Un fidanzato su misura

di manymany
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Solo l'ultimo sforzo! ***
Capitolo 2: *** Ancora! ***
Capitolo 3: *** Piano folle! ***
Capitolo 4: *** Addio vita a due! ***
Capitolo 5: *** Scontro ***
Capitolo 6: *** Un vero peccato! ***
Capitolo 7: *** Basta così! ***
Capitolo 8: *** Pan per Focaccia! ***
Capitolo 9: *** Velocemente e con discrezione ***
Capitolo 10: *** Angeli caduti ed ex pervertiti! ***
Capitolo 11: *** Bambine sovversive e gatti abusivisti! ***
Capitolo 12: *** Caos, mammine e linguacce! ***
Capitolo 13: *** Popcorn! ***
Capitolo 14: *** Inviti, sparizioni e Interpol! ***
Capitolo 15: *** Divani, coniglietti e mamme invadenti! ***
Capitolo 16: *** Viandanti, aranciate e impegni ***
Capitolo 17: *** In tema di confessioni.. ***
Capitolo 18: *** Perfetto! ***
Capitolo 19: *** Buio! ***
Capitolo 20: *** Pericoli ***
Capitolo 21: *** Rossetto rosso! ***
Capitolo 22: *** Mai dire per sempre ***
Capitolo 23: *** Una domenica con te ***
Capitolo 24: *** Uno tra tanti ***
Capitolo 25: *** Scherzi del destino... ***
Capitolo 26: *** La porta dei pensieri ***
Capitolo 27: *** Cosa sta succedendo? ***
Capitolo 28: *** A cena con mamma ***
Capitolo 29: *** La felicità ***
Capitolo 30: *** Partenze ***
Capitolo 31: *** Pazza! ***
Capitolo 32: *** Sicurissimo ***
Capitolo 33: *** Bentornato ***
Capitolo 34: *** Insieme ***
Capitolo 35: *** Gente che viene, gente che va.. ***
Capitolo 36: *** Finimondo ***
Capitolo 37: *** Pari ***
Capitolo 38: *** Il paradiso e l'inferno ***
Capitolo 39: *** Libero ***
Capitolo 40: *** Pazzie ***



Capitolo 1
*** Solo l'ultimo sforzo! ***


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CAPITOLO I: Solo l’ultimo sforzo!

Se dovessi fare un bilancio nella mia vita credo che il numero adatto sia un bel dieci.
Non fraintendiamoci, non come voto, no, per quello credo che basterebbe un cinque, a voler essere generosi un cinque più.
Il dieci è il numero ricorrente nella mia vita ultimamente.
Dieci i secondi in cui penso di essere giusta in qualsiasi situazione, dieci i minuti di ritardo fisso al lavoro, dieci le ore di sonno che mi servirebbero per essere fresca e pimpante di prima mattina, dieci i giorni di arretrato nel pagare l’affitto, dieci settimane che non parlo con i miei genitori, dieci mesi che non varco la soglia della palestra, dieci anni che non mi innamoro davvero di una persona.
Dieci i ragazzi che in tutti questi anni ho conosciuto e ho pensato che potessero essere “quello giusto”.
Tutti e dieci sono rimasti nella mia vita, come cugini, cognati, amici.
Ognuno di loro ha incontrato me, ci è uscito e poi si è felicemente accasato con una a caso tra amiche, parenti e colleghe.
“Siete sole, single e disperate? Beh statemi vicine e prima o poi l’uomo giusto vi sconvolgerà la vita.”
Come ho già detto sono dieci anni che non mi innamoro e quindi tutti questi fiaschi non mi hanno turbato poi molto, a parte quel bruciore allo stomaco ogni volta, quella consapevolezza dilagante che si, c’è tanta gente in giro migliore di me, sia per l’aspetto fisico sia per le qualità “morali” ma tutte intorno a me devono stare?
Ma a parte qualche momento di sconforto sono felice che la gente intorno a me sia felice! Giusto?
Molto felice, felice da morire, felice alla follia, felice come una Pasqua. Felice.

La ragazza si guardò intorno spaesata, appena in tempo per accorgersi di essere arrivata, si alzò velocemente, infilandosi per un pelo tra le porte automatiche che si stavano già chiudendo pensando da aver appena scritto una bugia. Un enorme bugia sul suo diario.
Una bugia immensa in un diario non ha senso.
Dovrebbe essere il “luogo” in cui si è completamente sinceri, almeno con sé stessi e no, lei non era felice. Affatto.
Certo non era il tipo che si rinchiudeva in una stanza a piangere o si ingozzava di popcorn davanti a film strappalacrime, ma comunque sapeva, sapeva perfettamente, di non essere davvero felice.
Lo sentiva.
Ferma sulle scale mobili che l’avrebbe portata fuori dalla metro, afferrò il diario con la spessa copertina di finta pelle rossa, infilò l’indice tra le pagine trovando quella su cui aveva appena scritto e ci scribacchiò velocemente una nota a margine.
P.S: No, cavolo, questo è il mio diario e no, cavolo,  qui non dirò bugie, quindi no, cavolo, non sono felice.

Il sole splendeva limpido e tranquillo nel suo cielo immenso e lei camminava frettolosa tra la folla che si accalcava verso la stazione della metro, dopo vari tentativi riuscì ad allontanarsi e a camminare con maggiore velocità.
Era in ritardo, come sempre. Ma i danni si potevano ancora contenere.
Insomma dieci minuti sono concessi a chiunque!
E lei non era chiunque, no?
Lei era il numero tre.. No forse quattro, in ordine di importanza per la cerimonia giusto?
Sposa, sposo, prete e poi c’era lei.
La damigella d’onore. O meglio la testimone della sposa.
Odiava quella pessima abitudine che si stava diffondendo anche in Italia delle damigelle della sposa.
Perché un’abitudine americana deve essere necessariamente copiata?
Perché quattro persone devono vestirsi con lo stesso identico vestito dai toni pastelli, precedere la sposa facendo svolazzare ovunque petali di rose come bambine di cinque anni e fingersi anche felici?
Perché?
Non lo sapeva, ma tutti la trovavano una cosa così carina che non riusciva mai a dire di no, ad opporsi, ed era la nona cerimonia alla quale presenziava in qualità di damigella d’onore.
Ovvio, dopo aver fornito loro l’uomo giusto alle spose non restava altra scelta che ricambiare il favore infilandola in un orripilante abito dai colori che oscillavano tra il giallo limone marcio, il verde pisello ammuffito e il rosa confetto scaduto.
Orribile.
Tutti vestiti dalle fogge più strane, piene di balze, di volant, di pizzo.
E dire che l’Italia era considerato il Paese della grande moda e del buon gusto.
Evidentemente la propensione a conciare quelle che dovevano essere le persone di sesso femminile più importanti per la sposa come bambolotte di pezza e renderle talmente poco desiderabili in modo da non tentare in nessun modo lo sposo, doveva essere compreso nel pacchetto matrimonio all’americana che iniziava con l’annuncio: “Non immaginerai mai, faccio il matrimonio in stile americano e tu, oh tu Rica, devi assolutamente essere la mia damigella d’onore!”
E quella era la nona volta.
C’era un limite a tutto.
- Sarà l’ultima volta. Lo giuro solennemente!- esclamò a gran voce appena arrivata davanti casa di Mara.
- Oh lo spero proprio, mi sta pestando il piede!- protestò una voce a poca distanza da lei.
La ragazza spalancò gli occhi facendo un saltello all’indietro.
- Mi.. Mi scusi!
- Stia semplicemente attenta. Se fa un danno irreparabile sa cosa può farsene delle sue scuse?
L’uomo che aveva parlato era chino sulla sua lucida scarpa nera, valutando l’entità del danno che la sua decolleté dal tacco alto poteva aver fatto, poteva vedergli solo i capelli scuri, abilmente scomposti.
Che razza di persona parlava senza nemmeno guardare in faccia la gente?
- La sua preziosa calzatura non ha subito nessun danno, stia tranquillo.
Si voltò entrando di gran corsa nella casa super affollata.
Immediatamente il suo nome risuonò per l’intera casa.
- Rica! Finalmente!
- C’è Rica?
- Dov’è Rica?
- Rica vieni al trucco.
- Rica, i capelli!
- Rica!
- Rica!
- Ricaa!
Maledizione! Ma cos’avevano tutti? Perché la chiamavano in quel modo? Le sembrava di impazzire, si fermò in mezzo all’ampio salotto,  strinse al petto la custodia amaranto che conteneva il suo “preziosissimo” abito lilla, guardando in direzione della porta.
Poteva ancora fuggire? Poteva?
La porta era ormai fuori discussione, Alessia e Margherita stavano arrivando verso di lei da quella parte ma la finestra era abbastanza vicina, era il piano terra, forse se avesse corso in fretta sarebbe riuscita a gettarsi fuori, non avrebbe dovuto farsi molto male no? Quanto male ci si può fare gettandosi dal piano terra? Era solo un metro, un metro e venti no?
Non ne aveva idea, ma certamente non poteva farsi troppo male, giusto?
Mosse il primo passo verso quell’unica via di fuga, sinceramente intenzionata a gettarsi a testa in giù da una finestra che tra l’altro era pure chiusa, pur di non affrontare quello.
Ma due mani la afferrarono, la fecero sedere su una sedia mentre altre due mani si infilavano tra i suoi capelli e altre due mani ancora iniziavano a solleticarle il viso con pennelli, spugnette e aggeggi vari.
Mani ovunque!
In quante erano?
Perché non poteva dire semplicemente no grazie, sorridere e non sentirsi in colpa?
Non ci riusciva.
Sorrideva e accettava, sottoponendosi a torture inaudite.
Scelta della chiesa che comportava ore e ore di valutazioni e crisi di pianto.
Scelta del ristorante che comportava ore e ore di valutazioni e crisi di pianto.
Scelta del menù che comportava ore e ore di valutazioni e crisi di pianto.
Scelta delle bomboniere che comportava ore e ore di valutazioni e crisi di pianto.
Scelta degli addobbi floreali che comportava ore e ore di valutazioni e crisi di pianto.
Scelta degli abiti delle damigelle che comportava ore e ore di valutazioni e crisi di pianto.
Scelta della meta per il viaggio di nozze che comportava ore e ore di valutazioni e crisi di pianto.
Scelta di quale modello di frigo mettere in cucina che comportava ore e ore di valutazioni e crisi di pianto.
Scelta del nome dell’eventuale primogenito che comportava ore e ore di valutazioni e crisi di pianto.
E poi c’era il dulcis in fundo.
La tortura delle torture.
La regina dei supplizi.
La cosa che più le procurava sofferenza fisica e mentale.
Scelta del vestito che comportava ore e ore e ore e ore e ore di valutazioni e crisi di pianto e crisi di pianto e crisi di pianto.
Un calvario.
Perché l’Fbi torturava gli imputati con interrogatori estenuanti, lampade al neon, privazione di cibo e acqua?
C’era un metodo più semplice ed efficace.
Seguire una sposa durante l’organizzazione del suo matrimonio!
Chiunque, anche il più convinto, anche il criminale dei criminali si sarebbe redento di fronte ad una simile tortura.
Certamente.
- Allora? Perché sei in ritardo?
Mara comparve nel suo abito che ricordava tanto una delle meringhe appena sfornate che rubava nel laboratorio di pasticceria di sua nonna quando era piccola e le pose la fatidica domanda.
Perché era in ritardo?
Perché ogni santo giorno, in qualsiasi occasione lei ritardava?
Si preparava sempre con largo anticipo, si metteva ad aspettare, seduta, che fosse il momento giusto per avviarsi ma poi ogni volta accadeva qualcosa.
Il telefono squillava e un centralinista sottopagato e afflitto dai debiti la supplicava di accettare una “promozione imperdibile”, bussavano alla porta e il suo vicino di casa, un ometto di settant’anni che la trattava come “la nipote che non aveva mai avuto”, la invitava a prendere il caffè da lui in modo che lei potesse spiegargli il funzionamento di qualche moderno aggeggio tecnologico totalmente inutile che lui acquistava ma che poi matematicamente non sapeva usare, la lavatrice finiva il lavaggio ed era un peccato lasciare i panni nel cestello, se li avesse appesi subito, al suo ritorno sarebbero stati già asciutti e allora poteva anche fare una nuova lavatrice, tanto ci volevano solo pochi minuti no? Così i vestiti quando lei sarebbe rientrata alla sera sarebbero stati già lavati e pronti per essere messi ad asciugare.
Insomma ce n’era sempre una.
Quella mattina Tommy, il gatto di Bianca, la figlia di altri suoi vicini si era infilato in casa sua entrando dal balconcino della cucina e si era barricato sotto al letto.
Nemmeno la sua padroncina era riuscita a tirarlo via facilmente.
Non era servito a nulla la ciotola piena di latte, né quella zeppa di croccantini al pollo. Nemmeno la scopa che lo spingeva delicatamente lo aveva impressionato. Si era limitato a miagolare qualcosa infastidito e a cambiare posizione, acciambellandosi ancora di più.
Stupido gatto, chissà perché aveva quella passione proprio per il suo letto.
- Beh io.. Ecco vedi..- provò a spiegare lei, ma la sposa troncò sul nascere le sue parole.
- Non propinarmi la scusa del gatto perché non ci casco stavolta. Siamo già in ritardo di venti minuti e devi ancora finire di prepararti..
“Non oso immaginarmi il ritardo che avrai quando sarai tu a sposarti” continuò Rica tra sé e sé, anticipando le parole della sposa.
Le dicevano tutti la stessa cosa.
-Non oso immaginarmi il ritardo che avrai quando sarai tu a sposarti!- concluse quella infatti, scuotendo la testa e posandosi le mani sui fianchi somigliando ancora di più a quella enorme meringa che le ricordava l’infanzia.
- Non ci vorrà molto, credo che mi stiano strappando tutti i capelli così non ci sarà bisogno di acconciatura e penso che anche gli occhi stiano per essere asportati.. Cosa diavolo state..?- provò a dimenarsi ma la sposa la trattenne per una mano.
- Non osare muoverti. Lasciale lavorare, forse riusciremo a non far cambiare idea a Max e lo troverò ancora all’altare quando arriverò in chiesa con un “mostruoso” ritardo.
Ormai afflitta dal senso di colpa Rica si accasciò sulla sedia, sopportando con coraggio l’ennesima tortura.

La chiesa era piena zeppa e l’odore di fiori era talmente intenso da risultare perfino rivoltante.
Si fece coraggio, cercando di non pensare che per qualche orribile minuto sarebbe stata lei il centro dell’attenzione.
Il tempo di attraversare la navata gettando manciate di petali fucsia sul pavimento.
Afferrò il cestino e iniziò la sua parata sforzandosi di non ricordarsi che indossava quell’osceno abito color lilla lucido con volant di una tonalità più chiara che le lasciava scoperti i polpacci non proprio perfetti e che le dava l’aria della bambina di sei anni daltonica e senza il minimo gusto.
E fu in quel momento che lo vide.
Capelli scuri un po’ lunghetti che sfioravano il colletto inamidato della camicia bianca, il pizzetto curato, gli occhi nocciola, brillanti.
Carichi d’amore.
Ok, era Max, lo sposo, e lo sguardo pieno d’amore era indirizzato oltre le sue spalle, all’inizio della navata dove presumibilmente la sposa aveva appena fatto il suo ingresso al braccio del padre.
Gli occhi non erano più puntati su di lei.
I fiori dentro il cestino erano finiti e lei si era messa seduta nella prima panca insieme alle altre damigelle.
Eppure un tempo Max aveva guardato lei negli occhi e per una frazione di secondo, entrando in chiesa, era stato bello immaginare che quello sguardo pieno di amore e di aspettative fosse davvero indirizzato a lei.
Ma no.
Lei era la damigella della sposa. Ancora.
E lo sposo era un suo ex. Ancora.
Certo non un ex importante.
Lei non aveva ex importanti, a parte uno che comunque ormai era sposato da tempo.
Però Max era uscito con lei ed era così che aveva conosciuto Mara.
Ancora.
Sorrise stringendo il manico del cestino ormai vuoto.
Quasi tutte le sue amiche e colleghe si erano sposate.
Forse le sarebbe aspettato un periodo di calma.
Niente più matrimoni per qualche anno.
La pace assoluta.
L’ultimo sforzo.
Solo l’ultimo sforzo.

Ed eccomi qui con un'altra avventura! Sono pazza, lo so! Ho altre sotrie da finire ma questa storia si sta praticamente scrivendo da sola, non riesco a smettere! Quindi eccoci qui! Spero che vi piaccia, io ne sono stranamente soddisfatta. Mi raccomando fatemi sapere che ve ne pare! Bacioni. Manu!
Al prossimo capitolo vi metto le foto e il banner.

Mara con abito da sposa
Max
vestito da damigella(senza offesa per nessuno ma a me non piace)/a>
Per chi non l'avesse capito questa è Rica:
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Capitolo 2
*** Ancora! ***


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CAPITOLO II: Ancora!

“Solo l’ultimo sforzo” se lo ripeteva da un paio d’ore, trangugiando l’ennesimo sorso di vino dalla sua coppa, eppure erano le otto di sera e ancora non si era nemmeno passati al taglio della torta.
Il suo limite era stato raggiunto e superato da un pezzo ma non poteva andarsene. Non poteva.
La damigella doveva essere la prima ad arrivare e l’ultima ad andarsene.
Certo quella mattina era stata l’ultima ad arrivare quindi secondo un ordine direttamente proporzionale poteva essere la prima ad andarsene, giusto?
Per un secondo quella folle idea le riscaldò il cuore, ma poi svanì.
Non poteva.
Mara non glielo avrebbe mai perdonato.
Mai.
Scolò l’ultima goccia di vino rimasta nel bicchiere e subito il cameriere comparve a riempirlo.
Un cameriere!
Forse un cameriere sarebbe stato perfetto per lei. Sapevano sempre cosa voleva la gente!
Un cameriere sarebbe stato l’uomo perfetto!
Ma tutti i camerieri in sala erano attempati o con la fede al dito.
Non c’erano speranze!
Intorno a lei tutti cianciavano e ridevano di gusto, evidentemente l’unica a non trovare divertenti i matrimoni doveva essere lei.
Poi all’improvviso, come in un sogno, lo vide.
Era lì in mezzo alla sala, i jeans scoloriti e la camicia celeste spiccavano in quella moltitudine di abiti scuri.
Matteo.
Strabuzzò gli occhi per non rischiare di sbagliarsi, ma no, era proprio lui.
Ci aveva ripensato.
Era andato lì per scusarsi, per dichiararle amore eterno e per vivere con lei per sempre felici e contenti.
Decisamente aveva bevuto troppo.
Si alzò sulle gambe malferme, decisa ad andargli incontro con aria rilassata e seducente.
Per quanto quello stupido vestito le consentiva, ovvio.
Lo avrebbe ridotto in polvere.
Lui l’avrebbe supplicata di tornare con lui, si sarebbe inginocchiato e lei, e lei beh lo avrebbe accontentato.. Non prima di averlo fatto aspettare un quarto d’ora. No meglio mezzora.
Poi successe.
Per la decima volta.
Successe.
Ancora!
Una ragazza si avvicinò chiamandolo a gran voce.
Una ragazza molto carina con un seducente abito nero e i capelli biondissimi.
Gaia.
Sua sorella.
Si lasciò cadere sulla sedia come una marionetta rotta.
Era lì per lei.
Non che amasse Matteo.
Lo conosceva appena però, comunque..
Insomma sarebbero stati la coppia perfetta.
Sentì la risata di Gaia esplodere dopo che lui le ebbe bisbigliato qualcosa all’orecchio.
L’altra sua sorella era sposata da anni e aveva anche un bambino con Enrico, un altro che era uscito con lei.
Ma come era possibile?
Doveva esserci una spiegazione logica. Per forza!
Quando glielo aveva presentato, Gaia aveva definito Matteo “un ometto che si crede un cowboy”.
In effetti Matteo aveva una passione per i cavalli e per tutto ciò che li riguardava. Anche in quel momento indossava, sotto i jeans. quegli orribili stivali che lei aveva visto solo nei film western che da bambina vedeva con il nonno.
Gaia e Matteo si avvicinarono sorridendo e lei si affrettò a ricambiare il sorriso sperando di non sembrare troppo falsa.
- Non ti dispiace vero Rica? - iniziò sua sorella imbarazzata.- Noi ci siamo incontrati in un locale qualche settimana dopo che vi siete lasciati e allora.. Noi..insomma.. Non volevo che lo sapessi così, come per Silvia ed Enrico, volevo dirtelo, ma lui mi ha fatto una sorpresa venendo qui e allora io..
- Frena. E’ tutto a posto sorellina. Va bene.- Rica sorrise, mostrandosi più convincente.
Non amava Matteo. Affatto.
Non le importava.
Aveva solo un leggero bruciore allo stomaco.. Forse erano state le ostriche.
Le ostriche potevano portare alla morte.
Forse stava per morire.
Non poteva. Insomma. Aveva ancora un mucchio di cose da fare.
- Ok, allora, noi salutiamo mamma e papà e andiamo. Sicuro che stai bene? Mi sembri un po’ pallida.- Gaia le si avvicinò sinceramente preoccupata.
Rica sapeva che non era sua intenzione farla stare male. Lo sapeva.
E le dispiaceva che si preoccupasse in quel modo per lei.
- No, sono solo le ostriche. Andate, andate pure.- li congedò raggiungendo il bagno di corsa, non badò nemmeno se fosse quello delle donne.
Spalancò una porta, poi un’altra e vomitò tutto.
L’intero menù che aveva provocato ore e ore di discussioni e di pianti.
- Sta bene?- una voce maschile le arrivò alle spalle.
Una voce che aveva già sentito ma che non riusciva a ricordare a chi appartenesse. Solo che non aveva nessuna intensione di girarsi per controllare chi ne fosse il proprietario.
La testa le pulsava e gli occhi non le erano rientrati ancora per bene dentro le orbite, senza contare le scie umide che le solcavano il viso e che avevano di sicuro tirato giù tutto il trucco.
Uno spettacolo immondo che non aveva intenzione di dare.
- Benissimo. Esca e chiuda la porta.- disse seccamente.
- E’ nel bagno degli uomini.- la informò lui.
- Me ne andrò quanto prima.- replicò infastidita.
- Ha bevuto troppo.- replicò quella voce.
- E lei ha parlato troppo. Vada via.- scandì lei.
Il rumore dei passi le dissero che finalmente quell’uomo se ne era andato. Sgattaiolò nella toilette femminile decisa a rimanerci per un bel po’.

Ecco il secondo capitolo. So che è molto più breve dell'altro ma era necessario. Vedo che la storia è molto letta e ne sono felicissima! : ) Vi ringrazio. Vi piace il banner in stile invito a nozze? E il mio Adam vi piace??? Non è bellissimo??? <3
Sul personaggio di Rica non sono molto convinta veramente, lei è qualcuno che ho in mente e non sono riuscita a trovare un personaggio noto che le somigliasse completamente, ho scelto la Mastronardi perchè ha un viso molto semplice.
A presto ragazzi! Se mi fate sapere cosa ve ne pare mi fareste davvero molto molto molto felice! A presto. Manu!
Se tornate nel capitolo precedente ho messo le foto dei personaggio che abbiamo incontrato lì, chiccate sui link e vedrete le foto. Passo e chiudo! : )

Gaia
Matteo

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Capitolo 3
*** Piano folle! ***


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CAPITOLO III: Piano folle!

Adam tornò in sala riprendendo il suo posto a tavola.
C’era più gente di quando si era allontanato.
Tutte donne.
Si sedette, cercando di non ascoltare i loro discorsi che senza dubbio dovevano riguardare trucchi e acconciature.
Perché aveva accettato di accompagnare Francesca a quel matrimonio? Non conosceva praticamente nessuno e sua cugina, che lo aveva implorato di farle da accompagnatore, non gli stava dedicando nessuna attenzione.
- Qualcuno sa che fine ha fatto Rica? Mara la cerca disperatamente!- fece una ragazza dai capelli ricci e biondi.
- Non ne ho idea, l’ultima volta l’ho vista al tavolo che beveva.- sogghignò una tizia mora con un naso incredibilmente appuntito.
- Io l’ho vista parlare con Gaia e indovinate un po’? Matteo! A quanto pare quei due stanno insieme! La maledizione di Rica colpisce ancora!- una biondina si esibì in una risatina malefica che l’occhiataccia di Francesca incenerì all’istante.
- Matteo? Ma come è possibile? Ma possibile che tutte voi dobbiate mettervi con un suo ex?- protestò sua cugina, accorata.- Povera Rica sarà a pezzi!
- Chi è Rica, Fran?- chiese lui interessato dalle vicende di quella sfortunata ragazza.
- La mia migliore amica. Te ne ho parlato cento volte! - disse lei roteando gli occhi.- Oggi l’avrai vista di sicuro, è la damigella d’onore.
Adam si ricordò di quella ragazza che avanzava per la navata con quello stupido vestito lilla, la stessa che quella mattina gli aveva quasi rovinato la scarpa nuova, la stessa che più volte durante il pranzo aveva visto trangugiare enormi bicchieri di vino con aria afflitta e la stessa che aveva incontrato pochi minuti prima nel bagno degli uomini.
- Ehm.. Io forse so dov’è. - sussurrò all’orecchio della cugina.
- Dove? - chiese lei speranzosa.
- L’ho appena lasciata nel bagno..- iniziò lui.
- Oh Adam sei disgustoso! Tutte ma non lei, è la mia migliore amica, santo cielo!
- Fran! Fran! Alt! Cosa hai capito? Io ero in bagno per i fatti miei, l’ho sentita entrare di corsa e rimettere in una delle toilette.- si giustificò lui.
Cosa diavolo prendeva a sua cugina? Accusarlo, così, in pubblico, di spupazzarsi una ragazza nel bagno di un ristorante a cinque stelle!
Non poteva negare a sé stesso di essersi diretto in bagno, sperando che quella ragazza dai capelli biondi con cui si lanciava occhiate da tutto il pranzo lo seguisse, ma era rimasto deluso, vedendo, appena prima di arrivare alla porta, che lei si stringeva ad un tizio strambo in jeans e stivali da cowboy, ma questo Fran non poteva saperlo.
- Oh Rica..Vado da lei.- annunciò sua cugina.
L’orda di oche consolatrici partì al suo seguito e lui rimase solo al tavolo.
Dall’altro lato della sala vide la biondina ancora stretta al suo pistolero che parlava con una coppia di mezza età e una più giovane con un bambino al seguito.
Molto carina ma con molto poco gusto.
Peccato.


Un paio di antiacidi e una passata di trucco dopo, Rica era come nuova, o quasi.
Sorrideva nelle foto e parlava abbastanza spigliatamente.
Fran la guardava da lontano, pensierosa.
Sebbene la sua amica si affannasse a dire che a farle indigestione fossero state le ostriche, Fran era sempre più convinta che quello che stava male, non era lo stomaco, ma il cuore.
Non che lei pensasse che Rica potesse davvero amare Matteo.
Quello no, ne era certa, ma sapeva che quel colpo, il decimo, era davvero troppo duro da sopportare.
Poteva vederlo dal suo sguardo eccessivamente allegro.
Mai, per nessun altro matrimonio lei si era comportata così.
Stava chiaramente fingendo.
La vide raggiungere il gruppetto delle single per il lancio del bouquet a testa bassa e espressione mogia, convinta che nessuno la stesse guardando.
Decisamente non stava bene.
Doveva fare qualcosa.
E non si riferiva ad andare da lei, prepararle un tè e lasciare che dissimulasse tutto con una scrollata di spalle, un sorriso e un “Va tutto bene, Fran. Davvero.”
Non andava bene per niente.
Osservò il bouquet di rose fucsia volteggiare nell’aria per poi piombare in faccia a Rica.
E in quel momento capì.
Un piano facilissimo.
Come aveva fatto a non pensarci prima?
Doveva trovare un ragazzo!
Una persona fidata che lei non conosceva e fare in modo che lui si interessasse a Rica, la corteggiasse, la adulasse, facesse in modo di ricostruire la sua autostima, il suo amor proprio che troppe volte era stato calpestato ingiustamente.
Ovviamente prima o poi ci sarebbe stato il distacco ma avrebbe studiato un modo per fare sì che non fosse una cosa troppo dolorosa.
Doveva essere un balsamo per lenire le sue ferite.
Era geniale.
Era perfetto.
Lei non lo avrebbe mai scoperto e avrebbe pensato a quel bellissimo ragazzo come a una dolce parentesi, un ricordo piacevole.
Si, ma chi poteva essere questo ragazzo?
Tutti i suoi amici lo erano anche di Rica e non voleva affatto rovinare un’amicizia, ci voleva qualcuno che poi potesse sparire senza troppi problemi.
- Credi che adesso potremmo andare?- la voce di suo cugino, interruppe i suoi pensieri. Fulminandola.
- Si!- esclamò allora Fran, esultante.
- Capisco che non vedi l’ora di andartene, questo matrimonio è schifosamente noioso e rischio di stramazzare al suolo da un momento all’altro ma non credi che mostrarti così entusiasta sia un po’ troppo?- chiese Adam sorridendo, divertito.
- No!- rispose poi sua cugina con maggior enfasi.
- Fran credo che dovresti darti una calmata. Che ti prende?- le chiese lui perplesso.
- Oh certo, si scusami. E’ che ho avuto un’idea brillante.- disse lei battendo le mani per l’eccitazione.
- Oh fantastico!- rispose lui, cercando di mostrare interesse.
- E mi serve il tuo preziosissimo aiuto!- la mano di Fran si arpionò al suo polso.
- Ecco questo è meno fantastico!- protestò lui.- So già che non potrò aiutarti..
- Oh si che potrai! Ricordi quell’estate in Canada da te, quando per farti sfuggire alle grinfie di quella Lexie mi sono finta la tua fidanzata?
- Ma avevamo tredici anni!- le ricordò lui.
- E quella volta in cui ho tappezzato i bagni della struttura in cui passavamo le vacanze con la scritta “Adam ti amo” solo per far ingelosire Jessica e farla dichiarare?
- Eravamo alla colonia estiva e avevamo dieci anni, Fran! Cosa ti serve?
- Facilissimo! Devi metterti con una mia amica!- disse lei eccitata.
- Coosa? Tu sei pazza! Non siamo più alle scuole medie!-protestò il ragazzo alzando le mani come a volerla fermare.
- Oh lo so, lo so! Non intendo metterti nel senso di fidanzarti, progettare un matrimonio e cose così..
- Oh ti ringrazio!- la interruppe lui in tono ironico.
- Scemo! Fammi finire! Ti ricordi di Rica, la damigella della sposa, quella che..
- Si ho capito a chi ti riferisci.
- Bene! E’ una sfortunata cronica. Tutti quelli con cui esce finiscono per mettersi con una sua amica o una sua parente. Vedi quella laggiù?- disse indicandole la ragazza con il bambino che parlava con la biondina e il cowboy- Quella è sua sorella e quello accanto è Enrico, uno dei primi ragazzi con cui Rica è uscita. Qui due stanno insieme da nove anni. E quella lì?- disse indicando una mora poco distante- E’ Alessia e sta con Luca, vecchia fiamma di Rica e poi ci sono Martina con Giorgio, Benedetta con Paolo, Margherita con Alessandro, Giorgia e Michele, Vanessa con Ferdinando, Cinzia con Giacomo e quella lì, la biondina con il cowboy è Gaia, la sorella di Rica, e quei due sono il motivo per cui Rica sta così male stasera. Matteo l’ha lasciata tre mesi fa ed ora eccolo lì con Gaia. È la decima volta che capita. Fortuna che almeno Anna e Fabio non sono qui.
- Chi sono Anna e Fabio?- chiese Adam, visibilmente impressionato da quella vicenda.
- Oh una storia lunga. Comunque in questa sala ci sono nove uomini con cui Rica è stata e nove donne che glieli hanno portati via, ad ognuna di queste donne Rica ha fatto da damigella d’onore e in capo ad un anno, se tutto va come sempre, lo farà anche a Gaia. Bada bene, a parte un caso Rica, non era davvero innamorata di loro ma è comunque una cosa che destabilizza e che toglie autostima.- Fran gli prese le mani e sorrise in un modo piuttosto inquietante.- Ed è qui che entri in ballo tu!
- Oh no! No! Ti sbagli! Io non entro da nessuna parte. Mi dispiace per la tua amica, deve essere davvero una situazione mostruosa ma io non voglio avere niente a che fare con questa storia.
- Oh Adam ti pregoo!- lo supplicò lei unendo le mani come in preghiera e sporgendo il labbro come una bimba davanti ad un giocattolo nuovo fiammante su uno scaffale di un negozio.
- No! No! Non mi metterai in questa situazione Fran, non lo farai!- lui scosse il capo vedendo l’espressione della cugina farsi ancora più implorante.- Non è neppure lontanamente il mio tipo!
- Oh è questa allora!- l’espressione supplichevole di Fran sparì, lasciandola in modalità battagliera- Non avrei mai creduto che tu fossi così.. così insensibile e maschilista Adam! Mi deludi profondamente!
Ed eccoli i sensi di colpa. Li odiava.
- Ovviamente non volevo dire che io..che lei… Oh Fran per piacere non costringermi a farlo!- era lui stavolta a supplicarla.
- Non ti costringo a fare un bel niente!- la ragazza incrociò le braccia e distolse lo sguardo con aria arrabbiata.
- Ce l’hai con me?- le chiese gentilmente.
- Affatto!- rispose lei, ma le braccia continuarono a restare intrecciate e lo sguardo corrucciato posato lontano da lui.
Detestava quando facevano così.
Fran sapeva che quello era un suo punto debole e riusciva sempre a sfruttarlo a suo favore, fin da bambini.
Non sopportava che la gente a cui voleva bene si arrabbiasse con lui.
Avrebbe fatto di tutto, anche accettare la proposta pazza della sua cugina pazza.
- Va bene Fran. Va bene. Se credi che sia una cosa giusta.- Cedette alla fine, scuotendo la testa e iniziando già a pentirsi di aver acconsentito.
- Oh Adam, sapevo che avresti capito l’importanza di questa cosa!- trillò la ragazza abbracciandolo.
- No, viperetta, sapevi che non avrei resistito al broncio!
- Comunque sia ormai è deciso! Vedrai non sarà una cosa difficile. Andrà tutto bene. Tu non dovrai farle capire che mi conosci e lei non sospetterà che io..
- Cosa? Ma lei non sa che io sono tuo cugino?
- No! Oggi non ho avuto modo di presentartela, avrà visto qualche tua foto da bambino ma non ti riconoscerebbe mai, figurati.
- E come le spiego che sono qui al matrimonio? Magari mi ha visto con te, non possiamo saperlo!
- Beh.. - Fran si mordicchiò le labbra, pensierosa.- Diciamo che appena finirà questa tortura di matrimonio la portò a bere un drink da qualche parte e tu comparirai lì. Se lei ti riconoscerà allora ammetteremo che sei mio cugino e pazienza, se invece non dovesse sapere chi sei allora bene, farai finta di non conoscere neppure me. Facilissimo.
- Per te è tutto facilissimo!- protestò lui.- Allora è il caso che io vada via, se ci vede adesso salta tutto!- raccolse la giacca e si chinò a baciare la cugina sulla guancia.- Non so nemmeno perché lo sto facendo!
- Perché in fondo in fondo hai un cuore dolcissimo.- sorrise lei.
Adam scosse la testa e uscì dalla sala, continuando a maledirsi per aver accettato di essere suo complice in quel piano folle.

Ciao a tutti! passato un buon ferragosto? Io si, sono stata con la mia carissima discepolina e ci siamo fatte quattro risate al solito, anche se ferragosto è una festa che mette un po' di tristezza.. l'estate sta praticamente finenndo...io dovrei studiare ma non trovo la forzaaa! Argggh! Parlando di cose serie, che ve ne pare di questo capitolo? Vi piacciono Adam e Fran? In questa storia ho deciso di dare voce non solo alla nostra protagonista ma anche agli altri personaggi principali. Che ne dite? Grazie, grazie mille a tutti quelli che leggono. Siete stupendi. Se avete voglia di dire la vostra io ne sono sempre felicissima e onoratissima. Al prossimo capitolo! Qui sotto i link alle foto degli altri personaggi. Baci! Manu!

ADAM.
RICA.
FRAN.

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Capitolo 4
*** Addio vita a due! ***


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CAPITOLO IV: Addio vita a due!

Ed è andato anche il nono matrimonio. Andato. Via anche Max.
Via anche Matteo.
Maledizione, questa proprio non me la aspettavo.
Per niente.
E’ entrato, le mani in tasca, lo sguardo che vagava per la sala, cercando Gaia. Mia sorella.
La mia sorellina minore. Ricordo perfino il giorno in cui è nata. Così carina in quella tutina rosa e i capelli legati sopra la testa.
Quel fagottino è cresciuto, si è tramutato in una bellissima ventenne che adesso ha un fidanzato. Matteo. Un ragazzo con cui stavo fino a tre mesi fa.
Perché dovrei stupirmi? Perché dovrei? E’ successo tante di quelle volte che ormai non dovrebbe stupirmi.
Eppure è strano, è come se mi si paralizzasse la bocca, le mani, il cuore.
E’ strano.
Non mi ci abituerò mai.
Ma si va avanti.
Si voltano le spalle al passato, si finge di non aver mai conosciuto Matteo, si finge e si va avanti.
Avanti.
Adesso non mi resta che ficcare questo vestito nello scompartimento in cui conservo tutti gli orrori simili e dimenticarmene.
E pregare che non mi chiedano più di fare da testimone di nozze. Nessuno a parte Fran ovviamente. Lei è l’unica a cui voglio farlo davvero.
Certo Gaia è un pericolo a questo punto. Ma è troppo giovane per sposarsi, no?
C’è tempo.
Un mucchio di tempo senza matrimoni. Il paradiso.
E poi da oggi ho chiuso con gli uomini. Basta. Devo rassegnarmi.
Non sono fatta per una relazione, per un matrimonio, per una vita a due.
Ci sono  persone che nascono per amare e altre che nascono per stare sole. Io sono una di quelle.
Non mi interesserò più ad un uomo, non mi costruirò mai più castelli per aria.
Addio progetti campati per aria.
Addio vita a due!
Poco male, io sarò una fresca e simpatica single che se la spassa!
Mi divertirò, mi divertirò come una pazza!

Rica sobbalzò sulla sedia quando i tre tocchi imperiosi e velocissimi sulla porta le annunciarono l’arrivo della sua migliore amica.
Spalancò la porta senza guardare nello spioncino.
Quello era il loro segnale ed era altamente improbabile che anche un maniaco bussasse in quel modo.
- Fran! Cosa ci fai qui?
- Ho bisogno di sbronzarmi!- annunciò lei entrando come un fulmine, lasciando cadere la borsa e accomodandosi sulla sedia che lei aveva lasciato vuota. Con il diario aperto davanti.
Rica si avvicinò e con nonchalance lo chiuse stringendolo al petto.
- Ci conosciamo da quando avevamo tre anni e non mi hai mai voluto dire cosa ci scrivi lì sopra.
- C’è un motivo per cui si chiama diario segreto, no?- fece lei facendo sparire il grosso libro rosso in un cassetto.
- Hai segreti per me?- le chiese l’amica spalancando gli occhi, allarmata.
- No, no tranquilla. Non rapino banche, non spaccio droga e non medito il suicidio. Se è quello che ti preoccupa.- Rica sorrise e appoggiò le mani sulle spalle dell’amica.
- Oh la cosa mi consola perché, sai, trovarsi tutto d’un tratto senza migliore amica.. Sarebbe un macello. Nessuna compagna di sbronza. Nessuna persona a cui confidare i particolari più scabrosi della propria vita. Nessuna spalla su cui piangere.. Allora sei pronta? Andiamo?- l’amica si alzò riacciuffando la sua borsa dal pavimento e spalancando la porta.
Rica si appoggiò al bancone di legno consumato, incrociando le braccia e mordicchiandosi il labbro superiore.
- E’ stata una giornata lunga Fran..
- Lo so, una giornata lunga e noiosa.. Per questo abbiamo bisogno di un po’ di alcol.
- Non te la prendere Fran, sai che di solito lo farei ma..
- Ma sei troppo depressa per quel cowboy fallito di Matteo?- la interruppe la sua amica, ironica. - Non ti rendi conto che non ne vale la pena?
- Me ne rendo benissimo conto e non è per quello guarda!- si difese lei incrociano le braccia ancora più strette.- E’ che ho ancora quel mal di stomaco.. Senza contare tutto il vino che ho ingollato oggi. Non mi va Fran, scusami. Posso darti qualcosa da bere qui. Ti faccio un cocktail con le mie mani. Quello che vuoi!- propose lei, invitante.
- No, no! Dobbiamo uscire Rica. Adesso. Dobbiamo.- protestò Fran pestando i piedi come una bambina capricciosa e esibendosi nel suo broncio che però su di lei non aveva mai fatto presa.
- Domani! Te lo prometto! Domani sera mi metterò in tiro e andremo dove vorrai. Adesso ho solo sonno.- la supplicò lei.
Guardò Fran rosicarsi un’unghia per poi sedersi su uno sgabello e frugare nella borsa per pescare il suo complicatissimo e costosissimo cellulare.
- Va bene! - assentì dopo aver smanettato brevemente con l’aggeggio che stringeva tra le mani. - Ma domani sera non mi scappi! Adesso se per te non è un problema io ti fregherei un pigiama e dormirei qui.
- Ma certo!- sorrise raggiante Rica.

Ecco un altro capitoletto fresco fresco per voi! Questa storia mi prende tantissimo e sono felicissima che anche a voi piaccia così tanto!
La seguite in tantissimo e io ne sono felicissimaaa! *.*
Certo qualche commentuccio in più sarebbe cosa graditissima ma va bene lo stesso! A presto! Baci. Manu!!! <3

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Capitolo 5
*** Scontro ***


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CAPITOLO V: SCONTRO


Il giorno dopo era domenica mattina. Una domenica mattina assolata e profumata di fiori.
La primavera si sentiva nell’aria, nel canto degli uccellini, nel profumo delle aiuole fiorite.
La cosa positiva di vivere in una città non troppo grande era quello.
La natura.
Per qualche mese, dopo la laurea, si era trasferita in una grande città. Una di quelle megagalattiche, con gli edifici enormi e i mezzi di trasporto che arrivavano puntuali, ma non aveva funzionato.
Nonostante il lavoro più che discreto che aveva trovato.
Nonostante l’indipendenza che sognava dall’età di dodici anni.
Non ce l’aveva fatta.
Aveva nostalgia del mare, delle colline verdi, del canto degli uccelli appena sveglia, dell'odore della terra ed era tornata.
Deludendo tutti.
O meglio deludendo i suoi genitori che avevano fatto tanti progetti su di lei.
Tante aspettative.
Tanti soldi buttati al vento.
E lei era finita a correggere le bozze in un giornale pidocchioso, dove gli unici articoli che le permettevano di scrivere erano quelli che non voleva nessuno.
Sagre nei paeselli più sperduti, eventi di beneficienza a cui non partecipava nessuno, incontri sportivi dei bambini.
Si sentiva la versione al femminile del tizio di “Una settimana da Dio”.
Tutti i suoi sogni, tutti i suoi progetti erano sepolti da qualche parte, sotto le responsabilità, la necessità di arrivare a fine mese e il desiderio di farcela da sola.
Senza chiedere niente a nessuno.
Era molto presto, l’aria era ancora fresca e umida e sapeva che pochi esseri al mondo non approfittavano della domenica mattina per farsi una bella dormita e lei era una di quelli.
Il suo rapporto con il sonno era conflittuale.
Si infilò le mani nelle tasche della felpa verde e continuò a camminare per il marciapiedi che costeggiava il parco.
Il caffè era finito, come le accadeva non di rado e non aveva nessuna intenzione di iniziare una giornata senza il suo caffè lungo e amaro con un cucchiaino di latte.
Era impensabile.

Adam correva, correva da sempre.
Correva non perché fosse uno fissato con la forma fisica o chissà cos’altro, ovvio voleva stare bene con sé stesso, ma non era un fan dei muscoli, come il suo amico Tim che a furia di fare sollevamento pesi e prendere anabolizzanti si era trasformato nella versione color carne di Hulk.
Correva perché lo scaricava, perché ogni volta che i suoi piedi toccavano il terreno duro, ogni metro che si lasciava alle spalle, ogni goccia di sudore che gli colava sulla fronte o lungo la schiena, gli permettevano di scaricare tutto. Ansia, frustrazioni, eccitazione, gioia.
Tutto.
La corsa era un frullatore che sminuzzava i sentimenti e li rendeva digeribili.
Gli piaceva respirare l’aria pulita di quella città senza tante pretese, dove la gente si incontrava per strada e si scambiava sorrisi, dove gli automobilisti si salutavano con un colpo di clacson, dove, anche se vivevi in un agglomerato urbano in cui risiedevano almeno duecentomila persone, eri ad un passo dalla natura, dal verde. Dal mare.
Amava quel posto e lo sentiva un po’ suo anche se in realtà ci aveva solo passato le estati da ventotto anni a quella parte, ovvero da quando era nato.
Sua madre era italiana e gli aveva sempre imposto di parlare in italiano con lei.
Suo padre era canadese e gli aveva sempre imposto di parlare in inglese con lui.
Viveva in un equilibrio precario a cavallo tra due continenti, tra due Stati, tra due stili di vita, tra modi di fare molto distanti, così come distanti erano i due Paesi che portava nel cuore e che sentiva come suoi.
Aveva trascritto nel Dna i grandi laghi in cui suoi padre lo portava a pescare da bambino e l’hockey su ghiaccio con gli amici.
Ma aveva trascritto nel Dna anche quella città, caotica e tranquilla al tempo stesso, che molto spesso le guide turistiche si dimenticavano di citare. E poi c’era il mare.
Quando era in Italia rimpiangeva l’hockey e il freddo del ghiaccio e quando era in Canada rimpiangeva quel mare calmo e tiepido.
Sentiva come un filo, un filo che gli partiva da dentro, dal cuore, che correva intorno a quelle case basse, a quei parchi curati, a quel mare così azzurro e che lo tenevano ancorato a quel posto.
Come se le sue radici fossero lì da qualche parte.
Da quell’anno poi le cose sarebbero cambiate.
Avrebbe potuto trascorre più tempo lì, con i suoi nonni, con gli zii, con i cugini e soprattutto con Fran che considerava come una sorella.
Aveva la fortuna di potersi dividere tra le sue due “case” perché il lavoro che faceva era molto flessibile, aveva bisogno solo di una connessione ad internet, una casella di posta elettronica e basta.
Per il resto, per le emergenze, per gli impegni improrogabili, esistevano gli aerei.
Era la vita perfetta. O almeno, lo era in parte.
I suoi piedi battevano ritmicamente sull’asfalto, i Nickeback cantavano furiosi nei suoi auricolari e lentamente, tutta la tensione accumulata scivolava via.
Gli piaceva correre alla domenica mattina presto, era senza dubbio il giorno che preferiva di più.
In giro non c’era quasi nessuno, non doveva fare lo slalom tra le mamme che portavano a spasso i bambini nei passeggini multicolor, non doveva scansare i vecchietti che di ritorno dall’ufficio postale o dal circolo si fermavano di botto per argomentare con enfasi le loro idee sul governo.
Era un popolo di passioni.
Un popolo di amatori.
Un popolo che amava, urlava, si sbracciava, un popolo che non si dava per vinto.
Ed era felice di farne parte, anche solo per metà.

Poi accadde.

Correva troppo forte, troppo convinto di essere il solo che si aggirava per la città a quell’ora assurda del mattino.
Subito dietro l’angolo del parco si scontrò con qualcosa, con qualcuno.
Vide qualcosa di verde e poi qualcosa di grigio capitombolare prima di finire lui stesso a faccia in giù.

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Capitolo 6
*** Un vero peccato! ***


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CAPITOLO:Un vero peccato!

 
- Maledizione!- esclamò sfilandosi le cuffie ed esaminandosi le escoriazioni alle mani.
Si voltò per cercare l’altra parte dello scontro, pregando che non si fosse fatto troppo male.
Era colpa sua. Correva troppo velocemente, si era distratto a cambiare la traccia nell’i-pod.
Era tutta colpa sua.
E poi la vide.
Una ragazza in felpa extralarge verde, pantaloni da tuta grigi, i capelli raccolti in una coda, sfatta per la caduta, le mani si stringevano un ginocchio e poteva benissimo vedere il tessuto che si tingeva di rosso.
Sembrava una bambina dolorante, a dirla tutta sembrava anche piuttosto incazzata. E come darle torto?
E poi guardandola meglio.. Si.. Guardandola meglio sembrava.. No non sembrava solo. Era lei. Proprio lei. L’amica di Francesca.
- Oh ma tu sei.. Tu sei..- per poco lo shock non gli tirò un brutto scherzo. Doveva fingere di non conoscerla, si ricordò, correggendo il tiro. - Tu sei ferita.
Lei rimase a studiarsi la stoffa del pantalone su cui la macchia di sangue si allargava sempre di più, senza però avere il coraggio di constatare l’entità del danno.
Bruciava.
Bruciava da pazzi e la vista del sangue le iniziava a provocare, come sempre, giramenti di testa e nausea.
Aumentò la stretta al ginocchio dolorante senza degnare della minima attenzione lo sconosciuto che l’aveva mandata ko, troppo impegnata a non svenire e a non vomitare.
- Tutto bene?
Una mano agitata davanti al suo viso la fece sussultare, riportandola bruscamente alla realtà.
- No, tutto bene un cavolo! Mi hai fatto male!- lo aggredì lei indecisa se piangere o sbranarlo.
Adam, accovacciato accanto a lei, sobbalzò per la ferocia del suo sguardo e il tono sferzante, finendo a sedere, proprio come lei.
Solo in quel momento lei lo guardò in viso e fu assalita da una strana sensazione.
C’era qualcosa in quel ragazzo.. Era come se lo avesse già visto, come se avesse già sentito la sua voce.
Ma poi si diede della stupida, doveva essere lo shock provocato dal sangue e dallo spavento.
- Mi dispiace. Non volevo. Ci riesci a metterti in piedi?
- Non lo so. Mi fa male.- piagnucolò lei.
Adam sorrise tra sé e sé per il tono infantile della sua voce.
Sembrava proprio una bimbetta anche nell‘aspetto, i capelli raccolti alla meno peggio, il viso privo di trucco, gli occhi assonnati, l’espressione imbronciata.
Accidenti se non era una coincidenza quella!
Si era scontrato giusto con lei, Federica, detta Rica, la missione che sua cugina gli aveva affidato.
- Posso?- chiese indicando il ginocchio.- Posso vedere cosa ti sei fatta?
La vide mordicchiarsi il labbro superiore e poi scrollare le spalle.
Rica arrotolò il tessuto morbido della tuta, ringraziando il cielo per essersi fatta la ceretta solo due giorni prima.
Già la sua gamba non era proprio perfetta, figuriamoci con degli orribili, poco femminili, peli scuri, anche se lei ne aveva molto pochi rispetto a Fran che doveva depilarsi di continuo se non voleva diventare la sorella di Cita, come diceva sempre.
Quando sulla gamba vide comparire i primi rivoli di sangue distolse lo sguardo nauseata, le mani iniziarono a tremarle.
La vista del sangue era una cosa che la terrorizzava. Una cosa su cui non riusciva ad imporre il proprio controllo.
- Faccio io?- chiese gentilmente il suo abbattitore, accorgendosi della sua espressione turbata.
Lei si limitò ad annuire e a guardare altrove mentre sentiva il pantalone della tuta arrotolarsi verso l‘alto.
- Niente di grave, basta disinfettare e mettere un cerotto. In pochi giorni sarai come nuova.- le disse lui gentile.
- Oh grazie mille. Pensavo che occorresse l‘amputazione!- esclamò lei prima di riuscire a dominarsi, infondo non l’aveva mandata al tappeto di proposito, era stato un incidente.
- Mi dispiace, dovevo stare più attento. Spero che ce la farai a camminare.- lui si alzò e le porse una mano che però lei ignorò riuscendo a mettersi in piedi nonostante il bruciore incredibile che le attraversava il ginocchio in una fitta quando lo piegava.
- Fa niente. Cose che capitano.- rispose lei, sentendosi in colpa per quel tono da maleducata e spazzolandosi la felpa da alcuni fili d’erba che vi erano rimasti impigliati.- Io vado..
Adam la vide indietreggiare e decise di cogliere la palla al balzo.
Perché aspettare per fare qualcosa?
La sera prima sua cugina lo aveva avvertito con un sms che lei non aveva voluto saperne di uscire e avevano rimandato tutto a quella sera ma già che c’era pensò che forse gli conveniva sfruttare la situazione.
- Aspetta.- esclamò con un tantino di enfasi di troppo.- Posso.. Posso offrirti un caffè? Io stavo andando a prenderne uno al bar e mi piacerebbe scusarmi.
Rica aggrottò la fronte, pensierosa, sapeva che non poteva rifiutare con una scusa visto che a quanto pare anche lui sarebbe andato nel bar a pochi metri da lì, quindi tanto valeva accettare..
Lo seguì nel piccolo bar dove Mario, il proprietario cinquantenne, ormai la trattava come una di casa.
- Sempre mattiniera la domenica mattina eh, Rica? Il solito caffè lungo, amaro e con un cucchiaino di latte?- la accolse lui bonariamente iniziando a trafficare  con la macchinetta.
- Certo Mario.- sorrise lei accomodandosi sullo sgabello e trattenendo una smorfia di dolore per il ginocchio dolorante.
- Al tuo amico cosa porto?- chiese ancora il barista.
- Per me un espresso con due bustine di zucchero.
Rica si trattenne dal chiedergli come potesse mai bere il caffè tanto dolce? Come poteva piacergli quella sbobba dolcissima?
Il solo odore del caffè dolce le dava la nausea.
- Così tu sei Rica..- disse lo sconosciuto seduto di fronte a lei.
- Già e tu sei?- chiese lei.
Più lo sentiva parlare, più quella voce gli ricordava qualcosa.
Forse somigliava a quella di un attore famoso.
Anche il viso non gli sembrava del tutto sconosciuto.
Solo in quel momento si rese conto di quanto fosse bello.
Prima, troppo arrabbiata per la caduta e poi troppo dolorante per il ginocchio, non si era soffermata a guardarlo davvero.
Era assolutamente uno dei ragazzi più belli che avesse visto dal vivo.
- Io sono Adam. Piacere di conoscerti.- il ragazzo le porse di nuovo una mano curata che questa volta lei accettò di stringere educatamente, ricambiando la stretta decisa.
Qualcuno le aveva detto che dalla stretta di mano di una persona si poteva capire la sua personalità.
Stretta forte, personalità forte.
Stretta debole, personalità debole.
Ricordava due episodi legati a quella diceria.
Quella volta in cui sua madre le aveva presentato la figlia di una sua amica.
Aveva dato la mano a quella ragazza sorridente e dall’aspetto delicato e lei l’aveva stretta talmente tanto forte che aveva trattenuto un gemito per un niente.
E poi quella volta che aveva conosciuto la prima collega del nuovo lavoro, Angela, le aveva dato la mano che era sparita nella sua, inconsistente.
In effetti Tamara, la figlia dell’amica di sua madre era una vera forza della natura e Angela, sebbene fosse una ragazza molto dolce e carina non spiccava certo per verve.
Ma la stretta del ragazzo che le sedeva di fronte non era né una morsa tritaossa né un corpo morto.
Una stretta vigorosa ma gentile, decisa.
- Adam?- chiese lei per accertarsi di non aver capito male.
- Si. - confermò lui chiedendosi se non avesse dovuto inventarsi un altro nome. Il suo non era diffuso lì e magari avrebbe potuto accostarlo a quello di Fran.
Ma lei non disse niente.
Il barista portò loro le ordinazioni e li lasciò soli, in silenzio.
Cosa doveva dire?
Lei se ne stava seduta con un espressione piuttosto imbarazzata intenta a rimescolare il suo caffè amaro, il pantalone arrotolato che metteva in mostra il taglio sanguinante.
- Così tu fai jogging?- le chiese Adam giusto per spezzare quel silenzio imbarazzante.
Doveva essere abituato ad attaccare discorso con le ragazze, no? Insomma non aveva fatto altro per la maggior parte della sua vita!
- Oh, oh no! Non faccio jogging, io stavo venendo qui per il caffè.- spiegò lei.- Tu lo fai abitualmente?
- Si, tutte le volte che posso. La domenica mattina è un habitué. C’è sempre poca gente. In mia discolpa posso dire di non aver mai atterrato nessuno prima d’ora.- sorrise lui.
- Oh mi fa piacere.- rispose Rica, ricambiando il sorriso un po’ sconcertata.
Cosa aveva quella ragazza? Sembrava perplessa, sembrava.. Strana.
Lo guardava in un modo strano.
Che lo avesse riconosciuto?
Perché non dirlo allora?
Si sforzò di dire qualcosa, qualsiasi cosa, per alleviare quel silenzio insopportabile.
- Il caffè è buonissimo qui.- disse poi.
- Oh si Mario è un grande.
Niente. Il silenzio continuava a regnare incontrastato.
Maledizione.
Quella situazione, il fatto che fosse tutta una farsa lo mandava in confusione. Non riusciva a comportarsi normalmente.

Rica si agitò sulla sedia, continuando a girare il cucchiaino nella tazza.
Forse tanto valeva bere in fretta il caffè e mettere fine a quella situazione.
Si sentiva a disagio.
Il ginocchio sanguinante, i pantaloni della tuta macchiati, la felpa informe, i capelli per aria. Di fronte ad uno degli uomini più belli che avesse mai incontrato.
Non che avesse un secondo fine, non che volesse far colpo.
Questo no!
Aveva giurato di lasciar perdere quelle cose degli appuntamenti, degli uomini in generale. Tanto sapeva già come sarebbe andata a finire.
Quindi meglio evitare dall’inizio.
Però era pur sempre una donna e starsene seduta in un bar con un uomo del genere che riusciva ad apparire meraviglioso di prima mattina e con una maglietta blu scolorita, mentre lei era in uno stato pietoso, beh la metteva a disagio.
Trangugiò il caffè più in fretta che poté e si alzò, ignorando ancora una volta il bruciore al ginocchio.
- Allora.. Allora grazie per il caffè Adam. Ciao!
Se ne andava così? Subito? Cosa aveva quella ragazza che non andava?
Non poteva lasciare che finisse tutto così, doveva cercare di trattenerla o almeno parlarci ancora un po’.
- Ti posso accompagnare a casa?- le chiese prima ancora di rendersi conto che poteva sembrare strano che un tizio conosciuto pochi minuti prima si offrisse di accompagnare una donna a casa, ed infatti la vide aggrottare la fronte e scuotere la testa.
- No, sto bene grazie. Fa niente. Io vado..- disse lei indietreggiando verso la porta.
- Oh si, si certo! Ciao!- disse, per poi proporle un’altra “brillante” idea. - Vorrei invitarti a cena.. Per scusarmi intendo..
- Fa niente, davvero. E’ tutto ok. - lo salutò ancora con un gesto impacciato della mano e uscì dalla porta.
“Oh complimenti Adam, hai vinto il premio Miglior Maniaco Dell’Anno!”- si complimentò con sé stesso il ragazzo, rimasto solo.
Frugò nella tasca della tuta blu ed estrasse degli spiccioli che poi lasciò sul tavolo.
Non c’era che dire aveva proprio iniziato alla grande! E dire che con le donne non aveva mai avuto problemi. Era spigliato, simpatico, affascinate!
Quella situazione si era prospettata più difficile di quanto credesse.

Rica rientrò nell’appartamento zoppicando, proprio mentre Fran si stava alzando.
- Oh ma che cosa hai fatto? - le chiese la sua migliore amica, notando la ferita e i pantaloni sporchi.
- Un tizio mi ha travolta. Il tizio più favoloso che io abbia mai visto!- non riuscì a trattenersi dal dirlo.
Va bene che aveva giurato di non invischiarsi più in una situazione sentimentale ma era pur sempre una donna e quell’uomo era davvero favoloso!
- Dove? Come?- iniziò ad interrogarla Fran mentre lei frugava nel cassetto delle medicine per cercare disinfettante e cerotti.
- Vicino al parco! Mi è arrivato addosso e siamo finiti a terra. Mi ha fatto un male cane devo dire.
- Oh sembra interessante..- disse Fran ammiccando e pensando che forse poteva fare a meno dell’aiuto di suo cugino.
Ma in quel momento il suo cellulare emise un bip, cliccò sulla busta e comparve un messaggio di Adam.
“ Aggancio effettuato. L’ho travolta del tutto casualmente al parco. Credo anche di aver fatto la figura del tampinatore. Urge ripetizione. Subito, più tardi ho un incontro di lavoro!”
- No, non è interessante, non fraintendere, mi è sembrato un tipo abbastanza strano. Continuava ad insistere per accompagnarmi a casa e poi per portarmi a cena! Certo che i maniaci ormai sono ovunque.. Peccato che uno come lui sia un pervertito! Un vero peccato!- rifletté lei a voce alta, per poi accorgersi che l’amica sembrava non starla nemmeno ad ascoltare.- Ehi pianeta terra chiama Fran! Rispondi?
- Oh, oh si, si un vero peccato!- disse lei sobbalzando.- Devo andare. Mia madre ha degli ospiti per pranzo e devo aiutarla a cucinare.
- A quest’ora? Ma non sono nemmeno le sette!- protestò lei allibita.
- Oh si, lo sai com’è lei. Lo sai, è fissata e poi c’è da lucidare il servizio buono.. Insomma devo scappare!- replicò lei iniziando a infilarsi gli abiti e sparendo dopo averle lasciato un bacio frettoloso sulla guancia.


Eccoci con un nuovo capitolo, i nostri protagonisti hanno avuto un primo incontro "travolgente", in ogni senso e credo che non sarà nemmeno l'ultimo. : )
Che ve ne pare? Come sempre i vostri pareri sono graditi. A presto, Manu!

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Capitolo 7
*** Basta così! ***


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CAPITOLO VI: Basta così!

- Ti ha definito maniaco e pervertito! Mi spieghi cosa hai combinato?- chiese Fran non appena Adam aprì la porta.
- Oh buongiorno anche a te cuginetta! Si ho dormito bene, una favola. E tu?- rispose lui ironico continuando a passarsi l’asciugamano sui capelli bagnati.
- Buongiorno Adam. Dormito bene? Va bene così?- replicò lei, servendosi una tazza di caffè e accomodandosi al tavolo della colazione già apparecchiato.
- Benissimo. Serviti pure, non fare complimenti!
- Oh la pianti di fare lo sbruffone? Sono sveglia da circa otto minuti e ho appena appreso che hai mandato tutto all’aria prima ancora di cominciare! L’hai fatto di proposito vero?- lo aggredì lei, parandosi di fronte al cugino con aria bellicosa.
- Eh? Cosa? No! Non le sono finito addosso di proposito, è stato un incidente!- si difese lui alzando le mani in segno di resa.
- Non mi riferivo a quello! Stavo parlando del fatto che ti ha chiamato maniaco e pervertito!
- Mi sembra troppo affrettato come giudizio! Sono solo stato un po’.. diciamo.. Precipitoso!
- Si giusto un tantino. C’è una sola cosa positiva  in tutto ciò!- disse Fran con un’espressione furbetta.
- Cioè?- chiese lui poco interessato.
- Ti ha definito favoloso! Il che è già un’ottima cosa devo dire. Fortuna che sei belloccio, avresti mandato già tutto a monte se no!
- Ehi! Io non sono un belloccio!- protestò lui, smettendo di asciugarsi i capelli.
- Ok, ok! Ma devi convenire con me e ammettere che non hai fatto colpo su di lei per la tua acuta intelligenza ma piuttosto per quegli occhi meravigliosi che ti ha trasmesso tuo padre.
Adam scrollò le spalle e andò nell’altra stanza a vestirsi.
Avrebbe avuto un incontro di lavoro a breve.
Gente che era arrivata fin lì dal Canada, viaggiando di notte, solo per incontrare lui.
Non riusciva ancora a crederci.
Adam Roy, la stella nascente della letteratura canadese moderna.
Si lasciò sfuggire un sorriso soddisfatto e si infilò i pantaloni blu e la camicia bianca a sottili righe celesti.
Non troppo elegante, non troppo  sportivo.

- Allora mi dici cosa è successo adesso?- chiese Fran impaziente, non appena lui tornò in cucina.
- Te l’ho detto. Sono stato insistente. Ho pensato di approfittare della coincidenza fortuita ma sono stato un po’ troppo precipitoso.
- Che c’è cuginetto, perdi il tuo smalto da latin lover?- lo prese in giro la ragazza pescando con il cucchiaio il residuo di yogurt alla pesca dal barattolo che teneva in mano.
- Questo mai! Latin lover io, figurati!- si difese lui, sarcastico.- E’ che non sono un attore io, sono uno scrittore. Non sono in grado di recitare una parte.
Fran adorava suo cugino anche per questo.
Era bello come pochi altri uomini che lei avesse mai visto ma non era il tipo che se la tirava o che si vantava di avere avuto decine e decine di donne.
Fran sospettava che lui avesse avuto comunque una miriade di donne, considerando lo stormo di oche in adorazione che gli gravitavano perennemente attorno, ma mai lo aveva sentito riferirsi ad una di esse con parole poco rispettose.
Era una mosca bianca.
Una rarità.
Per questo ogni tanto quella notte gli era balenato in mente il pensiero che lo stava spingendo a comportarsi in un modo che non gli era naturale.
Aveva corrotto l’unico uomo che non prendeva in giro le donne.
“Magari ne viene fuori qualcosa di carino. Magari non è poi così sbagliato. In fondo Rica è una persona stupenda e chissà che da un gioco non possa nascere qualcosa di stupendo!”
Rinfrancata da quel pensiero, guardò il cugino con un sorriso smagliante, scuotendo la testa.
- Fa niente!- disse.
- Che c’è Fran? Quando hai quell’espressione lì, so già che non ne verrà fuori niente di buono!- Adam si sedette nella sedia accanto a lei, con espressione dubbiosa e preoccupata.
Non c’era niente che dire, suo cugino la conosceva davvero troppo bene e doveva fare attenzione.
Non poteva certo rivelargli che in quel momento aveva deciso di sfruttare quella situazione che aveva creato per farlo mettere con Rica davvero.
Se Adam avesse saputo del suo piano si sarebbe tirato immediatamente indietro.
Fran sapeva benissimo quanto lui odiasse le interferenze nella sua vita sentimentale.
C’era già sua zia, ovvero la madre di Adam, a macchinare piani e appuntamenti per accasare il suo figliolo.
- Non preoccuparti, non sto tramando nulla, o meglio nulla di pericoloso. Pensavo solo che potrei dirti qualcosa di Rica, in modo che tu possa trovarti preparato e studiare qualcosa ad effetto, quando sarà il momento.
- Si, questa non è un’idea malvagia.- fece lui sempre poco convinto. - Ma sono sicuro che non era a questo che stavi pensando prima. Avevi lo stesso sorriso da psicopatico di Jack di The Shining quando vuole tagliare in due la testa della moglie!
- Ohh guardi troppi film spaventosi tu! Sempre a fare congetture e a proposito di quel film è l’unico horror che piace a Rica. Vedi? Avete già molto in comune!
- Si come no! A tutti piace The Shining!- la liquidò lui scrollando le spalle.
- Non è vero! A me, ad esempio non piace!- protestò lei, indispettita dal tono del cugino.
- Andiamo avanti? Ho un appuntamento tra poco.
- Oh mi scusi “Signor Rivelazione della Letteratura moderna Canadese”.- lo prese in giro lei, sebbene fosse orgogliosissima dei successi, più che meritati che Adam stava riscuotendo negli ultimi tempi.- Allora, non so, da cosa posso cominciare?
- Non so. Le piace leggere?
- Giustissimo! Certo che le piace! Le piace da pazzi e, giusto per sottolineare quanto abbiate in comune, le piace anche scrivere! - esclamò Fran, entusiasta.
- Ho capito! Ho capito! Sei un’imbrogliona Fran! Una pessima imbrogliona!- esclamò Adam alzandosi in piedi e iniziando a camminare con le mani in tasca, come faceva sempre quando era nervoso.
- Che ho fatto?- chiese la ragazza, stupita.
- Vuoi incastrarmi! Tu non vuoi sollevare solo il morale della tua amica! Vuoi farmi mettere con lei! Davvero!- la smascherò lui, continuando a passeggiare avanti e indietro come un ossesso.
Fran spalancò tanto la bocca  che non si sarebbe stupita affatto se il mento si fosse appoggiato al pavimento.
- No, io no!- riuscì a blaterale lei, troppo stupita per riuscire a formulare una frase di senso compiuto che risultasse anche convincente.
- Si invece Fran! Si! Mi dispiace ma credo che dovremmo lasciare perdere ogni cosa. - Adam la guardò negli occhi.
Aveva lo sguardo corrucciato e sembrava davvero deluso.
Fran maledì la sua linguaccia, che la smascherava sempre, e il suo cervello che macchinava sempre e solo piani strampalati.
- No, Adam. Davvero non interferirò in niente. Lo giuro!- si affrettò a garantirgli lei.
- Basta così! Adesso devo andare. Chiudi la porta quando esci.
Senza aggiungere altro, afferrò le chiavi e il cellulare e se ne andò, lasciandola seduta al tavolo di cucina, troppo interdetta per dire o fare qualsiasi cosa.


In questa sabato sera ventoso, tappata in casa dalla bronchite(si so che è Estate, si so che fa caldo e normalmente le persone normali non hanno la bronchite in questo periodo, a parte forse le vecchiette, ma io ce l'ho), vi lascio questo capitolo. Che ve ne pare? Fran e Adam sono i protagonisti. Grazie mille a tutti quelli che leggono e recensiscono. Grazie mille. A presto. Baci. Manu.

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Capitolo 8
*** Pan per Focaccia! ***


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 CAPITOLO VIII:  Pan per Focaccia!

Adam camminava velocemente sotto il sole.
L’hotel che i suoi editori avevano scelto come location per il loro incontro era a pochi metri da casa sua.
Sperò che i pochi passi che lo separavano dal suo appuntamento lo aiutassero a ritrovare la calma.
Fran era una pazza.
Non solo gli aveva chiesto di prendere parte a quel piano stupido, che lui ancor più stupidamente aveva accettato di portare a termine, ma voleva addirittura incastrarlo.
Fran!
Lei sapeva di come le interferenze lo mandassero in bestia. Gli aveva parlato a lungo degli appuntamenti che sua madre gli combinava, degli scontri a cui questa smania di vederlo sposato aveva portato.
Aveva chiuso con quella storia.
Chiuso!
Definitivamente.
Aveva il suo lavoro a cui pensare.
Se ci pensava sentiva ancora i brividi che gli scorrevano lungo la schiena.
Brividi d’eccitazione, di entusiasmo, di aspettativa.
Aveva pubblicato due romanzi che contro ogni aspettativa avevano riscosso un enorme successo in Canada e ora i suoi editori volevano incontrarlo per parlargli di una proposta che avevano definito “stupefacente”.
Allungò il passo, desideroso di arrivare e di sapere di cosa si trattasse.
Salì i gradini che portavano all’entrata dell’hotel a due a due.
Si trovò davanti alla porta di vetro e ottone, allungò la mano verso la maniglia ma non fece nemmeno in tempo ad afferrarla.
Tutta la porta si catapultò verso di lui, travolgendolo e facendolo finire a terra lungo disteso.
La testa gli pulsava nel punto in cui l’ottone lucente lo aveva colpito, all’altezza della fronte.
Sentiva le orecchie fischiare e la vista che andava e veniva.
Qualcuno lo aveva messo al tappeto.
Qualcuno che adesso si era inginocchiato a fianco a lui, una mano a coprirsi la bocca, per lo shock, gli occhi spalancati per la paura e la costernazione.
Non poteva essere!
Era lei!
E gli aveva reso pan per focaccia!


Rica camminava velocemente sul marmo bianco, era furiosa.
Anzi furiosa era poco!
Subito dopo che Fran era andata via aveva ricevuto la chiamata del suo capo.
Nessuno si formalizzava a disturbarla di domenica mattina.
Infondo lei era l’ultima arrivata, quella che doveva sempre essere disponibile.
Poteva interrompere il suo giorno di riposo per andare all’Hotel Benni per intervistare lo chef che l’indomani avrebbe partecipato ad una gara di cucina regionale?
Ma certo che poteva!
Si lasciava infinocchiare sempre e come sempre finiva per pentirsene.
Quel cuoco era stato un villano, uno stupido, maschilista, ignorante e volgare cuciniere!
Non solo l’aveva fatta aspettare mezzora per poi arrivare con tutta la sua boria da presuntuoso omuncolo convinto che tutto il mondo girasse intorno a lui.
Ma dove pensava di essere? E soprattutto chi pensava di essere?
Non stava concorrendo per ottenere una stella Michelin, era uno stupido concorso regionale!
Aveva ignorato la sua antipatia per passare alle domande insulse e per nulla interessanti che il suo capo le aveva chiesto di fare.
L’uomo aveva risposto con tono affettato e viscido.
Aveva capito poi che si trattava di un quotidiano?
Non c’era nessuna telecamera!
Perché quel tono stucchevole e quelle pose da primadonna?
Quando alla fine dell’intervista lui si era allungato verso di lei, avvicinandosi con quel sorrisetto irritante, appoggiandole una mano sulla coscia lei non aveva resistito.
Era saltata giù dallo sgabello, infuriata, per poi uscire da quella cucina super accessoriata sbattendo la porta.
Non vedeva l’ora di andarsene da quel posto!
Che lo chef maniaco protestasse pure con il suo capo!
Spalancò la porta con rabbia e immediatamente si accorse che quella faceva resistenza, spostò la testa di lato e vide un uomo capitolare giù.
Lo aveva colpito!
Lo aveva beccato in piena fronte!
Gli corse vicino e si inginocchiò accanto a lui per accertarsi che stesse bene.
Lo shock che già la pervadeva, aumentò a dismisura quando riconobbe l’uomo sdraiato a pancia in su, con le mani premute sulla fronte e gli occhi spalancati per il dolore e lo stupore.

- Ancora tu!- esclamarono entrambi.
- Scusami! Scusa! Non ti ho visto.. Io sono mortificata!- balbettò Rica, passando dal bianco cadaverico, frutto dello spavento che si era presa, al porpora tendente al fucsia per l’imbarazzo. Gli appoggiò le mani sul braccio per aiutarlo a mettersi seduto.
Sulla sua fronte era ben visibile un bernoccolo rosso che iniziava a diventare violaceo ai bordi.
- Ti fa male? Sono così desolata, non so come sia potuto succedere! O meglio si è tutta colpa di quello stupido cuoco! Oh me la pagherà, il capo può arrabbiarsi quanto vuole io non..
La ragazza si zittì di colpo, rendendosi conto di star parlando troppo e troppo in fretta.
Adam continuava a restare in silenzio e ogni secondo che passava Rica si sentiva sempre più in colpa e più idiota.
- Credo di essere tutto intero.- disse lui infine, mettendosi seduto e tastandosi con le dita il bernoccolo.
Il dolore gli provocò un sussulto che, stoicamente, mascherò con un smorfia che doveva essere un sorriso.
In fondo non l’aveva presa poi tanto male no?
Rica sospirò sollevata.
Già immaginava la sua sfuriata, più che comprensibile.
Certo anche lui quella mattina l’aveva mandata ko, ma un conto era un ginocchio sbucciato, un altro era un trauma cranico!
Insomma avrebbe potuto rompergli la testa, lui avrebbe potuto perdere la memoria, entrare in coma, morire!
Interruppe il corso di pensieri fatalisti che gli stavano frullando per la testa, per raccogliere la cartelletta di pelle scura che lui aveva lasciato cadere dopo essere stato abbattuto, come un’anatra selvatica da un bracconiere, e lo guardò con aria preoccupata mentre lui si metteva in posizione verticale.
Sembrava piuttosto instabile, anche se continuava a sostenere di star bene.
Forse era il caso di abbassare la criniera e tornare in cucina, da quello stupido cuoco, per chiedere un po’ di ghiaccio e magari, gettare qualche cubetto gelato dentro i pantaloni di quel cafone assatanato.
- Va tutto bene. Davvero! Non fare quella faccia preoccupata! Adesso siamo pari! Confido nel fatto che la prossima volta che ci vedremo saremo entrambi in posizione verticale, senza ferite varie.
Il suo tono era allegro, rilassato e dopo aver finito di parlare sorrise.
Sorrise in un modo che la mandò in confusione.
Quello non era un sorriso.
Era un arma di distruzione di massa.
Era certa che tutte le donne nei paraggi fossero stramazzate al suolo a quella vista.
Lei lo avrebbe anche fatto se non fosse stata aggrappata saldamente alla porta d’ottone che poco prima lo aveva mandato al tappeto.
Un essere umano, fatto di carne e ossa non poteva, non doveva, essere tanto affascinate.
Semplicemente non ne aveva il diritto.
Ma si guardava mai allo specchio quel tizio?
Si rendeva conto dell’effetto fisico e soprattutto psichico che un sorriso come quello poteva avere sul 99,9% dell’universo femminile, Salamandra Axolotl inclusa?
Doveva essere vietato.
Ad un uomo come quello doveva essere vietato sorridere!
Pena una multa di migliaia di euro, anzi milioni, ma no facciamo pure una lunga detenzione in un carcere di massima sicurezza!
- Stai bene?- le chiese lui incerto, frenando i pensieri di lei che di nuovo avevano ripreso a galoppare freneticamente.
- Oh, si, si certo!- si sforzò di parlare anche se aveva la lingua incollata al palato.
- Bene, allora io andrei. Ho un appuntamento e sono piuttosto in ritardo.- disse lui scostando con un movimento del braccio il polsino della camicia per scoprire un grosso orologio d‘acciaio.
- Oh si certo. Certo! Ciao e scusami ancora.
- Scuse accettate!- sorrise di nuovo, provocandole ancora un lieve mancamento, e prese la cartella di pelle nera che lei gli porgeva.
Rica si allontanò su gambe malferme, sperando con tutto il cuore di non dover incontrare mai più quel tizio.
Non solo ogni volta che si incontravano succedeva un pasticcio, ma lui aveva il potere di farle perdere il controllo di quei due neuroni che le erano rimasti.
Era troppo.
I suoi occhi non erano abituati a tanta bellezza.
Era dannoso.
Si voltò a guardarlo per l’ultima volta. Lo vide attraversare la hall con passo sicuro ed elastico, nonostante fino a pochi minuti prima se ne stesse sdraiato sul marmo freddo, in stato confusionale dopo aver ricevuto la “signora delle botte in fronte”.
Ed ecco per voi un capitolo, stavolta ho fatto in fretta eh? Ringrazio sempre chi legge.. Siete tantissimi e io vi adoro tutti!!!! Grazie grazie! Se volete farmi sapere cosa ve ne pare ne sarei felicissima. A presto. Baci. Manu.

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Capitolo 9
*** Velocemente e con discrezione ***


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CAPITOLO XIX: Velocemente e con discrezione



Fran mi ripete da tre mesi, ovvero da quando ho rotto con Matteo, che sono in astinenza da uomini.
Lei dice che non si riferisce solo all’aspetto strettamente fisico del termine. Dice che mi sto disabituando ad avere una presenza fissa al mio fianco e a poco serve dirle che non sono mai stata abituata ad avere una presenza fissa al mio fianco.
Quanto è durata la mia relazione più lunga? Otto giorni? Dieci? Ah no vero, Matteo è durato ventitré giorni.
Niente è per sempre, dice lei.
Io dico che niente finisce finché il ragazzo di turno non si innamora perdutamente di qualcuno che io stessa gli ho presentato! Ma lungi da me, il pensiero di piangermi addosso. Lungi! Quanto mi piace questa parola! : )
Torniamo seri! Non posso parlargli del “quasi infarto” che mi ha colta alla vista del sorriso più stupefacente che io abbia mai visto!
Se lo facessi lei non la finirebbe più di spingermi a cercare quel tizio per conoscerlo meglio e io ho deciso.
Basta uomini.
Basta relazioni!
Ma poi come se un essere come quello potesse interessarsi a me! Figuriamoci! Sarebbe come se uno squalo si innamorasse un pesciolino rosso.
Lo squalo è stupendamente feroce e vive negli oceani.
Il pesciolino rosso è buffamente tenero e vive nelle bocce di vetro.

N.B: Originariamente dove cacchio vivono i pesci rossi? Avranno una Patria no?

In ogni caso. Cancellerò Adam dai miei pensieri, mi scorderò di quel sorriso e sarà come se non fosse mai esistito!

Rica chiuse rumorosamente il libro di pelle rossa e lo sistemò nel solito cassetto, stiracchiandosi e guardando pigramente l’orologio per decidere se era già ora di andare a letto o se doveva far finta di aspettare ancora un po’, giusto per non sentirsi una vecchia bacucca che va a letto alle nove.
In quel momento si ricordò che aveva promesso a Fran di accompagnarla nel suo giro per locali.
Sarebbe passata a prenderla entro un quarto d’ora e lei era ancora in tuta e con i capelli umidi e scombinati.
- Oh cavolo! Questa volta mi ucciderà! Mi ucciderà!
Si catapultò giù dallo sgabello, sul quale si era appollaiata, per infilarsi il primo jeans e la prima maglia che pescò dal cassetto.
Asciugò i capelli alla meno peggio e si truccò velocemente, in modo da mascherare la sua aria da fantasma.
I tre tocchi velocissimi alla porta annunciarono l’arrivo di Fran.
Aprì, felice di essere riuscita a farsi trovare pronta almeno una volta, ma la sua amica con poche parole riuscì a cancellare tutta la soddisfazione.
- Ma come ti sei vestita? Stiamo andando in un locale non al supermercato!
Rica amava vestirsi bene, come la gran parte delle donne, ma quando doveva uscire controvoglia, agghindarsi non le riusciva particolarmente bene, se poi aveva anche fretta il risultato era una maglia blu con Snoopy che abbracciava un enorme cuore rosso, un paio di jeans scoloriti e anche piuttosto sformati e delle scarpe di tela rossa consumata.
In effetti, pensandoci bene, non era il massimo, soprattutto se faceva il paragone con Fran che indossava un elegante e cortissimo vestito nero che la faceva sembrare ancora più alta e più bella di quanto non fosse già.
Lei non era certo il tipo da vestitino attillato ma poteva certamente fare di meglio.
- La verità è che mi sono ricordata di avere un appuntamento con te solo dieci minuti fa e ero talmente concentrata a non far tardi che non ho nemmeno fatto caso a cosa stessi indossando. Dammi cinque minuti e arrivo.
Sfrecciò nella propria stanza, ripassando mentalmente il proprio guardaroba alla ricerca di qualcosa di adatto da mettersi.

Rica si era allontanata da trenta secondi e Fran era già in azione.
Sapeva che si stava comportando male con la sua migliore amica ma sapeva anche che quando si metteva in testa qualcosa non riusciva a cambiare idea.
Sfiorò, con cautela il pomello del cassetto, in cui sapeva che lei teneva il suo diario segreto.
Strinse il metallo freddo tra due dita e tirò verso di sé.
Lo spesso diario rosso era lì, in bella mostra.
Lo prese, badando a non far frusciare le pagine e aprì sull’ultima.
Lesse velocemente e sorrise.
Così si erano incontrati di nuovo, e senza che lei intervenisse in alcun modo!
Il suo piano stava funzionando, almeno sul fronte Rica.
Lui l’aveva colpita molto.
Certo era solo un’attrazione fisica, ma visto che ancora non si conoscevano per niente era già un buon inizio.
Il vero problema restava convincere Adam a rientrare nel piano.
Mise tutto al proprio posto e si sistemò sullo sgabello esibendosi in un’espressione imperturbabile.
La sua migliore amica ritornò nella stanza con un abbigliamento decisamente più adatto.
Jeans scuri e stretti, maglia a pipistrello nera che le lasciava scoperte le braccia e il decolleté, senza risultare volgare.
Fran pensò che quell’abbigliamento rappresentava a pieno il carattere delle sua migliore amica, semplice ma elegante, ingenua ma sensuale.
Solo che non se ne rendeva conto.
Era questo il problema.
Era troppo timida per lasciarsi andare completamente.
- Sei perfetta! Andiamo? Sei riuscita comunque ad essere in ritardo!
Rica sorrise e seguì l’amica, dopo avergli fatto promettere che non avrebbero fatto troppo tardi.
Secondo i piani aveva pensato di far rincontrare Adam e Rica quella sera, ma dopo la discussione di quella mattina non aveva avuto il coraggio di chiamare il cugino, temeva che fosse ancora arrabbiato e se c’era un difetto che Adam aveva, quello era la testardaggine.
Aveva il terrore di sentirsi dire che la sua decisione era definitiva, proprio come in quel quiz televisivo.
Sfidando il tutto per tutto decise di mandargli un messaggio.
“Dobbiamo parlare. Ti aspetto al pub all’angolo tra Piazza Dante e via Amerigo Vespucci.”
Dopo aver premuto il tasto di invio, spense il telefono, sperando che lui non se la prendesse troppo.
Stava cercando di nuovo di incastrarlo e senza dubbio non ne sarebbe stato contento, ma ormai era fatta ed era certa che ne valesse la pena.
Per Rica, per Adam.
Anche se aveva detto al cugino che non aveva intenzione di farli mettere davvero insieme, più ci pensava più giungeva alla conclusione che era un piano perfetto.
Loro due erano perfetti!
Doveva solo riuscire a farglielo capire e soprattutto a non far sospettare loro che c’era di mezzo il suo zampino.
Facile a dirsi, decisamente meno a farsi!


Il locale era scuro, come sempre.
Rica lo detestava ma Fran lo adorava e nonostante le sue proteste finivano sempre per passare le loro serate libere lì.
Aveva fatto l’abitudine a quel posto ormai.
La cameriera, una ragazza molto carina con cui ormai avevano stretto amicizia li accolse sorridendo.
- Oh bellezze! I soliti due Angeli Azzurri?
- Tu sei il mio Angelo, Giorgia! Fai il più in fretta che puoi, ho bisogno di alcol!- sorrise Fran accomodandosi sull’altissimo e scomodissimo sgabello laccato di bianco.
Chiunque avesse ascoltato i discorsi della sua amica l’avrebbe sicuramente scambiata per un’alcolista.
In realtà Fran beveva molto poco e solo quando si sentiva particolarmente stressata.
- Allora dimmi cosa ti preoccupa! E’ da ieri che dici di aver bisogno di alcol. Che è successo?
Fran sorrise all’amica, che poi era la sorella che non aveva mai avuto.
Non c’era niente da dire, la conosceva troppo bene!
L’importante era non farle capire il reale motivo per cui era stressata.
Come poteva dirle che stava tramando affinché si mettesse con suo cugino?
- Oh, niente! Le solite cose! Il lavoro.. Marco! Tutto al solito. Purtroppo.- disse pensando che in fondo non stava mentendo.
Davvero al lavoro la facevano impazzire e anche Marco la faceva impazzire! In ogni senso!
- Quando ti deciderai a chiudere con quello lì?- le chiese lei bonariamente.
Da quando la relazione tra Fran e il suo datore di lavoro era iniziata Rica si era schierata contro quell’unione, seppure con discrezione.
Marco era indubbiamente un uomo molto affascinante, con quei capelli biondi sempre curati e i luminosi occhi azzurri.
Ma aveva un difetto.
Un grossissimo difetto.
Era sposato.
Non che Rica si ritenesse una bacchettona, ma quel tipo di relazione non gli andavano a genio.
Si finiva solo con lo stare male e in effetti Fran stava male.
Da due anni andavano avanti a tira e molla.
Liti furiose seguite da grandi riappacificazioni, serate in solitudine e incontri clandestini.
Era un inferno e Fran lo sapeva.
Ma era più forte di lei.
A differenza di Rica, Fran era sempre stata fortunata in amore, nel senso che si era sempre innamorata di uomini che ricambiavano.
Per tutti gli anni del liceo era stato con un loro compagno, poi la relazione era finita e lei aveva incontrato Stefano con cui era stata tre anni, quando poi Stefano era partito come volontario con i Medici senza Frontiere, chiudendo la relazione lei aveva incontrato Marco, iniziando la relazione più travagliata e più sbagliata della sua vita.
E lei lo sapeva.
Ma si sa che il cuore e la ragione sono opposti e si era trovata innamorata di un uomo che nonostante giurasse e spergiurasse di voler lasciare la moglie, che non aveva mai amato a detta sua, continuava a rimandare all’infinito.
- Prima o poi lo farò, purtroppo. Non credo che ci siano alternative.- disse piano scrollando le spalle e nascondendo coraggiosamente la malinconia che l’aveva assalita.
L’amore può essere così crudele alle volte.
- Su, non ci pensare adesso, godiamoci la serata.-la rincuorò Rica, accarezzandogli una mano e scuotendola dal suo torpore.
- Ma certo..
Alzò il viso verso l’amica con un sorriso che però fu congelato alla vista dell’uomo che stava entrando dalla porta del locale.
Suo cugino!
Aveva fatto in fretta e lei si trovava impreparata.
Certamente sarebbe esploso vedendola con Rica e se la sua amica si fosse accorta che lei conosceva il suo misterioso sconosciuto avrebbe iniziato a fare troppe domande.
Doveva andarsene, velocemente e con discrezione.
- Io vado un attimo alla toilette..
Senza dare il tempo all’amica di replicare, afferrò la borsa e schizzò via.

Ciao a tutti!! Come va? Scusate il ritardo ma è priodo d'esami e sono molto molto stressata! Odio gli esami! T.T
Che ve ne pare del capitolo? Nel prossimo incontreremo di nuovo il caro Adam e vedremo se ne verranno fuori altri disastri. Il numero di chi legge la storia, l'ha aggiunta ai preferiti, alle ricordate e alle seguite è vertiginoso e io ne sono lusingata. Grazie a tutti. Grazie anche a chi commenta. A presto(esami e stress permettendo.) Baci. Manu!

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Capitolo 10
*** Angeli caduti ed ex pervertiti! ***


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CAPITOLO X: Angeli caduti ed ex pervertiti!

Adam entrò nel locale con un sorriso.
L’incontro di quella mattina con i suoi editori era stato un successo.
Meglio di ogni sua più rosea aspettativa.
Era talmente felice che aveva deciso di perdonare la cugina, senza ulteriori discussioni.
Perlustrò il locale con lo sguardo ma non la vide da nessuna parte.
Forse non era ancora arrivata.
Si guardò di nuovo intorno, alla disperata ricerca di un tavolinetto libero, ma dovette arrendersi, erano tutti occupati.
Osservò la lunga fila di sgabelli sistemati davanti al bancone, già rassegnato a rimanere in piedi, quando vide che non troppo distante da lui ce n’era uno libero.
Si accorse che dall’altro lato della stanza un altro ragazzo aveva puntato il posto e si stava avvicinando facendosi largo tra la gente.
Si mosse velocemente, urtando qualcuno ma riuscì a sedersi appena un secondo prima che l’altro arrivasse.
Sorrise soddisfatto e si girò verso la persona con cui aveva urtato per chiedere scusa.

Non poteva essere.
In quella città c’erano almeno duecentomila persone e come era possibile che lei si imbattesse proprio in lui per la terza volta nell’arco di una sola giornata?
Quante possibilità c’erano che accadesse?
Rica non era molto brava in matematica e il calcolo delle probabilità non era certo il suo forte, ma era più che certa che non dovevano essere poi molte.
Sentiva il liquido ghiacciato del suo cocktail che stava penetrando attraverso i jeans bagnandole le gambe.
L’aveva urtata, sedendosi e il suo Angelo azzurro si era tuffato oltre il bordo della coppa di vetro, atterrando sui suoi pantaloni, con il risultato che adesso aveva la faccia da pesce lesso per lo stupore, il bicchiere vuoto, la gola secca per la sete e puzzava come una distilleria.
- Ica!- esclamò lui che evidentemente era sorpreso quanto e più di lei.
- Mi chiamo Rica..- balbettò lei troppo confusa per dire altro.
- Oh si scusami! Ci incontriamo, o meglio ci scontriamo ancora. E ancora una volta è colpa mia. Mi dispiace molto. Cosa stavi bevendo?- le disse lui con quel sorrisoche avrebbe ammaliato anche il più ammaliatore dei serpenti.
- Un Angelo azzurro.- rispose lei, ancora in trance.
Vide che il ragazzo si sporgeva verso Giorgia, la cameriera, per ordinare altre due cocktail.


Adam osservò la ragazza che le sedeva accanto realizzando che quel loro incontro non era una casualità come i precedenti.
Fran gli aveva detto di raggiungerla lì, lui era andato e aveva trovato la sua migliore amica.
Di lei nessuna traccia.
“Che razza di imbrogliona!”. pensò, senza però riuscire a trattenere un sorriso.
Non c’era che dire era caparbia!
Nonostante l’idea di essere coinvolto in quel piano gli desse fastidio non riusciva a non provare ammirazione per quella pazza di sua cugina che quando si metteva in mente qualcosa lottava per raggiungere il suo obiettivo.
- Sei da sola?- chiese alla ragazza che gli sedeva accanto, nonostante conoscesse già la risposta.
- No, c’era una mia amica, ma si è volatilizzata..- disse lei guardandosi intorno.
Un bip fuoriuscì dalla borsetta di lei.
La vide afferrare un cellulare e leggere, scuotendo la testa contrariata.
- Problemi?- chiese.
Sicuramente era Fran che accampava qualche scusa per lasciarli soli.
Per un secondo l’idea di raccontare tutto a Rica e di smascherare quella bugiarda patentata gli solleticò la mente ma poi decise di lasciar perdere.
Sicuramente ne sarebbe nata una lite e lui ne voleva essere la causa.
- La mia amica mi ha mollata qui! - disse lei arrabbiata.
Adam non ne aveva dubbi, quando anche il suo cellulare emise un bip, non ne fu affatto sorpreso.
“Ti prego, ti prego, ti prego, non arrabbiarti cuginetto! E’ una giusta causa! Giuro di non interferire più!”
Il ragazzo infilò il cellulare nella tasca posteriore dei jeans senza degnarsi di rispondere.
Che cuocesse pure nel suo brodo per un po’, le avrebbe solo fatto bene!

L’aveva mollata lì senza una parola e se n’era andata!
Era scema o cosa?
E tutto perché Marco l’aveva chiamata e l’aveva scongiurata di andare a casa sua!
Quella storia doveva finire, una volta per tutte!
Osservò di sottecchi il ragazzo che sedeva accanto a lei, le braccia incrociate sul bancone, coperte da un leggero giubbino di pelle nera, i capelli scarmigliati.
Era di profilo e non riusciva a vedere i suoi bellissimi occhi blu.
Lo vide pescare il cellulare dalla tasca e leggere dapprima contrariato, per poi sciogliersi in un sorriso.
Una ragazza?
Ovvio! Quelli come lui dovevano avere decine di ragazze che gli scrivevano cose carine!
Distolse lo sguardo per incrociare quello di Giorgia che depositò i bicchieri pieni di liquido azzurro, per poi strizzarle un occhio in segno di approvazione e allontanarsi, richiamata dagli altri assetati.
- Ti ringrazio, per il cocktail.- disse lei iniziando a sorseggiare la bevanda.
- Di niente! Sono stato io a versarlo.
- Tu sei da solo?- gli chiese lei, giusto per dire qualcosa.
- Si, la persona con cui avevo appuntamento ha avuto un contrattempo.
- Capisco. Come è andato poi l’appuntamento di oggi?- chiese lei, l’alcol iniziava a scioglierla e si sentiva più a suo agio.
- Molto bene.- un sorriso da un orecchio all’altro gli illuminò il viso e lei si ritrovò a sorridere di rimando.
- Allora sono ancora più felice di non averti messo definitivamente Ko!
- C’è mancato poco!- scherzò Adam, sfiorandosi il bernoccolo, coperto da alcune ciocche nere.
- Cavolo! C’è mancato poco davvero!- mormorò sporgendosi ad osservare la protuberanza violacea che lui aveva sulla fronte.
- A te è passata l’arrabbiatura?
- Se non ci penso si! Stupido di un cuoco!- esclamò ripensando a quell’uomo odioso.
- Cosa ti ha fatto?- le chiese interessato e divertito al tempo stesso.
- E’ un maniaco! Guarda non farmici pensare! E dire che ho dovuto comunque scrivere quello stupido pezzo su di lui!
Il redattore non aveva voluto sentir ragioni, l’articolo doveva essere sul giornale dell’indomani, toccatine o no!
- Fai la giornalista?
- Si.- annuì lei.
- Lavoro interessante.- replicò il ragazzo, gentile.
- Oh si lo è senza dubbio! Quando ti fanno scrivere di cose intelligenti o che almeno interessano a qualcuno sarà di sicuro interessante! Quando ti fanno scrivere solo di cuochi maniaci, sagre delle cose più svariate o le classifiche delle gare di nuoto dei bambini è solo una noia mortale!- fece lei ironica, sorseggiando il suo cocktail.

Adam ascoltò quella ragazza che parlava con tono spigliato e ironico e scoppiò a ridere.
Aveva un modo di parlare e di gesticolare che gli sembrava molto familiare, era come e la conoscesse da tanto tempo.
Forse perché era amica di Fran.
Lei si unì alla sua risata.
- Tu invece che lavoro fai?
Adam smise di ridere, pensando a cosa rispondere.
Non poteva dirgli che faceva lo scrittore.
Senza dubbio avrebbe capito che era il cugino di Fran.
- Sono un traduttore.- improvvisò.
D’altra parte non era poi del tutto sbagliato.
I suoi editori quella mattina gli avevano proposto di far uscire i suoi libri anche in Italia e Adam si era offerto di curare lui stesso la resa in italiano.
Era un progetto che lo entusiasmava e lo riempiva d’orgoglio.
Prima perché lo avrebbe fatto conoscere in quella che considerava la sua Patria e secondo avrebbe lavorato lui alla traduzione dei libri, senza interventi esterni.
- In effetti hai un accento strano. Non sei italiano?- chiese lei curiosa.
- No, sono per metà Americano.- disse, anche se ogni buon canadese rifiutava di definirsi in quel modo.
I canadesi erano canadesi e basta.
- Capisco. Ti piace il tuo lavoro?
- Moltissimo!- disse lui entusiasta.

Rica guardò il lampo di soddisfazione che era comparso negli occhi del ragazzo quando gli aveva chiesto del suo lavoro.
Doveva essere gratificante ed eccitante fare ogni giorno qualcosa che entusiasmava e che rendeva orgogliosi.
Anche lei ai tempi dell’università aveva tanti sogni e tantissime aspettative.
Ormai erano solo miraggi.
Forse se solo fosse stata più forte, se avesse insistito in quel momento avrebbe avuto la stessa soddisfazione di Adam ad illuminargli lo sguardo.
Ma con i se e con i ma non si andava avanti, lo sapeva.
Abbattersi poi era da stupidi e lei si rifiutava di farlo.
Prima o poi avrebbe trovato il modo per realizzare i suoi progetti.
Per diventare scrittrice non c’erano limiti d’età e lei in qualche modo, prima o poi, ce l’avrebbe fatta.

- Hai mai pensato di cercare lavoro altrove?
Rica lo guardò con un sorriso stupefatto.
Era come se le avesse letto il pensiero.
- Ci ho provato.- iniziò stringendosi nelle spalle.- Ma non ha funzionato. Ho resistito solo tre mesi lontana da qui. C’è gente che nasce per partire, altra per tornare. Questa è casa mia.
Magari avrebbe pensato che lei fosse una provincialotta attaccata morbosamente alle proprie abitudini e alle proprie radici, ma non le importava.
Lei lo era davvero e ne era orgogliosa.
Adam invece annuì, comprensivo.
- Anche io ho un legame molto forte con questa città. Ci ho passato solo le estati ma mi sono sempre sentito come a casa mia. Capisco che andarsene sia stato difficile.
- Già.
La ragazza scrollò le spalle e mascherò la malinconia con un sorriso.
Almeno qualcuno la capiva.
La sua famiglia le aveva dato della fallita e della comodista.

Adam lesse il lampo di tristezza negli occhi della ragazza e ne fu incuriosito.
Avrebbe dovuto chiedere a Fran il perché di tanta malinconia, sicuramente c’era qualcosa sotto.
Ma proprio nel momento in cui formulò quel pensiero si rese conto di essersi fregato con le proprie mani, anzi con i propri pensieri.
Aveva deciso di lasciar perdere quella faccenda e invece ci si era ritrovato dentro con tutte le scarpe.
Sua cugina era riuscita nel suo intento.
Voleva portare a termine quel piano.
Non sapeva perché ma voleva aiutare quella ragazza, ammesso che ne fosse stato capace.

- Vedrai che prima o poi si decideranno a farti scrivere di qualcosa di più stimolante. Un  po’ di gavetta è normale.- la incoraggiò lui, sorridendole.
- Oh si certo. Una gavetta che va avanti da nove mesi, ma come dice il mio capo “ Sono già immensamente fortunata a far parte di questa grande famiglia che è Informare Oggi!”- Rica sollevò il bicchiere in un brindisi e imitò la voce nasale del suo redattore.
Adam rise di nuovo facendo tintinnare la coppa contro la sua.

Rimasero a chiacchierare del più e del meno per un altro po’, poi Rica si accorse che si era fatto tardi e si alzò dallo sgabello.
- Credo che si sia fatta l’ora di tornare a casa per me.
- Oh si vado anche io.
La ragazza si incamminò verso l’uscita del locale che era strapieno e quando riuscì a raggiungere l’aperto sorrise.
- Non sono più quella di una volta, un tempo fare le ore piccole e alzarmi presto l’indomani non mi spaventava!
- Eh beata gioventù!- ridacchiò lui.- Guarda che così sembriamo due pensionati.
- Ah ah. Spiritualmente ci manca poco guarda. Almeno per quanto riguarda me. - Scherzò lei.
Lei iniziò a camminare lungo il marciapiedi, cercando con lo sguardo di scorgere un taxi tra la fila di macchine che stava sopraggiungendo.
Lui le camminava accanto, con le mani in tasca e la fronte corrugata.
- Se ti offro un passaggio, mi dai di nuovo del pervertito?- le chiese alla fine, senza rendersi conto di aver commesso l’ennesima gaffe.
- No, io.. Io non ti ho dato del pervertito.- avvampò lei, voltandosi a guardarlo sorpresa.
Ovvio che gli aveva dato del pervertito. Ma lui non poteva saperlo no?
Maledetta la sua faccia troppo espressiva che lasciava trasparire i suoi pensieri!
- Oh so che non l’hai fatto!- si riprese lui.- Ma lo avrai pensato. Io stesso mi sarei dato del pervertito al tuo posto. Non volevo essere insistente. Volevo solo scusarmi per l’incidente.
Lei si rilassò pensando che se quella mattina lui le aveva fatto una pessima impressione quella sera aveva guadagnato molti punti.
“ Alt Rica, ferma! Cosa hai pensato!! Lui non deve guadagnare punti! Lui non ti interessa affatto!!”- si redarguì mentalmente, ricordandosi della promessa che aveva fatto a sé stessa il giorno prima.
- Allora, posso accompagnarti? Ho la macchina qui dietro l’angolo e girare di notte da sola è pericoloso. Ci sono un mucchio di pervertiti veri in giro!- le disse lui distraendola dai propri pensieri.
- Ok. - acconsentì lei, dicendosi che in effetti non aveva poi tutti i torti.
Il viaggio verso casa sua fu breve, le strade erano quasi completamente libere e ci misero solo pochi minuti a raggiungere le villette a schiera in cui abitava.
- Ti ringrazio per il passaggio, per il drink e per la chiacchierata.
- E io ti ringrazio per esserti ricreduta sul fatto che io fossi un pervertito. Sai com’è certe cose posso ledere irrimediabilmente l’autostima.- le disse, fingendosi preoccupato.
- Oh figurati. Sono contenta di sapere che c’è un maniaco in meno in circolazione.- disse lei, rispondendo con il suo stesso tono scherzoso.
- Alla prossima allora. Sperando che non sia un altro incidente frontale.- la salutò lui porgendole la mano che lei strinse prima di scendere.
- Ciao.
Aprì il portoncino ed entrò in casa sentendo il motore della sua auto allontanarsi.


Ed eccoci qua! Oggi sono un gradino più in alto verso la laurea e ho pensato di potermi permettere di pubblicare un nuovo capitolo. Come sempre a leggere siete tantissimi e vi ringrazio tutti! :* Se qualcuno volesse darmi un parere spassionato però non ci resterei affatto male eeh!!! A presto, spero. Baci, Manu!
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Capitolo 11
*** Bambine sovversive e gatti abusivisti! ***


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CAPITOLO XI: Bambine sovversive e gatti abusivisti!

Dopo una lunghissima ed estenuante giornata di lavoro, in cui aveva assistito all’allestimento della Sagra del Cetriolo e alla Staffetta della Scuola media Garibaldi, finalmente Rica tornò a casa con l’unico intento di farsi un bagno lunghissimo e rilassantissimo, con quel nuovo bagnoschiuma al Cocco che le aveva regalato Fran qualche giorno prima, per poi fiondarsi sul divano in compagnia di uno dei film che aveva preso a noleggio dalla videoteca di fronte al Giornale.
Non aveva nemmeno fatto in tempo a mettere un piede dentro il suo appartamento che una palla di pelo grigio argento si era infilato nello spiraglio della porta per sparire come un fulmine dentro casa.
- Tommy!- urlò, tentando di richiamare quello stupido gatto.
- Tommy!!!- la vocetta di Bianca si unì alla sua, del tutto inutilmente.
Quando quel gatto decideva di accamparsi in casa sua non c’erano richiami che servissero.
- Vorrei capire perché il tuo gatto si è fissato con il volersi trasferire in casa mia!- disse alla bimba che intanto l’aveva raggiunta nell’appartamento.
- Forse anche lui si è stancato di me e vuole andarsene via.- mormorò la piccola.
Rica si voltò a guardare la bambina, stupita dalle sue parole e dal suo tono triste.
- Cosa succede? Perché dici così?- le chiese passandole un braccio sulle spalle.
Non aveva mai visto la bambina in quelle condizioni, era sparito il sorriso furbo dalle sue labbra e i suoi occhi erano due pozzi profondi, pieni di lacrime.
- La mamma se ne è andata.- disse lei semplicemente.
- Andata dove?- chiese lei stupidamente, troppo sconvolta dalla notizia e dalla sofferenza della bambina.
- Non so, via. Ha detto che non voleva più stare con noi. Con papà, Tommy e.. e me.
La bambina pronunciò l’ultima parola con un singhiozzo ma la vide stringere i pugni e trattenersi.
Conosceva Bianca e la sua famiglia da quando si era trasferita in quel quartiere, dieci mesi prima e le erano sembrati l’emblema della perfezione.
Due genitori, giovani, belli, innamorati e una bambina dolcissima e felicissima con un gatto che occupava abusivamente la sua casa.
Invece in quel momento tutto le appariva al contrario, a parte il gatto abusivo ovviamente, i suoi vicini dovevano avere dei grossi problemi e Bianca era tutt’altro che felice.
- Vedrai che ritornerà.- cercò di consolarla, non sapendo bene che dire.
- Ha detto di no. - si limitò a replicare lei, avviandosi verso la sua camera da letto alla ricerca di Tommy.
Rica mosse i primi passi per seguirla e tentando di trovare delle parole appropriate per cercare di rasserenare la bambina ma il campanello la fece tornare indietro.
- Si?
- Scusami Rica, mia figlia è qui? C’era la porta aperta e..- iniziò Carlo, il padre di Bianca che aveva un’aria preoccupata e infinitamente stanca.
- Si, si non preoccuparti. Tommy ha deciso di accamparsi di nuovo sotto il mio letto. Vuoi entrare?- gli chiese lei con un sorriso, anche se iniziava a sentirsi a disagio in quella situazione.
Per lei Carlo e sua moglie Eva erano la coppia felice per eccellenza e invece..
- No.. No io… devo andare.. Ho un viaggio di lavoro e devo passare a lasciare Bianca dai miei.. Eva.. Ecco lei…- l’uomo sembrava sul punto di crollare in una crisi di nervi, la voce si faceva sempre più strozzata e le mani erano diventate livide a furia di stringersi.
- Bianca me lo ha detto.- disse lei gentilmente cercando di alleviargli la fatica.
Doveva essere dura per lui. Durissima.
- Ah.. Io.. Capisco.- disse infine, svuotato come una bambola di pezza rotta.
- Ti chiamo Bianca.
- Tommy non vuole venire e io non me ne vado senza di lui.- urlò la bambina dalla stanza da letto.
La raggiunsero in camera e la trovarono barricata sotto il letto insieme al suo gatto.
- Bianca per favore, dobbiamo..
- No!- urlò la piccola, furiosa.
Rica guardò Carlo, sempre più imbarazzata.
Non era più l’uomo sorridente e scattante che aveva conosciuto fino al giorno prima.
Sembrava un manichino, rigido e pallido.
- Bianca se Tommy non vuole andarsene possiamo farlo restare qui. Me ne occupo io. - propose lei, cercando di aiutare quel povero padre disperato.
- No! Io non abbandono Tommy!
L’uomo al suo fianco sussultò, riconoscendo nel tono della figlia tutta la rabbia nei confronti della madre.
Gli fece cenno di seguirla di là.
- Se vuoi posso tenerla io finché non ritornerai dal tuo viaggio.
- No Rica, ti ringrazio ma non voglio davvero crearti disturbo, già quel gatto te ne combina di tutti i colori.- protestò lui sempre più teso.
- Non è un problema, Carlo, davvero. Credo che le farebbe bene restare qui. E’ ancora sconvolta.- replicò lei gentilmente.
L’uomo si sedette sul divano massaggiandosi la fronte con una mano.
- Lo sono anch’io. - bisbigliò alla fine.
- Lo capisco e mi dispiace molto. Davvero và pure, penso io a lei. - insisté lei.
- Sei sicura? Starò via una settimana intera guarda.
Rica vacillò, pensava che fosse meno tempo, ma ormai aveva dato la sua parola e voleva davvero dare una mano a quei due. Anzi tre visto che c’era anche lo stupido gatto.
- Sono sicura.- confermò lei.
- Allora vado a salutarla e poi ti lascio la sua roba che avevo già preparato per portarla dai miei.
Passò nell’altra stanza e lei lo sentì parlare senza però ottenere risposta.
Ne uscì ancora più abbattuto di prima.
Tornò nel proprio appartamento, poi ricomparve con una valigia viola che conteneva la roba della bambina.
- Ti lascio anche le chiavi, in caso dovesse servire altro, non sono pratico con le valige, era sempre Eva a farle..- la voce gli morì in gola.
- Non preoccuparti. Ce la caveremo.
- Ok. Sai dov’è la sua scuola materna no? Gli orari?
Lei annuì e Carlo la ringraziò di nuovo prima di andarsene.
“ Se le cose non sono andate bene per Carlo e Eva che sembravano la coppia perfetta come possiamo noi, comuni mortali pensare di riuscirci?”
Si chiese lei, arrivando alla conclusione che il suo piano di restare single a vita era perfetto.

Riuscire a convincere una bambina e un gatto a venire fuori da sotto un letto doveva essere la cosa più difficile al mondo.
Altro che ingegneria aerospaziale e complicatissimo e sofisticatissimi calcoli matematici.
Stava tentando di corrompere quei due in tutti i modi ma non c’era verso!
- Ti porto al cinema!
- No!
- A mangiare la pizza!
- No!
- Il gelato!
- No!
- Al Luna Park!
Per qualche secondo regnò il silenzio e Rica si preparò ad esultare mentalmente ma poi, perentorio arrivò il solito:
- No!
La ragazza si lasciò andare sulla poltrona, sfinita.
Era quasi un’ora che tentava quei due con tutte le proposte più allettanti che le venivano in mente ma niente, non ne volevano sapere di venire fuori!
- Bene allora vuol dire che io me ne andrò di là a vedere un film.
La bambina non replicò e lei passò nell’altra stanza accendendo la tv.
Era proprio vero che se smani per una cosa dovrai penare per ottenerla e se invece fingi di non badargli la ottieni all’istante.
Cinque minuti dopo infatti, bambina sovversiva e gatto abusivista la raggiunsero sul divano, iniziando a guardare l’Era Glaciale 3 senza proferire parola/ miagolio.
- Anche papà se ne è andato. Adesso lui mi lascerà dai nonni e se ne andrà per sempre anche lui.- mormorò la bambina d’un tratto.
- Ma no Bianca! No! Papà è partito per lavoro. Lunedì prossimo sarà qui.
- Me lo prometti?
- Certo che te lo prometto!- disse lei con enfasi.
- Bene allora possiamo andare al Luna Park.
La bambina si alzò dal divano e raggiunse la sua roba, afferrò un giubbino e se lo infilò.
Rica rimase a guardarla sbalordita.
- Allora ti sbrighi? - la incalzò lei vedendola ancora seduta sul divano.
- Si si andiamo!- acconsentì lei scoppiando a ridere.

Ciao come va?? Spero meglio che a me.. Tra esami, richiesta tesi, iscrizioni con riserva o no, istinti omicidi verso i segretari della Facoltà, professori fantasmi, esami rinviati, libri infiniti e incomprensibili, Marx, Mill, la Democrazia in America, L'Italia da salvare o non salvare, La democrazia che c'è o non c'è, convegni inutili, caldo soffocante e treni puzzolenti è una vitaccia. Così ho deciso di mollare per un secondo i libri e di postare questo capitolo che comunque avevo scritto già da tempo. So che non c'è Adam, nè Fran e che questo capitolo sembra fuori dalla storia ma questi due personaggi, anzi tre visto il gattaccio pestifero, saranno fondamentali nella storia e li ho voluti presentare per bene. Che ne dite? Come sempre un grazie infinito a chi legge, recensisce, ha aggiunto la storia a preferite, ricordate e seguite, siete davvero una marea e non mi sarei mai aspettata tanto. Ne sono più che onorata! :) Se vi va di farmi sapere ancora cosa ve ne pare io ne sarei felicissima. Grazie a tutti. Baci. Manu!

Ah eccovi le foto:

BIANCA
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CARLO
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Capitolo 12
*** Caos, mammine e linguacce! ***


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CAPITOLO XII: Caos, mammine e linguacce!

Fran scese dall’auto e iniziò a frugare nella borsa alla disperata ricerca delle chiavi di casa agganciate al portachiavi a forma di maialino.
- Maledette borse! Nascondono sempre tutto!
Si immerse con la faccia nella sacca di pelle marrone, imprecando contro il proprio disordine quando una voce alle sue spalle la fece trasalire.
- Oltre alle chiavi hai perso il cellulare, ti chiamo da un’ora!
La borsa le sfuggì di mano, rovesciandosi sull’asfalto, le chiavi attaccate al maialino di gomma schizzarono fuori.
- Adam! Mi hai fatto prendere un colpo!- si indignò lei.
- Almeno hai trovato quello che cercavi.- disse lui, raccogliendo la borsa e porgendole il mazzo di chiavi.
Entrarono nel caotico appartamento di Fran, ovunque c’erano vestiti, giornali e libri.
- Quando ti deciderai a sistemare questo manicomio Fran?- disse lui togliendo una pila di quotidiani da una sedia e sedendosi.
- Io sto bene così. Non è sporco, è solo che non è ordinato secondo i canoni classici.
Adam scoppiò a ridere.
- Tu non sei normale, ragazza, non lo sei per niente!
- Oh si su questo posso anche darti ragione.- fece lei, con un gesto vago della mano e accomodandosi sul bordo del tavolo.- Mi dici il perché di questa tua visita improvvisa e amichevole o devo dedurre che mi hai perdonato?
- Non te lo meriteresti e lo sai. - la ammonì lui.- Ma per mia sfortuna non sopporto di tenerti il broncio e non riesco nemmeno a non reggerti il gioco.
Fran balzò giù dal tavolo e gettò le braccia al collo del cugino.
- Vuol dire che lo farai? Lo farai?
- Oh risparmia queste scenate, sai benissimo che lo farò. - disse Adam provando a sottrarsi all’entusiasmo di quella pazza.- Non so perché ma lo farò.
- Te l’ho detto è perché sei d..
- Non dire ancora che sono dolcissimo perché potrei cambiare idea all’istante!
Fran ritornò seria, e si esibì in un saluto militare.
- Signorsì, ogni tuo desiderio è un ordine. Dimmi cosa vuoi che io faccia e lo farò.
Adam si passò una mano sulla fronte.
Senza dubbio la stretta vicinanza con sua cugina non giovava al suo equilibrio mentale.
Dopo nemmeno un mese dava già i primi segni di squilibrio.
- Ieri sera ci siamo visti, come tu ben sai. - disse lui, con una nota di rimprovero nella voce. - Fai solo in modo che accada di nuovo e poi cercherò di stabilire io i prossimi contatti.
- Parli come una spia. - rise Fran, ma poi leggendo l’espressione severa del suo sguardo, ritornò seria.- Va bene, vedrò di escogitare qualcosa.
- E poi dovrai aiutarmi con lei, dirmi cosa le piace. Prima finisce questa storia meglio è.- si passò una mano sugli occhi, stancamente.
- Va bene.
- Io adesso vado, devo decidermi ad iniziare a lavorare.

Non appena Adam se ne fu andato Fran iniziò a saltellare per il suo appartamento.
Ci era riuscita.
Adam era ritornato a far parte del suo piano e questo non poteva che essere un segnale positivo, forse Rica iniziava a interessargli, forse..
Si sforzò di contenere il suo entusiasmo.
Non poteva far arrabbiare di nuovo il cugino.
Sarebbe stata prudente e avrebbe incrociato le dita.
Uscì da casa per raggiungere quella di Rica, ma non la trovò .
Dove diavolo si era cacciata?
Con un sospiro si rassegnò a dover frugare nella sua immensa e caotica borsa alla ricerca del cellulare ma diverse parolacce più tardi e dopo averla svuotata del tutto si accorse che il suo Iphone non c’era.
Si ricordò delle parole di Adam, anche lui l’aveva cercata al cellulare, ma lei non aveva sentito lo squillo.
Doveva averlo lasciato al lavoro.
Si rassegnò ad aspettare il rientro dell’amica.
Non poteva fare troppo tardi no?


Quando Rica scorse il portoncino di casa sua erano passate da poco le dieci, aveva una bambina addormentata in braccio e una stanchezza indicibile addosso.
Alla fine Bianca l’aveva costretta a portarla al Luna Park, a mangiare la pizza e perfino il gelato.
Ed erano rientrate ben oltre l’orario in cui la piccola doveva già essere a letto.
Era certa che una brava madre non si sarebbe comportata in quel modo ma la piccola Bianca stava passando un bruttissimo momento e un po’ di svago le avrebbe fatto solo bene.
L’aveva vista ridere e giocare con gli altri bambini, ma nel fondo del suo sguardo poteva leggere, chiarissima, la sofferenza.
Era stato un brutto colpo.
Si sistemò meglio la bambina tra le braccia, chiedendosi cosa fosse passato nella mente di Eva.
Era una donna equilibrata, sembrava amare la propria famiglia e invece da un giorno all’altro era sparita, lasciano il marito, ma soprattutto la bambina, nella disperazione più nera.
- Finalmente! Ti pare questa l’ora di tornare!
Fran sbucò da chissà dove facendola trasalire, per poco Bianca non le sfuggì dalle braccia.
- Ma ti pare il caso di farmi queste imboscate!- la rimproverò Rica, riprendendosi dallo spavento.- Nemmeno i miei mi hanno mai detto una frase del genere!
- E ti pare il caso di lasciarmi aspettare fuori da casa tua per ore?
- Avevamo un appuntamento?- le chiese lei conoscendo benissimo la risposta.
- No.
- Appunto! Come mai da queste parti? È successo qualcosa? Perché non mi hai chiamata?
- Ho lasciato il cellulare in ufficio, credo. Non ho bisogno di motivi per venire a trovarti.
- Lo so pazza.- sorrise lei.- Tieni le chiavi, apri tu, sono un po’ impacciata al momento.
Una volta dentro andò in camera per sistemare Bianca nel suo lettone e si accorse che quello era già occupato.
- Sciò! Gattaccio, adesso non ti basta stare sotto il mio letto, vuoi anche starci sopra!- bisbigliò lei, inviperita.
Quel gatto stava proprio esagerando!
Il micio ribelle scese dal letto miagolando infastidito.
Sistemata la piccola tornò dalla sua migliore amica che se ne stava stravaccata sul suo divano, con le scarpe ancora ai piedi.
- Giù quei piedacci dal mio divano!- la rimproverò Rica.
- Come mai fai da babysitter? I due piccioncini super sexy avevano bisogno di una seratina di libertà?
Come lei, Fran pensava che Carlo ed Eva rappresentassero la coppia perfetta.
- I due piccioncini hanno seri problemi.
Le raccontò brevemente quanto era successo e la sua amica scosse la testa incredula.
- Non c’è più mondo! Quei due erano meglio di Jennifer Aniston e Brad Pitt, Tom Cruise e Nicole Kidman, George Clooney ed Elisabetta Canalis..
- Guarda che quelle che stai citando sono tutte coppie che si sono lasciate..- la interruppe lei, sfilandole le ballerine dai piedi che rischiavano di macchiare il tessuto color crema del divano e lasciandosi cadere accanto a lei.
- Lo so! Ma loro erano meglio, capisci?- replicò la sua amica, accorata.
Rica annuì capendo perfettamente a cosa si riferisse, era la stesa cosa che aveva pensato lei.
- Per quanto tempo devi fare da babysitter?
- Fino a lunedì prossimo. Carlo è fuori per lavoro e Bianca non ne ha voluto sapere di andare dai nonni.
- E’ tantissimo tempo! Quindi se ti propongo di uscire con me domani sera non ci sono probabilità che tu mi dica si.
- Hai azzeccato!- Rica impugnò il telecomando e iniziò a cercare qualcosa di interessante in tv. - Come mai tutta questa voglia di uscire ultimamente?
- Oh sai com’è.. voglio allargare i miei orizzonti, conoscere gente nuova!- improvvisò lei.
- Con Marco ci sono problemi?- chiese preoccupata.
- Non più del solito. Lo amo da pazzi, ma so che stiamo per arrivare al capolinea. Non so dirti perché, non c’è niente di diverso. Lo sento e basta.
Fran si strinse nelle spalle.
Quella situazione con il suo capoufficio la faceva soffrire sempre di più e dedicarsi a qualcosa che non facesse parte della solita vita la aiutava a posticipare il dolore che ne era certa, sarebbe arrivato a breve.
Come aveva detto a Rica avvertiva che qualcosa stava per accadere, non sapeva cosa, ma sapeva che avrebbe portato alla chiusura di un capitolo importante ma travagliato della sua vita.

Da alcuni giorni Rica sentiva che nella sua amica c’era qualcosa si diverso.
Aveva pensato a problemi con il suo “spasimante” ma il suo intuito le diceva che non era quello e non riusciva a capacitarsi del perché lei non le dicesse cosa c’era davvero di nuovo.
Riusciva a cogliere un lampo di eccitazione nei suoi occhi!
Che avesse conosciuto qualcuno di speciale e per questo volesse uscire spesso?
Non sapeva dire perché, ma escludeva quella possibilità. Se non quello cosa?
Forse un nuovo lavoro? Ma perché non dirlo?
Magari era solo una sua impressione, ma conosceva Fran meglio di sé stessa e sentiva che c’era qualcosa di diverso.
Prima o poi avrebbe capito cosa bolliva in pentola.
- Bene allora visto che non posso portarti in giro per locali, domani porterò te e la marmocchia al cinema!- Fran si alzò dal divano stiracchiandosi.
- Si chiama Bianca.- la corresse lei.
- Lo so ma non mi sento di essere generosa verso una pulce di cinque anni che mi ha fregato il letto. Me ne devo tornare a casa a quest’ora, al freddo e al gelo, solo perché tu hai deciso di fare la buona samaritana.
Rica sorrise tirandole un cuscino.
- Guarda che sono le dieci e un quarto e ci saranno più di venti gradi!
- Era una metafora. ‘Notte mammina!- Fran le fece una linguaccia e uscì lasciandola sola.

L’aveva chiamata mammina.
Avrebbe compiuto ventisei anni a breve, avrebbe benissimo potuto essere una mammina.
Ma nella sua vita non c’era uomo, figuriamoci un bambino.

Che periodo frenetico, scusatemi tanto per l'attesa ma non è stata colpa mia. Troppe cose da fare e troppo poco tempo a disposizione. Intanto vi lascio con questo capitolo, sperando che vi piaccia e che qualcuno mi faccia sapere cosa ne pensa. Vi ringrazio ancora enormemente tutti. L'ultimo capitolo è stato letto da oltre duecento persone e io ne sono strafelice. Vi amooo! Tutti! Anche il numero di chi l'ha aggiunto tra le seguite, le preferite e le ricordate è stratosferico. Grazie, grazie, grazie! A presto! Bacioni. Manu

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Capitolo 13
*** Popcorn! ***


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CAPITOLO XIII: Popcorn!

Adam amava scrivere di notte.
Il silenzio lo aveva sempre aiutato.
Anche quando era un ragazzo e viveva con i suoi genitori approfittava della quiete notturna per scrivere i suoi primi racconti.
Aveva iniziato a tradurre il suo primo libro e il lavoro procedeva spedito.
Come sempre, quando un nuovo progetto lo entusiasmava non riusciva a smettere.
Si era appena seduto alla scrivania, erano le undici di sera e la suoneria del suo cellulare lo fece trasalire.
Chi mai poteva essere?
Leggendo il nome di Fran sul display si chiese come avesse fatto a non pensarci prima.
- Dimmi tutto, matta.
- La benevolenza e l’affetto che le persone a me più care mi riservano non smetterà mai di commuovermi.
- Su, sai che scherzo!- rispose lui sorridendo.
- Sarà. Volevo solo dirti che per tutta la settimana Rica dovrà fare da babysitter alla figlia dei suoi vicini, quindi è impossibile organizzare un incontro al pub..
- Bene, rimandiamo alla prossima allora..- iniziò Adam, pensando che almeno avrebbe potuto portarsi avanti con  il lavoro.
- No! Il ferro va battuto finché è caldo. Domani sera porterò lei e la pargoletta al cinema. Potremmo incontrarti lì per caso.
- Io non vado a vedere film per bambini di solito. Quindi a meno che voi non vediate un bell’horror o al massimo un thriller non potrò essere dei vostri! E poi che figura farei ad andare al cinema da solo? Mi ha già dato del maniaco e questo non farebbe che convincerla ancora di più che sono un molestatore!
- Non ci avevo pensato! Beh potresti portarti un amico o dire che la persona che c’era con te ha avuto un contrattempo. Insomma inventa, sei tu il creativo, possibile che debba dirti tutto io?
- Va bene, va bene. Ci vediamo davanti al cinema, vedrò di escogitare qualcosa!

Il giorno dopo fu una corsa contro il tempo.
Dare da mangiare a Tommy e reprimere l’impulso di soffocare quel gatto che durante la notte era saltato sul letto e al suo risveglio lo aveva trovato acciambellato sul suo cuscino a pochi centimetri dal suo viso.
Svegliare una bambina di cinque anni, lavarla, vestirla, prepararle la colazione, assicurarsi che avesse mangiato tutto, accompagnarla all’asilo, correre in redazione e poi in giro per la città per dei servizi che avrebbero fatto ridere chiunque, mangiare un panino pieno di schifezze, tornare a correre per la città per altri servizi da far rabbrividire, riprendere Bianca all’asilo, portarla a casa, lavarla, cambiarla e farsi trovare pronte alle sei, quando Fran passò a prenderle per andare a vedere Kung Fu Panda 2.
La sua migliore amica sembrava aver cessato le sue ostilità verso la “marmocchia” che le aveva fregato il letto e le attenzioni  perché durante tutto il tragitto in macchina si esibì nelle versioni stonate e ululate delle sigle dei cartoni animati del momento.
Bianca seduta al suo posto, con la cintura che la teneva immobilizzava le andava dietro con risultati leggermente migliori e tenendo il tempo con le dite come un maestro d’orchestra.
- Su vecchiaccia canta con noi!- la incoraggiò Fran, smettendo per un secondo di attentare alla vita di tutte le superfici frangibili della sua macchina.
- Non conosco queste Winx! Se passate a un repertorio più classico posso essere dei vostri.- si difese lei.
- Oh! Ignoriamola Bianca, è un’eretica!
- Una che?- chiese la bambina, smettendo di tenere il tempo.
- Niente, continua a cantare!

Il parcheggio del centro commerciale in cui c’era il cinema era praticamente pieno.
Fecero parecchi giri alla ricerca di uno spazio in cui parcheggiare e mentre Rica si guardava intorno le sembrò di scorgere una figura nota destreggiarsi tra alcune macchine in sosta.
Si voltò di scatto cercando di intercettarlo di nuovo, ma non lo vide da nessuna parte.
Bene adesso aveva anche le traveggole!
Aveva visioni di uomini affascinanti con sorrisi assassini, spiccato senso dell’umorismo e gli occhi più blu che avesse mai visto.
- Che ti prende Rica? Ti si è slogato il collo?- chiese l’amica notando le sue contorsioni.
- No, no io è solo che mi era parso di vedere un posto..- mentì spudoratamente.

Fran che aveva visto Adam, sorrise compiaciuta.
- Qui! Qui c’è un posto!- urlò la vocetta di Bianca.

L’atrio del cinema era immenso e super affollato.
C’erano dodici sale e dopo aver individuato quella in cui davano Kung Fu Panda si misero in fila per fare i biglietti.
Poi fu il turno della fila per i popcorn che Fran insisté per avere subito.
Era più infantile e più capricciosa di Bianca.
- Mi scappa! - esclamò ad un certo punto la bambina, tirandole il bordo della giacca.
- Adesso?- le chiese lei vedendo la fila di gente che ancora li precedeva e quella che li seguiva.
- Si. Mi scappa.- ripeté la piccola iniziando a saltellare da un piede all’altro.
Rica sospirò e prese per mano la bambina.
- Fran resta in fila, porto Bianca in..
- No, no vado io con lei, adesso che ci penso scappa anche a me!- , le strappò due biglietti dalle dita, afferrò la bambina con l’altra mano e se la trascinò dietro sparendo tra la folla non prima di averle urlato- Prendi i popcorn e aspettaci dentro. Mandami un sms per dirmi dove ti siedi!


Decisamente quella marmocchia iniziava a conquistare la sua stima.
Fran si lambiccava il cervello da un quarto d’ora e lei le aveva semplificato tutto.
Le avrebbe comprato un’enorme scatola di popcorn, decise, fermandosi per estrarre il cellulare dalla tasca e comporre velocemente un messaggio.
- Ehi! Se dovevi metterti a scrivere messaggini al tuo moroso potevi lasciarmi andare con Rica! Mi scappa!- esclamò la bambina, petulante.
Tutti i punti che la bambina aveva conquistato si azzerarono.
Spense il cellulare e lo infilò in tasca, raggiungendo la toilette con la piccola.
Il ruolo di mammina era senza dubbio più indicato a Rica.

“Mi sono liberata di lei con una scusa. E’ sola al banco dei popcorn. Intercettala. Io e la marmocchia vi staremo alla larga!”
Adam lesse il messaggio e si guardò intorno alla ricerca della ragazza.
Al bancone del bar c’era una fila immensa e non provò nemmeno ad avvicinarsi per la paura che lei gli sfuggisse prendendo un’altra direzione.
L’unica cosa che poteva fare era mettersi nei pressi della porta della sala e imbattersi in lei “del tutto casualmente”.


Rica prese l’enorme contenitore di popcorn che il commesso le porgeva e si allontanò dalla folla per cercare Fran e Bianca che però non riuscì a scorgere da nessuna parte.
Forse in bagno c’era fila oppure si erano sbrigate presto ed erano già dentro.
Controllò il cellulare ma non c’era niente in arrivo.
Forse conveniva entrare e tenere i posti, stava arrivando un sacco di gente e di quel passo sarebbero rimasti solo i posti sotto lo schermo, in cui bisognava stare tutto il tempo piegati all’indietro per vedere e ci si alzava con un torcicollo incredibile.
Si avvicinò alla tenda rosso cupo che copriva la porta della sala, ben attenta a non rovesciare il contenuto della ciotola che stringeva tra le mani.
Camminava lentamente con lo sguardo fisso sui fiocchi bianchi e invitanti e non si accorse che qualcuno si era fermato proprio davanti a lei.
La ciotola si scontrò contro una felpa blu e si inclinò pericolosamente a destra e, prima ancora che lei potesse raddrizzarla ed evitare il guaio, la metà dei popcorn si rovesciò sul pavimento e schizzò tutto intorno.
Restò a guardare quei chicchi informi che rotolavano un po’ dappertutto, a bocca aperta.
- Mi scusi..- la voce che pronunciò quelle parole fu il tocco finale.
Il contenitore di cartone le sfuggì dalle mani e l’altra metà dei popcorn si sparse sul pavimento.
La ciotola rotolò fino a fermarsi contro un paio di scarpe blu.

Non era possibile.
C’era qualcosa che non andava!
Perché ogni incontro con quella ragazza doveva tramutarsi in uno scontro?
La stava cercando con lo sguardo ma non aveva intenzione di urtarla, né di combinare quel caos.
Una maschera si avvicinò con un sorriso tirato sulle labbra, munito di scopa, paletta e straccio umido.

- Oh, io… mi dispiace.- balbettò lei al ragazzo in divisa nera e rossa che aveva già iniziato a ripulire tutto.
- Si figuri. Con i bambini capita spesso.- rispose quello con finta gentilezza.
Rica si sentì umiliata.
Quel ragazzo dai capelli rossicci e le lentiggini, conciato con una divisa da fantino da circo la stava prendendo in giro!
Scacciò via quei pensieri poco carini nei confronti di un ragazzo che senza dubbio se ne stava impalato per ore a ripulire danni e a sorridere per una paga da fame.
Distolse lo sguardo dal giovane inserviente per posarlo sull’uomo con cui si era scontrato, sapendo già cosa aspettarsi.
Era lui.

Ciao! Rieccomi qui! Non sapevo che fare e ho deciso di postare l'ultimo capitolo che avevo già propnto da un po'. Dal prossimo dovrò impegnarmi davvero molto e prometto che farò del mio meglio. Vi ringrazio tantissimo per le recensioni e per aver letto, come sempre siete delle meraviglie. A presto, spero! Baci, Manu!

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Capitolo 14
*** Inviti, sparizioni e Interpol! ***


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CAPITOLO XIV: Inviti, sparizioni e Interpol.

- Vorrei capire come mai ogni nostro incontri si trasformi in una mezza tragedia!- le disse Adam sorridendole e trascinandola lontana dal ragazzo che preso dalla frenesia aveva iniziato a pulire, con lo straccio bagnato, il pavimento e anche le loro scarpe.
- E’ la stessa cosa che mi chiedo anch’io!- replicò lei cercando di non far caso a quel sorriso da infarto.
Una voce che proveniva dall’interno annunciò che il film sarebbe iniziato entro pochi minuti e lei si guardò ancora intorno alla disperata ricerca di Fran e Bianca.
Dovevano salvarla da quella situazione imbarazzante!
Ma delle due, nessuna traccia!
Forse erano cadute nello scarico del bagno ed erano scese “Giù per il Tubo”, sta di fatto che non si vedevano da nessuna parte!
- Cerchi qualcuno?- le chiese lui.
- Si la mia amica e una piccola vicina di casa, ma non ho idea di dove siano finite! E tu?
- Ah io no. Credo che me ne tornerò a casa. Dovevo vedermi con un mio amico e suo figlio ma hanno avuto un contrattempo e mi hanno dato buca. - sapeva che era un azzardo dire che se ne sarebbe andato a casa, infondo non c’era nessuna certezza che lei lo invitasse a restare.
- Ah si capisco.
Lei si infilò le mani in tasca e perlustrò ancora una volta l’androne.
La musica sempre più forte segnò l’inizio del film e lei si avvicinò di un passo alla tenda di velluto dell’entrata.
- Bene allora io vado, le aspetto dentro.- disse indicando la sala.
- Ah si, certo. Vai. Buona visione!
Il ragazzo sorrise e si allontanò di qualche passo.
Quello era il momento.
Ancora un istante e lei lo avrebbe richiamato.
I suoi passi risuonavano leggeri sul pavimento di marmo.
Aveva percorso già una decina di passi ma lei non aveva parlato.
Proprio quando si arrese all’evidenza che ormai non c’era più niente da fare sentì la sua voce.
- Adam, aspetta!

Voleva che gli chiedesse di restare?
Tutto, dal suo tono di voce, all’espressione del viso le dicevano che lui avrebbe apprezzato che lei gli chiedesse di restare a vedere il film.
Ma forse era solo un’impressione.
Lo vide camminare lentamente verso l’uscita.
In fondo lui era stato gentile con lei due giorni prima offrendole un passaggio e lei si stava comportando da maleducata.
Ancora una decina di passi e avrebbe raggiunto la porta, l’avrebbe aperta e sarebbe uscito.
- Adam, aspetta!- mosse un passo nella sua direzione e la sua bocca parlò senza che lei avesse il potere di fermarla.
Lo vide girarsi con un sorriso.
Come se non aspettasse altro.
Possibile?
Scacciò quel pensiero e lo raggiunse.
- Beh mi chiedevo, visto che hai già acquistato il biglietto.. Insomma sarebbe uno spreco buttare i soldi così no? Mi chiedevo, se ti va, ecco.. Perché non resti a vedere il film con noi?
L’aveva detto.
Che fatica!
Adam sorrise ancora di più e il suo cuore saltò un paio di battiti.
- Mi fa molto piacere!
Lei ricambiò il sorriso e ritornarono sui loro passi.
La sala era completamente buia a parte le luci intermittenti che provenivamo dallo schermo e che invece di essere d’aiuto peggioravano la situazione.
Rica tastava il pavimento con un piede prima di fare ogni passo.
L’ultima cosa che voleva era ruzzolare ai piedi del suo accompagnatore.
Aveva già dato abbondantemente prova della sua goffaggine.
Scorse nelle ultime file quattro posti liberi, toccò il braccio di Adam e glieli indicò. Presero posto occupando gli altri due per Fran e Bianca.
Siamo nella terzultima fila a destra. Sbrigatevi. E’ già iniziato!
Inviò il messaggio alla sua amica e cercò di concentrarsi sul film.

Erano passati venti minuti, il cartone scorreva sullo schermo e di Fran e Bianca, nessuna traccia.
Aveva inviato altri tre messaggi, si era girata indietro per controllare l’entrata fino a farsi venire il torcicollo ma della bimba e di quella sclerata della sua amica non si vedeva nemmeno l’ombra.
E se fosse successo qualcosa se Bianca si fosse fatta male o Fran l’avesse persa di vista?
Come avrebbe spiegato a Carlo che aveva affidato la sua bambina a una ragazza d’oro ma che con i bambini condivideva solo l’amore per i cartoni animati e i capricci infantili?
- Vuoi che andiamo a cercarle?- le bisbigliò infine Adam, accorgendosi dell’ansia della ragazza.
- Forse dovrei uscire e provare a chiamare Fran, se fosse successo qualcosa a Bianca..- la voce le si strozzò in gola per l’ansia.
Rica si alzò e lui la seguì fuori maledicendo i piani folli di sua cugina e il suo cervello bacato che la assecondava.
Afferrò il cellulare e inviò un messaggio a quella scriteriata sequestratrice di bambini.
“ Rica vi crede morte o giù di lì. Fatti sentire!!”

Bianca, seduta in terza fila, sgranocchiava i suoi popcorn e rideva beatamente.
Fran cercava di individuare Adam e Rica ma non si vedevano da nessuna parte.  
Pescò il cellulare dalla tracolla e lo accese giusto per controllare.. E si scatenò l’inferno!
I bip iniziarono a susseguirsi furiosi. Uno due, tre, quattro, cinque.. Dieci!
Dieci messaggi!
Quattro di Rica, cinque avvisi di chiamata sempre di Rica e l’ultimo messaggio di Adam.
-.Oh cazzo! Questa qui mi chiama l’Interpol!
I suoi vicini di posto la zittirono bruscamente, da dietro qualcuno tirò una manciata di popcorn e Bianca la guardò scuotendo la testa, con aria di disgusto.
Trafficò velocemente con il cellulare.

Il telefonino le si animò in mano. Si illuminò ed emise un piccolo trillo.
Si fermò di colpo e avvicinò lo schermo alla faccia, pregando che quella scriteriata della sua migliore amica si fosse decisa a dare sue notizie.
Adam si fermò appena in tempo evitando di travolgerla.
“ Siamo sedute qui da qualche parte, in questa oscurità non ci troveremmo mai. Stai tranquilla, ci vediamo alla fine del film!”
Rica sospirò di sollievo e Adam, che da dietro le sue spalle aveva letto il messaggio, si complimentò con i geni di famiglia che in qualche modo erano intervenuti a salvare la situazione.
- E’ tutto sistemato. Torniamoci a sedere.- Rica ritornò sui propri passi, potendosi finalmente concentrandosi sul cartone.
- Vedi? Questa volta non è successa, nessuna tragedia, per fortuna, solo noi due siamo capaci di fare disastri, a quanto pare.
Anche al buio, Rica riuscì a distinguere il lampo bianco del suo sorriso
- Quel panda mi ricorda me!- sussurrò lei, quando lo schermo si annerì per lasciare spazio ai titoli di coda. - Ha tanta buona volontà ma finisce per combinare una marea di pasticci. Sono io in versione pelosa.
Adam rise.
- Beh ma alla fine ottiene quello che vuole. No?
- Lui si. Io non so, vedremo.. - rispose lei con un sorriso tirato e un tono scettico.
- Cosa vorresti tu?- le chiese lui.
- Tutto!- le luci in sala si accesero all’improvviso e improvvisamente lei si sentì a disagio a raccontarsi ad un perfetto sconosciuto con cui non faceva che scontrarsi e combinare guai.
Anche lui sembrava improvvisamente a disagio e distolse lo sguardo dal suo, iniziando a raccogliere le sue cose.
- Io adesso devo andare. Domattina devo alzarmi presto.- accampò una scusa, voleva evitare a tutti i costi che lei lo vedesse insieme a Fran.
- Certo. Grazie per la compagnia e scusami per i popcorn.
- Oh figurati. Mi piace sporcare i pavimenti e farmi guardare con sufficienza da un ragazzino brufoloso in tenuta da ammaestratore di elefanti.
Rica rise e Adam si unì a lei.
- Giuro che di solito combino meno guai!
- Mi fa piacere sapere che non dai porte in faccia alla gente per passatempo. Senti perché non ci prendiamo un caffè senza rischiare di linciarci?
- Quando adesso?- chiese lei presa alla sprovvista da quella proposta.
- No, non adesso. Sarebbe un po’ tardi per il caffè, non trovi? Facciamo domani alle tre al King? Lo conosci il King è in..
- Si, si lo conosco.- rispose lei, ancora stupita da quell’invito.
- Allora a domani?
- A domani.
Adam sorrise e si allontanò con il suo solito passo veloce.
Solo quando lui si era ormai confuso tra la folla, lei si rianimò dallo shock e si ricordò di dover cercare Bianca e Fran e strangolare quest’ultima per  lo spavento che le aveva fatto prendere.

Ciao a tutti, eccovi il nuovo capitolo. Scusate le poche parole. Grazie a tutti quelli che leggono. Bacioni Manu! : )

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Capitolo 15
*** Divani, coniglietti e mamme invadenti! ***


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CAPITOLO XV: Divani, coniglietti e mamme invadenti!

- Per favore, per favore, per favoooree!!- Fran si esibì nel suo famoso broncio, giocandosi l’ultima carta.
- Non te lo meriti e lo sai!- rispose Rica con tono serio ma distogliendo lo sguardo per non scoppiare a ridere.
- Ma cosa ho fatto? Non le ho detto come nascono i bambini né che quella di Babbo Natale è una balla che la segnerà a vita!- protestò Fran, incrociando le braccia, sbuffando.
- Hai fatto peggio! Sei sparita per tutto il film e mi hai fatto prendere un colpo! Carlo mi ha affidato sua figlia e io me la sono persa!
- Uhh come sei melodrammatica! Non te la  sei persa! Era con me!
- Appunto!- fece Rica.
- Guarda che mi offendi!
- Sopravvivremo!- minimizzò lei, lanciando occhiatacce a Tommy che aveva puntato i cuscini del divano.
- Si ma io mi rifiuto di andarmene! Occupo questo divano!- si lasciò cadere sui cuscini finendo sul gatto che nel frattempo era balzato sul sofà color crema.
Le urla di Fran e Tommy si mescolarono alle risate di Rica che si lasciò cadere sul tappeto tenendosi la pancia con le mani.
- Allora la smettiamo di fare confusione? Qui c’è qualcuno che vorrebbe dormire!- Bianca apparve sulla porta con le mani sui fianchi, fasciata nel suo pigiama rosa delle Winx.
Il gatto si rifugiò ai piedi della padroncina.
- Oh marmocchia adesso non allarghiamoci troppo. Torna a dormire e tieni quella bestiaccia lontana da me. Mi ha conficcato gli artigli in una coscia!
Bianca le fece una linguaccia e sparì nella stanza con il gatto tra le braccia.
- Sei più infantile di una bambina di cinque anni, te ne rendi almeno conto?
Fran non rispose, scalciò le scarpe e si sistemò meglio sul divano, chiudendo gli occhi, decisa a non abbandonare il campo.
- Oh si certo resta pure. - fece Rica, sarcastica.- buonanotte!
- Yawn.. Notte!
In pochi secondi il respiro di Fran si fece regolare, segno che si era addormentata. Come facesse a passare in così poco tempo dalla veglia al sonno profondo, era un mistero.

Il profumo di caffè la svegliò.
Si stiracchiò pigramente prima di decidersi ad aprire gli occhi e ad affrontare una nuova giornata.
La prima cosa che vide fu la sveglia che indicava le ore otto.
Si catapultò giù dal letto.
Era tardi! Doveva ancora aiutare Bianca a lavarsi e a vestirsi, prepararle il latte con i cereali. Avrebbero fatto tardi!
Ma quando guardò il letto lo trovò vuoto.
La bambina doveva essersi già alzata.
Schizzò nell’altra stanza convinta di trovarla ancora in pigiama davanti alla tv e invece il quadretto che le si parò davanti aveva dell’incredibile.
Bianca non solo era già, vestita e pettinata, ma la tazza vuota sul tavolo indicava che aveva già fatto colazione e in più Fran era in ginocchio sul pavimento e cantilenando una filastrocca stava insegnando alla bambina a legarsi le scarpe.
- Fai due orecchie di coniglietto, gira intorno all’albero, si infila nella tana e tira forte.- disse Rica unendosi al coretto.
Conosceva quella filastrocca, era stata lei ad insegnarla a Fran, il primo giorno di scuola delle elementari, quando si erano conosciute.
Una scarpa di Fran si era slacciata correndo e lei era finita a terra sbucciandosi un ginocchio e facendo ridere il resto della classe.
Rica le si era avvicinata e l’aveva aiutata ad alzarsi poi quando le aveva detto che non era capace di allacciarsi le scarpe le aveva canticchiato la filastrocca che aveva usato sua nonna qualche giorno prima per insegnarle a fare il nodo alle scarpe.
Da allora erano diventate inseparabili e Rica era sicurissima che sarebbero rimaste così per sempre.
La sua amica sorrise in risposta e si alzò dal pavimento.
- Dormito bene?
- Si a parte il risveglio. Credevo di essere in ritardo.
- Oh io e la marmocchia ci siamo sbrigate in fretta.
- Mi chiamo Bianca!- fece la bambina, indispettita.
- Fa lo stesso, sei comunque una marmocchia!
- Guarda che nemmeno tu sei una spilungona sai? Per essere grande sei rimasta molto piccola!
- Bell’ingrata! Ti ho appena insegnato ad allacciare le scarpe!- replicò Fran risentita.
Rica seguì divertita il battibecco tra le due.
- Bene allora, io vado a lavarmi, cercate di non azzannarvi. Tra dieci minuti usciamo Bianca, prepara le tue cose.

Adam si svegliò di soprassalto sentendo il rumore di qualcosa che sbatteva.
Doveva aver dimenticato, come sempre, la finestra del bagno aperta.
Si girò nel letto e vide che la luce che filtrava delle persiane era ancora poca, si rigirò, deciso a dormire almeno un altro paio d’ore quando il telefono sul comodino iniziò a trillare, svegliandolo del tutto.
C’era una sola persona che poteva telefonare alle cinque del mattino e quella persona era sua madre.
- Pronto?
- Adam, tesoro mio! Dormivi?
- Non ho l’abitudine di zompettare per casa prima dell’alba mamma, ma per tua fortuna mi ero svegliato cinque minuti fa.
- Oh sono contenta di non averti svegliato allora..
- Lo avresti fatto, come sempre mamma.- disse lui soffocando uno sbadiglio. - Cosa è successo questa volta?
- Una madre non può chiamare suo figlio prima di andare  a letto?- si difese lei.
- Oh certo. Certo che può. Può farlo se questo benedetto figlio non si trova a sei ore di fuso orario, nel bel mezzo della notte.
- Ma non stavi dormendo..- si difese lei.
- Era una casualità. Una fortuita casualità, chiunque sia sano di mente dorme a quest’ora.
- Dimentichi chi fa i turni di notte, i netturbini, i..- iniziò sua madre con una logica ferrea.
Perché si ostinava ad andarle dietro? Perché si sforzava di farle capire ogni volta che chiamare a quell’ora era fuori luogo?
Doveva arrendersi alle sue chiamate prima dell’alba o a mettere fuori posto il telefono prima di andare a letto.
Ci aveva anche provato una notte ma non era riuscito a prendere sonno fino a che non aveva rimesso la cornetta al posto giusto e l’indomani mattina il telefono era squillato alle quattro e venti.
- Hai ragione. - cedette.- Allora? Qual è il motivo di questa chiamata?
- Deve per forza esserci un motivo? Una madre  non può chiam..
- Si mamma, una madre può chiamare il proprio figlio anche se lui si trova in letargo. Ma le tue chiamate a quest’ora hanno sempre un perché. Quindi dimmi, così poi posso tornare a dormire un altro po’.
- Come sei rude figlio mio!
- Nessuno sarebbe gentile a quest’ora mamma, neppure i netturbini! Su, dimmi.
- Oh bene, bene. Affronteremo in seguito il capitolo: “Figli ormai grandi che devono ancora essere molto, molto rispettosi nei confronti dei genitori, soprattutto se vivono molto lontano e si preoccupano tanto”. Ho chiamato per dirti che domani alle diciannove, orario italiano, arriverò in Italia e tu sei  pregato di venirmi a prendere all’aeroporto.
Se Adam aveva ancora un po’ di sonno, si dileguò di colpo.
Sapeva cosa implicavano le visite di sua madre: cibo, pressioni affinché si sposasse, cibo, appuntamenti combinati, cibo, cibo, appuntamenti e cibo.
- Come?- chiese strozzandosi con la sua stessa saliva e pregando che il suo cervello avesse solo immaginato di recepire quell’informazione.
- Oh sono davvero commossa di sapere che il mio unico figlio fa i salti di gioia all’idea di vedermi.- disse con tono piccato sua madre.
- Ma no mamma, figurati. E’ che mi chiedevo il perché di questa visita improvvisa. Tutto qui.- cercò di salvarsi lui.
- Una madre non..- attaccò lei.
- Oh si certo, avevo dimenticato: una madre può tutto. Allora ci vediamo stasera mamma. Io torno a letto. Un figlio può dormire se ha sonno?- domandò lui ridacchiando.
- Non so davvero da chi tu abbia preso tutto questo spirito, Adam Andrea Michael Lorenzo Roy.
I suoi genitori non avevano avuto altri figli a parte lui perché sua madre aveva scoperto, durante la gravidanza, di avere un problema cardiaco, così avevano riversato tutto l’amore, l’apprensione, le aspettative e anche tutti i nomi su di lui.
Il risultato era una sfilza di nomi che nemmeno lui ricordava quasi e un’attenzione, alle volte morbosa su di lui.
Cioè era sua madre ad esserlo. Suo padre era taciturno e schivo di natura, la sua dimostrazione d’affetto più grande era una pacca sulle spalle, ma Adam era convinto che suo padre fosse contento delle attenzioni accurate che sua madre gli dedicava.
- Ma da te, mamma. E’ ovvio. Buonanotte.


Ed eccoci un altro capitolo. Forse vi sembrerà che questa storia proceda a rilento, beh si forse è vero. So che i capitoli sono piccoli e che i nostri due protagonisti non si sono ancora conosciuti per bene ma voglio fare le cose con calma e scandire ogni passaggio. Nel prossimo capitolo il primo vero appuntamento tra Adam e Rica. Vedremo cosa accadrà. Nel frattempo cosa ve ne è parso di questo?? Fatemi sapere. Baci. Manu.

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Capitolo 16
*** Viandanti, aranciate e impegni ***


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CAPITOLO XVI: Viandanti, aranciate e impegni

Il King era uno di quei locali che facevano sempre sentire il cliente come a casa propria: tavolini piccoli e quadrati, poltroncine di pelle morbida in cui si sprofondava sorseggiando ottimo caffè e leggendo uno tra i tanti quotidiani e riviste, messe a disposizione degli avventori.
Rica non ci era mai entrata, ma una sola occhiata ai mobili scuri e antichi, alle pareti gialle su cui facevano bella mostra di sé antichi dischi in vinile, stampe di artisti che avevano fatto la storia e soprattutto quella grandissima riproduzione del Viandante sul mare di Nebbia, che occupava quasi una parete della stanza, l’avevano fatta innamorare.
Amava tutto ciò che aveva lasciato il segno e amava profondamente quel quadro che racchiudeva mondi nascosti ed inesplorati, in cui tutto poteva realizzarsi.
Ricordava la prima volta che aveva visto quel quadro, durante l’ora di storia dell’arte al quarto anno di liceo.
Era sto amore a prima vista.
Tutti i suoi sogni, le sue aspettative, le sue paure si erano racchiuse in quel quadro enigmatico.
- Ica!
Non senti nemmeno la voce di Adam, persa a scandagliare tra quella nebbia azzurrognola alla ricerca di un indizio di cosa potessero celare.
- Ica!
Il secondo richiamo però non poté non sentirlo visto che era stato pronunciato alle sue spalle.
Staccò gli occhi da quella meraviglia per fissarli in un altro spettacolo.
Adam era quanto di più bello si potesse sperare di trovare in un essere umano.
Scacciò quel pensiero imponendosi di tornare con i piedi per terra.
- Adam, ciao! Sono in ritardo vero? Scusami!
- No affatto, sono appena arrivato anch’io e in ogni caso le donne non sono mai in ritardo.
Sorrise indicandole con un braccio un tavolinetto d’angolo su cui lui si era già sistemato.
- Che fine hai fatto fare poi alla tua amica ieri sera?
- Una fine sicuramente migliore di quella che si sarebbe meritata! Mi ha fatto prendere un colpo. Avrei dovuto essere meno indulgente ma ha comunque finito per scroccarmi il divano. Non riesco mai a prendermela con lei sul serio. E’ troppo buffa!
Adam sorrise, pensando che non c’era modo migliore per descrivere sua cugina. Ne combinava di tutti i colori ma non ci si poteva arrabbiare mai sul serio con lei.
Negli occhi di Ica, poteva leggere tutto l’affetto che provava per quella pazza scatenata di Fran, lo stesso affetto che nutriva lui per la cugina e che lo aveva portato a essere seduto nel suo bar preferito con una ragazza che non conosceva, chiedendosi come doveva comportarsi.
Mai nella sua vita si era ritrovato in una situazione simile e non era per niente facile.
- Beh è proprio questa l’unica fregatura dell’amicizia. Gli amici sono le uniche persone che possono costringerti a fare cose impensabili e comunque non riesci ad arrabbiarti.- rispose lui.
- Oh non me ne parlare, dovrei raccontarti delle mie undici performance da damigella d’onore e non sarebbe affatto piacevole.
Adam sorrise ripensando a lei che avanzava nella navata con quello stupido vestito lilla.
- Ha fatto la damigella d’onore undici volte? Davvero?
- Oh si. Ho fatto svolazzare i petali, ho messo abiti che perfino i loro stessi creatori fingono di non aver mai visto e ho seguito la sposa nella scelta di tutti i particolari. Se conosci qualcuno che ha bisogno di una wedding planner fammelo sapere, so tutto di quali bomboniere vanno di moda, di quali fiori sono più adatti e di quale modello di abito possa aiutare a camuffare i difetti della sposa.
Adam rise.
Quella ragazza aveva un senso dell’umorismo e una spontaneità che gli piacevano.
Dopo l’imbarazzo dei primi incontri lei sembrava essersi sciolta e parlava gesticolando vivacemente e spostandosi con un movimento secco della testa il ciuffo che continuava a caderle sugli occhi.
Sembrava che ogni parola che uscisse dalla sua bocca fosse detta con passione e convinzione come se tutto fosse importante e decisivo.
Adam era abituato a studiare la gente.
Uno scrittore doveva essere anche un po’ psicologo per riuscire a dare spessore e credibilità ai propri personaggi e ad Adam piaceva pensare di essere diventato piuttosto bravo a giudicare la gente.
Rica era una ragazza timida, che si lasciava andare raramente ma che quando lo faceva si trasformava in un vulcano di idee e di passioni.
Credeva in tutto quello che diceva anche se spesso ne dubitava e sapeva essere ingenua e furba al tempo stesso.
Magari quella volta stava sbagliando, infondo la conosceva da davvero troppo poco tempo e non era detto che avesse azzeccato.
In ogni caso Rica era una bella persona e su questo non aveva dubbi.
Era la migliore amica di Fran e se sua cugina, che era si pasticciona e casinista, la considerava tale doveva esserci un motivo.

Rica sorrise, bloccando il suo flusso di chiacchiere.
A tratti aveva come l’impressione di conoscere Adam da sempre, aveva un modo di fare, uno spirito, una luce negli occhi, che le sembrava familiare e che la spingeva a comportarsi in maniera fin troppo spigliata con lui.
Gli aveva raccontato delle sue esperienze da damigella d’onore!
Era un argomento di cui non parlava mai volentieri eppure con lui era riuscita a farla sembrava una simpatica barzelletta.
Lo vide sorridere e di nuovo fu stupita e ammaliata da tanta bellezza.
Decisamente troppa per un uomo solo.
Era sicura che, equamente divisa, sarebbe bastata a rendere più che decenti una decina di uomini.
- Oh benissimo, allora se mai qualcuno che conosco dovesse decidere di sposarsi farò il tuo nome. - rispose lui.
Rica sorrise, facendo scorrere lo sguardo per il locale e proprio in quel momento vide un uomo seduto al bancone, parlava e si sbaciucchiava con una ragazza bionda, molto carina.
Sull’identità di lui non c’erano dubbi, era Marco, capoufficio di Fran, nonché suo spasimante, sull’identità della ragazza poteva solo dire con certezza chi non fosse. Non era sua moglie e ovviamente non era Fran.
Senza pensarci due volte saltò giù dalla sedia e si avvicinò a passo di marcia all’uomo che amoreggiava vergognosamente con una ragazza, poco vestita e all’apparenza anche piuttosto poco intelligente.
Adam rimase a guardare la scena a bocca aperta.
Rica fino a pochi secondi prima era seduto di fronte a lei e parlava e scherzava tranquillamente.
Poi all’improvviso aveva visto quell’uomo e il suo sorriso si era cristallizzato fino a frantumarsi del tutto.
Si era alzata, aveva raggiunto il biondo che amoreggiava con una ragazza, gli aveva strappato il bicchiere di succo d’arancia dalle mani e glielo aveva svuotato in faccia, per poi urlare: “Stronzo!” e imboccare l’uscita a passo veloce e deciso, lasciando lui a bocca aperta e l’uomo al bancone a boccheggiare per lo stupore mentre il succo d’arancia inzuppava la camicia immacolata e di ottima fattura.
Adam era rimasto per qualche secondo a guardare la scena stupefatto, poi si era alzato ed era corso fuori.

Rica camminava veloce per la strada.
Quello stupido, stupidissimo, ipocrita, schifoso, verme che non era altro! Una mano le afferrò il polso e lei cercò di divincolarsi, pensando che fosse Marco ma era Adam.
Si era completamente dimenticata di lui!
Doveva essergli sembrata una pazza fuori di testa e lo era davvero!
Fran aveva sprecato due dei migliori anni della sua vita appresso a un viscido e insulso ometto!
- Ica! Non fai footing ma quando vuoi corri di brutto sai?- Adam sospirò.
- Mi dipsiace è che, quello.. Quel verme schifoso!
- E’ il tuo ragazzo?- chiese lui piuttosto confuso.
Da quello che gli aveva detto Fran lei era single da tempo.
- Il mio..? No! No! - affermò lei.- Lui sta con la mia migliore amica! Io non ho mai approvato questa relazione che tra l’altro è pure clandestina visto che quel porc.., che quello lì è anche sposato e non con l biondina del bar. Ma adesso ha proprio esagerato! L’ha presa in giro per anni!
- Lui.. Lui sta con la tua migliore amica?- chiese Adam, stupito.
Così quello lì era Marco?
La voglia di tornare nel bar e prenderlo a pugni era irresistibile. Dovette respirare un paio di volte e imporsi di ritrovare il controllo di sé stesso, anche perché non era mai stato un tipo violento. Mai prima di allora, almeno. Era certo che se fosse stato nei panni di Rica non si sarebbe limitato a gettargli l’aranciata in faccia.
- Si!
Rica ricominciò a camminare lentamente e Adam la seguì.
Pian piano i loro respiri si calmarono e anche i loro istinti omicidi nei confronti di quel fedifrago patentato.
Uno squillo del cellulare di Rica li fece sobbalzare.
- Pronto?
- Ma si può sapere dove sei finita? Alla Proloco la aspettano per iniziare la sagra dell’arancia, l’organizzatore mi ha chiamato infuriato!
- Oh si, mi scusi ci vado subito!
Rica chiuse la comunicazione e si voltò verso Adam.
- Devi andare?- le chiese.
- Già. Dopo aver gettato la spremuta in faccia a un fedifrago mi hanno eletta reginetta alla festa dell’arancia.
- Oh capisco. - sorrise Adam.- Allora ci rivediamo in questi giorni senza scatenare la terza guerra mondiale?
Rica sobbalzò, stupita.
Cosa lo spingeva a chiederle un altro incontro?
Cosa spingeva un uomo bello, spiritoso e intelligente a passare il suo tempo con una giornalista di terza categoria, incasinata e lontana anni luce dalle bellezze da copertina con cui uno come lui doveva stare?
Rica non lo sapeva ed evitò di chiederselo.
- Ci proveremo!- sorrise.
- Mi lasci il tuo numero, così ti chiamo?
Lei annuì e scribacchiò il numero su un foglio della sua agendina che poi strappò e gli consegnò.
- Ecco. Di sera sarò impegnata per tutta la sera come babysitter della figlia dei miei vicini, nella pausa pranzo e da martedì sera non dovrei avere troppi impegni.
- Oh bene, allora speriamo che riuscirai a trovare un po’ di tempo tra tutti questi impegni.- Adam sorrise e si allontanò facendole ciao con la mano.


Ed Eccoci un altro capitolo con il primo vero appuntamento di Adam e Rica. Sono partiti bene ma sul finale un piccolo incidente c'è. Anche se Rica in questo caso fa più che bene! U.U Che ve ne pare? Intanto vi ringrazio, non mi sarei mai aspettata tanto seguito e vi mano un bacione ciascuno. Ricordate che ogni recensione è preziosa e se volete farmi questo dono vi ringrazio in anticipo, ma non sentitevi obbligati. A presto. Baci. Manu!
Ah ecco il quadro IL VIANDANTE SUL MARE DI NEBBIA che ho amato ai tempi del liceo e che amo ancora:
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Ed ecco quel porc.. ehm MARCO:
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Capitolo 17
*** In tema di confessioni.. ***


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CAPITOLO XVII: In tema di confessioni..



L’arrivo di sua madre non gli lasciava scampo.
Già quando l’aveva vista uscire dall’aeroporto con due enormi valigie e un enorme arrabbiatura stampata in faccia a caratteri cubitali, aveva capito che per tutta la sua permanenza lavorare, ma anche solo condurre la sua solita vita, si sarebbe rivelata un’impresa.
- Sei in ritardo!- scandì prima ancora che lui riuscisse ad abbracciarla e a salutarla.
- Lo so, ma c’era traffico e..
- Se fossi partito per tempo non avresti trovato traffico.- lo interruppe, lasciandogli i suoi bagagli e sedendosi in macchina, sbattendo la portiera.
Adam alzò gli occhi al cielo, pregando che qualcuno, da lassù, gli mandasse la forza necessaria.
C’era un’altra grossa questione da risolvere e che aveva paura di affrontare.
Uno per la reazione che avrebbe avuto sua madre.
Due perché l’incoscienza poteva lasciargli un minimo di speranza.
Quanto tempo si sarebbe fermata mamma?
Salì accanto a lei, dopo aver lottato per far entrare i due armadi con le ruote nel portabagagli della sua auto e sui sedili posteriori, lo sguardo fisso in avanti e il ticchettio delle sue unghia contro la maniglia della portiera lo convinsero ad attendere ancora un po’ prima di farle la fatidica domanda.
- Hai fatto un buon volo?- le chiese giusto per spezzare il silenzio.
- Troppo lungo.
Due parole e tornò a rinchiudersi nel suo mutismo.
Benissimo, si prospettava un soggiorno con i fiocchi.
Sforzandosi di non alzare gli occhi al cielo, mise in moto e partì.

Rica aveva appena finito un’estenuante partita a Twister, che ovviamente aveva perso, e si lasciò cadere sul tappeto del salotto.
Non era fatta per gli sport e tutto quell’attorcigliarsi e quello stirarsi era più vicino a una disciplina olimpica che a un innocente gioco per bambini.
Il suo pensiero corse a quel pomeriggio con Adam e naturalmente allo scontro con Marco.
Su quest’ultimo non aveva dubbi, anzi l’ultimo incontro non aveva fatto che peggiorare irreversibilmente la sua opinione, stronzo sembrava e stronzo si era rivelato.
Adam invece si era dimostrato una piacevole scoperta.
Al primo incontro lo aveva giudicato male, ma pian piano lo aveva rivalutato.
Certo dire che lo conosceva era spropositato ma pian piano iniziava ad intravedere una bella persona.
Non sapeva esattamente cosa stava facendo.
Non sapeva il perché dei loro incontri che da casuali e catastrofici si erano tramutati in appuntamenti, anche se la catastrofe in qualche modo era sempre presente.
- Come mai te ne stai qui tutta sola a sogghignare come quel gattaccio dopo che si è fatto fuori una scatola di croccantini?- Fran si lasciò cadere accanto a lei mentre le urla di felicità di Bianca lasciavano presupporre che la piccola avesse vinto la partita.
- Non stavo sogghignando!- si difese lei, riemergendo a forza dai propri pensieri.
- Oh si che lo stavi facendo!- le mise davanti il suo I phone e lei vide sé stessa, rannicchiata sul tappeto con un piccolo ma chiarissimo sorriso sulle labbra.
Era stata sgamata.
- Guarda che qui la fotoreporter dovrei essere io!
- L’ho sempre detto che ho sbagliato mestiere! Se avessi fatto anche io la giornalista quante cose non sarebbero successe.
Dal tono amaro della sua amica aveva intuito che si riferiva a Marco e capì che era arrivato il momento di dirgli dello scontro che aveva avuto con lui nel pomeriggio.
La presenza di Bianca e il suo scarso coraggio l’avevano trattenuto dal farlo qualche ora prima.
- Devo dirti una cosa..- iniziò.
- Oh sapevo che c’era qualcuno! Dimmi dimmi!- Fran si mise seduta gongolando come una pazza.
- Non è come pensi!- provò a fermarla.
- Oh si che lo è! Allora hai conosciuto qualcuno, vero?- proseguì, inarrestabile.
- Si ma..
- Oh piantala! Dimmi chi è e basta.
- Si chiama Adam ed è il tizio con cui mi sono scontrata al parco, ma non era questo..
- Su, su non farti pregare! Raccontami tutto! Ti piace?
Improvvisamente tutto fu cancellato dalla mente di Rica, rimase solo l’immagine di Adam fissa nella sua retina e la bocca iniziò a parlare senza che riuscisse a controllarla.
- Ha gli occhi più blu che io abbia mai visto, non azzurri, non celesti, sono blu, blu come il mare profondo. E ha quelle ciglia così lunghe, così lunghe per essere un uomo, è come se avesse sempre il mascara e quando ride, oh quando ride è così.. Così.. Così stupefacente che mi manca il fiato. E non in senso figurato, no davvero. Sento una sensazione strana allo stomaco e poi, e poi sento come se un’aspira polvere mi succhiasse l’aria e io resto lì ad annaspare, a guardare quel sorriso storto e quei denti così bianchi e quegli occhi così blu. E’ patetico, è pateticissimo. E’ come se fossi la sfigata protagonista di un film sfigato ma è assolutamente incredibile.
- Beh da questa risposta posso desumere che si, ti piace!
Rica si rese conto solo in quel momento che aveva parlato a macchinetta e che aveva detto più di quanto volesse e più di quanto fosse consapevole.
- E’ che.. È che è molto bello, ma questo non vuol dire che.. Insomma non lo conosco in pratica.- provò a rimediare.
- Oh certo, ma come inizio mi sembra molto promettente.- sorrise Fran, entusiasta.
- Non direi, io non ho quelle intenzioni. E’ carino e simpatico ma non ho intenzione di mettermi con lui, né con nessun altro. Figuriamoci poi se uno come lui è interessato a me.
- Ma..
- No, aspetta fammi parlare. Visto che siamo in tema di confessioni devo dirti un’altra cosa. - sospirò per farsi coraggio.
- Oh mio Dio gli hai fatto proposte sconce?
- Eh? Ma ti sembro il tipo?- chiese Rica, scioccata.
- In effetti no.. Ma visto che è così bello, ho pensato che..
- Sorvolerò su questa affermazione e farò finta di non averla sentita. Per favore non interrompermi. E’ qualcosa di serio!- sospirò di nuovo per farsi coraggio.- Oggi mi sono vista con Adam in un bar in centro e..
- Oh mio Dio! Te le ha fatte lui le proposte sconce!- urlò Fran, scandalizzata.
Forse era il caso di dare qualche dritta in più a suo cugino prima che mandasse tutto a monte.
- Cosa sono le proposte sconce?- chiese la vocetta di Bianca dall’altra stanza.
- Niente tesoro, Fran ha sbagliato a parlare.- urlò Rica di rimando, incenerendo con lo sguardo la sua amica che finalmente si decise a stare zitta e ad ascoltare.
- Fammi parlare prima che mi passi il coraggio. Insomma, ho visto Marco in centro, con una donna!- spuntò fuori.
- Rica, so che Marco è sposato. E‘ normale che esca con sua moglie ogni tanto..- replicò lei.
- Lo so, so che lo sai e lo so anche io, ma vedi. Non era sua moglie.
Fran rimase a guardarla per qualche secondo con gli occhi spalancati, poi si alzò raccolse le sue cose e uscì.
- Fran! - la chiamò.
- Ho bisogno di stare sola. Scusami.- mormorò prima di salire in macchina e di allontanarsi a tutto gas.


Ecco un altro capitolo! Vi ringrazio tutti per aver letto lo scorso capitolo e per aver recensito, vi risponderò tra qualche istante! Grazie come sempre a chi legge. Cosa ve ne pare di questo capitolo? Della madre di Adam e soprattutto della Confessioni tra Fran e Rica? Vi aspetto. Baci. Manu

MAMMA DI ADAM
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Capitolo 18
*** Perfetto! ***


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CAPITOLO XVIII: Perfetto!

Rica aveva appena concluso la chiamata serale con Carlo, il padre di Bianca, e si stava dirigendo in cucina a preparare la cena.
Il suo vicino di casa le era sembrato più abbattuto del solito, soprattutto dopo che la figlia, per l’ennesima volta, aveva rifiutato di parlargli al telefono.
Aveva provato di tutto per convincere la piccola a parlare con il suo papà m non c’era stato verso.
Bianca era allegra, chiacchierona e sorridente per tutto il tempo, tranne che quando il discorso cadeva sui suoi genitori.
E dire che sembravano la famiglia perfetta..
“Sono figlio di genitori separati e capisco come si senta Bianca. Sta passando tutto quello che io non avrei mai voluto che provasse. E’ normale che rifiuti anche me, si sente delusa e abbandonata. Sistemerò tutto!”
Carlo aveva parlato con tristezza ma risoluzione. Era deciso a recuperare il rapporto con la figlia e Rica era sicura che una volta rientrato avrebbe fatto di tutto per sistemare o almeno rattoppare quella situazione.
- Ho fame!- Bianca rientrò nella stanza con Tommy al seguito.
- Tra dieci minuti si mangia, vai a lavarti le mani.
- L’ho già fatto! Ma Fran non viene a cena nemmeno stasera?- chiese la piccola arrampicandosi sullo sgabello e guardandola cucinare.
- No, credo di no. - sospirò Rica. Non vedeva l’amica da due giorni, ovvero dalla sera in cui le aveva detto di aver visto Marco con un’altra. Aveva provato a chiamarla ma lei non aveva mai risposto, le aveva mandato solo un messaggio in cui ribadiva di voler restare sola.
Rica era preoccupata ma sapeva che Fran aveva bisogno di tempo per metabolizzare la cosa.
- Peccato. Avete litigato anche voi?
- No. E’ solo che anche lei ha molti impegni in questo periodo ma presto tornerà a trovarci.
Il suo cellulare ricominciò a squillare e Rica andò a recuperarlo sul divano.
Un numero che non conosceva.

Adam aveva sentito Fran quel pomeriggio e aveva subito capito che sapeva di quel bellimbusto.
- Lo sai vero?- chiese senza mezzi termini.
- Si, ma non voglio parlarne, scusami. Dovevi chiedermi qualcosa?
- Si ma non credo che sia il caso a questo punto.- fece Adam mordendosi le labbra.
- No, dimmi dai. Magari le tue genialate serviranno a distrarmi. C’entra Rica?- chiese.
- Indirettamente.- rispose lui in tono incerto. - Si tratta di mia madre, è qui da due giorni e mi sta facendo impazzire. Ho bisogno di una serata libera o rischio di prendere il primo volo e tornarmene in Canada.
L’esasperazione di suo cugino riuscì a strapparle un sorriso.
Sua zia Caterina, Kate, come ormai la chiamavano tutti, sorella di sua madre, era una donna energica e attiva.
A vent’anni aveva mollato tutto e tutti per seguire un uomo, che conosceva da poche settimane, dall’altra parte del mondo, si era sposata, aveva avuto un figlio che aveva cresciuto con passione e attenzione nonostante la patologia al cuore che la costringeva a non strafare e  sottoporsi a controlli continui.
Per lei, Fran, aveva da sempre un’ammirazione profonda e incondizionata, amava il suo look elegante e curato, la sua classe e la sua passione per la pittura che l’avevano portata a diventare famosa in tutto il mondo, ma era perfettamente consapevole che la sua personalità esuberante riusciva spesso a far impazzire la gente, soprattutto il suo unico figlio.
Solo suo zio, con la sua calma e la sua serenità, sembrava riuscire a sopportare senza troppi problemi il carattere esuberante della moglie.
- Cosa vuoi che faccia?
- Tienimela lontana una sera, inventa qualcosa ma aiutami!- implorò Adam.- So che non è il momento migliore per te e mi sento un verme a chiedertelo, ma sono esasperato!
Fran scoppiò a ridere.
- Stai tranquillo cuginetto, ci penso io. La chiamerò e inviterò lei e mia madre per una seratina di sole donne.
- Grazie, grazie mille! Io chiamerò Rica e la inviterò fuori.
- C’è Bianca!- gli ricordò lei.
- Vero! Vabbè mi inventerò qualcosa. Grazie mille, Fran! Grazie!
- Divertiti!- lo salutò Fran con un sorriso.
Almeno il suo piano sembrava funzionare.
Adam sembrava aver cambiato atteggiamento nei confronti della sua amica.
Non pensava che tutta questa voglia di uscire con Rica fosse dovuta al desiderio di sfuggire alla grinfie di sua madre.
Sorrise e mise giù il cellulare.
Qualcosa andava per il verso giusto, finalmente.

- Pronto?- chiese Rica incerta.
- Ciao Ica, sono Adam ti ricordi di me?
Il suo cuore le mancò un battito.
- Oh Adam, certo.. Certo che mi ricordo!
- Ti disturbo?
- No, no affatto. Dimmi pure!
- So che sei ancora in veste da babysitter ma volevo chiederti se ti va, anzi se vi va, di vederci questa sera.
- Adesso? - chiese Rica spiazzata.
- Se non avete impegni si. So che è piuttosto tardi ma oggi è venerdì e la tua amica non ha scuola domani no? Potrebbe andare a letto un po’ oltre l’orario per una volta.
Rica sorrise, certo era convincente, come se uno come lui avesse bisogno di esserlo. Qualunque donna lo avrebbe accontentato e lei non era sicura di riuscire a fare diversamente, ma fortunatamente le rimase un pizzico di lucidità.
- Devo chiedere a Bianca se per lei va bene.
- Certo che mi va bene, a patto che si vada al Luna Park!- urlò la peste che doveva aver origliato la conversazione.
- E Luna Park sia.- concesse Adam che evidentemente aveva sentito le urla della bambina.
A Rica non restava che adeguarsi, visto che avevano deciso tutto loro.
Ma dire di no a quei due le riusciva praticamente impossibile.
- Vi vengo a prendere tra mezzora. Va bene? Se non avete cenato possiamo prendere qualcosa fuori.
- Perfetto.

Chiusa la conversazione non le rimase che vestire Bianca e scegliere cosa indossare.
Non poteva certo presentarsi tutta in tiro, era pur sempre un Luna Park, non un ristorante a cinque stelle.
Il consiglio di Fran sarebbe stato prezioso ma era meglio non disturbarla ancora, così optò per un jeans comodo, un paio di scarpe basse e una maglia carina ma casual.
Non era il massimo per un appuntamento ma visto che aveva decretato che tra lei ed Adam non sarebbe successo niente era perfetto.

Ed eccoci con un altro capitolo. Sono piuttosto di corsa ma come sempre ringrazio tutti quelli che leggono la storia, vi avviso già da ora che nel prossimo capitolo, come avrete sicuramente intuito, avremo un altro appuntamento tra Rica e Adam. Cosa accadrà? Lo scopriremo solo leggendo! Baci. Manu!

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Capitolo 19
*** Buio! ***


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CAPITOLO XIX: Buio!

- Io voglio lo zucchero filato e le caramelle e anche..- iniziò Bianca, mentre aspettavano che Adam passasse a prenderle.
- Prima di tutto devi mangiare qualcosa che non contenga zuccheri e grassi saturi, poi forse, ti comprerò una di queste cose, ma solo se ti comporterai molto, molto bene e non farai capricci.
- Mi sembra una giusta filosofia. Se mangio tutta la pizza posso avere anche io dello zucchero filato?
La voce di Adam la fece sobbalzare e arrossire al tempo stesso.
- Ciao, non ti avevo visto arrivare.- disse Rica riprendendosi a fatica dallo spavento e da quella bellezza folgorante.
- Scusami non volevo farti spaventare, ho lasciato la macchina qui dietro. Ciao, tu sei Bianca vero?- si chinò sulla bambina e le porse la mano che quella strinse solennemente.
- Si, tu invece sei.. Sei.. - la piccola si morse le labbra, pensierosa.- Hai un nome troppo difficile, non me lo ricordo!
- Adam. Piacere.
- Si giusto. Piacere. Andiamo? Voglio andare sui cavalli e voglio fare un giro sulla ruota panoramica, ma devi salire tu con me perché Rica ha paura di accompagnarmi, è una fifona lo sai?- la piccola iniziò a camminare accanto ad Adam, svergognandola sulla sua fobia per l’altezza.
- Non sono una fifona!- provò a difendersi, lei arrossendo per l’imbarazzo.
- Si invece, quando ti ho chiesto di accompagnarmi, l’altra volta, sei diventata verde di paura e mi hai detto che si era fatto troppo tardi e dovevamo tornare a casa!- cantilenò la bambina salendo sull’auto mentre Adam le teneva aperto lo sportello.

Il Luna Park era un agglomerato di vecchie giostre ben conservate in cui da piccola esigeva di passare tutti i fine settimana.
Alle volte con lei c’era Fran, altre era da sola con la sua famiglia.
Le mancavano.
Le mancavano le chiamate assillanti di sua madre e le chiacchiere delle sue sorelle.
Ogni tanto si sentivano, ma non era più come prima.
Non le avevano perdonato di aver lasciato quel lavoro e di essere ritornata in quella città e lei non li aveva perdonati di non averla perdonata.
Inoltre le mancava Fran, non era abituata a non averla intorno per due giorni di fila, era una prolungazione di sé stessa, non riusciva quasi ad immaginarsi senza quella pazza sfrenata.
Era contorto e complicato e non voleva rovinarsi la serata.
Avevano mangiato in una pizzeria di fronte al Luna Park e adesso Bianca e Adam stavano cercando di decidere se comprare le caramelle o lo zucchero filato.
- Io sono per le caramelle, sono di tanti gusti!- disse il ragazzo con una faccia seria e assorta.
- Io invece per lo zucchero filato! E’ più dolce e poi lo fanno anche rosa!- esclamò la bambina entusiasta, strappando un sorriso ad Adam.
- Allora mammina, io vorrei le caramelle e Bianca lo zucchero filato, possiamo? Ica, ci sei?- aggiunse, vedendo che lei non rispondeva.
Rica riemerse dai suoi pensieri esibendosi nell’imitazione di un sorriso. L’unione di quei pensieri con quel nomignolo che ultimamente non facevano che affibbiarle le aveva creato un ulteriore groppo in gola.
- Si certo, li prendo subito.
Si avvicinò alla bancarella ma ancora una volta Adam la precedette, nemmeno in pizzeria, nonostante le sue insistenze, le aveva concesso di pagare la parte sua e di Bianca.

La bambina aveva divorato la sua nuvola rosa e zuccherosa e adesso volteggiava aggrappata a un cavallo dorato, salutandoli con la mano ad ogni passaggio.
- Posso chiederti cosa c’è che non va? Sembri pensierosa, triste.. Ti stai annoiando?
Ancora una volta la sua voce servì a riportarla alla realtà.
- No, tranquillo, davvero non mi sto annoiando affatto, è che sono in pensiero per una mia amica e tutta una serie di cose. Ma cercherò di non pensarci, non voglio annoiarvi.- si scusò.
- Non mi stai annoiando, se vuoi parlarne io ti sto ad ascoltare volentieri.- sorrise lui gentilmente.
- Ti capita mai di sentirti trasparente, di avere l’impressione che se anche non fossi lì o non ci fossi affatto, il mondo andrebbe avanti tranquillamente?- chiese dopo qualche attimo di silenzio.
- Mi capita più spesso di quanto vorrei.- ammise lui, sedendosi accanto a lei.
- Bene è così che mi sento. Pensavo a Fran, quella che stava con quel tizio del bar. - gli ricordò vergognandosi un po’ della sua performance.
- Oh si che mi ricordo. Sei stata anche troppo gentile con lui.- rispose Adam mentre un formicolio ai pugni gli ricordava come avrebbe reagito lui se solo avesse potuto.
- Oh lo so. Si sarebbe meritato ben altro. Insomma non la sento da due giorni, ha bisogno di stare sola, lo capisco, ma mi sento smarrita senza di lei. Per tutta la vita lei è stata il mio punto fermo. Anche quando con i miei i rapporti si sono raffreddati.- disse osservandosi la punta delle scarpe.
- Io credo che abbia solo bisogno di tempo, che debba digerire quanto è successo.
- Si, ma ti ripeto mi sento come se non esistessi, come se fossi trasparente. Come se fossi un oggetto inutile che rinchiudi in un cassetto che non apri mai. Mio padre, mia madre, le mie sorelle, le mie pseudo amiche, tranne Fran, ovvio, lei è una delle poche cose davvero belle della mia vita. Tutti gli altri è come se mi considerassero un soprammobile neppure troppo carino. Una bomboniera di nozze di dubbio gusto, ecco. La metti in un angolo nascosto e te ne dimentichi. Li ho delusi. Volevano che facessi strada, volevano che vivessi nella grande città e io li ho delusi. Sono tornata qui con la coda tra le gambe. La metropoli non fa per me. Io ho bisogno della natura, del mare. Li ho delusi. Ho sempre deluso tutti. Basta guardarsi intorno per vedere quanta gente migliore di me c’è. Migliaia e migliaia. Milioni. Milardi. Solo con Fran sono davvero me stessa. Lei è una parte di me. Sa di me anche più di quanto vorrei, se non sono io a dirgliele, è lei a capirle. Ma non so se io faccio lo stesso con lei, non so se merito quanto lei fa per me. Credo di avere paura di deluderla e credo anche di aver parlato troppo.- disse infine alzandosi profondamente imbarazzata e mortificata per il proprio comportamento.
Gli aveva detto cose che non aveva mai avuto il coraggio di dire nemmeno a sé stessa.
Cose che nessuna donna avrebbe mai detto nei primi appuntamenti con un uomo.
Ma lei non era come le altre donne e lo sapeva già.
Non riusciva a seguire i piani e gli schemi.
Adam le si avvicinò.
- Io ti conosco da poco, so che hai un’amica che adori, un lavoro che non ti soddisfa davvero, ti occupi di una bambina mentre i suoi non ci sono e hai tanti sogni. Certo non ti conosco bene però credo che tu non sia così come ti descrivi. Credo che in te ci sia più di quel che tu pensi e che forse dovresti essere più consapevole di te stessa. In ognuno di noi c’è qualcosa di prezioso e se la tua amica ti è stata accanto per così tanto tempo è perché hai tante qualità che magari non vedi. Dalle il tempo di uscire da questa brutta situazione e stalle accanto come puoi. Credo invece che a parlare troppo sia stato io, non tu.
- Allora la smettete di chiacchierare? Voglio salire sulla ruota panoramica! - Bianca si mise in mezzo a loro, li prese per mano, provando a trascinarli verso la giostra.
- Oh io.. Non..- iniziò Rica, deglutendo.
- Vedi? Te lo avevo detto che era una fifona!- disse Bianca sogghignando
- Non è vero!
- Si invece!- replicò la bambina.
- No!
- E allora sali con noi!
Le parole di Bianca non le lasciavano scampo.
Sospirò e si avvicinò coraggiosamente alla giostra.
L’idea di stare sospesa a diversi metri dal suolo non la entusiasmava.
Ma neppure farsi prendere in giro da una marmocchia di cinque anni, alta poco più di un metro, la entusiasmava.
Si mise in fila, tra Bianca e Adam.
Appena prima di salire lui si chinò verso di lei.
- Ti svelo un segreto: anche io soffro di vertigini.
Le sue parole le solleticarono una guancia e all’improvviso tutta la paura svanì, lasciando il posto allo smarrimento.
Non poteva farcela.
Non poteva sopportare la vicinanza di un uomo simile senza subire danni irreparabili alla sua psiche.
Sentì nitidamente le guance prendere fuoco.
La giostra si fermò e lei prese posto nella piccola cabina a vetri, ancora stordita.
Solo quando il piccolo sedile su cui si era seduta iniziò a dondolare si rese conto che avevano lasciato il terreno e che la giostra li stava portando in alto.

I pugni stringevano le ginocchia.
Era impressione sua o improvvisamente aveva iniziato a far freddo?
Paralizzata al suo posto mentre Bianca chiacchierava gioiosamente di qualcosa che lei nemmeno ascoltava.
Doveva restare calma, respirare e aspettare. Sarebbe finita presto.
Eppure i secondi sembravano minuti e i minuti ore.
Da quanto erano su quell’aggeggio infernale?
Dieci secondi? Dieci minuti? Dieci ore? Dieci anni?
Il tempo sembrava essersi cristallizzato mentre una paura insensata e incontrollabile la teneva immobilizzata con lo sguardo fisso sulle sue mani stretti contro la stoffa ruvida dei suoi jeans scuri.
- Guarda laggiù! Il chiosco dello zucchero filato sembra la casa delle bambole!- esclamò quella piccola peste.
Rica non aveva nessuna intenzione di guardare fuori dal finestrino, né di spostare lo sguardo dalle sue mani.
- Mi sentite?
- Oh si ci credo Bianca.- rispose la voce di Adam, tesa.
Allora era vero? Non era solo una galanteria quella di averle detto che anche lui soffriva di vertigini.
Alzò lo sguardo alla sua destra e lo vide.
Le mani strette a pugno attorno alla stoffa della sua tuta grigia.
- Me la sto facendo sotto.- bisbigliò con un sorriso tirato lei.


Lui sorrise, sforzandosi di apparire più rilassato di quanto non fosse.
Da quando aveva rischiato di cadere dal balcone di casa sua a otto anni, la paura per l’altezza lo paralizzava.
Salire sugli aerei all’inizio era stato un inferno.
Poi crescendo, con un bottiglia di vodka come compagna di viaggio, era stato più semplice.
Ad ogni atterraggio era ubriaco fradicio ma perlomeno vivo.
Sciolse le mani che avevano stropicciato la stoffa dei pantaloni e appoggiò le braccia lungo il sedile celeste della cabina.
- Tranquilla, finirà presto.
Proprio in quel momento la cabina diminuì l’andatura e dopo un paio di sobbalzi si fermò, dondolando.
La luce tremolò e poi andò via.
- Le ultime parole famose eh? - Aggiunse lui con voce stridula, azzardandosi a spostare lo sguardo per guardarsi intorno.
Dai finestrini si vedeva solo il cielo nero, quindi dovevano essere ancora in alto.
Troppo in alto.
- Cosa succede?- mormorò Rica con la gola troppo stretta dal panico.
- Non lo so. È tutto buio anche giù. Venite a vedere!- disse Bianca.
Nessuno dei due si alzò.
Se il tempo prima scorreva lento adesso sembrava essersi fermato del tutto.

Aveva voglia di piangere e urlare.
Rica sentiva gli angoli degli occhi pizzicare mentre le lacrime spingevano per rotolare giù.
Alzò lo sguardo in su, imponendosi di resistere.
Non poteva mettersi a frignare, nonostante ne sentisse il bisogno fisico.
- Va tutto bene Ica?- la voce di Adam arrivò dalle tenebre, proprio accanto a lei.
- Sono stata meglio. - si sforzò di rispondere lei.
Una mano trovò la sua, appoggiandosi sul pugno chiuso e stringendola leggermente.
- Sarà andata via la corrente, non può durare a lungo, ci faranno scendere presto. Pensa ad altro.
La mano calda contro la sua pelle gelida era un’ottima fonte di distrazione.
Il mondo sembrava essere un po’ meno buio.


Ciao a tutti!!! Eccoci qui con un altro capitolo. Era un po' più lungo degli ultimi ma spero non vi sia dispiaciuto. Spezzarlo non aveva senso. So che sono un po' cattivella e che a questi due poveretti ne combino di tutti i colori. Mai un attimo di pace! E siamo solo all'inizio. Che ve ne pare? Come sempre i vostri pareri sono più che graditi! Al solito baci a tutti voi che avete la forza e la voglia di leggere ciò che il mio pazzo cervello partorisce. Siete buonissimi e tantissimi! Grazie, grazie, grazie, grazie! :* A presto. Manu

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Capitolo 20
*** Pericoli ***


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CAPITOLO XX: Pericoli


- Bene, siamo sopravvissuti a questa serata. Vista la piega che hanno preso i nostri incontri non era poi così scontato!
Il sorriso di Adam rischiarò l’abitacolo buio dell’auto proprio quando si stavano fermando nel parcheggio di fronte a casa di Rica.
- Beh si, anche se a mio parere questo è stato peggio delle altre volte. Per fortuna siamo rimasti lì sopra solo pochi minuti.
- Eh ci credo! Quando ti sei messa ad urlare che dovevano farti scendere immediatamente o avresti distrutto la giostra si sono dati da fare per non sfidarti!
Rica sobbalzò e impallidì.
Le sue reazioni lasciavano gli altri, ma anche sé stessa, senza parole.

Erano sospesi da cinque minuti che però sembravano cinque anni.
Sentiva ancora il calore della mano di Adam, appoggiata sulla sua, cercando di rassicurarla, ma più passava il tempo, più sentiva crescere dentro l’agitazione e un nervosismo incontenibile.
Doveva scendere!
- Bianca, apri il finestrino.- aveva detto alla bambina.
- Cosa vuoi f..?- aveva tentato di chiedere Adam.
- Uomo della giostra! Uomo della giostra mi sente?
Da sotto si era sentita la voce dell’uomo che si scusava per l’inconveniente, provando a rassicurarla, dicendo che stavano collegando un generatore di corrente per farli scendere.
- Le do due minuti! Tra centoventi secondi i miei piedi dovranno toccare terra o giuro che la sua giostra non avrà lunga vita! - aveva sbraitato livida di rabbia e di terrore.

- Quando sono sotto pressione reagisco male, lo so!- mormorò rossa di vergogna, aprendo la portiera.
Doveva cercare di modificare quel lato del suo carattere se non voleva ritrovarsi, un giorno o l’altro, in una stanza con le inferriate e una camicia di forza addosso.
- C’è da dire che non ci si annoia mai con te. - sorrise lui, scendendo a sua volta dall’auto.
La sera era tiepida, la primavera era nel suo pieno svolgimento e nell’aria c’era odore di terra umida e di erba, da qualche parte si sentiva il canto delle ranocchie e il frinire dei grilli.
Non avrebbe cambiato quella casa per nessun castello del mondo!
Si era subito innamorata di quella villetta monofamiliare con tante scale e un piccolo pezzo di giardino in cui si riprometteva da tempo di piantare dei fiori.
La zona poi era stupenda, a pochi minuti dalla città, ma piena di verde e di tranquillità.
Il luogo perfetto in cui far crescere dei bambini.
- Così adesso so che soffri di vertigine, che quando ti arrabbi sei pericolosa e che la vista del sangue ti terrorizza..- Adam interruppe i suoi pensieri, camminando verso di lei con una Bianca addormentata, e quindi finalmente silenziosa, tra le braccia.
Era così che doveva essere.
Un uomo, una donna, un bambino e una casa spaziosa con giardino.
Scosse la testa, scacciando quei pensieri.
Era ancora giovane ma alle volte aveva l’impressione di essersi persa tante cose della vita, come se fosse invecchiata senza passare per le tappe fondamentali.
“Piantala Rica, hai ventisette anni e tanta vita davanti”, le avrebbe detto Fran, e avrebbe avuto ragione. C’era tempo.
- Come fai a sapere che il sangue..?- chiese lei sbalordita.
- Lo scontro al parco, ti ricordi? Alla vista del sangue sei diventata più verde della felpa che indossavi.
- Beh detta così sembro una pazza paranoica..
- Io non l’ho detto!- ammiccò lui, divertito.- Altre fobie?
- Mmm solo claustrofobia e.. ah l’aracnofobia.
- I ragni?- chiese lui stupito.
- Mi fanno schifo! Con quelle zampette e quella camminata veloce veloce!- disse lei rabbrividendo.
- Non mi ero mai soffermato a osservare il modo di camminare dei ragni!- disse con un sorriso, prendendola in giro.
- Invece dovresti! Hanno un modo subdolo di spostarsi e aspettano un tuo momento di distrazione per lanciarti una ragnatela e arrampicarsi addosso.
- Beh allora deduco che Spiderman non sia il tuo supereroe preferito, quindi.
- Invece stranamente lo è! Adoro quel fumetto e anche i film con Tobey Maguire, con quella faccia da bravo ragazzo è perfetto nei panni di Peter Parker. Certo sono più da Paperinik, Bat Carioca o Paper Bat, come tipo, ma Spiderman, nonostante sia cugino dei ragni ha il suo perché.
Si erano fermati davanti al suo portoncino.
Adam sorrideva.
Bianca dormiva.
Rica cercava le chiavi nella borsa.
Ad un certo punto il cellulare di lui iniziò a squillare furiosamente.
- Ica per piacere potresti prendermi il cellulare nella tasca della giacca, con Bianca non ci riesco.- disse lui dopo aver tentato un paio di contorsioni.
La ragazza infilò la mano nella tasca del suo giubbino di pelle e afferrò il cellulare.
Solo in quel momento Adam realizzò che a chiamare potesse essere Fran.
Se Rica avesse visto il nome sullo schermo sarebbe stata la fine!
Avrebbe fatta due più due.
Ma lei non guardò lo schermo del cellulare, glielo mise di fronte e lui lesse il nome.
Non era quello di Fran ma era ancora più pericoloso.
Mamma.

- Qualcosa non va?- gli chiese Rica, notando la sua espressione.
- No, solo che devo rispondere. - se non lo avesse fatto lei avrebbe chiamato ancora, ancora e ancora.
- Dammi pure Bianca, tranquillo. - spalancò la porta e si avvicinò per prendere la bambina.
Adam si abbassò e di colpo il suo viso si trovò troppo vicino a quello di lui.
I loro occhi si incontrarono.
Il profumo di lui la circondò, stordendola ancora di più e dovette deglutire un paio di volte per ritrovare il controllo di sé stessa e capire che erano così vicini solo perché lei doveva prendere la bambina dalle sue braccia.
- E’ stata una bella serata. Grazie per la compagnia, la pizza, la chiacchierata e per non avermi buttato giù dalla ruota panoramica quando ho dato di matto.- sorrise e si infilò in casa, chiudendosi la porta alle spalle con un piede.
Forse non era stata il massimo dell’educazione ma non le importava.
Quell’uomo era pericoloso!

Adam rimase qualche secondo a fissare il portoncino azzurro che lei gli aveva praticamente sbattuto in faccia.
Quella ragazza era un pericolo pubblico.
Quando era con lei finiva sempre per succedere un guaio.
Era imprevedibile, le era sembrata così dolce e insicura quando gli aveva raccontato del suo rapporto con i suoi genitori e della sua paura di perdere Fran e poi si era trasformata in un vulcano di rabbia quando erano rimasti bloccati sulla ruota panoramica.
Aveva notato l’occhiata di fuoco che aveva lanciato al giostraio che si era avvicinato per scusarsi per l’incidente e ricordava perfettamente la sfuriata a Marco, così come il suo tono arrabbiato e lo sguardo assassino che gli aveva rivolto al loro primo scontro al parco.
Era una contraddizione vivente, un mix di tenerezza e durezza che lo lasciava senza parole.
Così come lo aveva lasciato senza parole lo sguardo che si erano lanciati prima.
Sapeva che era giusto che lei si interessasse a lui, che lo scopo di quel piano folle era proprio passare del tempo con lei e farle provare interesse per qualcuno ma non pensava affatto di restarne lui stesso turbato.
Non che le piacesse.
Non le piaceva Rica.
No davvero.
Era solo simpatia, affinità.
Ma non le piaceva.
No.
Il cellulare continuava a squillare furioso nella sua mano e si decise a lasciar perdere quei discorsi insensati.
- Si mamma dimmi!
- Non avevi detto che saresti rientrato presto? Non mi sono portata la chiavi e sono fuori casa tua a congelare da mezzora.
Solo sua madre poteva dire di star congelando con una temperatura di almeno ventitré gradi.
Non riusciva a capire come facesse a vivere in Canada da trent’anni, freddolosa com’era.
- Sei ancora con Fran?
- Si, ma vedi di sbrigarti.
- Arrivo.
Prima o poi si sarebbe deciso ad essere meno accomodante con sua madre.
Prima o poi avrebbe cambiato atteggiamento e non sarebbe più stato al gioco di tutti.
Come quel piano matto che aveva deciso di seguire solo per non ferire Fran.
Salì in macchina e avviò il motore.
Si stava rivelando fin troppo pericoloso.



Ed eccoci qua! Ma quanto vi adoro? Sono così contenta di leggere le vostre recensioni che ogni volta gongolo come una pazza! Graaaazieee! Eccoci qui con il ventesimo capitolo! Certo che ne abbiamo fatta di strada e tanta ancora ne faremo! Non so proprio dirvi quanto sarà lunga questa storia, vedremo cosa partorirà il mio cervellino. So che ho ancora un bel po’ di idee e che mi piace sviluppare le cose con calma. Spero che non vi dispiaccia! Che ne dite della nostra Rica e del suo caratterino niente male? E’ proprio una contraddizione vivente come dice il nostro caro Adam vero? Qui abbiamo il primo “contatto” tra i due, non è successo niente ma i due iniziano a sentire un qualcosa ( a dire il vero Rica lo sente dal primo momento che lo ha visto, ma come darle torto con una cotanta meraviglia di fronte?). Come avrete notato sono in vena di chiacchiere stasera. Ma perdonatemi ogni tanto anche io divento logorroica. Che devo dirvi altro? Ah si che al capitolo 10 “Angeli caduti ed ex pervertiti” ho aggiunto una foto del bellissimo Adam, non so come ho trovato una sua foto che è esattamente come lo immaginavo in quell’occasione! Trovatemi quell’uomo e giuro che non vi chiederò altrooo! Ok basta, chiudo. Ho strafatto. Le risposte alle recensioni arriveranno tra qualche istante. Grazie ancora a tutti coloro che leggono. Baci, Manu!
P.S: Per la gioia di grandi e piccini nel prossimo capitolo ritornerà in scena Fran. : ) 

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Capitolo 21
*** Rossetto rosso! ***


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CAPITOLO XXI: Rossetto rosso!


Mia nonna mi ripeteva spesso da bambina che le donne deboli hanno bisogno di uomini forti e le donne forti hanno bisogno di uomini deboli. A suo parere in una coppia deve crearsi una sorta di equilibrio partendo dallo squilibrio tra una personalità che domina e un’altra più mite a cui piaccia essere dominata. Io non sono molto d’accordo ma visto che mia nonna era una donna forte e mio nonno un uomo mite e arrendevole capisco il suo punto di vista. Io sono più per il detto “Chi si somiglia, si piglia.” Una persona forte non può stare con una persona debole, rischierebbe di annientarla e il rapporto non sarebbe più una relazione d’amore ma quasi una dipendenza hegeliana tra servo e padrone. Adesso non so perché me ne sto qui a scrivere queste cose senza senso, la mattina dopo una specie di appuntamento con l’uomo più spettacolare che io abbia visto. Non so nemmeno perché sto pensando ad Adam. So solo che ho passato la notte in bianco e che scrivere di questa cosa forse mi farà bene. No, non mi farà bene. Servirà solo ad imbrattare una pagina, a farmi dare dell’idiota da me stessa quando la rileggerò e basta. Io non ho bisogno di uomini deboli, né di uomini forti, né di fantastici uomini con spettacolari occhi blu. Io non ho bisogno di nessuno. Non più.

- Rica?
La ragazza sussultò e la penna nera tracciò una striscia sulla pagina del suo diario.
La voce di Fran proveniva dalla portafinestra aperta del salone. Saltò giù dal divano e si lanciò letteralmente sull’amica.
- Oh finalmente! Ma che fine hai fatto? Mi sei mancata!- disse stritolandola in un abbraccio.
- Anche tu mi sei mancata!- rispose Fran rispondendo alla sua stretta con altrettanta foga.
- Non lo avrei detto visto che sei sparita per tutto questo tempo.- ribatté lei in tono offeso, andando a sedersi sul divano.
- Sono stati solo pochi giorni.- si difese lei.
- Sembrava una vita.
Fran si accomodò accanto a lei, passandole un braccio intorno alle spalle.
- Anche per me sono stati giorni interminabili. Ma sai come sono fatta, avevo bisogno di starmene da sola ed “elaborare il lutto”. Non volevo escluderti.
- Lo so, lo so. Non preoccuparti. L’importante è che tu sia qui adesso, mi sentivo sola.
- A proposito dov’è la marmocchia?- chiese Fran guardandosi intorno.- Il padre bonazzo è tornato a riprendersela?
- Fran! E’ ancora un uomo impegnato o almeno credo- la rimproverò lei con tono incerto.
- Oh tranquilla, ho chiuso con gli uomini sposati. Ma il fatto che sia bonazzo è innegabile.
- In effetti! Comunque no, non è rientrato, Bianca è da una sua amica.- spiegò lei.
- Oh bene allora propongo una seduta di sano shopping terapeutico, non c’è niente di meglio per superare una delusione amorosa.
- Oh se proprio devo.. - sorrise lei.
Era così felice di rivederla che l’avrebbe accompagnata ovunque.


- Questo è perfetto per te! Prendilo!- disse Fran indicato l’astuccio dorato di un tester rosso fuoco.
Erano in quella profumeria da quasi un’ora ma la sua amica non ne aveva ancora abbastanza, doveva esaminare ogni prodotto e decidere se era necessario o no per superare la storia di Marco.
In realtà Rica pensava che il suo fosse solo un pretesto per giustificare la smania di spendere soldi in oggetti superflui e inutili che avrebbe finito per non usare, ma vederla felice la rendeva felice.
- Non è il mio genere.- lei scrollò le spalle iniziando a guardare le altre tonalità.
- Forse, fino ad ora, hai sbagliato genere.
- Vuoi dirmi che mi trucco male?- domandò Rica, offesa.
- Ah perché ti trucchi? Da quando?- le chiese Fran fingendo stupore.
- Non mi piace strafare! E quello per me è strafare!- si giustificò indicando il rossetto incriminato.
- Si da il caso che il tuo genere sia questo!- indicò un gloss rosa trasparente.- Ed è lo stesso genere di mia cugina di undici anni.
- Ah ah ah.- Rica finse di ridere e guardò il lucidalabbra, pensando che non era niente male.
Fran esagerava. Che male c’era a voler tenere un profilo basso? Lei non era il tipo da rossetto rosso.
Per quel tipo di tonalità ci voleva una sicurezza che lei non aveva e che non avrebbe acquisito mai.
- Guarda che non stavo scherzando. Credo davvero che dovresti comprare quel rossetto.
- Tu sei pazza! Vuoi farmi spendere 25 euro per qualcosa che non userò mai? Che giacerà, dimenticato, nel fondo di un cassetto quando invece potrebbe appartenere a qualcuno che lo adorerà?
- Sei troppo melodrammatica Rica! Stiamo parlando di un rossetto, non di un cucciolo! Ad Adam piaceresti.- rispose l’amica maliziosa, scuotendo una mano e prendendo l’ultimo pacchetto dorato dallo scaffale.
- Il principio è lo stesso! Io non lo userò mai e poi tu non conosci Adam e non puoi sapere se a lui piacerei, ammesso che io vorrei piacergli, cosa che non è affatto vera!- Rica avvampò al pensiero del ragazzo ed iniziò a ingarbugliarsi con le parole, come le accadeva sempre quando era in imbarazzo.
- E’ vero non conosco Adam - iniziò Fran, mentendo spudoratamente.- Ma conosco il genere maschile e so che nessun uomo sano di mente resisterebbe a delle labbra rosse e invitanti!
- Io non ho le labbra invitanti!- sobbalzò lei.
- Non sono male, devi solo valorizzarle un po’.- disse Fran studiando il contorno della sua bocca.
- Adesso basta parlare delle mie labbra!- mugugnò lei contro la mano che aveva portato a coprire l’oggetto dell’interesse di Fran.
- Beh allora parliamo di Adam, ha delle belle labbra?
Il pensiero della sera prima, quando si era avvicinata a lui per prendere Bianca dalle sue braccia, la fece avvampare.
Aveva delle belle labbra?
Erano stupende, carnose ma non smisurate.
Perfette.
Labbra da baciare.
Lo aveva pensato davvero?
Aveva pensato davvero che avrebbe voluto baciare Adam?
Pareva proprio di si.
- Non dobbiamo parlare di niente! Stai facendo tanto rumore per nulla. Adam è uno che conosco appena, l’ho visto un paio di volte e molto probabilmente non lo vedrò più quindi..
In quel momento il suo cellulare iniziò a squillare, lo prese distrattamente in mano e sobbalzò leggendo il nome della persona che la stava chiamando.
Adam.
- Bene, rispondi al tizio che non vedrai mai più, io pago il rossetto. Consideralo il tuo regalo di Natale.- disse Fran lasciandola sola per avvicinarsi alla cassa.
- Mancano più di sette mesi!
L’amica scrollò le spalle e non la degnò di considerazione così a Rica non rimase che rispondere al cellulare, con il cuore leggermente in subbuglio.
Adam sapeva che Ica era con Fran quel pomeriggio.
La cugina le aveva mandato un messaggio per dirgli che la bambina era da un’amica, così avrebbero potuto approfittarne per vederla senza distrazioni.
Aveva letto e riletto il messaggio un’infinità di volte.
Quella situazione rischiava di sfuggirgli di mano e non aveva nessuna intenzione che questo accadesse.
Il lampo che aveva letto negli occhi di Rica la sera prima lo aveva reso pensieroso.
Non voleva ritrovarsi in qualcosa di troppo grande, non voleva avere sulla coscienza la sofferenza di una persona semplice e genuina come Rica.
E non voleva rischiare di affezionarsi lui stesso.
Il suo rapporto con le donne era piacevole.
Le adorava tutte e le stimava.
Le giovani, le anziani, le more, le bionde, le deboli e le forti.
Ogni donna aveva dentro una forza speciale che riconosceva non ci fosse in nessun uomo.
Il loro livello di sopportazione e di pazienza erano incredibili e invidiava la loro capacità di organizzazione e di fare mille cose in una volta.
Ma aveva stabilito che non sarebbe andato oltre a un’amicizia, diciamo, intima.
Non voleva impegnarsi, non ancora.
Non si sentiva abbastanza maturo, non pensava di avere ancora la serenità e la stabilità emotiva per stare accanto a una donna davvero.
Così era sempre chiaro con ogni donna con cui iniziava un rapporto.
Nessun legame stabile, nessun vincolo.
La maggior parte delle volte tutto filava liscio, altre meno.
Pareva che le donne avessero una passione irrefrenabile verso chi diceva di non volersi impegnare, un desiderio profondo di salvarlo e di portarlo sulla retta via e quando questo accadeva, deludere le loro aspettative era doloroso.
Ica sembrava una donna intelligente e forte, più di quanto lei stessa pensava.
Se c’era una cosa che il suo lavoro gli aveva insegnato era capire chi gli stava di fronte.
Non voleva deludere Ica,  non voleva affezionarsi a lei.
Ma alla fine schiacciò il tasto verde del telefono.
- Pronto?- la sua voce le arrivò all’orecchio e lui sorrise ripensando alla sfuriata al giostraio della sera prima.
In quella donna c’era un mix contrastante che lo faceva ridere e intenerire al tempo stesso.
- Ciao Ica, come stai? Passata la furia omicida?
Rica scoppiò a ridere ricordando la pessima figura della sera prima.
Fortuna che lui aveva uno spiccato senso dell’umorismo altrimenti a quest’ora lei sarebbe stata già in una clinica psichiatrica.
- Si è attenuata. Ma se dovessi rivedere quell’uomo potrei non rispondere di me stessa.- replicò lei stando allo scherzo.
- Oh beh allora credo che non ti proporrò di andare lì stasera.
Il sorriso di Rica si spense e il respiro le si mozzò.
Voleva chiederle di uscire ancora?
Perché?
- Ica? Ci sei ancora?- le chiese incerto, non sentendola replicare.
- Si, certo. Sono in un centro commerciale e c’è un po’ di confusione.
- Capisco. Allora hai impegni stasera? So che è sabato sera e che ti ho dato poco preavviso ma se non hai di meglio da fare mi piacerebbe rivederti.
- No, io sono libera, cioè non ho impegni..- rispose lei cercando di non balbettare.
- Bene allora passo a prenderti alle otto. Va bene?
- Ok allora, a dopo.
- A dopo, Ica.

Ica.
Quel nomignolo detto con quel tono di voce sorridente e tremendamente conturbante le faceva battere il cuore più veloce.
ancora una volta si chiese cosa stava facendo.
Perché usciva con un uomo se non voleva avere più una relazione?
Amicizia, semplice amicizia.
Ma nello stesso momento in cui formulò quel pensiero si rese conto che era una balla.
Quella sensazione strana che provava non era semplice amicizia.
Non provava niente di simile per nessuno dei suoi amici.
Ma con tutto il bene che voleva ai suoi amici nessuno si avvicinava nemmeno lontanamente alla bellezza folgorante di Adam.
Doveva essere quello.

Fran piombò alle sue spalle e le tirò il rossetto in mano.
- Deduco che rivedrai Adam. Oggi mi sento buona quindi andremo a prendere Bianca, poi torneremo a casa, tu farai un bel bagno rilassante, poi io sceglierò cosa dovrai mettere e ti truccherò. Ho proprio fatto bene a comprarti questo rossetto. So che starà a meraviglia con quello che ti farò indossare.
Perché aveva accettato?
- Non posso, io non posso andare, lo richiamo e glielo dico, c’è Bianca e..- provò ad accampare una scusa ma sapeva che non avrebbe sortito l’effetto sperato.
- TI ho già detto che mi sento buona no? Farò io da baby sitter. Tu ti farai bella, anzi io ti farò bella e uscirai con il bel Principe Azzurro.
Rica strinse tra le mani la confezione dorata, deglutendo a vuoto.
Non voleva vestirsi da femme fatale e non voleva mettersi quel rossetto rosso.

Eccomi qui, finalmente, mi scuso enormemente per il ritardo e spero che mi perdonerete se vi dico che il periodo è davvero, molto molto, incasinato. Che ve ne pare del capitolo? Fran è ritornata a far danni e conosciamo ancora meglio Rica e Adam. Vedremo cosa accadrà nel prossimo capitolo. Spero che questo vi sia piaciuto, nonostante l'attesa. Ancora perdono! Come sempre un grazie immeso a chi legge il frutto della mia follia. Vi adoro! Risponderò alle recensioni tra qualche istante. A presto. Bacini. Manu!

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Capitolo 22
*** Mai dire per sempre ***


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CAPITOLO XXII: Mai dire per sempre

 
E’ come la quiete che precede la tempesta. Fino a dieci minuti fa qui c’era un finimondo. Bianca che saltellava cantando una canzoncina di qualche cartone animato che io disconosco e Fran che mi tormentava con pennelli e piastre per capelli. Ma non era niente in confronto a quello che si scatenerà tra una decina di minuti quando Adam dovrebbe arrivare. La mia migliore amica/torturatrice mi ha lasciato un attimo di respiro, giusto il tempo per infilarmi gli abiti che LEI ha scelto per me e per andare a controllare Bianca, sembra essersi immersa nel ruolo di babysitter dell’anno e spero che questa situazione duri. L’ultima cosa che voglio è tornare a casa e trovare Bianca arrampicata alle tende con Tommy. So che tra pochi secondi la mia carceriera mi verrà a chiamare, tentando di abbattere a spallate la porta che ho chiuso a chiave. Mi farà un milione di raccomandazioni su quale sia la strategia migliore per conquistare Adam. Ma io davvero, davvero non voglio conquistare nessuno. E non voglio nemmeno uscire. So che è da  stupidi, che non c’è niente di male, né niente di certo nell’uscire con un ragazzo, non ci stiamo frequentando con un fine diverso da quello che può avere una semplice conoscenza. Lui non ha mai alluso a niente di diverso. E io non voglio niente di diverso. Io non voglio niente. Ne sono certa. Ma non posso chiamare e disdire adesso, non ho una scusa e non posso mentire, non so mentire. Ci uscirò, ma farò in modo che sia l’ultima volta. Non perché io abbi paura di qualcosa, no. Io potrei anche istaurare un’amicizia con lui, potrei comportarmi così come mi comporto con tutti gli altri se non fosse che è dannoso per il mio equilibrio psicofisico. Ok basta. La smetto di riempire pagine di parole inutili.

- Ricaaa!
Come lei aveva previsto la porta della sua stanza fu tempestata di pugni.
- Sto finendo!- mentì, lanciando il diario rosso tra i cuscini del letto e iniziando a sfilarsi i pantaloni della tuta.
In realtà non aveva ancora indossato i jeans e la maglietta nera con lo scollo a cuore e le maniche a sbuffo.
Tutto sommato era soddisfatta della scelta, se poi pensava che Fran all’inizio le aveva proposto un vestitino cortissimo e scollatissimo era davvero contenta che l’accesa discussione di quel pomeriggio avesse portato a qualcosa di ragionevole.
Si vestì cercando di non sbavare il trucco e quello stupidissimo rossetto su cui Fran non aveva voluto sapere di cedere e si infilò le scarpe con il tacco, altro punto che la sua amica aveva difeso a spada tratta, vincendo.
- Allora ti sbrighi???
- Non capisco perché hai questa premura. Non è ancora qui!
- Far aspettare è maleducazione!- replicò Fran.
- Oh senti chi parla, la regina della maleducazione allora.
Se c’era qualcuno che riusciva ad arrivare più tardi di lei quella era la pazza che continuava a bussare alla porta come una furia.
- Guarda che ti chiedo i danni! Sono qui!- Rica spalancò la porta e si ritrasse giusto il tempo per schivare il pugno di Fran che continuava a martellare imperterrita.
- Quanto ci hai messo?- la rimproverò lei, incrociando le braccia e esaminandola da capo a piedi per controllare che tutto fosse secondo i piani.
- Bene sono qui adesso. Stai calma. Sei agitata come se dovessi andare tu ad un appuntamento.
- Oh beh mi fa piacere sentire che finalmente sei arrivata alla conclusione che è davvero un appuntamento!  Io adesso vado a farmi la doccia. Mi raccomando, divertiti ma non tramortirlo con le tue chiacchiere, sii spontanea ma non troppo, naturale ma non troppo, allegra ma..
- Ma non troppo! Si, si, tranquilla. Farò del mio meglio.
- Fingerò di crederci. Adesso vado..
- Come mai tutta questa fretta? Avrei giurato che volessi spiare dalla finestra.- disse Rica tra l’incredulo e il sospettoso.
- Ehi ma con chi credi di avere a che fare??- Fran assunse la tipica posizione da mentitrice incallita che cerca di darsi un tono: le braccia incrociate, il mento alzato in segno di sfida e il piede sinistro che tamburellava insistentemente sul pavimento.
- La stessa persona che mi ha seguita durante il mio primo appuntamento a quindici anni e che al cinema, subito dopo il mio primo bacio, si è fiondata su di me per farmi i complimenti. Inutile ricordarti che il Pietro in questione si è dato alla latitanza.
- Divertiti!- si limitò a mugugnare l’amica chiudendosi in bagno.

Adam stava per arrivare a casa di Rica, sperava vivamente che la cugina non si facesse vedere. Mentire non era per lui, già faceva una fatica immensa a fingere, se poi se la trovava davanti avrebbe sicuramente fatto una figuraccia.
Il cellulare iniziò a squillare in tasca e si concessa una preghiera muta nei confronti del santo protettore dei figli unici tormentati dalle madri iperprotettive e tormentatrici.
Ma era Fran.
- Dimmi!
- Mi raccomando, trattala bene...
- Ma dove sei alle cascate del Niagara?- chiese lui assordato dallo scrosciare dell’acqua.
- No, in bagno! Lei crede che stia facendo la doccia. Mi raccomando Adam, lei trama qualcosa. Credo che su questo fatto di non voler più avere una storia lei sia seria. Devi farle cambiare idea!
- Guarda che non sono un Turbotubbies! Farò del mio meglio.
- Tutti con questa storia di fare del mio meglio. Fatelo e basta!
- La fai facile tu!
- E’ facile, scordati che ti sto trasformando nel suo fidanzato su misura e comportati come se fosse tutto vero.
- Il suo… il suo cosa? Fidanzato su misura?- Chiese Adam strozzandosi con la sua stessa saliva.
Quella donna era pazza.
Quella donna aveva un po’ del suo Dna.
Ragion per cui anche lui doveva essere pazzo.
Non si poteva assecondare una tizia che diceva cose simili.
- Su su, sei arrivato? Allora, ormai un po’ la conosci. Non fare l’intellettuale ma nemmeno il rude, falla ridere, lei ama le persone simpatiche e socievoli ma non i buffoni..
- Ti risulta che io lo sia?- chiese lui offeso.
- Hai capito cosa intendo. Ciao. - concluse lei chiudendo la conversazione.
 
Il campanello trillò e Rica saltò in piedi.
Forse un tantino agitata lo era in fin dei conti.
Eppure non era la prima volta che si vedevano.
- C’è Adam, c’è Adam!- Bianca arrivò di corsa e spalancò la porta, precedendola.
E lui era lì.
Bello come e più di sempre.
Doveva smetterla di comportarsi come un’adolescente in piena tempesta ormonale. Ma non poteva farci niente. Meno male che non si poteva leggere il pensiero altrui. Se fosse successo come In What Women Want in cui il protagonista, Mel Gibson, riusciva a leggere la mente delle donne, lei avrebbe fatto una figura pessima.
Pensieri poco consoni le frullavano per la testa e nella pancia alla vista di quegli occhi e di quel sorriso.
Era indecente.
Lo vide abbassarsi per fare una carezza a Bianca e ne approfittò per darsi una controllata allo specchio dell’ingresso.
E fu uno sbaglio.
Le pupille dilatate, le labbra rosso fuoco. Una ninfomane.
Si sforzò di scordarsi di tutto.
Delle raccomandazioni di Fran, del rossetto indecente, del sorriso da infarto e dello sguardo assassino.
Andava tutto bene.
Se lo ripeteva a mente un migliaio di volte forse sarebbe riuscita a convincersene.
Andava tutto bene.
Non era vero.
Ma fingere ogni tanto era indispensabile per sopravvivere.

- Ciao.
Lei si avvicinò alla porta con un sorriso che stentava a venire fuori e che si spense del tutto quando lui si chinò per sfiorare la sua guancia con un bacio.
Non un bacio vero e proprio.
Guancia contro guancia.
Il pizzico della sua barba appena accennata che sfregava contro la sua pelle irritandola.
Il suo profumo che aveva qualcosa di particolare che le solleticava il naso e le faceva sfarfallare lo stomaco.
C’era qualcosa in quell’uomo di normale? Tutto sembrava essere perfetto.
Eppure anche lui era un essere umano.
Era infedele?
Disordinato?
Russava?
Parlava nel sonno?
Di sicuro non era perfetto.
Non poteva essere perfetto.

- Andiamo?
Lei annuì e dopo aver raccomandato Bianca di tenere d’occhio Fran, lo seguì fuori.
Rica salì sulla macchina e sorrise.
Quella macchina era un incanto.
Un maggiolone blu nuovo di zecca.
- Ti piace questa macchina vedo.- disse lui sedendosi accanto a lei e avviando il motore.
- Si, molto.
- Anche a me. E’ il mio gioiellino.
Rica abbassò l’anta parasole per sbirciare nello specchietto quell’orribile rossetto e non riuscì a trattenere un sospiro.
- Qualcosa non va?- le chiese gentile.
Lei rimase indecisa per qualche secondo.
Fran le aveva raccomandato di essere naturale ma non troppo.
Beh quello non era troppo.
- Si questo rossetto! La mia amica me lo ha regalato e ha insistito per farmelo mettere ma è orribile.
Lui le lanciò un'occhiata che la paralizzò e poi sorrise.
- Beh per quello che può valere il mio giudizio non ti sta male ma anche io ti preferisco in versione acqua e sapone.
Rica annuì lanciando una maledizione a Fran e alle sue teorie strampalate, iniziò a frugare nella borsa alla ricerca di un fazzoletto di carta.
- Dove sono finiti?- si chiese bisbigliando tra sé e sé.
Come era possibile che la sua borsa riuscisse a trasformarsi in una riproduzione in scala della Quinta Avenue di New York.
- Ne ho un pacco nel cruscotto. Fai pure.
Rica lo ringraziò e iniziò a togliersi un po’ di quell’obbrobrio rosso fuoco.
Adam guidava tranquillamente. Non era uno di quelli che osannavano la velocità e che si gettavano in sorpassi azzardati che le facevano drizzare i capelli in testa, ma nemmeno un lumacone rimbambito.
Tutto in lui sembrava gridare equilibrio.
Quando si fermò davanti all’insegna luminosa di un Bowling il suo sorriso si allargò da una parte all’altra della faccia.
Amava quel gioco.
Non ci andava quasi mai perché i suoi amici si ritenevano troppo cresciuti per continuare a frequentare quei posti. Era una mezza schiappa ma lo adorava lo stesso.
- Spero che non ti dispiaccia. Ma non sono il tipo che riesce a stare ore seduto a un ristorante. Possiamo mangiare una pizza qua e poi farci una partita. Sempre se ti va. - Adam sorrise incerto, grattandosi la nuca.
Forse avrebbe dovuto comportarsi come sempre.
Una rosa.
Una cena a cinque stelle.
Un dopocena piacevole.
Ma era diverso.
La situazione era diversa.
Lei era diversa.
Lui era diverso.
In Rica c’era qualcosa di spontaneo e genuino che gli faceva dimenticare che era lì per fare un favore a sua cugina.
Ed era giusto così.
Dovevano trascorrere una serata carina.
Niente di meno.
Niente di più.

Tutta la cena avevano parlato del suo lavoro e lei lo aveva fatto ridere raccontandogli le situazioni più assurde in cui si era trovata durante quei mesi.
Le sagre di cibi più improbabili, le feste popolari e quella volta che l’avevano convinta a partecipare alla pentolaccia.
Bendata, con un’asta di legno troppo pesante in mano, doveva colpire una pentola di terracotta.
Ma aveva mancato il bersaglio per colpire in testa il sindaco di quel paesino arroccato sulle montagne.
Il risultato era stato, un leggero trauma cranico e sette punti di sutura per lui e una lavata di capo di proporzioni bibliche per lei.
- Certo che sei una forza della natura!- sorrise lui, uscendo dalla pizzeria e avvicinandosi alla pista che avevano riservato.
- E’ un modo carino per darmi del cataclisma?- rispose lei ricambiando il sorriso.
Si stava divertendo.
- Non la metterei esattamente su questo piano, ma devi ammettere che c’è qualcosa che non va. Ovunque passi tu si scatena la tempesta. Ma come ti ho detto l’altra sera, almeno non ci si annoia con te. E si questo è un modo carino per dirti che mi sto divertendo molto e che mi fa piacere trascorrere del tempo con te.
Rica avvampò e biascicò un grazie prendendo una palla e avvicinandosi alla pista.
Il cuore le batteva un po’ troppo velocemente e lei era più che certa che non fosse colpa del peso della palla.

Ovviamente Adam aveva vinto.
Non che ci volesse molto a batterla.
Da mezza schiappa si era trasformata in una schiappa completa.
A fine partita lei aveva totalizzato un totale di 23 punti e Adam 123.
- Da queste parti i ragazzi fingono di essere degli imbranati per far vincere le ragazze. Lì in America non si usa?- scherzò lei, togliendosi le comode scarpe da bowling e rimettendosi a malincuore le sue.
- Io ci ho anche provato a farti vincere ma non c’è stato proprio verso! - la prese in giro lui.
- Esagerato. Cosa saranno mai cento punti di scarto? Fesserie! Non ti manca il tuo Paese? La tua famiglia?- gli chiese poi a bruciapelo.
- Ecco che  viene fuori la tua parte da giornalista d’assalto.- sorrise lui.- Si mi manca, mi manca tutto della mia città. Mia madre al momento è qui da me e devo dire che era più simpatica quando si trovava dall’altra parte del mondo.
- Ti fa impazzire?
- Impazzire? Impazzire è poco! Mi esaspera. Mi imbottisce di cibo come se non mangiassi da anni e insiste perché metta la testa a posto e mi sposi per darle la nipotina che desidera tanto.
- E tu non ne hai intenzione.- sorrise lei camminando verso la macchina con lui.
- Al momento non troppo. Il mio lavoro mi assorbe, ho tanti progetti che voglio portare a termine prima di costruirmi una famiglia, ma in ogni caso questo non credo che sia una cosa che possa avvenire a comando. Prima o poi accadrà, ma non deve essere lei a forzarmi.
 Ancora una volta gli occhi di Adam si accesero parlando del suo lavoro. Al momento stava traducendo un libro che lo stava catturando e si vedeva chiaramente che ci metteva passione e amore in quello che faceva.
All’improvviso Adam frenò di colpo e parcheggiò sul ciglio della strada. Mancavano ancora diverse centinaia di metri per arrivare nel complesso di villette  in cui abitava lei.
Rica sobbalzò.
- Ho voglia di camminare. Ti va di fare una passeggiata?
Il battito cardiaco ritornò gradualmente alla normalità.
- Quindi resterai a vivere qui per sempre?- gli chiese lei incamminandosi in direzione di casa sua.
- Non dico mai per sempre. Credo che resterò per un bel po’, ma non so per quanto, né se sarà “per sempre”.- Adam camminava con le mani in tasca, studiando la punta delle sue scarpe.
- Come mai non dici mai per sempre?- Ancora una volta la sua parte da giornalista di gossip di terza categoria aveva la meglio sulla sua discrezione.
- Credo che affermare che qualcosa sia per sempre sia troppo pretenzioso oltre che illusorio. Non abbiamo il controllo del tempo, non possiamo domarlo e nemmeno giocare un ruolo fondamentale. E’ una partita già vinta. Dire per sempre non è umano. Come posso dire che resterò per sempre in un posto? Che farò per sempre lo stesso lavoro o che avrò sempre la stessa opinione su qualcosa? Che proverò per sempre un’emozione? E’ impossibile. Chiunque dica per sempre mente, forse inconsciamente, ma comunque mente.
Adam si infilò le mani ancora più in profondità nelle tasche. Non aveva mai fatto quel discorso. Si limitava semplicemente a non dire “per sempre” ma Rica aveva come una calamita che lo spingeva a parlare, a scoprirsi. Ed era in difficoltà. Non era abituato a parlare di sé. Preferiva ascoltare o raccontarsi dietro la maschera di uno dei suoi personaggi.
- E’ un’opinione interessante. Ma discutibile.- rispose lei.
Lei continuò a camminargli a fianco. Le braccia strette attorno al corpo.
- Perché discutibile?
- Perché dire che è inutile dire “per sempre” è già una partita persa. E’ non giocare affatto. E’ l’alibi per salvarsi del fallimento.

La notte aveva ormai annerito il cielo e la temperatura di quella sera era inspiegabilmente sotto la media. La sua maglia di cotone a maniche lunghe non la riscaldava abbastanza.
Con la coda degli occhi colse un movimento e voltandosi vide che Adam si stava sfilando il cardigan grigio restando in canottiera blu.
- Tieni.- le disse semplicemente appoggiandole il maglioncino sulle spalle.
Il calore del tessuto, riscaldato dalla sua pelle le fece correre un brriviso lungo la schiena.
Avrebbe voluto stringersela addosso e assorbirne tutto il tepore e l’odore inconfondibile che contraddistingueva Adam.
Avrebbe riconosciuto quel profumo tra mille.
Ma non poteva lasciarlo con quella striminzita canottiera di leggero cotone scuro e con la pelle intirizzita per il freddo.
- No Adam tienila. Tra pochi minuti saremo arrivati.
- Bene allora tra pochi minuti me la ridarai.- il bianco del suo sorriso come sempre la strabiliava e lei smise di protestare.
Continuarono a camminare in silenzio.
Quando arrivarono al suo portoncino azzurro lei frugò nella borsa e dopo aver pescato le chiavi si tolse il cardigan dalle spalle e la restituì ad Adam.
- Grazie per la giacca e per la bellissima serata. Mi sono divertita.- sorrise lei sincera.
Prima di uscire aveva detto che doveva trovare un modo per non vederlo più, ma non ci era riuscita.
Si era dimenticata di tutto.
- Grazie a te. - rispose lui scrollando le spalle e infilandosi la maglia.
Rica aprì il portone e si girò per entrare.
Sentì il rumore dei passi di lui che si allontanavano per il vialetto di ghiaia.
- Adam!- lo richiamò.
- Si?
- Io dico che per sempre cercherò la felicità, che per sempre mi impegnerò a non ferire chi mi sta accanto, che per sempre odierò la matematica, che per sempre inorridirò davanti a chi si approfitta dei più deboli, che per sempre detesterò i broccoli e le zucchine. Forse sono un’illusa e ho già perso la mia partita, ma tu fammi amare la matematica o i broccoli e allora ne discuteremo di nuovo.- concluse lei con un sorriso.
Lui non rispose ma ricambiò il sorriso, infilandosi ancora di più le mani nelle tasche.
- Basta crederci e volerlo davvero. Buonanotte Adam.
- Buonanotte Ica.


Ciao a tutti! So che probabilmente mi avrete data per disperse e avete pienamente ragione, ma ancora una volta non è colpa mia. Spero che lasciandovi un capitolo extralarge per i miei standard e una foto del bellissimo Adam riuscirete a perdonarmi anche se non so quanto sia scritto bene. Perdonatemi. Se volete lasciarmi un vostro parere ne sarei felicissima. Ma come sempre, a voi la scelta. :) Vi ringrazio come sempre perchè a leggere e a seguire la storia siete tantissimi e io non so come ringrazirvi. Verrei a piedi a casa vostra per darvi un bacio ciascuno, anzi anche due, ma non so i vostri indirizzi quindi ve li mando telematicamente. GRAZIE!!! A presto, spero. Baci. Manu.

ADAM
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Capitolo 23
*** Una domenica con te ***


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CAPITOLO XXIII: Una domenica con te

Come ogni domenica mattina Rica si svegliò a un orario indecente.
Sbirciò con un occhio socchiuso la sveglia che segnava le sei e tre minuti e si mise a pancia in giù cercando di riprendere sonno.
Ma dieci minuti e dieci posizioni dopo era ancora sveglia e tutti i residui di sonno si erano vaporizzati.
Si alzò cercando di non svegliare Fran e Bianca che dormivano nel suo letto.
La sera prima rientrando le aveva trovate lì e si era sdraiata accanto a loro con un sorriso.
La casa non era andata a fuoco, le tende erano al loro posto e tutto sembrava essere filato liscio.
La sua migliore amica se l’era cavata bene dopotutto.
Si mosse per la stanza in punta di piedi, prese una tuta e della biancheria pulita ed era quasi alla porta quando Tommy balzò da chissà dove facendola inciampare.
Si aggrappò al comò evitando una caduta ma il rumore svegliò Fran che si mise a sedere con i capelli scarmigliati buttati  sulla faccia e l’espressione imbronciata di chi è stato strappato a forza da un bellissimo sogno.
- Che succede? - mugugnò.
- Niente solo Tommy che mi dava il buongiorno. Esco a prendere un caffè, continua a dormire.- sussurrò lei.
L’amica borbottò qualcosa di incomprensibile e si tuffò di nuovo sul cuscino riaddormentandosi immediatamente.
Rica si fece una doccia e infilò la tuta leggera.
Quella del caffè da Mario la domenica mattina era un’abitudine consolidata, avrebbe preferito però si posticipasse di qualche ora. Si infilò il portafogli in tasca ed uscì di casa iniziando a camminare verso il bar.
Solo quando raggiunse il vialetto che costeggiava il parco si rese conto che a quell’ora molto probabilmente c’era Adam in giro e si bloccò.
Si frugò in tasca ma si accorse di aver dimenticato le chiavi.
Non poteva rientrare e suonare il campanello.
Bianca e Fran l’avrebbero linciata.
Non le restava che andare comunque al bar.
Magari vedendola lui avrebbe pensato che lei fosse uscita apposta.
Ma poi scrollò le spalle e ricominciò a camminare.
Che pensasse quello che voleva.

Per Adam la corsa all’alba della domenica mattina era una delle poche cose a cui non avrebbe rinunciato mai volentieri.
Con sua madre in casa però era complicato mantenere anche quell’abitudine.
Nel suo appartamento minuscolo c’era una sola camera da letto che aveva ceduto a lei, sistemandosi sul divano.
Fin qui tutto ok, se non si contava il fatto che tutti i suoi vestiti erano ancora nella sua stanza e che sua madre aveva il sonno leggerissimo.
Se fosse entrato in camera alle cinque e mezza lei si sarebbe svegliata e avrebbe scatenato il finimondo. Così non gli restò che aspettare le sei e mezza quando lei si alzò.
Si infilò la tuta e con le cuffie alle orecchie iniziò a correre.
Quando arrivò all’altezza del parco rallentò l’andatura troppo veloce e si guardò intorno.
Già una volta la sua sbadataggine gli aveva provocato una botta che ancora ricordava.
Lei non era nei paraggi.

Rica bevve il suo caffè e dopo aver fatto quattro chiacchiere con Mario uscì e ricominciò a camminare lentamente verso casa.
Il sole era già sopra la linea dell’orizzonte e rimbalzava sul verde degli alberi e dei prati.
Gli uccelli cantavano e si inseguivano tra i rami e tutto lasciava presagire una calda giornata di primavera.
Magari più tardi avrebbe portato Bianca al parco.
Un picnic le sarebbe certamente piaciuto.
L’indomani sarebbe tornato suo padre e Rica era piuttosto preoccupata.
Per tutta la settimana la piccola non ne aveva voluto sapere di parlarci al telefono.
Sperava solo che rivedendolo le sarebbe passata.
Era quasi arrivata a casa, di Adam nessuna traccia quando, dopo aver attraversato la strada, vide una figura vestita di blu ferma davanti al vialetto di casa sua.
Era lui.
- Adam!- lo chiamò, ma lui, che doveva avere le cuffie alle orecchie, non la sentì e continuò a fare stretching sul posto.
Si avvicinò senza fare rumore e una volta arrivatogli alle spalle gli diede una leggera spinta facendolo trasalire.
- Ehi ti stavo aspettando!- sorrise lui, togliendosi le cuffie.
- Sono uscita prima oggi. Tu invece sei in ritardo.- sorrise lei.
Era contenta di vederlo.
Quella consapevolezza le fece mancare un battito.
- Avevamo un appuntamento?- le chiese sorridendo.
- No. Solo che quando mi hai messo ko, l’altra settimana, era più presto. E io che credevo di averla fatta franca questa volta.
- Sono fermo adesso e costeggiando il parco ho rallentato.
- Mi fa piacere sapere che trai insegnamento dai tuoi errori.
- Mm qualche volta. Hai già preso il tuo caffè?
- Si, stavo rientrando anche se molto probabilmente mi toccherà aspettare che Fran si svegli. Ho dimenticato le chiavi e se la sveglio adesso potrebbe mordermi.
Adam rise, riconoscendo il comportamento burbero e aggressivo della cugina quando veniva svegliata troppo presto o in modo brusco.
- Tu hai finito la tua corsa?
- Si. Ma non posso rientrare nemmeno io ancora.
- Anche tu hai dimenticato le chiavi e non vuoi svegliare tua madre?
- Oh no! Lei  è già sveglia, è questo il guaio.
Rica scoppiò a ridere e lui si unì alla sua risata.
- Bene, visto che ci hanno buttato fuori dalle nostre case ti propongo una gita. C’è un posto molto bello in cui mi piacerebbe andare.- propose lei.
Non aveva pensato nemmeno un momento che lui potesse voler continuare a correre o comunque starsene per i fatti propri e subito dopo averglielo chiesto se ne pentì.
- Il belvedere sul mare?
- Lo conosci?- chiese lei leggermente delusa.
- Si! E’ un posto stupendo ma sono diversi anni che non ci vado.
- Bene. Allora andiamo.- lo guidò verso la sua Micra rossa.
- Posso fidarmi delle tue capacità di pilota? La strada per arrivarci è brutta.- la prese in giro lui aprendo lo sportello del passeggero.
- Farò finta di non aver sentito. Ho lasciato gente a piedi per molto meno.
Parlare con lui era rilassante e naturale in un modo che la stupiva ogni volta.
Lo conosceva da una settimana eppure riusciva a comportarsi spontaneamente con lui.
Gli unici momenti in cui si trovava in imbarazzo era quando si perdeva in quegli occhi troppo blu o quando lo sentiva troppo vicino, come quella sera prima di salire sulla giostra e poi davanti a casa sua.
Dopo i primi dubbi iniziali, in cui aveva frainteso alcuni suoi comportamenti, era ormai certa che Adam fosse una bella persona.
Certo lo conosceva poco ed era sempre convinta di non volere di più di quelle chiacchierate ma era sicura che quando lui fosse uscito dalla sua vita, e sarebbe accaduto prima o poi, un po’ le sarebbe dispiaciuto.
Lei era una di quelle persone che si affezionavano subito.
Adam poi aveva qualcosa di particolare.
Guidando verso quel posto che era uno dei suoi preferiti, ancora una volta tornò a bussare prepotentemente nella sua testa, l’idea che questo distacco sarebbe dovuto avvenire il più presto possibile.
Prima che si affezionasse sul serio.
Prima che mandasse all’aria il suo piano di non interessarsi più a qualcuno.
Adam era pericoloso e non solo per la sua bellezza disarmante.
Era il suo sguardo, al di là del colore dei suoi occhi, che la confondeva.
Era il suo sorriso, al di là del bianco dei suoi denti, che la confondeva.
Aveva come una luce che traspariva dal suo viso e che, inconsapevolmente la tratteneva.
Se fosse stata saggia non gli avrebbe proposto quella gita.
Se fosse stata saggia lo avrebbe salutato e avrebbe aspettato da sola in giardino che Fran si svegliasse.
Ma lei non era saggia ed era rimasta.
Fran parcheggiò la macchina di fronte alla terrazza sul mare.
Come sempre era una vista che toglieva il fiato.
Sembrava sospesa nel cielo, quasi come l’isola volante di Gulliver.
Era una piazza con mattonelle e balaustra di cemento da cui si accedeva attraverso un arco di ferro battuto.
Ma non era l’architettura della piazza a lasciare senza fiato.
Era il panorama mozzafiato.
A diverse centinaia d’altezza dal mare era possibile ammirava la costa per centinaia e centinaia di metri.
Quella giornata assolata poi era l’ideale.
- E’ ancora più spettacolare di quanto ricordassi.- mormorò Adam appoggiandosi alla balaustra di cemento.- Con tanta meraviglia anche la vertigine si fa da parte.
- E’ la stessa cosa che penso io. - sorrise lei.
- Capisco perfettamente perché non te ne vuoi andare. Qualsiasi città sarebbe squallida al confronto.
Rica ammutolì.
Aveva come la sensazione che lui riuscisse davvero a capirla.
Ed era strano.
La maggior parte delle volte si sentiva una stupida ad ammettere che aveva rifiutato di vivere in una città dove tutto funzionava per restare lì, dove i disservizi erano all’ordine  del giorno.
Ma non c’era il mare.
E quel mare era scolpito nel suo cuore.
- Almeno tu ci riesci.- bisbigliò lei sforzandosi di sorridere.
Rimasero in silenzio per qualche minuto. Incantati da quel posto in cui qualsiasi parola sembrava superflua.

Adam sentiva il bisogno di avvicinarsi e consolarla, ma si trattenne.
Lei aveva sorriso ma aveva visto il lampo di tristezza nei suoi occhi.
Si sarebbe preso a schiaffi per aver tirato fuori quell’argomento.
Si morse l’interno della guancia.
- Scusami non avrei dovuto dirlo. Sono un’idiota.- disse infine.
Rica lo guardò stralunata.
- Il fatto di andarsene. Mi dispiace, non ricordavo, sono stato indelicato.
- No figurati, fa niente! So che lo pensi davvero e mi fa piacere sapere che qualcuno capisca quello che ho provato.
- Io lo capisco davvero. Sono sempre vissuto tra due mondi. L’Italia e l’America. Sono nato lì e amo quei posti in cui ci sono la mia infanzia, tutti i miei amici e i miei genitori, ma ho un legame molto stretto con questo posto.- disse abbracciando con un gesto il panorama sottostante.- Andarmene non è facile. L’unica cosa positiva è che adesso, con il mio lavoro posso vivere dove voglio. Se è qui che vuoi stare hai fatto bene a sfidare tutto e tutti. E’ la tua vita.
- Lo so e infatti non me ne pento. Vorrei solo che anche la mia famiglia mi capisse, che non vedesse solo il lato economico della faccenda. Hanno fatto tanti sacrifici per farmi studiare, la mia è una famiglia normale, modesta, e gliene sarò sempre grata. Mi dispiace per tutti i soldi che ci hanno rimesso, il viaggio, gli affitti, ma non ci stavo bene lì. Vorrei solo che lo capissero.
- Glielo hai mai detto? Gli hai mai detto che ti mancavano e che ti mancano ancora?- le chiese dolcemente.
Rica tornò a guardare il panorama cercando di nascondere gli occhi arrossati.
- Ho dato per scontato che capissero. Che dovessero capire e quando non l’hanno fatto mi sono chiusa in me stessa. Abbiamo litigato e non ci sentiamo da un po’.
L’unica che sapeva di quella storia era Fran, nessun altro e non capiva perché gliene stava parlando.
L’unica ragione era quella sensazione che aveva sentito poco prima in macchina.
Parlare con lui le veniva facile.
In un modo che non le era capitato mai. Con nessuno.
- Io non dovrei intromettermi. Ho detto anche troppo però mi sento di darti un consiglio per quanto possa servire. L’orgoglio è una brutta bestia. Crediamo di fare il nostro bene chiudendoci a riccio, di proteggerci dal mondo e  invece facciamo solo il nostro male. Te lo dico per esperienza. Cerca di trovare dentro di te il coraggio di fare il primo passo e di spiegargli come ti senti. Loro hanno sbagliato è vero, ma sono sicurissimo che ci stanno male quanto e più di te.
La mano di lui si posò sulla sua.
Rica si voltò e gli sorrise.
- Grazie.
Lui non rispose e aumentò la stretta della mano.

- Sei sicuro che non vuoi che ti accompagni a casa?- gli chiese, fermando la macchina nel suo vialetto.
- No, no! Faccio un’altra corsetta.
Erano ormai le nove. Sentirono il rumore di una porta che si apriva e si chiudeva e dei passi che correvano veloci sulla ghiaia.
- Adam!- Bianca comparve con le sue pantofole a forma di coniglio e il pigiama fucsia.
- Buongiorno!
Lui si chinò a prendere la bambina che le si aggrappò addosso e le scompigliò i capelli.
- Perché siete usciti senza di me?- chiese la piccola, imbronciata.
- Ci siamo incontrati per caso. La prossima volta verrai anche tu. - promise lui.
- Domani torna il mio papà. - mormorò Bianca.
- Vuol dire che gli chiederemo il permesso.- la rassicurò Adam sorridendo.
- Dici davvero? Potrò uscire ancora con voi?
- Ma certo! Ci vedremo spesso. Se papà sarà d’accordo.- sorrise il ragazzo.
Rica sorrise all’espressione raggiante della piccola.
Per la prima volta aveva parlato del padre senza rabbuiarsi.
- Fran ha detto che non può restare a pranzo con noi oggi. Ha una cena con la sua famiglia. Siamo sole.- piagnucolò la bambina.
- Che ne dici di un bel picnic al parco?- propose lei per non rovinarle il buon umore.
- Siii!- la piccola si lanciò dalle braccia di Adam a quelle di Rica.- Tu non puoi venire con noi vero?
- No mi dispiace. Se la lasciassi da sola per pranzo mia madre mi toglierebbe il saluto. Però, forse, potrò raggiungervi nel pomeriggio. Adesso però vado.
Adam si abbassò a sfiorare la guancia di Bianca con un bacio, poi si ritrasse e incontrò lo sguardo di Rica.
- Ciao. A dopo, se riesco a raggiungervi.
Le labbra di lui sfiorarono la sua guancia e lei si sentì avvampare.
- A dopo.

Il pomeriggio era appena iniziato.
Lei e Bianca avevano mangiato i panini che lei aveva preparato e ora la piccola giocava a palla con un gruppo di bambini del quartiere.
Lei se ne stava seduta sul prato, assorbendo il sole, tenendo d’occhio la piccola e sobbalzando alla vista di ogni ragazzo che entrava dal cancello del parco.
Erano ormai le tre e mezza e di lui ancora nessuna traccia.
Questa ansia di vederlo la impensieriva.
Per tutta la mattinata non aveva fatto altro che pensare all’incontro della sera prima e a quello dell’alba con una costanza che la spaventava.
Non andava bene.
Affatto.
Prese un blocco per appunti che teneva nella borsa e iniziò a scrivere.
Scrivere la calmava.
Inventare posti, persone, situazioni  la faceva sentire viva.

Adam e Fran se ne stavano seduti in un angolo del salotto e parlavano fitto fitto a voce bassa.
- Ma si che mi trovo bene con lei, ma cosa vuol dire? Avevamo un patto, lei si fida di me e andare avanti sarebbe solo rischioso. Vuoi che rimanga delusa? Che scopra tutto? E’ questo che vuoi?- chiese esasperato.
- No! No e lo sai! E’ l’esatto contrario. Lei inizia a fidarsi di te ed è un bene..
- Ma non capisci che finiremo solo con l’incasinare tutto?
- Tu hai solo paura di affezionarti a lei Adam!- esplose alla fine Fran.
- Tu sei pazza!
- Si lo sono è vero. Ma su questo ho ragione e tu lo sai. Che male c’è a passare del tempo con una persona con cui ti diverti? Io non ci vedo nessun pericolo!
- Tu non vedi pericoli da nessuna parte! Non fai testo!
- Scordati che è un piano, comportati come ti comporteresti normalmente.
- Non posso farlo e lo sai! Io non passo il mio tempo con le donne così.
- Vedi che hai paura?
- Ancora con questa storia?- si spazientì lui alzandosi dal divano.- Non è affatto vero! Tu stai macchinando qualcosa! Ti conosco! Vuoi ancora farci mettere insieme ma non è così che vanno le cose! La gente decide da sola se e come mettersi insieme. Nessuno trama alle loro spalle affinché questo accada. Rica è molto simpatica e mi diverto davvero con lei ma niente di più e lo stesso vale per lei. Fattene una ragione.
- Benissimo. Allora io mi tiro fuori. Non ti darò suggerimenti, non ti dirò cosa le passa per la testa, lascio tutto nelle tue mani. Ma non tirarti indietro adesso. Per favore.
Adam sospirò e tornò a sedersi sul divano.
- Non sarai in grado di mantenere la tua promessa e sono sicurissima che finiremo con il pentircene ma va bene.
- Grazie cuginetto!- Fran gli saltò addosso e lo strinse forte.
- Vedi? Me ne sono già pentito!- disse cercando di liberarsi da quella morsa che gli impediva di respirare. - Io allora le raggiungo al parco, tu dedicati a mia madre.

Adam entrò nel parco e vide subito Rica seduta a gambe incrociate sul prato. Poco distante Bianca giocava con degli altri bambini.
Nessuna delle due lo aveva ancora visto.
La discussione con Fran lo aveva impensierito. Forse era vero. Forse aveva paura di affezionarsi. In fin dei conti anche lui sapeva cosa voleva dire stare male per amore. Ci era passato un paio di volte e proprio per quello aveva deciso di andarci di piano. Di investire il meno possibile. Di cercare di essere sereno davvero prima di mettere la propria felicità in mano ad un’altra persona. E davvero non voleva farla stare male. Dopo tutte le batoste che lei aveva preso non voleva essere lui l’ennesima. Ma mettere le mani avanti non aveva senso. In questo Fran aveva ragione. Forse doveva solo stare più tranquillo e godersi le cose per come venivano.
Non sempre le cose andavano male.
Magari potevano diventare amici, non per forza le cose dovevano complicarsi.
Avanzò lentamente verso di lei.
Stava scrivendo.
- Certo che non ti riposi mai! Nemmeno nel tuo giorno libero! Che articolo stai scrivendo?
Rica sobbalzò e chiuse il blocco per appunti.
- Ciao! Non è un articolo. Sciocchezze.- minimizzò lei.
- Scrivi anche storie?- il suo sguardo si accese di interesse e si sedette accanto a lei.
- Si ma niente di interessante. E’ solo un passatempo.
- Beh è un bel passatempo. Si vede proprio che la scrittura fa parte della tua vita.
- Si in un certo senso. Da piccola davanti alla prima pagina bianca di un quaderno nuovo venivo colta da un delirio di onnipotenza unica, mi sembrava che in esse io potessi realizzare tutti i miei sogni, che se mi fossi impegnata avrei creato un nuovo Peter Pan, un nuovo Pinocchio. Le mie sorelle chiedevano bambole e peluche, io libri e quaderni. Era nel mio dna già da allora. Anche adesso davanti alla pagina bianca dei programmi di scrittura mi sembra di poter realizzare tutto. Di poter raccontare mondi, facce e persone che da qualche parte aspettano di essere conosciute.
Adam sorrise riconoscendo le sue stesse sensazioni in quelle parole.
Scrivere era qualcosa che nasceva e cresceva con te.
Una vocazione.
Ne era sempre più convinto.
- Capita lo stesso anche a me. Scrivere mi è sempre piaciuto.- ammise poi.
- Lo fai anche tu? - chiese lei entusiasta.
- Si ma anche per me è un  passatempo.- mentì lui.- Andiamo a giocare con Bianca.
Lui lo seguì nel prato, sorridendo.
Passare una domenica con lui era una prospettiva troppo piacevole per lasciarsi andare ai cattivi pensieri.


E a sorpresa, con largo anticipo il nuovo capitolo. Con questo maltempo sono tappata in casa da due giorni e i cattivi pensieri non aiutano lo studio quindi tanto vale fare qualcosa di utile. Il capitolo è un collage in pratica. Il rapporto tra Adam e Rica si approfondisce, i due si conoscono meglio ed è quello che voglio. Non so a che punto siamo con la storia, per fortuna o per sfortuna credo che ancora manchi un po'. Che ne dite? Mi fate sapere? Ne sarei felicissima!!! Come sempre un grazie immenso a tutti voi che crescete sempre di più. Vi amo! A presto, spero! Bacini! Manu. Ah ecco la foto del Belvedere, è un posto che esiste davvero dalle mie parti. Un Angolo di Paradiso.
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Capitolo 24
*** Uno tra tanti ***


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CAPITOLO XXIV: Uno tra tanti


Il sole stava per abbassarsi sulla linea dell’orizzonte e Rica era distrutta.
Bianca sembrava non risentire affatto della stanchezza e convincerla a rientrare era stata un’ impresa, solo la promessa che Adam sarebbe rimasto a cena le aveva fatto salutare gli amici.
- Possiamo comprare la pizza? E il gelato?- implorò la bambina.
- Io credo che questa settimana tu sia stata troppo viziata e la colpa è solo mia. - rispose lei.
- Per piacere! Da domani mangerò di nuovo la verdura. Lo prometto.- piagnucolò la piccola trotterellandole accanto.
- Credo che potremmo accontentarla questa sera e poi nemmeno io impazzisco per la roba verde!- disse Adam schifato.
- Guarda che tu non hai cinque anni e non puoi fare i capricci.- sorrise lei.
- Ma non li faccio, mangio un sacco di vegetali ma mai volentieri.- Adam si strinse nelle spalle.
- E va bene! Visto che vi siete coalizzati per questa sera pizza sia.- cedette lei.
La bambina e il bambino cresciuto si diedero il cinque e iniziarono a ipotizzare su quale gusto scegliere e lei scosse la testa sorridendo.
La serata trascorse tra le chiacchiere incessanti di Bianca e una partita a Twister che lei aveva cercato di evitare ma la piccola era stata irremovibile.
- Io giro la ruota. Inizia Adam. Piede destro blu. Rica mano sinistra verde.
Quella partita sembrava non finire mai e i muscoli le facevano male e le tiravano da morire. Aveva ragione a pensare che quello non era un gioco per bambini ma più uno sport estremo. Non ce la faceva più.
- Rica piede destro rosso!- annunciò la piccola dittatrice.
Lei tentò di eseguire l’ordine ma le sue gambe sembravano non rispondere ai comandi. Si ritrovò a barcollare e prima che potesse anche solo pensare a come fare per non cadere si trovò distesa a faccia in su con Adam che le pesava addosso, con il viso a pochi centimetri dal suo.
Quegli occhi erano davvero troppo blu.
Il suo profumo era davvero troppo buono.
Tutto in lui era troppo.
- Avete perso entrambi!- scoppiò a ridere Bianca.

Adam non sapeva come avesse fatto a caderle addosso.
Un momento prima era accovacciato, attento a tenere il piede destro sul blu, quello sinistro sul giallo e le mani sul verde e sul rosso e un momento dopo era disteso su Rica.
Il suo viso era così vicino che riusciva a vedere i suoi occhi nei minimi particolari.
Non si mai accorto di quanto fossero scuri, quasi neri, tanto che non si riusciva a scorgere bene la differenza con la pupilla.
Non ci aveva mai fatto caso.
E non aveva mai nemmeno notato la forma a cuore della bocca piccola ma carnosa e la linea armoniosa del naso, né quella morbida delle guance.
A prima vista aveva detto a Fran che non era il suo tipo.
Ed era pienamente vero.
Di solito il suo canone era completamente diverso.
Capelli biondi, figure alte e slanciate, occhi chiari.
Lei era esattamente l’opposto.
Eppure in quel momento, perso in quegli occhi di cioccolato provò il desiderio di baciarla.
- Avete perso entrambi!- la voce squillante e divertita della bambina lo fecero ritornare nella realtà e rotolò di lato, per non continuare a pesarle addosso.
- Scusami!- esclamarono entrambi.

Rica si sentiva le guance in fiamme e dovette accampare la scusa di aver bisogno di andare in bagno per ritrovare il controllo di sé stessa. Si sciacquò la faccia con l’acqua fredda, sperando che servisse a farle assumere un colorito normale.
Quello sguardo, quella vicinanza..
Avrebbe giurato che nemmeno lui fosse rimasto indifferente ma si diede della stupida.
“ Non è successo niente!”- si ripeté prima di aprire la porta e di tornare di là.

Adam si sedette sul divano e sospirò.
Cosa gli era capitato?
Quando aveva iniziato a provare attrazione per lei?
Come era successo?
Quando?
Si passò una mano sul viso.
Non ci voleva. Non ci voleva per niente. Quello non era previsto. Era sicurissimo di avere tutto sotto controllo e all’improvviso si rendeva conto che non era così.
Due minuti prima sdraiato sul tappeto multicolore del Twister ne aveva avuto la prova.
Quella situazione gli stava sfuggendo di mano.
Lei non doveva piacergli.
Era uno stupido piano.
Doveva tenerle compagnia, farle trovare un po’ di sicurezza, non perderla lui.
Lei uscì dal bagno.
- E’ ora che vada.- annunciò lui alzandosi.
- Oh si, certo. Bianca dov’è?
- A dare da mangiare a Tommy credo, mi ha già salutato.- disse lui sentendosi a disagio come non gli capitava dai tempi delle elementari quando la sua compagna Susy gli aveva dato un bacio sulle labbra davanti a tutta la squadra di hockey.
- Bene, allora, allora.. Buonanotte!- lo salutò lei, tormentandosi le mani.
- Buonanotte!
Adam si girò e uscì.

Bianca si era addormentata finalmente e anche quella peste di gatto ronfava accucciato sul tappeto.
Lei però non riusciva a chiudere gli occhi.
Rivedeva sempre il viso di Adam troppo vicino al suo e lo stomaco sfarfallava fastidiosamente.
Non voleva che accadesse di nuovo.
Non voleva affezionarsi a lui.
Non voleva illudersi.
Non voleva soffrire.
Ne aveva abbastanza di relazioni finite male, di ipotizzare che quello fosse la volta giusta per poi trovarsi con un pugno di mosche in mano.
Cosa sapeva di lui d’altronde?
Che faceva il traduttore, che era per metà americano, che gli piaceva scrivere, era simpatico e bravo ad ascoltare.
Ma non era abbastanza per giustificare quella sensazione allo stomaco.
Aveva deciso che non voleva più illudersi.
Ma si riteneva abbastanza intelligente per capire che non poteva impedirsi di affezionarsi, di provare simpatia per qualcuno.
Era una cosa che non si poteva controllare e lei lo sapeva.
Non sapeva però come gestire quella situazione.
L’unica soluzione che le veniva in mente era quella di tagliare i ponti.
Non c’erano speranze per quella storia.
Non c’era nemmeno una storia.
Non c’era niente.
Si addormentò con quei pensieri in testa e quando si svegliò, la mattina dopo, era più stanca di quando era andata a dormire.

Il lunedì era sempre una tragedia, nonostante ogni volta si dicesse che doveva andare a letto presto, per un motivo o per un altro, finiva per addormentarsi ad un orario impossibile e il risultato erano due occhiaie violacee e la vitalità di un ghiro a gennaio.
Bianca poi fece di tutto per farla disperare, per non parlare di quella belva pelosa che si strofinava alle gambe e che ad ogni passo rischiava di farla cadere a terra come un salame.
Quando arrivò in redazione, con i soliti dieci minuto di ritardo poi ci fu il colpo di grazia.
Il programma per quel giorno era davvero interessante: la riunione annuale delle ex allieve del liceo Leopardi anno di diploma ‘58, il risultato era un incontro con una dozzina di settantenni gioiose e pimpanti che parlavano di uncinetto, nipotini con la varicella e di aneddoti sulle compagne morte.
Il massimo dell’allegria.
Eppure di solito non le dispiacevano quegli incontri che erano di sicuro più interessanti della sagra del cetriolo.
Le piaceva sentir parlare della vita di sessant’anni prima e immaginare come sarebbe stato vivere allora, certo i discorsi sulle amiche defunte la entusiasmavano meno ma nel complesso non lo trovava troppo noioso.
Quel giorno però tutto sembrava avere una brutta piega.
Era stanca e svogliata e il suo capo la riprese più del solito.
Quando poi ritornò a casa dovette sopportare le lamentele di Bianca, che sapendo che il padre stava per rientrare aveva ricominciato a fare i capricci.
Il campanello suonò e lei sospirò sollevata.
Adorava Bianca, un po’ meno Tommy, ed era felice di essersi occupata di lei, ma una serata di sana solitudine non le sarebbe dispiaciuta affatto.
Ma non era Carlo.
Fran entrò nella stanza con la sua solita allegria spumeggiante.
- Sono passata per allietare la vostra serata!- annunciò lanciandosi sul divano.
- Io devo tornare a casa mia, tra poco torna papà. - mormorò mogia la bambina.
- E non sei contenta di vederlo? Deve esserti mancato molto!- disse l’amica con tono gioioso.
Rica sorrise, Fran sapeva che la piccola non era molto felice di tornare a casa e cercava di entusiasmarla.
Poteva essere anche immatura come una mocciosa di cinque anni ma era molto sensibile.
- Si, certo! Ma voi mi mancherete. Mi sono divertita in questi giorni!
Bianca aveva le lacrime agli occhi.
- Ma ci vedremo spesso lo stesso, non preoccuparti. Inviteremo anche papà. - aggiunse con un tono malizioso che non sfuggì all’orecchio di Rica.
- Davvero? Anche Adam me lo ha promesso! Verrete al mio saggio di danza e alla mia recita a scuola?- chiese lei eccitata.
- Si credo che si possa fare, ora vai a radunare tutti i tuoi giocattoli da brava.
La bambina corse nell’altra stanza.
- Mi stupisci! Credo che la serata di sabato con lei ti abbia fatto bene, eri quasi credibile nel ruolo di mammina.
- Oh figurati, quello lo lascio a te. Tu invece non mi sembri molto in forma. Che c’è il principe azzurro ti strapazza troppo?- chiese quella peste con un ghigno furbetto.
- Fran!
- Stavo scherzando!- si difese lei.- Cosa c’è che non va?
Rica si affrettò a distogliere lo sguardo dal suo e sistemò i cuscini del divano che lei aveva mandato per aria.
- Niente. Non ho dormito molto bene, tutto qui.
- Uhm, sarà ma..
Il campanello della porta trillò, salvandola dall’interrogatorio.
- Ciao Rica! Come stai?
- Carlo entra. Tutto ok. Tu? Bianca sta finendo di sistemare i suoi giochi.
L’uomo la seguì nel salottino.
- Potrebbe andare meglio ma..
Alla vista di Fran si bloccò.
- Carlo lei è Francesca, la mia migliore amica. Mi ha dato una mano con Bianca. Lui invece è Carlo, il padre di Bianca.
Nonostante la sua amica avesse visto un sacco di volte il suo vicino di casa i due non si erano mai conosciuti e Rica notò fin troppo chiaramente l’occhiata che si lanciarono quei due.
Su di lei non c’erano dubbi, che trovasse interessante quell’uomo decisamente affascinante era risaputo, ma non era preparata allo sguardo di lui.
Interessato, ammirato.
Certo Fran era una bellissima ragazza, con i suoi capelli color ruggine e gli occhi di smeraldo, ma quell’uomo era stato lasciato dalla donna che amava da poco più di una settimana!
- Piacere!- mormorarono i due guardandosi negli occhi.
- Ciao papà!- la voce di Bianca interruppe lo sguardo e la stretta di mano.
- Amore mio! Come stai? Mi sei mancata tantissimo.
Lui si avvicinò alla bambina che si lasciò prendere in braccio.
Come Rica aveva previsto le era passato tutto rivendendo il padre.
Sorrise felice, qualcosa andava per il verso giusto almeno!

L’uomo e la piccola li salutarono, non prima di avergli strappato la promessa di cenare a casa loro una sera e le due amiche rimasero sole.
- Ti piace quell’uomo!- esclamò Rica.
- Non ho mai detto il contrario!- disse lei tranquilla sedendosi sul divano.
- Ti piace nel senso che ci staresti!- continuò lei.
- Qualsiasi donna sana di mente lo farebbe! Cielo, ma lo hai visto? E’ una meraviglia!
- Fran..
- No, non iniziare con quel tono. Come se avessi cinque anni anch’io!- la interruppe lei.
- Ma siete single da pochi giorni! Lui ha una bambina!- esclamò Rica.
- Lo so, sai? Ma non ho intenzione di lasciarmi fare la predica..
- Io voglio solo proteggerti, scusami tanto!- disse lei offesa.
- Dai non fare così! - Fran le si avvicinò e le passò un braccio intorno alle spalle.-So che vuoi proteggermi, ma io non sono come te! Non riesco a non lasciarmi andare. Mi sono bruciata e mi brucerò ancora, ma è così che deve andare. Cercare di proteggersi è solo un’illusione!
Già lo sapeva!
Per quanto si fosse sforzata non era riuscita a non provare interesse per Adam.
- Ti chiedo solo di ragionare un po’, prima di lanciarti a capofitto. Potresti farti davvero male questa volta.- la ammonì lei.
- Non ho intenzione di fare nulla, tranquilla.- la rassicurò Fran- Ma ora dimmi di te.. Come va con il tuo belloccio?
- Non è il mio.. Non è il mio belloccio!- Rica avvampò fino alle punte dei piedi e distolse lo sguardo.
- Ehi qui qualcuno nasconde qualcosa! Su sputa il rospo.- la rossa scatenata si lanciò sull’amica iniziando a tormentarla con il solletico, come faceva fin da bambina quando voleva estorcerle un segreto.
Rica non sopportava quella tortura barbara che le toglieva il fiato e le dava l’impressione che gli occhi potessero uscirle in qualsiasi momento dalle orbite.
- Basta! Basta ti prego! Mi sento male!- ansimò tra le risate.
- Voglio sapere tutto! Nei minimi particolari e se avrò anche solo l’impressione che mi stai tacendo qualcosa giuro che ricomincerò e nemmeno le suppliche mi convinceranno a smettere! - la minacciò Fran accoccolandosi sul bracciolo del povero divano che ormai ne aveva viste di tutti i colori e preparandosi ad ascoltare.
- Sei insopportabile!- Rica si asciugò le lacrime e si stiracchiò per cercare di calmare i crampi allo stomaco provocate dal troppo ridere.- Non dovrei dirti le cose sotto tortura. Dovrei poter scegliere! Questa non è amicizia, è dittatura!
- Hai ragione! Quindi sbrigati a  raccontare prima che perda la pazienza e decida di passare di nuovo alle maniere forti.- replicò lei muovendo le dita come se stesse suonando il piano.
- Stavamo giocando a Twister e Adam mi è caduto addosso, o meglio, sono stata io a farmelo cadere addosso..- iniziò lei.
- Oh ma brava! Non ti facevo intraprendente!- sorrise Fran battendo le mani.
Rica rimase a guardarla per qualche secondo, non sapendo se arrabbiarsi o stupirsi.
- Tu non sei normale. Me ne convinco sempre di più.- disse sconsolata per poi agitarsi.- Ma ti pare che faccio di queste cose io? Ti sembro una gatta morta???
- Hai ancora molto da imparare. Vai avanti dai.- Fran scosse una mano e sorrise.
Il loro rapporto era sempre stato così.
Non riuscivano mai ad essere serie e ad avere delle discussioni normali.
Ormai era un’abitudine consolidata.
- Insomma sono caduta e me lo sono trascinata addosso e..- si interruppe sentendosi avvampare di nuovo, anche con Fran che sapeva proprio tutto di lei si imbarazzava.- Volevo baciarlo. Ecco, l’ho detto.
Rica sospirò sentendosi un po’ meglio.
- Mmm capisco. E lui?
- Questo è il problema. Che io volessi baciarlo alla fine può essere anche comprensibile. Cioè lui è.. È stupendo e sfido qualsiasi donna al mio posto a non farci un pensierino. E’ impossibile! Ma lui, ecco, lui mi è sembrato che.. Insomma che anche lui..- balbettò.
- Hai avuto impressione che a lui non sarebbe dispiaciuto? E’ questo che vuoi dire?
- E’ insensato vero? Ma è esattamente quello che mi è parso. Ma mi sarò sbagliata di sicuro, insomma è impossibile!
Non riuscendo a stare ferma si alzò e iniziò a passeggiare per la stanza.
- Tu sei insensata! Ma ti rendi conto di quello che dici? E’ impossibile?
- Su Fran lo sai anche tu..
- No non so niente e non voglio sentire più niente se le uniche cose che riesci a dire sono stupidaggini così!
- Va bene, lasciamo perdere! Me ne vado a letto.
- Fai bene! Mi sai che ne hai proprio bisogno!

Rica era convinta di trascorrere un’altra notte insonne e invece non appena chiuse la luce della abatjour sentì immediatamente la stanchezza appesantirle le palpebre. Quando si svegliò la mattina dopo per un attimo si fece prendere dal panico, doveva ancora aiutare Bianca a prepararsi, girandosi dall’altra parte del letto lo trovò vuoto.
La bambina era tornata a casa.
Era di nuovo sola con sé stessa.
Niente più gatti da cacciare, colazioni da preparare, scarpe da allacciare.
Stava proprio invecchiando.

Sua madre non riusciva a contenere il suo carattere esuberante nemmeno di primo mattino.
Per un giorno che lui avrebbe voluto dormire e rinunciare alla sua corsa mattutina eccola che scorazzava per caso con un piumino in mano intonando vecchie canzoni.
Il tatto non era mai stato il suo forte.
Quando lei iniziò a trafficargli intorno si alzò, rassegnato.
Adorava sua madre, davvero, ma quando lei passava l’aspirapolvere alle sette del mattino non si sentiva proprio in vena di fare i salti di gioia.
Non sapeva nemmeno quanto sarebbe rimasta ancora.
Uscì di corsa ma quel giorno non avrebbe fatto il giro del parco.
Era ora di parlare con Fran e di mettere definitivamente fine a quel piano.
Durante la notte ci aveva pensato e aveva deciso di lasciare che i rapporti con Rica sfumassero, fino a scomparire.
Basta uscite. Basta incontri all’alba.

Fran dormiva ancora beatamente abbracciata al suo cuscino quando il suono di un campanello la fece sobbalzare.
Chi diavolo era?
Da quando si era licenziata dall’ufficio per cui lavorava per non avere più a che fare con Marco, la mattina si concedeva di dormire fino a tardi come non capitava da anni.
Si infilò le pantofole e raggiunse la porta, pronta a mandare il rappresentante di turno a quel paese.
Ma non era un rappresentante.
Era Adam e sembrava anche piuttosto arrabbiato.
- Ehi! Che ci fai qui a quest’ora?- chiese stupita e preoccupata.
- C’è che ho deciso di chiudere con questo piano. Basta! Ne ho abbastanza e non ho intenzione di discutere con te, volevo solo informarti!
- E’ per il quasi bacio di ieri sera, vero? - chiese Fran sorridendo.
- Il bacio? Non c’è stato nessun bacio!
- Lo so. Non scaldarti! Rica mi ha detto della partita a Twister..
- Non è successo niente! Voglio solo chiudere questa storia. Non ha senso!
- Va bene! Chiudi! Non ti dirò niente!- la ragazza scosse la testa, afferrò un pacco di biscotti e si sedette al tavolo della cucina.
- Non cerchi di convincermi? Nessun ricatto psicologico?- Adam le prese i dolci e iniziò a mangiare.
- No! Se vuoi mollare molla pure. Non ti supplicherò.- annuì lei riprendendosi il pacchetto.
Adam continuò a masticare in silenzio.
Non si era aspettata quel comportamento.
C’era qualcosa che non tornava.
- C’è qualcosa sotto!- disse alla fine.
- No! Niente! Sei libero di sciogliere il patto, te l’ho detto!
- Hai intenzione di farmi finire in qualche trappola?- chiese sporgendosi verso di lei e minacciandola con un dito.
- Ti ho detto di no! Nessun appuntamento a sorpresa. Promesso! E’ tutto finito! Fran si alzò e mise a scaldare il latte in un pentolino. Lo versò in una tazza e la appoggiò sul tavolo, si voltò per prendere un cucchiaio da un cassetto ma quando tornò al suo posto il cugino l’aveva già svuotata.
- Ehi! - protestò lei, mettendosi le mani sui fianchi.
- Va bene allora. E’ tutto finito?- chiese lui alzandosi.
-Finito.- confermò.- Ieri è stata l’ultima volta che hai visto Rica, non ti costringerò più a incontrarla.
Adam si avvicinò alla porta.
- Io non ti chiederò più a vederla. Presto sarai tu a volerlo fare! Ieri sera volevi baciarla. Puoi mentire quanto vuoi, dentro di te, sai qual è la verità!- aggiunse Fran mettendo a scaldare dell’altro latte.

Adam socchiuse gli occhi.
Sapeva che c’era qualcosa sotto.
Sapeva che non avrebbe dovuto crederle.
Aveva smesso con i trucchi, con le preghiere ed era passata al piano B.
Eppure per una volta dovette ammettere con sé stesso che lei aveva ragione.
La sera prima lui avrebbe voluto davvero baciarla e aveva ragione anche sul fatto che avrebbe voluto incontrarla ancora.
Ma quello non voleva dire niente.
Erano state tante le donne che aveva baciato, tante quelle che avrebbe voluto baciare, tante quelle che aveva frequentato e tante quelle che avrebbe voluto frequentare.
Eppure non voleva dire niente.
Nella vita si incontravano tante persone.
Tanti incontri che non portavano a niente.
Senza dubbio quello con Rica era uno tra tanti.


Ed eccoci qui con un altro capitolo! Non so cosa si esattamente questo capitolo. E' un susseguirsi d'eventi ma credo che sia molto importante per capire tanti piccoli passaggi. Voi cosa ne dite? Da qui in avanti si farà un po' di chiarezza. Spero che sarete contenti! Io lo sono :) Aspetto le vostre recensioni, se ne avete voglia, ovviamente. Grazie come sempre a tutti quelli che leggono. Siete davvero moltissimi e io ne sono felicissima. Baci a tutti. Manu!
Giusto per rifarci gli occhi eccovi ancora ADAM
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Capitolo 25
*** Scherzi del destino... ***


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CAPITOLO XXV: Scherzi del destino...


Il mondo è fatto di sogni e desideri, altro che rocce, magma, acqua ed erba. In ogni cosa vivono i sogni. E’ la sostanza principale, la linfa vitale che nutre persone, animali, alberi e il sole stesso. Basta osservare come ognuno di noi aspiri a qualcosa. Ci sono desideri piccoli, grandi, medi. Ci sono sogni di una vita e progetti a breve termine. C’è quel desiderio assurdo di qualcosa di assurdo che ti prende nei momenti più assurdi, come la voglia di pinoli, che tra l’altro detesto, che mi è venuta stanotte mentre cercavo un modo per riuscire a prendere sonno. Ci sono desideri che muovono azioni impensabili e desideri passeggeri. C’è quel desiderio folle di uno studente che, pur sapendo di non essere sufficientemente preparato, sogna comunque di passare quell’esame decisivo. C’è il sogno di riuscire  per una volta, una sola volta, a provare l’ebbrezza di quel momento in cui tutto è esattamente dove e come vorresti che fosse, un secondo che passa in un battito di ciglia, ma che ha la potenza di farti sentire felice e di farti dormire tranquillo per molte notti di fila. Ci sono quei momenti in cui desideri solo sparire, altri in cui vorresti solo essere visto davvero. Ci sono tanti di quei desideri che non basterebbero gli anni che restano all’umanità per elencarli. Ma su tutti ne prevale uno. Il sogno per cui siamo nati. La nostra missione. C’è chi è nato per guidare Paesi nel corso dei decenni, chi per fare una scoperta che migliorerà la scienza, chi per cambiare la storia, chi per amare, chi per fallire, chi per ingannare il prossimo, chi per essere felice, chi per soffrire, chi per cambiare la vita a qualcuno, chi per rendere la vita impossibile a qualcuno, come Tommy con me, chi per vincere un premio nobel per la pace e chi per scatenare guerre disastrose. E poi c’è chi nasce e per sentire. Sono certa che questa sia la ragione per cui qualcuno, ormai ventotto anni fa, ha deciso che io dovessi iniziare ad esistere. Sognare è il mio pane quotidiano e sentire è la mia maledizione. A volte vorrei non sentire tutte queste emozioni, tutte queste sensazioni, vorrei poter ignorare soprattutto la voce del silenzio che, troppo spesso, mi fa domande a cui non so rispondere. Ad esempio: perché penso ad Adam? Perché da una settimana lui è sparito? Perché non l’ho incontrato nemmeno al parco questa mattina, come le altre due domeniche da quando lo conosco? Sono domande a cui non so rispondere, non vorrei nemmeno sentire il bisogno di trovarla una risposta e invece sono qui, seduta su un prato umido, alle otto del mattino, a pensare che il mondo non sia costituito da atomi, da materia, ma solo da sogni e da desideri, perché in questo momento tutto quello che vorrei è vedere quegli occhi dalle iridi incredibilmente blu, dalle ciglia incredibilmente lunghe e quel sorriso incredibilmente da infarto. C’è qualcosa di perverso nel rendersi conto di desiderare qualcosa che fa il nostro male ma desiderarla comunque. Vorrà dire che sono perversa. Ma che non fossi del tutto normale lo sapevo da tanto ormai!

Rica si stiracchiò e sentì i muscoli del collo rilassarsi.
Forse era il caso di tornare a casa. Anche se si rifiutava di ammetterlo anche con sé stessa, aspettava ancora che lui comparisse dal vialetto, correndo come un pazzo con le cuffie alle orecchie e lo sguardo concentrato.
Non sapeva se il motivo di quel pensiero ossessivo fosse dovuto al fatto che era sparito, così all’improvviso, non che avessero parlato di rivedersi, ma ormai lo dava quasi per scontato, oppure perché le mancava davvero.
Si alzò e si spazzolò i pantaloni dai fili d’erba.
Era ora di tornare a casa e di rendersi conto che forse non lo avrebbe visto più.
Era stata lei stessa a pensare che il distacco sarebbe dovuto avvenire il prima possibile, prima che si affezionasse sul serio.
Aveva avuto tante delusioni dalla vita e ne aveva abbastanza.
Il patto di chiudere con gli uomini, stabilito il giorno del matrimonio di Mara con Max, un ragazzo con cui era uscita per un po’, quello stesso giorno che aveva saputo della storia tra sua sorella e Matteo un altro ragazzo che aveva frequentato, era nato proprio per quello.
Per tenersi alla larga da delusioni e da storie a senso unico che inevitabilmente la portavano a chiedersi cosa non andasse in lei.
Eppure se lo stava chiedendo di nuovo.
Cosa non andava in lei?
Aveva capito che avrebbe voluto baciarlo?
Infilò il diario di pelle rossa nella borsa e ritornò a casa.
Il parco iniziava a popolarsi di coppie con bambini, cani che scorazzavano trascinandosi dietro i proprietari.
- Vorrei capire come fai ad andartene in giro così presto la mattina!
Fran se ne stava seduta sui gradini di casa sua con la faccia ancora stropicciata dal sonno.
- E tu invece come mai ti sei gettata dal letto così presto?- sorrise Rica, scompigliandole i capelli.
- No! Stai scherzando vero?
Fran si alzò in piedi e la fissò con quegli occhi da pazza.
- Co.. Cosa vuoi dire?
- Allora è vero! No Rica questa non dovevi farmelo!- l’amica iniziò a camminare avanti e indietro, come un’indemoniata.
- Cosa ho fatto? Non ti capisco!
- Ti sei dimenticata di una cosa importante! Te ne sei dimenticata davvero! E’ tutta la settimana che te ne parlo e tu è tutta la settimana che sei nell’aria! Non mi ascolti! Io parlo e tu non mi ascolti!- Fran tornò a sedersi sugli scalini e Rica rimase a guardarla chiedendosi di cosa si fosse dimenticata.
In effetti era vero che in quella settimana era stata un po’ svagata.
Al lavoro era stato un macello, non aveva fatto che correre per la città, il suo capo era stato più insopportabile del solito, qualcuno le aveva rotto lo specchietto della macchina, le era venuto il ciclo in anticipo e dulcis in fundo sua sorella Gaia la sera prima l’aveva chiamata per dirle che doveva parlarle.
Tutti gli incontri con sua sorella avevano come secondo fine quello di chiederle un favore che lei non sarebbe riuscita a rifiutare e che l’avrebbe fatta impazzire di sicuro. Si sarebbero viste quella sera.
E poi c’era la faccenda di Adam, che non riusciva a spiegarsi e che non faceva che tormentarla.
Il risultato era che aveva dimenticato qualcosa a cui Fran sembrava tenere particolarmente e che ancora non riusciva a ricordare.
- Qual è il tuo desiderio più grande?
- Ma che ti prende oggi? Hai bevuto troppa coca cola? Hai sniffato gas di scarico?
Rica sbuffò e si sistemò la ciocca di capelli che continuava a ricaderle sugli occhi.
- Ti ho fatto solo una domanda!
- Io ti dico che ti sei dimenticata una cosa importante e tu mi fai domande sul senso della vita e cose così! Che sei diventata Bonolis? Devi prepararti e ringrazia che ho bisogno di te perché la mia macchina è rotta altrimenti andrei da sola e non ti rivolgerei mai più la parola!- l’amica si mise a braccia incrociate.
Era offesa e aveva pienamente ragione.
Per quanto si sforzasse non riusciva proprio a ricordare dove dovesse accompagnarla.
Aprì il portoncino e si diresse in camera, con una Fran sbuffante al seguito.
Prese degli abiti presentabili e si chiuse in camera mentre l’altra le urlava di far presto.

L’acqua calda le picchiava sulla faccia e Rica sperava che l’aiutasse a schiarirsi le idee.
Decisamente aveva passato il segno.
Niente, neppure la storia di Matteo, l’aveva ridotta in quello stato.
Era una smemorata di natura, ok, ma addirittura arrivare a rimuovere un appuntamento importante con Fran non era mai successo.
Adam, Adam, Adam!
Era lui la causa dei suoi guai.
Aveva la sensazione che la sua sparizione fosse dovuta a quella disastrosa partita a Twister.
Aveebbe voluto chiamarlo per chiederglielo.
Ma le mancava il coraggio e non voleva fare lei il primo passo.
Fino ad allora era stato sempre lui a farsi vivo e all’improvviso, come se niente fosse, spariva.
Magari era dovuto partire per lavoro.
Ma qualsiasi cosa fosse non doveva ridurla in quello stato.
Uscì dalla doccia e si asciugò velocemente.
Dall’altra stanza Fran continuava a mormorare e non voleva darle ancora motivo per arrabbiarsi.
- Sono pronta. Andiamo?- Uscì trafelata dal bagno e trovò l’amica sdraiata sul suo letto, le braccia incrociate dietro la testa e un ghigno beffardo sulle labbra.
- Dove?- chiese poi fingendosi sorpresa.
- Cosa vuol dire dove? Sei arrivata qui accusandomi di essermi scordata di.. Di.. No! Non me lo dire! Era una balla! Ti sei inventata tutto! Non dovevo accompagnarti da nessuna parte! Non mi sono dimenticata di niente!- Rica rimase a bocca aperta.
Si era tormentata per mezz’ora per nulla!
- Non fare quella faccia! Il fatto che tu non ti sia accorta che non era vero è perché, realmente non mi ascolti quando ti parlo!- Fran saltò giù dal letto e le passò un braccio sulle spalle.- Ancora nessuna notizia di Adam?
La goccia che fece traboccare il vaso.
- Tu.. Tu sei una stronza! Io mi sono colpevolizzata per nulla! Mi sono sentita un mostro! E tu ridi!
- Ma dai era solo uno scherzetto!- provò a riparare Fran, vedendola arrabbiata.
- Uno scherzetto sti c..- iniziò.
- Rica!- la interruppe l’amica perplessa. Non era affatto da lei essere tanto volgare. Non era nemmeno da lei essere perennemente con la testa tra le nuvole, né arrabbiarsi tanto per uno dei tanti scherzi di quella pazza.
- Sono nervosa, ok? Non sopporto i tuoi scherzi da ragazzina, ok?- disse ritrovando, almeno in parte, il controllo.
- Va bene. Ti chiedo scusa. Ho esagerato.
Rica annuì, non era nemmeno da Fran essere così accomodante.
Doveva aver capito che qualcosa non andava e prima che iniziasse l’interrogatorio decise di vuotare il sacco.
- No, nessuna notizia di Adam e non mi spiego questa sparizione.
Fran socchiuse gli occhi.
Avrebbe voluto volentieri prendere a pugni quello scriteriato del cugino.
Una settimana prima, quando aveva voluto sfidare Adam dicendogli che potevano sciogliere il patto, era certa che lui non avrebbe retto e si sarebbe fatto vivo con lei, nonostante tutto.
E invece niente.
Era sparito davvero.
Chiamarlo e fargli la ramanzina sarebbe stato solo controproducente.
Aveva le mani legate.
Non poteva fare proprio niente.
- Vedrai che prima o poi si farà vivo.- disse lei, stringendosi nelle spalle.
- Non è questo il punto! Il punto è che io non dovrei stare con la testa tra le nuvole per questo. Non dovrei essere così nervosa e hai ragione a dire che non ti ascoltavo.- ammise.
- Si, lo so. Fa niente.
- La verità è che non so spiegarmelo e non so se sto così perché non capisco il motivo di questa sparizione o se è perché mi manca lui, davvero.- mormorò.
- Io questo non lo so. Però non prenderla così male, non è necessariamente una cosa negativa..- iniziò Fran, intensificando la stretta.
- Non è una cosa negativa dici? Io vivo tra le nuvole e tu dici che non è una cosa “esattamente” negativa? Io non voglio sentire la sua mancanza. Non lo conosco nemmeno e non puoi sentire la mancanza di qualcosa che non hai avuto mai. Il nostro rapporto non era niente! Non stavamo insieme e non eravamo nemmeno amici. Quindi, no, scusa, ma non riesco a considerarla come una cosa “ non esattamente negativa”. - Rica si nascose la faccia tra le mani, sentendosi un’idiota.
- Ascoltami. Non c’è niente di male a sentire la mancanza di una persona che stai iniziando a conoscere. Non vederla come qualcosa di tremendo solo perché non riesci a controllare questa cosa. Non sforzarti di dare una definizione o una spiegazione a tutto. Ti manca. Punto. Non scavarci dietro, non tormentarti.
Rica sbuffò e si alzò.
- Fosse facile! Abbi adesso che mi sono preparata, facciamo qualcosa. Non mi va di stare a casa.

Girare per la città con un hamburger ipercalorico tra le mani e la compagnia spumeggiante di Fran era un toccasana.
Doveva farlo brevettare.
Non c’era rimedio migliore per scacciare la malinconia e tutti i pensieri.
Avevano camminato praticamente per ore.
- Ci servirà a smaltire tutte le porcherie che ci siamo fatte fuori.- disse Rica quando l’amica le propose di sedersi.
- No ci servirà  a non farmi sentire più le gambe!- Fran si lasciò cadere su una panchina di marmo e incrociò le gambe, bevendo con la cannuccia l’ultimo sorso di coca cola e facendo rumore.
- Hai molte cose in comune con Bianca, me ne accorgo sempre di più.- sorrise lei.
- Non quante vorrei! Anche io vorrei saltare in braccio a suo padre!
Rica la colpì sul braccio e sorrise, scuotendo la testa.
Era incorreggibile.
- Volare.
- Cosa?- chiese Rica, voltandosi stupita verso l’amica.
-  Il mio desiderio più grande. Volare.
- Ma hai già volato un sacco di volte..- iniziò lei, non capendo bene a cosa si riferisse.
- Ma non con l’aereo, scemotta! Mi piacerebbe salire su una mongolfiera o qualcosa di simile. Sentire, l’aria sulla faccia.
- Non me lo avevi mai detto.
- Non mi sembrava importante.- si strinse nelle spalle e lanciò il bicchierone ormai vuote in un cestino poco vicino.
- Beh e perché non lo fai? Cerca su internet un posto in cui organizzano gite in mongolfiera e vai. Ti accompagnerei volentieri, ma sai com’è, con le vertigini..
- Perché non è il momento giusto. Prima o poi lo sarà.
Fran si alzò e lei la seguì.
Non riusciva a capire il ragionamento dell‘amica.
Il suo desiderio più grande era diventare una scrittrice e se avesse potuto l’avrebbe realizzato subito.
- Io devo andare a cena dalla mia ex collega Marta e sta a un’ora da qui, sarà bene che inizi ad andare, devo ancora prepararmi e passare a comprare qualcosa da regalarle.- annunciò Fran, per nulla entusiasta.
- Oh si, anche io devo vedermi con Gaia tra un po’. - disse lei ancor più sconsolata dell’amica.
Aveva un pessimo presentimento.
- Chissà cosa vorrà. Fammi sapere. Adesso scappo.
Rimasta sola Rica, continuò a camminare per la città, guardando distrattamente le vetrine.
Quel pensiero sui desideri continuava a frullarle per la testa.
Credeva fermamente nel destino e in una strada maestra, scolpita per ognuno di noi, da qualche parte.
Sapeva che ogni decisione, ogni azione, portava a delle conseguenze ma sapeva anche che alcune cose erano inevitabili.
Come innamorarsi.
Non era una scelta, non era una decisione che era possibile prendere a tavolino.
Era una cosa che accadeva, senza una spiegazione logica e lei era certa che fosse il destino a muovere i tasselli giusti, a fare si che due anime si incontrassero e si trovassero.
Ovviamente non pensava che Adam fosse quello che lei stava cercando, non sapeva nemmeno se esisteva davvero quello che lei stava cercando.
Perché anche se faceva piani e prometteva di non interessarsi più a qualcuno, sapeva bene che non dipendeva da lei, che non aveva la forza per impedire che quello accadesse.
Era nata per quello.
Anche se aveva incontrato solo persone sbagliate non riusciva a non sperare ancora, che, da qualche parte, qualcuno stesse scrivendo una bellissima storia per lei.
Magari era uno “scrittore” capriccioso e lunatico che si divertiva a muovere le fila della sua vita come un burattinaio ubriaco, ma sperava, che fosse clemente, alla fine.
Entrò nel locale in cui aveva appuntamento con la sorella, sperando che il destino iniziasse proprio quella sera a regalarle delle belle sorprese.
Si accomodò ad un tavolinetto quadrato e non appena vide entrare Gaia, con l’espressione tirata e un sorriso finto, capì subito che per il suo happy ending era ancora molto lontano.

Adam schiacciò ripetutamente il pulsante e il tapis roulant iniziò a diminuire la velocità, i suoi piedi si abituarono all’andatura per poi fermarsi di colpo, facendolo quasi cadere.
- Vedi che ho fatto bene a farti questo regalo tesoro? E’ pratico, puoi correre quando vuoi e restare in casa.
- Oh si certo!- borbottò lui scendendo da quell’aggeggio infernale che detestava.
Correre gli piaceva perché gli permetteva di stare a contatto con la natura, respirare il profumo della terra e dell’erba umida, gli piaceva vedere il sole spuntare e colorare il cielo di arancione, gli piaceva salutare il netturbino che incontrava, tutti giorni allo stesso orario nello stesso punto. Gli piaceva sentirsi libero.
E sua madre gli aveva regalato uno stupido tapis roulant.
Che piacere c’era a correre se restava fermo in punto?
Era una stupidaggine.
Ma ancora una volta il pensiero di deludere sua madre, di darle un dispiacere gli riusciva impossibile, lo avrebbe usato finché lei fosse rimasta lì, poi lo avrebbe infilato nella sua scatola e l’avrebbe chiuso in cantina.
Se solo avesse saputo quanto si fosse fermata..
Ma lei niente, no ne parlava nemmeno e lui non osava chiedere.
Sua madre uscì per andare a pranzo da alcune vecchie amiche e lui riuscì a lavorare per tutto il pomeriggio, in santa pace.
Tra la storia di Rica e sua madre aveva concluso ben poco in quel periodo. Quella settimana però aveva fatto progressi.
Grazie a quell’invenzione formidabile chiamate Facebook la sua adorabile genitrice aveva ritrovato delle compagne di scuola e non faceva che andare di qua e di là con loro, permettendogli di respirare un po’ e di lavorare, cosa che non guastava affatto, visto le continue pressioni dei suoi editori che non facevamo che mandargli mail per sapere come procedeva il lavoro.
Era convinto che loro preferissero ancora che fosse un professionista ad occuparsi delle traduzioni ma lui era stato irremovibile.
E l’aveva spuntata.
Per quanto riguardava Rica non la vedeva da una settimana, da quella sera della partita a Twister.
Ripensò alla caduta, ai suoi occhi che ricordavano tanto il cioccolato fondente che amava tanto.
Si diede una manata sulla fronte.
“ Devi lavorare Adam, non perderti in fantasticherie diabetiche! Scrivi thriller non romanzi rosa!”
Ma per quanto si sforzasse, ogni tanto inevitabilmente il pensiero correva lì, a lei, a quel quasi bacio, al giro sulla ruota panoramica, allo scontro al parco, alla scenata a Marco, al discorso sul per sempre.
Gli mancava.
O meglio, non sapeva se a mancargli era davvero lei o quella situazione assurda ma divertente.
Si, inaspettatamente si era divertito.
E si, le dispiaceva non vederla.
Si era abituato ad averla intorno, a sentire la sua voce, il suono della sua risata, ad ascoltare tutte le avventure assurde che aveva vissuto.
Non ci si annoiava con lei. Superato quell’imbarazzo iniziale era diventata una macchinetta, parlava e gesticolava in un modo che lo affascinava.
Non perché ci fosse qualcosa dietro, ma perché era spontaneo.
Lei era vera.
Non fingeva per piacergli, non recitava ed era sé stessa.
E quella sera voleva baciarla.
Adesso a mente fredda si rendeva conto che non sarebbe stato saggio, né giusto, ma Fran aveva ragione, lui sapeva quello che aveva provato.
Avrebbe voluto baciarla.
Se non fosse stato tutto così complicato molto probabilmente lo avrebbe anche fatto.
Ma c’erano troppe cose da tenere in considerazione e non aveva nessuna voglia di mettersi nei guai.
Era la migliore amica di sua cugina e aveva già una storia sentimentale incasinata alle spalle.
Era il genere di ragazza che voleva e meritava una storia seria e lui non era pronto per quel genere di ragazza.
Non era pronto per lei.

Gaia se ne era andata e lei aveva lasciato il tavolinetto per sedersi al bancone dove avrebbe potuto bere più facilmente.
Aveva bisogno di bere, tanto.
Sua sorella non doveva chiederle nessun favore, doveva dirle solo una cosa.
Rendendosi conto che riusciva ancora a ricordare perfettamente le sue parole si sporse verso il barman e ordinò un altro di quei cocktail verdognoli e amarostici che le facevano bruciare lo stomaco e girare la testa.
Ma non le importava.
Non sapeva come avrebbe fatto a tornare a casa.
Ma non le importava.
Non sapeva come avrebbe fatto ad andare a lavorare l’indomani.
Ma non le importava.
Non sapeva come avrebbe fatto a superare quell’ennesima batosta.
Ma non le importava.
Voleva bere.
Solo quello le importava.
Lei che si ubriacava con la coca cola aveva già fatto fuori tre drink e ne aveva ordinato un quarto.
Si sarebbe ridotta male.
Ma non le importava.
Le sarebbe venuto un mal di testa atroce.
Ma non le importava.
Avrebbe anche rimesso.
Ma non le importava.
Il ragazzo le mise davanti il bicchiere.
- Forse sarebbe il caso che tornassi a casa. Bere non è una soluzione.
Ma perché i barman si sentono sempre in diritto di dare consigli? Ok ne vedevano di tutti colori e aveva sentito da qualche parte che un bravo barista dovesse essere anche un po’ psicologo ma lei non aveva bisogno di uno psicologo.
Aveva bisogno di bere.
Lo sapeva perfettamente che non era una soluzione.
- Peggio di così..- scrollò le spalle e si portò il bicchiere alle labbra, facendo una smorfia disgustata.
Forse era il caso che si desse alla psicologia a tempo pieno, per fare i cocktail non era portato.
- Ica?- quella voce stupita e anche un po’ sconcertata le fece andare il sorso di traverso e sputacchiò il liquido verdastro tutto intorno.
Fortuna che era ubriaca altrimenti avrebbe voluto sparire.

Era entrato nel bar con Enrico, il suo vicino di casa che aveva invitato lui e altri ragazzi del quartiere a bere qualcosa per festeggiare il suo nuovo lavoro.
Non aveva molta voglia di uscire ma lui aveva insistito e così lo aveva seguito in quel locale che non conosceva.
Aveva fatto tre passi all’interno del locale e l’aveva vista.
Seduta da sola al bancone, i capelli scarmigliati, tre bicchieri vuoti davanti e uno tra le mani.
- Ica?
- A.. Adam! Pensavo fossi partito!- tossicchiò lei.
- No, ho avuto molto da lavorare, ma che ci fai qui?
Avrebbe voluto chiederle perché si stava ubriacando da sola in un locale ma si trattenne.
- Ah.. Io.. Io sto festeggiando! Vuoi festeggiare con me? Ragazzo, dammi due cosi verdi qui.- disse girandosi verso il barista che lo guardò interrogativo.
Lui annuì e si avvicinò.
- Va tutto bene Ica?- le chiese preoccupato.
- Si.. Si.. Sto festeggiando, te l’ho detto!- ribadì lei.
- Cosa stai festeggiando?
Rica ci pensò su qualche secondo, sperando, con il briciolo di lucidità che le restava, di esserselo dimenticato e invece no.
- Divento zia! Non è una bellissima notizia?- alzò il bicchiere che il barman le aveva posato davanti e lo fece tintinnare contro il suo.
- Adam, ho trovato un tavolo vieni?- Enrico si avvicinò e guardò prima lui, poi Rica, con aria interrogativa.
- Oh si vai, ciao! Divertitevi!- disse lei ridendo.
- Scusami amico, facciamo un’altra volta, non posso lasciarla così.
- Tranquillo, capisco benissimo.- Enrico gli diede una pacca sulla spalla e si allontanò.
Adam tornò a sedersi accanto a lei.
- No. Non vai con i tuoi amici?
- No.
- Perché?
- Perché voglio capire cosa c’è che non va che ti ha portato ad ubriacarti.- gli appoggiò una mano sul braccio, facendogli posare il bicchiere semivuoto.
- Te l’ho detto.. Sto festeg..
- Balle! Non ci si riduce così se sei felice per qualcosa…- aveva parlato con troppa durezza, se ne era reso subito conto.
Lei rimase a guardarlo negli occhi per qualche secondo, con la fronte aggrottata.
- Ma cosa vuoi? Io non ti ho chiesto niente, non ti ho mai chiesto niente. Adesso voglio bere e tu non puoi impedirmelo! E questo lo riprendo io! Lasciami da sola.- afferrò il bicchiere che aveva fatto portare per lui e lo svuotò.
- Hai ragione. Non posso impedirtelo. Bevi pure. Ma tu non puoi impedirmi di restare qui.- disse lui sedendosi nello sgabello accanto al suo.
- Io voglio che tu vada via da qua!- disse Rica.
- No! Io voglio che tu vada via da qua!- ripeté lui.
- No!- lo guardò negli occhi con aria di sfida.
Adam sostenne lo sguardo e alla fine fu lei a doverlo distogliere.
Anche se aveva la vista offuscata dall’alcol, quegli occhi restavano comunque troppo blu.

Certo che era piccola ma pesava!
A vederla non sembrava, eppure pesava si!
Se la sistemò tra le braccia e sentì la puzza di alcol.
Accidenti quanto aveva bevuto.
Era sicura che non stesse affatto festeggiando, anzi!
“Divento zia! Non è una bellissima notizia?” dal tono con cui lo aveva detto non sembrava affatto.
Finalmente scorse il familiare portoncino azzurro, dopo qualche tentativo riuscì ad aprire la porta e se la chiuse alle spalle con un piede.
Raggiunse la sua camera e la sistemò sul letto.
Lei mormorò qualcosa manon si svegliò, figuriamoci!
Aveva atteso per un’ora che lei ne avesse abbastanza di bere, poi l’aveva seguita fuori e quando l’aveva vista smarrita e confusa l’aveva presa in braccio e l’aveva portata a casa.
Non poteva certo lasciarla in quello stato!
No, decisamente, non stava festeggiando!
Cosa doveva fare adesso?
La guardò rannicchiata su quel letto enorme, le gambe e le braccia piegate, come una bambina. Sembrava piccola e indifesa.
Si diede di nuovo una manata sulla fronte. Non riusciva a capire dove trovasse tante cavolate da pensare!
Ma non poteva lasciarla lì, da sola, non dopo tutto quello che aveva bevuto.
Prese il cellulare dalla tasca e trovò il nome di Fran.
Risponde la segreteria del numero…
- Maledizione! E ora?- si chiese a voce alta facendola trasalire.

Rica si mise a sedere e il mondo iniziò a barcollare a destra e a sinistra, come se si fosse trovata in alto mare.
Era la voce di Adam quella o l’aveva sognato?
Sicuramente stava sognando.
Cosa ci faceva lei con Adam? Su una barca poi..
Alzò lo sguardo per vedere meglio dove si trovasse e la luce le colpì gli occhi.
Sentì l’alcol fare marcia indietro e a testoni raggiunge il bagno.
Una mano fresca, si appoggiò sulla sua fronte, alleviando quel calore insopportabile.
Si sentiva come se gli occhi volessero uscire per forza dalle orbite.
Poi di nuovo tornò il buio.

Adam la portò di nuovo in camera e si sedette sul bordo del letto.
Prese di nuovo il cellulare e ritentò la chiamata a Fran, ma niente, spento.
La coprì con il copriletto colorato e si sedette sulla poltroncina poco distante, preparandosi per una notte scomoda e insonne.
Non sapeva esattamente perché lo stava facendo, non lo obbligava nessuno.
Ma non se la sentiva di lasciarla lì..
Era la migliore amica di Fran, lei non glielo avrebbe perdonato.
Appoggiò la testa alla spalliera e chiuse gli occhi.
Aveva deciso di non vederla più e invece?
Passava la notte a farle da balia.
Se quello non era uno scherzo del destino...

Ed ecco a voi, signore e signori il capitolo 25!!! Cosa ve ne è parso? Abbiate pietà, l'ho scritto tra una pausa e l'altro dello studio, forse non sarà ben scritto, forse non sarà originale ma non è colpa mia, è il mio povero cervello stressato che anche durante il sonno mi parla di Adam e Rica  e io posso solo ubbidire Quindi questo è quanto! Pareri? Critiche? Come sempre è tutto ben accetto! Grazieee mille a tutti per lo corso capitolo! Le visite e le recensioni sono da record! Risponderò quanto prima, mi scuso se non ho risposto a quelle del capitolo 23, rimedierò prestissimo anche a questo. Parlare con voi è la cosa che preferisco in assoluto. Un pensiero speciale in questo capitolo va ad Ellie (che sul destino mi ha letto nel pensiero o io ho letto nel suo, non so) e uno a Topoleone alias Fede... :) A presto. Bacioni, Manu!

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Capitolo 26
*** La porta dei pensieri ***


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CAPITOLO XXVI: La porta dei pensieri


- Respira, tranquilla, adesso passa!- Adam aprì il rubinetto dell’acqua fredda, la bagnò e gliela passò sulla faccia.
Non aveva una bella cera. Affatto!
Era pallida non ce la faceva nemmeno a stare in piedi.
Si era alzata per andare in bagno e lui era rimasto indeciso se seguirla o meno.
Insomma magari aveva solo bisogno di..
Poi aveva sentito un rumore ed era accorso, l’aveva trovata distesa sul tappeto.
Svenuta.
Le passò un braccio dietro la schiena e provò ad alzarla ma proprio in quel momento lei decise di rimettere, sporcandogli la camicia.
- Ma chi me lo ha fatto fare? - gemette lui sorreggendola e alzando gli occhi al cielo.


Le delusioni sono qualcosa a cui il genere umano non si abituerà mai.
Riporre speranze, fiducia e aspettative fa parte del nostro Dna e per quanto possiamo sforzarci non riusciremo mai a fare a  meno di sperare di non incappare in una  nuova delusione. Ci facciamo mille paranoie, ma poi nel 99% dei casi finiamo con l’accarezzare, anche segretamente e inconsapevolmente, la speranza che quella volta tutto andrà bene.
Rica rimase con gli occhi chiusi ancora per qualche minuto.
Sapeva che una volta aperti gli occhi avrebbe dovuto realizzare che qualcosa non andava.
Ancora una volta era rimasta delusa, da sua sorella, da Matteo, da sé stessa.
Non sapeva bene cosa fosse successo la sera prima.
Sentiva lo stomaco fare su e giù, il cervello che cercava di fuoriuscire dalla scatola cronica e in bocca un sapore tremendo.
L’ultima cosa che ricordava erano le parole di quel barista- psicologo che le consigliava di lasciar perdere l’alcol e di tornare a casa.
Forse sarebbe stato meglio ascoltarlo.
Bere non era una soluzione, lo sapeva, lo aveva sempre saputo.
Ma la sera prima aveva pensato che ubriaca o no avrebbe sofferto lo stesso.
Forse avrebbe potuto evitare di infliggersi anche quella sofferenza.
Aprì gli occhi e tentò di mettersi seduta.
La stanza era ancora in penombra e solo una luce fioca entrava dalle persiane socchiuse. Nemmeno il tempo sembrava essere nelle condizioni migliori in quel giorno.
Come era tornata a casa?
Era ancora vestita, aveva tolto solo le scarpe.
Si mise a sedere, doveva andare in bagno.
- Ti senti meglio?- la voce la fece trasalire e ruzzolò giù dal letto, sbattendo la testa contro il comodino.
- Maledizione!- mormorò, tastandosi il bernoccolo.
- Ica! Ti sei fatta male? - Adam le andò vicino e la aiutò ad alzarsi.
- Cosa ci fai tu qua?- gli domandò lei cercando di ricordarsi qualcosa e vergognandosi come una ladra.
- Non ti ricordi?- le chiese lui, sedendole e muovendo il collo per cercare di rilassare i muscoli intorpiditi. Quella nottata era stata un inferno.
La poltrona scomoda, lei che si lamentava e che si alzava per rimettere.
Mai, nemmeno al college, con il suo amico Tim che si ubriaca una sera si e l’altra pure, aveva dovuto fare così tanto da balia.
Avrebbe potuto fregarsene e invece non ci riusciva.
Le dispiaceva che stesse male, anche se, se l’era cercata.
Non la conosceva bene ma lei non le sembrava proprio il tipo da ubriacarsi in quel modo e quindi doveva essere successo qualcosa di serio.
“Divento zia! Non è una bellissima notizia?”
Doveva essere per quello..
- No, niente. Ho fatto qualcosa di imbarazzante? - gli chiese temendo già la risposta.
Adam ripensò a lei che si ingollava un cocktail  dietro l’altro, che lo “pregava” di andarsene, che si perdeva per strada, che gli si addormentava in braccio e gli russava in un orecchio, che rimetteva in bagno e poi sulla sua camicia nuova che adesso giaceva in fondo al bidone della spazzatura, chiusa in una busta di plastica.
- No, tranquilla.- sorrise lui. Non era il caso di raccontarle della sua performance.
Rica lo guardò e capì che qualcosa doveva averla combinata.
Glielo leggeva in faccia, in quell’espressione tra il divertito e l’imbarazzato.
Pregava almeno che non avesse fatto qualcosa di troppo imbarazzante, come saltargli addosso.
Anche a quell’ora del mattino, dopo aver passato una notte probabilmente insonne, la barba lunga e gli occhi assonnati, era assolutamente peccaminoso.
Bello, come non ne aveva visti mai.
Quella felpa blu scolorita gli stava molto bene anche se era tropo corta  per lui e gli lasciava scoperti i polsi, con quel Mickey Mouse che faceva la linguaccia somigliava proprio la sua, quella che aveva dai tempi del liceo, con lo strappo sul gomito.
- Ma quella felpa è mia!- esclamò poi trovando con lo sguardo la scucitura.
- Si lo so, è l’unica che mi entrava, spero non ti dispiaccia. La mia camicia.. Ha avuto un.. Ehm..incidente.
- Non dirmelo.. Te l’ho sporcata vero?- gemette lei, nascondendosi la faccia tra le mai.
- Non te lo dico allora! Non preoccuparti, mi ricompri la camicia e non se ne parla più!- scherzò lui dandole un colpetto con la spalla.
- Davvero sono mortificata Adam.. Non so che dire..- bofonchiò lei
- Riemergi dai. - disse lui togliendole le mani dalla faccia.- Non è successo niente, davvero. Me ne sono già dimenticato.
- Se mi dai dieci minuti ti faccio un caffè, è il minimo che possa fare per scusarmi per la nottataccia che ti ho fatto passare.- disse lei cercando di non sciogliersi per l’imbarazzo.
- Va bene.- sorrise lui.
Rica frugò tra i cassetti e prese degli abiti puliti per poi chiudersi in bagno. Non poteva pensarci! Gli aveva rimesso addosso! Non riusciva a crederci! Ma dove aveva il cervello?
Si diede una mossa e pochi minuti dopo, con la faccia ancora pallida che poco prima in bagno le aveva fatto prendere un colpo e le occhiaie dissimulate malamente dal correttore, aveva già messo la caffettiera sul fuoco e cercava un pacco di biscotti, era sicura di averli comprati. Ma dove erano finiti? Poi lo trovò in fondo alla dispensa, sepolto dai cracker integrali che aveva comprato pensando di iniziare una dieta e che poi erano rimasti lì, chiusi, mentre di quelli al rosmarino ne era rimasto solo un pacchetto. Doveva proprio fare la spesa, anche dello zucchero era rimasto solo il fondo del barattolo, sperava che lui non fosse come Fran che prendeva zucchero col caffè invece di caffè con lo zucchero.
- Per me amaro.- disse lui come se le avesse letto nella mente.
Lei versò il caffè in due tazze e sistemò i biscotti con gocce di cioccolato in un piatto.
L’ultimo cartone di latte era aperto e sistemato nel ripiano del frigo da tempo immemore, non osava nemmeno prenderlo.
- Posso offrirti solo questo, ho finito il latte.- si scusò lei.
- Va benissimo così, grazie.
Rica si sedette al tavolo e sorseggiò il suo caffè amaro.
- Mi dispiace per ieri sera Adam, per la camicia e per qualsiasi altra cosa abbia fatto o detto.- disse alla fine.
- Tranquilla Ica, davvero non devi preoccuparti..- iniziò lui scuotendo la testa.
- Non è da me bere in quel modo, era una situazione particolare.. Non è da me..- ripeté.
- Si, hai detto qualcosa riguardo al fatto che diventerai zia, non mi sei sembrata molto entusiasta. - disse lui con discrezione.
- Già. Non è una cosa bella da dire, ma no, non ne sono felice.- mormorò abbassando lo sguardo sulla tazzina vuota.
Lui annuì e finì di bere il caffè.
- Io vado adesso, tu devi andare al lavoro e anche io dovrei decidermi a fare qualcosa.
- Ti do un passaggio a casa, non puoi andartene in giro così, quella felpa non ti sta granché.- sorrise lei, mettendo via le tazze e pensando che non era per niente vero.
La sua felpa gli stava da Dio, così stretta da far risaltare le spalle e le maniche, che gli arrivavano appena più giù del gomito, lasciavano intravedere i muscoli delle braccia.
Aveva sempre avuto una passione nascosta per le braccia, per gli avambracci a voler essere precisi e Adam aveva dei bellissimi avambracci. Tutto in lui era bellissimo.
Si sarebbe mai abituata a tanta bellezza?
Non pensava proprio.
Non era mai preparata a quel sorriso che gli faceva spuntare una fossetta sulla guancia e brillare quegli occhi così blu.
Scosse la testa e prese la borsa dall’attaccapanni a cui lui l’aveva appesa la sera prima.
Era senza dubbio più ordinato di lei che invece la lasciava cadere sempre per terra o al massimo sul mobiletto dell’entrata.
- Sei pronto? Andiamo?
- Sei sicura che hai il tempo? Non vorrei che facessi tardi..- disse lui seguendola fuori e chiudendosi il portone alle spalle.
- Sicura. Sto uscendo anche prima del solito e se non arrivo con i soliti dieci minuti di ritardo potrebbero preoccuparsi.- sorrise lei facendo scattare la chiusura della macchina.
- Sei sicura che riesci a guidare?- le chiese lui aprendo lo sportello del passeggero.
- Ehi giovanotto! È la seconda volta che metti in discussione la mia guida! Alla terza ti lascio a piedi! Sappilo!- disse lei fingendosi arrabbiata ma non riuscendo a dissimulare un sorriso - E ringrazia che mi sento in colpa per la tua camicia e per averti fatto passare una notte d’inferno altrimenti non sarei stata clemente neppure adesso!
- Hai un caratteraccio lo sai?- Adam ricambiò il sorriso e salì in macchina, fece appena in tempo a chiudere la portiera che lei mise in moto e partì a tutto gas.
- Oh lo so! Me lo dicono tutti.
- Cosa ti aspetta oggi? Fiera della melanzane? Maratona della terza età?
- Fai poco lo spiritoso! Vorrei vedere te alle prese con le protesi e l’odore di fritto che ti si appiccica addosso!- replicò lei leggermente risentita.
- No! Cioè è vero? Ho azzeccato davvero? - esclamò lui sorpreso e divertito.
- Vuol dire che hai tirato ad indovinare? Non ci credo per niente! Lo avrai letto da qualche parte!- replicò Rica, voltandosi a guardarlo per un secondo e vedendo quello sguardo blu e divertito.
Distolse lo sguardo.
Se continuava a fissare quel faccia furba e perfetta avrebbero finito per lo schiantarsi da qualche parte!
- No te lo giuro! Fammi venire con te!
Adam non si era nemmeno reso conto di averlo detto.
Voleva andare con lei?
Voleva?
Voleva!
- Vuoi v.. tu vuoi venire alla festa della melanzana?- chiese lei stupita.
- Più che altro alla maratona della terza età, le melanzane non mi fanno impazzire, per le vecchiette con la dentiera invece ho un vero debole.- sorrise lui.
- Ma non avevi del lavoro importante da fare?- obiettò la ragazza non sapendo se essere contenta o nervosa per quella proposta.
- Si, ma lo farò dopo pranzo, verrò con te alle manifestazione e poi ti lascerò tornare a lavorare in redazione in pace. - rispose lui.
Non sapeva esattamente perché tutto quel desiderio di andare con lei in quei posti. Forse non erano le manifestazioni ad attirarlo. Forse era lei.
Forse Fran aveva ragione.
Con Ica si divertiva, anche quando fingeva per seguire quello stupido  piano era sempre sé stesso, lui che parlava, lui che l’ascoltava, lui che stava bene e non pensava a stratagemmi e sotterfugi.
Ma poi in fondo che male c’era a passare del tempo con una ragazza che lo faceva divertire in una maniera del tutto inusuale per lui?
Nulla!
Quindi al diavolo i piani, al diavolo i pensieri.
Sarebbe andato con lei.
- E vieni con quella felpa lì?
Rica lo guardò di sottecchi e ancora una volta dovette ammettere con sé stessa che donava più a lui che a lei.
Non aveva mai notato le sue spalle.
Sarebbe mai riuscita a trovare un difetto fisico in quell’uomo?
Al momento non ne trovava neppure caratteriali.
Ma doveva averne e anche molti.
Era un essere umano, un uomo in più e gli uomini, si sa, sono ammassi di ossa, carne, sangue e difetti.
Insensibili, irriverenti, casinisti, maschilisti e chi più ne ha più ne metta.
- Allora va bene?- chiese lui in tono incerto facendola riemergere dai propri pensieri.
- Oh si, si certo!
- Allora visto che siamo di strada, fermati qui! Qui!
Rica frenò di colpo e per poco lui non sbattè la testa contro il parabrezza.
- Cosa c’è qui?- chiese lei ignorando la sua occhiataccia e guardandosi intorno.
- Casa mia.- fece lui indicando una casetta dall’altro lato della strada.- Ci metto solo pochi minuti. E mi potresti fare un favore?
- Cosa?- chiese lei curiosa.
- Posso guidare io?- sorrise lui con la solita espressione furbetta.
Rica mise in moto e fece ruggire il motore della sua utilitaria.
- Ok, ok stavo scherzando! Faccio presto!
Adam schizzò via e atraversò la strada di corsa.
Lei rimase a guardarlo mentre si allontanava con la sua felpa troppo corta per lui e sorrise.
Al suo risveglio avrebbe voluto sprofondare e invece adesso erano lì a ridere e scherzare.
C’era qualcosa in lui che la lasciava senza fiato.
E quella volta non si riferiva alla bellezza indecente.
Era il suo sguardo che sembrava leggerle il pensiero, la sua capacità di metterla a sua agio sempre.

Adam aprì la porta di casa e fece un salto per aria sentendo le parole di sua madre.
- Scriteriato e screanzato di un figlio! Non hai più sedici anni, non potresti smetterla con le fughe notturne e avvertire che non saresti tornato?
Se ne era completamente dimenticato.
Si era dimenticato di sua madre, la donna che lo aveva messo al mondo!
Troppo preso da Rica non aveva pensato per niente di avvertirla.
Ma quello non era il momento di dare spiegazioni.
Lo stava aspettando e non poteva farle fare tardi al lavoro.
- Proprio perché non ho più sedici anni dovresti smetterla di preoccuparti! Devo uscire subito!- entrò in camera sua prese un jeans e una camicia e si chiuse in bagno.
Dopo dieci minuti era di nuovo fuori, si infilava le scarpe e la camicia contemporaneamente.
- Vado! Ci vediamo a pranzo!- disse prendendo le chiavi e il portafogli che aveva lasciato sul mobiletto dell’ingresso.
- Tu non me la racconti giusta!- le urlò dietro la madre.

- Eccomi! Allora ho fatto abbastanza presto?
Rica stava guardando dall’altra parte e sussultò sentendolo parlare e vedendolo catapultarsi dentro l’abitacolo.
Aveva i capelli ancora più neri e più lucidi per le gocce d’acqua che non aveva asciugato per bene e la barba ancora leggermente lunga, gli donava, lo rendeva più maturo e più affascinante se fosse possibile per lui essere ancora più bello del solito.
I jeans blu scuro, le sneakers dello stesso colore e quella camicia celeste, mettevano ancora di più in risalto quegli occhi meravigliosi.
- Hai invertito i bottoni.- sorrise poi accorgendosi che sul colletto il penultimo bottone era stato infilato nell’ultima asola e prima ancora che potesse pensarci si protese a slacciarlo e a infilarlo nel posto giusto.
- Grazie.- il suo respiro le solleticò il naso e lei si affrettò a tirarsi indietro e a portare le mani sul volante.
Per un secondo aveva sentito come una sensazione di familiarità.

Adam rimase immobile mentre lei gli aggiustava il colletto.
Era come se avesse già vissuto quella situazione, lei che sorrideva e diceva “hai invertito i bottoni” e si protendeva a rimediare alla sua distrazione.
Quel profumo di cocco che gli solleticava il naso.
- Ti capita mai di avere un dejà vu? Di vivere un momento che pensi di avere già vissuto?- non riuscì a trattenersi dal chiederle.
Lei si voltò a guardarlo, stupita.
- Si!- esclamò sorpresa, era come se le avesse letto nella mente.
- E’ appena capitato anche a te?- mormorò lui.
Rica si limitò ad annuire, non trovando le parole per esprimersi.
Si sentiva strana. Molto strana.
- Dicono che quando capita è perché siamo in linea con il nostro destino. Che da qualche parte, in un’altra epoca o in un universo parallelo è accaduto o sta accadendo la stessa cosa.
Adam non aveva voglia di pensare.
Non aveva voglia di chiedersi il perché, né se era giusto o meno. Si avvicinò sentendosi stranamente e stupidamente agitato.
- Rica…

- Rica…
Lei sussultò e osò alzare lo sguardo su di lui e fu uno sbaglio.
Già guardarlo negli occhi era un azzardo normalmente, farlo in quello momento rischiava di mandare in tilt tutto il suo sistema nervoso.
“Siamo in linea con il nostro destino.”
Lo vide abbassarsi su di lei e chiuse gli occhi e la porta dei pensieri.


Non uccidetemi!!!!!! Vi prego! Ho passato delle brutte giornate e mi merito un po’ di clemenza! So che vi ho lasciato per aria e che il capitolo non è lunghissimo ma succedono tante cose no? Vi anticipo già che prima di Natale pubblicherò il seguito quindi calmi! A Natale bisogna essere buoni! : ) ve l’ha mai detto che amo tutti voi che mi fate sentire bene davvero? Grazie a tutti, dal primo all’ultimo che legge le mie storie e grazie mille a chi mi lascia un pensiero. Grazie. A presto! Promesso! Bacioni! Manu!

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Capitolo 27
*** Cosa sta succedendo? ***


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CAPITOLO XXVII: Cosa sta succedendo?


Niente va come ci aspettiamo o meglio come programmiamo o meglio ancora come speriamo. Lo studente che immagina già una nuova casella del libretto riempita, la ragazza che spera di trovare ancora in negozio l’ultimo paio di quelle scarpe che le piacevano tanto, l’operario che con quarant’anni di lavoro alle spalle spera di ottenere finalmente la pensione.
Rica era lì, a un centimetro di distanza dall’uomo più spettacolare che le fosse mai capitato di incrociare, figuriamoci di baciare, con gli occhi chiusi e la mente sgombera e serena. Se anche per un secondo un dubbio aveva cercato di prendere la parola, tutti i neuroni che le erano rimasti in attivo, molto pochi a dire la verità, lo avevano zittito con impazienza, estasiati.
E poi l’imprevisto!
O meglio, quello che ormai doveva  essere chiamato previsto, visto che accadeva praticamente sempre, il professore che si impunta e ti “esorta” a tornare per “non rovinare la media”(ma poi chissà quale media!!!), la ragazza prima di te che si porta via, con un ghigno sornione e soddisfatto, la scatola con quelle scarpe spettacolari, una nuova legge che ti impone di lavorare ancora, un clacson impazzito che ti fa crollare tutti i castelli di cristallo costruiti sulle nuvole.
Rica era certa che in un momento perfetto come quello, niente e nessuno avrebbero potuto rovinare l’atmosfera e invece, zac!
Dal nulla, o meglio, dal garage davanti al quale lei aveva impropriamente parcheggiato, eccolo là, il nevrotico, esagitato ed esaltato esemplare, molto diffuso, del “guidatore selvaggio”, con il clacson che ormai era il prolungamento del suo braccio e urla con tanto di gestacci.
Rica sentiva già il respiro di Adam che le accarezzava le labbra e improvvisamente tutto si era dissolto.
Puf!
Come una bolla di sapone che scoppia un secondo dopo essersi formata, senza aver avuto la possibilità di volteggiare con il vento.

Rica sobbalzò e improvvisamente si rese conto della situazione.
Distolse lo sguardo e avviò il motore prima che l’uomo sull’auto si facesse prendere da un raptus omicida o da un infarto.

Adam non provava imbarazzo da un’eternità.
Forse l’ultima volta era stato nell’adolescenza quando era cicciotto e brufoloso e la bellissima Sidney aveva rifiutato il suo invito con aria sprezzante, facendo ridere tutta la scuola.
Era stata una sensazione orribile, che lo aveva reso insicuro e chiuso in sé stesso e nemmeno rivederla dieci anni dopo, appena dopo la laurea, bionda e bella come sempre ma meno sprezzante di un tempo, lo aveva ripagato.
Era stato lui a rifiutare un suo appuntamento.
E non per vendetta.
Solo perché il pensiero di stare anche solo una sera con una persona che si faceva così pochi scrupoli ad umiliarne un’altra gli riusciva impossibile.
Tim aveva replicato che non poteva sapere se lei era cambiata, magari il suo era stato solo il gesto di una ragazzina.
Ma non ne aveva voluto sapere e aveva declinato, molto più gentilmente di quanto avesse fatto lei un tempo.
Beh sta di fatto che non era mi stato più così imbarazzato da allora, con gli occhi e le risate dei suoi compagni addosso.
Adesso era solo in macchina con Rica, lei aveva iniziato a guidare in silenzio e lui non sapeva che dire.
Restare senza parole non era da lui.
Le parole erano la sua vita.
Certo non era mai stato un tipo loquace ma non era da lui non riuscire a gestire una situazione del genere.
Voleva baciarla.
Lo voleva con tutto se stesso.
E lei non sembrava dispiaciuta all’idea.
E poi quell’idiota del signor La Spada che, irascibile e odioso come e più di sempre, aveva rovinato tutto.
Stava di fatto che adesso, a mente fredda o quasi, tutti i dubbi tornavano ad affollargli la mente.
Era Rica, la migliore amica di sua cugina.
La aveva conosciuta per una stupido piano e non c’erano possibilità di sbocchi.
Un’avventura era esclusa, Fran lo avrebbe evirato.
Una storia seria era fuori discussione, non era pronto e forse non lo sarebbe stato mai.

Rica non si stava concentrando davvero sulla guida.
Il suo cervello aveva inserito il pilota automatico.
C’erano troppe cose che le frullavano per la testa.
Quei baci mancati, quella sensazione di familiarità, come se lo conoscesse da sempre, come se avesse già vissuto con lui quei momenti.
Forse si stava facendo suggestionare troppo da quegli stupidi telefilm che vedeva.
Non esistevano persone predestinate, né amore eterno.
Erano favole per adulti.
Lei non voleva un principe senza macchia e senza paura, né cavalli bianchi puzzolenti, né sette nani, gatti con gli stivali e ciuchini parlanti per amici.
Non voleva una favola.
Non voleva nulla.
E sapeva che pensare quelle cose era uno stereotipo ancor più grande dei principi azzurri.
In ogni commediola americana che si rispetti c’è sempre una protagonista bruttina, con i baffi e le sopracciglia incolte che non voleva l’amore.
Poi magicamente si estirpava i peli superflui, si toglieva gli occhiali a fondo di bottiglia, incontrava il capitano della squadra di football, bello e tormentato e cambiava idea.
Lei no.
Lei non voleva cambiare idea.
Forse lo avrebbe anche fatto un giorno, ma avrebbe voluto non sentire il bisogno di cambiare idea.
Non voleva nessuno.
Voleva stare bene e basta.
- Non era una buona idea. - mormorò lei alla fine.
- Hai ragione!- acconsentì lui.
Era proprio quello che voleva che lui dicesse, quello che pensava anche lei, ma sentirlo convenire con così tanta foga, le fece stringere lo stomaco in una morsa.
- Non succederà più.- aggiunse Rica, fingendo di essere concentrata nella guida e ignorando quella sensazione fastidiosa.
- No. E’ stato un momento di.. confusione. Amici come prima?- le chiese Adam voltandosi verso di lei e ritrovando un po’ di calma e di buonumore.
- Amici.- Rica si girò e per un secondo intercettò il suo sguardo.
Erano solo quello, amici.
Non sarebbe successo mai più!

Parcheggiò l’auto nello spiazzale fuori dal Giornale e aspettò che lui scendesse prima di far scattare la chiusura centralizzata.
- Ti aspetto qui fuori?- le chiese avvicinandosi.
- No, tranquillo, puoi entrare, prendo solo l’ordine di servizio e usciamo.
Rica entrò con Adam al seguito e solo quando varcò la soglia della redazione si pentì di averlo invitato ad entrare.
Lo sguardo di tutte le sue colleghe era puntato su di lei, o meglio su un punto appena dietro le sue spalle.
Adam aveva catalizzato l’attenzione di tutti.
- Ciao Rica!
- Buongiorno Rica!
- Come stai Rica?
- Ben arrivata Rica!
Era impressione sua o non aveva mai ricevuto un’un accoglienza così calorosa?
Di solito la risposta al suo buongiorno erano dei grugniti e delle occhiate veloci e disinteressate.
Era l’ultima arrivata e nessuno le prestava troppa attenzione.
Eppure quel giorno con quell’esemplare alle spalle aveva ricevuto un trattamento diverso.
- Buongiorno a tutti. Lui è Adam, un mio amico. Oggi vuol vedere come funziona il giornalismo e verrà con me in giro.
Il suono di qualcuno che ridacchiava la fece girare verso la scrivania alla sua destra, sapendo già cosa trovarci.
Sidney Allen, canadese, bella, sicura di sé, odiosa.

Adam osservò le scrivanie sistemate a cerchio nella stanza grigiastra e polverosa, c’erano una ventina di persone che parlavano, scrivevano, leggevano.
Alcune salutarono Rica, che lo presentò a tutti e poi sentì quella risatina, si voltò e rimase pietrificato.
- Sidney?- chiese sbalordito, sbattendo contro Rica che si era fermata per assistere alla scena.
- Vi conoscete? - chiese lei non riuscendo a trattenere la sorpresa.
- Oh ma certo! Caro Adam! Quanto tempo?- la bionda si alzò dalla sua scrivania, si muoveva lentamente, in un modo che voleva essere sensuale ma che Rica trovava solo ridicolo.
Non aveva una passione per la collega, la trovava troppo piena di sé anche se doveva ammettere che nel suo lavoro era molto portata.
Come sempre era vestita in maniera impeccabile.
Tutto in lei urlava perfezione e ricchezza.
- Si andavamo nella stessa scuola. Ciao Sidney, cosa ci fai qui?
- Mio padre ha deciso di acquistare delle imprese qui in Italia e mi sono trasferita con tutta la famiglia. Certo che è strano! Tu invece come mai qui?
- La famiglia di mia madre abita in questa città. Sto un po’ qui e un po’ in Canada dai miei.. - rispose lui abbassandosi per riceve i tre baci sulle guance.
Aveva ancora quella stupida abitudine!
- Canada?- si intromise Rica, confusa. - Avevi detto di essere americano e ho pensato che..
- Adam, Adam, Adam! - la interrupe l’altra parlando con il suo solito tono mieloso.- I Canadesi non sono americani! Hai dimenticato il nostro patriottismo?
- Certo che no! Allora Ica andiamo?
La ragazza si avvicinò alla sua scrivania e prese il foglio con le indicazioni sui posti in cui doveva andare quel giorno.
- Ma sei certo di voler fare pratica con lei? Con il tuo talento, forse sarebbe il caso di passare al livello successivo.
Rica socchiuse gli occhi, cercando di lasciar sbollire la rabbia. Ma come si permetteva? Era vero, lei era nettamente al gradino più basso ma non per questo era un’incompetente!

Adam trasalì a quelle parole.
Sidney sapeva che faceva lo scrittore e  se Rica lo avesse scoperto, la sua copertura sarebbe saltata.
Odiava tutte quelle bugie!
Si sentiva come un’equilibrista.
- Sicurissimo! Andiamo?
- Peccato!- mormorò lei dispiaciuta.- Se volessi dedicarti anche al giornalismo fammi sapere, io potrei aiutarti concretamente ad inserirti nell’ambiente e sono certa che con il lavoro che fai non avresti nessun problema a…
- Non è nei miei piani. Grazie. Andiamo Ica?- ripeté.
Si voltò a guardarla per capire se avesse intuito qualcosa ma lei sembrava troppo concentrata ad incenerire la collega con lo sguardo.
Anche lui aveva notato le frecciatine velenose che Sidney le aveva lanciato.
Tim aveva torto, era sempre la stessa presuntuosa e snob del liceo.
- Oh beh, allora tieni il mio biglietto da visita. Magari senti il bisogno di parlare con qualcuno del nostro Canada, non deve essere stato facile nemmeno per te abituarti a questo posto.- continuò poi con tono comprensivo e sorridente.
- Io veramente qui ci sto benissimo. Noi andiamo. Ciao. - ignorò il cartoncino bordato d’oro che lei le porgeva e mise una mano sulla spalla di Rica, guidandola fuori prima che la azzannasse.
- E’.. è una stupida, stupidissima idiota!- sbottò quando uscirono nel parcheggio.- Ma chi si crede di essere? Sarà anche brava ma se proprio ci teneva perché non andava a lavorare al Times o al Washington Post? Stupida oca farcita di arroganza!
- Stupida oca farcita di arroganza? Questa era proprio carina!
Adam scoppiò a ridere e Rica ammutolì.
Come sempre non era riuscita a contenersi, anzi il fatto che avesse resistito all’impulso di sferrarle un pugno sul quel naso finto era già molto!
- Scusami. E’ una tua amica e non dovrei dirti queste cosa, ma è più forte di me.. Non la sopporto!- disse quando lui riuscì a smettere di sbellicarsi.
- Mia amica? Scherzi? Nemmeno io stravedo per lei!- spiegò lui salendo in auto.
- Credevo che..
- No, no per carità! Ai tempi del liceo avevo una cotta per lei e mi ha respinto in un modo vergognoso. Era antipatica e piena di sé anche allora.
- Davvero???- chiese lei stupita. Come si faceva a rifiutare uno come Adam?
- Già. Avevo quindici anni, brufoli ovunque ed ero.. Beh diciamo.. In carne.- sorrise lui, grattandosi la nuca. - Non è stato piacevole. L’ho rivista anni dopo e..  lei mi ha detto di aver cambiato idea. Ci pensi? L’ho incontrata in un locale, si è avvicinata e le sue parole sono state “Se la proposta che mi hai fatto al liceo è ancora valida, adesso ho proprio voglia di uscire con te”.
- Le sei scoppiato a ridere in faccia!
- Quasi!- sorrise Adam.- A differenza sua sono stato educato e rispettoso. Le ho detto che ero già impegnato, anche se non era vero. Lei ha avuto il coraggio di dirmi che non era gelosa e io le ho risposto che la mia fidanzata lo era molto e che era cintura nera di karate.
- E ti ha lasciato in pace?
- Si, per fortuna.- annuì lui, voltandosi a guardarla con un sorriso.
- Credo che abbia intenzione di tornare alla carica.- lo mise in guardia Rica avviando il motore.
- Beh le dirò che la mia attuale fidanzata fa wrestling.
Rica si unì alla sua risata.

La festa della melanzana era in peno svolgimento.
In una piazzetta di un paesino sperduto e semideserto a una decina di chilometri dalla città, gli stand erano già montati e sotto ognuno di essi c’era gente che cucinava e vendeva prodotti.
Rica si avvicinò a quello che le era stato indicato come gestito dagli organizzatori dell’evento.
- Buongiorno, sono Federica Riversi di Informare Oggi, è lei che ha allestito la sagra?
La signora corpulenta che stava mettendo delle frittelle in una padella piena d’olio si voltò verso di lei con un sorriso, che si fece ancora più ampio quando vide Adam.
- Oh siete giornalisti! Si io sono la presidentessa della proloco e questo è tutto lo staff al completo.- disse rivolgendosi unicamente al ragazzo.
- Ehm, sarei io la giornalista..
- Prego, prego, assaggi le mie polpette di melanzane, nessuno le fa buone come me!
Adam osservò il sorriso di incoraggiamento della donna e prese una di quelle palline.
Non  aveva mai mangiato una melanzana in vita sua, ma non voleva deluderla.
La avvolse nel fazzolettino che lei gli porse e cercò di prendere tempo, sperando che quella si distraesse per gettarla da qualche parte.
- Signora, posso farle qualche domanda?- Rica provò ad attirare nuovamente la sua  attenzione.
Ma quella sembrava non sentirla nemmeno.
- Su la mangi. Se si raffredda poi non è più buona!- lo esortò.

Ada osservò la poltiglia scura e deglutì a vuoto.
“Su, non hai più cinque anni e non può fare così schifo” si incoraggiò mentalmente.
Diede un piccolo morso e iniziò a masticare piano, aspettandosi il peggio.
- Ma è buona! - esclamò sorpreso, dando un altro morso.
- Oh, gliel’ho detto giovanotto! Nessuno le fa buone come me!- replicò la donna soddisfatta.

- Ti sei praticamente fatto fuori tutto!- sorrise Rica, appena saliti in macchina.
- Non avevo idea che fossero così buone le melanzane! Mi avevano sempre fatto impressione e invece mi piacciono - annuì lui.
- Beh, fortuna che alla fine, dopo averti fatto provare tutti i cibi “che neessuno fa come lei” la Signora si è degnata di rispondere alle mie domande! Fai uno strano effetto alle donne lo sai?- sorrise per poi mordersi la lingua.
- Uno strano effetto? Che vuoi dire?- le chiese, curioso.
- Beh, solo che sei.. Ehm.. Notevole e allora..- provò a spiegargli mentre si concentrava nella guida in quelle stradine strette e piene di curve.
- Notevole?
- Beh si dai. Le mie colleghe, la signora della proloco.. Le hai stecchite!
- Stecchite?- chiese Adam sempre più confuso.
- Hai uno specchio in casa no? Non sei un tipo che passa inosservato. Le donne non rimangono certo indifferenti.
- Dai ma che dici?- protestò lui muovendo una mano per scacciare quelle parole.
- Si è vero! Le mie colleghe si sono ringalluzzite vedendoti e non sono mai state così socievoli con me, di Sidney abbiamo già parlato e dulcis in fundo la signora prima che avrà almeno cinquant’anni e qualche figlio della tua età, eppure sembrava non vedermi nemmeno! Le confondi!- aggiunge con un sorriso, vedendolo in imbarazzo.
Era timido!
Non lo avrebbe mai detto!
Uno come lui, con quell’aspetto che si imbarazzava sentendosi dire che era bello!
- Stai esagerando! Con te non è successo! Parliamo normalmente!- disse Adam.
- Che c’entra noi siamo amici!- Rica si morse l’interno della guancia.
Anche lei era rimasta colpita dalla sua bellezza!
E lo era tuttora!
Come dimenticarsi il quasi bacio di poche ore prima?
Adam annuì e rimase in silenzio.

La Maratona della terza età sarebbe partita a mezzogiorno in una delle vie più importanti della città.
Rica scattò alcune foto ai partecipanti, tutti vispi e allegri vecchietti.
C’erano anche molte donne.
Si avvicinò a un gruppetto che faceva riscaldamento e parlava.
- Buongiorno sono Federica Riversi di Informare Oggi! Posso farvi qualche domanda?
- Oh ma certo!- rispose una vecchietta a cui mancavano diversi denti.
Si voltò verso Adam e gli fece l’occhiolino facendolo imbarazzare.
- Vedi?- gli sussurrò Rica con un sorriso, rifilandogli una gomitata.

- Bene allora grazie per la giornata! Ho scoperto che mi piacciono le melanzane e che le donne di una certa età hanno un debole per me!- sorrise.
“Non solo loro! Non solo loro!”-si ritrovò a pensare Rica, osservando quella fila di denti bianchi e quegli occhi blu.
- Quando vuoi, sono sempre disponibile a farti vedere come funziona il giornalismo, seppure al mio scarso livello.- disse lei alludendo alle parole di Sidney.
- E’ già un livello molto alto, Ica. Non ascoltare quella lì. Ha parole buone solo per sé stessa. Ci vediamo e grazie ancora.
- Grazie a te, per la compagnia e per ieri soprattutto.- sorrise lei, mentre lui scendeva dalla macchina.
- Per gli amici, questo ed altro.
La salutò e attraversò la strada.
Amici.

Tornata in redazione si sarebbe aspettata che qualcuno, l’oca farcita di arroganza in primis, le chiedessero come avesse conosciuto Adam e invece niente.
Sidney non aveva sicuramente digerito il suo tono freddo e distaccato e non aveva intenzione di tornare sull'argomento.
Finì di lavorare nel pomeriggio e decise che era proprio il momento di andare a fare la spesa, se non voleva morire di fame.

Maledizione a tutte le buste del mondo!
Stava tornando alla macchina con i suoi acquisti quando uno dei due sacchetti di plastica biodegradabili che davano nei supermercati si era rotto e aveva lasciato cadere il contenuto sul marciapiedi. Si chinò per raccogliere il caffè, il dentifricio e il deodorante e rialzandosi vide, nella vetrina del negozio di abbigliamento lì accanto una camicia bianca con sottili righe azzurrine.
Ebbe un flash della sera prima.

Lei seduta al bancone e Adam che entrava con un gruppo di ragazzi.
- Ica?
- A.. Adam! Pensavo fossi partito.
- No, ho avuto molto da lavorare, ma che ci fai qui?
- Ah.. Io.. Io sto festeggiando! Vuoi festeggiare con me? Ragazzo, dammi due cosi verdi qui.
Lui che annuiva e si avvicina
- Va tutto bene Ica?
Il suo tono preoccupato.

Indossava una camicia come quella in vetrina.
Una camicia che lei aveva rovinato irrimediabilmente vomitandoci sopra.
Mise la spesa in macchina ed entrò nel negozio.


- Siamo amici e gli amici possono farlo!- si incoraggiò a bassa voce prima di suonare il campanello.


- Ti ho detto che non mi va! Che non ho nessuna intenzione di conoscere nessuno!- esclamò lui risoluto, strofinandosi i capelli con un asciugamano.
Un motivo in più per odiare quello stupido tapis roulant era quello di non poter correre lontano da sua madre.
Per tutta la corsa non aveva fatto altro che blaterare su una persona che voleva presentargli.
Una persona che sicuramente doveva essere di sesso femminile, sotto la trentina e single!
- Ma ho già dato la mia parola che saresti andato!- replicò lei accorata.
- E hai fatto male! Dovevi chiedermelo prima, anzi dovresti proprio sapere che non sarei voluto andare!- ribattè lui deciso.
- Ma guarda che è una ragazza davvero incantevole Adam! È la figlia della mia amica Teresa! Si chiama Patrizia, ha ventisei anni e ha già uno studio d’architetto avviato in centro.
- Mi fa molto piacere per lei!- rispose Adam continuando ad asciugarsi i capelli.
- Non essere indisponente!
- E tu non essere invadente! Non ho bisogno che tu mi trovi una donna! Non ho proprio bisogno di una donna, io sono…
Stava per dirle che era deciso a voler restare da solo per ancora diversi anni quando il campanello squillò.

Rica rimase a bocca aperta.
Adam era in accappatoio e sembrava anche piuttosto infervorato.
Prima che potesse mostrargli la scatola con la camicia e fargli il discorsetto che si era preparata, sentì la mano che afferrava la sua e che la trascinava dentro.
- Reggimi il gioco.- le mormorò in un orecchio.
Nel salottino, con un piumino per spolverare in mano e l’espressione agguerrita in volto c’era una bella donna di mezza età. Fece per sorriderle e per presentarsi ma Adam la precedette.
- Sono già fidanzato!
Aveva capito bene? Era fidanzato? Con chi? Da quando?
Si voltò per guardarlo e lo vide vicino, troppo vicino.
Spalancò gli occhi nei suoi.
Le labbra di lui si posarono sulle sue e ci rimasero.
Lui continuava a guardarla negli occhi e lei sentiva lo stomaco saltellare su e giù mentre il cuore bussava inferocito contro la gabbia toracica.
Poi lui si staccò.
- Ecco mamma, non volevo presentartela ancora, ma visto che non mi dai tregua: Lei è Ica, la mia fidanzata.
Il pacchetto che teneva tra le mani le sfuggì e finì sul pavimento?
Cosa stava succedendo?


Buonasera a tutti! Allora ho mantenuto la promessa no? Non sono stata brava? :) Come alcune di voi avevano predetto il bacio è stato interrotto, ma alla fine, seppure brevemente, ci siamo rifatte! Mi scuso qui pubblicamente per tutti gli errori di battitura che mi sfuggono e che, appena avrò un po' di tempo provvederò a correggere. Spero che non vi diano troppo fastidio! In questo capitolo ho cercato di fare più attenzione ma sono certa che qualcosa mi sia sfuggita lo stesso -.- Detto ciò che ve ne pare di questo capitolo? Lamentele? Proteste? Come sempre vi ringrazio tantissimo per aver letto e recensito in così tanti! Dire che sono lusingata è dire poco! Alle recensioni risponderò a breve :) Adesso non so quando aggiornerò, credo e spero tra Natale e Capodanno. Abbiate pazienza! Vi faccio tantissimi auguri per Natale, spero che passiate un periodo sareno e che riceviate dei bei regali, che non guastano mai! :) A presto! Bacioni. Manu.
Ah quasi dimenticavo ecco la foto di Sidney.
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Capitolo 28
*** A cena con mamma ***


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CAPITOLO XXVIII: A cena con mamma


Era durato solo qualche secondo e non era stato niente.
Solo labbra che si erano sfiorate. Non poteva nemmeno essere classificato come un bacio vero e proprio, eppure le aveva provocato uno scompenso cardiaco e poi quel “Ti presento la mia fidanzata!”
Parlava di lei? Perché? Cosa stava succedendo?
Le aveva chiesto  di reggergli il gioco..
Quindi era un gioco. Solo un gioco.
Era ovvio. Ma faceva uno strano effetto.
Sentiva ancora il calore di quelle labbra sulle sue e il pizzico sul mento dovuto alla sua barba lunga che le sfregava piacevolmente contro.
Non avrebbe mai dimenticato quella sensazione. Mai!
Gli occhi dentro ai suoi e la bocca sulla sua.
Era indescrivibile.
Anche se non  fosse successo mai più niente tra di loro, era certa che quel bacetto innocente sarebbe bastato a toglierle il sonno per mesi.
Ok, erano solo amici e doveva esserci una ragione se lui aveva agito in quel modo ma lei era pur sempre una donna, una donna che non stava con un uomo da… da tantissimo tempo e Adam non era un ragazzo qualunque.
Era affascinante e bello in qualsiasi cosa facesse e più passava il tempo, più si rendeva conto che non era solo una questione estetica, man mano che lo conosceva, un mattoncino si univa alla sua bellezza con effetti disastrosi sui suoi neuroni moribondi e sui suoi ormoni impazziti.
- Lei invece è mia madre, Kate.- annunciò Adam avvicinandosi alla donna e passandole un braccio intorno alle spalle.
Rica si unì ai due e porse la mano, tremante, alla donna.
Non aveva mai conosciuto la madre di un suo fidanzato, figuriamoci quella di un “finto” fidanzato.
La donna rispose alla stretta.
Sembrava molto seria e concentrata e Rica si sentì leggermente agitata per quell’esame.
Era ancora vestita con gli abiti che aveva scelto a casaccio quella mattina e i capelli dovevano aver visto tempi migliori con il vento che c’era fuori.
Poi finalmente lei si rilassò e Rica capì da chi Adam avesse preso il suo stupendo sorriso.
- Sono contenta che ti sia deciso. Allora.. Ica?- chiese incerta.
- Sarebbe Federica.- chiarì lei.
-Oh bene, allora Federica devi restare assolutamente a cena con noi.- annunciò decisa riponendo il piumino per spolverare in uno stipetto e dirigendosi verso l’angolo cottura.
- Oh ma io.. Ma io devo..- provò a dire lei, non voleva restare, non sapeva mentire e avrebbe sicuramente fatto un guaio.
- Devi restare.
C’era qualcosa nel suo tono che la fece rabbrividire e Rica ammutolì.
Adam nel frattempo era rimasto in silenzio e scuoteva la testa rassegnato. Sapeva di aver cacciato entrambi in un guaio.
Lo vide chinarsi a raccogliere la scatola con la camicia.
- Cos’è?- chiese curioso togliendo il coperchio.
- Una camicia, visto che la tua l’ho sporcata con il v.. con il vino..- si corresse appena in tempo.- Credo che sia come quella che avevi, ma se non ti piace o se non ti va bene puoi cambiarla.
- Sciocchezze! Sto con mio marito da trent’anni e sono stata sempre io a scegliere  le sue camicie. Tutte le brave compagne sanno scegliere bene.- disse la donna dalla cucina.
Aveva già messo un paio di pentole sul fuoco e stava cercando qualcosa nel frigo.
“Scusami” mimò lui con le labbra.
Rica si strinse nelle spalle e accennò un mezzo sorriso.

Stava guardando Adam che apparecchiava, sua madre non aveva voluto che lei lo aiutasse, quando il suo cellulare iniziò a squillare.
- Esco un attimo in balcone. E’ per lavoro.- mentì affrettandosi ad aprire la porta in vetro e a chiudersela bene  alle spalle.
- Mi sono appena fidanzata e sono a casa sua dove ho conosciuto sua madre.
Fran era seduta al bancone si un bar e stava bevendo un aperitivo sgranocchiando noccioline, le parole dell’amica la fecero trasalire e sputacchiare ovunque liquido rosso e pezzetti di arachidi, provocando gli sguardi schifati di chi le sedeva accanto ed era stato intercettato dall’esplosione e le risatine divertite di chi si era goduto lo spettacolo al sicuro.
- Cosa?? Ti sei fidanzata con Adam? Sul serio??- chiese stupita.
- Ovvio che no! Sono andata da lui per portargli una camicia nuova visto che ho vomitato su quella che aveva ieri..- iniziò lei.
- Hai vomitato sulla sua camicia? Quando? Perché?- chiese Fran esterrefatta.
- Oh maledizione è vero, non sai niente! Senti non posso stare al telefono. Ti chiamo quando finisce quest’incubo.
- No Rica aspetta..- tentò di trattenerla, ma lei aveva già staccato.
Si infilò in bocca altre noccioline e scosse il capo.
Quando aveva progettato quel piano non avrebbe mai immaginato il caos che si stava creando.

Adam guardava Rica che parlava al telefono oltre il vetro del balcone.
Gesticolava e parlava fitto fitto.
Aveva detto che era per lavoro ma era pronto a giurare che dall’altro lato del telefono c’era sua cugina.

L’aveva baciata.

Ok era stato un contatto velocissimo ma non poteva negare il fatto che non gli era dispiaciuto affatto.
Era esasperato per sua madre e per l’ennesimo incontro che gli aveva organizzato e vedendola aveva pensato che presentarla come la sua fidanzata sarebbe bastato a zittire sua madre.
Non era necessario baciarla.
Era stato un impulso che non aveva saputo e voluto domare e che gli aveva fatto battere il cuore più veloce.
Dopo l’interruzione di quella mattina non aveva fatto altro che pensare a lei.
Quando l’aveva vista per la prima volta non l’aveva notata ma con il passare del tempo, conoscendola aveva scoperto che gli piaceva, caratterialmente ed esteticamente.
Gli piacevano i suoi occhi scurissimi e il suo sorriso dolce, le sue mani piccole e quell’espressione buffa e tenera che gli faceva venire voglia di proteggerla.
Ma erano amici, amici e basta e sarebbero rimasti tale.
Sperava solo che quella situazione di sua madre non complicasse troppo le cose.
Non avrebbe dovuto coinvolgerla nei suoi problemi ma ormai era fatta.
Non sapeva come fosse possibile ma con lei finiva sempre per cacciarsi nei guai, sorrise pensando ai loro primi incontri/scontri.
Se solo avesse lasciato sfumare il loro rapporto così come aveva detto a Fran tutto sarebbe stato più semplice ma non ci era riuscito.
Gli piaceva passare il tempo con lei.
Prima o poi avrebbe dovuto chiudere il rapporto ma non gli andava di pensare e di mettere scadenze.
                                           
- Buon appetito!- Kate le mise davanti un piatto di risotto e si sedette di fronte a lei.
Sotto il suo sguardo attento aveva l’impressione di essere sottoposta ad un esame.
Sorrideva ed era gentile ma Rica sentiva che c’era qualcosa che non le tornava.
- Allora come vi siete conosciuti?
Ed eccolo il momento che lei aveva temuto sin dall’inizio.
Non era brava a mentire, non ne era proprio capace.
Si ingarbugliava e si contraddiva.
Fin da bambina aveva preferito affrontare le conseguenze delle sue azioni pur di non doversi sforzare di mentire.
Era troppo difficile.
- Oh io.. Noi.. Ci siamo scontrati al parco.- disse alla fine, decidendo di dire la verità.
- Scontrati?- la donna si voltò a guardare il figlio con aria interrogativa.
- Beh si.. Correvo troppo veloce e le sono finito addosso. L’ho invitata a prendere un caffè e da lì è nato tutto.- chiarì velocemente Adam.
- Sono doppiamente contenta di averti regalato quel tapis roulant allora.. Così la smetterai di finire addosso alla gente.- sorrise e tornò a concentrarsi sul suo piatto.

Rica abbassò gli occhi sulla forchetta.
Era impressione sua o aveva colto un tono infastidito nel suo tono di voce?
La donna aveva capito che stavano mentendo o semplicemente non la riteneva all’altezza di suo figlio?

Adam vide Rica arrossire e abbassare la testa, fingendo di studiare la forchetta come se non ne avesse mai visto una prima.
Sua madre si era comportata come.. Come…
Perché l’aveva coinvolta in quella situazione?
Perché semplicemente non riusciva a controbattere a sua madre?
- Vado a prendere il secondo.- annunciò la donna togliendo i piatti vuoti.
Sparì nel cucinino e la sentì trafficare con le pentole.
- Ica mi dispiace, non avrei dovuto.. Non dovevo permettermi..

Rica alzò lo sguardo su di lui, imbarazzata.
Si riferiva al bacio?
- Mia madre.. Mi esasperava e ho pensato.. Sono stato un’idiota non volevo coinvolgerti, non avrei dovuto..- bisbigliò.
Lei non ebbe nemmeno il tempo di replicare che la donna tornò con i piatti puliti e le scaloppine al limone.
Il resto della cena continuò con Adam che cercava di tenere viva la conversazione e le due donne che rispondevano con monosillabi educati.
Quando finalmente finirono di mangiare Rica si scusò dicendo che l’indomani doveva alzarsi presto per lavoro.
- Oh si certo non voglio trattenerti ancora.
La donna le strinse la mano con un sorriso tanto finto quando cortese e si ritirò in camera da letto.
Adam seguì Rica fuori, maledicendosi in tutti i modi possibili e immaginabili.
Si infilò le mani in tasca e la accompagnò alla macchina.
- Senti Ica, davvero, sono mortificato..
- Fa niente.- lei si strinse nelle spalle cercando di simulare un sorriso.
- No aspetta.- la trattenne per una mano.
Ci teneva a spiegarle e a scusarsi, per il suo comportamento e per quello di sua madre.
Erano stati entrambi imperdonabili e l’ultima cosa che voleva era ferirla.
Gli aveva comprato una camicia e lui l’aveva ringraziata infilandola in una situazione assurda e facendola umiliare da sua madre.
- E’ colpa mia! Mia madre mi stressa e io non riesco mai a dirle di no, a contrappormi per come dovrei. - iniziò.- Lei ha problemi di cuore, lo ha scoperto quando aspettava me e mi sono sempre sentito responsabile per questo. So che non è colpa mia, ma ho sempre sentito il dovere di proteggerla e per questo non riesco mai a tenerle davvero testa. Mi stava stressando per presentarmi la figlia di una sua amica e non sapevo come farle capire che non mi interessava e poi sei arrivata tu e allora.. Davvero, non avrei dovuto, lo so.. Ma ero esasperato! E poi lei è stata inopportuna e non doveva usare quel tono e io avrei dovuto dire qualcosa ma l’idea di farla soffrire mi riesce impossibile Ica, scusami. Con questo non voglio giustificarmi, né tantomeno giustificare lei.. Siamo stati imperdonabili, ma davvero, l’ultima cosa che volevo era coinvolgerti e farti trattare in quel modo.. Scusami!
Adam abbassò lo sguardo su di lei.

Rica sorrise.
Era vero, essere coinvolta in quella situazione assurda e soprattutto vedersi trattare in quel modo non le aveva fatto piacere, ma le parole di Adam si.
- Sei un bravo figlio.- gli appoggiò un mano sul braccio.- E’ tutto ok, tranquillo. Capisco la situazione. Davvero. Non devi preoccuparti.

- Grazie Ica.- lui si abbassò e appoggiò le labbra sulla sua guancia morbida, respirando io profumo di cocco dei suoi capelli.
Si sentiva felice e confuso al tempo stesso.
Felice perché lei aveva capito, confuso perché lui non riusciva a capirsi.

Rica parcheggiò davanti al vialetto di casa sua e rimase qualche secondo con le mani strette al volante e lo sguardo perso oltre il parabrezza.
Adam.
Il suo nome le rimbombava nella mente.
Adam. Adam.
Il sapore delle sue labbra.
Adam. Adam. Adam.
Il suo tono dispiaciuto.
Adam!

- Allora sei tornata finalmente!
Fran spuntò da chissà dove e si catapultò in macchina facendola trasalire.
- Mi hai fatto venire un colpo! Accidenti Fran!- esclamò Rica portandosi una mano sul petto.
- Voglio sapere tutto!- disse l’amica non badando alle sue parole.
- Entriamo?- propose lei per prendere tempo.
- Dopo. Adesso racconta.
- Va bene.- sospirò lei.- Ma solo se prometti di non interrompermi!|
- Parola di Giovane Marmotta!- disse Fran alzando una mano e appoggiandosi l’altra sul cuore.
- Non sei mai stata negli scout!
- Fa nulla. Vale lo stesso.
Rica guardò oltre il parabrezza e prese un sospiro.

Il bar semibuio, Gaia che arrivava con espressione tesa.
- E’ successo qualcosa?
- Sono incinta!
Bum!
Così, un colpo sparato così, senza preavviso.
Aveva sentito il suono di quelle parole ma non ne aveva captato immediatamente il significato.
- Sono incinta Rica. E’ di Matteo e ci sposeremo il prima possibile.
Un bambino.
Sua sorella a vent’anni avrebbe avuto un bambino dal suo ex.
Matteo il cowboy, che baciava bene e profumava di natura.
Matteo avrebbe avuto un figlio con sua sorella.
Suo nipote.
- Mamma e papà lo sanno?
Gaia aveva scosso la testa.
- Non ancora. Volevo dirlo prima a te, non volevo che fossi l’ultimo a saperlo come con Silvia ed Enrico..
Già Silvia ed Enrico.
Sua sorella e un suo ex.
Un classico ormai.
- Bene adesso me lo hai detto.- mormorò lei, scrollando le spalle.
- Ti dispiace?
- Se ti aspetti che faccia i salti di gioia resterai delusa Gà.
- Sei ancora innamorata di Matteo vero?- il suo tono sospettoso.
- Cosa? Non sono mai stata innamorata di lui! Non è questo! E’ che sei troppo giovane e credevo che..
- E’ quello che voglio!- ancora quel tono secco.
- Non ci sono problemi allora. In bocca al lupo per quando lo dirai a mamma e papà.
A quelle parole Gaia abbassò lo sguardo.
Era quello il punto?
Voleva chiederle una mano per dirlo ai loro genitori?
- Crepi il lupo. Vado. Matteo mi aspetta in macchina.

Poi i cocktail, Adam, il vomito sulla sua camicia, il quasi bacio di quella mattina, interrotta da quel pazzo, Sidney, la sagra delle melanzane, la maratona della terza età, le vecchiette arzille, la camicia, il fidanzamento, la madre e infine il bacio.
- Vi siete baciati??- Fran schizzò su di lei abbracciandola.
- Non mi hai sentito? Non è stato un vero bacio! Un bacetto a stampo!
- Ma pur sempre di un bacio si tratta!
- Lo ha fatto per mettere a tacere sua madre, lo esaspera perché si sistemi e lui si sente in colpa per la malattia al cuore che lei ha da quando aspettava lui..
- Te lo ha detto lui?- Chiese l’amica curiosa.
- Si.

Fran era colpita.
Piacevolmente colpita.
Adam era stato uno stupido sparendo per una settimana ma dalle parole di Rica aveva capito tante cose.
Lui non parlava mai di quelle cose, neppure con lei.
Aveva sempre immaginato che dietro l’accondiscendenza con cui trattava sua madre ci fosse qualcosa di simile ma lui non glielo aveva mai confessato e a Rica invece lo aveva detto apertamente.
Questo era un elemento positivo.
Molto positivo.
Adam era un tipo chiuso, parlava poco di sé stesso e il fatto che Rica fosse riuscita a farlo aprire un po’ era decisamente un buon segno.
E poi c’era quel bacio.
Un bacetto ok.
Ma c’era stato e non era la prima volta che quei due ci arrivavano vicino.
L’unica nota stonata era sua zia.
Era una donna forte e bella ma doveva lasciare un po’ di spazio ad Adam.
- E’ stata la cena più difficile della mia vita.

Rica incrociò le braccia sul volante e ci appoggiò sopra il mento.
- Vedrai che sua madre non si metterà troppo in mezzo.- la consolò lei appoggiandogli una mano sulla schiena.
- Non stiamo insieme davvero, Fran. Non devo piacerle davvero.
- Vi rivedrete?
Rica si strinse nelle spalle e poi scese dall’auto.
- Dormi con me?- chiese all’amica sorridendo.
- Certo che si!

Adam si sdraiò sul materasso troppo rigido del divano letto e fissò il soffitto anche se non riusciva a vedere nulla.
Sua madre si era già messa a letto quando lui era rientrato.
Dopo aver visto Rica andar via era rimasto ancora un po’ fuori e aveva passeggiato un po’ per il quartiere finché il vento freddo di quella primavera pazza lo aveva costretto a rientrare.
Non andava bene.
Non andava bene per niente.
Da quanto tempo non si preoccupava di una persona?
Da anni, da quando aveva rotto con la sua ultima ragazza Sharon, non si era più preoccupato troppo di quello che una donna potesse provare.
Certo non le illudeva mai, era sempre chiaro e diretto prima dell’inizio di ogni storia e se qualche volta la situazione gli era sfuggita di mano si era  dispiaciuto ma non a tal punto da perdere il sonno.
Rivedeva il lampo di umiliazione negli occhi di Rica dopo le parole e il tono di sua madre.
Chissà cosa le era preso poi!
Non era lei ad insistere perché si sistemasse?
Quindi perché quel comportamento?
Sospirò e si girò su un fianco.
Cosa aveva Rica di sbagliato?
Era simpatica, allegra, intelligente e attraente.
“Ed è una buona amica. Tienilo a mente Adam, è solo un’amica!”
Gli aveva perfino parlato della malattia di sua madre, dei suoi sensi di colpa e aveva visto comprensione nel suo sguardo.
Afferrò il cellulare che aveva lasciato sul mobiletto lì accanto.
Al diavolo il buon senso!

Grazie per l’aiuto e scusami ancora! Se vuoi ancora saperne di me che ne dici se ci vediamo domani pomeriggio  alle cinque? Passo a prenderti io a casa! Buonanotte.


Ciao a tutti! Come state? Pronte per l’ultimo giorno dell’anno? E per l’anno nuovo? Io diciamo di si anche se a me stranamente il Capodanno mette ansia.
Trecentosessantacinque pagine da riempire. Non so mi inquieta un po’. Vabbè parliamo di cose serie. Non è un granché questo capitolo vero? A me non convince affatto ma visto che quando un capitolo mi viene in un modo non voglio sforzarmi di cambiare le carte in tavola e visto che avevo promesso di aggiornare entro l’anno l’ho messo e basta. A voi l’ardua sentenza! Che ve ne pare di Miss Kate? E di Adam e Rica? Sono tutta orecchi, in questo caso occhi! Fatemi sapere se vi va. Come sempre un grazie immenso a tutti voi che leggete e che recensite! Come dice mia nonna, vi auguro “una buona fine e un buon principio”! Che quest’anno possa realizzare tutti i nostri sogni o quanto meno metterci sulla carreggiata giusta per farlo. Bacini! All’anno prossimo ;) Manu
P.S: Alle recensioni risponderò prestissimo, promesso!

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Capitolo 29
*** La felicità ***


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CAPITOLO XIX: La felicità


Felicità.
Una parola di otto lettere che rappresenta l’obiettivo comune a tutto il genere umano e forse non solo a quello. La felicità è considerata come una sorta di paradiso terrestre, un’oasi tranquilla in cui tutto è bello, una bolla di perfezione. Un traguardo a cui aspirano tutti.
Rica era da sempre sostenitrice di quella che lei definiva la felicità mordi e fuggi.
Tanti piccoli tasselli felici che proprio come in un puzzle si incastravano e contribuivano a rendere la vita felice.
Lei non era mai stata alla ricerca delle grandi cose ma gioiva sempre delle più piccole. Come una giornata di sole che migliora l’umore, un posto libero di fronte al supermercato, il sorriso degli amici, restare a letto fino a tardi quando fuori c’è un temporale, fare tombola a Natale, poter indossare di nuovo quei pantaloni fantastici in cui non riusciva ad entrare, l’assegnazione di un articolo interassente, scoppiare le bollicine del materiale da imballaggio.
Ed era per una piccola cosa che Rica gioiva in quel momento.
Ventotto parole, centosessantasei caratteri che le fecero comparire in viso un sorriso da ebete.
“Grazie per l’aiuto e scusami ancora! Se vuoi ancora saperne di me che ne dici se ci vediamo domani pomeriggio  alle cinque? Passo a prenderti alle cinque! Buonanotte.”
Voleva ancora saperne di lui?
Voleva?
Eccome se voleva!
Certo, l’incontro con sua madre non era stato dei migliori ma quelle parole avevano avuto il potere di riportarle il buon umore.
“ Non preoccuparti! Va tutto bene! A domani pomeriggio. Buonanotte! : )”
Eccola una briciola di felicità mordi e fuggi!

Adam si svegliò presto come sempre e mise su la caffettiera del caffè, deciso a lavorare per un pio d’ore, prima che sua madre iniziasse a girargli intorno.
Quel pomeriggio avrebbe rivisto Rica e la cosa gli faceva piacere.
Molto piacere a dire la verità.
Aveva deciso di smetterla di imporsi di fare la cosa giusta, di pretendere sempre troppo da sé stesso.
Voleva passare del tempo con lei e basta.

C’era qualcosa che le stringeva la gola e le toglieva il fiato.
Il sogno sfumò lasciando il posto alla realtà.
Aveva mal di gola e non respirava bene.
Cosa diavolo succedeva?
Si mise seduta e cercò a tentoni il pulsante della lampada.
Il mondo oscillava tutto intorno.
Cosa stava succedendo?
Quando si era messa a letto stava bene sia fisicamente che psicologicamente.
E allora perché adesso si sentiva come se le fosse passato addosso un caterpillar?
Ogni muscolo, ogni ossicino, anche quello che non sapeva nemmeno di avere le facevano male e la testa le girava come sulle giostre.
Si sentiva la faccia in fiamme e non riusciva a respirare bene.
- Rica tutto ok?- le chiese la voce ancora arrochita dal sonno di Fran.
- No affatto! Mi sento malissimo!- piagnucolò lei lasciandosi cadere di nuovo tra i cuscini.

Borsa dell’acqua calda, tazza di tè con miele fumante, termometro, coperte e aspirine a portata di mano.
- Si Fran, puoi andare! Ho avuto già altre volte la febbre a trentotto. Vai al colloquio e stai tranquilla io me ne resterò qui buona buona.
- Sei sicura? Posso non andare se non ti senti..
- Mi sento piuttosto bene! E non puoi non andare! Devi trovare un lavoro al più presto! Me la caverò benissimo.- la rassicurò.
- Sei sicura? Non mi sento tranquilla a lasciarti così. Promettimi che mi chiamerai subito se hai bisogno e che non farai qualcosa di stupido come riordinare gli armadi.
- Ancora con quella storia? - sbuffò Rica aggiustandosi il cuscino.- Non stavo riordinando l’armadio! Cercavo un’altra coperta!
Qualche mese prima era svenuta cercando un plaid e da allora Fran non faceva che prenderla in giro.
- Qui hai tutto quello che può servirti! Sono quasi le tre e sarà meglio che mi incammini. Fai la brava!
- Va bene mamma.- mormorò lei rannicchiandosi sotto le coperte e chiudendo gli occhi.
Solo lei poteva ammalarsi in piena primavera.
Sentì la porta di casa chiudersi e ben presto scivolò nel sonno.

Adam si guardò allo specchio e si sistemò o meglio, scombinò i capelli con il gel.
Era ora di andare.
Non voleva fare tardi.
- Esci?- gli chiese sua madre comparendo dalla cucina.
- Si.
- Con Rica?
- Si. Problemi?- il suo tono non era molto gentile e riuscì a spazientirlo.
- Se è quello che vuoi.- disse stringendosi nelle spalle e voltandosi per tornare in cucina.
- Mamma!- la richiamò lui.- hai qualcosa da dirmi su Rica?
- Io no! E tu?- c’era qualcosa nel suo modo di fare che non lo convinceva.
- Non devo dirti nulla! Non sono tenuto a spiegarti nulla! E trovo vergognoso il mdo in cui l’hai trattata ieri sera.
- Come l’ho trattata?
- Come se non fosse la benvenuta, come se non la ritenessi adatta..
- Non dire scemenze Adam!
- E’ l’impressione che ho avuto! Ed è la stessa impressione che ha avuto lei!|
- Beh mi dispiace..
- Non è vero non ti dispiace affatto.- sospirò e cercò di mantenere la calma.- Ho ventotto anni, sono libero di frequentare chi voglio e tu sei in dovere di trattare con rispetto la gente che faccio entrare nella mia casa e nella mia vita.
L’aveva detto.
Ci era riuscito.
Si era tolto un grosso macigno dal petto.
- Va bene.- disse lei tranquilla.
Troppo tranquilla.
Ancora una volta Adam ebbe l’impressione che ci fosse qualcosa che non tornava.
Avrebbe approfondito quella sera, adesso doveva andare.

Driiin.
Rica riemerse dal sogno.
Un sogno bellissimo, proprio come il suo protagonista.
Adam.
Camminava con lui su una spiaggia azzurra, il sole era basso sulla linea dell’orizzonte.
Driiin.
Guardò la sveglia.
Erano le cinque del pomeriggio.
Forse Fran aveva finito prima con il colloqui ed era passata a controllare che fosse ancora in vita.
Si trascinò fino alla porta e la aprì.
Non era Fran.
Era il protagonista del suo sogno, ancora più bello dal vivo.
- A.. Adam!- balbettò avvampando per l’imbarazzo.
- Oh scusami.. Credevo che fossi pronta.. Non pensavo che tu..- disse lui abbassando lo sguardo sul suo pigiama grigio con un pinguino col cappello da Babbo Natale.
All’improvviso si ricordò di quel messaggio.
Quelle ventotto parole che le avevano ridato il sorriso.
Come aveva fatto a dimenticarlo? Come?
- Mi dispiace! Scusami! Ho la febbre e mi sono addormentata..- provò a giustificarsi lei.
-  Non sapevo stessi male, allora ci vediamo un’altra volta, non preoccuparti!
- No! No! - si affrettò a fermarlo lei.- Resta!
- Non vorrei che ti stancassi! Forse è meglio che ritorni a letto.
- Davvero mi fa piacere, entra. So che non è il massimo, magari volevi andare da qualche parte..- iniziò lei aprendo di più la porta per farlo entrare.
- Tranquilla, niente che non si possa rimandare, vista la bella giornata volevo fare due passi in spiaggia, ma possiamo andarci un’altra volta.
Rica sorrise.
Voleva portarla in spiaggia, proprio come nel suo sogno e poi quell’allusione alla prossima volta voleva dire che voleva vederla ancora.
Perché?
Perché voleva passare del tempo proprio con lei?
Per quale motivo?
- Se mi dai un attimo mi metto qualcosa di più decente.- gli disse facendolo accomodare nel salottino.
- Perché? Mi piacciono moltissimo i pinguini e poi non vorrei che prendessi freddo!
Il suo sguardo pulito e preoccupato era irresistibile.
Le faceva venire voglia di passargli le mani sulle guance, doveva essere fresco al tatto e profumava di buono come sempre.
Quel profumo lo avrebbe riconosciuto tra mille.
Ma furono le mani di lui a poggiarsi su di lei. Le passo il palmo sulla fronte e poi sul collo.
Come aveva predetto era fresco, o forse era lei ad essere troppo calda, per la febbre e per quel contatto.
- Beh hai proprio la febbre alta!- mormorò.
- A trentotto. Ma sto benone.- gracchiò sedendosi sul divano e coprendosi le gambe con un pile rosso.
Con quell’uomo stava proprio dando il “meglio” di sé stesso.
In tuta, ubriaca, febbricitante, con il pigiama e senza un filo di trucco.
Era proprio tutto il contrario di come una donna normale si sarebbe presentata.
Ma con lui era tutto imprevedibile e strano.

- A parte dormire cosa avresti fatto se io non fossi venuto a disturbarti?- le parole di Adam la fecero tornare alla realtà.
Inutile tormentarsi, era andata così e inutile insistere per andare a cambiarsi o mettersi il trucco che le sarebbe comunque colato via visto che gli occhi non facevano che lacrimare.
Rica ci pensò un po’ su.
- Avrei letto o magari visto un film..- disse lei indicando gli scaffali zeppi di libri e dvd.
- Vada per il film. Preferenze?- chiese lui alzandosi e osservando le custodie dei cd.
- Hai mai visto Il curioso caso di Benjamin Button?- gli chiese lei raggiungendolo.
- Si ma non mi dispiace rivederlo. Mi piace molto.
- Davvero?- chiese lei stupita.
Subito dopo averglielo chiesto se ne era pentita.
Magari a lui non piacevano quei generi di film e poi ogni volta che lei lo vedeva non riusciva a non piangere per ore.
Forse era il caso di guardare una commedia o un cartone animato.
- Già. Sono un sentimentale in fondo. Non si direbbe lo so.. - lui sorrise e prese il dvd.
-  Allora mentre tu fai partire il film io preparo i popcorn.
- No! Tu mettiti seduta da brava.- disse lui prendendola per mano e guidandola verso il divano.
- Ma è casa mia.. Tu sei l’ospite..- provò a controbattere lei.
- Credevo che avessimo chiarito che siamo amici e gli amici non si formalizzano. Dimmi dove hai i popcorn e le pentole e ci penso io.

Rica se ne stava rannicchiata sul divano e dalla cucina sentiva arrivare il profumo e lo sfregolio dei popcorn che scoppiavano contro il coperchio.
Adam si muoveva per la cucina, lo sentiva camminare e aprire gli sportelli e ringraziò il cielo di aver messo un po’ di ordine.
C’era qualcosa di strano e di familiare al tempo stesso.
Non era abituata ad avere qualcuno che si prendesse cura di lei, a parte Fran, e d’altra parte Adam sembrava essere una presenza fin troppo familiare ormai.
- Li vuoi con il sale i popcorn no?- urlò lui dalla cucina facendola trasalire.
- Certo che si!
- Oh meno male! Odio chi mangia i popcorn con lo zucchero!- sorrise lui, emergendo con una scodella piena di popcorn.
- Spero che non facciano la fine dell’altra volta.- sorrise lei ricordando la figura pietosa del cinema.
- Oh no! Li tengo ben stretti.- le sedette accanto e fece partire il film. - Buona visione!

Centosessanta minuti e una scodella di popcorn dopo Rica se ne stava rannicchiata sul divano con una scatola di fazzoletti sulle ginocchia.
- Questo film mi distrugge!- soffiò cercando di riprendersi.
- E’ molto bello! La fine è davvero, davvero toccante! Certo adesso di toccherà passare lo straccio a terra! Hai allagato l’appartamento!- la prese in giro lui raccogliendo una lacrima che le scivolava già lungo la guancia.
E spezzandole il respiro.
Perché aveva il potere di turbarla in quel modo?
Perché non riusciva a considerare quel gesto per quello che era?
Un gesto innocente!
E invece il cuore si fermava per poi ricominciare a battere furioso.
Era quello che non andava nel loro rapporto.
Se fosse continuato prima o pi le sarebbe venuto un infarto.
Forse aveva davvero problemi di cuore!
- Non posso farci niente, mi piace troppo. - mormorò lei.
- Anche a me!

Adam deglutì un paio di volte.
Quella sensazione iniziava a farsi davvero preoccupante.
Era normale che sentisse il bisogno di toccarla?
Più volte durante il film vedendola piangere avrebbe voluto prenderle la mano, proprio come un adolescente brufoloso al primo appuntamento al cinema.
E non aveva saputo resistere all’impulso di catturare con il dito quella lacrima che rotolava veloce giù verso le labbra.
Quelle labbra lo tormentavano.
Le aveva sognato quella notte e anche adesso, con lei con gli occhi gonfi di pianto e arrossati dalla febbre avrebbe voluto baciarle.
Dovevano essere morbide e salate per le lacrime.
Perché gli faceva quell’effetto?
Perché non poteva semplicemente considerarla un’amica?

Fran era felice.
Era una sensazione così piacevole la felicità.
Si sentiva le gambe leggere e lo stomaco le sfarfallava per l’eccitazione.
Aveva un nuovo lavoro e un appuntamento per quella sera.
Cosa poteva chiedere di meglio?
Scese dall’auto e si precipitò verso casa di Rica, non vedeva l’ora di raccontare tutto alla sua amica.
Era certa che lei avrebbe avuto qualcosa da ridire ma sapeva anche che Rica le voleva bene davvero e che l’avrebbe appoggiata come sempre.
C’era un maggiolone blu scuro nuovo fiammante parcheggiato sul vialetto.
Era Adam.
Si bloccò e tornò indietro sorridendo.
Non solo lei avrebbe avuto qualcosa da raccontare.
Era certa che in quel momento non era l’unica ad essere felice.

Kate Roy aveva finito di preparare le valigie e si guardò intorno.
Il suono di un clacson annunciò l’arrivo del taxi che l’avrebbe portata all’aeroporto.
Era il momento di andare.
Lasciò la lettera sul mobiletto dell’entrata e si tirò dietro il grosso trolley.
Era il momento di andare via.
Suo figlio non aveva bisogno di lei, lo aveva capito.
Sapeva che lui aveva come timore di contraddirla, come se si sentisse responsabile e l’esasperazione di quella mattina era la prova che aveva proprio passato il segno.
Adam era un uomo e doveva vivere come voleva, senza la sua presenza opprimente, lei aveva suo marito, il suo giardino e le sue amiche che l’aspettavano in Canada.
Era felice di aver dato alla luce e di aver cresciuto un figlio come Adam.
Era felice dei suoi successi.
Era felice per la sua bontà d’animo.
Era felice di essere sua madre.
Era felice anche che avesse trovato, finalmente, qualcuno che gli stava accanto sebbene qualcosa in quella storia non la convincesse a pieno.
Si chiuse la porta alle spalle e sorrise.
Era felice.

Eccoci con il capitolo 29, so che non è stato granché, quest’anno non è iniziato nel migliore dei modi, fortuna che oggi la mia Discepolotta mi ha fatto un po’ di compagnia e mi ha fatto tornare un po’ di buon umore. Ringrazio come sempre tutti quelli che leggono e che recensiscono, vi adoro, come sempre! Spero che per voi l’anno sia iniziato alla grande! Vi prometto che il prossimo capitolo sarà migliore sia come scrittura che come avvenimenti, so che in questo capitolo non è successo molto. La cosa che mi premeva di più era che questi due si conoscessero meglio e passassero del tempo insieme. Come ho già detto sono certa che il prossimo capitolo sarà migliore, se intanto vi va di farmi sapere cosa ne pensate di questo ne sarei felicissima. Grazie a tutti, baci. Manu!
Ah ecco il pigiama di Rica! Non è bellissimo???

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Capitolo 30
*** Partenze ***


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CAPITOLO XXX: Partenze

Fran aveva aspettato che la macchina del cugino si allontanasse per poi fiondarsi a casa di Rica.
- Ho trovato un lavoro e stasera ho appuntamento con il mio capo che è l’uomo più bello e più spettacolare che sia mai esistito! Ho trovato l’uomo della mia vita, ne sono certa!- esclamò gettandosi a pesce sul divano e lasciando Rica di stucco.
-No Fran dimmi che non l’hai fatto davvero!- mormorò lei quando riuscì a trovare le parole.
- Cosa?- chiese lei sbalordita.
- Un lavoro in cambio di un appuntamento! Va contro ogni etica professionale! Che idea pensi che si sia fatto di te? Il tuo capo! Di nuovo!- esclamò lasciandosi cadere accanto all’amica.
- Mi ha fatto una proposta che non potevo rifiutare!- sghignazzò Fran esibendosi in una pessima imitazione del Padrino.
- Ma come fai a essere sempre così spensierata tu eh? Non lo conosci nemmeno!
- Questo tecnicamente non è vero!- Fran si alzò leggermente, sostenendo su un gomito e assunse un’aria pensante.
- Che vuoi dire?
- Che un po’ lo conosco, certo non benissimo, non quanto vorrei, ma per questo c’è tempo.
Sorrise e quel sorriso furbo fece tremare le gambe di Rica.
- Lo conosci?
- Già! E sei stata proprio tu a presentarmelo!- sogghignò incrociando le braccia dietro la testa e chiudendo gli occhi.
Non sembrava essere sdraiata su un divano ma su qualche spiaggia tropicale.
Nemmeno l’ombra di una preoccupazione.
Era sempre così lei.
Si lanciava nelle cose con entusiasmo e cieca convinzione ed era una cosa che Rica non capiva ma ammirava in lei.
- Io? Te l’ho presentato io?- chiese sbalordita.
- Che lavoro fa Carlo?
- Quale Carlo?
- Carlo! Il tuo vicino, il padre di Bianca!- esclamò lei impaziente.
- Che c’entra Carlo adesso? Non so che lavoro faccia, credo qualcosa di importante, va sempre in giro tutto in tiro, forse l’avvocato o il banchiere. Ma non stiamo parlando di lui adesso! Hai appena detto che hai un appuntamento con il tuo capo! Che vuoi stabilire un record?
- Fa il pubblicitario. E che lavoro faccio io?- sorrise ancora di più.
- No!
- Si!
- E’ Carlo!
- Ci sei arrivata Miss Ovvietà!- esclamò lei raggiante.
Rica nascose la faccia tra le mani, scuotendo la testa.
- Oh Fran!
- Che c’è? Ti dico che ho appena avuto un lavoro spettacolare, in un momento in cui un contratto è un miraggio e tu fai queste smorfie?
- Non è il lavoro che mi preoccupa, o meglio non del tutto! Esci con Carlo Fran! E’ stato lasciando dalla moglie due settimane fa!
- Tecnicamente non è così!
- La smetti di dire tecnicamente! Sembri la professoressa di Latino al liceo e mi innervosisci! E poi che vuol dire? Sta di nuovo con Eva?
- No.. Tecni.. Insomma in pratica non era sua moglie. Non erano sposati!
- Ma hanno pur sempre una figlia.
- Si una peste di figlia e un gatto che mi odia. Ma questo non è un problema!- disse lei alzando una spalla con noncuranza.
- Non è un problema?
- Una volta sposati rinchiuderò la figlia in un collegio e metterò sotto il gatto fingendo che sia stato un incidente!
- Fran!- esclamò scandalizzata.
- Ma scherzo no? Potrei mai fare una cosa simile? Non sono la matrigna di Cenerentola! Anche se per il gatto ne saresti felice anche tu, ammettilo. Ok, ok la smetto scusa! - disse incrociando l’occhiataccia dell’amica.
Rica si alzò e iniziò a passeggiare per la stanza per qualche minuto.
- Tutto ok? Sembri uno scienziato matto!
- Va bene! Se è quello che vuoi va bene.- disse alla fine tornando a sedersi.
- Mi stai dando la tua benedizione?- le chiese Fran tra lo stupito e il divertito.
- Si, non ne hai bisogno ma si! Se è quello che vuoi fallo! Tanto non riuscirei ad impedirlo. Ad impedire che tu ti faccia male di nuovo.
- Lo sai che non è nel mio carattere essere prudente. Se mi farò male tu sarai qui a raccogliere i cocci no?- Fran la abbracciò e le posò la testa sulla spalle.
- Si, spero che non ce ne sia bisogno ma si, ci sono sempre per te, lo sai. - disse con un sospiro.

Adam era andato via da casa di Rica solo da una mezzora ed era in un negozio di grande centro commerciale.
- Posso esserle utile?- la voce lo fece girare verso una bellissima ragazza in tailleur nero e camicetta bianca, al risvolto della aveva appeso un badge con scritto il suo nome Vanessa.
Poteva essergli utile? Certamente si!
Frenò i suoi ormoni e si sforzò di mantenere il controllo della situazione.
Forse aveva ragione Tim, doveva uscire di più!
- Si, mi servono un paio di scarpe da corsa.
- Oh allora credo proprio di sapere cosa fa al caso suo, mi segua.- sorrise e lo invitò a seguirlo verso un punto del negozio.
Adam le camminava dietro osservando i suoi capelli castano chiaro leggermente ondulati sulle punte.
Era davvero carina!
Ma poi le vide.
Le vide e si dimenticò della commessa e di quanto fosse bella.
Si fermò davanti allo scaffale e sorrise, ricordandosi di due occhi gonfi per le lacrime e il raffreddore.
- Signore? Le sue scarpe!- disse la ragazza distraendolo dai suoi pensieri.
- Facciamo un’altra volta. Prendo queste, confezione regalo, grazie.- le sorrise.
Non sembrava nemmeno così carina ormai.

Rica era rimasta sola da poco.
Fran se ne era andata tutta contenta per prepararsi al suo appuntamento e lei stava pensando a qualcosa di veloce da preparare per cena quando il campanello trillò.
Chi poteva essere? Forse la sua amica aveva lasciato qualcosa e tornava a riprendersela, perdeva sempre qualcosa quando era presa da un pensiero, si guardò intorno ma non vide niente.
Andò ad aprire.
- Adam?- chiese stupita vedendolo sulla soglia con due cartoni della pizza in una mano e un busta nell’altra.
- Lo so! Sono stato qui fino ad un’ora fa ma ho pensato che forse ti avrebbe fatto piacere non dover cucinare e magari vedere un altro film strappalacrime in compagnia e poi in un negozio ho trovato queste e allora ci tenevo a portartele.- disse leggermente imbarazzato.
Lei prese la busta chele porgeva, incuriosita, e guardò all’interno.
Un paio di morbidissime, buffissime e tenerissime pantofole a forma di pinguino.
- Ma grazie sono stupende!- prima di riuscire a controllarsi gli gettò le braccia al collo, troppo stupita e entusiasta per quel regalo.

Tenendo con una mano i cartoni della pizza per non farli cadere Adam si ritrovò a ricambiare l’abbraccio.
La testa di Rica gli arrivava appena sotto il mento e il profumo di cocco che lei emanava gli solleticava sempre piacevolmente il naso.
Non sapeva nemmeno perché avesse deciso di farle quel regalo.
Doveva comprare un paio di scarpe da corsa, magari avrebbe anche invitato la commessa a bere qualcosa e invece era uscito con le pantofole e stava abbracciando la migliore amica di suo cugino pensando che aveva un odore buonissimo
Non aveva intenzione di tornare da lei, non ancora almeno, ma vedendo quelle pantofole non aveva resistito.

Le aveva fatto un regalo.
Un tenerissimo e graditissimo regalo!
Stretta ancora a lui, la faccia premuta contro il suo petto riusciva a sentire i battiti del suo cuore, leggermente accelerati. Il braccio di lui le circondava a schiena mentre le sue mani si erano strette intorno alla sua maglia, stringendo ancora la busta di carta con le pantofole più belle ch avesse mai visto.
- Bene, allora mangiamo!- disse alla fine staccandosi e indicandogli il tavolinetto del salotto.
Si sentiva leggermente frastornata, non era abituata ai regali, alle sorprese, a lui.

- Io credo che non avrebbe dovuto andarsene! Insomma era sua figlia e lei la donna che amava da tutta la vita! Avevano trovato un equilibrio, certo magari non per molto, ma si sarebbe potuto trovare una soluzione e poi era ancora troppo tempo, avevano ancora qualche anno!
- Io invece credo che abbia fatto bene! Ha lasciato ad entrambe la possibilità di farsi una vita normale, lui andava contro il tempo! Era impossibile mantenere un equilibrio! È stato generoso da parte sua lasciare che la figlia potesse crescere in modo normale!
Rica addentò un altro pezzo di pizza e si affrettò a mandare giù il boccone per poter rispondere.
- Ti sei sporcata!- Adam rise e le passò un tovagliolo sul mento, facendole dimenticare cosa stava per dire.
Era un gesto così intimo, così complice le stava sfuggendo tutto di mano!
- Beh era suo padre! In ogni caso lei aveva il diritto di conoscerlo, avrebbe dovuto poter scegliere!- si sforzò di dire.
- A un anno?
- Infatti ho detto che era presto per andare via!
- Bene sul curioso caso di Benjamin Button abbiamo idee divergenti.- disse Adam rilassandosi contro lo schienale.
- Non abbiamo idee divergenti, il film è bello e perfetto così com’è ma dico solo che in generale avrebbe potuto aspettare.
- Ho capito! Almeno sulle parole che scrive alla sua figlia mentre era in viaggio sei d’accordo. Sul fatto di vivere la vita a pieno e avere la forza di cambiare?
- Si, mi piacciono molto e certe volte mi dico che dovrei ascoltarlo e seguire il suo “insegnamento”.
- Che vuoi dire?
- Solo che certe volte mi chiedo quanto sia buono o giusto quello che faccio. Ci sono giorni che tutto mi appare vuoto e senza senso, altri che mi dico soddisfatta. Certo ho molto ancora da fare e da imparare ma con il tempo ce la farò. Già una volta ho cambiato le carte in tavola  e farlo di nuovo non mi spaventa, devo solo trovare la forza per farlo ancora
Adam aggrottò la fronte e si grattò la nuca.
- A cosa ti riferisci?- le chiese confuso.
Rica ritornò in sé, realizzando di star raccontando a un ragazzo che conosceva da poco, tutti i dubbi e le angosce che la tormentavano da un po’ di tempo, ma ormai era tardi per tirarsi indietro.
- Al fatto che da qualche tempo vorrei cambiare lavoro, vorrei provare a realizzare davvero i miei progetti e i miei sogni.- sospirò.- Ti ho detto che dopo la laurea ho vissuto un po’ fuori, poi un giorno ho capito che non era quello che volevo, che per troppo tempo ho realizzato quelli che erano i progetti di qualcun altro, che per tutta la vita non avevo fatto altro che compiacere gi altri, mettendo da parte la mia vita, poi ho capito e ho fatto quello che ritenevo giusto. Adesso a distanza di un anno mi rendo conto di star cadendo di nuovo nello stesso sbaglio. Inconsciamente mi sto sforzando di nuovo di compiacere qualcuno, di dimostrare agli altri che posso farcela, ponendo un freno ai miei sogni.
- Io credo di aver capito in linea di massima cosa vuoi dire, solo che non capisco cosa vuoi dire in pratica.- disse Adam esitante.
Rica sorrise, era riuscita a confondere  perfino lui.
- Solo che per anni ho cercato di compiacere la mia famiglia, sono andata via, ho trovato un buon lavoro con una buona paga, ma mi mancava la mia terra e la mia vita e sono tornata, con i miei i rapporti sono praticamente inesistenti ma di nuovo sto uniformandomi ai loro desideri. Il lavoro che faccio mi consente di pagare le bollette ma non è quello che voglio fare davvero. Io voglio mollare l’ancora e provare a raggiungere quello che desidero.
- E cosa desideri?
- Scrivere! - disse arrossendo e distogliendo lo sguardo dal suo.
- E non è quello che fai?- chiese Adam ancora più confuso.
- Voglio scrivere libri!- precisò.
Lo vide sobbalzare e arrossì ancora di più.
- So che è da stupidi e che è pure utopia, che quelli che vivono di questo lavoroo sono pochissimi ma non voglio svegliarmi tra quarant’anni e rimpiangere di non averci provato.
- Non è da stupidi.- Il viso di Adam si addolcì, nessuno più di lui poteva capire cosa lei provasse.
L’insoddisfazione, la fatica, lo scoraggiamento, le porte sbattute in faccia prima di arrivare dove era arrivato erano state tantissime eppure alla fine aveva avuto fortuna.
- Il tuo è un discorso giusto Ica. Devi assolutamente provare, provare e provare. Ma vorrei darti solo un consiglio. Non buttarti a testa in giù. Fai le cose con calma e pondera bene tutto. Non lasciare adesso il tuo lavoro, scrivi il tuo libro, mandalo a tutti gli editori possibili ma continua la tua vita. Forse penserai che sono cinico ma non è così, fidati. Ai nostri tempi lasciarsi andare può essere fatale. Avere di che mangiare poi è necessario, quindi insegui il tuo sogno, lotta, non arrenderti, credici anche quando vorranno scoraggiarti ma non perdere mai la lucidità, mai, o potresti pentirtene e se mi posso permetterti di darti un altro consiglio, parla con i tuoi genitori, nessuno più di me sa quante pressioni possano fare ma ci amano e non vorrebbero mai il nostro male, spiegagli che li vuoi accanto ma che non devono interferire nella tua vita, io oggi l’ho fatto con mia madre e credo che abbia capito. O almeno spero.- disse sorridendo.
Rica ricambiò il sorriso.
- Ci parlerò presto, lo prometto. Grazie Adam.- disse leggermente in imbarazzo.
- Figurati. So cosa vuol dire sentirsi sotto pressione, mio padre ha un’azienda in Canada e sperava che io seguissi le sue orme, ci ha messo un po’ prima di accettare che era altro quello che volevo fare e per quanto riguarda mia madre, beh l’hai conosciuta e quindi non c’è bisogno di aggiungere altro.
- In effetti..- sorrise lei guardandolo.
- Il fatto che non mi abbia chiamato per tutto il pomeriggio mi fa ben sperare che abbia capito sul serio o solo che è arrabbiata da morire per quello che le ho detto.

Erano le undici passate quando Adam entrò in casa, aveva parlato ancora un po’ con Ica e si era divertito, come sempre del resto.
L’appartamento era al buio e lui cercò di non fare rumore pensando che la madre dormisse già, ma passando accanto alla stanza da letto per andare in bagno si rese conto che il letto era vuoto.
Preoccupato aprì tutte le luci.
Dove diavolo era finita?
Lo spazio dell’armadio era vuoto.
Tornò nell’ingresso per prendere il cellulare dalla tasca della giacca e sul mobiletto trovò una busta con il suo nome scritto a penna dalla grafia di sua madre.

Adam, non arrabbiarti se non ti ho chiamato, non volevo che tu preso dai sensi di colpa mi convincessi a restare ancora un po’ qui. E’ giusto che io torni a casa mia, non me la sono presa per le parole che mi hai detto, tranquillo, ho solo capito che avevi ragione. Sei un uomo e devo lasciarti vivere a modo tuo. Ti chiedo scusa per Rica, davvero, sono stata maleducata. Non interferirò più. Prometto che verrò a trovarti presto e che mi comporterò meglio. Sono felice ed orgogliosa di essere tua madre.
P.S: Ho regalato il tapis roulant al tuo vicino Enrico.
P.S.S: Non devi sentirti responsabile per la mia malattia, è stato il mio cuore a farmi star male, non tu che sei la cosa migliore che mi sia mai capitata, quindi se ogni tanto esagero e vuoi mandarmi (educatamente) a quel paese puoi farlo!
Ti voglio bene. Mamma.


Fran aveva iniziato a lavorare nell’agenzia di pubblicità  di Carlo e a quanto pare quei due si trovavano molto bene insieme, uscivano, parlavano e nulla più, o almeno così diceva la sua amica.
Rica aveva ancora un po’ d’influenza e trascorreva le sue giornate aspettando le cinque del pomeriggio quando Adam spuntava con una busta del supermercato piena di schifezze, si gettava sul suo divano, quasi con la stessa irruenza di Fran e passavano ore a guardare film, a ridere e a discutere.
Era diventato una presenza costante ormai.
Sua madre era tornata in Canada, lui le aveva raccontato della discussione che avevano avuto e a lei era dispiaciuto di essere stata in qualche modo responsabile di quella situazione ma lui l’aveva rassicurata dicendo che sua madre non era tipo da arrabbiarsi sul serio e che quando l’aveva sentita per telefono lei era tranquilla.
- Allora ragazza, io oggi propongo patatine al formaggio e una full immersion di cartoni cartoni animati! Qualcosa da replicare?- chiese lui appena Rica gli aprì la porta.
- Assolutamente no!- sorrise lei facendolo entrare.
- Benissimo allora tu scegli un cartone animato tra questi che ho portato e io vado in cucina a prendere una ciotola per le patatine.
Le piaceva quella confidenza che si era creata tra di loro.
Non si faceva più domande, non si chiedeva il motivo per cui lui volesse passare del tempo con lei, si divertiva e basta.
Adam era allegro e la faceva ridere e sì, aveva ancora il potere di farle venire un colpo con un sorriso o di farle perdere qualche battito con gestii inaspettati come un abbraccio o un atteggiamento più intimo del solito ma si era abituato ad averlo intorno.

Il film era iniziato da pochi minuti quando il cellulare di Adam iniziò a squillare.
- Perché non l’ho spento? E’ mio padre, ci vorrà solo qualche secondo, non è mai troppo espansivo.- sorrise lui portandosi il cellulare all’orecchio.- Pronto vecchio mio! Come???
Adam si raddrizzò facendo cadere la ciotola delle patatine che teneva in equilibrio precario sulle ginocchia.
Il suo tono allarmato fece preoccupare Rica che si affrettò a spegnere la tv.
- Dov’è adesso? Come sta? Papà la verità! Devo saperlo!- la voce di lui era quasi un sussurro strozzato e lei capì che si trattava di sua madre.- Arrivo quanto prima. Ma se lei..
Adam non riuscì a terminare la frase, portandosi una mano a coprirsi la faccia.

Rica era paralizzata dallo shock e dalla paura. Doveva essere una cosa seria. Lui non sembrava affatto il tipo da allarmarsi inutilmente.
Dopo aver salutato brevemente il padre Adam chiuse la conversazione lasciando cadere a terra il cellulare e restando nella stessa identica posizione,
Rica non sapeva che dire, le mancavano la forza e il coraggio.
Si limitò ad appoggiare una mano sulla sua schiena curva in avanti. Lo vide irrigidirsi, come se si fosse completamente dimenticato della sua presenza e per un secondo desiderò sparire magicamente per non essergli d’impiccio. Forse non doveva farsi vedere così vulnerabile, forse voleva stare da solo.
Si girò verso di lei lentamente, come se gli costasse una fatica immensa.
- Devo tornare a casa. - bisbigliò e lei si limitò ad annuire, non era certa di riuscire a tirare fuori la voce.
Abbassò lo sguardo non riuscendo  a guardarlo in faccia, nel suo campo visivo apparve la mano di lui che si strinse alle sue con forza e decisione.
Un dito le fece alzare il mento e quegli occhi, così belli anche se arrossati dalle lacrime trattenute, incatenarono i suoi.
- Vieni con me!- il suo tono era deciso ma supplichevole al tempo stesso.
Rica spalancò gli occhi ritraendosi da quella stretta e da quello sguardo.
- Cosa stai dicendo?- chiese debolmente.
Le mani di lui trovarono ancora le sue, intrecciando le loro dita.
Il suo sguardo la catturò di nuovo.
- Che voglio che tu venga con me. Ne ho bisogno.- lo disse lentamente, con semplicità e convinzione.
- Io non so.. Non..
- Ho bisogno di te.- scandì di nuovo, facendo aderire i loro palmi e guardandola intensamente.
- Dammi il tempo di preparare una sacca con qualche cambio. Solo un paio di minuti.- Rica tentò di alzarsi ma le sue mani la trattennero e lei ricadde a sedere sul divano, accanto a lui.
Senza che avesse il tempo di rendersene conto la bocca di lui si posò sulla sua e ci rimase per qualche secondo.
- Grazie.- mormorò contro le sue labbra.
Poi si tirò velocemente indietro e si alzò.
- Faccio un paio di chiamate e partiamo. Fai più in fretta che puoi.
Rica annuì e si precipitò in camera.
Sapeva perfettamente che non era il momento opportuno per fare  i salti di gioia, ma si sentiva il cuore battere a tempo dell’inno alla gioia.
Aveva bisogno di lei.
L’aveva baciata.
Certo un altro bacetto a stampo ma non c’era nessuno da convincere quella volta.
Magari non era niente.
Lo shock poteva giocare brutti scherzi.
Si decise a posticipare tutti i ragionamenti a un momento di più calma.
Infilò dei vestiti in un piccolo trolley che poteva imbarcare come bagaglio a mano, in modo da evitare le lunghe attese dopo, Adam avrebbe certamente voluto raggiungere subito la madre.
E infatti dieci minuti dopo erano già in macchina diretti all’aeroporto da cui sarebbero partiti entro un’ora.
 
Eccoci il capitolo 30, per festeggiare il passagio alla nuova decina, un esame passato brillantemente ieri e il mio imminente ventitreesimo compleanno(venerdì) ho scritto un capitolo pieno zeppo di eventi. Che ve ne pare? Ditemi, ditemi! Siete contenti di queste svolte?? IO SIIII <3
 Scusatemi se ho tralasciato le risposte, avevo inziato ma poi mi sono dovuta fermare, sono disperata  con lo studio, ho un altro esame venerdì, si proprio il giorno del mio compleanno, che sfiga! Ma lo farò prestissimo, giuro!  
Non si era capito che amo il film"il curioso caso di Benjamin Button" vero?
Ecco il pezzo a cui mi riferivo nel capitolo prima che Rica stordisse il povero Adam con tutte quelle chiacchiere:

Per quel che vale... non è mai troppo tardi, o nel mio caso, troppo presto per essere quello che vuoi essere. Non c'è limite di tempo, comincia quando vuoi... puoi cambiare o rimanere come sei, non esiste una regola in questo, possiamo vivere ogni cosa al meglio o al peggio. Spero che tu viva tutto al meglio, spero che tu possa vedere cose sorprendenti, spero che tu possa avere emozioni sempre nuove, spero che tu possa incontrare gente con punti di vista diversi, spero che tu possa essere orgogliosa delle tua vita e se ti accorgi di non esserlo, spero che tu trovi la forza di ricominciare da zero

Grazie come sempre a tutti voi e spero che mi facciate sapere! Bacioni, Manu!

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Capitolo 31
*** Pazza! ***


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CAPITOLO XXI:Pazza!

Rica non aveva nemmeno avuto il tempo di pensare prima della partenza, scioccata per la notizia aveva messo insieme un paio di cambi, seguito Adam fino all’aeroporto e si era seduta con lui in un posto di terza classe, gli unici che erano riusciti a trovare e dopo un paio d’ore di volo si era addormentata. Non era abituata a quelle partenze frenetiche, programmava i viaggi sempre con largo anticipo, ma quella era una situazione particolare.
Anche durante il sonno le venne in mente quel bacio rapido ma intenso che lui le aveva dato, le sembrava di sentire ancora le labbra di lui che premevano sulle sue, delicate e decise.
Il suo piano di non lasciarsi coinvolgere era andato a farsi benedire.

Adam se ne stava seduto in quel sedile troppo rigido e troppo scomodo, le sue gambe lunghe non riuscivano a entrare nello spazio esiguo tra le due poltroncine con la conseguenza che le ginocchia, premute contro il posto davanti gli facevano male e gli formicolavano.
Rica, seduta alla sua sinistra, si era addormentata, aveva la testa reclinata a destra e i capelli le erano caduti sulla faccia, attento a non svegliarla le sistemò le ciocche dietro le orecchie.
Aveva una faccia imbronciata e pensierosa, sembrava così dolce e indifesa e prima che riuscisse a rendersene conto le aveva appoggiato di nuovo le labbra sulla bocca.
Non sapeva perché lei gli suscitasse quelle emozioni, né da quando.
Sapeva solo che guardandola si sentiva come sciogliere e non gli era capitato mai.
Aveva un neo sulla guancia sinistra, non se ne era mai accorto, lo accarezzo e respirò il profumo dei suoi capelli.
Il suo piano di non lasciarsi coinvolgere era andato a farsi benedire.

Rica si svegliò di soprassalto, non sapeva nemmeno perché il suo sonno fosse stato interrotto così bruscamente, l’aereo era silenzioso.
Si girò verso Adam, aveva la testa appoggiata al sedile, gli occhi chiusi, sembrava tranquillo.
Vederlo preoccupato e teso l’aveva fatta sentire impotente e di troppo, ma lui l’aveva voluta con sé, non sapeva perché, non conosceva nemmeno il motivo di quel bacio.
Sapeva solo che era lusingata e felice di stargli accanto in un momento così difficile.
Avrebbe solo voluto che tutto andasse per il meglio.
- Ehi.- la voce di lui la fece sussultare e distogliere dalla sua contemplazione.
Gli piaceva tutto di lui, il viso bello, pulito e luminoso, le braccia forti e le gambe lunghe e quegli occhi. Soprattutto quegli occhi e quel sorriso che anche in quel momento così duro baluginò rapido sulle sue labbra.
- Scusami ti ho svegliato!- disse lei.
- Figurati, non stavo dormendo!- sospirò lui, distogliendo lo sguardo per fissarlo su un punto imprecisato del corridoio dell’aereo.
Non sapendo che dire per consolarlo gli appoggiò una mano sul pugno che stringeva il bracciolo della poltroncina.
Lui sussultò poi si voltò a guardarla con un mezzo sorriso.
- Grazie!- - mormorò intrecciando le dita alle sue e stringendo il piccolo palmo di lei nel suo.

Suo zio aveva chiamato all’ora di cena, si erano appena seduti a tavola quando il telefono aveva squillato, sua madre aveva scosso la testa, sbuffando, odiava chi chiamava a quell’ora, era sicuramente un impiegato di qualche call center che voleva rifilargli qualche stupida ed inutile promozione.
- Pronto?- chiese sbuffando quasi.- Steve? Come? Cosa?
Fran sentì il tono allarmato di sua madre e la vide sedersi su una sedia lì vicino, sbiancando in volto.
- Prendo un aereo e..? Va bene, va bene, ma chiama subito se ci sono novità, a dopo ciao!
- Mamma che è successo?- le chiese non appena lei chiuse la conversazione.
- Kate ha avuto un attacco di cuore, ha perso conoscenza, adesso è in ospedale, Adam è già partito per il Canada. Se ce lo avesse detto saremmo partiti anche noi. Steve dice che non conviene partire adesso, ci farà sapere qualcosa.
La voce di sua madre si era fatta sussultante e incerta, suo padre le si avvicinò e le passò un braccio intorno alle spalle.
Dopo aver provato a rassicurare i suoi genitori Fran uscì di casa come un’ossessa.
Doveva parlare con Rica, non sapeva come spiegarle la situazione, magari le avrebbe detto semplicemente la verità ma lei doveva sapere.
Arrivò davanti a casa sua, la macchina era sul vialetto ma tutte le luci erano spente. Forse dormiva già.
Bussò un paio di volte, si attaccò al campanello, chiamò il numero si casa ma niente. Non c’era!
Dove era potuta andare?
Era strano che non le avesse detto di un impegno, cercò il suo nome in rubrica e schiacciò il verde.
Spento.
Provò e riprovò ma niente.
Era sparita.
Tornò a casa e passò tutta la notte in pensiero per sua zia e per la sua migliore amica che era sparita chissà dove, aveva provato a chiamarla per ore ma il cellulare era sempre staccato.

Erano arrivati all’aeroporto di Toronto da nemmeno mezzora, non dovendo aspettare il bagaglio era stato tutto molto veloce.
Stavano cercando un taxi mentre una pioggerellina sottile scendeva fitta rendendo il paesaggio nebuloso e incerto.
Rica non era mai stata in Canada e decisamente avrebbe voluto che avvenisse in circostanze migliori.
Prese il cellulare dalla borsa e lo accese.
I bip iniziarono a fuoriuscire selvaggi.
Fran.
Era sparita e sicuramente doveva essere in pensiero, compose il numero mentre Adam parlava con un tassista in un inglese così fitto che lei non riuscì ad afferrare per bene. Non lo aveva mai sentito parlare nella sua  lingua d’origine ed era strano.
- Andiamo Ica, questo è libero.- la chiamò lui.
Lei lo seguì sul sedile posteriore della spaziosa monovolume.
Avviò la chiamata.
- Ma dove diavolo sei finita? Mi hai fatto prendere un colpo!- furono le prime parle che l’amica le rivolse.
- Hai ragione scusa, sono in Canada con Adam, scusami avrei dovuto avvisarti ma..
- Sei in Canada con lui?- chiese Fran in tono esterrefatto.
- Si, hai ragione avrei dovuto avvisarti, ma sua madre si è sentita poco bene e siamo venuti qui per..
- Come sta?
- Ancora  non lo sappiamo, stiamo andando in ospedale.
- Va bene, fammi sapere quando sai qualcosa. Dagli forza mi raccomando.
Lo disse in un tono che la incuriosì,  c’era troppa partecipazione nel suo tono, ma la sua amica era molto sensibile e si immedesimava nel dolore degli altri.
- Si tranquilla Fran, ciao!

Sentendo il nome della cugina Adam sussultò.
Quelle maledette menzogne!
Prima o poi avrebbe cercato di risolvere quella situazione, adesso c’era solo sua madre nei suoi pensieri.
Socchiuse gli occhi e cercò di pensare positivo.
Erano arrivati davanti all’ospedale, stavano pagando l’autista, quando il cellulare di Adam iniziò a squillare, lui fece un salto per lo spavento e lesse il nome sul display.
- E’ mio padre!- disse con voce strozzata.
- Non rispondi?- lo incoraggiò lei.
- No! Qualsiasi cosa sia voglio saperlo di persona, andiamo!- le prese la mano e la trascinò per i corridoi vuoti e freddi dell’enorme struttura ospedaliera.
Sapeva perfettamente dove stava andando e Rica immaginò tante altre corse piene di apprensione, tanta altra paura.
Strinse forte quella mano che stringeva la sua sperando con tutto il cuore che anche quella volta le cose andassero bene.
Appena prima di una grossa  porta a vetri oscurati con una grossa scritta rossa che Rica non fece nemmeno in tempo a leggere, Adam, rallentò e sussurrò qualcosa, come cercando dentro di sé la forza per varcare quella soglia e sapere.

Il corridoio era freddo e lunghissimo come sempre, c’erano le solite poltrone di pelle nera consunte e come sempre c’era suo padre seduto su una di quella, le mani strette e il viso appoggiato contro.
Cercò di capire qualcosa prima ancora di chiamarlo.
Piangeva?
Sorrideva?
Era atroce dover capire cosa sarebbe stato del suo futuro dall’espressione dell’uomo a cui teneva di più al mondo.
Suo padre era il suo esempio, il suo modello.
Da bambino lo aveva paragonato ad un eroe e da grande la sua ammirazione per la sua pazienza, la sua calma interiore e la sua determinazione era cresciuta a dismisura.
Amava la sua famiglia.
Amava sua madre e le sue invadenze e non avrebbe voluto rinunciarci per niente al mondo.
- Papà?- chiamò piano.

L’uomo alzò la testa e scattò in piedi.
La prima cosa che Rica notò furono gli occhi identici a quelli che amava così tanto in Adam e la seconda cosa la riempì di gioia fino a farle venire voglia di piangere.
Sorrideva.

Suo padre sorrideva.
Poteva esserci solo un motivo del perché sorrideva.
Sua madre non stava poi così male.
- Il peggio è passato! E’ fuori pericolo, dovrà stare a riposo per un  po’ ma non è niente di serio, starà bene!
Adam abbracciò il padre e sentì la sua mano battergli sulla schiena come faceva sempre quando voleva consolarlo e rassicurarlo.

Rica rimase in disparte asciugandosi velocemente una lacrima che le era sfuggita dall’angolo dell’occhio.
Era sollevata, per Kate, per Adam.
Avrebbe voluto abbracciarlo forte e basta.
Respirare il suo profumo e assorbire il suo calore.
Che lui le piacesse ormai era assodato ma in quel preciso momento in quel corridoio freddo e sterile si rese conto che la cosa sarebbe potuta diventare ancora più grave di quanto avesse previsto.
Poi lui si staccò da suo padre e le si avvicinò e la abbracciò come avrebbe voluto fare lei poco prima.
Gli appoggiò la fronte sulla spalla e le circondò la vita con le braccia, stringendola forte e sospirando.
Lei ricambiò la stretta con tutta la forza che aveva, il cuore di lui batteva veloce sotto il suo orecchio destro.

- Ohi amico mio!- una voce conosciuta interruppe l’abbraccio.
- Tim!- esclamò Adam girandosi dall’altra parte e interrompendo la stretta, seppure a malincuore.
Il suo migliore amico era arrivato dall’altro lato del corridoio e stringeva due bicchierini di plastica marrone che dovevano contenere il terribile caffè della macchinetta all’angolo.
Rica rimase a guardare il colosso che era sbucato da chissà dove.
I due bicchieri sembravano formiche nelle sue mani.
Era davvero un gigante!
Doveva essere alto quasi due metri ed era un concentrato di muscoli che avrebbe fatto impallidire Silvester Stallone ai tempi d’oro.
Ma aveva due occhi incredibilmente blu e buoni e un sorriso che gli formava delle fossette sulle guance e che stridevano con il suo aspetto quasi minaccioso.
Ma c’era gente normale in Canada o era tutti così inspiegabilmente belli?
Assistè ad altri abbracci e ad altre pacche.
Adam non era certo un tipo mingherlino o basso ma paragonato al suo amico sembrava quasi minuscolo.
- Ica, vieni!- lui la chiamò e le porse la mano che lei strinse arrossendo imbarazzata.- Papà, Tim, lei è Rica, è venuta con me per darmi coraggio!
Suo padre le sorrise e le porse una mano, Tim invece si avvicinò e fece per abbracciarla con enfasi.
Per un secondo temette di finire sbriciolata tra quelle braccia muscolose e qualcosa dovette trasparire dal suo viso perché Adam rise ed ammonì l’amico.
- Non disintegrarmela!
Rica ricambiò l’abbraccio estremamente delicato.
Tim sembrava proprio una bella persona e parlava un italiano quasi perfetto e poi c’era stato quel “non disintegrarmela” e quel tono di voce così dolce e possessivo.
Forse era un’idiota ma le sembrava che da un momento all’altro i suoi piedi potessero staccarsi dal pavimento per farla fluttuare in aria.
Quando entrarono nella stanza di Kate, lei sembrava stanca ma comunque lucida e tranquilla.
Baciò il figlio e gli accarezzò la guancia, scusandosi per averlo fatto preoccupare.
Poi tese la mano verso di lei e la strinse con forza e gentilezza.
Il suo sguardo era meno duro dell’ultima volta, anzi sembrava quasi felice di vederla.
- Grazie.-  mormorò e nel suo tono di voce lei percepì un’emozione che non seppe classificare.
La casa in cui Adam era cresciuto era fuori città ed era molto bella nella sua semplicità ed immersa in un parco di conifere.
Era la perfetta idea che si era fatta su una casa canadese.
Rimasero lì un paio di giorni, andavano a trovare sua madre prima di pranzo e dopo cena e poi vagavano per la foresta che profumava di resina e di umido e per la città che era di una modernità che strideva quasi con l’incontaminatezza della periferia in cui viveva Adam.
Le piaceva proprio tutto di quel posto.
Le piaceva Tim che era estremamente divertente e così buono e gentile da meritarsi in pieno il soprannome di “orco buono” che Adam gli aveva affibbiato ai tempi del college.
Le piaceva sempre di più Adam, il suo profumo che ricordava l’odore della foresta di conifere, la sua vicinanza, la sua mano perennemente stretta alla sua.

- Domani rientriamo in Italia. Tu devi tornare al lavoro e io ho lasciato lì i miei computer e senza quelli non posso fare nulla nemmeno io.
Lei annuì ma una sottile malinconia si impadronì di lei.
Le dispiaceva inclinare quell’equilibrio che si era creato tra di loro, interrompere quella vicinanza e quella confidenza.
- Poi tornerai qui?- chiese anche se conosceva già la risposta.
- Si, resterò per un po’ fino a che mia madre non si sarà ripresa del tutto, avrà bisogno di qualcuno che l’aiuti una volta uscita, lei odia gli infermieri privati, o forse sono loro che odiano lei, sta di fatto che nessuno resiste più di due giorni.- sorrise e nel suo tono lei riconobbe l’amore profondo che provava per la madre, nonostante il suo carattere “complicato”.

Il giorno dopo salutarono Steve e Kate e Tim, tutti e tre le augurarono buon viaggio e si fecero promettere di tornare presto.
Kate la fece chinare verso di lei e dopo averla baciata sulla guancia le sussurrò:
- Scusami per l’altra volta, credevo che fosse un trucco di mio figlio per farmi credere che si fosse fidanzato e per liberarsi di me. Adesso ho capito che non state mentendo. Si vede che siete innamorati. Fate buon viaggio.
Rica annuì tropo frastornata per dire qualcosa di sensato.

- Buongiorno!- la voce dal tono leggermente troppo acuto li fece sobbalzare.
Il volo si era alzato da un paio di minuti quando una ragazza bionda con una divisa blu da hostess si fermò accanto ai loro sedili e sorridendo compiaciuta.
- Oh ciao Ally!- rispose Adam dopo qualche secondo con un tono leggermente imbarazzato che indusse Rica a voltarsi verso di lui.
In effetti sembrava proprio a disagio.
- Mi chiamo Sally!- replicò lei leggermente infastidita.
- Oh si giusto, scusami. Tutto bene?
- Io si e tu? Ti porto la solita bottiglia di vodka?
La ragazza non riuscì a trattenere una risatina che a Rica ricordò il nitrito di un cavallo.
Perché tutta quell’ilarità? Quella confidenza?
- Oh no grazie. Questa volta passo!
Adam sembrava sempre più rigido e imbarazzato e Rica aveva l’impressione che ci fosse qualcosa sotto.
- Oh…
La sua faccia intristita e il tono deluso portarono Rica ad avere quasi compassione per lei.
- Be se poi hai bisogno di me sai dove trovarmi!
La sua aria maliziosa e la sua sfilata ancheggiante nell’allontanarsi spazzarono via la compassione per infonderle un desiderio selvaggio di staccarle quella coda di cavallo che dondolava a destra e sinistra ad ogni passo.

- Dicevamo?- Adam tossicchiò per darsi un tono e si agitò sul sedile.
- Veramente non stavamo parlando prima dell’arrivo di Barbie.
- Uhm, beh parliamo adesso.
- Sbaglio o sei a disagio?- Rica non riuscì a trattenersi dal chiederglielo.
- Io a disagio? No, no! Affatto!
- Sarà! A me sembra di si! Era una tua ex? Guarda che non c’è niente male!
- Eh? Che? Ma no! L’ho vista un paio di volte durante dei voli, non stavo con lei!
- Capisco. E allora perché sei arrossito? Ti piace?
- Cosa? Ma no figurati! E’ che ho una paura incredibile di volare e ogni volta mi scolo una bottiglia di vodka.
- All’andata non hai bevuto.- notò lei.
- Ero troppo agitato per mia madre, bere avrebbe peggiorato la situazione.
- Oh si certo, hai ragione. Guarda che se vuoi bere adesso non è un problema per me!
- No, io preferisco di no.- Sorrise lui, frugando nel suo zaino.
- Come vuoi.
Rica si sistemò meglio contro il sedile e sfogliò la rivista che aveva in mano. C’era qualcosa che non tornava. Il suo intuito infallibile glielo gridava a gran voce.
- Allora ti è piaciuto il Canada?- il suo tono cortese, forzato, come se volesse tornare a tutti i costi alla normalità, le fece accendere la lampadina.
-  Ho capito! Ci sei andato a letto!- la rivista le volò dalle mani e alcuni dei passeggeri si voltarono a guardarli ridacchiando.
- Ica! Maledizione, perché gridi?- Adam avvampò e fece cadere l’Ipod.
- Oh scusa, scusa! Ma è così no? Ho indovinato!- chiese sorridendo.
- Si un certo senso! Cioè non proprio a letto ma comunque il concetto è quello..- ammise lui imbarazzato.
- Oh mio Dio! In bagno! Nel bagno dell’aereo!- esclamò in tono scandalizzato, suscitando altre occhiate e altre risatine.
- Ica! Santo cielo!- gemette lui afferrando una rivista e usandola come scudo per proteggersi dagli sguardi indiscreti.
- E’ così?- insisté lei.
- Si, è così, ma ero ubriaco fradicio! Ora basta parlarne pero!
All'improvviso fu come se le avessero staccato la spina.
Adam era stato con quella bambolona supersexy. Aveva gambe chilometriche e stupendi occhi verdi.
Se quello era il suo tipo lei poteva proprio rassegnarsi.
Eppure dopo quel bacio.. Dopo i momenti vissuti nella sua città, per un po’ ci aveva creduto.
Era stato lo shock, solo quello.
Tornò a concentrarsi sulla rivista non riuscendo però a capire il senso di quello che leggeva, quasi come con Storia dei Partiti e dei Sindacati ai tempi dell’università, solo che quello era un articolo che parlava degli amori di un attore che lei non aveva mai nemmeno visto.
- Ica tutto bene?
- Oh si, si, tutto benissimo.- mormorò cercando di apparire normale.- Pensavo che se vuoi.. Cioè se vuoi andare.. Insomma.. Se hai..
- Cosa stai cercando di dirmi?- le chiese Adam aggrottando la fronte.
Rica sospirò cercando di trovare le parole adatte.
- Solo che se hai.. Cioè se vuoi..
- Sbaglio o adesso sei tu ad essere a disagio?- chiese lui divertito.
- Io? Affatto!- sbottò lei infine.- Insomma se vuoi avere un altro… ehm… incontro con l’hostess vai pure. Tutto qui.
Adam scoppiò a ridere e lei gli lanciò addosso la rivista.
- La smetti di prendermi in giro per favore?- gli chiese lei infastidita incrociando le braccia.
- Mi fai morire Ica. Mi diverto troppo con te! - rispose lui tra le risate, asciugandosi gli occhi dalle lacrime.
- Oh sono felice di riuscire bene nel ruolo di giornale di giullare, io volevo solo essere gentile.- replicò lei piccata.
- Consentendomi di andare con un’altra?
- Perché un ‘altra? Altra rispetto a chi? E poi io non ti devo consentire niente! E’ che non vorrei che ti sentissi obbligato a tenermi compagnia visto che sono venuta con te! Tutto qui!
- Sei gelosa!- bisbigliò lui avvicinandosi con fare cospiratorio.
- Cosa?? Tu sei completamente pazzo! Sicuro di non esserti già scollato la vodka?
- Si sei gelosa!
- Non è vero, smettila!
- Lo sei!
- Credi quello che vuoi! Non ho intenzione di continuare questa conversazione.
- Io lo sono!
- Sei geloso di te stesso? Andiamo bene!- disse lei sogghignando.
- No, di te! Se fosse venuto qui uno stewart  e io sapessi che tu sei stata con lui io sarei geloso.- disse serio, guardandola dritto negli occhi.
Rica rimase a guardarlo a bocca aperta.
- Perché sei stupita? Credevo che dopo l’altra sera avessi capito che ci tengo a te. Non ti avrei implorato di venire con me se non fosse stato così.
- Credevo… insomma… eri scioccato… era una situazione difficile… tua madre…
- Proprio per questo avresti dovuto capire che ero serio. Non avrei mai voluto al mio fianco qualcuno di cui non mi importasse nulla.- lui si avvicinò e le sistemò una ciocca dietro le orecchie.
Gli occhi di Adam erano fissi dentro ai suoi.
Rica si sentiva il volto in fiamma.
Lo vide avvicinarsi lentamente e socchiuse gli occhi.
Poi il rumore di qualcosa che cadeva e una voce che mormorava infastidita li fece sobbalzare.
Era Sally che, spingendo un carrello con delle bevande, aveva urtato contro il sedile di Adam rovesciando una bottiglia d’acqua.
La bambolotta si allontanò indispettita e Rica era sicura che lo avesse fatto apposta.
Tornò a sedersi ritta al suo posto.
- In ogni caso io non conosco nessun assistente di volo.- replicò lei in tono acido ricominciando a sfogliare la rivista.
- La cosa mi solleva.- sorrise Adam, provando a riavvicinarsi.
- Solo qualche ferroviere..- precisò lei in tono allusivo.
- Tu.. Vuoi dire che tu..- Adam iniziò a boccheggiare a corto di fiato.
Era geloso.
Lo era davvero, non riusciva ad immaginarsi lei con qualcuno, in quella situazione, non ci riusciva affatto!
Era geloso davvero, maledizione!
Era peggio di quanto avesse previsto!

Rica lo guardò impallidire e poi scoppiò a ridere, soddisfatta della sua rivincita.
- Piccola vipera! Mi stavi prendendo in giro vero?- le chiese lui ridendo, finalmente davvero sollevato.
- Giusto un po’!
- Allora devi pagare pegno!
Adam si avvicinò alle sue labbra e lei sorrise. Era davvero convinto che baciarlo potesse essere una punizione?
Aveva più l’aspetto di un premio!
Vuoi per caso far ingelosire Miss Hostess tette finte dell’anno?- gli chiese.
Lui si scostò un po‘, pensieroso.
- Non credo che siano finte!- disse infine beccandosi uno scappellotto.- Allora sei proprio gelosa!
- Nemmeno un po’!- gli rispose con aria di sfida.
- Bugiarda!
- Maniaco! Avevo ragione fin dal primo momento vedi?
Adam sorrise e sfregò il naso contro il suo.
- Ti starai zitta prima o poi?
- Non fin quando non avrò finito! Sono un mezzo per scordarti che sei a diecimila metri da terra?
Il viso di Adam si rabbuiò e iniziò ad allontanarsi da lei.
- Se pensi questo io..
- Riuscirai mai a capire che ti prendo in giro? Scemo!- Rica lo afferrò per il bavero della giacca e se lo tenne vicino.
- Tu sei pazza!- mormorò lui.
“Si di te!” lo pensò ma non lo disse perché le mancò il coraggio e perché finalmente lui aveva appoggiato le labbra sulle sue.

Ciao a tutti! Ecco qui il capitolo 31! Spero che vi sia piaciuto! Io l'ho adorato! Strano vero? Questi due mi piaccino molto, si sa, ma in questo capitolo non sono stati meravigliosi?? Spero di essere riuscita a rendere bene quello che sentivo perchè questo capitolo l'ho sentito davvero molto. Come capita troppo spesso ultimamente non sono riuscita a rispondervi e lo odio! Giuro! Mi da fastidio non riuscirci, ma sto aggiornando alle due del mattino dopo una giornata sui libri e ho pensato che lasciarvi il capitolo fosse prioritario, mi impegnerò a rispondere a tutti prima del prossimo capitolo! Promesso! Se non è chiedere molto continuate a lasciarmi i vostri pareri, mi fanno moltissimo piacere! Per quanto riguarda gli errori che sicuramente ci saranno vi chiedo scusa, spero che non vi abbiano creato problemi ma proprio non ho potuto ricontrollare oggi. Quindi siate clementi! :) Spero che comunque il capitolo e la storia vi piacciano e che non vi stia deludendo. Bacioni a tutti! A presto, Manu!
Ahh ecco a voi i nuovi personaggi
Steve
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Tim
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Grazie alla mia buzzy che ogni volta mi fa da consulente :)

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Capitolo 32
*** Sicurissimo ***


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CAPITOLO XXII: Sicurissimo

- Cosa stiamo facendo?
Rica non si era mai drogata in vita sua, mai, nemmeno uno spinello, ma era sicura  che l’effetto degli stupefacenti non dovesse essere poi così diverso da quello che stava provando in quel momento.
Si sentiva la testa confusa ed era come se le mente fosse ricoperta da strati e strati di ovatta che impedivano al mondo esterno di entrare in contatto con il suo sistema nervoso, al resto del mondo eccetto Adam.
Lui era ben presente nella sua mente e nei suoi pensieri, era lui ad assorbire tutta la sua attenzione.
Adam che la guardava, Adam che la stringeva, Adam che profumava di foresta e di libertà, Adam che le sfregava la barba sulla guancia pizzicandola e facendola ridere, Adam che la baciava fino a toglierle il respiro, Adam che le scompigliava i capelli e le accarezzava la punta del naso, Adam che sorrideva e mandava in tilt gli ultimi neuroni che le erano rimasti.
Adam.
Esisteva solo lui.
Il grosso aereo pieno di gente che le stava intorno, i diecimila metri che li separavano dal suolo, i dubbi, Sally con le sue gambe lunghe e la sua coda di cavallo bionda, tutto era stato spazzato via, vaporizzato da quella presenza che in un mese aveva catalizzato i suoi pensieri e ribaltato le sue convinzioni.
Non voleva legami.
Non voleva affezionarsi.
Ed invece ci era caduta dentro senza accorgersene e il legame che sentiva non era frutto di vincoli stabiliti, era scritto nel suo cuore e spezzarlo sarebbe stato difficilissimo.
Non amava Adam.
Sapeva che l’amore era qualcosa che si coltivava con il tempo, che implicava una conoscenza profonda e totale, ma era sulla buona strada per arrivarci e la cosa all’improvviso bussò prepotentemente alla sua mente, facendosi largo tra gli strati di ovatta che ricoprivano i suoi pensieri.
- Cosa stiamo facendo?- chiese di nuovo visto che lui sembrava non aver sentito, troppo impegnato a darle piccoli baci su una guancia, si spostò leggermente indietro, schiacciandosi contro il finestrino dell’aereo per poterlo guardare negli occhi.
- Ci stiamo baciando?- le domandò tra il confuso e il divertito.
- Oh ma và? Non me ne ero accorta!- fece lei ironica.- Perché ci stiamo baciando?
- Perché ci piacciamo?- Adam adesso sembrava sempre più incredulo.
- Ci piacciamo?
- Io di solito non bacio chi non mi piace! E tu?
- Nemmeno io!
- Bene allora possiamo continuare.- si protese di nuovo verso di lei ma Rica lo tenne lontano appoggiandogli le mani sulle spalle.
- Aspetta..
- Ica che succede?- Adam sembrava aver perso il tono divertito e sembrava solo preoccupato.
- Non sta succedendo tutto un po’ in fretta?
- In fretta? Vuoi fare marcia indietro?
- No! No, non mi sto rimangiando nulla, tu mi piaci, è che.. È strano! Io e te su un aereo a baciarci come due adolescenti.. Insomma non lo so..- iniziò a farfugliare lei cercando di trovare una spiegazione logica all’ansia che la stava attanagliando.
Adam si allontanò ancora di più, appoggiandosi allo schienale della sua poltrona e sfuggendo dalla sua presa.
Non sentire più il suo calore le fece correre un brivido lungo la schiena.
Le era mai capitata una cosa simile?
Ci pensò ma non riuscì a ricordarsi di niente di simile.
Per nessuno aveva mai provato tanto trasporto sia fisico che mentale, Adam gli faceva venire voglia di parlare, di raccontarsi, di scoprirsi e mai le era sembrato che qualcuno riuscisse a capire davvero cosa le passava per la testa, cosa provava.
Adam era diverso e non solo perché era bello in un modo che la lasciava sempre senza fiato.
Era come se avesse tanti piccoli ingranaggi che combaciavano con i suoi.
Gli aveva parlato dei problemi con la sua famiglia, del suo sogno di scrivere, delle sue paure, con nessuno era mai stata così vera, con nessuno si era mai sentita così felice, anche se era solo l’inizio.

Adam ritornò ritto per evitare di starle troppo addosso.
Non sapeva quando aveva capito che lei gli piacesse sul serio.
Forse quando aveva visto quelle pantofole a forma di pinguino e si era dimenticato della commessa bella e accondiscendente, forse quando l’aveva vista confusa e smarrita dopo la sbornia, forse quando gli aveva raccontato dei suoi sogni di scrivere, forse la volta al parco quando si erano scontrati e lei lo aveva fulminato con lo sguardo stringendosi il ginocchio sanguinante, forse quando l’aveva vista avanzare sulla navata, impacciata e imbarazzata in quell’abito lilla o forse quando era arrivata di corsa trascinandosi dietro un portabiti e rischiando di rovinargli le sue scarpe preferite.
Lei non sapeva che era lui quella volta, non sapeva che c’era anche lui a quel matrimonio, che l’aveva vista gettare manciate di fiori colorati e avvizziti, rimettere nel bagno dopo aver saputo di Gaia e Matteo, non sapeva che lui aveva macchinato con sua cugina un piano per cercare di non farla deprimere.
Lei non lo sapeva.
E lui non sapeva come e quando si era preso una sbandata per lei.
Quando aveva passato dal considerarla una ragazza qualunque, nemmeno il suo tipo, a sentire il bisogno di baciarla e di averla intorno.
A prima vista lei non lo aveva colpito.
Ma poi piano piano lo aveva conquistato.
Mai prima di allora gli era successa una cosa simile.
Da sempre il suo iter era stato: vedeva una donna carina, la corteggiava, ci finiva insieme.
Con Rica le cose erano andate diversamente.
All’inizio non l’aveva considerata poi mano a mano ai suoi occhi iniziava ad apparire diversa, o era semplicemente lui a iniziare a guardarla sul serio, i suoi occhi erano così scuri e profondi, il suo viso era così bello e pulito.
La sua mano era perfetta nella sua.
Mai nella sua vita era stato un tipo romantico.
Non era innamorato di lei, ma la sentiva molto vicina.
Più vicina di quanto avesse mai sentito qualcuno.
La mano di lei che stringeva la sua nella corsia d’ospedale, quell’abbraccio che gli aveva fatto battere veloce il cuore.
Gli mancava sentirsi legato a qualcuno.
Preoccuparsi della felicità di un’altra persona e se quella persona era Rica gli sembrava giustissimo assicurarsi che fosse felice.
Era troppo presto? Era insensato?
Forse.
In pochi giorni aveva stravolto il suo modo di pensare ma ne valeva la pena.
Non gli era mai capitata una cosa simile, non gli era mai sembrato così giusto ma mai come allora era stato falso.
Le aveva mentito su tante cose e trovare una via d’uscita sembrava impossibile.

Rica vide il lampo di fastidio passare negli occhi di Adam.
Aveva esagerato a farsi prendere dall’ansia in quel momento?
Era tutto così perfetto e l’aveva rovinato!
- Io non lo so se abbiamo corso Ica, forse si, siamo passati in un paio di giorni dall’essere amici a.. a questo.. Ma devi ammettere che non eravamo solo amici da un pezzo, forse non lo siamo stati mai. Io volevo baciarti quella sera della partita a Twist e quella volta in macchina e tante altre volte e se stiamo bene così perché dobbiamo fermarci solo perché è troppo presto?
- Perché potremmo farci male?
Lo disse così piano che se lui non fosse stato così vicino e così concentrato non avrebbe capito.
Aveva paura.
Lei aveva paura.
Era comprensibile.
Dopo tutto quello che aveva passato era più che comprensibile e se doveva essere sincero nemmeno lui si sentiva così tranquillo.
- Se deve accadere accadrà comunque.-Sapeva che non era confortante, sapeva che non era il massimo da dire ma non poteva fare promesse che non sapeva se avrebbe potuto mantenere, era davvero presto per farsi domande sulla strada che avrebbe preso in futuro il loro rapporto, voleva solo continuare a stare con lei.- Non facciamoci pressioni, non mettiamoci barriere, viviamo questa cosa con più naturalezza possibile Ica, ero sincero quando ti ho detto che ci tengo a te, ma sei tu a dover decidere se fidarti o meno.
Rica rimase in silenzio per qualche secondo guardando quegli occhi blu in cui sembrava di poter vedere scorrere i suoi pensieri.
Cercava di essere tranquillo per  trasmetterle tutta la calma che aveva ma sentiva che anche lui era agitato.
- Mi fido.
Due brevi parole che avevano un potere incredibile, Adam tornò a sorridere e lei si sistemò di nuovo nel suo abbraccio, dimenticandosi ancora una volta del mondo intorno a loro.

- C’è un posto libero in un aereo che parte tra tre ore altrimenti non prima di domani sera. - la signorina al bancone della compagnia aerea era gentile e fortunatamente meno smorfiosa di Sally che al momento dello sbarco li aveva guardati scendere mano nella mano con disgusto.
Adam rimase incerto per qualche secondo, quale volo prendere?
Sua madre stava per uscire dall’ospedale, sarebbe dovuto tornare il prima possibile ma non voleva andarsene così, senza il tempo di parlare, di stare un po’ di con lei.
- Quello di domani andrà bene.
- Ma.. - Rica provò ad obiettare ma il sorriso di lui la spiazzò.
Si sarebbe mai abituata a lui?
Dopo le ore di viaggio passate a sbaciucchiarsi come ragazzini alla prima cotta non si capacitava ancora all’idea che fosse successo davvero.
Aveva baciato Adam, lui le aveva detto che lei gli piaceva.
Sembrava tutto troppo irreale e troppo bello per essere vero e le sue labbra non riuscivano a non piegarsi in un sorriso ebete.
Ogni tanto vedeva la sua faccia riflessa in una delle pareti a specchio dell’aeroporto, provava a distendere la bocca ma non ci riusciva, era innaturale come girare il collo di trecentosessanta gradi.

- E’ ora che andiamo a prendere le tue cose, non manca molto al tuo volo. - disse lei cercando di dissimulare la tristezza.
Avevano trascorso il pomeriggio passeggiando per la città.
Si erano separati a notte fonda per dormire un paio d’ore.
Il giorno dopo era domenica e senza che si fossero dati appuntamento si erano incontrati al parco, erano saliti  al Belvedere per vedere l’alba e poi avevano passato la giornata a girovagare come trottole.
Avevano passato la giornata al mare, avevano corso lungo la spiaggia, avevano immerso i piedi nell’acqua limpida e ancora fredda, avevano mangiato gelati e noccioline e avevano riso come pazzi.
Era così facile scordarsi del mondo e vivere in una bolla di perfezione, ma il cielo iniziava ad ingrigirsi e il sole stava sparendo lentamente dietro la montagna.
Era ora di accompagnare Adam a casa a prendere le sue cose, salutarlo e vederlo imbarcarsi sull’aereo.
Quanto sarebbe rimasto in Canada?
Non glielo aveva chiesto.
Si sarebbero sentiti mentre lui era via?
Non glielo aveva chiesto.
La loro storia era stata una parentesi?
Non glielo aveva chiesto.
Non aveva il coraggio di fargli domande.
Lo aspettò in macchina e cercò di non farsi prendere dall’ansia.
Quando lo vide uscire con una trolley e uno zaino porta computer si stampò in faccia un sorriso finto, totalmente diverso da quello felice e idiota che aveva fino a qualche momento prima.

- Allora ciao!
Rica non era brava con i saluti.
Era stato tutto così naturale in quella giornata passata insieme e all’improvviso sembrava essersi inclinato qualcosa.
- Mi saluti così? Solo un: allora ciao!
- Gli addii non sono il mio forte..- disse lei stringendosi nelle spalle.
- E’ un arrivederci.
Tutto l’imbarazzo si dissolse nel suo abbraccio e nel bacio che si scambiarono.
Poi lui si allontanò, poco prima di fare il checkin si voltò a salutarla per l’ultima volta con la mano.
Non gli aveva chiesto nulla e lui non le aveva spiegato nulla.
Non erano rimasti in nessun modo.
Lui sarebbe rimasto in Canada settimane, forse mesi e lei non sapeva che ne sarebbe stato del loro rapporto.
Gli aveva detto che si fidava di lui ed era vero.
Era vero, anche se in fondo in fondo un po’ di paura ce l’aveva lo stesso.
Non le piaceva vivere nell’incertezza e nemmeno fare mille piani.

Perché non le aveva detto niente?
Si erano salutati in preda all’imbarazzo.
Perché non le aveva detto niente?
Non avevano fatto altro che parlare, per giorni e giorni e proprio nel momento in cui avrebbe dovuto parlare era rimasto in silenzio.

Aveva appena avviato il motore e stava per uscire dal parcheggio quando il suo cellulare iniziò a squillare, frugò nella borsa, ma lì dentro c’era un macello, frugò e frugò ma quando riuscì a trovarlo la suoneria si interruppe.
Adam.
L’aveva chiamata.
Schiacciò il tasto verde e lui rispose al primo squillo.
- Mi mancherai.- lo disse d’un fiato ed era vero.
Le sarebbe mancata davvero.
- Anche tu.
- Non so quanto resterò via, non vorrei, o meglio non vorrei essere costretto a non vederti per tutto questo tempo solo che devo andare.
- Spegnere i cellulari, stiamo per decollare.
La voce dall’altro lato della cornetta li interruppe, una voce melodiosa e riconoscibilissima.
Rica drizzò le antenne.
- Era Sally?- chiese senza riuscire a dissimulare il disappunto.
- Si.
- Capisco.
- Adam! Devi mettere via quel cellulare, adesso!
- Un minuto.
Era possibile essere gelosi del suono che il suo nome aveva nella voce di una hostess fin troppo disponibile?
A quanto pare si, visto l’attacco di acidità di stomaco che le era preso all’improvviso.
- Ti chiamo non appena arrivo.
- Adam..
La voce impaziente e fin troppo confidenziale della biondona interruppe di nuovo la conversazione e Rica si affrettò a chiudere la conversazione prima che l’impulso omicida si facesse largo in lei e la spingesse ad eludere tutti i controlli e le barriere solo per andarle a staccare la coda di cavallo.
- Va bene, fai buon viaggio e Adam.. Non bere vodka!
Sentì il suono della sua risata dall’altro lato del cellulare e sorrise a sua volta.
- Sei proprio gelosa vedi?
- Più di quanto immagini.
- Almeno l’hai ammesso! Ci sentiamo tra qualche ora.
- Sono circa dieci.- precisò lei.
- Non farmici pensare.- gemette lui- O sarò costretto a bere davvero!
- Contento tu…- replicò lei acida e sentì ancora il suono caldo della sua risata.
- Chiudo davvero, Hitler in gonnella mi guarda male, Mi mancherai davvero Ica.
- Purtroppo anche tu, Casanova!

Non sarebbe stato facile abituarsi a stare senza di lui e non sarebbe stato facile nemmeno pensare che quella  smorfiosa gli avrebbe girato intorno per tutte quelle ore.

Sally gli passò accanto sorridendo malizioso e lui scosse la testa divertito.
Un tempo quelle situazioni gli piacevano.
La vide tornare con una bottiglia di vodka alla pesca, la sua preferita.
- Adesso che sei da solo ne avrai bisogno, se hai paura posso tenerti io la manina.
Adam rimase in silenzio per qualche secondo, stupito e divertito al tempo stesso.
Non c’era limite alla sfacciataggine.
Si era chinata verso di lui e poteva sentire il suo respiro che gli solleticava l’orecchio.
- Te l’ho detto, non mi va più, ho superato la paura di volare e non sono più libero come quando ci siamo conosciuti.
- Io non sono gelosa.- ammiccò lei.
Non riusciva a capacitarsi del fatto che qualcuno potesse dirle di no?
- Beh lei si.
- Non è necessario che lei lo sappia, non è qui o sbaglio?
- Sbagli invece, certo che è qui, con me. - replicò lui iniziando a spazientirsi.
Sally si raddrizzò e lo guardò con stesso sguardo disgustato che aveva rivolto a lui e a Ica vedendoli mano nella mano.
- Se ne sei sicuro.
- Sicurissimo.- sorrise e si infilò le cuffie concentrandosi sulle nuvole che scorrevano accanto all’aereo.

Ed eccomi qua con un nuovo capitolo! Ho fatto presto vero? Ieri sera ho iniziato a scriverlo e stasera ho finito così mi sono detta perchè no? E' stato un capitolo diverso rispetto al precedente, un po' meno frenetico ed è una cosa assolutamente voluta, una persona saggia mi ha detto che l'amore non ha bisogno di avvenimenti ma di momenti e qui ci sono tanti piccoli momenti. Innanzitutto questi due la smettono per un secondo di stare appiccicati(che cariniiiiiiii) e parlano e ho voluto farli scoprire un po', farvi conoscere i loro sentimenti e le loro emozioni, ci sono dentro entrambi e volevo rendervi partecipi :P Che ve ne pare? Spero non vi sia sembrato troppo diabetico! Come sempre sono prontissima a leggervi. : )
Ma lo sapete che tra chi ha messo la storia tra preferite ricordate e seguite siete, in questo momento 207? Cioè 207 persone che leggono la mia storia! Non è incredibile? E che ci sono 10 persone che mi hanno aggiunto tra gli autori preferiti? Voglio ringraziarvi tutti, ad uno ad uno e dirvi che mi fa un piacere immenso rubarvi qualche minuto della vostra attenzione, grazie per il tempo che mi dedicate! Le risposte alle recensioni arriveranno a breve. Bacini, Manu!
Ah eccovi Sally!
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Capitolo 33
*** Bentornato ***


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CAPITOLO XXXIII: Bentornato

Il tempo in primavera inoltrata scorre veloce, ticchetta negli orologi, scivola sui pomeriggi assolati mentre i primi grilli e le prime cicale iniziano a farsi sentire nel parco vicino casa e viene voglia di camminare e mangiare gelati e ridere e correre sulla spiaggia e far volare aquiloni e star sdraiati su un prato che profuma di fiori.
Il tempo è sempre volato via per me in primavera, mi sono sembrate sempre troppo brevi quelle lunghe giornate tiepide, non ne ho mai avuto abbastanza.
Eppure adesso il tempo si è fermato.
Non sento più il ticchettio incessante dell’orologio e respirare l’odore dell’erba e del mare non mi sembra poi così attraente.
Mi manca quell’odore di foresta. Mi manca Adam, la sua presenza e la sua risata di gola e il suo tono ironico e divertito e i suoi occhi troppo blu e il suo sorriso troppo bianco e lo stormo di gabbiani che inizia a fluttuarmi nello stomaco quando mi appare davanti all’improvviso, altro che piccole e delicate farfalle, qui tutto inizia a volteggiare e non riesco più a capire che fine abbia fatto il cuore, forse al posto della milza o ingarbugliato all’intestino.
Non so, sono sicura solo che non sia al suo posto.
Ho scoperto che odio la domenica mattina e che il caffè di Mario non è più così buono se so che lui non sarà lì ad aspettarmi con le sue magliette scolorite e il suo sorriso del buongiorno.
Adesso il tempo sembra essersi dilatato e le lancette non sembrano più così attive, è come se tutto andasse al rallenty.
Il lavoro, i pomeriggi con Fran che non fa che parlare di Carlo e struggersi perché lui sembra essere troppo cauto e restio a lasciarsi andare nonostante lei lo tenti in ogni modo.

Rica lasciò la penna tra le pagine spesse del diario e si rannicchiò contro il cuscino chiudendo gli occhi e cercando di prendere sonno.
Erano le sei e mezza di una domenica di maggio, poteva vedere il sole entrare dalle persiane semichiuse.
Sarebbe stata una bella giornata.
Il parco doveva essere già affollato di gente che correva con le cuffie alle orecchie e gli occhi ancora assonnati.
Tanta gente, tranne lui.
Si sentiva molto una di quelle donnette dei libri rosa di terza categoria che non respiravano nemmeno senza il loro aitante e prestante “uomo che non deve chiedere mai”.
Le mancava Adam.
Da quanto tempo non le mancava seriamente qualcuno?
A parte la sua famiglia.
Loro le mancavano sempre.
Prima o poi avrebbe dovuto risolvere.
Con il matrimonio di Gaia alle porte era inevitabile ed era anche stanca di vivere da diseredata.
Chiuse gli occhi e si sforzò di  addormentarsi.
Ma nulla.
Buttò per aria la coperta e si alzò.
Uscire per la solita passeggiata sarebbe stato deprimente ma costringersi a dormire solo per sognarlo e sentire la sua voce lo era ancor di più.
Da quando se ne era andato, due settimane prima, si erano sentiti per mail e per messaggi.
Mai una chiamata.
Perché?
E soprattutto perché lei si sentiva così frenata?
Rispondeva alle sue domande, gli raccontava velocemente le sue giornate, parlava del lavoro, delle mille avventure, persino dei deliri di Fran ma mai nulla oltre.
Come due cordiali conoscenti che si tengono aggiornati sulle rispettive vite.
Avrebbe voluto sentire la sua voce e dissipare ogni dubbio, non farsi problemi, chiamarlo e dirgli solo “ Mi manchi”.
Ma no, taceva.
Parlava del nulla e taceva.

Fran trotterellava verso il complesso di villette a schiera in cui abitavano la sua migliore amica e l’uomo della sua vita.
Carlo era l’uomo della sua vita.
Lo sentiva da come il cuore le batteva veloce contro la gabbia toracica ogni volta che stava con lui.
Non le era mai successo.
Mai.
Mai, in anni e anni di relazioni intense e sentite, aveva avvertito tutto quel trasporto e quella sensazione di completa appartenenza verso qualcuno con cui non stava nemmeno.
Lui era sempre gentile, rideva, scherzava, l’aveva invitata fuori per una pizza e per alcune pause pranzo e passava più tempo nel suo ufficio che nel proprio, parlavano di lavoro, è vero, ma sentiva che non era solo quello.
O forse era solo la sua immaginazione.
Forse era solo stanca di stare sola, di accontentarsi dei ritagli di tempo e dell’amore scaduto di Marco.
Forse aveva solo bisogno di attenzioni, di sentirsi importante per qualcuno.
Forse si, molto probabilmente si.
Ma leggeva negli occhi di lui qualcosa che le faceva tremare le gambe.
Eppure lui non si lasciava andare.
Mai.
Una volta, scostando una sedia durante una riunione, le aveva sfiorato una mano ma si era ritratto così velocemente che lei si era chiesta se era stato solo una sua immaginazione.
Le aveva raccontato della fine della storia con la madre di Bianca ma non era mai sceso nei dettagli.
Era una situazione insolita, inusuale per lei che era stata sempre abituata a rapporti diretti, schietti.
Quella situazione di equilibrio precario la destabilizzava e non era da lei lasciarsi destabilizzare.
Per la prima volta in vita sua un uomo le aveva tolto l’appetito e il sonno.
Lei che avrebbe potuto mangiare fino a scoppiare se non avessero inventato quelle diavolerie chiamate costumi da bagno e dormire per giorni se non avessero inventato quelle diavolerie chiamate sveglie.
Quella domenica mattina, era uscita di casa alle sette e mezza, avrebbe fatto compagnia a Rica nella sua passeggiata e poi sarebbe passata a salutare Carlo.
Aveva già il dito sul campanello della sua amica e stava per premerlo, quando due porte accanto, proprio quella dell’uomo della sua vita, si aprì e ne uscì una donna.
E non una donna qualsiasi.
Quella donna.
La donna.
La ex.
C’è peggio di una ex?
Come competere con una che ha vissuto anni, situazioni, momenti, emozioni con la persona che vorresti trascorresse il resto della sua vita con te?
Chiunque, anche la più determinata e sicura di sè, barcolla davanti ad una ex e che ex!
Eva era femminilità e la bellezza fatta persona.
Aveva un sorriso che le illuminava il volto, un sorriso che le aveva appena rivolto prima di fluttuare via sulle sue scarpe alte e all’ultima moda.
Fran non era un tipo che si lasciava abbattere, che si lasciava intimidire, ma vedere quella donna uscire a quell’ora del mattino con quel sorriso stampato in faccia le mandò gli ultimi neuroni in corto circuito.
Si avvicinò alla porta e bussò come un’ossessa.
- Eva hai dim.. Fran?- Carlo in pigiama blu e faccia ancora stropicciata dal sonno la guardò stralunato.
- Hai visto bene, non sono Eva, sono solo Fran! - esclamò, si sentiva le guance in fiamme e sentiva che gli occhi le sarebbero schizzati fuori dalle orbite da un momento all’altro.
- Tutto bene?
- No tutto bene un corno! Io ti vengo dietro da settimane e tu.. E tu non fai niente per dissuadermi! Mi assumi  a scatola chiusa, sorridi con quelle stupide fossette che ti ritrovi, sogghigni, ammicchi, mi fai credere che sei lì lì per darmi corda, che ti fa piacere avermi intorno, ti becco a fissarmi quando credi che io non ti stia tenendo d’occhio e quando mi volto verso di te ti giri e fai come se non esistessi, poi mi sorridi di nuovo, mi sfiori, mi ascolti con quell’espressione concentrata, mi confondi, mi fai sperare e io ci casco e ci credo e mi illudo come mai nella mia vita e non ho più fame e non ho più sonno e mi perdo nei labirinti dei miei castelli in aria come la più sfigata delle dodicenni e tu.. E tu torni con la tua ex che sembra appena scesa da una passerella di Victoria’s Secret e mi apri la porta con quella faccia soddisfatta e assonnata!
- Fran..- iniziò lui, confuso, incuriosito e forse anche un po’ sbalordito.
- No, Fran nulla! Io non ci sto più a fare la seconda, ad essere il ripiego, il passatempo, io non capisco cosa ti dia, cosa vi dia, il diritto di pensare che io me ne stia sempre lì, buona buona, ad aspettare, ad elemosinare un po’ di tempo, un po’ d’affetto. Non sono disposta a farlo, nemmeno per te.
- Io non avevo idea che tu fossi la mia amante!- sorrise lui.
- Sorridi? Cosa ci sorridi? Hai stancato con questi occhi e questa espressione da bello e quasi possibile. Sei peggio di Marco, almeno lui non faceva mistero di essere stronzo!
- Sono stronzo?
- Si! In maniera subdola e meschina, io mi sono innamorata di te e tu..
- Ti sei innamorata di me?- la interruppe lui stralunato.
- Si maledizione perché credi che abbia quasi sfondato il tuo portone e ti stia urlando contro?
- Pensavo che mi odiassi non che mi amassi!
- Vedi? Non sai proprio nulla di donne! O è il tuo ruolo di playboy che ti impone questa indifferenza? Le donne urlano sempre contro gli uomini che amano, con quelli di cui non gli importa nulla sono sempre silenziose!
- Non sono tornato con Eva.
- Cosa?- era lei ad essere stralunata adesso.
- Non sono tornato con la mia ex. Bianca ha dormito da lei ieri sera e me l’ha riportata questa mattina perché deve partire. Non sfila per Victoria’s Secret ma è davvero una modella, l’ho conosciuta durante una campagna pubblicitaria che ho organizzato, ci siamo messi insieme, è nata Bianca e siamo rimasti insieme per cinque anni, ma è tutto finito. E’ stata dura da accettare ma è finita davvero.
- Oh io ho pensato che..- balbettò lei, arrossendo.
- Che fossi tornato con lei e che ti stessi incoraggiando per farti diventare la mia amante!
- Non volevo dire questo io..
- Certo che volevi dire questo!- sorrise lui.
- Beh forse si ma..
- E sei innamorata di me.
Era serio adesso, l’ombra del sorriso era sparita. Cosa aveva fatto?
C’era bisogno di spiattellare tutto così?
- Non avrei dovuto dirlo.- mormorò.
- In quel fiume in piena è stata l’unica cosa sensata che tu abbia detto. Io non lo so se sono pronto per una nuova storia Fran, forse è troppo presto, ho bisogno di riorganizzare la mia vita. Di costruire uno spazio per me e mia figlia..
- Lo capisco. Davvero. Scusami per questa scenata, non ne ho nessun diritto, non ho diritto di arrabbiarmi per quello che fai, non dovresti neppure darmi spiegazioni, è un problema mio, forse ho solo capito male, ho proiettato nei tuoi atteggiamenti le mie aspettative. Non è un periodo facile nemmeno per me. Mi dispiace. Domani darò le dimissioni e volteremo pagina.
- La smetti di parlare a vanvera per favore? Non ho detto che ti sei sognata tutto, io ti ho davvero assunta a scatola chiusa,  ho sogghignato, ammiccato, mi fa davvero  piacere averti intorno, ti ho fissata quando credevo che non mi stessi tenendo d’occhio, ti ho sfiorata, ascoltata con espressione concentrata, ho sperato che tu sperassi e ci cascassi e ci credessi. Ti sto dicendo che non è una situazione facile la mia e che ho una paura incredibile di fallire di nuovo e di stare male, non che voglio rinunciare a te.

Rica stava per uscire quando qualcuno bussò come una furia alla sua porta.
- Ma cosa succede?
Aprì e si trovò davanti quella pazza della sua migliore amica.
- Ho bisogno del tuo aiuto!
- Che è successo?- le chiese preoccupata.
- Io e Carlo ci siamo messi insieme, in un certo senso. Insomma abbiamo bisogno di andarcene da qualche parte per un po’ e vorremmo che ci tenessi Bianca fino a pranzo, poi la accompagni dalla sua amica Emma, resterà lì fino a domani e per allora noi saremo tornati.
- Tu e Carlo vi siete messi insieme? Quando?
- Prima! Stavo venendo qui da te e ho visto Eva e allora..
- Eva? Che c’entra Eva adesso?
- Oh è una storia lunga e complicata. Stai o no con Bianca?
- Certo, certo. Dov’è lei?- annuì lei rassegnata.
- Dorme.
- Ma io stavo.. Va bene, va bene!- cedette lei davanti agli occhi da cucciolo dell’amica.

Qualche ora dopo Rica era finalmente al parco e stava davvero facendo volare un aquilone.
O meglio l’aquilone stava volando fino a qualche minuto prima quando una folata di vento improvviso l’aveva spinto su un albero facendolo ingarbugliare, adesso lei se ne stava a fissare impotente il gabbiano di carta appollaiato sul ramo.
Come fare per recuperarlo?
Più tirava il fino di nylon trasparente più la situazione si aggravava e rischiava di rovinarlo definitivamente.
Era totalmente immersa nelle proprie riflessioni quando la vocetta di Bianca e soprattutto la parola che aveva pronunciato la fecero trasalire talmente tanto che avrebbe potuto benissimo tirare giù l’aquilone da sola.
- Adam!
Si voltò lentamente, non poteva essere!
Lui era in Canada.

Adam varcò il cancello di ferro del parco e la vide subito.
Era in piedi, sotto un albero, non riusciva a vederla in viso ma era sicuro che fosse imbronciata e infastidita.
Un aquilone ingarbugliato ai rami.
Sorrise, le sarebbe arrivato alle spalle, l’avrebbe abbracciata e avrebbe sussurrato “sorpresa”.
Era tornato da nemmeno un’ora ed era andato dritto al parco, sapeva che lei doveva essere lì a quell’ora, magari seduta sul prato a scrivere.
Non aveva previsto di vederla mandare maledizioni silenziose ad un aquilone ingarbugliato ad un ramo e, soprattutto, non aveva previsto la presenza di Bianca che urlò il suo nome mandando all’aria la sua sorpresa.
Era tornato perché le mancava, perché voleva sentire il suo profumo, perché voleva essere assolutamente egoista, una volta nella sua vita, e pensare solamente a sé stesso e a lei, naturalmente.
- Adam!
Bianca gli corse incontro e lui  la sollevò, baciandole una guancia, non smettendo di guardare Rica che si voltava lentamente, come se si aspettasse di trovarsi davanti un fantasma.
- Sorpresa!- disse lui avvicinandosi e sorridendo della sue espressione sbalordita.

Era quasi ora di pranzo.
Avevano trascorso la mattina al parco, Adam aveva fatto salire Bianca sulle proprie spalle avevano recuperato l'aquilone lo avevano continuato a farlo volare per qualche ora.
Rica si sentiva strana, quella mattina aveva desiderato con tutto il cuore averlo accanto ma adesso, con lui era lì si sentiva ancora più frenata che per mail.
Non sapeva come comportarsi, cosa aspettarsi.
Lei si era voltata a ricevere il suo bacio sulla guancia, gli aveva chiesto del viaggio, avevano parlato del nulla e Rica sentiva crescersi un vuoto dentro.
Cosa stava succedendo?
Perché all’improvviso erano riaffiorati tutti i dubbi, tutte le paure?
Sentiva come una nota stonata ma non riusciva ad identificarla.
Avevano appena lasciato Bianca da Emma e camminavano in silenzio, non sapevano nemmeno dove stavano andando di preciso.
- Va tutto bene?- chiese lui calciando un ciottolo che rotolò via.
- Si tutto ok. Tu?
- Si può sapere perché mi eviti? E’ successo qualcosa mentre ero via? Parla Ica, ho il diritto di saperlo!- esplose lui.
- Ti voglio ma ho paura di volerti!- ammise lei alla fine a mezza voce, non sapeva nemmeno da dove le era uscita quella frase.
Guardò Adam, il suo respiro che si mozzava e lo sguardo fisso nel suo che si faceva ancora più attento, concentrato. La fronte corrugata, come se stesse pensando qualcosa di complicato o di brutto.
Rica era certa che le avrebbe riso in faccia.
Era la dichiarazione più stupida e più strampalata del mondo ma era la verità.
Voleva Adam, lo voleva davvero e la cosa la spaventava.
- Anch’io ho paura di volerti Ica- disse infine, semplicemente.- Ho più paura di quanto pensassi, ho più paura di quanto tu possa immaginare, ma ti voglio e questo è più forte della paura.
Adam parlò guardandola negli occhi, mettendosi a nudo.
Era spaventato quanto e più di lei.
Era iniziato tutto per un gioco e si era incasinato.
Rica, Ica, come preferiva chiamarla lui, lo aveva sorpreso e disarmato, lasciandolo indifeso.
Non sapeva come avrebbe potuto spiegarle la situazione, non ne aveva ancora il coraggio ma sapeva di non star facendo più un favore a Fran e forse non era stato mai solo quello.
Quella consapevolezza riuscì a spaventarlo ancora di più, ma capì che non poteva farci nulla.
Doveva lasciarsi andare e doveva farlo anche lei.
Rica lo guardò in quegli occhi così blu, aveva un’espressione irresistibile, combattuta e confusa, come un bambino contrariato.
Un sorriso le incurvò le labbra e in risposta sorrise anche lui, aprendo le braccia.
Lei gli saltò in braccio arpionandosi come un koala.
Adam rise. Rise di cuore, camminando verso la porta di casa sua, che nel frattempo avevano raggiunto, con lei in braccio.
In quelle due settimane gli era mancata in un modo che non aveva previsto.
Ed ora eccola lì, con lui, tra le sue braccia, con il cuore sul suo, che batteva impazzito al ritmo di quello di lei.
- Mi sei mancato.- gli sussurrò lei all’orecchio, sorridendo felice.
Era come se gli avesse letto dentro, era come se i loro pensieri, i loro cuori, viaggiassero sulla stessa onda, legati a doppio filo.
- Anche tu, non sai quanto.
Appoggiò la fronte contro la sua, i loro nasi che si sfioravano, i loro occhi erano fusi, le loro bocche erano separate solo da pochi millimetri e i loro respiri diventavano un respiro solo.
- Bentornato!


Ed eccoci qui, è passato quasi un mese lo so! Scusatemi! Ma ho dato le ultime materie e finito la tesi ed è stato davvero un periodo troppo frenetico, per quanto lo volessi, per quanto questi due bussasero insistentemente alla porta dei miei pensieri non ho proprio potuto accontentarli. Scusatemi tutti per l'attesa, spero che ne sia valsa la pena. Che dite di questo capitolo? Troppo dolce?  Ditemi, sono tutta orecchi, anzi occhi in questo caso. Come sempre grazie ancora a chi aggiunge la storia alle seguite, preferite e ricordate, siete cresciuti ancora immensamente, grazie a chi mi ha inserito tra gli autori preferiti, anche qui siete aumentati, che onore! L'ultimo capitolo ha avuto visite record! Che dire? Mi sembra un periodo "quasi" perfetto! :) Alle recensioni risponderò a breve, promesso. A presto, spero, se vi va fatemi sapere! Bacini, Manu!
Ecco EVA

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Capitolo 34
*** Insieme ***


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CAPITOLO XXXIV: Insieme



Esistono momenti così perfetti che anche solo aprire gli occhi rischia di rovinarli.
Esistono emozioni così forti che anche solo aprire gli occhi rischia di rovinarle.
Rica era sveglia da un solo secondo, un secondo che si era riempito dei particolari della notte passata con Adam.
Poteva sentire distintamente il battito del cuore di lui sotto il suo orecchio.
Cosa sarebbe successo una volta aperti gli occhi?
Era solo un sogno?
Lui si sarebbe dissolto come nebbia o sarebbe stato davvero lì, con lei?
Socchiuse le palpebre e lo vide.
La testa appoggiata al cuscino azzurro, l’espressione rilassata, dormiva.
C’era ancora. Era tutto vero.
Si soffermò a studiare il suo profilo, la linea morbida delle guance ricoperte dalla barba, le ciglia lunghe, le labbra piene e morbide e all’improvviso i suoi occhi, inspiegabilmente e incredibilmente blu, si spalancarono in quelli di lei.
- Questo vuol dire che stiamo insieme?- mormorò con la voce ancora arrochita dal sonno.
- Ma come hai fatto a capire che ero sveglia se non hai nemmeno aperto gli occhi?- chiese troppo stupita per afferrare il significato delle sue parole.
- Ero sveglio da un po’ e ti ascoltavo respirare..
- Mi ascoltavi respirare?
- Si.
Poteva essere così bello anche con la faccia stropicciata dal sonno e gli occhi semichiusi? Con la barba lunga e i capelli per aria?
Evidentemente si, perché mai come in quel momento gli era sembrato così bello.
Mai.
Il cuore le pulsava velocissimo nel petto.
Cos’era quella sensazione che sentiva?
- E’ un modo carino per dirmi che russo?- chiese scherzando.
- No. - sorrise lui.- Non russi. Ti ascoltavo respirare e quando il suono del respiro è cambiato ho capito che eri sveglia. Mi piace svegliarmi così.
- Così come? Con me che ti ronfo in un orecchio?- sorrise lei, imbarazzata.
- Ancora? Ti ho detto che non russi! Svegliarmi così!- precisò lui indicando con un gesto della testa lei che gli appoggiava la testa sul petto e le sue braccia che la stringevano.
- Ti piace svegliarti così con me o svegliarti così in generale?
Glielo aveva chiesto davvero? Perché non si era morsa la lingua? Che domande erano?
- Tu cosa pensi?- le chiese lui con un’espressione tanto furba quanto irresistibile.
Bene cosa rispondere adesso?
- Io penso che vorrei che tu intendessi svegliarti così con me, perché a me piace molto svegliarmi così, con te.
Le sue labbra quella mattina sembravano avere vita propria. L’aveva formulata lei quella frase?
- Bene è proprio quello che intendevo e questo ci riporta alla domanda che ti ho fatto io prima e a cui non ti sei degnata di rispondere.
- Quale domanda?- chiese lei stupita.
- Questo vuol dire che stiamo insieme?- ripeté lui a voce bassa, guardandola negli occhi.
- Tu cosa pensi?- sorrise lei.
Adesso toccava a lui dare qualche risposta.
- Io penso che vorrei che tu volessi questo, perché è quello che vorrei io. - disse lui copiandole la risposta di poco prima.
Lei gli gettò le braccia al collo e gli nascose la faccia nell’incavo del collo.
Non si fidava più delle parole.
Insieme.
Stavano insieme.
Lui voleva stare con lei.
Con lei.
- Lo sai che ho passato la notte più bella della mia vita?
Lo guardò negli occhi, si sentiva come se qualcosa le stesse togliendo il fiato, un enorme grumo di felicità che impediva ai suoi polmoni di ventilare.
Sarebbe morta per asfissia e tutto per colpa di un uomo bellissimo e assolutamente perfetto!
- Ma come fai?- ansimò alla fine.
- Come faccio cosa?- chiese lui perplesso.
- Ad essere così assolutamente perfetto! A dirmi sempre quello che vorrei sentirmi dire, a rendermi così felice?
- Io non faccio proprio nulla. Se davvero ti faccio stare così bene è solo perché anch’io sto davvero bene, come non lo sono mai stato in vita mia..

Bene.
Bene era poco.
Bene era banale.
Bene era riduttivo.
Lui non stava semplicemente bene.
Stava alla perfezione!
Era felice!
Felice come non era da tempo, felice come, forse, non era stato mai.
Non sapeva quando era successo, né perché, non  sapeva con esattezza cosa lei avesse più delle altre, era tutto. Tutto!
Tutto in Ica lo faceva stare bene e lo emozionava, il suo modo di abbracciarlo, di nascondergli la faccia contro il collo quando era contenta e imbarazzata, il suono del suo respiro, un suono che lo tranquillizzava e lo rendeva felice.
Poteva essersi innamorato del suo respiro?
Poteva essere arrivato al punto di non volersi alzare?
Da non voler aprire le porte al mondo?
Da non voler ricordarsi del modo vile in cui tutto era iniziato?
Quello era l’unico pensiero che poteva intaccare la perfezione assoluta di quel momento.
Svegliarsi con lei accanto poteva diventare una piacevole abitudine.
Lo aveva mai pensato prima di una sua fidanzata?
Mai!
E allora cosa era diverso? Cosa era cambiato?
Lei era diversa e lui stesso non era più quello di prima.

Ma alla fine bisogna alzarsi, bisogna uscire da quella bolla di perfezione ed esclusività per vivere la vita di tutti i giorni.
Ma il sole splende di più quando si è felici, il cielo è più azzurro e il mare scintilla di più.
Adam la accompagnò a lavorare con il suo maggiolone blu, cantando vecchie canzoni di Battisti, con il finestrino spalancato e l’aria tra i capelli.
- Allora vado.
- No, solo altri due minuti!- Adam la acciuffò per la vita e la trattenne ancora in macchina.
- Adam, a furia di stare altre due minuti siamo qui da venti minuti e sono già in ritardo di mezzora.
- Oh le donne in carriera! Hanno sempre fretta! - sorrise lui baciandole il collo e lasciandola libera.- Vai su, prima che cambi idea.
- O prima che la cambi io e mandi tutto all’aria definitivamente!- gli diede un bacio velocissimo e sfuggì dalle sue braccia che tentavano di nuovo di trattenerla.
Gli fece ciao con la mano e si avviò trotterellando verso il pesante cancello di ferro.
Seguire i noiosi appuntamenti quel giorno gli sembrò meno pesante del solito, nonostante controllasse l’orologio ogni cinque minuti per fare il conto di quante ore la separassero da Adam.
Stavano insieme.
Adam.
Un ragazzo meraviglioso che aveva incontrato per la prima volta per un incidente al parco, a cui aveva sbattuto un portone in faccia, che l’aveva vista con gli occhi lucidi per la febbre,  a cui aveva raccontato dei problemi con la sua famiglia e tutti i suoi sogni nel cassetto, che aveva assistito ai suoi pianti per un film, che l’aveva vista ridere fino a soffocarsi, con cui non aveva mai recitato una parte, con cui era semplicemente sé stessa.
Nemmeno sentire il tono arrogante e spocchioso di Sidney la infastidì più di tanto e il capo arrivò a farle anche qualche complimento.
Decisamente quella doveva essere la sua giornata.
Uscì dall’ufficio quando il sole era ormai basso sull’orizzonte e nell’aria c’era un piacevole profumo di erba e di primavera.
Il momento perfetto per una passeggiata mano nella mano sulla spiaggia, per bagnarsi i piedi e per stare insieme.
- Rica!
Ma quella voce fece crollare tutti i suoi progetti.



Ok lo so è passato un mese, avete tutto il diritto di odiarmi, lo capisco… Posso usare come scusante il fatto che il 13 mi sono laureata e che tra una cosa e l’altra non ho avuto tempo? Scusatemi, so anche che il capitolo è abbastanza corto e che di significativo non accade molto ma purtroppo tempo fa, ancora prima della laurea avevo già progettato e scritto questo capitolo, per un mio errore è andato tutto perso e mi sono messa a riscriverlo più volte, ho cercato di rendere quello che ho sentito scrivendolo la prima volta ma ogni volta resto a fissare la pagina bianca e niente.. Più di questo non sono riuscita a produrre.. Ci siamo goduti le coccole della nuova coppia che inizia solo adesso ad inquadrare e a cercare certezze.. Ci faranno penare ancora un po’ temo, ma ci avviciniamo inesorabilmente alla fine.. Pian piano dovremo fare i conti con la realtà.. Intanto chi è che interrompe i sogni a occhi aperti di Rica? Idee? Minacce? Insulti? Fate pure, non trattenetevi. Se vi va, come sempre sono prontissima a leggere i vostri pareri, a presto, spero! Bacioni Manu!

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Capitolo 35
*** Gente che viene, gente che va.. ***


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CAPITOLO XXXV: Gente che viene, gente che va..

Ordine.
Bisognava riportare ordine.
Era giunto il momento di mettere fine a quella storia.
Durava da tanto, troppo tempo.
Era davvero arrivata l’ora di piantarla.
Lo diceva già da qualche mese solo che non aveva mai trovato il coraggio di affrontare tutto, di bussare a quella porta e parlare.
- Ho bisogno di parlarti.
E così era venuto lui.
Non aveva pensato nemmeno un secondo che potesse farlo.
Lui che era ancora più testardo di lei, che piuttosto che ammettere di aver sbagliato si sarebbe fatto estirpare un rene.
- Dammi solo un minuto.
Si avvicinò alla macchina in cui Adam la stava aspettando con un sorriso teso.
- Ciao!- la accolse lui in tono incerto, doveva aver capito che qualcosa non andava.
- Ciao! Possiamo vederci dopo? Devo andare..
- Va tutto bene?
- No, non molto, ma fa niente. Ti chiamo più tardi.
Adam si sporse a baciarle una guancia e lei socchiuse gli occhi.
La sua bolla di felicità, di perfezione.

La fece accomodare in casa, non c’era nessuno a parte loro e lei non poté fare a meno di curiosare in giro, notando che niente era cambiato con il tempo. Prese un libro da una mensola, c’era ancora la sua impronta di cioccolato sulla penultima pagina, lo mise al suo posto e scrutò attentamente una vecchia foto poggiata sul caminetto.
- Eri convinta di poter continuare così per tanto tempo? Di tenere la testa nascosta sotto la sabbia in eterno?- il suo tono di voce era sempre lo stesso, il modo di calcare sulle c e di indugiare sulle s, le mani perennemente infilate nella tasca dei pantaloni sportivi.
- Potrei dire la stessa cosa. - mormorò lei.
- Ma alla fine sono  stato io a cedere..
- Non avevo idea che fosse una gara di  resistenza..
- Si che ne avevi idea invece.
- Io non.. - provò a dire lei ma lui la interruppe.
- Ti chiedo scusa, se è quello che vuoi sentirti dire, se è il prezzo da pagare per tornare alla normalità.- lo disse come se gli costasse una fatica immensa e Rica era certa che fosse proprio così.
- Non sono le scuse che voglio.
- E allora cosa vuoi Rica?
- Che tu, che voi accettiate le mie decisioni e mi lasciate vivere la mia vita, senza giudicare, senza sindacare, solo standomi accanto, papà..- mormorò stancamente.
Per quanto bene volesse a suo padre e a tutta la sua famiglia era certa che non riuscissero a capirla veramente, forse non la conoscevano nemmeno.
Sul fatto che le volessero bene non aveva nessun dubbio.
L’amore della famiglia era incondizionato, ne era certa, ma non era abbastanza.
- Ed è quello che abbiamo intenzione di fare, ma esprimere una propria opinione è un diritto, che ti piaccia o no io non me ne starò mai zitto se ti vedrò commettere errori madornali.
- E che ti piaccia o no io non ti ubbidirò mai ciecamente..
- Oh su questo non ho il minimo dubbio.- la sua espressione seria si incrinò in un sorriso.- Non lo hai mai fatto da ventotto anni a questa parte non mi aspetto certo che tu inizi a farlo adesso.
Lei ricambiò il sorriso.

Adam era tornato in quel negozio alla fine.
Il negozio in cui era entrato per delle nuove scarpe da corsa e da cui era uscito con un paio di pantofole a forma di pinguino in una busta e il batticuore nel petto.
Era iniziato tutto lì.
O forse no.
Forse era cominciato tutto quando lei gli aveva pestato la sua amata scarpa nuova o quando l’aveva vista attraversare la navata con quel vestito ridicolo quel giorno al matrimonio a cui Fran lo aveva costretto a seguirla.
C’era ancora quella commessa bella, con quei capelli lunghi e quel sorriso disponibile, fin troppo disponibile, ma a lui non interessava più.
Così come non gli interessava più di Sally né di nessun’altra.
Si era innamorato?
Non lo sapeva, non ne aveva idea.
Era tornato a casa, si era infilato un paio di shorts, una canotta e le scarpe nuove e aveva preso cellulare e Ipod.
Correre era sempre stata una soluzione.
La sua soluzione preferita.
Sentiva il battito del cuore accelerato premere contro la gabbia toracica e riusciva a sentirlo meglio, a capirlo meglio.
Correva per i sentieri del parco, pensando a Rica, ai momenti meravigliosi che avevano trascorso.
Il suo cellulare iniziò a vibrare nella tasca posteriore dei pantaloncini e sorrise.
Doveva essere lei.
Era andata via con suo padre da due ore almeno.
Doveva essere lei.
Ma lo schermo del suo cellulare spense il sorriso.
Il suo agente letterario.
- Bob?
- Il mio cliente preferito! Come stai?
- Sono il tuo unico cliente Bob!- sorrise lui fermandosi e riprendendo fiato appoggiandosi ad un albero.
Bob era un suo compagno di college e se lui era appena nato come scrittore lo stesso poteva dirsi di Bob come agente.
Ma se c’era qualcuno che poteva seguirlo in quella avventura era proprio lui.
Occhialetti da intellettuale, passione smodata per qualsiasi tipo di libro, dalle ricette della nonna ai saggi di filosofia zen.
“Ogni libro ha un’anima, ogni libro è frutto d’amore, di sofferenza di notti insonni, di fortunati casi del destino, di incidenti. Un libro può non piacerti, puoi trovarlo odioso, orribile, scritto malissimo ma va comunque rispettato, protetto.”
Lo ripeteva fino alla nausea.
Tutto lo interessava, tutto lo appassionava e quando aveva letto i primi lavori di Adam era quasi impazzito dalla gioia tormentandolo fino a che lui non aveva ceduto e aveva mandato il materiale a diverse case editrici.
E aveva ragione lui.
Se aveva  avuto successo lo doveva a lui prima ancora che al suo talento.
- Oh ancora per poco amico mio!- aveva un tono fin troppo entusiasta e Adam aggrottò le sopracciglia.
- Mi stai dicendo che hai avuto offerte migliori?- chiese leggermente preoccupato.
- No, ti sto dicendo che diventerò ricco sfondato e che i tuoi colleghi faranno la fila per essere seguiti da me.
- Non ti capisco…
- Oh capirai e naturalmente diventerai anche tu ricco sfondato. Ah dimenticavo lo sei già! Beh allora lo diventerai ancora di più amico mio. Ricco da fare schifo! Che poi cosa vuol dire da fare schifo? Io non credo che..
- Bob! Frena, frena! Inspira, espira. - Adam bloccò il flusso ininterrotto di parole. Sapeva che quando l’amico iniziava a parlare a macchinetta era la fine. Poteva continuare per ore. - Adesso rispondi a questa  semplicissima domanda: cosa sta succedendo?
- Mi hanno chiamato da una grossa casa cinematografica e quando dico grossa intendo proprio grossa, Adam. Vogliono girare un film sul tuo primo libro. Cast internazionale.
Adam si sedette sul prato umido e respirò a fondo.
Gli mancava l’aria e gli girava anche la testa.
Non poteva essere vero.
Assolutamente.
- Adam?- chiese l’amico preoccupato.
- Sono qui, sono qui Bob.- rispose lui ancora senza fiato.
- Devi tornare al più presto. Abbiamo fissato un appuntamento per dopodomani. Ci sono un sacco di cose di cui discutere, parlare con Tim per i dettagli legali insomma..
- Ritorno prima possibile..

Era rimasta sola nella sua vecchia camera.
C’erano ancora le sue cose negli armadi e sugli scaffali.
Aveva parlato con suo padre, forse avevano chiarito, forse no.. Non lo sapeva.
Lui aveva detto che avevano capito, che si sarebbero intromessi meno e lei sperava che fosse vero anche se qualche dubbio ce l’aveva ancora.
Guardò fuori dalla finestra, il sole era quasi tramontato.
Compose il numero di Adam ma era occupato.
Si sdraiò sul suo lettino, avrebbe richiamato tra qualche minuto.
Voleva sentirlo, voleva vederlo.
La stanza fu invasa dalla penombra, le palpebre iniziarono a diventare pesanti, quella notte non aveva dormito tutto.
Si scosse ma dopo qualche minuto inconsapevolmente si arrese e il sonno vinse.


La città era ormai un insieme di puntini minuscoli, il suo sedile era comodo e aveva anche sonno, ma non riusciva a prendere sonno.
Non era riuscito a parlare con Ica, era dovuto partire così.
L’aveva chiamata e richiamata, era andato a casa sua, ma niente.
Nemmeno quella pazza di sua cugina aveva risposto alle sue chiamate.
Così era dovuto partire senza salutarla.
Le aveva lasciato un biglietto nella buca delle lettere.
Era una cosa squallida ma non aveva potuto fare altrimenti. Doveva partire subito.
Era la realizzazione di un sogno, era la sua vita, era lui stesso.
La sua vita stava cambiando per il meglio.
Aveva un lavoro magnifico, più che magnifico.. Era perfino troppo bello per essere vero.
E aveva trovato una persona che gli piaceva. Gli piaceva davvero, oltre la superficialità, oltre le banalità. Gli piaceva davvero. In un modo che non aveva mai pensato che potesse essere possibile, in un modo che sembrava finto per quanto era perfetto.
La sua vita stava cambiando.
Sperava solo di esserne all’altezza.
Di non rovinare tutto, con Ica, soprattutto con Ica.
Essere all’altezza delle situazioni, delle aspettative, gli aveva sempre messo ansia e mai come quella volta si sentiva nelle mani una responsabilità così grande.
Ica aveva già sofferto molto, troppo, e non voleva essere lui il motivo per soffrire di nuovo.
Eppure sentiva che sarebbe stato inevitabile, che non c’erano modi per evitare che soffrisse una volta che avesse scoperto il modo in cui la loro storia era iniziata.
Strinse i braccioli del sedile e chiuse gli occhi, deciso a posticipare il più possibile quel momento.
Forse quando fosse riuscito a farle capire quanto davvero ci tenesse a lei..
Forse..

Rica tornò a casa, era preoccupata, anzi preoccupata era dire poco!
Provava a chiamare Adam da un’ora ma il cellulare era sempre staccato, a casa sua la macchina non c’era, si era attaccata al campanello ma niente.
Dove era finito?
Era tornata a casa sua con la speranza di trovarlo lì, bello e sorridente come sempre.
Ma non c’era!
Cosa stava succedendo?
Un incidente?
Si era stancato di lei?
Tutto sembrava fin troppo plausibile e il cuore non la smetteva più di batterle infuriato nel petto.
Ogni volta che una macchina passava nella strada davanti casa sua spalancava la porta, ma non era mai lui.
Mai.
Oramai erano passate diverse ore e stava per essere colta da un infarto quando, dopo aver spalancato la porta per l’ennesimo falso allarme si accorse che c’era un foglio che fuoriusciva appena dalla cassetta della porta.
Lo tirò per un angolo e lesse il biglietto riempito di con la scrittura blu e frettolosa di Adam.

Ti ho cercata ovunque ma non sono riuscita a trovarti da nessuna parte! Sono dovuto tornare in Canada, per lavoro, non preoccuparti. Il mio capo mi ha chiamato con urgenza, c’è un nuovo lavoro da iniziare e dovevo essere lì il prima possibile. Mi dispiace non averti salutata. Mi dispiace da morire, ma davvero non potevo fare altrimenti. Non so ancora quando tornerò ma ti farò sapere al più presto. So già che mi mancherai da impazzire, svegliarmi senza te che mi ronfi in un orecchio sarà davvero duro! : )  Scherzo ovviamente e non sul fatto che mi mancherai. Quello so già che sarà terribilmente vero! Ma cosa mi hai fatto? Strega! Non arrabbiarti, se puoi e non odiarmi, io semplicemente ti adoro!
Adam

Piegò il foglio e tirò un sospirò di sollievo e di delusione al tempo stesso.
Sollievo perché voleva dire che si era spiaccicato da qualche parte con il suo maggiolone né che si era stufato di lei, anzi, ma di delusione perché era partito di nuovo. E in quel momento molto probabilmente si trovava in volo sull’Atlantico, diretto dall’altra parte del mondo.
Si lasciò cadere sul divano.
Di certo stare con Adam non era noioso. In nessun senso.

Ed eccoci qui dopo circa due mesi. Se mi odiate lo capisco, se mi avete dimenticata lo capisco lo stesso. So di non avere scuse, non ho avuto concentrazione, non ho avuto ispirazione, non ho avuto voglia. Scusatemi ma davvero non potevo farci nulla. Ringrazio tutti voi che pazientate e spero che qualcuno voglia ancora saperne di questi due. Questo capitolo è stato un po' così, lo so.. Qualche chiarimento qualche dettaglio in più ma inevitabilmente ci stiamo dirigendo verso un punto ben preciso, spero di non farvi aspettare troppo per il prossimo capitolo. Se vi va fartemi sapere, anche solo per mandarmi a quel paese. Prestissimo risponderò alle vostre recensioni. Come sempre vi adoro! A presto, baci. Manu!

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Capitolo 36
*** Finimondo ***


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RIASSUNTO:

Rica, ha avuto dieci relazioni e tutti e dieci i ragazzi sono rimasti a far parte della sua vita, come mariti di sorelle, cugine, parenti amiche, colleghe. Rica, sempre solare e allegra, non si piange mai addosso, ma la sera dell'ennesimo matrimonio di un suo ex con una sua amica, in cui, come sempre è costretta ad infilarsi in un osceno abito da damigella, decide di chiudere con l'universo maschile e di lasciar perdere l'idea di trovarsi un compagno. Quindi la sua migliore amica, Fran, decide di assoldare il bellissimo cugino Adam per far cambiare idea a Rica.
Adam all’inizio non è entusiasta ma pian piano, conoscendo Rica, Ica, come la chiama lui, tra mille incidenti inizia a capire che lei è diversa da tutte le altre e i due si mettono insieme nonostante Adam sia terrorizzato dall’idea che lei possa scoprire tutto e Rica continui ad essere insicura e a temere di subire un’altra delusione.
Nell’ultimo capitolo Rica fa pace con la sua famiglia con cui ha litigato da tempo perché i genitori non le avevano perdonato di aver lasciato la città in cui si era trasferita e in cui aveva trovato un buon lavoro per tornare nella sua cittadina e tentare di fare la giornalista, nel frattempo Adam, che è un famoso scrittore, riceve una chiamata dal suo agente che lo informa che a breve verrà girato un film sul suo primo libro e gli chiede di tornare in Canada, suo paese d’origine. Adam non riesce a rintracciare Rica che nel frattempo si è addormentata nella sua vecchia cameretta e parte, lasciandole un biglietto in cui le dice che la adora e che gli mancherà.




CAPITOLO XXXVI: Finimondo




Adam era convinto di aver passato quasi più tempo tra le nuvole che con i piedi per terra in quell’ultimo periodo.
Sia in senso letterale che in senso figurato.
Gli accordi per il film che avrebbero iniziato a girare tra qualche mese lo costringevano a fare continuamente avanti e indietro tra l’Italia e il Canada e il pensiero di Ica che lo aspettava dopo ogni viaggio lo faceva salire forse a quote più alte di qualsiasi aereo.
La loro relazione andava avanti da un mese ormai nonostante lui non fosse stato molto presente fisicamente.
Le aveva detto che un nuovo progetto lo assorbiva, aveva parlato di un nuovo libro da tradurre, inventando balle su balle.
Si tolse la giacca e la piegò sul braccio arrotolandosi le maniche della camicia e avvicinandosi all’uscita dell’aeroporto e la vide, la sua bocca si sciolse in un sorriso vedendola arrivare a passo svelto e con gli occhi che brillavano dalla felicità.
Era felice di vederlo.
Che sensazione meravigliosa.
- Scusami sono in ritardo!- bofonchiò tuffandosi nelle sue braccia e facendogli cadere la giacca e il borsone che portava appeso alla spalla.
- Sono appena arrivato anch’io.-  sussurrò lui godendosi quella stretta e respirando il profumo dei suoi capelli.
- Mi verrà l’ulcera prima o poi sappilo.- mormorò Rica dopo essersi sciolta dall’abbraccio e iniziando a camminare verso la macchina.
- Perché scusa non stai bene con me?- le chiese lui riacciuffandola da dietro e nascondendo il viso contro la sua nuca, facendola sorridere.
- Ma certo che sto bene. Infinitamente bene. Sto benissimo. E’ quando non ci sei che iniziano i guai. Inizio a pensare e a pensare e mi prende l’ansia. Non faccio che dirmi che c’è qualcosa, ma non so cosa, che non mi torna. Come una pulce in un orecchio. Un diavoletto che mi bisbiglia qualcosa. Poi tu torni, sorridi e dentro la mia mente un’orchestra inizia a suonare..
- Beh allora le soluzioni sono due..- disse lui scostandosi un po’ da lei per guardarla con un’espressione seria che la fece rabbrividire.
- Quali?- chiese con il filo di voce che le era rimasto.
- O tu la smetti di pensare queste cose o io…- sfumò la voce e la pancia di Rica subì una scossa.
La stava lasciando? Era un ultimatum? In effetti sapeva di essere assillante e paranoica..
- O?- non sapeva nemmeno dove avesse pescato la forza per pronunciare quella singola vocale che poteva spalancare uno scenario orribile.
La vita senza Adam stava diventando inconcepibile.
- O la smetterò di andarmene e allora dovrai avermi sempre intorno!- pronunciò con un sorriso che riportò Rica al mondo.
-Stupido! Stupidissimo attentatore alla mia salute! Pensavo mi stessi lasciando! Ti sembra il caso di farmi venire un infarto??- protestò lei colpendolo su un braccio.
- Farò tutto il possibile per restare qui più che posso. Nemmeno a me piace andare via.. Ma mi piace immensamente tornare e trovarti ad aspettarmi, ok, forse è un po’ maschilista come visione ma ognuno..
Rica non lo lasciò nemmeno finire, gli buttò le braccia al collo.
- Tu esisti davvero?- mormorò lei, debolmente, con gli occhi immersi nei suoi.
- E tu? Sei davvero così meravigliosa?- le chiese lui con lo stresso tono.
- Vedi? Sei troppo per me!- disse con una risatina isterica, allentando la stretta.
- Piantala!
Adam la strinse, riavvicinandola a sé, la bocca sulla sua.

Fran si stiracchiò pigramente, aprì gli occhi sorridendo pensando di trovarsi davanti il viso del suo amato fidanzato.
- Tommy maledizione!- urlò ritrovandosi a pochi centimetri dalla faccia del gatto acciambellato sul suo cuscino.
Lo fece scendere dal letto e si mise seduta, di Carlo nessuna traccia.
Si stropicciò gli occhi e si decise ad alzarsi.
La sera prima erano rientrati in anticipo da una vacanza in Irlanda che avevano organizzato con tanto impegno.
Sarebbero dovuti restare altri tre giorni, ma Eva, l’ex di Carlo, che all’inizio si era detta disposta a tenere la bambina per tutta la settimana all’improvviso aveva ricevuto “una proposta di lavoro di quelle che capitano una sola volta nella vita” e Carlo giustamente non se l’era sentita di far sballottare la bambina dai nonni e avevano deciso di rientrare immediatamente.
Fran lo sapeva dal primo momento che stare con Carlo non sarebbe stata una passeggiata ma lo amava e voleva bene a Bianca, a Tommy meno, pensò guardando la bestiaccia che aveva puntato di nuovo il suo cuscino.
- Non pensarci neppure. - lo ammonì.
Si voltò per andare in cucina ma si rivoltò immediatamente trovando il gatto che planava sul cuscino, leggendo lo sguardo omicida della donna, Tommy si rassegnò e si andò ad accoccolare sul tappeto di fronte all’armadio.
- Vedo che inizi a capire chi comanda qui!- mormorò con un ghigno soddisfatto.
- Oh no ma sei già in piedi!- mormorò Carlo deluso, entrando e reggendo un vassoio con tazze di cappuccino e brioches.
- Oh, è per me??- chiese lei sbalordita.
- Si, doveva essere la colazione a letto, ma non vale visto che non sei più a letto.- replicò lui.
- Oh ma ti sbagli!- Fran si voltò e saltò sul letto in una perfetta, ma meno silenziosa, replica del salto acrobatico di Tommy di poco prima. - Ci sono ancora!
Un cuscino cascò sul gatto che schizzò via miagolando e probabilmente maledicendo quella pazza nuova padrona che gli era capitata.
- Sei pazza Fran!- disse lui posando il vassoio sul letto e sporgendosi per baciarla.
- E’ per questo che mi ami!- sorrise lei infilandogli una brioche in bocca.

Un paio d’ore dopo Fran bussò alla porta della sua migliore amica, non sapeva del suo rientro anticipato.
A quell’ora doveva essere rincasata dalla sua passeggiata dell’alba.
Non vedeva l’ora di raccontarle come erano andate le cose.

- Adam potresti aprire tu?- urlò Rica chiudendo il rubinetto della doccia.
Lui si strinse meglio l’accappatoio e si avvicinò alla porta, sperando che non fosse un membro della sua famiglia, le cose tra di loro non erano ufficiali e non voleva conoscere i suoi genitori mentre non indossava le mutande.
Ma non era un familiare di Rica, era sua cugina.
- Cosa ci fai tu qui?- bisbigliarono entrambi.
- Dovevi essere in Irlanda!
- E tu in Canada!
- Sono rientrato prima!
- Pure io!
- Cazzo!
- Doppiocazzo!
- Vattene!
- Si!
- Adam? Chi è?- Rica uscì dal bagno e si affacciò in soggiorno, illuminandosi nel vedere l‘amica- Oh Fran che ci fai qui? Entra! Voi due non vi conoscete ancora, sempre in giro per il mondo! Non vedevo l’ora di presentarvi!
Adam si fece da parte e Fran entrò nell’appartamento.
Come dovevano comportarsi adesso?
 
- Adam, lei è Fran, la mia pazza migliora amica e Fran, lui è Adam, il mio pazzo… ragazzo!- disse Rica indugiando sull’ultima parola.
Fran guardò Adam e Adam guardò Fran.
Si conoscevano da sempre ed erano talmente legati che uno sguardo tra di loro era sempre bastato.
E ora?
Era troppo tardi per gettarsi le braccia al collo e rivelare la loro parentela, ma se avessero continuato nella farsa non ne sarebbero usciti più.
Prima o poi avrebbero dovuto dirle la verità.
O prima o poi lei l’avrebbe scoperto.
Non era più uno stupido piano, facevano sul serio e non c’erano soluzioni.
- Piacere.- Fran gli porse la mano e lui la strinse deglutendo e sapendo con certezza che prima o poi si sarebbe pentito amaramente di non essere riuscito ad essere sincero sin dall’inizio.
- Piacere mio.
Non c’era più una strada di ritorno.
La stavano ingannando a tutti gli effetti e quando lei l’avrebbe scoperto sarebbe successo il finimondo.


Si so di essere imperdonabile e non vi sto nemmeno a dire il perché non mi sono fatta viva tutto questo tempo, non ho scuse lo so e quindi taccio. Prometto che d’ora in poi farò del mio meglio, impegni permettendo e che mi impegnerò per concludere questa storia. Siamo in una fase delicata, mancano alcuni passaggi fondamentali che col tempo metterò in luce, spero che abbiate pazienza, non voglio forzare le cose, voglio che tutto scorra lineare e spero che questi capitoli così, sospesi, non vi dispiacciano. Come sempre se vi va io sono prontissima a leggervi, anche se indubbiamente non me lo merito. A presto, promesso. Manu!

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Capitolo 37
*** Pari ***


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CAPITOLO XXXVII: Pari




La vita è fatta di scelte, si sa.
Scelte grandi che ti mettono su un aereo e ti fanno cambiare radicalmente vita, scelte piccole che ti fanno decidere che stasera hai voglia di pizza e non di pesce.
Scelte che si compiono dopo aver riflettuto a lungo, non dormito, digiunato.
Scelte che fai in un secondo perché sai che è così che deve andare, che vuoi che vada.
Scelte che nemmeno sai di aver scelto.
Scelte che giureresti di non fare mai e che poi, inevitabilmente fai.
Adam aveva scelto tante cose nella sua vita.
Aveva scelto di non studiare economia nonostante le pressioni di suo padre, aveva scelto di non studiare medicina, nonostante le aspirazioni di sua madre.
Aveva scelto di inseguire un sogno e aveva avuto fortuna.
Aveva scelto di giocare ad hockey e non a calcio.
Aveva scelto Rica e aveva scelto di mentirle.
E non faceva che tormentarsi.
Da quando poi aveva incontrato Fran e presi alla sprovvista avevano ingarbugliato ancora più le cose non riusciva a dormirci la notte, si sentiva nervoso, inquieto e non riusciva a godersi i giorni con lei.
Erano appena rientrati da una passeggiata al parco e sapeva benissimo di non essere stato di compagnia, si sentiva frenato, bloccato e ogni secondo aveva paura di commettere un passo falso.
La situazione gli stava semplicemente sfuggendo di mano.
Appena entrato in casa si lasciò cadere sul divano e la sentì sbattere la porta dietro di sé.
Ultimamente non facevano che discutere.
Non erano vere e proprie liti, solo che Rica aveva intuito che qualcosa non andava in lui ed era sempre più nervosa e lui non sapeva come rassicurarla, come rassicurarsi.
Non sarebbe andato tutto bene, ne era certo.
- Odio quando lo fai!- lei gli si parò davanti, con le mani sui fianchi e l’espressione decisa.
- Quando faccio cosa?
- Quando ti getti sul divano e ti metti così, con un braccio piegato dietro la testa e l’altro appoggiato sullo stomaco, l’espressione impenetrabile. Lo odio, è un modo per escludermi, per chiudermi fuori, per non farmi capire che hai!- disse lei esasperata.
Adam si mise seduto e sospirò.
- Non ho niente..
- Non ho niente, non ho niente! Non è vero! Io e te stiamo insieme se qualcosa non va dovremmo parlarne, che senso ha se ti chiudi in te stesso e mi tratti come se non esistessi?
- Non è vero Rica, lo sai. E’ solo che non ho niente davvero..- provò a prendere tempo lui esibendosi nell’imitazione di un sorriso.
- Ti conosco abbastanza per sapere che non è così..
- Mi conosci abbastanza? Mi conosci davvero? Ne sei così sicura?- le chiese alla fine spazientito.
- Hai ragione, forse no..
Afferrò la borsa ed uscì.
Adam si sdraiò di nuovo, il braccio piegato dietro la testa e l’altro appoggiato sullo stomaco. Gli occhi persi in un luogo imprecisato.
Non voleva farla entrare.
Non voleva che capisse cosa gli passava per la testa. Se avesse saputo come era iniziato tutto quanto l’avrebbe persa, ma anche comportandosi come uno stronzo l’avrebbe persa.
Sapeva perfettamente di non meritarla, lo sapeva con tutto se stesso, forse avrebbe dovuto lasciare che le cose andassero così, che semplicemente sfumassero.
Ma non ce la faceva.
Era profondamente e totalmente egoista ma non voleva rinunciare a lei, non fin quando avrebbe potuto rimandarlo, perché prima o poi sarebbe successo. Non c’erano dubbi.
Sospirò e si alzò, doveva scusarsi.

Rica si asciugò una lacrima col dorso della mano.
Era da stupidi.
Quante volte aveva giurato che non avrebbe più pianto per un uomo?
Troppe.
Sperava che le cose con Adam sarebbero state diverse e forse lo erano ma lui era un uomo. Un uomo meraviglioso ma pur sempre un uomo e lei ne era troppo persa per non restarci male.
Forse era vero, forse non lo conosceva davvero.
Forse lo aveva sempre sopravvalutato, forse aveva gli occhi foderati di prosciutto.
C’era qualcosa che non andava, lo sentiva dall’inizio, ma col tempo le cose stavano sempre peggiorando.
Lui era nervoso, c’erano dei momenti in cui diventava impenetrabile, in cui sembrava che il resto del mondo sparisse ai suoi occhi e poi improvvisamente tornava sereno e pieno di premure e di attenzioni.
Avrebbe solo voluto che lui si fidasse, che la rendesse totalmente partecipe del suo mondo. Fece per asciugarsi un’altra lacrima ma la mano di qualcun altro glielo impedì, catturandola nella propria.
- Ica..- sussurrò.
- No Adam, no!- si divincolò dalla presa e iniziò a camminare più veloce.
Non voleva che lui tornasse ad essere carino, il fidanzato perfetto. Voleva restare da sola.
- Ti prego lasciami spiegare!- disse lui raggiungendola e provando di nuovo a trattenerla senza riuscirci.
- Potevi farlo prima ma non l’hai fatto.
- Non voglio vederti piangere Ica, per favore..
- Se te ne vai, cosa che ti sto chiedendo, non mi vedrai..
- Sono un cretino, lo so..
- Su questo ci troviamo perfettamente d’accordo.- sospirò lei riuscendo di nuovo a sfuggire alla sua presa.
- Ho paura di te. Sei contenta?- disse lui alla fine, fermandosi e guardandola allontanarsi di qualche passo per poi fermarsi e tornare indietro.
- Di me?
- Si, di non essere all’altezza, di non essere in grado di gestire questa cosa, di sbagliare, perché sbaglierò. Non lo so fare il fidanzato io. Non ti so garantire che sarà per sempre. Non lo so fare, non l’ho mai fatto, non so nemmeno se lo voglio un per sempre io. Io ti voglio davvero, non devi pensare che mi stia tirando indietro davvero, non riesco a immaginarmi senza di te in questo momento ma non so quanto sarò in grado di essere quello che tu vuoi che io sia.
- E’ un discorso di merda questo Adam, lo sai?
- Ne sono perfettamente consapevole. Ma è la verità. Ti deluderò Ica, lo farò, puoi starne certa e io non so se riuscirò a sopportare questa cosa e anche questo è un discorso di merda, Dio mio, sembro il vampiro di Twilight, tormentato e idiota!- disse prendendosi la testa fra le mani.
- Lui non è così male!- sorrise lei.
- Sono serio Ica, non andrà bene questa cosa tra di noi! Ne sono certo! Non voglio farti stare male, non voglio stare male ma sarà così.
Adam si infilò le mani in tasca sentendosi sempre più patetico.
- Vuoi lasciarmi?
- No Ica no! Non è questo che..
- Non t’importa niente di me?- lo interruppe lei.
- Lo sai benissimo che mi importa di te..
- Ed è davvero a questo a cui pensi quando diventi l’Edward Cullen della situazione?
- Ho davvero la certezza che non sarò all’altezza di tutto questo, io lo so, sbaglierò e non ne vorrai più sapere di me e io non so come potrò reggere dopo, non mi ero mai sentito così, mai Ica, mai, mai. Mi devi credere!
Lei si avvicinò e lo abbracciò sciogliendosi nella sua stretta.
- Io non voglio che tu sia niente di diverso da quello che sei Adam, non voglio una recita, non voglio che tu ti sforzi di essere perfetto e di fare sempre la cosa giusta, io voglio te e ti voglio davvero, quello che cercavo di dirti prima è che non vorrei essere esclusa, che vorrei poterti aiutare, starti accanto anche quando hai un problema, un dubbio..
- Lo so, è che io sono così, ho questa difficoltà a lasciarmi andare, a liberarmi da me stesso..- mormorò lui nascondendo il viso nel suo collo.
Era difficile da dire, maledettamente complicato..
Il cellulare di Rica iniziò a squillare nella sua borsa e lei fu costretta a sciogliere l’abbraccio, leggendo il nome sul display alzò gli occhi al cielo sbuffando.
- Non rispondi?- le chiese con un sorriso.
- No, è Gaia, so già cosa vuole, avevamo un appuntamento a casa dei nostri genitori per le prove generali degli abiti da damigella e sono in ritardo di mezzora.
- Forse allora dovresti andare.. - mormorò lui di controvoglia.
- Il matrimonio è tra due giorni e io non ho nessuna voglia di andarci!
- E’ tua sorella! Per quanto questa situazione possa averti ferita non puoi non andare alle sue nozze!
- Lo so! E non dico che non ci andrò, è solo che non faccio i salti di gioia al pensiero.
- Questo lo capisco! Mas scordati di Matteo, scordati che sei stata con lui. E’ acqua passata.. O no?- chiese con un tono insicuro che la fece sorridere.
- Certo che è passata! E’ che vederli insieme mi fa venire la gastrite! Prima di te sono uscita con dieci uomini in tutto e tutti e dieci sono finiti con persone che mi stanno intorno! Non è il massimo essere scaricata per la propria sorella o per la vicina di casa!
- Lo capisco! Ma se questo ti può essere di consolazione ci sarò io con te e non ho intenzione di lasciarti per mettermi con qualcuna a cui vuoi bene.- sorrise lui cercando di farle tornare il buon umore, invano.
- Questo non puoi saperlo..- mormorò lei.
- Mi credi capace di farti una cosa simile?- le chiese lui perplesso fermandosi di colpo.
- Non ho detto questo! ovvio che tu pensi che non lo farai.. Nemmeno Matteo quando ha iniziato ad uscire con me credeva che  sarebbe finito con mia sorella e invece avrà un bambino con lei.. Nessuno dei miei ex lo credeva possibile e invece..
- Beh mi piaceva pensare che il nostro rapporto fosse diverso da quello che avevi con Matteo e con tutti gli altri…
Adam ricominciò a camminare velocemente, sapeva che uscire con lei era una grande responsabilità. Sapeva quanto aveva sofferto, sapeva che doveva stare attento a non ferirla, ma sapeva anche che non poteva fare tutto lui, anche lei doveva provare a fidarsi e sapere che lo paragonava a tutti gli stronzi con cui era uscita feriva lui.
- Adam!- ansimò lei raggiungendolo di corsa.
- Che c’è?- le chiese lui rallentando il passo ma senza girarsi a guardarla.
- Mi dispiace Adam sono stata un’idiota! Non era quello che intendevo!
- Non intendevi dire che non ti fidi di me?- chiese lui osservando con attenzione un albero lì accanto.
Lei si fece più vicina e gli prese il viso tra le mani per costringerlo a guardarla negli occhi.
- Il nostro rapporto è lontano anni luce da quello che avevo con Matteo o con qualsiasi altro, quello che provo per te e quando sto con te sono sensazioni che non avevo mai provato, per nessuno!
- E questo non ti fa capire che non farei mai una cosa simile?
- Questo mi mette ancora più paura Adam! Perché se per Matteo sono stata male, se dovessi perdere te non saprei come andare avanti ed è una cosa che mi terrorizza perché sono sempre stata abituata a sentirmi sola, anche se stavo con qualcuno, non lo sentivo davvero parte di me. Tu invece sei diventato importante e la paura di perderti mi fa comportare da idiota. Scusami!- mormorò per poi chiudere gli occhi e appoggiare la fronte contro il suo mento.
Adam rimase in silenzio per qualche secondo, godendosi il contatto delle sue mani fresche sul suo viso e il profumo di cocco dei suoi capelli.
- Io non potrei mai farti male intenzionalmente Ica, mai! Sei troppo importante…- bisbigliò per poi bloccarsi ricordandosi di come era nata la loro storia.- Se mai questo dovesse succedere devi tenere a mente che non l’ho fatto di proposito e che io semplicemente ti adoro Ica!
 “E io ti amo!”.
Per un momento di puro terrore Rica temette di averlo detto davvero.
Non era ancora il momento, non dopo che lui le aveva parlato delle sue paure sul futuro.
Non era sicuramente il momento.
Sospettava da tempo di essere davvero innamorata di lui ma quell’affermazione totalmente spontanea la colse impreparata.
Lo amava.
Davvero.
Si strinse ancora di più a lui.
- Bene, visto che io e te siamo un casino presi singolarmente e un disastro come coppia direi di separarci per qualche ora finché siamo pari. Oggi ci siamo proprio impegnati, devo dire.
Lei sorrise, felice che le cose si fossero chiarite.
- Non è un’idea che mi alletta, ma temo che sia necessario.
- Temo di si.- si sporse a baciarla e poi la lasciò andare.- Vado a cercare un abito adatto a non far sfigurare una damigella d’onore perfetta.
Lei gli fece la linguaccia e lo guardò allontanarsi.
Si decisamente lo amava.


Ed eccoci qui, stavolta c’ho messo meno di un mese, sono quasi soddisfatta di me stessa : ) A voi l’ardua sentenza.. Posso anticiparvi che siamo sempre più vicini alla fine e questo capitolo ne è la prova, i nodi iniziano a venire al pettine.. Cosa ne dite? Fa pena? Come sempre sono ansiosa di leggervi.. Baci e a presto! Manu!

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Capitolo 38
*** Il paradiso e l'inferno ***


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CAPITOLO XXXVIII: Il paradiso e l’inferno

Verde.
Rica adorava il verde.
Aveva da poco comprato un costume da bagno verde e una maglietta e un paio di orecchini e un bracciale e c’era quella borsa tanto bella per cui stava risparmiando.
Lo adorava.
Quando sua sorella le aveva annunciato che il suo vestito da damigella sarebbe stato verde c’aveva quasi sperato.
“E’ il colore dell’anno” aveva strillato contenta Gaia e Rica si era illusa che forse, quella volta, le sarebbe andata bene.
Vane speranze.
Se ne stava fasciata nel suo abito che più che il verde dei prati ricordava quello delle cimici che pullulavano nella sua decrepita casa da studentessa fuori sede.
Non era solo brutto, come tutti gli abiti da damigella che aveva indossato, ma era anche scomodo con un enorme grappolo di fiori verdognoli che le passavano sul petto, strozzandola quasi e pizzicando a contatto con la pelle.
Anche la stoffa non era delle migliori.
Sua sorella, regina delle feste in grande, aveva “giustamente” deciso di risparmiare sul vestito della damigella per finanziare il suo imponente e “tortoso” abito da sposa pieno di sbuffi e volant e strass.
L’unica cosa positiva era che i suoi polpacci, che però nel frattempo avevano acquistato un aspetto migliore, se ne stavano al sicuro, sotto il tendaggio del vestito.
Sospirò e si grattò il collo nel punto in cui l’ispido petalo di un fiore la torturava.
“Ci risiamo”.
La musica dell’organo, la chiesa affollata, il cicaleccio degli invitati che si interrompeva e poi gli occhi.
Quegli occhi che conosceva ma che non la guardavano davvero.
Matteo era in piedi sull’altare, visibilmente emozionato, le mani strette l’una nell’altra.
Aspettava la sua futura moglie.
E non era lei.
Ma c’erano un altro paio d’occhi tra gli altri.
Un unico paio d’occhi fissi dentro i suoi, non guardavano la sposa, non si giravano per commentare con il vicino di posto.
Erano lì. Fermi. Immobili. Fissi dentro i suoi.
Adam era lì, nel suo vestito color acciaio, in piedi in terza fila, tra la prozia Adele e sua cugina Adalgisa che gli lanciava occhiatine neppure troppo discrete, e la fissava. Guardava lei con quel sorriso aperto e imbarazzato al tempo stesso.
Poi tutto finì velocemente e lei poté raggiungerlo costringendo la povera Adalgisa a farsi più in là.
- Questo vestito è bruttissimo.- la accolse bisbigliandole all’orecchio e intrecciando le dita alle sue.
- Oh lo so, faccio pietà.- sbuffò lei grattandosi di nuovo il collo.
- Non tu, il vestito.- mormorò lui appoggiando la mano fresca sul punto arrossato.- Io ti trovo assolutamente meravigliosa.
- Mentire in chiesa è peccato due volte!
Lui sorrise e scosse la testa girandosi a seguire il discorso del prete che aveva iniziato la funzione.
Sistemò meglio la mano nella sua appoggiandosela sul ginocchio.
Come sempre la pancia di Rica si contrasse e la prozia Adele rischiò di cadere dal banco nel tentativo di indicare le loro mani alla prozia Sara che stava nel posto dietro.
- Stiamo dando spettacolo.- bisbigliò lei divertita.
- Oh e non hanno ancora visto niente! Ci sarà un cespuglio comodo nella reggia di Versailles che tua sorella ha affittato per l’evento no?
Lei sorrise e gli diede un pizzicotto sulla mano.

Adam rideva e scherzava con suo padre e con Enrico e Matteo parlando calcio, aveva scompigliato i capelli al suo nipotino Alessandro, fatto i complimenti alla sposa definendola incantevole, aveva detto a sua madre che era radiosa e lei era avvampata sistemandosi i capelli, come una ragazzina. Il suo modo di fare spigliato e allegro pareva aver conquistato tutti. Teneva la mano nella sua e nonostante l’atteggiamento apparente rilassato Rica aveva avvertito che era nervoso al momento delle presentazioni. Sapeva che non aveva mai conosciuto la famiglia di una sua ragazza e il fatto che avesse accettato di sottoporsi a tutto quello la rendeva felice.
- Rica, Silvia ho bisogno che mi diate una mano a controllare che i camerieri non distruggano le bomboniere.
Lei sbuffò e si avvicinò ad Adam.
- Devo andare.. Vedi di sopravvivere. Ti voglio intero, mi avevi promesso qualcosa a proposito di un cespuglio, se non ricordo male.- gli disse lei all’orecchio.
- Farò un giro di perlustrazione e ne troverò uno adatto. Fai presto non credo di poter resistere ancora a lungo.
Si abbassò e continuando a fissarla negli occhi le stampò un bacio sulle labbra.
Oramai doveva esserci abituata no?
Invece no.
Il cuore le mancò un battito e si sentì esplodere.
- Ti amo. - lo disse senza neppure rendersene conto e prima ancora che lui potesse riaversi dalla sorpresa Silvia la trascinò via.

Fran arrivò come il vento. Si era allontanato dal caos del ricevimento per schiarirsi le idee, prendere fiato, si era rifugiato in un angolo isolato del giardino, voleva evitare che l’ennesima prozia baffuta si avvicinasse per chiedergli quanto guadagnasse, se potesse provvedere al mantenimento della nipote e degli ipotetici figli che avrebbero avuto e soprattutto quando avrebbero ricevuto l’invito a nozze. Ne aveva  abbastanza.
E poi arrivò Fran.
Il suo vestito giallo in contrasto con i capelli rossi avrebbe mandato dato il mal di testa a chiunque e se poi ti arrivava addosso iniziando a parlare a raffica eri spacciato.
- Finirà male, me lo sento. Molto male. Non mi perdonerà, non mi parlerà mai più, perderò la mia migliore amica. Carlo ha  ragione dovevamo dirglielo subito, ci avrebbe uccisi ma forse poi ci avrebbe perdonati invece così ci ucciderà e ci odierà per l’eternità. E’ una bugia troppo grossa.
Adam svuotò il bicchiere che teneva in mano e sospirò. Non aveva bisogno che la cugina gli ricordasse ancora una volta quello che non faceva che tormentarlo.
- Glielo diremo, quindi tecnicamente non è una bugia ma una verità sospesa.
- Oh Adam non uscirtene con queste battute ad effetto degne del grande scrittore che sei. Siamo nella cacca fino al collo.- piagnucolò lei.
- Al momento tu sei solo  ubriaca. Vedi di calmarti. Ne verremo fuori in qualche modo.
- Spiegami come diavolo fai ad essere così calmo maledizione!
- Non lo sono Fran. - sospirò lui voltandosi a guardarla negli occhi. - Non lo sono per niente, mai. Ma oggi è già un momento impegnativo per lei, se vieni qui a fare la pazza rischi solo di farci scoprire adesso e non credo che lo reggerebbe.
- Ho solo paura di perdere la mia migliore amica.
- E io di perdere una persona che per me è diventata indispensabile e che mi ha appena detto di amarmi e io so di non meritarlo. Non lo so come ma ne verremo fuori. Dobbiamo per forza.
Fran capì quanto il cugino ci stesse male, in fin dei conti la colpa era solo sua e avrebbe fatto qualsiasi cosa per sistemare tutto, lo abbracciò e Adam chiuse gli occhi.
Non glielo aveva detto ma sentiva che anche lui la amava.
Veramente.

Rica era riuscita a scappare dalla grinfie della sua immensa e caotica famiglia.
Adam non era più con suo padre e i suoi cognati, segno che era andato davvero alla ricerca di un luogo tranquillo dove poter finalmente stare soli.
Dovevano parlare.
Quel “ti amo” sparato a bruciapelo non era previsto ma totalmente sincero, lo aveva visto reagire con sorpresa e non aveva nemmeno avuto il tempo di aggiungere altro che era stata trascinata via.
Si aggirò per il giardino, sapeva che lui doveva essere lì da qualche parte, magari nascosto davvero in un cespuglio, sorrise nonostante sentisse il cuore batterle all’impazzata per l’agitazione.
Chissà come avrebbe reagito lui alla sua dichiarazione che molto sinceramente aveva colto di sorpresa pure lei, si era sentita il cuore talmente gonfio di amore che le labbra non erano riuscite a contenerlo.
Aggirò un cespuglio di oleandri e sussultò nel riconoscere Fran abbracciata a qualcuno, a quanto pare anche lei e Carlo avevano deciso di approfittare della natura rigogliosa che cresceva lì intorno, fece per cambiare direzione quando i due si sciolsero dalla stretta e lei si accorse che quello con la sua migliore amica non era il suo vicino di casa. Adam aveva una mano appoggiata sulla guancia di Fran e le sorrideva.
Sussultò e fece un passo all’indietro inciampando nell’oleandro e cadendoci dentro.

Adam sentì il fruscio delle foglie e si voltò vedendo il vestito di Rica precipitare all’indietro.
- Ica! Stai bene?- le porse la mano ma lei nemmeno la guardò.
Si rimise in piedi e li guardò.
Adam le porgeva ancora la mano e Fran se ne stava un po’ in disparte, gli occhi fissi sulle scarpe.
La conosceva da una vita, c’era qualcosa che non andava, era arrossata e aveva una faccia colpevole.
Il dubbio le morse lo stomaco.
Non poteva essere successo di nuovo.

Anna e Fran erano le sue migliori amiche, erano inseparabili, i lunghi pomeriggi d’inverno a parlare di ragazzi, le prime vacanze da sole, avevano condiviso un milione di cose, poi un pomeriggio Rica aveva beccato Anna e Stefano, il suo primo ragazzo, a sbaciucchiarsi come se niente fosse in un giardinetto.
Quel giorno era iniziata la sua maledizione.
Ogni ragazzo che aveva frequentato si era sistemato con qualcuna che lei stessa gli aveva presentato.
Ma non poteva essere successo di nuovo.
Non Adam.
Non Fran.

- Cosa ci fate qui?- si sforzò di sorridere, fingendosi tranquilla.
Anche Adam abbassò lo sguardo.
- Fran?- chiese lei.
La sua amica sussultò e arrossì ancora di più ma non rispose.
- Mi potreste spiegare per favore?
Adam alzò lo sguardo e lo fissò nel suo.
- Non è come credi..
- Non è come credi! Non è come credi vuol dire “hai ragione”. Non vi stavate abbracciando? Non avete un’aria colpevole?
- Sì ma..
- No credo che sia abbastanza. - fece per allontanarsi ma Adam le prese il polso e la trattenne.
- Io e Fran siamo cugini.
Rimase qualche secondo in silenzio, troppo scioccata anche solo per pensare, poi le venne in mente dove aveva sentito quel nome, per anni Fran le aveva parlato di lui.
- Siamo due idioti e forse mi sento anche liberato per il fatto che tu lo abbia scopeto, non doveva accadere così ma è sicuramente la cosa migliore.
- Io non capisco, perché non me lo avete detto prima? Perché avete finto di non conoscervi? Non capisco.- farfugliò lei confusa.
- Abbiamo fatto un pasticcio.- sussurrò Fran alla fine.
- Che pasticcio?
- In realtà sono stata io a iniziare e mi dispiace, non credevo che avrebbe avuto queste conseguenze, non credevo ti saresti innamorata di lui, mi è sfuggito tutto di mano, mi dispiace.- disse la sua migliore amica iniziando a piangere.
- Ti è sfuggito di mano?
- Sì io pensavo che non sarebbe durata tanto, era una sciocchezza, tu eri così triste a quel matrimonio, per Max, per Matteo e io non credevo che poi sarebbe finita così, mi dispiace io..
- Matrimonio?
Di colpo le venne in mente dove aveva sentito la voce di Adam.

“- E‘ l‘ultima volta, promesso!
- Oh lo spero proprio, mi sta pestando il piede!- protestò una voce a poca distanza da lei.
La ragazza spalancò gli occhi facendo un saltello all’indietro.
- Mi.. Mi scusi!
- Stia semplicemente attenta. Se fa un danno irreparabile sa cosa può farsene delle sue scuse?
L’uomo che aveva parlato era chino sulla sua lucida scarpa nera, valutando l’entità del danno che la sua decolleté dal tacco alto poteva aver fatto, poteva vedergli solo i capelli scuri, abilmente scomposti.
Che razza di persona parlava senza nemmeno guardare in faccia la gente?
- La sua preziosa calzatura non ha subito nessun danno, stia tranquillo.”

“- Sta bene?- una voce maschile le arrivò alle spalle.
Una voce che aveva già sentito ma che non riusciva a ricordare a chi appartenesse. Solo che non aveva nessuna intensione di girarsi per controllare chi ne fosse il proprietario.
La testa le pulsava e gli occhi non le erano rientrati ancora per bene dentro le orbite, senza contare le scie umide che le solcavano il viso e che avevano di sicuro tirato giù tutto il trucco.
Uno spettacolo immondo che non aveva intenzione di dare.
- Benissimo. Esca e chiuda la porta.- disse seccamente.
- E’ nel bagno degli uomini.- la informò lui.
- Me ne andrò quanto prima.- replicò infastidita.
- Ha bevuto troppo.- replicò quella voce.
- E lei ha parlato troppo. Vada via.- scandì lei.

Ma certo! Era lui davanti casa di Mara e poi nella toilette del ristorante!
- Era un trucco?- l’enormità della cosa le esplose addosso.
Si girò a guardare Adam negli occhi e lo vide sobbalzare.
- E’ sempre stato tutto un trucco?- chiese di nuovo, con il filo di voce che le era rimasto.
- No Ica no, è iniziata in quel modo ma poi non..
- Lei ti ha chiesto di uscire con me?  Di consolarmi?
- Sì ma poi..- la vide indietreggiare e la raggiunse. - Aspetta Ica davvero, fatti spiegare.
- No, no, mi pare davvero tutto chiaro adesso.
- Non lo è Ica, aspetta..
- Smettila di chiamarmi così, tu non sei nessuno, io non ti conosco!-  esplose.- era tutto un gioco, un trucco..
Sentì le lacrime pungerle gli occhi.
Doveva aspettarselo, era tutto troppo bello, troppo perfetto per essere vero, per tutti quei mesi aveva vissuto una menzogna.
- No Ica, tu mi conosci, hai detto di amarmi…
- Non ricordarmelo!- lo fulminò lei.
- Davvero, lascia che ti spieghi, è iniziata in quel modo è vero ma poi è stato tutto vero, ogni cosa che ti ho detto, ogni bacio che ti ho dato era vero, io sono stato con te perché volevo stare con te, perché voglio stare con te Ica, non permettiamo che uno sbaglio ci divida. - la implorò lui.
- Io non ti conosco, io non vi conosco e me ne voglio andare.
- Ica..- mormorò lui aumentando la stretta sul suo polso.
- Io me ne voglio andare, ti prego..- lo supplicò guardandolo negli occhi, piangendo, e qualcosa si ruppe dentro Adam, le lasciò il polso e la guardò allontanarsi.
In un solo giorno era passato dal paradiso all’inferno.


Ed eccomi qua, lo so, molti di voi non si ricorderanno nemmeno come eravamo rimasti, ci ho messo davvero una vita lo so, ma il tempo scarseggia e non mi andava di forzare le cose, spero che non faccia troppo schifo, se vi va, fatemi sapere. Baci, Manu.

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Capitolo 39
*** Libero ***


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Ed eccoci qua, come sempre è passato un secolo, non so a quanti di voi interessi ancora ma comunque pian piano questa storia sta giungendo al termine. Eravamo rimasti al matrimonio della sorella di Rica in cui lei becca Adam e Fran abbracciati, i due confessano di essere cugini e di aver architettato un piano per non  farla abbattere dopo l'ennesimo fidanzamento di un suo ex  con una persona a cui lei vuol bene, sconvolta Rica scappa via, questo è quello che siccede dopo. Se vi va, fatemi sapere. Baci, Manu.




CAPITOLO 39: LIBERO

Fa male. Sento solo male. Sono scappata via ed ero troppo scioccata per capire davvero quello che è successo. Certo avevo sentito, avevo capito, ma la notizia, proprio come un veleno, non era entrata ancora in circolo. Adesso invece non sento altro che male. Male fisico. Un nodo alla gola che non mi fa respirare e non ho nessuna intenzione di alzarmi da questo letto né di smettere di piangere proprio come una stupida, quello che sono. Una stupidissima idiota. Tutto finto, tutto mai iniziato, tutto irreale. Ogni parola, ogni bacio, ogni sguardo, un’enorme bugia. Non ho mai sospettato nulla, mai. Mi sembrava incredibile che uno come lui potesse volere davvero me ma, mai, mai, mi aveva sfiorato la possibilità che stesse mentendo! Stupida, stupidissima idiota. Mi dicevo che sarei stata attenta, che non mi sarei lasciata ingannare, che avrei saputo controllarmi, frenarmi e invece è stato peggio di tutte le altre volte. Ho buttato giù tutte le mie barriere, tutte, una per una, gli ho detto di me ogni cosa e gli ho creduto, ad ogni parola, ad ogni sorriso ed era tutto un trucco, tutto falso. E la cosa che mi fa arrabbiare di più è che non riesco ad odiarlo, che vorrei tanto poter chiudere gli occhi e dimenticarmi di tutto, abbracciarlo e nascondere la faccia nel suo collo per dimenticare tutto questo male. Perché nonostante tutto io lo amo davvero e mi odio. Amo il suo odore e il suo sapore e le sua mani, ruvide e delicate al tempo stesso quando mi accarezzano il viso, e le sue braccia che sono il posto più caldo e più comodo del mondo, amo la mia testa sul suo cuore e il modo in cui mi morde il naso, sorridendo, e il suono che fa il mio nome nella sua bocca e come sospira e come ride e come piange e come batte il mio cuore quando lo vedo e come mi tremano le mani quando ci parlo e come sta zitto e come aggrotta la fronte quando non ha capito cosa ho detto o non è d’accordo e amo svegliarmi e trovarlo addormentato accanto a me, con quel broncio da bambino e i capelli spettinati, amo sentirlo cantare sotto la doccia, amo tutto e tutto era falso. Tutto. L’Adam che amo non esiste. Un fantoccio costruito su misura, dietro suggerimento di Fran.

Rica chiuse il diario e si lasciò andare contro il cuscino. Si sentiva davvero male. Come forse non era mai stata in vita sua. E la delusione di averlo perso, di aver perso la persona che credeva fosse quella giusta superava l’umiliazione dell’inganno. L’Adam che amava era morto, anzi non era mai esistito.
Fran poi era un altro problema. Come poteva perdonarla? Come poteva ricominciare a fidarsi di lei? E come poteva vivere senza?

Rica se n’era andata e Adam si era messo a sedere su una panchina. Così era successo. Ci pensava e lo temeva da tempo ma era stato ancora peggio dei suoi pensieri più neri.  
Quanto tempo era passato? Il cielo stava inziando a scurirsi. Fran era rimasta silenziosa a lungo, asciuganosi le lacrime, poi le si era avvicinata.
- Metteremo a posto tutto!- annunciò risoluta.
- Io mi sono innamorato di lei.- mormorò scrollando le spalle e evitando di guardare in faccia la cugina.
- Se ne sei sicuro allora vedrai che troveremo un modo!
- Un modo? Che modo? E se ne sono sicuro?- Adam si alzò e iniziò a passeggiare su e giù. - Io credevo di essere già stato  innamorato e so che ogni volta si tende a pensare che sia la volta giusta, che non si ha mai amato tanto, ma sento che stavolta è diverso. Le altre volte ero abbagliato da sorrisi falsi e gambe lunghe, adesso è tutta lei, è tutto, il suo corpo e la sua anima ad avermi colpito. Io la vedo e la sento. La sento più vicina di quanto nessuna sia stata mai. È come se mi leggesse dentro, come se capisse esattamente quando ho bisogno di silenzio e quando di una parola, quando ho la necessità di avere la sua mano nella mia. È come se anticipasse la mia mossa, come se mi leggesse l’anima e arrivasse a capirmi più di quanto non faccia io con me stesso. La amo davvero Fran. La amo come non avrei mai immaginato di fare e mi odio da morire pensando che l’ho ingannata, che è nato tutto nel modo più vile del mondo e sono terrorizzato al pensiero di averla persa, perché non sono pronto a perderla, non lo sarò mai.
- Cazzo non sei romantico solitamente ma quando lo sei, lo sei sul serio! Se non fossi sconvolta riderei!- boccheggiò Fran sorreggendosi la fronte con la mano.
- E tu sei sempre la solita invece!- sorrise Adam cercando di dissimulare la sofferenza e l’imbarazzo che gli aveva provocato quella dichiarazione davvero inusuale per lui. Sua cugina aveva ragione, non era da lui parlare in quel modo, essere così esplicito e diretto. Ma l’incontro con Rica lo aveva stravolto totalmente, si sentiva pronto a passare la vita con lei, il pensiero di non averla più accanto lo terrorizzava e sebbene quella consapevolezza lo terrorizzasse ancora di più, vederla andare via in quel modo gli aveva dato la certezza che non poteva più fare come se niente fosse.
Era vero, si era già detto innamorato, ma mai si era sentito così coinvolto da qualcuno a tal punto da non riuscire ad immaginarsi senza, a commuoversi per un suo sorriso o per il broncio irresistibile che aveva quando dormiva. Ogni cosa di lei lo toccava, ogni suo sorriso aveva il potere di farlo innamorare sempre di più e Rica era la persona che sorrideva di più tra tutte quelle che aveva conosciuto. Il pensiero che lei stesse male per colpa sua gli era insopportabile tanto quanto il pensiero di non poter più stare con lei.
- Hai ragione, dobbiamo trovare un modo!- si alzò e corse via.

Rica era ancora con la faccia sprofondata nel cuscino. Il campanello la fece trasalire. Si mise a sedere sul letto ma non si alzò. Era Adam? Fran? Per un attimo la possibilità che potesse essere lui le solleticò la pancia. Ma poi si riprese, ricordandosi che non voleva vederlo, mai più.
- Rica!! Sono Silvia, aprimi.
Cosa mai poteva volere sua sorella? Scese dal letto e si guardò distrattamente allo specchio, l’acconciatura sfatta e il trucco che le era colato sulle guance, se le sfregò tentando di pulirsi ma peggiorò solo la situazione.
- Allora mi apri? Guarda che non ho intenzione di andarmene, quindi apri questa porta! Adesso!
Scrollò le spalle e aprì con aria rassegnata.
Ma la prima persona che vide non fu la sorella.
Adam era lì, in piedi e con una mano bloccò la porta che lei aveva cercato di chiudere.
- Non me ne vado Ica, adesso tu mi ascolti!
Entrò lasciando tutti fuori, per un momento, rimasti soli, sembrò perdere tutta la risolutezza che aveva avuto entrando.
Rimase in silenzio per qualche minuto, passeggiando nervosamente con le mai in tasca.
- Allora?- chiese, arrabbiata e infastidita per essere stata beccata in quelle condizioni pietose.
- Allora io ti amo Ica.- disse guardandola negli occhi e vedendola trasalire.- Hai ragione, è iniziata nel modo sbagliato. È iniziato tutto nel modo peggiore del mondo ma ti amo. È stato solo l’inizio e forse nemmeno quello pienamente. Quando ti ho vistata a terra con il ginocchio stretto tra le mani e l’espressione imbronciata, credo che sia stato proprio allora a scattarmi qualcosa dentro. A spingermi a volerti conoscere, davvero.
- Lo dici perché ti faccio pena vero? Per tutte le cose pietose che ti ho raccontato della mia famiglia, dei miei amici, dei ragazzi che ho avuto.. Di tutta la mia vita di merda! È questo no? O è solo un’altra tessera del puzzle che tu e Fran stavate costruendo?- chiese lei sprezzante.
- Pena? - Adam era sbalordito. - Pena? Tu non puoi far pena Ica. Non puoi. È amore, solo quello. Solo amore, se solo permetti alla gente di avvicinarsi davvero a te, di entrare nel tuo mondo, come hai fatto con me.- le spiegò lui gentilmente.
- Oh non ricordarmelo! Non ricordarmi che ti ho permesso.. Che ti ho permesso… che stupida, stupidissima idiota sono stata? Perché doveva essere diverso? Perché tu, tu proprio tu, il ragazzo perfetto, bellissimo, intelligente e spiritoso dovevi essere vero? Dovevo capirlo dall’inizio che era un trucco!
- Smettila di chiamarmi così, non sono perfetto, né bellissimo né tantomeno intelligente, visto quello che ho combinato. Sono solo vero. È iniziato tutto per seguire quel piano, ma come ho detto prima, ogni parola, ogni bacio che ti ho dato erano veri. Veri come quelli che provo per te. Credimi Ica.- bisbigliò lui in tono implorante, afferrandola per un braccio e tenendosela vicina.
- Sei vero? Bene allora rispondi a questa mia domanda. Se Fran non ti avesse incastrato in quello stupido piano, saremmo stati qui in questo momento? Tu mi avresti mai detto che mi ami?
Lui aggrottò la fronte, cauto. Aveva capito dove lei volesse andare a parare.
- Beh, non lo so, la vita è strana, senza dubbio in qualche modo saremmo finiti per…
- Non tergiversare, non parlare del destino e di queste stronzate! Se Fran non ti avesse costretto tu mi avresti mai notata? Mi avresti mai invitata ad uscire con te? - chiese lei, determinata.
- Non ha sneso quello che dici Ica, io mi sono innamorato di te, di tutta te. Non capisco cosa c’entri questo discorso!
- C’entra eccome! Adesso arrivi qui e dici di amarmi! E il tuo amore dovrebbe bastarmi per dimenticare di essere stata presa in giro per mesi? Come faccio a sapere che non stai mentendo ancora? Il tuo amore dovrebbe sconvolgermi? È una cosa così sensazionale che uno come te si sia innamorato di una come me che dovrei accettarlo ed essere felice per la mia fortuna?
- Cosa stai dicendo Ica? Uno come me, una come te? Non ha senso quello che dici!
- Non per te! Non per te Adam. Tu non puoi capire.tu dai l’amore per scontato, ma per me non lo è. Affatto. Per me l’amore è una cosa seria, una cosa vera, pura. Non  ha niente a che vedere con i trucchi. Tu forse non lo ammetti nemmeno con te stesso ma dentro di te pensi che io dovrei sentirmi lusingata perché, tu, il bello e intelligente Adam Roy, adesso so chi sei davvero, lo scrittore di successo, conteso dalle donne di tutto il mondo, abbia scelto me, una ragazza come tante, scialba, fuori forma. Per te sono una gioco, una novità. Un divertimento. Magari non lo pensi consciamente, o almeno lo spero. Ma è così. Io lo so. Lasciami andare.
Adam mollò la presa dal suo braccio, troppo sconvolto dalle sue parole. Era vero? Lui era pronto a giurare di no. Non vedeva niente di speciale in lui mentre Ica, Ica era speciale in tutto per lui. Ma forse si stava davvero comportando male senza saperlo. Non lo sapeva. Maledizione, quella ragazza aveva il potere di fargli dubitare persino di se stesso.
- Non è così Ica!- disse con convinzione.
- Forse, ma io non sarò mai più certa del contrario, qualsiasi cosa tu dica. Vattene Adam, è finito tutto, sei libero.
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Capitolo 40
*** Pazzie ***


Ok eccomi  qui con il penultimo capitolo, so che è passata una vita ma ancora poco e vi libererete finalmente di me e di questa storia che dura da ben tre anni!!!Sono sconvolta, mi ricordavo due! Come vola il tempo! Comunque spero che vi interessi ancora, adesso bando alle ciance: avevamo lasciato Adam Rica e Fran in un bel pasticcio, Rica aveva scoperto che la sua storia con Adam era stata progettata su "misura" da Fran e Adam, quest'ultimo va a casa di Rica per cercare di spiegarle che nonostante le cose siano iniziate in quel modo è innamorato davvero di lei, Rica però non ne vuole sapere e lo caccia.


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CAPITOLO 40: Pazzie



- No, maledizione io non me ne vado Ica. Se me ne vado non me lo perdonerò e non me lo perdonerai mai. Non voglio che finisca così, non mi permetterò di rovinare tutto. Quello che abbiamo è troppo prezioso per me, per noi, ti prego, credimi!
Per tutta risposta Rica si girò e uscì dalla porta, per allontanarsi, per mettere quanta più distanza tra di loro, lui la inseguì, pregandola di restare e lei gli diede un pugno in faccia.
Silvia e Fran, che erano lì fuori a sperare che le cose si chiarissero, la guardarono stupefatte, Adam la guardò stupefatta, un rivolo di sangue iniziava a colargli dal naso, lei si guardò la mano stupefatta.
Lo aveva colpito. Gli aveva dato un pugno.
- Mi dispiace. - mormorò, stringendosi la mano al petto.
- Ica…
- Me ne voglio andare Adam, per favore, mi dispiace, non dovevo colpirti ma me ne voglio andare.- disse con tono stanco.- Per favore.
Adam sentì crescere dentro la voglia di afferrarla e baciarla fino a farle capire che lo amava davvero, che non voleva che finisse, ma era tutto inutile, fece un passo indietro.
- Vai.- disse, semplicemente.
Lei non se lo fece ripetere due volte, salì in macchina e si allontanò, prima di averlo guardato negli occhi un’ultima volta.

Erano passati due mesi da allora, non lo aveva più visto, non lo aveva più sentito, lo stesso non poteva dirsi di Fran, passava a trovarla ogni giorno e se all’inizio lei gli aveva sbattuto la porta in faccia ogni volta, alla fine si era arresa.
Le aveva permesso di continuare a far parte della sua vita, certo il rapporto non era quello di prima e troppo spesso sorprendeva Fran a guardarla con un’espressione da mogia che non le aveva mai visto, ma non se la sentiva di fare come se niente fosse, non ancora almeno.
L’estate era ormai agli sgoccioli, la fine di agosto era insopportabilmente piovosa e Rica sospirò mettendo via il costume e rassegnandosi a trascorrere un altro pomeriggio al chiuso a tormentarsi.
Adam continuava a mancarle in un modo che la infastidiva, ogni volta che usciva di casa, che passava dal parco o davanti al bar in cui andavano a prendere il caffè, che incrociava un ragazzo con una maglia scolorita che correva o un’auto come la sua trasaliva e subito dopo si sentiva morire. Temeva e sperava che fosse lui, ogni volta. Ma non era mai lui. Se n’era tornato in Canada subito dopo la loro rottura, glielo aveva comunicato Fran, infrangendo la promessa che l’amica aveva dovuto farle per continuare a restare tale, “Mai parlare di Adam”.
- Rica… - la chiamò Fran facendola riemergere dai pensieri. - Devo dirti una cosa…
- Dimmi.- disse distrattamente continuando a piegare i vestiti da mare per non farle vedere le lacrime che erano tornate a pizzicarle gli occhi.
- Sicura?
Rica si irrigidì, sapeva che quella reticenza era dovuta al fatto che Fran aveva qualcosa di importante da dirle, qualcosa infrangeva la promessa su Adam.
Sospirò e annuì, continuando a darle la schiena.
- E’ tornato.
Cosa sarebbe successo se l’avesse incontrato? Cosa avrebbe detto? Avrebbe provato a convincerla di nuovo o in quei due mesi i sentimenti che diceva di provare per lei erano sfumati?
Non lo sapeva e aveva paura di scoprirlo.

Quella città era troppo piccola e se prima questo la rassicurava adesso le metteva ansia.
E poi successe.
Era prevedibile.
E successe.
Usciva dal supermercato di fronte casa, con un sacchetto di carta carico di roba e già mezzo strappato stretto al petto e lo vide lì, a pochi passi. Doveva averla vista prima di lei perché se ne stava lì, immobile, con una mano a mezz’aria verso un carrello della spesa e gli occhi fissi nei suoi.
Lo sfarfallio allo stomaco era doloroso quasi tanto quanto la sua bellezza.
Era più magro, quasi sciupato, gli occhi blu risaltavo sulle guance scarne ricoperte di barba.
Eppure era sempre più bello.
Sentì le ginocchia cederle e si riprese solo per miracolo.
Un piede dietro l’altro e distolse lo sguardo dal suo.
- Ciao Ica.- i suoi passi veloci e poi la mano sul suo braccio.
- Ciao Adam. - si rassegnò a dire, evitando di guardarlo di nuovo.
- Come stai?
- Bene e tu?- disse velocemente, non vedeva l’ora di andare a rifugiarsi sotto le coperte e piangere.
Lo amava così tanto.
- Non lo so.
Lei annuì. Non sapeva che dire, non sapeva parlare più, era così vicino e c’era il suo profumo, quel profumo che era rimasto a lungo nelle sue lenzuola, sui suoi vestiti, in tutta la sua casa e che ogni tanto sentiva ancora per uno strano scherzo dei suoi sensi.
Ma quella volta non era uno scherzo.
Era il suo odore, era lui.
- Devo andare.- la voce le uscì più soffocata di quanto volesse.
- Perché? Ti si scongelano i surgelati?- le chiese con voce improvvisamente ostile.
Lei non reagì, iniziando a camminare verso casa.
- Dobbiamo parlare Ica.
- Di cosa? È acqua passata Adam, non ha senso.
Lui rallentò e per un secondo lei si illuse che avesse deciso davvero di lasciarla perdere, di non tormentarla.
- Per te lo è? Per me no!
Si fermò e non poté fare a meno di guardarlo.
- Su Adam che vuoi? Vuoi detto che ti perdono? Va bene, ti assolvo. Vai tranquillo e non sentirti più in colpa per avermi fatto sentire un’idiota, per avermi illusa, è passata.- ripeté di nuovo, mentendo con una disinvoltura che non sapeva di avere.
- A te forse è passata, a me no.
- Vuoi farmi credere che il bell’Adam Roy non ha trovato una Sally o una Sidney per consolarlo? - sogghignò salendo i grandini davanti casa e aprendo il portone con il chiaro intento di mettere fine a quella discussione.
Non voleva sapere di come lui si era consolato, di chi aveva dormito con lui. Il solo pensiero la fece rabbrividire e le chiavi di casa le caddero di mano, abbassandosi per recuperarlo il sacchetto si lacerò del tutto e la spesa rischiò di rovesciarsi sulla soglia di casa.
Lui salì i tre gradini con un passo solo e le tolse le chiavi di mano, aprendo lui la porta.
- Grazie, adesso però vai, io non voglio..
- No adesso chiariamo questa cosa una volta per tutte. - tuonò lui spingendola dentro e sbattendosi il portone alle spalle.
- Adam.. - iniziò lei, dopo aver appoggiato il sacchetto su una sedia lì vicino. Senza quello scudo davanti si sentiva indifesa, non sapeva dove mettere le mani, se le strinse al petto incrociando le braccia.
- No. Tu adesso stai zitta e mi fai parlare e basta.
Lui stava urlando e lei si zittì, non aveva la forza di discutere, non si era ancora ripreso dallo shock di esserlo trovato di fronte, bello come e più di prima.
- Tempo fa mi hai accusato di essere superficiale, di pensare all’amore come a qualcosa di scontato. Io non ho replicato, non ho risposto, perché ne sapevo così poco dell’amore che ho avuto paura che tu avessi ragione. Ma ora, a distanza di mesi mi rendo conto che quella superficiale sei tu. Sei tu quella che crede che l’amore sia solo apparenza! Sei tu continui a dire che io sono bello e che tu non lo sei e che quindi io non posso provare amore per te. Sei tu quella superficiale.. Sei tu! Io non ho mai fatto queste distinzioni, non mi sono mai sentito il bello della situazione, non ho mai creduto che il mio amore dovesse essere un evento sensazionale, il principe che si innamora di  Cenerentola! Sono pensieri tuoi, sono parole tue, non mie! Io ho solo sperato che tu ricambiassi il mio amore che non c’entra niente con l’aspetto fisico, anche se lasciamelo dire, io ti trovo comunque irresistibile. Io amavo te, la tua essenza, le tue sfumature di carattere e ti trovavo meravigliosa sia dentro che fuori. Ma adesso non lo so più. Non lo so più se questo amore fosse ben riposto. Ti sei interessata a me solo perché sono il bel ragazzo che dici? Quale Adam conosci? Quale Adam amavi? Sei tu che hai visto in me solo aspetto fisico.
Che liberazione dirlo dopo tanti mesi! Che sollievo!
La amava ancora, non c’erano dubbi.
La amava davvero, di un amore che, ne era certo, non aveva nulla di scontato. Amava lei. La amava davvero, da profondo del cuore. Come non aveva mai fatto e come forse non avrebbe fatto mai più.
Rivederla gli aveva fatto tremare il cuore e lo stomaco, la salivazione si era azzerata, le mani avevano iniziato a tremare impercettibilmente. Si sentiva euforico e arrabbiato al tempo stesso.
Avrebbe voluto stringerla e dimenticarla al tempo stesso. Ma sapeva che entrambe le cose erano impossibile.
La guardò, era lì di fronte a lui, dopo due mesi ed era così fragile e forte al tempo stesso e così bella da fargli male.
- Maledizione! - le volò davanti e la prese tra le braccia. - Io non ce la faccio più!
Lo disse contro le sue labbra.
Non ce la faceva davvero più. Voleva quello da primo secondo che l’aveva vista. La guardò in quegli occhi spalancati, color cioccolato fondente, la sentì resistere al suo bacio per qualche secondo per poi arrendersi e farlo morire di gioia.

Era stato così facile cedere.
Lo aveva sentito parlare, aveva ascoltato le sue parole ma desiderava solo abbracciarlo, solo baciarlo.
E poi lui le era piombato di fronte, aveva sentito il suo alito che si mescolava al proprio, il suo profumo che la avvolgeva come una coperta calda a gennaio e poi il suo sapore. Quel sapore.
Non avrebbe potuto resistere nemmeno se avesse voluto e lei non era nemmeno certa di volerlo.
E poi i vestiti erano stati di troppo.
Troppo tempo che non sentiva quella pelle contro la sua.
Troppo tempo che quelle mani non la toccavano.

- Hai parlato al passato.- mormorò lei.
Lui se la teneva stretta con un braccio, il petto incollato alla sua schiena e il viso premuto contro la sua nuca, il suo respiro le faceva il solletico spostandole i capelli.
- Cosa?- chiese lui, confuso.
- Hai detto “io amavo te”, se davvero prima eri innamorato di me adesso non lo sei più.- disse lei sussurrando.
Lo sentì muoversi e in un secondo lui la scavalcò e si mise davanti a lei puntandole gli occhi nei suoi, il fiato le si mozzò.
- Ti amo. Ti amo davvero Ica.
Il suo respirò si dileguò del tutto e dovette sforzarsi per riuscire a ritrovarlo di nuovo. Le tempie le pulsavano.
- Non mi fare più del male e io prometto che non ne farò a te. - disse solennemente.
- Non ne avevo intenzione Ica, ma comunque non lo farò più.
Ed era sincero, lei poteva vederlo dai suoi occhi.
La amava.
Era palese.
La amava davvero.
Lo abbracciò stretto sentendosi il cuore scoppiare.

Rica guardava l’acqua schiantarsi per poi scivolare lungo i vetri. Una pioggerellina fitta nemmeno fosse autunno a Londra invece che Agosto in Italia.
- Sai qual è una cosa che mi ha sempre affascinata e che non ho mai trovato il coraggio di fare? - chiese voltandosi verso Adam che stava preparando il pranzo.
- Il bunjee jumping?- Sorrise lui.
- Ho detto affascinato! Tremo al solo pensiero di lanciarmi nel vuoto.
- Immaginavo. Cosa?
- Fare il bagno in mare mentre piove.
- Facciamolo!- esclamò lui spegnendo i fornelli.
- Cosa?
- Il bagno in mare! È agosto, piove! Facciamolo! - la mano di lui trovò la sua e la trascinò fuori.
- Ma non ho nemmeno il costume!- protestò Rica.
- Nemmeno io! Lo facciamo vestiti! O nudi..- disse ammiccando.
Adam parcheggiò l’auto sul ciglio della strada e correndo le aprì lo sportello e la prese per mano.
- Andiamo!- urlò ridendo.
Era così bello. Gli occhi socchiusi per difendersi dalla pioggia e le punte dei capelli nerissimi che si arricciavano leggermente.
Senza che avesse il tempo di realizzare era immersa in mare fino al petto, la superficie bombardata dalle gocce che cadevano tutto intorno.
- E’ bello! Ci verrà una broncopolmonite, ma è così bello!- disse Adam urlando per sovrastare il rumore della pioggia.
- Io ce l’ho avuta e posso dirti che non è piacevole! - sorrise lei avvicinandosi.
- Lo immagino! Siamo due pazzi! - disse lui scuotendo i capelli per liberarli dalle gocce d’acqua e abbracciandola.
- Ogni tanto è piacevole fare una pazzia no?
- Facciamone un’altra! - all’improvviso lui aveva smesso di ridere e la fissava negli occhi con espressione attenta e concentrata.
- Guarda che se ti riferisci al bungee jumping io…
- Sp
osiamoci!


Al prossimo capitolo che sarà l'ultimo. Se volete farmi sapere mi fate una donna felice :) A presto! Bacioni, Manu!

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