Lo straniero che venne dal cielo

di FairyCleo
(/viewuser.php?uid=77075)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** New Dawn ***
Capitolo 2: *** Away from here ***
Capitolo 3: *** Goodbye... ***
Capitolo 4: *** Lights ***
Capitolo 5: *** Never ***
Capitolo 6: *** Tutti i tuoi peccati sono mortali ***
Capitolo 7: *** Dark night ***
Capitolo 8: *** Police ***
Capitolo 9: *** E' Lui o no? ***
Capitolo 10: *** Pensieri... ***
Capitolo 11: *** Sangue e lacrime ***
Capitolo 12: *** Fire ***
Capitolo 13: *** I sogni sono reali ***
Capitolo 14: *** One week ***
Capitolo 15: *** J.C.N. ***
Capitolo 16: *** The Shower ***
Capitolo 17: *** The King ***
Capitolo 18: *** Violence ***
Capitolo 19: *** Francoise ***
Capitolo 20: *** Alcol ***
Capitolo 21: *** Sex and Lies ***
Capitolo 22: *** Spiegazioni ***
Capitolo 23: *** Pensieri e parole... ***
Capitolo 24: *** Idee ***
Capitolo 25: *** Il piano di Ian ***
Capitolo 26: *** Dancing Together ***
Capitolo 27: *** Tradimento ***
Capitolo 28: *** Sgradevoli sorprese ***
Capitolo 29: *** The torture ***
Capitolo 30: *** Sconfitta ***
Capitolo 31: *** Lo straniero venuto dal cielo ***
Capitolo 32: *** Fiducia ***
Capitolo 33: *** Nessun luogo è un luogo sicuro ***
Capitolo 34: *** Chi è il mostro, fra di noi? ***
Capitolo 35: *** Si tratta di Sam ***
Capitolo 36: *** Sam ***
Capitolo 37: *** Il fratello maggiore ***
Capitolo 38: *** La storia di Morgan ***
Capitolo 39: *** Incontri ***
Capitolo 40: *** Rivelazioni ***
Capitolo 41: *** Meraviglie della tecnologia ***
Capitolo 42: *** Compiti ***
Capitolo 43: *** Coincidenze ***
Capitolo 44: *** Disperatamente insieme ***
Capitolo 45: *** Speranze ***
Capitolo 46: *** Come back to me ***
Capitolo 47: *** La mossa del diavolo ***
Capitolo 48: *** Il gioco del demone ***
Capitolo 49: *** Death ***
Capitolo 50: *** The last chapter ***



Capitolo 1
*** New Dawn ***


New Dawn


L' alba di un nuovo giorno stava per affacciarsi su quel mondo che in pochi riconoscevano come tale.
Gli eventi dell' ultimo periodo avevano portato cambiamenti radicali nelle vite delle persone resesi conto di ciò che era realmente accaduto e che continuava a ripetersi incessantemente, quasi fosse una nenia stonata impossibile da dimenticare.
Migliaia di creature infernali erano in giro per il mondo libere di esercitare quello che sembrava un loro diritto.
Centinaia di persone erano state vittime dei loro soprusi.
Decine di cacciatori erano morti nel tentativo di porre fine alle loro scorrerie.
Molti altri sfoggiavano profonde cicatrici che deturpavano i corpi esausti, segnati dalla fatica e dal dolore.
Altri ancora, invece, non avevano avuto la stessa fortuna.
Le cicatrici che portavano erano impresse nella loro anima, come se fossero state marchiate a fuoco.
Segni indelebili del peso che li opprimeva e che mai li avrebbe abbandonati, continuando a farsi strada in quei cuori straziati, in quegli animi dilaniati, senza permettere loro di ritrovare nuovamente il sorriso.

Ma l' alba non avrebbe arrestato la sua corsa.
Il sole sarebbe sorto di nuovo sulla terra, provando almeno in parte a lenire le ferite che l' avvento di un nuovo Dio aveva portato in un mondo ormai troppo stanco e provato.

Dean Winchester non aveva dormito quella notte, come gli era capitato nelle notti precedenti, dopotutto.
Da quando aveva sentito parole di morte pronunciate da colui che gli aveva donato di nuovo la vita, niente era stato più come prima.

Dean Winchester era stato spezzato tante volte: quando era morta sua madre; quando era morto suo padre; quando Sam aveva esalato l' ultimo respiro tra le sue braccia; quando Alastair lo aveva torturato fino a non lasciarne che qualche minuscolo brandello di carne; quando Jo ed Hellen si erano sacrificate per salvare lui e suo fratello; quando Sam aveva sconfitto il Diavolo, sacrificando la propria vita per il bene dell' universo.
 
Eppure, quando tutto sembrava perduto, aveva avuto la forza di aggrapparsi a qualcosa di talmente solido e apparentemente incorruttibile che, in un modo o nell' altro, era riuscito a ritrovare la forza di rimettersi in sesto.
Qualcosa che aveva sempre i capelli scompigliati e che faticava a comprendere il sarcasmo.
Gli si aggrappava talmente forte da farsi quasi male, ed era forse questo il motivo per cui adesso non riusciva più a raccogliere i cocci del suo essere, nel disperato tentativo di rimetterli insieme per l' ennesima volta.
Sta volta, qualcosa in lui si era rotto definitivamente.
I cocci erano divenuti ormai polvere trasportata lontano dal vento, e neanche tra le sue morbide carezze riuscivano a trovare una parvenza di sollievo.

Dean Winchester, capelli d' oro, efelidi rosee, occhi verdi stanchi e affaticati, non aveva dormito quella notte, come, del resto, le notti precedenti.
Aspettava pazientemente l' alba di un nuovo giorno, sperando che essa potesse rappresentare insieme la fine e il principio, augurandosi che il cielo non stillasse più sangue, ma solo raggi di luce immacolata che avrebbero permesso al mondo di sperare ancora una volta in quello che era stato predetto un giorno lontano: la redenzione.

                                                                                                         *


Non aveva un' idea precisa di come fossero andate realmente le cose.
Del momento preciso in cui avessero cominciato a perdere la speranza e a lasciare che tutto scorresse come meglio credeva.

Forse, da quando il loro angelo custode li aveva traditi alleandosi con un demone.
Forse, da quando aveva continuato a mentire spurdoratamente.
Forse, da quando aveva rotto il muro nella mente stravolta di Sam.
O forse, da quando li aveva minacciati di morte.

Ma è veramente così importante sapere quando tutto aveva avuto inizio?
Quando la scintilla aveva dato il via all' incendio?
Per Dean sembrava essere fondamentale.

Continuava a chiedersi perché.
Dove avesse sbagliato.
A cosa avrebbe potuto fare se avesse avuto la possibilità di tornare indietro.

E ci aveva pensato veramente a tornare indietro nel tempo, per poter afferrare il suo amico piumato per il bavero, e prenderlo a pugni fino a ridursi le ossa in polvere.
Sorrideva al pensiero di un Castiel confuso che si domandava il perché di quel suo comportamento violento e autolesionista.
Ma non riusciva a sorridere nel vedere il Castiel che giaceva addormentato sul divano a casa di Bobby.
I polsi incatenati sopra la sua testa, gli abiti sporchi di polvere e sangue ridotti a bandelli, il volto cereo, segnato da profonde occhiaie.
Le labbra più bianche del normale, secche, screpolate, contratte in una sorta di piega dolorosa.
Era quello Castiel?
O era solo il fantasma dell' angelo che era stato un tempo?

Dean continuava a tormentarsi...
Si poteva essere ancora se stessi dopo essersi persi?
Ci si poteva davvero ritrovare?

Solo il tempo avrebbe potuto rispondere a quei quesiti.
Ma quanto tempo avrebbe dovuto attendere?

Castiel giaceva in quello stato di incoscienza da tre giorni, ormai, e non accennava a destarsi.
Avrebbe potuto fare tenerezza, sembrare la bella addormentata in attesa del bacio del suo principe azzurro, se non fosse stato per le catene che cingevano i suoi polsi.
Quelle, erano l' unica risposta certa che Dean si era dato ad una delle mille domande postesi nell' ultimo straziante periodo: Castiel aveva perso la sua fiducia.
E che un demone lo scuoiasse vivo, non l' avrebbe mai più riconquistata.

Il suo fedele angelo sulla spalla lo aveva tradito, umiliato, pugnalato senza pietà.
La serpe era in seno, e non ne aveva avuto coscienza fino a che non aveva attaccato, infettandolo col veleno del risentimento.

Bobby era dovuto uscire di corsa, costretto ad allontanarsi dal nido per colpa di un attacco di uno dei figli del Purgatorio.
Quelle creature orribili non davano un attimo di pace a nessun cacciatore, divertendosi a terrorizzare e uccidere chiunque gli capitasse sotto tiro.

Dean non era solo in casa, ma nè quella di Sam che dormiva al piano di sopra in preda ai suoi incubi, nè quella di Castiel potevano definirsi "compagnia".
Chiamereste mai compagno un prigioniero?
Chiamereste mai prigioniero un compagno?
 
Alle otto di mattina, Dean aveva bevuto già sei birre.
Le buttava giù come se fossero acqua fresca, accartocciando le lattine per poi gettarle sul pavimento.
Poco gli importava se Bobby lo avesse preso a calci in culo.
Voleva solo che i fumi dell' alcol annebbiassero la sua mente, impedendogli anche per un solo istante di pensare, di rivedere sempre, costantemente, la stessa scena, fino a farla sembrare tanto reale da riviverla.

Sempre più spesso, non distingueva la realtà dal ricordo, ritrovandosi ad urlare ad occhi aperti, senza nessuno con cui potersi confidare.
Quella che stava vivendo era la vita, o solo un surrogato di essa?

Dopo aver bevuto la settima birra e aver riservato alla lattina lo stesso trattamento delle precedenti, si era passato energicamente una mano sul viso.
Un' amara risata aveva preso forma nella sua gola, fino a riecheggiare in quella casa troppo vecchia e vuota.

Tutto gli si ritorceva contro.
Tutti lo abbandonavano.
Qualunque cosa toccasse veniva distrutta.
Forse era lui la causa di tutto quel male, di tutto quel dolore!

Attraverso le lacrime che prepotenti velavano i suoi occhi, aveva potuto scorgere a stenti l' essere che un tempo era stato il suo angelo custode.
"Perché Cass... perché mi hai abbandonato?".
Lo sconforto si era impossessato di lui.

Un gemito sommesso aveva attirato la sua attenzione, distogliendolo per un istante dall' autocommiserazione.
Quel gemito appena udibile proveniva dalla gola di Castiel.
Era un suono goffo, quasi un ronzio breve e fastidioso, ma capace di far sobbalzare il cuore dell' unica persona che lo aveva udito.
L' alba ormai trascorsa, era forse stata presagio di rinascita?

Lentamente, il prigioniero aveva sollevato le palpebre pesanti, scoprendo quegli occhi che tanto avevano saputo incantare e far sognare.
Dean aveva faticato a trattenersi dal gettarsi ai suoi piedi, pronto ad accogliere l' amico di sempre al suo risveglio.
Ma quello non era ciò che la testa gli ordinava di fare.
Il suo compito era quello di rimanere immobile e limitarsi ad osservare.
Nessun gesto di affetto sarebbe stato opportuno per quell' essere che si trovava di fronte.
Anche se quell' essere era Castiel.

Lo stanco prigioniero aveva finalmente preso visione di quello che lo circondava, renendosi conto di trovarsi in un luogo familiare.
La gola secca, il corpo intorpidito, le braccia e le spalle che gli dolevano.
Aveva bisogno di muoverle per poter permettere al sangue di circolare, ma grande era stata la sua sopresa nello scoprire che questo non era possibile.
Preso dal panico, più volte aveva tentato di portarle sul petto, strattonandole con la poca forza che ancora albergava nel suo corpo, ma tutto era vano: macigni per lui invisibili gli impedivano di farlo.
La paura della prigionia aveva iniziato a dilagarsi in lui.

"Risparmia le energie".
Una voce vicina lo aveva distolto da quella sua momentanea occupazione.
Era una voce fin troppo familiare per non riuscire a distinguerla al primo tentativo.
Era la voce che tante volte aveva udito, spaventata o fiera, altera o bisognosa d' aiuto.

La voce dell' unico amico che aveva avuto, del fratello che gli aveva mostrato pregi ed errori, che gli aveva aperto le porte della vita, regalandogli un mondo che per millenni aveva osservato solo dall' alto.

Ma, quella voce, aveva un qualcosa di diverso.
Una nota stonata che rovinava la gioia del sentirla, facendogli battere il cuore talmente forte da credere che sarebbe uscito fuori dal petto glabro e diafano.

Aveva provato a sollevarsi per poter incontrare quel viso familiare e trovare finalmente una spiegazione ai suoi timori, ma gli era stato impossibile.
Il collo gli doleva troppo, e la testa, pesante, vorticava facendogli venire qualcosa di simile al mal di mare.

"D- Dean..." - aveva provato a chiamare, allora, con voce bassa e rauca.
Ma il ragazzo non aveva risposto al suo appello.

Era lì.
Poteva sentire la sua presenza.
Era certo di percepirne quasi l' odore, misto a quello della birra che probabilmente aveva bevuto a litri.
Perché, allora, si ostinava a non rispondere?

"Dean?".
"Ti ho detto di stare fermo".
Il ragazzo era comparso all' improvviso davanti a lui, sovrastandolo con il suo metro e ottanta di statura.
Il viso stanco ma duro, le spalle tese, gli occhi ridotti a due sottili fessure.
Castiel non capiva perché suo fratello lo stesse guardando con tanta ostilità.

"D...".
"Smettila di ripetere il mio nome" - aveva sibilato, stringendo i pugni talmente forte da farsi penetrare le unghie nella carne.

Cass lo guardava sconvolto.
Era Dean a tenerlo prigioniero.
Ma perché?
Cosa era capitato al suo protetto?

D' improvviso, una spiacevole sensazione di colpa aveva cominciato ad attanagliargli il petto.
Ma era troppo stanco e provato per poter capire.

"Che cosa è successo?".
Aveva trovato la forza di chiederlo, nonostante le sue corde vocali protestassero per lo sforzo improvviso.
Dean si era chinato su di lui quanto bastava per guardarlo dritto negli occhi, prima di afferrarlo all' improvviso per il colletto consunto della camicia potendo così avvicinare i loro volti maggiormente.

Cass aveva a stenti trattenuto un urlo: il torpore alle braccia e alle spalle non accennava a diminuire, e quel brusco movimento aveva contribuito solo ad accentuarlo.
Ora era a pochi centimetri dal viso di Dean: gli occhi verde prato erano rovinati da un rossore insolito e da occhiaie scure e profonde.
Il suo alito caldo sapeva di alcol, e le sue nocche callose sfioravano prepotenti la mandibola serrata di Castiel che, spaventato e incredulo, non riusciva a distogliere lo sguardo da quello del suo amico, sperando di poter comprendere finalmente ciò che era accaduto.

Ma Dean non l' aveva fatto.
Dean non gli aveva permesso di capire.
Non era lecito, evidentemente.

Per questo, solo dopo un periodo di tempo interminabile si era deciso a parlare, avvicinandosi al suo orecchio e sputando veleno come un' aspide infuriata.
"Chiudi gli occhi e cerca di ricordare... hai tutto il tempo che vuoi" - e lo aveva lasciato andare, facendolo ricadere pesantemente sul vecchio divano.
Non lo aveva degnato di un ulteriore sguardo prima di lasciare la stanza, dirigendosi lentamente al piano di sopra.

Avrebbe tanto voluto urlargli di fermarsi, di aspettare solo un attimo e spiegargli il perché di quel comportamento incomprensibile!
Lui lo avrebbe ascoltato e confortato come aveva sempre fatto, perché era quello che un angelo del Signore faceva!
Ma proprio quest' ultimo appellativo aveva smosso in lui qualcosa di così ovvio che non era riuscito a notare all' inizio.

Perché un angelo non riusciva a liberarsi da semplici catene di ferro?
Perché sentiva il dolore, la sete, la paura?
La testa aveva preso a girare in maniera ancora più vorticosa, e un forte senso di nausea aveva preso a contorcergli lo stomaco.
Immagini confuse di un passato dimenticato avevano cominicato il loro lento riaffiorare, ma era troppo stanco e provato per potervi dare un senso.

Serrando forte le palpebre, si era abbandonato a quel turbinio informe, lasciando che le membra pesanti trovassero conforto sul divano.
Perdere i sensi, alcune volte, poteva essere di grande sollievo.

                                                                                                            *

Il nuovo risveglio era stato più traumatico del precedente.
La sensazione di arsura era aumentata, e il dolore alle spalle era cresciuto in maniera spropositata.
Era certo che avrebbe dato di stomaco se non avesse potuto muoverle anche per solo qualche secondo.
Sapeva che muoversi sarebbe stato impossibile, ma doveva almeno provarci.
O sarebbe impazzito.
Non capiva perché lo avessero imprigionato, continuando a nn avere coscienza di quello che prima aveva cercato di affacciarsi alla sua mente.

"Credevo di averti detto di stare fermo".
La voce imperiosa di Dean lo aveva fatto sobbalzare.
Era talmente concentrato sul da farsi che non si era accorto di non essere solo in quella stanza divenuta la sua personale prigione.
Aveva girato la testa quanto bastava per potersi rivolgere verso il proprio interlocutore, nonostante le proteste vivaci dei suoi muscoli.

Gli occhi severi di Dean lo scrutavano senza possibilità di replica.

Cosa avrebbe potuto chiedergli, dopotutto?
Se si trovava lì doveva esserci un motivo, o forse Dean doveva essere impazzito.

D' improvviso, si era accorto che la presenza di Dean non era la sola in quella stanza.
Bobby Singer, il vecchio ed esperto cacciatore di Sioux Fall lo osservava in silenzio, con un misto tra compassione e rancore.
La barba era più lunga del solito, e il suo aspetto trasandato era simbolo evidente che le giornate di caccia erano state intense e spossanti.

Solo un membro di quella bizzarra famiglia mancava all' appello.
Ma gli era bastato girare maggiormente il capo per poterlo scorgere: Sam Winchester, due metri di altezza, sedeva, anzi, sprofondava letteralmente nella poltrona accanto al divano.
La sua postura scomposta, i suoi occhi perduti e la fronte sudata avevano causato una stretta al cuore di Castiel.
Sam stava male.
Era palese.
Perché, allora, nessuno stava facendo qualcosa per aiutarlo?

"Sam... Sam... che cos' hai? Dean... sta male! Aiutalo!".
C' era il panico nella sua voce.

Lui e Sammy non erano mai andati particolarmente d' accordo, ma era il piccolino di casa, quello di cui ci si doveva prendere cura.
Perché Dean non lo stava facendo, lasciando che si abbandonasse a se stesso?

"Aiutarlo, Castiel?" - aveva pronunciato Dean nel più sarcastico e amaro dei toni.
Continuava a fissarlo come se cercasse di fulminarlo con lo sguardo, mentre aveva percorso in circolo la stanza fino a raggiungere Sam.
Il loro piccolo gigante aveva appena sollevato il capo, sussultando nell' istante in cui Dean aveva posato la mano sulla sua spalla.

"Sai, non ci sarebbe stato neanche bisogno di aiutarlo...se solo QUALCUNO non avesse giocato a fare Dio!".

Castiel aveva visto Dean aumentare la stretta sulla spalla del fratello mentre urlava quell' ultima frase apparentemente senza senso.
Cosa intendeva?
Chi aveva giocato a fare Dio?

"Io... io..." - stava per dirgli che non era stato capace di comprendere, quando un' immagine agghiacciante aveva fatto capolino nella sua mente annebbiata, portando un breve ma intenso spiraglio di luce.

Aveva visto Sam, e il Sam che aveva visto era in perfetta salute.
Dopodichè, aveva visto se stesso sfiorarlo, e l' aveva sentito: aveva sentito qualcosa rompersi, crollare.
E Sam si era piegato, cadendo inevitabilmente in un turbinio di ricordi dolorosi che lo stavano divorando dall' interno, rendendolo simile ad una marionetta dai fili spezzati.

Tutto questo per causa sua.
Tutto questo perché lui aveva buttato giù il muro che qualcuno aveva edificato nella mente di Sam per arginare il male che aveva subito.
Ma perché l' aveva fatto?

Senza rendersene conto aveva serrato gli occhi, smettendo per un istante lunghissimo di respirare.
Boccheggiava, contorcendosi sullo stretto giaciglio come se fosse posseduto da un essere infernale, incapace di rendersi conto di ciò che lo circondava.

Due mani forti avevano afferrato le sue stanche spalle percorse da fremiti incontrollabili, ancorandolo selvaggiamente al divano.
Un istante dopo, tutto era finito.
La stanza aveva ripreso i suoi contorni netti e definiti, così come le persone che lo circondavano.
Sudato e stravolto, aveva visto Bobby chinato su di sè, mentre allentava la presa sulle spalle ancora tremanti.

"B- Bobby..."- aveva cercato di parlare, di chiedere una spiegazione, ma la sete era troppa, e le forze lo avevano abbandonato.
Avrebbe tanto voluto piangere.
E lo avrebbe fatto, se la morsa che gli cingeva i polsi non fosse stata finalmente tolta, permettendogli di muovere di nuovo le braccia, lasciando che il sangue riprendesse a circolare liberamente.
Era libero.
O no?

Anche se a fatica, era riuscito a mettersi seduto, facendo molta attenzione a non cadere per colpa delle persistenti vertigini.
Si sentiva osservato come un animale in gabbia, come un oggetto esposto in una vetrina, su cui però nessuno sembrava formulare pensieri positivi.

Aveva fatto del male a Sam.
Era chiaro.
E gli si stringeva il cuore al pensiero.

Si sentiva colpevole e vittima allo stesso tempo, e tutte quelle sensazioni lo stavano confondendo e spaventando ancora di più.
Lui non era un uomo.
Non fino a quel momento, almeno, e non c' era abituato.
E per ora, la prospettiva di potersi anche solo lontanamente abituare, non era plausibile.

Istintivamente, aveva posato la mano sulla nuda gola, umettendosi le labbra secche e screpolate.
Voleva bere. Doveva bere. O sarebbe impazzito.

Un istante dopo, come se gli avesse letto nel pensiero, Bobby gli aveva allungato un bicchiere d' acqua, che Cass aveva buttato giù d' un fiato, allungando il bicchiere verso il cacciatore per chiederne silenziosamente ancora.
Il bicchiere era stato nuovamente riempito.

"Nel bagno troverai dei vestiti. Erano di Dean... Probabilmente ti staranno un po' larghi, ma vedi di adattarti. Datti una ripulita e torna qui immediatamente".
Il tono di Bobby non ammetteva repliche.

Con qualche difficoltà, sotto gli sguardi attenti dei presenti, compreso quello stanco di Sam, il ragazzo si era avviato verso il bagno, bloccato solo un attimo dalla ferrea presa di Dean.

Il cacciatore lo guardava dritto negli occhi.
Ma non era uno di quegli sguardi che erano solito scambiarsi.
Dean sembrava aver alzato un muro tra loro, mentre, nello stesso tempo, lo ammoniva severamente.

"Se provi a scappare o a fare qualche scherzo, giuro che non sarò così magnanimo come lo sono stato fin ora".
Cass aveva deglutito rumorosamente mentre Dean pronunciava la sua terribile minaccia.
"Hai capito??" - aveva sussurrato con ira, stringendo più forte la presa sul suo braccio.
Cass credeva che se avesse stretto ancora gli avrebbe fratturato l' omero.
Impotente, aveva annuito, mentre le lacrime cominciavano a fargli bruciare gli occhi.

Dean aveva finalmente lasciato andare la presa, e lui, con non poca fatica aveva potuto intraprendere il percorso che lo avrebbe portato in bagno.
Voleva solo che tutto quello finisse, e che finalmente riuscisse a ricordare ciò che era accaduto.
Ma, in quel frangente, sembrava solo uno splendido e confortevole sogno.

Continua...


___________________________________________________________________________________________________________

Salve!
Eccomi qui, dopo un periodo di tempo più o meno lungo, con una nuova fanfic.
Era da tempo che questa idea continuava a fare capolino nella mia mente bacata, ma faticava a venire fuori.
Non sono un tipo che si autocommisera, non quando scrive, almeno, ma ammetto di non essere del tutto soddisfatta di questo capitolo.
(Ed è il primo. Andiamo bene!).
Lascio giudicare a voi però!
Che posso dire?
(Mi sento tanto il Chuck scrittore alla con di Super in questo momento).
Dean è incazzatissimo (perdonate il francesismo) con Cass per il casino megagalattico che ha combinato con le anime.
Voi come l' avreste presa se vostro fratello vi avesse pugnalato alle spalle?
Non bene, immagino.
Io ho sempre difeso Cass, e continuerò a difenderlo, ma mi serve un Dean molto arrabbiato per fini narrativi!
L' evoluzione di questa vicenda per molti potrà essere scontata, per altri potrà esserlo molto meno, per altri ancora potrà essere oscura, come lo è per me adesso!
Ho due scene in mente: questa, ed una che vedremo più avanti.
Spero di tirarne fuori qualcosa di buono!
Ringrazio tutti per l' attenzione!
Al prossimo capitolo, sperando che questo vi sia piaciuto!
Un bacione!

Ps: se a qualcuno piace Merlin, se vi va, date un' occhiata alla fic che sto scrivendo su questo tf.
Si intitola "Blackheart" ,e la trovate nella sezione dedicata al telefilm!
Ancora baci!
Cleo


 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Away from here ***


Away from here


Due rampe di scale di legno marcio e scricchiolante in alcuni punti lo separavano dalla porta del bagno.
Due misere rampe di scale.
Quaranta stupidi gradini dall' alzata di quindici centimetri e dalla pedata di venti che lo stavano letteralmente facendo penare.

Quel corpo si rifiutava di collaborare.
Ogni volta che provava a sollevare un piede per posarlo sul gradino, ginocchia, cosce e schiena urlavano contemporaneamente.
Gli dolevano persino le dita dei piedi nudi, e la pianta bruciava ogni volta che toccava terra.
I suoi muscoli sembravano attraversati da centinaia di spilli appuntiti che non gli davano pace.
Ogni passo era una fitta tremenda allo stomaco.
Era certo che presto avrebbe vomitato quella esigua quantità di liquidi che aveva ingerito poco prima.

Come poteva essere accaduto tutto quello?
Perché provava sensazioni così tremendamente umane?
E poi, perché non ricordava nulla di quello che era accaduto se non quello che aveva ricordato guardando Sam?
E, soprattutto, cosa aveva fatto di tanto grave per farsi odiare a quel punto da tutti, ma soprattutto dall' uomo che lo aveva chiamato fratello?
La paura e il dolore, non fisico, ma mentale, non la smettervano di dargli tormento.

Raggiungere il pianerottolo era stato un vero sollievo.
Aprire finalmente la porta del bagno era stato un sogno che si avverava.

La prima cosa che aveva notato, entrando, era stata la pila di vestiti lasciati su una vecchia sedia proprio accanto al lavandino.
Solo guardando quelli "nuovi" si era accorto di aver addosso molti vestiti in meno rispetto alla "divisa" che era solito indossare.
Non c' era traccia del trench sgualcito che tanto lo aveva contraddistinto in quegli anni, così come erano spariti anche la giacca e la cravatta.
Sperava che avessero avuto un destino migliore dei brandelli che aveva addosso.

Confuso e pieno di domande senza risposta, si era avvicinato al lavandino, scoprendo la propria immagine riflessa nel piccolo specchio dell' armadietto del bagno.
Quasi gli era venuto un colpo nel vedersi.

Profonde occhiaie violacee sotto gli occhi, le labbra secche e spaccate.
La fronte abrasa in più punti, col sangue incrostato che veniva giù a grumi passandovi sopra le dita.
Un sopracciglio gonfio con sopra uno squarcio piuttosto profondo da cui colava ancora un piccolo rivolo di sangue.
I grandi occhi blu rossi e stanchi.
Le guance smagrite.
Istintivamente, aveva cominciato a tastarsi il viso, come se sperasse che il tatto potesse aiutarlo a capire se quello era il corpo di Jimmy Novack o no.
Il corpo che aveva cominciato a riconoscere come suo non sapeva neanche lui quando.
Quel corpo che ora stava cadendo a pezzi, così come la sua essenza, o quello che ne era rimasto.

Ma poteva davvero rassegnarsi a quel modo?
Non sapeva se era ancora un angelo o no.
Dopotutto, cosa gli costava fare una verifica, un tentativo?

Per questo, Castiel aveva chiuso lentamente gli occhi, cercando contemporaneamente di rilassare le membra e concentrare la sua mente sul suo cor... no, cosa stava dicendo? Intendeva sul corpo di Jimmy.
Voleva provare a curare con i proprio poteri angelici le ferite che deturpavano quel viso.
Era il minimo sindacale per un angelo.
Doveva solo concentrarsi e...
Niente.
Non c' era ruscito.
L' unica cosa che aveva provato era stato un fortissimo capogiro che lo aveva costretto ad appoggiarsi al lavandino.

"No... non può essere...".

Aveva ritentato.
Aveva provato di nuovo a guarirsi, ma tutto era stato vano.

"Ti prego... no...".

Di nuovo, aveva cominciato a non vedere bene, e gli occhi avevano ricominciato a bruciare.
A fatica, aveva sollevato il capo.

L' immagine riflessa nello specchio si era offuscata, così come aveva difficoltà a distinguere chiaramente le proprie mani.
Quando però due gocce salate avevano cominciato a rigargli le guance fino a morire sui suoi palmi ruvidi, aveva capito.

Era davvero diventato un essere umano.
Il dolore stava uscendo nell' unico modo in cui quel corpo gli permetteva di fare.
E, proprio per questo, aveva deciso di assecondarlo, abbandonandosi ad un pianto disperato, nella speranza che questo potesse fargli finalmente comprendere quello che tanto faticava a capire.
 
                                                                                                        *

Da quando Castiel era sparito dietro la porta del bagno, Dean non aveva proferito parola.
Era rimasto per tutto il tempo in piedi, accanto a Sam , fissando un punto impreciso della stanza senza però vederlo realmente.
Bobby non lo aveva distratto dal suo meditare.
Avrebbe tanto voluto trovare le parole giuste per consolarlo, per aiutarlo a superare quel periodo terribile, ma sapeva che tutto sarebbe stato vano.

Il suo ragazzo era quello che uscito peggio da tutta quella fottutissima storia.
Sam poteva essere quello a cui era stato tirato giù il muro che lo proteggeva dai ricordi dell' inferno, poteva essere quello ridotto quasi allo stato di un vegetale, ma Dean...
Dean sembrava essere diventato un mostro senza sentimenti, senz' anima.
Era come se tutte le sue emozioni fossero state risucchiate da un vortice di dolore troppo grande da sopportare.
Aveva reagito alla morte del padre perché aveva Sam.
Aveva reagito al tradimento di Sam perché aveva Castiel.
Ma reagire al tradimento di quest' ultimo doveva essere una cosa molto al di sopra delle sue possibilità.

Dean non dormiva regolarmente da mesi.
Bobby doveva ammettere che quel ragazzo non aveva mai dormito molto nella sua vita, ma quelle tre, quattro ore a notte sembravano bastargli.
Adesso, dormiva al massimo mezz' ora a notte, trascorrendo il tempo che gli avanzava a scervellarsi per trovare il modo di porre fine a tutto quel gran casino.

Ancora non riusciva a crederci.
Se non fosse stato presente, non avrebbe mai creduto alle parole dei ragazzi.
Castiel aveva aperto le porte del purgatorio.
Aveva inglobato tutte le anime che conteneva e aveva lasciato che creature spaventose scorrazzassero libere nel mondo.
Aveva ucciso Raffaele con un semplice schiocco delle dita.
Aveva dichiarato loro di essere il nuovo Dio e aveva minacciato di ucciderli se non si fossero prostrati ai suoi piedi.
Ma non erano tutti quegli abomini ad aver ferito Dean mortalmente.
No.
Era stata la freddezza e l' impassibilità con cui Castiel aveva detto lui di non avere fratelli, di non avere famiglia.
Castiel aveva rinnegato tutto quello che erano stati.
Aveva rinnegato tutto il rispetto, tutta la fiducia, tutto l' amore che li aveva legati.

Ricordava con amarezza quella volta in cui un Dean irritatissimo gli aveva confidato che Castiel aveva parlato di un "rapporto più profondo" riferendosi a loro due.
Cosa intendesse di preciso Castiel con quel "rapporto più profondo" non si era mai capito, ma Bobby era certo che quello parole avessero smosso quel testone del suo ragazzo nel profondo.
Dopotutto, non capitava tutti i giorni che un angelo del Signore confessasse di avere un "rapporto più profondo" con te!

Cos' era cambiato, allora?
Dove aveva sbagliato Dean?

Erano quelle le domande che continuava a porsi il maggiore dei Winchester.
"Dov' eri quando avevo bisogno di sentirmelo dire?".
Lui c' era.
Lui c' era sempre stato.
E non si capacitava di come fosse possibile che quello sfigato con le ali non se ne fosse accorto.
Quello sfigato che si era fatto silenziosamente spazio nel suo cuore, per poi strapparglielo dal petto come il più crudele dei demoni.
Cosa gli era rimasto se non un pugno di mosche?

"Dean... "- la voce di Bobby lo aveva distratto dalle sue elucubrazioni - "Sei sicuro di voler...".
"Ne abbiamo già parlato Bobby".
Il tono duro e perentorio del ragazzo non lo aveva però fatto desistere.
"E' che non ne sono più tanto sicuro... l' hai visto... è a pezzi... non credo che possa...".
"Adesso basta".
Se gli sguardi avessero potuto uccidere, quello di Dean avrebbe ridotto Bobby in cenere.
L' anziano cacciatore non aveva potuto fare altro che chinare il capo e incassare la sconfitta.
Sapeva che non sarebbe stato in grado di fargli cambiare idea, ma sperava almeno di aiutarlo a scaricare rabbia e tensione accumulate in mesi di lotta e sofferenza.
"Credo almeno che dovremmo aspettare prima di...".
"Non mi ero reso conto di aver iniziato a parlare enochiano.
E' tutto pronto, e non ci sarà nessun cambiamento di programma.
Ora, se permetti, vado a prendere gli antidolorifici per Sam. Sta di nuovo tremando" - e si era dileguato in cucina.

Testardo come un mulo... proprio come suo padre!
Ma come poteva biasimarlo, dopotutto?
Guardava Sam sprofondare sempre più nella sua vecchia e logora poltrona.
Era incredibile vedere quel gigante piegato in due, distrutto, crollato come una montagna dopo un violento terremoto.
Avrebbe dovuto odiare Castiel per quello che gli aveva fatto, ma proprio non ci riusciva.
E pensare che erano stati proprio lui e Sam a insinuare in Dean il tarlo del dubbio.
Ma, ora che le cose avevano finalmente preso una piega migliore, non era più così facile non cambiare idea.
Quello che era accaduto nel capanno aveva cambiato le cose.
Così come vederlo steso per tre giorni sul divano di casa propria inerme, incatenato, ferito e indifeso.

Bobby si era tolto il cappellino che portava perennemente, e si era grattato a lungo il capo.
Quella era una situazione di merda.
Quasi quasi, avrebbe preferito l' apocalisse.

                                                                                                             *

I vestiti che gli avevano dato gli stavano terribilmente larghi.
Aveva dovuto arrotolare più volte le maniche della camicia, fare il risvolto ai jeans, e stringere la cintura affinchè non rischiasse di rimanere in mutande.
Per la cronaca, almeno quelle gli stavano a pennello.
Gli scarponi erano più grandi di un paio di numeri, ma i calzini di spugna risolvevano il problema almeno in parte.

Aveva la barba piuttosto lunga, ma non aveva avuto il coraggio di radersi, nonostante avesse osservato Dean tante volte durante questa prassi mattutina.
Si era limitato a farsi la doccia, e aveva scoperto come gli umani eliminavano i rifiuti dal proprio corpo.
Un' esperienza che lo avrebbe segnato a vita.

La doccia, al contrario, era stata davvero uno spettacolo.
Aveva litigato molto con l' acqua prima di raggiungere una temperatura gradevole, ma quando c' era riuscito, aveva lasciato che lenisse il dolore e la stanchezza.
Per la prima volta dal momento in cui ne aveva preso possesso, sentiva il corpo di Jimmy Novack in ogni sua minima parte.
Era assurdo sentire il "proprio corpo" attraverso il dolore, attraverso la sofferenza.
Aveva sentito i SUOI polpastrelli accarezzare le spalle, le clavicole, le costole in evidenza per l' eccessiva magrezza, l' addome piatto, le cosce.
Si era quasi meravigliato nello scoprire di avere le parti intime come qualunque altro essere umano di sesso maschile.

Grandi aree di quel corpo glabro e bianco erano ricoperte da lividi scuri e ferite ancora non del tutto rimarginate.
Il sapone gli aveva provocato un forte bruciore, ma almeno aveva disinfettato quegli scempi.

Che cosa gli era successo?
Perché non ricordava niente?
E perché ce l' avevano tanto con lui?
Possibile che fosse per quello che aveva fatto a Sam?

Almeno di una cosa era certo: era umano.
Già... l' angelo del Signore era diventato umano.
Era forse caduto?
O era stato punito?

Castiel sapeva di aver fatto qualcosa di terribile.
Lo sentiva.
Ma il non averne coscienza lo stava facendo impazzire.

Ma perché nessuno dei suoi fratelli era venuto a cercarlo, a spiegargli come stavano le cose?
Gli angeli erano piuttosto puntigliosi, no?
Già... tutti tranne...

"Balthazar!".
Aveva urlato il nome del fratello dalla bionda chioma quasi come fosse stata una rivelazione.
Ma certo!
Come aveva potuto dimenticarsi di lui?
Suo fratello poteva anche essere uno che si preoccupava principalmente di avere un tornaconto personale, ma gli voleva bene.
E sapeva che avrebbe potuto fare affidamento su di lui per qualunque cosa!
E se Dean non voleva dargli una spiegazione, bè! Lo avrebbe di sicuro fatto Balthazar.

Ma, più di dieci minuti dopo, Cass aveva scoperto che suo fratello aveva ben altro da fare, evidentemente.

Per, questo, sentendosi sconfitto, si era guardato un' ultima volta nel piccolo specchio del bagno, cercando di scovare dentro di sè il coraggio per scendere al piano di sotto e parlare con Dean.
Sempre se prima il suo cuore non avesse improvvisamente smesso di battere.

                                                                                                      *

Aveva trovato Sam e Bobby esattamente dove li aveva lasciati prima di salire in bagno.
Solo di Dean non c' era traccia.
L' ormai ex- angelo si era guardato attorno cercando di scovare il suo protetto (si, avrebbe continuato a considerarlo il suo protetto in eterno), quando quest' ultimo era comparso in cucina reggendo un borsone da viaggio color verde acido nella mano destra.

L' occhiata gelida che gli aveva rivolto gli aveva fatto morire le parole in gola.
Tutto il suo coraggio era letteralmente svanito.

Deglutendo a fatica, era avanzato di qualche passo, cercando di sorridere e di far sciogliere la tensione che aleggiava nella stanza.
Ma Dean lo aveva bloccato gettandogli il borsone ai piedi.

Qualcosa aveva messo in allerta Castiel.

"Lì dentro ci sono alcuni vestiti, della biancheria, una pistola e un po' di soldi.
Nella tasca interna del trench ho trovato i documenti di Jimmy Novack, a cui Bobby ha dato una piccola modifica.
Da oggi tu sei Jimmy Castiel Novack. E non fai più parte delle nostre vite.
Ora prendi il borsone ed esci da questa casa.
In fondo alla strada c'è la fermata dell' autobus.
Compra un biglietto e fa quello che ti pare.
Ma non osare mai più tornare indietro.
O giuro sulla mia famiglia che ti ucciderò con le mie stesse mani ".

Il cuore di Castiel si era fermato per un lungo, lunghissimo istante.

Continua...

___________________________________________________________________________________________________________

Ed eccoci qui con il secondo capitolo.
Le cose non si mettono bene per Castiel.
Povero il nostro angelo caduto...
Cacciato via dalla sua unica vera famiglia.
Chiedo scusa se ancora le cose non sono chiare, ma avremo delle delucidazioni su ciò che è accaduto nei prossimo capitoli.
(Mi riferisco alla questione del capanno, e perché Cass è ferito e tanto malandato).
Voi cosa avreste fatto al posto di quello zuccone di Dean Winchester?
Io non so cosa avrei fatto...
Ho immaginato però che Dean potesse reagire così, chiedendogli di sparire dalle loro vite.
Comunque, come al solito ho ciarlato fin troppo.
Ringrazio tutti coloro che hanno letto e recensito il primo capitolo, sperando che quest' altro vi sia piaciuto!
Aspetto i vostri pareri!
Un bacione grande!
A presto!
Cleo


Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Goodbye... ***


Goodbye...


Ora capiva per davvero cosa significasse possedere un cuore.

Era vero, aveva sentito il cuore di Jimmy Novack battere nel petto, ma era stato più come un lontano ticchettio che un intenso impulso vitale.
E, soprattutto, capiva finalmente cosa intendessero gli uomini quando asserivano che il proprio cuore si fosse spezzato.
Perché proprio questo era accaduto: il suo cuore era andato in frantumi.
Miliardi di frammenti infinitesimali che non sarebbero mai più stati rimmessi insieme, perché i pezzi del suo cuore non combaciavano più.

Istintivamente, si era portato le mani sul petto.

Non poteva essere...
Quello che gli stava accadendo era solo frutto della sua immaginazione.
Non poteva accettare che fosse vero.

Doveva trattarsi di uno scherzo di cattivo gusto.
Uno stupido scherzo di cattivo gusto.

Forse, se avesse provato a parlare con Dean come solo lui sapeva fare, sarebbe stato in grado di capire quale fosse il problema, poi, avrebbe chiesto scusa, e tutto sarebbe tornato come prima.
Forse, se Dean avesse guardato dritto nei suoi occhi, non ci sarebbe stato bisogno di dire niente, perché Dean poteva leggervi dentro proprio come faceva lui con il suo protetto.
E perché sapeva che questo non sarebbe mai cambiato: lui avrebbe protetto Dean per sempre.

Ma le cose non erano andate come aveva sperato.
"Dean... io... ".
"Prendi il borsone e vattene, prima che ti riservi un altro genere di trattamento".

La voce di Dean era dura, carica di rancore.
Il suo protetto, l' uomo che aveva salvato dalla perdizione, lo stava cacciando via dalla propria vita.
L' unico vero fratello che avesse mai avuto lo stava rinnegando.

Distrutto, Castiel lasciava vagare il proprio sguardo smarrito per la stanza, in cerca di sostegno dal resto dei presenti.

Sam, sprofondato nella sua poltrona, non sembrava avere un' opinione diversa da quella del fratello.
Bobby se ne stava in piedi a fissarlo, in silenzio.
I suoi occhi stanchi e saggi avevano attraversato l' ex-angelo da parte a parte.
Neanche il vecchio cacciatore che poco prima sembrava aver avuto pietà di lui era dalla sua parte.

La consapevolezza di essere completamente solo lo stava divorando ad una velocità immane.
Cosa poteva fare lui, solo, in un mondo che aveva visto senza mai conoscere veramente?

"Per favore..." - i suoi grandi occhi blu si stavano pian piano riempiendo di lacrime calde e salate - "Per favore... Dean... ti prego, non...".
Ma Dean l' aveva preceduto.
Il cacciatore lo aveva afferrato forte per il colletto della camicia, facendolo cadere in ginocchio con un tonfo.

Castiel aveva provato a ribellarsi, ma non aveva abbastanza forza, così, aveva ceduto sotto il peso e la forza di Dean.

"Tu mi preghi? Tu, essere ignobile, osi ancora chiedere qualcosa a noi?".

Guidato dall' ira, Dean aveva sollevato Castiel da terra, tenendolo saldamente per il colletto.
Se avesse stretto ancora, la stoffa logora avrebbe certamente ceduto.

"Dean...ti prego... noi... noi siamo fratelli... io...".
"Io non sono tuo fratello. Tu non hai fratelli. Hai capito brutto bastardo?".

Lentamente, il cacciatore lo aveva lasciato andare, e l' ex- angelo era scivolato inesorabilmente al suolo.

"Perché Dean...? Perchè?".
Il maggiore dei Winchester gli aveva dato le spalle.
Non avrebbe sopportato di guardarlo in viso un istante di più.
"Perché Castiel? Vai a chiederlo a Balthazar".

Alle parole di Dean, veva avuto un altro tuffo al cuore.
Perché tirare in ballo Balthazar?
Forse sapeva che il fratello non aveva risposto alle sue preghiere?
Aveva litigato anche con lui e non ne era consapevole?
Il dubbio e il desiderio di sapere lo stavano divorando.

"Castiel, non lo ripeterò un' altra volta.
Prendi le tue cose e vattene. Non c'è più posto qui per te".

Aveva pronunciato quelle parole di spalle.
Forse, nel profondo del suo cuore, Dean soffriva almeno quanto lui per quella situazione.
Ma allora, perché lo stava mandando via?
 
Cercando di recuperare un minimo della propria dignità, Castiel si era rimesso in piedi.

Bobby non riusciva a smettere di guardare il relitto di quello che era stato prima un angelo, poi il nuovo Dio, anche se per un breve periodo.
Era incredibile quanto sembrasse piccolo e indifeso ora che i suoi poteri da Superman passato al lato oscuro erano svaniti.

Ma le cose non potevano cambiare.
Castiel aveva fatto del male a troppe persone, aveva distrutto troppe vite innocenti.
Avrebbe meritato la morte.

E Dean aveva provato ad ucciderlo, solo che non c' era riuscito.
Per quanto il rancore nei suoi confronti fosse enorme, non aveva trovato in sè la forza di porre fine alla sua vita.
Di porre fine alla vita della creatura che gli aveva dato un' altra possibilità, tirandolo fuori dal baratro in cui era caduto.

Questo Bobby lo sapeva bene.
Aveva visto il suo ragazzo tormentarsi fino a farsi del male per questo.

Per questo, aveva convinto Dean a concedergli un' occasione, la stessa che aveva avuto lui, ma, al contrario del suo ragazzo che aveva avuto un valido sostegno, Castiel sarebbe stato solo.
Non avrebbe avuto un angelo custode a sorreggerlo e a guidarlo.
Castiel avrebbe fatto le cose da solo, proprio come aveva deciso di fare in precedenza, quando li aveva pugnalati alle spalle, tradendoli per allearsi con Crowley.

Dean non riusciva a girarsi verso Castiel.
Era difficile, troppo difficile, uno sforzo che non avrebbe mai creduto di poter sopportare.
Vedere quello che era stato il suo angelo custode andare via non era una cosa che riusciva ad affrontare.
Ma aveva preso una decisione, e l' avrebbe rispettata fino alla fine.
Per Sam, per Bobby, per sè stesso.
Castiel aveva sbagliato, e avrebbe avuto le stesse possibilità degli altri per espiare: vivere la propria vita, il proprio purgatorio in terra.
E lo avrebbe vissuto lontano da loro.

Dolcemente, aveva rivolto il proprio sguardo verso Sam.
Il suo Sammy era ridotto in quello stato per colpa di Castiel, e lui non aveva potuto fare niente per fermarlo.
Aveva lasciato che gli venisse fatto del male, ed ora, nel vederlo così malato e indifeso gli sembrava di vedere il Sam bambino che spaventato si infilava nel suo letto in cerca di conforto.

Aveva fallito.
Dean aveva fallito di nuovo, e questa consapevolezza lo stava schiacciando.
Anche per questo non era più capace di sopportare la vista di Castiel.
La cosa più importante era la famiglia, e lui l' aveva rinnegata e ferita mortalmente.
Per questo, nonostante il dolore e la mancanza, era certo che non sarebbe mai stato capace di perdonarlo.

"Vattene via Castiel. Esci dalle nostre vite e non farti vedere mai più".

Castiel non aveva scelta.
Il tono di Dean non ammetteva repliche.

Esitando, cercando di raccogliere i pezzi sparsi del suo cuore, il novello essere umano aveva afferrato il borsone, chinando il capo per non mostrare a coloro che lo stavano cacciando dalle loro vite le proprie lacrime.
Non avrebbe sopportato ancora i loro sguardi severi.
Per quanto potesse meritarseli, anche se non riusciva a comprenderne la motivazione, bruciavano troppo.

Per questo, aveva sistemato meglio che poteva il borsone sulla spalla, e si era diretto verso l' uscita con passo pesante.
Non doveva voltarsi, lo sapeva, ma era più forte di lui.
Una volta varcata la soglia, aveva esitato, torcendosi leggermente per volgere un' ultimo sguardo all' uomo che aveva amato come suo Padre per anni.
Ma Dean non si era voltato per guardarlo andare via.
Si ostinava a rimanere di spalle, imponente e altero come una montagna di candido marmo.

Dean...
Il Dean che lo aveva iniziato al mondo, ora lo stava abbandonando come si fa con un cucciolo di cui ci si è stancati.
E, come aveva potuto osservare spesso dall' alto della sua Casa, il padrone non tornava mai indietro a riprenderlo.

D' un tratto, la massiccia figura di Bobby Singer si era parata davanti a lui.

"Bobby...".
"Va via ragazzo... va prima che le cose peggiorino".
Cass era di nuovo in lacrime.
Il vecchio e burbero cacciatore non riusciva a sopportare quella vista.
"Non dimenticare mai una cosa ragazzo: il mondo è un posto buio e pericoloso, ma anche la più fragile delle creature può vedere la luce, se sa come difendersi".
E aveva estratto qualcosa dalla cinta dei pantaloni, porgendogliela di nascosto.
"Ma, questo...".
Il cacciatore aveva annuito.
Si trattava del pugnale angelico di Raffaele.
"Mi dispiace ragazzo. Vorrei solo poter fare di più".
Castiel si era sforzato di sorridere, mentre afferrava l' oggetto sacro appartenuto a suo fratello.
"Grazie...".
Il cacciatore si era limitato a fare un cenno col capo.
"Addio Bobby...".
"Addio".

Il vecchio Bobby Singer non avrebbe mai creduto che vedere un ex-angelo nerd andare via dalla propria casa e dalla propria vita avrebbe potuto fare così male.
Ma la decisione era stata presa, e lui non avrebbe obiettato.
Per questo, anche se a malincuore, aveva dovuto chiudere la porta di casa, non confessando mai a nessuno, però, di aver lasciato aperta la porta del suo cuore.

Continua...

___________________________________________________________________________________________________________

SCUSATEPERL'IMMENSORITARDOOOOOOOO!!!
Non mi ero dimenticata della fanfiction e di tutti coloro che pazientemente hanno letto e recensito, è solo che sono stata in vacanza e non ho trovato cinque minuti per scrivere.
Poi, sinceramente, ero troppo felice e non riuscivo a calarmi in questo clima tetro e disperato.
Ora sono tornata a casa, il tempo è brutto, gli esami si avvicinano, e sono perfettamente in tema. -.-'
Bè, spero che l' attesa sia valsa la pena...
Forse è un po' ripetitivo come capitolo, ma giuro, più scrivevo più pensavo al nostro Cass che viene messo alla porta e cercavo di immedesimarmi in lui.
Povero piccolo...=(
Solo davanti ad un mondo sadico e crudele.
Spero che il consiglio di Bobby gli torni utile!
(Direte voi: "se non lo sai tu che la stai scrivendo che vuoi da noi?". Sono d' accordo! XD).
Bè, ho ciarlato troppo...
Fatemi sapere cosa ne pensate...
Al prossimo capitolo!
Un bacione
Cleo




Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Lights ***


Lights


Non era mai stato capace di calcolare davvero le distanze.
Quando era un angelo, per lui spostarsi da un luogo all' altro non significava intraprendere un viaggio.
In un solo battito d' ali, era capace di percorrere l' intero universo.

Ora, il solo tragitto percorso da casa Singer fino alla fermata dell' autobus gli era sembrato interminabile.
Muovere un passo significava trascinarsi dietro un macigno.

Aveva messo il pugnale angelico di Raffaele nella cinta dei pantaloni, e, a contatto con la sua pelle nuda, bruciava come il fuoco.
Ma non avrebbe mai potuto bruciare come le lacrime che copiose continuavano a sgorgare dai suoi meravigliosi occhi blu, rovinandoli.
Le pupille erano arrossate, e profonde occhiaie viola facevano da contorno al cielo immerso in un mare di sangue.
Gli angoli delle sue splendide labbra curvati verso il basso, prova di un dolore incurabile e profondo.
Le spalle curve e il capo chino.

Ecco qual era l' immagine di Castiel che si presentava al mondo: quella di un uomo distrutto, piegato in due da qualcosa che non riusciva a spiegarsi, che non riusciva a ricordare.

La strada era scarsamente illuminata, e l' aria pungente della notte passava attraverso i sottili abiti che indossava, facendolo gelare fino alle ossa.
La testa gli doleva, così come ogni singolo muscolo, e continuava ad avere quell' assurda sensazione di vuoto totale in mente, e di un peso troppo ingombrante nel cuore.

Troppe sensazioni lo stavano attraversando, e non c' era nessuno lì a dirgli cosa doveva fare per evitare che lo schiacciassero.
Nessuno era lì a tendergli una mano o a spendere per lui una parola di conforto.

Lui era solo.
Solo lungo quella strada.
Solo in quella cittadina.
Solo nel mondo.

Perché mai avrebbe dovuto smettere di piangere?
Perché avrebbe dovuto evitare di far sgorgare tutto il dolore che provava?

"Perché Dean... perché?".
Gli occhi del suo protetto continuavano a tornargli il mente, duri e severi come mai li aveva visti prima.
Mai avrebbe potuto dimenticarli.
Aveva fatto del male a Sam, aveva fatto del male a Bobby, aveva fatto del male a Dean.
Al suo Dean.
E non sapeva il perché.

E, proprio per questo, Castiel continuava a piangere, non curandosi delle calde gocce salate che morivano contro il colletto consumato della sua camicia, bagnandola inesorabilmente.

                                                                                                       *

L' attesa alla fermata dell' autobus era stata devastante, peggio del viaggio da casa di Bobby.
Da lì, seduto su di una fredda e solitaria panchina dalla bianca vernice scrostata, poteva ancora scorgere da lontano le luci di casa Singer.
Erano solo un bagliore appena percettibile nel buio della notte, ma erano sufficienti a fargli sussultare il cuore.

Quella che per lui fino a qualche tempo fa era stata una semplice costruzione di legno e mattoni senz' anima, era diventata casa.
I mobili, gli odori, le montagne di libri, persino il notevole strato di polvere sulle mensole gli mancava.
Era stato un rifugio sicuro, un posto dove sentirsi protetto e amato, ma solo quando l' aveva perso era riuscito a rendersene conto.
Ma ora, non avrebbe mai più potuto mettere piede in quella che, in un modo o nell' altro, era stata anche casa sua.

Il timido lampione che illuminava la fermata di una luce lievemente aranciata non gli era di conforto, nonostante riuscisse in qualche modo a nasconderlo dalla vergogna che provava di sè stesso.
Vergogna che lo stava lentamente, inesorabilmente divorando.

D' istinto, si era cinto il busto con le braccia, come per stringersi in un poco consolante abbraccio.
Di solito, questo serviva a tirare su di morale gli uomini, no?
Allora, perché con lui non stava funzionando?
Perché quelle erano le sue braccia, e non quelle di una persona che lo apprezzava e gli voleva bene.

Nel toccarsi con la mano sinistra il fianco opposto, aveva sfiorato il pugnale di suo fratello.
Lentamente, lo aveva estratto dalla cinta dei pantaloni, lasciando che la luce del lampione lo sfiorasse delicatamente, facendolo scintillare.
Come aveva fatto Bobby ad averlo?
E soprattutto, perché Raffaele non era ancora venuto a cercarlo per riprenderselo?

D' un tratto, una serie di immagini confuse avevano iniziato a palesarsi nella sua mente stanca e vuota.

Raffaele che lo picchiava e che cercava di togliergli la vita.
Balthazar che faceva diventare il corpo del suo tramite un mucchio indistinto di gemme di sale...
Raffaele nel corpo di una donna di colore...
Raffaele che lo guardava terrorizzato...
Raffaele che esplodeva ad uno schiocco delle sue dita.

Il cuore di Castiel batteva talmente forte che sembrava volesse uscirgli fuori dal petto.
Sudava copiosamente, e qualcosa sembrava attanagliargli il petto, impedendogli di respirare.

Dopo diversi minuti di apnea, era riuscito a guadagnare qualche respiro, riuscendo, a poco a poco, a regolarizzarlo.

Raffaele era morto.
L' angelo che gli aveva intimato di prostrarsi ai suoi piedi era letteralmente esploso davanti ai suoi occhi.
E, escludendo l' ipotesi che fosse impazzito del tutto, gli era parso che a farlo esplodere fosse stato proprio lui.

"Io... io... non può essere...".

Dallo shock, non si era accorto che il pugnale gli era scivolato dalle mani, finendo abbandonato contro i suoi piedi.
Tremando, si era chinato per raccoglierlo.

Se Raffaele l' avesse mai visto trattare la propria arma in quel modo, lo avrebbe ucciso senza pensarci due volte.
Ma suo fratello era morto, e non avrebbe mai più potuto vendicarsi.

Nell' alzarsi, gli era quasi venuto un infarto.

Davanti ai suoi stanchi occhi, si era stagliata un' immagine che si era palesata nella sua mente pochi istanti prima: l' immagine di Raffaele nel corpo del suo ultimo tramite che lo fissava con freddezza e rancore.

Era stato un attimo.
Un lunghissimo, terribile attimo, ma era bastato a fargli gelare il sangue nelle vene.
Per lo spavento era sobbalzato all' indietro, sbattendo la schiena contro la spalliera della panchina.
Di nuovo, gli si era mozzato il fiato.

La paura era una sensazione terribile, a cui non credeva che si sarebbe mai abituato.
Gli faceva rizzare i peli sulle braccia, e un brivido violento partiva dalla nuca fino a percorregli la colonna vertebrale in tutta la sua lunghezza.
Il cuore sembrava impazzire, e smetteva di pensare razionalmente.

Era stato un soldato di Dio, e i soldati di Dio non avevano paura.
Era una sensazione che aveva provato poche, pochissime volte.
L' aveva provata quando Lucifero lo aveva fatto saltare per aria, ormai più di due anni addietro, quando era solo un semplice, inutile essere umano.
Proprio come ora.
Ora era un uomo solo e poteva fare affidamento solo su sè stesso.
Per questo, doveva cercare di calmarsi, di riprendere il controllo e tornare a pensare razionalmente.

Tenendo più stretto il pugnale tra le mani, aveva fatto un profonfo respiro.
Come poteva aver visto Raffaele se era morto?
Non aveva un' anima, dunque non poteva trattarsi di un fantasma.
Ciò voleva dire che iniziava a soffrire di allucinazioni?

Poteva essere, dopotutto...
Aveva subito gravi traumi fisici, e lo shock dell' abbandono e questa sorta di visione che aveva appena avuto su Raffaele, potevano avergli causato questo brutto scherzo.
Si...
Doveva essere per forza così.

Un rumore sommesso di un motore e due fari che fendevano il buio pesto della notte annunciavano l' arrivo imminente dell' autobus.
Un attimo dopo, l' autista aveva arrestato la propria corsa, e la portiera si era spalancata, permettendogli di salire.

"Destinazione?".
Castiel non aveva davvero prestato attenzione alla voce dell' autista che gli chiedeva a quale fermata volesse scendere.
"Non lo so" - l' uomo lo guardava come si guarda un matto appena scappato da un manicomio - "Faccia solo che sia la fermata più lontana da qui".

Castiel non riusciva ancora a credere di averlo fatto per davvero.
Non riusciva a credere di aver davvero messo piede su quell' autobus.
Di aver pagato il biglietto e di aver preso posto in fondo, accanto al finestrino.

Stava davvero andando via.
E, questa volta, non poteva più tornare indietro.

Continua...

___________________________________________________________________________________________________________

Salve a tutti!!
Spero di non avervi fatto attendere troppo, sta volta!
Cass comincia a ricordare qualcosa...
E, soprattutto, comincia a vedere qualcosa...
Ma è ancora presto per "svelare tutti i misteri".
Chiedo scusa se ci sono errori di battitura (spero siano solo quelli).
Ne approfitto per ringraziare tutti coloro che hanno letto e recensito! Vi adoro!=)
Al prossimo capitolo allora!
Un bacio grande.
Cleo

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Never ***


Never


Era notte fonda da tempo, ormai.
Le stelle cercavano invano di fare capolino tra la folta coltre di nubi che avvolgeva solida il cielo.
Presto avrebbe piovuto.
E, la pioggia, avrebbe lavato via ogni cosa.
O almeno così sperava Dean Winchester.

Il ragazzo non avevo proferito parola da quando Castiel era uscito dalla porta di casa Singer.
Da quando era uscito fuori dalle loro vite.
Fuori dalla sua vita.

Era salito nella camera che divideva con Sam in compagnia di un' intera confezione di birra, e non ne era più uscito.
Nessuno sapeva che non ne aveva bevuto neppure un sorso.

Dean era rimasto tutto il tempo seduto su di una vecchia poltrona orientata verso la finestra, fissando il buio orizzonte.
Aveva visto l' angelo che lo aveva salvato dall' inferno percorrere a capo chino lo sterrato che portava da Bobby, fino a sparire dietro l' angolo.
Castiel aveva fatto ogni passo lentamente, come se avesse dei pesi invisibili alle caviglie.
Era incredibile quanto piccolo e debole sembrasse, avvolto nella vecchia camicia che gli aveva dato.
Quanto sembrasse indifeso.
E forse lo era.
Ma lui non lo avrebbe protetto.
Non dopo ciò che aveva fatto.

Dean aveva sorriso amaramente fra sé e sé.
Perché il destino aveva voluto che Cass non avesse memoria di ciò che aveva compiuto?
Non aveva fatto altro che pensarci e ripensarci per tutto il tempo.
Perché il destino continuava a portargli via tutto quello a cui teneva di più?

Sammy non era ancora tornato in camera.
Probabilmente, Bobby aveva capito che aveva bisogno di stare un po' da solo e aveva sistemato Sam nel proprio letto.
Non sarebbe mai riuscito a ringraziarlo come avrebbe dovuto.
Chissà cosa sarebbe mai riuscito a fare, adesso.

Ogni persona a cui si legava finiva per tradirlo, o per passare a miglior vita.
Chiunque amasse, finiva per spezzargli il cuore.
Sembrava quasi che qualcuno si fosse divertito ad infliggergli una maledizione!
Peccato che lui non si divertisse affatto.

Soffriva.
Dean soffriva da morire.
Aveva cercato di superare ogni cosa a testa alta, e c' era anche riuscito, il più delle volte.
Ma, adesso... adesso aveva un dolore troppo grande da sopportare.
Tra lui e Castiel c' era un rapporto speciale, un "rapporto più profondo", come aveva precisato una volta proprio quest' ultimo.
Perché, allora, lo aveva tradito?
Perché lo aveva pugnalato alle spalle in quel modo?
"L' ho fatto per te".
Il suono della sua voce continuava a fare eco nella sua mente.
Quelle parole erano una lenta, terribile tortura.

Davvero credeva di aver fatto la cosa giusta?
Davvero credeva di poter scrivere la parola fine alla storia dell' Apocalisse rimpilzandosi di anime fino a scoppiare?
L' Apocalisse...
Se lui non avesse mai spezzato il primo sigillo, non ci sarebbe mai stata.
Lui non sarebbe mai stato salvato da Castiel, e non si sarebbe verificato tutto quell' immane casino.

Però...
C' era un però...
Non avrebbe mai incontrato Castiel.
Non avrebbe mai conosciuto l' angelo che lo aveva salvato dalla perdizione, ed era certo che avrebbe sentito un vuoto nella sua vita.
Un vuoto molto simile a quello che provava adesso che era lontano, solo, nel mondo.

Il cacciatore si era coperto il volto con le mani.
Gli occhi erano arrossati, e un sottile velo di lacrime aveva preso ad annebbiargli la vista.
Non doveva piangere.
Non doveva!
Era lui che aveva mandato via Castiel, e non poteva avere ripensamenti!

"Pensa a Sam, Dean! Pensa a quello che ha fatto al mondo!" - continuava a ripetersi.
Dopo aver preso qualche profondo respiro, sembrava finalmente aver riacquistato il controllo di sé.

Con grande fatica, si era alzato da quella poltrona, avvicinandosi lentamente alla finestra.
La notte regnava ancora sul pianeta.
Ed essa, regnava anche nel suo cuore.

"Non ti perdonerò mai Castiel. Mai".

Dall' altra parte della città, su di un vecchio e sgangherato autobus, il cuore di qualcuno aveva perduto un battito.
Castiel non riusciva ancora a capacitarsi di quanto potesse fare male un cuore che si spezzava.

Continua...

__________________________________________________________________________________________________________

Ciao a tutti!!
Ce l' ho fattaaaaaa!!
Ho postato il capitolo su Dean proprio il giorno del mio compleanno!
Dovevo pur farmi un regalo, no??
Bene bene...
Per prima cosa, vi chiedo scusa per l' attesa...
Mi sono incasinata scrivendo ottocento fics insieme! U.U
Ora sto cercando pian piano di uscirne!! ;-)
Povero Cass... Si che sto esagerando anche io con tutte le volte che gli ho fatto fermare o spezzare il cuore!
A quest' ora dovrebbe già essere morto!
Però, da una parte è come se lo fosse...
Ha perso la sua ragione di vita:  il suo Dean.
Riuscirà il nostro angioletto a trovarne un' altra?
Ai prossimi capitoli...
Cleo


Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Tutti i tuoi peccati sono mortali ***


Tutti i tuoi peccati sono mortali


Si era svegliato di soprassalto, nello stesso istante in cui il pullman era arrivato al capolinea.
Era caduto in un sonno profondo pochi minuti dopo la partenza, vinto dalla stanchezza e dal dispiacere.
Era certo di aver sognato qualcosa, ma l' unica cosa che ricordava chiaramente era Dean che lo guardava con disprezzo.
Il resto era solo un vago e confuso ammasso di immagini confuse.

Il risveglio era stato traumatico, e la cose erano peggiorate nel momento in cui si era reso conto di aver il viso e il colletto della camicia bagnati: aveva pianto persino durante il sonno.
Si sentiva più stanco e dolorante di prima, e avvertiva una strana sensazione di formicolio ad una gamba che stava pian piano diventando dolore.

Il disagio che provava era umentanto nel momento in cui si era reso conto che una ragazza seduta di fronte a lui lo fissava preoccupata.

Doveva avere quello che gli umani erano soli definire un aspetto orribile.
Sentendosi in imbarazzo, si era passato nervosamente una mano sul viso, prima di commettere l' errore più grande della sua vita: alzarsi in piedi.
La gamba si era completamente addormentata e, ovviamente non aveva retto tutto il suo, a dir la verità piuttosto esiguo, peso.

Castiel era caduto rovinosamente in avanti, sbattendo le costole contro la spalliera del sedile anteriore.
Il fiato gli si era mozzato, e un altro dolore fortissimo si era aggiunto ai precedenti.

"Si sente bene?".
La ragazza si era avvicinata, posandogli la mano sulla spalla.
Il suo tocco gentile lo aveva sorpreso.
Si era voltato quanto bastava per incrociare il suo sguardo, cercando di impedire alle lacrime di sgorgare.
Pian piano era riuscito a far tornare il respiro regolare.

"Si... io... credo di si...".
Era una ragazza piuttosto bella, seguendo i canoni che aveva appreso da Dean: aveva lunghi capelli ricci e biondi e due grandi occhi marroni.
La cosa più bella in lei era il suo sorriso: dolce, e velato da una sottile apprensione.

"Vuole aiuto? Sa, credo che si sia alzato troppo in fretta...
Ha dormito tutto il tempo e non è stato in una posizione molto comoda... deve avere le gambe addormentate...
Venga, si appoggi... e dia qui... non ho nulla da portare oltre allo zainetto... si lasci aiutare...".

Non le aveva dato il tempo di replicare o accettare che aveva già afferrato il suo borsone e lo aveva preso per mano, aiutandolo a percorrere lo stretto corridoio costeggiato da sedili dall' imbottitura consunta.
Castiel la seguiva lentamente, cercando di non inciampare nei suoi stessi piedi.
La mano di lei era calda e morbida, perfettamente asciutta, mentre la sua era inumidita dalle lacrime che aveva cercato di asciugare.
Si sentiva gli angoli degli occhi bruciare, e la bocca leggermente impastata.

La sua poca esperienza con gli esseri umani, soprattutto con esseri umani dell' altro sesso, non gli semplificava affatto le cose.
Apprezzava ciò che quella ragazza stava facendo per lui, ma lo trovava un po' strano: dopotutto, lui era un perfetto estraneo.

"Ecco, venga...".
Scendere i gradini era stato più complicato: le gambe gli dolevano, e le ginocchia avevano davvero deciso di non aiutarlo.
Grazie alla sua bionda guida, però, era arrivato a terra sano e salvo.

Il pullman era ripartito un attimo dopo.
Stranamente, Cass aveva notato che alla fermata non c' era nessun altro oltre a loro due.

"Visto? Non è stato difficile!".
La ragazza aveva posato il borsone ai suoi piedi, ma non aveva ancora lasciato la presa sulla sua mano.
Continuava a sorridergli radiosa, per nulla imbarazzata, al contrario di Cass che si ostinava a tenere il capo chino.
Non voleva che lei lo guardasse.
Avrebbe potuto capire, e lui non voleva che un' altra persona capisse prima che lui fosse consapevole di cosa avesse combinato.

"Siete sicuro di star bene? Siete così pallido...".
Aveva allungato l' altra mano, e gli aveva sfiorato dolcemente il viso con le dita.
A quel contatto, Cass era trasalito, ed aveva sollevato il capo, incontrando di nuovo i suoi occhi sorridenti.
Quella ragazza non poteva avere più di vent' anni.
Il suo comportamento non era normale.
Agli esseri umani piaceva mantenere il proprio spazio personale... Perché per questa ragazza sembrava non essere così?

Improvvisamente, Cass aveva cominciato ad avere freddo, e questa sensazione di gelo era partita dalla guancia e dalla mano: i punti che lei stava toccando.
D' istinto, aveva cercato di tirarsi indietro, ma lei glielo aveva impedito, aumentando la stretta.
Continuava a sorridergli radiosa, come se niente fosse.
Solo che i suoi occhi si stavano tingendo di rosso.

"Lasciami" - lo aveva sussurrato, nel panico.

"Che cosa le prende? Ho fatto forse qualcosa di sbagliato?"- continuava a stringere ancora più forte.

"Lasciami!" - Cass cercava di tirare indietro la mano mentre lei si avvicinava ancora di più.

"Ma io voglio aiutarla!".

"TI HO DETTO LASCIAMI!".

Era riuscito a sganciarsi da quella morsa un attimo prima che lei lo avvolgesse completamente col proprio corpo.
Solo che aveva perso l' equilibrio, cadendo rovinosamente al suolo.
 
Era trasalito.
Quella che aveva davanti a sé non era più la giovane e bella ragazza di prima: era un corpo attraversato da migliaia di piccole venuzze rosse e viola, illuminato da due sfere infuocate che aveva ormai al posto degli occhi.
Il suo splendido sorriso era diventato un ghigno agghiacciante e malefico.
Era rimasto impietrito a fissarla.

"Che cosa ti prende? Non ti ricordi più di me, Castiel? Non hai più memoria di me e dei miei fratelli??".

Senza rendersene conto, aveva cominciato ad indietreggiare.
Ricordare?
Lei?
I suoi fratelli?
Cos' era quel mostro, e che cosa voleva da lui?

"Hai paura? Dovresti averne! I miei fratelli e le mie sorelle stanno arrivando, e verrai punito per quello che hai fatto!".
Era furiosa.
"Non lo sapevi Castiel? A furia di giocare con il fuoco, prima o poi ci si brucia!".

Era successo tutto talmente in fretta da non essersene neppure reso conto.
Quell' essere lo aveva attaccato, e, guidato dall' istinto, aveva estratto dalla cinta dei jeans il pugnale angelico, colpendolo in pieno petto.

Un ruggito spaventoso si era levato da quella gola infernale, e un fiotto di aria infuocata lo aveva investito in pieno petto, bruciando la camicia.
"Aaahh".
Con le poche forze che gli restavano, Cass aveva estratto il pugnale, e si era rimesso in piedi, afferrando il borsone, fuggendo il più lontano possibile.

La creatura stava esplodendo in un turbinio di fiamme, come una stella arrivata alla fine dei suoi giorni, e lui non sarebbe rimasto lì a guardare.

"Fuggi! Fuggi maledetto! Fuggi quanto vuoi, ma sappi che ti troveranno!
Prima o poi ti troveranno e la pagherai!
Perché tutti i tuoi peccati sono mortali!".

Era corso via a gambe levate, cercando di lasciarla il più lontano possibile da sè.

Il fiato iniziava a mancargli, ma lui doveva correre.
Doveva andare lontano, o loro sarebbero arrivati e lo avrebbero ucciso.
Perché lui lo sapeva bene: aveva fatto qualcosa si terribile.
Solo che, ancora, non riusciva proprio a ricordare.
L' unica cosa che riecheggiava nella sua mente erano le sue ultime parole: tutti i tuoi peccati sono mortali.

Continua...
____________________________________________________________________________________________________________

...
Non so come iniziare...
Credo che abbiate visto tutti la 7x01... ecco...
Oddio, sto per piangere di nuovo.

Bene, non so se sia peggio il mio scenario o quello della Gamble e di Kripke.
Almeno nel mio Cass c'è ancora... E' a pezzi, ma c'è ancora.
Capirete presto cosa sono questi esseri...
Grazie per aver letto e recensito i precedenti...
Supportiamoci a vicenda!
Ce n' è bisogno...
A presto!
E perdonate il mio delirio.
Un bacione!
Cleo

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Dark night ***


Dark Night


La corsa disperata che aveva intrapreso lo aveva portato in quello che sembrava un parco cittadino.
Era stanco e sudato, e la bruciatura sul petto lo stava facendo impazzire di dolore.
Ma che cos' era quell' essere?
Che cosa voleva da lui?

' Sappi che ti troveranno ' .

Le sue parole continuavano a riecheggiargli nella testa, ma una frase in particolare gli stava dando tormento.
La frase che aveva pronunciato con maggior rabbia, con maggior disprezzo.

' Tutti i tuoi peccati sono mortali '.

Si stava sforzando di ricordare, ma niente.
Era come se le sue memorie fossero state bloccate, messe dentro una serie di scatole cinesi chiuse con un lucchetto.
E lui non aveva la chiave.

Si sentiva stupido ed inutile.
Dean avrebbe affrontato quella creatura, non sarebbe scappato come un coniglio.
Ma lui non era Dean. Non lo sarebbe mai stato.
La paura aveva preso il sopravvento.
Non era stato in grado di affrontarla.
Così come non era in grado di affrontare quello che non ricordava.
Se l' avesse fatto adesso, probabilmente ne sarebbe stato completamente sopraffatto.
Ma perché curarsene, dopotutto?
Era più che evidente che fosse diventato un mostro.
E lui uccideva i mostri.

Si era fermato nei pressi di una panchina, lasciandosi cadere pesantemente su di essa.
Aveva il fiato corto, e il petto gli doleva da morire.
Gli occhi resi lucidi dalle lacrime.
Possibile che gli esseri umani fossero in grado di perdere tanti liquidi?
Forse, lui era un umano difettoso.
Era stato un angelo difettoso, perché avrebbe dovuto essere un essere umano venuto bene?

Aveva preso un bel respiro e, facendosi coraggio, aveva cominciato a spostare i brandelli bruciacchiati della camicia che si stavano fondendo con la sua pelle.
"Aahh...".

Aveva lasciato che un gemito disperato scappasse dalle sue labbra.
Era tardi ormai: alcuni residui di stoffa erano diventati tutt' uno con alcuni lembi della propria epidermide, e non aveva potuto evitare di provare dolore.
Stava per affrontare un piccolo, personalissimo inferno.

Si era strappato dalla camicia un pezzo di stoffa abbastanza grande da farne un piccolo fagotto, che ora stava mordendo tra le lacrime.
Facendosi coraggio, aveva ricominciato quella terribile, crudele operazione, cercando di concentrarsi su qualcos' altro che non fosse il dolore.

Era più facile a dirsi che a farsi.
Si stava strappando la pelle a mani nude, dopotutto.

La luna era coperta da una spessa coltre di nubi.
C' era odore di pioggia nell' aria.
Presto il cielo avrebbe riversato sulla terra le sue lacrime, e lui non aveva la minima idea di dove ripararsi.
Era solo, ferito e stanco, in un luogo di cui non conosceva neppure il nome.

Il vento si stava alzando, facendo muovere le cime dei pini avanti e indietro, rendendole simili a bestie minacciose.
Si stava alzando, e stava  portando con sè i suoi gemiti disperati.
Erano le sue stesse lacrime a lavargli il petto.

Se non avesse fatto quello che aveva fatto, probabilmente non avrebbe mai incontrato quella creatura.
Se non avesse fatto quello che aveva fatto, probabilmente non si sarebbe ustionato.
Se non avesse fatto quello che aveva fatto, probabilmente ora sarebbe a casa di Bobby, a discutere con Dean e Sam su come sedare la guerra civile in Paradiso.

La guerra civile in Paradiso.

Era autunno.
Si trovava nel giardino di una villa.
Le foglie avevano formato un variopinto tappeto sull' erba, e un uomo... un uomo che lui conosceva bene, le stava rastrellando fino a farne un cospicuo mucchietto.
Dean.
Ma Dean non si era voltato a dargli il benvenuto.
E non perché ce l' avesse con lui, ma perché si era reso invisibile ai suoi occhi.
Osservava il suo protetto da lontano, nonostante avesse un disperato bisogno di parlargli, di sentire la sua voce, di avere il suo aiuto.
Ma non si sarebbe mostrato.

Dean aveva sofferto troppo.
Aveva portato per troppo tempo sulle spalle il peso dell' intero universo.
Non poteva accollargli anche quella responsabilità.
Non avrebbe sofferto anche a causa sua.

Stava per voltarsi e andare via, quando qualcuno aveva attirato la sua attenzione.
Una figura avvolta in un elegante abito scuro.
Una figura a lui conosciuta.
Una figura malvagia: Crowley.


"NOOOO!".
Aveva urlato talmente forte da farsi scivolare il fazzoletto dalla bocca.
Gli occhi sganati e il viso madido di sudore.

Che cos' era quel ricordo?
Perché non era andato da Dean?
E Crowley...

"Che cosa ho fatto?".

Non lo sapeva.
Non ancora.

In lacrime, si era chinato in avanti, aprendo il borsone, per cercare una camicia pulita.
Le mani gli tremavano, e il velo di lacrime e il buio che regnava in quel posto rendevano più difficile quell' operazione.

Finalmente era riuscito a trovarla, estraendo inavvertitamente, insieme ad essa, un' altra cosa che gli sarebbe stata molto utile: una coperta.
"Bobby...".
Doveva essere stato Bobby.
Non avrebbe mai ringraziato abbastanza il vecchio cacciatore.

Facendo attenzione, si era sfilato la vecchia camicia, lasciandola scivolare sui fianchi.
Aveva indossato l' altra, facendo molta attenzione a non farla entrare in contatto con il petto.
Non sapeva quante altre camicie avesse a sua disposizione, e non voleva rischiare di macchiare anche quella.
Erano cose di Dean.
Erano cose che avevano addosso ancora il suo odore.
E non voleva rovinarle.

Aveva fame e sete.
La gola era secca e gli doleva, ma non aveva la forza di mettersi a cercare una fontana.
Ce ne sarebbe stata sicuramente qualcuna in quel parco, ma avrebbe atteso l' indomani.

Le prime gocce di pioggia stavano facendo capolino.
Stanco e provato, si era messo in ginocchio, valutando quanto alta fosse la panchina.
Lo era abbastanza per potervisi stendere sotto.
Non avrebbe dormito in una posizione molto comoda, ma non si sarebbe svegliato completamente zuppo.

Facendo molta attenzione a non ferirsi ulteriormente, era scivolato al di sotto di essa, coprendosi il petto con ciò che rimaneva della sua vecchia camicia per non far entrare in contatto la camicia con la coperta.
Stava usando il borsone come cuscino, coprendosi come meglio poteva.

La notte sarebbe stata lunga e buia.
Per questo Castiel aveva chiuso gli occhi in fretta, posando una mano sull' elsa del pugnale di Raffaele.
Perché essa, era l' unica cosa che avrebbe potuto proteggerlo.

Continua...

___________________________________________________________________________________________________________

Salve a tutti!!
Perdonatemi, sto proprio facendo la pigrona...
Ho avuto l' infuenza, e non aveva la forza di mettermi a scrivere...
Ma ora sono tornata, e spero di non abbandonarvi mai più!
Che dire?
Questo secondo episodio di Supernatural mi ha lasciata più perplessa del primo.
Cass è morto? Non è morto?
Non lo so...
L' importante è che per noi continui a vivere nelle nostre menti, nelle nostre storie e nei nostri cuori.
Grazie a tutti coloro che leggono e recensiscono, e anche a coloro che leggono in silenzio!
Al prossimo capitolo...
Un bacione!
Cleo

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Police ***


Police


La notte era stata lunga e difficile, e l' umida mattina non preannunciava nulla di buono.
La pioggia non aveva dato tregua a quell' angolo di mondo neppure per un istante.
Feroce e imperterrita aveva invaso ogni anfratto, ogni posto più remoto.
Castiel era bagnato fino alle ossa.
Il suo riparo di fortuna era stato inutile.
Le gocce d' acqua erano venute giù con una violenza inaudita, bagnando il terreno su cui si era sdraiato.
La coperta era fradicia.
Aveva trascorso l' intera notte a tremare nel sonno anche se, più che essersi addormentato, era scivolato in uno stato di semi-incoscienza.
Non aveva idea di che ora potesse essere nell' istante esatto in cui aveva aperto gli occhi.
Sapeva solo che la bruciatura della notte precedente lo stava facendo impazzire, e che il suo stomaco lamentava l' assenza di cibo e di liquidi.

Anche se controvoglia, aveva dovuto abbandonare il suo nascondiglio, anche se non senza problemi.
Gli arti sembravano paralizzati dal freddo, e si era accorto che una leggera brina si era formata sulle ciglia e tra i capelli.
Se non avesse trovato al più presto un posto caldo e asciutto si sarebbe ammalato più di quanto già non fosse.

Facendosi coraggio, si era seduto sulla panchina, prendendosi in grembo il borsone.
La pallida luce del sole gli avrebbe permesso di venire a conoscenza del suo contenuto.
C' erano altre due camice, due paia di jeans, calzini, della biancheria, la pistola e una busta.
Dentro c' era un ciondolo contro le possessioni demoniache e delle banconote.
Cass aveva tra le mani ottocento dollari.
Facendo mente locale sulle cifre che spendeva Dean quando si rifocillava in qualche bar o tavola calda, aveva preso con sé due banconote da venti dollari, riponendo la busta col resto dei soldi nel borsone insieme al pugnale angelico.
Subito dopo, aveva indossato la collana.
Era meglio non perdere ulteriore tempo per proteggersi da ciò che c' era in giro.
Lentamente, aveva rimosso il lembo di camicia che aveva posizionato sull' ustione. La stoffa rimasta costantemente umida a causa della pioggia non si era attaccata alla pelle bruciata, per fortuna. Ma il dolore era forte, ed ogni movimento era una tortura.
Inspirando profondamente, si era tolto l' ennesima camicia (la terza in poche ore) indossandone una asciutta.
Non sapeva che fare con la camicia e la coperta bagnate.
Gli dispiaceva abbandonarle nel parco, e non era sicuro che l' avrebbe ritrovata.
Poi, l' illuminazione.
Una busta di plastica ancora intatta si era incagliata contro un ramoscello caduto al suolo.
Fortunatamente, era bagnata solo esternamente, ed era abbastanza grande per riporvi entrambi gli oggetti bagnati.
Un' altra cosa avrebbe dovuto fare: cambiarsi i calzini.
Si sentiva sporco, nonostante fosse bagnato, e l' idea di mettere delle cose pulite senza essersi prima lavato non lo allettava, solo che aveva le dita dei piedi intorpidite dal freddo, ed era certo che continuare ad indossare dei calzini umidi non fosse l' ideale.
Chissà come mai, poi... prima non aveva mai badato a quelle cose!
Così come non aveva mai provato vergogna al solo pensiero di doversi togliere i pantaloni in pubblico.
No. Niente da fare.
Preferiva tenere addosso i jeans fradici piuttosto che denudarsi in pubblico.

Così, ' pronto ' ad affrontare il suo primo giorno da uomo solo e spaventato nel mondo, Cass si era messo in piedi, mettendosi alla ricerca di una fontanella.
Pochi istani dopo, una voce lo stava chiamando.

"Ehi, tu!".
Un poliziotto lo osservava con aria ostile.
Cass aveva indicato sé stesso.
"Si, proprio tu! Ti ho visto prima, sa? Non si può dormire qui! Non vogliamo vagabondi in giro!".
L' ex- angelo aveva inclinato il capo di lato, come era di solito fare quando Dean cercava di spiegargli qualcosa che proprio non riusciva a comprendere.
"Perché non posso?".
Il poliziotto lo guardava stranito. Che avesse a che fare con uno svitato?
"Non c' è nessuno cartello che indichi il divieto di dormire qui".
Il poliziotto, un omone alto quasi due metri e grosso come un armadio a sei ante, aveva ridotto i propri occhi a due sottilissime fessure.
Quello non era solo svitato! Era un maledetto attaccabrighe.
Irritato, aveva estratto il manganello, pronto a colpire semmai quella canaglia avesse tentato di aggredirlo.
A guardarlo meglio, non sembrava che se la stesse passando bene.
Era terribilmente pallido e faticava a stare in piedi. Per di più, sembrava che stesse cercando in tutti i modi di evitare che la camicia strofinasse sul petto.
Strano. Che fosse un drogato e fosse in preda ad una qualche allucinazione?
Facendo molta attenzione a quale potesse essere la sua rezione, lo aveva afferrato saldamente per un polso, puntandogli il manganello sotto il mento.
Castiel lo guardava incredulo.
"Dimmi un po' bastardo, sei fatto? Sei fatto eh? Non è così? Fammi vedere le pupille, forza! Fammele vedere!".
Aveva cercato di divincolarsi, ma era debole e provato dall' aggressione della notte precedente e dalla pioggia incessante.
La presa del poliziotto era salda. Sembrava quasi che volesse stritolargli il polso.
"Fammi vedere le pupille!".
Cass aveva ceduto, sgranando gli occhi tanto da far paura, avvicinandosi al volto dell' uomo per permettergli di osservarli attentamente.
Erano leggermente velati, ma non sembravano gli occhi di chi aveva assunto sostanze stupefacenti.
Eppure, quel tipo continuava a non piacergli. Che fosse uno di quei tipi contronatura che si vendevano per strada?
Se davvero fosse stato così, una bella notte in gattabuia in compagnia degli altri detenuti gli avrebbe fatto passare ogni genere di pensiero depravato.

"Di un po'... sei uno di quelli che adescano ragazzini e uomini sposati, non è così? Sei uno di quelli a cui piace rovinare le famiglie, non è vero?".
Aveva aumentato la pressione sul suo braccio, torcendolo quasi.
Castiel continuava a domandarsi in quale momento di preciso era diventato l' essere più sfortunato dell' universo.
Com' era possibile che capitassero tutte a lui?
Prima i suoi amici lo aveva cacciato dalle loro vite e si era trovato solo nel mondo.
Poi aveva avuto le allucinazioni su suo fratello.
Poi era stato attaccato da quella ' cosa ' che gli aveva giurato vendetta.
Poi aveva passato la notte all' addiaccio, ed ora questo: un poliziotto lo stava accusando di essere un rovina famiglie.
Che cosa significava, poi? Possibile che sapesse chi era in realtà, e che quello era il corpo di Jimmy Novack?
Aveva rovinato la sua famiglia. Era vero. Lo aveva allontanato da sua moglie e dalla sua amata Claire. Ma lui aveva usato il termine ' adescare ' e non era sicuro di averne compreso il significato.

"Non rispondi eh? Sei uno di loro allora! Sei uno di quei depravati!".
Cass cercava di mantenere la calma, continuando a guardarlo dritto negli occhi.
Non era semplice, ma non sapeva cos' altro fare.
"Io non so cosa lei voglia da me. Non ho idea di quello che può sapere del mio passato, ma io non sono più quello che ero.
Non ho più il potere di farmi ospitare nel corpo di un prescelto, di convincerlo a farmi dire di si. Questo è il mio corpo, adesso.
E lo sarà fino al momento in cui non smetterò di respirare. Finché questo cuore non smetterà di battere. Solo allora, forse, potrò ritornare a casa".

Il poliziotto lo guardava a bocca aperta.
Non solo quel tizio ammetteva di aver fatto quello che aveva fatto, ma stava anche vaneggiando! Era chiaramente un pazzo!
"Ma mi stai prendendo in giro?".
"Cosa? No... Perché dovrei?".

Incredibile! Era davvero incredibile!
C' era o ci faceva?
Di sicuro non poteva trattenerlo. Non aveva elementi. Solo supposizioni.
Dopo averlo guardato a lungo negli occhi, aveva mollato la presa.
"Se ti trovo di nuovo a battere in questo parco o in qualche altro posto giuro che ti faccio fare una bella villeggiatura al fresco! E sta sicuro che non sarà divertente!" - gli aveva detto, premendogli il manganello sotto il mento fino a lasciargli un marchio color porpora.
Castiel avrebbe tanto voluto reagire, ma non lo aveva fatto. Se fosse stato nelle sue normali condizioni, se avesse avuto i suoi poteri, avrebbe distrutto quello stupido pezzo di legno semplicemente sfiorandolo. Avrebbe posato le dita sulla sua fronte, e lo avrebbe fatto cadere in un sonno profondo, facendogli dimenticare di averlo visto.
Invece, l' unica cosa che poteva fare era annuire e promettere a quell' uomo di non fare più cose di cui non capiva neppure il senso.
Si poteva cadere più in basso di così?
"Hai capito? Sto parlando con te!".
"Si signore... ho capito...".
"Bene! Ora vattene! E spera di non incontrarmi mai più".
Poteva giurarci.
Cass aveva afferrato il borsone e la busta di plastica, ed era partito a gran velocità, lasciandosi quello strano agente e i suoi incomprensibili discorsi alle spalle.

                                                                                                             *

Trovare una fontanella era stato come aver trovato un' oasi nel deserto.
Nonostante l' acqua fosse gelida, Cass vi si era gettato a capofitto, bevendo avidamente e sciaquandosi il viso stanco.
Il liquido limpido e ristoratore scorreva nella sua gola, calmando la terribile arsura che provava dalla sera prima.
Aveva bevuto fino quasi a scoppiare! Ora, la sua pancia era piena come un uovo, e provava una strana sensazione allo stomaco.
Era la fame, e l' acqua non l' aveva di certo placata. ANZI.
Ora, l' ideale, sarebbe stato trovare un luogo dove potersi rifocillare.
Non aveva avuto molte occasioni per provare il cibo degli umani.
Gli piacevano gli hamburge, o meglio, a Jimmy piacevano gli hamburger, ma in quel frangente non ne aveva voglia.
Il fatto è che non aveva la più pallida idea di cosa avesse voglia!
Poi, come fin troppo spesso gli era capitato da quando si era ritrovato solo nel mondo, i suoi pensieri erano volati a Dean.
Cosa era solito prendere il suo protetto da mangiare appena sveglio?
' Sam, ricorda di prendermi la torta di mele '.
Torta di mele. Quello prendeva Dean. E quello avrebbe preso anche lui.
Il punto sarebbe stato trovare un bar o una tavola calda.

Sacco in spalla, lottando contro il freddo e il bruciore che aveva sul petto, si era incamminato lungo il viale.
Dopo una cinquantina di metri, si era ritrovato ai confini del parco. Era fuori. Su quella che doveva essere la via principale della cittadina in cui era approdato.
Il destino aveva voluto che proprio di fronte a lui, un' insegna colorata annunciasse: ' Ebby's. Coffee & Croissants '.
Per una volta, la fortuna sembrava girare dalla sua parte.

Continua...
____________________________________________________________________________________________________________

Ce l' ho fatta a postare!
Gloria!! Non ci credevo più, ormai!!
Mercoledì 11 l' alternatore del mio router ha deciso di bruciarsi e sono stata tagliata fuori dal mondo fino a sta mattina, quando la mia mamma mi ha informata che tutto si è finalmente sistemato!
Ah! Che gioia!
Allora, tornando al capitolo, so che magari potrei risultare drammatica e riipetitiva, ma il fatto è che voglio che Cass si scontri violentemente contro la crudeltà del nostro mondo.
Per carità, non sono una di quelle persone che vedono tutto buio! Penso che il mondo sia un posto meraviglioso, ma, troppo spesso, diventa tetro e pericoloso...
E Cass è una specie di bimbo nato già grande... e per di più è solo, nel nostro spaventoso, meraviglioso mondo.
Cosa c'è di più pericoloso di questo?
Spero che il capitolo vi sia piaciuto!
Un bacione!
A presto (speriamo).
Cleo

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** E' Lui o no? ***



E' Lui o no?


Mettere piedi nel locale non gli era sembrata più un' idea tanto geniale.
Appena aveva fatto il suo ingresso, una ragazzina dai lunghi capelli biondi gli era cozzata contro, finendo dritta dritta contro la bruciatura che aveva sul petto.
A stenti era riuscito a trattenere un rantolo, facendolo morire in gola. Le lacrime erano affiorate di nuovo agli angoli dei suoi occhi.
La ragazzina, mortificata, aveva cercato di scusarsi, chiedendogli più volte se aveva bisogno d' aiuto, ma si era pietrificata all' improvviso nel vedere in faccia l' uomo che aveva di fronte.
Sconvolta, aveva lasciato cadere a terra il bicchiere pieno di succo di pomodoro che aveva in mano, facendolo infrangere in mille minuscoli frammenti.
Il suo contenuto aveva macchiato le splendide ballerine color ecrù.

Incuriositi, i clienti si erano girati verso di loro, rimandendo anch' essi di stucco.
Raggelati, avevano preso a fissarlo con insistenza.
Una signora aveva afferrato saldamente il figlio per le spalle, e la stessa cosa avevano fatto due ragazzi con le proprie fidanzatine.
Sembrava che avessero paura di lui.
Perché mai, poi?
Lui non era cattivo. E non aveva la faccia da cattivo. Almeno credeva...
Che avesse a che fare con quello che aveva fatto e di cui non ricordava niente?

Una profonda, spiacevolissima sensazione di disagio lo stava trafiggendo come lame affilate. Faceva più male della bruciatura che aveva sul petto.
Forse, sarebbe dovuto andare via.
Ma sarebbe stato un gesto da codardi. E, probabilmente, il contatto con le persone lo avrebbe aiutato a capire quello che aveva combinato.
Dopotutto, Dean gli aveva detto qualcosa riguardante le conseguenze che le sue azioni avevano portato sul mondo.

Per questo, tenendosi stretto il borsone sulla spalla, aveva attraversato il locale a testa bassa, per poi sedersi ad un tavolo di legno fin troppo grande per una persona sola.
Nel passare attraverso quella moltitudine di persone, aveva sentito molti bisbigliare la stessa, identica cosa.

"E' lui..."- aveva detto una signora grassa dai capelli tinti di biono.
"Si... hai ragione! L' ho visto in tv!" - le aveva fatto eco un ragazzo alto quasi due metri.
"E' vero! La nipote di una mia amica era in quella chiesa... è lui, ma senza trench...".

Perché tutti lo additavano?
La tv??
Ma cosa diavolo era successo???

Per cercare di ascoltare quello che dicevano, Cass aveva attraversato la sala trattenendo il respiro. Il suo viso scarno e stanco era diventato viola.
Ma perché non la smettevano di fissarlo??
All' improvviso si era sentito come un animaletto esposto in una vetrina.
Solo che lui non scodinzolava e non faceva le feste. Era messo troppo male per sperare che qualcuno potesse portarlo a casa.

Il ciarlare della gente era aumentato.
Probabilmente, avrebbero continuato a parlare finché non sarebbe anadato via.
Ma aveva fame. Aveva troppa fame. E doveva anche svuotare la vescica, in effetti.
Odiava il dover espellere ciò che non occorreva al suo corpo in quello strano modo. Non lo trovava per nulla piacevole.
Ma cosa poteva farci?
Forse sarebbe dovuto andare subito in bagno. Almeno, sarebbe scappato via per qualche minuto dagli sguardi accusatori della gente.

AH! Se almeno avesse saputo qual era la sua colpa!

Perso nelle sue elucubrazioni, non si era accorto che una delle cameriere gli si era avvicinata con cautela.
Lo guardava con un misto tra reverenza e timore.
Con voce tremante, gli aveva chiesto cosa desiderasse.

Cass era stato colto di sorpresa, dimenticandosi quasi di quello che aveva deciso poco prima.
"Io... credo che prenderò del caffè... e della torta... della torta di mele... se è possibile... ed io... io posso pagare... non deve preoccuparsi... posso pagare".
Lo aveva quasi farfugliato, tra l' imbarazzo e la stanchezza.
La cameriera, una ragazza sui venticinque anni mora con un corto caschetto sbarazzino, non si era presa neppure la briga di prendere l' ordinazione.
Possibile che quello strano individuo, quell' uomo così malmesso fosse quello che tutti dicevano?
Eppure, l' aveva visto anche lei in tv... ed era certa che fosse lui... Doveva essere lui!
Timidamente, con voce incerta, aveva trovato in sè il coraggio di fare quello che tutti avrebbero voluto, ma che nessuno osava.
"Si signore... è possibile avere la torta di mele... la nostra è la più buona della città... gliene porto una bella porzione...".
Cass aveva annuito.
"Signore?" - la ragazza stava torturando il bloc-notes che aveva in mano - "E' lei... lei è Lui?".
L' aveva detto tutto d' un fiato, tanto che Cass non era certo di aver capito bene. Non che la frase della ragazza avesse molto senso, in ogni caso.
' Lei è lui '. Ma lui chi?
Castiel la guardava perplesso.
"Io credo di non capire".
La giovane aveva preso a fissare i suoi occhi.
Diamine quanto erano blu e profondi. Diamine quanto fosse bello, nonostante stesse pian piano appassendo, come un fiore reciso.
Quasi provava pena per lui.
"Ti senti bene?".
"Si. Si signore. Sto bene. Le porto subito la sua ordinazione" - ed era sparita dietro il bancone.

Castiel era confuso. Ancora più confuso di prima. I presenti avevano avuto la premura di non perdersi neanche una virgola del loro discorso. Se si poteva definire tale!
Non aveva capito niente di quello che le aveva detto quella ragazza.
Lei, lui.
Forse era solo troppo stanco e affamato per capirci qualcosa.
Magari, a stomaco pieno e dopo una bella dormita, sarebbe tornato indietro a chiederle come stavano le cose.
Si era strofinato energicamente gli occhi, soffocando a stenti uno sbadiglio.
Chissà se prima o poi sarebbe stato capace di venirne a capo!
Per ora, si sarebbe occupato della tazza di caffè bollente che aveva davanti e della fetta di torta che gli avevano servito.
"Buon appetito... Signore".
Castiel continuava a non comprendere il perché di tutta quella reverenza.

                                                                                                   *

Dean era sfinito.
Era stata una nottata lunghissima quella appena trascorsa.
I suoi pensieri lo avevano tormentato per tutto il tempo, e, poco prima dell' alba, Sam aveva avuto un' altra delle sue visioni.
Questa era molto più vivida delle precedenti.
Sembrava che, col tempo, invece di migliorare, le cose stessero andando sempre peggio.
Lucifero.
Sam continuava a vedere il bastardo che si era divertito a torturarlo per tutto quel tempo.
Inizialmente, sembrava che fosse in grado di distinguere la finzione dalla realtà, ma adesso Dean non era più tanto sicuro che quelle di suo fratello fossero solo visioni.
Soprattutto, da quando aveva detto di aver inizato a vedere anche Michael.
E, la cosa peggiore, è che quest' ultimo era, ovviamente, nel corpo di Adam.
Come potevano delle semplici visioni aver distrutto un gigante come suo fratello?
Doveva esserci dell' altro.

Ma perché tutti si accanivano contro di loro?
Perché diamine le cose dovevano sempre andare così male?
Dean stava seriamente pensando che la sua teoria non fosse così sbagliata... Era maledetto.
E tutto ciò che amava gli si sgretolava tra le mani.
Tutto... tutto... anche ' lui '. Quei due pezzi di cielo rubato continuavano a tornargli in mente, ferendolo mortalmente.

Distrutto, si era lasciato cadere sul divano, coprendosi il volto con le mani.
Ma in vita sua si era sentito così solo.

"Ragazzo..." - la burbera voce di Bobby era velata dalla preoccupazione - "Sei sicuro di aver preso la giusta decisione?".
Ancora? Possibile che gli avesse fatto di nuovo quella domanda? Quante volte avrebbe dovuto ripetere che non sarebbe tornato indietro?
"Bobby, basta. Davvero. Sono a pezzi. Sam è in quello stato, e devo concentrarmi su di lui, adesso" - aveva cercato di mantenere la calma, ma Bobby non sembrava voler demordere.
"Stai facendo una stronzata Dean. Abbiamo fatto una stronzata! E me ne sono pentito un secondo dopo che quel poveraccio ha lasciato casa mia!".
Il vecchio cacciatore era diventato rosso di rabbia.
"Oh, non osare! Abbiamo preso insieme quella decisione! Non provare neppure a far ricadere la colpa su di me! Io non ho colpe! Lui le ha! Ha fatto la più grossa stronzata dell' universo! E' come Lucifero! E' peggio di Lucifero!".
"Ti sbagli! E sai benissimo che ho ragione!".
"Bene! Allora sali sul tuo bel furgone e vai a cercarlo! Ma sappi che se lo riporterai indietro, non ci vedrai mai più!".
"Stai cercando di minacciarmi, Dean Winchester?".
Il cacciatore si era alzato in piedi, di scatto.
"Sto cercando di ricordarti che l' Apocalisse può pure essere finita, Bobby Singer, ma noi abbiamo un problema più grosso, adesso.
Tu e gli altri dovete cercare di rimettere ordine nel mondo mentre io aiuto Sam a rimettere ordine nella sua testa.
E' questo quello che dobbiamo fare.
Sono queste le nostre priorità, sono questi i nostri problemi! Ed è stato quel fottutissimo bastardo a causarli! Quindi cerca di capirmi se non voglio vedere la sua brutta faccia di culo gironzolarmi attorno! Non ha più poteri, non ha niente! Non può più essere un pericolo per il mondo! Non può essere un pericolo per nessuno!".

Bobby davvero non riusciva a credere alle parole di Dean.

"Tu dici che non può nuocere al mondo... forse hai ragione... ma c'è qualcuno a cui, evidentemente riesce ancora a fare del male".
"E chi sarebbe questo qualcuno?".
"Tu".
Sta volta, Dean non era stato in grado di replicare.

Continua...
___________________________________________________________________________________________________________

Non so voi cosa ne pensiate, ma questa settima stagione fin ora mi sta un po' deludendo...
E' un dolore dire una cosa simile del mio telefilm preferito, ma, nello stesso tempo, sono fiduciosa...
Kripke è tornato, no?
Magari lui riesce a sistemare questo immane casino!
Come dicevo ieri ad una fan, "il Titanic sta affondando e non ci sono abbastanza scialuppe".
Però, nello stesso tempo, credo nei miracoli!=)
Mi manca Castiel... non si vede?
Inutile dire che sto attingendo dalla serie in corso, adesso. Prima le cose erano un po' più difficili, infatti non riuscivo a delineare bene la trama.
"Lei è Lui?". Modo originale per chiedere al bell' uomo dagli occhi blu se lui è o no Dio (almeno penso).
Povero Cass... riuscirà a capirci qualcosa?
Lo scopriremo solo leggendo.
Come avrete potuto notare, ho aggiunto "Slash" agli avvertimenti... Ebbene si! Il mio animo slash ha deciso di venire fuori...nei prossimi capitoli!
Ne dovrà affrontare di difficoltà quel poveretto... spero non mi fucilerete!
Per ora, vi saluto!
Un bacio grande!
A presto!
Cleo


Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Pensieri... ***


Pensieri...


Castiel era riuscito ad uscire incolume da quel bar-tavola calda.
Certo, i presenti non avevano fatto altro che fissarlo per tutto il tempo, ma questo non gli aveva impedito di mangiare.
O forse dovremmo dire trangugiare. La fame e la voglia di scappare via da quel posto erano talmente grandi da avergli fatto letteralmente divorare in meno di tre minuti tutto quello che aveva davanti. E la cameriera era stata di parola: gli aveva servito una fetta di torta davvero notevole. Una di quelle fette di torta per cui Dean avrebbe potuto uccidere qualcuno. Eppure, lui non era riuscito ad assaporarla per davvero.
Era strano come la sua mente continuasse a dirigersi sempre verso la stessa meta.
Dean lo aveva cacciato fuori di casa a calci, e Cass era certo che se avesse fatto una cosa simile ad un altro essere umano, quello avrebbe pensato solo a maledirlo.
Ma lui non era un altro essere umano. Tecnicamente, fino a qualche giorno ( o settimana? ) prima non era neanche un essere umano.
E poi, era certo di meritarsi un simile trattamento.
Dean era testardo e orgoglioso, ma pronto a perdonare.Se con lui non c' era riuscito, era perché la sua colpa doveva essere troppo grande per poter essere espiata con un "mi dispiace, non lo farò mai più".
Nonostante tutto, però, Cass non sarebbe mai stato in grado di odiare il proprietario di quegli occhi verdi e profondi che lo guardavano con rancore e disprezzo.
Anche se da, quel momento in poi, aveva cominciato a precipitare in un baratro, e dubitava che sarebbe riuscito a toccarne il fondo molto presto.

Finito di fare colazione, aveva lasciato la cifra battuta sullo scontrino accanto al piatto vuoto, non aspettando di ricevere il resto (Dean faceva così), e si era rifugiato in bagno.
Vedere il proprio riflesso nello specchio lo aveva quasi traumatizzato.
Possibile che si fosse ridotto in quello stato? Non era neanche lontanamente il fantasma di quello che era stato Jimmy Novack.
La barba era molto più lunga, i capelli molto più arruffati, e le occhiaie molto più marcate.
Dov' era finita la pelle tonica e soda del suo tramite, e il colore vivace dei suoi occhi?
Cass era certo che fossero spariti insieme alla sua Grazia.
Facendo attenzione a non compiere movimenti molto bruschi - il petto gli doleva molto - era riuscito a svuotare la propria vescica.
Era incredibile come un semplice gesto come quello potesse averlo fatto rinascere, in un certo senso. Gli esseri umani erano davvero sorprendenti.

Quello, però, non era stato in grado di fargli passare il tremendo mal di testa che lo aveva assalito all' improvviso.
Si sentiva davvero male.
Doveva essere sicuramente una conseguenza della nottata all' aria aperta.
Ed ecco che sarebbe entrata in atto la missione numero due: trovare un posto dove dormire nel vero senso della parola.

Per questo, appena aveva messo piede fuori da quel posto soffocante, si era messo alla ricerca di un alloggio.
Doveva cercare uno di quei posti di cui ora gli sfuggiva il nome dove poter chiudere gli occhi almeno per un paio d' ore.
Aveva bisogno di un posto asciutto e caldo. Si sentiva strano. Ma non avrebbe saputo spiegare come si sentiva esattamente.
La pelle sembrava bruciare, e i muscoli dolevano. Poi, aveva incominciato ad avvertire un freddo tremendo, sino alle ossa.
Possibile che capitassero tutte a lui?

Incammonatosi lungo il corso principale, aveva fatto di tutto per concentrarsi sugli avvenimenti delle ultime ore.
Dean lo aveva cacciato via e Bobby non glielo aveva impedito.
Sam era crollato per colpa dei ricordi dell' inferno di nuovo liberi di scorrazzare nella sua mente, e questo era accaduto per colpa sua.
Aveva camminato solo, nel buio, fino alla fermata dell' autobus, dove aveva avuto una visione su suo fratello Raphael.
Poi aveva avuto una visione su Dean e su quel bastardo di Crowley.
Era sceso dall' autobus, e una specie di mostro lo aveva attaccato cercando di arrostirlo, avvertendolo che presto sarebbero venuti a prenderlo.
Aveva cercato di curarsi, di dormire, e il giorno dopo uno strano poliziotto gli aveva fatto un discorso che non aveva capito intimandogli di andare via.
Poi era entrato nella tavola calda dove tutti avevano cominciato a fissarlo parlando di apparizioni televisive e di trench, aveva fatto pipì, aveva pagato, ed ora vagava solo come un idiota alla ricerca di un posto di cui non ricordava neanche il nome per riposare un po'.
Bel quadro!
Davvero un bel quadro...

La gente, attorno a lui, fortunatamente sembrava non averlo neppure notato.
Alcune persone camminavano veloci, magari parlando al cellulare, imprecando, molto spesso, mentre altre si fermavano a guardare le vetrine, o a comprare qualcosa nei chioschetti lungo la strada.
Un giorno, anche lui sarebbe diventato una di quelle persone?
Incurante di chi gli stava attorno, distratta, egoista e capricciosa?

Un pallone colorato era rotolato sino ai suoi piedi e, incuriosito, Castiel si era chinato a raccoglierlo.
Aveva visto tante volte i bambini giocare a rincorrerlo, a lanciarselo, ed ora ne aveva uno tra le proprie mani.
La palla era liscia, e piuttosto pesante. Era formata da spicchi cuciti insieme tra loro, ed ogni spicchio era di un colore diverso.
Blu, bianco, giallo, verde e rosso.

"Signore... " - un bambino, piccolo, biondo, dal visetto rotondo e dai grandi occhi marroni, lo guardava timidamente.
"E' tua, questa?".
Aveva fatto un cenno col capo.
"Tieni".
Cass aveva lasciato scivolare la palla tra le sue braccia paffute.
Il piccolo sorrideva contento.
"Grazie signore" - ed era corso via così com' era venuto.

Quell' innocente creatura non aveva avuto paura di lui.
Avrebbe voluto dirgli qualcosa.
Avrebbe voluto dirgli di rimanere con lui, di non abbandonarlo, di fargli compagnia.
Invece, non l' aveva fatto.
Come avrebbe potuto giustificare una cosa del genere, dopotutto? Probabilmente la madre, o il padre, lo avrebbero accusato di volergli fare del male, di volerlo portare via.
La testa gli doleva. Gli doleva terribilmente.
' Padre mio... ti prego... aiutami... ' .
Senza rendersene conto, Cass aveva ricominciato a piangere.
Voleva solo che quella giornata finisse presto.

Continua...
___________________________________________________________________________________________________________

Salve Supernaturaleschi!!!
(E' orribile, lo so... come posso fare per trovare qualcosa di simile a Merliniani??XD).
Sono appena tornata dalla sfilata di un atelier locale a cui ha partecipato la mia sorellina, e mi sono messa subito al pc a rileggere il capitolo e a postarlo! =D
Siamo ancora persi nella mente di Cass... i pensieri, le sensazioni, il dolore e gli occhi vispi e pieni di vita di un bambino...
Chissà se un giorno giocherà anche lui con una palla colorata, senza più paura di provare dolore.
Trovo dolcissimo il suo modo di imitare Dean per sopavvivere al mondo.
E' un cucciolo immaturo ed indifeso.
Sapete, trovo difficoltà a darvi spoiler per i prossimi capitoli, perché continuo a non avere un' idea precisa nel vero senso della parola.
Sto cercando di ragionare come una persona che non ha mai giocato con un pallone, che non si è mai bruciata, che non ha mai avuto mal di testa (cosa per cui metterei una firma dato che ho perennemente l' emicranea), ecc ecc.... e non è semplice, ve lo assicuro.
Farò del mio meglio...
Presto sapremo anche di Sam e Dean...
Ai prossimi capitoli allora!
Grazie a tutti...
Cleo

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Sangue e lacrime ***


Sangue e lacrime


Bobby era nel suo studio, intento a controllare alcuni volumi nella speranza di trovare una soluzione all' immane casino che si era venuto a creare.
La concentrazione, però, stentava a sopraggiungere.
La situazione gli era definitivamente scivolata dalle mani, e il vecchio cacciatore non faceva altro che domandarsi come potesse essere accaduto.
I suoi ragazzi erano distrutti. Sam era letteralmente crollato, e Dean si era chiuso in sè stesso, impedendo a chiunque di colmare quel vuoto creatosi nel proprio cuore.
Il mondo non era da meno.
L' apertura della porta del Purgatorio aveva liberato nel mondo creature peggiori di Satana in persona.
Lucifero, a confronto, era un cucciolo un po' indisciplinato. Da quando il varco era stato spalancato, i cacciatori di ogni parte del paese si erano riuniti per formare un gruppo unitario d' azione. Avrebbe ricordato quel giorno in eterno.

Un mese prima

Avevano fallito. Non erano riusciti ad evitare il peggio.
Imprigionarlo in un cerchio di fuoco non era servito. Parlargli, tentare di farlo ragionare, non era servito.
Implorarlo, rammendargli che era uno di famiglia, era servito ancora meno.
Castiel li aveva traditi.
Li aveva traditi ed ingannati.
L' unico angelo di cui si fossero mai fidati in vita loro li aveva pugnalati alle spalle, piantando lo stiletto sotto la scapola, in modo che raggiungesse direttamente il cuore.
Castiel aveva imbrogliato tutti.
Aveva imbrogliato Bobby, aveva imbrogliato Sam. Aveva imbrogliato Dean.
Era riuscito ad imbrogliare persino il suo nuovo alleato, Crowley.
Ed era riuscito a distruggere Raphael con un semplice schiocco delle dita. Avevano visto il corpo del suo tramite esplodere. I microscopici brandelli, particelle infinitesimali mescolate a litri e litri di sangue ancora bollente, erano sparsi sul pavimento e le pareti, lasciando impressa la macabra traccia dell' atto appena compiuto.
Bobby non sarebbe mai stato capace di dimenticare il ghigno soddisfatto stampato su quel volto perfetto.
Non avrebbe mai potuto dimenticare quegli occhi crudeli che lo guardavano con superiorità e disprezzo.
Non avrebbe mai potuto dimenticare quella voce che, imperiosa e severa, li invitava a prostrarsi, offrendo che unica alternativa l' oblio.

Il vecchio cacciatore non voleva morire. Il vecchio cacciatore non voleva che i propri ragazzi morissero.
Per questo, nonostante il sangue nelle sue vene stesse ribollendo per la voglia di reagire, si era prostrato.
Bobby Singer si era inginocchiato davanti alla creatura che li aveva sempre protetti e aiutati. Davanti alla creatura che si presentava come il nuovo Dio.

Aveva intimato ai suoi ragazzi di fare lo stesso, ma Castiel, o meglio, ' Dio', li aveva fermati.
Non lo stavano facendo per amore: lo stavano facendo per paura.
Così, con la promessa di non torcergli un capello se non avessero più interferito con i suoi piani, il nuovo Dio li aveva risparmiati, portando la sua giustizia per il mondo.

Non c' era stato bisogno del passaparola tra i cacciatori per sapere quello che stava combinando.
Castiel aveva deciso di fare un ingresso plateale nel mondo, e questo ingresso era stato trasmesso su uno dei network principali dello stato.
"Dio indossa un trench... ed è estremamente sexy".
Bobby non avrebbe mai dimenticato l' osservazione di quella donna adorante.

Tuttavia, per quanto qualcuno potesse pensare il contrario, non era stato quello il momento peggiore di tutti.
Il momento peggiore, era stato il vedersi piombare davanti casa una folla di cacciatori pronti a linciarli.
L' angelo era amico loro, lo sapevano tutti grazie ai libri di Chuck, e loro dovevano pagare per i suoi errori.
Nessuno aveva voluto ascoltare la loro versione.
Forse, perché non ne erano veramente convinti neppure loro.

Sam era distrutto, incapace di reagire.
Aveva fatto una scenata davanti a quei pazzi furiosi, urlando che il Diavolo era lì con loro e presto li avrebbe condotti tutti all' inferno.
Dean era stato costretto a sedarlo e a legarlo al letto per evitare che si ferisse con le proprie mani.
E lui... lui aveva dovuto pensare a tenere a bada quell' orda di barbari.

"Tutto questo non centra con noi" - aveva esordito - "Noi non sapevamo cosa avesse in mente".
Se n' era lavato le mani.
Si era davvero lavato le mani come Ponzio Pilato, con l' eccezione che, sta volta, l' imputato era colpevole. Colpevole non di essersi dichiarato figlio di Dio, ma di essersi dichiarato Dio in persona. Ma al vecchio cacciatore, non importava per davvero.
E Bobby, come Pilato non voleva crocifiggerlo, al contrario della piccola folla che voleva condurlo alla morte nel modo più doloroso e lungo possibile.

Fortunatamente, la lungimiranza e il carisma di Bobby erano stati capaci di mettere un freno all' odio e alla distruzione.
Aveva un piano. Avrebbe fatto di tutto per realizzarlo, compreso il chiedere l' aiuto di quei pazzi che si erano presentati a casa sua per fargli la pelle.

La questione era semplice: guardando le immagini in tv, Bobby si erano accorto che Jimmy si stava pian piano consumando.
Evidentemente, Cass non aveva calcolato che il proprio contenitore non sarebbe stato in grado di contenere tutto quel potere.
Era certo che si stesse indebolendo, e la prova l' aveva avuta dall' ultima epurazione di Cass, andata a rotoli: non era riuscito a punire neanche un ' fedele a lui infedele' .
La cosa difficile era una: cercare di attirarlo con una scusa.
Prima di passare al piano b avevano cercato di intrappolare Morte su consiglio di Dean. Il suo ragazzo era certo che avrebbe potuto aiutarli.
Purtroppo però, Cass li aveva scoperti e aveva interrotto quel legame forzato con un semplice schiocco delle dita.
Avevano fallito miseramente.
Questa volta non sarebbe accaduta la stessa cosa.

Il piano era semplice: Bobby aveva trovato un incantesimo che avrebbe slegato Cass dalle anime che teneva prigioniere, e avrebbe dovuto pronunciarlo mentre un altro cacciatore, George, avrebbe pronunciato l' incantesimo che avrebbe riaperto le porte del Purgatorio. Nel frattempo, gli altri cacciatori avrebbero tenuto le anime intrappolate nel magazzino, cerando di indirizzarle verso ' casa ' . A Dean toccava il compito più difficile: invocare ' Dio ' e cercare di non farsi ammazzare prima di aver completato il rituale. Sam sarebbe rimasto a casa.
Tutto era stato calcolato.
Avevano studiato tutto nei minimi dettagli.
Così, avevano deciso di invertire il rituale quello stesso giorno. O meglio, Morte, gentilmente offertosi di aiutarli a sbarazzarsi di quell' angelo mutato - così si era rivolto a Castiel - aveva provocato una nuova eclissi, invitandoli cordialmente a muovere il culo.
Non mancava niente.
Tranne quel pizzico di fortuna che come sempre fa la differenza.

Dean non era nervoso. Questa era la cosa peggiore di tutte.
Sembrava che non vedesse l' ora di far fuori quel bastardo che lo aveva tradito. Non gli importava se il bastardo in questione fosse il suo angelo sulla spalla o no.
Mille dubbi, invece, avevano divorato Bobby. Era certo che Cass non sarebbe sopravvissuto a quel trattamento.
Era per il bene dell' umanità, d' accordo, ma come avrebbe potuto guardarsi ancora allo specchio dopo aver fatto una cosa simile?
Stavano tramando alle sue spalle: non era molto diverso da quello che aveva fatto lui.
Ma era tardi ormai per tirarsi indietro.

Così, Dean era andato nel magazzino, seguito da una schiera di assassini incazzati come belve.
Il giovane Winchester era certo che avrebbero preteso il suo sangue se il piano fosse andato a puttane.
Lo riusciva a leggere dalle loro espressioni assatanate.

Facendosi coraggio, aveva cominciato a chiamare colui che era stato un fratello. E forse molto di più.

Il nuovo Dio non si era fatto attendere, solo che Dean non avrebbe mai immaginato che davanti ai propri occhi si presentasse una simile scena: il tramite di Castiel era corroso fino all' inverosimile. La pelle era come bruciata, grondante sangue. Gli splendidi occhi blu erano rossi e colmi di lacrime. Tremava.
Tremava talmente tanto da non essere capace neppure di reggersi in piedi: Castiel, perché quello non poteva essere altri che Castiel, era caduto in ginocchio, respirando a fatica la poca aria che riusciva ad entrare nei suoi polmoni.

"Dean..." - aveva implorato - "Aiutami".

Ma Dean non aveva prestato ascolto a quella supplica appena sussurrata.
Il piano era iniziato nello stesso istante in cui Dean lo aveva invocato, e non si poteva tornare indietro: George aveva aperto la porta del Purgatorio, e Bobby aveva cominciato a recitare l' incantesimo che avrebbe slegato le anime dal corpo di Jimmy Novack, dalla Grazia di Castiel stesso.

Però, come tutti i piani studiati fino alla nausea, le cose non erano andate come previsto: nel vedere lì, inerme, impotente e ferito l' essere che aveva alterato l' equilibrio del mondo, i cacciatori loro alleati che avrebbero dovuto occuparsi delle anime si erano scagliati su di lui, ferendo, tagliando, dilaniando quelle carni che già tanto avevano sofferto e patito.

Castiel urlava. Urlava come mai si era sentito urlare un altro essere sulla faccia della terra.
Bobby aveva cercato di fermare quello scempio, ma gli era stato impedito: George, lo stesso George che aveva aperto le porte del Purgatorio, lo stava trattenendo per le braccia.

"Guarda bastardo. Guarda come si punisce la puttana di un demone! Guarda come si punisce un traditore!".
Lo stesso trattamento era stato riservato a Dean, anche se era stato molto più complicato fermarlo.
I due cacciatori stavano assistendo, impotenti, a quello scempio.

Loro colpivano e Castiel urlava.
Gli aguzzini, però, non sembravano essersi resi conto di una cosa assolutamente incredibile: ad ogni fendente, un fiotto di luce abbagliante lasciava quel corpo martoriato, straziato, librandosi nell' aria fino a sparire attraverso le pareti.

Si trattava delle anime.
 Possibile che quegli stolti non si rendessero conto che non stavano prendendo la via verso il Purgatorio ma si stessero dirigendo libere verso il mondo??
Era stato inutile urlarglielo contro. La loro rabbia era troppa, e non gli permetteva di capire.

Castiel era stremato.
Tremante, pallido, ricoperto di sangue, era stramazzato al suolo, incapace di muovere anche solo le palpebre.

La punizione più severa, però, doveva ancora arrivare: un cacciatore, un omone enorme, con gli occhi sporgenti e una folta chioma corvina aveva dato fuoco ad un vecchio pezzo di plastica abbandonato lì in un angolo, avvicinandosi pericolosamente a Castiel.

"Troia! E' questo quello che sei! Una brutta, luridissima troia!" - aveva afferrato il morente per i capelli, strattonandolo all' indietro fino a farlo inginocchiare.
Cass aveva in viso inondato di lacrime e sangue.
"Sai come si purificano le troie come te, eh?" - detto ciò, aveva pericolosamente avvicinato quella rudimentale torcia al trench del malcapitato - "Con il fuoco".
In un attimo, il vecchio e logoro indumento aveva preso fuoco.

Però, nello stesso istante in cui le fiamme avevano attecchito, l' impianto anti- incendio aveva avuto la premura di attivarsi.
Era stato all' ora che l' imprevedibile aveva preso forma: dalle ferite che deturpavano il corpo di Castiel, aveva iniziato a fuoriuscire uno strano liquido nero e vischioso che, a contatto con l' acqua accumulatasi sul pavimento, aveva preso a muoversi seguendo un percorso prestabilito.

Sotto gli occhi di Bobby e Dean, i cacciatori avevano cominciato ad essere infettati da quello strano liquido, che, iplacabile, aveva invaso ogni singola cellula dei loro corpi.
Fortunatamente, i due cacciatori erano stati abbastanza scaltri da fuggire via e mettersi al sicuro nella macchina di Dean, correndo veloci verso casa.

Il piano era andato a puttane: le anime erano libere per il mondo, e i cacciatori... Erano vivi, o quella specie di liquido aveva fatto loro dell' altro?
E Castiel? Castiel... L' avevano lasciato lì, in balia di quei pazzi che volevano bruciarlo vivo.
Come avevano potuto farlo?

A capo chino, vergognandosi di sè stessi, Bobby e Dean erano entrati in casa.
"Salve, ragazzi..." - la voce di Crowley li aveva colti di sorpresa.
"Che cazzo vuoi lurido bastardo figlio di...".
"A-ah! Dean! Non c' è bisogno di essere scortesi! In fondo, sono venuto qui solo per restituirvi questo".
Ai suoi piedi, giaceva immobile qualcuno che conoscevano bene, qualcuno che di solito indossava un trench logoro e troppo grande per lui, di cui ora, però, non erano rimasti che pochi brandelli bruciacchiati.

"Castiel!" - Bobby non ci aveva pensato due volte: si era gettato sul ragazzo ferito, verificando se fosse ancora in vita o meno.
Il respiro era ridotto a niente, il battito ad ancora meno, ma lui era lì. Era lì con loro. E poteva giocarsi la casa che avrebbe fatto di tutto per tenercelo!
"Perché l' hai salvato?" - non aveva potuto evitare di chiderlo.
"Sai, mio caro Bobby, il nostro matrimonio è stato breve e si è concluso con un brusco tradimento, ma ho a cuore questo gattino... che vuoi farci?
Come si fa a resistere a quegli occhi blu?".
Schifoso.

Dean, dal canto suo, era rimasto come pietrificato: il suo viso non lasciava trasparire alcuna emozione.
"Che cazzo è successo a tutti gli altri?".

Crowley, increspando le labbra, si era avvicinato al ragazzo, guardandolo dritto negli occhi. Sembrava che volesse incenerirlo.
"Per quei poveri bastardi non c'è più nulla da fare. Avete fatto il casino più grande della storia fidandovi di quei cazzoni. I miei complimenti".
Aveva detto tutto senza dire niente.
"Ti ho detto" - aveva marcato Dean afferrando il demone per un braccio - "Che cazzo è successo agli altri".
Stizzito, si era liberato dalla morsa del cacciatore.
"Quegli idioti non solo hanno liberato per il mondo centinaia di anime su cui anche il più infimo dei demoni si fionderà su, ma hanno anche dato gratuitamente ospitalità alla più antica creatura divina".
I due cacciatori lo guardavano allibiti. Che cazzo stava dicendo quel bastardo?

Crowley attendeva invano che loro capissero. Possibile che fossero tanto tonti??
"Niente? Possibile?".
Il demone, esasperato, aveva allargato platealmente le braccia.

Proprio in quell' istante, però, Sam aveva fatto il suo ingresso in sala.
Si reggeva appena in piedi, ma era abbastanza lucido da riuscire a far parte di quella conversazione.
"Leviatani".
Tutti e tre si erano girati verso di lui.
"Sono stati posseduti dai Leviatani".
"Bingo, Sam".
Bobby e Dean si scrutavano senza capire.

Continua...
___________________________________________________________________________________________________________

Salve a tutti!!
Finalmente ho avuto la decenza di raccontarvi come sarebbero potute andare le cose dal mio punto di vista.
Spesso, credo che si esageri nel concentrare tutto su di loro. Capisco che siano dei prescelti, capisco che siano speciali, ma il mondo non sta fermo a guardare mentre Dean, Sam e Bobby portano l' intero peso di tutta la galassia sulle loro spalle. E' un tantinello inverosimile a lungo andare. (Ok, ora mi lancerete contro i pomodori XD).
Però, come avete potuto ben vedere, i cacciatori presentatisi alla loro porta avevano tutto fuorché nobili intenzioni.
Pugnalare e cercare di dar fuoco ad un essere spaventato e sofferente... si può essere più crudeli di così?
Il mio cuore piange...
La freddezza di Dean non conosce limiti. Ho paura del modo in cui potrei sviluppare il suo personaggio.
Che mi dite, invece, dell'  "inconveniente" delle anime e del salvataggio di Cass da parte di Crowley?
Aspetto vostre notizie...
Che altro c'è da dire?
Mi sono andata ad imbarcare in un' altra fanfiction - chi l' avrebbe mai detto? XD.
Sto scrivendo dei miei due guerrieri sayan preferiti... Una Vegeta/Goku me la concederete, vero???*.*
E non dimenticatevi della fanfiction su Merlin!!
(E, se devo dirla tutta, ne ho iniziata un' altra su Supernatural, ma se ne riparlerà moooooolto più in là!).
Bene bene...
Vi ho stressati abbastanza!!
NON ODIATEMI!
A presto...
Un bacio grande!
Cleo


Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Fire ***


Fire


Castiel si era lasciato cadere sul materasso, vestito, incapace di muovere anche solo un muscolo.
Alla fine, dopo un lungo vagare, era riuscito a trovare un bed and breakfast (ecco qual era quello stupido nome che non riusciva a ricordare) a buon prezzo.
Non avrebbe saputo ripetere cosa aveva letto sull' insegna, perché, in realtà, non l' aveva neppure letta.
Il dolore lancinante che sentiva alla testa lo stava facendo impazzire, impedendogli persino di tenere per molto tempo gli occhi aperti in presenza della luce.
Per questo, non si era neppure curato di aprire le tende e le finestre per far cambiare l 'aria pesante che si era impossessata di quella stanza, gettandosi sul letto a peso morto.

Tremava.
Tremava incontrollabilmente.
Non riusciva a prendere pace e la pelle sembrava bruciare a contatto con i vestiti.
Cosa diavolo poteva essere quella sensazione?

A questo pensava Castiel, mentre il sonno si impossessava di lui.

                                                                              *

Era un sonno agitato quello che era venuto a fargli visita.
Un sonno pieno di visi sconosciuti.

Si trovava in uno strano magazzino. Freddo, illuminato da una luce a neon lampeggiante.
Bobby era in un angolo della stanza e stava recitando una formula che non aveva mai sentito.
Poi c' era un altro uomo... non l' aveva mai visto prima... non sapeva chi fosse...  probabilmente si trattava di un cacciatore... anche lui stava pronunciando un incantesimo.
Questo, però, lo ricordava. Lo ricordava perché era stato lui stesso a formularlo, tempo addietro.
E, tra tanti altri volti che non conosceva e che lo osservavano con occhi carichi d' odio, finalmente, aveva trovato ciò che cercava: Dean.
Ma, anch' esso, lo guardava come mai lo aveva guardato prima.
Rancore misto ad una punta di disprezzo.
Mai avrebbe creduto che quegli occhi di giada potessero trapassarlo in quel modo, da parte a parte, facendogli provare ancora più dolore di quello che già stava provando.

Il corpo del suo tramite grondava sangue e sudore.
Aveva come la sensazione che si stesse liquefacendo, sciogliendosi dall' interno.
Ma non era qualla la cosa che gli faceva più male.
Sentiva qualcosa in lui che si muoveva, che graffiava, che scalciava, tentando di venire fuori.
Era inutile stringersi le stanche braccia contro il torace nel disperato tentativo di trattenere ciò che lo stava divorando.
Sarebbe uscito comunque.
Sperava solo di avere la forza necessaria per trattenerlo, anche se per poco.

"Resisti Cass... ci siamo quasi"- continuava a ripetergli Bobby - "Resisiti. Un altro po', e tutto sarà finito".
E lui ci stava provando.
Stava provando davvero a resistere.
E, forse, ci sarebbe anche riuscito se, poco dopo, non fosse accaduto l' imprevedibile.

Un calcio.
Un violentissimo calcio lo aveva colpito in pieno fianco, facendolo stramazzare al suolo.
Era certo che alcune delle sue costole si fossero fratturate, perforando un polmone.
Faceva male... un male che non aveva mai provato nella sua millenaria vita.
Neppure quella volta in cui era diventato umano, e aveva trascorso giorni e giorni in ospedale poteva considerarsi paragonabile a quello.
Respirare era diventato impossibile.
Ogni volta che cercava di farlo, gli sembrava di essere sul punto di svenire.
Per di più, un caldo fiotto di sangue aveva fatto a ritroso il percorso lungo brochi e trachea, riversandosi al di fuori delle sue labbra secche e bianche.

"Troia!" - gli aveva detto, sferrandogli un altro micidiale calcio - "TROIA!".

Quello che era accaduto subito dopo, Castiel non riusciva a comprenderlo.

Le persone... quella moltitudine di uomini e donne che lo guardavano con odio, avevano estratto temperini e pugnali, gettandosi su di lui con una furia che sembrava impossibile potesse appartenere a degli esseri umani.

Le lame si insinuavano nelle sue carni, ferendole, dilaniandole, squarciandole.
Sentiva il freddo del metallo penetrargli le carni, aprendole in due.
Era terribile.
Era peggio delle costole penetrate nel polmone.

E lui urlva.
Urlava, gemeva, piangeva disperato, ma nessuno sembrava sentire le sue suppliche.
Anzi, ognuna di essere sembrava indurre quei mostri a colpire con maggiore ferocia.

Castiel, però, in quella sconfonata agonia, si era reso conto che non era solo sangue quello che sgorgava dalle ferite aperte sul suo corpo.
Era come se quello che stava cercando disperatamente di trattenere dentro di sè, stesse sfuggendo man mano, senza che lui potesse porvi rimedio.
E la stanchezza... un' assurda, logorante stanchezza, si stava impossessando di lui.

Non riusciva a vedere quello che accadeva attorno a lui: tutto era confuso.
Il dolore si era mischiato al sangue e alle lacrime che inondavano il suo volto, offuscandogli la vista.
Era certo di aver sentito le voci di Bobby e Dean chiamarli, ma erano qualcosa di simile ad un' eco lontana.

"Troia!" - aveva detto una di quelle persone, ad un certo punto - " E' questo quello che sei! Una brutta, luridissima troia!" - gli aveva detto uno di quei mostri mentte lo afferrava per i capelli, strattonandolo all' indietro fino a farlo inginocchiare.
Cass aveva in viso inondato di lacrime e sangue.

"Sai come si purificano le troie come te, eh?" - gli aveva detto, avvicinando pericolosamente qualcosa di terribilmente caldo alla stoffa logora del suo trench - "Con il fuoco".
L' indumento aveva preso fuoco in meno di un secondo.

' Padre mio, ti prego, se puoi perdonami. Perdonami e fammi morire adesso. Perché io non sono capace di portare questa croce '.

Il calore lo stava facendo impazzire.
Riusciva ad avvertire il fetore delle proprie carni bruciare.
Le sue urla si erano mischiate alle incitazioni si chi gli stava attorno.

' Padre mio... ti prego! '- ma, quest' ultimo, sembrava non volerlo ascoltare.

                                                                                *

"AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAHHHHHHHHHHHHHHHHHHHH!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!".

Si era svegliato di soprassalto, scoprendosi avvolto da una crescente oscurità.
Era sudato. Così sudato, che la coperta sotto di lui era zuppa.
Il cuore palpitava così forte che sembrava sul punto di volergli uscire fuori dal petto.

Non c' era fiamme attorno a lui, eppure, riusciva a percepire la puzza della carne bruciata.

"Ma che cosa sta succedendo...? Che cosa sta succedendo??".

Reale.
Era stato tutto troppo reale, troppo vivido.
Troppi particolari, troppo dolore.
Dolore che sentiva sul suo corpo scosso da tremiti continui.

Quello non era stato un sogno.
Era stato un ricordo di qualcosa che aveva fatto. O meglio, che gli avevano fatto.

Ma perchè?? Perché gli era accaduto tutto quello??

TOC-TOC

Qualcuno stava bussando alla porta della sua stanza.

"Si....?" - aveva risposto, con voce tremante.
"Signore... sono la cameriera... tutto bene? L' abbiamo sentita urlare...".

Cass respirava, cercando di recuperare una parvenza di calma.

"Sto... sto bene... non è niente... mi scusi...".

Silenzio. La cameriera stava valutando la sua risposta.

"Va bene signore... per qualunque cosa, chimi. Mi raccomando".
"C-certo... Grazie".
"Buonanotte".
"Buonanotte...".

L' aveva sentito. La cameriera l' aveva sentito urlare ed era corsa in suo aiuto.
Perché lei, una perfetta sconosciuta, era corsa ad aiutarlo, e Bobby e Dean lo avevano lasciato lì, per terra, in balia di quelle belve?
Perché la persona che amava più al mondo lo aveva lasciato alla loro mercè?
Quegli occhi duri e severi continuavano a tornargli in mente...

"Dean...".

La sua mente non avrebbe mai smesso di correre verso di lui.
Mai. Nonostante i dubbi ed il dolore.
Come si può dimenticare l' altra metà del tuo cuore?

                                                                                *

"Ah!".
Dean Winchester aveva lasciato cadere la tazza di caffè che, inevitabilmente, si era ridotta in centinaia di piccoli pezzi.
Un dolore... un dolore fortissimo aveva attraversato il suo petto, proprio all' altezza del cuore.

"Dean! Stai bene?! - Bobby si era precipitato verso di lui.
"Sto- sto bene! Sto bene Bobby. Tranquillo".

Il cuore palpitava all' impazzata.
Che cazzo gli stava succedendo?
Dean non lo sapeva.
Sapeva solo una cosa: nello stesso istante in cui il dolore aveva fatto capolino, aveva avuto l' impressione che qualcuno avesse pronunciato il suo nome.
E, tra tutte le voci del mondo, non avrebbe mai potuto confondere quella che aveva appena udito.
La voce roca e profonda di Castiel.

Continua...

______________________________________________________________________________________________________________________

Ciao a tutti!!
Come ve la passate, fan di Supernatural?
Io, dopo l' episodio di sabato, sono sempre più confusa.
Ma non mi va di parlarne, o mi deprimo, ed oggi è un giorno importante: ho raggiunto un traguardo inaspettato con la fanfiction su Merlin, e sono in fase di festeggiamenti!
Lo so, lo so!!
Qui siamo nella sezione Super, e si parla di Super! Perdonatemi! ;P
Sono solo un' aspirante scrittrice in preda ad uno dei suoi deliri!

Castiel. Piccolo, dolce, stupendo Castiel. Le allucinazioni di perseguitando da sveglio, e i ricordi ti disturbano in sonno.
Eri tu a dover raccontare il tuo dolore. Mi sembrava giusto così.
Ora, però, credi che Bobby e Dean siano stati complici della tua sofferenza, della tua "punizione".
Ma hai ragione... non odierai mai Dean... mai!
Qualunque cosa accada, anche se dovesse essere lui a porre fine alla tua vita, non potresti mai odiarlo.
E tu, Dean... ascolta ciò che il tuo cuore ha da dirti, per una volta.

Grazie a tutti voi!
Vi adoro...
Cleo

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** I sogni sono reali ***


I sogni sono reali


Sam era in salotto, seduto su quella maledetta poltrona che ormai sembrava essere diventata una sorta di appendice della sua enorme mole, reggendo in mano il pesante volume affidatogli da Bobby. La testa gli doleva molto: quella notte non aveva dormito, e una leggera febbre lo stava tormentando da settimane, sommandosi a tutti gli altri dolori fisici e mentali che lo opprimevano ormai da tempo, rendendolo lo spettro si sè stesso.

Dean e Bobby erano usciti presto, quella mattina.
C' era un' importante riunione con un gruppo di cacciatori, e loro dovevano presidiarla.
Avevano trovato un cospicuo numero di anime nel Kansas, e dovevano fare gruppo per tenerle imprigionate in un unico luogo, nel tentativo di trovare un modo per rispedirle al mittente.
A volte, nonostante le porte del Purgatorio fossero state chiuse, si poteva ricorrere al metodo classico, almeno per quell' esiguo numero di persone decedute entro un lasso di tempo di 150 anni di cui si riusciva a scoprire l' identità e a trovare la tomba.
La cosa strana era una, stando a quello che gli aveva raccontato Dean: alcune anime si erano rivolte ai cacciatori spontaneamente per far si che trovassero i loro resti e potessero così trovare la strada di "casa". Ma tante altre... troppe... quasi tutte, avevano preferito godersi la vacanza, celandosi ai cacciatori, per poi sfogare la loro rabbia libere e indisturbate.

Quella situazione era assurda...
E lui si sentiva inutile. Non poteva fare niente se non rimanere lì su quella poltrona a non fare niente, per l' appunto. Lì, in quel maledetto salotto, in compagnia dei suoi incubi più grandi che lo guardavano ghignando.

"Sam... quando capirai che devi smetterla di lambiccarti così il cervello?
Davvero la nostra compagnia ti dà così tanto fastidio? Eppure, credevo che fossimo diventati amici, ormai...".
Lucifero era seduto sul bracciolo del divano, proprio accanto al giovane Winchester, e lo osservava divertito. Il re degli inferi era nel corpo del suo primo tramite, Nick, che sembrava non avere problemi a contenerlo, sta volta. Questo, a parere di Bobby, doveva essere il sintomo più evidente che quella fosse solo un' allucinazione, ma era difficile distinguere la realtà nelle sue condizioni.

"E' vero... potremmo anche offenderci, sai, Sam?" - gli aveva fatto eco Michael.
Quest' ultimo si trovava nel corpo di Adam, nel corpo del fratello che aveva scoperto da poco di avere e che gli era stato strappato via ancora prima di poterlo conoscere.
Era in piedi, appoggiato con le spalle allo stipite della porta, con le braccia incrociate al petto, ed un piede posato sull' altro. Gli occhi chiari posati su di lui, come se volesse trapassarlo da parte a parte. Come se stesse cercando di farlo impazzire più di quanto già non fosse.

Il ragazzo aveva finto di ignorarli, cercando di concentrare la propria attenzione sul volume, inutilmente.
Come poteva trovare la concentrazione con quei due per casa che si divertivano a fargli rivivere quello che aveva passato all' inferno per un lunghissimo, estenuante anno??
D' istinto, aveva serrato le palpebre più forte che poteva. Ma sapeva che non sarebbe servito a nulla. Loro non lo avrebbero abbandonato. Sarebbero rimasti lì, con lui, per tutto il tempo che avrebbero voluto. Perché solo Sam poteva vederli. E non aveva la più pallida idea di come fare per mandarli via.

"Fratello... non trovi che il nostro giovane amico sia un po' sciupato?" - aveva detto Michael, dirigendosi verso Lucifer a grandi passi.
"Sai, stavo per dirti la stessa cosa... Lo trovo così pallido, smagrito...
Eppure, credevo che il nostro speciale trattamento lo avesse reso più forte...
Cosa c'è Sammy? La nostra personalissima S.p.a. non è stata di tuo gradimento?".

Il ragazzone si era nascosto ancora di più dietro il libro. Ma perché non lo lasciavano in pace?
Perché proprio a lui era toccata una simile croce da portare?
Perché Castiel aveva fatto un simile torto proprio a lui?

"Non credi di doverla smettere, Sam? Il piccolo Cass ha fatto quello che ha fatto...
E' stato... come dire... egoista? Crudele? O forse dovrei dire geniale?" - aveva continuato Lucifer -
"Presentarsi come il nuovo Dio sceso in terra... Devo ammetterlo... Mi ha superato!
E non era neanche uno dei miei allievi... Ah! I giovani imparano più in fretta, non c'è storia!".

"E' proprio vero! Castiel è stato una grande sorpresa... Far crollare il muro che Morte aveva costruito con tanta diligenza solo con uno schiocco delle dita...
E poi, glielo devo concedere: non avrei mai pensato di impossessarmi delle anime del purgatorio e atteggiarmi a nuovo Dio...
Pensare che lui ci teneva tanto ad essere il cocco di Papà...".
"Bè, Michael, tu non eri da meno!".
"Sentite un po' chi parla...".

Sam aveva lasciato cadere il libro in grembo, tappandosi le orecchie con le mani.
Stavano per rifarlo. Stavano per ricominciare a litigare.
E quando il Principe delle Armate Celesti e Satana in persona litigano, l' Apocalisse arriva in terra.

Michael si era scagliato contro Lucifer con il proprio stiletto angelico, ma quest' ultimo si era spostato prontamente, evitando il colpo, e lanciando una sfera infuocata.
I due urlavano, si ferivano, si dilaniavano a vicenda.
Non ci sarebbe stato modo di fermarli, niente e nessuno avrebbe potuto placare la loro ira.
E Sam lo sapeva... Sapeva che presto si sarebbero stancati di attaccarsi a vicenda e avrebbero concentrato la loro attenzione sul bersaglio più vicino.
Sapeva che avrebbero scaricato tutto l' odio e il risentimento su di lui.

"No!" - aveva appena sussurrato Sam, mentre si era tirato le ginocchia al petto, riuscendo, stranamente, ad entrare per intero nella poltrona - "No!! Smettetela! Basta!".

Lucifer aveva lasciato Michael, comparendo alle sue spalle: aveva il volto tumefatto e gli occhi iniettati di sangue.
"Basta, Sammy? Hai sentito, fratello? Il piccolo Winchester vuole che la smettiamo di litigare!".

Michael si era pulito il sangue che colava dalle sue labbra con il dorso della mano, sorridendo malefico al fratello.
"Oh, ma davvero? Com' è , stupida scimmia senza peli, ti da fastidio vedere due fratelli che si scambiano opinioni in maniera ' animata '? Povero piccolo... com' è sensibile lui!".
Si era avvicinato a Sam, puntandogli lo stiletto nella piccola porzione di fronte che spuntava da dietro le sue ginocchia.
Il ragazzo aveva sentito la lama lacerargli la carne, e un rivolo di sangue caldo e denso aveva iniziato a colargli sui bei lineamenti.
Era l' inizio. Quello era solo l' inizio. Presto avrebbero cominciato a picchiarlo, a dilaniare le sue carni, e lui non avrebbe potuto fare niente se non subire inerme quelle indicibili crudeltà.
Dean e Bobby lo avrebbero trovato a terra, riverso nel suo stesso sangue.
Non doveva permetterlo. Non poteva permetterlo.

"No...".
Lucifer gli aveva posato una mano sulla spalla, stringendo così forte quell' artiglio da fare male.
"No...".
Michael aveva fatto scorrere la lama sulla sua pelle, aumentando la profondità del solco.
"NOOO!!!!".

Non avrebbe sopportato oltre.
L' adrenalina si era impossessata di lui, e Sam, con uno scatto improvviso, si era messo in piedi, correndo come un forsennato verso la porta di ingresso.
"Cucù! Dove pensi di andare Sam??" - Lucifer gli aveva bloccato la strada.
Terrorizzato, il ragazzo aveva cambiato direzione, spostandosi verso la cucina.
"Quanta fretta!! Io e Lucifer vogliamo solo giocare un po' con te! Tu non vuoi giocare con noi??".
"Lasciatemi in pace! No!".
"Forza Sam!" - avevano detto all' unisono, mentre si incamminavano verso di lui con una lentezza esasperante - "Vieni a giocare con noi!".
"NO!".

Tutto era accaduto in pochi istanti: il gigante era inciampato nei suoi stessi piedi, preso dal panico, cozzando contro la vetrata che, inevitabilmente, si era sfondata, infrangendosi sotto il peso considerevole del ragazzo.
Sam era caduto al suolo, privo si sensi, steso su centinaia di schegge di vetro che gli avevano perforato le carni. Una sinistra chiazza scura si stava allargando sotto il suo corpo.

Sam non aveva potuto sentire il rumore della porta d' ingresso che si apriva di scatto.
Sam non aveva potuto sentire le voce concitate di Dean e di Bobby che lo chiamavano.
Sam non aveva potuto sentire le mani di suo fratello che, energicamente, lo sollevavano da terra.
L' unica cosa che aveva potuto sentire Sam, erano le risate malefiche dei due carnefici che lo ferivano più di mille coltellate.

"Ma che cazzo è successo?? Sam! Sam! Mi senti?? Sam!!".
"Lu-Lucifer... Michael... no..." - aveva sussurrato, ad un certo punto.
Il sangue si era gelato nelle vene di Dean.

"Ragazzo..." - gli aveva detto Bobby, posandogli una mano sulla spalla, ma Dean si era prontamente scostato, rivolgendogli uno degli sguardi più furenti del suo repertorio.

"Dimmi, Bobby, sei ancora convinto che Castiel non meritasse l' inferno?".
L' anziano cacciatore non aveva avuto il coraggio di replicare.

Continua...

_______________________________________________________________________________________________________________________

Salve!!!
Come andiamo??
Spero bene!! Io, così così... sono un paio di giorni che soffro di capogiri... Credetemi, non so come ho fatto a scrivere questo capitolo!
Per questo, se non è all' altezza dei precedenti, perdonatemi!
Ma avete appreso la notizia?? Pare che Misha tornerà nel tf!! Che gioia!! Non so se in veste di Cass o di capo-Leviatano, ma sarà di nuovo con noi.
In ogni caso, Cass vivrà in eterno nelle nostre fan-fics!=)
Questo capitolo l' ho dedicato a Sam... Glielo dovevo!
Fatemi sapere cosa ne pensate!
Grazie a tutti coloro che hanno letto e recensito!
Un bacio grande!
Cleo

Ps: ricordatevi sempre che ho altre due fanfiction in cantiere!;)
A prestissimo!
<3

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** One week ***


One week


Cass si era svegliato di colpo, con la sensazione che qualcuno lo stesse osservando.
Lentamente, evitando di compiere bruschi movimenti che avrebbero solo aumentato le sue sofferenze, il neo-uomo si era sollevato sui gomiti, lasciando che il lenzuolo scivolasse lungo la sua schiena perfetta.
La stanza era immersa nella stessa penombra dell' istante in cui vi aveva messo piede, e i suoi occhi gonfi non riuscivano a distinguere bene ciò che lo circondava.
Eppure, nonostante quella chiara difficoltà, sembrava che l' unico essere vivente in quella stanza fosse proprio lui.
Torcendosi delicatamente, era finalmente riuscito a mettersi seduto.
Avvertiva un freddo innaturale che gli faceva battere i denti. D' istinto, si era cincondato il corpo con le sue stesse braccia, ma questo gesto di autoprotezione non aveva fatto altro che aumentare una sorta di forte pressione che avvertiva al basso ventre. Doveva urinare, e subito.
Facendosi coraggio, aveva posato un piede sulla moquette verde, facendo sì che il suo gemello lo raggiungesse subito dopo. Se la necessità di svuotare la vescica non fosse stata così impellente, era certo che quei due miseri arti non avrebbero retto il peso - ormai esiguo - del suo corpo.

A tentoni, reggendosi contro il muro, aveva raggiunto la tazza, espellendo ciò che al suo corpo non serviva più senza neanche accendere la luce.
Non voleva vedere più il proprio volto riflesso nello specchio: era certo che non l' avrebbe sopportato. Per questo, aveva tirato lo sciacquone, e si era lavato le mani ed il viso fissando come un ossesso l' acqua che eseguiva un elegante mulinello prima di finire giù, lungo il tubo di scarico.
E, così come aveva lasciato la camera da letto, vi era ritornato.

C' era un forte odore di chiuso nell' aria, come se nessuno aprisse le finestre da giorni.
Strano. E il suo stomaco emetteva rumori sinistri.
Per di più, aveva la bocca completamente asciutta. La gola sembrava bruciare.
Odiava quelle sensazioni che ormai aveva imparato a riconoscere come fame e sete.
Anche se, a malincuore, doveva ammettere che esse costituivano le uniche certezze di cui era in possesso, in quel frangente.
E, per quanto potessero fare male, le avrebbe accolte come dei doni preziosi.

Sfinito, si era seduto sul letto, sentendo il morbido materasso piegarsi sotto il suo peso.
Diverso. Era terribilmente diverso dal terriccio su cui aveva dormito in precedenza.
Distrattamente, aveva cominciato ad accarezzare il copriletto blu acquamarina.
Quanto tempo avrebbe potuto trascorrere lì?
Non aveva niente, a parte quei pochi soldi che gli erano stati consegnati quando era stato... quello che era stato, e alcuni erano stati spesi per mangiare e per pagare le tre notti di permanenza in quel posto. Purtroppo, osservando gli esseri umani, aveva capito che quei pezzi di carta e di metallo simili a tanti altri nel mondo e apparentemente senza valore, erano il lasciapassare per vivere. Senza denaro, non si poteva mangiare, non si poteva viaggiare sui mezzi, e non si poteva dormire negli alberghi.
Il fatto era semplice: lui non aveva la più pallida idea di come fare per avere del denaro.
Non era capace di lavorare. Non era capace di fare niente, a dirla tutta.

Dean non lavorava... Dean utilizzava metodi non propriamente leciti per procurarsi del denaro, ma a lui tutto era concesso. Il mondo non lo sapeva, ma lui e suo fratello avevano sventato l' Apocalisse. Lui e suo fratello si erano sacrificati per il bene dell' umanità intera.
Lui e suo fratello... Lui...  Lui non faceva più parte della sua vita.

TOC-TOC-TOC.

"Signor Novack... sono sempre io... Novaline...".
Cass non era trasalito. Aveva riconosciuto la voce come quella della cameriera che aveva bussato alla sua porta il primo giorno, quando era appena arrivato, ma non ricordava che avessero fatto le presentazioni.
Non perdendo tempo, si era diretto verso la porta, aprendola con un solo scatto della maniglia.
Il viso gioviale della ragazza lo aveva accolto, così come l' invitante profumo delle pietanze che reggeva su di un vassoio rosso sandalo. Per un attimo, il mondo gli era parso migliore.

"Signor Novack... è in piedi! Che sollievo! Ho piacere nel vedere che le medicine stiano facendo il loro dovere! Le ho portato qualcosa da bere e da mangiare... so che non dovrei, ma lei... oh bè! Mi faccia entrare!".

Cass l' aveva lasciata passare, incapace di comprendere il significato del suo discorso.
Medicine? Ma di cosa stava parlando?

La ragazza aveva posato il vassoio sullo scrittoio, e si era affrettata a scostare le tende e ad aprire le finsetre. La luce calda del giorno aveva invaso quel luogo fino a qualche secondo prima simile ad una cripta, e, con essa, l' aria fresca del mattino aveva fatto capolino.

"Ecco! Così va meglio!".

Castiel quasi non riusciva a crederci. Era come se vedesse il sole per la prima volta.
I suoi occhi avevano avuto bisogno di un attimo prima di abituarsi di nuovo al suo splendore.
Grazie al cielo (e per lui era davvero una cosa strana da dire), non c' era voluto molto.
Spostando lo sguardo qua e là per la stanza, si era accorto della quantità esorbitante di pillole colorate che erano state adagiate sul comodino accanto al letto con annessi due bicchieri vuoti.
Sulla sedia, invece, c' era una sorta di fagotto che aveva tutta l' aria di essere un panino.
Gli sembrava quasi incredibile che non se ne fosse accorto prima.

"Vedo che non ha toccato cibo! Signor Novack... non può assumere tutte quelle medicine a stomaco vuoto... potrebbero fare più danno che altro! Su! Venga qui... Venga!".

Continaundo a non capirci assoluatmente nulla, Cass si era avvicinato alla ragazza, che aveva battuto due volte il palmo sul materasso, invitandolo a sedersi.
Delicatamente, Novaline aveva posato la mano sulla sua fronte, facendolo sussultare: non si aspettava quel tipo di contatto.
"Bene! Direi che la febbre è andata via! Però lei è debole signor Novack. Troppo. Deve mangiare... Mi prometta che finirà tutto quello che le ho portato. Per favore!".
La ragazza sembrava quasi supplicarlo.
"Io... si... non si preoccupi...".
"Bene! Allora io vado! Mi chiami se ha bisgno di qualsiasi cosa!".
"Lo farò".
E, con un gran sorriso stampato in viso, la giovane si era diretta verso la porta.

Cass ci capiva sempre meno.
E non aveva nessuno a cui chiedere consiglio. Nessuno, se non quella ragazza.
' Ora o mai più '.

"Signorina Novaline!" - aveva quasi urlato per chiamarla.
Lei, sorpresa, aveva lasciato la presa sull maniglia.
"Non ha perso tempo, signor Novack!".
Il ' signor Novack ' era lievemente arrossito. Non era abituato a parlare con le persone, e con le persone di sesso femminile la questione si complicava. Non riusciva a non pensare a quella volta in cui Dean lo aveva portato in quel luogo di perdizione e...
"Posso esserle utile?" - la voce della ragazza lo aveva riportato alla realtà. Gli capitava sin troppo spesso di estranearsi, ultimamente.
"Emm... ecco... io...." - non voleva fare la figura dello stupido, ma non aveva molta scelta - "Signorina, da quanto tempo sono qui?".

Novaline lo guardava attonita. Possibile che fosse stato così male da non ricordare niente di quello che era accaduto?
Incerta sul da farsi, perché, dopotutto, non avrebbe dovuto fare tutto quello che sava facendo, si era presa un momento per riflettere. Ma come negare la verità ad un ragazzo così solo, così indifeso e così terribilmente affascinante?
Chiudendo definitivamente la porta, si era recata nei pressi dell' ospite, prendendo posto nell' agolo più estremo del letto. Non voleva sembrare invadente standogli troppo vicino.
Anche se, doveva ammetterlo, avrebbe tanto voluto il contrario.

Cass attendeva impaziente. Da come Novaline lo guardava, era certo che non sarebbe stato un racconto piacevole.

"Lei non ricorda proprio niente?".
Aveva scosso il capo.
"Mi dispiace..." - non aveva il coraggio di guardarla negli occhi. Quella ragazza doveva aver fatto molto per lui, e non ricordarlo non era il modo migliore per sdebitarsi.
Ma perché il suo cervello si rifiutava di immagazzinare informazioni??
"Non deve! Anzi, sono io a non dovermi meravigliare... è stato male, signor Novack. Così male, che per un attimo ho creduto che volesse lasciare questo mondo".
Lo diceva con una profonda amarezza nella voce.
"Secondo il regolamento, alle undici, ogni giorno, la stanza deve essere lasciata vuota per permetterci di eseguire le normali procedure di pulizia... Bè, inutile dire che tocca a me occuparmi di questa stanza! Mi creda, ho provato a bussare tante, tante volte, ma lei non ha mai aperto. Non l' avevamo vista uscire, e non aveva riconsegnato la chiave, così mi aveva detto John, il portiere.
Stavo per andare via, quando, all' improvviso... ecco, l' ho sentita piangere, e ho udito chiaro e tondo il rumore di un vetro che si infrangeva.
Così, ho preso il pass partout e sono entrata.
So che non avrei dovuto, ma quello che ho visto ha levato in me ogni dubbio" - aveva incamerato una quantità d' eria enorme, prima di proseguire. Cass aveva visto il suo petto gonfiarsi, e poi tornare normale.
"L' ho trovata a terra, signor Novack. Rantolava e piangeva. Era sudatissimo e tremava.
La sua fronte era in fiamme. Aveva... aveva la febbre altissima.
E sul petto, aveva un' enorme ustione.
Nel cadere dal letto, aveva rotto la lampada posata sul comodino, quello era il rumore che avevo sentito, ma per fortuna non si è ferito. Ho provato a chiamarla, ma lei non rispondeva. Continuava solo a piangere e a dire che le dispiaceva. Per cosa, però, non riuscivo proprio a capirlo".

Cass l' aveva ascoltata senza interromperla. Si vergognava tremendamente per quello che era accaduto. Com' era possibile che causasse problemi a tutti? Era quella la sua missione, forse? Essere un peso per chiunque?

Novaline stava proseguendo col suo racconto.
"Sono riuscita a rimetterla sul letto, sono corsa in farmacia e ho comprato pillole, bende e disinfettanti.
La bruciatura non aveva un buon aspetto... ma sà, mio padre è infermiere, e avevo avuto modo di sentire più volte come si trattano questo tipo di ferite.
L' ho lavata, disinfettata e fasciata. Le ho dato degli antibiotici e ho  cercato di farla bere molto e di farla mangiare... con scarsi risultati, se devo essere sincera" - aveva mantenuto per tutto il tempo quel dolcissimo sorriso che sembrava caratterizzarla. Era quasi una boccata d' aria fresca, un raggio di luce divina in quell' inferno in cui era piombato.
"Ma ora, finalmente, sta meglio! E' dimagrito molto... ma sfido io... dopo una settimana senza mangiare...".
"Una-una settimana??" - Cass non riusciva a crederci.
Era trascorsa una settimana.
Sette giorni erano trascorsi senza che lui se ne accorgesse. D' istinto, aveva posato una mano sulle guance. Non vi era la presenza di una barba folta, però. Com' era possibile?
"E' rasato... non si preoccupi... ho scoperto di essere capace di fare la barba ad un' altra persona senza fare danni" .
Lo aveva rasato. Quella ragazza lo aveva rasato.
Doveva mettere in chiaro le idee. Dunque: aveva pagato la stanza per sole tre notti. Come era stato possibile che non lo avessero buttato fuori a calci? O almeno, questo era quello che Dean diceva sempre quando non potevano più pagare : ' andiamo via da qui prima che ci buttino fuori a calci! ' .

"Signor Novack... Lei non ricorda proprio niente, vero?".

Castiel non aveva risposto subito. Tutto quello che Novaline stava raccontando, gli sembrava la storia di qualcun altro. Non la sua.
Ma la ragazza non stava mentendo. La fasciatura accurata che aveva sul petto - e che aveva notato solo toccandola dopo che la ragazza aveva raccontato quel pezzo della storia - ne era la prova più tangibile.
Dopo un lasso di tempo che era parso interminabile, aveva scosso la testa in segno di diniego.
"Mi-".
"La prego non dica di nuovo che le dispiace!" - aveva detto Novaline, alzando le mani al cielo.
Un imbarazzatissimo Castiel aveva abozzato un timido sorriso.
"Dicevo, comunque... lei è qui da una settimana... e si, lo so quello che sta cercando di dirmi." - intercettando (di nuovo) il suo tentativo di proferire parola - "Ho pensato io a pagare gli altri pernottamenti e a comprare le medicine. Il cibo, invece, l' ho preparato di persona. E no, non ho nessuna intenzione di prendere soldi da lei. E' stato un piacere per me aiutarla".

Non aveva replicato. Non lo riteneva giusto, ma in quel frangente sarebbe stato inutile cercare di restituirle quanto le doveva.
Quella singolare creatura era una sorta di manna dal cielo.
Durante il suo lungo racconto, Cass aveva avuto il tempo di studiarne a fondo l' aspetto: aveva capelli dorati lunghi fino alle spalle, occhi nocciola. il viso ovale e una corporatura... come definirla? Ecco, Dean avrebbe detto che la ragazza era ' formosa '.
E, quella ragazza formosa, si era presa cura di lui senza pretendere nulla in cambio.
Quella ragazza formosa gli aveva probabilmente salvato la vita.

"Non so quanto tempo deciderà di trascorrere qui... ma sappia che può contare su di me per qualsiasi cosa. Io sono qui" - e, facendo leva sulle mani, si era alzata, dirigendosi di nuovo verso la porta sotto lo sguardo attento di Cass.

"Ah, signor Novack, un' ultima cosa".
Cass la guardava, trepidante.
"Io non so da cosa stia scappando e perché...".
Quelle parole avevano lasciato Cass di stucco. La sua bocca aveva assunto la forma di un ovale perfetto.
"Ma, in fondo, credo che dovrebbe chiamarlo e dirgli che le dispiace...".
"Cosa?".
Novaline si era presa un attimo, prima di continuare.
"Dean".
E, così com' era arrivata, la ragazza era andata via, lasciando Castiel solo con i propri dubbi.

Come poteva spiegarle che, in realtà, non era lui ad essere scappato, ma era proprio quel Dean che aveva chiamato durante i deliri della febbre ad averlo cacciato via?
Ad averlo lasciato da solo?
Cass si era sdraiato sul letto, raggomitolandosi in posizione fetale.
Forse, c' era un errore in quella deduzione. Lui non era solo.
Sarebbe stato per sempre in compagnia del proprio dolore.

Continua...
________________________________________________________________________________________
Una settimana... Per Cass è trascorsa una settimana, proprio come per noi dall' ultima mia pubblicazione.
Il capitolo dedicato a Sam doveva essere scritto, ma questo... questo è venuto su da solo.
Come tutti i capitoli dedicati a Castiel, dopotutto.
Ah... non riesco a non domandarmi perché non si decidono a fare uno Spin-off su di lui.
Ma torniamo a noi.
Novaline... quanto vorrei essere Novaline! Prendersi cura di Cass in quel modo è un onore, nonché un privilegio. (SPIEGATE QUESTA COSA AD UN CERTO DEAN WINCHESTER, PLEASE).
Non è stato semplice, ma questa specie di piccolo angelo ha fatto tutto ciò che era in suo potere per aiutare "quell' uomo, solo, indifeso e affascinante".
Vi prego di non coniderarmi ripetitiva se scrivo di un Cass che prende esempio da Dean sul da farsi...
Sono i suoi primi 8 giorni da umano nel mondo... Io credo che sarei morta di paura.
Ma come potrebbe, dopotutto, sapere come si vive se non lo sappiamo neanche noi?
Non è solo il denaro a servirti Cass... Ma questo, lo sai già.
Al prossimo capitolo...
Grazie di tutto!
Cleo











Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** J.C.N. ***



J.C.N.


Dean era uscito di casa, quella sera.
O meglio, Bobby l' aveva buttato fuori di casa a calci, quella sera.

"Hai passato metà della tua vita a crescere tuo fratello, non passerai l' altra metà a fargli da balia! Esci! Va in un bar, trovati una bionda e divertiti, ma non farti vedere da me prima dell' alba, o non risponderò più delle mie azioni!".

Questo gli aveva detto Bobby, mentre gli lanciava addosso il giubbotto di pelle appartenuto a suo padre e le chiavi della sua bambina.
Come rifiutare un simile invito?

Per questo, Dean era salito a bordo, guidando verso il bar in cui aveva gettato l' ancora da ormai dieci minuti. 'Eclipse', recitava l' insegna, e il maggiore dei Winchester era certo di aver già sentito un nome simile da qualche altra parte.
Solo che, in quel frangente, non ricordava dove.

Il bar era uno dei soliti bar in cui finiva per approdare quando era alla ricerca di alcol e di una compagna occasionale.
Luci soffuse, una clientela a dir poco eterogenea, composta da camionisti rifugiatisi lì alla fine del loro turno di lavoro, motociclisti supertatuati dai lunghi baffi riccioluti che reggevano sulle ginocchia donnine dall' abbigliamento discutibile e dal make up visibile anche a diversi metri di distanza, e tipi di ' genere indefinito ' che lanciavano occhiate molto più che eloquenti ad ogni ragazzo da considerarsi papabile.

Evitando di guardarsi troppo in giro, ma rimanendo vigile per fronteggiare ad ogni evenienza, si era diretto al bancone, prendendo posto su uno degli alti sgabelli, attendendo pazientemente che una delle prosperose cameriere prendesse la sua ordinazione.
Non aveva dovuto attendere molto.

"Cosa ti porto?".

Una bionda che di naturale aveva davvero ben poco, con due occhi piccoli e scuri e una quantità di rossetto abnorme lo guardava ammiccante.
Quello era sicuramente uno dei pollastri più attraenti mai capitato in quella specie di bettola da quando aveva cominciato a lavorarci, e non aveva la benché minima intenzione di lasciarselo scappare.
Per questo, cercava di sembrare più provocante e più disponibile che mai, attendendo con impazienza una risposta da quel bel maschione che aveva davanti.
Peccato che quest' ultimo non sembrasse minimamente interessato.

"Una birra".

"Alla spina, o in bottiglia, tesoro?".

"Bottiglia".

"Rossa.... o bionda?".

Dean si era preso un attimo per pensare.
Era facile, troppo facile per lui abbordare le ragazze. Anche se, a dir la verità, sta volta era stato lui quello abbordato, tecnicamente. Quella era proprio la situazione descritta da Bobby, prima che lo cacciasse fuori di casa a calci. ' Trovati una bionda, e divertiti '.
Peccato che quella bionda non lo divertisse affatto.

"Rossa".

La ragazza lo aveva guardato con un misto di delusione e disprezzo prima di prendere una bottiglia dal frigo, stapparla e porgerla in silenzio a quel piccolo spettacolo vivente che gli aveva rifilato quel bruciante due di picche.
Un vero peccato: avrebbe potuto passare una notte davvero indimenticabile.

Dean, una volta rimasto ' solo ', aveva serrato le dita sul collo umido e freddo della bottiglia verde, sollevandola quanto bastava per avvicinarla alle labbra, bevendo un lungo sorso.
Il liquido scuro gli aveva riempito la bocca, scendendo lungo la sua gola, donandogli una sensazione simile al tanto lontano e tanto agognato sollievo.
Ma sapeva di già che quella era solo un' illusione.
Dopo gli eventi che avevano caratterizzato l' ultimo periodo, si era gettato a capofitto in quel conforto che sperava di ricevere dalla spazzatura che immetteva nel suo corpo, che sembrava non bastargli mai.
Bere era l' unica consolazione rimastagli, ma, quella stessa consolazione, ormai, non serviva più.

Dean lo sapeva, eppure non poteva farne a meno.
Quella sorta di affascinante annebbiamento in cui solo l' alcol sapeva gettarlo, riusciva a fargli scordare, anche se per poco, quanto schifosa fosse la sua esistenza.
Non riusciva a capacitarsi di come tutto fosse andato a puttane.
Eppure, per un attimo, aveva creduto che le cose avessero preso una piega positiva.
In fondo, Lucifero e quell' altro pazzo erano nella gabbia, Sam era tornato indietro e Morte era stato così gentile da restituirgli la sua anima con annesso un muro che avrebbe celato tutte le cose terribili che aveva vissuto nella gabbia.
Si, c' era sempre il problema Raphael, ma Balthazar e Cass sembrava che riuscissero a ...

Una fitta terribile aveva scosso le budella di Dean.
Il solo pensare al nome di quel quel... non sapeva neanche più come definirlo, gli faceva ribollire il sangue.
Traditore?
Troppo riduttivo.
Doppiogiochista?
Pure, ma anch' esso non era abbastanza.
Un fottuto bastardo traditore e doppiogiochista figlio di...
Meglio trattenersi! C' era già finito all' inferno, e non aveva la benché minima voglia di fare un secondo round.

Un altro lungo sorso di birra aveva invaso la sua bocca calda e assetata.

Ormai, aveva smesso di chiedersi perché.
A cosa poteva servirgli una motivazione, dopotutto?
Non avrebbe cancellato quello che era stato. Non avrebbe posto fine alle sofferenze che Sam stava patendo.
Il ricordo di suo fratello steso al suolo, inerme, con le carni ferite da centinaia di schegge di vetro non accennava a sparire.
Quella vista aveva fatto molto più male della lama di Alastair che tagliavano le sue carni.
Bobby aveva ragione su una cosa: si era occupato di Sam fin da quando era poco più di un bambino, ma non avrebbe smesso adesso. Non adesso che suo fratello aveva così tanto bisogno di lui.

Aveva finito la sua birra con un ultimo, lunghissimo sorso.

"Ehi tesoro, portamente un' altra!".
La ragazza aveva aperto un' altra birra, porgendola al ragazzo senza alcuna delicatezza.
Doveva averla offesa per davvero.

Ma chi se ne fregava! Non la conosceva, non gliene fregava un accidenti se c' era rimasta male o meno.
Lui voleva solo stare lì, a bere birra o qualsiasi altro alcolico che il suo corpo potesse ingerire, e voleva berne fino a stare male. Voleva berne sino a pedere i sensi.
Sino a svegliarsi in un posto che non consceva senza sapere come aveva fatto ad arrivarci.
E al diavolo tutti e tutto.
Per una volta, al diavolo tutti e tutto.

Questa bottiglia l' aveva finita tutta in un unico sorso.
Eppure, niente. Non sentiva ancora niente. Cazzo, possibile che Carestia avesse ragione?
Possibile che lui fosse solo un contenitore vuoto? Una specie di fantoccio che ormai non sentiva più niente, che ormai era lontano da ogni emozione e sensazione umana?
Si rifiutava di crederlo.
E, proprio per questo, aveva deciso di ripensarci, che, forse, quella di Bobby non era del tutto una cattiva idea.

"Ehi, tesoro!" - aveva detto alla cameriera, agitando la bottiglia vuota per aria e sorridendo malizioso.
Lei, piuttosto seccata, si era chianata sotto il bancone per prenderne un' altra a quel tipo che si prendeva gioco di lei, ma la voce di lui le era arrivata all' improvviso, fermandola.
"Prendine due".
Non c' era stato bisogno di aggiungere altro.
"Stacco tra un' ora".
"Sarò qui ad aspettarti".

                                                                               *

Dean non aveva trovato difficoltà a far passare i 60 minuti stabiliti.
Aveva giocato a biliardo vincendo non proprio lecitamente contro due motociclisti idioti grossi il triplo di lui e che, fortunatamente, erano troppo ubriachi per capire quello che stava accadendo sotto il loro naso.
Poteva ritenersi soddisfatto, dopotutto...
Considerando, poi, che avrebbe concluso la serata col botto, non poteva davvero lamentarsi.

Mentre attendeva la sua compagna di avventure, aveva notato la presenza nel locale di una ragazza ' dai facili costumi '... Magari, Sam avrebbe gradito una simile compagnia...
Forse, un po' di ginnastica lo avrebbe aiutato a distrarsi da tutto quel casino che aveva nella testa. Ma cosa sarebbe accaduto se, nel bel mezzo della festa, il suo fratellino si fosse messo ad urlare a Lucifer e a Michael di lasciarlo in pace??
Il solo pensiero gli aveva fatto cambiare idea radicalmente.
E poi basta. Aveva detto al diavolo tutti? Bene... Anche se, tecnicamente, Sam era letteralmente andato al diavolo.

"Eccomi qui tesoro! Allora, posso sapere come ti chiami?".
La voce lievemente stridula della bionda lo aveva distolto dai suoi pensieri.
"James...".
"Bene, James... io sono Lily... e insieme andremo a casa mia...".
La pollastra non perdeva tempo... ' Meglio per me. Odio i convenevoli '.

In un lampo, avevano raggiunto l' appartamento della donna che si trovava a pochi metri da quello schifo di bar dove lavorava, e, senza troppi preamboli, lei lo aveva gettato sul letto.

"Sei intrapendente!".
"Puoi giurarci, tesoro" - gli aveva detto, mentre si sedeva a cavalcioni su di lui, gettandosi sul suo torace per strappargli lettaralmente la camicia di dosso. I bottoni erano saltati qua e là, sbattendo rumorosamente contro le pareti circostanti.
"Woha! Calmati!".
Lei ridacchiava, leccandosi le labbra, mentre toccava sensualmente il torace scolpito di Dean.
Quando gli era capitata l' ultima volta di toccare un uomo come quello?
Vorace, era scesa sulle sue labbra, catturandole in un bacio umido e passionale.
Dean si sentiva come rinato. La sua testa non faceva che pensare a quel corpo morbido premuto contro il suo, a quella bocca calda che lo stava facendo impazzire.
Impaziente, aveva cinto con le braccia il torace sottile di lei, facendola aderire ancora meglio a lui.
Il vecchio Dean stava tornando... O meglio, era già arrivato!
Lily, prendendosi un attimo per respirare, si era staccata da lui, togliendosi la maglietta, e iniziando a sbottonare i jeans di Dean diventati ormai stretti.
"Ah, lasciatelo dire, sei davvero splendido, Jimmy".

Jimmy.

Lei si era avventata di nuovo contro il suo petto, ma, poco prima che posasse di nuovo le labbra su quella pelle perfetta, lui l' aveva bloccata, facendola sollevare di scatto.
"Ehi! Ma si può sapere che ti prende??" - irritata, aveva provato a continuare il lavoro che stava facendo, ma lui, esercitando maggiore pressione sulle sue braccia, glielo aveva impedito nuovamente.
"Smettila...".
Ma lei non se n' era curata.
"Ti ho detto di no! Fermati!".
Seccata, si era rimessa in piedi, lisciandosi la gonna e cercando la maglietta che aveva lanciato chissà dove.
"Vattene!".
Dean non si era mosso.
"Ti ho detto di andartene da casa mia! Stronzo!".
Sta volta, non se l' era fatto ripetere di nuovo.
Si era velocemente ricomposto, ed era uscito da quella stanza troppo piccola in meno di un minuto, facendo le scale a piedi nel disperato tentativo di non pensare a quello che quella tizia (Li-qualcosa) aveva detto.

L' aria fredda della notte lo aveva investito in pieno viso, aiutandolo a chiarire le idee.
Se era ancora capace di ragionare, era eviente che Carestia avesse ragione. Era solo un fantoccio. Ma, allora, perché quel nome lo aveva fatto stare così male?

E, senza che potesse controllarlo, due occhi blu spaventati e spenti lo guardavano in attesa di una risposta.

' Da oggi tu sei Jimmy Castiel Novack. E non fai più parte delle nostre vite '.

"VAFFANCULO!!".

Dean si era messo ad urlare, prendendo a calci il bidone dell' immondizia che si trovava davanti.

"Vaffanculo...".

Cercando disperatamente di trattenere le lacrime, si era seduto sul maciapiede, prendendosi la testa tra le mani.

"Non fai più parte delle nostre vite... Non fai più parte della mia vita...".

Sembrava essersi calmato.
Con uno sforzo che non credeva possibile, era riuscito a ricacciare indietro le lacrime.
Il suo volto era tornato di pietra, e i suoi occhi determinati sembravano voler trapassare il buio.

"TU SEI JIMMY CASTIEL NOVACK" - aveva urlato, nella notte - "E NON FAI PIU' PARTE DELLE NOSTRE VITE".

E, sistemandosi il colletto della giacca, aveva preso ad incamminarsi verso il bar.
La notte era ancora giovane, e lui doveva ancora trovare la sua bionda.


Continua...
___________________________________________________________________________________________________________________________

Ed eccoci qui, con un capitolo dedicato interamente al nostro Dean.
Credo che ci sia ben poco da dire, alla fine dei conti...
E' impazzito dal dolore. Dean è stato reso folle dal dolore della perdita.
In fondo, questo ragazzo mi fa pena... Sta sera, guardando la 5x01, mi sono convinta ancora di più che lui sia una sorta di concentrato di sfortuna: chiunque lo ami e fccia quacosa per lui, finisce per ferirlo irrimediabilmente.
Il mio Dean non è ancora crollato, anche se questo accadrà, in un futuro non molto lontano...
Grazie per le recensioni, e non temete: i prossimi capitoli saranno solo di Cass...
Baci grandi!
Cleo

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** The Shower ***


The Shower


Castiel stava meglio.
Per quanto fosse debole e dimagrito, poteva dire di stare decisamente meglio.
Le cure di Novaline erano state una manna dal cielo.
Novaline era stata una manna dal cielo.

Seduto sul davanzale della finestra, con lo sguardo perso verso un' orizzonte formato dai tetti degli alti palazzi della città, Cass non riusciva a fare a meno di porsi delle domande.
Perché quella ragazza lo aveva aiutato?
Lui non rappresentava niente per lei, nè lei significava qualcosa per lui.
Erano due estranei. Due sconosciuti.
Eppure, Novaline sembrava interessarsi a lui.
E questo era strano.
Anche perché, aveva avuto come l' impressione che non fosse solo interesse.
Per un attimo, Cass aveva pensato che potesse trattarsi di qualcosa simile all' affetto.

Se c' era qualcosa per cui Dean lo aveva sempre rimproverato - oltre che per il suo occupare costantemente quello che il cacciatore chiamava spazio personale - era proprio il suo osservare le persone dritto negli occhi.
Non riusciva a capire, però, cosa ci fosse di così tanto sbagliato.
Era grazie a quelle iridi colorate se riusciva a capire davvero chi fossero le persone che aveva davanti. E non riusciva a farlo perché era un angelo, no.
Era come se sviluppasse una sorta di empatia, come se stabilisse un contatto con chi aveva accanto. Come se la persona in questione parlasse senza proferir parola.
Che fosse proprio questo il problema?
Forse, le persone non volevano che gli altri capissero chi erano veramente.
"Le persone mentono"  gli aveva detto Dean, un giorno.
Questo voleva dire che anche lui gli aveva mentito?
E, ora che anche lui era una persona, avrebbe dovuto mentire a sua volta? Anche lui avrebbe dovuto evitare di farsi guardare negli occhi per paura che gli altri potessero scoprire la sua colpa?
Eppure, aveva guardato Novaline negli occhi, e non gli era parso che lei stesse mentendo.

Era sconsolato.
Aveva così tante cose da imparare, e aveva capito che impararle da solo non sarebbe stato affatto semplice.
Per ora, aveva imparato che un corpo aveva bisogno di bere, mangiare ed espellere le cose di cui non aveva bisogno. Aveva imparato quanto male potesse fare un' ustione, e cosa volesse dire davvero essere stanchi. Aveva imparato che dormire sotto una panchina poteva essere scomodissimo, mentre un letto morbido era il massimo a cui si poteva aspirare. Aveva imparato quanto ci si potesse sentire a disagio nell' essere considerati pericolosi. Aveva imparato quanto potessero essere dolorosi i ricordi. Aveva imparato che le medicine, per quanto avessero un sapore discutibile, potevano essere fondamentali per sopravvivere. Ma, soprattutto, aveva imparato quanto gentili potessero essere a volte le persone.

Novaline rappresentava un autentico mistero per Castiel.
Nonostante la stanchezza e i mille impegni, quella ragazza trovava sempre un po' di tempo per correre da lui e fargli un po' di compagnia.
Si sentiva in debito con lei.
Avrebbe tanto voluto fare qualcosa, ma non aveva la più pallida idea di cosa fare.

Cosa piaceva alle donne?
Dean, a volte, diceva che lui era fortunato a non avere una relazione perché non doveva preoccuparsi di comprare fiori, cioccolatini e peluches per ottenere ciò che bramava.
Quindi, di conseguenza, quelle dovevano essere cose che all donne piacevano molto.
Ma, non sapeva bene spiegars perché, aveva come la sensazione che tutto quello non fosse abbastanza. Novaline gli aveva salvato la vita. Che prezzo poteva avere una simile prodezza?
Di sicuro, le avrebbe restituito i soldi che lei aveva speso per pagargli la stanza.
Gli avrebbe fatto comodo tenerli per sé, ma non sarebbe stato giusto: Novaline lavorava duramente, e il suo stipendio non doveva essere sperperato per il primo angelo caduto come lui che non era neppure in grado di badare a se stesso.

Ma ciò non risolveva comunque il suo problema: come avrebbe potuto sdebitarsi con lei?

Sconsolato, Castiel era entrato in bagno con l' intenzione di farsi una lunga doccia bollente.
Aveva scoperto le meraviglie dell' acqua calda, e aveva tutte le intenzioni di godere completamente di quella sensazione di ristoro.
Distrattamente, aveva iniziato a far scorrere l' acqua, e, attendendo che arrivasse ad una temperatura gradevole, si era tolto di dosso gli ultimi indumenti.

Vedersi nudo nello specchio gli faceva sempre uno strano effetto.
Dean, appena si erano conosciuti, gli aveva detto che era davvero un bell' angelo, anche se si riferiva al suo tramite, ovviamente.
Se lo avesse conosciuto in quel frangente, Cass era certo che non avrebbe avuto la stessa opinione.

Era magro, terribilmente magro.
Sotto i polpastrelli ruvidi sentiva la gabbia toracica e le ossa del bacino sporgere dalla pelle bianca come la neve.
L' ustione sul petto, però, era notevolmente migliorata. Ormai non faceva quasi più male, ma la pelle tirava in maniera piuttosto fastidiosa.
Le gambe avevano perso tono, così come i glutei nivei e i muscoli delle braccia.
Chissà per quanto tempo ancora avrebbe avuto quell' aria malaticcia...

Grattandosi distrattamente un braccio, aveva allungato la mano destra, fino a sfiorare il potente getto caldo. La temperatura era perfetta.
Tremando lievemente, era finalmente entrato nel box, lasciandosi bagnare da quel liquido meraviglioso.
Sembrava che l' acqua avesse il potere di lavare via la stanchezza e il dolore.
Ogni goccia che scorreva lungo la sua pelle trascinava con sè tutto lo sporco della mente e dell' anima.
Senza indugiare troppo, aveva afferrato uno dei piccoli campioncini di doccia-shampo verdi offerti dal bed & breakfast.
' Menta piperita ' recitava l' etichetta.
Anche se a Cass importava poco quale fosse la fragranza, doveva ammettere di trovarla piuttosto piacevole e fresca.
Imitando i gesti che aveva visto compiere tante volte a Dean - non glielo aveva mai confessato, ma spesso lo aveva osservato mentre faceva la doccia - aveva lasciato cadere una cospicua quantità di gel colorato sul palmo della mano, strofinandolo contro l' altra per creare un po' di schiuma, e aveva cominciato a detergere con attenzione le proprie membra.
D' istino, aveva serrato le palpebre.

Perso tra i piaceri della doccia, Cass non si era accorto che qualcosa di strano stava accadendo attorno a lui.
Dal soffione di acciaio aveva iniziato a colare in grosse e dense gocce una sostanza scura e vischiosa.
Stilla dopo stilla, quella sinistra sostanza si stava man mano addensando sul piatto in ceramica delladoccia, lambendo i piedi dell' angelo caduto.

Una fitta di dolore aveva fatto sussultare Castiel.
Il piede destro faceva terribilmente male.

"Ma cosa...???".

Cass guardava quella misteriosa sostanza, incapace di proferir parola.
Quella che fino a qualche istante prima era solo una pozza di liquido nero aveva preso vita, e, come un tentacolo scuro e pericoloso, aveva cominciato a risalire lungo il piede di Castiel, provocando in lui un dolore immenso.

Spaventato, era uscito dalla doccia senza neanche chiudere il miscelatore.
Col cuore in gola, aveva compiuto un enorme balzo, ma non era stato sufficiente per sfuggire alla sua presa.
Veloce come un lampo, il tentacolo si era stretto attorno alla sua caviglia, facendolo cadere malamente in avanti.
Nudo, baganato e ancora in parte insaponato, Cass cercava di liberarsi da quella presa, divincolandosi e scalciando con tutta la forza che aveva in corpo.
Nel tentativo di sfuggirgli si era letteralemente avvinghiato alla base del lavabo, stringendo i denti e ripetendosi di non mollare, ma tutto sembrava inutile.

Non solo non riusciva a liberarsi, ma l' aver lasciato scorrere l' acqua stava solo peggiorando le cose: dal soffione, ormai, colava solo quel maledetto liquido nero che, unendosi con quello già caduto, aumentava in consistenza e in forza ogni secondo di più.

Cass pensava di essere spacciato.
Quella cosa tirava così forte che ormai il suo corpo era sollevato da terra di pochi centimetri. Era certo che se avesse continuato in quel modo sarebbe stata in grado di strappargli via la gamba come se fosse stato solo un arto in pezza di una vecchia e logora bambola.
Doveva fare qualcosa se voleva salvarsi. E doveva farla subito!
Questo, però, era più facile a dirsi che a farsi.
Non aveva idea di cosa fosse quella cosa, e non aveva nessun' arma con sé.
Maledizione! Perché non aveva portato in bagno il pugnale angelico di Raphael??

"AAHH!".

Il piede stava diventando blu. Il sangue aveva smesso di circolare da troppo tempo, ormai.

"Lasciami!!".

"Vieni con noi... Castiel... Vieni con noi...".

Non era pazzo. Non del tutto, almeno.
Era certo, anzi era sicuro al cento per cento di aver sentito una moltitudine di voci che all' unisono gli chiedevano di andare con loro.
Ma lui non l' avrebbe fatto. Mai. A nessun prezzo.

Non dandosi per vinto, aveva cominciato a dimenarsi con maggiore intensità.

"E' inutile ribellarsi, Castiel... Vieni con noi... Vieni con noi...".

"State zitte! Basta!"- preso dalla disperazione, Cass aveva afferrato una delle scarpe che si era tolto prima di fare la doccia, e l' aveva lanciata contro il proprio piede, ricavandone solo il risultato di provocare un' ulteriore dolore solo a se stesso.
In quella situazione non era semplice prendere la mira.
Ma doveva almeno provarci. Per questo, aveva afferrato anche l' altra scarpa.
Purtroppo per lui, però, anche questo colpo era andato a vuoto.

"Dannazione! No!".

Non aveva altri oggetti a portata di mano, e quella sostanza aveva superato il bordo del piatto doccia, inondando il pavimento. Se si fossero formati altri tentacoli, per lui non ci sarebbe stato più nulla da fare.

D' un tratto, però, si era accorto di una confezione di detersivo posta accanto al bidet.
Doveva averla dimenticata lì una delle cameriere.
Allungandosi più che poteva, era riuscito a sfiorarla, ma, nello stesso instante, il tentacolo lo aveva tirato indietro, impedendogli di afferrarla.
Purtroppo, la confezione di plastica era caduta al suolo su di un lato, allontanadosi ancora di più da Cass.
Il dolore stava diventando insopportabile.
Ma non doveva cedere.

"AAHH!".

Era accaduto tutto troppo in fretta perché potesse raccontare ciò che era accaduto con esattezza.
Aveva afferrato la confezione dopo essersi stirato più che poteva, e l' aveva lanciata senza neanche guardare contro il tentacolo.
Ovviamente lo aveva mancato, ma la confezione d plastica lanciata con tanta violenza contro le piastrelle della doccia si era spaccata in due.
In un attimo, il liquido giallo si era posato sulla sostanza nera, sciogliendola.

Ce l' aveva fatta. Non sapeva come, ma c' era riuscito.
Il tentacolo aveva mollato la presa.

Senza indugiare oltre, Cass aveva afferrato scarpe e vestiti, zoppicando veloce verso la stanza.
Ancora bagnato e spaventato si era rivestito, infilando le poche cose che aveva nel proprio borsone, sfilando dalla tasca interna alcune banconote e il pugnale di suo fratello.
Doveva andare via da lì, e subito.

Correndo veloce al punto di travolgere chi incrociava sulla propria strada, Cass era sceso alla reception, doveva una Novaline sbigottita gli aveva rivolto il più spaventato degli sguardi.

"Signor Novack! Che succede? Dove sta andando?".
Ma Cass non aveva risposto. Impetuoso ma gentile allo stesso tempo, aveva afferrato la mano di lei, che, colta alla sprovvista, era arrossita fino all' inverosimile.

"So perfettamente che non bastano, so esattamente che meriteresti il paradiso per quello che hai fatto per me, ma non ho altro da offrirti. Ti prego solo di una cosa: non entrare in quella stanza" - e, senza aggiungere altro, era corso fuori dal bed & breakfast, lasciando interdetta la giovane donna che si era occupata di lui.

"Novaline!" - l' aveva chiamata una delle sue colleghe - "Ma quello non era lo schianto della 101? Ma che gli prende?".

Ma la ragazza non la stava ascoltando.
Continuava a fissare le due banconote da cento dollari che aveva in mano.
Cosa gli rimaneva di quell' uomo meraviglioso?
Solo una manciata di fogli di carta spiegazzati.

Continua...
_______________________________________________________________________________________________

Salve a tutte!!
Vi prego di perdonarmi per l' immenso ritardo, ma fra esami e regali di Natale non ho avuto il tempo neanche per respirare!!
Ma eccoci qui, con questo capitolo davvero poco natalizio, ma in tema con tutta la storia!
*Bè, però Cass voleva fare un regalo a Novaline... sempre di regali trattasi, no? XD *.
Povero cipollo... Alla faccia che a Natale siamo tutti più buoni... Perché io sembro il Grinch??? =(=(=(
Approfitto di questo spazio per ringraziarvi e augurarvi tutto il meglio.
Spero che questo Natale sia pieno di gioia e amore (TUTTO IL CONTRARIO DI QUELLO CHE SCRIVO, INSOMMA).
Bacioni grandi!
E ancora auguri!
Vostra
Cleo

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** The King ***


The King


Fuori faceva freddo, molto più freddo di quanto si aspettasse, ma non gli importava.
Il cielo plumbeo preannunciava pioggia, e il vento sferzava impietoso, piegando al suo volere tutto ciò che lo circondava, ma lui continuava ad avanzare.
Erano trascorsi tre giorni dall' incidente in albergo, ormai, ma la paura che quell' orrenda creatura oscura tentasse ancora di fargli del male era ancora lì, con lui.
La caviglia pulsava ad ogni passo, ma, stringendo i denti, cercava di non farci ormai più caso.
Era solo l' ennesima cicatrice che avrebbe sfoggiato sul suo corpo ridotto a pelle e ossa.
Castiel sorrideva tra sè e sè, amaro. Chi mai avrebbe dovuto vedere le sue membra umane?

Aveva sepolto il viso nel colletto della giacca verde che gli aveva dato Bobby, ma questo non era stato abbastanza per ripararsi dal gelo che gli faceva gelare le orecchie e la punta del naso.
Non aveva abbastanza soldi per potersi permettere di dormire al caldo, e non aveva la più pallida idea di cosa fare o meno. Di certo non si era pentito di aver dato parte dei suoi averi a Novaline.
Sperava davvero che quella ragazza avesse seguito il suo consiglio e non fosse entrata nella stanza in cui aveva albergato.
Non sapeva cosa diavolo fosse quella creatura che lo aveva attaccato. Nella sua lunga esistenza non si era mai imbattuto in qualcosa di simile, ma era certo che fosse terribilmente pericolosa. Non necessitava dei supersensi angelici per riuscire a capirlo. Sembrava che l' aria attorno ad essa fosse diventata oscura... quasi elettrica.
Che fosse una delle creature di Eva?
No. Impossibile.
Aveva ancora dei vuoti riguardo a ciò che poteva essere accaduto quando ancora era un angelo, ma era certo che lui e quel pazzo esaltato di Crowley avessero catturato, vivisezionato e ucciso tutti gli ' amori di mamma ' creati da quell' altra pazza con manie di grandezza.

Davvero non riusciva a capacitarsi di aver fatto quelle cose orribili.
Lui, un angelo dei Signore, si era alleato con il braccio destro di Lilith e aveva rapito, torturato e ucciso.

Senza alcun preavviso, un forte dolore sembrava avergli spaccato a metà il cranio, e due grandi e luminosi occhi chiari erano riaffiorati dalla memoria.

Una donna era legata su di un tavolo. Una bella donna bionda dagli occhi chiari.
Crowley la guardava fisso... sembrava quasi annoiato dalla sua resistenza...
E poi. era arrivato lui... si era avvicinato e lei aveva cominciato ad urlare con tutto il fiato che aveva in gola. E c' era sangue... tanto sangue... le sue mani angeliche si erano macchiate di sangue innocente.
"Ti prego... basta... Fermati...".
Ma lui non si era fermato.

Aveva rischiato di cadere faccia a terra se non avesse avuto la prestanza di aggrapparsi al semaforo posto al' incrocio.
Fortunatamente, la vista stava tornando, così come le sue esigue forze.
Quegli spiacevoli eposidi stavano aumentando, e non sapeva come fare a gestirli.
Non era il dolore fisico a spaventarlo, ma quello provocato dal rimorso che gli attanagliava i visceri, impedendogli anche solo di pensare.
Aveva torturato e ucciso Eleanor. Aveva torturato e ucciso una delle più care amiche di Bobby.

Era un essere spregevole. Era l' essere più crudele mai venuto al mondo.
Non vi era differenza fra lui e Lucifer. Era un ribelle, un caduto, un mostro.
Aveva rinnegato ciò che era, aveva rinnegato suo Padre. Si domandava solo perché nessuno dei suoi fratelli fosse venuto a cercarlo per porre fine alla sua miserabile esistenza da traditore.
Era quello che lui e Uriel volevano fare ad Anna. Era quello che avrebbero dovuto fare a lui, l' essere più infido di tutto il creato.

Le prime gocce di pioggia avevano preso a cadere sul bollente asfalto. I passanti avevano aperto gli ombrelli o sollevato i cappucci degli impermeabili, e gli automobilisti avevano azionato i tergicristalli che avevano iniziato a compiere il loro movimento regolare ed ipnotico.
Ma in quel luogo non faceva altro che piovere?
Affrettandosi, ed evitando di sbattere contro quella moltitudine di persone ignare di ciò che accadeva sotto i propri occhi, aveva trovato rifugio sotto la tettoia dell' uscita posteriore di un ristorante che affacciava in un vicolo buio e maleodorante.
Il freddo sembrava essere aumentato all' improvviso, e non gli era bastato rannicchiarsi in un angolo, tirare fuori la coperta e stringersela addosso.
Durante il suo vagare sulla terra alla ricerca di suo padre, si era imbattuto più volte in persone indigenti che vivevano di elemosine, e che dormivano in ripari di fortuna.
Ora, sembrava davvero uno di loro. Un senzatetto, un barbone, un clochard.
Un uomo che non possedeva niente, se non una miserabile vita.

Uno degli sguatteri del ristorante era appena uscito fuori per gettare due pesanti sacchi dell' immondizia nel cassonetto all' angolo.
L' odore che proveniva dalle cucine aveva risvegliato in lui la fame. Il suo stomaco brontolava alla ricerca di attenzioni.
Ma non poteva mangiare. I soldi erano pochi, e doveva centellinarli se voleva solo lontanamente sopravvivere.
Non sapeva come sarebbero potute andare le cose, e doveva tenersi pronto ad ogni evenienza.

Lo sguattero, un ragazzo basso e grassoccio con un grembiule unto e la sigaretta di traverso tra le labbra, gli aveva rivolto uno sguardo sprezzante.
"Tsk... un altro vagabondo. Trovatevi un lavoro, parassiti!".
Cass lo aveva visto sparire dietro la pesante porta tagliafuoco.

' Trovatevi un lavoro '.
La faceva facile, lui.
Non sapeva fare niente. Non si sentiva adeguato a fare niente.
Era stato un angelo così a lungo, aveva vissuto una vita millenaria, e non sapeva fare niente, se non pregare e piangersi addosso, cosa che aveva imparato a fare benissimo nell' ultimo periodo.

Sospirando, si era stretto ancora di più attorno a quella misera coperta, serrando forte gli occhi.
Chissà quanto tempo sarebbe riuscito a campare, vivendo in quel modo.

"Ma guarda un po' cos' abbiamo qui! Un micino bagnato e infreddolito! Sei ancora più adorabile di prima, gattino!".

Il suono di quella voce gli aveva fatto gelare il sangue nelle vene. Tempo addietro, quando ancora era un angelo, sarebbe stato il contrario. Avrebbe potuto disintegrare quell' essere con uno schiocco delle dita, ma adesso... adesso sarebbe stato fortunato se fosse riuscito a fargli solo un graffio senza che le sue budella venissero sparse per tutto il circondario.
Spaventato, aveva serrato le dita attorno all' ormai suo fedele stiletto, sperando che averlo vicino servisse a qualcosa.

"Calmati gattino... dovrai prima raggiungermi per potermi colpire, non trovi? E poi, non sono qui per farti del male!".

"Che cosa vuoi allora, Crowley??" - aveva cercato di sembrare meno agitato possibile, anche se con scarsi risultati.

Il demone in nero, il nuovo Re dell' Inferno, era uscito dall' ombra, presentandosi al cospetto dell' angelo caduto in tutto il suo splendore infernale.
Sul suo volto era dipinto un sorriso sinistro.

"Dolcezza... è questo il modo di trattarmi?? Dopo tutto quello che ho fatto per te?".
"Fatto per me? Tu mi hai portato solo guai!".
"Non direi proprio, zucchero! Hai fatto tutto da solo, e, devo dire, che sei stato anche piuttosto bravo!".
Cass si era messo in piedi, anche se era lettarlmente con le spalle al muro. Non aveva modo di fuggire, maledizione!

"Ti ho chiesto che cosa vuoi, Crowley".

Il demone, ormai a pochissimi passi da lui, aveva agitato leggermente la mano destra, e Cass si era ritrovato ancorato alla parete, incapace di muovere anche solo un muscolo.

"Per prima cosa, voglio complimentarmi con te per come ti sei ridotto in soli undici giorni, secondo, sono qui per riscuotere il mio pagamento. Me lo merito, dopo averti salvato il culo da quell' orda di bastardi che volevano il tuo culo!" - e, sensualmente, aveva cominciato ad accarezzargli il petto.
Cass non riusciva neanche a parlare. Gli faceva male persino respirare.
Che voleva fargli quel bastardo?

"Oh, andiamo! Perché sei così nervoso? Non ricordi come ci siamo divertiti a catturare e torturare tutti quei mostriciattoli inutili? E lo abbiamo fatto insieme! Solo che tu, lurida, fotuttissima troia, hai cercato di mettermelo nel culo, e, come ho precisato più di una volta, sono io che sto sopra, gattino!".

Senza farsi troppi scrupoli, aveva strappato il giubotto e la camicia di Cass, facendo saltare qua e là la zip e una serie di bottoncini rossi.
La bruciatura sul suo petto svettava imperiosa sul candore della sua pelle ormai non più così perfetta.
Crowley lo guardava, stranito.

"Cavolo, micino, li hai davvero fatti incazzare! E' un miracolo che tu ne sia venuto fuori solo con questo!" - e vi aveva fatto scivolare sopra due dita ruvide e per niente gentili.
Gli occhi del demone erano diventati completamente neri.
Era spacciato. Non riusciva a muoversi, non riusciva a parlare. Avrebbe potuto fargli ciò che più gli aggradava, e Cass sapeva bene di cosa Crowley fosse capace. Lo aveva visto con i suoi stessi occhi più di una volta.
"Ora dimmi, bambolina..." - aveva detto, prendendogli il viso scarno tra due dita simili ad artigli - "Come faccio a radunare tutte quelle bellissime, potentissime, luminosissime anime?".

Cass non sapeva cosa dire. La sua mente era simile ad una lavatrice nel momento della centrifuga, e non aveva la più pallida idea di cosa significasse ciò che gli aveva appena detto Crowley.

"Non so di cosa tu stia parlando" - aveva esclamato all' improvviso. Riusciva di nuovo a parlare, per fortuna. Stava tentando disperatamente di mantenere una parvenza di calma, ma la cosa gli risultava piuttosto difficile. Era in una via senza uscita.
Come cavolo faceva a trovarsi sempre nei guai stentava davvero a capirlo.

Il Re dell' Inferno sorrideva beffardo, lasciando che la sua mano destra si chiudesse delicatamente sul niveo collo del malcapitato. Doveva ammettere che era davvero morbida, quella pelle.

"Oh... tu non sai di cosa stiamo parlando, vero micino?" - lentamente, aveva afferrato una delle sue lunghe ciocche spettinate, cominciando a rigirarsela sensualmente attorno al dito indice.
Cass gli aveva rivolto il più truce degli sguardi, ma stentava a credere che quello potesse incutergli anche solo il minimo timore.
"No. Non lo so" - e aveva deglutito rumorosamente.
Il demone sorrideva.
D' un tratto, aveva mollato la presa sul suo corpo, dandogli le spalle e allontanandosi da lui di un paio di metri.
Cass, ancora immobilizzato, lo guardava, sperando invano che lo lasciasse in pace.

"Dimmi un po', Castiel, perché credi che ti abbia salvato da quell' orda di pazzi inferociti, eh?
Perché credi che abbia sfidato le creature più potenti di questo mondo? Per farmi dire da TE che non sai di cosa sto parlando?".

"Io non...".
"STAMMI A SENTIRE" - era piombato su di lui in una frazione di secondo. Il petto di Cass era stato attraversato in pieno dalla mano di Crowley che ora stringeva forte il suo cuore pulsante - "NOI avevamo un accordo, e tu mi hai fregato, ed ora pretendi di cavartela con un ' non so di cosa stai parlando?? No, micino! Tu sei mio! O forse hai dimenticato come ti chiamavano tutti gli altri?".

Cass emetteva rantoli strozzati. Il suo cuore rischiava di scoppiare - e in maniera letterale - nelle mani di quel pazzo furioso.
Crowley aveva portato le labbra all' orecchio di Castiel.
"Troia".

Lacrime di dolore erano salite ai suoi occhi. Il dolore che stava provando era immane, ma, arrivati a quel punto, non gli importava più. Che lo uccidesse. Almeno la sua miserabile, breve esistenza da essere umano sarebbe giunta al termine. E, con essa, sarebbero cessate anche le sue sofferenze.
Solo un rimpianto avrebbe avuto con sé: il non aver potuto chiedere scusa alle persone più importanti della sua vita. Il non aver potuto anche solo lontanamente aspirare al loro perdono.

E, come se stesse scivolando in un lungo sogno dai contorni ovattati, tutto intorno a sé aveva perso nitidezza, fino a che le sue palpebre, divenute ormai troppo pesanti, non si erano abbassate sui suoi stanchi, meravigliosi occhi liquidi.

Continua...
_____________________________________________________________________________________________

Se vi auguro ' Buon anno ' dopo questo capitolo mi prendete a pomodori, lo so!
Ma che ci posso fare?? E' il mio sport preferito far soffrire Cass e il piccolo Merlin! E vi informo che ci sto andando giù pesante anche col povero Vegeta! U.U
A parte gli scherzi, Crowley è stato un lurido bastardo. Non trovo altre parole per descriverlo.
E' un personaggio che adoro, è viscido ma divertente, a modo suo, e devo ammettere che non so se questa veste gli stia a pennello o meno... se lo trovate OOC vi chiedo scusa!
Mettiamola così, anche lui avrà quello che gli spetta, prima o poi. Come tutti, dei resto - si, anche io. Che presto subirò la vostra ira funesta.
Bè, principessine mie, che altro posso dirvi, se non ringraziarvi per questo splendido periodo passato insieme?
Grazie per le fanfiction che avete scritto, che mi avete consigliato di leggere, e soprattutto GRAZIE per la stima che dimostrate di avere nei miei confronti (o mi sto montando la testa??).
Siete speciali. E - lo so che sono ripetitiva - ma sappiate che siete voi a dare un senso a tutto questo...
Grazie ancora con tutto il mio cuore...
Buon anno!
Che il 2012 sia pieno di speranza!
Vi adoro!
Cleo



Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Violence ***


Violence


Castiel fluttuava nell' aria. Il cielo era di un azzurro così intenso da fare quasi male agli occhi, e il sole splendeva vigoroso, giocando a nascondino fra un manto di candide e grandi nuvole vaporose.
Si sentiva leggero e potente. Era trascorso tanto tempo dall' ultima volta che aveva provato una sensazione simile, sorprendendosi, quasi, di riscorprirsi di nuovo se stesso,
di riscoprirsi l' angelo puro e immacolato che aveva osservato il mondo degli uomini dall' alto per millenni.

Veloce, senza alcuno sforzo, nonostante le limitazioni impostegli dal tramite che occupava, fendeva l' aria, divertendosi ad attraversare le nubi dalle forme più strane.
Cass si domandava dove fossero nascosti i suoi fratelli. Gli angeli, essendo soldati, non erano soliti trascorrere il proprio tempo a giocare, ma anche a loro capitava di fare delle eccezioni. Desideroso più che mai di scovare almeno uno dei suoi fratelli, Castiel si era concentrato, lasciando che la propria Grazia risplendesse come non mai.
Era meravigloso sentire quell' energia così potente scorrere nelle proprie vene.
Non vi era evento che avrebbe potuto turbarlo, in quel frangente.

Dopo una lunga ricerca, sconsolato, proprio mentre stava per abbandonare propria caccia, aveva scorto una figura che aleggiava indisturbata accanto ad una nube.
Eccitato all' idea di catturare una preda, aveva fatto attenzione a non farsi notare, avvicinandosi al soggetto in questione con estrema cautela.
Si trattava di una figura alta e bionda che indossava un lungo cappotto nero.
I capelli arruffati si muovevano con dolcezza, scostati dal vento.

Stranamente, non era capace di dire chi fosse tra i suoi fratelli, e questo lo rendeva nervoso. La sua Grazia avrebbe dovuto permettegli di individuare immediatamente le creature che lo circondavano, specialmente i propri simili.
Ma questo non lo avrebbe fermato. Anzi: stranamente, lo eccitava ancora di più.

Deciso più che mai di sorprenderlo alle spalle, era scomparso all' improvviso, ricomparendo pochissimi istanti dopo a meno di dieci centimetri da lui, con la mano destra posata sulla spalla del fratello.

Quello, per nulla sorpreso di essere stato toccato senza preavviso alcuno, era rimasto immobile, non curandosi neppure di girare la testa per guardare in viso l' essere a cui avrebbe presto rivolto parola.
"Ti ho preso" - aveva detto Cass, sfoderando uno dei sorrisi più dolci e divertiti che avesse mai sfoggiato. Aveva vinto quella partita a nascondino: poteva ritenersi più che soddisfatto.
Ora che aveva la possibilità di osservarlo da vicino, finalmente era stato in grado di riconoscerlo.
Non si trattava di un angelo qualunque, ma del suo adorato fratello Balthazar.
Gli sembrava quasi assurdo di non essersi accorto prima che quello fosse il fratello che tanto lo amava e che tanto amava a sua volta.

"Balthazar! Fratello...".
"Ciao Castiel...".
"Non pensavo fossi tu...".
Una risata più simile ad uno sbuffo era fuoriuscita dalle sue labbra.
"Che cosa ci fai qui, fratello?" - aveva chiesto l' angelo più giovane, ansioso di ricevere una risposta.
"Cosa ci faccio qui, dici? Sai, potrei farti la stessa, identica domanda...".

Cass non capiva il motivo di quello strano comportamento da parte di Balthazar. Suo fratello non era mai stato particolarmente criptico con lui. Spesso peccava di poco tatto, ad essere sinceri.
Mortificato, aveva cercato di togliere la mano dalla sua spalla, ma era stato fermato da Balthazar che, senza alcun preavviso, aveva intercettato quello stesso arto per riportarlo nella posizione precedente.
L' angelo dal trench sgualcito aveva posato gli splendidi occhi blu sulla mano di suo fratello che stringeva convulsamente la sua.
Lo trovava un gesto molto insolito. Gli angeli non avevano necessità di avere contatto fisico tra di loro. Era sufficiente far si che le loro Grazie si mettessero in comunicazione l' una con l' altra per stabilire un legame fisico e mentale. Gli umani avevano necessità di sfiorarsi. Gli umani. Non gli angeli.

"Balthazar...".
"Dimmi Castiel... Dimmi... Soffri?".
L' angelo più giovane aveva aggrottato le sopracciglia, inclinando il capo come era solito fare quando proprio non riusciva a comprendere qualcosa.
"Perché io ho sofferto tantissimo".
Balthazar aveva aumentato la stretta sulla propria mano. Castiel, adesso, cominciava a provare qualcosa di molto simile al dolore.
"Fratello... lasci-".
Ma le parole gli erano morte in bocca nell' istante in cui un liquido caldo e denso era venuto in contatto con la sua mano.
"Ma cosa...??".
Il cappotto di Balthazar era completamente bagnato, zuppo di una sostanza che lo rendeva ancora più scuro di quanto già non fosse.
Il terrore aveva invaso la mente e il cuore di Castiel nell' istante in cui si era finalmente reso conto della natura di quel liquido.
Sangue.
Sangue che sgorgava copioso da un profondo squarcio che suo fratello aveva fra le scapole.
Ma com' era possibile? Pochi istanti prima non c' era, ne era certo!
Incapace di darsi una spiegazione, aveva strattonato indietro il braccio, sperando di fuggire da quell' orrore, ma gli era stato impossibile.
Balthazar stringeva troppo forte.

"Lasciami!" - la paura si stava trasformando in ira, ma neppure quest' ultima sembrava sortire il minimo effetto su di lui.

"Lasciarti, fratellino? Io non credo proprio!".

Balthazar aveva stretto talmente tanto la presa da far penetrare le unghie nelle carni del più giovane che, stupito di avvertire tutto quel dolore, si era lasciato sfuggire un rantolo disperato.

Perché suo fratello voleva fargli del male? Perché?
"Allora Cass? Non mi hai risposto... Soffri?" - aveva detto Balthazar mentre girava lentamente il capo.
Cass credeva che non avrebbe sopportato di vedere gli occhi di ghiaccio di suo fratello specchiarsi nei propri, ma, a seguito di quello che avrebbe visto, avrebbe cambiato idea.
Le pupille di Balthazar erano due profonde pozze di petrolio liquido.
Il volto severo, imperscrutabile, si stagliava davanti agli occhi spaventati e stupiti di Castiel.
D' un tratto, dall' angolo esterno dell' occhio destro, una densa lacrima nera aveva iniziato a percorrere l' ispida guancia, fino a morire nel colletto del cappotto, mischiandosi con il sangue che continuava a sgorgare copioso.

Castiel aveva serrato forte le palpebre, stringendo i denti e chinando il capo, incapace di guardare ancora a lungo quell' orrore.
La forza che aveva sentito scorrere dentro di sè lo stava abbandonando.
La sua Grazia lo stava abbandonando.
Il suo corpo era diventato pesante, e un forte dolore all' altezza del petto stava prendendo il sopravvento sulla sua ragione.

"Allora, Castiel??" - aveva urlato, girandosi di scatto, e afferrando entrambe le mani in una sola, ferrea presa.
Le aveva portate sulla sommità del suo capo, impedendogli di muoversi.
All' improvviso, la schiena di Cass aveva cozzato contro una superficie fredda e dura che gli aveva mozzato il respiro.
Di colpo aveva riaperto gli occhi. Le nuvole e il cielo azzurro erano spariti: attorno a lui c' erano solo cemento, freddo e pioggia.

Perché non riusciva a muoversi? Perché il suo corpo si rifiutava di reagire?

"Balthazar...".

Ma quello che aveva davanti non era più suo fratello, ma qualcun altro che conosceva fin troppo bene.

"Balthazar, micino? Io non credo proprio!".

"AAAAHHHH!!".

Crowley continuava a stritolare fra le proprie dita il cuore pulsante di Castiel. Era incredibile come quella sottospecie di relitto umano riuscisse a resistere ad una tale tortura. Il punto era proprio quello: non voleva ucciderlo, ma solo spaventarlo un po'. Solo che non aveva previsto simili allucinazioni da parte del suo adorato gattino.
L' angioletto credeva di avere davanti quell' idiota di un pennuto biondo che avevano manovrato a loro piacimento. A ben pensarci, era da un bel po' che non si vedeva in giro.
Chissà, magari una delle sue innumerevoli avventure sentimentali lo aveva condotto alla rovina.
Peggio per lui! Il Re dell' Inferno aveva altro a cui pensare, adesso.
Aveva letteralmente in pugno lo splendido stronzo che lo aveva fottuto, e, poteva giurarci, lo avrebbe fatto parlare. Oh, si che lo avrebbe fatto parlare.

"Che c' è, micino?" - aveva detto, soffiandogli nell' orecchio.
Il volto di Cass era una maschera di dolore. La fronte si contraeva in innumerevoli spasmi, e gocce di sudore scivolavano sulla pelle ricoperta da una sottile peluria.
Era bellissimo. Bellissimo, e terribilmente sensuale.
Forse, a ben pensarci, c' era un altro modo per farlo parlare. Un modo molto, molto più divertente per lui.
Dopotutto, Cass glielo aveva messo dove non batte il sole, perché non avrebbe dovuto fare anche lui lo stesso? Con la differenza che lui lo avrebbe fatto letteralmente.

"Ba- basta..." - aveva rantolato Castiel.
Crowley aveva allentato la presa, facendo schiudere le proprie dita da quell' organo vitale, iniziando lentamente a far scivolare la mano fuori dalla sua cassa toracica.
La mano del Re dell' Inferno era sporca del sangue dell' ex- angelo, ma non vi erano squarci o ferite sul petto di quest' ultimo che, libero dalla stretta che lo teneva ancorato al muro, gli era scivolato contro, fino a sedersi in maniera scomposta, quasi del tutto privo di sensi, sulla coperta che aveva abbandonato sul lercio marciapiede.

Il demone lo guardava bramoso.
Si domandava come avesse fatto a non pensare prima a prendersi la rivincita in quel modo.
Lui adorava sentir urlare le proprie vittime, ed era certo che le grida prodotte da quella gola immacolata sarebbero state musica per lui.
E poi, chissà cosa altro avrebbe potuto fare quella gola meravigliosa.
Cosa doveva fare adesso? Portarlo in una bella stanza e fare le cose per bene, o prenderlo lì, su quel marciapiede, come si fa con le puttane?
Puttana.
Già.
Era così che lo chiamavano gli altri cacciatori. O meglio, troia. La troia di un demone. La sua troia.

"Basta, dicevi?" - aveva sussurrato, sedendosi sui talloni, e avvicinando la mano sporca di sangue al volto di Castiel.
Il neo - uomo aveva sussultato, sollevando le palpebre quanto bastava per osservare il mostro che aveva di fronte.
Era spacciato. Non poteva difendersi in nessuna maniera. Non aveva le forze per alzare un braccio, figurarsi per brandire lo stiletto angelico che giaceva abbandonato accanto a sè.
Crowley lo avrebbe comunque torturato per ottenere le informazioni che voleva, che senso avrebbe avuto provare a resistere?

' Codardo '.

Dean aveva ragione. Era un codardo. Un maledetto traditore codardo.
Che lo torurasse pure. Ormai non gli importava più.

"Sai micino..." - aveva detto Cowley mentre gli accarezzava il volto con il dorso delle dita - "Credo di aver capito il perché del fallimento del nostro matrimonio...".
L' ex angelo cercava di ascoltarlo, ma comprendere quello che diceva quel mostro gli sembrava impossibile.
"Tutte le coppie vivono alti e bassi... ma hanno un modo tutto speciale per porre fine alle discussioni spiacevoli".
Lentamente, aveva fatto scorrere le dita insanguinate sulle labbra di Castiel, fino a farle schiudere, annullando quasi la distanza fra loro.
"E sai come si chiama questo modo, micino?" - Crowley aveva leccato il lobo dell' orecchio di Cass, facendolo labbrividire - "Sesso".
Con un abile scatto, il demone aveva spostato la mano destra sul cavallo dei pantaloni della sua preda, spigendo con violenza l' altra sulla sua bocca, per evitare che qualcuno potsse sentirlo urlare e disturbare così quell' intrigante gioco.
Ma Cass non aveva urlato. Sconvolto da un simile contatto con il demone era divetato una statua di marmo.
Lui aveva visto... aveva visto cosa accadeva in quel film con protagonisti la baby-sitter ed il pizzaman, e sapeva bene perché la donna aveva toccato l' uomo in quel punto.
Ma Crowley... Crowley non poteva farlo... Non poteva voler davvero fare una cosa simile... No... lui era... lui era un anegelo... lui era un essere puro... lui...

"Nnnn... Nnnn...!" - aveva mugugnato contro quel palmo che gli impediva persino di respirare.
Castiel cercava di spingerlo indietro facendo leva contro il suo petto fasciato dal cappotto costoso, ma era tutto inutile: Crowley era potente. Potente e infuriato con lui.

"Oh piccino, perché opporre resitenza? In fondo, arriva per tutti il momento di perdere la verginità, non trovi?" - e aveva cominciato a strofinare il palmo sull' inguine della sua vittima. Era stupendo. Il corpo era più magro dell' ultima volta, e le ferite e le cicatrici non facevano che accarescere la voglia che aveva di farlo suo.
Si, lo avrebbe fatto lì, su quella coperta, in quel vicolo maleodorante, strappandogli i jeans di dosso.
Nessuna carezza avrebbe accompagnato quell' atto. Dopotutto, le troie non si baciano e non si abbracciano, no?

Cass si dimenava. Mai avrebbe immaginato che potesse finire in quel modo.
Conosceva Crowley troppo bene, ormai. Non si sarebbe limitato a farlo suo una sola volta. Lo avrebbe reso il suo schiavo personale, costringendolo a soddisfare ogni capriccio, ogni perversione.
Non sarebbe servito a niente dirgli quello che voleva sapere da lui, se fosse stato in grado di farlo.
Forse, sarebbe stato meglio morire nel bagno del bed and breakfast, dopotutto.

Crowley gli aveva abbassato biancheria e jeans fino alle ginocchia con un solo strattone. Era talmente dimagrito che ormai i vestit gli stavano larghi, e non era stato difficile toglierglieli.
Castiel era nudo, stanco e vulnerabile. Si era trovato così tante volte in questa situazione, di recente, che se non fosse stato prossimo a ricevere violenza avrebbe potuto mettersi a ridere.

"Ti basterà solo stare calmo, micino... rilassati, e non sarà molto doloroso... se farai il bravo, potrebbe anche piacerti".
La dita di Crowley avevano cominciato a torturare l' ombelico di Cass, tracciando una serie di cerchi che penetravano sempre più a fondo.
Ribrezzo. Cass non aveva potuto che provare del ribrezzo, per quei gesti non richiesti.
Era totalmente vulnerabile.
I pantaloni rigonfi del demone strusciavano contro la sua intimità esposta, provocandogli un fastidioso bruciore.
Non voleva quello. Non l' aveva mai voluto.

Prepotente, senza nessun preavviso, il demone aveva fatto scivolare ancora la mano fra le sue gambe, stringendo con forza, sta volta.
"MMM!!".
Cass si dimenava. Non voleva che finisse in quel modo. Non doveva finire in quel modo.
Poteva sopportare mutilazioni, frustate, bruciature, ma non quello.

"Nnn... Nnnn... NO!" - aveva urlato, riuscendo a togliere dalle proprie labbra la mano premuta con tanta insistenza.
Non voleva essere toccato mai più.

"Ancora...? Micino, ma non capisci che resistere non servirà a niente?" - e lo aveva tirato per le gambe, facendogli sbattere la nuca contro il marciapiede, strendendosi sopra di lui - "Avrò quello che voglio Castiel, che ti piaccia o meno!".
Ma non sarebbe accaduto.

Dalle labbra di Crowley aveva cominciato ad uscire del fumo nero, e le sue urla avevano riempito l' aria.
Poi, una voce. Qualcuno stava pronunciando un esorcismo, ma Cass era troppo spaventato per capire chi fosse quella figura in lontananza.
Un vortice di fumo nero si stava formando sotto i loro corpi, mentre colava dalle fauci del demone in nuvoloni densi e fitti.
In un urlo spaventoso, il Re dell' Inferno era stato rimandato a casa, e il corpo che aveva posseduto era crollato su Cass, esanime.

Finalmente, era stato in grado di spingerlo lontano e rivestirsi, prima di guardare con occhi indagatori colui che lo aveva salvato da quell' orrenda situazione.
Ma, sta volta, non sarebbe stato colto alla sprovvista. Aveva afferrato il pugnale angelico, puntandolo contro il nuovo arrivato.

"E' questo il tuo modo di ringraziarmi, cacciatore?".

Una voce severa e leggermente rauca aveva raggiunto le sue orecchie.
Non si fidava di nessuno. Aveva visto come gli altri lo guardavano, e aveva sofferto troppo per poter sopportare altre umiliazioni.

"Chi sei tu? Fatti vedere!".

L' uomo dalla voce profonda si era fatto avanti, mostrandosi alla luce del lampione. La pioggia aveva inzuppato i suoi capelli e i suoi vestiti, rendendoli scuri e appiccicosi sulla fronte e sul corpo del suo salvatore.

Cass non riusciva a credere ai propri occhi.

"Mi chiamo Francoise. E sono quello che ti ha appena salvato il culo".

Continua...
_____________________________________________________________________________

Ok, dopo l' ultimo episodio trasmesso dalla CW ho avuto bisogno di un po' di tempo in più per riprendermi rispetto al solito.
BOBBY... =(
Non aggiungo altro. Vorrei solo fare un bel discorsetto alla Gamble, tutto qui.
Ma torniamo a noi.
Capitolo "tosto", eh? Avevo deciso di far accadere il peggio, lo ammetto.
Lo so, sono sadica, malefica, cattiva, perfida, ma cerco di scrivere quello che sento riguardo ai personaggi, e vi posso assicurare che non è affatto semplice. Faccio fatica, in questi casi, a scrivere ciò che penso... Sono contro la violenza, sia ben chiaro!! Pensate che spesso e volentieri apro la finestra per far uscire fuori le mosche... -.-'
Efp fa venir fuori il mio lato oscuro!
Balthazar... cavolo, Cass non si perdonerà mai di aver fatto quello che ha fatto. Le allucinazioni continueranno a perseguitarlo ancora a lungo, purtroppo.
Francoise... chi sarà mai Francoise?
Lo scopriremo presto... Per ora, non possiamo che ringraziarlo per aver salvato Cass.
Ed io ringrazio voi per le recensioni. Siete splendidi.
A presto...
Baci dalla Sicilia!
Cleo

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Francoise ***


Francoise


"Mi chiamo Francoise, E sono quello che ti ha appena salvato il culo".

Castiel guardava l' uomo che aveva davanti con un misto di incredulità e timore.
Era impossibile che il destino avesse deciso di essere talmente beffardo - o meglio, bastardo - con lui.
Ritrovarsi così vicino proprio LUI era un crudele scherzo che non riusciva in nessun modo ad apprezzare.
Perché sapeva fin troppo bene che LUI non era LUI.
Ormai aveva capito che le sue non erano semplici allucinazioni, ma flshback di ciò che era accaduto. Flashback di ciò che aveva fatto con le proprie mani, sporche di troppo sangue innocente.
Sapeva che quello era solo l' involucro, il contenitore, il tramite che aveva dato un volto umano all' angelo che aveva amato più di ogni altro: il tramite che aveva dato volto a Balthazar.
Era incredibile quanto fosse strano trovarsi in quella situazione.
Castiel aveva parlato più volte con Jimmy, prima di entrare nel suo corpo e prenderne possesso, ma avere di fronte il tramite che per così tanto tempo aveva dato dimora ad uno dei suoi fratelli sapendo che suo fratello non c' era più era quasi agghiacciante.
Quegli occhi, quelle labbra, quelle mani erano state di Balthazar.
Solo allora era stato in grado di comprendere cosa significasse ' vedere '. Solo allora era stato in grado di capire cosa avevano provato la moglie e la figlia di Jimmy nel trovarsi davanti qualcuno che era identico al padre nell' aspetto, ma che, in realtà, non era lui.
Cass si era talmente abituato a vedere suo fratello nella propria forma umana che aveva quasi dimenticato come potesse essere la sua vera forma.
A dire il vero, la sua mente umana non riusciva più a visualizzarla. Vedere un angelo non era pratica comune per gli umani.
Ricordarne la propria forma era addirittura impensabile.

Balthazar, o meglio, Francoise, aveva guadagnato qualche altro passo, continuando ad avvicinarsi.
Lo osservava fra il divertito e l' incuriosito.
Che fosse in grado di ricordarsi di lui?

Ma, soprattutto, come aveva fatto a salvarsi da ciò che gli aveva fatto?
Perché Cass sapeva di averlo pugnalato. Non solo l' aveva ricordato, ma continuava a sentirlo. Continuava a sentire il rumore della lama che trapassava le carni del tramite.
Continuava a sentire il rantolo strozzato che fuorisciva dalla sua gola. E, oltre ad aver sentito, l' aveva visto: aveva visto la luce della sua Grazia che esplodeva tutt' intorno, ma soprattutto, aveva visto e continuava a vedere gli occhi, quegli occhi tanto familiari che lo guardavano con sgomento.
Si. Sgomento, non odio.
Perché, nonostante tutto, suo fratello non aveva smesso di amarlo.

"Bè, che ti succede cacciatore? Il diavoletto, lì, ti ha mangiato la lingua?".
Ascoltare la sua voce era peggio che ricevere una stilettata in pieno petto.
Per quanto tempo ancora avrebbe fatto male?

"Io... No... Non mi ha mangiato la lingua...".
Uno strano sorriso, molto simile a quelli che spesso sfoderava Dean quando si meravigliava della sua inesperienza verso i modi di fare umani, era apparso sulle sue labbra.
"Bè, meglio così!".
I suoi occhi cerulei avevano preso a percorrere il corpo seminudo di Castiel.
La cicatrice che sfoggiava aveva attirato la sua attenzione.
"Ti ha... si... insomma, hai capito..." - aveva appena farfugliato, piuttosto imbarazzato, in effetti.
Capendo immediatamente ciò che Francoise intendesse, si era coperto come meglio poteva, sedendosi sui talloni, e cercando di raccattare le poche cose che aveva.
"No".

E pensare che Crowley c' era andato così vicino. Ancora riusciva a sentire il tocco di quelle mani infernali sulla propria pelle, l' odore di quel respiro che si infrangeva sul proprio corpo. Lo avrebbe fatto. Lo avrebbe preso se non fosse arrivato Francoise.
Solo il cielo sapeva quanto gli fosse grato.
"Hai qualcosa con cui coprirti?" - aveva domandato, notando lo sconcerto che si era palesato sul viso di Cass.
Doveva essersi spaventato a morte. E qualcosa, sulla sommità del suo capo, ne era sicuramente la testimonianza più evidente.
Il ragazzo aveva una ciocca di capelli bianca fra quel mare scuro.
Froncoise, però, aveva preferito non dire niente.

Cass aveva risposto a quella domanda estraendo dalla sacca l' ormai ultima camicia superstite. Era incredibile come potesse essere semplice rovinare dei vestiti.
Sempre in silenzio, l' aveva indossata, riponendovi poi la coperta.

"Bene! Ora che sei vestito, direi che possiamo fare le cose per bene, non trovi?".
"Che vuoi dire?" - aveva chiesto Castiel, piegando il capo nel suo solito modo così dolce ed ingenuo.
Francoise sorrideva divertito.
"Bè, io mi sono presentato! Ti ho detto che mi chiamo Francoise, e che sono quello che ti ha salvato il culo! Ma non so chi sei tu! Occhi blu!".
Occhi blu? Cass era davvero perplesso. Anche se Balthazar non era più dentro di lui, sembrava quasi che quell' uomo ne avesse ereditato gli atteggiamenti strafottenti.
Però, se gli aveva chiesto chi fosse, era evidente che non avesse memoria dei ricordi del fratello. Francoise non sapeva chi fosse.
Cosa avrebbe dovuto rispondergli, allora?
"Io... io mi chiamo Jimmy..." - aveva detto - "E... credo di essere quello a cui hai salvato il culo".
Lo scroscio di risate che era fuoriuscito dalla bocca di Froncoise era a dir poco offensivo. Ma Cass non cedeva che fosse il caso di mettersi a fare il difficile.
Era sempre più certo di una cosa, però: non sarebbe mai stato in grado di capire DAVVERO come dovesse comportarsi con gli umani.

"Jimmy, lasciatelo dire! Sei uno spasso!" - gli aveva detto, dandogli una pacca sulla spalla.
Cass aveva sorriso.
"Allora, Jimmy. Dimmi un po' : hai fame? Dopo un' esperienza del genere sono sicuro di si! E credo che ti ci vorrà anche un goccio... niente di meglio di un buon whisky per scaladrsi e per dimenticare un' esperienza del genere!".
E, senza dargli la possibilità di parlare, lo aveva spronato a camminare, indirizzandolo verso la stada maestra.
Finalmente, aveva smesso di piovere.

                                                                                                                   *

Francoise lo aveva portato in una tavola calda. Era un luogo intimo, con pochi tavoli di legno e un lungo bancone in cui era esposto cibo caldo e davvero molto invitante.
Cass, però, non aveva molta fame.
Gli eventi appena accaduti lo avevano scosso nel profondo, facendogli chiudere lo stomaco.
Si sentiva stanco, ma questa non era una novità.
La novità, invece, consisteva proprio nello strano uomo che gli sedeva di fronte.
Il biondino lo guardava serio, come se cercasse di formulare le giuste domande senza metterlo in difficoltà.
Poco male. Dopo quello che aveva passato, l' interrogatorio  di un cacciatore sarebbe stato una bazzecola.

"Allora..." - aveva cominciato, dopo aver ordinato alla cameriera ' la cosa più forte che aveva nel locale ' - "Che cosa voleva quel figlio di puttana, da te? Eh?".
Cass era trasalito. Si aspettava che glielo chiedesse, ma no aveva fatto in tempo a pensare ad una risposta plausibile.
Non voleva mentire, ma sapeva di non poter raccontare la verità. Aveva paura. Ricordava quello che gli avevano fatto gli altri cacciatori: poteva davvero fidarsi di lui?
"Avevamo un conto in sospeso" - si era limitato a dire, evitando il suo sguardo.
Faceva ancora troppo male pensare a Crowley e a quello che stava per fargli.
"Ho visto... Bastardo! Adesso pretendono anche di trattarci come le loro puttane! Demoni bastardi!".
Francoise aveva l' aria schifata, e si era lasciato cadere pesantemente contro la spalliera della sedia di legno.
"Ma come hai fatto a farti incastrare? Se avevate un conto in sospeso, avresti dovuto prendere delle precauzioni!".
"Contro Crowley? No, fidati... puoi prendere tutte le precauzioni che vuoi contro di lui... riuscirà sempre a spuntarla".
"CROWLEY? Quello era Crowley? Quello che si spaccia per il nuovo Re dell' Inferno?".

Cass si era morso la lingua. Aveva parlato troppo, evidentemente.
"Già..." - ormai il danno era fatto.
"Cazzo, come hai fatto a metterti contro il peggiore di tutti i bastardi? Che gli hai fatto? Gli hai tolto da sotto il naso il piatto in cui mangiava?".
"Prego?" - non era certo di aver capito.
Francoise lo guardava basito: possibile che questo ragazzo non capisse i più banali modi di dire?
"Dico, devi averlo fottuto alla grande per averlo fatto incazzare in quel modo!".
Aveva visto Jimmy diventare distante all' improvviso. Doveva aver detto qualcosa di sbagliato.
"Credo di si. Ma dimmi, cosa ci facevi lì? E come hai fatto a capire che sono un cacciatore?".
Non era del tutto esatto, perché lui non era un vero cacciatore, ma quelli erano dettagli, al momento.

"Sono in città da qualche giorno. Un amico mi ha detto che qui stavano accadendo cose strane. Cadaveri trovati smembrati. Semi divorati da qualcosa di troppo grande per essere un lupo mannaro e troppo piccolo per essere un altro bastardo ghiotto di carne umana presente su di uno dei miei libri".
"Tu... hai dei libri che parlano di queste cose?".
"Vuoi scherzare?? Certo che ce li ho! Perché? Tu come lavori, scusa?".
Altra cazzata immane. Ma perché non chiudeva quella stupida boccaccia che si ritrovava?
"Io... emm... chiamo un amico quando ho bisogno di qualcosa di urgente... o entro in un... in un internet cafè e faccio le mie ricerche".
Era una panzana immane, ma poteva essere credibile. O almeno sperava.
Scusa assurda per uno che non aveva mai neanche acceso un pc in tutta la sua vita, in effetti.
"Bha! Troppi giri inutili! Ora capisco perché ti sei ritrovato in quel casino!".
"Che vuoi dire?".
"Che sei ancora un po' inesperto, moccioso! Ecco perché eri così impreparato! Cazzo, hai rischiato di fartelo piazzare dal re dell' inferno in persona!".

Quelle parole lo avevano offeso nel profondo.
Come si permetteva di parlargli in quel modo? Era un estraneo anche se aveva le sembianze di Balthazar, e dunque non lo conosceva.
Adirato, si era alzato in piedi per andarsene, ma Francoise l' aveva afferrato per un polso, fermandolo.

"Ehi...".
Cass si era fermato.
"Sono stato uno stronzo. Scusami. Dai, siediti... Dai...".
Aveva obbedito, non sapendo neanche lui perché.
Francoise lo guardava con quei suoi grandi occhi azzurri.
"Cazzo se sono stato uno stronzo... dirti quelle cose... Mi devi perdonare... a volte non riesco a controllarmi! Tutta colpa di quel bastardo...".
Castiel si era improvvisamente incuriosito.
"Di chi, scusa?".
"Non mi fa piacere parlarne... Sono stato un coglione... Ma anche ai migliori può capitare!".
"Che cosa, Francoise?".
L' uomo si era incupito all' improvviso.
"Un fottuto, bastardissimo demone mi ha posseduto per anni...
Quel coglione si è divertito a sguazzare nel mio corpo e a fare danni in giro!
Nonostante fossi un cacciatore esperto, non sono riuscito ad evitarlo. E il peggio è che non ho la più pallida idea di cosa abbia fatto con me!".

Aveva cominciato a torturare il menù presente sul tavolo.
Cass non sapeva se essere sollevato o meno.
Francoise credeva di essere stato posseduto da un demone, non sapeva che nel suo corpo aveva dimorato Balthazar.
Il fatto che non ricordasse nulla era assolutamente un punto a suo favore.
Ma, ora che sapeva, tutto sarebbe stato più difficile: non gli piaceva mentire. Stava pagando sulla propria pelle l' errore di centinaia di menzogne.
Avrebbe dovuto giocare sporco un' altra volta, purtroppo per lui.

"E... come hai fatto a liberartene?".
"Non ne ho la più pallida idea! Un giorno mi sono svegliato in una specie di magazzino con uno squarcio enorme sul cappotto e sui vestiti, proprio fra le scapole.
Chissà che cazzo è successo lì dentro...".
"Però... sei vivo...".
Francoise lo guardava come se stesse parlando con un idiota.
"Sono vivo, si, ma non so che cazzo ho combinato mentre quel coglione mi usava come un preservativo!
Non so se ho ucciso o torturato, o meglio CHI ho ucciso e torturato. Perché quei bastardi questo fanno.
Potrei anche aver fatto a qualcuno quello che Crowley stava per fare a te. Che schifo...".

Si sentiva ancora più bastardo di prima.
Avrebbe tanto voluto dirgli che non aveva fatto nulla del genere, ma doveva stare zitto.
Doveva farlo per il proprio bene.

"Ragazzi, ecco a voi i drink!".
"Grazie tesoro!" - aveva risposto Francoise, bevendo il bicchiere tutto d' un sorso.
Cass l' aveva guardato a lungo prima di bere. Ricordava bene la prima volta che si era ubriacato. Si era scolato un intero negozio di liquori. Assurdo. A dir poco assurdo.
"Woa! Fratello! Sei una spugna! Ce ne vuole un altro, non trovi? CAMERIERA!".

Cass sorrideva.
Francoise l' aveva chiamato fratello. Se solo avesse saputo come stavano le cose in realtà, avrebbe pronunciato quella frase con molta meno leggerezza.
E poi, era talmente assurdo... Era come avere Blathazar... ed era come avere Dean...

Con l' amaro in bocca, Cass si era perso nel liquido ambrato che gli era stato appena servito.
Si sentiva di nuovo come quando aveva messo piede in quel negozio di liquori: avvertiva un profondo, immenso desiderio di bere.

Continua...
____________________________________________________________________________

Rieccomi!!
Ed ecco svelato il mistero forse poi non tanto misterioso!
Inutile chiedervi scusa per il ritardo...
Ormai è diventata un' abitudine! Malsana, lo ammetto! =(
Che ne pensate nel nostro fracese? Ancora non sappiamo nulla di lui... ma presto rimedieremo!
Cass e l' alcol.... che combinerà il nostro angelo adorato?
Restate con me...
Grazie a tutti per le recensioni!
Vi amo!
Baci
Cleo

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Alcol ***


Alcol


Dean era in viaggio da ore, ormai.
La pioggia battente gli aveva causato non pochi problemi, ma non aveva la benché minima intenzione di fermarsi.
Era stato costretto a lasciare Sam da solo con Bobby per risolvere una questione di estrema importanza e, non che non si fidasse di quel vecchio ubriacone, voleva rientrare il prima possibile.
Il suo piccolo gigante continuava a stare male. Il suo fratellino aveva vomitato l’ anima la notte precedente, e alcuni dei tagli che si era procurato nel suo scontro frontale con la porta-vetro si erano infettati.
Evidentemente, la vodka non andava più bene per curare quel genere di ferite.
Neanche per le sue, a dirla tutta.
Furtivamente, aveva lanciato un’ occhiata al sedile del passeggero, dove una serie di cadaveri di vetro erano buttati alla meno peggio.
“Fanculo…” – aveva detto, mentre cercava la bottiglia mezza piena che aveva creduto di vedere un attimo prima.
Voleva bere. Ne sentiva il bisogno. Era qualcosa che andava al di là della razionalità.
Voleva bere per non pensare a tutte le stronzate che aveva fatto.
Voleva bere per non sentirsi in colpa verso suo fratello.
Voleva bere per non sentire più niente.

Il problema, però, era che su Dean Winchester l’ amatore, su Dean Winchester lo spaccone, l’ alcol non aveva più nessun effetto.
Lo intontiva appena. La tanto agognata sbronza non riusciva ad arrivare.
Forse, era davvero colpa della vodka a buon mercato che aveva comprato, ma non aveva abbastanza soldi per potersene permettere una migliore.
Aveva speso tantissimo denaro per comprare le medicine per Sam.
Antidepressivi.
Stava somministrando a suo fratello un quantitativo di merda che avrebbe steso anche un elefante.
Eppure, Sam non riusciva a trarne giovamento.
Se ne stava tutto il giorno seduto su quella maledetta poltrona a fissare un punto preciso della stanza, spostando di tanto il tanto lo sguardo in base a dove, secondo la sua mente disturbata, si trovava il bastardo che lo aveva ridotto in quello stato.
Il diavolo.
Poteva esserci una tortura più grande di quella?
Eppure, in cuor suo, lui sapeva già la risposta, perché, a sua volta, prova la più grande tortura mai subita.
Solo che mai e poi mai lo avrebbe ammesso, perché, a volte, l’ ammissione, faceva più male della tortura stessa.

*

Castiel e Francois erano appena usciti dal locale, ubriachi come due mozzi imbarcati su di un veliero di pirati.
Entrambi, barcollavano incontrollatamente, mentre cercavano un appiglio l’ uno sull’ altro.
Francois rideva come un idiota, troppo annebbiato dai fumi dell’ alcol, e Cass lo seguiva a ruota libera, come se fosse una sua sorta di appendice.
Inavvertitamente, mentre cercavano di arrivare alla macchina di Francois, Castiel era inciampato nei suoi stessi piedi, rischiando di cadere rovinosamente al suolo. Per fortuna, Francois non era poi così ubriaco da farlo cadere come una pera, ed era stato pronto sorreggerlolo con le poche forze che aveva serbato.

“Ehi! Cacciatore! Devo proprio ricordarmi di non farti bere più… Guardati! Fai schifo!” – e aveva cominciato a ridere come un idiota.
“Guarda che tu non sei messo meglio!” – aveva biascicato Castiel, con non poca fatica.
“E poi, smettila di chiamarmi cacciatore!”.
Francois rideva.
“Perché? Ti da fastidio forse, cacciatore?”.
In tutta risposta, Cass gli aveva dato uno spintone, ricevendone un altro in cambio.

Fra le risate e gli effetti collaterali dell’ alcol, i due si erano messi a camminare a passo spedito – per quanto il loro corpo glielo permettesse – arrivando fino al punto fi rincorrersi, quasi.

“Ehi! Francese! Dove vai? Torna qui?”.
Ma quello non lo stava ascoltando.
Ormai era lontano, vicino a quella che sembrava essere proprio la sua automobile, visto che più di una volta aveva cercato di inserire nella serratura la chiave che si stava divertendo a farlo impazzire.
Cass lo aveva raggiunto.

“Cacciatore… Ti ho detto di chiamarmi Francois, non di essere francese!”.
“E’ uguale!”.
“No che non lo è!”.
“Si, invece!”.
“E chi lo dice?” – il biondo si era girato all’ improvviso, il viso rosso per lo sforzo e dense nuvole di fumo che fuoriuscivano dalle sue labbra socchiuse.
Castiel, senza rendersi conto di quello che stava veramente facendo, gli si era avvicinato in maniera quasi imbarazzante, fissando con insistenza le labbra e i begli occhi chiari.
Perché il destino era stato così crudele con lui?
Perché lo tormentava in quel modo così inumano, così meschino?
Quell’ uomo era Balthazar, eppure non lo era. Quell’ uomo, così identico al fratello che aveva tanto amato, era un dolore e una gioia allo stesso tempo.
Quell’ uomo, così affascinante e franco, era così simile a lui… così simile a…
“Dean…”.
“Cos-?”.
Ma tutto era accaduto troppo in fretta.
Cass aveva preso il volto di Francois fra le mani, e, con estrema lentezza, aveva posato dolcemente le proprie labbra sulle sue, ad occhi chiusi.

Francois non si era ritirato, forse perché troppo sconvolto, forse perché troppo ubriaco.
Sta di fatto, che si era lasciato baciare.
D’ accordo, tecnicamente chiamarlo bacio era esagerato, ma come avrebbe potuto definirlo, altrimenti?
E poi, quello strano cacciatore lo aveva chiamato ‘ Dean ‘.
Cazzo, Jimmy doveva essere proprio ubriaco per averlo scambiato per questo tizio. Almeno, sperava che fosse uno bello almeno quanto lui!

D’ improvviso, come se si fosse svegliato da un incubo, Cass era stato colto da un fremito, e si era allontanato da Francois di scatto, farfugliando qualcosa di incomprensibile.

“Io – io...”.
Ma che cosa aveva fatto? Aveva baciato il tramite di suo fratello. Aveva baciato uno sconosciuto.
Se non fosse stato così ubriaco, forse sarebbe scoppiato in una fragorosa risata.
Ma, in quel frangente, non aveva affatto voglia di ridere.

Francois non aveva proferito parola. Si era limitato a guardarlo, senza esternare un’ emozione in particolare.
Ogni tanto bagnava le labbra con la lingua, facendole diventare umide e rosa.
In un certo senso, stava ancora cercando di capire che sapore avesse un uomo, in particolare Jimmy, date le circostanze.
Con se stesso, aveva già ammesso che, nonostante la stranezza della situazione, non era affatto un sapore spiacevole, ma mai e poi mai lo avrebbe detto ad alta voce.
A lui piacevano le donne.
Quello, poteva considerarsi solo un episodio da aggiungere a tutti quelli passi e a quelli futuri.
Cazzo, non capitava tutti i giorni di essere baciati da un frocio così carino, poi!
Almeno i suoi sospetti erano fondati! Jimmy era troppo fragile e carino per essere uno a cui piaceva divertirsi con le signorine.
Davvero un peccato: le donne sarebbero impazzite per uno come lui.

“Francois… io…”.
“Zitto… e sali in macchina… sempre se riesco ad aprire la portiera…”.
Cass era basito. Possibile che non volesse mandarlo via?
“Ma…”.
“Che c’è? Vuoi aspettare che torni Crowley, forse?”.
“Certo che no!”.
Pochi istanti dopo, con un lieve scatto, la portiera si era aperta.
“Allora muovi quel bel culetto sodo che vai ad prostrare in giro e sali!”.

Sedere da prostrare in giro? Ma cosa stava dicendo?
Bà! Che importanza poteva avere? Era troppo sbronzo perché gliene importasse veramente.
Senza farselo ripetere due volte, aveva fatto il giro dalla parte del passeggero, ed era salito a bordo, tenendosi stretto il proprio borsone.

La testa gli girava da morire, e, nel momento in cui si erano messi in marcia, le cose erano addirittura peggiorate.
Sentiva una fastidiosissima sensazione all’ altezza dello stomaco, come se ci fosse una sorta di peso opprimente e, per una volta, non si trattava della sua coscienza.
Nel disperato tentativo di calmarlo, vi aveva messo sopra entrambe le mani, eseguendo dei leggeri massaggi circolari senza neanche rendersene conto.
Ci mancava solo quello.
Sarebbe mai riuscito a combinarne una giusta, in vita sua?

Ancora pensava a quello che aveva appena fatto.
Baciare Francois.
Ma che gli era venuto in mente?
D’ accordo, caratterialmente poteva davvero somigliare tantissimo a Dean, ma porca miseria, perché lo aveva baciato?
Cavolo, forse era proprio quello il problema principale: lo aveva scambiato per Dean.
Ma perché, allora, aveva avvertito il profondo desiderio di unire le sue labbra a quelle del cacciatore che lo aveva rinnegato, allontanandolo per sempre dalla propria vita? Non aveva senso…
Dean lo odiava… Non si sarebbe mai e poi mai lasciato neanche sfiorare da lui.

Amareggiato, aveva cominciato a ripensare all’ episodio con Meg.
Quella volta aveva provato una sensazione diversa. Era puro desiderio fisico.
Adesso, invece, di cosa mai poteva trattarsi? In fondo, conosceva già la risposta a quelle domande, ma ammetterlo, avrebbe fatto davvero troppo male.

Tutto quel pensare non aveva fatto altro che aumentare la sgradevole sensazione di disagio che provava.
Il dolore allo stomaco era aumentato, e uno strano calore si stava espandendo per tutto il suo corpo.
Senza rendersene conto, aveva cominciato a tremare.

Francois, che grazie ad anni di esperienza post sbronza aveva perfetta padronanza della propria auto, si era accorto del disagio di Jimmy.
Forse, quel piccoletto continuava a pensare a quello che aveva appena fatto.
Al solo pensiero, gli veniva da sorridere.

“Ehi…”.
“Mmm?”.
“Tutto bene?”.

Cass aveva esitato prima di rispondere. Non andava tutto bene, ma non voleva fare la parte di quello che doveva sempre essere salvato!

“Guarda che se stai pensando a quello che è successo, non devi stare lì a lambiccarti il cervello! E’ capitato! Basta! Facciamoci una bella risata, e amici come prima!” – e gli aveva riservato un divertito sorriso rassicurante.

Cass, però, si sentiva tutto fuorché rassicurato. Il dolore era aumentato, diventando quasi insostenibile.
Francois doveva essersene accorto, perché gli aveva rivolto un’ occhiata preoccupata, chiedendogli subito dopo se tutto andasse bene.
La risposta di Jimmy lo aveva lasciato di sasso.

“Ferma la macchina”.
“Eh? Ma dai! Non ti sarai mica offeso? E poi, sono io quello etero che è stato baciato da un gay, sarei io a dover essere offeso!”.
“Ferma la macchina!” – il tono di Cass era quasi disperato.
“E dai!”.
“FERMA – SUBITO – LA – MACCHINA!”.

A quell’ ordine perentorio, il cacciatore aveva arrestato di colpo la corsa della propria auto, osservando inerme un Jimmy che apriva la portiera e si gettava a terra carponi, cominciando a vomitare tutto quello che aveva ingerito, e forse anche di più.
Sollevato, Francis si era lasciato andare ad una sonora risata.

“Ahahah! Non ci posso credere!”.

Ma Cass non ci trovava niente da ridere.
Era una delle sensazioni più spiacevoli di tutta la sua vita.
L’ alcol e il cibo che aveva ingerito stavano facendo il percorso inverso nel proprio corpo, ritrovandosi al suolo in una forma ambigua, puzzolente e disgustosa.
Ogni conato era terribile, e lo faceva contorcere e tremare come una foglia.

Ancora fra le risate, Francois si era spostato sul sedile del passeggero, mettendosi dietro a Jimmy quanto bastava per reggergli la testa.

“Pessimo cacciatore, frocio, e incapace di reggere l’ alcol. Poteva andarmi peggio di così?”.

Cass, che finalmente aveva smesso di vomitare, si era lasciato tirare in macchina, sprofondando letteralmente nel sedile, mezzo incosciente.

Francois aveva ripreso a guidare.
A quanto pareva, quella sera avrebbe avuto una sposina da portare in casa fra le proprie braccia.
Sperava solo che non fosse troppo pesante.
Non aveva alcuna intenzione di svegliarsi, l’ indomani, con un terribile mal di schiena.

Continua…
_____________________________________________________________________________________________________

Salute a voi, mie care fans di Supernatural!
Come ve la passate?
Io abbastanza bene, a parte il terribile freddo di questi giorni.
Inutile ormai chiedervi scusa per il ritardo. Però, devo decidermi a stabilire di nuovo un giorno fisso per la pubblicazione. Pensavo o alla domenica o al lunedì.
Spero di riuscire a postare ogni domenica, comunque, a partire da questa.
E' che sto scrivendo altre due fic, e tra un po' ne inizierò una terza (so che non ve ne frega, ma ci tenevo a dirvelo perché la scriverò con un' autrice del fandom di Dragon Ball, è la prima volta che scrivo a quattro mani, e sono molto eccitata all' idea).
Tornando a noi, non vedo l' ora che ricominci Super perché tutte queste pause della CW mi hanno davvero seccata.
Passando al capitolo: ok, magari non era proprio quello che avevate pensato in molte, ma ci siamo andate vicino...
MA CASS, CHE CAVOLO MI COMBINI???
Mha... Meglio non esprimermi oltre... Lascio questo arduo compito a voi lettrici! ;)
Chissà che avrà da fare Dean, poi... Lo sapremo presto (la prossima domenica, spero).
Per ora vi saluto, approfittando di questo spazio per ringraziarvi delle splendide recensioni.
Siete fantastiche!
Baci grandi!
Cleo

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Sex and Lies ***


Sex and Lies


Il viaggio non era stato dei più piacevoli. Gli aveva causato mal di schiena e una forte emicrania, anche se, ad onor del vero, credeva che la causa di quest’ ultima fosse l’ ingente quantità d’ alcol che aveva assunto.
Non vedeva l’ ora di finire con quella pagliacciata e ritornarsene a casa, da Sammy.

“Se solo quel coglione piumato non avesse fatto tutto sto casino…” – pensava, mentre sbatteva violentemente la portiera della sua bambina, maledicendosi, ovviamente, perché il ‘ lieve rumorino ‘ prodotto gli aveva causato una fitta alla testa pazzesca.
“Brutto… figlio di puttana!” – non sapeva neanche più con chi prendersela, oramai.

In ogni caso, fra alti e bassi, borbottii e varie imprecazioni, era riuscito ad arrivare a quello che ormai si poteva considerare una sorta di quartier generale per tutti i cacciatori che sapevano dell’ immane casino a cui avevano involontariamente contribuito, – perché sì, dolenti o nolenti, loro avevano contribuito – per incontrare il resto della ciurma. Erano ormai lontani i tempi in cui il ritrovo dei cacciatori era il bar gestito da Ellen e Jo.

Non gli piaceva lavorare con gli altri cacciatori. Non era mai piaciuto né a lui né a Sam. Li trovavano pieni di sé, rozzi, e spesso inaffidabili. Il più delle volte si era rivelato un errore fatale far loro affidamento.
Ma, sta volta, Dean Winchester non poteva permettersi di fare lo schizzinoso.
C’ erano le vite di troppe persone, in ballo.
Così, zaino in spalla e mal di testa che cavalcava veloce come una valchiria impazzita, aveva bussato alla vecchia porta di legno di quella sottospecie di casa sgangherata dispersa fra le montagne. Come diavolo facesse a stare ancora in piedi era un mistero.

“Parola d’ ordine” – aveva detto una voce cavernosa dietro la porta.
Dean aveva fatto roteare gli occhi al cielo. Da quando c’ era una parola d’ ordine?
“Andiamo ragazzi… sono io… Dean!”.
Ma il misterioso interlocutore sembrava tutto fuorché convinto.
“Parola d’ ordine”.
Ma che cazzo significava ‘ parola d’ ordine’ ?? Lui aveva un mal di testa atroce, aveva freddo, e per di più doveva anche pisciare. Non era proprio momento per chiedergli una stupida parola d’ ordine che non sapeva!
“Senti un po’ brutto figlio di puttana, se non apri immediatamente questa porta, io…” – e, proprio in quell’ istante, la porta si era magicamente aperta, rivelando un omone di centotrenta kg alto quanto Sam, con una stupida bandana da motociclista in testa e il tatuaggio di un cuore sul braccio con la scritta ‘ I love Mum ‘ grande come una casa che lo guardava minacciosamente. Dolori. Sarebbero stati grossi, grossi dolori.
“Emm… Ehi! Amico… Salve! Bella giacchetta… Ma non sarà un tantinello fuori stagione??” – aveva cercato di sdrammatizzare. Forse, aveva trovato un motivo più che valido per farsela addosso, perché il tizio continuava a guardarlo con aria minacciosa.
Dean aveva sfoderato il suo miglior finto sorriso nella speranza di prender tempo e trovare qualcosa di intelligente da dire: era un cacciatore che era quasi stato fatto fuori da suo fratello posseduto dal demonio, non poteva permettersi di schiattare – di nuovo, fra l’ altro – per mano di un energumeno pseudo motociclista che si atteggiava a buttafuori. Ma poi, che caspita ci faceva lui lì??
“Edmund, ma si può sapere chi stai… DEAN!! FINALMENTE!!” – una ragazza gli aveva salvato la vita. E non si trattava di una semplice ragazza, ma proprio di LEI.
“Ma che ci fai tu qui??”- aveva chiesto Dean, incredulo.
Lisa lo guardava, raggiante, mentre un Ben festante aveva appena raggiunto sua madre.
“DEAN! Come butta? Ce l’ hai fatta ad arrivare!” – il ragazzo era cresciuto dall’ ultima volta che lo aveva visto. Era cresciuto parecchio, a dire il vero, e sembrava fosse in ottima forma! Per un istante, Dean aveva avuto il pensiero di abbracciarlo stretto ma poi, all’ improvviso, si era reso conto che loro NON avrebbero dovuto trovarsi lì e che soprattutto NON avrebbero dovuto ricordare neanche il suo nome, figurarsi se avrebbero dovuto sapere che doveva arrivare da un momento all’ altro.
Ma che cazzo era successo? Che quell’ idiota patentato di Castiel avesse fatto un altro danno colossale oltre a quelli che aveva già fatto era ovvio. Ah! Quanto si odiava per averlo scacciato via! Avrebbe dovuto tenerlo con sé e torturarlo fino a fargli piangere sangue! Quello sì che sarebbe stato un miracolo!

“Ma perché te ne stai lì impalato? Vieni dentro che fa freddo!” – e Ben lo aveva strattonato per un braccio, costringendolo ad entrare.
Mentre varcava la soglia sotto lo sguardo schifato dello scimmione che aveva minacciato di ucciderlo, Lisa gli si era letteralmente buttata al collo, stringendolo forte, per poi dargli un sonoro schiaffone sulla guancia, che aveva preso a pulsare, dolorante.

“Ahi! Ma sei impazzita??”.
“Questo era per avermi fatto cancellare la memoria!”.
Un altro ceffone, sull’ altra guancia.
“Questo era per averla fatta cancellare a Ben!”.
Un altro.
“Questo è per averci abbandonati!”.
Un altro ancora.
“E questo per essere venuto qui praticamente mezzo ubriaco!”.

Dean era interdetto e visibilmente stordito. Durante quel ‘ trattamento speciale ‘ riservatogli da Lisa, la sua testa aveva preso a girare a destra e a sinistra. Non gli era particolarmente piaciuto fare la trottola, ma doveva ammettere di meritarselo. Ma possibile che non ne azzeccasse mai una??

Dolorante, si stava massaggiando entrambe le guance con la mano destra, facendo con la bocca le smorfie più buffe.
Lisa lo stava osservando, soddisfatta.
“E sai, Dean? Ora che ci penso te ne meriteresti un altro!” – e aveva levato il braccio al cielo, pronta a colpire, facendo chiudere il prode Winchester a riccio su se stesso. Il colpo, però, non era arrivato.
“Ti sembra quello il modo di salutarmi, dopo tanto tempo?”.

La sua voce si era tremendamente addolcita, così come il suo sguardo. La verità era che Dean le era mancato, le era mancato tremendamente. Non avrebbe voluto farglielo capire, ma era stato più forte di lei. Ogni volta che lo guardava in quegli occhi meravigliosi, il suo cuore si riempiva di gioia e, allo stesso tempo, di dolore.
Lei sapeva, sapeva fin troppo bene quanto Dean avesse sofferto. Prima sua madre, poi suo padre, poi Sam e adesso questo Castiel, il peggiore di tutti.
Perché tutti facessero soffrire una creatura così buona e coraggiosa come Dean non riusciva proprio a capirlo.

Quest’ ultimo la guardava, ancora incapace di pensare razionalmente.
Era venuto lì per una riunione importante, e si ritrovava davanti Lisa e Ben, le persone che erano state più di tutte simili ad una famiglia sua. Sua e di nessun altro.
Quante domante avrebbe voluto fargli? Perché erano lì? Come avevano fatto a ricordare ogni cosa? Chi era quello scimmione che gli aveva aperto la porta? Ma, purtroppo, non riusciva a formulare una frase di senso compiuto.
L’ unica cosa a cui riusciva a pensare era quanto Lisa fosse bella.

Sorridendo, Dean le aveva posato la mano sulla spalla, guardandola dritto negli occhi.
“Sono felice di rivederti, Lisa”.
“Anche io”.

Dean Winchester si stava silenziosamente maledicendo. Dovevano essere i fumi dell’ alcol. Non poteva esserci ricascato un’ altra volta.

*

Il sole era sorto da un pezzo, ormai.
Eppure, lui continuava a rimanere a letto, mezzo addormentato, noncurante dei rumori ovattati che provenivano dalla stanza accanto. Aveva ricordi confusi della notte precedente. Sporadici episodi riaffioravano dalla sua memoria, ma erano solo sprazzi impossibili da ricucire insieme. La sua testa era troppo pesante, e quel minuscolo, insignificante raggio di sole che filtrava dalla tapparella lo stava letteralmente facendo impazzire. Per questo, si era tirato le coperte fin sulla testa, con l’ intenzione di morirci sotto soffocato, probabilmente.
Però, quando natura chiama c’ è ben poco da fare, e allora Castiel è stato costretto ad uscire dal suo caldo rifugio nella speranza di potersi al più presto liberare la vescica.
Solo che, proprio quando aveva appena finito di fare uno sforzo immane per mettersi seduto e la sua testa aveva finito di pulsare, qualcuno aveva avuto la delicatezza di spalancare una porta in stile ‘ elefante in una cristalleria ‘, parlando a voce altissima.

“Buongiorno cacciatore? Dormito bene??”.
Un Francois più pimpante che mai lo stava guardando con un sorriso a trentadue denti. Questo, almeno, prima di rendersi conto dell’ aspetto della persona che aveva davanti.
“Mamma mia che brutta cera! E a te è capitato il MIO comodo letto! Io sono finito sul divano e guarda come sono bello!” – e si era indicato, facendo un’ espressione più che compiaciuta – “Non lo reggi proprio l’ alcol, cacciatore!”.

Cass si teneva la testa fra le mani. Aveva capito meno di un terzo delle parole di Francois, ma si sentiva troppo in imbarazzo per poter rispondere a tono. E poi, aveva ragione: non lo reggeva proprio l’ alcol.

“Allora!” – aveva detto il padrone di casa, sedendosi accanto a lui – “Stai un po’ meglio di ieri? No, dico, hai vomitato anche l’ anima e sono stato costretto a portarti in casa in braccio. E non sei proprio leggero come una piuma, principessa!”.

Castiel voleva morire. Che vergogna… Era stato portato in casa in braccio… Ma possibile che non ne combinasse una giusta?

“Però…” – aveva aggiunto Francois, guardandolo con un’ aria strana e avvicinandosi a lui fino a sfiorargli la spalla con la sua – “Almeno hai saputo come farti perdonare” – e gli aveva fatto l’ occhiolino.

Il poveretto aveva alzato di scatto la testa, causandosi una fitta dolorosissima che, per un attimo, gli aveva fatto perdere il filo del proprio ragionamento.
Francois lo guardava, divertito. Jimmy non ricordava niente di niente, neppure dell’ innocente bacino che gli aveva dato, e aveva pianificato di prenderlo un po’ in giro. Dopotutto, per quanto fosse bello e affascinante, non aveva mai ricevuto delle avances da un altro uomo, anche se, tecnicamente, era stato scambiato per qualcun altro. E poi se lo meritava, visto che si era davvero rotto la schiena per portarlo su!

Cass lo guardava, senza capire. Che voleva dire che si era fatto perdonare??

“Oh! Andiamo!” – aveva esclamato Francois, ammiccando, e poggiandogli una mano sulla coscia, sfregandola sensualmente – “Non fare questa faccia… Dopotutto, sei stato tu a sedurmi…”.
Sedurlo??
“E ti dirò di più…” – e gli si era avvicinato all’ orecchio, sussurrandovi appena – “Sei stato davvero fantastico”.

Castiel era convinto che sarebbe morto da un momento all’ altro. Ricordava. Adesso ricordava chiaramente di averlo baciato. Ricordava il sapore di alcol che avevano le sue labbra, ne ricordava la consistenza.
Ma non pensava che fosse stato così fantastico. Cavolo. E perché, poi, aveva come la netta sensazione che Francois si stesse riferendo a qualcosa che lui non riusciva proprio a capire??

Guardava Francois con aria terrorizzata, non rendendosi conto di essere sbiancato. Per di più, quel continuo sfiorargli la gamba stava aumentando spropositatamente il suo bisogno di raggiungere il bagno.
Imbarazzatissimo, aveva cercato di allontanarsi da lui, ma Francois non sembrava della stessa idea: aveva stretto la presa sulla sua coscia, prendendo poi fra le labbra e iniziando a mordicchiare il piccolo, morbido e succulento lobo della sua povera, ignara vittima.

Improvvisamente, Castiel sembrava aver capito ogni cosa.
Il pizza-man, la baby-sitter… Loro avevano… avevano…
“Abbiamo fornicato!” – aveva balbettato, quasi incredulo della sua perspicacia.
A quelle parole, Francois non aveva potuto fare altro che staccarsi velocemente da Cass ed esplodere a ridere con una sonora pernacchia.
“AHAHAHAHAH!!!” – rideva sguaiatamente, mentre si dimenava sul letto.
Castiel lo guardava, sconvolto. Ma cosa c’ era da ridere?? Loro due avevano fornicato! Avevano avuto rapporti sessuali. Lui aveva avuto un rapporto carnale con uno sconosciuto. Aveva avuto il suo primo rapporto con un uomo. Si stava sentendo male. Si stava sentendo male per davvero. Aveva perso la propria purezza… E non l’ aveva persa per amore.
Improvvisamente, Castiel aveva iniziato a sentirsi sporco e la sua mente e in suo cuore avevano cominciato a galoppare veloci. Non poteva averlo fatto. Non per davvero. Lui… lui… lui non lo ricordava neppure. Una persona aveva goduto del suo corpo e lui non ne aveva memoria.
Voleva fare una doccia. Doveva fare una doccia. E subito.

Con un gesto brusco, si era staccato da Francois, che ancora rideva come un forsennato.
‘ Fornicare ‘. Ma chi utilizzava ancora quel termine??
“Ehi! Ma dove vai? Che ti prende?”.
Ma Cass non lo aveva risposto. Si era diretto verso il corridoio senza neanche degnarlo di uno sguardo, e si era chiuso a chiave in bagno.
All’ improvviso, Francois si era reso conto che forse il suo non era stato poi un così grande scherzo.
“Merda…” – si era detto – “Ed ora chi glielo dice che era uno stupido scherzo?”.
Avrebbe dovuto trovare il modo di farsi perdonare.

*

Dean ansimava. E non era il solo.
Sotto di lui – anche sopra, all’ occorrenza – c’ era una Lisa mezza nuda e completamente rapita dall’ atto che stavano consumando.
Era fantastico. Lei era fantastica.
Dean aveva completamente dimenticato cosa significasse stare con Lisa in quel senso.
Era stata lei a trascinarlo letteralmente nell’ Impala con la scusa di dover uscire per andare le birre, e lo aveva praticamente quasi violato senza il suo permesso.
Se l’ era ritrovata in grembo, mentre lo spogliava del giubbotto di pelle e della camicia in un solo colpo.
Non era stato capace di resistere, e in un attimo si erano trovati sdraiato l’ uno sull’ altra sui sedili posteriori dell’ Impala.
E non avrebbe potuto sperare di meglio, dopo tutte le sciagure a cui era andato incontro.
Si muovevano insieme, perfettamente coordinati.
Dean, però, non riusciva a tenere gli occhi aperti. Aveva scoperto che tenerli chiusi era mille volte meglio. Non che quello che aveva davanti non gli piacesse, anzi. Preferiva solo affidare se stesso al tatto.
E lui sapeva benissimo come fare.
Stava per farlo. Stava per raggiungere l’ apice.
Un'altra spinta, e il suo corpo sarebbe stato inondato dal piacere.

E poi, era sopraggiunto, impetuoso e travolgente come sempre.
Dopo qualche istante, anche a Lisa era toccato e, insieme, si erano abbandonati comodamente sui morbidi sedili, ancora avvinghiati l’ uno all’ altra.

Lisa gli accarezzava dolcemente i corti capelli sudati. Era così bello stare a contatto con quell’ uomo meraviglioso steso su di lei, nudo e terribilmente sexy.
“Ehi…” – gli aveva sussurrato all’ orecchio, sensuale.
“Mmm…” – aveva mormorato Dean, aprendo pigramente un occhio.
“Dovremmo andare…”.
“Si… altri cinque minuti…”.
Ma lei non lo aveva ascoltato e, con uno spintone, se lo era tolto di dosso, mettendosi seduta - per quanto potesse in quell’ esiguo spazio – e aveva cominciato a rivestirsi.
“Mpf…” – aveva mugugnato Dean, cercando di tirarsi su i pantaloni.
“Dobbiamo tornare… e poi, non mi hai ancora raccontato niente!”.
Dean non capiva: era lui che avrebbe avuto bisogno di spiegazioni.
“Che vuoi dire?”.
“Che devi ancora parlarmi di questo Cass!”.

Gelo. Era stato quello che era calato fra di loro.
Non doveva. Lisa non doveva pronunciare QUEL soprannome. Lui solo poteva chiamare Castiel in quel modo. Lui soltanto.
In silenzio, aveva aperto la portiera, afferrando le birre lasciate ai piedi del sedile del passeggero e dirigendosi verso la casa.

“DEAN!” – lo aveva chiamato una lisa interdetta.
‘ Ma che avrò detto?? ‘
Davvero non riusciva a capirlo. Dopotutto, che male c’ era se gli aveva chiesto di raccontargli di quel bastardo di un angelo caduto?

Continua…
_________________________________________________________________________________________________________________________

VI PREGO, NECESSITO DI UN LINK PER VEDERE SUPER!! HELP ME!!! =(=(=(
Scusate... ma sto sclerando... Si vede dal capitolo che ne è venuto fuori.
Giuro, non avevo previsto l' arrivo di Lisa, e spero che faccia la fine che si merita. Ma come si permette di parlare in quel modo di Castiel? Ma chi cavolo è?? Brutta strega! E Dean che cade vittima del suo incantesimo come il provolone che è!
Non ho parole.
Povero Castiel... Povero, povero Castiel. Francois è stato pessimo. Davvero. Ok, crede che Cass sia gay, ma questo era un motivo plausibile per giocargli un simile tiro? Mha...
Mi ritiro... Non per deliberare, però!
Quello lo lascio a voi!
Vi ringrazio per l' attenzione, e per le splendide recensioni!
Baci grandi!
A domenica prossima!
Cleo
ps: ce l' ho fatta ad essere puntuale! Sono commossa! =' D
;)

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Spiegazioni ***


Spiegazioni


Non sapeva cosa fare.
Aveva creato un casino immane e non aveva la più pallida idea di come avrebbe fatto a rimediare.
Eppure, non avrebbe mai e poi mai pensato che se la prendesse tanto! Si trattava solo di uno scherzetto innocente, in fondo! A ben pensarci, se lo meritava pure per la serata che gli aveva fatto trascorrere.
E, allora, perché si trovava dietro la porta del bagno, come un cretino, mentre urlava a Jimmy improbabili scuse?

“Andiamo! Non volevo farti arrabbiare! Su!”.
Ma il suo ospite non accennava a rispondere, figurarsi aprire la porta!
“E dai… Cacciatore! Non te la puoi prendere così! Non fare il bambino!”.

Non era sicuro che quello fosse il modo adatto per scusarsi, soprattutto, considerando il fatto che NON gli aveva ancora detto che la sua era stata solo una piccola, innocente bugia.
La verità era che temeva la sua reazione. Pensava che decidesse di andare via, e lui non aveva la benché minima intenzione di lasciarlo andare. Per quanto quel cacciatore fosse strano, e per quanto non fosse attratto da gay con gli occhi da cucciolo e la pelle bianca come il latte, doveva ammettere di trovarlo simpatico, a modo suo. Simpatico e interessante.
Era trascorso troppo tempo dal giorno in cui aveva avuto rapporti veri con persone vere, ed ora che ne aveva assaporato l’ ebrezza, sapeva che non sarebbe più stato capace di farne a meno. Non voleva più essere com’ era stato fin’ ora: terribilmente triste e solo.
Doveva farsi coraggio. Che lo volesse o no, doveva dirgli la verità e fare ammenda.
Dopotutto, doveva esserci un motivo se Jimmy avesse preso così male la notizia - falsa - della loro notte di fuoco.
Per questo, dopo aver ingoiato un groppone di saliva troppo grosso, aveva bussato ancora una volta su quella porta che proprio non voleva aprirsi.

“Jimmy… Sono stato un cretino… Era una scherzo… Noi non abbiamo fatto niente… Sono pronto a giurartelo su Dio… Per favore… Apri questa porta”.

*

Non sapeva cosa fare.
Aveva avuto un rapporto sessuale con un uomo che aveva appena conosciuto, e non ne aveva memoria.
Aveva avuto un rapporto sessuale con l’ uomo che aveva ospitato nel proprio corpo il suo amato fratello Balthazar e non ne aveva memoria. Era un essere spregevole. L’ essere più spregevole che si potesse incontrare sulla faccia della terra.
Come aveva potuto farlo?
Come aveva potuto permettere che una cosa del genere accadesse proprio a lui?
A questo pensava Castiel, mentre cercava di lavare via la sensazione di sporco che non smetteva di opprimerlo.
E il bussare di Francois sulla porta non lo aiutava a ricordare e a dare un filo logico a tutto quello che era successo!
Si odiava. Si odiava a morte.
Ma la cosa che lo faceva stare più male di tutte era il pensiero di Dean. Cosa avrebbe pensato Dean se lo avesse saputo? Cosa avrebbe fatto?
Giacere con un uomo… Lui non avrebbe mai voluto giacere con un uomo… Non con un qualunque, almeno.
In piedi, davanti al lavandino, stava sfregando così forte il proprio corpo da essersi arrossato la pelle delle braccia e del petto.
La cosa peggiore di tutte era proprio il non averne memoria. Si sentiva violato. E il fatto che Francois avesse detto che era stato lui a sedurlo lo faceva sentire anche peggio.
Lui, un seduttore? Arrossiva e si vergognava come un ladro solo all’ idea.
Cominciava a pensare che i cacciatori avessero ragione… cominciava a pensare che Crowley avesse ragione: lui era solo una puttana.

“Jimmy… Sono stato un cretino… Era una scherzo… Noi non abbiamo fatto niente… Sono pronto a giurartelo su Dio… Per favore… Apri questa porta”.

La voce di Francois era giunta come una pugnalata alle spalle, la stessa che lui aveva inflitto a quel corpo che adesso era dietro a quella porta.
Uno scherzo? Era solo uno scherzo?
Doveva credergli? Non lo sapeva più, ormai. Non sapeva più niente.

“Jimmy… Per favore… Apri… Non ti toccherò, non ti guarderò nemmeno se tu non vorrai. Ma ti prego, apri questa porta e accetta le scuse di un povero idiota… Lo giuro su Dio Jimmy… Era solo uno scherzo”.

Fra l’ indignazione ed il sollievo, Cass si era diretto verso la porta, aprendola.
Un Francois dall’ espressione contrita lo aveva accolto. Sembrava veramente pentito.

“Non nominare il nome di Dio invano”.
Francois lo guardava, sbalordito. La voce di Jimmy era ferma, roca, quasi irata. Non sembrava neanche più la sua. Così come quelli non sembravano i suoi occhi. Quei due pezzi di cielo stanchi e feriti, dardeggiavano furenti. Per un attimo, un breve, ma intenso attimo, Francois aveva avuto paura di lui. Paura mista a rispetto.
“Io… Non volevo… Mi dispiace… Cioè, non pensavo che uno come te fosse così religioso…”.
L’ espressione di Cass si era indurita ancora di più.
“Tu non sai di cosa parli”.
Aveva solo peggiorato la situazione. Ma si poteva essere più stupidi di così?
“Ok, si, hai ragione, non so quello che dico! Sono un idiota! Un immane, colossale idiota!” – aveva detto, agitando mani e braccia come un ossesso. Si sentiva veramente stupido. Non voleva farlo arrabbiare ancora di più, ma fin troppo spesso non riusciva a controllare quello che usciva da quella sua maledetta bocca.

Jimmy non demordeva, anzi: continuava a guardarlo con fare minaccioso.
Esasperato, Francois si era strofinato energicamente le guance con la mano, facendo smorfie stranissime.
Cosa poteva fare per farsi perdonare?

“Perché hai detto il falso?”.
La voce addolcita di Jimmy era giunta alle sue orecchie, cogliendolo di sorpresa.
“Perché Francois? Che cosa ti ho fatto per spingerti a mentirmi?”.
Aveva preso un bel respiro, sta volta. Non voleva sbagliare ancora.

“Non pensavo ti saresti arrabbiato. Lo giuro. Vedi, ieri mi hai baciato. E su questo non ti sto mentendo. Così, di bell’ e di buono, ti sei avvicinato e mi hai baciato. Forse eri troppo ubriaco per renderti conto di quello che stavi facendo, ma sta di fatto che è successo. Poi… ecco… ti ho visto confuso, ancora stordito dall’ alcol, e ho pensato di prenderti un po’ in giro! Ed è finita come sappiamo!”.

Cass lo guardava dritto negli occhi, accigliato, con il capo leggermente piegato da un lato. Non era sicuro di comprendere a pieno le parole di Francois, il perché avesse deciso di fargli quello stupido scherzo, ma era certo del suo pentimento. Poteva leggerlo in quelle iridi chiare e sconvolte.

In parte rasserenato, Cass aveva lasciato il bagno, sedendosi sul bracciolo del divano, in salotto.
Francois lo guardava da lontano, incerto se avvicinarsi o meno. C’ era una cosa che proprio non riusciva a capire, ma aveva troppa paura di offenderlo o di essere eccessivamente invadente. Ma la curiosità era uno dei suoi peggiori difetti e, nonostante avesse cercato di trattenersi ad ogni costo, non era riuscito a tenere a freno la lingua.

“Jimmy, scusami, ma io non capisco una cosa…” – e gli si era avvicinato, sedendosi accanto a lui – “Ma possibile che tu non te ne sia accorto che stavo scherzando?”.
Castiel si era girato di scatto, tornando a piegare il capo e a corrucciare la fronte.
“Che vuoi dire?”.
“Ecco… io… bè, come dire… Pensavo che ci fossero dei postumi… no?”.
Non capiva.
“Postumi?”.
“Si… Ecco… Non senti dolore, dopo? Cioè, sedersi non è un problema?”.
Ma dopo cosa? Di cosa stava parlando Francois?
“Mi spiace, ma continuo a non capire”.
Era sincero. Ma come poteva essere? Insomma, lui era gay, no?
All’ improvviso, come colto da un’ illuminazione, Francois era giunto ad un’ incredibile, assurda conclusione.
“O merda! Non sarai mica… Non sarai…” – non riusciva a dirlo. Era troppo… assurdo!
“Sei vergine Jimmy?”.
L’ espressione imbarazzata e allo stesso tempo terrorizzata di quest’ ultimo aveva dissipato ogni dubbio.
“Non ci credo! Cioè, non è possibile!”.

Cass era diventato improvvisamente piccolo. Piccolo e imbarazzato. Niente a che vedere con il cacciatore fiero e combattivo che aveva difeso con tanto ardore il proprio Dio.

“La cosa ti disturba, forse?”.
“Cosa? Certo che no! E’ solo che è strano… Voglio dire, non sei mai stato proprio con nessuno?”.
Jimmy aveva fatto cenno di no col capo.
“Proprio nessuno nessuno?”.
“Né donna… né uomo…”.
Francois era ancora più sconvolto.
“Né donna, né uomo? Caspita amico! Che resistenza!”.

Incredibile. A dir poco incredibile. Non pensava che esistessero persone come lui.
Però, a quel punto, c’ era qualcosa che non tornava.

“Ma allora, scusa, posso sapere una cosa?”.
Cass, imbarazzatissimo, aveva fatto cenno di sì col capo.
“Chi è questo Dean che hai chiamato mentre mi hai baciato?”.

Improvvisamente, la testa di Castiel aveva iniziato a girare.

*

Dean era seduto al tavolo con gli altri cacciatori da più di tre ore, ormai, e non ne poteva davvero più.
Gli sembrava di essere un membro di una loggia massonica, e la cosa non gli piaceva affatto.
Sapeva sin da subito che non avrebbero cavato un ragno dal buco, e che quella sarebbe stata solo un’ enorme perdita di tempo. Il problema vero era che quei cacciatori non sapevano un accidenti di niente di Castiel e di quello che era successo. Molti di loro erano venuti a conoscenza dei fatti solo tramite voci di corridoio, e la cosa peggiore di tutte, era che nessuno voleva sapere la verità. Ma Dean sapeva che non sarebbe stato in grado di spiegargliela. Che cosa avrebbe dovuto dire? ‘ Il mio migliore amico, colui che consideravo mio fratello, me l’ ha messo dove non batte il sole e non so il perché? ‘. No. Mai. Faceva troppo male anche solo pensarlo.
Per di più, ci si era messa anche Lisa a farlo incazzare. Un attimo prima erano lì in macchina a spassarsela, e un secondo dopo aveva nominato Castiel così come se stesse parlando di un divo del cinema di nuovo beccato ad un coca party. Assurdo.
E poi, c’ era un’ altra cosa che non riusciva proprio a digerire: per quanto odiasse Castiel, stare seduto al tavolo con alcuni dei bastardi che avevano tentato di dargli fuoco era una cosa impensabile.
Ma non poteva difenderlo. Non voleva difenderlo. Non dopo il casino che aveva combinato.

“Dobbiamo occuparci delle anime finché possiamo…” – aveva detto Jonny, un cacciatore sulla quarantina basso e grassoccio.
“Jonny ha ragione!” – gli aveva fatto eco Tom, un omone enorme che non la smetteva di rigirarsi tra le mani un coltello affilato – “I Leviatani sono un problema troppo grande per noi”.
“Ma questo non significa che non dobbiamo neanche provare a fermarli!” – aveva urlato Alfred.
“E come pensi di fare, genio?” – sta volta era stato Jack a parlare.
“Non lo so! Di certo non di starmene con le mani in mano come voi altri cagasotto!”.
“Che cosa hai detto? Ti spezzo le ossa razza di perdente!”.
“Provaci se ne hai il coraggio”.

Ecco. L’ avevano fatto di nuovo.
Possibile che quegli idioti non capissero che litigare e azzuffarsi non li avrebbe condotti a niente se non alla rovina?

“Ehi… ragazzi! Non c’ è bisogno di comportarsi da coglioni… mettetevi seduti, stappate una bella birra gelata, e cercate di fare la pace, su!”.
Ma il tono vagamente ironico di Dean non aveva fatto altro che farli arrabbiare ancora di più.
“Senti un po’ bamboccio, è colpa tua e di quell’ altro cazzone piumato che ti fottevi se siamo in questo casino!”.
Dean era diventato rosso dalla rabbia. Come osava dire una cosa del genere quel coglione??
“Senti un po’ brutto figlio di puttana, può anche essere colpa mia, ma sono qui per aiutare, non per farmi insultare e per assistere ai vostri battibecchi da signorine mestruate! Non stiamo giocando! Ci sono le vite di miliardi di persone in ballo! Non sappiamo chi siano questi bastardi, questi Leviatani, ma una cosa è certa: in un modo o nell’ altro, li rispediremo nel buco puzzolente da cui sono venuti fuori!”.

Il discorso di Dean aveva raggelato gli animi dei presenti. Per quanto lo odiassero, dovevano ammettere che aveva ragione. Azzuffarsi non li avrebbe condotti a niente.

Il maggiore dei Winchester si sentiva piuttosto soddisfatto del proprio operato.
Tutti sembravano essersi calmati, e Lisa e Ben, seduti in un angolo della stanza insieme ad altre cacciatrici, lo guardavano con ammirazione.
Il fatto che ancora non avesse scoperto perché si trovassero lì lo stava facendo impazzire, ma non aveva voglia di parlare con Lisa se lei avesse avuto intenzione di chiedergli ancora di Castiel. Non lo avrebbe sopportato.

“Che cosa proponi di fare, allora, Winchester?”.
Sta volta, Dean era trasalito nel sentire quella voce. E vedersi addosso lo sguardo penetrante del padrone di casa era stato anche peggio. Lo sguardo del più esperto cacciatore presente in quella stanza. Più esperto di lui, probabilmente. L’ uomo di ferro, come lo chiamavano nel giro degli hunters. Ian Wesley.
Per un attimo, a Dean era venuto a mancare l’ uso della parola.
“Sto aspettando”.
In quel frangente, era stato lui ad aver fatto la figura del cazzone.
“Propongo di dividerci in due squadre…” – grazie al cielo aveva recuperato le sue facoltà mentali – “Una si occuperà delle anime da far tornare in Purgatorio, l’ altra comincerà a fare delle vere ricerche su questi bastardi figli di puttana. Se non c’ è un modo per ucciderli, deve essercene almeno uno per rispedirli al mittente”.

Gli occhi di ghiaccio di Ian continuavano a fissarlo.
“Sta bene” – si era limitato a dire, non curandosi di raccogliere i pareri di chi gli stava attorno.
“La seduta è sciolta”.
I primi cacciatori avevano cominciato ad abbandonare i propri posti, piuttosto scuri in volto.
“Ah, Dean” – nel sentirsi chiamare con quello strano tono autoritario, Dean era trasalito.
“Si?”.
“Dov’ è l’ angelo?”.
Era rabbrividito.
Sperava davvero che non gli venisse mai posta quella domanda.

Continua…
______________________________________________________________________________________________

Posso ritenermi più che soddisfatta: ho visto la puntata, e sono riuscita persino ad aggiornare di domenica, come promesso, per la seconda volta di fila! U.U SONO COMMOSSA!
Non mi esprimo sulla puntata perché forse alcuni di voi non l' hanno vista, e non sarebbe giusto spoilerare...
In ogni caso, mancano poco per la 7x17 ed io SONO IMPAZIENTEEEEEEEE!!!
CASS!!!
Ok, la smetto. O almeno ci provo!
Ah, Francois, Francois... MA CHE DOMANDE FAI???
XD
E Ian? Che ne pensate del suo personaggio??
Fatemi sapere!
Baci grandi!
A presto!
Cleo

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Pensieri e parole... ***


Pensieri e parole…


Si trovava nei guai fino al collo.
Anzi, a voler essere precisi, si trovava immerso in una montagna di cacca fumante fino al collo!
Ma perché non aveva costretto Bobby a partecipare a quella stupida riunione??
Dean continuava a tormentarsi mentre cercava un modo per tirarsi fuori da quel casino.
Ma, purtroppo, modi non ce n’ erano.
Ian gli aveva chiesto dove fosse Castiel.
O meglio, gli aveva chiesto dove fosse l’ ‘ angelo ‘.
Sentiva ancora lo sguardo gelido di quel ragazzo che lo studiava, attraversandolo da parte a parte, quasi.

Ian Wesley era poco più grande di lui, eppure sembrava aver vissuto già cent’ anni di caccie sanguinarie e di battaglie vinte e perse. Molti dicevano che il suo corpo era percorso da centinaia di cicatrici, una per ogni figlio di puttana che aveva fatto fuori.
Indelebili trofei di una vita votata alla difesa dell’ uomo. Di quell’ uomo convinto che il suo più grande nemico fosse il fisco.
Dean si sentiva molto simile a lui.
Anche se, probabilmente, cacciavano per motivi molti diversi, avevano lo stesso scopo nella vita: distruggere quanti più bastardi ci fossero in giro.
Il maggiore dei Winchester non aveva avuto il privilegio di conoscere la storia di Ian, ma le voci che circolavano sul suo conto lasciavano comprendere fin troppo bene perché lo chiamassero ‘ l’ uomo di ferro ‘.
Provava un misto fra invidia e timore reverenziale nei suoi confronti: Ian era tutto quello che lui non riusciva ad essere. Ian aveva affrontato le difficoltà senza farsi scoraggiare.
Ian non aveva fatto cazzate.
Lui sì.
Ne aveva fatte una peggiore dell’ altra. E l’ ultima era proprio quella per cui era finito nella merda.
Dov’ era finito Castiel?
Non lo sapeva. E il punto era proprio che continuava a non volerlo sapere!
Ma Ian sì, dannazione. Ian sì.
Forse, credeva che Castiel sapesse qualcosa sui Leviatani e potesse aiutarli a rispedirli in Purgatorio.
Il che non faceva una piega a ben pensarci. Ma lui, da immenso idiota qual era, aveva cacciato di casa a calci in culo l’ unico che avrebbe potuto saper qualcosa a riguardo.
Bravo. Davvero molto bravo!

“Complimenti Dean, bella mossa!” – si era detto, mentre beveva l’ ennesimo sorso di birra.
Ma che aveva in quel cervello? Segatura?
Eppure, c’ era davvero poco da fare.
Il tradimento di Cass lo aveva fatto sragionare, facendogli anteporre i problemi personali a quelli dell’ intero pianeta. Porca miseria quanto era stupido!
Era un cacciatore. Un fottutissimo cacciatore, e aveva infranto la regola più importante: non dimenticare di essere un cacciatore.
E pensare che aveva avuto l’ opportunità di cambiare, di vivere un’ intera vita al fianco della donna con cui se l’ era spassata qualche ora prima sui sedili posteriori della sua bambina. Ma no. A lui non stava bene, e aveva deciso di tornare a vivere quella vita che lo aveva reso l’ uomo che era.
Ma, arrivato a quel punto, non riusciva più davvero a capire chi fosse la persona che vedeva allo specchio ogni mattina.
Chi era Dean Winchester?
Era l’ uomo che aveva combattuto contro il diavolo, no? Allora avrebbe dovuto capire da solo quali erano le priorità!
E allora perché continuava a credere di non aver sbagliato nell’ allontanare da sé la causa del dolore più grande di tutta la sua vita?
Quello che aveva subito e continuava a subire a causa di Castiel andava al di là di tutto quello che aveva dovuto sopportare, e sì: era stato persino peggio degli anni passati all’ inferno.
Non sapeva dove fosse quel bastardo piumato, e non voleva neanche saperlo.
Per quanto gli riguardava, poteva anche trovarsi in un fosso a farsi sbranare vivo dai cani.

Però, per quanto si ripetesse che lo odiava a morte, non riusciva ad evitare che le sue urla disperate riaffiorassero alla mente insieme alle immagini terribili del suo pestaggio.
Ancora ricordava l’ odore del trench che prendeva fuoco.
Buon Dio: Cass aveva rischiato di morire arso vivo.

“Ti vedo pensieroso, Dean”.
La voce ferma di Ian lo aveva colto di sorpresa.
Non si aspettava di rivedere tanto presto l’ uomo che tutti riconoscevano come un leader.
Dean era convinto che fosse uscito con il gruppo che avrebbe dovuto occuparsi dei Leviatani, e invece aveva preferito rimanere al quartier generale, a quanto pareva.
Quella situazione gli ricordava parecchio Camp Chitaqua. Fortuna che almeno lì avevano quintali di carta igienica.
Il maggiore dei Winchester lo aveva guardato negli occhi, prima di tornare a concentrarsi sulla sua birra.
Faceva freddo sulla veranda, eppure non aveva intenzione di entrare in casa.
Non avrebbe sopportato gli sguardi degli altri cacciatori. Non avrebbe sopportato gli sguardi di Lisa e Ben.

“Non avevo niente di meglio da fare…” – aveva risposto, ironico.
Avrebbe tanto voluto rispondergli che tanto era un essere inutile, uno che faceva solo cazzate, e che sarebbe stato meglio per tutti se fosse rimasto in veranda.
Porca puttana, aveva perso tutto. Che cazzo campava a fare?
Per un fratello che non ragionava più? Per un fottuto bastardo piumato che lo aveva sorpreso con i pantaloni calati? Per un Bobby che era ogni giorno sempre più triste, stanco e ubriaco?
Avrebbe tanto voluto mettersi ad urlare.

Ian, serio come sempre, gli si era avvicinato, e si era seduto sulla balaustra, lasciando penzolare una gamba nel vuoto.
Senza fare troppi complimenti, aveva strappato la birra di mano a Dean, bevendone un lungo sorso.
“Ehi! C’ è birra per un reggimento dentro!” – aveva detto il Winchester, fingendosi offeso.
Ian aveva sorriso, guardandolo con quei suoi occhi di ghiaccio.
Era la prima volta che se lo ritrovava così vicino e, stranamente, non si sentiva affatto in soggezione.
Non che un essere umano potesse mettere in soggezione Dean Winchester, ma le cazzate che aveva fatto avevano acquisito il grande potere di farlo sentire un emerito coglione anche davanti al più insulso degli uomini.

“Tu non sei come gli altri, Dean”.
Quella di Ian non era una domanda. Ed era molto più di un’ affermazione. E aveva colto di sorpresa il cacciatore.
Sembrava quasi che Ian sapesse qualcosa su di lui che non sapeva neanche Dean.
“A cosa ti riferisci?” – aveva chiesto, sfilandogli di nuovo la bottiglia dalle mani e bevendone un sorso.
Per una volta, non aveva fatto storie a bere dalla stessa bottiglia su cui aveva posato le labbra un altro uomo.
“Tu non hai paura di me, Dean. O, almeno, non hai paura di me quando sai di aver ragione”.

Ovviamente, aveva ragione.

“Che vuoi che ti dica? Me la sono vista con il diavolo e con suo fratello… e posso assicurarti che entrambi erano piuttosto incazzati… Pensi che dovrei aver paura di un uomo?”.
Ian sorrideva, divertito.
“Com’ è che dici sempre, Dean? Se sanguina, puoi ucciderlo!”.
Era esterrefatto! Ian conosceva le sue citazioni, adesso?

“Non è facile essere noi, Winchester… gli altri ci odiano o ci temono solo perché non hanno la più pallida idea di cosa significhi avere sulle proprie spalle la responsabilità di miliardi di vite”.

Adesso era davvero incuriosito. A cosa si stava riferendo l’ uomo di ferro?

“Mi credi presuntuoso?” – aveva chiesto, ad un tratto.
“Non me la sento di giudicarti, ad essere sincero”.
“Perché sarebbe come giudicare te stesso”.
“Touché…” – e aveva bevuto un altro sorso di birra.

“Come sta il giovane Sam?”.
Si aspettava una domanda del genere. Ormai, Ian Wesley era in vena di confidenze.
“Che vuoi che ti dica… vive di allucinazioni… è convinto di vedere Satana e Michele… E’…”.
“Distrutto”.
Il fatto che quel ragazzo completasse le sue frasi lo stava rendendo un po’ nervoso.
“Non deve essere facile…”.
“No. Non lo è”.
Sta volta, aveva finito ciò che rimaneva della sua birra in un solo sorso.

Tra i due era calato un silenzio imbarazzante.

“Dobbiamo trovarlo, Dean”.
Il maggiore dei Winchester aveva serrato le palpebre, mordendosi il labbro inferiore.
Sapeva fin troppo bene di chi stesse parlando.
“Non pretendo di sapere ciò che stai provando. Alla maggior parte delle persone che sono qui non gliene frega un cazzo, fra l’ altro. Loro ti considerano responsabile”.
“Oh, ma davvero? Perché, tu non lo fai?” – non sopportava di essere trattato con quell’ insulsa pietà.
Ian si era preso una pausa, prima di continuare.
“Sinceramente? Non me ne importa un accidente se sei responsabile o meno. Ma dobbiamo trovare l’ angelo.
Dobbiamo trovare Castiel”.

Dean continuava a mordersi le labbra. Non era facile sentire quel nome pronunciato da altri.

“Credi davvero che potrebbe esserci utile?”.
“Sì”.
Stranamente, cominciava a credere che Ian avesse ragione.

*


‘ Jimmy ‘ e Francois sembravano essersi riappacificati.
Dopo una serie di domande imbarazzanti sul perché fosse ancora intonso e dopo un’ altrettanta serie di risposte confuse, imbarazzate e insoddisfacenti, Francois aveva decretato che ‘ lo avrebbe aiutato a rimediare’ e che aveva fame, e per questo, si era alzato dal divano e si era diretto in cucina, dicendo che avrebbe preparato il miglior pranzo che avesse mai mangiato.
Purtroppo per lui, lo stomaco di Castiel era praticamente chiuso.
Ancora non riusciva a credere di averlo baciato e di averlo chiamato Dean.
Lo aveva davvero scambiato per Dean??
Cavolo, era proprio vero: non era capace di reggere l’ alcol.
Ma, fra tutte quelle disgrazie, era stato fortunato: Francois non aveva insistito per sapere chi fosse
‘ questo Dean ‘ – come aveva detto lui.
Arrossiva al solo pensiero.

“Ehi, cacciatore… devo uscire… mi sono accorto che mi mancano le uova…”.
Cass lo guardava, triste. Non voleva rimanere da solo.
“Tornerò subito. Tu prometti di non avvicinarti alla riserva di liquori! Non vorrei che, tornando, decidessi di saltarmi addosso per davvero, sta volta” – e si era chiuso la porta alle spalle.

L’ ex- angelo era di nuovo piombato nell’ imbarazzo.
Perché Francois non la smetteva di prenderlo in giro, proprio non riusciva a capirlo.

*


Camminava veloce, cercando di rimanere il più rasente possibile ai muri.
Indossava un grosso paio di occhiali scuri, e cercava di nascondere il volto nel colletto della giacca.
Nessuno avrebbe dovuto sapere dove andava e cosa avrebbe fatto.

Non si erano dati appuntamento in un posto preciso. A dire il vero, non si erano dati neanche appuntamento.
Gli sarebbe bastato pensargli intensamente, e lui sarebbe apparso dal nulla, come d’ incanto.

E così era stato.
In un vicolo, aveva trovato quello che cercava.

“E’ lui?” – aveva chiesto la voce fredda che tanto temeva.
“Sì, è lui” – aveva risposto, tremante.
“Bene… molto bene…”.

Non riusciva a capire come fosse possibile, eppure era quello che i suo occhi stavano vedendo: un sinistro sorriso scintillava famelico nella penombra di quel vicolo.

Continua…
______________________________________________________________________________________________

Ed eccoci qui con un altro capitolo...
Che dire, stiamo capendo qualcosa in più su Ian.
Vi sembrerà strano, anche perché sono solita non anticipare nulla, ma credo fermamente che Dean abbia bisogno di una spalla, ora che suo fratello e Ko e Cass è altrove...
Che situazione!
Ian però mi piace molto... Mi soddisfa l' idea di qualcuno all' altezza del  nostro amato - ma bastardissimo - Dean.
Di Dean che ha ricominciato a chiamare Castiel ' Cass ', anche se non se n' è reso conto.
Che starà succedendo in quel maledetto vicolo?
Ovviamente, lo scopriremo nella ' prossima puntata '.
Baci grandi!
E grazie per le recensioni!
Cleo

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Idee ***


Idee


Cass era solo da un bel po’.
Francois era uscito da più di un’ ora, e di lui non c’ era traccia.
Possibile che nei paraggi non ci fosse un supermercato dove poter comprare una scatola di uova?
Non gli piaceva rimanere solo troppo a lungo.
Si sentiva a disagio. Era in una casa sconosciuta, non sapeva come far passare il tempo, e per di più aveva ancora mal di testa per colpa di quella stupida sbornia che aveva preso la notte prima.

Anche se riluttante, non poteva non pensare al discorso intrapreso con il suo nuovo amico.
Ma perché tutti si meravigliavano nell’ apprendere che era ancora vergine? Eppure quello doveva essere un pregio, non una specie di condanna senza possibilità di appello!
Non aveva mai avuto l’ occasione di fornicare, era una colpa tanto grave?
Oltre a quello, poi, aveva sempre pensato che dovesse essere un gesto fatto per amore, e lui non si era mai innamorato prima d’ ora. Era un angelo. O meglio, lo era stato, ma c’ erano cose che non sarebbero mai cambiate. L’ amore per suo Padre era una di quelle.
Come poteva amare suo Padre, e amare allo stesso tempo un’ altro essere?
Era a dir poco impensabile.
Per questo era rimasto casto. E questa cosa non gli era mai pesata.
Ma adesso si sentiva strano.
Strano e diverso.
Non che non lo fosse già di suo! Praticamente era un ex-angelo che aveva aperto le porte del Purgatorio per rubare le anime, – anche se non ricordava che cavolo voleva farci – aveva ucciso il suo adorato fratello Balthazar e aveva attirato su di sé le ire di orde di cacciatori che avevano tentato di dargli fuoco, senza dimenticare il disprezzo delle persone che più amava al mondo. Ah, e non poteva assolutamente dimenticare il tentativo di stupro da parte di un simpaticissimo bastardo che, a quanto sembrava, aveva imbrogliato con una maestria degna di un esperto giocatore di poker.
Davvero un bel curriculum.

Sconsolato si era accoccolato meglio sul divano, accendendo la tv.
Quella scatola magica non stava riuscendo a distrarlo, però.
Le immagini scorrevano veloci, ma per lui non avevano alcun senso.
Ricordava quella volta in cui Dean lo aveva sgridato perché stava guardando un film in cui un pizza-man e una baby sitter si facevano cose strane l’ un l’ altro.
Era accaduto qualcosa fra le sue gambe. Qualcosa che Dean aveva chiamato erezione, e che non si era mai più verificata. Era la stessa cosa accaduta a Crowley quando aveva provato a fargli del male nel vicolo.
Cielo, come faceva un atto d’ amore a trasformarsi in qualcosa di così terribile e disgustoso, in una forzatura?
Davvero non riusciva a comprenderlo.

Non trovando pace, il neo-essere umano aveva spento la tv, cominciando a girovagare per casa.
Il suo stomaco, privo di attenzioni, brontolava, e non se la sentiva più di aspettare fino al ritorno di Francois per mettere qualcosa sotto i denti.
Dopotutto, in quella cucina doveva pur esserci qualcosa di commestibile, no?

Così, aveva iniziato a frugare nei vari cassetti, cestini, e carrellini, trovando un pacco di brioches al cioccolato mezzo vuoto.
Con trepidazione, Castiel aveva scartato la piccola brioches dall’ involucro colorato, portandosela alla bocca e staccandone un piccolo boccone.
Il sapore era paradisiaco. Le sue papille gustative erano in estasi. Sentiva il gusto del cacao, della crema al latte all’ interno, e dello zucchero a velo, che gli si era depositato sul mento e sulle labbra.
In tre soli morsi, l’ aveva divorata, e non si era posto lo scrupolo che assumere troppi zuccheri lo avrebbe fatto ingrassare, in quanto ne aveva immediatamente aperto un’ altra che aveva subito lo stesso destino della precedente.
Castiel aveva appena scoperto quanto il cibo potesse essere appagante quando Francois era rientrato in casa, reggendo due pesanti buste di carta.

“Ehi! Quelle sono mie!” – aveva sbraitato.
Cass lo guardava, stranito.
“Avevi detto che non dovevo avvicinarmi all’ alcol e non l’ ho fatto. Non hai parlato delle merendine”.
Il suo discorso non faceva una piega.
E poi, come si faceva ad avercela con un ragazzone che aveva tutto quello zucchero a velo sparso come neve sul presepe su metà del suo viso?
“E va bene… sei perdonato. Ma adesso basta! Non osare rovinarti l’ appetito o ti uccido! Ho dovuto girare tutto il quartiere per trovare quello che mi serviva!” – e aveva posato sul tavolo le buste che Cass aveva cominciato ad osservare con grande interesse.
“Ma quante uova ti servivano, scusa?” – aveva chiesto, inclinando la testa di lato.
“Bè, in realtà solo due! Ma poi ho visto tutte queste cose buone e ho pensato di comprarle. Cucinerò un pranzetto con i fiocchi!”.

Castiel lo guardava, perplesso e incuriosito allo stesso tempo: quella era la prima volta che qualcuno cucinava per lui.

*


Erano trascorso quasi un giorno dalla partenza di Dean, e il maggiore dei suoi ragazzi non si era fatto vivo neppure per telefono.
Non che lui fosse una mammina apprensiva. Anzi, era tutt’ altro, ma per come si erano evolute le cose, non riusciva a non pensare che fosse accaduto il peggio, e che il suo ragazzo si trovasse in un burrone con il ventre squartato e le budella mancanti. E non pensava all’ attacco di un demone, ma alla furia cieca di quell’ ammasso di cacciatori o presunti tali che ce l’ avevano a morte con loro.
Porca puttana, forse avrebbe dovuto andare lui a quella maledetta riunione, e lasciare i due fratelli a casa.

Bobby si tormentava da ore in quel modo, quando la porta della sua casa si era aperta all’ improvviso, e Dean e un altro ragazzo che non conosceva avevano fatto capolino.

“Ehi, Bobby…”.

Dean temeva una sfuriata. Il suo papà surrogato non si poneva scrupoli dettati dalla presenza di estranei in casa sua, e di certo gli avrebbe fatto una lavata di capo colossale per non avergli fatto neanche una telefonata.
Non lo aveva fatto di proposito, ovviamente, ma non voleva neppure fare la figura del figlio diligente davanti ad Ian.
Era Dean Winchester, dopotutto, e aveva una reputazione da difendere!

“Grazie per avermi fatto sapere che stavi bene. Il messaggino che mi hai spedito è stato davvero gradito”.

La mandibola di Dean aveva toccato terra.
Quel vecchio ubriacone lo aveva incastrato, facendolo passare davvero per il figlioletto diligente!
Leggeva negli occhi di Bobby la soddisfazione di averlo fottuto alla grande.
BASTARDO!

“E tu chi sei, ragazzo?”.

Il giovane dagli occhi di ghiaccio si era fatto avanti, tendendo la mano all’ uomo barbuto che aveva davanti.

“Piacere di conoscerla, io sono Ian Wesley”.

Bobby aveva sgranato gli occhi per lo stupore. Aveva capito bene? Il ragazzo che si era appena presentato a casa sua in compagnia di Dean era ‘ l’ uomo di ferro ‘?

“Che mi venga un colpo! Piacere di conoscerti, ragazzo! Io sono…”.
“Bobby Singer. Lo so bene. E’ un vero onore conoscerla”.

Stringeva la mano di Bobby con energia. Era veramente entusiasta di conoscerlo.
Ma mai quanto il vecchio cacciatore che non riusciva a credere ai propri occhi.
Aveva sentito così tanto parlare di quel ragazzo e delle sue gesta da cominciare a credere che fosse solo una leggenda. Invece, eccolo lì, davanti a lui.
Era al corrente della giovane età di Ian, ma mai e poi mai avrebbe immaginato che avesse quell’ aspetto. Sembrava molto più piccolo, ed era davvero molto bello. Quei suoi occhi di ghiaccio lo rendevano ancora più affascinante di quanto già non fosse.
Doveva ammettere di sentirsi un po’ stupido nel fare simili pensieri su di un ragazzo, ma sarebbe stato come negare l’ evidenza.

“Non esagerare Ian. E dammi del tu! Non sono poi così vecchio!”.
“Sì… certo… come no!”.

L’ infelice battuta di Dean non era sfuggita a Bobby, che lo aveva fulminato con lo sguardo.
Avrebbero dovuto fare i conti, più tardi.

“D- Dean…” – una voce sommessa proveniente dal piano di sopra era giunta alle orecchie del maggiore dei Winchester.
“Sam” – i suoi occhi erano diventati lucidi.
Suo fratello si era accorto che era tornato a casa e lo aveva chiamato per nome. Il suo Sammy lo aveva chiamato per nome. Era troppo emozionato per poterlo nascondere.
Suo fratello era lucido e aveva chiesto di lui.

“Ian, io…”.
“Vai”.

Dean non se l’ era fatto ripetere due volte, e aveva cominciato a salire i gradini a due a due.
Non vedeva l’ ora di sapere come stava Sammy.

L’ uomo di ferro lo guardava con una punta di amarezza.
Non aveva alcun problema ad immaginare come si sentisse Dean. Anche lui avrebbe fatto qualunque cosa per suo fratello.

*


Bobby aveva chiesto ad Ian il perché di quella visita, e il cacciatore non si era fatto pregare per spiegare quali fossero le sue intenzioni.
Cercare Castiel.
Purtroppo per lui, Bobby si era ritrovato a dargli ragione.
Castiel sapeva di certo qualcosa su quei maledetti Leviatani, al contrario di loro che avevano provato ad interrogare le più disgustose creature presenti sulla faccia della terra senza cavarne un ragno dal buco.
Fra l’ altro, gli angeli ce l’ avevano con loro, e nessuno si era preso la briga di dare delle delucidazioni.
Erano nella merda fino al collo, e come degli stupidi, avevano commesso l’ ennesimo passo falso.
Allontanare Cass dalle loro vite non era stata una cazzata immane.
E la cosa peggiore era che lo sapeva. Bobby sapeva perfettamente che sarebbe stato un errore madornale.
E non solo perché sarebbe stato in grado di aiutarli, probabilmente, ma perché era il primo ad avere bisogno di aiuto! Era solo e spaventato quando aveva lasciato la sua casa con le lacrime agli occhi, e lui non l’ aveva fermato.
Ma che razza di mostro era?

“Mi sembri turbato”.

Il vecchio cacciatore aveva impiegato un lasso di tempo lunghissimo per riordinare le idee.
“Cass… Castiel, è una specie di cucciolo spaurito. Per gran parte della sua millenaria esistenza ha eseguito degli ordini, ha avuto una guida, qualcuno a cui fare capo. E adesso… adesso si trova solo in questo mondo infernale. Poveraccio, potrebbe essere finito ovunque! Ma a che cazzo pensavamo mentre l’ abbiamo cacciato fuori di casa? Porca puttana…”.

Stava mandando giù così tanto whisky che avrebbe già dovuto essere ubriaco perso.
Invece, quel suo maledettissimo cervello non poteva fare a meno di pensare ad un modo per rintracciarlo.
Ma come cavolo poteva fare??

“Cazzo, se solo gli avessi infilato un cellulare in quella maledetta sacca oltre al pugnale di Raphael!”.

Prima che riuscisse a portare alle labbra l’ ennesimo sorso di whisky, Ian aveva allungato una mano, posandola sul bordo del bicchiere.
Il vecchio cacciatore era allibito. Nessuno aveva mai osato tanto.
Irato, aveva sollevato lo sguardo, fino ad incrociare quello di Ian.

“Non volevo essere sgarbato, Bobby Singer”.
Bobby lo osservava fra il divertito e l’ impaziente. Cosa credeva di fare quello sbarbatello?
“E allora cosa?”.
Il cacciatore dagli occhi di ghiaccio si era seduto sulla scrivania, senza togliere la mano dal bicchiere.
“Hai detto che hai messo nella sacca il pugnale di Raphael, non è così?”.
Ma dove voleva arrivare?
“Sì”.
Un lieve sorriso si era dipinto sul suo volto.
“Bene” – e aveva tirato indietro la mano – “Prendi una ciotola, per favore. Sarà la prima cosa che servirà per compiere il rituale”.
“Il rituale?”.
Gli occhi di Ian splendevano.
“Sì, Bobby, il rituale. So come rintracciare Castiel”.

Continua…
___________________________________________________________________________________________________________________________

Lo so, l' ho fatto di nuovo.
Mi scuso immensamente per il ritardo.
Non ho giustificazioni.
Per questo, bando alle ciance e parliamo subito del capitolo!
Sembra che Ian abbia avuto un' idea. Finalmente! * STIMA PROFONDA*.
Dean che corre dal suo Sammy è troppo dolce...
E Cass ha scoperto le meraviglie delle merendine... Povero piccolo...
Goditi la calma e la gioia di un buon pasto finché puoi.
Vi lascio, sperando di sentirvi presto!
Baci
Cleo

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Il piano di Ian ***


Il piano di Ian


Dean era arrivato dal suo Sammy in una frazione di secondo, mordendosi le labbra dalla commozione nel vedere che suo fratello stava in piedi da solo.

“Sam…”.
“Ciao Dean…”.

Sembrava molto stanco, ma allo stesso tempo era determinato a rimanere in posizione eretta sulle proprie gambe da solo. A fatica, aveva messo un piede davanti all’ altro, raggiungendo così quel fratello che si era preso per ogni giorno della sua vita cura di lui, perdonandogli qualunque sbaglio, anche quelli più gravi.
Quel fratello che cercava di trattenere le lacrime e che lo stringeva forte come poche volte aveva fatto.
Quel fratello che non avrebbe mai lasciato, e che non lo avrebbe mai lasciato a sua volta.

“Ma come…”.
“Come ho fatto a fare questo? Sorpreso, vero?”.
“Puoi dirlo forte! Ma non sei stanco? E le… le…”
“Non dire allucinazioni, per favore!” – nonostante fosse allo stremo delle forze, era fortemente risoluto.
Sam odiava quando Dean dichiarava che le sue fossero solo visioni – “Quelle due furie sono reali, Dean. Devi credermi”.

Anche se gli veniva difficile, non se la sentiva di litigare con lui. Per questo, aveva preferito sorvolare sull’ argomento e sentire come stavano le cose.

“Ma a quanto pare si sono prese una vacanza, eh Sam?”.
Il tono scherzoso di Dean aveva fatto sorridere il minore dei Winchester. Suo fratello non sarebbe mai cambiato.
“Pare di sì. E, se vuoi saperla tutta, spero che questa vacanza duri il più a lungo possibile, anche se so che non sarà così”.
“Ehi, ehi! Piano Sammy! Non vorrai che sentano la tua mancanza e tornino prima del previsto! Lascia che si scazzottino da qualche altra parte!”.

Non sapeva bene come prenderlo, ma doveva cercare di farlo distrarre: essendo convinto che quelle di suo fratello fossero allucinazioni, non poteva permettere che si creassero le condizioni adatte per farle tornare.
Sam doveva rimanere lucido il più a lungo possibile.
Secondi, minuti, ore, giorni, non gli importava. Ogni istante era un preziosissimo dono che non andava sprecato per nessuna ragione al mondo.

“Ma dimmi di te! Come è andata la riunione?”.

A quanto pareva, nonostante le atroci sofferenze, al piccolo Sammy non sfuggiva proprio nulla.
E la sua domanda gli aveva fatto tornare in mente che aveva lasciato Ian in compagnia di Bobby.
Come aveva fatto a dimenticarsi di lui?

“Bene! Ma ho una sorpresa!”.
“Che genere di sorpresa?” – Sam temeva Dean e il suo concetto di ‘ sorpresa ‘. Suo fratello sarebbe stato capace di qualunque cosa, lo sapeva fin troppo bene.
“Lo vedrai presto! Sono sicuro che ti farà piacere conoscerlo”.
Adesso era davvero curioso. Chi era questa persona di cui parlava Dean?

*


Bobby non riusciva a credere che la soluzione a quel dilemma potesse essere talmente ovvia, e soprattutto non poteva credere di essere stato talmente babbeo da non averci pensato da solo.

“Sta volta meriterei che qualcuno mi ripetesse almeno per dieci volte che sono un idiota!” – aveva esclamato.
“Bè, se vuoi rimedio io! Bobby, sei un idiota!” – Dean, seguito da Sam, era appena entrato nello studio, pentendosene un istante dopo, visto che un pesante volume dalla copertina in pelle lo aveva centrato in piena fronte.
“AHI! Ma perché l’ hai fatto?” – si lamentava il maggiore dei Winchester.
“Così impari a darmi dell’ idiota, e per aver portato qui tuo fratello! Ma dico, sei impazzito??”.
Sentendosi chiamato in causa, Sam si era affrettato a precisare che stava bene e che aveva insistito lui per raggiungerli in salotto.
“Ecco, Dean ha detto che c’ era qualcuno che avrei dovuto conoscere… ed ero curioso. Sto bene Bobby, dico sul serio. Non voglio tornare a letto”.

Il burbero Bobby Singer non sembrava concorde, ma non aveva potuto fare altro che grugnire e alzare le mani in segno di resa. Sammy sembrava stranamente tranquillo, e non voleva che contraddicendolo ricominciasse a stare male.

“Ma lui dov’è finito?” – aveva chiesto Dean.
“E’ fuori, sta facendo delle telefonate. Ragazzi, lasciatemelo dire: quel ragazzo è un genio”.
“Ti ringrazio, Bobby, ma non mi pare il caso di esagerare”.
Ian era appena entrato in casa, riponendo il cellulare nella tasca del giubbotto di pelle nera.
“Tu devi essere il giovane Sam. Mi fa piacere vedere che le tu condizioni siano migliorate”.
Il minore dei Winchester lo osservava, incuriosito.
“Scusa. Sono stato davvero un maleducato. Piacere di fare la tua conoscenza: io sono Ian Wesley”.
Gli occhi del cacciatore si erano spalancati per lo stupore.
“Tu sei QUELL’ Ian???” – non poteva crederci.
“Mi domando se questa fama che mi precede non sia un po’ eccessiva”.

Sorrideva, Ian. Sorrideva a quel ragazzone dall’ aria distrutta che aveva davanti.
Non doveva essere semplice lottare contro demoni che solo lui riusciva a vedere.
Sam continuava a guardarlo come se fosse una preziosa opera d’ arte, fra l’ ammirazione e la paura di poterla rovinare irrimediabilmente. Il giovane Winchester si era convinto di essere una sorta di ricettacolo di malattie infettive, che subdolamente finivano per rovinare chiunque avesse attorno.

“E’ un onore immenso conoscerti. Dean non poteva farmi sorpresa più grande!”.

Suo fratello gongolava soddisfatto.

“Voglio sapere tutto di te! Da un cacciatore del tuo calibro non si può fare altro che imparare! E per come si sono messe le cose, c’ è bisogno di tutto l’ aiuto possibile”.

“E’ proprio per questo che sono qui, Sam. Dobbiamo porre fine alle razzie dei Leviatani e permettere alle anime di tornare in Purgatorio”.

Stupefacente. Sam aveva intuito che la riunione sarebbe stata decisiva per stabilire i ruoli dei vari cacciatori, ma non credeva che Ian Wesley si sarebbe unito proprio a loro.
“Hai già qualche idea? Come pensi di fare?” – Sam sembrava pervaso da un’ energia tutta nuova. L’ entusiasmo scatenato dalla presenza di Ian stava dando i suoi buoni frutti.
“Ian vuole rintracciare Castiel” – aveva borbottato Bobby.
“Cosa??”.

Incredibile! E Dean aveva acconsentito? A giudicare dal suo sguardo contrariato, non sembrava felice di quella decisione, ma doveva essersi convinto che l’ uomo di ferro avesse ragione.
Non doveva essere semplice per lui pensare anche solo lontanamente di rivedere la causa dei loro odierni guai.
Cass era stato fonte di enorme dolore per Dean. Forse, un dolore molto più grande di quello che aveva causato Sam stesso nel periodo in cui si era fidato ciecamente di Ruby e aveva rotto l’ ultimo sigillo, liberando così Satana in persona. Lui stava pagando personalmente il prezzo delle azioni di Castiel. Era solo colpa sua se continuava a vedere Lucifero e Michael. Eppure, anche se non lo aveva confessato a nessuno, aveva sofferto nel vederlo andare via. Si trattava di un’ anima in pena, di un essere che per la paura di mettere in pericolo la persona a cui teneva di più al mondo aveva commesso solo scelte sbagliate. Scelte che avevano causato scompiglio nel mondo, ma soprattutto nel cuore di Dean.

“So che la notizia non alletta nessuno di voi, Sam. Sono a conoscenza dei torti che avete subito per colpa del giovane angelo, ma credo che sia la nostra unica risorsa”.
“Pensi che lui sappia come rinchiudere i Leviatani nel Purgatorio?”.

Il viso di Ian si era indurito.

“Non ne ho la certezza, ma si tratta pur sempre di un essere millenario dotato di una conoscenza per noi inimmaginabile. Deve pur sapere qualcosa a riguardo”.

Non faceva una piega. Sam si sentiva un po’ stupido per non averci pensato prima, come i presenti, del resto.
Si era lasciato vincere dal rancore e dal dolore, non comprendendo che la causa di ogni male poteva rappresentare anche l’ unica soluzione plausibile.

“Ma come pensi di rintracciarlo, scusa? Potrebbe essere ovunque! Anche se chiedessimo a tutti i cacciatori che conosciamo di darci una mano a cercarlo, potrebbero volerci mesi, e non abbiamo tutto questo tempo!”.

“E’ proprio per questo che mi stavo dando dell’ idiota, poco fa!” – aveva esclamato Bobby, alzando una mano in direzione di Dean come ammonimento per evitare un altro sproloquio inutile – “ Ian mi ha ricordato che se non possiamo rintracciare Castiel con una formula magica perché non è più un angelo, la stessa cosa non vale con la spada di Raphael! E’ un’ arma angelica, no? Il che fa di lei un oggetto sovrannaturale, dunque rintracciabile con una formula magica! Sono stato proprio un idiota a non averci pensati prima!”.

Dean era diventato livido.
“Hai dato a Castiel la spada di suo fratello?”.
Era furioso. Guardava Bobby come se volesse incenerirlo. Ma come aveva potuto fare una cosa del genere senza prima consultarlo?
“Sì, razza di idiota! E ne vado fiero! Sappiamo benissimo cosa c’ è là fuori, e tu hai visto in che condizioni era quando ha lasciato questa casa! Volevamo punirlo, non condannarlo a morte!”.
“Avresti dovuto dirmelo!”.
“Perché? Per far sì che tu lo privassi dell’ unica arma che ha per difendersi? Non sappiamo neanche se è ancora in vita! Hai visto quello che hanno tentato di fargli quei bastardi!”.
“STAI FORSE DICENDO CHE E’ COLPA MIA?” – Dean era furioso. Non accettava l’ idea che Bobby gli addossasse tutte le responsabilità riguardanti le decisioni prese riguardo a Castiel.
Era stata una decisione comune mandarlo via. Non poteva sopportare quel trattamento da parte sua.
“Non osare alzare la voce con me ragazzo!”.

Sam voleva sparire. Non gli sembrava davvero il caso di intavolare una simile discussione davanti ad un ospite. Ospite che, fra l’ altro, li ascoltava in silenzio, impassibile.

“Basta voi due, per favore” - doveva porre fine a quella inutile diatriba prima che degenerasse e volassero parole più dure del necessario.

Stavano per zittirlo all’ unisono, quando Ian si era alzato in piedi, aveva afferrato la ciotola che aveva preso Bobby in precedenza, e aveva cominciato a versarvi dentro l’ occorrente per cercare Castiel.

“Ehi!” – Dean e Bobby non potevano credere si essere stati di nuovo preceduti da mister ‘ occhi di ghiaccio ‘!

“Non volevo interrompervi…” – aveva detto quest’ ultimo, senza neanche degnarli di uno sguardo – “Ma non abbiamo molto tempo. Come avete sottolineato più volte, l’ angelo potrebbe essere ovunque. E noi abbiamo bisogno che lui sia vivo. Per questo, saresti così gentile da prendere un fiammifero, Dean?”.

Il maggiore dei Winchester era arrossito con violenza.
Non riusciva a farne una buona davanti ad Ian, a quanto pareva.
Se c’ era una cosa che avrebbe dovuto imparare da lui era proprio l’ arte della calma,
Ma, evidentemente, quando Dio l’ aveva distribuita, lui si trovava sicuramente chiuso in un bagno.

*


Castiel si era divertito molto ad osservare François che si dilettava a fare il cuoco.
Il biondo cacciatore si era destreggiato egregiamente fra pentole e padelle, preparando delle gustosissime omelette al formaggio e della carne arrostita che aveva fatto venire l’ acquolina in bocca al neo-essere umano affamato come un lupo.
Inutile dire che in meno di un secondo il suddetto neo-essere umano aveva spazzolato tutto.
Soddisfatto e con la pancia piena, Cass si era messo seduto sul divano in maniera un po’ più sguaiata rispetto al suo solito stare composto come un soldatino irreprensibile, e se ne stava in panciolle con un sorriso beato sulle labbra.

“Guardate qui che bel faccino soddisfatto! Di un po’, ma non avevi mai mangiato prima d’ ora?”.
“Certo che avevo già mangiato. Ma poche volte così bene”.
François lo guardava, profondamente orgoglioso del proprio operato.
“Modestamente, sono un grande cuoco!”.
Si pavoneggiava in giro per la stanza, lanciando saltuariamente occhiate ammiccanti al giovane cacciatore seduto sul suo divano.
“Allora, cacciatore, che ne pensi di andare a scegliere i vestiti che indosserai sta sera?”.
Quella domanda lo aveva colto di sorpresa, facendolo trasalire.
“Che significa scegliere i vestiti per sta sera?”.
“Significa!” – aveva esclamato, gettandosi sul divano accanto a lui e cingendogli le spalle con un braccio – “Che sta sera ti porterò in uno dei più bei locali della città, e tu vedrai di trovarti un bel manzo disponibile con cui potrai divertirti per tuuuuutta la notte! Non sei contento??”.
“Divertirmi?” – aveva inclinato il capo, non capendo in che senso avrebbe dovuto divertirsi con un ‘ bel manzo ‘.
Cosa doveva fare con un animale? E perché un animale vivo avrebbe dovuto trovarsi in un locale?
“Sì Jimmy, DIVERTIRTI! Hai capito cosa intendo, vero?”.
Dirgli che non aveva capito sarebbe stato troppo umiliante, ma François, dalla sua espressione, era stato in grado di comprendere che Jimmy non aveva la più pallida idea di cosa stesse parlando.
“Oh, andiamo cacciatore! Parlo di un po’ di sano sesso!”.

Cass era sbiancato.
Ecco, avrebbe dovuto immaginarselo!
François era peggio di Dean per quanto riguardava la copulazione, ci aveva visto giusto!
Ma perché non lo lasciavano in pace??
E poi, c’ era una cosa che proprio non riusciva a capire.

“Non credo di poter fare una cosa simile, François…”.
“E perché, scusa??”.
“Come potrei farlo con un bovino?”.

Per un breve, ma intensissimo istante, il cacciatore dalla chioma bionda aveva davvero creduto di morire dalle risate.

Continua…
______________________________________________________________________________________________

Salve mie care fanciulle!
MI SCUSO PER IL RITARDO.
Allora, finalmente pare che il nostro Sam stia un po' meglio. Chissà perché, poi!
Questa sua lucidità gli ha permesso di conoscere il grande Ian! - Anche io voglio conoscerlo! =(
Direi che Bobby ha fatto bene a darsi dell' idiota, non trovate?
XD Almeno, hanno un piano per rintracciare Cass!
François è incredibile!
Cosa vorrà fare a Cass?
Lo scopriremo presto!
Grazie per le recensioni! VI AMO!
Baci
Cleo

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Dancing Together ***


Dancing Together


Si domandava come avesse fatto a lasciarsi convincere ad andare in un posto come quello.
Lui, Castiel, che sul suo documento di identità figurava come Jimmy Castiel Novack, non poteva davvero essere andato in un locale come quello.
Non centrava niente con il bordello in cui lo aveva portato Dean. In un certo senso, per quanto in quel posto ci fossero ragazze molto poco vestite e molto poco caste e pudiche, era intimo!
Il locale in cui lo aveva trascinato François era un covo di posseduti che si dimenavano a ritmo di una musica a dir poco assordante che gli stava facendo pulsare le orecchie a tal punto che sembrava volessero esplodere.
Uomini e donne scuotevano i propri corpi come degli invasati, e molti di loro stavano avvinghiati gli uni agli altri e sembrava che dalle loro bocche unite cercassero di risucchiarsi l’ anima a vicenda.
Per non parlare poi del loro assurdo abbigliamento: le ragazze erano praticamente mezze nude, e i ragazzi indossavano canotte aderentissime che mettevano in risalto i fisici scolpiti. Ma coloro che lo avevano sconvolto più di tutti, erano alcuni ballerini rinchiusi dentro alcune gabbie che si arrampicavano su strane pertiche e mostravano al pubblico impazzito le proprie fattezze. Da ogni dove provenivano urla e fischi talmente forti che la musica assordante non riusciva a coprirli, e mischiati alle luci psichedeliche e all’ odore di alcool e di fumo stavano facendo impazzire il piccolo, terrorizzato Castiel.

“Allora cacciatore? Non pensi che questo posto sia fantastico?” – gli aveva urlato François, nonostante fossero a due centimetri di distanza.
Era felice come non mai. Sembrava perfettamente a suo agio, per nulla disturbato da quella bolgia infernale.
Cass non voleva essere scortese, e si era limitato ad annuire col capo, ma la verità era che avrebbe voluto essere ovunque fuorché lì. Non era un tipo mondano, e non lo sarebbe mai stato. C’ era ben poco da fare.
“Ci divertiremo, vedrai!”.
Temendo di rimanere indietro e di perdersi, aveva afferrato il biondo per una braccio, stringendolo con le sue lunghe dita.
“Ehi! Se mi stai così vicino non cuccherai mai! Penseranno che sei il mio amante e non ti fileranno! E la stessa cosa accadrà a me! Fidati, sei carinissimo, ma a me piacciono proprio tanto le tette, e tu non ne sei dotato, quindi, mollami!”.

In una frazione di secondo, si era liberato di lui, sparendo fra la folla danzante.

“Aspetta! François! Aspetta!”.

Ma era stato tutto inutile. Il biondo cacciatore non l’ aveva minimamente ascoltato, lasciandolo tutto solo in mezzo ad una moltitudine di persone con cui non aveva niente in comune e con cui non voleva avere niente a che fare.
Perché, poi, avrebbe dovuto cercarsi qualcuno con cui ‘ divertisti ‘, come aveva detto François?
Lui stava bene così com’ era! Casto e puro!

Cercando di farsi largo in quel casino senza urtare eccessivamente coloro che aveva attorno, era riuscito a raggiungere il bar, il posto più luminoso dell’ intero locale.
Non che avesse voglia di bere, sia ben chiaro! Sentiva ancora le conseguenze della sbornia della serata precedente, e aveva definitivamente compreso che l’ alcol non faceva per lui.
Ma l’ odore acre che c’ era nell’ aria gli aveva fatto venire una gran sete, e per questo si era avvicinato al bancone, dove centinaia di persone urlavano come matte gli stani nomi di bevande che non aveva mai assaggiato e che mai avrebbe mandato giù.

“Un Alexander!”.
“Qui due Angelo Azzurro e un Irish Coffee!”.
“Per me una Caipiroska!”.

Che cos’ era una Caipiroska??
Si sentiva tremendamente confuso.

“Ehi tu, bellezza! Cosa ti preparo?” – gli aveva detto una ragazza bionda dalle ciocche fucsia con addosso un bustino rosso talmente striminzito che nulla era lasciato all’ immaginazione.
“Dici a me?”.
“Certo zucchero! A chi pensi che mi stia riferendo?” – aveva detto, soffocando un risolino con la mano, mentre gli faceva gli occhioni da cerbiatta – “Cosa desideri? Farò TUTTO quello che vuoi”.
Terrorizzato, perché quella espressione era la stessa che aveva Chastity quando lo aveva preso per mano e aveva cercato di fargli fare cose a cui non aveva mai nemmeno pensato, era rimasto imbambolato a fissarla, cercando di confondersi fra la folla.
Ma era tutto inutile, perché la sexy barista lo aveva afferrato per un braccio, mettendogli in mano un bicchierone di plastica enorme con dentro un liquido rosa e tanto tanto ghiaccio.
“Ecco amore… la prima consumazione è gratis! Ti aspetto per la prossima!”.
E, senza possibilità di dire altro, era stato sorpassato da centinaia di ragazzi desiderosi di darci giù alla grande con gli alcolici.

Così, con uno stupidissimo bicchiere di non sapeva che cosa in mano, stava cercando di evitare di finire schiacciato.
Avanzando a tentoni, col risultato di farsi finire addosso gran parte del cocktail, era riuscito a raggiungere una zona un po’ più tranquilla del locale, guardando stranito la folla che si dimenava.
Ma dove si era cacciato François??
Ah! Se fosse stato ancora un angelo, avrebbe avuto la possibilità di diventare invisibile. Anzi, sarebbe volato via da quel posto infernale per non metterci mai più piede! Ma come pretendeva quel folle di un cacciatore che potesse trovare lì dentro qualcuno con cui copulare? E poi, a lui non piacevano gli uomini… A lui piaceva…

“AAAAH! Sìììì!”.

Un acuto urlo mal celato proveniente dalla sua sinistra lo aveva fatto girare e, con estremo orrore, aveva scoperto che sui candidi divanetti di pelle posizionati qui e là, c’ erano coppiette che copulavano senza alcun pudore protetti con la scusa delle luci soffuse che evidentemente, secondo loro, li nascondevano dagli sguardi dei presenti.
Il piccolo ex-angelo era sbiancato, e aveva ben pensato di fuggire via da lì il più presto possibile, quando la sexy barista che lo aveva servito poco prima lo aveva inchiodato al muro, appropriandosi delle sue labbra screpolate ma meravigliosamente morbide.
Senza sapere come e quando, Cass si era ritrovato la sua lingua in bocca, e le sue mai che si erano insinuate sotto la camicia tastando vogliose il bel petto glabro. Ma ci prendevano proprio gusto ad abusare di lui?
Con estrema fatica, era riuscito a sottrarsi alla presa di quella specie di piovra umana e, ansimante, si era appiattito contro il muro per cercare di sfuggire al secondo round.

“Ehi, no, ferma!” – aveva detto, bloccandola per le braccia, ed essendo così bravo da non farsi cadere addosso la rimanenza del cocktail che non aveva neanche assaggiato, fra le altre cose.
“Che ti prende zucchero? Non ti piaccio forse?” – aveva cinguettato, sbattendo le lunghe ciglia da cerbiatta.
Ma come faceva a trovarsi sempre in simili situazioni?
“No… cioè, sei bellissima, ma…”.
“Ma al mio amichetto le tue bellissime tette non interessano! Sai, lui preferisce occuparsi dei gioielli di famiglia, se capisci cosa intendo!”.
L’ intervento provvidenziale di François lo aveva sottratto dal suo profondo imbarazzo.
“Ma se proprio vuoi compagnia, ci tengo a dirti che a me le tue tette piacciono tantissimo!”.
Inutile dire che il biondo cacciatore se l’ era cavata con una potente cinquina sulla guancia destra e con la visione della bionda dalle ciocche fucsia che se ne andava via ancheggiando.

“Uff! Ma si può sapere che gli fai tu alle donne? E sei pure frocio!!”.
Cass gli aveva riservato un’ occhiata offesissima.
“Scusa! Allora, hai trovato qualche bel ragazzone??”.
“No, e non ne ho intenzione”.
“Ma secondo te perché ti ho portato qui???” – aveva detto François, esasperato – “Devi darti una svegliata piccolino! Non vorrai mica morire vergine!”.
Non ne poteva davvero più di quella storia. Stava per rispondere a tono, quando il cacciatore aveva posato lo sguardo sul cocktail colorato, togliendoglielo di mano con veemenza.
“Ehi!”.
“Credevo che avessi imparato, dopo ieri sera! Non devi bere!!” – e aveva dato un lungo sorso alla sostanza rosa.
“Blea! Roba da donnette! Tieni! Non ti ubriacheresti con questo neanche se ne mandassi giù una ventina!”.
Non lo tollerava quando faceva il saputello.
“E dai Jimmy… Non ti sarai mica offeso!?”.
Si era limitato a non rispondere, e a bere avidamente dal bicchiere che aveva in mano. Era dolcissimo, ma davvero buono.
“Sei offeso! Ho capito! Ma so come farmi perdonare!” – e lo aveva preso per mano – “Andiamo a ballare!”.
 
In meno di un minuto, i due si erano ritrovati nel bel mezzo della pista da ballo.
Dallo shock, Cass aveva lasciato cadere il bicchiere che si era irrimediabilmente schiantato al suolo, trovandosi premuto contro il solido corpo di François che si muoveva sinuoso a tempo di musica.
Non sapendo cosa fare, si era aggrappato alle sue spalle, lasciandosi guidare dal suo partner.

Si sentiva tremendamente stupido. Non aveva mai ballato in vita sua, e si sentiva goffo e impacciato.
Per di più, François si muoveva in modo da strusciarglisi addosso, e quel contatto lo stava facendo sentire a disagio, nonostante non gli dispiacesse affatto.
Si sentiva protetto da lui. Si rendeva conto che fosse a dir poco una cosa assurda da pensare, ma era così.
Gli piaceva stare così vicino a quell’ uomo che lo aveva salvato dal suo crudele destino.
Non lo avrebbe mai ringraziato abbastanza. Al solo pensiero della mani di Crowley su di lui gli veniva il voltastomaco.

François aveva posato le mani sulla vita di Cass, e continuava a muoversi sensualmente.
Non aveva mai ballato con un uomo prima d’ ora, ma a quanto sembrava, la cosa sembrava piacere parecchio alle signorine presenti in sala, visto che si erano girate a guardarli e ad elargire commenti su quanto fossero belli e tremendamente sexy.
Non aveva potuto fare a meno di notare il lieve rossore sulle guance di Jimmy, nonostante la penombra e le luci psichedeliche. Era a dir poco adorabile. Aveva l’ aria di un tenerissimo cucciolo spaurito.
Si stava aggrappando a lui con forza, quasi cercasse riparo contro il suo corpo.
Era una sensazione strana, ma piacevole. Era evidente che quel piccolo cacciatore lo considerasse il suo protettore. Il suo personalissimo eroe.
Ne era quasi lusingato, e allo stesso tempo affranto. Affranto perché sapeva che quel momento non sarebbe durato per sempre.

“Che ne pensi di uscire e di prendere una boccata d’ aria? Fa caldo qui!”.
Aveva proposto François, con un’ espressione stranamente triste in viso.
Il piccolo Castiel aveva annuito e si era lasciato afferrare per la vita, permettendo al biondo cacciatore di condurlo per strada.
Fuori faceva freddo. L’ aria gelida della notte gli aveva bloccato il respiro, e istintivamente aveva cercato riparo contro il braccio del suo protettore.

“Hai freddo? Resta qui, vado a prendere la macchina” - gli aveva detto con voce tremante.

E si era tolto la giacca, posandogliela con delicatezza sulle spalle. Cass sorrideva felice mentre guardava il suo nuovo amico allontanarsi.
Era una sorta di angelo custode. Ne era certo. Lui ne sapeva un bel po’ sugli angeli, e gli sembrava che in un certo senso, l’ essenza di suo fratello fosse rimasta in quel tramite.
Gli piaceva pensare che Balthazar rivivesse in lui, in quel bellissimo uomo che si era preso cura di lui fin dall’ inizio.

Doveva ammettere di averne passate proprio tante in pochissimo tempo.
I momenti brutti erano stati superiori a quelli belli, ma le cose sembravano finalmente aver preso una buona piega. Certo, era lontano dal suo Dean, non aveva niente se non un borsone con un paio di jeans e una coperta, qualche soldo e il pugnale di suo fratello. Ma aveva trovato un amico che aveva letteralmente iniziato ad adorare!
François era un tipo a posto, e Cass era certo che sarebbe stato in grado di aiutarlo.
Non aveva dimenticato l’ aggressione che aveva subito nel bagno del bed & breakfast. Quella strana sostanza densa e nera che aveva cercato di aggredirlo era pericolosa. Magari, il suo nuovo amico sapeva di cosa si trattasse, e insieme avrebbero potuto eliminarla.
Avrebbe dovuto parlargliene dall’ inizio, forse. Poco male: avrebbe aperto il discorso appena arrivati a casa.

Però, erano trascorsi più di cinque di minuti, e di François non c’ era neanche l’ ombra.
Stava iniziando seriamente a congelare, e aveva preso a camminare su e giù per il marciapiede, cercando di scaldarsi.

“Forza… Ma quanto ci metti?”.

Non gli piaceva rimanere da solo troppo a lungo.
La strada era deserta e male illuminata.
Per di più, aveva cominciato a sentirsi osservato.
Era sicuramente una sua assurda paura, ma ne aveva passate davvero troppe per stare tranquillo.
Il buio gli era nemico, questo lo sapeva bene.
E mai gli era stato nemico come allora.

“Sarai nostra puttanella… sarai nostra…”.

Castiel non sapeva che la sua attesa al freddo della notte sarebbe stata più breve del previsto.

Continua…
________________________________________________________________________________________________________________

Inutile chiedervi scusa per il ritrardo!!
Passiamo subito al capitolo che è meglio!
XD
Scusate se non è bello come i precedenti! Mi sembra un po' frettoloso! Ma non sono proprio riuscita a fare di meglio, non so perché!

Un calo di ispirazione, a quanto pare! =(
Che belli Cass e François che ballano insieme! Mi piange il cuore a sapere quello che presto accadrà a Cass =(
Comunque, ci siamo quasi!! Fra un po' lo rivedremo le TF!! *.*
*Cleo gioisce!*
Ragazze, grazie per le recensioni!
Spero che rimaniate con me fino alla fine!
Baci
Cleo

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Tradimento ***


Tradimento


Iniziava seriamente ad avere paura.
Non gli piaceva stare al buio, non gli piaceva stare da solo, e men che meno, gli piaceva stare al buio da solo.
Si sentiva esposto, e tremendamente vulnerabile.
Aveva come la sensazione che in ogni dove ci fossero esseri crudeli che lo scrutassero, attendendo impazienti il momento di attaccarlo.
Continuava a guardarsi attorno con ansia crescente.
E se lo avessero preso alle spalle? Se gli avessero tappato la bocca con le mani, o con un incantesimo, o con qual si voglia assurdo metodo e lo avessero portato chissà dove, picchiandolo, torturandolo, squartandolo, uccidendolo? Si sentiva male al solo pensiero.
Ma perché cavolo non era andato con François??

“Ok, Dean direbbe che sono diventato paranoico!”.

Si era detto, abbozzando un sorriso amaro. Continuava a sorprendersi di come, per ogni singola cosa, il suo pensiero non facesse altro che volare a quell’ umano che gli aveva così crudelmente spezzato il cuore.
Già… Dean…
Castiel aveva chiuso gli occhi, trattenendo a lungo il fiato prima di prendere un respiro lento e profondo.
All’ improvviso, aveva iniziato a sentire un freddo più pungente del dovuto.
Odiava quella sensazione. Gli attanagliava il petto, e faceva tremare il suo corpo in modo spiacevole.
Le spalle si contraevano, e dopo un po’ iniziavano a bruciare. E il punto era che sapeva benissimo che non era la temperatura della notte a decretare quella sua reazione.
Era la mancanza di calore umano a farlo stare così. Era la mancanza dello sguardo stanco ma pieno di fiducia di Dean e mancargli. Le sue battute pungenti che spesso non riusciva a cogliere, i racconti delle sue notti brave, la forza e la fragilità che convivevano in lui allo stesso tempo.
Dean Winchester non era come gli altri. Dean era un umano speciale. Molto più speciale di quello che molti avrebbero potuto pensare al primo sguardo. Anche lui, un tempo, aveva creduto che fosse uguale a tutte le altre scimmie senza peli, come li chiamava Uriel, ma sapeva bene che non era così. Un tempo in cui era sciocco, altezzoso e prepotente, proprio come i suoi fratelli. Fratelli che spesso aveva ucciso per difendere quel Dean che lo aveva cacciato via dalla sua vita.
Affranto, si era seduto sul bordo del marciapiede, posando distrattamente gli splendidi occhi stanchi su ciò che rimaneva di una lattina di birra.
Che cosa doveva fare?
Tornare indietro sarebbe stato assurdo, oltre che pericoloso e stupido. Sapeva fin troppo bene che Dean avrebbe dato di matto, e probabilmente avrebbe iniziato ad odiarlo ancora di più.
Non lo voleva fra i piedi, era chiaro. Se si fosse pentito della decisione presa, avrebbe già fatto di tutto per cercarlo e per rimettere a posto le cose. D’ accordo, Dean non era un tipo a cui piaceva chiedere scusa e a cui a volte veniva difficile riallacciare i rapporti con chi lo aveva ferito – anche se tecnicamente avrebbe dovuto chiedere lui scusa al suo amico cacciatore – ma con Sam si erano riappacificati dopo quel periodo di allontanamento. Sam lo aveva imbrogliato e gli aveva mentito, continuando a bere sangue demoniaco, fidandosi di Ruby, liberando il Diavolo, eppure, Dean lo aveva perdonato.
Ma Cass sapeva che era proprio quello il punto, che era quello il fulcro della questione: lui non era Sam.
Non era il fratello amato così tanto dall’ uomo che aveva salvato dalle spire dell’ inferno.
E che suo padre lo fulminasse, si stava odiando per quel sentimento di logorante invidia che ottenebrava il suo cuore pulsante.
Lui non era così. Non era un essere oscuro. Eppure, per quanto cercasse di lottare e proteggersi, c’ erano sentimenti umani a cui non era in grado di badare. Era tutto così nuovo, spesso così inaspettato.
Le emozioni lo travolgevano e non gli lasciavano più scampo, logorandolo lentamente.
No. Non era così. Non voleva essere così.
Anche se ormai da tempo, sentiva di non essere più il Castiel che era stato creato dall’ amore di suo Padre.

Il triste ragazzo caduto dal cielo era talmente preso dai suoi pensieri da non essersi reso conto che gli occhi che aveva tanto temuto di veder apparire nel buio si trovavano proprio a pochi centimetri da lui.
I predatori trattenevano il fiato, attendendo con ansia il momento di catturare la piccola preda indifesa.
Era uno spettacolo vederlo lì, solo, in balia di pensieri che lo rendevano ancora più appetibile.
Quella piccola meraviglia non si rendeva davvero conto di quanto fosse adorabilmente patetica. Del potente e splendente angelo del Signore non c’ era rimasta più traccia. Loro lo sapevano bene.
Riuscivano a leggergli dentro senza alcuna difficoltà, godendo di ogni dubbio, di ogni incertezza, di ogni goccia di sofferenza che ormai aveva preso il totale sopravvento su quel nuovo essere, su quel neo essere umano che con tanta fatica stava cercando il proprio posto nel mondo. Peccato che non ne avrebbe avuto più l’ occasione: presto sarebbero diventati ‘ amici ‘, e il piccolo Cass poteva stare certo che lo sarebbero stati per sempre.

Castiel era completamente sovrappensiero. Aveva cominciato a giocherellare distrattamente con la lattina, spostandola a destra e a sinistra con il piede. Continuava a chiedersi perché cavolo François ci stesse mettendo tanto. L’ auto non era molto lontana, dopotutto. Che si fosse imbattuto in qualche creatura oscura?

“Oh… François…”.

Spazientito e preoccupato allo stesso tempo, si era affrettato a rimettersi in piedi con l’ intento di raggiungere il suo nuovo amico, quando si era sentito all’ improvviso incapace di controllare il proprio corpo, rischiando di cadere di peso in avanti se qualcuno non avesse avuto la premura di scaraventarlo con violenza contro un muro.
L’ unica cosa che era stato in grado di sentire, era stato un fortissimo dolore spezzargli il respiro.
Subito dopo, il buio.

*


Aveva osservato la scena nascosto dietro un cassonetto dei rifiuti.
Probabilmente, qualcuno avrebbe potuto pensare che si era comportato da stronzo, da traditore, ma poco gli importava.
Doveva fargliela pagare. Doveva far pagare a quella bestia e a tutti i suoi simili tutte le sofferenze che aveva dovuto patire a causa loro. Dovevano pagare tutti gli abusi, tutto il dolore, tutte le volte in cui aveva dovuto prestarsi a fare cose a cui non avrebbe mai neanche lontanamente pensato. Aveva rubato, aveva fatto sesso di gruppo, aveva ucciso, aveva bramato contro altre creature celesti, aveva imbrogliato e minacciato.
Sapeva benissimo che il suo corpo era stato semplicemente usato, ma non poteva non sentirsi responsabile per quelle vite che aveva spezzato, per il male che aveva causato.
E pensare che quando l’ angelo si era mostrato a lui per la prima volta si era sentito lusingato, amato, e aveva gioito, bramando l’ istante in cui sarebbero stati una cosa sola.
Non aveva capito che non sarebbe stata una piacevole convivenza, ma una frustrante e costante possessione.
Era stato imbrogliato da una creatura celeste, e non capiva perché avrebbe dovuto sentirsi in colpa per aver fatto lo stesso. Se quell’ angelo, Balthazar, non si era sentito in colpa per aver fatto e avergli fatto fare delle cose terribili, perché avrebbe dovuto sentirsi in colpa lui? Era solo un essere umano, in fondo. E gli esseri umani sono tutti dei fottutissimi peccatori incalliti.
Eppure, François doveva ammettere di aver sentito il proprio stomaco fare una capriola nell’ istante in cui quell’ ingenuo di un ex- pennuto si era alzato in piedi, mormorando il suo nome. Doveva essersi preoccupato per il suo strano ritardo. Stupido Jimmy… O meglio, stupido Castiel. Stupida, ingenua piccola creatura.
Ma davvero credeva che sulla faccia della terra ci fosse un solo cacciatore che non sapesse chi lui fosse?
Castiel, l’ angelo caduto. Il bastardo che aveva tradito i Winchester, il bastardo che aveva tradito il Paradiso.
Il nuovo Lucifero. L’ angelo che aveva camminato sulla terra facendosi chiamare Dio.
Quello sciocco credeva che fosse stato per puro caso se proprio lui l’ aveva salvato dalle grinfie di Crowley.
Certo, come no.
Ricordava ancora il suo sguardo terrorizzato, il modo in cui cercava di coprirsi le nudità con ciò che rimaneva dei suoi vestiti. Ricordava la sua diffidenza, il suo essere restio a parlare. Ricordava il calore del suo corpo e il sapore alcolico di quelle labbra che dolcemente avevano sfiorato le sue, credendo che fossero quelle di Dean.
Era per colpa di quell’ uomo se la sua esistenza millenaria era andata a rotoli, possibile che non lo capisse?
Eppure, quell’ idiota non faceva altro che pensare a lui. Non capiva perché, ma la cosa lo mandava in bestia.

Ed eccolo lì, Castiel: l’ aveva visto bloccarsi all’ improvviso e barcollare per qualche istante, prima di essere scaraventato contro un muro e perdere i sensi. Cos’ era? Forse gli piaceva giocare a fare il bell’ addormentato?
Certo che no. Chiunque avrebbe perso i sensi dopo un colpo come quello.
Ma non doveva provare dispiacere. No, affatto.
Ricordava troppo bene cosa gli aveva fatto quell’ essere dagli occhi del cielo. Il terrore di Balthazar nell’ udire la sua voce lo tormentava notte e giorno e la sensazione delle proprie carni lacerate da quella lama sacra non gli permettevano di ragionare, a volte. Quel bastardo lo sapeva. Sapeva che se l’ avessero colpito con quell’ arma sarebbe morto sia lui che il suo tramite, ma non gli era importato, evidentemente. Aveva preferito continuare a giocare a fare l’ anarchico. E lui era morto. Era morto, e non gli era stata data neanche la possibilità di accedere al Paradiso. No. Lui non se lo meritava. ‘ Hai portato con te una rabbia logorante ‘ – gli avevano detto – ‘ Non sei degno del Paradiso ‘. Dopo tutto quello che aveva dovuto patire, lui non era degno di ricevere la pace eterna!
Per questo, si era ritrovato, suo malgrado, ad attraversare le porte del Purgatorio. Odiava quel luogo che insieme lo tormentava e lo teneva al sicuro. Non era quello il suo posto. Gli era stata fatta l’ ennesima ingiustizia.
Ma qualcuno gli aveva dato la possibilità di rimediare.
Qualcuno che gli aveva ridato la vita, offrendogli la vendetta su di un piatto d’ argento.
Lo stesso qualcuno che stava accarezzando brusco i capelli di Castiel.

“Hai fatto un ottimo lavoro”.

La gelida voce si era formata all’ improvviso alle sue spalle, ma lui non aveva tramato. Sapeva che presto l’ avrebbe udita, e attendeva quel momento con gioia.

“Sono felice di avervi servito come meritate”.

Ed era vero. Voleva solo ottenere la sua ricompensa e sparire.

“Come desideri”.

Senza farsi attendere troppo, la figura avvolta dall’ ombra aveva allungato una mano, porgendo al biondo cacciatore un fagotto formato dai brandelli di una camicia. Voltandosi verso Cass, si era reso conto che gli mancava metà della camicia che indossava.

“Spero che non ti dispiaccia troppo. So che era una delle tue preferite”.

Evitando di esitare ancora, François aveva afferrato il fagotto, facendo attenzione a non sfiorare la mano del suo interlocutore.

“E’ l’ ultima cosa di cui mi importa, adesso” – e aveva stretto fra le dita il suo nuovo tesoro.

Era arrivato il momento di andare. Aveva avuto ciò che desiderava, e non voleva rimanere lì un minuto di più.
Ma prima di andare via, voleva passare per l’ ultima volta davanti all’ angioletto, per poterlo ‘ ringraziare ‘ a dovere.

“Addio Castiel…” – aveva detto, afferrandogli il mento fra le dita per poter guardare il suo bel viso – “Ti lascio alle cure dei nostri amici…” – e si era alzato in piedi, dandogli le spalle – “Credo che ti piacerà giocare con loro… Proprio come a te e a tuo fratello è piaciuto giocare col mio corpo…” – aveva preso un lungo respiro per cercare di calmarsi – “Spero solo una cosa, piccolo bastardo… Che si nutrano di te mentre sei ancora vivo.
Dopotutto, un ex angelo dovrebbe essere un pasto prelibatissimo per i Leviatani…”.

Continua…
________________________________________________________________________________________________________________

Cleo è appena tornata dal mondo dei morti...
Non sto scherzando. Ho avuto la febbre da lunedì 19 fino a ieri...
PERDONATEMI! =(
Cercherò di rimediare aggiornando tutte le fic fra oggi e domani! <3
Adesso mi aspetto una sfilza di commenti davvero poco carini su François... Bastardo...
Hai sofferto tanto, perché far soffrire anche gli altri? Povero Cass... Povero, Povero Cass...
E, a proposito di Cass, se mi fanno altri scherzi nel tf mando la mafia ai produttori!! Ma che puntata è stata??
MAH!
Non commento oltre!
Bacioni!
A presto
Cleo

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Sgradevoli sorprese ***


Sgradevoli sorprese


I due fratelli Winchester e il vecchio Bobby Singer se ne stavano immobili a fissare Ian Wesley che portava a termine il rito. Avrebbero voluto aiutarlo, ma l’ uomo di ferro era talmente concentrato che sarebbero stati solo d’ impiccio. Quel ragazzo doveva essere abituato a sbrigare ogni cosa da solo, a quanto sembrava, vista la destrezza con cui stava eseguendo il rituale.
La parte che aveva più di tutte lasciato Dean interdetto, però, era stata quella in cui Ian aveva chiesto alcune gocce del suo sangue.

“E a cosa ti serve, di grazia?” – aveva detto Dean, piuttosto riluttante.
Ma Ian non si era scomposto. Sorridendo, aveva teso la mano al biondo cacciatore, invitandolo a consegnarli la propria. Ma il pugnale che reggeva nell’ altra lo aveva fatto desistere.

“Non ho intenzione di farmi tagliuzzare da te!”.
“Fidati Dean, non lo farei se non fosse necessario”.

Il Winchester si stava irritando, e non poco.

“Ma perché proprio il mio??” – possibile che in questi maledetti rituali non servisse mai, che so, delle margherite, o delle violette, o delle uova di cioccolata?

“Perché mi occorre il sangue della persona a cui Castiel ha donato il cuore”.

Quell’ osservazione aveva lasciato tutti di stucco.
Bobby e Sam si guardavano basiti, incapaci di proferire parola. Dean stava cercando di elaborare quella rilevazione prima di morire d’ infarto. Come sarebbe a dire che Castiel gli aveva donato il suo cuore?
Quell’ insulso idiota pennuto non poteva aver fatto una cosa simile! Castiel lo aveva tradito! Lo aveva pugnalato alle spalle! E poi che ne sapeva Ian dei sentimenti che si agitavano nel cuore di quell’ idiota?
Donargli il cuore. Che emerita stronzata! Quelle erano cose che facevano le tredicenni, non gli angeli millenari! E il fatto che l’ angelo in questione portasse il trench non faceva alcuna differenza!

“Dean Winchester, se hai una domanda, ponila. Non tenerti tutto dentro”.

Il diretto interessato era diventato viola in viso. Come faceva quell’ uomo a sapere tutte quelle cose su di lui?
Si conoscevano appena, eppure, era come se Ian avesse trascorso tutta la sua esistenza accanto a Dean.
Era quasi come se gli leggesse nell’ anima, come se Dean fosse per lui una sorta di libro aperto.
La cosa lo irritava da morire.

“Non ho nessuna domanda da fare” – aveva detto, alzandosi la manica della camicia – “Facciamo questa puttanata e cerchiamo di sbrigarci, per favore. E vedi di non farmi morire dissanguato. Io non sono un uomo di ferro come te, Wesley!”.

Bobby e Sam erano a dir poco scandalizzati. Non che avessero paura di Ian, ma cazzo, almeno un pochino di rispetto avrebbe potuto dimostrarlo, no? Ma non sarebbe stato da Dean. Aveva preso a calci in culo l’ arcangelo Michael, perché non avrebbe dovuto fare la stessa cosa con un semplice essere umano?

Senza esitare, Ian aveva praticato un superficiale taglio sul braccio sinistro di Dean, con disappunto di quest’ ultimo che aveva sollevato la manica dell’ altro.

“Ma cos…”.
“Serve il sangue del braccio sinistro Dean… Il braccio più vicino al cuore”.

Stavolta si era limitato a roteare gli occhi, facendo il duro nell’ istante in cui la lama aveva tagliato le sue carni. Ma doveva ammettere che Ian era stato piuttosto delicato, dopotutto.

Con grande tensione generale, un rivolo di sangue aveva percorso il polso del cacciatore, scivolando inesorabilmente nella ciotola di metallo fino a mischiarsi con gli altri ingredienti. Subito dopo, Ian l’ aveva rovesciata sulla mappa che avevano deciso di utilizzare. Una scintilla aveva preso vita, e poco dopo, un fuoco dirompente aveva preso il sopravvento, spegnendosi pochi istanti prima di bruciare il punto sulla mappa che avrebbe indicato loro dove si trovava il pugnale angelico di Raphael.

Sam aveva soffocato un urlo di gioia. Bobby sorrideva soddisfatto, e Dean stava ancora combattendo fra l’ irritazione e la soddisfazione.

“Missione compiuta, a quanto pare” – aveva detto, asciugandosi la ferita con un panno.

“Missione compiuta” – aveva ripetuto Ian.
Dean sorrideva. Sapevano dov’ era il pugnale, di conseguenza, sapevano dove fosse Castiel. Forse, presto sarebbero riusciti a fare la festa a quei merluzzi sacri, e forse, avrebbe potuto prendere a calci in culo quell’ idiota.

*


François era appena arrivato a casa.
Aveva finalmente ottenuto la vendetta che aveva tanto bramato, ma non si sentiva affatto rincuorato, e non capiva il perché. Che gliene importava a lui di quel Castiel? Quel coglione e il suo bel fratellino avevano usato il suo corpicino a loro piacimento, ed erano stati puniti a dovere.
Cazzo se erano stati puniti a dovere!
E ora che aveva finalmente ottenuto ciò che voleva, poteva finalmente difendersi contro qualunque bastardo che avesse deciso di farsi vivo con lui. Sempre se di bastardi ce ne fosse ancora qualcuno in giro.
Quel coglioncello di un angelo aveva fatto strage, a quanto gli avevano raccontato i Leviatani. E François non aveva potuto fare altro che gioire nell’ apprendere quella meravigliosa notizia. Non avrebbero più dato fastidio per un bel po’. Nessuno sarebbe stato ingannato e usato. Ma era stata una punizione fin troppo magnanima, per i suoi gusti. Sarebbero dovuti crepare tutti.

Ma allora, perché cavolo non riusciva a levarsi dalla testa gli occhi di quell’ idiota?
Aveva mandato giù due intere bottiglie di vodka, ma non aveva ancora la mente abbastanza annebbiata per poter smettere di pensare.
Maledizione quanto odiava sentirsi in quel modo! Odiava i sensi di colpa. Che cazzo gliene fregava a lui?
Che gli facessero quello che ritenevano necessario! Voleva squartarlo? Benissimo! Sarebbe rimasto volentieri a guardare.
Gli era persino dispiaciuto dover fermare quel Crowley. Avrebbe tanto voluto vederlo mentre lo apriva in due, facendolo urlare disperatamente.

Ma François si era bloccato all’ improvviso, fissando il liquido bianco presente nella bottiglia.
Ma che cazzo stava dicendo? Non poteva davvero pensare cose del genere.
Non avrebbe mai lasciato che un demone lo stuprasse.
Non era un bastardo. Cioè sì, lo era, ma non fino a quel punto. Mai avrebbe osato tanto.
Soprattutto non dopo averlo conosciuto e aver trascorso del tempo insieme a lui. Non dopo le risate, la fiducia, le occhiate fugaci e gli imbarazzi.
Catiel non era più un angelo. Era un essere umano. Un essere umano.
Aveva venduto un essere umano alle creature più potenti e crudeli che il Signore avesse mai creato.
Che cazzo aveva fatto?

In preda alla più totale vergogna, aveva lanciato la bottiglia contro il muro, cacciando un urlo spaventoso.

“Che cosa ho fatto?” – aveva piagnucolato, tenendosi la testa fra le mani – “Che cosa ho fatto?”.

Proprio in quell’ istante, la porta del suo appartamento si era spalanca all’ improvviso, e due ragazzi erano entrati senza porsi alcuno scrupolo, cominciando a chiamare ad alta voce il nome dell’ ex-angelo che François aveva tradito ed usato per i propri scopi.

“Castiel!” – ripetevano – “Castiel!”.

Poi, i due ragazzi si erano finalmente accorti della sua presenza, e quello biondo, vedendolo in quelle condizioni, lo aveva raggiunto, facendolo alzare strattonandolo per un braccio.
Nel trovarsi davanti quel volto così familiare, Dean aveva quasi rischiato di avere un infarto.

“Balthazar? Sei Balthazar?”.
Ma quello non rispondeva.
“Rispondi cazzo! Sei Balthazar o no? Che è successo? E dov’ è Castiel?”.

Ma François continuava a non rispondere. Anzi, colto da un improvviso attacco di ilarità, aveva cominciato a ridere fra le lacrime, afferrando entrambi i polsi di Dean.

“Ahahah! Dean Winchester in casa mia! Quale onore!”.

Il cacciatore stava perdendo la pazienza. Aveva stretto maggiormente la presa sul braccio di quell’ uomo, afferrando anche l’ altro.

“Dimmi chi cazzo sei e dov’ è Castiel. O giuro che ti ammazzo”.

“Non è qui” – aveva detto Ian all’ improvviso, comparendo davanti ai suoi occhi con uno strano fagotto in mano.
“Che cazzo vuoi dire??” – Dean era fra il terrorizzato e l’ irato.
“Che il vostro amichetto non è più a casa mia” – aveva risposto François.
“E dov’ è, figlio di puttana?”.

Nel frattempo, Ian aveva frugato nel fagotto, estraendo con grande sorpresa di Dean, il pugnale angelico di Raphael.
Il Winchester credeva che il suo cuore si fosse fermato.

“Leviatani” – la voce di François era rotta dal pianto misto a risate – “L’ ho regalato ai Leviatani”.

Stavolta, era certo che sarebbe morto, e nessuno gli avrebbe dato una seconda occasione.

Continua…
______________________________________________________________________________________________

SCUSATEPERL'IMMENSORITARDO!!
Non mi dilungo in spiacevoli e banalissime scuse.
Come sempre, ho rotto le uova nel paniere ai nostri cacciatori preferiti. Proprio mentre credevano di aver trovato Castiel, ecco che gli è di nuovo sguggito fra le dita.
Che disdetta.
Nel prossimo capitolo parleremo del nosrtro angelo. Credo. E buona Pasqua!
Baci grandi
Cleo

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** The torture ***


The torture


Si era svegliato di soprassalto, incapace di capire dove si trovasse.
Era un posto buio, freddo, credeva fosse una specie di magazzino abbandonato. Il suo stomaco era in tumulto per colpa di un tanfo simile a quello proveniente da una fogna.
Gli dolevano i polsi e le spalle, e sono quando era stato in grado di sollevare la testa abbandonata sul corpo si era accorto di essere in piedi, legato su di una rudimentale croce di sant’ Andrea ricavata da due vecchie travi di ferro gelido.
I polsi erano stati tagliati dalle corde che li tenevano immobilizzati, e rivoli di sangue scuro scendevano lungo le magre braccia, inondando il petto.
Aveva quasi del tutto perso la sensibilità alle mani, e lo stesso discorso valeva per i piedi nudi: le caviglie erano serrate a tal punto che il sangue aveva smesso di circolare da tempo.
Tanto per cambiare, si trovava a torso nudo.
Tanto per cambiare, era di nuovo senza forze.
Tanto per cambiare, era di nuovo solo.
Solo e prigioniero di non sapeva neanche lui chi, o cosa.
Ricordava chiaramente di essere rimasto sul marciapiedi ad aspettare il ritorno di François, e di essersi incamminato nella speranza di andargli incontro dopo aver riflettuto a lungo sulla sua patetica condizione.
Ma poi non era più riuscito a muoversi, e aveva perso i sensi dopo essere stato violentemente sbalzato contro un muro.
L’ impatto doveva avergli causato qualche problema serio, perché la sua schiena urlava di dolore. Ogni respiro gli provocava una fitta insostenibile.

Non riusciva a capire, Castiel.
Non riusciva a capire dove fosse, perché fosse lì, e perché tutto l’ universo ce l’ avesse con lui.

“François…” – aveva sussurrato la prima volta – “François!” – aveva urlato la seconda, cercando di ignorare il dolore che quel gesto aveva provocato al suo corpo dolorante, ma niente: del suo amico cacciatore non vi era la minima traccia.
Non ne poteva più. Ma perché non gli era stato lasciato da scontare il destino a cui lo aveva relegato Lucifer per aver fatto saltare in aria Michael? Perché suo Padre aveva deciso di dargli una seconda possibilità? Che senso aveva, visto che continuava ad essere rapito e ad essere torturato e imprigionato come un martire?
Lui non era un martire…
Era una specie di scherzo della natura, un abominio. Un angelo caduto. Era come suo fratello rinchiuso nella gabbia. Era come Lucifero.

Arrivato a quel punto, non gli interessava neanche più di sapere in mano a chi fosse caduto. Di chi poteva trattarsi? Di Crowley sicuramente. Il demone avrebbe portato a termine quello che aveva cominciato qualche giorno addietro. E lui avrebbe dovuto subire in silenzio.

“Sei pensieroso, ex-angelo…” – una voce gelida che non aveva mai sentito prima lo aveva fatto trasalire.
Doveva essere la voce del suo carceriere. Peccato solo che non si trattasse della voce di Crowley.
Qualcun altro lo cercava, allora?
Ed ecco che un uomo, un uomo alto, di bell’ aspetto, vestito in modo vergognosamente elegante, aveva fatto capolino, osservandolo come se fosse una merce rara, come se sapesse che non aveva alcun modo di difendersi o reagire. Come se fosse la cosa più preziosa a questo mondo.

“Oh… Quante domande… Non tenerti tutto dentro… Coraggio: spara!”.
Domande? Lui non aveva fatto domande! Che cosa voleva dire? Che quell’ uomo era capace di leggergli nel pensiero?
“Chi sei?”- aveva chiesto, cercando di mantenere la calma.
L’ uomo si era avvicinato, mostrando all’ angelo caduto il ghigno soddisfatto dipinto sul suo viso.
Sembrava perfettamente normale. E la cosa che più faceva agitare Castiel era proprio il fatto che lo sembrasse e basta. Anche François sembrava una persona affidabile, ma a quanto pare di lui non c’ era più traccia.
Cosa c’ era di normale in quello?

Il bell’ uomo gli si era avvicinato, e con estrema lentezza aveva fatto scorrere una mano lungo il rivolo di sangue formatosi sul braccio destro di Castiel, dalla spalla indolenzita fino al polso ferito, soffermandosi in maniera fin troppo brutale all’ altezza delle corde che lo serravano prepotenti.
L’ ex- angelo non era riuscito a trattenere un gemito di dolore.

“Sei così… Patetico! Piccolo e indifeso… Così lontano dalla creatura che eri un tempo… Deve essere un vero schifo sentirsi così”.

Bè, era vero. Era davvero uno schifo. Ma si dava il caso che non potesse farci niente al momento, se non incassare il colpo nel migliore dei modi. Modo che purtroppo non aveva ancora trovato.

“Ti ho chiesto chi sei. E perché sono qui? Che vuoi da me?”.
Si stava agitando, e questo non faceva che aumentare il suo dolore fisico e mentale.
“Quante domande, angioletto…”.
Quanto disprezzo c’ era in quella parola, quanto rancore. Che fosse una persona a cui aveva fatto qualcosa in quel periodo che aveva rimosso?
“Sei stato tu a dirmi di dar voce ai miei quesiti. Ora sono io a chiederti di rispondermi: chi sei?”.

Ma l’ uomo aveva deciso di prendere tempo. Era così bello vederlo tormentarsi in quel modo.
Quell’ aria imbronciata che aveva era a dir poco adorabile! Cercava di placare la paura che lo aveva assalito, anche se con scarsi risultati, e questo era davvero ammirevole per uno come lui. Per uno che era distrutto e completamente solo.

“Ma come chi sono? Possibile che tu non ti ricordi di me?” – aveva detto ad un certo punto, sedendosi su di una vecchia sedia che sembrava stare in piedi per miracolo.
Castiel non capiva. Si erano già visti?
“Ah già, dimenticavo il tuo piccolo vuoto di memoria!” – il suo volto aveva assunto un ghigno malefico – “Ma non ci siamo visti solo in quell’ occasione. Oh, no! Anche se devo ammettere che l’ ultima volta eravamo in tanti, e forse è per questo che non ti ricordi di me!”.
“In tanti? Ma che vuoi dire? Chi sei? E dov’ è François? Lasciami andare! LASCIAMI!”.

Ma un dolore improvviso all’ altezza del petto gli aveva mozzato il fiato. Era come se i suoi polmoni si fossero congestionati e non riuscissero più ad incamerare aria. Stava morendo soffocato.

“Starai più calmo, ora?”.

Le sue labbra viola e gli occhi rossi da far paura dovevano aver convinto l’ uomo, perché così com’ era arrivato il dolore era scomparso, e finalmente riusciva a respirare di nuovo.

Il carnefice sorrideva soddisfatto.
“Bene, Castiel, penso che a questo punto tu abbia imparato la lezione! Come premio, risponderò alle tue domande! Dunque, noi ci siamo già visti, e in più di un’ occasione: la prima volta ero ospite nel bel corpicino sexy che ti ritrovi insieme a qualche miliardo di anime e a tanti fratellini dispettosi come me.
Ti cercavo da tempo, perché per me, anzi, per noi, sei molto importante, ed è stata una vera fortuna trovarti per caso in quel vicolo da solo. Per di più, abbiamo dovuto seminare quel pervertito di Crowley a cui tu hai fatto le scarpe! Devo riconoscerlo, sei stato davvero bravo a farla a quella piattola! I miei complimenti!”.

Cass aveva ascoltato in silenzio, senza chiedere altro. Era come se sentisse che la coltellata finale doveva ancora arrivare.

“E poi, sì, qual era l’ altra domanda? Dov’ è François, giusto? Bè, credo che il biondino sia in giro alla ricerca dei pochi angeli che sono rimasti in giro dopo la tua epurazione! Sai, è stato un vero colpo di genio decidere di riportarlo in vita! Sapevo che ci sarebbe stato utile! E, infatti, eccoti qui! Servito su un piatto d’ argento! O meglio, su una croce di ferro!”.

E, proprio come aveva previsto, la coltellata finale si era scagliata su di lui senza possibilità di difesa.
François. Era stato François a tradirlo. E doveva averlo fatto per quello che gli aveva fatto passare quando lo aveva pugnalato alle spalle. Con quel gesto non era morto solo Balthazar, ma anche il suo tramite. Il tramite umano che aveva bramato vendetta e l’ aveva ottenuta.
Gli occhi gli si erano riempiti di lacrime.
Era uno stupido. Era solo uno stupido.

“Ti vedo turbato! Su, dai, non fare così! I miei fratelli stanno arrivando, e non vedono l’ ora di giocare un po’ con te! Sai, vogliono ringraziarti per averli liberati, e punirti per averci tirato addosso quell’ intruglio!
Non si tratta così chi ha più o meno la tua stessa età, angioletto! Proprio no!”.

All’ improvviso, il ricordo della disavventura nel bagno del B&B era riaffiorato, colpendolo come un pugno in pieno viso.
Ma non poteva essere! Quei viscidi tentacoli neri non avevano niente di umano! Ma, ora che lo guardava bene, quell’ uomo di umano aveva solo l’ aspetto. Ma continuava a non capire cosa potesse essere!
E che voleva dire tutto quello che aveva detto?
Lui sapeva, non c’ erano più dubbi. Lui sapeva ciò che gli era capitato.

“Avanti Castiel, non fare quella faccia! Davvero credevi di poterci sfuggire per tutto questo tempo? E no carino, mi dispiace: il conto va pagato. E non puoi neppure immaginare quanto sia salato!”.

E, pochi istanti dopo, come apparsi dal nulla, una schiera di uomini e donne si era unita a lui.

“Ti presento i miei fratelli, Castiel. Sono sicuro che ci divertiremo molto insieme”.

L’ angelo aveva cominciato a tremare.

“Ah, io comunque sono Dick… E se non l’ avessi ancora capito, sei finito in pasto ai Leviatani”.

*


Ancora una volta, si era ritrovato gettato in un angolo di una strada buia e lercia, ai piedi di un cassonetto.
Ancora una volta, era mezzo nudo e infreddolito. Ancora una volta, lo avevano torturato e umiliato, lasciandolo per strada come un oggetto rotto, un giocattolo di cui ci si era stancati.
Era rannicchiato su di un fianco, il piccolo Castiel. Le ginocchia tirate al petto nudo e martoriato, i piedi gelidi, le labbra dischiuse, e gli occhi fissi nel vuoto, specchio di una muta disperazione.
Il piccolo e glabro torace, le spalle, le braccia, il niveo collo, persino le mani, erano cosparsi da decine e decine di morsi spaventosi. Bocche fameliche e denti acuminati avevano perforato quelle carni umane, senza però strapparne alcun brandello. Ma non c’ era sangue che grondava da quei fori. No. Esso era rimasto su ogni pertugio, quasi come a chiuderlo, facendo sì che le sue membra sembrassero costellate da centinaia di coriandoli scarlatti.

Non piangeva, Castiel. Orami non aveva più lacrime. Erano state versate tutte durante i giochi dei Leviatani.
Aveva freddo, ma non osava muoversi. Ogni sussulto, ogni più piccolo, impercettibile spasmo, gli causava ulteriore dolore. Ma non si trattava neanche più di dolore fisico.
Il suo era un dolore molto più profondo: era un dolore che provava nell’ anima.
Perché era stata l’ anima a dolere nel momento in cui ogni singolo ricordo delle atrocità commesse era piombato addosso a lui come un macigno insopportabile.

Ricordava tutto, Castiel. Ricordava ogni cosa.
E ricordava ogni cosa grazie all’ intervento provvidenziale dei suoi carnefici.

Sentiva ancora la loro presenza, Castiel. Vedeva i loro volti spaventosi, percepiva i loro caldi respiri sulla pelle, e i freddi canini che penetravano i suoi muscoli. Avvertiva ancora il veleno che entrava in circolo, e, ad ogni centimetro guadagnato dal potente liquido, vedeva i ricordi sopiti riprendere forma.

E finalmente, capiva tante cose, Castiel.
Capiva perché Dean avesse iniziato ad odiarlo, capiva perché quelle persone lo avessero riconosciuto, capiva perché quel fantasma incontrato nel pullman fosse tanto arrabbiato con lui, capiva perché François lo odiasse, capiva perché nessuno dei suoi fratelli fosse venuto a cercarlo.

C’ erano solo due cose che non capiva, Castiel. Non capiva perché i Leviatani volessero che lui sapesse ogni cosa, e soprattutto, non capiva perché lo avessero lasciato andare.
Ma a quel punto non gli importava più, perché aveva una sola, indiscutibile certezza: non meritava più di essere salvato.

Continua…
_________________________________________________________________________________________________________________________

Sono in ritardo con l' aggiornamento come al solito??
Chiedo venia, tanto per cambiare.
I preparativi per la convention mi stanno massacrando! Cerco di scrivere, ma la mente viaggia e va subito in direzione del nostro Misha!
Non vedo l' ora di incontrarlo!
MA BASTA PARLARE DELLA JIB!!
Vi stresserò al mio rientro! XD
Tornando a noi, chiedo scusa se il capitolo è leggermente confuso - anche se spero che non lo sia. Magari va bene, ma è come se qualcosa non mi convincesse del tutto. Eppure, più lo leggo, meno riesco a correggerlo, e alla fine ho deciso di lasciarlo così e pubblicarlo ugualmente.
Spero vi sia piaciuto lo stesso!
Casomai, spero di non morire per mano vostra!
Ora scappo!
Ho altre fic da aggiornare!
Grazie di cuore per le recensioni!
Baci
Cleo





Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** Sconfitta ***


Sconfitta


Dean non poteva crederci.
Era assolutamente inaudito. D’ accordo, lui non era stato da meno, si era comportato da gran bastardo per l’ aver buttato Castiel fuori di casa come un ospite indesiderato, ma quello che aveva fatto quel così lì… quel François era mille volte peggio.
Come poteva essergli venuta in mente una cosa simile?? Figlio di puttana, era da malati!
Cedere un essere indifeso a quel branco di bastardi rivoltanti che si stavano divertendo a seminare panico e distruzione nel mondo era una cosa indegna anche per il peggiore degli uomini!
Il maggiore dei Winchester aveva un fuco che gli ribolliva dentro, una rabbia incontenibile che sarebbe già esplosa se non ci fosse stato Ian, provocando di certo danni irreparabili.
Era balzato addosso a quello che sicuramente era il tramite di Balthazar con l’ intenzione di gonfiarlo come un pallone, ma l’ uomo di ferro lo aveva bloccato, impedendogli di compiere qualunque tipo di sciocchezza.
Ma per Dean non erano sciocchezze! Si trattava di Castiel porca miseria! Di Castiel!
Voleva ridurre quel bastardo ad un ammasso di polvere, ecco cosa voleva fare. Fargli sparire dalla faccia il sorrisetto da ebete che si ritrovava una volta per tutte! Lurido figlio di…

Tutti i loro sforzi erano stati vani. Ian aveva l’ amaro in bocca. I fatti avrebbero dovuto svolgersi in maniera molto diversa da come erano effettivamente andati. Ma l’ angelo non era più in possesso del suo pugnale angelico, arma che si trovava nelle mani di quello che era stato il tramite di un’ altra creatura celeste, ed era incappato nel peggiore degli incubi. Ora non avevano più modo di rintracciarlo.
I Leviatani avrebbero potuto fargli qualunque cosa, avrebbero potuto portarlo dovunque.
Dannazione, era stato uno sciocco a non calcolare imprevisti vari ed eventuali. Non era da lui.
Era sempre stato pronto ad ogni evenienza. Era un calcolatore, un uomo che sapeva come affrontare ogni difficoltà a testa alta. Un uomo che sapeva agire in contropiede, e sapeva farlo anche in fretta.
Ma la disperazione che aveva visto sul volto di Dean aveva aperto una vecchia ferita mai del tutto chiusa, ricordandogli ancora una volta che era umano, e di conseguenza, fallibile.

Il biondo cacciatore aveva mascherato per tutta la durata del viaggio in auto i suoi reali sentimenti, ma a lui non poteva mentire.
Dean teneva a Castiel più di ogni altra cosa, e nonostante la sua ostinazione nel non voler ammettere quanto lui gli mancasse, l’ aveva visto tremare d’ impazienza e premere il piede sul pedale dell’ acceleratore ogni istante sempre di più.
Il loro era un rapporto che andava al di là dell’ odio, al di là dell’ amicizia, e al di là dell’ amore di umana comprensione. L’ amore umano, nella sua immensa grandezza, spesso si limitava a dare con la pretesa di riavere qualcosa indietro. Erano pochi gli individui che davvero dimostravano devozione pura alla propria anima gemella, se erano così fortunati da trovarla, e Dean e Castiel erano fra questi, anche se ancora non lo sapevano, ovviamente.
Quella di Ian non era solo una speranza, o un’ assurda fantasia romantica di un uomo dalla volontà di ferro ma dal cuore forse un po’ troppo tenero. Quella di Ian era una certezza.
Aveva letto negli occhi del suo compagno di viaggio tutto quello che neppure lui sapeva ancora.
E la conferma l’ aveva avuto nell’ istante in cui si era scagliato come una belva contro quel povero diavolo, con tutte le intenzioni di spaccargli la faccia.

“Che cazzo credevi di fare, brutto figlio di puttana? Come ti è venuto in mente di darlo ai Leviatani? E’ perché, poi? Per avere il suo pugnale, non è così?? BASTARDO”.
“Basta Dean…” – aveva detto Ian, cercando di mantenere la calma.
“Come puoi dire basta? Come? Ancora lo difendi? Sappi che è solo a causa tua se non l’ ho ancora scuoiato vivo! Fammi almeno sfogare!”.
“Il tuo attacco d’ ira non farà altro che farci perdere altro tempo, Dean. Guardalo: è sconvolto. Deve essergli capitato qualcosa di terribile” – e aveva indicato François.
“NON ME NE FREGA UN CAZZO DI QUELLO CHE GLI E’ CAPITATO LO CAPISCI O NO? Castiel è l’ unico che può aiutarci a rispedire in quella fogna quei figli di puttana, ed ora è nelle loro mani! Lo sai che non ci permetteranno mai di ritrovarlo, vero?”.

Ian si era avvicinato a François, e lo aveva aiutato ad alzarsi in piedi, evitando accuratamente di rispondere a Dean. Certo che lo sapeva. Era arrivato a quella conclusione molto tempo prima, a dire il vero.
E puntualizzarlo non lo avrebbe di certo aiutato, in quel frangente.

“Che cosa ti è successo?” – aveva chiesto con calma al biondo dagli occhi cerulei che aveva davanti.
Ma quest’ ultimo non aveva risposto.
Era come se i suoi occhi fossero persi nel vuoto, e la sua mente fosse alla mercé di ricordi troppo dolorosi per poter essere raccontati ad alta voce.
“Che cazzo fai, Ian? Non abbiamo tempo per…”.
“Dean, per favore!”.

Il cacciatore era rimasto di sasso: era la prima volta che Ian alzava la voce con lui.

“Dicci quello che ti è successo, François, per favore. E’ importante. Tu sei pentito. Riesco a leggertelo negli occhi, e nel cuore. Giuro che faremo tutto ciò che è in nostra facoltà per aiutarti. Lo giuro sul mio onore”.

E, d’ un tratto, il biondo aveva cominciato a parlare, raccontando per filo e per segno tutta la sua storia.
Il Winchester non capiva come fosse possibile che Ian fosse stato in grado di fare una cosa simile.

*


Dean continuava a guardare François con diffidenza. Certo, anche lui era incazzato nero con un mucchio di angeli, e non era certo che avrebbe agito diversamente da come aveva fatto lui, ma cazzo… come aveva potuto allearsi con dei bastardi simili? Bastardi che non sapevano come fermare, fra l’ altro.
Se Cass… Castiel era davvero la chiave per fermare ogni cosa era più che certo che i Leviatani avessero deciso di distruggerlo.
Dio mio, gli sembrava di udire le urla disperate del suo angelo, gli occhi color del cielo che si velavano e il suo petto che si bloccava per sempre, nell’ atto di esalare l’ ultimo respiro.
Ed era capitato tutto per colpa sua.
Se solo non avesse cacciato via Castiel…

“Dean…” – lo aveva chiamato Ian, interrompendo il filo dei suoi pensieri.
Per un lunghissimo attimo, il cacciatore si era perso nello sguardo dell’ amico. Anche gli occhi di Ian erano azzurri, ma erano così diversi da quelli di Castiel.
“Non serve a niente piangere sul latte versato. E questo lo sai bene”.
Quanto lo odiava quando si atteggiava a prete devoto e illuminato.
Senza dire una parola, il cacciatore aveva afferrato la sua giacca, e si era diretto verso la porta.
“Ma dove stai andando?”.
“Ho bisogno di bere…”.
“Ma…”.
“Ho bisogno di bere, e ne ho bisogno adesso, Ian. Adesso” – ed era uscito, sbattendo con violenza la porta di casa.

Mai come in quel frangente, Dean aveva sentito il bisogno d stare da solo, perché quella volta, era stato definitivamente sconfitto.

Continua…
______________________________________________________________________________________________________________

Giuro, non so come ho fatto ad aggiornare!!
Domani partirò per la Jib e orami la mia testa pensa solo a Misha! <3
Capitoletto di passaggio, ma molto importante - presto capirete perché.
Volo via, sperando di risentirvi presto!
Baci grandi
Cleo

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** Lo straniero venuto dal cielo ***


Lo straniero venuto dal cielo


Che cosa c’ è dopo la morte? Ci sono Inferno, Paradiso e Purgatorio, o c’ è il niente?
Un angelo avrebbe saputo dare al mondo quella risposta.
Un angelo avrebbe dovuto rispondere che sì, c’ erano i tre Regni a cui le anime erano destinate, e che mai l’ uomo avrebbe dovuto smettere di percorrere la retta via per avere la possibilità di varcare i cancelli del Paradiso.

Ma quando un angelo perde la strada di casa, quando un angelo perde la ‘ retta via ‘, è ancora in grado di dare una simile risposta?
Un angelo caduto… Un angelo che ha perso la propria Grazia, ha ancora il diritto di parlare di Paradiso, Purgatorio e Inferno? E, soprattutto, ha il diritto di sperare in una di queste destinazioni?

A questo pensava Castiel, mentre sentiva la vita abbandonare il corpo mortale del tramite che tempo addietro gli aveva dato il permesso di vestirlo.
Quale sarebbe stato il suo destino, una volta che i suoi occhi si sarebbero spenti, una volta che il suo respiro si sarebbe fermato e le sue membra – perché quelle ormai erano le SUE membra – sarebbero diventate rigide e gelide come l’ inverno?
Avrebbe avuto anche lui accesso ad uno dei tre Regni, o gli sarebbe toccato il destino designato agli angeli morenti? Avrebbe avuto una dimora, o sarebbe scomparso? La sua esistenza avrebbe solo cessato di esistere?
Ma, in fondo, era un’ altra la domanda che si poneva l’ ormai ex-angelo morente: possedeva anch’ egli un’ anima?
A lui era stata donata un’ anima, magari plasmata dalla sua meravigliosa e splendente Grazia, o era come il Sam che aveva tirato fuori dalla gabbia dopo la permanenza forzata in compagnia di Lucifer e Michael?
Il problema era che non aveva la risposta.
Cass non sapeva se nel morire, il suo corpo avrebbe perso di colpo ventuno grammi, i ventuno grammi che si diceva fossero il peso dell’ anima o no. Avrebbe scoperto la verità quando ormai sarebbe stato troppo tardi.
Quando sarebbe svanito per sempre, o quando sarebbe finito all’ Inferno, in balia delle attenzioni del demone che lo voleva morto, in balia delle attenzioni di Crowley.

Ma cosa si aspettava, in fondo? Meritava l’ Inferno. Eccome se lo meritava. E non meritava semplicemente di fare una fila lunga tutta l’ eternità, no.
Meritava di essere inchiodato alla ruota, e che ogni giorno un’ orda di demoni si riunisse attorno a lui per mangiare ogni singolo brandello della sua carne, cominciando dal cuore. Da quel cuore che pulsava dolore e rimorso ad ogni battito. I demoni avrebbero gioito ad ogni morso, cantando e danzando in una sorta di orgia estatica che avrebbe acuito ogni loro senso, fino a renderli folli.
E Crowley… Oh, Crowley avrebbe avuto ciò che voleva, e l’ avrebbe avuto ogni volta che gli sarebbe aggradato.
L’ avrebbe avuto ogni volta che il suo spirito demoniaco avrebbe avuto bisogno di soddisfare i propri impulsi.

Perché lo meritava. Perché sapeva di meritarlo. Sapeva che nessuno lacrima versata avrebbe potuto lavare via la colpa di cui si era macchiato. Nessuna goccia d’ acqua salata sarebbe stata in grado di riportare in vita le persone e gli angeli che aveva ucciso barbaramente. Nessuna lacrima gli avrebbe concesso il perdono degli esseri che amava… Niente gli avrebbe concesso il perdono di Dean.

Come aveva anche solo lontanamente sperato di poter essere perdonato da loro, dai fratelli che aveva tradito?
Ora capiva… Capiva fin troppo bene il perché dello sguardo gelido rivoltogli da Dean. Comprendeva la sua rabbia, il suo dolore, il suo senso di smarrimento e di sconfitta.
L’ aveva tradito. Aveva tradito l’ uomo che più amava al mondo. Aveva tradito l’ uomo che amava più di suo Padre, l’ uomo che amava più di se stesso.
Forse non meritava neppure l’ Inferno, a ben pensarci, ma un posto peggiore. Un posto in cui i mostri come lui subivano le pene più crudeli mai pensate.

Era inutile cercare di lottare: le forze lo stavano abbandonando senza possibilità di appello.
Era inutile cercare di respirare ancora: l’ aria era diventata troppo gelida e tagliente per i suoi polmoni provati.
Era inutile cercare di sopravvivere: la morte era l’ unica cosa che meritava di avere.

Sarebbe morto solo, così come era caduto. Sarebbe morto in un vicolo buio, un vicolo freddo e sporco, e il suo corpo sarebbe stato trovato qualche giorno dopo da un netturbino, o un barbone, o da un ragazzino infilatosi lì per farsi una dose di droga.
Tutti si sarebbero chiesti chi fosse, ma nessuno avrebbe indagato.
A chi poteva importare del cadavere di un mostro?

*


Non gli era mai piaciuto percorrere quel tratto di strada. Non gli piaceva percorrerlo in pieno giorno, e gli piaceva ancor meno percorrerlo quando ormai il sole era calato da tempo.
I suoi colleghi si divertivano a fare battute scadenti su quella sua paura.

‘ Non frignare! ‘ – gli dicevano – ‘ Che vuoi che ti accada? Sono solo pochi chilometri fino a casa tua! ‘.

Già… Erano sì pochi chilometri, ma cosa poteva farci se aveva un’ assurda, incontrollabile paura del buio?
Era un disagio di cui soffriva da quando aveva memoria. Il buio gli provocava una paura incondizionata, ed era per quello che dormiva con una piccola luce notturna che colorava la sua camera di verde.
Ed era anche per quello che portava sempre con sé una torcia: l’ unico lampione che si affacciava in quel maledetto vicolo non era sufficiente ad illuminarlo in tutta la sua lunghezza.
Per questo, ogni sera lo percorreva con il cuore in gola, e correva a perdifiato fino a raggiungere di nuovo la strada principale.
Scegliere un lavoro di notte non era stato l’ ideale, forse, ma questo gli permetteva di frequentare i corsi all’ università al mattino e di studiare nel pomeriggio. La laurea sembrava ancora una meta lontana, ma presto l’ avrebbe raggiunta. E forse, avrebbe definitivamente lasciato quel lavoro che amava e odiava allo stesso tempo.

Ed ecco che, come ogni notte, prima di svoltare l’ angolo, aveva estratto dalla sua postina la fidata torcia, e l’ aveva direzionata verso il nemico di sempre che, come d’ incanto, si era finalmente rischiarato.

Se c’ era una cosa che odiava di quel vicolo, poi, era quel maledetto cassonetto. Sembrava sempre che qualcuno vi fosse nascosto dietro. Sapeva bene che erano solo delle paranoie, ma che poteva farci se aveva paura che qualcuno potesse fargli del male? Si sentivano delle cose così terribili in televisione…
Prestare attenzione non era una cosa da sciocchi! Era da persone caute e prudenti.

Ed ecco che, come ogni volta, aveva aumentato notevolmente l’ andatura del proprio passo, cercando di mantenere il più possibile la calma. Stava per raggiungere e superare il maledetto cassonetto, quando, contrariamente a qualunque previsione - dato l’ utilizzo della suddetta torcia - la punta della sua scarpa da ginnastica aveva urtato contro qualcosa, procurandogli una spiacevolissima caduta a faccia in giù sul polveroso asfalto.

Il dolore era stato immediato, e purtroppo, dal bel naso aveva cominciato a fuoriuscire una notevole quantità di sangue. Di certo, aveva le ginocchia sbucciate, e la stessa cosa valeva per i palmi della sue mani affusolate.

“Maledizione!” – aveva sussurrato, cercando di fermare l’ emorragia che colava dal suo povero naso dolorante.

Per di più, durante la caduta aveva perso la presa sulla torcia, che era rotolata a qualche metro da lui.
Ma si poteva essere più idioti? Come cavolo aveva fatto ad inciampare in quel modo? Meglio non pensarci. Non voleva rimanere in quel vicolo un secondo di più. Anche se, scoprire cosa aveva fatto sì che finisse a terra come una pera cotta non sarebbe stato male. Magari era qualcosa che poteva spostare, così da evitare a qualcun altro di fare la sua fine.

Ma, nel girarsi per svelare l’ arcano, i suoi occhi, i suoi occhi blu come la notte, si erano posati su quello che mai avrebbe creduto di vedere.

Le sue pupille, ormai dilatate dal buio, erano fisse con orrore e stupore sulla sua inaspettata scoperta. La bella bocca era aperta in una ‘ o ‘ di sgomento, e la sua mente aveva smesso per un attimo di pensare.

“Oh mio Dio”.

Perché Egli era l’ unico a cui era riuscito momentaneamente ad appellarsi.

“Ti prego… Ti prego… Fa che sia vivo… Fa che respiri!”.

Non avrebbe mai creduto di imbattersi in un uomo malmenato nel bel mezzo della notte.

*


Odiava quella sensazione: la sensazione di impotenza.
Non era un tipo che molti consideravano ‘ eroico ‘. Era un ragazzo schivo e solitario, ma amava darsi da fare con gli altri, ed era proprio per quello che appena poteva, si dedicava all’ aiutare gli orfani della città.
Solo che, nella sua vita, non si era mai trovato a dover affrontare una situazione come quella in cui si era imbattuto.
Quel ragazzo che aveva trovato per puro caso, quel ragazzo che aveva portato in ospedale, gli aveva fatto capire quanto fosse piccolo e inutile di fronte alle crudeltà del mondo.

Ed eccolo lì, dopo più di tre ore, seduto nella sala d’ aspetto del pronto soccorso, con il naso bendato e un punto di sutura sulla mano destra ad aspettare un medico che gli dicesse quali fossero le condizioni di quel poveretto.
Aveva già parlato con la polizia per ben due volte e, purtroppo, non era stato di molto aiuto.
Non c’ erano segni di pneumatici, né altre tracce che potessero dar loro un indizio.

‘ Sembra che sia venuto dal cielo ‘ – aveva commentato un agente.

Già… Venuto dal cielo.
Quel poveretto non aveva documenti addosso, ed era in fin di vita quando l’ autombulanza era finalmente sopraggiunta in quel maledetto vicolo buio.
Per ben tre volte il suo cuore si era fermato, ma la tenacia dei paramedici lo aveva riportato sulla terra ogni volta, dandogli ogni volta una nuova opportunità.
Ma erano state le parole di uno di loro a fargli male, molto più male del naso contuso o del punto sulla mano.

‘ Sembra che non voglia più lottare ‘ – aveva detto, mentre riponeva per l’ ennesima volta il defibrillatore nella valigetta.

Come poteva un essere umano smettere di lottare per la propria vita? Per quanto le sofferenze fossero grandi e quasi insopportabili, c’ era sempre la possibilità di vedere la luce!
Anche se… Quello che aveva visto sul corpo di quel ragazzo… Quelle ferite…

“Dio mio, quale bestia può avergli fatto un simile torto? Ti prego, Dio mio, non farlo morire…”.

“Signor James?”.

La voce del medico che si stava occupando dello sconosciuto che aveva trovato per strada aveva interrotto quella sua preghiera silenziosa.

“Come sta?” – aveva chiesto, senza troppi preamboli.
“So che non dovrei dirle niente perché lei non è un parente ma…” – sembrava piuttosto turbato – “Lei lo ha trovato, e può stare certo che non c’ è un’ altra persona sulla faccia della terra che meriti di sapere quali siano le sue condizioni”.
Aveva il cuore in gola. Quel tono solenne non gli piaceva affatto.
“Le sue condizioni sono stabili, adesso. Il cuore ha ripreso a battere normalmente, e le ferite sono state tutte disinfettate, nonostante non sappiamo di che natura siano. Era come se fossero già cauterizzate. Agghiacciante”.
Il ragazzo aveva ascoltato senza interrompere.
“Ha i polsi e le caviglie slogati, ma non dovrebbe volerci molto perché tornino a posto. E’ per altro che temo…”.
“Che vuole dire?”.
“E’ rimasto senza ossigeno per più di un minuto, durante il primo arresto cardiaco…”.
“E…?”.
“Il suo cervello potrebbe aver subito dei danni irreparabili”.
Non poteva essere. Era semplicemente assurdo.
“Mi sta dicendo che potrebbe… Che potrebbe…”.
“Non svegliarsi più”.
“No…” – era stato poco più di un sussurro, ma non era stato troppo carico di dolore per poter essere ignorato.
“Mi dispiace, signor James… Mi dispiace che lei abbia dovuto subire tutto questo”.
“Posso… Posso vederlo?”.
Sapeva che era una richiesta ingiustificata, ma non aveva potuto farne a meno.
“Solo per qualche minuto”.

A vederlo, nessuno avrebbe creduto che non sapesse neanche il nome di quel ragazzo che aveva trovato per strada. Nessuno avrebbe creduto che fosse un perfetto estraneo. Le lacrime avevano riempito i suoi splendi occhi blu e le sue labbra carnose si erano inclinate verso il basso, in una smorfia di dolore incontenibile.

“Eccolo lì…” – aveva detto il medico, indicandogli il letto in cui era stato adagiato il ferito – “Mi raccomando: solo pochi minuti”.
E pochi minuti sarebbero stati.

Con il cuore in gola, aveva varcato la soglia, e con estrema attenzione si era avvicinato al giaciglio dello sfortunato ospite.

“Ehi…” – aveva sussurrato, spaventato dal fatto che anche solo la sua voce potesse fargli del male – “Come ti senti? Mi hai fatto prendere un bello spavento, sai?”.
Dopo essersi guardato i palmi delle mani, le aveva mostrate al ragazzo addormentato, fingendosi imbronciato,
“Guarda un po’ cosa mi hai fatto!” – lo aveva rimproverato – “E guarda il mio povero naso!”.
Si sentiva un po’ stupido a parlare con un ragazzo che non poteva rispondergli, ma stranamente, quel contatto – anche se unilaterale – lo faceva sentire meno agitato.
Ma cos’ altro avrebbe potuto dirgli, adesso? Non era una situazione comune, e non riusciva a fare a meno di pensare che cosa sarebbe accaduto se fosse arrivato qualche minuto prima. Magari, avrebbe potuto evitare che gli venisse fatto del male. O avrebbe potuto chiamare prima i soccorsi ed evitare che il suo cuore andasse in arresto.
Per quanto tempo era stato lì?

“Mi dispiace non essere arrivato prima…” – gli aveva detto, fissando il viso coperto per metà dalla maschera dell’ ossigeno.
“Spero di sentire presto la tua voce” – e, con cautela, si era alzato, dirigendosi verso la porta.
“Buonanotte straniero…” – aveva detto, prima di uscire – “E, comunque, io mi chiamo Colin”.

Il ragazzo non si era accorto dell’ impercettibile scatto che aveva fatto il dito indice del ragazzo… Il dito indice di quello straniero venuto dal cielo.

Continua…
________________________________________________________________________________________________________________

JIB 4! JIB 4! JIB 4!!!!
Ok... la smetto! GIURO!
*JIB 4*
Basta così! U.U
Signorine belle - non credo che ci siano signori, in caso salute anche a voi - rieccomi di ritorno dalla Jib 3!
C' è voluto un po' per riprendermi, ma sono di nuovo pimpante come prima!!
Ed ecco che entra in scena un nuovo personaggio! Il nostro Colin è proprio Colin Morgan a cui ho dato in cognome di Bardley! ( non amo le Merthur... NOOOO!).
Che disperazione il nostro Cass! =(
Ma sta bene! Non temete! <3
BE'!! Sto dicendo troppo!!
Me ne vado a nanna che sono esausta!!
VI AMO TANTO!!
Al prossimo capitolo!
BACI
Cleo
Ps: JIB 4!!! XD
XO XO

Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** Fiducia ***



Fiducia


Colin non era riuscito a combinare nulla di buono quella mattina.
I medici gli avevano detto di andare a casa, la notte precedente, perché non poteva fare niente per quel ragazzo che aveva trovato per strada, giurandogli di chiamarlo al minimo segnale di ripresa o di… Non ci voleva neppure pensare.
I segni che aveva sul corpo erano spaventosi, e non avrebbero abbandonato tanto presto i suoi ricordi.
Dio mio, come si poteva provocare così tanto dolore ad un’ altra creatura?
Era vero che non sapeva nulla di quell’ uomo, ma anche se avesse compiuto il più atroce dei delitti, non avrebbe meritato un simile trattamento.
La cosa peggiore era che se il ragazzo non avesse ripreso conoscenza non ci sarebbe stato modo di individuare chi gli aveva fatto del male, sempre se fosse stato in grado di riconoscere i propri aguzzini.

Dopo aver tentato di studiare per un paio d’ ore, alla fine il giovane Colin ci aveva rinunciato.
Stava semplicemente perdendo del tempo prezioso.
L’ unica cosa a cui riusciva a pensare era che avrebbe dovuto fare visita a quel ragazzo. Già… Peccato che non sapesse neppure il suo nome!
Ma poteva presentarsi a mani vuote? E se l’ avesse trovato sveglio perché i dottori non avevano fatto in tempo ad avvisarlo perché lui era già in cammino verso l’ ospedale?
Aveva giù una mezza idea su cosa fare per lui.

*


Cass non sapeva bene dove fosse.
Si era svegliato di soprassalto, verso l’ alba, e subito si era accorto di trovarsi in un ambiente completamente sterile. C’ era una mascherina che lo aiutava a respirare, e un’ infinità di bende che ricoprivano i segni dei morsi lasciati dai Leviatani.
Il ricordo di quanto gli era accaduto era vivido più che mai, così come la consapevolezza di essere stato ad un passo dalla morte, qualche ore addietro.
Ma come era finito in un ospedale? Chi era stato così folle da condurlo lì?
Sicuramente non uno dei Leviatani. Perché tanta premura?
O forse, l’ avevano fatto di proposito: il loro scopo non era quello di annientarlo, ma di rendergli la vita un inferno, facendolo sentire schiacciato sempre con maggiore forza dal peso di una responsabilità e di un dolore troppo grande da poter sopportare da solo.

Non si era mosso di un millimetro, Castiel. Sapeva bene come ci si comportava in un ospedale. Vi aveva portato tante di quelle volte i fratelli Winchester da aver appreso più del dovuto, ormai.
Sapeva che avrebbe dovuto premere quel pulsante situato vicino al proprio letto per chiamare un infermiere, ma non ne aveva avuto il coraggio: troppe volte si era fidato dell’ uomo, e troppe volte era stato tradito da esso.
Ripensava ancora a ciò che aveva fatto François. Non che non lo meritasse, ma il dolore provocato dall’ inganno e dal tradimento erano troppo forti per poter essere soppressi con facilità.
Cosa doveva fare, adesso che sapeva?
Di una cosa era certo: non si sarebbe più accostato a nessun essere umano. Era fonte e allo stesso tempo ricettacolo di dolore e sofferenze. Non era fatto per godere della compagnia e della fiducia altrui, era più che evidente ormai.

Ma le ore trascorse sempre nella stessa posizione cominciavano a farsi sentire. Aveva sete, e avvertiva il bisogno di muoversi. Non sapeva dove fossero i suoi vestiti, ma gli importava ben poco: l’ unica cosa che voleva fare era allontanarsi il più possibile dagli umani, anche se non aveva idee su dove andare e come fare a sopravvivere. E poi doveva mettersi al sicuro dai Leviatani. Non sapeva cosa volessero da lui, ma presto lo avrebbero di nuovo cercato, era ovvio.
Per questo, anche se con grande fatica, Castiel si era messo seduto, constatando con suo sommo orrore che c’ era una serie di tubicini infilati nel braccio e in un’ altra parte del corpo che non avrebbe mai immaginato.
Prendendo un bel respiro, aveva estratto per prima cosa l’ ago che collegava la flebo al suo braccio. Era stato doloroso, ma non quanto quello che avrebbe dovuto fare in seguito.
Aveva cercato di essere delicato, ma non era servito a niente: il dolore di quella seconda estrazione era nuovo e intenso, e non era riuscito a trattenere una serie di gemiti strazianti. Cercando di non badare alla sottile scia di sangue che aveva lasciato sulle lenzuola e al bruciore, si era messo in piedi sulle gambe malferme, e si era guardato a lungo intorno, prima di avere il via libera per scappare da lì.
Correre gli era impossibile, ma doveva stringere i denti e camminare più velocemente che poteva.
Se lo avessero visto lo avrebbero riportato in quel letto, ed era l’ ultima cosa che avrebbe voluto.

*


Si sentiva un po’ stupido ad aver fatto quello che aveva fatto. Ok, d’ accordo, si sentiva tremendamente stupido, ma ormai il danno era fatto, ed era inutile piangere sul latte versato.
E così, Colin era ormai arrivato alle porta dell’ ospedale, reggendo in mano un mazzo di rose bianche enorme.
Non riusciva a non pensare alla domanda della fioraia.

‘ Sono per la sua ragazza? ‘ – aveva chiesto, curiosa, porgendogli un bigliettino e una penna per permettergli di scrivere un romantico messaggio. E lui, come il perfetto idiota che era, era sbiancato e poi arrossito al solo pensiero. Non che non erano per la sua ragazza – che tra l’ altro non aveva – ma come spiegare che erano per un perfetto estraneo a cui forse aveva salvato la vita?
Da grande imbecille qual era, Colin aveva scritto un biglietto frettoloso senza pensarci troppo su augurandogli di ‘ riaprire presto gli occhi ‘ – altra cazzata megagalattica – aveva pagato, ed era schizzato via da quel negozio senza rispondere alla domanda, sperando di non incrociare per strada nessun altro a cui dover dare spiegazioni.
Non che il suo ‘ salvataggio ‘ fosse un segreto, ma non gli andava di raccontare a tutti nei dettagli quello che aveva visto. Quel povero ragazzo aveva bisogno della sua privacy, e non sarebbe stato lui a privarlo di essa.

Solo che mai avrebbe potuto immaginare il trambusto che aveva trovato al suo arrivo in ospedale: i medici e gli infermieri sembravano più che allarmati, e una schiera di poliziotti stava facendo su e giù per tutto l’ edificio. Ma cosa era successo?
Con quell’ ingombrante regalo in mano, Colin si era avvicinato al medico che il giorno prima si era occupato del paziente che gli aveva consegnato. Vedendolo arrivare, l’ uomo gli era andato incontro, rivolgendosi a lui con tono concitato.

“Lei lo ha visto? La prego, mi dica che lo ha visto”.
Ma di cosa stava parlando?
“Mi dispiace, ma io non so di cosa stia parlando”.
Dannazione.
“Io non so come dirglielo. Perché non c’ è un modo adatto, ma il ragazzo che ha portato qui ieri sera è scappato. Non si trova da nessuna parte”.
“Che cosa??” – era sgomento! Come avevano fatto a farselo scappare? Era quasi in fin di vita!
“Stiamo facendo di tutto per ritrovarlo. Abbiamo allertato le autorità, e ogni reparto sta subendo una perquisizione. Ma come ha fatto ad alzarsi da quel letto? Maledizione!”.

Era furioso. Quella doveva essere la prima volta in tutta la sua carriera che si perdeva un paziente. E la cosa sarebbe stata anche comica se non si fosse trattato di un uomo ferito e probabilmente molto spaventato, perché solo un uomo terrorizzato poteva scappare da un luogo di cura, da un luogo che avrebbe potuto proteggerlo.

“Possibile che nessuno lo abbia visto?” – aveva chiesto Colin, preoccupato. Non gli piaceva pensarlo in giro senza soldi, vestiti o quant’ altro. Perché non era rimasto lì invece di tornarsene a casa?
“Purtroppo no! E’ come se fosse svanito nel nulla!”.

Lo guardava perplesso. Capiva cosa intendesse, ma di certo nessuno poteva dissolversi nell’ aria.

“Posso esservi in qualche modo d’ aiuto, dottore?” – non poteva starsene con le mani in mano. Si sentiva responsabile nei confronti di quel ragazzo. Era stato lui a trovarlo e a portarlo lì? Bene, a lui sarebbe toccato dare una mano.
“Non lo so… Non vorrei mettere a repentaglio la sua incolumità. Potrebbe essere pericoloso”.

Pericoloso? Come poteva essere pericoloso un uomo solo e malato?

“Non si preoccupi per me. So cavarmela benissimo da solo”.

*


Si sentiva uno stupido a vagare per i corridoi con quell’ enorme mazzo di rose in mano. Non solo erano vistose, ma erano anche tremendamente ingombranti. Ma come aveva fatto a trovarsi in quella situazione? Certo, nessuno lo aveva pregato di fare quello che stava facendo, ma con quale coraggio si sarebbe tirato indietro?

Era la terza volta che perlustrava il terzo piano. Aveva chiesto a tutti se gli era capitato di vedere un ragazzo moro, alto, con la pelle chiara ferito e apparentemente confuso, ma nessuno gli era stato d’ aiuto. Considerando poi che mezzo ospedale lo stava cercando, la cosa non era stata affatto proficua.

“Ma dove ti sei cacciato??” – aveva chiesto al vuoto, esasperato.

Doveva riflettere. Dove si sarebbe nascosto lui se avesse avuto bisogno di nascondersi? Di certo non sarebbe uscito subito dall’ ospedale. Sarebbe stato un bersaglio individuabile con troppa facilità.
No. C’ era una sola cosa che lui avrebbe fatto, un posto che molti avrebbero evitato per via del gelo che imperversava fuori. Il tetto.
Con estrema ansia, il ragazzo aveva cominciato a correre su per le scale, cercando di fare più in fretta che poteva.
Se la sua supposizione era esatta, il povero ragazzo avrebbe rischiato di morire assiderato.

In pochi minuti, con un fiatone che non aveva niente da invidiare a quello di un maratoneta, Colin era arrivato sul tetto, ed era stato immediatamente investito da una ventata di aria gelida.
Come poteva fare per non farlo spaventare?
Chiamarlo che effetto avrebbe sortito? Ma poi, come avrebbe dovuto chiamarlo?

“Emmm…” – cavolo che imbarazzo – “Ciao… Senti, io non so se tu sia qui o no, ma penso di sì. Mi chiamo Colin, e sono quello che ti ha portato in ospedale ieri notte. O meglio, sta mattina. Non voglio farti del male. Lo so che pensi il contrario… Dopo quello che ti hanno fatto lo penserebbe chiunque ma ti giuro che non sono una di quelle persone. Voglio solo aiutarti”.

Gli sembrava di aver fatto quel discorso al vento. Ma qualcosa gli diceva che il ragazzo era lì. Non sapeva bene perché, lo sentiva e basta.

“Per favore, vieni fuori. Fa troppo freddo qui, e finirai per ammalarti. Se non vuoi stare in ospedale posso portarti a casa mia. Ti prometto che non ti lascerò da solo. Possiamo parlare con la polizia e trovare i responsabili di questo orrore che hai vissuto. Ti aiuterò, ma per favore, vieni fuori”.

Peccato solo che fossero già trascorsi più di dieci minuti e del ragazzo non ci fosse traccia.
Il vento soffiava con maggiore forza. Si sarebbero presi una polmonite, entrambi.

Amareggiato, aveva posato lo sguardo sulle belle rose bianche, sorridendo mesto.

“Avevo preso questi fiori per te… Volevo fare qualcosa di carino… Ma a quanto pare ho sbagliato. Li lascio qui… Spero che tu possa trovarli e capire ciò che voglio dirti” – e li aveva posati a terra, dirigendosi verso la porta – “Ti prego… Lasciati aiutare”.

*


Cass aveva assistito a quel monologo rannicchiato in un angolo.
Quel ragazzo non sembrava cattivo, ma dopo François non riusciva a fidarsi di nessuno.
Certo, gli aveva rivolto delle parole splendide, ma non sarebbe uscito dal suo rifugio. Era scampato alle ricerche dei medici e dei poliziotti, perché mettersi allo scoperto?

Solo che, quando lo aveva visto posare a terra il mazzo di rose dicendo che erano per lui, qualcosa era scattato nella sua mente e, dopo averlo visto andare via, si era avvicinato, raccogliendo il bellissimo e delicato dono che gli aveva riservato.
Le rose emanavano un profumo soave, e la bellezza del gesto aveva insinuato in lui il dubbio.
Forse, sarebbe stato in grado di fidarsi ancora, dopotutto.

Continua…
______________________________________________________________________________________________________________

Povero piccolo patato...
Ormai non sa più che cosa fare! =(
Ma Colin non è cattivo, e presto lo capirà!
In tutto questo, presto parleremo di Dean e Ian! E del nostro Sam! ;)
A presto!
Bacini
Cleo

Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** Nessun luogo è un luogo sicuro ***



Nessun luogo è un luogo sicuro


Non sapeva cosa fare.
Continuava a rigirare tra le mani il mazzo di rose che gli aveva portato quel ragazzo, Colin.
Era stato un gesto così premuroso. Nessuno aveva mai fatto niente del genere per lui.
Non aveva mai capito il senso di regalare fiori ad una persona prima di allora.
Quel piccolo pensiero l’ aveva rincuorato, facendogli credere che qualcuno di buono esiste ancora sulla faccia della terra.

Ma che cosa doveva fare?
Il ricordo di quello che era accaduto con François era ancora troppo vivido.
E la consapevolezza di aver causato troppo dolore lo portava a rimanere fermo sulle sue posizioni.
Non aveva più niente, neanche un’ arma per difendersi, ed era certo che presto i leviatani avrebbero attaccato di nuovo. Se avesse seguito quel ragazzo, Colin, come avrebbe potuto sperare di difenderlo?

Lui non era di buon auspicio, a quanto sembrava.
A dirla tutta, si era convinto di portare sfortuna.
Come poteva essere altrimenti??
Dean, Sam e Bobby avevano subito una disgrazia dietro l’ altra, e le ultime perché era stato egli stesso a volerle provocare.
Voleva morire al solo pensiero di aver distrutto il muro nella mente di Sam.
Avrebbe tanto voluto porre rimedio, ma non aveva la più pallida idea di come fare.
Come si poteva togliere dalla mente sconvolta e devastata di un uomo il ricordo del periodo trascorso all’ Inferno?

Sorrideva amaramente, Castiel.
Era così sciocco per lui pensare di poter fare qualcosa per i Winchester.
Non li avrebbe visti mai più, ne era certo, dunque, come poteva sperare di poter rimediare?
Non avrebbero mai voluto il suo aiuto. Non quello dell’ angelo… del mostro che aveva rovinato loro l’esistenza.

Leviatani.
Le creature più pericolose mai create dalla mente perfetta di suo Padre.
Quelle crudeli bestie avevano albergato nel suo ventre prima di liberarsi e di scorrazzare libere per il mondo.
Cosa sapeva lui sui leviatani? Niente, escludendo il fatto che sono crudeli, senza scrupoli e famelici, terribilmente famelici.
Non ricordava molto del luogo in cui lo avevano imprigionato per torturarlo, ma di una cosa era certo: c’ era un odore inconfondibile nell’ aria, l’ odore della carne in putrefazione.
Chissà quanti poveri esseri umani avevano rapito e fatto impazzire di dolore e paura, prima di iniziare a divorarli lentamente.
Che esseri abominevoli. Suo Padre aveva fatto più che bene a rinchiuderli in quel luogo di tormento e sofferenze. Peccato solo che lui, il figlio ribelle, il figlio sbagliato, avesse rovinato ogni cosa.

Cominciava a comprendere perché finisse sempre per ritornare in vita.
Era quella la sua punizione. Ero quello il suo Purgatorio.
Avrebbe visto tutti i propri cari allontanarsi, invecchiare e morire. E sarebbe rimasto solo. Più solo di quanto già non fosse.

E se, invece, avesse seguito Colin?
Se avesse deciso di andare con il ragazzo che gli aveva offerto aiuto, che fine avrebbe fatto?
Avrebbe avuto anche solo una remota possibilità di non restare da solo?

Una folata di vento gelido lo aveva colto alle spalle, facendolo rabbrividire.
Forse non aveva tutti i torti… Avrebbe rischiato di prendersi una polmonite o qualche altra malattia umana a furia di stare lì.
Per questo, si era alzato in piedi, ma tutto intorno a lui aveva all’ improvviso cominciato a girare vorticosamente. E una voce. Una voce fin troppo nota lo aveva fatto trasalire.

“Ciao micino…”.

Nonostante il terrore dilagante in lui, era ugualmente riuscito a girarsi verso il punto da cui proveniva quella voce, scoprendo, con sua grande sorpresa, che non vi era neanche l’ ombra dell’ essere che aveva creduto di vedere.

Spaventato, aveva stretto a sé il regalo portatogli da Colin e si era affrettato a raggiungere l’ uscio.
Non aveva alcuna intenzione di imbattersi di nuovo nel demone che aveva cercato di renderlo il suo giocattolo.

*


Colin si era seduto sulla scalinata che dava accesso all’ ospedale.
Si sentiva così stupido. Non era riuscito a stanare il ragazzo, e aveva per giunta lasciato il costoso mazzo di rose sul tetto, in balia del vento e delle intemperie. Faceva freddo, troppo freddo perché avesse potuto resistere lì per tutto quel tempo con solo un camice addosso, eppure era certo che avesse scelto proprio quello come rifugio. Come poteva pretendere di fuggire dalla porta principale senza essere scoperto e fermato dalla guardia giurata?

Forse, a ben pensarci, avrebbe dovuto essere più insistente e avrebbe dovuto mettersi a scandagliare tutta l’ area. Certo, non sarebbe stato il modo migliore per fare amicizia e per conquistarsi la sua fiducia, ma sarebbe stato di certo un gesto più concreto rispetto all’ avergli portato in regalo uno stupido mazzo di rose bianche.
Perché le aveva scelte bianche, poi??
Si sentiva così idiota…

Una persona normale non avrebbe reagito in quel modo. Una persona normale lo avrebbe accompagnato in ospedale, avrebbe chiesto come stava, e se ne sarebbe tornato alla propria vita, senza mettersi in testa di fare l’ eroe.
Poteva essere chiunque, quel ragazzo.
Poteva essere un pericoloso spacciatore ridotto in quello stato dal capo di un clan nemico.
Poteva essere un pappone, punito dai padri delle ragazze che aveva rapito e messo per strada.
Poteva essere un serial killer, o una spia, picchiato e torturato per estorcergli delle preziosissime informazioni.
Poteva essere un gigolò in preda ad un perverso gioco finito male con un cliente dalla mente malata.
O poteva essere quello che gli suggeriva il suo cuore: un ragazzo sfortunato finito in mezzo ad un gioco molto più grande di lui.

Aveva visto fin troppo bene quelle strane ferite, e poteva giurare di non aver mai e poi mai avuto l’ occasione di imbattersi in niente di simile nella sua vita. Ferite profonde che non sanguinavano. Ferite simili a morsi di bestie feroci che si erano come auto-suturate, rimanendo rilucenti e rigonfie.
Ma quale bestia poteva avere simili fauci?
Quale creatura di Dio poteva essere così intelligente e allo stesso tempo crudele da sapere che per infliggere dolore le bastava affondare i denti senza strappare via la carne dalle ossa?
Gli venivano i brividi al solo pensiero.
Di qualunque cosa si trattasse, non era niente di buono, su questo non c’ erano dubbi.

Così come non c’ era traccia del ‘ trovatello ‘, come si era divertito a soprannominarlo. Non poteva fare molto lì.
L’ unica cosa sensata sarebbe stata andare dal dottore e dirgli che sarebbe tornato a casa, pregandolo di informarlo se la situazione fosse cambiata.

Ma, proprio mentre stava per andare via, qualcuno gli si era avvicinato, guardandolo con due occhi che erano pezzi di cielo sottratti con la forza alla volta celeste.
Reggeva in mano un mazzo di rose bianche, questo qualcuno, e lo guardava sconvolto, tremando.

Colin non riusciva a credere a ciò che si era appena manifestato davanti a lui.
Doveva essere una sorta di sogno, di visione, perché niente di umano poteva avere quella forma.
Il ragazzo era lo stesso che aveva portato in ospedale la notte prima, ma, allo stesso tempo, non era lui.
La sua pelle diafana aveva acquistato un po’ di colore sulle guance, coperte da uno strato di barba un po’ più spesso. Le parti lasciate scoperte dal camice erano lisce e candide, dove non vi erano i segni dei lividi e dove non vi erano le bende che coprivano le ferite, ed erano prive di alcun pelo, quasi a contrapporsi al bel viso barbuto incorniciato dai capelli corvini. Le labbra erano pallide e screpolate, continuamente tormentate dai suoi denti perfetti.
Persino i piedi nudi e sporchi erano meravigliosi, per non parlare delle belle mani che reggevano con forza il mazzo di rose che aveva comprato.
Ma, la cosa che più di tutte aveva rapito il ragazzo, erano i suoi occhi.
Egli stesso aveva le iridi blu, ma non avevano niente a che fare con quelle meraviglie che lo stavano fissando.
Quei due meravigliosi, luminosi pezzi di cielo che aveva avuto la fortuna di avere puntati su di sé.

Era troppo sconvolto per poter arrossire. Era troppo sconvolto per poter parlare. Era troppo sconvolto per fare qualunque cosa.
E si sentiva ancora più idiota di prima. Come poteva pretendere che quel ragazzo si fidasse di lui se si stava comportando da cranioleso e non stava facendo in modo di meritarsela, quella fiducia?
Ma era troppo per lui stare accanto ad un ragazzo come quello.
Non aveva più dubbi: era davvero caduto dal cielo.

Cercando di rinsavire, Colin si era portato una mano dietro la nuca, cominciando a grattarsela con forza.
Cosa doveva dire di preciso?

“Emmm…” – aveva farfugliato. Ma perché era così idiota?

“Tu sei Colin…” – aveva detto ad un certo punto il giovane, avvicinandosi di poco a lui. Tremava di freddo. Faceva una tenerezza disumana.
La sua voce era roca, e colma di ansia. Chissà cosa aveva passato quel poveretto.

“Sì… Sono io… Io sono Colin” – continuava a sentirsi un perfetto idiota, ma allo stesso tempo un po’ più sicuro. Se ricordava il suo nome, voleva dire che lo aveva ascoltato. Era stato davvero bravo a pensare che si fosse nascosto sul tetto.

Il giovane aveva cominciato a mordersi il labbro inferiore con più forza, piegando la testa di lato e aggrottando la fronte. Sembrava che lo stesse studiando. Era così… buffo!

“Come… Come ti chiami?” – gli aveva chiesto. Ma come aveva fatto ad arrivare lì senza farsi vedere da nessuno? Era un mistero.

“Cass…” – aveva sussurrato – “Castiel”.

Che strano nome. Il nome più strano che avesse mai sentito in vita sua. Ma suonava bene. Suonava così bene da non sembrare nato per un semplice essere umano.

“Ca- Castiel?”.
“Per favore…” – aveva quasi bisbigliato, avvicinandosi a lui di qualche passo – “Per favore… Non farmi del male… Ti dirò tutto ciò che so, ma ti prego, non fare del male a me, e non fare del male a Dean e a Sam. Loro non centrano niente. E’ tutta colpa mia. E’ solo colpa mia. Per favore… Per favore…”.

Fargli del male? Come aveva potuto credere che volesse fargli del male?
Il suo sguardo si era intristito.

“Io ti ho portato qui… Ho fatto in modo che ti curassero… Non voglio farti del male. Te lo giuro sulla mia anima. Credimi, ti prego”.

Sull’ anima. Quel ragazzo dagli occhi blu aveva appena giurato sulla sua anima che non voleva fargli del male.
Sembrava così serio… Così determinato… Così vero.
Anche se con una certa esitazione, Cass aveva compiuto qualche altro passo, stringendo più forte il mazzo di rose che aveva tra le mani.

“Allora, se davvero vuoi aiutarmi, ti prego, portami con te…”.
Quella richiesta lo aveva lasciato di sasso.
“Ti scongiuro. Ti prego, ti supplico, non lasciarmi in questo posto. Loro mi cercheranno ancora, e mi faranno ancora del male”.
“Ma loro chi?” – era normale essere curioso, e anche un po’ spaventato, soprattutto dopo quello che gli aveva appena rivelato. Ma come poteva rifiutare di dare ascolto ad una richiesta di aiuto talmente accorata, talmente disperata?
“Ti prego… Ti spiegherò tutto dopo… Ma portami con te. Se è vero che sei orgoglioso di me, se è vero che per te sono così puro… Ti prego, aiutami”.

Le rose bianche. Si riferiva al significato delle rose bianche.
Colin lo guardava sempre più emozionato e sconcertato allo stesso tempo. Non pensava di avere davanti una persona che fosse a conoscenza di simili dettagli. Non che si fosse fatto un’ idea precisa di chi avesse davanti, a dire il vero. Ma non gli importava, in fin dei conti, perché lui aveva già preso una decisione.

“D’ accordo” – gli aveva detto – “Ti aiuterò. Ti porterò con me, ma non farò niente senza il permesso del medico”.
Il volto di Castiel si era rabbuiato.
“Ma…”.
“Niente ma, per favore. Lui non vuole farti del male, proprio come me. Vogliamo aiutarti. Dicci cosa ti è successo e verrai con me”.
“Non erano questi i patti!”.
“Mi avevi detto che mi avresti raccontato tutto!”.
“A te. Non a loro. Avrei detto tutto solo ed esclusivamente a te”.

Colin non ci capiva più niente. Possibile che avesse riposto davvero tutta quella fiducia in lui?

“Ma perché? Voglio dire, si può sapere cosa ti è successo? Che ti hanno fatto? Chi è stato?”.
“Ti dirò tutto. Ma prima, permettimi di fare una cosa, per favore” – e Castiel aveva estratto una delle rose dal mazzo, avvicinandola al ragazzo in modo che una spina pungesse il suo dito.
“Toccala”.
“Ma, così…”.
“Lo so. Ti prego, toccala”.

E, non sapeva neanche lui per quale ragione, aveva accettato di pungersi il dito fino a farlo sanguinare.
Castiel aveva tirato un respiro di sollievo nel vedere che quello sgorgato dalla ferita era un liquido rosso identico a quello degli altri esseri umani. Niente tracce di poltiglia nera, per fortuna.

“E adesso?” – aveva chiesto Colin, prima di succhiarsi via il sangue dal dito.

“Adesso verrete via con me!” – la voce gelida del medico era stata una doccia d’ acqua fredda, così come quello che aveva fatto un secondo dopo.
Il suo volto non era più il bel volto dell’ uomo che aveva salvato la vita a Castiel, medicandolo. Il suo volto era quello di una bestia rivoltante, un essere dalla pelle nera – se quella si poteva chiamare pelle – su cui si apriva una bocca enorme, bocca costellata da file di denti lunghi e aguzzi.
Un rantolo spaventoso era uscito da quella cavità, rantolo che aveva preceduto un tentativo di attaccare e mordere il ragazzo dagli occhi di cielo.

“ATTENTO CASTIEL!”.
“SCAPPA!”.

Non avrebbe fatto come la volta scorsa. Non gli avrebbe lasciato campo libero, no. Stavolta avrebbe lottato, e avrebbe fatto qualunque cosa pur di difendere se stesso e il ragazzo che si era preso cura di lui.

Non aveva armi angeliche per difendersi, e in ogni caso non credeva che avrebbero funzionato contro un leviatano. Certo, mai come quella volta uno stiletto angelico gli sarebbe stato utile, ma non avendolo, doveva arrangiarsi. Per questo, quando aveva cercato di morderlo, l’ex-angelo aveva afferrato il mazzo di fiori come una lancia, e lo aveva infilato giù per la gola del Leviatano, spingendo più in fondo che poteva.

“SCAPPA COLIN! SBRIGATI!”.

Il diversivo sembrava aver funzionato, perché il mostro si stava letteralmente strozzando con petali, spine e confezione di quello che era stato il regalo più bello che avessero mai fatto a Castiel.

I due correvano veloci verso i cancelli dell’ ospedale. Non avevano tempo da perdere.

Colin non riusciva a credere a quello che aveva appena visto. Ma che cos’ era quell’ essere? E che voleva da loro?

“Ca- Castiel…”.
“Ti prego Colin, corri! Dobbiamo andare via da qui! Questo non è un luogo sicuro!”.

Già… Quello non era un luogo sicuro.
Ma adesso che sapevano che loro non era in grado di difendersi… Adesso che loro sapevano chi era il ragazzo che lo aveva aiutato, dove sarebbero potuti andare?

Purtroppo, Castiel non riusciva a togliersi dalla testa un’ idea sempre più vivida e reale.
Per loro, non sarebbero mai esistiti dei luoghi sicuri.

Continua…
______________________________________________________________________________________________________________

Ed eccomi qui, con un ritardo immenso, lo so, ma credo che l' importante sia esserci. XD
Mamma mia quanto sono cattiva!!
Non gli do un attimo di tregua!!
Ma credetemi, dopo quella sottospecie di finale di stagione, la mia voglia di uccidere Sera è aumentata, e così la mia bastardaggine! U.U
Fatemi sapere che ne pensate!
Grazie di tutto!!
Bacini
Cleo

Ritorna all'indice


Capitolo 34
*** Chi è il mostro, fra di noi? ***


Chi è il mostro, fra di noi?


Il cacciatore dagli occhi di ghiaccio cominciava ad essere seriamente preoccupato.
Erano trascorse più di tre ore da quando Dean Winchester lo aveva lasciato in balia del delirio di François, un adulto in evidente stato di shock che se ne stava seduto per terra, con le mani serrate attorno alle ginocchia e lo sguardo perso davanti a sé.
Sapeva bene che Dean era più che capace di badare a se stesso, ma il sesto senso risvegliatosi in lui era solitamente presagio di cattive novelle.
In giro c’erano creature pericolose e a loro sconosciute, e avere uno dei migliori cacciatori presenti sulla piazza sbronzo fino al midollo non gli era particolarmente utile.
Per di più, non avevano idea di dove fosse Castiel, e del perché i Leviatani avessero deciso di farselo consegnare come una pizza ai peperoni.
Castiel li aveva liberati dalla loro prigionia eterna. Avrebbero dovuto essergli grati e non nuocergli in alcun modo, ma era certo che quelle bestie non conoscessero il significato della parola gratitudine, così come non erano a conoscenza della parola pietà.
Stando al modo decisamente subdolo in cui lo avevano incastrato, servendosi del tramite del fratello morto per sua mano, avevano dimostrato di avere una mente perversa e brillante.
Fargli incontrare un uomo che aveva ospitato il fratello tanto amato, un uomo fintosi suo amico, un uomo che lo aveva accolto in casa propria, proteggendolo dall’attacco di Crowley.
Un uomo che poi lo aveva venduto per un pugnale angelico. Un pugnale con cui difendersi da quegli angeli che riducevano l’umanità alle stregue di un paio di calzini da usare a gettare via a proprio piacimento.

Che strada avrebbero dovuto percorrere, adesso?
Senza il pugnale, cercare Castiel sarebbe stato come cercare un ago in un pagliaio. Anzi, probabilmente sarebbe stato più semplice cercare l’ago.
Che alternative avevano? Rinunciare sarebbe stato fuori discussione. Castiel sarebbe stato risolutivo, non aveva dubbi a riguardo. Aveva consultato tutti i testi che era stato in grado di trovare sul Purgatorio e sui Leviatani, ma nessuno di essi diceva come fermarli, o come rinchiuderli.
Ma Ian sapeva bene che era stato un angelo ad aiutare i Winchester a fermare l’Apocalisse. Sapeva che era stato l’arcangelo Gabriel a guidare i fratelli verso l’apertura della gabbia tramite gli anelli dei Cavalieri.
E lui aveva i Winchester – o meglio, ne aveva uno e mezzo – e doveva avere l’angelo che avrebbe giocato la parte dell’arcangelo.
Era l’unico modo.

E, per rintracciarlo, aveva tre possibilità: chiedere a François di condurlo dai Leviatani; cercare di parlare con un angelo, ammesso che ce ne fossero di superstiti; evocare quel lurido bastardo di Crowley, mettendo in conto che volenti o nolenti contrattare con lui sarebbe stato l’equivalente di farsi trovare con i pantaloni calati.
Non sarebbe stato semplice decidere. E non sarebbe stato semplice attuare uno dei tre piani.

Si era accorto di aver perso un po’ della sua lucidità. Era sempre stato freddo e calcolatore, accusato di non riuscire a provare sentimenti umani.
Per questo aveva sempre lavorato da solo. La compagnia altrui non gli era mai stata d’aiuto, o di stimolo. Era un lupo solitario, lui.
Ma questa battaglia era eccessivamente grande anche per uno esperto del suo calibro, e coinvolgere i diretti interessati era stato necessario.
Peccato solo che il pezzo più pregiato era andato perso. Il pezzo fondamentale per ricomporre il puzzle continuava inesorabilmente a mancare.
Si era sentito sconfitto nel non trovare Castiel nel luogo indicatogli dalla mappa.
Ma, ancora di più, si era sentito perduto nell’attimo in cui aveva incrociato lo sguardo sconfitto di Dean e aveva visto la sua rabbia sfogata sul corpo dell’uomo che era rimasto a sorvegliare.
Lui, Ian Wesley, caduto di fronte al dolore di un uomo, piegato dalla follia di un cacciatore responsabile della scomparsa della chiave.
Qualche mese addietro avrebbe preso Dean per i capelli e gli avrebbe rotto un paio di costole prima di farlo rinsavire. I cacciatori avevano bisogno di freddezza, a volte di crudeltà, molto meno del cuore.
E quella crudeltà che tanto aveva esaltato era venuta a mancargli in un momento fondamentale.
Non aveva avuto neppure la voglia di interrogare ancora François. Cosa avrebbe potuto dirgli ancora quell’uomo?

Stava strofinando energicamente le mani sul viso quando il suo cellulare aveva cominciato a squillare.
Il numero sul display non era stato memorizzato, ma erano davvero poche le persone che lo conoscevano, e Ian aveva la brutta sensazione di aver capito a chi appartenesse.

“Pronto?”.
“Ian?” – aveva chiesto una voce incerta ma inconfondibile.
“Bobby” – se il vecchio cacciatore si era preso la briga di telefonare a lui e non a Dean doveva essere accaduto qualcosa di inimmaginabile, e il silenzio che stava susseguendo ne era stato la conferma.
“Bobby, che succede?”.
“Non ti si può nascondere niente, vero?”.
No che non poteva.
“Avete… avete trovato Castiel?” – stava temporeggiando.
“Sono certo che Dean ti ha già fornito questo genere di informazione. Dimmi che succede, adesso”.
Riassumere il ruolo dell’uomo di ferro con un cacciatore così anziano ed esperto non gli andava a genio, ma non poteva fare diversamente.
Non potevano avere altri contrattempi.

“Dean è con te?”.
“No. Bobby, che cosa succede?” – stava per perdere la pazienza.
Aveva alzato a tal punto la voce che persino François sembrava essere uscito dal suo stato catatonico.
“Si tratta di Sam”.
E, in quel momento, Ian Wesley era convito che il sangue avesse smesso di circolargli nelle vene.
Erano le uniche parole che non avrebbe mai e poi mai voluto sentir dire.

*


Se ne stava ancora seduto al bancone di quell’inutile bar, davanti all’ennesimo inutile bicchiere vuoto.
Lo stomaco aveva cominciato a bruciare per colpa dell’ingente quantità di alcol ingerita senza aver mangiato, e la vista gli si era annebbiata. Era certo che presto sarebbe svenuto lì, sullo sgabello di legno scuro.

Com’era buffa la vita!
Aveva guidato per tutte quelle ore pensando a cosa avrebbe fatto o detto una volta ritrovato Castiel, e alla fine aveva scoperto che era stato venduto ai Leviatani dal tramite di quel coglione alato di Balthazar!
Aveva preparato tutto un discorso, esercitandosi anche sull’assumere un’espressione gelida, quasi di marmo, e invece era crollato, proprio come fa l’intonaco da un muro ormai troppo vecchio e troppo segnato dallo scorrere del tempo.
Si sentiva proprio come quel muro, Dean. Si sentiva vecchio e stanco. Aveva da poco superato la soglia dei trent’anni, eppure gli sembrava di averne più di cento.
La sua vita era stata un susseguirsi di dolore, morte e resurrezione. Aveva trascorso persino quaranta lunghi anni all’Inferno, era normale essere stanco, no?
Ma allora, perché non riusciva a ritirarsi? Perché non riusciva ad abbandonare quella vita?
Aveva avuto l’opportunità di farlo, vivendo accanto a Lisa e a Ben. Aveva fatto da marito e da padre. Era stato un operario, un uomo che giocava a golf e che falciava il prato. E gli era anche piaciuto!
Era stato appagante svegliarsi al mattino con accanto una donna straordinaria come Lisa, ricevere i sorrisi e l’affetto di un ragazzo come Ben, ma non abbastanza. E non lo era stato sin dall’inizio.
Sam gli era mancato da morire. Nonostante avesse fatto di tutto per cercare di liberarlo dalla sua prigionia, non c’era riuscito. Non vedere Bobby, l’unico vero padre che avesse mai avuto, era stato anche peggio.
Non avere più notizie di Cass era stato… era stato troppo per poter fingere il contrario.
Era stato devastante, logorante, come se gli avessero strappato via la pelle senza anestesia.
Una notte, l’aveva persino sognato. Lisa gli aveva detto che per tutto il tempo aveva sorriso, e che il suo viso non era mai stato rilassato come allora. Ma non l’aveva mai cercato. Per quanto sentisse la sua mancanza sin nel profondo dell’anima, si era sempre rifiutato di pregarlo. Non poteva chiedergli di tornare.
Non l’avrebbe mai fatto. Cass era il nuovo sceriffo celeste, e non poteva permettersi distrazioni con Raphael ancora in giro.
Spesso, troppo spesso, Dean aveva osservato la propria immagine riflessa allo specchio, sussultando ogni volta che i propri occhi si posavano sull’impronta che custodiva sulla sua spalla con estrema gelosia. Se c’era una parte del proprio corpo che non aveva mai permesso a Lisa di sfiorare, era proprio quella.
Quella piccola porzione di pelle ustionata era sua. Sua e di nessun altro. E non ci sarebbe stato altro essere vivente che avrebbe potuto metterci sopra le mani. Nessuno, all’infuori dell’essere che l’aveva provocata.
Ma Dean sapeva che non ci sarebbe stata occasione per Cass di toccare la sua pelle.
Perché avrebbe dovuto farlo, poi? Era un uomo, dannazione. Certo, un uomo piuttosto asessuato, e piuttosto vergine, almeno nel suo tramite mortale, quindi non c’era motivo per farsi toccare da lui.
Non c’era motivo di bramare le carezze delle sue dita.
Eppure, se c’era una cosa che Dean non aveva mai detto, si era trattato proprio di quel ricordo riguardante il suo salvataggio dall’Inferno. Da essere corrotto e spietato che era diventato, si era spaventato a morte nel vedere quella luce abbagliante venirgli incontro.
Lo scenario era stato a dir poco sconvolgente: tutto intorno a lui era costituito da altissime pareti infuocate impenetrabili, a cui erano incatenate centinaia di anime dannate.
Lui, trasformato in un essere demoniaco, era impegnato a torturare uno di quei poveracci che si erano venduti l’anima per qualche centimetro in più. Aveva le mani immerse fino al polso nel suo ventre, e stava strappando i visceri uno ad uno, addentandone quanto più riusciva a raggiungere con le sue fauci spaventose, simili a quelle dei famelici cani infernali.
Godeva di ogni urlo, di ogni goccia di sangue versata come avrebbe goduto di cento orgasmi consecutivi.
Ogni tortura inflitta era una pura scarica di piacere. Il senso di potere lo pervadeva completamente, stregandolo, rapendolo, e votandolo completamente al male.
Ma, proprio mentre stava per infliggere l’ennesima straziante tortura, aveva visto una serie di luci di un chiarore disarmante propagarsi in quell’antro infernale, luci che lottavano contro orde di demoni che cercavano di fermarle.
Ed ecco che, mentre stava ancora osservando lo spettacolo disarmante che si stava svolgendo sulla sua testa, aveva visto una delle luci aumentare la sua velocità, accompagnata da qualcosa di simile ad un canto.
E poi… E poi li aveva visti: aveva visto gli occhi più belli in cui avesse mai avuto l’opportunità di specchiarsi.
Quelle iridi erano di un colore che non esisteva in natura, e stavano cercando lui, l’essere più immondo mai messo al mondo. Ma a chi potevano appartenere simili pezzi di cielo che cercavano di scrutare in quello che era rimasto della propria anima? Ammesso che qualcosa fosse rimasto.
Quella luce meravigliosa aveva cercato di dirgli qualcosa, ma le sue orecchie corrotte non erano state in grado di comprendere. E qualche istante dopo, in seguito ad un altro sguardo rivoltogli da quelle iridi celesti, aveva avvertito qualcosa ardere contro la pelle della sua spalla, e si era sentito come risucchiare verso l’alto.
Subito dopo aveva riaperto gli occhi, trovandosi rinchiuso nella povera bara di legno in cui era stato sepolto dai suoi cari.

Quella, era stata la prima volta che aveva visto Castiel.
Era stata la prima volta che aveva incrociato lo sguardo fiero e celestiale dell’angelo.
Lo stesso sguardo che due anni dopo gli aveva proferito una sentenza di morte, distruggendo tutto quello che avevano costruito insieme.

Perché Castiel l’aveva tradito? Perché l’essere che l’aveva salvato dall’eterna dannazione aveva portato qualcosa di peggio dell’Apocalisse?
Perché Castiel l’aveva pugnalato, umiliato, deriso, raggirato, perché?
Perché lui non era abbastanza? Perché non era in grado di fronteggiare un evento di quella portata? Maledizione, aveva fermato Lucifero, aveva sventato l’Armageddon, come poteva credere che non sarebbe stato in grado di aiutarlo a fermare una stupida guerra civile fra stupidi pennuti?
Si sentiva tanto Iron Man… e quello faceva di Cass il suo Captain America. Ma Steve avrebbe mai tradito l’amicizia di Tony? L’avrebbe mai ferito fino a farlo sanguinare?
Non lo credeva possibile.

L’aveva allontanato dalla sua vita, credendo che fosse la soluzione migliore. Si era sentito meglio, all’inizio.
Si era sentito leggero, libero dal peso insostenibile dei suoi occhi che chiedevano aiuto.
Aveva finto di non vedere il suo dolore, non curandosi dell’eventualità molto probabile che Crowley avesse potuto cercarlo e ucciderlo. Anzi, in cuor suo, aveva desiderato, anche se solo per un brevissimo, fugace attimo, di essere lui ad infliggergli il colpo mortale.
Avrebbe visto i suoi occhi riempirsi di terrore, e la sua bocca grondare sangue. Avrebbe visto la vita abbandonare il suo corpo morente, e le sue palpebre abbassassi per sempre, decretando la fine dell’essere che lo aveva portato a quella follia.
Ma come avrebbe potuto? Come avrebbe potuto fare del male a Cass?
Eppure, lo aveva fatto. Aveva fatto di peggio che ucciderlo.
E il suo cuore aveva cominciato a sanguinare nell’attimo in cui se n’era reso conto.
Se Cass era davvero la chiave, e se davvero era nella grinfie dei Leviatani, aveva decretato la sconfitta di tutti, aveva decretato la condanna a morte dell’umanità.
Chi era il mostro, fra loro?

Era così ubriaco e perso nella sua autocommiserazione da non essersi accorto di cosa gli stava accadendo attorno.
Proprio qualche minuto prima, due ragazzi erano entrati nel locale, dirigendosi direttamente presso le cucine.
Anche se nessuno aveva fatto domande, sarebbe stato impossibile non notare uno di loro: non capitava tutti i giorni di veder entrare nel locale un ragazzo scalzo con addosso un camice ospedaliero.

Continua…
_______________________________________________________________________________________________________________

Scusate per il leggero ritardo...
Fra studio, vita sociale e fanfictions, a volte trovare il tempo di fare tutto è impossibile!!
Ma l'importante è aggiornare, no? ;)
Vi rendete conto che Dean e Cass erano nello stesso locale e non si sono visti??
Ancora non mi sembra vero di averlo scritto.
Il mio livello di crudeltà sta aumentando esponenzialmente.
VI CHIEDO PERDONO.
Per precisare, non credo che Dean abbia visto Cass mentre lo ha salvato, nel tf, ma nella mia mente malata questa cosa è avvenuta, ed è il segreto dell'Inferno che il cacciatore custodisce con maggiore gelosia.
Dopotutto, hanno un legame più profondo , no? ;)
Compatite la mia follia!
Vi lascio!
Grazie a chiunque legge e recensisce!
Baci grandi!
Vostra
Cleo

Ritorna all'indice


Capitolo 35
*** Si tratta di Sam ***


Si tratta di Sam


“Ma che ci fai qui a quest’ora? E chi è questo tizio? Che hai combinato Colin?”.
Laura, la cameriera che copriva il turno pomeridiano nel locale in cui lavorava il giovane dai capelli corvini, non riusciva proprio a capacitarsi di quello che aveva appena fatto il suo collega e amico.
Come gli era saltato in mente a quell’idiota di portare sul luogo di lavoro un ragazzo mezzo nudo, visibilmente confuso e spaventato, forse scappato da un ospedale psichiatrico?
E se lo avesse visto il proprietario? John è un uomo flessibile, ma non voleva avere niente a che fare con drogati e tipi di malaffare, e quel ragazzo sembrava proprio uno di loro! Gli occhioni da cucciolo spaurito non l’avevano incantata. Nascondeva qualcosa, e doveva trattarsi di qualcosa di grosso.
“Ti ha dato di volta il cervello?” – aveva sussurrato, cercando di non farsi notare dagli altri camerieri che passavano davanti alla porta dello stanzino che non si chiudeva del tutto.

Colin non le aveva badato molto, e aveva afferrato il cambio che era solito lasciare a lavoro, invitando Castiel ad indossare la maglietta e i jeans.

“Vestiti… Ti staranno stretti, non ho dubbi a riguardo, ma abbi un po’ di pazienza. Più tardi usciamo e ne compriamo di nuovi, ok?”.
“Ma io non ho denaro con me!” – aveva ribattuto l’uomo che di nome faceva Castiel.
“Non è un problema! Ci sono io qui per te!”.

Ci sono io qui per te? Ma che cavolo stava dicendo?? E quale essere umano poteva avere un nome tanto idiota come Castiel?? Colin era impazzito per davvero, allora!

“Adesso basta, si può sapere che cavolo stai facendo Col? Voglio sapere tutto, ADESSO!”.

Laura era a dir poco furiosa, e Colin poteva capire la sua preoccupazione, anche se in parte. Si sarebbe di certo preoccupato, ma si sarebbe anche fidato di lei e del suo giudizio, lasciandola sbagliare, se necessario, e standole accanto nel momento del bisogno.

“Sta tranquilla Laura, so quello che faccio?”.
“Oh, ma davvero?” – aveva detto lei, mettendo entrambe le mani sui fianchi, indignata.
“Sì! E non credo che sia carino per lui essere trattato come se non fosse qui con noi! Lui è Castiel, e Castiel, lei è Laura, l’amica più rompiscatole che poteva capitarmi!”.
A quella battuta, la ragazza aveva reagito dandogli un sonoro schiaffetto sulla nuca.
“Ehi! Ma sei impazzita??”.
“No, tu lo sei! Castiel, io non ce l’ho con te, non ti conosco, ma scusa tanto se vedermi piombare a lavoro un ragazzo in camice ospedaliero mi ha leggermente turbata!” – il sarcasmo nel suo tono era più pungente che mai, ma Cass non vi aveva badato, o forse non era stato semplicemente in grado di coglierlo.
Era stanco, infreddolito, e affamato. L’adrenalina che lo aveva spinto a mettere in salvo lui e Colin dal pericolo dei Leviatani era scomparsa, e aveva cominciato a tremare, arrivando molto vicino sul punto di piangere.

I suoi occhi lucidi si erano posati sul viso sospettoso di Laura. Non doveva essere semplice per lei comprendere una scena del genere, Cass lo capiva fin troppo bene. Del resto, non aveva raccontato la verità neppure a Colin, al ragazzo a cui doveva la propria libertà, ma quella era una cosa che di certo avrebbe fatto in privato, con i modi e i tempi giusti. Si era stancato di mentire. Non era più Castiel, l’angelo del Signore, ma non era neppure Jimmy Novack, e questa nuove identità appioppatagli da Dean, a metà fra l’angelo e il suo tramite, non gli si addiceva affatto. Per quanto non avesse ancora capito chi fosse, o cosa fosse, sapeva di per certo quello che non voleva essere: un peso per gli altri. Un peso che avrebbe causato problemi e difficoltà a chi gli stava attorno.

“Mi dispiace” – le aveva detto Castiel, sincero – “Non voglio essere causa di ansie per te, e nemmeno per il tuo amico. Colin è stato molto gentile. Mi ha tirato fuori da una situazione difficile, quasi insostenibile, e gliene sarò debitore a vita”.

Il tono pieno d’affetto e pieno di sincerità del ragazzo sembrava aver tranquillizzato la giovane Laura, che, tuttavia, continuava a riservare al ragazzo uno sguardo non del tutto accondiscendente.

“Sentite, non sono affari miei, e Colin e grande e grosso per cavarsela da solo. Ma non potete stare qui. Se vi scopre John sono guai per voi e per me. Quindi, io non vi ho visti” – e aveva aperto la porta, guardandosi attorno con aria sospetta – “E se hai bisogno di aiuto dillo, capito?”.
“Puoi contarci!” – le aveva risposto il ragazzo, sfoggiando un gran sorriso.
“A più tardi Col…”.
“A più tardi” – e, per quanto le era stato possibile, si era chiusa la porta alle proprie spalle, lasciando da soli i due ragazzi.

Colin adorava Laura. Era un po’ brusca nei modi e decisamente molto apprensiva, ma disponibile e pronta ad intervenire in caso di bisogno. Proprio grazie a lei aveva trovato il lavoro, e sempre grazie a lei nessuno si era mai accorto dei suoi piccoli ritardi. Il ragazzo era certo che anche in quella situazione non l’avrebbe tradito.
Avrebbe dovuto comprarle un regalo per ringraziarla, un giorno.
Ma ora doveva occuparsi di qualcun altro. Qualcuno dagli occhi di cielo che si era appena tolto il camice davanti a lui, rimanendo in costume adamitico.

L’iniziale imbarazzo del vederselo davanti completamente nudo era svanito nell’attimo in cui Colin si era reso conto delle reali condizioni fisiche del ragazzo. Non c’era un centimetro di quella pelle risparmiato da graffi, tagli o orribili cicatrici.
Il petto poi, l’ampio e glabro petto, era orribilmente sfigurato da una bruciatura enorme che lo attraversava da pettorale a pettorale.
Le gambe, magre, terribilmente magre, erano l’unica parte quasi completamente intonsa, escludendo qualcuno di quei terribili morsi che le deturpavano. Il ventre era scavato, come se il ragazzo non mangiasse da giorni, e sui fianchi e sulle braccia vi erano segni simili a lividi da trattenuta.
Che cosa aveva passato quell’essere così bello e indifeso?
Eppure, nonostante il suo aspetto sciupato, continuava ad essere la più bella creatura che avesse mai visto sulla faccia della terra.

“Sono orribile, non è vero?”.

La voce spezzata di Castiel aveva interrotto le sue elucubrazioni. Orribile? Come poteva anche solo lontanamente pensare di essere orribile?

“Leggo dolore e compassione nei tuoi occhi… Me ne rammarico. Io non sono sempre stato così… Questo corpo fino a qualche tempo fa era vigoroso e forte, mentre adesso è più simile ad un rottame. A quanto pare, non sono in grado di prendermi cura neanche di me stesso”.

Aveva di nuovo gli occhi lucidi.
Con una serie di piccoli movimenti delicati, Castiel stava lasciando che la punta delle proprie dita sfiorasse con dolcezza la pelle nuda. Era come se stesse studiando quel corpo, come se si trattasse di una scarpa nuova a cui non si era ancora perfettamente adattato. Era davvero uno spettacolo singolare. Quali segreti celava Castiel?
Cercando di combattere contro la vergogna che provava, Colin si era inginocchiato accanto a lui, posandogli prima le mani sulle spalle, per poi afferrare le sue, stringendole con delicatezza.

“Ti aiuterò io. Prometto che ti aiuterò io a prenderti cura di te”.

La sua decisione continuava a sorprendere Castiel.

“Ma perché? Perché lo fai, Colin? Tu non mi conosci… Non sai chi sono… Perché?”.

Non poteva fare a meno di chiederselo. E, stavolta, non perché non si fidasse del ragazzo che aveva davanti, no. Quella di Colin era una cosa che non aveva mai visto prima di allora. Una cosa che neppure Dean aveva mai riposto in lui: la più completa, totale fiducia. Ma davvero un essere umano poteva essere così? Davvero poteva fidarsi di qualcuno al punto di mettere a repentaglio la propria vita?

“Non lo so, Castiel. Non so perché lo faccio. Mi fido di te, al di là di quello che mi dirai o no. Posso anche averti salvato la vita, ma tu hai salvato la mia. Ancora ripenso a quella creatura spaventosa che voleva farci del male. Se non fosse stato per te, non sarei qui, adesso”.
“Ma tu ti fidavi di lui! Come puoi sapere di non star commettendo lo stesso errore anche con me?”.

L’ex-angelo del Signore era pervaso dai dubbi. Non sarebbe mai stato in grado di recuperare la sua Grazia, se ne avesse mai avuto la possibilità.

“Lui non aveva i tuoi occhi” – aveva detto all’improvviso il ragazzo, dopo un lunghissimo silenzio – “Semplicemente, non aveva i tuoi occhi”.

Per quanto fosse a dir poco assurda, quella semplice motivazione aveva convinto ancora di più Castiel della sincerità e della bontà di Colin.

“Castiel, giuro su quello che ho di più caro che non voglio farti del male. Non mi è rimasto molto nella vita. Non ho più una madre, non ho più un padre, non ho fratelli. Le uniche cose che ho sono il mio lavoro, l’università e l’amicizia delle persone che lavorano qui. Loro sono la mia famiglia, e se tu vuoi farne parte, farò di tutto per aiutarti” – il suo sorriso contagioso aveva illuminato il viso stanco e segnato di Castiel.
“Grazie, Colin. Grazie davvero, di cuore”.

Inaspettatamente, Il ragazzo si era avvicinato a lui, cingendolo con le esili braccia e stringendolo a sé con tutta la forza che aveva in corpo.
Quel gesto così intimo, così spontaneo, aveva davvero scaldato il cuore ferito dell’ex-angelo che, finalmente, aveva ripreso a battere per una ragione più grande e più alta della semplice esistenza.
E, allora, anche le stanche membra di Cass l’avevano avvolto, accogliendolo meglio su quel torace nudo che in qualcun altro avrebbe destato orrore, ma non in Colin. Non in quel ragazzo dagli occhi color del mare.

Sorrideva felice e imbarazzato allo stesso tempo nell’incavo della sua spalla. Era così strano trovarsi in quella situazione. Strano ma bello. Se Cass fosse stato più vestito, però, le cose sarebbero state decisamente meno imbarazzanti.

“Che ne diresti di vestirti?” – aveva detto all’improvviso, sciogliendo quell’ abbraccio.
“Certo…” – e aveva cominciato ad infilarsi la maglietta.
“E poi, devi ancora raccontarmi la tua storia!” – aveva aggiunto.
“Lo farò. Ma promettimi che mi crederai”.
Colin stava sorridendo felice.
“Fidati, Castiel. Dopo quello che ho visto, potrei anche credere che tu sia un angelo”.

Il ragazzo non aveva la più pallida idea di quanto avesse ragione.

*


Dean era uscito da locale appena in tempo per svenire sui sedili posteriori dell’Impala.
Da quando aveva iniziato a guidarla, non gli era capitato molte volte di stare dietro, ma doveva ammettere che in quel frangente i sedili fossero davvero un ottimo letto di fortuna.
Non si era mai ridotto in quello stato. Com’era caduto in basso! Non riusciva neanche più a reggere l’alcol.
Che infamia! Dean Winchester ridotto ad un ammasso di ossa e muscoli inermi. E non per colpa di un paio di belle tette o di un mostro che gli aveva fatto fare le ore piccole, no! Era ridotto in quello stato per colpa di un maledetto ex angelo dagli occhi blu che era convinto di aver fatto uscire dalla propria vita, e che invece lo aveva incastrato ancora una volta. Era quasi come se Cass lo avesse incatenato a sé con un incantesimo, rendendolo schiavo di una cosa che non era in grado di controllare.

“Fottuto figlio di puttana!” – aveva biascicato contro il tettuccio, prendendosi al contempo la testa fra le mani.
“Fottutissimo pennuto figlio di puttana! Che cazzo vuoi da me, eh? Che cosa cazzo vuoi? Che cosa vuoi?” – aveva ripetuto ancora, ancora e ancora, prima di cadere nell’oblio.

Dean stava sognando di trovarsi in riva al molo a pescare.
Era stato lo stesso sogno che aveva fatto quella volta in cui Cass aveva avuto bisogno di vederlo. Ricordava con estrema chiarezza, proprio come se fosse sveglio, di averlo visto comparire all’improvviso, di essere trasalito, e di aver intascato un bigliettino con su l’indirizzo del posto in cui si sarebbero dovuti incontrare.
Subito dopo, si era reso conto di averlo perso. Era sempre il tramite dagli occhi blu quello che aveva davanti, ma in quegli occhi mancava qualcosa: non c’era più quella luce che designava la presenza in lui di Castiel.
E, proprio mentre aveva capito di non avere più la possibilità di rivedere quella luce calda, abbagliante e meravigliosa, si era sentito scuotere per le braccia, ed era uscito definitivamente dalla fase onirica, ritrovandosi di nuovo a far parte di quel mondo che si ostinava con tanta forza a proteggere.

“Dean! Dean! Svegliati!”.

Era stato Ian a farlo destare dal suo torpore. L’uomo di ferro si era rivolto a lui con voce severa, mostrandogli uno degli sguardi più carichi di preoccupazione che il giovane Winchester avesse mai visto.

“Dean, non è il momento di dormire! Dannazione!”.

L’aveva capito fin troppo bene, purtroppo.

“Ok, ok, va bene, ho capito! Sono sveglio! Ma che cosa è successo? Che diavolo vuoi? E perché mi sei sdraiato sopra??” – il terrore nell’aver compreso di essere a pochi centimetri dal viso di Ian lo aveva assalito all’improvviso, facendolo irrigidire come una statua – “Non è che per caso noi… Non è che tu! Oh porca puttana!”.
Ma il cacciatore aveva roteato gli occhi verso il cielo, questo prima di sorridere stanco e di infilare una mano nella tasca della giacca di Dean.
“Sì, certo, devi sapere che in realtà ti ho chiesto di venire con me solo per sorprenderti ubriaco e violarti ripetutamente sui sedili posteriori della tua adorata Impala!” – aveva detto, cominciando poi a frugare nell’altra tasca.
“Che-che cosa?” – era troppo annebbiato dai fumi dell’alcol per poter dire di aver capito male. O forse aveva capito bene?
“Dean, vuoi collaborare o no?”.
“A far cosa?”.
“Dean Winchester, scoparti non è nelle mie priorità, al momento. Dammi subito le chiavi prima che cominci a frugare fra le tasche dei tuoi jeans!”.
E, a quelle parole, si era sollevato così rapidamente da sbattere la testa contro il tettuccio.
“Ahi! Che botta porca puttana! Ehi bello, sta calmo! Puoi essere strafigo ed io posso essere stra-ubriaco e leggermente vulnerabile, ma nessuno può guidare la mia bambina all’infuori di me!” – e lo aveva praticamente buttato fuori dalla macchina, scendendo a sua volta.

Ma, nel mettere i piedi a terra, si era accorto della presenza di qualcun altro. Qualcuno che non avrebbe mai sperato di rivedere.
“Che cazzo ci fa lui qui?”.
François. Insieme ad Ian c’era François.
“Lui viene con noi!” – aveva asserito l’uomo di ferro, dirigendosi verso il sedile del passeggero.
“Che cosa? Tu sei pazzo!”.
“Dean!” – aveva quasi urlato all’improvviso Ian, tornando indietro e bloccandogli un braccio con una mano – “Non è il momento di scherzare”.
“Ma lui…”.
“E’ Sam! Si tratta di Sam”.
Lo sconvolgimento sul viso del cacciatore avrebbe piegato anche il più duro degli uomini. Ma non Ian. L’uomo di ferro non si era lasciato piegare da quel dolore. O, almeno, non lo aveva lasciato trapelare.
“Che cosa stai dicendo, che cosa è successo a Sam! PARLA! DIMMELO BASTARDO!”.
“Sta calmo!”.
“NO CHE NON STO CALMO!”.
Stava uscendo fuori di testa.
“Ha avuto una ricaduta. Una brutta ricaduta. E’ in ospedale… con Bobby…”.
“Perché cazzo non me l’hai detto subito?” – ed era montato in macchina, accendendo immediatamente il motore. In un attimo, i tre cacciatori stavano volando verso l’ospedale di Sioux Falls.

D’improvviso, Dean Winchester aveva dimenticato ogni cosa.
All’improvviso, Dean aveva smesso di pensare a Castiel.

Continua…
______________________________________________________________________________________________________________

E così, alla fine è accaduto anche nella mia fic. Da bravo pezzo di ***** che è, Dean Winchester ha messo Sam prima di tutto e tutti. Non dico che sbagli... Dopotutto è suo fratello, l'unica famiglia che gli è rimasta, ma così facendo ha di nuovo voltato le spalle a Castiel, all'essere che ha perso ogni cosa per lui, solo ed esclusivamente per lui. Sono arrabbiata con Dean. Molto. E' più forte di me... Sarà umano, sarà un peccatore come tutti gli altri, ma resta uno stronzo di proporzioni bibliche.
Mi consola il fatto che ci sia Colin insieme a Cass...
Vedremo come si evolveranno le cose!
Baci
Cleo

Ritorna all'indice


Capitolo 36
*** Sam ***


 

Sam

 
Si era ripromesso di non mettersi più al volante dopo aver bevuto come una spugna. Si era ripromesso di non mettersi più al volante e di spingere l’acceleratore al massimo, soprattutto non dopo essersi reso conto di non essere completamente padrone delle proprie facoltà fisiche e mentali. Si era ripromesso di non rimettersi più al volante e di rischiare il tutto per tutto. Ma non poteva mantenere la promessa, se in ballo c’era Sam.

Dean aveva perso il conto dei minuti dal momento in cui Ian gli aveva rivelato ciò che aveva appreso per bocca di Bobby Singer.
Sapeva perfettamente che il tempo era per lui e per il resto del mondo la cosa più preziosa di cui erano in possesso, ma non riusciva a non pensare ad altro all’infuori del dolore e della sofferenza che ancora una volta stavano distruggendo il suo piccolo grande fratellino. E, allora, non poteva non pensare a cosa il tempo potesse significare per Sam in momenti come quelli. Un attimo sarebbe stato come miliardi di anni. Ma, forse, un miliardo di anni non sarebbe stato diverso da un attimo.
Diavolo, avrebbe dato qualunque cosa pur di essere al suo posto! Avrebbe venduto di nuovo la sua anima pur di evitargli quel fardello. Ma non poteva fare niente.
Ancora una volta, Dean Winchester aveva le mani legate. Il biondo cacciatore dal viso cosparso di efelidi non poteva fare niente per aiutare quel fratello che tanto amava, e che tanto lo amava a sua volta.

Ian non aveva aperto bocca, continuando a spostare lo sguardo dal riflesso di un pallidissimo François che osservava dallo specchietto retrovisore all’uomo che, seduto accanto a lui, spingeva l’auto fino al limite, incurante del pericolo e dell’avversione che il fato nutriva nei suoi confronti.
Non era un uomo che aveva paura, Ian Wesley. Era un uomo che in vita sua ne aveva trascorse tante, un uomo che non si era mai lasciato intimorire dal corso degli eventi, dagli imprevisti, dai disguidi, dal dolore, dalle avversità, ma quella volta cominciava a nutrire una pallida parvenza di quello sconosciuto sentimento.
E non era paura dell’alta velocità. Era abituato ad interventi rocamboleschi che richiedevano manovre azzardate e corse a velocità pazzesca.
La sua paura era per la reazione che Dean avrebbe provato una volta arrivato in ospedale, una volta che avrebbe trovato davanti a sé ciò che rimaneva dell’amato fratello che credeva di avere finalmente ritrovato.
Sam Winchester stava pagando a caro prezzo il costo dell’eroismo. Salvare il mondo lo aveva costretto all’eterna dannazione.
Non era sufficiente per lui avere solo dei fervidi ricordi del periodo trascorso nella gabbia, a quanto sembrava. Non sarebbe stato da lui, non sarebbe stato abbastanza da Winchester, forse. Sam doveva vivere costantemente aggrappato al dolore, solo così l’equilibrio cosmico sarebbe stato rispettato, o, almeno, quello era ciò di cui Dean era convinto.
Il loro rapporto, forse morboso, forse esagerato, forse addirittura malato, per molti sarebbe stato inspiegabile ma non per lui. Non per Ian Wesley, non per l’uomo di ferro. Non per chi sapeva cosa volesse dire votare la propria vita a qualcuno, sentirsi l’altra faccia della stessa, anche se rotta, o scheggiata, medaglia.
Nonostante i sobbalzi continui e l’elevata velocità, l’uomo di ferro aveva serrato forte gli occhi, abbandonando per un breve istante il capo contro il freddo e umido finestrino, sospirando con decisione.
Non era quello il momento di lasciarsi soffocare da ricordi lontani e sepolti ormai da tempo. C’era in ballo il destino dell’umanità, tanto per cambiare. Si domandava quale fosse stato il momento esatto in cui la sua vita fosse diventata simile a quella dei personaggi di Dragon Ball. Peccato solo che nel suo caso non c’era un drago delle sfere che alla fine riportava le cose esattamente com’erano prima.

*


Colin aveva ascoltato tutta la storia di Castiel senza interromperlo, senza fare domande, senza staccare anche solo per un istante gli occhi dai due frammenti di cielo che aveva al posto degli occhi.
E cosa avrebbe potuto fare? Cosa avrebbe potuto dire?
Un angelo. L’uomo venuto dal nulla era un angelo. E per angelo non intendeva una persona buona che dedicava il suo tempo ai bambini, agli animali, agli infermi. Proprio no. Era un angelo con annesse ali, piume, penne e quant’altro. O, per meglio dire, era stato un angelo. Lo era stato prima di cadere.
E non cadere in senso figurato, ma CADERE in senso letterale. Cass, o meglio, Castiel, si era strappato la Grazia dal petto ed era caduto sulla miserabile, corrotta terra dal meraviglioso Paradiso in cui aveva vissuto sin dalla notte di tempi. E non aveva compiuto quel gesto per un capriccio, o per disobbedire deliberatamente a suo Padre. Lo aveva fatto per una causa superiore, per un motivo a cui un comune mortale, per quanto credente potesse essere, non avrebbe forse neanche pensato.
L’aveva fatto per fermare l’Apocalisse al fianco di persone comuni che di comune non avevano assolutamente nulla. L’angelo dagli occhi color del cielo e i due uomini che di cognome facevano Winchester avevano sacrificato tutto ciò che per loro era importante pur di difendere un mondo corrotto e più prossimo alla rovina di quello che avrebbe mai potuto pensare.
Ma, nonostante tutto i sacrifici, nonostante tutto il dolore, la sofferenza, la rivalsa, il perdono, il premio donatogli dal Padre che tanto amava, aveva commesso il peccato più grave che una creatura alata potesse commettere, lo stesso peccato per cui Lucifer era stato punito e cacciato dal Paradiso. Anzi, aveva fatto qualcosa di peggio, forse. L’angelo si era impossessato delle anime del Purgatorio, tradendo gli amici di una vita e il demone con cui si era alleato per proclamarsi il nuovo Dio venuto sulla terra.

Il ragazzo dagli occhi color del mare non era ancora stato in grado di elaborare le parole del ragazzo che sedeva sul suo letto, con le braccia strette attorno alle ginocchia contro quel petto ossuto e devastato che aveva avuto l’occasione di vedere. E la sua difficoltà di comprensione non era dovuto al fatto di non riuscire ad immaginare una creatura divina reagire, ribellarsi, e cadere, ma perché era a dir poco impensabile che quella creatura fosse proprio Castiel, il Castiel che aveva salvato dalla crudeltà dei Leviatani.

L’ormai ex-angelo non era stato in grado di guardarlo negli occhi neanche per un istante del suo lungo e travagliato racconto. Nonostante tutto fosse finalmente chiaro come il sole anche per lui che per troppo tempo aveva vissuto nel più totale buio, era come una stilettata in pieno petto, un dolore così grande che quasi gli impediva di respirare.
Era stato un angelo buono e obbediente. Essendo uno dei più giovani fra la sua un tempo folta schiera di fratelli, era sempre stato accudito e guidato da qualcuno, rimanendo fedele fino in fondo agli insegnamenti che gli erano stati impartiti. Il tarlo del dubbio non aveva mai sfiorato le sue fervide convinzioni, o la fiducia cieca che riponeva in quei fratelli più grandi che prendeva come esempio della retta via da seguire. Non aveva mai visto suo Padre, esattamente come il resto dei suoi fratelli, fatta eccezione per pochi, pochissimi eletti, ma non aveva mai dubitato che ogni singolo gesto, ogni singola azione, fosse un modo per portare a compimento la Sua volontà.
Prima di conoscere i Winchester, prima di conoscere Dean, non si era mai arrampicato sulle pareti scoscese del burrone del dubbio. Era stato un angelo retto, un soldatino perfetto, immutabile, imperturbabile, ma nello stesso istante in cui aveva raggiunto e toccato quell’anima che aveva ceduto alle lusinghe del maligno, aveva cominciato a vacillare. Fingere che ogni cosa fosse esattamente identica a prima non era stato facile. Per quanto i suoi fratelli fossero troppo tronfi e troppo impegnati per potersi accorgere di un suo cambiamento, aveva fatto tutto ciò che poteva per tenere a bada quelle sensazioni sconosciute e logoranti che si agitavano nel suo animo rimasto intatto per secoli e millenni. Un angelo doveva essere perfetto, un angelo doveva essere integerrimo. Ma quell’istante aveva cambiato ogni cosa, e l’evoluzione degli eventi aveva fatto sì che tutto precipitasse più in fretta di quanto avrebbe creduto, o sperato.
Eppure, nonostante i continui dubbi, le dispute, le lotte, il pensiero di aver abbandonato i suoi fratelli, i compagni di una vita, per qualcosa di più alto e più giusto lo aveva convinto che le sue decisioni iniziali non fossero state un completo disastro.
Come aveva fatto a farsi sfuggire la situazione di mano, allora? Come aveva potuto permettersi di commettere errori, ma errori veri e pesanti, che lo avevano portato ad essere la causa di tutti i mali?
Lui, che credeva di poter risolvere i suoi problemi senza causarne di nuovi ai Winchester, li aveva presi tra le braccia e gettati senza alcuna pietà nel tunnel degli orrori.
Con quale coraggi poteva osservare ancora il proprio riflesso nello specchio?

“Ehi…” – aveva sussurrato appena il giovane Colin, avvicinandosi a lui con cautela e dolcezza, posandogli una mano sulla spalla ossuta. Il calore e la luce emanati dagli occhi del giovane che gli aveva praticamente salvato la vita avrebbero risollevato anche l’animo più atterrito – “Non fare così… Troverai una soluzione. Come si dice: c’è rimedio ad ogni cosa, fuorché alla morte, dico bene? E tu sei qui, vivo e vegeto, e stando a quello che mi hai raccontato, hai battuto la morte un’infinità di volte!”.

Cass l’aveva osservato a lungo, prima di rispondere. Il suo ottimismo poteva anche essere positivo, ma non di certo fino al punto di fargli cambiare idea da un momento all’altro senza pensare alle conseguenze.
Non era un nemico comune quello che dovevano affrontare, e l’ex-angelo lo sapeva fin troppo bene. Il tutto sarebbe stato farlo capire al giovane essere umano, al piccolo cucciolo d’uomo che pendeva dalle sue labbra.

“Non è così semplice, Colin. Non so molto di questi Leviatani. Anzi, non so proprio niente. Mio Padre… mio Padre li aveva rinchiusi nel Purgatorio perché troppi, pericolosi e incontrollabili. Se Lui ha deciso di adottare una simile precauzione, non vedo come potremmo noialtri, piccoli e deboli, fare qualcosa di simile.
Non so neppure perché mi hanno lasciato andare. Quelle bestie, quei mostri senza cuore, hanno voluto che sapessi, e poi mi hanno gettato via come una vecchia scarpa usata, lasciandomi in balia del dolore e delle conseguenze delle mie azioni. Se non mi avessi trovato tu, non so come sarebbe andata a finire, Colin… Credo che mi sarei lasciato morire. La mia vita non ha senso. Non lo aveva prima, quando ero un burattino nelle mani dei miei bellicosi fratelli, e non lo ha adesso.
Non sono niente, non sono nessuno. Avevo degli amici, ma ho fatto loro del male. Rompo tutto quello che tocco.
A quanto pare, portavo sfortuna come angelo, e continuo a portare sfortuna come essere umano”.

Era arrivato prima che potesse rendersene conto: un ceffone, non troppo violento, non troppo debole, dritto sulla sua guancia sinistra, che ora pulsava per il colpo subito.

“Ma… Col, perché l’hai fatto?” – per Cass era stato un gesto incomprensibile, proprio come era incomprensibile e a dir poco impensabile l’espressione che avevano assunto i grandi occhi blu del ragazzo.
“Smettila! Smettila di parlare in questo modo! Per la miseria Castiel, sei la creatura più straordinaria che cammina sulla faccia della terra, e ti comporti come se fossi l’ultimo degli uomini! È inconcepibile! Tutti commettono degli errori, tutti cadono in tentazione, anche se in buona fede! E le tue intenzioni erano più che nobili! Hai solo preso eccessivamente alla lettera la frase “il fine giustifica i mezzi”, ma hai imparato a tue spese che non ci si allea con i demoni, e che l’unione fa la forza! E sì, sarò piccolo e inutile, ma sono qui con te! E voglio aiutarti! Cavolo Cass, fino a qualche ora fa non credevo che esistessero i demoni, o i Leviatani, per quanto io sia un ragazzo religioso. Ed ora, eccoti qui: la prova vivente dell’amore di Dio.
Puoi aver perso la fiducia nei tuoi fratelli, puoi aver perso l’amicizia di questi Winchester, ma ti è stata data un’altra opportunità! E per quanto è vero che mi chiamo Colin, non ti abbandonerò!
Ho visto i mostri di cui mi hai narrato con i miei occhi, e so con certezza che devono essere fermati. Non mi importa in che modo, ma dobbiamo trovare una soluzione. Dobbiamo trovarla insieme Castiel!” – e gli aveva preso con dolcezza le mani nelle proprie – “E non provare a dirmi di no, angelo. O giuro su ciò che mi resta di più caro che ti spiumerò in maniera lenta e dolorosa”.

*


Erano arrivati in ospedale in soli settanta minuti di viaggio. Il paesaggio era stato impossibile da decifrare, così come i cartelli stradali, le insegne dei motel, e i volti degli autostoppisti che si riparavano dal pazzo al volante di una Impala verniciata di nero.
Dean aveva guidato ad una velocità folle senza dire una parola, trattenendo il respiro, quasi.
Ian non aveva osato chiedergli nulla, esattamente come François, che continuava a non capire cosa fosse accaduto a questo ragazzo di nome Sam, il fratello di Dean, stando a quello che gli aveva detto Ian.

Prima di scendere dall’auto, il giovane cacciatore aveva dato un paio di manette all’uomo di ferro, imponendogli di non perdere di vista il “bastardo francese”. Con lui aveva una questione in sospeso, e non si sarebbe esaurita di certo con quella misera scazzottata di qualche ora addietro.

L’infermiera del pronto soccorso lo aveva invitato più volte a calmarsi prima di entrare nella stanza in cui era stato ricoverato Sam, ma lui non aveva voluto saperne.
Così, seguito da Ian e da François, accuratamente ammanettato senza che nessuno fosse in grado di notarlo, era giunto alla porta della stanza 669, ridendo e maledicendo allo stesso momento per la quasi beffa che i numeri avevano deciso di giocargli.
Cercando di non commettere il minimo rumore, Dean aveva delicatamente abbassato la maniglia, spalancando poi la porta che lo separava dal suo enorme fratellino.

“Oh mio Dio”.

Fin troppe volte gli era capitato di nominare il nome di Dio invano da quando Sam era uscito dalla gabbia, ma la vista di ciò che si presentava ai suoi stanchi e spaventati occhi verdi lo aveva atterrito ancora di più: il corpo inerme di suo fratello era steso in un letto d’ospedale troppo piccolo per un gigante come lui. Il suo volto, quel volto che faceva tanto impazzire le donne, era completamente sfigurato. Non gli era possibile scorgere la ferita, ma dallo spesso strato di bende che aveva tutt’attorno, doveva occupare gran parte del volto.
Dalle forti braccia ancora segnate dallo scontro con la vetrata fuoriuscivano tubicini di ogni colore e dimensione, e un tubo, un grosso tubo blu era avvinghiato alle sue labbra, aiutandolo certamente a respirare.
Ne aveva viste tante Dean Winchester, ne aveva viste tantissime. Aveva curato ogni genere di ferita che vampiri, mutaforma, licantropi e quant’altro avevano inferto al suo Sam, sistemando costole, ricucendo tagli, disinfettando bruciature, ma mai nulla del genere. Non aveva mai visto il gigante buono, la cara Samantha, ridotto in quel modo.

“Figliolo…” – Bobby, che per tutto il tempo aveva cercato di preparare un discorso adatto per non spaventare il suo ragazzo, era crollato alla vista del dolore che aveva sconvolto di nuovo il suo viso.
Si sentiva inutile. Era inutile. Robert Singer non era altri che un vecchio inutile ubriacone incapace anche solo di allacciarsi le scarpe da solo. Avrebbe voluto annegare nella birra che stava bevendo al posto di tenere d’occhio Sam, avrebbe voluto strozzarcisi! Ma era troppo tardi per tornare indietro. Anche se il rimorso non avrebbe mai e poi mai abbandonato l’animo e il cuore del vecchio e burbero cacciatore.

“Che cosa ti è successo?” – aveva chiesto Dean al fratello, nonostante sapesse che non poteva rispondergli in alcun modo – “Che cosa gli è successo Bobby? Cosa cazzo gli è successo?”.
Era al limite della sopportazione umana. Presto sarebbe esploso, e sarebbe stato a dir poco impossibile raccogliere e rimettere insieme i pezzi, stavolta.

Ian e François erano entrati nella stanza, cercando di rimanere invisibili. Ian aveva visto di tutto nella sua lunga carriera da cacciatore, e lo stesso valeva per il biondo ammanettato. Eppure, vedere Dean sconvolto al tal punto era stato un colpo che non avrebbero pensato di subire.

“Bobby, che cosa gli è successo? Dimmelo, ti prego, dimmelo!”.
A quel punto, non avrebbe più avuto alcun senso continuare a rimandare.
“È sotto sedativi, adesso. Rimarrà qui finché le sue condizioni non miglioreranno, dopodiché, verrà spostato nel reparto psichiatrico, prima di essere internato”.
“I-internato?” – le parole di Bobby non avevano alcun senso per lui. Perché dovevano internare Sam?
“Stava bene quando l’ho lasciato. Stava studiando alcuni testi sul Purgatorio, era tranquillo e soprattutto lucido. Così, mi sono allontanato per andare a prendere una birra. Ero stanco morto, volevo solo cinque minuti per poter staccare, ma poi…  Poi i minuti sono diventati un quarto d’ora, e le birre sono diventate due. Non so quanto altro tempo sono rimasto lì, ma, ad un certo punto… Io… L’ho sentito gridare. Lui ha gridato e ho sentito un tonfo sordo, e sono corso da lui. Dio mio Dean… Io, non so come abbia fatto, non so dove l’abbia trovato, ma… si è sfigurato il volto con il ferro da stiro. Non sapevo neppure di averlo, un ferro da stiro! Non ha più pelle sulla parte sinistra, e rischia di perdere l’occhio. Non riuscirà a tornare alle sue condizioni originarie neppure con i costosissimi interventi di chirurgia plastica che non possiamo permetterci. E questo è successo solo per colpa mia. Per colpa di questo vecchio, inutile, stupido ubriacone”.

Dean non credeva di poter ricevere notizia peggiore di quella.

Continua…
____________________________________________________________________________________________________

Pensavate che fossi sparita, non è vero??
E invece no, eccomi qui, in preda ad una vera e propria crisi esistenziale. Vi chiedo umilmente perdono, ma è un periodo un po' così... Alterno la gioia a momenti di buio totale, e questo ha influito sulla scrittura. Prima o poi passerà, spero.
DEVE PASSARE.
Ma torniamo a noi, non voglio affliggervi!
Che casino... Ci mancava Sam e lo schizzo di follia. Giuro che non so da dove sia venuta fuori questa cosa del ferro da stiro. Volevo qualcosa di forte, quasi impensabile. Per quanto lo scherzetto dei vermi nel sandwich potesse essere divertente - almeno secondo Lucifer - volevo "lasciare il segno", e l'ho fatto letteralmente, a quanto sembra.
Castiel e le sue crisi esistenziali mi ricordano un po' me. Alterna momenti di forza a questi momenti da Emo.
Perdonatemi anche per questo!! =(
Spero che il prossimo capitolo sia migliore!
Vi ringrazio tanto per avermi aspettata!
Bacioni
Cleo

Ritorna all'indice


Capitolo 37
*** Il fratello maggiore ***


Il fratello maggiore


Accettare per l’ennesima volta quanto crudele sa essere il fato fa male esattamente come la prima volta. Anzi, probabilmente fa anche più male, perché è proprio quando credi di avere ormai fatto il callo che l’intero universo ti crolla addosso, schiacciandoti con un peso che non sei più in grado di sopportare.

Dean non si era spostato neanche per un istante dal capezzale di suo fratello.
Per tutta la notte, era stato seduto su di una misera e scomoda poltrona, troppo stanco per potersi alzare, ma senza aveva la forza di chiudere occhio. Non poteva riposare. Non dopo quello che aveva saputo.
La verità era che avevano perso di nuovo la battaglia, e presto avrebbero perso anche la guerra, ormai non aveva più alcun dubbio.
Era completamente solo. Dean Winchester si sentiva esattamente come un comandante sopravvissuto alla sua intera armata dopo uno scontro sanguinario. Era un uomo distrutto che si ostinava a frugare fra i cadaveri mutilati alla ricerca di qualche fortunato superstite. E i suoi, di superstiti, non erano in grado di combattere ancora.
Il suo più vecchio consigliere era crollato su se stesso come un castello di carta: Bobby non aveva lasciato per un istante la sedia che si era scelto in corridoio, continuando a bere da una bottiglia che non si sforzava neanche di nascondere. Il suo secondo, l’uomo che tutti definivano di ferro, si era lasciato sciogliere da un calore insopportabile: Ian stava trascorrendo il tempo con lo sguardo perso nel vuoto, ormai totalmente sconvolto dalla crudeltà degli eventi.
Il loro prigioniero non si era ancora abituato alla sua nuova condizione: François se ne stava sdraiato come meglio poteva su due sedie sotto lo sguardo non propriamente vigile di Bobby, mentre cercava di rimuginare sui propri errori, o molto più semplicemente su come avesse fatto a finire in una simile situazione.
E poi c’era l’altra metà della sua anima, il soldato più fedele, l’alleato che mai avrebbe abbandonato, la parte integrante del suo essere, così diverso e così simile a lui, che si era gettato con le proprie gambe nella gelida morsa del male: Sam non si era ancora svegliato, e sembrava che non avesse alcuna intenzione di farlo.
Era quello ciò che rimaneva dell’esercito di messere Winchester. Nessuna vittoria schiacciante, nessun bottino di guerra. C’erano soltanto ossa rotte e ferite che mai si sarebbero del tutto rimarginate. E il peggio non aveva ancora bussato alla loro porta. Oramai non c’era più niente per cui poter sperare.
Dean non aveva più la forza di reagire. Persino la voglia di farlo era svanita, così come la pelle sul volto di Sam.
I nonsense avevano sempre fatto parte della sua vita, ma quello che gli era appena capitato, sfiorava i limiti dell’inimmaginabile anche per uno che non aveva mai conosciuto la normalità.
E dire che di nemici invisibili ne avevano affrontati nel corso della loro breve ma intensa esistenza… Eppure, si erano dovuti arrendere davanti all’inevitabile supremazia di sua maestà la signora follia.
 
Prestando tutte le dovute precauzioni, Dean si metteva seduto più dritto, di tanto in tanto, e allungava la mano sino a sfiorare il dorso di quella martoriata dalle flebo di suo fratello. Era un gesto rapido, quasi impercettibile, un gesto che nessuno doveva vedere. Sarebbe stato troppo sdolcinato, troppo femminile, e lui non era di certo come la premurosa e spesso isterica Samantha. Lui era un uomo. E un uomo doveva essere freddo e calcolatore, imperturbabile, indifferente alle emozioni umane.
Ma quello stesso uomo che desiderava essere tutto questo, non poteva in alcun modo evitare che quel dolore straziante gli trafiggesse il petto come avrebbe fatto un pugnale dalla lama rovente.
E la cosa peggiore era che, per una volta nella sua vita, poteva dare un volto a quella sofferenza, poteva attribuire le colpe a qualcuno, anche se quel qualcuno era l’essere che li amava più di ogni altra cosa al mondo, più di quello stesso Padre che continuava a tradire e a disonorare ricevendo ogni volta perdono.
Ma lui non era così magnanimo. No, lui non poteva permetterselo.
Per questo, anche se si trattava dell’ultimo membro superstite del suo esercito, non lo avrebbe perdonato: la macchia del tradimento avrebbe per sempre contrassegnato Castiel.

*


Spesso gli dicevano che non era bravo a capire cosa realmente si agitasse nel cuore delle persone.
Troppo spesso, lo accusavano di essere freddo e insensibile, una macchina progettata per distruggere. Ma se ci fosse stata un’occasione per poter smentire, nessuna sarebbe stata più adatta di quella.
Ian Wesley non riusciva a credere che tutto quello stesse accadendo proprio a loro, che tutto quello stesse piegando anche lui.
Si era ripromesso tanto, troppo tempo addietro di non finire più in balia dei sentimenti, ma non riusciva più a mantenere fede a quel giuramento, a quanto sembrava.
L’uomo di ferro continuava a guardare Dean dalla grande vetrata, ormai privo completamente della sua maschera di freddezza.
La verità era troppo dura da sopportare persino per uno che come lui aveva rinnegato il suo stesso passato.
L’immagine di Dean al capezzale di Sam, di quei gesti affettuosi appena accennati, riportava alla mente del cacciatore eventi che aveva cercato in ogni modo di dimenticare.
Il fratello maggiore si prende sempre cura del più piccolo, no? Fa le veci del padre quando la notte fa i doppi turni per portare il pane a casa. Gli rimbocca le coperte, legge le favole, e se necessario lo fa dormire nel proprio letto, perché il fratello maggiore sa che di notte ci sono i mostri che fanno a gara per spaventare i bambini. Il fratello maggiore prepara la colazione, e a costo di far tardi a scuola, accompagna il fratellino alla fermata dell’autobus, cercando di non farlo bagnare in caso di pioggia, o di non fargli prendere un colpo di calore se il sole picchia troppo forte. Un fratello maggiore difende il più piccolo dagli attacchi dei bulli, o da chi lo prende in giro perché hanno avuto la sfortuna di non avere la mamma al loro fianco. Asciuga le lacrime e mette i cerotti sulle ferite e se necessario, insegna al più piccolo come fare per difendersi. Così, un giorno gli insegna a schivare i pugni, un altro gli insegna a tirarli, fino ad arrivare al punto di insegnargli a maneggiare un’arma non solo con l’intento di difendersi, ma con quello di uccidere, perché là fuori non ci sono solo bulli con cui fare a botte. Là fuori, nelle case, per le strade, intrappolati in vecchi manufatti, ci sono esseri a cui sono davvero in pochi a credere, esseri spaventosi che possono distruggerti con un battito di ciglia, se non sai come affrontarli. E quando capisci che puoi difenderti da loro solo con le tue capacità, quando scopri che essi fanno parte della tua vita, non puoi più ignorarli perché combatterli è il solo modo che hai per poter andare avanti.
E allora cominci a fare squadra con tuo fratello, portandolo con te durante le missioni, fidandoti di lui, affidandogli anche compiti importanti, senza però perderlo mai di vista, perché nonostante tutto, nonostante sia stato proprio tu a mettergli in mano una pistola, resta pur sempre il tuo fratellino, e non puoi evitare di essere in pena per lui.

Ed era proprio quello il tormento che si stava agitando nel cuore di Dean, tutto il dolore, tutto il senso di colpa lo stava schiacciando ad una tale velocità e con una tale forza che neanche lui lo credeva possibile.
Il biondo cacciatore si era dannato l’anima nell’istante in cui aveva permesso a suo fratello di gettarsi in quella gabbia maledetta, non quando si era venduto a quello sciocco demone.
Dean aveva perso ogni cosa quando Sam se n’era andato, e nonostante il suo ritorno, aveva recuperato solo un pugno di mosche.
E Ian sapeva bene a cosa stava pensando il cacciatore. Poteva leggerlo nel suo sguardo spento e stanco.
Non poteva chiedergli di tornare indietro, anche se quella sarebbe stata l’unica cosa giusta da fare. Non poteva nominargli ancora il nome dell’essere che aveva causato tutto quello.
Ma, proprio quando aveva deciso di andare via, di rimettersi in viaggio e di risolvere la questione da solo così come aveva sempre fatto, il suo sguardo aveva incrociato quello di Dean, e tutto gli era stato finalmente chiaro.
Non avrebbe mai potuto lasciarsi piegare di nuovo.

*


Per quanto dovesse ammettere che Colin non aveva tutti i torti, quella non gli era sembrata affatto una buona idea. Non tanto perché potessero rischiare l’attacco di qualche Leviatano, a quello erano preparati in un certo senso, ma perché davvero non era pratico con le cose umane, ed era convinto di fare più danni che altro.
Ma il ragazzo dagli occhi color del mare era stato irremovibile.

“Se vuoi vivere con me e avere una parvenza di vita normale, devi aiutarmi a pagare l’affitto” – gli aveva detto senza troppi preamboli, mentre lo aiutava ad asciugarsi i capelli dopo la doccia – “E io aiuterò te a risolvere l’altro nostro problema. Fidati, ce la faremo”.

L’ottimismo del ragazzo era contagioso, ma non abbastanza da dissipare i dubbi che albergavano nel cuore di Castiel. Di certo, non poteva gravare sulle spalle del giovane Colin. Per le persone normali, lui era l’adulto e Colin il ragazzo, e sarebbe toccato a lui portare a casa lo stipendio.
Ma cosa avrebbe mai potuto fare? Lui non era in grado di cavarsela con le cose umane senza causare danni vari ed eventuali.  
Quello che Cass non sapeva, era che Colin aveva già pensato anche a quello.

“Ho già parlato con il proprietario del bar in cui lavoro. Farai il cameriere, come me. Non è niente di difficile, dovrai prendere le ordinazioni e portare i vassoi con sopra le vivande e i bicchieri. Sta tranquillo, sono certo che ce la farai”.
“Ma Col, io non so portare le ordinazioni ai tavoli” – era stata la risposta innocente di un ex-angelo dallo sguardo spaventato. Piuttosto che servire una miriade di esseri umani affamati, avrebbe preferito affrontare orde e orde di demoni spaventosi, ma non poteva tirarsi indietro. Sarebbe stato decisamente inopportuno e davvero sgradevole anche per uno che di comportamenti umani ne sapeva davvero poco.
“Non preoccuparti! Io non so sparare. Quindi credo che l’aiuto sarà reciproco!” – aveva detto il ragazzo, battendogli due volte la mano sulla spalla.
Il difficile sarebbe stato spiegargli che non aveva la più pallida idea di come si maneggiasse un’arma.

*


Spiegare a John che Cass non aveva i documenti per via di un furto era stato piuttosto semplice. Raccontargli che presto ne avrebbe avuto di nuovi – cosa che non sapevano se effettivamente poteva corrispondere a realtà – era stato forse un po’ avventato. Portarlo lì durante il turno in cui lavorava anche Laura era stato un errore madornale.
Nel vederselo piombare nel locale, la ragazza aveva quasi gettato un urlo isterico, dirigendosi verso il povero Colin come una vera e propria furia.

“Dimmi un po’, ma sei impazzito del tutto? Prima lo porti qui mezzo nudo, poi lo riporti per farlo assumere?? Tu sei malato!” – era talmente arrabbiata che avrebbe potuto prenderlo a pugni davanti a tutti. E non le importava affatto se il diretto interessato era lì accanto a lei e stava ascoltando le sue parole sprezzanti. Non aveva peli sulla lingua, e sarebbe stato meglio per tutti se lo avessero capito sin dal principio.

“Non credi di esagerare? Andiamo, neanche lo conosci!” – Colin aveva a cuore la sua amica, ma stava davvero esagerando! Non conosceva Cass, e non poteva permettersi di esprimere critiche gratuite e piuttosto crudeli.
“No che non sto esagerando signorino, faccio tutto questo perché ti conosco troppo bene!”.
La sua espressione la diceva lunga su quello che intendeva in realtà, ma il ragazzo aveva preferito far finta di non capire. Gli era capitato di vivere una specie di avventura straordinaria, e non voleva che venisse rovinata per nessuna ragione al mondo.
“Io sono certo che tu ti stia sbagliando, invece. Cass è una persona straordinaria, e so che presto ti ricrederai. Ora, se vuoi scusarci, devo spiegargli come funzionano le cose qui nel locale” – e aveva condotto Cass nello spogliatoio in cui erano entrati la prima volta, lasciando la ragazza sola con la propria perplessità.
 
“Credo di non piacere molto alla tua amica, anche se non ne capisco il motivo…” – aveva detto Cass, preoccupato – “Pensi che potrebbe avermi visto in televisione quando… Bè, si, hai capito” – era così imbarazzato che faceva tenerezza.
“Non Cass, non preoccuparti. Non credo che abbia visto la tua grande interpretazione di Dio in tv!”.
Ma quella che doveva essere una battuta innocente aveva sortito l’effetto contrario. Lo sguardo ferito di Cass aveva dato una stretta al giovane cuore di Colin.
“Ehi! No, non volevo offenderti! Fai finta che non abbia detto niente e fammi in bel sorriso, dai!”.
E Cass aveva ceduto, nonostante il senso di colpa continuasse a dilagare in lui.
“Vorrei solo poter tornare indietro e sistemare le cose” – aveva confessato, sedendosi rigido sulla piccola panca di legno. Avrebbe davvero voluto poter fare qualcosa per fermare quel delirio prima che iniziasse, ma i fatti parlavano chiaro: era un semplice essere umano, e doveva agire di conseguenza.
“Troverai comunque un modo” – aveva detto Colin, scompigliandogli dolcemente i capelli – “Ed io ti aiuterò, parola di scout. Ora, però, iniziamo con qualcosa di più semplice” – e gli aveva passato uno dei grembiuli verdi che utilizzavano i camerieri del locale.
“E questo cos’è?” – Cass aveva inclinato il capo nella solita posizione che assumeva quando non era in grado di comprendere qualcosa. Colin lo guardava divertito: era davvero adorabile quando faceva in quel modo.
“Parte della tua divisa!” – aveva esclamato, facendogliela cadere in grembo – “Inizi il turno stasera!”.

*


“Non credo che sia una decisione saggia”.

Ian davvero non capiva cosa si agitasse in Dean. Non ne aveva abbastanza di problemi? La sua mente non era sgombra dai pensieri cattivi, e non gli sarebbe stato di nessun aiuto in quello stato.
Ma il maggiore dei Winchester la pensava diversamente.
“Io credo proprio di sì. Non posso fare niente qui, purtroppo. Non sono un chirurgo, né uno psichiatra o un mago, e Sam avrebbe bisogno di uno di questi tre per poter stare meglio. Qui ne ha due su tre, credo che sia una buona media! E poi dobbiamo trovare Castiel”.

Sembrava sul punto di esplodere da un momento all’altro, nonostante ostentasse una calma glaciale.
Non poteva smettere di lottare. Per quanto tutto stesse andando a puttane, doveva trovare quel coglione piumato di Castiel e fargliela pagare. Se aveva creduto anche solo per un attimo di poterlo perdonare, nel vedere Sam ridotto in quello stato aveva cambiato completamente idea, e questa volta definitivamente.
Doveva trovare Castiel, risolvere quella maledetta questione dei Leviatani, e fargliela pagare una volta per tutte.
Sam stava soffrendo per causa sua, per colpa sua e delle sue stronzate celesti!

‘ Non ti perdonerò mai Castiel. Non te lo meriti il mio perdono ‘ – stavolta non sarebbe tornato sui suoi passi.

“E cosa farai quando Bobby ci chiamerà ancora per darci le novità su Sam?” – aveva detto Ian, stoico.
“Che stai insinuando?”.
“Che cosa farai quando ti diranno che Sam si è amputato una gamba, o che ha cercato di sventrarsi? Che cosa farai, Dean? Lascerai ancora la missione a metà per tornare indietro? È questo quello che farai? Rispondi”.

A quelle parole così crudeli, tutta la rabbia che il cacciatore aveva cercato di sedare era fuoriuscita, riversandosi completamente su Ian, su Bobby e su François.

“Come cazzo ti permetti? Tu non mi puoi giudicare razza di bastardo! Sam è la mia famiglia! È tutto quello che mi è rimasto! Ho solo lui e Bobby! Se non fosse stato per questo coglione che ci siamo portati dietro, adesso quell’altro bastardo di Castiel sarebbe qui e forse avremmo risolto la questione!”.

Era furioso. Lo avrebbe volentieri preso a pugni.

“Quindi, stai dicendo che se dovesse capitare dell’altro torneresti indietro? Dimmi un po’, ma non era Sam quello che ti divertivi tanto a chiamare Samantha?”.

Quella era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso: Dean non ci aveva visto più e si era gettato su Ian senza pensarci due volte, colpendolo in pieno viso con un gancio destro da manuale sotto lo sguardo sconcertato di Bobby e François.
Ma l’uomo di ferro aveva reagito con prontezza agli attacchi scombussolati del suo alleato, atterrandolo senza troppi preamboli.

“Cerca di calmarti! Siamo in un ospedale, e non abbiamo tempo da perdere! C’è in ballo di più della vita di un solo essere umano, te ne sei forse dimenticato?”.

Non potevano crederci. Semplicemente, non potevano pensare che Ian dicesse il vero. Come poteva essere diventato all’improvviso così freddo e cinico? Non aveva senso! Era preoccupato esattamente come loro fino a qualche ora addietro, cosa aveva determinato un cambiamento simile?

“Ma che dici ragazzo?” – Bobby era senza parole.
“Dico solo le cose come stanno, Bobby. Posso sembrarvi un mostro, ma non possiamo fare niente per Sam finché non troviamo Castiel, e Dean non mi è d alcun aiuto al momento. È stato la più grande delusione della mia vita. Puoi anche stare qui se vuoi, Winchester, lavorerò meglio da solo”.

Dean aveva le lacrime agli occhi. Credeva di aver trovato un amico in Ian, invece, aveva trovato un bastardo senza cuore a cui interessava portare a termine solo una stupida missione.
Cosa gli importava di salvare l’universo se non poteva avere più accanto a sé suo fratello?

“Parli così perché sei solo, non è vero? Tu non lo sai che vuol dire avere un fratello!” – aveva urlato, attirando l’attenzione di medici ed infermiere che erano accorsi per capire cosa fosse tutto quel trambusto.
Ma ecco che lo sguardo di Ian si era indurito ancora di più, e i suoi pugni si era stretti tanto da sanguinare.
“Tu non sai di cosa parli Dean. Tu non sai di cosa parli”.

In quell’istante, Dean aveva capito che Ian non era davvero di ferro come tutti credevano.

Continua…
_____________________________________________________________________________________________________

Rieccomiiii!!!
Mamma mia, credetemi, non si può stare davanti al pc con questo caldo!! Sto sudando!! Uff!
Ma questo non mi fermerà! Io continuerò a scrivere fino alla fine! U.U
Scusate per la lunghissima attesa, ma sono state settimane impegnative. Per di più, gli ultimi giorni sono stati bui... Mi sono lasciata condizionare da eventi esterni che mi hanno portato a terminare di botto la mia fanfiction preferita, scatenando reazioni contrastanti.
MAI PIU'.
Torniamo a noi però, che è meglio! =)
Ian... Cosa nascondi? I tuoi cambiamenti d'umore mi spaventano.
Dean, hai rotto altamente le scatole. U.U
Cass, verrò a trovarti al pub, promesso!=)
Non vedo l'ora di raccontarvi cosa accadrà!!
Baci grandi!
A presto!
Cleo

Ritorna all'indice


Capitolo 38
*** La storia di Morgan ***


La storia di Morgan
 
Non poteva dire di essere un cameriere nato, ma potete giurarci che ce l’aveva messa davvero tutta per non causare danni. Purtroppo per lui, però, non era l’essere umano più coordinato del mondo, e proprio per questo difetto, un vassoio stracolmo di birre era stato rovinosamente rovesciato addosso ad una signorina in blu jeans seduta al tavolo con quattro amiche dall’aspetto tutt’altro che sobrio.
Fortuna per lui, la sua voce profonda, il suo aspetto tremendamente sexy e i suoi occhi color del cielo avevano placato ogni genere di rabbia o disappunto. A dirla tutta, la ragazza aveva persino lasciato il suo numero di cellulare al povero Castiel, che continuava a guardare lo scrabocchio sul tovagliolino che aveva in mano senza sapere minimamente cosa doverne fare.
 
“Incredibile!” – aveva commentato Laura, fra la più totale acidità e ilarità allo stesso tempo – “Che fortuna sfacciata!”.
 
Se solo Laura avesse saputo quanto sfortunato fosse stato nel corso della sua lunghissima esistenza avrebbe smesso di fare simili battute. Ma Castiel era troppo emozionato per potersela prendere, e in caso, non sono convinta che sarebbe stato in grado di comprendere quello che Laura aveva davvero voluto dire.
 
“Sei stato bravo” – gli aveva detto Colin a fine serata, quando il bar era finalmente vuoto e gli ultimi clienti rimasti erano andati via – “Davvero bravo per essere la tua prima serata, ti faccio i miei complimenti!”.
 
Era davvero entusiasta del lavoro svolto da Cass, anche di come era uscito dal casino con le birre. Era convinto che il suo amico non si fosse neppure reso conto di aver fatto colpo su tutte le donne presenti nel locale – donne che continuavano a lanciargli occhiate inequivocabili. Era di una dolcezza a dir poco disarmante, forse proprio per questo continuava ad attirare la loro attenzione. E pensare che aveva confessato di essere stato un angelo severo e imperturbabile. A vederlo, non si sarebbe mai detto che fosse stato così. Anche se per quanto riguardava il suo essere stato un angelo, su quello non c’era il minimo dubbio. 
 
“Tu dici? A me sembra di aver fatto solo un gran disastro… Non volevo rovesciare quelle birre… E’ solo che non sapevo come si faceva. E poi, cosa devo fare con questo?” – e gli aveva agitato sotto al naso il fazzoletto di carta.
 
“Questo devi deciderlo tu! Lei ti piace?” – aveva chiesto, curioso e un po’ agitato allo stesso tempo – “La ragazza, intendo…”.
“Piacermi? Che vuoi dire?”.
 
Colin si era incastrato con le sue stesse mani. D’accordo, aveva capito che gli angeli erano sì esseri pieni d’amore, ma che per la maggiore si potevano considerare dei soldati integerrimi piuttosto estranei all’amore umano, dunque come spiegargli qualcosa di estremamente semplice e complicato allo stesso tempo senza causare danni irreparabili?
 
“Bè, sì… piacerti… Sai… in quel senso…” – si sentiva terribilmente idiota, un po’ come dovevano sentirsi quei genitori che cercavano di spiegare ai figli curiosi come nascono i bambini. Solo che in questo caso il figlio in questione aveva l’aspetto di un trentenne, ma in realtà di anni ne aveva giusto qualcuno in più.
 
Cass aveva piegato la testa di lato, proprio com’era solito fare quando non riusciva a comprendere qualcosa. Era tremendamente adorabile quando lo faceva. Ma Colin non sapeva proprio come poterne uscire illeso. adesso. Ad accorrere in suo aiuto ci avevano fortunatamente pensato le sue gote, coloratesi lievemente di rosso.
 
“Oh, ma tu parli di… di quel senso…!” – aveva ad un certo punto esclamato l’ex-angelo, a dir poco scioccato.
“Bè, credo di sì!”.
“Allora no… Cioè, è una bella donna… Ma non mi piace in quel senso”.
 
Colin avrebbe voluto tanto chiedergli quale fosse l’altro senso, ma aveva preferito tacere. Meglio evitare di imbattersi in meandri sconosciuti e pericolosi.
Ma lo sguardo sognante e velato di tristezza comparso sul viso di Castiel lo aveva turbato, e credeva proprio di sapere perché. Era certo che centrasse il giovane cacciatore di cui gli aveva tanto parlato, il suo protetto, l’uomo che aveva salvato dalla perdizione.
Si era accorto di come gli occhi gli si illuminassero ogni volta che lo nominava. Per quanto stentasse a capirlo, c’era qualcosa di molto più profondo di un semplice sentimento di amicizia che lo legava a lui. Salvarlo dalle fiamme dell’Inferno doveva aver contribuito molto nella formazione del loro rapporto tormentato, ma Colin aveva come la sensazione che in realtà fossero state le piccole cose a farli sentire davvero vicini. Si chiedeva se davvero la decisione del ragazzo fosse definitiva o meno, perché da ciò che aveva appreso dalle parole di Castiel, per quanto questo Dean si atteggiasse a duro e a sciupafemmine, pareva che tenesse a lui molto più di quanto avesse voglia di ammettere.
 
“Ti manca, non è vero?” – gli aveva chiesto, posandogli la mano sul dorso della sua.
“Chi?” – aveva risposto Cass, senza però sollevare il capo.
“Lo sai…”.
 
Il silenzio che aveva seguito quella domanda era parso eterno.
 
“Non lo so… O meglio, sì che lo so. Lui mi manca da morire. Ma non credo che la cosa sia reciproca. Ho causato troppo dolore per meritare tanto…”.
“Se ti ama ti perdonerà” – aveva esclamato Colin all’improvviso, cogliendolo di sorpresa. 
“Non ne sarei tanto sicuro… Non voglio fartene una colpa, ma tu non lo conosci… Lui è testardo… e orgoglioso… e…”.
“E ti vuole bene. Puoi darmi tutte le giustificazioni che vuoi, ma io sono sicuro che con il tempo riuscirà a dimenticare. Se è l’uomo giusto di cui tanto mi hai parlato, riuscirà a dimenticare”.
 
*
 
La storia della vita di Ian avrebbe fatto gola a qualunque sceneggiatore di Hollywood. Ogni singola parola sembrava essere stata narrata da un esperto scrittore, capace di orchestrate ad arte ogni dettaglio, incastrando ogni evento in maniera così perfetta da rendere il tutto estremamente plausibile. 
Dean aveva ascoltato cosa senza fiatare. Quasi non riusciva a credere di avere di fronte a sé un essere che aveva patito sofferenze simili se non superiori alle sue. Credeva di avere l’esclusiva sul dolore, ma a quanto pare, proprio come gli aveva fatto notare Ian, si sbagliava e non di poco. 
 
Lo aveva raggiunto nel parcheggio dell’ospedale pur di narrargli la sua storia. Dopo la brutta discussione che avevano avuto, Dean si era rifugiato dalla sua bambina, sedendosi sul cofano proprio come faceva quando era in pausa da un viaggio con Sam. L’aria della notte era pungente, e il metallo era cosparso da minuscole gocciole di pioggia, ma questo non lo aveva fermato. L’Impala era l’unica vera e sola casa che avesse mai avuto, e in un certo senso, emanava una sorta di calore, lo stesso calore che sentiva quando era con Sam.
Aveva trascorso molto tempo a fissare le stelle. Il cielo era ancora cosparso da decine di nuvole dense e scure, ma ciò rendeva ancora più divertente quella caccia che aveva iniziato ormai da più di mezz’ora. Nonostante sapesse di aver perso sin dall’inizio, non riusciva a fermarsi. Aveva bisogno di passare il tempo, di fingere che esso non esistesse. Quale modo migliore che mettersi a contare le stelle nel firmamento?
 
Quando Ian lo aveva raggiunto, aveva perso il conto per la decima volta. Inizialmente, aveva finto di non accorgersi della sua presenza, non voltandosi neppure quando il suo peso aveva fatto sussultare le sospensioni della sua bambina. Aveva seriamente pensato di ricominciare a prenderlo a pugni. Poi, però, l’immagine di Sam steso in quel maledetto letto aveva preso il sopravvento, facendolo desistere. Se l’uomo di ferro si era preso la briga di raggiungerlo, non era stato di certo perché aveva voglia di farlo impazzire. Così, aveva deciso di lasciarlo parlare, nonostante la voglia di suonarlo come un tamburo dilagasse in lui.
 
“Io so come ti senti” – aveva asserito Ian. 
“Ma davvero?” – il sarcasmo nella voce di Dean aveva sottolineato al meglio quale fosse la sua opinione a riguardo.
Ian si era seduto più comodamente sul cofano dell’Impala, posando entrambi i piedi sul paraurti. Avrebbe tanto voluto avere con sé una birra, ma non era certo che l’alcol potesse aiutarlo a fare ciò che doveva fare. Trovare le parole giuste stava diventando un’impresa, perché un’impresa era scavare in quei ricordi che aveva cercato di relegare nell’angolo più remoto della sua memoria.
 
“So che la cosa non ti diverte… E so che vorresti darmi un’altra bella lezione, ma credimi Dean, per quanto la cosa possa sembrarti strana, non hai l’esclusiva sul dolore”.
“Senti, brutto stronzo, non so dove tu voglia arrivare, ma…”.
“Sta calmo… Dean, io non sono venuto qui per litigare. Sai bene che non ne abbiamo neanche il tempo. Siamo fortunati che gli altri si stiano occupando delle anime sperdute, altrimenti saremmo in guai peggiori…”.
“Ian, si può sapere che cosa vuoi? Perché se davvero sai che non abbiamo tempo da perdere, mi chiedo il motivo di tutta questa grande, immane stronzata! Vuoi farmi la predica? Perfetto! Ma sbrigati, perché lì dentro c’è mio fratello sfigurato, e ha bisogno di me!”.
 
L’uomo di ferro aveva chiuso gli occhi mentre posava le mani sulle ginocchia. L’aria della sera gli solleticava il viso e la nuca, e le gocce d’acqua sul cofano gli avevano bagnato i jeans.
 
“E’ successo tanto tempo fa, Dean… Era pieno inverno, ero nel bel mezzo di una caccia e faceva un freddo cane. Il vento mi tagliava la pelle del viso, e avevo le nocche rosse e sanguinanti. Ma non potevo fermarmi. Quel bastardo di un lupo mannaro aveva ucciso più di sei persone in una sola notte, lasciando dietro si sé una scia di sangue da far paura. Ero rimasto in piedi per tutta la notte, scattando da una parte all’altra del bosco come un forsennato. Ma l’ho beccato quel bastardo. L’ho beccato e l’ho ridotto ad un colabrodo quel figlio di puttana. Certo, non potevo riportare in vita le persone che aveva divorato, ma avevo reso loro giustizia. Ero appena rientrato in quella che da anni definivo casa mia, stanco e soddisfatto, quando tutto mi è crollato addosso, quando ho scoperto che avrei dovuto rinunciare alla persona a cui tenevo di più sulla faccia della terra…” - a quel punto, l’attenzione di Dean era salita alle stelle - “Mio fratello”.
“Tuo fratello?” - Ian Wesley, l’uomo di ferro, aveva un fratello. E dal tono della sua voce sembrava proprio che le cose per lui non fossero andate bene.
“Sì Dean. Avevo un fratello più piccolo di me di sette anni, un fratello a cui ho fatto da padre, da madre, da migliore amico. Ero il suo punto di riferimento, il suo intero mondo. Mi ero giurato di proteggerlo dopo l’incidente di nostra madre, e così ho fatto fino a quando ho potuto”.
Il Winchester era davvero curioso di sapere di cosa diavolo stesse parlando Ian. Quale incidente aveva avuto sua madre?
“Che le è successo, amico?” – aveva chiesto, addolcendo il suo tono di voce.
“Niente di diverso da quello che era accaduto alla tua”.
Quella notizia era stata a dir poco sensazionale. Ian aveva appena confessato di essere stato una delle vittime del demone dagli occhi gialli, uno di quei bambini a cui avevano portato via l’infanzia.
“Quindi… tuo fratello…”.
“Sì Dean… Morgan era uno dei bambini speciali di Azazel. Sono stato io a tirarlo fuori dalla culla quando è successo, perché mio padre era troppo spaventato per poter muovere anche solo un muscolo. Avevo solo sette anni e mezzo quando ho visto mia madre morire in un incendio sul soffitto della sua stanza, con uno squarcio sanguinante sul ventre, e so perfettamente che puoi capire cosa ho provato”.
Purtroppo, capiva fin troppo bene quello che Ian cercava di dirgli. Non gli era mai capitato di incontrare qualcuno che proprio come lui aveva salvato la vita al proprio fratellino indifeso, qualcuno che aveva sentito sulle sue minuscole spalle il peso della responsabilità e della paura, ed era una sensazione stranissima trovarselo accanto all’improvviso.
“Io non…”.
“So che non potevi immaginarlo. Non è una cosa che racconto in giro. Sono fiero di quello che ho fatto per mio fratello, anche se questo è accaduto perché mio padre era crollato. Non si è mai più ripreso da quella sera. Dopo l’incidente, abbiamo perso la casa, ci siamo trasferiti in un minuscolo appartamento e, per cercare di tirare avanti, mio padre ha iniziato a fare i doppi turni a lavoro. Ma la scusa ad un certo punto ha cominciato a non reggere più, e lì mi sono accorto che lui non voleva più trascorrere il suo tempo in nostra compagnia. Un padre che si rifiuta di stare con i propri figli, assurdo, non trovi?”.
 
Era assurdo per davvero. Talmente assurdo che solo chi c’era passato poteva capire.
 
“Ho fatto di tutto per Morgan: gli ho cambiato i pannolini, gli ho fatto il bagnetto, gli ho imboccato quelle pappette disgustose, l’ho o accompagnato all’asilo e poi a scuola, ma allo stesso tempo non ho mai smesso di pensare a quello che aveva tanto turbato i miei occhi di bambino. Come potevo dare a me stesso una spiegazione plausibile a ciò che avevo vissuto? Bè, ovviamente non potevo, ed è stato per questo che ho cominciato a fare delle ricerche, Dean. Avevo trovato cose scottanti, e a soli dieci anni mi sono ritrovato a capire che i mostri erano reali”.
“Deve essere stato un vedo colpo scoprirlo”.
Doveva esserlo stato eccome. Lui e Sam avevano avuto suo padre e Bobby a spiegargli come stavano le cose. Ian chi aveva avuto? Nessuno, se non qualche libro e qualche documento scaricato da internet.
“Puoi dirlo forte, ma questo mi ha aiutato a darmi una spiegazione per quello che avevo visto”.
“A questo punto, non mi resta che chiederti quando sei diventato un cacciatore!”.
 
Ian aveva sorriso, posando le mani sul cofano dell’Impala e facendo leva su di esse per mettersi più comodo.
 
“Una sera mio padre era rientrato prima del solito dal lavoro, portando con sé una quantità esorbitante di dolciumi e caramelle di ogni tipo. Puoi immaginare la gioia di mio fratello. Lui non aveva mai trascorso del tempo con lui, e quella si prospettava davvero una serata con i fiocchi. Ma com’era ovvio anche per il più profano, qualcosa non andava. Mi sono allontanato un attimo per apparecchiare in salotto, e quando sono rientrato in cucina ho visto mio fratello bere una strana sostanza rossa da una boccetta che non avevo mai visto prima di allora e gli occhi di mio padre… gli occhi di mio padre erano neri come la pece”.
Quello che era accaduto era più che ovvio.
“Possessione demoniaca…”.
“Esatto… Sono stato così fortunato da imbattermi in uno di quei bastardi infernali. Credimi Dean, non so chi mi abbia dato la forza di prendere il barattolo del sale, lanciarglielo in bocca e scappare via con in braccio mio fratello che aveva la faccia sporca di sangue.
Non avevamo niente con noi. Fuori pioveva e non avevamo avuto neanche il tempo di prendere un cappotto, o qualche soldo. Eravamo due ragazzini soli e spaventati. Non avevamo parenti, né amici a cui rivolgerci. Abbiamo vagato per tutta la notte, finché sfiniti non ci siamo addormentati sotto un ponte vecchio e malandato. Per tutto il tempo non ho fatto altro che stringere mio fratello e ciò che restava del sale che avevo buttato addosso al demone. Avevo letto che bastava fare un cerchio con esso per essere al sicuro, e così ho fatto. Ma non potevamo trascorrere il resto della vita lì dentro, come era più che ovvio”.
“E cosa avete fatto, allora?” – Dean era diventato curioso come un bambino.
“Noi ben poco, a dir la verità. Logan ha fatto molto di più”.
“Logan?”.
Ian aveva sorriso, voltando il capo verso il proprio interlocutore.
“Logan è il cacciatore che ci ha cresciuto, Dean, l’unico vero padre che io e Morgan abbiamo avuto. Era in perlustrazione quando si è imbattuto in noi, e nel trovarsi davanti due ragazzini soli e spaventati accucciati in un cerchio di sale, ha capito subito cosa potesse essere accaduto. Mi ha permesso di raccontargli la nostra storia, e mi ha fatto i complimenti, dicendomi che avevo la stoffa del cacciatore. E’ stato lui a insegnarci come combattere, ci ha insegnato tutto quello che sapeva, crescendoci come figli suoi. Non so niente di che fine abbia fatto mio padre. Lui non è mai venuto a cercarci, così come non l’hanno fatto i servizi sociali. Logan aveva detto a tutti che eravamo suoi nipoti, e nessuno ha fatto domande. Posso solo dirti che ho impugnato la mia prima arma a quattordici anni, e ho abbattuto il mio primo Rugaru a quindici. Pazzesco. E mio fratello è rimasto accanto a me tutto il tempo. Non era un eccellente cacciatore, ma era forte, leale e soprattutto terribilmente intelligente. Più di una volta mi ha salvato il culo da situazioni assurde, credimi”.
Stentava quasi a credergli.
“Tu, l’uomo di ferro, ti sei fatto salvare il culo da un ragazzino?” – incredibile.
“Sta attento a quello che dici! E’ di mio fratello che stai parlando!”.
A quel punto moriva dalla curiosità di sapere cosa fosse accaduto in seguito. Perché non aveva mai nominato questo Logan, o suo fratello prima di allora?
“Va bene! Va bene! Non ho nessuna intenzione di farti arrabbiare! Ma… cosa non mi hai ancora detto, Ian?”.
“Non ti ho detto che gli idilli non durano. Anche se questo lo sai già. Avevo ventisette anni quando il piccolo mondo che mi ero costruito mi è caduto addosso. 
Il demone che aveva cercato di avvelenare mio fratello col suo sangue era tornato. Lavorava per Azazel quel bastardo, non poteva rinunciare ad avere uno dei suoi preziosissimi bambini speciali”.
 
Aveva stretto i pugni così tanto da farsi sbiancare le nocche. La sua voce si era indurita, diventando quasi cavernosa. Il ricordo doveva fargli troppo male.
 
“Quel bastardo aveva colto Logan di sorpresa, strappando il cuore dal petto al cacciatore che ci aveva fatto da padre. Voleva rapire mio fratello quel figlio di puttana, ma non glielo avrei mai permesso. E’ stato allora che l’ho esorcizzato e rispedito dalla fogna da cui era venuto, come diresti tu. Ma sapevo fin troppo bene di non poter proteggere mio fratello da solo”.
“E…?”.
“Vedi Dean, a differenza di voialtri, io sapevo già dell’esistenza degli angeli”.
“Cosa?? E perché non me l’hai detto?”.
“Perché non sarebbe servito a niente rivelartelo. Che avrebbe cambiato? 
Ho fatto il rituale e ho evocato un angelo, chiedendogli disperatamente di proteggere mio fratello. Doveva sapere di quello che sarebbe accaduto a te e Sam, che sareste stati voi i prescelti, perché ha esaudito le mie preghiere: ha toccato il torace di Morgan, e un attimo dopo sulle sue costole vi era stato marchiato un intero incantesimo capace di renderlo invisibile agli occhi di demoni e angeli, ma ad una condizione… Morgan non avrebbe più avuto alcuna memoria di me o di quello che era stato. 
Mio fratello non ha la più pallida idea di chi io sia. E non credo che gli serva a molto saperlo, visto che non lo vedo da più di sei anni”.
 
Continua… 
_______________________________________________________________________________________________________________

Dean, Dean, ora hai capito di non essere il solo ad aver patito terribili sofferenze?? 
Povero Ian... =(=(=(
E ditemi se Cass non è un amore!! Ve l'avevo detto io che avrebbe fatto danni! XD
Sono davvero spiacente per questo ritardo, ma scrivere quest'ultimo capitolo non mi è stato semplice, non chiedetemi perché!
Spero comunque che vi sia piaciuto.
Ci "sentiamo" presto allora!
Un bacione
Cleo

Ritorna all'indice


Capitolo 39
*** Incontri ***


Incontri

 
Dean si era allontanato dall’ospedale dopo aver finito di ascoltare il racconto di Ian. Aveva bisogno di stare un attimo da solo per avere la possibilità di elaborare ciò che aveva appena appreso dal diretto interessato.
Si sentiva un perfetto idiota, ma uno di quelli a cui era stata data la patente. Ogni volta che Ian gli aveva detto che non aveva l’esclusiva sul dolore si era arrabbiato come una bestia, non riuscendo a capire che dietro quella frase si nascondesse molto di più di una semplice constatazione, che non si nascondeva solo una stupida frase retorica ripetuta per placare il suo animo tormentato.
Lui e l’uomo di ferro avevano molte più cose in comune di quello che avrebbe mai e poi mai potuto pensare. La caccia era solo la ciliegina sulla torta.
 
Con passo incerto, Dean Winchester avanzava nella notte, sperando che l’aria fredda lo aiutasse a fare chiarezza laddove era ancora tutto buio ed intricato come una matassa.
Ma, dopotutto, su cosa doveva fare davvero chiarezza? Non di certo su Ian Wesley. Il ragazzo era stato così sensibile e riservato da non avergli scaricato subito addosso il suo passato tormentato, mentre lui non aveva fatto altro che inveirgli contro per tutto il tempo, tirando fuori in ogni momento i mille guai che lo avevano afflitto e che continuavano a farlo impazzire. Si era comportato da bastardo egoista, e lo sapeva fin troppo bene.
No, non era su Ian che doveva fare chiarezza. E neppure su Sam. Suo fratello non era più quello di un tempo, ormai, e molto probabilmente non sarebbe stato mai più. Il male che lo stava devastando era troppo grande, ed era decisamente troppo sovrannaturale perché lui potesse fare qualcosa di concreto per aiutarlo. Probabilmente, solo una di quelle bestie infernali a cui si rivolgevano i poveri diavoli senza più speranza avrebbe potuto porre rimedio, ma lui non le avrebbe più interpellate. Sapeva sin troppo bene quali risvolti portasse lavorare con un demone - o peggio ancora per un demone - e ne aveva davvero abbastanza.
Per una volta, Sammy avrebbe dovuto aspettare. C’era il mondo intero da salvare, e forse, anche se a malincuore e solo per una volta, doveva fare a meno di mettere il suo, di mondo, prima di tutto il resto. Sam non era davvero da solo, alla fine dei conti. Quella era solo una sua fissazione di bambino, quando vedeva suo padre uscire dalla porta della stanza di uno dei tanti squallidi motel che era solito fittare senza sapere se sarebbe mai tornato o no. Quei tempi erano cambiati. C’era Bobby accanto a Sam, mentre lui era in compagnia di Ian, e forse, se avesse accettato, anche di François. Aveva due cacciatori a disposizione, e un padre su cui poteva fare affidamento in ogni momento. Una sola persona mancava per completare il quadro. E, anche se gli doleva ammetterlo, questo qualcuno era proprio Castiel.
 

*

Ian non sapeva se fosse stata o meno una decisione saggia quella che aveva preso. Di certo, il racconto della sua storia aveva smosso qualcosa in quel testone di Dean. Il problema, più che altro, era che rivangare i ricordi aveva smosso qualcosa soprattutto in lui. Per quanto cercasse di raccontarsi il contrario, l’allontanamento forzato da suo fratello era una cosa che lo faceva soffrire più di quanto riuscisse a nascondere.
Morgan gli mancava da morire. Ricordava ancora con chiarezza il giorno in cui aveva dovuto abbandonarlo in un ospedale, dicendo alla receptionist di aver trovato “quello sconosciuto” per strada, privo di sensi e di documenti. Non aveva atteso che si risvegliasse, così come non aveva lasciato i propri dati personali, ed era sgattaiolato via come un ladro, incurante dei passanti che lo vedevano piangere in silenzio. Il momento più terribile di quella giornata, però, era stato quello in cui era tornato nella vecchia baracca che aveva occupato abusivamente, ritrovandosi completamente solo. In sole ventiquattro ore, aveva perso tutta la sua famiglia.
Non l’aveva mai più cercato, anche se avrebbe dato un braccio pur di rivederlo anche solo per un istante. Non sarebbe stata una mossa intelligente. Ne andava della sua salute fisica e mentale.
 
Gli dispiaceva per Dean e Sam, gli dispiaceva immensamente. La loro storia era molto simile a quella sua e di suo fratello. Sapeva che non erano gli unici ad aver vissuto una simile tragedia, ma non avrebbe mai pensato di incontrare qualcuno con un trascorso praticamente identico al suo. Perché alla fine dei conti, anche se Sam era ancora accanto a Dean fisicamente, era come se non ci fosse.
 
Con grande lentezza, era rientrato nell’ospedale, raggiungendo Bobby e François che si trovavano ancora nella stanza dove era stato sistemato Sam.
Il momento di stare a rimuginare sul passato doveva finire. C’era necessità di entrare in azione, e stavolta dovevano farlo tutti.
 
“Ian… Come sta…”.
“Dean è andato a fare due passi per schiarirsi le idee” – così aveva interrotto il povero Bobby Singer – “Noi dobbiamo pensare al da farsi. E quando dico noi, intendo anche te” – e aveva indicato François.
“Io?” – aveva chiesto il tramite di Balthazar.
“Già… Lui?” – gli aveva fatto eco Bobby con disprezzo.
“Non è il momento di fare gli schizzinosi, amico mio. Siamo in guai grossi, e abbiamo bisogno di tutto l’aiuto possibile per venirne fuori”.
“Parli ancora dei Leviatani?” – Bobby aveva incrociato le braccia al petto, pensieroso.
“Non solo. Presi completamente dalla ricerca di Castiel e da questo casino con i Leviatani che ci siamo dimenticati dei cacciatori in balia delle anime”.
Aveva ragione. Come potevano aver tralasciato una cosa così ovvia e vitale?
“Idioti! Ecco cosa siamo! Dei perfetti idioti! Come diavolo abbiamo fatto a dimenticarci di una cosa del genere?”.
Bobby si era dato un pugno in testa mentre si dava dell’idiota. Da quando era cominciato il suo lavoro di balia per Sam aveva perso il senso delle cose. Cazzo, se era un problema avere tutte quelle anime in giro. Senza pensarci due volte, aveva estratto dalla tasca il cellulare che aveva cominciato a squillare.
“Chi sarà mai adesso?” – si era chiesto Ian.
“Billy!” – aveva esclamato Bobby, con voce squillante – “Brutto figlio di puttana, si può sapere che fine hai fatto? Quando servi non ci sei mai, è mai possibile?”.
Il silenzio che aveva seguito quei commenti lasciava presagire una marea di spiegazioni da parte di chi stava dall’altra parte del telefono.
“Ah sì? Razza di idiota, e non potevi chiamare per farti dare una mano? Sempre il solito spaccone ‘faccio tutto io’ !”.
Era più che evidente che dietro a quel turpiloquio si celasse un profondo affetto che l’uno nutriva per l’altro. Erano amici di vecchia data, dopotutto, e se Ian, Dean e François avessero saputo quanto Billy aveva fatto per Bobby e viceversa sarebbero rimasti a dir poco sbalorditi.
Questi ultimi erano tutt’orecchi, cercando di non perdere neanche una sillaba delle parole di Bobby e cercando di immaginare quale sarebbe potuta essere la risposta dell’altro cacciatore.
“Ho capito” – aveva detto Bobby ad un certo punto – “E credi di poterti liberare entro domani? Se è così importante questa cosa che devi dirmi posso fare uno strappo alla regola – e aveva guardato Ian – e vedere come aiutarti”.
Aveva nuovamente atteso risposta.
“Sì… Davvero?… Si tratta delle anime?” – aveva chiesto, curioso. Quell’ubriacone sapeva il fatto suo, a quanto pareva.
“No, senti, ci sono già Dean e Ian Wesley che si stanno occupando dei Leviatani, e no… lui non è qui, fidati”.
Bene!” – avevano sentito dire da Billy – “Perché altrimenti lo avrei fatto fuori con le mie mani”.
 
Alla fine della conversazione, era finalmente stato fatto l’ordine del giorno: Bobby e Billy avrebbero chiamato uno ad uno tutti i cacciatori su cui aveva fatto affidamento Ian, chiedendo loro un resoconto dettagliato sul lavoro svolto sino a quel momento, e in seguito li avrebbero raggiunti, cercando un modo per richiudere quelle dannate anime nel buco da cui erano uscite. Nel frattempo, Ian, Dean e François avrebbero avuto un altro compito da svolgere.
 
“Dobbiamo trovare Castiel, e dopo dobbiamo contattare i Leviatani” – aveva detto Ian – “Sono sicuro che l’angelo conosce il modo di rispedirli indietro, e François sa come trovarli, a quanto pare. Non c’è più tempo da perdere ragazzi. Basta esitazioni, basta rinvii. Quando Dean tornerà partiremo immediatamente”.
 
“E cosa pensi di fare con Sam?” – aveva chiesto proprio Dean Winchester, appena entrato in casa.
“Lascia che sia io a fare una cosa per te, per una volta” – gli aveva detto Ian, andandogli incontro e posandogli entrambe le mani sulle spalle. I suoi occhi di ghiaccio si erano specchiati in quelli verdi di Dean, impedendogli di pensare lucidamente per un lungo attimo.
“Che- che intendi?” – aveva balbettato quest’ultimo.
“Ha pagato la retta di una delle cliniche più in voga del paese, Dean” – aveva detto François, timido – “E’ stato un bel gesto, no?”.
Non riusciva a credere alle proprie orecchie.
“Tu cosa?”.
“Sapevo che avresti reagito così. Non ti sto facendo l’elemosina, sia ben chiaro. E’ l’unico modo che ho per contribuire ad aiutare Sam. Dopotutto, sono io che ti sto portando via da lui”.
 
Il suo sguardo era così sincero che sarebbe stato impossibile non credergli. Certo, Dean si sentiva ugualmente scavallato, ma per una volta era meglio evitare di fare il puntiglioso. Per questo, non aveva obiettato, accettando, anche se con qualche remora, l’aiuto offertogli con tanta gentilezza.
 
“E va bene. Ma la prossima volta avvertimi prima di prendere decisioni del genere. Cazzo, si tratta pur sempre di mio fratello!” – aveva sbottato, scrollandosi di dosso le mani di Ian. Porca puttana, si era sentito davvero a disagio ad averlo incollato addosso. Che bisogno c’era di comportarsi in quel modo?
“D’accordo! Giuro che non lo farò mai più”.
 
Dean avrebbe voluto sparire. Ma perché Ian non la smetteva di guardarlo?
 
“E quindi ora dovremmo portarci dietro anche questo bastardo?” – aveva cambiato discorso il maggiore dei Winchester, indicando François.
“Ehi!” – era stata la reazione di quest’ultimo – “Guarda che io sono qui!”.
“Purtroppo lo vedo con i miei occhi! Senti, Ian, lo ritieni necessario? Già mi stava sulle palle la sua brutta faccia quando faceva da preservativo a Balthazar, ma ora ha davvero superato ogni mia più atroce aspettativa!”.
“Senti brutto pallone gonfiato, ora mi hai davvero rotto! Io…”.
“PORCA MISERIA, LA VOLETE PIANTARE??” – era intervenuto Bobby, ormai in preda all’esasperazione – “Idioti! Ian, ma sei sicuro di voler avere a che fare con Cip e Ciop, qui? Il francese posso portarmelo dietro io, se non è un problema!”.
“Ecco Bobby, bravo! Portatelo tu!”.
“Guarda che non sono un pacco postale! Mi hai veramente…”.
“E va bene, ora basta!” – Ian non riusciva davvero a trattenersi dal sorridere – “Potete litigare quanto vi pare, ma fatelo in macchina! Grazie per la proposta Bobby, ma no, questi due idioti vengono con me! – e si era diretto verso la porta – “Ah, e sia ben chiaro Dean: stavolta guido io”.
 
Forse, Dean Winchester aveva cominciato a capire solo in quel frangente in che razza di guaio si era andato a cacciare.
 

*

 
“Che cosa stiamo cercando, esattamente?” – aveva bisbigliato Colin, mentre seguiva Castiel negli intricati scaffali della piccola biblioteca della città – “Siamo qui da più di dieci minuti, ma ancora niente! Se mi dicessi qualcosa, forse potrei aiutarti!”.
 
Ma Cass non aveva risposto subito. Il ragazzo continuava ad aggirarsi nell’intricato labirinto fatto di scaffali stracolmi di libri, osservando attentamente ogni titolo stampato sulle mille copertine colorate.
 
“E’ che non so con esattezza cosa consultare… E’ difficile così… Un tempo, avevo in me tutta la conoscenza – o quasi - dell’universo. Era diverso…” – aveva detto, senza staccare lo sguardo dai volumi.
“Già… Giusto un po’ di differenza” – era stato il commento di Colin.
 
Lui conosceva piuttosto bene la biblioteca. Vi trascorreva numerose ore di studio durante le sessioni d’esame, ma doveva ammettere che ci fossero delle sezioni che non aveva mai visitato. Certo, non era molto grande, ma era davvero ben fornita. Dubitava che ci fosse qualcosa sui Leviatani – perché era certo che Cass lo avesse condotto lì per cercare qualcosa su di loro – ma controllare non sarebbe di certo stato del tutto un buco nell’acqua.
Caspita, chi mai avrebbe pensato che un giorno un ragazzo come lui potesse vivere un’esperienza simile? Andare a caccia di mostri con un ex-angelo ribelle ora pentito. Neppure un esperto romanziere avrebbe potuto escogitare qualcosa di così intricato e decisamente blasfemo. Doveva ammettere che la cosa lo eccitava e lo terrorizzava allo stesso tempo. Leviatani. Le più possenti bestie mai vissute sulla faccia della terra. Porca miseria, qualcosa di più semplice no? Tipo le piaghe d’Egitto, o i cavalieri dell’Apocalisse?
Se solo Colin avesse saputo qualcosa riguardo a loro, avrebbe di certo cambiato idea. O forse no.
 
“Uff… Sai che è come cercare un ago in pagliaio, vero?” – aveva chiesto a Castiel, ad un certo punto – “Non sei convinto che sarebbe stato meglio parlare con un prete?”.
“Dubito che possa esserci d’aiuto, Col… La faccenda è più grande di quanto possa sembrare”.
“Certo che lo è! Cavolo Cass, Leviatani!”.
 
Quest’ultima esclamazione aveva causato un richiamo da parte della bibliotecaria, una vecchia zitella con tanto di occhialoni e capelli grigi.
 
“E’ una biblioteca questa, non una discoteca! Fate silenzio!”.
 
I due ragazzi si erano scusati, tornado ad occuparsi della loro ricerca. Ricerca che dopo più di tre quarti d’ora era stata a dir poco infruttuosa.
 
“Cass, non credo che arrivati a questo punto sia il caso di perdere dell’altro tempo qui… Non abbiamo trovato un bel niente… Uff…”.
“Hai ragione… Eppure… Ah! E’ come se sapessi che qui c’è qualcosa che può esserci utile… Non saprei cosa… Ma… Oh! Mi scusi!”.
 
Involontariamente, il povero Castiel aveva urtato contro una signorina dai capelli rossi come il fuoco, facendole cadere sul pavimento il volume reggeva fra le mani.
Ovviamente, la giovane non aveva mostrato alcun segno di indignazione, mostrandosi oltremodo compiaciuta di trovarsi al cospetto di un ragazzo di così bell’aspetto.
 
“Ecco a lei… E mi dispiace signorina...”.
“Ma si figuri…” – aveva detto lei, facendogli occhi dolci – “Anzi, se le va…”.
“Cass, che ne dici di andare?” – era intervenuto Colin, rivolgendo alla ragazza un’occhiata assassina.
Lei, allora, piuttosto delusa, si era rimessa in piedi, recuperando dalle mani di Castiel il libro che le stava porgendo con tanta gentilezza.
“Io non avevo capito… Che peccato… Ma vabbè, i gusti sono gusti!” – e se n’era andata, lasciando il ragazzo dagli occhi color del cielo in preda ad una confusione più che visibile.
“Ma che voleva dire?” – aveva chiesto ad un certo punto a Colin, ancora rosso di rabbia.
“NIENTE!” – aveva praticamente urlato quello, afferrando Cass per un braccio – “Andiamo subito via da qui!”.
 
E stavano per lasciare quella sezione della biblioteca, quando, con grande sorpresa per uno e con estremo orrore per l’altro, un uomo dai capelli scuri che indossava un costoso completo un po’ sgualcito era comparso dal nulla, facendoli trasalire. Il volto di Castiel era diventato cereo. Le labbra pallide avevano perso ancora più colore, e gli occhi si erano sgranati al punto di fare impressione.
 
“Salute a voi! Da quanto tempo micino… Ti sono mancato?”.
 
“Scappa Col, scappa!” – lo aveva avvisato Castiel.
“E’ uno di loro? Un Leviatano?” – aveva chiesto il ragazzo, gelandosi.
“No. E’ molto… molto”.
“Peggio? Oh micino, non dirmi che sei ancora arrabbiato con me per quella storia?”.
 
Ma Castiel non aveva risposto. Era a dir poco paralizzato dal terrore. Il ricordo di quello che stava per accadergli era sopraggiunto, facendogli torcere le budella dall’orrore.
 
“Chi sei tu?” – gli aveva chiesto ad un certo punto Colin, che aveva cercato di farsi forza dopo aver notato il profondo disagio di Castiel.
“Ma come, lui non ti ha parlato di me? Potrei anche offendermi!” – aveva detto quello, prendendo un libro dallo scaffale – “Io sono un amico, uno degli ultimi che vi è rimasto. Sono il re dell’Inferno occhi blu. Ma, se ti va, puoi anche chiamarmi Crowley”.
 

*

Ian stava guidando ormai da qualche ora. Stranamente, Dean era parso molto più rilassato di quanto avrebbe mai osato sperare. Ogni tanto si limitava a buttare un’occhiata sul contachilometri, ma non si era mai permesso di fare commenti o peggio ancora di uscirsene con frasi tipo “povera la mia bambina”.
François, seduto sui sedili posteriori, stava cercando di fare una ricerca dal computer di Sam, utilizzando la chiavetta che aveva acquistato qualche mese addietro.
Essendo stato quest’ultimo a trovare i Leviatani, era stato affidato a lui il compito di mettersi alla ricerca di un modo per fermarli, o quantomeno di rispedirli indietro.
Il resoconto della sua storia era stato piuttosto sbalorditivo, e anche decisamente ovvio, a ben pensarci. Quando Castiel aveva compiuto l’ignobile gesto di pugnalare suo fratello alle spalle, aveva abbandonato il cadavere del suo tramite nel luogo dell’omicidio, incurante di quale sarebbe stato il suo crudele e certo destino. Il caso, o per meglio dire, l’astuzia, ha voluto che il povero François Roland fosse designato dalle creature imprigionate nel Purgatorio a diventare colui che avrebbe dovuto ricondurre a loro l’essere che li aveva liberati. Di conseguenza, trovandolo riverso sul pavimento, privo di vita, il loro primo compito era stato quello di restituirgli l’anima, permettendogli così di riaprire gli occhi su quello che loro chiamavano un “nuovo mondo”. Ovviamente, François ricordava ogni singola cosa che era stato costretto a fare dall’angelo che lo aveva usato come tramite, così come ricordava alla perfezione l’orribile modo in cui suo fratello si era liberato di lui. Il dolore della pugnalata si faceva ancora sentire fra le sue scapole, e non c’era voluto molto per i Leviatani convincerlo a ricondurre a Castiel la causa di tutte le sue sofferenze. Se l’angelo che lo aveva usato non esisteva più, quello che lo aveva ucciso era ancora vivo e vegeto, anche se nessuno sapeva spiegarsi il perché.
Il cacciatore – perché egli era davvero stato un cacciatore prima di diventare un “preservativo”, per citare Dean – non sapeva quali fossero le reali ragioni di quella singolare richiesta, ma doveva ammettere che fino a poco prima di incontrare e conoscere Castiel non gliene importasse un accidenti. La sua unica premura era quella di entrare in possesso del pugnale angelico appartenente a quest’ultimo, pugnale con cui avrebbe potuto difendersi da altri bastardi piumati che avrebbero potuto cercare di fargli del male. Purtroppo per lui, al suo risveglio non aveva trovato con sé il pugnale di Balthazar, e i Leviatani gli avevano rivelato che era stato proprio Castiel a portarglielo via, per evitare, evidentemente, che qualcuno sapesse di cosa si trattava e decidesse di usarlo contro di lui.
Il racconto che aveva fatto ai due cacciatori che sedevano davanti era stato dettagliato e concitato, pieno di enfasi, e questo per cercare di spiegare loro le sue ragioni e sperare in un minimo di comprensione, ma man mano che andava avanti con il racconto, si rendeva conto egli stesso di essere stato raggirato, e di aver praticamente condannato ad una morte atroce un essere che non avrebbe più potuto fare del male neppure ad una mosca.
 
“Mi dispiace” – aveva detto ai due, rivolgendosi principalmente a Dean – “So che ho sbagliato. Sono stato un vero idiota”.
“Ma davvero?” – era stato il commento sarcastico di Dean, ancora indeciso se massacrarlo di botte prima di ucciderlo o sparargli direttamente un colpo in testa.
“So di non suscitarti simpatia, ma ci tengo a farti notare che non sono stato l’unico qui a comportarsi come un cazzone nei confronti di Castiel”.
 
Dean avrebbe tanto voluto replicare, ma sapeva perfettamente di non averne alcun diritto. Era stata principalmente colpa sua se era successo tutto quel casino, lo sapeva bene, e avrebbe fatto meglio a tacere se voleva evitare di scatenare una guerra fra di loro.
 
“Castiel pende dalle tue labbra” – gli aveva detto François, ad un certo punto – “Non ha occhi che per te, Dean. E questa cosa è quasi inquietante. E’ una venerazione che va oltre la comprensione umana”.
 
Le parole del cacciatore avevano fatto prendere un colpo al Winchester, che prontamente si era girato verso il finestrino per evitare che i suoi due compagni di viaggio potessero vedere lo sgomento sul suo viso.
 
“Non ti sembra di esagerare?” – gli aveva detto, fingendosi indifferente.
 
“Cazzo, certo che no! Occhi blu mi ha chiamato ‘ Dean ‘ e mi ha …”.
 
Ma non aveva finito la frase, perché Ian aveva inchiodato di colpo, facendo balzare entrambi in avanti.
 
“Ma dico, ti è dato di volta il cervello??? Questa è la mia bambina!” – aveva urlato Dean ad Ian, mentre cercava di ricomporsi dopo quella frenata. Lo stesso stava tentando di fare François, che per il colpo aveva perso di mano il portatile, scivolato non si sa come sotto il sedile del pilota.
 
Ian, però, non aveva risposto. Senza dire una parola, aveva continuato a tenere lo sguardo fisso davanti a sé, incapace di muovere anche solo un muscolo.
 
“Ian, ma che cazzo fai? Vuoi che ci vengano addosso? Togliti subito dalla strada!” – gli aveva ripetuto Dean, in preda ad una crisi di nervi – “Togliti porca puttana!”.
 
“Io l’ho visto” – aveva detto il ragazzo, ancora incapace di articolare bene i suoni – “E’ lì. E’ proprio lì” – e aveva indicato un punto davanti a sé.
 
A quel punto, ai due non era rimasto che guardare nella direzione indicata dal ragazzo, rimanendo a loro volta senza parole.
 
“Ma che…”.
 
“Logan” – aveva detto Ian con un filo di voce – “Quello è Logan”.
 
I tre cacciatori avevano di fronte a sé una delle anime scampate al Purgatorio.
 
Continua…
_______________________________________________________________________________________________________________

RIECCOMIIIII!!!
Mamma mia che ritardooooo!!! Scusateeee!!! Ho concentrato tutte le mie energie sulla storia riguardante Merlin, finendola per giunta, e di conseguenza ho tralasciato questa e l’altra fic su Dragon Ball. Per di più, aggiornare dal mare dai computer altrui è stato impossibile, visto che ero convinta di aver postato questo capitolo invece così non è stato! =(
Ma eccomi qui, anche se con un ritardo immenso. Credevate di esservi liberate di me, eh?? E invece no! U.U
Porca miseria che incontri! Che vorrà quel bastardo di Crowley da Cass e Colin? E Logan che è apparso ad Ian, Dean e François??? Non sto più nella pelle!!*.*
Ovviamente, scopriremo tutto nei prossimi capitoli!
Un bacio enorme!
Buone vacanze amiche mie!
Bacioni
Cleo

Ritorna all'indice


Capitolo 40
*** Rivelazioni ***


Rivelazioni


Non era una cosa plausibile. Assolutamente, non poteva essere definita come tale. Quello che aleggiava davanti ai loro occhi atterriti non poteva affatto essere Logan. Se davvero fosse stato lui, ciò avrebbe significato che la sua anima aveva trovato dimora in Purgatorio, e il nostro Ian era più che certo che se ci fosse qualcuno meritevole del Paradiso, quello era proprio Logan.
Senza troppe esitazioni, ma con il cuore in gola, il moro cacciatore, l’uomo di ferro, era sceso dall’auto, lasciando la portiera aperta. Inutili erano state le urla dei suoi amici che lo avevano pregato di attendere. Inutile era stato il tentativo di Dean di fermarlo. Era più che deciso a fare chiarezza su quella faccenda, perché se davvero si trattava dell’anima di colui che gli aveva fatto da padre, aveva tutte le intenzioni di scoprire cosa gli fosse capitato, di capire per quale assurdo destino il suo spirito non avesse avuto la destinazione che il cacciatore era certo meritasse.

“Logan!” – lo aveva chiamato a voce piena, mostrandosi fiero e forte, proprio come egli gli aveva insegnato ad essere – “Sei davvero tu?”.

Lo spirito era avanzato come qualunque altro spirito, scomparendo e riapparendo in una frazione di secondo davanti al ragazzo a cui aveva fatto da padre.
Il suo viso non era più il viso che egli conosceva così bene. Era un viso scarno, spaventato dagli orrori cui era stato testimone. I suoi occhi erano dilatati e rossi, e le sue labbra erano spaccate, e quasi piegate in una smorfia di dolore insopportabile.

“Ragazzo mio…” – aveva detto, con la voce di chi non proferiva parola ormai da tempo – “Ragazzo… Finalmente ti ho trovato”.
“Mi hai trovato?”.

Ian era sempre più confuso. Davvero non riusciva a comprendere il vero significato di quelle parole. Perché Logan lo stava cercando? Era stato un cacciatore, sapeva fin troppo bene che trascorrere troppo tempo nel mondo dei vivi poteva mutare radicalmente la natura di uno spirito, fino a renderlo una bestia crudele e senza scrupoli.

“Ian, che cazzo vuole questo? Sta attento!” – lo aveva messo in guardia Dean, portandosi al suo fianco. Non poteva permettersi di perdere un altro alleato, e soprattutto non poteva permettersi di perdere un altro amico.
“Lui non mi farebbe mai del male. Di questo sono certo. Ti farebbe mai del male, tuo padre?” – gli aveva chiesto, con aria quasi di sfida.

Così, deciso a scoprire quello che Logan volesse dirgli, Ian gli aveva rivolto un’altra domanda, sperando di avere finalmente una risposta chiara.

“Che vuoi dire, Logan? Perché mi cercavi? Perché sei finito in mezzo alle anime purganti?”.
“Perché quello è il posto che mi è stato designato”.

Non riusciva ad accettarlo. Logan aveva fatto solo del bene in vita sua! Perché era stato condannato a tutto ciò?
Era ingiusto. Terribilmente, crudelmente ingiusto.

“Ma…”.
“Non è il momento per pensare a questo, ragazzo. Dovete stare attenti. Loro sono ovunque, e ci stanno osservando” – aveva detto, solenne.
“Loro chi? Di chi stai parlando?” – gli aveva chiesto Dean.
“I Leviatani. Loro vogliono controllare il mondo. Vogliono divorare ogni essere umano fino a sterminare la nostrarazza. Vogliono che il mondo diventi solo loro. E poi, vogliono distruggere anche quello”.

Purtroppo per lui, Ian aveva sperato invano fino all’ultimo che Logan non fosse un ambasciatore di sventure.

*

“Che diavolo vuoi?” – gli aveva chiesto bruscamente Colin, parandosi davanti a Castiel. Il ricordo del racconto dell’ex-angelo era ancora vivo in lui, e non poteva dimenticare l’orrore e la paura negli occhi e nella voce dell’amico mentre rivangava quell’evento così nefasto. Sapeva bene di non avere alcuna possibilità di farla franca con un demone, e soprattutto non con un demone di quel calibro, ma non gli avrebbe permesso di fare del male a Castiel. Perlomeno, gli avrebbe dato il tempo di scappare se Crowley avesse deciso di ucciderlo.

“Che scortesia occhi blu! Si può sapere che cosa ti ho fatto, ragazzino?” – Crowley aveva mosso qualche passo verso di loro, sorridendo sarcastico. Sapeva benissimo cosa aveva fatto, e ne andava fin troppo fiero - “Micino, vorresti dire al tuo amico di abbassare la guardia? Che senso ha prendersela tanto per una cosa che non lo riguarda neppure, poi!”.
“Non osare dire che non mi riguarda lurido pezzo di…”.
“Lascia stare Col” – lo aveva ammonito Cass, facendosi coraggio e posandogli una mano sulla spalla a mo’ di conforto – “Lui è fatto così. Va e viene, e lo fa solo per prendersi ciò che vuole”.

Gli occhi di Cass non si erano staccati neanche per un istante dal volto furbo di Crowley. Sapere che voleva qualcosa era un conto, ma intuire di cosa si trattasse era tutt’altra faccenda.

“Mi conosci bene, gattino… Davvero bene! Complimenti!” – e aveva preso un volume rilegato in pelle tra le mani, cominciando a sfogliarlo con disattenzione – “Ma non è il momento adatto per perdersi in convenevoli, non trovate? Sono qui per discutere di affari. E credimi, gattino, avrei preferito parlare con te da solo, ma visto che questo ragazzino si è preso una bella cotta per te e non fa che seguirti come se fosse la tua ombra, non ho potuto fare a meno che coinvolgerlo”.

A quell’affermazione, il povero Colin, preso completamente alla sprovvista, era arrossito violentemente, non riuscendo a fare in modo che Castiel non lo notasse.

“Ma che cosa stai dicendo?” – aveva chiesto Cass a Crowley, piegando la testa di lato come era solito fare quando non era in grado di comprendere qualcosa – “Che cosa sta dicendo Col?”.

“Niente di importante micino mio! Avrete un sacco di tempo per discutere sulle faccende di cuore! Ora, se volete scusarmi, avrei da fare, quindi, se vi è di troppo disturbo, gradirei che veniste con me in un luogo decisamente meno noioso e silenzioso per poter discutere tranquillamente di affari”.
“E chi ti dice che verremo con te?”.

Proprio in quel frangente, la bibliotecaria si era fatta nuovamente viva, stavolta con l’intenzione di cacciare fuori i due ragazzi maleducati e l’uomo dal soprabito nero che si era unito a loro.

“Ora basta! Fuori di qui, tutti e tre! Questo è un luogo di silenzio e voi…!”.

Ma non aveva finito la frase, perché che un solo schiocco delle dita, Crowley le aveva torto il collo, facendola stramazzare al suolo come una bambola di pezza.

“Oh mio Dio! Oh mio Dio! L’ha uccisa! Cass, l’ha uccisa!” – Colin era troppo sconvolto per pensare lucidamente. Aveva appena visto una donna morire, e forse, anzi, quasi sicuramente, era anche colpa loro.

“Sta attento occhi blu a come nomini Dio” – lo aveva ammonito il demone, guardandolo dritto negli occhi – “Dopotutto, il nostro amico qui era pur sempre un angelo”.

*


Dean non credeva che quello fosse possibile. Ne aveva visti di adesivi incollati sui lunotti delle macchine, ma dubitava di trovarne uno recante la scritta “fantasma a bordo”. Ma, purtroppo per lui e per il resto dei passeggeri, quello che era seduto sul sedile posteriore proprio accanto ad Ian, era un fantasma in carne ed ossa. O forse, sarebbe stato meglio dire in spirito ed ectoplasma.
Se c’era una cosa positiva in tutto quello era che finalmente era rientrato in possesso della sua bambina, e che François, seduto accanto a lui, non aveva pronunciato parola, continuando a guardarsi le spalle come se il fantasma ce l’avesse con lui e fosse venuto lì per ucciderlo da un momento all’altro.
Ian si trovava ancora in una fase di accettazione. Stava cercando di accettare che il suo papà surrogato fosse finito in Purgatorio e che la sua anima fosse una di quelle a cui stavano dando la caccia.
Come poteva avercela così tanto con lui il maledetto destino? Prima gli toglieva il padre, poi il fratello, poi l’uomo che lo aveva cresciuto per restituirglielo sotto forma di essere da rispedire al mittente.
Non riusciva davvero a trovare le parole giuste per formulare un qualsiasi tipo di domanda che potesse aiutarlo a risolvere quel rompicapo. Di certo, Logan faceva molta fatica a mostrarsi a loro, e lo avevano potuto notare dal fatto che ad intervalli piuttosto regolari la sua figura svanisse per qualche istante, proprio come un’immagine su di un vecchio televisore a cui era stata montata un’antenna difettosa.

“Allora… Logan!” – aveva esclamato Dean, ad un certo punto, cercando di rompere il ghiaccio – “Che cosa sai esattamente sui Leviatani? Come fai a sapere che ci stanno seguendo?”.
“Non ho detto seguendo, ho detto osservando. Loro sono ovunque, sono chiunque, e non hanno bisogno di seguirvi come dei cani per sapere quali sono le vostre mosse”.

‘ Ci mancava il fantasma puntiglioso ‘ – aveva pensato Dean, roteando gli occhi al cielo.

“Perfetto! Ci mancava solo l’esercito di masticoni sparso per la terra! Complimenti Matt Groening!”.
“Chi?” – gli aveva chiesto François.
“Oh, davvero non sai chi è…? Andiamo amico! Stai scherzando?”.
“E perché dovrei? Io…”.
“Non è questo il momento di scherzare, ragazzo!” – aveva tuonato Logan, e in quell’istante la macchina aveva accelerato all’improvviso, e senza che Dean facesse qualcosa a riguardo.
“Ehi! Ehi! Sta calmo bello! Non combineremo molto se ci farai finire spiaccicati sull’asfalto! Torniamo al dunque, perché ci sorvegliano, e come fai a saperlo?”.

Ian era grato a Dean per quello che stava facendo. A volte, anche l’uomo di ferro può cedere di fronte a qualcosa che non si aspetta.

“Loro vogliono controllare il mondo” – aveva ripetuto Logan – “E poi vogliono distruggerlo”.
“Sì, questo lo abbiamo capito. Ma perché? E come? E, soprattutto, tu come fai a saperlo?” – lo aveva incalzato Dean.
“Io li ho sentiti. Tutti li abbiamo sentiti. Mentre scontavamo le nostre pene in Purgatorio. Credetemi, non è il posto che pensate voi tutti. E’ molto, molto peggio. Vi dimorano le bestie più crudeli. La Madre che avete conosciuto era solo una di esse. Ma i Leviatani… i Leviatani sono a capo di ogni cosa, e non vedevano l’ora di tornare sulla Terra per distruggerla”.
“Ma perché?” – aveva chiesto François, ritrovando un po’ del suo coraggio – “Che cosa vogliono esattamente?”.

Prima di rispondergli, Logan lo aveva osservato a lungo, per poi rivolgergli parole molto dure.

“Io so chi sei tu. Io ti ho visto. Tu hai dato loro l’angelo. Sei stato tu a consegnare ai Leviatani l’angelo Castiel”.

Il cacciatore non aveva osato replicare. Sapeva perfettamente di aver sbagliato, proprio come sapeva di non potersi giustificare in nessun modo.

“Questo non ha più importanza” – aveva detto Ian, con voce sicura – “Lui è dalla nostra parte, adesso. Vuole rimandarli indietro, proprio come noi”.

L’espressione di Logan era mutata ancora, diventando ancora più cupa e smarrita.

“Tu vuoi mandarmi via, non è vero? Vuoi rispedirmi in quel buco, non è vero?”.
“Logan, io…”.
“Ti ho cresciuto! Io ti ho cresciuto e tu vuoi mandarmi via!”.
“Non è lui a volerlo fare” – era intervenuto Dean, serio – “Sai che questo non è più il tuo posto. E fidati, stai parlando con uno che sa quello che provi. Ho trascorso decenni all’Inferno, e posso assicurarti che ho sperato in ogni singolo istante che qualcuno venisse a salvami. Ma sai meglio di me che questo non è più il tuo posto e, a meno che qualcuno lassù non decida che è arrivato per te il momento di ritornare fra i vivi, dovrai tornare laggiù”.
“Le tue parole sono pesanti come macigni, ragazzo” – si era lamentato Logan – “Forse, il tuo amico angelo…”.
“Come ben sai non è più un angelo e non è neppure più mio amico. Oh, e piccolo particolare, si trova in mano ai Leviatani, come ci hai fatto notare”.
“Ti sbagli” – lo aveva corretto Logan – “Lui non è più con i Leviatani. Lui non gli interessa più”.

*


Colin, Cass e Crowley erano usciti dalla biblioteca, per recarsi in un luogo più “appartato” dove poter discutere. La scelta era ovviamente stata effettuata da Crowley, che aveva designato come luogo della riunione un vecchio magazzino abbandonato.

“Interessante location…” – aveva borbottato Colin, guardandosi attorno spaurito.
“Sono fin troppo avvezzo a posti come questo” – aveva commentato Castiel – “Tu non sai quanto male ho fatto celato da mura identiche a quelle che stai osservando”.

“Ma come siamo nostalgici!” – Crowley era apparso qualche minuto dopo di loro, con in viso stampato il suo solito sorriso malvagio – “Allora, cosa posso offrirvi? Un po’ di cognac? O preferite, che so, della limonata? Eh, bambini miei?”.

Colin non sopportava il fare provocatorio di quel demonio. Li trattava come se fossero due mocciosi, e se nel suo caso poteva anche essere vero, non di certo lo era per Castiel. Il fatto che lui non avesse più i suoi poteri non lo autorizzava a comportarsi come se fosse un lattante.

“Ho accettato di seguirti solo per sentire ciò che avevi da dirmi. Parla Crowley. O andrò via da qui”.
“Oh! Davvero? Tu andrai via da qui? E come pensi di fare? Pensi di poter andare via a tuo piacimento come quando avevi le tue belle ali? Eh? Vorresti fare così?”.

Le parole di Crowley avevano ferito profondamente l’ex-angelo, che aveva gli occhi rossi di rabbia.

“Tu godi del dolore altrui. Tu…tu sei…”.
“Un mostro? Uno scherzo della natura? Sappi, micino, che ora come ora non sei molto diverso da me!”.

Purtroppo per lui, Crowley aveva ragione.

“Bene, ora che ho catturato la vostra attenzione, vorrei mettere in chiaro un paio di cosette. Giusto per metterci una buona volta l’anima in pace. O almeno, questo vale per chi un’anima ce l’ha ancora. Bene! Mettiamoci comodi! Ci sono un bel po’ di cose di cui dobbiamo discutere”.

E i due poveri malcapitati si erano seduti su due poltrone portate lì per l’occasione, cercando di mantenere il più possibile la calma, o una parvenza di essa.

“Amici miei! Vi rinnovo il benvenuto, e vi ringrazio per l’attenzione. Non indugiamo ancora, e cerchiamo di fare l’ordine del giorno. Credo che sia più che ovvio il perché di questa riunione a cui presiedono tre poveri diavoli!” – detto ciò, aveva preso una lunga pausa, camminando avanti e indietro fra le tre poltrone – “Leviatani” – aveva poi asserito – “Voracissimi Leviatani”.

A quanto pare, anche il vecchio re degli incroci temeva le creature rinchiuse in Purgatorio. La cosa che era apparsa davvero strana a Castiel, però, era stato il fatto che non ci fossero altri demoni lì nei paraggi. Che fine avevano fatto gli scagnozzi del nuovo re dell’Inferno?

“So cosa ti starai chiedendo, micino. Che fine hanno fatto i miei leccapiedi! Bè, ti informo che sono in giro ad occuparsi delle bestie dai denti aguzzi. Loro si credono furbi, ma non sanno che noi demoni lo siamo almeno quanto loro”.

Se Crowley era convinto di una cosa del genere evidentemente aveva le sue buone ragioni. Cass e Colin erano però curiosi di sapere quali fossero.

“E so anche quale sarà la vostra prossima domanda! Questo gioco non è poi tanto divertente, sapete?”.
“Un gioco?” – aveva chiesto ad un certo punto Colin, al limite dell’esasperazione per l’impertinenza del demonio che si trovava davanti – “Per te tutto questo non è altro che un gioco? Ci sono in gioco miliardi di vite, vogliono divorarci come spiedini, e tu pensi che sia un gioco?”.

Era talmente furioso da essere scattato in piedi, sotto lo sguardo sorpreso e preoccupato di Castiel e sotto quello stupito e divertito di Crowley.

“Mamma mia occhi blu, che tempra! Che coraggio! Chi l’avrebbe mai detto? Tu l’avresti mai detto, Castiel?”.
“Basta giocare Crowley. Dicci cosa vuoi da noi. Perché se non ci hai ancora uccisi c’è di certo una ragione, e ho come l’impressione che sia io la causa principale di questo tuo interesse”.

A quel punto, il re dell’Inferno aveva indurito il proprio sguardo, sedendosi pesantemente sul bracciolo della poltrona su cui si era accomodato Castiel.

“Che razza di modo di discutere di affari! Ma se è questo che vuoi… Dunque, ti sarai chiesto perché il caro vecchio François sia stato così gentile da giocarti quel brutto tiro e usarti come regalino di benvenuto per i Leviatani, no?”.
“Certamente, ma credo di avere già la risposta in merito. Aveva memoria di quello che gli ho fatto quando in lui albergava mio fratello, non è così?”.
“Però! Un punto per il gattino arruffato! E dimmi, ti sei anche spiegato perché ti hanno lasciato andare dopo averti lasciato qualche ricordino su quella bella pelle candida che ti ritrovi?”.

D’istinto, Cass aveva posato la mano su una delle orrende cicatrici che sfiguravano il suo corpo, rabbrividendo al solo pensiero di essere stato così vicino alla morte.

“Sei abbastanza informato per sapere quanto tutto questo mi stia tormentando. Non ho idea di quello che abbiano fatto con me, così come non so il perché mi abbiano lasciato andare, lasciandomi dei segni indelebili che mi ricorderanno in eterno l’orrore che ho subito”.

“Micino, sei diventato oltremodo melodrammatico! Chi l’avrebbe mai detto! Che ti prende? Cominci a provare quei fastidiosissimi sentimenti umani?”.

Il re dell’Inferno era davvero sorpreso di avere davanti a sé un Castiel così diverso da quello con cui aveva stretto un’alleanza. Doveva ammettere di preferire il vecchio, anche se l’aveva fregato, ma probabilmente, essendo così fragile, sarebbe stato decisamente più condizionabile a proprio piacimento.

“Proprio tu parli di sentimenti umani, re dell’inferno?” – aveva detto Castiel, guardandolo dritto negli occhi.
“Touché. Ma torniamo a noi! Dunque, dicevamo che ovviamente non hai la più pallida idea del perché ti sia stato riservato quel trattamento, no? Ebbene, io credo di sapere perché”.

Il silenzio che aveva seguito quell’affermazione era stato pesante come un macigno. Cosa sapeva Crowley? E soprattutto, come lo aveva scoperto?

“Vedi, micino, c’è una profezia che riguarda i Leviatani, profezia di cui ovviamente sono entrato in possesso, anche se solo in parte”.
“Che vuoi dire?” – aveva chiesto Cass, incuriosito.
“Voglio dire che è scritta su di una dannata tavoletta di argilla, e io sono in possesso solo di una parte di essa, un’altra è in possesso dei simpatici amici Leviatani, mentre la terza e ultima si trova chissà dove in questo vostro fottutissimo prezioso mondo. Che c’è di così difficile da capire?”.

Entrambi i ragazzi avrebbero voluto rispondergli a tono, ma essendo sua maestà così alterato, sarebbe stato meglio evitare di farlo arrabbiare ancora di più.

“Ora, stavo dicendo che sono entrato in possesso di un terzo della profezia, e sono anche a conoscenza di quello che c’era scritto sulla parte che è in possesso dei Leviatani. Non sapete che fatica ho dovuto fare per sottrarre colui che potesse leggerla alle grinfie dei Leviatani”.
“Hanno trovato un profeta e tu l’hai rapito?” – aveva chiesto Castiel, al limite dell’incredulità – “E chi è, se posso saperlo?”.
“Quante domande, micino! Comunque, se ci tieni a saperlo, non si tratta del tuo caro profeta Chuck! Di quell’idiota non c’è più traccia da quando tu e quei due bellimbusti avete fermato l’Apocalisse”.

L’ex-angelo era contento che Crowley non avesse trovato Chuck, ma si chiedeva allo stesso tempo che fine avesse potuto fare quest’ultimo. Possibile che fosse davvero svanito nel nulla?

“Comunque, dicevo che con grande fatica sono riuscito ad ottenere il dannatissimo profeta! Non sapete quanto siano difficili da trovare e da portare via, ragazzi miei!”.
“I profeti sanno di essere tali solo nel momento in cui sta per avverarsi la profezia. Ce n’è uno per ognuna di esse. Uno, e uno soltanto” – gli aveva risposto Cass, sereno.
“Ma che saputello! Mi spiace solo che non ci siano maestrine qui nei paraggi. Ti avrebbero dato davvero un bel voto”.

L’ironia di Crowley aveva davvero stancato Colin, che continuava a domandarsi perché tardasse tanto ad arrivare al dunque.

“Che cosa dice la profezia, Crowley?” – aveva ad un certo punto detto Castiel, diventato estremamente serio.
Il re dell’Inferno, allora, si era girato di scatto, posando entrambe le mani sui braccioli della poltrona e avvicinandosi pericolosamente a Castiel.
“Che per fermare i Leviatani occorre certamente il sangue di un angelo caduto”.

Entrambi i ragazzi erano rimasti senza fiato. Cosa voleva dire esattamente quella frase? Perché occorreva il sangue di un angelo caduto, e cosa significava esattamente? Cosa c’entravano i morsi dati a Castiel?

“Che razza di facce idiote avete tutti e due! Possibile che non capiate?”.
“Che c’è da capire?” – aveva chiesto Colin, al limite dell’esasperazione – “Cass è un angelo caduto, ma questo…”.
“No bambino mio, Cass non è un angelo caduto, Cass è l’ultimo angelo caduto presente sulla Terra, ed è l’ultimo angelo che ha avuto l’onore di vedere il Paradiso”.

L’orrore si era manifestato sul viso di Castiel in maniera così visibile da sconvolgere persino il povero Colin, che ancora cercava di darsi una spiegazione a ciò che aveva appena udito.

“Io… io… li ho…”.
“Sì micino, li hai uccisi tutti durante il tuo delirio di onnipotenza. Giuro che i miei occhi non avevano mai assistito a tanta crudeltà. Credo che neppure io avrei potuto fare di meglio”.

Si era sentito mancare. Era consapevole di aver fatto del male a molti dei suoi fratelli, ma in quel delirio non si era reso conto di aver sterminato tutta la sua famiglia. Di tutti i suoi fratelli, ormai nessuno era più in vita. Nessuno, neppure quelli che aveva amato con tutto il cuore.

“Ma non… non può essere… io…”.
“Fattene una ragione Castiel. Nell’istante in cui hai accettato tutte quelle anime dentro di te, sei diventato un mostro. E, come tale, hai fatto ciò che ritenevi più conveniente. Ma sta tranquillo… non tutti i mali vengano per nuocere!”.

Era troppo sconvolto per poter replicare o porre altre domande. Preferiva che Crowley parlasse da sé.

“Vedete, se ci fossero stati degli angeli in circolazione, sarebbe stato certo come il sole che si sarebbero impicciati di cose che non gli riguardavano, mentre ora, siamo liberi di agire come meglio crediamo”.

Non gli sembrava una motivazione sufficientemente supportata, ma avevano preferito tacere. Erano in una posizione di netto svantaggio, e se volevano sopravvivere dovevano stare buoni.

“Ma ancora non ci hai spiegato il perché dei morsi!” – aveva esclamato Colin.
“Più passa il tempo, più mi convinco di avere a che fare con due perfetti idioti… Ma non preoccupatevi: c’è papino qui, e cercherà di spiegarvi le cose nel modo più semplice possibile. Dunque, che cosa vi ho detto? Che per fermare i Leviatani serviva il…?”.

“Il sangue di un angelo caduto”- aveva risposto Colin.
“Esatto! E secondo voi, con tutti quei bei morsi rossi e lucenti, cosa hanno fatto?”.
“Lo hanno infettato” – aveva risposto Castiel, dopo una lunga pausa di riflessione – “Hanno infettato il mio sangue”.
“Bingo micino mio. Sapevo che riflettendoci ci saresti arrivato senza problemi”.

A quel punto, però, Colin non era più riuscito a trattenersi. Lo sgomento era troppo per poter passare inosservato.

“Ma… ma se hanno infettato il suo sangue… E se lui è l’ultimo angelo caduto sulla Terra vuol dire che noi… che noi non possiamo fermarli?”.

Quella constatazione era stata come una doccia fredda. Castiel si era gelato, rimanendo immobile come una statua. Davvero non c’era più niente da fare?

“Micini miei, se non avessi un’alternativa, secondo voi mi sarei scomodato tanto?” – aveva detto Crowley, sorridendo sornione ed estraendo una piccola boccetta di vetro dalla tasca del cappotto, mostrandola trionfante ai due ragazzi.
“Queste, sono le ultime gocce del sangue pulito di Castiel, raccolto con grande cura durante il nostro ultimo incontro! Andiamo piccolino, non credi davvero che io volessi attentare alla tua virtù? Anche se, in effetti…”.
“Vai avanti, e dicci cosa vuoi da noi” – aveva tuonato ad un certo punto Castiel, furioso per essere stato spaventato inutilmente.
“Voglio che voi troviate l’altra parte della profezia” – era stata la risposta di Crowley – “E voglio che tu tenga d’occhio Cass, occhi blu. Lui non è solo l’ultimo angelo caduto sulla Terra, ma è anche colui che ha aperto il passaggio verso il Purgatorio e che ha liberato i Leviatani. Sono quasi certo che una parte della Profezia ci dirà che dovrà essere lui ad ucciderli”.

Continua…
_______________________________________________________________________________________________________________

E rieccoci!
Ho notato che purtroppo lo scorso capitolo non ha riscosso successo. Le vacanze estive sono un dilemma, purtroppo! Ma io non demordo. Non ho mai lasciato una fic incompiuta, e mai lo farò! U.U
Sto davvero iniziando a mettere i puntini sulle i, come avrete notato. I misteri si stanno svelando uno alla volta. Sono fiera di me! XD
Spero di non incasinarmi, arrivata a questo punto.
Come avrete notato, ho fatto sì che Cass uccidesse tutti gli angeli, durante il suo delirio. I suoi sensi di colpa aumentano! E poi era per fini narrativi! ;p
Insomma, direi che le novità sono state scottanti! E dovrete vedere il resto!
Spero di aggiornare presto, e che questo capitolo vada meglio!
Grazie in ogni caso!
Bacioni
Cleo

Ritorna all'indice


Capitolo 41
*** Meraviglie della tecnologia ***


Meraviglie della tecnologia


Dean, Ian e François stavano ancora cercando di elaborare il resoconto che aveva fatto loro lo spirito di Logan. Il fantasma aveva cercato di spiegargli le cose in maniera più chiara ed esaustiva possibile, nonostante la rabbia per il destino che lo avrebbe atteso se tutto fosse andato come doveva andare.

Stando a ciò che aveva loro raccontato, Castiel non si trovava più con i Leviatani. Il loro amico era stato trattenuto da questi ultimi solo per poche ore, per poi essere abbandonato come un cane fastidioso. Purtroppo, di lui si erano perse subito le tracce, e nonostante i numerosi tentativi, Logan non era stato in grado di ritrovarlo.

“E’ come se fosse celato ai miei occhi” – aveva asserito, pensieroso – “ non riesco a capire il perché. A volte è come se fosse lì, davanti a me, ma poi non riesco a vederlo”.

Questa ultima notizia aveva fatto finire nel pallone il cacciatore con il viso decorato dalle efelidi. Castiel era sparito chissà dove, e se neanche un fantasma era in grado di trovarlo, dubitava che potessero farlo loro. Maledizione, ma che poteva essergli capitato? Come poteva un fantasma perdere le tracce di qualcuno?

“Quindi tu non hai davvero idea di dove possa essere?” – gli aveva chiesto, fingendo indifferenza in maniera piuttosto maldestra: si vedeva lontano un chilometro quanto fosse ansioso.
“Purtroppo no. Ti confesso che la cosa mi ha lasciato piuttosto perplesso. Voglio dire, è vero che non mi sono ancora abituato del tutto a spostarmi in questa forma, ma con i Leviatani, ad esempio, non ho avuto alcun tipo di problema. Loro non riuscivano a percepirmi, a quanto pare, e sono riuscito ad approfittarne per scoprire ciò che stanno tramando”.

A quel punto, aspettavano solo che Logan dicesse loro di cosa si trattava. L’argomento Castiel non era ancora chiuso, ovviamente, ma non avendo altre informazioni a riguardo, fare congetture sarebbe stato momentaneamente molto inutile.

“Che altro sai?” – Ian sembrava aver riacquistato sicurezza. Riusciva a guardarlo negli occhi e a tenere la testa alta davanti a lui. Dean si chiedeva come avrebbe reagito se fosse capitato a lui di trovarsi davanti agli occhi il fantasma di Bobby. Ma, probabilmente, sarebbe stato meglio non pensarci: sperava con tutto il cuore che il suo padre surrogato campasse cent’anni.

“Dovete sapere che, al contrario di quello che molti pensano, c’è un modo per uccidere i Leviatani” – aveva detto Logan, serio, attirando l’attenzione dei ragazzi – “E che il modo per distruggerli è descritto in una profezia”.
“In una profezia?” – aveva commentato sarcasticamente Dean – “Ma tu pensa che fortuna! E dove la troviamo questa profezia?”.
I tre cacciatori stavano prestando il massimo dell’attenzione. Se esisteva davvero un modo per fermare quei bastardi, bè, loro lo avrebbero trovato e messo in atto, a qualunque costo.
“Esiste una tavola di pietra antica, molto antica. Essa risale a più di duemila anni orsono, e su di essa vi è impresso in caratteri che solo il prescelto può comprendere il modo per ricacciare indietro le bestie che Dio stesso rinchiuse in Purgatorio”.
“E ti pareva che non serviva pure il profeta? Continua, ti prego… Sentiamo quali saranno le altre cazzate che ci complicheranno la vita!”.
Logan non era molto felice di queste continue interruzioni dovute alle battute pungenti di Dean, ma aveva preferito sorvolare, continuando con il suo racconto.
“Vedete, il destino ha voluto che la tavola di pietra non fosse integra, e che i Leviatani avessero trovato solo un terzo di essa. Ovviamente, si sono sparsi per il mondo alla ricerca delle altre due parti, ma fino ad ora non hanno trovato niente. La cosa curiosa, però, è stata la scomparsa improvvisa del profeta che erano riusciti a rintracciare. Quel poveretto non è altri che un ragazzino, un certo Kevin qualcosa, che non sapeva neppure cosa fosse un Leviatano. Avreste dovuto vederlo, povero disgraziato. Era terrorizzato. Quei bastardi hanno minacciato di divorare tutta la sua famiglia se non avesse acconsentito a leggere e tradurre loro quello che diceva l’iscrizione. E alla fine, siamo giunti ad una scoperta”.
A quel punto, erano davvero con il fiato sospeso.
“Per uccidere un Leviatano, occorrono il sangue di un angelo caduto, l’osso di un uomo retto, e il sangue di altre due creature, anche se non abbiamo idea di chi possano essere, perché la parte di tavoletta di cui erano in possesso era la più piccola e di conseguenza quella che conteneva meno informazioni”.

Finalmente, tutto era chiaro. I cacciatori, avevano finalmente scoperto perché i Leviatani avevano voluto con tanto ardore che François consegnasse loro Castiel.

“Volevano il suo sangue quei bastardi” – aveva detto Dean – “Volevano il suo sangue in modo da distruggerlo”.
“Esattamente” – aveva commentato Logan – “Lo hanno morso centinaia di volte per infettarlo. Ora, a meno che non conosciate un altro angelo caduto, siamo nei guai ragazzi. Perché non so davvero come potremmo fare a fermarli”.

*


Billy Bush era arrivato a casa di Bobby Singer nel tardo pomeriggio, quando il sole era ormai calato già da tempo e l’aria fredda della sera aveva già fatto capolino.
Il vecchio cacciatore aveva accolto l’amico con grande entusiasmo, scherzando con lui come solo poche volte si concedeva di fare.
Billy non era molto diverso dal nostro Bobby: entrambi avevano la stessa età e la stessa corporatura, con la sola differenza che Billy non portava la barba e che i suoi occhi erano scuri e profondi.

“Ti vedo in forma, vecchio mio!” – aveva esclamato Billy, dandogli una sonora pacca sulla spalla.
“Puoi ben dirlo! Tu mi sembri tutto rinsecchito invece… Che c’è, qualche altra storia d’amore con una simpatica vampira?”.

Nonostante fossero trascorsi secoli, Bobby non smetteva di prendere il giro l’amico per una piccola “svista” presa per una donna che succhiava il sangue in maniera letterale. Ma si sa: anche i migliori possono sbagliare.

“Per carità! Mi basta mia moglie come sanguisuga!”.
Billy era uno dei pochi cacciatori che era stato così fortunato da avere una famiglia. Anche sua moglie Sandra era una cacciatrice, ed era una di quelle toste, una di quelle che aveva allevato i figli, Nicolas e Jules, a non avere paura dei mostri dentro all’armadio.
“Come sta la nostra Sandra?” – aveva chiesto Bobby, premuroso.
“Quella donna è incredibile! Ha energia da vendere! Appena ha saputo di questo casino con i Leviatani e le anime si è messa subito all’opera con i ragazzi, escogitando un piano davvero niente male per tenere a bada le anime purganti”.

Bobby era davvero incuriosito.

“Di cosa si tratta?”.
“Si è resa conto che mettersi alla ricerca di tutti i resti di quei poveri disgraziati e dargli fuoco era un’impresa folle, e allora ha provato ad attirarne una decina in un vecchio casolare – fidati, è più semplice di quello che pensi visto il sovraffollamento che c’è di recente – intrappolandoli lì dentro. Credimi, quel posto è a prova di fuga, ed ora come ora è strapieno. Ti dirò, i fantasmini all’inizio erano piuttosto incacchiati, ma grazie alle doti di mia figlia siamo riusciti a tenerli a bada e a… farli ragionare!”.

Jules, la figlia di Bobby, era una medium. Ma non una di quelle che leggono nella sfera di cristallo, sia ben chiaro. La ragazza, piuttosto timida all’apparenza, era invece una che sapeva il fatto suo, e che più di una volta aveva aiutato suo padre ad uscire da situazioni impossibili.

“A quanto pare, tua figlia ha doti venatorie oltre che extrasensoriali!”.
“Puoi dirlo forte amico! Lei sì che sa come si parla ai defunti!”.
“Ed ora, che fanno?”.
“Aspettano!” – aveva risposto Billy, buttando giù mezza bottiglia di birra – “Jules ha spiegato loro che non possono stare qui, e che devono intraprendere il loro percorso verso il Paradiso! Ti dirò amico, all’inizio pensavo che fossero stronzate, ma poi, sentendola parlare in quel modo, mi sono reso conto che sa molte più cose di quelle che lascia intendere. Quella ragazza mi fa paura, a volte!”.

Nonostante condividesse i timori del suo amico, non poteva non essere curioso di sapere ciò che Jules era in grado di vedere e che invece era celato a tutti gli altri. Avrebbe voluto sapere cosa c’era oltre, anche se non lo avrebbe mai ammesso apertamente.

“Quindi anche tu credi che ci sia un modo per rispedirli al mittente?” – aveva chiesto Bobby.
“Certo che sì! Ricordi? Quello che esce, deve pur tornare indietro da dove è venuto in qualche modo!”.
“Ma come faremo? Voglio dire, non si tratta solo di anime che vagano per l’America! Sono in tutto il globo! Europa, Asia, Africa, Oceania… Come facciamo a rintracciarle tutte?”.
“E’ qui che viene il bello, amico mio! – aveva esclamato Billy, balzando in piedi dalla poltrona – “Hai un computer e una webcam?”.
“Eh? Sì sì… ma a che ti servono adesso?”.
“Tu dammeli e basta!”.

In poche abili mosse, non senza qualche lamentela per la lentezza della connessione e per la tecnologia obsoleta di cui Bobby si ostinava a servirsi, Billy aveva fatto accesso ad un programma che il proprietario di casa non sapeva neppure di avere, sorprendendolo così per la quella che sarebbe stata la seconda volta di quel giorno.

“Che diavoleria è questa?” – aveva chiesto.
“Oh Bobby, davvero non hai mai usato Skype? Vecchio mio, sei messo peggio di quanto pensassi!”.
“Fai meno il saputello! A che serve?”.
“Serve… Esattamente… A questo!”.

Un attimo dopo, era collegato con decine e decine di persone di nazionalità diverse che parlavano lingue diverse. Persone di tutte le parti del mondo.

“Ma cosa…?”.
“Ti presento i miei contatti, Bobby. Loro sono i capogruppo di cacciatori di tutto il mondo. Lui è Marco, da Roma, Tom da Londra, Juan da Madrid, Akira da Tokyo, Fernando dal Messico e via dicendo… Loro hanno messo in atto l’idea di mia moglie. In questo momento, centinaia di cacciatori di tutto il mondo stanno intrappolando le anime in attesa di rispedirle a casa. In attesa che tutto questo finisca”.

Bobby Singer non riusciva davvero a credere ai suoi occhi.

*


Arrivare all’ordine del giorno era stato automatico per Logan e per i ragazzi. Stabilire che la priorità era diventata entrare in possesso delle parti mancanti della profezia era d’obbligo, così come mettersi a cercare un altro angelo caduto, e capire dove diavolo trovare quest’osso di un uomo retto.
François aveva ricevuto il compito di individuare ritrovamenti archeologici recenti, e si era messo subito all’opera, sperando che la ricerca avesse dato dei frutti immediati.
Ian avrebbe cercato l’osso, mentre Dean doveva occuparsi di recuperare il sangue dell’angelo caduto. Logan avrebbe dovuto svolgere forse il compito più difficile: capire che fine avessero fatto Castiel e Kevin, il profeta.
Ovviamente, per prima cosa, avrebbero dovuto trovare un motel dove poter riporre i bagagli e dover poter fare capo.
Erano ormai quasi arrivati ad uno svincolo, quando il cellulare di Dean aveva preso a squillare.

“Bobby!” – il cacciatore era felice di sentire il suo mentore, nonché ansioso di raccontargli quello che aveva scoperto! Non sapeva, però, che Bobby aveva notizie altrettanto sensazionali da comunicargli.
“Ehi! Ehi! Di che cavolo stai parlando? Eh? Cacciatori di tutto il globo? Skype? Stai usando Skype? Bobby, che ti sei bevuto?”.
“Che vorresti dire razza di cretino?? Ah! Faremo i conti, dopo! Senti, qui la situazione delle anime si sta risolvendo a poco a poco! I cacciatori di tutto il mondo sono all’opera, e ti posso assicurare che sono straordinari, figliolo! Davvero straordinari!”.

Anche se in maniera un po’ confusa per via della sovraeccitazione, Bobby aveva spiegato a Dean quello che era capitato, lasciandolo a dir poco senza fiato. Era stata davvero un’idea geniale.

“Che colpo di genio! Anche se non dovessimo imprigionarle tutte, sarebbero comunque in larga parte sotto controllo, e non darebbero problemi! Nel frattempo le altre potremmo rispedirle indietro con il metodo classico! Complimenti a Sandra Bobby! Anche se non la conosco, già mi sta simpatica! E Jules poi… Chissà se…”.
“TIENI Giù LE TUE ZAMPACCE DA MIA FIGLIA, SCIUPAFEMMINE!”.

Quella era stata la risposta di Billy al commento di Dean, che stava maledicendo Bobby per non averlo avvertito di essere in vivavoce.

“Quindi tu vorresti provare a riaprire il portale?” – gli aveva chiesto.
“Sì! Dubito che i Leviatani torneranno a casa spontaneamente figliolo, ma per le anime credo che abbiamo qualche speranza. Certo, alcune avranno bisogno di una spinta, ma credo che Jules saprà come parlargli. E’ una ragazza davvero in gamba. E suo fratello, poi! E’ stato lui a contattare tutti quei cacciatori, e poi hanno cominciato a fare passaparola. Un vero genio!”.

Si sentiva un po’ trascurato, ma era certo che sarebbe stato meglio non fare il puntiglioso. Dopotutto, c’erano cose più importanti a cui pensare.

Subito dopo, era toccato a Dean raccontare loro quello che avevano scoperto.

“Logan è stato davvero un grande” – aveva detto – “E stando a quello che ci ha detto, crediamo che il resto della tavoletta sia sparso in un raggio di cento miglia. Non dovrebbe essere difficile trovarla, anche se con la fortuna che abbiamo, tutto è possibile”.
“E con il profeta?”.
“Per l’appunto. Quello è un vero guaio! Non riusciamo davvero a capire dove sia!”.
“Questo sì che è un problema… E… E Cass?”.
 Il lungo silenzio che aveva seguito quella domanda aveva fatto capire a Bobby che davvero non c’erano buone notizie a riguardo.
“Non lo sappiamo. Lo hanno preso, pare che lo abbiano infettato, e poi puff! Sparito nel nulla… E’ un guaio Bobby… Dimmi quale altro angelo caduto potrebbe essere così gentile da donarci il suo sangue! Dimmi poi dove lo trovo un altro di questi ex gallinacei sacri!” – si era lamentato, sbuffando.

L’anziano cacciatore stava riflettendo. Dopotutto, avevano in problema simile. A Dean serviva il sangue dell’angelo-caduto per fermare i Leviatani, mentre a loro serviva il sangue di una creatura del Purgatorio.

“Dean… Credi che serva del sangue fresco?” – aveva chiesto.
“Che vuoi dire?”.
“Che forse sarebbe il caso di togliere dal bagagliaio quello che vi hai nascosto tempo fa”.

Dean Winchester era diventato improvvisamente livido. Come faceva Bobby a sapere quello che sapeva?

“Ma tu…”.
“Oh, sta zitto! Lo so e basta! Tiralo fuori Dean! Per quanto sia incrostato, forse può esservi utile. Ci risentiamo, idiota!” – e aveva riattaccato.

“Che ti ha detto Bobby?” – gli aveva chiesto François, vedendolo così imbarazzato.
“Dopo vi spiego… Prima devo cercare di capire come ha fatto a… Bah! Lascia perdere!”.

Ma Dean non avrebbe lasciato perdere. Voleva capire come Bobby avesse scoperto che nel bagagliaio aveva nascosto gelosamente il trench sporco di sangue di Castiel.

Continua…
_______________________________________________________________________________________________________________

Salve!!
Sono stata brava eh? Tre aggiornamenti in una sola settimana! Quello di oggi in realtà non era previsto, ma è il compleanno di una delle mie “sorelle” e lettrici, e mi sembrava giusto ringraziarla così!
Tanti auguri cara!

E in occasione del compleanno di una di voi, il regalo è stato fatto a tutte! =) Spero siate contente!

Ora, ditemi se Billy e la sua famiglia non sono spettacolari! ;)
Sapete, ho sempre creduto che il “difetto” di Super fosse proprio la poca collaborazione che c’era con gli altri cacciatori. Capisco che sarebbe stato impossibile ampliare così tanto il discorso, e che le sciagure accadono a loro perché loro sono speciali, ma il mondo è grande, e non solo l’America è vittima di guai sovrannaturali. =)

Spero che vi sia piaciuto! E spero che vi sia piaciuto il finale.
Puoi dire quello che vuoi Dean, ma noi sappiamo bene come stanno le cose…
Sappiamo che nel tuo cuore c’è posto solo per Castiel!
Bacioni
Cleo

Ritorna all'indice


Capitolo 42
*** Compiti ***


Compiti

Castiel e Colin non avevano avuto molta scelta. Dopo il gentile reclutamento perpetrato da parte di Crowley, erano stati costretti da quest’ultimo a lavorare per lui, sotto sue precise indicazioni. La cosa peggiore, era che il re dell’Inferno aveva fatto capire loro che senza il suo aiuto non avrebbero mai trovato il modo per fermare i Leviatani, e purtroppo sembrava proprio che avesse ragione.
Di Dean non c’era traccia, e non aveva la più pallida idea di dove poterlo trovare. Certo, poteva sempre tornare a casa di Bobby, ma non ne aveva il coraggio. Preferiva continuare per la sua strada e lavorare per il mostro che una volta aveva tradito piuttosto che causare altro dolore ai suoi cari, piuttosto che causare dell’altro dolore a Dean. E poi, Crowley aveva precisato più volte che se non fosse stato per lui, sarebbe stato linciato da quel gruppo di cacciatori inferociti che avevano assistito al suo atto veramente poco eroico e decisamente molto egoista. Cass non riteneva di dover dimostrare gratitudine nei suoi confronti, ma non poteva neppure negare di non avere molta scelta, arrivato a quel punto.

Colin sembrava spaventato ed eccitato allo stesso tempo per l’avventura a cui stava andando incontro. Si rendeva conto dei rischi che avrebbe corso, ma allo stesso tempo avvertiva l’adrenalina scorrergli nelle vene, e aveva come la sensazione di aver già provato sensazioni simili ma di averlo dimenticato.
Quel Crowley non gli piaceva neppure un po’. Il suo modo di parlare, di rivolgersi a loro, di guardarli… Sembrava che volesse possedere Cass solo con la forza del pensiero. L’ex-angelo piaceva da morire a quel bastardo in cappotto. Aveva notato come Castiel si sentisse in soggezione in sua presenza, nonostante cercasse di fare di tutto per non farglielo notare. La priorità dell’ex-angelo era la sua incolumità, lo aveva capito, e la cosa non poteva non farlo gioire. Nessuno si era mai preso cura di lui in quel modo prima di allora.
Gli piaceva Castiel. Gli piaceva trascorrere del tempo insieme a lui. Aveva un sacco di amici, certo, ma nessuno era anche solo lontanamente paragonabile al neo-uomo. Nonostante fosse ancora estraneo a molte delle emozioni umane e a volte avesse qualche difficoltà a riconoscerle, era molto più chiaro, trasparente e sensibile di molte persone che Colin aveva incontrato nella sua vita. Castiel era semplice, gentile, premuroso. A volte, quando non era in grado di comprendere qualcosa, piegava la testa di lato in modo un modo così strano che lo faceva somigliare ad un gattino spaurito e ancora non avvezzo al mondo. In alcuni frangenti, invece, i suoi grandi occhi color del cielo sembravano contenere tutta la conoscenza del mondo, e sembrava quasi che cercassero di ricordare quello che egli era stato un tempo e cosa era stato in grado di fare.
Non doveva essere semplice trovarsi in quella situazione, ma lui non lo avrebbe abbandonato. Nonostante la mente dell’ex-angelo vagasse verso mete ostili, per il momento andava bene così. Finché avesse potuto, lo avrebbe tenuto solo per sé.

I due ragazzi erano partiti da qualche ora, ormai. Crowley voleva che trovassero l’ultima parte della profezia. Stando a quello che diceva la parte in possesso di quest’ultimo unita alla parte in possesso ai Leviatani, per fermali occorrevano il sangue di un angelo caduto, l’osso di un uomo retto, il sangue di una creatura del Purgatorio e il sangue del re dell’Inferno. Per il primo e per l’ultimo non c’erano problemi: il sangue di Cass e quello di Crowley erano stati reperibili, ma non sapevano bene cosa era questo “osso di un uomo retto”. Di certo, l’idea di profanare delle tombe di santi non allettava molto il povero Colin. Per quanto questa avventura lo entusiasmasse, gli sembrava una cosa a dir poco disgustosa. La cosa che preoccupava Castiel, era più che altro la deduzione che aveva fatto Crowley, e che riteneva quasi del tutto certa come la morte. Qualcosa gli diceva che sarebbe stato lui a dover affrontare i Leviatani in prima persona. Sperava solo che il resto della profezia gli dicesse come fare. Era quasi certo che avrebbe rischiato la vita per risolvere la questione, ma a quel punto non gli interessava più. Aveva causato troppo dolore per potersi permettere il lusso di tirarsi indietro.
Lo avrebbe fatto per Dean, Sam, Bobby e Colin. Per una volta, dopo tanto tempo, non voleva più fare niente per se stesso.

*


Ian avrebbe maledetto Dean fino alla fine dei suoi giorni. Era un cacciatore, era coraggioso e secondo molti non aveva paura di niente, ma in verità c’era una cosa che veramente non sopportava, e si trattava dei simpaticissimi, pelosissimi, enormi, orripilanti ragni. Purtroppo per lui, François aveva individuato una cripta in cui era stata sepolta una suora che nella sua vita aveva fatto solo opere buone, e secondo il Winchester, lei sarebbe stata la candidata perfetta per fornire il prezioso osso. Il problema è che questa cripta si trovava in una abbazia abbandonata, e penetrare al suo intero voleva dire attraversare una serie di ragnatele grandi come la tela di Penelope. Da una parte, ringraziava di essere andato da solo – non poteva di certo fare una così magra figura davanti agli altri – ma dall’altra avrebbe tanto voluto usare Dean come spolverino.

“Me la pagherai, prima o poi” – aveva asserito, avanzando cauto onde evitare di imbattersi in qualche sgradevole esserino ad otto zampe – “Me la pagherai cara, Dean Winchester”.

Era davvero singolare il modo in cui i ricordi continuavano a riaffiorare da quando aveva raccontato a Dean di suo fratello. Morgan lo aveva sempre preso in giro per questa sua fobia. Il suo adorato fratellino non capiva come fosse possibile che una persona coraggiosa come lui potesse aver paura di un esserino così piccolo e fondamentalmente innocuo. Era in momenti come quelli che avrebbe voluto averlo vicino, per sentire ancora la sua risata e vedere il suo viso splendere anche nelle situazioni più difficili. Gli mancava da morire. Ma aveva fatto di tutto per evitargli tutto quello, e avrebbe continuato a farlo. Era per il suo bene se lo aveva allontanato. Morgan doveva avere una vita normale. E potete stare certi che avrebbe fatto di tutto purché potesse averla.

Così, con grande fatica e con i nervi a fior di pelle, il nostro Ian era riuscito a raggiungere la cripta, trovando in un batter d’occhio la tomba di suor Mary.

“Suor Mary, ti sarei grato se non mi maledicessi per ciò che sto per fare” – aveva detto, mentre faceva cadere al suolo il pesante coperchio di pietra con l’aiuto di un piede di porco – “Dopotutto, ci stai aiutando a salvare il mondo”.

E, con sicurezza, aveva afferrato il femore sinistro, tirandolo fuori dal sepolcro.
Un istante dopo, però, un urlo spaventoso seguito da una serie di imprecazioni avevano riempito l’aria: sul femore, penetrato da una piccola apertura situata chissà dove, vi era un ragno grosso quanto il palmo di una mano. Il povero Ian, nel vedersi davanti quel mostro orrendo, per un attimo non era morto d’infarto, e aveva cominciato a scuotere il femore a destra e a sinistra, nella speranza di far cadere il mostro e poter uscire da lì al più presto. Fortunatamente per lui, non c’era voluto molto. Il ragno in questione non aveva intenzione di farsi uccidere per un nonnulla, evidentemente, ed era scivolato nel sepolcro, ritornando alla sua pace.
Inutile dire che il coraggioso Ian, l’uomo di ferro, era uscito dall’abbazia in meno di un minuto, stabilendo una sorta di record olimpico.

L’osso dell’uomo retto, o meglio, della donna retta, era stato recuperato, ma ad un prezzo che Ian non aveva calcolato. Ancora con il fiatone, si era diretto verso la macchina che aveva noleggiato, sentendosi finalmente al sicuro.

“Me la pagherai Dean Winchester. Puoi stare più che certo che me la pagherai”.

*


François stava letteralmente impazzendo a furia di fare ricerche su internet. Purtroppo per lui, nonostante il raggio d’azione in cui doveva cercare fosse decisamente ristretto, sembrava che in quel periodo tutti i reperti archeologici del paese avessero deciso di venire fuori in un solo colpo.
E il bello era che erano state ritrovate proprio una serie di tavolette, ma tutte integre, e soprattutto in lingue che gli esperti erano in grado di tradurre.
Il cacciatore cominciava a pensare che se fosse stata trovata da un archeologo i notiziari ne avrebbero parlato giorno e notte, perché appunto si trattava di una tavoletta recante una scritta sconosciuta ai linguisti di tutta America, e il fatto che nessuno ne avesse ancora parlato lo lasciava basito, facendogli pensare di conseguenza che non fossero stati loro a ritrovarla.
Ma, a quel punto, dove poteva trovarsi? Possibile che non esistesse una formula in grado di rintracciare le varie componenti? Forse, se avessero trovato il Profeta… Maledizione, come si faceva a sparire nel nulla non riusciva davvero a capirlo. Sparire sotto il naso dei Leviatani, poi! Un’impresa degna di spiderman!
A quanto sembrava, a lui era toccato il compito più complicato. Sperava solo che Ian e Dean avessero risolto il resto dell’enigma.

*


Aveva chiesto agli altri di lasciarlo solo. Era una cosa che voleva fare senza nessuno attorno. Era una sorta di rituale, di riscoperta di sé, di rivangare un passato che aveva cercato in tutti i modi di cancellare.
Dean Winchester si trovava da solo davanti al bagagliaio della sua bambina, cercando di stabilire il da farsi. Aveva nascosto l’oggetto che avrebbe dovuto recuperare sul fondo, in una busta fatta apposta per riporre i vestiti, sotto una serie di fucili e armamentari vari degni di un cacciatore come lui.
Per una volta, la sua mente non era concentrata su Sam. Per una volta, ogni sua singola cellula era indirizzata verso l’unico a cui non avrebbe voluto pensare, verso colui che aveva deciso di cancellare dalla sua vita.
Aveva preso un bel respiro, ma inutilmente, visto che non era ancora riuscito ad aprire il bagagliaio. Era troppo fresca la sua ferita, doleva ancora in maniera troppo intensa. Eppure, non riusciva a non immaginarselo da solo, spaventato e ferito, infettato dal veleno dei Leviatani. Forse, anche lui stava patendo il suo stesso dolore. Ma, allora, perché aveva deciso di tradirlo e lasciarlo da solo?

“Sei un figlio di puttana Castiel. Sei davvero un figlio di puttana” – aveva detto al vento, quasi con le lacrime agli occhi, mentre finalmente riusciva ad aprire il bagagliaio.

In poche abili mosse, il cacciatore aveva tolto tutto ciò che in quel momento era superfluo, trovandosi davanti all’oggetto dei suoi timori e nello stesso tempo dei suoi desideri.
Eccolo lì, nella famosa busta, il trench sgualcito e macchiato di sangue di Castiel.
Aveva esitato ancora una volta prima di prenderla in mano ed estrarne il contenuto. Si domandava ancora se avesse conservato l’odore che aveva l’ultima volta, l’odore dell’essere che lo aveva salvato, protetto e poi tradito.
E poi, lo aveva fatto. Dean aveva preso fra le mani il trench, e lo aveva avvicinato al viso, inspirandone a fondo l’odore. Era proprio identico all’ultima volta. Era ancora lì, fermo e immutabile, l’odore di Castiel.

“Sappi che non ti ho ancora perdonato, razza di gallinaceo sacro. Ma farò di tutto per trovarti. Farò qualunque cosa”.

Stavolta, quella di Dean non era una minaccia. Era una vera, autentica promessa.

*

Fortunatamente per lui, non doversi mostrare a chi gli stava attorno permetteva a Logan di risparmiare un sacco di energie, energie che stava utilizzando per cercare Castiel e il profeta. Purtroppo per lui, però, la ricerca era fino ad ora stata piuttosto infruttuosa.

I due continuavano ad essergli celati, e non riusciva davvero a capire perché. Era un fantasma! Escludendo le panic room, riusciva ad entrare più o meno ovunque! Il sospetto principale che aveva cominciato a nutrire, era che essi lo avessero percepito in qualche modo, e che avessero fatto una sorta di incantesimo per celarsi ai suoi occhi e ai suoi sensi. Questo, però, non gli permetteva di capire come Kevin avesse fatto a fuggire ai Leviatani. Il mistero si infittiva, e non di poco. La cosa stava diventando molto più complicata di quanto avesse previsto.

*


Si era risvegliato su di un comodo divano di pelle bianca. La stanza in cui si trovava, era una splendida suite di un albergo, e affacciava su di una spiaggia dalla sabbia bianca e dal mare calmo e invitante.
Era decisamente un posto perfetto rispetto a quello in cui era stato tenuto da quei mostri, ma si domandava come avesse fatto ad arrivarci. E, soprattutto, che ne era stato della sua famiglia?

“Ti vedo turbato, mio caro Kevin. Cosa c’è? Forse non ti piace questa stanza? Posso portarti altrove, se vuoi!”.

Un uomo dal lungo cappotto nero uscito da chissà dove gli aveva parlato, facendolo sobbalzare. Ne aveva abbastanza di sorprese e di gente che lo prendeva alle spalle.

“Tu-tu chi sei? Dov’è la mia famiglia?” – aveva chiesto Kevin, cercando di mantenere la calma.
“Hai ragione! Che maleducato! Non mi sono presentato! Io sono Crowley, molto lieto” – e si era avvicinato al ragazzo, tendendogli la mano. Anche se con qualche remora, quest’ultimo l’aveva afferrata, pentendosene subito qualche istante dopo. Quel tipo aveva qualcosa di strano. Non aveva ancora capito cosa fosse, ma non gli piaceva affatto.
“Ti vedo turbato! Non devi avere paura di me! Io sono un amico!”.
Ne dubitava, ma era meglio fare buon viso a cattivo gioco.
“Non hai ancora risposto alla mia domanda, però… Dove sono i miei genitori?”.
“Hai ragione… Ma, lascia che ti spieghi come stanno le cose. Sei speciale Kevin, credo che questo tu l’abbia capito. Sei quello che di solito si chiama profeta. Tu, fatti chiamare come meglio credi. Vedi, quelli come te sanno di essere come te solo nel momento in cui la profezia sta per essere rivelata. E, a quanto ne so, tu hai già avuto a che fare con essa… Ho ragione?”.

Quell’uomo sapeva molto, molto di più di quello che avrebbe mai pensato. Questo faceva pensare a Kevin che il realtà volesse la stessa cosa che volevano quei mostri, e che lui stesse interpretando solo la parte del topo intrappolato in una prigione d’oro e di argento.

“La prego, mi faccia andare via. Per favore. Voglio mia madre, mio padre… Rivoglio i miei cari. Sono solo un ragazzo signore… Non me lo merito tutto questo”.
Era così spaventato da aver cominciato a supplicare Crowley di lasciarlo andare. Ma quest’ultimo era di un altro avviso.
“Ragazzo mio, io non ho alcuna intenzione di fare del male a te o ai tuoi cari. Loro sono al sicuro, te lo garantisco”.
“Davvero? Allora puoi farli venire qui?” – in lui si era riaccesa la speranza.
“Sì, ma non ora. Vedi, io, stranamente, sono dalla parte dei buoni, e da questo momento lo sei anche tu. Hai un compito molto speciale amico mio, ovvero quello di tradurre la profezia per permettermi di sconfiggere così quei bastardi che ti hanno rapito e minacciato. I tuoi genitori, però, per ora non possono raggiungerti. Sarebbe troppo pericoloso. Pensa se i Leviatani – questo è il loro nome – ti trovassero di nuovo… Sarebbero implicati anche loro, ho ragione?”.
Doveva ammettere che quel discorso filava sin troppo bene.
“Ma come faccio a sapere che sono al sicuro?”.
“Questo dipende solo dalla fiducia che riporrai in me. Purtroppo non ho le facoltà per mostrarti dove sono, ma posso garantirti che a proteggerli ci sono decine e decine dei miei scagnozzi, e sono pronti a morire per difenderli. Parola d’onore!”.
 
A quel punto, Kevin era stato definitivamente convinto.

“Che cosa devo fare?” – aveva chiesto, deciso.
Crowley non aveva potuto non gioire per quella decisione.
“Attendere che i miei amici ti consegnino la terza parte della tavoletta e tradurla. Dopo, quando tutto sarà finito, ti prometto che sarai libero. Ed io mantengo sempre la parola data”.

Continua…
_______________________________________________________________________________________________________________

E rieccomiii!!
Stavolta con un po’ di ritardo! =)
Mamma mia quante novità!! E stavolta abbiamo anche incontrato il nostro Kevin! Sapete, nel promo dell’ottava serie è davvero carino!! Non vedo l’ora che ricominci! *.*
Ma torniamo a noi! XD
Non la smetterò mai di divagare, mi sa! XD

Ognuno ha cominciato a svolgere i propri compiti, a quanto pare. Che emozione scrivere di Dean che recupera il trench di Cass! Quanto sono meravigliosi quei due insieme? E Ian?? Alla faccia dell’uomo di ferro! Ammetto di essermi “citata”, però! Io sono abbastanza aracnofobica! U.U
Spero comunque che vi sia piaciuto!
Al prossimo aggiornamento amiche mie!
Bacioni
Cleo

Ritorna all'indice


Capitolo 43
*** Coincidenze ***


Coincidenze


Colin si sentiva terribilmente stanco. Erano ormai più di dieci giorni che lui e Castiel facevano su e giù per il paese, alla disperata ricerca della terza parte della profezia, e considerando il fatto che Cass non era in grado di guidare, era lui quello a cui toccava trascorrere le giornate al volante.
Dal canto suo, Castiel aveva ormai visitato tutti i musei e tutti gli studi di professori di archeologia possibili e immaginabili, e aveva giurato che se avesse visto anche solo un altro coccio di vaso o un altro pettine di osso avrebbe urlato.

“La vostra civiltà è sempre stata incredibilmente produttiva” – aveva detto a Colin, una sera – “Ma non sono più tanto convinto che sia stato un bene”.

Erano davvero stanchi. E la cosa peggiore era che Crowley continuava a pressarli, impaziente di liberarsi una volta per tutte dei Leviatani. Quasi ogni giorno si presentava senza alcun preavviso ai due ragazzi, dandogli nuove piste da seguire, piste che fino ad ora si erano rivelate inutili.
Cass e Colin erano ormai arrivati all’esasperazione. Ma, dopotutto, avevano infranto la regola numero uno per un cacciatore: mai fare da tirapiedi ad un demone.

Quella sera, Colin era particolarmente spossato. Aveva guidato per sei ore di fila, e giunti in prossimità della meta, si era convinto che il suo deretano si fosse fuso con i sedili di pelle dell’auto che gli era stata gentilmente fornita dal re dell’Inferno. Per questo, aveva pregato Cass di rientrare prima in albergo, e si era concesso un lungo bagno rilassante, anche per togliersi di dosso la spiacevole sensazione provata poco prima davanti al receptionist.

“Ancora non capisco cosa avesse voluto dire” – gli aveva detto Castiel nel vederlo uscire dal bagno, piegando il capo da un lato – “Perché quando ci ha detto che c’era rimasta sola una matrimoniale, ha asserito che tanto per noi non sarebbe stato un problema? E poi perché ti sei arrabbiato tanto? Non vuoi forse dormire insieme a me?”.

Colin non sapeva se essere più sorpreso di trovare Cass così in vena di domande, o se esserlo per via delle domande da lui poste. A volte si chiedeva perché non avesse trovato, oltre a Cass, anche una sorta di manuale. ‘ Angeli caduti: istruzioni per l’uso ‘. Sarebbe stato davvero molto, molto utile in quella circostanza.

Anche se divorato dall’ imbarazzo, sperando di trovare le parole adatte, il ragazzo dagli occhi colore del mare si era avvicinato all’amico, sedendosi dolcemente sul letto, accanto a lui. Cass aveva gli occhi stanchi, ma erano luminosi e belli come sempre. Colin si domandava come si potesse avercela a morte con una creatura come lui. Sentiva nel profondo del suo cuore che avrebbe potuto perdonargli ogni cosa, persino la più sgradevole e crudele. Dean Winchester doveva essere pazzo per averlo allontanato dalla sua vita. Lui non lo sarebbe stato altrettanto.

“Perché mai dovrebbe dispiacermi dormire insieme a te?” – aveva detto Colin mentre finiva di vestirsi – “E non sono arrabbiato, amico mio. Vorrei solo che la gente la smettesse di fare battute, tutto qui”.

Era stato forse poco esaustivo, ma non se l’era sentita di spingersi oltre. Anche Cass doveva averlo capito, perché non aveva posto più domande, ma si era limitato ad osservarlo mentre posava la testa sul cuscino, esausto. Anche lui si sentiva stanco, ma aveva imparato a non lamentarsi. Aveva dormito per strada, all’addiaccio, ferito, ustionato, spaventato e solo, perché lamentarsi se aveva avuto la fortuna di stare al caldo insieme ad un ragazzo sincero e gentile.

“Cass” – Colin lo aveva chiamato con voce seria, continuando a tenere gli occhi chiusi – “Perché secondo te Crowley ha tutta questa premura di liberarsi dei Leviatani?”.

Quella domanda gli ronzava in testa da un po’, ma più volte aveva esitato a porla. Non voleva turbare Castiel più di quanto già non lo fosse. Per quanto cercasse di mantenere la calma, si vedeva lontano un miglio che non aveva piacere nel lavorare per Crowley. Ogni volta che faceva loro visita, Cass si innervosiva, e piombava nel più totale silenzio. Non doveva essere facile per lui trovarsi in quella situazione. Ma, d’altro canto, voleva sapere se almeno lui fosse stato in grado di farsi un’idea di quello che poteva passare nella testa di quel piccolo diavolo.

Castiel aveva chinato il capo in avanti, e si era guardato le mani a lungo prima di rispondere. La verità era che ci aveva pensato molto a sua volta, e forse era giunto ad una corretta conclusione.

“Nutro la convinzione che si senta minacciato” – aveva detto, continuando a guardarsi le mani.
“Tu credi?”.
Cass aveva sollevato il capo prima di rispondere, cominciando a fissare la parete di fronte a sé. Provava imbarazzo a parlare con Colin dell’essere con cui tempo addietro aveva stipulato quel maledetto accordo.
“Credo di conoscerlo abbastanza per poterlo dire quasi con certezza. E’ un essere competitivo, senza scrupoli, a volte quasi spregevole”.

Colin non aveva più fatto domande, lasciandolo libero di parlare. Se il suo amico avesse deciso di sfogarsi con lui sarebbe stato più che felice.

“Ti ho raccontato come ci ha usati solo per scalzare Lucifero e prendere il suo posto, vero? Lui è fatto così… Vuole sempre primeggiare… Dopotutto, non dimentichiamoci che stiamo parlando di un demone…”.

Aveva ragione. Quella doveva essere la spiegazione corretta, anche perché era la più semplice.

Erano trascorsi diversi minuti, ma Castiel non aveva accennato a muovere neppure un muscolo. Continuava a stare seduto rigidamente sul bordo del letto, con lo sguardo perso nel vuoto e la mente che vagava chissà dove.
Colin non poteva fare a meno di fissarlo. Era così bello e fiero, nonostante fosse stato piegato dal dolore fino al punto di spezzarsi.
Con estrema delicatezza, per cercare di non spaventarlo, aveva allungato una mano, fino a posarla sulla spalla di Castiel. Nonostante le attenzioni, Cass aveva sussultato lo stesso, sorpreso da quel contatto inatteso. Ancora non si era abituato del tutto a questo genere di cose, ma sapeva bene che Colin lo avrebbe aiutato ad imparare.
Il suo viso, anche se stanco, era sereno, e i suoi occhi erano gentili e luminosi come sempre. Il suo sorriso era in grado di scaldarti il cuore. Non poteva ritenersi più fortunato di così. Dopo tante disavventure, finalmente aveva trovato un amico.

“Vieni a dormire Cass… E’ stata una giornata lunga…” – gli aveva detto, invitandolo a sdraiarsi accanto a lui. L’ex-angelo non se l’era fatto ripetere due volte, e senza neanche togliersi i jeans si era messo sotto le coperte, avvicinandosi più che poteva ad un Colin che cercava di mascherare il rossore. Non sapeva neanche lui perché aveva fatto ciò che aveva fatto. Davvero non era da lui essere così audace!
“Col…” – lo aveva chiamato Cass, con la voce di chi ormai stava per prendere sonno – “Grazie di tutto…” – ed era piombato subito dopo fra le braccia di Morfeo.
Colin aveva sorriso con dolcezza, carezzandogli delicatamente la fronte cosparsa da capelli arruffati. Come si poteva non amare una simile creatura?
“Buonanotte angelo mio… Buonanotte…”.

Quella, per i due amici, sarebbe stata la prima notte davvero serena.

*


“Che razza di cretino! Se mi ricapita sotto mano giuro che… Giuro che… Non so che gli farò di preciso, ma non sarà niente di divertente per lui!”.

Dean Winchester era entrato nella stanza dell’ hotel come una furia, sbattendo la porta con tanta forza da buttarla quasi giù. Per una volta, avevano deciso di alloggiare in un posto decente, e non in una di quelle solite catapecchie a cui erano soliti affidarsi i Winchester durante le loro traversate.
Ian, per fortuna, aveva avuto la premura di entrare prima di lui, altrimenti si sarebbe ritrovato sicuramente con il naso rotto.

“Ma si può sapere perché sei tanto arrabbiato? Il receptionist scherzava! E poi, non hai detto che ti capitava anche con tuo fratello?”.
“Figlio di puttana! Sam è davvero mio fratello, tu non lo sei!”.
“Quindi mi stai dicendo che nel tuo inconscio vorresti che fossimo una coppia?”.
“Ma che cazzo…?? Dico, ti è dato di volta il cervello?”.

Dean non ne poteva davvero più. Ma perché cavolo continuava a dare corda ad Ian? Quell’idiota della reception si era forse messo d’accordo con lui?

‘ Sono rimaste solo delle matrimoniali… Ma per una coppia bella come voi non dovrebbero esserci problemi! ‘.

Davvero non si spiegava come avesse fatto a non saltare sul bancone e strangolarlo davanti a tutti. E Ian se la rideva sotto il baffi, per nulla sconvolto da quello che quel cazzone aveva detto! Doveva aver preso troppa umidità nella cripta, ecco cosa doveva essergli capitato per rincretinirsi così all’improvviso.

A questo pensava Dean mentre tirava fuori dal borsone un cambio pulito. Voleva fare urgentemente una doccia per lavare via lo stress della giornata e quello degli ultimi dodici minuti.

“Quindi da che lato del letto hai deciso di dormine, caro?” – gli aveva chiesto Ian ad un certo punto, sbattendo più volte le lunghe ciglia di velluto e facendo una vocina a dir poco inquietante.
“Io dormirò al centro, tu dalla parte del divano razza di idiota!” – era davvero arrivato al limite. Ma perché continuava a prenderlo in giro?
“Quale divano, scusa?”.
“Come sarebbe a dire quale divano?”.

Accecato dall’ira, non si era reso conto che in quella camera vi erano solo un letto matrimoniale, due comodini, un quadro e una scrivania.

“Perfetto! Allora dormirai sul pavimento!”.
“Oh, te lo puoi pure scordare!” – era stata la reazione di Ian, che aveva cominciato a spogliarsi senza porsi il minimo problema, scatenando in Dean un’ansia che poche volte aveva provato.
“Che-che diavolo stai facendo?” – che si fosse messo in testa di fare qualcosa di strano?
“Io vado a fare una doccia, e dopo vai a farla anche tu. Non dormo insieme a persone che puzzano, io” – e si era chiuso alle spalle la porta del bagno.
“Brutto stronzo! Io non puzzo!” – e, giusto per verificare ciò che aveva appena asserito, si era elegantemente odorato l’ascella leggermente pezzata – “Oh cazzo!” – aveva esclamato, inorridendo per la scoperta appena effettuata – “E’ colpa del deodorante nuovo che non ha fatto effetto, capito? Mi hai visto fare la doccia stamattina, no??” – aveva urlato contro la porta, pentendosene subito dopo: Ian aveva cominciato a ridere come un ossesso.

Nel frattempo, proprio in quel frangente, il receptionist era casualmente passato davanti la porta della loro camera, soffermandosi un attimo ad ascoltare – sempre per puro caso – la loro conversazione.

“Sono davvero una coppia carina!” – aveva esclamato, cercando di sentire meglio ciò che si dicevano – “Un vero peccato però... Occhi di ghiaccio era veramente un bel bocconcino”.

*


La notte non era trascorsa davvero nel migliore dei modi per il povero Dean. Per evitare di stare troppo vicino ad Ian, aveva dormito quasi con la testa poggiata sul comodino, svegliandosi di soprassalto ogni volta che si rendeva conto di aver accorciato troppo le distanze. Per carità, gli era capitato anche di dormire con Sam, ma quella era decisamente un’altra storia. Si trattava di suo fratello, dopotutto!
Dal canto suo, Ian, invece, aveva dormito come un ghiro. La giornata era stata spossante anche se improduttiva, in quanto François aveva avuto la brillante idea di farsi prendere un febbrone da cavallo ed era stato costretto a delegare loro la ricerca della tavoletta di pietra seguendo una pista che riteneva quasi del tutto esatta. Purtroppo, nel luogo indicato non avevano trovato niente, anche se i due cacciatori erano più che certi che avesse ragione. C’era una sorta di strana atmosfera in quel posto, anche se non sarebbero stati in grado di spiegare cosa fosse. Di certo, dovevano essere vicini, e dopo colazione avrebbero proseguito con la loro ricerca.

“Ho voglia di bacon, salsiccia fritta e uova. Dopo la notte che mi hai fatto passare è quello che mi ci vuole per riprendermi!” – aveva asserito Dean, stropicciandosi gli occhi per la stanchezza.
“Guarda che hai fatto tutto da solo! Capisco che dormire abbracciati sarebbe stato eccessivo, però…”.
“Tu sei malato” – sì, doveva esserlo per forza. Non c’erano altre spiegazioni.
Ian, però, non sembrava affatto turbato. Aveva continuato a camminare e a sorridere mentre si dirigeva verso il buffet mattutino fornito dall’albergo.

“Quello è diventato tutto scemo…”.
Dean non sapeva se ridere o piangere per il cambiamento dell’amico. Se in un primo momento era stato autoritario e a volte anche leggermente distaccato, da quando gli aveva raccontato di Morgan si era ammorbidito, prendendosi maggiore confidenza e scherzando molto di più.
Non che la cosa gli dispiacesse, ma da un lato lo inquietava, e non poco. Non riusciva mai a capire quando scherzasse e quando invece non lo faceva.
Doveva essere stato molto difficile per lui tirare avanti, dopo la perdita di Logan e l’allontanamento forzato da suo fratello. Lui si era completamente abbandonato all’alcol, nonostante il sostegno di Lisa e di Ben, e aveva creduto di non farcela. Ian che cosa aveva fatto? Si sentiva in colpa per non avergli chiesto di più. Ma non voleva sembrare invadente. Magari un giorno, in una futura caccia…

‘ Un momento, sto iniziando a pensare di andare ancora a caccia con lui? Porca puttana, devo essere impazzito! ‘ – si era detto, dirigendosi anche lui presso il tavolo, cominciando a servirsi di tutto quel ben di Dio.
‘ Non c’è altra spiegazione, devo davvero avere qualche rotella fuori posto. Io ho Sam al mio fianco! Mio fratello si sta solo prendendo una pausa… A proposito, forse più tardi dovrei telefonare in clinica. Ah! Se solo quell’idiota di François non avesse…’.
“Ehi!”.

Lo sbattere inavvertitamente proprio contro la schiena di Ian aveva interrotto il filo dei suoi pensieri.

“Che ti prende amico?”.

Il ragazzo si era gelato all’improvviso, continuando a guardare dritto davanti a sé. Sembrava che fosse improvvisamente diventato di pietra. Che gli era capitato.

“Sei vivo?”.
“Io-sì… Sì sto bene… Mi era solo sembrato di aver visto qualcuno”.
“Una vecchia fiamma?” – aveva chiesto Dean, strizzando un occhio.
“Non esattamente…” – e aveva concluso così la conversazione, perdendo l’ilarità della sera precedente.

‘ Chissà che cavolo ha visto ‘ – aveva pensato Dean, guardando nella direzione in cui poco prima aveva diretto lo sguardo Ian – ‘ Bah! Evidentemente deve aver preso un abbaglio ‘.

In quel frangente, un ragazzo dagli occhi blu e dai capelli neri, aveva appena lasciato la sala da pranzo dell’albergo.

*


“Ecco qui!” – aveva detto Colin, porgendo a Castiel un sacchetto con all’interno due croissant e un brik di succo di frutta alla pesca – “Non ho potuto prendere altro, mi spiace. Erano le uniche cose che potevo portare via senza perdere dell’olio per strada!”.
“Grazie Colin… Sei stato molto gentile” – aveva risposto Cass, addentando voracemente uno dei croissant.
“Capisco che tu abbia avuto un’idea brillante, ma non vedo perché abbia dovuto dirgliela a quest’ora del mattino! Ed io che speravo di farmi davvero una bella dormita, stavolta”.

Il povero Colin era stato buttato giù dal letto dalla voce imperiosa di Crowley, comparso all’improvviso nella loro camera d’albergo su invito esplicito di Castiel.
“Oh!” – aveva esclamato – “Mi avete chiamato per un ménage à trois? Davvero una bella trovata ragazzi miei!” – aveva detto, sbottonandosi il cappotto.
Ma Cass aveva stroncato la cosa sul nascere, dicendogli che non era decisamente per quello che lo aveva fatto venire lì.
“Ho avuto un’idea che dovrebbe smetterla di farci girare a vuoto” – aveva asserito, serio.
“Sempre a discutere di lavoro con te… Avanti! Parla!” – era parso piuttosto seccato per l’accaduto, ma Cass non si era demoralizzato, cominciando a parlare con una forza d’animo che Colin non aveva mai visto prima di allora in lui.
“Ho riflettuto sul fatto che prima di essere stata divisa da chissà quale evento, la tavola di pietra era un oggetto sacro composto da un unico corpo, e che, probabilmente, scorre una sorta di magnetismo fra le sue parti”.
“Mi hai fatto venire qui per ascoltare una teoria sui puzzle calamitati? Senti micino, io…”.
“Devi ascoltare ciò che ho da dire” – aveva detto Cass senza mezzi termini, sorprendendo lo stesso Crowley – “Se siamo vicini alla terza parte, sono certo che quella che è in nostro possesso riuscirebbe a capirlo, permettendoci di sapere l’esatta ubicazione di ciò che cerchiamo”.
Colin era esterrefatto da quella deduzione. Doveva essere per forza in quel modo.
“Lo pensi davvero?” – aveva chiesto a Castiel.
“Ne sono quasi certo a cento per cento. Ma per eliminare quel quasi, ho bisogno di verificare la mia tesi”.
“E secondo te” – aveva detto Crowley – “Io dovrei consegnarti la mia parte della tavoletta per farti giocare ad Indiana Jones?”.
“Non so chi sia questo Indiana Jones, ma posso garantirti che io non ho alcuna intenzione di giocare”.

La determinazione che scintillava nei suoi occhi aveva convinto il re dell’inferno, che un attimo dopo aveva fatto apparire sul letto dei due ragazzi, accanto a Colin, la valigetta con all’interno la parte di tavoletta in suo possesso.

“Non perderla, non romperla. Non cercare di fare il furbo con me. Ti sorveglierò Castiel, puoi starne certo. Devi ancora pagarla per quello che mi hai fatto passare. Sta di certo che se cercherai di fregarmi, stavolta pregherai di essere morto prima del mio arrivo” – ed era sparito nel nulla.

E così, i due amici si erano messi in viaggio qualche ora dopo, l’uno eccitato di provare se la sua teoria poteva considerarsi valida, l’altro un po’ assonnato, ma deciso a non lascare solo il suo compagno per nessuna ragione al mondo.

“Allora, come pensi di agire?” – aveva chiesto Colin, salendo in auto e mettendosi alla guida.
“Credo che non ci sia molto da fare, se non aspettare che sia essa a spiegarci come procedere” – e, con estrema, delicatezza, Cass l’aveva estratta dal suo involucro, chiudendo a lungo gli occhi mentre la esplorava con le mani affusolate e gentili.
“Un tempo avrei percepito una grande energia provenire da essa. Adesso, è come se fosse una comunissima pietra inanimata” – aveva asserito, con gli occhi seri – “Ma non è questo il momento di fare il nostalgico, giusto?”.
“Giusto” – aveva risposto Colin, sorridendogli.
“Comincia a guidare Col. Sono certo che prima o poi comincerà a darci qualche segnale…”.
“Agli ordini”.
Ed erano finalmente partiti, con la speranza nel cuore di risolvere al più presto quella scomoda faccenda.

*

Dean era arrivato a servirsi per la terza volta di uova e pancetta quando Logan era apparso all’improvviso dietro una colonna, facendolo sobbalzare.

“Oh porc… Ma sei impazzito? Vuoi farti vedere da qualcuno e scatenare il panico?” – gli aveva detto, cercando di nascondersi meglio che poteva dietro la colonna, insieme ad Ian.
“Ed ecco! Ora tutti penseranno che ci siamo nascosti qui dietro per fare chissà che cosa! Complimenti Logan, davvero!”.
“Piantala ragazzino! Sta zitto e ascolta! Ian, ho trovato una parte della profezia”.
“Che cosa?” – avevano detto i due ragazzi all’unisono.
“Avete capito bene, e non sapete il bello”.
A quel punto, non stavano più nella pelle: dovevano sapere.
“Si trovava qui fino a qualche minuto fa”.

A quel punto, il dubbio che si era insinuato in Ian, era man mano diventato una certezza,
“Ti prego… Non dirmi che…”.
“Mi dispiace ragazzo… Non so davvero come Morgan ne sia entrato in possesso”.

La tazza di caffè che Ian aveva avuto in mano sino a quel momento era caduta a terra, infrangendosi in centinaia di piccoli pezzi macchiati di liquido scuro.

Continua…
______________________________________________________________________________________________________

Ciao a tutti!!
Sono in ritardo, vero?? Dovete perdonarmi!! Sono giorni molti produttivi, e ammetto di aver perso la cognizione del tempo! Spero che per voi la situazione sia più sotto controllo! =)
Ma torniamo alla fic! Non credo che vi importi molto della mia vita privata!

OHMAMMINABELLACHECASINOINQUESTOCAPITOLO.
Non so se vi siete accorti che è la seconda volta che accade una cosa simile, solo che la volta precedente era stato Dean al posto di Ian a non accorgersi di essere nello stesso locale in cui si trovava Cass.
Sono tanto cattiva non è vero?? Sì, lo sono…
Mi perdonate per le battutacce del receptionist?? Sappiate che io amo quell’uomo (?)! U.U
Non vedo l’ora di narrarvi cosa accadrà in seguito, a questo punto! Spero di aggiornare presto!
Un bacione ragazze mie!
Sempre vostra
Cleo

Ritorna all'indice


Capitolo 44
*** Disperatamente insieme ***


Disperatamente insieme


“Dannazione, perché non lo hai fermato? Dovevi fermarlo Logan! Dovevi fermarlo!”.

Ian era sull’orlo di una crisi di nervi. Nello stesso istante in cui aveva ricevuto conferma sui suoi sospetti, non si era neanche scomodato a prendere le proprie cose, correndo verso il parcheggio nella speranza che non fosse ormai troppo lontano per poterlo raggiungere. Quello era Morgan, il suo Morgan, e aveva una parte della tavola di pietra. Morgan, suo fratello, il suo adorato fratellino che aveva cercato di proteggere, era finito in mezzo ad un casino troppo grande persino per un cacciatore esperto come lui.

Ma come aveva fatto? Come aveva fatto ad entrare in possesso della tavoletta? E perché, poi? Aveva recuperato la memoria e aveva deciso di mettersi alla ricerca di un modo per fermare i Leviatani? Ma se era così, allora perché non lo aveva cercato? Perché non aveva fatto di tutto per mettersi in contatto con lui e chiedergli aiuto? E chi era stato a coinvolgerlo?
E poi, Logan aveva detto una strana cosa. Aveva detto che accanto a lui c’era qualcuno, ma aveva fatto fatica a vederlo. Che significava? Che forse Morgan fosse stato costretto da un demone o da qualche altro essere malvagio a lavorare per lui?

“Maledizione! Dean, sbrigati!”.

Quest’ultimo aveva rischiato di farsi finire l’ultimo boccone di salsiccia di traverso.

“Ma che cavolo ti prende? Come poteva essere Morgan? Ian, aspetta!”.

Ma Ian non aveva più tempo per aspettare, perché aveva appena scoperto quanto beffardo fosse a volte il destino. Nello stesso istante in cui avevano raggiunto il parcheggio, un’automobile blu aveva appena cominciato la sua corsa, e allora Ian non aveva avuto più alcun dubbio: quello alla guida era veramente suo fratello Morgan.

*


“E’ lui Dean! E’ davvero lui” – era talmente sconvolto da non essere stato in grado di dire o fare altro. Suo fratello era alla guida di una macchina blu. Suo fratello era in macchina con qualcuno che non era lui.

Ma Dean Winchester non aveva emesso neppure un fiato. Era troppo sconvolto da ciò che i suoi occhi avevano appena visto per poterlo fare. Perché lui si era appena reso conto di chi fosse la persona seduta accanto a Morgan.

“Dean, hai capito?”.
“Era… Era Castiel” – aveva detto, secco – “Quello che era insieme a Morgan era Castiel”.

*


“Non posso crederci! Avevi ragione! Avevi davvero ragione!”.
“A quanto pare è così… Guarda Col… Non avevo mai visto nulla del genere prima di oggi. E puoi prendermi in parola”.

A quanto pare, Castiel ci aveva davvero visto lungo. Dopo aver messo in moto e aver percorso circa una decina di chilometri, senza alcun preavviso, il pezzo di tavoletta che Cass aveva posato sul suo grembo, si era levato per aria, cominciando a puntare dritto verso il parabrezza. Se non lo avesse fermato, lo avrebbe di certo sfondato, sparendo chissà dove, causando di conseguenza la sua morte e quella del suo sventurato compagno di viaggio.

“Riesci a trattenerlo?”.
“Per il momento sì, anche se tira con violenza. Accelera Col, non voglio perderlo. Ci siamo vicini. Siamo davvero vicini”.

Aveva ragione, erano vicini, molto più di quello che avrebbe mai creduto. Ma Cass non sapeva che non erano i soli.

*


“Figlio di puttana! Come diavolo ha fatto a finire insieme a tuo fratello? Come cazzo è stato possibile?!”.
“Credimi Dean, non lo so, ma vorrei saperlo almeno quanto te, se non di più! Porca miseria, Morgan…”.
“E Castiel! Morgan e Castiel! Figli di puttana!”.

Se fosse stata un’altra circostanza, probabilmente lo avrebbe già preso a pungi, perché aveva più volte ingiuriato sua madre, ma quello non era davvero il momento. L’unica cosa che importava era raggiungerli, e capire cosa diavolo fosse accaduto.

Logan era sparito nel nulla. A quanto sembrava, l’emozione provata era stata così forte da fargli perdere la concentrazione, rendendolo di nuovo invisibile agli occhi dei comuni mortali. Entrambi i cacciatori speravano che fosse comunque nella macchina di Morgan e Castiel, ma non ne erano poi così certi. Ormai non sapevano più cosa pensare. Volevano solo scoprire la verità. E stavolta, niente glielo avrebbe impedito.

*


Avevano dovuto parcheggiare di fretta e furia, e Cass aveva avuto appena il tempo di aprire la portiera quando una forza invisibile aveva attirato con violenza il pezzo di tavoletta di cui era entrato in possesso, conducendoli nei pressi di una sontuosa villetta dallo steccato bianco come la neve.

“Cass! Aspetta!” – fortuna che Colin era allenato, perché non sarebbe stato semplice stargli dietro.
In pochi istanti, avevano raggiunto la porta di ingresso, che non si sa bene per quale assurdo colpo di fortuna era aperta.

La villetta sembrava deserta. Perfettamente ordinata e arredata con gusto, era priva della presenza dei suoi abitanti. Possibile, però, che avessero dimenticato la porta di ingresso aperta? Era una cosa impensabile, soprattutto considerando che sembrava l’abitazione di persone piuttosto facoltose, a giudicare dalle cose di valore che vi erano all’interno.
Ma non era per quello che si trovavano lì. Era una e solo una la cosa di valore di cui erano in cerca. E sembrava trovarsi in una stanza del piano di sopra.
“Col, per favore, prendi la pistola e la tanica di borace, e stai allerta” – Cass si era ricordato dell’episodio del bed and breakfast, ed era risalito alla confezione del flacone che aveva svuotato addosso a quella cosa, capendo che all’interno vi era del borace – “Sembra deserto qui, ma io non mi fido” – aveva detto Castiel, orami al limite della fatica. Le braccia sembravano volersi strappare dal suo corpo per seguire la tavoletta che vibrava impazzita. Ce l’avevano fatta. Ce l’avevano fatta per davvero.
Ma non sapevano ancora cosa avrebbero trovato al piano di sopra.

*


Era accaduto tutto così in fretta da non sembrare possibile. Arrivati al piano di sopra e spalancata la porta della stanza in cui si trovava la tavoletta, era stato il delirio.

Non erano gli unici presenti in quella casa, proprio come aveva previsto Castiel: fra le mani di una donna che aveva le stesse identiche sembianze di quella che giaceva ai suoi piedi, divorata per metà e immersa nel suo stesso, denso, scurissimo sangue, vi era l’oggetto del loro desiderio, la terza parte della tavoletta che con tanta fatica erano riusciti a trovare. La tavoletta si trovava fra le mani di un Leviatano.

“CASTIEL!” – aveva urlato la donna, prima di scagliarsi su di lui.
Per fortuna, Colin era stato pronto, e aveva gettato subito addosso a lei il borace, facendola gemere di dolore mentre il suo volto si liquefaceva.
La tavoletta, purtroppo, non aveva resistito alla forza evocata dall’altra sua metà, ed era scappata dalla presa di Castiel, riunendosi ad essa, e levitando in aria per qualche secondo prima di cadere esattamente ai piedi del Leviatano.

“No!” – aveva urlato l’ex-angelo, e si era gettato ai suoi piedi per recuperarla, ma la rabbia del mostro era tale da aver scatenato in lui una forza disumana, forza che aveva rotto con un pestone la scapola sinistra di Castiel.

Il dolore era stato lancinante e improvviso, così improvviso da fargli quasi perdere i sensi. Ma non poteva svenire. Non ora che c’era così vicino.
Così, aveva stretto i denti e aveva allungato la mano ancora funzionante, riuscendo a far scivolare la tavoletta in direzione di Colin, che prontamente l’aveva afferrata.

La tavoletta era salva, ma ora c’era un altro problema, e quel problema consisteva nel salvare Castiel, intrappolato fra le gambe del Leviatano.
Stava per ucciderlo. Nonostante non riuscisse a vederlo per via della reazione che il borace faceva sul suo viso, il mostro era riuscita a bloccarlo e aveva cominciato ad infierire su di lui. Le fauci strappavano, e le unghie dilaniavano la sua carne già cosparsa di terribili ferite. E lui non reagiva. Era troppo stanco e troppo debole per farlo.

“Cass!” – lo avrebbe ucciso se non fosse intervenuto immediatamente.
Ma non aveva più borace con sé, e non sapeva cosa fare. Preso dalla disperazione, nonostante sapesse perfettamente che non sarebbe servito a niente, aveva cominciato a sparare. Ma i colpi di pistola trapassavano quelle carni grondanti liquido nero senza però causare veri e proprio danni. Era la fine.
Doveva prendere una decisione, o per Cass non ci sarebbe stata più alcuna speranza.

“Col… Vattene!” – aveva urlato l’ex-angelo, in preda alla furia del mostro dai denti aguzzi – VA VIA!”.

Ma il ragazzo aveva fatto l’esatto opposto. Colin aveva lasciato cadere la tavoletta a terra ed era saltato sul Leviatano, facendolo cadere di lato, accanto a Cass, ma abbastanza lontano per evitare che gli facesse ancora del male.
Se lo era ripromesso. Si era ripromesso che lo avrebbe aiutato fino alla morte, e lo avrebbe fatto. Stava per morire, era così evidente. Ma avrebbe affrontato la morte con dignità, perché lo stava facendo per Castiel, per quel ragazzo che non aveva nessuno che riuscisse ad apprezzarlo, per quel ragazzo che non aveva nessuno che lo amasse.

“Col…” – aveva sussurrato Castiel, dilaniato dalle ferite. Fiotti di sangue bollente uscivano dalla sua bocca, simbolo più evidente che il suo interno era distrutto, proprio come la sua anima.
Perché per sentire tutto quel dolore non fisico, lui doveva possederne una. Perché lui era umano, e perché lui sarebbe morto per salvare Col, eppure non sapeva come fare per aiutarlo.
E allora, dopo tanto tempo, aveva fatto quello che non era stato in grado di fare per tanto tempo. Aveva chiuso gli occhi, e aveva cominciato ad invocare l’aiuto di quel Padre che tanto tempo addietro aveva tradito.

“Ti prego Padre mio… Prendi me… Prendi me… Non chiedo altro… Prendi me, ma non lui… Ti prego”.

Era questo ciò che continuava a ripetere, mentre Colin cercava in tutti i modi di lottare, di resistere alla furia di una creatura millenaria.

“Ti prego…”.

E se c’era una cosa che Cass sapeva, era proprio che suo Padre adoperava nei modi più impensabili.
Perché, proprio mentre tutto sembrava ormai perduto e lui era sul punto di perdere conoscenza, qualcuno era entrato nella stanza, e una moltitudine fra voci e colori si era palesata davanti a lui.
Quello era l’aiuto che suo Padre gli aveva inviato. E, anche se i suoi occhi ormai non riuscivano più a mettere a fuoco ciò che aveva davanti a sé, aveva voluto credere che una di quelle voci appartenesse all’ultima persona che sarebbe mai venuta a salvarlo. Che quella voce appartenesse al suo Dean.

*


“MUORI BASTARDO!”.

Sapeva che non sarebbe stato in grado di ucciderlo, ma non gli importava. Sapeva che non poteva uccidere un Leviatano, e che quella era solo una mera illusione, una vana speranza, ma lui ci avrebbe provato lo stesso.
Perché si trattava di suo fratello. Perché si trattava del suo Morgan. E niente, niente era più importante di lui.

Aveva afferrato la cintura di cuoio che aveva trovato sul letto di quella stanza, era saltato addosso al Leviatano e gliel’aveva stretta attorno al collo con tanta forza da staccargli la testa dal collo.
Ian Wesley aveva staccato la testa ad un Leviatano con la sola forza delle sue braccia.

Era rimasto per un brevissimo istante a guardare la testa recisa dal corpo, ricoperto completamente di quella sostanza nera e appiccicosa che fuoriusciva dalle loro membra. C’era suo fratello che aveva bisogno immediatamente di aiuto, e non poteva perdere altro tempo.

“Morgan! Morgan! MORGAN!”.

Ian si era precipitato su di lui, cercando di prestargli soccorso.
Era stato morso dal Leviatano su di un fianco, e stava perdendo molto sangue, e la carne recisa pendeva imperterrita dal suo fianco.

“Oddio… Oddio… No! No! No! Fratellino resta con me… Ti prego, ti prego… Resta con me!”.

Doveva portarlo in ospedale, e subito. O sarebbe morto lì. E lui non poteva morire. Era il suo fratellino. Doveva essere al sicuro. Non poteva morire.

“Dean! Dobbiamo portarlo via, ades…” – ma Ian si era bloccato di colpo, vedendo la scena che si stava consumando a pochi metri da lui.

Castiel era riverso sulla schiena, e non si muoveva. Attorno a lui c’era tanto, tantissimo sangue. E Dean, Dean Winchester era inginocchiato, accanto a lui, incapace di toccarlo, incapace di prestargli soccorso.
Era sotto shock. Si aspettava tutto fuorché di vedere una cosa del genere.
L’avevano trovato. Lo avevano trovato e lui era quasi morto. Castiel stava morendo, proprio come Morgan. E se non avessero fatto presto sarebbero morti per davvero.

“Dean, porca puttana! Dobbiamo portarli via! MUOVI IL CULO, ADESSO!”.

Sembrava che quelle urla fossero riuscite a destarlo dal suo torpore, perché un istante dopo si era girato verso Ian, e poi aveva preso Castiel fra le braccia, sollevandolo da terra con attenzione e decisione allo stesso tempo.

“Sì… Sì… Dobbiamo andare… Adesso…”.

“Muoviti!”.

Proprio mentre stavano per uscire, Ian si era fermato di colpo, ricordandosi di qualcosa che avevano lasciato dietro di loro.

“La tavoletta!”.

Ma, come se non bastasse, come se quel dolore non fosse sufficiente, qualcun altro aveva deciso di entrare in gioco, rendendo tutto più complicato. Qualcuno con un lungo cappotto nero e una faccia di bronzo da record mondiale. Quel qualcuno era Crowley.

“Che cazzo ci fai tu qui?” – aveva urlato Dean all’ultimo bastardo che avrebbe pensato di vedere.
 
“Ma che scenetta… Mi raccomando, fate presto, o finiranno per tinteggiare anche il resto della casa col loro sangue!” – e si era chinato per raccogliere l’oggetto più prezioso in quella stanza. L’oggetto per cui Morgan e Castiel avevano quasi perduto la vita. Un oggetto estremamente prezioso e vitale per l’intero genere umano.

“Questa viene via con me” – aveva asserito. E la tavoletta era sparita insieme a lui.

Continua…
______________________________________________________________________________________________________

Eccomi qui!! Ho fatto presto! =)
Spero tanto che il capitolo vi sia piaciuto. Essendo grande fan dell’Angst, non potevo non farli ricongiungere nel bel mezzo di un dramma.
Poveracci… Mi sento male io per loro!!
Potranno mai perdonarmi, secondo voi? A mio parere no!
Al prossimo capitolo sister!
Un bacione
Cleo

Ritorna all'indice


Capitolo 45
*** Speranze ***


Speranze


Ian aveva pregato Dean di recarsi immediatamente nel più vicino ospedale. Morgan aveva bisogno di aiuto, e lo stesso valeva per Castiel, forse messo anche peggio del suo adorato fratellino.
Chiunque li avesse visti, non sarebbe stato in grado di spiegare ciò che era appena accaduto. Dopotutto, non riuscivano a spiegarsi l'accaduto neppure loro.
Come poteva essere che un momento così bello fosse stato rovinato in quel modo?
Loro si erano ritrovati. Loro avevano ritrovato le persone che amavano. Dopo un lungo peregrinare, dopo tanto penare, Dean aveva ritrovato Castiel. Dopo che l'aveva cacciato, ferito e umiliato, asserendo di non voler mai più avere niente a che fare con lui, Dean aveva riabbracciato l'angelo che lo aveva salvato dall'Inferno.
Dio mio, non avrebbe mai creduto di vederlo ancora in quello stato. Il corpo era straziato, e dalla bocca continuava ad uscire sangue. Non era riuscito a guardarlo negli occhi, e questa era stata la cosa che gli aveva fatto più male. Non era riuscito a guardarlo in quegli occhi meravigliosi che lo facevano sciogliere ogni volta che incrociavano i suoi, ferendolo, dilaniandolo, fino a penetrare nella sua anima, nel suo essere più profondo, là, dove solo lui riusciva a vedere.
Aveva le braccia abbandonate e ciondolanti, il capo riverso all'indietro, e non riusciva a capire se respirasse ancora, non era in grado di capire se il suo cuore battesse ancora o no.
Il suo, di cuore, da un momento all'altro sarebbe uscito fuori dal petto, invece.
Non poteva perderlo di nuovo. Non poteva e basta. Al diavolo i Leviatani, al diavolo Crowley, al diavolo tutto e tutti! Lui era Castiel... Lui era Castiel... Non poteva permettergli di andare via.

Ian continuava a ripetere lo stesso al suo Morgan.
"Non puoi lasciarmi fratellino... Non puoi... Non dopo averti allontanato da me per difenderti, hai capito? Non puoi!".

Ed eccolo lì, i due cacciatori e i loro protetti. Eccolo lì, Ian Wesley e Dean Winchester, che cercavano di aiutare le altre metà dei loro cuori.

*


Li avevano portati dal dottor Robert, il vecchio amico del padre di Dean che operava clandestinamente nel retro di una macelleria.
Ian aveva insistito per condurli in ospedale, ma il Winchester non aveva voluto sentire ragioni.
Non si fidava degli ospedali. Non si fidava di nessuno, e aveva preferito chiamare una persona che conosceva, non affidarsi ad un perfetto estraneo di cui non sapeva niente.

Trovarlo non era stato semplice, ma dopo un lungo giro di telefonate erano riusciti nel loro intento. Dean si era rifiutato di chiamare Bobby. L'anziano cacciatore era già abbastanza stressato per fatti suoi, non c'era bisogno di scaricargli addosso altre preoccupazioni. Tanto, prima o poi lo avrebbe telefonato, e non avrebbe potuto nasconderglielo ancora per molto.

Il dottor Robert li aveva costretti a dargli una mano. Di certo, nessuno dei due si sarebbe mai allontanato, ma dover suturare, tagliare, bendare le ferite di chi si amava con tutto il cuore richiedeva un sangue freddo che forse non avevano più.
Il primo che aveva sommariamente visitato era stato Morgan, ma colui a cui aveva prestato soccorso per primo era stato Castiel.

"La sua è solo una ferita superficiale rispetto a quelle di questo ragazzo! Eva, la mia assistente, si occuperà di lui! Ha già ricucito più volte ferite del genere!" - aveva detto ad Ian.
"Ma la sua carne penzola dal fianco!" - aveva protestato quest'ultimo.
"E le costole di questo ragazzo gli hanno quasi sicuramente perforato un polmone. Chi credi che sia messo peggio?".

A quel punto, Ian non aveva replicato più. Il ragazzo aveva posato suo fratello sul tavolo operatorio e aveva atteso che la ragazza cominciasse a ripulirgli a ferita, premunendosi di tenerlo fermo. Se si fosse svegliato all'improvviso, non sarebbe stato davvero un bello spettacolo.

"Pensi davvero che abbia i polmoni perforati?" - aveva domandato Dean, in preda ad una crisi di panico. Se così fosse stato, come avrebbero potuto aiutarlo?
"Mi sono mai sbagliato?".
"E allora, che diavolo pensi di fare?".
"Devo aprirlo".
"Che cosa?? Tu sei pazzo se pensi davvero che ti permetterò di...".
"Sparagli in testa adesso, allora! O sta zitto e fammi fare il mio lavoro, ragazzino!".

Non aveva avuto scelta. Aveva dovuto ubbidire, anche se non riusciva ad immaginare di vedere Castiel con il petto squarciato.
Lo avevano condotto in una stanza adiacente a quella in cui stavano ricucendo la ferita di Morgan. Molto più simile alla sala operatoria di un ospedale, metteva lo stesso genere di ansia. Forse, non si poteva definire del tutto sterile, ma era di certo un posto migliore e più sicuro per eseguire un intervento, almeno lo era rispetto allo stanzino in cui erano prima.

"Poggialo lì, e tagliagli i vestiti" - gli aveva detto, e lui lo aveva fatto, cercando di fare in fretta ed essere delicato allo stesso tempo. Le forbici a contatto con la stoffa emettevano un suono sinistro, e il suo torace un tempo pallido e tornito cominciava ad affiorare in tutto il suo orrore.
"Oh mio Dio" - era stata l'unica cosa che era riuscito a dire Dean Winchester.
La pelle era solcata da chiazze nere e violacee, e non era più liscia ed omogenea. Aveva davvero tre costole rotte.

"Tieni le preghiere per dopo, Dean... Non è il momento adatto per sprecare fiato".

Quello che avevano dovuto fare lo avrebbe tormentato per tutto il resto della sua vita. Dopo avergli somministrato un blando sedativo e avergli dato un supporto per respirare, avevano disinfettato la parte che avrebbero dovuto tagliare, e lo avevano fatto: avevano inciso la pelle martoriata di Castiel. Dean aveva visto litri e litri di sangue scorrere nella sua vita, ma quello era stato davvero troppo anche per lui. Aveva davvero creduto di non reggere quando aveva visto il dottor Robert riparare le costole rotte con piatti chirurgici e viti per tenere insieme l'osso fratturato, e ancora peggio era stato il momento in cui era intervenuto sul polmone.
Non aveva dato di stomaco solo perché l'ambiente non sarebbe più stato asettico, e non voleva peggiorare la salute già molto precaria di Castiel.
Dopo più di tre ore, erano finalmente usciti da quella maledetta stanza, due sui loro piedi, ed uno su di una barella cigolante, con la speranza che quest'ultimo riaprisse gli occhi al più presto.

*


Erano ammassati in quella misera stanzetta da ore.
Ian non aveva smesso neppure per un attimo di vegliare Morgan, e lo stesso aveva fatto Dean per Castiel. Dormire era a dir poco impossibile, e non solo per la posizione scomodissima. Quella era la loro ultima preoccupazione. Ian non aveva staccato gli occhi di dosso a suo fratello neppure per un istante.
Morgan, il suo Morgan, quel fratello che aveva cercato di proteggere fino al punto di allontanarlo dalla sua vita, giaceva su un letto, con un fianco straziato, vittima dell'attacco di uno di quei mostri che aveva cercato di tenergli alla larga.
E non bastava il Leviatano, no! Ci mancava solo il del demone degli incroci a complicare le cose.
Che fosse un emerito bastardo lo sapeva. Che fosse uno stronzo sadico pezzo di merda lo sapeva pure. Sapeva che era un approfittatore, un essere subdolo che pensava solo a se stesso. Ma che Crowley potesse arrivare a tanto, Ian non poteva davvero immaginarlo.
Non lo aveva mai incontrato di persona. Aveva appreso chi fosse e come agisse dai racconti altrui, specialmente da quelli di Dean, e un paio di volte lo aveva sentito nominare da Bobby.
I suoi modi di agire erano molto, molto discutibili. La sua furbizia sembrava sopra ogni limite, e pareva che l'unico in grado di fregarlo fosse stato Castiel, quello straccio di angelo caduto che dormiva a pochi passi dal letto di suo fratello.

Era bello Castiel. Molto più bello di quanto avesse mai potuto immaginare. Non sapeva se fosse tutto merito del suo tramite o se quell'aspetto così gradevole fosse derivato dalla presenza dell'angelo in quel corpo che ormai non era più un semplice tramite, ma un essere completo vero e proprio. Si domandava se ci fosse ancora qualcosa di angelico in lui, oltre all'aspetto, ovviamente. Sembrava per davvero un essere celeste, anche nel dolore, anche nella sofferenza.
Era talmente bello che sentiva il bisogno di rivolgergli una preghiera. Una preghiera che potesse salvare suo fratello e il mondo da quella sciagura in cui si erano imbattuti.
Ma non ne aveva la forza materiale. L'unica cosa che riusciva a fare era tenere la mano di Morgan, e sperare che lui si svegliasse al più presto. Era andato tutto per il meglio, Eva lo aveva ricucito con cura, e il dottor Robert gli aveva garantito che era fuori pericolo. Per questo, avrebbe pazientato. Suo fratello avrebbe presto riaperto gli occhi, e lui avrebbe finalmente potuto di nuovo abbracciarlo.

Dean non era così ottimista.
Il Winchester non si era allontanato un attimo dal capezzale di Castiel, perché sapeva che c'erano poche speranze per lui di svegliarsi, e non voleva che spirasse da solo. Era una cosa stupida, lo sapeva. Sapeva che in ogni caso non avrebbe sentito il calore della sua mano mentre passava a miglior vita. Non sapeva se Cass sarebbe tornato o no in Paradiso. Gli aveva augurato tutto il male del mondo, gli aveva augurato di morire da solo, di crepare in modo lento e doloroso, e di trascorrere il resto della sua esistenza non mortale all'Inferno, divorato dalle fiamme tra cui tempo fa era sceso per salvarlo.
Ma, ora che lo aveva visto, ora che i suoi occhi si erano imbattuti in quelle palpebre che gli impedivano di perdersi nei suoi cieli, si era reso conto di non aver mai pensato per davvero tutto quello che poi si era avverato.
Dio mio, ancora una volta, c'era di mezzo Crowley. Ovviamente, non poteva sapere se fossero di nuovo in combutta o se fosse stato semplicemente seguito. Doveva evocarlo per cercare di sapere qualcosa. Voleva evocarlo, e lo avrebbe fatto. Ma non in quel frangente.
Il nuovo re dell'Inferno sapeva essere molto pericoloso quando voleva, e non voleva far correre altri rischi a Morgan. Perché si era ormai convinto che per Cass non ci fosse più alcuna speranza.
Doveva solo aspettare pazientemente che il suo cuore smettesse di battere. E solo allora avrebbe pianto. Per ricordarsi della sua stupidità, per ricordare a se stesso quanto tempo aveva sprecato, e quanto avesse amato e continuasse ad amare quell'angelo che gli era letteralmente saltato addosso, salvandolo, e poi gettandolo di nuovo nell'abisso in cui era piombato.
No. Non avrebbe mai potuto odiarlo per davvero. Per Dean Winchester, Castiel sarebbe stato in eterno l’angelo che l’aveva salvato dalla perdizione, l’angelo a cui aveva cercato di far perdere la verginità, l’angelo che si era ribellato contro la sua famiglia per aiutarli, l’angelo con cui aveva un rapporto speciale. Perché, anche se non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, Dean lo sapeva. Dean sapeva che gli aveva donato il suo cuore.

*


Bobby non aveva notizie dei ragazzi da un po’ di tempo, e non poteva dire di essere molto tranquillo. Ma gli avevano detto che sarebbero stati loro a chiamare, e avrebbe pazientato.
Dopotutto, non è che non avesse un gran da fare! Ormai poteva ritenersi un vero e proprio imprenditore! Aveva inaugurato ventidue case per anime purganti in meno di una settimana. Poteva ritenersi più che soddisfatto.
Billy e la sua famiglia si erano praticamente trasferiti a casa sua, e non poteva non ringraziarli per l’aiuto che gli stavano dando.
Per questo, era riuscito a ritagliarsi qualche minuto per andare a trovare il secondogenito di John Winchester.
Sam aveva ricominciato a respirare da solo, e si era mosso un paio di volte, anche se non aveva ancora dato cenno di volersi svegliare.
La bruciatura che deturpava il suo viso era coperta dalle continue fasciature che venivano costantemente cambiate per evitare infezioni, e purtroppo per lui, Bobby aveva avuto la sfortuna di vederla con i suoi occhi, rimanendone scioccato.
Ma non ce l’aveva davvero con Castiel per quello che era successo. Non era un uomo che covava rancore. Voleva bene a quell’angelo dal senso dell’umorismo discutibile. Era diventato uno dei suoi ragazzi. E gli doleva il cuore a non sapere che fine avesse fatto. Per questo, sperava che Dean lo chiamasse presto per comunicargli che lo aveva finalmente ritrovato, che potevano aprire quella maledetta porta del Purgatorio e rispedire indietro tutte quelle porcherie che ne erano uscite.
Gli toccava solo aspettare. Nel frattempo, avrebbe continuato ad imprigionare anime, e avrebbe vegliato su Sam. Perché lui era un cacciatore, ed era un padre. E nessuno avrebbe potuto cambiare ciò.

Quel giorno, Jules, la figlia di Billy, aveva insistito per accompagnarlo, e lui aveva acconsentito.
Era una ragazza a dir poco straordinaria. Non solo per il suo aspetto così delicato, ma soprattutto per le sue capacità da medium. Era fenomenale. Il modo in cui scovava le anime e riusciva a convincerle a seguirla aveva qualcosa di meravigliosamente inquietante. Li aveva aiutati a risolvere un sacco di grane, e non credeva che gli avesse chiesto di seguirlo solo perché voleva rivedere Sam. Era convinto che volesse fare una sorta di esperimento con lui, forse per aiutarlo. E, infatti, non si era sbagliato. Quella ragazza non aveva la più pallida idea di quanto lui le fosse grato. Doveva ricordarsi di prenderle un regalo quando tutta quella storia sarebbe giunta al termine. Le avrebbe preso una borsa, o un paio di scarpe. O, forse, una medium cacciatrice avrebbe preferito una pistola nuova di zecca.

Sam era stato appena cambiato quando erano arrivati alle porte della costosissima clinica che Ian aveva pagato per lui. Quel ragazzo avrebbe fatto qualunque cosa per lui e per Dean, e non solo perché erano ottimi cacciatori. Bobby era convinto che anche un lupo solitario prima o poi avesse bisogno di un branco, e lo stesso valeva per Ian Wesley. Evidentemente, con loro si era sentito a casa. C’era un rapporto speciale fra lui e Dean, un rapporto che era molto simile a quello che aveva con Sam, sotto certi aspetti. Non fraintendetelo, Ian non avrebbe mai preso il posto della sua Samantha, ma aveva dimostrato di saperne fare davvero bene le veci. Era un bravo ragazzo. Avere un figlio in più non gli sarebbe dispiaciuto affatto.

Jules si era portata entrambe le mani alla bocca nel vedere Sam ridotto in quello stato. Faceva lo stesso effetto a tutti. Era un gigante buono che dormiva un sonno che non aveva voluto, una quercia che era stata abbattuta dal vento impetuoso dell’inverno.
Con dolcezza, la ragazza si era seduta sul letto, prendendogli la mano fra la sua e portandola accanto alla sua guancia.

“Ciao Sam…” – gli aveva detto, sorridendo – “Sono Jules… Ti ricordi di me? E’ tanto tempo che non ci vediamo…”.

Bobby si era seduto sulla poltrona posta accanto alla finestra, fissandoli senza dire una parola. Era troppo curioso di sapere cosa avrebbe fatto Jules.

“Sei diventato ancora più alto… Mamma mia, quasi non ci credo. E sei ancora più bello! Scommetto che però Dean è ancora convinto di essere il più figo fra voi due, non è così?”.

Il vecchio cacciatore aveva trattenuto una risata. Aveva buon occhio anche con i vivi, quella ragazza!

“Ascolta Sam… Ora io e te dobbiamo fare una chiacchierata. Non devi avere paura, va bene? Io sarò qui, e non ti lascerò mai la mano. Solo… Sì Sam, fidati di me. Va bene? Fidati di me” – e gli aveva dato un bacio sul dorso della mano, per poi posarla con maggiore forza sulla sua bella guancia di pesca.

*


    
Non avrebbe mai potuto spiegare a nessuno quello che si provava ad entrare in contatto con lo spirito di una persona in coma. Alcune persone rimanevano legate al proprio corpo, rifiutandosi di abbandonarlo. E quelle, erano le persone che si sarebbero svegliate fra un’ora, fra un anno, fra venti anni, ma avrebbero riaperto gli occhi, proprio come Sam. Poi, c’erano altre anime. C’erano anime che passavano tutto il resto del tempo che il loro cuore avrebbe continuato a battere accanto al proprio corpo alimentato dalle macchine. E quelle anime, purtroppo non sarebbero mai più potute tornarvi all’interno, aspettando solo il momento di raggiungere il luogo del loro eterno riposo.
Come ho detto, Sam per fortuna apparteneva alla prima categoria. Per questo, Jules non poteva vederlo, ma poteva esattamente sentire la sua voce.
Tutti le dicevano che faceva impressione quando stabiliva un contatto: la sua pelle diventava fredda, e i suoi occhi diventavano bianchi, come quelli delle persone non vedenti. Spesso, dicevano che parlava lingue diverse, anche lingue che non sapeva di conoscere. Ma con Sam, non ce n’era stato bisogno.
Non appena aveva stabilito con lui un contato, aveva sorriso, spiegandogli perché fosse lì.
“Sam… Mi senti… Sono qui”.
“Jules… Oh Jules… Dio mio, non ci credo che puoi sentirmi! Sono così contento di rivederti. Sei una forza ed io…”.
“Ehi! Ehi! Piano! Sono venuta con Bobby, e non posso arrossire davanti a lui. Stiamo lavorando insieme per rinchiudere le anime in luoghi controllabili. Stiamo facendo un ottimo lavoro! E ci stanno aiutando i cacciatori di tutto il mondo! Dovresti vederli Sam… Sono una forza… Ti piacerebbero davvero tanto”.
Ovviamente, il povero Bobby non aveva potuto sentire ciò che Sam le stava rispondendo. Avrebbe dovuto attendere pazientemente che la loro intima e segreta conversazione fosse giunta al termine per ricevere il suo resoconto.

“Non ci posso credere! Ed io sono bloccato qui, in questo maledetto letto! Non posso alzarmi, non posso urlare i miei pensieri! E’ frustrante!”.

“Sì tesoro, lo so. Ma dimmi, hai ancora quegli episodi?”.

Jules si stava riferendo alle sue visioni, era ovvio.

“Continuamente” – era stata la desolante risposta di Sam.

La ragazza aveva chiuso gli occhi prima di riprendere a parlare.

“Non posso fermarle Sam, mi dispiace”.
“Lo so. Nessuno può aiutarmi. Ma credimi, sto impazzendo. Loro sono forti… E sono terribili”.
“Ma loro non sono reali”.
“Come puoi dirlo? Tu non puoi vederli. Tu non sai come sono”.
“E’ proprio questo il punto, tesoro. Io non posso vederli. Se fossero reali, li vedrei, proprio come li vedi tu”.

Dopo quell’ultima osservazione di Jules c’era stato un lungo silenzio, il che poteva significare solo due cose: o che Sam le stava facendo un lungo discorso, o che stava pensando con attenzione alle parole di Jules, proprio come stava facendo Bobby, del resto.

“Quindi tu dici che…”.
“Ti mentirei mai, Sam?”.
“No. Ma allora, come posso fare per fermarli?”.
“Devi pensare a cosa è davvero importante. Dean è là fuori Sam è ha bisogno di te. Tutti abbiamo bisogno di te. Non puoi permettere a dei ricordi di farti questo Sam. Fallo per Dean, per Bobby, per il mondo! Ma fallo soprattutto per te”.
“Per me…”.
“Noi ora dobbiamo andare a casa, tesoro… Tu cerca di fare quello che puoi per tornare tra noi. Abbiamo bisogno di te Sam. Tu hai bisogno di te”.

Se solo non avesse saputo com’erano in realtà gli angeli, Bobby avrebbe creduto che Jules fosse una di essi.

*

Ian aveva portato suo fratello in un albergo vicino alla macelleria in cui operava Il dottor Robert. Quest’ultimo aveva stabilito che lui fosse completamente fuori pericolo, e gli aveva chiesto di spostarlo, perché i pazienti continuavano ad arrivare e aveva bisogno di spazio. Castiel, al contrario, non poteva essere toccato per nessuna ragione.
Non avrebbe voluto lasciarlo, ma non aveva avuto molte alternative. E poi, era anche giusto che vivessero un po’ di tempo da soli. Dopo tutto quello che avevano passato, glielo doveva.

E lo stesso valeva per lui e per Morgan. Lo aveva messo a letto cercando di non fargli prendere troppi scossoni, e si era steso accanto a lui.
Il suo fratellino era lì. Erano di nuovo insieme. Era un sogno. O forse, era un incubo.
Ma era troppo stanco per poter cercare di capire cosa fosse accaduto. Doveva solo chiudere gli occhi e riposare per un po’. Così, si era addormentato.

Non si era reso conto che il ragazzo che giaceva accanto a lui, aveva finalmente aperto gli occhi, sussurrando piano il nome dell’unica persona che avrebbe voluto vedere in quel frangente.

“Castiel…”.

Continua…
_____________________________________________________________________________________________________

SAAALVEEEE!!
Uff… Finirà mai questo Angst?? Spero davvero di sì! XD
Povero Morgan… Si è svegliato, e ha chiesto di Cass… Posso piangere disperatamente per quello che ho scritto??
Per quello che ho detto su Sam e sulle persone in coma, io ovviamente non so come vanno le cose nella realtà. Nessuno lo sa. Ma ho cercato di spiegarmi perché alcuni si svegliano e altri no, e non mi è venuto in mente nulla di meglio.
Spero di non aver urtato nessuno in caso! E me ne scuso!
Posso dire che Dean è un emerito coglione? Ora si accorge di quanto bene vuole a Cass?? Idiota…
Ragazze, scappo!! Spero di sentirvi presto!
Un bacione
Cleo

Ritorna all'indice


Capitolo 46
*** Come back to me ***


Come back to me


Si era svegliato con estrema fatica, rendendosi conto di aver invocato il suo nome più di una volta. Ricordava perfettamente ciò che era accaduto nella casa in cui erano entrati per recuperare la tavoletta. Ricordava la crudele lotta con il Leviatano, il cadavere in parte divorato di quella povera donna, e ricordava con chiarezza il dolore avvertito dopo il micidiale morso che gli era stato inferto dal mostro.
Esitava nel toccare il proprio fianco, temendo di non trovare più la carne attaccata al resto del corpo.
Ma la cosa che gli destava maggiore preoccupazione non era il fatto di poter morire dissanguato da un momento all’altro, no. La sua maggiore preoccupazione era il non aver ricevuto alcuna risposta alla sua chiamata. Perché Cass non gli aveva parlato? Perché non si era avvicinato a lui? Perché non lo aveva raggiunto e rassicurato? Che fosse… Che fosse…?

Aveva girato la testa con fatica, prima a destra, scoprendo di essere in una stanza sconosciuta, forse di un hotel, illuminata solo dalle luci dei lampioni stradali, e poi a sinistra, rendendosi conto che c’era qualcuno accanto a lui, qualcuno girato di spalle.

Istintivamente, aveva tirato un sospiro di sollievo. Castiel stava dormendo di gusto, in un letto accanto al suo.
Che stupido che era stata ad aver pensato che un Leviatano avesse potuto ucciderlo. Cass era scaltro e ne aveva passate troppe per farsi atterrare da uno stupido mostro uscito dal Purgatorio! Lui doveva essere svenuto dopo il mostro che gli era stato dato, il suo amico doveva essersi ripreso e doveva averlo portato lì. E, a giudicare da quello che aveva sentito dopo aver trovato la forza di tastare, doveva anche averlo ricucito. Che cosa avrebbe fatto senza Castiel non riusciva proprio ad immaginarlo.
Era troppo debole per alzarsi dal letto, ma aveva tanta, tantissima voglia di stendersi un po’ accanto a lui.
Non gli importava più di niente. Né dei Leviatani, né di quella stupida tavoletta, né di Crowley. Voleva solo trascorrere più tempo possibile accanto al suo angelo, per proteggerlo nelle sue possibilità.
Proprio per questo, aveva stretto i denti e si era messo seduto, prendendo un profondo respiro. Aveva avvertito proprio un gran bel capogiro, ma non si sarebbe fermato.
Non vedeva l’ora di stringere Castiel e tenere fede alla promessa che gli aveva fatto la prima volta che l’aveva visto.

Ma, proprio mentre, con estrema fatica, si era messo sulle proprie gambe, la persona che si era addormentata nel letto accanto al suo si era girata, mostrandogli il suo viso e facendolo fremere di paura.
Quello che era accanto a lui non era il suo Castiel.

*


"Morgan" - aveva sussurrato la prima volta, incapace di capire se fosse sveglio o se stesse sognando - "MORGAN!" - aveva urlato la seconda, balzando immediatamente seduto sul letto per poi provare a saltargli addosso. Voleva abbracciarlo, stringerlo, confortarlo! Finalmente avrebbe riavuto suo fratello accanto. E finalmente avrebbe avuto uno spiegazione.

Eppure, le cose non stavano andando come aveva previsto o sperato: appena aveva cercato di toccarlo, il ragazzo di fronte a lui aveva estratto da una tasca dei jeans un piccolo coltellino a serramanico, puntandoglielo dritto alla gola.

"Ma cosa...".
"Prova a toccarmi anche solo una volta e giuro che ti sgozzo" - gli aveva detto, senza mezzi termini, cercando di apparire il più tranquillo possibile.

Ian era rimasto senza parole. Come poteva pensare che volesse fargli del male?

"Morgan, io...".
"SMETTILA DI CHIAMARMI COSI’!" - aveva urlato - "Io non mi chiamo Morgan! Chi diavolo sei tu? Dove mi hai portato? Dov'è Castiel?".

E finalmente tutto ea stato chiaro: suo fratello non sapeva ancora chi fosse in verità. Quel ragazzo aveva solo l'aspetto del suo Morgan, ma non aveva più niente di lui. Quel ragazzo non sapeva chi lui fosse. Non sapeva che lui fosse il fratello che lo amava più della sua stessa vita.

*


Era oltremodo soddisfatto!
Davvero non riusciva a credere di esserci riuscito!

"Quando si suol dire un colpo di fortuna!" - aveva asserito, guardando il proprio riflesso - quello autentico, non quello del povero bastardo che stava possedendo - e compiacendosi per la propria astuzia.
Quei due idioti non si erano resi conto che lui stesse monitorando ogni loro mossa. Meglio per lui! Aveva avuto il tempo di recuperare la tavoletta con tutta calma mentre i suoi cagnolini venivano salvati dal solito Dean Winchester e da quell'altro cacciatore che gli faceva ribollire in sangue. Era davvero un gran bel pezzo di manzo... Avrebbe davvero voluto fare un bel giro di valzer insieme a lui!

"Magari quando tutto questa storia sarà finita potrei divertirmi un po' con tutti e quattro! Sarebbe bello avere degli schiavetti... Ogni re se li merita! Ma per il momento credo che sia meglio aspettare, vecchio mio" - si era detto, sistemandosi il nodo della cravatta - "Per ora, hai una profezia da far tradurre".

*


Due degli uomini di Crowley gli avevano portato l'altra parte della tavoletta qualche ora addietro, e lui si era messo d'impegno per finire di tradurla il prima possibile. Aveva ancora difficoltà a vedere con chiarezza il messaggio che vi era scritto, ma aveva fatto del suo meglio per tener fede alla sua promessa: solo se avesse finito di tradurre quella maledetta profezia avrebbe rivisto la sua famiglia. Voleva riabbracciare sua madre, suo padre e la sua fidanzata.
Non aveva chiesto lui tutto quello. Non aveva chiesto lui di essere speciale. Lui era solo Kevin Tran, uno studente che aspirava al massimo, e niente di più.
Invece, all'improvviso, si era trovato ad essere un profeta del Signore. Prima o poi gli sarebbe cresciuta una folta barba bianca e avrebbe recuperato un vecchio bastone di legno con cui sorreggersi, e dopo aver indossato un saio sarebbe stato davvero il profeta perfetto.
Si odiava per quello. Odiava il destino che si era accanito tanto con lui. Ma sapeva di non poter fare molto. Doveva solo tradurre quella tavoletta, e poi avrebbe potuto riavere la propria famiglia e la propria libertà. Crowley gliel'aveva promesso. E Crowley sembrava essere proprio un uomo di parola. Ammesso sempre che fosse un uomo e non qualche altra assurda creatura.

"Ciao amico mio. Hai finito di fare quel lavoretto per me?".

La voce calma e pacata di Crowley lo aveva distratto dai suoi pensieri, facendolo trasalire.
L'uomo vestito di nero era apparso dal nulla, come faceva di solito, sfoggiando uno dei suoi sorrisi più soddisfatti.

"Salve. Sì... Ho finito" - aveva risposto lui, serio e ancora un po' impacciato.
"Davvero? E che cosa dice, amico mio?".

La sua curiosità era palpabile. Voleva sapere come agire contro i Leviatani, e voleva saperlo subito.

"L'osso dell'uomo retto andrà immerso nel sangue dell'angelo caduto, in quello dell' Alfa e in quello del re dell'Inferno. E poi... Bè... Bisognerà trapassare il corpo del re dei Leviatani in modo che si crei un legame fra tutti gli altri e contemporaneamente aprire la porta del Purgatorio. Solo allora si potrà esercitare il proprio volere su di loro e poterli così costringere a tornare indietro".

Era stato lineare e conciso. Prima avrebbe detto come stavano le cose, prima avrebbe riavuto la propria libertà. Cominciava già ad assaporarla in tutta la sua dolcezza. Sì... Presto sarebbe stato di nuovo libero.

"Dunque, questo è tutto, amico mio?" - gli aveva domandato Crowley, avvicinandosi a lui e posandogli una mano sulla spalla destra - "E' così che li fermeremo?".
"Sì. Almeno, questo è quello che dice la profezia. Sono stato molto attento a tradurla in ogni sua parte. Volevo fare presto per vedere tutti i miei cari e...".
"Va bene amico mio, va bene. Sei stato davvero bravo. Ti faccio i miei complimenti!" - aveva ripetuto, girandogli attorno - "Io sono un uomo di parola, e non ho intenzione di venire meno ai miei doveri" - e aveva cominciato a guardare un punto impreciso dietro le spalle di Kevin costringendolo a voltarsi.
 
Quello che avevano visto i suoi occhi gli aveva riempito il cuore di gioia.

"Mamma!" - aveva urlato, cercando di andarle incontro. Stava bene, era serena, ed era finalmente lì con lui. Quasi non ci credeva. Sapeva di potersi fidare di Crowley, lo sapeva.

Ma, proprio mentre Kevin stava per alzarsi in piedi e raggiungerla, si era bloccato all'improvviso, inorridendo per quello a cui aveva appena assistito: gli occhi di sua madre erano inspiegabilmente diventati neri come la notte.

"MAMMA! MA CHE COSA TI E' SUCCESSO??? MAMMA!!".

Ma lei non aveva risposto alle sue disperate domande, cominciando a ridere di gusto.

"Quella non è più tua madre, amico mio. Ah, e noi non siamo più amici, ad essere precisi" - aveva detto il re dell'Inferno, mettendosi dietro al ragazzo e posandogli una mano sulla scapola - "E, che Dio non me ne voglia, ma tu non mi servi più".

Un istante dopo, il cuore pulsante di Kevin si era trovato fra le sudice mani di Crowley.

*


Aveva tentato di farlo calmare più volte, ma non c'era stato modo di farlo ragionare.
La verità era che non sapeva bene cosa fare. Da una parte era sollevato dal sapere che non ricordava chi fosse, ma dall'altra parte ciò comportava una serie di complicazioni non irrilevanti.

Morgan, se così poteva ancora chiamarlo, si spostava continuamente da una parte all'altra della stanza, cercando di evitare ogni genere di contatto con lui. Non si era disfatto del suo coltellino, e nonostante Ian gli avesse ripetuto più volte che non voleva fargli del male continuava a puntarglielo contro.

"Dov'è Castiel?? Che cosa gli hai fatto??".
"Ascoltami! Ti dirò ogni cosa, ma ti prego, metti giù il coltello!".
"Dimmelo! ADESSO!".
"Va bene! Va bene! Te lo dirò. Però stai calmo, o la ferita potrebbe riaprirsi".
"Dimmi dov'è Castiel" - gli aveva ripetuto un'ultima volta, con il fuoco negli occhi e con una voce così disperata che sembrava non appartenergli.
A quel punto, non aveva più potuto tergiversare. Senza distogliere lo sguardo dal suo, si era seduto sul letto, cominciando a raccontare tutto ciò che sapeva.

"Ascolta, io mi chiamo Ian. Castiel è stato gravemente ferito. Lo abbiamo portato da un medico che lo ha operato e...".
"E lo hai lasciato solo?? Dio mio... Chi c'era con te?".
"Un suo amico":
"Ma perché fai così? Perché dici le cose a metà? Chi è questo amico? Giuro che se non me lo dici...".
"Dean Winchester. E' con Dean Winchester!" - aveva urlato ad un certo punto Ian, esasperato. Morgan non lo aveva mai aggredito in quel modo, e nonostante sapesse che quello non era più suo fratello, proprio non ce la faceva a fare altrimenti. Era troppo doloroso quello che stava vivendo per poterlo completamente ignorare.

Solo che non aveva previsto quale potesse essere la reazione di Morgan nel sentir pronunciare quel nome. Alle parole Dean Winchester, i suoi occhi si erano spalancati tanto da far paura, e le forze gli erano venute meno. Per questo, si era lasciato cadere seduto sul letto, mollando la presa anche sul manico della sua piccola arma.

Castiel era con Dean. Castiel era con Dean Winchester. Sapeva che fosse giusto, che era quello il suo posto, ma allo stesso tempo non riusciva ad accettarlo. Cass era con Dean, e lui non c'era. Cass stava male e lui lo aveva abbandonato. Si sentiva un mostro.
E poi, chi era quel ragazzo che gli stava dando tutte quelle informazioni? Perché lo aveva portato lì? Dio mio, il suo cuore stava sanguinando.

"Dove sono loro, adesso?" - aveva chiesto ad un certo punto, cercando di riordinare le idee e di placare il dolore che sentiva nell'anima.
"Sono rimasti in quella specie di magazzino dove opera il dottor Robert. Non ti mentirò. Castiel non sta bene. Aveva la cassa toracica gravemente danneggiata e i polmoni ne hanno risentito... Mi dispiace ma... E' difficile che lui possa...".
"Non lo dire. Non lo devi dire" - lo aveva zittito, cercando di frenare le lacrime.
Ian non aveva aggiunto altro, dandogli il tempo di elaborare quella terribile notizia. Da come aveva reagito sembrava che avessero trascorso molto tempo insieme. Cielo quanto avrebbe voluto sapere ogni singolo attimo della sua vita. Ma non poteva osare. Doveva aspettare che Morgan, o qualunque fosse il suo nuovo nome, si fidasse di lui. Solo dopo avrebbe potuto chiedergli qualcosa, anche come si chiamasse, semplicemente.

"Cass non può morire. Lui... lui non può e basta. Noi dobbiamo trovare la tavoletta e fermare i Leviatani. Dobbiamo fermarli!".

E poi, non ce l'aveva più fatta. Il viso del suo Morgan si era rigato di lacrime silenziose. I suoi occhi si erano liquefatti e le sue labbra avevano cominciato a tremare. Ma non un solo gemito era fuoriuscito da esse. Non uno.

"Mi dispiace..." - aveva detto allora, facendo di tutto per non rimanere in silenzio. Non poteva abbandonarlo. Non poteva fingere che non gli importasse. Era pur sempre suo fratello.

"Ian, devi portarmi da lui, adesso" - aveva detto ad un certo punto, pulendosi le guance - "Io non posso abbandonarlo" - e si era alzato in piedi, incurante del dolore che acuto si era impossessato di lui.
"D'accordo. Ti porterò da lui. Ma per favore copriti, e mangia qualcosa".

Quanta premura aveva quel ragazzo nei suoi confronti. Quasi gli dispiaceva di averlo trattato così male.

"Va bene... Grazie Ian... E io sono Colin, comunque. Ora, però, portami da Castiel".

*


"Ragazzo, dovresti riposare... Non puoi andare avanti così. Di questo passo finirò per dover ricoverare anche te!" – aveva ripetuto il dottor Robert a Dean per la trecentesima volta, inutilmente.
Dean non si era mosso di un millimetro, e non sembrava intenzionato a farlo. Contrariamente a tutti i pronostici, Cass era stabile. Sembrava proprio che non volesse mollare per alcuna ragione al mondo. Aveva dimostrato di essere forte, molto più forte di quello che avrebbero mai pensato. Proprio per questo Dean non voleva spostarsi dal suo capezzale. Voleva stargli accanto, perché se c’era la seppur minima speranza che si svegliasse e potesse dirgli tutto quello che si era tenuto dentro tutto quel tempo, lui doveva essere pronto ad aiutarlo.

“Non posso lasciarlo” – era stata la sua risposta, mentre cercava una posizione più comoda sulla piccola e sgangherata sedia verde che era diventata il suo trono – “Combina solo disastri quando è da solo… E’ una cosa che vorrei evitare”.
 
Il sorriso che si era allargato sul suo viso era mesto. Erano troppi i ricordi che si stavano agitando nella sua mente. Ricordi di lui e Cass insieme e delle cose che avevano fatto, e ricordi dei momenti in cui si era sentito solo, completamente sperduto. Chissà se a lui era successa la stessa cosa.

“Ti sei sentito solo, Cass?” – gli aveva sussurrato all’orecchio, lieve – “Anche io stupido pennuto sacro… Ma comincio a pensare che non sia stata solo colpa tua” – aveva aggiunto, allungandosi con il busto sulla piccola porzione di materasso disponibile, fino a circondargli il capo con un braccio.
A quel punto, il dottor Robert aveva deciso di andare via, lasciandoli soli. Dean aveva troppe cose da dire a Castiel era così evidente. Non sarebbe stato giusto restare ed ascoltare.
Si augurava solo che quel povero ragazzo riuscisse a stupirli ancora riaprendo gli occhi. Era un lottatore. Doveva esserlo fino alla fine.

Dean aveva sentito la porta alle proprie spalle chiudersi. Il dottor Robert era stato così gentile da lasciarlo da solo con Castiel. Quell’uomo era sempre stato molto disponibile con lui e la sua famiglia. Era rimasto davvero scosso dalla morte di John, e Dean non lo avrebbe mai ringraziato abbastanza per l’aiuto che gli aveva più volte dato senza volere nulla in cambio.
Un altro, al suo posto, avrebbe preteso dei fruscianti verdoni per fare ciò che aveva fatto il dottor Robert. Mio Dio, aveva aperto Castiel su quel misero tavolo operatorio, e lui lo aveva aiutato. Avevano estratto le costole dal polmone, lo avevano riparato e poi le avevano riattaccate, proprio come lui aveva fatto tante volte con la sua bambina. Ma Cass non era la sua bambina. Cass non era una macchina – seppur non si parlasse di una macchina qualunque ma della SUA macchina – no. Cass era una persona, proprio come lui. Cass aveva un cuore, un cervello, Cass aveva un’anima. E sperava con tutto il suo cuore che quell’anima decidesse di rimanere ben attaccata al corpo del suo tramite.

Il bel viso era molto pallido, e i capelli erano ancora sporchi di sangue ormai incrostato. Avrebbe avuto bisogno di una bella doccia, una volta svegliatosi. Avrebbe avuto bisogno di una doccia anche se fosse spirato lì, su quel letto. Perché nonostante fosse stato causa di grandi, enormi problemi, era il suo Castiel, e doveva ricevere il trattamento migliore in ogni caso.

Cielo, da quando aveva cominciato a pensare a Castiel come a qualcosa di suo? Come a qualcosa, o meglio qualcuno, da avere accanto, da proteggere, da amare?
Aveva ripetuto a tutti di odiarlo. Aveva ripetuto a se stesso di odiarlo, asserendo di non poterlo perdonare. Ma come si poteva fare una cosa del genere ad una simile creatura? Come? Lui era Dean Winchester, non un mostro. E, anche se era stato ferito, piegato, spezzato, si era sempre rimesso in piedi. E, l’ultima volta che era stato davvero distrutto, lo aveva fatto proprio grazie a quell’angelo stralunato che Dio aveva deciso di affiancargli.

“Sai Cass…” – gli aveva detto, posandogli con timore una mano fra i capelli. Si era reso conto solo in quel momento di quanto avesse sempre desiderato farlo. Aveva sempre creduto che fossero morbidi, nonostante fossero molto arruffati. E lo erano. Lo erano nonostante il sudore e il sangue rappreso. Erano i capelli più belli che avesse mai visto o taccato prima di allora – “Io me lo ricordo quando sei venuto a salvarmi da quella merda in cui ero finito. Ricordo ogni istante. Eri bellissimo Cass… Così bello da fare male agli occhi. Splendevi di luce. La stessa luce che ha sempre brillato negli occhi del tuo tramite, e nonostante il dolore, non riuscivo a smettere di guardarti” – aveva detto Dean, arrampicandosi sul piccolo e scomodo letto, fino a sdraiarsi al suo fianco. Non poteva mettere la mano sul suo torace, anche se avrebbe voluto farlo. Ma non si era arreso: aveva fatto scorrere il braccio sinistro fino a quando la sua mano non aveva incontrato quella tiepida e immobile di Castiel.
“Ti prego Cass… Apri gli occhi… Apri gli occhi e lasciami vedere ancora quella luce. Ne ho bisogno Cass. Ho bisogno di te Cass… Ti prego… Torna da me… Torna da questo idiota che ha capito solo ora quanto tu sia importante”.

Non poteva crederci… Stava piangendo. Dean Winchester stava piangendo per un uomo. Ma non per un uomo come tutti gli altri. Quello era il suo Castiel, il suo angelo con l’impermeabile. E niente e nessuno avrebbe mai potuto cambiare le carte in tavola.

Soffocando le lacrime sul collo di Castiel, non si era reso conto di essersi praticamente aggrappato a quella mano così grande e tiepida, e a quei capelli che tanto lo avevano sorpreso e affascinato. Nonostante il naso non svolgesse al meglio le sue funzioni per via del pianto, era perfettamente in grado di percepire il suo odore, scoprendo così che gli piaceva da impazzire. Non c’era odore migliore di quello. Non c’era ragazzo migliore di quello che aveva accanto.

“Non ce l’ho con te per quello che è successo. Dico davvero Cass… Dimentica tutte le cattiverie che ti ho detto… Dimenticale…Sono un idiota amico mio. Ma questo lo sapevi già, non è vero? Non è vero Cass? Ti prego… Ti prego…” – e, a quel punto, aveva aperto gli occhi, sollevandosi quanto bastava per osservare il suo viso.
Era così bello, nonostante il dolore, nonostante fosse così sconvolto e fragile.
“Se ci fosse stato Sam avrebbe detto che sembri la Bella Addormentata, ne sono sicuro. Ed io avrei fatto la faccia schifata per non fargli sapere che conosco quel cartone forse meglio di lui, perché piaceva ad una delle mie ragazze. E allora, non avrei potuto non dargli ragione: anche se lei era bionda, sembri davvero la Bella Addormentata” – aveva detto, posandogli una mano vicino, molto vicino alle belle labbra screpolate.
Che sapore avrebbero avuto quelle labbra? Che consistenza? Di certo, non sarebbero state morbide come velluto, morbide come quelle di una donna. Ma Dean sospettava che fossero mille volte meglio.
Per questo, si era avvicinato maggiormente, osservandole con gli occhi socchiusi.
“Aspetti il tuo principe per svegliarti, Cass? Lo stai aspettando, non è così?” – e si era avvicinato ancora, fermandosi a pochi millimetri da esse, fino a sentire il suo respiro sulle proprie – “Però non dire a nessuno che sono io principe azzurro. Soprattutto perché nessuno ti crederebbe”.

Quel contatto insperato era stato la cosa più strana e allo stesso tempo più bella e straordinaria che fosse capitata a Dean Winchester nell’ultimo anno. Le labbra di Cass non erano neanche lontanamente come avrebbe potuto immaginare, e non capiva come fosse possibile, visto che lui non aveva potuto ricambiare quel bacio rubato. E non si trattava solo della loro consistenza, o del loro sapore. C’era stata una sorta di scossa elettrica che aveva attraversato la schiena del cacciatore nell’attimo in cui si erano sfiorati, e aveva cominciato a sentirsi improvvisamente, inaspettatamente completo e felice, così felice da stare quasi male.
Avrebbe voluto rimanere sulla sua bocca per sempre, facendogli respirare la propria aria, il proprio spirito, il proprio amore.

“Ti amo” – gli aveva sussurrato, ringraziando il cielo che non avesse potuto sentirlo – “Credo di averti sempre amato, pennuto idiota. E ti prego Cass, ti prego… Torna da me”.

Continua…
______________________________________________________________________________________________________

Oh mio Io - come direbbe il fidanzato di mia sorella -  finalmente ce l’abbiamo fatta!
Posso piangere disperatamente?? Sì! =’)
Ragazze, siamo in dirittura d’arrivo! Vedremo come sarà questo tanto agognato finale!!
Perdonatemi per Kevin… =( Mi sta tanto simpatico poverello… Ma dovevo far capire chi è il vero Villain in questa serie che tanto amiamo – ovviamente, ora che non c’è Lucifer in giro!!
Come avete potuto vedere, ho cambiato l’esito della profezia. Capirete presto perché!
Scappo family!! Grazie di tutto!
Un bacione
Cleo

 

Ritorna all'indice


Capitolo 47
*** La mossa del diavolo ***


La mossa del diavolo


Erano in macchina da diversi minuti, immersi nel più totale silenzio. Morgan… Colin si era abbandonato contro il sedile, intento ad osservare distrattamente quello che accadeva fuori dal finestrino, perso fra chissà quali pensieri che di certo avevano come protagonista un ex-angelo dagli occhi colore del cielo.

Ian continuava a guidare, rispettando il silenzio che suo fratello aveva scelto per tutti e due.
Quanto paradossale poteva essere quella situazione? Era pur vero che tante persone nel mondo soffrissero del morbo di Alzheimer e non avessero alcuna consapevolezza di chi fossero le persone che gravitavano loro attorno, anche se si trattava dei loro figli e dei loro nipoti. C’erano anche tante persone che avevano perso la memoria in seguito ad un trauma, ma anche quella era una situazione del tutto diversa dalla loro.
Cielo, aveva chiesto lui di fargli perdere tutti i ricordi inerenti al suo passato, e adesso si ritrovava a portare quel fardello tutto da solo. Forse, non aveva spalle abbastanza larghe per affrontare quella situazione. Non era l’uomo di ferro che tutti credevano, evidentemente. Dopotutto, anche il ferro si scioglie ad una temperatura elevata. E, anche se nella macchina era calato il gelo, Ian stava avvampando.

“Per favore, potresti fare più in fretta?” – aveva chiesto Colin, girando il capo verso il ragazzo che stava guidando. Era molto pallido, e si era stretto maggiormente nella coperta che Ian gli aveva costretto a portare. L’effetto dell’antidolorifico stava scemando, era così evidente. Doveva avvertire un male insopportabile, eppure stata stringendo i denti. Forse, il lui c’era molto di più di suo fratello di quanto potesse immaginare.

“Mi dispiace, non posso andare più veloce di così. L’auto non è proprio mia, e l’ultima cosa che voglio è finire in commissariato per furto e guida pericolosa”.
“Perfetto… Sono finito in macchina con un ladro!” – aveva ironizzato il ragazzo, sorridendo come meglio poteva, un po’ per ampliare l’effetto della sua battuta, un po’ per mascherare il dolore che stava provando.
“Ah-ah… molto divertente!”.

Gli piaceva sentire il suono della sua voce. Sarebbe stato ancora più bello sentire il suono della sua risata, ma non poteva pretendere tanto.
Avrebbe dovuto pazientare un po’. Magari, nel frattempo, avrebbe capito se fosse il caso o no di dirgli la verità sul loro rapporto. Era davvero un bel problema.

“Ian…”.
“Sì?”.
“Che ne è stato della tavoletta?”.
“Che-che vuoi dire?”.
“Voglio dire che la tavoletta non si trova nelle nostre mani. Se così fosse stato, mi avresti lasciato con Cass da questo dottor Robert e avresti cercato di risolvere il problema dei Leviatani. Che cosa è successo?”.

Non era propriamente esatto, perché era suo fratello e non lo avrebbe abbandonato per nessuna ragione al mondo, ma doveva ammettere che la sua sagacia fosse rimasta del tutto intatta.
Era inutile mentirgli, o girarci attorno. Doveva sapere come stavano le cose. Era giusto così.

“E’ andata. Quel bastardo di Crowley l’ha presa proprio mentre tu e Cass eravate a terra, feriti. Mostro. Come avrà fatto a sapere che eravamo tutti sulle tracce della tavoletta?”.

Colin aveva chiuso gli occhi e preso un bel respiro, prima di rivelare la sua verità.

“Lo sapeva perché io e Cass stavamo lavorando per lui”.
“Che cosa?? Colin… ma perché?!”.

Era sconvolto. Come poteva essere che Castiel fosse caduto di nuovo nello stesso errore? Lavorare di nuovo per il Re dell’Inferno era da pazzi, da persone che avevano perso il senno.

“Perché non avevamo scelta. E perché Cass voleva provare a sistemare le cose. Tu sei un cacciatore, non è vero? Lui non è cattivo. Lui è l’essere più buono e gentile di questo mondo, e voleva solo risolvere il guaio che ha combinato. Io ho fiducia in lui…” – aveva detto, fra le lacrime – “Lui è tutto quello che ho… E non lo posso abbandonare”.

Colin non sapeva che il cuore di Ian stava sanguinando.

*


Dean si era addormentato accanto a Castiel. Aveva pianto a lungo prima di crollare fra le braccia di Morfeo.
Era stato un pianto liberatorio. Troppe cose lo avevano sconvolto nell’ultimo periodo, troppe cose lo avevano cambiato. Travolto dagli eventi, aveva perso di vista le cose importanti, ed era arrabbiato con se stesso per aver ammesso quali fossero i suoi reali sentimenti quando probabilmente era troppo tardi per poterli vivere.
Era stanco. Era veramente stanco. Aveva sempre creduto che non ci fosse niente di più importante oltre agli affari di famiglia, oltre a Sam e a Bobby, ma si era reso conto che quella era solo una bugia che si era raccontato per tanto tempo. Gli piaceva cacciare, era vero. Lo faceva sentire vivo, utile, ma mai come allora avrebbe desiderato essere una persona normale, almeno per una volta nella vita. Aveva provato a vivere una vita vera al fianco di Lisa e Ben e non c’era riuscito. Alla fine, aveva deciso di andare via, ma solo stando al capezzale di Castiel aveva capito perché. Non era stata la monotonia della vita quotidiana a farlo ritornare sui suoi passi. Era stata la monotonia vissuta accanto a Lisa.
Non era lei che avrebbe voluto avere vicino ogni notte. Per quanto potesse sembrare assurdo, non era sul suo seno morbido che avrebbe voluto addormentarsi, ma su quei pettorali glabri e candidi deturpati da ustioni e cicatrici che aveva osservato per tanto tempo prima di addormentarsi.

Dio mio, si era innamorato di un angelo, ma chiunque avesse conosciuto Castiel come lo conosceva lui avrebbe capito perché un eterosessuale convinto come Dean Winchester aveva donato il cuore ad una persona del suo stesso sesso.
Non erano gli uomini a piacergli. Era Cass. Solo e soltanto Cass.
Ricordava bene il piccolo angelo di porcellana che la sua mamma aveva messo nella cameretta in cui aveva dormito negli anni più felici della sua vita. Aveva visto giusto sin dall’inizio la sua amata mamma.
Era certo che Castiel le sarebbe piaciuto tantissimo e che non l’avrebbe giudicato per quella sua scelta, perché era stata una scelta fatta con il cuore.

Erano stati questi pensieri fatti prima di addormentarsi che avevano stimolato il suo subconscio al punto di fargli sognare un’intera vita insieme. Una vita che forse non avrebbero mai e poi mai potuto vivere nel mondo reale.

Era rientrato a casa dopo una giornata tremenda. Sul cantiere di cui era diventato responsabile c’era stato un furto di alcuni materiali edili, e gli era toccato rimanere fino a tardi per stilare un resoconto dell’accaduto.
Avrebbe voluto scaricarsi un po’ in palestra, per questo aveva deciso di passare da casa solo per infilarsi la tuta e dire a Cass di non aspettarlo per cenare, che avrebbe mangiato più tardi un toast o qualcosa del genere.
Ma le cose erano cambiate quando era entrato in salotto, trovandolo addormentato sul divano perfettamente vestito con la tv accesa sul canale del fai da te. Dietro di lui, la fioca luce di una candela illuminava la tavola apparecchiata per due, con tanto di servizio buono e una rosa bianca che aveva riempito l’aria con il suo delicato profumo.
Aveva preparato la cena per loro due. E non una semplice cena, ma una di quelle fatte apposta per una ricorrenza. Era tipico di Cass tenere a mente anche il più piccolo degli eventi, così come era tipico di Cass volerli festeggiare uno ad uno. Un campanello di allarme si era acceso nella testa del giovane capocantiere. Era evidente che avesse dimenticato un qualche anniversario.

‘ Fai mente locale Dean. Fai mente locale. Che giorno è oggi? E’ il tuo compleanno. No, certo che no cretino! L’avresti ricordato! E’ il suo? Ma certo che no! Cass esisteva prima della creazione dell’universo. Allora, è il vostro anniversario? Ma no. Quello era a dicembre e noi siamo a luglio. O era ad aprile?
Maledizione a lui e alla sua mania di ricordare tutto! ‘.

Aveva allora provato a raggiungere il calendario appeso in cucina, ma nella fretta era inciampato nel tappeto all’ingresso, cadendo rovinosamente a terra.

“AHI!” – aveva esclamato, massaggiandosi il deretano dolorante – “Stupido tappeto! Siamo uomini! Che cavolo dobbiamo farcene di un tappeto??”.

“Dean!” – la voce assonnata di Castiel aveva raggiunto le sue orecchie, spronandolo ad alzarsi all’istante. La sua neo-umanità lo aveva fatto diventare più apprensivo di quanto non fosse stato quando era un essere piumato, e voleva evitare che minacciasse di portarlo al pronto soccorso.
“Tutto bene Cass!” – aveva asserito, avvicinandosi al divano non senza qualche problemino.
Eccolo lì il suo angelo sulla spalla. Nonostante avesse gli occhi gonfi dal sonno, i capelli tutti arruffati e la camicia spiegazzata, era bello come non lo era mai stato prima di allora.
Solo lui poteva sapere quanto lo amasse. E solo lui poteva sapere quanto Cass lo amasse a sua volta.

“Va tutto bene?” – aveva chiesto lui, preoccupato.
“Divinamente…” – era stata la sua risposta, mentre si chinava per catturare le sue labbra ruvide e asciutte in un bacio pieno di passione e desiderio.
“Emm… forse prima dovremmo cenare... O finirà per raffreddarsi tutto!” – aveva consigliato Cass, cercando di sfuggire a quelle attenzioni per nulla spiacevoli.
“C’è qualcos’altro che si raffredderà se non starai buono”.

Lo aveva spogliato del suo bellissimo completo nero senza neanche rendersene conto. La prima cosa che era andata via era stata la camicia, e lui aveva potuto saggiare la consistenza del suo collo e del suo petto, soffermandosi a lungo ad ascoltare i battiti crescenti del suo cuore e il suo respiro che galoppava veloce ad ogni tocco.
Si era tolto la maglietta con un gesto veloce, lasciando che Cass vagasse con le sue mani esperte sul suo petto, per poi passare impaziente alla cintura dei suoi pantaloni. Avevano troppa urgenza per poter fare le cose come andavano fatte.
Per questo, senza dirsi una parola, avevano deciso di rimandare a più tardi i giochi seri, limitandosi, per così dire, a darsi piacere l’un l’altro solo con il movimento esperto di quelle mani che conoscevano così bene il corpo della persona amata.
Dean era stato il primo ad iniziare quel gioco che non aveva programmato. Il suo compagno aveva pigolato contro il suo collo, aggrappandosi forte ai boxer che ancora non gli aveva sfilato, godendo per quel contatto che aveva tanto bramato. Dopo aver preso un lungo respiro, aveva ricambiato lo stesso favore, stringendo forse con un briciolo di intensità di troppo l’intimità dell’uomo che amava.
 
“Sei… sei…”.
“Baciami…” – gli aveva sussurrato Cass a fior di labbra, schiudendole in attesa di ricevere ciò che aveva chiesto.
E lui non l’aveva fatto attendere. Aveva accontentato il suo compagno, catturando ancora una volta, senza smettere di massaggiarlo, quelle labbra che sin dal loro primo incontro avevano tanto attirato la sua attenzione.
Da secche e screpolate quali erano, si erano tramutate in due morbidi cuscinetti umidi fatti di velluto, cornice perfetta dell’amore che li legava.
Dean succhiava e leccava, rammaricandosi solo di non poter sfiorare quel viso meraviglioso e stravolto dal piacere con la mano libera, troppo impegnata a mantenerlo in un seppure precario equilibrio.
Eccoli lì, l’ex-cacciatore e l’ex-angelo, intenti a godere dello stesso piacere, intendi a donarsi un amore troppo grande che per molti sarebbe stato impossibile da comprendere o accettare.
Ma a loro non importava. L’importante era stare insieme finché il tempo glielo avrebbe permesso.

“Cass…” - aveva cominciato a sussurrare Dean, ormai prossimo all’apice – “Cass…”.
“Dean…” – aveva a sua volta sussurrato l’ex-angelo, cingendo forse le sue spalle con il braccio sinistro per comprimere ancora di più il viso rosso e sudato contro il suo collo accaldato – “Dean… Dean…”.

Ma poi, come l’uragano che sferza improvviso d’estate, il gemito di piacere si era trasformato in un lamento a cui ne era susseguito un altro, e poi un altro ancora.
Quando Dean aveva aperto gli occhi e sollevato il capo, del suo Cass non c’era più niente all’infuori del bellissimo corpo freddo che lo osservava con gli occhi spalancati.


Si era svegliato di colpo, temendo il peggio. Quel sogno che tanto lo aveva rilassato, lo aveva improvvisamente scosso dal suo torpore, facendogli credere di aver dormito accanto ad un corpo ormai privo di vita.
Ma i miracoli accadono. Solo che Dean lo dimentica sin troppo spesso, perché, anche se stanco e tremendamente affaticato, Cass, il suo Cass, era vivo e lo stava chiamando con la sua voce roca e bassa e gli occhi velati dalle lacrime.

“Dean…”.
“CASS! Cass! Ehi, no, non parlare. Non ti affaticare! Va tutto bene! Va tutto bene! Sei salvo! DOTTOR ROBERT! DOTTOR ROBERT! VENGA QUI! SUBITO!”.

Era in preda ad una miriade di sensazioni che non riusciva a spiegarsi. Gioia, dolore, sollievo e paura si erano scatenati all’improvviso, impedendogli per un lungo attimo di pensare lucidamente.

“Dean…”.
“Non di devi affaticare, mi hai capito? Non ti devi affaticare. DOTTOR ROBERT! Ma dove diavolo è finito!? Aspetta un attimo!”.
“No! No! No! Non lasciarmi” – lo aveva supplicato, afferrando il suo braccio come meglio poteva con l’esigua forza che aveva in corpo – “Non lasciarmi”.

Non riusciva a vederlo in quelle condizioni. Voleva solo aiutarlo, ma non poteva lasciarlo. Non dopo quella supplica.

“Io…”.
“Mi dispiace Dean… Mi dispiace tanto. E’ tutta colpa mia…”.
“Ssshh… ssshhh… Non importa Cass, non importa” – aveva sussurrato, inginocchiandosi accanto a lui e accarezzandogli i capelli con la mano – “E’ passato. Non piangere”.
“Scusami…” – aveva singhiozzato ancora una volta, cercando di rimanere sveglio.
“Basta Cass… Va tutto bene… Sono qui Cass… Non ti lascerò mai più. Te lo giuro. Io… io ti…”.

“CASS!”.

Qualcuno era entrato come una furia nella stanza in cui si trovavano proprio nell’attimo in cui Dean stava per confessare i suoi sentimenti all’uomo a cui aveva donato il cuore.
Questo qualcuno, era un ragazzo dagli occhi blu che aveva una profonda ferita ad un fianco.

*

“Tu!” – aveva berciato Colin, che nonostante il dolore sembrava carico di energia – “Lascialo stare!”.
“Ma che diavolo…??”.

Dean non riusciva a capire. Sembrava che si fosse scatenato un improvviso tornado su di lui, un tornado stanco e dall’aspetto di un fantasma ma che aveva ancora la forza di urlare e di lottare per la persona che era evidentemente più importante della sua vita.
Nonostante Ian avesse cercato di fermarlo, Colin, o qualsivoglia Morgan, aveva dato un pugno in pieno viso a  Dean, cominciando a colpirlo ad un fianco con lo stivaletto anfibio nero.

“Non lo devi toccare maledetto! E’ colpa tua se è finito così! Tu non meriti di stare accanto a Castiel! Non te lo meriti! Devi lasciarlo stare! LASCIALO STARE!”.

Se non fosse stato per l’ennesimo intervento di Ian che gli aveva bloccato le braccia cingendolo da dietro con il proposito di fare non troppa pressione sulla ferita, Dean si sarebbe trovato con la milza spappolata.
Ma se non fosse stato per la supplica accorata di Castiel, Colin non avrebbe mai ritrovato la calma e la serenità che avevano sempre contraddistinto quel buffo ragazzo dalle grandi orecchie al momento rosse come il fuoco.

“Colin… Colin… Lascia stare Dean… Per favore Col… Per favore…”.

Il ragazzo si era accasciato fra le braccia di quello che non sapeva fosse suo fratello, piangendo lacrime amare.
Lo aveva perso. Aveva perso Castiel. O forse, si era solo reso conto di non averlo mai avuto.
Per quanto avesse potuto amarlo, per quanto continuasse a provare per lui ciò che non aveva mai provato per nessuno, non sarebbe mai stato suo. Quella creatura meravigliosa aveva donato il suo cuore tanto tempo fa, e il fortunato era appena andato a riprenderlo.
Non lo meritava. Dean non meritava quell’amore così puro che gli era stato più volte dimostrato. Castiel era caduto per lui, era morto, si era alleato con un demone solo per non addossargli altre responsabilità, e quel maledetto cacciatore ingrato lo aveva ricambiato allontanandolo dalla sua vita.
Eppure, alla fine, Cass aveva scelto ugualmente lui. Aveva scelto nuovamente il dolore.

Il Winchester non capiva cosa diavolo avesse catenato una simile furia in quel ragazzo apparentemente così fragile. Gli aveva spaccato un labbro, che copioso continuava a sanguinare, e sicuramente gli aveva fatto venire una contusione al fianco sinistro. Davvero un bel lavoro! D’accordo, aveva capito che Morgan sapesse di quello che era successo fra lui e Castiel, ma quella era una reazione davvero spropositata!
Ma a chi voleva darlo a bere? Sapeva di meritarlo. Sapeva che ogni pugno, calcio, insulto, non sarebbe stato abbastanza per fargli pagare l’errore più grande della sua vita.

“Hai ragione… Io sono solo un bastardo… Non merito di avere il rispetto o l’affetto di Castiel. Meriterei di bruciare all’Inferno ma… ma io… non so cosa farei senza di lui. Purtroppo, l’ho capito solo adesso e non posso fare altro che punirmi per la mia stupidità. Spero che lui possa perdonarmi un giorno, e spero che possa farlo anche tu… Mi dispiace Morgan… Mi dispiace”.

Le parole di Dean venivano dal cuore. Solo lui sapeva quanto fosse in pena per Castiel e per tutta la spiacevole situazione che si era venuta a creare. Quanto avrebbe voluto che il suo sogno non fosse solo una serie di immagini frutto della sua fantasia! Non sarebbe stato lì, a terra, dolorante per il pestaggio appena subito, pregando uno sconosciuto di perdonarlo per qualcosa di imperdonabile.

Ian aveva serrato le palpebre, sorridendo amaramente. Dean stava soffrendo quasi quanto lui. Ma almeno, aveva ritrovato la persona amata che, anche se moribonda, non riusciva a staccargli gli occhi di dosso.
Presto avrebbe dovuto spiegare a Colin perché tutti lo chiamavano Morgan.
Non aveva fatto in tempo a fermare Dean e ad avvisarlo di non chiamarlo con il suo vero nome, ma mai avrebbe pensato di trovarsi davanti ad una scena del genere.
Era sempre più convinto che suo fratello fosse lì, anche se non lo ricordava, perché quella era la reazione estrema che Morgan spesso aveva nelle situazioni più disperate. Solo in preda alla disperazione aveva reagito in quel modo sconsiderato e, purtroppo, Ian aveva più di un sospetto sul perché avesse fatto quello che aveva fatto.

“Io non mi chiamo Morgan…” – aveva detto in un sussurro, a capo chino – “Io mi chiamo Colin. Mi avete portato via Castiel, perché volete portarmi via anche il mio nome?”.

Dean non capiva. Quello che aveva appena detto non aveva alcun senso. Ma il viso stravolto di Ian lo aveva aiutato a comprendere che la situazione fosse molto diversa da come avrebbe mai potuto immaginare.

“Col…” – lo aveva debolmente chiamato Castiel – “Vieni qui, per favore…”.

Il ragazzo non se l’era fatto ripetere due volte: aveva superato Dean, e con delicatezza si era seduto al fianco del suo angelo, prendendogli la mano nella propria.

“Grazie per quello che hai fatto… Ma non dovevi…”.
“Non potevo lasciarti Cass… Non potevo. Sei troppo importante…”.
“Tu sei troppo buono…” – gli aveva detto l’angelo, sorridendo per nascondere una smorfia di dolore. Era un dramma persino fare una cosa semplice come respirare.
“Sta tranquillo Cass… Devi riposare… Sta buono…” – doveva cercare di non piangere, e doveva cercare di essere forte. Era l’unico modo per provare ad infondergli coraggio.
“Ha preso la tavoletta, non è così?”.
Il sangue si era gelato nelle vene di Colin. Come poteva averlo capito? Doveva sicuramente averlo visto, doveva aver visto quel bastardo di Crowley che si approfittava della situazione. Maledetto. Gliel’avrebbe fatta pagare prima o poi. Non sapeva come, ma lo avrebbe fatto.
“Mi dispiace Cass… Non sono riuscito ad impedirglielo”.

“Già…” – aveva esclamato Dean, conscio finalmente di quello che era successo – “Crowley”.

L’aveva visto. Il cacciatore aveva visto quel bastardo afferrare la tavoletta e sparire, ma era stato troppo preso dall’incidente di Cass per pensarci.
Erano in una situazione che rasentava l’incredibile. Non avevano più niente. Non avevano la tavoletta, non avevano le forze per lottare.
“Sapevamo che fidarci di lui era rischioso…” – aveva detto Cass, a fatica – “Mi dispiace Dean… Non volevo farlo ancora… Speravo solo di fermarlo una volta per tutte. Ma, purtroppo, non ci sono riuscito”.

Cominciava a dubitare che Crowley volesse solo rispedire i Leviatani da dov’erano venuti. Se così fosse stato, sarebbe andato a riprenderlo. Aveva detto che solo chi li aveva tirati fuori poteva rispedirli a casa, no? E allora perché non era ancora andato lì per reclamare il suo micino?

Avrebbe potuto spiegarglielo solo l’entità che si era magicamente materializzata in quella stanza.

*


Le cose non sarebbero potute andare meglio. Aveva l’osso dell’uomo retto, aveva il sangue dell’angelo, quello del demone e quello dell’Alfa! E soprattutto, aveva la profezia. Doveva solo andare a trovare il capo dei Leviatani, e tutto sarebbe andato esattamente come aveva previsto.
E sì, doveva ammetterlo! Era un vero genio. Un vero e proprio genio del male.

Rintracciare Dick Roman non sarebbe stato un problema, visto che non si stava esattamente nascondendo. Lui e la sua maledetta razza superiore, come amavano definirsi, si trovavano sparsi per tutto il globo, intenti a divorare per primi coloro di cui non si sarebbe mai denunciata la scomparsa.
Avevano cominciato dai drogati e dalle prostitute, per poi passare agli alcolisti, agli orfani e alla popolazione del terzo mondo. In meno di un mese, erano scomparse più della metà delle tribù africane, per non parlare dei monaci e degli asceti.
Solo di recente erano passati a qualcosa di più visibile, ed ecco come si spiegava il quadruplicarsi dei decessi negli ospedali di tutto il mondo degli ultimi quindici giorni.
Dick Roman si era barricato in una villa a Malibu, circondato da lussi e agi di ogni tipo. Non scendeva in campo personalmente, se non per gli affari più importanti. Il re dei Leviatani preferiva pasteggiare sdraiato sull’erba del suo splendido giardino, a bordo piscina, aiutando la tenera carne di bambino a scendere giù con una buona dose di vino d’annata. Pareva che adorasse i piccoli obesi americani.
Il loro sangue denso di colesterolo rendeva la carne molto prelibata, a quanto sembrava.
Non sarebbe stato facile avvicinarlo, ma Crowley era pur sempre il Re dell’Inferno, e sapeva fin troppo bene come aggirare anche i più difficili ostacoli. Proprio per questo, aveva portato con sé qualcosa per blandirlo e per persuaderlo a farsi ricevere. Qualcosa di morbido e rotondo che dormiva fra le sue braccia demoniache.

“Sai, di solito vi trovo disgustosi, ma devo ammettere che tu sei piuttosto carino” – aveva detto al neonato che reggeva saldamente –“Spero proprio che ti uccida subito. Non sopporterei di sentire le tue urla mentre comincia a divorarti dalle cosce”.

Aveva bussato, proprio com’erano soliti fare gli umani. Non sarebbe stato educato materializzarsi nel suo salotto senza essere stato invitato. Soprattutto, non sarebbe stato saggio, e lui non voleva di certo finire in malora. Era lì per raggiungere l’apice, non per toccare il fondo.
Così, quando la suadente voce di una signorina dall’accento dell’est gli aveva chiesto di indentificarsi, lui si era mostrato più umile e gentile possibile, aspettando il momento di tirare fuori il vero se stesso.

Doveva ammettere che si fosse trattato proprio bene il mostriciattolo disgustoso. Sarebbe stata proprio un’ottima casa in cui vivere come un autentico re. Già immaginava il salone saturo di meravigliosi giovanotti in costume adamitico che vivevano solo con lo scopo di compiacerlo. Sì. Sarebbe stato meraviglioso. Soprattutto quando fra di loro avrebbe visto anche i Winchester, i Wesley e soprattutto il piccolo Castiel.

“Il Re dell’inferno!” – aveva esclamato Dick Roman, seduto nel suo studio su di un’enorme poltrona d’epoca, bellissimo nel suo abito d’alta moda –“Quale onore!”.
“Signora Roman… Sono così felice che lei mi abbia ricevuta. Direi quasi… onorato”.

Era bravo a fare il lecchino, quando voleva. Era molto, molto bravo. E quella volta, aveva deciso di dare il meglio di sé.

“Cosa ti porta qui, insulsa creatura immonda? E cosa porti con te, soprattutto! Sento un odorino delizioso”.
“Un regalo per lei… Il migliore che ho trovato in circolazione. Maschio, come mi hanno detto che preferisce, di sei mesi. Pare che il suo nome sia John”.
“John…” – aveva detto Dick, alzandosi in piedi e prendendo la creatura fra le braccia – “Sì, John… Mi piace. Ha davvero una consistenza perfetta… Complimenti… Non vedo l’ora di rimanere un po’ da solo con lui”.
“Ne sono convinto” - non provava rimorso per quello che aveva fatto. Dopotutto, anche gli uomini vendono i bambini, e per motivi molto meno importanti di quello.

“Cosa ti porta davvero qui, Crowley?” – era stata la domanda di un Dick Roman che si stava divertendo a cullare e a lasciare dei teneri baci sul capo cosparso di capelli biondi del bambino che gli era stato donato.
“Affari”.
“Che genere di affari?”.
“Vogliamo discuterne davanti ad un buon bicchiere di scotch?” – aveva suggerito il Re dell’Inferno, puntando il minibar che aveva visto accanto al camino.
“Perché no… Credo che tu te lo sia meritato”.

Fino ad ora, le cose erano andate piuttosto bene. Poteva ritenersi soddisfatto, ma il bello doveva ancora venire.

“Sa, vostra altezza, mi domando come abbiamo fatto a non pensare prima ad una collaborazione. Fra di noi, intendo”.
“Collaborare con un demone? E perché dovrei?”.
“Perché vogliamo le stesse cose, o quasi. Voi volete tanti umani grassocci da divorare, io voglio tante anime luminose da collezionare nel mio bellissimo Inferno completamente ristrutturato. Ma se voi divorate tutto in una sola volta, io avrò presto finito la mia collezione”.
“Voi demoni pensate sempre al vostro tornaconto, dico bene?”.
“Che vuole che le dica? Siamo uomini d’affari!”.
“Già… E quale sarebbe esattamente l’affare che vorresti stipulare con me, Crowley?”.

Sorridendo beffardo, il Re dell’Inferno aveva preso in mano i due bicchieri, porgendone uno al re dei Leviatani.

“Io voglio solo continuare a fare quello che ho fatto fin ora, tutto qui!”.
“E come pensi di fare, sciocco demone puzzolente?”.

Ma, appena Dick aveva posato il bicchiere alle labbra e aveva mandato giù un sorso di liquore, aveva sputato un misto fra liquido vischioso e schiuma, urlando di dolore.
Il bambino si era svegliato a quel trambusto, e aveva cominciato a piangere, terrorizzato.
Crowley, allora, prima che arrivassero i rinforzi, aveva preso in braccio la creatura e aveva tirato fuori da chissà dove l’arma che poteva fermare i Leviatani.

“Così!” – aveva detto, e con un solo potentissimo colpo, aveva trafitto il collo di Dick Roman.
I suoi occhi erano diventati completamente gialli per un lungo istante, prima di tornare del loro normale colore.
Aveva vinto. C’era riuscito.
“Adesso, tu e i tuoi amichetti siete sotto il mio controllo, Dick. Mai prima d’oggi fu dato un nome più appropriato. Il bambino lo riporto da sua madre… Non avrei mai potuto darlo ad un cazzone come te”.

Continua…
_____________________________________________________________________________________________________

Crowley, sei… sei…. No comment va!! Menomale che ha rispariamo il bambino!!
Non avrei mai potuto fare una cosa del genere a quella creaturina!! =(
Ora voglio vedere come si evolveranno le cose! Gli sta bene a quel DICK di DICK! U.U

Dean… Vogliamo parlare del sogno di Dean??
Sciocco umano… Dovresti davvero ringraziare per la fortuna che ti è capitata!

Povero Colin… Che pena mi fa! E lo stesso vale per Ian…
Ragazze, scappo!
Spero che vi sia piaciuto!
Un bacione
Cleo

Ritorna all'indice


Capitolo 48
*** Il gioco del demone ***


Il gioco del demone


“Logan!” – Ian aveva sussultato nel vedere lo spirito del suo papà surrogato spuntare dal nulla all’improvviso, ed era trasalito due volte pensando alla reazione che avrebbero avuto Castiel e Morgan.

Esattamente come aveva previsto, l’angelo era rimasto piuttosto basito, ma Morgan – o qualsivoglia Colin – aveva fatto letteralmente un gran balzo, mettendosi davanti a Castiel nel tentativo di difenderlo nonostante fosse il primo ad avere una gran paura.

“Morgan…” – aveva sussurrato lo spirito, incredulo. Aveva davanti il minore dei suoi due figli acquisiti. Era un po’ pallido e acciaccato, ma stava bene. Anzi, stava più che bene considerando il numero di Leviatani che c’era in giro al momento. Solo il cielo sapeva quanto desiderasse abbracciarlo, ma non era né il momento, né il luogo adatto. E poi, aveva utilizzato troppa energia per seguire Crowley, e qualcosa gli diceva che il contatto non avrebbe fatto piacere al ragazzo che, stranamente e inspiegabilmente, continuava a guardarlo con gli occhi colmi di paura.

Ian avrebbe voluto mangiarsi le mani. Non era riuscito ad avvisare nessuno del piccolo particolare che le cose per suo fratello erano molto diverse rispetto al passato, ed era certo che nel sentirsi chiamare ancora in quel modo, presto sarebbe esploso come una bomba ad orologeria.

“Ma si può sapere chi sei? E perché diamine continuate a chiamarmi tutti con quel nome? Io mi chiamo Colin!”.
Possibile che continuassero a sbagliare il suo nome? Ma poi perché usavano sempre lo stesso? Che somigliasse a qualcuno di loro conoscenza? Ma andiamo, chiunque avrebbe capito che lui non era chi pensavano che fosse! Lo stress doveva avergli giocato un brutto scherzo.

“Come sarebbe a dire chi sono? E che significa? Morgan… io….”.
“Ti spiegheremo tutto più tardi, Logan” – aveva detto Ian, sbrigativo.
“Non è il solo a cui devi delle spiegazioni” – aveva aggiunto Dean, che nel frattempo si era tirato indietro.
“Già…” – l’ultima parola era toccata ad un Colin che aveva stretto con maggiore forza la mano di Castiel.
L’angelo stava tentando in ogni modo di non perdere i sensi e di rimanere vigile.

Lo spirito si era preso un attimo prima di spiegare loro il motivo di quella visita improvvisa. Nonostante fosse un fantasma, le cose per lui non erano affatto più semplici.

“Logan, che è successo?” – era stata la domanda di un Dean che bramava di potersi avvicinare di più a Castiel. Ma Colin non sembrava della stessa idea, e continuava a presidiare il suo letto, cercando di intimidirlo con lo sguardo.
Tutti stavano pendendo dalle sue labbra. Era scomparso da quando avevano localizzato i ragazzi nel parcheggio dell’hotel, e per essere tornato dopo tutto quel tempo doveva aver trovato qualcosa. Almeno, speravano che avessero trovato qualcosa.

“Io… non so come dirvelo” – aveva confessato, profondamente turbato – “Ma siamo nei guai. Siamo in guai seri”.

“Che vuoi dire?” – gli aveva domandato Ian – “Logan, ti prego, non tenerci sulle spine. Che cosa è successo?”.

Non avrebbe voluto dirglielo. Avrebbe voluto provare a risolvere la situazione da solo, ma sapeva perfettamente di non esserne in grado. Era solo uno spirito, cosa poteva fare contro il Re dell’Inferno?

“Logan… Crowley ci ha ingannati, non è così?” – aveva sussurrato appena un Castiel che a stenti era in grado di respirare.
“Che diavolo stai dicendo Cass??” – Dean non riusciva a capire. Che cavolo poteva aver combinato quel bastardo di un demone?

Le parole di Logan sarebbero state le più amare che avrebbero sentito per un bel po’ di tempo a venire.

*


La questione era molto più tragica di quanto potesse sembrare. Crowley aveva attuato solo una parte della profezia, ovvero quella che gli permetteva di incatenare gli uni agli altri i Leviatani e li aveva così assoggettati alla sua volontà, rendendoli alle stregue dei suoi miserabili leccapiedi demoniaci.

I quattro cacciatori erano rimasti a dir poco senza parole.
Dean si era accasciato su di una logora poltrona, tenendosi le braccia in grembo. Aveva lo sguardo perso nel vuoto e non riusciva a darsi una spiegazione. Cass era caduto di nuovo nello stesso errore, ma non ce l’aveva più con lui. Era ovvio che, essendo Crowley in possesso di parte della tavoletta, avesse pensato che quello fosse l’unico modo per poter fare qualcosa di concreto per risolvere quella maledetta questione. Dopo il racconto di Logan, il suo angelo si era scusato con lui per l’ennesima volta. Dean non voleva che si affaticasse. Non gli importava più di niente, ormai. Voleva solo che lui stesse bene. Che lui e Sam stessero bene. Ma non sapeva come fare. Se Crowley era in possesso di tutto quel potere, lo avrebbe di certo usato per far loro del male. Erano i suoi nemici storici, infondo, e lui temeva che da un momento all’altro sarebbe comparso per reclamare le loro teste, se non peggio. Ed era certo che quella di Cass fosse in cima alla sua lista.

Colin era piombato nel più totale dei silenzio e continuava a stare seduto sul letto dov’era sdraiato Castiel.
Era colpa loro se la tavoletta era caduta tra le mani di quel bastardo. Erano stati manovrati da lui per tutto il tempo. Cielo, come avevano potuto non capirlo? Colin si sentiva stanco e svuotato.
Lui voleva solo aiutare Cass a salvare il mondo, non voleva mandarlo certo in rovina. Eppure, aveva contribuito a dare la giusta spinta al Re dell’Inferno per farlo diventare il sovrano incontrastato anche del Purgatorio e del mondo a loro conosciuto e non. Era stato così… così… stupido. Eppure, non riusciva ancora a perdere del tutto le speranze. Doveva esserci qualcosa che potevano fare, qualsiasi cosa. Solo che non trovava la forza di dire agli altri che dovevano trovare il modo di lottare.

Cass aveva chiuso gli occhi, cercando disperatamente di scavare nei suoi ricordi angelici, ma c’era come un muro invalicabile davanti a lui. Si sentiva come una microscopica ed inutile formica davanti ad una solida parete di cemento. E nonostante provasse a scalarla o ad aprirsi un varco, continuava a scivolare o a ferirsi inutilmente le zampe.
Non aveva accesso a quel periodo della sua vita precedente, e solo suo Padre poteva sapere quanto avesse desiderato poter sbirciare solo per un istante, solo il tempo necessario per capire cosa poteva fare.
Invece era lì, immobilizzato in quel letto, troppo stanco anche solo per muovere un dito.
Perché non era morto quando tutti quegli esseri avevano deciso di usarlo come mezzo di trasporto? Perché non si era liquefatto? Perché non era esploso? Perché non lo avevano divorato? Lo avevano lasciato lì, troppo mutilato per essere ancora un angelo e troppo incompleto per essere davvero un umano. Voleva morire. Voleva solo chiudere gli occhi ed esalare l’ultimo respiro. Ma le cose sarebbero andate diversamente per l’ennesima volta. La sua punizione sarebbe stata vivere l’orrore che aveva provocato.
Presto, Crowley sarebbe venuto per reclamarlo. Sarebbe diventato uno dei suoi schiavi e avrebbe vissuto in eterno la consapevolezza di aver causato la fine di tutti i mondi che conosceva. Avrebbe visto gli uomini perire, le figlie piangere i loro padri e i fratelli uccidersi fra di loro. Ed ogni goccia di sangue versata sarebbe stata utile solo ad ingigantire la sua colpa.

Logan non aveva aggiunto altro. Lo spirito sentiva di aver fallito la propria missione. Se solo fosse arrivato un attimo prima, se solo avesse gestito meglio le sue energie, forse avrebbe potuto sottrargli la tavoletta, forse avrebbe potuto impedire che il profeta morisse. Forse, avrebbe potuto fermare quel bastardo. Invece, non era accaduto niente di tutto ciò.
Ed ora il mondo stava crollando, e lui si sentiva tremendamente responsabile.

Ma la reazione più strana di tutti, l’aveva avuta l’uomo di ferro.
Il viso di Ian Wesley era diventato una maschera di cemento. Apparentemente impassibile imperturbabile, si era avvicinato alla finestra dai vetri sporchi e dalle imposte chiuse, fissando un punto impreciso delle aste di legno sverniciate.
I suoi amici erano troppo presi dallo sgomento per essersi resi conto che il suo cervello stava cercando di elaborare un piano. Perché mai e poi mai l’avrebbe data vinta a Crowley. Era vero, la colpa di quel trambusto sarebbe stata attribuibile a Cass, ma Ian si era reso perfettamente conto che in realtà era stato proprio quel bastardo di un demone a proporgli di prendere le anime dal Purgatorio e utilizzarle per sconfiggere gli angeli schieratisi con Rapahel. Qualcosa gli suggeriva che avesse deciso di farsi aiutare per aprire quelle porte non per le anime, ma proprio per impossessarsi del potere dei Leviatani. Quel pazzo criminale avrebbe rischiato il tutto per tutto pur di portare a termine i suoi piani di conquista, a costo di finire ucciso dagli stessi esseri che voleva controllare.
Erano stati degli stolti a credere che fossero i Leviatani i loro nemici. Di nemico ce n’era uno, ed era colui che aveva convinto i Winchester ad evitare che l’Apocalisse avesse luogo.
Il problema era uno, al momento. Come si poteva convincere Crowley a ritornare sui propri passi? Ovviamente, era un folle criminale degno di questo nome, e cercare di farlo ragionare era fuori questione. Erano disperati, non stupidi. Ed ora che aveva i Leviatani al suo servizio, dubitava che avvicinarlo sarebbe stato semplice come un tempo. Cosa potevano fare allora uno spirito sfuggito al Purgatorio, un angelo caduto, un cacciatore che aveva perso la memoria e due fratelli maggiori distrutti dal dolore?

Forse, chi li aveva appena telefonati avrebbe potuto risolvere il mistero.

“Bobby?” – aveva detto la voce molto sorpresa di Dean, dimentico completamente del vecchio cacciatore – “Che succede?!”.
“Brutto figlio di puttana, è così che mi tieni aggiornato?” – era furioso, e aveva tutte le buone ragioni per esserlo. Ma Dean e gli altri avevano avuto un bel po’ da fare ultimamente, e gli era passato totalmente dalla mente.
“Mi dispiace, ma…”.
“Non voglio scuse! Hai visto quello che sta succedendo fuori, ragazzo?”.
“Di che stai parlando??”.

Veloce come non mai, Dean si era sollevato dalla poltrona, e sotto lo sguardo attento dei presenti si era avvicinato alla finestra dove poco prima si trovava Ian, spalancandola.

“Bobby… Ma qui non c’è nien… Che cavolo è quello???”.

Lo spettacolo che si era mostrato ai loro occhi era a dir poco spaventoso. Il cielo, che poco prima era stato sereno e limpido, si era oscurato all’improvviso, e in una sorta di vortice formato da nuvole dense e nere, delle luci stavano precipitando al suolo imprigionate da enormi esseri fatti d’oscurità.

“Che sta succedendo Bobby??” – Dean non riusciva a capire, come i presenti, del resto.
“E’ per questo che ti ho chiamato, idiota! Ma si può sapere dove stai vivendo???”.
“Senti, se solo sapessi in che casino siamo la smetteresti di darmi dell’idiota! Noi…”.
“CASS!!”.

Dean aveva lasciato a metà la frase che stava per pronunciare nel momento in cui, contemporaneamente, erano giunti alle sue orecchie un urlo spaventoso, e la voce terrorizzata di Colin.

“Che cazzo gli sta succedendo??”.

Castiel aveva cominciato ad avere degli spasmi convulsi, e dalla sua bocca stava fuoriuscendo una mistura spaventosa di sangue e schiuma.

Dean aveva lasciato cadere il telefono, precipitandosi su di lui, terrorizzato.

“Che cosa gli hai fatto Colin?? Che cosa gli hai fatto??? DOTTOR ROBERT!!”.

Erano piombati tutti nel più totale panico. Come aveva potuto degenerare così in fretta la già loro precaria situazione? Come?? E perché Cass si era sentito così male proprio dopo che avevano assistito a quello spettacolo devastante? Che le cose fossero collegate? Ma in che modo?

L’ex-angelo stava troppo male per capire ciò che stava accadendo attorno a lui. I suoi occhi erano riversi all’indietro, e non riusciva a respirare. Purtroppo, Dean non si era accorto che era in procinto di ingoiare la propria lingua, e se il dottor Robert non fosse arrivato in tempo sarebbe morto soffocato.

“DOTTOR ROBERT! IAN, TI PREGO, VAI A CHIAMARLO!”.
“Vado subito! Ma… Logan! Che diavolo fai??”.

Ian si era accorto che lo spirito aveva cominciato a far esplodere tutto quello che aveva attorno, ma non era riuscito a comprenderne la ragione. Che cosa stava accadendo??

“Logan, smettila!” – gli aveva fatto eco un Colin che aveva ormai non riusciva a capire più niente – “Basta!”.

Ma il fantasma non lo aveva minimamente ascoltato. Sembrava impazzito. I vetri della finestra, la flebo di Cass, alcuni vasi erano esplosi senza alcuna pietà, rischiando di ferire i cacciatori e l’angelo agonizzante.

“STANNO ARRIVANDO!” – aveva urlato Logan – “STANNO VENENDO A PRENDERCI!!”.
“CALMATI!” – gli avevano ripetuto Ian e Colin all’unisono.
“CHIAMA IL DOTTOR ROBERT!” – aveva urlato Dean.
“CHE CAZZO STA SUCCEDENDO??” – aveva strillato Bobby dall’altro lato del telefono.

Era il caos. Era il caos in piena regola.

Fortunatamente non c’era stato bisogno per Ian di spostarsi, perché il dottor Robert ed Eva li avevano raggiunti qualche istante dopo, rimanendo sconvolti per ciò che si era palesato davanti a loro.

“Che diavolo state combinando Dean? Che… Oh porca puttana! Presto! Tiragli fuori la lingua!”.

Si era precipitato su Cass, cercando di aiutarlo. Com’era possibile che avesse le convulsioni? Così come non riusciva a spiegarsi l’emorragia! L’operazione era riuscita perfettamente. Era impossibile che si fosse verificata una cosa simile.
“FATE STARE ZITTA QUELLA COSA! NON RIESCO A LAVORARE CON QUESTO CASINO!” – aveva urlato. Logan continuava ad urlare disperatamente che stavano arrivando, ed era impossibile concentrarsi.

“Devi aiutarmi Morgan! Devi aiutarmi!” – continuava a ripetere al ragazzo, afferrandolo per le braccia talmente forte da fargli rimanere i segni.
“Mi fai male! Lasciami!”.
Ma non sembrava aver capito. Era in preda al più totale panico.
A quel punto, Ian non aveva avuto più scelta.
“Lascia stare mio fratello, subito!” – aveva ordinato Ian a Logan, puntandogli contro la pistola.
“Che cosa?” – aveva chiesto Colin, sconvolto.
“Figli miei… perché non volete aiutarmi? PERCHE’?”.

Un attimo dopo, uno sparo aveva fatto calare il silenzio nella stanza. Colin era caduto a terra, svenuto.

*


“CHE CAZZO STA SUCCEDENDO RAGAZZI??”.

Bobby era in preda al panico. Che cavolo era successo? Perché aveva sentito tutto quel trambusto, e perché qualcuno aveva sparato? Che li avessero trovati? Che li avessero uccisi tutti?

“RISPONDETE MALEDIZIONE!”.

Ma purtroppo, la conversazione si era conclusa nel momento in cui la linea era caduta, lasciando Bobby in preda alla follia.

“Bobby! Perché urlavi tanto? Che cosa è successo??” – aveva chiesto Billy, allarmato. Il vecchio Singer non era uno che perdeva la calma per poco. Doveva essere accaduto qualcosa di serio per reagire così – “Bobby!”.
“Non lo so, hai capito? Stavo parlando con Dean! Gli ho detto di quello che sta succedendo fuori e poi ho sentito delle urla e uno sparo. Uno sparo… Che cazzo può essergli accaduto?”.

Si era messo a camminare su e giù per la stanza come un matto, cercando una qualche plausibile spiegazione per quello che aveva sentito. Se era uno scherzo, era davvero di pessimo gusto. Ma come poteva essere uno scherzo?

Qualcosa gli diceva che quello che era accaduto nel cielo e quello che aveva sentito fosse in qualche modo collegato. Ma in che modo?

“Dobbiamo fare qualcosa!”.
“Per prima cosa devi calmarti Bobby! Non lo vedi che non riesci neanche a pensare lucidamente? Sei sicuro di aver sentito uno sparo?”.
“Puoi starne certo pezzo di cretino! Il mio udito funziona benissimo!”.
“Bene. Hai qualche idea di chi potesse esserci con Dean, in quella stanza?”.

Era vero. Doveva fare mente locale e cercare di mettere insieme i pezzi. Aveva detto di sentirci bene, dunque, cosa aveva udito?

“C’era Ian, perché ho sentito Dean che lo chiamava. E ho sentito dire anche Cass…”.
“Quindi l’hanno trovato? Bobby, ma è fantastico!”.
“E poi, ha detto… Colin… e un altro nome che non ricordo e… FIGLIO DI PUTTANA! So dove si trovano!”.
Lo sapeva perché lo aveva sentito. Aveva sentito Dean dire ad Ian di andare a chiamare il dottor Robert. Il ragazzo si trovava nella vecchia macelleria che quel pazzo usava come sala operatoria, tutti loro si trovavano in quella macelleria! E lui doveva raggiungerli, doveva aiutarli! Non poteva perdere i suoi ragazzi.

“Dobbiamo andare da uno che conosco, e dobbiamo andarci subito, noi…”.

“Papà!” – Jules era piombata di sotto all’improvviso, reggendosi la testa. Era tutta rossa, e sembrava sul punto di esplodere da un momento all’altro.
“Tesoro! Che cos’hai?”.
Billy l’aveva presa in braccio un attimo prima che cadesse a terra e l’aveva stretta tra le braccia, aiutandola a sdraiarsi. Stava soffrendo tantissimo.
“Papà… Le anime… Le anime… Qualcuno le sta portando via!”.
“Che cosa stai dicendo tesoro? Chi lo sta facendo?”.
“Il male” – aveva pigolato, fra le lacrime – “Il male le sta portando via dal Paradiso. Vedo tanto sangue papà… Sento tanto dolore… Hanno squarciato il cielo. Lui vuole le anime, e sta andando a prendersi anche le nostre amiche!” – aveva gli occhi così rossi che facevano quasi impressione. Stava male e loro non potevano aiutarla.
“Billy, ma cosa…”.
“Qualcuno vuole prendere le nostre amiche, l’hai sentita? Si riferiva alle anime che abbiamo imprigionato, Bobby. Jules le chiama le nostre amiche. Ma chi può aver fatto una cosa del genere??”.

La ragazza aveva stretto suo padre con tutta la forza che aveva in corpo, contorcendosi dal dolore. Le sembrava di impazzire. Lei le sentiva urlare, le sentiva piangere il loro dolore. Tutte quelle anime stavano per essere rapite e utilizzate come merce di scambio, come vile denaro. Le cose più preziose donataci da Dio stavano per entrare a far parte dei possedimenti di una creatura immonda che avrebbe acquisito un potere al di là di ogni immaginazione.

Bobby si era sentito morire. Prima, Sam, poi Dean e Ian, adesso Jules… Tutte le persone a cui voleva bene stavano soffrendo. Perché si accanivano tutti sulle persone che più amava al mondo?

“Tesoro, tesoro… Cerca di stare calma. Andrà tutto bene, te lo prometto, ma devi dirmi cosa dobbiamo fare. Devi dirmi esattamente cosa sta succedendo tesoro. So che stai soffrendo, lo so. E’ il loro dolore che senti, ma devi aiutarmi a capire. Solo così potrete stare meglio. Aiutami a capire tesoro. Aiutami”.

Un instante dopo, Jules aveva chiuso gli occhi.

*


Non era una bella esperienza quella che stava vivendo. Uscire improvvisamente dal proprio corpo era un trauma immenso, e occorreva un quantitativo di energia che faceva sempre fatica a recuperare.
Evitava di farlo ogni volta che poteva, ma in quel caso non aveva potuto fare tanto la schizzinosa. Purtroppo, si trovavano in guai seri. Le sue amiche erano piombate tutte nella sua testa in una sola volta per avvertirla, e solo in quel modo poteva essere in grado di capire cosa volessero dirle con esattezza.

Si era materializzata in un casolare situato a pochi chilometri da casa di Bobby, luogo che era diventato la dimora di un centinaio di anime che avevano deciso di ascoltarla e di seguire il suo consiglio di attendere in compagnia il prossimo ritorno a casa.
Fra di loro si trovava l’anima della piccola Samira. Non le era ancora chiaro perché una bambina di soli otto anni fosse finita in Purgatorio, ma non aveva osato chiedere. La piccola si era legata molto a lei, considerandola quasi una sorta di sorella maggiore.
Era proprio lei che stava cercando. Ed era stata proprio lei ad andarle incontro spaventata a morte.

“Jules!” – aveva urlato, tendendole le braccia, terrorizzata.
“Tesoro… Vieni qui…” – la ragazza l’aveva stretta a sé, affondando il viso nei suoi bellissimi capelli ondulati.
“Ho tanta paura… Loro sono vicini!”.
“Chi tesoro mio? Chi? Siete in tanti ad avermi detto che sono vicini, ma non riesco a capire di chi stiate parlando”.
La piccola Samira sui era staccata da lei, guardandola dritta negli occhi con quelle iridi dorate che il Signore le aveva donato. Era meravigliosa.
“I Leviatani”.

Jules si era irrigidita di colpo, spalancando la bocca per lo sgomento.

“Tesoro, sei sicura?” – sapeva che essere insistente poteva essere controproducente, ma doveva esserne certa. Che cosa potevano volere i Leviatani dalle anime? Era assurdo.
“Sì! Loro vogliono rapirci e consegnarci al re. Lui ci vuole Jules. Ci vuole tutte con sé! Lui è cattivo, è cattivo! Ci farà del male… ed io ho tanta paura!” – ed era scoppiata di nuovo a piangere, stringendosi al suo petto.

Era sconvolta. Chi era questo re? E che cosa voleva fare con le anime?
Confusa, aveva cominciato a guardarsi attorno in cerca di un ulteriore aiuto. Ma tutti erano troppo spaventati per poter pensare a lei. Stava vedendo anime stringersi le une con le altre, cercare di farsi scudo, di darsi conforto.
Cosa poteva averle spaventate così tanto?

“Samira, non potrò stare qui con te ancora a lungo”.
“No! Ti prego, non lasciarmi! Io ho paura!”.
“Lo so tesoro, ma devo andare via proprio per far sì che tu non abbia più paura. Ma devi dirmi chi è questo re di cui mi hai parlato, o non potrò farlo. Devi dirmi il suo nome tesoro. Di chi si tratta? Del capo dei Leviatani?”.

La bambina aveva fatto segno di no con il capo, fra le lacrime.

“Lui è il demonio”.

Poco dopo, le anime avevano cominciato ad urlare davanti all’apparizione improvvisa di un uomo dal lungo cappotto nero.

*


“CROWLEY!” – aveva urlato Jules, rinvenendo all’improvviso, fra spasmi dolorosissimi – “Crowley sta prendendo le anime dal Paradiso”.

Continua…
______________________________________________________________________________________________________

E così, abbiamo ristabilito l’ordine, almeno dal mio punto di vista. Perché è Crowley l’unico vero Villain della serie, e perché è di anime che si è sempre parlato in Supernatural, in fondo (oltre a Lucifer).
Ed ora, il Re dell’Inferno si sta impossessando di quelle del Paradiso e di quelle che con tanta pazienza Bobby e Billy sono riusciti a radunare dopo mille peripezie.
Spero che questo risvolto vi stia piacendo! Ormai, siamo alla resa dei conti.
Un bacio!
A presto!
Cleo

Ritorna all'indice


Capitolo 49
*** Death ***


Death

 

Aveva finalmente preso posto in quella meravigliosa villa, circondandosi di tutti i ragazzi più belli che era riuscito a trovare. Aveva fatto una lunga selezione fra i fotomodelli più ricercati della terra, scegliendo i migliori. Gli altri, quelli con qualche cicatrice nascosta, con qualche tatuaggio osceno o con qualche protesi di silicone di troppo, li aveva dati in pasto ai suoi nuovi cagnolini. Quelli rimasti, stavano gattonando sensualmente sull’enorme tappeto persiano del salotto, senza mutande e con tanto di collare attorno al collo. Era uno spettacolo davvero entusiasmante. Vedere tutti quei corpi perfetti ciondolare avanti e indietro solo per il suo piacere era la cosa più sensuale che gli fosse mai capitata. Poteva averne quanti voleva, doveva voleva, quando voleva, e poteva fargli fare tutto quello che voleva.
Proprio fra qualche minuto, sarebbe cominciato uno spettacolino davvero niente male con cinque o sei di loro.
E il Re dell’Inferno si era messo comodo per poterlo osservare meglio.

“Ne abbiamo trovate altre mille, signore” – aveva detto Dick Roman, spuntato all’improvviso da chissà dove.

“OH NO, NO NO!” – aveva starnazzato Crowley, battendo i pugni sui braccioli della poltrona come un bambino capriccioso – “Non sul più bello!” – aveva concluso, lasciandosi cadere pesantemente sull’elegante spalliera.
Era in momenti come quelli che avrebbe ucciso quel bastardo di un Leviatano. Eccolo lì, il cazzone di nome e di fatto, con l’osso dell’uomo retto che spuntava dal collo lurido di quella orribile melma nera e appiccicosa. Rivoltante!
“Che vuoi, Dick?”.
“Mi dispiace, signore. Gliel’ho detto, Sono qui per le anime”.
“E allora? Sai che devi fare quando le trovi! Le porti direttamente ‘di sotto’. O è davvero così difficile, DICK?”.

Era veramente un idiota!

“No, signore. E’ solo che…”.
“’Che’ che, DICK?” – stava davvero per perdere la pazienza.
“Angeli, signore. Sono vivi, e stanno lottando per evitare che le anime vengano portate via dal Paradiso”.

Incredulo, Crowley si era portato una mano al viso e aveva sollevato un sopracciglio.

“Angeli? Ma come? Il micino non li aveva decimati tutti? Epurare il Paradiso da chi lo aveva tradito e bla bla? Aveva detto qualcosa di simile, lo ricordo bene!”.
“A quanto pare, eravamo a conoscenza di una sola parte della storia, signore”.
“E allora? Sono solo un ammasso di inutili pennuti, voi siete Leviatani. Muovete il culo e tarpategli le ali!”.

Poco dopo, Dick era sparito.

*

 

Lo avevano salvato per il rotto della cuffia. Il dottor Robert aveva dovuto fargli un’iniezione dritta al cuore, ma almeno Cass aveva ripreso a respirare.
Non aveva la più pallida idea di cosa potesse essergli successo. Sapeva solo che era stata la cosa più spaventosa e imprevedibile a cui avesse mai assistito, escludendo lo spettacolo iniziato la sera prima, spettacolo che era continuato per tutta la notte.

Era stato Castiel a spiegare loro quello che stava accadendo. Subito dopo essersi calmato dalle convulsioni, aveva detto loro che il Paradiso stava morendo perché che i Leviatani stavano portando via le anime.
Aveva perso i sensi prima di dire come avesse fatto a saperlo, e loro, nonostante fossero sconvolti, non avevano insistito per saperlo.

Dean era stato troppo in pena per la sorte del suo angelo, e si ere ben guardato dal conferirgli ulteriore stress, e Ian… Ian aveva sparato allo spirito del suo patrigno un proiettile di ferro in testa spedendolo chissà dove e aveva raccattato suo fratello da terra, fratello che non si era ancora svegliato.
Per di più, avevano completamente dimenticato di chiamare Bobby anche se, ad essere precisi, non si erano neppure resi conto che i loro cellulari fossero stati distrutti dalla furia di Logan.

Il dottor Robert aveva portato ai ragazzi lo scotch migliore che aveva dopo aver barricato le finestre. Non aveva intenzione di assistere ancora a quello scenario deprimente. Era stata una stilettata dritta al cuore quella che gli avevano dato le parole di Castiel. E quello che avevano aggiunto Ian e Dean facendo un banale due più due era stato il colpo di grazia.

Il nuovo Re dell’inferno, un certo demone di nome Crowley, aveva assoggettato i Leviatani grazie ad un’antica profezia, e adesso li stava usando per rapire tutte le anime che c’erano in circolazione.
Presto la terra sarebbe diventata il dominio dei demoni e di qualunque bestia immonda, e per il genere umano, diventato una pedina inutile ed ingombrante, non ci sarebbero state altro che sofferenza e morte.

Eppure, ai due cacciatori che aveva di fronte sembrava non importare. L’unica cosa che contava per loro erano i due ragazzi di cui dovevano prendersi cura.
Forse, lui avrebbe fatto la stessa cosa se avesse avuto un figlio. Per ora, la sola cosa che gli era rimasto da fare era ubriacarsi fino a perdere i sensi.

*

 

Dire che erano disperati non sarebbe stato abbastanza per spiegare davvero come si sentissero Bobby, Billy, Jules e i cacciatori sparsi nel mondo che avevano assistito a quella scena desolante.
Tutta la fatica che avevano fatto per radunare le anime era stata vana. I Leviatani erano troppo forti per loro, e molti erano periti nel tentativo di difendere tutto ciò che avevano conquistato con un lavoro paziente e durissimo.
I cacciatori erano stati decimati, le anime erano state decimate. Non avevano più niente.
Crowley non era neanche lontanamente avvicinabile, e nel mondo regnava il caos. Molti si erano rintanati nelle chiese, nelle moschee, nelle sinagoghe o in qualsiasi altro luogo di culto e avevano cominciato a pregare. Anche chi aveva sempre asserito di non credere in Dio si era miracolosamente convertito. Altri invece, si erano dati alla pazza gioia, asserendo che la fine del mondo era ormai vicina e che non c’era momento migliore per scegliere di fare tutto ciò di cui si erano privati per una vita intera.

Bobby aveva sbarrato le finestre della sua casa, rintanandosi con Billy e la sua famiglia nella Panic Room.
Si sentivano vuoti ed inutili.
Dopo la terribile esperienza extracorporea di Jules le avevano impedito di uscire da casa, nonostante le sue suppliche e le sue lacrime. La ragazza voleva solo essere d’aiuto per le sue amiche, impedire loro di diventare merce di scambio, ma purtroppo non aveva questo potere. E, considerando che l’ultima volta aveva rischiato di non tornare più nel suo corpo e di finire fra la collezione di Crowley, l’unico posto sicuro per lei era proprio la stanza fatta di ferro costruita da Bobby.

“Dannazione, ma perché non rispondono al telefono?” – si era lamentato Bobby, premendo così forte il tasto di chiusura della chiamata da romperlo, quasi.
Era in ansia per i suoi ragazzi. Il mondo stava andando a rotoli, e lui era vittima della sua stessa trappola, mentre l’unica famiglia che avesse mai avuto era là fuori, in pieno pericolo, sempre se non fosse già morta.
C’era Crowley in tutto quel casino? Perfetto! I primi che avrebbe cercato sarebbero stati proprio Dean e Sam, per non parlare di Castiel. Aveva abbandonato il più piccolo dei suoi ragazzi in quella maledetta clinica e si era messo al sicuro. Che persona spregevole era diventata? Che padre surrogato era diventato?

“Non crucciarti così, Bobby. Non sarai utile a nessuno se ti farai ammazzare” – gli aveva detto Billy.
“Se loro sono morti non posso più essere utile” – aveva risposto, irato con se stesso – “La tua famiglia è al sicuro, qui con te. La mia è là fuori e non so neppure se sia viva o no! Non posso lasciarli lì, Billy”.
“E cosa vorresti fare? Hai provato a chiamarli, hai provato a rintracciare anche il dottor Robert, ma è stato tutto inutile! Non puoi andare là fuori Bobby!”.
“Invece posso, e lo farò! E non sarai di certo tu a… PERCHE’ CAVOLO QUEL COMPUTER CONTINUA A SQUILLARE COME UN TELEFONO??”.

Erano tutti così presi dal litigio fra Bobby e Billy da non essersi accorti che qualcuno stava cercando di telefonarli su Skype.

“Vado io…” – aveva detto il fratello di Jules e, subito dopo, un viso che Bobby conosceva bene era apparso sullo schermo.
“François? Ragazzo! Che succede? Come stanno gli altri?”.
“Bobby!? Sei tu? Oh Dio ti ringrazio! Non ho idea di che fine abbiano fatto gli altri! Non sono andato con loro perché stavo male e mi sono ritrovato isolato dal mondo! Non trovavo il tuo numero e mi sono dovuto infiltrare nella rete di…”.
“Sì sì, qualunque cosa tu abbia fatto va bene! Come stai adesso? Non hai proprio nessuna notizia di quei due idioti?”.
Possibile che nemmeno lui sapesse?
“No Bobby, mi dispiace. Io sto bene comunque. Ma si può sapere che diavolo sta succedendo? Che sono quelle luci uscite dal vortice? E’ il delirio qui! Mi sono dovuto barricare in casa! Le persone stanno morendo di paura!”.
“Sono anime” – aveva detto Billy, avvicinatosi a Bobby – “La questione è più complicata di quanto sembra”.

Velocemente, avevano spiegato a François come stavano le cose, e la webcam puntata sul suo viso aveva palesato loro il suo cambiamento di espressione dall’incuriosito al basito allo sconvolto.

“Crowley ha asservito i Leviatani? Porca puttana… Che cazzo vorrà farci?”.
“Niente di buono, figliolo…”.
“Avete un piano, Bobby?” – aveva chiesto, speranzoso.
“A dir la verità no”.
Un breve silenzio aveva seguito quella risposta.
“Ehi, non vorrai dirmi che hai in mente qualcosa??”.
“Forse… Conosci qualcuno che possa far avvenire un’eclissi?”.
Il vecchio Singer e Bobby si erano scambiati uno sguardo interrogativo.
“Che vorresti fare?”.
“Aprire il portale del Purgatorio e convincere le anime che avete catturato a tornare a casa, prima che le trovino tutte. Ho sentito che con voi c’è una giovane medium che sa fare magie. Loro saranno la nostra esca. Di questo passo, il Paradiso sarà presto svuotato, e a Crowley non basteranno sole le sue forze per controllare un simile potere”.
Si era preso un minuto per elaborare meglio il suo piano. Sembrava che stesse scarabocchiando qualcosa.
“Se non c’è riuscito un angelo a controllare tutto quel potere, sono certo che non ci riuscirà neanche lui. Sarà allora che lo spediremo nel Purgatorio insieme a tutte le altre gentili creaturine di mammina, e chiuderemo quel portale per sempre. Devo farmi perdonare da un ex-angelo, Bobby. Credo che non ci sia modo migliore di fottere chi aveva fottuto lui”.

*

 

Ian aveva vegliato su suo fratello per tutto il tempo. Se ore prima aveva avuto il desiderio bruciante di lottare e di farla pagare a Crowley, adesso voleva trovarlo di persona e torturarlo fino a fargli supplicare la morte.
Doveva solo trovare il modo. Perché arrivare nel suo covo in perfetto stile Rambo non sarebbe stato produttivo. Per fottere un demone doveva cercare di pensare come un demone, e non come uno qualunque di loro, ma come il Re dell’Inferno in persona.

Stava appunto valutando una plausibile soluzione quando suo fratello aveva aperto gli occhi, mettendosi dritto sul letto senza farsene accorgere. Lo stava osservando di soppiatto, mentre era concentrato sulle proprie mani. Avrebbe voluto fargli sapere che era sveglio, ma forse sarebbe stato meglio che si fosse accorto da solo di ciò che stava facendo. Temporeggiare gli stava rendendo meno difficile riordinare le idee.

Ed ecco che, all’improvviso, Ian si era girato e aveva incrociato il suo sguardo, trattenendo il fiato per un lungo istante.

“Colin… Stai bene?” – gli aveva chiesto, calmo.
“Morgan…” – aveva risposto quello, sorridendo sereno – “Io sono Morgan. E non sono mai stato meglio di ora”.

*


Quello che avevano deciso di fare era tremendamente rischioso. Richiedeva uno sforzo fisico e mentale non indifferente, e stavolta Bobby non era convinto che tutti sarebbero riusciti a venirne fuori illesi.
Sentiva nel profondo del cuore che qualcosa sarebbe andato storto, ma non aveva il coraggio di dirlo ad alta voce per paura che i suoi timori potessero avverarsi.
Ma non c’era più tempo per avere dei ripensamenti. Dovevano agire immediatamente. E lo avrebbero fatto per salvare anche quegli uomini che avrebbero distrutto loro stessi in altri centinaia di modi estremamente fantasiosi.

Si erano dati appuntamento con François davanti alla clinica in cui era stato ricoverato Sam. Jules e suo fratello si sarebbero occupati di tenere al sicuro Sam, mentre loro avrebbero cominciato a fare il giro fra i casolari in cui non era ancora stata fatta razzia dai Leviatani per spiegare alle anime che avevano radunato quale sarebbe stato il loro piano.
Billy e sua moglie erano stati irremovibili: Jules non avrebbe preso parte a quell’operazione. Era quasi morta l’ultima volta, e non potevano rischiare di perdere la loro bambina. Le anime superstiti erano spaventate a morte e sapevano di potersi fidare di loro ciecamente. Non volevano fargli del male. Volevano solo aiutarle a ritornare a casa, e loro avevano finalmente capito che per quanto spaventoso fosse, quello era il posto a cui erano state destinate prima di accedere al Paradiso.
Stranamente, la ragazza non aveva fatto obiezioni, e aveva accettato di stare accanto a Sam sotto la supervisione del suo amato fratello. I suoi genitori non si erano lasciati abbindolare da questo suo nuovo temperamento così docile, ma non avevano potuto proprio starle addosso più di quanto avrebbero voluto.
Dovevano pensare a proteggere e radunare le anime, e occorreva tutta la forza e la tenacia di cui erano capaci.

Per questo, avevano lasciato i ragazzi in un luogo apparentemente sicuro ed erano partiti con un François armato di computer e tanta buona volontà per dirigersi verso la prima delle case che avevano usato come rifugio.
Avevano già contattato i cacciatori con cui avevano iniziato quella missione, e avevano deciso all’unanimità che il posto in cui sarebbe avvenuta l’apertura del portale sarebbe stato proprio quello in cui stavano per dirigersi, ammesso che chi l’aveva aperto la prima volta fosse stato in grado di aprirlo una seconda volta. Stando a quello che aveva detto Crowley, se Cass era ancora in vita, solo lui poteva fare ciò che andava fatto, ma solo se avesse avuto le forze necessarie. Sarebbe stato faticoso, e qualcosa suggeriva a Bobby che il ragazzo non stesse bene per niente.
Proprio per quello, l’anziano cacciatore si era precipitato dal dottor Robert, sperando con tutto il cuore che i suoi ragazzi fossero ancora lì.

*

 

Se i muri fossero stati in grado di parlare, non sarebbero stati ugualmente in grado di descrivere lo sgomento, la gioia, la confusione susseguitesi sul viso e nel cuore di Ian nel capire che colui che aveva davanti non era più quel ragazzo di nome Colin che non sapeva chi lui fosse. Quello che aveva davanti e che lo stava osservando con gli occhi umidi, era Morgan Wesley. Era il suo fratellino Morgan. E ricordava esattamente chi lui fosse.

Era scoppiato in lacrime, correndo da lui e abbracciandolo con tutta la forza che aveva in corpo, dimenticandosi quasi della ferita che aveva sul fianco.
“Ehi… su… non fare così...” – lo aveva preso un po’ in giro Morgan, ricambiando l’abbraccio – “Hai deciso di farmi fuori del tutto?”.
No che non voleva farlo fuori. Voleva solo stringerlo più forte che poteva e ripetergli all’infinito che lo amava più di ogni altra cosa perché era il suo amato fratellino e non lo avrebbe abbandonato mai più. Ma le parole gli erano morte in gola. Erano troppo difficili da dire perché troppo vere, perché troppo dolorose e sincere.
“Mi hai fatto fare il lavaggio del cervello eh? Dovrei essere infuriato con te, lo sai, vero?”.
“Io volevo solo proteggerti” – gli aveva detto, fra le lacrime – “Volevo solo che tu avessi una possibilità in più di sopravvivere, che finissi il più lontano possibile da questo schifo e…”.
“Ian… in questo schifo c’è qualcosa di buono, e questo qualcuno sei tu. Io ti voglio bene fratello… Ti voglio bene. E non c’è niente più importante di questo. O almeno credo”.
“Come sarebbe a dire ‘credo’?” – aveva domandato Ian, fingendosi irritato.
“Ci sono molte cose di cui dobbiamo parlare, lo so. Ma prima voglio andare da Castiel… Ho bisogno di sapere come sta”.

*

 
“Quali sono le tue vere intenzioni, sorellina?” – aveva chiesto Nicolas a sua sorella dopo essere rimasti da soli.
Jules non aveva risposto immediatamente. Si era presa un minuto per pensare mentre si allontanava dalla finestra per recarsi nei pressi del letto di Sam.
Era quasi impossibile che non avessero capito che stesse elaborando un piano. Suo fratello era rimasto lì con lei proprio per evitare che facesse sciocchezze, ma non avrebbe potuto impedirle di fare ciò che si era prefissata.
Era rischioso, più rischioso che mai, ma non avrebbe rinunciato a portarlo a termine. Non le importava di perdere la vita. Se le era stato donato quel potere c’era una ragione, ed essa doveva essere molto più importante di quanto aveva creduto fino ad ora.

“Non riusciranno a combinare nulla di buono senza una guida” – aveva risposto, senza staccare gli occhi da Sam – “Non senza una guida che non stia morendo dalla paura, almeno”.
“E dunque?”.
“E dunque, sono qui per parlare con Sam”.
“Jules… Non vorrai mica…”.
“Sai benissimo che non puoi impedirmelo” – aveva risposto lei, severa.

“Sì che posso!” – e l’aveva raggiunta con due grandi passi, scuotendola per le spalle – “Non ti permetterò di fare una sciocchezza del genere! Sei quasi morta prima! Non hai abbastanza energie e…”.
“E’ proprio per questo che siamo qui insieme, fratellino. Chiederò a Sam di venire con me, e tu… Tu, dovrai restare qui per vegliarci”.
“Sei completamente pazza Jules. Non puoi farlo… Non puoi! Papà e mamma morirebbero se dovesse accaderti qualcosa!”.

Aveva ragione. Suo padre sarebbe impazzito dal dolore, ma almeno sarebbe stato vivo se tutta quella questione fosse andata come aveva previsto. Eppure, sentiva di non avere scelta. Lei e Sam erano gli unici a poterlo fare. Certo, avrebbe potuto chiederlo a suo fratello Nicolas, ma in quel caso sarebbe stato veramente troppo rischioso. Mentre l’anima di Sam si trovava in una sorta di bilico fra il mondo dei vivi e quello dei morti, quella di Nicolas era attaccata alla vita in maniera morbosa. Aveva molte più probabilità di perdere la vita.
No, non poteva coinvolgerlo.

“Non mi fermerai, fratellino. Sam è qui, ha sentito tutto quello che abbiamo detto, ed è d’accordo con me”.
“Jules…”.
“Adesso basta Nicolas. Basta”.

Non si era mai rivolta a lui con un tono così duro. Era una cosa estranea alla sua natura. Jules era dolce e gentile, quell’espressione non le apparteneva.
Nicolas era rimasto spiazzato per un lungo istante.

“Riesci a capire che se non interveniamo non ci sarà pace da vivi e neppure da morti? Crowley sta giocando con le anime di tutti, Nick! Saremo tutti suoi schiavi, in questa vita, e nella prossima. E noi non possiamo permetterglielo”.

 *

 

Aveva guidato ininterrottamente per raggiungere la macelleria in cui operava l’amico di John. Aveva rischiato di investire due pedoni, e poi aveva frenato con tanta forza in una curva da finire quasi fuori strada.
Sarebbe stata davvero una beffa, un modo fantasioso per andarsene, almeno per un cacciatore di bestie infernali.
La verità era che aveva troppa fretta e poco tempo a disposizione, e la forte diminuzione di anime che venivano rapite dal Paradiso era un segnale più che negativo. Quel bastardo di Crowley doveva aver quasi completato la pulizia di primavera nei piani alti, e non voleva neppure provare ad immaginare le conseguenze di quell’abominio.
Tutto quel potere era una sorta di droga. Ricordava fin troppo bene l’effetto che esso aveva avuto su Castiel.
Cielo, ancora non riusciva a togliersi dalla mente i suoi occhi, gli occhi di un mostro.

Aveva praticamente lasciato il furgoncino per strada. La gente era troppo spaventata e si era rifugiata ovunque. Un giro non mancavano gli sciacalli, ma gli importava poco. Doveva raggiungere i ragazzi, e doveva farlo subito. Non aveva però previsto di trovarsi davanti ad una scena così straziante.

*

 

Ian era piombato da Dean per dargli la lieta notizia, trovandolo in compagnia di un Bobby rimasto a bocca aperta per lo shock, lo stesso shock che aveva colto anche lui e Morgan.

“Cass…” – aveva sussurrato il ragazzo, precipitandosi al suo capezzale.
Sembrava che stesse per morire. Aveva le labbra viola, ed era così pallido da fare quasi invidia al lenzuolo del suo giaciglio. Le occhiaie scure e profonde facevano da cornice ai bellissimi occhi che non riusciva quasi più a tenere aperti.

“Ehi…” – lo aveva chiamato ancora Morgan, inginocchiandosi e posandogli una mano fra i capelli – “Non puoi mollarmi adesso, hai capito? Ci sono tante cose di cui ti devo parlare, amico mio, ci sono tante cose che devo confessarti” – aveva precisato, soffiando sul suo orecchio – “Sei il mio angelo Cass, non mi abbandonare”.

“Porca miseria figliolo, chi lo ha ridotto in quello stato? E che cavolo ci sta a fare qui quell’idiota di un medico se non serve a niente! E chi sei tu, ragazzino?”.
Bobby aveva posto tante, troppe domande a cui i presenti non erano sicuri di poter dare una risposta adeguata.
“Cazzo, qualcuno mi spiega che succede??” – aveva sbraitato, incapace di staccare gli occhi da Castiel.

“Sono state le anime rapite dal Paradiso a ridurlo così. O meglio, un Leviatano si era già dato un bel po’ da fare con un paio di costole, ma Crowley gli ha dato il colpo di grazia. In qualche modo, Cass è ancora legato al Paradiso, anche se non abbiamo idea del perché” – aveva detto Dean con lo sguardo perso nel vuoto – “Il dottor Robert ha fatto tutto quello che era nelle sue possibilità ma lui… lui continua a stare male… Ha avuto solo la forza di dirmi quello che stava succedendo prima di perdere i sensi. Credo che stia morendo Bobby… E non so come salvarlo” – aveva concluso Dean, cercando di mantenere una parvenza di lucidità, di non abbandonarsi al dolore.

Ian si era avvicinato all’anziano cacciatore nella speranza di poter essere utile. La situazione era drammatica, ma c’era ancora del lavoro da fare, e non potevano fermarsi.

“Se sei arrivato fin qui è perché hai qualcosa da dirci, Bobby, e non mi importa se sia una cosa bella o una brutta, io voglio sapere di che si tratta. Siamo in tre, anzi no, in quattro. Lui è mio fratello Bobby, si chiama Morgan, e ci aiuterà di certo a fermare Crowley”.

La voce di Ian era ferma, quasi calma. Davvero non riusciva a credere come quel ragazzo potesse essere così tranquillo. Ma era certo che non lo fosse. Ian aveva paura, proprio come lui, solo che stava cercando di farsi forza per aiutare tutti.
Morgan aveva lasciato il capezzale di Castiel per permettere a Dean di avvicinarsi e di prendere il suo posto. Nonostante avesse recuperato tutti i ricordi della sua vecchia vita, non aveva dimenticato i momenti passati accanto a Castiel, non aveva dimenticato i momenti trascorsi insieme a lui, quello che aveva provato ogni secondo, le sue parole, i suoi tormenti, le sue risate. Stava soffrendo, ma non poteva comportarsi da persona egoista. Avrebbe represso quel sentimento creatosi in quelle settimane a tutti i costi. Lo avrebbe fatto per Cass, per Dean, per se stesso e per Ian. Sia ben chiaro, continuava a pensare che il Winchester non meritasse quell’amore così incondizionato, ma non poteva opporsi ad esso. Sarebbe stato da immaturi e masochisti, e lui non era nessuna delle due cose. Cass stava morendo. Probabilmente non avrebbe superato la notte, e non era lui a dovergli stare accanto, non era lui a dovergli tenere la mano, a sussurrargli che sarebbe andato tutto bene. Lui sarebbe stato uno spettatore, un semplice membro di un pubblico che sperava ancora nel lieto fine nonostante l’ultima pugnalata fosse già stata inferta, nonostante il veleno fosse già stato ingerito. Solo se avesse chiesto di lui si sarebbe avvicinato ancora, solo se avesse sentito ancora una volta pronunciare il suo nome, qualunque avesse deciso di fuoriuscire da quelle labbra che non era riuscito ad avere neanche per un solo istante.

“Io… Io non so che cosa dire” – aveva ammesso Bobby, totalmente disarmato – “Non so che cosa dire”.

Ed era vero. Non aveva la più pallida idea di cosa dire o di come agire. Cass era l’unico a poter aprire il portale, e se avesse voluto farlo uno di loro avrebbero dovuto aspettare che esalasse l’ultimo respiro. Ma davvero non riusciva a pensare ad una simile eventualità. Era sempre stato un uomo forte, o almeno ci aveva provato. Aveva sempre cercato di tirare avanti come meglio poteva, ma quella volta non aveva la forza materiale per farlo, non sapeva come uscirne. Castiel era uno dei suoi ragazzi. Cass era il terzo dei suoi figli, il più grande, ma allo stesso tempo il più piccolo, quella che aveva bisogno di più protezione, quello che aveva bisogno di essere preso per mano, di essere guidato. E invece di farlo, invece di insegnarli a camminare, poi ad andare in bici e poi a guidare, lo aveva piazzato direttamente su di un’auto da corsa, permettendogli di schiantarsi dopo la prima curva.

“E’ colpa mia” – aveva detto – “Non avrei mai dovuto permettergli di andare via. Avrei dovuto mettermi davanti a quella porta e impedirgli di andarsene! Avrei dovuto prenderti a calci in culo finché non avresti cambiato idea, Dean, ma non l’ho fatto! Sapevo che gli sarebbe capitato qualcosa, e non gli ho dato nemmeno un cellulare per permettergli di chiamarmi se avesse avuto bisogno di una mano. E invece… Invece l’ho lasciato andare e adesso… adesso sta morendo! E sono io ad averlo ucciso. Ho ucciso un angelo. Ho ucciso l’unico angelo che mi ha fatto sperare di poter vedere un giorno il Paradiso”.

I ragazzi presenti in quella stanza avevano chinato il capo, rinchiudendosi nel proprio silenzio. Era straziante vedere un uomo adulto, un padre, incolparsi per la perdita di un figlio.
Ma Dean non poteva permettergli di soffrire per qualcosa che non aveva fatto, non poteva. E lo avrebbe fatto se solo Ian non avesse preso di nuovo in mano la situazione, scuotendosi dal suo torpore.

“Adesso basta. Basta. Lui non è ancora morto. Cass è debole, è vero, ma ci ha già sorpresi in precedenza. E non vorrebbe che continuaste a spargervi il capo di cenere al suo posto. E’ lui qui a sentirsi in colpa, è lui quello che ha rischiato la vita. Per la miseria ragazzi, dobbiamo chiudere i giochi. E’ un lavoro come tutti gli altri, e vedete di muovere il culo, perché non vedo l’ora di risolverlo”.

*


Sue, erano solo sue. Luminose come stelle, più potenti dei reattori nucleari, erano solo ed esclusivamente sue. Crowley non riusciva a smettere di guardarle, di bramarle. Avevano fatto davvero un ottimo lavoro quegli orribili vermoni famelici. Gli angeli non costituivano un problema. Presto sarebbero tutti morti, e ogni regno sarebbe stato suo. Considerando l’idiozia del capo dei Leviatani, era stato l’affare migliore della sua vita. E aveva fatto tutto da solo, o quasi. Presto avrebbe dovuto fare una visita ad un paio di amici. Cominciava a sentirne la mancanza.

“Chissà cosa starà facendo il mio gattino… Dovrei ringraziarlo per il suo preziosissimo aiuto. Magari potrei portargli un regalo speciale… Un collare tempestato di zaffiri, magari… Sarebbe meraviglioso al suo bellissimo collo… Sono con quello addosso…”.

Da quanto era diventato così perverso non lo sapeva neppure lui. Non faceva altro che pensare per tutto il tempo a lui e al suo sguardo a tratti spaurito e a tratti spavaldo e fiero che ricordava la creatura angelica che era stato un tempo. Presto avrebbe avuto un ex-angelo fra la sua folta schiera di schiavi. Un ex-angelo e due cacciatori che gli avevano dato un bel po’ di filo da torcere per anni. Non riusciva nemmeno ad elencare tutte le cose che avrebbe fatto subire loro. Sapeva solo che sarebbero state tremendamente divertenti. Almeno, lo sarebbero state per lui.

Per questo, aveva osservato con attenzione il proprio riflesso nello specchio, sistemando al meglio il bellissimo colletto della camicia di seta italiana.

“Credo che sia arrivato il momento di fare quella visita” – aveva esclamato – “Ma forse dovrei passare prima a comprare il collare”.

*

Non sapevano se quella fosse una decisione saggia o no, ma non c’era molto da fare. Le alternative a quello che avevano fatto sarebbero state mettergli un cuscino in faccia e soffocarlo, o sparargli un colpo in testa, e non erano alternative plausibili. Così, nonostante le perplessità espresse con molta energia dal dottor Robert, avevano preso Castiel e lo avevano condotto presso il magazzino scelto per riaprire il portale. Non avevano la più pallida idea di come avrebbero potuto fargli pronunciare la formula, però. Stava malissimo. Riprendeva conoscenza per brevi istanti, per poi perdere i sensi senza rendersi neppure conto di quello che aveva attorno, di chi aveva attorno, diventando ogni istante sempre più pallido e provato.
Dean aveva lasciato ad Ian e a Morgan la sua auto, sorprendendosi egli stesso per non aver provato il minimo dubbio o rimorso, ed era salito sul furgoncino di Bobby senza fare storie, permettendo così a Cass di stare più comodo, e soprattutto di non stare solo. Il fratello ritrovato del suo braccio destro non era parso felice di lasciare Castiel alle sue cure, ma aveva preferito non esternare i suoi dubbi. Senza fare troppe storie, aveva preso il posto che solitamente veniva occupato da Sam, aspettando solo che Ian avviasse il motore e seguisse il furgoncino su cui era stato caricato il suo angelo.

Fra il cacciatore e il suo papà surrogato era sceso un silenzio innaturale. Le cose da dire erano tante, ma sembrava che non riuscissero a trovare le parole adatte per iniziare un qualunque tipo di argomento.
La verità era che tutti erano ancora troppo scossi per potersi rendere davvero conto di cosa si poteva o non si poteva dire, o cosa si poteva o non si poteva fare.
Crowley stava facendo incetta di anime: il Paradiso era stato svuotato, era già in possesso delle anime dell’Inferno, e ad una velocità strabiliante stava rapendo anche quelle scappate al Purgatorio. Aveva i Leviatani dalla sua parte, e il semplice fatto che non si fosse fatto ancora vivo con loro, i suoi nemici storici, era un sentore molto, molto evidente che ormai avesse in pugno ogni cosa, e che fosse talmente sicuro di sé da non avere alcuna fretta.
E loro? Loro cos’avevano? Erano un misero gruppo di cacciatori decimati dai Leviatani, stanchi di soffrire, e molti di loro erano stati abbandonati anche dall’ultima cosa che gli era rimasta, la speranza.
Dean continuava ad osservare Cass – o quel che ne restava – in silenzio. Aveva paura persino di sfiorarlo. Dio mio, forse avrebbe dovuto pensare a Sam in quell’occasione, ma non poteva fare altro che osservare l’angelo che l’aveva salvato dalla dannazione, pregando silenziosamente chiunque fosse in ascolto affinché gli donasse un’altra opportunità. Sapeva di chiedere tanto, sapeva di chiedere troppo, ma non poteva evitarlo. Se c’era anche solo un’opportunità per Cass di sopravvivere, lui avrebbe fatto qualunque cosa per far sì che la cogliesse.

“Ancora non ci credo! Un ragazzino che mi ha fatto la paternale! Sono proprio caduto in basso…” – aveva ad un certo punto esclamato Bobby, stanco di sopportare quel silenzio pesante come un macigno.
“Ian sa quello che vuole. E’ un ragazzo in gamba. Nonché il cacciatore migliore che io abbia mai conosciuto” – era stata la risposta sincera di Dean.
“Puoi dirlo forte ragazzo! Porca miseria, ha ritrovato il fratello dopo anni, e invece di scappare e portarlo su di un’isola deserta per tentare di metterlo al sicuro, lo ha reclutato e ha deciso ugualmente di lottare. Non si è lasciato sovrastare dagli eventi. Credo proprio che ci sia da imparare molto da uno come lui”.

Ed era vero. Bobby non avrebbe potuto trovare parole più adatte per descrivere Ian Wesley.

“Sam sta bene Dean. Jules ha parlato con lui”.
“Ha parlato con lui?” – non gli sembrava una cosa molto positiva dato che Jules era una sensitiva.
“Sì! E’ entrata in una sorta di trance ed è riuscita ad entrare in contatto con lui. Io ho assistito. E’ stata una cosa indescrivibile, credimi. Adesso, lei e Nicolas si trovano nella clinica e lo stanno sorvegliando. Ha chiesto Jules di poter stare accanto a lui”.
Dean aveva sorriso nell’apprendere quella notizia.
“Quella ragazza ha sempre avuto un debole per mio fratello… Ah, Sammy… Sono fiero di te! O almeno, lo sarei se arrivassi in terza base con lei!”.
Era incredibile come fosse in grado di sdrammatizzare persino e soprattutto in momenti come quello.
“Ragazzo, fai davvero schifo, lasciatelo dire”.
“Sei un finto puritano! Comunque, qual è il tuo geniale piano, Bobby? Perché davvero, io non credo che Castiel… che Cass possa farcela. Dovresti vederlo adesso… Dio mio, non so davvero come faccia a respirare ancora”.

Il vecchio cacciatore si era preso un lungo istante prima di rispondere.

“E’ Cass, Dean. E’ il nostro Cass. E’ il Cass di cui hai conservato per un intero anno il trench, è il Cass che ti ha salvato dall’Inferno. E’ quel Cass che è morto e ritornato in vita e che ogni volta ti è stato accanto, dandoti tutto quello che poteva, e forse anche di più. Resta vicino a lui figliolo. Non lasciargli la mano, e non se ne andrà”.
“Eh?” .
“Ma non l’hai ancora capito razza di idiota? Lui vive di te. Vive per te. Non so se sia amore, non so se sia ossessione, so solo che non ho mai visto niente del genere. Neppure fra te e Sam c’è un qualcosa di così forte, un qualcosa di così speciale. Ed io so che anche se non lo ammetterai mai, è lo stesso anche per te. Lui ti ha marchiato. E non parlo solo della sua impronta sulla spalla, Dean. Lui ti ha marchiato dentro, nell’anima, nel cuore. Qualunque cosa deciderai di fare, lui non ti abbandonerà. Quindi ti prego, non abbandonare lui”.

Un istante dopo, Bobby, imitato da Ian, aveva svoltato alla prima uscita sulla destra.

*

Concentrarsi era stato meno difficile della volta precedente, nonostante fosse molto più stanca e provata. Sam si era fatto trovare pronto, accogliendola a braccia aperte in quella sorta di prigione fra la vita e la morte in cui era intrappolato, e doveva molto all’energia che le aveva fornito suo fratello, energia scaturita dalla fiducia che aveva riposto in lei.
Non c’era un minuto da perdere.
Per questo, Jules aveva preso Sam per mano, seria più che mai, e lo aveva condotto presso uno dei magazzini in cui avevano riposto le anime radunate.

“Jules!” – aveva esclamato una delle anime, quella di un uomo di circa cinquant’anni che aveva parlato più volte con lei – “Dio mio, ti prego, non dirmi che…”.
“No! Non sono morta. Né io né lui lo siamo. Ascoltami Mark, lui è Sam, è un cacciatore, ed è momentaneamente uscito fuori dal suo corpo per aiutarvi”.
L’anima aveva guardato a lungo Sam. Non si fidava molto di lui, ma era amico di Jules, e questo gli bastava.
“La situazione è drammatica amica mia. Siamo spaventati e decimati. Quel mostro ci vuole usare! Questo non è un posto sicuro per voi, adesso”.
“Lo sappiamo” – aveva risposto Sam – “Sappiamo tutto, ma siamo qui per aiutarvi. Dovete fare esattamente quello che Jules vi dirà. Voi vi fidate di lei, no? Fatelo anche questa volta, e non ve be pentirete”.

Era bastato qualche sguardo fra di loro per capire quale fosse la cosa giusta da fare.

“Ti seguiremo. Qualunque cosa tu voglia fare, noi ti seguiremo. Sappiamo di poter contare su di te”.

*

 

Avevano fatto tutto più in fretta che potevano. Jules e Sam si erano divisi, passando da uno stato all’altro come se niente fosse. Era stato un lavoro meno lungo del previsto, ma alla fine avevano portato a termine la loro missione. Erano riusciti a recuperare tutte le anime e a portarle nel luogo prestabilito, e questo senza farsi vedere dai genitori di Jules. Se l’avessero scoperta si sarebbero arrabbiati da morire, e non solo per aver messo a repentaglio la sua vita, ma anche quello di Sam.


Billy era piuttosto soddisfatto e sorpreso.


“Chi vi ha detto di venire tutte qui?” – aveva chiesto ad un’anima a caso, profondamente incredulo.

“Non lo sappiamo” – aveva mentito quella, tenendo fede al patto fatto con la ragazza – “Ci hanno solo detto di venire in questo posto. E sappiamo di per certo che non è stato Crowley”.

Saperlo era un gran sollievo, ma ciò non toglieva il fatto che qualcosa puzzasse, e non poco.

“Credo che ci sia lo zampino di nostra figlia” – aveva asserito Sandra, più seria e preoccupata che mai.
“Dici?”.
“Una madre le sente queste cose… Spero solo che non abbia fatto qualcosa di terribilmente stupido!”.

Poco lontano da lei si era sistemato Francois, e con grande cura aveva riportato sul muro il simbolo che avrebbe permesso di aprire il portale per il Purgatorio.
“E’ stata una vera fortuna che Bobby avesse deciso di tenere da parte il sangue della sua amica venuta dal Purgatorio!” – aveva esclamato, mentre disegnava l’ultimo simbolo.
“Sì, ma ciò non toglie il fatto che non sappiamo ancora dove sia Castiel, e soprattutto come far avvenire l’eclissi! Non so se l’hai notato, ma nessuno di noi è dotato di un simile potere!”.

Sandra era molto, molto nervosa, e aveva le sue ragioni. Era vero che senza eclissi non sarebbero andati da nessuna parte, ma già era un gran passo essere entrati in possesso del sangue, l’aver disegnato il simbolo e aver radunato tutte le anime scampate alla furia di Crowley. Ben presto, poi, Cass sarebbe stato vicino, stando almeno a quello che aveva detto loro Bobby, e un’altra cosa sarebbe stata depennata dall’elenco.

Con grande attenzione, Jules e Sam si erano ritirati in un angolo più isolato del magazzino, discutendo proprio di quell’ultimo, enorme problema.

“Che possiamo fare?” – aveva chiesto la ragazza.
“Non ne ho idea” – era stata la risposta del gigante buono – “Non è che io abbia esattamente un’eclissi in tasca!”.
Il sarcasmo di Sam aveva spiazzato Jules, che aveva aggrottato le sopracciglia, sorpresa. Ma non era Dean il mago delle battutacce?
“Non è il momento di scherzare. Tu hai affrontato tante difficoltà in passato, non hai nessuno a cui poterti rivolgere?”.
Il Winchester si era rabbuiato per un lungo istante, pensando al suo passato.
“L’ultima volta, è stato Morte, il cavaliere, ad aiutarci, ma ha giurato che non l’avrebbe fatto di nuovo. Non possiamo chiederglielo ancora… Dean ha cercato di fregarlo un paio di volte e…”.
“Dean ha cercato di fregarlo, non tu!”.
“Credi che faccia differenza?”.
Jules aveva incrociato le braccia al petto, scuotendo la testa da una parte all’altra, contrariata.
“Certo che fa differenza, Sam! Sappiamo com’è fatto Dean! E sappiamo come sei fatto tu… Hai sofferto tanto amico mio. Forse, se tu parlassi con Morte, deciderebbe di ascoltarti. Magari, potrebbe fare anche qualcosa per i tuoi ricordi… Non credi?”.
Sam era diventato pensieroso.
“Non lo so. Certo, potrei provare, ma se… Se mi dicesse di no, cosa che farà sicuramente, cosa faremo? Jules, io davvero non so a chi potrei rivolgermi!”.

Ma Sam aveva fatto appena in tempo a finire la frase che il diretto interessato era piombato fuori dal nulla, apparendo davanti a loro in tutta la sua sinistra dignità.

“Volevi parlarmi, Sam Winchester?”.

Morte in persona si era scomodato per cercarlo. Il cavaliere dell’Apocalisse si era scomodato per parlare con lui. Doveva essere la sua giornata fortunata.

“Ecco... io… Sì, sì…”.
“Ho saputo che il crollo del muro ti ha causato qualche problema. Dimmi, ora come stai, ragazzo?”.
Era quasi impossibile guardarlo negli occhi. Il suo viso era così scarno, il suo sguardo era così maturo e vecchio. Racchiudeva in sé tutta la conoscenza del mondo, chi era lui, giovane e sciocco ragazzino, per poter sostenere una simile onniscienza?
“Potrei stare meglio, ma non… Morte, signor Morte, io non…” – non riusciva davvero a trovare le parole adatte per esprimersi.
“Sei così… così diverso da tuo fratello. Nonostante la tua arroganza, non sei venuto qui per sottomettermi, bensì per chiedere umilmente il mio aiuto”.
“Siamo disperati, signor Morte” – era intervenuta Jules, tremante. Era emozionata e allo stesso tempo terrorizzata di trovarsi davanti ad una simile creatura.
“La giovane sensitiva. Ragazza, credimi, non avevo mai visto prima d’ora poteri grandi come i tuoi, e dire che sono più vecchio di Dio stesso…”.
“Io…” – Jules era arrossita.
“Non sono qui per aiutare voi. Siete voi a dover aiutare me”.
Era evidente che avesse spiazzato i ragazzi.
“I mietitori sono stati decimati dalla furia dei Leviatani”.
“Che cosa??” – Sam era sconvolto.

“Non appena uno di loro si appresta a compiere il proprio dovere, una di quelle bestiacce interviene, portando distruzione. I miei figli sono spaventati, eppure cercano ancora di portare a termine il proprio lavoro. Ammiro la loro perseveranza, ma non posso permettere che altri di loro muoiano. Crowley ha davvero esagerato, questa volta. Quel demone di terza categoria deve esserfermato. Ed io so che voi sapete come fare. So che vi serve un’eclissi. E posso procurarvela”.

*


Ian, Morgan, Bobby, Dean e Cass erano entrati nel magazzino sotto lo sguardo atterrito e sorpreso di tutti. Il loro doveva essere stato degno di un ingresso da grande film cinematografico: Dean era in testa al gruppo e reggeva fra le braccia un Cass quasi esanime, e i cacciatori, armati fino ai denti, gli stavano coprendo le spalle.
Morga e Ian si erano guardati attorno, leggermente intimoriti da tutte le anime che si erano trovati davanti, al contrario di Dean che stava avanzando serio.

“Buon Dio…” – aveva esclamato Sandra, portandosi le mani alla bocca. Non aveva mai visto nessuno in quelle condizioni in tutta la sua vita.
“Ragazzo… Sei sicuro che sia vivo?” – gli aveva chiesto Billy.
“Ciao Billy. Sì, sto bene, e tu?” – aveva ironizzato Dean, facendolo sentire in colpa – “Respira ancora, e ce la farà. Ci aiuterà, non è vero Cass?”- e gli aveva stretto la mano.
L’ex-angelo aveva annuito debolmente, accoccolandosi ancora di più contro il suo petto.
“Cerchiamo di sbrigarci a trovare una soluzione per far avvenire questa eclissi, per favore, e poi attirate qui quel bastardo. Presto saremo pronti a riceverlo”.

Continua…
________________________________________________________________________________________________________________

Scusate per l’immenso ritardo. Ho avuto da fare e questo capitolo lunghissimo mi ha preso molto, molto tempo. Ormai siamo agli sgoccioli!
Scappo!
Un bacio

Ps: sì, Crowley è un pervertito!! U.U
Cleo

Ritorna all'indice


Capitolo 50
*** The last chapter ***


The last chapter


La determinazione di Dean era stata avvalorata un istante dopo dalla comparsa improvvisa dell’ultimo essere che avrebbe mai pensato di vedere.

“Morte?” – aveva domandato il Winchester, più incredulo che mai. Quello che aveva davanti non poteva essere per davvero il cavaliere dell’Apocalisse Morte. Non aveva alcun senso. Quella specie di scheletro onnipotente aveva giurato di non aiutarlo mai più dopo ciò che gli aveva fatto. Certo, legarlo a sé con un incantesimo non era stata la mossa più intelligente del mondo, ma era disperato, e all’epoca gli era parsa la cosa più giusta da fare. L’unica cosa che fosse in grado di fare.

L’essere superiore se ne stava nel bel mezzo della folla, impettito, completamente indifferente ai commenti di chi come Ian o Sandra avevano cercato di colpirlo.

“Non fate cazzate!” – aveva urlato Bobby – “Lui è molto più forte e molto più in alto di quello che sembra”.

“Sono felice che tu abbia questa considerazione di me, Bobby Singer. Ma non sono qui per raccogliere le tue lusinghe”.
“E allora perché sei qui?” – gli aveva chiesto Dean, parandosi davanti a Castiel. Temeva che fosse venuto apposta per Castiel. Dopo quello che aveva combinato, sarebbe stato il minimo che Morte in persona venisse a mietere la sua anima. Ma non poteva portarglielo via. Non glielo avrebbe permesso. Avrebbe lottato con tutte le sue forze per impedirgli di prendere Cass. Era troppo presto, era sbagliato e ingiusto. Non poteva permettergli di andare via, non gli aveva ancora parlato, non gli aveva ancora detto quanto il suo cuore avesse sofferto e sanguinato e quanto stesse continuando a farlo nel vederlo star male senza poter fare nulla per aiutarlo. Non gli aveva ancora detto che non gli avrebbe mai più permesso di andare via, di stare male. Non gli aveva detto che lui era più importante di tutto.

“Sta tranquillo, umano, non sono qui per lui. Non è sulla mia lista. Non adesso, almeno”.

Dean aveva tirato un respiro di sollievo.

“E a cosa dobbiamo la tua presenza, allora?”.
“Non usare questo tono strafottente con me, ragazzino. Si dà il caso che io sia qui per aiutarvi a porre fine a questo scempio”.
“Tu vuoi aiutare noi?” – aveva chiesto Bobby, incredulo.

Morte aveva fatto qualche passo, portandosi proprio davanti al cacciatore e al suo angelo. Castiel stava malissimo. Il cavaliere stesso non aveva nascosto la sua profonda meraviglia riguardante il suo stato di salute.

“E’ incredibile quanto grande sia la sua tenacia. E tutto questo solo per amor tuo… Che essere bizzarro sei, Castiel…”.
“Non toccarlo!” – aveva urlato Dean, stringendosi quel corpo agonizzante ancora più forte contro il petto nel rendersi conto delle intenzioni del cavaliere.
Si erano guardati a lungo negli occhi prima che Morte sorridesse e abbassasse il braccio, compiaciuto. Non occorreva essere una divinità per capire cosa fosse accaduto nel cuore di quello sciocco essere umano.
“Tuo fratello e la sua amica sensitiva sono stati così gentili da offrirmi il vostro aiuto, considerando che voi avete bisogno del mio”.
“Mio fratello… e la sensitiva?” – aveva chiesto Dean, sconvolto per quella rivelazione.
“La mia Jules???” – aveva replicato Sandra, portandosi entrambe le mani alla bocca. I suoi sospetti, allora, erano più che fondati!
“Come può servire a te il nostro aiuto, cavaliere?” – aveva ad un certo punto chiesto Ian, incredulo.

Morte lo aveva guardato con un’espressione indecifrabile prima di rispondere in maniera fredda e distaccata.

“I Leviatani al servizio di quel pagliaccio demoniaco stanno decimando i miei figli per entrare in possesso delle anime. Sono qui per far sì che l’eclissi abbia luogo. Rispedite tutte queste testate nucleari e le belve che li hanno seguiti in Purgatorio prima che sia troppo tardi. Non ho intenzione di aspettare ancora”.

Dean era furioso. Era evidente che Morte non gli stesse dicendo tutto. Che voleva dire quella cosa su Sam e Jules? Perché era di Jules che stava parlando.

“Senti un po’ razza di stecchino ambulante, io…”.
“Tuo fratello è vivo, se è questo che vuoi sapere, e anche la ragazza lo è. Sono stati loro a radunare tutte queste anime qui. Hanno fatto molto di più di quello che avete fatto voi insieme, non credete?”.

Poteva anche essere vero, ma questo non aiutava ad avere le idee più chiare. Non aiutava nessuno ad avere le idee più chiare, maledizione!

“Perché non te ne occupi ti di persona?” – aveva chiesto Morgan, più spavaldo che mai.
“Tu sei il ragazzo che ha recuperato la memoria… E’ notevole ed entusiasmante vedere quante e quali persone compongano il vostro ambiguo gruppetto di uomini che si credono fuori dal comune”.
“Lui non lo farebbe mai” – era intervenuto Dean – “Lui non interverrà mai nelle faccende umane. Si trova qui solo perché sono stati tirati in ballo i suoi stessi figli, i Mietitori. Non interviene perché il suo potere è troppo grande e non può essere sprecato per degli esseri infimi come noi!” – c’era puro disprezzo nelle parole del cacciatore. Tutti temevano il peggio. Non era saggio rivolgersi in quel modo ad un essere così potente. Voleva forse morire prima del tempo ed entrare a far parte della schiera di statuine da collezione di Crowley?

“Io non intervengo, stupido essere umano, perché so che voi siete in grado di fermarli” – era stata la risposta di Morte, che a quel punto li aveva completamente spiazzati – “Voi fermerete il re dell’Inferno, voi fermerete i Leviatani. Fra tre ore esatte avrete la vostra eclissi. E, questa volta, vedete di non sprecarla”.

 

*


Sam e Jules erano ritornati nei loro corpi da un pezzo, e mentre il ragazzo si era svegliato improvvisamente facendo sussultare il povero Nicolas che aveva assistito a tutta la scena, Jules non accennava ad aprire gli occhi.

“Andiamo sorellina… Ti prego… Per favore…” – continuava a ripeterle, spaventato a morte. Non poteva perderla. Lei era la cosa più importante che lui avesse. Era il dono più grande che aveva, non poteva farla andare via. Allora, perché le aveva permesso di mettere a repentaglio la sua vita?

“Nicolas…” – l’aveva chiamato Sam, incapace di credere che fosse finalmente sveglio – “Nicolas…” – era troppo debole per cercare di alzarsi. Aveva le braccia e le mani trapassate dalle flebo, ed era stato per così tanto tempo steso a letto che i suoi muscoli non gli rispondevano.
Ma perché si era svegliato proprio in quel momento? Aveva provato e riprovato centinaia di volte a farlo, ma senza successo. Adesso, dopo quell’esperienza extracorporea, era riuscito finalmente nel suo intento. E, la cosa migliore, era che non aveva ancora avuto alcun tipo di allucinazione, anche se si rendeva conto fin troppo bene che fossero in agguato.

“Sam… lei…”.
“Starà bene… E’ solo tanto stanca…” – ne era più che certo. L’aveva vista con i suoi occhi mentre il suo spirito rientrava nel proprio corpo. Le sarebbe bastato un po’ di riposo e sarebbe tornata forte come prima.
“Ma che cosa è successo??” – aveva incalzato il ragazzo.
“Ce l’abbiamo fatta. Abbiamo… Abbiamo…”.

Ma Sam non aveva finito di parlare, perché qualcuno che conosceva sin troppo bene era piombato improvvisamente nella stanza, scatenando una vera e propria Apocalisse.

“Ciao Sam” – lo aveva salutato Crolwey, serrando forte le mani sulla sua gola – “Ma che brutta cosa avete deciso di fare…”.

Il minore dei Winchester stava soffocando, e se non aveva avuto le forze di alzarsi dal letto, non poteva di certo avere quella di contrastare un demone potente come Crowley.

“Exorcizamus te… Omins immun…” – ma l’esorcismo iniziato da Nicolas non sarebbe mai andato a buon fine, perché il Re dell’inferno lo aveva scagliato contro una parete, facendogli perdere i sensi.

“N-nooo….” – si era lamentato Sam.
“Non preoccuparti cucciolone, dopo tornerò per occuparmi di lui e della ragazza… E’ un bel bocconcino il nostro Nicolas, sarebbe perfetto nella mia collezione. Ma ora, abbiamo ben altro da fare… Spero davvero che non ti dispiaccia fare una bella gita fuori porta”.

*


Le tre ore erano quasi scoccate e la situazione era in perfetto stallo. Cass era ormai allo stremo delle forze, e Ian e Morgan non riuscivano a stare tranquilli. Da quando Ian aveva sparato a Logan, di lui non c’era stata alcuna traccia. Che Crowley l’avesse già preso? Era un’eventualità che non volevano neppure provare a considerare.

Dean non aveva lasciato il suo angelo da solo neppure per un istante. Si erano sistemati in un angolo un po’ più appartato e il cacciatore lo aveva preservato con una vecchia e logora coperta, cercando di tenerlo più caldo possibile. Non aveva smesso neanche per un istante di parlargli nella speranza di tenerlo in vita, e Cass non lo aveva tradito. Era rimasto per tutto il tempo premuto contro il suo petto, socchiudendo gli occhi di tanto in tanto e facendogli timidi e stanchissimi sorrisi. Era bellissimo nonostante la sofferenza. Dean era certo che tutti i martiri della storia avessero avuto la sua stessa espressione. Sperava solo che il suo Cass non decidesse di seguire il loro stesso destino.

“Non mi abbandonare, hai capito? So che tu non sei un bastardo come me, che non mi lasceresti mai, ma io devo ripetertelo lo stesso… Sei troppo importante, hai capito?”.
“Ca-capito…” – gli aveva detto lui, toccandogli il petto.

“Non capisco dove sia andato a finire” - aveva esclamato Morgan, in preda alla disperazione – “Non può essere sparito nel nulla Ian!”.
“E invece può… Può eccome”.
“Credi che l’abbia preso?”.
“Qui non c’è… Sam e Jules hanno fatto tutto quello che potevano fare per reclutare tutte le anime ma qualcuna potrebbe essergli sfuggita. Mi piace pensare che lui sia stato troppo furbo per farsi prendere da quei bastardi dei Leviatani”.
“Ma era così spaventato…”.
“Lo so. Ma non dimenticare di chi stiamo parlando. Lui è Logan! Ci ha cresciuti, ci ha insegnato ad essere quello che siamo. Voglio avere fiducia in lui”.

Dean aveva ascoltato il discorso che avevano affrontato i due fratelli senza intervenire, comprendendo le loro paure. Anche lui era preoccupato per Sam, anche se probabilmente non ce n’era motivo. Ma perché allora qualcosa in lui gli stava suggerendo che i suoi timori fossero tremendamente veri e più che fondati?

“Le tre ore sono giunte al termine” – li aveva informati una Sandra agitatissima – “L’eclissi sta per avvenire e gli invitati per il gran ballo non sono ancora arrivati maledizione”.
“Arriverà…” – aveva detto Dean – “Noi lo conosciamo bene. Vero ragazzi?” – e aveva guardato prima Cass e poi Bobby – “E’ troppo vicino ad ottenere quello che vuole per mollare tutto. Nel frattempo, Cass pronuncerà l’incantesimo e le prime anime cominceranno ad attraversare il passaggio. Non è vero, amico mio?”.
Castiel gli aveva fatto un impercettibile cenno di assenso con il capo.
“Bravo Cass… Manca poco, e dopo ti prometto che ti porterò in un vero ospedale con dei medici veri. Andrà tutto bene… Poi passerò da Sam e…”.

“Non credo che ci sia bisogno per te di scomodarti tanto”.

A quella voce, il sangue nelle vene di Dean si era gelato. Non era quello il momento di arrivare. E non era quella la persona con cui sarebbe dovuto presentarsi al loro cospetto.

“Ciao Dean!” – gli aveva detto Crowley, sorridendo sadico mentre teneva Sam ancorato al suolo con la sola forza del suo piede premuto contro quella schiena possente.
“Sam!” – aveva urlato lui, incredulo – “Lurido bastardo, tu…”.
“Io ho vinto, stupido piccolo idiota. Credevi davvero che non mi sarei accorto del tuo patetico piano? Vi ho osservati fin dall’inizio senza mai perdervi di vista. Come potevo non curarmi dei miei umani preferiti? E poi, tuo fratello e quella puttanella non sono stati neppure in grado di coprire le loro tracce… Esseri patetici!”.

Sandra gli aveva tirato addosso dell’acqua santa, scoprendo con grande timore e orrore che contro di lui non sortiva alcun effetto. Ma questo non l’aveva fermata.
“Che cosa hai fatto a mia figlia, bastardo??”.

Con estrema lentezza, il demone si era asciugato il viso con il fazzoletto di seta che portava nel taschino, sorridendo sadico e soddisfatto.

“Niente, almeno per ora. Si trova con suo fratello in ospedale. Stanno riposando, mettiamola così. Ecco, ad essere sinceri ero molto più interessato al giovane Nicolas… Sono sicuro che starebbe benissimo con uno di questi addosso” – e aveva estratto dalla tasca un collare, un vero e proprio collare da cane tempestato di pietre blu che sicuramente erano zaffiri – “Con solo uno di questi addosso” – aveva poi precisato.
“Ludiro…”.
“Ah-ah-ah! Sandra, non scaldarti. Ho detto con uno di questi, non con questo… Il collarino che ho in mano appartiene a qualcuno di molto speciale che si trova qui con noi, al gattino fra tutti voi rognosi cagnolini asserviti…
Dove sei Cass… Papà ti sta aspettando!”.

Dean era inorridito nell’istante in cui si era reso conto di ciò che intendeva fare veramente Crowley, e aveva cercato di avvicinare il più possibile Cass al simbolo di sangue disegnato sul muro senza che se ne accorgesse, nascondendolo dietro a François. Il cacciatore aveva offerto di buon grado di fargli scudo col proprio corpo. Si sarebbe fatto ammazzare pur di redimersi dopo quello che gli aveva fatto, e Dean non gliene sarebbe mai stato abbastanza riconoscente.
Ma, purtroppo per loro, Crowley era troppo furbo e troppo potente, e non gli c’era voluto molto prima di intercettarli.

“Spiacente Dean. Ho smesso di giocare al momento. So che tra breve vedremo una bella eclissi, ma io sarò già lontano, a quel punto, intento a fare ben altri tipi di gioco. Ora, se volete scusarmi…”.

Ed ecco che, dopo un semplice schiocco di dita, decine e decine di Leviatani erano comparsi dinnanzi a loro, cominciando a rapire le anime che con tanta pazienza avevano reclutato e protetto.
Ian, Morgan, Billy, Bobby, François e Sandra si erano armati di borace e machete, pronti a fronteggiare con le unghie e con i denti quei bastardi disgustosi. Avevano fatto troppa fatica per arrendersi, e se combattere significava morire, lo avrebbero fatto senza alcuna esitazione.

“FATE ATTENZIONE!” – aveva urlato Dean, prima che si scatenasse un marasma.
La lotta era ardua e serrata, e con grande sorpresa aveva visto anche le anime lottare con tutte le loro forze per non essere catturate.
“Bene, Cass, dobbiamo approfittarne adesso, hai capito? Forza amico mio, la formula è qui, è scritta su questo foglio, ce la fai a leggere Cass, ce la fai??”.
L’ex-angelo aveva aperto gli occhi, e con estrema fatica aveva cominciato a pronunciare le prime parole del rituale, ma la sua voce era più simile ad un sussurro che ad altro. Dean sperava che facesse ugualmente effetto.
“Forza Cass… bravo… Ce la farai… Ci sei quasi… Forza…”.
Ma anche quella volta le cose erano andate diversamente. Crowley era troppo furbo per lasciarsi sconvolgere da qualche piccolo screzio, e li aveva raggiunti con poche mosse, scaraventando Dean lontano e sollevando Cass per i capelli, che aveva urlato dal dolore.

“Oh, povero gattino! E’ mai possibile che dobbiamo sempre vederci in questo modo? Attiri guai, a quanto sembra!”.
“Lascialo stare!” – aveva urlato Dean, spuntando sangue e saliva. Aveva accusato il colpo, ma non poteva arrendersi. Non poteva lasciare che Cass e Sam finissero sotto le sue grinfie.

Crowley si era girato verso di lui, il trionfo dipinto sul viso corroso di un uomo che ormai non era più tale.

“Possibile che tu ancora non l’abbia capito stupida scimmia senza peli?? Io ho vinto!! HO VINTO!! E tutto questo è mio! Mio e di nessun altro! E nessuno potrà fermarmi! Neanche tu e questo idiota che ha rubato lo stupido pugnale di un angelo!”.

François, nel tentativo di liberare Cass dalle grinfie di quella belva, aveva cercato di colpire Crowley con il pugnale che aveva sottratto all’ex-angelo. Ma era stato tutto inutile: con un solo gesto della mano, il Re dell’Inferno gli aveva torto il collo, e il pover’uomo era caduto al suolo privo di vita per l’ennesima volta.

“BASTARDO!” – aveva allora inveito contro di lui Dean, sollevandosi e cercando di recuperare l’arma, ma sembrava tutto inutile: Crowley non era mai stato così potente.

“Sei più duro di comprendonio di quanto credessi stupido idiota! Non puoi fare niente contro di me, niente! Mettitelo in testa!”.

Sembrava tutto perduto. Sembrava che non ci fosse più alcuna speranza. Bobby e Billy erano in serie difficoltà, così come Sandra e Morgan. Ian stava cercando di fare scudo a Sam ancora sdraiato al suolo, e questo lo stava rallentando e non poco. Erano nei guai. Senza un aiuto concreto non ci sarebbe stata vittoria. Senza un aiuto concreto avrebbero perso. Senza un aiuto concreto, sarebbero tutti diventati i piccoli giocattoli da rompere di Crowley.

Cass stava piangendo, anche se l’unico che sembrava essersene accorto era Dean. Era sempre più pallido e provato. Non ce l’avrebbe fatta. Cass non sarebbe sopravvissuto a quella tortura. Ormai era molto più che una semplice constatazione. Era la realtà. E lui non avrebbe potuto fare niente. Dean non avrebbe potuto salvarlo.
Non poteva fare più niente. Per questo i suoi occhi avevano fatto compagnia a quelli del suo angelo, piangendo tutte quelle lacrime che aveva cercato di ricacciare indietro con tanta intensità.
Non sapeva più cosa fare. A chi rivolgersi. Ed era stato solo allora che era crollato, piangendo tutta la sua frustrazione, tutto il suo dolore. Se ci fosse stato ancora qualche bastardo piumato in vita, lo avrebbe pregato di fare qualcosa, qualsiasi cosa. Si sarebbe venduto il culo pur di salvare Cass. E, forse, non era tutto perduto, perché un attimo dopo, la sala si era illuminata, e dodici creature che Dean aveva riconosciuto per quello che erano senza mai averle viste prima di allora erano apparse dal nulla.

“Lascialo stare immediatamente, Crowley” – aveva intimato una di loro, una che aveva preso il corpo di un ragazzo che lavorava in un fast food.
“Samandriel… dovevo immaginare che ci fossi tu dietro a tutto questo! Siete al completo, bambini miei?” – lo aveva preso in giro.
“Noi siamo gli ultimi dodici angeli sopravvissuti, e ne abbiamo abbastanza di questo tuo comportamento. Non sei il re del mondo. Non sei il re di niente stupido demone di terza categoria!”.

Dean non riusciva a credere ai suoi occhi. Non credeva possibile che alcuni angeli fossero sopravvissuti, e soprattutto non riteneva possibile che potessero aver ascoltato le sue preghiere. Erano troppo pochi per poter fare qualcosa di concreto, ma di certo sarebbe stato confortante avere accanto dei bastardi piumati che si trovavano veramente dalla loro parte.

Crowley aveva sbuffato sonoramente, inclinando il capo divertito.

“Andiamo Sammy… Ma perché non volete capire! Senti, facciamo così, se la smettete, vi lascio in vita e vi restituisco un’anima ciascuno. E’ un buon affare, no? Pensaci, e fammi sapere. Io ho un po’ di anime di cui occuparmi, e soprattutto devo badare al mio gattino! Non è adorabile?”.

A quelle parole, l’angelo Samandriel sembrava essere impazzito, e senza esitare aveva cercato di colpirlo seguito dai suoi fratelli, ma inutilmente, perché un istante dopo erano comparsi dal nulla altri Leviatani, dando vita ad uno scontro senza eguali.
Gli angeli si stavano battendo con grande onore, ma, nuovamente, tutto era parso inutile, e Dean non riusciva più a sopportarlo. Qualche attimo dopo, tre angeli erano stati atterrati, ed uno era finito proprio in prossimità di Sam.

“Prendi me!” – aveva allora urlato, sconvolto e sconfitto – “Lascialo stare e prendi me… Ti prego Crowley… Ti prego…”.
“Perché dovrei fare una cosa così idiota? Pronto? Io posso avervi entrambi!”.
“No che non puoi!” – aveva urlato Dean – “Guardalo! Sta morendo e tu lo stai solo aiutando a fare prima!”.

Solo allora sembrava che il Re dell’Inferno si fosse reso conto seriamente di quali fossero le condizioni del ragazzo che tanto aveva bramato.
Era veramente sul punto di esalare l’ultimo respiro, e lui stava solo contribuendo a far sì che ciò avvenisse ad una velocità spaventosa.

“Non ti permetterò di lasciarmi, micino. Non adesso che sono così vicino ad averti solo per me per tutto il resto dell’eternità” – e aveva fatto una cosa che nessuno credeva possibile.
Il potere assorbito dalle anime lo aveva reso così forte da permettergli di curare le ferite dell’ex-angelo. Gli c’era voluto un piccolo, piccolissimo tocco, e Cass si era ristabilito completamente sotto gli occhi stupefatti di Dean.
“Eccoti, finalmente!”.
“Sì… eccomi!”.

Era accaduto tutto talmente in fretta da non permettergli neppure di reagire: nello stesso istante, Dean, Samandriel, Ian e Castiel si erano scagliati su Crowley con tutte le forze che avevano in corpo, e il demone aveva perso la presa sui capelli dell’ex-angelo che aveva potuto così raggiungere la parete con il simbolo e pronunciare il resto dell’incantesimo che improvvisamente aveva ricordato a memoria.

“FERMATI PUTTANA!”.

Ma ormai era tutto inutile. Il portale si era aperto, e le anime avevano cominciato ad attraversarlo, tornando verso quella che era la loro vera casa.

E Cass… Cass stava sulla soglia di quel fascio di luce accecante, e nonostante fosse umano, sembrava brillare di una luce molto più pura e più intensa: la luce di chi finalmente aveva fatto la cosa giusta.

Stava accadendo tutto molto più velocemente di quello che avrebbero pensato: le anime erano ormai passate quasi tutte, ma c’era un problema. Senza Dick Roman, il capo dei Leviatani, non sarebbero mai riusciti a far tornare questi ultimi nel buco da cui erano usciti.

“Siete degli sciocchi!!” – aveva urlato Crowley, ancora in piena facoltà del suo nuovo potere – “La maggior parte delle anime sono ancora in mio possesso, e voi non potete recuperarle! E Dick è sotto il mio comando, e lui non è qui! Ho comunque vinto io, idiota!”.

“E’ qui che ti sbagli! “ – una voce a molti sconosciuta aveva attirato la loro attenzione, facendoli voltare nella direzione da cui proveniva.
“Logan!” – avevano detto in contemporanea Ian e Morgan, che stavano ancora tentando di fronteggiare dei Leviatani.
“Sì… Logan!”.

Dietro di lui erano apparse improvvisamente centinaia di migliaia di anime, e tutte stavano pian piano tornando a casa. E la cosa più straordinaria e assurda era che dietro di lui erano comparsi proprio Dick Roman con tanto di osso conficcato nel collo e di squadra dei Leviatani al completo che stavano cercando di fermarlo.

“Razza di cazzone! Che ci fai qui??”.
“Padrone…” – aveva risposto Dick, disperato – “Lo avevamo preso, ma poi ha innescato una rivolta. Si sono unite e…”.
“Ed eccoci qui, pronte a tornare a casa” – aveva asserito Logan, interrompendo Dick.
“No. No. NO!” – aveva urlato il Re dell’Inferno – “Non mi farò sconfiggere da alcune stupide anime che io ho rapito! QUESTO NON ACCADRA’ MAI!”.
“Mi dispiace, socio” – aveva risposto Cass – “E’ già successo”.

Con un unico balzo eseguito in contemporanea da tutte le anime rimaste, Crowley era stato scaraventato attraverso il portale, urlando e sbraitando contro Dick di andare in suo soccorso. E, proprio come spesso accade nei migliori cartoni animati, lo schiavo potente e stupido aveva accontentato il suo padrone, seguendolo attraverso il varco portandosi dietro tutta la sua schiera di adepti dalle fauci spaventose.

Dean, Bobby, Billy, Sandra e tutti gli altri avevano assistito alla scena incapaci di pronunciare anche solo una parola. Ian e Morgan, però, erano stati quelli maggiormente colpiti: quella sarebbe stata l’ultima volta che avrebbero visto il loro papà surrogato e, proprio per questo, lo spirito si era preso qualche istante per rivolgere loro un ultimo sguardo prima dell’addio.

“Logan…” – aveva sussurrato Morgan, cercando di non piangere, cercando di essere forte. A quel punto, Ian l’aveva preso per mano, stringendola con forza per infondergli un coraggio che forse non aveva neanche lui.
“E’ tornato a casa”.

Ma non era ancora finita, perché Sam, il povero Sam, si era svegliato dal suo sonno, e aveva cominciato ad urlare a qualcuno che non esisteva di lasciarlo andare. I ricordi del periodo trascorso nella gabbia erano tornati.

“Vi prego… NOOOO!!”.
“Sammy!”.

Ma Dean non aveva fatto neppure in tempo a chiamarlo, perché Cass lo aveva preceduto in parole e azioni, raggiungendo Sam e trascinandolo con tutta la forza che aveva in corpo presso il varco.
“Samandriel! Per favore fratello, aiutami!”.

E, senza esitazione, l’angelo si era portato su Sam, prendendolo come se fosse stato una piccola e leggerissima piuma e avvicinandolo al portale. Finalmente, l’intento di Castiel era stato chiaro a tutti, perché una scia rossa aveva cominciato a fuoriuscire dalle labbra del minore dei Winchester, attraversando il portale. I ricordi di Sam stavano per essere rinchiusi per sempre in Purgatorio.
Nello stesso istante in cui l’eclissi era terminata, il portale si era chiuso, e tutto era tornato tranquillo e silenzioso.
Avevano vinto. Ma, purtroppo, non si erano accorti di ciò che avevano perso.

Sam si era svegliato qualche minuto dopo, sorprendendosi di stare così bene dopo tutto quel tempo. La prima persona che aveva chiamato era stata suo fratello che, nonostante le ferite riportate, lo aveva abbracciato con tutta la forza che aveva in corpo. Sam era tornato. Sammy, il suo Sammy, stava di nuovo bene.

“Dean…” – non sapeva cosa dire. Era lì, e quello era l’importante.
“Va tutto bene Sam. Sei tornato. Va tutto bene”.

E, con Crowley fuori dai piedi e nessun Leviatano in circolazione, forse tutto sarebbe andato bene per davvero.

Samandriel si era avvicinato al cacciatore, e con un semplice tocco lo aveva guarito da ogni ferita, facendolo tornare come nuovo.

“Woah… Grazie… Saman…”.
“Samandriel…” – lo aveva corretto l’angelo.
“Sì, come ti pare. Grazie, comunque” – e il suo sguardo era caduto sul corpo esanime di François – “Ehi, puoi fare qualcosa per lui? E’ un coglione, ha fatto un sacco di casini, ma ci ha aiutati a risolvere questo immenso guaio”.
“Come desideri”.

Un attimo dopo, anche François era tornato in vita, chiedendosi cosa fosse accaduto. C’era una sola cosa che era rimasta da sistemare. E questo qualcosa aveva come protagonista un bellissimo ragazzo dagli occhi color del cielo.

“Torna a casa” – gli aveva chiesto Samandriel – “Ti prego”.
“Non sono più un angelo, fratello”.
“Io so dove si trova la tua Grazia Castiel. Posso restituirtela”.
“La mia Grazia? Io non sono caduto… Non capisco…”.
L’angelo si era preso un attimo per pensare prima di dargli una risposta.
“Purtroppo non sono in grado di spiegarti come ciò sia successo perché non lo so neppure io, ma essa si trova in Paradiso. Credo che sia stato nostro Padre, Castiel. Lui ti ama, e vuole darti la possibilità di tornare con noi”.

Ed ecco che il momento di fare una scelta era avvenuto. Il libero arbitrio lo aveva invitato nuovamente ad affacciarsi dalla sua finestra, e stavolta avrebbe dovuto spalancare completamente le imposte.

“Lo amo. Lo amerò per sempre. Ma io ho deciso di restare qui. C’è un altro tipo d’amore che ho conosciuto. E vorrei provare a viverlo fino in fondo”.

A quelle parole, seguite dal gesto di Cass che si era portato le dita a sfiorare le labbra, Dean aveva cambiato colore, diventando viola per l’imbarazzo. L’unico a non aver capito immediatamente era stato propri il povero Sam, che continuava a guardarlo con aria interrogativa.

“Rispetteremo la tua decisione. Vivi la tua vita da umano. Sono sicuro che un giorno ci rincontreremo”.
“Prendetevi cura delle anime Samandriel. Non permettete a nessuno di portarle di nuovo via”.

E i dodici angeli erano volati via in un corale battito d’ali.

“Bè, tutto è bene quel che finisce bene!” – aveva esclamato Dean, cercando di uscire da quell’imbarazzante situazione – “Cazzo, abbiamo spedito Crowley in Purgatorio! Non ci credo!”.
“Neanche noi, fidati” – gli aveva detto Ian – “Ma non credo che i guai siano finiti”.
“Che intendi, fratello?”.
“Che ora i demoni saranno allo sbaraglio” – aveva risposto l’uomo di ferro – “E dovremo stare mille volte più attenti”.

Epilogo

Si erano dati appuntamento a casa di Bobby. Non erano tipi da grigliata della domenica, ma quella volta se l’erano davvero meritata.
Il vecchio Singer aveva ormai acquisito altri tre figli, e ciò aveva fatto sì che Ian, Morgan e François cominciassero a fare capo a lui, cacciando molto spesso al fianco di un Dean e di un Sam che non si staccavano un istante da Cass e da Jules. Morgan era sempre rimasto molto legato al ragazzo, ma non si era mai spinto oltre l’affetto di un amico. Gli era occorso qualche tempo per accettare davvero che quella non potesse essere altro che una semplice amicizia, ma alla fine era andato tutto per il meglio, e quel sentimento si era attenuato fino a dileguarsi del tutto. Cass era in buone mani, nelle mani migliori che gli potessero capitare, e lui non poteva fare altro che gioire.
I rapporti con l’angelo erano migliorati, e questo riguardava tutti. Nessun cacciatore serbava più rancore nei suoi confronti, anche se c’era qualcuno che ancora non si fidava ciecamente di lui.
Ma né a Dean né a Cass sembrava importare.
Avevano ben altro di cui occuparsi, e lo stavano facendo egregiamente nella cucina deserta di Bobby Singer.

Le bocche dei due cacciatori si stavano divorando a vicenda, mentre Dean cercava di spingere più che poteva il proprio corpo bisognoso di attenzioni contro quello di un Castiel poggiato scomodamente al frigorifero secolare.
Le loro lingue si stavano sfiorando, voraci, intente a dar luogo ad una danza conosciuta ma sempre nuova.
Erano soliti baciarsi fino a rimanere senza fiato. Dean voleva esplorare la bocca di Castiel in ogni sua infinitesimale parte, succhiando, lappando e mordendo quelle labbra che tanto lo avevano fatto penare ed impazzire.

“Mpf… Dean…” – aveva sbuffato ad un certo punto Cass, cercando di sfuggire a quella piacevole tortura – “Potrebbero vederci”.
“Da quando ti preoccupi della privacy e del pudore?” – lo aveva rimproverato il ragazzo dal viso cosparso di efelidi, tornato ad attaccare la bocca tentatrice. Solo che Cass non sembrava della stessa opinione.
“Oh! Andiamo! Che ti prende??”.
Accortosi che il ragazzo dagli occhi color del cielo stava guardando oltre la sua spalla, Dean si era girato di colpo, scoprendo una Jules che li stava guardando di soppiatto.
“JULES!”.
“No! Non fermatevi! Eravate così carini…” – li aveva presi in giro lei, causando in Dean un’esplosione di rosso vermiglio.
“Sei una pervertita, lo sai, vero?”.
“Non è vero! Vi stavo giusto ammirando! Scappo, mi avete fatto venire voglia di far fare un po’ di ginnastica ai miei muscoli facciali. Vado a recuperare il mio istruttore. A dopo, piccioncini!”.

Dean era stato completamente spiazzato da quell’affermazione, mentre non era stato affatto spiazzato dallo sguardo confuso e dal capo inclinato di Cass che ovviamente non aveva capito a cosa alludesse Jules.
Lo adorava quando faceva in quel modo. Era il suo Cass. Non gli importava se fosse angelo o umano. Era il suo Cass, e nessuno avrebbe potuto cambiare quel dato di fatto.

“Dean…”.
“Non dire niente. E’ meglio che ti mostri di che ginnastica parlava Jules. E poi, sono meglio io come istruttore, puoi giurarci” – e aveva ricominciato a baciarlo, cingendogli il viso con le mani, perdendosi in lui.
Lo amava, ma non aveva trovato il momento adatto per dirglielo. Non riusciva a credere di essere cambiato rimanendo sempre lo stesso. Non erano gli uomini a piacergli. Era Cass. Cass e solo Cass.

“Ti amo” – gli aveva detto il suo angelo fra un bacio e l’altro, lasciandolo senza fiato – “Ti amo”.
Ed ecco che il momento critico era passato, e tutto per merito della persona che aveva donato tutto per lui.
“Lo so…” – aveva risposto, baciandolo ancora – “Ti amo anche io”.

“DEAN! CASS!” – li aveva chiamati Bobby dalla veranda – “Porca puttana, limonerete più tardi! C’è un vampiro qua fuori, e ho bisogno del vostro aiuto!”.

“Uffa! Ed io che volevo mettere in pratica ciò che abbiamo fatto in certo sogno!” – si era lamentato Dean, staccandosi da lui controvoglia.
“Sogno? Quale sogno?” – aveva domandato Cass, innocente.
“Oh, non preoccuparti Cass. Te lo mostrerò dopo aver decapitato quel bastardo succhia sangue”.

Era inutile. Gli affari di famiglia li avrebbero perseguitati in eterno e nei momenti meno opportuni. Ma erano più semplici se portati avanti insieme. E questa volta, nessuno li avrebbe divisi. Cass era il suo regalo venuto dal cielo, e non avrebbe permesso a nessuno di portarglielo via.

Quello che Dean non sapeva, era che troppo spesso ci sono delle porte che restano aperte. E, purtroppo, fin troppo spesso, dagli spiragli passa qualcosa. Qualcosa che ha la stessa consistenza di un denso e spaventoso fumo rosso.


Fine


________________________________________________________________________________________________________________

Ed eccoci qui, arrivati alla fine di questa storia. Non riesco a credere di essere arrivata all’ultimo capitolo. E’ la storia su Supernatural più lunga che io abbia mai scritto fino ad ora.
Come non far finalmente quadrare il cerchio e far ricongiungere i due amanti separati dal crudele destino?
Quanto sono adorabili Cass e Dean insieme? E non mi importa di quello che dice la gente, che siamo malate ecc ecc, io non riesco a non vedere l’amore fra di loro. Mi sembra chiaro come la luce del sole.
Ian e Morgan hanno trovato un nuovo padre surrogato, non è splendido? Persino François è entrato a far parte della famiglia. Sono così contenta! E Sam sta facendo “ginnastica” con la piccola Jules… ME FELICE!
Non potevo non citare Samandriel! E’ un personaggio che mi è piaciuto molto in questa ottava stagione appena iniziata.
Ragazze mie, che altro dirvi? Non mi ucciderete per questo finale aperto, vero?
A BUON INTENDITOR POCHE PAROLE. ;)
Vi ringrazio di vero cuore per avermi seguita fino a questo punto.
Spero di sentirvi presto, anche se dubito di tornare con un’altra long molto presto. Ho delle One Shot pronte, però… Un paio sono abbastanza piccanti! ;)
Spero vi piaceranno!
Un bacione
Vi porto nel cuore!
Cleo

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=779784