e l’ala sinistra della fortezza esplose.

 

Il colpo mandò i tre ragazzi e i loro Digimon a gambe all’aria, assordandoli. Stringendo le enormi orecchi al petto, Terriermon vide il mondo esplodere in punti luminosi e quando mise a fuoco un bel pezzo di fortezza cadde a terra a mezzo metro da lui. Il botto l'aveva stordito e le orecchie gli fischiavano in modo incredibile.

<< Terriermon! Terriermon! >> urlava Wallace.

<< Lascia perdere! I Digimon sono estremamente più sensibili di noi ai suoni, l'esplosione li ha tramortiti parecchio! >> gridò Yamato, sollevando Gabumon << Prendilo e andiamo via di qui! >>

Taichi strinse Agumon al petto e si voltò a guardare il castello in fiamme. L'esplosione era avvenuta alla base e con essa era crollato tutto ciò che c'era sopra. Il resto, nonostante la pietra, bruciava.

Centinaia di Digimon fuggivano dal fumo e dal fuoco, sparpagliandosi nel cielo o gettandosi giù dall'altopiano. I primi fuggitivi passarono loro accanto, senza degnarli di un'occhiata.

Merda. Adesso dovevano anche andare a caccia di malvagi Digimon terrorizzati per tutta Digiworld. Taichi prese a correre, cercando disperatamente di digitare con la mano sinistra il numero di Koushirou sul cellulare, mentre con la destra teneva stretto il Digimon dinosauro.

Altre esplosioni minori fecero saltare in aria le torri e poi attaccarono il corpo centrale. La terra tremò e i ragazzi e i Digimon che li precedevano caddero, rotolando nella polvere. Per un attimo la fortezza parve resistere. Poi, d'un tratto, si ripeté l'urlo precedente e una colossale colonna di fuoco consumò le ultime resistenze della struttura. Le mura rimaste si accartocciarono su sé stesse, frantumando i blocchi ancora integri e una sola figura si stagliò in quell'inferno: piccola e nera, con un manto infuocato, ansimava dopo aver dato fondo a gran parte delle sue energie. Annusò l'aria e si voltò di scatto verso i tre ragazzi, puntando su di loro i grandi occhi neri, spalancati in modo abnorme e infuocati pure loro, come una finestra sul massacro.

Del tutto fuori controllo, Amimon urlò ancora e il mondo, accanto a lei, si incendiò.

 

 

 

Fortezza nera, sotterranei. Dieci minuti prima.

 

Amimon lasciò cadere la testa sul petto.

La rosa… era sveglia?

<< Ehi? >>

La rosa… era con Shiori?

<< Ehiiiiiii? >>

Qualcuno l'afferrò per il mento, tirandole su il viso. Gli occhi che incrociò erano pieni di disappunto.

Pattogmon.

<< Non è divertente se sei sotto shock. >>

Il dolore le esplose sulla tempia destra, dove il dorso della mano di Pattogmon si andò a schiantare con tutta la forza che aveva.

Neanche quello la smosse.

<< Sai, ora sei ferita proprio nello stesso punto di Kiki-chan. >>

Shiori. Shiori e la sua rosa. Cos'altro le stava portando via?

La prima apertura della rosa aveva spento i capelli e lo spirito di Shiori.

La seconda apertura le aveva macchiato l'anima.

E la terza, cosa sarebbe successo alla terza?

La mano di Pattogmon le strinse la gola e la schiacciò al muro.

<< Ti ho detto di rispondermi! >>

Non sono la tua bambola, disse Amimon fra sé e sé. Anche se non era del tutto vero.

L'altra la lasciò un attimo prima che soffocasse. Con un verso stizzito le voltò le spalle.

<< Penso che andrò a vedere Kiki-chan. Lei almeno mi dà soddisfazione. >>

Ancora intontita, Amimon registrò il discorso un secondo più tardi del normale.

<< Cosa? >> non poté fare a meno di lasciarsi scappare.

Pattogmon si fermò con un piedi fuori dalla porta e tornò indietro, di nuovo euforica.

<< Allora le mie parole sono servite a qualcosa! Cominciavo a pensare che fossi andata completamente fuori di testa, il che, ti dirò, non mi sembra proprio impossibile, soprattutto se… Come dici? >>

Alzò la voce << Che mi fai schifo. >>

La pedata le prese in pieno l'addome, ma la accolse con piacere. Non avrebbe lasciato che quell'essere andasse a tormentare Shiori.

<< Guarda che lo so che mi stai tenendo impegnata. Ti conosco, Dodo-chan. >>

<< E allora? >> gracchiò Amimon, sputando per terra un grumo di sangue << Perché sei qui? >>

Pattogmon rise, dolcemente.

<< Perché non posso fare granché per peggiorare la situazione di Kiki-chan. >> sussurrò con voce dolce, inginocchiandosi davanti ad Amimon << Se credi che la rosa sia la cosa peggiore, Dodo-chan, ti sbagli di grosso. >>

Il Digimon di fuoco si irrigidì al muro, mentre la paura le scavava un solco nel petto.

<< Dov'è Shiori? >> chiese in preda al panico.

<< Pensavi forse che la punizione sarebbe stata come le altre? Non comportarti da sciocca, non lo sei. Sei una volpe. >>

<< Dov'è Shiori? >>

<< Il fatto che tu sia semplicemente in cella non vuol dire niente. Tu hai poche debolezze. Cercare di farti del male è uno spreco di tempo e di forze. >>

<< Dimmi dov'è! >>

<< A meno che non si usi la carta giusta. E noi abbiamo la carta giusta. >>

<< Shiori, dove... >>

<< Esatto! Indovinato. Proprio lei. >> ghignò << Lei è la tua più grossa debolezza, il nostro asso nella manica per farti stare buona. È sempre stato così. Far soffrire lei è un gioco da ragazzi e se soffre lei, soffri anche tu. Comodo no? >>

Amimon quasi sputò i propri polmoni, mentre ancora cercava di rompere le catene << DOV'È SHIORI? >>

<< Aaaaaah, d'accordo! Secondo me è meglio se non lo sai, ma visto che insisti tanto… >>

Pattogmon avvicinò il proprio viso a quello del Digimon infuocato, probabilmente per non perdersi l'espressione che avrebbe fatto. Sorrise compiaciuta, per scaldare l'atmosfera. Poi vuotò il sacco.

Il cuore di Amimon saltò un battito, poi andò a schiantarsi sulla cassa toracica come un colpo di cannone. Il terrore puro riempì gli occhi neri di Amimon e Pattogmon rise, rise, rise, drogata di felicità come mai prima di allora.

E continuò a ridere quando vide il fuoco di Amimon spegnersi piano piano.

E continuò a ridere quando ne percepì il cuore battere all'impazzata.

E continuò a ridere quando le disse << Su, fammi un bell'urlo! >> pregustando già la scena.

E continuò a ridere quando, dopo essersi asciugata gli occhi, incrociò ancora lo sguardo di Amimon e vi vide lo stesso terrore di prima.

Poi, d'un tratto smise di ridere, quando lesse nello sguardo del Digimon qualcos'altro. Qualcosa che soverchiava tutte le emozioni normali.

Fu il suo turno di provare paura, quando il terrore scomparve dagli occhi di Amimon.

Fu il suo turno di provare terrore, quando il fuoco del Digimon divampò, vivo come non mai, e sciolse le manette di metallo, che cadde in grandi gocce per terra.

Fu il suo turno di provare a urlare, quando la creatura di fuoco varcò del tutto il confine che aveva appena raggiunto. Purtroppo non fece in tempo neanche ad aprire la bocca. E perse l'ultima occasione che avrebbe mai avuto per farlo.

Fu il turno di Amimon di urlare. Lanciò un grido acuto e primordiale da animale ferito, tanto forte da rimbombare tra le montagne, sgranando gli occhi allucinati come il folle che era appena diventata.

Poi fu solo la sua rabbia, la sua furia!

Venne il bianco e spazzò tutto e poi fu rosso, rosso ovunque.

Rosso come il tramonto, rosso come il sangue, il rubino, carminio, amaranto, scarlatto, ogni rosso insieme agli altri.

Rosso come può essere solo un fuoco che brama distruzione per il mondo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Be'… Ciao a tutti. Sì, sono proprio io l'essere ignobile che vi parla.

Non ho scuse, quindi non le cercherò. Quasi quasi spero di non esservi mancata, perché se vi sono mancata vuol dire che aspettate questo capitolo da nove mesi e quattro giorni e questa non è solo zero voglia di scrivere… Questa è crudeltà senza limiti.

Non farò mai più promesse su una data d'uscita di un capitolo, a meno di non averlo già pronto e vi posso garantire già da ora che non accadrà - MAI.

Se c'è qualcosa che posso fare per farmi perdonare, ditelo. Sì, lo so che mi sto scavando la fossa da sola, ma mi sento troppo in colpa.

Il capitolo l'ho scritto nell'ultimo mese e mezzo e l'ho finito *guarda l'orologio* sedici minuti fa. Prima avrò scritto sì e no una pagina (che poi ho cancellato). È un po' più lungo degli altri, anche perché se c'è una cosa che mi è frullata in testa in questi mesi, sono le idee e ne ho tenute parecchie. Qua ce ne sono solo alcune, quelle, a mio giudizio, che sono state le migliori.

Non mi azzarderò a chiedere commenti perché meriterei di non averne nemmeno mezzo, comunque voglio ringraziare le persone che hanno aggiunto la storia alle ricordate.

Chiedo scusa a tutti, davvero, ma soprattutto a Werewolf1991, kymyit e Kyz. Ho appena riletto i vostri ultimi commenti e mi viene da piangere.

Possa questo capitolo avervi ripagato almeno di un infinitesimo dell'attesa che avete dovuto patire.

La vostra pentita

coco1994

 

 

 

*piccolo omaggio alla mia prima storia, visto che l'anniversario della sua pubblicazione l'ho bellamente ignorato. Tanto per ricordare che non ho cambiato le mie idee :)


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