Mirror

di Stateira
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** 5 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


Harry si aggiusta la cravatta cercando di non pensarci. Ricontrolla di aver allacciato le scarpe, mentre il suo mondo urla tutt’attorno a lui, mentre il silenzio spacca i vetri delle finestre, i libri infilati in orizzontale negli scaffali esplodono e il pavimento di casa si spacca come se fosse fatto di biscotti.
Prima o poi arriva, quel momento in cui ti guardi allo specchio e c’è qualcosa di sbagliato. Harry cerca semplicemente di non pensarci.
 
Si schiarisce la voce. Stamattina non c’è tempo per fare colazione, farà tardi in ufficio. Harry ha vent’anni, e tutta una vita da rimettere in piedi. Ignora il tavolo del salotto che si crepa sotto al peso dell’aria, ignora i quadri appesi che bruciano, ignora, soprattutto, lo specchio dell’ingresso.
Guardami negli occhi.
Non può fare tardi, o saranno guai. Stamattina c’è la rassegna dei nuovi Auror. Andrà al lavoro in Metropolvere, per evitare qualsiasi rischio con la Materializzazione. Si è ricordato di dire ad Hermione che domani dovrà lasciare un sostituto in sede per andare alla conferenza stampa? Shacklebolt si è raccomandato di andare con lui perché non ama troppo parlare la lingua dei giornalisti. Non che a lui piaccia.
Guardami negli occhi.
Si è ricordato di dire ad Hermione che la sua vita sta collassando, pezzo dopo pezzo, senza che lui riesca a dare un nome al tarlo infernale che gli sta mangiando le ossa? Chissà dove sono finite le chiavi dell’armadietto.
 
Harry infila il caminetto. Quasi ci sbatte la testa, nella foga di afferrare la polvere. Resta lì con il pugno sospeso a mezz’aria, fa per scagliarlo. La polvere comincia a frusciare fuori dalla mano come una cascata sporca. Harry, lentamente, accetta la sfida dello specchio, l’unico frammento di universo che non stia facendo un rumore micidiale nella sua testa. Improvvisamente, si sente troppo stanco per andare al lavoro. Troppo stanco per averne uno. Guarda la porta blindata e si domanda se sia possibile restare chiuso in casa sua fino alla fine dei tempi, esiliarsi in una soffitta come una vecchia cassettiera piena di stracci.
Piena di rimpianti.
Harry non ha più osato fare il suo nome. Dall’ultima volta che l’ha visto, sono passati centomila giorni. Centomila anni. La gola gli fa male come se avesse ingoiato una graticola, mentre allenta pian piano le inibizioni e permette ai ricordi di lui di sommergerlo gradualmente. Sono ricordi fatti di istanti. Frammenti.
Draco Malfoy.
Chissà perché, ma di lui riesce a ricordare con assoluta lucidità la volta in cui lo vide piangere. Con assoluta, nevrotica, precisa lucidità. Non ha la più pallida idea di cos’abbia mangiato ieri a pranzo, ma sarebbe capace di disegnare l’esatto sentiero che le lacrime di Malfoy tracciarono sulle sue guance quel giorno. L’esatta forma delle gocce. Può contare una ad una le pagliuzze grigie e azzurre dei suo occhi che si arrossavano.
 
Vicino al caminetto c’è un Pensatoio. Harry lascia cadere dalla mano ormai morta l’ultimo sbuffo di polvere che luccica in mezzo alle pepite carbonizzate di legno, sprecata. Harry tuffa la testa nel Pensatoio e per un momento sente di poter annegare nei suoi ricordi per davvero. Non li estrae con la bacchetta. Escono da soli dalle sua testa, macchiano l’acqua come un inchiostro urgente e caotico, e nel giro di un attimo Harry si trova davanti ad un bambino che gli tende la mano con un sorrisetto supponente.
Un bambino.
Allunga la mano, e invece di stringere la sua vorrebbe stringersi quella testolina bionda al petto e dirgli che va tutto bene. Aveva solo undici anni, come ha potuto non capire? Undici anni, piccolo Draco, undici anni.
Guarda un mare di fotografie che si sommano l’una dietro l’altra come un film montato rudimentalmente, perché i suoi ricordi di Draco non sono che schegge di pochi secondi, smorfie e parole ingrigite dal tempo, ambrate dal rimpianto.
Il rimpianto, il rimpianto.
 
Con lui ha sbagliato sempre tutto. Con Draco ha sbagliato ogni cosa, dal primo istante. Finché c’era qualcosa da chiamare nemico, Harry non se n’era curato, ma adesso la pace gli stava scavando sulla pelle solchi profondi come radici di alberi mai piantati.
Da quel che sa, Draco Malfoy vive in un attico alle porte di Diagon Alley, in attesa di prendere possesso della magione di famiglia. Da quel che sa, frequenta una ragazza. Da quel che sa, non sa niente di lui.
La polvere magica è ancora lì sul fondo del camino. E Harry sente di non avere abbastanza coraggio per bussare alla sua porta.
 
*                             *                              *
 
Arriva nel camino della casa di Draco che la testa gli gira come se fosse in un gorgo. La camicia si è sporcata della fuliggine che ha raccolto e scagliato assieme alla polvere, in un tentativo di dare un nuovo senso al viaggio abortito pochi minuti prima. Se la scrolla di dosso, per non alzare gli occhi sulla casa. Si sente come se la stesse violando. Il camino è di marmo venato di rosa e di grigio. È nel bel mezzo di un salone a dir poco squisito, troppo nobile perché lui possa capirlo appieno. A malapena intuisce quanto siano preziose le lunghe tende trasparenti che frusciano sulle finestre come veli da sposa. Alle pareti sono appesi cimeli araldici che dichiarano i loro nomi e i loro anni con la sola solennità dei loro disegni. Harry riconosce lo stemma di Serpeverde, sospeso fra un ritratto ed un piccolo scudo. Il serpente argentato abbraccia il suo spazio. La sua lingua e la sua bocca aperta sembrano incendiate. Harry lo vede per la prima volta come qualcosa di inarrivabilmente aristocratico. Nobile, antico. Bello.
Suo.
- Chi c’è? –
È la voce di Draco. Proprio di fronte a lui c’è una rampa di scale che porta ad un piano superiore. Harry sente che il suo cuore sta adeguando i suoi battiti al rapido martellare dei passi di Draco, sempre più vicini.
- Chi è? Blaise? –
E poi, eccolo lì.
Eccolo lì.
È stato facile.
Draco si ferma a metà della scala. Si paralizza. Ha addosso dei pantaloni grigio chiaro e una camicia bianchissima, ancora slacciata sull’ultimo bottone. La mano sinistra è vetrificata nell’atto di allacciare il polsino opposto. Deve averlo interrotto mentre si vestiva.
Eccolo lì, Draco Malfoy.
Eccolo lì.
- Ehm. Scusa. Avrei dovuto avvertire. –
- … Potter? –
Draco non è cambiato molto. È sempre pallidissimo, ma un po’ meno aguzzo di quanto Harry lo ricordava. I capelli gli sono cresciuti un pochino. Fanno capolino da dietro le orecchie, tenuti in perfetto ordine. Biondi, chiarissimi, come piume di mimosa. Harry lo guarda col naso all’insù, come se l’avesse invitato ad un ballo di gala. Malfoy è raggelato, ma sul suo viso le emozioni scorrono come titoli di un film. Chissà se esiste la remota possibilità di restare semplicemente fermi a guardarsi per l’eternità.



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ANGOLINO!

Stat iz BACK.

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Capitolo 2
*** 2 ***


Harry non gli dice che è a stomaco vuoto. Nonostante siano le nove del mattino, Draco è chino su un mobiletto di legno antico, alla ricerca di un brandy d’annata da offrirgli. Davanti a sé, Harry ha due bicchieri da degustazione ancora vuoti, un vassoio di frutta fresca e dei bocconcini di pane con il miele. Non gli piace molto: tutta quella gentilezza sta mettendo troppa distanza fra Draco e tutto ciò che lui vorrebbe dirgli. Si riscuote solo quando sente il delicato sciabordio del brandy nei due bicchieri. Draco è ancora in piedi, e allora anche lui scatta. Se si siederanno, sarà finita. Sarà tutto finito, lo sa. C’è una differenza madornale fra una conversazione tenuta in piedi ed una da seduti. La sedia non gli permetterebbe di andare al di là d un insipido “come stai”. Un patetico, assassino “come stai”.
 
Raccoglie il bicchiere nella mano, e con esso il suo coraggio. Chissà perché, lo sguardo continua a cadergli sulla mano di Draco che dieci anni prima non aveva voluto stringere. Al suo posto, ora, ha del brandy. Potrebbe esserci quella mano, nella sua, e invece c’è del brandy.
- Mi chiedevo se posso chiamarti Draco. –
Draco aspettava quietamente che fosse lui a fare il primo passo. Il fatto di essere stato sorpreso in un momento così intimo del primo mattino non sembra disturbarlo affatto, dato che è riuscito a farsi trovare dal suo arcinemico perfettamente in ordine. Harry sospetta che il suo non sia stato un banale colpo di fortuna. Malfoy è semplicemente il genere di persona che è sempre in ordine, è in ordine anche mentre dorme. È in ordine anche mentre muore.
Draco annuisce delicatamente, fissando un punto imprecisato alla sua sinistra.
Anche Harry annuisce. – Allora, ciao, Draco. –
Sospira il suo nome con tutta la reverenza di cui è capace. È la prima volta che lo pronuncia davanti a lui. È un nome bellissimo, pensa, anche se gli riporta alla mente momenti orribili del passato. Quanto spreco. Draco è, in fin dei conti, la spina che gli brucia più intensamente nel fianco. È una piegolina sull’angolo di una pagina a cui lui non riesce ad arrivare in fondo.
Perciò, ciao, Draco. Harry ha aspettato di diventare vecchio dentro, prima di venire a fare finalmente i conti con te.
 
Malfoy chiude gli occhi. Li distoglie di un altro po’, come se fosse occupato a misurare la portata del proprio nome sulla bocca di Harry.
- Noi due, ehm, non abbiamo mai parlato. – dice Harry. La sua voce rintocca nel salone, finendo col sembrare più decisa di quanto non sia davvero.
Draco annuisce di nuovo. Questa volta alza un poco la testa. Il suo sguardo è vagamente smarrito. Non è più guardingo come al suo arrivo. Sembra che ora anche lui riesca a vedere il sentiero lungo il quale Harry ha intenzione di condurlo, solo che non gli piacciono tutte quelle sporgenze aguzze, tutti quei sassi viscidi che dovrebbero per forza calpestare.
- No. Non l’abbiamo mai fatto. Mai, nemmeno una volta. –
Ad Harry sembra di scorgere un vago senso di accusa nella sua voce. Per prudenza, sposta il suo peso sull’altra gamba, allontanandosi da Draco di un soffio. Guardando il pavimento, inquadra le sue gambe lunghe avvolte nei pantaloni eleganti. Prova un senso di inadeguatezza micidiale, nei confronti di Draco Malfoy. Che non è nessuno, cha lavora al Ministero come tanti altri e vive nel suo quieto benessere amministrando i beni di famiglia senza dar fastidio a nessuno.
 
Harry non è più così sicuro di avere qualcosa da dirgli. Draco c’è stato e non c’è stato, nella sua vita, fino a questo momento. Ha fatto parte di lui pur non essendoci, ma Harry non sa se sia il caso di giustificargli cose che sono accadute soltanto nella sua testa.
Oh, Draco c’era, quando ha detto a Ginny che non aveva senso andare avanti. Era lì, nascosto dietro al pilastro di marmo scuro dell’ingresso del Ministero, dove lui e Ginny si erano ritrovati a dover precipitosamente parlare del loro domani. Solo che Harry non se n’è accorto. Era troppo occupato a cercare di spezzarle il cuore nel modo meno doloroso possibile, per rendersi conto che non era Ginny il punto, che non era il loro stare insieme che non andava.
L’ha visto, invece, a tutti i processi a cui ha presenziato. Tutti. Draco era sempre lì davanti a lui, seduto al posto dell’imputato. L’ha condannato a scontare almeno cinquanta volte la sua vita ad Azkaban, mentre i suoi occhi brillavano, sfidandolo a salvarlo, ora.
 
Harry odia le ossessioni. Gli ricordano troppo Voldemort. La verità è che la sua costante attenzione verso Malfoy lo ha col tempo caricato di significati che probabilmente non ha. Harry ha paura. Quando lui e Draco si saranno detti tutto ciò che c’è da dire, probabilmente il loro legame perderà di significato. Non sono mai stati veramente nemici, il nemico era un altro. Non sono mai stati nemmeno amici. Non sono mai stati niente, solo due sconosciuti che si sono fraintesi lungo la via. Una volta appurato questo, non rimarrà niente di loro. Quasi quasi, Harry preferirebbe che Draco fosse un assassino. Preferirebbe che si fosse macchiato dei peggiori crimini, in modo da avere qualcosa di cui parlare per ore. Non si può fermare qualcuno in un corridoio e passare la vita a scusarsi con lui solo per avergli pestato un piede, no? non si può, non ha senso.
- Ho riflettuto su alcune cose, ultimamente. A proposito, grazie per il brandy. –
- Di niente. Allora, di cosa si tratta? –
Harry esita un po’ troppo. È come se Malfoy gli avesse chiesto di dare un titolo alla loro conversazione, e questo gli risulta un tantino difficile. Vorrebbe dirgli che si tratta di finestre esplose, di libri squartati, di specchi implacabili, ma non è sicuro che lo capirebbe, e passare per matto ancora prima di cominciare non è una soluzione auspicabile.
 
Malfoy aspetta, aspetta, aspetta ancora un po’, e poi si incammina lentamente verso una finestra. Harry scatta immediatamente ad inseguirlo con gli occhi. Gli si riaffaccia alla mente il ricordo di quanto Malfoy fosse sempre stato un tipo impaziente, quindi ecco fatto il danno, adesso darà una vaga risistemata al camino e gli chiederà gentilmente di andarsene.
In realtà, Malfoy scosta una tenda. Il sole polveroso del mattino si schianta su di lui rendendolo dello stesso colore di un ricordo. Picchietta il vetro della finestra con i polpastrelli, leggermente sporto in avanti, come se stesse aspettando qualcosa. Un gufo, realizza Harry quando un’ombra tremolante si proietta sul pavimento.
– Sarà meglio che avverta che oggi non andrò al lavoro. –

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Capitolo 3
*** 3 ***


Draco è perfettamente incastonato nella sua bella casa, costruita con gusto attorno alla persona che è diventato. Harry manda giù un altro sorso di brandy, espira fuori tutta l’aria vecchia dai polmoni e spiega: – Sono venuto qui per te. –
Si sente patetico, ma non troppo. È la verità. Adesso si aspetta una qualche reazione da parte di Malfoy. Lo vede serrarsi dietro alle sue ciglia bionde, e poi riaprire gli occhi con l’aria di chi è pronto ad incassare un colpo.
- Benvenuto, allora. – la sua voce è leggermente roca. Potrebbe essere l’effetto dell’alcol sulle corde vocali. Harry annuisce. Fa qualche passo in avanti, percorrendo il lato corto di un grande tavolo da pranzo di un caldo color cioccolato.
- E’ da qualche tempo. – comincia, non senza una certa fatica. – Che mi trovo a pensare che la mia vita non funziona. Non… non funziona. Riesci a capire cosa sto cercando di dirti? –
Draco sa che non basterà annuire un’altra volta. Con la punta della lingua si pulisce il labbro superiore da una traccia di brandy, e pronuncia un tenue “sì”. È troppo turbato per dire altro. Troppo preoccupato delle conseguenze della loro conversazione, forse. Harry sente che la sua visita significa per Draco quanto significa per lui. Lo vede dal modo in cui le sue mani cercano costantemente un qualche appiglio. Draco non osa guardarlo mai a lungo. I suoi occhi volano per tutta la stanza come scintille impazzite, come se si aspettasse di vedersi crollare addosso l’appartamento da un momento all’altro. Forse è colpa sua. Gli ha portato in casa i suoi fantasmi urlanti, il suo mondo che esplode. Forse, fino a dieci minuti prima, la vita di Draco Malfoy andava bene così com’era.
 
- Ho cercato di capire. Ho cercato di capire perché non riuscissi a trovare un po’ di pace, ma per quanto a fondo scavassi, c’eri sempre tu. Avrei dovuto venire prima, forse. –
- Sì. Avresti dovuto. – Draco afferra una mela dal vassoio di frutta fresca sul tavolo. Mentre la addenta con grazia, Harry ha un dejàvu.
- Tu però non mi hai mai cercato. –
- No, infatti. Vedi, Harry… Posso, vero? –
- Certo che puoi. –
- Vedi, Harry, tu mi hai messo nella difficile situazione di non potermi muovere. Non potevo venire da te. Rifletti, è così. Dovevo per forza aspettare. –
Siccome Malfoy gli ha detto di riflettere, Harry non risponde subito. Rielabora le sue parole finché non le comprende a fondo, facendo faticosamente suo quel senso di immobilità a cui Draco è stato costretto. Si è sempre assicurato l’ultima parola, con lui. L’ultima occhiata, l’ultima risata, tutto. È vero. Ha derubato Draco di ogni possibilità di riscatto.
- Hai ragione. – Harry si perde volentieri fra le dita di Draco che scivolano sulla mela. – Draco. Io ti ho lasciato indietro. E non riesco a perdonarmelo. –
Draco sbuffa. Le sue spalle scrollano lievemente. – Ha importanza, ormai? La guerra è finita. –
- E’ proprio questo il punto. –
- Sei l’eroe di tutto il mondo magico, Harry Potter. Che cosa vuoi che importi se non sei stato il mio. –
Draco è sempre stato un ragazzo intelligente. Uno dei pochi capaci di pungerlo con le parole. Colpisce per ferire, ma non per uccidere, però fa male. Harry ha sempre detestato l’epiteto di eroe. Per lui, la parola eroe ha senso soltanto se riguarda un nome e un cognome, o poco più.
- Il mondo mi deve molto poco. Ho combattuto perché non volevo morire, Draco, come chiunque altro. Non ho mai veramente desiderato morire. Alzavo la bacchetta pensando ai miei amici, non a qualche vecchia, anonima strega sperduta in un villaggio del Galles. –
- Stai dicendo che avresti preferito essere il mio eroe, piuttosto che l’eroe di tutta l’Inghilterra? –
- Di gran lunga. –
Draco accenna ad una mezza risata. È amara come erba appena tagliata. Parla di disillusioni, di senno di poi.
- Sai, è strano. – considera a mezza voce. – Il Signore Oscuro non ha dovuto aspettare la resa dei conti. Gli sei andato incontro tu. Neanche il Ministero ha dovuto aspettare, sei diventato Auror immediatamente. Hai sistemato le tue cose in fretta, hai chiuso tutte le partite che avevi lasciato aperte, tutte. Tranne me. Io ho dovuto aspettare questa chiacchierata per anni. –
 
Da quando è arrivato a casa sua, Harry non fa che dare ragione a Draco. Sembra quasi che Malfoy si fosse preparato una lista di cose ad effetto da dire per farlo sentire un verme.
- Draco. Quanto ti sei sentito solo? –
Malfoy quasi ride. Deve pur difendersi, in qualche modo, dalla schiettezza bruciante di Harry. – Serve a qualcosa dirlo? –
- Sì, serve a me. – Harry manda giù a fatica la saliva diventata vischiosa in bocca. – Tu sei sempre stato ciò che più vicino ad un amico esistesse per me, oltre ai miei amici. Eri importante, per me. Avevi il tuo spazio nei miei pensieri, ne avevi tanto, eppure non mi sono mai sforzato di capirti. L’ho fatto con Ron tutte le volte che abbiamo litigato, l’ho fatto con Cho Chang, con Ginny, con Seamus Finnigan. L’ho fatto con tutti, meno che con te. E non riesco a perdonarmelo. –
- Perciò adesso sei qui per questo. Per capirmi. – Draco misura lo spazio attorno a se con alcuni passi delicati. – È buffo, Potter. In effetti, me lo sono sempre chiesto anch’io. Mi sono chiesto mile volte come mai tu mi odiassi con tutta quella violenza. Perché tu mi odiavi, vero? I miei erano dispetti da ragazzino, cose di cui avresti riso, se le avesse fatte qualcun altro. Invece tu covavi una cattiveria esagerata nei miei confronti. Una cattiveria senza ragione. –
- Andiamo, ora stai esagerando. Dire che la mia antipatia per te era senza ragione è troppo. –
-  Io cercavo solo di farti vedere com’era fatto il mio mondo. –
- Il tuo mondo era sbagliato. –
- Ma io non capivo come tu potessi giudicarlo così. Lo capisco adesso, ma a dodici anni per me i mezzosangue avevano per davvero il fango nelle vene. E tu non hai avuto più pietà per me di quanta io ne abbia avuta per la tua amica Granger. –
- Perché tu eri così diverso da tutti gli altri che credevo… -
Draco socchiude gli occhi. Poi li riapre lentamente. Sono così vividi che Harry fatica a guardarli. – Credevi cosa. Dillo. Sei qui per questo. –
Harry sa che Draco ha ragione. È lì soltanto perché scavarsi nella coscienza è sterile, se poi non ha dove riversare ciò che ne viene fuori.
- Credevo che tu saresti rimasto sempre così. Che avrei potuto tornare indietro a prenderti in qualsiasi momento. –
 
Draco non gli risponde. Posa il bicchiere quasi vuoto di brandy sul tavolo e slaccia il polsino della camicia che aveva sistemato solo pochi minuti prima. Fa scorrere la manica candida come una guaina verso il polso, finché emerge il Marchio Nero. È sbiadito, ma sulla pelle pallidissima di Draco è ancora visibile.
È morto. Il lungo serpente sembra accasciato sui tendini del braccio, inerte.
Ecco. Lo sguardo di Draco ha sedici anni, ora, e ha tutta la paura del mondo. I suoi occhi sono gli stessi che Harry si era rifiutato di capire. Li aveva studiati, allora, li aveva braccati, ma non li aveva voluti ascoltare. Ora lo fissano con sgomento.
- Adesso, guardami negli occhi, Harry Potter. –
La voce di Draco è poco più di un sussurro. Trema. Tutto il suo corpo trema. Tutto il suo mondo trema. Ma è arrivato il momento di farlo. Harry guarda quegli occhi freddi e delicati. Li vede. Li vede farsi azzurri, e poi grigi, e poi sente il peso di quello sguardo che, con infinita cautela, prova ad appoggiarsi a lui. Riesce a malapena a sentire il suo respiro, mentre tende una mano verso Draco. Sfiora il suo braccio. Lo prende.
Il suo palmo si apre su ciò che resta di quel segno maledetto, come una benda tiepida che ripulisce le ultime gocce di sangue.
Non riesce a smettere di guardarlo, adesso che lo fa per la prima volta. Gli occhi di Draco sono pieni di lacrime, e forse anche i suoi. Hanno tutti e due un disperato bisogno di piangere quelle lacrime che non hanno mai voluto versare l’uno per l’altro. Lacrime gemelle. Hanno bisogno di mettere a nudo le reciproche tristezze. Il bicchiere di Harry cade a terra mentre lui afferra la mano di Draco con le sue, la stringe forte, tiene stretto a sé quel braccio rovinato dalla paura e dalla solitudine.
- Draco. Draco, sei tu che non mi stai guardando, adesso. –
E gli accarezza una tempia, perché sente che se lui non lo guarderà di nuovo niente di tutto questo avrà avuto senso.
- Non voglio. Non lo vedi che… -
La voce di Draco è un terremoto. Harry annuisce con tutta la forza che ha. – Sì che lo vedo. Sto piangendo anch’io. Sto piangendo, Draco. Non riesco a smettere. –
 È la verità. Gli occhi di Draco sono di nuovo rossi come quella volta. Le sue guance sono di nuovo segnate da scie tenui di dolore. Harry sbatte lentamente le palpebre, per far scendere le sue lacrime in grosse gocce. I suoi occhi sembrano quasi azzurri, le sue guance sono assolutamente rosse. Sta piangendo come un uomo, senza singhiozzare, soltanto lasciando scorrere giù le lacrime.
- Non voglio dire che se tu mi avessi stretto la mano le cose sarebbero andate diversamente. – Draco invece singhiozza. La sua voce è esasperata dalla vergogna. Nella gola ha un nido di rovi che si spezzetta ad ogni sillaba. Credeva di non avere più l’età per piangere.
La pelle di Draco forma dei cordoncini in rilievo sotto al suo tocco. Harry osserva meglio la trama delicata di una ragnatela di tentativi di sfigurare il tatuaggio. Lo lascia andare.
- Draco… -
Lui scuote la testa. – Ho provato. Tu non l’avresti fatto, al posto mio? –
 
Harry è inorridito, e pazzo di rabbia e di senso di colpa, ma si spegne pian piano quando vede che Draco sta cercando di sollevare il suo braccio verso di lui. Dopo avergli rifiutato una stretta, questa volta Harry lo prende per mano, con tutta la delicatezza di cui è capace.
Draco si guarda la mano con espressione afflitta. – Ho dovuto salvarmi da solo. –
- Mi dispiace. Pensavo che saresti rimasto lì ad aspettarmi. Mi dispiace. –
- Ti dispiace? – la voce di Draco è dura come una lapide. – Ti dispiace, Harry Potter?
- Draco, io ho bisogno di continuare a parlare con te come stiamo facendo. – mormora Harry, guardando anche lui l’intreccio formato dalle loro dita come se fosse un nido di qualcosa che forse, lentamente, sta nascendo.
Chiude gli occhi e gli bacia la fronte. Il profumo dei capelli di Draco è insieme sconosciuto e familiare come il volto di un fratello mai incontrato. Non ha nemmeno staccato le labbra dalla sua fronte, che gli dà un altro bacio, sull’occhio sinistro. Le sue ciglia gli bagnano le labbra di lacrime. Gli basta sfiorarlo per sentire la palpebra tremare e il respiro mozzarsi. Insegue ad occhi chiusi quell’ultima traccia di respiro e gli preme un bacio sulle labbra. Draco resta appoggiato alla sua bocca finchè può, poi scivola lentamente sulla sua spalla, e rompe gli argini. Le lacrime con cui bagna tutto il petto di Harry sono così vecchie che hanno quasi l’odore della ruggine. Draco piange, e piange, fino a non poterne più, ed Harry sa che le cose sarebbero potute andare in modo molto diverso.
Lo sa. Finalmente lo sa.
È sempre stata una questione di nomi, per lui. Affrontare un nemico significa innanzitutto chiamarlo per nome. Adesso Harry può farcela, perché il silenzio che sfonda le sue finestre ha un nome, le pagine mangiate dei suoi libri sono coperte di scritte.
- Sono un Mangiamorte. Io sono un Mangiamorte. – singhiozza Draco. Il suo respiro è completamente fuori controllo.
- Dillo ancora. Dillo ancora. Non lo dirai mai abbastanza. –
- Sono un Mangiamorte! Oh dio ti prego tienimi, tienimi… -
Harry se lo stringe al petto fin quasi a soffocarlo. Si sente così triste, per non averlo fatto prima. Draco è triste come lui. Dopo dieci anni e una guerra vinta per niente, c’è solo di che essere tristi. Tristi da morire.
Prima o poi viene il momento di guardarsi negli occhi. Se poi tutto va bene, ci si prenderà le mani. Ci si bacerà la bocca.
Sono stato io a farti tutto questo? Io?
La colpa è una liberazione, per Harry. Il suo strano rapporto con Draco era finito bruscamente perché lui pensava che qualcosa di lontano, di altro, se lo fosse portato via. Draco gli era stato strappato dalle braccia senza che lui lo avesse mai stretto. Draco aveva aspettato e aspettato e aspettato il suo treno, ma poi si era  stancato e ne aveva preso un altro.
Adesso Harry lo sa. Sa un milione di cose.

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Capitolo 4
*** 4. ***


Harry non è molto bravo a nascondere le emozioni. Sono passati pochi giorni da quando ha rivisto Draco, ed Hermione è già seduta davanti a lui, con l’aria di chi cerca di decidere da quale domanda cominciare. Harry non ha l’abitudine di sottrarsi ai confronti, soprattutto non possono essere evitati. Harry ha avuto circa metà della sua vita a disposizione, per imparare che cosa succede quando si tengono nascoste le cose ad Hermione.
- Va tutto bene, Harry? – esordisce lei con prudenza.
Harry scrolla le spalle, e quasi non riesce a credere di poter sentire il tenue rumore della camicia che strofina sulla pelle. Da quando è stato a casa di Draco, il suo mondo si è acquietato, riducendosi ad una serie di borbottii, di rimostranze, di appelli accorati. Ma niente più esplosioni, niente più pezzi di vetro dappertutto. Harry respira come se non lo avesse fatto per anni.
- Sono quattro mattine di fila che vieni al Ministero. Di solito ne collezioni una o due in un mese. –
- Sì, beh, mi sto dando da fare. –
Lei non smette di guardarlo. Harry sa che non gli crede neanche un po’, ma cerca di evitare l’interrogatorio, e non se ne vergogna.
 
Al Ministero ci lavora anche Draco. Harry può confessare a sé stesso che questa è una delle ragioni principali per cui prima d’ora non ha voluto avere quasi niente a che fare con quell’edificio. Ma ammetterlo con sé stessi non significa affatto essere in grado di spiegarlo agli altri. Spiegare com’è, come ci si sente ad aver messo i piedi sul terreno sbagliato. Spiegare, soprattutto, perché ci si vuole rimanere ad ogni costo. Per gli altri le cose sono andate semplicemente come dovevano andare.
Hermione e Ron.
Fleur e Bill.
A questo punto dovrebbe aggiungere “io e Ginny”.
 
La verità è che Harry non vuole fare un’altra irruzione a casa di Draco. Draco è stato molto cortese con lui, e lui ancora non riesce a credere a cos’hanno condiviso quel mattino insieme, però, adesso, non può semplicemente presentarsi a casa sua come un vecchio amico.
 
- Non mi stai ascoltando, vero Harry? –
Harry si riscuote, richiamato alla realtà dall’espressione compassata e persino un po’ triste di Hermione.
- Scusami. Stavo pensando ad una cosa. –
- Non mi vuoi dire proprio niente di quello che ti sta succedendo, vero? –
- Non proprio. Cioè, credo di aver bisogno di essere preparato a dirtelo. –
- Tu? – Hermione inarca appena un sopracciglio. È davvero strano constatare quando non capisce qualcosa. – Non dovrei essere io a dovermi preparare a ricevere notizie? –
Harry accenna ad un sorriso. – C’è qualcuno che vorrei aiutare. –
- Non è una novità. –
Hermione ci scherza su, ma in quel momento il sorriso svanisce dal volto di Harry. – Hermione, ho bisogno del tuo aiuto. Di tutto il tuo aiuto. Come una volta. –
Lei sgrana gli occhi. È una bellissima donna, ma Harry la vede tornare ragazzina ogni volta che lo fa. – Harry, si tratta di qualcosa di… illegale? – cerca di indagare.
Harry scrolla le spalle, sperando che questo le basti. – Non credo che ci porterà dritti ad Azkaban. –
- E’ una cosa pericolosa? –
- Nemmeno. –
- … Ma è folle, vero? –
- Beh. Un po’. –
- E stupida. –
Harry, a quel punto, sbuffa, e rilassa un po’ le spalle. – Sì. In effetti è una cosa molto, molto stupida. –
- D’accordo. – sospira lei. – Sentiamo di che si tratta. –
- Ecco, si tratta di Draco Malfoy. –
Harry si aspettava, più o meno, la reazione di Hermione. La vede aggrottare la fronte e aprire la bocca per dire qualcosa che, però, le muore sulla lingua. Vede Draco riflesso nei suoi occhi, lo vede attraverso di lei, e non gli piace lo spettacolo. Hermione sta carrellando velocemente le immagini di un ragazzino che la chiama mezzosangue, che si prende un pugno in faccia, che le rovina una pozione, che piagnucola. Non le permette di arrivare più in là, non le permette di ricapitolare tutto ciò che pensa di Draco Malfoy fino a quella notte, quella notte disgraziata e maledetta che Harry, nonostante tutto, si rifiuta ad ogni costo di dimenticare.
- Ho parlato con lui. Hermione, devi fidarti di me. –
Lei lo fulmina con diffidenza. Nonostante la tensione nell’aria sia difficile da gestire, gli viene quasi da sorridere perché gli sembra di essere tornato indietro nel tempo, a quando lei lo credeva pazzo ogni volta che sentiva delle voci o aveva delle visioni. Ha dovuto salvare il mondo per convincere Hermione Granger a credergli, quando le parla, ma sembra che lei abbia imparato la lezione. Infatti, fa una specie di prudente cenno d’assenso, più che altro un invito ad andare avanti.
 
Harry si regala un lungo sospiro. Un sospiro in cui si concede per l’ultima volta di pensare se ciò che sta per fare ha un senso. È quasi sicuro di no. è quasi sicuro, anzi è pronto a scommettere che la sua è soltanto la fantasia di un ragazzino, ma ugualmente…
- Adesso capisco perché sei qui. Malfoy lavora di sopra in Direzione Medimagia. –
Harry schiarisce la gola, e praticamente ha già confessato prima di aprire bocca. – Abbiamo preso un caffè insieme durante una due o pause. – commenta, restando il più possibile vago circa il numero esatto di quei caffè.
 
Hermione non insiste troppo. Harry è sicuro che lei si stia già dando da sola le risposte che cerca, che quelle risposte siano esatte, e che sia alla ricerca di un modo per dare un senso a tutta la situazione. Forse sta anche cercando di ficcare Ginny a forza dentro l’equazione.
 
- Parlami di questa cosa che vuoi fare. – borbotta alla fine, cercando di nascondere meglio che può la sua curiosità. La discussione su Malfoy, naturalmente, è soltanto rinviata.
- Mi servirebbero due biglietti per l’Espresso per Hogwarts. – spiega Harry in parole semplici, come se le chiedesse due biglietti per andare a vedere i Cannons.
Hermione è francamente sconcertata. Invece che vomitargli addosso domande su domande, si limita a fargli notare che manca ancora un po’ al giorno della partenza. Così, Harry, con un po’ di imbarazzo, aggiunge: – Naturalmente, mi servirà anche una corsa per Hogwarts. –

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Capitolo 5
*** 5 ***


Draco sbuca dal pilastro del binario 9 ¾ incespicando leggermente. È passato un po’ di tempo, dall’ultima volta che l’ha fatto. Harry lo vede scoccare un’occhiata nervosa alla parete intatta attraverso cui è appena passato, poi sorvolare brevemente la banchina con lo sguardo, fino a trovarlo. Gli occhi gli si riempiono di esitazione e di dolcezza, davanti all’Espresso che fuma sommessamente, in attesa di partire. Harry, per un attimo, riesce a sentirsi partecipe delle emozioni che Draco provava ogni anno, quando veniva il momento di andare. Sono ancora lontani, ma si guardano, e il fatto di essere soli sul binario, soli ad essere l’uno spettatore dell’altro, non fa che tendere e tendere l’atmosfera fra di loro.
 
Prima di rischiare di capire troppe cose di loro, di essere sommerso dalla gelida acqua del senno di poi, Draco si fa avanti.
Harry, allora, gli va incontro allungando il passo. Senza dirgli niente balza sulla scaletta del treno, apre lo scompartimento e aspetta che anche Draco salga. L’odore piacevole e vagamente fumoso del treno gli dà il bentornato ad alcuni dei momenti migliori della sua vita, ed eccolo lì un’altra volta, troppo vecchio per stare seduto su quel treno, e troppo innamorato dell’idea di essere di nuovo lì e di poter rimettere un po’ di cose a posto. Come Remus, pensa distrattamente, sedendosi vicino al finestrino.
Draco entra nello scompartimento pochi istanti dopo di lui. Prudentemente, si mette seduto sul lato opposto, e il treno comincia a muoversi con solo loro due a bordo.
Harry saluta con lo sguardo la stazione e le ultime, familiari costruzioni della Londra che conosce. Non c’è più tensione, adesso. L’atmosfera, fra loro, è distesa e carica di premesse. Il fatto che Draco non gli faccia domande non significa che abbia capito i piani di Harry, ma anzi, il contrario: non capisce per niente quello che sta succedendo, ma lo accetta, accetta di farsi guidare da Harry in qualcosa che troverà finalmente un qualche senso soltanto alla fine del loro viaggio.
Non c’è fretta. Sia Harry che Draco hanno perso da tempo, ormai, quella fretta di vivere che li aveva trascinati qua e là al largo dell’esistenza, per poi sputarli su una spiaggia mezzi annegati, feriti, spossati e a malapena sopravvissuti.
Quando si deve pensare solo a salvare la pelle è tutta un’avventura, ma quando tutto finisce? Quando il peggio è passato, quando c’è solo da intraprendere un ultimo, sicuro viaggio verso casa?
 
- Ciao. – mormora Harry.
Draco solleva la testa, e vede che lo sta guardando dritto negli occhi.
- Ciao, io mi chiamo Harry. –
Le ciglia chiare di Draco sfarfallano, impazzite. – I-io mi chiamo Draco. Malfoy. –
Harry fa un piccolo sorriso. Draco si chiede se sia un attore molto bravo, o se sia sincero, il velo di imbarazzo che ha sulle guance.
- Piacere di conoscerti, Draco. –
E gli tende la mano.
Draco sente il cuore strozzarglisi nel petto. Esala una specie di singhiozzo, mentre fissa quella mano con sguardo vorace, prudente, disperato.
Quella mano sospesa a mezz’aria, in uno scompartimento vuoto, nel mezzo di un vagone che sta nel mezzo del treno diretto a Hogwarts. È tutto perfettamente sospeso a metà strada, che è il luogo ideale per incontrarsi.
E lui sta per salvarsi la vita.
La prende, Harry gliela stringe con gentilezza, aspetta che Draco ricambi la stretta, e non la lascia più andare.
- Da oggi in poi saremo compagni, vero? –
Harry ha davvero l’aria di un undicenne, mentre lo domanda, ma Draco si sente morire, al punto che riesce a malapena a sussurrare un piccolo “sì”.
 
Harry si alza, fa un passo verso di lui, e quando lascia andare la sua mano è soltanto per prendergli dolcemente il viso e baciarlo con tutta l’intensità, la tristezza e la sincerità di cui è capace.
A tentoni trova un po’ di spazio sul sedile accanto a lui, si siede e lo tira con gentilezza contro il suo petto. Draco scivola addosso a lui senza peso. Lo scompartimento di un treno è davvero il posto ideale per baciarsi come ragazzini, pensa Harry.
Spogliare Draco è come sbarazzare una tavola apparecchiata. Una tavola bellissima, coperta da una tovaglia preziosa, con i calici di cristallo, i piatti di porcellana, il centrotavola ricolmo del soffice colore delle perle. A nessuno verrebbe in mente di sparecchiarla. È bella così com’è. Il tavolo che c’è sotto non è mai come ce lo si aspetta. Ti sorprende, con la sua nudità.
Draco è magro. Harry coglie la forma del suo sterno, come tasti di pianoforte, al centro del suo petto. Sulla pancia vede le vene azzurrognole attraverso la pelle chiarissima. Mentre lo spoglia, Draco rabbrividisce. La sua pelle ha un odore leggero, vagamente salino. Con tutta la delicatezza di cui è capace, Harry cerca di metterlo a suo agio, ignorando il più possibile il fatto che si trovino malamente sdraiati su dei sedili di un treno.
Appena Harry comincia a toccarlo un po’ più intimamente, Draco chiude gli occhi e inizia ad ansimare. Lo fa a mezza voce. Non ha niente da temere, perché sul treno non c’è nessuno che possa sentirli, assolutamente nessuno. Harry è stato molto chiaro con Hermione, in proposito.
 
Harry è soverchiato dall’intensità del piacere che riesce a trovare nel corpo di Draco. È lì, è sempre stato lì, a portata di mano. Di quella mano che ora stringe a spasmi, ogni volta che spinge, e Draco geme con forza e lo perdona per non avergliela stretta prima. È la voce di Draco, adesso, che riempie il suo mondo, i suoi sibili scossi, i rumori soffici che emettono sfregandosi. L’unica cosa che esplode è l’orgasmo. Poi, più niente.
C’è quiete, nel mondo di Harry. C’è un sorriso esausto e strabiliato, dentro allo specchio.
 
I capelli di Draco svolazzano docilmente sotto al naso di Harry, come erba smossa dal vento.
– È vero che hai una ragazza? L’ho sentito dire in giro. –
Draco si annida un pochino, ignorando la scomodità. – Da domani non più. –
Harry porta un braccio oltre la sua spalla, superando un po’ goffamente il poggiatesta dietro di loro. – Non voglio che mandi all’aria la tua vita a causa mia. – mormora. Si sente un po’ ipocrita a parlargli così.
- Invece sì. Mi hai portato qui per questo. –
Harry sorride, scacciando qualche brivido di freddo perché non ha voglia di rivestirsi di già. Il viaggio non è ancora finito. – Già, è vero. Eccomi qui. – sospira. – Sono venuto a salvarti, suppongo. –
Draco si reclina leggermente all’indietro e gli dà una piccola testata. – Sei in ritardo di dieci anni. –
- Lo so. Ti chiedo scusa. Puoi perdonarmi per averti lasciato solo? –
- Perdonati tu, Harry. Dopotutto, è arrogante da parte tua chiedermi scusa, come se tutto ciò che ho fatto o che non ho fatto fosse dipeso solo da te. –
Harry gli solleva il mento, per guardarlo negli occhi una volta ancora. Quegli occhi azzurri e nebbiosi, pieni di brutte fotografie, di preoccupazioni, di rimpianti, come i suoi. Non riesce a smettere di guardarli. Sente che non riuscirà più a farlo.
Draco si accoccola contro di lui come se gli andasse bene restare in quella posizione miserabile. Adesso che ha messo a posto davvero tutto quanto, nella sua vita, Harry non sa se d’ora in poi le cose andranno veramente bene. Draco lo spia da sotto la mandibola, con la pazienza di chi attende una mossa importante. La sua camicia sbottonata pende da qualche parte, sfocata, al limitare del suo campo visivo.
Harry si gira, appoggia la fronte contro la sua e prende un respiro lungo tutto una vita. – Possiamo ricominciare da qui? –
 
 
 
 
 
 
ANGOLINO!
 
Aaawn, l’angolino =O= *lo abbraccia*
Ecco qui, questa storiella veloce si conclude come doveva concludersi, senza grandissimi colpi di scena, a parte Harry che si improvvisa grande amatore dentro un treno. Dovevo gustarmeli da capo, e poi si parte con un paio di altre storie un tantino più articolate.
Una sarà tremenda.
L’altra anche.
Ma nella prima ci sarà una Bentley.

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