Note dell'Autrice:
Salve! Sono ancora io, la gatta psicopatica per eccellenza!
Sì, lo so che non mi sopportate più, ne sono
consapevole. Fatto sta che, questo, è un giorno speciale.
Oggi è il compleanno di Laly (sul sito
LalyBlackangel), la
mia adorata zietta, la beta migliore che una scema come me possa avere
e sì... lei è anche La Stronza per eccellenza. In
pratica, le voglio tanto bene.
Molto. In questi anni mi ha aiutata parecchio, spingendomi a migliorare
e a non abbattermi. Non so se sono migliorata - io penso di no XD - ma
non importa. Voglio solo farle gli auguri, sperare che sia sempre
felice, che abbia il meglio, che sorrida sempre.
Questa storia (divisa in due parti, la prima oggi, la seconda domani
^^''') è una
NaruHina.
E' il mio regalo per lei.
Banale, stupido, fatto male, probabilmente. Ma sentito, se proprio devo
dirlo. Ed è un po' triste, un po' allegro, un po' scemo, un
po' tutto.
Che altro devo dire? Non lo so, sinceramente.
Ah. Questa storia s'ispira a una canzone di L'Aura, 'Gira l'estate'.
Cioè, non è che si ispiri del tutto alla canzone,
ma sono riuscita a estrapolarne qualche citazione azzeccata. Giusto
perché m'ispira troppo v__v e no, non me ne frega niente dei
vostri gusti musicali.
Il capitolo vede fra i protagonisti anche la Ragazza delle bevande u_u'
la nuova star di Naruto (non è vero, non è vero
D:)
Più scrivo, più dico vaccate u.u'' mannaggia.
Il carattere di Naruto, come quello di Hinata e di altri personaggi ha
subito qualche cambiamento. Cioè, non troppi,
però non posso fare scemo Naruto. Insomma, in questa storia
ha 33 anni, per carità ç_ç
Konan, Nagato e Yahiko non so se sono IC, sinceramente. O almeno, non
so se ho azzeccato Nagato. Dato che nel manga è sempre tutto
teso e mai leggero, la sottoscritta ha preso spunto dai ricordi di
Nagato, quelli in cui lui e gli altri sono ancora 'bambini' ^^''
In un clima leggero tutto può cambiare, no? XD
La storia è stata betata da ValeHina (ecco una cosa seria!
*_*)
Buona lettura - si spera XD
Per fortuna quel treno aveva l’aria condizionata: non avrebbe
resistito un minuto senza.
Si tolse le cuffie dalle orecchie e s’infilò nel
primo vagone, quello dei non fumatori, dove tutto sembrava ben
più tranquillo che nel resto del treno, dove fumo e risate
si mescolavano fastidiosamente.
Guardò di malumore i posti liberi che sfilavano ai due lati
del vagone e, quando adocchiò un sedile dove il sole non
sembrava aver arrostito nulla, lo raggiunse, trovandovi solo una
ragazza.
Osservò il posto accanto al suo, occupato da una piccola
borsa nera, poi sorrise.
«Posso?»
La giovane sussultò, lo guardò confusa e
afferrò la borsa per liberargli il posto.
«S-Sì. Prego.»
Lui si sedette mentre il treno prendeva lento a muoversi, accompagnato
da una voce meccanica che segnalava petulante la fermata seguente.
Il ragazzo sistemò sotto il sedile il borsone con cui stava
viaggiando e si guardò attorno spaesato.
Il viaggio sarebbe durato due ore, poi ad aspettarlo avrebbe trovato
suo cugino Nagato.
Che rottura, pensò, le mani sulle ginocchia, i nervi tesi;
avrebbe voluto essere da qualche altra parte, ma non lì.
Lì no.
Diede uno sguardo alla ragazza che aveva accanto e la vide intenta a
lavorare al computer, gli occhi coperti da un paio di occhiali dalla
montatura nera e sottile, piuttosto banale.
Però lei non lo era.
Nel senso che era bella, sì.
Poi cacciò via quel pensiero e si rimise le cuffie,
immergendosi nella musica.
Il paesaggio che sfilava accanto al treno era un mescolarsi di verde,
grigio, azzurro e ancora verde, e continuava senza mostrare cambiamenti
evidenti. Col passare dei minuti, Tokyo si allontanava da loro, come
loro si allontanavano da Tokyo –
inevitabilmente.
Con gli occhi chiusi e il corpo rilassato contro il sedile, quel
passeggero dall'aria annoiata non pensava a niente: trovava che fosse
meglio non mettere in moto il cervello, non con quella maledetta calura
estiva che lo aspettava fuori
-
e i ricordi tristi di una vita incompleta.
Conto
fino a tre
Capitolo 1
(di 2)
[Se ti
volti ancora è finita
Se
ti volti vengo lì da te senza niente di buono da dire
Chiudo
gli occhi e con le mie dita ti percorro
ti
percorro se non ho niente di meglio da fare che restare a giocare]
«Vuole qualcosa da bere, signorina?»
La giovane distolse l’attenzione dallo schermo del computer e
annuì con un cenno del capo, sorridendo timida alla ragazza
delle bevande. «Un‘aranciata, grazie.»
Quest’ultima allora si rivolse all’uomo con gli
occhi chiusi. «E lei, signore? Vuole qualcosa?»
Nessuna risposta.
Che si fosse
addormentato?
Allora la giovane spostò gli occhi dal computer al proprio
compagno di viaggio e gli tirò un lembo della maglietta per
attirare la sua attenzione.
Lui si riscosse e la guardò, spaesato; lei gli
indicò la donna delle bevande che, paziente, aspettava una
risposta.
«Oh! Scusi… ehm…»
«Capita, non si preoccupi. Allora, vuole qualcosa, signore?
Un’aranciata, un the…»
«No, grazie.»
«Quando avrà bisogno mi troverà nel
vagone davanti a questo. Le auguro buon viaggio.»
«Grazie» rispose lui poco convinto, guardando la
ragazza delle bevande scomparire dietro uno sportello dipinto di rosso
e con il marchio della compagnia con cui viaggiava impresso a caratteri
più o meno cubitali appena sotto una piccola finestrella
trasparente che gli permetteva di sbirciare gli altri passeggeri. .
Non facevano più i treni di una volta.
A quel pensiero si sentì improvvisamente più
vecchio di quello che in realtà era – ma non ci
sarebbe
stato da sorprendersi, vista la situazione in cui si trovava.
Trentatré anni, momentaneamente single, con un lavoro
scadente, con tanti amici, con nessuna persona con cui confidarsi,
spericolato e stupido: Naruto Uzumaki aveva ben poco di cui rallegrarsi
alla propria età.
L’aveva capito suo malgrado quando i suoi migliori amici si
erano sposati e avevano avuto i primi figli; e quando Sasuke gli aveva
fatto intendere che Sakura, sua moglie, aspettava il quarto figlio,
Naruto aveva iniziato a pensare male di se stesso.
Cosa c’era di così sbagliato in lui da impedirgli
di costruirsi una famiglia e avere qualcosa di bello come una moglie e
magari un bambino fastidioso e terribilmente simile a lui?
Un improvviso
beep
lo distolse dai propri pensieri.
«Si è bloccato di nuovo»
mormorò sconsolata la sua compagna di viaggio, togliendosi
gli occhiali per stropicciarsi gli occhi stanchi.
I capelli lunghi e corvini che portava legati in una coda bassa le
ricaddero sulla spalla, fili scuri mescolati al bianco della camicetta
che indossava.
Naruto osservò prima lei, poi il computer portatile il cui
schermo s’era fatto nero, emettendo rumorini
tutt’altro che piacevoli.
Non aveva mai avuto un computer: preferiva stare fuori casa a
divertirsi piuttosto che rimanere appiccicato a un aggeggio del genere;
gli sfuggiva il motivo per cui tanta gente si divertiva davanti a uno
schermo luminoso e su programmi tipo… come l’aveva
chiamato Kankuro?
Emme
esse… qualcosa.
Ah. Msn. Certo.
«Li fa spesso?» domandò senza pensare
–
non aveva ancora imparato a farlo, in effetti – e subito si
guadagnò un’occhiata sorpresa e intimidita
assieme, «quei rumori, dico. Li fa spesso?»
«B-Beh… sì. Fa’ i capricci da
un po’ di tempo. Credo che lo porterò d-da
qualcuno per vedere se c‘è qualche
problema» rispose lentamente la giovane, indicando con la
mano lo schermo nero.
Le sue mani erano piccole e femminili; le unghie non portavano smalto,
ma erano curate.
La sua ultima fidanzata si metteva sempre lo smalto e usava colori
forti come il rosso, e questo a volte lo infastidiva, spingendolo a
guardare qualcosa che non fosse una delle sue
mani troppo audaci; ché, in un certo senso, non era nemmeno
sbagliato.
Eppure…
«Capisco. Scusa per la domanda,» Naruto rise e si
scompigliò i capelli, «ero soltanto
curioso!»
La giovane arrossì un poco, ritrovandosi ad annuire.
«C-Capisco.»
«Io sono Naruto Uzumaki» si presentò
lui, senza pensarci.
«Hinata Hyuuga.»
Naruto, sentendo quel nome, quasi trasalì. «Gli
Hyuuga non sono forse i proprietari di quelle aziende specializzate in
marketing di cui ho sentito parlare ultimamente?»
«S-Sì,» Hinata chiuse il computer e lo
ripose dentro la sua custodia, «esatto. La mia famiglia
è discretamente famosa da quel punto di vista.»
Discretamente?,
si disse allibito l’Uzumaki, pensando che se avesse avuto
tanti soldi come gli Hyuuga si sarebbe comprato una fabbrica di ramen,
la sua pietanza preferita.
«Quindi tu sei una delle figlie di Hiashi Hyuuga?»
Hinata annuì nuovamente, diventando ancora più
rossa; e si notava, tanto il rosso contrastava con la sua pelle bianca
come il latte. «Ma non ci tengo a f-farlo sapere in g-giro.
Di solito dico che è un caso di omonimia.»
«E allora perché mi hai detto la
verità, Hinata?»
Lei abbassò lo sguardo verso la piccola tavola di legno che
aveva davanti – quel tipo di aggeggi messi sui treni per
posarvi cose
come computer e bevande – e su cui svettava solitario un
bicchiere
d’aranciata. «L’ho detto
d’istinto. Credo. N-Non lo so.»
«Meglio così,» Naruto alzò la
testa verso il soffitto color cenere del treno e aggiunse:
«mi piacciono le persone schiette come te. Se non ci fosse
questo tipo di persone, il mondo sarebbe noioso,» chiuse gli
occhi, «sì, mi piaci proprio.»
Lei lo guardò, incuriosita.
«Non me l’ha mai detto nessuno.»
Naruto aprì gli occhi, voltò il capo verso Hinata
e sorrise. «Davvero?»
«Davvero.»
Rimasero in silenzio per qualche minuto.
Naruto, in realtà, non aveva più voglia
di ascoltare musica, così si tolse nuovamente le cuffie,
spense l’Ipod e impaziente si rivolse a Hinata.
«Quanti anni hai?»
Lei sobbalzò, colta di sorpresa. «A una donna non
s-si chiede mai l’età.»
«È una cosa stupida. Perché un uomo
dovrebbe dire la propria età e una donna no?
È una cosa stupida»
ripeté Naruto, spazientito.
«Forse,» Hinata si portò le mani in
grembo e disse: «ho venticinque anni. E tu?»
«Trentatré. E portati pure male,»
rispose l’Uzumaki, ridacchiando piano, «sembri
più giovane! Strano.»
«Anche tu dimostri m-meno della tua età,
Naruto» gli fece notare lei, avvampando.
«Può darsi. Lavori per l’azienda di
famiglia?»
«No.»
«No?»
«Ho deciso di guadagnarmi le cose senza l’aiuto
degli altri,» gli occhi della Hyuuga, d’un lilla
molto chiaro,
s’incupirono, «ho deciso di fare la scrittrice.
Però i miei genitori hanno sempre disapprovato questa mia
scelta.»
Naruto divaricò le gambe, mettendosi in maniera scomposta ma
comoda sul sedile. «Hai fatto bene a scegliere da sola. Se i
miei genitori mi avessero imposto qualcosa, io avrei fatto lo
stesso.»
Hinata sorrise. «E tu? Cosa fai nella vita?»
«Sono un poliziotto.»
«Davvero?»
Sembrava stupita.
«Non si nota? Ah, forse perché non hai visto la
mia aria da duro!»
Naruto si rimise composto, poi la
guardò, cambiando espressione: abbassò le
sopracciglia, piegò le labbra verso il
basso e affilò lo sguardo.
Buffo. Solo buffo.
La Hyuuga scoppiò a ridere, coprendosi la bocca con entrambe
le mani. «C-Certo! O-Ora si nota!»
Scoppiando a ridere a propria volta, l’Uzumaki
esclamò: «Certo che si nota! Non sono forse
l’uomo più duro e affascinante del
mondo?»
E
sono anche
l’uomo meno modesto sulla faccia del pianeta,
aggiunse mentalmente, osservando Hinata ridere di quella piccola e
insignificante battuta.
Era proprio carina. Anzi, bella. Lei, non la battuta. Quella faceva
sinceramente schifo.
Ehi, ma stavano flirtando?
La guardò attentamente, valutando la situazione in cui si
trovavano: non sapevano molto l’uno dell’altra, e
fra meno di un’ora – purtroppo – si
sarebbero
separati… ne valeva la pena?
«E… dove stai andando?»
domandò cautamente, quando l’allegria si spense e
il silenzio
tornò prepotente.
Hinata guardò il paesaggio che le sfilava accanto, veloce.
«Ho affittato una casa in campagna e resterò
lì per due settimane. Sto cercando di finire il mio secondo
romanzo, ma è difficile trovare l‘ispirazione in
una città tanto caotica come Tokyo.»
«Anch‘io vado in campagna. Passerò
qualche giorno con mio cugino. Un nostro amico comune sta per sposarsi,
così ci prepariamo per il fatidico giorno, anche se non
siamo certo noi gli sposi.»
Hinata sorrise. «Non ho mai partecipato a un matrimonio.
Certo, mia sorella si è sposata l‘anno scorso,
ma… non sono stata invitata. E comunque non avevo tempo; ero
dall‘altra parte del mondo a presentare il mio primo
libro.»
«Quindi sei famosa! Eri in America?»
«Sì. Ma no, comunque. N-Non sono così
famosa. Me l-la cavo.»
«Quanto ha venduto il tuo romanzo?»
s’informò curioso Naruto, lanciando
un’occhiata alla borsa che conteneva il computer di Hinata;
lì dentro doveva esserci il suo nuovo lavoro.
Intimidita, la Hyuuga mormorò qualcosa che Naruto non
riuscì ad afferrare; e certo che, adesso che lo notava, la
ragazza balbettava spesso. Anche sua madre, Kushina, balbettava quando
era agitata.
Che coincidenza!
«Scusa, Hinata, credo di non aver capito.»
Lei prese fiato. «Otto milioni di copie.»
Naruto spalancò la bocca, intontito dalla risposta.
«E dici di non essere famosa? Caspita, otto milioni di
copie! Incredibile!»
Hinata sembrava non capacitarsi del successo che aveva.
Pareva non
avere nemmeno un’autostima o, forse, semplicemente, non amava
vantarsi. Era così diversa da lui, che alla prima occasione
gridava al mondo i propri meriti.
Sì, a volte qualcosa di buono riusciva pure a lui.
Passarono l’ora che restava loro parlando del più
e del meno, fra balbettii e risate, scherzi e ammissioni; quel viaggio
dall’aria noiosa si era trasformato in un’occasione
per fare conoscenza e liberare la mente dai cattivi pensieri, gli
stessi che fecero capolino una seconda volta quando, squillante, la
voce meccanica che si propagò per l’intero treno
avvertì Naruto che era tempo di scendere.
La sua fermata maledetta.
«Devo andare.»
Si alzò in piedi, prese il borsone da sotto il sedile e se
lo mise in spalla, dispiaciuto.
Hinata lo guardò confusa e sì, forse triste come
lui. «Di già?»
«Purtroppo,» Naruto accennò un
sorriso, «è stato bello parlare con te, Hinata
Hyuuga. Spero di poterti vedere ancora, prima o poi. Magari al
ritorno,» e indicò con un dito il treno, serio.
Lei sorrise. «Lo spero anch‘io. Arrivederci,
Naruto.»
E così l’Uzumaki scese dal treno, raggiunse il
vagone dove stava Hinata e quando la vide guardar fuori da quel buffo
rettangolo trasparente a cui, sinceramente, non sapeva dare un nome
preciso, si mise a salutarla con una mano, sorridente.
Sperava davvero di rivederla, diamine!
Una settimana dopo
«Se ti dicessi che sei orribile con quello smoking?»
«… mi stai dicendo che sarebbe meglio non
partecipare al matrimonio vestito così?»
«No, però non sei proprio il tipo da smoking,
Naruto. Proprio no» sottolineò Nagato, dando
un’occhiata all’abito elegante che il cugino
indossava.
L’Uzumaki si guardò sconsolato, poi
sbuffò. «Ma che cazzo me ne frega! È
solo uno stupido vestito.»
«Adesso si ragiona. Allora, non mi sembra troppo difficile:
ignora Karin, stai alla larga da quel pozzo senza fondo di Chouji ed
evita, per favore, di parlare con Suigetsu. Lo sai che
spaccia?»
Naruto lo fissò, sconcertato. «
Stai
scherzando.»
«Ah, no,» Nagato posò la
schiena contro lo stipite della porta, studiando per un secondo il
disordine causato dall’Uzumaki: da quando aveva occupato la
stanza vuota di sua sorella, ogni cosa aveva cambiato posto e i
cassetti
sembravano sul punto di saltare letteralmente in aria, «alla
festa di compleanno di Yahiko ha cercato di rivendere a Zabusa un
po’ di LSD.»
«Si è ridotto davvero in questo stato?»
«Non credere che prenda quella roba. Lui vende, non si
fa.»
Naruto inarcò un sopracciglio. «Forse
perché è già fatto di
suo.»
Conosceva Suigetsu da quando aveva quattro anni: era sempre stato un
tipo piuttosto strano, ironico e a volte persino violento; eppure era
capace di grande calma, dimostrata nella maggioranza dei casi in
presenza dei suoi genitori e di suo fratello, e ribadita in presenza di
professori e amici stretti. Soltanto quando frequentava certi giri
cambiava atteggiamento,
mostrando una freddezza insolita.
Una volta, quando avevano quindici anni, Suigetsu l’aveva
preso a pugni perché gli era capitata fra le mani una delle
sue droghe migliori. Non che ne avesse presa: lui non era il tipo. Era
rimasto semplicemente sconcertato nel trovare quel tipo di roba sotto
il letto di uno dei suoi amici più cari.
Da quel momento, si era sempre tenuto a discreta distanza da Suigetsu
Hozuki.
«A che stai pensando?»
«A nulla. Perché?»
Nagato scosse il capo e sorrise. «Andiamo, allora. Se
facciamo tardi Yahiko se la prenderà con noi.»
Partirono qualche minuto dopo sotto il sole cocente. Fuori
c’erano 38°, perfettamente percepibili, come aveva
potuto appurare Naruto quando aveva sentito la camicia appiccicarsi
fastidiosa alla schiena, aiutata dal sedile bollente. Poi, come se non
bastasse, l’aria condizionata era sconosciuta a quella
macchina del cavolo.
Arrivarono in chiesa giusto in tempo per vedere Yahiko uscirne di tutta
fretta, agitato come non mai. Strano: non era certo il tipo
d’uomo che si impressionava per qualcosa di banale come un
matrimonio.
«Per caso hai scoperto che Konan è scappata col
testimone?» chiese ridacchiando Nagato, una volta che Yahiko
gli fu davanti, piegato in due con le mani sulle ginocchia e ansimante.
«Ma se il testimone sei tu?!»
«Ah, è vero.»
«Stare con Naruto ti fa regredire allo stato brado.»
«Ehi! Non accetto alcun tipo d‘insulto da te,
Yahiko!,» sbottò Naruto, mollandogli un pugno
sulla testa, offeso, «e poi mi spieghi perché ti
sei messo a correre in quel modo?»
«Perché siete in ritardo, idioti! Muovetevi, prima
che Jiraiya e gli altri perdano la pazienza.»
La chiesa era ventilata e luminosa, allegra.
Percorrendo la navata, Naruto osservò le grandi vetrate
poste ai due lati della chiesta, il cui bagliore colorato rendeva quel
posto sacro diverso da come se l'era aspettato all'inizio; non credeva
in Dio, non credeva al valore di una chiesa, di un santo, di un
rosario, qualunque fosse la religione che gli si presentava davanti.
Forse inferno e paradiso esistevano. O forse solo l'inferno,
chissà.
Eppure, malgrado tutto, quel luogo era affascinante – e
sì,
doveva ammetterlo: gli piaceva.
C’erano poche persone, giusto il necessario, giusto
l’importante: conosceva da anni Yahiko e Konan, i due sposi,
e sapeva che per loro contavano poche cose.
E poche persone.
«Abbiamo due invitati in più. Infatti
c‘è una vecchia amica di Konan…
è appena arrivata da Tokyo. Ah, l’altro
è Suigetsu. Alla fine Karin è riuscita a
convincermi, ma se lo becco a vendere la sua merda
qui, lo caccio
fuori, ve lo garantisco,» cominciò a dire Yahiko,
nervoso, indicando con un cenno del capo Hozuki che, fermo in un angolo
della piccola chiesa, conversava strafottente con Karin e Juugo, un
amico della rossa.
Naruto si guardò in giro e sorrise appena intravide il suo
vecchio maestro del liceo, Jiraiya.
Non era cambiato per niente!
Lasciò Yahiko e Nagato con Zabusa, un loro vecchio compagno
di scuola, e raggiunse il suo maestro senza farsi sentire, poi
si fermò alle sue spalle; gli batté il dorso
della mano contro la schiena per avvertirlo della propria presenza,
pensando a quanto tempo era trascorso dall’ultima volta in
cui si erano parlati.
Dio, che nostalgia!
Quando si voltò, Jiraiya lo guardò
stupefatto. «Non ci credo! Naruto! Come stai?»
«Bene e lei? Passa sempre il tempo a corteggiare donne
più giovani, maestro?» domandò
divertito il biondo, lanciando un’occhiata alle numerose
ragazze presenti.
Jiraiya incrociò le braccia al petto, stizzito.
«Ragazzo, ti hanno mai detto che queste cose non si
spifferano in giro? Qualcuno potrebbe aver sentito!»
«Secondo me lo sanno già
tutti…»
Mentre rideva davanti alle urla e agli insulti sibilati da Jiraiya,
Naruto tornò a guardarsi attorno per vedere se
c’erano persone che conosceva ma che non vedeva da anni; e
infatti poco lontano intravide Anko, una delle ex allieve del maestro
Jiraiya; e poi ancora Shikamaru Nara e Sabaku no Temari, probabilmente
marito e moglie.
Poi scorse una figura alta e femminile, e capelli neri come una notte
d’inverno.
Perse un battito.
«Maestro, mi scusi, io devo… parlare con una
persona. Finirà dopo di mandarmi a quel paese.»
Non è
possibile.
Si mosse agile fra la folla, evitando per un soffio di scontrarsi con
Suigetsu.
Ignorò un ‘ciao’ strillato da Chouji.
Poi si fermò e allungò una mano verso di lei,
finendo col sfiorarle la spalla con il pollice, in un gesto che voleva
essere rassicurante.
Tuttavia, lei sussultò lo stesso, inducendolo a
sorridere; ma quando finalmente si voltò, il
sorriso scomparve e tutto mutò.
Inevitabilmente.
«Cosa… Naruto!»
Già, era impossibile.