La guerra per il dominio del mondo

di MaikoxMilo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'incontro ***
Capitolo 2: *** Uno strano richiamo ***
Capitolo 3: *** Un nuovo Maestro e una nuova amica ***
Capitolo 4: *** Il primo giorno di allenamento ***
Capitolo 5: *** Presentazioni e... una marea di scale! ***
Capitolo 6: *** Imparare a conoscere il cosmo ***
Capitolo 7: *** Il subdolo Death Mask ***
Capitolo 8: *** La fuga ***
Capitolo 9: *** Emergenza! ***
Capitolo 10: *** La promessa ***
Capitolo 11: *** Un nuovo attacco ***
Capitolo 12: *** Come una famiglia ***
Capitolo 13: *** La dichiarazione ***
Capitolo 14: *** I cavalieri dei tempi antichi ***
Capitolo 15: *** Scoprire il proprio potere ***
Capitolo 16: *** Rivelazioni scioccanti (prima parte) ***
Capitolo 17: *** Rivelazioni scioccanti (seconda parte) ***
Capitolo 18: *** Amore e altri problemi ***
Capitolo 19: *** Momenti di tranquillità ***
Capitolo 20: *** Il passato dei Cavalieri d'Oro ***
Capitolo 21: *** Il rapimento ***
Capitolo 22: *** L'unione fa la forza! ***
Capitolo 23: *** L'anfora sigillata ***
Capitolo 24: *** Incontri tra passato e presente ***
Capitolo 25: *** La battaglia finale ***
Capitolo 26: *** Sacrificio ***



Capitolo 1
*** L'incontro ***


CAPITOLO 1

 

L‘INCONTRO

 

27 Giugno 2011, pomeriggio

 

"...Non rinunciare mai, Catherine. Hai tante cose dentro di te e la più nobile di tutte, il senso della felicità. Ma non aspettarti la vita da un uomo. Per questo tante donne si ingannano. Aspettala da te stessa!"

"Uh, hai detto qualcosa, Marta?"

"Eh? Ah!" riesco solo a biascicare, quasi come se fossi appena stata fulminata da una rivelazione. Non mi ero affatto accorta di aver letto la frase ad alta voce.

Michela, la mia amica più piccola di un anno, ha sollevato un poco il collo, aperto un occhio, e ora mi sta fissando interrogativamente dal lettino su cui è comodamente spanciata a prendersi il sole del tardo pomeriggio, stile lucertola sul sasso.

"Niente, ho solo letto ad alta voce."

"Che cosa?" si aggiunge l'altra mia amica, Francesca, che invece di anni ne ha 4 più di me.

Anche lei ha un occhio aperto e uno chiuso, ma a differenza di Michela è comodamente seduta sulla sdraio, il parasole a coprirle prudentemente la testa. Un po' meno lucertola, molto più geco, che ama l'estate ma predilige il crepuscolo, quando le ombre si allungano e il caldo viene lentamente rilasciato nell'ambiente circostante.

"La morte felice, di Albert Camus" spiego brevemente, posando distrattamente il libro sulla mia pancia per tornare a rimirare il blu sgargiante del mare.

"Non li hai letti ancora tutti i libri di Camus?"

"Questo no, Fra. E' molto bello."

"Ma parla di morte?" chiede invece Michela, con una mezza smorfia.

"Beh, sì, ma è molto più..." non ho il tempo di finire la frase.

"Ti deprimi così, Marta, più di quanto tu non lo sia già! - mi punzecchia la mia amica più piccola, tirandomi un calcetto scherzoso - Su con la vita almeno qui, siamo in vacanza e le sardine girano."

"Le... sardine?!" ripeto, confusa.

"I fighi, sì! - mi delucida lei, con sguardo furbetto, scoppiando poi a ridere tra sé e sé, sgambettando poi i piedi all'aria come se fossero pinne - Che sia la volta buona che ti troviamo il ragazzo..."

"Ah..."

Come se me ne fregasse, poi.

"Michela..." sospira Francesca, assai più riflessiva di lei, in un tono che palesemente sottintende il lasciarmi stare perché dovrebbe sapere, sì, come sono fatta.

"Sto scherzando, Fra! - scrolla la testa la più piccola, prima di usare il proprio braccio come cuscino - Però, Marta... almeno cerca di distrarti, in qualche modo, altrimenti che ti abbiamo portata a fare qui?!" mi consiglia caldamente, chiudendo gli occhi nocciola per poi tornare a dormire beatamente.

La osservo, invidiando un po' la sua genuinità. In parte ha comunque ragione, dovrei essere allegra e vivace come ogni altra ragazza della mia età che si trova in Grecia a trascorrere un mese della propria villeggiatura con la famiglia e le amiche, e invece, al solito, sono rabbuiata, ho pensieri tristi e, nondimeno, trascorro larga parte del mio tempo a leggere, unica mia valvola di sfogo da quando, circa due anni fa, il mondo mi è franato addosso.

Per questa volta sola seguirò il suo consiglio. Chiudo il libro, rimettendolo nella borsa-mare che chiudo con cura. Osservo ancora una volta la distesa marina, sorrido tra me e me nel sentirmi rasserenata nel contemplarla -stare vicino all'acqua, in qualunque sua forma, mi fa stare sempre bene- poi chiudo gli occhi, permettendo al mio corpo di scivolare lentamente nel sonno.

Forse anche io posso abbandonare ogni più piccola difesa, tornare a rilassarmi come facevo un tempo sotto il grande tiglio, vivere e respirare. Quasi... ci sono quasi, basterebbe solo...

“Maaaaarta!!! Andiamo in acqua? Mi sto squagliando qui!”

Sobbalzo, saltando su a sedere e ritrovandomi davanti gli occhi nocciola e il viso gioviale della mia amica Michela.

"N-non... non si era detto di rilassarsi?!" biascico, confusa, chiedendomi tacitamente se non mi sia realmente assopita e il tempo sia così trascorso in un attimo.

"Cambio di programma. Bagno?"

Ok, allora non mi sono appisolata, è semplicemente lei che ha cambiato idea nell'arco di un respiro.

“Michela, non riesci proprio a quietare e, soprattutto, farCI quietare?!” chiedo, inarcando un sopracciglio.

“Fa caldo ora, non lo senti?"

"Lo faceva anche prima..."

"No!"

"E vabbé allora no." sbuffo, ricordandomi che è inutile discutere con lei quando si impunta.

Produco un sospiro prolungato, alzandomi lentamente dal lettino. Non ho voglia di fare il bagno in questo momento, ma Michela non ci farà vivere per il prossimo quarto d'ora se non la asseconderemo, per cui tanto vale andare a nuotare adesso e avere più tempo dopo per asciugarci senza alcuna fretta.

“Fra, svegliati! La piaga vuole andare in acqua!” chiamo la più grande, scrollandola un poco per le spalle. Lei niente, dorme. O, più probabilmente, finge di dormire.

"Ou, non lasciarmi sola, ti prego!"

“Non ho voglia di alzarmi, CIAO!” è la sua esemplificativa risposta mentre si gira dall'altra parte.

Beh, non molto prolissa ma efficace, non c'è che dire!

“E invece tu vieni!” esclama Michela, perentoria, prendendola di peso come se fosse un fuscello. E, del resto, malgrado sia la più piccolina, è la più robusta tra noi.

"Co..?! No, aspetta, è sleale!" si oppone Francesca, caricata quasi come un sacco pronto alla distribuzione. Le da pugnetti scherzosi sulle spalle per convincerla a mollarla, nel frattempo ride, come, se, in fondo, se lo fosse un po' aspettato.

Le seguo con un mezzo sorriso anch'io, respirando un po' di quell'aria di convivialità che credevo di aver smarrito per sempre, sebbene siamo amiche d'infanzia cresciute insieme.

"Lasciami, ho detto, non..."

SPLAAAASH!!!

Schizzi d'acqua, ululi divertiti e il nero dei suoi lunghi capelli corvini che si incolla al bianco della sua pelle. Perché, sì, essere sarda, come lei, ma ciò non ti garantisce di certo un'abbronzatura efficace fin dal primo giorno di esposizione!

"Ecco, ti ho lasciata, sei content.. - anche Michela viene zittita seduta stante da uno schizzo d'acqua - Cough! Cough! EHIIII, adesso me la paghi, Fra!!!"

Ne deriva un'allegra baruffa a colpi di sferzate e getti vari che io seguo attentamente dalla mia postazione sicura sulla battigia, i piedi appena lambiti dalle onde.

Siamo quindi io, Michela, Francesca e le nostre rispettive famiglie ad essere in vacanza in Grecia; premio della promozione mia e di Michela a scuola e degli esami ben riusciti di Francesca all'Università.

Mi siedo sul bagnasciuga, rimanendo ad osservare lo svolgere della battaglia nel suo pieno svolgimento. Siamo così diverse tra noi, non solo esteticamente, creando così un bel mix di colori e forme, ma anche e soprattutto caratterialmente. Per un discorso di praticità concettuale, nonché di esemplificazione, se, per dire, fossimo un segmento, le mie amiche sarebbero agli antipodi, mentre io, probabilmente, in mezzo a loro due.

Francesca, del resto, è la più grande tra noi, nonché la più matura, pacata ed equilibrata, anche se adesso -ridacchio sotto i baffi!- non si direbbe da come se l'è presa con Michela solo perché ha osato spodestarla dalla sua bella sdraio. Questo, il 2011, è il suo ventunesimo anno di vita, ma lei può fregiarsi di essere ancora una ventenne, essendo nata il 30 novembre in quel meraviglioso posto che viene chiamato Sardegna. Ha dei bellissimi, quanto lunghi, capelli neri, gli occhi di un verde molto particolare, che non si vede tutti i giorni.

Michela è il suo esatto opposto. Più piccola di me di un anno, è una sedicenne che ha energie da vendere. Un po' ingenua, un po' tonta, spesso con la testa tra le nuvole ma sempre presente per le amiche. Se tra noi è di certo la più giovane, non si può dire lo stesso del suo fisico, assai più sviluppato del nostro e già proiettato verso la donna che sarà, nonostante nel cuore e nel volto giovanile sia ancora, in fondo, poco più di una bambina. Sorrido intenerita.

"E dire che quando era piccina... - mi ritrovo a rimuginare, accarezzando distrattamente la sabbia nelle vicinanze con il palmo delle mie mani - Era così esile e piagnucolosa, bisognava sempre confortarla, non lasciarla mai sola, perché aveva paura di essere abbandonata da noi come già aveva fatto suo padre con lei..."

Ci accomuna, in effetti, il fatto di non aver mai conosciuto i nostri padri e di esserci sostenute sempre reciprocamente proprio per sopperire, in qualche modo, a questa mancanza. Proprio grazie a quest'ultimo particolare, l’amicizia tra noi tre è assai profonda e ha reso le nostre famiglie talmente unite da sembrare una sola.

“Marta, muoviti!”

La voce di Michela mi riscuote dai miei pensieri, tornando così ad osservarle. Hanno smesso di farsi le baruffe e ora, sbracciandosi, mi invitano a tuffarmi con loro.

Mi piace tanto nuotare, è un po' una seconda pelle per me, ma oggi devo avere l'umore di traverso più del solito, perché non sono in vena di niente e praticamente insofferente verso tutto e tutti. Passerà prima o poi questa mia inedia...

"Fate voi, al momento, io sto ancora un po' qua!" le avviso, alzando un poco la voce, mentre un'onda più lunga delle altre mi schizza l'acqua salata sul viso e mi fa bruciare gli occhi, che ho parecchio delicati.

"Sprechiamo giorni così!" si lagna Michela, cercando di insistere.

"MA SE ABBIAMO UN MESE DI TEMPO!" esclamo, ancora parzialmente abbacinata, una palpebra ancora abbassata e l'altra no.

“Uff, cosa vuoi che sia un mese a confronto dei nove che trascorriamo a scuola! - controbatte lei, prima di darmi la schiena e fare stretching con le braccia per prepararsi alla nuotata - Quest'anno, dopo Luigi, voglio proprio spassarmela!" mi avverte ancora, prima di immergersi completamente e sparire così dalla nostra vista.

Al solo udire quel nome, mi parte un tic nervoso al sopracciglio sinistro, che trova sfogo in un mugugno indistinto: Luigi... quello stronzo patentato!

“Ci stai ancora pensando?" la domanda mi viene posta da Francesca, la quale, senza scomporsi, mi ha raggiunto silenziosamente sulla battigia e ora mi guarda con un cipiglio di preoccupazione.

"A Luigi? Sì, se ce lo avessi qui lo affogherei con le mie stesse mani! - dico, senza mezzi termini, riuscendo finalmente a riaprire anche l'altro occhio - So che non si meriterebbe neanche il nostro pensiero, dopo tutta la sofferenza che ha procurato a Michela, ma..."

"Non era questo che intendevo."

"E allora a cosa ti riferivi?"

"Lo sai..."

Sì, forse lo so, ma vorrei non pensarci, più di quanto già non faccia alla sera prima di addormentarmi e al mattino appena sveglia, quando devo trovare, da sola, la forza di alzarmi e vivere anche per quella giornata.

"No. - mento, scrollando il capo, portandomi le ginocchia al petto e chiudendomi a riccio - L'ho lasciato andare..."

"Sicura?"

"Più o meno..."

“Questo autunno saranno passati due anni..."

"Mmh!" confermo, laconica, unica risposta che sono in grado di dare, al momento.

"Marta, ascolta... - inizia lei, e ho già paura che parta con la maternale, giacché le riesce piuttosto bene, ma qualcosa attira la sua attenzione più in là - Cosa sta succedendo, adesso?!"

“ODDIO, ODDIO, ODDIO!!! SC-SCUSIIIIII!!!”

Michela che strilla, ovviamente...

Francesca ed io, attirate dai suoi schiamazzi indistinti, nonché dal suo sbattere irrefrenabile delle gambe che finisce per bagnare anche un paio di villeggianti infastiditi, ci avviciniamo in sincrono.

La incrociamo a metà strada, il mare ci lambisce i fianchi, lei si alza in piedi di getto, gli occhi serrati, sbracciandosi, fiondandosi addosso a noi in cerca di un conforto.

Per un istante penso ad un incontro del terzo tipo con una medusa, ma l'ergersi di una figura a poca distanza da noi, attira totalmente la mia attenzione in quella direzione.

“Michela, che hai? Sei tutta rossa!” chiede invece Francesca, non notando il movimento, quanto piuttosto il rossore delle gote della nostra amica.

Mi irrigidisco di riflesso. Il mio sguardo è puntato esattamente davanti a noi, verso questa figura enigmatica che, fuoriuscita in stile Venere dalle acque, con tanto di sferzata al vento dei suoi lunghi capelli, si mostra ora a noi in tutta la sua freschezza e, presumo, magnificenza, a giudicare da quanto da mostra di sé senza un minimo di pudore. Le palpebre sono ancora socchiuse, un sorriso irriverente è dipinto sulle labbra.

I miei occhi si riducono a due fessure nel riconoscerlo come un giovane uomo e non come donna, nonostante i lunghi capelli increspati dalla salsedine e... violacei?!

Anche Francesca, di fianco a me, lo nota, la avverto rabbrividire e quasi le sfugge un singulto, che riesce comunque a mascherare prima che possa trapelare interamente fuori.

"L-lui... l-lui... aaaaaahh!" comincia a straparlare intanto Michela, sempre più agitata, abbarbicandosi all'amica più grande, totalmente in fibrillazione.

Temendo che le possa essere successo qualcosa di spiacevole, mi faccio coraggio e prendo la parola: "Buongiorno, signore, ci sono dei problemi?" chiedo, sembrando più decisa possibile.

"Oh, assolutamente no, semplicemente la vostra amica, un poco sbadata, ha solo cozzato contro di me. - è la sua risposta, sempre data con gli occhi chiusi, mentre, strizzandosi i capelli dal lato destro e poi sinistro, sembra talmente preso dal fatto di doversi sistemare per bene, come i pavoni, da non degnarci di uno sguardo - Comunque non occorre questa formalità, sono giovane anch'io e..."

"Perfetto. Se non ha problemi, SIGNORE, la salutiamo!" taglio corto io, sbuffando, desiderando togliermelo di torno il prima possibile.

"Oh, andiamo, mi fai sentire vecchio così, con questo lei! Dalla voce devi essere una ragazzina, ebbene anche io son..." si degna finalmente di aprire gli occhi per vedere chi ha davanti e una scintilla gli passa veloce, fulminea, attraverso. Si ammutolisce conseguentemente, rimanendo imbambolato a fissarmi.

Purtroppo succede anche a me, sento le guance imporporare, mentre, controvoglia, mi accorgo di rimanere folgorata dalla limpidezza delle sui iridi, di un celeste infinito, come il cielo sconfinato sopra le nostre teste.

"Oh..."

"Oh!" lo scimmiotto, cercando di recuperare, perché la mia bocca si è aperta da sola, sembro citrulla, e non mi va di farmi vedere così dal primo maschio di passaggio quando non è MAI successo prima di adesso.

"Però... non pensavo certo di fare incontri di questo genere, oggi!" commenta, sorridendomi raggiante.

Non parlo, basta il mio sguardo carico di disapprovazione in risposta: se pensa di attecchire così, come qualsiasi altro maschio medio ha sbagliato soggetto!

"E anche un bel caratterino, vedo... non c'è che dire!" continua, divertito dalla mia reazione.

Ma, insomma, che vuole questo da noi, perché non se ne va per la sua strada?!

“C'è... c'è qualche problema?” si aggiunge Francesca, desiderando fiancheggiarmi, facendosi coraggio per poi avanzare di un passo.

“No, affatto. Come dicevo prima, la vostra amica, molto energetica a nuotare, possiamo dire, mi ha tamponato mentre era sott'acqua.” risponde lui, sorridendo di nuovo nell'inquadrare Michela.

"E quindi vuole il rimborso danni?" chiedo, sarcastica, sibilando come un serpente, mettendomi platealmente in mezzo a loro, perché già sta prendendo troppa confidenza.

Non c'è proprio verso, affatto, non mi piaceranno mai i maschi, quel loro modo di fare, quell'indole a sessualizzare tutto. Anche questo, che pure è un bellissimo ragazzo, mi costa dirlo, nel rivolgersi a Michela non le guarda il viso, ma il seno prosperoso, imbarazzandola notevolmente.

“S-scusi...” pigola infatti, tutta vergognosa, coprendoselo come meglio può. Perché lei, piccina, sembra tanto spigliata a parole, ma con le azioni molto meno.

Sono lì lì per difenderla con le unghie e con i denti. Dopo Luigi non è ancora pronta a subire una nuova delusione amorosa che questo tipo, molto probabilmente un galletto, visto come si atteggia, le riserverà nel breve termine, ma è il ragazzo stesso a darci le spalle e alzare un braccio in segno di saluto.

“Di nulla, dolcezza, sono cose che capitano. Solo stai un po' più attenta la prossima volta su dove vai a sbattere, potresti farti male!” fa per accomiatarsi, puntellando bene i piedi per apprestarsi a compiere un nuovo tuffo, se non fosse che, come ricordandosi qualcosa, si ferma un attimo, compiendo una breve torsione del busto nella mia direzione in modo da guardarmi in faccia.

Stavolta sono io ad indietreggiare, sulla difensiva, nel perdere la baldanza di prima.

“Quanto a te, tigre... - mi appella, ridacchiando sommessamente - Complimenti per gli occhioni blu, sono davvero bellissimi! Il mio migliore amico li ha esattamente come i tuoi, sai?!” afferma senza un briciolo di vergogna, facendomi l'occhiolino per poi sparire tra gli schizzi d'acqua.

E lasciando me, per la prima volta, ammutolita al complimento di un maschio.

***

“Ma lo avete visto?! E’ TROPPO FIGO! Poi avete notato che muscoli aveva?! Bicipiti, tricipiti e addominali! Lui sì che si è allenato bene, altro che le mammolette che ci ritroviamo a scuola o all'università! In più è straordinariamente alto! Ma secondo voi quanti anni ha, poi?! Ci mancava poco che crepassi lì seduta stante, anche se forse una respirazione bocca a bocca da lui... mmm!”

Michela, che fino a poco fa era in un mare di vergogna al punto da perdere l'uso della parola, è ora un fiume in piena di frasi una dietro l'altra, tanto che sembra impossibile farla stare zitta.

“Ma che ne sappiamo noi, Michela?! Se sei così spigliata perché non glielo hai chiesto direttamente, invece di boccheggiare come una palamita spiaggiata?!" ribatte Francesca, un poco brusca, innervosita da qualcosa.

“Umpf, facile a dirsi... sono rimasta incantata dai suoi occhi. Ma glieli avete visti?! Lui è... perfetto!” esala Michela con sguardo trasognato.

"Din, don, per te lo era anche Luigi P-E-R-F-E-T-T-O, rammenti? Poi però sai bene come è andata a finire." le fa notare lei, alzando gli occhi al cielo, ma Michela è ormai nel suo mondo, sembra pensare ardentemente a qualcosa, prima di scrollare la testa.

"Hai ragione, non è perfetto al 100%, gli manca una cosa..."

"E sarebbe..?"

"Non è biondo!"

"Uff, questa fissa per i biondi, meglio se platinati... poi prendi delle cantonate assurde e frigni!"

"CATTIVA!" esclama Michela, dandole una manata sul braccio, offesa.

"Puoi negarlo?" l'inossidabile sopracciglio inarcato di Francesca, la rimette tra i ranghi.

"Ecco, io... no!" pigola, abbassando lo sguardo e puntellando i due indici tra loro.

"Appunto!"

La discussione sembra essersi risolta come di consueto, con Francesca che, non senza un pizzico di brutalità, la spegne, letteralmente, e Michela che cerca conforto e appoggio da me, non trovandolo però, almeno questa volta, perché sono estraniata dal contesto, preda dei miei pensieri, che si stanno accavallando con il doppio della velocità consueta.

“Comunque... - riprende Francesca, ammorbidendo un poco il suo tono - avrà all'incirca 20 anni, credo, forse anche qualcosa in più."

“Noooo! Perché così tanti?! E’ troppo grande ed io sono imbranata con quelli che hanno tanti anni di differenza!” si lamenta Michela, vedendosi il suo bel castello crollare miseramente.

“Beh... però sarebbe perfetto per me che, contrariamente a te, prediligo l'occhio chiaro sul capello scuro, di netto!" sogghigna poi, ridacchiando tra sé e sé.

"L'ho visto prima io, Fra, ci sono andata a sbattere contro!"

"E quindi? Nulla mi vieta di tentare!" le fa l'occhiolino lei, sicura delle sue capacità.

"Non abboccherà, avrà il plotone di ragazze dietro!" le fa notare Michela, battagliera.

"E tu invece hai più possibilità, fammi capire..."

"Io... - la più piccola tra noi esita, prima di sbattere orgogliosamente entrambe le mani sul petto - IO HO LE TETTE GROSSE!"

"Aaaaaaah, allora mi arrendo, boss!"

E scoppiano entrambe a ridere, dandosi delle stupide e concordando che, molto probabilmente, il misterioso ragazzo non calcolerebbe né una né l'altra.

Il misterioso ragazzo... mai nessuno, eccetto la mia famiglia, si era rivolto così a me, esprimendo genuinamente un apprezzamento sulle miei iridi. I miei occhi che sono misteriosamente blu, perché nessun avo, a memoria, li ha mai avuti. Mia madre mi ha sempre detto che sono stati l'ultimo dono di mio padre, che sono bellissimi e speciali, inconsueti, che racchiudono un mondo, profondissimo e percettivo, e che dovrei essere orgogliosa a mia volta di possederli. Ma, la verità, è che mi hanno sempre dato solo problemi.

Forse... forse sono semplicemente troppo blu, fanno inquietudine, sembrano delle pozze in cui non ci si scorge il fondo, e ci si può affogare dentro, se li si osservano per troppo a lungo, perché risucchiano e non si può fuggire. Sospiro, stringendomi di riflesso il polso destro con l'altra mano. O forse sono davvero troppo insoliti, non sono nemmeno umani, e questo spiegherebbe il loro continuo appellarmi «demonietto dagli occhi blu».

“Marta! Michela! Francesca! Si è fatto tardi, andiamo verso l’albergo!” la voce delle nostre mamme, di ritorno dal bar doveva avevano fatto aperitivo, ci fa voltare nella loro direzione.

“Ma è già l’ora?” mi chiedo, esterrefatta.

“Uffa che barba! – dice Michela, alzandosi di scatto – A volte vorrei stare un po’ senza genitori e magari fare anche le vacanze senza loro! Solo con voi due, capite? Siamo grandi, ormai!” borbotta, togliendosi la sabbia di dosso per poi dirigersi verso di loro, che ci sorridono felici.

Io faccio per seguirla a ruota, chiedendomi giù tacitamente cosa mangeremo di buono stasera al ristorante dell'albergo, ma fatti pochi passi non avverto la presenza di Francesca dietro di me, il che mi spinge a voltarmi.

"Fra?" la chiamo, confusa dal suo essersi alzata, sì, rimanendo però in contemplazione del mare, una mano premuta sul petto, i lunghi capelli corvini, liscissimi, un poco smossi dalla brezza di un'estate ancora in rampa di lancio.

"Il momento... è infine arrivato!" sussurra, tenue.

E mi sembra, ma potrei sbagliarmi, che il suo corpo tremi per un lungo attimo sfuggente.

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Capitolo 2
*** Uno strano richiamo ***


CAPITOLO 2: UNO STRANO RICHIAMO


 

28 giugno 2011, notte

 

Mi sveglio di soprassalto nell'avvertire qualcosa rimbombarmi in testa, come un eco lontano che risuona in una caverna scura fino a perdersi nei recessi più profondi delle tenebre. La caverna oscura ben rappresenta la mia testa, ancora avviluppata nelle pendici del sonno, mentre il rimbombo è come una voce acuta e malvagia che cerca di afferrare le redini del mio cervello... Cosa diavolo sta accadendo?!

Strizzo le palpebre, tappandomi le orecchie nel disperato tentativo di non seguire il mio istinto di alzarmi e andarmene via, uscire, dove di preciso non so, ma mi formicolano le gambe da quanto è intensa questa sensazione. Dopo pochi minuti ancora, finalmente la voce cessa del tutto. Respiro con più calma nel buio della stanza, mettendomi poi lentamente a sedere.

Do un'occhiata alla finestra, notando la luna rilucere in cielo e il suo riflesso gentile specchiarsi nel nero del mar Egeo, quasi volesse dividere con lui un po' della sua inesauribile brillantezza che le deriva dal sole.

Mi alzo infine in piedi assorta da questo pensiero, nello stesso momento un movimento a poca distanza mi fa capire che mia madre, probabilmente disturbata dalla mia azione, si è voltata dall'altra parte.

Non so bene neanche io perché, ma ciò mi spinge a compiere il giro del letto dalla sua parte e soffermarmi silenziosamente a guardarla. Forse come mai avevo fatto prima d'ora.

Dorme profondamente, ha sempre avuto il sonno di piombo, ma stanotte sembra perfino più del solito. E' coperta dal lenzuolo, nonostante il caldo; il viso sereno, la mano sinistra vicina al cuscino e i capelli dalla buffa forma a cespuglietto, sono le uniche cose ad essere nitidamente visibili. Quasi meccanicamente mi viene da carezzarle i ciuffi un poco ribelli, un sorriso sincero si dipinge sulle mie labbra.

Mi verrebbe solo da ringraziarla per avermi fatto crescere in questi 17 anni di vita, lei e i nonni. Sono quel che sono, nel bene e nel male, grazie a loro, perché quell'individuo che ha contribuito a mettermi al mondo e che avrei dovuto chiamare padre, poi mi-ci ha abbandonato quando ero ancora in fasce. Non ho ricordi di lui. Non ne voglio avere. Ed è così anche per Michela e Francesca che condividono la mia stessa condizione.

Il mio sguardo si fa un poco grave al solito pensare che sono stata rifiutata, e quindi abbandonata, da quell'uomo senza neanche un motivo apparente, solo in virtù del fatto di essere nata. Non lo capisco, non...

Il richiamo riprende a chiamarmi, più intensamente di prima, al punto da obbligarmi a staccarmi da lei per trattenermi la testa, che sento quasi sul punto di esplodere. Non ne posso più, qui dentro mi sento soffocare, devo uscire immediatamente!

Sono le mie stesse gambe, infine, a muoversi automaticamente verso la porta senza che il cervello prenda parte alla decisione. Ancora un secondo soltanto... un secondo soltanto, è il tempo in cui i miei occhi si posano un'ultima volta sulla figura di mia madre, ma sufficiente per avvertire una fitta al cuore ben distinta. Esco dalla stanza in un respiro di tempo, con mia grande sorpresa noto subito che anche Francesca e Michela sono nel corridoio adiacente alla mia camera.

“Cosa fate in piedi?” domando, allarmata, dando voce alle mie preoccupazioni.

“Potrei fare la stessa domanda a te e a Michela!” risponde Francesca, perplessa.

“Ragazze, anche voi l'avete sentita?” balbetta la più piccola tra noi tre, in tono ancora un po' impastato dal sonno.

E se il richiamo è riuscito nell'impresa titanica di ridestare una come Michela che non si sveglia neanche sotto i bombardamenti, la situazione non è affatto buona!

"La voce che picchia insistentemente nella testa? - chiedo comunque, in modo da fugare ogni dubbio. Al loro cenno del capo mi poso una mano sul seno - Sì, è stato terribile! Così come il dolore che mi ha invaso il petto!”

"Sì, sì, vero, anche quello!!! - si sbraccia Michela, completamente ridestata dalla mia osservazione - Oddio, cosa potrebbe essere, Fra? Non è la prima volta che ci capita di provare qualcosa nello stesso momento!"

Ha ragione. Effettivamente è già successo in più di un'occasione. E' qualcosa di inspiegabile, che gli altri ragazzi della nostra età non hanno, o almeno credo. Va bene che ci conosciamo da una vita, noi tre, però queste peculiarità non sono certo all'ordine del giorno.

"..."

Francesca non dice niente, si limita a rabbuiarsi e a scrutare i dintorni, come se cercasse di captare altri segnali non meglio definiti.

"Cosa facciamo?" Michela si rivolge quindi a me, sperando che sia più reattiva.

“Non lo so, questa voce non mi fa dormire, è sinistra e serpeggiante, fa accapponare la pelle e subito dopo le interiora. - provo a spiegarmi a fatica - Che cosa abbiamo fatto con le percezioni precedenti a questa?"

"Mmm... - Michela ci rimugina un po', un dito sul mento, prima di illuminarsi - Le abbiamo sempre assecondate!"

Le abbiamo sempre assecondate, sì, è così che ci siamo ritrovate quando ci eravamo perse in montagna, o abbiamo recuperato Poldo, il gatto della nonna di Michela, e molto altro. Le abbiamo sempre assecondate...

Rivolgo uno sguardo d'intesa alla mia amica più piccola, la quale annuisce, condividendo la mia risoluzione al problema: anche stavolta non sarà diverso dalle precedenti!

Ci incamminiamo quindi lungo il corridoio, convinte che anche Francesca la pensi come noi, tuttavia ben presto la sentiamo richiamarci.

"Asp... aspettate! Chi vi ha detto di andare?!" esclama, decisamente allarmata.

Ci voltiamo perplesse nella sua direzione, pur continuando ad avanzare verso una delle porte di servizio che da sul giardinetto: "L'istinto..."

"N-no, NO! E' sbagliato, non..." protrae le braccia nella nostra direzione, ma sta ancora ferma, quasi spaventata. Da cosa, però?

"Fra, è sempre stato così, no? Una di noi decide qualcosa e le altre la seguono, giusto?" chiede Michela, confusa dal comportamento dell'amica. Ormai siamo quasi dalla porta.

"E' un'idiozia bella e buona questa! Non questa volta, non... - sembra in difficoltà su come proseguire, su come spiegarsi, poi decide di andare sul pratico - Siete ancora in pigiama, ve ne rendete conto?!"

Ho appena il tempo di realizzare la veridicità di quanto ha appena detto, chiedendomi tacitamente quanto poco sia connessa per compiere una disattenzione simile, che Michela spinge la porta dell'uscita, spalancandola completamente.

Abbiamo giusto il tempo per compiere un solo passo fuori nell'aria quasi ferma della notte estiva che Francesca -come ci sia riuscita non me lo spiego, come tante, troppe, cose quest'oggi!- è subito dietro di noi, ci trattiene entrambe per il braccio, obbligandoci a voltarci nella sua direzione.

"Datemi retta, per una volta! Non dovete assolutament..."

Improvvisamente tutto si blocca. Stavolta anche la sua bocca, la sua stessa espressione che si ghiaccia in una maschera fissa di sconcerto e sbigottimento assolutamente inconcepibile dal nostro punto di vista. Francesca non sta guardando direttamente noi, ma qualcosa... al di là di noi stesse!

Sto per chiedere spiegazioni perché il suo brusco cambio di guardia mi frastorna, ma non ho nemmeno il tempo di spicciare parola che una presenza dietro di noi -ora sì che è tremendamente palpabile nell'aria, prima sembrava offuscata- ci fa scorrere un brivido lungo la nostra schiena.

 "Ragazze, siete troppo curiose e questo è certamente un segno di intelligenza, ma vi devo ricordare che la curiosità può uccidere il gatto!” proferisce una voce dietro alle nostre spalle, quasi come fosse stata sempre qui ad aspettarci.

“Aaaaaah!!!”

Michela ed io gridiamo all'unisono, abbracciando di getto Francesca, la quale, con una sorta di sbuffo, perché lei deve aver già ben chiaro chi ha parlato, ricambia la stretta. Il richiamo martellante cessa così del tutto.

Nonostante lo spavento iniziale, il timbro di voce dietro di noi ha un qualcosa di famigliare, ed è proprio questo che ci fa voltare in perfetta sincronia, ritrovandoci davanti ad una cascata di capelli lunghi, violacei e ribelli, nonché a due occhi azzurro cielo e ad un fisico alto e muscoloso: il ragazzo che abbiamo incontrato al mare questo pomeriggio!

“Voi ragazze non dovreste uscire in piena notte sospinte da un richiamo neanche codificato, può essere assai pericoloso!” sottolinea confidente il tipo, avvicinandosi ulteriormente a noi con le mani alzate in segno di pace.

"Stai lontano da noi o cacciamo un urlo e diamo l'allarme, svegliando così tutti gli ospiti dell'albergo!" lo avverto, ingoiando a vuoto, cercando di rendere il mio tono più credibile possibile.

Solo a seguito della mia frase, pronunciata in un tono strozzato, noto che il suo corpo inspiegabilmente 'brilla' alla luna. Mi stropiccio gli occhi, forse la vista mi gioca un brutto scherzo, ma appena li riapro la luce emanata dal quello strano ragazzo non è cambiata affatto, anzi è diventata ancor più forte. Non è affatto luce riflessa, è proprio...

“Un'armatura d'oro che brilla come il sole?!” esclama Michela, indietreggiando insieme a Francesca.

La mia mente prende disperatamente a pensare. Forse, se riuscissi a fargli perdere abbastanza tempo, darei occasione alle mie amiche di tornare velocemente indietro, svegliare le nostre madri, dare l'allarme, devo solo cercare un modo per...

“Mi spiace dirti, Marta, che non avresti il tempo fisico per consentire alle tue amiche Francesca e Michela di evacuare in qualche modo... sono troppo veloce rispetto a voi!"

Sgrano gli occhi, mentre dietro di me sussultano pesantemente. Costui conosce i nostri nomi, come è possibile?! Non ci siamo presentate innanzi a lui, a parte il nome di Michela che probabilmente ci è sfuggito nel richiamarla. Non dovrebbe quindi...

Rabbrividisco, iniziando a capire in un fremito: e se fosse stato sotto copertura, e se qualcuno gli avesse dato precise indicazioni di pedinarci?!

"Allo stesso modo, non vi è di nessun aiuto mettervi a urlare ora. Prima di tutto perché non sono vostro nemico, e secondo perché stanno tutti dormendo troppo profondamente per udirvi!" continua come se nulla fosse, fermandosi tuttavia a breve distanza da noi.

Un altro fremito di paura mi sconvolge. Vorrei urlare per davvero, ora, vorrei strillare, e vedere se è davvero così, chissà mai che sia io a svegliarmi, perché questo deve essere un prolungamento del sogno di prima, non può essere altro, o un incubo, una cosa fittizia... mi rifiuto sia la verità!

"Che cosa intendi, che cosa gli hai fatto?!" si fa forza Francesca, decidendo ormai di rischiare il tutto e per tutto.

Il ragazzo sembra rimuginare su qualcosa, sospira, poco prima di sfilarsi l'elegante mantello da dietro la schiena. Nessuna di noi ha il tempo di fare nulla.

"Perdonate lo sgarbo..." dice soltanto, lanciandocelo poi nella nostra direzione.

Il fruscio della cappa che svolazza al vento, la copertura totale del nostro campo visivo. Chiudo di riflesso gli occhi, qualcuno mi afferra, forse, non lo so bene, è tutto molto confuso, avverto solo un leggerissimo strappo all'ombelico prima di ritrovarmi a perdere l'equilibrio e cadere in avanti su qualcosa di morbido.

“Acc..!" impreca Michela, ritrovandosi improvvisamente stesa lunga per terra come me e Francesca.

Si ode il mare molto vicino, ben più di quanto dovrebbe essere all'uscita del nostro albergo. Sbatto le palpebre nel rendermi conto che siamo proprio sulla sua riva, in un altro posto che, stante il buio, non riesco bene a distinguere. La figura del ragazzo ci da le spalle nell'osservare la distesa marina, ancora una volta imperturbabile, come se fosse sempre stato qui o comunque a milioni di anni luce di distanza in avanti rispetto a noi. Gli spallacci aguzzi, che si riflettono grazie all'onnipresente luna, gli danno un'aura di rispetto e potenza al tempo stesso.

"Perdonatemi... ho mosso più volte dubbi al mio capo, possiamo definirlo così, sul fatto che potessi essere proprio io ad accompagnarvi qui; dubbi dati dall'aspetto esteriore della mia armatura, che può atterrire chi, come voi, non è abituato alle nostre corazze, ma mi è stato riferito di procedere a mio modo nonostante..."

“NON DIRE ASSURDITA'!" lo intercetto, furiosa, sibilando sinistramente al punto da sorprendere sia le mie amiche che lui stesso, che infatti si volta verso di me sbalordito.

"Non è il tuo aspetto estetico il problema, né l'aspetto grifagno della corazza che indossi..."

"Non è l'effige di un grifo, ma di uno scorpione..." mi fa notare, interrompendomi bellamente.

"NON HA IMPORTANZA QUESTO! Non siamo comunque sceme, le percepiamo le intenzioni violente di chi abbiamo di fronte, e in te non c'è la minima traccia di tutto questo!" continuo, i nervi a fior di pelle nell'essere stata oltretutto interrotta nel mio discorso. E' comunque il suo turno di sbalordirsi a seguito della mia frase.

"V-voi, riuscite a..?"

"LE DOMANDE LE FACCIAMO NOI, SEI TU AD AVERCI RAPITO! Dove diavolo ci hai condotto con il trucco del mantello e per quale ragione?! Il siparietto di oggi pomeriggio era quindi per avvicinarci a noi e coglierci di sorpresa?!"

“Marta ha ragione! - mi da manforte Michela, affiancandomi con coraggio - Sembravi così un bravo ragazzo oggi pomeriggio, perché ora questo?! D-dove ci hai portato?!"

“Quindi fino a tal punto avete già dimestichezza con l'aura delle persone...” osserva ancora il ragazzo, genuinamente sorpreso.

Mi sento ribollire dalla rabbia più ancora della paura. Questo ci prende e ci porta via, non si sa come, e non risponde neanche alle mie domande, ma chi pensa di essere?! Non è cattivo, no, questo è certo, ce ne saremmo rese conto, altrimenti.

“Avvertiamo un qualcosa di molto intenso sia dentro noi sia dentro le altre persone, sì. Noi la chiamiamo 'impronta vitale'...” decide di rispondere pacatamente Francesca, seria in volto, buttando però fuori aria per calmierare la tensione intrinseca che sta provando in questo momento.

"FRA!" vorrei chiederle se è il caso di dare così tante informazioni quando non ne stiamo ottenendo nemmeno una, ma c'è qualcosa di strano nei suoi occhi già da ieri, mi inquieta, forse più della situazione in cui siamo capitate.

“Se è veramente così, le preoccupazioni mie e dei miei amici non sono infondate! Aveva ragione il Grande Sacerdote...” mormora lo sconosciuto, esterrefatto.

“Chi... chi diavolo sei, per davvero?! Puoi rispondere almeno a questa semplice domanda?!” sbraito ad un certo punto, interrompendo a forza il suo monologo. Mi sto esasperando, non capisco se costui non risponda volutamente o sia solo sbadato, ma è qui per conto di qualcun altro, questo ormai si è capito.

“Ah, si, scusate, non mi sono nemmeno presentato, in effetti. Mi chiamo Milo, Cavaliere d'Oro dello Scorpione!” afferma lui, inginocchiandosi sulla sabbia nel compiere un profondo inchino con tanto di occhiolino a ognuna di noi, il che ha l'effetto, nonostante la situazione, di far imporporare seduta stante Michela, imbarazzare Francesca, e creare maggiore disappunto in me.

"E cosa vuole da tre ragazze indifese un tizio che sostiene di essere un Cavaliere di non si sa che cosa, per lo più ammantato da un'armatura d'oro?!" continuo, imperterrita, squadrandolo con severità mentre lui, come se niente fosse, scoppia a ridere per la seconda volta ad una mia affermazione seria.

“Ho avuto già modo di appurarlo ieri, ma... lasciamelo dire, ragazza dagli occhi blu cangianti, dai solo l'impressione di essere timida, in verità non lo sei affatto, ahahahah!!!" commenta, vivace, regalandomi un largo sorriso che, in circostanze diverse, folgorerebbe chiunque, ma non qui e non ora, quando ci ritroviamo in una spiaggia sconosciuta senza neanche aver capito come abbia fatto a condurci in questa sede in un respiro di tempo.

Rimango sulle mie e lo stesso fanno le mie amiche, in attesa che si degni di spiegarsi. La storia dei Cavalieri d'Oro protettori della giustizia non giunge comunque nuova alle nostre orecchie, è una favola che ci hanno raccontato spesso le nostre famiglie, soprattutto quando eravamo bambine. Narra gesta di eroi che combattono con i loro corpi, protetti da dalle sacre vestigia, per una dea greca, che mi pare fosse Atena, figlia diretta del cervello di Zeus Olimpio, per salvaguardare la pace sulla Terra.

Un racconto carino ed emozionante, se non fosse che le guerre ci sono sempre, la gente muore ogni giorno e il fatto che esistano uomini così è solo un qualcosa di relegato alla mitologia, pertanto inesistente.

“Vi ho dovuto condurre qui con la forza per potervi proteggere insieme ai miei amici. La vostra vita corre un immane pericolo!” riprende improvvisamente Milo, andando dritto al punto senza rifiatare.

“CO..?! Non dire belinate! - si oppone Michela, come ridestata, utilizzando una imprecazione tipica della nostra città natale - Noi siamo qui solo da poco, è la nostra vacanza-premio! Come è possibile che..?"

“Il richiamo che sentivate prima e che avreste seguito, se io non vi avessi fermato in tempo. - è la sua naturale risposta, mentre gli occhi gli si illuminano brevemente nella notte - Non vi basta quello? La sensazione che ne è derivata?" chiede poi, serio.

“Ma certo che no! - mi ostino a fare la gnorri io, pur cominciando a capire a cosa si riferisca - E poi... e poi chi ci assicura che invece non sia stato tu a farci percepire quel malessere?!

“Non ho poteri psichici a così ampia gittata. Io sono stato inviato qui al solo scopo di fermarvi e trarvi in salvo."

Possibile? Abbasso istintivamente lo sguardo, cercando di soppesare quanto ci ha appena riferito. Quel richiamo così sinistro voleva noi? Per questo lo sentivamo tutte e tre?

"E quindi dove... dove siamo adesso? Come hai fatto, da solo, a trasportarci qui in tre?" insiste Michela, sempre più confusa e spaventata.

"Si possono fare grandi cose con il cosmo, ciò che voi chiamate 'impronta vitale', è dentro di voi ed è piuttosto intenso anche se al momento ancora piuttosto grezzo. Ma va bene così, abbiamo già qualcuno che vi aiuterà su questo versante."

“"E dove siamo?!?" esala Francesca, gli occhi vitrei e un fremito a sconquassarla. Lei, generalmente sempre così pacata e tranquilla, sicura di sé, contenuta nei modi, che cede a mostrare il proprio stordimento emotivo.

Il luogo, invero, è piuttosto simile ad una spiaggia. Quando siamo state sbattute qui siamo finite sulla sabbia fresca, soffice al tatto, con granelli talmente leggeri che non si percepiscono quasi tra le dita. Sembra un posto ordinario, in verità non lo è, si respira qualcosa di grande qui, di immenso, non lo saprei descrivere, ma è soverchiante.

“Vi trovate sulla Spiaggia Segreta, un lido proibito alla maggioranza delle persone. - ci delucida infine Milo con voce lontana, quasi mistica - Nessuno, da fuori, può accedervi senza il consenso della dea Atena, nostra protettrice; allo stesso tempo..."

C'è un qualcosa che non mi piace nel suo tono forzatamente calmo, mi indispone ancora di più, mi fa rabbrividire dalla paura, ed io voglio solo tornare dalla mia famiglia.

“STAREMO A VEDERE!" ribatto, sforzandomi di apparire impavida. Faccio dietro-front con l'intento di cercare la prima strada utile da imboccare per tornare indietro, alla salvezza, mia e delle mie amiche, affatto intenzionata a dare adito ai suoi discorsi strampalati.

Tuttavia non ho neanche il tempo di muovere il primo passo che subito una scintilla cremisi, non vista dai miei occhi ma a stento percepita, crea un vero e proprio solco nella sabbia a poca distanza dal mio piede.

Salto indietro atterrita, perdendo improvvisamente tutto il (poco, pochissimo) coraggio che avevo.

“Marta, vieni qui!!! - mi ulula Francesca, sgomenta, in un tono denso di terrore che non le avevo mai percepito, nemmeno quando affrontavano i bulletti nella nostra valle - A nulla vale il nostro opporci a costui, non capisci?! Percepisci il sostrato intorno a noi! E' più che soverchiante!"

E' il suo avviso, pregno di paura, ed io non posso che assurgerlo per vero. Non posso oppormi. E' troppo oltre. Stringo con foga le mani. Qualcuno piange dietro di me: Michela.

"Milo!" lo chiamo per nome, ringhiando, in tono confidente, neanche fosse il mio migliore amico in vena di dispetti.

Le iridi celesti di colui che si è presentato come Cavaliere dello Scorpione, si fanno ancora più tetre nel buio della notte. E' forse... dispiaciuto?

“Marta, la vostra prima percezione è corretta, non sono qui per farvi del male! Come Cavaliere d'Oro di Atena ho ricevuto l'ordine dal Grande Sacerdote di portarvi qui per proteggervi e attendere l'arrivo del vostro futuro maestro, non posso, nè voglio, farvi altro! - prende una breve pausa, abbassando l'indice della mano destra che, da quanto riesco a scorgere, emana un scintillio cremisi che non riesco ad identificare in altra maniera se non come un prolungamento medesimo dell'unghia. E' con quello che ha colpito il terreno da distanza?! - Tuttavia, se è per farvi rimanere qui, posso anche usare parte del mio potere coercitivo per obbligarvi a restare!” aggiunge poi, distogliendo lo sguardo.

“Non puoi farlo...” non riesce ad uscirmi altro che un tono supplichevole, mentre, avvicinandomi alle mie amiche, le abbraccio istintivamente. Sono terrorizzate esattamente come me, soprattutto Michela.

“Ti chiedo di non obbligarmi a farlo, infatti... - mormora Milo, mentre la sua voce trema - mi sembri una brava ragazza, e..."

"E quindi è più difficile svolgere il tuo sacro compito di rapirci?! E' questo che Atena vi ordina, di strappare via delle povere ragazze dalle proprie famiglie?!"

"I-io..."

“VAI AL DIAVOLO, NON OCCORRE AGGIUNGERE ALTRO! - lo zittisco seduta stante, gli occhi lucidi dalla paura. Ma non piangerò. - Non puoi neanche lontanamente immaginare come ci sentiamo noi in questo momento... abbi l'accortezza di tacere, almeno!”

"Forse hai ragione, non posso capire il vostro dolore in questo momento, non io, che non ho alcun ricordo della mia famiglia di origine e pertanto non ho sofferto dall'essere separato da loro! - ammette, con un sospiro prolungato - So bene di aver usato violenza su di voi, anche se non fisica. Purtroppo le circostanze lo richiedevano." riesce ancora a sussurrare, dandoci le spalle, ormai certo che non ci muoveremo per nessuna ragione.

Ma non importa più, le mie orecchie sono ormai chiuse ad ogni spiegazione superflua!  

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Capitolo 3
*** Un nuovo Maestro e una nuova amica ***


CAPITOLO 3

 

UN NUOVO MAESTRO E UNA NUOVA AMICA

 

28 Giugno 2011, mattina

 

“Milo, va tutto bene? Come stanno le ragazze?” una voce sconosciuta dal vago accento francese mi ridesta dal sonno.

Cerco di ricordarmi velocemente tutto quello che è accaduto stanotte, dallo strano richiamo all'incontro con il tipo, fino al nostro arrivo qua. Mi rendo quindi conto di essere sdraiata rannicchiata sulla sabbia, scomodissima, con il torcicollo in atto perché, nonostante non faccia per niente freddo, non avevamo assolutamente nulla su cui poggiarci per dormire.

Il mio corpo inizia a tremare mano a mano che la consapevolezza si fa strada in me. Non era un sogno. E neanche un incubo. Siamo state davvero rapite!

Il dialogo tra il nuovo venuto e il ragazzo in armatura, nel frattempo, prosegue. Do loro la schiena, non riesco a scorgerli, ma resto comunque in ascolto: se non possiamo momentaneamente scappare, la cosa più saggia è raccogliere indizi!

“Amico mio, io... non lo so! Le ragazze, dopo aver tentato debolmente di opporsi, si sono addormentate quasi subito sulla sabbia, ma...”

“...Ma non sai se quello che hai fatto sia giusto oppure no!”

“E’ così, Camus..."

Camus?! Questo individuo si chiama così?! Mi tappo la bocca allo scopo di non produrre alcun mormorio di sorpresa. Devo resistere e cogliere il momento propizio, anche se ora sono in due e sarà più difficile.

"Noi siamo difensori della giustizia... - continua poi il Cavaliere dall'effige di uno scorpione, dopo un lungo e prolungato sospiro - eppure abbiamo praticamente rapito queste ragazze e le abbiamo separate dalle loro famiglie. E' vero che lo abbiamo fatto per il loro bene, ma non ti sembra un terribile controsenso?!”

“Infatti è una antitesi, come tutte le leggi del Santuario, del resto! Tuttavia, sai bene che è per proteggere meglio: hanno un cosmo, Milo! Se tu non fossi intervenuto stanotte quell'entità maligna le avrebbe prese con sé!”

Il cuore mi comincia istantaneamente a battere forte, colpito dall'ultima affermazione. Dunque davvero c'era questa voce che ci bramava per sé e, decidendo di seguirla, Michela ed io stavamo per finire in trappola. Non riesco comunque a capire cosa voglia da noi, da tre studentesse di Genova in vacanza-premio con le rispettive famiglie.

"Sì, ti confermo che il cosmo in loro è già molto sviluppato: hanno capito subito che non ero malvagio." conferma Milo, in tono pesante.

"E non sai ancora se abbiamo fatto bene? Il Nobile Shion era molto preoccupato al riguardo."

"No, non lo so, Cam... dovevi vedere come mi guardavano, soprattutto una di loro!"

Credo alluda a me. Arrossisco di netto, sebbene non sia affatto la situazione adatta.

“I tuoi dubbi dimostrano la tua intelligenza, Milo, ma non dimenticare... – continua la voce cristallina dall'accento francese – Tutti noi Cavalieri siamo stati allontanati dalle nostre famiglie quando eravamo ancora molto piccoli, anzi la maggior parte non ha nemmeno conosciuto i propri genitori, come te, del resto. In questa vita c’è chi nasce sotto una buona stella e chi no. Loro sono nate sotto la nostra medesima sorte e troppo a lungo hanno potuto godere dell’affetto di una famiglia, ora è tempo anche per loro di voltare pagina per sempre!”

Stringo con forza una mano, la sensazione di rabbia si acuisce in me. All'inizio del dialogo mi sentivo in colpa per aver trattato Milo in malo modo. A quanto pare, è orfano ed io non avevo alcun diritto di dirgli quella frase, non conoscendo la sua situazione familiare e tanto meno il motivo delle sue azioni... ma ora è diverso! Quest'altro beduino qua, appena sopraggiunto e dall'aria saccente, mi ha già mandato in fumo il cervello senza neanche averlo visto in faccia! Come si permette il francese di dire queste cose su di noi senza neppure averci degnato di uno sguardo?! Ma chi si crede di essere?!

Sbuffo sonoramente senza curarmi di trattenermi, alzandomi in piedi di scatto per poi voltarmi, furente, con tutte le intenzioni di dirgliene quattro anche a lui, che tanto ormai sono carica da stanotte, se dobbiamo ballare facciamolo con stile, no?!

“Ehi, bel damerino! Come ti permetti di dire frasi del genere? Non ci conosci nemmeno e... OH!” mi blocco istantaneamente, riuscendo finalmente a vedere il suo aspetto esteriore mentre lui, senza minimamente scomporsi, piegando quel tanto che basta il collo nella mia direzione, mi scruta con occhi di ghiaccio.

Mi ridimensiono in un istante, facendomi piccola piccola, vinta da una pressione -e un gelo, brr!- assai più forte di me.

Il ragazzo in questione indossa a sua volta un’armatura non dissimile da quella di Milo, ma dalle linee molto più morbide ed eleganti. Nell'elmo è incastonata una pietra, uno zaffiro, per esattezza, che ben si adatta ai lunghi capelli blu che gli ricadono delicatamente sulle spalle e sulla schiena. E tuttavia sono i suoi occhi, che continuano a fissarmi con un velato astio, ad ammutolirmi all'istante per la particolare sfumatura blu oltremare che possiedono e per la brillantezza che emanano con così tanta grazia e compostezza.

Ma, ancora di più di questo, essi sono uguali ai miei!

Quasi inconsciamente mi ritrovo a chiedermi se anche a lui hanno dato i miei stessi problemi o se, contrariamente a me, sia cresciuto in mezzo a persone civili.

“Con chi ho l’onore?” mi chiede gelido, squadrandomi da capo a piedi con circospezione.

“Uhm, s-s-s-so-n-n... - prendo una boccata d'aria, sforzandomi di calmarmi per smettere di balbettare - M-Marta, mi chiamo!” biascico a fatica, abbassando lo sguardo. La grinta di prima è già un lontano ricordo, qualcosa mi blocca, è gelido, fa rabbrividire, mi spinge a chinare il capo, vinta.

“Bene, Mar-ta... - dei, come lo pronuncia male il mio nome, alla francese, per l'appunto, fa accapponare - Vedi di abbassare subito la cresta, non sono tuo padre ed esigo rispetto!” ribatte freddamente il damerino, con aria di sufficienza.

Cosa-cosa-cosa?! Lui parla di rispetto quando ci hanno rapito e portato via dalle nostre famiglie?!

In meno di un istante sono di nuovo carica e mi ritrovo ben presto ad attaccarlo verbalmente senza più alcuna incertezza.

“Già, è vero, ghiacciolo, non sei mio padre, grazie al cielo! Sei altrettanto sicuro di essere anche solo lontanamente umano?! Sembri più... un iceberg ambulante!” rispondo acida, incrociando le braccia al petto. C'è qualcosa in costui che mi manda in bestia al solo guardarlo, come un imprinting innato. Ringhio nella sua direzione.

Il tizio, per tutta risposta, probabilmente considerando ultimate le patetiche presentazioni, sbuffa e si volta con l'ovvio intento di delegare la gatta da pelare al compagno che lo sta fissando con espressione strana, a metà strada tra il divertito e il nervoso. Fa per aprire bocca, ma un vociare sempre più distinto blocca i suoi propositi.

“Oh, madonnina bella! Ma hai visto che fico anche ‘sto qua?!”

“Sssh! Michela, stai zitta!”

"MA E' UN FIGO, NON LO VEDI?!"

"T-ti sembra il caso, ora, di... OHO, SI STA GIRANDO!"

Posso giurare di aver visto, per un fugace attimo, le guance del 'ghiacciolo’ assumere un colore rosso. Osservo con curiosità lo svolgersi degli eventi, mentre lui, con già espressione esasperata, si rivolge direttamente a loro.

“Immagino che voi due siate le sue amichette del cuore... posso sapere i vostri nomi, o pensate di continuare a dare commenti sulla mia persona?!” chiede in tono perennemente freddo, inarcando un sopracciglio, al punto che Michela, sussultando, corre a nascondersi dietro Francesca.

Io a questo, se non sparisce entro i prossimi cinque minuti, do una testata dritta nei denti! Con quale tono di superiorità, poi, si è rivolto alle mie amiche?! Fa davvero imbestialire solo per il fatto che parli e respiri qui davanti a noi!

“Sì, mi chiamo Francesca, lei invece è Michela!” balbetta la più grande, in tono vago, alzandosi compostamente in piedi per compiere un leggero inchino di presentazione. Beata lei che sa esercitare una flemma così invidiabile perfino in situazioni simili e con un individuo del genere davanti.

"E quanti anni avete?" chiede ancora il francese, in tono leggermente più cordiale.

"Io 20, signore, Michela, dietro di me, 16, e Marta uno più di lei, 17!" ci presenta, devolvendo tutte le forze per guardarlo in faccia senza cedere.

"Bene. Apprezzo che, di tre, una almeno sia ben educata." è la sua serafica risposta, mentre socchiude appena gli occhi nel pregustarsi il seguito del suo discorso.

Questo vuole veramente le botte, oh, altrimenti non si spiega...

Poco dopo riapre le palpebre in un guizzo deciso: "Io invece sono Camus, Cavaliere d’Oro dell’Acquario, e...”

“Camus come lo scrittore Albert Camus?!” lo interrompo io, guardandolo torvo.

Lui mi fulmina conseguentemente con lo sguardo, probabilmente non è abituato ad essere interrotto:"Camus come lo scrittore Albert Camus, sì... a te invece non hanno insegnato che, quando uno parla, è buona creanza tacere, giusto?" ribatte, quasi soffiando, come uno di quei biacchi che incontro soventemente quando vado a camminare nella mia valle.

Stiamo partendo benissimo, ma che m'importa?!

"Camus... e di nome?" insisto io, trattenendomi dal mandarlo a rivedere le sue priorità.

"Camus è il mio nome!"

"Ti chiami con un cognome francese? Ah beh... - commento, schioccando la lingua - Tua madre deve aver avuto gusti un po'... particolari!" faccio spallucce, sorridendo beffarda.

Leggo nei suoi occhi le intenzioni, con ogni probabilità, di malmenarmi, e non avrebbe neanche tutti questi torti, a dirla tutta, una parte di me se ne rende perfino conto. Tuttavia decide di trattenersi, di lasciar correre, tornando a concentrarsi su tutte e tre.

“...Piuttosto fareste meglio a prepararvi decentemente questa mattina, Milo vi aiuterà. Oggi pomeriggio inizierete subito gli allenamenti con me alle 14 in punto, non ammetto ritardi! Devo occuparmi di voi, così mi è stato ordinato.” ci spiega Camus con scarsa enfasi (beh oddio non che questa qualità faccia parte di lui a quanto si intuisca, eh!).

Le mie amiche, a seguito della rivelazione, si scambiano uno sguardo terrorizzato, prima di ricercare la presenza di Milo, rimasto in disparte a gustarsi il battibecco tra me e il suo compagnone/amicone più o meno come se fosse al circo.

"E' quindi lui che stavamo aspettando da stanotte?!" esclama Michela, sgranando gli occhi dal terrore.

"Ebbene sì, lui, sarà il vostro maestro!" annuisce il ragazzo, un poco più sollevato nello spirito.

“Oddio no, sarà la nostra fine!” esala Michela, mettendosi le mani tra i capelli nel provare un nuovo impulso al pianto.

"Non avete alcuna alternativa, spiacente." sentenzia aspro Camus, tentando nuovamente di andarsene, ma io non ci sto, non è nella mia natura arrendermi così.

"E chi lo ha deciso questo, scusate?! Non facciamo parte della vostra cricca di... di dei greci e..."

"Ragazzina... - la sferzata ghiacciata con cui mi chiama dispregiativamente senza neanche degnarmi del nome proprio, mi fa accapponare, portandomi a indietreggiare contro la mia stessa volontà - Non so se non hai inteso la situazione o fingi di non intenderla, ma le cose sono cambiate, qui, nelle vostre vite, per sempre!"

Lapidale è dir poco, vorrei piangere anche io adesso, ma qualcosa di più forte mi consente di sorreggere il suo sguardo, rifiutando con tutta me stessa l'impulso di abbassarlo davanti alle sue frasi che sanno di condanna.

"Prima ti rassegnerai su questo e meglio sarà per tutti! - aggiunge, dandomi la schiena dopo un'ultima occhiata di sbieco - E ora, se volete scusarmi..."

Il dialogo è concluso, il nostro destino è decretato, ma io non lo accetto, non lo posso accettare. Gli urlerei di tutto, se potessi, scapperei via, forse morendo perfino nel processo trafitta da quell'attacco cremisi di quel Milo, pur di non dargliela vinta. Eppure non riesco a far altro che rimanere ritta in piedi, le mani strette a pugno, mentre le mie labbra automaticamente si muovono nel dire ancora qualcosa. Ho perso il raffronto, almeno l'ultima parola voglio mettercela io!

"Fiche le camp d'ici, Camus!" sibilo sinistramente, in tono sufficientemente chiaro e con perfetta pronuncia in francese anche del suo nome.

Il messaggio gli arriva forte e chiaro, perché vedo la sua espressione incrinarsi al punto da palesare sorpresa nei miei confronti. Sorrido tra me e me, gongolandomi in questa piccola, quanto inutile, vittoria che si manifesta nel fatto di aver inferto una microscopica scossa al muro di impassibilità che lo circonda.

"Sei francese, giusto? Non hai bisogno della traduzione, saprai di certo cosa significa." dico ancora, irriverente, voltandomi in direzione contraria per non vederlo più.

Avverto per qualche secondo il suo sguardo gelido su di me e privo di una qualsiasi espressione umana, poi dopo aver mugugnato un accenno di saluto a Milo, se ne va per la sua strada.

"Pss, non mi sembra sensato aver già mandato a quel paese per la direttissima colui che ci insegnerà i rudimenti di questo... questo cosmo che dicono, nonché a difenderci!" mi fa notare Francesca, con un accenno di rimprovero.

Arrossisco di netto nel rendermi conto che ha ragione. Imporporo, regalandole comunque un largo sorriso: "Però in francese, che è una lingua molto musicale, non trovi?! - esclamo, grattandomi la testa - Quindi l'ho mandato a quel paese, sì, ma con indubbia eleganza!"

"Se lo dici tu..." sospira Francesca, rassegnata.

"Tanto siamo morte comunque, Fra." commenta Michela, sull'orlo della disperazione.

“Meno male che era del tutto intenzionato a non ostentare la sua freddezza questa volta..." commenta tra sé e sé Milo, ridacchiando, avvicinandosi a noi con sguardo caldo, quasi magnetico.

Lo fisso, incredula, e lo stesso fanno le altre. Dunque non è arrabbiato con noi, malgrado come li stiamo trattando?!

"Comunque questo è quanto, ragazze, da oggi pomeriggio inizierete con gli allenamenti speciali. L'entità misteriosa è estremamente potente, dovrete cercare di rafforzarvi nel più breve lasso di tempo possibile!” aggiunge poi, gioviale, neanche fosse un allenatore di calcio e ci stia imprimendo a forza la motivazione per vincere la squadra avversaria.

“E come facciamo? Siamo in pigiama! E poi... mi sembra ancora incredibile questa storia!” afferma Michela, spaesata.

“Uhm, per i vestiti non ci sono problemi, ne abbiamo a sufficienza; proprio Camus stamattina me ne ha portati tre per voi!” ci spiega sorridente, indicando con la punta dell'indice una specie di sacca posta a poca distanza da noi.

Ah, beh, se li ha scelti il signorino stiamo freschi! Saranno di sicuro orrendi e... ma mi blocco nel seguire, con lo sguardo, la punta dell'indice di Milo fino ad arrivare ai vestiti in questione, trovandoli, contrariamente alle mie aspettative, carini e graziosi.

“Oh, quei cosi?!” balbetta Michela, inorridita.

“Oh, dei... dei pepli!” esclamo invece io, genuinamente colpita, avvicinandomi con un pizzico di incertezza. Li tocco distrattamente con la punta delle dita, sono molto morbidi, ed io ho sempre amato il modo di vestire alla greca!

“Potete indossare questi, dovrebbero andarvi bene!” ci illiustra Milo, sempre sorridente.

Così io, Francesca e Michela ci mettiamo i pepli di lino, mentre il ragazzo, cavallerescamente, si allontana da noi. Mi guardo furtivamente intorno. Sarebbe l'occasione proprizia per scappare, ma non so quale strada prendere e ho l'atroce sensazione che ci bloccherebbero subito. Sospiro. E' già mattina, i nostri si saranno accorti della nostra assenza, fa male il solo pensarlo!

“Voi credete a tutto questo?” chiede Francesca, osservandosi il peplo appena indossato che le ricade elegantemente sul corpo fino ai polpacci.

“Certo che no! Deve per forza essere un sogno! - risponde Michela, prima di tirarsi la pelle delle guance - Ma sto provando a svegliarmi già da prima e non ci riesco!"

Che sia sogno o realtà non ha importanza, ma dobbiamo scappare il più in fretta possibile da qui per avvertire le nostre madri. Mi guardo intorno, cercando una via di fuga...

"E' da prima che non capisco che sentiero intraprendere per fuggire da qui, ce ne sono un paio nelle vicinanze. Forse, se ne imbocchiamo uno..."

"Marta! - Francesca mi guarda strana, una balugine di avvertimento negli occhi - Per andare dove?"

"Ovunque, ma non qui! Questi sono pazzi, sostengono che una voce ci stava chiamando per farci del male, tuttavia loro sono stati gli unici a condurci lontano dalle nostre famiglie!"

"Hai ragione..." prova a prendere parola Michela, preoccupata, prima di essere interrotta da Francesca.

"Non arriveremo da nessuna parte e lo sai anche tu, Marta! La nostra forza è troppo impari, il solo Milo potrebbe fermarci prima ancora di poter organizzare un piano decente!"

"E allora ci arrendiamo così, senza combattere?! - mi oppongo io, livida - Fra, non ti riconosco più!" aggiungo, con una punta di delusione.

Lei, invece di arrabbiarsi, chiude le palpebre, prendendo un profondo respiro nel radunare tutta la pazienza di questo mondo: "Ho visto le dinamiche di quell'attacco..."

Michela sussulta a seguito dell'informazione, io la osservo interdetta: come ha fatto a vederlo?!

Poco dopo è la nostra stessa amica a correggersi.

"O meglio, ho visto che ha alzato il braccio, solo quello, e... ed è partito quel fascio di energia rossa dall'indice. Lui non si è mosso, a parte quel movimento, è stato immediato e... oltre ogni umana comprensione!"

"Ma quindi noi..." Michela biascica poche parole, sufficienti però per farci percepire il suo tono di disillusione. Termino io per lei.

"...Non abbiamo speranze, è così, vero?" sorrido amaramente, stringendo i pugni.

"No, meno di zero." conferma Francesca, tesa. Vorrebbe forse aggiungere qualcos'altro, ma alcuni passi sulla sabbia ci mettono in allerta.

“Ragazze! – la voce di Milo ci fa voltare nella sua direzione – Ho portato qualcuno con cui potrete discorrere più agevolmente. Penso proprio possa aiutarvi ad ambientarvi qui da noi e spiegarvi un bel po' di cose sul nostro mondo." afferma, ammiccando nella nostra direzione.

Si è tolto la pesante corazza in favore di una maglietta a maniche corte nera e dei jeans chiari. Lo segue a corta distanza una ragazzina dall'andatura un poco incerta.

“C-ciao!” ci saluta timidamente proprio lei, un poco impacciata, con breve gesto della mano.

La osservo con attenzione. Deve avere circa la stessa età di Michela, anche se appare più piccola, un po' come me. Eppure qualcosa in lei mi sembra nettamente diverso: la luce dei suoi occhi differisce totalmente, per non parlare dell'espressione facciale seria e composta, decisamente matura. Più matura della nostra.

Mi chiedo, per un istante, se la abbiano rapita come noi, ma pare a suo agio in compagnia del Cavaliere dello Scorpione, sembra anzi che nessuno l'abbia costretta a rimanere qui.

“Questa è Sonia, – ci delucida lo stesso Milo, posandole una mano sulla spalla – la mia allieva. E' nata nel 1995, ma ha ancora 15 anni, essendo di novembre."

Dunque è davvero coetanea di Michela in tutto e per tutto, anche se apparentemente più piccola e meno formata.

"E' un’aspirante Yumemi, ma non lasciatevi ingannare dal suo carattere tranquillo e apparentemente bonario, in realtà se si arrabbia...” lascia il discorso in sospeso, mentre la ragazza si avvicina timidamente a noi.

Riesco così a scorgerle gli occhi, che mi affascinano seduta stante per la particolare sfumatura di verde che possiedono. E' un colore diverso da quello di Francesca, che li ha più sul glauco, sembrano rassomiglianti ad un bosco fitto in pieno giugno, quando gli alberi arrivano al loro massimo splendore prima della calura estiva che tende a seccarli.

“Dite la verità... - ci sussurra a bassa voce lei, guardandoci di sottecchi con un'espressione ambigua – quando avete incontrato Milo per la prima volta, ha fatto un po’ il cascamorto, vero?”

“Oh, eccome, anche se può permetterselo, eh! - parte in quarta Michela, arrossendo nel ricordarsi di esserci sbattuta dentro mentre nuotava - Ha fatto 'swiiish' con i capelli, poi si è rivolto a noi con quel tono un po'... un po'...” continua, gli occhi trasognati, venendo tuttavia interrotta.

Improvvisamente infatti la ragazza di nome Sonia si volta furente e sferra un calcio in pieno stinco di Milo, il quale, non aspettandoselo, urla: “Aaaaah!!! Ma sei impazzita, Sonia?!”

“Razza di pervertito!!! Ti avevo detto di smettere di fare il galletto con delle povere ragazze indifese!"

"Ma io..."

"E poi, prima di portarle qui, saranno state anche terrorizzate dagli ultimi avvenimenti e tu... e tu fai pure lo scemo?! SCREANZATO!!!”

Michela, Francesca ed io ci guardiamo sconvolte, non riuscendo a credere che Milo stia venendo malmenato da una ragazzina minuta come lei. Forse... non è poi così forte? Oppure è lei ad avere un... un cosmo, mi pare lo abbiano chiamato così, immane?!

"Pss, ma sarà davvero il suo maestro?" espongo i miei dubbi a Francesca, a bassa voce, mentre Sonia continua a dargliele e Milo a prenderle.

"Così si sono presentati loro..." fa spallucce lei, un poco stordita dagli ultimi avvenimenti.

"Però! Fa un po' meno paura, ora, non trovate?" commento, con un mezzo sorriso, sentendomi, in qualche modo, più tranquilla.

“Magari fosse così anche quel Camus... aaah, destino ingiusto! Perché a noi povere reiette non è capitato di finire sotto la protezione di Milo?” mormora teatralmente Michela, allargando le braccia verso il cielo.

“Comunque torniamo a fare i seri... – riprende ad un certo punto lo Scorpione, tossicchiando, come se nulla fosse successo (che prima stesse bluffando?!) – ora vi lascio sole, così potrete parlare un po’ tra voi, visto che siete più o meno tutte coetanee. Sonia, mi raccomando...”

"Sì, puoi contare su di me! - risponde lei, lesta, prima di guardarlo con espressione furbetta - Di sicuro farò meglio di te, non ci sai proprio fare con il gentil sesso!"

"Uh! - lui arrossisce, ed è quasi adorabile per come appare - Ti ho cresciuta!"

"Sì, sì... ma lascia fare a me, ora!" afferma ancora, facendogli l'occhiolino.

Così Milo, dopo averle sorriso e scompigliato brevemente i capelli, si allontana da noi, confidando nella buona riuscita dei modi di fare della sua allieva.

"Scusatelo... è tonto, è scemo, e non ci arriva, ma è un bravo ragazzo!"

E' tonto, è scemo, e non ci arriva... ridacchio tiepidamente a questa frase, rendendomi presto conto che mi sento intrinsecamente portata e ben disposta nei confronti di questa ragazza. Non accadeva da un bel po'...

“Sonia, scusami, posso farti una domanda?” chiede educatamente Francesca, osservandola con attenzione.

“Sì, dimmi pure... ehm, qual’è il vostro nome?” chiede, accorgendosi che non ci hanno presentato ufficialmente.

“Mi chiamo Francesca, loro invece sono Michela e Marta.” ci presenta la nostra amica più grande, ritagliandosi ancora una volta, come con quel Camus, il ruolo da collante tra noi e loro.

“Ok, Francesca, qual’è la domanda?”

“Cosa significa essere un’aspirante Yumemi?”

“Significa che sono in grado di vedere il futuro nei sogni, anche se... - si gratta la testa, un poco a disagio - non sono ancora molto brava, perché non ho molta esperienza!"

"In che senso?" chiede ancora la nostra amica più grande, facendosi attenta.

"Che non comprendo ancora bene quali siano sogni fittizzi o immagini che dal futuro giungono, in qualche modo, a me." ci racconta, abbassando lo sguardo un poco sfuggente.

“Uao! Riuscire comunque a capire il futuro dai sogni deve essere fenomenale!” commenta Michela, emozionata.

"Ehm, sì... anche se a volte fa un po' paura."

"Lo potremo apprendere anche noi? chiede concitata Michela, recuperando un poco di entusiasmo.

"N-non credo, a me hanno detto che è un'abilità innata!"

"Oh, peccato..."

“Ehm, volete sapere altro? Forse dovrei parlarvi della classificazione di tutti i Cavalieri di Atena...” dice Sonia, cambiando discorso di punto in bianco.

“Classificazione?” chiedo quindi io, confusa, distratta da una simile parola in un frangente simile. I Cavalieri sono classificati come gli animali?!

“Sì, ora vi spiego tutto. Vi va di fare una passeggiata, nel frattempo?” propone lei, sorridendoci.

Noi acconsentiamo quasi subito, cominciando quindi a camminare in riva al mare. La sabbia ancora fresca dalla notte ci solletica i piedi, tenuti ancora scalzi sebbene, insieme ai vestiti, ci abbiano dato anche i sandali da schiavetta; i raggi del sole, appena tiepidi, ci accarezzano delicatamente il viso .

E' bello qui, in fondo, non c'è nessuno, solo i versi degli animali, si respira un'aria di pace e serenità. Sarebbe proprio un luogo idilliaco se, di contro, non ci avessero praticamente strappato dai nostri affetti per un fine che, a loro dire, è superiore.

“Dovete sapere che tutti i Cavalieri di Atena sono divisi in tre, per così dire, ranghi...” inizia a spiegare Sonia, con voce pacata ed estremamente calma.

“Tre ranghi?! E perché?” chiede subito Michela, inclinando la testa di lato, prima di schizzare un poco l'acqua con il movimento dei suoi piedi perché è la più vicina al mare.

“Ssshh!!! – la rimprovera Francesca, con una leggera smorfia – Sempre a interrompere gli altri!”

"Io sono solo curiosa, Fra!"

"Sì, ma dalle il tempo di parlare!"

Tuttavia Sonia non sembra infastidita dalla interruzione, mostra solo quel perenne imbarazzo che la rende molto graziosa. La osservo e la scruto, le sue movenze, il suo modo di porsi, arrivando alla conclusione che non devono essere state molte le occasioni, per lei, di parlare con altre ragazze vicine alla sua età.

“La collocazione di un Cavaliere in una categoria dipende dal proprio cosmo, una specie di universo interno!” riprende Sonia, le mani intrecciate dietro la schiena.

"Sappiamo che significa... - intervengo io, pensierosa - Ovviamente non lo chiamiamo così, ma abbiamo ben presente!"

"Davvero?!" mi chiede lei, stupita, osservandomi per la prima volta dritta negli occhi e sussultando nello scorgerli.

Io guardo altrove, a disagio, avendo avuto sempre problemi a reggere le occhiate altrui. Scrollo automaticamente la testa: "Sì, ma vai pure avanti con il tuo discorso!"

“Alla categoria più bassa, ma non per questo meno valorosa, appartengono i Cavalieri di Bronzo, alla categoria intermedia quelli d’Argento e infine a quella superiore quelli d’Oro; ogni Cavaliere è protetto da una delle 88 costellazioni presenti in cielo.” continua quindi Sonia, cadenzando il suo tono ai suoi passi sulla sabbia.

“Sì, è vero me lo ricordo, mia mamma mi raccontava sempre di questa storia! Se non sbaglio i Cavalieri d’Oro sono in tutto 12, come i segni zodiacali, e sono i più forti e valorosi delle schiere di Atena!” interviene Francesca, osservando il cielo sopra la sua testa.

“Esattamente così! Ne avete già conosciuto qualcuno, oltre a Milo?” chiede Sonia, sorridendo.

“Quel Camus... - ringhio io, ripensando al suo insopportabile accento francese - che sostiene essere Cavaliere d'Oro di Aquarius!

“Sarà proprio lui il nostro maestro.” sospira Francesca, dandomi manforte.

“Già, gran pezzo di gnocco, se non fosse un ‘iceberg ambulante’, come lo ha definito la stessa Marta!” afferma a sua volta Michela, ridacchiando nervosamente.

“Sì, mi hanno già informato di questo. - ci sorride lei, arrestando il suo moto e spingendo noi a fare altrettanto nel guardarla in viso - Comunque non lasciatevi ingannare dalle apparenze: siete molto fortunate ad avere lui come insegnante, conosce un sacco di cose e ha molto a cuore i suoi allievi!"

"COS..?!" è Michela ad esprimersi, ma l'esclamazione di genuina sorpresa pervade anche noi.

"Ha un'indole davvero gentile ed emotiva... se ben si riesce a scavare nel suo strato di ghiaccio impermeabile!” Sonia perora la sua affermazione precedente, mettendosi a ballonzolare da un piede all'altro.

Io sono quasi ammutolita dall'affermazione, la fisso incredula, sbattendo le palpebre più volte nell'aspettarmi che ritratti la sua asserzione precedente. Non la ritratta.

“Davvero è come dici? Eppure a noi è sembrato così freddo!” si oppone Michela, alzando le braccia all'altezza del petto, chiudendo i pugni per poi muoverli su e giù varie volte.

“Perché così vuole lui. E' molto schivo e ha paura di affezionarsi troppo alle persone, per questo motivo è difficilissimo fare breccia nel suo cuore, solo pochi ci riescono. Il mio Maestro Milo ne è un esempio, lui è il suo migliore amico!” ci spiega Sonia, mentre io mi ritrovo ad abbassare lo sguardo, dispiaciuta.

Ha paura ad affezionarsi come me ed io non mi sono comportata granché bene con lui, avendogli dato del ‘ghiacciolo’ senza nemmeno avergli dato il tempo, quasi, di presentarsi. In generale, mi reputo una persona abbastanza riflessiva, e invece mi sono ritrovata a battibeccare con un individuo che nemmeno conosco.

"Perché fa così?" mi viene da chiederle, mordendomi il labbro inferiore.

"Perché ha già sofferto molto, per avere appena 22 anni! La vita gli ha fatto perdere persone molto importanti, e quindi si è chiuso, mantiene le distanze dagli altri, perché, penso, sia arrivato addirittura a credersi il responsabile della morte di coloro che amava!"

Rimugino su quest'ultima consapevolezza, mentre un, neanche tanto velato, senso di colpa, si fa strada in me. Ventidue anni appena, cinque più di me... e mi dicono che ha già sofferto tanto, che ha perso persone care e che la sua reazione, il suo atteggiarsi, sia dipeso da quello. Non so perché, ma al solo pensare a questo, una fitta al cuore mi parte rapida e distinta appena sotto il seno, portandomi a mutare respiro, che diventa più frenetico.

"In ogni caso, nel suo atteggiarsi da algido, credo che sia comunque riuscito a fare breccia ihihi! - avverto Michela ridacchiare tra sé e sé a seguito della sua stessa affermazione, ed io ho appena il tempo di alzare lo sguardo nella sua direzione che, tutta sogghignante, prosegue - Su Marta! Credo proprio che alla nostra amica piaccia!"

"CHEEEEEEEEE??? - sbraito, oltraggiata, avvampando istantaneamente - Sei fuori strada completamente! Come potrebbe interessarmi uno che sembra avere un onnipresente bacco piantato nel c..!" mi censuro, scrollando la testa convinta, mentre le mie amiche se la ridono.

Piacermi Camus?! Ma figuriamoci! Questa poi! Piacere una persona così?! No, è altro che sento, dopo le parole di Sonia, deve essere pena. Solo... pena!

"Però non puoi non ammettere di aver avuto una reazione forte appena lo hai visto! - si aggiunge Francesca, guardandomi con attenzione - In genere, non sei così aggressiva col primo che capita!"

"Fra ha ragione, solitamente tu i maschi li snobbi, trattandoli con sufficienza, quasi freddezza. A meno che tu non abbia un motivo più che valido, non arrivi allo scontro verbale diretto, eppure con quel Camus..."

"Non significa niente questo! - mi oppongo ancora una volta, guardando altrove in completo disagio - Non mi è piaciuto come ci ha trattate e ho agito di conseguenza, e ora che mi è stato riferito questo, sono solo rimasta stupita, tutto qui!"

"Sarà..."

"Non sarà... E'!"

Non c'è verso di farmi ammettere qualcosa, loro se ne rendono conto, pertanto decidono di cambiare argomento con Sonia.

“Invece Milo com'è? Come maestro, intendo!” chiede Michela, sempre più curiosa.

“Oooh, è severissimo!” afferma Sonia, sorridendo.

“Davvero?!” esclamano all'unisono Francesca, Michela, esterrefatte.

“Certo! Quando non mi allena è molto dolce e posso scherzare con lui quanto voglio, ma quando mi deve addestrare cambia completamente comportamento, diventa super esigente e non si schioda da me finché non riesco ad eseguire la sua richiesta!” continua lei, sorridendo furbamente.

"Allora forse non lo voglio come maestro..." ammette Michela, grattandosi la testa e ridacchiando conseguentemente.

"Non dico che Camus non lo sia, eh, però sa essere molto più comprensivo, a volte, del resto... - Sonia si prende una breve pausa, osservando una nuvoletta - Lui ha già una certa esperienza come maestro." i suoi occhi brillarono ardentemente nell'esprimerlo.

Da come ne parla, dal suo sguardo, pare ammirarlo molto e non posso dire di capirla, però... però le sue affermazioni mi hanno incuriosita, questo sì. Osservo distrattamente il cielo sopra le nostre teste, un batuffolo di nuvoletta, quasi un pennacchio che vola libero. Sorrido tiepidamente tra me e me.

E va bene! Vorrà dire che oggi pomeriggio mi impegnerò al massimo ad essere più gentile e cortese nei suoi confronti, perché voglio proprio conoscere meglio questa parte tanto nascosta di lui; di questo Camus, Cavaliere d'Oro dell'Acquario e nostro nuovo maestro!

 

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Capitolo 4
*** Il primo giorno di allenamento ***


CAPITOLO 4

 

IL PRIMO GIORNO DI ALLENAMENTO

 

28 Giugno 2011, pomeriggio

 

Dopo un veloce pasto a base di pesce portatoci gentilmente da Milo, stiamo correndo disperatamente verso il luogo in cui ci dobbiamo ritrovare con il nostro maestro. Sono già le due passate e siamo in pauroso ritardo, Camus, apparentemente il classico tipo precisino poco incline allo svacco, non ne sarà sicuramente contento.

Il luogo dell’allenamento è sempre in questa cosiddetta Spiaggia Segreta -questo posto è enorme, non me ne capacito!- in una zona più a est piena di scogli e assomigliante ad una baia.

Appena arrivate, Michela e Francesca si buttano platealmente sulla sabbia completamente esauste, io invece riesco a rimanere in piedi, anche se a malapena, le gambe tremanti, mentre Sonia è incredibile, sembra un fiorellino, nessun cenno di stanchezza, né di affanno. Mi chiedo come faccia.

Camus è seduto su uno scoglio, lo guardo di sottecchi, una gamba piegata verso il petto e l'altra a ciondoloni. E' elegante perfino in questa posizione solo apparentemente trascurata, le palpebre chiuse, l'espressione assorta, come se stesse ascoltando le onde o qualcosa di simile. Trovo che sia bello e aggraziato, sono quasi portata a iniziare io un dialogo civile, memore i discorsi di Sonia, ma...

Lo vedo corrugare la fronte, prima di riaprire gli occhi, che mi provocano nuovamente quella sensazione di gelo sfrenato insostenibile. Le parole mi muoiono istantaneamente in gola. Ci scruta severo una ad una, ed io credo proprio di averci preso come prima impressione: non tollera i ritardi!

“Alla buonora! Credevo foste morte ancora prima di iniziare con l’addestramento!” proferisce, freddo come il ghiaccio.

"Stavamo mangiando e ci abbiamo messo più del dovuto. - tento di spiegare, sforzandomi di mantenere un tono civile - Scusaci, ma ora..."

"E non ricordo di avervi detto che potete rivolgervi a me in maniera così informale! - trancia di netto il mio tentativo di dialogo, deve avermi preso in antipatia per il nostro raffronto precedente - Sarò il vostro maestro, questo vi è già stato illustrato, pertanto è più idoneo il Lei, se non il Voi!"

Ci ho provato e ho trovato un muro davanti, bene. Con poche parole, il campione è riuscito a mandare a monte i miei tentativi di approccio socievole e affabile, ora sono lì lì per mandarlo al diavolo un'altra volta, senza mezzi termini. Lo sto per fare, ma Francesca mi afferra per il polso, scuote la testa come a dirmi di trattenermi, prima di rivolgersi direttamente a lui.

"Scusateci, Maestro, avete ragione!"

La guardo storta, inconcepibile per me essere così educata quando lui, da stamattina, non fa che trattarci a pesci in faccia. Mi lamentavo dei modi rozzi di Milo, che ci ha rapito senza esitazione, ma costui è peggio... molto peggio!

Camus annuisce, neutro, sembra si sia comunque instaurato una sorta di rispetto tra loro due, poi scende dallo scoglio e si avvicina a noi. Il mio occhio viene istantaneamente catturato dal movimento sinuoso della sua lunga veste.

Si è tolto l’armatura ed ora indossa una sorta di tunica lunga fino alle caviglie e legata sui fianchi da due lacci; ai piedi porta dei sandali alla greca e ai polsi due specie di bracciali in metallo dorato. Nonostante il disappunto per il trattamento, non posso fare a meno di arrossire lievemente: la veste che gli ricopre delicatamente il corpo mette in evidenza il suo fisico tendenzialmente tonico e... beh, a dispetto del suo caratteraccio, non è di certo uno spettacolo così comune!

Esteticamente è davvero gradevole... anche se mi scoccia dirlo.

“Bene. Ho notato che vi piace correre, allora farete cinque giri di questa spiaggia da cima a fondo, così imparate da subito ad arrivare puntuali!” sentenzia poco dopo, impassibile.

Caratterialmente, invece, è davvero un bacco in culo!

"E-eh?" mugola Michela, certa di non aver capito.

“Cinque giri di questa spiaggia.” ripete Camus, sempre con quel tono neutrale che manderebbe in gangheri pure un santo.

"TU SEI PAZZO!" stabilisco io, ostinandomi a dargli del tu, sbattendo le palpebre dall'indignazione.

Cade il silenzio. Lui guarda me, io guardo lui. Intanto Sonia raggiunge placida Milo, seduto poco più in là ad osservare, divertito, la scena neanche si trovasse al circo.

"Prego?"

Credo mi stia dando occasione di ritrattare. Non ritratterò!

"Perché diavolo dobbiamo fare cinque giri di questa spiaggia?! A che pro? Ti... vi abbiamo detto che stavamo mangiando, non ci stavamo solazzando, e comunque..."

“Sette giri. E ora muovetevi, se non volete che aumentino ulteriormente!” continua lui per tutta risposta, in un tono irriverente, sebbene la sua espressione sia pressoché identica a prima.

"COS..?!"

"Ti consiglio di non fiatare, ragazzina. - socchiude pure gli occhi, lo stronzo, per poi riaprirli e stagliarli, con tutta calma, nei miei - A meno che tu non voglia condannare le tue amiche a correre per tutto il pomeriggio!"

Quindi, per ogni tentativo di opposizione, costui incrementerà i giri?! Ottimo!

Ringhio sommessamente, guardandolo sdegnata.

Non avendo comunque scelta alcuna, ci mettiamo a correre una dietro all'altra. In fondo, sarebbe anche un qualcosa di piacevole, con il suono delle onde del mare che si infrangono sulla sabbia e lo stridio dei gabbiani che volano sopra le nostre teste... se non fossimo già stremate alla fine del primo giro!

“Cosa fate lì ferme?! Forza! Ancora sette giri!” ci riprende subito Camus, notando la nostra sosta poco più in là per riprendere fiato.

“Cosa?! Pant, pant... ma ne abbiamo già fatto uno, quindi, in teoria, sarebbero altri sei, non sette!” cerca di opporsi Francesca, sbigottita.

“Ma vi siete fermate, vi ho forse detto che potevate fermarvi?! No... pertanto sette giri, e fateli di fila, stavolta!" risponde pronto Camus, inarcando un sopracciglio.

No, cioè, questo vuole le BOTTE, gli puzza la vita, o... o non so, ma è veramente pazzo, fuori di senno, dove siamo capitate?!?

“Dannato Cavaliere! – ringhia a denti stretti Michela, provata – Non ci vuole addestrare per proteggerci, vuole direttamente ucciderci!”

"Se... se lo prendiamo in tre, in qualche modo... - propongo, lucidamente consapevole - Abbiamo qualche possibilità di metterlo k.o. e fuggire via?"

"E l'altro, Milo, dove lo metti? Dubito non interverrà in favore del suo compagno, senza contare la ragazzina, Sonia, sembra dalla loro parte." rimugina a bassa voce Francesca.

"Forse è stata rapita anche lei, forse possiamo salvarla e portarla con noi!" riflette Michela in tono basso, dando occhiate nervose in là nella paura che la sentano.

"Non ne sappiamo nulla, potrebbe essere vittima di qualcosa di affine alla Sindrome di Stoccolma, se ci ostacolasse?!" fa presente la più grande tra noi, scura in volto.

"Se non proviamo non lo sapremo mai!" provo a incoraggiarle, cercando un appiglio, ma lei scuote la testa.

"Lasciamo perdere e assecondiamoli, per il momento."

Sospiro, abbattuta dal suo essere così insolitamente disfattista. Faccio comunque forza sulle gambe per alzarmi dalla sabbia e ricominciare a correre, tanto che alternative abbiamo?! Dobbiamo sopravvivere fino alla fine di questo incubo o, in caso contrario, fare 'buon viso a cattiva sorte', come dice Francesca, fino a quando non riusciremo a trovare una via di fuga.

Quindi avanziamo, e continuiamo ad avanzare. Osservo il cielo sopra di me, di nuovo i gabbiani e le nuvole lontane. Un tempo, quando ero ancora una bambina, correvo molto di più, nella mia valle, tra il verde, con il mio amico. Tutto era un'avventura, tutto era un universo da scoprire, tutto era infinitamente più bello e colorato. Tutto!

Ormai mi sento slegata da me stessa, lontana anni luce da quella versione di me. Spezzata. Divelta. Mi pizzicano gli occhi quando ci penso, tutto si fa annebbiato e qualcosa mi brucia in gola. Corro, corro, e corro... come facevo da piccola, forse sto semplicemente scappando, forse una casa non ce l'avevo più già da tempo, non... da ieri!

Le mie amiche ed io reggiamo bene fino al quarto giro, poi il nostro fisico comincia a dare segni di cedimento. Ad un certo punto, Francesca inciampa e cade per terra; Michela ed io, sfruttando il fatto di essere distanti dagli aguzzini, ci fermiamo per aiutarla ad alzarsi.

“Non ce la faccio più, pant, il mio cuore sta per esplodere!” si lamenta teatralmente in completo affanno, tastandosi il petto.

“Anch'io non ne posso più, basta! Voglio gettare la spugna, voglio tornare a casa, voglio la mamma!!!” continua Michela, sull'orlo della lacrime, guardandosi disperatamente intorno per cercare un modo per scappare. Purtroppo il mare e gli scogli precludono tutte le vie di fuga, quasi come se formassero una barriera posta intorno a noi.

"Non possiamo arrenderci!" mi oppongo, puntellando le gambe con ostinazione per evitare di cadere, giacché tremano come rami al vento e rischiano di farmi crollare a terra. Ma rifiuto questa possibilità con tutte le mie forze, ormai è diventata una questione di orgoglio!

Sia gli occhi nocciola di Michela che quelli glauchi di Francesca mi rivolgono un'espressione sorpresa, mentre io, rigettando indietro l'ansito, cerco di incoraggiarle con ogni mezzo in mio possesso.

"Facciamogli vedere di che pasta siamo fatte, dimostriamo che non ci ferma questo, né le sue punizioni spropositate, né la sua freddezza, né nient'altro che esce fuori dalla sua bocca!"

"Marta..."

"Io so che, se siamo insieme, nulla può fermarci!" sorrido, recuperando un po' di buonumore, porgendo loro entrambe le braccia.

“Hai ragione! Non vedo l’ora di metterglielo in quel posto, santa Cleopatra!!!” ribatte Michela con una delle sue solite colorite esclamazioni, ritrovando nuova vitalità nell'afferrarmi la mano sinistra.

“Ok, mi avete convinto, superiamo insieme questa prova e diventiamo più forti per poter tornare a casa!” concorda Francesca, alzandosi grazie all'ausilio della mia mano destra.

Ci sorridiamo vicendevolmente, gli occhi luminosi, i palmi ancora chiusi tra loro. Francesca ridacchia sommessamente nel guardarmi, ed io le rivolgo un'espressione interrogativa che lei riesce a comprendere subito.

"Nella disgrazia, sono comunque contenta di rivedere in te quella luce abbagliante che avevi perso da un po', da.. da quel giorno. - mi spiega, facendosi un poco triste - E, per questo, bisogna ringraziare quel Camus."

Arrossisco di netto, colpita e affondata, prima di soffiare tutto il mio disappunto che, un po' troppo spesso, si palesa proprio quando si parla di quella persona: "MA FIGURIAMOCI SE E' MERITO DI.. QUELLO!"

"Però Fra ha ragione, Marta..."

Eh, no, però, due contro uno non è valido, odio quando si coalizzano!

"Hai attraversato un periodo buio, spento, non eri più tu, e noi... noi abbiamo avuto paura di non riaverti più... come eri un tempo!"

"Michy..." la guardo, rattristata, accorgendomi ancora di più della veridicità di quanto espresso. Sospiro. So bene anche io di aver attraversato un lungo periodo così, non poteva essere diversamente, visto tutto quello che è successo. Sapevo anche, concretamente, di correre il rischio di perderle, di farle allontanare da me ma, ahimé, non potevo porvi rimedio. Non ne avevo le forze...

"Da quando è successo quel fatto terribile, ti sei isolata da tutti. Sembrava che tutto ti scivolasse addosso, che non ti importasse più nemmeno di vivere, perché, sì, stavi respirando, ma non c'era più nulla capace di farti reagire, di riportarti... alla vita!"

Non sta esagerando, lo so. E' tutto vero.

"E tuttavia adesso, non so se è perché quel Camus ti ispiri particolarmente..."

"Scherzi?! Lo prenderei a testate nei denti una volta sì e l'altra pure!" mi oppongo, imporporando.

"D'accordo, però reagisci, scalpiti, ti opponi alle sue decisioni, e questo... questo... - Francesca esita per un momento, gli occhi lucidi - E' davvero bello, Marta, mi... mi fa sperare in una tua ripresa, finalmente, per quanto sia consapevole che ci vorrà ancora del tempo."

"Fra..."

"E poi... - si intromette Michela, abbracciandomi per poi farmi l'occhiolino - E poi puoi dircelo, Marta, se ti stai prendendo una sbandata per lui. Non ti giudicheremo!"

"COS..?! GIAMMAI!!!" sbraito, inorridita alla sola eventualità.

Scoppiamo a ridere tutte e tre, nuovamente di umore alto, nonostante la situazione in cui ci troviamo, poi, corroborate dal nostro scambio di battute, riprendiamo la nostra corsa, del tutto intenzionate a ultimare gli ultimi tre giri rimasti.

Arrivate infine al traguardo, laddove gli altri ci hanno aspettato senza muoversi, ci lasciamo cadere per terra, quasi del tutto esauste, il cuore che batte come un tamburo impazzito, la milza dolorante e il respiro affannoso.

Con la coda dell'occhio, vedo Camus in avvicinamento, ci raggiunge con pochi passi e ci osserva per qualche secondo.

"Vi è andata male... - borbotto, dandogli un'occhiata per poi dirigere il mio sguardo altrove, alla linea che stabilisce il confine tra cielo e mare - Siamo ancora tutte vive!"

“Lo so. Siete state brave!” mi risponde lui, sorridendomi lievemente. Il suo semplice cenno provoca in me un misto di sensazioni mai provate prima. Lo fisso a bocca aperta, quasi sgrano gli occhi, convinta di aver capito male. Ci sta... facendo i complimenti?

“Concordo. – gli fa eco anche Milo, affiancandolo – Siete state veramente eccezionali!”

"Quindi...?"

La mia domanda rimane in sospeso, lui però deve intuirla in qualche modo, perché ammicca un poco, compie un cenno di assenso, prima di scrutarci con gli occhi blu oltremare estremamente percettivi.

"Sapevo semplicemente che ce l'avreste fatta."

"Come?" chiede Michela, allibita.

"Per la magnitude del vostro cosmo." ci dice, poco prima di darci la schiena e compiere qualche passo più in là.

"Per... cosa?" chiede Michela, squadrando prima me e poi Francesca, sempre più convinta di non aver capito. A questo punto si intromette anche Sonia, appena sopraggiunta.

"Significa che avete un cosmo parecchio buono, sapete? Ed è vero, me ne sono accorta anche io! Capite bene quindi che non poteva sfuggire a Camus, perché, come vi ho accennato stamattina, ha già parecchia esperienza come maestro!"

Rimango a guardare Camus da lontano -non capisco proprio perché, pur non standomi a genio, i miei occhi continuino ottusamente a seguirlo come se fosse un punto di riferimento!- la visione di lui mi giunge di profilo, ha di nuovo le palpebre chiuse, le braccia conserte. La sua corporeità emana un'aura di magnificenza e solidità, per non dire rettitudine, alla quale è ben difficile rimanere indifferente.

“Venite. - ci sprona infine, riaprendo gli occhi per aspettare compostamente il nostro avvininamento - Ora si può parlare civilmente, giacché non avete più quell'aria di astio che prima vi contraddistingueva."

Ci sarebbe da dire, ad essere pignoli, che la nostra reazione poco... garbata... è stata provocata soprattutto da lui, dal suo modo di porsi dall'alto al basso, ma lascio perdere e, seguendo Francesca, la prima ad essersi mossa, ci disponiamo in semicerchio.

"Cosa sentite, nello specifico, dentro di voi?" ci interroga poi, facendosi attento.

“E’ difficile da spiegare... un qualcosa di caldo tra il petto e l'esofago, ma è distinguibile solo in determinati momenti della nostra vita!” cerco di esprimermi io, massaggiandomi lo sterno.

“In quali precisamente?” ci domanda Milo, interessato a sua volta all'argomento.

“Uhm, per esempio l’anno scorso Michela si era persa in montagna...

"Fra, ma perché sempre io il metro di paragone?!" si oppone Michela, offesa.

"Perché tu sei quella che si perde più spesso o che si ritrova nei guai! - fa spallucce lei, prima di ricominciare - Dicevo, si era smarrita e noi, cioé Marta ed io, siamo riuscite a capire dove fosse perché... beh, perché abbiamo comunicato con lei senza aprire la bocca, come se leggessimo nella sua mente!”

“Cosa?!” esclamano Camus, Milo e Sonia, sorpresi dalla rivelazione.

“Sì... non so come sia successo, ma dopo essermi concentrata sono riuscita a mettermi in contatto mentalmente con le mie amiche. - conferma Michela, strofinandosi il naso con l'indice - Tra l'altro eravamo pure in gita scolastica, sapete? Tutta la scuola si trovava là e anche Marta faceva delle cose strane. Le ha sempre fatte, a dir la verità, fin da piccolissima!" continua, vivace, scrollandomi un poco il braccio come a dire di pronunciarmi anch'io, in proposito, ma bastano le occhiate perplesse degli altri tre per darle un freno.

Menomale! Perché non sono proprio in vena di parlare di cose mie private e del mio vissuto.

“Comunque anche a me sono successe cose strane, quasi paranormali, da quando ho compiuto i dieci anni di età. Non le sapevo spiegare, ma è così che ho scoperto tutto!” mormora Sonia nel tono di chi ci è già passato, mentre Camus e Milo si scambiano occhiate sempre più preoccupate.

Seguono attimi di silenzio, poi il primo riprende il discorso: “Ciò che sentite dentro di voi si chiama ‘cosmo’, la forza intrinseca che ogni essere umano possiede.”

"Ogni?! Quindi tutti?" chiede delucidazioni Michela, sorpresa.

"Sì, tutti!" conferma, serio.

“Maestro, se ogni essere umano ha questa forza dentro di sé, perché solo noi siamo qua ad allenarci e non anche gli altri?!” chiedo io, alzando la mano come a scuola. La mia domanda, sorta spontanea, ha però un certo retrogusto aspro.

“Devo ammetterlo, è una domanda molto acuta, ragazzina, ed è vero che ogni essere umano possiede un cosmo, ma solo in pochi è pienamente sviluppato, questi sono i Cavalieri di Atena!” mi risponde Camus, non accorgendosi, o fingendo di non accorgersi, dell'accusa velata nel mio quesito.

“Amico mio... – ci interrompe Milo, passandosi velocemente una mano tra i capelli – scusami, ma ora io devo tornare al Santuario per fare rapporto al Grande Sacerdote. Vuoi che ti ‘impresti’ Sonia per qualche dimostrazione pratica?” domanda ancora, una certa urgenza nella sua voce.

“Se puoi e se vuole lei, sì...”

“Per te va bene, Sonia? Scusami, ma devo proprio scappare...”

“Per me non c’è nessun problema!” afferma pronta la ragazzina, facendo segno di contare su di lei. Milo le sorride calorosamente, frullandole i capelli a mo' di saluto, poi dopo averci fatto l’occhiolino si allontana.

In realtà, tutto il suo atteggiamento a seguito della nostra dichiarazione è preoccupante e non poco... non saremmo mica appestate, spero!

“Stavo dicendo che solo nei Cavalieri di Atena, e in pochi altri, questo cosmo è sviluppato; bruciandolo siamo in grado di fare cose sovrumane, come per esempio arrivare a spaccare le piccolissime unità che compongono la materia, gli atomi.” riprende a spiegare Camus, sempre calmierando in modo e maniera le parole, i toni e le chiarificazioni.

“Spaccare gli atomi?!” esclama Michela, ancor più sconvolta.

“Gli atomi, per l'appunto, sono le particelle piccolissime che compongono tutti noi, ma non solo, anche tutti gli oggetti che ci circondano: le piante, i sassi ecc... - cerca di ricordare Francesca, con una strana scintilla negli occhi - Sono a loro volta sub-composti da elettroni, protoni e neutroni."

“Esatto. Inoltre ogni atomo si muove in maniera disordinata, ciò che stabilisce la velocità del movimento medesimo è nient'altro che la temperatura: più calore si imprime, maggiore sarà la celerità!” annuisce Camus con un lieve sorriso.

“Ma... ma come può un Cavaliere spaccare gli atomi?! E soprattutto in uno scontro tra due persone che usano questo... questo cosmo, c-cosa succede se uno dei due ferisce l'altro? – chiedo io, visibilmente preoccupata nell'aver intuito la gravità delle sue parole – Spacca gli atomi corporei, giusto? Q-quindi causa un danno irreversibile!” arrivo alla conclusione, raggelando al solo pensarlo.

Non riesco, forse neanche voglio, minimamente immaginare che tipo di dolore possa essere. A scuola ci hanno insegnato che l'atomo è incorruttibile, è eterno, niente e nessuno può scalfirlo, tanto è vero che le particelle che compongono i nostri corpi sono vecchie di milioni, miliardi, di anni. Ci era già arrivato, in parte, il filosofo greco Democrito. E ora... ora Camus mi sta raccontando che ci sono uomini capaci di distruggere, disintegrare, questo principio infinito. Inconcepibile!

“...Per questo le ferite che un Cavaliere subisce in combattimento non possono essere curate in nessun ospedale normale!” mi conferma in tono greve lui, forse intuendo il mio sgomento.

“Ma allora perché combattete?! I danni che voi certamente subite in battaglia devono farvi un male insopportabile! Voi offrite i vostri corpi a questa dea Atena per la giustizia, così avete detto, ma se subite simili ferite a livello atomico le ripercussioni le avrete per la vita, giusto?! P-perché lo fate?! Quale ideale vi può spingere a tanto?!”

Sono semplicemente sconvolta da queste rivelazioni, fisso un punto indefinito sul mare, un recondito tremore mi rende molli le gambe. Non me ne accorgo subito, ma Camus alza un braccio nella mia direzione, ne percepisco l'ombra, l'effige, perfino prima di sentirla tangibile su me. Il mio corpo si irrigidisce, chiudo di riflesso gli occhi, mentre la sua mano, quasi guidata da qualcosa, mi sfiora i ciuffi di capelli che mi ricadono vicino all'orecchio in un accenno di carezza. Sussulto, non aspettandomelo minimamente, mentre vengo trasportata lontana, tanto lontana...

C'è mio nonno davanti a me, ed io sono una nanerottola di sei anni. Lui tiene tra le mani la cesoia per la potatura delle piante, mi fa vedere come si fa nella maniera più corretta, ed io eseguo, ansiosa di dimostrargli quanto posso essere brava. Il primo taglio è troppo netto, il secondo va un po' meglio, dal terzo in poi ci prendo la mano. Mi volto verso di lui, raggiante, e lui mi regala un largo sorriso, di quelli rari suoi, un po' obliqui, un po' sbilenchi, ma che significano tanto, tantissimo. Posa l'attrezzatura, mi regala un buffetto sulla guancia e una carezza burbera tra i capelli, prima di voltarsi, dirmi che sono la sua degna nipote, e raccomandarsi di continuare così. Io sono felicissima, ho quasi la bocca aperta, gli occhi trepidanti e il cuore che batte forte.

Il cuore a mille, la trepidazione negli occhi e la bocca spalancata a delineare una 'o' muta, ce li ho anche adesso, completamente carpita dal suo gesto così spontaneo e aperto. Tuttavia l'idillio è destinato a finire presto, perché Camus, forse rendendosi conto di essere stato troppo espansivo senza riuscire a spiegarselo, si riscuote, arrossendo di netto e ritirando velocemente la mano, cosicché è di nuovo freddo dentro di me, più di prima, perché se vivi fuori al freddo e non hai alternative ti ci avvezzi, alla lunga, ma basta sperimentare una volta il calore di un camino, per non voler più provare il gelo.

Anche io tento di riscuotermi con un sussulto, ma è troppo tardi, mi sento come se mi avessero strappato nuovamente qualcosa di importante e fa male.

“Marta, ascoltami... - Camus è tornato ad essere contenuto e statico, infatti ha ritirato prontamente la mano, pur mantenendo un tono un poco più caldo. Fra l'altro, mi ha chiamato pure per nome - E anche voi, Francesca e Michela, giusto?"

"Sì, presenti!" rispondono loro, sorridendo per sottolineare la loro vivida attenzione.

"Siamo Cavalieri, il nostro dovere è proteggere l’umanità dalle forze oscure, non importano le ferite che subiamo, noi facciamo tutto ciò che è in nostro potere affinché regnino la pace e la giustizia sulla Terra!”

"Rischiando la vita senza esitazione?" chiedo conferma, tesa.

"Rischiando la vita senza esitazione, sì, è il nostro credo!"

Abbasso istintivamente lo sguardo, sentendomi momentaneamente in colpa per aver pensato di fuggire via. I miei piani di fuga non sono mutati, certo che no, però almeno ora so che non sono ragazzi cattivi, che anzi combattono per un ideale altissimo, che anche Camus, pur ostentando severità e freddezza, ha un animo gentile e buono, come mio nonno.

Nonostante questo, non mi ci ritrovo. Vorrei solo tornare indietro insieme alle mie amiche, metterci una pietra sopra, imparare da questa esperienza per non ripeterla mai più. Non è il mio mondo, non sono disposta a sacrificare ogni cosa per un bene superiore. Non sono... una così bella persona!

“Ritorniamo alla prima domanda che mi ha posto, Marta..."

Lo guardo senza capire, chiedendomi a quale domanda si riferisca, poi realizzo che gli avevo chiesto dell'entità dei danni subiti da colpi che, secondo la spiegazione data, distruggono la materia a livello atomico.

"Per questo quesito penso che sia meglio farvi una dimostrazione pratica... te la senti Sonia?”

Ci giriamo in sincrono verso di lei, mentre la ragazza, come se niente fosse, trotterella allegramente verso lo scoglio più vicino. Siamo confuse, non capiamo cosa sia richiesto a Sonia, perché a vederla così sembra una piccoletta ancora non completamente sviluppata nonostante abbia l'età di Michela.

“Camus, dimmi quando posso procedere!” dice Sonia, pronta, come se le avessero già consegnato il libretto di istruzioni.

“Quando ti senti sufficientemente pronta.”

"Anche ora, dunque?"

"Anche ora, sì."

Accade tutto in un attimo, forse poco più... vedo il suo braccio già precedenetemente alzato brillare di una luce chiara, fulminea, quasi un lampo, prima di colpire con estrema precisione lo scoglio davanti a lei. Il secondo dopo, quest’ultimo è sparso in numerosi frammenti sulla spiaggia che producono un suono strano, come se stessero scoppiettando.

Trasaliamo scioccate nell'assistere ad uno spettacolo simile, mentre la più piccola tra noi si volta e ci sorride con naturalezza, quasi fosse una cosa di ordinaria amministrazione spaccare in mille pezzi uno scoglio di quelle dimensioni.

“Uao! Ha la mia età, eppure tra me e lei c'è un abisso... Che figata, quanto mi piacerebbe fare lo stesso!!!” commenta Michela, del tutto impossibilitata a trattenersi, saltellando per l'emozione.

"Pss... - Francesca mi da una leggere gomitata tra le costole per attirare la mia attenzione - Per questo ti dicevo di riflettere, prima di tentare una fuga. Anche la piccoletta ha poteri sovrumani!"

Torno ad osservarla di nuovo, quasi spaventata. Effettivamente la voglia di scappare mi sta passando, non vorrei esserci io, la prossima volta, al posto dello scoglio...

“Ottimo lavoro! Anche se non hai ancora scoperto l'attitudine del tuo potere, il tuo cosmo brilla di luce propria, ed è abbagliante! Ora capisco maggiormente perché Milo sia così fiero di te!” si congratula Camus, sinceramente ammirato, sorridendole affabile.

Lei si crogiola in quel complimento, stringendo le palpebre, ricambiando il sorriso, e ciondolando un poco avanti e indietro.

“Maestro, tu... voi che potere avete, invece?” mi faccio coraggio a chiedere, avvicinandomi a loro. Vorrei capire bene l'origine della sua forza, poc'anzi ha sottinteso che dovrebbero essere di matrice diversa, vorrei sapere in che modo.

"Sei un'attenta osservatrice, eh? - mi chiede, e mi sembra che la sua espressione muti in qualcosa di simile alla soddisfazione - Ricordi il discorso di prima, Marta, sulla temperatura e il moto degli atomi?"

"Sì!"

"Bene. Guardate..." ci illustra, chinandosi ai suoi piedi per prendere un frammento di scoglio e rigirarselo poi tra le mani.

Le mie amiche ed io ci disponiamo nuovamente in semicerchio, osservando attentamente questo sassolino sul suo palmo che lui muove avanti e indietro diverse volte. Tutte, credo, ci aspettiamo qualcosa di simile a prima, che si spacchi ulteriormente, che si incrini, che cambi forma, che brilli per poi rompersi in polvere; proprio per questo, quando il ciottolo invece di subire una di queste azioni, semplicemente, si ferma al centro del palmo per poi essere istantaneamente congelato, la reazione che ne consegue, tipo balzo indietro da parte di tutte e tre, è quasi esilarante.

"ODDIOOOOO!!! Ma ha cambiato colore, ora è azzurro!!! - ulula Michela, totalmente sconvolta - M-ma questo è... è..."

"E' ghiaccio!!! - finisce per lei Francesca, osservando prima il sassolino e poi ancora il viso del maestro che sorride tra sé e sé - E' congelato!!!"

Effettivamente non si è rotto, non si è incrinato, e non si è nemmeno distrutto, semplicemente Camus è riuscito a rallentare talmente tanto il moto degli atomi che lo compongono, da ghiacciarlo completamente.

Lo fisso meravigliata e ammirata: occorre un'eccellente abilità, nonché una più che ottimale dose di controllo, per riuscirci. E' molto diverso dalla mera distruzione, è molto più complicato...

"Manipolazione della temperatura..." realizzo, la luce della consapevolezza nei miei occhi.

“Sì, sono in grado di rallentare ogni moto degli atomi fino a sfiorare lo Zero Assoluto."

"La temperatura minima teoricamente possibile in un qualsiasi sistema termodinamico: -273,15 gradi!" termino io per lui, estremamente percettiva, continuando a fissarlo con insistenza.

"Sì... - ricambia il mio sguardo, di nuovo un leggero sorriso sulle sue labbra, di nuovo la sensazione che sia soddisfatto di me, cosa che, inspiegabilmente, mi rende felice. Sorrido a mia volta, certa di aver finalmente imboccato la strada giusta con lui - ma di questo vi parlerò dettagliatamente poi, ora provate a fare quello che ha fatto Sonia poco fa!”

Le mie labbra, prima tirate in su ad accentuare gli zigomi, scendono bruscamente al solo udire il suono della sua ultima affermazione.

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Capitolo 5
*** Presentazioni e... una marea di scale! ***


CAPITOLO 5

 

PRESENTAZIONI E... UNA MAREA DI SCALE!

 

28 Giugno 2011, sera

 

Un largo sorriso di trionfo si dipinge sulle mie labbra nell'osservare lo scoglio che dopo vari colpi (parecchi a dire la verità) si è finalmente arreso al mio pugno.

Cosa mi renda così inconcepibilmente euforica non saprei, nello specifico, sto gongolando dopo aver seguito le direttive -tra l'altro stupide!- di prendere a pugni una superficie dura che potrebbe tranquillamente fracassarmi le nocche. Devo essere uscita di senno anche io, oppure è il potere coercitivo di questi figuri a spingermi a fare cose che, in circostanze normali, non farei mai?!

Francesca e Michela, appena sopraggiunte, mi osservano sbalordite: “Come diavolo hai fatto? –chiede la più piccola, basita – Io sono riuscita a spaccarne un solo pezzo!”

“E cos'hai da lamentarti, Michy? Io non sono riuscita a fare nemmeno quello!” commenta invece Francesca, mettendo su il broncio.

Ignorando completamente il fatto di avere le mani ridotte a una poltiglia sanguinolenta, giusta paga per il raggiungimento di questa idiozia, sorrido sorniona, fiera di me.

“Ragazze... - potrei direi chissà che cosa, ma decido per la verità - non ne ho la minima idea! All'improvviso mi sono sentita strana, una sorta di formicolio mi ha preso la mano e, subito dopo, sono riuscita nel mio intento!” provo a spiegare, riportando alla mente il fatto che, effettivamente, non è neanche la prima volta che provo una sensazione simile.

Era l'anno scorso e da poco mi stavo riprendendo da una serie di lutti, eppure mai come in quel periodo ho sentito muoversi dentro di me qualcosa di incredibilmente potente, quasi accecante. Che sia proprio questo ciò di cui stava trattando prima il maestro? E' questa la forza interiore?

“Ragazzina pestifera, vieni qui!”

La voce di Camus mi raggiunge da poca distanza, riportandomi alla realtà. Butto fuori aria, radunando tutta la pazienza di cui dispongo: si è di nuovo dimenticato il mio nome, o mi chiama consapevolmente così, tanto per provocarmi?

In ogni caso, mi avvicino a lui con l'intenzione di trattenermi, visto che prima, poco fa, mi ha fatto quell'effetto nostalgia inspiegabile. Mi aspetto di tutto, un rimprovero, un avvertimento, perfino dell'ironia, ma non di certo che mi prenda delicatamente le mani e, senza nemmeno dare a me occasione di capire le sue intenzioni, mi spalmi sulle mani una sorta di crema verdognola dal profumo balsamico e frizzante.

Un gemito sfugge dalla mia bocca mentre il mio sguardo ricade irrimediabilmente -ancora!- sui suoi occhi sfuggenti che mi attraggono come le calamite.

“Devi stare attenta, ragazzina, ferite di questo genere si infettano facilmente se non le curi adeguatamente!” mi dice lui, cominciando poi a bendarmi con delicatezza come a farmi degli impacchi.

Di sicuro è pratico di questo genere di cose, altrimenti non mi spiego una tale maestria nei suoi gesti.

Fra l'altro... che mani morbide e calde che ha! Rincuorano e rassicurano, creando un tale contrasto da lasciare sconvolti e tremanti allo stesso tempo: i suoi occhi e il linguaggio ostentano freddezza, i gesti invece parlano un linguaggio del tutto diverso.

Ripenso alle parole proferite da Sonia nel parlare proprio di Camus, allo sguardo di lei pieno di ammirazione e alla particolare scintilla che illuminava le sui iridi verde smeraldo nel descriverlo. Poi mi soffermo ancora una volta sul profilo che ho davanti a me, così austero, ma al contempo così innaturalmente famigliare...

Cosa si cela veramente dietro il suo sguardo apparentemente così freddo? La malinconia di cose perdute? Le sofferenze che ha attraversato e che lo hanno reso ciò che è ora? E' come se volessi scoprire tutto di lui, non me lo so spiegare.

“Grazie, Maestro Camus, sei molto gentile... Siete!” mi correggo, cercando di sorridergli con calore. Lui, per tutta risposta, arrossisce vistosamente, prima di alzarsi bruscamente e darmi le spalle.

“Ora vai, chiama le tue amiche, devo medicare anche loro. Per oggi l’allenamento termina qui!” mi illustra solo, non degnandomi più di uno sguardo.

"Maestro..."

"Chiamale, si sta facendo tardi!" sottolinea ancora, sempre più burbero.

Sospiro impercettibilmente, conscia di aver fallito il mio primo, vero, tentativo di avvicinamento. Ho provato ad espormi a mia volta e non sono stata accettata, ora sarà dura riprovarci. Mi sforzo comunque di relegare un tale rifiuto (così è come lo vedo io!) da qualche parte nella mia mente, mentre richiamo le altre.

Così, dopo aver medicato con la medesima cura anche Francesca e Michela, Camus ci scorta a quello che lui stesso definisce come il suo domicilio: il Santuario di Atene.

Ci guardiamo intorno, spaesate. Ad un primo sguardo questo luogo sembra in tutto e per tutto identico al Partenone, se solo non fosse stato mano a mano distrutto dalle varie guerre che si sono avvicendate su questo territorio.

“Vivete lì?” chiede Michela, indicando proprio il grosso tempio dorico posto sulla sommità di una scalinata.

La risposta di Camus viene preceduta da una risatina sommessa di Sonia che non prelude a niente di buono.

“No, quella è solo la prima casa, quella dell’Ariete. Dovete sapere che ci sono dodici templi per dodici segni zodiacali. Io sono l’undicesimo segno, l'Acquario, perciò abito nell'undicesima casa: la Giara del Tesoro!” spiega il Maestro, senza alcuna particolare sfumatura divertita nel tono di voce.

"CHE COSA?! - si lascia sfuggire Michela, impallidendo - E dove si trova l'ascensore?"

"Di che ascensore stai parlando?" chiede Camus, interdetto, inarcando un sopracciglio.

"Di quello che... sì, insomma, si trova sempre nei condomini più alti di due piani." tenta la mia amica più piccola, picchiettando i due indici con espressione corrucciata. Probabilmente si è già accorta, a metà strada, come me e Francesca, che qui non esiste nulla di tutto questo.

"Sono templi greci, questi! - Camus sembra spazientito e seccato di dover trattare con tre stupide che, dal suo punto di vista, non sanno stare al mondo - Non siamo più nella vostra città, dimenticate le comodità cui siete erroneamente abituate!"

"Ma... - mi arrischio io, accennando un passo nella sua direzione, che tanto mi ha già preso male può solo prendermi peggio - Ci saranno delle scorciatoie, no?! Non mi direte che, tutti i giorni, anche in caso di emergenza, dovete correre su o giù da una parte all'altra dei templi perché vi è un'unica strada! E se scoppia un incendio? O..."

"Ci sono. - risponde sbrigativo lui, guardandomi appena, prima di mettersi a camminare avanti a noi nell'indicarci di non perdere ulteriormente tempo e avanzare - Ma oggi vi tocca la scalata, devo presentarvi ai miei compagni d'arme!"

Mi sento mancare, scambio un'occhiata terrorizzata con le altre, mentre, non trovando per l'ennesima volta alternativa, mi ritrovo ad arrancare disperatamente dietro di lui, a fatica e a stento, perché ha davvero il passo lunghissimo, è difficile stargli dietro.

Dopo circa 10 minuti arriviamo finalmente all'entrata della prima casa e ne varchiamo la soglia. Camus ci precede con la sua solita andatura elegante, i capelli che ondeggiano appena, sinuosi -li ha davvero lunghi, le ultime punte gli arrivano quasi al fondoschiena!- l'incedere leggero e felpato, a stento percettibile da orecchie umane, quasi fosse la manifestazione vivente di un Elfo dei Boschi.

“Mu, sei in casa?” chiede ad un certo punto lui, educatamente, guardandosi intorno.

Subito, al posto di una risposta verbale, intravedo una zazzera rossa uscire da dietro una colonna, compiere un semi-cerchio intorno a noi per poi lanciarsi, con una naturalezza disarmante, proprio tra le sue braccia.

“Camus! Camus! Finalmente sei tornato! Come sono le nuove ragazze? Come è stato il loro primo giorno di allenamento?!” comincia a chiedere a raffica un bambino dagli occhi chiari e sorprendentemente vispi. A giudicare dal suo aspetto fisico, deve avere all'incirca una decina d’anni.

“Ciao, Kiky, allegro e pimpante come sempre! - lo saluta cordialmente Camus, con un velato sorriso sulle labbra, pur non ricambiando l'abbraccio e anzi irrigidendosi notevolmente - Tutto bene. Le ragazze sono qui, come puoi ben vedere, stanche e sfibrate già al primo giorno, ma integre... più o meno!"

"Conoscendoti, ci sarai andato giù pesante, eh? Del resto... - e si strofina il nasino nell'esprimerlo con un moto di orgoglio - Avere un Cavaliere d'Oro come maestro, non può essere paragonabile ad averne uno delle caste inferiori!" esclama, senza mezzi termini, tutto contento.

Ne deduco che anche il piccoletto deve essere sotto la tutela di uno di questi dodici, altrimenti non si darebbe così tante arie.

"Piuttosto, Kiky... Mu è in casa?" si fa serio Camus, deviando prepotentemente argomento.

“Certo che ci sono, amico mio!”

Una voce pacata e tranquilla, inconfondibilmente calma, risponde al quesito espresso, nello stesso momento, una serie di passi risuonano leggiadri attraverso le colonne del tempio. Una volta in attutiti, essi rivelano la figura nella penombra di un altro giovane uomo.

“Buonasera, Mu!” lo saluta cordialmente Camus, rivolgendosi ad un ragazzo vestito con abiti tipicamente montanari e dai capelli insolitamente lilla. I suoi occhi -seconda cosa che noto distintamente- si posano su di noi nel rivolgerci un'espressione infinitamente gentile. Essi sono di un magnifico colore verde scuro ma diverso da quello di Sonia, più rassomigliante a quello di un bosco di abeti, eppure, intorno all'iride, hanno una sfumatura accentuata, un chiarore ineffabile, solenne. Mi piace molto, così come le sopracciglia così particolareggiate, da sembrare quasi un tatuaggio impresso con l'hennè.

"Oh, pss... - Michela, incapace di starsene zitta, mi da una gomitata tra le costole - Ce ne fosse uno brutto, qui, questa Atena ha proprio capito tutto dalla vita!"

Arrossisco per lei, per l'imbarazzo, regalando un sorriso di circostanza al Cavaliere dell'Ariete davanti a me che si è messo a ridacchiare appena. Probabilmente Michela era sicura di star bisbigliando ma, a giudicare dalla risatina di questo Mu e dal sospiro prolungato del nostro maestro, l'hanno udita entrambi.

“Siete voi quindi le nuove allieve di Camus." costata l'ultimo arrivato, osservandoci brevemente e con garbo, anche se ho l'impressione di essere osservata proprio da dentro, sebbene i suoi occhi non rimangano su di noi per più di pochi, necessari, secondi.

Mi irrigidisco appena a questa consapevolezza, mentre il bambino di nome Kiky, sempre di corsa, si precipita ad abbracciare pure Sonia, che sorride raggiante e inizia a vezzeggiarlo con naturalezza.

“S-si, lo siamo.” risponde Francesca, un poco insicura nell'affermarlo. Del resto, confermare una tale domanda significa anche ammettere che tutto ciò che ci circonda sia reale e non frutto di uno stupidissimo sogno.

“E’ un piacere conoscervi! Come avrete intuito, sono Mu, Cavaliere d'Oro dell’Ariete, e quello scavezzacollo che vedete praticamente appeso a Sonia, è il mio giovane apprendista: Kiky! - si prende una breve pausa, ammiccando appena - So per certo che vi troverete bene con Camus, ma per qualsiasi spiegazione potete contare anche su di me!”

"Gra-grazie! E' un po' presto per noi, dobbiamo ancora abituarci. - risponde garbatamente Francesca, chinando un poco il capo - Ma terremo sicuramente a mente il Suo consiglio, se non dovessimo capire qualcosa."

Se non dovessimo capire qualcosa... sbuffo impercettibilmente tra me e me, cercando di non far trasparire tutta la mia tensione: si farebbe prima, invero, a fare la conta su cosa, in realtà, stiamo capendo, ovvero quasi nulla, ma vabbé...

Almeno, di primo acchito, di una cosa sono piuttosto sicura: questo Mu, Cavaliere della prima casa, quella dell'Ariete, è molto più disponibile di Camus a rispondere ai nostri quesiti e, nondimeno, anche più intrinsecamente portato a farci sentire a nostro agio in questo mondo assurdo in cui siamo cadute e dal quale, spero, anche se comincio ad avere dei dubbi, vorrei fuggire il prima possibile.

“Anch'io sono felice di conoscervi!!!”

Non ho il tempo di raccapezzarmi, che qualcosa si fionda tra le mie braccia e mi circonda con spontaneità. Sbatto più volte le palpebre, irrigidendomi ancora di più, mentre intravedo la zazzera rossa appiccicata a me, TROPPO vicino per i mie gusti, senza neanche aver avuto la benché minima premura di rispettare il mio spazio vitale.

Ecco perché mal sopporto i bambini!

Rimango come un'ebete a fissarlo. Non ricambio, né mi allontano, sono semplicemente ghiacciata sul posto come succede sempre ogni qualvolta che un estraneo decide di stipulare un contatto con me. Lui, per tutta risposta, percependo finalmente parte del mio stato, non è che si sposta, no, gonfia le gote, offeso.

"Ehi, ma sei un po' un baccalà!"

"Che... che cosa?" chiedo, smarrita, a metà strada tra il senso di vergogna e il fastidio. Mi sforzo finalmente di guardarlo negli occhi perché so che bisogna fare così in questi casi, anche se mi mette a disagio.

"Non ricambi! Non sai abbracciare? Le tue amiche sono state molto più... - ma si blocca nello scrutarmi con più attenzione - Ehi, ma hai gli stessi occhi di Camus! Belli!"

Non riesco a rispondere. Vorrei che si staccasse da me, non mi fa sentire bene essere tenuta così, ancora meno da un bambino. Indietreggio, vorrei sparire, avverto appena lo sguardo accigliato del maestro sostare a lungo su di me, non so bene neanche la motivazione, ma lo sento, è perforante e... mi mette ancora di più a disagio! Fortunatamente il Cavaliere dell'Ariete prende in mano la situazione, si avvicina a sua volta, dando due pacche di avvertimento sulle spalle dell'allievo.

"Su, Kiky! Ormai sei grande abbastanza per capire che non tutti apprezzano i tuoi modi di fare, no?" lo rimprovera bonariamente con un sorriso gentile.

"Ma è l'abbraccio di benvenuto!" prova ad opporsi a parole lui, staccandosi finalmente da me. Traggo un respiro di sollievo nell'avvertire gran parte della tensione sciogliersi.

"Lo so, lo so... sei riuscito comunque a darlo, no? Dalle il tempo di ambientarsi qui e poi vedrai che ricambierà!"

"Allora ci conto, eh... - riprende il piccolo, trillante, facendomi l'occhiolino - Marta! Così mi hanno detto che ti chiami."

Annuisco poco convinta. Non sono affatto sicura che quel giorno arriverà mai, ma se serve per chiudere il discorso...

“Mu, possiamo passare?” interviene nuovamente Camus, cogliendo l'occasione per chiudere il dialogo e proseguire. Neanche lui è propriamente abile con le esternazioni e, probabilmente, lo fa perché è anche nei suoi desideri arrivare alla meta il prima possibile, ma mi viene comunque da guardarlo con estrema gratitudine.

“Certo, passate pure, prima arrivate all'undicesimo tempio prima potrete riposare!” gli risponde Mu, con un cenno di assenso, spostandosi di lato.

Così, terminati i convenevoli, ci mettiamo nuovamente in marcia e, dopo un’altra marea di scale che sembrano non finire mai, arriviamo, ansanti, alla seconda casa, quella del Toro.

“Facciamo veloci, vi prego, sono distrutta!” dice Michela all'improvviso, mettendosi poi a correre malgrado i richiami di Camus.

La vediamo sparire dentro al secondo tempio, quasi risucchiata, ne sussegue una sorta di schianto contro qualcosa e poi un nuovo lamento.

“Aaaah, che cavolo e che botta, mammina bella e... uh-oh... ACCIDENTI!"

Allarmate dalla solita impulsività della nostra amica, ci troviamo ben presto ad aumentare il passo per capire cosa sia successo. Varchiamo quindi la soglia del tempio, seguite da breve distanza da Camus e Sonia. La prima cosa che si palesa davanti ai nostri occhi è proprio Michela appena caduta a terra e intenta a massaggiarsi teatralmente il didietro; di fronte a lei vi è un energumeno alto come minimo due metri! Ci irrigidiamo di conseguenza, quasi pietrificandoci seduta stante.

“Oh, scusami ragazzina, non volevo farti male, ma mi sei arrivata appresso e, girandomi, devo averti scontrata!” dice l’omone, aiutandola ad alzarsi per non dire che, praticamente, la solleva lui di peso, neanche fosse un fuscello.

Scambio un'occhiata inquieta con Francesca nel notare il suo turbamento. Michela, la più piccola delle tre, a differenza nostra, è tutto meno che mingherlina, anzi! Fin dalla prima adolescenza, ha manifestato degli spiccati, quanto precoci, caratteri femminili che si sono sviluppati in fretta nel suo corpo. Ora, a dispetto di quando era bambina, è diventata una ragazza alta e formosa, tanto da riuscire, a scuola, a gareggiare quasi alla pari contro i maschi nelle attività fisiche che richiedono un notevole utilizzo di forza muscolare. Malgrado ciò, quest'uomo, il Cavaliere del Toro, immagino, la prende e la tiene in braccio neanche fosse un gattino. E'... è assolutamente incredibile!

"Non basatevi unicamente sull'aspetto fisico. - ci consiglia Sonia, affiancandoci nell'immaginare i nostri pensieri - In verità è un pacioccone, è il più buono dei Dodici e non farebbe del male neanche ad una mosca!"

"Sì, però... - esito un attimo, guardandola brevemente, prima di tornare sul gigante buono - Mette un po' in soggezione!"

“Aldebaran! – lo saluta intanto Camus, avvicinandosi amichevolmente a lui – Perdona l’irruenza di Michela, come hai potuto constatare giusto un attimo fa... è solo incredibilmente impulsiva!”

Guardo nuovamente il viso di Camus avvolto dalla semi-oscurità della casa, meravigliata ancora un volta dal suo spirito di osservazione: abbiamo trascorso solo un giorno con lui, utilizzato in larga parte per sgobbare dietro i suoi ordini e assecondare quella che, dal nostro punto di vista, sembrava solo coercizione coatta; invece lui ha utilizzato questo stesso lasso di tempo per studiarci e comprendere le caratteristiche generali di ognuna di noi, in modo -come ha affermato anche lui stesso!- di capire bene fin dove farci spingere senza travalicare i nostro limiti.

E' degno di un maestro che ha già una lunga esperienza di allievi sulle proprie spalle, di questo gli devo dare atto!

“Ma figurati, Camus, non è successo assolutamente nulla per cui tu debba scusare! Le tue nuove discepole hanno l’aria di essere molto risolute ed intelligenti, ed è bello vedere delle nuove giovani speranze camminare per il Santuario di Atena!” afferma il Cavaliere del Toro, regalandoci un largo sorriso.

Sto per contraccambiare in qualche modo, anche se le sue parole, se possibile, mi hanno inquietato ancora di più di quelle del Cavaliere dell'Ariete, ma Francesca, il viso un poco più scuro del solito, assottigliando le labbra, si lascia scappare un risolino ironico.

"Nuove giovani speranze, eh?!"

"Aldebaran... - è di nuovo la voce di Camus a palesarsi con piglio deciso - Perdonami la franchezza, mi piacerebbe continuare a parlare con te, ma..."

"Ma devi portare il gregge all'ovile dopo una dura giornata di allenamento, vero?! Ahaha, non ti smentisci mai, Camus, devi averle proprio prosciugate!!!" ride di gusto lui, posandosi le manone sui fianchi.

"Sì... hanno bisogno di riposo!" annuisce il maestro, neutro, tornando serio.

"E allora passate pure, forza, e ricordatevi di mangiare tanto, a maggior ragione dopo degli allenamenti così intensi!" si raccomanda ancora il Cavaliere del Toro, lasciandoci passare.

Seguiamo quindi Camus in fila indiana senza proferire parola, ognuna persa nei propri pensieri o comunque troppo stanca e snervata per avere voglia di condividerli. I miei, nello specifico, mio malgrado, vertono ancora una volta su di lui: è corroborante, si fa per dire, assistere al fatto che tutti, qui, siano consapevoli dell'allenamento intensivo che riserva agli sventurati allievi che capitano tra le sue mani e che, nonostante questo, ci abbiano comunque affidate tutte a lui!

Rafforza il mio pensiero che questo sia un crocevia di pazzi sadici che rapiscono dei poveri ragazzi per un fine che, a loro dire, risulta essere superiore. Sì, deve essere così, non c'è dubbio alcuno, eppure... ripenso a quel calore, quello delle mani di Camus che, con burbera tenerezza, fasciavano le mie oggi pomeriggio. Le osservo, queste stesse mani, ne osservo l'abile fasciatura. Non fanno più alcun male.

Può un ragazzo così essere realmente spietato?!

La visita al terzo edificio, quello dei Gemelli, è fortunatamente molto più veloce dei due precedenti. Saga, il Cavaliere di questo segno, non sembra molto propenso al dialogo, non con noi, almeno, si limita a scambiare poche frasi con Camus, il quale mi pare un poco teso nell'approcciarsi a lui. Non capisco granché di quello che dicono, parlano di Atena, di altre divinità, di combattimenti avuti e passati, poi Gemini, ad un certo punto, indica una colonna al limitare del corridoio dove una figura parzialmente avvolta dall'oscurità è poggiata a braccia conserte, come se fosse sempre stata lì senza dare però nell'occhio.

Cerco di metterlo a fuoco, qualcuno di fianco a me trasalisce, probabilmente Francesca, nell'arrivare prima di me alla consapevolezza che, sì, come il segno che li rappresenta, i Cavalieri d'Oro a presiedere questa Casa sono in realtà due e pure gemelli omozigoti! Il tizio ci osserva di straforo, sogghigna, prima di riservare un'occhiata obliqua anche a Camus che... ringhia!

Lo guardo perplessa nel vederlo assumere un'espressione più concreta che mai e non più distante. Freme perfino, preda di qualcosa che a noi sfugge, poi gira i tacchi verso l'uscita, intimandoci di seguirlo senza perdere ulteriore tempo. Malgrado le nostre domande incuriosite tra gli scalini che dividono il terzo tempio dal quarto, l'unica risposta che riusciamo ad ottenere e che l'uomo si chiama Kanon, fratello gemello di Saga, e che, per quanto ci sarà possibile, visto che siamo delle combinaguai, di stare ben alla larga da lui. Lasciamo quindi cadere il discorso...

Arrivati in prossimità della Casa del Cancro, ancora prima di accedere al suo interno, veniamo colte da un improvviso brivido lungo che ci fa accapponare immediatamente la pelle. I nostri sguardi si scambiano vicendevolmente, prima di posarsi su quelli di Camus e Sonia e constatare che anche le loro espressioni sono tese al pari delle nostre. L'inquietudine aumenta. Questo... sembra un luogo di perdizione!

“Statemi vicine, voi tre, mi raccomando!” esclama Camus allarmato. Noi non ce lo facciamo ripetere due volte e, insieme a Sonia, ne varchiamo finalmente l'entrata quatte quatte.

Il quarto tempio del Santuario è più scuro e freddo rispetto alle case precedenti, le luci sono fioche e fanno dell'atmosfera un luogo facilmente paragonabile ad un cimitero notturno. Se poi ci aggiungiamo che Camus e Sonia si stanno guardando nervosamente intorno, come se si aspettassero un attacco improvviso, l'ansia aumenta vertiginosamente. Dove siamo finite?!

“Forse è meglio affrettare il passo verso l'uscita...” mormora ad un certo punto il maestro, il nervoso più che mai.

"Non... non ci fermiamo a conoscerne il custode?" chiede ingenuamente Michela, sfregandosi le braccia scoperte con le mani per tentare di riottenere un po' di calore.

"No, Michela."

"Perché qui no, Maestro?"

"..."

Non risponde verbalmente, ma aumenta conseguentemente il passo già di per sé lungo.

"Maestro, perché qui non serve il..."

"Santo cielo, Michela, risparmia il fiato e pensa solo a cam..."

Non finisce la frase, una voce aggressiva, sardonica e sinistra ci fa sobbalzare: “Ehi, ghiacciolo! Dove credi di andare senza chiedere il permesso del Sacro Custode di questo tempio?!”

Dall'oscurità più remota del tempio, quasi un felino che aspettava il momento giusto per colpire, emerge un ragazzo dal fisico muscoloso e i capelli relativamente corti, se paragonati a quelli dei guardiani delle case precedenti. Non ci è possibile scorgere subito la sua espressione, ma la sua sola presenza, il suo avvicinarsi a noi con passo deciso, ci fa ghiacciare sul posto.

“Death Mask!” ringhia Camus a denti stretti, livido, stringendo i pugni. E' palese non corra un buon rapporto tra loro due...

‘Death Mask’, Maschera Mortuaria... indietreggio per istinto nel vedermelo sempre più vicino, spaventata, tesa, come poche volte nella mia vita mi è capitato di essere. E' ovvio che si tratti di un soprannome, questo, ma... chi mai potrebbe farsi chiamare con un nome così orribile?!

“Uhm, queste sono dunque le tue nuove allieve? Non sembrano malaccio! - sembra lodarci, prima di sogghignare sinistramente - Hanno un aspetto gradevole, penso proprio che starebbero benissimo nella mia collezione!” afferma ancora lui, sempre più vicino a noi senza dare il minimo cenno di volersi fermare.

Automaticamente Michela, per la paura, mi stringe la mano sinistra, mentre Sonia e Francesca, guidate dall'istinto, si mettono davanti a noi. Io non posso far altro che vederlo avanzare nella mia direzione, del tutto impotente.

Questo... questo tizio fa davvero aggricciare, mette uno oscuro terrore con la sua sola presenza e... e... Michela è qui al mio fianco, ha più paura di me, dovrei proteggerla, ma...

Indietreggio ulteriormente, l'istinto mi sussurra di mettere le ali ai piedi; lui è sempre più vicino, vedo i suoi occhi lampeggiano sinistri nell'oscurità del tempio. Vorrei gridare, ho la gola secca; vorrei fuggire, incespico nei piedi. Tuttavia qualcosa, qualcuno, si frappone tra noi e il suo avanzare: un fascio di capelli cobalto. Sbatto le palpebre, incredula.

“Prova a sfiorare anche con un solo dito una delle mie allieve o Sonia... e ti giuro che te la dovrai vedere con me!” lo minaccia Camus, categorico, mantenendo quell'alterigia che lo contraddistingue.

Ci ha... appena difeso?!

“Ghiacciolo... – lo fronteggia allora Death Mask, affatto contento del suo intervento, avvicinando paurosamente il volto al suo – Ti conviene non fare troppo lo sbruffone con me, o potrei dimenticarmi che, purtroppo, sei anche tu un mio compagno e pensare quindi di usare il tuo volto come ornamento!”

"Non sono un tuo compagno, Cancer, non ho nulla da spartire con te! - Camus non indietreggia di un millimetro, anzi, lo affronta senza la minima esitazione - E, lo ripeto, non azzardati ad avvicinarti a loro, sono state affidate a me!"

Michela ha gli occhi a cuoricino per il suo intervento in nostro favore, Francesca lo fissa garbatamente in un misto di incredulità e sorpresa, mentre Sonia, come se si aspettasse già una simile presa di posizione da parte sua, sorride luminosa.

Io sono semplicemente troppo sconvolta per avere un qualche tipo di reazione, al di là di osservarlo, basita, soffermandomi sul suo profilo, sull'eleganza e la compostezza che manifesta il suo corpo anche in un momento simile, sebbene, ad occhio, sembri assai meno muscolo di quello del custode di questo tempio.

Una cosa è fuor di dubbio: Camus è molto coraggioso e... protettivo, malgrado le apparenze. Aveva ragione Sonia!

"Se non sono un tuo compagno... - bercia Death Mask, inarcando un sopracciglio con fare denigratorio - allora non dovrebbe essere un problema se ti taglio la testa, a partire dal tuo niveo collo, e ne faccio ornamento della mia dimora, ti pare?!"

Non capisco bene che cosa voglia dire, o forse sì. So solo che vedermelo minacciato da un tale essere, un abominio privo di morale, risveglia un qualche tipo di istinto di protezione in me. E, così come si era dileguato, il coraggio -o la poca avvedutezza, se vogliamo!- monta in me.

“Quello che ha detto Camus vale anche viceversa: prova ad avvicinarti a lui, al nostro Maestro, e sei morto!” mi butto, recuperando terreno, fiancheggiando il Cavaliere dell'Acquario che, per tutta risposta, esala una specie di mormorio strozzato.

“Marta ha ragione, non sai quanto siamo forti! Riusciamo a spaccare le rocce, noi!!!” esclama anche Michela, spalleggiandomi.

Direbbe forse altro, ma Camus ci fulmina ambedue con lo sguardo, strattonandoci un poco indietro come a indicarci di rimanere sulle nostre posizioni. Il tutto mentre Death Mask, chiaramente spaventato a morte dalle provocazioni mie e di Michela, si mette a ridere sguaiatamente. Per una serie di secondi interminabili, nei dintorni riecheggiano solo le sue risate stridule.

Chino inevitabilmente il capo: fa davvero accapponare, costui, sembra non temere nulla e ostenta una sicurezza che per me è irraggiungibile. Ingoio a vuoto, resistendo con tutte le mie forze al nuovo impulso di ritirarmi.

“UAAHAHAHAHAHA!!! Capisco, rompete addirittura... i massi! - ci sbeffeggia, alzando appena il dito verso la colonna più vicina, la quale, semplicemente, implode da sé, facendoci sobbalzare e abbassare immediatamente la cresta a seguito della sua dimostrazione di forza - Ragazzine, sembrate essere molto temerarie... meglio, più divertimento! Adoro le vittime così sicure di sé! Ora, se volete scusarmi, vado ad allenarmi, non sia mai che gente come voi rischi di accopparmi... fra circa un milione di anni, ahahahahaha!!!” afferma Death Mask, disinteressandosi a noi nell'andare via tra le sue orribili risate.

Usciamo quindi dall'incubo del quarto tempio dello zodiaco, gli sguardi bassi, le parole rarefatte nel rifiuto di pronunciarle. La disparità tra noi e loro è sotto gli occhi di tutti. E' bastato un cenno del Cavaliere di Cancer per disintegrare, da distanza, una colonna, e così è stato anche con Milo, che mi ha lanciato quei fascio cremisi tra i piedi per impedirmi la fuga, per non parlare di Camus che non ha il potere di distruggere ma, se solo volesse, potrebbe congelare i polmoni di chiunque e ucciderlo tra indicibili sofferenze.

Sospiro sonoramente, osservando, giù un fondo alla valle, una meridiana composta da 12 caselle poste in circolo, una per ogni segno zodiacale. Davvero non abbiamo alcuna possibilità di fuggire da qui? Esisteranno davvero questi nemici fortissimi che sono sulle nostre tracce? Il posto più sicuro per noi... è davvero questo?

“Siete impazzite?! – Camus, a metà strada fra il quarto e il quinto tempio, reputandoci sufficientemente distanti dal pericolo, si ferma di botto per strigliarci – Non potevate stare zitte?!”

"COOOOSAAA??? - sono di nuovo sdegnata, mi ritrovo a soffiargli contro, il rispetto di prima un lontano ricordo - Noi vi abbiamo difeso da quel pazzo, e voi..."

"Non ho bisogno di un avvocato delle cause perse, grazie, Marta! - esclama, fulminandomi con lo sguardo. Ah, ora ironizza pure, ma bene. - Sono qui da molto più tempo di voi, ho una manciata di anni, ed esperienza, più di voi, non necessito di essere protetto!"

“Cosa c’è di male?! Volevamo solo aiutarvi!” obietta Michela, sbracciandosi per farsi vedere e, soprattutto, capire.

“E non dovevate farlo! Non conoscete Death Mask... è capace di tutto per ottenere quello che vuole e sicuramente con le vostre risposte avete attirato la sua attenzione, maledizione!” ci sgrida ancora, furente.

Abbasso lo sguardo, riuscendo a percepire in fondo, molto in fondo, della reale preoccupazione nei nostri confronti, probabilmente data dal suo alto senso di responsabilità. Decido quindi io di fare un passo indietro per stavolta.

"Scusateci, abbiamo agito d'istinto, è vero, ma quello vi stava minacciando, Maestro Camus!"

Lo vedo meravigliarsi della mia reazione, forse in maniera non dissimile alla mia quando, prima, è stato lui a correre in nostra difesa. Arrossisce un poco, gli zigomi si fanno più pronunciati e rosati, prima di essere nascosti dal suo voltarsi dall'altra parte per darci la schiena.

"Non dovevate preoccuparvi, so come prenderlo uno così. Io, purtroppo, lo conosco fin troppo bene, ma voi... voi siete all'inizio, dovete cercare di mantenere un profilo molto più basso, intesi?"

Annuiamo in sincronia, a corto di parole con cui ribattere. Solo Francesca sta attuando adeguatamente i suoi precetti, Michela ed io non ne siamo altrettanto capaci, ma... ci proveremo!

Camus ci osserva ancora per un po’, poi riprende il suo cammino, facendoci così strada verso la prossima meta. Io ho di nuovo una voglia irrefrenabile di tornare a casa, sento le palpebre pizzicarmi, il magone crearsi e pesare in gola, non so se per lo spavento, la predica, il fatto di essere stata comunque rapita insieme alle altre, o tutte e tre le motivazioni messe insieme.

So solo che voglio la mamma...

“Finalmente alla Casa del Leone!!!”

L'esclamazione trillante di Sonia mi strappa dai miei pensieri. Alzo lo sguardo avanti a me, mentre la ragazza mi passa di fianco per correre all'interno tempio. Siamo arrivati alla Quinta Casa, sul frontone anteriore è inciso proprio il simbolo zodiacale del felino. Probabilmente era così anche per gli altri templi, ma non me ne sono accorta. Ne varchiamo silenziosamente la soglia.

“Ehilà, bimba! Com'è andata oggi?"

"Lia, non sono più una bimba da anni!" sbuffa Sonia, fingendosi offesa.

"Può darsi, anche se non si direbbe dalle tue dimensioni ridotte! - le fa l'occhiolino un ragazzo alto dai capelli castano chiari, corti anch'essi - Comunque hai conosciuto le nuove allieve di Camus?”

"Sì, le ho conosciute, ora appena arrivano te le presento... - risponde lei, voltandosi stizzita dall'altra parte, prima di ridacchiare tra sé e sé - Aiolia, ti ricordo che il 23 novembre farò 16 anni, puoi smetterla di trattarmi come una ragazzina!"

"Chiedo scusa, Signorina, sono stato... imperdonabile!" la pungola ancora, con un sorriso, attendendo la sua reazione che ben presto arriva.

"Liaaaaa!!! C'è già Milo che mi considera ancora un'infante, non ti ci mettere anche tu!" esclama lei, punta sul vivo, arrossendo di netto per poi calmarsi solo quando il ragazzo, con naturalezza, le 'frulla' affettuosamente la testa.

“Bentornata anche da parte mia, pulce!”

Questa volta a parlare è un altro ragazzo in avvicinamento, assai simile al primo, soltanto più alto e con i capelli un po’ più scuri.

“Aiolos! - esclama Sonia nello scorgerlo, gli occhi luminosi, avvicinandosi di corsa anche a lui, pur rimanendo un poco più distante (che ci sia meno confidenza, tra loro, rispetto al primo?) - Sono felice di rivederti sano e salvo. Sei appena tornato dalla missione?”

"Sì, da poche ore, e... sono felice anche io di rivederti, Sonia!"

"Aiolia! Aiolos! - li saluta anche Camus, affabile, avvicinandosi a sua volta a loro con un non so che di riverenza, soprattutto verso l'ultimo che ha parlato - Tutto bene?"

“Oh, Camus! - esclama il più grande, ricambiando l'occhiata di cortesia con un cenno del capo - Sì, grazie! Dovevo vedermela con degli individui di una organizzazione criminale giù in Sicilia, non c'è voluto molto per smantellarli!"

L'altro, invece, il più piccolo (Aiolia o Aiolos?! Hanno dei nomi talmente simili che sarà difficile rammentarli!), sembra molto più informale con lui, gli si avvicina con un sorriso sincero e gioviale, posandogli garbatamente una mano sulla spalla.

"Con Sonia tutto bene? Ti è stata d'aiuto negli allenamenti?" chiede il Cavaliere del Leone, guardando prima lei e poi noi con espressione gentile.

"E' stata indispensabile, Lia, dovresti saperlo!" sorride tiepidamente Camus, un moto di orgoglio permea i suoi occhi appena posati su Sonia, la quale, tutta soddisfatta, socchiude gli occhi e sorride.

"Come dicevo prima, non sono più una bambina! - afferma, posandosi le mani sui fianchi - Avevo promesso che sarei stata utile a Camus, e..."

"E ci sei riuscita, sì, grazie... Sonia!" conferma il Cavaliere dell'Acquario, gli occhi luminosi nell'esprimerlo.

“Eeeeeeee ora passiamo alle presentazioni! – propone la ragazzina, venendo verso di noi per poi allargare le braccia e mostrarci ai due Cavalieri d'Oro – Aiolos, Lia... loro sono le nuove allieve di Camus, in ordine da destra a sinistra: Francesca, Michela e Marta!”

“E’ un piacere! - ci saluta Aiolia, avvicinandosi a noi per poterci osservare meglio - Ad occhio e croce, dovreste essere coetanee di Sonia, dico bene? Eccetto, forse... mmh, tu? Quanti anni hai, ragazza?"

Si riferisce a Michela, che ricambia lo sguardo prima di sorridere raggiante. Deve averle dato più anni di quanti in realtà abbia, come capita molto spesso fra i maschi. Fortunatamente lei è ben contenta di ciò.

"Sbagliato. Ho l'età di Sonia, invece, anche se, essendo nata a gennaio, ne ho già fatti 16!"

"Oh-ehm... chiedo scusa per lo sbaglio!" Aiolia, sembra a disagio, si gratta la testa.

"Non c'è nulla di cui scusarsi, anzi mi fa piacere!" trilla tutta felice lei, canticchiando un motivetto tra sé e sé.

"In realtà quella più grande sono io. - interviene Francesca, schiarendosi la voce - Sono nata nel 1990 ma, attualmente, ho ancora 20 anni, perché anche io sono di novembre!"

"Oh, che giorno?" chiede Sonia, nuovamente attenta e percettiva più di prima.

"Il 30."

"Che combinazione! Io sono nata il 23, siamo entrambe Sagittario!"

“Hai sentito, fratello?! Due ipotetici rivali per Seiya! - ridacchia tiepidamente Aiolia, prima di inscurirsi un poco in volto - Quando si rimetterà..."

“Ah, notavo una più che evidente somiglianza tra voi, siete ordunque fratelli!" affermo io, cercando di sorridergli nel miglior modo possibile.

Annuiscono entrambi alla mia affermazione, guardandosi complici. E, del resto, impossibile non reputarli tali, sono davvero simili, tanto da sembrare, in un primo momento, altri due gemelli, perché sembrano davvero due gocce d'acqua: stesso taglio di capelli, stessa corporatura ben proporzionata, muscolosa ma non troppo, stessi occhi verde scuro, del tutto affini a quelli di Sonia.

Mi soffermo un poco di più su quest'ultima affinità, rimanendo imbambolata a osservarla con maggiore attenzione. Sì, è un verde totalmente diverso da quello di Mu, non c'è alcun dubbio, è un verde che sembrano possedere solo loro, non credo di averlo mai visto in altri, ed è strano questo, decisamente insolito...

“Ora però dobbiamo procedere, si sta facendo tardi e le mie allieve sono un po' stanche." interviene lesto Camus, giudicando finiti i convenevoli anche con loro, per poi mettersi nuovamente alla testa del gruppo.

Riprendiamo quindi il cammino dopo averli salutati, e di nuovo sono scale, scale e ancora scale. Comincio a sentire veramente la fatica, siamo circa a metà della scalata e le gambe tirano, quasi tremano per lo sforzo. Eppure non riesco a togliermi dalla testa la somiglianza che ho visto tra Sonia e i due fratelli, più ci penso più mi dico che anche lei sembra la loro fotocopia, certo, al femminile, più piccola e con i capelli più lunghi, ma pur sempre la loro fotocopia!

“Sonia... - mi faccio coraggio a porre la domanda, sforzandomi di aumentare il passo per affiancarla, nonostante i miei piedi ululino pietà - Che rapporto c'è tra te e i due fratelli? Mi sembravate molto... vicini... soprattutto con il più giovane, Aiolia. Se... se ovviamente ti va di rispondermi, eh!"

“Ah, te ne sei accorta? Certo che mi va di risponderti, Marta! –annuisce lei, particolarmente felice dopo averli rivisti – Sì, ho un ottimo rapporto con loro, soprattutto Aiolia che, come hai potuto appurare, io chiamo semplicemente 'Lia'. Da quando sono qui al Santuario, ho assistito a molti dei suoi allenamenti, anche perché il mio maestro Milo è solito addestrarsi soventemente con lui!"

"Ah, quindi Milo e Aiolia vanno molto d'accordo tra loro?" chiedo, sinceramente interessata.

"Hai voglia, pappa e ciccia sono! - ridacchia divertita, nascondendosi un poco la bocca con il dorso della mano sinistra - Questo non significa che non litighino mai, anzi, ma sono uno spettacolo insieme!"

"Quindi, con il tempo, si è approfondito anche il legame tra te e Aiolia!"

"Sì, e sono molto contenta di questo. Lui è nobile e coraggioso sopra ogni dire, lo adoro!"

"E di Aiolos, invece, che mi dici?" domando ancora, sempre più attenta.

"Lui lo conosco di meno, da poco, per la verità, mi piace comunque tanto anche lui perché è come il fratello minore: stessa nobiltà d'animo! - si prende una breve pausa, come a soppesare qualcosa - E poi, sai, Aiolos, qui al Santuario, è praticamente un mito per tutti!"

"Un mito? Perché?"

"Beh... -stavolta Sonia esita - E' un po' lunga da spiegare..."

"E' lo stesso, non ti preoccupare, grazie per le risposte, Sonia, mi hai discretamente saziato!" esclamo, ridacchiando tiepidamente per poi intrecciare le dita delle mani dietro la nuca e rivolgere il mio sguardo altrove, al sole ormai in fase discendente.

"Marta..?" mi chiama lei, con l'evidente intenzione di chiedermi il motivo di una tale curiosità, ma io la precedo.

"Nulla, mi era solo venuto un dubbio... - la guardo, scrollando la testa - Ora però se ne è andato, non preoccuparti!"

Me e la mia fissa dei fratelli maggiori... l'avevo vista insieme a loro, così simile a loro, e subito mi era balenata in testa l'idea che potessero essere tutti e tre imparentati, ma nessuno di loro ha detto niente in proposito. La somiglianza quindi deve essere casuale, e comunque la trattano come se fosse davvero una sorellina minore, anche Camus lo fa, lo vedo bene, noto il moto di tenerezza che ha verso di lei e... è davvero fortunata, non c'è che dire!

Arriviamo alla sesta casa e vi entriamo senza ulteriori indugi. Camminiamo per un po' senza che qualcuno ci fermi, tanto da farci pensare che questo tempio sia disabitato. Ad un certo punto, però, vi è una sorta di slargo nel corridoio, la luce si fa più intensa e arriviamo in una sorta di stanza con una parete raffigurante un fiore di loto. Ai suoi piedi, vi è un individuo di bell'aspetto dai capelli lisci e biondi, seduto a gambe incrociate e assorto tra sé e sé, del tutto dedito a a meditare.

Ci fermiamo di riflesso, aspettando istruzioni da Camus, il quale tuttavia rimane silente a sua volta limitandosi ad osservarlo. Io guardo Sonia, poi Michela che scrolla dubbiosa la testa, infine Francesca che, sospirando, si prepara ad abbozzare un dialogo che tuttavia non riesce ad esternare, perché è il Cavaliere stesso, ancora immobile, a porci un quesito.

“Quale è lo scopo della vita?”

Mi guardo confusa intorno, chiedendomi se per caso si stia riferendo a qualcun altro invisibile ai nostri occhi, ma non c'è nessuno oltre a noi. Ne deduco che stia parlando da solo -certo che qui, in un modo o nell'altro, sono tutti strani!- almeno finché espressamente non richiede la nostra attenzione.

"lo sto domandando a voi tre, allieve di Camus..."

Ah, splendido, parlava veramente a noi, eppure ha gli occhi chiusi, non dava l'idea di potersi accorgere della nostra presenza. Esito, presa in contropiede. Michela unisce le cinque dita della mano destra come a chiedersi un 'ma cosa sta dicendo questo?', convinta di non essere vista da lui, che tuttavia, dopo un leggero risolino divertito, dimostra ancora una volta di vedere, anche se con le palpebre abbassate.

"Non sapete rispondere? Non siete così giovani per non esservi mai fatte domande esistenziali!"

Vorrei dirgli che, di domande esistenziali, me ne sono fatte anche troppe in vita mia fino ad adesso. E' stato un supplizio perché la risposta non l'ho ancora trovata. Ripenso dolorosamente a quel fatto, socchiudo gli occhi, sforzandomi di scacciarlo dalla mia mente. Sì, decisamente di drammi psicologici ne è stata costellata la mia intera esistenza, ma non mi va di parlarne con persone che non conosco!

“Lo scopo della vita, per me, è riuscire ad affrontare ogni tipo di esperienza, sia buona che cattiva, cercando di rialzarsi ogni volta che si cade! - prende parola Francesca, inaspettatamente ben disposta a condividere parte del suoi pensieri con un tizio appena conosciuto. Cosa assolutamente non da lei, anche se ormai, stante i suoi ultimi atteggiamenti, mi sto cominciando a chiedere se l'ho mai davvero conosciuta - La vita è essenzialmente provarci, farsi male, sbattere a terra dolorante, rimettersi in piedi, a fatica, e riprovare. Tentare... tentare ancora!"

Il Cavaliere della Vergine sorride, tiepidamente soddisfatto: "Apprezzabile quanto pragmatico il tuo modo di fare, ne deduco che a, a dispetto della tua giovane età, tu sia molto matura. Ottimo. Le altre due?"

Sembra un'interrogazione a scuola, mi procura ansia... fortunatamente ci pensa Michela ad arrischiarsi di dare una risposta.

“Per me, è cercare di essere sempre felici, gioire delle piccole cose, godersi ogni singolo giorno perché è ricco di emozioni meravigliose e, se qualcosa andrà storto, domani andrà meglio! Non c'è, non deve esserci, spazio per le crudeltà, la tristezza e le sofferenze, bisogna essere sempre positivi, sforzarsi di sorridere e... divertirsi a più non posso, perché la vita va vissuta pienamente a 130 all'ora!” afferma lei, tutta briosa, con un largo sorriso.

"Punto di vista interessante e rispettabile ma, a mio parere, troppo unilaterale!"

"Che cosa?!" esclama Michela, il sorriso che le muore sulle labbra nel non sentirsi pienamente apprezzata.

"Dici che la vita va vissuta a 130 all'ora, immagino tu intenda un qualcosa come 'a tutto tondo'... ma avere sempre quell'accelerazione, quella voglia di fare, ricacciando, per non dire rifiutando, concetti seri e reali come la morte e la sofferenza, ti impedisce, molto spesso, di arrivare al nocciolo delle questioni, di capire e apprezzare veramente questa cosa che chiamiamo vita!"

"N-non è vero! - rifiuta il verdetto Michela, gli occhi lucidi - Non è così!"

"Sei una persona solare e positiva, di questo ti do atto ma, se posso permettermi, ancora molto immatura. Imparerai con l'esperienza e l'avanzare della crescita che la felicità non può prescindere dalla sofferenza. Non può esserci l'una senza l'altra, così come il giorno e la notte, l'alba e il tramonto, la vita e la morte..."

Guardo la mia amica con un misto di preoccupazione e ansia. E' stata cassata brutalmente senza mezzi termini, e infatti c'è rimasta male, non riesce nemmeno a ribattere. Faccio per aprire bocca e dirle qualcosa, ma il Cavaliere della Vergine si concentra su di me.

"E tu cosa mi dici? - mi chiede, puntando i suoi occhi, sempre chiusi, su di me. Ho come la sensazione che non gli servano per vedere, che ci veda benissimo anche così - Sembri la più piccola delle tre..."

Rettifico, non ci vede bene, per niente!

"Veramente sono la mediana, ho 17 anni!" specifico, un poco seccata, come sempre quando, troppo spesso, mi scambiano per una ragazzina.

"Ah, ma non mi dire, non sembrerebbe! Te ne davo almeno tre in meno!"

Se magari aprisse gli occhi, invece di tirare a indovinare, forse si avvicinerebbe un poco di più alla mia reale età!

"Veramente... - Camus, dopo aver intuito i miei pensieri dalla mia espressione, si sente in dovere di parlare. Mi osserva di profilo, l'occhio blu puntato contro di me mi scruta con estrema attenzione - Anche io te ne davo di meno, prima di saperlo, almeno quattro, sembri una tredicenne!"

"Grazie, Maestro, per il parere!" ironizzo, infastidita, gonfiando di riflesso le gote.

"E' un bene, questo. - commenta ancora, tornando però all'indifferenza di prima - Tra un po' di tempo apprezzerai di sembrare più giovane!"

Tra un po' di tempo lo apprezzerò... forse, al momento mi sta causando solo problemi su problemi!

“Comunque la domanda resta: quale è, per te, il significato dell'esistenza? Cosa significa vivere?"

"Non lo so." mi limito a dire, cercando di chiudere in fretta il discorso, cosa che comunque non riesce perché il Cavaliere della Vergine insiste.

"Non lo sai perché non te lo sei mai domandato, oppure..?"

"Me lo sono domandato anche troppo, fin da piccolissima..." ammetto, sospirando. Vorrei trovare una scappatoia, non mi sento a mio agio a parlare di cose così intime con gente che... che ci ha appena rapito e ci parla come se nulla fosse successo.

"E, nonostante questo, tu..."

"A volte... - non voglio mostrare questa parte di me, ma per qualche ragione incomprensibile, le mie corde vocali prendono il largo da sole - Mi sembra che la vita sia solo un treno lanciato al massimo della velocità verso un'unica destinazione... ed io non posso fare nulla per fermarlo!"

Ecco, l'ho rivelato questo mio pensiero pessimistico, infatti è calato il silenzio. Perfino Camus, prima di profilo, si è girato verso di me e mi sta osservando come a chiedersi se sia normale per una mente così giovane produrre un ragionamento così incommensurabilmente deprimente.

"Ragazza... - il Cavaliere della Vergine ci mette un po' a far esternare la sua voce - Tu sei l'opposto della tua amica, la tua concezione rasenta il nichilismo, e..."

“Tuttavia... - è di nuovo la mia voce a palesarsi, un poco più decisa di prima. Prendo un profondo respiro, sforzandomi di continuare - penso anche che... se avrò aiutato un uccellino smarrito a tornare al suo nido, o se avrò salvato un'ape caduta nell'acqua, o ancora, se avrò aiutato una mia amica ad alleviare una pena d'amore... non avrò vissuto invano!" affermo, con decisione, stringendo una mano a pugno per poi osservare brevemente Michela e sorriderle, ricambiata, perché ha capito a cosa mi riferisco.

Fra l'altro, per la mia affermazione, ho preso spunto da un celebre aforisma di Emily Dickinson in cui mi rispecchio parecchio. Sorrido lievemente nel pensare che, comunque, malgrado tutto, la mia vita ha già avuto un senso.

Ho fatto cadere il silenzio, di nuovo, anche il custode di questo tempio sembra preso vagamente in contropiede, al punto di tacere, ma è sorprendentemente ancora Camus a rompere questa situazione di stallo.

"L'etica della solidarietà... ora capisco! - mi dice, guardandomi più intensamente di prima - Deve piacerti molto Albert Camus!"

Arrossisco, massaggiandomi la testa un poco a disagio: "Sì, diciamo che mi ci rispecchio molto!"

Lui, per tutta risposta, mi fissa con ancora più insistenza, imbarazzandomi ancora di più. Io lo guardo, lui guarda me, si crea una specie di contatto tra noi, l'ennesimo, anche se nè con l'ausilio delle parole né con i gesti. E' come se, per la prima volta senza parlare, ci capissimo pienamente.

"Quindi... il significato della vita per te è essere solidale con il prossimo! - mi sorride il Cavaliere della Vergine, con un leggero cenno, mentre, fluttuando verso l'alto, neanche fosse privo di consistenza, si rimette elegantemente in piedi - E' un approccio molto interessante, il tuo, indica che hai già sofferto molto per arrivare fino a qui, è così, vero? Anche se non vuoi renderci partecipi di tutto questo dolore..."

"Io..." mi irrigidisco davanti alla sua osservazione. Percepivo che stesse sondando ognuna di noi, ma... non pensavo fino a questo punto!

"Non vuoi rivelare anzitempo a noi la parte più profonda e fragile del tuo essere. E' legittimo, lo capisco, ma sappi, almeno questo, che se si ha un minimo di esperienza, lo si percepisce a vista questo tuo malessere intrinseco che ti stai portando dietro. Nonostante i tuoi sforzi di nasconderlo!"

"..."

Siamo passati da una lezione di filosofia spicciola, ad una seduta psicologica in piena regola. Bene ma non benissimo!

"Orbene, ho comunque finito di interrogarvi, potete chetarvi!" stabilisce poi, con un sorriso, aprendo finalmente gli occhi per poi avvicinarsi a noi.

“Shaka... non cambierai mai, eh? Esporre quesiti esistenziali alle persone è sempre stato il tuo forte!” afferma Camus, chiamandolo finalmente per nome.

Shaka il Cavaliere della Vergine, quindi, che ama porre quesiti esistenziali alle prime persone che incontra, in questo caso noi. Possiamo ora osservarlo nella sua interezza, i lunghi capelli biondi e lisci, gli occhi di un raro colore misto tra l'azzurro e il blu -e Michela comunque non ha tutti i torti quando afferma che Atena, chiunque ella sia e sempre se esista veramente, ci vede lungo a circondarsi di uomini così!- e quel puntino rosso proprio al centro della fronte che mi fa capire immediatamente l'appartenenza alla sua etnia e religione.

“Volevo solo mettere alla prova gli ideali delle tue nuove allieve. – risponde lui, affabile - Non male, Camus, anche se insegnare a ragazze già così grandi sarà tutta un'altra esperienza rispetto a quelle che hai già avuto!"

“Sì, hanno un ottimo potenziale e sono... molto particolari... questo è certo! - annuisce il nostro maestro in tono quanto più simile all'elogio. Sono già ad aprire la bocca, meravigliata per la terza, quarta, volta da una sua azione che non mi aspettavo minimamente. E infatti, poco dopo, ritratta - Però non sanno cosa sia la disciplina, vanno allo sbando, seguendo unicamente il loro istinto..."

Ecco, come non detto, quello di prima non era un apprezzamento! Sto per rispondergli, ma il Cavaliere stranamente biondo per avere le origini che dimostra con quel bindi, mi precede.

“Sicuramente avranno bisogno di tempo, Camus, per ambientarsi qui, non c'è fretta alcuna! - Shaka mantiene un tono cordiale nell'esprimersi, ma la sua voce è davvero profonda, sembra quasi risuoni nelle colonne di questo tempio - E, cosa ancora più importante, sono certo che questa esperienza sarà di grande aiuto anche a te!"

"Per me?" ripete Camus, affatto convinto dell'affermazione.

"Sì, è ormai tempo che il nuovo Aquarius rinasca dalle ceneri del vecchio più forte di prima, e di sicuro queste ragazze, unite all'esperienza pregressa, riusciranno a farti capire l'importanza di mostrare i propri sentimenti!” afferma ancora Shaka, più certo che mai, profetizzando un ipotetico futuro.

Ah, oltre che insegnante, asceta e filosofo, è pure un visionario, per affermare una cosa simile, ma figurarsi se lui, se il maestro...

Tuttavia, come a volermi smentire, vedo il volto di Camus assumere nuovamente un colore rosso vivo, gli occhi puntati su una mattonella del sesto tempio.

"Non voglio fare gli stessi errori di prima, Shaka..." si lascia sfuggire, guardando altrove.

"Nessuno di noi vuole, Camus, lo capisco bene. - ammette a sua volta Shaka, rattristandosi un poco - Solo che c'è chi ha avuto il tempo per rimediare, prima, e chi... no!"

"..."

"Tu non hai potuto avere subito questa occasione... - l'atmosfera si è fatta di colpo pesante, mentre il Cavaliere della Vergine gli da una pacca di solidarietà sulla spalla e gli occhi di Camus sembrano risucchiati da un qualche tipo di forza centrifuga inafferrabile - Ora però ti è stata concessa, cerca di non sprecarla, mi raccomando!" gli consiglia, prima di dirigersi verso le stanze interne della sua dimora.

Cala il silenzio. Noi, al solito, attendiamo sue istruzioni, ma Camus sembra per qualche istante perso, non riconosco più le sue iridi, sembrano vuote, vacue, e c'è quell'ombra scura. Ingoio a vuoto, sentendomi tesa. E' come se una mano spietata soggiogasse anche il mio cuore, oltre al suo.

"Camus..." lo chiama dolcemente Sonia mentre, in un impeto di confidenza, lo prende per mano, gliela stringe, come a farsi sentire.

Il tentativo va a buon fine, riesce a darsi una scrollata, trovandosi davanti il viso sorridente della più piccola tra noi.

"Sonia... - la chiama, rendendosi conto di averla fatta preoccupare per poi ricambiare goffamente la stretta - Scusatemi, ero sovrappensiero, ma adesso va meglio. Proseguiamo!" ci indica la via, mettendosi, come sempre davanti a noi.

Superiamo di slancio la settima casa, poiché il Cavaliere della Bilancia non è presente in questo momento al Grande Tempio, e andiamo quindi dritti senza interruzioni.

Giunti all'ottava casa, incontriamo nuovamente Milo, che ci saluta più raggiante di prima.

“Qui io mi fermo!” esclama Sonia, girandosi verso di noi con un sospiro prolungato di sollievo.

"Eh, beata! Noi ne abbiamo ancora per un po'!" brontola Michela, desiderando solo dormire.

"Dai, non manca poi così tanto, siete state veramente brave per essere agli inizi!" prova a ravvivarci Sonia, dicendoci poi che ci rivedremo domani.

“Com'è andata la prima lezione, amico mio? Si sono comportate bene le tue allieve?” vuole sapere anche Milo, sempre in vena di chiacchierare.

“Come ha detto anche Sonia, sono state veramente brave per essere il primo giorno di allenamento!” risponde lesto Camus, esponendosi un poco di più.

"Oh-ho, e questo è un bene, Cammy, credo proprio che loro possano..."

“Non... cominciare... a dire... quello che ha detto Shaka! Sono già stato psicanalizzato da lui, non occorre il tuo intervento, grazie!” esclama, un poco stizzito, tirando poi dritto senza degnare più l'amico di uno sguardo.

“E’ bello ciò che dici, Cam, se anche Shaka si è accorto di questo... probabilmente, a dispetto di quanto credevi, ti sarà facile affezionarti a queste nuove allieve, ed io spero proprio che..."

"A domani, Milo!" trancia il discorso lui, salutandolo con breve cenno della mano.

"EHI, ti sto parlando! Non vuoi fare due chiacchiere con il tuo buon vecchio amico come ai vecchi tempi?!" si lamenta lo Scorpione, vedendolo del tutto intenzionato a non fermarsi minimamente.

"No, siamo tutti molto stanchi. A domani, Milo! Riposati, Sonia!"

E lo lasciamo lì, al centro del suo tempio con la faccia da cucciolo abbandonato, mentre la sua allieva, ridacchiando, ci saluta con largo gesto del braccio. Un po' mi dispiace, devo ammetterlo, ma sono talmente stanca... ormai vado giusto per inerzia e non so ancora per quanto riuscirò ad andare avanti!

Per fortuna le visite alla nona e alla decima casa sono molto brevi perché in entrambe mancano i custodi. Nel primo caso, è Aiolos a presiedere il tempio, e noi lo abbiamo già conosciuto nella Casa del Leone; nel secondo, manca proprio il Cavaliere del Capricorno, da quanto ho capito anche lui è in missione.

Così, ormai a sera inoltrata, abbiamo raggiunto finalmente l’undicesima casa, detta della Giara del Tesoro.

Camus vorrebbe farci fare un giro di perlustrazione, ma deve avere pietà di noi, dei nostri volti sfiniti e degli occhi quasi già chiusi, per cui si limita a darci indicazioni sulle rispettive camere prima di darci il via libera.

“Siete proprio sicure di non voler neanche mangiare?” ci chiede un'ultima volta lui.

Noi, completamente stravolte, ci dirigiamo automaticamente nelle nostre rispettive camere senza avere nemmeno più la forza di rispondergli.

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Capitolo 6
*** Imparare a conoscere il cosmo ***


CAPITOLO 6

 

IMPARARE A CONOSCERE IL COSMO

 

29 Giugno 2011, mattina

 

Mi risveglio che il sole è già alto nel cielo. Tutto è esattamente come lo avevo lasciato ieri sera quando, nella speranza di risvegliarmi dall'incubo, mi ero addormentata supplicando non-si-sa-bene-chi di farmi ritrovare nuovamente a casa. Niente da fare. Come avevamo già intuito ieri, ciò che ci sta accadendo è reale ed estremamente tangibile. Sospiro profondamente, sentendomi pervadere da uno scoramento inespugnabile.

Torno a coricarmi nel letto. Ho freddo, devo tirarmi su il lenzuolo e avvolgermici perché ho i brividi, nonostante sia estate. Butto un occhio sul comodino al mio fianco e vedo che segna appena le 8 del mattino. Chiudo nuovamente le palpebre, stanca, sfinita, a pezzi. La cameretta, per quel poco che ho visto, è arredata in maniera salubre, con pochi oggetti ma indispensabili. Sapevano che ci avrebbero condotte qui, hanno preparato tutto con estrema cura e questo mi inquieta ancora di più. Se almeno mi fossi portata dietro il cellulare, la scorsa notte, avrei potuto, non so, provare a fare una chiamata alla mamma, anche se molto probabilmente ce lo avrebbero impedito.

Mi giro in posizione supina, il morale a terra, la pelle d'oca sulle braccia. Non mi sento affatto bene, la testa è molto pesante e fa male. In queste condizioni, cosa mai potrei..?

“Aaaaahhhh!!! Che ci fai nel mio letto?!?” un urlo fortissimo, proveniente dalla camera vicina, mi fa alzare a sedere di scatto. Appartiene a...

“Michela?” mormoro febbrilmente tra me e me, prima di scattare con il cuore che batte a mille.

Fuori, nel corridoio ancora in penombra, c'è una trafila di porte chiuse. Le urla della mia amica mi indirizzano immediatamente nella direzione giusta, portandomi ad accedere in una stanza senza curarmi minimamente di bussare o di chiedere il permesso. Vi entro di slancio, già preparata al peggio, invece ciò che vedo ferma immediatamente i miei passi: la mia amica è ritta in piedi vicino alla finestra, l'espressione sgomenta e l'indice puntato contro un ragazzo biondo palesemente appena svegliatosi, stante i capelli spettinati e l'espressione ancora intontita dal sonno. Sbadiglia perfino, strofinandosi poi le palpebre prima di tentare di metterla a fuoco.

Ragazzo biondo equivale ad allarme, nel mio gergo, soprattutto se c'è Michela di mezzo. Riduco gli occhi a due fessure, produco un ringhio sommesso, prima di apprestarmi a interpellarlo.

“Chi diavolo sei tu?!” esclama nuovamente lei, sempre più paonazza in volto, tanto da farmi temere che le abbia fatto qualcosa.

“Sono io che dovrei farti questa domanda, è camera mia!” le risponde in tono gelido il biondino, arrossendo comunque nell'esprimersi.

"Che?!? No, no, guarda... è stato il Maestro Camus a dirmi di recarmi qui, la camera è mia!"

"Ascolta, dubito che il Maestro Camus ti abbia detto di recarti proprio qui, sa benissimo chi ci dorme e..."

"No, NO! Ti ripeto che tu ieri sera non c'eri, ti ho trovato qui solo stamattina, vicino a me e... ODDIO, devi essere un pervertito!!!"

"Veramente io..."

"Ehm... Coff, coff! - tossicchio in tono volutamente alto, un po' per farmi notare, un po' perché davvero mi pizzica la gola - Scusami, biondo, chi diavolo sei e cosa hai fatto alla mia amica?!"

"MARTA!" gli occhi di Michela si illuminano di speranza nello scorgermi dall'entrata.

"Eccone un'altra che capisce tutto al volo... - sospira sconfortato il ragazzo, in un modo che mi ricorda paurosamente Camus e che, proprio per questo, mi indispone. Si massaggia teatralmente la fronte, prima di riaprire gli occhi e girarsi nella mia direzione - Guarda che io non..."

Tuttavia si blocca nell'individuarmi. I suoi occhi chiari, chiarissimi, quasi quanto il permafrost, si spalancano dallo stupore. Sembra un po' più che sorpreso, in effetti, quasi smarrito. Non ne capisco il motivo, ma l'arrivo in piena corsa della mia amica, mi spinge a concentrarmi su di lei.

"Tutto a posto? Cosa è successo, ti ha fatto del male?" le chiedo, ricambiando il suo abbraccio, per poi posarle goffamente una mano dietro la nuca e confortarla, sebbene sia più alta e grossa di me.

"Me lo sono trovato nel letto, Marta... può avermi fatto di tutto!" esclama lei, agitata.

Il mio sguardo torna quindi su di lui, lo scruta con malcelato astio per prepararsi al raffronto, o almeno chiedere spiegazioni sfruttando il fatto che lui sembri così disorientato senza un apparente motivo, ma l'arrivo di una terza forza sblocca nuovamente tutto.

“Cosa sta succedendo qui?” ci richiama tutti e tre Camus, appena sopraggiunto.

Mi volto nella sua direzione, ritrovando nuovamente i suoi occhi blu, profondamente indagatori, su di me. Discosto in fretta lo sguardo da lui per puntarlo nuovamente in avanti. Ciò non mi impedisce comunque di notare che tiene indosso una canottiera stropicciata mezza infilata nei pantaloni del pigiama e mezza fuori, come se avesse appena finito di fare le scaramucce nel letto prima di correre qui.

“Stavo cercando di capirlo, ma non ci sono ancora riuscita.” dico a bassa voce, mentre un nuovo brivido mi fa tornare la pelle d'oca.

Se fossi al massimo della forma fisica, probabilmente arrossirei visibilmente nel vedere il suo look trasandato e i capelli così spettinati. E' un qualcosa che non ci aspetterebbe da lui che ci tiene ad apparire sempre serio e composto. In un certo senso, questa versione me lo rende più umano e molto più... vicino!

“Maestro! - la mia amica passa da me a lui in un istante, correndogli incontro per poi rifugiarsi con estrema naturalezza dietro le sue spalle - Quando ho aperto gli occhi mi sono trovata questo... questo ragazzo nel letto. Deve trattarsisicuramente di un pervertito!”

“Michela... - sospira Camus, sua antitesi perfetta, massaggiandosi a sua volta la fronte nel radunare tutta la pazienza di cui dispone – Quando ieri sera ti ho spiegato dove fosse la tua camera da letto, ti ho detto, sì, di andare al primo piano nel corridoio, ma a destra, non a sinistra!"

"Ah, a destra, non... a sinistra." ripete Michela, perplessa, imporporando un poco.

"Sì, questa è la destra, quest'altra è la sinistra. - conferma con ovvietà, alzando prima un braccio e poi l'altro - E poi... Hyoga è tutto fuorché un pervertito, te lo posso assicurare, dato che lo conosco da anni: sono il suo maestro!”

Attimi di silenzio nella stanza... Mi rendo appena conto di aver attaccato verbalmente, senza troppi fronzoli, l'allievo dell'Acquario. Una sensazione di disagio mi investe, ma è nulla confrontata alla reazione di Michela.

“Uh-oh che... che figura di merda!!!” strepita dalla vergogna per poi galoppare fuori dalla stanza e sparire dalla nostra vista.

Solo a questo punto il biondino prende a ridacchiare divertito, non so se per la vergogna, l'assurdità della situazione, o per un misto di queste due.

“E’ proprio strampalata, quella!” commenta, arrossendo ulteriormente mentre cerca di ricomporsi.

“Hyoga, che genere di allenamenti hai fatto ieri? Anche tu, per non accorgerti di avere qualcuno nel letto, devi esserti stancato parecchio! - gli sorride di rimando Camus, guardandolo con affetto - Va bene che, fin da bambino, tendi a dormire rannicchiato sul lato destro come a voler occupare meno spazio possibile, ma trovo comunque difficile il non rendersi conto che un'altra persona si addormenti vicino a te!"

Li osservo con attenzione: per parlare così devono conoscersi da parecchio tempo!

“Maestro, ieri gli allenamenti con Dohko e Shiryu sono stati parecchio massacranti, deve essere per quello che..."

"...che dormivi come un sasso e non ti sei accorto di niente quando Michela è entrata?"

"Sì, qualcosa di simile, ecco!"

E' imbarazzato. Si gratta la testa e ogni tanto butta occhiate nella mia direzione, continuando a chiedersi chi invece sia io.

Mi raddrizzo un poco, nervosa. Non so bene neanche io perché, forse per sopperire parzialmente alla magra figura di prima, ma mi viene da tentare di socializzare con lui, anche se non è mai stato il mio forte.

"Oh, non ti preoccupare! Michela, la mia amica, ha la delicatezza di un camionista quando deve coricarsi, tranne ovviamente quando è parecchio stanca. Allora si posa su un lato, tendenzialmente il sinistro, si addormenta di botto e non si muove più fino al risveglio. Per questo probabilmente non vi siete resi conto di niente: uno dormiva a destra e l'altra a sinistra!" provo a spiegargli, con un mezzo sorriso.

"Ah, ehm... è probabile!" biascica lui, arrossendo di nuovo per poi mettersi a guardare il muro.

"E scusami per prima, non..."

"Di nulla."

"Ehm..."

Binario tronco. Punto morto. Per me e per lui. Fine del dialogo.

Vorrei aggiungere qualcosa ma mi mancano le parole. Diavolo se è davvero timido costui! Generalmente i biondi sono così sicuri di sé stessi, neanche fossero delle micro divinità scese in terra, infatti fanno proprio venire voglia di essere presi a calci nel didietro fino alla fine dei loro giorni. Lui invece sembra più un pulcino arruffato che non sa minimamente come destreggiarsi. E' grazioso a vedersi, fa quasi tenerezza.

"Se è così, Hyoga, abbiamo risolto una parte del mistero!" prende parola Camus, una luce brillante negli occhi, come di orgoglio a stento trattenuto, nel rivolgersi a lui.

"Pare di sì, Maestro. Gli allenamenti devono averci steso entrambi, a me e a quella ragazza. Non mi stupisce, se glieli avete impartiti voi!"

"Sono sempre stato così anche con v... con te, lo sai bene, Hyoga!" borbotta lui, mentre la luce nelle sue iridi, per un istante, viene momentaneamente offuscata.

"Oh, ne sono estremamente consapevole!" annuisce il ragazzo, un sorriso triste a solcargli la carnagione chiara quasi quanto i suoi occhi.

"Anche il maestro di Shiryu, Dohko, non deve andare per il sottile, però!"

"No, affatto! D'altronde, siamo entrambi allievi di due Cavalieri d'Oro!"

Li guardo sorridersi vicendevolmente. C'è qualcosa tra loro che, nonostante la poca differenza di età, me li fa sembrare come padre e figlio. Non saprei bene spiegarne le ragioni, però.

Ciò che è certo, è che mi sento una estranea qui, finita in questo luogo per caso a rompere un'intimità che è solo la loro.

Un pensiero triste mi vela lo sguardo e così la mente: io non ho mai conosciuto mio padre biologico e, in questo momento, sono lontana anche da mia madre, colei che mi ha fatto crescere e mi ha resa ciò che sono oggi.

Vorrei semplicemente poter tornare a casa mia, al sicuro, perché devo stare qui?!

Non ce la faccio, mi sta venendo una crisi di panico e non voglio che degli sconosciuti mi vedano in un frangente simile, sull'orlo delle lacrime. Faccio quindi per fare dietro-front e nascondermi in bagno, o in camera, non importa, ma Camus mi richiama, desiderando la mia attenzione.

“Marta, aspetta, vorrei presentarti ufficialmente al mio allievo, già che sei ancora qui. Con le tue amiche faremo dopo.”

Mi deve presentare... ne farei volentieri a meno! Mi do una veloce sfregata agli occhi prima di voltarmi nuovamente verso di loro, la mano protratta in avanti.

“Piacere, io sono Marta, una nuova allieva del Maestro Camus!” dico, accennando un sorriso... falso, ma pur sempre un sorriso!

“P-piacere mio, sono Hyoga, Cavaliere del Cigno. Anche io sono allievo del qui presente Camus dell'Acquario!"

"Sei già Cavaliere nonostante la tua giovane età... devi essere un portento!"

"N-non proprio, però puoi comunque considerarmi un veterano, Marta. Se hai bisogno di consigli, rivolgiti pure a me!” afferma lui, stringendomi la mano, non senza un certo disagio a stento mascherato.

Lo scruto con attenzione e a fondo, sforzandomi di mantenere il contatto visivo come mio nonno mi ha insegnato a fare, e lui fa lo stesso. Nonostante parli di sé con modestia, non solo è un veterano, deve anche essere incredibilmente abile e capace, lo si presagisce alla prima occhiata. La sua tempra è del tutto affine a quella del Cavaliere dell'Acquario, forse solo un poco meno raffinata, ma splendente almeno quanto la sua. Deve averlo allenato per molti anni, perché, nonostante la diversità fisica, sembra in tutto e per tutto la sua goccia d'acqua.

"Hyoga è mio allievo da quando era un bambino di 8 anni. Ora ne ha 16." mi illustra lo stesso Camus, indovinando i miei pensieri dietro il mio sguardo.

Dunque ha la stessa età di Michela e Sonia, anche lui è nato nel 1995...

"E' un Cavaliere di Bronzo, la sua costellazione è il Cigno, come lui stesso ti ha detto. Ciò che non ti ha riferito, però, è che, insieme ai suoi quattro amici di rango uguale al suo, ha compiuto imprese eroiche, degne di un Cavaliere d'Oro e probabilmente anche oltre."

"Maestro!!!" lo chiama Hyoga, nuovamente rosso, imbarazzato dalla presentazione.

"Marta, rivolgiti a lui come se dovessi conferire con me. E' più piccolo di te, è vero, ma..."

"Ho inteso, Maestro Camus." trancio il discorso, non avendo nulla da obiettare in proposito, cosa che deve sorprenderlo non poco, perché avverto maggiormente il suo sguardo perforarmi da una parte all'altra.

“Stai bene stamattina? Quasi non ti riconosco così remissiva!"

“Sì, sto bene, Maestro! - gli regalo un altro sorriso forzato, fiaccata nello spirito dal mio stato mentale e fisico - Ora però vado a prepararmi per gli allenamenti di oggi!”

Ho tutte le intenzioni di uscire da questa stanza che non mi appartiene e che mi è del tutto estranea, oltre che intollerabile perché trasuda calore; il calore che si può percepire solo in famiglia e che mi è stato strappato, ma Camus mi prende per il polso facendomi sussultare, prima, e perdere quasi l'equilibrio per la sorpresa, dopo.

"Ancora una cosa..."

Mi osserva fisso ed è difficile per me mantenere anche il suo sguardo, oltre a sopportare quelle sue dita che si stringono su di me, per quanto calde e inaspettatamente accoglienti.

"Sì?"

"Non servono. - mi dice, con espressione severa, accennando qualcosa nella mia direzione - Quelle."

Non capisco a cosa si riferisca, ho forse qualcosa in faccia? Mi tocco la guancia vicina con la mano libera, trovandovi qualcosa di bagnato e fastidioso al tempo stesso: lacrime!

"Non serve piangere. - i suoi occhi si socchiudono appena, prima di riaprirsi - Non risolve la situazione."

Il contatto tra noi diviene istantaneamente impossibile da mantenere. Sfuggo dalla sua morsa, guardandolo torvo, il cuore accelerato nel petto. Non mi capirà mai, non c'è niente da fare!

"Grazie, Maestro, lo ricorderò!" dico solo, prima di dargli la schiena e andarmene, non prima di aver sbattuto la porta della stanza dietro di me.

 

********

 

Circa un’ora dopo siamo tutte pronte, vestite nuovamente con i rispettivi pepli e i sandali tipici di questo posto. Un’altra giornata di allenamento forzato ci attende e posso assolutamente dire di non essere affatto in forma per sopportarla!

Malgrado i bicipiti e i quadricipiti siano ancora dolenti e induriti dal giorno prima, scendiamo il più velocemente possibile gli scalini che portano al decimo tempio, dove conosciamo finalmente Shura, il Cavaliere del Capricorno, un tipo spagnolo e parecchio taciturno, nonché uno dei pochi Cavalieri d'Oro -impossibile non accorgersene!- a tenere i capelli corti.

Ecco, se mi avessero detto che un altro dei Dodici avrebbe potuto essere più silenzioso e scontroso di Camus, probabilmente gli avrei riso in faccia, eppure è proprio così! Capricorn non parla, se non per monosillabi o brevi domande concise, ma sembra mostrare una certa simpatia per il nostro maestro, visto come si guardano da lontano e gli ossequi che tacitamente si mandano reciprocamente. Nessuna, o quasi, domanda su noi, un semplice 'potete passare' e tanti saluti. Beh, tanto meglio!

Al nono tempio incontriamo nuovamente Aiolos che si sta dirigendo su dalle stanze del cosiddetto 'Grande Sacerdote', una sorta di pontefice massimo che comanda l'intero Santuario. Stavolta non abbiamo occasione di fermarci a parlare come era successo il giorno prima, per cui, dopo saluti vari e auguri di buon allenamento, continuiamo per la nostra strada, raggiungendo in un battibaleno il Tempio dello Scorpione Celeste.

“Milo? Sonia? Ci siete?” li chiama Camus, inarcando brevemente un sopracciglio nel non vederli già pronti e attivi nell'atrio.

“Siiiii, siamo ancora nelle stanze private, sai bene che Milo è un pelandrone! Salite pure!” risponde pronta Sonia con la sua vocetta vivace e carica di buoni propositi anche oggi. Beata lei!

"Uff, sono già le 9 e mezza e Scorpio è tutto fuorché pronto! - borbotta Camus, un poco infastidito - Questo suo lato pensavo che fosse migliorato con la crescita!"

"Faceva così anche da più piccolo?" chiede Michela tutta interessata alla faccenda.

"Da bambino era fin peggio, arrivava sempre tardi agli allenamenti nonostante i Cavalieri più grandi si raccomandassero la puntualità. Niente, non c'era verso. Ama fare le ore piccole per poi svegliarsi tardi alla mattina. Inconcepibile!"

"Beh, fa bene, è ggggiovane!" commenta Michela, ghignando, allungando volutamente la lettera g per accentuare la parola.

Camus non le risponde, si limita a scrollare la testa mentre saliamo le scale che portano al piano in questione. Appena giunti nel salotto, troviamo Sonia seduta placidamente sul divano e del tutto intenta a leggere un immenso tomo che ha l'aria di essere parecchio complicato.

“Sonia, Milo non è ancora pronto?! - chiede un sempre più irritato Camus – Si è dimenticato che oggi occorre anche il suo aiuto negli allenamenti?”

“Macché dimenticato, Cam, sono già qui, attendi solo un attimo!” gli risponde una voce gioviale in avvicinamento.

Mi giro in sincrono alle mie amiche in direzione della fonte sonora e... mi ritrovo ben presto a sbattere le palpebre più volte, totalmente incredula.

Allo stesso tempo, le guance di Michela assumono nuovamente un colore rosso porpora, mentre le labbra di Francesca, solitamente la più contenuta tra noi, si dischiudono in una 'o' che, pur muta, è estremamente palpabile nell'aria.

E beh... a giudicare da come quest'oggi si è mostrato ai nostri occhi lo Scorpione -anche se lo si era già capito prima, al nostro primo incontro!- non deve essere affatto timido, il tipetto!

"Sono quasi pronto, Cam..."

"Quasi pronto?! - sibila l'Acquario, ancora più contrariato di prima - RICOMPONITI, per Atena!"

"Perché, c'è qualcosa che non va?!"

"Mi chiedi pure se c'è qualcosa che non va?! Guardati e dimmelo tu, Scorpio!"

"Ma io... ah, questo!" arriva infine alla conclusione Milo, osservandosi il torace glabro e già ben abbronzato in bella mostra al tutto il circondario, alias noi.

E in tutto questo, bisogna dire, invidio la flemma di Sonia che, contrariamente alle sottoscritta, continua placidamente a leggere il suo prezioso tomo come se nulla potesse turbare la sua pace dei sensi.

“Ti sembra il caso, Milo?! - lo interroga ancora più aspramente Camus - Davanti alla tua e alle mie allieve?!”

"Cosa vuoi che sia, Cam, sapranno come è fatto un maschio, no?! Eh, ragazze?!"

Poi però osserva la mia espressione e quella di Michela, che ci siamo messe a canticchiare nervosamente tra noi, tentando di guardare altrove, e, in un secondo tempo, quella di Francesca, di difficile decifrazione, anche se imbarazzata quanto la nostra, e la sua espressione diviene a sua volta ricolma di sorpresa.

"Serie?! Siete ancora, tutte e tre, allegramente vergin..."

"MILO!!! - tuona Camus, imporporando a sua volta - Vatti a rendere presentabile, ORA, prima che decida, io medesimo, di accompagnarti molto poco gentilmente nella tua stanza e non farti uscire fintanto che non sarai vestito DECENTEMENTE!"

"Va bene, va bene, Cam, aspetta che... dove ho messo la maglia?" si chiede, guardandosi smarrito intorno alla ricerca dell'indumento perduto.

Effettivamente è bello che nudo, se escludiamo l'asciugamano raffazzonato sui fianchi e la crocchia con cui si è legato i capelli violacei che gli ricadono disordinatamente sulle spalle ancora umide. Uno spettacolo non di certo indifferente, anche se l'esibizionismo mi ha sempre irritata. Tossisco tra me e me, prima di rendermi conto che qualcosa mi pizzica per davvero la gola. Fa che non sia febbre, ti prego, fa che non sia febbre... mi ci manca questa!

“L'hai mollata qui sul divano... e ora copriti, razza di spudorato!” interviene finalmente Sonia, impassibile, lanciandogli la maglietta in questione.

“Ma... ma non dici niente, Sonia?!” chiede Michela, sbigottita.

“No, fa sempre così, è patologico!"

"Fa sempre così... in che senso, scusa?!"

"Lo fa soventemente, è un qualcosa di normale qui, anzi più sta nudo e più si ringalluzzisce, come i galli nel pollaio!” risponde lei, facendo spallucce per poi tornare a leggere. Dalle sue parole si evince una certa esperienza passata che noi possiamo solo immaginare.

"Sonia, mi stai bistrattando?! Bistratti il tuo maestro?!" la voce di Milo, nell'altra stanza dove finalmente è andato a cambiarsi, ci raggiunge forte e chiara.

"No, macché, m-a-e-s-t-r-o! - Sonia ridacchia tra sé e sé, cantilenando un poco nel chiamarlo con quell'appellativo - Dico solo il vero, nulla di più e nulla di meno, eh-ehee! E ora muoviti che stiamo facendo aspettare Camus e le sue nuove allieve ed è maleducazione!"

La guardo, perplessa, stimandola ancora più di ieri. Stento ancora a credere che un tipo del genere, Milo di Scorpio, che usa un colpo letale e insidioso quanto microscopico come un ago, si faccia mettere i piedi in testa da una ragazzina più giovane di me. Sonia mi ha detto che non è così, che anzi è severissimo negli allenamenti, ma la percezione che ho di loro, dalla prima volta che li ho visti interagire, è che il Cavaliere, contrariamente a Camus, sia un poco tontolone e assolutamente inadatto a rivestire il ruolo di insegnante. Non so, mi incuriosiscono e, lo ammetto, un po' li invidio.

“Ah! – Michela ripiomba tra noi dopo aver impiegato diversi secondi a riprendersi dalla rivelazione della compagna più piccola – Maestro?”

“Cosa c’è, Michela?”

“Posso trasferirmi alla Casa dello Scorpione? Meno scale, più spazio, e soprattutto...”

Camus sospira lungamente, prima di girarsi senza rispondere e interrompere così le fantasie sfrenate di Michela.

"Ah, nulla contro di voi, Maestro, eh, non ho dubbi che siate bravissimo, ma..."

"Michela, spero che tutto il fiato che stai dimostrando di avere questa mattina, lo utilizzerai interamente negli allenamenti intensivi cui vi sottoporrò oggi. Poi potrai andare dove ti pare, se sarai ancora in bolla!"

"Ah... a pensarci bene, Maestro, sto bene dove sono, sì, non cambio casa!"

"Bene. Vedi di non sbagliare nuovamente camera, stanotte." annuisce, severo, lasciandola lì su due piedi, colpita in pieno e affondata, le guance color porpora.

Quando si dice che la classe non è acqua... anche nel sarcasmo!

“Michela, vuoi fare un’altra magra figura come quella di stamattina?! Trattieni i tuoi ormoni, santo cielo!” interviene Francesca, dandole gomitate sul fianco. L'interpellata, paonazza in volto, trasalisce e, forse per sopperire all'estremo imbarazzo, si mette a ridere sguaiatamente.

Sarà un'altra giornata infinita, già lo so, Camus mi sembra ben lanciato con noi anche quest'oggi!

 

********

 

Ci troviamo nuovamente sulla spiaggia in cui il giorno prima abbiamo iniziato gli allenamenti. Il tempo è magnifico e, malgrado sia ancora mattina, c’è già caldo soffoco. Non sono minimamente in forma per seguire la lezione e, ancora meno, per fare poi la pratica questo pomeriggio. Tento comunque di non darlo a vedere, cercando di passare inosservata in mezzo agli altri, giacché non siamo sole.

“Bene, oggi parleremo delle attitudini che ogni Cavaliere può possedere.” comincia senza esitazione Camus, mentre le mie amiche ed io ci sediamo compostamente sulla sabbia.

"Attitudini?" chiede Francesca, attenta.

"Sì, inclinazioni personali o anche abilità innate."

"Sembra interessante..." commenta anche Michela, raddrizzandosi nell'assumere l'espressione più intelligente che le riesce.

Le osservo, sempre con quell'onnipresente velo di grigiore che mi perseguita da un po' e che si è esacerbato dopo gli ultimi avvenimenti. Non so come facciano ad essere così reattive, a lasciarsi scivolare addosso il fatto di essere state strappate dai propri affetti. O forse semplicemente riescono a dissimulare meglio di me.

“Vediamo se ieri siete state attente: cosa vi ho detto che deve fare un Cavaliere per rompere gli atomi che compongono la materia?” domanda a bruciapelo Camus, in attesa di una risposta veloce da parte di una di noi tre.

Aiolia e Milo (fortunatamente con indosso la maglietta), che oggi in via del tutto eccezionale assistono ai nostri allenamenti, sembrano divertiti dal cambio di espressione di Michela che, presa in contropiede, non aspettandosi una domanda così diretta neanche fossimo a scuola, esita.

"Oh, ehm..."

"Sì, Michela? Vuoi rispondere tu?"

"Ce l'ho sulla punta della lingua, Maestro, ma... ma..."

“Deve saper padroneggiare il cosmo e concentrarlo nel punto che vuole rompere!” prende parola Francesca, pratica.

"Fra! Me l'hai soffiato, non è giusto!" si lagna la più piccola, offesa.

"Questo perché sei ancora nella camera, Michy, col tuo bel biond..."

"NON E' VERO!!!" la intercetta lei, avvampando, mentre balza sul posto e, traendola a sé, le impedisce di completare la frase.

A seguito del siparietto, Milo e Aiolia se la ridono tra di loro, perfino Sonia, in mezzo ai due, si lascia sfuggire un soffio divertito, contrariamente a Camus che, dopo un lungo sospiro prolungato, l'ennesimo, decide di soprassedere con classe.

“Esatto, Francesca, tuttavia questa forza non è uguale per tutti, ognuno ha il proprio potere su cui fare affidamento e, oltre a questo, è protetto da una costellazione ben distinta!”

Ci guardiamo tra noi, un poco riluttanti. Solo Sonia sembra capire realmente cosa significhi la frase appena pronunciata. Probabilmente per lei questa lezione non è, né più né meno, che un semplice ripasso.

"Ma... le costellazioni intese come le stelle nel cielo?" trova il coraggio di domandare Michela, alzando lo sguardo sopra alle nostre teste nel soppesare quanto appena udito.

“Vi farò un esempio per rendervela più chiara: io, lo avete visto, sono in grado di congelare ogni cosa fino a sfiorare lo Zero Assoluto; la mia costellazione inoltre è uno dei dodici segni posti sull'eclittica: il portatore d'acqua, Aquarius."

"Ganimede. - rimugino io a bassa voce, annuendo appena - Il coppiere degli dei."

"Esatto. Brava, Marta!" si congratula, ammiccando appena nella mia direzione.

Arrossisco, distogliendo lo sguardo da lui. Quando mi guarda così sembra quasi orgoglioso, mi mette una sensazione strana addosso. E' disagio, in larga parte, ma... c'è qualcos'altro di più profondo che non riesco a spiegare a parole. Fortunatamente il nostro scambio di occhiate è di breve durata, perché lui prosegue nella spiegazione.

"Il qui presente Aiolia, che oggi mi ha fatto il favore di presenziare a questa lezione, è invece Cavaliere del Leone, un altro segno dell'eclittica. Rispetto a me, possiede altre doti."

"Che genere di doti?" si incuriosisce Francesca, scrutando a fondo il ragazzo in questione che, sorridendole, non esita a rispondere.

"Fotoni, elettricità ad altissimo voltaggio, fulmini... sono questi gli elementi che imprimo nei miei attacchi."

Ad una simile rivelazione, le labbra di Francesca si allineano. Per un attimo sembra quasi oltraggiata, non me ne capacito, ma poi la vedo distendersi in un leggero sorriso. Che l'abbia solo immaginata quell'espressione di fastidio?

"Capisco. Non deve essere un potere facile da gestire!"

“Uao! Quindi praticamente ogni Cavaliere possiede un proprio elemento, per esempio fuoco, aria, acqua, eccetera?” chiede Michela, sbalordita, dandosi una pacca sulle ginocchia

"Non si parla solo di meri elementi terrestri. - la corregge garbatamente Camus - Un'attitudine può anche essere legata a poteri mentali, o ad arti illusorie. Mu, il Cavaliere dell'Ariete che avete conosciuto ieri, per dire, ha piena padronanza della telecinesi; altri, come Saga di Gemini, riescono addirittura a piegare la mente e prenderne così il controllo."

Aiolia annuisce, facendosi misteriosamente tetro. Sebbene a fatica, il movimento delle sue mani, che si stringono a pugno, giunge ai miei occhi.

"Ma che... FIGATA!!!" Michela è sempre più estasiata nell'immaginarsi quale straordinario potere possa possedere lei.

“Io vi posso dare una dimostrazione pratica, se volete. Osservate! – prende parola nuovamente Aiolia, parzialmente ripresosi da prima. Si avvicina a noi con fierezza per poi superarci e prendere la mira sullo scoglio vicino – Per il Sacro Leo, Lightining Plasma!!!”

Non vi è il tempo di reagire, un fascio multiplo di quelli che sembrano milioni, se non miliardi di fotoni, abbaglia i dintorni, i nostri visi, le nostre espressioni, stagliandosi prepotentemente come il rombo di un tuono nella notte. Siamo costrette a tapparci gli occhi con i palmi delle mani per evitare che vengano feriti dalla luce. Una volta riaperti, non c'è più quella grossa roccia davanti ai piedi di Aiolia Cavaliere di Leo, solo... polvere!

Michela e Francesca si alzano in piedi di scatto per la sorpresa, io provo a fare altrettanto ma, nel compiere il movimento, ricado sulla sabbia come una pera. Sonia, invece, ancora al fianco di Milo, permane ad essere placida e tranquilla come un laghetto nascosto di montagna, sebbene i suoi occhioni verdi trasudino ammirazione per la potenza appena dimostrata dal Leone.

"Troppo veloce?" torna su noi Aiolia, lo sguardo ferino, i muscoli ancora tesi e ben marcati per lo sforzo appena compiuto.

"Io... io... non ho visto niente!!! Come ci sei potuto riuscire, Aiolia?!" esclama Michela, sempre più sbalordita.

"Con la pratica e... parecchi anni di addestramento!"

"Voglio impararlo anche io! Voglio diventare così forte, per favore Aiol..."

“Grazie per la dimostrazione, Lia! Ora, come compito per stamattina, dovrete cercare di fare conoscenza del vostro cosmo. - riprende il controllo della situazione Camus grazie al solo ausilio della voce pacata ma decisamente autorevole - Vale anche per te, Sonia. Sei molto più avanti di loro e tuttavia la tua attitudine ti è ancora oscura."

"Certamente!" acconsente lei, determinata.

"Maestro, quindi noi cosa dobbiamo fare?" si interroga educatamente Francesca, l'attenzione nuovamente rivolta al nostro maestro.

"Vi dividerete in tre gruppi e proverete a concentrarvi per interagite con il vostro cosmo. Dovete fare conto di parlare a tu per tu con il vostro io più profondo, cercate risposte, trovatele dentro di voi, è lì che risiede il tutto! - si raccomanda lui, incrociando le braccia al petto nel prendersi una momentanea pausa, prima di proseguire ad illustrarci le direttive - Francesca andrà con Aiolia, Michela con Milo e Sonia, lavorerete in sinergia... Marta, tu invece starai con me!"

Sono talmente stravolta che lo odo appena senza riuscire pienamente a codificare quanto appena esposto. Non riesco a muovermi subito, mi limito a seguire con lo sguardo le mie amiche. Si stanno dirigendo verso le rispettive direzioni indicate mentre io rimango seduta sulla sabbia, la mente vuota, le forze sempre più carenti. Mi occorre un immenso sforzo di volontà per concentrarmi su entrambe, ma devo!

Siamo rimaste d'accordo, in questo primo momento, di fare il gioco di questi... questi Cavalieri che dicono di essere protettori della dea Atena, fintanto che non si abbasserà la loro soglia di attenzione, rivelando così un possibile spiraglio per la fuga. Stringo convulsamente le mani sulle dunette di sabbia. Resistere... resistere e resistere, come ama ripetere la nostra professoressa di Italiano e Latino.

Chissà se la rivedremo mai...

“Hai un potere davvero eccezionale, Aiolia, mi hai sinceramente meravigliata! - commenta intanto Francesca, approcciandosi al Cavaliere di Leo con una confidenza che raramente lascia trapelare - Quali ideali ti hanno permesso di diventare così forte?”

“Mio fratello, essenzialmente, ma è una lunga storia. - noto che chiude le palpebre per un breve momento, come accade quando si cerca di mascherare un dolore passato che ha però ancora conseguenze sul presente - E' lui che mi ha insegnato a porre i miei poteri a servizio dell'umanità."

"L'umanità..."

"E' così. Il mio pugno colpirà sempre tutti coloro che cercheranno di sottomettere i più deboli e nascondere la Verità! QUESTO è il mio ideale di giustizia, QUESTO è ciò che intendo fare per proteggere la Terra!” esclama ancora lui, quasi ruggendo nel dichiarare la sua posizione.

"Quindi... sei quel che sei grazie a tuo fratello."

"Sì, sono quel che sono perché..."

Non odo più la risposta di Aiolia, anche se ne percepisco quasi il fremito delle interiora nel doversi esprimere su un argomento che non deve essere dei più facili per lui.

La voce acuta di Michela, trillante più del solito, sposta la mia attenzione sul trio formato dalla mia amica, da Sonia e dal Cavaliere di Scorpio.

“Milo, tu che potere hai? Quel fascio rosso che avevi lanciato davanti ai piedi di Marta per, ehm, convincerla a fermarsi, che cosa sarebbe?” domanda proprio lei, cercando di mantenere alto l'umore.

“Beh, il mio potere è un po’ speciale, dolcezza... Sicura di volerlo sapere?” le sorride Milo, sornione, facendo roteare l'indice della mano destra con soddisfazione.

"Uff, eccolo di nuovo che si pavoneggia!" sbuffa Sonia, alzando gli occhi al cielo.

"Dai, reggimi il gioco, creiamo un po' di suspense alla donzella..." scherza il Cavaliere di Scorpio, ridacchiando, chiedendo la collaborazione della sua allieva.

"Sei proprio scemo, tu!"

"Spari raggi laser dalla punta dell'indice?!" tenta Michela, ben contenta di partecipare al gioco.

"Non direi, è ben... altro!" le fa l'occhiolino Milo, quasi gongolando.

Come non dimenticare quel solco sulla sabbia, lanciato da distanza, per bloccare nell'immediato ogni mio, nostro, tentativo di fuga. Sono appena stata in grado di percepirlo, so solo che aveva il colore del sangue. Che cosa fosse realmente mi è ancora completamente oscuro. Mi massaggio a fatica la testa nel ripensare a quegli attimi.

"Osserva qui, Michela, l'unghia del mio indice destro!" le dice intanto, ponendole in bella vista la mano in questione.

“Marta? Riesci ad alzarti?” la voce di Camus da qualche parte tenta di riportarmi alla realtà, con scarsi esiti, perché la mia attenzione è tutta per il terzetto.

Rabbrividisco, frastornata, nel distinguere cosa Milo volesse effettivamente dimostrare alla mia amica: la sua unghia dell'indice destro ha capacità di estrarsi fino a quadruplicare la sua lunghezza per assumere così la forma dell'arma micidiale dell'animale che rappresenta la sua costellazione. Ora, ciò che vedo di lui, del Cavaliere di Scorpio, non è più un dito umano, bensì un pungiglione vermiglio alquanto terrificante.

Possederà anche il veleno?!

“MARTA! - la voce altera di Camus mi riscuote, così come la stretta della sua mano sul mio polso che mi arriva del tutto inaspettata - Sei proprio sicura di stare bene?"

Cerca di farmi alzare in piedi garbatamente ma con urgenza, tanto che, contrariamente a ieri, rifuggo il suo contatto un po' troppo ruspante. Mi irrigidisco di conseguenza, ritrovandomi comunque ben presto in piedi. Svicolo via dalla sua morsa, indietreggiando d'istinto.

Non mi capisco... ieri avrei voluto prolungare il contatto tra noi, perché, per un solo istante, mi ha rammentato il mio nonnino. Ora... ora per quale ragione reagisco così?

“Sto bene. P-possiamo iniziare a..." ma non finisco la frase, inciampo nei miei stessi piedi, con l'ovvio esito che lui, per evitarmi una nuova caduta, mi deve afferrare e tenere da entrambe le spalle. Sto peggio di prima al nuovo contatto, mi viene da ansimare e lui, capendo l'antifona, si stacca immediatamente da me.

"Non mi sembra."

"Sto bene!" ribadisco, con foga.

"Talmente bene da non riuscire a reggerti in piedi da sola?!"

"..."

"Sei molto orgogliosa, rasenti la cocciutaggine!"

"Semplicemente sono stata in compagnia di me stessa per 17 anni, so conoscere gli avvertimenti del mio corpo quando sta male, grazie!"

"Mmm... sei sempre, sempre, così ottusa, o è una cosa che dimostri solo con me?"

"E tu sei sempre, sempre, così ostinato, o sono solo io ad avere il privilegio di assistere a questo lato del tuo carattere?!"

Camus mi fissa, aggrottando le sopracciglia come a dire che, no, non è solito insistere così con un'estranea. Ad ogni modo, cambia in fretta discorso.

"Davvero non ti riesce di darmi il Voi come ti ho espressamente detto di fare..."

"Come potrei? Sei... siete di poco più grande di me!"

"Cinque anni, se non vado errato. - ora anche lui sembra paurosamente infastidito dal mio continuo rispondergli per le rime - La differenza tra un bambino già capace di parlare, muoversi e agire di sua iniziativa e una bebè che non sa di essere nemmeno al mondo ed è capace di comunicare solo tramite il pianto!"

"Forse. - acconsento, seccata - Ma tale disparità si lima con la crescita: non vedo chissà quale differenza tra, per dire, un uomo di 40 anni e una donna di 35, eppure sono comunque sempre e solo cinque anni a differenziarli!"

Mi scruta ancora, con maggior attenzione. Sta certamente valutando come prendermi, ma io, pentendomi della rispostaccia data, scrollo la testa, decidendo di ricondurre il dialogo su un raffronto civile.

"Perdonatemi, non volevo essere così sgarbata."

“La tua pelle è insolitamente calda e non hai una bella cera da stamattina, per questo ti ho chiesto.” mormora, tranquillizzandosi a sua volta, prima di manifestare una sorta di prototipo di quella che umanamente si definisce 'preoccupazione'.

“E' la mia temperatura standard, non c'è nulla di insolito.” lo rassicuro, imperterrita, sfuggendo al suo nuovo tentativo di avvicinarsi a me. Non riesco a resistere.

“Se ne sei sicura, non te lo chiederò più. - dice poi, distogliendo lo sguardo dalla mia figura - Come dici tu, saprai cavartela da sola!"

“Grazie, ci siamo arrivati. E' un buon punto di partenza!” annuisco, improvvisamente a corto di parole e fiato, come se qualcosa ostruisse la respirazione.

Vorrei in verità altro, le sue attenzioni mi fanno piacere e tuttavia mi sento totalmente impreparata ad un confronto con lui. Vorrei riuscire a spiegarmi, vorrei riferirgli del mio malessere, perché, contrariamente a quanto ho simulato, così tanto bene non sto, e lui probabilmente è andato oltre, l'ha capito. E' solo che... che mi sento così stupida al suo cospetto, e vulnerabile. Ecco, questa è la cosa che riesco a tollerare di meno, il sentirmi indifesa, sguarnita, davanti ai suoi occhi profondi e misteriosi.

Camus ovviamente non può capire completamente cosa si stia muovendo dentro di me. Fa il finto sostenuto, guardando altrove, le braccia conserte in una manifestazione di chiusura. Impossibile capire anche da parte mia i suoi, di pensieri. Sembra a disagio, ma per un qualche motivo che sfugge alla mia logica sembra comunque intenzionato a riprovarci. Lo vedo voltarsi verso di me, vorrebbe aggiungere qualcosa. Ciò mi spinge a interromperlo prima che ci riesca.

“Penso di riuscire a parlare meglio con il cosmo, come dite voi, se rimango da sola... posso andare vicino a quella scogliera là in fondo e fare dei tentativi lì?” gli chiedo, tentando di scacciare via l'ennesimo malessere che mi ha investito.

"Perché mai io dovrei permetterti di andare? Spiegamelo, Marta!"

Lo vedo inarcare un sopracciglio con fare inquisitorio, l'espressione nuovamente severa. Ho fatto un passo falso, l'ennesimo, me ne accorgo distintamente. Sospiro.

"Avete paura che fugga, lo capisco, ma ho qualche possibilità di successo? - lo osservo, sempre più insofferente - Anche se tentassi di scappare, voi mi raggiungereste subito. Ormai sapete riconoscere e individuare il mio... cosmo... dico bene?"

"Corretto. Sai essere molto perspicace, ragazzina!""

Non do peso al tono pungente adoperato, mi limito a guardare altrove: "Non ho quindi vie da percorrere, se non restare qui e fare ciò che mi ordinate."

"..."

"Per cui ve lo chiedo per favore: lasciate che, almeno per oggi, io mi impratichisca da sola. Ne ho bisogno!"

Lo guardo, implorante, e sorprendentemente la sua espressione implacabile, nel vedere la mia, si incrina un poco, forse nel riconoscersi nei miei occhi lucidi e spauriti, più probabilmente provando semplicemente pena per me.

"Marta, ascolta... non vi stiamo facendo questo per mera cattiveria nei vostri confronti. Devi provare a capirlo, sei intelligente!"

Il suo tono si è ammorbidito, ma non sono pronta ad ascoltarlo: "Sarò appena là dietro, potrete venire a controllarmi, se vorrete, ma per il momento lasciatemi stare da sola, vi prego!"

"Marta..."

"PER FAVORE!"

“Uff, va bene! - acconsente, rassegnando, capendo di avere un muro davanti - Però non allontanarti troppo, mi raccomando!”

"Tanto dove posso andare?!" ribadisco, disillusa.

"Non è dove puoi andare tu, il problema... - il suo tono assume una tacca di tensione che tuttavia nasconde subito con bravura - Non importa. Ti monitoro da qui, tu stai comunque all'occhio."

"Va bene, grazie, Maestro!"

Ci dicono tutti di stare attenti per questi presunti nemici che sembrano bramarci così tanto -tre semplice ragazze, figuriamoci!- e tuttavia gli unici che hanno perpetrato un'azione di forza nei nostri confronti sono loro.

Mi dirigo, camminando a fatica, verso un'insenatura poco distante dal luogo dell'allenamento. Per buona parte del tragitto mi sento gli occhi del Cavaliere dell'Acquario addosso, sensazione che scema fino a scomparire solo quando, finalmente, la mia sagoma viene nascosta da uno sperone di roccia. Traggo un profondo respiro di sollievo.

Checché abbia assicurato a lui, in me vi è comunque ancora l'idea di tentare una fuga, scappare da questi giovani uomini che combattono per un ideale aleatorio troppo superiore a me, ma so bene che, allo stato attuale, è impossibile. Non mi resta quindi che fare buon viso a cattiva sorte, come le altre.

Così, davanti al primo scoglio che mi sono prefissata di distruggere, trattenendomi la testa con le mani e serrando disperatamente le palpebre nel tentativo di sopprimere il tracollo emotivo che avverto invadermi sempre di più, devolvo tutte le (poche!) energie psichiche rimaste sull'obiettivo da raggiungere. La mia mente prende quindi a vorticare su mille pensieri, sul cosmo, sulla forza immane di Sonia, sulle spiegazioni che Camus non si è lesinato di darci.

Decido di concentrarmi maggiormente sul momento in cui l'allieva del Cavaliere di Scorpio aveva alzato il braccio prima di colpire la roccia, al bagliore caldo e argentato che era scaturito dal suo petto per poi sgorgare e diffondersi ovunque, raggiungendo il punto focale nella mano destra stretta a pugno.

Divarico faticosamente le gambe, costringendomi a riaprire gli occhi per puntarli verso la stessa direzione. Vi è un'unica falla nella roccia, la posso ben vedere... ora devo solo addensare il cosmo nel palmo, caricare e... affondare, ma come?! Il Maestro Camus ci ha consigliato di aprire un dialogo con la parte più profonda del nostro io, eh? Un soliloquio, quindi, niente di più facile per me!

Alzo quindi il braccio nell'avvertire un formicolio freddo pervadermelo -che strana sensazione, però, eppure l'aura che circondava Sonia sembrava così calda e leggiadra!- solo a questo punto mi sento pronta a tirare il pugno che collide proprio contro la roccia davanti a me. Non trovo consistenza né resistenza, semplicemente la materia cede davanti al mio sguardo stupito, riducendosi in pezzi di dimensioni variabili che vengono proiettati nelle più svariate direzioni.

Non ho il tempo di capacitarmi del mio operato, della facilità con cui ciò sia successo, del tutto inspiegabile, che mi sento improvvisamente bruciare violentemente una guancia, la pelle lacerarsi e aprirsi proprio sotto lo zigomo.

"A-argh!" mi sfugge un lamento sommesso, mentre a fatica rimango in equilibrio in piedi. La mano sinistra corre istintivamente a trattenersi la zona lesa.

Caldo. Sento caldo. Qualcosa mi sgocciola dentro il palmo per poi scivolare lungo l'avambraccio. I miei occhi si sono chiusi in un istante, per istinto; convincerli a riaprirsi richiede molto più tempo. Devo essermi sbagliata, il bersaglio non può aver ceduto con così tanta facilità...

Torno a guardare la roccia e sussulto di conseguenza. Ha ceduto invece, è in frantumi, non c'è più nulla della solidità di prima. Come ho potuto..?

Respiro affannosamente, sempre più a scatti, un'ombra scura mi sta appannando la mente, adombrando anche la visuale. Uno scintillio indistinto ricopre in maniera eterogenea ogni frammento sparpagliato tra i miei piedi. Solo tardivamente riesco a codificarlo, quando ormai il ginocchio destro è già ceduto e il sinistro sta per seguire la sua stessa sorte.

Finisco bocconi per terra. Le mani, protese in avanti nel tentativo di attutire la caduta, urtano appena due delle schegge più grosse, che brillano armoniosamente di polvere di brina quasi come se fossero lastricate di ghiaccio. Non ho il tempo di chiedermi altro, ne sussegue il buio...

 

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Capitolo 7
*** Il subdolo Death Mask ***


CAPITOLO 7

 

IL SUBDOLO DEATH MASK

 

30 Giugno 2011, mattina

 

Vi è una stanza. Vi è sempre una stanza, nei miei sogni, da quando è morto mio nonno ormai due anni fa. La riconosco, mi è estranea e amica allo stesso tempo.

La luce solare di fuori vi penetra obliqua, schiarendo così i dintorni avvolti dalla semi-oscurità. E' bella e accattivante al tempo stesso, mi da un senso di vaghezza, mi fa sentire coccolata, come quando ero piccola.

C'è una presenza intorno a me, dietro di me, la percepisco appena, così catturata dall'illuminazione esterna che filtra indisturbata, illuminando appena il tavolino centrale e il pavimento sotto gli infissi. E' bella, bellissima!

Poi, però ad un certo punto -sempre!- la luce tende a diradarsi, l'oscurità si accentua, serpeggiando sinistra tra i miei piedi. Non è più così tanto bello...

Vorrei muovermi, cercare di riacciuffare i raggi del sole sempre più fiochi, perché sento che se li smarrisco la consapevolezza delle cose accadute prenderà definitivamente il sopravvento su me. Ansimo dal terrore. La mano si protrae in avanti, si stringe a pugno. Niente. Non riesco più a tenere niente, nel mio palmo!

A questo punto la luce languisce definitivamente, si spegne, quasi, la porta dietro di me si apre. Contraggo le spalle, i brividi solcano lungamente la colonna vertebrale. In su e in giù. Qualcuno è entrato nella stanza proprio in questo momento. Ansimo più forte nell'avvertire, pur senza vederla, una mano stendersi verso di me e la voce, QUELLA voce, chiamare il mio nome proprio.

"Ehi, bimba..."

E' lui. La consapevolezza di ciò mi stravolge. Mi getto istintivamente a terra, serrando gli occhi e tappandomi le orecchie fino a farmi male. Urlo. Non posso fare altro.

Va' via, per favore va' via!!! Non voglio vedere. Non voglio sentire. PER FAVORE, NONNO!

Mi chiudo in posizione fetale, mentre crudelmente la mente mi fa comunque percepire l'immagine corrotta di mio nonno, quella sua pelle ormai grigia, le orbite vuote, la mascella cadente e i vestiti ormai usurati.

NO! Non voglio vedere! So che, se solo aprissi gli occhi lo vedrei così ed io... NON VOGLIO!

La porta si richiude con uno scatto. Silenzio. Lui non è rimasto neanche stavolta. Sono di nuovo sola. Sola, nella stanza del piccolo soggiorno dove un tempo giocavamo a scacchi.

Sorprendentemente ciò mi provoca una nuova ondata di disperazione. Esco gattonando dal mio rifugio, corro verso la porta, la tocco e busso, chiamandolo a viva voce supplicandogli di tornare quando, fino a pochi secondi fa, sono stato io a scacciarlo. Non tornerà neanche stavolta. Se ne è andato. Non posso far altro che scoppiare a piangere nel rimproverarmi l'ennesima debolezza dimostrata.

Nonno... mi manchi tanto! Scusami, se non te l'ho mai dimostrato, scusami se ho perso così tanto tempo a rincorrere il mio orgoglio! I-io ho ancora...

"...t-tanto bisogno di te!"

Nel baratro della semi-incoscienza, percepisco una mano, fresca come la neve, appoggiarsi delicatamente sulla mia fronte. Le mie palpebre sono ancora abbassate, il vuoto nel mio cuore è ancora ben presente, eppure la sensazione che mi procura la presenza di questa entità vicina riesce in qualche modo a rassicurarmi. Sono... tornata a casa?

Apro a fatica le palpebre, cullata dalla tranquillità che avverto trapelare fuori dalla mia incoscienza. E' ancora tutto sfocato, distinguo appena un movimento, un chinarsi prudentemente verso di me, e poi... un'altra voce altrettanto inconfondibile!

“Vedo che stai un po' meglio.” constata un ragazzo, seduto su una sedia accanto al mio letto. I suoi lineamenti, i suoi occhi color blu mare, il suo accento francese... è impossibile sbagliarsi!

“M-Maestro Camus!” esclamo, quasi strozzandomi nell'esprimermi. Cerco di mettermi almeno seduta, con l'unico risultato di capitombolare maldestramente giù se lui, lesto, non si precipitasse a sorreggermi.

"Piano! - mi consiglia, aiutandomi nel processo. La sua mano dietro la mia schiena asseconda con naturalezza il gesto - O rischi un nuovo crollo di pressione!"

Non sono a casa dunque, ma sono comunque inspiegabilmente felice di vederlo. Tento un mezzo sorriso nella sua direzione, prima di accorgermi, guardandomi, che ho indosso dei vestiti diversi rispetto a prima. Una specie di sudario ha preso il posto del peplo, è largo e mi ricade morbido fino alle caviglie. Avvampo, tastandomi il petto per dare voce ai miei dubbi, che infatti vengono immediatamente fugati: non ho più neanche il reggiseno!

Mi circondo il busto con le braccia per istinto, prendendo a fissare un punto qualsiasi in mezzo alle gambe. Che... vergogna!

Camus deve indovinare il mio stato e i miei pensieri solo dall'espressione del mio viso, lo sento soffiare aria tra sé e sé, come una specie di sbuffo divertito. Sto per chiedergli cosa ci trovi di così tanto spassoso, ma lui mi sorprende ancora una volta.

"Non ti ho cambiata io, tranquilla, ho chiesto alle ancelle di farlo. Io mi sono limitato a medicarti quel taglio che ti sei procurata da sola spaccando lo scoglio, oltre a stabilizzare la temperatura corporea!"

"Uh-oh... grazie!" borbotto, abbassando appena le braccia. In verità non provo meno disagio a essermi fatta vedere nuda da altre sconosciute, ma apprezzo il suo tentativo di rassicurazione.

“Sei orgogliosa al punto da sforare nella testardaggine, te l'ho già detto ma lascia che te lo ripeta. Così facendo, hai fatto preoccupare non poco le tue amiche!” continua lui, sospirando impercettibilmente.

“L-loro dove sono adesso?” balbetto, guardando altrove per l'imbarazzo.

“Sono in buone mani, non preoccuparti. Ho chiesto a Hyoga di fare da maestro per un giorno. Io sono rimasto qui.” risponde pratico lui, rispettando il mio non voler incrociare il suo sguardo.

“E quanto tempo è passato?” chiedo ancora, sentendomi mezza intontita.

“Praticamente un giorno. Hai un sonno parecchio pesante, forse solo pari alla tua cocciutaggine!”

Gonfio le guance, offesa, cercando di guardarlo male senza tuttavia il contatto visivo diretto. Gli deve piacere molto rimarcare questa cosa, mi canzona di continuo e non mi va giù. Di primo acchito, non me lo sarei aspettato così sprezzante nei modi di porsi, e invece... tuttavia, parallelamente, se lui si è raccomandato al suo discepolo prediletto di addestrare le altre in sua vece, ed è ancora qui adesso, significa...

“Maestro, quindi avete vegliato su di me per tutto questo tempo?!” gli chiedo, sorpresa.

Camus annuisce appena, un lieve sorriso si dispiega sulle sue labbra.

"Oh..." borbotto, ritrovandomi ancora una volta sorpresa e, non posso negarlo, genuinamente felice che lo abbia fatto.

"Ti stupirà, ma non sono solito lasciare allo sbando i miei allievi!"

"Non è quello, è che..."

"Cosa?"

"No, niente. Solo... grazie!"

Camus annuisce ancora, non è tipo di troppe parole né di grandi dialoghi, questo è lampante. Sta di fatto che è rimasto al mio fianco quando poteva affidarmi a qualcun altro, e questa è una cosa che non farebbe chiunque.

“Sai, quando ho chiesto a Hyoga di fare da maestro, si è comportato in maniera un po’ strana, decisamente insolita... e anche la tua amica Michela!” mi dice lui a un tratto, cambiando improvvisamente discorso.

“Strani in che senso?” gli domando, incuriosita (anche se una mezza idea mi è già rimbalzata in testa).

“Beh... Hyoga era alquanto imbarazzato, inizialmente non voleva farlo, poi ha acconsentito, anche se non riesce a guardarla in faccia; mentre Michela, alla notizia, ha cominciato ad incespicare con i piedi fino a cadere per terra da sola. - prende una breve pausa, si lascia sfuggire un nuovo, mezzo, sbuffo che potrei tranquillamente definire un tentativo di risata - Ora, la tua amica non la conosco ancora molto bene, ma ti posso assicurare che Hyoga non ha mai reagito così!”

"Oh... no!"

"Che cosa?"

"Michela. Lei, ehm... - penso un attimo a come renderla, ridacchiando imbarazzata - E' un po' in fissa con i biondi!"

"In che senso?"

Lo occhieggio come ad indagare se davvero non ci arrivi o la sua sia una semplice domanda di circostanza, ma il fatto che mi osservi fisso e con espressione genuinamente limpida, mi fa capire, anche grazie allo scambio di battute di ieri avvenuto con Milo, che neanche lui deve avere chissà quale bagaglio di esperienze, sull'argomento.

"Beh... a Michela piacciono i ragazzi biondi!"

"T-tutti i biondi?! - dal cambio di sguardo e dal leggero rossore sulle sue guance sta cominciando a capire - Ma allora anche Shaka!"

"B-beh no, lui credo di no, è troppo reverenziale per i suoi gusti! - faccio spallucce, prima di grattarmi maldestramente la testa. Assurdo che io stia trattando simili argomenti proprio con lui. - Ma quel Hyoga credo di sì, ci ha anche dormito accidentalmente insieme e... rispecchia il suo tipo ideale!"

Camus allinea le labbra alla rivelazione, aggrotta le sopracciglia -che noto per la prima volta essere elegantemente biforcute!- al limite dello scetticismo: "Mi sembra molto prematuro."

E su questo siamo d'accordo, chiaro, ma Michela è sempre stata un po' così, un'inguaribile romantica che crede nell'amore a prima vista. Avendo solo 16 anni, è tutto sommato normale...

"Gli ormoni e l'età, Maestro... gli ormoni e l'età!" ripeto, pratica, ridacchiando poi tra me e me.

Il silenzio che cala nella stanza sembra averci cristallizzato entrambi, tutto il contrario della mia mente che, fresca di riposo, ha ripreso velocemente a cogitare a seguito delle ultime rivelazioni.

La reazione del Cavaliere del Cigno, potrebbe, a sua volta, nascondere un invaghimento per la mia amica? Sembra un ragazzo apposto, timido e molto più maturo rispetto alla sua età, ma non lo conosco ancora abbastanza bene per potermi fidare di lui e, in fondo, la lezione Luigi è ancora lì fresca di avvenimento a ricordarmelo ogni volta.

Sono sul punto di continuare il discorso in qualche modo, perché questo è di sicuro il dialogo più lungo e cordiale avvenuto tra noi fino a questo momento senza che uno dei due si indispettisse, ma il gorgoglio della mia pancia decide di palesarsi per primo. Arrossisco di netto.

“Credo... credo di avere un po’ di fame!” biascico, imbarazzata, massaggiandomi lo stomaco.

“Sì, e hai tutte le ragioni per averla: da quando sei approdata qui al Santuario non hai toccato cibo!” ridacchia, stavolta senza trattenersi, alzandosi subito in piedi.

La mia bocca si spalanca in una "o" sorpresa nel sentire, per la prima volta realmente, la sua risata cristallina. Ha un suono molto tenue, quasi limpido, garbato e contenuto.

"Che cosa preferisci? Dolce o salato?" mi chiede poi, cordiale, ed io devo fare un enorme sforzo di volontà per non esserne abbagliata.

"Qu-qualunque cosa."

"Proprio qualunque? Non hai preferenze?"

"No, sono una buona forchetta. Dolce, salato, aspro, amaro... mangio tutto, soprattutto se affamata!" sorrido timidamente tra me e me, massaggiandomi nuovamente il ventre.

Così, mentre Camus va a prepararmi qualcosa da portarmi, io rimango sola con i miei pensieri, tutti rivolti al mio maestro medesimo. Dopo un inizio burrascoso tra noi, susseguito da incomprensioni varie e imbarazzi diffusi, sembriamo finalmente aver imboccato la strada corretta.

Mi osservo la mano fasciata da un nuovo bendaggio. Con le dita mi tasto il cerotto che ho sulla guancia e che nasconde il taglio che mi sono procurata da sola. Ricordo ancora la cura con cui mi ha avvolto le mani martoriate, nonché la delicatezza dimostrata nei miei confronti... in fondo è un bravo ragazzo, e gentile, anche se per qualche motivo tende a nascondere questo suo lato decisamente più umano. Chissà perché...

Camus torna poco dopo con una scodella di yogurt, della frutta, del pane e dei cracker che io divoro subito, in quest'ordine, con estremo gusto.

“Oh, vedo che, effettivamente, per essere così gracile, l'appetito non ti manca! Ti senti meglio adesso?” mi chiede dopo un po', guardandomi dritto negli occhi.

“Sì e... coff, coff!" cerco di rispondere frettolosamente, finendo per mandarmi di traverso la roba. Altra magra figura!

"Ehi, piano con quella mandibola, ragazzina, nessuno ti toglierà il cibo di bocca!" osserva lui, quasi divertito dal mio abbuffarmi così genuinamente.

"Avevo... avevo parecchio appetito, sì, inoltre penso di non avere più la febbre!” esclamo, vivace, con un largo sorriso.

“Ottimo. La mia domanda precedente, però, non era pertinente solo a questo. - mi fa notare lui, prima di proseguire nel discorso - Hai gli occhi traboccanti di lacrime da un po'. Da ieri mattina, per esattezza, quando ti ho presentato al mio allievo Hyoga, e così anche durante le spiegazioni sulla spiaggia, sebbene tu cercassi di celarle al mio sguardo. Quando ti abbiamo trovata svenuta, dopo che tu hai voluto fare di testa tua, avevi il volto completamente rigato dal pianto e così ha continuato ad essere anche nell'incoscienza fino al tuo risveglio.”

“C-cosa volete insinuare? N-no, io...” inizio, cercando di sviare l'affermazione.

“Che hai pianto e ti sei divincolata nel sonno. - mi interrompe senza remore alcuna, prima di continuare - Di base, ho compreso che sei un'emotiva ma, se permetti un consiglio, cerca di indurirti e rafforzarti nel più breve tempo possibile!"

"..."

"Devi sapere che ormai ho una certa esperienza come maestro e, vedi, quando i miei allievi Hyoga e Is... - prova a spiegarmi, bloccandosi tuttavia quasi subito - No, lascia perdere questo discorso, come se non lo avessi tirato nemmeno fuori!"

Lo osservo, confusa dal suo tono improvvisamente così strascicato e sofferente senza un'apparente ragione. Ha parlato di allievi... Hyoga quindi non è stato l'unico, né il primo?

"Comunque quello che volevo ribadirti è di non piangere, se puoi, perché è del tutto inutile: non modifica la situazione in cui ti trovi!"

"Questo me lo avete già detto..."

"Devi stamparlo bene in testa, è importante!" chiude gli occhi nell'esprimerlo, apparentemente severo anche se con una punta di calore nella voce.

"P-però..."

Non so bene cosa dire, capisco largamente il suo discorso e infatti io per prima odio farmi vedere in questi momenti di debolezza, ma se non mi rimane nemmeno questo, come valvola di sfogo, cos'altro mi resta? Vorrei solo urlare, dimenarmi o, almeno, essere rassicurata da qualcuno... da lui!

"Posso capire come ti senti. - Camus prosegue nel discorso, imprimendo maggiore calore nella voce, al punto che anche i miei occhi si stagliano, increduli, nei suoi senza più rifuggire il suo sguardo - Io sono stato strappato dalla mia famiglia di origine all'età di appena 5 anni. Ero ingestibile, piangevo di continuo anche se di nascosto, chiedendo al cielo di essere riportato a casa."

"A 5 anni?! Così piccino?!"

Allora forse... può davvero capire come mi sento?!

"Sì. Avevo, e ho tutt'ora, la maledizione di essere un predestinato. - annuisce, guardando brevemente altrove, prima di inscurirsi nel tornare su di me - Le regole qui al Santuario sono molto rigide."

"Ma... ma è una cosa orrenda, ancora di più per un bambino così piccolo!!!" ribatto, arrabbiata, stringendo con forza le lenzuola del letto.

"Lo è, ma non avevo vie di fuga e, col tempo, ho imparato che piangere non serve a niente e non porta a nulla. E' debolezza e nient'altro!"

Torno ad osservare il mio grembo, il lenzuolo che ho sopra le gambe. Mi sento in parte di condividere questo suo pensiero, però continuo a pensare che, se non mi resta nemmeno questo, non ho più alcun modo per tentare di ridurre l'immensa pressione che avverto dentro di me. Sono al limite di una crisi, non sono in più in grado di disinnescarmi, malgrado gli enormi passi avanti che mi sembrava di aver compiuto in questi anni. Se continuo così, io...

"Quindi, piuttosto che piangere, parla con me. Talvolta anche un semplice dialogo può essere d'aiuto!" mi consiglia, franco, con una sensibilità che prima non gli avrei riconosciuto.

"Parlare con te... voi, volevo dire!"

Continua a sembrarmi impossibile l'utilizzo di una tale formalità con un ragazzo così giovane, ma lui la desidera...

"Sì. - la sua espressione si addolcisce ulteriormente - Che sogni hai fatto, stanotte, per reagire così? Ti va di raccontarmeli?"

No, in verità non mi andrebbe, non con chiunque, almeno, e lui... dovrebbe essere uno qualunque, in teoria. Eppure sento che così non è, che mi posso fidare, che posso aprire uno spiraglio del mio cuore, pur non scendendo troppo in particolari.

“E' un sogno ricorrente in questi due ultimi anni...”

“Me lo vuoi dunque raccontare?” mi pone la domanda, sedendosi di riflesso sulla sponda del letto, vicino alle mie gambe che si spostano un poco per fargli spazio.

Annuisco tiepidamente, prendo il tempo necessario per trovare le parole giuste, poi finalmente inizio, non riuscendo comunque a nascondere un fremito ben distinto. Gli parlo del sogno, sempre uguale a sé stesso anche se ogni volta un po' più vivido e concreto rispetto al precedente, alle mie sensazioni, alle mie paure, alle mie emozioni contraddittorie. Ovviamente non gli dico che la presenza è mio nonno, rimango anzi molto sul generico e, quando finisco la narrazione, i miei occhi sono nuovamente lucidi.

"Hai perso una persona cara recentemente?" mi chiede, schietto, cercando nuovamente il mio sguardo che stavolta si abbassa subitaneamente.

"E-ecco..."

"Non mi devi rispondere, era solo per comprendere meglio, ma penso di aver capito comunque. - si affretta a correggersi, rendendosi conto della mia riluttanza - Tu non hai accettato la sua perdita, anzi, su più larga scala, tu non accetti proprio il concetto di morte!"

Ammutolisco. Lo fisso, il respiro corto. Lo ha capito in un istante e lo ha esposto con una tale immediatezza da lasciarmi senza fiato. Ha comunque centrato il punto nevralgico.

"Non ci puoi fare nulla e lo sai anche tu, proprio per questo reagisci così male. Tu rifiuti di vedere questa persona nel sogno perché temi che ti possa apparire con le sembianze di adesso, ovvero... ci siamo intesi!"

Sì, lo ha capito perfettamente, ma apprezzo l'accortezza che dimostra nel non pronunciare il resto. Prendo un lungo respiro, cercando di sciogliere un po' la tensione che si è fatta insopportabile.

"La tua famiglia, le tue amiche, non sono riuscite a... sostenerti... in questo?"

“Beh, sono molto chiusa, tendo ad isolarmi quando sto male e... sì, ci sono state, loro ci sono sempre, fanno parte della mia famiglia. - sorrido tra me e me, un poco rasserenata nel pensare a loro - Sarà che sono partita da un nucleo originale molto ristretto: madre, nonno e nonna, ma... ho un concetto molto inclusivo della parola, comprende infatti anche Michela e Francesca!"

"Dunque ne fanno parte integrante anche loro, della tua famiglia, intendo."

"Esatto."

A questo punto, lo vedo esitare, nei suoi occhi passa la solita ombra che mi capita sempre di scorgere nell'altro quando parlo della mia famiglia, solo che lui non la palesa per rispetto nei miei confronti. Lo faccio io per lui.

"Mio padre ci ha abbandonato prima che io nascessi, per questo non l'ho citato. - tronco ogni insicurezza sul nascere, buttando fuori aria nel farmi sempre più livida - Quel... quello stronzo!"

“Quindi ti ha cresciuta solo tua madre.” mormora lui, lo sguardo vagamente lucido e rivolto al vuoto, come a ricordare momenti della sua vita passata.

“E i nonni, sì, però, come accennavo prima, Michela e Francesca sono come sorelle per me!"

"Lo immagino, vi vedo molto affiatate."

"Lo siamo, sì!" gli sorrido, raggiante, felice mi abbia inteso.

“Capisco. Anche io, come ti ho detto prima, sono stato strappato dalle braccia di mia madre all'età di 5 anni; 5 anni e 3/4 per l'esattezza. Venire qui e conoscere gli altri... beh, è stato come rinascere. Anche loro sono come fratelli per me, soprattutto Milo.” sussurra infatti Camus, le guance a sua volta rosse per lo stesso mio motivo.

Chissà, forse lui ed io siamo molto più simili di quanto credessi. Ci imbarazziamo per le stesse cose, non siamo una cima nella comunicazione verbale e, soprattutto, siamo entrambi molto riservati su tutto ciò che riguarda il nostro mondo affettivo ed emotivo.

“Devono essere degli amici fantastici, siete stato proprio fortunato a incontrarli!” commento, portandomi le ginocchia al petto e iniziando a dondolare appena, gestualità che tendo a dimostrare solo quando mi ritrovo in un ambiente in cui mi sento al sicuro.

“Sì, lo penso anche io. - acconsente, prima di guardarmi in faccia, gli occhi per un istante accesi da un inesauribile barbaglio - Ma toglimi una curiosità: è stata tua madre a insegnarti il francese, o uno dei tuoi nonni? Lo capisci e lo parli bene, a giudicare dalla rispostaccia che mi hai dato il primo giorno in cui ci siamo conosciuti sulla spiaggia!” mi chiede poi, mostrando sempre di più una genuinità e una dolcezza che non gli avevo ancora scorto.

Capisco che si deve riferire al nostro scambio di battute, per lo più ringhi sommessi, e al mio averlo mandato a quel paese con un detto proprio soltanto della lingua francese. Ridacchio vergognosa, rendendomi maggiormente conto, a posteriori, che effettivamente sono stata un bel po' impulsiva, nonché sgarbata, ad aggredirlo così, ma ero comprensibilmente sconvolta dalla notte precedente in cui Milo ci aveva portate via dall'albergo.

"Sì, lo capisco e lo parlo. Sono perfettamente bilingue. - annuisco, grattandomi la testa - Del resto, purtroppo, non posso negare di avere per metà origini francesi!"

"Per... metà?" chiede conferma Camus, affinando lo sguardo nel reputarmi, probabilmente, una sua compatriota. Sembrerebbe che lui, alle sue origini, ci sia parecchio legato.

"Da parte di mia nonna, sì... lei era francese. Mio nonno invece italianissimo, genovese per l'esattezza, ci teneva particolarmente!"

"Sei... di Genova?"

Qualcosa passa nei suoi occhi, non lo distinguo con precisione, è più una scintilla veloce, rapida, che viene sbalzata in aria e rimane sospesa per qualche secondo.

"Certamente! - sorrido sorniona, portandomi le mani ai fianchi nella più bella espressione soddisfatta che mi riesce - Io mi reputo ligure al 100%, infatti, amo la mia regione!"

"..."

“Comunque, come stavo dicendo, mia mamma ha origini francesi, sebbene mi abbia partorito proprio a Genova per stessa volontà del nonno. - torno seria nel riprendere il discorso iniziale sulle motivazioni per cui io mastico bene anche l'altra lingua - Lei è nata a Nizza nel novembre 1965. Mi ha raccontato che il suo nome, Antoinette, lo ha scelto proprio la nonna per commemorare... ODDIO, Camus, cosa succede?!?” sobbalzo con forza nel vedere la sua reazione improvvisa.

Camus, infatti, impallidito già da prima, al suono delle mie ultime parole si è alzato in piedi di scatto, allontanandosi dal mio letto come se fosse una bomba a orologeria pronta ad esplodere.

"N-non... NO... non può essere possibile! COSA MI STAI DICENDO?!? Sei nata a... Genova, ma hai origini francesi da parte materna?!?"

"I-io... s-sì, p-perché?"

Lo fisso sempre più spaventata, non trovando alcuna risposta razionale al suo respiro sempre più corto e ai suoi occhi indicibilmente spalancati a vuoto. Sembra sconvolto, incredulo, costernato, suda freddo.

E' scioccante vederlo così, non comprendere cosa sia successo per renderlo tale, cosa possa aver detto di sbagliato per provocare in lui una simile reazione. Non capisco, mi sembrava stesse andando tutto nel migliore dei modi, perché ora questo?

"Per-perdonatemi, io... non volevo parlarvi nuovamente in tono così informale, e neanche era mia intenzione bistrattare il vostro Paese natio... - tento di scusarmi, a disagio, raschiandomi a forza la gola - Ma non ho avuto delle belle esperienze sul suolo francese, quindi..."

“N-non fa nulla... Mar-Marta! - mormora lui febbrilmente, e la pronuncia del mio nome giunge con una nuova, inaspettata, sfumatura che prima di oggi non aveva mai adoperato - P-però avrei bisogno ancora che tu mi rispondessi ad un'altra... domanda."

"Qualunque cosa, Maestro..."

...purché non mi reagisci più così, per favore, è la prima volta che ti vedo così... così... messo all'angolo. Cosa ti è successo?!

"Quando sei riuscita a spaccare la roccia, poco prima di svenire, hai... hai notato per caso qualcosa di inconsueto? Di... strano, ecco, che non avrebbe dovuto esserci!"

"No, Maestro, non..." ma mi blocco, rammentandomi di un particolare che, in un primo momento, avevo rimosso.

Camus nota il mio cambio di espressione, il mio lasciare la frase in sospeso. Deglutisce a vuoto, esita, prima di trovare la forza di andare fino in fondo:"Hai ricordato qualcosa?"

"Deve essersi trattato di un abbaglio causato dalla febbre, non... non c'è altra spiegazione!" scrolla la testa, guardando altrove.

"Tu dimmi comunque cosa pensi di aver visto."

“Beh, mi è sembrato di vedere un sottilissimo strato di brina sui frammenti di roccia sparpagliati sulla sabbia. Inoltre sentivo un gran gelo permearmi il braccio che formicolava con insistenza. Ricordo di aver pensato che fosse davvero strano, perché il cosmo di Sonia, quando lo adopera, sembra essere invece caldo e accogliente. - spiego, rialzando poi il capo per sorridergli lievemente - Non può essere stato veramente ghiaccio, no? Non posso avere il vostro stesso potere, non sarebbe..." cerco di smorzare la tensione, ma lui non mi guarda più, gli occhi fissi altrove nel mordersi le labbra.

E' distante. Non può essere raggiunto. Non più. Rimango a boccheggiare parole che vorrei pronunciare e che tuttavia non escono. Conseguentemente mi chiudo istintivamente a riccio, non sapendo più come proseguire.

“Hai ragione, è prematuro per te aver già appreso le proprietà del tuo potere. Troppo! - stabilisce, in tono però incerto, mascherando i suoi occhi appena lucidi sotto la frangia – Per oggi riposati, Marta, devi recuperare energie.” aggiunge poi poco dopo, dandomi le spalle per dirigersi fuori dalla camera.

"Aspettate, Maestro, avete dimenticato la scodella sul comodino!" lo richiamo, porgendogliela nel desiderio inspiegabile di proseguire un dialogo che è ormai, limpidamente, sul viale del tramonto.

"Ah, già..." biascica, tornando quindi sui suoi passi senza tuttavia incrociare più il mio sguardo. Mi prende la ciotola dalle mani, per un istante ho la sensazione che stia tremando. I suoi occhi si sono fatti ancora più vacui e distanti. Non sembra più sopportare la mia vicinanza e questo mi manda ancora più in confusione.

"Perdonatemi, io..." ritento, ma mi inceppo del tutto. Vorrei dirgli di rimanere, che mi fa piacere la sua compagnia e vorrei parlassimo più spesso, ma lui, dopo avermi rimarcato di riposare per l'intera giornata, si allontana senza darmi più alcuna spiegazione.

Sospiro rumorosamente, fingendo di non esserci rimasta male. Proprio ora che sembravamo capaci di compiere passi avanti, c'è di nuovo un muro tra noi, più spesso di prima. Rabbrividisco, non so se per la febbre o il dispiacere. E' tutto così difficile...

 

***

 

30 giugno 2011, pomeriggio

 

“Ce l’ho fatta! Ce l’ho fatta! Finalmente sono riuscita a distruggere la roccia!!!” cantilena Francesca, saltellando allegramente per tutta la stanza.

Raramente lascia trasparire le sue emozioni, deve esse molto fiera di sé stessa, dei risultati raggiunti. Sono davvero felice per lei.

Oggi pomeriggio Michela, Sonia e Francesca sono venute a trovarmi, dato che Hyoga, su espressa direttiva di Camus, ha ricevuto l’ordine di interrompere prima gli allenamenti. Non me lo spiego e tento di non pensarci neanche, visto che comunque ci sono rimasta male dal suo comportamento di stamattina. Sospiro brevemente tra me e me, prima di concentrarmi altrove.

“Michela? Sei nel tuo mondo?” le chiedo, notando il suo sguardo vacuo e la bocca semi-aperta.

“ ...Mi ha stretto la mano...” è la sua risposta, con tanto di sorrisetto ebete.

"Chi?" le chiedo, ridacchiando, fingendo di non sapere a chi riferisca. Del resto, quando è così, dimentica il soggetto e a volte anche i sostantivi, mi diverte prenderla amichevolmente in giro.

“Lo sai. Il principe!"

Ah, adesso Hyoga Cavaliere del Cigno è il principe. Andiamo bene!

"Michela, MA PER FAVORE!" esclama in acido Francesca, tornando di colpo seria. Lei non scherza. Affatto.

"Lo hai visto, Fra, mi ha dato la mano!"

"L'ha data anche a Sonia, se per quello!"

"Non con la stessa intensità, non... per così tanto tempo!" si oppone Michela, desiderosa di difendere la sua verità.

“Solo nel tuo meraviglioso mondo dei balocchi! - scuote la testa la più grande tra noi, prima di tornare su me e spiegare - Sì, oggi Hyoga le ha effettivamente stretto la mano per darle un consiglio sul cosmo. Da quel momento non ha capito più niente!”

"Ah, il solito meraviglioso sogno ad occhi aperti, allora!"

"NO, Marta! Non il solito e nemmeno un sogno, è la verità! Credimi almeno tu!"

"Io ti credo, Michy, ma..."

"Ma?"

“Cerchiamo di rimanere con i piedi ben piantati per terra. E ricordati di Luigi, di quello che è successo!” commento, fissando la mia espressione un poco severa nella sua.

“Come sei cattiva, Marta! Hyoga... Hyoga è diverso, io credo di amarlo!” afferma lei, tutta rossa in volto.

Siamo già a quel livello... non pensavo fosse così grave. Corrugo le sopracciglia nel guardarla, poi mi rendo conto di aver assunto un'espressione troppo simile a quella del maestro, cerco quindi di correggerla, ma è Francesca a prendere prepotentemente la parola.

"Come fai a dire di amarlo che lo conosci da quanto, due giorni?! Andiamo, Michela, ripigliati!"

"Perché sei così in acido, Fra?! Per caso piace anche a te?!" si ostina lei, sempre più decisa a difendere il suo interessamento qualsiasi nome abbia.

"Figuriamoci! Quando mai mi interessano i biondi?! E poi ha quasi 5 anni meno di me!"

"Ah, ora guardiamo l'età..." commenta Michela, con un risolino, l'espressione di chi la sa lunga.

"Io sempre ho guardato l'età, mica sono come te che..."

"Ehi, buone tutte e due!" mi intrometto io, alzando le mani come se fossi un arbitro, prima di scoppiare a ridere senza riuscire più a trattenermi.

Sia Michela che Francesca si voltano verso di me, meravigliate dal mio slancio emotivo che per troppo a lungo non sono più riuscita a manifestare. Mi occorrono diversi secondi per riprendermi, mentre con gli indici mi asciugo gli angoli delle palpebre un poco lacrimanti.

"Non accadeva da un po' di trovare divertenti le vostre baruffe verbali. - tento di spiegare loro, continuando a sorridere - Mi mancava!"

"E a noi mancava... sentirti ridere così! - afferma Francesca, gli occhi quasi lucidi, prima di ricambiare il sorriso - Ti sei proprio lasciata andare, stavolta, come ai vecchi tempi!"

"Già, è proprio così e... ASPETTA CHE TI DO UN SUPER ABBRACCIONE!" si aggiunge Michela, già con le braccia spalancate nella mia direzione.

"No, no, no, asp..!" Troppo tardi, vengo avvolta dalla sua poderosa stretta. Mi lascio esaustivamente andare in un respiro lungo, ormai pienamente tornata alla vita dopo così tanta morte sul mio cammino.

Sì, sono proprio contenta di aver passato un po' di tempo solo con loro, libera perfino dai pensieri più bui. Questi giorni sono stati così frenetici... siamo tutte ancora un po' scombussolate dagli ultimi accadimenti. Tuttavia oggi pomeriggio siamo riuscite a chiacchierare come due anni fa prima dell'incidente. Non ci speravo più!

"Ora però parliamo di cose serie... - prende parola Francesca, diventando di colpo solenne - Dunque hai lo stesso potere del Maestro Camus, Marta? Puoi rallentare il moto degli atomi e manipolare la temperatura?"

"Io..." corrugo la fronte, improvvisamente senza parole. Michela intanto, liberandomi dalla sua morsa da piovra, si raddrizza nel farsi molto più attenta e percettiva

Tutto sommato penso ancora si sia trattato di un errore dato dalla febbre. Non ero molto in me prima di crollare sulla sabbia, malgrado ciò, più ci penso più mi convinco di averlo davvero visto questo sottilissimo strato di brina sulla roccia. Non me lo spiego, eppure...

"Pare di sì, però... non ne sono ancora così certa!" mi limito ad asserire, allungando il braccio verso il bicchiere d'acqua per buttare giù ampie sorsate.

Francesca non dice niente, si limita a scrutarmi a fondo. Quando è così è praticamente irraggiungibile, mi mette quasi a disagio.

"Dunque ce l'hai o non ce l'hai?" insiste Michela, sinceramente incuriosita.

"Io credo di aver visto del ghiaccio sui frammenti di roccia prima di svenire, o brina che dir si voglia! - inghiotto l'ultimo sorso, prima di posare il bicchiere - Ma anche secondo il Maestro Camus è troppo prematuro aver scoperto già la mia attitudine!"

"Uh, peccato, è un potere davvero figo! - mormora Michela, prima di scacciare in fretta il malumore - Però non è ancora detto che tu non lo possegga veramente e... te lo dico già da ora, amica mia, a scanso di equivoci: prossima estate, quando e se lo avrai padroneggiato completamente, potrai aprire un reparto di surgelati, o di granite, o chissà cos'altro, perché sarai un distributore vivente di cubetti di ghiaccio!" trilla, euforica.

"Uh-oh sì, forse sì..." mi limito ad annuire e ridacchiare, pur trovando semplicistico e banale utilizzare tale abilità per simili scopi. E tuttavia, se davvero dimostrerò di avere proprio quel potere, in che altra maniera potrei usufruirne?

Fisso corrucciata un punto a caso della stanza a poca distanza da Sonia, la quale, in disparte dall'inizio della conservazione pur avendo ascoltato interamente il nosto scambio di battute, non partecipa attivamente al dialogo.

“C’è qualcosa che non va, Sonia?” le chiedo, preoccupata. Non mi va di isolarla, so come ci si sente ed è brutto, anche se, come tipologia di ragazza, non sembra dispiacersene più di tanto.

“Già, è vero! – continua per me Francesca, inarcando leggermente un sopracciglio – Anche stamattina eri piuttosto silenziosa e, durante gli allenamenti, sembravi avere la testa altrove!”

“Scusatemi, ragazze, effettivamente sono... altrove!"

"Dove?" anche Michela le pone una domanda, allineandosi al fianco dell'amica più grande per poi fissarla con occhioni curiosi.

"In un sogno che ho fatto."

“Che genere di sogno?” la interrogo, inclinando la testa di lato.

"Io... - Sonia esita nella risposta, valutando se rivelarcelo oppure no, poi nega un poco il capo - Nulla di che, sarà di sicuro una sciocchezza!"

Un sciocchezza non si direbbe, data la sua reazione, ma non è nella mia indole insistere se capisco che l'interlocutore preferisce tenerselo per sé. E' questo il caso. Lo comprendo, perché anche io reagisco nella stessa maniera.

"Camus... voglio dire, il vostro maestro è in casa? - ci chiede ad un certo punto Sonia, come se avesse appena preso una decisione importante - Ho bisogno di parlargli!"

Sto per dire che non lo vedo da stamattina, che non so che cappero abbia nella testa e che anche a me piacerebbe parlargli, ma Francesca risponde in mia vece.

"No, è andato all'ottavo tempio, da Milo, lo abbiamo incrociato all'ingresso della decima casa: lui scendeva e noi salivamo. Tu non l'ha visto, Sonia, perché ti sei fermata un poco di più da Aiolos, il Cavaliere del Sagittario!"

"Ah..." Sonia sembra delusa, abbassa un poco la testa.

Per una serie di motivi a me sconosciuti, anche io lo sono: "Se ne è andato via senza dirmi niente?!"

Le altre mi fissano, sorprese e io mi mordo la lingua. In effetti, perché mai dovrebbe comunicarmi i suoi spostamenti? Sono solo una sua allieva!

"E sapete quando tornerà?" indaga ancora Sonia, un poco agitata.

"Non l'ha specificato, no, era... come dire... - Michela ci pensa un poco su - Più sfuggente del solito, ecco!"

"Oh... - Sonia e ancora più dispiaciuta di prima, lascia cadere le braccia lungo i fianchi, prima di dirigere il suo sguardo altrove - Vorrà dire che gli parlerò domani!"

"Era così urgente?" chiedo, mentre un brivido indecifrabile mi scorre lungo la schiena.

"No, tranquilla!" mi sorride lei, addolcendo l'espressione per poi uscire dalla stanza.

Ma è lampante che, così tranquilla, non lo sia nemmeno lei...

 

***

 

1 luglio 2011, tardo pomeriggio

 

Niente da fare, neanche oggi il Maestro Camus si è fatto vivo. Comunica solamente attraverso i bigliettini che mi lascia sul comodino insieme alle medicine, ed io non so proprio come prenderlo. E' mai possibile fare dieci passi indietro ogni volta che ne compiamo uno in avanti?! E' davvero snervante!

Sbuffo scocciata, togliendomi la leggera coperta di dosso, da quanto sono stizzita e accaldata. Fra l'altro, proprio il maestro mi ha ordinato, in forma scritta, di riposarmi ancora per oggi e di non uscire dall'undicesima casa per non affaticarmi troppo, ma le mie amiche stanno continuando ad allenarsi con lui, io rischio di rimanere indietro!

Che fare, dunque? Dirigermi comunque verso la spiaggia, contravvenendo alle raccomandazioni, oppure, sempre facendo di testa mia, sgranchirmi le gambe da qualche parte? Ci rimugino un po' su... non saprei dove andare, d'altronde non ho ancora una mappa chiara di questo luogo, però... mi sopraggiunge un'idea!

Salto pimpante giù dal letto, stiracchiandomi prima le gambe, poi le braccia e il collo, passando poi a rovistare nel cassetto dell'armadio per tirare fuori il peplo lavato e stirato dalle inservienti. Annuso il leggero tessuto, sorridendo tra me e me nell'avvertire profumo di pulito.

I segni zodiacali sono in tutto dodici ed io sono arrivata solo fino all'undicesima casa, luogo della mia dimora forzata. Per un ironico gioco del destino, il tempio che non ho ancora visitato è proprio quello dei Pesci che, combinazione, è anche quello del mio segno. In verità so essercene anche un tredicesimo, ma io, essendo un'emerita 'testa di fava', come ama ripetere Francesca, nonché una persona assai curiosa, sono nettamente più propensa ad andare a conoscere il Cavaliere che dovrebbe rappresentarmi.

Così, dopo essermi sistemata a dovere, esco fuori dalla Giara del Tesoro -così mi pare si chiami la dimora del Maestro Camus!- per dirigermi, ancora un poco traballante, verso il tempio sopra.

La mia andatura incerta, nonché le scalinate infinite, mi danno occasione per immaginarmi questo ragazzo, l'ultimo dei dodici, in tutta la sua interezza. Non so perché, ma lo immagino alto e biondo, con i capelli fluenti e lunghi, gli occhi... mmm, gli occhi dovranno sicuro essere azzurri, o blu, ma un blu diverso da quello di Camus, per forza! E' un Pesci come me... quindi deve amare certamente l'acqua, data la stretta correlazione tra noi e questo elemento. Sarà però un pesce d'acqua dolce o salata? Io mi reputo un po' una trota da fiume, vivo solo nell'acqua corrente e cristallina dei torrenti più impervi; lui... lui magari sarà un Persico Sole? Oppure... oppure prediligerà l'ambiente marino? Magari sarà una Donzella Pavonina o... o...

Mi fermo all'improvviso, accorgendomi di essere arrivata all'ingresso del Tempio dei Pesci. I miei pensieri si ammutoliscono. Dovrebbe essere la mia bocca ora a muoversi, ma anche lei tace, vinta dalla timidezza. Mi raschio la gola, sto per tentare un primo vocalizzo, ma una voce alta e possente, proveniente direttamente dall'interno della dodicesima casa, blocca ogni mio proposito.

“Te l’ho detto, Aphro, è questo il problema e non c'è mica tanto da riderci! Noi qui, nell'averle condotte al Santuario, stiamo rischiando grosso!"

Conosco questo tono sfrontato e aspro allo stesso tempo, ne conosco il brivido intrinseco che mi provoca. Ingoio a vuoto, valutando di tornare indietro e rimettermi a letto, ma sono i miei piedi, stavolta, a decidere per me, conducendomi verso l'entrata, tra le colonne.

Qualcosa mi dice... che stanno parlando di noi!

"E cosa avresti voluto fare, quindi? Lasciarle dove erano, con il rischio che correvano là fuori? E'... parecchio indelicato!" gli risponde una voce leggera e melodiosa, quasi soave, tanto da poter passare tranquillamente per quella di una donna.

“Di'... siamo forse un ricovero sociale, qui, o un gruppo di valorosi guerrieri che sferzano il cielo con un pugno?!"

“Capisco i tuoi timori, Deathy, ma non se ne poteva fare a meno. Loro... sono troppo importanti, lo hai sentito il Nobile Shion!”

"Il Nobile Shion dovrebbe andare un po' in pensione a parer mio!"

"Deathy..."

"E' la verità, è vecchio, anche se non si direbbe!"

Mi sono sufficientemente avvicinata per poterli vedere entrambi, oltre che udire le rispettive voci. Mi acquatto comunque nella penombra dietro una colonna per non essere scoperta.

Uno, come avevo già intuito dall'ingresso, è il terribile Cavaliere di Cancer; l'altro o l'altra... osservo il proprietario (o la proprietaria?) della voce languida e seducente, un/una ragazzo/a dai capelli azzurri lunghi e la corporatura snella e sinuosa. Non ne vedo ancora gli occhi, essendo girato/a di spalle, ma già un moto di delusione mi investe nel distinguere la sacra armatura d'oro che indossa.

Non sembra essere nulla di che, è troppo spigolosa in alcuni punti, l'elmo poi... non saprei neanche io come definirlo. Sono pinne quelle che vedo e che spuntano? Insomma, nulla a che vedere con Aquarius, semplice ed elegante al tempo stesso, ed io che mi aspettavo di meglio! Inaspettatamente il pensare che l'armatura del Maestro Camus sia più bella, mi crea non poco disappunto.

“Bah, delle ragazze non mi importa nulla, Sonia compresa...”

La frase proferita da Death Mask mi fa sgranare gli occhi: dunque stavano parlando davvero di noi!

"Però gli altri... voglio dire, tutti loro hanno già..."

“Aspetta, Masky, non siamo più soli in codesta sede!” afferma all'improvviso il/la tizio/a dai capelli azzurri, lanciando una rosa nella mia direzione. Sobbalzo.

Il gesto, di per sé, non è stato fatto con l'intenzione di nuocermi, ma sentire distintamente il gambo del fiore conficcarsi con precisione nella colonna, mi fa saltare di lato nella paura che possa crollarmi addosso.

Mi ritrovo così interamente scoperta, il passo del gatto che non ha più un rifugio dove nascondersi. Osservo allibita la rosa conficcata nella colonna, ormai crepata in più punti. E' assurdo che un semplice gambo abbia provocato un danno simile, a che razza di velocità è stato lanciato?!

“Ehi, ma è una delle mocciose allieve di Camus! - bercia Death Mask, avvicinandosi a me per fissare la sua espressione truce nella mia - Siamo anche delle spione, eh? Il vostro ghiacciolo deve esserne proprio fiero!"

“Sc-scusate, io...” balbetto, timorosa.

“Ah, dove è finito tutto il coraggio della volta scorsa?! Senza la protezione del tuo mentore passi da leonessa ad agnello?!"

"Veramente io..."

"Cosa CAZZO fai qua?!”

Indurisco la mia espressione. Com'è sboccato, neanche lo avessi trovato in flagranza di qualche tipo di reato! Il suo tono così minaccioso e maleducato, adoperato in tutta la sua crudezza al solo scopo di mettermi timore, sorprendentemente instilla in me un qualche tipo di orgoglio che mi consente di raddrizzare la schiena e fissarlo dritto negli occhi, accettando così la sua tacita sfida: non mi sottrarrò, anche se stavolta non posso contare sulla protezione di Camus!

“Semplicemente oggi il Maestro Camus non mi ha fatto partecipare agli allenamenti, quindi ho pensato di venire a conoscere il Cavaliere del mio segno. Non mi sembra di aver commesso un peccato mortale!” mi difendo, quasi soffiandogli contro.

“Mocciosa, vedo che hai recuperato un po' di spavalderia, mi fa piacere. - ribatte lui, con un risolino sinistro, prendendo a scrocchiarsi le dita - Lo preferisco così, sai? Prediligo le prede che si dibattono a quelle..."

"Masky, a cuccia e stai zitto, non è per te che è venuta!" si intromette il Cavaliere dei Pesci, avvicinandosi a noi con fare garbato e contenuto. Ed io capisco, in un istante, che pur truccato e pettinato di tutto punto, si tratta definitivamente di un maschio; un maschio di Donzella Pavonina!

"Ehi, 'Dite, mi togli la scena così!" si lagna intanto Death Mask, che nel frattempo viene spostato di lato senza troppe cerimonie.

'Dite?! Prima non era stato appellato 'Aphro', forse?! Aphro-Dite... come la dea greca, si chiama, pur essendo certamente un maschio!?!

"Sei perennemente sgarbato e ruvido, un'abitudine che proprio non riesco a toglierti." sospira il Cavaliere dei Pesci, affranto.

"Così sembrerebbe..." bercia l'altro, guardando altrove.

“Lascia fare a me, tu sei rozzo!- gli dice ancora, sempre in quel tono educato che però mi sa di falso. Finalmente apre gli occhi nel presentarsi a me - Perdonalo, non ha ancora compreso le buone maniere, anche se ci sta lavorando. Mi presento, giacché hai avuto la cortesia di venire di tua spontanea volontà: io sono Aphrodite dei Pesci, custode della Dodicesima Casa!" mi illustra, con un breve inchino, prima di porgermi una rosa.

Io rimango ad osservarlo, incerta. Si chiama davvero come la dea greca della bellezza e ha degli occhi stupendi, azzurri come me li ero immaginati, perfetto connubio con i suoi capelli. Però quel neo sotto l'occhio sinistro, il rossetto rosa sulle labbra, il profumo intenso che viene da lui, quasi da lasciar intontiti, mi mette in allerta.

"Questa puoi prenderla, non morde e non è velenosa!" mi rassicura lui, riferendosi alla rosa, porgendomela con gesto elegante.

“Ah, g-grazie..."

"E non ti preoccupare, neanche io mordo, non in quel senso, almeno, eh-ehee - continua, ammiccando, mentre produce un suono a bassa, bassissima, frequenza che io accomuno ad un risolino - Anche se posso capire che tu sia rimasta abbagliata dalla mia bellezza, non sei la prima!" afferma poi, portandosi la mano al petto per poi estenderla all'altezza della spalla come a farsi rimirare ancora di più.

Rimango ancora più frastornata, basita, nel rendermi conto che davvero è il Cavaliere del mio segno. Ora che l'ho scoperto, me ne andrei volentieri a casa.

"Certo che tu te le canti e te le suoni da solo, eh..." commenta Death Mask, con un lungo sospiro.

Stavolta mi sento di concordare con lui. Tossicchio tra me e me, al limite del disagio, decidendo di presentarmi a mia volta.

"Io invece sono Marta, anche io sono del segno zodiacale dei pesci... però, come vedi, non sono un Cavaliere!” affermo imbarazzata, accettando finalmente la rosa.

“So bene chi sei, allieva di Camus dell'Acquario. Ne abbiamo parlato a lungo, prima di decidere di affidarvi tutte e tre a lui!"

"Oh, splendido..." non riesco a trattenermi, un poco acida. Davvero il nostro rapimento è stato orchestrato a dovere. Un fremito mi investe.

"E hai detto di essere anche tu del segno dei Pesci, giusto?"

"Sì, sono nata il 15 marzo del 1994, ho 17 anni." gli dico, un poco frastornata dalla piega che sta prendendo il dialogo.

"Nati in terza decade: i ricettivi. - mi illustra Aphrodite, tirando fuori un'altra rosa dal nulla per odorarla con eleganza - Covano in sé gli opposti del segno che li rappresenta. Estremamente emotivi quanto suscettibili, passano dall'estremo realismo all'idealismo, spesso nell'arco di appena un'ora..." mi fa l'occhiolino, lasciando volutamente la frase in sospeso.

Cioè, praticamente mi sta dando della volubile, oltre che psicanalizzarmi in base alla decade del mio segno.

"Tu saprai senz'altro che la mutevolezza, il controllo dei proprio estremi che certamente eserciterai perché è nella tua natura farlo, oltre a causarti innumerevoli problemi, può giocare anche a tuo favore nel momento in cui riuscirai ad imbrigliarla - mi dice ancora, ormai perso nella sua spiegazione - L'imprevedibilità... è gran cosa!"

"Ah-ehm, suppongo di sì..." tento di mediare, con un mezzo risolino. Dei, vorrei essere altrove... perché ho deciso di venire qui?!

"Pff... - sorride tra sé e sé nel vedere la mia espressione, prima di guardarmi dritto negli occhi - Prendilo solo come un innocente consiglio da chi è nato a cavallo tra la seconda e terza decade del segno dei Pesci."

"Quindi... il 10 marzo?" indovino, facendomi più attenta.

"Esatto, proprio così! - afferma, sempre in quel suo tono languido che deve essere patina del suo linguaggio - E' una gran cosa che almeno una delle allieve di Camus sia del mio segno, sai? E'..."

"Ehi, ma dico... - si lamenta Death Mask, chiaramente innervosito dal fatto di essere stato messo da parte - Volete anche un tè e due biscotti, per caso?!"

"Uff, la solita spina nel fianco, stavo semplicemente discorrendo per metterla a suo agio! - scrolla il capo Aphrodite, un poco infastidito, prima di tornare su me - Veniamo alle cose serie: come sono gli allenamenti con Camus? Duri e faticosi?"

La nuova domanda mi fa scappare inavvertitamente un sorriso che non passa certo inosservato, nonostante il mio tentativo di smorzarlo.

“Camus è certamente un insegnante severo, non si abbandona a moine o apprezzamenti facili, però... ecco, ho come l'impressione che questa sia solo apparenza e che il suo cuore sia invece caldo e accogliente come pochi altri."

Sì, deve essere così, ne sono ormai convinta: c'è vita anche sotto la neve più fredda, ed è proprio essa a preservare i piccoli boccioli che palpitano di speranza!

"Beh, Camus è nato il 7 febbraio, appartiene quindi alla seconda decade del segno dell'Acquario. Condivide con la te la mutevolezza, nonché una certa dose di introspezione. - mi sciolina, ormai perso nelle congetture, tanto da farmi temere che prenderà nuovamente a parlare senza sosta - Non lo nego, è personalità criptica, difficile comprenderlo, tuttavia..."

Ma veniamo interrotti nel dialogo.

“Uhm, cuore caldo e accogliente, hai detto?! Questa è proprio buona, muahahahaha!!! - schiamazza di punto in bianco il Cavaliere di Cancer, trovando divertente la mia affermazione precedente - La prossima volta che incontro Camus mi devo complimentare con lui per come riesce a dissimulare la sua vera essenza, pur manifestando un'unica espressione facciale, l'unica che è in grado di riprodurre!"

"Che stai dicendo?! - prorompo immediatamente, quasi dovessi difendere un famigliare - Il Maestro Camus ha una miriade di espressioni facciali, basta non fermarsi all'apparenza!"

"Certo, certo, ragazzina, eh-eheeeeee!" ride ancora, in tono denigratorio, rovesciando la testa indietro e mandandomi in bestia.

"Death Mask!" lo richiama Aphrodite, in una breve occhiata di rimprovero.

"Non ci posso far niente, Aphro, non vedi come è presa?! Ha tutti gli occhioni brillanti, fa pietà al solo vedersi! - bercia ancora l'altro, prima di tornare su me - Dimostra un minimo di amor proprio, ragazzina, e fattela passare. La persona che divinizzi così tanto è fredda come il ghiaccio!"

“Camus, in primis, è un maestro straordinario! Può apparire freddo, non lo metto in dubbio, ma anche così... - esito, guardandomi brevemente la mano fasciata - Anche così deve esserci una spiegazione al suo comportamento!

“Questo non lo metto in dubbio, ma vi ha mai spiegato il motivo della vostra presenza qui? E' mai stato chiaro, cristallino, con voi?!"mi chiede lui, regalandomi un sorriso meschino.

Abbasso lo sguardo, colpita in pieno dalla sua frase: è vero, Camus non ci ha mai spiegato il motivo per cui siamo tenute qui e tanto meno posso dire di aver compreso appieno il suo carattere. L'unica cosa che le mie amiche ed io sappiamo, è ciò che ci ha riferito Milo a proposito del 'cosmo maligno' che cercava di portarci via. Nessun chiarimento oltre a questo, malgrado le nostre domande troppo spesso andate a vuoto. Stringo di riflesso i pugni.

“Questo non toglie che Camus sia come ho detto. Sono sicura che, prima o poi, riusciremo a sciogliere anche il suo cuore ghiacciato! E' la stessa speranza del Cavaliere della Vergine!” continuo, imperterrita, sebbene le mie (poche) certezze su di lui stiano già vacillando.

“Povere ragazze... e anche Shaka dovrebbe parlare meno con il Buddha e stare più attento alle persone che ha intorno! - dice Death Mask, in tono falsamente dolce – E così voi credete che quel ghiacciolo possa mettere a nudo i suoi sentimenti? Ne rimarrete deluse! Essi non sono più recuperabili, poiché sono tumulati sotto metri e metri di ghiaccio nel Mare della Siberia Orientale a lui tanto caro!”

Cosa significa questo?! Sta alludendo a qualcosa di specifico o ha solo forzato il paragone per darmi l'idea?!

Qualunque sia il motivo, qualcosa comincia a muoversi dentro di me, serpeggiando. E' gelido e informe, ma estremamente potente, lo posso ben avvertire mentre si attorciglia sul mio cuore, rendendo doloroso ogni suo battito. E' foga, rabbia, che tenta di espletarsi. Le palpebre mi pizzicano, il bisogno di cedere alle lacrime si fa imminente. Tuttavia non piangerò davanti a questo verme!

"N-non è vero!" sibilo, furiosa, ricercando il suo sguardo per imprimergli il mio, senza successo perché le sue palpebre e il suo risolino sono chiuse in un'espressione di trionfo.

“Ci sarà un motivo per cui lo chiamo ‘ghiacciolo’,?! Il ghiaccio non prova emozioni, mia cara! Perché, tra i Dodici, siete state affidate proprio a lui? E' piuttosto semplice, marmocchia: noi tutti Cavalieri d'Oro vi stiamo studiando come cavie, ma è Camus ad avere il compito più importante... lui, così cinico e scostante, è fatto apposta per questo, ovvero controllarvi, ammansirvi, e infine soggiogarvi nel più breve tempo possibile! - esclama, sottolineando aspramente l'ultima frase - Ci servite al nostro fianco, siete lo strumento che ci consentirà di vincere questa guerra. Null'altro!"

“Non lo farebbe mai!!! Non credo ad una singola parola di quello che vai dicendo!” gli grido contro, indietreggiando di qualche passo.

"Ah, no, non mi credi?! E allora perché sei sul punto di scappare? - mi fa notare lui, non smettendo di sbeffeggiarmi - Voi altre siete un pericolo per l'intero globo terrestre! Se i vostri poteri cadessero in mano al nemico, per noi non ci sarebbe nulla da fare. Proprio per questo, per evitare ciò, siete state condotte qui. E' come giocare di anticipo, mi capisci, vero?"

“Deathy!!! - interviene Aphrodite, alzando il tono – Stai esagerando! Non puoi paragonarle a delle semplici cav...”

Ma il compagno lo blocca con gesto del braccio, prima di tornare su me: "Mi credi adesso, mocciosa?! Io almeno sono franco con te!"

"N-NO!" ribatto aspramente, ma l'incertezza è ormai padrona del mio tono.

"Sì che mi credi, o almeno... ti è venuto il tarlo!" mi fa notare, continuando a ghignare.

"N-ne parlerò con il Maestro Camus d-di questo, di come ti sei comportato e delle illazioni che hai espresso sul suo conto!" lo minaccio, cercando di farmi forza.

"Fallo pure. - ribatte pratico lui, ammiccando nella mia direzione con quel modo di fare canzonatorio - Sempre se ti risponderà, si intende..."

BASTA. Senza aspettare oltre, mi volto e corro via, rischiando quasi di inciampare nei miei stessi piedi, il respiro sempre più trafelato in gola.

Non ne posso più, sono stufa! Stufa di ascoltare le mezze verità, stufa di non sapere perché diavolo ci hanno strappato alle nostre famiglie e stufa di trovare un muro di spregio davanti a me. Voglio la verità e la otterrò a qualsiasi costo... anche se questo mi condurrà ad avere un fronte aperto con Camus dell'Acquario, colui che è stato incaricato di badare a noi!

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Capitolo 8
*** La fuga ***


CAPITOLO 8

 

LA FUGA

 

2 luglio 2011, mattina presto.

 

Ci ho rimuginato a lungo, per tutto il giorno e la nottata, che infatti è passata insonne, senza quindi permettere ai raggi del sole di sorprendermi nel riposo. Non c'è stato il sonno, solo pensieri e vertigini, agitazione e domande prive di risposta. Colui che può attutire tutto questo è solo uno, le scelte sono limitate, per non dire uniche.

Mi alzo in piedi, stringendo una mano a pugno. Inspiro ed espiro diverse volte mentre mi vesto per rendermi presentabile. Sono agitata, mi tremano le gambe ed è difficile capirmi in questi momenti. Non amo il raffronto verbale, men che meno quello fisico, ma parlare con il Maestro Camus è l'unica soluzione per uscire dalle elucubrazioni cui mi ha indotto Death Mask, soffiando ulteriormente sui miei dubbi già preesistenti piuttosto che sulle poche, pochissime, certezze.

Basta così, è tempo di andare!

“Cosa fai già in piedi? E' presto per gli allenamenti!”

La voce di Camus mi accoglie, si fa per dire, già all'ingresso della cucina. Il suo tono è gelido, più del solito, mi fa sussultare e, per un lungo istante, sono quasi tentata di dirgli che mi sono sbagliata, che volevo andare in bagno e non in cucina. Ma il dado è tratto!

“Volevo parlarvi, né più né meno!"

"Sono le 6 di mattina, dovevi proprio farlo or..?"

"Sì! - taglio il discorso, guardandolo dritto negli occhi senza remore. E stavolta è il suo sguardo a sfuggire al mio, abbassandosi - Non voglio che ci sentano le altre e so, perché vi ho già inquadrato, che siete un tipo piuttosto mattiniero."

“Non dormo proprio in questi giorni... - si lascia sfuggire, in un sospiro, prima di recuperare due tacche nel tono di voce - Non importa. Tu invece di cosa volevi parlarmi?”

Esito. Con la coda dell'occhio, noto che la sua mano ha appena posato un bicchiere sul tavolo, dove è presente una bottiglia panciuta di un qualche liquido strano color ambrato. Il vederlo, per qualche ragione, mi smarrisce per pochi istanti.

"Quindi?" mi pungola ancora lui, con quel tono forzatamente freddo che mi estranea ancora di più.

Certo che potrebbe anche sforzarsi di essere un pizzico più cordiale, sarebbe tutto più semplice! Prendo un altro profondo respiro. L'altro giorno lo era stato, si era aperto durante il nostro dialogo, può darsi abbia semplicemente bisogno di carburare nella conversazione.

Il mio corpo freme leggermente, ho i battiti cardiaci accelerati. Ciò mi fa comprendere ulteriormente quanto io abbia intrinsecamente bisogno di avere un chiarimento da lui, non solo per le allusioni spietate di Death Mask, ma anche e soprattutto perché voglio credere in quel fiore appena scorto che custodisce gelosamente dentro di sé, nascosto sotto strati e strati di ghiaccio solo apparentemente perenne.

"Va tutto bene? - Camus si alza dalla sedia e cerca di avvicinarsi a me, vedendomi forse scossa - Non è da te esitare così, sei una bella testolina, da quanto ho potuto appurare in questi giorni, non ti sei mai limitata nell'esprimerti, cosa ti blocca adesso?"

“Io... uff, perché ci avete portato qui? Perché ci hanno affidato proprio alla vostra custodia?” gli domando nella maniera più diretta possibile.

La bomba è stata sganciata. Vedo qualcosa cambiare irreparabilmente negli occhi di Camus. I tratti del suo volto si induriscono.

"Non sei soddisfatta del mio modo di insegnare?"

"Non è quello. Voglio sapere le ragioni prime che hanno portato ad orchestrare il nostro rapimento!"

“Ve l’abbiamo già spiegato: siete qui per essere protette!” risponde lui, alzando il tono per poi darmi le spalle in un evidente atteggiamento di chiusura.

"Non ci avete spiegato niente, invece! - anche il mio tono si alza, indomito - Solo ordini su ordini. Siamo stanche, vogliamo la verità!"

"Non siamo tenuti a darvela, se è per la vostra incolumità!"

“Ma incolumità da che cosa?! Decantate di nemici e di protezione, quando, al momento, siete gli unici ad avere usato violenza su noi, portandoci via dalle nostre famiglie!"

"Non capisci, ma non mi meraviglia, sei parecchio ottusa!"

Non dovrei, ma accuso malamente il colpo, sentendomi ferita brutalmente dalle sue parole. Respiro a scatti, come dopo una lunga corsa. Quel qualcosa che avverto da ieri si accentua in me, agitandosi per cercare di uscire. Lo catalogo solo parzialmente come rabbia.

“Anche noi conosciamo poco dei nemici, - la voce di Camus torna, un poco meno rude di prima - ma anche se sapessimo di più non vi riveleremmo comunque nulla!"

"Perché siamo troppo stupide per voi?!" esclamo, aspra.

"Perché non è necessario per la riuscita del piano. La discussione termina qui, Marta!” ribatte, in un tono che non ammette repliche.

Categorico, quasi spietato. Vuole decretare lui la parola fine sul dialogo. Illuso. Ha appena trapiantato in me il desiderio di continuare ad oltranza.

“State giocando con le nostre vite." sibilo, al culmine della rabbia.

"Non stiamo giocando con alcuna... uh?"

Non so cosa vorrebbe dire, men che meno mi importa, ma nel voltarsi verso di me qualcosa di indefinibile lo blocca. Lo vedo sbattere più volte le palpebre, tentennare, affinare lo sguardo come se non credesse a quanto ha davanti, prima di ricomporsi.

"Ci avete strappato dalle nostre famiglie senza permetterci di contattarle, senza poterle avvertire che stiamo bene."

"Anche questo non è strettamente necessario per il risvolto favorevole della missione. Mi dispiace, ma..."

"Balle, non vi dispiace! - il mio è un sorriso mesto e profondamente amaro - Anche perché, dal nostro punto di vista, siete VOI Cavalieri d'Oro i carnefici!"

"..."

"Voi ci avete rapito, voi ci sottoponete ad allenamenti estremi!" gli illustro freddamente, sebbene la rabbia di prima si sia momentaneamente placata, vinta dallo scoramento.

"..."

“Per cui, Maestro Camus, ve lo chiederò ancora una volta: perché ci avete condotto qui? Perché ci hanno affidato proprio a voi? Datemi una ragione... per fidarmi!"

"Per questo fine superiore, la vostra protezione, non ti devo dare alcuna spiegazione, Marta, né a te, né alle altre! Accettalo, come io ho accettato di avere nuove allieve, anche se ne avrei fatto volentieri a meno!"

Un brivido freddo mi solca la schiena nel vedere naufragare l'ultimo tentativo di chiarimento. Lo guardo fissa, svuotata, mentre lui, di nuovo non reggendo più il mio sguardo o la mia stessa presenza, si volta per andarsene in maniera non dissimile all'altro giorno.

No, stavolta non lo accetto!

"Tra non molto scenderanno anche le tue amiche. Aspettale pure per fare colazione con loro, poi, senza perdere ulteriore tempo, vi voglio, puntuali, tra un'ora, sulla..."

“Dunque sei esattamente come mi ha riferito Death Mask: uno scienziato che si preoccupa solo del risvolto favore della missione affidatagli, in barba alle emozioni degli altri.” mormoro, delusa più che mai, rifiutando con tutte le forze il pianto.

I passi si arrestano all'improvviso, la temperatura nella cucina scende di una manciata di gradi. Come al rallentatore, vedo Camus voltarsi, la sua faccia un nugolo di emozioni appena strettamente controllato. Del tutto illogicamente, perché sto giocando con il fuoco e ne sono consapevole, un sorriso meschino si dipinge sul mio volto.

“TU, questo significa..?” sibila, girandosi interamente verso di me. L'aria intorno a noi freme, scapperei, se non fossi una sprovveduta.

“Sì, ieri mi sono recata alla dodicesima casa a conoscere il Cavaliere del mio segno e là, oltre a lui, ho incontrato anche quel Death Mask.”

“Sei andata alla dodicesima casa?! Hai incontrato Death Mask?!? MARTA! Non ti avevo espressamente ordinato di rimanere in camera tua?!?” esclama Camus, vistosamente furibondo, cominciando ad avanzare nella mia direzione.

Ed io continuo a sorridere, tronfia, provocandolo ancora di più.

"Ah, era un ordine?! Non si leggeva nei foglietti che mi avete lasciato." lo sfotto, volutamente consapevole di stare per varcare un confine pericolosissimo.

"TU NON CAPISCI... tu non... grrrr! - incassa la testa tra le spalle, sembra fuori di sé e lo capisco solo in parte, gustandomi invece la palese difficoltà in cui si trova - Ci sono persone, qui al Santuario, che devi frequentare il meno possibile!"

"Tipo voi, per esempio!" è il mio tono ora ad essere freddo.

"Te lo ha detto Death Mask, questo?"

"Oh, sì... - nei miei occhi balugina il lampo della vittoria - Siete lo scienziato che hanno scelto per tenere sotto stretto controllo i nostri poteri, giusto?!"

"S-stai zitta, non sai niente di me, su quello che ho dovuto... - si interrompe, scrollando la testa, sembra quasi sofferente messo così messo all'angolo - Hai creduto alle parole di Cancer piuttosto che alle mie!"

"E quali parole mi avresti rivolto, Camus?! - lo accuso, affatto intenzionata a impietosirmi - Lo hai confermato anche quest'oggi: dovere, dovere e solo dovere! Non c'è spazio per i sentimenti, solo gli ordini!"

"T-taci. T-tu non sai, n-non hai mai..."

"Dove sono le emozioni nel tuo universo, Camus?! Sepolte sotto metri e metri di ghiaccio della Siberia orientale come mi ha detto Death Mask?!"

"B-basta!"

"Voglio sentirlo dalla tua voce, voglio che tu abbia il coraggio di dirmelo in faccia che ci avete preso solo per manipolar..."

"HO DETTO BASTA!!!"

Accade tutto in pochi attimi; pochi attimi che impediscono, a me, di agire e, a lui, di trattenersi: Camus mi viene addosso, stringendo convulsamente i miei polsi con le sue dita e spingendomi indietro, con l'ovvia conseguenza di provocarmi un dolore repentino ed acuto.

"La-lasciami!" mugolo, tentando di svicolare via. A nulla vale il mio tentativo di liberarsi dalla sua stretta incalzante... a nulla, tranne che a sbattere violentemente entrambi i gomiti contro il muro ormai troppo, troppo, vicino.

Tuttavia è proprio la mia espressione spezzata a riportare alla ragione Camus, il quale, rendendosi conto dell'accaduto, si allontana da me come se avesse preso la scossa.

“Mi dispiace, n-non... volevo!” mormora, mortificato, abbassando lo sguardo, prima di tentare un nuovo contatto con me. Troppo tardi.

"STAI LONTANO!!!" gli urlo, tutta tremante, circondandomi il petto con le braccia nel tentativo di controllare il mio respiro, diventato ormai frenetico.

"Marta, i-io non..."

Il senso di colpa che prova è manifesto dai suoi occhi lucidi, ma arriva tardi, come tutto il resto, quando io ho ormai percepito il leggero odore di alcool. Ecco allora cosa era la bottiglia panciuta!

"Ma bene, hai pure la sbornia cattiva come mio nonno!" commento, sarcastica, fulminandolo con lo sguardo.

"No, ascolta, io non... non è come pensi!" biascica, guardando altrove.

“Anche a mio nonno succedeva, quando alzava troppo il gomito. - ribadisco, aspra, prima di rincarare la dose - Ma non pensavo che anche tu... ti credevo diverso, Camus!" lascio che sia il mio disgusto a trapelare dal mio sguardo.

“No, ascoltami, non sono ubriaco. E' vero, ho bevuto un bicchiere di Cognac stamattina per... perché avevo bisogno di riordinare un po' i pensieri, ma ho una discreta resistenza a...”

"Beh, l'ho appena saggiata la tua presunta resistenza! Questo Death Mask non me lo aveva nemmeno riferito!"

"Che cos'altro ti ha detto sul mio... sul mio conto?" sussurra la domanda Camus, ormai privo di ogni volontà.

Quanto sono tristi i suoi occhi adesso, sembra quasi di poterci vedere dentro. Vorrei... vorrei che questo incidente non fosse successo, vorrei cancellarlo con un colpo di spugna, ma la verità è che non posso. Mi lascio prendere dallo sconforto e dalla tristezza, mentre le lacrime, un po' per la paura provata, un po' per il dispiacere, hanno infine la meglio su me.

“Che tu non provi affetto per nessuno. Come ti ho detto prima, sei lo scienziato che hanno scelto per studiare noi povere piccole cavie indifese."

“No, non lo farei mai, per chi mi hai preso?! N-non...” mormora ancora Camus, tentando un nuovo approccio verso di me, ma ogni suo passo in avanti è accolto con un mio balzo indietro.

"Stai lontano, ho detto!"

"Marta..."

"Per favore, non avvicinarti!"

"I-io..."

"NON AVVICINARTI!"

"Mi dispiace... di averti spaventata così!"

“Allora, se ti dispiace così tanto, perché non ci spieghi chi è il nemico e le motivazioni che lo hanno portato a interessarsi a noi? Perché a volte non ci regali un semplice gesto di affetto, un qualcosa che ci possa far capire che non siamo sole in questo mondo fatto di nemici assassini, violenza e regole assurde?!” provo a sfogarmi, al limite.

Tuttavia, sebbene Camus ora riesca ormai a capire il mio stato emotivo, rimane fermo e immobile, i pugni serrati e gli occhi più sfuggenti del solito.

“Come immaginavo... non ne sei proprio in grado!” biascico, afflitta, privandomi del sostengo del muro per traballare in direzione dell'uscita.

Anche questa volta Camus non riesce a dire niente, ma percepisco l'accenno di un movimento che si smarrisce subito nel vuoto.

"Lasciami... lasciami un po' da sola, ok? Anche io devo schiarirmi un po' le idee." gli dico, uscendo senza neanche guardarlo.

Scendo le prime scalinate che separano l’undicesimo tempio dal decimo, prima di rendermi conto che non mi basta, che ho necessità di camminare e di non pensare più a nulla. Proseguo quindi senza guardare in faccia nessuno, il cervello completamente scollegato dal resto del corpo.

Nessuno mi ferma fino ad almeno all'ottava casa, forse, fortunatamente, i Cavalieri non sono nemmeno presenti nelle rispettive dimore. Il primo intoppo lo ho proprio all'interno del Tempio dello Scorpione Celeste.

“Marta?! Ma cosa...?”

Sento distintamente la voce giovanile di Milo, ma non mi fermo e lui non sembra intenzionato a bloccarmi. Meglio così. Vado dritto in discesa.

Sorpassata anche la prima dimora, quella dell'Ariete, continuo a provare l'istinto innato di camminare. Lo assecondo, spersa, il groppo in gola. Non so bene dove andare, non ho ancora avuto occasione di crearmi una cartina mentale di questo luogo che sfugge alle leggi della Fisica. Dopo un lungo vagabondare senza una meta, tra l'arena di combattimento e un villaggio abitato vicino al Santuario non ancora visitato, riesco infine a imboccare la strada corretta per trovarmi così sulla lunga Spiaggia Segreta.

Finalmente l'acqua e la salsedine! Mi butto istintivamente sulla spiaggia, nella speranza che le onde del mare plachino, almeno un poco, il mio animo inquieto vinto da tutti i fatti successi negli ultimi giorni: il rapimento, il fatto di essere ostaggi per un presunto bene superiore, le paure mie e delle mie amiche, il passato che ci siamo lasciate alle spalle e che non ci apparterrà più...

“Che cosa posso fare adesso? Da qui non c'è via d'uscita!" mi interrogo, gli occhi ancora gonfi di pianto.

Non ho una meta sicura dove andare senza rischiare di mettere in pericolo gli altri. Ora, ragionando a mente fredda, non posso neanche più tornare a casa, pena il fatto di coinvolgere mia madre in questa situazione assurda. Parallelamente, però, un nuovo raffronto con Camus è fuori discussione, il primo mi ha già completamente prosciugata. Potrei tentare di parlare con Milo, l'unico Cavaliere d'Oro che ha un minimo la mia fiducia, ma...

Scrollo la testa, buttando fuori aria. Neanche questa ipotesi è valida, il Cavaliere di Scorpio non è certo mio amico, andrebbe a riferire tutto al compagnone di bevute, quindi sarebbe come darsi la zappa sui piedi da soli, per citare un detto di mia nonna.

"Dunque... che alternative mi rimangono?" mi chiedo, scoraggiata, alzando finalmente il capo per osservare i dintorni.

Ed è così che mi rendo conto, sorprendendomi non poco, di trovarmi proprio dove Milo ci aveva condotto quando ci aveva portato via dalle nostre famiglie. Era buio, oggi c'è piena luce, ma riconosco le forme e i contorni dell'ambiente circostante. Se non ricordo male, vi era un sentierino che portava nel fitto della vegetazione e... eccolo!

Il mio cuore ha un palpito nel rendersi maggiormente conto che sono riuscita ad individuare la via che avevo cercato di intraprendere proprio quella notte, prima che la Cuspide Scarlatta di Milo fermasse i miei propositi. Di riflesso, inizio a tremare. Se davvero provassi a seguirlo, forse...

Mi alzo in piedi, compio pochi passi. Esito. Ne compio degli altri. Percepisco qualcosa, un velo di protezione che, proprio qui, si fa mano a mano più sottile. Non so bene spiegarlo, ma ho come la sensazione che davvero sia un passaggio, che se lo percorressi tornerei nel mondo reale, da mia madre. La folle idea di farlo, in barba alla ragione di prima che mi sussurrava di tornare sui miei passi per evitare di metterla in pericolo, mi pervade per un tempo che pare indefinito. Alzo le mani in avanti, come a tastare la presenza di una barriera, i passi uno davanti all'altro sempre più certi, sempre più vicini all'imbocco del sentierino...

Tuttavia, all'ultimo, torno in me ed è come svegliarsi all'improvviso da un sogno. Mi riscuoto. Quasi sussulto. Indietreggio. Non posso davvero attraversare il varco, non posso. Se davvero dovessero esserci questi presunti nemici, loro...

Non riesco ad ultimare il pensiero. Con la coda dell’occhio, intravedo un’ombra scura venirmi addosso, proprio dall'alto, da sopra la mia testa. Il mio movimento è istintivo e (per fortuna!) rapido: mi butto immediatamente sulla destra, evitando così di essere colpita da quella che, a giudicare dalla vibrazione dell'aria, deve trattarsi di una lama affilata.

Mi sono buttata sulla destra, ma lo sforzo che richiedo alla mia caviglia deve essere stato troppo, perché avverto appena uno STOCK seguito da un dolore lancinante proprio in prossimità della stessa. Trattengo un gemito dentro di me, ritrovandomi a rotolare di lato per poi piegare il busto nella sua direzione nel cercare di capire chi o cosa abbia provato ad attaccarmi.

"ME-HEHEEEE, sei rapida per essere solo agli inizi!" si congratula con me una voce stridula, capace da sola di farmi accapponare la pelle.

“Chi diavolo sei tu?!” gli grido da terra, cercando di focalizzarmi interamente sulla figura piombata giù dal cielo che, proprio adesso, si sta voltando verso di me per mostrarmi il suo ghigno da folle.

Sussulto di paura nel distinguere il suo aspetto tetro: è una specie di umanoide con addosso un’armatura priva completamente di luce, opaca e tendente al nero. Ingoio a vuoto nello scorgere le sue estremità corporee che convergono interamente in due mani artigliate degne del peggior film horror mai visto.

Lo guardo negli occhi fiammeggianti, per quel che mi concede la paura che mi soggioga e fa accelerare in maniera compulsiva i battiti del mio cuore. Tento di alzarmi, ma la caviglia di prima, la destra, non risponde ai miei comandi, limitandomi non poco nei movimenti. Riesco comunque a mettermi faticosamente sulle ginocchia. Merda, la slogatura non ci voleva, men che meno adesso!

“Sei un bel bocconcino, non lo posso negare! - mi canzona intanto lui, accarezzandosi appena sotto il mento con una delle dita artigliate - Sarei venuto direttamente al Santuario a prendervi, ma tu mi hai risparmiato la fatica di dover rompere la barriera, essendoti avvicinata di tua spontanea volontà al varco."

"CHE COSA?!" fremo, sbattendo incredula le palpebre.

"Non l'hai capito? Sei piuttosto tarda! - mi irride, cominciando ad avvicinarsi a me con passo lento ma inesorabile - Il cosmo della dea che loro proteggono, Atena, permea questi luoghi. E' più sottile in prossimità dei varchi, come un velo leggero che si inspessisce mano a mano che ci si avvicina al Grande Tempio. Avrei dovuto infrangerlo per raggiungervi, con il rischio di incorrere in una serie di scontri mortali, se tu, stupida bimba, non moi avessi agevolato, facendoti trovare esattamente qui, al confine. Me-heeeeee!"

Ma certo, è uno dei nemici di cui parlavano Camus e gli altri Cavalieri d'Oro! Sono stata una vera idiota a non dargli fede, a credere che quelle che ci venivano raccontate non potessero essere altro che frottole. E ora, che ormai è tardi, che come al solito ci ho dovuto picchiare di naso, devo almeno cercare di raccogliere più informazioni possibili sul suo conto, ne va della vita delle mie amiche!

“Chi diavolo sei?! Che cosa volete da noi?!" lo interrogo aspramente, tentando di mascherare la paura crescente.

“Il mio nome non ti deve interessare, ma conosco il tuo... Marta, vero?!" esclama, ricominciando a ridere sguaiatamente. Un brivido percorre la mia schiena, istinto primordiale che indica un pericolo inevitabile.

Stupida, stupida, stupida!!! Tutte le parole rivolte a Camus, le accuse, le grida... non ho voluto credere alla realtà davanti ai miei occhi, ho preferito fidarmi dei miei sciocchi dubbi che non dell'istinto che mi aveva già allertata, maledizione a me!

“Come puoi conoscere il mio nome? Da chi avete attinto tutte queste informazioni?!” insisto, cercando disperatamente di mantenere saldamente il controllo su me.

In verità, vorrei solo sfuggire via, ma la mia caviglia non me lo consentirebbe, LUI non me lo consentirebbe...

“Stai già facendo troppe domande per i miei gusti, ragazzina petulante! Ho ordini specifici di portarti via viva e integra, ma su quest'ultimo punto ne posso forse trattare con i miei capi. Taci, quindi, e vieni con me senza tante storie, altrimenti... - lascia la frase in sospeso, minacciandomi semplicemente con il gesto di alzare un braccio artigliato e indicarmi il braccio opposto, come a sottintendere che, se parlo, me lo trancia di netto - Tu e le tue amiche potreste essere le protagoniste di una profezia. Dovrei rapire anche loro, in effetti, ma si trovano ancora nel cuore del Santuario, protette dai Cavalieri d'Oro." prosegue poi, prima di fermarsi per qualche secondo, come a valutare il da farsi.

Quindi tutto questo accade per colpa di una stupida profezia?! Però, come informazione, è insufficiente, devo spronarlo a rivelare di più, anche se non so come.

“Beh, poco male... sarà per la prossima volta! Non credo che si lagneranno se, per il momento, condurrò solo te al cospetto dei miei capi. - continua l'essere, giungendo alla conclusione più ovvia - Allora, signorina, mi segui di tua iniziativa, o mi costringi ad usare la forza?”

Malgrado la paura per il pericolo sempre più incombente, alzo solennemente la testa, fronteggiandolo in tutto e per tutto con lo sguardo.

“Nessuna delle due! Non sono stata addestrata dal Maestro Camus per arrendermi senza neanche provare a combattere!” affermo, decisa, alzandomi anche in piedi per quanto mi è possibile.

Mi sento molto stupida a tirare fuori il suo nome proprio adesso che mi sono inguaiata con le mie stesse mani, ma... non lo so, in un certo senso mi sembra importante dirlo ora, non arrendermi per lui, nonostante una caviglia slogata e il terrore che mi contorce le budella. Voglio... voglio che Camus sia orgogliosa di me, voglio dimostrare che ci ho provato a lottare, e che anche sotto tortura non dirò nulla sulle mie amiche, né sul Tempio. Voglio... che veda tutto questo!

“Fai la coraggiosa, eh? Bene, vediamo se, senza più un braccio, il sinistro, per il momento, continuerai a regalarmi quell'espressione ardimentosa e sdegnata!" sancisce, poco prima di scattare nella mia direzione.

Mi assalta senza la minima esitazione con l'intenzione davvero di tranciarmi di netto il braccio, lo vedo dall'inclinazione del suo artiglio. Sussulto, la gola si fa secca. In realtà, il suo movimento, per quanto veloce, io lo riesco incredibilmente a scorgere con questi miei occhi. Potrei anche evitarlo, forse... forse, se il piede destro non cedesse quasi subito, facendomi traballare per poi cadere all'indietro. Il cielo sopra di me sembra oscurarsi, le orecchie prendono a sibilare. Non grido, non voglio dargli una tale soddisfazione, ma strizzo violentemente le palpebre, preparandomi a ricevere dentro di me il dolore che certamente sopraggiungerà da qui a breve.

Eppure non arriva, quel che percepisco non ha nulla a che vedere con il dolore; c'è solo il rumore di un fischio di vento potente sopra la mia testa, l’urlo del nemico che deve scansarsi per evitarlo, seguito dal silenzio. Una presenza atterra vicino a me, mi sfiora i capelli e la fronte, per i primi secondi non sono in grado di dargli una forma.

Sono ancora rattrappita sulla sabbia, quando questo qualcuno mi raccoglie delicatamente per poi stringermi a sé con un cipiglio d'urgenza. Ce ne vuole di tempo per persuadere le mie palpebre a riaprirsi, ma nel momento in cui mi convinco a farlo, un caldo tepore mi invade il petto palpitante nel trovarmi davanti proprio lui.

“M-Maestro?” chiedo, sbigottita, fissando il suo sguardo truce; una spietatezza non certo rivolta a me, bensì al nemico. Mi volto di riflesso verso quest'ultimo.

“Bene, bene... – riprende il tizio, alzandosi a sua volta da terra – tu devi essere Camus dell’Acquario, giusto? Eh! Eh! Dove l’hai lasciata l’armatura? Te la sei dimenticata, o eri talmente preoccupato per questa ragazza che non ci hai nemmeno pensato?!”

Torno a osservare l’espressione di Camus, nuovamente glaciale e imperturbabile come di consueto, se io, appoggiata con l'orecchio al suo petto, non riuscissi ad udire distintamente i battiti frenetici del suo cuore che tamburella quasi più del mio, residuo di una paura recentemente provata e non del tutto passata.

Già, non c'è possibilità di equivoco... l'ansia che STA provando, è ben nitida davanti a me, non più velata da quella apparente coltre di ghiaccio che la riveste: Camus dell'Acquario, accorso in mio aiuto per salvarmi nonostante la brutta discussione di qualche ora fa, mi ha appena trasmesso, senza l'ausilio delle parole, la sicurezza che tanto andavo cercando!

“Mi dispiace... per tutto!” biascico, sentendomi un verme, chiudendomi istintivamente a riccio per non farmi vedere in viso.

Neanche starlo a dire, non ribatte nulla, quasi non mi guarda neppure. Meglio così, stavolta, non riuscirei minimamente a sorreggere il suo sguardo.

“Che c’è, Cavaliere? Non hai la lingua per parlare?! - lo prende ancora in giro il tizio - Non ti hanno insegnato a..."

Camus, per tutta risposta, alza appena l'indice della mano sinistra dal quale esce spontaneamente un fiotto di aria congelante che, appena raggiunto l'incauto nemico, si tramuta in anelli congelanti che lo circondano e lo bloccano.

“Che... che diavolo di magia è mai questa?!” ringhia quello, iniziando a divincolarsi.

“Koliso. Anelli di Ghiaccio. - gli illustra brevemente Camus, del tutto impassibile - Ho delle domande da porti, ma per il momento te ne starai quieto per un po', ho altre urgenze che non... tu!"

"Cosa stai farneticando, Cavaliere?! Pensi che questi inutili aneliti di aria fredda possano in qualche modo... Guah!"

Non riesce a terminare la frase, si mette a tossisce violentemente, perché uno degli anelli gli si è stretto al collo e oltre ad occludergli parzialmente le vie respiratorie, sembra provocargli dei danni seri.

"Io non parlerei senza permesso, fossi in te. Ti è concesso di rispondere alle mie domande. Null'altro!" continua un sempre più implacabile Camus, quasi spietato.

Io sono sbalordita, boccheggio a vuoto, spaesata, mentre lui, il mio maestro, da finalmente le spalle al nemico ormai a corto di ossigeno, per poi posarmi delicatamente sulla sabbia poco più in là.

“Marta, stai qui e non muoverti mentre infuria la batt... uff! - sospira, vedendomi invece già intenta a cercare di alzarmi in piedi senza peraltro riuscirci - Come non detto, sei veramente di coccio, eh!" commenta poi aspramente, con quel principio di sfotto che, in altre circostanze, mi caricherebbe seduta stante.

Gli devo fare comunque pena, perché al mio terzo tentativo di mettermi inutilmente in piedi, mi acciuffa, evitandomi la caduta, per poi trattenermi per un breve istante contro di sé in un mezzo abbraccio.

Tepore. E' di nuovo questo che riesco a percepire, il calore del suo corpo, dei suoi gesti un po' burberi un po' gentili. Di nuovo, mi stordisce, forse più di prima, perché, nonostante tutto, sembriamo sempre un po' più vicini.

"Hai male alla caviglia di destra?"

"E-eh? N-no... NO!"

"Dei, non farmi la cocciuta anche in simili circostanze, fammi vedere, su!" stabilisce, senza troppi rigiri, accompagnandomi poi a terra per sfilarmi i sandali e controllare di persona.

Io glielo lascio fare, tutta vergognosa, mentre le sue mani abili mi tastano un poco la zona.

"Ahi!" mi sfugge un sussurro di dolore quando le sue dita premono un poco più forte sul punto più dolente.

"Qui, vero?"

"Mmm!"

Produco un mormorio che vorrebbe essere un assenso, il mio sguardo è lontano. Mi... vergogno troppo per i miei comportamenti di prima, non sono in grado, e neanche voglio, oppormi. Non questa volta.

Lui lo deve capire, ha questa capacità di comprendere i miei sottintesi, anche se non lo dimostra sempre. Sbuffa tiepidamente per poi darmi un leggero colpetto amichevole dietro la nuca, tanto che io, stupita, mi volto verso di lui.

"E' una lieve stortura, nulla di così preoccupante, aspetta..." mi consiglia, prima di poggiarmi le lunghe dita eleganti intorno alla caviglia e produrre una fievole aria congelante che immediatamente mi da sollievo.

Vorrei ringraziarlo, vorrei chiedergli scusa per il diverbio di prima, invece riesco solo a osservarlo a bocca aperta, preda di una miriade di emozioni che non riesco nemmeno ad esprimere.

Rimaniamo nella stessa posizione per diversi secondi, ultimati i quali, dopo un ulteriore, breve, controllo della mobilità della mia caviglia, si rimette lentamente in piedi, privandomi così del sostegno del suo braccio che, ora come ora, mi sembra prezioso più dell'aria.

"Dicevo... stai qui durante l'infuriare della battaglia, intesi? Non voglio che tu ne rimanga coinvolta!"

"N-no, io..."

Vorrei fermarlo, vorrei prenderlo per il polso e urlargli di non andare, perché ho una brutta, bruttissima, sensazione. Invece non riesco a far altro che guardarlo raddrizzarsi nuovamente, gli occhi nuovamente chiusi.

"E' uno dei nemici di cui ti accennavo stamattina. - mi spiega, sempre con le palpebre abbassate, l'espressione forzatamente contenuta - Non temere, non ti torcerà un capello!"

"N-no, Camus!"

"Non gli permetterò di farti del male. - sottolinea ancora, con l'intento di voltarsi e allontanarsi da me - Sistemerò le cose in fretta, poi... poi riprenderemo il dialogo, e..."

"NO! Non andare!!!"

Finalmente riesco a prenderlo per il polso, il contatto tra noi mozza, per qualche istante, il respiro di entrambi. Io lo guardo, lui guarda me, ed è di nuovo il calore a regnare dietro i suoi bellissimi occhi blu.

"Lo hai già immobilizzato, possiamo fuggire!" propongo, in tono tremante, mentre anche il resto del mio corpo vibra di paura.

"Marta..."

"Tornerò al Santuario con te, va bene? Ma non... non andare, ti supplico!"

"..."

"Non scapperò nemmeno più, lo giuro, basta che tu..."

Di nuovo il gesto della sua mano che si posa tra i capelli; di nuovo ne sussegue il frastornamento. La mia bocca si dischiude in una 'o' muta che avrebbe tanto da dire.

La brezza soffia un po' più forte, mentre le sue labbra si incurvano nel più bel sorriso spontaneo che gli abbia mai scorto.

La brezza... come quel giorno; quel giorno di tarda primavera in cui mio nonno era stato male e avevamo chiamato l'ambulanza. Ricordo che ero bloccata e piangevo, mentre lo caricavano su, la mano di mia madre, appena percettibile, sulla mia spalla. Poi qualcosa era scattato in me, mi ero messa a correre verso di lui, urlando di non lasciarmi, di non andare e che gli volevo bene. E lui, pallido e sofferente, con gli occhi già ricolmi della consapevolezza che io invece persistevo a rifiutare, era a malapena stato in grado di sollevarsi un poco dalla barella per poi posarmi, a fatica, la mano sulla testa, tra i capelli, e sorridermi come mai aveva fatto prima di allora.

Non avere paura, andrà tutto bene! Rimani con la mamma. Sarò sempre con voi!

"Non devi aver paura, rimani dietro di me. Andrà tutto bene! Da adesso in poi, io sarò sempre al tuo fianco!" mi dice anche Camus, mentre l'immagine di mio nonno si sovrappone, per pochi istanti, a quella di lui.

"C-Camus, c-come puoi assicurarmi che..." tento di oppormi con tutte le mie forze, prima che un leggero scappellotto dietro la nuca, l'ennesimo, blocchi la mia frase.

"Dammi ascolto per una singola volta, ragazzina pestifera! - mi rivolge perfino un tono scherzoso nel cercare di tranquillizzarmi e alleggerire così la tensione - Rimani dietro di me, qualsiasi cosa accada. Non voglio che tu rimanga ferita, non... non potrei sopportarlo!” mi dice dolcemente, donandomi un'ultima occhiata d'intesa.

Lo vedo voltarsi, fiero, in direzione del nemico per affrontarlo; così come mio nonno aveva accettato con coraggio il suo destino.

Il mio cuore batte furioso, le palpebre mi pizzicano sempre di più mano a mano che lui si allontana da me per riprendere lo scontro. Non riesco a reagire, non riesco più a muovermi, come quella maledetta volta.

Ma... rispetto a quella volta, per favore, fa' che questa non sia l'ultima per Camus!

Rimango in piedi ad osservarlo, una mano premuta sul petto e il peso quasi interamente sulla gamba di sinistra. Nel frattempo il nemico, dopo una serie di colpi di tossi e grugniti spezzati, riesce infine a liberarsi dalla morsa dell’attacco di Camus proprio grazie ai lunghi artigli.

“E sia, avrei preferito non affrontare direttamente un Cavaliere d'Oro, ma combatterò comunque contro di te!” afferma l'essere, ghignando sinistramente nella sua direzione.

"Certo, è più comodo attaccare una ragazzina indifesa, vero? Mi aspettavo di avere davanti un vigliacco, ma non di questa risma!" ribatte senza un minimo di tentennamento Camus.

"Attento. Potrei sgozzarti come un maiale... con queste mie grinfie!!!" lo minaccia il nemico, paonazzo in volto, per poi lanciarsi immediatamente all'attacco.

"MAESTRO!" urlo, terrorizzata, percependo l'aggressività intrinseca dell'umanoide squilibrato.

Ma Camus, composto e tranquillo, attende pazientemente il suo avvicinarsi, prima di schivare il colpo all'ultimo con la grazia e l'eleganza del pattinatore provetto.

Un solo movimento, uno solo, basta per scansare la foga selvaggia del nemico, ed è già dietro di lui, pronto a colpirlo nel petto con un pugno potente che va immediatamente a segno.

"Guah! M-maledetto..." biascica il mostro, cadendo ginocchioni per terra in evidente difficoltà, prima di subire un altro pugno sotto il mento che lo fa praticamente volare via.

Rimango completamente carpita dai movimenti per nulla sprecati di Camus. Non un colpo a vuoto, non una azione non congetturata in precedenza. Grazia ed eleganza governano le sue movenze, unite ad una forza sovrumana e solenne. E'... è semplicemente magnifico!

Lo scontro prosegue tra colpi di aria congelante e artigliate, ma mentre i primi vanno quasi sempre a segno, i secondi non riescono a raggiungere il bersaglio, non avendo né la classe né la fierezza di quelli di Camus.

Io li seguo sempre più ammirata, del tutto a corto di fiato, quasi... galvanizzata!

“Uaaaargh!!!” guaisce ad un certo punto il nemico, sul punto di soccombere. Nulla può trovare una degna resistenza contro la 'Diamond Dust' lanciata dal sacro custode della Giara del Tesoro.

Cade il nemico, cade... sconfitto dalla potenza dei ghiacci eterni. Il risultato sembra ormai scontato, mi rilasso di conseguenza.

“Ho dosato la mia aria congelante per non causarti subito un danno mortale e poterti porre così alcune domande. - gli illustra intanto Camus, avvicinandosi notevolmente a lui, ormai certo della vittoria - Ordunque, chi ti manda? Chi è interessato a queste ragazze, oltre al tuo padrone Hades?!"

"Me-heheheeee!"

"Parla, avanti: non hai più molto tempo prima che il freddo raggiunga le tue vene e congeli completamente il tuo lurido sangue!” prosegue Camus, in tono aspro, stavolta innervosito dalle risate del nemico.

I muscoli tornano impercettibilmente a irrigidirsi. Assurdo che rida... è chiaramente ad un passo dalla morte, il corpo mezzo congelato ridotto ai minimi termini, e allora perché..?

“Ma che bravi, Cavalieri! Siete già riusciti a riconoscere uno dei tre cosmi. Non aspettatevi però che vi dica gli altri!” ribatte il tizio, perseguendo a ridacchiare come uno psicopatico. Compie uno strano movimento con la bocca, quasi stesse masticando qualcosa, ma non vedo bene dalla posizione in cui mi trovo.

"E ora finalmente capisco perché... proprio tu!" professa poi una frase ambigua, allargando il suo, già sinistro, sorriso.

Camus si insospettisce a sua volta, alza verticalmente il braccio sopra alla propria testa con l'ovvio intento di chiudere definitivamente lo scontro: "Se è così, non abbiamo più niente da dirci!”

La sua mano si ammanta istantaneamente di cristalli di ghiaccio mortali. Essi danzano fino a raggiungere il corpo del nemico, iniziando implacabilmente a ricoprirlo come a volerlo rivestire con una bara di cristallo che priva della vita.

Dentro di me immagino, in un brivido atroce di consapevolezza, il ghigno dell'avversario trasformarsi in una smorfia di orrore nel saggiare una fine che arriva con lentezza inesorabile, e invece... quello, non solo non smette nemmeno per un secondo di latrare dal ridere, divertito dalla faccenda, ma pure, con uno schiocco della lingua nel palato, spalanca completamente la bocca, rivelando così all'interno una capsula.

Il brivido atroce di consapevolezza si tramuta in uno spasmo di paura, e lo stesso prova Camus, a giudicare dallo sconvolgimento che, lo vedo bene anche da qui, sebbene mi dia le spalle, prende interamente il suo corpo. Fa quindi per attaccare in maniera più diretta, ma è tardi, la capsula viene rotta con un morso e, appena ingerito il liquido misterioso contenuto dentro, la corporeità stessa dell'umanoide svanisce in un istante, come risucchiata da un buco nero. Il colpo va irrimediabilmente a vuoto.

Ne rimane il silenzio, perfino il vento pare cristallizzarsi. Per un folle, lunghissimo, secondo, il pensiero che mi comanda è che si sia dato alla fuga per evitare di soccombere, ma è di breve durata, brevissima. Improvvisamente avverto la sua presenza incombere dietro di me, ho giusto il tempo per voltarmi parzialmente indietro che una sferzata potente, dell'intensità di una frusta, mi colpisce in pieno la guancia di sinistra.

"MARTA!"

Non ho tempo di difendermi. Dopo un breve volo finisco più in là, ruzzolando anche di diversi metri da quanta forza ha impresso nel colpo.

“Se non mi è possibile sconfiggerti, Acquario, allora ucciderò almeno la ragazza a cui tu sembri tenere così tanto!”

Sono intontita, non riesco a muovermi. Solo a fatica apro un occhio che mi mostra l'immagine di questo pazzo depravato con le unguicole sguainate della mano sinistra che si sta gettando come un kamikaze contro di me. Mi paralizzo completamente, il cuore nel petto batte talmente forte che odo solo quello. Nelle mie orecchie. Nelle mie vene. Nelle mie tempie.

No... mi ucciderà, non posso fare nulla per reagire, no, no, no, mi trapasserà il petto, mi taglierà la gola, mi...

"MUORI, RAGAZZINA!!!"

“NOOOOOOO!!!"

Un urlo angosciato al di fuori di me, poi il nulla, di nuovo. Il nulla...

Nel buio delle mie palpebre serrate rimango rannicchiata su me stessa, singhiozzando e maledicendo la mia sciocca ottusità. Se è vero che si muore come si vive, questo è il mio giusto pegno per aver sempre fatto di testa mia, ostinandomi a seguire le direttive del mio cervello, piuttosto che i consigli che mi venivano dati. E questo dolore così acuto dentro di me, nel mio petto, che si espande fino alla spalla e al braccio sinistro per poi tornare lacerante proprio in prossimità del cuore, come a compire un'eclittica che, raggiunto il suo massimo, lentamente si eclissa, portandosi via anche tutta la sofferenza che ne è derivata.

Realizzo che, in effetti, una volta raggiunto l'apice, tutto è in discesa. Il dolore cala, il respiro torna nei binari della regolarità, ed io... riapro a fatica gli occhi, meravigliandomi di essere ancora viva.

Capelli blu che ondeggiano appena davanti a me. Questa è la prima cosa che vedo e subito mi rincuora, mi fa sentire protetta. Stiro le labbra in un mezzo, quanto difficoltoso, sorriso, sforzandomi di far trapelare fuori la mia voce.

"M-maestro Camus, g-grazie, m-mi..."

PLINK, PLINK...

Un liquido sembra cadere da qualche parte nei dintorni, non ci do immediatamente peso, del tutto presa a convergere le mie forze per mettermi faticosamente a quattro zampe.

"Camus..."

Nessuna risposta.

"Maestro Camus?"

PLINK, PLINK, PLINK...

Il suono dello sgocciolare dell'acqua sembra farsi più intenso, quasi accelerasse. Non me ne capacito, ma alzo finalmente il capo davanti a me e...

"NOOOOOOOOOOOOOOOOO!!!"

Un urlo dilaniante esce automaticamente dalla mia bocca. Sembra moltiplicarsi all'infinito, perdendosi poi nel cielo impietoso che non lo ascolterà. Gli occhi mi si spalancano in un un altro grido che tuttavia non trova sbocco, percuotendosi nella gola che prende a bruciare come se fosse fuoco.

No, no, no, questo... NO!

Camus ha subito il colpo al posto mio, sì è frapposto tra me e quelli artigli. Camus che fino a poco prima stava vincendo, e che ora è a soli pochi passi da me, le braccia spalancate a croce e le ginocchia piegate nella maestosità dell'albero che sta per cadere.

Un ghigno, quello del nemico, che dopo uno sbuffo, fa per retrocedere dalla sua posizione, ormai soddisfatto dal suo pieno operato.

"N-no, NO! F-fermo, non..." tento di oppormi, invano.

Le unghie gli vengono brutalmente estratte, la violenza è tale che degli schizzi cremisi imporporano la sabbia nelle vicinanze. Qualcosa si incrina paurosamente dentro di me.

Privo dell'unico fattore che lo teneva in piedi, Camus dell'Acquario cade; cade all'indietro, ma io, spinta più dalla disperazione che non da altro, con uno scatto, riesco a sorreggerlo quanto basta per accompagnarlo a terra ed evitargli almeno la caduta.

Sangue caldo mi insozza il braccio sinistro e cola giù, arrivando al polso, dove sgocciola a terra. Non c'è altro che sangue che sgorga dal suo petto, che scivola via come vita, come ossigeno, come speranza...

"C-Ca..."

Non termino la frase, quel qualcosa di prima si spezza definitivamente dentro di me, irreversibilmente. Le orecchie sibilano, la mente si appanna. L'ultima cosa che riesco ancora a distinguere, dopo che il volto di Camus si è reclinato mollemente da un lato, ormai privo di ogni volontà, è solo il suo torace orrendamente straziato dagli artigli del nemico.

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Capitolo 9
*** Emergenza! ***


CAPITOLO 9

 

EMERGENZA!

 

Sorreggo a stento il corpo esanime di Camus tra le mie braccia. Non grido più ora, ma l'urlo dilaniante dentro di me non ha ancora cessato di picchiare violentemente contro le pareti del mio cervello, trasmettendomi fitte dolorose e spasmi irregolari a tutto il corpo.

Perché lo hai fatto, perché... Camus?! Non c'era alcuna ragione per farlo! Non c'era alcuna ragione di... di...

“Quanto sei stato stupido, Cavaliere di Aquarius, avresti vinto la battaglia, se non ti fossi precipitato a proteggere questa ragazzina. Per cosa, poi?! Per farti squarciare il petto dai miei artigli?! Muahahah!!!” gioisce intanto il nemico, totalmente euforico, alzando vittoriosamente le braccia al cielo per poi passare la lingua sulle sue grinfie e leccare il sangue con ingordigia.

Stringo con più forza il suo corpo inanimato, sentendomi ribollire dentro una foga inaudita. Non è più paura, ormai, solo e soltanto la rabbia più atroce che sono in grado di provare. E, come due giorni fa mentre parlavo con Death Mask, qualcosa si accende in me; qualcosa di scuro e profondo. Incontrollabile. Digrigno i denti come una bestia assassina. E' il blackout.

“Che miserabile coglione! - prosegue intanto l'essere, saltellando gioioso da un piede all'altro, ululando la sua felicità, del tutto incurante di star varcando un confine pericolosissimo, quello della mia pazienza - Buttarsi così, frapponendosi tra me e lei senza difesa alcuna... deve proprio esserti fumato il cervello, Cavaliere! Ora non puoi più intervenire in suo favore, e lei... lei è comunque spacciata!"

Lo fisso, come credo di non aver mai fissato nessuno. Oltre alla rabbia sempe presente e, mano a mano, sempre più atroce, si aggiunge anche una gelida imperturbabilità.

"Z-zitto, o io..." sibilo, e la mia voce rimbomba nella mia gola e nei miei timpani.

“Come?! Non ti sento, ragazzina, sei diventata rauca per la paura di morire?! - mi pizzica ancora lui, regalandomi un largo, quanto sinistro, sorriso - Puoi stare tranquilla, ti ricordo che ti devo consegnare VIVA, pertanto avrò la massima cura di non... GUAH!"

Non riesce a terminare la frase, il suo petto comincia spasmodicamente a contrarsi ripetutamente come se avesse i conati di vomito. Due. Tre. Quattro volte. Al quinto qualcosa gli risale in gola, lo obbliga a sputare catarro; catarro che, ad ogni colpo di tosse, è sempre più rosso e ben presto diventa una poltiglia sanguinolenta.

Il suo respiro quasi si tronca, diviene sempre più rarefatto, mentre il suo corpo si piega innaturalmente in avanti nella presa di consapevolezza di ciò che gli sta accadendo.

Per un qualche motivo slegato dalle mie emozioni, sento le labbra piegarsi innaturalmente in un sorriso meschino.

"Il tuo polmone destro è completamente distrutto. Non respirerai più... con quello. Ma per quanto durerà ancora la tua vita, un paio di secondi massimo, ciò non ti deve interessare!" lo irrido, schietta, mentre le lacrime che mi rigano il viso si mischiano al mio sorriso. Non sto muovendo le labbra, nell'esprimerlo, non ne ho bisogno, mi basta vedere il suo viso snaturato, che fatica a cavare ogni più piccolo respiro, per comprendere che il messaggio gli è arrivato forte e chiaro. Ciò mi fa godere come mai capitava da tanto, troppo, tempo. Millenni.

Adagio lentamente il corpo di Camus sulla sabbia, posizionandomi istintivamente a quattro zampe sopra di lui in modo che sia sotto di me, tra le mie braccia e le mie ginocchia, protetto dal vento che ha preso a sferzare sempre più potente intorno a noi.

E' l'unica, l'ultima, azione che riesco a compiere scientemente, prima di perdere il controllo. Il mio cosmo dilaga rapidamente fuori, è freddo e vorticoso, non lascia scampo.

"N-no, a-anf, q-quel... pote-ere... q-quegli occhi... cremisi... Ugh! - la sua voce languisce dalla mancanza d'aria e dal terrore - N-non m-mi era stati riferito c-che tu..."

“Non ti perdonerò mai per quello che gli hai fatto!!! Non sei neanche degno di baciare la terra sotto cui poggiano i tuoi fetidi piedi, fammi il favore da sparire dalla mia vista, SOZZURA!” ululo, completamente fuori di me, balzando in avanti in piedi per poi protendere istintivamente il braccio.

Dal mio pugno destro fuoriesce immediatamente un fiotto di aria congelante estremamente potente che investe in pieno il nemico, proiettandolo indietro per poi farlo sbattere violentemente contro uno scoglio a decine di metri di distanza. Non un singulto da parte sua, non più, solo e soltanto il terribile schianto contro la roccia e il rumore, nitido, di qualcosa di solido che si riduce in poltiglia.

Non aspetto comunque una sua reazione. Vinta da un qualche tipo di forza elettromagnetica, mi avvicino con passo incalzante a lui preda del desiderio, vacuo ma estremamente tangibile, di osare di più, annientarlo fisicamente a livello atomico per averne più giovamento.

Distruggere, disintegrare, cancellare dalla faccia della Terra. Sono questi i miei obiettivi saldi, l'unico istinto ben formato nella mia mente, ma avvicinandomi a lui per continuare il mio operato, ne distinguo il volto ormai tumefatto e irriconoscibile. Qualcosa si inceppa.

E il ribrezzo di prima, ampiamente provato per lui, diviene repulsione per me stessa.

Mi sfugge un singulto a vederlo così, con la faccia sfigurata, bianchiccia, la pelle cedevole come se fosse fatta di cera. Irriconoscibile, perché gli ho strappato l'identità.

Sopraggiunge un vero e proprio attacco di panico. Sono preda della nausea al punto da dovermi trattenere lo stomaco per tentare di controllare l'improvviso conato di vomito che sento risalirmi dall'esofago. Mi sbilancio e finisco a terra, tossendo disperatamente come se fossi appena riemersa dopo una lunga apnea. Non respiro regolarmente, in effetti, mi viene da dibattermi, da urlare.

Stringo convulsamente le palpebre, mentre la consapevolezza di quel che ho appena compiuto si accentua di pari passo allo scemare della mia rabbia.

Imponendomi di alzare ancora una volta lo sguardo, sebbene non voglia, mi faccio forza per tornare a guardarlo. Morto. Per davvero. La testa reclinata su una spalla, il volto quasi interamente saponificato, ad eccezione delle labbra livide, dischiuse in una smorfia, dalle quali continuano ad uscire grosse gocce di sangue. Sangue rosso rubino, denso, che sgocciola sul suo petto immoto e che non sembra volersi fermare, malgrado la morte.

I-il sangue... CAMUS!

Il pensiero del maestro occupa completamente la mia mente, anestetizzando la consapevolezza di essere a mia volta un mostro. Il cuore mi rimbalza in petto quando mi volto indietro e lo vedo ancora lì, pallido e immobile a sua volta, il petto grondante.

N-no! Ti prego, NO!

“CAMUS!!!” urlo il suo nome con tutte le energie che ho in corpo, mi alzo di scatto, il brusco cambio di posizione mi provoca le vertigini, ma non gli do peso, prendendo invece a correre forsennatamente verso di lui.

No, no, no! E' un incubo, DEVE essere un incubo!

Mi getto al suo fianco, faccio per toccarlo, spostarlo, scrollarlo, non lo so neanche io, ma la piccola particella di ragione rimasta mi dice che peggiorerei la sua situazione. Ingoio a vuoto, cercando disperatamente in lui, da distanza, il più piccolo cenno di funzione vitale. Lo trovo, fortunatamente, nel leggero alzarsi e abbassarsi del suo torace: RESPIRA! Respira ancora, anche se debolmente.

Con un ansito strozzato, mi chino sul suo corpo, le mani frenetiche vorrebbero intervenire, ma non so come... non ho la flemma necessaria per essergli di aiuto, ho paura anche solo a toccarlo, ho paura che mi muoia qua davanti, che il suo respiro, già così stentato, cessi del tutto.

"Camus! CAMUS!!!" lo chiamo, non so perché, mi sento inutile, è lampante che le sue condizioni siano gravi, che lui sia già oltre l'incoscienza, quasi... sul punto di morte!

Mi viene da piangere. Sono stata una stupida, soltanto una stupida! Sono scappata via e, a causa di questo, lui... NO! Devo calmarmi! Devo pensare a mia madre... A MIA MADRE... quante piccole vite ha salvato, tenendo frenate le sue emozioni in situazioni di emergenza come questa?!

Tremo convulsamente, la mente appannata, l'angoscia sempre più opprimente. Non sono lucida come vorrei essere nel prendere l'orlo del mio peplo e premerlo sul suo torace, ma è già qualcosa, meglio di prima, anche se non basta... NON BASTA!

Il sangue è veloce a defluire, in un attimo mi tinge di rosso il tessuto candido dell'abito che indosso, e poi le dita, le mani... rosse, è tutto rosso. Va oltre, ha già creato una pozzetta sotto che gli sta sporcando i lunghi capelli blu, ed è in continua espansione. Singhiozzo disperata. Non riesco a fermarla...

"Camus! Camus, ti prego! N-non arrenderti! Mi... mi dispiace! Mi..."

“Maaaaarta! Caaaamus!” una voce dietro di me, profonda, mi chiama, ci chiama. Mi volto sbalordita nel constatare che Milo, Sonia, Mu e Kiky stanno correndo nella nostra direzione.

“Sia ringraziato il cielo!” mormoro tra me e me, scoppiando a piangere senza più alcun freno.

Ora andrà tutto bene, ci sono loro... lo salveranno!

“Marta, che è successo?! Perché sei scappata? C’era Camus che... CAMUS!!!”

Milo sbianca e poi si paralizza nel vedere il corpo esanime del suo migliore amico accanto a me. Dentro di lui passa, in un fremito, lo stesso terrore che ha invaso me.

“Marta! - mi chiama meno concitatamente Mu, inginocchiandosi comunque urgentemente al mio fianco per intervenire subito su Camus - Hai già cominciato a tamponare la ferita, brava, ora lascia fare a me!”

Non posso far altro che ricadere indietro nel lasciargli spazio, completamente svuotata e priva di forze, nel tentativo di dire qualcosa che tuttavia non riesce ad uscire. Posso solo assistere al suo, di intervento, gli occhi sgranati, la fitta al cuore sempre più forte nel vedere le sue manovre di emergenza, ben più precise delle mie.

"Marta, che diavolo è successo?! - mi interroga intanto Milo, molto più brusco, strattonandomi per un braccio alla ricerca della mia attenzione e costringendomi così ad alzarmi in piedi - GUARDAMI, DANNAZIONE, E RISPONDIMI!" si infervora poi, nel vedere che i miei occhi sono tutti per Mu che, nel frattempo, sta tagliando la maglietta di Camus dal ventre in su per agire direttamente sulla ferita.

"I-io... io..." non riesco a parlare, non riesco nemmeno a respirare.

"MARTA!"

Milo è disperato, mi scrolla, sforzandosi di non guardare quello che sta succedendo al suo migliore amico. Sonia e Kiky, quest'ultimo praticamente abbracciato a lei, fissano impotenti la scena, rimanendo un poco in disparte.

"La ferita è profonda, sembra stata causata da degli artigli che fortunatamente non sono comunque riusciti a danneggiare il cuore! - ci informa intanto Mu, cercando di valutare adeguatamente la situazione - Alcuni brandelli di tessuto, però, sono penetrati nella carne. Occorre rimuoverli per evitare un'infezione."

Nessuno sembra ascoltarlo, nessuno VUOLE ascoltarlo, tutto sembra essersi cristallizzato.

"RISPONDIMI, MARTA, MALEDIZIONE!" lo Scorpione mi incalza, fuori di sé. Vuole sapere, vuole capire cose che nemmeno io so spiegare.

“E'... è colpa mia! - riesco infine a biascicare, vacua, tremando con ancora più forza - A-abbiamo litigato, stamattina, ed io... io mi sono trovata paura, Camus non sembrava completamente in sé, ho... ho pensato che fosse... ubriaco. Sono fuggita via!"

"QUESTO LO SO, ME LO HA ACCENNATO PRIMA DI VENIRTI DIETRO! - sbraita Milo, guardandomi torvamente, come se mi volesse stangolare, uccidere, o peggio - La domanda è PERCHE'?! Perché non gli hai dato il tempo di spiegarsi?!"

Non capisco la sua affermazione, provo ad abbassare lo sguardo, colpevole, ma lui mi afferra malamente per le spalle, facendomi male: "Argh!"

"Milo!" sento l'avvertimento di Sonia, ma è tutto ovattato, le orecchie mi sibilano. Non ho neanche la forza di oppormi. So solo che ha ragione ad avercela con me.

“L'emorragia... non rallenta!" prova ad avvertici Mu da qualche parte fuori da noi, la sua flemma parzialmente incrinata. Né io né Milo riusciamo a cogliere la reale proporzione della frase.

I miei occhi non vedono altri che quelli dello Scorpione; i suoi, lucidi come i miei anche se privi di lacrime, non riescono a scrutare altro che i miei.

"Perché... non gli date mai il tempo di spiegarsi?!" insiste ancora, parlando inspiegabilmente al plurale, stringendomi ancora una volta le spalle, ormai dolenti.

"P-perché sono stata una sciocca, v-volevo che rispondesse alle mie domande, ma... non l'ho fatto parlare. Sono riuscita solo a s-scappare, e ora... nnnnngh!"

Milo non risponde più verbalmente, ma lo sento fremere dalla rabbia, dalla paura e forse da qualcos'altro, le sue dita non sembrano intenzionate a mollare la presa su me, ed io... io mi sento pronta ad accettare qualsiasi reazione!

"Basta, Milo, le stai facendo male! Non vedi le sue mani sporche di sangue?! Il suo peplo?! Ha fatto di tutto per provare ad aiutarlo, NONOSTANTE TUTTO!" interviene alla fine Sonia, frapponendosi in maniera molto matura tra me e lui, con il risultato che il suo maestro, come risvegliato, sussulta, indietreggiando di due passi.

Boccheggia, osserva finalmente le mie mani lorde di sangue fino ai polsi, il mio stesso peplo strappato in più punti e macchiato di quella sostanza rossa che rappresenta la linfa vitale umana. Qualcosa gli morde la coscienza, vorrebbe forse dire qualcosa, ma la nuova affermazione di Mu destabilizza tutti.

"L-la ferita... n-non riesco a richiuderla!"

Pugno nello stomaco, le gambe mi cedono del tutto. Deve essere Sonia a sorreggermi, sebbene anche lei accusi malamente il colpo. Milo impallidisce di netto.

"Che... cosa?!"

"La ferita... non si richiude, malgrado stia usando tutti i poteri di cui dispongo!" ripete Mu, pallido a sua volta, le mani, lorde di sangue, pressate sul torace di Camus.

Ne sta perdendo troppo, rubino, pulsante, fa impressione la quantità. La pozza sotto di lui è raddoppiata rispetto a quando ho provato ad intervenire io, il respiro si è fatto molto più dispnoico. Se continua così... lui...

"...morirà dissanguato nel giro di poco, se non troviamo il modo di fermarla!" arriva alla mia tragica conclusione Mu, fremendo a sua volta.

"COME PUOI NON RIUSCIRCI, MU?!?" esala Milo, gli occhi sgranati, perdendo l'attenzione su me per concentrarla sul compagno d'armi, nonostante -lo vedo bene- non riesca a tollerare l'immagine di Camus in quelle condizioni.

"Non è una ferita ordinaria, è atipica, e... dobbiamo trovare un altro modo per agire, SUBITO!" anche la flemma di Mu è scomparsa, al suo posto dilaga un'intensa paura.

“E allora agiamo, CAZZO! Stiamo solo perdendo tempo!!!" prorompe di nuovo Milo, pestando il piede sulla sabbia.

"Milo, so che è difficile, ma dobbiamo cercare di mantenere il sangue freddo! Non serve a niente agitarsi, soprattutto non aiuta di certo Camus!” cerca di calmarlo l'amico, un fremito negli occhi limpidi, prima di tornare a concentrarsi sotto di sè.

“Come diavolo faccio a calmarmi quando... quando il mio miglior amico sta rischiando di morire?! UN'ALTRA VOLTA!!!” urla lo Scorpione, trattenendosi la testa con le mani, sul punto di crollare a sua volta.

“Non c'è altra soluzione... - sospira Mu, recuperando un minimo di controllo - Kiky!"

"Uh-oh, sì?" si riscuote il piccoletto al suono del suo nome, mettendosi sull'attenti.

"Teletrasportati nell'ospedale qui vicino, quello della Fondazione Grado! Lì sono già a conoscenza dell'esistenza dei Cavalieri e sanno come limitare i danni delle ferite subite in battaglia! - gli da istruzioni senza esitare, ricercando la sua completa attenzione - Indica ai medici la strada per arrivare qui alla spiaggia e spiegagli la situazione, non dimenticandoti di dire che si tratta di una emergenza!”

“Aspetta, Mu, perché in un ospedale normale, perché non al Santuario?!” gli chiede Milo, sempre più agitato.

“Hai ben visto da te che i miei poteri non sono sufficienti. Il teletrasporto non può essere usato al Tempio, in più Camus è ferito gravemente, spostarlo senza gli opportuni accorgimenti potrebbe aumentargli l'emorragia e condurlo alla morte più velocemente di quanto non stia già succedendo!"

"P-però..."

"Non c'è altro modo, Milo, credimi! Non riesco minimamente a chiudere le ferite, l'unica alternativa valida è farlo chirurgicamente! Dobbiamo fidarci dei medici della Fondazione Grado!” spiega ancora il Cavaliere dell'Ariete, tentando il tutto e per tutto, con i suoi poteri, per rallentare almeno in parte la fuoriuscita di sangue.

“I-io vado allora! Faccio il più velocemente possibile!!!” afferma quindi Kiky, risoluto, sparendo poco dopo grazie al teletrasporto.

"Sono medici normali, Mu, quelli della Fondazione!" ribadisce lo Scorpione, aspro.

"Anche... anche un chirurgo normale che lo operi immediatamente è meglio che lasciarlo così. Non... non resisterà ancora a lungo!" biascica il Cavaliere dell'Ariete, in tono paurosamente incrinato, mentre ruota i palmi di Camus verso l'alto e gli allarga un poco le braccia lungo i fianchi.

Milo è in fibrillazione, rassomiglia ad una bestia in gabbia. Impreca tra sé e sé, stringe i pugni fino a farsi sbiancare le nocche, a stento trattiene le lacrime.

Io mi sento morire a vederli così, ad assistere impotente a ciò che hanno causato le mie azioni. Mi accascio su Sonia, le stringo così forte il peplo quasi da rischiare di strapparlo, e lei... lei rimane con me, nonostante il casino che ho fatto, mi abbraccia, mi conforta, mi dice che andrà tutto bene, che Camus è forte, che ce la farà.

Ce la farà realmente? Lo sto guardando spegnersi, svuotato dal suo stesso sangue, dopo aver subito la ferita al posto mio...

"Milo!" è Mu a chiamarlo nel vederlo avvicinarsi a lui e all'amico che sta combattendo per la vita.

Lo Scorpione non dice nulla, semplicemente si inginocchia al fianco di Camus, precludendomi così parzialmente la visuale, poi alza il braccio sinistro. Un brivido mi scorre lungo la schiena nel non capire i suoi intenti. Ho appena il tempo di realizzare, in un singhiozzo, che vuole fare qualcosa con l'indice della stessa mano, che lo vedo calare proprio sul corpo esanime dell'amico.

"NOOOOOOOOO!!!"

Urlo in preda al terrore, non posso evitarlo. Cosa vuole fare?! Vuole ucciderlo per risparmiargli le sofferenze?!

Ma è di nuovo Mu a bloccarlo, stavolta con gesto deciso, stringendogli il polso a mezz'aria: "No, Milo!"

"Lasciami provare, Mu! Camus... Camus sta morendo!" ringhia lo Scorpione, del tutto fuori di sé, gli occhi preda dalla rabbia e dalla disperazione.

"Non servirà, lo vedi bene anche da te. - sospira l'Ariete, prostrato, tornando sul corpo sotto di sé - Il suo fisico non può sopportare, ora come ora, un intervento così brutale per tentare di fermare l'emorragia. Lo uccideresti senza possibilità alcuna di salvarlo."

"E allora cosa... cosa facciamo, Mu? Aspettiamo che si spenga senza neanche provare ad aiutarlo?!?"

"Dobbiamo aspettare i soccorsi, non c'è altro modo."

"M-MA..!"

"Per il momento segui me, ascolta quello che ti dico... - sospira l'Ariete d'Oro, prima di sforzarsi di prendere in mano la situazione - Intanto, reclinagli la testa indietro, lo aiuta a respirare meglio."

Assisto sempre più impotente al loro lavorare in sinergia, al loro agire su quel corpo in agonia, flettendogli la testa, aprendogli meglio la bocca per aiutarlo nel processo. L'ossigeno gli va giù in gola più agevolmente, gli gonfia il torace grondante di sangue, una due tre volte, con movimenti brevi e stentati, tremendamente irregolari, ma continui.

"Il mantello! Premilo sul petto! Dobbiamo rallentare l'emorragia a qualunque costo!" gli ordina ancora Mu, sforzandosi di essere il più deciso possibile nell'assecondare il gesto del compagno anche con il suo intervento.

E Milo esegue; esegue meccanicamente, spostandosi da una parte all'altra a seconda delle direttive. Febbrilmente, sempre più febbrilmente.

“Cerca di resistere, amico mio, ti supplico! Non puoi... non puoi lasciarci un'altra volta, soprattutto non proprio ora che... che... SIGH!” sento sussurrargli dolcemente, mentre un singhiozzo trapela fuori da lui. La mano libera si muove teneramente ad accarezzargli i capelli, in un gesto che vale più di mille parole.

“Lo salveranno, Marta... lo salveranno!” mi sussurra intanto Sonia, accompagnandomi ad inginocchiarmi sulla sabbia perché in piedi non riesco più a stare. Rimane con me, mi circonda teneramente le spalle, mi fa percepire la sua presenza.

Ed io... ed io... il mio sguardo non riesce a fare altro che proiettarsi verso di loro, verso quei due Cavalieri che stanno facendo di tutto per salvarlo; verso quel corpo ormai mezzo denudato che sta lottando per la vita e che perde, tanto, troppo, sangue.

La gola mi si secca. La nuova posizione assunta da Milo, chino nuovamente su di lui, mi impedisce di vedere il volto di Camus. Anche la sua testa e il suo petto mi sono preclusi.

Quel che vedo di lui sono i due lembi della maglietta, aperti sui fianchi, l'addome irrequieto e poi ancora, andando verso il basso, i jeans slacciati, le gambe leggermente divaricate.

Mi viene da vomitare, forse lo faccio anche... non so... non so più niente.

Perdo completamente la concezione del tempo e dei fatti intorno a me, la sequenza cronologica, tutto. I miei occhi non vedono altro che i movimenti aritmici della pancia di Camus... su, giù... sempre più difficoltosi... su, giù... per un momento, uno solo, ma lungo secoli, sembrano quasi sul punto di cessare. Di nuovo scatto, o mi sembra di scattare, non riesco bene a discernere ciò che faccio da ciò che credo di fare.

No! Combatti, ti prego! DEVI COMBATTERE!!!

Lui sembra avere un sussulto, la respirazione riprende, anche se sempre più difficoltosa. L'ossigeno comincia a non bastare.

Nei miei occhi, nella mia mente, vi è solo il suo ventre nudo e rivoli rosso rubino che gli colano sulla pelle candida, arrivando a macchiare i pantaloni. Di nuovo mi focalizzo sui suoi movimenti... su e giù... per un tempo che mi appare infinito. Anche a me pare quasi di non respirare più, devo dare tutta me stessa nell'atto e mi sembra comunque di non riuscirci. Mi sento soffocare.

"Marta! Ehi, che ti succede? Forza!"

Distinguo appena la voce di Sonia, devo essermi lasciata andare completamente su di lei, o qualcosa di simile. Mi gira la testa, non riesco a reagire, sono così stanca... sto perdendo le forze, l'ambiente intorno a me svanisce nel buio.

E buio è, per un tempo imprecisato che non riesco a quantificare.

Poi qualcosa cambia improvvisamente, i movimenti della mia respirazione si fanno più accentuati e profondi. Ancora una sensazione di disagio, di profanazione, quasi, e di dolore, prima che tutto si annacqui fino a scomparire. Riapro a fatica gli occhi e provo a raddrizzarmi.

"Marta!"

La voce allarmata di Sonia mi giunge vicina ma ovattata.

Ho nuovamente l'addome di Camus davanti a me. Rispetto a prima, il diaframma si gonfia di più. Lo vedo sollevarsi come un palloncino per poi sgonfiarsi e tornare giù... dilatazione, contrazione, e ancora, dilatazione e contrazione... sempre più frequentemente. Il ritmo si regolarizza quasi del tutto.

Brusii diffusi, parole concitate. Ora c'è molta più gente intorno a lui. Milo si è spostato, non so bene da quanto, non è più nel mio campo visivo da un pezzo; al suo posto, tra l'andirivieni sempre più convulso di quelli che sono i soccorsi, compare il volto sempre più pallido di Camus. Gli hanno inserito qualcosa in bocca, è orrendo, fa rabbrividire, gli nasconde buona parte del bel viso, mentre sul suo busto, privato interamente dei residui della maglietta, sono state disseminate ovunque delle specie di piastre.

Mani lo sollevano con tutta l'attenzione possibile per sistemarlo su un barella, la sua testa abbandonata cede da un lato, il mio, prima di essere raddrizzata e bloccata da una sorta di collare che la immobilizza del tutto.

"Giovane uomo di circa vent'anni con trauma da lacerazione multipla. Grave emorragia esterna. Al momento non risultano coinvolti organi vitali!" gracchia una voce fredda e distante che in me ha l'immediato effetto di farmi urlare un'altra volta e correre in direzione della barella, se qualcuno non mi fermasse subito.

"E' nelle loro mani adesso, Marta. Credi in loro e nella tempra del tuo maestro!" mi sussurra una voce calda, pacata, che non riconosco subito, ma che riesce un minimo a calmarmi.

Dopo il collo, passano a bloccargli le braccia e poi ancora il busto che viene fissato da una prima cintura all'altezza dello sterno e da una seconda con la quale gli legano stretto il bacino.

Ho di nuovo stampati nella cornea i movimenti così stentati della sua respirazione, nonostante l'ausilio degli strumenti artificiali. Sento che non potrò mai più dimenticare una scena simile. MAI! Tremo, trattenendomi lo stomaco nel patetico tentativo di controllare un nuovo conato di vomito.

Quel gonfiarsi così innaturale della sua pancia... no, non ce la faccio, non riesco a tollerarlo!

RESPIRA! Respira, Camus, ti supplico!

Prego, non so chi, non so se a voce alta o nella mia mente; prego e basta, piangendo tutte le mie lacrime e maledicendo tutta la mia inettitudine, mentre qualcuno copre parzialmente Camus con un telo e il gruppo restante si affolla su lui, premendogli la mascherina sul volto e comprimendogli quasi barbaramente il torace per tamponare l'uscita di sangue.

REAGISCI, DEVI REAGIRE!!!

Vorrei urlare ai quattro venti tutta la mia disperazione, mentre il suo corpo, risucchiato dall'ambulanza, sparisce interamente dalla mia vista.

 

2 luglio 2011, inizio pomeriggio.

 

Mi trovo nella sala d'attesa in compagnia delle mie amiche, di Hyoga e di alcuni Cavalieri d'Oro, Milo, Mu e Aiolia vestiti in abiti borghesi. Mi trovo nella sala d'attesa e non so neanche come ci sia arrivata, non so se mi hanno condotta qui, portata di peso, o se ci sono venuta con le mie gambe. So solo che il frastuono intorno a me, la luminosità, sono così forti da darmi fastidio alla vista.

Sto di nuovo male, il dolore profondo al petto è estenuante. La luce mi abbaglia, è come se fosse puntata contro di me ed è intollerabile. Mani estranee mi stanno toccando in ogni dove, mi premono il petto. Una remota parte di me sa che lo stanno facendo per il mio bene, ma io... mi sento così vulnerabile sotto di loro!

Strizzo disperatamente le palpebre. Devo darmi una scrollata per rendermi conto che sono in piedi immobile contro il muro bianco che mi fa da appoggio e non sul tavolo della sala operatoria, perché, anche se per un breve istante, è stato come percepire le manovre dei medici su me.

Respiro con più forza nel tentativo di tornare concentrata. Nel farlo, sollevo appena il capo in direzione dell'entrata. Camus è dentro da ore e nessuno ci dice niente, ma sta combattendo per la vita, questo lo so, lo si capisce dall'avvicendarsi nervoso dei medici che, passando dal corridoio, continuano ad entrare e uscire dalla sala operatoria.

SBAM!

Sussulto di paura nell'avvertire il rumore secco di un pugno che viene sbattuto contro il muro.

“Perché non ci dicono niente, dannazione?!"

"L'operazione è molto delicata, Milo..." prova a dirgli Mu, con un sospiro.

"SI FOTTA!"

Distolgo la mia attenzione dal loro doloroso scambio di dialogo per guardare, per la prima volta chiaramente, le mie amiche: Michela piange disperata, come è sua natura fare in momenti come questo, Francesca è semplicemente troppo sconvolta anche solo per compiere una qualche azione, mentre Sonia si sta trattenendo con tutte le sue forze per impedire alle lacrime di fuoriuscire.

“Il Maestro... no! Come può essere successo?! Allora questi nemici esistono veramente!” singhiozza Michela, coprendosi gli occhi con le mani.

"Ci avevano avvertito, in proposito..." biascica Francesca, abbassando il capo. Il suo tono non vorrebbe apparire come un 've lo avevo detto', ma è esattamente come giunge alle mie orecchie.

"Non può essere vero, no! Deve trattarsi di un incubo, di un... buaaaaaaa!!!" esplode infine, quasi accartocciandosi su sé stessa, se qualcuno non si muovesse nella sua direzione per offrirle un tocco amico.

Vedo infatti Hyoga permettersi di sorreggerla dalle spalle con gesto delicato e sicuro al tempo stesso. Ha la morte negli occhi, un senso di disperazione estremamente palpabile, ma si sforza di mascherarsi, per lei, per... non lo so, per che cosa, oltre che lei, ma è come se lo avvertissi, questo nugolo nero e scuro che si porta dietro anche lui. Atroce. Soffocante. Non lo comprendo ma lo percepisco.

La mia amica crolla praticamente su di lui, nascondendo il volto nelle sue spalle larghe da nuotatore provetto per poi prendere a tremare come foglia sul ramo in una notte di tempesta.

“Michela, ora guardami, non serve piangere! Non lo aiuta!"

"M-ma..."

Il Maestro Camus è forte, non morirà per questo. Ha saputo cavarsela in situazioni ben peggiori! Tu non lo conosci ancora bene ma io sì, credimi!” le dice, cercando di imprimere fermezza nel tono di voce e nello sguardo.

“Io... io mi stavo affezionando a lui! Perché ora?! Perché?!?” continua Michela, tra un singhiozzo e l'altro.

"Perché è una dichiarazione di guerra. - è la sua glaciale risposta che fa accapponare chiunque lo stia ascoltando - E non sarai mai pronta per riceverla, per quanto avvezzo al combattimento, ma ti colpirà comunque, cercando di strapparti ciò che hai di più caro!"

Silenzio. Di nuovo non ho idea di quanto passi e, di nuovo, sembra cristallizzarsi tutto. Le parole del Cigno ci hanno ammutolite, persino i pianti di Michela si interrompono, rimanendole incastonati in gola.

Una guerra. Questa è una guerra. Rabbrividisco. La consapevolezza che io non volevo accettare... è qui!

Anche Hyoga non ribatte più nulla, limitandosi ad alzare il capo in direzione dell'ingresso, lo sguardo lucido, il tremore delle sue labbra ben nitido. Ho come la sensazione che vorrebbe solo urlare, e tuttavia deve essere abituato a trattenersi, perché così gli è stato insegnato ad essere. Solo che, ad un certo punto, non ce la fa più, è troppo anche per lui, quindi, con la scusa di andarsi a prendere una boccata d'aria, sparisce in fretta dalla nostra vista.

“Maledizione! Avrei dovuto avvisare Camus del mio sogno prima che accadesse tutto questo. Ho di nuovo fatto un errore di valutazione, stupida, stupida, stupida, che non sono altro!!!” si rimprovera poco dopo Sonia, dandosi dei colpi sulla fronte di intensità crescente.

La sua affermazione mi da un ulteriore brivido di consapevolezza. Il mio primo impulso è di andare a chiedere spiegazioni, ma non ho la forza per riuscirci. Lo fa inconsapevolmente Francesca al posto mio.

"Che cosa intendi?" le chiede, un poco livida.

Sonia non alza lo sguardo, che rimane invece fisso sul pavimento. A fatica, però, si sforza di rispondere: "Il sogno dell'altra notte, quello di cui vi ho accennato, era... qualcosa di simile a questo!"

"CHE COSA?!"

"Volevo parlarne a Camus, volevo avvisarlo del pericolo, anche se non sapevo bene se effettivamente si trattasse di una visione o di un mero incubo. Alla fine non l'ho più visto e non sono riuscita a dirgli nulla, raccontandomi, per tranquillizzarmi, che non sarebbe potuto accadere, non a lui, che... - a questo punto anche a lei sfugge un singhiozzo, mentre si nasconde il viso tra le mani - Se solo glielo avessi detto, SE SOLO..."

A questo punto, riesco a muovere faticosamente un passo nella sua direzione, l'unico, perché subito dopo, dall'ingresso della sala, arriva un'infermiera.

“Scusate, tutti voi siete qui per il ragazzo giunto qui in gravi condizioni con ferita multipla da lacerazione sul lato sinistro del torace, giusto?”

Non quantifico l'intensità della sua voce, non ne sono in grado, il suo tono giunge a me forzatamente piatto, ma la sua espressione densamente rammaricata... quella sì che la riesco a scorgere. E mi fa star male!

“Si! Come sta? Non ci avete detto più nulla, ormai è dentro da ore!” la interroga subito Aiolia, dirigendosi a capofitto su di lei. Io invece rimango in disparte contro il muro, un senso di vuoto sempre più soverchiante.

L'infermiera sospira nel cercare le parole giuste con cui esprimersi. Attimi che paiono ore trascorrono, prima che la sua voce trovi il coraggio di formulare la frase.

“Non riusciamo a stabilizzarlo, né a richiudere interamente le ferite. Ha perso molto sangue..."

La sensazione di vuoto si acuisce in me, le palpebre mi punzecchiano ed è tutto ovattato. La luce arriva ai miei occhi accecante, non riesco a sopportarla, come non riesco a sopportare nulla di tutto questo.

"E... e quindi non avete abbastanza sangue per la trasfusione?" interviene pacatamente Mu, mettendosi in mezzo fra Aiolia che, al pari di Milo, stava già partendo in quarta, e l'infermiera.

"Non è quello il problema."

Lei non sembra volersi spiegare più di tanto.

"E allora COSA, diamine?! Che cazzo c'è ancora?!" sbraita Milo, dando l'ennesimo pugno al muro per poi precipitarsi come un treno in corsa nella loro direzione, se Mu, ancora una volta, non si mettesse in mezzo per calmare gli animi.

"Quale sarebbe, dunque?" domanda lui, in tono gentile ma comunque grave.

"Stante la situazione delicata con la quale è giunto qui, abbiamo subito provveduto a compiere tutti gli accertamenti necessari. Il suo gruppo è risultato A positivo, pertanto abbiamo immediatamente utilizzato una prima sacca di sangue da donatore A positivo, tuttavia... - l'infermiera prende una breve pausa, le sue pupille traballano - non l'ha retta!"

"Ora, questo, cosa dovrebbe..?!" si infervora ancora di più lo Scorpione, fuori di sé, mentre lo sguardo di Mu si apre in un'espressione ricolma di sgomento.

"Questo significa..."

"Sì, il corpo del vostro amico ha rigettato il sangue A positivo del donatore." lo delucida l'infermiera, massaggiandosi la fronte con espressione esausta.

Evidentemente non se lo sa spiegare nemmeno lei, perché sia successo.

"Dovrebbe essere praticamente impossibile..." impallidisce Mu, indietreggiando di un passo.

"No, la possibilità c'è, anche se relegata a casi rarissimi. Il punto è un altro."

"Quindi?! Pensa di poterci parlare schiettamente o di continuare a fare pause nel dialogo?!?"

"Milo..."

"Non ne posso più, Mu! Questa situazione mi sta erodendo!!!"

"Abbiamo utilizzato la sacca di sangue più adatta in nostro possesso. - prosegue l'infermiera con pazienza, passando sopra al tono sdegnato del Cavaliere di Scorpio - Non avrebbe proprio dovuto... reagire così!"

Silenzio. Capisco la metà di quel che dicono, il cuore mi batte all'impazzata nel petto... fa male!

"Io, se volete, ho il gruppo 0 positivo, detto Donatore Universale. - interviene Aiolia, stringendo una mano a pugno - Se vi può servire, mi offro per..."

"No, abbiamo già bloccato questa prima trasfusione. Non ne tenteremo un'altra nelle sue attuali condizioni, non la sopporterebbe."

"S-significa c-che lo lascerete..." sibila Milo, ad un passo dall'avventarsi contro di lei.

"A meno che, tra voi, non ci sia qualche parente diretto che abbia la possibilità di donargli il proprio sangue. - continua in un sussurro, guardandoci poi uno ad uno - E' l'unica condizione per la quale potremmo tentare una nuova trasfusione d'emergenza!" stabilisce, non curandosi di addolcire il tono.

Si sono ammutoliti tutti, solo Milo, senza un'apparente ragione, ha preso a tremare ancora più forte e a stringere inspiegabilmente i pugni; Aiolia butta un'occhiata nervosa a Mu, il quale decide di rispondere a nome di tutti.

"Purtroppo no, non siamo famigliari, solo amici e compagni di tante avventure."

"Va bene. - annuisce l'infermiera, abbassando le lunghe ciglia incipriate - Faremo comunque quanto è in nostro potere per salvarlo!"

"S-senza sangue neanche un Cavaliere può sopravvivere!" le fa notare Aiolia, impallidendo di netto, mentre Mu, sconfortato, quasi arreso, china la testa in avanti.

"Abbiamo mandato la sacca di sangue usata ad analizzare per capire cosa possa aver provocato la reazione di rigetto nel suo organismo. Quando arriveranno i risultati, solo allora, si potrà tentare..."

"Ma serve tempo per questo, e Camus non ne ha, dico male?!" esclama Aiolia, sempre più nervoso e irrequieto.

"Mi... dispiace. Il ragazzo è in condizioni molto critiche, anche un'altra trasfusione non ci darebbe alcuna garanzia di recuperarlo."

Non so cosa scatti in me, non so cosa mi spinga a scrollarmi dal torpore, ma è come se scariche elettriche ad altissimo voltaggio mi dessero la spinta per intervenire.

“Aspettate, vi prego, avete detto A positivo?! A-anche io lo sono, posso donare!" esclamo a viva voce, facendomi difficoltosamente largo tra Milo e Aiolia.

Deve trattarsi di un altro abbaglio, l'ennesimo, ma avverto il corpo del Cavaliere di Scorpio rilassarsi, i muscoli sciogliersi per poi trarre un respiro profondo.

"Ragazzina, sei per caso una sua parente?" l'infermiera mi squadra, studiando i miei lineamenti come a valutare se ci possa essere qualche vincolo di parentela tra noi.

Esito, abbassando lo sguardo: "E-ecco, io... no!"

"Allora non serve il tuo sangue, mi dispiace."

"Fatemelo comunque donare, vi prego!" insisto, quasi supplichevole.

“Ragazza, è un'emergenza, questa, lo capisci? Ogni secondo che passiamo a discutere qui, il vostro amico perde lentamente la vita. E' in gravissime condizioni fisiche, e..."

“Le permetta... le permetta di fare quanto desidera, la supplico!" è la voce di Milo a manifestarsi, quasi languendo, tra noi, attirando il mio sguardo stupito e quello accigliato dell'infermiera.

"Milo..." lo chiama Aiolia, scrutandogli il volto, come se avesse percepito qualcosa dal suo tono così sofferente e strascicante.

Lo Scorpione non guarda in faccia nessuno, sembra parecchio nervoso, butta fuori aria, prima di alzare brevemente lo sguardo su di me per poi passare all'infermiera.

"E'... è la scelta migliore, mi creda: il sangue della ragazza per salvare la sua vita!"

"Forse non sono stata sufficientemente chiara: abbiamo già sangue generico A positivo, il punto è che quello selezionato è stato immediatamente rigettando dal vostro amico, procurandogli un grave shock anafilattico che, a stento, siamo riusciti a..."

"Proprio per questo, non abbiamo più nulla da perdere, giusto?!" esclama Milo, gli occhi lucidi e la voce strozzata.

"Non posso procedere ad una nuova trasfusione, lo capisce?! Prima devono tornare i risultati del sangue del donatore per capire cosa abbia scaturito la reazione di rigetto, inoltre occorre tempo per fare gli accertamenti alla ragazzina, tempo che, come le è stato detto, non..."

"...abbiamo, lo so! Ma mi sta dicendo che ne impiegate meno a far tornare questi stra-maledettissimi risultati, piuttosto che controllare lei e vedere se, come sostiene, possiede il gruppo A positivo?!"

"I-il protocollo è-è chiaro in merito, anche se siete voi a richiedermelo, i protettori della Signorina Kido, non..." prova ad opporsi, ma sta tentennando, è lampante.

"La prego, la imploro in ginocchio! - esclama Milo, incassando la testa tra le spalle prima di inginocchiarsi davvero per terra. Strizza brevemente le palpebre, prima di alzare nuovamente il capo e continuare - Camus, il ragazzo che sta combattendo per la vita e che voi state cercando di salvare, è-è l'altra parte della mia anima!"

Lo osservo commossa, sull'orlo della lacrime, le gambe che tremano: Camus è davvero così importante per lui, al punto da essere definito 'l'altra parte della sua anima'? Che genere di legame hanno?

"Per cui la supplico, fate fare un tentativo alla ragazza, provate con il suo sangue. Non... non abbiamo molto altro da perdere, non crede?

Silenzio. Ancora. Passa qualcosa di solenne tra loro, di non detto. L''infermiera sembra comunque sulle sue, si può dire che non abbia ben chiara la situazione, come me, ma alla fine decide di acconsentire con un breve cenno del capo.

"Va bene, dunque. Come dice lei, in proporzione, ci occorre meno tempo a fare tutte le analisi alla ragazza e a prelevarle il sangue, che non aspettare che la prima sacca torni. Informo la sala di continuare la somministrazione di adrenalina quanto basta per consentire al paziente di mantenere le funzioni vitali minime. - si lascia sfuggire, facendomi presagire che la situazione è davvero grave, disperata. Poi torna a fissarmi - Intanto, accomodati pure nella saletta di là, manderò immediatamente una collega da te."

Annuisco con foga, due lacrime capricciose sfuggono dai miei occhi, mentre l'infermiera mi da le spalle e se ne va. Di nuovo non so cosa mi prenda, non mi riconosco, ma anche io mi approccio verso Milo, che si sta lentamente rialzando, abbracciandolo di getto. Lui sussulta, non aspettandoselo minimamente.

"GRAZIE! Grazie per aver perorato la mia causa, io... io... nnnnnghh! - devo trattenere un singhiozzo dentro di me per non cedere, perché piangerei e urlerei, non ce la faccio più - E'... è per colpa mia che lui sta così male, sta rischiando di morire per avermi protetta, ed io... non sarei riuscita a rimanere qui inerme!" tento di spiegarmi, stringendo il tessuto della sua maglia tra le mie dita.

Milo, dopo un breve attimo di esitazione, smettendo di tremare perché -solo ora che sono contro di lui me ne rendo concretamente conto!- era atterrito dalla paura e dal senso di frustrazione quanto, se non più, di me, riesce infine a ricambiare la stretta.

“N-no, grazie... grazie a te per essere intervenuta! - mi dice, una strana luce negli occhi, mentre mi carezza teneramente i capelli - Sei davvero la più adatta, qui, a donare il sangue a Camus, credimi, e se anche era tuo desiderio farlo, non potevo di certo impedirtelo!"

Annuisco con meno foga, staccandomi da lui ma rimanendo a guardarlo, tesa comunque all'idea di farmi prelevare del sangue: "Solo che... non so come si fa!" biascico, vergognosa, abbassando lo sguardo ai miei piedi.

"Non hai mai donato, Marta, potresti sentirti male. Inoltre non credo tu abbia nemmeno i requisiti!" osserva Francesca, un poco criptica, a metà strada tra la preoccupazione e qualcos'altro di non ben definito.

"E quindi?"

"Rischi un collasso."

"Fra, per quanto possa sentirmi male, non... non starò come Camus!"

"E questo lo hai deciso tu?! Sei così sicura di reggerla?! Soffri di ipotensione, sei piccina di corporatura... da quando poi è successo QUEL fatto sei perfino dimagrita, tanto che ti abbiamo dovuto scrollare per farti riprendere a mangiare! No, Marta, non..."

"Ascolta, Fra, l-lui, Camus..." mi oppongo, cercando di risultare decisa, sebbene un intenso, nuovo, capogiro mi investa, portandomi a barcollare.

"Marta!"

Devo chiudere gli occhi...

Per una serie di secondi non ci sono più le mie amiche e i Cavalieri d'Oro, intorno a me, non ci sono più nemmeno io, c'è solo quella luce accecante, che non riesco a sopportare, puntata contro di me, quell'intensa paura di non farcela, di essere al limite, e quei sibili distorti che sembrano trapanarmi il timpano.

"Ca-mus!" lo chiamo, frastornata, massaggiandomi le tempie per poi sforzarmi di riaprire gli occhi.

Quella luce c'è sempre, ma non è più puntata su me, ma sul volto di Camus, steso sul lettino al centro della stanza. I medici lo attorniano, lo opprimono per salvargli la vita. Non vedo i loro visi, è come se fossero tutti annebbiati, distinguo solo l'azzurro del loro camice, ma so che stanno parlando nervosamente tra loro. Ad un certo punto, due di loro si scostano un poco per controllare lo schermo dei monitor, un altro ancora gli toglie quasi completamente il telo di dosso, lasciandolo lì, nudo, per poi prendere ad armeggiare con cose che non capisco.

Rabbrividisco. E' inerme sotto quelle mani; le mani di chi sta tentando di salvarlo e, di minuto in minuto, lo prova a strappare alla morte. Ha paura, ne ha tanta, così come il freddo, e non gli posso dare torto perché è un freddo che raggela, ed è dentro... così terribilmente dentro! Una lacrima mi scende tacitamente da una guancia; un baluginio argenteo ne discende anche dal suo viso, prima di essere celato dal boccaglio.

Lo osservo intensamente, mentre le sue palpebre fremono, reagendo a qualcosa che non mi so spiegare.

Non meritavi di finire così per me, Camus, non lo meritavi! Perdonami per tutto, mi vergogno di averti trattato così, di averti dato dell'alcolizzato senza neanche conoscerti, di averti fatto tribolare dal primo giorno in cui ci siamo visti. Perdonami! Vorrei solo... che tutto questo non ti fosse mai accaduto!

"MARTA!"

La voce di Francesca mi riscuote, quasi mi fa sobbalzare. Mi rendo conto di essere sorretta da lei, anche se ancora in piedi sulle mie traballanti gambe.

"Marta! - anche Michela si aggiunge, spaventata più di prima, gli occhioni rigati dalle lacrime - Che ti succede, stai male pure tu?" mi interroga, accarezzandomi un braccio come a farmi ridestare.

"Milo, è davvero sicuro, per lei, donare il sangue? E' rimasta coinvolta nello scontro antecedente, non mi sembra in ottime condizioni fisiche!" fa notare Mu, in tono gentile ma pesante, non ottenendo comunque risposta dal compagno, che invece si limita a distogliere lo sguardo e a mordersi il labbro inferiore

"S-sono io stessa a desiderarlo! - alzo il mio tono in modo che mi possano udire. Vorrei che trasparisse la mia determinazione, cosa che forse non riesco a fare, visto che stanno esitando tutti quanti, perfino Milo che, fino a poco fa, sembrava più che intenzionato ad assecondarmi - Per favore, facciamo in fretta. Camus... Camus sta lottando per la vita ogni secondo che passa!"

"D'accordo, però io verrò con te, se me lo consentirai. - trancia infine ogni incertezza Milo, posandomi le mani sulle spalle - Potresti sentirti veramente male e, in quel caso, penso ti faccia piacere avere qualcuno, no? O preferisci una delle tue amiche?"

Le osservo un attimo. Michela con gli aghi sbatterebbe a terra e dovrebbero poi soccorrere lei, con Sonia non ho ancora abbastanza confidenza, mentre Francesca ha già espresso il suo parere, non credo sia favorevole.

"No, va bene se ci sei tu, per... per favore!" gli sorrido con timida gratitudine, dirigendomi poi nell'apposita stanzetta dove ci attende un'altra giovane donna dai capelli biondi.

L'infermiera di questo settore mi pesa sulla bilancia e poi mi fa immediatamente stendere su un lettino, iniziando a preparare tutto l'occorrente per le analisi e la successiva trasfusione -dei, ora sbocco da quanto sono agitata!- dopo una serie di domande, se è la prima volta che lo faccio, se sono consapevole dei rischi, se ho problemi di salute, ci riferisce che, prima di procedere, deve comunque certificare che il mio gruppo sanguigno sia quello necessario, assicurandomi che sarà un procedimento breve. Io annuisco appena, socchiudendo gli occhi, vorrei solo che si sbrigasse, perché i minuti scappano e ho paura di non fare in tempo.

Ad un certo punto mi sento pizzicare il dito. Attendo. Aspetto. Ma ho l'impressione che ci stiano mettendo troppo e ho ansia. Provo a muovermi, ma mi impongono di star ferma.

"Devi stare tranquilla, Marta. - mi sussurra Milo, scostandomi un ciuffo dalla fronte sudata nell'accorgersi della mia agitazione crescente - Hai la tachicardia..."

Non capisco bene quello che dice, neanche mi importa, del resto.

"Camus ha bisogno di quel sangue!"

"Lo so, piccola, lo so..."

Si sta facendo nuovamente tutto ovattato, le orecchie mi sibilano, devo chiudere le palpebre perché la stanza gira. Respiro male, non capisco perché, come se la pressione fosse scesa drasticamente a terra anche senza aver iniziato la trasfusione.

"A POSITIVO! Possiamo procedere!" certifica finalmente l'infermiera, e la sua voce è come una botta di adrenalina che scorre in me.

Posso salvarlo... con questo posso salvarlo, ma fate presto, vi prego!

Ho sempre maggiore difficoltà a percepire l'ambiente circostante, Milo qualche volta mi prova a dare una scrollata alla quale io rispondo con un debole mugugno. E' davvero spaventato quanto o più di me e, nel rendermene conto, che proprio lui, che è Cavaliere, che è forte, che ha dei muscoli che fanno invidia ad ogni ventenne, un moto di tenerezza mi investe, delineando un leggero sorriso sul mio viso.

In fondo sono ragazzi poco più grandi di noi... questo mi fa sentire meno sola.

Finalmente l'ago mi viene inserito nella piega del braccio. Fa un po' male, strizzo le palpebre, prima di far l'errore di dischiuderle. Tutto e sfumato intorno a me, distinguo a stento i colori, il biondo dell'infermiera, il violaceo di Milo guizzato dai suoi occhi celesti. Riesco comunque a porre la prima domanda.

"Quanto... quanto sangue?" biascico, omettendo un 'posso dare' che comunque viene recepito.

"450 ml circa..."

Non so quantificare, ma ho il terrore che non gli basti, perché Camus ne ha perso davvero tantissimo, non ce la fa, non ce la può fare da solo...

"A-appena?"

"Glielo doni tutto, ragazza, in tutte le sue parti."

"Se fosse parziale sarebbe di più?"

"Sì."

"V-vorrei dargliene di più..."

"Non puoi, ragazza!"

"L-la prego!" parlo a fatica, ma le mie intenzioni sono chiare.

"Non se ne parla nemmeno, figurarsi, lei è già..."

Ma è di nuovo Milo ad intervenire in mio favore, Milo che mi sta aiutando tantissimo, Milo al quale sono grata, anche se sono sempre più confusa e capisco sempre meno di ciò che mi sta avvenendo intorno.

"Non può fare... un'eccezione?"

A questo punto, però, anche l'infermiera sbraita: "La quantità indicata è quella, abbiamo già fatto numerosi strappi alla regola per voi! La ragazza è al limite del peso corporeo necessario per donare il sangue e glielo stiamo comunque permettendo. Non possiamo osare di più!" sentenzia, in un tono che non ammette repliche.

"Mmmh, ma noi ne veniamo da una situazione un po' particolare..."

"Lo sappiamo bene! Il bimbo dai capelli rossi che è venuto a dare l'allarme per primo ci ha informati, ma questo è il massimo che possiamo permettervi!"

"P-però, vede... - è sempre Milo ad insistere, in un fremito di paura nel ricercare le parole migliori da adoperare - C-Camus, l-lui, ha bisogno di quanto più sangue possibile per sopravvivere e... e lei... lei è la più idonea, mi creda, mi..."

"SIGNORE!"

Stringo infastidita le palpebre nell'avvertire la sua affermazione frastornarmi ancora di più le orecchie, ma non so se è solo una mia impressione, o se la giovane donna abbia davvero alzato il suo tono di voce per imporsi. Non lo so, non sto capendo niente. So solo che mi viene da svenire, e che Camus... Camus sta molto peggio!

"Io posso comprendere che deve avere un vincolo molto stretto con questo ragazzo che è giunto qui in gravissime condizioni, ma non posso svenare ulteriormente lei, lo capisce?! La ragazzina non arriva a pesare 50kg, al controllo della pressione ce l'aveva già discretamente bassa... prenderne di più equivale a esporla ai rischi di un collasso, è questo che vuole?!"

Milo freme vistosamente a seguito del rimprovero, lo avverto distintamente perché la sua mano che stringe la mia -non mi ero affatto accorta che me l'avesse presa, mi... conforta!- trema vistosamente. Sento il suo sguardo su di me, il suo senso di colpa nell'aver espresso una tale richiesta senza pensare a me, alla mia salute, così preda dalla paura di perdere il suo migliore amico.

"Io... mi dispiace, non volevo, ha ragione, ma... ma..."

"Lo ascolti, l-la prego! - mi oppongo a viva voce, ansimando per la fatica di forzare il mio tono ad uscire deciso - Ve lo ripeto: sono io stessa, anf, a richiederlo! Prendete... prendete quanto più possibile del mio sangue, se può servire per salvarlo!"

"Marta..."

"Ragazzina, anche se sei tu a richiederlo, non posso!" tenta di opporsi ancora lei, scettica.

Impongo al mio collo di sollevarsi, ai miei occhi di aprirsi, anche se non vedo altro che ombre, ormai. Sorrido a fatica nel miglior modo possibile.

“Dategli tutto il sangue che potete, per favore, solo che, anf, se... se fosse possibile, ecco, compatibilmente con la mia vita! - tento di fare dell'ironia, come mi aveva insegnato una persona a me tanto cara che ora non c0è più - Questo mondo è una valle di lacrime, è vero, ma... ci piango volentieri!" riesco ancora a dire in un mezzo sorriso, prima di cedere con il capo da un lato nel non riuscire più a mantenermi cosciente.

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Capitolo 10
*** La promessa ***


CAPITOLO 10

 

LA PROMESSA

 

2 luglio 2011, sera.

 

Provo a riaprire gli occhi, ma sono obbligata a richiuderli immediatamente nell'avvertire con distinzione la nausea accrescersi in me. Mi sento la testa strana, ho quasi un cerchio e le vertigini, del tipo che se provassi a mantenere le palpebre aperte vedrei il mondo intorno a me compiere un giro completo di 360°. La mandibola, poi, è anestetizzata e dolente, non ricordo per cosa. Mastico a vuoto ed è come se non la sentissi. Che sensazione... orrenda!

"E-ehi, Marta, qui, ti stai svegliando?

Qualcuno è vicino a me ma non ricordo chi. Annaspo, cercando di mettermi almeno seduta, ma vengo bloccata e riaccompagnata giù. Devo aver perso i sensi o qualcosa di simile, il braccio sinistro è dolorante, fatico a piegarlo e formicola,; il destro quasi non lo sento nemmeno.

“Coraggio, Marta, con calma!”

Una voce mi rimbomba nelle orecchie, ora la riconosco, appartiene a Milo, il Cavaliere dello Scorpione. Mi sta tenendo la mano tra le sue, ricambio debolmente la stretta. A fatica, con riluttanza, obbligo il mio corpo a intraprendere il cammino verso la piena coscienza ma è come se avessi paura di riacquisirla.

"M-Milo... - biascico, riaprendo finalmente le palpebre, sforzandomi di metterlo a fuoco perché è vicino a me ma l'immagine che mi giunge è appannata - C-che cosa è successo?"

"Stai meglio, per fortuna! Rivedo il colorito roseo della tua carnagione! - sembra sollevato, mi sorride con calore - P-prima eri così immobile ed emaciata, mi stavo davvero preoccupando!"

“Quanto tempo è trascorso da..? I-io non..."

Nell'alzarmi a sedere con più calma, mi massaggio la guancia di sinistra, realizzando di avercela gonfia e dolente. Sbatto le palpebre dalla sorpresa. Non ricordo la ragione, forse non la vorrei ricordare.

"Quella te l'ha procurata il nemico, vero? Dannazione! Non era così gonfia, prima, ha cominciato a diventarlo quando hai inizato la trasfusione... - si gratta la testa, in evidentissimo disagio - O forse sono io che, fuori di me com'ero, non ci ho fatto caso." ammette poi, affranto.

Ma cosa era successo? Perché ho la guancia gonfia? I pensieri dilagano. Butto occhiate confuse alla stanza, agli apparecchi, ai muri bianchi che mi danno noia alla vista. I pensieri cominciano piano piano ad assemblarsi, irrequieti, il cuore prende a pizziccare.

"Ma certo, il nemico, quei suoi arti artigliati..." dico ad un certo punto, in tono vacuo, fissando un punto a caso sul muro che funziona quasi da schermo nel riavvolgere i ricordi; nello sbrogliare questo filo della matassa che mi crea un groppo nel petto al solo riportarlo alla memoria. Dolore di acuisce sulla bocca dello stomaco.

"E-ecco, come dire..." Milo deve indovinare il mio smarrimento dietro il mio sguardo, è in difficoltà su come approcciarsi, sono quindi io a prendere la parola.

"R-ricordo che mi stavano prelevando una sacca di sangue per darla a... - l'immagine più dura, più nera, che non volevo accettare, trova infine spazio nella mia mente, cancellando tutto il resto - CAMUS!!!” prorompo all'improvviso, il volto storpiato dalla paura.

Mi alzo quindi in piedi di scatto dal lettino, qualcosa mi blocca l'altro braccio, oppone resistenza, e a me sembra di impazzire. Non so quanto sia passato da quando sono svenuta, non so come stia, non so... più NIENTE!

Con le lacrime nuovamente agli occhi, preda nuovamente degli spasmi, faccio semplicemente la cosa più stupida e irrazionale che io possa compiere in un momento simile: senza sapere cosa mi leghi, traziono prima il braccio e poi l'inter corpo come una disperata per levarmi via l'impaccio.

Non realizzo, non ragiono che ciò si potrebbe ripercuotere anche su me, no, in testa ho solo l'immagine di Camus, la sua indicibile sofferenza. Singhiozzo.

“NO, Marta, asp... ASPETTA! Non puoi..."

ZAC!

Dolore lancinante. Finirei a terra come un sacco di patate, se non urtassi contro Milo, il quale mi afferra, mi tiene contro di sé, mi sorregge la testa che, altrimenti, così preda delle vertigini, ciondolerebbe mollemente a vuoto.

"Per Atena, di bene in meglio!" esclama, tremando consistentemente.

Non comprendo il motivo del suo tono così allarmato, la vista mi si è di nuovo offuscata, ma avverto le due braccia inerti avanti a me, una mi fa male per la trasfusione, l'altra...

PLINK, PLINK...

Un leggero sgocciolare di qualcosa di non meglio definito che cade per terra, mi fa sussultare, trasmettendomi una nuova, ancor più cruda, ondata di nausea. Riapro a fatica le palpebre e quel che vedo è... ROSSO... c'è di nuovo del rosso!

Chiudo di scatto la bocca, ma è ormai troppo tardi. E' già nell'esofago...

"Mart... - ha appena il tempo di chiamarmi Milo, prima che io, con un titanico sforzo, non mi sposti di scatto da un lato per evitare di vomitargli sulla maglia - OH, MERDA, NO!" esclama a metà strada tra l'esasperato, l'angosciato e il più che capibile disgusto.

Vorrei dirgli che mi dispiace, ma sono piegata a metà, preda dei conati di qualcosa di non ben definito e che sa orribilmente di acidulo. Mi fermo giusto un attimo, quasi in apnea, per respirare, quando arriva già la seconda ondata, più intensa della prima.

"Uff, dei no, ti prego, fermati... ma quanta ne hai?!" prosegue intanto Milo, in tono di chi non sa più dove sbattere la testa.

Vorrei dirgli che non lo so nanche io, che non ho la minima idea di cosa stia rimettendo, so solo che è roba bianca e viscida ed è nauseabonda al solo odorarla.

Ad un certo punto, però, deve farsi coraggio, perché odo i suoi passi dietro di me, prima di percepire le sue mani spostarmi all'indietro i capelli.

"Così, manda tutto fuori, brava! Starai meglio, poi, te lo assicuro!"

Così dopo un terzo conato e due abbozzi tali, limitati fortunatamente alle contrazioni dello stomaco, mi riaccompagna a sedere sul lettino, porgendomi dei fazzoletti per pulirmi la bocca. Sono ridotta ad uno straccio, tremo, mi brucia la gola e la luce artificiale è troppo accesa per i miei gusti, per non parlare delle condizioni delle mie braccia. Passi la sinistra nella quale mi hanno fatto la trasfusione ed è già fasciata, ma la destra sembra un campo di battaglia, ho la piega del gomito che irrora sangue, sebbene il Cavaliere di Scorpio la stia tamponando con un fazzoletto. Rabbrividisco ancora una volta nel vedere i rivoli rossi che, tanto, troppo, mi ricordano quelli che colavano sull'addome di Camus.

"Non ho fatto in tempo a dirti che hanno valutato di metterti una flebo di... di... - mi comincia a spiegare, Milo, in paurosa difficoltà - Ecco, non so che diavolo di roba sia, in effetti, ma mi hanno detto che serviva per te, come ricostituente."

"Deve... deve essere soluzione fisiologica." biascico, stremata, desiderando solo dormire.

"Ecco, sì, qualcosa di simile hanno detto, ma c'era anche altro, solo che non ricordo."

"Non ha importanza. - glisso l'argomento di cui non mi può fregare di meno, ancora di più in un momento simile - Dimmi, Milo, lo hanno preso il sangue?"

"Sì, così come tu hai detto."

"Quanto, alla fine?"

"Circa 600 ml, forse un poco di più. Quello che normalmente prendono da una donazione di solo plasma, così mi hanno riferito."

"E basta per salvare Camus?" la mia voce è diventata un sussurro di paura.

"Non lo so. - ammette lui, sospirando, distogliendo lo sguardo - Non potevano di più, Marta, rischiavi la vita, altrimenti!"

“C-come sta, adesso? Hanno detto qualcosa i medici?"

Milo non risponde subito, il suo silenzio mi fa preoccupare. Guarda altrove, mentre le pupulle gli tremano.

“Non devi sforzarti troppo, hai ben visto che cosa ti succede. Hai donato il tuo sangue e sei molto debole, non solo per la trasfusione, ma anche per quello che hai subito durante...”

“Non m'importa! Come sta Camus? Rispondimi, ti prego!” continuo io, ostinata, alzandomi in piedi, del tutto incurante dei consigli.

Lui è costretto ad accompagnare il mio gesto, è molto più alto di me, e grosso, a mio confronto, ma sembra tanto, tanto, spaventato e triste in questo momento. Alza un attimo lo strofinaccio dal mio braccio, vede che non sanguino più, poi, dopo un sospiro, decide di rispondermi.

“Non ne sappiamo niente nemmeno noi, è passata oltre un'ora da quando hanno portato la tua sacca di sangue in sala operatoria...”

“I-io lo devo vedere, ad ogni costo!” mormoro, allontanandomi da lui per poi dirigermi, barcollante, verso l'uscita della saletta.

"Marta, per Atena, dove pensi di... - mi richiama lui, venendomi subito dietro nella paura che abbia un altro collasso - Dei, che cocciuta che sei, non dovrei affatto meravigliarmi!" lo sento aggiungere, ma non ci do peso.

Fuori, nel corridoio che collega la stanza dei prelievi alla sala d'attesa, mi incrocio con un OSS che mi fissa stranito, probabilmente colpito dal mio aspetto da derelitta. Sono quasi sul punto di fermarlo e chiedergli scusa per il macello che ho combinato di là, ma all'ultimo mi blocco, mi nascondo con le mani il peplo sporco di sangue rappreso, la piega dei gomiti che è ancora rossa. Mi mordo le labbra, non sapendo da dove partire per spiegarmi.

"Vai pure di là, ci sono gli altri. - mi raggiunge fortunatamente Milo, con un cenno del braccio e lo sguardo caldo. Deve comprendere il mio stato - Qui ci penso io!"

Un moto di gratitudine mi investe, vorrei quasi piangere e dirgli semplicemente 'grazie' per tutta la pazienza che ci sta mettendo con me, ma mi limito a tirare su con il naso e proseguire per il mio tragitto.

"Deve scusarla, è molto scossa, è la prima donazione di sangue che fa e, vede, è stata male e..."

Lo sento iniziare appena il discorso, prima di voltare l'angolo e varcare finalmente la soglia della sala d'attesa. Un'altra volta. Subito noto che ci sono gli stessi di prima, nessuno di loro ha avuto il cuore di andarsene, anzi, il Cigno è pure rientrato e ora sta con la fronte e le braccia contro la parete bianca, chiaramente distrutto emotivamente, gli occhi serrati. Accanto a lui Mu, pensieroso e imperscrutabile come di consueto, gli altri invece, le mie amiche comprese, sono seduti sulle sedie, lo sguardo vuoto e un poco annacquato.

Torno a guardare Hyoga, preda dei singhiozzi senza tuttavia consentire alle lacrime di trapelare fuori. Il sottile muro di ghiaccio che aveva erto è crollato, o sciolto come neve al sole. Devono averlo informato circa le condizioni critiche del maestro, oppure...

Devo trattenere un altro conato di vomito al pensiero che, in nostra assenza, l'infermiera può anche essere tornata e aver riferito che Camus... che Camus non...

“Marta!” il richiamo di Sonia arriva alle mie orecchie, dandomi l'impulso necessario a reagire, sebbene abbia la morte scritta in faccia. Alzo appena lo sguardo verso di loro, che si stanno avvicinando a me.

“Come stai? - mi chiede trafelata Francesca, venendomi ad abbracciare di getto, cosa rara per lei, dimostrazione lampante di quanto sia a sua volta stravolta - Per gli dei, Marta, sembri un cadavere ambulante!" commenta poi, mentre io mi devo appendere a lei, perché altrimenti cadrei in avanti.

"Marta! Oddio ma c'è sangue, e sei pallida come un lenzuolo! Ti hanno dissanguata?!" si aggiunge Michela, stringendo a sua volta sia me che la nostra amica più grande.

Ed io mi rendo conto che, qui e ora, con loro al mio fianco, scoppierei a piangere a più non posso, perché non sopporto più questa continua tensione, questo continuo non sapere. Sonia sembra capire più che bene il mio stato psicologico, ma rimane in disparte, limitandosi a farmi forza con lo sguardo, visto che non siamo ancora così intime per altro. Eppure, per me, i suoi occhi limpidamente verdi, gremiti di paura e senso di inutilità, sono come uno specchio delle mie stesse emozioni. Mi raschio a fatica la gola, forzando la mia voce a uscire dalla gola.

“Ca-Camus, l-lui... a-arf, sapete... niente?" chiedo, incerta, il cuore che mi martella in petto per la paura.

Come a rispondere alla mia domanda, l’infermiera, appena uscita dalla sala operatoria, entra nella stanza con ancora quell'espressione indecifrabile stampata in viso.

E tutto, per l'ennesima volta, pare cristallizzarsi.

“A-abbiamo finito da poco. La trasfusione è andata bene, tuttavia...” comincia lei, ma io non le do nemmeno il tempo di terminare, semplicemente scatto.

Lei non se lo aspetta. Io neppure. Ma il fatto gioca a mio favore, consentendomi di superarla di slancio. Non riesco a fare bene la curva, però, e finisco a picchiare contro il muro opposto del corridoio.

"Ehi, ragazzina, ma dico!"

Intontimento. Le gambe mi tremano, mi cedrebbero, se l'ordinativo del mio cervello non fosse incommensurabilmente più forte. Distinguo l'ombra dell'infermiera su me, per evitarla mi devo dare la spinta dal muro e ripartire. Schiamazzi dietro alle mie spalle. Non gli do peso.

Urto ancora contro qualcosa, stavolta è un qualcuno. Non gli do peso.

Questo qualcuno con un camice bianco, girandosi, fa anche per fermarmi, dirmi qualcosa, ma sono veloce a schivare anche lui, svicolandogli a destra.

"Insomma, ragazzina, questo non è un parco giochi! - mi riprende, aspro, venendomi dietro - Capisco la sua situazione, ma dovrebbe quantomeno capire che non è certo l'unica che..."

"Aspetti, la prego, le dia un momento!"

Qualcuno lo blocca ed io non ho più alcun ostacolo tra me e la porta semi-aperta che -ora la vedo!- deve essere la sala operatoria. Affretto la corsa, il fiato sempre più corto e il cuore sul punto di esplodere.

Devo solo vedere il maestro, devo sincerarmi delle sue condizioni, devo parlargli, devo chiedergli scusa, devo... devo...

BIIP-BIIP-BIIP

L'ordinativo del mio cervello, prima così forte e prorompente, crolla immediatamente nello scorgerlo. Si inceppa qualcosa in me, dentro me, nelle mie gambe che cedono del tutto. Finisco a terra, qualcosa mi da l'impressione di fracassarsi tutt'intorno, o forse è integro, è semplicemente la mia anima a frantumarsi in mille e più pezzi.

Non respiro. Mi salta un battito, poi un secondo e un terzo. Al quarto devo tossire con quanto fiato ho in corpo per farlo ripartire. Il mio stomaco prende a contorcersi, se non lo avessi già completamente svuotato prima, probabilmente vomiterei di nuovo.

No... la voce mi muore in gola, mentre, con tutte le forze residue, mi sforzo di rimettermi in piedi e guardare... guardarlo...

Camus... Camus è steso su un lettino, il volto esangue, la testa bloccata e rovesciata innaturalmente indietro. La bocca tenuta forzatamente aperta da... da un tubo inserito direttamente nella sua gola: la ventilazione artificiale. Fitta istantanea al cuore, vorrei solo fuggire e piangere, mi impongo invece di continuare a guardarlo.

Al suo braccio sinistro, disteso per lungo all'altezza della spalla, è legato un grosso bracciale in tessuto che, credo, serva per il controllo dei valori di pressione. Vi esce un tubo da dentro ma, più in generale, è tutto l'arto ad essere disseminato di fili e aghi, dal polso alla piega del gomito, e anche oltre...

Deglutisco a vuoto, come se qualcuno mi avesse piantato un cacciavite nello sterno e mi fosse impossibile respirare. Tento un passo traballante in avanti, ma non c'è certezza nel mio movimento, rimane fermo lì, a metà, la testa che vortica sempre di più.

Mia. La colpa è solo e inequivocabilmente mia!

L'epidermide del suo braccio è viola, da quanti ematomi si sono ricreati per via del quantitativo spropositato di tubi e tubicini che gli hanno inserito; f-fa impressione, così come quelle dita -che prima dello scontro mi avevano accarezzato teneramente la testa- piegate mollemente su sé stesse.

Era... era strettamente necessario dovergli fare tutto questo per salvarlo?! Q-quei fori nella pelle, d-dove gli hanno inserito tutte quelle cose... n-non era già tanto il sangue perso a seguito delle ferite?! Perché gli hanno fatto ancora così tanto male?! Mi manca il respiro, dannazione!

Lui invece respira, anche se a fatica. Il suo torace, fasciato da bende strette e ancora parzialmente sporche di sangue, si alza e si abbassa lentamente, come se una forza esterna ci stesse soffiando dentro. Sono movimenti controllati, lo so bene, programmati dalle macchine stesse che fanno ciò che lui non sarebbe in grado di fare da solo, non più. Per un istante tremendo, sopraggiunge in me l'insano terrore che, anche così, con l'aiuto che gli stanno dando, il ritmo della sua respirazione possa cessare del tutto.

Qualcosa scatta finalmente in me, permettendomi di compiere i primi, traballanti, passi verso di lui. Vorrei non guardare, vorrei chiudere gli occhi e svegliarmi altrove ma... sento di doverglielo. Sì, glielo devo!

Mi costringo a osservarlo ancora meglio, ora che ci sono più vicina, devo rabboccare ulteriore aria per riuscirci: non vi è solo il braccio collegato ai macchinari tramite dei fili lunghi e sottili, tutto il suo corpo, a giudicare da ciò che intravedo uscire da sotto il telone che lo copre parzialmente dal ventre in giù, deve essere tappezzato dalla testa ai piedi di elettrodi, aghi vari, flebo e cose che nemmeno conosco ma che, da sole, mi creano smarrimento. Perfino le caviglie ne sono soggiogate, perché il telo gli scopre i piedi e c'è un groviglio intricato di fili pure lì.

C'è qualcosa di umano in tutto questo?!? E' stato lasciato qui, con quest'unico drappo a nascondergli le nudità. Solo. Senza il tocco di una mano amica su di lui. Solo. Circondato dal gelo. Il pensarlo mi provoca una rabbia incontrollabile, a stento tenuta sotto torchio. Qualcosa mi pizzica gli occhi.

Un odore pungente, ferroso, mi ha, nel frattempo, invaso le narici, unendosi a quello del disinfettante avvertito appena entrata. La loro unione mi provoca una sensazione di nausea crescente e di dolore alla bocca dello stomaco, come se si stesse contorcendo in preda agli spasmi. Vorrei soltanto urlare, il bisogno di scappare si fa ancora più intenso, invece -non so con quale forza, proprio non so!- ingoio il mio rimorso in poche, flebili, parole.

“C-Camus, m-mi... dispiace, non immagini neanche quanto!” gli sussurro a fatica, trovando finalmente il coraggio di toccargli la mano inanimata per accarezzarla e fargli percepire in qualche modo la mia presenza.

Nel saggiare ancora una volta la delicatezza e morbidezza della sua pelle, come quando mi ha medicato sulla spiaggia, istantaneamente due lacrime capricciose fuoriescono dai miei occhi per colare giù all'altezza degli zigomi e lì rimanere per qualche secondo in più. Sembra quasi di avere tra le dita delle soffici piume di cigno, calde, forse un po' troppo, ma setose in una maniera che quasi commuove.

"Camus..." lo chiamo ancora per nome, passandogli dolcemente il pollice sul dorso con movimenti lievi e ripetuti nella speranza che lui mi possa percepire e reagire di conseguenza.

Ma le sue palpebre sono chiuse, sigillate agli angoli da quelli che a me sembrano due pezzi di scotch. Un nastro a legargli la fronte. Un collare, lo stesso che avevo intravisto nelle manovre di primo soccorso, a immobilizzargli il collo. Non da alcun segno di potermi sentire, forse semplicemente... non può!

Ho la gola dannatamente secca, il mio sguardo cade automaticamente su uno dei monitor che segnano, penso, i parametri vitali. Ne leggo con sconforto una temperatura corporea di 39° e 3. Fitta ancor più atroce al cuore. Ecco perché la sua pelle è così calda!

Ingoio per l'ennesima volta a vuoto, qualcosa mi raschia crudelmente la gola e si accentua fino a quasi strozzarmi. Di riflesso, abbandonandogli un attimo la mano, mi viene da tirargli il lenzuolo sul petto per coprirlo meglio.

Un brivido mi scorre lungo la schiena, mi sforzo di scacciarlo per passare ad accarezzargli teneramente i lunghi capelli cobalto che -di questo me ne rendo conto per la prima volta nitidamente- sulla sommità formano una specie di cespuglietto che li rende indomabili anche in una situazione simile. Sorrido brevemente di riflesso; un sorriso forzato, sghembo che, stante il mio stato emotivo, non so neanche come faccia a manifestarsi, forse perché trovo semplicemente buffo che, sebbene le sue condizioni siano pressoché disperate, quelli, i lunghi ciuffi che ha in testa, abbiano comunque la capacità di andare dove vogliono.

Appare così debole e indifeso... il soffio della vita è labile in lui e stentato come il suo stesso respiro. Ora che la ragione sta lentamente tornando e la rabbia si sta tramutando in qualcosa di meno tollerabile per me ma più sensato, i pensieri che ingombrano la mia mente diventano più logici.

Era ovvio che lo spogliassero completamene. Era ovvio che tappezzassero il suo corpo di tutti questi aghi. Era ovvio che gli inserissero il tubo endotracheale per permettergli di respirare. C'è ancora del sangue sul pavimento, sui teli, sulle garze, e su altri strumenti buttati agli angoli della stanza... hanno appena concluso l'operazione, lo hanno appena salvato. Appena.

Gli osservo il volto oppresso, pallido come un cencio. Faccio così fatica a riconoscerlo in queste condizioni, e pensare che, solo il primissimo giorno di allenamento, nell'imporci di fare tutti quei giri sulla spiaggia perché eravamo arrivate in ritardo, sembrava in tutto e per tutto il Sergente Maggiore Hartman...

Mi sfugge un debole lamento, a metà strada tra una risata isterica taciuta e un pianto sommesso. Infine sussurro, tra i denti: "Ti sei ridotto così per me, Camus. Perché... lo hai fatto?!"

Non mi dovevi nulla, ero una tua responsabilità, d'accordo, ma...

“Marta!”

Odo appena la voce di Milo, seguita dai suoi passi, chiamare il mio nome. E capisco che è stato lui, prima, a bloccare i medici che volevano impedirmi di vedere il risultato delle mie decisioni scellerate. Mi volto a fatica, i miei occhi ormai inondati di lacrime si incrociano con i suoi, lucidi e indicibili a sua volta. Le sue labbra vibrano a vuoto nel vedere le condizioni in cui versa il suo migliore amico. Per un istante, uno solo, ho come la sensazione che anche le sue gambe corrano il rischio di non reggerlo, tuttavia, contrariamente a me, riesce a dare prova di estremo coraggio nel non crollare.

"Mi dispiace... mi dispiace così tanto!" riesco a sillabare, il magone in gola.

"N-non..."

Non riesco a capire cosa voglia dirmi, perché l'avvicinamento dell'infermiera, seguita a breve distanza da Aiolia e Mu, interrompe il nostro abbozzo di dialogo. Cerco quindi di rigettare indietro le lacrime, con esiti pressoché nulli. La giovane donna mi affianca, mettendomi poi una mano sulla spalla con l'ovvio intento di infondermi calore e coraggio.

“L'ultima trasfusione, la tua, è andata bene. E' stabile al momento." mi dice, con un lieve sorriso. Rispetto a prima sembra un poco più addolcita nei miei confronti.

"Ma è molto caldo! Ho... ho visto che ha la febbre molto alta. Nn-nelle sue condizioni questo potrebbe..." pigolo, prostrata.

"La febbre non ci desta preoccupazione, è perfettamente normale dopo un'operazione, indica una risposta positiva del suo organismo. - mi delucida lei, sempre con quel lieve sorriso - E' completamente scongiurato anche il rischio di un nuovo rigetto, lo abbiamo monitorato fino a poco fa, e questo è un bene. Veramente un bene..."

Perché avverto un 'ma' nell'aria, perché questo 'ma' io non lo vorrei neppure sentire?! Vorrei dire all'infermiera di fermarsi con le spiegazioni, che va bene così, vorrei solo che mi lasciasse sola con lui, che mi promettesse di non toccarlo più, perché é già stato tanto male e loro, con tutti quegli inserimenti, gliene hanno fatto ancora di più; per salvarlo, d'accordo, ma sembra finito sotto le mani di un macellaio, dannazione! I lividi, i tubicini, i due adesivi sugli occhi, gli elettrodi sparsi in ogni dove... è tutto così intollerabile!

"Le ferite, però, erano molto gravi e non siamo riuscite a risanarle del tutto. - si prende il tempo di una pausa, prima di rivelare il resto - Non sappiamo dire con certezza quando, SE, si risveglierà.”

Il 'ma' alla fine arriva, lapidario, nelle sue ulteriori parole. Il suo sguardo si perde, il mio anche, navigando a vuoto fino all'angolo della stanza per rimanere assorbito lì.

Non sanno SE si risveglierà... vuol dire che Camus non è ancora salvo?!

“Cosa significa?! Rischia ancora di morire?!” interviene istantaneamente Milo, nuovamente sgomento, alzando i toni.

"Non voglio mentirvi... sì."

“Che... che ne sarà di lui?!” si fa forza anche Aiolia, con voce tremante, gli occhi ferini che guizzano da Camus a lei in attesa che continui.

“Non lo possiamo dire con certezza. Quando è arrivato qui versava già in condizioni disperate. - l'infermiera prende un'altra breve paura, come a valutare come proseguire il discorso - Nel bel mezzo della trasfusione di emergenza, ha avuto una brutta crisi ed è andato in arresto cardiaco..."

Mi sento come se qualcuno mi avesse dato appena una sberla. Boccheggio, guardandola con occhi vitrei senza neanche vederla del tutto, perché di nuovo si è fatto tutto annacquato intorno a me, mi sibilano le orecchie e vorrei solo gridare.

"GLI SI E' FERMATO IL CUORE E CI INFORMATE ORA?!" sbotta ancora lo Scorpione, non riuscendo più a contenersi.

"Milo... - la mano di Mu si posa fraternamente sulla sua spalla - Lo ha sottinteso quando ci è venuta a parlare e ha riferito che la situazione era drammatica e che stavano procedendo con l'adrenalina."

"CHE COSA?!"

"E' così. Non potendo procedere né con il massaggio cardiaco né con il defibrillatore perché lo squarcio nel suo petto non ce lo consentiva, abbiamo somministrato l'adrenalina per via endovenosa. - un'altra lunga pausa di sguardi, quello smarrito di Milo, quello forzatamente distante dell'infermiera - Sulle prime non dava segni di reagire, pensavamo di averlo perso, ma poi il suo cuore ha dato un impulso e ha ripreso a battere."

Ora, oltre a volerle urlare di tutto, le darei pure uno schiaffo per farla tacere, perché nessuno le ha chiesto di scendere in così tanti particolari. E mi sento spregevole per questo, provo ribrezzo per me stessa, perché è anche grazie a questa giovane donna che Camus è ancora vivo.

... al momento...

Mi dice una voce, che scaccio subito dalla testa, incassando il viso tra le spalle e stringendo con foga i miei pugni. BASTA! BASTA, VORREI SOLO SVEGLIARMI E SAPERE CHE NULLA DI TUTTO QUESTO E' ACCADUTO REALMENTE!

"I... i danni. - è nuovamente la voce di Mu l'unica capace di uscire, anche se stentata come il suo respiro - Voglio dire, Camus ha... pensate abbia subito danni permanenti a seguito della mancanza di ossigeno? Per quanto... si è protratta?" riesce infine a chiedere, vacuo.

Altro colpo al cuore nel razionalizzare un'eventualità simile che, prima, non mi aveva nemmeno sfiorato ma che potrebbe essere nel ventaglio delle possibilità. Per dei secondi interminabili mi sento ghiacciare le vene, mentre Milo e Aiolia, perdendo anche loro l'uso della parola, si scambiano occhiate vaghe, gremite di terrore.

"Come ho accennato prima, lo abbiamo recuperato a fatica, tuttavia... - la sua espressione si risolleva un poco - No, al momento, dai primi accertamenti, non risultano danni irreversibili, né al cervello, né agli altri organi vitali. Le ferite erano profonde, certo, ma non tali da danneggiare il cuore, e poi... il ragazzo è molto forte!" si lascia scappare un timido sorriso nel guardarlo, prima di tornare su di noi.

"Grazie, saremo per sempre grati alla vostra equipe medica per gli sforzi profusi per salvare Camus. La ringrazio a nome del Santuario medesimo!" annuisce Mu, con un lieve inchino.

Io lo guardo allibita, mi chiedo come faccia, perfino in una situazione simile, a sembrare così tranquillo e pacato quando un suo caro amico sta lottando per la vita e potrebbe non farcela.

"State un po' con lui ora, se avete piacere, ma vi devo avvisare che fra mezz'ora dobbiamo portarlo nel reparto di Terapia Intensiva per le cure necessarie."

"Il decorso?" chiede a fatica Aiolia, l'espressione dolente.

"Dipende solo e solamente da lui, adesso, se il suo fisico si rivelerà nuovamente abbastanza forte da riprendere coscienza e superare questo momento di crisi. Le prossime notti saranno basilari per capirne lo sviluppo. La prognosi, per il momento, rimane riservata." risponde esaustivamente poco prima di lasciarci soli nella stanza Il vuoto assoluto a permeare i nostri occhi.

Stringo di riflesso la mano di Camus, così calda e delicata, il flusso delle mie lacrime aumenta, così come la paura. Di nuovo faccio per sistemargli il telo per coprirlo meglio -sembra così tanto bisognoso di protezione- ma la posizione del suo braccio, tenuto forzatamente disteso all'altezza della spalla, ostruisce il processo. Ci riprovo. Una. Due volte. Niente. Rimango quindi a metà, con il gesto abbozzato ma non ultimato, a singhiozzare come una scema, non riuscendo minimamente a controllarmi. Uso l'altra mano per accarezzargli almeno i capelli un poco ribelli.

"Stai tranquillo, andrà tutto bene! A-ndrà... t-tutto... bene!" mi sforzo di dirgli, inutilmente, perché so che non può udirmi.

"In Terapia Intensiva non può entrare chicchessia." avverto appena la constatazione di Aiolia, il suo tono strozzato.

"Faranno un'eccezione, l'ennesima, per noi... - decreta Milo, prima di aggiungere - per lei!"

"Per Marta? Perché ne sei così convinto?" vuole sapere Mu, un poco scettico.

"Perché ne parlerò con la Divina Atena, del resto questo ospedale riceve i proventi della sua Fondazione! - esclama ancora lo Scorpione, sempre più deciso, avventurandosi in discorsi che io non comprendo, di cui non mi frega e che, a tratti, non riesco neanche interamente a seguire - Ma non lasceremo Camus da solo in Terapia Intensiva senza nessuno che lo accarezzi, che gli tenga la mano, e che gli faccia coraggio. Lui... ha bisogno di sentire tutto questo su di sé, per non arrendersi!" è l'ultima affermazione di Milo, prima che giri i tacchi e se ne vada.

Aiolia esita ancora un po', forsa regala un'espressione interrogativa a Mu, poi sospira esaustivamente. E' lampante che non sappia come prendere la cosa.

"Ci trovi fuori, Marta, prenditi tutta la mezz'ora che ci hanno concesso per stare con lui!" mi dice, ottenendo in risposta il mio cenno del capo e uscire subito dopo insieme al Cavaliere dell'Ariete.

Ora posso finalmente sfogarmi senza alcuna vergogna. Un singhiozzo trapela fuori, seguito da un altro, un altro ancora, fino a perdere il conto. Il pianto, quello, ha già rotto ampiamente gli argini, ma accelera il suo corso senza che io possa evitarlo.

"Perdonami, ti prego... perdonami, Ca-mus!" gli sussurro ancora una volta, piegata in due dal dolore, raccogliendo tutte le mie forze per dargli un leggero bacio sulla fronte calda e sudata e rannicchiarmi al suo fianco come meglio mi concedono tutti quei fili che pressano il suo corpo ai miei occhi ora così fragile.

 

*****

 

3 luglio 2011, mattina

 

Mi costringo a riaprire le palpebre pesanti dopo il sonno agitato di questa notte, la consapevolezza del giorno prima ancora ben nitida nelle mie iridi spente. Mi ritrovo così il il soffitto bianco della reparto di Terapia Intensiva davanti e, nelle orecchie, i suoi distorti dei macchinari, primo fra tutti l'elettrocardiogramma.

Butto fuori aria. Vorrei alzarmi, ma ho un cerchio assurdo alla testa, che gira già in questa posizione. Richiudo gli occhi, mi concentro. Quello di sinistra lo sento ancora pulsante, fa male, la guancia sempre in fiamme, ancora gonfia a seguito dello scontro con quell'essere. Sbuffo sonoramente. Sinceramente non me ne puà fregare di meno, anzi, questo mio stato mi irrita solo di più. Incurante quindi degli avvertimenti del mio corpo, mi alzo in piedi, rischiando immediatamente di avere un incontro ravvicinato con il pavimento, se non avessi la prontezza di bilanciarmi con la testata del letto. E' un po' come fluttuare nello spazio. Non ho coordinazione.

“Ehi, piano, piccoletta! - mi saluta Milo, seduto di fianco al letto di Camus, appena voltatosi verso di me con un sorriso tiratissimo - Sei riuscita a riposare un po'?"

"Un po' sì." borbotto, laconica, gettando un occhio sul giaciglio che mi hanno gentilmente concesso per dormire.

Tornare padrone di tutti gli arti del mio corpo, alcuni ancora parzialmente addormentati, non è affatto semplice, mi sembra di essere rallentata, di muovermi con molta più fatica del solito. Ho un male atroce alle braccia, alla testa, alle ginocchia... e non me lo perdono, perché non sono io quella che sta combattendo per la vita!

"E' un bene, questo." mi sorride ancora lui, tornando poi a concentrarsi sul volto del suo migliore amico, la mano stretta alla sua, il pollice che gli accarezza il dorso nella speranza di riuscire a stimolarlo.

“Milo, sei rimasto sveglio per tutto questo tempo?” gli chiedo, preoccupata.

“Sì, anche se avessi voluto non sarei comunque riuscito a dormire, sono troppo in pena per lui.” mormora in un fremito, adagiandogli momentaneamente la mano sopra il lenzuolo, trattenendogliela lì, nella sua.

Non so come ci sia riuscito, nello specifico, ma ha davvero ottenuto il permesso speciale, per entrambi, di rimanere al suo fianco. Anche se siamo in Terapia Intensiva, anche se, almeno in teoria, non si potrebbe. Così Camus ha perlomeno una stanza tutta per sé, le infermiere che lo vengono a visitare e cambiare ogni due ore, me e Milo che, se possibile, ci stacchiamo il meno possibile da lui.

Per paura che ci possa scivolare via...

Mi sforzo di guardarlo a mia volta, sebbene sia tremendamente doloroso. Lo hanno messo in posizione semiseduta, la testata del letto inclinata di circa 30 gradi. Ci hanno detto che così facendo aiutano l'espansione polmonare, rendendogli più facile la respirazione, ancora difficoltosa nonostante la ventilazione artificiale barbaramente inserita nella sua bocca. Per coprirlo un minimo, gli hanno fatto indossare una sorta di camice a maniche corte aperto sul petto.

Sospiro lungamente, avvicinandomi a loro. Per quanto mi continui a ripetere che quello, tutto quello, con cui lo hanno bardato da capo a piedi lo aiuti e lo sostenga perché da solo sarebbe talmente debole da non riuscire nemmeno a respirare autonomamente, non riesco a togliermi la sensazione di strazio che mi provoca il solo vederlo in queste condizioni. Insostenibile!

Ho raggiunto e affiancato il letto a mia volta. Osservo prima Milo e poi lui, perso nei recessi di chissà quale mondo. Vorrei prendergli la mano libera, la sinistra, ma è quella più densa di lividi dati dalla flebo e tubicini vari. Desisto.

"Puoi farlo, credo abbia piacere..." mi dice lo Scorpione in un sussurro, indovinando i miei pensieri dietro le mie parole.

"E' totalmente martoriata... meglio di no!" nego con la testa, guardando altrove, nascondendo il fatto che non è l'unica ragione, questa.

E' che non mi sento degna, e non sono nemmeno all'altezza. Sospiro.

“Come sta, secondo te? Ci può percepire?” devio infine argomento, nonostante la mia voce fatichi ad uscire.

“In tutta onestà? Non lo so, non ha avuto nessuna reazione da ieri, non so neanche se si accorga della nostra presenza qui. Io... pensavo che saremmo stati in grado di riscuoterlo!" mormora lui, non riuscendo a trattenere uno spasmo, per quanto breve e subito taciuto.

"Forse necessita solo di tempo, Milo."

"Sembra così terribilmente indifeso, ora... - sospira ancora, chiudendo gli occhi per trattenere il tremore della sua voce - Io... non avrei mai più voluto vederlo ridotto così!"

Quindi, come pensavo, gli è già successo qualcosa, la sola idea mozza anche il mio, di respiro, tanto da spingermi a cambiare nuovamente argomento.

“Gli... altri dove sono?”

“Michela e Francesca sono in sala di attesa insieme a Mu e Hyoga. Aiolia è tornato nelle sua dimora insieme a Sonia, che stanotte ha dormito da lui perché io ero qua. Più tardi verranno entrambi per il cambio. Gli altri Cavalieri invece sono al Tempio, del resto a cosa gioverebbe la loro presenza qui? Nessuno di noi Dodici può nulla!”

"Forse... forse Hyoga vorrebbe venire qui ad assistere Camus, lui ne avrebbe più diritto. - tento, a disagio, sentendomi di troppo - E' il suo primo allievo e..."

"No. - mi risponde in un laconico diniego Milo, prima di accorgersi di dovermi qualche spiegazione in più - Nel senso, sì, è suo allievo, il legame tra loro è fortissimo, come quello tra padre e figlio, ma non sopporterebbe di vedere Camus ridotto così... ancora una volta!"

"P-però sta comunque fuori, stanotte non avrà nemmeno dormito e... e... - tremo, stringendo i pugni dalla tensione di dover necessariamente buttare fuori ciò che sento - Se il loro legame è così forte, allora..."

"Marta, Camus e Hyoga sono molto simili, reagiscono in maniera affine a questo tipo di situazioni. Dall'esterno possono sembrare freddi e distaccati, ma soffrono tantissimo dentro, non so se mi intendi..."

"Intendo, sì."

Ecco, allora non sforzare Hyoga a vedere Camus ridotto così, sarebbe per lui intollerabile... e ha già sofferto tanto per essere un ragazzo di appena 16 anni."

Seguono minuti di assoluto silenzio dove le mie dita, quasi guidate da un istinto loro, pur non reputandosi degne, accarezzano con dolcezza i ciuffi a cespuglietto e la fronte di Camus nella speranza di scrollarlo dal torpore.

Non ne avrei il diritto, ma provo di nuovo quell'intenso istinto di coprirlo meglio che si traduce nel rimboccargli un poco il lenzuolo dai fianchi. Mi sembra tanto vulnerabile così, con quel camice così aperto sul busto, il torace stretto da bende ancora parzialmente insanguinate e il bacino agganciato al letto per evitare che scivoli giù.

Stringo con forza le mani a pugno fino ad imbiancarmi le nocche: già, come posso permettermi anche solo di accarezzarlo, fargli sentire la mia presenza, quando si è ridotto così per proteggermi?!

"Ehi, piccoletta, cerca di non..."

“E’ tutta colpa mia.” sussurro, serrando le labbra per trattenere un qualsiasi altro suono che possa fuoriuscire dalla mia bocca.

“Non è colpa tua..."

"Sì che la è! Sono io ad essere fuggita, costringendo lui a venirmi dietro e a proteggermi con il suo stesso corpo!"

"..."

Fremo ancora di più, strizzando le palpebre prima di nascondermi le mani tra le cosce in una evidente postura di chiusura. Mi sento uno schifo, il silenzio carico di parole di Milo non mi aiuta, è un peso immane. Ma lo merito.

"Non so perché lo abbia fatto, ma se fossi in te o in Hyoga vorrei... vorrei solo..."

"Marta..."

"...ammazzare la sottoscritta!" termino in un sussulto, riaprendo a fatica le palpebre.

Milo non mi guarda, osserva semplicemente l'amico. Ha il viso parzialmente oscurato perché la sua testa così piegata verso Camus scherma la luce, regalandogli un'espressione ancora più distante e nervosa. L'espressione sul suo viso, la piega delle sue labbra, per quanto di breve durata, mi fa capire che non sono andata molto lontana dalla realtà.

Butto fuori aria, inghiottendo il magone, prima di tornare padrona della mia voce: "Lo capisco, Milo, non occorre celare le tue reali emozioni. M-mi sono arrivate, ieri, e per quanto ciò non cambi nulla, ero pronta... no, SONO pronta a ricevere qualsivoglia..."

"No, non è così, Marta!"

Lo osservo allibita, rimanendo in attesa che prosegua. Di nuovo il mio corpo freme senza che io possa controllarlo.

"Ero terribilmente arrabbiato, ieri, lo sai, non c'è bisogno di nasconderlo. Si è... visto!"

Sì, si è visto, ma come dargli torto?! Ha trovato il suo migliore amico, l'altro pezzo della sua anima, a sua stessa detta, ferito gravemente, esangue, sulla spiaggia per causa mia, chiunque avrebbe sbarellato anche più di lui, chiunque!

"Ma ora ti sono semplicemente grato per tutto quello che hai fatto!"

Rimango perplessa a osservarlo, mentre, sempre con lo sguardo un poco adombrato, si china verso il corpo esanime di Camus per sconstargli con delicatezza un ciuffo che si era incollato alla sua fronte sudata. Poi si raddrizza, tornando a guardare me e regalarmi un leggero, quanto sincero, sorriso.

"Marta... grazie per aver dato il tuo sangue a Camus! Non hai esitato un attimo per lui, non hai pensato nemmeno un istante a te stessa e ti sei donata con slancio, rischiando in prima persona di sbattere a terra e sentirti male. Se non ci fossi stata tu..." scrolla la testa, rifiutando di esprimere quel pensiero.

Abbasso lo sguardo alla mia piega del gomito sinistro, stretto da una benda, prima di seguire con gli occhi la diramazione dei fili fino alla piega del gomito di Camus, drappeggiata a sua volta da delle garze e dal cotone: il punto dove gli hanno infilato l'ago per la trasfusione.

"Era l'unica cosa che potevo fare... l'unica!"

"E l'hai fatta, solo questo conta. Sei stata... così coraggiosa! - mi sorride un poco più apertamente, ricercando il mio sguardo che, a fatica, sostiene il suo - E un po' avventata, lasciamelo dire, questo non me lo sarei proprio aspettato da te!" mi dice ancora, quasi come se stesse parlando con una vecchia conoscenza appena rivelatasi una sorpresa.

"Grazie per le parole di incoraggiamento." mormoro, nascondendo sotto la frangia gli occhi lucidi che si impongono di non versare altre lacrime.

Lui deve capire il mio stato, lascia passare alcuni secondi di silenzio, prima di prendere in mano un nuovo discorso.

"Comunque la colpa è stata anche nostra: avremmo dovuto avvertirvi subito della pericolosità del nemico, ma il Grande Sacerdote era stato categorico su questo, reputandovi non ancora idonee a scoprire la verità."

"Il... Grande Sacerdote?"

"Il nostro capo, sì."

"Oh, QUEL capo, di cui parlavi quando ci hai portate via dall'hotel."

Milo annuisce, serio, scrutandomi con quei due occhi azzurrissimi che potrebbero sondare i misteri del creato: "Camus ha semplicemente seguito le sue direttive.”

"Seguiva gli ordini e manteneva il segreto per proteggerci, ed io invece me la sono presa con lui..." sussurro, fissando il suo viso pallido, mentre l'ennesima fitta al cuore mi investe nel vederlo ridotto in simili condizioni.

"Marta, Camus avrebbe voluto avvertirti. - riprende Milo, stavolta in un tono più rude rispetto a quello adoperaro prima - Ma non è esattamente un asso con le parole e le emozioni."

"Ebbene non lo sono neanche io!" ammetto, incassando la testa tra le spalle nello stringermi ancora le ginocchia con le mani.

"Era addolorato di aver perso il controllo proprio con te. - mi rivela ancora, lo sguardo un poco liquido - Me lo ha riferito quando è venuto giù dopo che tu eri scappata. Mi ha detto che ha alzato le mani su di te, giusto?"

Alzato le mani... fisso un punto non ben definito del muro bianco, il nodo al petto si acuisce. Prendo un profondo respiro.

"No, in verità mi ha solo stretto un poco più intensamente le dita sui polsi, sono io ad aver reagito male per... motivi miei, diciamo!"

Non approfondisco ulteriormente le mie motivazioni, non sono né in vena né in forze.

"Per lui è stato già tanto così, credimi... - commenta ancora Milo, dopo un lungo sospiro - Marta, non gli sto dando delle scusanti, anzi è comprensibile che tu ti sia spaventata, però... però voglio che tu sappia che anche lui ne è rimasto terrorizzato. Non avrebbe mai voluto, tanto meno con te!"

Neanche lui sembra volersi spiegare più di così e, in fondo, mi sta bene.

"Sono io che ho fatto quel movimento brusco, finendo per sbattere contro il muro, la colpa è stata mia." dico ancora, alzandomi nervosamente in piedi senza però smettere di osservare Camus.

Non riesco a distogliere l'attenzione dai movimenti faticosi del suo petto, rassomiglianti in tutto e per tutto a quelli di un palloncino in cui ci si soffia aria dentro. Di fronte a tutto questo, mi sembra così stupido quello che ho fatto, il nostro litigio, l'averlo insultato, l'aver alzato il tono a quel modo. Ora vorrei solo urlargli di non arrendersi, scrollarlo, supplicargli di reagire... vorrei fare uscire la mia voce, ma non ci riesco. Mi sento così male per lui, per le condizioni in cui si trova. Ho... tanta paura!

"Camus era sconvolto a sua volta, non sapeva più come raggiungerti, ha anche pensato di lasciarti stare un po' da sola, ma poi abbiamo avvertito il cosmo del nemico vicino a te, troppo."

"Il nemico, già... esiste per davvero!" biascico, più per autoconvincimento che non per altro.

"Sì, non sapevamo ancora di chi si trattasse con certezza. Camus mi ha detto di chiamare i rinforzi, io mi sono offerto di accompagnarlo, ma lui si è opposto, rassicurandomi che ci avrebbe pensato lui. - stringe di riflesso la mano destra dell'amico - Se solo lo avessi seguito, se solo non avessi assecondato il suo volere come già successo in passato, a quest'ora lui non..."

Deve fermarsi anche lui, il dolore e l'impotenza sono troppi. Lo vedo alzare il capo per poi guardare sconsolato tutti i macchinari che tengono in vita 'l'altra parte della sua anima', prima di sollevargli maldestramente la mano quanto basta per pigiarsela un poco sulla fronte.

Che bel gesto, di primo acchito non lo avrei mai immaginato capace di così tanto, emoziona al solo vedersi!

"Perdonami, Camus, non ci sono mai quando avresti bisogno di me!"

"E invece ci sei, proprio ora e proprio qui. Lo stai aiutando." gli sorrido, sinceramente commossa, mentre lui mi regala un'occhiata stupita.

"Sei un bravo ragazzo, Milo, sono felice che Camus abbia un migliore amico come te!" aggiungo, tornando lentamente a sedermi per poi appoggiare stancamente il viso tra le lenzuola bianche del letto e rimanerci per dei secondi che mi paiono lunghissimi.

"Marta... - Milo deve essersi alzato in piedi per sporgersi verso di me, avverto distintamente una delle sue mani carezzarmi i capelli - Ne vieni da un'esperienza orribile, hai la guancia ancora gonfia e arrossata, forse dovresti..."

“NO, raccontami qualcosa del nemico, piuttoso, dimodoché la prossima volta sarò nettamente più preparata!- mi oppongo, rifiutandomi di cedere alla stanchezza con tutte le forze possibili. Mi impongo di sollevarmi quanto basta per rimanere in posizione seduta - Quell'essere con gli artigli affilati ha nominato Hades, il re degli Inferi, da quel che ho capito non è il solo. Ce ne sono altri contro di noi, vero?” mi esce un tono allarmato, non riesco a mascherarlo.

"Dimodoché... - ripete lui, non mascherando un certo risolilo tra sé e sé - Hai uno strano modo di parlare, anche questo non dovrebbe stupirmi, pfff!"

"Puoi... dirmi qualcosa?" ritento, speranzosa.

"Posso, sì, aspetta solo un attimo." mi dice, prima di accompagnare giù il braccio di Camus, spostargli uno dei fili che, nel mentre, gli si è attorcigliato sul polso, e rimboccargli il lenzuolo in maniera tale che gli rimanga almeno coperto l'addome.

“E’ così come tu dici, Marta. - riprende, franco - Ci sono altri nemici, ma noi abbiamo riconosciuto mmediatamente il cosmo di Hades poiché lo conoscevamo già.”

Distolgo per un attimo lo sguardo, concentrandomi sulle pareti bianche della stanza. Ricordo ancora le parole di Camus durante il combattimento. Non c'era stato alcun bisogno di chiedere al nemico, lui sapeva già perfettamente chi c'era dietro quell'attacco, ed era anche già pienamente consapevole che c'erano altri nemici. Dunque, senza ombra di dubbio, i Cavalieri d'Oro hanno già affrontato Hades in passato, ma come e quando?!

Le divinità greche... non sono Cristiana, ma non mi è mai passato per l'anticamera del cervello che potessero esistere per davvero. I loro miti mi hanno sempre affascinata, ne ho studiati a iosa, mi sono fatta comprare numerosi libri dai nonni, ma mai, MAI, avrei pensato potessero esistere nella realtà!

“Come fate a conoscerlo già?” gli domando, seria, sforzandomi di rigettare indietro tutti gli altri dubbi sulla loro effettiva esistenza.

“E’ una storia molto lunga, capisco che per te, nata e cresciuta altrove, possa risultare di difficile concepimento."

"Lo è. - confermo nervosa, tornando sul volto di Camus, che mi da coraggio senza saperlo - Però ormai non so più a cosa credere, fino a ieri dubitavo anche di voi, dei vostri racconti, ora invece, dopo quello che GLI è successo..." taccio, non riuscendo più a proseguire. Milo rispetta il mio volere e continua il discorso precedente.

"Devi sapere che, fin dalla sua nascita direttamente dalla testa di Zeus, alla dea Atena è stata affidata la custodia delle umane genti. Non è solo patrona della città di Atene, dove sorge il Santuario, ma anche e soprattutto questo."

"Sì, ricordo. Vinse una diatriba con Poseidone per diventare tale. Gli Ateniesi scelsero i suoi doni e non quelli del dio dei Mari. - rimugino, pensierosa, fissandolo partecipe - Ma non sapevo che avesse anche la carica di protettrice dell'umanità!"

"E' dea della giustizia, sì, e ogni volta che il cosmo di Hades, o di altre divinità nemiche, si risveglia per cercare di dominare il mondo, lei...”

"Dominare il mondo?!"

"Precisamente."

“E Hades che diavolo se ne fa del mondo?! Non ha già l'Oltretomba?! I tre fratelli non si erano divisi equamente le proprie ripartizioni?! Zeus il cielo e le terre emerse, Poseidone il mare e gli oceani, Hades, appunto, il Regno dei Morti?!"

"L'ambizione, cara Marta, non è propria solo degli uomini, ma anche delle divinità."

Abbasso lo sguardo, capendo appieno. Viene spesso ripetuto anche nei libri che le divinità greche sono suscettibili alle stesse cupidigie degli uomini, nonché vittime a loro volta delle emozioni. A quanto pare, non sono poi così diverse da come descritte nella mitologia.

"E le mie amiche ed io che c'entriamo, allora?! Perché Hades ci vuole in suo possesso?!”

“Non abbiamo ancora capito perché vi brami così tanto, né chi siano i suoi alleati, ma è sicuro che voglia conquistare il mondo... di nuovo!”

Conquistare il mondo... Milo vuole dirmi che in tutti questi secoli il dio degli Inferi ha tentato di espropriare il territorio a Zeus e che, incuranti di tutto, noi uomini siamo riusciti a fare le nostre belle vite, moltiplicandoci ad oltranza, solo perché la dea Atena si è opposta al suo volere?! E poi ancora, anche altre divinità di altre civiltà esistono? Oppure no? Non so, il Pantheon Azteco, Maya e via dicendo?!

Nonostante la mia sospensione dell'incredulità, mi sembra tutto molto difficile da credere...

“Hai usato più volte il termine 'di nuovo', ho quindi capito che lo avete già affrontato e che, per voi, insomma, è un po' il vostro pane quotidiano... - riprendo la questione precedente, non avendo ancora ricevuto una risposta esauriente alla mia voglia di sapere - Ma la domanda mi rimane: come è possibile?"

“Ogni due secoli e mezzo circa, Hades si risveglia con l'obiettivo di sconfiggere la dea Atena. - mi accontenta, placido, prima di indovinare dietro il mio sguardo basito l'arrivo di una nuova domanda e continuare - So cosa mi stai per chiedere... No, non siamo immortali e non siamo sempre stati noi ad affrontarlo, non proprio." si gratta la testa, imbarazzato. Sembra sul punto di concedermi una qualche spiegazione in più, ma si trattiene all'ultimo, tornando sul binario centrale dell'argomento.

"In quest’epoca, però, c’è già stata una guerra contro di lui, nel 2010, e lo abbiamo sconfitto, per questo lo conosciamo."

"Cioè si è risvegliato in un intervallo di appena un anno anziché di due secoli e mezzo?! Com'è potuto succedere?!" completo al posto suo, del tutto incredula e costernata.

"E' così e purtroppo non ne conosciamo la ragione. - socchiude un poco gli occhi, respirando più pesantemente per qualche secondo - Sappiamo solo che è interessato in qualche modo a voi, a te, Francesca, Michela e Sonia."

"A noi!" esclamo, quasi come presa d'atto.

Quando sono venuto a prendervi all'hotel, era perché avevo avuto ordini diretti di agire e bloccarvi. Quel richiamo era per voi, per avervi tra le sue mani. Per questo vi abbiamo portate qui al Santuario, in un luogo decisamente più sicuro. Sonia vi era già, ma voi... rischiavate grosso a rimanere là fuori!"

Increspo le rabbia a metà strada tra il frastornamento e, ancora una volta, lo scetticismo. Non saprei bene definire l'espressione che si è dipinta sul mio volto.

E' ancora assurdo, d'accordo, ma ha già più senso, adesso. Ricordo infatti le parole dell'essere unghiato, il suo non volermi uccidere, il suo servigli viva, il suo... una fitta improvvisa di bruciore mi investe la guancia, obbligandomi a massaggiarmela.

"Che succede? Ti fa male?"

"N-non è niente, è solo indolenzita. Del resto il nemico..." ma mi blocco, rendendomi conto, in maniera netta, di un contrasto a cui non avevo dato adito. Non subito.

"Il nemico..?" mi sprona a continuare a parlare Milo, ma ormai io sono persa, lontana, gli occhi sgranati in direzione della finestra. Ricordo bene gli ultimi istanti prima che Camus rimanesse gravemente ferito.

Se il nemico non mi avesse voluto uccidere, perché poi, alle strette, si è proiettato verso di me, dichiarando che mi avrebbe portato con sé a tutti i costi, alludendo alle sue intenzioni di ammazzarmi?! E perché, una volta comparso a pochissima distanza da me quasi in un 'puff' istantaneo, invece di trafiggermi subito il petto da parte a parte (che avrebbe potuto benissimo riuscirci, stante la mia NON reazione!), si è limitato a darmi un colpo netto alla guancia e solo POI ad utilizzare gli artigli?!

Come se stesse aspettando... la reazione di Camus stesso!

"N-no... no!" biascico, massaggiandomi la tempia destra, un fremito mi sconvolge il petto.

"Ehi! - Milo sbatte ripetutamente le palpebre, si è alzato, mi è venuto appresso, e ora mi tiene per una spalla, la sua mano mi avvolge con premura - Che ti succede? Stai di nuovo male per la trasfusione? Sei impallidita improvvisamente!

"M-Milo, c'è qualcosa che non va..." sussurro, gli occhi vitrei, posandogli la mano opposta sopra alla sua, come alla ricerca di un contatto.

"Lo vedo che c'è qualcosa che non va! Per conto mio, hai richiesto troppo alle tue forze. Sei al limite di un collasso e... mia dea, se mi sbatti a terra un'altra volta come prima, Camus, appena ripresosi anche solo parzialmente, viene ad ammazzare me! Dammi retta, vai a..."

"No, tu non capisci! - fermo il suo sproloquiare, che comunque comprendo solo per sommi capi - E' proprio Camus il problema!"

"Camus?"

"S-sì! - annuisco, prima di alzarmi, traballante, sulle mie gambe - Il nemico, in un primo momento, aveva asserito..."

Vorrei proseguire in un discorso che mi preme, ma il cigolare della porta, unito allo sbucare di una sagoma parzialmente piegata in avanti, blocca ogni cosa sul nascere. Silenzio. Milo ed io ci guardiamo, LO guardiamo. Lui esita, mordendosi il labbro inferiore. Non incrocia il nostro sguardo, ma è lui il primo a parlare.

“Ah, siete qui... dovevo immaginarlo!” mormora Death Mask, il Cavaliere di Cancer, in tono ambiguo. Sembra incerto sul da farsi, titubante, poi decide di andarsene senza aggiungere nient'altro.

Milo, parzialmente alzatosi nella sorpresa di vederlo, torna traballante a sedersi, come se fosse stordito: "Ho avuto le traveggole, o..?"

"No, era veramente Death Mask!" asserisco, stupita quanto lui, buttando un occhio alla porta rimasta semi-aperta.

Lo Scorpione guarda nervosamente il viso di Camus come alla ricerca di conferme che ovviamente non gli può dare, lo sento tremare un poco, mentre deve sforzarsi di bilanciarsi per evitare di cadere dalla sedia: "N-non ho idea di cosa voglia da lui, Marta, non... - mi dice in un respiro di tempo, prima di puntellare le gambe nell'intenzione di darsi la spinta - F-forse è meglio se vado..."

"No! - lo blocco, lo sguardo determinato, posandogli entrambe le mani sulle spalle per indicargli di rimanere - Resta con Camus, vado io!"

"M-ma..."

"Vado io, ho un conto in sospeso con lui - confermo, dandogli già le spalle - Tu resta con Camus, ha bisogno di te!" gli dico ancora, uscendo subito dalla stanza.

Sono spinta più dall'istinto che dal raziocinio, di questo me ne rendo conto. E' partito tutto da qui, da io che ho dato adito alle sue parole. Non posso perdonarmelo, proprio per questo devo fare qualcosa ora.

Mi chiudo la porta dietro di me, guardandomi intorno nella speranza di scorgerlo.

Intravedo appena la sua figura entrare in sala d’attesa e probabilmente passare oltre. Lo seguo di corsa, nonostante la spossatezza e i passi malfermi. Mi fermo un attimo dall'ingresso per riprendere fiato e immediatamente scorgo il sussulto inevitabile di tutti i presenti, allarmati dalla mia presenza. Non dovrei avere il tempo di fermarmi a spiegare, altrimenti quello là rischia di andarsene dall'ospedale senza che io riesca a parlarci, ma mi sento in dovere di tentare di tranquillizzarli.

Ci sono Michela, Sonia, Francesca e Hyoga, che quasi trema e a stento si regge sulle sue gambe, nessun Cavaliere d'Oro in circolazione, a parte ovviamente Cancer che è andato dritto.

“Marta... – Francesca è la più veloce ad intervenire, si avvicina me – Che succede?”

"Nulla. Al momento è stabile nella sua gravità. Milo è con lui, non lo lascia un attimo." le spiego, con affanno, cercando di dare un'occhiata di rassicurazione a Hyoga, che per tutta risposta si lascia andare con la schiena contro la parete. Poverino... non ne può più, mi spiace di non poterlo sostenere, anzi, di essere direttamente causa del suo travaglio.

"Uff, che paura ci hai fatto avere! - anche Michela prende un profondo respiro, posandosi una mano sul prosperoso petto prima di darmi una patta amichevole sulle spalle - Non sbucartene così con quell'espressione, temevamo il peggio!"

Non sto in piedi che a stento, non so in effetti come faccia a non perdere l'equilibrio a seguito del suo gesto, ma le sorrido speranzosa.

“Ho visto Death Mask passare, ne sapete niente?” chiedo di riflesso, guardandole una ad una.

"Neanche noi ce lo aspettavamo qui, in tutta sincerità. Aveva lo sguardo rabbuiato, ha chiesto dove fosse il... bagno. - mi risponde Sonia, aggrottando la sopracciglia - Poi senza nemmeno aspettare una risposta ha preso ed è andato oltre. Non sapevamo che dire o che fare, poi... è tornato subito indietro."

"Eeeeeeh, quando scappa scappa!" ammicca Michela, buttandola sul ridere.

"No, è venuto di là, da Camus... poi ha visto me e Milo e se ne è andato." spiego, oltrepassandole per dirigermi nella direzione che ha preso lui.

"COOOOOSAAAAAA???"

La loro incredulità è la mia, ma non posso più fermarmi.

"Devo parlargli, DEVO!" aggiungo, dando loro un ultimo sguardo di raccomandazione.

“Allora io vengo con te!”

"Fra, non..."

"Vengo con te senza storie. - tronca sul nascere ogni mio tentativo di protesta - Tu neanche ti reggi in piedi, tra un po' sbatti a terra, preferisco così."

Annuisco con un leggero sorriso di gratitudine, uscendo dall'altra entrata. Raggiungiamo quindi un secondo corridoio che porta in una sala d'attesa più grande, voltiamo istintivamente a destra e lo becchiamo, girato di spalle, intento a calciare una di quelle macchinette automatiche che erogano caffè e altre bevande calde.

"Pezza da culo... mi hai ciulato i soldi, figlia di puttana!" bercia, nervoso, assestando un colpo ancora più forte alla sventurata.

“Ehiiiii!!!” lo chiamo a viva voce, cercando di raggiungerlo.

"CHE PALLE!" impreca a denti stretti, provando nuovamente ad evadere dall'altra entrata, se Francesca, lesta, prevedendo le sue intenzioni, non si frapponesse tra lui e l'unica via di fuga plausibile.

"Non con questa fretta, Cavaliere di Cancer!"

A questo punto si ritrova bloccato, da una parte lei, dall'altra io che mi posiziono a forza in modo che mi dia retta.

“Casa diavolo volete?!” ci chiede, visibilmente all'angolo, inarcando un sopracciglio con fare strafottente.

"Parlare, null'altro. - mi faccio forza, bandendo le insicurezze - Ascoltami, per favore, Death M..."

"Io non parlo con i criceti!"

Non capisco subito la sua allusione, lo osservo confusa, prima di rammentarmi, grazie ad una fitta di dolore che provo nel tastarmela, che effettivamente la mia guancia sinistra è ancora gonfia, tanto da rassomigliare a quella del roditore in questione quando si ingolfa di semi di girasole.

Non ho comunque il tempo di reagire, perché Francesca, solitamente pacata e tranquilla al punto da sembrare che quasi nulla possa scalfirla, semplicemente esplode. Senza tante cerimonie, afferra Death Mask dal colletto della maglia, lo piglia così, pur essendo più bassa di lui, pur essendo nettamente meno muscolosa di corporatura, e gli fa compiere un giro di 90° per poi sbatterlo contro la parete vicina. Non ho il tempo di capire, ma l'urto e la vibrazione è tale che mi fa sussultare. L'intera struttura sembra tremare su sé stessa.

"Vuoi diventarlo anche tu un criceto, allora?! Da quale guancia vuoi che cominci?! Poi vedi se fai ancora lo spaccone così, quando esci da qui con il volto tumefatto e il culo viola perché a quel punto ti avrò riempito pure di calci nel didietro!" esclama, minacciandolo, neanche tanto poco velatamente, di prenderlo a cazzotti nelle gengive per poi passare altrove.

"F-Fra..." sono sbalordita, quasi boccheggio dallo sconvolgimento, non essendo abituata a vederla così.

Nonostante il contropiede, la lingua di Death Mask non è affatto rinfoderata. Dopo un iniziale smarrimento, cerca di recuperare terreno, guardandola con spregio per poi tentare di ribaltare la sua posizione.

"Ma chi sei?! Ma che cazzo vuoi da m..."

Niente, il suo tentativo di ribellarsi non da i suoi frutti; lo vedo, sì, tentare di far leva contro il muro per opporsi a lei, ma la sua controffensiva si spezza, perché la mia amica, incredibilmente, lo blocca ancora di più nella posizione in cui si trova. Sono sempre più sbalordita.

Il tanto temuto Cancer, del quale perfino il Maestro Camus ci aveva messo in guardia, del tutto sottomesso da... Francesca?! Che gli arriva a malapena allo sterno?!

"C-chi sei?! - stavolta il tono di Death Mask si è fatto ben meno spavando, prima di ripetere anche la domanda precedente - Che cosa vuoi... da me?!"

“C’è bisogno di chiederlo?! Risposte! Il Maestro Camus versa in queste condizioni per causa tua! E' per colpa tua... che è accaduto tutto questo!"

Un fremito, un’ombra rapida, passa negli occhi di Death Mask. Ne leggo un velato senso di colpa, un rimorso che, stante il soggetto, mi meraviglia ancora di più. Possibile? Adesso voglio capire.

“Francesca, calmati... - provo a rabbonire la mia amica, al contempo tento un passo nella sua direzione - che è successo per renderti così?"

“Ieri mattina sul tardi il Santuario era in fermento, non ne capivamo il motivo. Tu non c'eri, il Maestro Camus nemmeno. Avevamo... avevamo una strana sensazione, abbiamo temuto che fossi in pericolo." mi spiega lei, sempre trattenendo il Cavaliere di Cancer contro il muro, abbassando di un poco lo sguardo.

Ingoio a vuoto, in attesa che prosegua. So a cosa stiamo andando incontro.

"Ad un certo punto si è presentato a noi il Cavalieri dei Pesci, Aphrodite. Era refrattario a parlare, a spiegarci cosa fosse effettivamente accaduto, lo abbiamo dovuto incalzare. - prosegue, fremendo un poco, prima di essere nuovamente scossa da un'ondata di foga e tornare a premere con più intensità il collo di Death Mask che, quasi come un bambolotto, subisce senza più opporsi - Alle nostre domande, del resto, rispondeva per sommi capi e di sfuggita, ma era stato incaricato dal Grande Sacerdote di occuparsi di noi, non poteva evitare all'infinito il nocciolo della questione..."

"Il nocciolo della questione?" ripeto, come frastornata.

"Esatto. Non era possibile che tu fossi scappata, così su due piedi, dall'undicesima casa, senza una ragione, senza nemmeno una motivazione. Messo alle strette, non ha potuto far altro che raccontarci di quello che era successo il giorno prima tra te e questo essere."

"Fra..."

"E' stata colpa sua. - ringhia, rancorosa, premendo ancora di più il Cavaliere di Cancer contro il muro, senza che comunque questo opponga resistenza o dia comunque segno di volerlo fare. Non più. - Per causa sua, tu e Camus avete finito per discutere, tu sei scappata, e ora il maestro sta combattendo tra la vita e la morte!”

"Meh. - ho detto che Cancer non si oppone più fisicamente, ma non è del tutto domato, non a parole, almeno. Riapre gli occhi con uno sbuffo - Ma che bella deduzione trascendentale, degna di una delle allieve del ghiacciolo, non c'è che dire! Quindi la colpa sarebbe solo mia, nonostante sia questa ragazzina-criceto a... argh!"

Ma, ancora, non ha il tempo di finire, perché Francesca, in un nuovo impeto di rabbia, gli calpesta il piede sinistro con il suo destro: "TACI, verme! Pensa a strisciare fuori da questo luogo, piuttosto, perché ti si addice nettamente di più!"

L'astio della mia amica nei confronti del Cavaliere di Cancer mi spaventa non poco. Non c'è più alcun movimento tra loro, non dopo quello di poco fa, ma l'aria pare vibrare come si apprestasse a scoppiare. Per un solo secondo, più di prima, ho come la sensazione di trovarmi davanti un cosmo di proporzioni inaudite.

"Tu... tu non sei una ragazzina qualunque! - anche Death Mask che, fino all'ultimo, ha cercato di mascherare il suo turabamento, pare ora quasi spaventato - Dimmi chi sei veramente, perché non è proprio possibile che..."

"Le domande sono io qui a farle, non certo..."

“BASTA, FRA!"

La situazione si blocca prima di compiersi, Death Mask con la bocca aperta e gli occhi sgranati, Francesca, cedevole alla rabbia nell'atto di colpirlo con un vero e proprio pugno, ed io nel mezzo, a trattenerle da una parte la mano chiusa a pugno, e dall'altra il braccio che tiene ancora il Cavaliere di Cancer. Strizzo gli occhi, biascicando un poco con la bocca nel ricercare le parole.

"Quel pugno, se glielo vuoi dare, non ti fermerò. - le dico, riaprendo faticosamente le palpebre - Se però mi giuri che il secondo lo riseverai per me!"

"Marta, che castronerie stai..?!" esclama, incredula, vacillando.

"Se conosci tutta la storia, dovresti anche sapere che lui c’entra solo in minima parte: il secondo pugno riservalo a me!” le ripeto, stavolta nettamente più decisa.

"NO, non potrei mai!"

"Sono io la maggior colpevole in questa faccenda. Non te lo sto chiedendo come favore personale, ma come atto dovuto!"

Francesca mi rivolge una sguardo, se possibile, ancora più sorpreso, mentre molla automaticamente la presa su Death Mask e compie un passo indietro.

“Cosa diavolo dici, Marta?! E’ lui che ti ha detto quelle cose, ha voluto deliberatamente metterti contro il Maestro!”

“E infatti sono io ad averlo ascoltata, perché non mi sono fidata di Camus! Se solo non fossi scappata lui non mi avrebbe inseguito e non mi avrebbe dovuto fare da scudo per salvarmi la vita... è ferito gravemente per colpa mia!!!” termino di dire, mentre il mio tono si strozza e le mie gambe prendono a tremare come un budino peggio di prima.

Affogo il blocco dentro la mia gola, riportandolo forzatamente giù nel rifiuto categorico di piangere: "Per questo ti chiedo... il primo a lui, se proprio devi, ma il secondo a..."

"No. - risponde semplicemente Francesca, in un soffio, sorreggendomi dolcemente, prima, e abbracciandomi, dopo. E' nuovamente tornata cheta come al solito, ciò mi rassicura - Non lo farò."

"Perché non vuoi dare, poi, un pugno a me?" le chiedo, lasciandomi coccolare.

"Perché, per me, non sei responsabile al pari di lui, e perché... hai già espiato, donandogli il tuo sangue."

"M-ma..."

“Certamente se tu non fossi corsa via Camus non ti avrebbe seguito e non si sarebbe ferito così gravemente per te, di questo ti do atto, però... nella tua situazione, in un mondo sconosciuto in cui ti sei trovata, cos'altro potevi fare? Eri ancora sonvolta dagli ultimi avvenimenti, in cerca di risposte, e quelle che ti sono state date, beh... - torna brevemente a fissare Cancer con astio - Erano false e, ancora di più, dette al solo scopo di farti vacillare e metterti in urto con Camus.”

Rimango in silenzio ad ascoltarla, sentendomi quasi apparentemente più leggera, anche se sempre con quell'enorme peso incastrato nel petto da quando sono successi quei fatti drammatici. Anche Milo mi ha fatto capire qualcosa di simile, anche Milo mi ha perdonato, MALGRADO TUTTO, ed io...

...Io non riesco a perdonare me stessa, ancora più che Death Mask!

"Per cui... no. Se il prezzo per levare le mani su di lui è dover colpire anche te... non lo farò. Perché tu, più di ogni altro, ti sei già colpita duramente. Hai pagato per le tue azioni."

"Io... - non so bene cosa dire, la stringo con intensità, nascondendo il viso nella sua spalla - ...grazie!"

“Fate proprio venir da stomacare! - interviene Cancer con asprezza, senza nascondere il disgusto - Io me ne vado, amoreggiate pure quanto volete ma non in mia presenza, puah!" dice ancora, mettendosi le mani nelle tasche dei jeans per poi dirigersi verso la porta più vicina.

Francesca è sul punto di fermarlo un'altra volta con le brutte maniere, ma sono io a fermarla con un'occhiata indicativa. La ringrazio tacitamente per avermi sorretto prima, mentre, facendomi forza, mi raddrizzo.

“Puoi tornare quando vuoi. - gli dico, fermando inaspettatamente i suoi passi, mentre un leggero sorriso mi trapela fuori nell'istante in cui lui, sorpreso, si volta verso di me - Puoi venire quando vuoi, non c'è bisogno... che chiedi del bagno!"

“COME, criceto?! La ruota ti è girata male e scambi lucciole per lanterne?!” è la sua piccata risposta la prova che ho centrato il dialogo. Rafforzo il mio sorriso.

"Sentiti libero di venire a trovare Camus. - gli ripeto con pazienza, aggiungendo il complemento oggetto - Non posso dire che per lui sia un piacere, ma sono sicura che non sia nemmeno un problema!"

"Non hai capito... - bercia Death Mask, voltando anche il busto nella mia direzione e alzando le mani - Non mi frega!"

“Eppure anche tu sei preoccupato per Camus e anche tu ti senti in colpa... altrimenti non saresti venuto, giusto?!” affermo, guardandolo negli occhi e accorgendomi, altresì per la prima volta, che le sue iridi tendono al blu, pur con increspature diverse, come le mie e quelle del maestro. Questo, il fatto di averlo notato, proprio io che cerco sempre di non guardare gli occhi delle persone che conosco poco, mi stupisce sinceramente.

Da quando sono diventata capace di farlo?

“Non dire sciocchezze! Non mi importa di quel ghiacciolo e tanto meno di voi!"

"Quindi passavi di qui per caso e hai deciso di fare una capatina nell'ospedale?!" lo incalzo, avvicinandomi di un passo.

"No! Cioe sì, e... uuuuuuuh, ma che te ne frega, mocciosa?! Lasciami respirare!"

"Non vuoi che Camus muoia, volevi accertarti da te delle sue condizioni, quando le hai viste e conseguentemente hai visto me e Milo al suo capezzale, non hai retto la sua visione e hai tentato di allontanarti..."

"Stupida! Non mi frega nulla se Camus muore, al di là del disonore che porterebbe alle nostre schiere. Se tirerà le cuoia per una sciocchezza simile vorrà dire che semplicemente è un inetto e non merita di vivere!

"Stronzo! - ruggisce Francesca, sul punto di avventarcisi contro un'altra volta - L'inetto sarai..."

Ma sono nuovamente io a fermarla, alzando un poco il braccio sinistro per dirle di non interfenire. Death Mask, che si era tutto rizzato per il suo gesto, trae visibilmente un respiro di sollievo, ma quando i suoi occhi tornano nuovamente sui miei che si sono assottigliati per scrutarlo con spietatezza, sussulta visibilmente.

"Piantala di fare lo sborone, anche la mia pazienza ha un limite!" lo freddo, apparendo minacciosa.

"Che... che cosa siete, voi?! La Santa Inquisizione che è venuta per me?! Che volete dal sottoscritto?!" esclama lui, in tono difensivo.

"Bada! Io ti vorrei solo prendere a pedate nei coglioni, Cavaliere di Cancer, ringrazia Marta se mi sto trattenendo!"

“Sostieni che non ti importa se Camus muore, eppure sei giunto qua all'ospedale, perché? Lo voglio sapere, Death Mask!" proseguo ostinata io, tentando un altro passo nella sua direzione.

"O-ordini. Ordini dall'alto, io ne avrei fatto volentieri a meno!" riesce infine a trovare la scappattoia, ghignando.

"Non perché sei in cerca di redenzione?" lo pizzico sottile, inarcando un sopracciglio. Lui sbianca.

"C-che rendenzione?!"

"Per le colpe del tuo passato."

“Cos'è, mi vuoi psicanalizzare, mocciosa? Tu non sai NULLA del mio passato!” afferma ancora, un leggero tremito nella sua voce.

"Vero. Non ne so nulla."

"E allora non provarci nemmeno, sei solo patet..."

"Ma conosco quella tipologia di sguardo, di chi cerca possibilità di riscatto, di chi ha sperimentato il nero dell'Inferno e ha capito. Tardi, forse. Ma ha capito."

"..."

“Non è mai troppo tardi per capire, questo vuole essere il fulcro del mio discorso. - sottolineo, prima di essere io a dargli le spalle e allontanarmi, con tanto di Francesca che mi osserva sbalordita - Se desideri venire a trovare Camus, fallo senza troppi pensieri. La vita è di gran lunga troppo breve per esitare, quando il sipario cala e i giochi finiscono non restano altro che tenebre e rimpianti." dico ancora, franca, in un brivido.

Non volevo salire sul pulpito, non volevo parlare come se fossi sua madre, la verità è che, non so neanche perché, ma mi è venuto spontaneo. E' come se avessi letto le sfumature più profonde del suo vero io.

“Moccios... Marta!” mi chiama per la prima volta per nome il Cancer, portandomi a girare nuovamente la testa nella sua direzione in attesa che prosegua.

“Camus è un gatto attaccato ai coglioni, non te lo levi dalle palle neanche scrollandoti... - dice lui, criptico, forse un poco meno sostenuto di prima - Proprio per questo, stammi a sentire: non morirà per questa bazzeccola!”

Lo fisso, corrugando la fronte. Cosa dovrebbe essere questo, un tentativo di tenere alto il morale? O cosa?

"Proprio per questo stai pur certa che si risveglierà e, quando lo farà, digli... digli che ho bisogno di parlargli.

E senza aggiungere altro se ne va, le mani nelle tasche dei jeans, il suo passo un poco più certo di quando è entrato.

Francesca rimane ferma a fissare la direzione presa dal Cavaliere di Cancer, l'espressione un poco smarrita, prima di voltarsi verso me.

"Quindi... è veramente pentito?"

"S', Fra lo è. - biascico, prendendo momentaneamente posto su una sedia vicino alla macchinetta del caffè, perché mi è venuto un capogiro - L'ho capito guardandolo."

"E come? V-voglio dire, non sembrava... ehi, stai bene?!" esclama, allarmata, nel vedermi ciondolare in avanti e chiudere gli occhi.

"S-sì, sono solo... un po' stanca."

"Da quanto non ingerisci nulla? Aspetta, ti prendo una bella cioccolata calda, vedrai come ti tira su il morale, quella!"

Starei quasi per oppormi, perché non riesco a ingurgitare nulla da ieri, non ho appetito e, inoltre, la macchinetta potrebbe essere difettosa, visto che si è già mangiata i soldi di Death Mask, ma la mia amica più grande non vuole sentire ragioni, procede, inserendo un paio di monete per poi schiacciare il pulsante. Stavolta, dopo uno sbuffo, il marchingegno si attiva e un minuto dopo Francesca è già con due bei bicchierini fumanti tra le mani.

"Questa la offre Cancer. - esordisce, porgendomene uno dei due - Il disgraziato non si è accorto che i soldi messi erano rimasti comunque in memoria, bastava pazientare... beh, meglio per noi!"

Le regalo un debole sorriso, mentre lei si siede al mio fianco ed io prendo a fissare con insistenza il liquido marroncino all'interno del bicchierino. Mi gira lo stomaco, anche se l'odorino è invitante. Mi sforzo comunque di bagnare le labbra con la bevanda calda, mentre, lentamente, con brevi sorsi, deglutisco piano piano. E' davvero piacevole sentirla scendere in gola, forse avrei solo messo meno zucchero.

Francesca beve la sua con tranquillità, assaporandola, prima di farsi seria più di prima e tornare al discorso precedente.

"Dunque hai capito cosa celasse veramente quel Death Mask solo guardandolo... come hai fatto? Io non ci sono riuscita, leggevo solo menefregnismo e straffotenza in lui." mi spiega, tornando su me.

"Dallo sguardo." mi limito a dire, finendo a fatica la cioccolata calda per poi buttare il bicchierino nel cestino vicino.

"Che significa, Marta?"

"Gli occhi, molto spesso, dicono più di quel che sembra. Ho semplicemente riconosciuto quella tipologia di sguardo."

"Come?"

Sembra particolarmente insistente su questo, non ne capisco le ragioni, ma la accontento: "Mio nonno."

"Tuo nonno Dante?"

Annuisco, alzando il capo in direzione della luce, raccogliendo i pensieri prima di esprimerli: "Ricordi quell'estate che, curiosando in casa come ero solita fare, ho trovato una pistola?"

"Sì, lo rammento. Non sapevi cosa fosse, io sì, ti avevo infatti detto di lasciarla lì, ma tu niente, sei sempre stata molto testarda." sorride lei, momentaneamente persa nei ricordi.

"La pistola era ovviamente scarica, ma andai comunque da mio nonno a chiedere cosa fosse, e lui..." la mia voce si incrina un poco nell'esprimerlo, tremo.

"Ti diede una sberla, dicendoti di non impicciarti in cose non tue come fanno troppo spesso le donne." conclude per me lei, con uno sbuffo.

"Sì, è sempre stato un tipo un po' manesco, anche se con l'età si è molto addolcito. - confermo, con un sospiro - In ogni caso, dal basso della mia età, perché ero ancora una bambina, io capii solo la violenza di quel gesto, non mi ci soffermai, non mi importava, amavo e odiavo mio nonno allo stesso tempo, non mi perdonavo per quello e... non perdonavo lui per essere sempre così duro con me."

"..."

"Se lo avessi fatto, se lo avessi guardato, forse avrei capito."

"Ma eri troppo piccola per farlo." dice lei, comprensiva.

"Già. Più tardi, con la crescita, cominciai a comprendere più cose di lui, anche quella, SOPRATTUTTO quella."

"E cosa capisti?"

"Che quella pistola era l'inferno di mio nonno, era il suo modo per non perdonarsi, per ricordarsi per sempre delle sue azioni, un monito ad imperitura memoria."

Prendo una breve pausa, mi piego un poco su me stessa, osservo i miei piedi e il tessuto dei pantaloncini corti di jeans che Mu mi ha portato ieri, insieme ad una maglietta pulita a righe rosse, perché il peplo era sporco di sangue. Del sangue di Camus. Ho un fremito. Fa male parlare di mio nonno, ancora di più in una situazione simile. Perché ora lo capisco. Ed è tardi.

"Mio nonno è stato un Partigiano, il suo nome in codice era 'Freccia'. Quell'arma era la sua prima scelta, piccola e letale, veloce e quasi impossibile da scansare. - continuo la mia spiegazione, tornando a fissare dritto davanti a me - Lo venni a sapere solo dopo i dieci anni, perché lui, in un momento di debolezza, me lo rivelò. Io ero abbagliata dai suoi racconti, cominciai a tempestarlo di domande. Ero curiosa. Volevo sapere."

"E lui rispondeva sempre ai tuoi quesiti? Avete ricreato un dialogo, giusto? Ricordo che dopo i 10 anni il vosto rapporto è di molto migliorato, rispetto all'infanzia." mi dice Francesca, stringendomi la mano per farmi forza nel continuare a parlare.

"Sì, mi rispondeva, parlavamo tantissimo. - tremo un poco nell'esprimerlo, gli occhi mi si fanno lucidi anche se le labbra sono sempre incurvate in un leggero sorriso - Solo ad una cosa non ha mai voluto rispondere."

"E sarebbe?"

"Se avesse mai ucciso qualcuno... con quell'arma."

A questo punto la bocca di Francesca si apre in una 'o' muta che impiega tempo per soffiare fuori le parole: "Vuoi forse dire che..?"

"Già... - confermo, lasciando cadere il discorso perché ormai credo che l'abbia compreso anche lei - E' per questa ragione che ho capito ciò che cercava di sottacere Death Mask. Il suo sguardo, quell'ombra negli occhi, quella smorfia sul suo volto... siamo umani, ci sono cose per le quali non ci perdoneremo mai, non importa dove ci condurrà la vita, non importa cos'altro faremo, le possibilità che troveremo sulla nostra strada. Bisogna semplicemente imparare a conviverci." affermo, sentendomi particolarmente presa in causa dal mio discorso. Mi pizzicano gli occhi, me li sfrego con stizza.

Francesca rimane in silenzio ad osservare anche le sue, di gambe, coperte fino al ginocchio dal peplo, che come Michela e Sonia indossa ancora. Percepisco un qualche tipo di travaglio in lei, per un istante sembra nervosa, il suo corpo è rigido, al punto da farmi spaventare.

"Fra!" la provo a chiamare, stringendole il polso e finendo per farla sussultare.

"Hai ragione. - conferma solamente, lo sguardo sfuggente che si staglia all'altro angolo della stanza, lontano dal mio - Eccome, se hai ragione!"

 

*****

 

4 luglio 2011, mattina

 

Continuo a fissare il volto di Camus, nulla sembra cambiato in lui dopo la ferita subita da quel codardo, eccetto il fatto che, almeno da ieri sera, i medici hanno valutato di rimuovere il pesante respiratore endotracheale in favore di qualcosa di più leggero. Gli hanno quindi inserito le cannule nasali per aiutarlo nel processo, hanno aspettato per vedere i valori di ossigenazione, poi, assodato che potevano andare bene, hanno optato per mantenergli solo questo sussidio.

Dovrebbe essere un buon segno, ma continuano a non dirci niente, preferendo non darci false speranze. Sospiro pesantemente, facendo scorrere il mio sguardo sui lunghi fili che collegano il suo corpo ai macchinari. Dopotutto, lo so bene, un miglioramento poco prima del trapasso è normale e fisiologico, forse proprio per questo che c'è tutto questo silenzio intorno. Tremo con più forza.

La mia paura aumenta ogni secondo che passa e il mio cervello lavora sempre più febbrilmente, valutando ancora una volta l'eventualità che Camus possa non farcela. Ad un simile pensiero una stilettata mi colpisce violentemente il cuore, trasmettendomi un dolore ben vivido nella mia memoria: la sofferenza di una possibile perdita.

"Che succede, piccoletta?" mi chiede Milo, rimasto con me per tutto questo tempo. Mi accorgo di aver manifestato il mio terrore nella smorfia del mio viso e... non devo. Non proprio con lui qui che sta patendo quanto, se non più, di me.

Scrollo la testa, gli regalo un mezzo sorriso nel tentativo di rassicurarlo, prima che il mio sguardo venga catturato dalla bacinella d'acqua posta sul comodino: "Nulla. E' stato solo un capogiro."

"Gli hai donato tanto sangue, dovresti..."

Suppongo che voglia dire 'riposare', ma si blocca nella frase, del tutto catturato dai miei movimenti. Infatti mi sono rimessa in piedi per immergere il panno posto sul comodino nella bacinella d'acqua di fianco. Mi sono appena ricordata di una cosa che mi faceva mia madre quando stavo poco bene e avevo la febbre alta da piccola: le spugnature sul corpo.

Ora, di farle a Camus in questo stato, quando già è sotto antipiretici e infermiere più abili di me se ne stanno prendendo cura, non mi sembra proprio il caso, ma il suo volto così screpolato, preda di quella che a Genova chiamiamo 'arsura', mi da comunque la spinta ad agire. Ed è così che, sotto gli occhi attenti di Milo, comincio impacciatamente a tamponargli il viso con un fazzoletto, concentrandomi per la maggior parte sulle zone più erose dall'apparecchio infernale quali il solco del naso, gli angoli della bocca e, in ultimo, la fronte per dargli un po' di refrigerio. Attendo un attimo, lo imbevo nuovamente, per passare poi al collo, permettendomi di alzargli un poco il viso e tamponare anche lì, perché ha davvero la pelle secchissima.

"V-va meglio ora, e andrà sempre meglio da ora in poi, Camus... coraggio!" gli sussurro, tenue, posando nuovamente il panno sul comodino. Nemmeno io sono convinta di quel che dico, ho paura, ma devo fargli forza.

"Grazie per tutte le premure che gli riservi, grazie davvero... Marta!"

Il tono strasciato di Milo mi colpisce, fermandomi un attimo dal mio operato. Mi accorgo di essermi avvicinata a Camus senza che quasi la volontà ne abbia preso parte, la mia mano gli ha maldestratamente sollevato i ciuffi di capelli che gli ricadono sulla fronte, come a volerlo accarezzare. Arrossisco di netto: ho osato davvero troppo!

"Scu-scusami, n-non volevo, è che..."

"Sei stata guidata dal cuore, è molto bello questo. Non vergognartene, Marta!" mi rassicura lui, il sorriso tirato, tornando al volto del suo migliore amico.

"Milo, non hai chiuso occhio in questi due giorni, per tenergli la mano... - mormoro, abbassando il mio sguardo fino ad incrociare le sue dita, ancora intente a stringere quelle immobili di Camus - Non ti sei permesso di staccare neanche per un secondo. Non sono io quella che dovrebbe riposare..."

"Sto bene, non ti preoccupare. - si sfrega gli occhi con l'altro braccio nel tentativo di scacciare la stanchezza - Ah, piuttosto, in questi giorni ti ho tempestato di ricordi miei e di Camus ma mi sono reso conto che non ti ho parlato della cosa più importante, l'inizio, come ci siamo conosciuti."

Lo guardo. Capisco che è stanco, stravolto, ma non cede. Non vorrei che si sforzasse così tanto, ma capisco altresì che necessita di qualcuno con cui condividere il proprio fardello. Sospiro lungamente, prima di sorridergli raggiante, malgrado il mio stato emotivo sia a terra. So che ne ha bisogno.

"Vai. Sono tutta orecchie!" lo incito, riprendendo posto a sedere.

“Devi sapere che sia io che lui facevamo parte del gruppo dei 'piccoli', di quelli che cioé, per età, sono arrivati dopo al Santuario e pertanto venivano seguiti dai più grandi. Lui addirittura è stato l'ultimo a giungere qui."

"O-ok, quindi, se ho ben compreso, una sorta di sottogruppo che racchiudeva i mignon."

"Sì, esatto, tutti coloro che sono nati nel 1989. Ne facevano parte, oltre a noi due, Mu, Aldebaran, Aiolia e Shaka - mi spiega pazientemente, sorridendomi con calore - Camus era il più grande dei piccoli, perché è nato a febbraio, io, essendo di novembre, il più piccino."

"Un pulcino, praticamente!" commento, genuinamente interessata, facendomi sempre più attenta.

Lui annuisce ancora, mi guarda negli occhi, ed io non mi ritraggo, perché mi piace la luce che emana: "Dicevo... Camus è arrivato per ultimo qui al Santuario, ferito e arruffato."

"COME, ferito?!" non riesco a non trattenere una esclamazione, mi rizzo seduta stante.

"Non ne siamo venuti ancora a capo, non sappiamo perché lo fosse, né chi gli avesse fatto del male."

Taccio. Osservo il viso assopito di Camus, la bocca semi-aperta, gli occhi scavati. Istintivamente gli sfioro il braccio vicino, pur non riuscendo a prendergli la mano, mentre una gelida rabbia mi investe: chi può aver osato ciò?!

"Quella stessa sera, Mu, il primo ad essergli stato presentato, ci dice che il suo maestro, il Grande Sacerdote di cui ti dicevo, aveva portato con sé al Tempio questo bimbo corrucciato che non parlava una sola parola di greco. Inutile dire che io volevo assolutamente conoscerlo, non potevo farne a meno, sono sempre stato socievole fin da piccolissimo."

"E lo hai incontrato? - gli chiedo, partecipe - Come è stato il vostro primo incontro?"

"Ecco, sì, con gli altri abbiamo organizzato una spedizione di benvenuto, siamo andati a trovarlo all'undicesima casa, dove era stato lasciato. Io avevo il cuore che mi rimbalzava in bocca dall'emozione."

"E..?" ormai anche io pendo dal suo racconto, gli occhi brillanti.

"Era lì a dormire per terra, nonostante il freddo di novembre, mentre stringeva a sé una misteriosa coperta. - prende una breve pausa, apre e chiude brevemente le palpebre - Era bellissimo, Marta!"

"Uh... ah, ahaha, ok, che cosa... che cosa un po' strana da dire, come prima impressione!" farfuglio, presa in contropiede dalla schiettezza con il quale esprime un concetto affatto facile da esporre.

"Era bellissimo nella sua fragilità. Piangeva e si lamentava nel sonno per qualcosa di non comprensibile per noi altri bambini, eppure la forza con la quale stringeva le manine sulla coperta era incommensurabile. Non... non riuscivo a resistere!"

E' intenso e ammirevole il modo in cui parla di lui, ne traspare un sentimento sincero e profondo che tuttavia, malgrado i miei dubbi iniziali, non riesco ad accostare al semplice amore. E' molto, molto, di più, è... congiunzione di anime!

"Tu fai conto... è una fredda notte di novembre, vedo questo bambino, forte, fragile e delicato al tempo stesso, lì, addormentato per terra, i capelli arruffati più di quanto non li abbia ora, le lacrime a fior di palpebre che tuttavia si rifiutava di mostrare, con indosso una semplice magliettina che gli scopriva parzialmente il pancino. La mia curiosità, già forte prima, salì istantaneamente alle stelle!"

"E... e poi lo hai svegliato? - chiedo, speranzosa, chinandomi un poco nella sua direzione - Vi siete presentati? Cosa hai fatto per diventare suo amico?"

"L'ho spogliato."

"Lo hai... COSA?!"

No, stavolta devo aver capito male io, non è proprio possibile che abbia detto 'spogliare', che roba è?! Strabuzzo gli occhi, e la mia espressione ha il potere quasi miracoloso di far ridacchiare un più che esausto Milo. E' un sollievo, ma ora deve spiegare per forza meglio, il discorso si sta facendo davvero... ambiguo!

"Ti ho detto poc'anzi che è giunto qui ferito, vero? Non sappiamo però da chi. - mi guarda, in attesa di una mia conferma, che avviene come cenno del capo - Ecco, aveva un brutto ematoma sul ventre, la posizione assunta per addormentarsi ci consentiva di intravederlo. E, nulla, io, sbagliando, gli alzai la maglietta, non curandomi che così mettevo a nudo per davvero la parte più fragile di sé. Ero un bambino. Dovevo sapere. Dovevo capire... chi avesse osato così tanto su di lui."

"E, scusa, lui?" domando, corrugando un poco la fronte.

"Oh, lui... quando vuole ha il sonno profondo. - e si ferma un attimo nel guardargli il viso pallido - Quando non vuole invece occorre un niente per svegliarlo."

"E quella volta?"

"Il mio gesto lo svegliò e... lo vedi questo?"

Mi indica la sua appendice nasale che noto avere una piccola gobbetta che senza essere indicata potrebbe facilmente passare inosservata, ma che ora che me l'ha fatto notare, è effettivamente una sua piccola imperfezione dai caratteri distintivi.

"Ecco, svegliatosi, per lo spavento, mi ruppe il setto nasale."

"OUCH!" non riesco a trattenere uno spasmo, nascondendomi per istinto il naso.

"Chiaramente dopo quell'incidente non volle avere a che fare con me per mesi. E' stata dura fare breccia nel suo cuore, del resto era anche molto timido, ma alla fine ci riuscii e ora siamo inseparabili.”

Abbasso lo sguardo. Riesco a capire perfettamente Milo, tanto che mi sembra quasi di rivedere la scena, un po' tenera un po' divertente, del loro primo incontro.

Solo ora mi accorgo di quanto realmente mi sia affezionata velocemente al maestro e di quanto tenga già a lui, sebbene sia passata, di fatto, solo una settimana dal nostro primo incontro. Non c'è una spiegazione logica, ma mi sembra di conoscerlo da una vita, avrei dovuto già capirlo quando, il primo giorno in cui ci siamo visti, mi sono messa a battibeccare con lui, cosa generalmente non da me, almeno con gli estranei.

Sorrido, guardo ancora una volta lo Scorpione, che ora sta accarezzando teneramente la mano del suo migliore amico, adagiandogliela poi comodamente di lato per poio trattenerla nella sua. Vorrei anche io essere come lui, non farmi problemi, ma... non ci riesco!

“Sai, sia io che Camus siamo cresciuti da allora e la nostra amicizia è diventata sempre più profonda, malgrado tutte le difficoltà... ora è come un fratello per me, anzi, è molto di più: lui ormai è parte integrante della mia stessa anima!” continua Milo, chiudendo dolorosamente gli occhi nell'aumentare la stretta su di lui.

"Lo avevi detto, sì. E lo capisco, credimi." annuisco, mentre i miei occhi si fanno scuri nel ricordare l'altro pezzo della mia, di anima, ormai andato perduto come lacrime nella pioggia.

"N-non è mera esagerazione, Marta, non so se mi intendi, io... lo sento, a-arf! - si deve trattenere, biascica un poco, nel mantenere il controllo della sua voce - L-lui è la persona più importante della mia intera e-esistenza, se... se dovesse morire, i-io... morirei con lui!"

Per la seconda volta dall'incidente, vedo delle vere e proprie lacrime scendere dai suoi occhi. Lui, sempre così gioviale e vivace, che invece cede al pianto, non riuscendo più a tollerare di vedere Camus ridotto di così, di brancolare nella paura di perderlo e smarrirlo per sempre.

Mi alzo istintivamente dalla sedia, compio il breve giro del letto, per abbracciarlo e fargli forza.

Fremo nel posare il mento sui suoi capelli violacei e ribelli, le mie braccia gli circondano naturalmente le spalle, le palpebre mi si chiudono. Lo stringo a me, senza pesargli, ancora una volta seguendo i sentimenti, ancora una volta guidata da un qualcosa più forte.

“Sono certa che anche lui provi lo stesso per te, me lo ha detto, sai? Anche tu... sei inestimabile!"

Altra breve pausa, a mia volta torno al suo volto distante, tangibile, ma incommensurabilmente pallido. Forza, devi reagire, Camus, anche e soprattutto per tuo fratello! Non puoi lasciarlo solo!

"Sono certa che si risveglierà... deve risvegliarsi! - affermo, risoluta, sforzandomi di essere positiva per lui, perché fino ad adesso è stato lo Scorpione a tenere alto il morale, ma sta cedendo, è stanco, ed è naturale che lo sia - Gli hanno tolto il respiratore ieri sera, hai visto? Sta lentamente migliorando..."

Milo esita un attimo, posa la mano sul mio braccio, mentre, con le dita, lentamente, mi tasta nei dintorni della fasciatura dove mi hanno inserito l'ago per prelevarmi il sangue. Solo in un secondo tempo, dopo aver fatto trapelare un singhiozzo, mi abbraccia a sua volta con un pizzico d'urgenza. La sua stretta è potente, quasi come un marinaio che si appiglia all'ultimo scoglio rimastogli per combattere contro i flutti del mare.

“Sei una persona speciale, Marta, in verità non ne sono affatto meravigliato! Grazie... grazie per la tua presenza qui, non saprei davvero come affrontare questa cosa se fossi da solo!”

"Per me è lo stesso. - biascico, imbarazzata, rendendomi conto che anche io sarei crollata, senza di lui - Mi hai fatto forza talmente tante volte, in questi giorni, davvero non immagini quante, ed io... semplicemente grazie, Milo!"

"Ti ho fatto forza... e ti ho terrorizzata più di quanto non lo fossi già. Non contento, ti ho fatto pure rischiare la vita!" asserisce, in poco più di un sibilo, rimproverandosi aspramente.

"Che dici? Tu non..."

"L'ho fatto, sì... - e mi passa il dito sulla fasciatura per indicarmi anche quando ciò, nella sua mente, sia successo - Ti ho spronato a donare più sangue di quanto lo consentiva il protocollo. Ero spaventato anche io, Marta, volevo che Camus si salvasse e non ho pensato che tu avresti potuto subirne le conseguenze più nefaste. Anzi, l'ho pensato... ma non mi importava, la verità è che quando ti sei offerta ho tirato un sospiro di sollievo, ho pensato che glielo dovevi, che era il minimo che potessi fare per lui. Imperdonabile, nevvero?"

"Milo..."

Vorrei dirgli che io ero la prima a desiderare di farlo, che posso capire benissimo i suoi sentimenti, che era arrabbiato e che aveva perfettamente ragione ad esserlo, ma mi limito a stringerlo ancora di più, tentando di confortarlo non a parole ma a gesti.

Rimaniamo così per un paio di minuti, poi mi stacco leggermente, tentando di sorridergli: "Ero io a volerlo fare!"

"Lo so, sei una piccoletta coraggiosa! - mi sorride lui, recuperando un po' di buonumore, passandomi poi una mano tra i capelli prima di alzarsi in piedi - E hai un grandissimo cuore!" aggiunge, alzandosi in piedi.

"Esci?"

"Sì, ho bisogno di un po' d'aria, qui dentro sto soffocando."

"Capisco." annuisco, prendendo automaticamente il posto lasciato libero da lui.

“Marta, vuoi provare a parlare con Camus?" mi dice ad un tratto, con naturalezza.

"Uh... cosa?"

"Parla a Camus. Sono sicuro che possa aiutarlo a superare questo momento così difficile.” mi ripete con un leggero sorriso, e stavolta non è più una proposta, bensì una affermazione.

Esito, fisso imbambolata la sua figura mentre la vedo allontanarsi da me con tutte le intenzioni di lasciarmi tesa e spaesata qui da sola. Fa davvero sul serio.

"E che gli dico?" chiedo, di vivo cuore, sentendomi immediatamente un'imbecille appena proferita la frase. Mi mordo nervosamente il labbro inferiore.

"Semplicemente ciò che senti." è la naturale risposta del Cavaliere di Scorpio, mentre, sempre avviato verso l'uscita, mi scocca un ultimo sorriso di incoraggiamento.

Ciò che sento... come se fosse così facile! Osservo il viso pallido di Camus, scendo al suo braccio destro adagiato sopra le lenzuola, un poco meno soggiogato dai macchinari rispetto al sinistro, ma comunque un campo minato di lividi che culminano nel saturimetro avvolto all'indice della stessa mano.

“Milo, pensi che... ridotto così... riesca a sentirmi?” gli chiedo, alzando per un attimo il capo nella sua direzione, quasi una tacita richiesta di rimanere con me. I suoi passi si arrestano. Torno automaticamente su Camus nel medesimo istante in cui ci si sofferma lui.

Il suo respiro si è fortunatamente regolarizzato, ma sembra ancora carico di pena e pesante, molto più della norma. Anche i battiti cardiaci sono stabili, eppure è ancora incosciente.

Mossa dal solito istinto di protezione, per quanto mi consenta la sua posizione semiseduta, gli tiro ancora un poco su le lenzuola fino all'altezza dello sterno.

“Ne sono più che certo, Marta! Vedi, Camus ha bisogno di sentire la tua voce, di percepire il tuo tocco sulla sua pelle. Sei molto importante per lui...” afferma ancora lo Scorpione, voltandosi, per poi aprire la porta e lasciare volutamente il discorso in sospeso. Cosa che io, però, non gli consento di fare.

“Perché? Mi conosce appena... - domando, confusa - Perché lo ha fatto, Milo? Tu sai rispondermi?"

Lo vedo irrigidirsi dalla porta, non si gira, non più, ma avverto un violento fremito percuoterlo.

Decido di insistere, stringendomi le mani sulle ginocchia: "Perché si è sacrificato fino a questo punto per me?"

"Non voglio essere io a rivelartelo, Marta, non sarebbe giusto nei suoi confronti."

"P-però..."

"Sarà lui a dirtelo quando si sentirà pronto. Ma tu parlagli, Marta, te ne prego. Ne ha... ne ha veramente bisogno! Tu puoi fare molto, piccola, per lui, non immagini neanche quanto. Io... lo so!” conclude poi, quasi con il magone, uscendo subito dopo.

Rimango così da sola nella stanza... io, il 'beep' dei macchinari e una persona che, pur presente fisicamente qui, si trova ad anni luce di distanza, smarrita in chissà quale dimensione separata dalla realtà. Nonostante ciò, decido comunque di fare un tentativo come suggerito da Milo. Ne avverto distintamente il bisogno.

"Cam... ahi!"

Il primo tentativo di avvicinamento alla sua mano termina con una leggera scossa. Sussulto per la tensione, prima di irrigidirmi e spaventarmi più per lui che per me. Fisso con insistenza il monitor nella paura che sia accaduto qualcosa. Non sembra esserci nulla di strano. Osservo il suo respiro. E' tale e quale a prima: non si è accorto di nulla. Butto fuori aria, tornando ad osservare con insistenza la sua mano, incasso le braccia tra le mie cosce: è ancora lì, ferma e immobile avanti a me.

Mi ci vogliono diverse manciate di secondi per fare il secondo, timido, tentativo. Stavolta riesco a toccargliela senza quella sorta di scintilla provata prima, gliela sollevo appena in modo da tenerla con una mano e accarezzargli delicatamente il dorso con il pollice come avevo già fatto subito dopo l'operazione di emergenza.

"Ca-mus, io... boof!" le parole mi muoiono in gola senza nemmeno provare ad uscire. Ringhio sommessamente tra me e me, prima di calmarmi. Mi sento molto sfiduciata.

Sono davvero ridicola! Dopo tutto ciò che gli ho fatto non sono nemmeno in grado di parlargli a cuore aperto, ora che lui è qua incosciente, che lotta tra la vita e la morte, e che è tanto, tanto, lontano. Forse non più raggiungibile...

"Sai, io... non... neanche io sono brava a gestire le parole e le emozioni, come te! - soffio in un sussurro, tra una apnea e l'altra, mettendomi quasi inconsciamente a ridacchiare nervosamente tra me e me a seguito della frase proferita - Sono un discreto impiastro anche io!" gli dico, ancora, tirando un poco la sua mano verso il mio petto.

Non un movimento da parte sua, né una reazione, ma il solo percepire la sua pelle calda tra le mie dita -ora anche la sinistra si è aggiunta a sorreggere la sua!- mi fa pizzicare gli occhi, mi commuove, dando così il via ai pensieri che si rincorrono dentro la mia mente.

“Da piccola ero un pelino meglio. Cioè, ho avuto sempre problemi, su quel versante, ma non ero il caso disperato che sono adesso, decisamente no! - mi confesso, sorridendo imbarazzata tra me e me, prima che il sorriso diventi automaticamente una smorfia di tristezza senza che la volontà ne prenda parte - Sai, mi sono successe un paio di cose, alcune anche relativamente recenti, che hanno cambiato il mio approccio alla vita.” prendo un profondo respiro, sollevando ancora un poco la sua mano destra per poterla sorreggere meglio tra le mie. Non so neanche bene perché, ma il dolce viso di mia nonna, il suo sorriso ricolmo di calore e speranza, mi accarezza la mente. Devo trattenere uno spasmo per il dolore, strizzo le palpebre, mentre mi piego ulteriormente su me stessa.

Lei, che viveva di sentimenti, che non aveva paura di celare la sua debolezza, né tanto meno le sue stesse emozioni; in un frangente simile saprebbe di certo cosa dire, saprebbe riscuoterlo, riuscirebbe a farsi sentire... lo so!

Ed io, che sono sua nipote, che non sono mai stata brava con i discorsi, né tanto meno con le parole, che, in fondo, non ho fatto altro che ereditare la tanto disprezzata corazza di mio nonno per resistere ai gorghi della vita... mi trovo qui, muta, tremante, attonita, davanti ad una persona che, senza la minima esitazione, ha dato TUTTO per me. E non so minimamente parlargli!

No! Voglio... voglio che le senta le mie parole, le mie emozioni, voglio che si aggrappi a qualcosa per non cedere. Voglio...

Non voglio perderlo!

Non voglio perderlo!

Non voglio perderti, Camus!

Porto la sua mano alla mia fronte, gliela trattengo lì, in uno spasmo. E finalmente le parole rompono lo scrigno in cui erano custodite.

"Uff, dicevo... sono una frana, in questo, penso proprio che tu te ne sia accorto, vero?! - ironizzo, cercando di alleggerire il tono. Do un'ultima occhiata al suo volto addormentato, prima di serrare le palpebre e proseguire - Mia... mia nonna era molto brava, invece. Mi ha insegnato molto ma, con la crescita, tutto è diventato più difficile. Non riuscivo più a gestire... tutto ciò che provavo! Il mio mondo si è come chiuso, avevo paura ad affacciarmi all'esterno, a provare le emozioni come mi accadeva prima, perché... mi avevano fatto tanto male! Dal mio guscio di paguro ogni tanto emergevo, ma per brevi periodi. La mia indole è sempre stata quella di nascondermi, sai, lasciandomi assorbire dalla mia interiorità per sopravvivere anche nel mondo reale e andare avanti. Patetico, non trovi?!"

Prendo una breve pausa, la stretta sulla sua mano aumenta di intensità. La sua pelle è ancora soffice e delicata, non sembra neanche poter appartenere ad un uomo. Sorrido, confortata. E' come se non mi sentissi più sola, è come se qualcuno mi pregasse di continuare a parlare senza fermarmi. E' così strano... e tiepido... questo tepore!

"Ma sai, Camus, sbagliavo, me lo hai ricordati tu. - gli dico, in un mezzo sospiro - Sì, tu!" sottolineo ancora, perché è importante che lo sappia.

Perché proprio lui, che conosco da così poco? E' solo perché mi ci sento affine, o... c'è dell'altro? Non lo so, non lo capisco. Non ancora. Ma ciò mi basta per continuare.

"La vita... mi sembra tutt'ora un treno in corsa diretto verso un'unica destinazione. Non importa quanto impiegherai ad arrivarci, in quante fermate sceglierai di sostare. Presto o tardi, arriverai alla fine. Non puoi evitarlo. Non posso evitarlo, anche se lo vorrei. - altra breve pausa, stavolta più amara. Sento il mio respiro farsi dispnoico - E, in fondo, ciò che è più terribile, è che su questo treno chiamato vita, non ho scelto IO di starci. Mi ci sono semplicemente ritrovata."

Silenzio, solo i rumori dei macchinari fanno da sottofondo al mio blaterare cose che non possono essere udite da nessuno ma che hanno trovato da sole la via per uscire. Sorrido ancora una volta tra me e me, inspiegabilmente. Continuo a parlare di morte ma voglio inneggiare la vita, perché è a questo che deve aggrapparsi lui. Ancora una volta è il viso di mia nonna a darmi la forza sufficiente per riuscirci.

"Ma sai, Camus, che in questo mondo ci siamo trovati per caso senza che la nostra coscienza abbia preso parte alla scelta... è proprio questo il miracolo dell'esistenza! - gli dico, mentre il mio tono si incrina un po' e il mio corpo sussulta, riottoso. Devo resistere ancora un po'. Devo. - Perché in questo mondo ci sei tu, ci sono io, c'è Milo, c'è Michela... viviamo, RESPIRIAMO, qui e ora. Perché in questo mondo nulla è scontato, neanche un giorno in più da vivere, eppure siamo esseri capaci di sperare in un domani migliore; perché questo è un mondo basato sulla crudeltà e la violenza, ma il semplice volo di una rondine può farti commuovere con un niente! Alla notte sussegue sempre la luce; dal ghiaccio dell'inverno fiorisce sempre la primavera, non importa quanto lunga sia la morsa del gelo, sai che arriverà, perché la vita è sempre più forte della morte. SEMPRE!"

Taccio per un'altra serie di secondi: anche io ho trovato finalmente la risposta, perfino io sono riuscita a trovarne il senso!

"Questo è ciò che voleva dirmi mia nonna, questo è ciò che ora io dico a te: vivi, c'è più di una ragione per farlo. VIVI! Per vedere il germoglio che diventa albero, per scoprire ancora una volta quanto possa essere rigenerante il sole che irradia i suoi raggi e riscalda i nostri visi, per accorgerti di quanto poco basterebbe per essere felici, forse giusto un po' d'acqua, un po' d'erba, il cielo azzurro e il tepore di una bella giornata ... i fiori lo sanno, si ergono speranzosi alla vita nonostante il freddo li bruci ogni anno. I fiori lo sanno... più di noi! - continuo, con naturalezza, sebbene mi si stia formando sempre di più un groppo in gola per l'intensità con cui sto vivendo tutto questo - E poi... vivi anche per chi ti ama, Camus, per il tuo migliore amico Milo che condivide l'altro frammento della tua anima, per il tuo pupillo Hyoga, che so essere come un figlio per te, nonostante vi passiate solo pochi anni, per... ah, a proposito, lo Scorpione è un chiacchierino invidiabile, non so se hai sentito qualcosa in questi giorni, ma ciancia un sacco soprattutto di te. Non la finiva più, mi ha raccontato un sacco di cose, alcune probabilmente neanche avresti voluto che le venissi a sapere, ma sai come è fatto e... ahahahaha-ha!" la mi risata nervosa si riduce in uno spasmo tumefatto. Scrollo la testa, sto divagando troppo e mi è sempre più difficile trattenermi. Prendo un profondo respiro, l'ennesimo, e mi ributto in apnea.

“So che non dovrei essere io ad arrogarmi il diritto di parlarti di queste cose, sei in queste condizioni per colpa mia... - sussurro, febbrile, umettandomi le labbra che sento secche come la gola - Sono stata una stupida! Ho creduto che a te non importasse niente di noi, rivolgendoti parole spietate, gremite di rancore, detestandoti, perfino, e tu... tu mi hai salvato la vita, nonostante tutto ciò che ti ho detto, nonostante tu mi conosca solo da pochi giorni. Mi dispiace... mi dispiace moltissimo per quello che ti ho fatto... subire... sigh, s-se solo potessi, vorrei cancellare tutto con un colpo di spugna, u-urf!” singhiozzo, prostrata, giunta praticamente al limite.

Io so che se proseguo esplodo, ma... voglio farlo, per lui!

"Vorrei che nulla di tutto questo fosse successo, v-vorrei tanto che stessi bene, Camus, vorrei avere il potere di guarirti, perché è annichilente vedere l'espressione spenta di Milo, il suo volto tirato, la paura che lo attanaglia quando il pensiero di perderti gli invade la mente. Non ce la fa più. E Hyoga... Hyoga probabilmente è anche peggio! Non viene qui dentro, non ce la fa, ma è sempre fuori, ti aspetta. Mu dice che dal giorno dell'incidente ha smesso di mangiare, ogni volta che mi vede uscire, poi, poverino, si ghiaccia nel terrore che io gli possa dare cattive notizie e... a-aspetta, s-solo u-un attimo, Camus... uuuuhUUU!"

Ho travalicato il limite, non ce la faccio davvero più.

“N-non ce la fanno più neanche loro, Camus, p-per cui... fallo per i tuoi amici, fallo anche per te, ma... REAGISCI, ti scongiuro, cough! Cough! - alzo il tono di voce fino a quasi strozzarmi. Di nuovo la tosse e le difficoltà a respirare no, che diamine! Non posso demordere. - Dimostra a tutti quanto sei forte, dimostralo! Io... te lo prometto, diventerò più forte per te, per proteggerti, sarai orgoglioso di me! E p-poi anco-ra ti giuro... n-non scapperò più da qui, non mi allontanerò più da te... mai più!!! ”

Voglio davvero stare al suo fianco con tutta me stessa, non so neanche perché, non so spiegarlo... che sia estrema gratitudine o qualcosa di ancora più caldo e potente non saprei definirlo, ma questo è il mio desiderio ora. Nient'altro!

"P-per favore, Ca-mus, ricominciamdo tutto d-daccapo, io e te!" dico, prima che una nuova crisi di pianto mi colga, irrefrenabile, impedendomi interamente di parlare.

Secondi e minuti passano, interminabili...

Il pianto mi frastorna, mi fa sgolare, tanto da ostruirmi la percezione di ogni altro tipo di suono, all'infuori di uno. L'elettrocardiogramma, infatti, prende a suonare con una frequenza diversa. Subito non sono in grado se pensarlo come un qualcosa di reale o come riflesso condizionato della mia mente.

Un nuovo suono, stavolta un cigolio, che diventa vero e proprio tremore, spasmo. Non capisco cosa sta succedendo, non...

...poi accade.

Qualcosa si muove per davvero, a malapena, certo, ma con una dolcezza infinita. Un indice e un medio che iniziano a giocherellare teneramente con la mia fronte e alcuni ciuffi di capelli, malgrado l'impedimento dato dal saturimetro. Un sospiro prolungato, lo sento distendersi. Lo fanno anche i miei muscoli, inconsapevolmente. Avverto il suo sguardo su me prima ancora della sua voce. Spalanco gli occhi al limite dell'umano possibile.

“Anf, Mar-ta, cough! Cough! Me... me lo prometti vera-mente?” la flebile, quanto roca, voce di Camus risuona debolmente nella stanza. Non è che un pigolio sommesso racchiuso in due balugini di blu che si sono appena schiuse per guardarmi, ma l'impatto sul mio cuore è pari solo all'avvento di una supernova.

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Capitolo 11
*** Un nuovo attacco ***


CAPITOLO 11

 

UN NUOVO ATTACCO

 

Secondi frenetici passano, senza che io abbia la possibilità di fare o pensare qualsiasi altra cosa che non sia abbassare meccanicamente le mani che tengono la sua. Tali secondi, ben presto, arrivano alle due cifre, continuano a susseguirsi e a scorrere, senza peraltro riuscire a farmi sbloccare. Devo fissarlo come si fissa un fantasma, o un miraggio insperato, non lo so, ma è tutto talmente ovattato da non farmi percepire nient'altro che il suo viso emaciato e quelle due pozze blu oltremare che sono i suoi occhi, ora un poco più aperti, rivolti nella mia direzione, anche se tremendamente stremati.

“M-maestro... Camus?” mormoro alla fine, sbattendo più volte le palpebre e boccheggiando.

No, non è un'illusione, è veramente sveglio e mi sta guardando, non è un sogno. Oh, dei del cielo, grazie!!!

“M-me lo... promet-ti veramente, anf? - mi chiede ancora, con una smorfia di dolore nel tentare di muoversi, sistemarsi meglio, senza rendersi conto che non può, perché è bloccato dalla testa ai piedi. Persevera. - L-la promes-sa che mi hai... cough, cough, appena... f-fatto, anf.”

Prova a raddrizzarsi, non ce la fa, ricade giù tra uno spasmo e l'altro, una smorfia di dolore gli segna il bel volto. Gli sfugge un ansito, il marchingegni attaccati al suo corpo prendono a suonare all'impazzata, spaventandomi e frastornandomi non poco. Balzo istintivamente in piedi per trattenerlo come riesco, abbracciandolo quasi d'impulso da quanto è veloce e disperata la mia azione. Gli sfugge un gemito che mi manda ancora di più nel panico.

"Camus, non muoverti! Non MUOVERTI! Sei... sei ancora in Terapia Intensiva. Calmati, calmati, ti prego!"

"I-in... Inten-si-va, anf?" ripete, affaticato, cercando di guardarsi intorno senza riuscirci perché gli mancano le forze. E' spaesato, forse non si ricorda neanche gli ultimi avvenimenti.

Gli liscio istintivamente i lunghi capelli per tranquillizzarlo. Sono in piedi e lo sto tenendo, sembra tanto piccolo e indifeso ora, forse più di prima, fa male il solo pensarlo così. Dopo qualche attimo lo avverto respirare con più calma, infine si acquieta, appoggiandosi a me, al mio petto. I macchinari tornano a produrre suoni nella norma ed io mi sgonfio come un palloncino.

"R-ricordo o-ra." gracchia, a fatica, riadagiandosi sul cuscino con un sospiro e consentendo a me di staccarmi da lui.

Chino il capo, tornando quindi a sedermi. Non riesco più a guardarlo, le mani chiuse a pugno tenute in grembo, il senso di colpa nuovamente vorace. Ora potrebbe dirmi di tutto e non mi opporrei, che sono una deficiente, che guarda dove si trova per causa mia, che la prossima volta mi arrangio perché non lo farà più di venirmi a salvare. E invece... invece sento il suo sguardo caldo su di me, il suo respiro apneico, ma presente, la sua mano che cerca di muoversi nella mia direzione, senza averne le forze. Meriterei freddezza, invece ciò che sento è solo tepore.

"Mi hai... spaven-tato a-a morte, Mar-ta!"

"Ebbene anche tu, pensavo di perderti, Maestro..."

"L-lo stesso, anf, p-per me."

"Hai avuto paura di perdermi?" chiedo conferma, stupita, alzando il capo nella sua direzione e arrossendo a seguito delle due parole.

"C-come potrei, anf, n-non... avercela avuta?" mi dice, serrando dolorosamente le palpebre. Ha alzato un po' il collo verso di me, ma lo sforzo è estenuante, dopo pochi secondi è costretto a ricadere sul cuscino. Ansima più di prima.

"Non ti sforzare! NON TI SFORZARE, CAMUS!" quasi urlo nel vederlo nuovamente agitarsi nel cercare di muoversi, gli occhi inequivocabilmente segnati.

Non so come prenderlo. Devo chiamare un medico? O Milo? Si saranno ben accorti che uno dei pazienti si è svegliato, no?! C-cosa faccio? Necessita di qualcuno che lo aiuti e lo accompagni nella delicatissima fase del risveglio.

Mi guardo nervosamente intorno, le mie gambe sono già pronte per azionarsi e avvertire quanto meno un'infermiera, lui però indovina i miei intenti, lo vedo scalmanarsi ancora di più, mentre, rantolando quasi, si oppone alle mie intenzioni, se non con il corpo che ne è impossibilitato, con le parole.

"N-no, anf, no! N-non... anco-ra."

"MA CAMUS!!!"

"O-ora v-vorrei solo parla-re, urgh, un po' con te, anf, anf, p-permettimelo!"

Non capisco se dica così perché ancora rintronato dai medicinali, o se davvero qualcosa, tra noi, è cambiato per sempre. Qualcosa è cambiato di certo, non posso dire di no, ma, per il momento, ciò che mi fa più tenerezza è il suo dare così tanta importanza a questo, al dialogo. Annuisco, soffocando dentro di me un singhiozzo per tramutarlo in un mezzo sorriso.

"Testardo più di un mulo sei, non avevo sbagliato il mio giudizio!" lo provoco allo scopo di sollecitarlo a reagire.

"P-posso dire lo stes-so, anf, di te... v-vai sempre per la tua, anf, strada!"

Ridacchio tra me e me, grattandomi la testa. Mi fa bene sentirlo parlare e so che fa bene anche a lui, perché le labbra gli si distendono, anche se a fatica, prima tuttavia di incurvarsi in giù.

"P-poco fa, anf, m-mi hai fatto u-na promes-sa, Marta... - deve prendersi una pausa, la voce, già rauca, gli è scesa fin quasi a scomparire - E-eri s-sincera o... urgh, lo hai f-fatto solo per... s-sprona-rmi?"

“T-ti ho promesso che non sarei più scappata, no?!” rispondo alla sua domanda, accarezzandogli delicatamente i capelli a cespuglietto ancora un poco sciupati - D-dovresti averlo capito, con la testa che ho, c-che se mi infilo nella mente u-una cosa n-non... sigh!"

Le parole per continuare mi mancano, rotte dalla tempesta di emozioni che mi avvolge e mi tiene in scacco. Incasso la testa tra le spalle, respiro freneticamente, del tutto in balia di quella forza centrifuga che sono i sentimenti, ma continuo istintivamente a toccarlo nel tentativo di rassicurarlo.

"N-no, n-non scappo più, Camus, promesso!" lo rassicuro ancora, cercando di sembrare più forte e risoluta possibile.

Ora che è sveglio lo accarezzo maldestramente rispetto a come facevo quando era in coma, eppure è tutto molto intenso, lui lo deve percepire, perché, rivolgendomi lo sguardo, i suoi occhi sono lucidi e le emozioni che lo permeano estremamente tangibili.

"Hai r-ragione, anf, s-sei il tipo di per-sona c-che p-pur di non riman-giarsi la parola da-ta, si morderebbe a s-sangue la lingua." annuisce lui, socchiudendo stancamente gli occhi.

"Lo prendo come un complimento, questo!" trillo, felice che mi abbia compreso fino a questo punto.

Passano diversi secondi senza che nessuno dei due dica più niente, io ho preso a giochicchiare con il palmo della sua mano, ruotata apposta e semi-aperta proprio per consentirmi di farlo. E' qualcosa che mi viene spontaneo, come se lo avessi sempre fatto, ciò mi disorienta ancora di più perché non so proprio spiegarmene la ragione,

"Mar-ta, anf... perdonami!" è la sua voce a rompere il silenzio tra noi, il viso gli si è fatto un poco più scuro.

Guardo il suo profilo senza capire: come mai mi chiede scusa adesso? Dopo tutto quel che è successo a causa mia non dovrebbe essere di certo lui a essere pentito!

“Perché, Maestro? Anzi, sono io che dovrei...”

“N-no, urgh! N-non c'è nessun... motivo... anf, per cui tu t-ti debba scusare con me. S-sono solo io il respon-sabile di quanto è s-succes-so, anf, anf. Non vi ho rivelato n-nulla sull'identità del nemico!"

Quello che dice è vero, non posso dire di no, ora, perché lo sa anche lui che è la ragione primaria per cui sono fuggita; la ragione primaria delle sue condizioni attuali.

"A-avrei voluto r-rispondere meglio, M-Marta... uff, ma qua-quando sei venuta a c-chiedere spiegazioni, ho s-saputo solo reagire con spietatezza, perdendo il cont-rollo e facendoti del male, anf, anf... - deve fermarsi di nuovo per diversi secondi in più, boccheggia per lo sforzo e chiude automaticamente le palpebre - Mi dispiace im-mensamente a-anche per lo spa-vento che ti ho f-fatto prendere!”

“Hai fatto solo ciò che reputavi giusto, Camus, e comunque anche io ti ho ferito a parole! Ha ragione Francesca, dopotutto: noi due non ci siamo capiti subito, perché siamo troppo simili. Malgrado questo, non hai esitato a mettere a repentaglio la tua vita pur di salvare la mia, ed io... io te ne sarò per sempre grata!” affermo, alzandomi brevemente in piedi per baciarlo dolcemente sulla guancia. Un bacio a stampo, nulla di più, sulla sua pelle ancora sensibilmente calda.

Arrosisco subito dopo, tornando a sedermi sulla sedia nel rendermi conto di ciò che ho appena fatto. E' un qualcosa che non darei a chiunque, e che perfino alle mie amiche sono riluttante a dare, ma con lui è qualcosa che mi viene estremamente naturale, sebbene ci conosciamo da una sola settimana e in questo breve arco di tempo mi sia già permessa di annullare la distanza fisica tra me e lui.

"E-ecco io..." farfuglio, ricercando una spiegazione logica alla mia azione, non trovandola. Lo fisso imbambolata.

E arrossito anche lui, ma il pallore predominante della sua pelle ha ridotto l'effetto, chiazzandogli appena gli zigomi di un rosa riconoscibile a fatica. Riesce comunque a regalarmi un sorriso tiratissimo, sufficiente ad aprirmi il cuore. E' così bello quando sorride, mi domando perché lo faccia così di rado.

"Come... stai?"

Ridacchio tra me e me, mio malgrado, per la domanda che mi è stata appena rivolta. Nascondo appena il viso dietro la mano per schermarmi e non fargli vedere che ho tutti gli occhi lucidi. Lui, appena risvegliato dal coma, ferito gravemente, dopo aver rischiato di morire sotto i ferri, che chiede a me come sto. Mi asciugo velocemente una lacrima che ha comunque tentato di evadere prima che trapeli del tutto fuori dalle palpebre.

"B-bene. Ora bene." sussurro, cercando di apparire più forte possibile.

"L-la tua... guan-cia s-si è g-gonfia-ta, anf." mi fa notare lui, sforzandosi di rimanere vigile nel guardami, nonostante gli sia sempre più difficile.

"Non è nulla, Maestro, davvero."

"S-sembri un po' un..."

"...Criceto? - termino io per lui, cercando di prenderla al ridere per fargli coraggio - Mi è già stato detto, questo!"

"N-no, a-avrei detto più... uno scoiattolo." respira più pesantemente, tornando ad adagiare la testa sul cuscino e a socchiudere gli occhi tanta è la stanchezza.

"Perché è ingordo?" tento ancora, posandogli una mano sul grembo sopra le coperte nel desiderio non completamente espresso di volerlo abbracciare. E' tutto così intenso, fatico a trattenermi...

Lui, per tutta risposta, se la ride e, anche se il suono della sua risata è un tintinnio flebile, la voce ancora distorta dalla sofferenza, mi rendo conto che non c'è nulla di più bello di questo. Parlerei con lui per sempre.

"Per-ché, anf... - riprende Camus poco dopo, sforzandosi di riaprire le palpebre pesanti - I tuoi capel-li han-no il colore del suo.. manto, anf, anf, e s-sono folti... ugh, c-come la sua coda."

A questo punto mi prendo una ciocca di capelli che mi ricade sul petto e la sollevo per guardarmela. E' di un castano chiaro che mi è sempre sembrato insipido, del tutto usuale, non mi ci sono mai soffermata troppo sopra.

"N-non lo è!" mi fa notare lui, lasciandomi sbalordita.

Ma... cosa? Mi stava leggendo dentro?!

"Maestro!" alzo un poco il tono, allarmata, prima di tutto perché non voglio che si affatichi così, e poi perché, voglio dire, se inizia a farlo spesso non potrò più censurare i miei pensieri!

"L- la tua e-espressione parla-va da sé. - mi tranquillizza, buttando fuori aria - I t-tuoi capel-li, a-alla luce del sole, ha-hanno sfumature ros-sicce, ugh."

"Davvero?"

"N-non lo ave-vi mai notato, anf? N-non è un sempli-ce castano."

"Allora sono davvero affini allo scoiattolo rosso, non ci avevo mai pensato!" mi illumino, regalandogli un largo sorriso.

Mi sento sempre più sgonfia a chiacchierare con lui, è come se, passo passo, ogni fibra del mio corpo si rilassasse, autoconvincendosi che il peggio è davvero passato. Parallelamente, però, aumenta anche l'impulso a piangere per scaricarmi del tutto. Mi passo velocemente il braccio sugli occhi per nascondere altre due lacrime disobbedienti che, tentando la via dell'insurrezione, provano ad uscire.

"Comunque sto bene, Maestro Camus. O-ora sto davvero bene!" lo assicuro, pur non celando del tutto il tremore.

"L’impor-tante è q-questo. S-sei al mio fianco, m-mi parli e stai b-bene, non pos-so d-desiderare di meglio!" sussurra ancora lui, con un filo di voce, prima di lasciarsi andare sul cuscino.

Deve essere stremato dopo il dialogo, dovrei davvero chiamare un medico, avvertirlo che ha ripreso coscienza e lasciarlo così alle sue mani, ma c'è qualcosa dentro di me che mi inchioda sulla sedia e non mi fa andare via.

Osservo il monitor con i parametri vitali, noto che il suo cuore batte più velocemente di prima, perché le linee di segmento che vanno in sù e in giù si sono fatte più fitte; ha ancora un po' di febbre, anche se più bassa, la temperatura è sui 37 gradi e 7, i valori di ossigenazione sono tutto sommato buoni, gli altri numeri, invece, non li capisco.

Ora sembra di nuovo addormentato, le palpebre chiuse sono scavate da grinze profonde che impattano con il colore pallido della sua pelle. Respira con la bocca semi-aperta, sembra fare molta fatica... che il sondino nasale non basti?!

"Andrà meglio... ora andrà meglio!" mi sento in dovere di promettergli ancora, prendendogli istintivamente la mano adagiata mollemente sopra le lenzuola per poi solleticargli il dorso e l'avambraccio con le dita di piuma.

"Uh, M-Marta..." si riscuote al suono delle mie parole, pur non riuscendo a riaprire gli occhi nell'immediato.

Produco un mormorio che vorrebbe essere un'affermazione, il resto si affoga, mentre, lentamente, mi rannicchio nuovamente sul letto vicino a lui, la fronte appoggiata al suo braccio e le dita intrecciate alle sue. Ho bisogno di sentirlo vicino, vivo, di stare in contatto con lui, e lo stesso deve valere per Camus, perché, in maniera non dissimile da prima, ruota a fatica il polso verso l'alto per riuscire a vezzeggiarmi almeno i capelli con movenze lente e delicate. Mi... piace molto che lo faccia!

"S-stai tranquil-la, anf, anf, a-anche io s-sto bene."

Socchiudo gli occhi gremiti di pianto, rannicchiandomi ancora di più vicino per assaporare maggiormente il suo tocco. Non riesco più a calibrarmi, le mie lacrime gli bagnano la pelle.

"S-sto bene, Mar-ta, anf. Sto bene... ora!" mi ripete, con una dolcezza che mi emoziona. Avverto il movimento dell'altra mano, quella gremita di aghi e tubicini, spezzarsi nell'atto, tronco, di accarezzarmi. Ansima, fa un secondo tentativo, stavolta senza neanche che il braccio sinistro si sollevi. Sospira. Deve rinunciare.

"V-va bene anche così, Camus, s-solo... fammi stare ancora un po' qui vicino a te, per favore, ti peso?" lo supplico, nascondendo il mio viso tra le lenzuola del letto e la sua piega del gomito.

"Mar... ugh, anf, anf - prova a chiamarmi di nuovo, ma la sua voce si spezza, deve rifiatare prima di proseguire- N-no, non mi pesi... a-ffatto!" mi rassicura, riprendendo a vezzeggiarmi come meglio gli consente la posizione scomoda e le forze a malapena racimolate.

Forse adesso posso tirare un sospiro di sollievo, il peggio deve essere passato per davvero, deve solo ristabilirsi. Certo, non... non tornerà più come prima, né lui, né io che ho ucciso. Rabbrividisco a quest'ultimo pensiero.

Ho ucciso...

Già, ho ucciso per difesa, ma ho comunque stroncato una vita!

"C-che ti suc-cede ad-e-sso? T-ti av-verto così agita-ta..."

Deve aver percepito il mio tremore che, poco fa, si è fatto più intenso. Rimango appoggiata al letto, non mi alzo, ma sollevo appena la testa. I nostri sguardi si incrociano ancora una volta.

“L’ho ucciso... non so come."

Qualcosa brilla nei suoi occhi ancora tanto, tanto, stanchi. E' consapevolezza, non stupore. È comprensione, non giudizio.

"A vederti per terra con il... torace squarciato, ho provato rabbia e disperazione. Non riuscivo più a controllarmi e così ho attaccato selvaggiamente. E' come se avessi avuto un blackout totale, agivo e avevo cognizione di causa, ma era come se qualcun altro al posto mio prendesse le decisioni in mia vece. - è il mio turno di bloccarmi nel tentare di spiegarmi - Dal mio pugno è uscito un fiotto di aria congelante che lo ha... colpito... con foga inaudita! Credo... credo sia morto sul colpo, perdeva sangue dalla bocca, c-come se avesse avuto danni agli organi interni...”

"..."

"S-so che dovevo farlo, s-so che non c'erano soluzioni alternative, perché tu stavi tanto male, avevi bisogno di cure urgenti, e lui non ci avrebbe mai lasciato andare, t-tuttavia..."

"Marta..."

"Sono... un'assassina!"

"No, anf, non lo sei!"

"Sì che lo sono! Una che uccide così a sangue freddo, s-senza esitazione, non è altro che..."

“Non... sei... un'assassina, Marta!"

Lo osservo, stupefatta, nell'attesa che prosegua. Mi viene di nuovo da piangere ma non lo farò; lui intanto, raccogliendo le forze residue, solleva a fatica il braccio disseminato di flebo e tubicini, posandomi dolcemente la mano sulla guancia. Stavolta il saturimetro che tiene ancora all'indice si incastra in alcuni miei ciuffi, me li tira un po', ma non ci do peso. Piego un poco la testa verso il suo palmo, come ad indicargli di proseguire, che necessito del suo contatto più di ogni altra cosa. Tengo la sua mano premuta sul mio volto. E' calda e delicata, fa commuovere.

"Hai... hai s-solo reagito pronta-mente alla situazione! - mi rassicura, carezzandomi a fatica il solco del naso e della gota con il pollice per asciugarmi il pianto - N-nel n-nostro mondo, a volte, è necessario spezz-are, urgh, una vita, t-tienilo a mente e n-non sentirti ulterior... uff, n-non s-sentir-ti in colpa."

"I-io..."

"S-se non lo avessi fatto, quel... quel mos-tro a-vrebbe ferito, o p-peggio, u-ucciso te! - mormora stancamente, riadagiando il braccio sulle lenzuola per poi prendere una nuova pausa per calmare il respiro frenetico - P-per quan-to riguarda invece il tuo potere, anf, l-lo.. temevo!"

"Temevi che potesse accadere?! - ripeto, costernata, raddrizzandomi del tutto sulla sedia - Intuivi che io potessi possedere il tuo stesso potere?!"

"Purtrop...po, urf, sì!"

"Perché?! Mi... mi avevi detto che era certamente un errore, che era troppo prematuro, per me, avere già scoperto la mia attitudine!"

"Scu-scusami, anf, n-non avrei mai voluto... coin-volgerti in tutto q-questo!" biascica ancora, prima di voltarsi dall'altra parte nel non riuscire più a sorreggere il mio sguardo

Lo fisso sbigottita, presa del tutto in contropiede dalla sua reazione. Sembra sinceramente mortificato, quasi supplice, un'ombra scura ha solcato i suoi occhi, riempiendoli di paura; paura... per me?! No, devo assolutamente sapere cosa intende, non mi piace questa sensazione, non mi piacciono le parole ambigue che mi ha rivolto Milo prima di andarsene. Mi pizzicano gli occhi, dannazione, il cuore ha preso ha tamburellarmi nel petto, perché?!

"Camus, cosa vorresti..?" mi convinco a chiedergli, ma la mia domanda è destinata a non terminare perché, nello stesso esatto momento, la porta della stanza si apre, rivelando, per l'appunto, lo Scorpione.

“Marta, ti ho portato un po' di caffé, vuoi..."

Si paralizza seduta stante, la gamba destra appoggiata in avanti, la sinistra ancora piegata. Fermo e immobile, sembra quasi non respiri neanche. Anzi no, ora respira, fin troppo velocemente, tanto da farmi temere che collassi su sé stesso. Deglutisce a vuoto, guarda meglio, lo vede, ne vede gli occhi blu aperti nella sua direzione. Capisce. Trema. Perde la presa su entrambi i bicchierini che finiscono a terra con un leggero tonfo, sporcando il pavimento e schizzando sui suoi jeans

"Uh-oh, Milo!!!" lo chiamo, allarmata, compiendo un breve giro del letto con le mani protese, ma fermandomi a metà strada nell'incertezza del momento.

Accorro in suo aiuto, nel caso mi crolli a terra, o lascio questo breve momento a loro?

Tra l'altro, abbiamo sporcato di nuovo, come se non bastasse il mio vomito e il sangue dell'altro giorno... qui ci spennano e ne avrebbero anche il diritto!

“C-ciao, chiacchierino, anf, è-è così b-bello... rivederti!” rompe ogni indugio Camus, rauco, sorridendogli con tutte le forze in suo possesso.

Ora non solo il Cavaliere di Scorpio deve indietreggiare di due passi perché le gambe non lo reggono quasi più, ma deve sorreggersi anche allo stipite della porta per non collassare del tutto, vinto dalle troppe emozioni.

"M-Milo, anf... - di nuovo la palla è passata a Camus, a stento cosciente, ma determinato a parlare. Prova a sorreggersi con le braccia nel guardare l'amico di sempre, gli occhi, se possibile, ancora più lucidi di prima - M-mi hai parla-to, per t-tutto q-questo tempo, anf, anf. G-grazie, t-ti s-sentivo n-ne-nelle tene-bre dell'incosci-e-nza, e, urgh, m-me lo ha r-riferito a-anche Marta p-poco fa, pri-ma che mi sveglias...si."

Io imporporo di conseguenza nell'udire le sue parole: quindi ha ascoltato i nostri discorsi... fino a che punto?!

Milo deve aprire diverse volte la bocca prima di riuscire a spiccicare parola. Un singhiozzo, poi forzatamente trattenuto, trapela fuori dalle sue labbra nello stesso momento in cui una lacrima fugge al suo controllo. Una sola, ma sufficiente per far brillare d'argento la sua guancia sinistra.

"Hai ascoltato tutta la mia sequela di discorsi ininterrotta per due giorni... e decidi di svegliarti negli unici 10 minuti in cui io non sono presente." biascica, avanzando di un passo, poi di un altro e un altro ancora.

"M-Milo, io non..."

“Lasciami dire che sei un po' uno stronzo, Camus dell'Acquario, s-sei..." farfuglia ancora, un attimo prima che i suoi passi diventino corsa e che il suo corpo si proietti verso il letto dell'amico.

Rapido e sicuro, non c'è esitazione alcuna nei suoi movimenti. Un secondo dopo è già lì a trattenere Camus contro di sé e ad abbracciarlo, permettendosi di affondare il suo viso nella chioma blu del compagno d'armi con un cipiglio d'urgenza.

"L-lo so io e lo sai tu cosa sei, ma... - lo Scorpione deve prendersi una pausa, l'emozione è davvero troppa - Sono felice... che tu ti sia svegliato, Camus!"

"M-Milo, n-non, uff... m-mi hai parla-to c-così ta-nto..."

"E quindi ad una certa ti sei stufato e hai detto 'quando la smette 'sto cretino? Non ne posso più'!"

"N-no, no, sciocco! - si oppone Camus, scrollando la testa come può, prima di ricambiare la stretta con l'unico braccio, il destro, che, un poco meno pressato dai macchinari, gli consente almeno di cingergli il fianco - M-mi siete s-stati così... v-vicini, anf!"

"Logico. Pensavi forse che ti abbandonassimo qui da solo?!"

"I-io, io..." non finisce la frase, si lascia andare semplicemente su di lui.

Compio il giro completo del letto, rimanendo un po' distante a gustarmi la scena, un sorriso di sollievo solca il mio viso nel guardarli. Camus è quasi del tutto appoggiato al petto dell'amico, che lo tiene stretto a sè in maniera simile a come lo avevo placcato io per tranquillizzarlo. E' visibilmente stanco e stremato, la bocca aperta per respirare, più pallido e provato di prima, ma l'intensità che ci mette per tenere dal fianco l'amico fa commuovere.

Milo è appoggiato sopra la sua testa, il viso semi-nascosto tra i suoi capelli. Se confrontato a lui sembra un gigante, fa impressione la loro differenza di corporatura e stazza, la differenza così marcata della loro pelle. Sembra davvero stia stringendo una cosa fragilissima tra le braccia...

E per stringere lo Scorpione stringe di certo, con foga, senza neanche accorgersene del tutto, nella paura che l'amico gli possa scomparire da sotto il naso, che possa avere una ricaduta, o semplicemente per convincerlo a restare, a non scivolare più via.

"Mil... anf! Anf!"

Ad un certo punto, però, Camus prende a rantolare, mettendo in allarme sia me che Milo, il quale, sentendolo iniziare a tossire, si spaventa.

"CAMUS! Che succede adesso? Cosa..?"

"Milo, riaccompagnalo sul cuscino, è ancora molto debole!" lo avverto io, preoccupata dal suo improvviso malessere, affiancando il Cavaliere di Scorpio.

Lui fa come consigliato -è grande e forte, riesce a sorreggerlo come fosse una piuma!- con un pizzico di paura. Lo riadagia così sul cuscino, sistemandogli meglio le coperte in grembo per poi reclinargli un poco la testa indietro nel ricordarsi che tale posizione aiuta la respirazione.

Anche il mio cuore è in tumulto, gli prendo delicatamente la sinistra, quella più martoriata, tra le mie, stringendola poi senza fargli male. Sulle prime non ha alcuna reazione. Respira male, veloce, il petto stretto dalle bende si alza e si abbassa ad un ritmo paurosamente irregolare. Gli carezzo il dorso con il pollice, sperando si calmi.

"Camus, mi dispiace... - biascica mortificato il Cavaliere di Scorpio, sentendosi in colpa - N-non ci ho pensato, ero... ero troppo felice di vederti, e..."

“Mi-lo, anf... - gli occhi di Camus si aprono nuovamente in due balugini di blu, mentre, a stento, ricambia anche la mia stretta - a-anch'io s-sono feli-ce, anf, d-di es-sere anco-ra qui con voi, s-solo che i-il mio corpo risen-te dei dan-ni provo-cati da quegli, urgh, artigli.”

TAP-TAP-TAP-TAP... SBAM!

"MAESTRO!"

Sobbalzo. Dei passi rapidi fuori, un urto dietro di noi. Qualcuno lo chiama, Camus si sforza di girarsi in direzione dell'entrata, dove anche Milo ed io ci voltiamo.

C'è Hyoga. E' stato proprio il Cigno a chiamarlo, appena sopraggiunto in corsa, le lacrime agli occhi, le gambe tremanti e il fiatone.

Dietro di lui fanno capolino i visi, un po' stupefatti un po' lieti, di Michela, Sonia e Francesca. Un coacervo di emozioni le attanaglia, ben visibili dalle loro espressioni variopinte sempre più sollevate mano a mano che razionalizzano l'entità di ciò che è sempre più evidente davanti ai loro occhi: Camus si è svegliato dal coma, è VIVO!

“H-Hyo-Hyo-ga, urgh, s-siete t-tut... cough! Cough!"

"Camus!" lo chiamo, spaventata, notando che invece di calmarsi si sta agitando ancora di più, rischiando di andare in sovraccarico. I macchinari riprendono a suonare più intensamente di prima.

“Accidenti, così non va, questi cosi suonano come se dovessero esplodere!" impreca Milo, sbiancato dalla paura, mentre cerca di sorreggere l'amico, al limite di una crisi convulsiva, che iperventila alla ricerca disperata di aria.

E' letteralmente sopraffatto dalle emozioni, lo osservo con una punta di terrore, il biip biip sempre più impazzito degli aggeggi mi frastorna. Non so che fare, dannazione, non so come aiutarlo, non so che...

"Che diavolo sta succedendo qui?!" l'arrivo irrequieto del dottore, che si staglia all'ingresso della porta dopo aver buttato malamente fuori le mie amiche e Hyoga senza troppi patemi d'animo, sembra sbloccare la situazione. Ci fissa, snervato, butta un occhio per terra, vede il macello del caffe e fa un lungo sospiro come a radunare tutta la pazienza di cui dispone. Poi estrae dalla tasca del camice una fialetta e una siringa, preme lo stantuffo per svuotarla d'aria e si avvicina nella nostra direzione.

Realizzo che, come avevo pensato inizialmente, in sala medica da un certo momento in avanti, devono aver visto i macchinari che tapezzano il corpo di Camus impazzire improvvisamente e dare valori che li hanno insospettiti, da qui l'arrivo del medico con la puntura già pronta, ma... cos'è?

Io ho l'accortezza di farmi da parte, tanto è sicuro l'incedere del dottore, sebbene il cuore mi pizzichi fastidiosamente al solo allontanare la mia mano da quella di Camus. Milo no. Lo fissa imbambolato, ancora intento a sorreggere l'amico che, se possibile, appare più agitato di prima.

"Pensa di spostarsi dal paziente, o..?" gli viene aspramente chiesto.

"Che cosa è... quello?" gli domanda lui, scettico, fissando con una punta di terrore la siringa.

"Via, si levi, non è questo il momento per perdere ulteriore tempo!" esclama il medico, secco, senza fronzoli, prendendo Milo per un braccio per toglierselo dai piedi.

"Ehi! - mi irrito, provando l'istinto d'intervenire - Che modi sono questi?! Non..." ma mi devo fermare, la testa mi gira e devo divaricare le gambe per non cadere in avanti.

Non abbiamo il tempo per agire in nulla, lo vediamo semplicemente aspirare il liquido dalla fiala per poi somministrarglielo a Camus attraverso la valvola di una delle flebo che ha tenacemente inserite al braccio sinistro. Trattengo il respiro nel vedere la sua l'espressione incrinarsi ulteriormente, mentre il respiro, per pochi, terribili, secondi accelera ulteriormente anziché acquietarsi.

“Cercate di avere un minimo di contegno, insomma! Posso capire la vostra felicità, ma questo è un ospedale, non un parco giochi! - torna su di noi il medico, continuando il rimbrotto di prima - Il paziente è ancora in gravi condizioni, anche se vigile. Provare su di sé così tante emozioni è controproducente per la sua salute." ci illustra poi, freddamente, rimettendo il tappino nell'ago

"M-mi scusi, noi..." tenta di obiettare Milo, cercando di spiegarsi senza che l'altro, peraltro, glielo consenta.

"Non voglio sentire altre storie, uscite subito di qui come hanno già fatto i vostri amici. Dobbiamo visitarlo!"

Il suo ordinativo è chiaro, semplice e diretto, ma né io né Milo abbiamo a cuore di lasciarlo lì da solo, quindi rimaniamo fermi e immobili, vinti dal'emozione.

Il medico soprassiede un attimo, tornando invece a osservare Camus che, lentamente, sempre con gli occhi chiusi, si sta calmando. Il respiro è ancora un poco affannato ma almeno i macchinari, l'elettrocardiogramma fra tutti, hanno smesso di impazzire. In un imput di umanità, il medico si permette di sistemargli meglio la testa sul cuscino e sfiorargli poi, con gesto paterno, i lunghi capelli blu.

"Così, bravo, si acquieti, va tutto bene. Il peggio è passato."

Avverto la rigidità di Milo accanto a me, i suoi occhi lucidi, che sono anche i miei, che guardano trepidanti nella stessa direzione. Il respiro di Camus finalmente torna alla normalità, anche l'espressione del viso si fa più distesa, le palpebre un poco più rilassate. Non sembra completamente cosciente ma neanche incosciente... che gli abbia dato un calmante o qualcosa di simile? So solo che fa una tenerezza assurda, vorrei stargli vicino e so che Milo prova lo stesso.

"Comunque è un bel mistero, Lei, prima il rigetto, ora si ridesta dal coma senza che i medicinali glielo potrebbero consentire..."

Mi drizzo a seguito delle parole del medico, devo saperne di più, ma è il Cavaliere di Scorpio a palesare appieno il clamore.

"Cosa significa, questo? Non... doveva svegliarsi?"

"Non ancora, no. Per il trauma riportato, lo abbiamo indotto in coma farmacologico; nelle nostre previsioni avrebbe dovuto protrarsi almeno per quattro giorni, prima di abbassare il dosaggio. - ci spiega lui, diretto - Il miglioramento del quadro clinico nella giornata di ieri, ci ha fatto propendere per anticipare questo passaggio, ma non avrebbe comunque dovuto svegliarsi. I parametri erano buoni e in miglioramento, è vero, ma non tali da pensare ad un recupero così veloce della coscienza."

Sembra un poco turbato anche lui, malgrado lo cerchi di nascondere, di certo non si sa spiegare l'accaduto. Milo lo fissa a lungo senza capire appieno, io rimango chiusa nei miei pensieri.

Quindi... si è svegliato dal coma, eludendo i medicinali somministrati?! Non dovrebbe essere nemmeno possibile!

Il dottore dopo le brevi, necessarie, spiegazioni, non da più peso alla nostra presenza in loco, del tutto concentrato sul paziente come è suo dovere essere. Abbassa semplicemente la monopolina del letto in modo che sia più agibile visitarlo.

O-oddio, non vorrà veramente farlo mentre noi siamo ancora q..?

Il suo scostare automaticamente le coperte fino all'inguine di Camus per poi aprirgli interamente anche il camice in modo da lasciarlo a busto scoperto, risponde alla mia tacita domanda.

Vedo Camus sussultare sensibilmente per il gesto e inarcare debolmente la schiena, gli occhi nuovamente serrati, il respiro accelerato, mentre quello, come se niente fosse, incurante del suo malessere nuovamente visibile, prende ad auscultarlo in ogni dove. Petto, sterno, fianco, gli palpa perfino l'addome... non ci vedo più!

"Poteva almeno aspettare che ce ne andassimo, non le sembra?! - sibilo, sdegnata, quasi fremendo - Non ha pensato che il paziente possa sentirsi a disagio?!"

"Sono stato cristallino fin a subito e vi ho detto quello che dovevo riferirvi: ora seguite l'esempio dei vostri amici e uscite da qui, siete voi in difetto! - è la sua risposta senza nemmeno voltarsi verso di me - Avete abusato anche fin troppo dei privilegi dovuti alla vostra posizione!"

Sono sul punto di rispondergli e cantargliele con le rime, del tutto intenzionata a non dargliela vinta, la mia mano si protende già nella sua direzione, ma....

"Marta, il medico ha ragione, andiamo!" mi ferma Milo, posandomi una mano sulla spalla.

"Ma!"

"Loro sanno cosa fare." mi dice ancora, accennando il movimento di allontanarsi.

Vorrei obiettare, non ho il cuore di lasciarlo qui da solo e mi fa male il solo pensare di vederlo maneggiato, al punto da provare del vero e proprio disagio. Non so che mi succeda, non so spiegarmelo, ma decido, in ultimo, di seguire il Cavaliere di Scorpio a capo chino fuori dalla stanza. Del resto le mie amiche sono già fuori dalla stanza, molto più docili di me in questo.

" Signor Camus, è in forze per risponde ad alcune domande? Ci riesce?"

"S-sì."

"Il suo cuore sembra andare bene, ma vorrei sapere direttamente da lei come si sente"

"M-mi...anf!"

Il tono stentato con cui Camus prova a parlare mi blocca, spingendomi a voltarmi nuovamente verso di lui. Sulle prime, non sembra nemmeno in grado di rispondere, annaspa, contraendo le palpebre per lo sforzo fisico a cui è sottoposto. Tremo nell'assistere alle sue condizioni, vorrei aiutarlo e non posso.

"...fa male... la gola, cough! Cough!" riesce a dire infine, provato dalla reucedine.

A questo punto il medico gli fa aprire la bocca, ci guarda dentro con una lucina, prima di sorreggergli il volto con le mani pratiche per tastargli anche le ghiandole del collo.

"E' piuttosto normale, questo. E' rimasto attaccato al ventilatore artificiale per più di 48 ore. Eseguiremo comunque degli ulteriori accertamenti, non si preoccupi. Ora... - lo sento addolcire di una nota la voce nel poggiargli di nuovo lo stetoscopio sul petto, tra le bende e la pelle - Prenda un profondo respiro e butti fuori l'aria, coraggio!"

Camus esegue, anche se con estrema fatica. Ha sempre gli occhi chiusi, respira con patimento, il torace nuovamente affannato per l'agitazione nonostante il calmante. Che non basti? Cosa lo fa agitare così?

"Coraggio, Marta, si riprenderà! - Milo si riavvicina, mi regala una veloce carezza sulla testa e un sorriso dolce nell'indovinare il mio turbamento - Lo conosco bene!"

Annuisco, laconica, voltandomi verso di lui per seguirlo, ma la flebile voce di Camus lo richiama con un pizzico d'urgenza.

"M-Milo, anf, anf, l-le m-mie all-allie-ve, n-non..."

"Non parlare, Camus, va tutto bene, non agitarti!"

Ma il maestro è cocciuto, scrolla la testa, imponendosi di proseguire: "N-non, anf, l-lascr-le... s-sole, p-per fav... uff"

"Lo farò, ci penserò io, non devi temere!"

"A-anche Hyo-Hyoga. L-lui s-stava... u-urgh, p-piang-e-ndo..." dice ancora, tra mille e più fatiche, gli occhi forzatamente tenuti aperti anche se, è lampante, non ce la faccia più a resistere al sonno.

"Penserò anche a lui, non temere, tu preoccupati solo di tornare più forte di prima. Ti aspettiamo!" cerca di rassicurarlo Milo, sorridendogli nella maniera migliore che gli riesca.

"C-conto su di... te, a-mico m-mio." prova a sorridergli anche Camus, ormai semi-incosciente, mentre, con un ultimo, titanico, sforzo, allunga un poco il collo per tornare a guardarmi.

"M-Mart..."

Non riesce nemmeno a terminare il mio nome, la mancanza di voce non glielo consente, ma i suoi immensi occhi blu dicono tutto senza necessità che siano accompagnati dalle parole. Lo guardo. Ci guardiamo, ed è tutto così intenso che sembra quasi di abbracciarci ancora una volta nonostante non ci possiamo più toccare. Ingoio a vuoto, il respiro accelerato in petto, gli faccio un cenno di saluto con il capo, prima di scandire con le labbra un messaggio che, in qualche modo, voglio che gli arrivi.

"Dormi ora, siamo con te."

E le palpebre di Camus si chiudono alla luce, il suo corpo si rilassa completamente, mentre il medico, togliendogli le cannule dal naso, gli mette la mascherina, nascondendogli parte del bel volto ormai addormentato.

So che lo dovranno rivoltare come un calzino anche nei prossimi giorni, monitorandolo di ora in ora nel certificare ogni più piccolo segno di miglioramento.

Mi volto, decisa a non tornare più sui miei passi e lasciarlo così alle cure mediche di chi ne sa più di me. Una leggera sensazione di intorpedimento mi investe, ma non è spiacevole. Non più. E' infinitamente calda. Mi asciugo una volta per tutte le lacrime.

Coraggio, Camus... siamo davvero tutti con te!

 

*****

7 luglio 2011, pomeriggio

 

Devo dire che Sonia non mentiva quando sosteneva che Milo fosse severo negli allenamenti, forse anche più di Camus...

E’ da tre giorni che ci alleniamo con lui ed è estremamente stancante, considerando che possiamo riposarci solo all'ora di pranzo e alla sera, ma questo non basta certo a scoraggiarci! Tutte siamo impegnate a scoprire, o migliorare, i nostri poteri grazie all'aiuto e alla pazienza del Cavaliere di Scorpio. Teoricamente, io sarei già a conoscenza del mio, ma per qualche strana ragione non riesco più a riprodurre la potenza con cui sono stata in grado di colpire il nemico dopo l'incidente. Discorso a parte sono invece le altre.

Francesca è notevolmente migliorata e riesce con facilità a spaccare grosse rocce, senza contare che si è ben velocizzata nei movimenti, tanto da sembrare un fulmine, a volte.

Michela, quando non sbava dietro a Hyoga, che viene a sua volta a controllarci quando finisce con i suoi allenamenti in solitaria, è sempre più determinata in ciò che fa. Anche se spesso è, per sua stessa natura, distratta e incerta, goffa addirittura, ce la mette proprio tutta ed è un piacere per gli occhi vederla così volenterosa.

Sonia, la più esperta tra noi, è già in possesso di una forza invidiabile, quasi degna di un Cavaliere d'Argento, ma anche lei non ha ancora scoperto il suo potere, quindi si impegna senza sosta. E i risultati si vedono!

Su direttive di Milo, che ci segue senza sosta, abbiamo iniziato a simulare dei combattimenti tra noi, in maniera molto elementare, certo, ma è già un inizio. La prima prova ha visto Francesca e Sonia chiudere sostanzialmente in parità, nonostante la differenza di esperienza, il che mi ha stupito non poco, visto che la mia amica più grande sembrava, in apparenza, la più indietro tra noi tre, ma è sorprendentemente abile ad evitare gli affondi della più piccola, che non è riuscita neanche a sfiorarla, scansandola agilmente di lato o balzando a destra o a sinistra. Certo, di contro, dal punto di vista offensivo è ancora parecchio carente, a tratti neache ci prova ad attaccare, motivo per cui la simulazione si è conclusa in parità.

Questo è ciò che è successo al primo turno, nel secondo siamo state Michela ed io a provare un combattimento fittizio, conclusosi con la mia totale disfatta. Per questo motivo mi sono un attimo isolata a contemplare il mare, scoraggiata da un tale fallimento. Io, che in teoria sono l'unica delle quattro ad aver scoperto la mia predisposizione elementale... niente, fatta nera da Michela, che in quanto a forza non è seconda a nessuno.

Sbuffo, dando un'occhiata dietro di me nel controllare le mie amiche. Ora stanno combattendo Michela e Francesca, i prodromi sono del tutto affini al primo scontro, con la prima che carica come un toro e la seconda che schiva. Finirà sostanzialmente in parità anche questo, già lo sento. Sospiro, massaggiandomi il polso destro ancora dolorante per la presa ferrea della mia amica. In fondo sorrido, anche se mi brucia aver perso così. Michela ha una forza devastante, non se me rende neanche completamente contro probabilmente, ma con l'allenamento diventerà abile e capace, non ci sarà più nessuno che oserà picchiarla, come accadeva quando era piccola. Sono davvero contenta per lei, anche se allo stato attuale il mio umore è sottoterra. Mi osservo il palmo della mano che trema per i tentativi (vani!) di riprodurre nuovamente l'aria congelante: perché non ne sono più in grado?!

"Scusami, posso sedermi un attimo sulla sabbia vicino a te?" mi chiede una voce giovanile dietro alle mie spalle.

Sussulto, non aspettandomelo, prima di girarmi e incrociare i miei occhi blu con quelli cerulei dei Cavaliere di Scorpio.

"Milo! Volevo dire Maestro Milo..." mi correggo, scrollando la testa.

"Va bene solo Milo, ahaha, cos'è questa improvvisa formalità?! - mi riprende scherzosamente, con quella sua solita irriverenza che è impossibile non amare - E' Camus il tuo maestro, non di certo io!"

"Lo so, ma... lascia stare!" neanche io so bene cosa dire, mentre lui prende posto vicino a me. Do un'altra breve occhiata dietro di me, vedendo che ha lasciato Sonia a fare da arbitro tra le due. Sorrido di riflesso.

"Non sei soddisfatta." mi dice, tornando serio.

"No. Ho fatto bellamente schifo nello scontro di prima e... erk, ma lo hai visto, non c'è bisogno di spiegartelo." sbuffo, posando il mento sulle ginocchia piegate verso il petto.

"Se permetti... sbagli approccio!" mi dice, sincero, rimestando un pugno di sabbia con le mani.

Ora ha tutta la mia attenzione. Mi sollevo appena, fissandolo con interesse crescente: "In cosa ho sbagliato, secondo te?"

"Beh, tanto per cominciare hai puntato sul confronto fisico, quando invece, limpidamente, c'è troppo divario tra te e la tua amica Michela. - mi dice, schietto, prima di darmi una pacca sulla schiena e girarsi indietro - Osserva con attenzione Francesca, invece!"

Così faccio, cercando di affinare lo sguardo. La vedo scansare l'ennesimo colpo di Michela, atterrando poco più in là, e poi ancora prepararsi a ricevere un suo nuovo assalto. Stavolta non lo evita; in maniera non dissimile da quanto aveva fatto con Sonia prima, si lascia quasi andare di lato, trovandosi così ai margini dell'attacco di Michela. Qualcosa si illumina dentro di me, capisco che sarebbe il momento giusto per attaccare, quello, perché la mia amica più piccola ha il fianco sguarnito, e tuttavia Francesca non attacca, si sposta semplicemente, trovandosi poi completamente dietro di lei. Qualcosa di selvaggio balugina nei suoi occhi glauchi, forse a sua volta si è resa conto dell'apertura in cui potrebbe penetrare, tuttavia si ferma prima, facendo semplicemente sbilanciare Michela per terra per farla dinire lunga a terra.

"Ok, direi basta così! - alza lestamente il braccio Sonia - La vittoria va a Francesca!"

"Ma uffiiiii, io non ho ancora..." protesta Michela, ancora stesa lunga sulla sabbia.

"Basta così, sei finita a terra, è k.o. - ribadisce Sonia, alzando di una tacca il tono - Complimenti, Francesca, ci sai fare per essere... all'inizio!" si complimenta poi con lei, uno strano barbaglio anche nei suoi occhi che si differenziano da quelli della più grande per la tipologia di verde. Non riesco a comprendere se sia fastidio, ammirazione, o cosa.

"Eh? Ma no, solo fortuna!" si affretta a rispondere la mia amica, grattandosi la testa a disagio.

"Pensi di aver capito adesso?" mi chiede Milo, riportando la mia attenzione su di lui Non saprei bene cosa dire.

"Io... non lo so!"

"La tua amica Francesca è molto consapevole di sè, delle potenzialità e debolezze del suo corpo, questo va enormemente a suo vantaggio!"

"..."

"Sai, la corporatura tua e di Sonia, ho notato, non è molto diversa, anche se non siete ancora del tutto fiorite. Il corpo di Francesca, invece, complice la differenza di età, ha già pressoché raggiunto la piena maturazione..."

"Dove vorresti arrivare?" chiedo, facendomi maggiormente attenta.

"Che tu e Sonia siete tendenti all'esile, Francesca, ha una corporatura intermedia, mentre Michela... beh, è ben robusta, direi!"

"Pff, non dirlo così però e soprattutto non a lei, perchè ti fa un occhio nero!" ridacchio, divertita.

"Non volevo essere indelicato! - si affretta a dire, arrossendo un poco - La mia non era un'offesa, ma è lampante che lei abbia una capacità muscolare parecchio superiore alla vostra!"

"Vero, sì, non posso negarlo. - la mia espressione si distende in un leggero sorriso - E pensa che da piccola era parecchio minuta!"

"Si cresce, ci si sviluppa... anche io da piccolo sembravo destinato a diventare un microbo."

"Lei ci ha dato dentro con vari sport, è sempre stata la sua valvola di sfogo, soprattutto in determinate circostanze. - gli spiego, con gli occhi fieri di chi sta guardando la propria sorellina minore di affiliazione crescere - Ne sono davvero lieta!"

"Uhmpf, sembri Camus quando fai così e lasci trasparire quello sguardo - mi dice, addolcendo ulteriormente l'espressione, prima di socchiudere gli occhi - Nondimeno il vostro rapporto mi ricorda quello tra me e lui."

E' il mio turno di fissarlo sbigottita, sentendomi inspiegabilmente lusingata dal confronto: "Da-davvero?"

"Sì. - acconsente, prima di girare il volto verso le altre e cambiare in fretta discorso - E c'è anche un'altra cosa in cui siete affini a noi."

"E cioè?"

"La differenza di corporatura. - risponde placido alla mia domanda, tornando con i suoi occhi celesti sulla mia figura - Vi è tra te e Michela la differenza che c'è tra me e Camus, forse anche qualcosa in più."

"Davvero c'è tutta questa differenza?" chiedo, sinceramente stupita.

"Pensaci un attimo. E' il nucleo del consiglio che ti volevo dare..."

Abbasso lo sguardo sulla sabbia, prendendo a rimuginare. Effettivamente non mi ci sono mai soffermata a pensarci più del dovuto, ho bisogno di tempo per prendere confidenza con un corpo estraneo, per convincermi a soffermarmici, per studiarne i lineamenti. E' una confidenza che va molto per gradi, e con Camus è appena iniziata, non è che un abbozzo, ancora, però...

"La circonferenza del braccio del Maestro Camus è inferiore alla tua, così come la capacità muscolare. - dico, concentrandomi su quel dato particolare - Siete proprio fatti diversi, sebbene di altezza siate pressoché simili."

"E' così. Ci differenzia un solo centimetro, in effetti, a mio vantaggio, ma è il peso il parametro a divergere di più, ed è su questo che ti chiedo di soffermarti - si prende una breve pausa, prima di riaprire gli occhi su me - 84 Kg. i miei, contro i suoi che sono appena 76."

"Co-così tanto?! - non riesco a trattenere un mormorio di sorpresa - 8 chili di differenza?!"

"Già, capisci che, da questo punto di vista, in un combattimento, lui non ha speranze contro di me..."

"Quindi le ha sempre prese da te?"

"No, me le ha sempre date. - ridacchia, genuinamente divertito, prima di correggersi parzialmente - O quasi, almeno, dipende se non è troppo preda dei suoi pensieri!"

"E come... come ha fatto, allora?!" sono sempre più sbalordita, nonché ammirata. Per Milo. Ma soprattutto per Camus.

"Tu hai i suoi stessi poteri e le sue stesse attitudini. Pensaci, Marta, e trova lo stile che meglio si adatta a te. - mi consiglia, alzandosi in piedi, seguito da me - Però, se vuoi un parere, non è il corpo a corpo la tua arma vincente!"

Non è il corpo a corpo... vero, ho dimensioni ridotte, una scarsa capacità muscolare, ma ho dei poteri speciali; dei poteri... a lunga gittata! Mi illumino, faccio per tirargli la manica del chitone ma Milo, precedendomi, torna su di me, come a essersi ricordato qualcosa.

"Ah, giusto, dimenticavo... ovviamente dipende dal nemico che hai davanti, a volte il corpo a corpo sarà inevitabile e lì ci sono dei trucchetti!"

"Quali?" gli chiedo, gli occhi luminosi. Pendo dalle sue labbra.

"Avvicinati... te lo dirò all'orecchio!"

Così faccio, trepidante, aspettandomi chissà cosa. Lui si china verso di me. E' alto e possente, mi sembra una montagna inarrivabile, ma ha negli occhi e nel cuore l'espressione giocosa di un ragazzino. Mi puntello sulla punta dei piedi, cercando di raggiungere la sua altezza nello stesso momento in cui la sua voce sussurrata mi giunge all'orecchio, rivelandomi il segreto che nasconde.

Arrossisco di netto, mi scappa un mormorio flebile, mentre lui, ridacchiando maggiormente nel vedermi così impreparata alle sue parole, si raddrizza.

"Ma Miloooooooooooo!!!" esclamo, a metà strada tra l'incredulo e il deluso.

"Ahahahaha, so che sembra banale, ma tu provaci, funziona! - ride di gusto, facendomi l'occhiolino per poi scompigliarmi i capelli e chiamare anche le altre - Perfetto, ragazze, venite qui, in cerchio!"

Le altre accorrono senza la minima esitazione, sistemandosi come richiesto intorno a Milo mentre io, ancora basita, sbatto un paio di volte le palpebre. Un trucchetto così semplice... può davvero funzionare?!

“Voi tutte avete fatto degli ottimi progressi in questi giorni. Sono fiero di voi e sono convinto che anche Camus lo sarà appena tornerà tra noi!” si congratula genuinamente lui, non nascondendo la soddisfazione.

"Ed è merito tuo, Maestro Milo! - prende la parola Michela, ben ripresa dalla sconfitta subita con Francesca - Combattere tra noi è nettamente più divertente che seguire la parte teorica o prendere a pugni uno scoglio!"

"Ma serve anche quella, è il livello base e... - Milo si gratta la testa, un poco imbarazzato - Potete non chiamarmi maestro, per favore?"

"Perché, Maestro? Non..."

"Perché non è neanche il maestro di sé stesso, figurati se può esserlo di qualcuno!" ironizza Sonia, pratica come al solito, alzando la testa in segno di fierezza, prima di aprire pigramente un occhio e vedere la reazione di Milo.

"Grazie, Sonia, sempre... premurosa!" risponde lui, grattandosi una guancia con l'indice.

"Prego, è la verità, Milo!" fa linguaccia lei, prima di lasciarsi andare ad una fragorosa risata seguita ben presto da quella delle altre.

Anche io sorrido sollevata, gli occhi luminosi. Mi sembra quasi un sogno stare di nuovo bene dopo tutto questo tempo e gli ultimi, terribili, fatti. Mi sento più sollevata e... beh, non c'ero più abituata, ecco!

"Bene. Ora che anche il paragrafo 'prendi in giro lo Scorpione' è concluso, potete prendere una pausa, soldatesse. Rompete le righe!" ci avverte ancora lui, permettendoci così finalmente di distenderci dopo gli allenamenti intensivi.

"Hip-hip-hurrà!!! - si esagita Michela, alzando vittoriosa una mano a pugno verso l'altro e rischiado per poco di colpire Sonia se lei, lesta, non si spostasse - Bagno, ragazze?!" ci incita, su di giri.

"Non abbiamo un costume, Michy... - le fa notare Francesca, inarcando un sopracciglio - Come pensi di farlo?!"

"Uff, ma almeno piedi a bagno, no?! Contrastano la calura!"

"Beh, per i piedi..." rimugina Francesca, osservando desiderosa il mare, combattutta se mantenere il contegno tipico 'della più grande, o cedere alle avances di Michela.

"Voi andate pure. Io mi godo il panorama." le incentivo, sorridendole per incoraggiarle. Loro nons e lo fanno ripetere due volte e spariscono, lanciandosi verso il bagnasciuga.

"Io rimango qui con te, posso?" mi chiede Sonia, scrutandomi a fondo.

Arrossisco, sfregandomi un poco il naso: "Sì, ma... ehm, non sono di grande compagnia."

"Sei della compagnia giusta per me!" afferma lei, sincera, prima di imbarazzarsi a sua volta e punzecchiarsi a sua volta il naso.

Siamo davvero simili, non c'è che dire. Sorrido tra me e me.

Così prendiamo posto vicino sulla sabbia con Milo che, a poca distanza da noi, pur rimanendo in piedi, si gode il sole come una lucertola, a giudicare dall'espressione faccile.

E’ un’altra bellissima e caldissima giornata qui in Grecia, la linea dell'orizzonte sembra confondersi tra cielo e terra... tra il mondo dei Cavalieri, a cui ormai apparteniamo, e il mondo caotico, ma ricolmo di affetti, che abbiamo lasciato da un pezzo.

Di nuovo la sensazione di smarrimento mi coglie, anche se la ricaccio subito indietro. Non ho certo dimenticato, anche se, si può dire, me ne sia fatta una ragione, e poi adesso ho un nuovo obiettivo ben chiaro nella mia mente.

"Aaaaah, ragazze... - ci chiama ad un certo punto Milo, la voce patinata di beatitudine - Viviamo in una terra più che fortunata!"

"E torrida, soprattutto. - lo corregge Sonia, in tono forzatamente lugubre - Due minuti che sono qua e mi sto già liquefacendo!"

"Sonietta, è perché non ti godi il momento e brontoli... come Camus! Hai preso un po' troppo da lui, in questi anni!"

"Milo, qui si bolle, c'è afa. Neanche le lucertole escono a quest'ora!"

"Uff, che disfattista."

"E tu un rettile! - è la pronta risposta della piccola - Occhio che poi ti ustioni e la crema te la devo passare io!"

"Cosa vuoi che mi ustioni, topina, ci sono già abituato!"

Mi sento dare dei colpetti col gomito sul fianco, guardo nella direzione della mia nuova amica, aprendo un occhio perché li avevo chiusi entrambi.

"Sta a vedere stasera se non sarà abbrustolito!"

Ridacchio tra me e me, allietata, immaginandomi il Cavaliere di Scorpio del color aragosta. A parte gli scherzi, non credo neanche sia possibile, per lui, ha un tipo di pelle già più scura della nostra e assolutamente adatta ad assorbire su di sé i caldi raggi del sole. Mi guardo per istinto le braccia nude e successivamente, scostandomi il peplo, le gambe. Io invece dovrei stare molto attenta e ripararmi all'ombra, ma il paesaggio della spiaggia -che mi soffermo a osservare senza fretta- è così piacevolmente tranquillo, così lontano dal trambusto dato dal turismo che... uh?

E' proprio in questo scenario fuori dagli schemi che vedo, in lontanza, una sagoma longilinea camminare a passi difficoltosi verso la nostra direzione. Strabuzzo gli occhi, convinta che si tratti di un effetto ottico, di un errore della struttura, di un miraggio, di un... mi alzo in piedi per allungare meglio il collo.

La figura si avvicina sempre di più, indossa una maglia nera di seconda mano e dei jeans sgualciti. Sulla testa capeggia un cespuglietto di capelli cobalto-blu che gli ricadono copiosamente giù a cascata, lasciando ben poco spazio ai dubbi circa la sua identità. Affino lo sguardo per focalizzarlo meglio, però non può essere veramente lui, dai, non è così scemo e...

E invece sì che è lui, CAZZO, cammina appena, piegato in due, ma è lui, dannazione, se è lui!!!

"Milo... - non ho quasi fiato nell'esprimere quanto segue, mentre, compiedo due passi indietro per fiancheggiarlo, gli tiro la manica del chitone - C'è Camus!"

"Oh, piccoletta... - Milo, sempre con gli occhi chiusi, scrolla la testa, la fronte un poco corrugata - Temo che il tuo maestro, per quanto straordinario sia, impiegherà ancora diverso tempo, prima di uscire dall'ospedale."

Io insisto, tirandolo ancora una volta con maggior forza:" No, Milo, c'è davvero Camus, io non me lo spiego, ma è sicuramente lui!"

"Marta..."

"MILO, SUL SERIO E' CAMUS!" si aggiunge anche Sonia, alzandosi in piedi a sua volta quasi urlando, attirando anche l'attenzione di Michela e Francesca.

"Ragazze, posso capire che vi manchi, anche per me è così, ma vedete, lui non compierebbe mai una follia simile come scappare dall'ospedale, non..." inizia a dirci, convinto, voltandosi per... per boccheggiare come una carpa esattamente come stiamo facendo noi.

Momento di raccoglimento. Forse anche lui crede di soffrire di allucinazioni, allunga il collo nella stessa direzione, guarda meglio, e capisce che, no, siamo sani di mente tutti e tre, è solo solo...

...solo un pirla ferito, che si regge a stento in piedi nel caldo meriggio di luglio e che sta arrancando nella nostra direzione come se nulla fosse.

"Io... io prima o poi lo ammazzo, quello, se lui non mi fa collassare prima il cuore! - commenta lo Scorpione, dandosi una manata in faccia, esasperato, prima di superarci di slancio per proiettarsi nella sua direzione - Camus... CAMUS! MA PORC..!"

L'amico lo sente, si ferma, sorride appena, stremato, prima di accasciarsi praticamente tra le braccia di lui, arrivato giusto in tempo per evitargli un raffronto non richiesto con la rena sotto i nostri piedi. Anche Sonia ed io, dopo uno scambio si sguardi, accorriamo frenetiche in apprensione completa. Ci fermiamo vicinissime a loro senza tuttavia saper bene come intervenire. Lo fisso, un po' compunta, un po' contenta, un po' sorpresa, un po'... con una mezza voglia di ammazzarlo a mia volta per la cazzata galattica che ha appena compiuto! Lo vedo appoggiarsi stancamente sulla spalla di Milo, il fiato corto per lo sforzo, il petto ansante e le gambe tremanti.

“Camus, sei fuori di testa?! Venire qui in queste condizioni... che ne hai fatto della prudenza?!” lo rimprovera Scorpio, imprimendo il suo sguardo severo negli occhi del compagno d'armi.

Nel frattempo sopraggiungo anche Michela e Francesca, trecento domande stampate nell'espressione sempre più incredula e neanche una parola per esprimerle.

“Milo, anf, devo... devo allenare le mie allieve!” biascica Camus, cercando di reggersi in piedi da solo, ma le sue gambe tremano più intensamente e minacciano di afflosciarsi.

"Co-cosa?!" Ripeti che forse non..."

"Hai capito, anf. Devo... allenarle!"

“Ti ho promesso che ci avrei pensato io, in questi giorni, non ti fidi di me? O mi reputi forse un incapace?!” Milo sembra punto sul vivo, si morde il labbro inferiore, quasi stizzito, per mascherare la preoccupazione crescente.

“Non è questo, amico mio, dovresti saperlo. Ma sono state affidate a me e non voglio che si trovino in pericolo mentre io sono tranquillo a riposare su un letto di ospedale."

"Forse non ti è chiaro un trascurabilissimo particolare: stavi su un letto di ospedale perché tra un po' ci rimettevi le penne!"

"Non importa, ora sto bene."

"BENE?! - ripete Milo, scandalizzato, alzando ulteriormente il tono - NON TI REGGI IN PIEDI!"

Tuttavia l'altro continua, del tutto sordo ai rimbrotti dello Scorpione: "Qu-questa è una guerra..."

"Ma dai, pensavamo di essere alla festa di fine scuola, invece! - fa dell'umorismo Milo, sempre con quel tono a metà strada tra l'ironia e la preoccupazione - Credo se la siano date anche le ragazze, sai?"

Ingoio automaticamente a vuoto nel ricordare anche le parole di Hyoga in sala di attesa che si era espresso uguale a proposito dei venti di guerra, prima di tornare su Camus che, nonostante la stanchezza e la pelle ancora molto pallida, conserva quella luce negli occhi che semplicemente abbaglia.

"...ed io devo renderle capaci di difendersi da sole nel più breve tempo possibile!” la sua voce è molto decisa, lui stesso è molto determinato. Sembra del tutto incurante delle ferite, sicuramente ancora aperte e doloranti.

Milo sospira, lo aiuta a raddrizzarsi perché da solo non ce la fa. Sembra quasi rassegnato ma non al punto da darsi ancora per vinto.

“Camus, sei ancora molto debole, come hai fatto a scappare dall'ospedale? Dubito che i medici ti abbiano dato il permesso per farlo!" vuole sapere, cercando di acciuffare il suo sguardo, che tuttavia sfugge via verso il mare.

Poi, ad un tratto, la consapevolezza si fa strada nei suoi occhi tramite scintilla improvvisa: "Death Mask!!! Sono sicuro che c'è lo zampino di quello screanzato nella tua presunta fuga. Il vestiario è il suo, ti sta largo, è così, vero?!"

“Allora... Allora, anf, se dici che sono troppo debole per compiere grossi sforzi, fammi allenare almeno Marta." propone, evitando la domanda rivoltagli.

Sussulto, il cuore mi batte più velocemente, mentre le mie cogitazioni prendono immediatamente il largo: e ora perché vuole allenare solo me?! No, mi vergogno, non ce la faccio! Che gli dico? Che gli devo dire dopo tutto ciò che c'è stato durante i giorni all''ospedale?! Come mi devo comportare, ora, con lui?! Oddio, no, non sono pronta!

"Ha il mio stesso potere, anf, s-sarà più facile per me insegnarle. - si spiega poi, tra un rantolo e l'altro, prima di guardarlo negli occhi - Ti supplico, Milo, non voglio essere un peso, anf, e non voglio fare lo stesso e-errore che ho fatto con Hyoga... tu sai!"

Smetto di tremare per sentirmi proprio raggellare a seguito della sua ultima frase. Per l'ennesima volta nell'arco di pochi giorni, mi trovo ad interrogarmi su quel che possa essere successo nel loro passato, sui traumi che questi poveri ragazzi di una manciata di anni più grandi di noi si stanno portando dietro probabilmente dall'infanzia che, verosimilmente, non hanno nemmeno vissuto.

Qualunque cosa sia accaduta prima della nostra venuta, si ripercuote sul presente, e questo mi fa ripensare a Death Mask e al suo particolare modo di porsi, ma anche a Hyoga, all'ombra di colpa nei suoi occhi quando guarda ammirato il suo maestro, al fremito indistinto delle sue labbra che sembrano celare un universo di dolore.

Abbasso lo sguardo, avvertendo una fitta al petto che prendo a massaggiare con le dita. Do una breve occhiata a Sonia, vicino a me, scura in volto. Lei sicuramente sa a cosa alludono le sue parole.

Nel frattempo, il dialogo tra loro prosegue, perché Milo, dopo aver calmierato la risposta, sembra essersi grossomodo convinto.

“Uff, va bene, Camus, se te la senti veramente ti affiderò la sola Marta, anche perché quando sei così è inutile farti ragionare!"

"Gra-grazie, Milou!" gli risponde, con un leggero sorriso, allungando volutamente alla francese la 'u' in quello che è un buffo suono che, penso, sia un modo amichevole per prununciare il suo nome.

"Io e le altre andremo ad allenarci della parte opposta della scogliera. Però stai attento, per Atena! Ti sei mezzo dissanguato a seguito di quelle ferite, sarai di sicuro ancora anemico e hai rischiato di morire. Non strafare!" quasi lo implora, nel dirlo, scambiandogli un'occhiata profondissima che può capire solo lo stesso Camus, che infatti annuisce, un fremito particolare gli solca il viso.

"Non lo farò, te lo prometto!"

"Marta! - mi chiama poi lo Scorpione, desiderando la mia attenzione, che gli cedo senza indugi nel mettermi quasi sull'attenti in attesa di istruzioni - Lo affido a te, mi raccomando! Appena lo vedi troppo stanco e affaticato imponigli di riposare. Sei l'unica persona che probabilmente ascolterebbe!"

Annuisco, laconica, ma allo Scorpione deve bastare il mio sguardo, o chissà cosa, perché ammicca, scompigliandomi affettuosamente i capelli, per poi passare oltre e darmi la schiena.

Io non ho il coraggio di chiederglielo ancora, non qui, e men che meno ora che è tornato Camus tra noi, ma... esattamente PERCHE' il Cavaliere dell'Acquario dovrebbe dare retta proprio a me, se non ascolta nemmeno il suo migliore amico?!

“Allora ci vediamo dopo, Marta!” afferma intanto Francesca, mettendomi una mano sulla spalla.

“Uh, sì. Fate un buon lavoro, mi raccomando!” ribatto io, un poco indecisa, cercando comunque di incoraggiarle con un'occhiata penetrante.

"Milo, non potete allenarci entrambi? - chiede invece Michela, speranzosa, un poco corrucciata - Così il Maestro Camus bada a noi e tu badi a lui, mi sembra più sensato!"

Ha ragione, anche io ci ho pensato e... lo preferirei anche io, perché, non mi capacito del motivo, ma mi sento agitata a stare sola con Camus. Tuttavia lo Scorpione diniega.

"No, per Camus è meglio avere meno stimoli possibili, nelle condizioni in cui versa, e poi ha ragione, Marta ha il suo stesso potere è più semplice insegnarle."

"Sì, ma... - Michela non sembra convinta, guarda me, poi il maestro, poi Milo e di nuovo me - Se ci siamo tutti, con lui, possiamo intervenire meglio se si dovesse sentire mal..."

"Che ti succede, dolcezza, non mi vuoi più come maestro?" la interrompe però lui, recuperando la sua espressione da marpione, mentre, alzandosi i ciuffi, da pieno sfoggio di sé.

Michela ovviamente avvampa, iniziando a incespicare nei piedi e a balbettare: "C-certo che no, M-Milo, a-anzi dovresti farlo più spesso i-il maestro in seconda per noi, p-però... - e da un'occhiata profonda a Camus che, a fatica ricambia - V-vi voglio entrambi e credo che anche per le altre sia così."

A questo punto Milo se la ride di gusto, regalandole un pizzicotto sulla guancia con gesto aperto e sincero: "Ci avrai, ci avrete, ma, ecco, non oggi. - e torna su Camus, la sua espressione passa da irriverente a seria nel giro di un unico secondo, le pupille gli traballano appena nel guardare l'amico - Per oggi è giusto che loro si... allenino... da soli." conclude, voltandosi poi nella direzione opposta seguito dalle altre.

Così loro si allontanano, edd io mi ritrovo nuovamente sola con lui, in un'onda di disagio che non riesco minimamente a spiegarmi.

Silenzio. Camus cede di un poco. Le gambe da ritte quali erano, anche se difficoltosamente, danno segno di non reggerlo, obbligandolo a divaricare un poco i piedi. Io mi allarmo, tento un primo, maldestro, avvicinamento, ma è lui stesso a fermarmi.

"Sto bene, anf, Marta. Dammi solo... solo un minuto, ok?" mi dice, mentre girandosi da un lato, si mette una mano sul diaframma per regolarizzare il respiro.

Io vorrei semplicemente scappare, o nascondermi, quasi mi vergogno anche solo a guardarlo in faccia, figurarsi a parlarci! Eppure, a vederlo così, con quelle braccia ancora ricolme di lividi che devono dolergli ad ogni più piccolo movimento, la maglietta nera disordinata vistosamente più grande di lui, un moto di tenerezza mi investe. Ho quasi l'impulso di andare da lui e abbracciarlo, di dirgli che sono felice di rivederlo, che mi è mancato tantissimo in questi tre giorni di separazione, dopo che siamo stati così vicini nei terribili giorni dell'ospedale ma trattengo tutto strenuamente dalle redini.

Cosa mi sta succedendo?! Perché sono così refrattaria in un momento simile, proprio adesso che, anche se a fatica, sta in piedi davanti a me, vivo, dopo essere scampato ad un pericolo così enorme. Perché?!

Qualcosa mi morde la coscienza, per non darle adito, comincio a formare una montagnetta di sabbia più alta delle altre, modellandola con i miei piedi. Non sembra, ma è un procedimento che richiedere un'attenzione quasi maniacale e nel quale ci metto tutto l'impegno che posso. Ben presto l'azione assorbe tutta me stessa. Non c'è quasi più l'ambiente intorno a me, non c'è Camus, non c'è l'immenso garbuglio che sento dentro e che non riesco ad esprimere, ci sono solo io e la sabbia, che mi scivola sotto la pianta dei piedi, che prende la forma che io desidero. Ridacchio alla sensazione che mi da. Mi verrebbe quasi da ripetere parole senza senso quali 'ta, ta, ta', o anche 'pi, pi, pi', ma sono comunque abbastanza in me da impedire che questa ecolalia (che mi porto avanti da quando ho iniziato a parlare!) si palesi fuori, facendomi dare della svitata.

“Non ti ho ancora ringraziata, vero?” la voce flebile di Camus irrompe nelle mie azioni e nei pensieri.

BUM. La costruzione di sabbia è crollata, perché, non aspettandomi il suo intervento, la gamba sinistra si è come mossa da sola, distruggendola.

"E-eh?!"

Lo guardo senza capire, arrossendo, colpita dal suo tono di voce così delicato e dall'affetto che riesco a percepire tramite il suo sguardo. Non c'è più quel velo di gelo dei primi giorni, solo un'occhiata calda e intensa che mi mozza il respiro in petto.

"Non ti ho ancora ringraziata, Marta." mi ripete, forse pensando che la mia breve affermazione precedente fosse davvero una richiesta di bissare. Non ha compreso, no, che invece è stata capace, da sola, si smuovere tutto il mio mondo.

"P-per c-cosa? I-io non..."

Geniale, sto anche balbettando come se fossi una bambina di due anni... che magra figura!

“I medici hanno dovuto fare una trasfusione di emergenza per salvarmi, l-la prima non è andata bene. - freme un poco, ed io con lui - L-la seconda, invece, sì. Il sangue che mi ha permesso di riprendermi... era il tuo, vero?"

"S-sì, era... il mio." tartaglio nuovamente, grattandomi la testa, spostando lo sguardo ora sulla dunetta di sabbia alla destra dei suoi piedi e ora all'intreccio dei miei sandali da schiavetta intorno alla mia caviglia.

"Ti ringrazio, Marta, mi hai fatto dono della vita, sebbene tu mi conosca appena."

“Anche voi... anche voi mi conoscevate appena, eppure... uff, era l'unica cosa che potevo fare, quella. - gli faccio notare, con un mezzo sorriso nascosto che punta dritto alle sue scarpe senza riuscire ad andare oltre - Però... però il donatore dovrebbe rimanere segreto, come fate dunque a..?”

"Death Mask."

"Ah, il granchio che parla troppo! Aveva ragione Milo, allora, siete fuggito dall'ospedale grazie a lui!" arrivo alla conclusione, nascondendomi di riflesso la piega del gomito ancora bendata dietro alla schiena

"..."

"E' stato molto avventato da parte vostra! - non so bene cosa stia facendo, nello specifico, vorrei solo fiondarmi tra le sue braccia, ora, al contrario lo rimprovero, mantenendo forzatamente le distanze, come se la mia lingua fosse scollegata dal resto del corpo e dalle mie reali intenzioni - Fuggire nelle vostre condizioni, quando la ferita è certamente ancora aperta e i lividi, i versamenti, non hanno nemmeno cominciato a riassorbirsi. E-e vi devono fare un male del diavolo, quelli, lo posso ben immaginare, perché... perché..."

"Marta..."

"P-perché vi ho visto, lì, in Terapia Intensiva appena dopo l'operazione di emergenza, c-con tutti quegli a-aghi, f-flebo, t-tubicini o-o non so neanche io cos'altro f-fossero, s-s-sul vostro corpo, ed io... io... - il mio tono si incrina paurosamente, facendomi agitare visibilmente ancora di più - E-era per me che s-stavate così, e-era per me c-che avete r-rischiato d-di mor... d-di mor..."

Sto cominciando a muovermi convulsamente, in piena crisi, come non mi prendevano da un bel po', terribili e inaspettate, da spingermi a chiudermi le orecchie con le mani, sbattere la testa e non avvertire più nulla del mondo esterno.

Sto per esplodere, lo sento, non ne posso più, ma...

...Ma qualcosa mi tiene, mi tranquillizza seduta stante, in un modo che non era mai avvenuto prima, neanche con mia madre che sapeva come reagire. Sbatto più volte gli occhi, come risvegliata: le mani di Camus mi hanno preso per le spalle e ora mi tengono ferma con gentile risolutezza. Il mio sguardo finalmente riesce a sorreggere il suo, ora lo vedo bene, perché è vicino al mio. Viso a viso. Ha ancora un po' di grinze sotto le palpebre, l'espressione tirata, ma gli occhi nuovamente luminosi e vitali, di chi la vita, per poco, non la stava per perdere.

"Ma-maestro..." lo chiamo, tornando lentamente in me. La crisi si è interrotta. I colori sono tornati. Posso respirare a pieni polmoni.

"Marta... - mi chiama ancora, con quel suo solito tono caldo e composto anche se ancora strascicato, rauco, e pregno della sofferenza che ha attraversato - Perché il 'voi', ora? Perché non più il 'tu'?

Realizzo che effettivamente da quando l'ho visto sbucare sulla spiaggia nel tremulo meriggio ho preso a dargli di nuovo del 'voi', come se davvero non fosse successo niente. Come se davvero non fosse cambiato qualcosa tra noi. Da parte di entrambi.

"I-io..."

“Non mi davi del voi quando ero in coma, anzi, malgrado le mie raccomandazioni, le volte in cui mi hai dato effettivamente del 'voi' si possono contare sulle dita di un'unica mano. - sottolinea infatti in tono un poco irriverente, sorridendomi, anche se è tutt'ora pallido come un cencio, prima di rimodulare il suo timbro vocale in qualcosa di infinitamente caldo - La tua voce... mi ha confortato, sai? Tanto. E... e vorrei, se fosse possibile, che tu continuassi a parlarmi in quel modo... Marta!”

Siamo così vicini... lui perfino mi tiene per le spalle, avverto il fremito delle sue mani, la sua paura che quel contatto tra noi sia troppo, o forse troppo poco. Non sa che pure io provo questo istinto innato di annullare la distanza tra noi, eppure non riesco nemmeno a sfiorarlo.

Sono di nuovo senza parole, la situazione sembra invertita, adesso, è lui ad essere molto più diretto, ed io, come una sciocca, bloccata fin nei recessi dell'anima. Ho paura a compiere quest'ultimo passo che mi consentirebbe di aprirmi totalmente con lui; forse, per ironia di una sorte beffarda, anche lui sta provando i miei stessi timori.

“Avete... cioè hai ascoltato tutto quello che ti ho detto?! Mi... mi potevi udire?” esclamo, timidamente sorpresa, dando voce ai miei dubbi.

"Potevo, sì, era parlare il problema."

Non mi stupisce, aveva il tubo endotracheale inserito in gola, nessuno avrebbe potuto. Sorrido tra me e me, a metà strada tra il sollevato, il vergognoso e il titubante.

"P-proprio tutto?" chiedo ancora, sentendomi nuovamente tanto stupida nel porre un quesito simile.

"Intendi... il tuo elogio alla vita?"

Ecco, sì, ora vorrei proprio sprofondare nella sabbia e sparire. Imporporo nuovamente. Ormai devo avere due pomi rossi di mela al posto delle guance. Strizzo gli occhi, vorrei parlare ma sento che, se lo facessi, balbetterei come una cretina. Prendo aria. Prendo tempo, e...

...e quando finalmente alzo lo sguardo verso di lui per rispondere, incrocio i suoi occhi nei miei, lucidi come mai li avevo scorti. Rimango a bocca aperta, meravigliata dall'espressione dolcissima che mi ha rivolto e che mai avrei creduto potesse essere capace di esprimere.

Camus deve sentirsi vulnerabile davanti al mio sguardo, gli zigomi prendono un colorito rosso tenue, più tollerabile rispetto al pallore che ancora lo segna. Si volta e mi da la schiena, allontanandosi di due passi, tanto da farmi pensare che lascerà cadere il discorso. E invece...

“Sì, Marta, l'ho sentito, così come la tua mano che teneva e accarezzava dolcemente la mia. - conferma, la postura distante ma il tono tremante estremamente tangibile e vicino - Le tue parole, e quelle di Milo prima, hanno raggiunto il mio cuore, trasmettendomi la forza necessaria per spingermi a non arrendermi!”

 

*****

 

Tiro con forza un pugno, cercando di fare uscire l’aria congelante come avevo fatto contro il nemico, ma con scarsi risultati. Inarco un sopracciglio, mi scrollo la mano come se fosse difettosa e ci riprovo. Niente, peggio di prima. Comincio veramente a pensare che sia stato solo un caso usare quella tecnica così potente contro il nemico; un caso... o l'aiuto di qualcuno!

“Dannazione, non ci riesco proprio! Siete... volevo dire, sei sicuro del cosmo dentro di me?!” biascico, sfiduciata, voltandomi verso di lui.

Camus mi osserva attentamente, poi si avvicina, posandomi una mano sul mio pugno per infondermi un po' di sicurezza.

“Marta, ripensa a cosa ti ha permesso di trovare la forza e sconfiggere il nemico. Il cosmo ce l'hai, te lo posso assicurare! Devi solo trovare la forza per farlo sgorgare fuori da te!” mi consiglia caldamente.

"NON VOGLIO! - esclamo, scrollando prepotentemente la testa, prima di calmarmi un poco - Non voglio rammentare quei momenti!"

Lui mi guarda comprensivo, capendo il mio malessere e il rifiuto di rivivere quella situazione. Mi guarda, e i suoi occhi sono straordinariamente pieni e accesi, luminosi, nonostante il pallore del viso, le occhiaie e la voce ancora roca, non completamente sua.

"Devi permettermi di aiutarti, Marta... so che non è facile, ma solo così posso capire cosa ti ha permesso di vincere il nemico."

"Vincerlo?" ripeto, smarrita.

"Sì, la scintilla che ti ha permesso di reagire e colpirlo."

“Maestro, tu eri appena stato ferito brutalmente... e-e i-il solo vederti così mi dato la scarica di adrenalina necessaria per partire all'attacco!” tento di spiegare, ricordandomi di quei momenti terribili.

"Eri arrabbiata?"

"Arrabbiata, disperata, sconvolta... non lo so neanche! C'era un nugolo, un peso qui - e indico il mio petto, anche se faccio fatica ad esprimermi - Non ci ho più visto!"

“Bene. Non è il massimo farsi prendere dalle emozioni per chi domina le energie fredde, ma se ti serve per riuscire a sferrare almeno un colpo devi ripensare a quella scena.” mi dice ancora lui, lasciando il mio pugno per poi compiere tre passi indietro.

Mi giro nuovamente, chiudendo gli occhi per concentrarmi. A fatica do l'imput alla mia mente di rivivere a quei terribili momenti, ma una volta avviata è come una valanga sempre più grossa che frana a valle. Vedo il nemico con le estremità artigliata, le braccia di Camus spalancate a croce per difendermi, lui che crolla, io che lo piglio al volo, le parole di quel mostro... In particolare mi concentro proprio sulla figura del maestro, riuscendo ad avvertire il lucicchio di calore che mi si irradia nel petto al solo pensare a lui, e che ora posso agevolmente tradurre come del vero e proprio affetto nei suoi confronti.

L’ho promesso, diventerò più forte e non permetterò più a nessuno di fargli del male... a nessuno!!!

Apro di scatto gli occhi, protraendo il braccio avanti a me. Finalmente dal mio pugno esce un getto di aria congelante sufficientemente potente da congelare parte della sabbia. Il contraccolpo mi fa sbilanciare, ma fortunatamente Camus è subito dietro di me, pronto a sorreggermi.

“Bravissima, Marta! Questa è senza dubbio la ‘Polvere di Diamanti’!”

Mi allontano bruscamente da lui per compiere alcuni passi e fissare meglio, basita, il mio operato. È davvero ghiaccio! Neanche più brina, MA GHIACCIO!!! Ci sono quindi riuscita, non ci posso credere, mi sembra un sogno! Davvero ho il suo stesso potere e, davvero, una volta padroneggiato, potrò proteggere chi voglio!

"Marta, sei... sei stata..."

Odo appena il suo difficoltoso incedere sulla rena, forse si vorrebbe avvicinare a me, o forse sta solo cercando di rimanere in equilibrio senza cadere. Qualunque sia la ragione, non ha comunque importanza, perché la mia felicità zampilla istantaneamente fuori prima che la ragione possa dargli un freno inibitorio. Semplicemente, del tutto euforica, mi volto verso di lui, le braccia spalancate da sembrare quasi un aereo al decollo. Individuo appena la sua espressione sorpresa, le sue braccia a loro volta mezze sollevate, le ginocchia piegate in avanti. Dovrei fermarmi, lo so, ma la pianta dei miei piedi è già separata dal suolo, il mio corpo già proteso a mezz'aria. Camus non mi acciuffa che a stento, o forse sono io ad acciuffare lui, non lo so bene neanch'io, so solo che l'intensità è tale da non reggere né il mio peso né tanto meno il suo. Finiamo ambedue a terra, lui col sedere sulla sabbia, io praticamente sopra. E' tutto così confuso intorno a noi, forme, colori e suoni... so solo che il mio viso affonda automaticamente nell'incavo della sua spalla. Lo sto abbracciando ed è bellissimo!

O almeno lo è per me, perché lui, a seguito del mio contatto così spontaneo e inaspettato, si paralizza, rimanendo imbambolato a fissarmi. Le mani ancora posate per terra, a reggersi disperatamente dritto, perché il suo corpo trema per la fatica, comprovata dal respiro nuovamente frenetico.

Realizzo due secondi dopo, tardi, quando mai il danno è stato fatto, che mi sono lanciata su di lui ferito gravemente, appena fuggito dall'ospedale, in maniera non dissimile a come aveva fatto Milo. Imporporo seduta stante, mordendomi il labbro inferiore per la sciocchezza appena compiuta.

"O-oddio, per-perdonami, Camus, non... non..." tento di allontarmi, vergognosa, quasi gettandomi indietro per smettere di pesargli, ma prima di poter procedere nell'intento, sono le sue stesse braccia a trarmi nuovamente a sé, sistemandomi meglio dal lato destro del suo corpo.

"N-no, va bene così, Marta, riesco... riesco a tenerti in questa posizione, non mi tirano i punti."

Sgrano gli occhi e ammutolisco, non aspettandomelo affatto. Mi ritrovo così ad essere ben presto delicatamente appoggiata con l'orecchio al suo petto, appena sotto le clavicole, ad udire i battiti, ora armoniosi, ora agitati, del suo cuore pulsante. Un attimo dopo, i muscoli del suo collo si sciolgono, concedendo così anche al suo viso di affondare dolcemente tra i miei capelli nello stesso momento in cui le sue dita della mano destra si appoggiano, lievi, dietro la mia nuca.

Mi manca quasi il respiro, di riflesso stringo il tessuto della maglietta nera che indossa nell'atto di affogare un singhiozzo dentro di me.

Allora... allora è questo che si prova ad essere abbracciati da Camus dell'Acquario? Questo calore che sperimento nella sua interezza per la prima volta... questo suono, così ritmato, contro il mio timpano, di un cuore che aveva smesso di battere e che ha trovato la forza di reagire. Gli occhi mi si fanno lucidi per l'emozione, ed è assurdo che proprio adesso che mi sento così sollevata, che la tensione se ne sta finalmente andando, io tremi e frigni più di prima.

"Marta..."

"Uh... uuuuhuu!"

E' quanto di meglio riesco ad esprimere.

Paradossalmente la mia sorta di vagito riesce a farlo distendere un poco di più, concedendogli di mostrare un un risolino intenerito.

Tanto più scema di così non posso apparire, vero, Maestro?!

"Non devi piangere, sono qui." mi sussurra lui, tenue, aumentando la stretta per farmi percepire la sua vicinanza.

Mi verrebbe da dirgli che mi viene da piangere proprio perché lui è qui, perché lo sento palpabile tra le mie braccia e ascolto il suo respiro che è vita, ma mi limito ad annuire.

E' così bello e accogliente il suo abbraccio, non me ne separerei più. Per un fugace secondo mi sembra di essere tornata a casa, al sicuro; sono al sicuro, con lui, non ho più nulla da temere, ormai lo so.

"M-Marta, p-potresti..? Ho necessità di parlarti."

Ad un certo punto si schiarisce la voce, vorrebbe dire qualcosa, quindi faccio per discostarmi per riuscire a scorgergli il viso, ma lui mi trattiene tra le sue braccia e trema. Non vuole... essere guardato mentre lo dice?

"Camus?" lo chiamo, confusa, non sapendo cosa lo stia attraversando, ma deve essere un'emozione molto intesa, quasi soverchiante a giudicare dal tremore sempre più forte del suo corpo.

"A-ascolta, i-io..."

Si inceppa. Sembra proprio che non riesca a dirla questa cosa così urgente, e quando finalmente la vibrazione delle sue corde vocali diventa sufficientementi forte per riuscire a proseguire nel discorso, è comunque troppo tardi.

Improvvisamente infatti il vento cambia di intensità per poi prendere ad ullulare con forza, mentre delle nuvole nere oscurano immediatamente il sole per poi cominciare a vorticare minacciose sopra le nostre teste.

Sia io che Camus balziamo sull'attenti, separandoci di scatto per metterci in posizione di attacco. Qualcosa di terribile sta arrivando, l'aria freme e... è spaventoso!

Vedo una luce irrompere sulla spiaggia, anzi, più di una e sembrano circondarci completamente non dandoci più alcuna via di fuga.

“Q-questi chi..?” ho appena il tempo di chiedere a Camus, il quale, alzando un braccio per proteggermi, si posiziona minaccioso proprio davanti a me.

No, di nuovo... NO! Non è in grado di combattere in queste condizioni!

Poco dopo dalle luci escono una decina di figure alte e possenti avvolte da un mantello a balze scarlatte.

“Chi diavolo siete?” domanda Camus, i nervi a fior di pelle, il cosmo minaccioso, nonostante sia ridotto al lumicino.

“Siamo soldati al servizio del Grande dio Ares!" afferma uno dei nemici, alzando un pugno in aria.

L'enialio Ares, il dio della guerra?! Figlio di Zeus ed Era, nonché amante di Afrodire, la dea della bellezza?!

Rabbrividisco nel ricordarmi di lui nella mitologia greca. Indietreggio di riflesso.

"Il nostro compito è quello di conquistare e depredare il Santuario della dea Atena e i suoi sciocchi difensori!" sentenzia l'altro, partendo irrimediabilmente all'attacco.

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Capitolo 12
*** Come una famiglia ***


CAPITOLO 12

 

COME UNA FAMIGLIA

 

Schivo l’ennesimo pugno rivolto contro di me, scivolando agilmente a sinistra come ho visto fare a Francesca nelle simulazioni di combattimento.

Non capisco. Sebbene costoro siano numericamente superiori a noi e ci sovrastino di mole, non sembra stiano facendo sul serio. Molti dei loro pugni vanno a vuoto, o ci vuole un niente per scansarli. Dubito che il loro stile sia realmente così grezzo e privo di una qualche tecnica specifica. Pare quasi stiano giocando al gatto con il topo e non sapere minimamente cosa abbiano in mente mi destabilisce ancora di più.

"Sei mia, lurida puttanella!"

Eccolo qui il classico macho che, non sapendo con quale insulto prendermi, cade nel solito, becero, sessismo senza sapere neanche chi sono. Mi volto furiosa verso di lui, non ho mai tollerato questo genere di offese. Il pirla corre verso di me, le mani alzate a pugno come se volesse schiacciarmi.

Bravo, coglione, vieni!

Gli do l'illusione di avermi nel sacco, consapevole di essere più veloce. All'ultimo sfuggo dalle sue grinfie, lui rimane imbambolato come un ebete, fa per girarsi, ma si rende conto che non può: con una piccola emanazione di cosmo gli ho infatti congelato le gambe.

Sorrido, beffarda. Ormai ho capito come funziona questo potere, cosa lo fa scaturire, è semplice rabbia e nient'altro, con buona pace del Maestro Camus; e il nemico, con la frase di prima, mi ha ripugnato oltre ad avermi fatto notevolmente incazzare. Potrei piantarla qui, in effetti, tanto è bloccato, ma contravvenendo agli insegnamenti anche di Milo, che mi ha sconsigliato il raffronto corpo a corpo con avversari evidentemente più robusti di me, carico a spron battuto dal basso verso l'alto, dandogli un sonoro gancio destro che lo fa stramazzare intontito al suolo.

Ben ti sta, la prossima volta ci pensi non due, ma tre volte prima di parlare a sproposito!

"Ma-Marta! - Camus, più distante, si gira verso di me dopo aver bloccato con gli Anelli di Ghiaccio i tre nemici che lo stavano occupando. Ha negli occhi e nell'espressione la preoccupazione, ma quando vede che sono riuscita, da sola, ad atterrare un nemico, mi sorride di rimando, fiero - Bra-brava, anf, ottimo lavoro!" si congratula, tornando a concentrarsi sugli avversari.

Il mio cuore e i miei occhi brillano di orgoglio a seguito delle sue parole, gli sorrido a mia volta, nonostante non mi stia più guardando, ma spero lo percepisca comunque.

Lo osservo, sempre più ammirata, sentendomi davvero onorata di combattere al suo fianco. Ha alzato la guardia ed è pronto ad attaccare nuovamente, stavolta con una 'Polvere di Diamanti' degna del suo nome. Li carica con il braccio destro, il sinistro è ancora tenuto in basso, chiuso a pugno, probabilmente a seguito della ferita non riesce a tenerlo sollevato troppo a lungo. Mi mordo tacitamente il labbro inferiore a quest'ultimo pensiero, mentre gli avversari, tutti e tre, vengono sbalzati via dal getto di aria congelante.

L'attacco è andato completamente a segno, ma gli effetti su di lui non tardano a palesarsi. Lo vedo piegarsi in avanti, in completo affanno. Non si permette di cadere, ma ciondola nel cercare di recuperare il respiro sempre più frenetico.

"CAMUS!!!" lo chiamo, l'istinto che mi dice di correre verso di lui e aiutarlo, se il suo braccio destro non si alzasse fino a metà busto nell'indicarmi di rimanere ferma.

"Stai lì, anf, ce... ce la faccio!"

"M-ma... - tento di oppormi, prima di impallidire nel vedere due delle tre ombre ergersi nuovamente in piedi per tentare un contrattacco - CAMUS! Due dei..." ululo, spaventata, ma lui è più veloce di me ad agire, li scansa entrambi con un balzo veloce, atterrando poco distante da me.

Mi ritrovo a prendere un profondo respiro di sollievo, la sensazione di pericolo scampato, almeno per il momento. Camus è sicuramente forte e coraggioso, il suo stile di lotta mi abbaglia, da quanto riesca a miscelare forza e grazia allo stesso tempo, ma è anche ferito gravemente e questo rende le sue movenze un poco più pesanti e faticose da eseguire, senza contare che ormai non riesce quasi più ad alzare il braccio sinistro oltre l'altezza del fianco.

"Vedo che siete stati programmati dal vostro padrone per essere coriacei, anf... - si sforza di usare un tono irriverente, probabilmente per mascherare la stanchezza crescente - Il dio Ares avete detto, giusto?"

"Non ti dobbiamo spiegazioni, Acquario!"

"Perfetto. - ne prende atto Camus, con un leggero sorriso, chiudendo gli occhi per aprirli un istante dopo e scagliare un raggio ghiacciato diritto al petto di quello che ha appena parlato - Ed io non vi devo alcuna pietà!" afferma subito dopo, senza alcuno scrupolo, mentre l'espressione del nemico, colpito a morte, si distorce fino ad assumere connotati inumani.

"Noooooo, Orazio!!! - lo chiama l'altro al suo fianco, a cui si aggiunge quello che avevo atterrato precedentemente io (il terzo del gruppetto affrontato da Camus è ancora k.o a terra) - PEZZO DI MERDA!" gli urlano poi, gli occhi sgranati dalla rabbia.

"Non so per cosa combattete voi, e neanche mi interessa. - l'espressione di Camus si è un poco piegata nonostante la frase proferita - Ma so per cosa combatto io e, in base a questo, non avanzerete di un passo!" stabilisce, sicuro di sé, mentre io mi trovo a tremare, un po' per la paura di averlo visto uccidere per la prima volta, un po' per la tensione.

Stiamo facendo la cosa giusta? Loro uccidono, noi uccidiamo... che differenza c'è, tra noi?!

"La pagherai cara per questo, Acquario! Orazio era il nostro più caro amico, e..." ulula quello che avevo atterrato prima, minaccioso.

Ma Camus non gli da tempo di finire, non più. Stanco, desideroso di chiudere in fretta i giochi, scatta in avanti e, sempre con l'eleganza di un cigno e la spietatezza di una tempesta artica, uccide senza esitazione prima uno e poi l'altro, accatastando i due corpi uno sopra l'altro.

Lo osservo, spaesata, per non dire quasi attanagliata dalla paura. Li abbiamo sconfitti ma... non sono contenta. E' così strano vederlo così, in questa tenuta da assassino, senza la minima pietà né esitazione. Era questo che intendeva quando, all'ospedale, mi diceva che, a volte, per difendere ciò in cui crediamo, è necessario spezzare una vita?!

"Ma-Marta, anf..."

Deve aver percepito l'orrore sul mio viso, il giudizio nelle mie iridi. Tento di assumere un qualche tipo di espressione diversa da questa, ma non è facile. Lo fisso, le labbra allineate dal biasimo, peraltro ingiustificato visto che dovrei essere l'ultima a poter parlare. Anche io ho... ucciso!

Lui è quasi privo di forze, fa fatica a respirare correttamente. Ricambia con difficoltà la mia occhiata, la schiena incurvata in avanti, le gambe tremanti, sul punto di cedere. E' quasi al limite.

"Camus, io... non voglio in alcun modo giudicarti!" gli dico, distogliendo però lo sguardo.

"Lo capirei, anf, se..."

“MALEDETTI, VI MASSACREREMO!!!

"MART..!"

Non ho il tempo di reagire né di fare nient'altro, vengo investita da un qualcosa di tremendamente somigliante ad un manata. Non ho i mezzi per difendermi, mi ritrovo semplicemente a sbattere per terra, il mio corpo piroetta diverse volte prima di lasciarmi distesa su un fianco. Dolore lancinante. Le ombre si allungano nella mia mente, quasi mi prenderebbero, se non... se non... udissi un gemito di sofferenza perfettamente riconoscibile.

...Camus...

"GUAH!"

"Sei nostro ora! Pagherai con la vita questo tuo affronto, pusillanime!"

"Aspetta, non possiamo ucciderlo, ricordi? Ha superato il Marchio..."

"Lo so, fratello, ma farlo soffrire questo sì, no?!

TU-TUM!

Il cuore mi rimbalza in bocca dalla paura. Spalanco gli occhi dal terrore, mentre la mia mente mi riporta a immagini recenti e affatto piacevoli. Mi sforzo di girare un poco la testa, che avverto follemente pulsante, devo reagire, devo fare qualcosa, devo... muovermi!

MUOVITI! Stavolta muoviti, dannazione!

Mi incaponisco, non c'è, non ci deve più essere, spazio per l'esitazione, giro il collo per quanto mi è possibile e... lo vedo!

Vedo Camus distante da me, tenuto saldamente sollevato da un figuro che lo doppia in altezza. Il braccio che lo immobilizza dal collo non gli lascia scampo alcuno, c'è troppa disparità di corporatura, sebbene le sue mani tentino disperatamente di sfuggire alla morsa conficcandosi nella carne del nemico. Ma i suoi gesti, i suoi tentativi di ribellione, vanno tutti a vuoto.

Davanti a lui lo circondano altri tre, tutti ghignanti, come di chi ha appena arraffato un bottino prezioso. Lo canzonano, certi della vittoria, uno lo prende dai capelli, lo forza ad alzare la testa. Ride di gusto, ed io sento ribollire in me la voglia di ucciderlo.

Mi metto difficoltosamente sui gomiti, ancora intontita dalla botta precedente, guidata solo dalla rabbia e dalla disperazione di voler accorrere in suo aiuto. Non capisco quando siano giunti questi, né da dove. Sono... comparsi dal nulla?! Devono far parte dello stesso schieramento, però, a giudicare dal corto chitone che si intravede sotto le modiche corazze rosso fiammeggianti che li ricoprono e che lasciano inspiegabilmente sguarnita una delle zone più delicate del corpo umano.

Sgrano gli occhi a quest'ultimo pensiero, prima di richiuderli per lo sforzo di rialzarmi in piedi... ma certo, ho capito, come gli Spartani, del resto hanno detto di essere fedeli ad Ares, no?! Potrei...

"Uh! Uh! Ma guardalo come si divincola tipo un pesce nella rete... non fai più tanto lo sbruffone, eh, Acquario?!" lo sbeffeggia proprio quello che lo tiene malamente dai capelli, mettendosi a ridere sguaiatamente.

"Aspetta... - dice quello di fianco, forse più osservatore del primo - Sollevalo ancora un po' e schiacciagli di più la glottide in modo da troncargli il respiro, altrimenti questo ci prova a darci un calcio, lo vedo bene!"

"Uh! Uh! Ma cosa vuoi che faccia, è ai minimi termini! Non si sopravvive al Marchio senza conseguenze!"

"Staremo a vedere... tu fallo, forza! - lo incita ancora, in un tono che non ammette repliche, prima di scrocchiarsi le ossa della mano - Bene così, e adesso..."

Sono ancora a gattoni, il dialogo tra loro non mi giunge che a sprazzi, so solo che devo sbrigarmi, che non ho più tempo. Riesco finalmente ad issarmi in piedi, prima la gamba destra e poi la sinistra, le braccia ancora a ciondoloni mentre a fatica riapro le palpebre. L'occhio mi trasmette una visione parzialmente offuscata, devono essere ancora le conseguenze della manata di prima, ma non posso cedere, non posso permettermi di cedere. Ho una sola possibilità, per quanto insensata e irrazionale, sono tutti più robusti di me, di noi, e senza un valido attacco speciale da distanza non posso minimamente sperare di...

“Uaaaarrghh!!!”

Il rantolo di Camus mi arriva con la velocità di un fulmine, paralizzandomi all'istante. Non capisco subito, non ne sono in grado. I miei movimenti sono lenti e vuoti, così come il mio girarmi nella loro direzione, ma quando alle mie orecchie giunge un altro suono, come di qualcosa che sferza l'aria per poi affondare in qualcos'altro, seguito da un altro urlo del mio maestro, la situazione è ormai chiara.

"N-no... no! - sibilo, furente, mentre avverto nuovamente quella grande forza mulinare dentro di me - BA-BASTARDI!" prorompo, assecondando l'impulso interno per poi proiettarmi in avanti senza esitazione alcuna, in testa solo il desiderio nitido di proteggerlo.

Camus... Camus sta subendo dei pugni in pieno addome, 1, 2, 3, 4 volte con intensità crescente... non può difendersi, non può contrattaccare, vulnerabile com'è, stremato com'è, può solo tentare di incassare, di non arrendersi, e lo fa con tutte le forze e il coraggio che gli restano. ORA BASTA!

“VIGLIACCHI!!! Sapete di non essere forti e vi mettete quattro contro uno, per giunta ferito!” gli grido contro, furente.

"Uhm, sta arrivando la ragazzina..." constata uno di loro, quello più vicino in linea d'aria a me, non nascondendo una certa preoccupazione.

"E lasciala arrivare, intanto cosa mai..."

Ma sbagliano i calcoli sulla mia velocità, a quanto pare, perché, con un balzo da faina, sono già addosso al primo che ha parlato. Lo utilizzo come trampolino di lancio per giungere più facilmente al mio obiettivo: colui che sta malmenando Camus!

"MA COS..?!"

Lui non se lo aspetta di certo, eppure è abile a voltarsi verso di me per contrattaccare. Tuttavia ciò non gli riesce, inspiegabilmente si blocca. Qualcosa in me, nella mia espressione iraconda, lo deve destabilizzare, spingendolo ad irrigidirsi. Folle, è il tuo primo errore!

Impatto con la fronte contro di lui, contro il suo mento spigoloso, finendo poi irrimediabilmente a terra. Dolore lancinante anche per me, mi lacrimano gli occhi e, per un istante, torno a vedere appannato.

Nonostante l'iniziale smacco, il nemico è sin troppo veloce a riprendersi. Percepisco la sua ombra ergersi davanti a me, la vittoria nelle sue mani...

"Niente male, cagna, in fondo ci sai fare, peccato che il giochetto termini qui! - esclama, trionfante, caricandosi - POLVERIZZATI!"

La vittoria nelle mani, dicevo... tuttavia, in molti casi, è proprio questo ad abbassare la soglia di attenzione.

E' il mio turno di sorridere tra me e me: il bestione mi è proprio sopra, si è avvicinato troppo e ha divaricato le gambe senza che fosse realmente necessario.

"E questo è il tuo secondo errore! - gli dico, sicura di me, mentre, radunando tutte le energie a mia disposizione, nonostante la palese posizione di svantaggio, carico la gamba destra - PRENDI QUESTO!" urlo, tirandogli un calcio, di punta, che va a colpire proprio... i suoi gioiellini!

Sogghigno. Attacco Ascendente di Milo... andato a segno!

La sua reazione è immediata. Lo vedo strabuzzare gli occhi, mentre, piegandosi in due come una sdraio, prende a guaire come un cane. Ho appena il tempo di gettarmi di lato, che lui frana a terra, il viso nella sabbia, le mani a trattenersi la zona lesionata.

"Il vostro dio dovrebbe forse darvi, anf, un'armatura un po' più... coprente! Che... che ve ne fate di una miseria cintura ai fianchi, se sotto, anf, rimane sguarnito?!" lo irrido, palesemente affaticata, abbassando a mia volta la guardia. Grave errore, perché il terzo, quello che era il più distante fra tutti, è ora libero di agire su me, stesa e indifesa al suolo.

“Tu invece dovresti imparare a startene al tuo posto, ragazzina!” esclama furioso, cogliendo altresì l'occasione per sferrare un calcio a me.

Ho giusto appena il tempo di ripararmi il fianco sguarnito con il braccio sinistro, che vengo nuovamente colpita con violenza. Stavolta il percorso è più breve, la sabbia attutisce l'urto, fermando immediatamente il mio corpo poco più in là. Fitta istantanea alla schiena e al braccio, il respiro mi si tronca in gola e mi sento di svenire. Sbatto le palpebre prima di chiuderle, imponendomi di non cedere.

Temo, quantomeno, di essermi slogata l'arto, oltre a percepire qualcosa di caldo, fluido, scivolarmi in mezzo agli occhi -sangue?- ma devo fare comunque in fretta ad alzarmi, perché sono nuovamente in una posizione di svantaggio!

E infatti l'avversario sta per raggiungermi di nuovo, selvaggio, con l'intenzione di sfondarmi definitivamente il cranio. Sono pronta adesso. Apro di scatto gli occhi, lui non da cenno di volersi fermare, portando quindi me a lanciargli una 'Diamond Dust' dritta e sparata in faccia.

Si tratta di un attimo. Il nemico urla, una volta sola, prima di cadere al suolo, l'espressione contratta in un ghigno mortale. Morto.

Mi alzo faticosamente in piedi, il respiro rapido, un nodo nuovamente in gola, ma di breve durata. Al suo posto, una gelida calma mi pervade. Io, che prima mi sono permessa di biasimare Camus per le uccisioni perpetrate, mi ergo nuovamente qui, dopo aver ammazzato ancora una volta. Fisso brevemente il nemico, ormai immobile, un brivido mi scorre lungo la schiena, ancora più certa che non tornerò più indietro, ancora più certa che sono un mostro e che col tempo, forse, accetterò di esserlo.

Mi chino su di lui, gli chiudo almeno le orbite rimaste vuote nel rispetto che si deve solo ad un morto. Poi mi risollevo faticosamente in piedi.

Strizzo momentaneamente le palpebre, serro la mascella per alcuni secondi, trattenendomi dall'impulso di urlare. Ciò nonostante, lo sguardo che imprimo negli occhi di quello che tiene malamente Camus e del tirapiedi per terra che è andato a soccorrere il compagno che si è preso il calcio nei coglioni, è freddo come il ghiaccio.

“Pensate di andarvene ora, o... anf, anf, avete bisogno di un invito? - gli chiedo, spietata. La foga in me, quell'energia che vorticava prima, non è del tutto assopita. Si accende ulteriormente nel vedere le condizioni cui versa Camus, semi-svenuto ancora bloccato dall'energumeno, le braccia ormai abbandonata lungo i fianchi - E ALLORA?!"

Loro indietreggiano, soprattutto uno dei dei tre, quello usato come trampolino. Riconosco nei suoi occhi la stessa inesperienza mia, la stessa esitazione ad uccidere, prima di arrendersi al demone che è dentro. O forse lui, chissà, ancora non ha ucciso. Si è unito a loro solo recentemente. Forse, a differenza mia, non ucciderà.

"Che... che cosa facciamo?" chiede al più grosso, smarrito, issandosi sulle spalle il compagno gemente.

"N-non c'è molto da fare, maledizione, e dire che ci avevano assicurato che sarebbe stato un lavoretto facile facile!" ringhia sommesso, preda della frustrazione.

"Spiacenti di non aver rispettato le vostre aspettative!" ironizzo ancora, facendomi forte, laddove invece non lo sono.

"Fai poco la furba, tu! Torneremo... torneremo per voi, puoi starne certa! Per il momento, affidiamo il resto della missione ai nostri compagni che hanno già attaccato i vostri amichetti. RITIRATA!"

La sua frase mi mette in allarme, cerco di chiedere spiegazioni, ma i due col compagno ferito svaniscono in un istante in una folata di vento rovente che secca quasi il respiro. Camus, ormai privato del sostegno, cade in avanti.

"MAESTRO!" grido, precipitandomi a sorreggerlo per riuscire soltanto a finire per terra con lui e attutirgli la caduta.

Nessuna reazione. Ondata di panico nel percepirlo praticamente privo di volontà.

Mi fa male il braccio sinistro, lo uso a fatica, forse è davvero stirato, ma riesco comunque a girarlo supino, in modo che la frequenza respiratoria, così stentata, si assesti. Ingoio a vuoto nel guardarlo, toccandogli un poco l'addome e lo sterno nel valutare se ci possano essere rigonfiamenti o perdite di sangue. Non ne trovo, ma per controllare meglio dovrei sollevargli la maglietta che indossa, cosa che non mi sento di fare.

"Camus! - lo chiamo ancora allarmata nel vedere il suo viso piegato dalla sofferenza - Dimmi qualcosa ti prego!" Scusami, scusami se..."

"Cough! Cough! - finalmente tossisce, riaprendo stancamente gli occhi tra gli spasmi - Ma-Marta..."

“S-sono qui. OH, MENOMALE! S-stai..."

"S-sei stata u-un'impulsiva a r-reagire così! Potevi farti veramente male!" mi rimprovera bonariamente, alludendo alla mia testata sul mento del nemico e alla conseguente uscita di sangue.

"Che alternative avevo, Maestro? T-tu eri lì, in mano loro, avevo paura che ti uccidessero!" mi oppongo, ferita quasi più dal suo rimprovero che non dai colpi subiti.

"A-anche in situazioni simili d-dovresti esercitarti a mantenere... la calma!"

Mantenere la calma... con lui che veniva preso a pugni e il terrore di perderlo nuovamente? Come avrei potuto?! Come può pretendere questo da me?!

"E... e poi c-chi chi diavol... urgh, ti ha insegnato ad usare que-quell'altra tecnica?" vuole sapere ancora, a fatica, in tono più leggero. Ed io capisco che lo fa per me, per tranquillizzarmi, perché, nonostante la ramanzina, è sollevato dal fatto che io stia bene. Sento il mio corpo sgonfiarsi.

"Ehm... ecco, è una storia lunga, Maestro!" sussurro, al limite dell'imbarazzo, sedendomi al suo fianco per accarezzargli i capelli e calmarlo a mia volta.

"Non credo di... di averti insegnato io ad agire così, anf!"

"Tu no, ma Milo sì. C'è il suo zampino, in effetti!"

"Milo... - borbotta, con un mezzo sorriso, prima di chiudere stancamente gli occhi - D-dovevo immaginarlo. V-vi lascio un paio di giorni c-con lui e... urgh!"

"Camus!" lo richiamo, nuovamente allarmata, vedendo che fa sempre più fatica a parlare.

“Sei... sei stata comunque eccezionale, Marta! - si complimenta con me, costringendosi a riaprire gli occhi - Ora, ti prego, vai... vai dagli altri, avranno di sicuro bisogno di aiuto, urgh! Lasciami qui, non sarei di nessuna utilità e, da quanto ha detto uno dei nemici, altri stanno per attaccare, o lo hanno già fatto...” mi dice con voce fioca e il respiro affannoso. E' visibilmente stremato, eppure le sue iridi conservalo la brillantezza abituale.

“Non posso abbandonarti! Sei ferito, potrebbero venire altri nemici ad attaccarti e tu rimarresti indifeso. No, permettimi di stare al tuo fianco, ti prego, oppure... oppure ti porterò io in spalla e raggiungeremo gli altri, insieme!” esclamo, riottosa, alzandolo un poco dalle spalle come a volerlo di nuovo abbracciare, cosa che non mi riesce benissimo, data la differenza di mole. Dalle sue labbra esce una specie di soffio soffocato che riconoscono come un tentativo di ridere.

“Pff, non fare la sciocca, non puoi... non puoi portarmi in spalla, sei uno scricciolo a mio confronto! - mi sorride con dolcezza, respirando pesantemente - Marta, devi credere in quello che ti dico... sono un Cavaliere, se verranno altri nemici mi difenderò, ma tu devi andare a proteggere gli altri come hai fatto con me prima.” continua, cercando di imprimere fermezza nel suo tono di voce già così tanto provato.

"NO! Non voglio lasciarti qui da solo, mi rifiuto!" insisto, aumentando la stretta su di lui. Ora che ho trovato finalmente il coraggio di abbracciarlo non me ne voglio più separare.

"Sei una testona e una testarda!"

"Non meno di te! - mi ostino, al limite della disperazione - Non chiedermi di abbandonarti di nuovo, Camus!"

"Non lo hai fatto neanche prima, anf, non mi hai mai abbandonato in questi giorni! - mi dice, mentre faticosamente alza la mano destra per poi cingermi la piega del gomito ancora fasciata a seguito trasfusione. Me la tocca appena, ma basta per farmi sussultare dolorosamente - Il tuo braccio..."

"Non è niente, passerà!"

"Marta..."

"Passerà, ho detto!"

"Lo so, sei più forte di quel che pensi!"

Mi raddrizzo un poco per osservarlo meglio, i suoi occhi sono stanchi, ma mi sorride con tutte le energie che gli rimangono. E' semplicemente abbagliante.

"P-proprio per questo so che ti posso affidare la sicurezza dei miei compagni, anf, e delle tue amiche. - mi spiega, combattendo contro le ombre dell'incoscienza che so vorrebbero soggiogarlo - Per questa ragione, vai... vai da loro!"

E, di nuovo, i nostri sguardi si sfiorano intensamente, sostano a lungo, ricercando l'altro senza che le parole abbiano necessità di esprimersi. Allineo le labbra in un sussulto. Vorrei dimostrargli di essere forte, ma esserlo implica il fatto di lasciarlo qui da solo e... come posso?!

"Io ho piena fiducia in te. - biascica ancora, a fatica, testardo - Cerca di averne anche tu di me..."

“V-va bene, Maestro, se la metti così, andrò. Tu però resisti, hai capito? Tornerò... tornerò presto con i rinforzi!” sospiro in un fremito, adagiandolo sulla sabbia in modo che sia più comodo possibile senza che la ferita gli tiri. Le braccia lungo i fianchi e il volto leggermente pigato di lato.

“Te lo prometto, Marta. - mi sussurra ancora in tono ancora dolce ma sempre più strascicato - Ci vediamo... ci vediamo più tardi!"

 

*****

 

Mi ha detto che si sarebbe difeso se lo avessero attaccato, ma è talmente debole ora... oh, Atena che sembri proteggere questi Cavalieri, o qualsiasi altra divinità propizia a noi esseri umani, ti prego, aiutalo! Ha voluto che me ne andassi per non farmi preoccupare ulteriormente, ma non è assolutamente in grado di combattere da solo.

Accelero, cercando di non pensare al fatto che ho abbandonato Camus ferito e indifeso sulla spiaggia, ma non è facile e la mia mente ritorna sempre alla sua figura sofferente stesa sulla sabbia. Scrollo violentemente la testa, tornando a concentrarmi sul mio obiettivo: difendere le mie amiche.

Continuo imperterrita la mia corsa, incurante dei dolori che ho alla milza e al braccio sinistro, almeno finché non odo un urlo di battaglia in lontananza riecheggiare nell'aria. Non ho il tempo di capacitarmi che...

“Marta, abbassati! - mi avverte una voce ferma, ed io istantaneamente eseguo, buttandomi sulla sabbia - Lightning Plasma!!!”

Riesco appena a scorgere un bagliore accecante, che già un pugno di nemici dietro di me cade a terra con un impercettibile gemito; impercettibile tanto quanto la loro presenza dietro di me durante la corsa.

Mi volto basita indietro, osservando con orrore i loro corpi falcidiati. Il secondo dopo, qualcuno balza al mio fianco come un felino, ne individuo lo scintillio dorato dell'armatura prima ancora di riconoscere la persona.

“Davvero di scarsa tempra costoro. Mi chiedo quale divinità sottovaluti in questo modo noi Cavalieri d’Oro!”

"Aiolia!"

"Sei veloce a correre, nonostante tu sia appena all'inizio. Mi chiedo quali vette raggiungerai... per il momento vedo con distinzione tutto il tuo potenziale!" mi dice, in quello che vuole essere una sorta di complimento.

"Ah, ehm... grazie, anche e soprattutto per quello che hai fatto." mormoro, chiedendomi tacitamente da dove siano sbucati i nemici e perché abbiano preso a seguire proprio me. Forse davvero le mie amiche ed io siamo una parte prioritaria dei loro obiettivi... ma perché?!

“Non mi ero nemmeno accorta di loro..."

"E' perché hanno azzerato il cosmo." mi spiega, sbrigativo.

"Sì può azzerare il cosmo?!"

"Se sai usarlo puoi anche renderlo non percettibile ad altri, ma è una abilità che puoi ottenere solo con l'esperienza."

"Oh..."

“Piuttosto... dov'è Camus?! Milo ci ha detto che è scappato dall'ospedale per allenarti personalmente, ma siamo pienamente consapevoli del suo precario stato fisico e della sua debolezza. Siete stati attaccati pure voi? Come sta?” chiede Aiolia, preoccupato per le sorti del compagno d'armi.

“Sì, sono come comparsi dal nulla e ci hanno attaccato con violenza. Alcuni sono morti, altri sono riusciti a fuggire. - gli illustro sinteticamente, stringendo una mano a pugno - Camus ha combattuto valorosamente, ma si è sforzato troppo ed è crollato. Ho dovuto lasciarlo da solo sulla spiaggia, quasi del tutto privo di forze."

"Vedo che hai combattuto anche tu."

Il Cavaliere di Leo non dice niente, avverto i suoi occhi su di me, li interpreto come un appoggio a continuare per la mia strada, ma quando sto per scattare mi blocca.

"Aspetta."

Mi afferra per il braccio sano, con dolce fermezza mi spinge a voltarmi verso di lui per poi prendere a guardarmi con una certa insistenza come a voler studiare qualcosa, in me, che non comprendo pienamente.

In ogni caso, il suo raffronto visivo mi imbarazza, sono quasi sul punto di chiedergli spiegazioni, ma le sue mani, che si posano una sulla fronte e l'altra sul gomito dolente, bloccano i miei propositi. Ne deriva una luce accattivante e poi un tepore piacevole, l'istante successivo il dolore è completamente sparito.

"Non posso assicurarti che non ti spunti comunque un bernoccolo sulla fronte. - mi sorride, alleggerendo il tono - Ma almeno ti dovrebbe diminuire il dolore."

“Come hai fatto?!” gli domando, guardandolo in un misticanza di sorpresa e gratitudine, accorgendomi che il braccio sinistro non mi fa più male e che sulla fronte, tolto il rivolo di sangue uscito precedentemente, ho solo una leggera dunetta in rilievo.

“Con il cosmo si possono curare anche alcune ferite, basta saperlo concentrare."

E' vero, ora che mi ci fa pensare, anche Mu quando aveva soccorso Camus aveva provato a fermare l'emorragia, ma... non c'era riuscito.

Mi mordo il labbro inferiore in uno spasmo. E' perché Aiolia ha un cosmo più ampio? No, non può essere, sono entrambi Cavalieri d'Oro, e poi anche Aries sembrava sorpreso, quindi perché non sono riusciti a soccorrerlo?! Non mi piace per niente!

"Certo che... stentavo a crederci anche io, ma ora che ti vedo qui a pensare, che osservo il tuo profilo, la tua espressione piegarsi in maniera non dissimile alla sua quando vive vicissitudini affini alle tue, beh... non posso che constatare che vi assomigliate parecchio!"

"Pre-prego?"

Non ho seguito il nesso logico del discorso. Lo osservo smarrita, come se avessi perso un pezzo. La sua espressione si incrina un poco, scrolla la testa, come a dire di non pensarci, prima di regalarmi un leggero sorriso.

"Nulla di rilevante. Raggiungiamo in fretta gli altri, forza, il tempo stringe e dobbiamo tornare da Camus. Io ti guardo le spalle, ti prometto che non ti torceranno un capello!"

Annuisco, ancora una volta stordita dal fatto che dei ragazzi così giovani siano così solidali tra loro e protettivi con noi. Non sono abituata, è imbarazzante e rincuorante al tempo stesso.

Riprendiamo a correre con il cuore che batte all'impazzata contro il petto e il vago istinto di fare il più in fretta possibile. Finalmente raggiungiamo il luogo dove Milo dovrebbe aver portato le mie amiche per l'allenamento, ma...

Mi blocco improvvisamente, guardandomi scioccata intorno. La spiaggia è diventata un vero e proprio campo di battaglia pieno di cadaveri (fortunatamente solo nemici) sparsi qua e là. Trattengo un conato di vomito alla vista di un simile, orribile, spettacolo. Un odore nauseabondo, ferroso, dilaga nell'aria, riportandomi alla mente la grave lacerazione subita da Camus per proteggermi, il suo petto grondante di sangue, rubino; sangue che non si fermava.

Istintivamente mi appoggio al busto possente di Aiolia, non trovando più il coraggio di continuare ad attraversare quel campo pieno di morti. A fatica, devo deglutire l'ammasso aspro che mi risale in gola. La testa mi gira di 90°.

"Avremmo preferito farvici arrivare per gradi, ma... questo è il nostro mondo. Capisco che, se non ci si è abituati, sia devastante." mi dice, sorreggendomi appena con un braccio.

Ciondolo ancora, mi devo fare forza, prima di controbattere: "Da... da quanto?"

"Dall'infanzia."

Mi volto verso di lui, smarrita, i miei occhi blu si incrociano con i suoi, verdi e brillanti. Non dico altro. E' la mia espressione a parlare da sé.

"Ma va bene per noi. E' il nostro destino." afferma, con l'ovvio intento di tranquillizzarmi perché sembro persa. Inaspettatamente la sua voce ferma, le sue parole, mi spronano ad avanzare tra i cadaveri anche se il malessere di prima permane.

Finalmente, dopo un percorso, barcollante, disseminato di morte che pare lungo quasi quanto l'infinito, riesco a scorgere altre sagome ancora intente a combattere.

"Ragazzi!" prorompe immediatamente Aiolia, superandomi di slancio per precipitarsi dai compagni. Io faccio altrettanto.

Ci sono Mu e Aphrodite a poca distanza da noi, il primo, braccia alzate al cielo, protegge il secondo, lievemente ferito sulla coscia, l'espressione di chi esercita a malapena il controllo. C'è qualcosa di strano in loro, soprattutto nel Cavaliere dell'Ariete che è posizionato come se avesse eretto una sorta di barriera per preservare sé stesso e l'amico dagli attacchi, ma... o sono io che non lo vedo, o non percepisco assolutamente nulla intorno a loro.

"Ancora niente, Mu?" chiede Aphrodite, una rosa rossa in bocca, l'istinto di attaccare senza tuttavia -pare!- riuscire ad espletarlo.

"N-no, non capisco, io..."

"Che succede?"

Aiolia ed io accorriamo, Mu, per prima cosa, vedendomi, si posiziona davanti a me come a volermi proteggere -oh, deve essere davvero prioritario l'ordine di salvaguardarci!- poi alza lo sguardo sul Cavaliere di Leo.

"Lia, io..."

"FUORI DALLA MIA STRADA!!!"

L'urlo sviscerale di Aldebaran mi fa sobbalzare, portandomi a guardare verso destra senza prestare più attenzione al loro discorso.

Lo vedo caricare come un vero e proprio toro imbizzarrito un pugno di nemici, senza peraltro usare minimamente il cosmo. E' sorprendente la sua forza fisica, nonché la mole, gli avversari non hanno il tempo pné di reagire né di provare a difendersi, finiscono istantaneamente sbalzati via per poi essere maciullati dalle sue manone. Scena terribile, devo voltarmi per forza, impressionata. La nausea aumenta, le immagini di morte si imprimono con ancora più insistenza dentro di me.

"COSA?!" prorompe intanto Aiolia, alzando notevolmente la voce.

Mu annuisce, mortalmente serio: "E' così, non... non riusciamo ad utilizzare il cosmo, è come se si disperdesse. Ricordi il Castello di Hades, in Germania?! La sensazione è affine."

"Neanche le mie rose hanno effetto. Sono stato ferito perché colto di sorpresa." conferma Aphrodite, infastidito più dall'essere stato deturpato che non dallo smacco subito.

"Un... un secondo, io fino a poco fa ho utilizzato i miei colpi senza problemi!"

"Sul serio?! Ti ci riesci, Aiolia?"

Forse dovrei starli a sentire, probabilmente l'argomento è della massima importanza e dovrei imparare -come dice il maestro- ad esercitare la calma, ma lo scorgere in lontananza, proprio sotto la scogliera, i capelli fluenti e violacei di Milo, privo a sua volta dell’armatura esattamente come Camus, mi provoca una scintilla di panico che mi fa scattare immediatamente nella sua direzione.

"MARTA!" mi urla dietro Mu, accorgendosi della mia sconsideratezza, perché allontanandomi da lui, da loro, sono priva di protezione e neanche mi importa, perché nella testa ho solo l'intenzione di raggiungere lui e le mie amiche -le vedo!- che sono dietro di lui.

Nel pieno della corsa, con la coda dell'occhio, noto un'ombra in avvicinamento, punta dritto su me e mi raggiungerebbe di certo se... se un nuovo fascio di elettricità, abbagliante, non scoppiettasse sopra la mia testa.

"LIGHTINING PLASMA!!!" grida nuovamente Aiolia, fiero e battagliero, trucidando in pieno l'energumeno che mi stava venendo addosso.

Mi giro per un secondo verso il Cavaliere di Leo, contrita e trafelata al tempo stesso; lo guardo negli occhi e lui ricambia, da lontano, mentre Mu e Aphrodite sembrano stupiti per non dire increduli. Ci scambiamo un unico cenno di assenso, prima che i miei piedi, incuranti della battaglia in corso, riprendano da soli la corsa verso le persone che più mi stanno a cuore.

Come immaginavo, Milo sta proteggendo le mie amiche tenendole dietro di sé. Ha l'indice della mano destra puntato in avanti, ma l'unghia non presenta alcun tipo di allungamento né di cambio di colore, come se anche lui, inspiegabilmente, non riuscisse ad utilizzare i suoi poteri. Dall'espressione che ha stampato in viso, è come se ringhiasse, rimproverandosi l'impotenza.

"MILO!" lo chiamo a viva voce, accelerando ulteriormente la mia corsa, mentre un gelo spietato, già provato prima, mi pervade il pugno destro.

Per un folle istante, ho come la sensazione di poter attaccare anche io, in qualche modo, come Aiolia, ma l'intenzione rimane ramponata al mio cervello senza avere la facoltà di esprimersi.

"Ma-Marta?!" mi chiama a sua volta il Cavaliere dello Scorpione, voltandosi in direzione del mio richiamo. Impallidisce di netto nello scorgermi, non capisco se per l'assenza di Camus, o se per me in mezzo al campo di battaglia senza la minima protezione. Magari per entrambi i motivi...

In ogni caso, è una terza forza a bloccare la situazione: un urlo di bambino riecheggia per tutta la spiaggia, immobilizzando tutti i presenti. Alzo istintivamente lo sguardo verso la scogliera, ho appena il tempo di capire che alcuni Cavalieri d'Oro stanno combattendo pure là sopra, prima di inorridire nel constatare che uno dei nemici sta tenendo brutalmente un esserino minuscolo, se confrontato a lui, per la maglietta.

Comprendo troppo tardi, quando ormai lo ha lanciato giù dal dirupo, che si tratta di Kiky, l'allievo di Mu.

Brivido lungo la schiena, il cuore mi salta in bocca, nel vederlo precipitare, impotente, verso un paio di scogli dalla punta aguzza. Se nessuno fermerà la sua rovinosa caduta... si sfracellerà!

Il Tempo, per un secondo, sembra fermarsi, prima di scorrere con il doppio, anzi il triplo, della velocità. Dovrei reagire, dovrei farlo... forse, se esercitassi la tanto ripetuta calma, qui e ora, le gambe si muoverebbero per intervenire, forse, se ci fosse Camus qui... forse...

Ho appena il tempo di realizzare, in un singulto, che i 'forse' non lo salveranno.

"V-voi, bruti... PERFINO CON UN BAMBINO!"

Accade tutto in pochi attimi: il Cavaliere dell'Ariete urla disperatamente il nome del suo giovane apprendista; nello stesso momento una chioma dai capelli castano chiaro, che io riesco ad associare a Sonia, prende a correre a perdifiato in direzione del mare. Nonostante il suo gesto estremo, è lampante che non riuscirà mai a raggiungerlo in tempo, probabilmente se ne rende conto anche per lei, pertanto, quasi meccanicamente, allunga il braccio destro avanti a sé e compie un rapido movimento circolare proprio con quello. Istantaneamente, come dal nulla, si forma una specie di vortice d'aria dal terreno sufficientemente intenso da tenere sospeso in aria Kiky per pochi, decisivi, istanti. Il tempo necessario alla ragazza per lanciarsi, prenderlo al volo e dirottare tuttavia sul bagnasciuga nel non riuscire a controllare completamente la manovra. Schizzi d'acqua e di sabbia. Colpi di tosse. Quando le piccole particelle di rena, ricadono a terra, migliorando così la visibilità, Sonia è nuovamente in piedi, anche se sgocciolante d'acqua, affannata, ma col piccolo tenuto saldamente in braccio.

"A-acchiappato!" cantilena, sollevata, sorridendo al bambino in un modo dolcissimo.

"C-come... come hai fatto?"

"I-io... beh..."

"SEI MIA!"

"SONIA, DAVANTI A TE!"

Non sono io a chiamarla, anche se le parole mi vengono strappate, con urgenza, da Milo. Uno dei nemici qui sotto, infatti, cogliendo l'occasione, è scattato verso di lei, vuole ghermirla è evidente, e ancora mi ritrovo con la spiacevole sensazione di non poter fare nulla, perché le mie gambe non reagiscono, la volontà è debole anche se -lo sento- io potrei invece attaccare.

Sonia non riesce a sua volta a reagire, in un estremo tentativo di protezione si volta semplicemente dall'altra parte, dando la schiena all'energumeno per difendere almeno Kiky.

Le sue mani stanno per afferrarla, ma prima ancora di riuscirci, una figura che sembra piombare dall'alto, gli sfonda la testa con un pugno, piallando quasi il suo corpo apparentemente robusto sotto il livello della sabbia.

Non comprendo subito chi sia stato, capisco però, nuovamente sgomenta per non dire disgustata- che il cuore del nemico ha cessato di battere prima ancora che lui se ne potesse rendere conto. Una morte indolore, dal suo punto di vista, ma... terribilmente brutale, stante gli schizzi di sangue in ogni dove.

"Chiunque di voi tenterà di fare altrettanto... - prorompe la voce di colui che ha perpetrato ciò, mentre, alzandosi, sfida, con il solo sguardo ferino, tutti i restanti - Chiunque osi sfiorarla con un solo dito... farà la stessa inequivocabile fine!" sancisce, quasi ruggendo.

"A-Aiolia! - lo chiama Sonia, con un mormorio strozzato, lo stesso orrore anche nei suoi occhi - G-grazie ma n-non era necessario, così!"

Il Cavaliere di Leo non la guarda neanche, continua a darle la schiena, lo sguardo fiammeggiante rivolto ai nemici più distanti.

Dicevo di Camus, ma anche Leo... non scherza! E tuttavia l'ha protetta, è intervenuto per lei e c'è qualcosa di diverso rispetto a quanto ha fatto con me, questo non è stato un semplice gesto di galanteria, sembrava... molto di più!

“Basta così, ritiriamoci definitivamente! - stabilisce uno dei nemici, quello probabilmente di grado più alto, stante la corazza più coprente - L'esperimento ha avuto successo, abbiamo raggiunto il nostro obiettivo!"

"Signorsì, Signore!" ripetono a nastro gli altri, sparendo immediatamente dopo.

La tensione nelle mie gambe si scioglie immediatamente anche se mi tremano più di prima. Con uno slancio, riesco finalmente a imprimergli la forza necessaria per scattare in direzione delle mie amiche.

“Michela! Francesca!” grido a viva voce, raggiungendo in piena corsa.

La più grande delle due mi rivolge uno sguardo allarmato che si trasforma immediatamente in qualcosa di diverso, quasi infastidito da qualcosa. Non ho comunque il tempo di indagare che la più piccola, con gli occhi sbarrati, si getta in ginocchio sulla sabbia.

"Mich..!" la richiamo, preoccupata, raggiungendola in corsa, mentre anche Francesca, vedendo la sua reazione si gira verso di lei per soccorrerla.

"N-non... n-non... n-no, non può es-sere!" biascica intanto lei, le lacrime agli occhi.

"Che è successo? Siete ferite?" chiedo ad entrambe, guardando però la più grande perché l'altra non sembra, sulle prime, in grado di prununciare altre parole o coniugare esattamente un verbo.

"No, nulla. Milo ci ha protetto e comunque sono intervenuti anche gli altri." mi dice lei, in tono neutro.

"Ma Michela..."

"Ha semplicemente realizzato."

Sulle prime non capisco, vorrei chiedere spiegazioni, ma è la stessa Michela che, pur ancora per terra, gli occhioni spaventati e lo sguardo fisso su una dunetta di sabbia, mi indirizza sul significato della frase.

"N-niente sarà più come prima, vero?" mi rivolge il suo sguardo smarrito, ed io non ho parole per rassicurarla.

No, niente sarà più come prima. Io l'ho già capito quando Camus, sacrificandosi per me, ha subito in pieno petto quelle artigliate; lei, non trovandosi su un campo di battaglia fino a questo momento, lo ha compreso solo adesso. E la realtà l'ha, più o meno, impattata come se fosse stata su una macchina in corsa a 150 Km/h contro un muro.

Nel frattempo, il gruppetto di Cavalieri d'Oro, riunitosi, comincia a discutere dietro di noi.

“Non possono comunque essere dei veri Bersekers... privi della barriera sono troppo deboli!" riflette Mu, pensieroso.

"E' proprio la barriera il punto! - si aggiunge Milo, rigido - Perché ce l'hanno? C'è davvero Ares dietro ciò? Perché Aiolia, invece, è riuscito ad utilizzare il cosmo senza limitazioni?"

Torno sulle mie amiche, il loro dialogare non mi interessa, anche se dovrebbe. Sono discorsi troppo complessi per me, pieni di parole che mi sono oscure e che fino a qualche settimana fa relegavo solo al mondo fantasy o magico.

“L'importante è che si sia risolto tutto nel migliore dei modi." mi sento di dire, con un sospiro di sollievo.

“Sì, siamo semplicemente state qui, passive, a farci proteggere. Se questo, per te, significa migliore..."

"Lo significa, sì, perchè state bene, siete integre... avrebbe potuto andare molto peggio!" obietto, imprimendo forza alla mia voce.

“Beh... - Francesca fa spallucce, cercando di trasformare l'asprezza nella sua voce in qualcosa di più lieto - Su questo non ci piove, ma non mi piace essere inutile, lo sai!"

"Cosa avreste potuto fare? Non conoscete il vostro potere!"

Francesca non conferma né smentisce la mia frase, sta semplicemente sulle sue, distante quanto basta per analizzare i frutti della giornata di oggi. Contrariamente a Michela, che è palesemente sconvolta, sembra del tutto a suo agio.

"Sonia invece è stata brava. Quel vortice che è riuscita a emanare è puro vento. Ne deduco che abbia quel potere. - continua poi lei, cambiando discorso per dirigere il suo sguardo verso la ragazza che, aiutata da Aiolia e sempre con in braccio Kiky, arpionato al suo busto come una scimmietta, sta lentamente uscendo dall'acqua per raggiungere gli altri Cavalieri d'Oro - E' molto strano..."

"Cosa ci sarebbe di strano?" le chiedo, non capendo.

"E' un potere insolito perfino per gli dei... solo uno lo possiede!"

"Per gli... dei?" ripeto, scettica, inarcando un sopracciglio.

"Lascia stare. Piuttosto di te che mi racconti? Hai padroneggiato il tuo potere appena scoperto?"

La guardo, allibita, per non dire costernata. Di tutte le cose che poteva chiedermi, dove è Camus, che vi è successo, perché sei qui, la domanda che decide di pormi è questa e, nel dirlo, il suo tono mi pare più distaccato e lontano che mai. Quasi mi sembra di non riconoscere più la mia amica...

"Io... sì, più o meno, è davvero ghiaccio, come quello del Maestro."

"Acqua e vento quindi... hai una abilità che non si rispecchia su un singolo elemento, ciò rende pià difficile controllarlo."

E' vero, non ci avevo pensato, prima, ma non ho comunque spinta ad approfondire il discorso con lei, mi sembra quasi di non star parlando con un estraneo, non so perché, mi fa sentire a disagio, quasi oppressa da qualcosa che non riesco bene a definire.

"SONIA! - Milo, vedendo l'allieva in avvicinamento, si precipita verso di lei - Tutto bene?"

"Sì, tutto ok. Sono solo un po'... sbattuta!" dice lei, posando il bimbo sulla sabbia per poi rivolgere il miglior sorriso possibile al Cavaliere di Scorpio.

"Tutto bene con l'acqua? Ti sei precipitata ad acciuffare Kiky senza minimamente pensare a..."

"Milo, era bassa, non... non ci ho neanche pensato e... - esita un po' arrossendo per qualcosa che non comprendo - Sì, sto bene, comunque, è andato tutto bene!" afferma, guardando poi Aiolia con estrema gratitudine.

“Sei stata veramente brava, Sonia! - conferma il Cavaliere di Leo, ammorbidendo il suo sguardo e i lineamenti fino a stirarli in un sorriso orgoglioso - Hai salvato Kiky e hai finalmente scoperto il tuo potere... pensare che fino ad un anno fa ti allenavi con me, Milo e Mu, colpevolizzandoti nel non riuscire a produrre un attacco speciale!"

"N-non riesco quasi a crederci, Lia, di esserci davvero riuscita! - esclama lei, gli occhi brillanti nel guardarlo, le mani avanti a sé chiuse a pugno - Per un attimo non ho sentito altro, vi era solo questo formicolio tra le dita, la rabbia e l'impotenza nel vedere cosa stava per succedere. Non ci ho più visto, dovevo agire, capisci? Dovevo!"

Sensazioni non diverse dalle mie... è quindi la stessa spinta ad aver permesso a me e Sonia di intervenire e, anche nel suo caso, l'incipit è stato dato da una emozione forte. Mi chiedo se sia requisito essenziale per attivare il nostro potere o accada solamente per la nostra poca esperienza.

“Confermo quello che ti hanno detto gli altri e ti ringrazio, Sonia... Kiky ti deve la vita!” interviene Mu, avvicinandosi a sua volta a lei, mentre il piccolo corre da lui per abbracciarlo con tutte le energie di cui dispone. Il Cavaliere dell'Ariete non si scompone a quella manifestazione, ma dala mia posizione posso ben vedere il rilassamenro dei suoi muscoli, la mano premuta dolcemente sulla zazzerra rossa e indisciplinata che sono i capelli del bambino. E' una immagine che, nella sua sobrietà, soprattutto dopo la distruzione che ci stiamo lasciando dietro, rasserena il cuore.

Poco dopo, Kiky, recuperando pienamente il suo buonumore dopo lo spavento avuto -sorprendente che non abbia neanche versato una lacrima, nonostante ne avrebbe tutte le ragioni!- si precipita nuovamente su lei, abbracciandola di slancio.

"Sì, grazie! Mi hai salvato la pelle!!!"

Sonia non ricambia subito la stretta, arrossire vistosamente di fronte a tutte quelle attenzioni e ai ringraziamenti. Probabilmente il suo carattere si rispecchia di più in quello di Camus che non dello stesso Milo, ed ecco spiegato perché, quando l'ho conosciuta, mi sono sentita quasi subito affine a lei, visto che riesco a socializzare molto di più con le persone così che non con quelle che si manifestano pienamente già al primo incontro. Certo, con il maestro è stato molto più tragico, l'inizio, perché, ormai l'ho capito, lui tende a nascondere il suo mondo dietro una maschera di gelo che ghiaccerebbe chiunque, ma si tratta di un bluff, lo hanno dimostrato le sue...

Sgrano gli occhi al vuoto, ricordandomi delle condizioni in cui l'ho lasciato.

"Marta... - la vocetta di Michela, di colpo tornata quasi infantile, si palesa dietro di me. Non è del tutto ripresa, rispetto a prima, ma è tornata sufficientemente in sé per chiedere informazioni - Dove è il Maestro C..."

“CAMUS!!! L’ho lasciato indietro!” quai urlo, impallidendo notevolmente prima di scattare in direzione del gruppeto di Cavalieri d'Oro più Sonia. Direzione: Mu!

Proprio il Cavaliere dell'Ariete, sentendo il mio urlo, o forse leggendomi nella mente grazie ai suoi poteri, si volta proprio verso di me nell'esatto momento in cui io, trafelata, gli sono davanti.

"Che succede, Marta? Dove hai lasciato Camus?"

"S-sulla spiaggia più in là, me l'ha detto lui, m-ma... ma..."

"E' ancora molto debole, vero?"

Annuisco senza rispondere verbalmente, gli occhi lucidi, il senso di colpa manifesto dal mio chinare il capo.

"Hai fatto bene. Bisogna agire così in queste situazioni."

Bella merda mi verrebbe da dire, abbandonare un compagno per il bene comune, eh? La verità è che sarei rimasta là con lui, se non avessi avuto qui le mie amiche e non avessi temuto anche per loro. Invece eccomi, dopo averlo abbandonato, senza nemmeno essere stata d'aiuto.

"Camus starà bene. - mi rassicura Mu, indovinando i meccanismi del mio cervello dietro il mio sguardo - Siete comunque voi il fulcro dei piani del nemico. Agendo così, hai allontanato ipotetici avversari da lui."

Lo osservo senza dire una parola. Potrebbe essere, d'accordo, ma non mi fa sentire meglio.

"E poi non dimentichiamoci che Camus è un Cavaliere d'Oro, vanta una discreta esperienza sul campo di battaglia e sa il modo migliore di agire in simili circostanze. Non fartene cruccio, ragazzina!" mi rassicura anche Aldebaran, a braccia conserte.

"Mu, Camus è stato preso a pugni da uno dei nemici..."

"COS..?!"

Faccio finta di non avvertire l'esclamazione di Milo, né il suo sguardo imprimersi su me: "...qui, nell'addome. - rivelo, in un sussurro - Io ho cercato di controllato senza ehm... scoprirlo, non sembrano esserci state fuoriuscite di sangue, ma era già debilitato e vorrei..."

"...Vuoi che qualcuno, più esperto di te, lo controlli meglio, giusto?" termina il Cavaliere dell'Ariete per me.

Annuisco di nuovo, lo sguardo basso e sfuggente.

“D'accordo, ci penserò io, ma prima dobbiamo aspettare gli altri."

"Gli... altri?"

"Il gruppo capitanato da Shaka, sì, che stava combattendo sulla scogliera. Non temere, presto saranno qui e andemo tutti insieme."

Non avendo altre alternative causa 'forza maggiore', mi/ci tocca aspettarli. Fortunatamente solo un paio di minuti dopo -sufficienti comunque per far girare Milo, nuovamente una bestia in gabbia, su sé stesso diverse volte fino a tracciare un solco nella sabbia- ci raggiungono in un lampo di luce. Distinguo subito i lunghi capelli liscissimi di Shaka, che si affretta a chiedere scusa a Mu per non essere stati in grado di proteggere adeguatamente Kiky che era nel gruppo con loro, poi la faccia da granchio rachitico di Death Mask che sembra più o meno uscito dall'elettroshock stante la sua espressione stralunata, infine il viso severo e spigoloso di Shura che chiede immediatamente delucidazioni sullo svolgimento della battaglia qua sotto.

Tutti loro sembrano in qualche modo sconfortati, non capisco pienamente perché, o forse le priorità nella mia mente sono semplicemente altre. So solo che, ben presto, nel vederli mettersi a chiacchierare, mi ritrovo in fibrillazione perché stiamo perdendo tempo e Camus è là da solo, senza difese e non capisco come facciano ad essere tutti così quieti. Vorrei intervenire, dirgli di muoversi, ma mi si attorciglia la lingua in bocca prima di potermi esprimere.

E' il tono sprezzante di Milo, giunto al limite della sopportazione, a dare finalmente una smossa ai presenti: "Tutto molto bello e interessante ma possiamo discutere di tutte queste belle cosine DOPO, non vi pare?! Magari una volta che abbiamo recuperato Camus!"

Gli dei benedicano questo ragazzo... GRAZIE! Grazie per avermelo fatto trovare sulla mia strada, sembra l'unico umano, qui!

Così ci mettiamo a correre a perdifiato, compatti, e mano a mano che ci avviciniamo, le mie paure si fanno sempre più pressanti, facendomi rendere conto, a maggior ragione, di quanto io mi sia affezionata a Camus in così breve tempo. Chiunque potrebbe pensare che sia perché lui mi ha salvato la vita, forse in parte lo è anche, ma c'è qualcosa... c'è qualcosa di più forte, oltre a questo, che non riesco a descrivere. So solo che la sua salute è diventata la prima delle mie priorità.

Finalmente arriviamo nella zona in cui lo avevo lasciato, neanche il tempo di avvicinarmi che sussulto irreversibilmente nello scorgere la sua sagoma ancora distesa a terra.

“M-Maestro?” lo chiamo con voce tremante per l’ansia, compiendo ancora pochi passi prima di bloccarmi del tutto, vittima della paura.

Camus, infatti, giace al suolo con gli occhi chiusi e il viso pallido, talmente immobile da sembrare quasi... No, non lo voglio credere!

“Amico mio...” sussurra anche Milo, incapace di muoversi a sua volta per il terrore convulso che ancora lo sta soggiogando.

Mu e Shaka sono gli unici a trovare il coraggio di avvicinarsi lentamente al corpo esanime del compagno. Il solo Cavaliere dell'Ariete si inginocchia per controllargli prima il polso e poi la carotide, e poi ancora il polso.

Per degli interminabili attimi, il silenzio regna sovrano tra noi, interrotto solo dai respiri brevi, ma intensi, di tutti i presenti.

“Allora... Mu?!” esclama Aiolia, non potendo più sopportare l'afasia del parigrado.

“E’ soltanto svenuto, tranquilli!” afferma l'interpellato, sorridendo garbatamente per rassicurarci.

Mi sento cadere a terra, il cuore che batte come impazzito nel petto, il desiderio di piangere per la felicità e la sensazione di pericolo scampato.

“Sia ringraziato il cielo...” mormoro solo, come se mi si fosse levato un peso immane dentro.

“Dico, Mu, sei impazzito?!? Mi hai fatto prendere un colpo con tutta quell'attesa!!! A che gioco stavi giocando?! Non potevi avvertirci subito?!?” strepita Milo, giustamente infuriato.

Lo fisso per un attimo, sentendomi quasi in colpa. Dal nostro arrivo qui la situazione non ha fatto altro che precipitare, Camus stesso ha dovuto subire non so quali pene, e per Milo... per Milo non deve essere affatto facile!

"Però non è in condizioni ottimali, occorre portarlo in un luogo sicuro!" continua Aries, serio in volto, pragmatico, chinando nuovamente il capo verso il corpo del compagno.

"Che significa, questo?" lo interroga ancora Aiolia, avvicinandosi a sua volta con l'evidente intento di dare una mano come può.

"Fortunatamente la ferita non si è riaperta, ma il battito del cuore è molto irregolare. - gli spiega con calma l'altro, mentre, senza la minima esitazione, a differenza mia, solleva la maglietta all'amico per scoprirgli parte del busto - E' vero che, secondo i medici, non ha subito danni interni, ma è andato comunque in arresto cardiaco, una condizione per la quale avrebbe dovuto rimanere a riposo per diversi giorni, cosa che puntualmente non ha fatto!"

Discosto lo sguardo dalle loro figure inginocchiate ai due fianchi di Camus, incosciente in mezzo a loro con la maglia rivoltata sul petto. Non ho avuto il tempo di avvicinarmi a lui e forse non mi sento nemmeno in grado di farlo. Un forte disagio mi ha investito, al punto da dovermi appoggiare a Milo, il più vicino a me.

"Marta, che ti succede?"

"Sicuro non abbia avuto perdite di sangue? - chiede intanto Aiolia, osservando qualcosa sul torso del compagno che io, stante la mia posizione, non posso scorgere - Il colore della pelle sotto le bende è..."

"Quello è il disinfettante, non c'è nulla di strano, stai tranquillo." gli spiega Mu, pigiando appena le dita sulla parte alta dell'addome di Camus, probabilmente per controllare ancora qualcosa, eventuali rigonfiamenti o simili.

Non lo fare, no, per favore... basta così! M-mi tira tutto, poco sotto, s-sul ventre e...

"Ehi, Marta, che ti prende? EHI!"

La voce di Milo mi riscuote, afferrandomi per un braccio e tirandomi a sé. Mi accorgo di essere un poco piegata su me stessa, intenta a trattenermi la pancia senza che ci sia una reale motivazione. Alzo il capo, confusa, continuando a tenerla come se davvero qualcosa mi desse fastidio, ma non riesco a capire bene cosa sia, perché accada, e neanche la localizzazione dettagliata di un simile malessere che provo per la prima volta. So solo che tira tantissimo e mi fa star male.

"Mu, ascolta, noi possiamo..?" sento la vocetta un poco insicura di Michela imbastire una prima domanda.

"Sì, certamente, venite pure. Le condizioni del vostro maestro sono stabili, ha solo bisogno di riposo." ci invita educatamente lui, ricoprendo Camus per poi lasciarci spazio.

Seguo Francesca e Michela che si avviciniamo cautamente a lui, mentre Sonia, affiancandosi a Milo, rimane comunque dietro di noi, in apprensione. Compio il breve tragitto sempre con una mano sopra il ventre, ma la sensazione di prima, così forte, si sta piano piano ritirando. Mi accuccio vicino alla testa del nostro maestro, notando distintamente il leggerissimo movimento del suo petto. Ora sembra quasi profondamente addormentato, ma il suo viso non è del tutto sereno. Istintivamente gli poso una mano tra i folti capelli, rincuorata dal suo caldo respiro che azzera il malessere di prima. Sorrido.

"Sei un testone e un testardo..." recito, con dolcezza, la mano che prende ad accarezzarlo come se fosse guidata da una volontà tutta sua.

"Non meno di te!" ribatte Francesca, tornata quella di sempre, in piedi sulla mia destra, Mi sorride per incoraggiarmi, ed io lo apprezzo davvero tanto.

"Oh, lo so, eccome se lo so!" ribatto, affabile, ridacchiando tiepidamente tra me eme.

"Ma si rimetterà? E' molto pallido..." constata Michela, ancora agitata, in piedi sull'altro lato.

"Deve solo riposare, hai sentito il Cavaliere dell'Ariete, no? Dobbiamo... avere fede!" fa spallucce Francesca, sempre con quel senso pratico che la contraddistingue.

Frattanto, un poco più distanziati da noi, i Cavalieri d'Oro discutono sulla soluzione più funzionale da prendere.

"Dovrebbe tornare in ospedale, non era ancora pronto per uscirne. - afferma Shura, pratico, in un modo del tutto affine a Francesca - E' un Cavaliere d'Oro, d'accordo, ma ha dei limiti anche lui!"

"Non ha senso riportarlo là, ormai il peggio è passato e deve solo riposare, no? Inoltre, stante il tipo, dubito che lui lo voglia." riflette Aiolia, serio in volto.

“Io penso che ormai, per come sono andate le cose, sia meglio portarlo direttamente alla Casa dell’Acquario, del resto non ha più senso che ritorni all'ospedale, visto che QUALCUNO ha contribuito per farlo fuggire, nonostante le sue precarie condizioni fisiche!" afferma Mu, scoccando un'occhiata severa a Death Mask.

"I-io?! Era lui che voleva uscire e ne ha fatto una ragione di Stato!" prova a difendersi il granchio dorato, un poco contrito.

"Masky..."

"Avete messo a soqquadro un ospedale, colpito un primario, mandato nel panico i medici e le infermiere... non so se vi siate resi nitidamente conto della gravità del vostro operato!" continua il rimbrotto Mu, sovrastando il richiamo di Aphrodite. Non l'ho mai visto così infuriato in questi giorni, chissà cosa è successo...

"B-beh, nulla di permanente, però! Il medico l'ho messo solo a nanna, e poi ci posso fare poco se le infermiere sono così soggette al panico!"

"Avete giocato con gente che, lì, ci lavora! Vi siete comportati come dei bimbi al parco divertimenti! E' l'ospedale della Signorina Kido, d'accordo, ma ciò non vi dovrebbe autorizzare ad agire come se foste a casa vostra!"

"E-erk, ma Camus era..."

"Non mi interessa se Camus premeva per uscire, gli dicevi di rimanere lì per il suo bene! Non ti riconosco più, Death Mask! Io capisco il desiderio di redenzione, ma così è veramente troppo!"

Cancer, a corto di parole, preso in contropiede senza potersi difendere, si gira dall'altra parte e si mette a fischiettare un motivetto nel suo dialetto madre.

"Mu, andrò io personalmente a chiedere scusa a nome di tutti noi Cavalieri d'Oro per questo disdicevole comportamento, ma visto che le cose sono ormai andate così, non ha senso discutere ulteriormente tra noi!" interviene Shaka, desiderando fare da paciere.

Vedo nelle intenzioni di Mu il desiderio di aggiungere ancora qualcosa, ma stavolta è Milo a fermare sul nascere ogni altra possibilità di alterco.

"Possiamo dire quello che vogliamo, a posteriori, ma la verità è che se non ci fosse stato Death Mask in quel momento, probabilmente Camus avrebbe trovato un altro modo per uscire dall'ospedale contro il parere degli stessi medici. - sostiene lo Scorpione, socchiudendo gli occhi per poi riaprirli nella mia direzione - Era una questione troppo importante per lui!"

"..."

Lo fisso inebetita, non capendo pienamente se stia osservando me, il suo migliore amico o, perché no, entrambi.

"E sia allora! Cercherò delle erbe, nel mio giardino, che possano aiutare le sue ferite a rimarginarsi prima." stabilisce Aphodite, scostandosi elegantemente un ciuffo dalla fronte.

"Va bene, discorso chiuso. Io allora mi occupo di cambiargli il bendaggio. Bisognerebbe avvertire anche il giovane Hyoga, lui ancora non sa della fuga dall'ospedale del suo maestro!"

"Si meraviglierà - esprime il suo parere Aldebaran, sempre a braccia conserte - Non è un comportamento da Camus."

"Ti sbagli, Aldy, è molto più da Camus di quanto sembri. - gli dice l'amico, con una scintilla nello sguardo, prima di tornare su noi - Vi precedo." afferma poi, sparendo poco dopo insieme Kiky.

Quindi ha riacquistato i suoi poteri, erano davvero i nemici a inibirlo. Come è possibile? E, ancora, la barriera valeva anche per me e il maestro? Eppure anche noi siamo riusciti a combattere, per non parlare di Sonia che ha scoperto oggi stesso il suo potere. Troppe domande senza risposta mi frullano per la testa...

Il Cavaliere di Scorpio, intanto, si avvicina a noi per poi chinarsi al fianco dell'amico. Lo solleva gentilmente per le spalle, prima di far leva sulle braccia per caricarselo lui stesso, stando ovviamente attento a non fargli del male.

"Milo..."

Siamo Michela ed io ad aver parlato con la stessa urgenza nel tono di voce.

"Non avete di che temere! Avete asserito che è un testone e un testardo, giusto? - ci dice lui, prima di concedersi una breve, intensa, risata nervosa - Oh, non sapete quanto avete ragione!"

 

*****

 

8 luglio 2011, notte

 

Nel mezzo del sonno, preda di un calore sempre più innaturale che mi secca la gola e mi fa provare sete, sento improvvisamente delle mani prendermi dalle spalle e scrollarmi con urgenza. Annaspo, ancora mezza rimbambita, aprendo di scatto gli occhi per sollevarmi immediatamente a sedere.

"Co-cos..?"

Intravedo subito Francesca sopra di me, l'espressione incrinata da un'intensa preoccupazione.

"MARTA!"

“C-cosa sta succedendo ancora? Ci stanno attaccando?” le chiedo, la voce ancora un po’ impastata dal sonno.

“E' il Maestro Camus! Non sta bene!” risponde lei, frenetica.

Tuffo al cuore. L’affermazione mi fa svegliare completamente, trasmettendomi nuovamente la stessa paura che ha albergato in me in tutti questi giorni.

“Cosa?! Vado subito!” esclamo, buttandomi giù dal letto a piedi nudi per uscire alla rinfusa dalla camera, quasi rischiando di cadere per terra per colpa di un capogiro a cui non bado minimamente.

No, no, no... fai che non sia grave, fai che non sia...

"E' stato Hyoga ad accorgersene per primo, ci è venuto a chiamare e... è con lui adesso, Marta, dentro la..."

Entro nella stanza di Camus seguita a ruota da Francesca che non riesce nemmeno a terminare il discorso. Mi immobilizzo un istante, prima di bandire le incertezze e proseguire verso il fianco destro del letto.

Michela e Hyoga, dall'altro lato, mi guardano preoccupati nel seguire co gli occhi il mio avvicinamento. Sono uno vicino all'altra, ma mentre la mia amica ha le mani premute sul seno, l'espressione mozza, il Cavaliere del Cigno, pur condividendo la stessa agitazione, riesce a controllare notevolmente meglio le sue emozioni. Mantiene un'espressione determinata nello sfiorare appena, come una carezza leggera, la fronte del maestro, il quale, sbuffando, del tutto incosciente, volta faticosamente la testa dall'altra parte.

“C-cosa ha? Che gli sta succedendo? - chiedo, mordendomi il labbro inferiore nel notare a vista che la pelle di Camus è visibilmente umida di sudore - Perché ora questa improvvisa ricaduta?"

“Gli è salita la febbre in poco tempo, la sua temperatura corporea supera i 39 gradi, glielo ho misurata poco fa. - mi delucida Hyoga, quasi secco, se non si distinguesse l'emotività nel suo sguardo estremamente comunicativo - Non capisco però il motivo, le ferite sono state medicate direttamente da Mu. Prima di andarsene ha detto che aveva solo bisogno di riposo!"

Guardo ancora il viso di Camus, che si sta sempre più agitando nel sonno. Mormora parole che gli si spezzano in gola, tra un affanno e l'altro, ne comprendo solo la lingua alla base, il francese, suo idioma preferenziale.

E' davvero dura rivederlo così, più agitato di quando era in coma, con quell'espressione rotta dalla sofferenza che mi ricorda quando era stato ferito da quel mostro. Anche il suo respiro irregolare visibile dall'alzarsi e abbassarsi trafelato del suo petto, mi riporta alla mente quei momenti terribili.

“Cosa possiamo fare per aiutarlo?” interviene Francesca, sforzandosi di mantenere la calma.

“Gli medicheremo ancora una volta le ferite. Per farlo, ci servono il disinfettante e altre bende. - ci illustra Hyoga, prendendo in mano la situazione - per quanto concerne la febbre, posso abbassarla direttamente io, con il mio gelo!"

“Aspetta, però! Per la febbre ok, ma le ferite sono sul torace, giusto? Quindi significa che, per trattarle, bisogna... uhm!” Michela si interrompe, imbarazzata, abbassando lo sguardo.

Francesca ed io ci guardiamo, arrossendo un poco a nostra volta. Capiamo bene quello che Michela vorrebbe dire: per cambiare le bende bisogna... scoprirlo... e noi non siamo abituate a trattare con l'altro sesso!

“Lo farò io, non preoccupatevi. Voi pensate solo a portare le bende e il disinfettante, presto!” ci dice Hyoga, intuendo i nostri pensieri, per poi concentrarsi sul suo maestro ed espandere così il suo cosmo ghiacciato.

Probabilmente per lui deve valere la stessa cosa per noi femmine, visto il rossore che copre le sue gote ogni volta che si sforza di guardarci negli occhi. In sostanza, questa situazione, questo nemico misterioso, ha messo i presupposti per creare una bella accozzaglia completa di dissociati della società!

Le mie amiche ed io annuiamo, lasciandolo libero di agire e ci dirigiamo giù per andare a prendere l’occorrente. Giunte nello sgabuzzino, la stanza più piccola dell’intera casa, Francesca prende una sedia per raggiungere lo scaffale più alto e afferrare le bende, nonché il disinfettante.

Torniamo quindi al piano di sopra per dare tutto l’occorrente a Hyoga, ancora intento a stabilizzare la temperatura corporea del maestro. Lo vediamo chiudere gli occhi nel concentrarsi, una mano poggiata appena sul petto di Camus, tra la pelle e il tessuto del pigiama, e l'altra tra i ciuffi della fronte. Bastano pochi secondi soltanto per riuscire nel suo intento, lo sentiamo sospirare di sollievo mentre fa per sfilargli di dosso il pigiama, bloccandosi tuttavia a metà strada, come a rendersi conto solo ora di un fatto importante.

"Ehm, potreste uscire un attimo da qui, per favore? Il tempo di medicargli la ferita, poi vi faccio rientrare."

Sto per acconsentire anche a nome delle altre, ma Francesca inspiegabilmente -del tutto impassibile!- prende parola al posto mio.

"Non ti stiamo dando fastidio, non vedo perché dovremmo..."

"Non è per quello! - scrolla la testa il Cigno un poco a disagio, mentre io do un'occhiata interdetta alla mia amica - E' per lui, per il Maestro Camus, per favore! Non... non ama farsi vedere vulnerabile, mal tollera di essere toccato e maneggiato. Si sentirebbe male a pensare di essere stato visto così da voi..."

Sorrido intenerita, cercando di catturare lo sguardo sfuggente di Hyoga che tuttavia si ostina a rimanere basso. Deve essere davvero molto sensibile questo ragazzo, mi piace! E' un po' impacciato, cerca di mantenere le distanze, ma è lampante il suo mondo interno, così emozionale e per nulla scontato. Un po' come Camus che, per l'appunto, lo ha fatto crescere come un padre, malgrado la poca differenza di età.

Francesca fa per ribattere di nuovo, accigliata, ma stavolta sono io ad essere più veloce di lei, convincendo lei e Michela a fare dietro front e uscire dalla stanza. Vorrei parlare con la più grande, chiederle che cosa la scandalizzi così tanto della richiesta più che legittima di Hyoga, perché dovrebbe capirlo anche lei, in fondo, loro sono un po' come noi a parti invertite, ma è il turno della più piccola di palesare fuori la sua voce.

"Io... glielo devo dire!" borbotta in tono vacuo, come se fosse appena atterrata sulla Terra dopo essere caduta da una stella.

"Michy, che cos..?"

“Glielo devo dire! – ripete Michela più incisiva, un lampo di luce negli occhi nell'alzare lo sguardo su me e Francesca – Domani assolutamente gli devo dire quello che provo per lui, prima di venire attaccati da un altro nemico... prima che sia troppo tardi!” finisce, con una determinazione talmente assoluta da meravigliarmi e scioccarmi al tempo stesso.

Lo stesso, tuttavia, non si può dire di Francesca che, capendo l'antifona, si surriscalda un poco: "COSA?! Di nuovo questa storia degli innamoramenti precoci, Michela???"

"Sssssh, non urlare! Il Maestro Camus sta male e Hyoga si deve concentrare nel curarlo!" risponde l'altra, con una flemma assolutamente priva di incertezze.

"NON MI INTERESSA! TU... TU... - sbraita lei, ancora più arrabbiata, prima di riportarsi alla calma nel percepire la mia gomitata sul fianco atta ad ammonirla non verbalmente di rimanere su un tono civile e contenuto. Cosa che lei riesce difficoltosamente a fare - Non ti è bastato Luigi, lo hai già dimenticato come ti ha usata e cosa ti ha..."

"Non l'ho mai dimenticato, Fra, dovresti saperlo! P-però... - Michela strizza le palpebre nel ricordare tutta la sofferenza patita in quella relazione che dire tossica è un eufemismo - Hyoga è diverso!"

"Non lo conosci ancora bene, non lo puoi sapere!" le fa notare Francesca, inarcando un sopracciglio nell'assumere la consueta aria da maestrina di quando sa di avere assolutamente ragione.

"L-lo vedi, Fra, l-lui è..."

"Io vedo solo che è biondo e tu, al solito, vai in brodo di giuggiole per i biondi, poi questi, quasi sempre, si rivelano dei pezzi di merda e tu gli continui a sbavare dietro, del tutto allupata, tanto che Marta ed io dobbiamo poi fare i salti mortali per recuperarti!"

"..."

"Come con Luigi, del resto... santo cielo, sembrava impossibile farti ripigliare, ne eri assuefatta, dipendente... non so neanche io come fosse possibile, anche perché, per i miei canoni, era pure bruttino, con quel mascellone da tronista che... BLEAH! - prosegue il rimbrotto Francesca, ormai su di giri - Questo perché tu non RAGIONI, Michela, e dire che il prossimo anno farai 17 anni, non sei più una ragazzetta, eh, non sei più..."

"Fra, basta, stai esagerando! - intervengo io, con un cipiglio di severità nel vedere la più grande assestare colpi senza darsi minimamente un freno - Non c'è bisogno di rincarare così tanto la dose!"

"Uff... - Francesca butta fuori aria, rendendosi conto di avere esagerato, tuttavia, sebbene in tono più morbido, non demorde con le sue raccomandazioni - Michela, devi imparare dagli errori del tuo passato, solo così non ci ricapiterai! Dovrebbe essere bastata la lezione Luigi a farti perdere del tutto la smania di proiettarti in relazioni amorose con persone appena conosciute. Dammi retta, quel Hyoga... sì, sembra un bravo ragazzo, hai ragione, ma non lo conosci neanche tanto bene. Ragiona a mente fredda e aspetta, solo così..."

"DEVO ASPETTARE CHE ARRIVI IL PROSSIMO NEMICO E CI AMMAZZI?!? QUESTO DEVO ASPETTARE, FRA?!"

Ammutolite. La fissiamo in silenzio, completamente sbalordite, non trovando più le parole per continuare nel dialogo: da quando Michela parla di morte?! Lei, che ha sempre avuto paura persino di nominarla! Lei, che ha l'argento vivo addosso, che fa di tutto per non abbattersi, per non pensare che un giorno più o meno lontano finirà tutto e noi diventeremo polvere, tornando nel nulla da cui proveniamo; lei che non tollera alcun tipo di sofferenza o discorso triste, al punto da rigettarlo completamente indietro e devolvere le sue scoppiettanti energie altrove...

"Non è un gioco, questo! - la sua voce torna dopo pochi secondi, più bassa e profonda ma ancora più incisiva di prima - Avete visto cosa stava succedendo a Marta per aver tentato di allontanarsi da qui... ed è andata fin bene che è intervenuto il Maestro Camus, altrimenti lei, forse non..."

"...Non sarei più qui, sì, è vero!" concludo in sua vece, declinando poi il discorso.

Se Camus non si fosse messo in mezzo, se non mi avesse protetto con il suo corpo, sarei stata colpita io e, probabilmente, non ci sarebbe stato nulla da fare per me. Ingoio a vuoto a quel pensiero, buttando un occhio alla porta chiusa, dietro la quale lui sta ancora patendo le conseguenze delle sue scelte.

"Non voglio che sia tardi, non voglio più... sprecare tempo! - afferma ancora Michela, gli occhi tristi, ma brillanti - Se buttarmi nel fuoco significa correre il rischio di bruciarmi, ma aver vissuto, ebbene, lo farò! Preferisco così che non... trovarmi alla fine del viaggio e rendermi conto di essere a malapena esistita!"

"..."

Francesca non ha più il coraggio di opporsi e neanche io. La osservo solamente, cercando di esprimere fermezza -e orgoglio!- nei miei occhi nel comunicarle il messaggio che, se così ha decretato consapevolmente, io sarò comunque con lei, ad accompagnarla passo per passo.

Del resto, ha ragione: ci reggiamo tutte su un fragile equilibrio che può tranquillamente essere spezzato al prossimo attacco, questa è la nostra condizione esistenziale da adesso in avanti. Prima ne diventeremo consapevoli e meglio sarà per tutte!

“Ragazze, ho finito qui, potete entrare!” ci chiama gentilmente Hyoga da dietro la porta, in tono un poco accorato.

Devo ammettere che ha un bel timbro vocale, soffice con note melodiose, trasmette tranquillità e pace, ed io capisco la diffidenza di Francesca, ma davvero sembra proprio un bravo ragazzo, mi sento propensa a fidarmi di lui.

Rientriamo nella camera in punta di piedi. Hyoga è sul lato sinistro del letto, si passa velocemente una mano sulla fronte per scacciare il sudore. Ha spogliato Camus per poi coprirlo con il lenzuolo, lasciandogli solo un braccio, il destro, sopra le coperte, mentre il sinistro, cui intravedo la spalla fasciata dalle bende, è sotto. Per il Cavaliere del Cigno deve essere stato un discreto dispendio di energie, a giudicare dalla sua espressione stanca, ma il suo intervento deve essere stato perfettamente adeguato, perché mi sembra che il maestro, pur con le palpebre ancora un po' contratte, sia decisamente più tranquillo rispetto a prima.

"Hyoga, come sta?" chiede Michela, avvicinandosi istintivamente a lui per poi posargli una mano sulla spalla.

"Uh... - il Cigno imporpora un poco, non aspettandosi un gesto così spontaneo da parte sua, o chissà per quali altri motivi. Dopo un attimo di tentennamento, prosegue - Molto meglio rispetto a prima, sono riuscito a ricondurre la temperatura corporea su valori normali per mezzo del mio gelo, tuttavia non ho potuto fare nulla per le ferite, gliele ho giusto medicate e bendate. Sono... non saprei neanche come spiegarlo!" un'ombra di dubbio solca i suoi occhi, e a me viene istantaneamente un flash.

"Hyoga, durante lo scontro, i nemici hanno detto qualcosa di... di molto criptico, ecco."

"E sarebbe? Era inerente alle ferite?" mi guarda dritto, allarmato, cosa non da lui, dato il carattere schivo.

"Credo di sì. - sospiro, preparandomi a riportare quanto ho sentito parola per parola - Hanno asserito che: ha superato il Marchio e che non si sopravvive a quello... senza conseguenze!"

Una scintilla di paura solca le sue pupille, che si abbassano istintivamente verso Camus, ancora incosciente sul letto. Non dice nulla, non ne trova la forza, ma i suoi gesti valgono più di mille discorsi: sistema meglio il lenzuolo sopra il maestro, gli sfiora brevemente i capelli, prima di prendere posto sulla sedia vicino a lui e guardarlo intensamente.

"Detta così sembra quasi un qualcosa di voluto... è inquietante!" riflette Francesca, dubbiosa.

"Cosa può significare questo, Hyoga?" da voce alle sue paure Michela, una mano premuta sul petto.

"Non lo so, ma il Maestro Camus è al sicuro qui con noi adesso!" afferma, deciso, sebbene il suo corpo tremi vistosamente per qualche attimo.

Sembra che qualcosa lo abbia spaventato, lo capisco dalla sua espressione, che tuttavia corre a camuffare ancora una volta nell'estremo tentativo di seguire gli insegnamenti del mentore.

"Alla fine di tutto, da tuo giudizio, riuscirà a rimettersi?" gli domanda ancora Francesca, cercando di mantenere la flemma che manca invece a noi.

"Sì. - stavolta Hyoga sorride, e sembra completamente sincero nel farlo - Conosco bene la sua tempra; un'unica notte, questa, e domani sarà già in piedi, vedrete!"

"OH, MENOMALE!" trilla Michela, al settimo cielo, nuovamente di buonumore.

"Andate pure a riposare, se volete, qui ci penso io!" ci dice ancora il Cigno, guardando prima me e poi Francesca, un poco in disparte rispetto a noi.

"E' un problema se restiamo?" chiedo timidamente io, facendomi forza.

"Per me no, ma sarete stanche, e..."

“E allora rimarremo qui, non preoccuparti per noi. Ti aiuteremo a prenderci cura di lui, è questo che fa una famiglia, no? - rispondo anche per le altre, avvicinandomi ulteriormente al letto per regalare a Camus una veloce carezza tra i capelli - Sì, ok, siamo una famiglia messa in piedi a caso, sconclusionata e fatta da tipi un po' insoliti e strambi, ma il senso è loi stesso!"

Inaspettatamente Hyoga ride alla mia affermazione, tornando poi su Camus: "Da mia esperienza... anche le famiglie standard possono essere tranquillamente disfunzionali!"

Ammicco, lieta che la pensi come me, prima di seguire il suo esempio e guardare il volto addormentato del maestro.

"Andrà tutto bene, da adesso in poi, l'ho già detto, no? Il peggio è passato... forza!" gli sussurro con dolcezza, mentre, sempre automaticamente, la mia mano libera scende fino a toccare e stringere la sua tra le mie dita.

Non so se ne sono in grado di rassicurarlo come vorrei. Mi rendo conto di essere ancora tremendamente impacciata rispetto a com'ero all'ospedale, il che è assurdo, ma è come procedere a tentoni nel buio su un percorso che non ho mai intrapreso prima.

Lui infatti, nell'essere toccato da me, produce una sorta di flebile borbottio e contrae ulteriormente le palpebre. Il suo respiro muta d'intesità, si fa per un attimo più accelerato, prima di distendersi del tutto.

"Marta..."

La voce di Hyoga mi fa sussultare, mi allontano bruscamente, colta in fallo, volgendomi poi verso di lui, paonazza in volto, nel farfugliare parole di scusa.

"Scusami, hai ragione, è stremato ed io lo sto disturbando! E' che... è che non lo so neanche io, perché succeda con lui, generalmente non sono così aperta, ma mi viene normale!" biascico, pentita, nascondendo le braccia dietro la schiena in un gesto di estremo imbarazzo.

"N-no, non intendevo quello... - si affretta a ripiegare il Cigno, dopo avermi fissato sorpreso per una serie di secondi ed essere tempestivamente tornato sul maestro appena i miei occhi hanno cercato i suoi. Non sembra infastidito, solo... meravigliato. - Continua, se puoi. Gli fa bene!"

Gli fa bene? Cosa intende? Non era una reazione di fastidio, quindi, quella che ha avuto alle mie carezze? Perché ho così tanti problemi a capirlo?

"Gli fa bene il tuo tocco. Lo... lo vedo!" mi delucida poi, una strana espressione dipinta sul volto, la mano che si protrae verso di lui, come a cercare a sua volta un contatto, che tuttavia non viene completato, si ferma a metà strada. Muto.

"D'accordo allora, ma puoi farlo anche tu, no? - tento, vergognosa, non capendo perché si sia fermato a metà strada - Avrà sicuramente piacere a..."

"N-no, lui non regge il mio... contatto!"

Ammutolisco anche io, non sapendo come controbattere. E' lampante voglia farlo anche lui, allora cosa lo blocca? Che succede tra loro?

"Tu però non ti curare di me, continua a tenergli la mano, se hai piacere. Lo aiuta. Milo mi ha detto che sei riuscita a farlo uscire dal coma..."

"E' stato solo un caso."

"Milo è piuttosto convinto che sia stata tu a permettergli di risvegliarsi. All'inizio ero scettico anch'io, ma a vederti così, adesso non ho più alcun dubbio!"

Discosto lo sguardo, imbarazzata. Non fiato.

"E' una dote di Marta, sai? - si aggiunge al discorso Michela, nuovamente allegra, facendomi sussultare seduta stante - Parla poco e con poche persone, ma quando lo fa è in grado di smuovere qualcosa in fondo all'anima degli esseri viventi, umani, piante o animali che siano... anzi, si può dire che, in proporzione, parla molto più con questi ultimi due generi che..."

"Sssssssh, Michela, stai zitta! Sai anche tu che non ama spifferare la sua intimità a chicchessia!" la rimprovera Francesca, sempre molto comprensiva circa il mantenimento dei segreti.

"Ops, scusa, Marta, la foga nel discorso, ahahaha!"

Fortunatamente Hyoga non sembra aver seguito il suo parlare, così chiuso in una tacita sofferenza che trasparisce dall'esterno e che tuttavia non ha nome.

Torno timidamente con lo sguardo su Camus, le mie mani sorreggono la sua, racchiusa tra le mie dita. Dunque... non ha provato fastidio alle mie carezze, me lo ha appena assicurato il migliore dei suoi allievi.

"Gra-grazie per le belle parole, Hyoga!" sorrido tra me e me, un po' imbarazzata, un po' timorosa, un po' felice...

E' una sensazione che non capisco e che non ho mai provato con nessun altro, questa che sento solo con lui. Non so darle un nome, non so minimamente descriverla a parole. So solo, e in fondo è questa la cosa in assoluto più importante, che dopo un lungo periodo di buio, mi sembra di essere tornata a respirare a pieni polmoni.

I colori hanno scacciato il nero di seppia che aveva invaso la mia anima e questo, credo, sia stato merito proprio di Camus.

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Capitolo 13
*** La dichiarazione ***


CAPITOLO 13

 

LA DICHIARAZIONE

 

8 luglio 2011, mattina

 

Mi sveglia un colpo dietro alla nuca che, stante il mio livello di rimbambimento, avverto appena. Mugugno qualcosa infastidita, mentre, serrando le palpebre diverse volte prima di aprirle, tento di ritornare in me. La seconda cosa estremamente tangibile è l'assenza della mano di Camus nella mia. La terza è un profumo dolce e sempre più intenso di qualcosa di buono che sta cuocendo nel forno.

Socchiudo ancora una volta gli occhi per poi spalancarli, alzando al contempo la testa dal giaciglio che è stato il lato destro del letto. Ho la schiena a tocchi, perché mi sono addormentata seduta sulla sedia ma appoggiata al materasso. Davanti a me invece vi è Michela, completamente stravaccata e bella comoda, con tanto di appiglio deciso al cuscino che, al momento, stra abbracciando come se fosse il suo amante.

Sbadiglio, coprendomi la mano con la bocca e inspirando a pieni polmoni quello che sembra essere sempre più affine al profumo di brioches appena sfornate. Di Camus e Hyoga non c'è traccia, devono essersi già alzati. Francesca è seduta in un angolo della camera, completamente assopita anche se in posizione vigile. E' un qualcosa che sa fare solo lei, addormentarsi come una sentinella, è già capitato. Mi chiedo solo come faccia.

Assorta dai miei pensieri, avverto il grugnito di Michela e lo spostamento d'aria dato dal suo calcio rotante che fortunatamente, stavolta, non mi colpisce. Ridacchio tra me e me. Sono piuttosto sicura che la mia amica più piccola, addormentatasi come me ma dal lato sinistro del letto, abbia sfruttato le sue doti da sonnambula per conquistare il giaciglio appena Camus è riuscito a rimettersi in piedi. Eccola infatti qui, a russare e grufolare come se non ci fosse un domani, bella comoda su un letto che non è neanche il suo.

Mi alzo per andare a ridestare almeno Francesca e chiederle così se lei sappia dove siano Camus e Hyoga. Il sonno della mia amica più grande è molto labile, si risveglia subito, ma ricevo da parte sua solo uno sguardo stordito almeno quanto il mio.

“Non lo so. Quando mi sono finalmente addormentata, tu e Michela eravate già belle che partite per il mondo dei sogni. Hyoga stava asciugando il sudore sulla fronte del Maestro, visto la sua temperatura corporea era salita ancora un po'. Mi ha detto di non preoccuparmi e di riposare. Altro non so. - mi spiega, franca, incrociando dubbiosa le braccia al petto - Qui comunque non c'è. Starà meglio?"

“Può darsi, ma non era comunque in condizioni di alzarsi e andare." rimugino, sospirando.

"Mi sembra un testone."

"Lo è!" confermo, decisa, sbuffando sonoramente.

"Come te, del resto." ridacchia in controbattuta lei, divertita, gongolando poi alla mia reazione.

"N-non... non così tanto! - mi oppongo, gonfiando le gote, prima di farmi seria - Dobbiamo andare giù a vedere direttamente le sue condizioni, questo odore dolciastro nell'aria non mi piace... cioè, mi piace ma non vorrei che quel disgraziato si fosse svegliato per mettersi ai fornelli e affaticarsi dopo tutto quello che ha già passato!"

"Però! Quanta confidenza hai appena utilizzato per essere il tuo venerabile maestro!" mi fa notare lei, furbetta.

"Io... - mi mordo le labbra, accorgendomi di essermi esposta troppo - è lui stesso che mi ha dato il permesso di dargli del tu."

"Camus?"

"Sì, i-ieri dopo che voi ve ne siete andate con Milo e-ehm, coff, coff! - tossicchio per darmi un tono e cambiare discorso - Prima dobbiamo comunque svegliare Michela, erk...”

Ci giriamo in sincrono verso di lei, lo sguardo di chi sa di doversi prepare all'impossibile. Sappiamo fin troppo bene entrambe che si tratta di un'impresa titanica.

I giorni scorsi, prima dell'incidente, era lo stesso Camus a buttarla giù dal letto con abile destrezza, non so come ci riuscisse. Oggi toccherà a noi.

“Michela! Michela!!!” inizia Francesca, conoscendo bene il sonno profondo e quasi impossibile dell’amica. Nessuna risposta, tranne un suono gutturale ancora più forte da parte dell’interpellata.

“Sì, certo, si è svegliata molto! Fra, comincia a scrollarla, io nel mentre vado di metodologie cattive!” stabilisco, sfregandomi le mani con fare alquanto sinistro.

“Marta, non avrai intenzione di..?” chiede Francesca, guardandomi con una punta di terrore stampata in viso.

“Certo che sì: DIAMOND DUST depotenziata!!!” ribatto, sfoderando una versione molto più debole del colpo che ho da poco appreso grazie a Camus.

Nel momento in cui la brezza ghiacciata colpisce la faccia di Michela, lei caccia un urlo, buttandosi letteralmente giù dal letto.

"C-c-co-cosa è s-successo?! E' g-già inverno?!" chiede, stordita, iniziando a tremare per il freddo.

“Buongiorno, dormigliona, ben svegliata! No, non è inverno ma è ora di alzarsi, forza!” affermo, sorridend quasi trionfante per essere riuscita a ridestarla in maniera così immediata, pulita e incisiva.

“Ehm, Marta... Quello era il letto di Camus e il ghiaccio che hai adoperato ci mette ben poco a diventare acqua vera e propria, vedi?” mi fa notare Francesca, sospirante nell'osservare i frutti del mio operato.

In effetti sia Michela che le coperte del letto sono già praticamente zuppe e sgocciolanti. Il Maestro non sarà contento.

“Ops!” dico, mettendomi la mano davanti alla bocca. Probabilmente il mio colpo era veramente troppo debole, ai livelli di una innaffiata fredda o poco più, per questo che il ghiaccio si è già completamente sciolto. La strada per padroneggiare questa tecnica è ancora molto lunga...

Dopo aver tamponato e asciugato alla ben meglio Michela, ci rechiamo al piano di sotto e, con grande gioia delle mie amiche e una velata stizza da parte mia, vediamo proprio Camus, vestito con una camicia leggera a 3/4 di manica e dei jeans chiari, in piedi davanti alla cucina. E' più che mai concentrato nel controllare il forno e i fornelli.

Ora, io non so come diavolo faccia, nel dettaglio, a stare ancora elegantemente in piedi dopo aver subito quelle ferite gravi sul petto, essere scappato appena ieri dall'ospedale, aver combattuto un pugno di nemici e aver poi sviluppato una violenta febbre. Non lo so. So solo che sono sollevata e felice di vederlo così, lo abbraccerei di nuovo e, insieme, gli urlerei di tutto per la sconsideratezza delle sue azioni! Farnetica tanto di calma e sangue freddo per poi...

“Maestro!”

Il richiamo trillante e gioioso di Michela è in grado di far distendere anche me. Butto fuori l'aria, ritrovandomi per l'ennesima volta sgonfiata da un fardello che non ho chiesto io di avere.

Rimango comunque un po' sulle mie, sull'uscio della cucina, mentre le mie due insostituibili amiche accennano qualche passo in avanti, pur esitando all'ultimo nel non sapere se proseguire oppure no.

Il voltarsi di Camus, il suo timido sorriso che trapela fuori nonostante il pallore del viso, estingue in me ogni più piccola velleità di dirgliene quattro per l'enorme cazzata di essersi alzato dopo aver avuto la febbre alta per tutta la notte. Sorrido a mia volta, sorniona, sollevata nello spirito: è in piedi e sta meglio, cammina verso di noi, solo questo conta!

“M-Marta! Michela! Francesca! Ho pensato che vi sareste svegliate da un momento all'altro e ho pensato di prepararvi delle brioches!” afferma, avvicinandosi nella nostra direzione, prima di esitare a sua volta.

Situazione di stallo. Vedo nei suoi occhi passare una miriade di emozioni tenute ancora saldamente ancorate al ghiaccio che è solito ricoprirlo. Arrossisce appena -ho notato, in questi giorni di conoscenza, che lo fa spesso, lo trovo molto tenero!- prima di abbassare timidamente lo sguardo.

“Maestro, state bene?” gli chiede tentennante Michela, avanzando di un ulteriore passo nella sua direzione. Sono discretamente vicini, ora, se uno dei due lo volesse si potrebbero perfino abbracciare.

"Io... sì, va meglio adesso, non preoccupatevi!" bofonchia, un poco teso, rialzando però lo sguardo.

"Sicuro sicuro?" chiede conferma lei, avanzando di un altro passo ancora.

“Sì. Hyoga, prima di tornare ai suoi allenamenti, mi ha riferito che lo avete aiutato stanotte a... a prendersi cura di me. - mormora Camus in risposta, il tono ancora tremante per l'imbarazzo. E' di nuovo sua, la voce, anche se non priva di qualche strascico di raucedine - Grazie. N-non sono abituato a... voglio dire, non eravate tenute a farlo, del resto n-non sono nessuno p-per v-v..."

Ma si deve bloccare nell'esporre la frase, Michela gli è praticamente zompata addosso per abbracciarlo con vigore. Il gesto lo sorprende notevolmente, lo obbliga a divaricare le gambe per evitare di finire per terra, la postura rigida.

"P-pia-pian..."

"PIANO, MICHELA! - la voce di Francesca sovrasta la mia che si era attutita nell'esporre un avvertimento che, detto da me, sarebbe risultato ipocrita avendo avuto giusto ieri lo stesso slancio - Non è ancora guarito, rischi di fargli male!"

“Siamo felici che voi stiate meglio! Ci avete spaventato a morte, lo sapete?!" afferma ancora la più piccola, cristallina e sincera come solo lei sa essere.

"Scusatela, è una cozza. - si china appena in avanti Francesca, in maniera piuttosto formale, sebbene la situazione tra noi sia piuttosto cambiata - Ma confermo che è un sollievo rivedervi in piedi!

Camus non dice niente, è ammutolito, il rossore sulle sue guance è aumentato, dandogli quasi dei connotati normali o che comunque ci si aspetterebbe da un giovane uomo della sua età in perfetta salute. E' sempre pallido, d'accordo, però almeno ora non appare così patito come quando era in Terapia Intensiva e questo è davvero un sollievo. Non ricambia subito la stretta; come con me, è l'esitazione a permearlo. Michela si permette di stringerlo con più forza senza fargli male e allora lui riesce a riscuotersi, a ricambiare timidamente il gesto. Posa le sue mani dietro la schiena di lei e socchiude gli occhi, rilassandosi a quel contatto.

Mi appoggio al muro, sorridendo felice, gli zigomi, li percepisco, un poco sollevati. E' davvero così bello il suo tocco, io l'ho già sperimentato, così denso di emozioni taciute da farti battere il cuore. E' il loro momento adesso, nessuno glielo può togliere!

“Michela...” sussurra infine lui, riaprendo le iridi che facilmente si possono confondere con le profondità marine per il particolare colore che le contraddistingue.

“Sì, Maestro?” chiede l'interpellata di rimando, aspettandosi chissà quale frase poetica.

“Perché diavolo sei completamente bagnata?! Stai tremando dal freddo!” continua poi come se niente fosse, inarcando un sopracciglio con fare scettico prima di discostarsi un poco da lei.

Ingoio a vuoto, desiderando scomparire dalla stanza con la coda tra le gambe.

“Ehm, non è solo lei il problema, anche il tuo letto al momento è inagibile e la colpa è inequivocabilmente mia!” ammetto, imbarazzata, avvicinandomi a mia volta per poi grattarmi la testa e picchiettare i due indici uno contro l'altro.

“Marta... - la sua attenzione è tutta su di me, si raddrizza nell seguire con gli occhi i miei movimenti - che cosa hai combinato, di grazia? Non avrai utilizzato a caso il tuo potere per svegliarla?!” sospira, intuendo immediatamente l'accaduto. La sua espressione però sembra essere serena e felice, oserei dire quasi divertita.

"Ehm... forse?"

"Che testa! - scuote il capo, prima di indicarci con un cenno di sederci ai lati del tavolo per la colazione - Intanto cominciate a mangiare che si raffreddano, altrimenti perdono di morbidezza, e tu, Signorina, delucidami sul perché hai pensato bene di usare la Polvere di Diamanti per risvegliare la tua amica!"

Così, al limite dell'imbarazzo, prendendo posto vicino al tavolo insieme alle altre per mangiare, mi preparo a narrare l'accaduto: "Michela ha un sonno di ferro, non si sveglia facilmente, te ne sarai accorto, ed io volevo essere come te..." confesso, a disagio, iniziando a ridacchiare per stemperare la tensione.

"Come me?" chiede conferma lui, inarcando un sopracciglio, per poi passare una tovaglietta a Michela per consentirle di asciugarsi almeno i capelli.

"Qu-qualcosa di simile! - confermo, grattandomi maldestramente la guancia con il dito della mano libera - Volevo avere la tua maestria nel lanciare i cristalli di ghiaccio, la stessa che ci hai mostrato all'inizio, quando ci hai fatto vedere il tuo potere. Tuttavia, ehm, ho prodotto solo qualcosa di simile all'acqua. Non c'era nulla di bello ed elegante in quello, ma almeno il mio obiettivo l'ho raggiunto: l'ho svegliata!" tento come approccio, arrossendo ulteriormente.

"Sì, e che risveglio! - conferma la diretta interessata, i capelli avvolti a turbante, mentre arraffa la prima brioche alla sua portata e l'addenta con gusto - Mi sembrava di essere precipitata improvvisamente nel clima di dicembre ed io odio l'inverno!"

"Il tuo letto è momentaneamente inagibile perché l'ho infradiciato io. Mi... mi dispiace!" chiedo umilmente scusa, guardando ottusamente il centro del tavolo, piuttosto che lui.

"E tutto questo... per essere come me!"

"S-sì, v-voglio dire so che c'è un abisso tra noi, so che avrei dovuto pensarci meglio prima di agire, perché era lampante fosse una cazzata, ma..."

A questo punto, lui ride proprio, tiepidamente, e il suono cristallino della sua risata mi abbaglia, lasciandomi stupita con la bocca aperta a guardarlo. Ancora una volta la sua mano naviga verso di me, stavolta non mi ritraggo, desidero il suo contatto, e quando arriva sotto forma di buffetto leggero sulla punta del naso, mi lascia quasi stordita.

"Vuoi essere come me e lo sarai... ma solo con l'esperienza! - mi rassicura, ammiccando appena, prima di imbarazzarsi a sua volta e guardare altrove - Unica cosa, per favore, la prossima volta evita di far rischiare la polmonite alla tua amica Michela!"

"Uh-oh... d'accordo!" non riesco a dire nulla di più sensato, semplicemente affondo i denti nella morbida brioche ancora calda.

E' morbida e deliziosa, da far commuovere, non ho mai mangiato nulla di così buono e -mi guardo intorno, felice- sì, sono stata separata prepotentemente dalla mia famiglia, è vero, ma... forse per la prima volta nitidamente... mi sento di nuovo a casa!

 

*****

 

 

 

 

8 luglio 2011, pomeriggio

 

Corro giù per le scalinate del Tempio, saltando di tanto in tanto uno scalino per ritrovarmi più celermente in quello più sotto, ubriaca di felicità. A poca distanza da me ci sono Camus, che mi segue ancora un poco incerto sulle gambe, e Francesca, che gli sta prudentemente di fianco e lo osserva diligentemente nella paura, ancora piuttosto tangibile, che si possa sentire male per la debolezza o per il caldo, diventato piuttosto afoso in questa prima decade di luglio. Sembra tuttavia che il peggio sia passato per davvero, perché l'espressione del maestro, ancorché tradisca un certo malessere, sembra ora serena e tiepidamente sollevata.

Oggi è il nostro giorni di riposo. Ci stiamo dirigendo all'Ottava Casa dopo esserci fermati a rassicurare Shura e Aiolos sulle condizioni del compagno d'armi; Michela invece è rimasta in camera sua adducendo come scusa la troppa stanchezza. Devo ammettere che, pur con due manifestazioni completamente diverse, entrambi i Cavalieri d'Oro erano felici e rasserenati nel rivedere Camus sveglio e di nuovo sulle proprie gambe (anche se un po' traballanti!), devono volergli molto bene ed io me ne sto accorgendo solo concretamente adesso che non li considero più come dei rapitori.

Ora è il turno di Milo, colui che ha tribolato di più a seguito degli ultimi avvenimenti, di rivedere l'amico e pezzo d'anima nuovamente cosciente e in discrete condizioni fisiche.

Sorrido tra me e me, strizzando gli occhi, nell'immaginarmi la reazione dello Scorpione quando lo vedrà. Termino così l'ultima manciata di scalini, sono piuttosto avanti rispetto al maestro e alla mia amica, quasi mi verrebbe da correre dentro in mezzo alle colonne del massiccio tempio per anticipare la lieta novella a lui e a Sonia, ma un fruscio non ben distinto, proveniente proprio da uno dei basamenti, attira la mia attenzione. Mi fermo, focalizzo la vista proprio dove mi è sembrato di scorgere la vibrazione e... eccola lì, la individuo.

Mi avvicino quindi quatta quatta a quel palpito che è giunto alle mie orecchie come una sorta di ondulazione vitale, prima di fermarmi a debita distanza per non disturbarla e mettermi ad osservarla.

La pulsazione in sé non è altro che una piccola lucertola muraiola di medie dimensioni, un maschio nello specifico, che, avvertendo la mia ingerenza, corre a nascondersi sotto una crepa della colonna. Ridacchio tiepidamente.

"Non ti faccio male, sai? Volevo solo guardarti!" gli dico, affabile, rimanendo in attesa.

Lei -anzi lui!- dopo poco sbuca una seconda volta, mi fissa con gli occhietti profondi e tira un paio di volte fuori la linguetta per valutare, con ogni probabilità, anche le mie vibrazioni tramite l'aria e l'umidità. Infine, non reputandomi un pericolo, compie un rapido movimento per girarsi e sistemarsi nuovamente sopra il basamento, dove, allungando le due zampine anteriori, si sistema per prendere il sole.

Mi accuccio, sapendo di essere stata accettata, e mi metto a osservarla nei minimi dettagli. Ha una livrea spettacolare, il motivo reticolato del dorso è particolarmente accentuato, così come il colore verde smeraldo che la contraddistingue e che al sole risplende ancora di più, ma la particolarità che più mi affascina è che sul muso e sulla gola capeggia ancora una colorazione azzurrina.

"Come sei bella! Ma il periodo degli amori non è appena finito, da voi? O sei semplicemente in ritardo?" gli chiedo, incuriosita, mentre lui torna a guardarmi con gli occhi da rettile.

A pensarci bene, questa non è l'unica nota distintiva di questo dato esemplare, anche il posto in cui si è ritrovato a vivere lo è. Non tanto per la colonna in sé, che anzi è una delle zone peculiari dove possono trovare riparo, ma bensì perché -così almeno mi è stato detto- il Santuario è massimamente protetto dalla barriera della dea Atena che preclude a qualunque essere vivente privo del suo permesso di poterci accedere con facilità. E allora come fa lui a rimanere qui? Si è adattato? L'ha superata? Non solo, se lui vive stabilmente nelle fondamenta del Tempio dello Scorpione Celeste, significa che ha anche le prede, per cui devono sussistere delle eccezioni a questa regola, o...

"Capita, anf, che soprattutto piccoli animali, riescano ad eludere il getto della barriera e a stanziarsi stabilmente all'interno."

Mi prende un colpo. Ho giusto il tempo di voltarmi che vedo la faccia di Camus, chinato leggermente verso di me con le mani posate sulle proprie ginocchia, a pochi centimetri di distanza dal mio viso, un leggero sorriso sul suo volto.

Oddio, mi ha visto?! Mi ha udito?! Mi sfugge una esclamazione si sbigottimento, mentre, colta di sorpresa, vergognandomi come se avessi appena rubato, mi ritrovo a sbattere con il sedere per terra, avvampando irrimediabilmente in cerca di scuse.

"I-io non stavo facendo niente! Assolutamente NON parlavo con la lucertola, NON la stavo neanche guardando e NON c'è nessunissima lucertola qui!" tento, convinta che giustamente la bestiola, stante il trambusto, si sia rifugiata sotto. Butto un occhio per vedere se i miei pensieri sono confermati, e invece no, è ancora lì, ci guarda, osserva con insistenza il nuovo venuto, facendo vibrare la linguetta fuori.

"Marta, non ci sarebbe nulla di male se..."

"NON lo facevo! - ribadisco, rossa come un peperone, guardando altrove. Il suo tono è gentile, non sembra giudicante, ma non voglio che mi prenda per pazza - Nella fretta, mi è rotolata via u-una cosa, c'era questa lucertola e mi sono stupita ci fosse, visto che sapevo della barriera di Atena, FINE! N-non sono così strana!!!"

"E che problema ci sarebbe, se tu ci avessi parlato?"

"..."

"Marta... - a questo punto lui si accuccia davanti a me, premuroso, nel ricercare il mio sguardo che tuttavia io ritraggo - "Qualcuno, in passato, ti ha considerato 'strana' per questo?"

Continuo a non rispondere, guardo dappertutto tranne che i suoi profondissimi occhi blu, limpidi e comprensivi. Vorrei dirgli di sì, che è normale considerarmi tale, me lo ha insegnato il nonno che non si fa, di cercare di mascherare il più possibile questo mio lato autistico e di sembrare una ragazza normale, cosa che non mi è puntualmente riuscita, perchè anche adesso mi sono appena fatta beccare a 'fare la strana', come mi diceva lui, ma l'accenno di sospiro di Camus, seguito dalla sua mano destra che mi arruffa i capelli, blocca ogni mia ipotetica azione o spiegazione.

"E' un giovane maschio ancora in periodo riproduttivo, lo si vede bene dalla livrea così sgargiante. - mi sciolina lui, rialzandosi in piedi per poi darmi le spalle e lasciarmi a bocca aperta - Ah, e per quanto riguarda le tue considerazioni e domande, è lusingato dai tuoi complimenti, ringrazia, e sostiene di aver prolungato il detto periodo degli amori perché non si trovano tante femmine qui nei paraggi."

"E-eh?!" boccheggio, al limite dell'inaudito, alzandomi lentamente in piedi del tutto incredula.

"Sto solo ipotizzando che sia così. - specifica ancora lui, girandosi nuovamente verso di me per poi ammiccare nella mia direzione e darmi scherzosamente un colpetto dietro la nuca nell'indicarmi di non pensarci più e proseguire - Ora entriamo nel Tempio dello Scorpione Celeste, Marta, la tua amica Francesca ci ha già preceduti."

Annuisco, ancora imbarazzata, massaggiandomi la zona che lui sembra amare picchierellarmi di tanto in tanto. Ma quindi mi stava affettuosamente prendendo in giro, o ha capito veramente il linguaggio della lucertola? Era un sorriso di compatimento, quello che mi ha rivolto poco fa, o semplice tenerezza?

Varchiamo quindi l'entrata dell'ottava casa senza più proferire parola tra noi, io ancora con il capo chino sui miei passi, lui davanti a me, un poco incerto nel camminare ma comunque aggraziato e affatto arrendevole, nonostante il dolore ancora vivo che certamente deve ancora provare al petto.

“...e ORA come sta?!”

L'esclamazione di Milo dello Scorpione ci accoglie al nostro ingresso nel suo tempio. Sembra notevolmente allarmato, ed io capisco, avvicinandomi passo passo verso di loro, che Francesca deve avergli appena raccontato del malessere di Camus stanotte.

“Beh... - la mia amica esita per qualche secondo, prima di udire i nostri passi dietro di lei e capire che ci stiamo avvicinando. Si volta leggermente nella nostra direzione, prima di sorridere un poco e tornare sullo Scorpione Dorato - Chiedeteglielo voi stessi!"

Milo e Sonia -perché c'è anche lei, anche se non l'ho vista subito- si girano nella nostra direzione. I loro visi si illuminano in una espressione ricolma di sollievo nel vedere Camus nuovamente in piedi, prima di correre verso di lui. Entrambi vorrebbero abbracciarlo, entrambi però si devono trattenere nella paura di fargli male. La sola Sonia, pur esitante, trova il coraggio di prendergli, ricambiata, la mano.

"Camus!" lo chiama, in un soffio, gli occhioni adoranti propri di chi prova una ammirazione sfrenata.

"Oh, Camus! Sei... sei ancora pieno di ecchimosi!" insiste lei, addolorata.

"Lo so, mi hanno fatto un sacco di prelievi all'ospedale, ma è tutto ok, si riassorbiranno prima di quanto immagini!"

"E perché sei già in piedi?! Riposare pareva brutto?!" lo interroga invece lo Scorpione, ben meno accondiscente della ragazza. E lo capisco.

"Buongiorno anche a te, Milo, dormito bene?" è la risposta di Camus, pronunciata con un accento di ironia, nell'incrociare lo sguardo del migliore amico.

"Io sì, ma tu, da quanto mi è stato detto, non te la sei passata molto bene stanotte, anzi!"

"Solo un po' di febbre. Ci ha pensato Hyoga."

"Solo?! Ma come cazzo ragioni, Camus?! Quella che hai avuto, per te, è stata una febbriciola e nient'altro?! Beh... mi spiace dirti che la tua allieva Francesca è stata molto più cristallina di te circa le tue condizioni!"

Osservo la mia amica, che arrosisce un poco, chiedendosi tacitamente se abbia fatto bene a dire tutta la verità a Milo e a Sonia, o se sarebbe stato meglio mentire. Ciò che è certo è che Camus da importanza minimale alla faccenda -ma mi sembra, stante il tipo, che dia importanza minimale a tutta la sua persona, non solo a questa particolare circostanza!- e ora, nel non poter più nascondere il suo reale stato all'amico di sempre, sbuffa riottoso.

"Milo... sono grande, vaccinato, e so badare a me stesso!"

"No, mi spiace deluderti, sei grande, vaccinato, ma NON sai badare a te stesso! - ribatte Milo, spazientito a sua volta, posandosi le mani sui fianchi - E poi questa cosa di chiedere a Death Mask di scappare dall'ospedale me la devi spiegare, come diavolo ti è venuto in mente?!"

"I fatti miei."

"E-eh?"

"I fatti miei, Milo. Sono affari miei, questi, anche se capisco la preoccupazione. - glissa l'argomento Camus, chiudendo gli occhi con alterigia, proprio come era all'inizio della nostra conoscenza, prima di riaprire le palpebre e assumere un'espressione strana, indecifrabile - E poi... dovresti saperlo!"

“Altrochè se lo so, e tu sei un tarlo, ma lasciamo perdere! - sospira Milo, arruffandosi i capelli in testa prima di cambiare argomento - Piuttosto, sai di stasera?"

“Sì, sto uscendo proprio ora per andare a comprare del cibo, visto che Hyoga mi ha riferito che è stata organizzata dal Sommo Shion questa riunione informale per fare il punto della situazione e presentare ufficialmente le mie nuove allieve."

Ah già, me lo stavo quasi dimenticando, questo, perché effettivamente Camus ce ne ha parlato durante la colazione, aggiungendo che saremmo state libere fino a sera, ma che poi ci sarebbe toccata questa sorta di 'assemblea condominiale' in cui il loro Grande Sacerdote ha richiesto espressamente la nostra presenza.

"Esatto. - conferma Milo, con un cenno - Si pensava, per l'appunto, per renderle più a loro agio, di portare cibo e bevande e di andarci con abiti borghesi, quindi senza le corazze."

"Infatti stiamo andando proprio ora ad Atene a comprare qualcosa per stasera. Manca solo Michela che era stanca e ha preferito rimanere al Tempio della Giara del Tesoro a riposare.” risponde Camus, nel suo solito tono pacato.

“Vengo anch'io, allora! Posso dare una mano, vero?” interviene allora Sonia, tirando a sé il braccio ancora martoriato del maestro per poi osservarlo supplichevole.

“Certo che puoi, è da un po' che non passiamo del tempo assieme!” acconsente Camus, guardandola intenerito.

"Ti avverto, però, mi accozzo a te, sia chiaro, prendere o lasciare. Non stai ancora bene, su questo Milo ha pienamente ragione!" mette subito le cose in chiaro la più piccola, sorridendo sorniona.

"Sonia, non c'è bisogno di..."

"Prendere o lasciare." sottolinea, in un tono che non ammette repliche.

"Uff... l'hai addestrata bene, eh?" ironizza Camus, scambiando un'occhiata con Milo, il quale sorride soddisfatto.

"Oh, non immagini quanto!"

"D'accordo, allora, suppongo di non avere altra scelta."

"Andata, yuppie!" esclama quindi Sonia, mentre, quasi saltellando, si posiziona tra me e Francesca.

Una risatina divertita mi scappa dalle labbra. Sembriamo proprio un plotone di volontari pronti ad aiutarlo in tutto e per tutto.

“Bene, allora noi andiamo, Milo” lo saluta Camus, incamminandosi verso l'uscita senza aggiungere altro.

“Aspetta! – lo ferma tuttavia l'altro, guardandolo seriamente negli occhi - Al costo di farmi mandare a fanculo da te per la troppa insistenza che sto dimostrando, promettimi che sarai prudente e non ti affaticherai più del dovuto."

"Milo..."

"Tu ti ostini a fare come se nulla fosse successo, ma devo rammentarti ancora una volta le gravi condizioni in cui versavi fino all'altro giorno...”

"Pur sapendolo, non mi posso fermare, il mio ruolo non me lo consente." obietta il Cavaliere dell'Acquario, pur addolcendo il tono.

"Non c'è comunque da scherzare su questo, per poco non ci rimettevi la vita. Datti il tempo per recuperare e ricordati che non sei solo, non più." gli sorride affabile Milo, con quella scintilla negli occhi che lo contraddistingue ogni qualvolta parla a lui o di lui.

Camus abbassa lo sguardo, imbarazzato da tutte quelle attenzioni, prima di tornare sul suo viso e ricambiare intensamente la sua occhiata: “Non ti devi preoccupare per questo, Milo. Vedi? Francesca e Marta hanno insistito per accompagnarmi, e ora anche Sonia. Se dovessi sentirmi male per il troppo caldo o per le ferite riportate, ho tutte loro!” afferma, indicandoci con un segno del capo.

“Lo so, infatti sono molto più tranquillo. Però sii prudente, sei ancora molto debole, lo capisco dal tremore delle tue gambe e dal tuo viso ancora così smunto.” finisce di raccomandarsi Milo, serio come non mai.

Vorrei dirgli anche io di non temere, che ci pensiamo veramente noi a lui e che siamo in tre. Stringo le mani davanti al petto e accenno le mie intenzioni di parlare, ma in questi giorni deve essersi instaurata una certa complicità tra noi, e Milo, quasi leggendomi dentro, si gira nella mia direzione, mi fa l'occhiolino come a dire che lo sa, e poi, dopo aver posato una mano sulla testa di Sonia per salutarla, essersi raccomandato anche con lei, ci da le spalle e si dirige verso le stanze private del suo tempio.

 

*****

 

Più o meno da quando, già dalla Scuola Primaria, si studiano gli antichi Greci e in special modo la polis ateniese, si cresce un po' con il mito di questa enorme città culla della democrazia, dove il fascino dell'antico si mischia alla contemporaneità, la patria della cultura per antonomasia, in cui si sono avvicendati filosofi, guerrieri, sapienti, primi scienziati e via dicendo. Per queste ragioni, dicevo, si cresce un po' mitizzando questo luogo, sognandolo, immaginando più volte, fantasticandolo perfino, finché...

BEEEEEEEEP!!!

...Finché non ci si ritrova dentro il marasma delle sue strade, il traffico perennemente in tilt e la puzza di smog che, soprattutto in estate, non fa respirare. E allora... beh, i sogni e le fantasticherie lasciano il posto alla cruda realtà e ci si rimane un po' male, ecco, come minimo.

Praticamente è da quando abbiamo lasciato la quiete del Grande Tempio che siamo costantemente assordate dai clacson e dai rumori di fondo tipici di una grande metropoli quale è Atene. Mi sta venendo l'esaurimento nervoso, né più né meno, vorrei solo tornare a casa, anzi ancor più che a casa direttamente alle spalle di Genova, sui miei Appennini, dove ho trascorso buona parte dell'infanzia e dell'adolescenza in mezzo alla natura.

Sospiro rassegnata, rendendomi maggiormente conto che mi dovrò invece abituare ben presto a questo luogo che da ora in poi sarà la mia casa in cui vivere insieme alle altre.

Guardo tristemente il cielo biancastro nonostante la bella giornata estiva, tentando di scacciare la malinconia per concentrarmi su qualcosa di più concreto: di avere la riunione stasera alla tredicesima casa ne farei volentieri a meno, ma credo che il nuovo attacco perpetrato ai nostri danni, nonché la necessità di progettare una controffensiva, o almeno un piano di difesa, abbia la precedenza assoluta su tutto. Del resto, abbiamo contro almeno due divinità greche, Hades ed Ares, ma non è affatto detto che ci siano solo loro, ciò mi fa agitare ulteriormente. Sapessimo almeno le motivazioni del loro interessamento nei nostri confronti...

Mi volto un attimo verso Camus, fissandolo con attenzione e ripensando all'ultimo nemico che ci ha attaccati. Perché accade tutto questo?! Sposto tacitamente il mio sguardo dai sacchetti che porta lui a quelli che trasciniamo noi e infine al suo volto, ancora terribilmente pallido. E' chiaro che l'obiettivo primario siamo noi ragazze, anche se le motivazioni ci sfuggono, eppure lui ci finisce in mezzo di continuo. Fra l'altro, la faccenda del marchio che hanno accennato i due bestioni adepti del dio della guerra non mi piace affatto, mi fa temere -e non riesco proprio a togliermelo dalla testa- che parte integrante dei progetti dei nemici sia proprio lui, oltre che noi.

Mi soffermo a guardarlo meglio, più intensamente: è ancora tremendamente affaticato e non è affatto detto che non ci attacchino prima che lui riesca a ristabilirsi del tutto. Se ciò dovesse accadere, cosa mai potremmo..?

“Non ti preoccupare per me, Marta, sto bene! Checché ne dica Milo, so badare a me stesso, te lo assicuro!” mi dice ad un tratto lui, sorreggendo il mio sguardo come a volermi tranquillizzare.

Grandioso! Abbiamo raggiunto un’empatia talmente alta che lui riesce a leggermi nella mente come se niente fosse, oppure ha compreso al volo il significato intrinseco della mia occhiata?

"Comunque cerca di non sforzarti." borbotto, in evidente imbarazzo, tornando sui miei passi.

Penso che il discorso sia terminato ma Camus, dall'incidente in poi -ho notato- soprattutto con me si è fatto piuttosto chiecchierone.

"Tu fai altrettanto. - mi consiglia caldamente - Come va la capoccia, piuttosto?"

"La..? Ah! - mi volto verso di lui, comprendendo solo a metà del movimento che cosa intenda. Mi schiaccio un poco la fronte con la radice del palmo, percependo il leggero gonfiore dato dal bernoccolo ancora tangibile - Sai che ho la testa dura."

"Lo so, anf, ma come ti senti?"

Oh, si preoccupa davvero tanto per me, non sono abituata. Sorrido tra me e me perché mi fa tanto piacere, prima di voltarmi nuovamente in avanti, puntando gli occhi sui miei passi.

"Tranquillo, ci ha pensato Aiolia e... non ho quasi più male, Maestro!"

Silenzio. In un primo momento non sembra volermi rispondere, del tutto concentrato a camminare, forse imbarazzato a sua volta. Poi, dopo un minuto circa, si decide.

"E' un bene questo. Che Aiolia abbia pensato alle tue ferite. E che tu abbia questa straordinaria capacità rigenerativa."

Non posso non fermarmi alla sua frase, bloccandomi nel mezzo del marciapiede e costringendo sia lui che Sonia a scansarsi dai due lati. Fisso con stupore la punta delle dita dei miei piedi, realizzando che sì, è vero, da quando sono qui non ho fatto altro che ferirmi e rimanere contusa, ma -ed è questa la cosa in assoluta più sorprendente!- inspiegabilmente i tagli, le contusioni, perfino gli stiramenti sembrano già quasi completamente riparati in pochi giorni. Mi osservo meravigliata le braccia, ormai del tutto integre e del loro color carne: il versamento dato dalla trasfusione e dal mio essermi tolta l'ago a forza, sebbene sembrasse enorme, è del tutto scomparso, a differenza di quelli di Camus che gli segnano ancora tenacemente la piega dei gomiti, i polsi, e il dorso delle mani. Ora, è vero che lui ci è stato di più attaccato alla flebo, che le due cose non possono essere paragonate, ma davvero, prima, non mi ero resa conto di questo fattore, della velocità di rigenerazione che sembro possedere, eppure non è certo la prima volta che mi capita, ma non mi ci ero mai soffermata più di... OUCH!

"Non pensarci adesso, ragazzina pestifera, questo è il vostro pomeriggio di riposo, a dopo i rimugini!" mi rimprovera con dolcezza Camus, dandomi una leggera patta dietro la nuca prima di superarmi affiancato da Sonia.

E, di nuovo, mi ritrovo a guardarlo ammirata, con tanto di bocca aperta, come se fosse un faro nella notte. Mi do una scrollata, velocizzando la mia andatura per stare al loro passo.

“Dove andiamo adesso, Camus?” chiede Sonia, allegramente, felice di poter trascorrere un po' di tempo con lui.

Mi soffermo ad osservarli. Me ero già accorta in altre circostanze, ma sembra davvero che ci sia un legame ben saldo tra loro due, i risvolti di oggi mi hanno dato ulteriori conferme.

“Abbiamo finito qui con le compere per stasera, gradite un gelato?”

Vedo i volti di Sonia e Francesca illuminarsi a quella richiesta, prima di annuire con slancio. Io invece mi limito a sorridergli con gratitudine, ben conscia che la mente pullulante di pensieri non contribuisce certo a dare un'espressione raggiante al mio viso. Comunque il Maestro ci vuole offrire un gelato, quasi fossimo persone comuni in una situazione comune, così, prendendo una via laterale e meno trafficata, ci lasciamo guidare verso una piazzetta un poco dislocata rispetto al centro, anche se comunque gremita di gente. Una volta arrivati sul posto, ci mettiamo ordinatamente in fila tra gli schiamazzi generali dei turisti.

"Sonia, - Camus, davanti me e Francesca, sfrutta il momento morto per instaurare un dialogo con l'allieva di Milo - Mi è stato riferito che ieri sei stata eroica e risolutiva durante l'attacco dei Bersekers!" le dice, non mascherando una punta di orgoglio.

"Uh. - la più piccola si posa una mano dietro la nuca, non riuscendo a nascondere un certo imbarazzo - Credo... credo di sì!"

"Hai salvato Kiky e hai scoperto il tuo potere, non è cosa da poco!"

A questo punto la ragazza, sorridendo raggiante, si posa le mani sui fianchi in stile Milo e, prendendo aria, si da un po' di tono: "Sì, ho il potere del vento, DEL VENTO, capisci?! Ho sempre pensato di essere affine a te, e infatti..."

"Il mio, però, non si basa solo su quello, lo sai, è piuttosto..."

"...un insieme di due elementi, ne sono consapevole, me lo ha spiegato meglio ieri sera Aiolos perché non ne capivo la differenza. - annuisce lei, compiendo un passo in avanti, seguita a ruota da noi, perché la fila si è assottigliata - Tu hai una dote unica, padroneggi sia l'aria che l'acqua per plasmare il potere congelante; il mio invece è diverso, io posso smuovere le correnti, se volessi, ma sono incapace di controllarne la temperatura e non potrei di certo far nevicare come invece fai tu."

"E' comunque un'attitudine particolare anche la tua, Sonia! Di noi 12 solo Aiolos potrebbe darti qualche dritta, come ha giustamente fatto. Questo dei venti è un potere che in pochi possiedono."

"Già." sibila tra i denti Francesca, non udita dagli altri due ma da me sì. Sussulto quasi nello scorgere il fastidio nei suoi occhi senza capirlo pienamente.

"Il punto è che intanto, da ieri, non sono più riuscita a riprodurlo. - sospira rammaricata Sonia, avanzando ancora di un passo nel buttare un occhio sulla coda avanti a sé, ancora tremendamente lunga - Ci ho provato sotto la guida di Aiolos ma nulla, non esce niente da queste mani."

"E' così anche per Marta, non crucciartene. - la rassicura lui, tirando in ballo me come esempio - Anche lei, come te, ha da poco scoperto il suo potere, ma un conto è questo, altro è disporne quando lo si desidera nonché saperlo pienamente controllare. In ogni caso, riuscirete entrambe, siete forti e determinate!" afferma, voltandosi leggermente nella mia direzione per sorridermi di rimando.

Io non rispondo, arrossisco per l'ennesima volta, mentre dietro di me la calca di persone arrivate dopo di noi sospinge nella fretta di arrivare al bancone e fare la propria ordinazione. Che odio!

Chiamerò le gelaterie di Atene l'Ottava Cornice del Purgatorio, ho deciso! Si tratta di luoghi così pieni di gente che solo arrivare ad appoggiare le proprie labbra sull'agognato dolce è da considerare un successo su tutti i fronti! Sonia è abituata a tutto questo, perché ci sta spiegando che Aiolia, molto spesso, tra un allenamento e l'altro, la accompagna proprio qui, ma per me e Francesca è quasi una novità; una novità che appartiene alla nostra vita passata, ormai.

Mi blocco nuovamente, la mente che prende a divagare lontana per poi perdersi del tutto nel ricordo delle nostre famiglie. Negli ultimi giorni sono successe talmente tante cose che mi hanno fatto dimenticare momentaneamente le mie origini, ma ora che finalmente ho un momento di tranquillità sto male al solo pensiero di ciò che ho perso: mia madre, la mia città natale, le tanto amate gite in montagna a contatto con la natura, i miei ricordi, la mia vita...

Mia madre... mi starà cercando? Siamo sparite così, in una notte di giugno, per quanto probabilmente avranno chiamato la polizia, non ci sarà alcuna traccia di noi, nel mondo là fuori. Mi fa male pensare al suo stato emotivo, un male del diavolo!

Mio nonno, se fosse stato ancora vivo, come avrebbe reagito? Sicuramente, dato il tipo che era, avrebbe messo a soqquadro il mondo alla ricerca del più piccolo indizio sulle nostre sorti. Non si sarebbe dato pace, questo è certo, avrebbe perfino cercato di far reagire mia nonna che molto probabilmente si sarebbe messa a piangere a dirotto per giorni e giorni. Quasi, se chiudo gli occhi, posso vedere la scena: "Aaaaaaaah, Inés, basta piangere, non serve, non la riporterà indietro! Sai che è una ragazza forte, niente e nessuno può scalfirla. Smettila! Smettila di frignare, su, andiamo... andiamo! Io non mi arrendo!"

Sorrido tra me e me nell'immaginarmi la scena, mentre le palpebre mi pizzicano. Devo sbatterle più volte per trattenere la matassa che mi si è formata nel petto. Piangere è del tutto inutile, è proprio vero. Aveva ragione mio nonno.

“Marta... che ti succede?”

La voce di Camus la sento lontana, è il leggero contatto della sua mano sul mio braccio a riscuotermi. E' caldo e confortevole, ma per qualche ragione è come se facesse ancora più male. Mi scrollo, sforzandomi di non incrociare il suo sguardo nei miei occhi.

“Niente, Maestro." mormoro, con un sospiro prolungato, ostinandomi a fissare quel punto a caso all'angolo del cortile, tra la recinzione e l'albero, senza vederlo veramente.

"Il tuo gelato..." mi avvisa ancora lui, con voce paziente e vicina, che quasi vorrei cedere lasciandomi andare su di lui per avere un po' di conforto.

"Il tuo gelato." mi deve ripetere poco dopo, ed io finalmente realizzo cosa mi voleva dire perché, tornando sul presente, sulla mia mano sinistra che regge ancora il cono, mi rendo conto che buona parte della crema sopra si è sciolta ed è un po' finita per terra, un po' scivolata fino al mio polso.

"Uh, no, accidenti!" impreco, quasi saltando sul posto, alzandomi di scatto per andare verso il cestino più vicino e buttare quel che resta dello sfortunato gelato al fiordilatte e pistacchio che non ricordo concretamente neanche di aver preso.

Uff, è sempre stato così nella mia vita! Quando i pensieri più neri mi risucchiano, trasportandomi lontano, è come se fossi slegata dalla realtà e da me stessa. Magari parlo anche e agisco, ma non sono presente, sono... altrove.

Comunque mi ci mancava di fare l'ennesima magra figura proprio davanti a Camus. Vorrei sprofondare dentro l'immondizia per la vergogna, rimango a fissare il buco come se potesse risucchiarmi, mentre con un fazzoletto mi pulisco nel miglior modo possibile. Poco dopo, uno svolazzio assai poco elegante attira la mia attenzione, seguito da un tubare. Voltandomi di lato, noto che due piccioni, uno grigio e uno marrone, si sono avvicinati incuriositi alla crema caduta per terra, la studiano, muovendo ritmicamente il collo come fanno loro. Sto quasi per parlargli e dire che non è roba adatta alla loro digestione, quella, quando fortunatamente mi rendo conto di essere in pubblica piazza, in mezzo alla gente, e che per oggi ho dato a sufficienza con le figuracce, per cui riesco a censurarmi all'ultimo, tornando a fissare il buco.

"Non è per voi, questo, è troppo freddo e vi fa male. - inaspettatamente sento parlare proprio lui, chino sulla panchina nella loro direzione. Con gesto elegante versa un po' di acqua della bottiglietta di plastica per pulire così l'asfalto - Ma se andate là, in quella aiuola, troverete qualcosa di adatto a voi!" continua poi, ammiccando appena, raddrizzandosi subito.

Sbatto più volte le palpebre nel realizzare che quello che sta parlando ai due piccioni, come mi sono imposta di NON fare io, è proprio Camus. La mia sorpresa triplica quando vedo i due volatili fissarlo intensamente con gli occhi arancioni per poi girarsi e affrettare il passo verso l'aiuola indicatagli. Basita io. Paralizzata sul posto. E lui, come se niente fosse, si alza per avvicinarsi a me. Francesca e Sonia sono già lontane, non hanno visto la scena perché stanno guardando delle bancarelle, ma io sì e... ANCORA NON CI CREDO!

"Non stai bene." riprende il discorso il maestro, e stavolta non è una domanda ma una affermazione.

"Hai... hai appena parlato con i piccioni." sussurro, probabilmente sembrando molto stupida.

"Come uccelli, non sembrano brillare di furbizia, ma in realtà sono estremamente fedeli e intelligenti." mi risponde lui, con un lieve sorriso, lasciando volutamente il mistero sulla questione posta.

"Camus... hai appena parlato con i piccioni così come hai fatto prima con la lucertola! - continuo, esterrefatta - E in entrambi i casi ti hanno risposto, in qualche modo, o comunque sei in grado di capirli! VI CAPITE VICENDEVOLMENTE!!!"

"Ah, quello non direi... - si scrolla appena, guardando vergognosamente altrove in maniera affine alla mia di stamattina - E' stato solo un caso che l'abbiano fatto."

Stavolta non sembra essere completamente sincero, lo vedo molto imbarazzato, impacciato perfino, il che mi fa desistere da continuare il discorso.

"Mi era... parso!" mi limito a dire, un poco delusa, omettendo tutto ciò che, forse, con una risposta diversa, gli avrei anche potuto rivelare. Perché anche io parlo con gli animali e le piante, da sempre, ma per non sembrare troppo stramba agli occhi degli altri, più di quanto già non sia, mi sono sempre sforzata di mascherarlo.

"Marta... - la sua voce mi chiama ancora, ciò mi spinge ad alzare lo sguardo verso di lui, che esita, come se a sua volta lo fermasse qualcosa - Cosa c'è che non va?"

"Non è nulla, Maestro, solo stanchezza. Come ti ho detto prima, i danni me li ha risanati quasi interamente Aiolia e, come hai potuto ampiamente notare, ho la capoccia dura." sorrido amaramente, tanto da non risultare credibile. Ed è evidente.

"Io intendevo... ehm, intern... - si ferma, in difficoltà, forse valutando di essere troppo insistente - Dentro, voglio dire. Come ti senti?"

Lo osservo di nuovo, lui non ha smesso di guardarmi con attenzione, i miei capelli, i miei occhi, la piega delle mie labbra, già da prima. E continua a farlo anche ora, anche se è palesemente in imbarazzo.

"Cosa intendi?"

"Hai ucciso. Due volte. Per difendermi. - si morde il labbro inferiore nel vedere la mia espressione incrinarsi - Scusami, non volevo dirtelo in maniera così brutale, ma... è un qualcosa che ti lascia un segno indelebile. DENTRO."

Sorrido, stavolta rassicurata dal suo modo di porsi così timido e impacciato, ma sacro ai miei occhi: "Anche tu hai ucciso, Camus. Tre volte. Come ti senti tu?" gli ribalto la domanda, non desiderando in alcun modo parlare di me.

"Io sono abituato a farlo, purtroppo. Certo, non ne vado fiero, ma..."

"Anche io sono abituata a farlo. Cioè non ad uccidere, ovvio, però a menare le mani sì!"

"A menare... le mani?!"

"Sì, è successo più volte, fin da piccolissima, di fare a botte con i bulli per... per varie questioni, diciamo."

"N-non lo sapevo, mi... mi dispiace!"

Ora sono confusa, lo guardo di sottecchi, lui si è voltato di lato, non reggendo più il mio sguardo. Gli dispiace per cosa? Non ha senso! Non è stato di certo lui a bullizzarmi alla Scuola Materna, alle Elementari e pure alle Medie, per non parlare degli episodi della valle...

La mia mente corre di nuovo lontana, alla ricerca di quei due occhi azzurri che il solo rammentarli fa ancora tanto male. Mi occorre tutta la mia forza di volontà per tornare qui. Al presente.

Do una pacca sulla spalla destra di Camus, lui si riscuote, mentre tento di sorridergli nella maniera migliore che mi riesce: "Mi riprenderò, non crucciartene!"

"Ne sei sicura?"

"Sì, grazie per il pensiero!" gli dico, grata, prima di sfilare oltre lui con l'intenzione di raggiungere le mie amiche, se la sua mano, lesta, non mi cingesse il polso e lui non si girasse verso di me a richiedere la mia attenzione.

Silenzio. Ci studiamo a lungo, sempre più intensamente, e i nostri sguardi, ancora una volta, parlano da soli.

“Marta, - si raschia la gola, mentre il suo corpo palpita - mi rendo conto che ci vorrà un po'; un bel po' perché tu ti possa fidare di me..."

Non è vero. Mi fido già di lui, nonostante la poca conoscenza. Ha dato la vita per me, mi sta sempre vicino; i suoi gesti schivi, le sue carezze, il suo punzecchiarmi il naso o posare il palmo della sua mano sopra la mia testa, mi arrivano istantaneamente al cuore, così come il suono della sua voce che ho imparato a riconoscere tra mille altre. Tuttavia...

"Tuttavia... - riprende poco dopo, leggendomi quasi dentro - Io ora sono qui, v-voglio che tu lo sappia. Quando sarai pronta, io... ecco, vorrei che mi raccontassi un po' più di te, che ti sentissi libera di parlarmi, di rendermi partecipe dei tuoi stati emotivi di... delle esperienze che hai avuto finora, erk!"

"Camus..."

Scusami, è un discorso un po' sconclusionato, non sono bravo con le parole."

"Non è vero, lo sei, forse più di quel che credi!" gli sorrido, intenerita.

Annuisce, non propriamente convinto, abbassando il capo e lo sguardo: "Adesso sono qui, tu sappilo, Marta!"

"Gra-grazie e... erk! - mi gratto la testa, imbarazzata sopra ogni dire, ma felice. E' riuscito nell'impresa di ravvivarmi dall'ennesimo momento buio, non è da tutti - Neanche io so destreggiarmi bene in queste situazioni!"

Lui produce ancora quel suono a metà strada tra la risata e lo sbuffo che ormai trovo delizioso. Mi regala un buffetto sulla guancia, prima di guardarmi, ricambiato, con occhi luminosi in quel particolare modo che mi fa percepire calore.

Mi crogiolo in questo suo gesto, socchiudendo le palpebre per trasmettergli il mio benessere.

Camus, anche per me stai diventando inestimabile, ma ti conosco ancora da troppo poco tempo per riuscire a raccontarti di tutti i miei demoni. Forse un giorno non lontano accadrà, per il momento... grazie di essere entrato nella mia vita!

 

*****

 

8 luglio 2011, sera

 

In leggero ritardo rispetto all'orario dell'appuntamento, saliamo le scale che collegano la docidicesima casa, quella dei Pesci, al tempio del Grande Sacerdote che tutti sembrano venerare come una sorta di santone. Non abbiamo comunque il tempo di arrivare sulla sommità dei gradini che vediamo Aiolia e Aiolos scendere le scale per venirci incontro. La loro espressione che tradisce un certo disagio, ci porta a bloccarci seduta stante.

“Che sta succedendo? Non avevamo una riunione, stasera?” chiede Camus, notando le facce scombussolate dei compagni d’armi.

“Beh... sì!” borbotta Aiolos, scambiandosi un'occhiata in tralice con il fratello minore.

"E quindi perché state tornando giù?!"

"Non stiamo tornando giù, vi abbiamo sentito salire e volevamo solo avvertirvi prima che la vedeste con vostri occhi." tenta Aiolia, chiaramente inibito da qualcosa che tuttavia non riesce a rivelare nella sua interezza.

A questo punto, anche Francesca ed io ci scambiamo un'occhiata che vale più di mille parole; Sonia invece rimane interdetta, ma nessuna delle nostre reazioni vale quella di Camus.

“Cosa, CHI, di grazia?!” domanda, secco, iniziando ad innervosirsi per le mancate spiegazioni.

"C'è stato un intoppo, un qualcosa che non poteva essere calcolato." prosegue Aiolos, girandosi nervosamente verso la sommità delle scalinate.

"E sarebbe?!" lo sprona ulteriormente Camus, e stavolta, ad indicare la sua irrequietezza, ci si mette anche il sopracciglio destro che viene elegantemente alzato.

Livello 1 di pericolo attivato!

“La tua allieva più piccola, che hai lasciato riposare alla Casa dell'Acquario... beh, diciamo, che è..."

"CHE DIAVOLO LE E' SUCCESSO?!"

Sono io stessa a scattare, in apprensione, prima che Aiolia termini la frase, oltrepassando i due fratelli di slancio per precipitarmi sul sagrato dell'ultimo tempio.

Mi aspetto il peggio, un attacco di un nuovo nemico, anche se non dovrebbe essere in grado di penetrare così all'interno di un territorio protetto dalla dea Atena, la mia amica che sta male per qualche ragione, o chissà cos'altro, e invece... invece la prima cosa che distinguo è proprio lei, del tutto intenta a... a ballare sopra il tavolo addobbato per l'evento?!

"Oh, no... - mormoro tra me e me, alla rinfusa, nel vederla saltare giù, risalire, compiere una giravolta, e balzare ancora una volta sopra l'appoggio - vuoi vedere che..?"

“Ma è... ubriaca?!” sussurra Sonia, appena sopraggiunta al mio fianco insieme agli altri, riconoscendo i sintomi.

Istintivamente butto ancora una volta l'occhio su Francesca, dritta in piedi a poca distanza da me, le labbra allineate su un'unica espressione di biasimo. Annuisce con la testa, poi sospira, massaggiandosi la fronte con espressione rassegnata.

E' così, c'è poco da dire o da fare: Michela è ubriaca marcia, ha perso la tramontana per la direttissima, è andata, caput... E LEI NON REGGE NEMMENO L'ALCOOL!!!

"Come ha fatto a ridursi così? Da dove li ha presi gli alcolici?!" domanda ancora Sonia, e il quesito è lo stesso mio. Boccheggio, priva di qualcosa da dire.

"Vedete... - tenta di spiegarci Aiolia, probabilmente sentendosi in colpa per l'accaduto anche se non c'entra niente - E' giunta qui che era già così... ciucca... ancora non abbiamo la più pallida idea di come..."

“HYOGA! – tuona improvvisamente la voce di Camus, facendomi prendere un risalto di paura. Mi volto verso di lui, e la sua espressione è tutta un programma, a metà strada tra la vergogna per le condizioni in cui si sta facendo vedere una delle sue allieve, l'esasperazione, e qualcos'altro di non meglio definito - Hai fatto andare Michela in soffita?! Non ti avevo forse detto di darle un occhio in più?!?”

L'interpellato, defilato rispetto al gruppo dei Cavalieri d'Oro, la faccia di uno che l'ha appena combinata grossa, sussulta pesantemente a causa del tono imperioso del suo maestro, poi si mette a farneticare parole dense di rammarico.

“M-Maestro, io... chi andava a pensare che si sarebbe diretta in soffitta per prendere quella cosa?! Era... era normale quando mi sono diretto qua, ma quando poi è arrivata qui, non... non era più in lei!” prova a spiegare lui, sempre più prostrato.

Camus sospira rassegnato, massaggiandosi la testa come se dovesse trovare le parole per rimproverare un bambino cresciuto troppo in fretta; o forse è così perché non è propriamente preparato ad affrontare l'indole di Michela?

“Hyoga, quindi mi confermi che si è bevuta quella vodka?! Quanta, nello specifico?! Ha una gradazione alcolica alta! Se non si è abituati, ti può mettere al tappeto nel giro di due bicchieri massimo! - lo rimprovera aspramente, senza risparmiarsi - Devi pensare alle conseguenze, ragazzo, perché era una tua responsabilità tenerla d'occhio ed io mi sono affidato a te!”

"I-io... mi dispiace, Maestro, n-non volevo, ma vedete, mi... mi..."

Tuttavia sono io ad interromperli, saltando su nell'iniziare a costruire l'intera faccenda: "Siete SERI?!? Cioé tenete le conserve di vodka nella soffitta dell'undicesima casa?!"

Il mio tono esce talmente indignato senza neanche volerlo realmente che Camus, preso in contropiede, rendendosi conto che sono stata proprio io a rivolgergli la domanda, tentenna in vistoso disagio, mentre l'allievo prende a fissare nervosamente prima lui e poi me nell'attesa che la miccia prenda fuoco.

"I-io... n-noi..."

"Siete degli spacciatori di alcolici o cosa?! L'altro giorno il cognac di primo mattino, ora la vodka dimenticata in soffitta e trangugiata da Michela... MA CHE PROBLEMI AVETE?!"

"S-sai, l-la Siberia è... molto fredda!" biascica, arrossendo vistosamente.

"E quindi siete alcolizzati?!" lo incalzo, ricordandomi che effettivamente in molte zone della Russia la gente tira avanti solo grazie all'alcool.

"N-no, certo che no! Come ti ho cercato di dire diversi giorni fa, bevo solo saltuariamente e ho una buona resistenza. Hyoga, poi, è ancora minorenne, non potrei mai... - prova a spiegarmi, lasciando la frase in sospeso senza riuscire a mascherare il disagio crescente. Per lui il mio commento deve essere come perdere credibilità ai miei occhi - Tuttavia devi capire che le condizioni là, nel luogo in cui si siamo allenati, sono molto proibitive, è sempre meglio avere più bottiglie che... non averne... non fosse altro che per gli usi che se ne possono ricavare!"

"D'ACCORDO! Però qui siamo in Grecia, non in Siberia e Michela è completamente sversata a causa del vostro alcool incustodito!"

"..."

Non mi risponde, si limita a guardare altrove, nuovamente in direzione della mia amica.

"HYOGA! - mi rivolgo quindi al Cigno, il quale sussulta di nuovo nello scorgere la mia occhiata di fuoco - Quanto alcool ha bevuto Michela, sai quantificarmelo?!"

"I-io... io non lo so quanto, nello specifico, Marta, quando è arrivata io ero già qui, non l'ho vista." ammette, rammaricato, stringendo con forza i pugni.

"Oh Signùr!" è il mio serafico commento, mentre la vedo piroettare su sé stessa, ridendo a squarciagola, prima di stonare canzoni d'amore di Tiziano Ferro.

La faccenda è grave: Michela, annoiandosi, o più probabilmente vergognandosi di essere sola con Hyoga, deve essere andata su in soffitta, lì ha trovato una bottiglia contenente un qualche liquido occulto, l'ha assaggiato, le è piaciuto... ed ecco le conseguenze!

"Che facciamo? - mi chiede intanto Francesca, tesa - Aspettiamo che le passi da sola? Le proviamo a parlare...?"

La osservo. Non penso che servirà, è troppo oltre ed è di gran lunga la peggior ciucca che si sia mai presa. Fortunatamente allegra e non triste come invece era accaduto dopo che Luigi l'aveva piantata. Sospiro irrequieta, pensando al da farsi, ma prima che io possa agire, è Camus stesso a tentare un primo approccio con lei e avvicinarsi al tavolo.

"Di sereeeeeee nereeeeeeeeeeee!!! - stride intanto lei, a gambe divaricate, con tutta la voce che ha - Perché fa male, MALE, male da morire... senza te-eee!"

"Michela."

"Uh-oh? - lei si raddrizza un attimo, sentendo il richiamo, fissando poi inebetita i dintorni, prima di capire da chi proviene la voce - Oh? Oh? Ciao, Maestro Camus!"

Gli ha dato un tono confidente, ma almeno l'ha riconosciuto, è già un passo avanti!

"Ciao, Michela... - il suo torno è fermo e solido, ma con una sfumatura di velata dolcezza - Puoi... potresti smettere di fare la scimmietta e scendere giù?"

"E perchéééééé???"

No, adesso siamo tornati ad andare male, ha strascicato la e, brutto segno!

“Perché stai dando spettacolo davanti a tutti e non credo che tu lo voglia realmente."

A questo punto lei, con sguardo languido e gambe traballanti, scende giù da sola e contempla questi 'tutti' di cui dice il maestro. Sorride da sola, ma sembra, SEMBRA, un poco rinsavita rispetto a prima.

"Ecco, brava, così... - la incoraggia intanto Camus, sempre con quel modo di fare a metà strada tra l'educato, un poco contenuto, e il gentile. Le porge la mano, in segno di affabilità - Ora vieni con me, ci mettiamo un po' di lato, aspettiamo che ti passi, e..."

“Ho capito, Maestro Camus, ho capito! - cantilena lei, allargando il suo sorriso - Questo è un gioco, vuoi giocare a prendere e... ma io sono più veloce, PRESOOOOO!!!" esclama all'improvviso, come rianimata, scattando poi, senza alcun preavviso, contro lo stesso mentore per spingerlo affettuosamente con entrambe le mani... proprio sul petto!

"A-agh!"

Mugola istintivamente di Camus, non aspettandosi minimamente una simile azione.

Lui sbianca. Io sbianco di conseguenza. Qualcuno, tra cui Sonia, trasalisce direttamente nel vederlo piegarsi in due dal dolore e arrancare le mani al petto.

"Ora basta, Michela! - interviene anche Francesca, alzando notevolmente il tono - Ma non ti rendi conto di quello che stai facendo e che hai appena fatto?! Smettila! Non..."

"Dillo anche tu, Fra, fai la mia portavoce!"

"Ma che baggianate stai..?"

"Dillo a tutti i Cavalieri d'Oro... - dice, senza un minimo di esitazione, indicando con il dito sè stessa per poi fare il giro dei presenti - Io sfido voi tutti ad acchiapparello e a prendermi. Pronti, ai posti, via!" urla, prima di mettersi a correre per tutto il sagrato dell'ultimo tempio.

Io non so che fare, rimango ferma a metà strada, il desiderio polivalente, da una parte, di inseguirla per fermarla, dall'altra, anche se ci sta già pensando Milo, di recarmi in soccorso del Maestro Camus che, a giudicare dalla postura, deve aver subito un duro colpo.

"Tu e Francesca andate pure da Camus! - ci da istruzioni Sonia, affiancandomi con urgenza e dissipando la mia esitazione - Io, Aiolia, Aiolos e gli altri proviamo a placcarla!"

"Saggia idea! Anche perché io di correre dietro a Michela quando è così non ne ho proprio voglia!" annuisce la mia amica più grande, in apparente tono freddo.

Così lei ed io ci avviciniamo al maestro, mentre Sonia, i due fratelli e gli altri Dorati -alcuni estremamente divertiti dalla faccenda!- si coalizzano per tentare di acciuffare la nostra amica.

"Coprite le vie di fuga e soprattutto le sporgenze, per evitare che cada e si faccia male! - da istruzioni Mu, dando voce al suo buon cuore, prima di seguire i movimenti di Michela con lo sguardo e intuire la sua direzione - Aldy, sta venendo da te, mi raccomando, ferm..."

"Eh? N-no, non posso!"

Troppo tardi. Michela ha già cambiato lato, balzando di lato come un furetto per poi proiettarsi a tutta birra di nuovo verso il tavolo.

"Ahahahahahahahaha!!!"

"Aldy..." lo rimprovera bonariamente Mu, raggiungendolo.

"Non potevo farlo, sono grosso, le avrei fatto male..."

Ah, si è fermato perché aveva paura di questo? Tenero!

"Fa lo stesso, useremo un'altra tecnica." lo tranquillizza Mu, non togliendo gli occhi da Michela.

Mi sforzo anche io di seguire la mia amica con lo sguardo, sebbene i suoi movimenti sembrino sempre più rapidi e, soprattutto, imprevedibili: è molto più agile e scattante del solito, pare quasi che l'alcool le funga da potenziamento. Forse, in tali condizioni, neanche per loro deve essere facile acchiapparla senza l'ausilio dei loro poteri, perché non vogliono usare le loro abilità, questo è certo.

"Ahahahahahahahaha!!!"

Qualcuno, intanto, già da prima, continua a ridere. Non lo codifico.

“Ma quanto cavolo hai bevuto per ridursi così?! Non avevo mai visto nulla di simile!” commenta aspramente Milo, cercando di sorreggere un riottoso Camus che si ostina a provare a reggersi in piedi da solo, sebbene le gambe gli tremino e la sua espressione tradisca un certo dolore.

"Non lo regge." esplica Francesca, sospirando.

"E me ne sono accorto!"

“DEATH MASK, non la stai prendendo sul serio, impegnati di più!" prorompe intanto la voce di Aphrodite, fulminando con lo sguardo il compagno fautore, ora lo capisco, dell'esasperata risata che aleggia nei dintorni da quando la mia amica ha deciso di correre come una pazza in giro.

"Non posso, Aphro, me la sto spassando!"

"Lo vedo, ma ha ragione Mu, la ragazza rischia di farsi male se non la calmiamo nel breve periodo... ehi, mi hai sentito?!"

"Ahahahaha, alla prossima serata fuori da questa gabbia di matti la voglio come compagna di bevute, sappilo!"

"Sempre il solito! Non si può fare affidamento su di te!"

"Beh, neanche su di lei"

"Ma tu sei più grande, non senti il bisogno di..?"

"S-se... se, anf!"

"Camus!" lo chiamo, sussultando e girandomi verso di lui nel riconoscere il suo mormorio soffocato. E di colpo è come se non mi interessassero più gli alterchi tra il Granchio e la Donzella pavonina

“Se... se fosse così vivace anche durante gli allenamenti, sarebbe già al livello di un Cavaliere d'Oro!” cerca di fare dell'umorismo il maestro, rassegnandosi ad avere Milo come sostegno e tenendosi il petto con la mano libera.

"Ti ha messo k.o, amico! - afferma lo Scorpione, buttandola a sua volta sul ridere, nonostante il suo sguardo tradisca una certa preoccupazione. La stessa mia. - Che cosa ti succede, Maestro dell'Acqua e del Ghiaccio?!"

"..."

"Non te lo aspettavi, o..?"

"Non me lo aspettavo. - ammette, un poco contrito, prima di raddrizzare la schiena e tornare a guardare l'allieva - Ma ha comunque una notevole prestanza fisica, me ne ero accorto fin dal principio e ora posso dire di averlo sperimentato sulla mia pelle... ugh!"

Rimugino tra me e me, in apprensione, cercando di non fargli notare il mio sguardo di sottecchi. D'accordo, può essere come dice, ma rimane il fatto che, appena è stato toccato, si è piegato in due come una sedia a sdraio e anche adesso è affaticato e in affanno. Vero che le ferite sono ancora fresche e doloranti, però...

"MICHELA, per favore, ora fermati!"

E' infine la voce del Cigno ad elevarsi tra i presenti, mentre con passi decisi ed eleganti si frappone tra la mia amica e Aiolos, il quale, indovinata la sua direzione, si era già messo in posizione strategica per acchiapparla. Cala il silenzio, mentre anche la corsa di Michela si arresta, proprio davanti a Hyoga che ricerca il suo sguardo.

"Beh, vedi, Aphro? Si è fermata! Momento giusto per..."

"No, aspetta un secondo, Masky." lo ferma il compagno, con elegante gesto del braccio.

"Scusa, prima mi dici di prenderla, ora non va più bene? Ti decidi?!"

"Sei lento a capire."

Ancora silenzio. Michela sembra di colpo seria, gli occhi più annacquati di prima nell'aspettare le parole di Hyoga.

"Mi... dispiace! - mormora il ragazzo, chinando un poco il capo in evidente imbarazzo - Dovevo io starti dietro e invece, non sapendo minimamente come intagliare un discorso con te, ho preso e me ne sono andato, lasciandoti da sola all'undicesima casa."

"..."

Ah, è andata così e lo ammette cristallinamente davanti a tutti? Wow, però!

"Non ho pensato... non ho pensato che avresti potuto sentirti abbandonata. Non ho pensato che, erk, potessi trovare quella bottiglia e berla. - ammette, grattandosi i biondi capelli dietro la nuca - Ma, ragionandoci bene, avrei dovuto farlo. Avrei dovuto mettermi nei tuoi panni; nei panni di chi, trovandosi da sola in un luogo inospitale, senza alcun punto di riferimento, avrebbe solo voluto scappare ma, non potendolo fare, non..."

"Sci-sciocco!" lo ferma un poco brutalmente lei, gli occhi lucidi, scrollando il capo, prima di avanzare nuovamente nella sua direzione.

"Io... scusami, non sono bravo con le parole, né con i discorsi." farnetica, a disagio, abbassando parzialmente il braccio nell'arrossire ulteriormente. Mi ricorda tanto qualcuno appena questo pomeriggio...

Michela tuttavia non sembra intenzionata a fermarsi, continua ad avvicinarsi a lui, il braccio destro alzato al livello della spalla, lo sguardo a metà strada tra il trasognato e il terribilmente concreto. Non riesco a distinguere cosa ci si possa leggere dentro, ma forse Hyoga sì, perché trasalisce quando, ormai ad un palmo di distanza da lei, si rende conto di non avere più vie di fuga.

Il primo approccio, una velata intenzione di accarezzarlo, naufraga, cade nel vuoto perché l'altro, restio, si sposta. Il secondo, più consistente, deve comunque essere sorretto da Hyoga, dalle sue braccia, che devono correre a sostenere Michela, che si sbilancia, per evitare che si abbandoni completamente. Sono ora intrecciati uno all'altra in un mezzo abbraccio, si guardano alla stessa altezza, entrambi rossi come peperoni; entrambi apparentemente inconsapevoli di tutti gli occhi -i nostri!- puntati su loro.

"Mi-Michela? Coff, coff, n-non qui, non..." riesce a riprendersi parzialmente Hyoga, quasi riscosso, cercando di defilarsi senza riuscirci perché la stretta della mia amica aumenta ed è davvero possente.

“S-sei uno sciocco, DUE volte, allora! P-pensi che sia solo per quello che io mi sia ridotta così?!"

"B-beh n-no, s-sì... cioè, perché, allora?"

"Hai ragione, ma solo in parte. - mugola lei, di colpo rammaricata, raddrizzandosi un poco ma continuando a cingergli le spalle - Ho paura. Da quando al Maestro Camus è successo... quello che è successo... da quando tu hai usato quelle parole per dirci che siamo in guerra, io... n-non riesco ad essere più la stessa di prima."

"M-me ne dispiace sinceramente, n-non..."

E adesso, dopo l'ultimo attacco che abbiamo subito, me ne sono resa maggiormente conto di quanto le nostre vite, mia e delle mie amiche, siano state scardinate e portata via. Per sempre."

"C-ciò che senti è perfettamente normale, t-tuttavia..."

"Ma non è QUESTA la ragione per cui sssssono così, possiiiibile tu non l'abbia ancora capito?!?" lo interrompe per l'ennesima volta lei, quasi arrabbiata.

Ha ripreso a ciondolare, il tono si è fatto nuovamente strascicato, eppure la sua espressione brilla crudelmente di consapevolezza. La stessa che aveva colto me, nell'esatto momento in cui avevo visto gli artigli del nemico penetrare nelle carni di Camus che era corso a proteggermi.

Da qui non si torna più indietro. Niente sarà più come prima. Niente!

Forse Hyoga vorrebbe provare a dire ancora qualcosa, leggo parole inespresse nell'espressione del suo viso, ma qualsiasi cosa voglia dire o fare, le labbra gli vengono chiuse da quelle di Michela che, in un impeto di coraggio, aiutata certamente dall'alcool, prende a baciarlo passionatamente incurante di tutto e tutti.

"O-ohibò... - biascico allibita, vergognandomi io per lei, sentendomi avvampare - La sua passione per i biondi ha colpito anco..."

"Per gli DEI CELESTI! Che... CHE!!!"

Non capisco quello che vorrebbe esprimere Francesca dietro di me, percepisco nel tono di voce solo un grande, grandissimo, sdegno. Non ho comunque il tempo di sincerarmene, perché la mia amica più piccola, staccandosi trafelata da uno Hyoga oramai sconvolto, si sente abbastanza sicura di palesare le sue emozioni anche a voce e non solo a gesti.

“Volevo semplicemente che tu lo sapessi, prima di essere attaccati da un qualche altro nemico, ma senza aiuto non ce l'avrei fatta: tu... tu mi piaci da impazzire, Hyoga di Cygnus!"

E' il turno di Camus, prima ammutolito, di trasalire, seguito da Milo che prima produce una sorta di singhiozzo e poi si mette a ridacchiare tutto soddisfatto, neanche avesse appena visto crescere, tutto orgoglioso, il proprio figlioccio.

“M-Michela, io...” prova a dire qualcosa Hyoga, completamente rosso in viso, ma non c'è il tempo di aggiungere altro che deve sorreggerla per poi accompagnarla giù a terra, visto che lei si addormenta di colpo per effetto secondario sella sbornia.

"Bleah! - commenta Death Mask, guardando storto il compagno Pesci che invece sembra lì lì per implodere su sé stesso - Era questa scenetta patetica che stavamo aspettando? Mi hai fermato per questo?!"

“Iuuuuuu! - prorompe l'attimo dopo Aphrodite, non degnandolo di uno sguardo per poi mettersi a battere le mani come se si fosse appena concluso uno spettacolo eccezionale – I miei complimenti, Cam, pare che tu abbia due piccioncini come allievi!" sorride poi, girandosi verso di noi per mostrarci un largo sorriso.

Camus non ribatte nulla, semplicemente grugnisce infastidito prima di recarsi con i proprii passi, ancora leggermente traballanti, in direzione dei due allievi in questione.

Hyoga, ancora seduto sul pavimento del sagrato, con tanto di Michela nel mondo dei sogni bellamente appoggiata al suo busto, percepisce il suo movimento e si volta, gli occhi quasi spaventati.

"M-maestro, p-posso spiegare, i-io..."

"Sei stato bravo a fermarla, Hyoga, meglio di quanto sia riuscito a fare io." Camus glissa l'argomento ostico che voleva tirare fuori il Cigno, poi chiude gli occhi e si china per raccogliere Michela, prendendosela in spalla.

Sembra freddo, in apparenza, quasi severo, ma è come se comprendessi, dentro di me, che lo sta facendo per l'allievo, per non metterlo ancora più in imbarazzo. Hyoga, tuttavia, abbassa mortificato lo sguardo come se fosse stato appena rimproverato.

“Ok, porto la mia allieva all'undicesima casa, perdonate l'inconveniente. Voi continuare pure con la riunione, sarò qui in un attimo!" afferma ancora Camus, guardando uno ad uno i parigrado per poi chinarsi in maniera ossequiosa verso una direzione particolare che sembra essere l'interno del tredicesimo tempio.

"I-io, Maestro, non..." insiste Hyoga nel volersi spiegare, in affanno di parole.

"Non adesso, ragazzo, tratteremo l'argomento in un altro momento, solo io e te! - taglia ogni bozza di dialogo Camus, prima di sorridergli leggermente e addolcire il tono nel comprendere il suo disagio - Anche perché, per oggi, per i tipi che siamo, direi che siamo stati anche fin troppo al centro dell'attenzione!" afferma, prima di incamminarsi verso le scalinate.

Non esito più. Senza pensarci due volte, gli corro incontro, frapponendomi allarmata tra lui e la sua direzione.

"Non puoi portare tu giù Michela in quelle condizioni, le tue ferite sono ancora fresche e rischiano di riaprirsi!"

"Marta..."

"Ti è stato detto da Mu e dai medici che devi rimanere il più possibile a riposo! - insisto, ferma, gettando comunque un'occhiata preoccupata anche alla mia amica - N-non puoi farti aiutare da..?"

Mi guardo nervosamente intorno, vedo Aldebaran, il Cavaliere del Toro, fare un passo nella nostra direzione e ricambiare lo sguardo, come a dire che ci può pensare lui. Mi illumino, ma prima di poter pronunciare il suo nome, è Camus stesso a bloccarmi.

"Marta, tendi a preoccuparti troppo per me, devo avertelo già detto."

"S-sì, ma..."

"Porto Michela giù, la metto a letto e torno su. Non crucciarti né per me né per lei. Stiamo bene entrambi. - mi sorride, gli occhi luminosi, nonostante tutto, prima di oltrepassarmi e iniziare a scendere gli scalini - A dopo!"

Non fiato più alcuna opposizione, mi limito a girarmi e affacciarmi sul paesaggio sottostante, osservandolo arrancare con meno grazia del solito, visto il peso e la fatica che sta compiendo. Sospiro, venendo poi affiancata da Milo.

"Viene voglia di prenderlo a testate nelle gengive quando fa così, vero?"

Annuisco tacitamente, lo sguardo fisso sulla sua figura sempre più distante.

"Ti ci abituerai, purtroppo: testa di minchia ci si nasce, non si diventa!"

“Non capisco perché si ostini a fare tutto da solo. E' lampante che sia ancora molto debole e che non si senta bene, cosa gli costava chiedere aiuto?" lo interrogo, buttando fuori aria.

“E’ inutile. – afferma Milo, sorridendo amaramente – Non lascerebbe mai ad altri le responsabilità che spettano a lui, e voi ne fate parte. E' talmente testardo! Il suo orgoglio gli impedisce di curarsi troppo di sé stesso, tanto meno di chiedere aiuto.”

"Ma, ehm, il comportamento odierno di Michela... avrà delle conseguenze su lei e noi?" interviene Francesca, in un mormorio labile.

Mi giro, la guardo, una scintilla di paura mi investe, la stessa che, probabilmente, ha colto lei: effettivamente, per quanto informale, era comunque una riunione e Michela con la sua bravata...

"Coff, coff, dunque..."

Un colpo di tosse ben assestato, di chi vorrebbe prendere il controllo della situazione, attira la mia attenzione. Seguendo il suono con lo sguardo, noto così un uomo alto, di bell'aspetto, con indosso una vestaglia ricamata d’oro, uscire dall'ombra delle colonne, la direzione in cui Camus si era inchinato precedentemente. Sbigottita, perché costui emana un'aura di magnificienza al solo incedere, mi volto completamente nella sua direzione. La prima cosa che noto nel suo volto, sono le due ‘macchie’ viola sulla sua fronte al posto delle sopracciglia, non dissimili nella forma da quelle che possiedono Mu e Kiky.

“Dopo questo disguido non preventivato, credo proprio che possiamo dare il via ufficiale alla riunione.” sentenzia ancora l’uomo, in tono gentile ma deciso.

Il suo solo sguardo, oltre alla camminata, provoca in me una sorta di timore reverenziale che mi fa tentennare. Faccio un passo indietro mentre, osservandomi intorno, mi accorgo che tutti i Cavalieri d’Oro si sono inginocchiati in segno di rispetto e, insieme a loro, anche la giovane Sonia.

Io non comprendo affatto il motivo di un simile trattamento, ma qualcosa dentro di me scatta, portandomi ad imitare gli altri e farmi piccola piccola. Contrariamente a me, Francesca attende ancora un po' prima di sbloccarsi, restia a scivolare a terra. Solo alla fine, non potendolo più evitare perché è l'unica ad essere rimasta in piedi, china il capo a sua volta in segno di rispetto, rifiutandosi comunque di poggiare le ginocchia per terra.

"Non c'è bisogno di una tale formalità, alzatevi pure, giovani allieve dell'Acquario!" ci sprona lui, in tono pacifico, fermandosi a poca distanza da noi.

Ancora un poco riluttante, sollevo il capo nella sua direzione e i nostri occhi si incontrano. Sta guardando proprio me, mi imbarazzo di conseguenza.

"I-io, ecco... b-buongiorno, o forse meglio dire buonasera, visto l'orario!" provo a produrre un dialogo sensato, con scarsi esiti

Lui infatti ridacchia tiepidamente alla mia goffaggine e, anche se il suono della sua risata sembra in tutto e per tutto affine all'umana sfera, c'è qualcosa nel suo sguardo, nella sua stessa corporeità, che me lo rende divino, forse perfino più di Camus.

"E' un piacere conoscerti... Marta!" si lascia sfuggire, calcando un poco la voce sul mio nome.

Continuo a fissarlo perplessa, non sapendo bene come comportarmi, all'improvviso vengo catturata dal suo sguardo, quasi mi salta un respiro e non me lo spiego. Mi sembra quasi... di averlo già visto!

"Scu-scusatemi,per caso ci siamo già incontrati da qualche parte?" chiedo d'istinto, aggrottando le sopracciglia.

C'è davvero qualcosa in lui, di misterioso e lontano che, non so, me lo rende profondamente famigliare. Le sue particolarissime iridi, di un violetto chiaro che sembra sfumare nel fucsia, mi riportano alla mente un momento della mia vita appannato e distante, ma comunque marchiato a fuoco nella mia mente. Quei suoi occhi... ci sono già nell'alveo delle mie memorie, riaffiorano appena, quasi che fossero... il primo ricordo della mia mente!

“Oh, no, sarebbe un po' difficile, non trovi? - scrolla in fretta il capo, come a mascherarsi, dopo aver tramutato la punta di sorpresa nella sua espressione a seguito della mia domanda in un sorriso gentile - Camus mi ha semplicemente parlato molto di voi e vi posso assicurare che non lo avevo mai visto tanto entusiasta di qualcuno; dovete piacergli molto!”

Continuo a fissarlo, scettica, tentando di costringere la mia mente a riportarmi al luogo o alla circostanza dove potremmo esserci già visti, ma il processo si rivela ben presto infruttuoso. Mi massaggio le tempie nel tentare di mettere da parte la sensazione di Déjà vu e tornare al presente.

“Q-qual è il vostro nome, se posso? Quanti anni avete? Perché sembrate molto più... maturo... rispetto a come mi apparite!” chiedo incuriosita.

Così, a pelle, mi sta simpatico, è forse l'unico Cavaliere d'Oro, insieme a Mu e Aldebaran con cui ho avuto un'ottima impressione sin da subito. Del resto, la figura davanti a me profuma di un qualcosa di antico e misterioso, quasi come i boschi di faggi presenti nelle tanto amate montagne della mia terra. Insomma, non è un tipo qualsiasi, questo è certo, ed è come se avessi bisogno di conoscere più cose possibili sul passato di questo tizio... ne va della mia stessa vita, lo sento!

A seguito della mia sequela di domande senza neppure conoscerlo -cosa rara, per me!- l'uomo si mette a ridere tra sé e sé, pur rimanendo fermo nella sua compostezza. Sembra non poter essere toccato da niente, è su un altro livello, eppure riesce ad essere estremamente tangibile.

“Ah! Ah! Mi chiamo Shion, piccola peste! Come hai dedotto giustamente tu, ho molti più anni di quel che sembra!” mi dice in tono affabile, del tutto incurante della mia impudenza.

Sto per chiedergli quanti, ma mi censuro, perché sarebbe poco carino. Dietro di me, avvicinandosi appena a passi leggeri e leggendomi probabilmente nella mente grazie alla psicocinesi, mi risponde Mu.

“E’ il Grande Sacerdote del Santuario di Atena, Marta, nonché il mio maestro. E' un reduce, insieme a Dohko di Libra, custode della Settima Casa, della scorsa Guerra Santa avvenuta nel 1743!”

“Santo cielo, 1743?! – esclamo, sgranando gli occhi, alzandomi di riflesso in piedi, tanta è la sorpresa – Vi prego, Signore, i racconti del passato mi hanno sempre affascinata! Deve sapere che è da quando ero piccola che vado alla ricerca di paesi abbandonati, proprio allo scopo di creare un contatto tra il mio presente e ciò che è stato! Raccontatemi... raccontatemi di più, ve ne prego, avrete sicuramente visto il mondo cambiare!!!” aggiungo a raffica, non riuscendo più a controllare le mie parole, né tanto meno l'agitazione.

Shion mi scambia uno sguardo che potrei definire quasi 'paterno', sebbene io un padre non l'abbia mai avuto. Non c'è sorpresa in lui, come se, per qualche ragione, si aspettasse la mia voglia di sapere; tuttavia è la luce nei suoi occhi ben presto a cambiare, tramutandosi un po' in tristezza e riportandomi alla memoria il mio vecchio nonnino quando mi raccontava di esperienze sue vissute in giovane età.

“Sei così simile a Dègel, ragazzina... certo che posso insegnarti qualcosa, anche se non sono così intelligente come invece tu pensi! - sospira, un poco affranto, prima di tornare sul presente - Se sei interessata, domani mattina all'alba, prima degli allenamenti, vieni qui: risponderò ad ogni tua domanda, nei limiti del possibile e consentito!”

"Che... cosa avete appena detto?" ripeto, quasi boccheggiando, soffermandomi su quel nome misterioso, apparso quasi dal nulla, che tuttavia mi provoca istantaneamente una fitta in pieno petto.

"Sei curiosa, e pensi che io sia intelligente, ma..."

"No, non quello! Il... nome... potete ripeterlo, per favore?"

"Dégel... un mio commilitone della passata guerra."

"Dé-gel!" ripeto, abbassando inevitabilmente lo sguardo che si smarrisce nel vuoto.

Quanto mi risuonano dolcemente in testa le due sillabe che compongono il suo nominativo... mi fanno quasi commuovere!

“Uh, ecco, Nobile Shion... - è la voce trillante di Sonia, in avvicinamento, a deviare l'attenzione del Grande Sacerdote da me - mi conoscete già, ma, ecco, potrei presenziare anche io alla chiacchierata? PER FAVORE!"

"Giusto. Tu sei da più tempo qui, ti avevo promesso che ti avrei raccontato della scorsa Guerra Sacra, ma non c'è mai stato tempo di farlo..."

"Proprio così! - annuisce lei, attenta, muovendo più volte la testa in segno di assenso - Anche io, come Marta, sono interessata ai racconti del passato!"

"Allora questa è l'occasione giusta!"

"Già! - conferma Sonia, sempre più entusiasta, prima di voltarsi verso un'altra direzione - E tu, Francesca? Anche tu vorresti..?"

"NO! - il netto rifiuto della mia amica più grande, mi giunge come una freccia che attraversa il timpano da parte a parte, riscuotendomi quel tanto che basta, per osservarla smarrita - Scusatemi, non sono cose che mi interessano particolarmente, queste..." bofonchia ancora, cercando di spiegare più pacatamente possibile il motivo del suo rifiuto.

"Uhm, o-okei, come preferisci."

“Bene, allora domani sarete in due! - afferma Shion, sorridendoci, tralasciando momentaneamente la reazione di Francesca, prima di passare ad osservare tutti i suoi Cavalieri - Al momento, però, direi che è finalmente giunto il momento di... aprire le danze!" afferma ancora in tono solenne, apprestandosi ad invitare gli astanti all'interno dell'ultimo tempio, dove verosimilmente è già stato allestito un banchetto per noi.

Tutto questo mentre un ricordo ancora più lontano sfiora la mia mente nel gelido silenzio nel luogo dove tutto è ammantato eternamente di neve; e un bambino dai corti capelli verdi, scarponi e giacchetta leggera, si muove in mezzo alla neve fredda di gennaio alla ricerca di un riparo...

 

 

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Capitolo 14
*** I cavalieri dei tempi antichi ***


CAPITOLO 14

 

I CAVALIERI DEI TEMPI ANTICHI

 

9 luglio 2011, mattina presto.

 

Mi alzo di buonora, cercando di fare più silenzio possibile per non svegliare le mie amiche. Certo, Michela ha da smaltire la sbronza di ieri e Francesca dormirà profondamente, ma la prudenza non è mai troppa. Giunta in cucina, noto però che Camus è già in piedi -come al solito, mi chiedo se dorma mai!- girato di spalle ed è intento a prepararsi una tazza di caffè. Sospiro tra me e me, rassegnata, ancora preoccupata per le sue condizioni fisiche e per lo sforzo che ha fatto ieri. Dovrebbe stare a letto in assoluto riposo, invece seguita a fare ciò che faceva prima, del tutto dimentico di sé stesso.

"B-buongiorno, non riesci a dormire? - lo saluto, affabile, rivolgendogli una domanda innocente che tuttavia ha l'effetto, lo vedo, di farlo irrigidire - Sei sempre così mattiniero!"

"Buongiorno a te, Marta, tu hai dormito bene?" mi elude la domanda, capovolgendola, voltandosi poi verso di me, l'espressione distesa e la caffettiera in mano.

“Io sì, sei tu che dovresti riposare, Maestro Camus. Ti ricordo che sei ancora debilitato e hai rischiato di morire!” affermo, cristallina, ma già a metà frase la sua espressione cambia, indurendosi un poco.

“Dovresti smettere di preoccuparti così tanto per me, te l'ho già detto. Non sono malato e so badare a me stesso!"

Arriccio il naso, discostando lo sguardo dalla sua figura per ammutolirmi di conseguenza. Mi siedo nella postazione più vicina, cercando di non mostrare il mio disappunto per la risposta ricevuta.

E' vero che non è malato, peggio, è rimasto gravemente ferito in quello scontro, solo che ne parla come se si fosse appena sbucciato il ginocchio e fossimo noi gli esagerati.

"Marta... - Camus deve capire che ci sono rimasta male, prova quindi a tornare sui suoi passi - Apprezzo le tue premure per me, davvero, ma..."

"Il caffè... puoi prenderlo nelle tue condizioni?" taglio corto, refrattaria, osservandolo intento a versarne una discreta quantità nella tazza. Bello nero, con giusto un goccio di latte che si dilegua seduta stante.

"Non lo so, ma se non lo prendo non mi sveglio!" borbotta, tornando, di colpo, burbero. Pare che qualche problema di comunicazione permanga tra noi... pazienza!

"Ne vuoi un po'?" mi chiede poi, accennando alla caffettiera ora sul tavolo.

"No, grazie, oggi no. Mi piace e serve anche a me per ingranare, ma già di mio ho i battiti del cuore accellerati, per cui cerco di limitarne il consumo il più possibile."

"Sei tachicardica?" mi chiede di colpo interessato, la tazza sollevata a metà strada tra il tavolo e la sua bocca.

"Un po'. Non sembra comunque niente di serio, anche se mia madre, che è cardiochirurgo in un ospedale pediatrico, insiste per tenermi controllata."

"..."

Gli si è adombrato lo sguardo a seguito della mia frase, ma forse è solo un'impressione.

"A riposo, ho i battiti sugli 80-85, quindi nulla di così trascendentale, tuttavia basta poco per farli salire."

"Forse dovresti..."

"Fare altre visite? - termino io per lui, alzandomi in piedi per dirigermi verso la finestra - No, non amo quel tipo di controlli e comunque il mio cuore non mi ha mai dato nessun problema!"

E' il mio turno di fare la riottosa, non particolarmente incline a dare altre spiegazioni. Discosto la tendina della cucina per guardare fuori: anche oggi sembra essere una bellissima giornata, anche se un po' fosca.

"Marta, tu sai che, se vuoi, puoi parlarmene... - tenta un altro approccio Camus, un po' più incerto, spingendomi così a voltarmi - ...di qualunque cosa, intendo!"

Dunque io dovrei svelare i miei segreti, essere cristallina, mentre lui si può permettere di rimanere così ermetico? Mi sembra tanto mio nonno...

Non dovrei, ma mi viene da sorridere. Lui mi sta guardando, è difficile cogliere la sua espressione, ma il fatto che sia ancora con questa tazza fumante sollevata senza averla minimamente mossa verso la bocca, mi fa capire che la questione gli deve premere più di quanto dimostri.

Abbasso lo sguardo, incerta a mia volta. Nonostante tutto, l'idea di confidarmi passa per un attimo nella mia mente, scacciata comunque subito. Gli sono grata per ciò che ha fatto per me, so che gli devo la vita, ma lo conosco ancora troppo poco per riuscire ad aprirmi.

“Sto bene, non c'è nulla di cui preoccuparsi! Michela dorme ancora, vero? Ieri ha dato proprio sfoggio di sé!” constato, deviando platealmente discorso.

“Già... - Camus mi risponde con un tono velatamente deluso, quasi mi fa sentire in colpa per aver rifiutato il dialogo - Anche Francesca dorme ancora, ieri è andata a letto tardi. Lasciale pure riposare per stamattina!” mi dice, portandosi finalmente la tazza alle labbra per poi chiudere le palpebre e assaporarsi meglio tutti gli aromi.

Guardalo come se lo gusta, sembra un nobile nella sua reggia! Ridacchio di riflesso, accorgendomi maggiormente che, se solo ne avessi l'opportunità e non fossi così chiusa, troverei molto piacevole la sua compagnia, anche senza fare chissà cosa, discorrendo semplicemente del più e del meno. Con lui mi ci trovo davvero bene, ed è davvero strano perché, eccetto uno, la mia eccezione, non ho mai avuto buoni rapporti con i maschi che avessero meno di 60 anni.

"Per quello che è successo ieri, invece..." inizio un nuovo discorso, titubante, venendo puntualmente fermata.

"Non occorre ti giustifichi tu per la tua amica. Quando, e se, vorrà, sarà lei a parlarne e a chiarirsi." mi dice, continuando a sorseggiare la bevanda calda.

Abbasso lo sguardo. Vorrei chiedergli, in tutta franchezza, se Michela abbia qualche possibilità con il Cavaliere del Cigno, ma ho la netta sensazione che non lo sappia neanche lui, malgrado conosca Hyoga da anni e lo abbia cresciuto. Mi danno l'impressione di non essere propriamente confidenti, tra loro, probabilmente alcuni argomenti sono considerati tabù.

“D'accordo. Allora, Maestro, io salgo adesso alla tredicesima casa. Il Nobile Shion ha promesso a me e a Sonia di rispondere a qualche nostro quesito, va bene?”

"Anche Sonia sale su con te per parlare con il Grande Sacerdote?" mi chiede, corrugando un poco la fronte in un'espressione vagamente preoccupata.

"Sì... - esito, non sapendo come decifrare quella piega che si è delineata tra il sopracciglio sinistro e il naso. - Non dovrebbe?" indago, facendomi attenta.

“No, ci mancherebbe. - non sembra, però, convinto di quel che dice - Comunque... vai pure, Marta, e non temere per me: stamattina riposerò anche io."

"Mi pare proprio un'ottima idea!"

"Mi raccomando: comportati adeguatamente alle circostanze. Sai che ho grande fiducia in te” aggiunge poi, addolcendo l'espressione del viso nel calcare l'ultima frase.

Io gli sorrido di rimando, piacevolmente riscaldata, poi mi dirigo, senza la minima esitazione, verso l’uscita dell’undicesima casa. Corro a perdifiato per le scale, il sole ancora tiepido, il cuore leggero ma colmo di voglia di scoprire.

Arrivata alla dodicesima, saluto velocemente Aphrodite, che mi regala un’altra rosa di un color rosso vivo, per poi proseguire senza perdere ulteriormente tempo. Non so bene dove mettermelo, il fiore, il peplo non ha tasche e tenerlo tra le mani mi da noia, decido quindi di incastrarmelo tra i capelli. Il gambo non ha stranamente spine, riesco infine a fissarlo sul lato destro della testa, ma lo sorreggo comunque con una mano nella paura che mi cada.

L'ultimo tempio, ubicato sulla sommità del monte, è di sicuro il più grande del comprensorio. Il Maestro Camus mi ha illustrato che è composto, tra un corridoio e l'altro, da innumerevoli stanze, tra cui una grossa infermeria, suddivisa in altre camere più piccole dove far riposare i guerrieri feriti; una sorta di grande caldario per riprendersi dalle fatiche; una grossa biblioteca e numerose altre particolarità che -sue testuali parole!- scoprirò mano a mano che prenderò confidenza con questo ambiente così austero e, al tempo stesso, affascinante.

“Marta!” la voce di Sonia, di colpo dietro di me, interrompe i miei pensieri e apprezzamenti sulla dimora del Grande Sacerdote.

Indietreggio di qualche passo, non aspettandomela già presente, prima di sorriderle bonariamente e con un poco di imbarazzo.

"Ciao, Sonia! Scusami il ritardo, non pensavo che fossi già arrivata e ho preso a curiosare un po' intorno." le dico, ammiccando appena.

Lei non mi risponde subito, mi tira una occhiata al fiore che ho ancora sulla testa, anche se un poco sbilenco perché non fissato bene. Ridacchia tiepidamente, prima di sistemarmelo meglio. Io ovviamente, nell'averla così vicina, mi irrigidisco, non del tutto a mio agio.

"Sono passata dalla scorciatoria per... tagliare la Casa dei Pesci, mettiamola così. - afferma, prima di incrociare il mio sguardo confuso e continuare con la spiegazione - Nulla di personale contro il custode, ma ogni volta che ci passo mi sbologna rose, bianche, rosse, violette, di tutti i colori, ed io non ho testa, ci potrei fare una ghirlanda ma non sono esattamente il tipo."

"Oh. - mugolo, prima di ricordarmi che, effettivamente, mi è già stato detto che le scalinate non sono l'unico modo per collegare i vari templi - Mi fai poi vedere il sentiero? Così la prossima volta evito anche io!" ridacchio, grattandomi la testa.

"Perché? I fiori ti donano!"

"Sì, ma non mi piacciono recisi, poi appassiscono e muiono e... beh, non voglio che la loro vita finisca per una così superflua!"

E' il suo turno di guardarmi strana, ed io mi mordo la lingua perché ho detto una stranezza senza trattenermi, ma poi la vedo sorridermi con dolcezza.

"Se è per quello non preoccuparti! Quelle di Aphrodite, che vengono dal suo giardino, sono speciali, perché vengono profuse di cosmo e possono così essere ripiantate!"

"Davvero?!"

"Davvero, davvero, sì! Io ci ho provato a rinvasarle, ma Milo è un caso perso, non sopravvive nulla che passa sotto le sue mani; è imbranato e distratto, fa cadere i vasi, le schiaccia, si dimentica di bagnarle... pfff, ho lasciato perdere!"

"Però tu sei qui viva e vegeta, nonostante tutto. - le faccio notare io, con un sorrisetto nell'immaginarmi lo Scorpione alle prese con i fiori e, no, non ce lo vedo, ha ragione lei - Sei la sua eccezione?!"

Sonia produce una sorta di sibilio vergognoso, guarda altrove, prima di tornare su me: "Mi piacerebbe dirti di sì, in verità è più facile il contrario: che sia andato tutto bene fino ad adesso perché sono io che bado a lui!"

Scoppiamo di riflesso a ridere, distese, quasi complici, nell'esserci trovate in questo mondo così grosso che ci fa ancora un po' paura e che, malgrado tutto, forse non ne riusciremo più a fare a meno.

“Comunque... sono parecchio emozionata, sai? Certo, io so già un bel po' di cose inerenti al passato dei Cavalieri d'Oro e al Grande Tempio di Atene, ma è sempre un piacere ascoltare il Nobile Shion, che conosco appena!” afferma poi lei, accennandomi con la testa di avanzare insieme verso l'interno del tempio.

“Lo conosci appena? In che senso?! - le chiedo, attenta, non capendo pienamente la sua frase - Non vivi forse qui con Milo da un po' di anni?”

"Sì, ma vedi..." inizia lei, poco prima di prendere un grosso respiro e spiegarmi.

Così mi racconta che conosce il Cavaliere dello Scorpione dal 2006, tuttavia non sono stati sempre qui, prima erano sull'isola omonima che oltretutto ha dato anche i natali al suo maestro -Milo nato a Milos, ma davvero?!- ci hanno vissuto per anni e solo in tempi più recenti si sono stabilizzati qui al Santuario all'ottava casa.

Non aggiunge comunque nient'altro, né le circostanze che li hanno portati a trasferirsi, né quando è successo di preciso. Come Camus prima di lei, anche se in un'altra circostanza, ho come la sensazione che il suo sguardo si adombri, che ci sia qualcosa di non detto che le ha lasciato ferite profonde, affatto cicatrizzate.

Vorrei approfondire il discorso, chiederle altre cose, perché avverto dei 'buchi' nelle sue sommarie spiegazioni, ma non so se sia il caso. In ogni caso, prima che io possa decidere pienamente, una voce profonda e pacata ci viene incontro all'interno dei corridoi del tredicesimo tempio.

“Siete qua, ragazze, benvenute!” ci saluta Shion, cordiale, alzando appena le braccia in segno benevolo.

Io mi fermo di riflesso e lo stesso fa Sonia, ben più a suo agio di me ma pur sempre formale come è nella sua natura essere.

"B-buongiorno!"

Non so bene come salutare, se inchinarmi o no, mi limito quindi ad osservarlo, carpita dai ricami dorati della sua tunica blu notte. Sono sicura che quella indossata ieri sera fosse bianca, seppur con le decorazioni affini. Mi chiedo se, proprio come i nostri vescovi sul territorio italiano, i colori possano variare a seconda della ricorrenza.

"Seguitemi pure, conosco un luogo propizio per discorrere in santa pace senza alcuna interruzone." ci dice, prima di voltarsi e farci strada.

Attraversiamo in silenzio la sala del trono (dove si radunano i Cavalieri d'Oro nei casi di emergenza) e subito dopo percorriamo uno dei lunghi corridoi che sembra non finire mai. Infine, giungiamo in uno stanzino quadrato da dove partono delle scale strette e anguste a forma di chiocciola, saliamo anche queste, trovandoci così in quello che sembra essere, in tutto e per tutto, piccolo osservatorio astronomico.

Apro più volte la bocca a vuoto, sbalordita dalla scoperta, precipitandomi di corsa verso la finestra per ritrovarmi ad ammirare tutti i dodici templi dall'alto verso il basso. Si vede fino alla Casa del Montone Bianco, anche oltre, fino all'arena di combattimento!!!

"Questo, in assoluto, è uno dei miei luoghi preferiti." mi dice Sonia, affiancandomi per poi sorridermi, il tutto mentre io mi volto verso di lei, ancora con l'espressione sorpresa dipinta in faccia, e il Nobile Shion prende posto sulla scrivania stracolma di grossi tomi accatastati uno sull'altro.

"Fa anche da biblioteca!" esclamo, sempre più eccitata, prendendo a vagabondare con lo sguardo tutt'intorno nell'individuare gli scaffali ricolmi di libri.

"Molti dei volumi che vedete qui, i più vecchi, vengono da altri luoghi. - ci delucida il Grande Sacerdote, sempre con il suo proverbiale tono tranquillo che mi ricorda Mu - Fra tutte, l'undicesima casa, Marta."

"L'undicesima..? - ripeto, quasi boccheggiando - C'era una biblioteca, lì?!" chiedo conferma, mentre un brivido mi passa lungo sulla schiena.

"Sì. - è la sua sola risposta affermativa, prima di invitarci a prendere posto davanti a lui con l'accenno di un gesto del braccio - Sedetevi pure."

Eseguiamo senza farcelo ripetere due volte, sempre un poco rigide nel trovarci al cospetto della massima autorità del Santuario, se escludiamo Atena. Io a destra, più vicina alla porta, Sonia alla mia sinistra, mentre accarezza con mano gentile una delle copertine di uno dei pesanti tomi.

“Siete venute fin qua, svegliandovi all'alba e seguendomi senza la minima esitazione... significa che ardete veramente dalla voglia di sapere. Ordunque, che cosa vorreste sapere per prima cosa?” ci chiede gentilmente lui, ammiccando compiacente per poi puntare le sue particolarissime iridi verso di noi.

Non so bene da cosa vorrei partire. Esito, mi irrigidisco ulteriormente e prendo tempo, ma Sonia è ben più rapida di me.

“Signore, può parlarci meglio dei nostri nemici? Io conosco abbastanza Hades, perché ero presente quando è successo... tutto. - la sua voce vibra maggiormente nel pronunciare le ultime parole, prima di sforzarsi di ricomporsi - Ma Marta non sa praticamente nulla, senza contare la presenza di Ares che è ancora un mistero!”

“Di Ares non so molto nemmeno io, a dire il vero, era da un po’ che non si manifestava contro la Dea Atena, lo credevamo debellato." inizia Shion, un poco incerto, facendosi pensieroso.

"E invece è vivo e vegeto, i suoi sgherri ci hanno attaccato sulla spiaggia. Se non fosse stato per Sonia, che ha scoperto il suo potere, e per i Cavalieri d'Oro, non so come ce la saremmo cavata." faccio presente io, lugubre.

"Però Aiolia ha notato che erano molto deboli, come nemici, no? - mi fa notare proprio lei, sbattendo lievemente una mano sopra il tavolo - Quindi non posso essere Berserkers, giusto?"

"Berserk... cosa?" ripeto io smarrita, guardando l'uno e l'altra nel non capire di cosa stiano parlando. So solo che effettivamente il Cavaliere di Leo, nel mezzo della battaglia, li ha nominati un paio di volte.

"Allora, Marta, ascoltami bene, e anche tu Sonia... - riprende parola Shion, tossicchiando tra sé e sé - Quelli che vi hanno attaccati sulla spiaggia non possono essere Berserkers, ma non c'è dubbio alcuno che appartengano alle schiere di Ares, ne abbiamo riconosciuto l'effige e il cosmo."

"Ares il dio della guerra, giusto? - chiedo, cercando di concentrarmi maggiormente - Il figlio di Zeus ed Era che, si dice, sia originario della Tracia?"

Sì, il dio Ares, antitesi di Atena; due figure talmente agli antipodi da risultare inconciliabili."

"Sono entrambe divinità della guerra..." osservo, inarcando un sopracciglio nel percepire una sorta di discrepanza nelle sue parole.

"Se Atena è dea della guerra, intesa come strategia, astuzia allo scopo di proteggere i più deboli; Ares lo è degli aspetti più trucculenti e sanguinosi della stessa, per questo dico inconciliabile."

"..."

Non sono convinta, ma rimango sulle mie, limitandomi ad annuire debolmente nel percepire, a monte di questo ragionamento, un pericolosissimo sostrato che renderebbe un massacro più giusto e moralmente lecito dell'altro. L'ideologia che ne può derivare è pericolosissima. Non mi piace. Non può piacermi.

"Posso comunque dirvi che è uno dei nemici più insidiosi contro cui la Dea Atena abbia mai combattuto. Durante l’era della Grecia classica, proprio dalla Tracia, Ares mosse guerra alla città di Atene con le sue quattro armate di Berserkers..."

"Quat... QUATTRO?!" ripetiamo Sonia ed io, sussultando visibilmente.

"Sì, quattro: del Fuoco, della Fiamma, del Terrore e della Calamità. - ci spiega pacatamente il Nobile Shion socchiudendo gli occhi - Si dice fossero capitanate dai suoi quattro figli: Phobos, Deimos, Keres e Kyodaimos, ma le testimonianze a riguardo sono andate perdute. Ciò che conta, la cosa più importante per il proseguo della storia, è che misero in estrema difficoltà i Cavalieri di Atena che, all'epoca, erano appena 54 rispetto agli 88 di ora."

"E Atena come la risolse?" chiede timidamente Sonia, inclinando un poco la testa.

"Consentendo ai Cavalieri d'Oro di allora di utilizzare le dodici armi custodite nella Sacra Armatura della Bilancia." risponde semplicemente Shion e la ragazza sembra arguire immediatamente, a differenza mia.

Mi sento un po' tonta, mi perdo di continuo, per cui alzo imbarazzata la mano, come a scuola, chiedendo ulteriori spiegazioni che non tardano ad arrivare.

"Quando Camus vi ha fatto conoscere gli altri Cavalieri d'Oro, sarete sicuramente passate per la settima casa..."

"Sì, quella prima di Milo, ma era deserta."

"Ecco, il custode di quel tempio è un mio carissimo amico, si chiama Dohko ed è Cavaliere della Bilancia, per l'appunto. Cosa non meno importante, è un reduce, come me, della scorsa Guerra Sacra."

"Ah! - mi illumino, raddrizzandomi sulla sedia, sorridendogli - Ora ci sono!"

"L'armatura di Libra ha una particolarità, contiene in sé 12 armi, come i Cavalieri d'Oro, che tuttavia non possono essere utilizzate senza il permesso della dea."

"E... perché?" chiedo, quasi trattendo il respiro.

"Gli scontri dei Cavalieri devono essere svolti con la massima solennità. - il Grande Sacerdote socchiude nuovamente le palpebre, meditabondo, io mi ritrovo ad arricciare per la seconda volta il naso al solo udire l'accostamento delle parole 'scontri' o 'guerre' con 'solennità' o 'giustizia' - Gli adepti di Atena non possono usare altro che i loro corpi per combattere i nemici; le armi sono, di norma, bandite."

Ah, ok, quindi il dettamo esige che questi poveri ragazzi di 13, 15, 20, 22 anni affrontino altri guerrieri a mani nude e con il solo ausilio del cosmo, la cosidetta 'forza spirituale', protetti da un'armatura che è sufficientemente coprente solo per dodici di loro, mentre gli altri, a scalare, si devono arrangiare?! Ah beh, che idea... singolare... di correttezza e integrità morale!

"Però in quell'occasione Atena acconsentì all'uso delle armi di Libra, giusto? Per questo riuscì a vincere!" riprende il discorso Sonia, sempre attenta e composta.

"E' esattamente così e, alla fine, Ares, domato ma non del tutto vinto, fu costretto a chiedere protezione allo zio Hades. Da allora, circa ogni due secoli e mezzo, quest’ultimo si risveglia per dichiarare guerra alla nostra dea.”

"Ma non l'avrà mai vinta!" esclama Sonia, stringendo una mano a pugno nel ricordare probabilmente cose che preferirebbe dimenticare.

Sospiro tra me e me nel cercare le parole per continuare il dialogo, anche se mi sento estranea davanti a tutto questo.

“Milo mi aveva accennato qualcosa su Hades, quando Camus era... era in coma all'ospedale. - dico, febbricitante, ed è il mio sguardo ora a rabbuiarsi, lo percepisco - Tuttavia non avevo la più pallida idea che queste guerre avessero origine in tempi antichissimi!”

“Questo è il succo della questione sul perché la nostra Dea Atena sia arcinemica del dio Hades. - riprende parola il Nobile Shion, scoccando una breve occhiata alla finestra dietro di noi - Purtroppo non abbiamo ancora compreso perché il dio dell'Oltretomba si sia risvegliato a distanza di un solo anno della precedente battaglia, né il motivo per il quale lui e Ares siano interessati a voi...”

"E' proprio... certo... vogliano noi?" tento, affranta, ben sapendo che è inutile continuare a rifiutare questo pensiero. I fatti hanno parlato da sè.

"Marta... - il tono di Sonia manifesta una velatura di rimprovero, anche se bonario - Puoi avere ancora dei dubbi?"

"No, certo che no. - scrollo la testa, ancora più afflitta - E' che non capisco proprio cosa abbia io di speciale che non hanno gli altri, inoltre non avrei mai voluto far parte del fulcro dei piani del nemico insieme alle mie amiche."

Sollevo un poco il braccio, aprendo la mano per vedermi il palmo. Ho lo stesso potere di Camus, anche se non ne posso disporre in maniera adeguata, e Sonia ha dimostrato di avere delle doti invidiabili, oltre a possedere una vera e propria forza. Certo, Francesca e Michela non conoscono ancora la loro attitudine, ma il solo pensare che, da ora in avanti, ci inseguiranno per prenderci in ostaggio e... utilizzarci... per qualche fine misterioso, mi mette i brividi.

"Avete un cosmo vasto, in partenza già più che sviluppato e potenzialmente al livello di un Cavaliere d'Oro." mi racconta Shion, tornando su me nell'acciuffare il mio sguardo che naviga sgomento sul suo.

"Sul serio?! Così tanto?!?"

"Ovviamente ampliarlo richiederà tempo e sacrifici, ma non dovete angustiarvene, ho piena fiducia in Camus e Milo, i vostri maestri, so che sono perfettamente in grado di farvi sbocciare e, cosa non meno importante, fino al momento in cui non sarete in grado di salvaguardarvi reciprocamente, vi proteggeranno anima e corpo, come tutti noi Cavalieri d'Oro!" ci sorride per incoraggiarci il Sommo, apparentemente sincero.

Abbasso vergognosamente lo sguardo e Sonia fa altrettanto, ma capisco fin troppo bene che è lusingata dalle sue parole e, forse, un poco più tranquilla.

Non saprei neanche bene cosa dire, ora, per proseguire nel dialogo, mi trovo all'ennesimo punto di blocco nonostante la mia voglia di sapere, ma fortunatamente la mia mente viene rapita da qualcos'altro, per esattezza da un nome, che da ieri non riesco proprio a togliermi dalla testa.

“Signore, io avrei una domanda completamente diversa ma ugualmente importante per me. Ieri, parlando con noi, avete tirato fuori quel nome, ma... chi era Dègel?” gli chiedo, seria, fremendo considerevolmente nell'esprimerlo.

Eccola di nuovo quella particolare vertigine. Il mio cuore accelera simultaneamente nel vedere gli occhi di Shion diventare improvvisamente lucidi e, per un istante, uno solo, anche io avverto un nodo formarsi distintamente in gola.

“Oh, vuoi sapere di... Dègel?” mormora lui, con la voce rotta dell’emozione.

“Sc-scusatemi, forse non avrei dovuto fare questa domanda che sembra avervi scosso così tanto. - mi affretto a riparare, pentita di aver tirato fuori un simile argomento a cuor leggero - E' che... mi sembra quasi di conoscerlo questo Dègel, non so come sia possibile."

“No, perdonami tu. Un vecchio come me è cedevole alle lacrime per certe cose, anche e soprattutto se sono accadute parecchio tempo fa!"

Non insisto, aspetto che si prenda il suo tempo per parlare. Al contempo, sono sempre più confusa dalla situazione: Shion parla DAVVERO come una persona anziana che ha vissuto a lungo e ha attraversato mille dolori, ed effettivamente è uno dei reduci della scorsa Guerra Sacra avvenuta nel 1743, a quanto mi ha anticipato Mu, suo allievo, proprio ieri. Se tutto questo fosse vero -e lo è di certo!- comunque non mi spiego come sia possibile avere davanti a me un individuo con le fattezze di un giovane uomo che avrà, si e no, una ventina d'anni.

In più, il mistero dietro il Grande Sacerdote non è certo l'unico a contraddistinguere questo luogo sacro. Non c'è praticamente nulla di chiaro, le spiegazioni arrivano a spizzichi e bocconi, se arrivano...

Death Mask ha avuto un passato per il quale non può essere perdonato; Shaka parla per enigmi di un 'prima' che ha lasciato delle pesanti ripercussioni, nonché cicatrici, in ognuno di loro; e che dire del Maestro Camus? Lui è così tremendamente misterioso, ho come l'impressione che ci stia nascondendo qualcosa di davvero brutto! E' sempre così gentile con me e, malgrado il nostro burrascoso primo incontro, ho ormai imparato a riconoscere il calore dietro la sua apparente maschera di ghiaccio con cui prova a schermarsi dal mondo. Ha un cuore immenso, eppure i suoi occhi manifestano sempre un'innata malinconia, come qualcosa di irrimediabilmente perduto.

“Ad ogni modo... Dègel era il Cavaliere d’Oro dell’Acquario della precedente Guerra Sacra, da cui sopravvivemmo solo Dohko ed io."

"Il predecessore di Camus?!" ripeto, sbalordita, quasi boccheggiando.

"Sì, il predecessore del tuo maestro. - prosegue Shion, facendo un profondo respiro – Era un Cavaliere eccezionale, forse il più intelligente che il Santuario abbia mai ospitato! Sai, Marta, il suo cuore gentile e nobile non lo rendevano molto adatto ad essere spietato contro i nemici, e infatti non è mai stato brutale verso nessuno, nemmeno contro chi lo ha tradito. Semplicemente, lui ha vissuto per una promessa ed è morto per proteggere un amico.” conclude poco dopo, emozionandosi notevolmente.

Osservo attentamente lo sguardo di Shion ancora ricolmo di ammirazione, rendendomi conto, quasi come se fosse una verità ben celata nella mia anima, che è davvero come se lo conoscessi già, se la sua storia mi ricordasse qualcosa... come è possibile?!

Mi tocco un attimo il petto nell'avvertire i battiti del cuore sempre più frenetici, quasi in gola. Sonia si accorge del mio malessere, mi da una leggera pacca sulla spalla, alla quale io contraccambio con un sorriso smorzato.

"U-uff, non so che mi prenda, davvero. - tento di spiegarmi, il respiro trafelato - E' proprio come se lo conoscessi già, questo Dégel, è come se..."

“Tu lo conosci già, infatti, Marta!” la voce un poco più alta di Shion interrompe la mia frase.

“C-come?” balbetto, confusa.

“Dégel non è solo il predecessore di Camus, è anche... la sua precedente vita!"

"CO-COSA?!" ho alzato la voce di una tacca e mi sono alzata in piedi di getto, rischiando quasi di far cadere la sedia.

"Le anime dei Cavalieri di Atena possono reincarnarsi ad ogni Guerra Sacra, perché il loro spirito guerriero, il loro desiderio di proteggere la Terra, permane e si perpetua nella vita che verrà..."

"Asp-aspettate! Stiamo parlando sul serio di reincarnazione?! E' davvero possibile?!" esclamo, sgomenta, mentre, lo vedo, forse infastidita dal mio tono di voce troppo alto, forse per qualche altra ragione, Sonia si rannicchia sul tavolo, piegata in due, premendosi con forza le tempie. Vorrei riscuoterla, vorrei dire qualcosa, ma le particolarissime iridi di Shion, che ora mi osserva dritto in faccia, assorbono ogni cosa.

"Sembri sorpresa, non credi nella vita dopo alla morte?" mi chiede tagliente, studiandomi a fondo come se si aspettasse ben altro da me.

"Sono agnostica. - preciso, un poco sulla difensiva - Vorrei credere che ci sia qualcosa dopo la morte, ma..."

"Ma non ne sei più in grado e hai smarrito la via, per questo ora reagisci così. - dice lui per me, abbassando lo sguardo sulla scrivania, per poi alzarsi in piedi e tornare su me - Hai perso la speranza." sottolinea ancora, sospirando,

Non so bene perché, ma questo suo modo di porsi mi indispone. Arriccio il naso, traggo un profondo respiro. Mi parla quasi come se mi conoscesse e lo avessi deluso, tuttavia non sa nulla di me, non può saperlo, perché invece mi sento... scandagliata?!

"Forse la speranza non è di questo mondo, ce ne rendiamo conto solo con la crescita. - commento, aspramente, prima di sciogliermi un poco - Ho detto comunque di essere agnostica, non atea. C'è ancora uno spiraglio, qui dentro, posso... posso provare a crederci." affermo, posando nuovamente il palmo destro della mia mano sul petto.

Già, posso provare... Se Camus è davvero reincarnazione di questo Dégel, se...

"Ciò nonostante, sono due persone completamente diverse. - mi specifica il Grande Sacerdote, guardando altrove - La stessa anima non significa la stessa persona, le esperienze sono diverse, e così l'ambiente e la famiglia..."

E' il mio turno di annuire, sempre poco convinta, prima di porre un'altra domanda: "E Camus lo sa, questo? Sa di avere già vissuto? Sa..?"

"Oh, lo dubito fortemente! - inaspettatamente Shion si permette di ridacchiare benevolmente - E' scettico più di te. La sua mente è rigorosamente scientifica e non lascia molto spazio ad altro. E' un uomo molto concreto e inflessibile."

Beh, posso dire di capirlo, anzi ha perfettamente ragione! Non ho chiesto al Nobile Shion la prova di quello che va dicendo, non ho chiesto alcuna certezza sulla reincarnazione e, francamente, penso proprio non possa darmela. Proprio per questo, non è facile credergli, per quanto mi sforzi di sospendere l'incredulità.

"N-non è solo così, Grande Sacerdote, voi lo sapete! - biascica ad un tratto Sonia, sofferente, sollevando un poco la testa dalla scrivania tanto da spingermi a posarle una mano amica sulla spalla, un po' come lei aveva fatto prima con me - Camus non è solo razionale e pragmatico, io l'ho visto, ha anche un lato molto più sensibile e spirituale che tuttavia è restio a far trapelare!"

"Oh, lo so, Sonia... io mi riferivo solo per quanto concerne la religiosità, si può dire. So che Camus è come tu dici, l'ho... l'ho portato io al Santuario!" afferma lui, affabile, tornando a sorridere con dolcezza a me.

Sostengo il suo sguardo per una serie di secondi. Mi sento sempre più osservata dentro, mi mette a disagio, come se potesse sondare la mia mente senza filtri. Decido di cambiare discorso.

"Sonia, te la senti di continuare? - chiedo alla più piccola, notando i suoi occhi lucidi e l'espressione spezzata dal dolore - Non sembri stare benissimo..."

"E' l'emicrania di cui soffro a volte, è... ah! - prova a dirmi, prima di tornare giù, trattenersi la testa con le mani in una stillettata di dolore e riprendersi parzialmente - N-non fermiamoci, a-andiamo avanti con le domande, c-continua pure tu."

Non so bene come proseguire, sembra molto sofferente senza un'apparente ragione. Le massaggio la spalla, soffermandomi mentalmente sulla prossima domanda che desidero fare.

"Ragazze, forse sarebbe meglio..."

“Eccellenza, potete parlarmi qui e ora del passato dei Cavalieri d’Oro?” lo interrompo tutto di un fiato, con il nefasto risultato, peraltro non voluto, di provocare un nuovo gemito a Sonia, che incassa ancora di più la testa tra le spalle.

La osservo, sempre più preoccupata. Che diamine sta succedendo, adesso?! Ha cominciato a star male così, da quando abbiamo tirato fuori il discorso sulla reincarnazione... ha detto di soffrire di emicrania? E perchè il Nobile Shion sembra voler prendere le distanze, in questa circostanza?! Perchè continua ad osservare me?! Perchè i suoi occhi mi sembrano sempre più famigliari?!

"No." mi risponde semplicemente dopo alcuni brevi secondi, pacato, ma in una maniera che non ammette repliche.

Nello stesso momento, il dolore di Sonia sembra scemare, lasciandola finalmente libera da quel qualcosa che la attanagliava.

"No perché non potete o perché non volete?" chiedo conferma, tesa, tornando su lui pur tenendo la mano sopra la spalla della ragazza.

“Entrambi. E' un discorso troppo prematuro per te, Francesca e Michela, non siete ancora pronte per questo passaggio; senza contare che... neanche i Cavalieri d'Oro lo sono!” ribatte lui, con serietà, abbassando finalmente il suo sguardo sulla più piccola, ora appoggiata sulla scrivania, un braccio per lungo su cui è reclinata la testa, l'altro piegato vicino al volto. Quasi interamente assopita.

La guardo, sempre più in apprensione nel non capire cosa le sia preso. E' Shion, con gesto leggero della mano, a rompere gli indugi per permettersi di accarezzarle paternamente i folti capelli castano chiaro e, con più discrezione, le guance ora rilassate.

"Si è... addormentata? Come è successo?!" indago, rabboccando aria.

"Non c'è nulla che non vada in lei, tranquilla. Milo mi ha riferito che, fin da piccola, soffre di questi forti episodi di emicrania, so come trattarli. - mi delucida il Grande Sacerdote, buttando fuori altrettanta aria come se, fino a questo momento, fosse stato teso - Si risveglierà entro breve."

Non mi darà altre spiegazioni in proposito, lo sento, e qui torniamo a nastro sul discorso di prima sui mancati, o lacunosi, chiarimenti. Sospiro, non ho molto da fare o dire, in un momento simile, eccetto, forse, una cosa.

“Signore, so che avete appena detto che non potete raccontarci il passato dei Cavalieri d'Oro, ma c'è qualcosa che devo sapere assolutamente. E'... è un dubbio, o un timore, se preferite, ma non riesco a togliermelo dalla testa."

Shion, nello scrutarmi a fondo e nel vedere probabilmente tutta la mia cocciutaggine sull'argomento, si massaggia un poco la fronte, prima di parlarmi con maggiore schiettezza: "Marta, ti ho detto così perché sono sicuro che, a tempo debito, saranno i Cavalieri d'Oro medesimi a voler parlare con voi del loro passato. Fino a quel momento..."

"C'entra Camus, la domanda riguarda lui, solo indirettamente gli altri." puntualizzo, senza troppi giri di parole.

"E che cosa vorresti sapere che lui stesso non possa dirti?"

Tentenno nel fissare un punto a caso della stanza, lontano sia dagli occhi profondi del Nobile Shion sia dal visetto di Sonia, ancora addormentata tra noi. Mi mordo il labbro inferiore, sentendomi colpevole. Già, cosa posso chiedere al Grande Sacerdote che Camus non mi può dire, davvero non ci arriva?

Rivivo quei terribili momenti che mi fanno ancora male, il maestro tra le mie braccia, il suo petto squarciato, il sangue, ancora il sangue, il suo viso sempre più pallido e il respiro aritmico, e poi lui, Milo, come una furia omicida su me, con quella espressione sgomenta, dilaniante, furiosa, di chi ha già perso tanto, troppo.

"Avete parlato di reincarnazione, di vita dopo la morte, di perdita di speranza... - inizio, traendo aria dalle narici per farmi forza nel continuare - E a questo punto il dubbio mi sorge spontaneo: Camus, che non sa di avere avuto un'altra vita, che ha appena 22 anni e una valanga di non detti sulle spalle, lui... uff, ha avuto già delle esperienze post-mortem?"

"Perché... me lo stai chiedendo? Che cosa intendi, per davvero? E' una domanda, o la conferma di un tuo dubbio?"

Lo guardo gravemente. E' tosto, ha capito dove voglio andare a sbattere e vuole che lo faccia senza freni, né edulcorazioni. Assottiglio le labbra in un fremito, prima di parlare: "Camus è già morto, vero?"

Silenzio. Passa qualcosa di solenne tra noi, nessuno dei due pare volersi smuovere dalle proprie posizioni, io dalla mia voglia di sapere, lui dalla sua ritrosia nel parlare di un simile argomento che, probabilmente, non pensa di competergli.

"Era la conferma di un dubbio, la tua..."

"Rispondete, per favore, non vi chiederò altro!"

Alla fine, tornando compostamente sulla sedia e poggiando le braccia sui braccioli, è sorprendentemente lui a cedere il passo: "Sì, è già morto. Ha già sperimentato su sé stesso il... morire."

Mi sento mancare, devo sorreggermi sulla scrivania con entrambe le braccia per evitare di cadere a terra. Sgrano gli occhi, prima di serrarli e annegare dentro di me il senso di smarrimento e di vertigine che mi ha colto. E il freddo, prepotente e spietato, fino a dentro le ossa, fino a congelare il mio stesso respiro, fino ad annebbiarmi il cervello.

"Lo... immaginavo, anf!"

"Non sarò io a raccontartelo, però, non sarebbe giusto. Dovrai aspettare che sia il tuo maestro a sentirsela."

"Come potrebbe sentirsela?! - ribatto, alzando il capo con rabbia - Mi state dicendo che lui, a neanche 23 anni, è già morto, ha provato su di sé quei terribili momenti che tutti, nella vita, ci augureremmo di sperimentare il più tardi possibile e, come se non bastasse, mi avete lasciato intendere che se li ricorda pure!!!"

"Qui tutti noi Cavalieri d'Oro abbiamo provato, almeno una volta, la morte, nessuno escluso. - afferma, senza remore, facendomi stare ancora più male - E' stato facile? No! Ne vorremmo parlare? Neanche! Ma fa parte del nostro sacro compito di Dorati Custodi, e comunque... c'è di peggio che il morire!"

Boccheggio come se mi avessero appena pugnalata. Sono senza parole. Mi raddrizzo, tornando lentamente in piedi.

"Quindi anche la morte non è del tutto irreversibile... - commento, con un mezzo sorrisetto di circostanza - Però! Quante cose che si imparano in neanche due settimane nel vostro mondo!"

"Capisco le difficoltà e lo smarrimento, Marta, credimi. - mi prova a rassicurare il Grande Sacerdote, compiendo il giro del tavolo per posarmi entrambe le mani sulle spalle, prima di sbuffare a sua volta per smorzare la tensione - Sei venuta da me in cerca di risposte e sei più confusa di prima!"

"Qualcosa di simile, sì..."

"Ti chiedo tuttavia di non forzare Camus, né nessun altro, a raccontarti le circostanze in cui ciò è avvenuto. Presto saranno loro a volerlo fare con voi, ma fino ad allora..."

"Ci proverò, d'accordo, solo che... uh?"

Un baluginio rapido sullo stipite della porta attira la mia attenzione, spingendomi a scostarmi dalle grandi mani del Nobile Shion, dalla sua stessa corporeità che emana solidità per zampettare proprio in quella direzione.

"Marta?"

Odo appena la sua voce, come se fosse tanto lontano e trascurabile, rispetto a ciò che ho davanti.

Distinguo qualcosa alla luce del sole che si riflette nel corridoio esterno; il mio cuore palpita, accelerando i suoi battiti. Sto per dirgli qualcosa, qualunque cosa, che è bello rivederlo, per esempio, che mi è mancato, e che anche così è comunque splendido ai miei occhi, ma la figura opalescente, così come apparsa, scompare, lasciandomi solo il suono di un leggiadro battito di ali in allontanamento.

"Marta, che succede?" riprova quindi Shion, in tono più alto, avvicinandosi a me.

"Non lo avete visto?" chiedo, voltandomi verso di lui, gli occhi involontariamente lucidi.

"Che cosa?"

"Era... era un luccichio argentato, non gli ho dato subito una forma, ma... ma guardandolo meglio mi è sembrato un cigno... un cigno, sì!"

"Un cigno?!"

"Un cigno sullo stipite della porta, stava ascoltando il nostro dialogo." ripeto, testarda, tornando a guardare nel punto dove lo avevo scorto, ora vuoto, quasi svuotato, come il mio cuore.

"Non ci possono essere cigni qua, Marta, la barriera della Divina Atena..."

"So della barriera di Atena! - lo fermo, un poco bruscamente, ormai fermamente convinta della visione - Eppure anche ieri ho visto una lucertola sotto il basamento di una colonna del Tempio dello Scorpione Celeste!"

"Più l'animale è piccolo, più può bypassare la barriera con relativa facilità, Marta, ma un cigno no, è troppo grande!"

"So anche questo, me ne ha parlato il Maestro Camus."

"Allora dovresti ben sapere che la protezione della Divina Atena è massima nelle Dodici Case dello Zodiaco, tutt'al più si assottiglia nelle zone limitrofe, quali il bosco, la spiaggia e il Villaggio Segreto di Rodorio. - mi spiega, pratico, non nascondendo, però, un minimo di tentennamento - E comunque questo in cui ci troviamo non è un ambiente idilliaco per quel genere di uccelli, no? Non ci sono fonti d'acqua nelle immediate vicinanze."

"Questo è vero." annuisco con la testa, più desiderosa di chiudere il dialogo infruttuoso che per altro.

Resta il fatto che io il cigno l'ho visto, ne sono sicura, sembrava triste, mi ha osservato per un secondo, i nostri sguardi si sono incrociati, poi è volato via. Mi ha dato una intensa sensazione di nostalgia.

Il Nobile Shion fissa ancora il punto indicato da me per qualche secondo, poi, recuperando in fretta la compostezza che gli è propria, mi da una veloce pacca sulla spalla.

"Aspetta tranquillamente qui che Sonia si risvegli, poi tornate nelle vostre rispettive dimore. I vostri maestri vi aspetteranno di certo per i consueti allenamenti. E' stato un piacere discorrere con voi, ci saranno sicuramente altre occasioni!” finisce di raccomandarsi, con un velato sorriso prima di oltrepassarmi e uscire, esausto, dall'osservatorio.

E' come se, all'improvviso, avesse fretta di andarsene... anche questo non me lo spiego!

Attendo quindi che Sonia si riprenda; fortunatamente, come preventivato da Shion, non occorre molto. Lei mi guarda con occhioni smarriti, sembra ben più piccola di quello che è e mi viene l'istinto di addolcire il tono e l'espressione nel vederla così spaesata.

"Perdonatemi... volevo porre mille domande e invece sono crollata come una patata bollita, ci credo che il Nobile Shion se ne sia andato!" biascica, corrucciata, grattandosi la testa mentre, aiutata da me, scende le scale a chiocciola con estrema attenzione.

"Ma no! Se ne è andato solo perché aveva altre incombenze, non preoccuparti, ha detto che, se vogliamo, troverà senz'altro il tempo per discorrere ancora con noi." la rassicuro, sbrigativa, ultimando gli ultimi scalini per poi girarmi verso di lei e aiutarla maggiormente.

"Avete parlato di altro, mentre io ero nel mondo dei sogni?" mi chiede, piegando un poco lateralmente la testa nell'andare oltre le mie parole per soffermarsi sul mio viso, ancora teso dall'esperienza appena avuta.

“Va meglio l'emicrania? - chiedo in controbattuta, sperando così di deviare l'argomento - E' normale questo tuo mal di testa così forte? Da quando..?"

"Ehi, guarda che conosco il piano strategico! - scuote la testa lei, sorridendomi furbina - Camus attua la tua stessa tecnica per liberarsi delle domande scomode!"

"Oh. - biascico, nel rendermi conto che, solo questa mattina, effettivamente, il maestro aveva cercato di deviare l'interessamento sulla sua persona ribaltandomi la domanda. Senza quasi accorgermene rido, colta in fallo - Il mio interesse era sincero, mi hai fatto preoccupare!"

"Bene, e allora ti rispondo per tranquillizzarti: mi succede da quando avevo circa 11 anni, non so bene perché, ma è del tutto benigno, passa in fretta e, come vedi, sto di nuovo bene! - dice e, per esemplificarlo, piega una gamba verso il petto per rimanere in equilibrio su un unico piede - E ora veniamo a te: di cosa avete parlato tu e il Grande Sacerdote, quando io dormivo?"

Mi volto dall'altra parte, dando a lei le spalle per proseguire lungo uno degli ampi corridoi del tredicesimo tempio: "Di qualcosa che, forse, avrei preferito non sapere." mormoro stancamente, rallentando l'andatura per permetterle di starmi dietro.

"E sarebbe?"

Siamo ormai fuori dalle colonne, i caldi raggi del sole ci irradiano, facendoci ben capire che, ormai, deve essere passata metà mattinata. Non rispondo, rimango immobile a guardare il cielo, a respirare calore, quel calore che, in dosi non eccessive, è imprescindibile con la vita.

"Marta, cosa..?"

"Tu eri già presente quando è morto Camus, giusto?" chiedo, di getto, sostituendo, ancora una volta, il calore con il gelo.

Sonia si ghiaccia sul posto, i suoi occhi diventano vitrei e il respiro muta. Sta per dire qualcosa, ma la fermo,

"Il Nobile Shion non mi ha specificato oltre, dice che deve essere Camus a sentirsela di parlarcene. La mia domanda è semplicemente stata se lui... se il maestro, voglio dire, fosse già morto, perchè dalle parole di Milo, quel giorno dell'incidente, e i seguenti in ospedale, ho percepito che... che non era la prima volta."

"..."

"Non voglio saperlo da voi, non sarebbe giusto, solo che non sopportavo più di avere questo dubbio, volevo una conferma. - tento di spiegarmi, a corto di fiato - Credo di aver sbagliato, però, ora ci sto male e non mi spiego come si possa reggere una cosa del genere e tornare tranquillamente a vivere. Fra l'altro, Shion mi ha pure confermato che tutti i Cavalieri d'Oro sono morti almeno una volta."

"..."

"Anche Milo, quindi? E Aiolia? E Mu? Come è stato possibile?!"

Sonia non dice nulla, il suo viso si è abbassato, è molto più adombrato di prima, quasi interamente scuro. Non c'è più nulla, in lei, dell'allegrezza di poco fa, le labbra si sono allineate su un unico segmento che conserva l'indicibile.

"E tu mi hai detto che li conosci da anni, quindi eri con loro, sei... eri rimasta completamente da sola, Sonia? E' questo ciò che, ogni tanto, pare risucchiare tutti voi? Il dolore della perdita, l'ombra spietata della morte, che ha colpito tutti e ha lasciato pochi reduci, forse te, Kiky e qualcun altro, oppure..."

Ma è il suo turno di bloccarmi. Mi afferra la mano, me la stringe con impeto, nel tremore che non riesce più a ovviare.

"Sonia, io... scusa!" mi viene da dire, a disagio, guardando altrove.

"Vieni. - mi accenna un sorriso lei, per quanto forzatissimo - Ti faccio vedere la scorciatoia per tagliare fuori le dodici case, come ti dicevo stamattina." afferma, recuperando un po' di buonumore nel trascinarmi, letteralmente, dietro di lei senza che io mi possa opporre.

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Capitolo 15
*** Scoprire il proprio potere ***


CAPITOLO 15

 

SCOPRIRE IL PROPRIO POTERE

 

10 luglio 2011, mattina

Osservo con insistenza il latte bianco contenuto all'interno della mia tazza, per esattezza il punto in cui un biscotto, immerso più e più volte ripetutamente, mi si è frollato tra le dita per poi affogare e inabissarsi. Non l'ho più ripreso e continuo a guardare sempre lì, la testa completamente altrove al dialogo avuto con il Grande Sacerdote. Una stanchezza colossale mi avvolge e mi appesantisce, senza che io ne comprenda bene la ragione.

Alla fine, ieri, non siamo riusciti a fare molto. Sono rientrata solo a tarda mattinata, per cui non ci è rimasto che il pomeriggio per il consueto allenamento mio e di Francesca -Michela era ancora nel mondo dei sogni!- ma è comunque durato meno del solito perché il Maestro Camus era molto stanco, lo si percepiva nitidamente, e tra la preoccupazione per la nostra amica, i pensieri che navigavano a zonzo, la calura insopportabile del cuore dell'estate, siamo tornati presto.

"Maestro..?"

La voce di Francesca, seduta al mio fianco, mi riscuote dal mulinello bianco che io stessa ho creato facendo vorticare a vuoto il cucchiaio nel latte. Alzo lo sguardo, seguo la direzione dell'occhiata della mia amica che, una volta ultimato il suo bel caffé, sta ora richiedendo la piena attenzione di Camus, girato di spalle appoggiato alla credenza. Lui, però, non sembra averla udita, probabilmente la domanda è già stata posta ma passata in sordina, questo il motivo del nuovo richiamo in un tono più insistente.

Sbatto le palpebre nel realizzare che il maestro non è solamente appoggiato alla credenza, si sta proprio sorreggendo ad essa; la schiena infatti è un poco più piegata. Mi allarmo, ma ancora prima di poterlo manifestare, è di nuovo la voce di Francesca a palesarsi.

“Maestro, ma Michela dorme ancora?!"

"Uh. - Camus stavolta sente la voce dell'allieva, si raddrizza, prima di rispondere, rimanendo comunque girato di spalle - Sì, sono entrato in camera sua prima dell'alba."

"E' piuttosto preoccupante questa sua inedia, non trovate?! Siamo proprio sicuri che stia...?"

"Sta bene. - Camus si gira finalmente verso di noi, è molto pallido, sebbene i suoi occhi brillino come di consueto - Stanotte si è svegliata, ho udito i suoi passi, stava scendendo barcollante le scale."

"Uh, davvero?! - mi illumino di sollievo, recuperando un po' di buonumore - E perché non ci hai avvertito? Eravamo così preoccupate per lei, ci avrebbe risollevato l'intera giornata!"

"Non vi ho chiamate perché era piena notte e lei era ancora piuttosto intontita, non del tutto in sé. Aveva una sete selvaggia, questo è riuscito a comunicarmelo, tra un allungamento della lettera 'e' e uno sdoppiamento della 't', ma per il resto sproloquiava ancora. Non mi sembrava il caso di mettervi in allarme. - ci spiega, nel suo consueto tono pacato, anche se un poco strascicato dalla stanchezza - L'ho aiutata a bere e l'ho riaccompagnata su, nel suo letto. Quando sono uscito è spuntato Hyoga, nel corridoio, anche lui ha biascicato qualcosa di inconsistente, prima di tornare, vergognoso, in camera a dormire." ci racconta, sospirando appena nel dare un'occhiata fuori dalla finestra.

Ah, ottimo, quindi anche il Cigno è vivo, perché neanche di lui abbiamo più saputo nulla dopo la dichiarazione di Michela del giorno prima, è come se volesse latitare." affermo, in apparente torno neutro.

Nel frattempo, torno ad osservare il latte, stavolta convincendomi a berlo a sorsate, nonostante la scomparsa dello sciagurato biscotto, ormai parte integrante della bevanda. Pazienza, non finirò il fondo, visto che, se c'è una cosa che proprio mi fa schifo, è la consistenza dei frollini liquefatti. Bleah!

"Però, Maestro, ora è mattina inoltrata e Michela non è ancora scesa, non so quanto sia normale!" insiste Francesca, nervosa. Oggi sembra particolarmente desiderosa di azionarsi, chissà perché...

Camus acconsente alla sua affermazione con un cenno del capo, sospira di nuovo, prima di voltarsi verso il lavandino.

“Infatti aspettavo che finiste la colazione per chiedervi di andarla a chiamare e vedere come sta. Con voi è di sicuro più a suo agio, inoltre non possiamo continuamente rimandare gli allenamenti!" esclama, con un cipiglio di intransigenza, come se parlasse più a sé stesso che a noi e si rimproverasse, in qualche modo, l'andazzo generale del nostro addestramento.

A questo punto io, lasciando da parte il fondo come mi ero già prefissata di fare, mi alzo in piedi, stando attenta a non trascinare la sedia per evitare di fare troppo rumore: "Io, se vuoi, ci sono, ho finito!"

Camus annuisce di nuovo, mi guarda in maniera abbastanza intensa, prima di tornare alle sue faccende, apparentemente indifferente: "Bene. Io intanto finisco di lavare qui le tazze e le posate che avete lasciato. Se potete, passate anche da Hyoga. Pure lui non è ancora sceso stamattina e ciò mi preoccupa, non posso negarlo, perché l'ho abituato fin da piccolo a svegliarsi presto la mattina e questo atteggiamento non è minimamente da lui."

E' il nostro turno di annuire, complici, per poi dirigerci verso la stanza di Michela con passo felpato.

Sono ancora indecisa se parlare alla mia amica di quanto scoperto ieri, del fatto che tutti i Cavalieri d'Oro sono morti ALMENO una volta e di come mi sono sentita io nell'appurare la veridicità delle parole del Sommo Shion negli occhi sfuggenti di Sonia; quando è lei la prima a spezzare il silenzio.

“Ascolta, Marta... – inizia il discorso in tono grave, tanto da spingermi a voltarmi verso di lei con il fiato sospeso – Michela ed io avevamo già concordato, prima che si ubriacasse in quella maniera, di allontanarci momentaneamente dal Tempio per dirigerci nel bosco qui vicino e apprendere così i nostri poteri.”

"CO-COSA?!"

"Il Maestro Camus ha ragione. - continua, pratica, oltrepassandomi sulle scale come se niente fosse - Non possiamo permetterci di perdere ulteriore, prezioso, tempo, e il modo più facile per apprendere è direttamente sul campo!"

Io, nel frattempo, mi sono bloccata e non la seguo più, rimanendo sbigottita ad osservarla salire un altro paio di scalini prima di accorgersi che mi sono fermata e girarsi dunque nella mia direzione.

“Fra, è una follia farlo adesso che siamo in stato di allarme! Allontanarvi di qua per andare in spiaggia, nel bosco, o non lo so, non è affatto saggio!”

Lei non mi risponde verbalmente, si limita ad inarcare esaustivamente il sopracciglio destro con espressione di sufficienza. Io capisco il suo tacito messaggio.

"Hai ragione, non sono nella posizione per oppormi dopo ciò che ho fatto. - sospiro, sentendomi per la milionesima volta in colpa, prima di riprendere a camminare e superarla - Però Camus... pensate anche un po' a lui, poveraccio, per poco non si ammazzava per me, ora volete allontanarvi pure voi, per il sacro dovere di scoprire il vostro potere, d'accordo, ma dubito che il Santuario se la faccia andare bene."

"Lo sappiamo, ma correremo il rischio. - mi risponde lei, risoluta, seguendomi a breve distanza fino all'imbocco del corridoio del piano superiore - Come dicevo prima, abbiamo perso fin troppo tempo, la guerra è alle porte e, senza la consapevolezza sui nostri poteri, non saremmo altro che un peso!"

Rifletto tra me e me, avanzando senza esitazione tra le luci soffuse verso la camera di Michela. Hanno ragione anche loro, le capisco, ma continuo a pensare che non sia una buona idea, né per loro, né per il maestro, né per nessun altro.

"Camus si preoccuperà per voi, Fra..."

"Non ci conosce che appena!" ribatte lei, non del tutto sicura della mia affermazione.

"Non vi conoscerà che appena, ma dovresti averlo un minimo capito in questi giorni. Ha un cuore grande, grandissimo, ed è profondamente emotivo, anche se tende a nasconderlo sotto una spessa scorza di ghiaccio. Nondimeno, siete una sua responsabilità, vi ha preso a cuore come sue allieve, sapere che vi siete allontanate per imparare da sole gli farà male, e non poco."

"..."

A questo punto, arrivata davanti all'entrata della camera di Michela mi fermo, voltando la testa verso di lei: "Non lo credi?"

"Non so cosa credo, sei tu che sembri conoscerlo meglio di tutti i Cavalieri messi assieme."

"Oh, ehm... - mi poso una mano dietro la nuca, l'imbarazzo a mille - N-non volevo dire che..."

“Ad ogni modo, lasceremo a te e Sonia l'arduo compito di tranquillizzarlo, di dirgli che non siamo fuggite e che ci siamo solo recate ad allenarci per apprendere, finalmente, i nostri poteri per poter essere d'aiuto in questa guerra."

“Eh, certo, Fra, così, bel belle, passate la patata bollente a noi, che saremo le due costrette a beccarci la sua ramanzina senza...”

Sono già tutta pronta ad elencare dei validi motivi per non farlo. Sappiamo tutte come è finita l'ultima volta che abbiamo, anzi, che HO fatto di testa mia, ma l'entrare nella camera di Michela senza bussare, aprendo semplicemente la porta senza sbatterla, mi blocca completamente.

Lo stesso succede a Francesca che, affiancandomi, per poi spalancare la bocca a vuoto, muta la sua espressione, nell'arco di più o meno un secondo, da sorpresa a indignata nell'esatto momento in cui capisce ciò che sta accadendo.

Decisamente è buona educazione bussare prima di entrare, per vari motivi. Ma questo... chi si aspettava questo?!

La nostra amica, infatti, è semisdraiata sul letto, la mano destra appoggiata delicatamente su una guancia, quella di Hyoga, la sinistra intenta a trattenere il tessuto della sua maglietta tra le dita, quasi come se lo avesse sospinto verso di sé per vincere una reticenza data probabilmente dall'imbarazzo di quest'ultimo. Entrambi si... stanno baciando con notevole ardimento!

Imporporo, mi passo varie volte le dita sul viso, in evidente stato di disagio, prendendo poi a gesticolare in direzione di Francesca -la quale, escluso un primo momento di imbarazzo, sembra pesantemente infastidita- per capire come muovermi, se uscire, richiamarli, fare finta di non aver visto niente o interromperli sul più bello.

Fra l'altro, nessuno dei due si è accorto di noi, così intenti a, ehm, approfondire il bacio; chiusi nel loro mondo così come chiuse sono le loro palpebre. E' evidente che abbia iniziato Michela, deve averlo proprio preso, spinto verso di sé, per baciarlo, ma Hyoga, le cui braccia muscolose sono una a sorreggerla da dietro la nuca e l'altra puntellata sul letto per evitare di pesarle, non è da meno. E' infatti lui il primo a dischiudere le labbra per partire all'esplorazione della sua bocca.

"F-Fra..." chiamo la mia amica sottovoce, la voglia di sparire, andarmene con discrezione, e rimuovere quello che ho appena visto, ma lei è di altro avviso.

Currugando la fronte in una manifestazione ricolma di disapprovazione, la sento tossicchiare, prima di esternare pienamente la sua voce: "Coff, coff... avete finito, o pensate di proseguire ancora per molto?! Din, don, vi comunico che ci siamo anche noi!"

Effetto immediato: i due piccioncini, dopo aver sussultato come delle molle, si staccano di scatto, completamente rossi in viso per la vergogna. Hyoga deve praticamente saltare già dal letto per evitare di sbilanciarsi, correndo in fretta e furia a sistemarsi meglio la maglietta che prima, piegata innaturalmente com'era, gli scopriva metà schiena e addome.

“B-buonsalve, ragazze!!! Qual buon vento vi porta qui in questa radiosa mattinata di luglio?!” esclama Michela, mettendosi a sedere per poi guardarci con espressione fintamente innocente e un sorriso a 32 denti.

"I traumi... - borbotto, gonfiando le gote che, da quanto le percepisco infuocate, so essere rosso papavero - che mi hai fatto venire quest'oggi nel trovarti così!" farfuglio, guardando altrove nel desiderio sempre più vivido di sparire e omettere il resto. Francesca, invece, è molto meno indulgente di me.

“Cosa succede, qui?! Passiamo direttamente dal coma etilico a limonare con il Cigno, Michela?! TI ERA STATO DETTO DI PAZIENTARE UN MINIMO PERCHE' TROPPO PREMATURO!"

"M-ma vedi, Fra, io... l-lui..."

"Io, lui... COSA, Michela?! Non ti sono bastate le lezioni precedenti? Vogliamo andare a sbattere contro il muro a 150 Km/h anche stavolta?!"

“Ma... ma Hyoga mi ha detto che mi ama!" tenta di difendersi lei, rossa in viso, portandosi una mano al petto.

Il Cavaliere del Cigno sussulta a quell'ultima parola, quasi non se lo aspettasse: "M-Michela, ho... ho detto che mi piaci e che n-non mi sei indifferente, non che... cioè, amore... è p-presto per..." gesticola, imbarazzato, con tanto di occhiata ferita che gli viene rivolta dall'altra.

"Ecco. - sospira Francesca, mettendosi, rassegnata, le mani sui fianchi per poi scuotere la testa - Un altro castello in aria!"

"F-francamente non mi sembra tanto un castello in aria. - la correggo, buttando fuori aria a mia volta, prima di osservare severamente Hyoga, il quale, all'incrociare del mio sguardo, forse sentendosi giudicato, sussulta - Ci sei andato giù... piuttosto profondamente... per essere solo un 'non mi sei indifferente'!"

"I-io è solo..."

Hyoga si gratta la testa, guarda altrove. Pare che si senta in soggezione, con me, non me lo spiego, ma cade a pennello perché voglio che gli arrivi il monito di non giocare con i sentimenti della nostra amica.

"Comunque... trattieniti almeno un minimo, Michela! - continua la ramanzina Francesca, inesorabile - Non siamo più a scuola, entra nell'ottica che devi crescere un po', e in fretta!"

"Ma..!"

"Niente scuse! Piuttosto, il Maestro Camus ti vuole giù. Ricomponiti, mettiti qualcosa di pulito e scendi, siamo in ritardo con gli allenamenti!"

Io do una veloce occhiata a Francesca, ancora con quella perenne espressione disgustata in faccia. Il suo comportamento è strano, ambiguo, oserei dire. Certo, non sarà stato il miglior spettacolo dell'universo, considerando che il bacio non era proprio casto e che noi siamo molto più introverse per natura, ma da qui a reagire così... dovrebbe conoscere Michela, è sempre stata molto, ehm, veloce ad innamorarsi di qualcuno, non è certo la prima volta che capita.

"Perché il Maestro Camus mi vuole giù?" chiede smarrita lei, posando i suoi occhi castano chiaro, tendenti al nocciola, su me che in queste circostanze sono sempre stata la più democratica.

“Non ti ricordi niente dell'altro ieri? - decido quindi di risponderle io, cercando di essere più affabile possibile - Eri completamente ubriaca e i Cavalieri d’Oro hanno dovuto fare i salti mortali per riacciuffarti. Hai persino spintonato il Maestro Camus per giocare!” le dico, franca.

“COSA?! Quando?!”Maestroooo!!!” urla di botto lei, come ravveduta, lanciandosi a capofitto dal letto per poi dirottarsi al piano di sotto così com'è, con ancora gli indumenti della notte indosso.

"Il... pigiama, uff!" sospira Francesca, andando poi verso il suo armadio per prenderle il reggiseno e il peplo.

Tutto questo mentre Hyoga si lascia andare in una sincera, quanto inaspettata, risata che lascia sorprese e sconcertante entrambe.

“E’ talmente esuberante per essere un Acquario a sua volta ed esserci solo due giorni di distanza tra noi... - ridacchia tra sé e sé il Cigno, trattenendosi la pancia nell'esprimere un concetto che gli deve essere stato riferito da poco. Michela, infatti, è nata il 25 Gennaio del 1995, lui il 23 dello stesso anno - è praticamente l'opposto di me in tutto e per tutto. Lei... lei emana questo calore così avvolgente, del tutto invincibile ed io... io ne sono come catturato!" si confida poi, del tutto cristallino, in un input di sincerità non richiesta.

"Ehm, b-bene." biascico, in vistoso disagio, mentre Francesca lo guarda -non vista- con spregio, come se avesse appena pronunciato dei turpiloqui.

"Ma di tutto, eh, voglio dire, dal suo sorriso solare a-alla sua fisicità, al suo..."

"Coff, coff... meno concretezza, però, Hyoga, per pietà!" fermo istantaneamente il suo discorso, giacché il Cigno mi sembra ben lanciato, chiedendogli così di evitare altri approfondimenti che non gradirei.

Lui, per tutta risposta, avvampa nuovamente, guarda altrove, si gratta la testa, e mai come ora mi appare come un ragazzino della sua età alle prese con la sua prima cotta adolescenziale -essendo un Cavaliere non deve avere avuto chissà quante occasioni di incontri!- un po' scemo, un po' tonto, non particolarmente un asso nel manifestare i propri sentimenti e totalmente inesperto su quel che significa approcciarsi al prossimo, in primis con l'altro sesso.

"Scu-scusate, generalmente n-non sono così!" cerca di riparare, percependosi in posizione di svantaggio.

"Siete dei ragazzini, in fondo, lei certamente più di te, e nessuno dei due conosce veramente l'altro! - interviene freddamente Francesca, prima di fare spallucce, voltarsi, e farci strada per scendere le scale senza degnarlo più di uno sguardo - Proprio per questo vi do un consiglio: cercate di volare più basso possibile, non è questo né il tempo né il modo per abbandonarsi a simili frivolezze!" conclude la sua raccomandazione, tipo pugnalata al petto, lasciando a Hyoga la sola possibilità di accusare alla ben meglio la sferzata.

Io sospiro, limitandomi a seguirla a capo chino. Come spesso accade, mi sento di condividere in gran parte la sua posizione ma, al solito, è troppo aspra su determinate questioni, me ne chiedo la ragione.

Arrivati già in cucina in fila indiana, la prima cosa che notiamo è Camus stancamente appoggiato sul tavolo. Con un braccio si sta sorreggendo, con l'altro prova a dare delle specie di pacche sulla spalla di Michela, la quale probabilmente, senza troppi giri di parole, deve essersi lanciata su lui per abbracciarlo, a giudicare dalla scena che si è presentata davanti ai nostri occhi.

“Michela, tranquilla, non è successo niente!” le dice intanto, continuando il suo 'pat pat' imbarazzato sulla schiena della ragazza. Ha la faccia esausta, davvero deve essersela vista dirupare addosso con la sua solita foga. E' perplesso quanto noi ancora prima di sapere cosa sia accaduto su in camera, figurarsi se glielo diranno. Spero ardentemente di no...

“No, no, no! Non volevo, Maestro, davvero... mi hanno detto che vi ho fatto del male, che vi ho spinto, siete caduto, avete sbattuto la testa e..."

"Ma veramente no, Michela! - interviene nuovamente Francesca, posando il peplo e il reggiseno sullo schienale della sedia più vicina - Rinfodera la tua fantasia, ti abbiamo detto solo che lo hai spinto, tutto qui; per il resto, anche se avessimo voluto essere più specifiche di così, tu hai preso e te ne sei..."

"Fa lo stesso! Gli ho fatto male, no?! Vi ho fatto male!" ribadisce Michela, guardando prima l'amica e poi di nuovo Camus che ha la faccia di uno che vorrebbe scomparire seduta stante.

Lo capisco e condivido in toto il suo desiderio.

"Michela... - Camus riprende parola, respira un po' più forte del normale, prima di raddrizzarsi per darsi un tono - A parte che, visti gli ultimi avvenimenti, puoi tranquillamente darmi del Tu, la tua amica Marta lo fa già".

"Davvero, Maestro?!" esclama, gli occhi che si spalancano e si illuminano, vivaci.

"Sì. E poi non angustiarti più del necessario per me. Non eri in te quando è successo. Cerca solo, ecco, di non ripeterlo più. Svagarsi ogni tanto è un conto, perdere il controllo al punto di non essere più capaci di intendere e volere è un altro e, nel nostro mondo, questo non puoi permettertelo!"

"P-però io l'ho fatto per..." Michela abbassa lo sguardo, corrucciata, delusa da sé stessa, prima di essere rinfrancata dalla mano del maestro che si posa sulla sua testa e gliela accarezza tenue.

"Le ragioni che ti hanno mossa le hai già esplicitate l'altra notte, anche se non lo ricorderai perché eri ancora stordita, non c'è bisogno di raccontarmele di nuovo. E' tutto ok adesso!" le sorride con calore, lasciandola di stucco e lasciando di stucco anche me, non ancora del tutto abituata a questo suo lato così tenero che tende a sotterrare dentro di sé.

Questo calore che è vita, sotto una profonda crosta ghiacciata impenetrabile ai più, ma non a noi. Questo miracolo che è timido a palesarsi, ma che sa sbocciare con una forza invidiabile.

"Grazie, Maestro! Sono felice di essere tua allieva... - salta su lei, tornando a stringerlo con forza, ubriaca di tutte quelle attenzioni - Ti voglio bene!"

Sorrido tra me e me, davanti a quell'ennesima manifestazione sin troppo sincera di sentimenti ed emozioni; Francesca invece scrolla platealmente la testa: "Eccola di nuovo lì, ad esprimere con perenne facilità un concetto che, invece, avrebbe bisogno di tempo per essere espresso. E' sempre la solita!"

Intanto, a seguito della sua frase così spontanea, le guance di Camus hanno assunto un leggero colorito rosato, capace di tamponare, almeno in parte, il biancore innaturale che non sembra volergli concedere alcuna requie.

“Ehm, g-grazie, Michela... p-però, forse, è un po' presto per dirlo. Comunque anche io sono contento di avervi avute come allieve.” risponde lui dopo un po', cercando di scrollarsi via -invano- l'imbarazzo che ormai lo permea.

Li guardo sempre sorridente, decidendo di rimanere in disparte per godermi la scena. E' una immagine molto tenera e delicata, così come delicato mi appare Camus in questi giorni. Come Hyoga, che ha evidentemente preso tutto dal maestro, non palesa facilmente le sue emozioni e sentimenti, eppure, se ben lo si osserva, esse si scorgono dai suoi occhi e dai suoi gesti, prima ancora che dalle sue espressioni forzatamente trattenute.

Anche io... anche io sono veramente felice di averlo come maestro. Vorrei solo essere in grado di esprimerlo come fa la mia amica.

Ad ogni modo, il discorso potrebbe tranquillamente concludersi qui e noi tutti tornare al tanto nominato addestramento se, proprio Michela -lo capisco dall'espressione furbina- non decidesse di metterci la ciliegina sulla torta:

“Amore mio, guardalo, guarda il maestro! Arrossisce come te, ha molto di te, sai?"

Kaput! Fine dei giochi. E di nuovo l'imbarazzo dilaga.

Camus non capisce subito a chi si sta rivolgendo con quel appellattivo altisonante, ma il voltarsi della testa di Michela in direzione del Cigno che -lo vedo- vorrebbe sparire subitaneamente dalla circolazione, più di me prima, gli da elementi sufficienti per comprendere. Sfortunatamente.

"A-amore mio?! Ma cos..?!"

Hyoga non ha così più alcuna via di fuga. Lo sa lui. Lo sappiamo anche noi che possiamo solo scoccargli un'occhiata di pietà.

"Ehm, s-sì... è una caratteristica che ci accomuna, questa, l-la riservatezza e-ehm, coff!" prova a rispondere, prima di impappinarsi a metà e prendere a ridere da solo perché, poverino, ora oltre a desiderare di avere il potere di smaterializzarsi, vorrebbe pure, con ogni probabilità, scavarsi la fossa da solo.

Francesca ed io ci guardiamo nuovamente, strofinandoci platealmente la fronte, imbarazzate per entrambi. Michela non ha imparato la lezione Luigi, né quella di Paolo, né di nessun altro, agisce d'istinto e si innamora di getto, ma Hyoga sembra cotto quanto lei, anche se è restio a mostrarlo in pubblico. Eh, sì, che la nostra vita si regge su un fragile equilibrio e che è giusto assaporare ogni più piccolo istante, ma qui stiamo oltrepassando la logica e neanche di poco!

“M-mi mi sono perso qualche passaggio in questi due giorni, Hyoga?! - palesa maggiormente il proprio turbamento Camus, strabuzzando gli occhi - Da quando... da quando state insieme?!”

"I-io n-noi n-non... non... aaaaah!" Hyoga ha sempre più voglia eclissarsi, si vede, annaspa nervoso, non riuscendo minimamente a sorreggere lo sguardo interrogativo del mentore.

E' di nuovo Michela a prendere infaustamente in mano la situazione, allontanandosi da Camus per poi prendere sotto braccio Hyoga, il quale, pur volendo scappare, non si oppone, non più.

E direi, per Giove, tanto peggio di così non gli può andare!

"Ci siamo messi insieme esattamente da stamattina, maestro, vero amor mio?!" proclama a viva voce, guardandoci uno a uno.

"P-più o meno, sì..."

"Come più o meno?! Non eri così timidone stamattina quando mi baciavi con passione! - schiamazza, schioccandogli con energia un nuovo bacio sulla guancia - Su, dillo anche tu!"

"..."

"Ehi, ma ci sei? Sembri un peperone, e..."

"Michela! - intervengo io per compassione nei confronti del Cigno, avvicinandomi a loro per poi fare il segno di tagliare - Piantala! Lo stai mettendo in estremo imbarazzo davanti a colui che, molto probabilmente, considera come un padre!" la avverto, sentendomi di colpo protettiva più verso di lui che non verso di lei. E questo non è da me.

"Io volevo solo..."

Michela ci rimane talmente male che molla la presa, indietreggiando di un passo.

"E, oltre a questo, stai mettendo a disagio tutti noi. Per carità, poni fine a questo siparietto!" mi fa eco Francesca, più dura di me. E stavolta ha pienamente ragione ad esserlo.

A questo punto Camus, parzialmente ripresosi dallo shock, ricerca lo sguardo diretto dell'allievo, che tuttavia ha preso a fissare insistentemente il muro. Solo dopo una serie interminabile di secondi, percependolo, il Cigno torna su di lui, sebbene con estrema difficoltà. Passa qualcosa tra loro, l'espressione di Camus si fa interrogativa, come a chiedere una tacita conferma che Hyoga riesce infine a dare con un cenno del capo, pur nella strana piega delle sue labbra e nel rossore sempre più avvolgente delle sue guance.

Silenzio. Nessuno dei due riesce più a spiccicare parola, chiusi entrambi in un mutismo paradossale. E, forse per la prima volta, pur percependo distintamente il bene che si vogliono, vedo, senza margine di errore, la paurosa voragine di incomprensione che deve aleggiare tra loro ormai da diversi anni.

"Se pensi che ciò ti possa far star bene..." mormora infine Camus, arrossendo a sua volta nel guardare altrove. E' imbarazzato più dell'allievo a trattare di questo determinato argomento, probabilmente neanche avrebbe voluto saperlo.

"Sì, lo penso!"

"Sei sicuro che non sia troppo prematuro? Ci reggiamo su un fragile equilibrio, Hyoga..."

"Ne sono consapevole e no, stavolta non reprimerò le mie emozioni. Sono abbastanza grande da decidere da me, non trovate?!"

Percepisco un velo di accusa nelle sue parole, infatti Camus subisce la sferzata senza opporsi, allontanandosi da lui con fare piuttosto indifferente quando è palese che stia prendendo le distanze per un qualcosa di simile all'autotutela... forse...

"Se non inficierà con i tuoi obblighi nei confronti di Atena, non ho motivo di oppormi, Hyoga."

A queste parole, l'espressione di Hyoga si incrina fin quasi a traboccare. Stringe di riflesso i pugni, prima di voltarsi e dare la schiena a tutti noi: "Vi ringrazio. Ora, con permesso, vado a prepararmi per gli allenamenti."

E sparisce, lasciando Michela così, su due piedi, me e Francesca a scambiarci occhiate inequivocabili e Camus a guardare altrove, lontano dalla nostra presenza, in paurosa difficoltà ad esprimersi più di quanto abbia già fatto.

"Se questa è, ancora una volta, la strada che hai scelto, ti faccio i miei migliori auguri... figliolo!" riesce infine a dire, in tono flebile e appena percettibile, prima di indossare interamente i panni del maestro e raccomandarci di preparaci in fretta per riprendere l'addestramento lasciato per troppo tempo in sospeso.

 

*****

 

10 luglio 2011, pomeriggio

 

Durante la pausa pranzo, Camus ci ha permesso di mangiare per conto nostro ad Atene. Michela e Francesca ne hanno quindi approfittato per allontanarsi nel bosco vicino al Grande Tempio, proprio come la più grande mi aveva accennato in mattinata. Non so che cosa abbiano in mente e, a dirla tutta, non sono nemmeno d'accordo sul fatto che spariscano così, ma del resto Francesca è più che maggiorenne, ed io non sono nelle condizioni di poter obiettare, dopo i guai causati a Camus.

A me e a Sonia quindi l’arduo compito di mascherare il più possibile questa fuga, anche la più piccola ha ricevuto istruzioni... speriamo bene!

“Pensavo... certo che le tue amiche sono una l'opposto dell'altro, eh!” mi dice proprio Sonia ad un certo punto, esternando i suoi pensieri, mentre saliamo lentamente le scale, contornate da rose decorative ai margini, che dividono la dodicesima dalla tredicesima casa.

“Che intendi?” le domando, voltandomi nella sua direzione, un poco guardinga.

“Beh, una, complice anche l'essere più grande, tende a mantenere le distanze, da poca confidenza al prossimo e, a volte, sembra proprio su un altro piano, rispetto a noi, non so se mi intendi."

Guardo distrattamente il cielo sopra di noi, trovandomi concorde con quanto appena espresso. Conosco Francesca da molti anni e ci sono stati, da sempre, alcuni momenti in cui sembrava quasi non capire i legami affettivi, o comunque cose che per noi risultavano ovvie, tipo la morale, l'etica e le emozioni più in generale. E' sempre stata contraria alle sbandate di Michela per chicchessia, al punto da criticarla ferocemente, ma oltre a questo, che è anche giusto, pare davvero diversa da quando siamo finite qui. Ogni tanto dice mezze frasi, apparentemente prive di senso, poi ritratta e sembra di nuovo quella di sempre. Non posso dire di capirla, stavolta, non pienamente.

"L'altra, al contrario, è anche fin troppo confidente. - si lascia sfuggire Sonia, non mascherando un piccolo sbuffo nel fissare le scale davanti a sé - Voglio dire, guarda come si comporta con Camus, adesso, neanche lo conoscesse da una vita e fosse il suo migliore amico!"

“E a te, questo, da in qualche modo disturbo, Sonia?" le chiedo, con un sorrisetto nel vedere la sua espressione contrariata assumere connotati sorpresi.

"Eh? Cosa? NO! - scrolla la testa con vigoria, ma a me non sfugge il suo leggero arrossire - Non mi reca alcun fastidio!" si affretta ad aggiungere, borbottando.

Mi lascio quindi un poco andare, voltandomi interamente verso di lei e dando così la schiena alla sommità della scalinata: "Sarebbe del tutto umano. Voglio dire, noi tre siamo giunte da relativamente qui, al Santuario, abbiamo rotto gli equilibri che molto probabilmente preesistevano. Ci sta il doversi ricalibrare."

"N-non è così, Marta, i-io sono molto felice che siate arrivate voi. Prima ero sola, non avevo compagnia, invece adesso..."

"Q-quindi la domanda che ti ho posto dopo il colloquio con il Nobile Shion... è stato veramente così, per te? Hai sperimentato la solitudine?" do voce ai miei dubbi, aggrottando le sopracciglia.

"Diciamo... di sì. Cioé c'erano i Cavalieri d'Oro, d'accordo, ma non è la stessa cosa che avere ragazze della mia età, o poco più grandi."

"Capisco. - acconsento, prima di voltarmi nuovamente, bloccarmi per una serie di secondi tra un pensiero e l'altro, e girare nuovamente il capo verso di lei che, nel frattempo mi ha fiancheggiato - Tieni molto a loro, eh?"

"S-sì, tanto!" afferma lei, ricominciando a camminare accanto a me.

Esito a porre l'altro quesito che mi ronza per la testa, mi osservo una mano, poi l'altra, solo infine trovo il coraggio di esprimermi.

"Con Milo me lo hai già detto, ma con Camus che legame hai?"

"..."

E' sempre rossa in viso, la trovo graziosa e mi ispira protezione, anche se non sono molto più grande di lei.

"Perdona la mia curiosità, ti sto facendo troppe domande inopportune."

"N-non è così, mi piace parlare con te, è che... non sono molto abituata, ecco. - mi rivela, prima tornare sul discorso principale - Conosco Camus da anni ma, rispetto a Milo, è assai diverso."

"Cioè?" mi blocco tra due scalini, carpita dalla sua espressione sfuggente e dalla piega delle sue labbra. Lei fa lo stesso, a disagio. Non sa bene come proseguire.

"Beh... è un bel ragazzo!"

Sto per chiederle in quale senso, oltre a dirle che concordo, e che comunque lo è anche Milo, anche se con connotati diversi -oddio, non che la maggioranza dei Cavalieri d'Oro sia brutta, eh!- tuttavia un richiamo piuttosto famigliare dietro alle nostre spalle interrompe il dialogo.

“Sonia! Marta! Venite su senza perdere ulteriore tempo!"

"Sì, è un bel ragazzo! - bisbiglio, dandole un'occhiata indicativa, prima di farmi sfuggire una pernacchia con la bocca - Ma è anche una grandissima gatta da pelare!"

Anche lei se la ride, convenendo con me con un cenno della testa.

Finalmente arriviamo su, ci sono tutti i Cavalieri d'Oro con le rispettive armature in adunata, devono aver finito da poco di discutere tra loro. Li osservo uno ad uno, posti ancora in semi-cerchio ognuno con il proprio gruppetto di fiducia. In fondo, mi sto abituando alla loro presenza e regalia e, sì, non sono solita a fare apprezzamenti sul genere maschile, ma è proprio vero che sono uno più bello dell'altro... più o meno!

Camus ci osserva ancora per qualche secondo in una espressione indecifrabile, come se si aspettasse qualcuno che non arriva. Io non comprendo subito cosa succeda, ma mi accorgo ben presto che le espressioni facciali di tutti i ragazzi tradiscono una certa tensione -cosa di cui si accorge anche Sonia, perché avverto che si irrigidisce!- sto per chiedere delucidazioni, ma è di nuovo la voce del maestro a interrompermi.

"Michela e Francesca stanno facendo un sonnellino?! Hanno dimenticato che dovevano venire qui?"

Sbianco, non posso fare altrimenti. Guardo Sonia, lei guarda me. Io apro bocca, la richiudo senza proferire rumore, lei fa altrettanto, a corto di parole.

Michela e Francesca, è vero... dovevamo coprirle, oh merda!

"Ehm, ehm dunque..."

"Dunque cosa, Marta?!"

Camus si è avvicinato a noi con passi un poco pesanti e sguardo irreprensibile; avverto anche gli altri Cavalieri d'Oro chiudersi su noi, sempre più tesi. Mi sento quasi soffocare.

“Loro... loro sono...” balbetta Sonia, cercando di farsi venire in mente qualcosa.

“...In bagno!” concludo io, alzando la voce per renderlo più convincente. La faccia di Camus mi fa già capire di aver detto la mia prima castroneria in questa farsa.

“Sono insieme in bagno? Quale bagno?!” indaga infatti lui, già sospettoso, inarcando un sopracciglio.

“Uh! Uh! Prevedo una sfuriata fra breve, non voglio proprio perdermela! - commenta intanto Death Mask, sghignazzando nell'orecchio di Aphrodite - Secondo me, anche queste si sono date alla macchia, non..."

"DEATH MASK, TACI!"

"S-SISSIGNORE!" trasalisce per tutta risposta Cancer, accorgendosi che c'è ben poco da scherzare con il compagno d'armi già così palesemente innervosito.

Camus, infatti, dopo averlo fulminato con lo sguardo e aver ringhiato nella sua direzione, torna su di me, facendomi accapponare dalla paura.

"Spiegami MEGLIO questa uscita, Marta!"

In verità, si sarebbe fatto prima a dire che si trovavamo nel bagno dell'undicesima casa, ma il nostro tentennare a reso poco credibile tutto il resto. E' lampante non se la sia bevuta, ma devo comunque continuare a provarci.

"S-sono in bagno, come ti ho detto." insisto, ancora meno convincente di prima.

"CHE bagno?"

"Q- quello dell'undicesima casa; casa nostra... vostra, cioè, tua, e... erk!"

"E non potevate dirmelo subito senza quel cambio di sguardi, quel balbettare, quel..."

"..."

Abbassiamo lo sguardo, colpevoli. Ormai è andata come è andata, abbiamo naufragato ancora prima di salpare, per così dire.

Camus sospira, raduna tutta la sua -sacra!- pazienza, si toglie l'elmo dell'armatura d'oro, rabbocca aria, chiudendo gli occhi per poi riaprirli.

“Vi rifaccio la domanda... dove sono REALMENTE Michela e Francesca?!” la sua voce è sempre bassa, le parole sembrano uscire appena dalla sua bocca, ma so che non è un buon segno. Tra l'altro, adopera un tono a metà strada tra l'avvertimento e il pungente, come a sottintendere che sarebbe meglio se svuotassimo il sacco senza altre cerimonie.

Rimango in silenzio e così fa Sonia, non ho il coraggio di dire la verità, soprattutto pensando alle conseguenze, ma la piega del sopracciglio di Camus si acuisce, facendomi presagire che...

”DOVE DIAVOLO SONO ANDATE MICHELA E FRANCESCA, POTETE RISPONDERMI?!?”

...che si è paurosamente incazzato!

Osservo di sottecchi Sonia, anche lei è mortificata quanto me, senza avere il coraggio di pronunciarsi. L'intervento di Mu, che si avvicina a noi con andatura leggera, è propizio per lo sblocco della situazione.

“Coraggio, parlate, credetemi, è meglio per tutti sapere dove si siano recate, per la loro stessa incolumità. Le state coprendo come farebbero delle vere amiche, ma siamo in una situazione di pericolo, il tempo è prezioso!” ci sprona gentilmente l'Ariete d'Oro.

"Che... che significa?" chiedo, trattenendo il fiato nello scoccare una occhiata a Camus.

"Sei tu che lo devi dire a me, Marta." mi dice, piuttosto freddamente, più per il nervoso che sta provando in questa situazione che non per me.

Non una ulteriore specificazione circa il mio quesito, ma io traduco il suo modo di fare, la stessa rigidità dei suoi muscoli che si percepiscono sotto l'elegante corazza del suo segno, con una sola parola: pericolo!

“Lo-loro, a quanto pare, sono andate nel bosco qua vicino per scoprire il proprio potere.” rivela alla fine Sonia, buttando fuori aria.

"SONIA!" la richiamo, con una nota di rimprovero. Lei discosta lo sguardo, ora sfuggente.

"Dovevo dirlo, Marta. - mi spiega, irrigidendosi notevolmente - I Cavalieri d'Oro si sono riuniti in seduta di emergenza. Deve essere successo qualcosa!"

"CHE COSA?!"

Guardo con insistenza gli astanti, i cui visi sono perennemente contratti dalla tensione. Questo qualcosa di sconosciuto... ora attanaglia anche me! Nello stesso momento, anche Camus butta fuori aria, esasperato, come se i suoi dubbi fossero diventati realtà.

"Siete delle ingenue, tutte e tre, non avete proprio compreso la situazione!" esclama, sconfortato, voltandosi dall'altra parte con un movimento brusco.

“Camus, sai che questa volta non posso chiudere un occhio.” mormora invece Shion, guardandolo mestamente. Un brivido mi percorre la schiena fino a diventare un impercettibile formicolio nelle gambe. Ingoio a vuoto.

“Lo so, mio Signore, ma vi prego, datemi il tempo di trovarle. La situazione è molto grave, urge recuperarle nel più breve tempo possibile!” sussurra Camus, inginocchiandosi e abbassando il capo in segno di rispetto.

“Vengo con te!”

“No, Milo, sono le mie allieve, hanno disobbedito a me e sarò io ad andarle a prendere"

"MA!"

"Non c'è altro tempo da perdere! Voi state qui, organizzatevi. Io vado, le recupero, e torno. - lo ferma nuovamente Camus, alzandosi in piedi per poi tornare a guardarci gravemente in viso - Voi due, invec..."

"Noi veniamo con te!" taglia corto Sonia, frapponendosi in fretta tra lui e le scalinate.

"E' pericoloso, il nemico è nelle vicinanze, meglio per voi se..."

"NO! - ripete Sonia, alzando il tono di voce e attirando il mio sguardo stupito nel vedere come riesce a tenergli testa - Niente da fare, Camus, Marta ed io veniamo, possiamo esserti utili!"

"Mi sareste più utili se rimaneste qui, fuori dai guai, che già devo recuperare le altre due, mi ci mancate..."

"Abbiamo visto com'è finita l'ultima in cui hai voluto andare da solo! - afferma ancora lei, riuscendo perfino ad ammutolirlo - Milo ti asseconderebbe sempre, Camus, ma io NO!"

"..."

Seguo il loro dialogo con attenzione, basita, incredula, costernata. Sonia ha abbassato lo sguardo a terra, ha chiuso le mani a pugno, mentre Camus, quasi colpito nel segno, la guarda, l'espressione vagamente colpevole.

"Non voglio più assecondarti... se ciò vuol dire lasciarti andare! - specifica ulteriormente la ragazza, trovando la forza di contraccambiare il suo sguardo, gli occhi lucidi e nuovamente soggiogati da quell'ombra che gli avevo scorto l'altro giorno - Per cui... niente storie, stavolta sarai accompagnato!"

"Sonia, io..."

“Ha ragione, Camus. - interviene il Grande Sacerdote, guardandolo con solennità - Recati sul luogo con Marta e Sonia, per la prima è facile rintracciare le sue amiche, fa parte delle sue abilità, mentre la seconda non è di certo alle prime armi!"

"...Come desiderate!" si arrende Camus, pur lasciando trasparire un'occhiata di biasimo in direzione della massima autorità del Santuario.

"Mi raccomando trova Michela e Francesca prima che il nemico le rintracci. Come hai detto tu stesso, il tempo ci è contro!”

"Sarà fatto. Con il vostro permesso..." china un poco il capo, prima di muovere i primi passi per scendere le scale, seguito a ruota da me e Sonia.

Dovrei solo che tacere, lo so, ma mi sento così in colpa, prostrata, che ho bisogno di spiegarmi.

"Maestro, hanno disobbedito perché volevano scoprire il loro potere!" rivelo, difendendole come posso.

"..."

Non mi risponde e neanche si gira, ciò non mi impedisce di continuare.

"Si sentivano inutili, non lo riuscivano più a sopportare. - insisto, accelerando il passo dietro di lui per riuscire a stargli dietro - Non prendertela con loro, ti prego, ma con me, sono io... sono io che..."

...che volevo proprio scappare, andarmene da qui, costringendo così te a seguirmi, a rimediare quelle ferite al petto che per poco non ti uccidevano.

Vorrei dirgli, con tutto il fiato che ho, ma il suo voltarsi verso di me e posarmi inaspettatamente il palmo della mano sulla testa, tra i capelli, blocca ogni mio intento.

"Marta... - pronuncia il mio nome come una carezza, quasi brezza leggera, mentre, voltandosi, mi accenna un sorriso, per quanto tirato - E Sonia!"

Cerca anche il suo sguardo nel chiamarci, mentre la più piccola, affiancandomi, rimane ritta in piedi a guardarlo con ammirazione.

"Non sono arrabbiato e nemmeno deluso. E' comprensibile che, a questo punto della guerra, Michela e Francesca abbiano voluto tentare il tutto e per tutto per scoprire il loro potere. - ci rassicura, riprendendo a camminare seguito da noi - Ma è necessario che capiate che ogni azione provoca determinate conseguenze, a maggior ragione in un luogo austero come questo!"

Non so bene cosa vorrebbe dirci, stargli dietro è difficile, quasi impossibile, per me. A stento riesco a seguirlo, perché i suoi passi sono ampie e sicuri, ma capisco che vuole che rimaniamo tranquille, perché ci penserà lui a proteggerci e a proteggerle. Ed io lo so che lo farà, con tutto sé stesso, ancora una volta, ed è proprio per questo che sono così spaventata.

Lo osservo ammirata e un po' frastornata: la sua schiena solida e sicura, coronata da quella cascata di capelli blu... vorrei davvero essere come lui, ma ora più di prima mi appare come una montagna la cui sommità è insormontabile!

 

******

 

Il bosco vicino al Grande Tempio non ha davvero nulla a che vedere con tutti gli altri visitati in vita mia.

E' silente e, ancora di più, profuma di antichità e mitologia. Qui, probabilmente, complice la barriera della dea, in ben pochi si sono avventurati, tutti Cavalieri o comunque gente che aveva sviluppato un cosmo; persone che ci hanno preceduto e che hanno camminato su questa Terra prima di noi in tempi antichi o più recenti... uomini che sono già morti, probabilmente, nella volontà di creare qualcosa di perpetuo per noi generazione future... senza che noi neanche sapessimo della loro esistenza!

Mi da comunque un senso di vuoto questo posto. Non un alito di vita, ad eccezione degli alberi e delle loro chiome che ondeggiano al vento. Non sono abituata a passeggiare in un bosco simile, sento tutto, le radici sotto di me, le foglie che comunicano tra loro, ma prive totalmente del cinguettio degli uccelli o del verseggiare lontano di altri animali. Concentrandomi meglio sull'ambiente, forse giusto gli insetti lo popolano, avverto a fatica le loro vibrazioni, il leggero stropiccio delle loro zampette, le antenne protese al vento nel capire quale direzione prendere. Ciò mi provoca un senso di straniamento, una sensazione eterea e ineffabile, quasi fluttuassi e non avessi alcuna capacità di direzionarmi.

Ad un certo punto, però, qualcosa cambia, il sostrato che permea le nostre teste si assottiglia in maniera simile a come era accaduto quel malaugurato giorno sulla spiaggia. Mi blocco, ancora più disorientata, e lo stesso fanno i miei compagni, visibilmente nervosi.

Cosa sta succedendo, di nuovo? Sta cambiando forse qualcosa?!

“MICHELA! FRANCESCA! Maledizione, dove siete?” la voce distorta di Camus, priva della solidità che lo contraddistingue, mi mette ancora più in allarme.

Non fiato, rimango in attesa. Lo guardo, in attesa di sue istruzioni, ma è lampante che qualcosa non gli torni, lo si capisce fin troppo bene da come si guarda attorno, indugia, e ciò non è assolutamente da lui.

"Non dovrebbe essere possibile che..."

Frase monca, senza sbocco, pronunciata con una velata preoccupazione. I suoi passi si arrestano del tutto, proprio in prossimità di dove -lo avverto con nitidezza- la barriera si riduce fino a scomparire. Rabbrividisco nel cominciare a comprendere.

"Camus... - è la voce di Sonia a manifestarsi, la ragazza si affianca, trepidante, al Cavaliere - Sono andate oltre, vero?"

Sono... andate... oltre.

Realizzo del tutto la portata di questa affermazione solo l'istante successivo.

"..."

Camus non dice nulla, si limita a voltarsi verso di noi, le labbra piegate in una espressione a stento trattenuta.

"Non dovrebbero esserne nemmeno capaci! Come possono aver superato la barriera della Dea Atena con così tanta facilità?!" continua Sonia, in evidente stato di allarme.

"Quindi è come pensavo, ci troviamo in una zona limare, oltre c'è il mondo ordinario. - intervengo io, in un fremito, sia per l'emozione di trovarmi nuovamente al confine, sia per l'agitazione crescente che nutro verso le mie amiche - Il mondo da cui proveniamo!"

"Marta, ho bisogno che tu mi risponda a questa domanda... - si schiarisce la voce Camus, guardandomi dritto negli occhi nel cercare di recuperare la sua solita compostezza - Quel giorno sulla spiaggia, tu... eri molto vicina alla barriera, presumo che te ne sia accorta."

"Sì..."

"Hai tentato di varcarla?"

"Volevo farlo, sì. - ammetto, a disagio, ancora fin troppo chiare nella mia mente le immagini di quella scellerata decisione - Ma il nemico mi ha attaccato prima."

"E successivamente ne hai parlato a Michela o Francesca? Voglio dire, avete avuto modo di discuterne tra voi per..."

E' in difficoltà e non sa bene come esprimersi, ormai ho imparato a conoscere quella sua espressione, quel mordersi le labbra nell'incaponirsi per trovare le parole più adatte in modo di evitare di essere frainteso. E ormai ho capito anche dove vuole andare a parare.

"Maestro, - trancio infatti il discorso, guardandolo a mia volta negli occhi nell'alleggerire la mia espressione per fargli capire che non ho frainteso e che comunque il suo dubbio è lecito - i miei propositi di fuga sono tramontati quello stesso giorno, come ho già avuto modo di dirti... alle mie amiche non ho fatto parola della barriera di Atena, non più di quello che ci hai raccontato tu."

"Ne sono... lieto!" sembra rilassarsi un poco, chiudendo appena gli occhi e distendendo leggermente i muscoli.

"Ma rimane il fatto, Marta, che, anche se non sei stata tu, una delle due tra Michela e Francesca deve aver saputo, o trovato il modo, per oltrepassare la barriera della dea senza permesso!" rompe gli indugi Sonia, esplicitando quel 'ma' che si presagiva già nell'aria.

"Che cosa?!" esclamo, basita, rabbrividendo ulteriormente alla sua affermazione. Torno con lo sguardo su Camus, trovandovi, però, solo la sua schiena e le sue spalle.

"E' come dice Sonia." afferma solo, in tono fermo, vicino e distante al tempo stesso.

"Q-questo è impossibile, no, sono finite in questo mondo insieme a me, non potrebbero in nessun caso... - fremo, sempre più incredula, guardandomi i piedi - saperlo!"

Sonia si avvicina a me, mi posa fraternamente una mano sulla spalla: "Eppure dagli indizi che abbiamo..."

"NO!" ribatto, ancora più decisa, allontanandomi di getto da lei per osservarla con ostilità.

Stanno dicendo che sospettano di una delle mie amiche?! Che credono veramente che una delle due... NO, dannazione!

Vorrei scappare da loro, trovarle prima io per dimostrare che stanno dicendo solo castronerie, che probabilmente si tratta di un errore e che le loro accuse sono infondate, ma la presenza di Camus, improvvisamente dietro di noi, e la conseguente presa su di me e Sonia, non mi lascia né il tempo né lo spazio per agire.

"Non è il momento per tergiversare, questo, la priorità è raggiungerle. - afferma, risoluto, stringendoci da sotto le ascelle con fermezza - Per cui..."

In un bagliore dorato siamo catapultate fuori. Chiudo di riflesso gli occhi nel tentare di reggere la spiacevole sensazione che mi provoca il salto spaziale. I miei piedi toccano di nuovo terra. Annaspo. E, così, all'improvviso, i miei sensi vengono trapanati dalla manifestazione di altre 100, 1000 vite che qui fuori, oltre la barriera di Atena che attenua tutto, hanno continuato a vivere indipendentemente dal fatto che noi siamo state strappate da questa realtà.

"MICHELA! FRANCESCA!"

Il richiamo di Camus mi spinge a riaprire gli occhi. Devo sbattere un paio di volte le palpebre prima di riuscire a mettere a fuoco le due figure poco distanti da noi, girate di spalle, ma vederle mi risolleva il cuore.

“Grazie al cielo!” grido, felice, facendo per correre loro incontro, se Camus non mi afferrasse immediatamente per il braccio.

KRA-KOOOOM!!!

Un tuono improvviso ci assorda, per qualche istante, i timpani, rischiando di farci cadere a terra. D'istinto, sebbene voglia andare avanti e raggiungere le mie amiche, mi rannicchio contro di lui, spaventata. Non ho comunque il tempo di fare molto altro perché... la terra, dopo un altro rombo un po' meno intenso, inizia a tremare!

"Camus! Marta!"

Sonia si posiziona, di riflesso, avanti a noi, recettiva e pronta all'intervento, mettendo, di fatto, ancora più in allarme Camus che, dopo avermi circondato con le braccia in una sorta di stretta rinfrancante, si concentra su lei.

"Prudenza, Sonia! Il nemico è..."

"Lo so." chiude la questione la ragazza, iniziando allo stesso tempo a bruciare il cosmo.

Contrariamente a loro, io non sto capendo cosa sta succedendo. Sono frastornata, sto in piedi a fatica e solo perché mi sta tenendo il maestro, ma la voce di Francesca, che si eleva fra noi con una tonalità che non le avevo mai udito, mi arriva forte e chiara.

“Fatti vedere, intanto so già chi sei!

Il tremore sotto i nostri piedi cessa momentaneamente, permettendomi di raddrizzarmi quanto basta per osservare la scena nella sua interezza e allontanarmi di due passi da Camus. Ingoio a vuoto, più disorientata di prima.

Francesca è esattamente davanti a Michela, con un braccio, sebbene di costituzione nettamente più esile, le indica di indietreggiare, con l'altro, elevato davanti a sé, la mano semi-aperta che, inspiegabilmente, scoppietta come se si trattasse di un cavo dell'alta tensione, fa cenno a qualcuno, una qualche entità che non percepisco, di palesarsi qui davanti a noi.

"F-Fra, ma cosa..?!" tenta di ricevere spiegazioni la più piccola, confusa almeno quanto me.

"Sssssssh, non adesso! - la fa tacere, un poco bruscamente, prima di alzare nuovamente la voce - Allora, pensi di uscire fuori o devo estrarti io?! Non ti ricordavo così pavido!"

“Uh! Uh! Che piacere rivederti, Francesca, è da tempo che non ci vediamo!”

Improvvisamente una voce rimbomba nel fitto del bosco, sembra dappertutto e in nessun posto nello stesso momento, e, nell'attimo stesso in cui un nuovo fulmine colpisce una innocua roverella poco distante -sussulto di conseguenza nel vederla prendere fuoco!- si materializza una figura alta e possente, avvolta da un mantello rosso e giallo che nasconde quasi completamente la tunica greca sottostante.

"Sei diventata brava a celare la tua aura e a mischiarla tra gli umani, non lo credevo, sai?" aggiunge poi, familiarmente, come se l'avesse sempre conosciuta.

Francesca ghigna di conseguenza, con un rapido scatto si posiziona frontale a lui, in modo da frapporsi tra l'entità misteriosa e noi: "Il piacere è tutto tuo, 'zio' Apollo, mentre per l'aura... si imparano molte cose a scendere dall'Olimpo, tu probabilmente neanche immagini quante!" afferma, risoluta, alzando nuovamente il braccio destro che emana quelle specie di scintille inspiegabili. O meglio, la spiegazione delle quali io... non la voglio nemmeno accettare!

Rimango semplicemente ferma, svuotata, a osservare la scena davanti a me, della mia amica che produce elettricità dalla mano come se lo avesse sempre fatto, e di un dio dai capelli rossi e crespi che ci sbeffeggia a suon di risate.

"Hai ragione, non lo so e... non mi interessa neanche saperlo! Io sono un Immortale!!!" si proclama, aprendosi il mantello al vento per consentire al fuoco che divampa poco distante di schiarigli il viso arcigno, anche se incommensurabilmente bello.

"Grrr..." Francesca si piega sulle gambe, per un istante ho come la sensazione che lo voglia attaccare -follia!!!- ma la voce di Michela dietro di sé la ferma propositi.

“Hai... hai detto Apollo, il dio?! Come è possibile, Fra?! Come puoi conoscerlo?!?” ulula la nostra amica, sempre più spaventata dagli avvenimenti circostanti.

Francesca esita, la vedo titubare, scambiando un'occhiata incerta con lei e poi con noi dietro, che stiamo subendo tutto questo senza avere la minima capacità di opporci.

E' tutto così strano, assurdo... non riesco a pensare ad altro. Non riesco ad accettare... che Sonia e Camus avessero ragione!

“Ah, ma guarda un po', non hai rivelato niente alle tue amichette per tutti questi anni?! Eppure è da un po' che vi conoscete, dico male? Certo, agli occhi di un dio le loro vite sono poco più importanti di quelle di una efimera, ma..."

"TACI!" lo zittisce, ringhiando nella sua direzione mentre le scintille della sua mano prendono a scoppiettare con maggiore intensità.

Portando così anche me e molto probabilmente Michela a distinguere, per la prima volta, il suo reale cosmo. Mi... tremano le gambe!

"Anche sentimentali siamo diventate... puah! - la schernisce per tutta risposta il dio, con spregio - Ti basta davvero così poco per sbloccare il 30% del tuo potere, il nominare la limitatezza della vita delle tue amiche?! Devo ammettere che ti sei rammollita, Francesca!"

"..."

"Quando pensavi di dirglielo?"

“Ogni cosa a suo tempo. Tu, piuttosto, fai parte del Grande Patto, vero? Sei qui per LORO, no?!” risponde lei in tono tagliente, affatto intimorita.

Io le rivolgo un ulteriore sguardo, sebbene lei non mi veda, misto tra lo sorpreso, lo sconvolto e il deluso. Le gambe continuano a tremare, non capisco neanche più per cosa.

“Acuta, non c’è che dire! - conferma il dio, in un'altra, mezza, risata - Capisci quindi bene che mi servono, per cui... che ne dici di consegnarmele?!"

Non capisco subito l'affermazione espressa, così svuotata come sono, percepisco solo che sia Camus che Sonia, vicino a me, si sono messi ancora più in guardia, come pronti a reagire in nostra difesa al minimo cenno di pericolo.

Perché... il dio vuole noi?! E' in combutta con gli altri due che ci hanno attaccati prima, Hades e Ares?! Come è possibile?! Non è forse il dio delle Arti, del Sole, figlio di Zeus e Latona?! Non dovrebbe quindi essere alleato di Atena?!

“Sono mie amiche, preferisco morire che lasciarle nelle tue mani! Piuttosto, che ne diresti di fare dietrofront e andartene? O vuoi subire la mia collera? D'altronde, non sei mai stato troppo forte in battaglia, Apollo!” lo irride a sua volta Francesca, sicura di sé.

“Peccato, veramente un peccato! In quanto 'di famiglia' volevo concederti almeno una possibilità, non mi piacciono le guerre tra consanguinei..."

"Spiacente. Declino l'offerta e vado avanti!" ribatte lei, con lo stesso tono di prima.

"In tal caso, non mi lasci alternativa..." sospira, fintamente dispiaciuto, prima di voltarsi verso di noi e puntare i suoi occhi di ghiaccio in direzione di Michela.

Ho appena il tempo di percepire l'immane sensazione di pericolo in cui versa la nostra amica, che vedo il dio alzare il braccio sinistro sopra di sé. Non quantifico subito la portata el suo gesto, non prima di essere accecata da un flash improvviso che ferisce gli occhi e sentire, nel vento in fuga, Francesca urlare con tutte le sue forze.

"La Folgore no, pezzo di merda!!!"

Un attimo dopo, avverto la terra tremare più violentemente di prima: una serie di boati ripetuti, che riecheggiano tutt'intorno con intensità crescente, mi costringono ad accartocciarmi su me stessa.

L'aria sta, letteralmente, implodendo su sé stessa!

KABOOOOOM!!!

Vengo proiettata indietro da una forza inarrestabile, non ho nemmeno il tempo di capacitarmene, né di proteggermi, che avverto uno strappo muscolare fulmineo partire dal centro dell'addome e dilagare in direzione delle braccia.

Urlerei, se il dolore così netto e invasivo non mi avesse privato del respiro, se l'esplosione non mi rendesse sorda per alcuni istanti.

"...RTA!"

Qualcuno deve aver gridato il mio nome, mi sembra di mulinare su me stessa, prima di avvertire distintamente le mani di qualcuno afferrarmi dalla vita.

Buio. Per quello che sembra l'infinito e, insieme, un respiro di tempo. Dolore lancinante alla testa, quasi come se fosse spaccata in due.

"A-arf, arf..."

Attimi di calma apparente, quasi salvifica, poi... una sensazione di caldo eccessivo mi brucia la pelle, i miei polmoni sussultano più volte, contorcendosi alla ricerca di ossigeno. Mi rendo conto di essere sdraiata sul terreno umido, potrei respirare ora, sento di averne la facoltà, ma... l'aria è calda, bollente, fa male. Dentro.

Mi convinco quindi ad aprire gli occhi che cominciano immediatamente a bruciare e lacrimare. Mi sento confusa, stordita. Dove... sono?

"Marta, non ti muovere, non ancora! - è la voce di prima, non riesco però a catalogarla. Percepisco solo delle mani su di me, mi piegano con cautela prima il braccio destro e poi il sinistro come a vagliare la presenza di danni. Solo dopo questo controllo, sento qualcuno prendere un profondo respiro di sollievo - Va tutto bene, non hai ferite né distorsioni, cough, cough, il tuo corpo è coriaceo quasi quanto la tua testa!" mi dice, con uno sbuffo, dandomi poi delle leggere sberlette sulla guancia per farmi recuperare pienamente le mie facoltà fisiche e mentali.

Sbatto più volte le palpebre, incamminandomi così verso la coscienza. E' tutto così... rosso... e accecante al punto di stordirmi ulteriormente. Solo circondata da... fiamme?! Vere e proprie lingue di fuoco che divampano tutto intorno a me. Trasalisco.

Il profumo di terriccio, unito alla puzza di bruciato che si fa via via sempre più forte, mi solleticano le narici, facendomi tossire come una disperata e allarmare la figura che mi sta accanto.

“Marta! Sono qui, prendi dei piccoli respiri, cerca di usare anche il diaframma. Ecco, così, brava, brevi respiri ma continui!”

"Ca... cough! Cough! - non ho quasi fiato nei polmoni, strizzo le palpebre mentre tento di metterlo a fuoco - ...mus!"

"Tra poco andrà meglio, anf, non preoccuparti!" mi dice lui, annuendo, aiutandomi a tenere un poco alzata la testa.

Riesco finalmente a distinguere i suoi immensi occhi blu, la sua mano sinistra è delicatamente appoggiata sul mio addome, l'altra tra la guancia e la nuca, il pollice mi solletica lo zigomo. A giudicare dal suo viso sporco, deve avermi protetta dall'onda d'urto.

“Tu... tu come stai?" chiedo, nuovamente in pena per le sue condizioni fisiche.

"Un po' a corto di ossigeno, anf, ma ora andrà meglio. C'è Sonia che... ci sta pensando lei!" mi delucida, sciogliendo i muscoli in una manifestazione di lieve rilassamento. Sembra molto stanco, si regge a stento, ma non si permette di cedere.

Dopo essermi rimessa io in piedi, non senza difficoltà, mi guardo confusa intorno alla ricerca della più piccola, non capendo come possa occuparsi lei di tutto questo disastro: sta bruciando tutto, il calore sta diventando insopportabile, e... un secondo!

Mi accorgo incredula di respirare con meno difficoltà; il cervello, scacciato l'annebbiamento da deficit di ossigeno, sta reagendo meglio, rispetto a prima, e...

"SONIA!" la chiamo, vedendola finalmente davanti a noi, ritta in piedi, le braccia e il viso sporche di fuliggine ma coraggiosa e caparbia nella sua posizione, del tutto dedita e concentrata per mantenere una sorta di barriera d'aria in mezzo a noi che ci consente di respirare meglio. Semplicemente straordinario!

"Ci sono quasi, Marta, anf, resisti ancora un po'! - mi dice, strizzando un poco le palpebre per la fatica - Apollo si è volatilizzato subito dopo l'attacco, mentre le tue amiche, anche se non mi capacito come, stanno bene, sono là in fondo!"

Vorrei aggiungere altro, ringraziarla, prima di tutto, ma le gambe, un po' per il sollievo, un po' perché ancora pesanti, non mi reggono più, facendomi finire a terra. C'è più ossigeno, è vero, ma sono ancora indebolita da prima e... -tremo, stringendomi le braccia intorno al petto nel sentire il lamento del bosco- questa fantastica barriera protegge noi, non... le altre forme di vita!

"Marta... - Camus è come se avvertisse il mio turbamento, gattona verso di me, circondandomi poi con un braccio per farmi forza - Coraggio, non cedere!"

"Camus! Gli animali, le piante... stanno soffrendo!" biascico, gli occhi sgranati dalla paura.

"!"

Mi fissa con una punta di sorpresa, ma non come ci si aspetterebbe da una che sta chiaramente straparlando.

"Ci sono almeno 5 nidi qui intorno: 2 di Cincia Bigia, 1 di Cingiallegra, 1 di Sterpazzola e 1 di Codibugnolo - gli illustro, in un fremito - Una tana di una coppia di volpi, un istrice, tre famiglie di topi, un numero imprecisato di insetti... per non parlare degli alberi, sono quasi tutte Roverelle, Frassini e Carpini, ma ci sono anche un paio di Noci e... e sicuramente anche altro che non riesco a decifrare!"

"Li riesci... a sentire così distintamente, anf?" mi chiede lui, facendomi appoggiare al suo petto per tentare di tranquillizzarmi.

Mi rendo appena conto di essere passata per stupida. Voglio dire, stiamo rischiando di finire tutti quanti arrosto ed io vado straparlando di uccelli ed alberi, e che urge salvarli. Arrossisco di netto.

"Scusami, lo so che è sciocco, ma... ma sento le vibrazioni di tutto ciò che mi circonda fin da quando ero piccolina, a-anche se non sempre li riesco a codificare. Ciò che è certo ora, è che s-stanno soffrendo e... e non possono difendersi!"

A questo punto, la stretta del suo braccio aumenta di intensità, come se mi volesse abbracciare. Non capisco cosa gli passi per la testa, non risponde verbalmente al mio vaneggiamento, ma mi posa un veloce bacio tra i capelli -che mi sbalordisce non poco!- prima di farsi forza sulle gambe per darsi la spinta e alzarsi, sebbene traballi visibilmente.

"Camus!" lo chiamiamo sia Sonia che io, in apprensione, mentre dal suo palmo escono cristalli di neve congelati.

E' molto pallido e provato, lo si presagisce a vista, nonostante questo, si è rimesso in piedi per tentare di spegnere l'incendio con il suo potere congelante.

"Sonia, anf, prenditi cura di Marta, per favore. Io..." e accenna un passo, con l'ovvio intento di uscire dalla barriera e calmare con le proprie forze le fiamme, ma una esclamazione repentina, in direzione opposta, ferma i suoi intenti.

“RIMANETE LI', AL SICURO! - ci avvisa Francesca, poco distante da noi, prima di buttare un occhio all'amica dietro di lei, che la fissa imbambolata al culmine della sorpresa - Michela, muoviti, ferma il fuoco! Io invece penserò a placare il temporale sopra le nostre teste!”

“Il fuoco? C-come diavolo faccio??” balbetta lei, confusa.

“Usa il tuo potere! Sei in grado di controllare le fiamme, quindi puoi anche spegnerle, basta volerlo!” spiega Francesca, velocemente, chiudendo gli occhi per concentrarsi nel suo compito.

"Io... CHEEEEEEE???"

Visibilmente sconvolta com'è, boccheggia, continuando ad osservarla in attesa di istruzioni più precise.

"VELOCE, altrimenti i danni si espanderanno!"

"I-io... no, un secondo, tu come lo sai, questo?! Come sai che governo il fuoco e... - rimane momentaneamente senza parole nel vedere Francesca compiere un movimento rotatorio con il braccio sinistro per far cessare l'infuriare della tempesta - COME DIAVOLO HA FATTO, FRA?! D-da quando tu..?"

"A dopo le spiegazioni! - trancia ogni più piccola possibilità di dialogo la più grande, dandole la schiena - Ferma le fiamme, ordinagli di spegnersi, basta anche un tuo schiocco di dita, o una qualsiasi altra movenza!"

Frattanto Michela, pur ancora visibilmente sconvolta, riesce finalmente a riprendersi abbastanza per agire. Si gira in direzione delle fiamme, tentenna ancora un secondo, per poi decidere di battere i palmi delle mani una con l'altra e lasciarle congiunte in preghiera.

"Spegnetevi, vi prego, qui e ora!" esclama, quasi supplichevole.

L'intervento, inaspettatamente, riesce sul serio! Le fiamme prima si smorzano e poi si dileguano, lasciando solo delle leggere fumarole nerastre dove avevano attecchito. Il gesto, però, così apparentemente semplice e naturale, la sfianca tantissimo, facendola cadere a gattoni in completo affanno.

L'incendio è quindi domato, le vampe si sono completamente dileguate, quasi che non ci fossero mai state, se non avessero lasciato i loro segni neri sul tronco degli alberi. Li osservo tristemente, la testa un coacervo di domande che sbattono sulle meningi. E' successo tutto così in fretta che...

"SONIA!"

Anche la più piccola, al limite delle forze, sta per crollare a terra, le gambe incapaci di reggerla ulteriormente, ma Camus è veloce a riacciuffarla, accompagnandola a sedersi per poi circondare anche lei in un leggero abbraccio.

"B-beh, alla fine, anf, sono diventata abbastanza forte, n-no? - abbozza un sorriso di rilassamento - T-ti sono stata finalmente utile, Maestro dell'Acqua e del Ghiaccio?" gli chiede, gli occhi brillanti, appoggiandosi completamente al suo busto in una manifestazione sincera.

"Sia io che Milo non avevamo dubbi, in proposito. - annuisce lui, di riflesso, respirando con più calma - E siamo entrambi molto fieri di te!"

"I-io..." gli occhi di Sonia, nel voltare la testa per guardarlo in faccia, brillano emozionati, ma non ha il tempo di finire che io, guidata da un istinto ben più forte di me, probabilmente per la sensazione di pericolo scampato, corro ad abbracciarli da dietro.

"Marta!" mi chiamano entrambi, stupiti dalla mia reazione.

Nascondo il viso tra la spalla di Camus e il suo collo; con il braccio destro sto trattenendo lui, con il sinistro Sonia, ben più piccola e gracilina. Sono felice e sollevata, ma per qualche ragione tremo come un ramo sbatacchiato dal vento.

"E' tutto a posto, stiamo bene, Marta!" mi rassicura proprio Camus, cingendomi il braccio con una mano, prima di carezzarmi delicatamente la pelle per tranquillizzarmi.

"Avevo paura che..." inizio, non riuscendo tuttavia a proseguire tanta è ancora l'agitazione.

"Lo so, ma è andato tutto bene. Calmati, adesso."

Butto fuori aria, vorrei dire qualcosa, ma la voce di Michela irrompe in ciò che rimane del bosco.

"STAMMI LONTANA, FRA! E SPIEGAMI COSA DIAVOLO STA SUCCEDENDO! COME FACEVI A SAPERE TUTTE QUELLE COSE?! CHI ERA QUELLO?! ERA VERAMENTE... APOLLO?! PERCHE' LO HAI CHIAMATO ZIO???"

Sciogliamo l'abbraccio per alzarci con l'intento di avvicinarci lentamente a loro nel notare che Michela è scappata dalla mano di Francesca, che si era chinata per porgerle aiuto, per attaccarsi ad un tronco carbonizzato, gli occhi sgranati.

Non riconosce più l'amica... ebbene, non la riconosco neanch'io, né il suo ottuso silenzio, né la sua espressione apparentemente piatta, priva di emozioni, quando invece, dopo tutti i fatti accaduti, ne dovrebbe traboccare. Mi fermo, refrattaria, limitandomi ad osservarla da distanza con una certa diffidenza.

No, è tutto sbagliato, ci deve essere un errore, o una spiegazione... sì, ma quale, però? Era confidente con la divinità, e ora sta lì, muta, sulle sue, mi fa quasi montare di rabbia!

Camus, notando la mia esitazione, decide di prendere la situazione in mano. Da un'occhiata indicativa a Sonia, come a dirle tacitamente di rimanere lì con me, poi si dirige verso l'altra sua allieva, del tutto sconvolta dalla piega degli eventi. Lo vedo mettere un piede davanti all'altro, sicuro, anche se il respiro è ancora un poco stentato.

“Mi-Michela!"

"MAESTRO! - urla lei, gli occhi ancora grandi di spavento, scattando bruscamente nella sua direzione e scansando Francesca di lato, per poi correre ad abbracciarlo - Mi dispiace! Scusami, scusaCI" implora, avvinghiandosi a lui.

Camus sobbalza a causa della spontaneità del gesto, ancora non del tutto abituato alla sua esuberanza, ma poi, sforzandosi di andare contro alla sua stessa natura, le regala una leggera carezza sul capo.

“Va tutto bene, questa disavventura è finita... sei stata bravissima a spegnere le fiamme!" la rincuora, addolcendo il tono prima ancora dell'espressione.

"Davvero, Maestro?"

"Sì, adesso riposa." le dice ancora, prima di avanzare ulteriormente verso il suo obiettivo.

Francesca non si scompone, si limita a nascondere incomprensibilmente la mano destra dietro la schiena, la piega delle sue labbra è giusto un poco smorzata. Lo guarda. Si guardano. Per qualche istante regna solo il silenzio.

"Maestro..."

"Non hai facoltà di parlare, Francesca, non ora. - taglia corto lui, severo e intransigente - Qualsiasi parola adopererai, potrà essere utilizzata contro di te!"

"Cos'è, un processo, questo? - ribatte lei, imitando il suo tono e così la durezza nell'esprimersi - Non sono vostra nemica, Camus!"

"Questo sarà il Santuario a deciderlo. - sentenzia lui, senza mezzi termini, e ora, oltre alla spietatezza, si presagisce anche una certa delusione - Seguimi in silenzio senza fare opposizione, ci devi un bel po' di spiegazioni, soprattutto alle tue amiche!" sancisce definitivamente, dopo averle fatto cenno di avanzare, che lui starà dietro, a tenerla d'occhio per evitare sorprese.

Ed è di nuovo il gelo, nella pelle, nelle ossa, perfino nel cuore; il gelo di Camus dell'Acquario che non lascia scampo.

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Capitolo 16
*** Rivelazioni scioccanti (prima parte) ***


CAPITOLO 16

 

RIVELAZIONI SCIOCCANTI (prima parte)

 

10 luglio 2011, sera

 

Torniamo al Grande Tempio stanchi, sporchi e soprattutto sfiduciati. Nessuno di noi ha parlato durante il viaggio di ritorno, tanto meno Francesca che ha espressamente il veto di aprire bocca dato da Camus. E' accaduto tutto troppo in fretta, senza nemmeno avere il tempo di racappezzarci, ma so che questa situazione di stallo avrà presto fine, perché il Santuario vorrà e deve sapere, solo che... non sono sicura di essere pronta!

“Siete tornati, finalmente! – esclama Shion con un sospiro di sollievo non appena raggiungiamo lasommità delle scalinate che collegano l'ultimo tempio – Abbiamo visto il fumo e abbiamo avvertito un cosmo minaccioso, temevamo il peggio!”

Nello stesso momento, Milo e Hyoga -quest'ultimo deve essere arrivato da poco, forse non trovandoci all'undicesima casa!- ci corrono in contro, seguiti a ruota da un Aiolia e un Aiolos molto concitati, in particolar modo per Sonia, la quale è, sì, sporca di fuliggine, stremata, ma fortinatamente non ferita.

"SONIA! Come va?! Il tuo volto..." inizia Aiolia, il primo a sopraggiungere.

"Ehi, piccoletta! Tutto ok? Abbiamo avvertito una terribile esplosione e..." si aggiunge Milo, prendendola saldamente per le spalle senza farle male.

"Non sapevamo cosa credere, eravamo pronti a intervenire, ma il Nobile Shion ci ha fermati!" dice anche Aiolos, rimanendo tuttavia, rispetto agli altri due, un poco più distante.

Vedo Sonia arrossire a seguito di tutte quelle attenzioni, sorride grata, prima di abbassare lo sguardo: "E' tutto a posto!"

"Ma il tuo viso solitamente pulito e aggraziato è..."

"E' solo fuliggine, Milo, come puoi ben vedere... c'era Camus con noi, e sai quanto è incredibile lui!" lo tranquillizza la più piccola, gli occhi brillanti.

"Camus..."

"Sì, Lia, - annuisce, orgogliosa - Sono finalmente riuscita... ad essergli utile anch'io!"

Hyoga, invece, dopo un primo, breve, momento di esitazione, si approccia immediatamente a noi, o meglio, al suo maestro prima di tutto.

"Non vi ho trovati al Tempio dell'Acquario e sono venuto su. - spiega infatti, guardandolo negli occhi - Mi hanno spiegato cosa è successo, e..."

"Va tutto bene, Hyoga, anf, nessuno di noi è rimasto ferito o contuso!"

"Potevate... dirmelo, invece di andare da solo!"

"Non ero da solo."

"D'accordo, ma..."

"Non era necessario disturbare anche te per una mia, precisa, responsabilità, anf. - trancia ogni tentativo di conversazione Camus, oltrepassando l'allievo senza concedergli altre spiegazioni - Adesso occupati di Michela, per favore, è sconvolta."

Il Cavaliere del Cigno non reagisce subito all'affermazione, rimane lì, fermo, l'espressione un poco dolente di cose non espresse. Solo in un secondo tempo riesce a dirigere il suo sguardo verso Michela.

"Mich..."

Ma la ragazza è più veloce di lui, si getta tra le sue braccia, facendolo inavvertitamente irrigidire in maniera non dissimile da come farebbe Camus.

"Che cosa è successo?" le prova a chiedere, teso, non ricambiando subito la stretta.

"Abbracciami, ti prego, ne ho bisogno!" farfuglia lei, nascondendosi nella sua spalla per tremare come un insetto nella tela del ragno.

"Michela, io..."

"NE HO BISOGNO!"

Decido di distogliere l'attenzione da loro nell'esatto momento in cui il ragazzo, finalmente, riesce a contraccambia la stretta, sebbene mostrarsi così in pubblico lo deve imbarazzare molto. Camus intanto, allontanatosi da noi, si inginocchia stancamente per terra, lo sguardo basso e i lunghi capelli che gli solleticano le guance diafane e sporche a loro volta. Respira un poco difficoltosamente, sembra nuovamente parecchio provato anche se fortunatamente non ha dovuto combattere. Lo guardo con preoccupazione crescente, desiderando aiutarlo in qualche modo, perché è lampante che non stia affatto bene, ma il suo tono di voce, nonostante tutto, esce forte e chiaro senza il minimo tentennamento.

“Grande Sacerdote, sono accadute numerose cose, molte delle quali ce le dovrà spiegare direttamente Francesca. Tuttavia ancora prima di questo...”

“Lo so, Camus! Michela e Francesca, per quanto spinte da buone intenzioni, si sono allontanate dal Santuario... la legge è chiara al riguardo! Se già la prima volta ho potuto chiudere un occhio, con Marta, perché le ragazze non erano ancora abituate ai rigori di questo posto, ora non mi è più possibile farlo. Sono i miei stessi doveri ad impormelo. - sospira, come se gli costasse non poco esprimerlo - Immagino tu possa comprendere le mie ragioni...”

Non è felice, il Grande Sacerdote degli astri celesti, lo si presagisce dalla piega delle labbra e dalla luce nei suoi occhi, ma non sembra proprio intenzionato a lasciar perdere.

Un brivido mi passa lungo la spina dorsale nello scorgere la sua espressione accigliata. No, non si opporrà nuovamente alla legge, questo è sicuro e può significare solo una cosa. Mi giro, spaventata, verso Michela e Francesca, la prima ancora visibilmente confusa e intimorita, la seconda altezzosa e quasi solenne. Non c'è l'ombra del dubbio in lei, né alcuna esitazione o paura... e, questo, per l'ennesima volta, non me lo so spiegare in nessuna maniera.

“...Proprio per questo volevo chiedervi di essere punito io al posto delle mie allieve. Loro sono ancora giovani e inesperte, controllarle era un MIO preciso dovere di maestro, e l'ho infranto!” ribatte Camus, deciso, alzando finalmente lo sguardo meravigliosamente fulgido verso la massima autorità del Santuario dopo Atena.

“Saresti quindi disposto a subire solo tu la punizione di queste due? Sei già ferito, Camus, non me la sento di torturarti ulteriormente, ma se non mi lasci alternativa...” lascia la frase in sospeso Shion, serio più che mai.

Si può respirare un'atmosfera di profonda dignità nelle parole di entrambi, da non intromettersi perché qualcosa di sacro sembra legarli, tuttavia come potrei stare con le mani in mano?! Camus vuole subire le ripercussioni di una colpa che non gli è propria, lo fa per proteggere le mie amiche, ma nessuno proteggerà lui... la pena è già stata stabilita!

“Sì, sono disposto a farlo! Come dicevo prima, sono io il responsabile e voglio dare loro un esempio... - prende una breve pausa, ma non è esitazione la sua - Grande Sacerdote, non chiedo pietà alcuna nei miei confronti, solo di risparmiare alle ragazze la punizione, ve ne prego!”

"COSA?! No! Non tu!" tento di oppormi io, inascoltata.

Non un barlume di insicurezza nei suoi occhi, che ora sembrano quasi ardere più di prima per l'intensità del suo sguardo. Shion stesso lo capisce, annuisce e, senza guardare più noi altre, con un cenno del capo, incita Camus ad alzarsi in piedi.

"Molto bene, se questa è la tua volontà, Cavaliere di Aquarius, accetto il tuo tramite per espiare le loro colpe. - sancisce, in tono distante, prima di girarsi e allontanarsi - Ti attendo nelle sale interne del tredicesimo tempio. Quando sei pronto vieni, riponi la corazza all'esterno della sala sacerdotale, e attendi miei istruzioni." afferma ancora, mentre Camus, in un cenno di assenso che dimostra la sua accettazione della pena, si alza difficoltosamente in piedi e compie i primi passi.

“Noooo!!!” si aggiungono anche Michela e Sonia all'unisono, cercando di opporsi per poi essere fermate rispettivamente da Aldebaran e Aiolia.

"Lia, lasciami andare! Questa è un'ingiustizia bella e buona!" esclama la seconda, quasi supplichevole.

"No, conosci anche tu le leggi del Santuario, non possiamo opporci al suo volere."

"M-ma!"

"Non è giusto che sia il Maestro Camus a subirlo! Prendete me, piuttosto! - urla Michela, praticamente in lacrime - Sono stata io a volerlo, lui è solo venuto a salvarci insieme a Sonia e Marta!" tenta di spiegare, anche lei inascoltata.

"Ragazzina, è sua la decisione, lo capisci? - gli domanda retoricamente il Cavaliere del Toro, pur manifestando comprensione - La volontà del tuo maestro... la puoi saggiare, ed è splendente!"

"Non mi interessa se lo è! Il Maestro è ancora ferito a seguito della battaglia precedente! Come può starvi bene?! E' un vostro compagno e amico!!!"" si oppone ancora Michela, cercando di divincolarsi.

Che non mi interessa lo sto per dire anche io, agitata come non mai dalla piega degli eventi, ma nel vedere l'apatia di Francesca che, semplicemente, distoglie lo sguardo, mettendosi poi a fissare il cielo con espressione scura in volto, una fitta di rabbia vortica in me.

"E tu non dici niente?! Il Maestro Camus si sta beccando la punizione anche per te!!!"

"E' una sua libera scelta, Marta, come lo è stato di venirti a ripescare quando sei scappata dall'undicesima casa quel giorno."

E' la sua fredda risposta. Ed io quasi non ci voglio credere, la osservo sbigottita, non riconoscendola più, vorrei urlarle qualcosa, non so, dirle che mi ha deluso e che ci ha traditi tutti quanti, anche se, forse, non potrei neanche parlare di tradimento, cioè... contro Apollo ci stava comunque difendendo, anche se, anche se...

"Marta..."

La voce calma e pacata di Camus mi riscuote, mi volto verso di lui, trovando la sua schiena solida, anche se un poco piegata per la fatica. Mi accorgo che qualcosa mi sta pizzicando gli occhi, che vorrei fermarlo da questa follia, perché ci deve essere un altro modo più ragionevole per assolvere i nostri debiti, eppure non riesco a fare altro che guardarlo in silenzio con tutta l'ammirazione che nutro nei suoi confronti. Ingoio a vuoto: sto tremando dalla paura.

"Stai tranquilla, rimani qui con le altre e attendi il mio ritorno. Ci vediamo dopo!" mi da istruzioni senza voltarsi verso di me, dirigendosi poi verso la direzione presa da Shion.

Io, dal canto mio, fremo ancora di più, desiderando seguirlo a tutti i costi, ma qualcosa di assai superiore trattiene le mie gambe ferme: non sono affari miei, in fondo lo so, andrei contro a leggi e consuetudini assai antiche e, del resto, è Camus stesso che lo ha voluto. Il mio maestro lo ha voluto... a lui, e a lui soltanto, devo obbedienza. Malgrado ciò, c'è qualcos'altro di assai più caldo e profondo che non un mero rapporto docente-discente, lo riesco ad avvertire profondamente. Che fare, dunque?

Attendo in trepidante attesa per quelle che a me sembrano ore ma che in verità saranno una decina di minuti al massimo, non udendo nulla provenire all'interno dell'ultima casa. Il calore dentro di me aumenta vertiginosamente.

La punizione, chissà cosa comporta... davvero sono ancora qui a pormi il quesito invece di agire?! Un uomo già ferito sta subendo un'ingiustizia bella e buona, no anzi... non un uomo qualsiasi, ma Camus... Camus sta soffrendo, non posso non intervenire! Improvvisamente il torpore nelle mie gambe cessa istantaneamente, trasferendosi sempre di più in prossimità del petto. I battiti del mio cuore accelerano ulteriormente. Non ragiono più, scatto immediatamente in avanti, guidata dall'istinto.

“Marta, è meglio che non entri, lo spettacolo non sarà propriamente... PULITO!” mi avverte Death Mask, trattenendomi per il polso sinistro e, di fatto, bloccandomi.

"Che cosa intendi?!"

"Le punizioni qui al Santuario non sono propriamente rosee e fiori, sono più... rosse!"

Mi giro verso di lui, furente. Non ce l'ho con il Cavaliere del Cancro in particolare, ma il suo gesto e le sue parole vengono recepite da me come un'interferenza non richiesta.

"E voi, consapevoli di ciò, avete pure il coraggio di rimanervene zitti e buoni?!"

"Determinate scelte non competono a noi, è il Grande Sacerdote, o Atena, i più forti tra i forti a stabilirle. - mi spiega schietto, inconsapevole di star varcando un confine pericolosissimo, il mio - E' lo stesso Santuario a..."

“Non me ne ne frega una beata minchia, razza di granchio rachitico! Voi agite in base a leggi che non comprendo e che disconosco, IO SEGUO SOLTANTO LA LEGGE MORALE IN ME!!!” grido d'impulso, fuori di me, usando un po’ del mio potere congelante affinché Death Mask mi lasci finalmente andare.

“Aaaah!!! Dannazione se stai diventando temeraria, ragazzina!” bercia quindi Death Mask, mollando la presa. Se si stia riferendo alla mia affermazione precedente, o al vero e proprio potere congelante usato, mi è oscuro e non me ne curo, così avvulsa dal desiderio di correre in soccorso di Camus.

"Fermala, Deathy, sta..."

"NO! - una voce caustica, che non riconosco, e infinitamente possente, blocca la scena intorno a me - Fermi tutti e due, nessuno intervenga! Se la ragazzina ci tiene così tanto, che vada!"

Non bado più all'ambiente circostante, in testa ho solo un obbiettivo da raggiungere, nonché una persona da proteggere, perché io DEVO proteggerlo, non solo dagli altri, ma anche e soprattutto da sé stesso.

Non avendo più alcuno sbarramento, corro trafelata verso le sale interne del Tredicesimo Tempio. Esito solo per una manciata di secondi a metà porticato, guardandomi confusamente intorno nel non ricordare più dove si siano recati. Poi l'illuminazione: Shio aveva nominato la sala sacerdotale, può essere che..?

Uno scintillio all'angolo del corridoio vicino all'ingresso attira la mia attenzione. Avvicinandomi con cautela, noto che è la stessa armatura dell'Acquario ad aver manifestato quel barbaglio. Per un solo istante, ne sono così carpita che rallento la mia andatura fino a quasi a fermarla, rimanendo a contemplarla meravigliata.

E' la prima volta che la vedo così composta ma slegata dalla corporeità di Camus. Fra l'altro, ha sembianze umanoidi di un mezzobusto che sorregge sopra la testa un'anfora, ma soprattutto la maschera del totem che pure in fase di vestizione, non si distingue più, mi ricorda in tutto e per tutto, anche se priva di altri elementi che mi confermino questo mio sentore, il viso di una fanciulla. E'... così bella!

"Guah!"

Un lamento sommesso, all'interno della sala sacedotale, mi fa istantaneamente drizzare, riportandomi alla mente la vera ragione del perché io sia qui.

Entrata quindi di slancio all'interno del salone, mi paralizzo, scorgendo la figura di Shion, abbagliata da un cosmo dorato e assai ampio, intenta ad usare una sorta di potere psico-cinetico contro Camus, piegato a gattoni per terra e visibilmente sofferente, sebbene dalla sua bocca non esca alcun urlo dopo il gemito di prima. La scena, così brutale ai miei occhi, ha il solo scopo di mandarmi fuori dai gangheri completamente.

Non penso, non decido. Il mio primo riflesso è quello di lanciare la ‘Polvere di Diamanti’ direttamente addosso a quello che, dal mio punto di vista, è un carnefice, ma l'ultimo barlume di raziocinio mi spinge a colpire il pavimento vicino ai suoi piedi per fermare l'insana tortura.

Eppure so... so che attaccare il Sommo Sacerdote è un reato pari all'insubordinazione, la quale è punibile con la morte, ma in qualche modo è come se non mi interessasse; non mi interessa per davvero!

“Che... che potenza!” commenta invece Shion, non aspettandosi un mio intervento così aggressivo. Gli è bastato un veloce balzo indietro per schivare il mio attacco, ma i suoi occhi guizzano per la sorpresa nella mia direzione.

“Maestro Camus!!!” grido, correndogli appresso per poi prenderlo tra le mie braccia. Lo giro supinamente, devolvendo tutte le forze che possiedo nell'atto, perché, pur non essendo pesantissimo, è ben più alto e muscolo di me.

Osservo preoccupata il suo viso pallido ancora sporco di fuliggine, i suoi occhi serrati in un’espressione carica di dolore, le labbra stirate in una smorfia. Scendo un poco più in giù al petto, al respiro difficoltoso e a tratti aritmico, e ancora sotto, arrivo all'addome, alla maglia un poco arricciata che gli scopre una striscia di pelle adamantina sul basso ventre. Non sembra ferito, non ci sono tracce di sangue, ma è lampante abbia sofferto.

Tremo con forza, prendendolo dal fianco per poterlo sorreggere meglio. Sono stufa di vederlo sempre così, stufa, stufa, stufa!

Cerco di calmarmi, traendolo verso di me per fargli appoggiare la testa contro la mia spalla. Fatto questo, il mio sguardo si insinua, furente, in quello di Shion.

“Siete forse impazzito? – sibilo, tutta tremante, fuori di me – Quando ci siamo conosciuti mi avete dato l’impressione di essere un uomo nobile e generoso, non avrei mai potuto pensare che vi sareste accanito così contro un ferito! Camus, lo dovete sapere anche voi, è stato ferito gravemente e, per poco, è scampato alla morte. Per... perché infierire così brutalmente su di lui?! A quale pro?!?”

“Ragazzina, le leggi del Santuario e le sue consuetudini, sono assai antiche, tu, dalla tua inesperienza, non le puoi certo comprendere appieno, ma è necessario...” comincia Shion, sul chi vive, studiando la mia reazione.

“Al diavolo le leggi e le consuetudini così stupide e ben venga se io non le possa capire!!! Camus non è forse, prima di tutto, un vostro compagno di battaglia, nonché un caro amico?! E allora perché diavolo..!” sto di nuovo per eccedere, rabbiosa, ma avverto distintamente un movimento tra le mie braccia.

“MARTA, piantala adesso, anf! Non puoi parlare così al Grande Sacerdote, te ne rendi conto?!” la voce ardimentosa di Camus, sebbene segnata dalla sofferenza, irrompe tra noi.

E, come un'onda del mare che si infrange imperiosa e superba sugli scogli, per poi tornare placidamente alle acque che le appartengono, così faccio io, lasciandomi scivolare per terra.

Lui riesce difficoltosamente a sorreggersi da solo, puntellando le braccia che tuttavia tremano ancora, impossibile non accorgersene. Boccheggia un po', deve socchiudere le palpebre per forzare il suo respiro a tornare normale, prima di riaprirle.

"Accidenti, anf... non c'è proprio verso di farti seguire ciò che ti dico, vero?! - inaspettatamente ironizza, gli occhi brillanti, scrollando appena la testa come se, in fondo, se lo fosse aspettato. Poi torna serio - Ricordi le mie parole alla casa di Death Mask, anf, anf? Sei nuova di qui, devi cercare di mantenere un profilo più basso... Marta!"

“N-non volevo dire tutte quelle cose, mi dispiace! – balbetto, sentendomi in colpa per aver osato troppo – Però non voglio nemmeno che ti accada altro! I-io non posso proprio sopportare il fatto che tu ti sacrifichi sempre per noi, non riesco ad accettare che tu sia così sconsiderato quando concerne la tua salute e i tuoi bisogni, mi sono troppo affezionata a te... per permetterlo!” finisco di dire, stringendo i pugni per poi incassare la testa tra le spalle.

So di aver sbagliato e mi meraviglio di me stessa. Ultimamente ho quasi l'impressione di non essere più io, o peggio ancora di non essere proprio in me e tutto questo mi terrorizza: mi basta che si tratti di Camus per farmi sragionare, agire come non avrei MAI pensato di agire e... e non me lo spiego. Diavolo, mi torturo mentalmente nel trovare una spiegazione a a questo, e più mi lambicco più non ne vengo a capo!

"Marta..."

"Sono stupida, lo so. Come hai sottinteso stamattina con Michela, non sono che passate poche, pochissime, settimane di conoscenza, troppe poche per affezionarsi, ma io... vedi, sei prezioso per me, Camus, d-davvero, non so neppure perché, tuttavia..."

Sono ancora con gli occhi chiusi nel tentare disperatamente di spiegarmi senza, molto probabilmente, riuscirci, quando avverto distintamente due forti braccia cingermi le spalle; il mio mento si posa automaticamente sulla sua spalla, mentre un profumo forte, quasi frizzante, mi invade le narici. Spalanco gli occhi dalla sorpresa: Camus mi sta abbracciando!

E' piacevole il tepore che racchiude quel suo gesto ancora un po' goffo, ma indescrivibile la sensazione che mi fa provare. Questa è la prima volta in assoluto che sento il suo reale profumo, non ho avvertito niente sulla spiaggia, né poche ore fa durante l'incendio, né tanto meno quando ci siamo conosciuti. Probabilmente durante i giorni dell'ospedale, complice la degenza, l'odore era snaturato, quasi assente, e lo stesso si può dire di oggi, troppo intensa la puzza di bruciato, ma ora... ora riesco a distinguere nitidamente il suo profumo, anche se non lo riesco ancora a decifrare, ma... mi piace, mi fa provare un'intensa malinconia.

"E pensi che per me non sia lo stesso?"

"Io... non lo so!" ammetto, non riuscendo momentaneamente a ricambiare la stretta.

E' vero, ha sacrificato la sua vita per me e, dopo quel fatto, il rapporto tra noi è andato incrementandosi di giorno in giorno. Tuttavia... io cosa, chi, sono per lui? Perché avverto questa sensazione strana, famigliare, quasi da averlo sempre conosciuto? Da dove gli deriva questo potere intrinseco di farmi sentire bene con un singolo gesto?

“Lo capisco, invece, Marta, anch'io... anch'io mi sono affezionato a te. Proprio per questo vorrei che stessi più attenta!"

"Perché? Perché mi proteggi a tal punto da non curarti di danneggiare il tuo corpo e r-rimanere compromesso a vita? Perché, Camus? Io non ne vengo a capo!" mi viene da chiedergli, per istinto, in cerca di risposte.

Lui, invece di rispondermi verbalmente, inizia istantaneamente a tremare, quasi mi spaventa, al punto da rendermi finalmente capace di ricambiare il suo gesto di affetto e posare così le mani dietro alle sue scapole in una specie di abbraccio: "Ehi, che ti succede adesso, stai male?"

"N-no, nulla di tutto questo, Marta..."

"E allora cosa hai?"

"E' p-perché, vedi, t-tu sei... – torna alla domanda precedente, irrigidendosi, quasi, prima di sospirare sonoramente nel buttare fuori aria – ...sei una mia allieva!”

"E tu faresti tutto questo per una semplice allieva?" chiedo conferma, a metà strada tra la sorpresa e un pizzico di disillusione. Non so cosa sperassi, per esserci rimasta così male.

"Sei una mia responsabilità!"

"Ah... - stavolta non riesco a trattenere la delusione, mi stacco da lui, ferita, guardando altrove - Hai avuto sfiga, allora, a capitarti proprio me. Non ne combino una giusta!"

"Marta, non intendevo dire che... uff!" non sa che pesci pigliare, si volta dalla direzione opposta alla mia alla ricerca di parole migliori, che non trova.

"Sono una tua responsabilità, per questo, a momenti, ci rimanevi secco, giusto? - ripeto, un poco affranta, prima di tornare a guardarlo senza però riuscire ad incrociare il suo sguardo che è già altrove - Devi avere un alto senso del dovere, Camus, forse anche troppo!"

"N-non è così, Marta, n-non è solo questo!"

"E allora cosa? Quale è la ragione?"

"..."

Mi sto cominciando a spazientire, proprio non c'è verso, non va avanti, esita. Forse, semplicemente, non c'è proprio nulla in questo 'avanti' ed io non so neanche cosa sto cercando.

Due idioti. Io ma anche lui. Non so cosa continui ad aspettarmi, ma non averlo sentito mi rode dentro, mi brucia; del resto Camus si sta mordendo il labbro inferiore, le pupille tremano, le parole non riescono più ad uscire. Ad interrompere questo siparietto dalla tristezza infinita, ci pensa fortunaramente il Grande Sacerdote che, dopo aver finito di ispezionare, guardingo, la piccola struttura di ghiaccio che si è creata a seguito del mio colpo, decide di intervenire tra noi.

“Marta... il tuo cosmo è assai ampio, per essere appena all'inizio, questo lo avevo già compreso solo guardandoti. - afferma, iniziando ad incedere verso di me, verso di noi, con una espressione strana e una manifestazione ancora più insolita del suo cosmo, al punto che anche Camus si mette in allarme - Ma quello che hai fatto, rivolgere il tuo pugno contro di me, sebbene per proteggere una persona a te cara, è più grave di ciò che hanno perpetrato le tue amiche!"

Mi irrigidisco di conseguenza, pur fronteggiandolo con lo sguardo. Sembra arrabbiato, il suo cosmo dorato sta vorticando intorno a lui, e penso che, senza girarci troppo intorno, ce l'abbia con me. Sorprendentemente, pur nella paura, sbuffo, riuscendo solo a pensare che, per reagire così, poteva aspettare ancora un paio di minuti, allora, magari permettendo a me e Camus di chiarirci.

Beh... è evidente che il Santuario, per i suoi fini superiori, passa sopra ai legami interpersonali!

"GRANDE SACERDOTE!" lo chiama intanto proprio Camus, quasi più spaventato di me, girandosi per provare ad alzarsi, sebbene le gambe non glielo concedano.

“Lo capisci?" mi chiede conferma Shion, i suoi occhi nei miei, implacabili.

"Lo capisco, sì."

"Sei quindi disposta a subire le conseguenze delle tue azioni qui e ora?"

Dovrei dire di 'sì', lo so, ma qualcosa mi blocca, la paura, o chi per essa. Esito, abbasso lo sguardo, tremo. Tutto sommato, sebbene ci abbia già pensato più e più volte, la vita mi piace veramente. Ho ancora tante cose da fare, persone da incontrare, obiettivi da raggiungere; non ho affatto voglia di morire adesso, ma non posso nemmeno scappare dalle mie responsabilità, non sarebbe...

"Grande Sacerdote! - la voce di Camus prorompe tra noi. Non è ancora in grado di alzarsi, inginocchiato com'è sul marmo ma, come prima, la sua determinazione abbaglia - Non potete chiedere una cosa simile ad una ragazzina giunta qui da sole due settimane!"

"Camus..." lo chiamo, sbalordita.

"Ma sapeva cosa stava facendo, non ha detto di non saperlo!" gli fa notare Shion, tornando brevemente su lui.

"L-lo farò io! - si propone ancora Camus, prendendo poi dei respiri profondi per recuperare il fiato - Subirò io anche la sua punizione!"

"Ca... NO!" stavolta sono io ad oppormi, senza più alcuna remore, alzandomi in piedi per esemplificare il gesto.

"Non ne saresti più in grado, Camus, sei allo stremo, ormai è evidente!" diniega Shion, lo sguardo grave.

"Posso farlo, invece... ne ho le forze, anf!"

Ma quali forze?! Lo guardo, incredula, non sapendo più come comportarmi per evitare una tragedia. Non volevo che finisse così, io volevo solo proteggerlo, non fargli subire un'altra punizione ancora più grave della prima.

Il Grande Sacerdote sospira tra sé e sé, prima di ricominciare a incedere in direzione dell'esausto Camus, ancora davanti a me ai suoi piedi. Per l'ennesima volta, è l'impulso a guidare le mie azioni, non parlo né attacco, semplicemente, con uno scatto, mi frappongo tra lui e Shion, le braccia aperte a croce, la determinazione negli occhi, anche se, da sola, non servirà.

"MARTA!"

Camus grida ancora il mio nome, vorrei voltarmi verso di lui e sorridergli, ma la mano del Grande Sacerdote è più veloce. Si eleva verso di me, io chiudo di scatto gli occhi e... vengo picchiettata sulla fronte con l'indice e il medio, tutto qui.

Basita, ancora spaventata, apro prima un occhio e poi l'altro. Ne vedo il suo profilo, un mezzo sorriso -forse un miraggio?- a solcargli le guance.

"Hai chiaramente paura, eppure, per Camus, non avresti esitato ad accettare la punizione... va bene, per il momento, siete condonati entrambi!"

Noi... cosa?!

Ancora prima di poter manifestare sollievo vocale, le gambe mi cedono, lasciandomi cadere per terra, sul duro marmo del tredicesimo tempio. Ho quasi le lacrime agli occhi per lo spavento, il cuore che mi batte furiosamente in petto per il senso di pericolo scampato.

Anche Camus si lascia un poco andare, flette un poco la testa; i lunghi ciuffi blu che, generalmente, gli ricadono sul petto strusciano sul pavimento dell'ultima casa.

"Vi ringrazio, Nobile Shion..."

“La constatazione precedente però rimane, ragazza. - mi dice ancora il Grande Sacerdote, ritornando su me con il suo particolarissimo sguardo tra il lilla e il violetto - Hai un cosmo ampio e potente, nonché... potenzialmente pericoloso!"

"!"

“Dovrai decidere da te a quali ideali dare fede, se ai tuoi... o ai nostri!

E questo cosa vorrebbe significare?! Sbatto le palpebre, non sapendo bene come recepire una tale affermazione.

Camus, nel frattempo, dopo vari tentativi andati a vuoto, riesce a sollevarsi faticosamente da terra, la mano sinistra premuta sul petto.

Non posso che guardarlo con rinnovata preoccupazione. Fa non poca fatica a muoversi. è in affanno, ed è perennemente indebolito, non può essere normale tutto ciò!

L'Illustrissimo, notando le sue difficoltà, si avvicina garbatamente a lui. Non lo aiuta, probabilmente capisce che per lui sarebbe un disonore, ma il suo sguardo è partecipe e profondamente comprensivo.

“Camus, sei ancora troppo debole, nonostante il passare dei giorni. Per quanto le tue condizioni siano state certamente gravi, sei un Cavaliere d'Oro, non dovresti faticare ancora così tanto a ristabilirti. - prende un profondo respiro, aprendo e chiudendo gli occhi - Hai espresso il desiderio di essere punito al posto delle tue allieve per tastare la tua resistenza?”

“Principalmente l'ho fatto per loro, non avrebbero retto una punizione simile, men che meno dopo lo scontro appena concluso. - ammette lui, osservandosi il palmo destro della mano che trema - Ma l'ho fatto anche per me stesso, sì, mentirei se dicessi il contrario."

"E... a quale conclusione sei giunto?"

"Che ci vorrà del tempo per tornare il guerriero che ero prima."

"Camus... - Shion esita, sembra restio a proseguire in un dialogo che, lo sa, infangherebbe ancora di più l'onore del Cavaliere dell'Acquario - Se hai bisogno di tempo, io..."

"NO! - lo sguardo di Camus balugina di sdegno, prima di acquietarsi - Nobile Shion, ce la faccio. Il mio cosmo non è intaccato, lo è solo il corpo. Posso... posso adempiere comunque ai miei doveri!"

Lo osservo, ritrovandomi tacitamente a sospiare. Capisco ciò che non vuole ammettere, capisco anche come si possa sentire, ma ormai il risvolto è chiaro a tutti: le sue ferite non accennano a migliorare, la debolezza che pervade il suo corpo da quello sventurato giorno è ormai diventata una presenza stabile nella sua vita. Il pallore sul suo volto si espande invece di diminuire, e gli occhi, pur meravigliosamente brillanti, sono spesso velati da un'ombra scura, scurissima...

Conoscendolo, l’idea di essere un peso e di affaticarsi così tanto per ogni minima bazzecola deve essere per lui insostenibile. Come essergli d'aiuto senza ferirlo nel'orgoglio?

"Camus, nessuno vuole esautorarti dal tuo ruolo: sei Cavaliere d'Oro di Atene e lo sarai sempre. Dico solo che, per determinate incombenze, potresti fare affidamento su Hyoga. Il ragazzo ha già dimostrato ampiamente il suo valore, per qusto..."

"Conosco il valore di Hyoga e l'ho già designato come mio futuro successore. - taglia corto Camus, guardando altrove - Quello che vi chiedo è non... non adesso. Posso offrire ancora tanto, lo so, posso... guidare ancora qualcuno." dice, posando il suo sguardo su di me e facendomi arrossire.

A queste parole, anche il Nobile Shion pare rilassarsi, distendere il suo sorriso, prima di annuire, soddisfatto: "E' un sollievo sentirtelo dire. Sono lieto che, rispetto a prima, anche tu te ne sia reso conto, del tuo valore, intendo."

"..."

Perché? Cos'è cambiato, rispetto a prima? Abbasso lo sguardo, confusa, dall'ennesima rivelazione che non posso approfondire perché parte integrante di un passato che non è ancora tempo di rivelare.

Sono ancora concentrata sul pavimento, quando avverto una pacca leggera dietro la nuca. Alzando lo sguardo, sono di nuovo gli occhi blu di Camus ad assorbirmi, nonché il suo sincero, anche se un po' tirato, sorriso.

“Francesca deve raccontarci un po’ di cose, coraggio, Marta, torniamo dagli altri!"

 

*****

 

Osservo attentamente le mie amiche e i Cavalieri, chiedendomi cosa passi per la loro testa: Milo, vestito semplicemente con una maglietta nera e un paio di jeans, sta appoggiato ad una colonna con le braccia conserte; Aiolia e Aiolos sono seduti accanto a Sonia, tutti e tre indossano abiti greci e sono intenti a chiacchierare piacevolmente tra loro; Death Mask, Aphrodite, Shura e Saga mi continuano a guardare incuriositi, probabilmente stanno ripensando al mio ‘attacco’ di prima verso il Cancro; Aldebaran, Mu, Shion e Shaka stanno in circolo attorno a Camus, pronti a sorreggerlo in caso di mancamento; Michela, infine, guarda con occhi spenti Francesca, mentre Hyoga sta tentando di risollevarle il morale a suo modo, ma in pubblico è terribilmente impacciato, e non gli riesce bene.

“Dunque...?” la pizzica sottile Camus, guardando Francesca dritta negli occhi con un pizzico di severità. Automaticamente cala il silenzio tra i presenti.

“Da... da dove inizio?” balbetta Francesca con la voce un po’ tremante. La presunta freddezza di Camus deve averla messa sulla difensiva. Mi dispiace un po' per lei, anche se non riesco a darmi pace per essere stata ingannata o, nella migliore delle ipotesi, non essere stata trattata con la dovuta sincerità indispensabile nei rapporti umani.

“Tanto per cominciare dicci chi sei, sai, dal racconto di Michela e Sonia conoscevi già Apollo, chi ci dice che non sei in combutta con i nemici?!” esclama Milo nervosamente, colpendo ritmicamente i piedi contro il suolo. Francesca assottiglia lo sguardo, probabilmente infastidita dal tono accusatorio dello Scorpione.

“Ci credereste se vi dicessi che sono... una divinità?!” ribatte quindi lei, poggiando le mani sopra i fianchi con velata baldanza.

Ora nel tredicesimo tempio regna il silenzio assoluto ancora più di prima, sembra quasi che il tempo si sia congelato nel momento stesso in cui Francesca ha detto quella parola. ‘Divinità’?! Quindi una DEA?!? Ha sembianze antropomorfe ma non è umana?! Eppure... eppure Michela ed io la conosciamo da anni, come è possibile ciò?!

“C–cosa?! E’ la verità???” esclama Aiolia improvvisamente, come ridestatosi, rompendo il silenzio assordante che si era creato.

“Sì, sono figlia di Urania, la Musa degli astri celesti, mentre non ho mai scoperto la vera identità di mio padre!” annuisce Francesca, chiudendo gli occhi.

Questo... non può essere vero, cioè no! Tutti questi anni insieme, tutto questo tempo... Michela ed io siamo sempre state amiche di una dea?! Ma... ma ancora di più: quindi ha finto durante gli allenamenti di non essere in grado di spezzare le rocce?! Ha continuato a fingere di essere ignara come noi, quando invece sapeva tutto?!? Io non... non so cosa dire.

“Da quanto... da quanto tempo lo sai? Perché lo hai scoperto solo recentemente, vero?!” sussurra Michela, abbassando lo sguardo, delusa più che mai. Vorrebbe aggrapparsi a quest'ultima consapevolezza, lo so, vorrebbe continuare a credere in lei come ad una amica, ma qualcosa si è paurosamente incrinato tra noi.

“Lo so da sempre, Michy, ma solo recentemente mia madre, apparendomi in sogno, mi ha spiegato ogni cosa nel dettaglio!” spiega lei, ora vagamente imbarazzata dalla situazione. A questo punto anche io do voce ai miei dubbi.

“E allora illuminaci! Quando Apollo ci ha attaccato, hai fatto delle azioni strabilianti e conoscevi addirittura il potere di Michela! Ci hai nascosto la verità per tutto questo tempo! Ora è giunto il momento di spiegare anche a noi tutti questi segreti!” ribatto in tono aspro e deluso. Francesca mi rivolge uno sguardo ricco di dispiacere,ma riesce perfettamente a mantenere il controllo di se'.

“Mi dispiace Marta, Urania, mia madre, mi ha ordinato di stare zitta, non potevo parlare di questo prima del tempo... - mormora lei, sospirando appena - Capisco la tua rabbia... sapevo già dell'esistenza reale dei Cavalieri d'Oro, sapevo che ci sarebbero venuti a prendere, prima o poi, anche se... anche se ho tentato di ritardare il tutto..." aggiunge, in tutta sincerità. Ah, perfetto, quindi sapeva ANCHE quello, meraviglioso! Ha continuato a fare l'amicona, ignara come noi, quando invece era consapevole di tutto. Come può pensare che mi riesca a fidare ancora di lei?!?

“Va bene, Francesca, ora il momento però è giunto, sai qualcosa sui nemici?” chiede Shion, avvicinandosi lei lentamente. Per qualche strana ragione non sembra affatto scioccato, ma a pensarci bene è vivo da più di due secoli, chissà quante ne ha viste!

“Sì, fatti molto oscuri stanno accadendo sull'Olimpo, organizzati dagli dei da parecchi anni, ormai. Il Grande Patto... quello è l’origine di tutto!”

“Il ‘Grande Patto’?! Sì, mi ricordo che ne avevi accennato con Apollo, ma cosa sarebbe? Chi ne fa parte?” domanda Camus, in apparenza più tranquillo, ma ugualmente sulla difensiva. Capisco dal suo sguardo che vorrebbe tranquillizzarmi in qualche modo, deve vedermi assai sconvolta, ma rimane composto nella sua posizione. Ci sarà tempo per i convenevoli...

“Il ‘Grande Patto’ è semplicemente un accordo pattuito tra Hades, Ares e Apollo a scapito di Zeus e di tutta l’umanità!” comincia a narrare Francesca in tono grave e serio.

Tutti i Cavalieri d’Oro si fissano preoccupati, probabilmente nessuno di loro si aspettava una cosa così grande e di portata apocalittica.

Siamo contro tre divinità, delle più potenti anche, ma allora perché sono interessate ai Cavalieri e a noi? Dei miseri esseri umani... ai loro occhi dovremmo essere poco più che formiche!

“...Questo è un discorso più complesso, Marta! – interviene nuovamente Francesca, leggendomi nella mente. Mi allontano infastidita, provando quasi rabbia nel sentirmi così vulnerabile al suo cospetto – Lassù, quando i Cavalieri hanno sconfitto Hades la prima volta, c’è stato un bel casino, grazie ad un potere sconosciuto, ma infinitamente potente, Hades è tornato in vita...”

“...E si è coalizzato con Ares e Apollo per soverchiare il potere di Zeus e conquistare quindi il dominio del mondo!” finisco di dire, riuscendo ad intuire il seguito. Francesca, per tutta risposta, annuisce appena e abbassa lo sguardo, prendendosi una nuova pausa prima di continuare, ma qualcuno di ancora più impulsivo di me prende la parola, non sopportando più tutto questo mistero.

“Ma noi cosa diamine c’entriamo in tutto questo, si può sapere?! Io non ne posso più! Siamo state portate qua, Marta ed io, e tutti sembrate sapere cose che a me e lei sfuggono dalla testa, di chi diavolo possiamo fidarci da adesso in poi?!?” esplode Michela, guardando furibonda la nostra amica comune, che tuttavia sgrana gli occhi e fa tre passi indietro, spaventata. Sembra totalmente incapace di parlare, come se qualcosa la fermasse. La vedo voltarsi di scatto nel momento esatto in cui delle voci, come da un'altra dimensione, intervengono nella risma.

“...A questo possiamo rispondere noi!”

Due luci; due luci di un particolare colore azzurrino appaiono di fianco a Francesca. Non il tempo di un battito di ciglia, solo due uomini sconosciuti che mettono piede nel sacro tempio, protetto, in teoria, dalla barriera di Atena...

 

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Capitolo 17
*** Rivelazioni scioccanti (seconda parte) ***


CAPITOLO 17

 

RIVELAZIONI SCIOCCANTI (seconda parte)

 

“Voi qui?!” esclama Francesca, rivolta ai nuovi arrivati. La patina di contegno e sangue freddo che l'aveva attorniata durante la sorta di "inquisizione" va in frantumi in un battito di ciglia.

Sono due uomini, uno palesemente più vecchio dell’altro, ma assurdamente è il più giovane a tenere un bastone fra le dita lunghe e affusolate; il più vecchio, leggermente curvo, ha una lunga e canuta barba.

Guardandolo meglio (sono come attratta da lui), noto che uno dei due occhi è bendato, rugose e piene di calli le mani e un'espressione leonina in viso.

Ingoio a vuoto, sforzandomi di non abbassare lo sguardo malgrado lui mi stia continuamente fissando. Un leggero peso avverto sul cuore, come un desiderio di prostrarmi, ma c'è qualcosa di ben più forte che non mi fa cedere.

L’uomo più giovane, invece, ha un viso più dolce e sorride tiepidamente, sulla guancia sinistra ha una cicatrice, segno inequivocabile che anche lui ha lottato da poco.

Trascorrono minuti di silenzio, nei quali entrambe le entità (come posso sforzarmi di chiamarli ancora uomini, avendo percepito i loro cosmi così ampi?!), studiano i nostri volti uno a uno. Tremo ulteriormente: l'aria intorno a noi si sta facendo decisamente troppo pesante!

“N-non è possibile, voi...?!” è la voce di Camus a sbloccare la situazione, ma il suo suono giunge alle mie orecchie fin troppo distorto.

Mi volto nella sua direzione, sussultando nel vedere in lui il terrore più puro: gli occhi sbarrati, le gambe che tremano e la faccia di chi vorrebbe semplicemente scappare. La sua reazione mi stordisce, mi attanaglia, impedendomi di reagire. Rimango a guardarlo, qualcosa mi stuzzica la parte ventricolare del cuore.

“Amico, che ti succede? Stai male?” interviene Milo, avvicinandosi all'amico per poggiare la mano sul suo braccio e tentare di tranquillizzarlo. Tutto inutile, perdura ad essere sconvolto, non sembra percepirlo nemmeno!

“Siete Efesto ed Hermes, vero?” il tono di Shion, così pacato e tranquillo, quasi primeggia contro la regalità dei due figuri.

Un leggero segno di assenso è però l'unica risposta che riceve in cambio. Ancora attimi di silenzio come se entrambe le parti in causa si aspettassero qualcosa dagli altri, poi...

“Dovreste inginocchiarvi, Mortali, visto che siete al cospetto di due divinità, MA faremo finta di niente perché non è questo il momento. Siamo venuti per parlare di altro!” dice il più vecchio, accennando qualche passo in avanti. Non porta un bastone, ma zoppica consistentemente.

“Suvvia, Efesto, come hai detto anche tu, non è questo il momento, e poi gli umani non hanno forse più potenziale di noi?” lo sgrida bonariamente Hermes, il più giovane, interrompendo la camminata dell'altro.

“Sarà come dici, ma rimangono creature inferiori a noi dei su tutti i fronti!” ribatte quest'ultimo, sbuffando.

“Vi stavate chiedendo cosa c’entrate voi, Marta, Michela e... Sonia? -domanda quindi Hermes. Pur avendo interpellato tutte e tre, il suo viso malinconico è puntato su quest'ultima– Beh, sarà dura spiegarvelo, ma il tempo è infine giunto. Anni sono passati, non sarà facile, ma...”

“No, vi prego no!!! Non... non ora!” interviene improvvisamente Camus, quasi ridestato.

Il suo tono di voce mi spaventa ancora di più della situazione stessa: non l'avevo mai sentito così carico di pena, così terribilmente al'angolo, così indifeso e terrorizzato, neanche quando combatteva tra la vita e la morte, riemergendo come vincitore. E'... è paura quella che avverto? Proprio lui, sempre così fiero ed elegante, è ora invece completamente in balia degli eventi?!

“Camus dell’Acquario! - tuona la voce di Efesto, imperiosa e fredda, mentre, con lo sguardo glaciale lo ammonisce, senza l'ausilio delle parole, di tornare al suo posto – Cosa ti ho ripetuto in tutti questi anni? Non cedere ai sentimenti e non affezionarti alle persone, poiché tutto questo è inutile nella vostra breve, patetica, vita mortale! E tu cosa fai, tremi come una femminuccia?!”

In tutta la casa riecheggiano esclamazione di sorpresa per il tono così confidente del dio. Io non posso fare a meno di fissare i due, la mente che naviga nell'immenso mare buio del vuoto. Non mi riconosco, in circostanze normali sarei intervenuta, ma... ma c'è qualcosa che mi blocca, inchiodandomi a terra, mozzandomi il respiro.

“Mi hai ripetuto questo... - inizia Camus, stringendo i pugni, il suo sguardo è basso - Ed io l'ho sempre reputata verità incontrastata, tanto da addestrare lo stesso Hyoga e... e anche I-Isaac a questi precetti. Ma a conti fatti, sono poi stati loro, e soprattutto il primo, a farmi capire che si può essere forti senza rigettare indietro la propria umanità!"

"Il Cavaliere del Cigno... - la divinità butta brevemente un occhio a Hyoga, che segue il discorso con la bocca semi-aperta, quasi più sbalordito di me - Ti avrebbe insegnato questo?! Puah, che sentimentale sei, Camus dell'Acquario, quasi non ti riconosco più!"

"Il mio Hyoga, sì! - l'espressione di Camus si è indurita nel difendere l'allievo e, per un istante, mi sembra tornato quello di sempre, tanto da farmi pensare in una sua ripresa più che sostanziale - Ora a maggior ragione lo so, grazie a Marta, che è..." i suoi occhi guizzano temerari in quelli del dio, come colti da un improvviso lampo di potenza.

Ma Efesto è spietato e non gli da il tempo di finire, prendendo prepotentemente la parola e sovrastandolo.

“Quanto mi hai deluso, figlio mio, non sai quanto ho sofferto quando vidi che ti stavi legando a Hyoga e a quell'altro allievo infausto perso tra i flutti del mare! Ora accade la stessa cosa con le tue allieve e, specialmente, con Marta... ma forse non mi dovrei meravigliare, visto che si tratta di tua sorella!" afferma lui, voltandosi immediatamente verso di me, un ghigno rabbioso solca le sue labbra ispide, negli occhi una luce sinistra.

Tutto sembra fermarsi a seguito di quest'ultima frase. Per qualche istante perdo percezione su di me, sulle mie azioni, boccheggio più volte a vuoto e devo sembrare veramente stupida agli occhi degli altri, perché avverto, in qualche modo, i loro sguardi su di me.

Niente. Per istanti che sembrano secoli sono solo muta, vulnerabile, sguarnita, davanti a tutte le persone che sono intorno a me e che ora come non mai percepisco estranei. Lo sguardo di Efesto torna vittorioso su Camus, la cui faccia è quella di uno a cui è stato appena strappato con violenza un qualcosa di troppo intimo per essere espresso.

"Oh, volevi forse parlarle tu, del vostro legame di parentela, che siete entrambi miei figli?! Eppure non l'hai fatto in tutti questi giorni, o sbaglio?!" sbuffa ancora il dio con superbia, ben contento di avere il coltello dalla parte del manico.

Ho smesso di boccheggiare, rimango semplicemente in silenzio a guardarli. Ora anche il mio petto è cavo, e il suo silenzio è talmente assordante da schiacciarmi le orecchie. Non odo più i battiti del mio cuore che fino ad un attimo fa mi scoppiava quasi in gola e nelle orecchie.

Ho un fratello maggiore, Camus. E tuttavia non è neanche questo a contare, no, perché, in fondo, lo avevo percepito che c'era qualcosa di immenso tra noi, inesprimibile, e che proprio adesso ha semplicemente trovato un nome. No, non è assolutamente questo a importarmi, ad avermi ferita, a farmi sentire pugnalata alle spalle, bensì il fatto che proprio Camus mi abbia mentito spudoratamente fino ad ora, perfino un attimo fa quando eravamo nella stanza del Grande Sacerdote. E' esattamente questo il fatto preponderante!

Lui... mi ha mentito, malgrado, con ogni probabilità, fosse già a conoscenza di questo fatto, malgrado... si sia sacrificato al posto mio proprio in virtù di questo nostro legame!

Ora sì che comincio a capire le mezze frasi! Non riesco a pensare ad altro che lui sapeva... E NON MI HA DETTO NULLA!

Cala il silenzio anche tra gli astanti, né i Cavalieri d’Oro né le mie amiche hanno il coraggio di dire niente, tranne Milo che, mordendosi il labbro inferiore, sussurra tra i denti un "che bastardo..." in direzione del dio.

Dunque lo sapeva anche lui?! MA CERTO, CHE LO SAPEVA, ecco spiegata la questione del sangue, la sua insistenza perché fossi proprio io a donarlo!

I nodi vengono finalmente al pettine...

"M-Marta... - Michela intanto tenta un avvicinamento, la sua mano naviga verso di me - N-non lo sapevo, q-quindi il Maestro..."

"Non mi toccare, Michela, NON MI TOCCARE! - mi devo mordere la lingua per non alzare ulteriormente il tono contro di lei, che non c'entra niente, è innocente, ma sono talmente fuori da me che mi ci potrei pure avventare contro - Scusami, lasciami momentaneamente stare." aggiungo poi, in un sibilo, tornando poi sugli astanti che mi attorniano, anche se i miei occhi vedono solo Camus, la sua espressione mortificata che, per uno sporco gioco del destino, mi fa infuriare solo di più.

"Marta, capiamo il tuo sconvolgimento, ma..."

"Anche tu lo sapevi?!" mi rivolgo a Mu, il solo a tentare di far da paciere. Lui indietreggia di riflesso.

"I-io..." tentenna, non sapendo come prendermi, mentre gli altri Cavalieri d'Oro si scambiano tra loro occhiate nervose ma assolutamente non sorprese.

"Dimmi: lo sapevi, lo sapevate?!" insisto, fuori di me, sibilando quasi, tanta è la rabbia.

Mu sospira, china un poco il capo, prima di guardarmi negli occhi e scambiarmi un'occhiata profonda: "Non prima... dell'ospedale."

"E dopo?!"

"Dopo sì, era inevitabile."

Oh, oh, ma bene! Quindi, qui, lo sapevano tutti tranne la sottoscritta, Michela e Sonia?!

“...E’ la verità?” chiedo dopo una lunga pausa, rivolgendo lo sguardo gelido a Camus. Sembro quasi calma, adesso, se paragonata a prima, ma è solo la miccia che sta per esplodere.

“Marta...” inizia Camus in tono basso e incerto. Non ha negato immediatamente, quindi di fatto è una conferma.

“Rispondi alla domanda con un semplice sì o con un no, dannazione! Dimmi la verità, quella che hai celato fino ad un istante fa, perché non è un piccolo particolare quello che hai volutamente omesso di raccontarmi!!!” gli grido contro con rabbia, mentre, senza nemmeno accorgermene, gli occhi si inumidiscono. Mi sento totalmente furiosa, prenderei a pugni qualcuno, non so chi, sento solo un peso aspro sul petto, un qualcosa di cattivo che mi si attorciglia nella gola.

Camus sospira e fa un cenno d’assenso, nel farlo i suoi occhi blu non guardano più nella mia direzione, ma l'orizzonte lontano. Che si tratti di vergogna o di qualsivoglia altro sentimento non mi tange minimamente, mi sento risucchiata da un abisso.

“Sì, è così. Sei mia sorella minore di cinque anni e questo è nostro padre... siamo semi-dei!” spiega lui, un fremito sulle sue labbra.

Splendido! Il vuoto dentro di me si fa sempre più acuto e profondo, attanagliandosi sulla bocca dello stomaco sotto forma di parole velenose che tuttavia non riescono ancora ad uscire. Stringo sempre più convulsamente i pugni, nella vana speranza di tornare all'autocontrollo, ma è tutto inutile.

Ho un padre che predica la freddezza verso il prossimo, che se ne è fregato di me fino a questo momento in cui, magicamente, è riapparso, ma soprattutto non sono nemmeno totalmente umana. Avevano dunque ragione a definirmi 'demonietto dagli occhi blu'!

Tutto ciò che credevo di essere, tutto ciò che sono... era falso? Non appartengo né all'umano né al divino, cosa posso essere, se non... un mostro?!

"Ora capisco... sono davvero un demone!" biascico, serrando i pugni e le palpebre, trattenendo un singhiozzo.

"No, Marta, non lo sei!" prova ad opporsi Camus, tentando un passo nella mia direzione. Il suo tono è caldo, ma non mi raggiunge più.

"E cosa sono, allora, sentiamo?! Nessuno, in famiglia, aveva il colore dei miei occhi, sembravo uscita dalle tenebre del male, avevano ragione gli altri bambini a isolarmi!"

"No, Marta, i tuoi occhi sono i miei, sei lo specchio della mia anima, l-la mia sor..."

"BELLO SCHIFO!"

Mi mordo subito la lingua, pentita di averlo detto perché, in realtà, i suoi occhi, che ora so essere i miei, mi piacciono. Guardo altrove. Camus tace, il respiro più accellerato ben visibile dal ritmo del suo petto. Non sa come raggiungermi ed io non lo sto facilitando nel processo.

Scrollo la testa, torno a guardare mio ‘padre’ in modo torvo. No, costui non è l'uomo di cui si è innamorata mia madre, malgrado gli occhi blu come i nostri, non può esserlo! Prima di tutto, perché non è nemmeno umano, ed inoltre è un essere che non conosce i sentimenti e mia madre ne è profusa. No, c'è senz'altro un errore!

“C-Camus, non ti sei mai degnato di avvertirmi di essere un semi-dio, in tutti questi anni di leale amicizia, ma... ma almeno spiega ora a tua sorella le ragioni che ti hanno mosso a non dirle subito la verità, a-altrimenti...” mormora Milo, lasciando la frase in sospeso nel fissare il parigrado con espressione dolente.

A quanto pare, sapeva del legame di parentela tra me e lui, è stato a sua volta tenuto all'oscuro di una buona fetta di verità.

Camus non sembra minimamente udirlo, così preso com'è a tentare di rimediare alla sua omissione, tuttavia tenta comunque un ultimo, disperato, approccio nei miei confronti. Del tutto vano!

Infatti, nel momento stesso in cui lui si arrischia ad afferrarmi il polso, io lo ritraggo e faccio tre passi indietro, diffidente e assolutamente incapace di riuscire a guardarlo in faccia: "ALLONTANATI! - strepito, tumefatta, ancora più fuori di me, talmente tanto che mi avventerei perfino contro di lui, che mi ha protetto più volte a rischio della vita - Non voglio essere toccata da nessuno, men che meno da TE!" rincaro la dose, fremendo visibilmente.

“Marta, ti prego, dammi una seconda possibilità, io... io non sapevo come dirtelo, non ti avrei mai voluto mentire, ma...” la voce di Camus è rotta e quasi mi fa pena, ma non mi addolcisco minimamente.

“Per favore, taci! Almeno taci, adesso, Camus! Mi hai ingannato fino ad ora, almeno abbi l'accortezza di stare zitto! - per me è una stilettata al cuore trattarlo così, ma sono talmente sconvolta che non riesco quasi più a controllarmi - Sono passati GIORNI, e tu non mi hai mai detto niente, NIENTE!!!" lo accuso ancora, asciugandomi gli occhi inumiditi.

“Che scena patetica! Avrei preferito non assistere a questo tra i miei figli!” commenta Efesto, disgustato.

Ma qui la più schifata sono io, a dirla tutta, ha messo volutamente zizzania tra noi due e ora se ne esce così?! Sono quasi sul punto di mollargli un pugno e al diavolo il fatto che sia una divinità, quando una voce inaspettata frena i miei propositi.

“Voi divinità siete sempre le stesse, state lì tronfi a crogiolarvi nella vostra bellissima afasia, nel vostro bellissimo mondo perfetto fatto di nient'altro che pietre tonde e grigie... e poi venite a tacciare noi umani di debolezza, proprio noi che, contrariamente a voi, i colori e le forme ce li abbiamo! Siete voi a farmi pena! Chissà quanto deve essere stato bello, per voi, togliere la possibilità ad un fratello di ritrovarsi con la propria sorellina, andatene davvero fieri! BRAVI!”

Mi volto verso Death Mask, incredula per il suo discorso, quindi anche lui sapeva?! Ero solo io la cogliona di turno ad essere ignara che avessi davanti mio fratello?!? Intanto Francesca, rimasta in disparte fino ad ora, arrossisce visibilmente davanti a quella manifestazione straordinariamente umana che ci saremmo aspettati da tutti, ma non certo dal Cavaliere del Cancro.

“Anche per questo ho voluto rinascere umana. Il mondo lassù è troppo freddo...” la sento mormorare, affrettandosi a mascherare il rossore sulle sue gote.

"Mi... dispiace!" mi sussurra ancora Camus, sospirando tra sé e sé, rassegnandosi, di fatto, alla mia reazione. Si allontana poi di qualche passo, il capo chino. Parte dei suoi capelli nascondo il bel viso ancora sporco di fuliggine.

Discosto a mia volta lo sguardo, sentendomi ancora più in colpa, ma non ce la faccio, non ora, è più forte di me! Ho sempre sognato di avere un fratello maggiore, e ora che so di avercelo, è come se mi fosse finito addosso un meteorite!

"Maestro..." Hyoga, come Michela poco fa con me, tenta un approccio verso il suo mentore, la mano già protratta verso di lui. Non sa bene cosa dire, però, le parole mancano e vengono comunque spazzate via dalla conseguente frase di Camus.

"E' una faccenda tra me e Marta, Hyoga, non crucciartene!" la sua voce è gentile, ma la sua postura, il suo volutamente allontanarsi dall'allievo, dandogli la schiena, indica chiaramente il rifiuto ad ogni sua interferenza.

"Non sapevo che proprio lei fosse la vostra sorellina persa in giovane età... - biascica Hyoga, con un sorriso infinitamente triste - Anche se... beh... la somiglianza tra voi c'era l'ho... l'ho notata subito, sapete?"

A questo punto, l'altro si gira verso di lui, al colmo dello stupore: "Io... n-non ti ho mai detto che... n-non dovresti sapere!"

"Già, non dovrei sapere che il Santuario vi ha strappato dalla vostra famiglia in tenera età, e che avevate una sorellina più piccola che, per voi, era tutto!"

"!"

L'espressione mia e di Camus è quanto di più simile in questo momento.

Hyoga riabbassa lo sguardo, qualcosa trapela dai suoi occhi; qualcosa che può rassomigliare ad un neanche tanto velato dispiacere.

"F-forse io nemmeno avrei dovuto saperlo, visto che non ne avete mai fatto parola con me."

"E... e allora come?"

"Milo. Dovreste sapere che è una tromba. - gli dice, sospirando, prima di rialzarelo sguardo - Soprattutto dopo la Battaglia delle Dodici Case."

Vedo le labbra di Camus vibrare a vuoto. Per una serie di secondi, sembra voglia dire qualcosa, perché deve aver percepito qualcosa nel tono del Cigno che sa di definitivo, ma l'intervento delle divinità ferma, ancora una volta, la sua opportunità di dialogo.

“Bene, mi dispiace dovervelo dire, ma le rivelazioni scioccanti non sono ancora finite per oggi!” Hermes prende la parola, probabilmente anche per evitare un'eventuale guerra dei mille giorni, visto che Efesto, visibilmente scottato dall'essere stato ripreso da un mortale, trema di collera. Un sentimento umano, quindi, checché lui sia convinto di esserne immune!

“Parlateci meglio di questa sorta di ‘patto d’acciaio’ fra le divinità, piuttosto!” interviene Aiolia, guardando torvamente Hermes. In verità dietro le sue parole così semplici, è ben visibile un'ombra scura, accentuata dal tremore del suo corpo e dai suoi pugni, anch'essi chiusi.

Solo ora noto che gli occhi di Aiolia e di suo fratello Aiolos sono pressoché identici a quelli del dio.

“Hai tutte le ragioni per essere arrabbiato, Aiolia. Hai già capito quello che dovrò fare più avanti” mormora Hermes, guardandolo di rimando.

“Divino, non si potrebbe...” inizia Aiolos, ma tempestivamente viene bloccato da un sonoro ‘no’ di Efesto. Quest'ultimo pare essersi ricomposto, anche se il fastidio alberga ancora in lui.

“Anche per questo siamo qui, per fare un’alleanza con voi Cavalieri di Atena. Nostro padre Zeus è stato imprigionato da queste tre divinità che ci hanno lanciato un ultimatum: o con loro o contro di loro!” spiega Hermes, pacatamente.

Tutti i Cavalieri si guardano, chiedendosi perché due divinità chiedano l’aiuto di loro, ad eccezione di Camus, Aiolos e Aiolia che sembrano, per qualche oscura ragione, già sapere tutto.

“E noi non andremo mai contro nostro padre, per questo siamo loro nemici, ma per sconfiggerli necessitiamo della forza di tre semi-dei!” continua Efesto, scandendo bene le parole.

Inarco un sopracciglio, non smettendo neanche per un solo istante di guardarlo torvo. Ci disprezza e chiede il nostro aiuto... assurdo!

“La profezia dice chiaramente che queste tre divinità verranno sconfitte da tre semi-dei, ma CHI di voi?” dice ancora Efesto, squadrandoci come se si trovasse in un negozio di vestiti e non sapesse quale scegliere.

“Un secondo... quindi ci hanno attaccato per sconfiggere Camus e Marta?!” chiede Milo, avvicinandosi a me con fare protettivo. Io non posso far altro che distogliere lo sguardo, del tutto incapace di perdonare anche lui. Non riesco a non ripetermi che anche lui sapeva, ecco il motivo delle sue parole così strane quando Camus era in coma: 'sei la più adatta a dare il sangue', 'sarà lui a dirtelo quando vorrà... Certo, è ovvio: ero la più appropriata perché, in quanto sua sorella, c'era consanguineità tra noi, si sarebbe ulteriormente dimezzato il rischio di un rigetto!

“Non solo loro due, sono semi-dei anche: Michela, Aiolos, Aiolia e Sonia!” risponde Hermes alzando di colpo lo sguardo.

Nella tredicesima casa è di nuovo il caos più totale... schiamazzi e mormorii diversi si susseguono senza un filo logico.

“Eh, cosa? Semi-dea? Io?!” esclama Michela, sconvolta, puntando l'indice verso la sua faccia come ad indicarsi più volte.

“Sì, figlia di Ares! Mentre Aiolia, Aiolos e Sonia sono... miei figli!” la voce di Hermes è leggermente rotta dall'emozione nel pronunciare l'ultima parola.

In un lampo vedo Michela crollare a terra in lacrime, mormorando che non può essere vero, che suo padre non può essere Ares, il dio della guerra, e desiderare la sua morte.

Sonia intanto si alza di scatto e guarda con rabbia i suoi fratelli, ferita a morte da una simile rivelazione. Mai mi sono sentita così vicino a lei come ora, mai... quanto vorrei sostenerla in questo momento così difficile, eppure sono in totale balia degli eventi, senza via di uscita.

Gli altri Cavalieri d’Oro continuano a guardare ritmicamente i vari compagni d'armi, nei loro occhi la confusione più totale. Molti di loro non sapevano, alcuni sì, occhiate sperse si susseguono, mentre il mormorio si fa sempre più alto.

I miei, di occhi, sono invece insistentemente puntati contro il pavimento. Non mi va di guardare nessuno, men che meno sono in grado di sostenere le altre amiche, non ci riesco, mi sento troppo tradita per smuovermi.

“E’ sorprendente, non trovi? Basta poco per sconvolgere gli umani! Ammira la loro espressione confusa, sembrano quasi adorabili!” esclama Efesto, sarcastico.

“Tutto questo accade per colpa nostra, non lo dimenticare! Agiamo per un bene superiore, ma questa non è una scusante! -ammette Hermes, sospirando- E ora devo... devo infine riordinare i ricordi di Sonia, come ci ha ordinato Era!” mormora Hermes, avvicinandosi alla mia amica. Aiolos si butta istintivamente davanti a lei, le mani aperte come a difenderla.

“Questo no, padre! I ricordi... la distruggeranno!”

“Cosa?! Cosa mi nascondete ancora?” domanda Sonia, sempre più arrabbiata, il suo cosmo è ora estremamente offensivo! Aiolia si avvicina a dare manforte al Cavaliere del Sagittario, ma il messaggero degli dei non sembra intenzionato a retrocedere.

“Mi dispiace, la regina degli dei, capo della resistenza contro Ares, Hades e Apollo ha dato quest’ordine, ed io lo devo eseguire!” appena finito di dire la frase, scansando i due fratelli, posa la sua mano sulla fronte di Sonia. La punta delle sue dita si illumina immediatamente; per un attimo gli occhi della mia amica diventano opachi, spenti, quasi privi di vita. Rabbrividisco a seguito di quella visione, ma i miei muscoli sono come intorpiditi. Non capisco pienamente quanto sta accadendo, nessuno di noi è in grado di reagire.

“Quello ti sto facendo vedere ora è tutto vero, è successo realmente! Mi dispiace, Sonia, ma secondo Era questo è l’unico modo per fare uscire la tua vera forza. Non hai scoperto il tuo potere se non recentemente, questo è stato dato dalla manipolazione dei tuoi ricordi che io stesso ti inferto per alleviarti le sofferenze. Tolto questo impiccio, il tuo cosmo crescerà a dismisura!” spiega Hermes, in tono lugubre.

Pochi secondi ancora e la vedo afflosciarsi per terra, vinta da quella stessa luce che prima l'aveva pervasa. Aiolia è lesto a prenderla al volo per evitarle la caduta, ma non a contenere la furia di Milo che, non potendo più sopportare tutti questi avvenimenti rapidamente susseguiti, finalmente esplode, provocando la prima, vera, reazione violenta.

“Cosa diavolo le avete fatto?! Aiolia! Aiolos! Che storia è mai questa? Siete semi-dei anche voi e avete permesso che questo SPORCO essere la toccasse?!”

“Milo, amico mio, aspetta un at...” comincia Aiolia, incerto.

“No! –lo ferma Milo, prendendogli di forza Sonia, ora svenuta, dalle braccia– Ne ho abbastanza di questi segreti! Io stesso sono sconvolto da tutte queste verità, figuratevi le ragazze che ne sono il fulcro... cosa devo pensare di tutti voi, ora? Che le avete usate?! Che ci avete mentito, infangando anni e anni di amicizia tra noi?! E parlo anche con te, Signor Camus!”

Milo è arrabbiato, Milo è furioso... peggio! Milo è proprio fuori di sé dalla rabbia!

“Ora calmati, Mi...”

“NO, che non mi calmo, Aiolos! E’ la mia allieva, me l'ha affidata tuo fratello minore, è una mia responsabilità e quell'essere là che, a quanto pare, è il suo, anzi, il VOSTRO presunto padre, le ha fatto del male! Non potete capirlo, lei è... è tutto per me! Mi sono preso cura di lei quando era malata, l'ho vista crescere e farsi ragazza, la conosco da anni... non permetterò più a nessuno di toccarmela! - urla furibondo, squadrando tutti con espressione schifata - Ma vi rendete conto che avete rischiato di distruggere lei e le altre psicologicamente?! Ve ne rendete conto?! Aiolia, ce l'ho particolarmente con te, in questo caso! Cosa me l'hai affidata a fare, 6 anni fa, se poi avete permesso questo?!?"

"Oh, Milo..."mormoro tra me e me, come rassicurata che qualcuno finalmente abbia pensato a noi in questo sfacelo. Mi sento così sollevata di avere qualcuno dalla nostra parte, malgrado lui stesso mi avesse celato il dato più importante per me. Tuttavia ora capisco che lo ha fatto per amicizia sincera nei confronti di Camus, deve essere così... oh, sono così felice che qualcuno sia dalla nostra parte!

“Hai ragione... purtroppo non potevamo fare diversamente...” sussurra Aiolia, colpito dal monologo dello Scorpione.

“Cavaliere... – interviene quindi Hermes, gli occhi leggermente lucidi – E' una storia lunga, capisco la tua preoccupazione e ti ringrazio per essere così protettivo nei confronti di mia... mia figlia, ma dacci almeno il tempo di spiegare. Vedi, io, 5 anni fa...”

“Hermes, basta con le chiacchiere! Non dobbiamo spiegazioni a questi mortali, ci serve solo il loro aiuto, per cui basta parlare e convinciamoli con la forza a salvare il sommo Zeus. Il resto non conta!!" interviene freddamente Efesto, spazientito. La misura è ora colma, almeno per me!

Mi avvicino lentamente a lui, lo sguardo gelido, gli insulti nel cuore e l'immagine della povera Sonia, anch'essa vittima innocente, svenuta poco fa; tutto questo mentre lui continua a vaneggiare su una possibile alleanza. No, questo è decisamente troppo!

SCHIAFF... il suono della mia mano contro la sua faccia, il silenzio assordante intorno a me, il suo occhio blu che si spalanca, sbalordito... "Sei raccapricciante, dio,le tue parole mi danno un senso di ripugnanza talmente alto che, se solo potessi, ti schiaccerei come si conviene fare ad una zecca! - lo minaccio, furente, sebbene sia ben conscia che le mie siano intimidazioni al vento. Tuttavia, prima di andarmene giù verso il dodicesimo tempio, mi volto ancora una volta verso di lui, il gelo perenne negli occhi e il bisogno di aggiungere un'ultima cosa - E non pensare, presunto padre, che io non mi sia accorta del fatto che hai interrotto Camus proprio per impedirgli di dire che io sono sua... sorella! Era suo diritto dirmi la verità, e tu glielo hai impedito. Ebbene, me lo ricorderò... Efesto!

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Capitolo 18
*** Amore e altri problemi ***


CAPITOLO 18

 

AMORE E ALTRI PROBLEMI

 

 

11 luglio 2011, mattina.

 

Apro gli occhi, svegliata da un pallido raggio di sole. Mi alzo quindi a sedere e tento di mettermi in piedi ma, nel farlo, mi accorgo che la mano con cui ho colpito Efesto mi duole ancora terribilmente. Che idea stupida colpire il dio con quella foga, anche se avevo tutte le ragioni per farlo, non me ne pento di certo, ovvio, ma ora quella tutta dolorante sono io, mentre quell'essere non avrà percepito nulla di più, nulla di meno, che una leggera puntura di formica. E' terribilmente frustrante!

Ripenso a tutto quello che è successo ieri, ben consapevole di essere ancora frastornata dalle rivelazioni del giorno precedente. Dunque... non sono mai stata figlia unica, avevo un fratello che mi è stato strappato dal Santuario, e quel fratello ora me lo ritrovo come maestro. Come se non bastasse, a momenti si accoppava per me, per proteggermi. Stringo di riflesso la mano dolente a pugno, ne provo un dolore acuto, ma non mi importa.

Difficile spiegare cosa provo... ieri ero furiosa e me la sono presa anche con Camus, ma oggi, a mente fredda, mi dico che lui, pur avendolo scoperto prima di me, non poteva in alcun modo rivelarmi un simile fatto... come avrei potuto credergli, del resto?! Sospiro... l'ho trattato davvero male e non se lo meritava di certo.

Esco automaticamente dalla mia stanza, guidata più dalle gambe, che hanno bisogno di muoversi, che dal mio stesso cervello. Passeggio un po' per il corridoio, non avendo una meta precisa. Non ho la più pallida idea di che cosa fare, so solo che non posso stare ferma: scoppierei, altrimenti!

Davanti alla camera di Francesca, dopo esserci passata tre volte senza sosta, mi fermo un attimo indecisa sul da farsi. Vorrei parlarle e chiederle tante cose ma lo shock per il giorno precedente è ancora vivo in me e non ho il coraggio. Mi sento tradita, ed è dura da accettare. Sospiro di nuovo, dirigendomi quindi verso la camera di Michela, senza però entrare. Dallo stipite della porta infatti, si odono non uno, bensì due respiri profondi. Sorrido tra me e me appurando con piacere che non deve essere sola: Hyoga le ha probabilmente fatto compagnia per tutta la notte e ora, con ogni probabilità, dormiranno tranquilli abbracciati sul letto. Non posso proprio disturbarli.

Decido infine di scendere, sguardo basso e occhi puntati verso i piedi, ancora preda delle mie emozioni, ma quando distinguo una figura nella penombra del mattino, lo rialzo subito, gelandomi sul posto. Ci blocchiamo entrambi, al dire il vero, come se il tempo si fosse improvvisamente fermato. Questo che sta appena cominciando, è il primo giorno che trascorreremo entrambi consapevoli di essere uno il fratello dell'altra...

Camus è dritto davanti a me, vicino al frigo, l'espressione contrita di chi non ha la più pallida idea di cosa dire o fare in una situazione simile. Non parlerà, se non lo farò io, tanto vale essere la prima a 'rompere il ghiaccio'.

“E’ buffo, non trovi? Ci incontriamo sempre in cucina!” ridacchio nervosamente in poco più di un sussurro, picchiettando con l'indice sulla mia fronte. Per gli dei, mi sento imbarazzatissima, vorrei solo scavare un buco e nascondermici dentro! Fino a ieri lo guardavo con trepida adorazione, del tutto inconsapevole, ma ora... mi è così difficile reggere il suo sguardo!

Camus non risponde, le sue labbra tremano appena, come a sottolineare le parole che non vogliono uscire e rimangono lì, bloccate tra l'esofago e la laringe. Decido di dargli tempo, il disagio che provo mi impedisce di proseguire in un dialogo a senso unico.

Vado quindi verso la credenza per prendere un bicchiere, cercando al contempo le parole giuste per incanalare un nuovo discorso di qualche tipo, tuttavia è Camus ad intercettare le mie intenzioni.

"Il succo, se vuoi, è fresco da frigo... ace, ananas o albicocca!"

"Ah, gra-grazie!" biascico, un poco stranita dalla sua decisione di iniziare il primo dialogo tra fratello e sorella così, come se avessimo sempre saputo di esserlo.

Mi ha dato comunque un bel pretesto per non guardarlo in faccia, almeno. Apro il frigo, lo ispeziono, vedo il succo all'albicocca e me lo verso. Lo trangugio tutto di filato. Non mi basta, ne prendo ancora, un'altra bella bicchierata, mi aiuta a pensare.

"Marta... - il suo chiamarmi per nome mi destabilizza al punto da mandarmi per traverso tutto - DEI CELESTI, non così di fretta, ti strozzi!" esclama poi, in apprensione, nel vedermi piegata in due. Tenta perfino qualche passo nel provare un primo approccio, ma io lo schivo, spostandomi di lato.

"Tutto bene, tutto bene... non ti preoccupare!" mi affretto a dirgli, sempre non guardandolo in faccia, correndo invece al lavandino a darmi una rischiacquata. Vorrei solo scappare...

"Ti... ti posso parlare un momento?"

Eccolo qui. Sospiro, girandomi verso di lui e continuando tuttavia a guardare altrove: "Immagino di non aver scelta, eh?" ironizzo, il cuore in tumulto.

“Mi dispiace, avrei dovuto dirtelo, ma non sapevo in che modo, ed è successo che hai appurato la verità da un'altra bocca... non avrei mai voluto!” sussurra lui, con voce roca.

“Sì, avresti dovuto, avrei di gran lunga preferito arguire la verità dalle tue labbra, anziché da quelle di... della divinità!" fremo nell'esprimerlo, ancora disgustata alla sola idea di avercelo come padre biologico.

"Lo comprendo."

"Ma suppongo che non fossero parole facili da esprimere..."

"No..."

"Non importa, Camus, non sono più arrabbiata... non lo ero neanche ieri, in effetti, non con te, almeno, ma... mi sono sfogata con te e, me ne dispiace immensamente!” riesco ad articolare una frase di senso compiuto, distogliendo però lo sguardo. Sembro quasi seccata, ma non lo sono, è che davvero mi sento a disagio, non so più a chi o cosa credere, dopo ieri.

“Io... vorrei dirti la verità adesso! Non posso rimediare alle mie manchevolezze, ma... ma... anf!” continua stancamente lui Il suo respiro improvvisamente affannoso mi spinge a tornare, allarmata, con gli occhi su di lui.

Noto così il suo volto pallido illuminato da un raggio di sole, la sua mano sinistra posata sulla credenza, come per sorreggersi, e le sue gambe tremanti. Capisco subito in un lampo quello che sta per accadere e mi precipito verso di lui. Un secondo dopo siamo entrambi con le ginocchia per terra. Non sono riuscita a sorreggerlo, ma almeno ho rallentato la caduta. Lo vedo serrare le palpebre, dolorante, piegandosi un poco verso di me alla ricerca di un contatto di cui ha necessità e che tuttavia non riesce a manifestare.

“Camus, che ti succede?"

"N-non è niente."

"Non è vero! Sei sempre così debole da quel giorno...” sussurro, con una punta di allarmismo nella voce. Vorrei acciuffare il suo sguardo, sostenerlo in qualche modo, ma lui è rigido e guarda altrove, distante come riesce ad essere.

“N-non è nulla che io non abbia mai subito, Marta... passerà!"

"Ma... - mi oppongo mentre lui cerca di rialzarsi in piedi, ricadendo però a terra per la debolezza - CAMUS!"

Ora sono davvero agitata, mentre lui, rabboccando aria, cerca di darsi una nuova spinta per finire esattamente come prima, ovvero a bocconi sul pavimento con io che lo sorreggo alla ben meglio. Soffre, è lampante, ed io non so come essergli d'aiuto.

"Perché sei così testardo?" gli chiedo, abbassando lo sguardo. Sono vicinissima a lui, ma non riesco a sostare sulla sua figura per troppo tempo.

"E'... è un niente, questo, anf. - mi dice, in tono che dovrebbe essere certo ma che non lo è, non credendoci appieno neanche lui - E poi sono un Cavaliere di Atena, e un guerriero non si lascia abbattere da..."

"PUOI SMETTERLA DI MENTIRE A TE STESSO E A ME?!" sbraito, non riuscendo più a trattenermi. Lui si ammutolisce.

Lo fisso negli occhi e lui fa lo stesso, mortificato e a disagio, ma non importa, non più. Voglio sapermi spiegare adesso. Mi appoggio quindi con la fronte sulla sua spalla, strizzo le palpebre, agitata, mentre le mie mani si appoggiano leggermente ai suoi fianchi in un mezzo abbraccio che ha il solo scopo di fargli percepire la mia vicinanza, perché è proprio di questo che gli vorrei parlare.

"In questi giorni mi hai detto più volte che ora sei qui, che ci sei tu con me, da adesso in avanti. - sorrido lievemente tra me e me, ben contenta di non essere vista in faccia - Era perché sapevi, vero?"

"Marta, anf, te ne volevo parlare proprio quest'oggi. Non... non voglio tu pensi che io ti abbia mentito per... per farti del male!"

“Non ha importanza al momento, perché... - prendo una boccata d'aria, preparandomi a dire il resto - Anche io sono qui adesso, vicino a te!" gli dico, appoggiandomi a lui e inclinando un poco la testa.

Sento il suo respiro mutare, farsi più accelerato, a tratti frenetico. Non ricambia la stretta, non subito, ma avverto comunque in lui l'istinto di farlo, pur non riuscendoci. Sono io a trovare il coraggio di stringerlo, anche se tutta vergognosa.

"Ci sono anche io ora, qui vicino a te, siamo in due a sopportarlo!" sottolineo ancora, lasciandomi andare finalmente su di lui, ormai libera dagli impacci.

Camus non risponde verbalmente, non ne è in grado, ma avverto il suo respiro diventare un poco più leggero e disteso. I suoi muscoli finalmente si sciolgono e finalmente ricambia difficoltosamente l'abbraccio.

Ora mi è così vicino, da farmi commuovere, ed è come se, ad un tratto, mi sentissi integra pure io. Mi struscio appena sulla sua spalla, prima di appoggiarmi lievemente tra le sue clavicole e il collo; lui, quasi simultaneamente, piega un poco la testa verso la mia, appoggiandosi a sua volta contro di me. Vorrebbe parlare, lo posso ben percepire, le sue corde vocali fremono, sono io ad intercettarlo, capendo le sue difficoltà nell'esposizione.

“Ora va bene così, Camus, ci sarà tempo dopo per trattare dell'argomento." sussurro, massaggiandogli delicatamente la schiena per tranquillizzarlo.

Lui annuisce, fievole, prima di sistemarmi meglio contro il suo petto e prendere a giochicchiare con le punte dei mie capelli che mi ricadono ben oltre le spalle.

Respiro a pieni polmoni nell'avvertire un caldo tepore avvolgermi il cuore e riscaldarmi, insieme al classico profumo che lo contraddistingue e che però non sono ancora in grado di classificare.

Se avessi le parole adatte, vorrei rivelargli che, in tutti questi giorni, ciò che mi ha spinto a lottare e a impegnarmi, andando anche oltre i miei limiti, è stato il desiderio di renderlo orgoglioso, nonché la speranza di ricevere anche una sola carezza, un semplice tocco, dalle piume di cigno che sono le sue mani delicate.

E' così meraviglioso tutto questo! E' come se il mio corpo, fin dal primo attimo in cui ci siamo incontrati, sapesse fin dal principio che lui non fosse una persona qualsiasi.

"Marta... - ad un certo punto Camus si raschia la gola, raddrizzandosi appena - So che mi hai detto che avremo tempo dopo per parlare, ma io vorrei tanto... uh?"

Dei passi agitati appena fuori dalla porta interrompono il flusso del suo discorso; poco dopo all'ingresso della cucina fa la sua apparizione uno scompigliato Milo.

“Scusate, non volevo interrompervi, ma avete visto Sonia, per caso?” la voce dello Scorpione Dorato trema per la preoccupazione.

“N-no, perché?” balbetta Camus, ancora a terra insieme a me.

“Perché... è sparita!” stringe i pugni con forza, livido.

"Oh, no!" esclamo, impallidendo, irrigidendomi di conseguenza.

"C-che cosa?! - anche Camus sbianca, si alza in piedi a fatica, la sua espressione spezzata dal dolore non sfugge al mio sguardo. Deve divaricare le gambe per stare in piedi, la schiena un poco curvata - C-che cosa stai dicendo, Milo? Ne sei sicuro?"

"Sì. Era in camera sua, stanotte, ho dormito con lei, ma... al mio risveglio non c'era più. - si morde il labbro inferiore, sentendosi colpevole - Maledizione, non dovevo abbassare così la guardia!" si da un colpo sulle guance, fremendo visibilmente.

"O-ora non è il caso di pensare a questo! - gli consiglia Camus, facendo di tutto per esercitare la calma - Quella piccoletta è comprensibilmente sconvolta dalle ultime rivelazioni, ma non è tipo da compiere avventatezze, Milo!"

"Lo so, ma..."

"Ti darò una mano a cercarla, anf..." continua, determinato, pur non riuscendo a mascherare la difficoltà in uno spasmo di sofferenza.

"Ho già allertato Aiolia e Aiolos, anche loro si sono già mossi!" dice lo Scorpione, sempre più agitato.

"Bene. In quattro faremo prima, vedrai che..."

"In cinque! - mi aggiungo io, avvicinandomi a loro nel posarmi una mano sul petto come ad indicare di contare su di me - Lasciatemi partecipare alle ricerche!"

"Marta, non..."

"So come ci si sente. - abbasso lo sguardo nel non celare un certo coinvolgimento emotivo - Anche io ho scoperto ieri di avere una divinità come padre e un fratello maggiore. Per favore!"

Camus mi osserva sorpreso e, non meno, un poco a disagio, a giudicare dall'abbassare del suo sguardo. Lui non dice nulla, è lo stesso Milo a rispondermi.

"E allora ti ringrazio... Marta!" asserisce, grato, gli occhi ombrati di preoccupazione.

 

*****

 

Siamo venute a conoscenza di rivelazioni scioccanti ed Hermes, da quello che ho capito, aveva mutato i ricordi di Sonia perché nel suo passato era accaduto qualcosa di sconvolgente, che sarebbe stato capace di distruggerla psicologicamente. Tuttavia ieri il dio ha di nuovo manomesso quegli stessi ricordi, che prima erano modificati, il che significa che ora, nella mente di Sonia, c'è di nuovo quella verità, celata in precedenza, che l'avrebbe fatta impazzire... Deve essere più sconvolta di me e Michela messe insieme!

"SONIIIIAAAA!!!"

Chiamo la mia amica insistentemente, mentre i miei sandali affondano nella soffice sabbia della spiaggia. Se le cose stanno così, se il dio ha riportato alla luce quella verità, è lampante il motivo per cui lei sia scappata, dannazione!

Gli altri si sono divisi in gruppi per cercarla meglio, Milo e Aiolos in direzione Nord, Camus e Aiolia verso il bosco qui vicino, e Mu e Aldebaran -si sono aggiunti anche loro!- verso il villaggio sito a Ovest, Rodorio, che delimita il territorio protetto da Atena dalla grande, grandissima metropoli di Atene e la sua periferia. E' sorprendente come riescano ad organizzarsi così bene nelle situazioni più critiche; è anche vero che sono stati addestrati così, ma la loro condotta è esemplare!

Nel mezzo della mia ricerca, spinta più dall'istinto che non da altro, mi dirigo verso la scogliera disseminata di grotte, luogo agevole per la nidificazione di numerose specie du uccelli marini.

Non so bene cosa mi spinga verso questa direzione, forse è perché reputo Sonia simile a me ed io, con uno stato emotivo simile, necessiterei di trovarmi vicino all'acqua, o forse sono semplicemente guidata dalla casualità, ma raggiungo ben presto un'area a me ancora sconosciuta, demarcata da una serie di scogli frastagliati proprio alla base della falesia.

Mi fermo un attimo, guardandomi intorno. Questa fascia di costa ha un mare limpidissimo, perfino più della Spiaggia Segreta, da togliere letteralmente il fiato! Proprio qui, noto in prossimità della riva, su uno degli scogli più massici, un gabbiano reale zampegialle intento a contemplare la distesa marina con sguardo fiero, le ali ancora un poco inzuppate perché deve aver finito da poco di cacciare. Sorrido tra me e me, avvicinandomi con circospezione per evitare che voli via.

"C-ciao! - tento educatamente un primo approccio, perchè i gabbiani sanno essere altezzosi e non bisogna mai mancargli di rispetto - Ho bisogno di una informazione, se la sai e se puoi..."

Lui si volta, mi fissa con severità, rimanendo comunque composto nella sua posizione. Prendo questo suo modo di fare come una concessione.

"E-ecco, vedi, sto cercando una ragazza, una giovane femmina di specie umana, è mica passata di qui? - inizio, un poco titubante, prima di aggiungere specifiche - Lei è un po' come me, stessa altezza, più o meno, occhi grandi ma verdi, capelli castano, solo un po' più chiari dei miei, più tendenti al biondo... dimmi che l'hai vista, ti prego, siamo molto preoccupati!"

Il gabbiano mi fissa con i suoi intransigenti occhi gialli contornati di rosso. Sembra soppesare qualcosa, valutare se fidarsi o no, poi dischiude il becco.

Capisco quindi che mi sta parlando, che mi sta dicendo qualcosa, ma, al solito, la voce che giunge nella mia mente non è del tutto chiara, è più come un brusio indistinto. Sospiro, rammaricata.

"Scu-scusami, non so codificare il suono dei tuoi garriti. Essi giungono a me, e ti ringrazio per questo, ma non riesco a spingermi oltre..."

...Esattamente come accadeva nella Valle Segreta quando ero piccola! Pensavo che, con la crescita, potessi finalmente capirli, oltre che sentirli, e invece no. Forse... forse Camus ci riuscirebbe?

Il gabbiano deve capire l'antifona, gonfia un poco le piume, un poco oltraggiato dall'affronto -e infatti, tra tutti i tipi di uccelli, sono i più tosti!- ma infine indica con un cenno del collo una grotta poco più in là che prima non avevo minimamente visto.

"Lì?" chiedo conferma, guardandolo con gratitudine.

Stavolta non mi risponde, ingrossa un poco il collo, prima di aprire le ali e spiccare il volo. Di fatto, comunque, una conferma.

"Grazie!" trillo entusiasta, salutandolo con movimenrto del braccio, felice che ci siamo intesi.

Mi avvicino quindi al grottino, prendendo ad osservarmi intorno: è una caverna non molto scura, anzi affacciata proprio in direzione di dove brilla il sole al momento, la bassa marea permette di entrarci agevolmente, così faccio. E la vedo. Appoggiata ad un masso, con la testa tra le mani, vi è Sonia preda dei singhiozzi. Sospiro rasserenata, facendo brillare il mo cosmo ardentemente per avvertire gli altri.

Fatto questo, senza dire una parola mi dirigo verso di lei e, sedendomi accanto al suo fianco, la abbraccio dolcemente, stringendole anche le mani. Lei non parla, non subito almeno, si limita ad alzare la testa e aspettare di calmarsi, finché, pochi minuti dopo...

“Come hai fatto a trovarmi?” sussurra quando si sente pronta, asciugandosi le lacrime.

“Ti stanno cercando tutti. Io ero sulla spiaggia quando ho sentito il tuo cosmo fioco, debole per il tuo stato mentale, l'ho seguito e ti ho trovata qui" le spiego con dolcezza.

Rimaniamo ancora un po' in silenzio, cullate dalle onde del mare e dal garrito dei gabbiani a caccia di pesce prelibato.

“I... i miei fr-fratelli mi stanno cercando?” chiede, incerta.

Mi limito ad annuire, cupamente. La capisco. D'altronde anche io ho appena scoperto di avere un fratello e mi trovo qui da poco tempo in confronto a lei. Se io mi sono sentita tradita e avverto tutt'ora questo vuoto nel petto, cosa deve provare lei, dentro di sé?! E' qui da anni, eppure solo ora ha saputo il peso della verità. Ingoio a vuoto, riuscendo quasi ad avvertire la voragine dentro di lei.

“Non avrei mai immaginato questo della mia vita, ma ora finalmente ho la risposta alle numerose domande che mi sono frullate in testa per tutti questi anni.” dice Sonia ad n certo punto, la sua voce trema e le sue mani stringono le mie.

“Ne vuoi parlare?” le chiedo, apprensiva.

“Sì, ma andiamo al sole sulla spiaggia, ti va? Ho bisogno di avere il mare davanti a me e respirare la salsedine!” propone lei, alzandosi. Annuisco con vigore, capendola al volo. Anche io ho bisogno di stare vicino all'acqua quando non mi sento bene, è come se ne fossi indissolubilmente legata.

Rimaniamo in silenzio per diversi minuti, sedute su uno scoglio a rimirare la grande distesa blu. Non voglio obbligare Sonia a parlare, quindi rispetto la sua decisione di tranquillizzarsi un po' prima di raccontarmi dei suoi ricordi. Nel frattempo, un granchio esce da una fessura delle rocce, pronto a vivere la giornata. Sto per avvicinarmi a lui e osservarlo senza recargli disturbo, ma la voce di Sonia converge tutta la mia attenzione su di lei.

"Ti sei chiarita con tuo fratello?"

Ci metto un po' a realizzare che sta parlando di Camus. Sbatto più volte le palpebre, come risvegliata: 17 anni con la consapevolezza di essere figlia unica non possono venire sbalzati via dalle ultime rivelazioni.

"Ci stiamo lavorando..." mugolo, un poco a disagio.

"Se puoi, so che dovrei essere l'ultima a parlare, stante il mio comportamento, ma non avercela con lui."

"Non ce l'ho con lui, davvero. E' che mi devo abituare, Sonia, e... non è facile!" borbotto, un poco nervosa.

"Lo capisco: tu non ne sapevi nulla, ti sentirei tradita, lui invece sapeva e, nonostante questo, te l'ha taciuto."

Annuisco, portandomi le ginocchia contro il petto: "Concepisco che non fossero parole facili da esprimere ma, sì, avrei voluto scoprirlo un po' prima, anche se non so come avrei reagito..."

Ancora silenzio tra noi, ma non per il disagio o simili, è più la consapevolezza di essere in qualche modo affini, smarrite nella stessa situazione, alla ricerca della nostra strada ora che il mondo si è ribaltato.

"Sapevo già di te, prima di conoscerti. - la voce di Sonia, chiara e delicata, torna a palesarsi tra noi, sorprendendomi non poco. La fisso, sbalordita - Camus mi ha parlato di te in almeno due momenti..."

"Lo conosci da tanto, eh?" le sorrido io, avvicinandomi a lei per farle percepire la mia presenza.

"Da quando avevo 11 anni, sì... - anche lei sorride, persa nei ricordi, gli zigomi si sollevano un poco - Ci sono... molto affezionata!"

Si vede, nonostante lei cerchi di celarlo il più possibile. E' fortunata per questo, anche io avrai voluto conoscerlo molto prima.

"Mi ha detto che aveva una sorellina più piccola che è stato costretto a lasciare indietro. Gli faceva male il solo parlarne, come sai è restio a mostrare i suoi sentimenti, ma quando parlava di questa piccola creatura che gli ha fatto distinguere i colori per la prima volta, i suoi occhi brillavano di una luce irraggiungibile, mai vista con nessun altro!"

"Da-davvero?!" il cuore mi è saltato in bocca per l'emozione, mentre gli occhi mi pizziccano più di prima. I colori... lui li ha visti per la prima volta grazie a me?!

"Sì... non poteva ricordarsi il tuo nome, era passato troppo tempo, ma ti ha sempre voluto bene, Marta. - mi spiega, emozionata a sua volta - Ora, comprendo che per te sia diverso ma, se puoi, non avercela con lui, prova a comunicare, parlargli, lui ha parecchia difficoltà, in questo, come hai ben visto, ma sarà ben felice di dialogare con te!"

Abbasso lo sguardo sulla sabbia, un poco agitata. Vorrei parlargli davvero, vorrei raccontargli un sacco di cose di me, e chiederne altrettante di lui, ma non è facile, ora; non è facile pensare di avere un fratello maggiore di cui non ho saputo nulla per anni, sebbene sia sempre stato il mio sogno...

"E di te, Sonia, cosa mi puoi dire?" le chiedo, deviando argomento, perché sta diventando troppo difficile, ora, trattare di questo.

“Io prima vivevo in un paese, in Sicilia, con mia madre e mio padre, Hermes. Quest'ultimo si era allontanato dall'Olimpo per provare a vivere secondo la natura umana” inizia Sonia, ancora un po' incerta. Sussulto nell'udire il nome della mia terra natia, quindi anche lei è nata in Italia, anche se è del Sud.

“In realtà quando io ero molto piccola, c’era anche Aiolia che viveva con noi. Sai, i miei genitori erano entrambi greci, ma decisero di spostarsi in provincia di Agrigento, perché il fratello più grande, Aiolos, era scomparso proprio qui, al Grande Tempio...”

“Sparito!? Aiolos era scomparso?” commento, incredula.

“Sì, poco dopo la mia nascita, circa quindici anni fa, Aiolia mi disse, a posteriori, quando mi allenavo con lui e Milo, che il Grande Sacerdote era un impostore e che Aiolos fu costretto a scappare, passando per traditore” mi spiega ancora Sonia, con fare pensieroso.

“Ma... Shion?! Non mi sembra malvagio!” esclamo sempre più sconcertata da quelle insolite rivelazioni.

“No, non Shion, ma non ti so dire di più, questa parte è ancora molto confusa nella mia testa!”

“Fa parte del passato dei Cavalieri d’Oro, vero?” mormoro, abbassando lo sguardo. Lei annuisce, strizzando gli occhi per riuscire a continuare il suo racconto.

Mi gratto la testa, confusa. Non sapendo nulla del passato dei Cavalieri d'Oro faccio davvero fatica a seguire, ma almeno ho capito perché quella volta da Shion, Sonia sembrava diventare assente in certi momenti: era il blocco mentale imposto da Hermes per impedire che la verità affiorasse prima del tempo.

“Comunque anche Aiolia, da una certa età in poi, andava e veniva, c’erano momenti in cui tornava a casa, ma poco dopo ripartiva, penso per il Grande Tempio! Crebbi così ed ero felice, dopotutto, fino a quel dannatissimo giorno di 6 anni fa!” la voce di Sonia si rompe, pronunciando l’ultima frase.

Rimango in silenzio, in attesa del resto, un senso di atterrimento che mi pervade.

“Hai presente il Grande Patto? Hermes era contro, mio padre non avrebbe mai accettato di distruggere l’umanità, di soverchiare Zeus, ma gli dei malvagi erano stati chiari: o con loro, o contro di loro!”

Ingoio a vuoto, presagendo già il finale...

“Mio padre era ovviamente contrario e durante un temporale notturno in cui io e mia madre eravamo rimaste sole, i Bersekers rasero al suolo il mio paese e massacrarono tutti. Per evitare spiacevoli imprevisti incendiarono pure le macerie, in modo da cancellare ogni singolo atomo di quel luogo. Io fui l'unica superstite!” finisce di dire Sonia, cercando di trattenere i singhiozzi.

Io l’abbraccio forte, non sapendo nemmeno cosa dire per alleviare anche solo lontanamente una simile sofferenza. Un paese dimenticato, un paese scomparso... la vita di chi ci viveva nient'altro che cenere! Là, nella mia Liguria, di frequente avevo visitato paesi abbandonati 'mangiati' dalla vegetazione, sapevo di storie di chi ci aveva abitato e che manteneva il ricordo con grande nostalgia, ma nulla di simile avevo mai udito. Polverizzato. Ecco cosa era successo al villaggio di Sonia, unica reduce di un simile passato, sulle cui giovani spalle vi è ora un insostenibile peso.

“Ma i Cavalieri non potevano fare qualcosa? Sono difensori della giustizia, come hanno potuto tollerare simili barbarie?!” chiedo alla fine, cercando un appiglio, una qualche spiegazione all'accaduto. Perché nessuno li ha fermati?! I Cavalieri di Atena non sono nati forse per proteggere i più deboli?! E allora perché?! Provo rabbia in questo momento, una rabbia ricca di odio verso Ares, verso Hades... verso il destino stesso!

“Non potevamo fare niente allora, ne eravamo impossibilitati" afferma improvvisamente una voce alle nostre spalle.

Sonia ed io ci voltiamo sorprese, quasi sussultando sul posto: dietro di noi sono comparsi Aiolia e Camus, entrambi con indosso le loro sacre vestigia. Subito, senza che la volontà ne possa prendere parte, si crea un discreto imbarazzato.

Abbasso istintivamente lo sguardo, stringendomi le gambe al petto, prima di trovare il coraggio di parlare.

“P–perché?” balbetto, incerta, guardandoli.

“Perché molti di noi non si trovavano nemmeno al tempio in quel periodo, il Santuario era fratturato dall'interno!” la voce di Camus, seppur dolce, tradisce un certo senso di colpa.

Ci alziamo quindi in piedi, titubanti, mentre loro rimangono fermi a distanza di sicurezza, se così si può dire. Avverto la mano di Sonia avvolgersi timidamente al mio braccio, come a cercare un porto sicuro, il suo corpo, appoggiato al mio, trema, spingendomi immediatamente ad agire per proteggerla.

Accenno un passo, facendomi avanti: "Non basta. Le dovete delle spiegazioni, Camus, le merita. - mi faccio forza, guardandola brevemente, prima di continuare - La conoscevate da anni e non le avete mai raccontato nulla. Questo... questo è peggio di un tradimento!"

"Non è così, è più complesso, Marta! - Camus tenta di difendere il compagno, prova a intercettare il mio sguardo che tuttavia fugge - Aiolia non avrebbe mai voluto..."

La mano fiera del Leone d'Oro interrompe il suo dialogo. Si scambiano uno sguardo d'intesa, un balugino di gratitudine brilla negli occhi verdi -gli stessi di Sonia!- di Leo. Poi si avvicina a noi, con passo fermo ma non incalzante.

“Dopo aver saputo della distruzione del nostro paese, Hermes ed io corremmo immediatamente sul luogo, ma... era già tutto in fiamme. Abbiamo cercato a lungi segni di vita, ormai disperavamo di trovarti viva, ma all'improvviso ci fu un violento flash. Arrivati nell'epicentro, trovammo te riversa a terra, ferita e con numerose bruciature. Nello stesso momento, un manipolo di Bersekers giunsero sul posto, desiderosi di combattere. Ero talmente fuori di me che li falcidiai all'istante, ma altri ne giungevano senza fermarsi mai. Li fermò Hermes, ordinandomi di fuggire con te" spiega, tentando di azzerrare le distanze con la sorellina, la quale tuttavia, non ancora pronta, scappa via per nascondersi dietro la schiena di Camus che, non aspettandoselo, dopo una certa perplessità, si gira per guardarla negli occhi.

"Sonia..." la chiama lui, tenue, sfiorandole con due dita alcuni ciuffi castano chiari.

La piccola -mi sembra tale, ora, anche se non ci separano che un anno e mezzo- sembra dispiaciuta a sua volta, quasi quanto il Cavaliere di Leo, che si morde addolorato il labbro inferiore nel comprendere il significato intrinseco di quel gesto fin troppo ovvio e che, proprio per questa ragione, fa così male.

"Devi darle il tempo di abituarsi alla tua voce; alla tua voce come suo fratello maggiore, Aiolia..." mi viene da consigliargli, a caldo, gli occhi lucidi e partecipi della loro situazione come se fosse la mia, la nostra. In fondo, un po' lo è.

"Alla mia voce... come suo fratello?" mi chiede lui, genuinamente sorpreso dalla frase.

"Sì, è difficile per me, posso solo immaginare cosa sia per lei. - confermo, guardando dolente gli altri due - Parlarle comunque, se puoi, ha bisogno di sentirlo da te." aggiungo, un poco goffa, discostando lo sguardo.

Aiolia mi sussurra un 'grazie', prima di prendere un sospiro, affiancarsi a me e continuare il suo racconto: "Eri ferita e respiravi appena, non sapevo dove portarti, avevo paura, anzi, ero proprio terrorizzato. Tornai quindi al Tempio in cerca di aiuto, fu allora che mi incrociai con Milo. Mi fidavo di lui, malgrado il nostro rapporto si fosse già pesantemente incrinato. Lo implorai di prendersi cura di te."

“E perché mi hai affidati a Milo? Voglio dire, sono tua sorella... perché non mi hai voluto?!” singhiozza Sonia, i lacrimoni agli occhi nel tentare di riuscire a resistere al pianto, senza riuscirci.

"Sonia... - prende parola Camus, posandole una mano sulla testa, desiderando la sua attenzione, ricevendola, per poi guardarla intensamente negli occhi - Ascoltalo, prima di giudicare. Non è che non voleva... non poteva!"

Aiolia, vincendo le titubanze, si avvicina ulteriormente con passo leggero a loro.

“Come avrei potuto... non volerti?! Ma Aiolos era morto da anni, ormai, stare al mio fianco, al Santuario, non sarebbe stato sicuro per te, inoltre volevo tenerti il più lontano possibile dal Mondo Segreto. E' per questa ragione chiesi a Milo di portarti nella sua casa sull'isola di Milos, gli feci promettere di prendersi cura di te” continua Aiolia, gli occhi umidi per l'emozione.

“Io... io non capisco, Lia, ho una tale confusione nella mia testa! Ti conosco da anni ma non mi hai mai detto niente s-su questo, poi... poi i miei ricordi si accavallano, non comprendo cosa sia vero o no, e sento costantemente questo ronzio che mi frastorna la mente... non ne posso più!!!” scoppia infine Sonia, correndo verso il Cavaliere del Leone per abbracciarlo. Sembra così piccola e indifesa ora... Aiolia è sul punto di piangere a sua volta ma si trattiene.

“Sssh, calmati ora, è normale non capire in questa situazione, la tua mente è stata incasinata da nostro padre, molte cose non ve le abbiamo nemmeno spiegate, ed è dura digerirle ora. Ma ti prometto, cara Sonia, che nei prossimi giorni vi spiegheremo meglio tutto. Ora concediti il tempo di far riposare il tuo fisico e, soprattutto, il tuo cervello!” afferma Aiolia, ricambiando la stretta. Lui stesso trema visibilmente per l'emozione. Lo vedo inginocchiarsi per terra, Sonia con lui, affondando finalmente il suo volto nella chioma della piccola e affogando lì le sue lacrime, libere finalmente di rompere le briglie.

“V-va bene, Lia, basta che rimani al mio fianco...” balbetta ancora Sonia, stringendolo con ancora più foga di prima. Aiolia annuisce senza aggiungere altro, chiudendo gli occhi e assaporando quel contatto nuovo e ritrovato.

Guardo la scena quasi commossa, avvertendo il peso sul mio petto dileguarsi lentamente. Mi sento così affine a loro due... è vero che molti tasselli mancano al puzzle del passato, ma non importa, non importa al momento: ho sempre voluto avere un fratello maggiore e... ce l'ho, CE L'HO! Non è un sogno!

Il mio sguardo scende sulle loro figure, soffermandosi su un punto fisso sulla sabbia che neanche riesco a scorgere realmente. Mi punzecchiano fastidiosamente gli occhi ma sorrido. E' così strano, mi sento in balia delle mie emozioni ma, per la prima volta nella mia vita, non ne deriva una sensazione spiacevole.

“Ma-Marta, ascolta, i-io...”

E' proprio la voce di Camus a trovare il coraggio di manifestarsi, anche se con difficolta. Non gli do il tempo di finire, però, anzi... neanche di cominciare!

Come sospinta da una molla, mi catapulto su lui, diretta, fiondandomi tra le sue braccia per abbracciarlo. Di nuovo. Più intensamente. Non sarà più come prima.

Lui strabuzza gli occhi, non aspettandoselo, deve divaricare le gambe per non cadere dalla sorpresa portandosi dietro anche me. Si irrigisce, il suo respiro muta, si fa più accelerato, senza riuscire in un primo momento a ricambiare la stretta. E' sorprendente come i gesti spontanei lo sconvolgano al punto da destabilizzarlo del tutto. Fa tenerezza... è tutto un mondo, quello della sua interiorità, da scoprire!

"M-mi dispiace!"

"P-per cos..?"

“...per tutto!"

"Marta, non occorre. Non hai colpe!"

"Sì, invece! Ho rischiato di farti ammazzare, FAR AMMAZZARE MIO FRATELLO MAGGIORE! Per salvare me, hai subito quelle terribii ferite e... tu lo sapevi già, Camus, vero? Mi hai protetto perché sono tua sorella, pagandone così un prezzo altissimo... perdonami! Perdonami... sigh!” dico a raffica, stringendolo con forza per poi cominciare quasi a divincolarmi, affatto tranquilla.

"Marta..."

"E' s-stata t-tutta colpa mia, l-l'emorragia, l-l'ospedale, l-la Terapia Intensiva, c-ci sei f-finito per me, e-ed io..."

Lui scuote la testa: "No, è stata una mia libera scelta!"

"N-non avresti dovuto, n-non..."

"Marta... ehi!"

"N-non... n-non, sigh!"

"Calmati ora, sono qui, te l'ho già detto sulla spiaggia quel giorno, no? Quando, dopo l'ospedale, ci siamo ritrovati."

"C-Camus... - mi accorgo solo ora, nell'esprimerlo ancora una volta, di quanto il suo nome sia diventato dolce melodia per le mie orecchie - I-io..."

Mi sento un po' una bambina, vorrei solo essere stretta da lui, dalle sue braccia forti che mi rassicurano, dal suo profumo. Ho bisogno della sua presenza e del suo tocco, così come Sonia necessita di quello di Aiolia e Aiolos. Lui lo deve capire, lo sento respirarmi più vicino, tra i capelli, nel cercare di stringermi. Non riuscendoci, non ancora.

"Calmati, testolina..." riesce comunque a dirmi, tenue, in un tono che mi emoziona e mi fa ridacchiare tiepidamente.

"Non sono così -ina, non più."

"Oh, lo so, penso di averti conosciuto un po' in questi giorni, sai? - ribatte per tutta risposta, ridendo appena - Non ti scalfisce niente, da quanto sei cocciuta!"

Sorrido tra me e me, non vista, mentre lui alza appena le braccia, in un maldestro tentativo di ricambiare l'abbraccio che però si interrompe a metà, rimanendo sospeso. E poi dice di me!

“Come quando hai deciso di donare il tuo sangue per me, non ti avrebbe fermato niente e nessuno, vero?"

"No, infatti." confermo, fievole.

"Ed è stato grazie a quello che mi sono ripreso... tu mi hai salvato la vita, Marta!"

"Non doveva comunque andare così, non dovevi... rimanere ferito gravemente per me!" scrollo la testa, nascondendola ulteriormente sul suo petto coperto dall'elegante armatura dell'Acquario. Sono tutta un fremito, non riesco a non tremare.

"E lasciare te straziata da quegli artigli?!"

"Forse sarebbe stato meglio! Non sono nessuno per il vostro esercito, mentre tu..."

"No, NO, sciocca! - è il suo turno di negare prepotentemente con la testa, sull'orlo di quella che sembra una crisi affine alle mie, ma il suo cambiare finalmente il mio abbraccio con una stretta ben più forte e decisa, sembra tranquillizzarlo. Mi si mozza il respiro, lasciandomi attonita ed emozionata - Come puoi pensare una cosa simile?!"

Continuo a sentire il suo anelito caldo tra i miei capelli, gli occhi mi si fanno lucidi, mentre le gambe, tramutate in un budino, danno cenno di non riuscire a sorreggermi. Praticamente sto in piedi solo grazie a lui.

"Non... non lo so."

"Ecco, e allora non pensarlo!"

Così siamo io e Sonia con i nostri fratelli appena ritrovati, nessuno dei presenti parla in questo momento, non occorre. Solo l'infrangersi delle onde del mare può permettersi di rumoreggiare in un momento simile. Diversi minuti passano, ma potrebbero passare persino dei giorni, mentre tutti i presenti godono della vicinanza reciproca come se fosse un intenso attimo in un universo di battaglie e incertezze. Alla fine è mio fratello ad interrompere il silenzio.

“Mi ricordo ancora la prima volta che ti vidi all'ospedale, eri piccolissima e sembravi così fragile... Mi avevano detto che le cicogne portavano i bambini alle mamme che li tenevano nel grembo materno fintanto che non foste pronti a nascere, poi vi rivenivano a prendere una volta che i tempi fossero stati maturi. Il che, se ci pensi, non ha senso, può giusto crederci un nanerottolo di appena 5 anni."

"Aha, non... non così tanto!" ridacchio io, sentendomi leggera."

"Ricordo anche che mi sembrò del tutto superfluo che un uccello, per quanto meraviglioso, si prendesse cura di te, perché... c'ero io, non occorreva altro!” la voce di Camus trema consistentemente nel rammentare quei pensieri. Lo guardo intensamente negli occhi, che noto essere leggermente lucidi, ciò mi fa sorridere intenerita. Mio fratello, quando sono nata, aveva pressappoco cinque anni, era a sua volta bisognoso di protezione. Fa strano che un esserino così piccolo sia già così protettivo nei confronti di un'altra creatura, ma... è Camus, non ci si potrebbe aspettare altro!

"Ti è andata bene, comunque. - ironizzo, cercando di farlo stare bene - Anche a me hanno detto per diversi anni della cicogna, poi sono direttamente passati all'essere andati a prendermi su una stellina, il che è ancora più assurdo, non trovi?"

Anche Camus ride, buttando fuori aria, mentre mi massaggia la schiena e mi tiene a sé: "Non... non così tanto, Marta. In fondo, è vero che lo sei, una stellina caduta dal cielo!"

Arrossisco, grata di essere nascosta al suo viso. Non so bene come prenderla questa affermazione, ma mi fa provare calore e mi basta questo.

“A dir la verità, nemmeno io ero tanto grande, ma in confronto a te sembravo un gigante - continua dopo poco, tremando consistentemente - Ti presi in braccio, contento e un po’ agitato, e fu come se tutte le emozioni che fino ad allora non avevo mai provato, mi si sciogliessero nel cuore, riscaldando e colorando il mondo grigio che mi soggiogava. Io pensavo... pensavo veramente che ti avrei vista crescere, invece...” continua lui con voce tremante.

“Non occorre nessuna giustificazione, ieri ero arrabbiata e mi sono sentita un po' tradita, ma razionalmente sapevo già che tu non c'entravi nulla! Va tutto bene, Camus...” provo a dire, imbarazzata.

“E’ giusto che tu sappia. All'età di quasi sei anni, Shion venne a far visita a nostra madre e le disse che possedevo un cosmo, quindi mi condusse al Grande Tempio. Fui quindi costretto ad abbandonarvi e il mondo ritornò ad essere grigio e freddo, forse anche più di prima...” prosegue, ingoiando a vuoto.

Gli stringo forte la mano, consapevole della fatica che fa a spiegarmi tutto questo. Non un asso nelle parole, né tanto meno con le emozioni, sta comunque tentando di esprimere tutto ciò che ha passato in questi anni. Un gesto che non posso far altro che apprezzare.

“Sapevi già che Efesto era nostro padre? Da quanto hai scoperto, con precisione, che sono tua sorella?” gli domando, con dolcezza.

“Sì, sapevo già che Efesto era nostro padre, ma ho scoperto di avere davanti mia sorella solo da quella volta che mi parlasti per la prima volta di tua-nostra mamma Antoinette."

"La ricordi ancora? - chiedo, titubante, meravigliandomi un poco - Non hai pensato fosse un caso ti omonimia?"

"Difficile lo fosse, dato che il nome proprio e la data di nascita coincidevano. Tra l'altro, anche io sono nato a Nizza, sai? Tu... tu invece Genova, perché ci eravamo trasferiti per volere di nonno!" mi sorride teneramente, guardandomi negli occhi, blu come i suoi.

"Oh..." mormoro, imbarazzata, non riuscendo a reggere il suo sguardo limpido.

Tra l'altro, forse lo intuirà già, ma dovrei anche dirgli che i nonni sono entrambi mancati. A ripensarlo, mi fremono le labbra una sensazione di vuoto dilaga in me, ancora una volta sopperita da una sua carezza sopra la testa. Torno a guardarlo, lui ricambia, gli occhi lucidi, un velato senso di tristezza nella sua espressione. Fa un cenno con la testa, come a dire che ha capito, che non c'è bisogno di aggiungere altro. Annuisco, sorridendo amaramente

Come ci riesce... come ci riesce a farmi sentire così bene con così poco?

"Ti giuro, Marta, è stato terribile nasconderti tutto questo, è stato maledettamente terribile... quasi come sapere di avere una sorella che non avrei mai potuto rivedere!” tristezza e impotenza appaiono ben nitide dalle sue parole, pare quasi di poterle toccare con un dito. Gli poso delicatamente una mano sulla guancia, desiderando scacciare via quell'insanabile tristezza dal suo volto delicato. Vorrei continuare a parlare con lui ancora per tanto, tanto, tempo.

"Però a Milo lo hai detto, quando lo hai scoperto. Che io... che io sono tua sorella, voglio dire..."

"L'ho detto, sì, del resto ne ero rimasto sconvolto. Non... non ti avevo riconosciuta, sai? - ammette, quasi come fosse una colpa sua gravissima - Solo... solo quando ho capito chi eri ho cominciato ad osservarti dettagliatamente. Hai i miei stessi occhi, la carnagione e i lineamenti molto simili... non so proprio come io non abbia potuto riconoscerti subito, Marta!"

"Come potevi esserne in grado, Camus? Eri... eri piccolissimo quando sei stato separato da noi!"

"Non rammentavo nemmeno il tuo nome..." si scusa ancora, sofferente, come se dipendesse da lui.

Sbuffo, appoggiandomi di riflesso nuovamente al suo petto, perché glio arrivo giusto lì, alla base del collo: "Non potevi ricordare neanche questo, Camus, non crucciartene!"

Lui annuisce debolmente, tornando ad appoggiarmi teneramente una mano dietro alla nuca e una dietro alla schiena.

Potrei anche rimanere in silenzio e godermi questa vicinanza con lui, le onde del mare, il venticello un poco caldo, ma soffocante. Tuttavia ho bisogno di indagare ancora su una questione.

"Quindi Milo sapeva, è per questo che, quel malaugurato giorno dell'attacco, in cui tu... - non riesco nemmeno a dirlo senza che la mia voce si incrini. Passo oltre - Ha insistito così tanto affinché fossi io a... a donarti il sangue?"

" Sì, era molto spaventato... aveva paura di perdermi u-un'altra volta... - mi rivela, pur glissando l'argomento subito dopo, non ancora pronto per raccontarmelo - Fra l'altro, a posteriori, mi ha raccontato nel dettaglio le dinamiche di questo tuo... gesto!"

Il suo tono è leggermente cambiato, si è fatto un poco più acuto, a tratti grave, come di rimprovero a stento trattenuto. Mi mette istintivamente in allerta, nonostante il suo corpo sia ancora caldo e accogliente e le increspature del suo cosmo serene.

"E-e sarebbe?" decido di fare la gnorri, ben contenta che lui non mi possa scrutare il volto, ancora celato dal metallo duro della sua armatura.

"Mi ha riferito che hai-avete, volevo dire, perché lo ha fatto anche lui, spinto l'infermiera a prelevare più sangue di quanto sia necessario per una trasfusione..."

"Eh, ehm... siiiii?" non so perché mi stia uscendo questo tono a mia volta un poco più acuto, ma avverto la presa dele sue mani passare dalla schiena alle spalle e... stringere!

"Permettimi di capire bene, perché non ero ancora pienamente in me quando Milo, la stessa sera dopo il mio risveglio dal coma, me lo disse, fra i denti, con un senso di colpa grande come un abisso... quindi avete scelto di farti togliere più di una sacca di sangue SCIENTEMENTE in piena estate, con te che soffri di pressione bassa e pesi appena 49,8kg?!?"

Eh, ma allora Milo gli ha detto tutto, ma proprio tutto, altro che solo accennato!

Temporeggio, chiudo gli occhi, mi raddrizzo e gli dono l'espressione meglio riuscita da pura ragazza innocente, forse un poco sprovveduta, per indorare la pillola: "B-beh, sì, sai, tu..."

Vorrei dirgli che stava rischiando la vita, che aveva bisogno di sangue al più presto, che avevo paura, tanta, ne aveva anche Milo, come giustamentre fatto osservare, e che il solo pensare che era in quelle condizioni per causa mia, mi faceva star male. Ma Camus non mi da affatto il tempo di finire, parlandomi direttamente sopra.

"MA SEI CITRULLA?!? So già che Milo lo è, ma te... pensavo fossi più riflessiva, Marta!!!"

Mi stacco completamente da lui, mi faccio indietro, sulla difensiva, gonfiando le gote come se fossi un gatto, affatto contenta di essere stata fermata nel mio discorso.

"Cosa dovevo fare?! Stare lì ad aspettare il miracolo divino?! Non fare nulla per te???"

"E allora doniamo il sangue, rischiando così un collasso cardio-circolatorio, SCIOCCA!"

A questo punto mi indigno proprio: "Sciocca io?! E tu sei furbo, invece?!? Un mostro sguaina le unghie e tu ti butti in mezzo tra me e lui, permettendogli di lacerarti il petto?! E' questa la furbizia che tu intendi?!? - ribatto aspramente, sentendomi le guance divampare - E SEI PURE SCAPPATO DALL'OSPEDALE, COME SE NON BASTASSE!!!"

"..."

Camus mi fissa con serietà, un qualcosa passa nei suoi occhi blu, un poco più scuri della norma. Mi ritrovo così ad avere il fiatone per lo sfogo di prima, abbasso lo sguardo, mentre con la mano destra mi stringo la piega del gomito di sinistra.

Appena 24 ore che so di avere un fratello e già ci sto litigando, Aiolia e Sonia che ci guardano immoti, con una certa apprensione mista a compassione, mi fanno vergognare ancora di più, perché loro vanno d'amore e d'accordo e noi invece...

Riprendo fiato, sospirando appena, di nuovo con le lacrime che mi punzecchiano gli occhi, la vista appannata, il fremito doloroso del mio cuore più insistente.

"Cosa avrei potuto fare di altro, Camus? - gli domando supplichevole - Dimmelo tu, ti prego..."

"Non lo so..." ammette, franco.

"E-ecco. Concedimi di aver fatto almeno questo per te, Camus, dopo le ferite che hai subito per causa mia, anche se è poco, anche se..."

Per la seconda volta mio fratello non mi fa finire di parlare, ma non sono le parole, stavolta, a fermarmi, bensì la sua stretta, perfino più forte e accogliente di prima.

"Non è poco, Marta... è tutto! La mia vita... che hai salvato con questo tuo gesto!" mi sussurra, posandomi un bacio sulla nuca, tra i capelli.

"Camus..." le solite due lacrime mi escono controvoglia dagli occhi, rigandomi il viso.

"Perdonami... non so ancora bene, ora, come farti da fratello maggiore! Mi... mi sento così impacciato, vorrei ringraziarti per ciò che hai fatto per me, ma se penso al pericolo che hai corso, io... provo una fitta al cuore!"

"A-anche io non so come minimamente come fare... possiamo quindi dire di essere in due, giusto? Impariamo insieme?"

Inaspettatamente lui trema ancora più forte a seguito della mia frase, sembra scosso da qualcosa, prima di riuscire a tornare a rilassarsi contro di me: "Adesso siamo in due, sì..." soffia leggero, come se tornasse a respirare con regolarità.

Sonia, tra le braccia di Aiolia, ci guarda ora dolcemente, percepisco la sua occhiata; un leggero sorriso riscalda un po' anche il suo volto. Siamo indissolubilmente legate, io e lei, la conosco da poco, ma mi sento affine al suo spirito. Nello stesso momento la mano di Camus, dietro alla mia nuca, mi sospinge ancora di più contro il suo petto, quasi avesse paura di vedermi sparire da un momento all'altro, come foglie autunnali che, spinte dal vento spietato, volano lontane dall'albero. Mi stringe con una forza quasi disperata, ma non piange, le sue emozioni passano tutte nel suo torace sconquassato.

“Ora che ti ho ritrovata... - inizia, prima di fermarsi un attimo per riuscire a continuare - ora che ti ho ritrovata non permetterò più a nessuno di separarmi di nuovo da te... te lo prometto, Marta!" conclude a fatica, prendendo un profondo respiro, mentre mi accarezza dolcemente i capelli.

Sorrido emozionata, puntellando i piedi per appoggiare, di riflesso, la mia fronte contro la sua, gesto che lui accoglie dapprima con un'espressione sorpresa e poi con un tenero, quanto genuino, sorriso.

“Ed io ti prometto che non permetterò più a nessuno di farti del male, diventerò forte per te, per proteggerti, Camus, lo giuro!” ribatto, decisa, traendone nuova spinta a fare di meglio.

"Testarda come sei, ne saresti anche capace, Marta..." mormora lui, mantenendo il contatto con la mia fronte per poi rilassarsi completamente al mio abbraccio.

 

*****

 

10 luglio 2011, pomeriggio

“Michela, aspetta!” grida Hyoga, correndo dietro alla mia amica, alias la sua ragazza, direi... ohibò, non sono ancora abituata a vederli così!

Fra l'altro, è da diversi minuti che Michela, ancora sconvolta dalle rivelazioni di ieri, cammina senza sosta, precisamente da quando io, tornando dalla spiaggia per andare a chiarirmi con Francesca, li ho trovati a discutere animatamente sugli ultimi accadimenti.

So che non è corretto, ma quando ho visto la mia amica scattare improvvisamente nominando suo padre, non ho potuto far finta di niente, l’ho seguita senza farmi vedere.

Proprio ora sono dietro ad un albero e osservo preoccupata la mia amica. Non occorre il mio intervento, credo basti Hyoga, ma è pur sempre una delle mie migliori amiche e devo vegliare su di lei. Devo proteggerla!

“Michela! Michela! Ti vuoi calmare?!” Hyoga la afferra deciso per il polso.

“Lasciami!” grida di rimando lei, cercando di divincolarsi. Tutto inutile. La morsa del Cigno è implacabile.

"Non finché non ti sarai calmata!"

"E come posso calmarmi, eh?!" singhiozza indispettita, mentre gli occhi le si fanno lucidi.

“Guardami, ti dico! - non è una esortazione ma una specie di ordine, che si esemplifica con il suo abbraccio sincero che le cinge le spalle - Che succede?”

La sorpresa per la genuinità del gesto la destabilizza solo per pochi secondi, poi si scrolla, raddrizzandosi per guardarlo in faccia.

“C’è bisogno di chiederlo?! Mio padre è Ares, e non gli importa nulla di me! Stavo meglio prima quando pensavo che mio padre fosse solo un fottuto egoista codardo, ma UMANO! Ora cosa dovrei fare, me lo spieghi?! Non so più nemmeno chi sono!” alza ulteriormente la voce, che si spezza nell'esposizione.

"Se fosse stato umano sarebbe stato meglio per te?" la domanda del Cigno è strana, ma il suo tono e i suoi stessi occhi sono seri più del consueto.

"Certo!"

“Non significa niente, Michela, umano o dio sono le azioni a parlare! - sancisce Hyoga, rabbuiandosi, appoggiandosi poi ad una roccia e indicandole di sedersi al suo fianco - Inoltre i vincoli famigliari non sono i soli ad incidere sui rapporti, anzi molto spesso si può essere profondamente legati ad una persona anche senza essere parenti di sangue!"

Michela lo guarda perplessa, non capendo pienamente le sue parole, poi si siede vicino a lui. La mno del Cavaliere di Bronzo naviga goffamente sul suo ginocchio, dove rimane per farle percepire la sua presenza.

"Vorrei raccontarti la mia storia, perché mio padre era, sì, umano, ma ciò non gli ha impedito di comportarsi, nei confronti dei suoi figli, come un essere completamente astatico e slegato emotivamente da qualsiasi legame..." inizia a spiegare, un poco titubante.

"F-figli?! hai dei fratelli, Hyoga?"

Pausa. Il ragazzo guarda le nuvole, gli occhi celesti puntati al cielo così affine al suo sguardo. Sospira.

"Ne avevo... 99!"

COS..?!

"Cheeeeeeeeeeeeeeee???"

L'urlo sgomento della mia amica fortunatamente cancella il mio spasimo che, a sua volta, si stava elevando ad esclamazione.

"E me ne sono rimasti nove..."

"Che... che significa, Hyoga?!"

"Mio pa- NO! Quell'uomo non può essere definito tale! - scrolla la testa risentito, qualcosa passa fulmineo nei suoi occhi - Colui che mi ha generato aveva un ideale di giustizia superiore a qualsiasi altra cosa. Per quello, avrebbe compiuto le più grande efferratezze. Non posso dire di averlo capito, tanto meno averlo perdonato, ma... col tempo, l'ho accettato!"

"Spiegati meglio, Hyoga..." lo prova ad incentivare Michela, stringendogli di riflesso la mano. E il Cigno, pur riluttante, lo fa.

Ne deriva un racconto che osceno è dir poco e che neanche nelle mie fantasie più accanite sarei riuscito a partorire: un uomo, un vecchio, per l'esattezza, che per la sua sete di giustizia mette al mondo figli a destra e a manca con donne diverse, per poi spedirli, uno ad uno, ad allenarsi per diventare Cavalieri. 100 in tutto, per davvero; 10 quelli tornati, i soli, Hyoga compreso.

Me ne deriva una intensa sensazione di disgusto misto a vergogna per aver origliato un racconto che, probabilmente, l'allievo di mio fratello, avrebbe volentieri tenuto per sé o per la mia amica al massimo, ma almeno ho il quadro più completo e chiaro adesso. Osservo Michela, ha l'angolo destro della bocca piegato in giù, parafrasi dello schifo che sta a sua volta provando.

"Il mio nome completo, Michy, è Hyoga Kido, perché Kido è il cognome di quell'uomo con il quale condivido il sangue."

Silenzio, di nuovo. Unica risposta possibile a questa narrazione che ha del fantastico e scabroso al tempo stesso.

"Quindi tuo padre era un porco, nient'altro! Quasi quasi preferisco il mio!" commenta alla fine Michela, facendogli perfino scappare un timida, quanto tirata risata.

"Sì, si può dire di sì..."

"E' osceno tutto questo! Un padre che..."

"Lui non è mio padre, Michela! - la intercetta Hyoga, nuovamente ravvivato, nel pensare a qualcuno in particolare - Camus lo è!"

"Il maestro?"

“Sì, mi ha cresciuto lui, sai? Quando penso ad una figura paterna, appare il suo volto tra i miei pensieri. Non importa se il mio sangue è sporco da quell'uomo, l'ho comunque versato in battaglia, insieme ai miei fratelli, mi sono depurato. Non ho più nulla da spartire con lui. Mi ha messo al mondo, fine. Non gli devo più niente!"

"..."

"E' stato il Maestro Camus a farmi crescere e... avevo anche un fratello non di sangue ma di dedizione, sai? - si arrischia a rivelare, pur glissando subito quell'argomento con un sospiro affranto - Sono quel che sono grazie a loro. Questo per dirti che i legami di sangue, da soli, non sono nulla. Bisogna esserci, di giorno in giorno!"

Il suo discorso mi colpisce molto. Devo ammettere che Hyoga, è molto maturo per uno della sua età, probabilmente ciò è dovuto a tutte le esperienze pregresse. Un ragazzo di 16 anni che parla così, nel mondo di prima, me lo sognavo di notte. Ho sempre avuto un sacco di problemi con l'altro sesso, con un'unica eccezione, e invece... non mi sarei mai aspettata di sentire discorsi simili da un adolescente!

"Riesci a capirmi?" chiede poi, accarezzandole di riflesso una guancia con il pollice.

“Sì, ho capito a cosa ti riferisci, anche io voglio bene alle mie amiche come se fossero mie sorelle, e ci siamo scelte, noi, senza ombra di dubbio! - esclama lei, gli occhi nuovamente vivaci, che però poi si oscurano nel proseguo del discorso - E ora scopro che un fratello maggiore ce lo aveva per davvero."

"Già. - sospira Hyoga, un poco turbato, o comunque non del tutto tranquillo, a giudicare dalla sua postura - Il Maestro Camus." continua, mettendosi a sedere per poi divaricare le ginocchia e fissare un punto qualsiasi della sabbia.

Che Camus sia effettivamente mio fratello di sangue deve aver sconvolto anche loro, oltre che me.

"Io... non avrei mai potuto immaginarlo!" si raschia la voce Michela, sedendosi vicino a lui per poi mettersi a osservare il cielo.

"Io... un po' sì!"

Michela trasalisce, grazie al suo verso, ben più alto del mio, il mio sussulto a seguito delle parole del Cavaliere del Cigno viene celato.

"Sapevi che il Maestro Camus avesse una sorella?!" esclama la mia amica, sgranando gli occhi.

A questo punto, anche Hyoga si mette a fissare il cielo, sembra triste: "No, non lo sapevo, lui non me ne ha mai parlato. - si schiarisce la voce, affranto - Ma la prima volta che l'ho vista, dopo che è corsa da te guidata dall'istinto di protezione, mi è quasi prese un colpo."

Michela non parla, si limita ad osservarlo con più attenzione, intanto Hyoga, dopo un risolino nervoso e aver dato alcuni pugnetti su una duna di sabbia, riprende il suo discorso.

"Ha gli occhi del Maestro Camus e gli stessi lineamenti, anche se più addolciti, talvolta la stessa espressività. - e qui si mette proprio a ridacchiare, socchiudendo le palpebre - Ero ancora assonato, ma ti posso assicurare che quando l'ho vista e ho scorto la sua espressione affatto conciliante, per dire un eufemismo, ho creduto di averla combinata grossa e che il maestro ce l'avesse con me per qualche ragione."

"Esagerato! - gli da una gomitata affettuosa Michela - Era solo protettiva!"

"Oh, lo so, ma è stata un'occhiata abbastanza... eloquente, senza bisogno di tante altre spiegazioni!"

"Ehehehehe, non posso darti torto! - gongola Michela, tutta soddisfatta, prima di tornare seria - Marta ha preso molto da sua madre che... beh, è anche la madre del Maestro Camus, a questo punto. Lei a sua volta ha preso molto dal Nonno Dante che, sì, ti posso assicurare essere stato molto, molto, severo, oltre che rigoroso, come persona. Tuttavia aveva anche un cuore d'oro."

"Come il Maestro Camus... - dice Hyoga, con un altro sorriso triste - Mi sarebbe piaciuto conoscerlo!"

Lo osservo nell'avvertire quasi il suo dispiacere. Per un ragazzo come lui, orfano di madre, con un padre che avrebbe potuto essergli direttamente nonno, non dubito che non aver potuto conoscere e apprezzare figure famigliari così gli abbia lasciato un grande vuoto. Stringo di riflesso le mani a pugno: mi dispiace così tanto per lui, non lo meritava!

Silenzio. Solo il suono delle onde del mare fa da padrone per pochi, necessari, minuti. Sono quasi convinta di andarmene perché già ho origliato tanto, ma la successiva domanda di Michela mi spinge a rimanere per un altro po'.

"E invece per quanto riguarda noi due?”

“Noi due? Casa intendi?” domanda Hyoga, arrossendo visibilmente.

“Voglio dire, tu... come mi vedi? Come una sorella, oppure..? N-non sono una qualsiasi per te, spero. Però... però... l'altro giorno, quando eravamo davanti alle mie amiche e al Maestro Camus, mi sembravi un po'... - prende una breve pausa, fissandosi i piedi - ...refrattario, diciamo, a manifestare, uhm, come dire..."

“Mi-Michela io... sai cosa provo per te, ma non sono abituato a professarlo in pubblico, non sono abituato a... manifestare i miei sentimenti, ecco, e... e... - tartaglia di nuovo, sempre più imbarazzato - e poi il Maestro Camus deve aver pensato che mi fossi rincretino, in quella circostanza, il suo sguardo è stato abbastanza... eloquente..."

“Quindi... non mi ami?” sussurra Michela, sempre più contrita, mordendosi le labbra. Hyoga annaspa, ricercando le parole per farglielo capire in maniera più diretta. Io, intanto, dalla mia posizione, mi do una manata sulla fronte, appurando per la milionesima volta che la mia amica è proprio una tonta, in senso affettivo, ingenua, o le cose le si dicono platealmente o non le capisce. Hyoga ti ama, sciocca, solo che, a differenza tua, che lo vorresti urlare ai quattro venti, lui è molto più riservato!

“ Michela, io... forse non sono stato abbastanza chiaro: TI AMO! - risponde, baciandola inaspettatamente sulla bocca, capendo forse che non si sarebbe spiegato in altra maniera. Vai così, Cigno, spiega le tue ali! - Era altro quello che intendevo, ma... ne parleremo un'altra volta..." aggiunge, appena staccatosi.

“Cos-cosa hai trovato di così straordinario in me?”

“Tutto, Michela: il tuo sorriso, la tua irrefrenabile allegria, la tua vivacità... sei la mia complementare, l'ho capito appena ti ho visto e... vorrei davvero che potesse funzionare tra noi!” afferma ancora Hyoga, abbracciandola con trasporto. E' il turno di Michela di produrre vaneggiamenti e balbetti vari, forse meglio togliere il disturbo, in modo da dare loro un po' di di privacy. Sono più serena adesso.

 

Un sorriso si dipinge sul mio volto e il cuore mi incomincia a battere forte, intenerito da quella scena. Mi volto senza dire una parola, guardando il cielo azzurro e le nuvole veloci che passano. Ho la conferma definitiva: Hyoga sarà un grande compagno per la mia amica, anche se all'inizio avevo delle riserve dettate dalla 'troppa velocità'.. Faccio ancora qualche passo, prima di puntare nuovamente gli occhi verso il cielo azzurro, così lontano, così etereo... "E voi? Spero stiate bene, ovunque voi siate... anche se non riesco più a vedervi." dico tra me e me, raschiandomi la gola, mentre la vista mi si fa appannata e il dolore al petto, ami del tutto assopito, come se mi mancasse un pezzo, si fa più forte.

La brezza leggera mi carezza i capelli, mi fa sentire meno sola, nonostante tutto. Riprendo lentamente a camminare, socchiudendo gli occhi per respirare a pieni polmoni, per sentirmi ancora una volta viva.

Mi mancate ancora tantissimo, questo non potrà mai cambiare, come è vero che vi amerò per sempre, da qui, fino all'ultimo dei miei giorni su questa Terra.

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo:

Dedico il capitolo a Sonomi che mi ha aiutato ad imbastire questa storia fin dall'inizio, se non fosse stato grazie a lei questa storia non sarebbe mai stata scritta... Grazie! Ovviamente ringrazio anche tutte coloro che mi hanno aiutato o hanno semplicemente letto questa storia! Grazie a tutte!

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Capitolo 19
*** Momenti di tranquillità ***


CAPITOLO 19

 

MOMENTI DI TRANQUILLITA’

 

10 luglio 2011, sera.

 

Ritorno alla casa dell’Acquario, stanca per la lunga giornata ricca di avvenimenti ed emozioni. Purtroppo non posso ancora riposarmi, devo ancora parlare con Francesca e sistemare le ultime incomprensioni.

Varco la soglia della cucina, e già ho un travaso di bile nello scorgere una figura che, per dire un eufemismo, non mi aggrada particolarmente: chi ha dato il permesso al mio presunto padre di varcare le sacre pareti dell'undicesima dimora?!

“Cosa fai qua?!” chiedo acida, più per mascherare la paura che non per altro. Dopotutto il nostro ultimo confronto si è risolto con una sberla impunita da parte mia, non penso proprio di sfangarla.

Camus e Francesca, prima intenti a fronteggiare a viso aperto Efesto, si girano verso di me per poi avvicinarsi protettivamente a me. Il dio potrebbe bellamente uccidermi con un schiocco di dita, visto l'affronto subito, ma non posso permettermi di indietreggiare, neanche con lo sguardo!

“Sei piuttosto maleducata, ragazzina! Tuo fratello e tua madre non ti hanno insegnato l’educazione?” domanda il simpaticone in tono sarcastico, l'occhio puntato contro di me.

Sto per rispondergli che per il primo non c'è neanche stato il tempo di farlo, visto che sono stata separata da lui quando ero in fasce, ma è Camus stesso ad intervenire.

“Non sei nelle condizioni per parlare di educazione e di buoni sentimenti, Efesto!” lo minaccia, infatti, mettendosi davanti a me con fare protettivo. Lo guardo con un misto di adorazione e rispetto, sentendomi davvero felice delle sue attenzioni.

"Vedo che sei molto protettivo con lei..."

"Qualcuno lo deve pur essere..." è la sua pronta risposta, mentre mi circonda esaustivamente le spalle con un braccio.

Io potrei toccare il cielo con un dito in questo momento. Mi ritrovo a sorridere raggiante, trovando una motivazione in più a fronteggiare il dio senza remore alcuna. Lo fisso trionfante e con gli occhi accesi di sfida, ma lui, dopo un breve sbuffo e aver scrollato altrettanto esaustivamente la testa, dirige il suo unico occhio in quelli glauchi di Francesca, che non cede invece di un millimetro.

"Sei stata brava a fare da intermediario e condurre le semi-dee fino a qua, tuo nonno deve essere più che soddisfatto!" le dice, franco.

Ci metto qualche secondo in più a razionalizzare che suo nonno è Zeus in persona, il re degli dei. Un brivido di rabbia mi scorre lungo la schiena nel rammentare, ancora una volta, quanto lei ci abbia mentito per tutti questi anni.

"..."

"Ora puoi venire con noi, con me ed Hermes, con i tuoi simili... - non nasconde un accento di spregio nel pronunciare l'ultima parola - Necessitiamo dell'aiuto degli semi-dei, è vero, ma il tuo compito qui è concluso, non sta scritto da nessuna parte che tu ti debba miscelare ancora a questi..."

"...Umani?" conclude lei, inarcando un sopracciglio.

"Umani, sì. - ci guarda, neanche fossimo dei pezzenti, ed io gli vorrei saltare addosso, ma la mano salda di Camus sulla mia spalla, mi suggerisce di attendere - Hai ricevuto ordini dal Sommo Zeus di seguire le semi-dee, giusto? Almeno fino a quando non avrebbero scoperto la verità. Ora quella verità, il loro sacro compito, si è manifestato. Non sappiamo ancora chi siano gli eletti, ma..."

"Mi hai frainteso, Efesto! - c'è un po' di spregio anche nelle sue parole, non capisco da cosa dato, mentre la vedo raddrizzarsi e affrontarlo senza esitazione - Nonno Zeus mi ha, sì, affidato il compito di salvaguardare Michela e Marta, ma rinascere umana è stata una MIA precisa scelta!" sottolinea, un poco superba.

"Umana?! Vorresti dirmi che tu hai rinunciato ad una parte del tuo Icore per... per miscelarti a questi... questi..."

"EFESTO! - l'alzata di tono della mia amica è imponente, farebbe tremare chiunque, divinità compresa. E infatti Efesto esita, allibito - Come puoi dire questo, davanti ai tuoi figli?!"

La guardo meravigliata, di certo l'asticella dell'affetto che nutro per lei, dopo questo exploit, ha compiuto un doppio balzo in avanti. E' riuscito a zittire perfino un Olimpo, sono veramente impressionata, e Camus con me. Poco dopo comunque, la mia amica sente il bisogno di spiegarsi.

"Penso che Nonno Zeus conoscesse, a grandi linee, il disegno tracciato dalle Moire senza sapere come si sarebbe attuato. Era consapevole che, in qualche modo, la mia strada si sarebbe incrociata con quella di Michela, Marta e successivamente Sonia, nonché il Maestro Camus, Aiolia e Aiolos - si ferma un attimo nel suo discorso, prendendo un profondo respiro prima di proseguire - Non mi ha fermato quando, tanto tempo fa, scelsi di rinascere umana, ed è una scelta che tutt'ora avvallo, Efesto. Non torno indietro, lassù è troppo freddo per i miei standard!"

Vedo Efesto stringere i pugni, farsi per un attimo livido, prima di voltarsi stizzito dall'altra parte: "Come puoi dire questo dell'Olimpo?! Come può dirlo una dea come te, che è sempre stata baciata dal sole e dalla fortuna?!"

"Tu lo hai sempre rincorso l'Olimpo, è vero... - sbuffa lei, con un poco di spavalderia - Ebbene, te lo cedo volentieri, dio delle Fucine. Io rimango qui, con il Maestro Camus e le mie amiche!"

Li guardo senza capire. Dovrei rammentarmi forse il mito di Efesto ma non ci riesco. Fino a ieri, poi, lo relegavo alla mitologia, cose antiche insomma, salvo poi scoprirmi sua... figlia! Brrr, non so se la accetterò mai veramente, questa cosa!

"Sprezzante, tronfia, addirittura, ti sottoponi ad un inutile ciclo di rinascita e morte che ha il solo fine di far soffrire un essere come te che, di per sé, dovrebbe essere perfetto... Francesca. E d'altronde, lo so bene io, che con gli umani ho vissuto per secoli... - per qualche secondo sembra dispiaciuto, ma si riprende in fretta, tornando lo stronzo sputasentenze di prima - Come preferisci, non ti considererò più come parte di noi!"

E sticazzi, mi verrebbe da dire, se dovessi aggiungere qualcosa, ma è Camus, molto più diplomatico di me, a farlo in mia vece.

"Starà bene qui, Efesto, se è questa la tua REALE preoccupazione. - lo pungola con eleganza e con quel solito modo di fare suo che non le manda di certo a dire, pur rimanendo su toni decisamente civili - Non hai nulla di che temere!"

“Camus, ne ho anche per te, se per quello... anche nel tuo caso la risposta definitiva, ordunque? Non vuoi proprio essere un guerriero freddo e implacabile, privo del fardello delle emozioni?!” chiede allora Efesto, cambiando drasticamente discorso, come se si allacciasse ad un dialogo avuto in precedenza, quando io non ero ancora presente.

“No! E poi perché dovrei esserlo proprio ora che ho pure ritrovato mia sorella?! Hyoga, che vive di sentimenti, si è dimostrato più volte superiore a me, malgrado tutte le difficoltà avute e i tentennamenti!” ribatte lui, secco.

“I sentimenti sono ridicoli! Rendono l’uomo imperfetto e debole, lasciandolo in balia degli eventi. E' per questi cosiddetti sentimenti che per poco non morivi per salvare tua sorella, e ancora ti ostini a provarli! - il suo tono è imperioso e freddo, mi fa imbestialire, soffio esaustivamente nella sua direzione, perché non si deve permettere di trattare così né Francesca né Camus, ma è di nuovo mio fratello, ora di nuovo davanti a me, a farmi cenno di controllarmi - Come pensi di assecondare i tuoi obblighi verso Atena in queste attuali condizioni, figlio mio?! Non ti reggi in piedi che a stento!"

"Come farò non è affar tuo, Efesto, non ti sei MAI interessato né a me né a Marta, e sia io che lei... abbiamo saputo arrangiarci, come puoi ben vedere!" esclama Camus, affinando lo sguardo nella sua direzione.

"Come preferisci allora, se questa è la tua decisione... – il dio si blocca un attimo come a rimuginare su qualcosa, poi, con un gesto rapido, senza darci nemmeno la possibilità di agire, sfiora il petto di Camus con due dita, facendolo cadere istantaneamente in ginocchio, ansante – Come volevasi dimostrare... stai attento a non farti uccidere, le ferite sono tutt'altro che risanate, checché tu lo nasconda a tutti!” conclude, uscendo con noncuranza dalla casa.

“Brutto...! Dove credi di andare ad...” ho l'istinto di corrergli dietro per inseguirlo e, con ogni probabilità, pigliarmi io uno schiaffo, stante il divario tra noi, ma Camus mi afferra per il polso per bloccare i miei progetti.

“Marta... tranquilla, non mi ha fatto niente!”

“Ma lui ti ha...”

“Mi ha solo sfiorato, nulla di più, nulla di meno, eppure questo, SOLO questo, è bastato per farmi crollare a terra, esausto!” ringhia lui, stringendo il pugno con rabbia.

"Camus..."

"Non è nostro padre ad avermi fatto male, sono io ad essere debole!"

Mi accuccio al suo fianco, preoccupata, regalandogli una veloce carezza tra i capelli per rassicurarlo. Lui mi fissa stupito, quasi non se lo aspettasse, poi accoglie il mio invito a rialzarsi in piedi, anche se, nel processo, deve fare un poco leva su me per riacquistare la piena stabilità.

“Credo che i sentimenti non rendano debole una persona, ma la fortifichino! Proteggere una persona cara conduce alla vera forza! E’ triste che Efesto non capisca questo” mormora Francesca, rabbuiandosi.

“Per questo sei rinata umana, vero? - le chiedo, guardandola - Le tue parole di prima..."

"Sì, era troppo freddo lassù, come ho già detto. E'... è soffocante!"

"Quindi... hai scelto tu di rinascere e vivere come un essere umano. Più volte. Non deve essere stato facile..." continuo, guardandola negli occhi nel tastare il terreno.

"E' così, ma non sono l'unica alla ricerca di emozioni, anche altre divinità lo hanno fatto, mia madre, per esempio, che mi ha seguito in questa avventura."

"Urania. - rimugino, ricordandomi che effettivamente sua madre ha il nome di una delle Muse, anzi, lo è, direttamente. Mi inscurisco - Ma prendete ordini da Zeus, sei diventata nostra amica per..."

"Marta! - è lei a fermarmi, prima io possa proseguire, nelle iridi una scintilla di rimorso - Che io abbia avuto l'incarico da mio nonno di badare a voi, non è pertinente alla mia scelta di provare emozioni umane, né di essere diventata vostra amica. L'ordine mi è arrivato dopo, quando vi avevo già conosciuto e mi ero... sì, insomma, affezionata, le cose che si dicono quando... quando si vuole bene a qualcuno!" sembra impacciata nell'esprimere ciò che sente, è arrossita, le gote le si sono accentuate di rosato e ha abbassato istintivamente il capo come a volersi nascondere.

Annuisco. Posso cominciare a capire ora. Posso. Non cambia niente, della sua personalità, né della sua amicizia, ma ho bisogno di tempo per digerire questa nuova consapevolezza, non lo posso negare.

“Scusami, lo comprendo. Non deve essere stato facile nemmeno per te nasconderlo. - sospiro, un poco tesa, incrociando le braccia al petto al limite del disagio. - Ma ho bisogno di tempo per calibrare tutta questa situazione, Fra."

"Lo capisco." sembra corrucciata e non sa come esprimersi, lo vedo bene, ma non so come aiutarla.

"Sapevi che Michela ed io fossimo semi-dee, sapevi che io fossi figlia di Efesto e lei di Ares, sapevi della Profezia. Immagino fossi anche a conoscenza del Santuario e dei Cavalieri d'Oro... - prendo una breve pausa, mentre lei, tiepidamente, annuisce, portandomi così ad indurire la mia espressione - Sapevi anche che questo cosiddetto Santuario mi avesse strappato, in tenera età, un fr..."

"Questo no! - mi intercetta, tornando a sostenere la mia espressione - Non sapevo che voi foste fratelli, pensavo, come tutti, che tu fossi figlia unica!"

"..."

"So cosa stai pensando, Marta... Michela ed io abbiamo sempre saputo del tuo forte desiderio di avere un fratello maggiore, e di quanto ti facesse soffrire il non averlo, per questo sarebbe intollerabile per te venire a conoscenza che io stessa, tua amica, anche se a fin di bene, avessi celato per tutto questo tempo una simile verità... - proferisce con parole soffici, rammaricata dall'intera faccenda - Ma ti assicuro che non lo sapevo. Antoinette, tua-vostra madre non mi ha mai detto nulla di simile, decidendo di covare silenziosamente un dolore simile dentro di sé. E, stante la situazione, aveva più di un buon motivo per farlo!"

Annuisco ancora una volta, laconica. Era ciò che volevo sentire, il cuore mi si è fatto un po' più leggero, anche se non so bene perché. Respiro con più calma ora, mi si è levato un peso.

"Anche se... da quando siamo qua, per ovvie ragioni, non ho potuto fare a meno di notare una certa somiglianza tra voi."

"Pfff, me lo dite tutti, anche Milo il primo giorno, quando Michela è andata a sbattere su di lui, e lui se ne è uscito dall'acqua tutto gaudente. Mi aveva riferito che avevo degli occhi splendidi, in tutto e per tutto identici a quelli di un suo amico. Eppure io non..."

"Marta... - è Camus a parlare stavolta, indovinando le mie emozioni, mi giro a guardarlo, gli occhi lucidi - Te l'ho detto anche stamattina, non potevi capire in alcun modo di essere mia sorella, eri troppo piccola quando ci separarono. Avrei dovuto dirtelo io, appena scopertolo, ma... non ci sono riuscito!"

Sospiro nel rendermi conto di starmi comportando come una bambina: sono avvilita, pertanto recrimino sul nulla, come al solito.

“Fra, rispondi ancora a questa domanda, per favore... - butto fuori aria, cercando di scacciare via il turbamento - Quindi sei sempre stata felice e serena con noi, anche se eri così distante dalla nostra natura?” le chiedo, addolcendo un poco l'espressione. Nemmeno Michela ed o siamo completamente umane, a conti fatti, tutto ciò che pensavamo di essere è stato sbalzato via in un battito di ciglia.

“C-certo! Provo gioia nel mio cuore quando sono con voi, è un qualcosa che, al solo ricordare le nostre avventure, mi fa sorridere tra me e me. - risponde, pronta, dimostrandomi, ancora una volta, che le sue emozioni sono sincere - Solo che... è difficile da spiegare! Sono abituata a reputare i fatti superiori alle parole, non... non mi sento molto a mio agio a parlare di ciò che sento io...” risponde lei, al limite dell'imbarazzo.

“Allora va bene così, non importa ciò che tu sei, ma ciò che fai o che senti di provare... i fatti rendono la persona per quello che è, hai pienamente ragione!” affermo, abbracciandola contenta.

Camus ci sorride, felice anche lui che ci siamo finalmente chiarite. L'arco relazionale tra tutti noi è praticamente ripristinato, malgrado l'intervento delle divinità. Gioia e tripudio!!!

“Camus, stavo pensando... non sarebbe meglio farti controllare la ferita da qualcuno? Tutto questo non è normale!” propone Francesca ad un certo punto, avvicinandosi a lui.

“Per quale ragione? Anch'io so controllarmi e medicarmi la ferita da solo, lo faccio ogni sera, quando voi state già dormendo. Inoltre me ne rendo benissimo conto anche io che non è normale il suo decorso!” risponde in tono aspro. Si è messo sulla difensiva immediatamente, sarà più ostico del previsto.

“Magari un parere esterno...” ritentiamo, cambiando approccio.

“Non servirebbe! Non è cambiato nulla, nella ferita, da quel giorno, solo il dolore che è sempre più forte e pressante, ma LEI è rimasta uguale...” continua sempre più cocciuto Camus, posandosi una mano sul petto.

“Forse se la fai vedere a Mu...” riprovo, con medesima testardaggine.

“So cavarmela da solo! E-e comunque ci ho già parlato con lui, non può nulla, nessuno può, ma va bene così: io ho subito questa ferita, io sopporterò il peso di essa!” ribatte, irremovibile. Le sue guance hanno acquisito un netto colorito rosso. La sola idea di farsi toccare e maneggiare da altri non gli piace, lo mette in allerta, non c'è alcun modo per scalfire questa corazza.

“Camus, capisco quello che provi, ma...” il mio discorso viene però interrotto dall'arrivo di Michela e Hyoga.

“Michela!” la chiama Francesca, correndole incontro per dirle quello che ha spiegato a me.

“Parleremo di questo un’altra volta!” conclude Camus, dirigendosi in cucina per preparare la cena. Sbuffo contrariata, comprendendo che il suo 'un'altra volta' equivale ad un 'mai'.

 

*****

 

11 luglio 2011, notte

 

...Un’ombra scura sta coprendo tutto il mondo, sconquassandolo con il simbolo della falce... persone che muoiono, colpite da raggi provenienti dal cielo; vulcani eruttano all'ordine di Ares e contemporaneamente tempeste di fulmini distruggono tutto rendendo la Terra una landa desolata. Mia madre, le mie amiche, i Cavalieri d’Oro stesi al suolo, in un lago di sangue e la consapevolezza di essere impotente... la risata malvagia di Hades mi rimbomba nelle orecchie. Un urlo esce dalla mia bocca, ma non ho più la forza di produrre alcun suono... è veramente finita?!

 

Nel cuore della notte mi agito nel letto, le lacrime sgorgano senza sosta dai miei occhi. Non è possibile... io ho causato tutto questo?! Il mondo verrà distrutto senza possibilità di appello?! I miei amici, le persone che abitano questo pianeta... NO! NO! ODDIO, NOOO!

“Marta! Marta! Calmati, sono qua ora!” la voce preoccupata di Camus e il suo leggero tocco, mi fanno aprire gli occhi di scatto.

“Camus! Il mondo! Sei morto... SIETE! Ed è tutta colpa mia, perché io ho sovvertito le regole di questa dimensione!!!” blatero sconvolta, non riuscendo a smettere di dimenarmi.

“Era solo un incubo, Marta, ora è finito! Siamo tutti qui e stiamo bene, su, calmati adesso!” mi tranquillizza lui, stringendomi a sé e accarezzandomi la schiena con fare protettivo.

Affondo il mio volto nell'incavo della sua spalla, accorgendomi che non indossa la consueta canottiera con cui dorme, ma una maglietta scollata sul petto che mette in mostra la parte finale delle clavicole senza però scoprire la ferita situata poco più in basso.

“Camus, non hai dormito?” gli chiedo, tentando di rilassarmi a quel contatto. Istintivamente poso l'orecchio sul suo cuore alla ricerca di un conforto, i suoi battiti sono una panacea per me, risucchiato tutte le tenebre residue dell'incubo.

“No, ieri sera sul tardi è venuto Milo a parlarmi e quando stavo per andare a dormire ho sentito che anche Francesca e Michela si stavano agitando nel sonno. Sono rimasto con loro finché non si sono riaddormentate!” risponde lui, con voce gentile. Rimango ancora un po' lì, rinfrancata, poi, di getto, rivelo una cosa.

“Ho sognato anche la mamma...” mormoro quasi automaticamente, sentendo una grande tristezza impossessarsi di me.

“Ti manca, vero?" chiede lui, tremando appena. Annuisco senza proferire parola, desiderando con tutto il cuore di poterla vedere.

“Allora questo è il momento per una visita al passato!” afferma lui ad un tratto, alzandosi lentamente in piedi.

Guardo la sua sagoma nel buio senza capire, ma non ho nemmeno il tempo di chiedere spiegazioni che mi sento prendere delicatamente in braccio. Sobbalzo sorpresa, obbligando lui a fare leva anche col braccio sinistro per non farmi sbilanciare. Mi rendo nitidamente conto della fatica che fa nel sorreggermi, perché è come se tremasse e le ferite al petto gli devono tirare molto.

"C-Camus, no! Non devi sforzarti in questa maniera per me!"

"Non ti piace... essere presa in braccio?" mi chiede lui, in un tono che trovo quasi adorabile.

"Non è quello. E' che sei ferito."

"Non è la prima che subisco sul mio corpo, Marta, non devi preoccuparti!"

"Ne hai subite... di così gravi?" chiedo flebilmente, corrucciata.

Lui ci pensa un po' su, esita, prima di rispondere: "Una, almeno, sì... ho rischiato di morire."

"Un'altra volta?!""

È il mio turno di tremare, affatto allietata dalla notizia. Sembra aver già sofferto così tanto, in appena 22 anni di vita... mi fa star male.

“Non ci pensare adesso e tieniti forte a me, intesi?” mi sussurra, con dolcezza, regalandomi una pacca dietro alla nuca come ad esemplificare quanto detto.

Istintivamente chiudo le palpebre e faccio come mi ha chiesto, appendendomi alla ben meglio al suo collo. Neanche un secondo dopo mi sento posare su un pavimento fresco. Apro quindi gli occhi, confusa, non riuscendo a distinguere alcunché, di certo comunque non sono più dov'ero prima.

Lascio abituare i miei occhi all'oscurità, prima di accorgermi d trovarmi in un labirinto di corridoi e porte.

Mi guardo intorno, smarrita... questo è?! No! Non è possibile, è l’albergo in cui le mie amiche ed io alloggiavamo prima di entrare nel mondo dei Cavalieri!

“Camus, tu...?” inizio, confusa. Vorrei chiedere spiegazioni ad un sacco di cose, per esempio come facesse a sapere che era questo l'albergo, o a come siamo riusciti ad arrivarci così in fretta, considerando che a quest'ora dovrebbe essere chiuso... ma tutto il caos che mi si ripercuote in testa, viene esplicato da un unico 'tu' generico.

Lui mi sorride, intuendo l'immensa vagonata miei pensieri.

“Ho usato la velocità della luce. Milo mi ha spiegato che eravate qui prima di entrare nel nostro mondo, e che ci sareste rimaste per un mese. Sai, prima di portarvi nel nostro mondo abbiamo seguito i vostri movimenti da lontano per un certo periodo. Non l'ho fatto io personalmente, ma le informazioni sono giunte a me” mi spiega Camus, con una punta di imbarazzo a stento velato. Ah, ecco, l'incontro con Milo al mare non è stato un caso, perché non mi sono mai soffermata a pensarlo?!

“C-cosa facciamo qui?” chiedo, scacciando il vago senso di profanazione che mi ha colpito. Mi sento una stupida a porre una domanda del genere, ma il cuore ha cominciato a rimbalzarmi in gola come una molla.

“E' da quando ho capito che sei mia sorella che volevo vedere nostra madre per rassicurarla che tu stavi bene. E' passato così tanto tempo, ma lei me la ricordo bene, non l'ho... non l'ho mai dimenticata!” afferma lui, imbarazzato, in vena di confessioni.

Automaticamente mi dirigo verso la camera dove prima dormivo con mia mamma, la camera undici per esattezza, undici come l’undicesimo segno dello zodiaco: l’Acquario.

Solo ora capisco perché il giorno dell'arrivo, dopo che l'inserviente ci aveva mostrato la camera, mia mamma era rimasta a fissare per dei secondi interminabili il numero scritto sulla porta; allo stesso modo comprendo le infinite mezze frasi che erano uscite dalla sua bocca e da quella dei miei nonni per tutti questi anni. Loro... loro devono aver sofferto un sacco in questo lungo periodo.

Ora sono davanti a quella stessa porta che ha dato inizio a tutto con mio fratello appena ritrovato, e sto per fare una delle cose più assurde che abbia mai fatto. Come potrà reagire nostra madre nel rivedere i suoi due figli perduti, uno dei quali addirittura da più di quindici anni?! Cosa avrebbero detto i miei nonni, se solo fossero ancora vivi?

Lentamente la mia mano picchia sulla porta e la mia bocca, automaticamente, inizia a muoversi, è come se una vocina dentro di me mi dicesse di stare tranquilla e di scacciare i tristi pensieri, tornando a concentrarmi sul presente.

“Mamma! Sono io, Marta. C’è... c'è anche Camus con me” la chiamo, in tono tremante.

I minuti trascorrono, e ad ogni minuto che passa, l'ansia aumenta parallela ai pensieri. Del resto siamo spariti, chi ci dice che sia ancora qui?! Ma ancora di più, siamo sicuri di aver fatto bene a venire?!

Uno scatto improvviso alla serratura...

...E la porta si apre, rivelando il viso a dir poco stupito di nostra madre.

Rimango per qualche secondo a guardarla, sbigottita. Il suo viso non aveva mai lasciato la mia mente, ma ora che conosco Camus posso ben vedere tutte le caratteristiche ereditate da lei: il profilo allungato, la pelle diafana e la corporatura slanciata, nonché... la bellezza!

Ingoio a vuoto, cercando di memorizzare più dettagli possibili di lei, dai capelli scuri agli occhi nocciola; ma questi ultimi noi li abbiamo invece ereditati da Efesto.

“Ciao... mamma!” si raschia la gola Camus, alla fine è stato lui a trovare la forza di parlare. Non la vede da 17 lunghi anni, dentro di sé deve avere un subbuglio indescrivibile... quasi mi si stringe a mia volta lo stomaco.

“U-uh... Marta! Camus! – esclama lei, abbracciandoci con vigore, mentre le lacrime cominciano ad uscire dai suoi occhi – Sapevo che prima o poi vi avrei rivisto... insieme!”

Rimaniamo così per dei minuti interminabili, i nostri cuori che battono all'unisono per la felicità.

Dopo tanto, tantissimo tempo, siamo tornati a casa, se solo anche i nonni fossero ancora vivi, gli mostrerei orgogliosamente che magnifico uomo è diventato il loro Camus.

 

*****

 

“...Sapete, la mamma di Francesca, Urania, ci ha spiegato tutto, eravamo sollevate di sapervi con i Cavalieri d’Oro!” finisce di spiegarmi la mamma, in piedi proprio davanti a noi e il sorriso timido, insicuro di chi si sente in difetto.

Annuisco laconica, quasi priva di entusiasmo, mentre i miei occhi si posano sulla finestra e sul buio che trapela da fuori. Fortunatamente sapeva già tutto, non c'è stato bisogno di tante spiegazioni, eppure proprio per questo, perché lei sapeva tutto fin dal principio, non riesco a sostenere il suo sguardo.

Sospiro, ancora fissa sulla finestra, quasi persa, come se l'oscurità di fuori mi volesse risucchiare come ha provato a fare il nemico quella notte in cui abbiamo conosciuto Milo. Il buio mi ha sempre fatto paura fin da piccolissima, difatti per quasi la totalità della mia infanzia, anche un poco oltre, ho sempre avuto bisogno di una luce che mi rischiarasse per addormentarmi, altrimenti mi agitavo, tremavo ed era impossibile calmarmi.

Una luce, già... un faro in mezzo al buio. Calore. Il calore di un nido, di un luogo da poter chiamare casa. Lo stesso tepore che percepisco comunque adesso, nonostante tutto, perfino più forte di prima. Sorrido lievemente, posando la mia mano sinistra sul diaframma per poi condurre il mio sguardo un poco lucido su Camus, in piedi a poca distanza a me, appoggiato alla parete, un leggero colorito rosato sulle guance e l'espressione di chi sta vivendo un disagio fortissimo.

"Tesoro..." inizia mia, anzi, nostra madre, ricercando il mio appoggio visivo con un poco di esitazione. Ed io istantaneamente, capisco cosa mi voglia dire.

"Fa lo stesso, Ma'. - le dico, con un mezzo sorriso che vorrebbe tranquillizzarla - Ho già ampiamente compreso perché non mi potessi dire che un fratello maggiore, in realtà, ce lo avevo."

"Lo hai sempre voluto ed io ti ho mentito, in proposito." sussurra ancora lei, pregna di sensi di colpa mentre Camus, sorpreso, si gira verso di me.

"Ma ce l'ho e l'ho ritrovato. Solo questo conta per me."

"Io... non avrei mai voluto nascondertelo, ma i nonni ed io non potevamo in alcun modo..."

"...Rivelarmelo. Lo so. Non ce l'ho con te, non ce l'ho con nessuno di voi, davvero. E' che... mi devo abituare a... beh, un po' a tutto!" le rispondo, grattandomi la testa a disagio, desiderando sprofondare.

"Sai anche... di tuo padre?"

"Sì, e avrei voluto non saperlo, ah-ha! - borbotto, desiderando eclissare il discorso - Anzi, in un momento di più calma, prima o poi, mi dovrai spiegare della tua... ehm, scelta per quell'uom... dio!"

Lei annuisce, ancora un poco incerta, probabilmente non sentendosi pronta per parlarmi di questo. Poi osserva il figlio maggiore, le vengono gli occhi lucidi, mentre le labbra le tremano nell'estremo tentativo di cavare fuori qualcosa anche con lui.

E' lampante che nessuno dei due sappia come approcciarsi, Camus non riesce nemmeno a guardarla, da quanto è teso, lo vedo massaggiarsi la pancia come se avesse mal di stomaco e/o nausea, è sfuggente e riservato ed è suo diritto esserlo.

"C-Cam, v-vedi io..."

"Non occorre nessuna giustificazione, io... sono comunque cresciuto, vedi?" tenta, in vistoso disagio, mentre la mamma, nel sentire ancora una volta la sua voce, quasi piange, portandosi le dita sulle palpebre per scacciare immediatamente il liquido.

Ancora esitano, ma si guardano entrambi, adesso. Un lampo di dolore attraversa l'espressione di Camus nel vederla reagire così alla sua presenza, si morde il labbro inferiore.

"Non... piangere!" le sussurra, tenue e, contrariamente alla sua esortazione, sono proprio quelle parole a farle rompere gli argini e farle sfuggire un singhiozzo.

"Sei... sei sempre tu, non sei cambiato, tesoro mio! - gli dice, fievole, il viso ora rigato dalle lacrime ma un sorriso dolce a solcarle il bel volto - Anche da piccolo non tolleravi che le persone care piangessero, non sopportavi il loro dolore, più ancora del tuo. Ciò non è cambiato con la crescita."

Lo vedo fremere sul posto, sul punto di lasciarsi andare, gli occhi lucidi di pianto senza concedersi di manifestarlo. Ancora è l'esitazione a governare entrambi.

Sto per cedere anche io alle lacrime, sento tutto, sento troppo, ed è difficile reggerlo. Mi scrollo appena, opponendomi. Se cedessi anche io questo, anziché un lieto evento, diventerebbe un funerale e non voglio!

"Ho solo una domanda, io... - intervengo, alzando quasi la mano come a chiedere il permesso di parlare. Loro si girano entrambi verso di me, probabilmente aspettandosi chissà cosa - Perché proprio il nome Camus che, oltretutto è un cognome francese, perché non... Gianfilippo?" chiedo, in tono scherzoso, sentendomi una stupida ad interrompere un momento simile con una tale idiozia, ma la risata cristallina di mamma e l'espressione stranita di mio fratello che poi si piega in un leggerissimo sorriso, mi risollevano immediatamente l'umore.

Sorrido a mia volta. Alzando la testa per poi concedermi una breve, brevissima, risata: voglio che loro due siano felici questa notte, anche se è solo per poco, anche se probabilmente sarà solo un attimo sfuggente, ma... si sono ritrovati, solo questo conta!

"Oh beh... come immaginerai, il nonno, italianissimo, non era affatto contento!" comincia lei, asciugandosi l'angolo delle palpebre tra una risata e l'altra.

Naturalmente. Poteva essere concorde il nonno?! Ma figuriamoci!

"E che nome voleva lui, per Camus? Gianfilippo veramente?"

"No, non sarebbe stato Gianfilippo, troppo nobiliare, ma gli avrebbe voluto dare un nome italiano!" continua poi, massaggiandosi la radice del naso col pollice e l'indice, mentre ridacchia soave.

"E che... che nome voleva per me?" le domanda Camus, arrossendo per il solo fatto di essere il fulcro dei nostri discorsi, sebbene mostri una sincera curiosità.

"Paolo."

"Paolo?! Paolo di Aquarius?! Non si può sentire!" esclamo, ridendo a crepapelle.

"Non ha comunque importanza, perché io avevo già deciso da un pezzo che sarebbe stato Camus e la nonna era concorde con me, quindi eravamo due contro uno" afferma lei, osservando con affetto il figlio che, subito, ritrae lo sguardo.

"E come mai proprio quel nome?"

"Beh... - nostra madre sospira, posandosi istintivamente le mani sul ventre, proprio a ridosso del grembo - Quella di Camus non è stata una gravidanza facile..."

Sussulto a quell'affermazione, non aspettandomelo affatto, mentre un brivido mi passa lungo la schiena: significa che hanno rischiato di morire entrambi?! Devo sapere!

"Cosa successe?"

"Alla ventunesima settimana di gestazione, ebbi un parziale distacco della placenta. Fui costretta a letto, in assoluto riposo, perché il rischio che si distaccasse completamente era troppo alto ed io... io non volevo perdere il mio bambino." ci dice, stringendosi con forza le mani sul ventre.

"Sapevi già sarebbe stato maschio?" chiedo, curiosa ed emozionata al tempo stesso, buttando un occhio su Camus che ha gli occhi lucidi a sua volta.

Sorrido tra me e me, mentre il cuore, nell'immaginarmelo piccolo piccolo che si tiene le manine vicine alla bocca e si ciuccia il pollice, mi rimbalza come una molla.

"Sì, avevamo scoperto proprio quella stessa settimana il sesso, poco prima dell'improvvisa complicazione."

"Ma quindi sei dovuta stare ferma a letto? Che facevi? Come reagirono i nonni? Come reagisti tu?" domando a raffica, come un fiume in piena, desiderosa di sapere, al punto che lei, rialzando lo sguardo caldo verso di me, ridacchia di nuovo.

"Piano, frugoletta... non riesco a starti dietro con tutte queste domande."

"Allora ne torno a una: cosa stavi facendo in quel periodo? Come reagisti? Ops, sono già due!"

Lei ridacchia tiepidamente, prima di rispondermi: "All'epoca, ero ancora una studentessa di Medicina, mi concentrai il più possibile sugli esami e sulle letture. Fu allora che scoprii Albert Camus e qui torniamo alla tua prima domanda sul motivo della scelta del nome."

"Quindi... hai scelto il nome Camus perché in quel periodo ti sei data alle letture... di Camus?!" arrivo infine alla conclusione, gli occhi sempre più brillanti.

"Tutte, dal primo all'ultimo dei suoi racconti e decisi che mio figlio si sarebbe chiamato così."

"Capito. - ammicco, con un sorriso, prima di girarmi verso mio fratello - Vedi, Camus, fin dalla più tenera età, mia-nostra madre mi diede un sacco di libri in mano, tra cui anche quelli del buon Albert... - abbozzo un sorriso amaro, inclinando un poco la testa - Poco ci capii di lui, all'inizio, ma, mano a mano che crescevo, tutto mi era più chiaro e... beh, mi ci rispecchiavo nella sua filosofia. Mi ci rispecchio tutt'ora."

"M-Marta..."

"Però, la cosa più importante è che credo... ehm, mamma, correggimi se sbaglio... - le dico un po' in difficolta, impacciata nell'esprimere ciò che sento - E' che il suo volermi dare in mano i libri di Albert Camus fosse un modo per... ecco, collegarmi a te."

"!"

"Oh, tesoro..." mi chiama lei, commossa, avvicinandosi a me.

"E'... è così, Mami, vero? Hai tenuto questo segreto per te, per tutti questi anni. Devi aver sofferto parecchio, e..."

"Vieni qua, mia piccola gabbianella!" mi dice lei, chiamandomi come quando ero piccola, per poi trarmi a sé per abbracciarmi.

Io mi appendo quasi a lei, non riesco a parlare, strizzo le palpebre e affondo nel suo petto, respirando l'aria di casa che vorrei tanto che sentisse anche Camus che invece è lì, in disparte, partecipe ma distante.

Rimango lì, singhiozzando pedissequamente, mentre lei mi culla e mi coccola, rassicurandomi ancora una volta che va bene mostrare emozioni, perché testimonia che siamo vivi.

"M-mam... - Camus vorrebbe chiamarla col come che le spetta ma non gli riesce, lo sento sospirare, mentre, distaccandoci un poco, ci voltiamo verso di lui - N-non sapevo della gravidanza a rischio, f-forse non te l'ho nemmeno mai chiesto. Non sono stato... un bambino facile."

"Oh, Camus, non devi dirlo neanche, questo! Eri... sono felice di avere avuto proprio te!"

"A-avrei voluto poterti parlare di più, s-sentire la tua voce, s-stare con voi."

"Lo avrei voluto anche io... ma ora sei qui e hai ritrovato Marta, solo questo conta."

Camus non ribatte nulla, la fissa, visibilmene sofferente, nel cuore e nelle intenzioni il desiderio di abbracciarla a sua volta, ma la distanza, il tempo si sono allungati tra loro. Irreversibilmente. Fa male vederli così.

“Camus... – la mamma, raschiandosi la gola, si sforza comunque nell'avvicinarsi cautamente a lui, lo sguardo, gli occhi e la bocca pregni dell'emozione che la sta scuotendo – sei così cresciuto, figlio mio, ora sei un uomo, un giovane uomo. Sono così fiera di te, non immagini quanto!” afferma permettendosi di azzerrare le distanze per accarezzargli la guancia di velluto con le dita delicate.

Anche Camus cede un po', si lascia andare, socchiudendo gli occhi per poi chinare un poco la testa in modo che il viso sia più aderente al suo palmo.

Piango di gioia nel vederli riconquistare ciò che gli è stato strappato ben 17 anni fa. Rassicurata da quella gestualità, nostra madre si permette si scendere con quella stessa mano sulla linea del volto del figlio, sul collo, dirigendosi ancora più in giù. Non ho il tempo di fermarla che il gemito di Camus trapela, a forza, fuori. Lei si irrigidisce, io pure, mentre mio fratello, annaspando, si ritrae da quel contatto, diventanto di colpo insostenibile, per poi piegarsi istintivamente dal dolore.

"CAMUS!"

“Sei rimasto ferito al torace?” domanda invece lei, osservando la sua reazione e, conseguentemente, la mia.

“N-no!”

“Stai mentendo, Camus, probabilmente per non farmi preoccupare e, ancora di più, per non far agitare Marta più del dovuto. E' così, vero? Ma io sono tua madre, sebbene non ti veda così tanti anni conosco le tue espressioni: devo averti fatto terribilmente male per farti reagire così!” afferma lei, tornando ad accarezzare dolcemente la guancia del figlio.

"E' una storia lunga..."

"Io vi ho tediato con la gravidanza..."

"Non ci hai... tediato!"

"D'accordo, ma è lampante che tu sia rimasto ferito gravemente da quanto ti sei ritratto, e poi... MARTA, tesoro, che succede, perché sei impallidita di netto?"

Camus guarda me, io, incapace di sostenere il suo sguardo, guardo lei, e la mamma, infine, ci osserva entrambi come se avessimo appena compiuto una marachella e stesse cercando il primo colpevole tra noi quando invece uno vorrebbe coprire l'altra e viceversa.

In ultimo, non avendo delle reali alternative, rosso in volto nel capire di non avere scappatoie, mio fratello abbassa lo sguardo e decide di raccontare tutto quello che è successo dal nostro incontro ad oggi.

Io, nel frattempo, fisso con interesse i miei piedi, sentendomi per la milionesima volta in colpa per i fatti narrati.

“Allora è andata così, hai salvato Marta e, nello scontro, hai rimediato una brutta ferita al petto... bene, vatti a sdraiare sul letto e togliti la maglietta!” dice nostra madre, voltandosi verso l'armadio. Sicura. Semplice. Diretta. Camus ed io sussultiamo non poco a quella sottospecie di ordine velato, guardandoci più volte.

“C-come?” balbetta infine lui, temporeggiando.

“Devo controllarti e medicarti la ferita, che è sul torace, giusto? Potrebbe essere qualcosa di veramente serio e preferirei poterlo verificare io stessa!” spiega lei, prendendo la scatola dei medicinali.

Camus rimane ritto in piedi con lo sguardo basso, una velata ombra nei suoi occhi.

“I-io non sono venuto qui... per questo!” sussurra, teso.

Effettivamente non mi sarei mai aspettata una simile evoluzione degli eventi. Mia madre, famosa cardiochirurgo a Genova, sicuramente è esperta nel settore, ma la punta di urgenza nella sua voce mi fa temere il peggio. Che la ferita di Camus sia davvero così grave?! Io ero convinta che il peggio fosse passato, malgrado la lampante debolezza di mio fratello, eppure...

“Lo so, sei sempre stato riservato sin da piccolo e odiavi dipendere da qualcuno. Ti capisco bene, ma qui ci siamo solo io e tua sorella, sei al sicuro con noi, puoi permetterti di mostrare la tua fragilità, per una volta...” afferma nostra madre, sorridendo per rassicurarlo, dopo avergli spostato un ciuffo dalla fronte.

Camus sospira più volte, ricercando il mio sguardo come sostegno. E' in difficoltà ma non può opporsi, per cui annuisce, dirigendosi verso il letto.

Lo seguo a ruota, preoccupata come se si trattasse di una visita vera e propria. Ingoio a vuoto più volte, il cuore a mille. Ora finalmente riuscirò a capire perché la ferita gli fa tutt'ora così male, mia madre magari troverà anche una cura e lui potrà stare meglio. Magari...

“Per il momento, sollevati giusto un po' la maglietta, quanto basta per farmi vedere la ferita. Alla medicazione penseremo dopo, con più calma.” prova a rassicurarlo mia madre con un sorriso, dando ulteriore prova di conoscere a fondo il figlio, malgrado gli anni di separazione. Ha già preso la scatola dei medicinali dall'armadietto e l'ha posata sul comodino per aprirla e tirare fuori tutto il necessario.

Mio fratello annuisce appena, si toglie le scarpe e subito dopo si corica sul letto, rimanendo un paio di secondi a fissare il lampadario sopra di lui con la stessa rassegnazione di un uomo che sta andando al patibolo. Lo sento sospirare, sempre più rosso in viso, prima di sussurrare un "sono pronto".

Mia madre gli regala una nuova carezza, prima di afferrare il leggero tessuto della maglietta e iniziare a sollevarglielo. Camus inarca la schiena per rendere più agevole il gesto, ma nel farlo non guarda né me né lei, talmente imbarazzato da intenerirmi ulteriormente.

"Iniziamo prima da un breve controllo generico del cuore, va bene, tesoro?"

"..."

Non dice niente, annuisce e basta, ma è lampante che vorrebbe scappare, nascondersi, mentre mia-nostra madre (mi devo abituare a pensarla così!) prende lo stetoscopio dalla borsa che si porta sempre dietro e, con discrezione, non scoprendogli per il momento il torace ma solo l'addome, gli posa il tondino sullo sterno.

Il sussulto di Camus è subitaneo, deve trattenersi con tutte le sue forze per non produrre alcun suono. Sembra così teso alla sola idea di essere visitato...

"Va bene così, ora espira profondamente." gli da le direttive, e lui, pur con difficoltà, perché il suo anelito sembra quasi spezzarsi per la fatica quando raggiunge il culmine, esegue, serrando le palpebre.

Abbasso istintivamente lo sguardo, soffrendo con lui, imbarazzandomi con lui. La sua mano destra è a poca distanza da me, potrei prendergliela e stringerla, ma non so se è il caso, non so se gli farebbe piacere. Guardo altrove, a disagio.

"Un altro respiro, Camus, più profondo, se riesci."

Di nuovo lui fa di tutto per riuscirci, ma sembra faccia fatica, le palpebre, ora nuovamente chiuse dopo averle brevemente riaperte, fremono con forza.

Vedo nostra madre studiare attentamente la sua reazione, gli occhi nocciola inscurirsi, prima di spostare lo strumento sul fianco sinistro e poi sul petto, che tuttavia non scopre ancora, rimanendo invece tra la pelle e il tessuto della maglietta.

"Perdonami, tesoro, ma te lo devo chiedere per precauzione, perché avverto un soffietto inusuale: hai subito dei danni agli organi interni in seguito a quell'attacco?"

"N-no..."

Io, però, mi oppongo: "Sì, invece, il tuo cuore si è fermato durante l'operazione d'emergenza!"

"MARTA!"

L'occhiata che mi tira è atroce, fa sussultare anche me: non voleva... che lo rivelassi?!

"Scusami, Camus, non posso mentirle!" biascico, incassando la testa tra le spalle.

"Non significa... anf, che il mio cuore abbia subito danni! Gli artigli non hanno compromesso alcun organo interno, è... è stata l'emorragia a... a farmi rischiare la vita durante l'operazione di emergenza!"

"E' della trasfusione andata male che mi dici?! Stavi morendo!"

"Può capitare un rigetto, anche se in casi raris..."

Di nuovo non lo lascio finire, le palpebre mi bruciano troppo, devo stringerle: "Il donatore era gruppo A positivo, Camus, come il tuo, e hai avuto uno shock anafilattico! Non vendermela come se fosse normale!!!"

"Non era... mia intenzione!" biascica lui, dopo un lungo sospiro, girando il volto altrove, incapace di reggere il mio.

Per me è lo stesso. Non riesco a guardarlo in volto, sono molto agitata, stringo le mani sulle ginocchia quasi a sangue e mi mordo le labbra. Ha subito un bruttissimo arresto cardiaco in quel maledettissimo giorno, protratto per chissà quanto. Come può pensare di farmi credere che il suo fisico non abbia avuto alcuna ripercussione?!

"Mia gabbianella..." è di nuovo la voce di mia mamma a confortarmi, mi accarezza la testa, spingendomi così a proseguire.

"A... a proposito di sangue ed emorragia, è successo qualcosa di strano durante il primo soccorso."

"E sarebbe?" chiede mia madre, in tono soffice, perché capisce quanto sia difficile per me. Camus torna a guardarmi attentamente, partecipe.

"Mu... Mu, il Cavaliere dell'Ariete, che so avere poteri curativi profondamente sviluppati, ha provato a fermare l'emorragia, quando è arrivato con Milo e, insieme, sono stati tra i primi a intervenire. - chiudo un poco le palpebre, deglutendo a vuoto. Avverto nelle intenzioni di Camus, dal suo cambio di respiro, toccarmi a sua volta la mano per confortarmi, non sapendo però se io gradisca il suo intervento - Non ha funzionato! I-il sangue n-non si arrestava, era impossibile richiudere la ferita."

"Mu non è onnipotente, Marta... - tenta di rassicurarmi Camus, sentendo il mio turbamento - Non lo siamo nessuno di noi Cavalieri d'Oro!"

"Ma era stupito nel non riuscirci, signfica che, in circostanze normali, lo sa fare, no?" mi oppongono, scrollando la testa, le lacrime a fior di palpebra.

"Marta..."

"Capisco. - interviene mia madre, cercando comunque di mantenere il controllo sulla situazione, come quando opera a cuore aperto un bambino al quale deve salvare la vita - "Camus, davanti a queste rivelazioni, non posso far finta di nulla, lo puoi capire? Dovrò... approfondire la visita!"

"L-lo immagino."

"Tu cerca di stare calmo e rilassati più che puoi, intesi? - chiede, passandogli una mano tra i capelli per accarezzarglieli più volte - Sei sempre stato molto coraggioso fin da piccolissimo!" gli sorride poi, raddrizzandosi.

"Mmh" annuisce lui, già molto provato, posizionandosi meglio per concedere a nostra madre di poter continuare.

Rimaniamo quindi in silenzio per un po', mentre la visita continua. Finito di sondare in lungo e in largo Camus con lo stetoscopio, la vedo tirare fuori dalla borsa un paio di guanti sterilizzati, le bende, le forbici, il disinfettare e tutto il necessario per la medicazione.

"Camus, ora mettiti seduto, ti aiuto io!" gli dice, con tenerezza.

Anche in questo caso lui esegue, a fatica, coadiuvato comunque da nostra madre che lo aiuta a sfilarsi la maglietta, prima di riaccompagnarlo giù.

Trattengo istintivamente il fiato nel seguire il gesto della mamma che sta assecondando il suo movimento. Pochi secondi, un fremito. Qualcosa di rosso vivido, quasi un marchio di fuoco, si stampa nella mia cornea. Ammutolisco.

"U-urgh!"

"Va bene così, caro, le ho sotto il mio sguardo. Ora cerca di rilassarti, non ti fa bene essere così rigido!" lo avverte lei, sistemandolo meglio sulle lenzuola bianche del letto.

Il corpo di Camus, tonico ma non robusto, nonché la pelle adamantina, sottolineano ancora di più la ferita presente sul petto, o meglio LE ferite. Ingoio per l'ennesima volta a vuoto, le orecchie prendono a ronzarmi con insistenza. Una sensazione di vuoto mi investe, mentre il mio respiro diviene più accelerato.

"Oh, tesoro! - nostra madre gli sfiora lo sterno con le dita di piuma, prima di imprimere i suoi occhi in quelli del figlio - Dovresti bendarle, non puoi tenerle così!"

"Lo erano fino a sera, anf, ma di notte la fasciatura mi da fastidio, m-mi sembra di non respirare..." si giustifica lui, arrossendo.

"Camus..." pigolo flebilmente, ma la voce languisce nel vuoto che sto provando.

"E' tutto apposto, è sotto controllo adesso. - tenta di sorridermi, sfinito, guardandomi per poi passare a sfiorarmi la punta delle dita con le sue - Va tutto bene, Marta... passeranno!"

No, che non va bene, è lampante. Sono come imbambolata a fissare le tre orrende ferite che si porta dietro da quel giorno; tre lacerazioni piuttosto profonde che gli segnano buona parte sinistra del torace, proprio sopra il cuore. Esse sono trasversali e la più lunga, quella più in basso, sfiora il capezzolo, rimasto comunque miracolosamente intatto.

Per quanto il chirurgo abbia fatto un eccellente lavoro con i punti nel chiudere i margini, ho come l'orribile sensazione che non se ne andranno, rimanendo come parte di lui per il resto della vita. Mi mordo quasi il labbro a sangue: sono ancora arrossate e infiammate, nonché... praticamente fresche! Non dovrebbero esserlo, in teoria, sono già passati una serie di giorni.

Nostra madre le fissa con sguardo clinico per lungo tempo, tastandogli la zona del torace non ingiuriata per percepire eventuali rigonfiamenti. Non ne trova, ma nei suoi occhi l'esatta consapevolezza che i suoi timori si siano rivelati fondati. Il respiro di mio fratello, nell'essere toccato così, accelera ulteriormente.

"Aspetta, stai fermo con le mani, se puoi, va tutto bene, caro, va tutto bene! - gli dice, perché effettivamente lui istintivamente ha cercato di ricoprirsi, di tirare su le lenzuola - Sei a casa, al sicuro, ci siamo solo tua sorella ed io!" prova poi a confortarlo, dandogli un'altra leggera carezza sull'ovale del viso nel percepirlo sempre più agitato.

Le mani di Camus si sforzano quindi di tornare giù dopo un lungo sospiro. Trema. Lo vedo tremare per una serie di secondi, prima di controllarsi, gli occhi dolorosamente chiusi nel trattenere gli spasmi e i lamenti.

"Ma-mamma!" la chiamo, allarmata, non sopportando più di vederlo così.

"Ora lo medico, sarò veloce, stai con lui!" mi da direttive, nascondendo ogni più piccola incertezza dietro una maschera di sicurezza.

Non posso fare altro che continuare ad osservarla, mentre pigiandogli appena la mano sulle sterno e sulle gambe, cerca di farlo un minimo distendere.

"U-urgh!"

Tutto inutile, inarca la schiena e si agita ancora di più al suo tocco, neanche fosse una lama tagliente di un pugnale.

"Mami, l-lui non..." la chiamo, in apprensione, accorgendomi, con un moto di paura, che mio fratello sembra patire parecchio il fatto di essere meneggiato.

"Va tutto bene, sarà breve, ve lo prometto!" ci incoraggia, sorridendomi con forza nel tentare di rassicurare anche me.

Assisto quindi alla scena di lei che prende un batuffolo di cotone, lo bagna di disinfettante per poi passarlo delicatamente sul taglio più in basso, quello più lungo, che gli arriva quasi al capezzolo di sinistra.

Un nuovo gemito di dolore sfugge dalle labbra di Camus, malgrado la tentata resistenza di quest'ultimo, parallelamente il suo corpo inizia a tremare con sempre maggior forza, come una foglia residua sul ramo sbatacchiata qua e là dal gelido vento invernale. Volta la testa dall'altra parte per nascondermi il suo dolore, le gambe tese sulle lenzuola, che quasi scalcerebbero, se non le tenesse sotto controllo.

Un mormorio soffocato, l'ennesimo, mi muore in gola nel vederlo così assurdamente alla mercé di qualcuno, per quanto quel qualcuno sia la mia stessa madre; mi fa davvero senso accostare una tale debolezza a Camus, prima così elegante e caparbio da risultare quasi divino ai miei occhi. Invece ora la smorfia sul suo volto, il sussulto continuo dei suoi muscoli, le sue mani che arpionano con forza il lenzuolo sottostante... mi mostrano, in tutta la sua concretezza, un Cavaliere dell'Acquario fragile e ricolmo di sofferenza, come un fiocco di neve che languisce nel calore di una mano.

Forse proprio per questo mio fratello ha cercato in ogni modo di evitare questo momento, probabilmente non avrebbe mai voluto farsi vedere così debole da me, sua sorella minore, volendo invece apparire come una immensa parete di ghiaccio che non si scioglie davanti a niente e quindi come un autentico sostegno per me. Eppure... ora quel che avverto è solo una grande, grandissima, tenerezza nel cuore che mi lega ancora più emozionalmente a lui. Sento di doverlo rassicurare, di fargli percepire la mia presenza.

“Camus, sono qui con te, non sei solo! Per favore, non mi mascherare il tuo dolore, io so quanto sei forte, malgrado questo momento così difficile, lo so... non occorre nascondersi!” dico, prendendogli finalmente la mano destra per fargli coraggio.

Lui me la stringe con forza, mentre riapre gli occhi e gira nuovamente il suo volto nella mia direzione nel tentativo, un po' buffo, di sorridermi per rassicurarmi. Contraccambio quel gesto, passandogli al contempo la mano libera sulla fronte e tra i capelli per fargli sentire ancora di più la mia vicinanza. E' caldo e sudato, come se avesse la febbre, e sembra tanto, tanto, stremato, nonostante il suo sforzo di tranquillizzarmi con un sorriso.

"Marta, anf..."

"Va tutto bene. Non parlare ora. Siamo qui con te." gli dico teneramente, e sono i suoi occhi a rispondermi senza l'ausilio delle parole, proprio come era stato quel giorno in ospedale in cui si era svegliato dal coma.

“Camus, un'altra domanda ancora: il nemico che hai affrontato era forse un dio?” chiede ad un tratto nostra madre, criptica, ancora intenta a medicarlo.

“N-no, però era mandato da un dio!” rispondo io al posto suo, incerta, perché mio fratello sembra davvero tanto stanco, troppo, mi spaventa. Respira pesantemente e ogni tanto chiude gli occhi, come se tenerli aperti fosse troppo estenuante per lui.

Cosa ti sta succedendo ora? Perché ho la nefasta sensazione che, più tentiamo di farti star bene, più il dolore si acuisce in te?

“Efesto mi ha detto che le ferite provocate da un dio possono essere maledette. Non risanano mai completamente, provocando forti dolori ed uno stato di complessiva debolezza su chi le ha subite. Questo spiegherebbe anche la motivazione per la quale neanche un Cavaliere d'Oro sia riuscito a fermare l'uscita di sangue - spiega mia madre, il viso scuro - Tuttavia colui che ha ferito Camus non era un dio, giusto?! Deve esserci un'altra spiegazione a queste terribili lacerazioni...” domanda retoricamente lei, più per scaramanzia che per altro.

Purtroppo i postumi della lotta sembrano confermare pienamente questa ipotesi, lo so io, lo sa nostra madre, e lo sa certamente anche Camus, per questo non voleva farsi controllare.

Nascondo il mio volto sopra il lenzuolo del letto, cercando di trattenere le lacrime. Una ferita maledetta... ma quell'essere non era un dio: io l’ho ucciso, ed era venuto per me! Avrei dovuto subire io quello che...

“Marta, non pensarlo, neanche per un istante!” mi rimprovera Camus, leggendomi dentro. Nonostante la spossatezza, i suoi occhi sono nuovamente aperti, decisi e brillanti come di consueto, mi abbagliano.

“Ca-Camus, hai... hai sentito la mamma, qu-queste ferite..."

“...Potrebbero essere maledette, sì. Ma la colpa non è tua, non voglio che tu ti senta responsabile! E' successo, avrebbe potuto capitare a chiunque. Ciò che conta, la sola, è che tu stia bene. Null'altro!” continua, imprimendo fermezza nella sua voce

“Va bene, scusami...” pigolo, discostando lo sguardo dalle ferite sul torace all'addome. In particolare, il mio sguardo è catturato dalla strana, quanto singolare, conformazione del suo ombelico.

Non credo di averne mai visti di così, con quello strano cappuccetto di pelle sulla sommità, quasi una corolla di petali che cela e protegge l'ovario che sarebbe poi la fossetta vera e propria. E'... è buffo da guardare, e grazioso, mi verrebbe quasi da stuzzicarlo, da saggiarne la concretezza, se... se la mano di Camus non si frapponesse tra il il mio muso sempre pià incuriosito e quella parte così inusuale del suo corpo.

Sbatto gli occhi più volte nel rendermi conto di quel che stavo facendo. Lui non mi guarda già più, si è voltato, le labbra piegate in una estrema manifestazione di imbarazzo, le guance paonazze. Mi sento istantaneamente mortificata.

"Scu-scusami, non... non volevo, davvero!" biascico, seriamente rammaricata

"N-non amo molto mostrare que-quella parte del mio corpo!" borbotta, vergognoso.

"U-uhm, o-ottimo ed io ci stavo quasi infilando il naso dentro! - ironizzo, avvampando - D-devo andare un attimo in bagno, mi scappa, e-ehm!" trovo poi la scusa perfetta per rompere l'imbarazzo, dirigendomi a tutta birra a darmi una rinfrescata alla faccia che sento accaldata.

E' tutto così nuovo e travolgente, sono qui con la mia famiglia, con mio fratello da poco ritrovato e... sono riuscita a farlo vergognare da morire perché gli affaracci miei non riesco mai a farmeli, dannazione!

Vorrei proprio sapere che mi sia preso, poi! Perché concentrarmi proprio in quel punto lì, sul suo ombelico, come se avessi sentito un richiamo provenire da lì, mannaggia!

Torno in un tempo che a me pare infinitesimale, ma Camus deve essere molto stanco, infatti sembra essersi assopito mentre la mamma lo sta ancora medicando.

"Dorme?" le chiedo in un sussurro.

"Quasi. - bisbiglia lei, premurosa, tornando poi a guardarlo - Faceva così anche da piccolo, non amava essere toccato ma, alla lunga, una volta abituato al contatto, le carezze se le prendeva eccome!"

Sorrido intenerita, notando che la mano gli è rimasta posata sul ventre, l'indice e il medio gli nascondono l'ombelico. Il respiro gli è tornato cadenzato e un poco profondo, è un sollievo! Risalgo quindi sul letto cercando di non ridestarlo, ma proprio nello stesso momento una molla mi tradisce, prendendo a cigolare.

"Acc..!" impreco, mentre gli occhi di mio fratello si riaprono e, dopo un breve giro nella stanza, si soffermano su me, tornando a sorridermi.

“Marta, mi farebbe piacere se ti stendessi qui vicino a me."

"Anche se sono goffa?" gli chiedo, grattandomi imbarazzata la punta del naso. Lui ride, anche se tiepidamente, e mi accorgo davvero che è uno dei suoni più belli che abbia mai udito in vita mia.

"Anche se sei un po' goffa, sì, anf. Vorrei... mi piacerebbe parlarti." mi sussurra con dolcezza, allungando un braccio nella mia direzione per sfiorarmi la guancia più vicina.

Io faccio quanto chiesto, sdraiandomi timidamente al suo fianco. Non so dove mettere le mani, le tengo piegate vicine al petto nella paura di commettere un altro sbaglio come quello di prima, di farlo imbarazzare, o peggio, romperlo, ma è lui stesso a circondarmi le spalle, a tenermi vicino a sé, mentre il suo respiro, prima un po' dispnoico per lo sforzo, si calma del tutto.

"Volevo ribadirti, in quella testolina un po' bacata..."

Ovviamente mi indigno: "SENTI CHI PARLA! L'altro buono che..."

"...Che per me è stato mille volte meglio subire queste stesse ferite che non vederle impresse sul tuo corpo."

Tremo consistentemente nell'udire queste sue parole, mentre, appallottolandomi ancora più vicino a lui, socchiudo istintivamente le palpebre.

"Sai, fin da bambino, avevo giurato a me stesso che ti avrei protetta da tutto e tutti. Appena nata sembravi un fagiolino, così piccola e indifesa com'eri... io ero il fratello maggiore, io avrei dovuto prendermi cura di te, eppure non mi è mai stato possibile farlo per 17 lunghi anni! - si prende una breve pausa, l'emozione è forte - Se questo è il prezzo da pagare per riaverti avuta con me, non posso che essere felice di aver rischiato la mia vita!” afferma lui, accarezzandomi la testa con gesto soffice e delicato.

Le sue parole mi commuovono, ma ricaccio a forza indietro le lacrime nel pallido tentativo di risultare forte: "Camus, mi... dispiace tanto per quello che ti è successo. I-io non avrei mai voluto f-farti soffrire così!"

"Marta, tu devi stare tranquilla... se tu sei tranquilla, lo sono anche io!" mi sussurra ancora, continuando a vezzeggiarmi i capelli.

Annuisco, rannicchiandomi ancora di più al suo fianco nel grande letto matrimoniale. Distendo un poco il braccio guidata dall'istinto di abbracciarlo, ma qualcosa mi blocca, sicché il gesto rimane sospeso a metà per qualche istante.

"Puoi farlo, se è quello che senti. - la sua voce mi raggiunge di nuovo, spingendomi ad alzare un poco il viso nella sua direzione. Mi guarda con tenerezza, anche se è pallido come un cencio, sorridendomi nel miglior modo che gli riesce - Può sembrarti, ma non sono così fragile."

Annuisco, permettendo al mio braccio di circondare la parte alta dell'addome e lì rimanere, in un mezzo abbraccio che vorrei gli infondesse coraggio ed energia, più di quanta già ne stia dimostrando in un momento così difficile per lui.

La sua pelle è straordinariamente calda e delicata, considerando che lui è il signore delle energie fredde e che quindi è un elemento che non ci si aspetterebbe. Socchiudo nuovamente gli occhi, cullata da questa consapevolezza. E' così bello poter stare vicino a mio fratello, mi fa sentire protetta e rassicurata come mai è successo in vita mia. Farei di tutto per lui ma, a conti fatti, non sono riuscita ancora a fare un bel niente! Tremo, non riuscendo interamente a calmarmi, né ad esprimermi. Stringo di riflesso la mano sul suo fianco, al punto da farlo sussultare: deve aver percepito le mie unghie sulla sua pelle.

"Scu-scusami..." bofonchio, vergognandomi di essere così imbranata da non riuscire ad abbracciarlo senza fargli male. Mi sento così impedita...

"Certo che, ancora una volta, mi stupisco di quanta forza, in realtà, tu abbia, Marta... a dispetto del tuo aspetto apparentemente gracile!- ridacchia un poco più sereno, prima di respirare in maniera più distesa - Sono qui... come mi ripeti anche tu, andrà tutto bene!" mi bisbiglia ancora, dolcemente, mentre la sua mano continua ad accarezzarmi delicatamente i capelli.

Deve percepire il mio stato e si adopera per migliorarlo a gesti, anche lui in vistosa difficoltà nell'esprimere ciò che sente a parole. Il suo tocco delicato mi fa piombare ben presto in una sorta di dormiveglia. In qualche modo avverto ancora l'ambiente intorno a me, ma le vertigini del sonno mi impediscono di interagirci, relegandomi in una dimensione bucolica a metà strada tra la realtà e il sogno. Percepisco ancora nitidamente il calore della sua pelle, così come le sue carezze, ma è tutto sempre più fioco...

“Si è addormentata?” chiede dopo un po' nostra madre, emozionata a sua volta. La sua voce mi sembra lontana, dolce come quando, da bambina, mi cullava tra le sue braccia.

“Sì, finalmente ha ceduto al sonno, era sfinita. E' sempre così in pena per me da quel giorno, non faccio che ripeterle che per me va bene così, ma lei si sente in colpa per il mio stato, figurarsi ora che ha visto nitidamente le mie condizioni! - commenta Camus, sfiorandomi la guancia con due dita, più o meno come si fa con un petalo di margherita, poi si rivolge direttamente a me - Non devi essere così mortificata per me, piccola mia, ti ho ritrovata, solo questo ha importanza..."

La sua voce di miele e l'appellativo usato mi riempiono il cuore di gioia, facendo sollecitare il battito. Devo essere davvero piccola per lui, un fagiolino, come mi ha detto, ecco il motivo di quel vezzeggiativo, che mi piace da impazzire. Chiunque avesse osato chiamarmi 'la sua piccola', maschio di qualunque età fosse, avrebbe ottenuto in regalo il mio sguardo gelido, come minimo, ma Camus no, sento che lui lo può fare, mi riscalda il petto e... mi fa sentire protetta, a casa.

Sorrido sorniona tra me e me, lasciandomi cullare, nello stesso momento un ricordo lontano si impossessa della mia testa.

Sono nella mia culla e vedo un viso infantile ma famigliare sporgersi verso di me con fare curioso: occhi blu e capelli scuri, di riflesso cobalto. Il bimbetto mi sorride con affetto e mi prende in braccio, vengo quindi sollevata da piccole manine minute ma ugualmente forti. Produco un vagito, contenta ed emozionata, ma l'ondulazione dei suoi capelli, ancora troppo corti, attira la mia attenzione, portandomi a tentare di acciuffarli con le mie dita, inutilmente. Mi arrabbio, vorrei toccarli e non posso, mi metto quindi a piangere, frustrata.

"Dorme ancora come una bambina. - commenta Camus, sempre intenerito, punzecchiandomi un poco il naso con l'indice - Sembra così piccina per avere già 17 anni..."

"Lo è sempre stata, fin dal principio, e la cosa gli ha sempre creato non pochi problemi a scuola. - spiega brevemente nostra madre, carezzandomi i ciuffi della fronte prima di tornare sul figlio più grande - Camus, stringi ancora un attimo i denti, va bene? Ti faccio una bendaggio nuovo, meno stretto, visto che mi hai detto che ti da fastidio, ma queste ferite non possono essere tenute scoperte!"

"Mmh, v-va bene"

Lo sento irrigidirsi di nuovo, sussultare, mentre nostra madre gli sistema e gli tira le bende per ricoprire le ferite. Lo sento tremare di nuovo, con più forza, per il dolore, la mano che fino a poco fa mi vezzeggiava il viso, portandomi a rilassarmi, è ora sulla mia spalla, si stringe appena su di me, come alla ricerca di un conforto fisico che io purtroppo non riesco a dargli.

"Va bene così, ho finito. Sei stato bravissimo, tesoro! - lo rassicura la mamma, tirandogli un poco su le lenzuola fino al ventre in modo da farlo sentire più a suo agio - Puoi tornare a respirare con più calma!"

Ed effettivamente Camus, sfinito, torna lentamente ad una respirazione quasi normale dopo una serie di minuti. E' stanco, ma in qualche modo è come se avvertissi anche sollievo da parte sua. Ad un certo punto, dopo poco, tenta di rimettersi a sedere ma una fitta improvvisa, o un capogiro, non so, lo costringono a tornare giù.

"Tesoro, datti tempo! - lo avverte con dolcezza nostra madre, carezzandogli lieve i ciuffi cobalto - Rimani ancora sdraiato per un po', non c'è fretta alcuna. Se mi dai un secondo, ti controllo la pressione."

"T-ti stiamo disturbando. - tenta di opporsi lui, vergognoso - Siamo giunti qui, in piena notte, e..."

"Camus, voi non mi disturberete mai, siete... siete le mie creature. - lo rassicura la mamma, il tono denso di emozione che fa un po' piangere anche me - Sarò anche più veloce di prima, promesso. Voi... voi state quanto volete!"

Camus sospira a quelle parole, il collo, che aveva piegato in avanti nel gesto di alzarsi, torna a riadagiarsi sul cuscino, mentre con la mano ricomincia ad accarezzarmi. Capisco che anche da parte sua l'emozione è tanta, che fatichi sempre di più a controllarsi, e che vorrebbe comunque dimostrarsi forte, nonostante tutto. Io vorrei solo rassicurarlo, ma così intorpidita riesco solo ad aumentare la stretta sul suo fianco, come a volergli ricordare che io ci sono e che, da adesso in poi, non ci separerà più niente e nessuno.

"Marta... - mi richiama, tornando a guardarmi dopo aver percepito la mia stretta - Lo so; so che ci sei tu, con me." mi rassicura, vezzeggiandomi i capelli e il viso.

Nostra madre intanto è tornata con il misuratore di pressione, glielo avvolge al braccio sinistro di Camus, premendo poi l'interruttore per azionarlo. L'affare produce il consueto suono per farci comprendere che si è azionato, si stringe all'altezza del gomito prima di silenziarsi e partire con la conta. Un ticchettio ci porta a comprendere che sul display sono comparsi i risultati, nostra madre li scruta, prima di prendere altre due misurazioni. Solo al termine esprime il suo verdetto.

"Tesoro, hai la pressione molto bassa. Questo è tutto sommato normale, stante la perdita di sangue che hai avuto, ma stacci attento e, soprattutto, cerca di mangiare in maniera soddisfacente."

Camus rialza un poco il collo, in maniera impacciata, il suo disagio arriva anche a me: "Uh, n-non l'ho mai avuta troppo alta!"

"D'accordo, ma così è davvero troppo bassa, 85/55 è al limite di un mancamento!" lo avverte, in tono un poco più severo, prima di riprendere la macchinetta e riportarla nel mobiletto.

Mi aspetterei un ulteriore monito da parte sua, essendo del settore, invece quando si risiede a bordo letto e ci guarda con orgoglio, l'argomento è completamente diverso.

“Dimmi, Camus, che impressione ti hanno fatto Marta e le altre?” domanda ancora la mamma, accorgendosi della parziale ripresa del figlio.

La sua voce è sempre più ovattata, la stessa scena immaginata dalla mia mente in base agli indizi che mi danno gli altri sensi, sta cominciandoa sfumare nelle nebbie del sonno.

“Marta è dolce e sensibile, Michela è solare e affettuosa, Francesca è pacata e tranquilla. All'inizio avevo dei dubbi su addestrare nuove allieve, ma ora posso dire che sono felice, e orgoglioso, di averle conosciute! E' stato come avere una seconda possibilità, ed io... gliene sarò per sempre grato!”

“Non avevo dubbi, figlio mio... ora, se vuoi, con molta calma, prova ad alzarti, ma se ti gira la testa fermati.”

Sento cigolare le molle del letto mentre mio fratello si sistema bene la maglietta. Subito dopo avverto due forti braccia sollevarmi con delicatezza, il mio mento si posa automaticamente su una spalla, mentre il consueto profumo frizzante di mio fratello invade le mie narici. Cosa sarà mai questo particolare odore fresco che associo solo a lui? E' davvero meraviglioso, mi ci potrei perdere...

“Camus, io...” ancora la voce di nostra madre.

“Non ti preoccupare per Marta. Mi prenderò io cura di lei, come avrei dovuto fare in tutti questi anni. Non permetterò a nessuno di farle del male, per cui stai tranquilla... mamma!”

Lei si avvicina un poco, è il suono dei suoi passi a farmelo capire: "Ne sono più che sicura, Camus, ma... cerca di badare anche a te, figlio mio, intesi?"

"Sono un uomo, ormai... - il suo tono di voce è salito di una tacca, ma non per rabbia o fastidio, quanto per il dispiacere di non aver potuto diventarlo insieme a noi - ...nonché un guerriero di Atena, non devi..."

Ma l'abbraccio che gli da nostra madre, gli spezza il fiato in gola per la sorpresa. Non può ricambiare, perché le sue braccia mi stanno sorreggendo, ma trema in maniera più intensa di prima, mentre lei, la persona che ci ha generato entrambi, si è lasciata andare ad un momento di debolezza. Non posso reagire ma le avverto, le sue braccia che ci hanno circondato, il suo viso che si è appoggiato ai nostri volti e, pur essendo di poco più alta di me e più bassa di Camus, usa un impeto, una forza, nello stringerci che toglie il fiato.

Vorrei solo rimanere qui, con lei e mio fratello, lo vorrei tanto... oh, come lo vorrei! Avremmo potuto essere... felici!

"Camus, la ferita è molto grave... non sottovalutarla!"

"L-lo so. - il suo tremore si è fatto più intenso di prima - Ma non sono solo al Santuario, ho amici fidati, alcuni hanno conoscenze mediche, e poi... e poi la tua medicazione, le mie allieve, Marta... Marta mi ha salvato la vita, sai?"

"Ti ha... salvato la vita?!" ripete lei, sorpresa.

"Sì, proprio quando mi sono procurato questa ferita... - il tono di Camus si alleggerisce, mentre si appresta a spiegare - Mi ha donato il suo sangue, p-prima che venisse a sapere che io sono suo fratello. Non ce l'avrei fatta senza di lei!"

"Oh, tesori!!!" si lascia sfuggire una nuova esclamazione, mentre torna a stringerci entrambi. Anche Camus si lascia andare a quel gesto, piega un poco la testa verso le nostre, il suo respiro si fa ulteriormente più largo e disteso. Sta bene ora.

"Andrà tutto bene, non sono solo!"

Nostra madre annuisce ancora, prima di raddrizzarsi, posare dolcemente un bacio sulla guancia sia a me che a Camus e trovare il coraggio di staccarsi da noi, sebbene sia tremendamente doloroso.

La via adesso è libera, Camus potrebbe percorrerla, uscendo dalla stanza per dirigersi nuovamente al Santuario. Tuttavia esita.

"M-mamma! - fa ancora fatica a pronunciare quel nome, non più abituato a esprimerlo, ma la voce si è fatta un poco più sicura rispetto a prima - Dovrei dirti così tante cose di questi 17 anni, alcune delle quali non ne saresti affatto orgogliosa..."

"Camus, che cosa stai dicendo?!"

"Non saresti orgogliosa di me, di ciò che sono diventato. Ho fatto soffrire molte persone, ho commesso numerosi sbagli e..."

Ma il nuovo bacio, stavolta sulla fronte, che gli posa nostra madre dopo avergli alzato i ciuffi, lo stupisce talmente tanto che le parole gli rimangono in gola.

"Camus, sei mio figlio... sarò sempre fiera di te, qualunque cosa accada!"

Non riesco ad udire più nulla...

 

*****

 

L’arietta fresca della notte accarezza il mio viso, trasmettendomi una grande sensazione di pace. Dei giorni estivi. ho sempre apprezzato l'atmosfera serale, quando il caldo finalmente indebolisce la sua morsa e permette all'aria pura di entrare nei polmoni. I suoni della notte poi trasmettono la vera e propria tranquillità dei sensi: civette che cantano e ghiri assai vispi che rosicchiano qualcosa, non ultimo il canto dei grilli.

Ora come ora posso udire tutto questo, ma ancora di più avverto un respiro, quello di Camus, farsi sempre più affannoso. Percepisco che mi sta portando in spalla e che procediamo a passo d’uomo, eppure basta questo a farlo stancare così enormemente... che sia questa la maledizione accennata da mia madre?!

“C-Camus...” mormoro, la voce impastata dal sonno.

“Non ti preoccupare per me, Marta... sto bene, davvero! Sono solo un po' spossato per la medicazione... Tu pensa solo a dormire adesso, ne hai bisogno. Domani noi Cavalieri d’Oro vi racconteremo finalmente tutta la verità sul nostro passato” mi dice affannosamente, tentando comunque di farmi percepire la particolare sfumatura di dolcezza che ha acquisito la sua voce.

"Il vostro passato?!" ripeto, un poco agitata.

"Sì... per questo devi riposare!"

Tuttavia non riesco pienamente a dormire, quindi mi limito ad annuire e a cercare di rilassarmi, malgrado il sonno incombente. Il profumo continua a solleticarmi le narici, trasmettendo al mio cervello mezzo sveglio le immagini di una distesa di conifere innevate, tipico paesaggio della taiga russa che tanto vorrei vedere dal vivo. Sorrido tra me e me, avendo individuato finalmente l'odore proprio di Camus: il profumo degli abeti e dei pini sferzati dal freddo vento siberiano nella lenta litania che conduce alla breve, ma intensa, estate. E' talmente frizzante e selvatico, ma ricolmo di calore; il calore di casa.

Aumento la stretta su di lui, godendomi il momento. Vorrei che quest'attimo fosse eterno.

"Marta... - Camus compie ancora qualche scalino prima di fermarsi un attimo - Sei abbastanza sveglia?"

"Uh-oh, sì!" rispondo, pronta, sebbene mi stessi nuovamente addormentando. Mi sollevo un poco dalla sua spalla, posando la guancia sulla sua testa.

"E allora alza gli occhi al cielo e guarda!"

Faccio come chiesto, rimanendo sbalordita a contemplare la volta celeste, la via lattea, che si vede distintamente, Marte, riconoscibile per la luce rossastra e perfino qualche satellite. E' semplicemente stupendo! Gli occhi mi si inumidiscono nel rammentarmi dell'ultima volta in cui ho osservato così intesamente il cielo. Non lo ricordo quasi più, mi sembra di aver passato questi ultimi mesi come se fossi stata in una gabbia.

"Ti è mai capitato di vedere così tante stelle insieme? - mi chiede lui, rimasto estasiato come me a guardare il cielo - Il Santuario, come hai potuto constatare, è costruito su una montagna. E' sufficientemente distante dall'inquinamento luminoso per permetterci di osservare la volta celeste."

"..."

"Sai... - prosegue poi, riprendendo lentamente ad avanzare - Ho sempre osservato il cielo, da quando mi hanno portato qui. Mi... mi faceva sentire un poco più vicino a voi."

E' una confessione, la sua, lo capisco fin troppo bene. Sta dischiudendo il suo cuore, anche se a fatica, forse in maniera ancora un poco impacciata, ma lo sta facendo, con me. Ed io... ed io non posso che esserne felice ed emozionata. Mi poggio completamente a lui, aumentando la stretta sulle sue spalle. Finalmente anche io posso tornare a respirare e, forse, anche io posso cominciare a rivelare i miei demoni.

"In verità sì, ho visto un cielo più luminoso di questo. - torno alla domanda precedente, sorridendo tra me e me - E questo perché in estate sono sempre andata in una valle selvaggia alle spalle di Genova. Lì il cielo... sembava una caverna incastonata di diamanti!"

"..."

"Era bellissimo, Camus, ed io... - ma un bagliore nel cielo attira la mia attenzione - GUARDA! GUARDA! Un bolide!!!""

"Ho visto, Marta, ho visto..." mi dice lui, in tono disteso, fermandosi nuovamente per riprendere fiato.

"Ci fermiamo un attimo per vedere le stelle cadenti?"

"Va bene."

Trascorrono minuti si assoluto silenzio, ognuno perso nel miracolo sopra le nostre teste, gli occhi grandi, spalancati, e un po' persi in un futuro che sappiamo essere incerto.

Al termine del conteggio delle stelle cadenti, mi schiarisco la voce e prendo parola.

"Io ne ho viste tre. E tu?"

"Quattro."

"Come, quattro?! - esclamo un poco dispiaciuta - Perché tu una più di me?!"

Lui ridacchia tiepidamente, e il suono della sua risata mi appare bellissimo, come tanti campanelli tintinnanti: "Eri girata dalla parte sbagliata del cielo!"

"Uff... - sbuffo, contrariata, prima di riprendermi - Non importa, me ne bastano tre per quello che vorrei. Tu hai espresso un desiderio?"

"Oh, Marta, non credo a queste cose. - mi dice, prima di riprendere a camminare sempre con me in spalla - Sapessi quanto ho chiesto al cielo, da piccolo. Non mi ha mai ascoltato..."

"Capisco, mi dispiace... - annuisco, certa di capirlo, prima di continuare - Anche a me molto spesso non ha dato retta. Nulla. Niente. Ero sfiduciata come te, ma poi... un desiderio si è avverato, quello più importante!"

"E sarebbe?"

"Te! - è la mia risposta diretta, al punto che lui, non aspettandoselo, trasalisce e si immobilizza seduta stante - Avere un fratello maggiore."

"M-Marta, tu..?"

"Anche io l'ho chiesto tante volte al cielo, sai? Non ci credevo più, e invece... - mi prendo una pausa, tornando ad appoggiarmo nuovamente a lui, alla sua testa, in quei soffici capelli che profumano di selvatico e fresco allo stesso tempo - S-sono... grata... di averti conosciuto!" bofonchio ancora, al limite dell'imbarazzo, chiudendo gli occhi e ringraziando mentalmente le tenebre che mi schermano.

"Volevi così tanto un fratello maggiore?" mi chiede ancora lui, aumentando la stretta su di me.

"S-sì. - mormoro, facendo lo stesso nella paura che mi venga nuovamente strappato - Ma ora va bene. Sto bene... perché so che esisti e ti ho incontrato!"

Camus non proferisce nulla di verbale, prosegue il suo cammino, ma il suo cuore batte più forte, lo posso percepire da qui, così come il cambio del suo respiro. L'emozione è forte e intensa, mi sembra quasi di viverla sulla mia pelle, e ciò mi rende felice.

Dopo circa mezz'ora, arriviamo finalmente alla Casa dell’Acquario che sono nuovamente mezza addormentata, avverto appena i suoi passi percorrere le scale per salire al piano di sopra, avendo cura di non fare alcun rumore per non svegliare gli altri.

Camus mi posa delicatamente sul mio letto, mi sistema bene la testa sul cuscino e mi regala al contempo una nuova carezza che mi fa sentire bene, poi mi copre con il leggero lenzuolo, lasciandomi un braccio fuori, il sinistro, per accarezzarlo delicatamente con i polpastrelli delle dita. Ha le mani di velluto, capisco bene che vuole rassicurarmi con questo suo gesto, dirmi che c'è e ci sarà sempre da adesso in poi.

“Buonanotte, Marta, ti auguro di fare dei bei sogni questa volta... Ti proteggerò, qualsiasi cosa accada.” mi conferma infatti a voce, regalandomi un leggero, quanto inaspettato, bacio sulla fronte.

“B-buonanotte... fratellino!” rispondo, sorridendo felice, ben conscia di non averlo ancora chiamato con il nome che gli spetta.

Non posso vedere direttamente l'espressione di Camus, ma lo avverto sussultare, inoltre, dal mormorio che si è lasciato sfuggire dalle labbra, direi che ne è rimasto piuttosto sorpreso.

Arrossisco, e ringrazio le tenebre intorno a me che mi consentono di schermarmi. Mi nascondo comunque il volto con il lenzuolo, anche se fa caldo, tutta vergognosa.

"Scu-scusa..."

"Perché ora mi chiedi scusa?"

"Perché non so se... se era il caso di... - scrollo la testa, sempre più imbarazzata - Mi è sfuggito."

"E... non volevi?" mi chiede lui, un poco timoroso.

"Sì, che lo volevo, ma magari tu non..."

"Marta, io... se è ciò che senti, io c-certo che vorrei... - biascica, in paurosa difficolta, emozionato come forse non l'ho mai visto - Lo senti?" chiede poi conferma, in un tono che mi fa ridacchiare.

"Pfff, sì che lo sento, Camus! - me la rido, divertita dal suo modo di porsi così impacciato - Posso quindi chiamarti così, qualche volta?"

"S-sì... mi piace molto la voce con cui ti è uscito, hai addolcito il tono nel rivolgerti a me e... è molto bello, questo, piccola mia!"

Annuisco, strizzando le palpebre dalla felicità nell'avvertire una sua carezza scendere dai capelli alla guancia: "Anche a me piace molto se... se mi chiami qualche volta così" lo rassicuro, aspettando che la sua mano torni sul mio braccio, arrivi al polso, per stringergliela e trattenerla lì, sopra le coperte.

"Piccola mia? Ti... ti piace? N-non sapevo se fosse il caso, visto che hai già 17 anni, ma mi è venuto spontaneo."

"Sì, però solo tu puoi farlo, e Milo qualche volta! - specifico, prima di assumere un tono più irriverente possibile - Se ci prova un maschio comune lo castro, non si deve permettere!" soffio, decisa.

La frase riesce a farlo ridacchiare genuinamente. E' bello sentirlo ridere, lo fa troppe poche volte, ma ciò lo rende ancora più prezioso ai miei occhi.

"Dei, sei tremenda!"

"Forse. - acconsento prima di chiudere le palpebre per la stanchezza e lasciare la presa sulla sua mano - Tu, però, puoi farlo, Camus, hai il mio permesso. Mi... mi fai sentire protetta e al sicuro, mi fai sentire... bene!" gli spiego, rilassandomi nuovamente alle sue carezze.

Percepisco il suo sorriso su di me, insieme ai suoi occhi che, lo so, in questo momento brilleranno ancora di più di luce propria. Mi sistema più compostamente il braccio, regalandomi poi un buffetto sul naso, prima di raddrizzarsi.

"Allora lo farò più spesso, ma ora devi dormire, Marta, chiudi gli occhi e riposa."

"Riposa... riposa anche tu, ne hai bisogno, specialmente dopo la medicazione." mormoro, ormai proiettata verso il mondo dei sogni.

"Sarà fatto anche questo, non ti preoccupare!" mi rassicura, prima di allontanarsi da me.

Avverto i suoi passi nela stanza, la sua ombra andare verso la porta. Mi sorge ancora una cosa da dirgli.

"Fratellino?"

"Sì?"

Ha ragione, cambio il tono di voce quando mi rivolgo a lui, ed è bello ed emozionante al tempo stesso. Tra l'altro ho le parole sulla punta della lingua, basterebbe poco per esprimerle, ma qualcosa mi fa trattenere. Non ora. Non è ancora il momento.

"Buonanotte!" sussurro, guardando la sua ombra dalla porta.

"Buonanotte anche a te, piccola mia!" mi risponde, prima di andarsene e chiudere la porta dietro di sè.

Sospiro, affondando con la testa nel cuscino per poi osservare brevemente il soffitto. Non adesso, mi ripeto, è troppo presto. Eppure qualcosa che mi morde la coscienza c'è già. Non lo quantifico, ma c'è e pulsa fastidiosamente.

Ti voglio bene, Camus... ma questo te lo dirò un'altra volta, quando entrambi ci saremo conosciuti un po' meglio ed io non avrò più paura a mostrarti tutto ciò che sento.

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

Dedico il capitolo a DarkAngel90 per la sua centesima recensione alla mia storia!

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Capitolo 20
*** Il passato dei Cavalieri d'Oro ***


CAPITOLO 20

 

IL PASSATO DEI CAVALIERI D’ORO

 

11 luglio 2011, mattina.

 

“ Mi sa... che non si sveglia neanche con le cannonate!”

“Cavolo, Fra, e poi sarei io la bella addormentata nel bosco?!”

“Aspetta, or ora si sta muovendo!”

Le voci di Francesca e Michela mi strappano dal sonno profondo e rigeneratore in cui ero caduta. Apro gli occhi contrariata, decisamente seccata di dovermi alzare. E' stato tutto così bello ieri sera, ancora avverto il caldo tepore che mi ha accompagnato prima di dormire. Ancora posso sentire il leggero tocco di mio fratello. Ma la notte e i suoi sogni sono passati, è tempo di iniziare un altro giorno, ormai.

“Buongiorno!” trillano loro in coro, sorridendomi raggianti.

Mugolo per la disapprovazione, alzandomi comunque dal letto senza proferire una parola. Mi stiracchio le braccia e le gambe, dando una veloce occhiata alla finestra.

“Marta, dobbiamo andare alla tredicesima casa. Camus e gli altri Cavalieri d’Oro sono già là, sembra che ci debbano dire qualcosa di importante” spiega brevemente Francesca, facendosi seria.

La guardo attentamente, ripensando a quello che Camus mi aveva sussurrato quella stessa notte nel dormiveglia: finalmente scopriremo il passato che tanto ha fatto soffrire Sonia e i Cavalieri fino ad adesso; quello stesso passato indicibile che però deve essere svelato a noi nuove arrivate. Annuisco con vigore, prima di corrermi a cambiarmi. Mi sento completamente a mio agio con il peplo, ormai girerei solo con quello.

“Va bene, andiamo!” dico, una volta finito.

“Aspetta! Prima dobbiamo svegliare Hyoguccio mio!” prorompe Michela ad un tratto, mentre si dirige saltellando in direzione della camera di Hyoga.

"Hyoguccio suo... non mi abituerò mai a questi vezzeggiativi stupidi!" commenta Francesca, sospirando sonoramente. Ridacchio divertita, apprestandomi a seguirle di corsa senza però fiatare. Ci fermiamo davanti alla porta della camera del Cavaliere del Cigno per bussare, ma Michela, al settimo cielo e totalmente euforica, non si arresta minimamente ed entra senza nemmeno chiedere il permesso.

“Hyoga, amore, dovresti... Aaaah!” strilla, diventando improvvisamente tutta rossa.

La stessa cosa accade a me e a Francesca quando, per ripescare la nostra amica, entriamo a nostra volta. Hyoga, dal canto suo, ci guarda esterrefatto, immobilizzandosi per l'imbarazzo. Davanti ai nostri occhi appare completamente nudo, ad eccezione dei boxer grigi e attillati che lasciano fantasticare... beh, un poì su tutto; ci fissa sempre più sbigottito, la faccia sempre più rossa e le orecchie che si apprestano a diventare del medesimo colorito.

“Ragazze!!!” urla Hyoga pochi secondi dopo, finalmente ridestatosi. Le mani che convulsamente cercano qualcosa con cui coprirsi, che sia il cuscino o il lenzuolo o qualunque altro oggetto nelle vicinanze.

“Sc-scusa, usciamo subito!” interviene Francesca, prendendo il polso mio e di Michela, rimaste impietrite, per spingerci a forza fuori dalla porta. L'ultima visuale prima che la porta si chiuda è Hyoga intento ad armeggiare con una maglia blu, il lenzuolo avvinghiato al corpo in stile abito romano e il cuscino candido in testa, ossimoro pesante se confrontato al volto color pomodoro.

“Bussiamo la prossima volta, ok? Vale anche per te, Michela... SOPRATTUTTO per te!” ironizzo, non riuscendo più a smettere di ridacchiare per l'imbarazzo.

“Ma lo avete visto?!” commenta Michela con lo sguardo ancora trasognato. Visto? Eccome se lo abbiamo visto, oggettivamente un bel vedere se, poverino, non lo avessimo scioccato con le nostre azioni!

Francesca le da pacche sulla schiena, un leggero sorriso anche sul suo volto:

“Ti ci dovrai abituare, Michela... ti ci dovrai abituare!” ripete più volte, divertita.

 

*****

 

Arriviamo finalmente al tredicesimo tempio con al seguito uno Hyoga ancora parecchio sconvolto e una Michela ancora tra le nuvole. Per tutto il tragitto il Cigno ha mantenuto le distanze e lo sguardo basso, non riuscendo a spiccicare parola, mentre la nostra amica è inciampata più volte nei suoi piedi come fa spesso quando, mentalmente, non è presente. In tutto questo bel siparietto Francesca ed io, l'apoteosi del disagio e il peso dell'incomodità.

“Cosa gli avete fatto, povero ragazzo? Sembra totalmente assente!” commenta Camus, preoccupato nel vedere Hyoga in quelle condizioni. Deve essere una novità anche per lui, che lo ha fatto crescere, assistere all'innamoramento del suo pupillo.

“Uh... niente, siamo entrate in camera sua ed era praticamente nudo! Si è vergognato, poverino!” spiego, spicciola. In verità sono ancora piuttosto imbarazzata, ma non voglio darlo a vedere a mio fratello. Camus mi rivolge uno sguardo accigliato, ma successivamente torna a fissare il suo primo allievo, forse capendo perfettamente il suo stato d'animo visto che anche lui è sulla stessa scia di Hyoga, l'ho visto chiaramente ieri. Lo stesso non si può dire di Milo, però.

“Nudo, eh? E bravo il nostro Hyoga, cresce! Eccome se cresce!” ride infatti lo Scorpione, come se gli avessimo raccontato una barzelletta spassosissima.

Tuttavia, malgrado la presunta allegria, avverto tensione nell'aria, esplicata perfettamente dalla postura rigida di Milo. Sonia sembra capire il suo maestro, infatti non smette di fissarlo preoccupata. Sto per chiedere anche a lei come sta, visto il casino nella sua mente, ma una voce imperiosa spezza a mezz'aria le mie parole.

“Bene, siamo tutti qua, direi che è il tempo di raccontare a tutte queste ragazze la verità... chi vuole iniziare?” comincia sbrigativo Shion, guardando speranzoso tutti gli altri.

Mu abbassa lo sguardo, Aldebaran si gratta la testa in evidente disagio, Saga è attonito e immobile come una statua greca, Death Mask ed Aphrodite guardano altrove, Aiolia si avvicina ad Aiolos, Shaka rimane a gambe incrociate, Dohko passeggia nervosamente vicino a Shion, Shura osserva il suo braccio destro, Milo fissa con apprensione Camus, il quale, ancora provato da ieri, tossisce più volte tenendosi il petto.

Nessuno di loro sembra intenzionato a parlare di un passato che probabilmente sarebbe meglio dimenticare, ma le carte sono state scoperte dalle divinità, non ci sono altre soluzioni!

“Lo supponevo... – sospira rassegnato Shion – allora cercherò di spiegare io, senza scendere troppo nei dettagli”

Le mie amiche ed io lo guardiamo serie, nessuna di noi fiata, persino Michela, capendo la situazione, è tornata tra noi.

“Circa quindici anni fa, il Grande Sacerdote, cioè io, fu ucciso da un Cavaliere d’Oro. Costui non era malvagio, ma di doppia effige il suo segno, la parte malvagia aveva preso il controllo... E' questo l'inizio della storia!” incomincia Shion, cercando le parole giuste.

“Ditelo il mio nome, Grande Sacerdote... sono stato IO ad uccidervi! Io ho commesso questo terribile atto!” la voce incrinata di Saga interrompe il silenzio.

Lo guardo stupita: allora tutto è cominciato da lui? Effettivamente Gemelli è il segno doppio per antonomasia, eppure Shion è qui davanti a noi e sta parlando più o meno pacatamente del suo assassino, fra l'altro presente tra noi. Mi sento già molto inquieta solo così...

“S-Saga, travestito da Grande Sacerdote cercò di uccidere Atena, che allora era solo una neonata, ma Aiolos lo impedì, salvando la piccola e fuggendo dal Grande Tempio con lei." riprende Shion, poco prima di chiudere gli occhi ancora un istante. Un attimo di pausa, un profondo respiro e ricomincia poco dopo.

"Saga, ormai pienamente nelle vesti di Grande Sacerdote, ordinò a Shura di fermare Aiolos, facendolo spacciare per traditore. Il Cavaliere del Capricorno era incredulo nell'udire che il suo grande amico si era macchiato di una simile onta, ma ubbidì comunque agli ordini e si scontrò con Aiolos. Quest’ultimo per non coinvolgere la piccola, venne ferito gravemente e, con le sue ultime forze, prima di spirare, riuscì ad affidare Atena ad un uomo che si prese cura di lei e la crebbe come una figlia”

Vedo Sonia alzarsi di scatto, ancora frastornata dalle rivelazioni precedenti, ma ha capito, lo si presagisce dal suo sguardo. I suoi passi non si arrestano fino a quando non è esattamente davanti a Shura di Capricorn.

“Tu... come hai potuto?! Hai ammazzato mio fratello, ma ancora peggio: hai ucciso un amico senza 'se' e senza 'ma'!!! ” gli grida contro, arrabbiata.

Shura le rivolge uno sguardo pentito, tuttavia non fiata, probabilmente pronto a ricevere qualunque tipo di reazione uguale e contraria a seguito dei fatti anni fa.

“Sonia, calmati! Non è come credi tu, la faccenda è molto delicata!” interviene Aiolos, frapponendosi tra la sorellina e l'amico. Invidio la bontà d'animo del Sagittario, malgrado quello che ha subito non ha mai fatto trapelare nulla, anzi è sempre gentile con chiunque, persino i suoi aguzzini. Ha la tempra di un vero eroe.

“Ti ha ucciso!!! - continua lei, imperterrita,non comprendendo la sua indulgenza - E... uccidendoti... ha lasciando indifeso il nostro amato paese, mia madre, e me... non c'era più nessuno a difenderlo e... e per questo mia madre è morta, i miei ricordi sono stati manomessi e, verosimilmente, Aiolia ha dovuto fare la spola per anni dal Tempio a casa, sbeffeggiato dagli altri perché considerato un traditore!" Gli occhi di Sonia sono ora gonfi di lacrime, ha collegato il suo passato, ancora annebbiato, con i fatti appena rivelati. Sconvolta com'è, sarà difficile tranquillizzarla...

“Ti capisco, Sonia... anch'io per un certo periodo non riuscivo a perdonare Shura. E' tutto vero quello che hai intuito, se Aiolos non fosse morto lui avrebbe potuto proteggere la nostra famiglia ed io sarei rimasto sempre al tuo fianco... Prima di attaccarlo, però, ti invito ad ascoltare il seguito della storia” interviene Aiolia, abbracciandola di getto per rassicurarla. E' molto più aperto al contatto fisico che il fratello maggiore, probabilmente anche perché la conosce meglio rispetto al povero Aiolos, che l'ha persa quando era ancora piccolissima. Sonia annuisce leggermente, asciugandosi in fretta le lacrime per non deludere Aiolia, ma non smettendo di fissare Shura con profondi occhi indagatori.

“...La ragazza, diventata più grande, riunì intorno a sé una schiera di Cavalieri di Bronzo, di cui fa parte anche Hyoga; tutto questo mentre i restanti Cavalieri d’Oro crescevano con la convinzione che il Grande Sacerdote fossi sempre io. Naturalmente c’erano dei dubbi, ma dubitare equivaleva tradire Atena, perciò, chi più chi meno, riconosceva comunque l'autorità del sovrano” continua Shion, sforzandosi di non lasciar trapelare troppi sentimenti. Comunque il suo tono è sempre più stanco, sembra quasi quello di un vecchio... come se il peso del passare degli anni si intensificasse, nel giro di pochi minuti, a ritmo con le sue parole, pesanti come l'eredità che conducono dietro sé. Hyoga è quindi un Cavaliere di Bronzo, lo sapevo già, ma pare che lui e i suoi amici debbano aver svolto imprese sovrumane, ben al di là di giovani ragazzini.

“Nel frattempo, Saga cominciava ad avere paura di quel gruppo che avrebbe potuto smascherarlo e, siccome tutti i Cavalieri che mandava venivano irrimediabilmente sconfitti, decise di chiedere l’aiuto dei Cavalieri d’Oro, ormai ventenni e quindi pronti a combattere” riprende Shion, abbassando lo sguardo. Una nuova breve pausa, cercando le parole giuste per proseguire nel racconto. Il mio cuore automaticamente accelera di colpo. Guardo mio fratello, il suo viso è scuro, anche se come sempre pallido, chissà che cosa sta provando adesso, a rivivere tutto questo.

“La battaglia si svolse qui al Grande Tempio, ognuno dei due contendenti era certo di essere dalla parte della ragione: i Cavalieri di Bronzo perché Atena era al loro fianco; i Cavalieri d’Oro perché da sempre Atena proteggeva il Santuario e la sua presenza è sempre stata attestata qui, di conseguenza gli avversari dovevano essere per forza dei traditori... Fu, senza mezzi termini, una guerra civile assurda e fratricida, che servì solo ad indebolire i Cavalieri di Atena contro l’imminente scontro contro Hades, il re degli inferi. Molti Cavalieri d’Oro infatti persero la vita...”

“Q-quanti ne sono morti?” balbetta Michela, portandosi la mani alla bocca. Mi volto verso di lei, ma non è il suo sguardo ad attirare la mia attenzione, ma quello di Hyoga, a poca distanza dalla mia amica. Terrore e senso di colpa, ecco cosa riesco a leggere sul suo volto bianco come un cencio e dai muscoli contratti; nello stesso momento anche Camus ha discostato lo sguardo pallido altrove, come a rinvangare una qualche memoria passata ma ancora ben nitida in lui. Che cosa stai provando... Camus?

“Gli unici superstiti furono Mu, che aiutò i Cavalieri di Bronzo, Aldebaran, Aiolia, Shaka e Milo. Dohko non aveva partecipato perché era già a conoscenza del complotto di Saga, inoltre doveva controllare che non si spezzasse il sigillo di Atena” spiega Shion che, con un abile colpo dialettico, non nomina i compagni morti.

Sospiro pesantemente, stringendo i pugni. Già lo sapevo, ma il pensare che molti di loro hanno sperimentato il morire mi fa star male. Guardo di sottecchi, per la terza volta di filo, il volto sfuggente di Camus, avendo cura di non essere scoperta. Cosa sarà stato, per lui, il trapasso? Un'improvvisa sensazione di gelo mi invade le vene. Inspiegabile.

“Allora vinsero i Cavalieri di Bronzo? Uccisero Saga?” chiede nel mentre Francesca, tesa a sua volta. Non so cosa sappia lei, di tutto questo, ma sembra dispiaciuta. Per una dea la morte non è qualcosa di possibile, ma sarò lo stesso per una divinità che prova ad avvicinarsi agli uomini?!

“Non proprio... la parte buona di Saga riuscì a prendere il sopravvento su quella cattiva, ma il peso delle vite spezzate e del tradimento la portò ad uccidersi con le sue stesse mani” la voce di Shion trema appena.

“E’ stato terribile! – interviene Milo, con voce incrinata – Eravamo dalla parte sbagliata, abbiamo creduto al falso e gran parte dei nostri amici hanno perso la vita... una degna punizione per noi Cavalieri d'Oro inadempienti!”

Vedo Camus avvicinarsi lentamente a lui per posargli una mano sulla spalla, non dice nulla ma dai suoi occhi traspaiono, se lo si conosce bene, tutte le emozioni provate. Hyoga, qualche passo più in là, piange sommessamente, cercando di non dare comunque troppo a vedere le sue lacrime. Hyoga... che sia stato lui?

“Così come Cardia e Degel, li ricordi, Shion?! L'anima è, d'altronde, la stessa! La loro amicizia si è reincarnata esattamente come loro... è meraviglioso!” commenta intanto Dohko, osservandoli, stemperando la tensione. L'interpellato sorride lievemente, facendo un cenno di assenso.

Solo il soffio leggero del vento passa tra noi, attimi in cui ognuno di noi rivive il proprio vissuto personale dentro di sé. Un leggero tremore ripercuote le mie membra dopo aver udito quei due nomi... 'Cardia' e 'Dégel'... una sensazione di velata tristezza mi mozza arbitrariamente il respiro, ancora inspiegabilmente. Tuttavia un venticello tiepido mi accarezza la pelle, posandosi poi tra i miei capelli per arruffarmeli con dolcezza. Mi guardo intorno, rassicurata, ma non vedo nulla oltre ai presenti. E' strano, eppure ho proprio avvertito con distinzione una mano vezzeggiarmi il viso per poi soffermarsi sulla chioma; il vento, ne sono certa, ha sussurrato qualcosa di simile a "Non devi temere, piccola rondine ora sei con lui, la sua forza, sarai in grado di proteggerlo, così come hai fatto con me!"

“Dopo essersi ripresi dalle ferite... – continua Shion, come se nulla fosse, riportandomi alla realtà - i Cavalieri di Bronzo si scontrarono contro i Generali di Poseidone di cui faceva parte anche Kanon...”

“Cosa? Kanon?! Kanon di Gemini, il fratello di Saga?! Quello che abbiamo visto di sfuggita un paio di volte?!” chiede stupita Michela, ancora scossa dalle rivelazioni precedenti.

“Sì, venne fuori che era stato Kanon a seminare il male in Saga. Fu lui ad aprire il vaso che conteneva Poseidone da oltre due secoli, fu quindi l'inizio di una nuova guerra, non l'ultima, ahimè!!” afferma Shion, sospirando, affranto.

‘Poseidone’... il dio dei Mari, nonché il nemico di Atena da tempi immemori. Allora perché questa sensazione famigliare al nominare il dio?!

“I Cavalieri d’Oro dove erano mentre quelli di Bronzo combattevano? - domanda invece Francesca, curiosa - Voglio dire, i superstiti..."

“Eravamo al Grande Tempio. – interviene nuovamente Aiolia – Il sigillo di Hades si sarebbe presto rotto e noi dovevamo rimanere a proteggere le nostre case... Io però non ero affatto d’accordo, mi sembrava di mandare all'avanscoperta dei giovani Cavalieri che già avevano patito fin troppo per causa nostra!” conclude, fulminando con lo sguardo Mu e Dohko.

“Neanche io ero d'accordo, ciò nonostante dopo poco avvenne... -dice Milo, ripresosi da poco prima, cercando di essere il più chiaro possibile – Hades si risvegliò, ma quello che è peggio: fece resuscitare i Cavalieri d’Oro morti e li mise al suo servizio... contro di noi!”

“Eeeeeeh?!?” gridiamo, incredule. R-riportati in vita dal dio degli Inferi come se fossero marionette?!

“Sì, Hades ci fece resuscitare ad una condizione: dovevamo portargli la testa di Atena entro dodici ore, come premio avremo ricevuto la vita eterna” spiega Shion, abbassando lo sguardo.

“E voi avete accettato?!” esclama Michela, sconvolta. Sonia invece, pur scura in volto, sembra sapere già quest'ultima fase del racconto, probabilmente, ma è una mia ipotesi, dopo la battaglia con i Cavalieri di Bronzo, è approdata anche lei al Tempio, forse provando il desiderio di diventare più forte e cominciando quindi l'allenamento.

“Sì, ma né a me né ai miei compagni interessava questa proposta, eravamo pur sempre Cavalieri d’Oro! Così io, Saga, Shura, Camus, Death Mask e Aphrodite decidemmo di scalare le dodici case per avvertire Atena che l’unico modo per sconfiggere Hades era indossare la sua sacra armatura, nascosta nella grande statua della dea stessa; per farlo però dovevamo recitare la parte dei cattivi e colpire con violenza i nostri amici a guardia delle case” continua a spiegare Shion, con grosse difficoltà.

“Fatemi capire... voi avevate buone intenzioni, ma per non farlo scoprire ad Hades siete stati costretti ad attaccare gli altri Cavalieri d’Oro?” chiede ancora Michela, sempre più sconcertata.

“Sì, per far finta di essere realmente malvagi... Saga, Camus e Shura hanno usato anche ‘l'Athena Exclamation', una tecnica che unisce in sé la potenza di tre Cavalieri d’Oro contro uno. Coloro che la usano perdono, di contro, l’onore di essere stati Cavalieri, poiché è una tecnica vile e Atena esige solennità nei combattimenti!” sospira per l'ennesima volta Shion, sempre più stanco. Alla fine il peso del racconto, salvo breve interruzioni, è caduto interamente su di lui, stanco e logoro.

“L’onore... di essere stati Cavalieri?” ripeto, confusa.

“E’ una delle cose più importanti per noi, Marta, perché racchiude il significato più profondo della nostra esistenza: il fatto di essere ricordati ai posteri per valenti guerrieri. Tuttavia perderlo non è stato neanche lontanamente doloroso, se paragonato all'aver attaccato con violenza i nostri compagni e amici!" mi spiega debolmente Camus, cercando il mio sguardo e il mio sostegno. E' la prima volta che trova il coraggio di imprimere i suoi occhi nei miei, e li vedo quegli occhi, sono lucidi. Mi si stringe il cuore.

“Alla fine Atena, capendo la situazione, si suicidò con il pugnale stesso con cui Saga aveva tentato di ucciderla anni prima. Questa azione vi giungerà assurda, alle vostre giovani e inesperte orecchie, ma in realtà la dea aveva capito che per sconfiggere Hades occorreva raggiungere gli Inferi da vivi, per farlo bisognava risvegliare l’Ottavo Senso!” spiega ulteriormente Shion.

“Ottavo Senso?! E’ un po’ difficile da capire...” sussurro, confusa.

Michela e Sonia hanno la stessa espressione sconcertata che ho io, mentre Francesca pare conoscerlo già, in quanto dea.

“Comprendo che sia difficile. Gli esseri umani hanno cinque sensi, il sesto è detto dell’intuizione, il settimo è proprio dei Cavalieri d’Oro, che hanno una conoscenza del cosmo più profonda, mentre l’ottavo permette di andare negli Inferi da vivi” prosegue il Grande Sacerdote, guardandoci una ad una.

Mi gratto leggermente la testa, in evidente stato di disagio. Odio non capire ma con tutte queste rivelazioni in pochi giorni chiunque uscirebbe di testa seduta stante!

“Dopo l’apparente morte di Atena, noi rinnegati abbiamo finalmente buttato giù la maschera, raccontando tutta le verità ai nostri amici. In seguito le dodici ore finirono, per cui...” continua Camus, lasciando volutamente la frase sospesa.

“...Siamo tornati a far parte del mondo dei morti” conclude Saga, chiudendo gli occhi e stringendo i pugni con forza.

Le mie amiche ed io abbassiamo lo sguardo, attonite. Non c'è semplicemente nulla da aggiungere a riguardo, come potremmo farlo, d'altronde?! Alcuni di loro hanno sperimentato la morte non una, bensì due volte... non è umanamente tollerabile tutto ciò!

“Come siete tornati in vita?” chiedo alla fine, rompendo il silenzio.

“ E' successo dopo aver abbattuto il Muro del Lamento che divideva l’Inferno dall'Elisio... Noi Cavalieri d’Oro ci siamo uniti per permettere a quelli di Bronzo di sconfiggere definitivamente Hades. E poi... puff! Un giorno ci siamo ritrovati di nuovo al Grande Tempio, vivi. Ancora adesso non abbiamo capito quale divinità sia dietro alle nostre resurrezioni o perché lo abbia fatto!” conclude Milo, cercando di sorridere, ma consunta è la sua espressione e stanco il suo volto. A 22 anni di età compiuti, lui e altri Cavalieri hanno provato ciò che normalmente si può provare nell'arco di mezzo secolo, resurrezione a parte. Come può non aver intaccato la loro fibra di giovani uomini?! Sospiro, guardando il cielo, ancora una volta colpita e affascinata: voglio e devo diventare più forte di così, perché io... sì, perché io voglio proteggere ardentemente mio fratello e tutti gli altri! Se in una vita bisogna trovare a propria aspirazione, io voglio cercarla nel prendermi cura di ognuno di loro!

 

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Capitolo 21
*** Il rapimento ***


CAPITOLO 21

 

IL RAPIMENTO

 

11 luglio 2011, pomeriggio

 

Questa mattina il tempo era bello e il sole risplendeva sereno in cielo. Oggi pomeriggio invece, i primi addensamenti nuvolosi hanno fatto capolino tra l'azzurro, portando con loro un vento ostile decisamente inusuale per le medie stagionali! Sospiro più volte, scostando le tende dalla finestra per affacciarmi fuori. E' questione di un attimo, pochi secondi dopo mi volto nuovamente verso l'interno.

Mi sento inquieta, nervosa e mi aggiro smarrita per la casa, Francesca mi segue, irrequieta a sua volta. A Michela invece è venuto mal di testa e pertanto è andata a dormire con Hyoga, il quale sembra a sua volta non in perfetta forma.

Oltretutto la storia dei Cavalieri d’Oro mi ha sconvolta. Scoprire che questi uomini hanno sempre combattuto per difendere la Terra e l’umanità, rischiando la loro vita, ferendosi gravemente e patendo le pene più atroci, mi ha destabilizzato alquanto. Ho visto distintamente quello che ha dovuto passare Camus per proteggermi da quell'essere, come ho visto Milo smarrito e paralizzato all'idea di perdere il suo migliore amico... sapere che non è stata la prima volta, mi fa stare ancora peggio!

"Marta, forse sarebbe meglio andare verso il soggiorno, sento un vociare non bene distinto..." mi suggerisce Francesca. Annuisco con un mormorio indistinto, prima di dirigermi verso la stanza in questione.

“Milo, te l’ho già detto... è acqua passata ormai” afferma Camus in direzione di un contrito Scorpione. Probabilmente deve essere arrivato da poco, spinto da una voglia irrefrenabile di parlare con l'amico di sempre.

“Sì, però io... io ti ho anche fatto del male quella volta lì, soprattutto non mi sono fidato di te, ed è la cosa più grave!” esclama Milo, ostinato. Non so di cosa stiano parlando nello specifico, ma è lampante il suo malessere.

“Non potevi sapere, amico mio... è stato tremendamente difficile ma Saga, Shura ed io siamo riusciti a mascherare bene le nostre vere intenzioni sia ad Hades che a voi. Quindi non chiedermi scusa per qualcosa che appartiene ad un passato non più esistente, sono qui ora... e anche se mezzo acciaccato non ho nessuna voglia di morire una quarta volta!” ribatte Camus, insolitamente ironico, sorridendo con dolcezza. Dopodiché, avvicinandosi lentamente a lui, lo abbraccia per rincuorarlo. La faccia di Milo è quanto di più stupito abbia mai visto sul suo volto sempre allegro, i suoi occhi brillano di una luce profonda, quasi mistica, e il suo sorriso non tarda ad incurvare le sue labbra in un'espressione felice. E' ovvio che si tratti di un gesto raro, quello di mio fratello, proprio per questo ancora più speciale e unico.

Francesca ed io rimaniamo sulla soglia indecise se andarcene o no. In quella stretta c'è tutto l'universo silenzioso di Camus e Milo, il loro vissuto intimo, i loro ricordi... è qualcosa di strettamente personale e che non ci compete, ma è così bello vederli così uniti che...

“Salve, ragazze, spiate i nostri Maestri?!” una voce trillante alle nostre spalle ci coglie completamente impreparate.

“Aaaaah!!!” gridiamo all'unisono Francesca ed io, compiendo un balzo in avanti da record (si vede che gli allenamenti danno i loro frutti!). Ci voltiamo in direzione della voce, che può appartenere soltanto ad una persona: Sonia!

La più piccola tra noi ci sorride con aria furbetta, indossa il solito peplo e ai piedi porta dei sandali, ma cosa più importante: sembra si senta molto meglio rispetto ai giorni scorsi!

“Sei per caso un fantasma?! Ci hai fatto prendere un colpo, non farlo mai più!” urla Francesca, dandole dei piccoli pugnetti sulle spalle per scherzare, mettendosi poi a ridere divertita.

Io invece arrossisco, mentre con la coda dell'occhio noto che Milo e Camus si stanno avvicinando a noi.

“Sc-scusate, non vi avevo visto!” mormora quest’ultimo, imbarazzato. E’ tipico di lui diventare rosso quando qualcuno lo scopre in questi momenti di intimità, ormai l’ho capito. Milo osserva il viso del suo amico, ridacchiando rumorosamente.

Senza dire una parola mi dirigo lentamente verso Camus, un pensiero ha sfiorato la mia mente già da ieri e necessito di sapere con certezza se la mia intuizione corrisponde alla realtà.

“M–Marta, che cosa ti succede?” balbetta mio fratello, rivolto a me. Non capisco se si è allarmato per la mia espressione o per il fatto di aver appoggiato tacitamente la mia testa contro la sua spalla, tremando quasi impercettibilmente.

“E’ stato Hyoga, vero? E’ stato Hyoga ad ucciderti la prima volta...” dico in un sussurro appena accennato. Camus si blocca per un attimo, sorpreso, poi mi avvolge delicatamente le spalle con un braccio, massaggiandomi la schiena.

“Sì... ci siamo scontrati due volte. La prima ho avuto la meglio io, era... era troppo preda dei sentimenti per continuare la corsa alle Dodici Case, non potevo tollerare la sola idea che finisse ammazzato da un altro Cavaliere d'Oro, quindi lo sconfissi e piansi lacrime amare, era come un figlio per me; lo sconfissi, ma non lo uccisi, preferendo rinchiuderlo nel feretro di ghiaccio. In seguito, grazie ai suoi compagni riuscì ad uscirne e si scontrò con me una seconda volta, in quella circostanza vinse lui, raggiungendo lo zero assoluto” mi spiega lui con un certo rammarico, misto però ad orgoglio. Era come immaginavo quindi, l'ho capito grazie alle lacrime di ieri del Cigno.

Francesca si avvicina a noi e, lentamente, non senza un certo disagio, abbraccia a suo volta Camus. Sorrido tra me e me, conscia dello sforzo richiesto per quella semplice azione: sta davvero sperimentando i sentimenti umani, ma ne ha di strada da percorrere se sceglie questa via così intricata!

“Non posso pensare che Hyoga abbia fatto questo al suo maestro! Non ci posso proprio credere!” ringhia lei, arrabbiata.

“Francesca, ti prego, non serbare rancore per Hyoga, non conosci tutta la storia, in un certo senso sono stato io a farmi uccidere! -prende una breve pausa- Comunque non ditelo a Michela, ci rimarrebbe malissimo e non vorrei che per colpa della sua impulsività si mettesse a litigare con Hyoga per una quisquilia simile. Non desidero in alcun modo che questo accada, anche lui ha sofferto tanto, ora merita un po' di quiete” sussurra Camus, imbarazzato. Dai suoi occhi si capisce tutto l'affetto che nutre per il Cigno e l'orgoglio di averlo addestrato lui stesso nelle fredde pianure siberiane. Penso non continuerà con questo discorso, eppure ho ancora tante domande in sospeso, devo solo trovare il coraggio di farle sgorgare fuori da me.

Francesca, Sonia si guardiamo tristemente, anche se la seconda credo abbia vissuto sulla sua pelle quei momenti, perché già presente al Tempio. Se questa è la volontà di Camus lo rispetteremo, non diremo niente a Michela, sperando che non lo venga a sapere in altri modi. Anche lei merita di avere la possibilità di essere felice con una persona che si prenda cura di lei e la faccia maturare. Per molte cose è ancora 'piccola' e Hyoga può essere il ragazzo giusto per accompagnarla in questo cammino.

“Camus... - trovo la forza i chiamarlo, infine, ingoiando a vuoto- cosa si prova... a morire?” mormoro, dopo vari minuti di silenzio. Solo il domandarmelo mi fa sentire male, ma devo farlo, ho bisogno di farlo!

Ho visto con i miei stessi occhi cosa significasse lottare tra la vita e la morte, ho visto mio fratello perdere fiotti di sangue e non avere nulla con cui poterlo aiutare... so cosa significa sentire il cosmo di qualcuno affievolirsi, la maestosità dell'albero che sta cadendo... Ho udito l'infermiera rivelarmi che il suo cuore aveva cessato di battere, che era stato ad un passo dalla fine, ma... ma in quegli attimi Camus la forza di reagire è riuscita a trovarla comunque, non so dove, non so come, ma l'ha trovata. Ora sono venuta a conoscenza che ci fu un tempo in cui, quello stesso cuore, in apparenza invincibile, aveva smesso di battere definitivamente, un tempo in cui il freddo era diventato parte integrante del corpo di mio fratello, ora così caldo e accogliente. Faccio davvero fatica ad accettare una cosa del genere, io non c'ero, neanche sapevo della sua esistenza... vorrei almeno udire dalle sue parole cosa ha avvertito quel giorno.

“E’ davvero difficile da spiegare, Marta... La prima volta sono morto in seguito all'attacco di Hyoga, avevo freddo, un freddo penetrante e pungente che si insinuava dentro di me, mi toglieva il respiro e... la vita. Non sono morto subito, ma non saprei come quantificare quei momenti. Si dice che il primo senso ad andarsene sia la vista, ma in quel frangente tutto il mio corpo era atrofizzato, finché... ho esalato l'ultimo respiro, quello me lo ricordo. La seconda volta invece ero troppo stanco e dolorante e rammento a sprazzi, era quasi una liberazione lasciare indietro quel corpo fatto di ossa e di polvere. Mi trovavo tra le braccia di Hyoga e potevo comunque avvertire il suo cosmo potente. Ero davvero fiero di lui, credo sia stato questo l'ultimo il mio pensiero” prova a spiegare mio fratello, in tono basso.

“Camus, io...” comincio a sussurrare, vorrei trovare le parole giuste per rincuorarlo, vorrei chiedergli scusa per non essere stata con lui in quei momenti così critici, ma le parole mi muoiono in gola.

Le mie mani sono ancora su di lui, intente ad abbracciarlo, anche se più debolmente, quando lo sento ritrarsi istintivamente. Compie tre passi indietro, faticando non poco a mantenere il contatto tra noi.

"Marta... - il suo viso si è voltato parzialmente di lato, gli occhi chiusi, le labbra socchiuse che a fatica fanno trapelare le parole fuori da sè - Un giorno ti racconterò tutto nei dettagli, ma ti chiedo non adesso. Non mi sento ancora pronto..."

E' in vistoso disagio, non mi guarda più, l'espressione colpevole e distante, al punto da farmi abbassare lo sguardo nella paura di essere stata troppo diretta e inopportuna. C'è ancora una cosa... di cui ho bisogno!

"Fratellino... - anche la mia voce esce goffa e a fatica, al punto che lui, con non poche difficoltà, torna su di me, forse nella paura di avermi ferita - I-io... c'è ancora una cosa che..."

Osservo i suoi piedi, non riesco ad alzare lo sguardo più di così e di nuovo mi sento tanto, troppo, stupida in sua presenza. Non capisco che mi prenda, 17 anni senza di lui, senza una figura maschile di riferimento a parte mio nonno -neanche lui un mostro di espansività!- dovrebbero avermi ben avvezzata ad arrangiarmi. Eppure adesso ho tanto bisogno di lui, della sua vicinanza, di percepirlo...

"Che succede?" Camus è apprensivo nel pormi la domanda. Probabilmente tenterebbe un nuovo avvicinamento se io, vincendo la riluttanza, non mi fiondassi nuovamente su di lui ad abbracciarlodi nuovo.

"Posso... posare il mio orecchio sul tuo petto?" gli chiedo a bruciapelo, le guance calde.

"Marta... - inaspettatamente lo sento rilassare i muscoli e modificare la frequenza del respiro, come sollevato, mentre, ancora un po' impacciato, ricambia la stretta - Non occorre neanche che tu me lo chieda."

"Ho paura di farti male..."

"Non me lo farai, se sarai delicata e so che sei."

Annuisco, girando poi la testa verso sinistra in modo da posare l'orecchio proprio sopra il suo cuore.

E lo sento. TU-TUM. Sento il suo respiro, le sue vibrazioni, il lento alzarsi e abbassarsi del suo torace. Chiudo gli occhi, finalmente rilassata, mentre le mani corrono a stringergli il tessuto della maglia in prossimità delle scapole. Posso tornare a respirare anche io, pienamente, mentre il mio respiro si sincronizza al suo in maniera più che naturale.

Sto bene, ora, e anche lui, lo percepisco chiaramente. Sorrido tra me e me. Lui si discosta appena nel tentare di scorgermi il viso che però deve essere nascosto dalla frangia, perché poco dopo avverto la sua mano alzarmi teneramente i capelli per scoprire la fronte. Non so bene cosa pensi nel guardarmi, sento tanto caldo, è piacevole e confortevole, come quando si è al sicuro in casa e fuori diluvia. Ho ancora gli occhi chiusi, quando avverto le sue labbra posarmi un timido bacio sulla fronte.

"L-lo facevi anche quando eri piccina, questo... - sento il suo tono rotto dall''emozione, mentre mi tiene una mano dietro la nuca - Quando piangevi tanto per qualcosa, nostra madre ti faceva poggiare con l'orecchio al mio petto. Io ti tenevo maldestramente, nella paura di farti male, ma tu ti tranquillizzavi fino ad addormentarti."

Lo osservo, stupita che si ricordi una cosa simile. I suoi occhi sono puntati su di me, gremiti di emozioni che faticano ad uscire ma che me lo rendono ancora più speciale.

"Non avrei mai pensato che un esserino minuscolo come te potesse avere così tanto fiato in corpo per far sentire i suoi bisogni. Vedi, io..."

Improvvisamente un rumore assordante mai udito prima, preceduto da un tremore sempre più intenso, mi fa sobbalzare, gli occhi sgranati. Un istante dopo, vengo spinta indietro da qualcosa di tremendamente potente. Sbatto violentemente da qualche parte, mugolando per il dolore.

Le orecchie mi ronzano fastidiosamente, la confusione regna sovrana in me e fuori da me; non riesco a capire... sono in piedi, sdraiata, o dove? Vedo solo ombre indefinite intorno a me!

“Marta! Marta, ti prego, svegliati!” la voce famigliare di mio fratello, mi fa aprire gli occhi, e così mi accorgo di essere per terra. Camus è sopra di me e mi tiene con una mano dietro alla nuca, con l'altra mi stringe il polso. Un rivolo di sangue gli cola dalla fronte ferita, sporcandogli il volto chiaro. Sbatto le palpebre più volte, riuscendo finalmente a mettere a fuoco il soffitto, in questo modo noto che una parte dello stesso è crollato, proprio nel punto in cui mi trovavo prima... Camus deve avermi protetto con il suo corpo, di nuovo!

“State bene?” mi chiede Francesca in braccio a Milo, probabilmente quest’ultimo l’ha protetta a sua volta dal crollo del soffitto. I loro visi sono leggermente sporchi, ma non sembrano feriti, per fortuna!

“Io sto bene, ma...” dico, guardando preoccupata Camus, che fa per aprir bocca, ma un altro rumore assordante lo costringe a chiudere di scatto gli occhi.

“Attento, Camus!!!” urla all'improvviso Milo, visibilmente spaventato.

Alzando lo sguardo noto con orrore che un altro pezzo di soffitto sta cadendo proprio addosso a mio fratello. Senza un piano in testa e guidata unicamente dall'istinto, mi butto a capofitto su di lui con l’evidente intenzione di proteggerlo. Al di là della craniata apocalittica che prendo contro la testa di mio fratello, dovuta al mio gesto tempestivo ma piuttosto goffo, riesco nel mio intento di fare da scudo con il mio corpo; gesto fortunatamente non più necessario.

Hyoga infatti, sopraggiunto nel frattempo con Michela, riesce a frantumare con un calcio aggraziato il soffitto che stava cadendo sopra di me, riducendolo in frantumi.

“Santo cielo, Hyoga! Cosa diavolo sta accadendo?!” esclama Michela, tesa, guardandosi terrorizzata intorno. L'undicesima casa ha subito grossi danni, come se fosse il centro di un qualche attacco terroristico, la cucina è praticamente inagibile e parte del muro è crollata. Non ho idea dei danni al piano superiore.

“Grazie, Hyoga, ci hai salvato la vita!” afferma Camus con gratitudine, alzandosi a sedere dopo essersi massaggiato la fronte.

“Usciamo da qui, presto, ho una bruttissima sensazione!” interviene Sonia, cercando di mantenere la calma.

 

*****

 

“COS'E' TUTTO QUESTO?!?” esclama Milo, sgranando gli occhi e indietreggiando istintivamente.

Lo spettacolo che si presenta appena usciti dalla Casa dell’Acquario è a di poco apocalittico: i tetti dei vari templi stanno bruciando, sopraffatti dalla forza delle fiamme che tutto devastano; grida di ogni genere riecheggiano nell'aria, frastornandoci completamente.

Dal cielo ricoperto di nuvole nere, scoppiano tuoni e fulmini che, periodicamente, colpiscono varie zone del Santuario, distruggendole completamente. Persino le rovine non sembrano risparmiate da uno scempio simile, non finché ne rimarranno le fondamenta, almeno!

“Francesca, facciamo qualcosa!” grida Michela, facendo un passo verso le fiamme.

“N-non possiamo fare niente, Michela! T–tutto questo è causato da Ares ed Apollo! Loro sono... qui! Il nostro potere è troppo debole per contrastarli!” balbetta Francesca, bloccandosi irrimediabilmente. Non l'ho mai vista così terrorizzata, eppure anche lei riesce a mantenere spesso il sangue freddo... che si tratti davvero di Ares e Apollo?! Sono veramente giunti al Santuario?!

“Ma la profezia...” ritenta Michela, testarda e desiderosa di reagire.

“Oddio! Guardate là!” la interrompo, indicando verso il tredicesimo tempio, il quale è completamente avvolto da una luce nera, quasi diabolica.

Vedo Camus irrigidirsi di colpo:

“Quel cosmo... è Hades!” mormora, sgranando gli occhi.

“Dannazione! Shion!!!” urla Milo, mettendosi a correre su per le scale, seguito da noi. Il cuore mi rimbalza in petto, sempre più veloce, sempre più rumoroso. Mi sento schiacciare... da un forte senso di pericolo!

Giunti finalmente all'ultimo tempio, arrestiamo la nostra corsa davanti allo spettacolo che si palesa davanti ai nostri occhi: Shion è per terra, ferito in vari punti; Aphrodite è davanti a lui con una rosa bianca in bocca, pronto da attaccare e a proteggere il Grande Sacerdote al minimo cenno di pericolo. Probabilmente, data la vicinanza tra la dodicesima e l'ultima casa, è immediatamente corso a dare manforte contro il nemico.

Aiolia e Aiolos, invece, sono in posizione difensiva davanti ad Hermes ed Efesto. Loro due non so perché si trovino già qui, ma averli al nostro fianco mi rassicura... e insieme mi terrorizza ancora di più!

“Uh! Uh! Sono arrivate le semidee... proprio come previsto!” una voce malvagia, priva di calore, mi fa rabbrividire. Mi volto verso di essa e la paura si impadronisce di me: un uomo alto, dai capelli neri corvini e lo sguardo di ghiaccio, ci fissa con un sorriso demoniaco. Ha corporatura robusta che già da sola incute reverenza, ma è il suo cosmo oscuro a farci tremare le gambe: sembra di poter essere inghiottite dalla terra sottostante come se nulla fosse!

“Hades, maledetto! –interviene Hyoga, mettendosi davanti a noi, il suo niveo cosmo incombe– Come fai ad essere vivo??? E come sei riuscito a penetrare nel Grande Tempio senza che ce ne accorgessimo?!”

“Bah, per una divinità non è certo difficile superare le barriere del vostro Grande Tempio. Sarete anche Cavalieri ma rimanete comunque dei miseri esseri umani!” esplode la voce di Apollo, comparso dietro le spalle di Hades.

“Apollo, non hai il diritto di parlare così degli esseri umani!” la voce vigorosa di Hermes interrompe quella di Apollo. Mi giro incredula verso di lui, e lo stesso fa Sonia, sinceramente colpita.

“Hermes! Sapevo che eri un dio inferiore, ma non fino a questo punto. Schierarti dalla parte degli esseri umani, quale squallore per una divinità! E anche tu, Efesto, mi hai deluso!” esclama un’altra voce, quella di un terzo uomo dai capelli grigi e gli occhi rossi come il sangue, probabilmente Ares. Avverto il singulto di Michela dietro alle mie spalle, vorrei rincuorarla ma i miei muscoli sono tesi come non mai, il mio istinto che continua ad avvertirmi di stare in guardia.

“Io sto dalla parte di Zeus, che voi avete rinchiuso in un volgare vaso, sigillandolo dentro. Quindi sono contro di voi, e se questo vuol dire stare dalla parte degli ‘insetti’, pazienza!” la voce di Efesto è fredda e tagliente, priva d alcuna emozione.

“Bene, almeno non ti sei fatto abbindolare dai sentimenti come quell'altro là!” dice Apollo, indicando con un cenno di disprezzo Hermes.

“Abbindolare??? Voi definite i sentimenti di noi uomini delle cose così stupide?! –esclama Aiolos, frapponendosi tra le due divinità, l'arco teso in direzione del dio del sole– Vi sbagliate di grosso! E’ proprio grazie ai sentimenti che noi uomini riusciamo a trovare la forza di combattere. E' per proteggere i nostri cari che...”

Accade tutto in pochi attimi, vedo Apollo alzare il braccio in un bagliore istantaneo e lanciare una specie di saetta contro il Cavaliere di Sagitter. Nessuno ha il tempo di fare niente, né di gridare né di correre in suo aiuto. Impotenti nelle nostre condizioni di esseri umani imperfetti, abbiamo giusto il tempo di vedere la saetta perforare da parte a parte l’armatura di Aiolos. Uno schizzo di sangue fuoriesce dalla ferita, un liquido purpureo che fino a poco prima scorreva dentro di lui... il Cavaliere crolla istantaneamente a terra, non un sussulto.

“Uff, mi stavi annoiando, Cavaliere!” afferma Apollo, soddisfatto dalla sua opera. Sulle labbra un sorriso meschino.

Guardo sconvolta prima il corpo inerme di Aiolos, poi Apollo. Questa per una divinità è la vita umana?! Un breve battito di ciglia in cui un dio, con un unico movimento, può privare della vita un uomo senza alcuna pietà?! La rabbia fomenta precoce in me, ma...

L’urlo di Sonia mi fa voltare di scatto, facendomi abbandonare i miei propositi di attacco. La vedo correre verso il corpo di suo fratello, disperata, fuori di sé... talmente tanto da non accorgersi del pericolo che sta correndo.

Apollo ghigna sadicamente, un'aura sinistra che lo circonda. Lo vedo alzare nuovamente il braccio, tronfio. Sta assaporando i futuri effetti del suo colpo un attimo prima di sferrarlo, è lampante! Grido, ma la mia voce è rotta dalle lacrime e viene facilmente smorzata da un altro urlo agonizzante:

“DANNAZIONE, SONIAAAA!!! NON VOGLIO PERDERE ANCHE TE!!!” riesco solo a capire che si tratta di Aiolia, prima che la tragedia si consumi davanti a me.

Un altro lampo fende il cielo, costringendomi a serrare gli occhi per proteggermi dalla luce abbagliante. Quando li riapro l’orrore si impossessa nuovamente di me: Aiolia è per terra in un lago di sangue, le sue guance ancora bagnate dalle lacrime versate poco prima...

“Maledetto!!!” sibilo fra i denti, i pugni chiusi e desiderosi di azionarsi verso quella faccia di merda di Apollo, ma le mie gambe continuano a tremare e il mio corpo non risponde agli ordini impartiti dal mio cervello. Che sia spiriti di conservazione o altro non ha importanza, mi sento maledettamente impotente davanti a questo strazio.

“Bene, e adesso...” riprende Apollo come se non fosse successo niente. Il suo sguardo malvagio si posa su Camus, paralizzato a sua volta dal cosmo del dio.

Un brivido mi scorre lungo la schiena: è riuscito ad uccidere Aiolia e Aiolos che indossavano l’armatura d’oro... cosa può fare a Camus e a Milo che sono ancora vestiti in borghese?!

“Ora basta, Apollo! –lo ferma Ares, prendendogli il braccio– Hai già ucciso due semidei, non vorrai rubarci tutto il divertimento, vero?” risate che riecheggiano nell'aria... no, per loro non fa proprio differenza uccidere due umani o spaccare una pietra, per loro è esattamente la stessa cosa, la stessa inesorabile routine!

“Apollo... APOLLLOOO!!!” grida all'improvviso Hermes, sollevando temerariamente lo sguardo precedentemente fisso sui corpi martoriati dei suoi due figli maschi e di Sonia, in ginocchio per terra a poca distanza da loro, lo sguardo vacuo, come inghiottito dalle tenebre della morte.

Lacrime... vedo le lacrime scendere dagli occhi della divinità, lentamente ma inesorabilmente... forse per la prima volta una dei Dodici Olimpi ha conosciuto il dolore e il senso di vuoto della perdita.

Milo ed Aphrodite, accorsi a soccorrere Aiolia e Aiolos, rivolgono al dio una sguardo sorpreso, che non nasconde comunque lo smacco e il senso di impotenza che ci ha investito tutti quanti.

“Hermes, ti sei proprio rammollito! Cosa è quel liquido che...” lo sbeffeggia incautamente Apollo. Non ha capito, no, che in questo momento Hermes gli è più forte in tutto...

“Bastaaaa!!!” urla quest'ultimo, buttando a terra il caduceo, il bastone sacro della manifestazione dell'equilibrio, per poi scattare verso il dio del sole, cogliendolo di sorpresa. E' proprio l'equilibrio, infatti, ad essersi, per la prima volta, spezzato...

“Non ti permetterò mai più di toccare i miei figli!” esclama ancora Hermes, mentre le sue mani stringono il collo di Apollo con rinnovata vigoria.

Efesto guarda stupito la scena, negli occhi blu il peso del dubbio. Crolla così anche la sua consapevolezza, come poco prima si era raso al suolo l'equilibrio tra due mondi distinti: l'umano e il divino.

“Apollo!” interviene Ares, attaccando con una sfera infuocata Hermes che, tuttavia, annulla l’attacco senza neanche distogliere l'attenzione dal suo obiettivo.

“Me la pagherai cara, ma questo è un luogo affollato e non voglio coinvolgere ulteriormente gli umani... andiamo in un altro posto lontano anni luce da qui!” afferma ancora, poco prima di sparire nel nulla insieme all'altro dio.

“Quale potenza... non lo avevo mai visto così! –sussurra Efesto, intimorito– E' dunque questa la tanto decantata forza dei sentimenti?!”. Lo vedo barcollare su sé stesso, il suo sguardo smarrito che cerca il mio. Per una frazione di secondo, i nostri occhi si sorreggono l'un l'altro, prima di tornare a concentrarsi sui nemici.

“Continuiamo con il nostro piano, Ares! Lasciamo ad Apollo il compito di sconfiggere Hermes!” ordina imperioso Hades, ghignando.

“Perfetto. Dovreste venire con noi, Marta, Michela, Sonia e anche tu, Francesca” dice allora Ares, in tono falsamente gentile.

“Venire con te?! Preferirei morire che seguirti, pseudo-padre! E questo riguarda anche le mie amiche!” ribatte Michela, ostile più che mai. La vedo incendiare il cosmo in maniera mai vista prima, come la fiamma che, raggiunto l'albero di pino, scintilla pericolosamente.

“Benissimo allora!” ghigna Hades, schioccando le dita.

Un urlo famigliare mi fa voltare di scatto: Camus cade a terra a poca distanza da me, il suo corpo sussulta e si contorce come se fosse attraversato da cariche elettriche potentissime.

Le mie amiche ed io lo fissiamo sconvolte: come può succedere una cosa simile?! Per quanto veloci siano le divinità, nessuna di loro si è mossa, salvo quello schiocco di dita, può essere che...?

“Marta, sicuramente, ricorderai quando Camus si è sacrificato per proteggerti... –la spiegazione giunge sadicamente dallo stesso Hades- colui che ha provocato quella ferita era un mio sgherro, venuto apposta per immettere nell'organismo di Camus il mio nero cosmo!”

“N-non è possibile...” balbetto incredula, cominciando a capire tutto il piano.

“Sì, sapevamo che l’amore fraterno che Camus, da sempre, prova per te sarebbe stato più forte, e che avrebbe rischiato la vita per salvarti. Era necessario eliminare i semidei o renderli impotenti, speravamo quindi che Camus morisse in seguito alla ferita, ma anche se ciò non fosse successo, lo avremo comunque indebolito notevolmente in seguito alla nostra maledizione... come di fatto è accaduto, ahahaha!” continua Hades, non trattenendo più le risate.

Continuo a fissare sconvolta la figura di Camus... quanto dolore starà provando in questo momento? Quanto ancora potrà resistere sotto tortura?! Lo vedo boccheggiare alla ricerca dell'ossigeno, che probabilmente gli manca, la maglietta piegata innaturalmente che a seguito dei suoi spasmi sempre più violenti, gli scopre la parte bassa dell'addome. Ma più di ogni altra cosa, sono vivide in me le urla, le sue, sempre più strazianti, mi risuonano e rimbombano in testa, come se fossero le mie.

“Dunque, cosa volete fare? Venire con noi o rimanere qua? Tenete, però, presente che io posso riaprire le ferite di Camus, renderle ancora più profonde, o ucciderlo, se non farete quello che voglio! Il suo corpo cede al mio controllo, io posso tutto su di lui!” ci avverte Hades, continuando a ghignare.

Per esemplificare quanto detto, stringe ancora più forte il pugno, aumentando così le grida, già agonizzanti, di mio fratello. La sua mano arpiona convulsamente il tessuto della maglietta, come se togliersela potesse ridurre l'agonia che sta provando. Serra la mascella, inarca la schiena, sempre più preda del dolore. Non resisterà ancora a lungo...

“Camus!!! Non arrenderti, ora ci penso i...” grida Shion, provando ad avvicinarsi.

“Eh, no! –interviene Ares– uccideremo Camus anche se voi, comuni mortali, interverrete tra noi e le semidee! Non sono cose che vi riguardano, rimanete ai vostri posti, a meno che non volete che il vostro beneamato Camus diventi una poltiglia sanguinolente!”

Non so più che fare, Camus... Fratellino, ho paura, non voglio andare con loro, ma se non lo faccio... tu...

“Decidete adesso, subito! Altrimenti...” afferma Hades, alzando l'altra mano verso il cielo.

Un ulteriore urlo di Camus... mentre sulla sua maglietta le macchie di sangue fresco sono sempre più evidenti e continuano ad espandersi. Lo ucciderà, se non facciamo qualcosa, lo ucciderà!!! Hades sta per schioccare nuovamente le dita dell'altra mano, inesorabilmente. Ed io... io non sto facendo niente per lui, abbandonandolo al suo ingrato destino...

“BASTA DANNAZIONE! Va bene, verrò con voi, avete vinto!” grido disperata, le lacrime agli occhi. Non solo la mia voce si è levata nell'aria, ma anche quelle delle mie amiche che, all'incirca, hanno detto la mia stessa cosa.

Hades sogghigna un'altra volta, poi abbassa la mano, smettendo così di torturare Camus. Il suo corpo ora non è più scosso da alcun fremito, si acquieta apparentemente in posizione innaturale: le braccia scomposte, le gambe una sopra l'altra. Pare quasi abbandonato a sé stesso, se non si avvertisse distintamente il suo respiro affannoso, nonché i movimenti a scatti del suo addome Gli occhi sono chiusi, ma contratti in un'espressione di dolore che mi riporta alla memoria, ancora una volta, quell'infausto giorno in spiaggia. La maglia si è ormai sollevata fino a quasi il petto, scoprendogli interamente l'addome, da dove sono ben visibili due rivoli di sangue colare in giù, sostare un poco ai margini dell'ombelico per poi proseguire il tragitto fino all'orlo dei pantaloni. Tributo oltraggioso, come il fango che imbratta la candida neve.

Vorrei precipitarmi verso di lui per sincerarmi delle sue condizioni, vorrei prenderlo tra le mie braccia per sussurrargli che andrà tutto bene, che è tutto finito, non dovrà soffrire più, e che ci penserò io a prendermi cura di lui, ma le mani spietate delle divinità ci stringono convulsamente i polsi, impedendoci così i movimenti.

"Camus... forse se non ci fossimo mai incontrati non avresti dovuto patire tutto questo, forse avresti potuto tornare ad una vita normale con Hyoga, Milo, gli altri tuoi amici, e invece... mi dispiace, fratellino! Le ferite si sono riaperte ed io non ho potuto fare altro, per salvarti, che consegnarmi nelle mani dei nemici insieme alle altre!" E' il mio ultimo pensiero tra le lacrime, prima che tutto svanisca intorno a noi in una luce eterea e infausta. Un pugno in pieno petto, i sensi che si allentano fino a svanire completamente... sono tutto ciò che ci accompagna nella lenta discesa verso l'oblio dell'incoscienza.

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Capitolo 22
*** L'unione fa la forza! ***


CAPITOLO 22

 

L’UNIONE FA LA FORZA!

 

Camus... coraggio, devi riprenderti!”

La voce di Milo mi fa aprire immediatamente gli occhi. Non mi capacito di come io possa udirlo, ma lo avverto nitidamente, ed è vicino a me. Sono in un corridoio completamente avvolta dall'oscurità, nessuna luce, solo tenebre... e nonostante questo la voce del mio amico mi rassicura, mi tiene caldo, non mi fa sentire sola.

Muovo i primi passi in mezzo al buio, certa di dover andare da qualche parte, ma non so dove, i ricordi sono confusi. Che cosa era successo prima, perché quest'ansia mi avvolge il petto? E, a proposito di petto, perché questo dolore estenuante che si propaga in tutto il mio corpo tramite fitte che mi tolgono il respiro?! E' così difficile respirare, quasi soccomberei al dolore se... se non...

Nel buio, compare una porta davanti a me, la apro automaticamente, benché il mio cervello sia scollegato da tutto il resto. Cosa era successo prima di questo? Perché non lo rimembro?

Le luci fioche della stanza in cui sono entrata mi permettono comunque di vedere il volto preoccupato di Milo che fissa insistentemente il letto, o meglio, colui che lo occupa.

Camus!” provo ad urlare, ma dalla mia gola non esce alcun suono, come se non esistessi. Stringo con forza il pugno, capendo di trovarmi in una specie di sogno e di essere impotente. Solo la facoltà di osservare mi è concessa. Null'altro.

Gli occhi di Milo si spostano ad osservare, trepidanti come i miei, le manovre di chi, chinato sull'amico e compagno d'armi, sta mettendo con abile maestria i punti di sutura sulle tre lacerazioni, ora di nuovo aperte e arrossate come non mai.

"E' stabile ora. Il Sommo Efesto è stato veloce a fermare il sanguinamento, ma il suo fisico è stato messo nuovamente a dura prova, la temperatura corporea sta salendo... - impiego un po' a capire che la mano che si è mossa ad alleviare le pene di mio fratello, e la voce che ha appena parlato, appartengono a Mu, il Cavaliere dell'Ariete - Milo... non so in quanto tempo Camus possa recuperare. Forse sarebbe il caso di cominciare a pensare che, per la battaglia finale, non potremo contare su..."

"NO, Mu! - è la strenua risposta dello Scorpione, che freme ma non cede - Conosci anche tu la sua forza di volontà, non lascerà le allieve da sole. Mai. Aspettiamo ancora un po', prima di partire, glielo dobbiamo!"

Mu annuisce, pensieroso, poi torna sul compagno, riprendendo pazientemente a chiudere i lembi delle ferite con la praticità propria di un chirurgo.

"Era già molto debole prima, questo ulteriore assalto non ci voleva..." sospira, rammaricato, fermando per un attimo il suo operato per tamponargli la fronte umida di sudore.

"Quei bastardi... lo hanno colpito negli affetti oltre che nel corpo e nello spirito. Non glielo perdonerò! - ringhia intanto lo Scorpione, con rabbia, prima di prendergli delicatamente la mano tra le sue - Coraggio, Camus, devi reagire, fallo per tua sorella e per le tue allieve!"

Lo guardo. Guardo il viso sofferente di mio fratello. Lo hanno privato della maglietta per spalmare una sostanza disinfettante di color arancione sulla parte alta del busto, dove Mu sta operando per richiudere le ferite. Non sanguina più, ma i bordi parzialmente aperti delle tre lacerazioni, il colore rossastro della carne fanno impressione. Hanno detto che è stato Efesto ad arrestare subito l'emorragia? Allora a quel vecchio... importa qualcosa di noi?!

Ad un certo punto, forse perché Mu preme su una zona più dolente delle altre, forse perché sta vivendo un incubo, lo vedo cominciare a respirare con enorme difficoltà, quasi strozzandosi ad ogni ansito.

"Camus, che succede ora?! Stai calmo, sei al sicuro!" esclama Milo, allarmato, non spiegandosi una tale reazione.

"Ca..!" sono costretta a fermarmi, mi devo tenere la testa perché la vertigine, il malessere, si fa ancora più forte.

Come in un flash back accelerato dal punto di vista di mio fratello, la mia mente è costretta a rivivere, in un istante, tutte le scene precedenti: Aiolos e Aiolia che vengono feriti, il Grande Tempio in fiamme, l’ira di Hermes... e poi ancora le torture, il percepire i margini delle ferite riaprirsi, il bruciore netto, invasivo, che diventa sempre più profondo e intollerabile senza che io mi possa opporre.

Brucia, brucia, brucia... sono a terra e non posso oppormi, il dolore aumenta, fino a che, ad un certo punto, un grido poi seguito da altri schiamazzi, coloro che non avrei mai voluto che intervenissero in un simile momento, si elevano fino a superare il frastuono intorno e dentro di me. Il dolore raggiunge l'acme, poi improvvisamente cessa, lasciandomi stordito, esausto, tremante in penuria di ossigeno. Qualcuno chiama il mio nome, riconosco il suo caldo timbo che già una volta è riuscito a ridestarmi dalle tenebre e che tuttavia, in un momento simile, è una sentenza di auto-condanna. Avverto nell'aria l'intenzione di correre nella mia direzione, ma qualcuno si frappone nel mezzo, la prende tra le grinfie, la stringe con spietatezza, facendole male, ed io vorrei solo urlare di non toccarla, di lasciarmela, ora che l'ho ritrovata, ma tutto si fa irrimediabilmente buio, mentre i pensieri si fanno sempre più labili e i contorni scompaiono.

Ho fallito ancora una volta, non sono riuscito a proteggerti, piccola mia...

"C-Camus, a-allora è questo che senti ora, sono i tuoi sentimenti che percepisco." gli parlo lieve, riaprendo stancamente gli occhi e iniziando finalmente a capire.

E' come durante l'operazione di emergenza, il malessere è lo stesso. Non è un sogno, no, ormai l'ho capito, è una sorta di visione, come se fossi proiettata dentro di lui e sentissi ciò che prova dentro di sé.

"Camus, calmati, non ti fa bene agitarti così!" lo prova a tranquillizzare Mu, trattenendolo per le spalle, perché aveva provato a rialzarsi, per poi riadagiarlo di nuovo sul cuscino.

"U-uff, anf... M-Mar-ta... - è la voce di mio fratello a trapelare dolorosamente fuori, tra uno spasmo e l'altro - D-dove sei?"

"Sono qui, Camus! Mi senti? Sono qui, non sei solo!" provo ad urlargli, con tutte le forze di cui dispongo.

Lui muove la testa più volte, agitato, come se mi sentisse ma non riuscisse a decifrare la provenienza esatta. Serra disperatamente le palpebre, sembra quasi sul punto di piangere, se la mano amica di Milo, non corresse nuovamente a prendere la sua.

Il respiro si assesta, così come il suo corpo, precedentemente teso come la corda di un violino.

La ritroverai, le ritroveremo tutte, Camus, te lo prometto, ma ci occorre anche la tua forza, Mago dell'Acqua e sel Ghiaccio, per salvarle! - gli sussurra, tenue, sfiorandogli i ciuffi della fronte con la punta delle dita, prima di chinare il capo e sospirare, nervoso - So che lo sforzo che ti chiedo di compiere è grande e che tu ormai sei al limite, ma abbiamo fiducia assoluta nella tua tempra di uomo, per cui... forza! Tu, Aiolia e Aiolos dovete vincere anche questa battaglia, coraggio!”

Riesco ancora ad udire la voce dello Scorpione, poi avverto il mio corpo precipitare in un baratro infinito...

 

Mi sveglio di soprassalto, alzandomi di scatto e ricadendo pesantemente a terra con un sonoro tonfo che mi procura un discreto male al mento. C'è qualcosa... c'è qualcosa che mi blocca?

Istintivamente osservo il mio corpo, notando, con non poca sorpresa, che i piedi e la mano destra sono saldamente incatenati al pavimento.

“Marta, ti sei svegliata!” afferma Francesca sollevata, a poca distanza da me.

Senza rispondere mi guardo intorno. Anche se il luogo dove ci troviamo è buio, i miei occhi si stanno abituando velocemente all'oscurità, cosicché riesco a capire in che razza di posto siamo finite: una cella piuttosto spaziosa in stile romano con tanto di guardiani fuori da essa. Le sbarre sembrano piuttosto robuste, non sarà facile romperle!

Alcuni singhiozzi attirano la mia attenzione, avvicinandomi più che posso alla fonte sonora, noto che Michela sta tentando di consolare una Sonia alquanto disperata e del tutto incapace di reagire alla situazione.

“Sonia, coraggio, non perdiamoci d’animo!” mormora la mia amica, tentando di accarezzare la compagna, ma le catene sono pressanti e le sue dita riescono solo a sfiorare il braccio della ragazza.

“Aiolos... Lia! E' colpa mia!” sussurra quest’ultima tra le lacrime, chiamando i suoi fratelli tra i singhiozzi. Mi sento in dovere di prendere parola, dando fede alla visione appena avuta.

“Sono vivi, Sonia!” intervengo, sorridendo appena. ha ragione Milo, dobbiamo credere alla loro tempra di uomini e avere la convinzione che riusciranno a superare questa nuova prova.

Le mie parole hanno l’effetto sperato: Sonia solleva la testa, i suoi occhi inondati di lacrime, ma rischiarati da una luce fioca che li rende ben visibili, si incontrano con i miei.

“Sono... vivi? Ne sei certa?” chiede lei, speranzosa.

“Sì, ho fatto una specie di sogno dove c’erano Camus e Milo, dalle parole di quest’ultimo sembrava proprio che fossero ancora in vita. Io credo in loro, si riprenderanno!” affermo, decisa.

“Quello... non era un sogno, quindi è veramente possibile che stiano davvero bene... cioè bene... più o meno!” mormora Francesca, pensierosa.

La guardo senza capire la sua affermazione, ma è nuovamente Sonia a prendere parola con più rinnovato vigore:

“Quindi sono ancora... VIVI?!” domanda, rigettando le lacrime indietro.

“Sì, e verranno presto a salvarci! Perciò troviamo presto un modo per fuggire da qui e dimostriamo che non siamo le classiche ragazze che aspettano il principe salvatore!” esclamo, sorridendo trionfante.

Non so da dove mi esca tutto questo pensare positivo, è quasi come se sapessi già cosa stia per accadere. D'altro canto, ho piena fiducia nei Cavalieri d'Oro, so che giungeranno presto qui, ovunque noi ci troviamo, non voglio passare il tempo senza fare niente!

Sonia mi sorride di rimando, rincuorata dalle mie parole:

“Va bene, allora non starò certo qui ad aspettare che mi salvino senza fare niente! Coraggio!”

*****

Sotto la guida di Francesca, studiamo quindi un piano di battaglia degno dei migliori film d'avventura per evadere dalla cella.

Punto primo: come distraiamo le guardie?

Francesca che, a quanto pare, ha più esperienza di noi su come destreggiarsi nei rapporti con loro, fa da leader del gruppo, spiegandoci passo per passo il piano di azione e il luogo dove ci troviamo:

“Generalmente le guardie sono piuttosto stupide qui sull'Olimpo, altrimenti sarebbero chiamate a svolgere altre mansioni...” ci inizia a narrare, sottovoce.

“Ehhhh?! Frena! Frena! Siamo sull'Olimpo???” urla Michela, agitata.

Una delle guardie picchia violentemente il bastone, tenuto fra le mani, contro le sbarre, facendoci sobbalzare per lo spavento.

“SILENZIO! O vi giuro che vi faccio mangiare il braccio che vi abbiamo gentilmente lasciato libero per i pasti!”

“Pensateci bene – continua Francesca, come se nulla fosse – Hades e Ares ci hanno rapite, no? E’ ovvio che ci troviamo sull'Olimpo! Inoltre io stessa riconosco questo posto”

Abbasso lo sguardo, pensierosa: ho sempre amato la mitologia, e mi ricordo che le dodici divinità più importanti del Pantheon greco vivono sull'Olimpo, solo in rare eccezioni scendono tra i comuni mortali. Il monte Olimpo, lo stesso dell'omonima montagna più alta della Grecia, ma così diverso... proprio da quest'ultima prende il nome, benché il luogo mitologico si trovi in una dimensione diversa dalla nostra.

“Sonia, pensi di riuscire a distrarre la guardia? Nel frattempo noi...” propone Francesca, ma viene interrotta dall'arrivo di un altro soldato piuttosto agitato.

“Allarme! Allarme!” grida quest’ultimo, sbracciandosi.

“Cosa sta succedendo?” domanda una delle due guardie.

“Il dio Apollo! Il dio Apollo... si vocifera sia stato sconfitto dal dio Hermes!” esclama il soldato, tutto tremante.

Il mio cuore accelera improvvisamente e un sorriso compare sul mio volto: se quello che ha detto corrisponde alla verità, abbiamo un nemico in meno da sconfiggere!

“Grande papà!” mormora Sonia, felice, posandosi una mano sul petto. Per un solo istante ho il timore che ricominci a piangere, ma la scintilla di vita che vedo sgorgare dai suoi occhi verdi mi tranquillizza immediatamente. Non deve essere male avere un padre come Hermes, sono felice per lei, nonostante sia una divinità sembra molto comprensivo nei confronti delle emozioni umane.

“Forza, Hades e Ares hanno convocato tutti, andiamo!”

“Ma le prigioniere?” chiede la seconda guardia, interdetta.

“Pensi davvero che quelle riescano ad uscire, incatenate come sono?” lo incoraggia l’altro, battendogli una mano sulle spalle.

“Va bene, andiamo!” acconsente alla fine, seguendo gli altri suoi compagni.

“Grandioso! La dea bendata è dalla nostra parte!” esclama Francesca, sorridendo. Io sbuffo divertita: è proprio vero, queste guardie sono l'incarnazione stessa della stupidità, perché va bene che siamo inesperte, ma questo vuol dire proprio non arrivarci con la testa. Ci hanno fatto regalo di una mano libera, più che sufficiente per reagire.

“Non cantiamo vittoria troppo presto, siamo ancora imprigionate!” fa notare Michela, cercando di liberarsi dalle catene con dei movimenti rapido e bruschi. Purtroppo l'unica cosa che riesce a fare è procurarsi delle escoriazioni alle ginocchia, causate dalle ripetute strisciate contro il pavimento.

“Non completamente: abbiamo una mano libera, possiamo quindi usare i nostri poteri” dice l'interpellata, facendoci l’occhiolino e apprestandosi a spiegarci il piano, sulla mia stessa onda mentale.

In sostanza, siamo in possesso di quattro poteri: ghiaccio, fuoco, fulmine ed aria; ognuno di questi ha punti di forza e di debolezza, facilmente riequilibrati dagli altri. Se usati uno dopo l'altro, ad intermittenza, sicuramente qualche effetto riusciremo ad ottenerlo.

“Ricordate le parole di Camus? Tutto è composto da atomi, anche queste catene che, naturalmente, si possono distruggere a livello molecolare!” continua Francesca, pratica.

“Ho capito, Fra! Possiamo indebolire il legame degli atomi usando il fuoco e il ghiaccio!” intervengo, sorridendo soddisfatta.

“Ah, ora è chiaro! Usando il ghiaccio, il fuoco, poi ancora il ghiaccio e il fuoco, cioè rallentando e accelerando in poco tempo il moto degli atomi, dovremmo riuscire ad indebolire il legame che li lega!” spiega Sonia, stringendo le catene che la opprimono.

“Non ho capito molto la spiegazione, ma se il mio potere è utile per liberarci, non esiterò ad usarlo!” esclama Michela, avvicinandosi il più possibile a me.

Senza dire una parola comincio a ghiacciare la catena che mi blocca il piede destro. Appena finito, Michela riscalda la stessa grazie al suo potere, e così continuiamo per varie volte, finché non siamo sicure di aver sufficientemente indebolito il legame degli atomi.

“Ora come facciamo a spezzarla?” chiede Michela dopo aver cercato, invano, di rompere la catena con la sua sola forza.

“Aspettate, ci penso io! -interviene Francesca, alzando la mano libera dalla quale fuoriesce una piccola saetta- Marta, tira!”

Faccio come chiesto nell'esatto momento in cui la folgore colpisce la catena, spezzandola di netto.

“Ce l’avete fatta!!!” esulta Sonia al settimo cielo.

“Sì, ora posso dire di essere per metà libera... forza! Il lavoro è ancora lungo” le sprono, massaggiandomi il piede appena liberato.

Impieghiamo diversi minuti a liberarci completamente, complice la nostra inesperienza. Alla fine del processo siamo tutte con il fiato corto, soprattutto Michela ed io.

“Ufff, ma saremo veramente noi a sconfiggere le divinità?! Non abbiamo fatto praticamente nulla e siamo già praticamente k.o.!” esclamo, scoraggiata. Annaspo nel vuoto, sentendomi terribilmente stanca.

“E’ possibile che la profezia si riferisse a Camus, Aiolia e Aiolos? Se fosse così siamo messe davvero male... sono feriti gravemente” mormora Michela, seria. E' seduta per terra e le sue braccia tremano visibilmente.

“E’ impossibile! Loro non possono adempiere al loro 'dovere' citato dalla profezia, non con i gravi danni che hanno rimediato!” risponde Francesca, avvicinandosi alle sbarre e provando a forzarle.

“Allora forse se i nostri maestri avessero avuto più tempo per allenarci...” comincia Sonia, abbassando lo sguardo.

“Non è il momento di pensare a questo, dobbiamo assolutamente uscire da...” le provo a spronare ulteriormente, ma un improvviso capogiro mi priva dell’equilibrio e mi fa cadere in ginocchio. Automaticamente i miei occhi si chiudono...

 

*****

Camus? Ehi! Sono qui, forza!”

La voce di Milo mi rimbomba fastidiosamente nelle orecchie, fastidio non per il mio migliore amico in sé, ma piuttosto perché sono proprio i suoni e le luci a giungere alle mie orecchie con così tanta noia. Tossisco violentemente, una vaga sensazione di torpore abbandona le mie membra, mentre le fitte intermittenti al petto si trasformano sempre più nel consueto dolore che non ha mai smesso di dilaniarmi da quel giorno.

Apro a fatica gli occhi, acorgendomi di essere nella stessa stanza dove prima Mu e Milo si stavano prendendo cura di mio fratello, ma ora è diverso, non sono più una presenza che vede la scena dall'esterno, bensì...

M-Milo...” biascica stancamente mio fratello, cercando di alzarsi a sedere aiutato dall'amico. Si regge appena, se non fosse aiutato dal compagno ricadrebbe tra le lenzuola del letto.

Una sensazione di tristezza ed impotenza occupa il mio cuore... E’ dolore! Dolore così potente che sembra lacerare la mia stessa anima, infinitamente più forte del bruciore netto che pervade le mie carni lacerate, infinitamente più concreto del male che, ormai, mi sono abituato ad accettare come parte integrante di me. Mi sembra quasi di soffocare. Dentro. Irrimediabilmente.

Milo, io... le hanno rapite, vero? Ed io non ho potuto fare niente per salvarle! Che razza di maestro sono, se non sono nemmeno in grado di proteggere le mie allieve?! Era... era già successo con Isaac, l'ho abbandonato... e ora... ora anche la mia sorellina Marta, oltre a Michela, Francesca e la piccola Sonia!” farfuglia Camus, mentre alcune lacrime solcano il suo viso pallido e provato.

Le sento proprio, sulla pelle degli zigomi, saline, pungenti, umilianti. Qualcosa ulula dentro di me; qualcosa che non riesco bene ad esprimere, un vuoto, o forse un troppopieno che mi raschia dentro e strepita per esternarsi, ma non glielo consentirò.

Le lacrime... è dura accettare che siano ancora parte di me, nonostante gli allenamenti e i dettami impartiti. Le lacrime... la mia debolezza che tuttavia non riesco ancora a rigettare!

Camus, non è colpa tua, né per Isaac né per loro! Hades aveva pianificato tutto e tu non potevi fare niente. Marta, Michela, Francesca e Sonia hanno preferito consegnarsi a quel... quel bastardo piuttosto che vederti soffrire ulteriormente!” lo prova a rincuorare Milo, non riuscendo a nascondere la collera.

Si sono consegnate nelle mani del nemico per me, perché non sono stato in grado di difendermi da solo... - sussurra Camus, stringendo convulsamente le coperte - Se dovesse succedere loro qualcosa, i-io..."

Non accadrà niente! Sono di gran lunga troppo forti e scaltre, persino per le divinità. Hai capito, Camus? Presto le riavremo qui, al sicuro. Troveremo il modo per salire all'Olimpo... ad ogni costo!” esclama Milo, sedendosi sulla sponda del letto e abbracciando di getto Camus.

Una vaga sensazione di sollievo mi invade, riuscendo a rassicurarmi almeno un po'. Chissà cosa avrei fatto se Milo non fosse stato con me in questo momento così difficile, chissà come avrei sconfitto tutti i demoni del mio cuore se non lo avessi mai incontrato, e invece...

Grazie, Milo! Non riuscirei a sopportare questa situazione senza di te. Invece tu ci sei... ci sei sempre stato, amico mio!” mormora piano Camus, finalmente tranquillo.

Rimangono lì per un po’, cullati dalle braccia dell'altro, poi Milo decide di rompere il silenzio:

Come stai, piuttosto? Le ferite si sono riaperte e hai perso molto sangue. Quando... quando quegli esseri hanno smesso di torturarti, portandosi via le nostre adorate allieve, seri rimasto svenuto sul pavimento, sanguinavi, tanto, Efesto è corso subito da te, ti ha preso tra le braccia, fermando l'emorragia, il resto lo ha fatto Mu con i suoi poteri, è stato qui fino ad un momento fa...”

Lo so, Milo... posso ben percepire nitidamente le tre lacerazioni nuovamente aperte, mi tirano e il dolore sta diventando insostenibile, ma non starò qui con le mani in mano mentre le ragazze sono in pericolo! - ribatte deciso Camus, gli occhi nuovamente brillanti, poco prima di porre un nuovo quesito all'amico - Sai qualcosa di Aiolia e Aiolos? Loro sono...?”

...Vivi! Mu, grazie all'aiuto di Hermes ed Efesto, si sta prendendo cura di loro. Gli altri Cavalieri d'Oro invece stanno tentando di riparare, almeno in parte, i danni subiti nel Santuario. Fortunatamente c'è Aldebaran tra le nostre schiere, se non ci fosse bisognerebbe inventarlo, quel pezzo di uomo!” spiega Milo, tornato nuovamente raggiante come di consueto.

Un’altra ondata di sollievo mi investe, permettendomi di prendere un profondo respiro. Tutti i compagni d'armi stanno facendo del loro meglio per combattere i danni causati dalle divinità, ora bisogna solo trovare un modo per arrivare sull'Olimpo.

Ed Hermes?! Lui...” prosegue a domandare Camus, dopo attimi di silenzio, ma un breve bagliore gli fa sbattere più volte le palpebre: Efesto è giunto!

Figlio mio, Hermes ha sconfitto Apollo!” la voce del dio delle fucine insolitamente calda, arriva inaspettata alle mie orecchie, sia per il significato espresso, sia per la sfumatura con cui è stata proferita.

Meno uno!” esulta Milo, alzando in alto il braccio della vittoria. Camus invece, terribilmente stanco, sorride appena; tuttavia i suoi occhi brillano della scintilla della determinazione.

Ho sentito che volete andare sull'Olimpo, un'idiozia in piena regola, dettata dai vostri sentimenti, immagino...

"Non sono fatti tuoi, Efesto, che cosa voglia, o non voglia, fare con il mio corpo e la mia vita, devo avertelo già dentro!" gli occhi di Camus brillano di fierazza mentre lo esprime, il suo sguardo è truce mentre si rivolge al dio.

"Andare là nelle tue condizioni equivale al suicidio, Camus, possibile che tu non te ne renda conto?!"

"Le mie allieve lo hanno fatto per me, senza esitazione. Posso io abbandonarle?! LORO CONTANO SU ME!"

Efesto sospira, scrollando la testa: "Sei tale e quale al tuo allievo Hyoga: un emotivo e nient'altro. Ti perderai..."

"Può darsi, ma non le lascerò da sole, non... - le sue pupille traballano appena, mentre abbassa dolorosamente lo sguardo - non perderò più nessuno!"

"Lasciami inoltre aggiungere che tu e Marta siete dei perfetti sconsiderati che agiscono da perfetti imbecilli, quando si tratta dell'altro, ed è proprio questa la vostra più grande debolezza! Ora questa geniale idea di andare a prendere le semi-dee direttamente nel covo del nemico è solo l'ultima delle castronerie tipiche di voi mortali... - sentenzia spietato Efesto, passeggiando per la stanza con fare enigmatico, tuttavia quando si volta verso il figlio, anche la luce nei suoi occhi è completamente cambiata - Bene, contate su di me per ascendere alla dimora degli dei!” conclude, un leggero ghigno sulla sua barba ispida a simboleggiare un velato sorriso.

 

Un singulto sfugge dalle labbra di Milo e Camus, mentre la luce fioca dell'abat jour tremola appena, così come il cuore che perde un battito.

"Ci aiuterai, quindi?" chiede conferma mio fratello, studiando a lungo il suo viso, come se si aspettasse di vederlo ritrattare.

"Non ho alternative, voi, di due, non ne fate uno... - è la sua serafica risposta, prima di lasciarsi sfuggire un sogghigno - E poi conosco una scorciatoia per arrivarci.

"Esistono scorciatoie per ascendere all'Olimpo?!" esclama Milo, incredulo.

"Beh, Cavaliere di Scorpio... essere un esule ha i suoi vantaggi! - si limita a dire, prima du muoversi, zoppiccando, verso la porta - Ultimate i preparativi alla svelta, il tempo stringe!" gli consiglia ancora, prima di andarsene.

Mio fratello stringe una mano a pugno, mentre i suoi occhi brillano ardentemente e il suo pensiero corre a noi: "Non abbiate paura, non vi lasceremo più da sole! Marta, coraggio, sarò presto da te!"

 

*****

“Marta! Marta!” la voce acuta di Michela mi fa aprire di scatto gli occhi. Il mio respiro è accelerato, mi sento grondante di sudore e ho un male estenuante al petto.

“Uff, menomale! Hai ripreso i sensi” dice Sonia facendo un sospiro di sollievo.

Mi guardo confusa intorno, ancora stordita da quello che mi è appena successo.

E' accaduto di nuovo, ma questa volta le sensazioni provate erano ancora più vive rispetto a prima.

“Come ho già detto, ciò che hai visto non era un sogno!” interviene Francesca, avvicinandosi a noi.

Michela, Sonia ed io la guardiamo perplesse.

“Cosa hai visto di preciso?” mi chiede ancora Francesca, inginocchiandosi vicino a me con fare materno.

Inizio a raccontare tutto quello che ho assistito nel mio ‘sogno’: dalla sofferenza di Camus fino all'arrivo di Efesto e alla lieta notizia che Apollo è stato sconfitto. Non ho difficoltà a ricordare tutto, poiché è come se io stessa lo avessi vissuto sulla mia pelle.

“...C’è un’altra cosa, –continuo io, abbassando lo sguardo– ho visto tutto questo ma non vi ho rivelato un particolare: sono riuscita a percepire distintamente i sentimenti e le sensazioni di Camus!”

“I–in che senso?” domanda Michela, stranita.

“Era come se... se Camus fossi io! Come se il suo dolore, le sue emozioni, fossero impresse nella mia anima e passassero tramite il mio corpo!” rispondo, non riuscendo ancora a capacitarmi pienamente di quanto detto.

“Come mi aspettavo, siete collegati... e grazie a questo che hai avuto la visione!” spiega Francesca, chiudendo gli occhi.

La osservo attentamente, in attesa che prosegua.

“Queste visioni capitano ai semidei; semidei particolarmente legati tra loro! Noi divinità la chiamiamo 'congiunzione interdimensionale dei multiversi possibili', per l'esattezza. Se volete abbreviarlo, si può dire anche che Marta ha avuto una CIMP ” continua Francesca, alzandosi in piedi.

“Spiegati meglio” interviene Sonia, curiosa, non riuscendo però a mascherare una risatina divertita. Effettivamente 'CIMP' assomiglia più al cinguettio di un uccellino con il singhiozzo che non ad una abilità unica!

“A volte l’affetto che lega due semidei è talmente forte da riuscire ad oltrepassare i confini spazio-temporali, cosicché uno dei due può essere in grado di vedere cosa sta facendo l’altro e di provare i suoi stessi sentimenti. Si dice che questo collegamento possa valicare tutti i confini e gli ostacoli innestati dalla Natura stessa, riuscendo così a congiungere tutti i mondi possibili, paralleli e/o opposti, delle varie dimensioni esistenti!” conclude Francesca, pratica.

“P–perché io, seppure sia una Yumemi, non riesco a vedere i miei fratelli?” chiede Sonia, un po’ dispiaciuta dalla rivelazione, probabilmente vorrebbe provare lo stesso per Aiolia e Aiolos.

“Perché per usufruire di questo fantastico potere bisogna che un ‘qualcosa’ della persona che vede le visioni sia dentro l’altro!” afferma Francesca, sorridendomi appena.

Spalanco gli occhi sorpresa, mentre tutti i tasselli si sistemano al proprio posto.

“Io non credo di...” comincia Sonia, ma Francesca la interrompe:

“Marta ha donato il proprio sangue a Camus per salvargli la vita e, oltre ad essere stato un atto d’amore, è stato un gesto che li ha legati per sempre. E' difficile parlare di un concetto ampio come quello di 'dimensione alternativa', ma sappiate che dovunque Camus e Marta si trovino, anche ad anni luce di distanza, la nostra amica potrà vedere sempre cosa fa suo fratello. Certo, purtroppo la suddetta abilità non è a comando, tuttavia è una capacità tanto rara quanto unica!" conclude Francesca, sorridendo sorniona. Rimaniamo qualche istante in silenzio, colpite dalla rivelazione. Quindi, a quanto ho capito, io posso vedere mio fratello ma non il contrario, poiché è il mio sangue ad essere presente nel suo corpo; che dire invece del concetto di 'dimensione alternativa'? Questa sì che mi confonde...

“Inoltre, dalla visione di Marta, abbiamo capito che i Cavalieri verranno presto e noi non staremo certo qui a non far niente!” prosegue poco dopo Francesca, alzando il braccio destro carico di elettricità.

Un secondo dopo la serratura cede, liberandoci il cammino.

“Come diavolo?!” esclama Michela, allibita.

Francesca le rivolge un altro largo sorriso:

“Devo forse ricordarti che Zeus, il padre degli dei, è mio nonno?!”

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Capitolo 23
*** L'anfora sigillata ***


CAPITOLO 23

 

L‘ANFORA SIGILLATA

 

Camminiamo a lungo attraverso la semi-oscurità del cunicolo, facendo la massima attenzione a non fare alcun tipo di rumore capace di attirare l’attenzione e farci arrivare le guardie addosso.

Comunque è strano, parecchio strano. L'interno del luogo in questione mi ricorda tanto le celle in cui, nell'Antica Roma, tenevano imprigionati i gladiatori prima del letale spettacolo che li avrebbe visti protagonisti. L’esterno, invece, assomiglia più alle prigioni del Medioevo, l’atmosfera così opprimente è la stessa. Tuttavia l'Olimpo, nato dall'Ellade, nulla dovrebbe avere a che fare con i Romani, né tanto meno con i Cristiani, a meno che... non sia il luogo stesso ad evolversi a passo con i tempi, assumendo così vari connotati di altri popoli!

Attraversiamo una stretta apertura praticamente gattonando, non so cosa ci attiri, ma ognuna di noi sa dove andare, come se conoscesse a memoria la piantina del luogo.

“Non vorrei portare sfiga... – mormora Michela ad un certo punto – ma siamo sicure di non stare andando dritte in una trappola? Voglio dire, è come se fossimo attirate, proprio come gli insetti nelle notti estive quando vedono la luce, senza contare che non abbiamo ancora incrociato nessun nemico!”

A pensarci bene Michela ha ragione! Lei, Sonia ed io, appena uscite dalla cella, ci siamo incamminate come se avessimo avuto una meta precisa, mentre Francesca, che voleva andare da tutt'altra parte, è stata costretta a seguirci. Inoltre non si vede nessuno in giro, è possibile che tutte le guardie si siano dissolte nel nulla?!

Appena uscite dal cunicolo stretto, i miei ultimi dubbi vengono immediatamente dissipati: ci ritroviamo davanti tre energumeni di ‘modeste’ dimensioni.

Ci osservano un po’ perplessi, forse non riuscendo a capire alla prima chi siamo, poi all'improvviso uno di loro, rendendosi conto della situazione, si mette ad urlare.

“Allarme!!! Le prigioniere sono...” una ventata potente mi costringe a chiudere gli occhi. Quando li riapro noto con stupore che Sonia è davanti a me, il respiro leggermente affannoso e le tre guardie svenute a pochi passi da lei.

“Uao che tromba d'aria! Comunque sogni d'oro, eh!!!” commenta Michela, alzandosi in piedi per battere energicamente le mani.

Sonia si volta sorridendo, ma l’arrivo di altre guardie, probabilmente attirate dalle urla di poco prima, blocca una sua eventuale risposta.

Decido in un lampo. Mi metto a correre velocemente incontro a loro, nonostante i richiami delle mie amiche e, quando penso di essere abbastanza vicino, ghiaccio il pavimento sottostante con un unico movimento circolare del braccio.

Le guardie, non aspettandosi una mossa di questo genere scivolano, più per la sorpresa che per l’attacco in sé, e vanno a sbattere a velocità folle contro il muro, perdendo così coscienza.

“Ehhhh! – esulta ancora Michela, saltellando questa volta – Non lo sapevate che sul ghiaccio si scivola?! Siete dell'Olimpo ma vi addormentate facilmente, miseriaccia!”

“Bisognerebbe bloccare l’entrata, altrimenti altri ne verranno!” propone Sonia, tesa.

“Lasciate fare a me!” esclama Michela, schioccando le dita. Dal pavimento vicino all'entrata sbucano delle fiamme altissime e potenti, tanto da blandire completamente l'apertura.

“Bene, dove andiamo adesso? Il cosmo che prima ci attirava è... è svanito” dice Sonia, guardandosi intorno.

Chiudo per un attimo gli occhi, cercando di concentrarmi il più possibile. E' vero, nulla più è rimasto della straordinaria forza che poco prima ci attirava come una calamita.

Ci guardiamo intorno smarrite: solo ora ci accorgiamo che la stanza in cui siamo capitate conduce ad un’infinità di altre sale tutte praticamente uguali. Un luogo labirintico, in poche parole.

Un suono di passi pesanti in una di queste stanze, attira la nostra attenzione, facendoci immediatamente mettere sulla difensiva. Dall'entrata esattamente di fronte a noi esce un uomo vestito di un’armatura che brilla di nero, dalla sua schiena escono due grosse ali in apparenza assai ingombranti.

“Vi perdete così facilmente, mocciose?” chiede sarcasticamente l’uomo, facendoci segno di seguirlo.

Guardo un attimo le mie amiche, non c’è dubbio che questo tizio sia un ‘poco di buono’, lo capisco dal suo nero cosmo e dalla sua espressione arcigna, ma per qualche strana ragione non riesco a non fidarmi di lui. Sonia e Michela mi fanno un cenno di assenso, solo Francesca mi sembra più titubante, ma alla fine ci segue comunque.

Entriamo di slancio nella stanza dove si è incamminato l’uomo e scopriamo con orrore che la suddetta è piena di teste mozzate appese in ogni dove... un brivido mi percorre la schiena facendomi sussultare davanti ad uno spettacolo così raccapricciante.

“E’ assurdo! Come si fa ad essere così spietati?! Chi mai potrebbe uccidere qualcuno e tagliargli la testa per esibirlo come trofeo?!” esclama Michela, disgustata da tanto orrore.

“Cosa c’è di così strano? Una volta morti il corpo è vuoto! – interviene il tizio con l’armatura nera – In fondo, uno dei vostri amici Cavalieri d’Oro faceva anche di peggio prima di redimersi!”

Guardo incredula l’uomo, come fa a sapere? Sembrerebbe conoscere di persona i Cavalieri, ma... ma un’altra consapevolezza si fa strada nella mia mente: ‘tu non sai nulla del mio passato, ragazzina!’ mi aveva detto quel giorno all'ospedale Death Mask, probabilmente si riferiva a questo. Poso una mano sopra la mia bocca, cercando di bloccare l'ondata di vomito che mi ha investito. Santi numi, che stia parlando del Cavaliere del Cancro?! Voglio sperare di no...

“Ora finalmente ho capito chi è il custode di questa casa...“ afferma ad un tratto Francesca in tono lugubre, mentre continuiamo a seguire lo sconosciuto.

“E... chi sarebbe?” chiede Michela, incerta.

“Hades! Questa è la sua casa, d'altronde è stato lui a rapirci con l’aiuto di Ares e a rinchiuderci nel suo tempio. Dovete sapere che la vena sadica è sempre stata il suo forte, per questo mio nonno gli ha attribuito il regno dell'Oltretomba...” ci spiega lei, nervosa.

“Quindi... Quindi anche gli dei vivono nei templi come i Cavalieri d’Oro?” domanda Sonia, tesa.

“Sì, dovete sapere che Atena ha costruito il Grande Tempio sulla base dell’Olimpo, pensateci bene: dodici templi per dodici olimpi, dodici segni zodiacale per altrettanti Cavalieri D’Oro; la proporzione è la stessa”continua lei, mettendosi una mano sotto il mento.

“Ma... ma scusa, – balbetto, prendendo la parola – come hai detto poc'anzi, Hades non abita sull'Olimpo, o sbaglio?”

“E’ vero, ma Zeus è stato spodestato, quindi non vi è più alcuno a controllare gli altri. Ormai vige l'anarchia più totale!” commenta ancora Francesca, sbuffando.

Intanto il tizio che ci fa strada si è fermato davanti ad un enorme portone intarsiato d’oro e ci fa segno di muoverci. Affrettiamo dunque il passo e lo raggiungiamo.

“Tre marmocchie... – dice ad un certo punto l’uomo, pensieroso – non avrei mai pensato che sareste state proprio voi a cambiare la storia” ci rivela, criptico. Dopo aver guardato, per brevi attimi, me, Michela e Sonia, apre la porta. Subito una luce abbagliante ci costringe a serrare le palpebre.

Quando il bagliore finalmente si affievolisce, possiamo vedere la stanza in cui siamo capitate: un insieme di colonne con al centro un altare coperto da una tovaglia di lino, sopra di questa vi è una grossa anfora che riporta una scritta in Greco antico.

“QUI GIACE COLUI CHE HA DOMINATO PRIMA DEL VERO SOVRANO” traduco, meravigliandomi, ancora una volta, di riuscire a comprendere quella lingua.

“A-anch'io riesco a leggere!” balbetta Michela, prima di essere attirata da un rumore di passi.

Solo ora noto che due figure scure, anch'esse con armature nero pece, si stanno avvicinando a noi, in quella che, neanche tanto velatamente, sembra una trappola.

“Sonia! Michela! Marta! – urla Francesca all'improvviso, agitata – Sono i tre Generali degli Inferi! Ormai non c'è alcun dubbio! Non avremmo dovuto seguirli!!!”

Mi giro più volte verso di lei, senza capire, un brivido mi scorre lungo la schiena.

Se così fosse, perché non avverto alcun pericolo? Mi dovrei sentire schiacciare, e invece... nulla! Inoltre anche Michela e Sonia sembrano abbastanza tranquille al pari di me, come se anche il loro sesto senso le rassicurasse come il mio.

“Uff, quanto urli per essere una dea...” la rimbecca quello con la faccia più sadica di tutti.

“Minos! Non abbiamo tempo per queste sciocchezze, ci servono! Quindi, prima di ridurle in marionette, aspetta che facciano quelle per cui sono nate!” lo rimprovera quello che ci aveva fatto strada. Guardandolo più attentamente, noto alcuni ciuffi castano chiari non nascosti dall'elmo, un unico monociglio fa da cornice alla sua espressione severa e austera, quasi da nobile.

“Ma... Rhadamantis, la pseudo dea non ci serve, non possiamo divertirci un po’ con lei?” chiede il terzo, ghignando.

“Aiakos!!! Ti ci metti anche tu?!” lo sgrida il tizio monocigliato, fulminandolo con lo sguardo.

“Si può sapere chi diavolo siete? E cosa volete da noi?” intervengo, innervosita dal loro continuo scambio di battute. Ci trattano quasi come se fossimo dei meri oggetti.

“Cos'altro?! Liberare Zeus, no? Siete prescelte, quale pensavate fosse il vostro compito?!” ci canzona Aiakos.

“Pffff, - ridacchia Francesca, riprendendo la parola – se non foste Giudici degli Inferi penserei che stiate raccontando delle barzellette! Come posso credervi?! Siete al seguito di Hades e tra i suoi più fedeli, perché mai dovreste essere interessati a liberare Zeus?!”

“Perché... – interviene Rhadamantis - perché Hades non è più il sommo Hades! Vi è una minaccia molto maggiore qui, rischia di non esserci nemmeno più una Terra da assoggettare, di questo passo!”

“Eh? Cosa?” domanda Michela, visivamente confusa. Come darle torto, del resto, mi sembra tutto così assurdo anche a me!

“Uffff... – sbuffa Minos, nervoso – quanto può essere ristretta la mente umana! Ragazzina, stiamo parlando la stessa lingua, o no?”

“L'Hades attuale... – riprende Rhadamantis come se nessuno avesse parlato – non è altro che un fantoccio illusorio nelle mani di una forza ben più potente di lui!”

Mi massaggio la testa, confusa. Un fantoccio illusorio?! Una grande forza più potente di lui?! Chi può esserci di così superiore?!

“Aspettate, quindi ci state dicendo che Hades, Ares, il Grande Patto... è tutto falso? Dietro questa guerra... c’è un’altra entità?!” prende parola Sonia, spalancando le palpebre.

“Oooh! Finalmente una che capisce!” commenta Minos. Rhadamantis lo fulmina con lo sguardo. Non deve amare particolarmente essere interrotto, né da noi, né tanto meno dai suoi commilitoni.

“E’ proprio così! Il sommo Hades non è mai resuscitato, Apollo ed Ares sono stati rinchiusi al pari di Zeus. Quelli che avete affrontato erano solo fotocopie create da qualcuno di molto potente” interviene Aiakos, quasi ringhiando.

“Non è possibile! Chi è il mio vero padre allora?” domanda Michela, mentre le lacrime cominciano a uscire dai suoi occhi. Non ne può veramente più, dopo tutte le rivelazioni precedenti ora pare che sia di nuovo tutto falso, non abbiamo la più pallida idea di dove sbattere la testa.

“Sempre Ares, rilassati! Non cambia niente per voi! – risponde Rhadamantis, lesto – Ares è venuto a sapere tutto, sia la profezia che i piani di questa forza, così prima di combattere contro questo nemico ha fatto in modo che nascesse una semidea in grado di sconfiggerlo!”

Seguono attimi di silenzio, rotti solo dai singhiozzi di Michela, sinceramente colpita dal fatto di non avere avuto un padre snaturato, o meglio, un padre NON TROPPO snaturato, ecco! E’ comunque incredibile e difficile da credere... tutto quello che credevamo finora, ancora una volta, viene spazzato via in un lampo! E' questa la verità detta da tre figuri nemici di Atena? E' questa?!? O avremo altre sorprese?!? Perché continuo a provare questa spiacevole sensazione?!?

“Sapete quindi chi è il vero nemico?!” domando in tono basso, cercando di mantenere il sangue freddo, anziché cadere nel panico.

“Crono, il dio del tempo” dice piatto Rhadamantis, un leggero movimento del suo sopracciglio.

“Fantastico! Il dio che divorò i suoi figli! Padre di Zeus e quindi bisnonno di Fra... sempre meglio!” commento, tesa, ricordandomi sempre della fantomatica mitologia che tanto ho amato. Francesca, al pari di me, sembra perplessa, un fatto simile non lo sapeva nemmeno lei, a giudicare dalla sua reazione, ciò mi fa preoccupare ulteriormente.

Ad un certo punto Sonia, che prima stava consolando Michela,preda di un tracollo nervoso, si alza temeraria a guardarli, sfidandoli con il cosmo.

“Voi dovreste essere morti al pari dei Cavalieri d’Oro, vero? Quindi significa che colui che ha resuscitato loro, ha resuscitato anche voi, non può che essere così! Sapete dirmi di chi si tratta?”

I tre Giudici si guardano l’un l’altro, non certi se rivelare tutto, ma alla fine scelgono di rivelarci la verità.

“E’ stato Crono!” afferma Rhadamantis, parlando anche a nome degli altri due.

Li guardo stranita, certa di aver capito male, e così fanno le mie amiche: stiamo forse impazzendo?! Come è possibile che Crono li abbia riportati in vita se ora vuole ucciderli?! Mi sento sempre più confusa e frastornata, comincio a non riuscire a fidarmi più di nessuno. Se penso solo che un paio di settimana fa eravamo appena arrivate in Grecia, in testa solo il desiderio inesauribile di goderci l'estate... mi viene male al solo rammentarlo!

Un boato assordante, seguito da una violenta scossa, ci fa cadere all'indietro.

“Dannazione! – esclama Minos, preoccupato, cambiando per la prima volta l'espressione da sadico – Abbiamo perso troppo tempo! Crono si è accorto di noi, ora che abbiamo rivelato il suo piano non ha più bisogno di mascherare la sua illusione!”

“Eh? Cosa? Pure???” domando, sconvolta.

“Non c’è tempo! – afferma Rhadamantis, prendendo le redini del comando – Dovete liberare Zeus rinchiuso in quell'anfora. Di tutto questo solo una cosa non è cambiata: voi siete semidee e la profezia dice chiaramente che Crono sarà sconfitto da voi, poiché VOI siete le prescelte! Andate dal vaso, muovetevi!”

Lo guardo perplessa, poi osservo prima le mie amiche e successivamente l’anfora. Cosa potremo fare di così diverso rispetto ad un essere umano normale?! Come liberiamo Zeus?! Rompendo l’anfora? Recitando una strana formula?!

Siamo mortali come tutti gli uomini e le creature del pianeta, la nostra forza fisica non eccelle come quella dei Cavalieri d’Oro, né quella interiore è ai massimi livelli... siamo veramente noi le prescelte? E se... e se fosse un errore, l'ennesimo?!?

Scacciando a forza queste domande dalla mia mente, mi dirigo barcollando insieme a Sonia e Michela verso l’anfora. Ad ogni modo, ora siamo qui, se in questo vaso c’è veramente Zeus, se io e le mie amiche abbiamo anche solo una piccola percentuale di successo, allora dobbiamo provarci, senza se né ma. Una cosa ci hanno ampiamente insegnato i Cavalieri d'Oro: che non bisogna mai arrendersi e noi vogliamo renderli fieri di noi stesse!

Guardo le mie compagne di (s)ventura per un attimo, complice. Per un secondo noto che gli occhi di Michela brillano di una fiamma scarlatta, abbagliante, mentre quelli di Sonia emanano una luce azzurra come il cielo in estate poco prima che un’improvvisa tempesta si formi inaspettatamente. Prendo un profondo respiro, avvertendo chiaramente dentro di me il sangue defluire con estrema velocità, come un fiume in piena che tutto travolge e non si ferma, malgrado la grandezza degli ostacoli davanti a lui.

“Siete pronte? Al mio tre... uno... due... TRE!” grido, concentrando il mio cosmo sulle mani e tirando con tutta la forza che possiedo, così fanno le mie amiche.

Pochi secondi dopo il tappo che teneva chiuso il vaso si rompe e un’improvvisa luce splendente ci investe, facendoci cadere nuovamente in tre direzioni diverse.

“Come osate, piccole schifose semidee?!? – una voce reboante rimbomba per tutto il tempio, frastornandoci – Ora subirete la mia collera divina!!!”

Il terrore si impadronisce di noi, mentre il soffitto, i muri e il pavimento crollano. Non abbiamo più alcun appiglio naturale, siamo spacciate!

Subito le tenebre avvolgono le nostre membra, mentre un’aura mortifera, che rimbomba dentro di noi, ci attorciglia in maniera spietata... non fuori, MA DENTRO. Dentro le vene, dentro i polmoni... dentro la nostra stessa coscienza!

“Il Tartaro... ci sta inghiottendo, do-dobbiamo resistere...” riesco ancora a sussurrare, prima di perdere quasi tutte le mie facoltà mentali e precipitare nel buio inquieto, insieme alle altre, perse insieme a me in un mare di petrolio.

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Capitolo 24
*** Incontri tra passato e presente ***


CAPITOLO 24

 

INCONTRI TRA PASSATO E PRESENTE

 

...Provo ad urlare, ma dalla mia bocca non esce alcun suono. Vedo tutto scuro, nessun segno di luce, non sento assolutamente nulla... è dunque questa la morte? Un limbo senza fine completamente buio? Però non sto provando dolore, è più come un addormentarsi tra i fili d'erba di un prato.

Chiudo gli occhi, rivivendo i momenti della mia vita più importanti. Il colore verde è sempre stato indispensabile alla mia vita, un po' come l'azzurro/blu di quegli occhi che sempre mi hanno ricordato il colore delle correnti marine. Verdi erano i prati della mia valle nelle tiepide giornate estive, verde il colore degli alberi, verdi...

 

Questo? Questo è il tuo sogno?”

 

Una voce... una voce nella mia testa, non è la mia, eppure è come se stessi parlando io io.

 

Sì, ho fatto anche una promessa a vostro fratello: io diventerò Cavaliere, lui il governatore di Bluegrad, insieme collaboreremo per portare la pace in questo luogo che tanto amiamo! Sarò il ponte che collegherà queste rive divise!”

Apro gli occhi, trovandomi davanti un ragazzino dai capelli verdi di una decina d'anni. I suoi occhi, blu come quelli di Camus, mi guardano vivaci, e i suoi ciuffi ribelli, di quel particolare color speranza, non ne voglio sapere di stare al proprio posto.

Il mio cuore batte all'impazzata, mentre un triste sorriso si fa strada sul mio volto. Non ci separano che pochi anni di differenza, forse 3, massimo 4, ma li sento tutti sulle mie spalle, irrimediabilmente, insieme a tutti i doveri che si confanno alla figlia del governatore di Bluegrad.

Diventerò senz'altro più forte per proteggere Voi, le persone a me care e tutti i libri contenuti in questa biblioteca! Amo questo posto e lo reputo la mia casa, per cui lo salvaguarderò con tutte le mie forze!” continua il ragazzino, sorridendomi felice.

Hai davvero un buon cuore, ti prego, non cambiare mai... Dégel!”

 

Mi sento afferrare al volo da qualcuno, un cosmo caldo mi avvolge, facendomi recuperare un po’ di energie. Sbatto più volte le palpebre, tentando di mettere a fuoco il volto della persona che mi sta tenendo in braccio... quegli occhi blu, uguali ma nello stesso tempo così diversi da quelli del giovane ragazzo del mio sogno; il viso, più adulto e più provato, ma contraddistinto comunque da un profilo così simile...

“Fr-fratellino” balbetto, con un filo di voce, riuscendo finalmente a scrollarmi di dosso il torpore che mi aveva avvolto.

Camus sorride, annuendo leggermente con la testa, poi mi stringe teneramente, permettendomi di posare il mento su uno degli spallacci dell'armatura d'oro, che proprio ora brilla intensamente. Non c'è incertezza nel suo abbraccio, la sua stretta è salda e sicura, nonostante la violenza con cui l'hanno attaccato prima. Mi sfugge un singhiozzo, uno solo, mentre con tutte le forze residue mi appendo letteralmente al suo collo, rimanendo rannicchiata lì, ancora incredula di rivederlo.

“Va tutto bene adesso! Sono venuto a prenderti, piccola mia!” mi sussurra teneramente, buttando fuori aria per il sollievo.

 

*****

 

Sorrido e piango insieme, sentendomi protetta e al sicuro tra le sue forti braccia. Non so come diavolo abbia fatto, non so neanche se sto facendo un altro sogno, ma sono felice che lui sia qui e che stia bene. Poter sentire ancora una volta il tepore del suo corpo, pur protetto dalle vestigia sacre, mi ridà immediatamente le energie perdute.

"Sei in ritardo!" bofonchio, inghiottendo il magone e la paura per convertirli nel più bel tono irriverente di cui posso disporre.

"Perdonami, ci ho messo più del dovuto per... riprendermi!"

"Non intentevo... uff!" scrollo la testa, trovandomi a ridacchiare tra me e me. Davvero è il solito Camus, non capisce i cambiamenti nel mio tono di voce, pensa che io sia seria, quando stavo facendo solo dell'ironia. Che caso clinico!

"Che cosa?"

Oh, davvero non ha capito, eh, butto fuori aria, aumentando la stretta su di lui, per quanto ciò mi stanchi terribilmente.

"Ma niente, Camus, sono solo felice di rivederti! D-davvero... felice!"

"Marta..." mi sorregge la nuca con la mano sinistra, lo sento tremare distintamente contro di me. Forse vorrebbe dire qualcos'altro, ma la voce giovanile di Milo attira l'attenzione di entrambi su di lui.

“Ah! Ah! E' la seconda volta che stai in braccio a me, dolcezza, dovresti essere al settimo cielo!”

Solo ora noto che Francesca, completamente rossa, è in braccio allo Scorpione, il quale sta sghignazzando rumorosamente. Il suo sguardo, malgrado la consueta allegria, ricerca quello dell'allieva prediletta. Trovandolo poco più in là, lo vedo rilassarsi ulteriormente.

“Milo, non è il momento!” lo riprende Mu, ritto a pochi passi da lui, fulminandolo bonariamente con i suoi particolari occhi.

Poco più a destra vedo Sonia guardare con sorpresa Aiolia e Aiolos che le sorridono con affetto, malgrado sui loro volti siano chiari i segni della stanchezza e dei gravi danni subiti in precedenza.

“S-siete veramente voi? Siete... qui!” mormora Sonia sull'orlo di una crisi di pianto.

“Certo, piccoletta! Non moriamo così facilmente!” sussurra Aiolos, abbracciandola con forza.

“E’ così bello rivederti!” esclama invece Aiolia, prima di abbracciarla a sua volta.

“Hyogaaaaa!!!” l’urlo di Michela attira la mia attenzione.

“Oh, Michela! Oh, Michela! –grida Hyoga, stringendola a sé– sia ringraziata Atena, stai bene, e anche le altre!”

Guardandomi intorno noto che ci sono anche i restanti Cavalieri d’Oro, tutti hanno indosso la propria sacra armatura e sono pronti alla lotta. Vederli mi apre il cuore di speranza, ed è come una fonte d'acqua nel deserto sterminato.

“Ue! Ue! Siete mocciose ma c’è da dire che ci fate penare non poco, eh!” commenta Death Mask, avvicinandosi a me e a Camus.

“Ma che carino, Deathy! – interviene Aphrodite, facendo un occhiolino al compagno – Anche tu eri in pensiero, vero?”

“Io non... Aaaaah, fottiti Aphro!” grida Death Mask, dandoci le spalle con un gesto di stizza.

Risata generale di tutti i Cavalieri d’Oro che hanno assistito al siparietto, con tanto di Death Mask che arrossisce non poco, anche se si ostina a fare il sostenuto.

Torno su Camus, guardandolo quasi implorante. I ricordi di prima del rapimento non hanno mai lasciato la mia mente, ma ora che ce l'ho qui davanti, pallido e provato, malgrado le sue iridi siano sempre così brillanti, è come rivivere le immagini delle ferite di mio fratello che si riaprono e sanguinano.

“Ca-Camus! Come stai? Le... le tue ferite si sono riaperte e hai perso di nuovo tanto sangue!"

"Marta..."

"Io... io ero terrorizzata, ma... ma non potevo fare nulla, per te, capisci?! NULLA!” biascico, con non poca fatica.

"Veramente... da perfetta sconsiderata quale sei, ti sei offerta alle mani dei nemici..." mi fa notare lui, con una punta di austerità nella voce.

Accuso malamente il colpo, non aspettandomelo. Mi mordo il labbro inferiore, ferita dalle sue parole: di tutto quello che poteva dirmi... questo?!

"Io..."

"Non hai riflettuto, ti sei buttata, offrendoti apertamente come ostaggio. - continua, apparentemente inflessibile - Cosa devo fare con te? Sembra che i miei insegnamenti non ti sfiorino nemmeno l'anticamera del cervello!"

A questo punto decido di ribattere, sebbene mi senta colpita vilmente alle spalle: "Ero... ERAVAMO spaventate, Camus! Come puoi pensare di farci ragionare a mente fredda, quando... quando tu eri lì, t-torturato quasi a morte, che annaspavi alla ricerca di ossigeno, che..."

Ma lui, sorreggendomi meglio con il braccio destro, si mette ad accarezzarmi dolcemente una guancia con la mano libera nel tentativo di tranquillizzarmi. Rimango imbambolata a fissarlo fino a quando non poggia la fronte sulla mia, chiudendo automaticamente le palpebre. C'è l'elmo dell'armatura dell'Acquario fra noi, ma è come se percepissi il calore intrinseco di quel gesto. Il suo respiro, fino a poco fa frenetico, si fa più profondo e regolare.

“Marta, sono un testardo come te, dovresti saperlo! Le ferite mi tirano e mi fanno male, è vero, sono di nuovo riaperte, non te lo posso nascondere, ma ho una nuova ragione per non arrendermi!" mi rassicura, stringendomi ancora di più a sé e sottintendendo che, quella ragione, sono io

"Fratellino..."

"Siamo giunti qui seguendo i vostri cosmi, grazie all'ausilio delle divinità, non avete più nulla di cui preoccuparvi, ci siamo noi qui con voi. Avete fatto un ottimo lavoro, riposate ora!" mi dice poi, raddrizzando la testa per indicarmi le divinità. Seguo la sua direzione con lo sguardo.

Stranamente mio padre mi guarda preoccupato, pur rimanendo a debita distanza, mentre Hermes sembra molto più tranquillo. Quasi in simultanea, mi tornano in mente tutte le rivelazioni che i tre Giudici degli Inferi ci avevano rivelato poco prima di finire nel baratro.

“Camus!!! Crono, Crono è dietro a tutto questo, Hades ed Ares non c’entrano!” esclamo, tentando di mettermi in piedi da sola e rendendomi conto che le gambe mi tremano in maniera vertiginosa.

Per qualche strana ragione mi sento debole ed è come se sentissi un vuoto dentro di me, un buco nero che risucchia persino le poche energie recuperate.

“Marta, devi stare tranquilla ora, non sforzarti! La maggior parte del vostro cosmo è stata risucchiata nel momento in cui avete aperto quell'anfora, siamo arrivati in tempo, ma ora dovete riposare, siete troppo deboli!” mi riprende pacatamente lui, permettendomi di posare almeno i piedi per terra, nonostante mi sorregga comunque dalle ascelle. Lo fisso stupita.

“Sappiano già tutto, - conferma Milo, nuovamente serio in volto – anche se ci sono alcune cose che il Divino Hermes dovrebbe spiegarci!”

Sonia guarda il suo maestro confusa, non riuscendo a comprenderne pienamente le sue parole, come noi tutte, del resto.

“Mio padre? Cosa...” inizia lei, ma l’apparizione di un cosmo colossale tronca sul nascere la sua frase.

Mi raddrizzo aiutata da Camus. Devo comunque sorreggermi a lui perché non c'è verso di convincere le mie gambe a reggermi. Troppo molli!

Solo ora mi rendo conto nitidamente che tempio in cui ci trovavamo prima è scomparso del tutto, ci troviamo all'aperto in un luogo elevato circondato da vallate e da templi completamente rasi al suolo!

Sbatto un paio di volte le palpebre, sorpresa da tanta desolazione: quello doveva essere stato un paesaggio magnifico in passato, un luogo dove i boschi e i prati si armonizzavano totalmente con i dodici templi circostanti; ora questa meraviglia è stata completamente distrutta e si può solo immaginare la prosperità che lo contraddistingueva in precedenza.

“E’ terribile, vero?” Una voce attira la mia attenzione, voltandomi riesco a scorgere la figura di un uomo dalla folta barba scura e dagli occhi penetranti. Il cosmo colossale che prima avevamo avvertito deve appartenere di certo a lui!.

“Mi è sembrato di dormire per millenni e millenni. Nel frattempo Crono, mio padre, ha trasformato tutto quello che di più bello c’era sull'Olimpo, rendendolo una landa desolata e priva di vita!” continua il tizio, rammaricato.

“Nonno Zeus!” grida ad un tratto Francesca, correndo ad abbracciarlo. Intanto Hermes ed Efesto si inginocchiano per terra.

“Ehi, piccola Francesca! Sei stata eccezionale a spiegare la faccenda alle tue amiche, anche se non sapevi nulla del nostro piano. E' merito tuo se le semidee sono arrivate fin qua!” sorride Zeus, scompigliandole i capelli.

“Sommo Zeus, -interviene Hermes, cupo– io devo chiedere scusa ai mortali, per troppo tempo ho celato la verità...”

Tutti i presenti si voltano verso il dio, stupiti e un po’ agitati. Delle nuove rivelazioni scioccanti dopo quelle già avute nei giorni scorsi, non sono proprio il massimo che ci si possa augurare in un momento simile!

“Hai fatto un ottimo lavoro, Hermes, non hai niente di cui scusarti!” dice Zeus, con gratitudine.

“Qualcuno ci potrebbe spiegare? Abbiamo il diritto di sapere!” esclama Milo, ancora una volta contrariato.

Vedo Hermes alzarsi e prendere un profondo respiro, mormorando un ‘va bene’.

Passa qualche secondo in cui tutta l’attenzione è rivolta ad dio dei viandanti.

“Sonia... -inizia Hermes– non furono le truppe di Ares a distruggere il tuo paese e a sterminare la tua famiglia, ma quelle di Crono!”

“E come… come mai erano identiche ai Bersekers?” domanda la mia amica, tremante.

“Perché Crono ha acquisito poteri ben più forti di quelli che normalmente possiede. E' in grado di creare illusioni potenti come gli originali e... molto altro...” continua Hermes, guardandola intensamente.

“Da quanto lo sai, papà?” chiede Sonia, seria.

Noto negli occhi di Hermes passare una scintilla, velocissima, le sue labbra tremano appena in seguito all'appellativo.

“Avevo già dei dubbi prima, ma ho avuto la conferma quando ho sconfitto Apollo, poiché il suo corpo è scomparso nel nulla!” afferma ancora il dio, in leggero tono tremante.

“Quindi in un certo senso ci hai ingannato!” conclude Milo, chiudendo gli occhi e sbuffando.

“Dimentichi forse che Hermes è anche il dio delle menzogne, Cavaliere di Scorpio!” la voce di Rhadamantis, blocca la scena. Sussulto con forza, essendomi completamente scordata della loro presenza qui intorno. Cosa accadrà ora che le due schiere nemiche si sono nuovamente incontrate?!

Vedo l’espressione dei Cavalieri d’Oro mutare drasticamente, i loro cosmi divampare con forza e ferocia inaudita. La situazione è ineluttabilmente compromessa...

“Voi!?” ringhia Aiolia, alzando il pugno carico di elettricità in atteggiamento offensivo.

Camus si mette davanti a me per proteggermi, lo stesso fa Hyoga con Michela, attivando entrambi i loro cosmi ghiacciati.

“Rhadamantis, non fraintendermi ma... sarebbe meglio spiegare a questi idioti la situazione, prima di trovarci in un conflitto aperto. Non che la cosa, di per sé, non mi dispiaccia, però...” inizia Aiakos, avvicinandosi al compagno. Ma è troppo tardi.

In un lampo vedo una saetta scarlatta fendere l’aria e puntare proprio contro Rhadamantis, il quale, senza essere minimamente impressionato, la scansa senza problemi.

“Milo, cosa diavolo?! Aspetta... aspetta! Non è il momento per ingaggiare battaglia con loro!” lo chiama Sonia, preoccupata. Ma lo Scorpione non la ode nemmeno,

Infatti, fallito il primo assalto, Milo cerca di colpire il Giudice con i pugno destro, Ma Rhadamantis è abile a bloccargli il polso con una stretta insuperabile.

Guardo per metà perplessa e sconvolta il Cavaliere dello Scorpione, non l’ho mai visto così aggressivo contro qualcuno, cosa gli sarà successo?!

Per dei secondi interminabili Rhadamantis osserva gli occhi di Milo, poi la sua unghia rossa dell’indice della mano destra. Un ghigno compare sulla sua faccia, fino ad ora rimasta impassibile: “E’ un vero peccato che Crono non vi abbia restituito anche i ricordi delle vostre vite passate, proprio un vero peccato... Altrimenti avresti una sensazione di deja vù, Scorpio...”

Milo sgrana gli occhi sorpreso: “Che... che vuoi dire? Mollami, vigliacco!” esclama, sempre più irascibile.

Un’energia cosmica proveniente dal Giudice lo scaraventa poco lontano, facendolo così sbattere contro un masso. Sonia gli corre incontro preoccupata, ripetendogli quanto detto prima sul fatto che non è tempo per combattere contro di loro.

“Voglio dire che tu sei la reincarnazione del ‘piccolo insetto meschino’ che nella precedente Guerra Sacra è riuscito quasi ad uccidermi! QUASI! Peccato che il suo cuore non abbia retto allo sforzo, chissà se fosse stato sano cosa avrebbe potuto fare invece!” ribatte Rhadamantis, lapidare.

Milo si alza in piedi aiutato da una traballante Sonia, nel mentre si pulisce il rivolo di sangue uscito dalla sua bocca.

“Non capisco quello che dici,... ma non accetto un simile appellativo da te! Ancora non hai compreso la pericolosità dei piccoli insetti?! Non ti è bastata quella lezione?!” sentenzia alla fine, negli occhi una scintilla, come fuoco che arde intensamente, che non gli avevo mai visto. Non sembra quasi più lui, eppure riesco a riconoscerlo persino ora.

“Milo, amico, –interviene Aiolos, guardando con odio Aiakos– anche tu hai questa sensazione? E’ come se una parte della mia anima volesse attaccare con tutte le sue forze!”

“Altroché se lo sento! Sono così nervoso! La loro faccia da culo mi indispone oltremodo!” afferma lo Scorpione, serrando i denti. Se fosse il corrispettivo animale sicuramente starebbe muovendo le chele con fare minaccioso.

“Anche voi?! –esclama anche Aphrodite, sorpreso– Io provo lo stesso con Minos! Vorrei... vorrei solo pareggiare i conti con lui!”

“Ah! Ah! Hai sentito Rhadamantis? Pare che una parte della loro anima alla fine qualcosa ricordi! Non sarebbe divertente affrontarli di nuovo ora?! Chissà se sono migliorati rispetto all'altra volta!” sghignazza Minos, regalando un espressione sadica al Cavaliere dei Pesci.

“In ogni caso non siamo venuti per combattere, ma per fare un’alleanza con voi Cavalieri di Atena, per quanto questo mi disgusti dal profondo dell’anima” spiega Rhadamantis, sputando per terra per rimarcare le sue emozioni.

“Che novità è mai questa?! Per quale motivo dovremo credervi? Voi siete nostri nemici!” esclama Aiolia, sul punto di attaccare.

“Razza di babbeo, ti devo forse ricordare che Crono ha sfruttato l’immagine di Hades per mascherare il suo piano originale?!” afferma Aiakos, innervosito.

“E’ così. Noi non perdoniamo chi sfrutta il nostro Signore! Senza contare che Crono vuole il dominio del mondo, è un nemico anche del Sommo Hades!” continua Rhadamantis, avvicinandosi a noi.

“Quindi, che vi piaccia o no, siamo alleati in questa guerra!” conclude Minos, serio.

“State delirando?!? Noi non accetteremo mai la vostra alleanza!” si ribella Milo, alzando il pugno per colpire nuovamente, ma Shaka lo interrompe, facendo esplodere parte del suo cosmo:

“Se dunque accettassimo questa sorta di patto, voi combatterete Crono insieme a noi?” chiede in tono pacifico, perfetta antitesi della deflagrazione del suo cosmo avvenuta pochi secondi prima.

Vedo i tre Giudici fare un lieve cenno di assenso, seri.

“Bene, così sia!” afferma Shaka, giungendo le mani in segno di preghiera.

“Cosa stai dicendo, Shaka?! Non puoi decidere solo tu! Sono nemici!” continua Aiolia, ostinato.

“Lia, sai che Crono è fortissimo, soprattutto ora... dopotutto lo abbiamo già affrontato, ricordi? E' pernicioso per noi perdere le forze in un combattimento con loro, soprattutto ora che tre di noi sono feriti gravemente e che si ostinano comunque a combattere! Seppelliamo l'ascia di guerra, per il momento, avremo tempo dopo per pareggiare i conti!”

Le mie amiche ed io tiriamo un sospiro di sollievo, sollevate dalla temperanza di Shaka, che ha perfettamente ragione su tutti i fronti.

Aiolia abbassa lo sguardo pensieroso, sul suo volto, su quello di Milo e su quello della maggioranza dei Cavalieri leggo incertezza. Mu e Shaka, invece, sembrano perfettamente a loro agio, già consci della decisione migliore come se si trovassero su tutt'altro livello.

“D’accordo, Shaka, -dice alla fine il Cavaliere del Leone– mi fido della tua decisione, ma a questo punto dobbiamo dire tutta la verità alle ragazze!”

“Sono d’accordo con te, Aiolia, –interviene Zeus, pacato– inoltre vi devo rivelare una parte della storia che a voi è tutt'ora ignota!”

Il Cavaliere di Leo prende un profondo respiro, preparandosi a raccontarci tutto:

“Eravamo poco più che bambini all'epoca e fummo costretti a scontrarci contro Crono e i suoi Titani. Fu una battaglia difficile, ma alla fine riuscimmo a vincere, o meglio, sconfiggemmo i Titani ma non Crono...”

Improvvisamente le gambe di Aiolia cedono, facendo perdere l’equilibrio al Cavaliere. Per fortuna Shura lo sorregge tempestivamente:

“Lia! Tu, tuo fratello e Camus siete ancora troppo deboli, come vi ha detto Shaka, dovete stare attenti! -lo rimprovera l Cavaliere di Capricorn, adagiandolo a terra- Anche per questo ci sarà tempo dopo per le spiegazioni, cerchiamo di concentrarci sul vero nemico e incanalare le nostre forze su di lui!"

Sonia, avvicinandosi al fratello, rivolge un sorriso di gratitudine a Shura, permettendosi di accarezzare la testa di suo fratello, il quale la abbraccia di riflesso.

“ Hai ragione, Shura, ma abbiamo almeno bisogno di sapere cosa successe a Crono. Che ne è stato di lui? Perché è tornato?” chiedo, rivolgendo la domanda anche alle divinità. E' Zeus a rispondermi.

“In seguito allo scontro con i Cavalieri d’Oro, l’anima di Crono si scisse in due, una più umana e razionale, l’altra completamente priva di ragione, nonché malvagia” spiega lui, chiudendo gli occhi.

“Perché... perché accadde questo?” domanda Michela, interdetta.

“Deve essere perché la spasmodica ambizione di mio padre si scontrò con gli ideali puri e sinceri dei Cavalieri d’Oro, da questo nacquero le due personalità. Se ci pensate è molto simile alla storia del vostro Saga, nulla di più, nulla di meno...”

Abbasso lo sguardo, sicura di aver capito. Un conflitto di anime è possibile in ogni essere umano, molte son state le teorie su questi casi. Mi sorprende comunque che una 'debolezza' simile sia possibile anche per le divinità!

“Quindi in poche parole: Crono malvagio rinchiuse tutti noi Olimpi in dei vasi tranne Hermes che riuscì a fuggire, Efesto che non era presente, Hades e Poseidone che erano già stati sconfitti dai Cavalieri di Atena. Questo era necessario per attuare il suo diabolico piano” continua Zeus, prendendosi una breve pausa in cui tutti noi cerchiamo di assimilare bene i dettagli.

“Invece Crono buono fece resuscitare i Cavalieri d’Oro e i tre Giudici degli Inferi per combattere contro la sua controparte malvagia!” conclude poi Zeus, serio.

“Come ha fatto Crono malvagio a rinchiudere con così tanta facilità voi Olimpi? Voglio dire, per sconfiggervi occorre un potere smisurato che va ben al di là di quello di una singola divinità!” prende parola Francesca, scettica.

“E’ un’ottima domanda, Francesca, infatti non sarebbe nei poteri di Crono riuscire ad abbatterci. Il discorso cambia se quest’ultimo è in possesso dell’entrosfera!” risponde Zeus, cupo.

Entrosfera, dite? Ne ho sentito parlare...” interviene Camus, pensieroso.

Tutti si voltano a guardarlo interrogativamente tranne i tre Giudici che sembrano già sapere ogni cosa.

“Una curiosità, Camus, c’è qualcosa che non conosci?!” domanda Milo, sarcastico.

“Entrosfera deriva dal termine ‘entropia’, cioè caos. E' la sfera del disordine... si dice sia finita in pezzi nella Notte dei Tempi. Inoltre si sostiene che ogni qualvolta qualcuno riesca a sottomettere più popoli, sia perché ha trovato un pezzo della sfera” spiega Camus, senza degnare minimamente Milo.

“Quindi fammi capire... Napoleone, Cesare... sono diventati così potenti perché hanno trovato un pezzo di questa maledetta sfera?” chiede quest’ultimo, grattandosi la testa.

“Esattamente. E noi sappiamo che ogni volta che un essere umano diventa troppo forte interviene Atena in persona per riportare l’equilibrio nel mondo” conclude Camus, toccandosi stancamente la fronte per asciugarsi il sudore. Sospiro tra me e me, percependo il cosmo di mio fratello stanco e debole. Nonostante le gravi ferite è qui al mio fianco, pronto a combattere, ma deve avere ancora la febbre e soffrire molto, anche se non lo da a vedere.

“E’ proprio così, Cavaliere di Aquarius, un frammento riesce a creare parecchio caos anche se chi lo maneggia è razionale. Pensate cosa possa fare la sfera intera nelle mani di un dio che ha perso la ragione!” esclama Zeus, sempre più teso.

“Volete dire che Crono è in possesso della sfera completa?!” esclama Sonia, impallidendo.

Zeus si limita ad annuire quanto basta per far capire alla mia amica che ha centrato il problema. Guardo sconvolta le altre, certa di condividere con loro gli stessi pensieri. Crono malvagio è in possesso della ‘entrosfera’, quindi lui da solo possiede il potere di dominare il mondo, di distruggere ogni più piccola forma di vita e di disintegrare la Terra, forse perfino l'universo o, come dice Francesca, tutti gli universi possibili...

Un’altra improvvisa scossa di terremoto, molto più forte della precedente ci fa cadere tutti sul pavimento, mentre un bagliore accecante ci costringe a chiudere gli occhi.

“Dannazione! E’ Crono!” sento gridare Minos in tono alto.

Pochi secondi dopo, come dal nulla, ci troviamo circondati da due eserciti possenti: a destra, da una luce di tenebra, appaiono armature nere; a sinistra, tra i bagliori del fuoco, compaiono umanoidi non facilmente distinguibili tra loro.

Una voce rimbomba nella nostra testa: “Avete chiacchierato abbastanza, piccoli insetti repellenti, ora il mio esercito vi ucciderà, cosicché più NESSUNO si opporrà a me per dominare il mondo, anzi, I MONDI, tutti! Muhahahahahaha!!!”

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Capitolo 25
*** La battaglia finale ***


CAPITOLO 25

 

LA BATTAGLIA FINALE

 

Mi guardo spaventata intorno: i nemici, di gran numero maggiore dei nostri, ci circondano. Osservandoli attentamente, noto che quelli vestiti con le armature nere sono sicuramente più di cento, mentre è impossibile contare quelli con le vestigia rosse.

“Non è possibile! – sento esclamare Aiolia, posizionandosi immediatamente sulla difensiva – sono Specters e Bersekers!”

“Non può essere come dici, i nostri compagni non possono in alcun modo aver tradito il Sommo Hades, deve trattarsi di un’illusione!” ribatte Aiakos, incredulo, fulminandolo con lo sguardo.

“No, non è un’illusione... – interviene quindi Zeus, cercando di calmare gli animi – mi dispiace, i vostri compagni hanno veramente tradito Hades: Crono si è limitato a creare una copia di quest’ultimo e di Ares, non delle rispettive truppe. Chiunque lo abbia seguito, l'ha fatto consapevolmente!”

Vedo i tre Giudici stringere i pugni e digrignare i denti, manifestando così la loro smisurata ira. Dubito che l'aiuto reciproco fra compagni sia utilizzato nelle schiere di una divinità malvagia come Hades, ma deve essere un'onta molto grossa tradire il proprio protettore in modo così plateale. Tipico comportamento umano, comunque!

Sono ancora persa a guardarli, quando Inaspettatamente Camus, senza proferir parola alcuna, mi solleva di peso e mi adagia contro una colonna lì vicino; Milo, Hyoga e Aiolos fanno lo stesso con Francesca, Michela e Sonia. Li guardo stordita, prima di fissare la mia espressione stupita nei suoi occhi.

“Ehi, ma cosa?!” chiedo confusa, un enorme sospetto si dipana nella mia mente.

“State qui durante l’infuriare della battaglia, avete già fatto molto per noi e per le sorti di questo mondo, pur essendo solo all'inizio dell'addestramento, non vogliamo che vi succeda più niente!” mi risponde lui, facendo per andarsene, ma la mia mano è lesta a bloccare la sua.

Lo fisso senza dire alcunché, imprimendo il mio sguardo nei suoi occhi. Non servono parole al momento, basta la mia espressione completamente terrorizzata per fargli comprendere la mia paura.

“Non andrà come la volta scorsa, te lo prometto! E poi non posso di certo morire ora che ti ho finalmente ritrovata... Marta!"

"Perché non scappi mai? - gli chiedo, febbricitante, prima di esitare un attimo e proseguire - Sei già ferito gravemente, hai rischiato di morire non una, ma due volte, e mi hai detto che, prima di conoscermi, avevi già perso la vita."

"..."

Forse dovrei fermarmi. Forse è di nuovo insubordinazione la mia. E forse la risposta già la so, ma non mi interessa. Ho ritrovato mio fratello, non voglio che mi venga nuovamente strappato.

"Perché? Perché rischi così tanto?" chiedo ancora, mentre Michela mi osserva partecipe, gli occhi lucidi. Le mie domande sono le sue.

"Il perché lo sai, Marta: sono un guerriero di Atena!"

Posso dire che non mi interessa? Scrollo refrattaria la testa, non è ciò che voglio sentire, ma è l'unica cosa che mi può dire, lo so. E' così dura da accettare!

"La tua vicinanza. - mi dice ad un certo punto lui, avvicinandosi a me per picchiettarmi la fronte con l'indice, gli occhi luminosi - La tua vicinanza mi darà coraggio, così come quando ero in coma."

"Camus..."

"Credi in me e nessuno ostacolo sarò insormontabile!” prova a rassicurarmi ancora lui, scompigliandomi i capelli con affetto. Un leggero sorriso si distende sul suo viso; è dolce e rassicurante al tempo stesso, ma proprio per questo mi fa preoccupare ancora di più.

“Ma tu, Aiolos e Lia siete già feriti! - interviene anche Sonia, dandomi manforte. Probabilmente anche lei ha subodorato qualcosa - E' una follia, rischiate troppo!"

“Non andate, vi prego....” tenta a sua volta Michela, tesa.

“Michela, siamo una famiglia e ci aiutiamo l’un l’altro, ricordi? Non dovete aver paura per la nostra sorte!” afferma Hyoga in tono dolce ma ugualmente ferma.

Rincuorate parzialmente da quelle parole, li lasciamo andare, non senza un peso nel cuore. Purtroppo al momento non è nei nostri poteri far qualcosa, soprattutto con questa sensazione di vuoto che ci pervade e ci riempie l'anima sempre di più.

“Hermes, Efesto ed io attaccheremo direttamente Crono, ve la sentite di affrontare questi nemici?” chiede Zeus, preparandosi alla battaglia.

“Certamente, vecchietto! E' da un po’ che noi Cavalieri non facciamo delle sane e sonore scazzottate tutti insieme, nevvero?!” interviene Death Mask, ghignando.

Tutti i Cavalieri, pur non approvando il suo modo di esprimersi, sorridono accennando con il capo, pronti come non mai.

“Lasciate a noi quei miserabili Specter! La devono pagare!” esclama allora Rhadamantis, alzando il pugno, mentre, esaustivamente, lancia il primo colpo su un gruppetto di loro, quasi atomizzandoli seduta stante.

“Oooooh! Cosa sono queste manie di protagonismo? Lasciatecene un po’ anche a noi!” esclama Milo, ridacchiando.

Così in un nanosecondo vedo scomparire le tre divinità e, al contempo, i Cavalieri e i tre Generali attaccare con gran foga i nemici.

“Siate prudenti...” si raccomanda Francesca, preoccupata a sua volta.

“Accidenti! Non possiamo fare proprio niente?” si chiede Sonia, provando ad alzarsi e ricadendo pesantemente a terra.

Per qualche arcano motivo Sonia, Michela ed io, dopo aver liberato Zeus, ci siamo indebolite notevolmente e, cosa ancora più sconcertante, non riusciamo minimamente a recuperare le energie perdute. Chiudo gli occhi, cercando il cosmo dentro di me, ma l'unica cosa che percepisco ancora una volta è solo un profondo vuoto.

Non potendo far nulla al di là di tremare come una foglia, osservo la battaglia che si sta svolgendo proprio davanti ai nostri occhi. I nostri sono in vantaggio, malgrado in numero decisamente inferiore!

Death Mask, Aiolia, Aphrodite e Milo sono veloci ad uccidere gli avversari: al primo basta uno schiocco di dita e già i nemici più vicini a lui cadono come morti. Nessuna ferita sui loro corpi, solo l'impressione che siano come svuotati del soffio vitale. Lo guardo sbigottita: deve trattarsi di un colpo terribile. che colpisce direttamente l'anima della gente, un qualcosa di letale per chiunque.

Aiolia, sebbene ferito, è molto veloce a lanciare un fascio di energia elettrica che è in grado di uccidere più nemici insieme. Un unico colpo, e un ammasso di Bersekers viene folgorato all'istante.

Aphrodite e Milo possiedono invece attacchi multipli che massacrano velocemente chi viene colpito. Milo, in particolare, lancia dall'unghia dell’indice destro più cuspidi rosse che si conficcano nel corpo del nemico, facendogli schizzare fuori il sangue... brrrr! Di certo non si preoccupa di sporcarsi le mani, non come il Cavaliere dei Pesci che, assomigliando quasi ad un ballerino, lancia rose rosse con eleganza; rose capaci di donare una dolce morte a chi viene colpito. Due opposti, eppure lo Scorpione non mi è mai parso come un tipo sanguinario.

Dall'altra parte, sulla linea difensiva, ci sono Mu, Aldebaran e Shaka.

Il primo, evocando un muro di cristallo, protegge i parigrado dagli attacchi multipli e un po' disordinati degli avversari. L'indole pacata di Mu ben si adatta alla sua difesa, ma come tutte le persone tranquille, cela in sé un immenso potere che tende ad usare solo se provocato.

Aldebaran sta fermo a braccia conserte, divertito dai continui attacchi che quattro Bersekers stanno provando ad assestargli, ma con scarsissimi esiti. Non sembra comunque usare nessun tipo di attacco, basta la sua immensa mole a nullificare ogni offesa.

Shaka è il più strano: sta immobile ad occhi chiusi e a gambe incrociate aspettando che gli Specter gli si avvicinino, poi improvvisamente apre gli occhi e questi cadono a terra come dei sacchi di patate, del tutto esangui. In apparenza pare essere un potere simile a quello di Death Mask ma la percezione che ne ho è nettamente diversa.

Più in là, Camus e Hyoga combattono insieme usando le tecniche proprie del ghiaccio. E' meraviglioso il loro lavoro di squadra, si danno manforte a vicenda come se fossero già abituati ad attaccare congiuntamente, proprio come padre e figlio. Sono oltre, c'è poco da fare, io, con la mia patetica aria congelante, sarei solo d'intralcio in mezzo a loro.

“Ottimo, Hyoga, anf! Sei... sei davvero migliorato e la tua tecnica è diventata eccezionale. Ormai mi sei superiore e anche di molto, anf... non posso che essere orgoglioso di te, di ciò che sei diventato!” si congratula Camus, respirando affannosamente, nello stesso momento in cui, pur apparendo paurosamente stremato già in partenza, congela completamente i cinque nemici più vicini solo con l'emanazione del suo cosmo.

“Maestro, state bene? Siete talmente affaticato! - esclama Hyoga, preoccupato, prendendo momentaneamente il suo posto con l'emanazione cosmica, visto che Camus, per una serie di secondi, sembra quasi sul punto di crollare a terra - E' stato un azzardo venire qui nelle vostre condizioni fisiche!"

“Non pensare a me, Hyoga! Ricordi i miei insegnamenti in Siberia? Serve il sangue freddo per imprimere più potenza ai nostri attacchi, quindi cerca di non crucciarti con pensieri vani!” ribatte Camus, riprendendosi un poco dall'affanno e schivando l’attacco di un nemico con un balzo. Hyoga sorride appena, mormorando un "siete sempre il solito, pensate agli altri, mentre siete incurante con voi stesso!" che la dice lunga sul loro grado di conoscenza. Un sorriso triste mi distende le labbra, retaggio di un pensiero che, proprio ora, ha sfiorato la mia mente: il Cigno, di fatto, conosce molto più Camus di me, malgrado io sia sua sorella. Se ci penso, mi sembra così ingiusto... perché ho potuto sapere di lui solo così tardi?!

Nel frattempo, l'orgoglioso Saga da prova di un enorme potere, difficilmente paragonabile a quello di un mortale. La sua ‘Esplosione Galattica’, oltre ad uccidere una miriade di nemici, disintegra anche una grossa parte del suolo. Terribile!

Più a destra, l’accoppiata Shura/Aiolos fa faville: il primo lancia attacchi, simili a una spada tagliente in grado di triturare i nemici, il secondo possiede colpi simili al fratello Aiolia; inoltre ha l'ovvio vantaggio di poter spiccare il volo grazie alle ali della propria armatura assolutamente unica nel suo genere!

“Tutto bene, Aiolos? Non strafare, mi raccomando!” lo avverte rispettosamente Shura.

“Sì, soprattutto considerando che ho un compagno come te a guardarmi le spalle!” risponde lui, sorridendogli.

Vorrei continuare a seguire, almeno con gli occhi, li scontro, ma improvvisamente mi sento afferrare violentemente per un braccio e strattonare con foga inaudita, tanto da sentire distintamente uno strappo intorno al tricipite. Ma cosa sta...?

“Marta! Michela!” avverto le urla di Sonia, da qualche parte nei dintorni, che mi appaiono confusi.

Con la coda dell’occhio, riesco finalmente a distinguere un uomo gigantesco, vestito con un’armatura nera, colui che ha preso me e Michela con le sue enormi mani senza troppi complimenti. Eravamo distratte e concentrate altrove, pessimo errore di valutazione pensare che, solo perché fuori dal campo, questi figuri ci avrebbero risparmiato. Era una situazione troppo ghiotta.

“Bene, bene, due semidee... dammene una, compare!” esclama un altro individuo, alto come Aldebaran o forse di più. Senza aspettare una eventuale risposta, afferra vigorosamente Michela, la quale mugola di dolore.

“Lasciatele, brutti...” interviene Francesca, cercando di saltare addosso ai nemici, ma un pugno violento nello stomaco la fa ricadere per terra, il respiro mozzato. La vedo accasciarsi, piegata in due.

“Non fate un altro movimento, pseudo-dea, o...” inizia a dire quello che poco prima aveva colpito la mia amica più grande.

Poco dopo la stretta dell’uomo che mi tiene a sé aumenta di forza, facendomi sputare saliva per terra a seguito del dolore. Alcuni colpi di tosse di Michela mi fanno capire che l’altro sta riservando il medesimo trattamento alla mia amica.

"Che vigliacchi!" soffio tra i denti, ma la mia voce è un singulto strozzato, neanche riescono ad udirmi.

La testa mi inizia a girare e i sensi si fanno sempre più deboli, ma non posso permettermi di svenire, no... sarebbe la fine. Nello stesso momento un movimento del nemico mi fa capire che, probabilmente, sta cercando di portarmi in un luogo isolato per sbarazzarsi di me... anzi di noi. Il mio cervello quindi inizia a elaborare possibili soluzioni, ricordandomi del consueto sangue freddo che Camus ripete ogni volta. Purtroppo il mio corpo è fiacco e non sembra volersi ridestare... devo fare assolutamente qualcosa, ma... cosa?!

“Michela... Michela!” la provo a chiamare mentalmente, sfruttando la nostra dote innata.

“S-si?” la sento rimbombarmi in testa, un poco affaticata persino nel comunicarmi un suo pensiero mentale.

“So che anche tu sei indebolita, ma dobbiamo cercare di reagire... sei con me?”

“Sì, come sempre, ma come facciamo?”

“Al mio tre usa tutta la forza che hai per bruciare la tua fiamma, io farò lo stesso per diffondere il mio gelo. Dobbiamo fare il possibile per combattere contro questo vuoto che ci sta consumando, o per noi sarà la fine!”

“Va bene, Marta, ci proverò, anche se mi sento mancare!”

“Uno... due... tre... ora!!!”

Quasi in sincronia cominciamo ad espandere quel poco che rimane del nostro cosmo. Seppur questo ci costi una fatica immensa, è l’unica soluzione per convincere i nostro aguzzini a mollare la presa su di noi. Utilizzando così tutte le nostre forze residue, riusciamo a bruciare e a ghiacciare le loro mani. la loro reazione non tarda ad arrivare.

“Uaaaaghhh!!!” sentiamo urlare, prima di cadere malamente a terra. Dolore lancinante alla schiena, che si aggiunge al tricipite, allo stomaco e a molto altro di non ben definito... ma non posso dargli peso al momento, siamo ancora in pericolo.

Senza aspettare un secondo di più, afferro la mano di Michela a poca distanza da me, tutto l’ambiente circostante gira intorno a noi. Dovremmo correre via il più velocemente possibile, questo lo so, ma i nostri corpi sono restii ai comandi impartiti dal nostro cervello, che tenta di lavorare sempre più febbrilmente, ma che, a causa della mancanza di ossigeno, non permette ai muscoli di reagire prontamente.

“Come stai?” mi chiede Michela, pallida, capendo i miei pensieri ma non riuscendo a metterli in pratica, come me.

“Ugh, male! Mi gira la testa e...” non riesco a finire la frase perché uno dei nemici ci è arrivato addosso e ci sovrasta con la sua mole. Oh no...

“Maledette mocciose, ora vi ucciderò io stesso nel modo più cruento che conosca, così la profezia sarà irrisolvibile!” esclama, alzando il braccio bruciacchiato in alcuni punti.

Chiudo di scatto gli occhi, abbracciando di riflesso Michela in un disperato tentativo di proteggerla dal'attacco nemico. Il mio unico pensiero per la testa è quello di difenderla con il mio stesso corpo, non posso fare altro. Mi preparo quindi a ricevere il colpo che, lo so, non tarderà a farsi sentire, la mia schiena si arcua in un disperato istinto difensivo.

Tuttavia al posto di un dolore rapido e perforante, sento un liquido caldo schizzarmi sul viso e scorrermi un poco sulla pelle senza avvertire però sofferenza alcuna. Questo mi convince ad aprire gli occhi, che si spalancano immediatamente per la sorpresa.

Il nemico, anzi, quello che era il nemico, è a poca distanza da noi, il suo torace trapassato da parte a parte da un braccio ammantato d'oro... quello di Camus.

“Non permetto a nessuno di toccare anche con un solo dito le mie allieve, tanto meno a voi, luridi mostri indegni!” esclama, con un’espressione che non gli ho mai visto prima. Deglutisco automaticamente.

Osservo senza fiatare Camus, che butta a terra il nemico ormai morto. Ancora una volta è freddo e gelo... nient’altro riesco a percepire nei suoi occhi blu mare. E' quasi come se, uccidendo quell'uomo, avesse ricacciato indietro tutti i suoi sentimenti umani. La violenza di quell'assalto, la sua brutalità, pur non essendo la prima volta che la scorgo in lui, mi ha sinceramente sbalordito. Mio fratello, dal canto suo, continua a guardare il cadavere del nemico con noncuranza. Nessun rimorso, solo e soltanto l'espressione schifata di chi, per schiacciare una zanzara fastidiosa, si è dovuto sporcare un po' troppo le mani.

Ho di nuovo davanti ciò che un guerriero deve diventare; ho di nuovo davanti ciò a cui devo aspirare, se voglio saper proteggere chi mi sta a fianco. E ora come non mai mi rendo conto di essere distantissima da quell'ideale.

Qualche secondo per riprendermi, prima di guardare istintivamente più in là e notare che anche il compare ha condiviso con lui la medesima sorte. Un nuovo brivido scorre lungo la mia schiena. Ha ucciso senza la minima pietà, se non lo avesse fatto né io né...

“Michela! Marta! – esclama ad un tratto Camus, interrompendo i miei pensieri per correrci apprensivamente incontro – Grazie al cielo state bene! Sono arrivato in tempo!”

Lo guardo sorriderci come solo il fratello che conosco sarebbe in grado di fare. Poco fa sembrava quasi uno sconosciuto, così spietato nel massacrare quei due. La sua espressione e il suo cosmo... ora sono nuovamente cambiati, ritornando pieni di calore e tranquillità. Sorrido di rimando, come meglio riesco.

“P-papàààààà!!! - urla improvvisamente Michela, preda dei singhiozzi appendendosi al suo collo con slancio - Abbiamo avuto tanta paura!!!"

Vedo le guance di Camus assumere un colorito rosso vivo, probabilmente per l'appellativo con cui Michela lo ha chiamato, tornando ad essere il delicato bucaneve che è.

"M-Michela, ci sono appena 6 anni di differenza tra me e te, come posso essere tuo padre?!" gli fa notare, al limite dell'imbarazzo.

"D-d'accordo ma fratello maggiore non lo puoi essere, no?! Hai già... quel ruolo con qualcuno!" prova a spiegarsi lei, impacciata, scoccando un'occhiata a me come a dirmi di aiutarla, ma la scena è talmente tenera che non posso fare a meno di osservare da distanza.

Michela è davvero appesa al suo collo come una scimmietta su un albero. Lo fissa implorante, mentre Camus, ormai paonazzo in viso, ovviamente non ricambia la stretta, rimanendo imbambolato a fissarla.

"Per questo non... posso chiamarti fratello. Non voglio rubare quel ruolo a qualcun altro, e poi per Hyoga, che ha la mia età, sei come un padre, lui me l'ha detto, sai?"

"Michela..."

"Non posso... considerarti altrettanto?" lo guarda ancora, sempre con gli occhioni lucidi.

"N-non è quello, è che..."

“Sc-scusami, allora...” pigola la mia amica, tutta vergognosa, facendo per staccarsi, se Camus, come ravvivato, non la trattenesse a sé, ricambiando finalmente la stretta.

“N-no, va bene... va bene, se lo senti!” la tranquillizza lui, chiudendo gli occhi per rilassarsi nell'abbraccio e meravigliando non poco Michela che, sulle prime, quasi scambiandosi i ruoli, si paralizza al posto suo, prima di riuscire a riprendersi e stringerlo con il doppio dela forza di prima.

Ridacchio tra me e me, lasciandomi sfuggire un sospiro prolungato di rilassamento. La testa mi gira e mi sento più debole di prima ma vederli così uniti mi rincuora. E Camus ha migliorato il suo record di tempistiche sul ricambiare un abbraccio, un evento assolutamente da festeggiare quando torneremo al Santuario!

"MARTA!"

Dopo il turno di Michela, è il mio, lo vedo avvicinarsi a me, preoccupato dalle mie effettive condizioni. Leggo nelle sue intenzioni l'istinto di abbracciarmi senza che sia io a chiederlo, pur sapientemente trattenuto perché non riusciamo ancora ad essere, né io né lui, spontanei, soprattutto in presenza di altri.

“C-come ha fatto a trovarci?” gli chiedo solo, sfinita, la testa pesante.

“Ho visto la scena da lontano. Dopo aver soccorso Sonia e Francesca mi sono precipitato qui, ma voi avevate già trovato il modo per mettere in difficoltà i due nemici. - mi risponde lui, afferrando una delle estremità del mantello per poi pulirmi dolcemente il volto - Sei tutta sporca, Marta, perdonami... ho agito tempestivamente e in maniera violenta. Mi hai già visto in questa tenuta, ma questa volta è stato perfino peggio!" si scusa, sinceramente mortificato.

Nego dolcemente con il capo, socchiudendo appena gli occhi perché li sento pesanti, lasciandomi tamponare il viso e le braccia da lui.

"Non fa niente, Cam, mi ci sto abituando, sai? - gli dico, in un sussurro - Al sangue!" specifico, ed è come se la sua espressione si incrinasse improvvisamente in una scintilla di dolore.

Sto per chiedergli se non si senta bene, se ha male alle ferite, ma lui è più veloce, mi trae a sé con urgenza con il braccio pulito, trattenendomi poi lì, contro il suo petto, il viso nascosto dalla mia spalla e la sua mano adesso premuta dietro la mia nuca.

"Ca-mus!" lo chiamo, la voce rotta dall'emozione, perché sebbene sia già successo che mi abbracciasse di getto, questa è la prima volta che lo fa con così tanta foga.

"Non avrei MAI voluto che finissi in un mondo del genere!" mi sussurra, in tono di scusa, ed io non so cosa dire, le parole mi mancano, perché effettivamente neanche io avrei voluto ritrovarmi qui, ma non lo avrei mai conosciuto, se ciò non fosse successo.

“Maestro, gli altri stanno bene?” chiede Michela, zampettando debolmente nella nostra direzione.

Ciò mi fa notare che anche le sue gambe stanno tremando come le mie, probabilmente per la debolezza. Insomma, è da quando abbiamo liberato il padre degli dei Zeus che siamo così, è snervante!

Camus deve prendere un paio di boccate d'aria. Si raddrizza, sciogliendo lentamente l'abbraccio ma rimanendo vicino a me, presente, prima di voltarsi nella sua direzione.

“A parte qualche danno di lieve entità stanno tutti bene. E' stato facile sconfiggere gli Specter e i Bersekers, dopotutto Rhadamantis e gli altri due si sono divertiti un sacco a punire quelli che un tempo erano i loro sottoposti!” spiega Camus, non nascondendo un certo disgusto nel parlare dei Tre Giudici.

“Ok, allora andiamo dagli altri” dico, iniziando ad incamminarmi, un po’ incerta sulle gambe.

Sento lo sguardo preoccupato di Camus su di me, ma non me ne curo, almeno finché non è lui stesso a bloccarmi.

“Marta, promettimi che, se si avvereranno le circostanze, tu, Michela e Sonia non farete niente di sconsiderato...” inizia lui, scuro in volto.

Lo guardo senza capire, il mio cuore automaticamente perde un battito.

“Eeeeeh??? Ce significa?!” esclama Michela, agitandosi.

“Hermes ci ha rivelato la seconda parte della profezia...” continua Camus, incerto sulle parole.

Seguono attimi di silenzio dove il tempo sembra quasi fermarsi. Altre rivelazioni, no, dei, non ne possiamo più!!!

“E che cosa dice?” lo sprona Michela, guardandolo negli occhi.

“Afferma che ci saranno dei problemi, non basterà più rinchiudere la divinità malvagia dentro l'anfora, ma bisognerà pagarne il fio... con la vita di tre semidei!”

Sento il mio cuore perdere un altro battito, un peso insostenibile insinuarsi nel mio petto... e la consapevolezza farsi strada in me.

“Noooo! Dannazione, nooooo!!! – urla Michela, scoppiando a piangere e abbracciando Camus di getto – non potete farlo, non potete!!! La profezia deve sbagliare per forza, non è possibile che qualcuno di noi debba morire!!!”

“E quindi... vi volete sacrificare voi altri, giusto?” chiedo, incredula. E menomale che avrei dovuto stare tranquilla! Scherzano?!?

“Nessuno di noi vuole morire, né tanto meno sacrificarsi, io Aiolia e Aiolos crediamo nel libero arbitrio, ma se dovesse succedere qualcosa di irreparabile, non permetteremo certo che vi accada qualcosa! Siete... inestimabili!” risponde Camus, abbassando lo sguardo. Avverto disagio in lui, nonché una miriade di emozioni a forza celate. Stringo i pugni, furente,

“Perché... perché ti devi SEMPRE sacrificare tu, Camus?! – esplodo, non riuscendo più a trattenere le mie, di emozioni– Nella guerra contro i Cavalieri di Bronzo ti sei sacrificato! Nella lotta contro Hades ti sei sacrificato! Ad Atlantide...” mi blocco, non riuscendo più a capire perché abbia tirato fuori l’ultima parola.

“Atlantide?! Cosa...” balbetta lui, guardandomi stranito. Gli occhi spalancati in un'espressione di puro terrore, la mano che automaticamente si posa sulla sua testa.

“Non lo so... mi è venuto spontaneo” mormoro, confusa.

Ad un certo punto vedo Camus cadere in ginocchio, tenendosi la testa tra le mani, quasi come se un rumore assordante si facesse strada nella sua testa e rimbalzasse dolorosamente tra le pareti del cervello.

“Maestro!!!” urliamo Michela ed io, agitate.

Poco dopo Camus si rialza faticosamente, le sue guance in qualche modo bagnate e gli occhi lucidi, ma non da febbre... erano lacrime quelle che ho intravisto?!

“S-stai bene?” chiedo, incerta, sentendomi in colpa per aver azionato quello strano malessere con le mie parole.

“Sì, non so cosa mi sia successo, io... sento un grande vuoto dentro di me ora, e intorno c’è solo tristezza. E' come se non riuscissi più ad afferrare qualcosa che era indispensabile per me...” mormora, passandosi una mano sul viso per asciugarsi le guance.

“Mi dispiace, non avrei dovuto menzionare quel nome, anche se non ho la minima idea del perché l’abbia detto...” sussurro sinceramente dispiaciuta. E tuttavia anche io non riesco più ad afferrare quel filo rosso che mi legava a quel qualcosa di inestimabile. Ne tengo ancora un capo, ma non si dipana più, avvolto com'è dalle nebbie del destino; un destino ingrato, così dannatamente ingrato!

“Non pensarci più ora, non è il momento per simili, futili, congetture... - dice mio fratello, recuperando quella parvenza di calma che lo contraddistingue - Ora ho bisogno della vostra parola: se le cose dovessero andare male... non interverrete, per nessuna ragione!”

Guardo dritto negli occhi blu di Camus, blu come il mare... il mare... il mare.. cosa si cela sotto il mare? L’urlo di un giovane uomo che ha creduto di vedere il suo migliore amico ucciso per mano della Viverna Infernale, prima di essere tradito da una delle persone per lui più care al mondo. Perdere tutto sé stesso in un colpo solo, quali conseguenze potrebbero mai esserci, per un'anima in frantumi?!

“Gli altri lo sanno?” la domanda di Michela mi fa ridestare da quella specie di ipnosi in cui ero caduta.

“No, è una cosa segreta tra me, Aiolia e Aiolos. Allora, me lo promettete?” chiede, serio in volto, cominciando a spazientirsi. E' ovvio che accetterebbe un'unica risposta, affermativa.

Michela ed io ci scambiamo una veloce occhiata, uno sguardo complice.

“Sì, promesso!” ma entrambe sappiamo che non permetteremo mai il loro sacrificio. Già troppo sangue di Cavaliere è stato versato!

 

*****

 

Torniamo il più velocemente possibile indietro, dai nostri amici, ma quando giungiamo nel luogo della battaglia notiamo con sorpresa che oltre ad una massa di cadaveri e di odore nauseabondo e ferroso di sangue, ci sono solo Francesca e Sonia.

“Michela! Marta! Per fortuna...” esulta quest’ultima correndoci incontro e abbracciandoci.

Francesca, senza dire una parola, fa lo stesso con ancora più entusiasmo. Entrambe erano visibilmente in pena per noi.

“D-dove sono tutti?” domando, stravolta e perennemente sconfortata.

“Oh! E’ vero, lo devo fare anche a voi...” dice Francesca, ignorando la mia domanda.

Non ho neanche il tempo di controbattere, che Francesca posa una mano sulla fronte mia e di Michela. Quasi subito avverto un forte calore invadermi la mente e propagarsi in tutto il corpo, restituendomi parzialmente le forze.

“Vi ho donato un po’ delle mie energie, ora siete pronte. Il destino del mondo è nelle vostre mani... Marta! Sonia! Michela!” ci spiega lei, un po’ affaticata, convinta che saremo noi a sbrogliare la situazione. Non sa invece dei piani di Camus e dei due fratelli.

“Non c’era bisogno di fare ciò! Loro hanno già dato il massimo, il resto è pertinenza nostra!” interviene Camus, cupo in volto.

“C-cosa intendi?” chiede Sonia, confusa.

“...Gli altri sono andati oltre, dove si trova anche Crono. Non abbiamo un istante da perdere!” esclama Camus, cambiando discorso e mettendosi a correre senza neanche aspettarci.

“Ehi? Ma cosa?!” esclama Francesca, guardandolo scomparire dietro una parete.

Michela ed io ci guardiamo preoccupate, decidendo di rivelare la verità anche alle nostre due amiche.

“Andiamo! Vi spieghiamo strada facendo” affermiamo all'unisono.

Così, seguendo la scia, ben percepibile, del cosmo di Camus, raccontiamo l’accaduto a Francesca e Sonia, che rimangono basite.

“Si vogliono sacrificare?! Camus ha voluto farvi promettere che non interverrete in qualsiasi caso?!” esclama Francesca, correndo, mentre il paesaggio attorno a noi passa velocemente sotto i nostri occhi.

“Sì, ma noi non lo permetteremo! Anche se questo vorrà dire rompere la promessa!” ribatto, concentrandomi sulla direzione da prendere. Fratellino... come puoi pensare che io mantenga un simile giuramento?! Come puoi non capire l'assurdità della promessa che mi hai strappato?! Ora che finalmente ci siamo ricongiunti, dopo 17 lunghi anni... come puoi pensare che io, semplicemente, mi limiti ad osservare mentre combatti una battaglia in cui rischi la vita? Sei stato abituato a d agire così, ma non sei più solo, anzi, non lo sei mai stato, è giunto il momento che tu lo comprenda pienamente!

“Camus ha questo vezzo di sacrificarsi per le persone che ama, Milo lo chiama, a ragione, testa di cetriolo, ma ora basta! Mi unisco a voi, faremo di tutto per proteggere i nostri fratelli!” sorride Sonia, scambiandomi uno sguardo complice, intuendo perfettamente i miei pensieri.

La guardo brevemente con affetto, soffermandomi poi su Michela e Francesca. Sono davvero contenta che le mie idee siano anche le loro, insieme forse qualcosa riusciremo a fare. Proseguendo per il tragitto, torno a concentrarmi sul paesaggio che sfila al di fuori di me: alla mia destra un bosco bruciato, alla mia sinistra il letto di un fiume ormai secco. Quel maledetto Crono ha distrutto tutto, privando della vita tutto ciò che gli è capitato a tiro.Non posso tollerarlo!

I Cavalieri d’Oro hanno sacrificato sempre le loro vite per difendere il nostro meraviglioso pianeta e le creature che lo abitano; ora il momento è giunto, anche loro hanno il diritto a vivere una vita normale, questa volta saremo noi a... BADABUM! I miei pensieri vengono tranciati di netto a causa di un rombo. Un secondo dopo mi ritrovo per terra, insieme alle altre.

“Ouch! – esclamo, massaggiandomi la testa e il didietro - E adesso cosa...?”

“Camus, sei qui!!!” chiama Sonia, preoccupata, guardando davanti a sé, mentre Francesca mi porge la mano per farmi alzare in piedi.

“Cosa stai osservando, fratel...” comincio, ma mi blocco subito guardando la sua espressione sconvolta.

Seguendo la direzione del suo sguardo, scopro con orrore il motivo di tanto sgomento. Poco più in là infatti, in un prato, Hermes, Zeus ed Efesto giacciono per terra, sconfitti. In mezzo a loro una figura completamente vestita di nero sghignazza sadicamente, tutti intorno ci sono i Cavalieri d'Oro, visibilmente feriti.

“Ah! Ah! Inginocchiatevi, mortali! Io sono colui che riesce a sottomettere anche tutti gli dei insieme! Muhahahahahah!!!” urla l'individuo al centro, facendomi comprendere che si tratti di Crono... il dio del tempo!

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Capitolo 26
*** Sacrificio ***


CAPITOLO 26

 

SACRIFICIO

 

“Hermes!” gridano in coro Aiolia e Aiolos, correndogli incontro seguiti da una Sonia alquanto preoccupata.

Solo ora mi accorgo che oltre a noi ci sono anche tutti gli altri Cavalieri d’Oro e i tre Giudici.

Automaticamente scatto verso mio padre e lo stesso fa Camus. Francesca e Michela, invece, vanno a soccorrere Zeus.

“Aiolos... aveva ragione, dopotutto...” mormora Efesto, aprendo gli occhi del nostro medesimo colore; una peculiarità ereditata dal fabbro degli dei.

Camus ed io lo guardiamo senza capire, non senza un po’ di paura, che stia delirando a seguito delle ferite riportate?! Eppure non sembrano di grave entità per un dio!

“Dove pensate di essere, stupidi mortali? Credete forse che io vi lasci parlare, così, senza fare niente?!” esclama Crono all'improvviso, facendo un ghigno malefico e preparando un’immensa sfera di energia da spararci contro.

Per un attimo riesco a percepire l’immenso cosmo di Crono che tutto distrugge.

Un brivido scorre lungo la mia schiena e, istantaneamente, inizio a tremare violentemente; accade la stessa cosa a Camus e agli altri Cavalieri d'Oro, sebbene assai più risoluti di me e ben più preparati alla battaglia.

“Per voi è finita, st...” ma accade qualcosa, qualcosa di così veloce da passare inosservato persino agli occhi di un dio immortale: quattro bagliori scarlatti fendono l'aria, conficcandosi nel suo corpo divino.

“Cosa diavolo...?” ringhia tra i denti Crono, mentre l’energia del suo colpo si indebolisce progressivamente fino a scomparire del tutto.

“La Cuspide Scarlatta, -interviene Milo, sorridendo beffardamente– ora te ne stai buono per un po', è da maleducati interrompere chi sta parlando!"”

“Milo!” esclama Aiolia, preoccupato. Il piccolo Scorpione, esserino minuscolo che si nasconde nelle sabbie del deserto, ha osato farsi beffe di un dio immortale, quali possono essere le conseguenze?

“Così facendo ho paralizzato Crono, ma non so per quanto. Dovreste avere comunque il tempo di parlare un po’, coraggio, ragazzi!” spiega lui, brevemente, espandendo il suo cosmo per affrontare quello, infinitamente più potente, del dio del tempo.

“Grazie... Milo!” dice Camus, sorridendo, mentre noto gli occhi di Rhadamantis fissare insistentemente Scorpio

“Camus... Marta... perdonatemi!” mormora Efesto debolmente, trovando il coraggio di proseguire nel suo discorso.

Camus ed io gli rivolgiamo, se possibile, uno sguardo ancora più sorpreso rispetto a quello precedente.

“Ho giudicato voi uomini esseri imperfetti, senza capire che noi divinità lo siamo ancora di più... Siamo deserti, immense dune di sabbia che si vantano di avere forma perfetta, senza capire che, in verità, una montagna rocciosa, per quanto più facilmente franabile in mancanza del ghiaccio che la preserva, può comunque ospitare dei piccoli fiori da qualche parte, non importa se verso valle o chissà dove, il monte roccioso abbraccerà comunque tutto dalla sua altezza... una duna di sabbia, pur nella sua mutevolezza, no...” spiega Efesto, sollevandosi un poco. Sbatto più volte le palpebre, per la prima volta sbalordita da quell'insolita metafora pronunciata dalle labbra di una divinità... no, non di una divinità qualsiasi, ma di mio padre, per l'esattezza!

“Noi uomini SIAMO imperfetti: proviamo rabbia, avidità, odio, sete di potere. L’uomo, a differenza di molte altre specie animali, è relativamente poco su questa terra... eppure nell'arco di un così breve periodo è riuscito ad inquinarla e rovinarla. Questi sono senz'altro i fiori del male che hanno piantato radici ben profonde nella nostra Cultura, nelle nostre civiltà. In tal senso quindi è esattamente come pensate voi: siamo esseri indegni di prenderci cura di questa meravigliosa Terra!” afferma Camus in tono profondamente deluso.

“Quello che dici è vero, figlio mio, ma noi divinità non siamo forse simili a voi uomini? Anzi, peggio di voi... noi non proviamo l’amore e la disperazione che permette di proteggere e salvare le persone care, a rischio della stessa vita! Per quanto i fiori del male siano nitidamente presenti su questo pianeta, nessuna forza è capace di opporsi al profumo dei vostri sentimenti. E sono questi, l'ho capito da poco, i fiori in assoluto più speciali!” esclama Efesto, con una punta di orgoglio verso tutto il genere umano, prima tanto disprezzato.

Gli sorrido sinceramente, alzandomi in piedi. Sì, possiamo essere montagne innevate o rocciose e come tali dobbiamo ambire a diventare più forti e resistenti possibile, proprio grazie a ciò che è nascosto nel nostro grembo!

“Alla fine lo hai capito, dunque! E' già un notevole passo avanti, credimi... padre!”

Nonostante la leggera punta di freddezza nella mia voce, vedo gli occhi di Efesto illuminarsi, così come poco tempo prima era accaduto ad Hermes quando Sonia lo aveva chiamato con il medesimo appellativo. Occorrerà comunque del tempo per fidarsi, MOLTO tempo... Comunque ulteriori discorsi vengono troncati sul nascere dall'urlo di Crono; un grido capace di farci raggelare il sangue.

“Non sopporto più le vostre chiacchiere! Ora mi libererò di voi, a cominciare da te, lurido scorpione che pensa di opporsi con le sue patetiche chele!!!”

In un nanosecondo osserviamo impotenti Crono riprendersi dal veleno che Milo gli aveva iniettato con la ‘Cuspide Scarlatta’ e preparare una potente sfera di energia che scaglia istantaneamente contro il Cavaliere di Scorpio...

“Milooooo, noooooo!!!” sento l’urlo disperato di Camus, mentre tutti i presenti, compresa me, sono costretti a ripararsi il volto con le braccia per la conseguente onda d’urto che investe tutto.

“Milooooo!!!” grida a sua volta Sonia; un urlo rotto, piegato... che s frantuma nelle polvere che vola intorno a noi, rendendo difficoltosa la visibilità e il respiro.

Nel posto dove c’era Milo prima, ora c’è solo una grande voragine dove tutto intorno è bruciato...

Cado in ginocchio, la vista si fa annebbiata, mentre un liquido caldo sgorga dai miei occhi... non è possibile! Non può essere vero!!! Solo un minuto prima c'era Milo davanti a me, e ora... ora...

Un battito d’ali sopra di me...

“E’ buffo, hai usato la sua stessa tattica, il tuo aspetto è pressoché identico al suo, ma siete così diversi l’uno dall'altro che quasi mi verrebbe da pensare si tratti di un errore!” afferma la voce di Rhadamantis, criptica.

Alzo la testa in direzione della voce e... il mio cuore esulta di gioia!

“Uhm! Continui a parlare di ‘lui’ e ‘suo’, ma io non riesco a capire a chi ti riferisci!” ribatte Milo, sbuffando contrariato, incrociando le braccia al petto con fare plateale.

Rhadamantis, non so come, è riuscito a salvare Milo e ora lo tiene malamente in aria. Allora le ali che ha dietro l’armatura, sebbene spezzate l'ultima volta, gli consentono ancora di volare! Mi blocco istintivamente, soffermandomi su quell'ultimo pensiero: ANCORA?!

“Uff, io lo chiamavo ‘piccolo insetto meschino', ma credo che il suo nome reale fosse Cardia!” spiega Rhadamantis, ghignando. Io continuo a fissare le sue ali che, a quanto pare, nella mia mente si erano spezzate, ma quando esattamente se lo conosco solo da poche ore?!

“Uff, mi hai salvato la vita, e ora mi tocca pure ringraziarti!” afferma Milo, sbuffando.

“Lascia perdere, non ho bisogno dei ringraziamenti di uno stupido artropode!” ribatte Rhadamantis in tono aggressivo, posando infine Milo per terra a pochi passi da noi.

“Per Atena! Milo!!!” esclama Camus, abbracciandolo istintivamente e con forza, visibilmente scosso.

“E-ehi, Camus! –mormora Milo, quasi soffocando a causa della stretta dell’amico solitamente restio ad effusioni, ma non questa volta – Non sono mica morto, eh, ma se mi stritoli ancora un po' rischio di diventarlo!” conclude, ironizzando. Quasi automaticamente sul su volto si dipinge un largo sorriso sincero e ricolmo di felicità.

“Mi chiedo se voi due siate sempre insieme ad ogni epoca, anche ad Atlantide ‘loro’ erano migliori amici... strana coppia, considerando che siete uno l’opposto dell’altro!” commenta ancora Rhadamantis, allontanandosi, non prima però di avermi dato una occhiata veloce ma intensa.

"So chi sei realmente...ragazzina!"

Un nuovo brivido scorre lungo la mia schiena, mentre sbatto più volte le palpebre nel tentativo di scrollarmi di dosso quella sorta di forza centripeta che mi risucchia verso la parte più profonda del mio io.

'Non ci siamo mai visti fisicamente, vero, non in questa nuova forma, almeno... Eppure il nostro legame, ciò che abbiamo vissuto, va al di là di questa vita. Va al di là del concetto stesso di vita..."

Il Giudice mi sorride, quasi ghignando, ma un’eventuale risposta, viene bloccata da un altro intervento di Crono.

“Mi avete davvero stufato con tutti questi discorsi, polverizzatevi!!!”

I suoi occhi color rosso sangue, come quelli di Ares, si accendono in un bagliore accecante; i suoi capelli neri, come quelli di Hades, assomigliano a delle fruste che seminano morte.

“Eh no, carino! A voi dei non vi insegnano la buona educazione? Non si interrompono due o più persone mentre stanno parlando, mi pare te l'abbia già detto Milo. Sei duro di comprendonio, eh, vecchio?!” esclama un inaspettato Death Mask, tirando un poderoso calcio a Crono, il quale va a sbattere contro una colonna..

“Tze, parli proprio tu di buone maniere, Deathy?” chiede sarcastico Aphrodite, annusando una delle sue solite rose poco prima di lanciarla contro la divinità.

Death Mask lo fulmina con lo sguardo. Ancora devo capire se quei due non si sopportano o se, molto più facilmente, è il loro modo per dimostrare la loro amicizia.

“Camus! Milo! Aiolia! Aiolos! Ragazze! A Crono ci pensiamo momentaneamente noi, il vostro compito per il momento è quello di proteggere le tre divinità!” ci ordina Saga in un tono che non ammette obiezioni.

Camus, Aiolos e Aiolia si scambiano uno sguardo di intesa che non mi piace per niente, ma poi annuiscono, placidi.

Rhadamantis fa per raggiungere gli altri due Generali degli Inferi, ma Milo lo blocca:

“Aspetta, prima voglio sapere perché... perché mi ha salvato la vita, Rhadamantis? Non c'è alcun obbligo fra noi!”

“Perché voglio essere io ad ucciderti con le mie mani, e inoltre... lottando contro Cardia e Regulus ho capito che voi Cavalieri di Atena siete simili a noi. Vi rispetto, in fondo, e non permetterò che un Essere così infimo come quello che state affrontando possa prendere il mio posto nello sterminarvi! Sarò io a farlo in una battaglia leale!” afferma Rhadamantis, leggermente cupo in volto.

Vedo Milo sorridere osservando ancora per un attimo il Generale degli Inferi:

“Ho capito... grazie comunque!” sussurra, infine, con quella strana luce negli occhi proiettata verso un passato misterioso.

 

*****

Facciamo come ordinatoci da Saga, ma abbiamo appena il tempo di accomodare le tre divinità contro una colonna che subito dopo avvertiamo un’immane pressione colpirci la schiena, seguita da un bagliore accecante e da un’esplosione:

“Sono stufo di voi, moscerini!” urla Crono infuriato, mentre vediamo i nostri amici finire malamente a terra dopo un breve volo.

“Ugh... maledetto Crono, è totalmente pazzo! Forse è anche per questo che è così forte, grr!” commenta Death Mask, pulendosi la bocca dalla quale è uscito un rivolo di sangue.

“E... e dire che Mu ha avuto anche la prontezza di erigere il ‘Muro di Cristallo’! Non so cosa ne sarebbe stato di noi, altrimenti...” balbetta Saga con fatica.

“Amici!!!” grida Milo, facendo per avvicinarsi a loro, ma qualcosa lo blocca, o meglio, qualcosa blocca tutti, sia i Cavalieri d’Oro feriti a terra che... noi stesse!

Guardo stupita il mio corpo incapace di muoversi. Degli anelli di ghiaccio mi tengono imprigionata, impedendomi qualsiasi tipo di reazione.

Conosco fin troppo bene questa tecnica... mi volto come posso verso colui che ci sta facendo tutto questo; apro la bocca per parlare, ma Milo è più lesto di me ad esprimere il pensiero comune:

“Che diavolo stai facendo, Camus?!?”

Con la coda dell’occhio noto che i fratelli di Sonia, gli unici a potersi muovere oltre a Camus, ci guardano con espressione seria.

“Mi dispiace... ragazzi!” sussurra quest'ultimo, e senza aggiungere altro si dirige, insieme ad Aiolia e Aiolos, verso Crono. Il loro incedere è lento, ma decisi sono i passi.

“Che storia è questa, Camus?!” esclama Death Mask a terra, anche lui incapace di compiere il più piccolo movimento tranne quello della bocca.

Gli altri Cavalieri d’Oro hanno la stessa espressione mista di incredulità e timore.

Loro non sanno, ma Michela ed io sì...dannazione!!!

“Camus, noooo!!!” urlo disperata, tentando di attirare l’attenzione, nel farlo provo a divincolarmi da quella morsa ghiacciata, ma troppo superiore è questo potere rispetto a me.

“Abbiamo promesso, non vi fidate di noi?!” mi fa eco Michela, agitata.

Camus si volta verso di noi, sospirando appena, i suoi occhi blu, così profondi, sembrano ora un vortice nero di una tristezza mal celata:

“In tutta franchezza no... So che avreste trovato un modo per impedirci di adempiere alla nostra missione... lo so, perché io, per proteggervi, avrei fatto uguale!”

“Che diavolo stai blaterando, Camus?! Non mi sembra questo il momento di dividere le forze in campo in questa maniera! –grida Milo, sempre più arrabbiato– Liberateci subito, somari che non siete altro, e combattiamo insieme come solo noi sappiamo fare!”

“Non possiamo! Hermes ci ha rivelato la seconda parte della profezia: occorre il sacrificio di tre semidei per sconfiggere Crono. Se vi lasciassimo liberi voi cerchereste di evitare tutto questo, a rischio anche della vostra stessa vita!” spiega Aiolia, tristemente.

“Non vogliamo che nessuno di voi muoia invano! Mi dispiace ragazzi... questo è solo compito nostro, poiché solo noi abbiamo i mezzi per sconfiggere il dio malvagio” conclude Aiolos, preparandosi a scoccare una freccia dorata. Nel frattempo Camus e Aiolia espandono il loro cosmo, preparando i loro colpi migliori.

Mi guardo intorno, pensando disperatamente ad un modo per impedire tutto ciò, ma l’ansia e la paura annebbiano la ragione, cosicché nessuna idea mi viene in testa.

“Siete divertenti, semidei, -interviene Crono, fingendosi ammirato– ma forse non ricordate cos'è successo a Camus quando il mio Hades illusorio ha schioccato le dita...”

“Maledetto! –ringhia Aiakos tra i denti– Non dovresti neanche nominarlo, verme parassitario che necessità di altri per essere qualcuno!!!”

Dopo aver sorriso sornionamente, vedo Crono battere le mani, una volta sola, ma sufficiente per far crollare a terra Camus, Aiolia e Aiolos in preda a violenti spasmi.

“Lia!!! Los!!! Cam!!!” urla Sonia, tentando di divincolarsi dagli anelli di ghiaccio senza alcun effetto, se non quello di annaspare. Siamo troppo deboli, maledizione!

Michela, Francesca ed io non riusciamo a far altro che assistere impotenti alla scena, così simile a quella accaduta prima di rapirci. Eppure ci deve essere un modo, ci DEVE essere...

“Anche se erano solo illusioni, il discorso non cambia. Il mio nero cosmo è penetrato nei vostri organismi tramite le ferite che avete subito nelle battaglie precedenti. Mi basta solo un piccolo movimento e di voi non resterà altro che una poltiglia di sangue!” afferma Crono, guardando con espressione trionfante i Cavalieri a terra. No non può finire così... non può!

Chiudo gli occhi, torturandomi mentalmente per non riuscire a trovare una qualsiasi soluzione utile, poi una idea...

“Siete divinità, no?! - dico rivolta ad Hermes, Efesto e Zeus – Non potete liberarci da questi anelli, malgrado le vostre ferite?! I-io vi imploro di...”

“Mi dispiace, piccola Marta, non possiamo!” sospira mio padre, guardandomi tristemente.

“Co-come non potete?” balbetta Sonia, interdetta.

“Abbiamo promesso che vi avremo tenute lontano da tutto questo... cercate di capire, neanche noi vogliamo perdere tutti i nostri figli!” ci spiega Hermes, serio in volto, ma dai suoi occhi traspaiono una miriade di emozioni ormai diventate parte di lui.

“MA IO NON VOGLIO...!!!” inizio, disperata, mentre le lacrime escono dai miei occhi, ma mi blocco subito, notando che Aiolia, Camus e Aiolos hanno espanso il cosmo e si stanno alzando in piedi, seppur con grande fatica.

Crono li guarda sgomento, sbarrando gli occhi:

“V-voi non potete... I-IO SONO UN DIO, sono più forte di ogni altra cosa!” grida il dio, inorridito davanti allo spettacolo che si manifesta davanti a lui.

“Sai Crono, hai ragione... come dicevo prima, noi umani siamo deboli ed imperfetti, questo è sicuro! In confronto a te siamo... siamo batteri... – dice Camus, con il respiro affannoso – Ma una cosa più di te l’abbiamo, ed è proprio grazie a questa che noi continuiamo e continueremo ad alzarci dinanzi a te per difendere le persone a noi care!” conclude, guardando per un attimo prima Milo e poi noi.

“Cosa stai blaterando, Cavaliere dell’Acquario? Sei forse moribondo?! Sì, devi esserlo di certo perché tu, più di tutti, sei quello messo peggio!” ribatte Crono, facendo però, un passo indietro.

“E’ l’amore, Crono!!! Un qualcosa che tu non potrai mai capire!” esclama Aiolos, puntando nuovamente la freccia contro il dio.

Il dio del tempo guarda esterrefatto i Cavalieri d’Oro, ma poco dopo scoppia a ridere, una risata maligna che riecheggia tutto intorno, facendosi, per la seconda volta, raggelare il sangue:

“E sia, ammetto che vi siete guadagnati il mio rispetto, ma ho comunque vinto io, Cavalieri!”

“Che cosa stai dicendo?” domanda Aiolia, stringendo i pugni carichi di elettricità.

“Forza! Scoccate quella freccia, così finirà tutto... anche la vita delle vostre amate semidee che state proteggendo con così tanta enfasi!” spiega Crono, ridendo ancora più forte.

“Cosa?!?” esclamano i Cavalieri all'unisono.

Le mie amiche ed io ci guardiamo spaventate, mentre Zeus abbassa lo sguardo, triste.

Lui sapeva? O il dio del tempo sta bluffando perché si trova all'angolo?!

“Pensavate che io non fossi a conoscenza della profezia?! Avevo scoperto tutto, persino chi fossero i semidei che mi avrebbero sconfitto, e ho agito per rendere vano tutto ciò che Ares e le altre divinità avevano architettato. Ho lasciato che voi, Camus, Aiolia e Aiolos, nasceste ‘normali’... mi sarei occupato più avanti di rendervi incapaci di fare qualsiasi cosa! Stesso discorso non posso dire di Marta, Michela e Sonia, in loro mi sono preoccupato di mettere una parte del mio nero cosmo fin dalla nascita. Se ferite il sottoscritto, loro non rimarranno di certo illese!” spiega Crono, ghignando.

Rabbrividisco più volte: ecco cos'era quella strana idiosincrasia che, talune volte, sentivo diffondersi dentro i miei visceri come un fiume nero pece. La parte oscura del mio cosmo, l'atomo opaco del male, il principio malvagio stesso, è insito dentro me e le mie amiche fin dalla nascita!

Ingoio a vuoto, trovandomi, per la prima volta realmente, davanti alla oscurità celata in me. Quella volta sulla spiaggia, io... ho ucciso senza pensarci minimamente per proteggere mio fratello, ma la furia di difendere ciò che è caro vale la vita di altri esseri viventi?! Con quale diritto... con quale diritto io posso arbitrariamente scegliere chi merita di vivere e chi no?!

Le mie azioni a queste domande, che mi pongo a posteriori, hanno parlato per me e confermano, di fatto, la malvagità che fa parte del mio essere. Sì, è giusto arrivare fino ad uccidere per proteggere le persone care, una vita per salvare un'altra vita... ma quindi che differenza vi è tra i due schieramenti?! Chi è il cattivo?! Chi il buono?! E'... tutto... così... SBAGLIATO!

“N-noi siamo i buoni, i Cavalieri sono nostri amici... ma anche loro hanno ucciso. Come possiamo pensare noi di essere assolutamente nel giusto?!” interviene Sonia, abbassando lo sguardo. Leggo smarrimento in lei, come in ognuno di noi, ma non è il momento di tentennare, non ora.

"S-Sonia, Michela! Non ora... non esitiamo ora, anche perché da quanto ha detto Crono è doppio il legame che abbiamo con lui: spirituale e..."

“Stai mentendo!!! -ringhia arrabbiato Aiolia, dopo attimi di silenzio- In ogni essere umano vi è una parte buona e una cattiva, il tuo potere non può essere talmente grosso da destabilizzare completamente l'integrità della persona, né dal punto di vista fisico né tanto meno da quello psicologico!"

“Vuoi dunque una prova, Cavaliere di Leo? Sarai accontentato!” afferma sadicamente Crono, mentre con un gesto della mano sinistra si taglia di netto la vena del polso destro.

Un grido straziante esce dalle nostre bocche, automaticamente cadiamo in ginocchio.

“Michela! Marta! Sonia! –urla Francesca, cercando di correre in nostro aiuto, ma gli anelli di ghiaccio le impediscono qualsiasi movimento– Bastardo!!!” inveisce poi contro Crono, scoppiando in lacrime.

“Naturalmente non vale il contrario... – continua Crono come se nulla fosse – Essendo io il sommo artefice non risento dei loro danni! Avete bisogno di altre prove, Cavalieri, per avere la sicurezza del legame che ho instaurato, dall'interno, con le vostre beniamine?!”

La confusione regna sovrana intorno a me, sento le urla dei Cavalieri d’Oro e le grida sgomente di Efesto ed Ermes mi rimbombano nella mia testa, mentre i sensi si indeboliscono sempre più a causa della forte emorragia.

“Allora, Cavalieri? Mi volete colpire oppure no? Carino il vostro piano di proteggerle, ma come spesso accade, la vostra mente limitata non ha analizzata completamente la situazione. Voglio essere magnanimo, comunque... vi concedo il privilegio di salutarle un'ultima volta, ma fate presto perché tra pochi minuti soltanto saranno completamente prosciugate, muahahahah!!!” sghignazza Crono, ormai trionfante.

Quindi questa è proprio la fine... vedo a malapena Aiolos abbassare l’arco impotente, mentre Camus e Aiolia cadono in ginocchio per la disperazione. Sento dei singhiozzi tutto intorno a me... Francesca? Gli altri Cavalieri d’Oro? Forse persino Hermes ed Efesto...

“Lo sapevo! L’amore di cui tanto parlate non è altro che un'altra restrizione per voi umani, un'altra testimonianza della vostra inferiorità! Il tempo è scaduto: addio, umani!” sento ancora udire da Crono, ma è sempre più lontano...

L’ultima cosa che vedo prima di crollare definitivamente a terra, è l’immensa sfera di energia che il dio sta preparando per darci il colpo di grazia...

 

*****

 

Mi sono sempre chiesta cosa si provi a morire...

Tutte le morti sono uguali? No, certo che no... ma può darsi che nel momento culminante tutti gli esseri umani sentano la stessa cosa.

Nel mio caso, quello che sto provando ora non è dissimile da l’addormentarsi, ma è diverso in qualche modo... Oh, oscurità, buio irrefrenabile di cui tutti gli uomini hanno il terrore, perché sei così gentile con me? Perché non mi atterrisci, come sarebbe giusto che sia, e anzi mi attrai irrimediabilmente verso di te?!

Sono passati 2 anni... 2 anni mi separano da quando sei scomparso misteriosamente in una giornata di forti piogge. Forse c'era pure un'alluvione, un fiume e una valle verde ma ricordi sfumano. Non so dove tu sia, eppure per altrettanto tempo ti ho cercato, senza mai arrendermi. Ora che mi sto avvicinando alla fine, ti potrò incontrare di nuovo? Potremo chiacchierare ancora sotto l'albero di tiglio? Avrei ancora la possibilità di toccarti?! Perché se così fosse, allora io...

 

Marta, non puoi arrenderti così, noi... dobbiamo rivederci!”

Una voce… una voce dall'accento francese mi riscuote dall’oblio che si stava impossessando di me...

Chi... chi sei?”

Non ha importanza, la cosa che conta è che io abbia capito chi sia tu...”

Il suono mi giunge da lontano, ovattato, come se chi mi stesse parlando si trovasse dappertutto e in nessun posto allo stesso tempo.

Come faccio a non arrendermi? Mi sento debole e tra poco l’emorragia mi toglierà ogni più piccola forza vitale!”

Tu sei forte, lo sei sempre stata... io, ormai, sono morto, ma non permetterò che anche tu faccia di nuovo la stessa fine, stavolta ti proteggerò!”

Un sorriso appare sul mio volto. Non conosco la voce dell’uomo, ma per qualche ragione mi sento rassicurata.

Va bene, non mi arrenderò ma tu... come fai a conoscermi?” chiedo, muovendo la testa in varie direzioni per capire almeno la provenienza della sua voce, ma è inutile e i miei occhi si ostinano a rimanere serrati.

Una parte di me vorrebbe restare tra le braccia della Nera Signora, unica probabilmente in grado di condurmi oltre il confine mai esplorato, ma non posso, non ancora... c'è ancora una cosa da fare!

Gli uomini sognano anche un attimo prima di morire, e così io ho trovato la verità; la verità che era sempre stata davanti ai miei occhi, ma che non sono stato in grado di accettare... io che sono chiamato ‘l’uomo più intelligente del Grande Tempio’... che terribile sbaglio! –sospira tristemente– Ad ogni modo, Marta, io sono sempre stato accanto a te, anche se sotto un'altra forma... ci incontreremo presto, compagna del mio tempo” riesco ancora ad udire, prima di essere riscattata dalle tenebre.

 

******

 

 

In meno di un secondo apro di scatto gli occhi e, con un movimento rapidissimo, complice la velocità della luce, mi butto a capofitto contro Crono.

La sfera di energia che il dio stava per lanciarci contro, cambia drasticamente obiettivo, finendo vicino allo scheletro del bosco poco lontano dal campo di battaglia. L’onda d’urto, però, crea un attimo di disorientamento sia al dio che a noi mortali.

Le mie braccia, automaticamente, circondano il corpo del dio, ma avverto qualcosa di strano...

Metto a fatica a fuoco ciò che è presente intorno a me e, con stupore, noto che Sonia e Michela sono al mio fianco e hanno compiuto la mia stessa azione.

“A-amiche, -provo a mettermi in contatto telepaticamente con loro, anche se ciò richiede un notevole dispendio di energia– anche voi avete provato la mia stessa sensazione?”

“Ho sentito una voce maschile che mi faceva forza, non ho riconosciuto quel timbro, eppure era così familiare...” mi dice mentalmente Sonia, ormai al limite.

“Sì, anch'io, -continua Michela a stento– mi ha anche detto che non era questo il momento di arrendersi!”

Sorrido tra me e me, non sono l’unica ad aver sentito una voce calda e rassicurante. Non siamo sole, dopotutto, forse non lo siamo mai state!

“Come diavolo siete riuscite a... maledette! Dovreste essere morte!” tuona all'improvviso la voce furibonda di Crono.

Non abbiamo il tempo di dire niente, solo di urlare per l’immenso dolore che stiamo provando: Crono, infatti, ha espanso il suo cosmo bruciante e distruttivo.

“Sonia!!! Michela!!! Marta!!!” gridano confusamente Aiolia, Aiolos e Camus, mentre agli altri Cavalieri d’Oro e a Francesca, scappano urli di orrore.

“Forza! Colpite Crono al petto con la freccia di Sagitter! E’ l’unica soluzione per annientarlo completamente” li incito, parlando con estrema fatica.

“No, Marta, no! Non lo permetterò!” mi grida di rimando Camus, mentre le lacrime cominciano a sgorgare dai suoi occhi.

“Camus! Noi moriremo comunque, il destino ha voluto così, ma voi... almeno voi dovete continuare a vivere. Fatelo anche per noi!” biascica Sonia con gli occhi lucidi. Nonostante il terrore ben visibile, il suo sguardo cerca di imprimere nella memoria quegli ultimi istanti di vita... i suoi fratelli... il suo Maestro Milo...

“Sonia...” mormora Aiolos, chiudendo gli occhi ricolmi di lacrime, mentre alza nuovamente l’arco e lo punta lentamente contro il petto del dio. Nel frattempo Camus e Aiolia espandono il loro cosmo dorato: il primo congiunge le mani davanti al petto e poi le solleva, formando con esse un vaso, il secondo alza il pugno carico di elettricità, tutti i muscoli tesi per il grande sforzo e l'estrema sofferenza.

“Cosa volete fare?! Non potete colpirmi! Moriranno anche le semidee!!!” urla Crono, spaventato da quella reazione.

“TACI! Taci almeno, Crono! Tu hai tacciato gli uomini di stupidità, perché provano amore e rischiano la vita per le persone care... Bene, tu, dio incapace di comprendere, morirai proprio per questo stesso sentimento! PER IL SACRO AQUARIUS, AURORA EXECUTION!” esclama Camus, portando le braccia, dalle quali esce un devastante raggio ghiacciato, davanti a sé.

Nello stesso momento Aiolos scocca la freccia e Aiolia usa il ‘Lightning Bolt’.

L’energia dei tre colpi si unisce in un incredibile fascio di aria congelante ed elettricità, dirigendosi a gran velocità contro di noi.

Chiudo gli occhi, preparandomi a ricevere dentro di me l’immenso dolore che, entro pochi attimi, squarcerà la mia stessa anima.

“Marta! Michela! –sento la voce disperata di Camus rimbombarmi nella mente– Perdonatemi se non sono stato in grado di proteggervi come avrei voluto, perdonatemi, vi prego!”

No, fratellino, non piangere, ti supplico, così rendi tutto così tremendamente difficile, ed io voglio ricordarti in tutt'altra maniera!

All'improvviso un dolore lancinante mi attraversa il petto da parte a parte, i polmoni stridono, il cuore implode. E'questione di un attimo, uno solo, ma il più doloroso dell'intera mia vita, le mie gambe cedono e cado a terra. Nel mentre l’urlo moribondo di Crono riecheggia tutto intorno a noi, annaspa per le colonne distrutte, si consuma, raschia il pavimento, prima di cessare con un debole fischio. Poi il silenzio...

 

 

Quindi è questa l’origine della tua forza!” afferma un’altra voce. Assai più trillante e vivace.

Sorrido tra me e me. Non so chi sia, o forse sì, dopotutto non sono più io...

Perché, non è forse così anche per te?” domando, retorica.

Eh no, cara Marta, ti sei dimenticata che io vivo solo seguendo il mio istinto?!” mi risponde, sarcastico.

Non è così, Cardia, lo so bene... dietro la tua sbruffonaggine si cela in realtà un grande cuore!”

 

“Martaaaa!!!” l’urlo angosciante di Camus, fa arrivare una piccola scintilla di vita alle mie membra, l'ultima. Apro gli occhi, che non possono però più vedere.

So di essere tra le braccia di mio fratello, e so di non avere speranze di vita, lo capisco dai miei sensi sempre più fievoli e dal freddo che si sta impossessando di me, anestetizzando per lo meno il dolore intenso. Anche Camus ne è consapevole... ma non lo accetterà mai!

“No, ti prego, no!” mi implora infatti lui poco dopo, premendomi una mano sul petto ferito nel tentativo di arrestare l'emorragia. Tutto inutile, il sangue è veloce a defluire, il ghiaccio non può più nulla.

"Piccola, ci sono io qui con... t-t-t... resis... Non svenire, non DEVI svenire!"

"Ca-mus..."

"Non parlare! Ti prego, non parlare, devi vivere, devi... fssssh, c-con me... fal-lo per..."

Lo odo ad intermittenza, l'udito sta svanendo completamente, ormai non sento quasi più nulla, ma il sapore del sangue in bocca mi è rimasto, trasmettendomi un'ultima sensazione di nausea quasi staccata dal mio essere. Piego leggermente la testa di lato, laddove penso si trovi mio fratello. Lo sento ancora, anche se così fievole, i battiti del suo cuore, è... è una nenia bellissima, la più bella della mia intera esistenza.

Mi fa compagnia ancora per un po', prima di cessare del tutto. Mi viene da piangere, forse lo faccio anche, perché avverto qualcosa di salino agli angoli della mia bocca.

Il gusto, ultimo senso rimastomi, si sta a sua volta prosciugando del tutto, so che fra pochi secondi sarà troppo tardi e che quello che ho sempre voluto dire rimarrà per intrappolato nelle mie corde vocali, poiché l'aria, oramai superflua, non mi servirà più.

Non sento più, non vedo più, non percepisco più nulla. Ho paura. Tanta. Vorrei sentire ancora il suo abbraccio, il calore della sua pelle, la morbidezza, la sua voce cristallina.

E' così difficile separarmene, non voglio, ma... ma...

C'è ancora una cosa... che voglio dirgli!

“Camus... -non sento la mia voce, ciò mi spaventa ancora di più, ma cerco di farmi coraggio in questo momento così difficile - Camus, fratellino mio, non ha più importanza, davvero. Sono felice... felice e grata, anf, and di averti... conosciuto. T-ti voglio bene, s-serba queste ultime parole nel tuo cuore, che deve continuare a battere anche per me, ti supplico, urgh, Cam...” il leggero fremito nel mio petto, unico baluardo tiepido contro il gelo che si sta avvinghiando sempre di più, cessa di emanare calore e lentamente si spegne. E' l'ultima cosa che avverto distintamente. Il resto è nient'altro che buio...

 

 

Angolo autrice

Ringrazio tutti coloro che hanno seguito e recensito la mia storia, grazie davvero :) Non se questo ultimo capitolo è una schifezza, ma so con certezza che vorrete uccidermi per aver fatto finire la prima storia così... Comunque grazie per avermi seguito anche se, in fondo, sono una scrittrice principiante...

Un grazie speciale ad Allegretto che mi ha aiutato specialmente nella prima parte e, ovviamente, un grazie anche a Sonomi e DarkAngel90!!!

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