15674

di Remedios la Bella
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31 ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32 ***
Capitolo 33: *** Capitolo 33 ***
Capitolo 34: *** Capitolo 34 ***
Capitolo 35: *** Capitolo 35 ***
Capitolo 36: *** Capitolo 36 ***
Capitolo 37: *** Capitolo 37 ***
Capitolo 38: *** Capitolo 38 ***
Capitolo 39: *** Capitolo 39 ***
Capitolo 40: *** Capitolo 40 ***
Capitolo 41: *** Capitolo 41 ***
Capitolo 42: *** Capitolo 42 ***
Capitolo 43: *** Capitolo 43 ***
Capitolo 44: *** Capitolo 44 ***
Capitolo 45: *** Capitolo 45 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Storia puramente inventata! Godetevela e recensite tutti!
Remedios la Bella



 Capitolo 1
 
" Lei è 15674. La nuova donna delle pulizie." Fu così che mio padre, il tenente - colonnello Frank Schubert, presentò la nuova serva.
La teneva stretta al braccio, vestiva con un camice logoro e da sotto il camice si poteva scorgere la divisa da prigioniera del campo.
Ciò che mi sorprese di lei non era tanto l'aspetto fisico, infatti era come tutti i prigionieri: magra pelle e ossa, viso scavato, occhi infossati, capelli unti e sporchi. No, non furono neanche quegli occhi neri come la notte, ma che non balenavano di nessuna emozione, tanto ne avevano viste. Erano vuoti e senza fondo, non avevano espressione alcuna. Non fu quello a sorprendermi, neanche la cascata di capelli neri che le ricadeva sulle spalle ossute. Fu il suo portamento; rigida, dritta, come in posa militare. Teneva lo sguardo fisso su mia madre, che glielo ricambiava indifferentemente.
" Su, 15674, saluta." fece mio padre, stringendo crudelmente la presa al braccio della ragazza, che più o meno poteva avere la mia età. Lei non emise gemiti di dolore, strizzò gli occhi soltanto e mugolò qualcosa di incomprensibile. Mia sorella Roberta la squadrava con gli occhi, leggermente disgustata. Aveva una smorfia stampata in viso come di ripugnanza. La nuova arrivata non faceva segni di offesa. Perlustrava con lo sguardo ciò che la circondava e basta. E poi il suo sguardo si volse su di me. Incontrai quegli occhi, neri e senza espressione. E un brivido mi percorse la schiena. Mi faceva impressione, tanto che sobbalzai.
"Max ... che ti prende?" mia madre mi scrollò per farmi riprendere dal lieve spavento. Io scossi la testa e continuai a fissare la ragazza.
La domestica di prima, la numero 65878, non era resistita per più di un mese. Mio padre dovette licenziarla, e io sapevo ormai la sorte che toccava ai malati. Il giorno in cui la donna venne tolta dal servizio, quell'anziana donna incapace di pelare una misera patata, la ciminiera vomitò fumo nero, e l'aria venne impregnata di uno strano odore, e aleggiava la morte.
Io, Max Schubert, figlio del tenente colonnello dell'esercito nazista della Germania del Sud Karl Schubert, ero uno dei pochissimi tedeschi in questo mondo e in questo periodo della storia a non capacitarmi di che peccato avessero commesso gli Ebrei. Ogni volta ci ragionavo e mi chiedevo:Ma che avranno mai fatto di male? Perchè devono finire in atroci sofferenze le loro già misere vite? Me lo chiedevo da così tanto tempo che ormai la notte venivo perseguitato dagli incubi.
Avevo ereditato due grandi occhi verdi come quelli della nonna, che una volta scoprii essere per metà Ebrea. Da allora i miei dubbi furono ancora più angoscianti, e capelli nerissimi a dispetto del biondo immacolato del resto della mia famiglia, e dei loro specchi d'acqua cristallina negli occhi. Nonostante mio padre avesse tentato diverse volte di farmi cambiare partito e di inculcarmi l'idea che quella "razza" andava odiata e sterminata, io avevo desistito da tutti i suoi tentativi di persuasione e continuato a restare neutro alla questione, quasi dalla parte delle evidenti vittime. In Famiglia ero leggermente emarginato per ciò, mia sorella mi ignorava, mia madre tentava di farmi ragionare gentilmente ma senza risultato. Avevo ormai sedici anni, ma nessuno mi aveva tolto dalla testa i miei propositi.
Tornando all'arrivo della giovane Ebrea .. lei non fiatò per quegli infiniti dieci minuti in cui restò impalata all'entrata della sala da pranzo di casa mia, una villa in campagna, non a caso vicina proprio a un campo di lavoro. Odiavo definirli " di concentramento" .. mi faceva venire i brividi.
Dopo dieci minuti comunque, mio padre diede uno spintone alla nuova arrivata facendola cadere in ginocchio sul pavimento di piastrelle bianche. Come prima non emise segni di dolore. Mia sorella sghignazzò divertita, mia madre distolse lo sguardo, io restai allibito. Ebbi la tentazione di aiutarla ad alzarsi, e il mio corpo reagì prima. Mi alzai di botto dalla sedia, oltrepassai la sedia di mia madre e mi avvicinai alla ragazza. Tesi la braccia per poterle afferrare le sue e darle una mano. Fu in quel momento che mio padre mi fulminò con lo sguardo.
" Max, non toccarla!" mi tuonò ferocemente. Mi spaventai da quel brusco rimprovero e ritrassi le mani. Lei alzò piano la testa e mi fissò. Mi sembrò di vedere delle lacrime, i suoi occhi erano lucidi. Piangeva! Silenziosamente, ma lo stava facendo. Mi alzai riluttante e tornai a sedermi. Lei si rialzò da sola e si sistemò il grembiulino.
" Ora al lavoro!" le disse mio padre. Lei tenne la testa china e corse vicino al camino spento, dove stavano un secchio di patate da sbucciare, un coltello e il ramazzo. Si sedette china sul secchio, afferrò una patata e iniziò a pelarla. Aveva mani affusolate e dita sottili, nonostante questo riuscì a pelare la patata abbastanza veloce e bene. Controllò il tubero e lo mise in un vassoio vuotò. Poi continuò.
Nel mentre mio padre era rientrato nel suo studio, mia sorella nella sua stanza, mia madre restò seduta con me, china sulla rivista che stava leggendo prima dell'arrivo di papà.
E io? Io continuai a fissare il numero 15674 ... o chiunque essa fosse. E mi sentivo un peso dentro lo stomaco davanti a quello spettacolo a dir poco deprimente. 


Lo so, è corto ... ma spero vi sia piaciuto come inizio! Al prossimo capitolo!

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Commentate Please! Grazie e buona lettura!
PS: Grazie ai due utenti che hanno messo la storia tra i preferiti! 

GleeKer97 e Kikka23 grazie!

Capitolo 2.
 
Pelava le patate in silenzio, e io continuavo a fissarla perduto in quella postura piegata così tranquilla. I suoi due occhi neri profondissimi sembravano fessure dall'angolazione che prendevo io, faceva quasi tenerezza messa china sul secchio. Avrei voluto dirle qualcosa, non so ... forse salutarla e basta. Sapevo però che non mi sarebbe convenuto farlo: mio padre non voleva che i suoi figli si "infettassero" con quegli "esseri" (parole sue), mia madre era lì e nonostante tutto non si era accorta di niente, come del resto la giovane, e Mia sorella ... chi se ne frega di lei? Tanto per lei sono assente!
Qualcosa mi risvegliò dalla trance, era mia madre che chiudeva la sua rivista per andarsene.
" Max .. attento a quello che fai." mi disse, notandomi mentre ero chiaramente voltato verso la ragazza. Io mi risedetti composto e annuì deglutendo. Lei si voltò, andò nell'atrio e indossò la sua giacca marrone. Stava uscendo, l'autista la stava aspettando fuori.
Ora in cucina c'eravamo solo io e il numero 15674. La trovai un'ottima occasione per poterle parlare. Diedi un'ultima occhiata in giro con lo sguardo, per vedere se stesse arrivando qualcuno, e vista la via libera, mi alzai dalla sedia, la rimisi senza fare rumore e avanzai verso la ragazza. Lei, dal canto suo, si accorse della mia presenza, sobbalzò stringendo la patata nel pugno della mano sinistra e mi guardò spaventata.
Solo allora mi accorsi di quanto .. fosse bella: non era una bellezza immacolata, ma innocente, quel suo sguardo unito alle sue sottili labbra violacee sapeva di castità, di innocenza, insomma .. di purezza. Fu anche allora che mi accorsi che dal collo le pendeva la stella della sua religione.
Mi chinai, lei invece si ritrasse verso il muro del camino pieno di cenere e mi guardò supplicante. Io cercai di tranquillizzarla a gesti:" Non voglio farti del male ..."
" Vai via ..." disse lei in un filo di voce. Aveva una timbro delicatissimo, dolce e melodioso. Lo adorai e le mie orecchie vennero investite da quel flebile richiamo.
" Ascoltami ... voglio solo ... conoscerti."
" Voi ci odiate .." fece lei con tono più convinto guardandomi negli occhi:" perchè dovrei fidarmi di ... lei?"
" Dammi del tu .." tentavo in qualche modo di aprire la conversazione con lei:" Io .. sono Max .. tu?"
Lei inarcò il sottile sopracciglio bruno, e voltò la testa verso il suo braccio tatuato:" 15674". rispose atona.
" No, intendo il tuo vero nome." le dissi cordiale.
Lei esitò un attimo, poi disse debolmente:" Mi è stato ordinato di dimenticarmi del mio nome."
" Ma ci sarà ancora un flebile ricordo di ciò, no?" feci io cercando di convincerla.
Lei allora mi scrutò con i suoi grandi occhi neri senza espressione. Erano solcati da lievi borse di insonnia. Pensai che al campo la vita fosse davvero tremenda e mi stupii di come lei fosse ancora in buono stato.
La ragazza respirò a fondo, e riprese a pelare la patata e sussurrò:"Deborah."
" Deborah .. davvero un bel nome." risposi io. Lei abbozzò un sorriso forzato.
Si chiamava Deborah, un nome tipicamente ebraico. Suonava così bene pronunciato da lei, mi innamorai di quel suono così soave. Tentai di continuare la conversazione.
" Deborah ... la tua famiglia dov'è?" chiesi titubante. Deborah arrestò ciò che stava facendo, e alzò gli occhi verso di me. Rilucevano, la bocca le tremava, e aveva fremiti in tutto il corpo; stava per mettersi a piangere, sicuramente.
"Oh santo .. no lascia perdere non sei obbligata a dirmelo!" feci come per rimediare alla cavolata che avevo appena fatto. Ricordandole dei familiari, che sapevo più o meno che sorte avessero avuto, l'avevo fatta piangere. Stupido!
" No ... è solo che non ci sono abituata ..." fece lei cercando di scusarsi, con la voce rotta dai singhiozzi deboli:" Mia madre è al campo ... mio padre è ... stato arrestato ..." e qui un singhiozzo più forte l'interruppe e vidi una lacrima solcarle le guance. Mi si strinse il cuore.
" Non sei obbligata a continuare .. tieni." estrassi dalla tasca un fazzoletto pulito e glielo porsi. Lei mi osservò e tremante prese delicatamente il panno. Le nostre dita ebbero un contatto, sentii allora un brivido scorrermi lungo la schiena. Lei era come arrossita, si terse le lacrime e sussurrò un grazie. Il discorso si interruppe lì, animato solo dai suoi singhiozzi post - pianto.
Sarei voluto rimanere ancora per poterla consolare a dovere, ammirare quegli occhi ancora per un pò. Ma un bussare frenetico mi risvegliò. Lei sobbalzò e divenne pallida in volto, come se avesse riconosciuto quel tocco così brusco alla porta. La guardai mentre mi alzavo mogiamente per poter aprire alla porta, lei continuava come a nascondersi su se stessa, come un riccio davanti al predatore.
Andai ad aprire raccomandandole di restare lì, e mi trovai davanti un soldato robusto che mi guardò con cipiglio presuntuoso. La sua corporatura davvero muscolosa mi faceva impressione, ma mi spaventarono gli occhi; penetranti e malvagi, di un azzurro più pallido del ghiaccio stesso.
Lo salutai militarmente, e lui poi parlò:" la numero 15674." Il suo tono di voce era freddo.
Io lo guardai accigliato e poi mi volsi verso Deborah. Lei sentì quella voce spaventosa e si avvicinò:" Vengo." Poi uscì fuori tremando dalla paura e io stetti a guardarla, mentre quello strano soldato le metteva ... il braccio attorno alle spalle.
Che fosse ... No, non volevo pensarci. Non potevo pensare che a lei potesse toccare un compito simile. La guardavo allontanarsi e uscire dal cancello del cortile accompagnata dal quel soldato che non aveva certo l'aria amichevole.
Salii in camera mia pensieroso e mi buttai sul letto, e guardando il soffitto mi venne agli occhi la sua immagine. La sua innocenza. La sua bellezza. 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3.
 
Rimasi sul letto a fissare il soffitto, e il suo ricordo mi invase i pensieri. Quelle poche parole che ci eravamo scambiati pochi minuti prima mi erano sembrate indispensabili per avvicinarmi un passo a lei. Lei .. sembrava una piccola farfalla ancora in attesa di uscire dal suo bozzolo, una bellissima farfalla ,timida e bramosa di attenzioni. Sentivo che il mio cuore era stato rapito in qualche modo da quei suoi occhi magnetici ...
Avevo sentito parlare del colpo di fulmine .. quella scossa che ti metteva in subbuglio i sensi quando vedevi qualcuno che ti aveva rapito immediatamente l'anima. Lei ci era riuscita ... in qualche modo. Non so cosa fosse ad avermi attirato verso di lei ... amore? Mmh ... troppo presto per dirlo, ma sentivo che in quella ragazza c'era qualcosa, qualcosa di fiero e nascosto. Sospirai al sol ricordare del soldato che le cingeva le spalle con malizia, e di lei, tremante che camminava accanto a lui pestando la ghiaia del giardino. Quel soldato non mi diede affatto una buona impressione ... e l'aveva chiamata con così tanto disprezzo nella voce che temetti per un attimo che ce l'avesse a morte con lei. Ma pensai:" Cosa può avergli fatto? é una creatura deliziosa ..." e mi reimmersi nei suoi capelli ...
Capelli? Strano ... erano lunghi e fluenti, neri come la notte ... era strano che li avesse ancora .. da quel che sapevo ai prigionieri venivano rasati prima di iniziare a lavorare .. perchè a lei no? Cosa aveva di speciale?
Quel pensiero mi turbò a tal punto che mi alzai dal letto e andai accanto alla finestra per scrutare fuori, in attesa del suo arrivo. Niente.
Improvvisamente sentii bussare alla porta. E chi bussò entrò senza permesso. Era mia sorella, ma sul suo volto illuminato da due zaffiri splendenti non era dipinto il disgusto, ma la preoccupazione.
" Max ... posso parlarti?" mi chiese con tono supplicante. Io la feci accomodare un pò perplesso e la feci sedere sul letto. lei si sedette, incrociò le mani sul grembo e iniziò: " Hai parlato con la serva?"
Io deglutii nervoso:" E a te che importa?"
" Ti sei accorto che aveva i capelli vero?" mi disse lei senza tener conto della mia risposta.
Io mi voltai e annuii accigliato. Lei continuò:" Ti ho visto prima mentre la guardavi con quel soldato ... sta attento."
" Elly, che devi dirmi? Non dirmi che vuoi rimbrottarmi di averle rivolto la parola!" sbottai nervosamente. lei mi fissò allibita:" Puoi fare quel cavolo che ti pare, ma stalle lontano! Te lo chiedo per favore .."
" E se non ne avessi intenzione?" dissi io un pò arrabbiato. Il tono di voce di mia sorella supplicava quello che aveva accennato prima. Non capivo il perchè, ma se era solo per quella dannata questione della razza .. beh, poteva scordarselo.
Lei allora si alzò e mi venne accanto facendo strusciare il vestitino blu e fissandomi negli occhi:" lei non è una semplice prigioniera che papà ha deciso di assumere! Ha ancora i capelli ... sai che significa?" mi chiese misteriosa. Io scossi la testa ignaro del vero motivo; volevo sapere cosa significasse in realtà quel simbolo. Afferrai le spalle di mia sorella, la scrollai e glielo chiesi:" Dimmelo tu, io non lo so."
" é quella che viene volgarmente chiamata .. Hundin." disse lei secca, togliendo la presa delle mie mani della sue spalle.
Io restai senza parole .. Lei? Una Hundin? Cioè .. una puttana? Come era ...
Andai addosso a Elly con gli occhi sbarrati dal disgusto:" Come puoi dire una cosa simile? Dimmi perchè pensi che lei sia ... una Hundin!"
" ha ancora i capelli, e il soldato le cingeva le spalle! Solo una schiava sessuale ha questi privilegi! Devi stare attento! Non avvicinarti a lei se quel soldato è nei paraggi .. lo conosco sin troppo bene! Se non vuoi che le faccia del male, stalle lontano capito?"
" Mi rifiuto di credere a questa sciocchezza!" dissi io sconvolto:" lei ... no!" Sbattei i piedi per terra furente, maledicendo il mondo. Come poteva una creatura tanto delicata essere usata come un giocattolo per soddisfare le voglie sessuali di sudici soldati? No, mi rifiutavo di credere a ogni singola parola di mia sorella.
Lei continuava a guardarmi e disse infine:" Non voglio che tu rischi la vita ... e fallo per lei. Se venissero a scoprire che ha una tresca con te ... verrebbe uccisa."
Mi voltai verso Elly dopo che ebbe pronunciato quelle parole, ma invece di darle corda la guardai digrignando i denti:" Non provare pietà per lei .. Ora vattene. Lasciami solo!" le urlai contro scacciandola con i gesti. Lei sobbalzò e corse via imprecando sottovoce contro di me, ma non me ne importava un fico secco.
Appena la porta si chiuse, caddi in ginocchio davanti al letto e nascosi il viso tra le mani tremanti. Non potevo credere che Deborah venisse violentata ogni notte .. non volevo credere che il suo sguardo di innocenza fosse invece di delusione e frustrazione. I pensieri mi trapanavano il cervello, le farfalle mi volavano nello stomaco.
In uno sprizzo di quel poco di sanità mentale che mi rimaneva, mi dissi che glielo avrei chiesto di persona appena fosse tornata a casa. Glielo avrei chiesto direttamente. Non so se mi avrebbe riposto, ma avrei saputo, dovevo sapere.
Mi risedetti sul letto e stetti immobile con la testa chinata tra le mani. Respirai a fondo, e e mi buttai sul morbido materasso. Non volevo crederci assolutamente. Non era possibile. Lei non poteva essere nelle mani di quel stupido gioco perverso. Non lei.
Fu allora che ammisi al mio cuore di essere stato rapito da lei, la mia prediletta Deborah ... o numero 15674. 

Colpo di fulmine per Max! Recensite! E ditemi cosa ne pensate!

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Prima di tutto grazie e tutti quelli che hanno messo la storia tra i preferiti e i seguiti, e quelli che hanno recensito il primo capitolo per adesso!
Attendo altre recensioni! Buona lettura!
Remedios La Bella



capitolo 4.
 
Aspettai il ritorno di Deborah fino a tardi, senza darlo a vedere al resto della famiglia. Stranamente tornò molto tardi, era già l'una di notte, e rincasò in compagnia del soldato, che aveva una disgustosa espressione in volto, contrastante con quella spaventata e indifferente della giovane, che sembrava tremare. Non dormii dall'attesa, e la vidi attraverso le scale, senza farmi notare troppo.
Lei se ne andò in cucina in punta di piedi, e sentì chiaramente che si stava coricando per dormire. Scesi silenziosamente dal mio nascondiglio e andai da lei. Mi dava le spalle, era accovacciata come un gatto davanti al camino spento, con una misera coperta che la copriva, il suo respiro affannato si poteva sentire chiaramente dall'ingresso della cucina. Senza far rumore mi avvicinai a lei, con occhi luccicanti. Arrivatole accanto, mi sporsi per poterla guardare in viso.
Dormiva, ma non aveva il viso rilassato; contraeva le palpebre come se sentisse dolore, stringeva la coperta mossa da brividi di freddo, nonostante fossimo in estate, e teneva le gambe vicino al petto. Notai che stava come piangendo; mugolava nel sonno e un luccicchio illuminava le sue palpebre.
Mi chinai e la scossi un pò nel tentativo di svegliarla. lei aprì gli occhi sbarrandoli all'improvviso e si volse di scatto verso di me spaventata. Il suo volto non tradiva un senso di terrore e di sottomissione.
" Calma, sono io .." le dissi per tranquillizzarla:" Dove sei stata?"
" Sei tu ..." fece lei sussurrando guardandomi dritto negli occhi. Il suo volto etereo era illuminato dal lievi raggi di luna che penetravano dalla finestra. Vidi un rivolo di lacrime scivolarle dall'occhio destro, e un singhiozzo soffocato uscirle dalla bocca.
" Cosa è successo?" le chiesi compassionevolmente. Lei si mise seduta e si coprì il volto con le mani piangendo silenziosamente, senza rispondere alla mia domanda. Mi scacciò con la mano:" Vai via .. ti prego."
" Dimmi cosa ti ha fatto quello lì." le dissi poggiandole la mano sulla spalla. Lei si ritrasse:" ti ho detto di andartene! Non metterti contro di lui." mi disse sottovoce, e disperata.
" perchè non dovrei?"
" Perchè ti ucciderebbe ...e ... ucciderebbe anche me. Ti prego Max ... perchè lo fai?" mi disse come supplicante.
" Perchè lo faccio? Tu dimmi solo che cosa fate voi due ..." insistetti curioso e cercai di avvicinarmi a lei. La ragazza in risposta si alzò di scatto e si mise contro il muro:" Nono sono affari che ti riguardano!" mi disse nervosamente. Io mi alzai e mi avvicinai a lei gentilmente. Evitai la sua mano che stava per colpirmi stizzosa e ... le misi la mano sulla guancia:" Dimmelo ti prego ..."
Lei fu come scossa dal mio gesto. Sussultò al contatto della mia mano sulla sua pelle, incredibilmente liscia e morbida, e con voce tremante mi disse:" é una cosa che non voglio dirti .. semplicemente per non farti male, e non fare ... del male a me."
" Sei la sua ... concubina?" le chiesi io,prendendolo il viso tra le mani e costringendola dolcemente a guardarmi negli occhi. Lei mi fissò impaurita e singhiozzò. Notai allora un filo di rossetto carminio sulle sue labbra. Copiose lacrime le scesero dagli occhi e mi bagnarono le dita:" Non volevo ... ma mi ha costretto ..." E iniziò a piangere, tirando su col naso. Io le lasciai il volto, allibito da quella risposta così cruenta. Mia sorella aveva ragione, lei era una ... Non osavo dirlo. Ma dalla sua reazione non ne sembrava affatto contenta. Anzi, non le piaceva per niente.
" Perchè lo fai? cosa ti porta a fare ciò?" le chiesi dolcemente.
" Se non sto al suo gioco ... mia madre .. verrà gassata." disse lei in preda ai singhiozzi. Sentii improvvisamente le sue dita stringere la mia giacca del pigiama e il suo volto immerso nel mio petto:" come farò?" disse.
Avvertii il suo calore e le sue lacrime bagnarmi e una peso sul cuore mi mozzò il fiato. Vederla così, indifesa e incapace di spiccicare parola, mi rendeva inutile. Volevo in qualche modo aiutarla.
La cinsi delicatamente tra le mie braccia:" Hai voglia di raccontarmi tutto? Sono tuo amico."
Lei si limitò a scuotere la testa staccandosi vergognosa dalla mia presa, ma sorrise. Sorrise dolcemente consolata da quella parole. E io adorai quel suo sorriso.
" ora vai, però. Se ci scoprono .. passeremo dei guai .. e .. grazie del sostegno." Mi disse sottovoce. Afferrò la mia mano e la baciò delicatamente. Io sussultai lievemente e la guardai negli occhi dolcemente:" Notte ..." Le sfiorai il volto con la mano e mi allontanai da lei. Deborah si rimise accovacciata come prima e potei sentirla respirare, stavolta più tranquillamente.
Salii in camera con un sorrisetto sulle labbra e mi chiusi dentro buttandomi sul letto. Era già le due meno un quarto, ma ci misi molto a prendere sonno.
La verità era che la povera piccola era davvero una ... Hundin. ma non mi importava. Non immaginavo minimamente che grosso peso tirasse sulle sue fragili spalle,lo faceva per la madre ... era sotto minaccia. E di sicuro il soldato l'aveva mandata qui per tenerla in buona condizioni e per non farla morire al campo ... così da potersela godere di più.
Mi disgustò quella sudicia idea di ipocrisia, e mi rigirai tra le coperte con occhi sbarrati e pensierosi. Riuscii ad addormentarmi solo al pensiero di quel suo contatto con me, di quando ci eravamo abbracciati. E del suo volto sorridente, quel sorriso che emanava serenità.
Alle due ero ricaduto nel mondo dei sogni, con il cuore per metà in pace e per metà scombussolato della presenza del numero 15674.
 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Grazie a tutti quelli che l'hanno messa nelle seguite o nelle preferite e hanno recensito! Buona Lettura!

Capitolo 5

 
La mattina seguente mi sveglia davvero presto nonostante fosse domenica. Lei era già sveglia e stava passando il ramazzo in assoluto silenzio per spolverare la cucina. Scesi in punta di piedi per non svegliare il resto della famiglia e la vidi mentre era intenta a togliere la polvere da sotto il tavolo.
" Buongiorno." esclamai facendole notare la mia presenza. Lei sussultò, e vedendomi sorrise piano:" Buongiorno." mi disse debolmente.
" Dormito bene?" le chiesi tanto per attaccar discorso.
" Meglio di quando ero al campo, tutto sommato ... ma sono un pò stanca."
" Perchè allora non ti riposi?"
" non posso, essendo domestica devo svegliarmi prima di tutti e fare le faccende domestiche ..." disse continuando a passare la scopa.
Io la guardavo, seduto su una sedia in cucina. Cadde un silenzio piuttosto imbarazzante in quel momento, e mentre io continuavo a fissarla, l'unico rumore che si poteva percepire era la scopa che con il suo lieve graffiare sul pavimento muoveva la polvere e la sporcizia via dagli angoli più nascosti della casa. Il sole splendeva lieve dalla vetrata e riluceva sulla bianche mattonelle, illuminando il piccolo ambiente di cucina.
Era appena le sette, e mi sembrava strano che mio padre, che doveva svegliarsi prestissimo per andare al lavoro, stesse ancora dormendo. Pensai che fosse per la domenica, ma a quanto mi ricordavo io anche la domenica lui era di servizio.
Allora lo chiesi a Deborah:" Scusa, mio padre si è già svegliato?"
" Il signor Frank? Mmh ... penso di no, non ho sentito rumori da stamattina, o me ne sarei accorta certamente se qualcuno si fosse svegliato prima di me..." disse lei pensierosa:" In effetti sembra strano anche a me ... forse stavo dormendo pesantemente. Ma perchè questa domanda?" mi chiese voltandosi verso di me, china sulla scopa.
Io risposi:" Così ... a proposito di papà ... ti ha detto qualcosa prima di metterti al servizio?"
Lei interruppe un attimo ciò che stava facendo, e alzò gli occhi al cielo come se stesse cercando di ricordare qualcosa:" Niente di particolare, solo di lavorare sodo se volevo salva la pelle."
" E perchè ha scelto di darti questo incarico?"
Lei riprese a passare il ramazzo e poi si pulì le mani nel grembiule:" da quel che ho capito, l'altra domestica non andava bene, e visto che io ero l'unica abile in cucina, ha scelto me ... e poi lo ha voluto lui..." e qui le tremò la voce, come se stesse iniziando un discorso abbastanza doloroso.
" Lui ... il soldato?"chiesi io cercando di cavarle il rospo dallo stomaco.
" si ..." disse lei in un filo di voce. Avendo finito di passare la scopa, la mise contro il muro, poi si avvicinò al lavello pieno di stoviglie sporche, aprì l'acqua ancora gelida e si mise a lavare i piatti.
Io mi alzai per andarle vicino, ma appena fui a poca distanza da lei, Deborah mi allontanò con un gesto, bagnandomi la giacca:" No, non puoi starmi vicino, lo sai ..."
" Ok .." feci io allontanandomi a malincuore ma tenendomi sempre a pochi passi da lei. Volli tentare una discussione con la giovane, così parlai:" Come hai fatto a finire al campo qui vicino?"
Lei per un attimo interruppe il lavaggio della tazzina che aveva in mano, alzò la testa e sospirò:"Abitavo nel ghetto ebreo della cittadina di Amburgo ... in verità eravamo ospitati da una famiglia .. di nascosto .. ma poi .." e qui intravidi controluce una lacrima:" qualcuno fece la spia, e fummo scoperti ..."
" E dopo che cosa è successo?" chiesi io, piano e dispiaciuto.
" Io e mia madre fummo caricate su due furgoni diversi, e io in verità venni scortata dal soldato che hai visto ieri ..." il respiro le si fece mozzo, prendeva grandi boccate d'aria nel raccontare come sotto a un attacco d'asma. Nel mentre l'acqua continuava a scorrere dal rubinetto e schizzava il suo grembiule venendo a scontrarsi con il mucchio di porcellana raccolto nel lavello.
" E che cosa ..."
" preferisco non dire cosa ho dovuto subire dalle mani di quello lì ..." fece lei con voce tremante.
Io spalancai gli occhi disgustato. Toccare un donna come se fosse un oggetto; mia madre era riuscita ad insegnarmi il rispetto per l'altro sesso perlomeno, e immaginando cosa quel sodato le avesse fatto, mi venne un conato dritto nell'esofago dal disgusto.
" Oh santo cielo .. ma quindi ..." le chiesi, cercando di non far trasparire la mia vergogna nel chiederle se fosse ancora effettivamente innocente. Lei si voltò e sorrise flebilmente:" Tranquillo, sono ancora casta ... per adesso non lo lascio andare oltre ..."
" ma lui quindi ti maltratta?"
" Per adesso non è andato oltre, ma ci vorrà davvero poco.." singhiozzò, impaurita al solo pensiero di quella cosa:" Noi ebrei ci dobbiamo conservare casti fino al matrimonio ... ma non so se avrò tale fortuna ..." disse lei debolmente, riprendendo a lavare le stoviglie perchè sentì il freddo dell'acqua sulle mani intorpidite.
Io sospirai, guardandola di profilo, e allungai il braccio per poter riuscire a metterle una mano sulla spalla per confortarla. Volevo fare in modo che sentisse la mia vicinanza, che sentisse il mio aiuto. Un rumore però di passi mi ridestò e allontanai subito la mano. Era il rumore di stivali che scricchiolano nella ghiaia del giardino, e da quel che potei capire erano due persone a camminare, anche dalle voci che sentivo. I due confabulavano, e riconobbi nel vociare la voce di mio padre ...e anche quella del soldato misterioso.
Andai subito a sedermi alla tavola, mentre Deborah riprese a lavare le stoviglie in assoluto silenzio. Anche lei di sicuro aveva percepito i passi e si era allarmata.
Come aveva immaginato, la porta d'ingresso si aprì, e mio padre insieme al giovane entrarono, mentre confabulavano tra di loro.
Mio padre mi vide e mi chiese:" Max, che ci fai sveglio a quest'ora?"
" Non avevo sonno padre ..." feci io, debolmente, voltandomi verso di lui. Sentii lo sguardo pungente dell'altro graffiarmi la pelle e trapassarmi da una parte all'altra. mi guardava con odio, poi girò lo sguardo verso Deborah, o per loro numero 15674,e cambiò espressione, stringendo i suoi occhietti furbescamente. Lei non si voltò nemmeno, percependo forse come gli occhi di quello la stessero trapassando.
Sentivo che quello sguardo non era niente di rassicurante. Anzi, era come se annunciasse la tempesta. 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Spero di non avervi fatto attendere troppo! Buna lettura!

capitolo 6

 
Il soldato continuò a fissarmi con disprezzo, e nel mentre Deborah continuava a lavare le stoviglie, senza dar cenno di volersi voltare.
" Come sta signorino Max?" mi chiese improvvisamente a bruciapelo lui. Io sobbalzai dalla sorpresa e risposi:" Oh, bene grazie ... posso sapere il suo nome, se non è indiscrezione?"
" Tenente colonnello Schubert, ha educato suo figlio a dovere!" fece il soldato misterioso rivolto a mio padre, che si limitò a guardarlo indifferentemente:" Mi chiamo Xavier, provengo dalla Francia. Ma qui l'accoglienza per soldati del nostro rango è piuttosto gradita."
" mi fa piacere che lei si trovi bene qui in Germania." dissi io mascherando il tono falso di cortesia. Odiavo quell'uomo solo a guardarlo, mi dava sui nervi quel suo cipiglio arrogante e presuntuoso, e dopo averlo visto mettere le mani su Deborah ... non so, mi era venuta la bile al fegato vedendolo.
" La ringrazio ... e poi qui mi trovo davvero bene ..." esclamando ciò vidi che i suoi occhi si puntarono minacciosamente su Deborah che sembrò avvertire quelle ultime parole e sussultò. La sorpresa fu così forte che per poco non fece cadere la tazzina dalle mani, ma fu abbastanza agile da afferrarla prima che cadesse per terra in mille pezzi. però fece tintinnare la tazza con un altro pezzo di porcellana, e questo produsse un rumore soffocato, ma udibile in un silenzio inquietante come quello.
Mio padre se n'era accorto:" 15674, che ti prende stupida?" le chiese aspro. Io temetti il peggio.
" Niente signore .. solo un singhiozzo, tutto qui ..." fece lei flebilmente continuando a lavare.
Mio padre allora si limitò a guardarla con disprezzo:" vedi di fare attenzione." le disse sibilante, poi salutò militarmente Xavier e se ne andò nella sua stanza.
Xavier, invece di andarsene come speravo che avrebbe fatto, prese una sedia e si sedette di fronte a me. Io non feci nessun movimento che palesasse la mia voglia di vederlo fuori da questa casa.
Gli chiesi:" Cosa avete fatto lei e mio padre?"
" Lavoro mattutino, dobbiamo scortare i prigionieri appena arrivati al campo e dar loro gli incarichi ..." si stiracchiò ben bene sulla sedia, facendo scricchiolare le ossa delle dita:" Ah! sono tutti una scocciatura appena arrivati ... stanno tutti a mugugnare che fa freddo eccetera eccetera ... Luridi." disse con la nota più malefica che aveva in bocca. Io lo guardai storto senza però dare nell'occhio, e d'istinto guardai la serva, che non emise alcun fiato, forse troppo spaventata dalla presenza di quell'uomo.
Lui in qualche modo si era accorto del mio gesto con gli occhi,perchè mi chiese, traendomi a sè tirandomi il polso e portando il suo viso vicino al mio:" Fa la brava?"
Io lo guardai come se non avessi capito a chi si stesse rivolgendo, ma avevo capito benissimo invece:" Chi?"
" 15674 .. non è così che ti chiami?" urlò rivolto alla ragazza. Lei si arrestò, chiuse l'acqua del lavandino e si voltò verso di lui annuendo debolmente.
" Oh .. lei. Lavora ... ma perchè le interessa così tanto?" dissi io nascondendo la mia inquietudine per la sorte di Deborah. Lei tremò e cercò di guardarmi, ma venne vista da Xavier.
Lui allora mi trasse a sè, ancora più vicino di prima, ma nei suoi occhi potevo leggere un sentimento ben diverso dalla tranquillità. sembrava irritato:" Siete in confidenza voi due?"
" N- noi due? No .. cosa glielo fa pensare ..." ero davvero spaventato adesso. percepivo negli occhi del francese una scintilla di quella malvagità che solo un soldato tedesco allevato come un cane da caccia poteva avere nel sangue.
" Stai attento ok? sia per te .. sia per lei ..." mi disse lui sprezzante, stringendo la presa sul mio braccio. Non emisi fiato, ma faceva davvero male. Sembrava che quel mostro sapesse. Non volevo che lo sapesse. Ma mi limitai a stare zitto e attendere le sue mosse.
Lui lasciò la presa, e poi si alzò avvicinandosi lentamente a Deborah. All'inizio lei si ritrasse spaventatissima da quel gesto avventato, ma poi rimase ferma in attesa dell'azione di Xavier. Sapeva di essere sotto la pressione di quel lurido uomo, ma non voleva darlo a vedere eccessivamente.
Furono talmente vicini che i loro fiati potevano confondersi, e Deborah aveva una smorfia di fastidio nel sentire l'alito del soldato che anch'io avevo percepito quando ero rimasto vicino a lui.
Lui allora le cinse la vita con il braccio, e le prese il viso tra le mani minaccioso:" Stai attenta Hundin ... guarda che se fai la birichina poi te la do io la lezione ..." le prese il mento tra le mani e calcò l'unghia del pollice sulla pelle lasciandole il segno. Lei tremò ma non ebbe altra reazione, deglutì soltanto annuendo leggermente. Non faceva cadere lacrime dai suoi occhi chiaramente terrorizzati.
Mi sentivo uno stronzo a rimanere lì, senza far niente, mentre quel mostro la torturava psicologicamente.
Il soldato lasciò la presa, mi guardò con occhi iniettati di sangue e poi se ne andò, sbattendo leggermente la porta. Sentii i suoi passi freddi e secchi sulla ghiaia del cortile e non potei fare a meno di tirare un sospiro di sollievo.
Attesi che i suoi passi fossero lontani al mio udito, poi mi alzai e andai incontro alla ragazza che nel mentre era appoggiata al mobile della cucina con la sinistra, mentre con la destra si toccava il mento dolorante.
" Deborah ... stai bene?" le chiesi io apprensivo. Lei mi guardò negli occhi e stavolta i suoi erano lucidissimi. Stava per scoppiare a piangere:" Si ..." disse con voce tremante e una lacrima le solcò la guancia.
Non sopportavo di poterla vedere ogni volta così.
D'istinto l'afferrai per il polso libero e la tirai verso di me, cingendola stretta con le braccia. Lei sussultò a quel gesto e parve incredula mentre io l'abbracciai a occhi chiusi, per poter sentire il suo profumo agreste ma buono.
Non sapevo se stessi facendo la cosa giusta o qualcosa di imperdonabile per uno come me, ma mi sentii di consolarla a fondo per tutto quello che aveva dovuto subire. Lei rimaneva immobile nell'abbraccio, ma potevo sentire il suo petto muoversi convulsivamente come in preda al fiatone. Per calmarla, le accarezzai i capelli:" va tutto bene .." le dissi all'orecchio.
Solo allora potei sentire che le sue dolci mani mi accarezzavano la schiena, e una sensazione di bagnato e caldo sulla spalla:" Grazie, Max .." sentii la sua voce, la sua adorabile voce. Ricambiava l'abbraccio anche se debolmente, potevo davvero sentirla adesso, in tutta la sua tristezza. Non mi poteva fregare del resto quando stavo con lei.
Anche se ci avessero scoperto in quel momento non mi sarei staccato da lei. Adoravo le sue lacrime, adoravo la sua dolcezza, adoravo lei in quel preciso istante in cui i nostri cuori si potevano sentire. a vicenda. 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7
 
Dovetti staccarmi dal suo caldo corpo purtroppo ma se fosse stato per me non lo avrei mai più fatto.
Appena staccatici, lei mi guardò negli occhi:" perchè lo fai?"
Io ancora scosso dal suo calore le risposi accarezzandole una guancia:" gli innocenti vanno aiutati, i colpevoli giustiziati. Tu sei una innocente, come il resto del tuo popolo."
Lei si limitò a guardarmi stupita e cercò con il viso il palmo della mia mano, chiudendo gli occhi beata quasi dalla mia carezza.
Io le sorrisi e poi tornai di sopra, mentre lei nel mentre tornò a passare la scopa e a preparare la colazione.
Nell'arco della giornata che passò, io e lei sembrammo complici dello stesso misfatto segreto, ma non lo davamo a vedere. Lei inoltre faceva benissimo il suo lavoro, senza alcune pecche, e mio padre non si lamentò con lei per la lentezza o la mal destrezza. Anzi , alla fine del pranzo, si complimentò, seppur freddamente con lei:" vedo che dopotutto ne esistono alcuni in gamba della vostra razza."
Appena sentii  quella sottospecie di elogio, volli sputare in faccia a mio padre il boccone di tacchino che avevo in bocca, ma mi trattenni dal farlo. Lei invece abbozzò un timido sorriso e riprese a lavare i piatti.
E così passò il mezzogiorno, e venne la sera.
Circa alle cinque, veniva sempre a casa un maestro privato per me e mia sorella. Mia madre ci trattava ancora come bambini ... ma sopportavo. Di certo era meglio studiare in casa che andare in città, sentire le orecchie intasate dagli slogan del Nazismo e tornarsene storditi e allibiti dall'ipocrisia della gente tedesca su quella ebrea.
Potevo venir pure considerato come un anticonformista ribelle, ma non me ne poteva importare un accidenti. Anche se fossi stato l'unico a ritenere gli ebrei gente pari a noi, avrei mantenuto la mia fede testarda fino alla fine.
E poi, Deborah era come un raggio di sole nella mia vita. Innamorato? Forse, ma sicuramente felice di poterla vedere ogni giorno.
Io e mia sorella ci sedemmo come di consueto in sala da pranzo, con il maestro, un signore basso di statura, baffuto e canuto, e con uno strano pastrano scurissimo sempre addosso nonostante il caldo, e aperti i libri, ripassammo la lezione di storia che avevamo interrotto la settimana prima.
" Maxwell, nella nostra lezione precedente abbiamo parlato di ..." mi disse lui, tentando di cavarmi la risposta dalla bocca.
" Rivoluzione Industriale." feci io deciso ricordando seppur vagamente l'argomento della lezione.
" Sapresti riassumermi il tutto?" mi chiese lui con fare circospetto.
Io sbarrai gli occhi sorpreso. In effetti non ricordavo un accidenti nonostante fossi un ragazzo sveglio, ma dopo l'arrivo di Deborah ... tutto mi si era rimosso come niente. Tentennai indeciso, dovevo trovare una scappatoia a quella brutta situazione. Intanto gli occhi del vecchi mi scrutavano perplessi, insieme a quelli di mia sorella.
Così liquidai il tutto con un :" vado a prendermi un bicchiere d'acqua .. ho una sete!" dissi io alzandomi di scatto e dirigendomi in cucina.
Alla fine il maestro lo chiese a mia sorella con un lieve:" Roberta - Eleonora, me lo può dire lei?"
" certamente." sentii la voce calma di mia sorella mentre riassunse l'argomento della lezione.
Intanto io, arrivato in cucina, aprii il rubinetto per sviare i sospetti degli altri che fossi scappato solo perchè non sapevo la risposta.
Lei era lì, accovacciata come sempre sul secchio delle patate, a sbucciare.
Io la guardai mentre mi riempii un bicchiere d'acqua, e lei alzò la testa accorgendosi della mia presenza, e mi sorrise lievemente.
" La tua fuga a cosa è dovuta?" mi chiese ironicamente.
" non lo so .. forse mi sentivo sotto pressione .. o magari avevo solo voglia di vederti." feci io avvicinandomi a lei. lei si ritrasse come sempre:" attento ... lo sai che ..."
" non importa, non stiamo facendo niente di male ..." la zittii io deciso. lei rimase perplessa e riprese a sbucciare, guardandomi di sottecchi.
" Vai ora ..." mi disse piano. Io dovetti lasciarla a malincuore, e appoggiai il bicchiere sul lavello.
Ma feci per varcare la soglia che sentii un rantolo di dolore, quasi un lamento soffocato. Mi girai di scatto spaventato e constatai che Deborah si era tagliata il dito con il coltello per una distrazione nello sbucciare le patata.
Era una ferita profondo ma non grave, il sangue rosso della giovane colava dal dito, mentre lei se lo succhiava in cerca di rimarginare la ferita.
Mi avvicinai a lei:" Ti sei fatta male?"
" No, mi sono solo tagliata, non è niente ... ma non ti avevo detto di andare?"
" Aspetta ..." andai nel ripostiglio, che per mia fortuna era una stanza all'interno della cucina stessa e controllai tra gli scaffali appesi alle pareti dove fosse la scatola del pronto soccorso. La trovai, la trassi fuori e tornai accanto alla ragazza.
Lei mi guardò perplessa mentre estrassi la boccetta di disinfettante e un pezzo di benda.
" Che intenzioni hai?"
" sta ferma .. ci penso io." aprii la boccetta, presi la mano tremante della ragazza e ci misi sopra qualche goccia di disinfettante. Il contatto della medicina con la parte sanguinante causò dolore alla giovane che strizzò gli occhi e cercò di ritrarre la mano. ma gliela strinsi rassicurandola:" Va tutto bene ..."
Presi poi la benda e l'avvolsi non troppo stretta al dito indice, quello tagliato, e alla fine con un nodo tenni salda la presa della garza. Tutto questo sotto gli occhi increduli di lei.
" ma che cavolo ti salta in mente?"
" Inventerò una scusa ..ti fa ancora male??"
" No .. grazie .." mi disse lei toccandosi la parte fasciata con delicatezza.
Ero soddisfatto del risultato ottenuto e contento che lei ora stesse bene. Rimisi a posto ogni cosa e poi le diedi l'arrivederci:" Io torno dagli altri .."
" va bene .. grazie ancora ..." mi disse lei gentilmente. Sembrava tutto perfetto e appena varcai la soglia della cucina mi sentii al settimo cielo.
Qualcuno invece ebbe la macabra idea di suonare la campanello proprio quando uscii dalla cucina. Vidi attraverso il vetro opaco della porta la figura di Xavier. Il sangue mi si raggelò nelle vene.
Avrebbe visto la benda, le avrebbe chiesto ogni cosa .. e forse le avrebbe fatto del male.
Questi pensieri occuparono la mia testa, mentre mia sorella, che mi guardò malissimo, andò ad aprire e si vide davanti il soldato.
" salve .. il numero 15674." disse lui freddamente.
Intuii il peggio e tornai a sedermi in sala tremante. E vidi passare lei, dalla cucina verso l'uscio, e ci scambiammo uno sguardo vuoto, senza significato, ma i suoi occhi rilucevano.
Deglutii e tornai sul libro, ma fu difficile seguire la lezione. 


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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Grazie mille a tutti i lettori, e i recensori!! Non ce la farei senza il vostro continuo supporto!
Remedios

Capitolo 8

 
Attesi, attesi come non avevo mai fatto in vita mia. Neanche dopo la lezione riuscii realmente a rilassarmi. In mente mi passava ancora l'immagine del viso contratto di Deborah, la sua mano fasciata, lo sguardo sorpreso di Xavier nel vedere la fasciatura della mano, e il rimbombo del suo passo leggiadro sul pavimento di piastrelle mi risuonava secco nelle orecchie come un allarme.
A cena rimasi in silenzio assoluto mentre ingoiavo mesto e pallido il cibo di controvoglia preparato da mia madre in via del tutto eccezionale.
Mia sorella, vedendomi in quello stato, mi diede un calcio allo stinco per risvegliarmi dal sonno:" Che hai?Si può sapere?" mi disse sibilando tra i denti stretti.
" Niente .. sto solo male .. scusate." Mi alzai lento dalla sedia sotto gli sguardi perplessi di tutti e andai in camera mia. Mi gettai sul letto sbuffando, e misi le mani dietro la nuca sdraiato a guardare il freddo soffitto bianco, vuoto.
" Dio ti prego fa che quel lurido soldato non le faccia male." pensai, quasi con le lacrime agli occhi. Non riuscii nemmeno ad addormentarmi, tanto ero agitato.
Sicuramente Xavier le avrebbe chiesto perchè fosse fasciata, sempre che a lui importasse qualcosa di lei. Sicuramente lei gli avrebbe detto che si era ferita e si era curata, sicuramente lui non le avrebbe creduto e l'avrebbe schiaffeggiata facendola sanguinare. E poi sicuramente, l'avrebbe sbattuta sul letto come una bambola di pezza e l'avrebbe costretta a subire le sue mani callose che le avrebbero accarezzato, per così dire perchè più che accarezzato avrebbero sfregiato, la sua nuda pelle. E l'avrebbe violata come una puttana si fa violare ogni volta che va a letto con il suo cliente.
Mi vennero i conati al solo pensarci, e mi misi su un fianco chiudendo gli occhi:" Non pensarci, non pensarci, non pensarci ..." mi ripetevo continuamente.
Mi cullai sul fianco coma un bambino cercando di calmarmi il più possibile, quando la porta si aprì e mia sorella entrò con in viso un'espressione a dir poco rassicurante.
" Che cosa vuoi?" le dissi acidamente, alzandomi di botto.
" Non trattarmi male, voglio solo parlarti." mi disse lei, chiudendosi la porta alle spalle e sedendosi accanto a me:" Sei stato tu a curare la ferita a 15674?"
" Quale ferita?" dissi io indifferente.
" pensi che sia così stupida da non averlo capito? Ho visto la fascia sul suo dito, e non può essere stata la serva a farsi la medicazione ..."
" E chi ti dice che non sia così?"
" Lei non sa dove si trova la cassetta del pronto soccorso ... non l'ha mai saputo. In fondo è arrivata pochi giorni fa." disse lei secca. Io sbarrai gli occhi colto in segno da quella deduzione sin troppo veritiera.
Poi continuò, cambiando tono e assumendo quasi un tono supplichevole:" perchè lo fai? perchè ci tieni così tanto a lei? potresti finire ucciso!"
" Perchè lo faccio? Perchè lo faccio! E hai pure il coraggio di chiedermelo!" mi alzai seccato e mi misi davanti a lei, che sembrò spaventata dal mio gesto:" Elly, sai benissimo perchè lo faccio ..."
" E tu sai benissimo che è pericoloso!" mi disse lei in risposta, mettendosi davanti a me con le mani sui fianchi.
" Non mi importa!" dissi io arrabbiato:" sai benissimo che lei è la vera vittima in questa situazione!"
" Non puoi fare sempre di testa tua capito? se vieni scoperto saranno guai grossissimi!"
" Che vengano pure a bastonarmi allora! Io non faccio niente di male! L'aiuto solo a rendere la sua vita più accettabile! l'aiuto a sorridere ... aiuterò tutti se necessario!"
" Sei impossibile!" mi rispose Elly guardandomi furente negli occhi:" Non contare sul mio aiuto!"
" Te l'ho mai chiesto forse? sei sempre stata dalla parte di mio padre, dalla parte del male!"
" Stai rinnegando la tua stessa patria?" mi disse lei sbigottita e furiosa:" Come puoi dire che noi siamo il male? Sono stati loro a impadronirsi della nostra terra! Loro sono la minaccia!"
Avrei voluto prenderla a schiaffi volentieri in quel momento, ma mi trattenni perchè era una donna, e mia sorella. Anche se la seconda ragione non era poi tanto importante. Mi limitai solo a urlarle in faccia con tutta la furia che avevo in corpo.
" Noi siamo la minaccia per loro! Noi tedeschi!" mi battei la mano sul cuore violentemente, ma non mi importò molto del dolore che provai con quel gesto:" Tu non sai cosa ho visto io!"
" Cosa avresti visto? Racconta su! Voglio vedere le tue belle ragioni!" Mi disse lei cadendo di botto sul letto esausta dalle urla.
Allora anche io mi calmai, e mi sedetti accanto a lei.
Ma prima scrutai dentro di me, per ritrovare la prova che cercavo della colpevolezza della mia stessa gente, quella prova inconfutabile che a sei anni mi fece voltare parte e passare dalle parte del giusto.
Lo ritrovai dopo vari tentativi, quel ricordo che avevo rimosso così difficoltosamente dalla mente qualche anno fa venne fatto risorgere dalle sue ceneri, e dentro di me un brivido di gelo mi bloccò il respiro.
Quello forse fu il giorno peggiore della mia vita, e da lì tutto cambiò drasticamente.
Prima di iniziare a raccontare, trassi un profondo respiro e chiusi gli occhi in cerca di riportare le immagini.
Mia sorella era in attesa snervante:" allora? Hai perso la lingua?" mi disse scrollandomi con il braccio. levai la sua presa dal mio braccio e la guardai furente:" non mettermi fretta .. ma ti voglio dire una cosa: appena avrò finito, non penso che rimarrai ancora per molto dalla parte sbagliata."
E uscì la mia prima parola del ricordo: Un giorno ..." 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Carissimi Lettori! sono felicissima che in poco tempo questa storia abbia raggiunto le 20 recensioni! E siamo solo all'inizio! Ringrazio infinitamente tutti i recensori che dicono di appassionarsi come non mai alla storia e anche ai soli lettori, che mi danno la voglia di continuare a scrivere!
Remdios la Bella vi ringrazia infinitamente!

Capitolo 9


Iniziai a raccontare la mia esperienza a Elly ( è così che la chiamavo mia sorella):” Un giorno andai con mamma e papà in città. Tu non eri ancora nata,  ma nostra madre era incinta proprio di te quando questo accadde. Comunque … tenevo la mano a mamma mentre passeggiavamo tra le vie della città. C’era molta gente, soprattutto tedesca, o più che altro è quello che io credevo ci fosse.
Erano appena scoccate le tre al campanile …” feci una pausa, ora arrivava il peggio:” quando, anche attraverso la miriade di gente che confabulava per la strada … ho sentito un urlo. Un urlo di bambino, straziante.”
“ E come hai fatto a sentirlo?” mi chiese Elly, attenta al mio racconto adesso.
“ Non lo so, avevo la sensazione che sarebbe successo qualcosa .. me lo sentivo. Quell’urlo in effetti non passò inosservato a nessuno, era come una specie di supplica, non una lagna da bambino.
Fatto sta che la gente si voltò verso la fonte di suono, compresi mamma e papà.
C’era una bambina, aveva i capelli neri e un abitino azzurro semplicissimo. Correva per la strada urlando a tutti di poterla aiutare:” La prego mi aiuti! La prego! Hanno preso mio padre! La prego mi aiuti!”
Nessuno, purtroppo, le dava importanza, e lei piangeva copiosamente, piangeva tantissimo. Tutti la scostavano o le dicevano di stare alla larga, come se fosse una zecca repellente o una zingara. E lei continuava a supplicare perdono.
E io non capivo. Chiesi alla mamma perché la piccola stesse urlando.
“ è pazza, tesoro .. non guardare.”
“ Ma le hanno preso il papà … perché nessuno la aiuta?”
Lei mi squadrò attentamente:” Perché suo padre è un criminale.” Mi disse secca.
“ Perché? Cos’ha fatto?” continuavo a porle domande, la mia curiosità andava in qualche modo soddisfatta.
“ é … Ebreo.” Mi disse lei, impassibile.
Nella mia testa si creò il caos più totale: all’epoca non ne sapevo niente di quelle povere persone ..”
Qui mia sorella mi interruppe:” non definirle caritatevoli, secondo me in quell’occasione le hai odiate pure tu!” mi disse quasi severa.
Mi voltai verso di lei e la fulminai:” Taci. Non hai il diritto di parlare se non sai niente!” le urlai addosso.
Lei si zittì spaventata forse dalla mia impulsività. Si accucciò bene sul letto e mi fece continuare.
“ Dicevo … all’epoca non ne sapevo niente, così chiesi a mamma cosa fosse un Ebreo. Stavolta fu papà a rispondere:” Max, chiudi il becco e lascia stare la mamma. Lo capirai solo quando sarai più grande.”
Liquidò le mie domande con quell’ordine quasi secco e senza sentimento alcuno. Continuai così a guardare la piccola che si inginocchiava tra la polvere dell’asfalto e pregava che qualcuno la aiutasse.
A quel punto una guardia la strattonò per il braccio: “ Vieni, piccola pezzente! Stai zitta!” le tuonò feroce trascinandola via.
La bambina cercava di opporre resistenza sotto gli occhi attoniti o indifferenti di tutti, ma la forza del soldato era onnipossente su di lei. Con forza la fece salire su un furgone, insieme ad altre persone, e lei andò verso una donna, che supposi fosse sua madre da come l’abbracciò.
Ero sempre più confuso; perché li portavano via? Dove andavano?
Guardai mamma tristemente, e lei mi disse:” Tesoro, non preoccuparti per loro. Andranno in un bel posto.”
“ Ma mamma, sembrano così tristi.”
“ Vedrai che dopo saranno felici … Ora però andiamo tesoro.” Mi tirò il polso per farmi andare via da lì e da quel spettacolo, ma da bambino testardo che ero e che sono ancora …”
Ecco la seconda interruzione di Elly:” Vuol dire che sei ancora un bambino?”
“ Ma vuoi starti zitta?” le dissi io acido.
“ Scusa .. continua.”
“ Ok .. lasciai la presa da mamma e corsi tra la folla a assistere più da vicino. E fu allora che vidi …” Non riuscivo a continuare. Se il primo pezzo del racconto era inquietante, questo era molto più che spaventoso. Da quel che mi era stato impresso negli occhi, fu la cosa più disgustosa che vidi:” Udii un rumore molto forte, come di sparo, e corsi a vedere. E … c’era un uomo a terra. Aveva un buco nella schiena, mi sembra vicino al fegato, da cui fluiva il sangue a fiotti e tutta la strada era colorata di quel colore così intenso. L’uomo tremava e boccheggiava, e io lo guardavo con gli occhi pieni di lacrime.
Sopra di lui, la canna del fucile da cui era partito il colpo fumava ancora, e il fucile era retto da un soldato. Lo guardai in faccia: Aveva un ghigno malefico stampato tra la fila di denti maledettamente bianchi … ma non fu quello a mettermi i brividi … furono i suoi occhi.” Un brivido mi percorse la schiena al solo ricordarmi di quel particolare.  Strinsi le mani alle ginocchia e strinsi i denti, poi emisi un sospiro. Mia sorella mi osservava non poco spaventata. E conclusi, con la voce tremante:” Non aveva due occhi normali. ma cubi di ghiaccio luccicanti di un alone di pura empietà, uno sguardo freddo, glaciale .. e malvagio. Guardava l’uomo ancora in fin di vita che tendeva le mani verso la gente, che disgustosamente si ritraeva senza dargli una mano.
Non sapevo a cosa correvo incontro se fossi intervenuto, e fu quello che feci. Intervenni. Non sapevo che altro fare. Mi precipitai su quell’uomo e gli alzai la testa per vedere se potesse ancora sentirmi.
“ Signore! Signore! Sta bene?” gli chiesi. Lui aveva uno sguardo spento e mi fissava. Udii come un mugolio, e poi bianco nei suoi occhi. Un bianco mortale, misto al rosso del suo sangue che fluiva imperterrito dalla ferita. Non sentii il calore del corpo e mi scostai terrificato. Fu allora che il soldato mi toccò:” Ragazzino, stai lontano … lui se l’è meritato.”
“ perché cosa ha fatto? Cosa ha fatto?” urlai disperato, attonito da quello che avevo appena vissuto. Un uomo era morto tra le mie braccia, mi aveva guardato e si era spento per sempre, sotto i freddi occhi di ghiaccio del resto della gente.
“ Lui è Ebreo .. è cattivo.” Mi rispose lui, freddamente. Con un gesto improvviso mi spinse via, e una donna riuscì ad afferrarmi e a portarmi via di lì tirandomi selvaggiamente. Non vidi altro, solo la folla accalcarsi sull’uomo. Sentivo il pianto delle persone nel furgone, il pianto della bambina. Di quella bambina tanto disperata.
Quella donna mi bloccò e poi mi guardò in faccia:” Dove sono i tuoi genitori?”
Avevo le lacrime agli occhi, e non risposi subito. Per un caso fu mamma a trovarmi:” Max!” urlò da lontano vedendomi. Si avvicinò, mi prese per mano e ringraziò la donna.
Raggiungemmo papà, e lui mi diede una schiaffo. Me lo ricordo, fu doloroso ma non me ne importò niente:” Come hai osato disubbidire alla mamma? Non stupirti se a casa riceverai quel che meriti!”
“ Tanto ho già visto il male ..” gli dissi io in un filo di voce. Tornai a casa a occhi bassi, con ancora in testa il pensiero di quell’uomo, della bambina … del male.”
Finii la mia storia. Elly era rimasta lì tutto il tempo,  e sembrava spaventata non poco:” Tu hai visto morire una persona davanti ai tuoi occhi?”
“ Si … e per opera di uno come noi. È assurdo …” mi limitai a tenermi la testa tra le mani iniziando a piangere silenziosamente.
Elly mi passò una mano sulla schiena:” io .. non …”
“ Non importa … ma ora vattene, voglio restare solo.” Le dissi piano. Sentii il dislivello del materasso, segno che Elly si era alzata, e il cigolio della porta che si apriva e richiudeva. Restai a testa china per un buon quarto d’ora, versando lacrime nel cuore.
Non sopportavo l’idea di rammentare tutto quel dolore. Era impossibile non provare pietà per quelle povere persone.
Mi stesi un attimo sul letto e guardai l’ora. Erano appena le 10. Lei sarebbe tornata tra meno di tre ore. Un’attesa troppo lunga, ma sopportabile. Mi stesi bene e mi misi su un fianco.
Chiusi gli occhi esausto, Ci avrebbe pensato il mio subconscio a svegliarmi all’ora prestabilita per l’incontro con Deborah.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Prima di iniziare volevo dire a Lily Maid e mileyfan10: come avete fatto a indovinare quello che mi avete scritto nella recensione! Accidenti era così evidente? che perspicacia degna di Detective Conan!
Comunque ... scusa mia cara 0DuBhe0 di averti leggermente deluso, spero di non farlo mai più :3
Bene, godetevi il capitolo!


Capitolo 10

 
Scoccarono le due. Potei sentirne il rintocco dalla pendola in salotto. Mi svegliai di soprassalto spaventato da quel rumore improvviso e mi avvidi dell’ora.
“ sarà tornata ..” pensai. Lentamente infilai le ciabatte, aprì lentamente la porta della cameretta e sgattaiolai fuori. Non avevo affatto sonno nonostante avessi dormito solo poche ore, volevo solo sapere come stava, e sarei potuto tornare tranquillamente in camera dopo.
Scesi le scale, e mi affacciai lentamente alla porta della cucina.
Come pensavo. Era lì, accovacciata come la scorsa notte, ma stavolta aveva la faccia rivolta verso di me, occhi chiusi.
Mi avvicinai lentamente per non svegliarla e solo a una vicinanza considerevole potei vedere un luccichio sulle sue guance, una striscia argentea illuminata dalla luna. Aveva pianto, me lo dovevo aspettare.
Esitai un istante prima di svegliarla. Il suo respiro stavolta era lento e regolare, non aveva il viso contratto in smorfie di agitazione, ma una maschera di tranquillità onirica stampata in volto. La mano fasciata era stretta al petto insieme all’altra, le gambe erano distese, strette e rilassate.
“ sembra tranquilla …” pensai, e mi decisi a svegliarla. La scossi leggermente, e lei aprì gli occhi lentamente.
“ Max … “ sussurrò debolmente. Sorrise e poi si mise seduta:” Come mai sveglio a quest’ora?”
“ ero in ansia per te ..” dissi io rosso in volto:” Dimmi, ti ha fatto qualcosa?”
Il suo viso da prima sereno si tramutò in un’espressione rabbuiata:” Niente …” sibilò.
Sentivo che non stava dicendo la verità:” Stai mentendo.”
“ è la verità …” insistette lei.
“ Hai pianto …”
“ Ho fatto un brutto sogno …”
“Saresti sudata se fosse per quello … hai pianto anche da molto … dimmi .. che ti ha fatto?” le dissi con voce seria.
Abbassò lo sguardo riluttante e fu come se si stringesse come un riccio:” Ti giuro, non mi ha toccata …” la solita voce flebile di uno che sta per mettersi a piangere. Teneva le mani sul viso come per soffocare le lacrime. Gliele afferrai dolcemente e la costrinsi a guardarmi:” Deborah .. dimmi che ti ha fatto.”
 “ e va bene …” sibilò lei. Aveva gli occhi lucidi, così decisi di lasciarle i polsi.
Ebbe le mani libere. Si voltò dandomi le spalle e si alzò lentamente il camice,scoprendosi così la schiena. Fu con orrore che constatai che i lividi e i graffi le tappezzavano la pelle: Aveva segni rossi dappertutto, e il camice era sporco qua è là di grumi di sangue ormai coagulato.
“ Mi ha costretta a parlare … e poi mi ha frustrata.” Disse impassibile lei, tenendosi il camice alzato. La zona delle scapole era ridotta a un martirio di sangue e ferite, quasi piansi dall’orrore.
 Le sfiorai un livido con un dito e lei sussultò:” fai piano ..”
“ Ti fa molto male?”
“ un po’ … ma è sempre meglio della morte …” mi disse:” E non preoccuparti .. non ho fatto il tuo nome.” Mi disse con voce quasi apprensiva. Si rimise a posto il camice e si voltò di nuovo, tirando su col naso.
 Scossi la testa:” Anche se avessi detto a Xavier che sono stato io a curarti … non ti avrei di certo punito.” Le dissi dolcemente. Lei arrossì lievemente. Sorrisi.
“ Ti ha solo frustrata?” le chiesi un attimo dopo. Lei annuì, aggiungendo:” Stavolta non mi ha toccato in quell’altro senso …”
“ meglio così …” fui sollevato da quella rivelazione. Non avrei osato immaginare cosa avrei fatto se avessi scoperto che l’aveva violentata:” Quindi .. sei ancora vergine?”
“ Diciamo che lui aspetta solo un mio inciampo … più grosso di una semplice fasciatura.” Fece lei poco tranquilla:” Ma non tarderà …”
“ puoi contare sul mio aiuto, chiamami e sarò da te …” le dissi io, quasi senza accorgermene. Mi misi la mano alla bocca come se mi fossi pentito di aver detto quella cosa così esplicita. Lei si limitò a guardarmi strano e a sorridere:” Grazie mille. Lo farò sicuramente …” fece una pausa, poi continuò:” Senti .. perché lo fai?”
“ fare cosa?”
“ Aiutarmi .. insomma, sono una totale sconosciuta, venuta da chissà dove e tu mi dai un aiuto senza nemmeno sapere tutto di me .. come mai?”
Io rimasi un po’ spiazzato da quella domanda. Feci come una pausa di riflessione e riordinai i pensieri. La guardai e risposi:” Ho vissuto qualcosa che mi ha fatto cambiare idea .. e non so, forse perché io …”
Stavo per arrivare al punto in cui le avrei confessato i miei sentimenti. Ma ero davvero pronto per tutto questo? Insomma, la conoscevo da appena qualche giorno e già me ne ero innamorato … si , innamorato. Non me lo sarei mai aspettato.
Non continuai la mia risposta, ma cambiai argomento:” Il giorno più brutto della tua vita?”
Lei mi squadrò accigliata:” eh?”
“ Se vuoi dopo ti racconto il mio … ma prima dimmi tu.”
“ Oh …” fece:” Ok … avevo circa sei anni, e abitavo ancora nel ghetto in città. Un giorno, i soldati irruppero in casa nostra … e mio padre venne preso e portato via sotto i miei occhi impauriti …” deglutì, il ricordo le stava come facendo male:” Senza accorgermene, scesi in strada e mi misi a gridare …”
La guardai stupefatto:” Come la bambina del mio giorno …” pensai, allibito. Continuò:” Cercai di fermare qualcuno, ma tutti mi scansavano e io nel mentre …”
“ supplicavi aiuto.” La interruppi io, di colpo:” ti ricordi come eri vestita?”
“ Mi sembra avessi .. un vestitino azzurro … ma perché me lo chiedi?”
“ Ti ricordi di un bambino?”
“ Un bambino?” me lo chiese quasi incredula:” beh … si, se non ricordo male c’ era un bambino …”
“ E ti ricordi cosa fece? Morì qualcuno quel giorno?” le chiesi. Volevo spronarla a dirmi ogni cosa .. dovevo sapere se era lei quella bambina che mi aveva fatto tanta pena.
Lei si rabbuiò ancora di più:” Mio zio … e quel bambino si accasciò accanto a lui e gli chiese …”
Completai la frase:” Signore! Signore! Sta bene?”
Per un attimo incrociai lo sguardo della ragazza, che fino a quel momento li aveva tenuti bassi a fissare il pavimento. La luna illuminava fiocamente il tutto, e nel silenzio che seguì alla mia esclamazione potei percepire il ticchettio della pendola in salotto.
“ C’eri anche tu?” mi chiese quasi incredula.
“ Quel bambino ero io …” le risposi debolmente:” E quello fu il giorno più brutto della mia vita.”
Lei si mise le mani alla bocca, stupita.
Non sapevo se fosse stata una coincidenza il nostro incontro. Sapevo solo che era destino che ci rincontrassimo nuovamente.
In circostanze diverse, ma con il sentimento di dolore annidato nel cuore. Un Dolore che sarebbe andato condiviso da quell’istante. 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Capitolo 11
 
“ Quell’uomo morì tra le mie esili braccia di bambino, mentre io attonito guardai i suoi occhi spegnersi e il sangue colare dalla sua ferita …” continuai il mio racconto, mentre Deborah restava in un silenzio di tensione e stupore: “ Il soldato mi disse che se l’era meritato, e io gli chiesi che cosa avesse fatto. E lui mi rispose perché era un Ebreo.” Mi tremò la voce. Far riaffiorare tale ricordo dalla mia mente non mi faceva bene di certo.
Cadde un silenzio quasi glaciale, in cui sentii chiaramente il respiro debolissimo di Deborah e il battito del mio cuore. Lento, inesorabile. Un battito grave e inquietante.
Potei udire poi la sua voce:” Non ci posso credere … ma come mai non ce ne siamo accorti prima?”
“ non so, in fondo è stato solo un ricordo ..” dissi io flebilmente. Mi alzai lentamente, a testa china e feci per andarmene. Ero stanco, improvvisamente, volevo solo coricarmi e dormire, tentare di non fare incubi e dimenticare .. ogni cosa.
Lo feci senza salutarla, per la prima volta. Udii la sua voce chiamarmi:” Te ne vai di già?”
Mi voltai e annuii, per poi salire le scale silenziosamente e entrare in camera mia. Ero scosso e stanco, mi misi subito a letto e caddi in un sonno profondo.
Il mio corpo reagì diversamente di come io avevo programmato. Avevo pensato di volermi svegliare presto, per chiedere scusa alla ragazza di essermene andato così, su due piedi.
Ma quando aprii gli occhi la mattina seguente, il sole era alto in cielo. Erano già le dieci. Mi avvidi dell’ora, scesi in fretta dal materasso e mi cambiai in un lampo.
Forse l’ora tarda di ieri mi aveva giocato un brutto scherzo. O forse la mia coscienza mi aveva giocato un brutto tiro.
Ero decisamente scioccato dalla sera prima, non volevo più saperne per tantissimo tempo. Ma non mi toglievo dalla testa lei. Non aveva colpa di niente in fondo, ma non so … era come se tutto il mondo fosse intento a farmi staccare da lei, dalla causa della mia agitazione.
Cambiatomi, scesi le scale rapidamente e andai in cucina. Con mia enorme sorpresa, non la trovai lì. C’erano solo mia sorella, intenta a ricamare un poggia lampade e mia madre, che tagliava le verdure per il pranzo.
Mia madre mi diede il buongiorno, a cui ricambiai un po’ perplesso. Perché non era lì? Perché stava cucinando mia madre?
In quel momento la mia mente formulò l’idea più assurda che possa venire in mente a un sedicenne innamorato; lei non mi aveva detto tutta la verità. Lei sarebbe stata …
“ E se ..” iniziai a formulare quell’assurda ipotesi senza capo né coda. Preso dallo spavento, mi precipitai in giardino. Il sole batteva sulle pietre e il recinto riluceva sotto quella luce. Il grande cancello in ferro, nero e possente, era semi chiuso come sempre.
Come gettai la testa fuori, sentii un odore particolare aleggiante nell’aria. Era un odore di bruciato, stagnante e nauseabondo … di morte.
“ Oh dio …” voltai istintivamente la faccia verso la direzione che sapevo. Una enorme nuvola nera solcava il cielo, sporcandolo di fuliggine. La ciminiera del campo fumava più del solito. Stavolta il mucchio era grande … mi salii la pelle d’oca.
“ No … no … no …” pensieri convulsi mi offuscarono la mente davanti a quella visione. Entrai in fretta in casa:” Dov’è papà?”
“ Al lavoro … “ mi rispose mia sorella.
Alzai gli occhi al cielo:” Da che parte è andato?”
Mia madre a quel punto smise di tagliuzzare le zucchine e mi guardò:” Ma che hai stamattina?”
“ Da che parte è il campo?” le chiesi subitaneo. Non mi rendevo nemmeno conto di che pazzia stessi compiendo.
“ Perché vuoi andarci? Non è un posto per te!” mi rimbrottò lei.
“ Non sono un bambino …” le dissi cercando di calmarmi:” Tu dimmelo e basta!”
“ non ne capisco il motivo .. sta in casa e fai il bravo.” Mi disse lei, riprendendo a fare quel che stava facendo.
La mandai mentalmente a quel paese:” Ci andrò da solo …” pensai, e feci per uscire, quando sentii la presa di mia sorella sul braccio:” Ti ci porto io … perché sei così agitato?” mi disse sottovoce.
“ Che fine ha fatto Deborah?” le chiesi io.
“ Chi?”
“ 15674!”
“ è uscita stamattina con Xavier se non sbaglio …” mi disse lei pensierosa. Poi fu come se si illuminò:” Non penserai mica …”
“ ieri le ha dato colpi di frusta sulla schiena … oggi …” non ci volli pensare:” Conducimi al più presto ti prego!”
Elly era leggermente sconcertata, e uscì per prima seguita a ruota da me. Vide anche lei il fumo:” Tu temi che …”
“ spero di no …” risposi. Lei mi guardò e raggiunse subito il cancello. Io la seguii mentre correva cercando di non inciampare sullo sterrato del sentiero immerso nel bosco.
Le ombre degli alberi proiettavano sul terreno forme nere e spezzettate, e io le vedevo fuggire e inseguirmi, mentre correvo quasi senza fiato dietro a Elly.
“ sei sicura che sia la direzione giusta?”
“ si … eccolo!” e indicò davanti a sé. Un recinto alto di filo spinato si stagliò davanti alla nostra visuale. Si potevano intravedere le capanne da lavoro. Il fumo nero di prima si trasformò in una vera e propria nuvola. Si poteva sentire il calore della ciminiera.
Ecco il campo. Ecco l’incubo. 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Non ci credo ancora che ogni volta spuntano recensori da ogni parte! é incredibile! Davvero, sono commossa .. Beh, buona lettura!

Capitolo 12

 
Il campo di concentramento si stagliava in tutta la sua inquietante magnificenza nel mezzo di una valle sperduta e sterrata ai limiti del boschetto. Il filo spinato cingeva la parte più alta dell’enorme rete che cingeva il campo per metri di terreno.
Da lì potevo intravedere già il tran tran dei prigionieri, nei loro logori pigiami, mentre si sforzavano di costruire qualcosa di simile a una capanna, o da lavoro o da abitazione.
Io e mia sorella guardammo attentamente dove fosse l’entrata per il campo, e riuscimmo a intravederla poco distante da dove eravamo prima.
Ma prima di andare, mi premeva sapere una cosa. Così bloccai il polso a mia sorella mentre si accingeva a correre verso il cancello.” Aspetta .. perché mi aiuti?”
“ ti sembrano domande da fare in questo momento?”
“ Lo voglio sapere .. e se poi tu dicessi tutto a mamma o papà?”
“ tanto lo saprebbe comunque papà .. in fondo stiamo andando da lui …”
Io la guardai perplesso:” ma dico … ti sei rimbecillita vero? Papà non dovrà sapere della nostra venuta qui, altrimenti ci scorticherà vivi?”
“ E allora tu perché sei venuto? Non devi impedire la morte della tua amata?” mi fece lei provocatoria:” Non mi dirai che vuoi fare tutto da solo!”
“ Non sono solo, ci sei tu .. e poi voglio solo controllare, e salvarla …”
“ Da cosa? Se è già morta non potrai fare un bel niente per lei …”
“ La speranza è l’ultima a morire …” le dissi io con voce leggermente speranzosa:” speriamo davvero …” dissi ad alta voce:” Comunque, perché hai deciso di aiutarmi?”
Mia sorella mi guardò storto :” te lo ripeto .. non sono domande da fare … e poi … quella ragazza ci sa fare con la cucina! Non mangiavo piatti decenti da tanto tempo!” disse quasi scocciata e poi strattonò la mia presa al polso:” Ora andiamo … dobbiamo eludere la sicurezza.”
“ Ho già in mente un piano …”le dissi, mentre e testa bassa ci dirigemmo verso un cespuglio poco vicino al cancello, che in linea d’aria poteva distare non più di dieci metri. Li appostati, vedemmo i due soldati di guardia al campo, sguardi freddi puntati in avanti in circospezione. Non ci avevano notato per adesso.
“ Come facciamo? Se andassimo là a dire che siamo i figli del tenente- colonnello Schubert chiamerebbero nostro padre e noi verremmo scoperti ..” disse mia sorella sottovoce, mentre cercava di non far impigliare il suo abito nei rami del cespuglio che ci nascondeva.
“ Sta a vedere …” tirai fuori dalla tasca un sasso che avevo raccolto qualche minuto prima dalla strada, un sasso abbastanza grosso da fare un rumore piuttosto udibile, e senza farmi notare troppo lo scaglia nella boscaglia dietro di noi. Come sospettai, il sasso sbatté contro il fogliame producendo il suono tipico dello spostamento di un gran quantitativo di foglie. Le guardie sentirono quel suono.
“ Cosa è stato?” fece uno.
“ non so … andiamo a controllare ..” disse l’altro. Entrambi imbracarono i fucili e corsero verso la fonte del rumore di prima. Io e mia sorella, appena li vedemmo avvicinare, ci scostammo attentamente e fummo fuori dal loro campo visivo. Prendemmo uno slancio enorme e ci avvicinammo al cancello, che fortunatamente era aperto.
Cigolò leggermente con il tocco delle mie mani che ne aprirono la fessura abbastanza grande da far passare un ragazzo esile, e io e mia sorella posammo i piedi sulla sabbia del campo. Eravamo dentro.
Ora non mi restava che cercarla. Sperando con tutto il cuore che non se ne fosse già andata per sempre.
 
 
Non posso crederci … no … no .. no! Mia madre, mia madre, mia madre! Perché lei, perché non io lì dentro? Che cosa c’entrava lei?
Ero confusa, totalmente confusa, mentre continuavo a fissare la maledetta porta dell’inceneritore, la porta nera di ferro rovente, dal quale nessuno poteva fare ritorno.
Xavier mi teneva come attanagliata alla nuca, e mi faceva un male cane, sia a causa della sua stretta, sia per una frustrata nuova e sanguinante proprio lì, vicino alla mia esile nuca stretta tra le sozze dita di quel bastardo.
Si, lo chiamavo bastardo, non era altro che un fottuto bastardo, empio di cuore.
Avevo gli occhi pieni di lacrime, mentre continuavo a fissare disperata quella porta, da cui .. mia madre non farà più ritorno.
“ Visto che succede alle Hundin? La pagano cara se mettono le corna!” mi disse lui, con quella sua voce sibilante, quella sua maledetta voce che detestavo con tutto il cuore, quel rumore stridente che udivo ogni volta all’orecchio, insieme alle sue unghie che mi dilaniavano la carne in quelle terribili notti.
Ogni notte costretta a subirmi le sue angherie, le sue dita … e mi faceva un male cane. Davvero male.
“ Hai visto cosa è successo?” mi ripeté lui, continuando a stringere la presa sulla nuca, mentre io mi strinsi il labbro inferiore che sanguinò per la forza con cui lo morsi, per soffocare il grido di dolore e tristezza che avrei emanato di sicuro.
Continuai a rimanere zitta, mentre le lacrime mi scesero dagli occhi implacabili, e la vita mi passava davanti agli occhi, ogni istante passato con mia madre, che ora non c’era più: Le sue ninne nanne non le avrei più sentite, non avrei più avuto il suo tocco gentile sulle pelle.
Quando incrociai il suo sguardo prima che entrasse all’inferno, iniziai a piangere, ma lei non mi odiava per averla messa in mezzo ai miei errori, no. Era compassionevole, dolce, come sempre. E questo mi fece un male insopportabile. Avrei preferito che mi strattonasse, mi battesse a terra e mi urlasse traditrice, stronza, e mi picchiasse. Che mi spingesse lei dentro il forno al posto suo, come era giusto che fosse.
E invece accettava di morire per salvarmi, nonostante non fosse stata lei a deciderlo, ma Xavier, per vendetta. Per una misera fasciatura alla mano.
Per l’opera buona di Max … Max … perché non sei qui? Perché non mi chiedi con la tua voce vellutata come sto? Perché non mi aiuti?
Quel ragazzo mi svegliava la notte, mi coccolava con la sua voce, mi consolava dall’enorme tristezza delle notti con Xavier, era lì da pochi giorni e già lo sentivo come un amico intimo … non esitava ad aiutarmi nel momento del bisogno.
Amico? Era giusto definirlo così? Forse … forse … Max … dove sei?
I miei pensieri vennero interrotti dal sibilare di Xavier:” E adesso tocca a te …” Liberò la stretta della nuca, ma in compenso mi strinse il braccio talmente forte che gemetti tappandomi la bocca subito per non far gustare il mio dolore a  quell’insetto.
Mi tirò con forza, andava verso i suoi alloggi.
“ Ora io e te facciamo i conti ..” mi ripeteva, trascinandomi verso il mio abituale incubo. Stavolta mi avrebbe violata, ne ero certa. Stavolta avrebbe rotto il sigillo della mia verginità, mi avrebbe resa impura … mi avrebbe usata come un bambolotto.
Arrivammo all’alloggio, e lui aprì furente la porta, e mi spinse dentro, facendomi rovesciare sul sudicio letto di sempre.
“ Aspettami qui Hundin!” mi disse lui, sulla soglia:” E fai la brava che se provi a scappare te la faccio pagare cara capito?” mi disse con voce carica di odio.
Alzai la testa verso di lui, incrociai i suoi occhi. E lì tutto il mio odio per quell’essere esplose come la dinamite. Neanche mi accorsi che dalle mie labbra affiorò l’insulto più adatto per lui :” You’re a fucking Jackass!!”Glielo urlai in faccia, senza rendermi conto che stavo comunque tremando:” sei un fottuto coglioneeeeeeeeeee!!!”
Lui ricevette il mio insulto, si avvicinò a me e mi scagliò a nocche strette un pugno dritto in viso, che mi fece cadere sul letto con il naso sanguinante:” vedi di stare zitta!! Per questo insulto, puttana, avrai la doppia dose! Preparati!” mi diede un calcio alle gambe penzolanti dal letto e poi uscì sbattendo la porta.
Non mi importò del dolore che provavo al mio setto nasale e alle mie gambe livide. Rimasi sul letto, stringendo a pungo le coperte e piansi. Piansi facendo rumore, piansi urlando e soffocando le urla sul materasso sudicio.
Max … dove sei? Ho bisogno di te …  

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Capitolo 13
 
Continuai a cercarla, acquattato come una volpe dietro un cespuglio che attende che la sua preda faccia il suo passo falso. Cercavo di non farmi notare, e se sfortunatamente qualcuno ci notava, mettevamo un dito sul labbro in segno di silenzio. I prigionieri sembravano straniti dalla nostra presenza così furtiva, ma stranamente ci venivano incontro, come se fossimo venuti fin lì per loro.
Così potei addentrarmi sempre di più, fino a giungere alla zona della ciminiera. Lì mi voltai verso Elly, mentre rimanemmo appostati dietro un muro divisorio e guardavamo oltre verso la ciminiera:” La vedi?”
“ no, mi spiace … dobbiamo sbrigarci, non penso che i soldati di prima non si siano resi conto del nostro ingresso.”
“ Poco importa, a me importa solo di saperla salva …” le dissi, voltandomi verso la ciminiera e continuando a scrutare.
La ciminiera si stagliava in tutta la sua inquietante grandezza in un angolo remoto del campo, il grande portone nero da dove nessuno faceva ritorno mi fece venire i brividi. Il fumo continuava ad uscire nero e maleodorante di carne bruciata e di dolore. Speravo con tutto il cuore che in quell’odore non ci fosse quello della ragazza.
Continuai a guardare, ma non vedevo niente, niente che mi potesse dare segno che Deborah era stata là. Che fosse già troppo tardi? NO, non volevo darmi ragione di credere una certa idiozia.
Fui però così assorto nella ricerca della ragazza che non mi accorsi dei colpi che mi menava mia sorella:” Max!” mi urlò allarmata.
“Si può sapere che c’è?”
“ Guarda laggiù!” indicò un punto davanti a sé. Strizzai gli occhi per vedere meglio, e … la vidi: veniva trascinata da Xavier per il braccio, aveva un’andatura forzata e entrambi erano diretti verso gli accampamenti dei soldati.
Era viva. Per un attimo il mio cuore era felice di vederla lì, in carne e ossa, triste ma viva. Viva. Non avrei potuto desiderare di meglio.
“ è viva …” sussurrai estasiato.
“ Si … seguiamoli.” Mi disse Elly, acquattandosi all’inseguimento della giovane.
La seguii con il cuore pieno di speranza, facendo attenzione che nessuno dei soldati ci vedesse. Nel mentre lei e Xavier entrarono nell’alloggio 311, e ci fermammo un pochino ad osservare, nascosti dietro una baracca.
Xavier rimaneva sulla porta, e sembrava urlarle qualcosa di incomprensibile, poi lo vidi entrare e dopo qualche secondo uscire, e si tastava le nocche delle dita come se provasse dolore. Uscì, senza Deborah alle costole sbattendo la porta.
“ è sola .. andiamo.” Feci segnale a Elly di proseguire, e insieme a lei riuscimmo a infiltrarci negli accampamenti. Sgattaiolai tra gli angoli che dividevano ogni bungalow, fino all’appartamento 311. Lì mi acquattai contro il muro come una sogliola e cercai qualcosa per guardare dentro. Per mia fortuna c’era una finestra poco sopra di me, non troppo in alto.
“ Elly, fammi da scaletta!” sussurrai a mia sorella, che mi guardò contrariata.
“Cosa? Scusa, perché non la fai tu a me! Sono una ragazza, non faccio certe cose!”
“ Senti, poche storie e più fatti! E adesso aiutami!” le dissi leggermente irritato. Lei mi guardò malissimo e poi incrociò le dita aprendo i palmi di modo da farmi una piccola scaletta per slanciarmi verso la finestrella.
Ci misi il piede, e spinsi il mio corpo fino a raggiungere la finestrella. Buttai un occhio dentro e la vidi: Era stesa sul letto, mi dava le spalle, ma potevo scorgere i suoi singhiozzi. Piangeva come sempre, ma stavolta sembrava più disperata.
“ Deborah ..” sussurrai, tristemente.
Scesi, dopo aver visto quello spettacolo pietoso:” Elly tu aspettami qui.”
“ Max! non avrai intenzione di …” mi disse lei, con occhi spaventati.
“ devo sapere perché sta piangendo … aspettami e non farti scoprire …”
Lei sospirò e poi mi guardò tristemente:” ah … sei il solito .. attento ok?”
“ Si …” le feci io, prendendole la mano. Gliela lascia e poi andai furtivo fuori. Detti un’occhiata, nessuno nei paraggi. Potei uscire allo scoperto e avvicinarmi alla porta del bungalow.
Controllai ancora e posai la mano sulla maniglia. Spinsi giù, quella si aprì. Cigolò un poco, mentre io misi piede dentro.
 
Cercavo di soffocare le lacrime sul materasso, non volevo che qualcuno, soprattutto Xavier, sapesse che avevo pianto. Cercavo di non gridare per non farmi sentire da nessuno, cercavo di non farlo per non esplicare a nessuno l’immenso dolore che covavo nel cuore ormai trafitto da mille pugnali di umiliazione.
Come aveva potuto ammazzarla? Lei non aveva fatto niente, lei, mia madre … la donna più buona a questo mondo.
Prima mio zio, morto davanti agli occhi miei e di Max quando avevo appena sei anni, ora lei, senza però che io avessi potuto vedere il suo corpo bruciare tra le fiamme del forno, ma vedere solo i suoi occhi sinceri e misericordiosi prima di vederli sparire oltre la tenebra nel portone nero come la notte.
Continuavo a pensarci e a piangere allo stesso tempo. E poi sentii dei passi. Non erano passati molti minuti da quando Xavier se n’era andato, quindi mi aspettavo che fosse lui.
Sentivo i passi farsi sempre più vicini, potei scorgere un’ombra sotto la porta. Poi sentii la maniglia scattare e la porta cigolare, lentamente.
Mi alzai dal letto asciugandomi in fretta agli occhi, pronta a sferrare il mio sguardo più odioso per l’entrata di Xavier, ma dovetti cambiare espressione, poiché al posto del bastardo senza gloria, vidi una figura esile, un paio di occhi verdi luccicare e quei capelli neri che io tanto conoscevo … Max.
Si, proprio la persona che segretamente dentro di me avevo evocato in aiuto.
Mi guardò con occhi comprensivi:” Deborah .. stai bene …”
“Max ..” mi alzai di scatto dal letto:” Perché sei qui? Non è possibile  … non puoi .. non puoi essere tu …”
“ Deborah ,, credici, non stai sognando.” Mi disse lui dolcemente.
Si avvicinò sempre di più, fino a che fummo a meno di due centimetri l’uno dall’altro.
“ Sei davvero tu …” dissi io più a me stessa che a alta voce:” datemi un pizzicotto ..” feci davvero per pizzicarmi il braccio, e provai dolore reale. Lui sorrise al mio gesto:” Tranquilla, ora sono qui ..”
“ Beh .. pizzicarmi mi ha fatto male quindi sei davvero qui …” dissi io arrossendo. Seguii un silenzio fatto di scambio di sguardi  tra me e lui, e potei sentire il mio cuore battere forte in petto.
“ Max …” sussurrai.
E poco dopo non ebbi nemmeno il tempo di accorgermi che le sue braccia, proprio le sue braccia, mi avvolgevano in un caloroso abbraccio. Potei sentire il cuore nel suo petto battere all’impazzata come il mio, in  una corsa al battito più forte e intenso. Non ci pensai due volte a cingere le mie braccia intorno al suo collo.
“ Sia ringraziato il cielo .. sei qui.” Sussurrai, nell’incavo del suo collo.
“ si …” disse lui stringendo l’abbraccio.
Ero felice, adesso. Dopo tanto tempo ero felice. Felice di averlo trovato, felice che lui fosse con me. In quell’istante sospeso tra l’angoscia della perdita e la consolazione dell’averlo ritrovato in quell’angoscia. 

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Non so perchè. ma mi piace rendere le cose difficili ai miei personaggi! guardate cosa quel disgraziato di Xavier combina ( ed è solo l'inizio!)

Capitolo 14
 
Mi parve un’eternità. Restavo lì, mentre le mie braccia l’avvolgevano con tutto l’amore che solo io potevo donarle in quell’istante. Lei ricambiava, potevo sentire le sue mani che mi accarezzavano la schiena, il suo fiato caldo sul mio collo.
“ Max, menomale che sei qui …” mi sussurrò tristemente. Mi scostai appena da lei, le spostai delicatamente una ciocca di capelli dagli occhi lucidi di pianto e le chiesi cosa fosse successo, durante tutto quel tempo:” Stamattina ho visto il fumo e ho temuto il peggio … sono venuto qui per accertarmi che tu stessi bene. E ti vedo, sei viva per miracolo …” le confessai, timido ma dolce.
“ Sei così gentile a preoccuparti per me … io sto bene, davvero … ma …” qui lei si bloccò, e scoppiò a piangere a dirotto. Le accarezzai la schiena per consolarla, ma lei singhiozzava in modo convulsivo e preoccupante e ripeteva come in delirio:” Dovevo esserci io, non lei … io!” e piangeva, piangeva tantissimo.
“ Deborah .. raccontami cosa è successo, ti prego … non posso vederti così …” le dissi io preoccupato.
Lei si asciugò rapida le lacrime:” Oh, niente, davvero …”
“ Deborah … vuoi che lo chieda direttamente a Xavier? Ho visto come ti trascinava prima qui, ho visto che lo faceva crudelmente. Dimmi cosa ha fatto … non sono qui solo per sapere come stai.”
Lei mi guardò disperata:” Se vieni scoperto da Xavier, stavolta morirò davvero … perlomeno la raggiungerò in questo modo.”
“ chi raggiungerai?” le chiesi confuso.
“ Mia madre ….” E qui scoppiò in singhiozzi convulsi:” quel bastardo … ha fatto in modo che lei morisse al posto mio … per una stupida fasciatura!” riprese a piangere, stavolta flettendosi in avanti con la schiena e poggiando i gomiti sulle ginocchia.
“ Dopo le frustrate ha ucciso tua madre?” ero a dir poco sconvolto.
“ In breve, è così … oddio avrei preferito morire io al posto suo!”
“ Deborah … non dire certe idiozie!” ero leggermente alterato, non ne sapevo il motivo ma era come se mi sentissi io più responsabile per la morte di quella povera donna che la figlia stessa:” Sono stato io a fasciarti … avrei dovuto subire io quella punizione, tu non hai fatto un bel niente …”
“ Max, non dire tu queste sciocchezze! Il tuo è stato solo un atto di gentilezza …”
“ Una gentilezza che è stata fatale a una persona a te cara … è come se l’avessi assassinata io.” Mi sentivo in colpa, ma non ero uno di quelle persone che avrebbe lasciato in difficoltà una persona che le è cara.
“ Max …” sussurrò, prendendomi la mano:” non è colpa tua se sei così buono … dovevo essere io quella che doveva essere punita, Xavier lo ha fatto solo per cattiveria … nei miei confronti.”
“ se ti avesse uccisa, avrei fatto lo stesso con lui, giuro …” dissi io a denti stretti: Sospirai, e poi mi alzai dal letto:” Forse è meglio che vada adesso … o mi scopriranno …”
“ va bene …” disse lei, rimanendo seduta sul letto. Feci per andare alla porta, quando lei mi chiamò:” Max!”
“ Dimmi …” mi voltai verso di lei.
“ penso di …. amarti …” mi disse a testa china:” non so se posso definirlo tale però …”
“ Anch’io la penso così, ma il mio sentimento è più certo .. del tuo.” Le confessai, e dopo aprì circospetto la porta. Ne uscii, con lei che continuava a guardarmi stupita e poi le rivolsi nuovamente la parola:” Ci vediamo …”
Lei annuì e poi chiusi la porta e andai da mia sorella:” possiamo andare …” le dissi.
Lei annuì senza dire una parola, e circospetti come prima, ce ne andammo dal campo, passando per una fenditura della rete che intravidi prima durante la ricerca di Deborah.
Era salva, e era innamorata di me, supponevo. Non potei pensare ad altro mentre correvo a perdifiato verso casa, prima che qualcuno mi vedesse.
 
Uscii dal mio alloggio furibondo con quella sgualdrina. Come aveva osato urlarmi addosso? Me l’avrebbe pagata cara. Lei e quel Max … già, il figlio di un mio superiore … come vendicarmi?
Ponderavo qualcosa mentre andavo verso il mio posto di lavoro.
Un’altra ora e poi gliela avrei fatta pagare .. quanto ci avevo goduto a vederla in lacrime davanti al forno … e ci avrei goduto ancora di più a vederla soffrire mentre io avrei riso di piacere davanti alle sue smorfie di dolore più tardi.
Ah che strazio! E nel mentre dovevo pensare a come farla pagare a quel signorotto da quattro soldi caritatevole con questi sudici maiali.
Pattugliavo la zona delle baracche a Est, e ogni tanto ne sorprendevo qualcuno che riposava, come se se lo potesse permettere … sfaticati! E il colpo di frusta dritto ai fianchi non glieli risparmiavo per niente, ci godevo così tanto a vederli soffrire quei bastardini senza terra né potere …
E mentre menavo quei colpi di frusta mi venne l’illuminazione su come far tremare quel ragazzino. Chiamai John, il mio collega di pattuglia:” Io devo fare una cosa urgente … tieni tu d’occhio qui intesi?”
“ Ricevuto.” Fece lui impassibile prendendo il mio posto. E così mi potei avviare verso l’ufficio di Frank Schubert, il tenente colonnello. Bussai alla porta e potei sentire la sua voce grave che mi invitava ad entrare.
Entrai nel suo ufficio, un piccolo rettangolo ordinato e degno di un tenente colonnello. Il nostro stemma riluceva in tutto il suo splendore nella tela rosso sangue appesa dietro al capo, che guardava nel mentre alcune scartoffie in mano sua.
“ Tenente colonnello Schubert …” mi misi sull’attenti, e salutai mettendo la mano avanti come simbolo nazista.
“ Soldato Coubertin … riposo.” Mi disse lui ricambiando il saluto.
“ Grazie signore .. vorrei parlarle di una questione urgente …” iniziai io.
“ mi dica pure …” mi disse lui risedendosi.
“ bene … io penso che ormai … suo figlio sia ormai pronto per arruolarsi.” Dissi freddo e deciso. Il tenente alzò lo sguardo su di me, in modo confuso e strano. Io nel mentre già ridevo dentro di me. 

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Avviso: la prima parte di questo capitolo non sarà molto leggera ... ho cercato di rendere la descrizione meno esplicita possibile, visto che il rating e il genere non includono certe scene. Se riterrete però che sono andata oltre, provvederò a cambiare rating e genere.
PS: Lo so, sono crudele! Ma senza questa parte non si può svolgere il resto della storia.
PPS: scusate del ritardo di un giorno! Ma ieri non mi sono proprio collegata.
Remedios




Capitolo 15
 
Lui era venuto, ora se n’era andato ma era venuto, per assicurarsi che stessi bene, che fossi viva. Poteva esistere una creatura più dolce di lui in questo mondo? Ne dubitavo. Fin dal primo giorno in cui il signor Schubert mi aveva portato in quella casa, Max mi aveva guardato con curiosità, mi aveva parlato e aiutato. Io gli diedi stranamente fiducia in modo immediato, mi importò poco che fosse tedesco, mi aveva parlato in fondo. Non sapevo ancora perché, ma dentro di me sentivo che lui era speciale, lo era sempre stato. E forse sentivo che io … lo amavo. Colpo di fulmine, lo potrei chiamare in questo modo, ma mi ero in qualche modo intenerita e innamorata di lui, ormai il mio cuore era come agganciato al suo in una morsa di sangue e lacrime di gioia miste a quelle di disperazione e angoscia nel constatare che questo sentimento, a parer mio, avrebbe avuto vita sin troppo breve.
Ero ancora seduta sul letto della stanza di Xavier, e ero ancora immersa nei miei pensieri, quando sentii dei passi pesanti venire da fuori, passi attutiti e decisi, quasi che il piede che stesse camminando stesse sbattendo per terra sotto l’influsso di una forza ben cadenzata.
Sentii la porta aprirsi e per mia sfortuna incontrai lo sguardo di quell’uomo tanto spregevole, i suoi occhi color ghiaccio mi squadravano sprezzanti e lussuriosi.
“ Bene, Hundin …” parlò lui, chiudendosi la porta alle spalle, e avvicinandosi fulmineo al letto per spingermici sopra:” ho una buona notizia e una cattiva notizia.”
C’era un tono di pura malvagità in quello che aveva appena detto e questo mi fece rabbrividire.
Mi alzai poggiandomi sui gomiti come per poterlo guardare meglio negli occhi:” E cosa sarebbe?”
“ la buona notizia …” dicendo questo mi sbatté sul materasso bloccandomi con violenza i polsi oltre la mia testa:” è che oggi diverrai donna. La cattiva notizia … è che il tuo bel Romeo partirà lontano da qui.”
Sbarrai gli occhi leggermente allibita e dolorante per la stretta che mi stava martoriando i polsi. Cosa intendeva dire con “ Il tuo Romeo partirà lontano da qui?”
Poi, la risposta venne da sé, e solo un pensiero mi venne in mente … Max. In guerra.
La rabbia mi salì in gola e in un urlo strozzato urlai:” Tu sei un emerito stronzo!!”
“ Hai iniziato tu questo giochetto, e ne pagherai le conseguenze, insieme al nostro carissimo amichetto!” mi disse lei, spingendomi sempre di più sul materasso lurido e dall’odore nauseabondo. Si distese sopra di me facendo pressione sul bacino e potei sentire in modo piuttosto sconcertante il suo … membro. Ero disgustata da ciò che inevitabilmente mi avrebbe fatto.
“ E ora preparati … puttana.” Liberò la stretta dai polsi, ma in compenso mi afferrò il busto scarno e iniziò a succhiarmi il collo avido mentre le sue luride unghie graffiarono la mia pelle.
Sentii le vertigini e il sangue non affluire in testa durante i suoi disgustosi succhiotti, e una sensazione di freddo pungente appena lui mi strappò il vestito di dosso, lasciandomi completamente nuda davanti a quegli occhi bramosi di vittoria e umiliazione.
Mi coprii istintivamente con le braccia raggomitolandomi, ma la sua forza prese il sopravvento sulla mia, e mi trovai con le gambe allargate e le braccia sbattute sul letto.
“ Ti odioooooo!! Ti odio schifoso bastardo!!” urlai, mentre lui si tolse i pantaloni e i boxer, mostrando tutta la sua orrenda virilità.
“ E adesso mi odierai tanto.” Disse lui afferrandomi i fianchi e costringendomi a allargare le gambe mentre si distese sopra di me. Cercai di divincolarmi, spingendolo sulle sue larghe spalle, ma potei sentire il momento preciso in cui entrò in me e il dolore immenso che ne seguii. Urlai straziata da quel dolore, mentre la sua risata soddisfatta mi fece imbestialire. Le lacrime scesero dagli occhi come niente, mentre lui rideva, brutto bastardo.
“ Soffri  ebrea … soffri come non hai mai fatto!” affondò, e urlai dal dolore. Fu terribile, per tutto il tempo in cui lui fu dentro di me potei sentirmi violata, maltrattata e … senza speranza.
Il dolore alla fine fu immenso, svenni in preda al pianto disperato. Perché dovevo subire tali angherie?
 
Mio padre mi chiamò nel tardo pomeriggio, con voce autoritaria. Io rimasi un po’ sorpreso da quella chiamata, ma andai lo stesso nel suo ufficio. Bussai, e sentii il suo “ Avanti.”
Entrai piano, richiudendo accuratamente la porta alle mie spalle.
“ Padre ..” feci, a malavoglia, il saluto Nazista davanti al tenente colonnello:” eccomi qui.”
“ Siediti.” Mi disse lui con tono secco e autoritario. Presi posto sulla poltroncina davanti alla scrivania di mio padre, nel suo piccolo ma ordinato ufficio, illuminato da una finestra ornata di tende porpora che dava sul cortile.
“ Dovrei parlarti di una cosa importante …” dicendo questo si alzò dalla sua sedia e iniziò come a girare intorno alla scrivania di mogano, mentre io seguii con gli occhi i suoi movimenti:” Tu hai sedici anni ormai …”
“ Si padre …”
“ Benissimo … alla tua età di solito non è molto concesso, ma visto che hai me come padre … vorrei che tu ti arruolassi.”
Il mio respiro fu come bloccato a quell’affermazione. Arruolarmi? Se aveva voglia di farmi spaventare, ci stava riuscendo alla grande.
“ Come padre?”
“ arruolarti …  verrai temprato per la guerra, e potrai aiutare la tua patria natia per portare la pace dappertutto.” Mi disse lui con fare quasi persuasivo. Odiavo ogni volta che voleva convincermi che quello che lui proponeva era giusto.
“ ma non sono troppo giovane?”
“ No, hai l’età giusta è un fisico adatto alla guerra … qualsiasi ruolo ti spetterà, sono sicuro che saprai compierlo a dovere.”
No, non avevo voglia di andare a uccidere gente, o  di scortare povera gente .. se voleva tentarmi, sbagliava persona.
“ E se mi ribellassi?” gli dissi con tono provocatorio:” in fondo … non sono come te.”
Potei sentire, dopo quella esclamazione, la sua presa alla mia spalla:” Se non vuoi farlo per me … fallo per chi tu sai.”
Quella sua provocazione mi fece venire i brividi lungo la schiena, la mia bocca si contrasse in una smorfia di disgusto e inarcai il sopracciglio voltandomi di scatto: “ Non osare toccarla.”
“ sei stato tu a iniziare mio caro … è ora che tu rimuova il suo ricordo dalla tua bacata testolina. Un bel po’ d’aria fresca ti farà bene.”
“ Non puoi costringermi!” mi alzai di scatto dalla sedia, per poterlo guardare negli occhi e sfidarlo psicologicamente: “ Non osare torcerle un capello … lei non ha fatto niente.”
“ è un nemico, andrà punito per questo.” Mi disse lui, freddo:” e tu .. non riesco a capire come fai a sopportarli!”
Non frenai l’urlo di rabbia che avevo represso in gola fino a quel punto:” è un essere umano! Non un nemico, non un mostro … un essere umano! E tu sei solo una marionetta, un conformista, uno che va dietro a un uomo che vuole il potere per sé ( Chiaro riferimento a Hitler)!”
“ non osare parlare così a tuo padre!” potei ricevere uno schiaffo dritto in faccia, secco e veloce:” Sappi che lei per colpa della tua stoltezza morirà … lo hai voluto tu! Tra due giorni partirai … prepara i bagagli, o te li faccio preparare io a suon di calci!” Mi sbraitò contro, mentre io mi accarezzai la guancia dolorante.
Lo guardai con occhi odiosi, e mi diressi verso la porta aprendo violentemente la maniglia, esercitando su di essa tutta la rabbia che avrei voluto scagliare su mio padre.
“ Stronzo …” sibilai, prima di sbattere la porta alle mie spalle. Non piansi nemmeno, ero sin troppo furioso per farlo. Mi limitai a andare al piano di sopra, trovandoci Elly che in qualche modo stava appostata sulla scala come se volesse cogliere qualcosa.
“ Hai sentito?”
“ Si.” Disse lei secca, guardandomi né freddamente né con compassione.
“ Bene … “ le sussurrai, prima di dirigermi verso la mia stanza. Potei però sentire la sua voce, prima che io potessi varcare la soglia della stanza:” Fratello … non morire.”
“ Non mi importa … piuttosto ..” le dissi voltandomi:” cerca di non far morire lei. È l’ultima cosa che ti chiedo.”
Vidi come un accenno del suo capo, e poi sparii in camera mia.
Ora l’unica cosa che volevo era di poterla vedere, un’ultima volta prima di poterla solo sognare sdraiato su una dura branda, mentre fuori sarebbe scoppiato il finimondo. 

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Capitolo 16
 
Notte fonda, la luna dalla finestra della cucina, della solita cucina risplendeva di luce argentea e illuminava il mio pallido viso, davanti a quel pietoso spettacolo: Deborah che non riusciva a trattenere i conati e rigurgitava gemendo dentro un secchio logoro, e si puliva poi la bocca con il braccio. Potevo intravedere i lividi lungo le gambe, ancora freschi e addirittura sanguinolenti, il suo viso letteralmente scavato dalla fame e dal dolore.
Ogni volta che rigurgitava, cercavo di darle conforto massaggiandole la schiena e accarezzandole la fronte per reggerla.
“ è tutta colpa mia … è tutta colpa mia …” continuavo a ripetermi. Se avessi avuto più attenzione prima, se solo nessuno si fosse accorto di ogni cosa, a quest’ora lei non sarebbe così, non vomiterebbe, non sanguinerebbe come in  preda a quei giorni, non piangerebbe lacrime amare.
“ Max, non dire assurdità … non era destino …” mi diceva lei per consolarmi, ma restando un po’ distante da me. Continuava a toccarsi il ventre.
“ Mi chiedo come farai … non posso tollerare che ti debbano ….” Non riuscivo mai a finire la frasi, tanto ero triste per la mia piccola Deborah.
“ Gassare? Non era destino … ma tu dovrai soffrire più di me … verrai mandato a combattere.” Mi disse lei tenendomi la mano:” E tu che odi farlo.”
“Mi ci dovrò solo abituare … penso … ma non potrò mai abituarmi a ….” Strinsi la sua mano così forte che mi pulsarono le vene delle mani.
“ per me c’è la condizione, se davvero Xavier mi ha ingravidata, dovrò decidere se abortire o morire. E so già cosa scegliere …”
“ Deborah … sarebbe il figlio di un mostro ..”
“ è pur sempre mio figlio … è una creatura, non posso ucciderla per puro egoismo … preferisco seguirlo nell’aldilà piuttosto che lasciarlo morire.”
“ Non voglio che tu muoia …” le dissi io avvicinandomi di più a lei.
“ è destino … e potrai raggiungermi se vorrai … ma non farlo apposta. Muori con onore, senza vigliaccheria, se proprio vorrai starmi accanto.”
Non riuscivo a spiccicar parola, in pratica era lei a mandare avanti quel discorso che mi faceva male al cuore come una lama conficcata a morte.
“ Ho i controlli stamattina presto,  e se davvero sono incinta …” disse lei flebile:” beh, questo sarà un addio, credo …”
“ Già … che ingiustizia … gli vorrei torcere il collo!”
“ Non farti prendere dall’ira, tu sei migliore di lui …” mi disse accarezzandomi la guancia:” Max, tuo padre è stato soggiogato dal suo odio verso noi Ebrei, e dall’odio di Xavier per noi due. Non ha colpa diretta per le cose che ti ha costretto a fare.”
“ Vorrei scappare.” Avevo già preso considerazione di quest’idea, mentre ero in camera mia ad aspettare che lei tornasse per darle la pessima notizia, e quando fosse tornata, sapere lei già era al corrente di tutto, che Xavier l’aveva violata e, probabilmente messa incinta. Che quindi sarebbe morta, come io a breve nel campo di battaglia. Volevo scappare, con lei possibilmente, ma non potevo farlo, non ne avevo i mezzi, era solo un qualcosa dettato dal mio istinto di uccello in gabbia che non desidera altro che scappare dalla sua prigionia.
Io, mandato nell’esercito. Lei, incinta e costretta a morire. Poteva essere peggio di così il mondo?
“ Non farlo, sii coraggioso e affronta la realtà.” Mi disse lei dolcemente. La guardai negli occhi e vidi nel riflesso dei suoi occhi color onice un barlume di vita, una strana luce che solo nei suoi occhi stanchi poteva manifestarsi in quella brutta situazione.
“ Sei incredibile …” le dissi io:” tieni il sorriso in un momento del genere …”
“ Bisogna sempre sorridere, mostrare il sorriso al nemico anche se si vorrebbe piangere … Max, sorridi, fammi vedere quello splendido sorriso che solo tu possiedi.”
Accennai un lieve sorriso davanti a lei, anche se molto sforzato, e le si illuminarono gli occhi.
“ Bravo, così … e adesso chiudi gli occhi.” Mi sussurrò flebilmente, accostandosi di più a me. Il cuore iniziò a battermi forte in petto, e chiusi piano gli occhi cercando di non far trapelare le lacrime che volevano a tutti i costi uscire per sfogarsi.
E mentre nei miei occhi c’era il buio più completo, sulle mie labbra una sensazione caldissima si manifesto. Era lieve, accennata, ma calda e piacevole. Sentii la stretta di Deborah alla mia mano.
Socchiusi leggermente le labbra per far combaciare il bacio più dolce che avessi mai ricevuto nella mia vita, più dolce degli schiocchi alla guancia di mia nonna quando ero piccolo e ingenuo.
Potei sentire una sensazione un po’ secca, come di labbra screpolate, ma caldissima lo stesso. Rimasi così, unito a lei solo da quel contatto. Mi distaccai lievemente.
“ Ti amo.” Mi disse lei a un soffio dalle mia labbra. Mi limitai ad annuire affascinato e lei poggiò la sue testa alla mia spalla:” Come ti è sembrato?”
“ Caldo, come te …” le risposi, accarezzandole dolcemente i capelli e immergendo la testa in quella chioma corvina. Sentii la sua risatina e poi si scostò: “ Sarà meglio che tu vada nella tua stanza adesso.”
 Abbassai gli occhi riluttante, e annuii, ma prima le alzai il mento con un dito: “ Buonanotte .. forse sarà l’ultima volta che te la potrò dare.” E la baciai di mia spontanea volontà. Lei dischiuse le labbra immergendo le sue dita tra i miei capelli, potevo sentire il tocco dei polpastrelli che accarezzavano la cute. Le sorressi la schiena con le mie braccia, avvolgendola tutta per non lasciarla scappare. Non volevo davvero lasciare andare quel magnifico angelo maledetto.
“ Buonanotte.” Mi sussurrò lei dopo che mi staccai dal suo tocco. Mi alzai, la guardai prima di varcare la soglia della cucina e poi salii lentamente le scale, imbucandomi in camera mia silenzioso e svelto.
Ma non volevo che quei baci fossero i primi e gli ultimi che ci saremmo dati nella vita. Dovevo fare in modo che lei vivesse, che suo figlio vivesse. E a chi potevo chiedere se non a lei? Mi aveva annuito quando le avevo chiesto di non far morire Deborah, era ora che compiesse il patto stipulato in segreto il giorno prima, solo ed esclusivamente con quel gioco di sguardi.
Mi avvicinai alla scrivania, e presi un foglio di carta e la penna stilografica che mi aveva regalato mia madre. Mi misi a scrivere, sotto la lucina di una candela che avevo acceso per l’occasione. Rilessi e poi piegai il foglietto. Perfetto.
 Uscii dalla mia stanza e andai alla porta della camera di mia sorella e feci passare il foglietto sotto la porta.
E Sperando che lei recepisse al più presto il mio SOS, mi rintanai in camera. Potei sentire prima di chiudere la porta il cigolio di un’altra che si apriva. 

Per il bacio mi sono ispirata alla scena di Toradora, dove Taiga dice a Ryuji che il bacio era come un deserto secco, ma caldo ... Ryuji aveva le labbra screpolate, poverino xD
Ma la scena è bellissima *---*

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Capitolo 17
 
Dormii davvero poco, i dolori al ventre erano insopportabili e i conati bruciavano la mia gola. Ma ciò che mi premeva non era tanto il dover ammettere che sarei morta a breve, ma il fatto che avrei dovuto lasciarlo per sempre. Quel bacio che gli avevo timidamente schioccato sulle sue morbide labbra che contrastavano con le mie secche era stato un momento di liberazione da tutto ciò che in quei pochi giorni lui era riuscito a farmi fermentare nel cuore. Ma ormai tutto sarebbe andato a farsi friggere … io morta avrei raggiunto mia madre in cielo, lui avrebbe visto sangue e avrebbe desiderato seguirmi solo per non dover soffrire più.
Sperando con tutto il cuore che non morisse solo perché volesse starmi vicino, cercai di dormire, anche se da come ho già detto il sonno non venne.
Volevo risalutarlo prima del controllo, volevo di nuovo perdermi in quelle due gemme smeraldine che lui possedeva, in quel sorriso dolce e rassicurante. Ma sapevo dentro di me che non avrei mai potuto realizzare quel mio ultimo desiderio.
Venne così l’alba,  e le mie orecchie sin troppo sensibili in quei giorni, poterono udire dei passi provenienti da fuori. Poi qualcuno bussò lievemente, io non mi mossi dalla mia postazione accucciata in cucina. Potei però sentire i passi felpati della signora Schubert, che doveva essersi svegliata improvvisamente, che andava ad aprire la porta per accogliere l’ospite.
Chi poteva essere se non quel disgraziato di Xavier? Lui salutò la signora, che con la coda dell’occhio potei vedere in accappatoio di seta e pantofole.
“ Salve … mi servirebbe la numero 15674.” Disse lui con voce più fredda del solito.
Potei intravedere la signora avvicinarsi a me e sentii il suo lieve tocco sulla spalla:” 15674, alzati.” Mi disse in un orecchio, con fare quasi gentile. Io aprii gli occhi e finsi di essermi svegliata in quel momento, ma mi alzai subito e andai verso Xavier, che “gentilmente” mi afferrò per il braccio.
“ La ringrazio signora.” Fece lui spingendomi fuori.
Con la coda dell’occhio potei notare nello sguardo della donna un qualcosa simile a un sentimento di pietà. Pietà? Lei? La moglie di uno dei capi dell’esercito più temuti dagli Ebrei in circolazione? Proprio lei, la madre del mio … Max?
Vidi quasi chiaramente che sembrava triste che io fossi nelle mani del francese. E dire che nelle poche volte che l’avevo vista non aveva mai occhi così interessati a me, se ne stava sempre per le sue, anche quando il marito le parlava del lavoro, di come odiasse i prigionieri del campo. Notavo  quando facevo il mio lavoro in casa, come lei non desse attenzione a niente, né al marito ma neanche alla mia condizione. Come se non stesse da nessuna parte … o forse lo faceva solo per non mostrare a nessuno qual’era la sua vera opinione?
Ritenni strano quello scambio di sguardi e ci pensai anche mentre mi dirigevo alla vettura che mi avrebbe scortato verso il campo per le analisi.
La tristezza venne e il dubbio le lasciò il posto, e presa da ciò, diedi un’occhiata alla finestra del piano di sopra, dove sapevo che fosse la stanza di Max. Con mio enorme sollievo, vidi le sue gemme squadrarmi, in uno sguardo quasi malinconico. Trattenni le lacrime e ricambiai, mentre lo vidi posare una mano sul vetro della finestra. Sulle sue labbra potei leggere chiaramente :” Ti amo.”
Non riuscivo a capacitarmi ancora di doverlo lasciare per sempre. Quel gesto mi mosse qualcosa dentro, e con un sussurro gli dissi “ Ti amo anch’io.” Ponendo le mie mani sulle mia labbra, come per potergli spedire l’ultimo bacio. Lui annuii e non si scostò fino a che non mi vide entrare nella macchina.
Il grigiore dei sedili mi fece venire un groppo allo stomaco, e finalmente le lacrime scesero dai miei occhi. Sentii il motore dell’auto rombare, mentre soffocava con il suo orribile suono quello dei miei flebili singhiozzi.
 
Max, Max, Max ... perché sei così ingenuo? Fratellino, non ti capirò mai … avrei voluto rispondergli proprio così, a quel cocciuto, dopo aver ricevuto quel suo biglietto nel cuore della notte. Fortuna sua che le mie orecchie avevano sentito la carta strisciare sotto la porta della mia stanza!
Vidi quel pezzo di carta sul pavimento, e lo raccolsi. Ne dedussi subito il mittente, e potei svelare i miei sospetti quando dallo spiraglio della stanza potei vedere la sua porta chiudersi con un cigolio appena udibile.
Mi sedetti sul materasso e aprii il bigliettino:” Elly, so che forse ti chiedo troppo, ma ti prego di voler esaudire un mio ultimo desiderio prima che io lasci questa casa per un bel po’. Fai in modo che lei non muoia. Inventati di tutto, ma fa in modo che Dio non se la prenda con sé, che io possa rivederla un giorno o l’altro.
Ti prego, con qualsiasi mezzo.
Max.”
La scrittura era chiara e leggibile, tipica di mio fratello. Adoravo la sua calligrafia ordinata. Rilessi più e più volte quelle frasi cariche di sentimento, e sospirai. Come fare a resistere a tali suppliche?
Misi il biglietto sul tavolo, e inspiegabilmente, spinta da chissà cosa, mi misi a camminare su è giù per la mia cameretta, come per voler formulare qualche piano di fuga.
“ Potrei uccidere Xavier  … no è rischioso … falla scappare! … si, ma come? Oddio sono a corto di idee …” rimuginavo mille e mille idee, ma nessuna mi sembrava adatta In fondo, quando ti capita di dover salvare un’ebrea da morte certa? Sempre che la morte non prenda anche te!
Ero sicura che qualsiasi cosa avessi formulato, non sarebbe andata bene … mi serviva per forza l’aiuto di qualcuno. Max? Era lui quello in difficoltà … i miei genitori? Ehm … papà no di certo … mamma … con lei sarebbe stato un forse.
In effetti, pensai che se avessi chiesto aiuto a mia madre, avrei ricevuto risposte varie: o lei avrebbe avuto paura e mi avrebbe negato il suo aiuto, o mi avrebbe appoggiato in qualche modo. Ma sapevo che la seconda opzione era molto più incerta della prima. Sapevo che non poteva mai contraddire nostro padre, chi lo faceva  era come un nemico, e i nemici vanno abbattuti. Anche se le donne di solito venivano lasciate perdere … quindi se avesse deciso di aiutarmi, magari avrei potuto avere il suo aiuto.
Immersa in questi pensieri, non riuscii a cogliere il rumore della porta di camera mia che si apriva. Sobbalzai quando vidi che chi entrava era proprio la persona che cercavo, mamma. Doveva essersi svegliata a causa dei miei passi.
“ Roberta … non riesci a prendere sonno?” mi chiese con voce assonnata. Teneva il suo accappatoio di seta azzurra stretto e trascinava i piedi, chiaro segno che si era svegliata poco prima.
“ Scusa, madre … torno subito a letto .. ma prima, posso chiederti un favore?” non sapevo cosa mi fosse preso, ma stavo quasi per dirle ogni cosa. Afferrai il biglietto di Max e glielo porsi:” Tu che cosa faresti al mio posto?”
Lei prese il bigliettino dubbiosa e lo aprì. E potei leggere nei suoi occhi il turbamento più profondo:” Ma è impazzito …”
“ D’amore .. ma ho promesso di aiutarlo … ti prego , non abbandonarmi, sei l’unica su cui posso contare.”
Lei mi guardò con aria quasi disperata:” sapete in cosa vi state cacciando?”
“ Si … ma lui non vuole demordere …”
“ capisco … è cocciuto come suo nonno …” fece lei sedendosi sul letto. Si passò una mano tra i capelli:” C’è un unico modo per poterla salvare. “
“ Quindi mi aiuterai?” nella mia voce suonò la speranza.
“Non posso tirarmi indietro … ascoltami, Roberta, e fa quello che ti dico …” mi sedetti accanto a lei  e ascoltai il suo piano di fuga. Non trovai altro nella mia mente di più efficace e effimero.
Bastava solo avere pazienza. 

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Capitolo 18
 
Chissà come, forse era stata la mia mente a svegliarmi. O forse la consapevolezza di non poterla mai più rivedere. Fatto sta che mi svegliai all’alba, e istintivamente corsi alla finestra, quasi inciampando dalla fretta. Come pensavo; lei era lì, vicino alla portiera della macchina, e guardava verso di me, con quei suoi occhi sconsolati e tristi.
Non potevo credere che davvero il bacio di quella notte sarebbe stato l’ultimo; mi venivano quasi le lacrime, ma dovevo resistere. Per darle coraggio anche da quella distanza, per non darle l’impressione che io non potessi vivere senza di lei. Infatti, non immaginavo un futuro dove la sua presenza manca, mi mancava davvero, anche se in quel momento la potevo vedere prima dell’ultimo viaggio.
Poggiai un mano sul vetro, forse in cerca di qualche ultimo contatto con lei, con la sua presenza, ma sentivo solo quel freddo glaciale del vetro, una superficie liscia e senz’anima, nessun calore che potesse ristorarmi il cuore. Mi venne un groppo alla gola guardandola. Quanto la amavo.
L’unica cosa che riuscii a dirle fu un “Ti amo” labiale, senza parole, perché a volte le parole non bastano a dire ciò che il cuore vuole che si dica alla persona amata. C’era il nostro scambio di sguardi, malinconici, e quel labiale che lei ricambiò poco dopo. Aveva capito, lo sapevo benissimo.
La vidi poi sparire dentro la macchina, sentii il rumore attutito dai vetri del motore che si accendeva, e il suo viso, che si voltava verso di me, come se non volesse staccare il contatto. La macchina attraversò il cancello, sparendo con lei.
Ormai era lontana. Forse lo sarebbe stato per sempre. Rimasi impalato davanti al vetro a osservare la luce del sole che sorgeva appena dai monti lontani, e mi venne un groppo alla gola. Non so poi cosa successe dopo che mi gettai sul letto, soffocando le grida e i pugni di rabbia e sfogandomi sul mio letto, che apparentemente non aveva nessuna colpa.
Caddi esausto dopo nemmeno venti minuti, e mi risvegliai solo più tardi. Mi  stropicciai gli occhi, constatai di aver pianto, potevo sentire le lacrime secche e quel sapore salato sulla punta della lingua.
Non scesi a colazione, ma mi misi a fare le valigie per il campo di addestramento.
Di solito ero un tipo calmo quando si trattava di fare qualcosa, ma in quella circostanza niente poteva darmi sollievo, nemmeno prendere a pugni uno stupido materasso: gettai i miei abiti dentro la borsa verde che mi aveva dato mio padre come se fossero stracci, buttai all’aria mezza stanza senza curarmi di che cosa stessi davvero mettendo dentro.
Sarei partito l’indomani, avrei visto il filo di fumo della ciminiera, e per mia sfortuna, avrei percepito nell’aria il suo profumo misto a polvere e odore di bruciato e di morte. Che tristezza immensa. Avrei visto morire gente da ogni parte, sapevo a malapena contro chi stessimo combattendo. E se non mi fosse toccato di andare al fronte a combattere, avrei scortato gente nei campi di lavoro, li avrei visti morire di fatica mentre dentro di me avrei voluto aiutarli. O nelle città, gente che veniva giustiziata, le mattanze che tanto ho evitato per non cadere in depressione. Quel senso disgustoso che mi attanagliava ogni volta che sentivo parlare a mio padre di persone che venivano fucilate alla testa perché avevano disobbedito alla legge, lo sentivo chiaramente, mi faceva passare la fame, perché mio padre aveva la deliziosa idea di descrivere queste orrende situazioni all’ora di pranzo.
Tutto ciò mi diede il voltastomaco mentre il mio sacco da viaggio era piuttosto colmo di abiti che forse non avrei mai messo in guerra. Mi ripresi un attimo e distesi i nervi, cominciando a sistemare bene le cose dentro.
 
Che sguardo di odio, ma in fondo la colpa era sua che lo aveva fatto senza scrupoli. Il controllo ebbe l’esito che tanto temevo; positivo. Una vita germinava in me a ritmo lento e costante. E gli occhi di Xavier che mi squadrava mentre mi rivestivo pudica non promettevano niente di buono.
“ Sporca Hundin …” sibilò, mentre mi mollò uno schiaffo, sotto gli occhi attoniti dei dottori, che per mia sfortuna non potevano intervenire in alcun modo. Mi aveva sempre guardato in quel modo, per tutto il tempo in cui avevo camminato fino alla logora capanna medica per quel miserabile controllo.
Lo schiaffo fu talmente potente che caddi a terra, già esausta dal doloroso controllo di poco fa. Sbattei il gomito  e quello sin troppo fragile, si scorticò sanguinando. Mi rialzai con fatica, guardando con odio quel brutto ceffo e ponendo una mano sul gomito sanguinante, che un medico mi curò con una piccola fasciatura.
“ Spero tu non abbia intenzione di tenerlo …” continuò a sibilare, sedendosi su una delle poche sedie di quel posto.
“ Mi dispiace per te, ma mi trascinerai all’inferno insieme alla creatura …”
“ Dunque sei pronta a morire?”  replicò lui con faccia quasi divertita e insieme estremamente soddisfatta del mio suicidio.
“ Si … anche se è figlio di un bastardo …” gli dissi io con odio in corpo. Osservai di sfuggita i dottori, che avevano gli occhi più grandi di prima dallo stupore.
“ certo ..” lui nel mentre si alzò, e con estrema velocità mi fu davanti. E mi accorsi solo dalla terribile fitta allo stomaco del pugno che mi sferrò dritto alla bocca dello stomaco:” ma più bastardo di te non potrei mai essere … ora, portatela dove sapete!” ordinò a due guardie, che mi afferrarono per le braccia portandomi fuori. Non volli nemmeno piangere, non ne valeva la pena.
Mi parve strano che per tutto quel tempo l’autista  mi avesse guardata, e che adesso stesse andando di fretta alla sua automobile. Ma non me ne curai più di tanto, tanto tra meno di venti minuti sarei stata cenere. Non volevo nemmeno facilitare la cosa ai soldati, potevo sentire la sabbia graffiarmi i polpastrelli delle dita dei piedi mentre venivano trascinati con violenza dalla forza bruta di quelle due guardie.
Giungemmo alla zona del forno crematorio, potevo vedere la  fila delle persone che a breve sarebbero state con me un insieme di cenere e morte.
Ma il destino, chissà come,  volle che la mia vita durasse un po’ di più. Una delle guardie si avvicinò a noi: “ Dovrete aspettare il turno di stanotte.”
“ Come?” una delle guardie che mi teneva rimase stupito.
“ Lo so, è strano, ma non c’è posto …”
“ ma è solo una ragazzina!”
“ Gli ordini sono chiari, niente altri prigionieri … portatela nella capanna, tanto le toccherà stanotte.”concluse quella freddamente per tutto il dialogo.
Io  ero a dir poco confusa, ma in fondo fui sollevata. Almeno non sarei morta subito. Che la speranza mi stesse aiutando in qualche modo? 

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Abbiamo appena superato le 50 recensioni! Grazie di cuore a tutti quelli che hanno recensito e messo la storia tra le preferite, le ricordate o le seguite!
Remedios la Bella

Capitolo 19

 
Andata. Sentivo il motore della macchina che rombava sempre più lontano dalle mie due orecchie.  Seduta ancora sul letto, dovevo solo sperare che il piano di mia madre funzionasse.
 
Flashback.
“ Mamma, sei sicura di ciò che fai?” le chiesi, mentre eravamo sedute sul letto, e le ore passavano interminabili.
“ Si, tesoro … Mark è un tipo di fiducia, e come Max, tollera gli Ebrei. Penso che la sua astuzia ci potrà giovare per la seconda parte del piano.”
“ Come hai fatto a contattarlo così velocemente?” ero un po’ dubbiosa sul successo di questo piano sin troppo complicato secondo me.
Mia madre si volse verso di me, guardandomi di sottecchi:” Si chiama Comunicazione”! In breve, sono entrata nell’ufficio di tuo padre, e ho chiamato Mark con il telefono.”
“ per quanto io ne sappia, non abbiamo telefoni in casa!”
“ Quello per le missioni, che alcuni soldati si issano sulle spalle per poter comunicare con le varie sezioni dell’esercito … tuo padre ne ha uno nel suo ufficio, e ne ho approfittato per chiamarlo.”
“ Oh ..” Non uscì altro dalla mia bocca per un bel po’. Ero sorpreso dall’incredibile lucidità mentale di mia madre in certe situazioni.
“ Sei sorpresa Roberta?”
“ Decisamente … come gli hai detto di fare?”
“ Gli ho chiesto di allungare la condanna di 15674, e il resto lo ha pensato lui. Non so che espediente abbia usato, ma non è stupido, quindi possiamo fidarci e stare tranquille. Lui saprà che cosa fare.” Mi disse lei calma. Poi si alzò dal letto e mi diede un bacio sulla fronte:” Ti sveglio appena torna Mark.”
“ D’accordo … e … grazie.”
“ Di niente … tutto per i miei figli … ma non dirlo a tuo padre!”
“ Muta come un pesce!” mi misi un dito sulla labbra come in segno di silenzio e mi misi di nuovo sotto le coperte.
Non sapevo se sarebbe andato tutto bene, ma quella velocità di mia madre di formulare piani mi mise calma e il mio cuore batteva più ritmicamente di prima, preso di  meno dall’adrenalina causata dalla mia ansia.
 
Fine Flashback
Qualcuno mi scrollò pochi minuti dopo. Mi ero riaddormentata dopo aver sentito il motore della macchina. Aprii lentamente gli occhi e constatai che era mia madre.
“ Roberta, Mark è tornato.” Mi sussurrò piano all’orecchio.
Io mi alzai lentamente e misi l’accappatoio di seta rosa appeso dietro la porta. Poi io e mia madre scendemmo in punta di piedi di sotto, poiché mio padre dormiva ancora. Il suo turno quel giorno sarebbe iniziato a mattinata inoltrata.
Lentamente mia madre aprì il portone di casa e tutte e due andammo incontro a un uomo alto e biondo, dagli occhi blu oltremare e dal portamento fiero ma agile.
“ Salve, Elena.” Salutò lui inchinandosi a mia madre.
“ Mark … allora come è andata?” gli chiese mia madre, con viso teso. Lui si mise le mani in tasca e ne estrasse delle banconote che iniziò a far frusciare sulla sua mano.
“ Nessuno resiste a questi … avete tempo fino a stasera per salvarla.” Sentenziò lui con fare serio:” Ho visto tutto, la ragazza è gravida e volevano portarla subito al forno. Sono riuscito ad agire prima del tempo e a darle tempo. Ora tocca a voi due.”
“ Non sappiamo proprio come ringraziarti.” Mia madre era felice, e lo ero anch’io, visto che 15674 era viva.
Anche se il suo tempo stava per scadere.
“ Niente, è stato un piacere … ah! Un ultimo consiglio; non accedete dall’ingresso principale. La capanna dei condannati si trova a Ovest della ciminiera. Lì vicino potete scorgere una fenditura nella rete che non hanno ancora aggiustato. Passate da lì e poi fate quello che sapete. Intanto io vi aspetterò poco fuori da lì per portarvi in un posto utile alla ragazza.” Concluse Mark, risedendosi sul sedile e mettendo in moto la vettura.
“ D’accordo e grazie infinite.” Gli dissi io dopo essere stata in silenzio per tutto quel tempo.
Lui mi salutò con un cenno del capo e poi ripartì. Non entrammo in casa fino a che non sentimmo il motore della macchina allontanarsi sempre di più dal nostro udito.
Rientrate in casa, sgattaiolammo ognuna nella sua stanza.
E stasera la seconda parte del piano si sarebbe potuta svolgere. 15674, aspettaci.
 
Bagagli pronti, sarei potuto partire anche in quel preciso istante, ma più si avvicinava il momento più la voglia di piantare tutto e andare a salvarla mi attanagliava lo stomaco. Speravo con tutto il cuore che Elly avesse deciso qualcosa, che in qualche modo avesse agito a mio favore. Era ancora troppo presto per svegliarsi, cosi rimasi steso sul letto a guardare il soffitto.
In guerra cosa ti aspetta? Compagni che ti muoiono davanti agli occhi, sangue, macerie, tutte cose lontane da ciò che avevo sinora visto in vita mia. Tranne il giorno dell’omicidio di quell’uomo, a sei anni … Strano che un episodio del genere mi avesse spinto alla conversione.
Ma forse non era l’uomo in sé morto a avermi fatto paura, Era stato come quel soldato lo avesse detto :” è un Ebreo.”
Raggelante e senza pietà, ecco come mi era sembrato. Mi vennero i brividi solo a ripensare alla sua voce che ormai si era archiviata dentro di me più forte di prima.
“ Deborah … ti prego Signore salvala.” Pregai a occhi chiusi, steso sul letto, forse per ora era l’unica cosa che potessi fare per lei. A quest’ora poteva essere già morta … sentivo l’odore di morte provenire dalla finestra aperta, ma non percepivo che tra quella cenere ci fosse lei. O forse i miei sensi erano tanto assopiti. O il naso si chiudeva da solo per non ammetterlo a se stesso.
Insomma, neanche il mio corpo voleva ammettere che forse lei non lo avrebbe più toccato e sentito.
Sentii improvvisamente qualcosa strisciare e mi ridestai di colpo. Un foglio sotto la porta. Stranamente dentro di me si riaccese qualcosa come la speranza. Un resoconto di Elly? Chissà! Fatto sta che scesi dal letto e afferrai in fretta la busta.
“ Fratello, non voglio darti false speranze sul successo o no della mia missione, ma farò tutto ciò che ho in mio possesso per mantenere la parola.
Pazienta.
Elly.”

Rilessi più e più volte il biglietto sorridendo. Mi stava aiutando come io le avevo chiesto, e questo le deva onore e rispetto da parte mia.
Poggiai il biglietto sul tavolino e mi distesi. 

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


Bene, ho un annuncio da fare: il 3 di settembre partirò per circa una settimana al mare quindi la storia verrà temporaneamente lasciata in sospeso ....
Ma ... visto che io scrivo le cose prima, potrò pubblicare oltre a questo capitlo altri 2, il 21 e il 22, che segnano la fine della prima parte del racconto, dal 23 in poi si racconta della vita di Max in guerra e di quella di Deborah latitante, ma prima, leggete il 20! e in successione pubblicherò anche il 21 e 22! eE con questo ... ci becchiamo il 9! A presto!
Remedios

Capitolo 20

 
Non percepii nemmeno l’arrivo della sera. Le guardie mi avevano messa nella catapecchia dei condannati, una capanna poco distante dal forno crematorio, dove venivano stipate le future vittime del fuoco. Io restai chiusa lì tutto il giorno, stesa su una tavola di letto appesa precariamente alla parete rosa dalle tarme e piena di muffa.
Quell’odore, misto a quello che provocavano le mie nausee continue, mi dava il mal di testa, e mi faceva tenere la testa coperta con le braccia, come se cercassi di riposare.
Ma di riposo la mia mente non ne voleva sentire parlare. Come fare? La maggior parte dei prigionieri rinchiusi con me tossiva in modo anomalo e spasmodico, segno di una terribile tosse, e io di beccarmi un’ulteriore malattia non avevo voglia. Molti di loro giacevano come in stato vegetativo sulle loro brande, alcuni deliravano come presi da crisi varie, forse lì dentro ero l’unica con un pizzico di sanità mentale. Ma sentivo che più stavo lì, più quella lucidità sarebbe sparita prima o poi.
Non parlai con nessuno di loro per tutto il giorno, ero ancora sorpresa per quella mattina. Come mai avevano rinviato in modo così improvviso la mia condanna? Che Xavier avesse qualche altra intenzione? No … impossibile, ormai lui mi aveva completamente rifiutata. Meglio per me, almeno non avrei dovuto più rivedere quella faccia da schiaffi in vita mia. Ma ormai l’ora giungeva veloce, e in cuore mio sentivo che se in qualche modo non avessi di nuovo rivisto la faccia di Max, non me ne sarei potuta andare per sempre con la pace nel cuore.
Solo l’istante dalla finestra, quel “ Ti amo” sussurrato a distanza di dieci metri dai nostri volti, niente di più. Solo un bacio la notte prima, un bacio lieve, casto e senza malizia. Il primo della mia vita, e da quel che mi era sembrato anche il primo della sua vita. Mi cadevano le lacrime dagli occhi solo a pensarci.
Dalla piccola finestrella sentivo le cicale cantare nella notte ormai prossima a venire. L’aria iniziò a raffreddarsi bruscamente e io mi rannicchiai per non morire di freddo. Non avevo coperte, ma una veste leggerissima e che calda non mi teneva di certo.
Mi vennero i brividi così messa e cercai di chiudere gli occhi, prima di dover essere chiamata per il trasporto dei prigionieri al forno.
“ Sarà l’ultima dormita della mia vita …” pensai, mentre lentamente chiusi gli occhi e caddi tra le braccia di Morfeo, forse per la troppa stanchezza, forse per la rassegnazione. Fatto sta che respirai sempre più lentamente, fino a non percepire più il canto delle cicale nel soffio lieve e freddo di quell’ultima notte d’estate.
 
Le lancette dell’orologio segnavano il loro ticchettio lentamente. Le ore che mi separavano dalla mia partenza verso il campo d’addestramento passavano lente e scandite da un misero suono fastidioso e penetrante.
Sedevo sul divano quella sera e leggevo senza attenzione un giornale, mentre notai che Elly guardava insistente l’orologio come se aspettasse qualcosa.
Risuonarono le 20 e 30. Lei si alzò di scatto, e andò via dal salotto, seguita a ruota da mia madre, che in quel momento lasciò il ricamo che stava cucendo e seguì Elly.
Rimasi solo lì dentro, visto che mio padre era già a letto nonostante l’ora per la stanchezza.
Rimasi inquietante da quella situazione surreale, mentre il ticchettio mi penetrava le orecchie insistente.
“ Forse sarà meglio che le segua …” pensai, mentre appoggiai il giornale sul tavolino basso del salotto e mi diressi alla cieca verso la direzione che Elly aveva preso poco prima.
Vidi la sua ombra sbucare dall’angolo dell’ingresso e mi diressi lì senza esitare.
“ Elly?” la chiamai per vedere se lei si fosse accorta di me. Avanzai di pochi passi e riuscii a sorprenderla mentre apriva furtiva la porta principale di casa, con mia madre alle costole.
Ai suoi piedi teneva una borsa da viaggio, e indossava una specie di giubbotto impermeabile, stessa cosa per mia madre, tranne che lei non aveva la borsa da viaggio.
“ Max!” mia madre mi chiamò a sé, e io le arrivai accanto veloce.
“ State andando a ….” Chiesi io frettoloso. Ma Elly mi interruppe:” Si, genio. Ma ti prego, non svegliare papà … ci vorrà la massima cautela in tutto.”
“ Posso venire? Voglio rivederla un’ultima volta.” Chiesi speranzoso. Avevo davvero voglia di rivederla un’ultima volta prima di dovermi separare da lei per un po’ di tempo, sempre se fosse sopravvissuta. Cosa che speravo con tutto il cuore che potesse succedere.
Elly guardò mia madre in segno di consenso o in cerca di una qualche risposta. La donna per tutto responso annuì lentamente:” Si, ma stai attento. Mark ci aspetta.”
Mi trattenni dal saltare dalla gioia per quel permesso che comportava certo i suoi rischi. Aprii lentamente la porta di casa, fuori c’era una macchina ad aspettarci, insieme a un uomo dall’aspetto astuto ma benevolo.
“ Possiamo andare …” fece avvicinandosi. Appena mi vide inarcò il sopracciglio:” Viene anche lui?”
“ Devo rivederla, le dispiace?” gli risposi io titubante.
Lui si limitò ad alzare le spalle:” Beh, gli animi nobili sono sempre ben ripagati. Ora saliamo, dobbiamo fare in fretta. Ah! Sono Mark, piacere.”
“ piacere mio, Max.” gli strinsi la mano un po’ insicuro.
Salii in macchina, Elly sul sedile posteriore insieme a me, la mamma davanti con l’autista.
“ Ragazzi, mettetevi le divise da prigionieri … sono nel bagagliaio.” Ci indicò l’uomo.
Noi ci voltammo verso il bagaglio e ci trovammo le tipiche divise da prigionieri a strisce nere e bianche. Erano più di una, segno di una scorta.
Ne presi una che fosse circa della mia misura e me la infilai non senza fatica, mentre la macchina continuava ad andare per la strada del bosco. La misi sopra la mia camicia, in modo da essere pronto a toglierla appena necessario.
Mentre eseguivo ciò, mia sorella che eseguiva il mio stesso compito mi disse:” Sei disposto a tutto fratellino!”
Io la guardai e sorrisi:” A tutto per lei.” Anche lei sorrise, e poi si mise a guardare fuori dal finestrino.
La luna iniziava a sorgere da dietro le montagne. Una luna sorridente e piena.
Notte propizia per un salvataggio. 

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


Capitolo 21
 
“ Ricordate; i prigionieri verranno portati al forno tra meno di un’ora … avete tempo fino ad allora per portarla fuori, poi si accorgeranno della sua assenza e scatteranno gli allarmi. Quindi dovrete essere fuori e lontani. Capito?” Mark ci riassunse il piano in quattro e quattr’otto, mentre io e Elly annuimmo decisi sotto lo sguardo preoccupato di mia madre.
“ D’accordo … ora muoviamoci.” Dissi, iniziando ad avviarmi seguito da mia sorella.
Acquattati, ci avvicinammo alla fessura della rete che ci aveva indicato Mark prima. Constatammo che era abbastanza grande per farci entrare un ragazzo di media statura insieme a una ragazza lata senza problemi.
“ Vai, prima tu …” Alzai poco poco la rete per permettere il passaggio a mia sorella, che silenziosamente entrò dentro. Fortunatamente per noi, la rete non era munita di sistema di conduttura a scosse. E il contatto non mi procurò ustioni di alcun genere.
Dopo che Elly fu dentro, fu il mio turno. Lei mi sorresse il lembo di rete in alto, mentre io a carponi mi intrufolai dentro con lei. Dopodiché, ci potemmo considerare dentro il campo.
A quell’ora erano accese la alte lampade per illuminare il circondario, insieme ad alcune lampade a petrolio appese alle capanne, pericolosamente a contatto con il legno assai infiammabile di alcune.
“ E ora andiamo …” dissi io guardandomi intorno in cerca del forno crematorio. Lo vidi, lontano una decina di metri, e poco distante potei distinguere la sagoma di una capanna. Per nostra fortuna non era sorvegliata.
“ Max! Lì dentro si trova 15674.” Fece mia sorella avanzando cauta rasente i muri delle varie capanne che ci separavano dalla destinazione.
“ Si chiama Deborah …” piagnucolai. Per tutto questo tempo non aveva ancora afferrato il suo vero nome! Quanto avrei voluto fargliela pagare in qualche modo.
“ Si, si … ora andiamo però …” alzò gli occhi al cielo, come scocciata, mentre eravamo sempre più vicini all’obiettivo.
La capanna si ergeva inquietante sotto il cielo puntellato delle prima stelle della sera. La porta era aperta, e si poteva sentire il tossire insistente di qualcuno, misto al russare di qualcun altro.
“ è questa … di solito ci stipano i malati o quelli che non possono più lavorare … o semplicemente, se non si ha più spazio nel campo, ne bruciano.” Spiegò mia sorella, con voce piatta. Io rabbrividii alla sola idea di tutti gli innocenti morti a causa di un piccolo colpo di tosse sfuggito davanti alle guardie. Tutto ciò era deplorevole.
“ Mio dio … presto … “ ero in ansia per la sorte della mia piccola Deborah. Acquattati alla parete, superammo la soglia e l’oscurità si impadronì dei nostri occhi che già strizzavano per la scarsa luce lì dentro.
Tutti dormivano, si potevano sentire i loro respiri pesanti, interrotti a volte da colpi di tosse, e tenevano la schiena voltata a noi, quindi avrebbero visto la parete se avessero aperto gli occhi.
“ Chissà dov’è …” fece mia sorella, che ogni tanto si sporgeva su un prigioniero per poter vedere se fosse Deborah, ma rimanendo delusa da quello che invece trovava.
“ Cerchiamo il suo numero .. o una ragazza con i capelli neri.” Dissi io, che nel mentre guardavo i grembiuli delle persone, per controllare il numero.
“ Cosa ti fa pensare che abbia ancora i capelli? Può darsi che l’abbiano rasata prima di farla venire qui.”
“ Non penso che si possano essere curati di questo particolare … cerca.” Ero fermamente deciso a trovarla, mentre però sembrava che la speranza non mi volesse aiutare. Ormai avevo esplorato la capanna per tutto il suo perimetro, e ancora nessuna sua traccia. Che non fosse lì? No, doveva essere lì, per forza. Non c’erano altre capanne nella zona, quindi  … ma sembrava che tutto mi volesse impedire di volerla trovare.
“ Elly … l’hai trovata?”
“ No … mi dispiace …” sentivo la voce delusa di mia sorella. Poi … qualcosa come un sussurro.
Qualcosa dentro di me si risvegliò, potei sentire un “Max …” sussurrato debolmente.
“ Elly … mi hai chiamato?” chiesi titubante.
“ No … non ho detto niente.” Fece lei dubbiosa.
Lo risentii, stavolta più limpido … “ Max …” e stavolta, non era la voce di mia sorella.
“ Deborah ….” Stavo sognando o era lei che mi chiamava? Cominciai a cercare dappertutto ossessivamente, e i miei sforzi vennero ripagati: una lunga chioma corvina pendeva da poco meno di un  metro dalla mia testa, e prima non me ne ero nemmeno accorta.
Mi sporsi in punta di piedi su quella persona e guardai il suo grembiule: 15674.
“ Finalmente … ti ho trovata!” gioii come non mai a quella scoperta. Era lì sopra di me, su quel ripiano di legno, e ringraziai il cielo così tanto per averla trovata lì dentro che nel vento, mista all’odore di altre persone e a quello del fumo di una ciminiera.
 
Sentii una leggera pressione alla spalla nel bel mezzo del mio sonno. Era un tocco lieve, e non era nuovo. Sapeva di … lui.
“Max?” sussurrai istintivamente, pensando subito a lui. Ma poi riflettei; che non fosse semplicemente la mia mente a volermi giocare un brutto scherzo con quel segnale di nostalgia? Forse ero solo io che mi toccavo la spalla per ricreare il suo tocco. Socchiusi lentamente le palpebre per vedere la posizione delle mie mani e se una di loro stesse toccandomi la spalla.
Ne trovai una sul fianco, una sotto la testa, e che io avessi tre mani era improbabile.
“ No …” pensai, presa un po’ dal panico. Sentii, insieme alla pressione, una leggera scossa e sbarrai gli occhi.
“ Deborah ?” la sua voce. La sua meravigliosa voce.
 Feci per voltarmi lentamente, chiudendo gli occhi per poi riaprirli davanti al mio ormai ovvio interlocutore. Voltatami completamente sul fianco sinistro, li aprii lentamente, e incontrai due occhi verdi, bellissimi, che mi sorridevano speranzosi.
“ Oh mio dio … Max sei qui …” trattenevo a stento le lacrime dalla gioia, mentre mi alzavo sui gomiti per osservarlo meglio.  Sveva una divisa da prigioniero anche lui, e portava il numero 76548 che potevo intravedere nonostante il buio nella stanza.
“ Si … ti porto fuori da qui …”
“ Ma anche tu sei stato catturato?” chiesi istintivamente.
“ Ti spiego più tardi come sono le cose .. ora però andiamo … abbiamo poco tempo …” mi porse la mano come per  farmi scendere dal mio giaciglio.
La presi titubante e con un leggero salto che lui attutì mettendomi le mani sui fianchi scesi a terra, a pochi centimetri da lui e dal suo viso.
“ Quanto ho sperato il tuo arrivo …” ero felicissimo di rivederlo. Mi aggrappai a lui abbracciandolo con tutte le mie forze, lo avvolsi con le mie esili braccia e finalmente sfogai le mie lacrime tanto custodite prima di allora.
“ Sono qui …” mi consolava accarezzandomi i capelli delicatamente. Si scostò un po’ e mi alzò il viso ponendomi un dito sotto il mento:” Andiamo?”
“ Si …” lo guardai intensamente negli occhi prima di lasciarlo andare. Solo allora mi accorsi della presenza di sua sorella.
“ Elly … sono felice di vederti …” le dissi gentile. Lei si limitò a sorridermi in modo piuttosto astioso:” Usciamo di qui, tutti questi malati mi danno leggermente sui nervi.”
“ la solita schizzinosa …” disse Max scherzoso.
La risposta di Elly fu una risata sarcastica alquanto infastidita. Sorrisi divertita, ma poi quel sorriso mi sparì dal volto.
“ Ce la faremo, vero?” chiesi io, mentre uscivamo piano dalla capanna.
“ Conta su di me …” fu l’unica cosa che riuscii a dirmi Max. Lo vidi tirare fuori la testa dalla capanna per perlustrare. Voltò la testa a sinistra e destra e poi ci fece un gesto con la mano come di avanzare.
“ Via libera … presto!” A quel punto mi afferrò il polso e mi ritrovai a correre insieme a lui, seguita da Elly che cercava di non inciampare nel camice.
Continuavo a correre, collegata a lui solo dalla sua stretta al mio braccio, mentre la strada della nostra fuga sembrava spianata e senza ostacoli.
Ma forse, avevo cantato troppo presto.
Un rumore assordante. La sirena d’allarme evasione era scattata d’improvviso.
L’uscita lì, a pochi metri di distanza, e mancava solo qualche passo alla libertà.
Guardai verso Max, che si volse verso di me e sorrise:” Tranquilla, non ci prenderanno comunque …” Aumentai la velocità di corsa, confortata da quelle parole.
Niente doveva andare storto, non con lui, non poteva andare niente per il verso sbagliato con lui. 

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


é parecchio lungo, ma questo capitolo segna  la fine della prima frazione di storia di 15674, da qui in poi si parlerà della vita latitante di Deborah e dell'arruolamento di Max ... poi il loro incontro dopo tanto tempo naturalmente!
Ma per tutto questo dovrete aspettare un pò, parto per il mare e sarò di ritorno solo tra un bel pò, se riesco pubblicherò il 9, ma non è certo!
Quindi, godetevi questa parte come solo voi sapete fare! Au Revoir mes amis!
Remedios




Capitolo 22
 
Assolutamente! Non sarebbero state di certo quattro guardie a impedirmi il suo salvataggio! Quella maledetta sirena era suonata proprio quando tutto sembrava andasse per il meglio, pochi passi ancora e sarei uscito, l’avrei salvata e sarei andato con il cuore in pace in guerra.
Strinsi la presa al suo polso, mentre sentivo i suoi passi accelerati misti ai miei.
Le guardie ci videro mentre per poco non uscivamo da lì e si misero alle nostre calcagna urlando come ossessi.
Io le guardai, avevano un’espressione alquanto intimidatoria, non sarebbero stati certo quei brutti ceffi a fermarmi. Quindi li guardia con aria di sfida continuando a correre:” Deborah …” le dissi:” ti fidi di me?”
“ Come potrei non farlo?” sentii la sicurezza nella sua voce tanto delicata.
“ bene … tieniti, tra un pò saremo fuori … Elly! Scatta in avanti e superami!” urlai a mia sorella, che era dietro di me. Lei mi sentii e con uno scatto felino raggiunse la mia velocità arrivando in fretta alla rete prima di me.
“ Tienila alzata!” Mi piegai in avanti nell’atto della corsa e lo stesso fece Deborah. Non avevamo tempo per fermarci a oltrepassare la rete da fermi, dovevamo farlo in movimento.
Elly alzò subitanea la rete, abbastanza da potermi far passare senza ulteriori piegamenti.
E io ne approfittai. Strinsi ancora di più quel fragile polso, e come il gatto che passa nelle più strette fessure, passai di corsa, seguito da Deborah che per poco non inciampò nella corsa. Elly ci fu subito dietro, facendo un giro scattò fuori e rimise la rete al suo posto.
I soldati erano pericolosamente vicino.
“ Stanno scappando! Presto!” urlò uno di loro mentre alzava di nuovo la rete per uscire a catturarci.
Lasciai la presa di Deborah, mentre correvamo in direzione della boscaglia circostante:” Elly! Prendila con te! Dobbiamo separarci!” urlai, mentre io mi diressi alla mia sinistra. Vidi chiaramente che Elly e Deborah si diressero verso destra.
Non guardai dietro di me per tutto il tempo in cui corsi nel buio del bosco in cerca di seminare quelle macchine da guerra. Ma sentivo chiaramente qualcosa che mi seguiva, così, dopo aver saltato uno dei tanti cespugli di mirtilli che incontrai, volsi lo sguardo indietro. Una guardia piuttosto bassina ma veloce mi stava seguendo, braccando un fucile.
“ Bastardo! Fermati non hai scampo!” mi urlò contro, e per poco non beccai una pallottola sparata da quel miserabile. Piegai la testa in avanti e deviai verso la mia destra, ma quello lì continuava a seguirmi. Un altro sparo, schivato anche quello. Però dovevo far presto a trovare una soluzione.
E quella venne da sé. Mentre continuavo a correre, sentii qualcuno chiamare:” Qui!” voltai la testa verso la fonte del suono, vidi chiaramente una mano chiamarmi verso i rami di un albero non poco lontano da lì.
Mi affrettai a raggiungerlo, deviando alla mia sinistra e per un po’ oscurai il campo visivo della guardia nascondendomi tra quegli alberi. Giunto al tronco, la mano di prima divenne un braccio peloso di uomo, che afferrò il mio saldamente e mi sollevò, portandomi sopra il ramo dell’albero dai rami fittissimi.
Mi sedetti sul ramo grosso dove mi poggiò l’uomo che mi aveva salvato. Era Mark. Ripresi fiato dalla corsa estenuante di prima.
“Grazie .. tempismo perfetto!” dissi, quasi senza fiato. Mi misi una mano sul cuore, batteva a ritmo impazzito. Peggio di quando vidi Deborah la prima volta.
Ma a proposito di lei .. dov’era?
“ Deborah …?” sussurrai  preoccupato a Mark, che guardava di sotto. Lui si mise un dito sul viso in segno di silenzio e indicò giù. La guardia di prima sembrava disorientata e continuava a guardarsi intorno con fare circospetto.
Attesi che se ne andasse avvolto in un silenzio che sapeva di inquietudine vera, mentre quella, rassegnata all’idea di aver fallito, tornò sconfitta indietro.
Tirai un sospiro di sollievo poco dopo e ripetei la mia domanda.
“ è in macchina … al sicuro con Elly e tua madre.” Disse lui rassicurandomi. Tirai un altro sospiro di sollievo:” Andiamo, devo rivederla prima di poter tornare a casa.”
“ Sicuro!” rispose sorridendo. Saltammo giù dal ramo e poi Mark mi fece da giuda nel buio di quel bosco verso la sua macchina.
La raggiungemmo dopo cinque buoni minuti di camminata, e come lui aveva detto dentro stavano Deborah che riprendeva fiato insieme a Elly.
 
Lo vidi arrivare attraverso il finestrino della macchina, accompagnato da Mark. Era una gioia immensa saperlo vivo, gli ultimi istanti li avevo vissuti nella più completa disperazione che gli fosse successo qualcosa.
“ Max!” scesi dalla macchina raggiante e gli andai incontro. Lo vidi fare lo stesso, e quando mi abbracciò mi sollevo in aria, facendo fluttuare i miei capelli neri sotto i raggi splendenti della luna sorta poco prima.
“ Stai bene! Temevo che ti avessero preso!” ero felicissima, e in lacrime per lui. Gli cinsi le spalle ancora più forte di prima, non volevo lasciarlo scappare, proprio come dentro la capanna dei condannati.
Delle calde lacrime che non riuscii a trattenere iniziarono a colare dai miei occhi e dei singhiozzi mi mozzarono il respiro. Piangevo di felicità perché era vivo, e di tristezza perché non lo avrei rivisto per lungo tempo. Dovevo sentire il suo calore un’ultima volta, prima di dovermi separare da lui.
“ Deborah …” mi strinse nel suo caloroso abbraccio con voce tremante, eravamo solo noi due, sotto un cielo di lievi stelle e fra il canto delle cicale che frinivano nascondendo i nostri singhiozzi. I miei più che altro:” non piangere …  SSh …” mi consolava accarezzandomi i capelli e potei sentire uno schiocco sulle fronte delle sue caldi labbra setose.
Mi scostò un pochino, per potermi prendere il viso tra le mani dolcemente. Lo guardai in quegli occhi verdi resi luminosi dalla luce della splendida luna in cielo. Erano bellissimi, lui era bellissimo in tutto.
Appoggiai le mie mani sul suo petto all’altezza del cuore:” Max … io …”
“ SSh … è tutto finito per adesso … sono felice di averti potuto vedere un’ultima volta prima di partire.”
Mi guardò più intensamente, i nostri respiri ormai si fondevano in uno solo capace di sciogliere il ghiaccio di un iceberg.
“ Anch’io … anch’io … ma non voglio perderti di nuovo …” strinsi i lembi della divisa da prigioniero che ancora indossava, distogliendo lo sguardo da lui e bagnando la sua mano con le mie lacrime.
“ Neanch’io … ascoltami …” mi fece alzare il viso, aveva gli occhi lucidi come i miei, ma non piangeva. Si tratteneva dal farlo per non farmi stare male, sicuramente.
“ Ti amo immensamente e voglio solo che tu sia felice … andrai con Elly verso la libertà, aspettami e ti raggiungerò anch’io, presto o tardi lo farò te lo prometto.”
“ So che lo farai sicuramente … Ti amo … e per favore … non morire.”gli sussurrai, a un millimetro dalle sue labbra.
La voglia di baciarle era immensa, la voglia di risentire un’ ultima volta quel calore unico che solo lui mi poteva donare.
Prima di partire, prima di abbandonarlo al suo destino infame,prima di poter solo sognare di poterlo rincontrare  un  giorno.
Prima di tutto.
“ Non lo farò … “ mi rispose, suadentemente. Chiusi gli occhi, mentre i suoi petali di seta si poggiarono sulle mie labbra, e estasiata le dischiusi facendo entrare quel frutto nel mio corpo. Avvolsi le mie braccia attorno a lui accarezzando i suoi capelli neri, mentre le nostre labbra giocavano tra di loro, senza malizia e con puro sentimento di castità.
Sentivo le sue dita contro il mio viso, mentre le sue labbra esploravano le mie in un gioco di carezze piacevole e delicato. Non volevo che quel calore smettesse di ristorarmi il cuore, non volevo ripiombare nella dura realtà di tutto quel mondo di schifo, dove i pregiudizi sottomettono la gente. Volevo essere in mondo tutto mio, io e lui, soli, lì, tra baci e carezze, nell’amore più casto del mondo.
Mi vennero quasi le lacrime appena sentii un gelido vento accarezzarmi le labbra, misto a quello caldo e piacevole del suo respiro:” è stato meraviglioso.”
“ Non quanto te …” gli sussurrai riposando delicatamente le mie labbra serrate sulle sue. Uno schiocco di ringraziamento.
E il nostro attimo dolce venne interrotto dalla voce di Mark:” Dobbiamo andare.” Sospirai triste e mi staccai da Max, che mi stette accanto tenendomi la mano intrecciata dita a dita.
“ Ultimo saluto miei cari … poi le signorine dovranno andare.” Ribatté di nuovo, mentre io nel mentre mi diressi al fianco di Elly, che teneva sulle spalle la sua borsa da viaggio.
La madre andò accanto al figlio e gli posò le mani sulle spalle. Aveva uno sguardo triste e commosso allo stesso tempo, avrei voluto salutarla ma non c’era tempo.
Mark ci fece entrare nella macchina, mentre gridò a Max:” poco distante da qui c’è un mio amico che vi riporterà a casa. Lì …” indicò a sinistra, e Max e la madre annuirono, iniziando ad andare in quella direzione.
Prima di chiudere la portiera che mi avrebbe per sempre separato da lui, gli urlai contro: “Se tu sorridi ad una stella da qualche parte su nel cielo,allora mi basta volgere lo sguardo verso lo stesso cielo per essere felice. “ quella frase mi venne di getto, e sorrisi dopo averla detta. Lui si voltò e fece lo stesso, ripetendo la mia frase.
Sorrise meravigliosamente, come sempre. E non potei fare altro che tornare dopo in macchina, e chiudere la portiera.
Una nuova vita mi attendeva oltre. Facile non sarebbe stato, ma meglio di prima sicuramente si. Bastava pregare. 


La frase che alla fine Deborah pronuncia a Max è tratta dalla opening di Junjou Romantica.
La frase originale è:

"Kimi ga dokka no hoshi ni hohoemi kakeru nara,Sora wo miageru dake de shiawase ni narunda"
Non è bellissima? La trovo stupenda *---*
Beh, e con questo io vi lascio per partire finalmente! Ma vi voglio bene lo stesso! A tutti tutti!
A Prestoooo!!
Remedios la bella, baci, da Arbatax ( meta della mia gita!)

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


Scusate il grandissimo ritardo della pubblicazione, ma tra l'inizio della scuola e tutto sono riuscita a malapena a scrivere questo ( non a caso ci ho messo due giorni D:)
Bene! Godetevi il capitolo!
Remedios la Bella

Capitolo 23

 
Come mi aveva detto Mark, poco distante dal punto in cui avevo salutato Deborah vedemmo una macchina, simile a quella di Mark e ad aspettarci un uomo alto, sulla quarantina, occhi infossati e mascella enorme, ma faccia da brava persona. Non so come, ma riuscii a fidarmi di lui all’istante.
“ Salite pure.” Disse vedendoci arrivare e aprendo la portiera dell’auto. Mia madre salì davanti e io dietro. La macchina partì silenziosa e durante il viaggio non spiccicai parola, ero stanco, triste e non avevo voglia di stare a rimuginare su quanto successo poco prima. Mi tolsi il pigiama di dosso così da disfare le prove della mia intrusione.
Arrivammo a casa, e di corsa filai in camera mia, senza però far troppo rumore. Non volevo che mio padre si svegliasse … specialmente ora che tutti erano in allarme per l’evasione di 15674. C’era il pericolo che Xavier avesse saputo della fuga della condannata e che ora la stesse cercando in lungo e in largo per darle una lezione.
Prima di salire in camera però, mia madre mi chiese sulle scale se stessi bene.
“ più o meno madre … ma voi come farete adesso? Io partirò, ma voi dovrete rimanere qui e subire ogni genere di angheria per aver interferito …”
“ tesoro … non preoccuparti di tua madre, ma pensa a te stesso per una volta. Ciò che probabilmente passerò io non è niente in confronto a cosa tu proverai e vedrai. Non rammaricarti per me. Io starò bene.” Mi rispose lei, stendendo i muscoli della faccia in un sorriso rassicurante. Si avvicinò a me fermo sulla gradinata un po’ confuso e mi diede un bacio sulla fronte delicatamente:” Riposa ora … ne hai bisogno.”
“ Va bene …” sussurrai io, senza muovermi. Non riuscivo a reagire davanti a quella calma di cui mia madre era dotata, oltre a un sangue freddo mai sentito prima.
Dunque mi recai in camera mia e chiusi lentamente la porta per poi coricarmi sul letto e addormentarmi di colpo, troppo pieno di pensieri per poterli catalogare e esaminare uno a uno.
E passai così la notte, senza sogni, ma alla fine constatando che un enorme peso sul cuore mi opprimeva e mi mozzava il respiro tanto da farmi girare la testa una volta che aprii gli occhi all’alba per partire.
Erano le cinque, e io mi precipitai giù con il mio borsone, mentre l’auto per accompagnarmi verso il luogo d’addestramento era ferma ma in moto.
Mia madre si era svegliata per salutarmi prima di partire, insieme a mio padre, che però non mi disse niente e stette a guardarmi con fare astioso e disprezzante.
Prima di salire, mia madre mi si avvicinò di nuovo:” Torna a casa. Vivo.”
“ Lo farò … lo prometto. Arrivederci … o … ad …”
“ Non dire “ addio” se non sei sicuro che lo sarà. Arrivederci … e buona fortuna.” Detto questo, mi baciò le guance calorosamente e infine anche la fronte, mentre intravedevo sul suo volto le lacrime.
Sorrisi, trattenendo le mie di lacrime e poi entrai in auto, senza volgermi verso mio padre.
In fondo lo odiavo, di vederlo in quel momento non ne avevo punto voglia.
Chiusi la portiera, mettendo il sacco accanto a me, poi la macchina partì, lasciando dietro di sé la scia del tubo di scappamento.
E anche stavolta non spiccicai parola con l’autista, ma mi limitai a osservare il cielo che insieme agli alberi correva dalla parte opposta alla mia, quasi a voler scappare dalla guerra. Cosa che io avrei fatto volentieri se ne avessi avuto la possibilità.
Deborah … chissà come stava ….
 
La luna accompagnava il mio sguardo che divagava nella foresta, che correva veloce dalla  parte opposta alla mia, quasi non volesse seguirmi. Elly mi era accanto, e anche lei faceva la stessa mia cosa, con aria assorta.
C’era uno strano silenzio, non assoluto, dato che la macchina faceva un baccano infernale mentre faceva scricchiolare sotto le sue ruote i vari ramoscelli nel bosco e il motore di certo non era silenzioso. Ma decisi comunque di rompere quel silenzio che mi stava opprimendo sin troppo.
“ Mark, dove stiamo andando di preciso?” chiesi all’autista, che guidava stando attento al percorso. Lo vidi squadrarmi dallo specchietto retrovisore con aria seria: “ Andrete entrambe dai signori Mendel. Sono una famiglia tollerante  tedesca, ho chiesto loro di potervi accogliere fino a che non avrete campo libero … per poi poter scappare in Svizzera.”
“ Davvero?” disse Elly alquanto sorpresa:” Dovremo quindi scappare in Svizzera? Ma perché dite “ quando avrete campo libero”?
“ I controlli ai confini sono intensificati, e anche se la Svizzera è neutrale alla guerra, non sarà una passeggiata raggiungerla … quindi, fino a che le cose si saranno calmate, voi resterete in quella casa. Dopo io vi aiuterò a fuggire. Da lì potrete dire a Max che state bene e che vi raggiunga, sempre che tutto vada per il verso giusto.”
Per un attimo il cuore balzò in petto. Al pensiero di Max che partiva per la guerra mi venne da singhiozzare flebilmente. Ma non piansi, e voltai il viso di nuovo verso il finestrino per distrarmi.
Del resto, ero soddisfatta. Avrei vissuto all’oscuro, per poi scappare. Beh, sempre meglio che morire. E sarei anche riuscita a terminare la mia sfortunata gestazione senza dover correre da un punto all’altro della nazione. Ma poi mi sorse un dubbio: di certo il mio viso non era passato inosservato al campo, dunque ero una latitante. E … se le forze dell’ordine fossero giunte anche dove avrei stabilito la mia dimora per quei mesi? Per il camice sarebbe bastato bruciarlo, i capelli li avrei potuti tranquillamente tagliare … ma il tatuaggio di 15674 … come avrei fatto a nasconderlo? In estate non potevo morire di caldo solo per evitare di far vedere il mio simbolo a fuoco sul braccio. E di certo non avevo i mezzi per toglierlo senza lasciar tracce. L’ansia a un tratto mi assalì.
“ Ci sarebbe un piccolo problema …” dissi debolmente, quasi che me ne vergognassi.
“ Cosa?” Mi squadrò Elly dubbiosa. Presi la manica del grembiule e la alzai fino a mostrare il numero impresso sul mio esile e diafano braccio: “ Questo …”
Anche Mark osservò dallo specchietto e aggrottò le sopracciglia. Da quanto potevo capire anche lui aveva capito il grattacapo da risolvere.
“ Giusto, dobbiamo disfare le prove … d’accordo … fermiamoci qui un attimo.” D’improvviso svoltò verso una radura deserta e ben nascosta da alcuni cespugli piuttosto alti e parcheggiò, lasciando però accesi i fari.
“ Scendiamo …” disse, seriamente, per poi aprire la sua portiera. Io e Elly lo seguimmo a ruota, perplesse.
“ Che intendi fare?” lo vedemmo intento a togliere dal bagagliaio quello che ai miei occhi sembrò una piccola catasta di legna da ardere.
“ Ragazze, toglietevi il grembiule e cambiatevi.” Disse, accatastando i rami in un piccolo mucchio, e afferrando dalla sua tasca un accendino:” Facciamo presto però.”
Io e Elly capimmo finalmente le sue intenzioni e ci fiondammo in macchina. Nel borsone di Elly c’era il cambio per entrambe, e senza pudore, visto che eravamo ragazze, ci togliemmo il pigiama per poi poter indossare i nuovi abiti. Il nuovo vestito estivo e le calze lunghe mi stavano più comode dei miei sudici indumenti di poco tempo fa. Ma il problema del tatuaggio restava.
Non poteva passare inosservata quella chiazza nera sul mio braccio, così osservandolo preoccupata, pensai a in che modo sbarazzarmene. Ma alla fine mi venne solo una cosa da fare … e non era tra le più piacevoli. Ma tentar non nuoce.
Appena anche Elly si cambiò, demmo i nostri vestiti a Mark, che li buttò sul fuoco ben alimentato che nel mentre aveva acceso. Il tessuto bruciò meravigliosamente,anche se l’odore era insopportabile. Mentre osservavamo il falò distruggere i vestiti, esclamai a bruciapelo:” Mark … hai delle fasce o una cassetta del pronto soccorso in quella macchina?”
“ S – si …” dal suo tono supposi la sorpresa in quella richiesta.
“ E un coltello?” continuai a chiedere, stentando a spiccicare le parole. Mi faceva paura ciò che stavo escogitando fino in fondo. Elly si volse verso di me preoccupata:” Deborah! Che diavolo vuoi fare?”
“ Niente di preoccupante … ora portami la cassetta e il coltello …” risposi duramente. Mark esitò un attimo prima di eseguire, ma vedendomi come determinata, andò a prendere ciò che gli avevo chiesto. Dalla sua tasca estrasse un coltellino, piccolo ma affilato, e dal bagagliaio la cassettina, munita di fasce e disinfettante.
Presi il coltello, per poi alzarmi la manica del vestito fino a far vedere il tatuaggio alla luce dl fuoco.
“ Non avrai mica intenzione …” Elly cercò di slanciarsi verso di me per impedirmi di fare ciò che stavo per fare, ma io la trattenni a parole:” non abbiamo tempo, a mali estremi, estremi rimedi.”
Lentamente accostai la lama pelo a pelo con la pelle, fino a creare una striscia di sangue sopra il marchio nero. Le urla non attesero a farsi strada nella mia gola, ma nonostante il dolore continuai a raschiare la pelle, mentre il sangue inondava il mio braccio e la pelle veniva come tranciata dalla lama di quel coltello.
Elly E Mark guardavano allibiti il mio gesto. Ma non esitai e continuare. Era in gioco la mia libertà dopotutto. E nonostante i conati, sfregiai il mio povero braccio fino a far sparire quel maledetto segno. 

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


Purtroppo per la vostra curiosità, non riuscirò a aggiornare regolarmente ogni giorno , poichè la scuola mi uccide lentamente sin da adesso ... menomale che ho la pellaccia!
Bene, questi capitoli non sono molto interessanti a mio parere, ma ci dobbiamo arrivare piano piano alla fine, quindi dovrete sopportarli  ... buona lettura!

Capitolo 24

 
Tetro. Nessun aggettivo poteva definire meglio ciò che mi apparve davanti agli occhi appena arrivato al campo di addestramento.
In breve, era tetro. Ordinato, grigio, senza anima. L’edificio più squallido che avessi mai veduto in vita mia.
Non ne ebbi timore, ma mi trasmise lo stesso inquietudine.  Un edificio murato e cementato, grigissimo, che si stagliava sul cielo plumbeo da cui il sole non penetrava in nessun modo.
Un enorme recinto all’ingresso trasmetteva un senso di prigionia forzata a chi vi entrava, o perlomeno fu quello che io sentii appena ne fui come inghiottito.
Tutto ciò mi diede modo di pensare che niente da quel momento sarebbe stato facile. Anzi, non lo avevo pensato per niente. E ora ne potevo avere la conferma.
Arrivai forse appena dopo l’alba, ma da quello che potei vedere il sole lì non era mai giunto. Scesi dall’auto esitando leggermente, poi presi i miei bagagli dal cofano della macchina, e insieme all’autista mi diressi all’ingresso principale, un enorme portone in legno intarsiato, ma che stonava completamente con tutto il resto dell’edificio. Sulla soglia potei vedere un uomo dalle spalle piuttosto grosse, posatura fiera e sguardo indifferente, che attendeva il mio arrivo. Salii la lunga gradinata con passo svelto, per paura di farlo attendere oltre, e giunto al suo cospetto potei aggiungere alla mia descrizione un bel 1,88 di altezza, o forse più, dato che la mia testa non sfiorava minimamente la sua robusta spalla.
Degli occhi di ghiaccio mi scrutarono attentamente:” Lei deve essere il signorino Schubert … la nuova recluta.”
“ Sissignore …” risposi io tenendomi come a distanza di sicurezza da quel vocione grosso e intimidatorio.
“ Sai perché sei qui? Non penso ci sia bisogno di ripetertelo …”
“ Sissignore …” la mia voce suonò di rammarico e frustrazione.
“ Sappi che qui non tolleriamo scempiaggini del tuo genere … e ti consiglio di filar dritto e di eseguire gli ordini … intesi?”
“ Sissignore …” conclusi io a testa bassa. Non volevo proprio mettermi contro di lui e tantomeno farlo arrabbiare, dalle dimensioni delle sue mani potevo solo immaginare il dolore che avrei provato al minimo ceffone.
“ bene … ti conduco nella tua stanza … sono il generale Strauss. Piacere.” Disse quell’uomo freddamente, per poi voltarsi e marciare, seguito da me che intimorito osservavo le sue enormi spalle muoversi a ritmo di marcia.
Attraversai, prima di arrivare alla mia stanza, un corridoio lungo e deserto segnato da moltissime porte. Doveva essere il piano degli alloggi delle reclute, e a giudicare dal numero delle porte dovevano essere parecchi. Non feci a meno di rattristarmi davanti a tutto ciò … se solo non ci fosse stata la guerra, tutte quelle persone chiuse in quelle stanze … potevano tornare dalle loro famiglie, invece di essere costretti a combattere per una causa, forse giusta, ma comunque insensata ai miei occhi.
Ma non potei approfondire le mie riflessioni poiché ero già arrivato alla mia stanza. Il generale aprì la porta che scricchiolò fastidiosamente e mi ritrovai in una stanza enorme, tenuta a malapena in ordine, in cui gli unici pezzi di arredo erano un armadio e dieci letti, nove dei quali occupati da ragazzi che ancora dormivano e che appena sentirono la porta aprirsi si voltarono su di loro a guardare verso la porta.
La cosa inquietante di tutti loro era il fatto che sembravano cloni; tutti biondi, tutti occhi azzurri, glaciali e mozzafiato. Mi sentii così fuori dal mondo appena fui in mezzo a loro. Sembravano tutti più grandi di me, e non avevano di certo l’aria di voler socializzare.
“ Ragazzi, attenti!” Al comando del generale ognuno di loro saltò giù dal letto e si mise in posizione subito, quasi fossero tutti statue uguali.
“ Questo è il vostro nuovo compagno di stanza … vedete di trattarlo bene. È figlio del tenente colonnello Schubert, quindi esigo da voi rispetto verso di lui. Trattatelo come si deve, o subirete la mia ira. Bene …” si volse verso di me, che guardavo con occhi attenti ognuno dei ragazzi davanti a me:” Ti auguro un felice soggiorno …” la sua bocca si piegò in un ghigno a dir poco malefico:” Dieci minuti e poi al campo. Puntuale.”
“ Sissignore.” Dissi distaccato, per poi avviarmi verso l’unico letto libero e posare le mia borsa sul letto.
La porta si chiuse lentamente, e le tenebre ripresero il sopravvento sulle stanza, dopo che solo il fascio di luce proveniente dalla porta aveva illuminato il tutto.
Il resto dei ragazzi si alzò anch’esso e iniziò a indossare la divisa. Era l’ora dell’addestramento, quindi anch’io estrassi la divisa dalla borsa e mi affrettai a mettermela. Per il momento preferii non proferire parola con il resto del gruppo.
Già tutto non poteva andare peggio di così.
 
Accidenti a me. La ferita era davvero troppo profonda, e nonostante mi fossi assicurata che almeno ci fossero i mezzi per curarla, continuava a sanguinare in modo anomalo anche dopo averla disinfettata e fasciata.
Elly continuava a guardare la benda rossa di sangue che tenevo premuta sul braccio trattenendo le lacrime di dolore con sguardo preoccupato:” Sei davvero un’incosciente.”
“ perlomeno il problema è risolto adesso … fa un male boia ….” Imprecai alla fitta al braccio, mentre la buca che prendemmo in pieno non contribuì certamente a farmi stare meglio. Avevo sia i conati di vomito per la gravidanza sia per la brutta sensazione di mal di testa che il mio dissanguamento stava provocando. Dovevamo affrettarci a raggiungere il rifugio,o avrei rischiato di prendermi un’infezione.
“ Si, ma morirai dissanguata … che stupida … e se ti becchi un’infezione?”
“ non portare iella!” ribattei inbronciandomi:” pensi che io non mi renda conto della situazione? Mark …. Accelera per favore.”
“ Subito … tenetevi forte, siamo quasi arrivati.” Sentii l’accelerazione della macchina e appoggiai la schiena al sedile, continuando a guardare al paesaggio e cercando di non imprecare dal dolore.
Per nostra fortuna la meta era a dieci minuti di distanza., e il rifugio in campagna si presentò davanti a noi in poco tempo. Era una modesta casa di campagna, immersa nel verde, ma sembrava un luogo piuttosto sicuro nonostante l’isolamento dal resto del mondo conosciuto.
Scesi subito dalla macchina appena si fermò e potei così vedere i componenti della famiglia Mendel, che conobbi poco dopo: Agata, la donna di casa, una anziana signora bassa e grassottella, ma dalla faccia tenera; Gustav, l’uomo di casa, che al contrario della moglie era alto e magrissimo, occhi color nocciola e capelli biondo ossigenato,  e John, figlio dei coniugi Mendel. Vent’anni, e in guerra non ci poteva andare poiché ferito alla gamba. Potevo infatti notare come si sorreggeva a malapena sull’arto destro grazie alle
stampelle.
La piccola famigliola ci attendeva sulla soglia con un sorriso accennato sulle labbra. Io e Elly ci dirigemmo fianco a fianco da loro, mentre Mark portò i nostri sacchi a presso per posarli all’ingresso.
Poi l’uomo ci presentò:” Loro sono Elly E Deborah, le ragazze di cui vi ho parlato. Abbiatene cura finché rimarranno con voi.”
“ Ma certamente.” Disse bonaria la donna. Ci fecero accomodare dentro, e davanti a una tazza di caffè, si presentarono uno a uno. Poco dopo mi feci curare la ferita più approfonditamente, e per il momento quello cessò di sanguinare. Faceva male lo stesso,ma per adesso non rischiavo di dover morire dissanguata.
E quello fu il primo giorno di una lunga serie di eventi che mi provò l’animo e mi preparò all’incontro con Max. Lui fu il mio pensiero quella notte, mentre inginocchiata davanti a Dio pregavo per la sua salvezza e perché non gli capitassero disgrazie di alcun tipo. 

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


Capitolo 25
 
Ciò che mancava per rendere memorabile quella giornata già iniziata col piede sbagliato era la pioggia, che come sempre arrivò nel momento meno opportuno, ovvero il mio primo addestramento. Anche se prima che mi dovessi gettare nel fango a valicare muri altissimi e a strisciare sotto filo spinato, uno dei miei superiori si offrì di farmi la panoramica dell’accampamento. Era stato uno dei miei pochi compagni di stanza a rivolgermi la parola appena arrivato.
“ Ehi! Novellino!” si era rivolto a me in questo modo, avvicinandosi e porgendo la mano:” Jordan, piacere!”
Io per tutta risposta gli tesi la mia di mano e strinsi la sua, accennando un sorriso:” Max … piacere mio.”
“ E quindi tu saresti il figlio ribelle! La tua fama si fa sentire tra le reclute sai?”
“ Figlio ribelle? Per quello che ho fatto? Non definirei certo il mio atto qualcosa da ricordare …. In questo senso dico …” Ero leggermente spiazzato che la notizia della mia tresca con Deborah fosse arrivata alle orecchie di tali sconosciuti.
“ beh, non è da tutti … mettersi con “loro” … e contro tuo padre per giunta! Ma sai … non ti biasimo, in fondo sei molto più coraggioso di quanto pensassi .. o forse stupido.” Disse mettendo nell’ultima parola una nota divertita.
Io lo squadrai a dir poco serio:” Non mi pento di niente.” E in vero, non mi pentivo per niente di ciò che avevo fatto con lei. L’amavo, e ne ero consapevole. Se tutti erano così di mentalità chiusa per capirlo … beh, tanto peggio per loro. Ormai era andata in questo modo. Non c’era niente da capire.
“ Sai, mi ricordi Romeo Montecchi … che fece di tutto per la sua amata Giulietta nonostante le loro famiglie fossero in combutta … e se non ricordo male nella storia muoiono tutti e due alla fine.” Fece Jordan, come pensante, caricando evidentemente di ironia le ultime parole.
“ L’ultima cosa non succederà … almeno spero.” Intervenni io guardandolo storto. Più che guardarlo occhio a occhio, ero costretto a piegare la testa poiché il mio caro Jordan era un gigante in confronto a me. Come il generale  Strauss, era di spalle larghe e costituzione robusta, ma invece di trasmettere inquietudine, dava sicurezza quella massa muscolare imponente.
Per il resto era uguale al gruppo in cui mi avevano collocato: Testa rasata bionda, occhi azzurrissimi misti a sguardo arcigno. Il classico tedesco di razza. In altre occasioni, pensai  che lo avrei disprezzato tantissimo.
“ Tutti lo sperano … nessuno vuole morire qui … in questo schifo.” Rispose lui serio.
Abbassò leggermente la testa per emettere poi un sospiro e continuare  tranquillamente:” Ti faccio da guida … seguimi, gli addestramenti non iniziano prima delle cinque e mezza.”
Annuii alla sua proposta e lo seguii mentre, da bravo Cicerone, mi mostrava ogni parte della caserma: la mensa comune, i campi rigorosamente esterni di addestramento, il poligono da tiro per i più esperti, i campi di simulazione, l’infermeria e le varie stanze dei soldati, da i soldati semplici ai gradi più alti, fino agli appartamenti dei colonnelli e dei generali.
L’armeria si trovava su una collinetta poco distante da lì, sempre super sorvegliata e retta da nubi temporalesche quasi fosse una fortezza spiritata.
Mi fece venire i brividi solo vederla. E con questo ultimo dettaglio finì il mio giro turistico, per così dire.
Suonò la sirena, segno dell’addestramento imminente.
“ OPS .. dobbiamo affrettarci, non voglio beccarmi un’altra strigliata dal caporale maggiore. Andiamo!” Jordan corse seguito a ruota da me. E la nostra fortuita vicinanza al portone principale ci permise di unirci alle truppe senza farci troppo notare per la mia prima giornata di lavoro.
La pioggia picchiava sul mio viso mentre le urla o comandi del caporale mi martoriavano le orecchie sin troppo disturbate dal rumore di alcuni fucili che sparavano ai bersagli nel sin troppo vicino poligono di tiro.
Quell’uomo, di cui mai ricordai il nome, era incredibilmente basso, ma aveva una voce talmente possente da mettere in soggezione chiunque stesse ad ascoltarlo. In breve ci spiegò come superare il percorso,e che pena avremmo ricevuto se avessimo battuto la fiacca o imbrogliato per finire. Ma di voglia di imbrogliare ce n’era ben poca per il momento, e nessuno aveva di certo voglia di prendersi un colpo per qualche disobbedienza.
Alla fine della spiegazione, tutti sugli attenti, ci mettemmo in posizione per cominciare. Il fischietto suonò forte nel cielo delle cinque tempestato di gocce di pioggia pungente e le mie gambe automaticamente si mossero verso i vari ostacoli che mi si presentarono davanti.
E potei giurare su Dio stesso che quello era stato il mattino peggiore della mia vita. Nonostante la mia buona condizione fisica mi permettesse di scavalcare muri e oltrepassare filo spinato con semplicità, lo scarso allenamento, unito alla pioggia e alla scarsa aderenza delle mie scarpe mi costarono delle cadute assai dolorose unite a un dolore di milza allucinante. Gli altri del gruppo sembravano stanchi quanto me, ma per qualche ragione assurda continuavano a fare il percorso senza fiatare, cadendo anche loro e ansimando. Ma niente sembrava fermarli, e io di certo non potevo lasciare che qualche schizzo di pioggia potesse impedirmi di fare peggio di loro.
Trattenni il dolore e continuai i vari ostacoli, dalla scaletta orizzontale alle funi di arrampicaggio, per poi saltare prendendo slancio un muro altissimo e atterrare in piedi, nonostante un potente crack al piede mi desse la sensazione di una brutta botta al palmo del piede. E me ne accorsi sin troppo presto. Ma non demorsi e dopo un’ora buona di fatiche inimmaginabili, il primo addestramento finì.
Mi sedetti per terra tenendo la testa sollevata con le mani e ripresi fiato a pieni polmoni. Le altre reclute fecero quasi lo stesso, senza rivolgermi nemmeno la più piccola occhiata.
Jordan solo mi si avvicinò:” Tenace il ragazzino per essere la tua prima volta … vieni, ci facciamo una doccia veloce poi a mangiare qualcosa prima di tutto il resto della giornata.”
“ ogni mattina è sempre così?” chiesi leggermente affaticato.
“ Sempre così? Oh! Anche peggio … vedrai, ti tratteranno come una massaia visto che sei un novellino , ma conta su di me per tutto .. e anche sugli altri in stanza, non sono strani, sono solo timidi vedrai!”
Come vuoi tu …” mi porse la mano dopo essersi alzato e io afferrandola balzai in piedi per avviarmi con lui verso le docce.
Non pretendevo certo che sarebbe stato facile, ma speravo solo di non spaccarmi la schiena troppo presto.
E per adesso, l’unica preoccupazione correva verso di lei.
 
Decisi di riposare dopo essermi medicata la ferita, che per un po’ non mi procurò problemi. Dopotutto avevo fatto pochissime ore di sonno, quindi mi coricai sulla mia brandina in camera mia e di Elly e chiusi gli occhi per due ore buone, mentre Elly andò con Agata nella stalla dietro al casa per iniziare i primi lavoretti per poterci mantenere e non essere troppo d’intralcio alla famiglia.
L a stanza che ci avevano assegnato era piccola ma confortevole, e la piccola e tonda finestrella che dava sul giardino faceva filtrare un piacevole raggio di luce solare che mi riscaldò il viso infreddolito dalla notte di prima.
Feci un sogno strano, quel che mi ricordai fu lo sprazzo di un viso dolcissimo e di una voce altrettanto carica di miele. Morbidi capelli castani e due occhi neri profondi come i miei. Mia madre , che era come se sdesse su una sedia a dondolo, sospesa in un spazio monocromatico e offuscato, come di dimensione onirica.
La bellezza di quel sogno che mi provocò tantissima nostalgia e tristezza fu il fatto che tutto mi sembrò straordinariamente reale.
La sedia produceva davvero quel suono scricchiolante classico delle sedie a dondolo, sentivo davvero la sua voce melliflua e quasi il suo calore materno.
Mi avvicinai a lei :” madre …” aleggiavo nel mezzo di uno spazio informe, ma sentivo come se tutto quello fosse visto con i miei occhi.
“ Deborah, margherita mia …” Mia madre era solita chiamarmi margherita mia. Lei adorava quei fiorellini tanto modesti ma bellissimi, e io adoravo i suoi occhi che ogni volta si illuminavano davanti a un campo primaverile di margherite selvatiche. E sapevo che non avrei più rivisto quegli occhi, poiché scomparsi dietro un nero portone di ferri, cremati dalle fiamme dell’odio.
Mi vennero le lacrime a ripensarci e mi buttai sul suo grembo, mentre lei continuava a dondolarsi sulle sedia a dondolo e mi carezzava i capelli.
“ mi dispiace … mi dispiace …” e mi dispiaceva davvero, non volevo che lei morisse, non lo avevo mai voluto. E ora l’unico luogo in cui potevo dirle scusa era nei miei sogni. Tutto ciò non potevo sopportarlo. Continuavo a ripetere quanto mi dispiacesse, e lei continuava ad accarezzarmi la testa sussurrandomi che andava tutto bene:” Non hai colpe fanciulla mia … non hai colpe.” E la dolcezza della sua voce mi faceva malissimo.
E quel sogno durò un’eternità, fino a che non mi accorsi che un raggio di sole mi aveva disturbato. Mi svegliai in lacrime, potevo sentire gli occhi umidi e rossi e il cuscino umido.
Mi soffiai il naso e stropicciai i miei occhi stanchi e tristi e solo dopo mi accorsi che Elly mi aveva osservata per tutto il tempo.
“ Stavi piangendo nel sonno … stai bene?” mi chiese premurosa sedendosi accanto a me.
Come dirle quanto il rimorso per aver mandato a morte mia madre stesse influendo sul mio umore? E adesso, sarebbe toccato a Max, per una semplice ferita alla mano …
“ Si …” mentivo spudoratamente, sapevo benissimo di stare un male boia per fatti sin troppo significativi. Le lacrime continuavano a scendere senza sosta, e potevo sentire gli occhi di Elly puntati su di me. Sapeva che stavo dicendo balle, chiunque lo avrebbe intuito.
“ Dimmi la verità …” fece flebilmente avvolgendomi le spalle con il braccio.
A quel punto non mi trattenni. Mi ritrovai a piangere sulla sua spalla, a ripetere che mi dispiaceva, a sentire la sua mano muoversi su e giù sulle mia schiena e quei piccoli schiocchi delle sue labbra sulle mie tempie, mentre mi aggrappavo ai suoi vestiti come a una colonna.
Ero stanca di tutto questo. Perché il mondo mi si rivoltava contro sempre? E se anche mio figlio avesse avuto questo stesso mio triste carattere? 

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Capitolo 26
*** Capitolo 26 ***


Posso felicemente constatare di aver raggiunto la bellezza di 82 recensioni! Grazie mille a tutti quanti miei devoti discepoli!
Vorrei esaltarmi ma non voglio dar prova della mia vanità, Dunque! Buona lettura!


Capitolo 26

 
In casa non si respirava aria buona. Ma non ero poi preoccupata dal fatto che mio marito mi avrebbe scorticata viva sapendo della mia intromissione; per ora l’unica cosa a cui pensavo intensamente era il destino dei miei due figlioli cari.
Max in guerra, Elly in compagnia di Deborah, sperduta e esposta ai pericoli incombenti del mondo attuale. Non sapevo a che santo votarmi per dare loro una mano dal punto fermo in cui mi trovavo.
Ero seduta in salotto e guardavo incessantemente l’orologio a pendolo che ticchettava inesorabile scandendo ogni secondo che pian piano cercava di allontanare il ricordo dei visi dei miei due figli. Ma se pensava di farla franca con me si poteva sbagliare di grosso. Niente mi avrebbe fatto cancellare il loro ricordo. Sentivo nostalgia, pensavo che tutt’a un tratto si sarebbero precipitati alla porta a bussare. Io avrei aperto, loro mi avrebbero abbracciato festosi e io tra le lacrime li avrei baciati e ribaciati dalla gioia. Ma sapevo che era solo un’illusione, seppur temporanea. Quella porta non si sarebbe aperta, le mie lacrime sarebbero state versate per altri motivi.
Ero immersa in questi vani tentativi di evasione, quando Frank fece tuonare il mio nome in tutta la casa, con una furia spaventosa: “ Elena!”. Le pareti quasi tremarono insieme a me a quel richiamo.
Mi alzai lentamente e andai nel suo studio, tenendo però la testa alzata, come a volerlo sfidare appena varcata la soglia dello studio. Ed era ciò che avevo intenzione di fare.
Lui era lì, seduto nella sua sedia, e mi guardò con occhi ardenti:” Siediti.” Mi comandò.
“ Sono tua moglie, trattami come tale …” non abbassai lo sguardo e lo sfidai fissandolo dentro le iridi celesti che si restrinsero alla mia quasi pretesa.
“ Non fare la permalosa con me! Non funziona … siediti.” Mi tornò a dire alzandosi.
Io mi sedetti lentamente, e da lì lui mi fulminò come fossi un cane colto nel momento in cui viene beccato a rubare del cibo.
“ Elena, sai che io e te ci abbiamo messo un sacco di tempo a educare i nostri figli al rispetto, soprattutto verso noi … “
“ Esatto, Frank, e non sembra che non mi abbiamo portato rispetto, quindi non capisco dove vuoi andare a parare …” feci io ironica, già conoscendo quel discorso a memoria. Intuii, però, che stavolta sarebbe finita diversamente.
“ Esatto mia cara mogliettina, ma si dà il caso …” qui avvicinò il suo viso al mio orecchio da dietro lo schienale di soppiatto. Sobbalzai sentendo il suo fiato caldo sul collo:” Che abbiano in qualche modo mancato di rispetto a me. E questo non va bene. E cosa scopro poi? Che tu!” la sua mano fece un tonfo sullo schienale della sedia, come se l’avesse sbattuta di proposito. Non volsi nemmeno la faccia:” C’entri in questo trambusto …”
“ Non so di cosa tu stia parlando …”
“ Vuoi che ti rinfreschi le idee? Sai che ci posso riuscire benissimo …” Poggiò la sua grande mano sulla mia spalla, e sentii la pressione delle dita che stavano stringendo l’osso. Scattai in piedi voltandomi verso di lui e facendomi schermo con la mano. La mia faccia si contrasse disgustata:” Non osare toccarmi.”
“ Non farei del male a mia moglie per nessuna ragione. Dimmi solo perché diavolo ti sei messa in mezzo!”
“Perché voglio bene ai miei figli, al contrario tuo!” sbottai furiosa. Lui era accecato dall’ira, e per poco non avrebbe teso la sua mano per darmi uno schiaffo, ma vedevo chiaramente che si tratteneva dal farlo.
“ Non tirare fuori sciocchezze donna! Io ho educato loro al rispetto e all’odio verso quegli esseri, e mi ritrovo un figlio innamorato di uno di loro, e l’altro in sua difesa! E ti ci sei messa anche tu, aiutandoli nell’evasione! Ti rendi conto? Hai rovinato la mia immagine!” diede una sfuriata pazzesca, battendo il pugno sul tavolo tanto da far saltare di qualche centimetro la tazza di caffè.
“ Quale immagine ti avrei rovinato io? Quella di un despota senza pietà? Ma per favore … ad essere sincera ne vado altamente fiera. E non tirare fuori scuse politiche che solo tu sapresti tirare fuori! Qui non c’entra la tua reputazione, non ti va a genio che io stia dalla parte dei miei figli piuttosto che dalla tua, ammettilo!!”
Non feci in tempo ad accorgermi dello schiaffo che mi arrivò alla guancia sinistra, che mi fece risedere sulla mia sedia di botto. Mi toccai la gota che bruciava dolorante e lo guardai con occhi pieni d’odio.
“ Taci.” Tuonò lui arrabbiato.
Mi alzai dalla sedia e non stetti ad ascoltarlo ulteriormente. Ma di certo lui riuscì a sentire il mio “ Va al diavolo” poiché glielo dissi in faccia chiaro e tondo, per poi sbattere la porta dietro di me con un colpo secco.
Non piansi per lo schiaffo, non piansi per niente.
Sapevo quanta cocciutaggine ci fosse in quella testa di mulo che mi ritrovavo come marito, sarebbe stato inutile discuterne.
Era comunque un punto a mio favore.
 
Il primo giorno in quell’inferno passò, e la stanchezza mi fece quasi svenire sulla mia misera brandina in camera.
Durante quella terribile giornata mi vennero date le mansioni giornaliere. Oltre all’addestramento alla guerra, avrei dovuto svolgere anche lavori all’apparenza più semplici, ma che tutto sommato risultarono massacranti per la mia schiena e il mio fisico : Se dopo pranzo avevo dovuto fare servizio in cucina, a lavare piatti e spazzare per terra, nel pomeriggio venivo sfiancato dalle migliaia di addominali e flessioni e di esercizi di corsa. Per non parlare della sera: insieme a uno dei miei compagni di stanza, Lucas, dovevo pulire le vetrate di tutto l’edificio e pulire i pavimenti delle camere, e verso l’imbrunire avevo l’esercitazione al poligono di tiro.
Non essendo esperto in armi, il rinculo che mi beccai sparando il primo colpo di fucile della mia vita mi fece cadere a terra, tra le risate generali di tutti gli altri. Io non ne feci conto, e l’uomo addetto all’addestramento mi insegnò come posizionare quell’arma e come prendere la mira.
“ tienilo appoggiato alla spalla, e punta leggermente più in basso rispetto al punto che vuoi colpire, per ora. Poi dovrai essere sempre preciso. Capisce cadetto Schubert?”
“ Sissignore.” Eseguii il comando e in effetti trovai più facile mirare al bersaglio fisso davanti a me, e riuscii a governare i miei riflessi. In fondo non era difficile utilizzare quell’arnese, a parte la montatura e la carica delle munizioni,bastava avere la mano ferma.
Ma non avevo intenzione di usarlo per ragioni esterne alla guerra. Lì sarebbe stato usato, lì era il suo utilizzo, e decisamente mi veniva la pelle d’oca al sol pensiero.
Finii così la giornata buttandomi a letto nonostante fosse prestissimo, ronfando alla grande come osservò Jordan il mattino dopo.
Non fu la giornata però a turbarmi di più. Ci pensò il sogno a rendermi le cose difficili. Cosa sognai? O per meglio dire chi? Lei, ovvio.
Lei che piangeva nel mezzo di un cerchio di luce bianchissima, in uno spazio nerissimo come la notte. Io che non riuscivo ad avvicinarmi a lei per abbracciarla, per poterla baciare su quelle labbra esangui e tremanti , bagnati di lacrime. Le mie, lacrime di sangue, che mi facevano piangere il cuore.
Una fitta terribile che mi stringeva lo stomaco, una voglia fortissima di volerla abbracciare stretta a me resa impossibile da una forza estrema che mi impediva di andarle incontro e di fare ciò che volevo.
Cavolo. Perché anche la mia volontà mi si stava rivoltando contro? Non ero più padrone di mio stesso per caso?
Mi svegliai in un bagno di sudore, la luna splendeva da fuori accecando i miei occhi pregni di amarezza e nostalgia.
 
“ Stai bene adesso?” mi chiese dolcemente Elly, ancora stringendomi a sé. Annuii lentamente e alzai il viso asciugandomi le lacrime con il braccio:” Grazie.”
“ di niente.” Sorrise lei :” ma non farmi preoccupare … su, sorridi!”
“ Fosse facile lo farei …” aggiunsi io con una punta di rancore.
“ Provaci.” Prese il mio viso madido di lacrime e tese gli angoli della mia bocca, costringendo il mio viso a stendere i muscoli della bocca in un ‘espressione serena:” Visto? non è difficile in fondo!”
“ Ma smettila!” Elly riuscì a farmi ridere almeno, e apprezzai quel suo gesto. In fondo lo faceva per il mio bene, e non volevo deprimerla con le mie lamentele.
Gonfiò le guance per poi espellere l’aria in un soffio:” E poi, non vorrai mica che tuo figlio sia un ragazzo triste! Madre sorridente, figlio sorridente!”
Sorrisi a quella allusione, e mi toccai il ventre pensierosa. In effetti non potevo di certo permettere che la tristezza influisse su di lui. Era frutto di odio, ma pur sempre un frutto. E i frutti vanno sempre coltivati con amore.
“ Grazie ancora …”
“ Di niente … Mmh … ti andrebbe di tagliarti i capelli? La tua chioma potrebbe risultare fastidiosa quando dovrai lavorare qui.” Osservò Elly.
Presi una ciocca dei miei capelli dubbiosa e osservai pure io che tutti quella chioma di ebano sarebbe stata ingombrante nel caso avessi dovuto svolgere lavori di qualsiasi genere. Non li facevo tagliare da chissà quanto, era mia madre … che aveva sempre provveduto …
Qualcosa come una lacrima inconsapevole della sua discesa solcò la mia guancia. Perché diavolo tutto doveva essere pregno di lei?
“ Oh no … che ho fatto?” Esclamò Elly meravigliata:” non piangere!”
“ Non è niente davvero …” mi asciugai in fretta le lacrime:” Dove sono le forbici?”
“ Quindi hai deciso?”
“ Esattamente!” feci io tenendo in pugno i miei capelli e mostrandoglieli:” Fai quel che sai!”
“ Benissimo!” Elly si alzò di scatto dal letto e afferrò la sedia lì accanto:” Siediti qui.”
Mi sedetti sulla sedia di legno che mi porse e dopo mi trovai avvolta da una coperta. Elly prese delle forbici dal tavolo lì accanto e mi bloccò la testa, abbassandola leggermente:” Chiudi gli occhi e lascia fare a me.”
Feci come mi ordinò. Durante il taglio dei miei capelli sentii le lame che tranciavano le ciocche di capelli che Elly raccoglieva tra le sue dita, le sue risatine divertite appena udibili, la sua mano leggera che muoveva la chioma per ordinarla insieme alla spazzola che faceva passare tra ogni capello.
Aprii gli occhi, e potei vedere sul pavimento le numerose ciocche che mi aveva tranciato, neri batuffoli di capelli che ricadevano leggeri come piume.
“ Non aprire gli occhi furbona.” Mi rimproverò dolcemente lei guardandomi di sottecchi, continuando la sua opera. Sorrisi divertita e richiusi di nuovo gli occhi, per poi riaprirli al suo comando.
“ Tieni e guarda!” mi porse uno specchio:” Ti piace?”
Osservai la nuova me nello specchio, e ciò che vidi non mi dispiacque affatto. La lunga cascata di capelli disordinati era ridotta ora a un elegante taglio corto e sfilato, la fronte era rimasta libera con due ciuffi laterali, ma l’insieme era raffinato e anche comodo da gestire. Mi passai le dita tra i capelli compiaciuta:” Ottimo lavoro! non immaginavo fossi tanto brava!”
“ Sono una ragazza, è il minimo che devo saper fare!” fece lei quasi dandosi un’aria orgogliosa che mi fece ridere.
 Sorrisi e mi alzai dalla sedia,e dopo aver pulito la stanza dai capelli, scesi giù con Elly per eseguire le mansioni.
Ero cambiata, seppur esteriormente. E non sarebbe mancato anche il cambiamento interiore. Tutto questo dedicato a Max, che pregavo dentro di me che tornasse vivo dalla guerra per potermi vedere, nuova e innamorata di lui più che mai.  

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Capitolo 27
*** Capitolo 27 ***


 86 recensioni! Very Good! Buona lettura!

Capitolo 27

 
La mia prima giornata lavorativa? Per essere stata la prima, non fu per niente male. Dopo che Elly mi acconciò i capelli, scendemmo giù per poterci unire al resto della famiglia. Dovevamo vedere tutti i compiti necessari alla famiglia, e così mi toccò andare insieme ad Agata a mungere le mucche appena tornate dal pascolo di quella mattina.
“ Ti senti pronta cara?” mi chiese la donna affabilmente, mentre percorrevamo il tratto che ci separava dalla stalla. La stalla si trovava poco distante dalla casa comune, e la si poteva raggiungere attraverso un piccolo sentiero sterrato. Affianco all’entrata da cui si poteva già sentire l’odore del fieno per i cavalli, era attaccato un piccolo cartello a sagoma di gallina: “ Fattoria Mendel.” Rendeva il tutto leggermente più accogliente. Anche se, del resto, tutto lì mi ispirava accoglienza.
“ Beh .. non ho mai munto in vita mia in verità …” feci io titubante, cercando di prendere confidenza con il sentiero un po’ accidentato, e le scarpe, che mi risultavano leggermente strette.
“ Non è chissache   .. si tratta di stringere e tirare … vieni, ti faccio vedere, tesoro …” mi disse lei, appena giunti dentro. L’ala dedita alle mucche consisteva in un corridoio e in dei recinti unitari, da dove alcuni grossi capi di mucche sporgevano il muso annusando l’aria, che non potevo definire altamente respirabile a causa del puzzo.
Agata mi condusse dietro il recinto, dentro la stanza di mungitura, che non era altro che una piccola camera posta a fianco di quella delle mucche, e ne portò una, legata al muso con una corda. Era una bella Frisona,da quel che potevo ricordare dai libri che avevo letto da piccola.
“ Siediti su quello sgabello.” Mi indicò Agata. Io feci come lei mi disse, e mi mise la mucca davanti, che agitava pericolosamente la coda in cerca di scacciare le mosche che le ronzavano attorno.
“ China la testa e stringi le sue mammelle .. poi cerca di far pressione di modo da spruzzare il latte nel secchio …” io, cercando di non finire sotto il peso di quella frisona, chinai la testa e strinsi quelle cose penzolanti. Erano viscide e corpose, all’inizio mi fece un po’ ribrezzo, e quando la mucca muggì come infastidita mi spaventai non poco.
“ è solo il contatto che le fa impressione! Tu fai il tuo lavoro!” rise Agata, incitandomi e guidando le mie mani nel lavoro.
Stringevo e tiravo, e il liquido bianco tanto desiderato usciva a spruzzi dalla mammella per poi infilarsi nel secchio con un fragore metallico che mi divertì. Strano, mi divertiva sentire del latte cadere in un secchio! Forse ero leggermente pazza, o semplicemente tutta quella normalità mi sollevava l’animo. In fondo avevo da poco patito le pene dell’inferno, tutta quella quotidianità mi suonava a dir poco strana.
La mucca continuava a muggire tranquilla, mentre a poco a poco il secchio si riempiva. Era divertente, anche se la mia schiena ne soffrì non poco. Ma continuai senza sosta fino a che non muggimmo tutte quante le altre mucche, che dopo il lavoro, se ne tornavano svuotate e soddisfatte nella loro cella.
“ Visto? Non è stato difficile!” rise Agata porgendomi un fazzoletto pulito per asciugarmi il sudore.
“ Già! Anzi! Mi sono anche divertita … domani lo rifacciamo?” feci io soddisfatta, tamponandomi il tessuto su collo e fronte.
“ Ahahah! Se vuoi .. vieni, ci aspetta il resto delle mansioni!” Si alzò dal suo sgabello, e io la seguii fuori dalla stalla, diretta verso casa. Il resto della giornata si rivelò meno faticoso e più divertente; ebbi le mie prime lezioni di equitazione da Gustav, e solo la monta mi costò una gamba quasi rotta e un dolore alle natiche pazzesco.
Poi, con John, imparai a tagliare la legna, e almeno quello mi risultò facile. Anche se la maggior parte delle volte rischiavo che, con tutta la forza bruta che ci mettevo, la lama dell’ascia mi arrivasse dritta in fronte, riuscii a tagliarne qualche ceppo senza problemi, e John mi insegnò davvero bene, in fondo.
A dirla tutta, era un ragazzo davvero carino, ma ovvio che non superasse Max. Era gentile e mi aiutava, guidando le mie mani tra le sue per impugnare l’ascia ogni volta che per poco non mi scivolava. Quei contatti mi procuravano leggeri sobbalzi di imbarazzo, ma cercavo di fare finta di niente.
In fondo l’unico che poteva darmi quel tipo di brividi era Max, solo lui … nessun altro.
Per mia fortuna, ebbi la negazione del fatto che John avesse messo gli occhi su di me. A cena, infatti, i suoi occhi si voltarono verso Elly, che prima di allora non lo aveva nemmeno guardato di striscio, ma che in quell’occasione, mi diede una gomitata che per poco non mi fece sputare la minestra.
“ ma che …!” per poco non urlai. Ma lei mi zittì con un dito davanti al labbro.
“ Lo hai notato?”
“ Notato cosa?” feci io indifferente continuando a mangiare.
“ Quella cosa  … non sei stupida, lo hai notato anche tu …”
“ Ah!Quello!!” feci io divertita davanti alla sua faccia rossa:” Si chiama “attrazione”” Evidenziai la parola con le virgolette immaginarie:” Gli piaci!”
“ Tu dici?” disse lei rossa in volto, voltandosi verso di lui. La stava guardando di nuovo, curioso. Lei si voltò di scatto:” Sì, è come dici tu …. Che faccio??”
“ Che en so!” feci io leggermente innervosita:” prova a parlarci …”
“ Mmh … dopo ci provo …” concluse Elly, voltandosi verso il suo piatto e finendo di ingurgitarlo. Dopo cena io e lei ce ne andammo in camera nostra. Io ero stanca, quindi per prima cosa mi coricai sulla branda mentre lei si sistemò leggermente il vestito, un po’ emozionata.
“ Secondo te va bene come sto?” Chiese lei preoccupata.
“ Si …” feci io con tono scocciato e stanco:” Ora vai e conquistalo mia cara!”
“ Smettila …” Mise un leggero broncio per poi varcare la soglia:” Ci parlerò, se mi piace può anche darsi che …”
“ In bocca al lupo amica!” le urlai dietro scherzosa. In realtà, ero felice per lei, stava per provare le farfalle allo stomaco, e provare cosa significhi amore in verità. Ero contenta, avremmo avuto almeno una cosa in comune, oltre quella di voler bene, anche se in modo diverso, alla stessa persona.
“ Crepi ..” sentii come eco da lei, felice.
E dopo questo, chiusi gli occhi, addormentandomi.
 
“ Dov’è John?” Chiesi, un po’ timida, al signor Gustav, che in quel momento stava leggendo un quotidiano.
“ Mi sembra che sia uscito fuori, lo troverai di sicuro qui vicino.” Mi disse lui, alzando leggermente gli occhi dal quotidiano.
“ Grazie mille.” Scesi rapidamente le ultime scale e corsi alla porta, per dirigermi fuori. Il cielo era tempestato di stelle da ogni angolo in cui lo si guardasse, tirava una leggera brezza estiva e piacevole, e sentivo il canto delle cicale e dei grilli nell’aria. Tutto ciò era davvero rilassante. Cercai il mio obiettivo con lo sguardo e lo trovai appoggiato a un albero lì vicino, seduto tra l’erba con la schiena appoggiata al tronco. Guardava il cielo con la testa leggermente piegata all’indietro, la gamba malata era distesa, mentre l’altra era piegata internamente, come se si fosse seduto a gambe incrociate. Nelle sue iridi brillavano i riflessi stellati. Arrossii leggermente davanti a quel panorama a dir poco estatico.
Nonostante il suo handicap, Il ragazzo teneva bene il suo fisico asciutto e non troppo muscoloso. Avevamo una differenza d’età sopportabile, visto i miei quindici anni contro i suoi venti, e potevo affermare che era attraente, con i suoi grandi occhi grigi e bellissimi, la sua mascella ampia ma proporzionata al viso, e la sua chioma castano chiaro.
“ Posso sedermi?” Gli chiesi, avvicinandomi lentamente a lui, per non spaventarlo.
Lui si voltò di scatto e mi fissò con due occhi alquanto incuriositi:”Ma certo!” Si scostò leggermente per lasciarmi un posto accanto a lui. Mi accucciai bene bene, piegando le gambe sotto la gonna discretamente, e poggiando la schiena al tronco.
“ Qual buon vento ti porta fanciulla?” attaccò discorso lui, con una punta di ironia nella voce.
“ Le stelle … volevo vedere le stelle.” Feci io, leggermente imbarazzata.
“ Le stelle? Non qualcos’altro?” domandò lui voltando la testa verso di me. Incrociai il suo sguardo divertito e dolce, e arrossii violentemente. Mi ritenni fortunata a trovarmi sotto un cielo stellato, cioè di notte, perlomeno non avrebbe notato il rossore delle mie guance. Cavoli, anche se la luce era scarsa, potevo notare i lineamenti perfetti del suo viso, era davvero carino.
“ Si …” balbettai:” Le stelle!”
“ Capisco … “ Fece lui rivoltandosi verso il cielo stellato. Anch’io allora mi misi a guardare quel meraviglioso cielo stellato. Un manto blu oltremare puntellato di tante piccole chiazze argentate in ordine sparso, trapassato a volte da lievi fiocchi di nubi che man mano che pascolavano in cielo nascondevano la falce di luna di quella sera che brillava come non mai in quel cielo meraviglioso. La brezza muoveva i lunghi steli di margherite che chiusi in attesa dei raggi del sole, ondeggiavano poco lontani da me, al muoversi ritmico del vento.
“ Bellissimo …” sussurrai tra me e me immergendo i miei occhi in tantissime emozioni di sorpresa e magnificenza.
Sentii gli occhi di John trapassarmi:” Stavi parlando di me?”
“ Cosa?” Per poco non mi saltò il cuore in gola dopo quella domanda così sfacciata:” No! Parlavo del cielo …”
“ Oh ..” Esclamò lui, accennando con la testa come poco convinto:” sarà come dici tu …”
“ Lo so io cosa stavo guardando!” risposi leggermente irritata dal suo tono sfacciato. Che caratterino!
“ Non scaldarti! Stavo solo scherzando!” Fece lui sorridendo e voltandosi verso di me:” Scusa  il mio ego, ma a volte non riesco a controllarmi,devo pur fare bella figura … no?” Mi ammiccò, e per poco non emisi un gemito di sorpresa a quel gesto tanto azzardato.
“ Già … Il tuo ego è sin troppo esagerato a mio parere.”Lui si limitò a sorridere. Vidi che afferrò la stampella e che si preparava ad alzarsi.
“ Ti do una mano, se vuoi …” mi alzai anch’io in fretta e gli diedi una mano ad alzarsi.
“ Non ce n’era bisogno …” Fece lui gentilmente. Io scossi la testa e lo aiutai a mettersi in piedi,ma quando il mio braccio nudo venne a contatto con il suo, un brivido mi percosse la schiena. Una scarica elettrica davvero forte, che mi fece stropicciare gli occhi per alcuni secondi, sbalordita.
“ Che hai?”
“ niente …” Replicai scuotendo la testa. Mi staccai da lui, che ora poteva ritenersi in equilibrio sul coso di ferro:” Rientriamo?”
“ D’accordo.” Esclamò lui. Ero stanca dopotutto, in quel momento volli solo essere nel mio letto, a dormire beatamente in attesa del giorno dopo. Ma anche se avessi voluto rimanere ancora un po’, qualcosa non me lo avrebbe permesso lo stesso.
Io e John sentimmo la voce allarmata di Gustav provenire dalla casa:” Deborah sta male!” L’uomo urlava dall’ingresso preoccupato:” Venite presto!”
Il panico attanagliò il mio cuore e le mie gambe si mossero da sole. Corsi in fretta dentro e salii le scale in fretta, provocando un grandissimo trambusto. Irruppi nella camera, con il fiatone.
Deborah stava sul suo letto,madida di sudore, ma stretta nella sua coperta, quasi sentisse freddo nonostante nella stanza facesse caldo. Agata era al suo capezzale, e le tamponava la fronte sudata con un asciugamano bagnato. Le bende della ferita al braccio erano state ricambiate, potevo vedere quelle di mattina poste sul comodino. E nonostante fosse passato solo un giorno, una sostanza vischiosa e giallognola le ricopriva, rendendole alquanto inquietanti
“ ma cosa è successo?” Chiesi io preoccupata avvicinandomi.
“  Non voglio arrischiare ipotesi assurde … potrebbe essere tetano.” Disse flebilmente.
“ T – tetano …. Come ?” Ero a dir poco scioccata. Tetano? Deborah malata di tetano? Non era possibile, la diagnosi era troppo affrettata. In più, quella orribile malattia provocava paralisi e contrazioni. L’avrei vista contorcersi dal dolore ai muscoli del copro, invece era avvolta nella sua coperta e faceva fatica a respirare.
“ Non è tetano …”
“ la ferita si è infettata gravemente, ha la fronte caldissima …” Fece Agata scostandosi leggermente da lei.
Mi avvicinai con le lacrime agli occhi e le toccai la fronte leggermente. Il solo contatto mi bruciò il palmo della mano. 

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Capitolo 28
*** Capitolo 28 ***


Ci ho messo tutta me stessa qui, e vi giuro che mi ha rattristato parecchio ... siate clementi.
Buona lettura e scusate per l'attesa.
PS: Grazie per le bellissime 90 recensioni totalizzate!

Capitolo 28

 
Continuava a sudare, e io a rimanerle accanto su quel letto ormai troppo scomodo per la fossa del mio sedere. Deborah aveva il respiro affannato, la coperta l’avvolgeva come un salame, e a volte delirava nel sonno agitato, invocando il nome di Max. Non riuscivo a capire cosa avesse: l’asciugamano bagnato che aveva in fronte non le dava alcun sollievo, e anzi , sembrava che la febbre fosse addirittura aumentata.
Non mi capacitavo però del fatto che si fosse ammalata di tetano. Da quel che ne sapevo io, il tetano era una malattia contagiata da un virus attraverso ferite e lesioni, e portava a atroci spasmi muscolari, o alla paralisi dei muscoli.
Ma non vedevo segni alcuni di quei sintomi; lei stava lì, rannicchiata, mentre la febbre continuava  a salire, e anche se la ferita si fosse davvero infettata, non capivo il nesso tra i due … di tetano nemmeno l’ombra.
“ Forse i sintomi tardano a venire …” Mi disse Agata, accanto a me in quel momento.
“ Non so, ma spero vivamente di no … nel mentre chiama un medico.” Risposi io, mentre tergevo la fronte della ragazza con l’asciugamano bagnato:” E digli di venire a ogni costo.”
“ Il dottore più vicino è a trenta chilometri da qui …” proferì lei, con voce debole debole.
Sbarrai gli occhi:” Venti minuti di macchina? Ma io ne ho bisogno adesso!”
“ lo so cara, ma anche se lo chiamassi subito, stenterebbe ad arrivare … e potrebbe anche arrivare troppo tardi.”
Ero furiosa, non potevo lasciare che la mia amica patisse quelle sofferenze, ma dovevo anche considerare che il dottore più vicino stava a venti minuti di distanza. Dovevo solo sperare, alla fine, che Deborah resistesse ancora per un po’,  e l’arcano della sua febbre sarebbe stato svelato.
“ Tentar non nuoce …” mi limitai a dire:” chiamalo, il fisico di Deborah reggerà ne sono certa … o almeno spero …” E mi voltai verso la ragazza, che si era girata di fianco e teneva adesso gli occhi socchiusi.
Agata corse fuori dalla stanza, mentre io rimasi sola con l’ebrea, e le accarezzai la testa dolcemente. Aveva gli occhi lucidi dalla febbre, il respiro caldissimo e un rantolo era la sola sua parola. Mi si spezzava il cuore a vederla in quello stato.
“ Max ..” disse rauca:” Max … dove sei?”continuava a invocarlo nel delirio, e le lacrime si fecero strada nei mie occhi scendendo sulle mie guance arrossate.
“ Resisti ti prego … il dottore sta arrivando ….” Mi accasciai su di lei e l’avvolsi in un abbraccio. Il calore del suo corpo quasi mi bruciò. Lei continuava a invocare il nome del suo amato, e io a piangere al pensiero che sarebbe passato chissà quanto prima che il suo desiderio si avverasse. La stringevo a me e le ripetevo di resistere, ma anche le mie speranze stavano svanendo. Non sapevo minimamente a cosa fosse in balia, volevo saperlo ma non capivo come diavolo fare.
Guardai fuori dalla finestra, il cielo meraviglioso di prima ora aveva perso tutto quel fascino, niente riusciva a distrarmi dal fatto che Deborah stesse tanto male.
“ Elly …” sussurrò lei:” Elly …?”
“ Dimmi tutto …” dissi io cercando di guardarla negli occhi. Lei alzò lentamente la testa e mosse le labbra, pronunciando qualcosa di incomprensibile. Aggrottai le sopracciglia:” Cosa hai detto? Parla più forte se ce la fai …”
“ Non toccarmi, ti prego …” ripeté lei più forte.
“ Come?”
“ stammi lontana, è per il tuo bene …” rispose alla mia domanda. Ero incredula a quello che mi stava chiedendo.
“ Stai delirando …” dissi scioccata. Mi stava odiando forse? O c’era qualcos’altro sotto?
“Elly, non te lo sto dicendo perché ti odio, ma …” Non riuscì a terminare la frase, che una tosse convulse prese possesso di lei. Mi staccai restandole accanto, mentre lei veniva sbattuta da attacchi fortissimi di tosse incontrollabile. Nel poco respiro che le era rimasto, mi disse:” malva … mi serve …” Qui un colpo di tosse:” Malva …”
“ malva? Ma a cosa …” Ero leggermente confusa della sua richiesta. A che le serviva la malva in quel momento? E intanto volevo trovare un modo per calmare la sua improvvisa tosse.
“ Cerca della malva, presto!” gridò lei improvvisamente, per poi ricadere sul cuscino con un tonfo. Emise un urlo terribile, che squarciò le mie orecchie e mi terrorizzò ancora di più.
Corsi subito si sotto a cercare il famigerato estratto di malva, quando mi accorsi che il dottore era sulla soglia di casa.
“ Dottore! Ci serve il suo aiuto! La paziente sta malissimo!” dissi disperata:” mi ha chiesto della malva, ma non capisco perché …”
“ malva? Capisco …” Il dottore si fece pensieroso e iniziò a salire le scale, seguito a ruota da me e Agata, che sentendo tutto era andata a prendere una boccetta di liquido.
Il dottore entrò nella stanza e vedendo Deborah che si dimenava nel letto trasalì.
Le andò accanto per farle la visita, furono dieci minuti eterni e colmi d’ansia. Dovevo sapere subito il responso di ciò che aveva la ragazza. Il dottore le misurò la febbre di nuovo, poi si alzò dalla sua posizione inginocchiata e disse:” Qualcuna di voi ha avuto contatti fisici con lei stretti?”
Rimasi spiazzata, ma annuii indicandomi. Lui mi guardò con occhi decisi:” Bevete un po’ di estratto di malva, prima che la malattia vi colpisca.”
“ Ma cosa ha?” chiesi impaziente.
“ Scarlattina.” Fece secco lui:” ed è contagiosa.”
Per poco non svenni davanti a quelle parole brucianti. Scarlattina? Come aveva fatto a contrarla?
“ Come ha fatto ad avere la scarlattina?”
“ Si contagia con contatto fisico con un malato … se non si agisce in tempo il paziente è prossimo alla morte certa. La malva serve a prevenire o ad alleviare il dolore … nel suo caso non sarebbe servita a granché … “
Ero allibita quanto Agata, che chiese:” Ma come sta?”
“ male, la febbre è alta, e il rischio che muoia è alto. Stanotte ci sarà l’apice della febbre … se sopravvivrà a questa notte potrà considerarsi fuori pericolo.”
La vita della povera Deborah era sospesa su un filo sottilissimo, e sarebbero bastati pochi minuti di ritardo del dottore perché quel filo si spezzasse e la vita della ragazza cadesse nel fosso della morte.
Ringraziai il cielo di aver reagito subito, ma mi maledissi per non aver capito sin dall’inizio che cosa avesse.
Nel mentre bevvi un sorso di estratto e mi feci fare una visita lampo dal dottore, per constatare che non avessi contratto la malattia.
E poi una terribile idea mi balenò in testa: al bambino cosa sarebbe successo?
“ Dottore, la paziente è incinta …” dissi, senza pensarci.
Lui mi guardò con occhi spalancati e si mise in piedi alzandosi dalla sedia dove poco prima aveva preso posto:” Come incinta?”
“ incinta … da appena un mese …”
“ Questo è un problema … anche se guarisse la paziente, ci sono remote possibilità che il feto sopravviva alla malattia … e un feto morto porta alla morte della madre stessa … “ disse, pensieroso.
“ Cosa si può fare?”
“ Mi dispiace doverlo dire ma … la ragazza dovrà abortire, altrimenti potrebbe peggiorare la situazione.” Disse con tono deciso e secco.
Sia le mie lacrime che quelle di Deborah si fecero piano piano strada dal cuore verso i bulbi oculari.
 
Mi bruciava tutto il corpo, la febbre mi stava lentamente togliendo le forze, e nonostante avessi preso l’estratto poco prima, l’effetto era tardo a farsi sentire. Sapevo che era scarlattina sin da quando avevo detto a Elly di allontanarsi da me; Sapevo che era contagiosa, e presumevo di averla contratta dentro la capanna dei condannati il giorno prima. Tutti lì tossivano, e l’aria pesante aveva contribuito alla grande alla diffusione. E in più, la ferita si era infettata e i virus non avevano tardato a cibarsi di me e delle mie già poche forze.
Ma, giurai a me stessa, mi si spezzò il cuore in mille pezzi appena sentii la parola del dottore proferire quell’atroce vocabolo: “ Abortire.”
Dovevo espellere la creatura che cresceva dentro di me per salvare la mia vita, dovevo far morire per poter vivere.
Già altre volte mi era capitato e il dolore della perdita mi aveva sempre ucciso lentamente. Ma stavolta si trattava di lasciare che qualcosa dentro di me marcisse per far rinvigorire me nel caso mi fossi salvata.
Era anche frutto di odio, ma come avevo già detto, i frutti vanno fatti maturare, buoni o brutti che siano. E io dovevo lasciare quella pianticella incolta per evitare che il mio campo venisse invaso dalla zizzania o morisse.
Piansi subito come una matta:” No, non è possibile … non voglio …” dissi coprendomi gli occhi terrorizzata:”Preferisco morire!”
Elly mi si avvicinò e mi prese la mano. Era anche lei in lacrime:” Deborah … ascoltami; tu desideri rivedere Max vero?”
“ Con tutto il cuore ..” mi limitai a dire. Il mio pensiero volò a lui, alla sua guerra che non c’entrava per niente con la mia, ma che in qualche modo era collegata. Tutti e due vivevamo per poter un giorno incontrarci di nuovo, lontano da lì e da quello schifo di mondo in cui eravamo rinchiusi e legati con le catene dell’odio e del rancore.
“ E per farlo devi vivere … accetta l’aborto. Potrai salvarti solo così!” mi disse scoppiando a piangere a dirotto:” non voglio che tu muoia, ti prego … con che faccia mi presenterò a lui se tu sarai morta? Non avrò il coraggio di guardarlo negli occhi, perché troppo il rimorso di aver lasciato che tu morissi per una scarlattina …” Aveva la voce rotta dal pianto, e io con lei. Aveva ragione, lei stava cercando solo di darmi il consiglio giusto in quella situazione critica.
“ Elly …” dissi, stringendo la mia mano nella sua. Guardai il dottore che aspettava solo una risposta dalla diretta interessata.
E poi pensai a Max, mi attendeva, conscio che forse sarebbe morto,ma che cercava di non farlo solo per me.
E la decisione, dolorosa, mi venne d’istinto:” Faccia in fretta … conto su di lei.”
“ Chiamo subito una squadra … durerà un po’, ma starai meglio … sii paziente.” Rispose il dottore, e fece chiamare da Agata gli esperti per il mio caso.
Il cuore già iniziava a battermi all’impazzata. Stavo per perdere qualcosa di importante, ma lo facevo per qualcosa di altrettanto importante; Poter incontrare il mio amato e amarlo come non mai. 

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Capitolo 29
*** Capitolo 29 ***


Non avevo spunti, quindi ho dovuto arrangiarmi ... comunque è solo di passaggio, il 30 sarà decisivo ... si lo so, mi piace farvi tenere sulle spine! ma vedrete, dal corto si passerà al chilometrico e all'azione. Buona lettura!


Capitolo 29

 
Una notte di patimenti, per ottenere come risultato lacrime, sangue a fiotti e un fagotto insanguinato e esanime.  Il male che sentivo mi avrebbe fatto svenire da un momento all’altro, ma la stessa stanchezza  mi impediva di chiudere occhio. La coperta su cui ero stata stesa era madida del mio sangue e di quello del feto, che ora giaceva in un asciugamano, senza muovere muscolo e anima che avesse.
“ Prova a dormire …” mi disse Elly, accarezzandomi la testa dolcemente. I miei nervi a fior di pelle stavano per scoppiare, la fatica di quella nottata mi stava uccidendo.
Avevo pianto, non dal dolore dell’anima, ma dal dolore fisico, e solo per miracolo non ero morta, come aveva detto il dottore.
La febbre era leggermente scesa, ma Elly per precauzione teneva l’estratto di  malva accanto a sé, nel caso avesse contratto la malattia.
L’alba illuminava il mio viso stanco e pieno di occhiaie, ma non riuscivo a riprendere sonno. Stranamente non piangevo per la perdita di mio figlio; continuavo da lontano a guardare quel fagotto cadaverico e nessuna lacrima scendeva sul mio volto, come se un’insensibilità enorme avesse preso tutto da me e se lo fosse portato dietro come premio del mio sforzo di sopravvivenza. Una notte ricca di avvenimenti, un travaglio davvero estenuante, e mentre nelle mie orecchie rimbombavano le voci dei dottori che correvano come matti per assistermi durante l’espulsione, i miei occhi offuscati dal dolore riflettevano come in un sogno l’immagine di Max, della guerra che stava combattendo, e solo quel pensiero mi dava la forza di restare in vita,anche se per poco la mano del mio angelo custode non mi avrebbe fatta scivolare all’inferno.
“ Come ti senti?” chiesi senza pensarci alla mia amica. Sentii il suo sguardo sorpreso che mi trapassava da parte a parte, mentre stavo seduta accanto a lei sulla coperta fredda stesa sul pavimento a mò di letto che avevamo preso come nostro luogo di riflessione quella mattina. La signora Agata ci aveva lasciate sole, forse la visione di quel corpo inerme dentro l’asciugamano le faceva impressione, intuivo che certe visioni non erano piacevoli per persone piuttosto sensibili.
“ Come sto? Tu come stai!” mi disse in uno scatto di incredulità:” sicuramente meglio di te! Scusa …”
Mi voltai verso di lei, e incontrai le sue iridi celesti contratte a fessura, e le sorrisi:” Sto bene, non preoccuparti … ormai tutto è passato … in più la malattia sembra alleviatasi …”
“ Sicura? Secondo me hai ancora la febbre …” la voce dubbiosa di Elly suscitò le mie risate più sincere. Era così sensibile, dopotutto … e non lo faceva tanto per … era davvero preoccupata, lo sentivo dal suo abbraccio caldo e rassicurante.
“ Sono ancora malata, ma adesso sto bene … perché … so che lo rivedrò … ne sono certa …” mi persi nel pensiero di Max e il mio cuore sorrise felicemente. Sentii anche Elly sorridere, il suo abbraccio si era fatto più stretto di prima. Mi accoccolai sul suo petto e chiusi gli occhi, pensierosa.
 
“ Amico, che ti succede?” Jordan mi era accanto in piedi, mentre il mio respiro era mozzato dall’ansia del mio incubo. Lei che piangeva di dolore, e io che non potevo starle accanto. Una visione troppo forte per il mio fisico già provato. Mi alzai dalla parte opposta a quella di Jordan e, appoggiati i gomiti sulle gambe, presi la mia testa tra le mani e ripresi fiato. Avrei voluto anche piangere, ma ne andava della mia virilità. Quindi mi limitai a immergermi nei mie pensieri, mentre sentii il materasso che sprofondava alla mia destra, dove si era seduto Jordan.
“ Se ti fai condizionare così dagli incubi, già te la passi bene …” mi disse ironico.
“ Tranquillo, mi ci devo solo abituare … ma è stato troppo …” confessai, poggiando la testa sulle ginocchia e sospirando.
“ Cosa hai sognato?” mi chiese lui, mettendomi una mano sulla spalla:” Non mi va di vederti in questo stato … mi deprimi, e di deprimermi non ne ho molta voglia …”
“ Ho sognato … lei.” Dissi io senza alzare la  testa.
“ lei … lei? Deve essere stato terribile … se sogni una persona a cui vuoi bene, vuol dire che ti manca.”
“ E se tu ami quella persona? Cosa significa sognarla mentre piange e tu non puoi intervenire nella sua tristezza?” chiesi guardandolo stavolta.
Lui mi guardò intensamente con le sue enormi iridi azzurrine da tipico tedesco:” Beh … significa che sta male, ma di un dolore che non è possibile curare con un abbraccio … almeno così diceva mio nonno … hai visto anche un serpente per caso nel tuo sogno?”
“ Un serpente?” rimasi alquanto perplesso da quell’aggiunta:” No … perché?”
Lui sorrise chiudendo gli occhi:” Bene, vuol dire che non è stata presa da nessuno  … o non sta per morire … sapevi che il serpente nei sogni indica la prigione?”
“ No … sono sollevato di non averlo sognato allora …” Questo mi diede la certezza che lei stesse, per libertà personale, bene. Ma non mi capacitavo delle sue lacrime ingiustificate, e dalla barriera che mi divideva da lei.
Però … non potevo lasciare che certi pensieri mi rodessero dentro come niente. Dovevo farmi forza, combattere ancora e alla fine, avrei potuto abbracciarla e baciarla, in pace e tranquillità.
Mi distesi sulla branda, augurando la buona notte al mio amico, che sorridendo si ricoricò anche lui sul suo letto.
Cercai di dormire, ma non sognai niente stavolta. Più che altro mi inquietò, la mattina dopo, trovarmi alle quattro del mattino, trovarmi al campo di addestramento e vedere che non solo a me era spettato l’inferno, ma anche a qualcuno che l’inferno, a mio parere, se lo meritava eccome.
Maledissi di trovarmi faccia a faccia con lui. Xavier.
Xavier, l’odiato Xavier che aveva fatto crollare l’intero mondo di Deborah, era stato chiamato alla guerra, e ora, in quel campo, ebbi la sfortuna di incontrarlo. Sapevo già che si sarebbe scatenato l’inferno, IL buon giorno si vede dal mattino. In quel momento desiderai di poter essere al poligono di tiro, almeno il fucile per poterlo giustiziare lo avrei avuto a portata di mano.
“ ma guarda guarda …” aveva sibilato maligno, mentre mi aveva intravisto con la coda dell’occhio dietro a Jordan:” il principino è venuto a farsi onore tra i giganti … che bel gesto …”
“ Sbaglio o sei stato tu a mandarmi qui? Tanto di farti giustizia da te non ne avevi il coraggio …” gli risposi acidamente, sfidandolo con lo sguardo. Potevo permettermelo, Jordan sembrava guardarlo con sprezzo e sarebbe bastato solo un piccolo cenno perché la poderosa mano di Jordan potesse mandare a terra quello screanzato da quattro soldi. In più, lì sul campo, gli sarebbe costato caro attaccarmi fisicamente.
“ bada a come parli, principino … e sappilo, il tuo gesto verrà pagato caro …” mi disse lui con odio, per poi girare i tacchi e andarsene.
Jordan lo seguì con lo sguardo e poi mi rivolse la parola:” ma chi è quello laggiù?”
“ Uno che preferirei sparisse dalla faccia della Terra …” Risposi io senza voltarmi verso la direzione presa da Xavier. Il fischio del comandante mi fece riprendere il senno. 

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Capitolo 30
*** Capitolo 30 ***


Capitolo 30
 
Fu duro eseguire gli esercizi senza pensare a come ignorare gli sberleffi di Xavier. Il peggio è che, sfortunatamente, quel giorno mi toccava fare ogni cosa in sua presenza; ma non bastava ai miei superiori farmelo stare vicino? Dovevano pure farlo lavorare insieme a me? Questo era troppo.
La sua arroganza mi faceva imbestialire ogni minuto, ma dovevo porre autocontrollo al mio istinto di saltargli alla gola e strozzarlo per tutto il male che aveva fatto.
Anche le sue crudeli perse per i fondelli erano a dir poco insopportabili: Mentre stavo pulendo per terra insieme a altri cinque ragazzi, lui mi aveva fatto lo sgambetto e solo per miracolo, il secchio pieno d’acqua che aveva tenuto in mano non aveva straripato e fatto fuoriuscire qualche goccia d’acqua. Riuscii infatti a salvare il secchio, poiché perdendo l’equilibrio durante la caduta, ebbi l’istinto di mettere il secchio  all’altezza delle mie spalle, alzando le braccia, e di cadere ginocchioni.
Risultato: L’acqua non cadde, ma le mie ginocchia ne risentirono. Continuai a passare lo straccio per terra senza  dare la minima attenzione a quel presuntuoso, che se la rideva sotto i baffi.
Tutti i suoi tentativi di mettermi  in imbarazzo o di farmi sentire un essere inferiore non funzionarono, la mia forza di volontà prevalse sugli impulsi dettati dalla rabbia, le sue offese morali cercavo di non ascoltarle, e anche se ci rimettevo un ginocchio o un gomito, i suoi continui sgambetti o pizzicotti li ignoravo con grande autocontrollo.
E fu incredibile come alla fine, non gli fosse bastato avermi torturato tutto il giorno. Alla fine della giornata, stanco e dolorante, tornai nella mia stanza con Jordan, che mi chiese durante il cammino chi diavolo fosse Xavier.
“ Chi? Lui? Un mostro …” gli risposi io, accarezzandomi il gomito che aveva sbattuto poco prima contro lo spigolo della porta, dopo un’energica spinta di Xavier.
“ A quanto vedo non siete in buoni rapporti .. ti fa male?”
“ un po’ … più che cattivi rapporti direi pessimi ... se ne avessi l’opportunità lo farei a pezzi …” sussurrai spinto da una scintilla di rabbia nella voce.
“ Tu? Ucciderlo? Mio acro … non cercare di abbassarti al suo livello … Lo conosco di fama, non ha l’abitudine di essere buono con nessuno … e ho saputo che la sua concubina altri non è che la numero 15674…” disse lui riflettendo, mentre continuava a camminare verso la camera.
“Esattamente … mi sono messo contro un essere spregevole … ma lo dovevo fare …” dissi io, a occhi bassi. Raggiungemmo la nostra stanza e ci coricammo sulle brandine, ma preso com’ero dalla foga di raccontare continuai a parlare con Jordan, che mi ascoltò attentamente per tutto il tempo.
Arrivai a dirgli tutta la faccenda di me e Deborah, di come mi innamorai di lei, della questione “ fasciatura” e della fuga per poterla salvare da morte certa. Jordan non mi interruppe, e quando smisi di raccontare aggiunse solo un :” La mia stima per te è cresciuta in modo sproporzionato.”
“ Dici sul serio?” proferii sorpreso e un po’ esausto dal lungo racconto.
“ Mai stato più serio! Senti, ti ritengo un fenomeno solo perché tieni testa a tuo padre, ma ora che so che tieni testa pure a quel figlio di …. Chiamasi Xavier, non posso che farti i miei complimenti! Sai che ti dico? Hai le palle, tu sì che sei un uomo! E lo fai per una donna, questo è ammirevole.” Finì di dire Jordan sorridendo.  Anch’io sorrisi alle sue parole :” che posso dire … grazie!”
“ di niente … e …” si girò dal lato opposto al mio dandomi le spalle:” Se ti serve una mano, conta su di me. Se quello lì ti torce un capello lo mando a terra, pur di beccarmi un occhio nero. Tipi come te se ne trovano raramente, fidati!” e finito di dire tutto ciò, si coricò e io feci lo stesso compiaciuto. Non risposi ma pensai che avesse capito che ne ero felice.
Finalmente avevo un amico su cui contare, e erano solo due giorni che stavo in quell’inferno! Un vero record in fatto di sociologia, o come cavolo si chiamava lo studio delle relazioni sociali tra uomo e uomo … per lui provavo davvero stima, e contavo sul suo aiuto.
Chiusi gli occhi e mi addormentai all’istante, troppo stanco ormai per un’altra ondata di pensieri.
Non sognai niente, e dormii tranquillo per un po’, però questo non durò a lungo. Uno strano rumore mi fece aprire gli occhi, poiché tanto forte da destarmi dal sonno.
Era un rumore stranamente attutito di urla quasi rissose, e quando aprii gli occhi infastidito notai che la porta della camera era socchiusa, e un sottile spiraglio di luce passava da sotto la porta e dalla medesima fessura. Intravedevo, poi, delle ombre in continuo movimento e le urla che si facevano più forti.
Preso com’ero da quei particolari, notai solo più tardi che anche gli altri soldati stavano ascoltando e qualcuno di loro era come andato a vedere cosa succedesse, poiché il suo letto era vuoto. E tra questi letti, spiccava quello di Jordan.
“ Uther!” chiamai il mio compagno di stanza che dormiva nel letto di fronte al mio:” ma che succede?”
Lui mi guardò insonnolito:” Non lo so … ma qualcuno sta facendo a botte … e sembra anche che ce la stia mettendo tutta!”
Improvvisamente sentii nitida la voce di uno dei tanti che stavano fuori. Stava insultando chi stava picchiando, e quel timbro di voce freddo mi mise la pelle d’oca. Guardai di nuovo il letto di Jordan e solo allora l’ovvietà mi fece riprendere:” Oh merda …” Mi alzai di botto dal letto e mi precipitai fuori, andando contro un gruppo di ragazzi ammucchiati lì in cerchio a guardare il combattimento.
Le urla di incitamento era fortissime e stranamente nessuno sembrava essere intervenuto nella faccenda.
“ Mi sai dire chi sta combattendo?” Chiesi, anche se sapevo chi era in ballo in quella questione.
“ Il cadetto Jordan e il sergente Xavier .. sapessi come sono conciati!” Sghignazzò uno dei tanti laggiù.
Il terrore prese possesso di me; d’accordo, Jordan mi aveva pur promesso che mi avrebbe aiutato contro le scempiaggini di Xavier, ma non fino a tal punto … e se fosse stato espulso dall’accademia? Io sarei stato in balia di Xavier e nessuno mi avrebbe potuto aiutare.
Perché, ne ero certo, quello sciagurato avrebbe escogitato chissà che cosa per poter scampare all’espulsione dall’accademia per il suo gesto azzardato.
Mi feci spazio a forza di gomitate tra la folla e dopo vari sforzi giunsi al centro della lotta tra i due soldati. Ciò che vidi, non so se mi rese felice o gravemente preoccupato.
Jordan, il mio compagno di stanza, aveva letteralmente ridotto male Xavier; il mio amico si elevava sopra la figura accasciata e sanguinante del sergente, con uno sguardo acceso e quasi maligno. La sua divisa era ridotta a un panno per pulire il pavimento, il suo braccio destro era solcato da un segno rosso, come di graffiatura, e un vistoso occhio nero era in contrasto con l’azzurro dei suoi occhi che tanto mi avevano ispirato fiducia. Era quasi inquietante in quella figura,e Xavier per la prima volta … mi fece pena. La vista del suo corpo quasi esanime al pavimento mi fece ritornare in mente quello spettacolo di dieci anni fa; l’uomo ebreo a terra e il soldato tedesco, quegli occhi di ghiaccio che trapassarono quelli neri dell’uomo insieme alla pallottola e alle gelide parole di disgusto del soldato … tutto ritornò ai miei occhi come un orrendo flashback e non esitai a urlare accasciandomi a terra e coprendomi le orecchie come un pazzo. Rivedere il tutto come uno spettacolo teatrale mi fece ribollire il sangue nelle vene e sapere che l’attore principale era Jordan … lui, il soldato senza scrupoli e io di nuovo, colui che assiste a un martirio … la mia mente non ne poteva più:”Nooooooooooooooooooooo!!!” urlai come un pazzo, mentre gli altri soldati si scostarono da me, e Jordan, solo in quel momento accorgendosi di me, mi si avvicinò e mi prese forte per le spalle scuotendomi:” Che cavolo ti prende?”
Non gli risposi, ma continuai ad urlare come in preda a un attacco epilettico. Lui continuava a scuotermi, mentre gli altri non facevano niente, e Xavier, continuava a starsene steso per terra, respirando a fatica.
“ Max!! Si può sapere cosa diavolo ti prende?? Rispondiiii!!!” mi urlò contro, e io feci lo stesso di prima.
L’incubo era tornato, più vivo di prima. Non sembrava destino che un così brutto ricordo venisse rimosso dalla ma mente … la paura prese il sopravvento sulla mia coscienza e ciò favorì il fatto che alla fine la sonnolenza e lo stress prevalsero sulle mie forze fisiche.
Insieme al buio sentii la voce di Jordan e la pressione dei suoi muscoli sui miei.
 
La febbre c’era ancora, e nonostante il peggio fosse davvero passato,a Deborah servivano ancora un po’ di giorni per potersi riprendere completamente. Quindi, cambiate le coperte al suo letto, decisi di lasciarla riposare ancora un po’.
Per la questione aborto, decisi che nonostante tutto, anche quel fagotto dovesse avere un qualcosa di simile a una degna sepoltura. Quindi cercai nella stalla una pala, e trovatala, andai in giardino per cercare un posto appartato dove seppellire il corpicino. Agata e il resto della famiglia accolsero la mia proposta bene, e anche Deborah decise che era giusto rendere onore a quel cadavere.
Scelsi un piccolo spazio tra un arbusto di mirtilli lì accanto e una quercia, il posto era piuttosto appartato ma carino, quindi indiscreto. Smossi la terra con la pala e fatta una piccola buca, ci misi dentro la scatola di legno in cui avevo rinchiuso il fagottino. John mi stava accanto appoggiato al tronco dell’albero e, quando mi porse la scatola, sentenziò:” Non ti fa un po’ di compassione?”
“ Si, un po’ … ma ormai è tutto finito … meglio che essere buttato nella spazzatura no?” esclamai io, con occhi teneri, poggiando delicatamente la scatola nella buca. Ricoprii il tutto e poi aggiustai per bene il mucchio di terra quasi invisibile nel verde del cespuglio.
Mi inginocchia davanti ad esso giungendo le mani, una preghiera veloce per quella povera creatura era d’obbligo in quel momento. John fece lo stesso sorridendo.
Ci alzammo e aiutandolo con le stampelle rientrammo dentro.
“ Come sta Deborah?” Mi chiese Agata.
“ Meglio di ieri, l’ho lasciata riposare un pochino adesso …”
“ Mi fa piacere … e mi dispiace se ieri non ho voluto assistere … è stato più forte di me.” Fece la donna, un po’ riluttante.
“ Non preoccuparti, può capitare …” le sorrisi compiacente e poi salii in camera di Deborah, entrando lentamente. La ragazza aveva preso sonno oramai, quindi mi limitai ad accostarmi in punta di piedi alla scrivania e ad afferrare il mio libro, per poi sedermi e leggerlo seduta sulla sedia lì accanto, mentre di tanto in tanto lanciavo occhiate al suo letto, per vedere se la disturbavo in qualche modo. Aveva il viso finalmente rilassato, le occhiaie erano quasi sparite e ormai le lacrime erano come evaporate, data la loro mancanza. Questo mi rincuorò.
La guarigione completa della ragazza avvenne in una settimana, dopodiché lei fu completamente in grado di poter eseguire tutti i compiti affidatigli da Agata e Gustav.
La convalescenza passò tranquillamente, e nonostante la stanchezza, Deborah era capace di fare anche il lavoro all’apparenza più faticoso con impegno e bravura. Questo rese felici tutti, soprattutto me. Sentivo che attingeva la sua forza d’animo dall’amore che nutriva per mio fratello. E a proposito d’amore … notai come da quella notte io e John ci fossimo .. come dire … avvicinati.
Il bello della situazione era che , durante la settimana della malattia di Deborah, lui veniva in camera e si sedeva accanto a me, come a cena o dopo cena, quando uscivamo fuori a guardare le stelle.
Era molto dolce, e quando io ero intenta nei miei lavori, lui era sempre lì accanto a darmi una mano se ne avevo bisogno, senza però essere troppo invadente o presuntuoso. Scherzava, ma lo faceva con tenerezza, e questo mi toglieva le parole di bocca, o mi mandava in enorme imbarazzo con il resto del mondo. Aveva un modo di fare ammaliante, e questo contribuì a farlo avvicinare di più a me, tanto che in una settimana potevamo già considerarci come buoni amici … e chissà .. forse qualcosa di più!
Deborah lo aveva sicuramente notato, e non faceva altro che mandarmi segnali con gomitate e farmi occhiolini convinti, a cui io rispondevo facendo finta di niente.
Lei, naturalmente, affermava:” Vedrai,anche tu verrai rapita dalla magia dell’amore!” ed era vero, tanto ci sarei caduta anch’io.
E passarono così due settimane. Ma si sa, niente dura per sempre, e sembrava che qualche maledizione dovesse per forza incombere su me e Max, visto che ogni cosa era contro di noi. Ma stavolta sembrava più serio.
Me ne accorsi dalle urla fuori a da un rombo di macchina tuonante, nella notte della terza settimana del nostro alloggio a casa Mendel.
Aprii gli occhi insonnolita e disturbata dal rumore assordante di poco fa, e mi accorsi che Deborah stava in piedi davanti alla finestra, e guardava fuori. I suoi occhi erano ridotti a due fessure dal terrore. 

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Capitolo 31
*** Capitolo 31 ***


Scusate per il supermegaiperciber ritardo! Il fatto è che la voglia non veniva e l'ispirazione era davvero poca, insieme al tempo! Ma ora che ci sono le vacanze ( che, come sempre, finiscono il giorno del mio compleanno ... che iella!) penso che potrò dedicarmi di più alla storia , che sta cominciando la sua vera parte più intensa!
Buona lettura!
PS; Grazie a tutti i recensori per aver raggiunto insieme il traguardo delle 101 recensioni!
Remedios

Capitolo 31

 
La febbre dei giorni scorsi sembrò alzarsi di nuovo all’improvviso appena constatai che la iella ce l’aveva con me. Stavo davanti alla finestra, allibita davanti alla luce accecante dei fari di un furgone delle SS, parcheggiato proprio fuori nel cortile.
Anche Elly si svegliò e, constatato che eravamo nei guai più grossi di questo mondo, non tardò a tremare dalla paura:” Dimmi che non è vero …” Esclamò terrorizzata.
“ Neanch’io me ne capacito ancora … ma dobbiamo restare calme, e trovare una soluzione.” Dissi, Cercando di rimanere davvero tranquilla, ma senza riuscirci granché. L’agitazione stava divorando la mia anima: Quell’odiato furgone, io l’avevo temuto e visto così tante volte  che non mi meravigliavo per niente se ogni notte l’immagine cupa di quel mezzo mi  passava davanti, nei miei peggiori incubi. A ogni trasferimento in un nuovo ghetto, sentivo il naso punto dall’odore stantio di chiuso, vomito, o peggio ancora, di cadavere. Troppe persone erano morte solo durante il viaggio, tra questi mio cugino Richard, di appena due mesi. Avevo pianto tantissimo per il povero piccolino. E presto mi sarei rimessa a piangere, ma stavolta sarebbe stato per me, o peggio … per chi mi stava intorno. La mia situazione nelle ultime settimane era andata a coinvolgere persone entrate di botto nella mia vita, non potevo rischiare che la loro vita cessasse solo a causa della mia presenza.
Fu triste realizzare la mia idea, ma sembrava necessario.
“ Elly … dobbiamo separarci .Loro vogliono me.”dissi , seria.
Lei si voltò sorpresa:” Deborah, non dire stupidaggini. Io da te non mi separo di certo.”
“ Ma è necessario per la nostra salvezza farlo.” Replicai, guardandola negli occhi:” non possiamo fare in modo che quelli ci catturino entrambi.”
“ Ma Deborah! Io non lo accetto!” Mi afferrò le spalle all’improvviso, scrollandomi come impazzita:” Ti rendi conto che sei rimasta sola per tutti questi anni? Lascia che stavolta siano gli altri a decidere per te, e non tu per gli altri! Ascoltami e basta … io non voglio separarmi da te.”
“ Elly …” Ero un po’ scioccata dalla sua rivelazione così improvvisa, e anche … commossa. L’unica persona che avevo avuto così accanto negli ultimi anni della mia vita era stata mia madre, la sola. Poi, c’era stato Max … e mi sorprendeva che anche Elly ormai fosse uno dei pochi nella mia vita. Forse non dovevo sorprendermi così tanto, ma … a chi è rimasta un’anima solitaria tutta la vita sorprende sempre trovare la mano tesa pronta a prenderti durante una brutta caduta.
Di istinto la abbracciai, e una lacrima solcò il mio viso:” Elly … lascia stare. Facciamo come dico io … e grazie.” Le baciai la guancia, mentre lei non disse niente, prossima a scoppiare a piangere per non avermi convinto a fare come diceva lei.
Nel mentre, fuori, due soldati stavano per fare irruzione in casa. Non avevano l’aria molto amichevole in fondo, e il mio stato d’allarme crebbe tantissimo.
All’improvviso sentii la scala rimbombare sotto i passi di qualcuno, e dopo un po’ la faccia di Gustav apparire dalla porta:” Ragazze seguitemi presto!” L’uomo era agitatissimo, e noi preoccupate lo seguimmo.
“ Agata è sotto ad aspettare i soldati, ora vi porto in un posto sicuro.” Andammo in fondo al corridoio del piano di sopra, e varcammo la porta che io dedussi essere dello sgabuzzino. La stanza era un bugigattolo pieno di cianfrusaglie, dal soffitto piccolo e basso. A ogni angolo potevo notare scartoffie varie, libri o cumuli di libri impolverati e anche bambole di vecchia porcellana, ormai tutte sbiadite.
“ seguitemi più in qua ragazze …” Gustav ci faceva strada in quel labirinto di carta con un mozzicone di candela acceso che a stento faceva luce. Mentre ero intenta a orientarmi in quel buio pesto, le voci dal piano di sotto non erano per niente rassicuranti: I soldati sembravano dare sfuriate spaventose, Agata sapeva difendersi, ma  ci mancava poco che quegli energumeni ( perché, lo avevo notato, erano davvero grossi di spalle …) non la picchiassero.
“ Gustav … dovresti  tornare a aiutare Agata …” dissi, preoccupatissima.
Lui si voltò e mi sorrise, da quel che vidi nella piccola penombra creata dalla candela:” Non preoccuparti. Sappi che l’ho sposata proprio perché è una donna di carattere in certe situazioni! E ora, damigelle ..” Andò avanti fino a raggiungere la parete. Qui si chinò sul pavimento e afferrò qualcosa che non riuscii bene a vedere cosa fosse. Sentii uno strano cigolio e poi la voce dell’uomo:” Scendete per questa scala, vi porterà  nel rifugio …” ci fece luce con la candela sulla botola aperta, e potei vedere una pila di scale di legno, ancora in buono stato. Mi sorpresi di notare come in quella casa si fosse preparati per ogni emergenza.
“ Posso chiederti come mai c’è una scala segreta in casa tua?” chiese Elly avvicinandosi per scendere.
“ necessità … in effetti non siete le prime fuggiasche che noi accogliamo!” disse lui ridendo.
Sorrisi, anche se in verità questo mi rendeva ansiosa. Sembrava che  questa famiglia fosse abituata a mettersi in pericolo per persone che nemmeno conosceva, e tutto ciò mi faceva nuovamente sentire in colpa.
Elly scese per prima, e quando fu il mio turno, esitai sul primo piolo:” Gustav …” sussurrai:” ma perché lo fai?”
 L’uomo mi guardò stupefatto e mi fece un sorriso a trentadue denti:” perché faccio cosa?”
“ Questo … aiutare degli sconosciuti a scappare dalla legge …”
“ perché questa legge non mi piace … e dunque faccio quel che mi pare … ora scendi. Appena sarete nello stanzino, scappate attraverso la porta che troverete alla parete. è un tunnel segreto per poter arrivare alla stalla. Li vi aspetta John …”
“ John? Come ha fatto …?”
“ Te ne accorgerai da sola … in bocca al lupo adesso …” Detto questo, Gustav chiuse sopra di me la botola, dandomi la candela per farmi luce. Mi ritrovai nel buio pesto, con solo una flebile luce a illuminare il mio cammino già poco visibile. Mi rassegnai la fatto di dover affrontare tutto quello così improvvisamente, e facendo attenzione a dove poggiavo i piedi scesi lentamente e senza fare rumore la scala. La spaccatura della parete dove passava quel tunnel doveva essere situata lontano dal salotto, dato che le voci erano poco udibili.
“ Elly! Dove sei?” sussurrai, cercando comunque di farmi sentire almeno da lei.
Sentii la sua voce fievolmente da sotto:” Scendi ancora un po’! Ci sei quasi!”
Io scesi ancora un po’, anche se riuscivo a stento ad aggrapparmi con le mani ai pioli della scala. Facendo un ultimo sforzo, scesi gli ultimi gradini, e un po’ di luce mi aiutò a vedere meglio. Ero arrivata in fondo al tunnel, e una luce al neon bianchissima mi accecò. La scala finiva con un vuoto di appena mezzo metro. Saltai quel piccolo spazio, Elly attendeva il mio arrivo da sotto la scala.
“  Eccoti! Quella è la porta che dobbiamo prendere per arrivare in stalla.” Mi indicò una porta in ferro , tinta di nero, con i bordi arrugginiti.
Lo scantinato, o la parte inferiore della casa, era uno stanzino di dimensioni piccole, come la stanza delle cianfrusaglie di prima. Una lampadina che oscillava a ogni passo illuminava il tutto con una luce tremolante e e gettava ombre inquietanti a seconda di come capitava l’oggetto che veniva illuminato. Era un po’ spaventoso, ma non di certo meno spaventoso di quello che avrei passato se mi fossi fatta catturare.
Andammo verso la famosa porta, che si aprì solo dopo una solida tirata. La ruggine ne aveva contuso la serratura e fu un miracolo che la porta non cigolò troppo quando venne aperta per farci passare.
Immetteva in un corridoio buio e maleodorante,non di certo invitante.
“ Dovrebbe esserci un interruttore …” Elly tastava la parete al buio e poi sentii un click e alcune lampadine come quelle dello stanzino si accesero, facendo luce e rendendo meno buio e spaventoso il passaggio.
“ Possiamo andare …” Elly si chiuse la porta alle spalle dopo avermi fatta passare. E in breve tempo arrivammo sopra la botola che conduceva all’interno della stalla.
 
Voci attutite … anzi, una sola voce, confusa … non riuscivo a darmi la cognizione del tempo giusta, non capivo perché tutto mi sembrava distorto … forse stavo dormendo … no, sentivo una voce, non poteva essere possibile. La memoria non voleva aiutarmi, vuoto totale anche lì. Così … feci forza su quel che stranamente sentivo di aver chiuse; le palpebre. Sforzai di aprirle, e improvvisamente la voce si fece più nitida …:” Max! Svegliati!”
Max, Svegliati … pensai a chi mi stesse chiamando. E l’unica voce che mi venne in mente fu quella di Jordan.
 La vista offuscata si fece nitida e il volto del mio amico mi si mostrò davanti. Era contratto in una smorfia di dolore e preoccupazione.
“ Jordan … dove …” voltai la testa. Bianco e morbido. Un letto d’ospedale, e ci ero steso sopra.
“ Ben sveglio!” la sua voce sembrava rasserenata rispetto al viso contratto di prima in qualcosa che somigliava a una faccia corrucciata.
“ Mi puoi dire perché .. mi trovo qui?”
“ Dopo che mi hai visto fare a cazzotti con Xavier, sei svenuto … è passata una settimana dal tuo coma. Ho pensato il peggio brutto stupido! Mi hai fatto preoccupare …” mi poggiò la mano sulla spalla dandomi una pacca leggera, mentre io ancora stordito cercavo di fare ordine nella mia testa su quanto mi aveva detto.
Avevo dunque dormito una settimana intera solo perché avevo rivissuto il trauma infantile davanti a lui che picchiava Xavier? Mi sorpresi di come fossi diventato davvero suscettibile e sensibile negli ultimi giorni.
“ Una settimana? Ma dici sul serio?”
“ Esatto! Stavi urlando come un pazzo di farmi smettere, poi sei caduto tra le mie braccia. A quel punto è venuto un superiore e ti ha portato qui …”
“Capisco … ma ancora una cosa non mi è chiara …” istintivamente lo afferrai per il colletto per la divisa:” perché cavolo ti sei cacciato nei guai?”
“ In che senso cacciato nei guai?” afferrò la mia mano come per strappare la sua divisa dalla mia presa morbosa, ma io strinsi di più fino  a farmi diventare le nocche sporgenti e bianche dallo sforzo. Ricordavo benissimo che il suo gesto mi aveva letteralmente spiazzato, che tutta quella brutalità mi aveva deluso … gli avevo detto che poteva difendermi visto che eravamo amici, ma non poteva mettersi nei guai in quel modo, o giocare al gioco di Xavier.
“ In che senso? Hai fatto a botte con il mio nemico in modo assurdo! Non ti ho detto di certo di doverti comportare come … un tedesco …” allentai la stretta e come se si fosse addormentata, la mia mano cadde di botto giù.
Come un tedesco, dal sangue di ghiaccio  e dagli occhi perfidi. Un tedesco del mio tempo. E lui lo era, in fondo … anche se in modo più pacifico.
“senti … l’ho fatto perché altrimenti sarebbe stato lui a farti quelle cose … l’ho visto mentre si intrufolava in camera … e da lì è scattato tutto .. mi spiace …” Jordan, con gesto dispiaciuto, si grattò la nuca imbarazzato, sotto il mio sguardo leggermente tornato più tranquillo.
“ Davvero?”
“ Si … in verità all’inizio volevo lasciar perdere, ma dopo se l’è voluta … ha cominciato a insultarmi pesantemente.”
“ E hai reagito di conseguenza … ma poi cosa è successo dopo che sono svenuto?”
“ Xavier è stato portato via, e stranamente si è già ripreso … ma la sua condotta, per nostra fortuna, è stata penalizzata … tutti hanno riconosciuto che è stato lui ad iniziare.”
“ E tu? Cosa ti toccherà?” chiesi un po’  in pensiero per Jordan. In fondo era stato lui a farle buscare a Xavier.
“ Io?” uno strano sorriso a trentadue denti comparve sul suo volto:” Punizione più leggera della sua di sicuro … mi toccherà rifare tutti i letti dell’accademia, più servizio extra in cucina e un’ora in più di allenamento. Ma in compenso è più divertente di quello che è toccato al nostro amico …”
“ Perché?” la domanda mi sorse spontanea, anche se qualche dubbio terribile mi venne subito.
“ Pochi giorni fa abbiamo avuto il recapito di cinque soldati morti sul fronte. Lui è stato mandato come rinforzo. In pratica, sta combattendo.”
“ …” Non fiatai, anche se non ero scontento che alla fine avesse avuto quel che voleva. Ma la guerra è pur sempre una guerra, e di certo non volevo essere al suo posto in quel momento.
“ Già … ha sconvolto anche me … in fondo incassava bene i colpi!” scherzò Jordan. Io sorrisi ma rimasi serio lo stesso.
Sentimmo a un tratto bussare alla porta della stanza. Un soldato entrò e venne verso di noi.
“ Cadetti … per voi.” Ci porse una lettera di color giallognolo, che Jordan prese in mano dubbioso.
L’aprì lentamente, dopo che l’altro si chiuse la porta dietro. E alla chiusura della porta corrispose anche un gemito dalla bocca di Jordan, che non fu per niente rassicurante.
“ Che succede?” presi la lettera in mano, mentre vidi che Jordan tremava. Il suo viso prima calmo si contrasse in una orrenda smorfia di terrore.
Mi preoccupò tantissimo vederlo in quello stato, e lessi quindi la lettera.
Capii solo dopo averla letta il perché del pallore improvviso  di Jordan. Era un invito alla morte. 

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Capitolo 32
*** Capitolo 32 ***


Benritrovati! Volevo postare il capitolo ieri, così da potervi fare una sorpresa proprio il giorno del mio compleanno, ma a quanto vedo non è andata come speravo.
Buona lettura!
PS: ogni giorno scopro nuovi recensori, che mi deliziano con i loro complimenti! Sappiatelo, mi rallegra davvero sapere che questa storia vi piace a tal punto!
Buona lettura! Remedios

Capitolo 32

 
Collegata alla botola, stava una scala di legno ancora buona. Salii per prima, facendo attenzione che i gradini non mi crollassero sotto i piedi, mentre Elly mi stava dietro.
Non vedevo tantissimo, solo un fio di luce penetrava dallo spiraglio della botola, che con tutte le forze spinsi verso l’alto per aprire. La luce della stalla mi investì debolmente mentre con una grande spinta salii in superficie sul pavimento della stanza. La botola era situata al centro della stalla, e l’odore del fieno mi punse fortemente le narici, Con una mano aiutai Elly a salire accanto a me e dopo ci sedemmo sul pavimento, per riprendere fiato.
“ Menomale che siete arrivate ragazze!” la voce di John spuntò dal nulla, e poco dopo lui fece capolino con la sua testa da dietro una balla di fieno nel mucchio:” pensavo vi avessero catturato!”
Con mia enorme sorpresa mi accorsi che, quando fu vicino a noi, nessun appoggio lo aiutava a tenersi in piedi; stava ritto davanti a noi, come se fosse perfettamente in salute.
“ John .. ma tu cammini?” rimasi esterrefatta da quel che stavo vedendo.
Lui si imbarazzò non poco:” Scusate se vi abbiamo mentito per tutto questo tempo … ma mi serve la scusa dell’invalidità per poter restare accanto ai miei  e aiutarli nelle faccende riguardo la clandestinità. Sapete, voi per adesso siete le uniche a sapere del mio segreto.”
“ Non l’hai mai detto agli altri fuggiaschi?”
“ mai … di solito me lo tengo per me, ma questa volta è più grave di quanto pensassi … Ora andiamo, dobbiamo uscire di qui, prima che le guardie ci scoprano.”
Io e Elly, ancora frastornate dalla verità, gli andammo dietro, mentre lui cautamente si avvicinò alla porta della stalla per orecchiare. Restai in silenzio assoluto per facilitargli la cosa, e anche Elly fece lo stesso. L’unico rumore che però, riuscivo a sentire, era il canto delle cicale misto alle urla attutite dei soldati, proveniente dalla casa.
“ Come facciamo a scappare, se sono ancora lì?” Chiese Elly, preoccupata.
“ cani non ne hanno portato, basterà aspettare che se ne vadano, in totale silenzio … comunque, voi salite al piano superiore e nascondetevi.” John ci indicò una scala di legna, che portava esattamente a un pianerottolo mezzo nascosto dal fieno abbondante.
La sua proposta, però, non volevo accettarla: Ancora una volta le persone che avevo accanto rischiavano per me, e questo non potevo accettarlo.
“ Io per adesso rimango qui …” esclamai, facendo girare John dalla mia parte con uno sguardo tra lo stupito e l’arrabbiato.
“ Cosa? Non dire sciocchezze, tu e Elly dovete scappare prima che vi prendano!” tuonò lui apprensivo.
“ E tu come farai?” stavolta era stata lei a parlare, e nel tono della sua voce risuonava un lieve tono di tristezza.
“Io ho la pellaccia! Vedrai … me la caverò.” Si avvicinò a Elly, e le scompigliò affettuosamente i capelli, sotto lo sguardo lucido di lei:” E non piangere … non è da te farlo.”
“ Lo so benissimo …” Elly abbassò lo sguardo ormai con gli occhi gonfi di lacrime, e tutto quello suscitò in me il ricordo del mio distacco da Max.
Il mio cuore ne aveva sofferto di pene, e soprattutto quell’evento .. lo aveva segnato. Desideravo ardentemente che mi riconciliassi con lui, anche solo per un istante, ma dovevo aspettare, chissà quanto, tutto era contro di me in quel momento. Dunque non c’era via di scampo. Solo il destino poteva darmi man forte in quel momento.
Distolsi lo sguardo dai due innamorati, che nel mentre si erano stretti in un abbraccio malinconico, entrambi in lacrime, e andai accanto alla porta, socchiudendola leggermente per guardare fuori.
Ciò che vidi non mi diede il tempo neanche di emanare fiato: uno sparo, poi uno sbattere di porta improvviso, e una delle guardie che usciva dalla casa e si dirigeva pericolosamente dalla parte della stalla.
“ Ragazzi! Non vorrei disturbarvi ma … abbiamo una visita.” Dissi cercando di essere disinvolta, ma con il cuore che mi pulsava in modo incontrollabile.
 
Sentite le parole di Deborah, Io e John ci staccammo da un abbraccio che mi sembrò essere durato in eterno e ci guardammo negli occhi spaventati.
“ Presto, saliamo su e nascondiamoci bene!” disse lui, e senza farcelo ripetere due volte salimmo in fretta la scala che conduceva al pianerottolo, poi la scala venne tratta su in fretta, di modo da evitare la salita delle guardie verso il nostro nascondiglio.
E nel momento in cui l’ultimo pezzo di scala venne nascosto sotto una coltre di fieno, la porta della stalla si spalancò con enorme chiasso e il vocione di un soldato irruppe nel silenzio rotto solo dal canto continuo della notte.
“ Chi c’è qui?” tuonò con gran voce l’unico soldato che era entrato dentro:” Fatevi vedere, luridi latitanti! E non costringeteci a usare le maniere forti!”
La sua voce emanava autorità e brutalità, e questo mi accapponò la pelle più di quanto i miei sensi potessero permettere.
“ Cosa facciamo? Se ci muoviamo quello ci scopre!” sussurrai con un filo di voce, cercando di stare più attenta possibile a non farmi sentire.
“ Restiamo qui, fino a che non se ne va .. e evitiamo di farci scoprire.” Sussurrò in risposta Deborah, che di tanto in tanto buttava un’occhiata verso il piano di sotto.
Il soldato continuò a mandare le sue minacce al nulla, mentre noi aspettammo che si arrendesse e che se andasse. Ma sembrava che niente stesse dalla nostra parte in nessun momento.
Dopo un minuto di silenzio inquietante, l’uomo uscì dalla stalla, ma non mi fidai comunque. E infatti, evitai che John si alzasse di botto nel momento preciso in cui lui ritornò con un fucile a canne mozze in mano.
“Che intenzioni ha?” fece Deborah terrorizzata. Il soldato scomparve dal nostro campo visivo, ma avevamo già intuito cosa volesse fare e il terrore ci corse nelle vene.
“ Ragazzi dobbiamo subito andarcene da qui!” urlai senza voce agli altri, che erano agitati visibilmente quanto me.
Sentii il rumore di un grilletto, e il legno del pianerottolo rompersi sotto al furia di un proiettile scagliato a pochissimi centimetri dal mio braccio e dal quello di Deborah. L’uomo stava sparando da sotto per stanarci, probabilmente il nostro silenzio era stato udito ugualmente.
Il guaio di quei proiettili che ci avrebbe sparato è che non avevamo idea di come ci avrebbero colpito, e se ci avrebbero colpito. Già dal primo tentativo, sembravamo spacciati.
Non emisi fiato, anche se avrei voluto gridare come un’ossessa, e un altro proiettile forò il pavimento vicinissimo al mio braccio. Potei sentire il calore del colpo bruciarmi la pelle.
“ Elly! Torna qui!” Mi incitò John spaventato. Cercai di muovermi verso di lui, di modo da spostarmi verso destra, Ma qualcosa fece in modo che il mio movimento venisse visto. Il proiettile stavolta mi passò talmente vicino che non feci in tempo ad arrestare il grido strozzato che mi uscì dalla gola.
Ora ero nei casini più totali.
“ Beccati! Portate la scala!” tuonò il soldato da sotto. 

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Capitolo 33
*** Capitolo 33 ***


Scusate davvero per il ritardo! So che l'altro capitolo vi ha dato filo da torcere, poichè vi ho lasciato con il quesito " E ora cosa succede?" ma qui avrete la vostra risposta. E non sarà bello ... Godetevi il capitolo 33!!
Remedios la Bella


Capitolo 33

 
Merda.  Potevo proprio dire di essere nella merda. E non avevo nemmeno la lucidità per pensare a un piano di fuga rapido e efficace, per salvarci da questa situazione.
“ Scusate ragazzi ..” sussurrò Elly dispiaciuta.
“ Non è colpa tua … avrei reagito anch’io così ormai … ora il guaio è … come facciamo ad uscire?” più che per la reazione pericolosa di Elly, cercavo di far ingranare le rotelle del mio encefalo per trovare al più presto la soluzione al casino che avevamo davanti.
Il soldato era uscito dalla stalla, ma non potevo sperare di salvarmi saltando da quella altezza, e in più quello laggiù sarebbe tornato al più presto, con la scala e una scorta di energumeni pronti a spezzarci il collo.
“ Pensiamo in fretta a una soluzione per la miseria!” avrei voluto urlare dalla rabbia, ma non potevo farmi sentire ulteriormente:” John … sei sicuro che non ci siano scappatoie qui …”
John sembrava paralizzato dalla paura, e esitò a rispondere al mio quesito:” Io …. Non …”
“ Avanti!” lo incitai a dire qualsiasi cosa, mi sarei anche rotta un braccio pur di salvarmi da quella brutta situazione.
Il ragazzo non sembrava cosciente di quello che gli stava accadendo, e le cose stavano precipitando. Elly, che fungeva da vedetta, ci bisbigliò che i nostri “ amichetti” stavano arrivando:” John … ti prego!”
Ma niente, era più terrorizzato di un coniglio con le spalle al muro, con il cacciatore che gli punta sul muso la canna di fucile, pronta a spedirgli dritto nelle budella il proiettile mortale.
Dovetti arrischiarmi, e con un gesto fulmineo della mano, arrossai una gota di John:” Svegliati cazzo! Siamo tutti nella stessa situazione! Sei o non sei uno che aiuta i fuggiaschi?”
“Lui sembrò riprendersi dalla trance di prima, e massaggiandosi la guancia, mi guardò con aria interrogativa.” Il fatto è che non mi era mai successo un caso simile … di solito tutti alla fine si salvavano prima della venuta delle guardie …. Accidenti.”
“ Scusa se ti metto sottopressione così … ma devi essere lucido.” Lo incitai a pensare a come scappare. Io non conoscevo la casa tanto bene quanto lui, riponevo ogni mia speranza nel baldo giovane che mi aveva insegnato in quei giorni a spaccare legna, e a mungere mucche, cose  che possono sempre servire, in fondo.
“ Giusto, hai ragione …” John sembrò essersi ripreso, e chiuse gli occhi come per allargare la sua mente. Poi li aprì fulmineo come se avesse avuto un’illuminazione:” Ma certo! Che stupido! La finestra e la corda!”
“ Finestra e corda?” ero un po’ perplessa, e lui mi indicò una strana fenditura che prima non avevo notato a causa del gioco di ombre creato dalla luce e dal fieno nella stalla. Era una finestrella non molto grande, ma abbastanza comoda per far passare una donna mi media statura e un bambino.
“ Se non ricordo male, da quella finestra pende una corda che ci porterà fuori da qui!” esclamò come entusiasta. Il mio cuore saltò di gioia, anche quella sola misera speranza era viva dentro di me, e mi astenni dall’abbracciarlo solo perché eravamo in una brutta situazione.
Nel mentre Elly si avvicinò a noi:” stanno arrivando!”
Sentimmo nel silenzio creatosi i passi felpati di alcuni soldati e poi un tonfo alla base del pianerottolo della stalla. Un suono metallico. Stavano per scoprirci!
“ Deborah! Elly! Voi andate!” John ci spinse verso la finestra, che come aveva detto lui aveva legata al davanzale una corda robusta lunga fino a terra.
“ E tu?” Elly sembrava preoccupata, mentre si accinse a aggrapparsi alla corda.
“ Io rimango qui … voi scappate.” John fece un sorriso rassicurante rivolto a Elly, che come pensavo stava già progettando di morire insieme a lui.
“ No … non farlo.. ti prego!” era triste, le tremò la voce davanti all’espressione serena di John.
“ Se saprò che ti salverai, sarò felice … ora vai. E buona fortuna.”
“ No!” la mia amica iniziava a disperarsi, e il mio cuore era a metà dalla parte di John e a metà dalla sua parte. Stavo rivivendo indirettamente ciò che avevo dovuto passare prima di lasciarmi con Max; la delusione nel non poter rimanere con la persona amata, il groppo alla gola causato dalle lacrime che vorrebbero portare con sé chi non può, la solitudine e la rassegnazione.
Ma dall’altra parte, capivo che il gesto di John era di vero amore, di sacrificio, perché lui desiderava che lei fosse libera. E per noi fuggiasche, la libertà è il più bel gesto d’amore e di felicità.
“ John …” dissi, prima di scendere la corda:” giurami che non farai sciocchezze e che scenderai questa corda dopo di me.”
“ Deborah …”
“ fallo per lei. Se lo merita davvero.” Conclusi, e dopo che Elly, con le lacrime agli occhi, era scesa, mi accinsi a calarmi per il muro. Nel mentre le urla dei soldati si fecero più intense.
Con un balzo scesi sull’erba bagnata dalla pioggia che era iniziata a scendere poco prima.
Il cielo rimbombò cupamente
 
John era ancora su, e le lacrime non tardarono a farsi strada. Perché? Perché proprio lui?
Non volevo che venisse catturato o peggio ancora ucciso. Era un fatto non di puro egoismo da parte mia, ma … lo volevo e basta. Non potevo permettere che il mio primo amore venisse rinchiuso nella mia mente come solo un lontano e dolce ma al contempo triste ricordo.
La pioggia batteva sulle mie ciglia su cui lacrime spesse si aggrappavano e la voglia di risalire su e di affrontare faccia a faccia il mio destino era fortissima.
“ Deborah! Voglio tornare indietro …” dissi alla mia amica, che appena scesa mi guardò perplessa:” Non posso starmene con le mani in mano qui! Devo aiutarlo!”
“ No! Vuoi farci scoprire?” ribatté lei arrabbiata. Non capivo perché facesse così, perché fosse diventata fredda all’istante. Sembrava che gli importasse più di se stessa che degli altri, cosa che non poteva essere da lei.
La affrontai a viso alzato:” perché no?”
“ è stato lui a dirtelo, segui il suo consiglio e scappa … almeno tu …”
“ Ma perchè ti ostini ad essere così? Io lo amo! Non voglio che quelli laggiù gli facciano del male!”
“ questo lo so!” la sua reazione isterica mi lasciò sbalordita:” Ma non possiamo sempre contare sugli altri come vuoi tu! Niente va come speriamo, e se gli altri ci danno una mano dobbiamo fare in modo che il loro aiuto non venga reso vano dal nostro egoismo!”
“ Senti chi parla! Prima dicevi che non avresti messo a rischio nessun’altra persona, e ora tu vieni a parlarmi del fatto che dobbiamo lasciare gli altri nei casini!” ero arrabbiata, non riuscivo a credere che proprio lei, che fino a poco prima non voleva permettermi di farla fuggire con me, stesse dicendo certe cose. Era una contraddizione contro l’altra: “ Non dirmi cosa devo fare, se voglio andare da lui io ci andrò.”
“ Non ce n’è bisogno, sto venendo io da te!” Una voce, sin troppo soave per le mie orecchie in quel momento, apparve nel buio della pioggia. John! Si stava calando dalla fune e appena scese a terra, mi rivolse un sorriso enorme:” Deborah mi ha fatto promettere che sarei sceso dopo di voi, se le guardie non fossero riusciti a salire.”
Ero felicissima, lui era sano e salvo dopotutto. Nessuna parola uscì dalla mia bocca, tanto ero euforica, ma solo i miei muscoli risposero, in uno slancio d’amore che lo fece cadere a terra, nel fango. Lo strinsi più forte che mai, non volevo che svanisse come prima. Mi rassicurò sentire le sue braccia forti avvolgermi e le sue labbra sfiorare la mia fronte:” Adesso va tutto bene …”
“ Voi due, avanti, dobbiamo scappare!” esclamò Deborah, con tono leggermente commosso ma autoritario come prima.
“ Si si … e comunque … scusa se ti ho urlato contro.” Mi scusai con lei per prima, avevo capito che la sua reazione isterica era dovuta allo spavento e alla brutta situazione e che il tutto aveva contribuito a renderla di malumore.
“ Niente, non me la sono presa … in parte è anche colpa mia, che ti ho messo sottopressione ..” rispose lei, per niente rancorosa.
Ora eravamo tutti e tre, fuori dall’inferno, e l’unica via di fuga era data dalla foreste, che distava mezzo chilometro dalla nostra postazione.
Ce l’avremmo fatta di sicuro, se avessimo continuato a scappare e se i soldati non ci avrebbero scoperto.
Ma sembrava che tutto dovesse andare storto. Mentre ci preparavamo per la grande corsa verso un fitto bosco di pini che potevo intravedere tra la luce dei lampi, un suono di proiettile e qualcosa di velocissimo colpì la parete della stalla, facendoci un grosso buco.
“ Sono qui! Venite!” urlò uno di loro, quello che evidentemente aveva sparato.
“ Santo cielo!” imprecai in mille lingue diverse, mentre mi accinsi a correre come una matta insieme a Deborah e John.
La fuga stava per cominciare.
 
Correvo come un matto, cosa che non avevo fatto da chissà quanto. Durante la finzione della mia malattia, avevo perso l’abitudine di correre a perdifiato attraverso una landa desolata o qualcosa di simile, dunque rimettere sotto quel’enorme sforzo le gambe. I soldati non demordevano nell’inseguimento, e il terreno sembrava volerci far inciampare più del dovuto. La pioggia aveva reso il tutto una pericolosa lastra di ghiaccio, su cui neanche il minimo passo poteva essere fatto con sicurezza. Ma non potevo adesso fare attenzione a certe minuzie; i tedeschi dietro di noi stavano per avere la meglio,  Elly stava dietro di me e se non si fosse affrettata l’avrebbero presa. Cosa inaccettabile.
“ Deborah … continua a scappare! Io vado ad aiutare Elly!” dissi. Lei si voltò nella mia direzione e non disse niente, ma continuò a scappare, e poco dopo raggiunse la foresta. Almeno lei era in salvo,ora c’era Elly.
La ragazza stava per essere raggiunta da uno di quei maledetti soldati, ma sembrava tener testa al tutto. Io continuavo a correre, sperando che mai la catturassero, ma le mie speranze sembrarono svanire, appena la vidi crollare al suolo, dopo che il rombo di un fucile squarciò il rumore dei nostri fiati pesanti.
L’avevano colpita alla gamba, e stavano per raggiungerla trionfanti, io guardavo preoccupato la scena orribile che mi si stava presentando nella testa e davanti agli occhi. Elly, la ragazza che nel giro di poche settimane era diventata parte di me e del mio mondo, stava per finire nelle mani di grossi soldati, crudeli e pervertiti. Se non fosse morta, avrebbe perso comunque la vita dopo le violenze che avrebbe dovuto subire dalle manacce di quelli laggiù. E questo non potevo accettarlo.
“ Elly!” mi fermai di botto e corsi verso di lei,  fino a raggiungerla del tutto. I soldati mi si misero davanti:” Catturatelo!” urlò il capo, che nel mentre stava legando Elly come un salame.
“ Lasciatela andare!” iniziai a scalciare e a tirare pugni e gomitate dove mi capitava, beccando e facendomi male ogni viso dei soldati che mi stavano addosso. Riuscii a buttarli a terra tutti, arrabbiato e voglioso solo di riavere la mia Elly, mancava soltanto l’energumeno che la teneva imprigionata.
“ Brutto bastardo! Lasciala, sei solo come un cane adesso!” sbraitai, pronto a scagliarmi contro di lui. Ma fu più rapido di me.
Con ghigno beffardo, mi puntò la rivoltella dritta in fronte:” provaci e finirai arrosto.” Esclamò maligno. Fermai di botto lo slancio, paralizzato dal freddo metallo della pistola puntato sulla mia pelle.
“ Facciamo così … ti lascerò scappare, a me basta la ragazzina.” Facendo questo, si leccò in modo disgustoso le labbra:” ma se insisti a volerla salvare, ti ucciderò.” Sentenziò freddo.
Ero bloccato da questa scelta che non lasciava scampo a nessuno dei due. Se fossi scappato, lei avrebbe patito ogni pena per colpa mia e sarei stato ucciso lentamente dal rimorso di non aver fatto niente.
Se fossi intervenuto, lei sarebbe comunque stata nelle sue mani, e io tra gli angeli maledetti nell’alto del cielo.
La pioggia continuava a battere sul mio corpo, ma non riusciva a lavare la mia confusione in nessun modo.
“ Cosa scegli?” ripeté lui, con un ghigno malefico sul volto.
Ero indeciso, se avessi potuto lo avrei stroncato, ma la vicinanza della canna della rivoltella era troppa per poterla evitare. Sembrava che il mio destino fosse segnato, ma non potevo lasciare lei, proprio lei da sola.
Optai per la seconda opzione datami da lui, ma prima che potessi alzare un braccio per poterlo attaccare, la voce di Elly mi fermò:” Vai. Scappa più lontano possibile insieme a Deborah, e aiutala tu a ritrovare mio fratello. Io starò bene.” Disse, con tono disperato.
Il soldato si voltò verso di lei trionfante:” io direi di seguire il consiglio della tua ragazza, sai è molto conveniente!”
“ Elly …”
“ John … fallo e basta. Conto su di te.” Finì di dire, prima che la sua testa crollasse sotto lo sforzo del dolore che stava sicuramente provando alla gamba.
Si stava sacrificando per me, lo stava per fare. Come io pochi minuti prima per lei. Era un gesto … non riuscivo a dire come, ma comunque fosse, dovevo esaudire il suo desiderio.
Con le lacrime agli occhi, scappai in direzione della foresta per raggiungere Deborah. Elly venne messa in groppa dal capo dei soldati, da quel che vidi in lontananza. Sperai con tutto il cuore che quel farabutto non la violasse più di quanto la stanchezza non avesse fatto su di lei.
Un altro cammino di vita si era separato dalla via principale. Esisteva la strada che ricongiungeva il tutto? Solo il tempo e il dolore avrebbero potuto dirlo. 

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Capitolo 34
*** Capitolo 34 ***





Capitolo 34
 
Un dolore lancinante alla gamba ferita misto alla stanchezza avevano favorito l’assopimento dei miei sensi. Ma non prima di vedere John venirmi incontro. Per salvarmi, o provare a farlo.
Lo amavo immensamente, saprebbe che lo avrebbe fatto, inevitabilmente dalla situazione in cui si sarebbe trovato, ma sotto quella pioggia portatrice di iella, il grilletto che avrebbe schioccato della pistola del capo delle guardie, e la faccia dubbiosa di John davanti alla scelta di salvarmi o di scappare insieme a Deborah, anche la mia voglia di salvarmi si era esaurita. Ero stata una sciocca a farmi prendere, ma non potevo permettere che anche John facesse una fine indegna di lui. Io … me la sarei cavata di sicuro, ma lui con un buco in testa non sarebbe servito a molto per la salvezza di Deborah e il suo ricongiungimento con mio fratello.
E poi, non mi sarei perdonata la sua morte,in quei secondi che scandivano un colpo nelle cervella da una fuga in lacrime. Con tutto l’ultimo briciolo di audacia rimastami in corpo, lo avevo supplicato di lasciarmi stare, che me la sarei cavata in qualche modo, e anche se fossi morta, sarei stata felice, sapendo che prima o poi anche lui sarebbe stato felice. E lui, mi aveva ascoltato, non egoisticamente, ma controvoglia, rivolgendomi l’ultimo sguardo triste che forse ci saremmo scambiati nella striscia di vita che inevitabilmente mi mancava. Poi la risata del soldato e il mio peso sollevato sulle sue spalle. Il sonno, in quel momento, insieme a lacrime che per paura non uscirono, congedarono i miei sensi, e mi permisero di addormentarmi, con il cuore pieno di spilli.
Il buio aveva sopraffatto i miei occhi per tutto il tragitto verso la meta, nessun sogno che potesse in qualche modo darmi l’illusione di essere arrivata, solo nero che mi disorientava e che scomparve solo quando aprii le palpebre, dopo non so quanto tempo che ero svenuta.
La prima cosa che vidi … grigio. Un grigio mattone, smorto e buio, un muro scrostato dal tempo e dall’umidità. Un senso di inquietudine mi sconvolse dentro .. ero forse morta e quello era una specie di zona post morte? Provai ad alzare la testa e incontrai un’altra parete, sempre grigia, fatta di mattoni ormai tutti consunti e scalcinati.
No, se quello era il paradiso io ero Hitler. Il respiro tornò normale e cercai di orientarmi in quello spazio angusto e di capire cosa diavolo stesse succedendo.
Ero stesa su una tavola, legata con delle catene arrugginite alla parete. Dubitavo che quel pezzo di legno avrebbe sorretto il mio peso, ma qualcosa di pesante impediva al mio corpo di muoversi. Mi ricordai della ferita alla gamba, e la guardai automaticamente. Constatai, con enorme sorpresa, che era steccata e fasciata, anche se in maniera piuttosto rudimentale. Non faceva più male come nell’attimo in cui la pallottola mi aveva colpito, ma era pesante. In tutto quel tempo si doveva essere addormentata.
Cercai di spostarla con fatica in posizione eretta, così’ che il sangue riprendesse a circolare, e solo voltandomi in posizione seduta sul lettino, notai un’altra asse di legno sull’altra parete, e una figura seduta, con la testa abbassata e le mani giunte.
Notai anche una porta di ferro nera, e una piccola finestrella da cui la luce passava a stento. Una cella di contenimento. Pensai che, nonostante tutto, non era male. Se poi pensavo che l’altra opzione sarebbe stata la mattanza pubblica.
Mi avevano chiusa in una stanza completamente nera, con un uomo che a giudicare dalla luce e dall’ombra, sembrava piuttosto cupo e massiccio.
“ S – scusi … mi può dire …” cercai di attaccare discorso con quello lì. Lui alzò la testa lentamente, e incontrai uno sguardo che mi parse terribilmente familiare: due pietre onice, ovvero due occhi neri come il carbone, profondi come pozzi, mi squadrarono con fare curioso e per niente minaccioso.
La figura si alzò, e solo allora mi avvidi della sua mostruosa altezza. Aveva una aspetto stanco ma non troppo anziano, sembrava un detenuto da chissà quanti anni. Mi si avvicinò dolcemente:” Sei in una cella … io qui ci sono da tipo … dieci anni penso … tu ci sei arrivata dormendo.”
“ Oh … posso sapere il suo nome?” mi ispirava timidezza quello sguardo tanto profondo e quelle occhiaie tanto segnate che possedeva quel signore. Ma non mi ritrassi, sentivo che in qualche modo potevo fidarmi di lui.
“ Menuchin … tu?”
“ Elly … Menuchin .. che nome strano …”
“ Sono ebreo, ma stranamente non mi hanno ancora fatto fuori.” Rispose pacatamente l’uomo.
“ Come mai?”
“ Di professione faccio il medico, e diciamo che i nostri cari soldati hanno bisogno del mio aiuto per guarire …”
“ Capisco …” non mi stupii più di tanto dopo la sua affermazione. Lo feci sedere accanto a me, e dato che il tempo doveva passare, mi feci raccontare da lui la sua storia.
 
Bombe, sangue, bombe e spari. Un ciclo che non finiva mai, attutito da un casco che a malapena mi avrebbe protetto dai colpi di fucile. Facce morte, bianche in volto, di persone che avevano perso ormai ogni speranza di poter tornare davvero a casa e di riabbracciare le persone amate. Solo il viso di Jordan, seduto accanto a me, mi dava qualche speranza. Anche se ormai, la luce nei suoi occhi si stava per spegnere.
Non stava per morire, ma stava per farlo la sua anima. Tutto in quella tenda ai confini del campo, la trincea distante quasi anni luce.
“ Riesci a combattere?” gli chiesi, avvicinandomi a lui e guardandolo negli occhi.
“ Non tanto …. Per niente. Tutto ciò è stupido, non trovi?”
“ per niente … siamo tutti sulla stessa barca amico … dobbiamo remare fino alla sponda se non vogliamo che gli squali ci affondino.”
“ Ma sentilo …” un lieve sorrisetto apparve sul suo volto stanco. Ero riuscito a tirarlo un po’ su, ma non era di certo il luogo adatto per scherzare.
Ci avevano appena comunicato che la truppa Alfa era stata colpita di sorpresa dal nemico e che servivano rinforzi al più presto, e che un gruppo di persone sul settore  Ovest era stato ferito e servivano uomini per portare in salvo quelle ancora vive verso le tende ospedaliere.
“ Soldato Schubert e compagno … andate sul settore Ovest, serve rinforzo medico.” Ci aveva urlato il soldato, appena entrato nella tenda.
Avevo annuito poco convinto e dato una pacca sulla spalla di Jordan:” Pronto?”
“ pronto …” aveva sussurrato lui dopo essersi alzato dalla panca. Imbracai il fucile saldamente e anche Jordan fece lo stesso.
“ Buona fortuna …” ci disse flebilmente l’uomo di prima:” e non fatevi ammazzare …”
“ ci proveremo …” dissi io, prima di uscire.
Guerra. Un contadino che semina distruzione su un campo arato dall’odio e dal rancore. I frutti maturano in esplosioni e sangue, le urla sono i fiori che sbocciano sulle piante matura.
Uno spettacolo che avrebbe reso desolato qualsiasi cuore.
Il settore Ovest si trovava a poca distanza da lì, ma ci voleva tempo per arrivare, e ciò avrebbe comportato una corsa enorme contro il tempo e un invito esplicito a saltare in aria come mine.
“ Amico!” urlai, mentre correvo coma un pazzo a testa bassa, mentre il rumore degli esplosivi mi martoriava i timpani:” Coprimi le spalle!”
“ D’accordo!” aveva urlato lui, dietro di me. Preparò le munizioni nella canna, mentre un gruppo di soldati si fece vedere sopra una vettura rovesciata in strada.
Soldati nemici. Detestavo dover agire, ma in quella situazione non potevo far altro che far emergere il mio istinto di tedesco, represso nei meandri più profondi di me stesso.
Preparai il fucile e premetti il grilletto.
 
Elly … perché lo hai fatto? E dire che contavo sul fatto che avrei incontrato di nuovo Max con te, con te che avresti sorriso con le lacrime agli occhi … e invece anche la mia strada si separava da te, e si congiungeva a quella di John, triste come me per il tuo sacrificio.
“ Mi dispiace Deborah … non sono riuscito a metterla in salvo …” si era scusato lui, mentre scappavamo.
“ Non preoccuparti di questo .. ora scappiamo …” dissi io, anche se continuavo a pensare a come sarebbe stato difficile non avere più il supporto di una buona amica come lei.
Da odio verso la mia “ razza”, quel suo sentimento si era mutato in una compassione che aveva infuso al suo cuore coraggio e altruismo. Aveva pianto con me durante il periodo a casa Mendel, e ora io avrei pianto con uno della famiglia Mendel, ma senza di lei. Ciò mi demoralizzava più di quanto ogni umano possa immaginare.
Pensando a tutto ciò, arrivammo al limitare della foresta e ci trovammo nel bel mezzo di un campo di grano maturo. Ottimo nascondiglio.
“ John … facciamo una pausa … ti va?”
“ va bene … devo riprendere fiato.”
Cercammo, camminando in mezzo agli steli che mi punzecchiavano le gambe, un posto dove sederci, ben nascosto tra gli steli di grano più alti. Non sembrava grano coltivato, ma più quello selvatico, che cresceva spontaneo in campagna, e che poteva tranquillamente raggiungere altezze notevoli, tali da nascondere alla perfezione un uomo inginocchiato. Mi addentrai alla cieca in quel luogo sperduto, andando sempre dritta, mentre la notte non mi aiutava di certo a orientarmi. Un canto frenetico di grilli mi disorientava, o dopo un po’, subentrò un qualcosa di inquietante.
Una specie di tanfo nauseabondo … qualcosa che mi fece chiudere il anso all’istante.
“ Che puzza …” mi chiusi il naso in modo ermetico, ma sembrava che il tanfo mi entrasse in gola da quanto era intenso. Anche John si era chiuso il naso disgustato.
Nel piccolo cassetto della mia memoria riservato agli odori, cercai di identificare quell’odore, un qualcosa che mi desse modo di dire cosa effettivamente fosse.
Era intenso, sapeva di marcio e dava la nausea, come se qualcosa stagnasse nell’acqua sporca di uno stagno e fosse infestato di mosche cavalline. Un qualcosa simile a un … cadavere?
Un cadavere era proprio l’ultima cosa che avrei voluto vedere quella sera.
Dopo un po’ di tempo, sentii i miei piedi affondare in qualcosa di melmoso. Mi guardai sotto e constatai che la scarpa di era impantanata in un fango acquoso e melmoso; ero nei pressi di uno stagno.
“ Stai bene?” mi chiese John, che stava attento a dove mettere i piedi.
“ Si si … niente di rotto … solo un piede sporco, tutto qui … continuiamo?”
“ Siamo sulla riva di uno stagno, ci converrà proseguire di lato … dobbiamo evitare di bagnarci.”
“ hai ragione …” tentai di muovere il piede per poterlo sbloccare dal fango, ma il mio precario equilibrio mi giocò il brutto scherzo di farmi rovinare a terra, facendomi cadere in acqua. Un’acqua stagnante e dall’odore particolare.
“ Cielo … tutto a posto?” Fece John avvicinandosi per vedere come stavo. Avevo il vestito impiastricciato e umido, ma ciò che più mi preoccupava non era tanto l’essere bagnata, ma il colore che il vestito aveva assunto; macchie sfocate tinte di rosso sangue.
“ ma cosa …” Mi guardai le macchie sui vestiti e mi voltai  in cerca di qualcosa. Orrendamente, mi resi conto che aver catalogato l’odore di prime come quello di cadavere non era stato un errore.
E quale fu la mia sorpresa nel constatare che era il cadavere del dottore di due o tre settimane fa. L’uomo benevolo di tempo prima era ridotto a un pezzo di carne attaccato dalle mosche, e con un grosso buco al centro del petto. Le orride pupille vuote si riflettevano sotto al luce della luna.
Il mio grido soffocato non tardò a uscire:” AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAHHHH!!!”
Mi coprii inorridita la bocca:” Non è possibile …”
“ Ecco perché sapevano … maledetti bastardi senza scrupoli …” aveva detto a denti stretti John. Mi diede una mano ad uscire.
“ Non pensarci adesso … pensiamo a trovare un posto dove nasconderci adesso …”
 Annuii alla affermazione di John, e distolsi gli occhi da quel corpo, per poi incamminarmi ancora tremante.
Sarebbe durato ancora a lungo questo periodo di pura follia umana? 

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Capitolo 35
*** Capitolo 35 ***


Scusate la scarsa lunghezza del capitolo, ma l'altro sarà abbastanza importante ... penso ... non lo so nemmno io! Devo ancora idearlo! *risata amara*
Comunque ... scusate il mio solito ritardo <3 Non lo farò più .. spero :)
Godetevi il capitolo!
Remedios


Capitolo 35

 
Area Ovest. Stessa scena del resto del campo, e il sangue non tardava a farsi vivido negli occhi di tutti. Io spargevo sangue, insieme al resto dei soldati, sangue innocente di cui mi pentivo, di cui non osavo chiedere la provenienza, ma necessario, ahimè, per continuare il conflitto.
Cautamente ci avvicinammo al nostro gruppo, che era raggruppato intorno ai feriti. Una donna, forse polacca, farfugliava qualcosa di incomprensibile. Era ferita alla testa e il sangue le colava dalla tempia. Reggeva in braccio un bambino, carne e ossa, di un pallore spaventosamente mortale. Continuava a dondolarsi, con in braccio quel corpicino, a farfugliare con le lacrime agli occhi, e non sembrava voler calmarsi nemmeno alle parole dei soldati.
“ Il bambino è morto?” chiesi io, spaventato dalla scena.
Uno dei soldati annuì alla mia domanda, spostando rapidamente lo sguardo sulla povera donna. Insieme a lei stavano una ragazzina di cinque anni, che sembrava solo scioccata e illesa ma non voleva staccarsi dalla camicia di uno dei miei colleghi, e un uomo, con un braccio ferito gravemente, sorretto da una donna, anch’essa ferita alla testa, che lo consolava magramente su quello che accadeva intorno a loro.
Tutto ciò mi pesava enormemente sul cuore. Tutto quel dolore, non c’ero abituato abbastanza per sopportare con indifferenza e menefreghismo. Il mio istinto mi imponeva di doverli aiutare, di dover fermare quella pazzia, ma la mia testa mi impediva di farlo. La mia testa pensava che tutto quello che avrei fatto sarebbe stato sempre inutile, che bisognava solo seguire il tutto e rimanere in disparte, ci avrebbe pensato Dio a risolvere quel casino. Ma chi conta su Dio se nemmeno quei metodi drastici servono a qualcosa?
Cercando di scacciare il disgusto dalla mia testa, aiutai a caricare sulla barella l’uomo ferito, mentre Jordan si occupò della donna con il cadavere tra le braccia. Lui era sicuramente più adatto al ruolo di me, avrebbe trovato il modo adatto per convincerla a lasciarlo lì e a mettersi in salvo finché poteva. Io non ne avrei avuto la forza.
La bimba aggrappata alla giacca di uno dei soldati mi si avvicinò all’improvviso:” Signore …” Farfugliò.
Io finii di caricare l’uomo sulla barella, e poi mi chinai su di lei. Indossava un abito rosso, tutto stracciato e sporco di terra, la faccia sporca di sangue secco e i capelli pieni di polvere, ma sembrava stare bene. L’unica pecca erano gli occhi, verdi e gonfi di lacrime.
“ Dimmi piccola, che c’è?” Cercai di parlarle dolcemente, E l’unico gesto che lei fece fu quello di saltarmi addosso, avvinghiandosi a me con le sue piccole braccia e piangendo disperatamente.
Provai un’enorme compassione per quella povera creatura, e per poco non mi misi a piangere pure io. Mi alzai in piedi, tenendola stretta a me e lasciando che piangesse,e all’ordine degli altri soldati iniziai la corsa verso la capanna ospedaliera.
“ Piccola … tieniti stretta e non alzare la testa per nessun motivo!” le urlai, mentre correvo nella direzione indicatami dall’esperienza poco a poco acquistata. Lei non rispose ma strinse la presa delle sue braccia sul mio collo, e incavò di più la testa sulla mia spalla.
Correvo come un matto insieme agli altri, mentre un nuovo attacco era stato innescato. Una bomba alla cieca aveva generato una reazione a catena esplosiva e pericolosa. Un sacco di proiettili che venivano scagliati a velocità brutali, e io che muovevo i piedi, senza sentire la pesantezza della piccola, li muovevo senza rendermi conto di niente, neanche del dolore di quella guerra.
Miracolosamente, giunsi alla tenda in tempo. La tenda ospedaliera era posta in una zona talmente protetta dalle bombe che, secondo tutti, era il luogo adatto dove poter mettere in salvo le persone.
I letti, quasi tutti occupati da feriti e agonizzanti pronto alla morte, erano messi uno vicinissimo all’altro, in file asfissianti, dove gli infermieri passavano sempre, senza sosta, a controllare che ognuno di loro stesse bene o meglio di prima.
Poggiai la bimba per terra, nel mentre aveva calmato il suo pianto ma piagnucolava ancora:” Voglio la mia mamma …”
“ verrà presto .. vedrai …” Mi faceva un male tremendo mentire a quella povera bambina, ma era l’unico modo per farla stare un po’ bene. La strinsi a me, per poi darla in custodia, a malincuore, a una delle infermiere.
Jordan, che aveva finito di mettere a letto l’uomo, mi si avvicinò:” Stai bene?”
“ Si amico … si.” Mi limitai a dire, sofferente. Chissà quanto a lungo avrei sopportato tutte quelle cose?
 
 
Ora capivo da chi Deborah aveva tratto così tanto coraggio nell’affrontare le avversità, da chi aveva appreso le sue doti di medicina, da chi aveva capito che il mondo non è rose e fiori. E dire che quegli occhi mi erano sembrati familiari sin dall’inizio, quei due pozzi di saggezza tanto neri quanto infiniti, che solo Deborah, da quel che rammentavo, possedeva.
Menuchin, quell’uomo misterioso conosciuto nella cella dove mi avevano rinchiusa, non era altro .. che l’uomo per cui la bambina del ricordo di mio fratello urlava come una pazza.
L’uomo che dieci anni fa era stato catturato, l’uomo da cui Deborah aveva tratto tanto coraggio e voglia di non arrendersi. Era … suo padre.
E lo scoprii soltanto dopo che l’uomo mi accennò alla sua cattura. Certo, il povero uomo non poteva immaginarsi che una come me potesse sapere che sua figlia era ancora viva ( da quel che speravo io) e che era diventata mia amica intima. La sua sorpresa non fu minore al mio stupore.
“ Non stai ingannando un pover’uomo, vero?” mi fece lui, sorpreso quanto me dopo avergli detto che la suddetta bambina la conoscevo benissimo.
“ Non potrei mai ingannarla, signore … se da quel che dice lei, quella bambina è sua figlia, so per certo  che mio fratello non è un bugiardo, e che quindi colei che si chiama Deborah e con cui poche ore fa fuggivo è davvero sua figlia …”
“ So benissimo che mia figlia di nome fa Deborah … ma non riesco a credere che sia ancora viva dopo tutto questo tempo … come sta?”
“ Non direi benissimo, ma se la sta cavando … e deve aver preso molto da lei, signore …!” Lo guardai amorevolmente, e lui ricambiò con un dolce sorriso.
Quello che più mi stupiva era la gran capacità di quell’uomo nel rimanere calmo anche durante la prigionia in quella cella tanto buia e malsana, la sua buona volontà a dover sopportare i continui sotterfugi dei soldati, che sicuramente lo avevano schernito ogni giorno a causa della sua povera condizione.
“ Mi lusinga saperlo, cara … sai, per un uomo della mia età l’unica magra consolazione è poter sperare che gli altri stiano bene … Dimmi, sai qualcosa di mia moglie?”
Mi raggelai a quella domanda. Sapevo la triste risposta, e esitavo a dire a quella brava persona che la sua anima gemella era volata in paradiso. Tacqui, abbassando lo sguardo, pensando che tanto avrebbe capito da solo. E infatti fu così.
L’uomo, guardandomi, capì la risposta da solo, e trasse un lungo sospiro: “ Capisco … eh, almeno sta in un bel posto adesso …”
“ Mi dispiace tanto …”
“ Non hai colpa di ciò che è successo. È questo schema, questa società a ucciderci tutti. Bisogna farsi coraggio e continuare a guardare avanti, come ho fatto io in questi ultimi dieci anni.”
Sorrisi a quell’osservazione, ancora rammaricata per il brutto momento creatosi prima:” Perlomeno, sa che sua figlia sta bene …”
“ Infatti … quello è il lato migliore della speranza: sapere che esse non sono del tutto vane!” esclamò, quasi felicemente.
Purtroppo, tutte le cose felici devono pur finire no?
Un bussare violento alla porta della cella, e dopo un po’ un soldato che entrava, con la sua aria altezzosa e sprezzante.
“ Detenuto 65 … all’interrogatorio.”
Il detenuto 65 ero io. Mi alzai, dopo aver guardato di sottecchi Menuchin, e ingoiai saliva spasmodicamente.
Il soldato mi afferrò il braccio e mi portò con sé, verso una delle celle da interrogatorio. 

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Capitolo 36
*** Capitolo 36 ***


Lo so! ho fatto la solita figura di M facendo ritardare di ben due settimane il capitolo. Prometto! Non lo faccio più!
Buona lettura!
Remedios

Capitolo 36

 
La notte della mia fuga fu segnata sia dalla vista del cadavere del dottore, sia dalla ricerca di qualche posto sicuro dove passare la notte, senza essere beccata da soldati o guardie d’ogni genere.
Io e John camminammo tutta la notte, in mezzo a quel campo, mentre le nostre palpebre stentavano a rimanere aperte e gli steli pungenti del grano ferivano lievemente la nostra pelle. In più, mi era ripresa a bruciare la cicatrice.
Non che questo mi impedisse chissà come di proseguire, ma mi dava tremendamente fastidio.
“ Ti fa molto male?” chiedeva perennemente John, che rimaneva accanto a me, con aria un po’ preoccupata. Io mi limitavo a sorridergli a denti stretti, ignorando cosa sentissi lungo il mio braccio e gli assicuravo che non era granché, e che andava tutto bene. Ma continuava lo stesso a fare male.
Il cielo ancora scuro e puntellato di stelle iniziava a schiarirsi lentamente, e un lieve rivolo di luce iniziò ad espandersi dappertutto. La debole e fioca rugiada mattiniera bagnava la punta degli steli di grano selvatico, mentre il frinire degli animaletti cessava non all’improvviso, ma con un volume sempre più fioco, fino a divenire solo un debole sibilo.
L’alba stava per risvegliare l’ambiente intorno a me, e anche se il cole non faceva capolino dietro le colline, canti di galli, in lontananza, echeggiavano e segnavano la fine di quella notte.
“ Sta  per spuntare il sole … dove andiamo?” chiesi io, perplessa, continuando a camminare davanti a me. John fece spallucce:” Non lo so, ma qualsiasi posto farà al caso nostro …”
Ed ecco il lontananza. Un misto di casupole, piccole ma all’apparenza disabitate, si fece largo nella mia visuale offuscata dalla natura circostante. Case. Un villaggio. Ovvero, pausa da quel lungo camminare.
Guardai John speranzosa, e lui ricambiò con un largo sorriso.
“ Affrettiamoci, così potrai curarti la cicatrice …” ci mettemmo a correre, diretti verso il paesino, sollevati almeno un po’ da tutto il rancore accumulato da quella notte.
Il limite di quel gruppo di case, che si rivelò essere una specie di proprietà abbandonata, era segnato da uno steccato stinto di bianco sull’ingresso, mentre tutto il rettangolo di terra che costituiva lo spazio intorno alla casa era racchiuso da una rete di ferro intrecciata, a cui era arrotolato un lungo filo spinato.
Le erbacce facevano capolino sui bordi delle sei casupole che costituivano la proprietà, l’aspetto era diroccato e sembrava che nessuna povera anima abitasse ancora lì.
I lucernari, appesi all’esterno delle case, erano opachi e consumati dalla ruggine, mentre le porte di ferro e di legno stridevano al soffiare del vento.
Tutto ciò mi fece rabbrividire:” Chissà chi ci abitava?”
“ Non so, ma non ha l’aria di posto abbandonato da poco … “ fece John, perlustrando la zona oltre il cancello di legno male intonacato.
“ Io vado a vedere se trovo qualcosa per medicarmi la ferita … deve esserci per forza …” più che altro, mi attaccavo alla speranza di trovare bende o disinfettante,anche se sapevo che ciò era altamente improbabile. Il fatto che quel luogo fosse abbandonato faceva intuire che tutto ciò che avrei trovato dentro la casa era scaduto o in pessime condizioni di conservazione. Se anche avessi trovato delle bende, queste non sarebbero di certo state pulite e pronte  per l’uso, e di sicuro non avevo intenzione di prendermi una brutta infezione, dopo quello che avevo passato con la scarlattina.
Entrai in una delle case diroccate, facendo attenzione che la porta e i sostegni non mi cadessero addosso.
La polvere ricopriva ogni angolo di quella struttura in legno, e una rampa di scale, che in origine doveva portare al piano di sopra, non sembrava in condizioni di essere salita. I gradini era divorati dalle tarme e dunque impossibili da salire senza incappare in brutti incidenti.
Per il resto, la struttura sembrava reggere, anche se ormai tutto aveva un odore stantio di muffa e di vecchio.
La luce dell’alba imminente mi aiutò nell’esplorazione del posto, e non troppo difficilmente incappai nell’ambiente che prima doveva essere stato una cucina.
Il mobilio che costituiva il lavello e le credenze era tutto spaccato e marcio, mentre un tavolo centrale alla stanza, o quel che ne restava, regnava con la sua aria distrutta sulla stanza piccola ma immensa in quella sua piccolezza.
Accanto alla porta principale della cucina, trovai un’altra porta, dove andai a vedere. Ci trovai il ripostiglio, buio e in cui le ragnatele avevano proliferato a meraviglia. Non mi stupì trovarci una “ simpatica” famigliola di ragnetti dalle gambe lunghe che appena sentirono lo scricchiolio della porta, sgattaiolarono dal loro nascondiglio con una velocità fulminea.
Tenendo aperta la porta e nutrendomi in qualche modo dell’unico spiraglio di luce e della mia vista,  cercai qualsiasi oggetto utile alla mia condizione. C’erano barattoli di roba in conserva, impolverati e sicuramente andati a male, buste di carta contenenti chissà cosa, e scaffali completamente vuoti. Ma di qualcosa che somigliasse vagamente a una cassetta per il pronto soccorso non se ne vedeva l’ombra.
“ Qui non c’è niente …” rassegnata mi affrettai ad uscire da quella stanzina, e notai solo allora che anche John era entrato.
“ Trovato niente?” mi chiese, guardandosi intorno anche lui.
“ Niente di niente … dovremo cercare nelle altre case …” feci io, un po’ delusa dalla ricerca.
Feci per chiudere la porta del ripostiglio, quando una voce dall’esterno attirò la nostra attenzione.
Era una voce infantile, giocosa e stridula. L’unica cosa che mi venne in mente è che fosse di un bambino. Ma non riuscivo a spiegarmi il perché di quella presenza.
“ Franz! Vieni qui!” disse un’altra voce, stavolta più disperata.
“ Ma che cos …” mi affrettai a mettermi accanto alla finestra per vedere da fuori cosa stesse accadendo, e John fece lo stesso.
Una bambina, sugli otto anni circa,rincorreva un pargoletto di forse 3 anni, data la sua abilità nel camminare. Il più piccolo, era in prossimità del cornicione della casa accanto a quella dove io e John eravamo nascosti.
Vedemmo la bambina di otto anni raggiungere il piccolo e sgridarlo:” La mamma ha detto di stare vicino! Vuoi che ti sculacci? Ti saresti potuto far male …” La piccola, che probabilmente era sua sorella, aveva gli occhi lucidi, come se stesse per piangere. Il piccolo non ne voleva sapere di stare appiccicato alla sorellina. Si mise ad urlare, e con uno strattone, si liberò dalla presa della sorella e scappò verso la direzione opposta.
“ Quanto sei disobbediente! Franz!” la bambina tornò ad inseguire il piccolo, che stavolta aveva affrettato il passo. Per sua sfortuna, l’equilibrio precario lo fece cadere per terra. Il piccolo cadde rovinosamente, e il suo pianto disperato non tardò a farsi sentire dappertutto.
“ Guarda, alla fine è caduto …” esclamai io, con una punta di ironia nella voce.
“ Ti diverte?” John sembrava perplesso dalla mia reazione davanti alle lagne del piccolo, che ora raggiunto dalla sorella, si era messo a piangere a causa del ginocchio sbucciato tra la polvere.
“ Un po’ … trasmette tenerezza … che ne dici? Andiamo ad aiutare la bambina con suo fratello?”
“ Perché?” stavolta sembrava più che spaventato. Sogghignai:” La bambina non sembra in grado di stare al passo con le lagne del piccolo, e poi se dessimo una mano, avremmo almeno un passaggio dai loro parenti .. ossia, luogo in cui riposare!”
“ Ma possiamo riposare qui …”
“ In questa topaia? Non potrei … e poi con un bambino che piange. Neanche un sordo riuscirebbe a dormire.” Conclusi io, affrettandomi ad uscire fuori e ad andare incontro ai bambini. La situazione era degenerata. La piccola, china sul fratellino, cercava di prenderlo per mano per portarlo fuori da lì, ma la testardaggine del piccolo impediva il tutto, e la crisi annunciata della bambina non si fece attendere, facendola scoppiare in un pianto dirotto e isterico.
“ Piccola .. ti serve una mano?” chiesi io di botto, avvicinandomi abbastanza da farmi vedere. La piccola, vedendomi, si ritrasse asciugandosi in fretta le lacrime e facendosi tutt’a un tratto più coraggiosa :” E tu chi sei?”
Ora che la vedevo meglio, mi ero accorta di quanto i suoi caratteri somatici non fossero tipici tedeschi. Aveva gli occhi di uno straordinario color nocciola e un grazioso ciuffetto bruno che le incorniciava un viso paffutello, ma dall’aspetto non troppo infantile. Il fratellino, a terra, aveva le sue stesse caratteristiche, a parte la spruzzata di lentiggini sulle paffute guance arrossate.
“ Sono un’amica … dove sono mamma e papà?”
La bambina indicò un punto oltre la sua spalla sinistra e poi riprese a guardarmi di sottecchi:” Tu chi sei?”
“ Mi chiamo Deborah .. voi?”
“ …” All’inizio sembrava esitare a dirmi il suo nome, ma poi, con voce tremante, fece fuoriuscire dalle labbra le sillabe del suo nome:” Miriam … e lui è Franz …” indicando il piccolo, che non smetteva di piangere.
Mi avvidi subito ad avvicinarmi a lui con fare materno. Ponendogli una mano in testa, accarezzai i suoi morbidi capelli castani:” Su,non ti sei fatto niente piccolino …”
Lui singhiozzava con fare quasi isterico, anche se il suo pianto si stava placando pian piano. Alla fine due grandi occhioni nocciola come quelli della sorella mi guardarono teneramente.
John arrivò poco dopo:” Da dove venite?” chiesi ai bambini.
“ Prima abitavamo qui, ma poi quelle brutte guardie ci hanno distrutto tutto … ora abitiamo qui vicino, ben nascosti.”
“ Dunque siete …”
“ Ebrei .. si. Ma non dirlo a nessuno!” sbottò la piccola come pentita della sua rivelazione. Io, per rassicurarla, le mostrai il ciondolo che avevo appeso al collo, la stella di David.
“ Oh .. quindi anche tu sei una di noi!” fece lei sorpresa, io annuii e poi mi alzai dalla mia posizione accovacciata:” Ci porteresti da loro per cortesia? Non abbiamo un posto dove andare …”
La piccola mostrò riluttanza nel voler mostrare la sua nuova casa a me e John, ma poi sembrò cambiare idea :” Va bene … seguitemi.” Volle prendere per mano il fratellino, ma John ne anticipò le mosse, prendendolo in braccio e cullandolo:” Tu con la cicatrice non resisteresti a lungo … lascia fare a me!” mi sussurrò piano. Sorrisi e mi misi dietro a Miriam, per seguirla.
 
Una sala puzzolente, illuminata male e afosa mi si presentò davanti agli occhi appena il carceriere aprì la porta del confessionale.
“ Siediti lì.” Mi tuonò, lasciandomi andare con uno strattone improvviso.
Presi posto su una sgangherata sedia comune in legno, le cui gambe scricchiolarono inquietantemente appena messo il sedere sopra. Davanti alla sedia stava un tavolo.
“ Aspetta qui.” La guardia chiuse rumorosamente la porta dietro di sé, facendomi sobbalzare, mentre un’altra dietro il tavolo si aprì, facendo entrare il mio interrogatore.
Era un uomo in frac, aveva baffi biondissimi e un viso grassoccio e lentigginoso. Gli occhi infossati e celesti erano solcati da due enormi sopracciglia pelose e bionde al pari dei baffi. In testa portava il copricapo da generale, su cui spiccava lo stemma nazista e l’aquila. Si sedette sulla sedia opposta alla mia, avvicinandosi rumorosamente.
“ Io sono Il generale Schodinger, capo dell’armata Est dell’esercito Nazista. Tu devi essere la nuova prigioniera … molto graziosa.” Si leccò i baffi in modo disgustoso. Stavo già avvertendo le sue luride intenzioni:” Eleonora Roberta Schubert, figlia del tenente colonnello Frank Schubert, e accusata di aver aiutato l’evasione della prigioniera 15674 dal suo campo di concentramento … tsk “ sputacchiò stizzoso:” E dire che sei davvero una graziosa fanciulla … e ti macchi di tale colpa? Ma smettiamola di fare gli eroi …” Si alzò dalla sedia, e iniziò a camminare intorno al tavolo, andando a far strisciare la sua mano contro la mia sedia. Io impassibile lo seguivo con gli occhi, anche se il cuore mi martellava pericolosamente in petto.
L’uomo si fermò di botto, e la sua mano scivolò viscida sulla mia spalla, ma troppo avanti per toccare solamente l’osso. Presentivo cosa volesse fare e me ne stavo come uno stoccafisso ad aspettare che agisse: “ E poi, sei una fanciulla in fiore … se morissi, gli uomini subirebbero una grande perdita, non trovi?” La mano grande e callosa di quel lurido verme scivolò più in fondo della spalla, e avvertii una disgustosa pressione sul mio seno sinistro.
“ Verme viscido!” pensai, fulminea.
Fui più veloce di lui; scansai la mano con rapidità,alzandomi di botto e scivolando a lato. La sedia cadde rumorosamente, mentre io  per l’impeto della mia azione sbattei la schiena al muro.
Lui mi guardò come sbalordito:” Hai gli artigli eh!” con uno scatto si fece vicino a me, ma mi abbassai tanto in fretta da evitarne le fauci, e sgattaiolai fuori dalla sua portata. L’ansia mi stava in qualche modo aiutando ad avere i riflessi più vividi e svegli, ma non potevo scappare all’infinito da quel mostro:” Cosa vuoi?” Gli chiesi fredda.
“ Oh …” fece lui, tornando stranamente a sedersi:” Vorrei solo chiederti qualcosina … e sono certo che non potrai rifiutare …”
“ In che senso?” tornai a sedermi, stando però sempre all’erta a ogni suo movimento.
“ Sappiamo che sul luogo in cui sei stata catturata, con te stava anche la prigioniera 15674 … non è così?” chiese lui, arcigno.
Restai in silenzio, di certo non avevo intenzione di dirgli ogni singola cosa,dovevo resistere. Lui continuava a fissarmi: “ Chi tace acconsente … e di sicuro sai dove si è cacciata. Dunque … ti propongo uno scambio equo; La libertà in cambio di un favore. Ti porteremo con noi nei luoghi di cattura degli Ebrei, e tu dovrai identificare la prigioniera. Accetti?”
A sentire quella richiesta mi si gelò il sangue. Meglio la prigione piuttosto che tradire la fiducia della mia migliore amica! Collaborare con loro? Piuttosto la morte.
E fu quello che gli dissi senza troppi giri di parole:” Scordatelo. Preferisco morire.”
“ Ah si?” Stavolta i miei riflessi non furono abbastanza veloci, perché potessero scansare le enormi mani che mi avvinghiarono il corpo con ferocia. Il suo tocco demoniaco sui seni mi fece salire le lacrime agli occhi.
“ Non vorrei ucciderti, ma se non accetti le condizioni, sappi che passerai cose ben peggiori …” Strinse la presa, soffocai l’urlo per non dargli la soddisfazione. Ma ormai stavo per crollare a terra.
“ Allora .. cosa decidi?” i suoi occhi mi fulminarono, e le mie lacrime vennero terse dalla sua viscida lingua. I conati si fecero strada in gola.
Non seppi dire altro che un “ Accetto” sommesso e a malincuore. E il pianto si prostrò in una forma disperata appena mi riportarono nella cella.

 

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Capitolo 37
*** Capitolo 37 ***


Mi scuso come sempre per il ritardo, ma anche durante le vacanze la stramaledetta scuola chiama i suoi seguaci...
Anche se in ritardo, auguro Buon Natale a tutti E un sereno Anno Nuovo! Che sia il più felice di tutti quelli che avete passato finora, davvero :)
PS: Grazie mille a tutti quelli che recensiscono la storia, che la consigliano o che semplicemente seguono le mie assurde imprese ... vi sono riconoscente, dal più profondo dell'anima :)
Ora vado ... Buona Lettura 
Remedios 

Capitolo 37

 
Ero stanco. Stanco di quel correre in mezzo alla polvere sollevata da una granata, stanco del sangue di ragazzi partiti per onorare la patria morendo in modo disumano in quell’atrocità.
Stanco di dover ascoltare ogni giorno una voce che mi chiamava a combattere, stanco di aiutare i feriti, stanco di tutto. Non ero fatto per quel posto, ma ci dovevo stare. E questo mi lasciava attonito e sgomento.
Non passava giorno in cui io non dovessi percorrere anche dieci metri, senza dover evitare, con tutta la fortuna mandatami dal cielo, le pallottole volanti, in cui io non dovessi aiutare qualcuno con una gamba ferita a essere trasportato nella tenda ospedaliera. E i giorni e le notti passavano con la tremenda angoscia di non star facendo abbastanza, con l’impressione che niente di tutto ciò fosse veramente valido alla salvezza di uno Stato come la Germania.
C’erano poi i giorni, in cui mi toccava assistere alle morti di miei commilitoni, colpiti gravemente e ansanti al suolo, che nei loro ultimi istanti di vita annaspavano quel poco ossigeno che riuscivano a respirare e invocavano il dio, sorridevano in modo ebete o piangevano scongiurando di non farli morire.
La prima volta che vi assistetti, cercai di serrare il cuore in una morsa di freddo e indifferenza, per non mostrarmi debole agli occhi di chi la morte l’aveva già vista in faccia.
Accalcato a quello pseudo cadavere, in mezzo ai medici di frontiera che aprivano la divisa zuppa di sangue nerastro e fasciavano una ferita che invano si sarebbe coagulata, sentivo le sue implorazioni alla vita come un rantolo lontano, mentre tentavo di bloccare quelle maledette lacrime di compassione, che non tardarono ad esplodere dopo che il cadavere venne coperto da un telo sporco e pieno di polvere.
Certo fu che mi curai di non farmi notare da nessuno, tranne ovviamente Jordan che non tardò a consolarmi:” Doveva succedere … fatti coraggio.”
Per tutte le altre volte in cui successe, non me ne curai più di tanto come per la prima volta, anche se lo stress si faceva sentire sempre.
Passò così una brutta settimana di guerra, fatta di notti insonni e giornate all’insegna della fatica. L’unico lato buono della cosa era che Jordan mi rimase vicino in ogni spedizione, da bravo amico. Quasi come se la fortuna mi stesse dando una mano, mi ritrovavo a compiere le missioni sempre in sua compagnia, e se alla fine scoppiavo in qualche crisi, lui era sempre pronto a darmi un minimo di sostegno, da bravo compare che era.
Ma tutto ciò svanì una pessima notte d’estate. E con il termine svanire, intendevo sottolineare che le circostanze non potrebbero essere state più sfavorevoli.
Io e Jordan, insieme al gruppo di cadetti, eravamo sdraiati nelle brande della tenda 4, il nostro pseudo rifugio, al riparo dagli scoppi notturni.
Io naturalmente cercavo di riposare anche chiudendo semplicemente gli occhi, di sonno non riuscivo a prenderne e per di più dovevo restare almeno lucido nel caso di un avviso fulmineo di guerra.
Una voce che mi fece sussultare. Era rapida e forte, un soldato messaggero:” Rinforzi in trincea! Servono rinforzi in trincea!”
Mi svegliai dal mio stato di dormiveglia:” Cosa è successo?”
“ I nemici hanno bombardato l’ala Nord della trincea. Alcuni soldati sono morti sul colpo! Servono rinforzi immediati, altrimenti potrebbero valicare il confine e attaccare qui.”
Alcuni tra i soldati che dormivano, si misero subito in piedi, pronti a partire; nonostante ciò, notai come le loro gambe tremassero quel poco che bastava a far capire che una situazione di emergenza non è proprio il loro forte.
Feci per alzarmi anch’io, e anche Jordan lo fece insieme a me. Caricammo il fucile in spalla e ci raggruppammo sulla soglia della tenda. Dal piccolo spiraglio notavo come anche nel resto dell’accampamento tutti si fossero mossi.
Con un cenno degli occhi chiamai Jordan, e lui capì all’istante. Uscimmo rapidi dalla tenda, sotto il grido di buona fortuna dei soldati rimasti laggiù come riserva.
Il cielo notturno e costellato di puntini bianchi come spilli da balia veniva arrossato di tanto in tanto da sottospecie di fuochi d’artificio fuligginosi, da barlumi di fuoco e il silenzio veniva squarciato da grida e rantoli, o peggio ancora da fischi assordanti e rombi di bombe cadute al suolo.
Correvamo, io e Jordan, e quei pochi disperati nostri alleati, in mezzo a quell’inferno, lui mi copriva le spalle da eventuali colpi volanti, mentre io spianavo la strada a colpi di fucile, contro i pochi fortunati infiltrati nemici.
“Tenete gli occhi aperti, siamo quasi arrivati!” dovevo mostrare quel coraggio e quella determinazione di chi la guerra se la beve a colazione. Anche se un filino la voce mi tremava, incitai il resto a proseguire correndo in mezzo al nulla, fino a che il gioco di ombre creato dalla trincea si mostrò davanti ai miei occhi.
I rumori attutiti di prima ora scassavano i timpani con fragore incessante, e l’aria mossa da corpi volanti spazzava la polvere roteante, mentre il colpo si schiantava con fragore assurdo.
La trincea si fece viva, in tutta la sua profondità e lunghezza.
Uno dei soldati lì in pattuglia ci vide:” I rinforzi! Presto venite!”
Saltai dentro il fosso facendo attenzione a non farmi male, i sacchi attutirono il mio salto.
Stesi sul resto di sacchi lerci pieni di sabbia, stavano i cecchini e i soldati artiglieri, che con il mirino puntato all’esterno aspettavano le mosse false del nemico. Si potevano benissimo notare i vari rinculi e le urla provenienti da fuori la trincea.
“ Voi …” Il capo di trincea indicò un gruppo di soldati:” Andate a rinforzo della squadra C … voi …” man mano che andava avanti, il soldato indicava a tutti che posizione prendere.
Infine toccò a me e Jordan:” Voi due … vedetta.”
“ Agli ord …”stavo per affermare il mio compito laggiù, quando un urlo belluino invase le mie orecchie in tutta la sua ferocia. Sentii uno sparo, e il tonfo di qualcosa cadere a terra.
Vidi la canna del fucile di Jordan fumare:” L’ho fermato prima che potesse colpirci …” disse, con il fiatone. Io Mi rinvenni da quella sorta di paralisi che mi aveva bloccato i muscoli poco fa, e lo ringraziai.
“ Di niente …” abbassò il fucile, con fare riluttante. Poi, si volse verso il capo:” Desidero andare in ricognizione.” Disse, freddo e deciso.
E senza neanche aspettare una mia protesta o un cenno del capo, saltò su e sparì fulmineo, tra i rombi di fucile e i rossori del cielo.
Attonito non mossi un muscolo. Quella notte non tornò dalla ricognizione.
 
La piccola Miriam e suo fratello Franz ci condussero verso una radura coperta da altissime spighe di grano, come il campo di prima. Stavolta però il terreno sembrava più solido, o perlomeno non risultava fangoso come prima in prossimità della palude.
Avanzavo dietro la piccola, mentre John teneva il piccolino, che aveva smesso di piangere a causa del ruzzolone di prima. Poi la vidi fermarsi e abbassarsi per terra, e sentii un suono metallico piuttosto attutito.
Restai ferma a guardare, mentre lei tornò poco poco indietro dal luogo in cui aveva “ bussato”, e vidi che tra le spighe qualcosa si muoveva, come se il terreno si stesse aprendo.
“ Miriam!” sentii una voce di donna, dal tono sorpreso. Non sembrava per niente tranquilla:” “ quante volte ti ho detto di non lasciare il rifugio senza il mio permesso!”
“ Scusa! È che Franz voleva uscire e quindi … ma poi ha disobbedito!” disse lei, protestando contro il rimprovero della donna, che dall’aspetto poteva benissimo essere scambiata per la madre; i suoi capelli ebano e gli occhi di un nocciola quasi dorato mi fecero supporre che in qualche modo le due fossero imparentate. La donna non tardò a vedermi e a rimanere un po’ scettica:” E … chi sono loro due?” chiese spaventata dalla nostra presenza.
A quel punto avanzai e le dissi gentilmente il mio nome e quello del mio compagno:” Come voi, siamo fuggiaschi. Vi dispiacerebbe accoglierci per un breve lasso di tempo? Sa, siamo dovuti fuggire da dove eravamo rintanati, e le guardie mi cercano dappertutto. Prometto che, se mai dovessero venire fin qui, mi assumerò la responsabilità di garantire, almeno per voi, la salvezza.”
La donna mi squadrò attentamente con espressione seria, poi parve raddolcirsi:” Dovrei chiedere a mio marito .. è lui che decide per tutti.” Disse:” Scendo un attimo … torno subito! Miriam! Tu e Franz scendete immediatamente!” disse rivolta alla figlia. Poi sparì sotto il coperchio della botola.
Rimasi un po’ delusa da quella reazione; non che io pretendessi che ci accettassero, ma il suo essere vago mi aveva sorpresa. Non potevo fare altro che aspettare.
Miriam si voltò verso di me, prima di scendere:” Sei preoccupata?”
“ Un po’ …” sorrisi mestamente alla piccola.
“ Non fare quella faccia, sono sicura che la mamma sarà d’accordo! Oh eccola di ritorno!”
Dopo un po’ spuntò per davvero sua madre. Aveva un’ espressione indecifrabile sul volto.
“ Seguitemi.” Disse con tono abbastanza rassicurante. Scese giù per la botola e io, con il cuore sollevato, la seguii insieme a John e al piccolo Franz.
Arrivati in fondo, non avrei potuto immaginare mai come fosse ben organizzato l’interno di quel complesso di stanze sotterranee che costituiva il rifugio; era un unione di gallerie che collegavano tra loro stanze, piccole e grandi, organizzate agli usi più disperati: Magazzino, dispensa, sala riunioni e luogo d’incontro. Tutto stipato sotto il suolo e in uno spazio in cui possono viverci bene solo poche persone.
La donna ci condusse nella sala riunioni, dove in consiglio erano riuniti gli uomini della compagnia. Erano in tre; un uomo anziano,  con una barba bianca e ispida, due occhietti nocciola infossati in una faccia grassoccia e tutta rugosa, camicia sbottonata sul petto che faceva intravedere la peluria bianca, stivali da lavoro e pantaloni a bretelle color marrone sbiadito, Un giovane dai capelli ebano e dagli occhi castano scuro, con una camicia stinta di celestino e pantaloni in stracci e un uomo poco più grande di lui, simile per aspetto fisico e abbigliamento, distinguibile a partire dalla barba incolta ma non troppo folta che gli incorniciava il viso.
Tutti e tre discutevano animatamente, e quando la donna li chiamò, stentarono a voltarsi, finché il vecchio non ci notò:” Buongiorno.” Disse con tono indifferente. Anche tutti gli altri si voltarono, ponendo i loro occhi su di me e John.
“ Buongiorno a voi …” salutai debolmente con un inchino, e John fece lo stesso dopo aver messo a terra il piccolo Franz:” Scusate il disturbo.”
“ Non preoccuparti, qui siamo in pochi, due o tre persone in più non recano alcun fastidio.” Fece l’uomo più giovane, sorridendomi.
“ Loro sono Deborah e John, sono fuggiaschi come noi e sono appena scappati dal loro rifugio stanotte ..” intervenne la donna per presentarci;” Io sono Anna.” Si presentò anche lei nello stesso momento, e poi indicando gli uomini di famiglia:” Mio padre Joseph, mio marito Jim e mio cognato Albert.” Indicando rispettivamente il vecchio, l’uomo con la barba e infine quello più giovane di tutti.
“ Molto piacere …” dissi, un po’ imbarazzata.
“ Avete intenzione di fermarvi a lungo e siete solo di passaggio?” ci chiese Jim.
“ In verità ci vogliamo trattenere solo lo stretto necessario, giusto per sviare la pista delle ricerche … poi leveremo le tende, promettiamo.”
“ Ma non dovete preoccuparvi!” esclamò Anna affabile:” Finora qui non ci ha scoperto nessuno, quindi potete stare tranquilli. E poi … quattro mani in più per le faccende ci farebbero davvero comodo!”
“ Oh …” ero esterrefatta dalla gentilezza della donna, ma non volevo approfittarne troppo:”  Sul serio, non si disturbi più di tanto …”
John intervenne per darmi man forte:” Io e la mia amica vorremmo essere solo d’aiuto non di disturbo. Dato che siamo ricercati, semmai ci sarà l’eventualità che le guardie ci scoprano, noi due scapperemo all’instante, esponendoci al pericolo e senza farvi correre nessun rischio.”
Gli uomini sembravano ascoltare attentamente ciò che dicevamo, e stettero in silenzio fino alla fine. Solo dopo Joseph si alzò e ci venne incontro:” Siete dei bravi ragazzi a quanto vedo. E sia, potete rimanere. Se poi sarete in pericolo, non esitate a chiedere il nostro aiuto.” Alzò improvvisamente il dito appena mi vide aprir bocca per ribattere:” Niente storie, siete i benvenuti.”
Miriam mi abbracciò le gambe felice, e dopo saltellò dalla gioia come una lepre.
Le lacrime fecero capolino dai miei occhi:” Grazie infinite.”
Anna mi batté lievemente la mano sulla spalla:” E adesso … da quant’è che non vi lavate voi due?”
“ Lavarci? … non saprei … tre giorni forse …”
“ Si sente … su! Dritta a fare il bagno!” fece in tono entusiastico. Io divenni rossa dall’imbarazzo e respinsi un’offerta tanto generosa, scuotendo la mani come per rifiutare:” Non si deve disturbare, io sto bene!”
“ Non diciamo sciocchezze!” mi tirò per il braccio, e mi porse un asciugamano pulito:” Tieni questo, ti preparo la tinozza dell’acqua calda …”
“ Qui c’è acqua calda?”
“ Diciamo che la rubiamo da una delle tubature che scorre qui sopra … prima abitavamo nello stabilimento qui sopra, ma poi ci siamo dovuti trasferire quaggiù …. E ci siamo arrangiati come meglio potevamo. Ora vieni con me, e vedi di rilassarti!”
Non dissi niente, troppo sorpresa da tutta quell’ondata di buon’umore. Mi limitai a sorriderle e a godermi il bagno che mi preparò.
 
“ Mi dispiace così tanto … mi sono lasciata prendere dallo spavento …” i singhiozzi mi mozzavano il respiro in gola, mentre ero inginocchiata come una dannata davanti a Menuchin, che mi accarezzava la schiena benevolo. Ero pentita di aver accettato quel gioco sporco, ma la paura aveva vinto su di me .. come potevo dover collaborare con quei bastardi affinché la mia migliore amica venisse presa? Avrei voluto spararmi e farla finita, e nonostante tutto, Menuchin non esitava a consolarmi.
“ La paura governa l’anima, è da quel sentimento che il resto scaturisce … non hai nessuna colpa.” Mi sussurrava con voce pacata e tranquilla, a mi avvolse le spalle con il braccio, stringendomi a sé.
Con un movimento ondulatorio del corpo, mi cullò come un bravo genitore:” Era così che riuscivo a calmare la mia piccola quando piangeva a dirotto. E non vedo il motivo per cui non dovrebbe funzionare con te. Calmati adesso …” Mi accarezzò la testa delicatamente, mentre io continuavo a piangere sul suo petto, stringendomi alla sua divisa da carcere e bagnandola con le mie lacrime di penitenza.
“ Cosa posso fare? Cosa?” piagnucolavo come una bambina, tutto ciò era dovuto al fatto che doveva per forza tradire la fiducia di una persona a me cara, e di conseguenza tradire quella di mio fratello.
“  La pazienza è la virtù dei forti … resisti ai soprusi, la luce ti illuminerà il cammino da percorrere per arrivare alla meta.” Parlava come un predicatore, e non detestavo il suo modo di fare. Un po’ riuscì a consolarmi.
“ Siete troppo buono con me.”
“ Lo faccio per il tuo bene, Elly … sei una ragazza forte, e se mia figlia ha risposto la sua vita nelle tua mani, non esitare mai … la fiducia si dona, non si ottiene come qualsiasi altra cosa.”
“ …” non avevo parole per esprimere ciò che avevo dentro, ma solo lacrime per colmare il pozzo che giaceva in fondo al mio cuore.
Piansi fino alla stanchezza, fino a non ne poterne più.
Cosa potevo fare per poter scampare all’infatuo destino? Solo il sonno, forse, mi avrebbe potuto consigliare.

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Capitolo 38
*** Capitolo 38 ***


Sono sempre in ritardo lo so ... ma la storia sta avendo risvolti sempre più significativi ( almeno penso)
Comunque, vi informo che da adesso mi impegnerò a pubblicare un capitolo ogni settimana, verso il finesettimana, ossia Venerdì- sabato- domenica.
Spero di mantenere il mio impegno,
Riguardo al capitolo ... non ne sono totalmente soddisfatta, ma l'altro sarà molto più ... significativo, prometto.
Buona lettura!

Capitolo 38

 
Jordan era sparito all’improvviso. Morto? Solo lui poteva saperlo.
Disperso? Probabile. Ciò che ritenevo perlomeno sicuro era che io mi sentivo abbandonato, in un certo senso; la sua reazione dopo quello sparo e la sua decisione fulminea avevano lasciato in me così tante domande, ancora irrisolte, che la maggior parte mi deconcentravano sulla missione che dovevo compiere. Perciò dovevo fare in modo di archiviare quelle angustie in un angolo sperduto della mia testa, e continuare a combattere. Con o senza Jordan.
Appena sparì, mi voltai verso il capo, in preda al panico:”Perché non ha intenzione di fermarlo? È una pazzia!”
“ è una sua volontà … dovremo rispettarla, credo ..” fece quello, con aria un po’ pensierosa. Non proferii altra parola e mi limitai a fissare il punto in cui prima Jordan stazionava e che ora era riempito solo da una qualche presenza impercettibile.
“ Ma perché lo ha fatto?” pensai:” Non aveva ragione di commettere tale pazzia … e dire che pensavo di conoscerlo per bene …” non riuscivo a capacitarmi tanto della sua andata, e questo mi dilaniava il cuore, già sofferente e livido da un sacco di tempo.
Ma decisi, dopo minuti e minuti di silenzio, di interrompere quel tribolarmi :” Vado anch’io in ricognizione ..” dissi, d’un fiato.
Feci per scavalcare la trincea, ma la mano del comandante afferrò il mio polso:” Non essere avventato! Servono rinforzi qui, se ne muore un altro, addio possibilità di contrastare il nemico, capisci? Resta giù e fai da vedetta … vado a vedere come se la cava la squadra di soccorso.” E lui si dileguò lasciandomi con un palmo di naso in una delusione abnorme.
Cosa potevo fare messo lì, disteso su un sacco e puntando un fucile alla cieca di fuori? Non avrei risolto davvero niente, di questo passo.
Comunque, decisi di obbedire a quell’ordine davvero assurdo. Mi stesi su un sacco lì vicino accanto a un altro ragazzo, e misi l’imboccatura del fucile proprio al di fuori della trincea, di modo da sparare chiunque avesse osato saltare oltre il buco.
Il ragazzo che mi stava accanto mi osservò curioso:” prima volta?” chiese, a bruciapelo, dopo aver scaricato un colpo.
I suoi occhi grigi verdi mi guardarono curiosi, mentre il casco non riusciva ad appiattire bene le sue orecchie leggermente a sventola.
Annuii senza aver capito bene la domanda,tanto per dargli soddisfazione, e lui continuò a conversare, stavolta alzando per bene la voce:” Piacere, Dimitri. Da quanto sei in servizio?”
“ Appena una settimana o due ..” risposi io, assordato da una scarica di proiettili proveniente da sopra noi.
“ Io da due anni … sempre la stessa minestra. Secondo te finirà mai quest’assurdità?” mi chiese, con voce speranzosa.
“ Lo spero!” dissi io, tentando di conversarci tranquillamente.
Ad un tratto, sentii la terra cadermi sul naso. Qualche granellino, e lo spostamento di una minuscola quantità di terreno che mi fecero strabuzzare gli occhi. Anche se la polvere entrò nei miei occhi, capii d’istinto cosa fosse successo. Troppo tardi.
Un’ombra mi sovrastò, e appena alzai la testa con il fucile in mano, scaricai un colpo verso l’alto mentre qualcosa di nero oltrepassava il valico.
Sentii un urlo e vidi gocce di sangue bagnare la terra.
“ Preso!” urlai, alzandomi di scatto.
Dimitri mi afferrò per il braccio e mi riabbassò:” Non essere idiota! Sta giù!”
Mollai la sua presa dal braccio in tempo per re impugnare il fucile e scaricare un colpo dritto a quello che sembrava un soldato nemico. L’uomo venne colto di sorpresa, e  cadde bocconi, rovesciando il suo cadavere nella trincea.
Gli altri soldati guardarono allibiti il mio creato.
“ Sei stato formidabile .. dove hai imparato?” mi disse uno, avvicinandosi a me.
“ Non lo so …” dissi io, leggermente spaesato e confuso da ciò che avevo appena fatto. Non osai avvicinarmi per vedere il suo volto, nascosto dal terreno e sporco di polvere. Il sangue aveva tinto la terra nerastra di un manto oscuro e l’odore di polvere da sparo stagnò nell’aria.
“ Grazie ..” disse Dimitri. Lo guardai e sorrisi appena:” Bene. Ci penseremo dopo a quello lì  … torniamo in posizione!”
Mi rimisi automaticamente disteso, ma una seconda ombra ci passò sopra.
“ maledizione …” stavolta non fui abbastanza veloce. Il colpo sparato da quel militare andrò dritto a colpire uno dei soldati che mi stava accanto, mandandolo all’altro mondo. Tentai di caricare il colpo, ma quello lo schivò prontamente e fuggì velocemente dalla parte degli accampamenti.
Intruso. Qualcuno lo doveva fermare!
Altrimenti tutti gli altri sarebbero stati spacciati.
“ Io vado a fermarlo! Voi restate qui va bene?” presi la rincorsa, e con un salto che nemmeno io sapevo di poter fare, raggiunsi il bordo della trincea e mi ci aggrappai, scavalcandola.
Uno dei soldati fece lo stesso:” Ti copro le spalle!”
Annuii deciso verso di lui, e appena fui in piedi, localizzai il fuggiasco correre a perdifiato dalla parte in cui ero giunto con Jordan.
Mi misi a correre, senza pensare che avrei potuto tranquillamente sparargli per poterlo fermare. La mia mira era buona, dopotutto. Ma qualcosa dentro mi suggeriva di doverlo raggiungere. Non sapevo cosa fosse, ma l’ascoltai.
Il soldato continuava a correre, e io dietro a lui, e il compagno che mi copriva le spalle, con grande precisione e tempismo, riusciva a indicarmi i modi di schivare i colpi volanti.
Poi, vidi il soldato nemico fermarsi. Non si girò dalla mia parte, ma sparò verso la mia destra. Sentii un lamento, ma non lasciai andare via l’occasione che avevo sotto mano. E con un colpo secco, quello cadde a terra, sollevando una leggere nuvola di polvere.
“ Vado a vedere a chi ha sparato! Tu torna indietro!” urlai a quello dietro di me, dirigendomi verso la direzione dell’urlo di prima. Già da lontano, vidi il gruppo di soldati accalcati sul corpo del soldato. Mi avvicinai … e capì la voce che mi aveva urlato di seguire il nemico: steso per terra, con una piccola ma grave ferita in mezzo al petto, dallo sguardo offuscato e gli occhi in lacrime, stava quel qualcuno che nella parte più perversa di me stesso desideravo vedere morto da sempre. Il francese Xavier stava morendo davanti ai miei occhi.
E, nonostante tutto, non ne sembravo entusiasta.
Il mio peggior nemico di quegli ultimi mesi, o meglio dire settimane, giaceva, davanti ai miei occhi, con il sangue che colava dalla bocca e una schiera di soldati che tentava di rianimarlo o perlomeno di guarire invano la ferita, che sicuramente aveva colpito il cuore in pieno. Lui sembrava non rendersi conto che c’ero anch’io ad osservarlo, e continuava a tendere le braccia verso il cielo, a stringere il pugno tremante di fatica per raccogliere chissà quale ultima speranza di vita che risiedeva in una angolo non raggiungibile dentro di sé.
E poi, tutto accadde in fretta; i suoi occhi si chiusero, il suo respiro velocizzato si tramutò in un rantolo soffocato per poi finire con un leggero sospiro, e la mano cadde pesantemente a terra. Morto.
“ Troppo tardi …” fece uno dei soldati. Gli altri non replicarono,e  a passo lento si allontanarono, forse per prendere la barella. Di certo, una degna sepoltura sarebbe stata la cosa migliore da fare.
Io rimasi ad osservarlo ancora per lungo tempo. I suoi occhi erano semiaperti ancora e la bocca era spalancata e disgustosamente ricoperta del suo sangue.
In quel momento, forse, mandai al diavolo tutte le cattiverie che Deborah e io avevamo dovuto subire a causa sua. Per come lo vedevo io, ora era un semplice essere umano, morto in battaglia. Mi chinai su di lei, e senza fiatare posai la mia mano sulla mia bocca chiudendola, e la stessa cosa feci per le sue palpebre, chiudendole per sempre.
Un veloce segno della croce bastò a completare tutto.
Il resto dei soldati accorse dopo un po’ di tempo, con la barella e il resto dell’attrezzatura. Non si curò minimamente della mia presenza, e io non mi curai di loro. Riguardai il cadavere di Xavier per un’ultima volta, e con una corsa spedita, tornai dal mio compagno, che notai in piedi a pochi metri da me.
“ Sai chi è morto?” mi chiese appena arrivai.
“ Uno come noi … niente di che …” dissi, senza aggiungere altro. Il gelo ritornò a soffiare dentro di me. Un gelo austero, ausilio per l’opera che dovevo continuare a compiere se volevo sopravvivere.
 
Che stanchezza. Un continuo andirivieni tra ghetti, case abbandonate e covi segreti che mi portavano a scoprire gli orrori a cui erano soggetti gli Ebrei.
Molte famiglie che venivano denudate del loro orgoglio, portate via a calci e minacce, caricate su furgoni lerci, sguardi spenti e senza repliche. Sangue, nei peggiori casi. Sangue che scorreva da gradinate di pietra, su lastre di pavimento sporco, o sulla polvere cittadina.
Mattanze, spari alla cieca o volontari. E io vi assistevo, inerme, avendo il compito ingrato di identificare colei che non avrei voluto mai incontrare. Per il suo bene, ovvio.
Ogni volta che la pattuglia catturava qualche ragazza mora dagli occhi scuri, puntualmente venivo chiamata in causa. Io la guardavo, e scuotevo la testa. Non è lei, con un filo di voce. E la poveretta mi guardava con occhi supplicanti, prima di scomparire dentro il furgone, diretta in un viaggio senza ritorno.
La mia spudorata sincerità faceva imbestialire i soldati con cui viaggiavo, che mi guardavano torvi dopo ogni interrogatorio con le ragazze. Come se io facessi apposta a negare chi era Deborah. Come se loro volessero davvero condannare chiunque le somigliasse.
Tanto avrebbero fatto lo stesso un’orrida fine.
E questo continuò per diverso tempo, e io resistevo, cercando di tenermi a stento in piedi con l’anima nel tentativo di non cedere alla pazzia e di morire con qualche buco nel cervello. Perché, vedere tutta quella morte, quella desolazione riflessa negli occhi di povera gente avrebbe fatto andare fuori di testa chiunque.
Viaggio dopo viaggio, notte dopo notte in cui, come pena per la mia involontaria negligenza, subivo le avances e le molestie del sudicio uomo dell’interrogatorio, Schodinger.
Ogni notte sentivo le sue mani, la sua orribile voce e i suoi insulti, e i lividi sulla gambe non guarivano. Non si prolungava oltre, per non ricadere in qualche pasticcio, ma non si risparmiava in quel che faceva. E io sopportavo, pensando a John, a quando lo avrei di nuovo incontrato. A quando tutto questo, forse, sarebbe finito.
E giunse un giorno in cui pensai che l’incubo che stavo vivendo stesse per finire, una volta per tutte.
Fu due settimane dopo la mia fuga, o forse tre. Fatto sta che fu una notte afosa e ricca di tensione nell’aria.
Successe in un campo di grano selvatico. Un campo che conoscevo, avendolo visto di sfuggita dalla finestra di casa Mendel.

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Capitolo 39
*** Capitolo 39 ***


Buona domenica a tutti :) come detto nel capitolo precedente, terrò l'impegno di pubblicare i capitoli ogni fine settimana. E anche se a fatica, spero di non tradirmi :)
Buona lettura!

Capitolo 39

 
Prima di allora, non avrei mai pensato che vivere sotto terra fosse agevole quanto vivere in superficie. Il cibo non mancava, l’aria c’era grazie alle tubature e anche l’acqua, quella necessaria a ogni giorno. E la compagnia era tra le più piacevoli.
Forse, il periodo in cui rimasi con la nuova famiglia, dopo l’attacco della notte a casa Mendel, fu tra i più tranquilli. La famiglia aveva per caso trovato quel rifugio, e ci aveva costruito sopra. E astutamente vi si era rifugiato appena constatato che la superficie era un campo aperto a pericoli e morte.
Una famiglia a sé stante, autosufficiente e tranquilla. Una tranquillità talmente contagiosa che mi fece dimenticare, sin dai primi giorni, tutti i pesi che avevo accumulato sul cuore sino al quel momento.
Naturalmente, il filo di tensione che mi teneva unita alle anime e ai destini di Elly e Max era ancora teso e rischiava, ogni giorno, di spezzarsi e di perdersi con un minimo soffio di vento. Ma non potendo fare altro che aspettare, dovevo solo pregare, pregare il mio Dio affinché li proteggesse, affinché anche loro ritrovassero un po’ di pace, finché non sarebbe giunto il momento di poterci riunire.
John e io avevamo fatto amicizia con Miriam, il piccolo Franz che adorava giocherellare trottando sulle ginocchia di John che non doveva più usufruire del vincolo delle gambe sulla sedia a rotelle, la dolce Anna e i tre membri maschi Joseph, Jim e Albert. Joseph, pacatissimo, mi raccontò ogni singolo istante della sua storia, e ogni volta io ascoltavo assorta e osservando la sua postura eretta che gli conferiva la fierezza degna della sua età. Jim e Albert avevano socializzato in fretta con John, e ora invece che due fratelli, pare che anche il tedesco si fosse unito alla combriccola di uomini di casa. La piccola Miriam adorava farsi spazzolare i capelli ogni sera, e io stavo a quel dolce gioco infantile e che farebbe sentire ogni donna una principessa, nel suo io interiore.
E io riuscii, per tutto quel periodo, a dormire serenamente la notte. A non essere in ansia per niente che non fosse guerra o distruzione. A alzarmi la mattina, e toccandomi le palpebre, constatare di non aver versato una lacrima nel sonno.
Nonostante tutto questo, la mancanza della mia compagnia, di quella che fino a quel momento mi era sempre stata accanto, si faceva sentire. Nelle profondità ma era sempre lì, vigile.
Elly era rimasta con me sino all’ultimo fino a quel fatidico giorno, e il suo distacco da me e da John, con cui ormai lei aveva condiviso parte del suo cuore, mi aveva creato un vuoto dentro, pari a quello della brutta separazione che dovetti accettare da Max.
La speranza che lui fosse sempre vivo mi accompagnava, tristemente. E non si affievoliva.
La voglia di poterli riabbracciare c’era, e come se c’era! Sapevo solo che volevo, anzi dovevo, aspettare. Anche dieci anni, ma non potevo fare altro.
Eppure, durante i primi giorni in cui rimasi laggiù, sentii nel cuore come un presentimento. Era un striscia sottile, ma visibile, di qualcosa che sarebbe accaduto  prima o poi. Non riuscivo a capire se buono o cattivo, ma talmente potente da farmi aprire gli occhi di notte, senza aver avuto nessun effettivo incubo. Come se il destino mi stesse dicendo che qualcosa  stava per dare una svolta al tutto.
E quel presentimento si evolse in un incontro, che io sperai con tutto il cuore. Il come però mi turbò più di quanto non fossi già preoccupata io stessa.
Accadde circa otto o nove giorni dopo che rimasi nel bunker, e tutto iniziò dal rumore metallico della botola che si apriva con notevole fragore.
Quella sera ero seduta nella sala principale. Tenevo la piccola Miriam sulla ginocchia, e lei giocherellava con il mio ciondolo, mentre Anna mi cambiava le fasce della ferita al braccio. Franz dormiva in braccio a suo padre Jim, Joseph e Albert conversavano. John era uscito poco prima in superficie, cosa che gli uomini facevano ogni sera, come guardie.
Di solito mi metteva ansia quell’atteggiamento, ma alla fin fine evitava che gli intrusi facessero irruzione come volevano.
Sentimmo il rumore della botola.
“ John deve aver finito …” pensai, poggiando Miriam a terra e incamminandomi verso il punto in cui cadeva la scala per la superficie. Miriam mi seguì, tenendosi alla gonna del mio abito azzurro.
Arrivai lì, e guardai in su: “ John!” chiamai a gran voce. Ma non sentii fiato.
Anzi, al posto di una risposta vocale, mi sentii tirare il braccio sinistro con violenza e una mano callosa premuta contro la mia bocca, nel tentativo di bloccare il mio urlo.
Miriam spalancò gli occhi vedendomi stizzita divincolarmi cercando di liberarmi dal mio presunto aggressore. Con la testa la intimai ad andare a chiamare gli altri, prima che una forza superiore alla mia mi trascinasse nel tunnel, mentre dondolavo appoggiata a un corpo di massa muscolare a dir poco potente. Mi ritrovai poco dopo in superficie, alla luce delle stelle e della luna. Una spinta mi costrinse a camminare avanti a me, e non osai chinare la testa all’indietro appena qualcosa di piccolo, rotondo e freddo mi punse la nuca.
Arma. Guardie. Scoperta. Avrei voluto bestemmiare, ma mi trattenni.
“ Dritta e non fare storie.” Mi intimò una voce fredda e austera. Deglutii e obbedii stranamente al comando di avanzare.
I miei piedi calpestavano la terra secca, mentre le sterpaglie seguivano il fruscio dei miei passi e gli occhi cercavano John, un suo cenno, qualcosa che mi indicasse dove si fosse cacciato.
L’uomo mi condusse in un furgone delle SS, dalle gomme sporche di fango e e tutto sporco di polvere e luridume. Sicuramente non lo pulivano da giorni. Aprì lo sportello di dietro e mi ficco dentro con forza, per poi chiudere la porta dietro di me, senza fiatare. Sbattei violentemente le ginocchia sul pavimento del retro e alzai la testa per vedere se fossi in compagnia o sola, anche se il pensiero di essere stata catturata non allettava tantissimo. Comunque, non ero sola. Anzi … potevo considerare le mie speranze di ritrovare i miei amici compiuta per metà.
La giovane Elly, o sembrava lei dall’aspetto, mi fissava, con un’espressione vuota e mista tra lo stupore e lo spavento.
Non fiatai, consapevole della sorpresa della ragazza, ma mi misi a sedere per bene, e lei alzò la testa ancora di più, togliendosi dalla posizione accovacciata sul sedile di prima e poggiando i piedi per terra.
La finestrella che collegava il retro al posto del guidatore si aprì, facendo intravedere gli occhi di chi mi aveva aggredito poco prima:” Fai come sai.” Disse, per poi chiudere il tutto velocemente.
Io mi voltai verso Elly, che non parlò né emise parola alcuna per un bel po’, continuando a fissarmi.
Era come un gioco di sguardi, chi cedeva per prima perdeva .  Ma quel gioco stava diventando sempre più opprimente. Più per me che per lei, forse.
 
Non potevo crederci. Le parole mi si erano bloccate in gola, coscienti che se fossero uscite, il danno sarebbe stato irreparabile.
Deborah era davanti a me,, la potevo riconoscere nonostante l’abbigliamento diverso. I suoi inconfondibili occhi neri e profondi, ereditati dal padre tanto buono con me. E i suoi capelli color ebano, che riflettevano le stelle nelle loro ciocche. La mia coraggiosa e bellissima amica, davanti ai miei occhi, sicuramente più confusa della sottoscritta.
Se avessi spicciato parola e avessi detto la verità, la gioia che provavo mista alla tensione avrebbe lasciato posto al rancore, al tradimento e alla frustrazione, e inoltre dovermi solo immaginare il possibile sguardo vendicativo di Deborah mi faceva tremare.
” Fai come sai.” Le solite tre parole che mi dicevano prima di ogni interrogatorio. Era incredibile il  fiuto di quelle guardie nel trovare posti dove ci fossero fanciulle brune e ebree, peggio dei cani poliziotto.
Sapevo cosa dovevo fare. Una domanda, qualche scuotimento di capo, e se la fortuna voleva, dovevo pronunciare quella frase :” non è lei.”
Ma stavolta … come avrei potuto fare per poterla salvare? Di certo, quello si era accorto di qualche mia reazione involontaria nell’aver visto Deborah. Doveva essersi accorto del mio, anche se debole, sussulto.
Se avessi mentito, sarebbe stata portata via, destino di ogni ebreo. Se avessi detto la verità … sarebbe morta. Di questo ne ero sicura.
E io? Avrei ricevuto chissà quale onorificenza, chissà cosa per aver tradito la sua fiducia. Inaccettabile.
Lottavo con il mio io interiore per farmi dire quel diavolo di risposta esatta che avrei dovuto pronunciare per assicurare qualcosa in più a lei.
Bugia: Io viva e ancora in cerca di qualcosa di già trovato, lei forse morta.
Verità: Io viva di sicuro, lei morta per certo.
E questo mi diede ragione, solo dopo un gioco di sguardi infinito, che la menzogna era l’unica via di vera salvezza.
Dopo forse dieci minuti di sguardi sostenuti, aprii le labbra in un soffio:” Non è lei.”
Lei mi guardò esterrefatta, sbarrando gli occhi sorpresi. Le ricambiai lo sguardo, con un misto di incitazione e scappare adesso, o mai più.
Invece, successe l’inaspettato. Lei, non seppi mai come, capì. Capì la situazione, capì tutto anche nel più profondo silenzio. Sentì le mie urla disperate anche nel totale buio di suono di quel furgone.
Appena la finestrella del furgone si aprì, lei si alzò in piedi:” Sono io 15674.”
Persi un battito.
 
Non potei fare finta di niente. Come sempre, capii tutto della tattica di Elly, e mi avvidi che il suo altruismo per me era sin troppo eccessivo.
Sapeva benissimo che ero io, la sua Deborah. Eppure, aveva fatto finta di niente.
Per me, per evitare che venissi catturata. Anche se,dopotutto sarei stata catturata lo stesso, in fondo.
Raccolsi tutto il coraggio che avevo in corpo:” Sono io 15674.”
L’odiato numero pronunciato con decisione. Gli occhi dalla finestrella di prima ridursi a fessure. Quelli di Elly spalancarsi e perdersi nel bianco delle orbite allucinate. Il baluginio di una lacrima scappata.
Il mio cuore iniziò a battere forte, mentre vidi la finestrella chiudersi, e Elly alzarsi all’improvviso:” Cosa …”
“ Non pensare a me.” Le dissi, dolcemente. L’unica cosa che fece fu accasciarsi alle mie ginocchia, in preda ai singhiozzi. Mi afferrò le caviglie:” Ritira quella stupidaggine … non farlo!”
“ Elly …” sussurrai, chinandomi su di lei e accarezzandogli la spalla. Mi commuovevo davanti alla sua debolezza di spirito, di fronte alla sua voglia di giustizia e al suo altruismo.
Sentii il cigolio dello sportello, e mi voltai per vedere in faccia il mio destino.
Il nome di quel destino? Mark. Anzi, Mark e John.
Strano a dirsi, l’ultima persona che mi sarei aspettata di incontrare, ossia l’autista che ci aveva aiutato la notte dell’evasione dal capo, fece capolino, nel suo aspetto da brav’uomo:” Sera, fanciulle.” Disse, con tono pacato.

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Capitolo 40
*** Capitolo 40 ***


Ok, andrei picchiata per il ritardo, anche di un solo giorno, che ho commesso nei confronti del patto ç__ç
Ma ho dovuto studiare latino ( per la cronaca ... ho preso 7 *-*), e quindi non ho avuto modo di concludere il capitolo in tempo per ieri.
Spero di recuperare con ciò che c'è scritto qui. Buona lettura fedeli seguaci :) 

Capitolo 40

 
“ Ora voi ci spiegate per filo e per segno cosa diavolo è successo!” fu la mia delicata reazione nel vedere i corpi tramortiti delle SS lasciati per terra. Ancora non potevo crederci che un attimo prima la mia vita era appesa a un filo, o per meglio dire alla decisione della mia migliore amica, e che adesso io, John e Elly che si erano finalmente ricongiunti dopo tanto tempo e tutta la famiglia con il quale avevamo soggiornato io e John e Mark, l’autista, stessimo davanti a un fuoco acceso e scoppiettante, ad ammirare le stelle e a tirare sospiri di sollievo.
“ Calma … è una storia lunga e tutte le storie lunghe hanno bisogno di tempo.” Rispose Mark, con un fare che a mio parere era snervante nei confronti del mio cuore, che ancora non aveva cessato di battere rapidamente dalla sorpresa.
“ Sono tutta orecchi …” dissi, senza trattenere l’agitazione.
Ero ancora tramortita da tutto quello che era successo nel giro di nemmeno dieci minuti: Vedere Mark e John affacciarsi al furgone, Elly saltare letteralmente addosso a John dalla contentezza, essere travolta dalla famiglia di Miriam e essere stretta da Anna in lacrime, accorgersi che i soldati erano per terra, senza sensi e accorgersi che John aveva una ferita al braccio; la miscela di tutti questi elementi messi insieme aveva scosso profondamente il mio animo. Dal terrore al sollievo in un batter d’occhio. Pensai immediatamente che se avessi raccontato questo ai posteri, di certo mi avrebbero preso per pazza.
Comunque, mi era ancora ignara la ragione per cui tutto si era risolto così velocemente, dunque stetti ad ascoltare ogni singola parola che usci dalla bocca di Mark:” Da dove posso cominciare … ricordi la notte in cui tu e Elly, insieme a Max, fuggiste dal campo? Io vi accompagnai dai Mendel, di cui mi avvedo è sopravvissuto solo John …” guardò per un attimo il ragazzo, che abbassò lo sguardo, rifugiandosi sulla spalla di Elly, a cui stava abbracciato:” Anche se naturalmente, non sappiamo che fine abbiano fatto veramente i signori Mendel … Ma non vaneggiamo!” come per scacciare le parole appena dette, Mark agitò la mano davanti al viso, e poi riabbassò la postura, appoggiando le braccia sulle gambe piegate: “ Pochi giorni dopo, mentre passavo in città, un uomo mi chiese dove si trovasse la residenza dei Mendel.”
Sollevai lo sguardo verso di lui con fare dubbioso. Lui incrociò i miei occhi e ricambiò come per tranquillizzarmi: “ Calma, Deborah. Non era un soldato, bensì il dottore che ti curò, da quello che mi riferirono.  Dopo avergli indicato la strada, lo seguii in gran segreto e da uno dei dottori seppi della tua malattia, e che infine guaristi. Ma mi accorsi di una cosa che mi diede modo di agire fino ad arrivare qui ..”
Prese un sospiro, e soffiando via l’aria che aveva accumulato, continuò a raccontare: “ Uno dei dottori venuti  per l’operazione mi sembrò sospetto … gli feci alcune domande sotto minaccia, e lui mi rivelò la sua natura di spia. Doveva aver saputo in gran segreto che vi trovavate laggiù.”
Elly trattenne un grido di disgusto, John la strinse di più a sé. Anche Miriam e i suoi familiari stettero in ascolto con il fiato sospeso:” Purtroppo, non riuscii ad evitare ciò che si cela tra le canne poco distanti da qui …” disse riluttante, e anch’io rabbrividii. Al sol pensiero di un corpo in putrefazione che, sicuramente, adesso marciva sul fondo della palude lì vicino, mi sarebbero saliti conati irrefrenabili di vomito. Ricordai con terrore i vestiti bagnati di sangue, e la paura dentro i miei occhi.
“ Poi cosa successe?” lo incitai a continuare, per scacciare il pensiero del cadavere dalla mia mente.
“ Sapendo che vi avevano scoperte, decisi di infiltrarmi. Era l’unico modo per poter sapere dove vi avrebbero portato, per poi poter agire al momento opportuno. Elly …” Si volse verso la ragazza:” Ti sei mai accorta di me?”
“ In che senso?” fece lei, un po’ confusa.
“ Ricordi che durante i viaggi da un ghetto all’altro, c’era sempre lo stesso autista?” domandò lui, con fare misterioso.
Le si illuminarono gli occhi dalla sorpresa:” Non ci avevo mai fatto caso fino ad oggi … era sempre un tizio taciturno, con il berretto ficcato in testa e gli occhi non riuscivo mai a vederglieli ...” Interruppe il suo flusso di pensieri per poi girarsi verso l’autista. Gli osservò le mani; tenevano strette lo stesso berretto che aveva visto indosso all’autista:” Non dirmi che …”
“ Ho dovuto usare un travestimento per fare in modo che tu non mi vedessi né sospettassi chi  fossi ..” disse lui, sorridendo:” anche se le SS non sospettavano per niente di me, non dovevo dar l’impressione di conoscere la prigioniera 65.” Concluse, sospirando.
Tutta quella parte di racconto mi aveva tolto tantissime domande dalla testa. Ma restava una cosa da chiarire; cosa era successo durante il breve colloquio con Elly dentro il furgone?
“ Fino a qui mi è tutto chiaro … ora però puoi dirmi cosa è successo pochi minuti fa? E com’è che John si ritrova con un braccio ferito?” dissi io, spronando il caro Mark a finire la storia, mentre Anna si apprestò a curare la ferita di John. Non era niente di grave, ma per evitare rischi infettivi, meglio agire in quel momento.
“ Come ho già detto, mi ritrovai a fare l’autista delle spedizioni di Elly. Seppi anche di quella cosa, ma purtroppo dovevo restarne fuori …” non sapevo a cosa si riferisse in quel momento, ma vedere lo sguardo di Elly abbassarsi fino a sfiorare la terra mi fece presumere che l’argomento fosse piuttosto delicato. Non osai chiedere.
“E si arrivò a questa notte. L’unica cosa di cui non ero certo è che tu è John vi stesse nascondendo da queste parti. Quindi, appena vidi che le cose erano giunte al capolinea, mi decisi ad agire.”
Fu con quelle parole che iniziò a raccontare come, vedendo che quella uscente dalla botola ero io, uscì dalla macchina: “ Appena uscii dal posto del guidatore, vidi la guardia che ti metteva dentro il furgone, e senza neanche che se ne accorgesse, lo colpii alla nuca con il manico della pistola che tenevo nascosta sotto la giubba. Quello …” indicò uno dei corpi, ancora dormiente:” Cadde all’istante, senza emettere il minimo rantolo. Quello sulla macchina non si era accorto di niente, per il momento. Poi vidi John che tornava correndo … E il resto ti dispiace se lo racconti tu?” chiese al ragazzo, che si schiarì la voce e continuò da dove l’uomo si era fermato:” Certo.  Ero uscito come guardia, e appena visto il furgone mi ero nascosto di modo che non mi notassero. Poi, vedendo qualcuno cadere, mi sono avvicinato un po’ di più, e  a quel punto mi sono accorto che si trattava di Mark.” Interruppe il racconto emettendo un rantolo, poiché Anna aveva stretto la benda attorno al suo braccio: … Mi ha detto di stare all’erta e di vedere cosa sarebbe successo. Improvvisamente il soldato a bordo è uscito dalla macchina. Siamo rimasti dietro il furgone, in attesa che arrivasse, e appena è arrivato, abbiamo cercato di disarmarlo e di fargli perdere i sensi. Quel fetente è riuscito a estrarre un coltello svizzero dal suo giubbotto e a ferirmi conficcandomi la lama nel braccio, Ma è caduto a terra dopo il calcio nello stomaco di Mark. Dopo di che abbiamo aperto il furgone e ci avete visti. Tutto qui.” Finì di dire il tutto, espirando tranquillo e abbandonando la testa sulla gambe di Elly. Si sdraiò, come stanco di quella nottata, mentre la sua ragazza gli accarezzò dolcemente la testa.
Ora mi era tutto chiaro, sin troppo. E non potevo fare altro che tirare un lieve, ma esistente, sospiro di sollievo. Dopo tanto tribolarmi, ero giunta al ricongiungimento con una parte del gruppo iniziale. Ma mancava ancora quella fetta della torta più gustosa, la ciliegina sulla torta. Sperando, ovviamente, che fosse ancora vivo, non vedevo l’ora di poter rivedere Max e di vivere con lui per il resto dei miei giorni, come sarebbe stato giusto fare.
Sollevai il naso e guardai il cielo stellato. Il loro luccichio mi donò tranquillità.
 
Fantastico. Era davvero bellissimo che si fosse giunti a tale conclusione. Io e John, finalmente, ci eravamo potuti riabbracciare, avevo rivisto Deborah, e la comparsa improvvisa di Mark e di quel gruppo di persone che era stata vicina a Deborah e John per il periodo in cui ero andata “ a caccia” era stata una piacevole sorpresa.
Ora mancava solo Max all’appello, e di far sapere, quando il momento sarebbe giunto, a nostra madre che eravamo sani e salvi. Non sapevo quanto tempo sarebbe servito a compiere tale impresa, speravo il più presto possibile ovviamente.
L’altra cosa che mi preoccupava era la seguente: Cosa avremmo fatto d’ora in poi?
“ Mark, hai qualche piano in mente adesso?” chiesi, continuando a grattare dietro le orecchie di John, che mugolò soddisfatto come un gatto quando fa le fusa.
“ Ho deciso di portarvi direttamente dove si era deciso sin dall’inizio. Restare qui, in Germania, è sin troppo rischioso per voi che siete come latitanti.” Disse lui, con tono davvero deciso:” Ho già provveduto a procurarmi tute a sufficienza per farvi passare inosservati.”
“ E loro?” Sbottò Deborah all’improvviso, indicando Anna, Jim e tutto il resto della compagnia.
Mark li guardò, gli occhi  gli si contrassero in una smorfia di dispiacere:” Purtroppo non ho abbastanza tute per tutti … e non ho taglie adatte a bambini, in fondo sono uniformi delle SS, non vestiti di tutti i giorni.”
Deborah sembrò colpita da quelle parole e tentò di ribattere, ma stavolta ricevette la risposta di Joseph, che con un insolito fare pacato ribatté: “ Non c’è bisogno che noi veniamo con voi. Qui, fino ad oggi, nessuno ci ha scoperti. E di certo, se elimineremo ogni prova di stasera, saremo ignoti a tutto per lungo tempo. E poi … cosa vuoi che facciano quelli lì? Si ricorderanno a malapena ciò che è successo stasera!” indicò ironicamente I soldati ancora mezzo tramortiti, che dormivano russando sonoramente, sotto lo sguardo divertito del resto del gruppo.
Deborah non sembrava per niente d’accordo con la loro scelta, ma venne convinta alla fine dalla carezza che la donna, che si chiamava Anna, le fece alla guancia:” Cara, sei troppo altruista, te l’hanno mai detto?”
“ Sin troppe volte ..” replicò l’ebrea con un broncio scocciato che mi fece scappare un fugace sorriso.
“ Dovresti seguire ciò che dicono gli altri … noi ce la caveremo, non devi preoccuparti.” La strinse a sé, lasciando che la ragazza si abbandonasse sul suo seno, cosa che fece chiudendo gli occhi e rilassandosi.
“ Va bene … anche se non mi va a genio comunque …” replicò lei, con voce calma. Sorrisi e solo in quel momento mi accorsi che il baldo giovanotto sulle mie ginocchia si era bello addormentato. Miriam, la piccola, si avvicinò ad osservarlo nella sua placidità:” Sembra un angelo quando dorme.”
“ Lo è anche quando è sveglio.” Mi chinai su di lui, e lo baciai vicino all’orecchio leggermente. Sussultò senza svegliarsi e girò la testa, verso di me.
“ Direi che dovremmo seguire il consiglio di John … Dormiamo, domani mattina presto partiremo subito.” Fece Mark, alzandosi e iniziando a gettare terra sul fuoco per spegnerlo: “ Le donne rientrino subito, gli uomini mi aiuteranno a portare quei cosi lontano da qui.”
Noi donne non replicammo minimamente. Ero stanca morta, così con una lieve scossa svegliai John per potermi alzare e mi feci accompagnare nelle celle sotterranee. Mark, Joseph,  Jim e Albert si caricarono i corpi sulle spalle e sparirono nel buio illuminato solo da lanterne.
Sprofondai nel sonno più profondo appena poggiai la testa sulla branda, accanto a John.
Domani mattina sarebbe iniziato un nuovo capitolo, forse il finale, di tutto l’andazzo che mi aveva coinvolto fino a quel momento.

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Capitolo 41
*** Capitolo 41 ***


Ma buona sera! Da me ha nevicato tantissimo, anche se ormai si è tutto sciolto, e come vedete ho trovato il tempo di aggiornare la storia in tempo per il mio patto! Evvai :D
Buona lettura, e grazie a tutti quelli che hanno inserito la storia tra seguite, preferite, ricordate, e che hanno gentilmente recensito e seguito la storia fino in fondo. 
Remedios 


Capitolo 41

 
Ormai i giorni sul campo volavano e si dissolvevano come neve al sole o come attimi spazzati da battiti di ciglia. Fatica, sangue, bombe e disperazione erano le parole chiave su una terra ormai arsa dal calore delle fiamme e stanca di essere pestata da pesanti scarponi, intenti a fuggire più che a lasciare la loro traccia su quel campo maledetto. Alla fine rinunciai a tenere il conto dei giorni che passavo lì, in quell’inferno, rinunciavo anche alle speranze di poter tornare un giorno, davvero, a vivere in pace, lontano da tutto quello. L’apocalisse stava per colpirci tutti, non c’era più niente da fare, e io ero rassegnato a essere spazzato via insieme al resto.
Nonostante però il senso di oppressione, la debole fiamma della speranza di poter di nuovo rivedere il resto del gruppo, e soprattutto Deborah, era l’unica fonte di calore che riuscisse a scaldare un poco il mio cuore, ormai chiuso nella morsa di ghiaccio della freddezza di sangue tipica di ogni soldato che si rispetti. Forse era proprio quella a mandarmi avanti nella missione.
Sognavo, ogni notte, di poter rivedere mia sorella, mia madre, Jordan, scomparso da secoli ai miei sensi, e, anche se il mio odio per lui non mancava di esistere, mio padre Frank.
Sì, anche l’uomo che sotto il consiglio di Xavier mi aveva spedito in anticipo negli inferi sulla Terra. Anche lui iniziava a mancarmi, e mi chiedevo anche se poche volte, cosa stesse facendo, cosa stesse pensando.
Un’ossessione, seppur piccola, che riusciva a mandarmi avanti nelle missioni più difficili.
E venne un giorno in cui questa ossessione mi aiutò in un altro modo, di certo inaspettato. Pensai veramente, quando accadde, che tutta la mia vita stesse per svenire per colpa di un caldo dolore accanto al mio cuore.
 
Corsi in postazione, e riuscii ad evitare solo per caso una scarica di mitra distante un cinquecento metri dai muri dove mi riparai dai colpi. Alcuni proiettili riuscirono a colpire un soldato, che finì a colabrodo sulla terra macchiandola con il suo sangue. La vista di quell’orrore  mi fece salire la nausea.
“ Che schifo …” sibilai, mentre caricai gli ultimi colpi rimastimi a disposizioni. Dovevo attendere che mi arrivassero le munizioni, l’unica cosa da fare era rimanere dietro quel muro e aspettare che venisse qualcuno. Non potevo sprecare le ultime cinque cartucce rimaste in tasca, nel caso di un attacco a sorpresa non potevo permettermi negligenze come sparare a caso senza nemmeno colpire chi avevo davanti.
Una goccia di sudore mi pizzicò la pelle, mi stropicciai gli occhi stanchi e osservai oltre il muro di mattoni. Sagome in lontananza continuavano a correre o cadere, sentivo colpi provenire da tutte le parti e non avevo la più pallida idea di cosa diavolo stesse accadendo.
Un soldato stava venendo dalla mia parte, aguzzai la vista e caricai un colpo.
“ Sono dalla vostra parte! Sono dalla vostra parte!” urlò quello, avvicinandosi. Solo allora notai lo stemma dell’aquila sulla sua giacca e abbassai l’arma.
Lui mi vide e si mise insieme a me dietro il muro.
“ hai munizioni?” fu la prima cosa che gli chiesi appena mi fu vicino.
“ Penso di si …” frugò nella tasca e tirò fuori una scorta intera di proiettili che mi porse senza esitazioni: “ sei rimasto senza?”
“ A quanto pare sì, grazie amico. Cosa è successo?” chiesi, mentre riempivo la mia scorta con i proiettili del nuovo arrivato.
“ Un altro attacco a sorpresa, mi hanno mandato a chiedere rinforzi. Alcuni dei nostri sono stati fatti fuori da colpi volanti del nemico, deve averci scoperto …”
“ Non ci voleva … vengo con voi.” Mi affrettai a rendermi utile, di certo non potevo restare lì come un allocco mentre gli altri morivano senza dignità: “ Da che parte si va?”
“ Ti guido io … arrivati lì, ci separeremo, tu andrai dalla squadra del cadetto Jordan …”
“ va ben … C- Cadetto Jordan??” urlai quasi quel nome, tanto ero sorpreso. Lui mi guardò con aria perplessa: Ho detto qualcosa di strano?”
“ No …” altro che aver detto qualcosa di strano, aveva appena accennato  a qualcosa che non mi aspettavo.
Poteva benissimo essere un altro Jordan quello che aveva appena nominato, ma sentivo, in qualche modo, che era il Jordan che conoscevo.
Mi misi a seguire il soldato, alimentato dalla speranza che quello che aveva nominato fosse davvero il mio amico.
Raggiungemmo il fatidico posto di guerra in dieci minuti, e ad accoglierci fu una strattonata all’uniforme che mi fece inciampare. Il mio corpo sentì violentemente la caduta all’indietro, mentre una voce mi suonò alle orecchie:” sta giù ..”
Era un sussurro, ma non riuscii a vedere da chi provenisse. Sentii l’urto deviato di una pallottola che scalfì il muro dietro il quale mi ero riparato. Mi alzai carponi, e presi il fucile pronto a sparare.
“ Com’ la situazione?”
“ Sono in pochi, ma hanno un calibro 32 dalla loro parte. Brutta faccenda, quella ci può uccidere seduta stante.” Fece quello accanto a me. Mi misi sul bordo del muro e sparai un colpo, mirando alla testa di un soldato che riuscii a intravedere nella polvere.
“ Meno uno ..” dissi, per poi puntare il mirino verso un altro scorcio nero.
Sentii improvvisamente una mano schiacciarmi la testa e spingermi verso il basso, e questo fece deviare il colpo della mia pallottola, che andò a scemare tra la polvere del campo.
“ ma cosa …” imprecai, a causa del dolore che avvertii alla schiena, ma appena aprii gli occhi, notai che sopra di me stava il viso più familiare che conoscessi da quelle parti.
Il muscoloso uomo stava sparando con precisione assurda.
“ Jordan …” sussurrai, per poi alzarmi e scostarmi in fretta. Volli vederlo bene in faccia, i lineamenti dalla prospettiva di prima potevano benissimo essere un gioco di luci. Ma appena mi misi accanto a lui, gli occhi azzurri e per niente freddi del ragazzo che tempo fa se n’era andato senza dire niente mi guardarono sorpresi.
“ Non ci scommettevo più nel rivederti … come te la passi?” disse, quasi sorridendo e rimettendosi a guardare il campo, mentre io ero paralizzato dalla sorpresa.
“ oddio …” fu l’unica cosa che riuscii a far uscire dalla mia bocca. Finalmente, ero di nuovo accanto a lui, inspiegabilmente ma ero di nuovo insieme alla persona che mi aveva sostenuto di più nei giorni di rabbia e frustrazione in Accademia e sul campo.
Era stranissimo ritrovarsi accanto a lui, anche in quella situazione così di giornata per me come soldato.
“ Beh .. il gatto ti ha mangiato la lingua Max?” disse, con fare scherzoso. Sinceramente, non avevo tanta voglia di scherzare, ma lui sembrava talmente a suo agio che un po’ della sua tranquillità mi arrivò e mi sciolse le parole in bocca :” Cosa diavolo ti è preso l’altro giorno??” gli urlai addosso.
“ Volevo divertirmi un po’, tutto qui! Ti ho fatto preoccupare? Che tenero!” esclamò, mostrando un sorriso inadeguato alla situazione.
“ Preoccupare? Sono morto accidenti! Dimmelo quando fai certe cose!” stavo urlando addosso al mio amico accecato dalla rabbia, nonostante fossi felice di averlo di nuovo accanto a me.
“  La prossima volta ti mando una cartolina prometto! Ma vedo che te la sei cavata comunque!” fece, poggiandomi una mano in testa e strofinandola sul mio elmetto. Rimasi basito davanti alla sua azione, e non spiccicai altra parola. Mi limitai a mettermi in posizione, pronto a sparare chiunque mi attaccasse.
Ero felice, in fondo, felice di riaverlo accanto a me. Ma può la felicità uccidere una persona o solo ferirla?
Mi diedi una risposta da me, quando la vista mi si annebbiò all’istante, e un calore immenso e doloroso mi si diramò nel petto.
“ Max!!” sentì l’urlo di Jordan, ovattato e non troppo stridulo. La presa sul fucile si allentò, sentii il mio corpo spinto verso il suolo, mentre con la coda dell’occhio vidi un foro nel muro dove prima ero appoggiato.
“ Max!” un altro richiamo, ancora più ovattato. E poi buio.
 
Mi svegliai di colpo in un bagno di sudore. Avevo il fiatone, e appena mi poggiai una mano sul cuore, avvertii il battito accelerato a mille.
Avevo fatto un incubo, ne ero certa. Avevo appena premonito qualcosa che ancora mi stava scioccando da sveglia.
Le immagini del sogno mi passarono davanti agli occhi come fotografie: Io da sola in mezzo a un cerchio di fuoco, il suono di un proiettile, le fiamme che si erano alzate per magia e io che morivo dal caldo e dalla paura. La comparsa del numero 15674 sulla terra. In fiamme anche quello. Una voce in lontananza che chiamava il mio nome.
Cosa diavolo fosse stato non ne ero certa, ma un’orrenda sensazione mi stava lentamente uccidendo.
Il mio pensiero, non seppi mai perché, volò alla sola persona che in quel momento il sogno mi rammentò: Max.
Doveva essergli successo qualcosa, di sicuro. Ma non ne ero sicura, eppure … un enorme fastidio mi premeva il petto soffocandomi in atroci sofferenze di spirito.
“ Max .. Max .. Max …” ripetei il suo nome a ritmo del mio respiro, mentre lacrime silenziose si fecero strada sulla mie gote.

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Capitolo 42
*** Capitolo 42 ***


Sera! Siamo quasi giunti alla fine della storia, manca poco ormai.
Buona lettura! Remedios
PS: le note sono a fondo pagina ( vedete l'asterisco)

Capitolo 42

 
Un buio pestilenziale mi invadeva gli occhi, mentre l’udito era ovattato e un penetrante odore di alcool mi penetrava le narici. Non sentivo niente di definito, solo un rombo ovattato, come se qualcuno stesse parlando, ma io non stessi sentendo nessuna delle sue parole. Poi, un suono, sempre più definito e assordante, prese spazio tra il trambusto che mi perseguitava i timpani: un ticchettio, qualcosa di discontinuo ma regolare, a ritmo del mio cuore che constatai battere ancora. Dopo aver sentito il calore estenuante e i sensi mancare dopo il colpo sul campo, avevo seriamente pensato che la mia vita fosse finita. Anche se mi ero stupito del fatto che il solito filmino sulla vita non mi fosse passato davanti agli occhi.
Tentai di reagire al buio, e cercai in qualche modo di fare in modo che i miei muscoli sforzassero qualche movimento. Come risposta ottenni uno schiarimento del buio nei miei occhi, e se prima l’udito era ovattato, ora potevo sentire la cantilena divenire richiamo: il richiamo del mio nome, ma da parte di una voce femminile, e che subito riconobbi.
“ madre …” la mia voce uscì dal nulla, mentre uno spiraglio apparve e la luce mi accecò. Da tutto sfocato vidi nitido, constatai che un apparecchio registrava i battiti del mio cuore, e che accanto a me, oltre a Jordan, c’erano anche quegli occhi colmi di amore materno tipici della mia genitrice, che mi guardò con le lacrime che stavano per esplodere.
“ max! Figliolo … sei vivo!” sentii il caldo delle sue labbra poggiarsi sulla mia fronte, mentre io sorrisi, cercando di capire dove fossi. Girai la testa, e vidi file di letti accanto e davanti a me. Altri soldati, tutti fasciati, stesi sulle loro brande o in compagnia dei loro familiari, vivevano la mia stessa situazione dentro una stanza dall’alto soffitto e odorante di medicina.
“ Sono vivo …” esclamai, afferrando delicatamente la mano di mia madre, che me la strinse baciandola avidamente:” Mi sei mancata madre ..”
“ Anche tu figliolo … quando ho ricevuto la chiamata dall’ospedale, non ho esitato a venire, ho temuto il peggio per mio figlio …” le lacrime si fecero strada sul suo viso segnato dagli anni ma ancora fresco, e mi fece tenerezza vedere tutto il suo amore rivolto verso il figlio ritrovato.
“ menomale amico … ho temuto davvero che fossi morto quando ti hanno colpito …” Jordan era dall’altra parte del letto, e appena mi voltai, vidi oltre al suo sorriso rincuorato il riflesso di una piccola lacrima che si era frenata prima di uscire totalmente:” Stavi per metterti a piangere?” scherzai con lui, per sdrammatizzare il tutto, e lui si asciugò rapido il residuo, sfoggiando uno dei suoi bellissimi sorrisi amichevoli:” O, non prendermi per una donnicciola!”
Risi, e anche mia madre lo fece:” Grazie di cuore, ragazzo … senza di te, mio figlio sarebbe stato perso …”
“ Si figuri, signora, per me è stato un onore …” Vidi l’imbarazzo di Jordan in volto e sorrisi compiaciuto.
Girai la testa verso un comodino di legno accanto al letto, e notai una piccola forma tondeggiante, metallica.
“ Cos’è?” chiesi, tentando di prenderla con la mano libera. Mia madre mi precedette:” è la tua medaglia al valore … la danno a tutti i soldati che si sono congedati dalla guerra … dimostra quanto vali, figliolo mio …” ma le porse in mano, e la rigirai fra le dita, ammirandone il disegno a rilievo e la piccolezza. riluceva di una luce giallognola, quasi bronzea, e me la puntellai sul petto, per provarmela. Mi piacque tantissimo.
“ Bella vero? Guarda la mia!” Jordan mi mostro la sua, così piccola in mezzo alla robustezza del suo petto, e sorrisi, ancora una volta riuscii a sorridere nonostante fossi quasi morto. E ora ero lì, su un letto sicuro, con mia madre e il mio migliore amico. Stavo bene, non benissimo, ma bene.
E sarei stato meglio appena mi sarei ricongiunto con l’altra metà di me stesso.
“ Io vado, vi lascio parlare, avrete tante cose da dirvi in fondo … Ci vediamo, amico.” Jordan si alzò dalla sedia, lasciando me e mia madre a parlare da soli. Lo salutai con un cenno della mano, e poi lo vidi voltare le spalle in direzione dell’uscita dalla stanza. Rimasi a quattr’occhi con mia madre.
“ Sono felice … sai?”
“ Anch’io … è da una vita che volevo parlarti, figliolo …”
“ anch’io madre, anch’io … e mio padre? Come sta?” Sì, mi importava anche dell’uomo più malvagio che avevo finora incontrato nella mia vita.
Vidi il volto di mia madre scurirsi leggermente:” è morto …” disse flebilmente. Sobbalzai alla freddezza di quella risposta, un silenzio di tomba si sovrappose tra noi due.
“ Come è successo?”
“ Infarto … dicono che la falsa notizia della morte del Fuhrer* l’abbia a tal punto traumatizzato  che …”
“ Il Fuhrer è morto?” quasi urlai, e mia madre mi zittì all’istante con lo sguardo:” Tu non puoi saperne … pochi giorni fa hanno attentato alla vita del Fuhrer … ti ricordi dell’Operazione Valchiria? Si dice che l’abbiamo modificata per fare in modo che la repressione andasse contro lo stesso Hitler … dopo averlo ucciso, gli attentatori avrebbero preso il controllo del governo … invece sembra che il colpo sia andato a vuoto …”
Mi ricordavo dell’Operazione Valchiria, ma sapere che era andata a fallire mi deluse profondamente:” Pensa se davvero fosse morto … a quest’ora molte cose sarebbero cambiate.”
“ Hai ragione … ma adesso non pensiamoci … a proposito …” vidi un sorriso incoraggiante sul volto di mia madre: “ poco fa mi sono messa in contatto con Mark … ho una buona notizia.”
“ Mark? Davvero? Cosa ti ha detto?”
Un largo sorriso si stampò sul volto di mia madre :” Deborah e Elly sono salve, e a breve le potremo riabbracciare.”
Una gioia immensa e indescrivibile si fece spazio dentro di me.
 
“ Deborah, sei sicura che vada tutto bene?” Elly sembrava preoccupata, dopo averle raccontato del sogno la sua irrequietezza per il viaggio era aumentata a dismisura. La sensazione che mi aveva attanagliata lo stomaco quella notte, quando mi ero svegliata di soprassalto a causa dell’incubo, era sparita per il momento, anche se persisteva una strana nausea che non mi lasciava in pace.
“ Si, ormai è tutto passato …” la rassicurai, tornando a guardare fuori dal finestrino del furgone con il quale Mark ci stava portando verso il confine.
“ Mmh …” la mia amica mugolò appena, tornando a poggiare la sua testa sulla spalla di John, immerso nei suoi pensieri.
“ Ragazze, manca poco, resistete ancora un po’ …” Ci disse Mark, con tono rassicurante. Immersi i miei occhi nella luce del sole che stava appena sorgendo all’orizzonte, e mi persi nelle ombre notturne incastonate in ogni albero sul ciglio della strada che correva davanti ai nostri occhi con velocità impressionante.
“ Sei sicuro che passeremo inosservati?” domandai, ancora in ansia per il progetto di fuga. Lui mi rivolse un’occhiata di intesa dallo specchietto retrovisore.
“ Ho il piano B nella manica, soprattutto nel tuo caso … sempre se te la senti …”
“ Che piano B?” non ne sapevo niente, quindi qualcosa come una lieve angoscia prese possesso dei miei sensi.
“ Niente di pericoloso … ho con me un siero che simulerà la tua morte.”
“ un siero di morte apparente?” ero a dir poco scioccata dalla rivelazione di Mark, lui divertito mi squadrò sempre dallo specchietto, notando che anche Elly e John si erano incuriositi.
“ Esatto … nel caso le guardie di confine non si fidino, berrai solo qualche goccia del siero che ti darò. All’inizio sarà doloroso, poi sarà come aver preso un potente sonnifero. Quando ti sveglierai, sarai a destinazione. Te la senti?” mi chiese, continuando a guidare e svoltando per un bivio sulla strada, verso sinistra.
Io rimasi a riflettere sulla capacità di quell’uomo di escogitare piani davvero geniali, e poi annuii:” Sono disposta a tutto per la mia libertà.”
“ bene … ecco la linea di confine … state pronti. Eccoti il siero.” Mark mi porse una boccetta, contenente un liquido trasparente, che all’olfatto era inodore:” Bevilo solo se te lo dico io.”
La macchina si fermò davanti alla sbarra, mentre un gruppo di uomini in divisa si avvicinò alla vettura. Potei intravedere oltre i finestrini dell’automobile alte montagne ricoperte di neve e una strana sensazione di purezza mi invase le vene.
“ Porta merce con sé?” chiese uno degli uomini, un uomo con un paio di baffi grigiastri in volto.
“ Niente, solo passeggeri signore.” Rispose con assoluta calma Mark. L’uomo con i baffi non sembrò osare guardare oltre i finestrini della vettura, e io non ebbi certo intenzione di dare nell’occhio. Era già stata una buona idea tagliarmi di nuovo i capelli, stavolta più corti, per non farmi riconoscere subito, e travestire la cicatrice al braccio con delle maniche lunghe, nonostante il caldo estivo.
“ potete passare … alzate la sbarra!” uno degli uomini di guardia entrò in un casotto lì accanto, e alzò la sbarra di confine. La macchina passò oltre, e appena il posto di blocco fu lontano, tirai un enorme sospiro di sollievo:” siamo salvi … e non c’è stato neanche bisogno di questo!” feci, agitando la boccetta.
“ Già, menomale … ma mi servirà per fare un altro viaggio, quella …”
“ in che senso?”
“ Vi porto a destinazione, poi dovrò ripartire … devo ancora fare una cosa urgente.” La frase criptica di Mark mi fece tenere il dubbio, ma non vi diedi troppo peso. Un primo scorcio di paesaggio svizzero, completo di cascata a torrente scrosciante su un lato di una collina verdissima, fu un toccasana per il mio cuore.
“ Casa dolce casa …” mormorai.

*Fuhrer: era il nome con cui i soldati nazisti chiamavano Hitler. ( fonte; film " operazione Valchiria, che consiglio vivamente)

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Capitolo 43
*** Capitolo 43 ***


Avviso: Dato che questo capitolo era troppo lungo per poter aggiungere la parte che desideravo, ho pensato bene di dover pubblicare il seguito subito dopo ( ossia il capitolo 44) così da completare questo passaggio. Spero di aver esaudito le richieste dei miei speranzosi lettori in questo modo.
Altro avviso: l'altro capitolo, che pubblicherò oggi, NON è l'ultimo. L'ultimo verrà pubblicato la prossima settimana.
Buona lettura e grazie di avermi seguito fino a questo punto con tanto amore.
Remedios 


Capitolo 43

 
Una casa in mezzo alla natura incontaminata, incastrata nel legno dei tronchi che ne componevano la struttura, con quell’odore caratteristico del muschio bagnato di prima mattina, misto a quello della dolce libertà di cui ormai potevo godere. Il tutto incorniciato da uno sfondo di montagne innevate, lontanissime ma vicinissime allo stesso tempo, di cui volevo toccare, sfiorare anche con un solo dito la presenza eterna che da sempre avevano in quel posto.
La Svizzera, posto di pace in mezzo alla guerra, fuga per tanti alla ricerca di un momento di tranquillità. Non potevo desiderare di meglio.
Anzi, una cosa c’era, ed era inevitabile che non pensassi che fosse indispensabile. Volevo rivederlo. Anzi, rivederli. Si, entrambi.
Da quel che Elly mi aveva raccontato entusiasta appena arrivati al rifugio, avevo capito che non ero la sola di sangue ebreo della mia famiglia ancora rimasta viva. Non riuscivo a spiegarmi ancora, in mezzo a lacrime di pura gioia, come mio padre fosse sopravvissuto a tutto quello, e come avesse conservato il suo carattere pacato che usava con sua figlia.
Elly era stata chiara con me sin dall’inizio:” Non ho faticato a paragonarlo a te, avete davvero lo stesso sguardo.”
“ Dici?” l’avevo detto con la voce tremante, stretta a lei dalla felicità:” Davvero ha conservato quegli occhi?”
“ Se intendi quello sguardo carico di saggezza e tanto simile al tuo, stai certa che è proprio quello …”
“ Come stava? Lo trattavano male?”
“ Non sembrava in cattive condizioni , ma non si può dire che sprizzasse gioia da tutti i pori …”
Sorrisi mesta a quell’affermazione, solo ricordarmi che era ancora in prigione mi faceva abbassare il buon umore di parecchio. Anche se dolo il sapere che era vivo mi aveva a dir poco resa felice. E ancora di più, la notizia che Mark stava per partire a prendere l’altro elemento che non vedevo proprio l’ora di rivedere: Max.
“ Passerà un giorno prima che io torni con i nuovi ospiti … cercate di ambientarvi, sarò di ritorno presto, non preoccupatevi.” Aveva detto, dopo aver messo in moto la vettura. Io mi ero avvicinata al finestrino prima che lui partisse:” Non esitare a tornare, va bene?”
“ Ricevuto, fanciulla. Vedrai, filerà tutto liscio come l’olio!” Mark sorrise, e poi tirò il freno a mano. La vettura si mosse, e sollevò un enorme polverone, lasciandomi dietro una scia di speranza e angoscia mescolate insieme.
Ci sarebbe voluto un giorno, un giorno miserabile che non vedevo l’ora passasse il più in fretta possibile. Ero una tipa paziente alle volte, ma per questa volta quella mia pazienza era andata leggermente al diavolo.
Non vedevo l’ora che, all’alba di domani, la  macchina di Mark fosse nel viale sotto casa, stavolta piena di amore e persone amorevoli.
 
La nuova dimora era davvero confortevole, e non esitai a dare un’occhiata a ogni minimo mobilio presente in quella casa, che all’interno sapeva di erba fresca di bosco.
“ è davvero bella … e tra un giorno lo sarà ancora di più!” esclamai, girando su me stessa nell’ampio salottino, sotto lo sguardo del mio John.
“ Vedo che sei felice Elly …” mi disse, avvicinandosi a me.
“ lo sono, John, tanto … non vedo l’ora che anche Max possa riunirsi a tutti quanti … mi manca tanto …” mi accoccolai sul petto del mio uomo, mentre lui mi circondò con le sue braccia:” Dicci che Deborah piangerà appena lo vedrà?”
“ Forse … ma le sue lacrime non saranno certo di rammarico, bensì di gioia … sarà come se sorridesse in un modo alternativo!” mi rispose John schioccandomi un bacio sulla guancia.
“ Hai ragione … a proposito di familiari … hai saputo qualcosa dei tuoi?” mi morsi quasi la lingua dopo aver pronunciato quella pungente domanda. Spostai alla svelta lo sguardo su John :” oddio, non volevo fartelo …”
“ Non so ancora niente sui miei genitori, ma data la pelle dura di mio padre, spero solo che siano vivi, dovunque essi siano.” Replicò, con viso apparentemente tranquillo:” Non preoccuparti Elly, i tuoi futuri suoceri ti vedranno sull’altare, non mancheranno di certo!” sorrise a trentadue denti, facendomi arrossire fino alla punta dei miei biondi capelli.
“ John! Che sciocco che sei …” mi strinsi a lui ancora di più:” Davvero vuoi sposarti al più presto come mi hai detto ieri?”
“ Assolutamente, il più presto possibile.” Lo aveva sussurrato tanto vicino al mio orecchio che aveva tremato leggermente.
“ Ne sei sicuro? Sappi che sono una tipa difficile da sopportare! Lo dice anche Max …”
“ Sono curioso di scoprire tutte le tue carte, mia cara … o futura signora Mendel.” Sentii il mio peso sollevato in alto e tutto intorno a me iniziò a girare, accompagnato dal mio grido di gioia e amore.
“ Certo che sei davvero incorreggibile,tu!”
“ Anch’io ti amo, Elly.”
Mi rispose a terra e gli sorrisi guardandolo negli occhi, nei tanto amati occhi che mi avevano accompagnato nel viaggio insieme a Deborah:” Ti amo.” Congiunsi le mie labbra alle sue. Ero felice, lo sarei stata di più in futuro, ma bastava poco ormai perchè tutto il mondo mi potesse sorridere in istanti vissuti con così tanta fatica.
 
La macchina di Mark si fermò nel viale davanti all’ospedale, e il nostro famoso amico uscì dal posto del guidatore, raggiante in volto:” I passeggeri sono pregati di salire a bordo!”
“ Salve Mark, ti vedo di buon umore.” Replicai, con un enorme sorriso stampato in volto.
“ Direi che è una bella giornata, non potrei essere di umore migliore. Salite, il viaggio sarà lungo.” Ci aprì la portiera di dietro, e io, seguito da mia madre, salii a bordo, stando attento a non sforzarmi troppo. Mia madre salì sul sedile di davanti, nel mentre Mark si occupò di porre le valigie nel bagagliaio.
Solo sedendomi, mi accorsi di un figura seduta accanto a me. Vestito di nero, poggiava la testa al finestrino, quasi stesse dormendo.
Mi sporsi un po’ per poterlo vedere in faccia, ma mia madre se ne accorse:” max! è maleducazione!”
“ Voglio solo sapere chi è … sembra stia dormendo.”
“ Lascialo stare lo stesso …” anche lei, però, continuava a guardarlo. Lo osservai meglio, sembrava un uomo di mezza età, e il suo respiro era fiacco ma regolare, appesantito da qualche filo di catarro, tipico delle persone anziane. In testa portava un cappello che nascondeva qualche ciuffo di capelli brizzolati, e il volto era nascosto dal colletto del grande cappotto nero che lo copriva.
Mark si mise al posto del guidatore, e gli chiesi così chi fosse quell’uomo.
Lui mi guardò e rimase sul misterioso:” lo scoprirai a tempo debito … ora lascialo riposare” mise in moto la macchina e lasciò il cortile dell’ospedale, lasciandomi la curiosità addosso su chi fosse quell’uomo. Ma ero felice, lo stesso: l’incubo da cui mi ero ridestato era finalmente scomparso, e nonostante forse ci sarebbe voluto ancora un po’ di tempo perché tutto finisse, ero contento che almeno per me le cose stessero per andare alla meglio. Un lungo viaggio, verso i confini, mi attendeva: avrei lasciato quella terra di odio o di giustizia nascosta, ma corrosa dal sangue, per sparire dalla circolazione in una terra pura, come la Svizzera. Stavo per lasciare la mia carriera di soldato, per vivere quella di normale cittadino. In fondo, mi dispiaceva un po’, poiché salutare Jordan così alla svelta era stato un po’ doloroso, era rimasto accanto a me per tutto il tempo, per tutto il tempo dell’incubo.
“ Tu cosa farai?” gli avevo chiesto prima di vedere l’auto di Mark arrivare.
“ Penso che tornerò dai miei, mia madre mi attende, mi ha scritto l’altro giorno.”
“ Era felice?”
“ Molto … ho notato che ha addirittura pianto.” Mi mostrò la lettera, e c’era davvero la traccia di una lacrima sulla carta giallognola coperta da quella grafia elegante e signorile:” Chissà come era in pena … le metto sempre l’ansia, povera donna!” sorrise, rimettendo la lettera sulla tasca del giubbotto all’altezza del cuore.
“ Ti auguro di poterla rivedere presto, allora …”
“ E io ti auguro di poter rivedere chi tu sai!” mi aveva risposto, dandomi una pacca da buon amico.
Sorrisi, e spinto dall’emozione lo abbracciai, prima di venir schiacciato dalla potenza delle sue braccia.
“ Stammi bene, e spero di rivederti presto!” mi disse, dopo avermi sciolto dall’abbraccio.
“ Se non si muore, ci si rivede, non dice così il proverbio in fondo?” gli canzonai prima di notare la macchina di Mark arrivare scricchiolando sull’asfalto.
“ Come non detto! Ciao!” Un lungo saluto con la manona ricambiato dalla mia, incapace di fermarsi, insieme ai sospiri.
Anche lui, a quanto sembrava, poteva ritornare alla vita di sempre, accanto a sua madre, che sarebbe stata felice di vederlo quanto la mia, e questo mi sollevava, tantissimo.
La macchina si inoltrò presto nella campagna, lasciandosi alle spalle la cittadella dove ero stato ricoverato. Le file di alberi correvano sotto i miei occhi, le nuvole camminavano sopra il cielo, e la strada correva sotto lo ruote, veloce e sfuggente. E io continuavo a guardare fuori dal finestrino, e intanto mandavo qualche occhiata all’uomo accanto a me, curioso di sapere chi fosse e che ruolo avesse nella mia fuga.
“ Mark … ora puoi dirmi chi è quest’uomo?”
“ siamo impazienti, giovane mio … è un signore, molto gentile, che se riuscirai a farti amico ti darà qualcosa di davvero importante …” mi disse, guardandomi attraverso lo specchietto retrovisore. Lo fissai interrogativo, e rivolsi di nuovo lo sguardo sull’uomo, che si mosse, voltando la faccia verso sinistra,ancora più appiccicato al vetro.
“ Non svegliarlo Max … ha riposato poco stanotte, è meglio che dorma adesso.”
“ D’accordo …” girai i miei occhi verso il paesaggio che sfrecciava fuori dal finestrino. Era un uomo che se avessi reso mio amico mi avrebbe dato qualcosa di importante? In che senso?
Ero incerto su quello che mi aveva appena detto Mark, e continuavo a non collegare le cose. Riflettei su cosa c’era d’importante nella mia vita: la mia famiglia, la libertà, e … Deborah. Si, lei era qualcosa di indispensabile, e non vedevo l’ora di poterla riabbracciare. Insieme ad Elly, ovviamente.
Ma cosa sarebbe stato quel qualcosa di importante che mi avrebbe donato quell’uomo, oltre a quel poco che desideravo? Avrei dovuto chiederglielo di persona, ma non volevo destarlo dal suo sonno tanto profondo.
“ aspetterò …” pensai, e un raggio di sole mi colpì al viso, riscaldandolo leggermente con un tepore che mi fece assopire.
Non mi accorsi nemmeno di essermi addormentato all’improvviso, tanto da non riuscire ad accorgermi che il confine era stato ormai passato. Quando aprii gli occhi, il sole era già sotto la linea dell’orizzonte.
“ Che ore sono?” chiesi, sbadigliando e constatando che ormai, l’uomo accanto a me si era svegliato.
“ è sera.” Mi rispose l’anziano signore, sorridendomi: “ vedo che hai dormito tutto il viaggio … stanco?”
“ Un po’ … posso chiederle il suo nome?” mi feci coraggio e iniziai a porgli alcune domande, tanto per fare conoscenza con il buon uomo. E ci fu una cosa che notai all’istante: I suoi occhi nerissimi e che riflettevano una saggezza immensa.
“ Menuchin … tu devi essere Max.” fece, porgendomi la sua mano.
“ Esatto … glielo ha detto Mark il mio nome?” gli chiesi, stringendo la sua mano rugosa e callosa nella mia piccolissima in confronto alla sua.
“ Diciamo che ho tirato ad indovinare …” ammiccò vispo, e io non potei fare a meno di trasalire, davanti a quella spavalderia da vecchio che possedeva.
“ capisco … beh, spero di poter andare d’accordo con lei, signor Menuchin.” Gli dissi, sorridendo. Lui ricambiò il sorriso, e allargò la bocca in una smorfia tanto familiare che mi sobbalzò il cuore al sol vederla. Somigliava così tanto al sorriso di Deborah che mi venne il sospetto che quell’uomo avesse qualche legame con lei.
Non sapevo ancora che i miei dubbi era completamente fondati.

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Capitolo 44
*** Capitolo 44 ***


Come promesso, ecco anche l'altro capitolo, il seguito del 43. Spero di averlo reso come volevo, commovente e strappalacrime ( sono un'inguaribile sentimentalista, ogni frase è come un sobbalzo per me, credetemi).
Comunque sia, non è l'ultimo, tranquilli. L'ultimo verrà pubblicato la prossima settimana. Per ora godetevi questo e anche il precedente, come spero che farete :)
Buona Lettura e semrpe ... grazie di avermi seguita.
Remedios la Bella 

Capitolo 44
 

Non riuscivo a dormire dall’emozione, tanto ero agitata, come non lo ero mai stata in vita mia. Ero rimasta alzata tutta la notte, davanti alla finestra della camera dove avevo deciso di porre il mio letto, e guardare il cielo correre sotto i miei occhi, in attesa che i cavalli della notte corressero e lasciassero la pista delle stelle, come era giusto che facessero.
Elly era andata a dormire insieme a John, dunque ero rimasta nella mia solitudine ad aspettare che l’auto di Mark passasse davanti ai miei occhi, con a bordo le due persone che attendevo più di chiunque altro a questo mondo.
Continuavo a fissare il viale, pretendendo addirittura che quell’auto spuntasse per magia. Non avrei accettato la scusa dell’alba per vedere chi volevo vedere. Sì, la mia impazienza cresceva di minuto in minuto.
Tutta assorta dalla mia impazienza, non mi accorsi nemmeno che Elly era dietro di me:” Deborah! Non riesci a dormire?” mi chiese, insonnolita e in camicia da notte.
“ No, sto morendo di impazienza Elly … accidenti al tempo! Perché non passa più in fretta?”
“ Dagli tempo, la notte deve ancora passare … dormi, non vorrai mica che Max ti veda con le occhiaie, vero?”
“ In effetti lui, per la prima volta, mi ha visto che le occhiaie, non ricordi?” sorrisi a quell’affermazione, anche se ricordare il primo incontro che ebbi con Max non fu piacevole. Dover ricordare anche la stretta al braccio da parte del padre, e il mio dolore che non poteva essere urlato, era terribile.
“ Vero … comunque non restare lì impalata, se non hai sonno almeno stenditi e chiudi gli occhi. Rilassati, su.” Mi venne accanto e mi abbracciò:” Andrà tutto bene.” Ricambiai l’abbraccio, stanca ma febbricitante di ansia.
“ Vada per stendermi …” dissi, dandole poi la buonanotte e mettendomi stesa sul materasso del mio letto. Fissai il soffitto per qualche secondo, pensando ancora a Max e a dove, probabilmente, potesse essere.
“ chissà se è qui vicino …” sussurrai, portando la mano vicino al cuore, come se davvero riuscissi a sentire anche il suo battito oltre al mio:” spero solo che il sole venga presto …” pensai, chiudendo gli occhi.
Mi rilassai, tanto da assopirmi leggermente, e un buio ristoratore si impossessò della mia vista. Per un tempo indeterminato, forse per il resto della notte, anche l’udito sfuggì alle mie capacità e mi addormentai, estenuata dall’emozione. Non feci sogni, nemmeno incubi, ma il sonno fu così pesante che alla fine mi svegliai solo quando il sole era ai suoi primi albori.
“ Mi devo essere addormentata …” mi stiracchiai come un gatto, mettendomi a sedere in fretta sul materasso. Dalle tende della finestra filtrava la luce del sole, abbagliante ma leggera, quasi che volesse svegliare tutti dal loro sonno. Ascoltai i rumori che provenivano dall’esterno, il cinguettio dei passeri che annunciavano l’arrivo del sole, il sussurro del vento che spifferava attraverso la finestra. I rumori della vita, di una vita ritrovata nella serenità di quel posto.
Mi beai di quel momento di pace, e decisi di scendere al piano di sotto. Avvertii infatti un certo languore.
“ da quel che mi ricordo ieri, c’era una torta nella credenza …” pensai, già pensando bene di mangiare una fetta di quella torta ancora in buona condizioni.
Scesi rapidamente le scale, e feci per dirigermi in cucina, ma mi accorsi che il portone d’ingresso era semiaperto. Un solo pensiero mi attraversò la mente.
“ Sono arrivati … sono arrivati … sono arrivati! Ma come ho fatto a non rendermene conto prima?”
Mentre pensavo ciò mi ero già piombata fuori, scalza e ancora con la veste da notte. L’odore del carburante di una macchina in moto mi invase alle narici, e un sorriso travolgente travolse i miei occhi. Max mi sorrideva da dietro lo sportello aperto della macchina di Mark.
 
La casa in cui  avrei abitato era davvero la cosa più graziosa e desiderabile che potesse esistere a quel mondo. Dopo una notte passata a osservare le stelle, giungere all’alba, in silenzio, davanti a una struttura in legno appena illuminata dal sole era un’esperienza irripetibile. E sapere inoltre che dentro quella casa stava proprio lei, la mia amata, mi teneva in ansia come non mai. Parcheggiammo sul viale, e Mark scese dall’auto.
“ Vado ad avvisarli del vostro arrivo … voi rimanete dentro, sarete la sorpresa!” uscì dalla macchina, e entrò dentro la casa, lasciando il portone semi aperto da quello che vidi.
“ Sei felice Max? Finalmente rivedremo tutti oggi!” disse mia madre, sporgendosi dal sedile anteriore. La guardai, sorridendo:” Come non mai, madre … come …” non riuscii a finire la frase, poiché una visione celestiale mi apparve davanti.
La giovane figura di Deborah era appena corsa fuori dal portone senza che ne notassi la presenza. Nonostante la vestaglia da notte, era sempre bella, bella come lo era sempre stata, anche di più, potevo dirlo con certezza. Vedere il suo viso temprato dalle fatiche e da quella luce tanto radiosa mi fece salire nel cuore un’emozione enorme.
“ Al diavolo la sorpresa!” dissi a voce alta, aprendo in fretta la portiera della macchina.
La vidi volgere gli occhi verso di me, e un enorme sorriso accompagnato dal mio ancora più euforico le si dipinse in volto.
“ Deborah …” chiusi lo sportello in fretta, e con passi enormi le andai incontro, allargando le braccia, un invito a saltarmi addosso per poterla riempire di lacrime e baci, come desideravo fare da un sacco di tempo.
Sembrò non farselo ripetere due volte: la vidi correre verso di me, con le lacrime agli occhi, pronta a saltare tra le mie braccia. Con un salto mi si fiondò addosso, stringendosi al mio collo piangente. La sollevai tra le mie braccia, facendo in mondo che si avvinghiasse con le gambe al mio petto. Potevo sentire i suoi singhiozzi:” Non ce la facevo più ad aspettare! Mi sei mancato come non mai …” mi stringeva tantissimo, e io ricambiavo quella stretta, commosso:” Neanch’io, ho sempre pensato a te per tutto questo tempo …”
 Volli guardarla negli occhi, in quei due occhi tanto profondi e belli,e annegarci per l’eternità. Erano lucidi di pianto, li asciugai con un bacio:” ora tutto è a posto, ora tutto è a posto …”
Le presi il viso tra le mani, e lei mi baciò, con una passione mai vista. Risposi senza esitazione, assaggiando il suo sapore tanto casto e delicato, inclinando la testa per far combaciare alla perfezione le mie labbra con le sue. Mi erano mancate, mi erano mancati i suoi occhi, il suo viso. Lei mi era mancata, e tutto ciò che le apparteneva.
Staccai il contatto dalle sue labbra, e iniziai a tempestarle le guance e il viso con baci che avrei voluto darle in tantissime altre occasioni. La sentii ridere:” Mi fai il solletico …”
“ Ti farò il solletico finché morirai … dio, quanto ho atteso questo momento …” gli dissi guardandola negli occhi. Poggiai il mento sopra la sua testa, mentre sentii il suo respiro solleticarmi la pelle del collo. La tenni stretta a me, non avevo intenzione di lasciarla andare ancora.
“ Ti amo.” Un sussurro detto dalle sue labbra, che mi fece stringere la presa esercitata sulla sue spalle.
La mia risposta:” Ti amo anch’io …” sussurrata a fior di labbra e chiusa da un altro bacio fulmineo.
 
Sentii qualcosa scuotermi e mi svegliai. Appena aprii gli occhi, incontrai lo sguardo di Mark, sorridente:” Buongiorno! Scendete giù, ci sono alcune persone che vogliono vedervi.” Mi disse, uscendo dalla stanza. Io mi alzai di soprassalto e scossi John, ancora addormentato accanto a me:” sveglia!”
“ Altri cinque minuti …” mugolò, nascondendo la testa sotto il cuscino. Gli tirai un colpo in testa con il mio cuscino e lo baciai lievemente:” Su, devi incontrare la tua futura suocera, muoviti!”
Aprì i grandi occhi celesti sorridendomi, mentre io mi affrettai a vestirmi.
Scendemmo poco dopo e ci precipitammo fuori. Constatai così che Deborah era già avvinghiata a Max, e vidi nostra madre uscire dalla portiera dell’auto. Il suo viso stanco era solcato dalle lacrime, come il mio a distanza di nemmeno due secondi dall’averla vista.
“ Mamma!” urlai, con tutto il fiato rimastomi in corpo. Mi corse incontro, come feci io, e sentii le sue forti braccia avvolgermi amorevolmente, in una stretta carica d’amore:” Elly, figlia mia!”
“ Madre … oh madre!” non riuscivo a dire nessuna parola di senso compiuto, mi sentii la faccia tempestata da baci di un calore incredibile e le mie gote si bagnarono di lacrime estranee alle mie.
“ Non ho smesso nemmeno un momento di pensarvi, figli miei …” disse, con la voce rotta dai singhiozzi. Strinsi la presa su di lei, affondando il viso nel suo seno:” Anche tu mi sei mancata tantissimo …” ci misi tantissimo a lasciare la presa da lei, non avevo alcuna intenzione di dovermi separare da quel calore tanto familiare e amato. Ero a casa, in fondo: una casa in senso diverso ma uguale, dato che avevo cambiato dimora, pur avendo la mia genitrice accanto a me.
Vidi poi Max avvicinarsi, e lo guardai in viso: un viso tanto stanco e temprato dalla battaglia che mi commosse da come fosse, al contrario di quello che avevo pensato, bello e raggiante come lo ricordavo.
“ Fratello mio!” mi strinsi a lui abbracciandolo con trasporto, e lui ricambiò con lo stesso calore:” Sorella mia! Vedo di esserti mancato in fondo!” rise, continuando ad abbracciarmi, e a quell’abbraccio si unì anche nostra madre, commossa. Sentire le loro braccia avvolgermi e trasmettermi il loro calore mi fece sentire come a casa. Ero a casa, finalmente.
 
Osservai Elly, Max e Elena abbracciati come una vera famiglia, e lacrime di commozione mi salirono dal cuore dritte fino agli occhi. Ero felice che si fossero finalmente ritrovati, dopo tutto quel tempo.  Felice nonostante io, la mia famiglia, non ce l’avessi più.
Questo era quello che pensavo, prima di poter vedere un uomo dalla faccia che riconobbi all’istante uscire dall’auto e sorridermi.
Lo guardai bene, e la quantità di lacrime aumentò all’istante: Lo stesso viso di dieci anni prima, un po’ più invecchiato, ma lo stesso sguardo buono e amorevole che mi aveva rivolto nella mia infanzia ormai lontana. Lo vidi venirmi davanti, e i suoi denti un po’ ingialliti ma dritti mi rivolsero un saluto degno di un vero padre: ” La mia Deborah … come sei cresciuta bambina mia.”
“ Padre …” dissi in un sussurro, prima di abbandonarmi totalmente al pianto più sfrenato. Non esitai a fiondarmi su di lui, come avevo fatto poco fa con Max. Avvolsi la sua tozza corporatura, e sentii le sue braccia possenti che in tempi lontani della mia memoria mi avevano amorevolmente cullato stringermi forte, come se fossi la cosa più preziosa che avesse al mondo.
“ Padre … pensavo che anche tu fossi morto!”
“ Non potevo permettermi di morire, prima di poterti rivedere bambina mia …” la sua voce calda e tranquilla mi penetrò nel cuore, sciogliendolo dai nodi alla gola provocati da anni di mancanza paterna.
Ero ormai in preda ai singhiozzi:” Mi dispiace … non sono riuscita a salvare la mamma!”
“ Non importa, ora lei sta in un posto migliore di questo … veglia su di noi dall’alto …” mi strinse ancora a sé, e io mi beai di quella stretta che tanto mi era mancata durante tutti quegli anni.
“ Si …” sussurrai, rivolgendo il pensiero a mia madre, che dall’alto ci stava sicuramente guardando. Mi staccai dall’abbraccio, ma mi tenni comunque stretta a mio padre:” Sarai stanco … Elly mi ha detto che voi vi conoscete di già …”
“ Esatto …” Lo vidi rivolgere lo sguardo a Elly, e il volto della ragazza si illuminò di gioia:” Signor Menuchin! Anche lei qui!”
Elena, Max, Elly e John ci vennero incontro:” Non potevo non rivedere mia figlia.”
“ Quindi non mi sbagliavo nel pensare che Deborah fosse sua figlia!” Esclamò sorpreso Max, sbarrando gli occhi. Risi di cuore, vedendolo inchinarsi di fronte a mio padre:” Mi dispiace di non averla riconosciuta sin dall’inizio, buon uomo!”
“ Ragazzo, non fare tante moine e fatti abbracciare da questo vecchio!” Max venne travolto dall’affetto di mio padre,e rise abbracciandolo. Io assistevo commossa alla scena.
“ ehi! Mi sento escluso da tutto questo calore!” Esclamò John, quasi infastidito. Elly si affrettò a schioccargli un bacio sulla guancia per consolarlo:” lui è John, il mio fidanzato …”
“ Nonché mio futuro cognato, suppongo …” esclamò Max, porgendo la mano al biondo che gliela strinse felice.
“ Esatto … ma prima vorrei tanto la benedizione della signora Schubert, se non le dispiace …” La signora Schubert si avvicinò a John, e posò le sue labbra sulla fronte del ragazzo:” Benedizione concessa, hai reso felice mia figlia, non posso pretendere di meglio.” Sorrise al ragazzo, che arrossì lievemente stringendo la mano di Elly.
“ Direi di prendere due piccioni con una fava!” disse all’improvviso Max, rivolto a mio padre:” Signor Menuchin, vorrei che mi concedeste la mano di vostra …”
“ Te l’avrei concessa sin dall’inizio, giovanotto … vedo l’amore più sincero nei tuoi occhi, e come ha detto la signora, non posso pretendere di meglio per la mia bambina. Sei onesto e coraggioso, e ami dal profondo del tuo cuore.” La manona di mio padre andò a poggiarsi sulla testa di Max, che sorrise imbarazzato e euforico: “ Grazie davvero …”
Sorrisi con le lacrime agli occhi e alla fine osservai il quadretto finale della vicenda. Tutti insieme, nel bene e nel male. Le storie che avevamo da raccontarci erano lunghe e entusiasmanti e ora c’era davvero tutto il tempo per poterle narrare, e magari conservare per i tempi futuri.
“ C’è una torta deliziosa dentro … e io ho intenzione di fare colazione, voi?” dissi, felice. Tutti mi sorrisero e allegramente entrarono dentro. Max mi cinse le spalle con le sue braccia.
“ Da uno a dieci, quanto sei felice?”
“ Da uno a dieci, lo sono cento … tu?” lo guardai nei bellissimi occhi verdi.
“ lo sono cento volte più di te …” posò le sue labbra sulla mie, con delicatezza. Entrammo dentro, accompagnati da un fantastico senso di leggerezza nel cuore.

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Capitolo 45
*** Capitolo 45 ***


Eccoci qui. Ah, mi viene quasi da piangere al sol pensiero!
... Ok, i ringraziamenti a fine capitolo! Buona lettura!
Remedios


Capitolo 45

 
“ Deborah … Deborah?” il suo volto era rilassato nel sonno, sprofondato nel guanciale del letto e rispecchiava un sonno senza incubi, leggero ma ristoratore. La scossi lievemente, era ormai mattina inoltrata ma ancora dormiva della grossa.
La sentii mugolare piano, e la vidi aprire i grandi occhi neri e che tanto amavo:” Max …”
“ Buon compleanno, tesoro …” la baciai sulla fronte lievemente, il suo meraviglioso sorriso le illuminò il viso, ancora giovane nonostante gli anni.
Si stiracchiò per bene, poi si mise seduta con la schiena contro la testiera del letto:” Grazie, tesoro ..”
“ Ti ho portato la colazione …” presi il vassoio appoggiato sulla credenza e glielo misi sulla gambe. L’invitante odore di croissant francesi mi diede il buon umore, e anche a lei, da quel che vidi riflettersi sul suo viso come un ringraziamento:” Che buon odore …”
“ The, paste e latte … tutto ciò che vuoi …”
“ Non è che mi coccoli troppo?” domandò lei sarcastica, mescolando lo zucchero nella tazza di the.
“ è il tuo giorno.” Le stuzzicai il naso come ogni mattina, e lei lo arricciò, con una smorfia amabile in volto.
“ è sempre il mio giorno, una volta l’anno … le stesse parole che mi ripeti da qui a quasi trent’anni ormai!” sorrise, e io con lei. Scostai le tende che ostacolavano la luce del sole e le pareti vennero illuminate all’istante. Il panorama delle alte montagne, il rifugio che avevamo scelto, la culla dei nostri sogni, ci schiaffò la sua magnificenza dolcemente. Dalle cappe dei camini di alcune case del piccolo villaggio erano già in fermento,e il fumo che si dissolveva nell’aria incontaminata svolazzava come la miriade di passeri, che si godevano i caldi raggi di giugno volando in piena libertà e cinguettando allegri.
“ è un’ottima giornata …” sussurrai, aprendo la finestra e inspirando a pieni polmoni l’aria fresca e pungente.
“ Già … perfetta per una riunione di famiglia!” intervenne Deborah, togliendosi il vassoio dalle ginocchia e tentando di mettersi seduta sul materasso. Andai a darle una mano, la sua mole faticava per il momento anche a fare i gesti più semplici.
“ Oh, che sarà mai? Non è il primo!”
“ Fatti aiutare e basta! Non vuoi che gli succeda niente, no?” Le porsi la mano e l’aiutai ad alzarsi.
“ Non mi sembra che Karl sia venuto su male, in fondo.” Sorrise, accarezzandosi il ventre, gonfio per la gravidanza quasi giunta al termine:” Chissà se sarà una femmina … ne vorrei tanto una, sai?”
“ Ogni tuo desiderio è anche mio, ricorda …” la abbracciai, felice, e poi posai le mie mani sul suo grembo, panciuto e tanto grazioso:” E come la chiamerai?”
“ Josephine …” quel nome, emesso dalla sua voce dolce, era pura melodia.
“ Come una delle protagoniste di Piccole Donne? Quella caparbia, sognatrice, capace di affrontare ogni cosa senza arrendersi e con un grande cuore?”
“ proprio lei, l’adorabile Josephine … speriamo che possieda i tuoi occhi ..” la vidi osservarmi e mi protesi per baciarla dolcemente sulle labbra. La riabbracciai, chinandomi verso di lei: “ sai, ho scoperto una cosa interessante … dopo vieni giù, ti aspetto.”
Mi allontanai, uscendo dalla porta della camera che aveva custodito i nostri sogni fin dal giorno del nostro matrimonio, e chiusi la porta, così che potesse cambiarsi in pace. Avevo una cosa urgente da sbrigare.
 
Mi cambiai rapidamente, e mi ammirai nello specchio. L’enorme pancione della mia seconda gravidanza, di nuovo quell’emozione provata già con la nascita di Karl, ragazzo alto e robusto ormai, tutto sua madre per aspetto fisico ma con il carattere quasi di suo nonno Franz, anche se molto più docile di lui.
Il rancore verso quell’uomo era ormai sparito in tutti quegli anni, mi era quasi dispiaciuto che fosse morto prima del mio ricongiungimento con Max. Mi avrebbe fatto quasi piacere, e dico quasi, che potesse vedere i suoi due figli sposati, con una famiglia. Sarebbe stato mio suocero, almeno. E invece, mi dovevo accontentare, e non me ne pentivo, di una dolce suocera e di una cognata, nonché migliore amica, con cui passavo i week end più belli della mia vita.
“ Speriamo davvero sia una femmina …” sussurrai, accarezzandomi la pancia coperta dal mio vestito a fiori.
Quaranta cinque anni giusti giusti, ormai ero quasi a metà della mia vita. E, come ogni mio compleanno, Max mi augurava il buongiorno, mi dava quei suoi baci ammalianti sulla fronte e mi strizzava il naso, spensierato e sereno. E io lo amavo ogni giorno di più, sarei giunta ad amarlo più della mia vita ai cent’anni, di questo passo.
Uscii dalla stanza, e incrociai lo sguardo beffardo ma imbarazzato di Karl, i capelli ancora tutti spettinati ma la faccia pulita e limpida, in cui splendevano i suoi occhioni neri, perfetta copia dei miei.
“ Buongiorno madre, e buon compleanno.” La sua voce ormai matura per i suoi diciassette anni mi salutò come suo solito, gentilmente ma quel tono di imbarazzo tipico di ogni ragazzo che saluta sua madre la mattina.
“ Grazie Karl … tuo padre è giù vero?”
“ Si, penso stia chiamando zia Elly e nonna Elena …”
“ Bene …” sorrisi, accarezzandomi istintivamente di nuovo il grembo.
“ Quando nascerà?” mi chiese Karl.
“ Manca poco ormai … ti ho mai raccontato che tu non sei stato il mio primo figlio?” il ricordo nostalgico e malinconico di circa trent’anni fa mi tornò in mente, senza volerlo. Lui alzò il sopracciglio:” Intendi la storia del … francese? Me l’ha raccontata papà. Sei ancora triste per questo?” la premura di Karl mi commosse enormemente. Rividi gli occhi di Elly, tristi e dispiaciuti, in quelli di mio figlio, e mi venne da sorridere:” Non posso di certo cancellare qualcosa che mi ha condotto qui … a quest’ora avrebbe avuto forse ventinove anni … ma forse, sta meglio dove è adesso.” L’immagine del sangue dopo l’aborto mi si presentò come una fotografia negli occhi, e per un istante pensai che una lacrima mi stesse scendendo lungo la guancia. Mi portai il dito all’occhio.
“ Mamma ..”
“ non sto piangendo, tranquillo … sono solo felice di essere giunta fin qui, e di avere te e Max.” mi avvicinai e posai le mie labbra sulla fronte di Karl, che colto di sorpresa indietreggiò rosso in volto.
“ Ora scendiamo però …” concluse lui, in fretta. Mi aiutò a scendere al piano di sotto, tenendo gli occhi bassi per l’imbarazzo. Sorrisi per tutto il tragitto.
Appena fummo al piano terra, il mio sguardo cadde sul calendario, affisso alla parete lì vicino.
Guardai la data, e mi venne un sussulto al cuore. E capii all’istante le parole di Max della sera prima.
“ Quello di domani è un giorno da segnare negli annali.”
Aveva proprio ragione. Una data davvero particolare.
 
Il motore dell’auto rombò nel viale del giardino e corsi alla porta, ad accogliere i nuovi arrivati.
“ Siete arrivati giusto in tempo!” esclamai, avvicinandomi con le mani in tasca all’auto. La figura possente di mio cognato John uscì dal posto del guidatore, i suoi occhi simili per colore e espressione beata a quelli di sua moglie, nonché mia sorella Elly, mi scrutarono allegri:” Non potevamo non venire!” esclamò lui, porgendomi la mano.
I suoi capelli brizzolati rilucevano sotto la luce del sole, filtrata appena dagli alberi in giardino: “ Dov’è la festeggiata?”
“ Dentro … venite!”
Mia sorella Elly scese dalla macchina e mi venne incontro, con in braccio la pargoletta dai grandi occhioni azzurri, Emily:” Fratellino! Da quant’è che non ci vediamo?”
“ da … cinque giorni, da quel che mi ricordo!” risi, abbracciandola come sempre. Il suo viso non era invecchiato per niente, era sempre lo stesso viso serio ma che sapeva emanare una dolcezza infinita che solo lei possedeva e che sua figlia aveva ereditato. Pizzicai una guancia paffuta a mio nipote, che per risposta si accucciò nella spalla di sua madre, brontolando.
“ Vai con lo zio, su!” la presi in braccio e la feci giocherellare, il suo sorriso coperto solo da pochi dentini mi consolo del mio operato di buon zio che ero.
Un’altra macchina in quel momento giunse sul viale, era il resto degli ospiti a casa Schubert.
Il viso di mia madre, insieme a quello di mio suocero, apparvero allegri oltre il vetro della vettura. Agitai la mano felice, mentre l’auto si fermò sul viale e i passeggeri scesero dalla vettura.
“ Madre! Sono tanto felice di vederti!” baciai mia madre affettuosamente, e lei ricambiò calorosa, era più di un mese che non la vedevo in fondo:” Ti fa ancora male la gamba?”
“ non mi dà noia come prima diciamo!” la sua voce, invecchiata dagli anni, teneva sempre lo stesso tono saggio.
“ Il viaggio da Berna è stato lungo?”
“ Niente di che, non mi ha stancato per niente … e smettila di preoccuparti, so badare a me stessa! Non sono ancora del tutto fuori uso, nonostante la mia età!” In effetti, si dimostrava una vecchietta ancora piuttosto arzilla, nonostante gli anni che portava sulle spalle.
“ E io che mi preoccupo soltanto …” sorrisi, lasciando Emily tra le sue braccia per aiutare il signor Menuchin a scendere dalla vettura.
“ Come sta, signore?”
“ benissimo figliolo!” La sua allegria mi arrivò come una scossa, chiara e rilucente. Gli porsi il bastone da passeggio:” Tenga!”
“ Grazie mille … mia figlia è già sveglia?”
“ Sua figlia è sveglia come sempre, e più si fa grande, meno invecchia!”
“ Ah, l’ho sempre detto che tu sei il meglio! Accompagnami dentro, va!” lo presi sottobraccio e invitai gli altri a entrare in casa. Deborah e Karl mi attendevano sul portone.
 
 
Che riunione! Tutti a farmi i complimenti per la gravidanza, mentre io, rossa in volto, ringraziavo tutti senza dare troppo l’intenzione di essere visibilmente imbarazzata.
“Speriamo gli stia bene …” la signora Schubert mi mostrò la tutina cucita da lei stessa per il nascituro, e io me la rigirai tra le mani, contenta.
“ Sono sicura che gli calzerà a pennello …”
“ Karl, diventerai fratello maggiore!” l’esclamazione della nonna al nipote fece diventare il volto di solito pallido mi mio figlio paonazzo.
“ Nonna!” inveì lui, imbarazzato:” ho diciassette anni!”
“ Io trattavo così tuo padre, e lui non ha mai protestato! Vero Max?”
Sentii mio marito borbottare, e mi venne quasi da ridere:” Come no!”
Vidi Karl rigirare gli occhi infastidito, e risi divertita, insieme al resto della compagnia. Afferrai un pasticcino che era sul tavolo e lo assaggiai, facendo poi i complimenti a Elly per l’ottimo lavoro.
“ Sono riuscita a portarveli in tempo, altrimenti sarebbero finiti tutti in mano dei clienti!”
“ ma tu ci lavori in pasticceria! Come fai a dire che ti mancherebbero i dolci?”
“ Beh, si …” tirò fuori la linguaccia, per poi offrire il dolce a Emily, che lo addentò con i pochi dentini che aveva, sporcandosi il musetto di panna.
“ Sai Max … ieri ho visto una persona … non so te, ma ho voluto invitarla, ti dispiace?” intervenne Elena, guardando suo figlio che alzò il sopracciglio perplesso e poggiò la tazza di caffè sul tavolo.
“ E chi sarebbe?”
“ Oh, lo vedrai presto …” la vidi ammiccare, e poco dopo qualcuno bussò alla porta. Max si alzò per andare ad aprire, e appena aprì la porta lo vidi pietrificarsi di colpo.
“ da quanto tempo eh!”
“ Tu qui!” la voce di mio marito era a dir poco sorpresa e si notava la felicità nel suo tono di voce. Fece entrate l’ospite, che si tolse affabile il cappello che aveva in testa. La sua potente stazza superava addirittura quella di John, e non era cosa da poco. In più i suoi occhi sembravano arzilli e giovanili.
“ Salve a tutti, ho disturbato un momento importante?”
“ per niente …”mi alzai per dargli il benvenuto, e lui mi baciò galantemente la mano, sotto lo sguardo leggermente invidioso di Max.
“ la mia consorte Deborah …” mi presentò Max. Vidi l’uomo sorridere a Max:” Proprio come l’hai sempre descritta …”
“ Posso avere il piacere di sapere chi è lei?” chiesi, tanto per non rimanere fuori dalla conversazione.
“ Oh, le devo le mie scuse … Jordan, nonché amico di accademia e di guerra di suo marito Max. Ho incontrato per caso la signora Schubert l’altro giorno, e ho saputo dove abitava il mio amico. Ne ho approfittato, ma vedo che siete in riunione.”
“ Mi piacerebbe che rimanessi anche tu, dopotutto compio gli anni, e poi voglio conoscere chi ha aiutato mio marito durante la guerra!” lo invitai a sedersi, e lui molto garbatamente si mise a sedere accanto a mia suocera, unendosi al resto della conversazione.
Ecco il quadro di tutto, il più bello tra tutti quelli appesi in salotto, anche più bello della mia foto in abito da sposa, grande e vaporoso, in compagnia di Max, vestito di tutto punto con la medaglia attaccata alla divisa da soldato, il giorno del nostro matrimonio, e anche più bello del matrimonio di Elly, lei raggiante con i suoi occhi di zaffiro e l’abito anche più bello del mio e il suo John accanto a lei. Il quadro di quella situazione, il più vistoso insieme a tutte le foto messe sui mobili in casa, che raffiguravano la mia famiglia, la mia nuova famiglia, completa di Karl in tutti i suoi anni, di tutte le feste in paese in quegli ultimi anni, di tutti i sorrisi di famiglia.
Io e max, sposati da ormai venticinque anni e con un figlio, anzi due, da accudire; Elly e John, sposati pochi mesi dopo me e Max, e la loro figlioletta Emily, di appena un anno; Elena e Menuchin, che anche se ormai erano ridotti a due vecchietti con gli anni addietro, conservavano ancora quella spigliatezza e vivacità giovanile, tipica dei loro figli; e Jordan,l’omone robusto che aveva accompagnato Max durante la sventura della guerra, e che ora era un abile uomo, bello e con un sacco di esperienza alle spalle.
Tutti insieme, in serenità, riuniti per i miei quarantacinque anni. La giornata si potè annunciare una delle migliori della mia vita.
 
Dopo la festa, rimanemmo sulla soglia a salutare gli ospiti che tornavano alle loro case, mentre noi rientrammo dentro, stanchi ma felici.
“ Beh, direi che per oggi può bastare …” Karl si stiracchiò stanco,  e fece per salire le scale, ma lo bloccai in tempo:” non ancora … figliolo, vieni. Ti devo far vedere una cosa.”
 Vidi Deborah sorridere e avvicinarsi al calendario:” è questo?”
“ Esatto … dimmi, figliolo. Che giorno è oggi?”
“ il giorno del compleanno di mia madre?” il tono dubbioso di Karl mi fece ridere. Gli mollai una pacca sulla schiena:” Non in quel senso … data?”
“ 15 giugno del 1974 …” disse, ancora dubbioso.
“ Esatto, il 15 giugno del 1974 … sai che vuol dire?” intervenne Deborah, sfiorando la plastica del calendario.
Osservai Karl riflettere un momento, e poi il suo volto si rischiarò:” 15 – 6 – 74. 15674!” esclamò, indicando sua madre:” è il numero che portavi sul braccio o sbaglio?”
“ non c’è bisogno di urlarlo figliolo! Comunque è proprio lui, e al posto suo è rimasta questa …” Deborah sollevò la manica del vestito, e la cicatrice della sua ferita apparve, in tutta la sua profondità di significato:” il segno della mia libertà …” sorrise nostalgica, per poi rimettersi la manica a posto.
“ Mi sorprendo ancora oggi di come avete fatto a stare insieme voi due …” disse mio figlio, alzando le ciglia.
Risi e gli strinsi le spalle con il braccio:” Si chiama forza di volontà, figliolo …”
“ Ci credo!” sorride, e mi immortalai quel meraviglioso sorriso che aveva ereditato da sua madre. Anche lei sorrise, in modo perfetto.
La perfezione dell’attimo. Il numero che ci aveva legati, divenuto un simbolo.
E ancora a distanza d’anni, poteva far riecheggiare tutto se stesso come negli echi di un ricordo mai cancellato; l’amore in mezzo all’odio,l’amore che sopravvive a tutto.
L’amore impossibile che diviene realtà.
Grazie Deborah, grazie a me stesso. Grazie forza di volontà.
Non avrei cambiato il mio passato, per niente al mondo.


The end

E siamo giunti alla fine di questo percorso, tutti insieme. Che dire? Voglio ringraziare infinitamente tutti i miei recensori, ma se stessi a fare la lista non la finirei più, tutti quelli che hanno messo la storia tra preferiti, seguiti e ricordati e hanno, seppur nel loro silenzioso angolino, letto la storia.

Ringrazio chi vorrà recensire o leggere la storia, se la scoprirà dopo tanto tempo.
Voglio dire grazie a tutti quelli che hanno sopportato i miei ritardi nel pubblicare, le mie pazzie da maniaca nelle risposte, i miei sprazzi di ispirazione riversati su racconto.
Spero di vaer fatto un buon lavoro, anche con l'ultimo capitolo. Il finale dei finale ( ma anche no!)
Au revoir, alla mia prossima pazzia!

Remedios ( in lacrime)

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