Avalon High. Another point of view.

di soul_in the night
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'inizio. ***
Capitolo 2: *** Cinque anni dopo. ***
Capitolo 3: *** Un nuovo arrivo, un nuovo potenziale problema. ***
Capitolo 4: *** Che mi succede? ***
Capitolo 5: *** "Cerca di non rovinare tutto" ***



Capitolo 1
*** L'inizio. ***


Avalon High.

Another point of view.

L’inizio.



                                                                      

Una stanza di ospedale, bianca, fredda, incredibilmente irreale. In posti come quelli sembra che il mondo esterno non esista. Le luci al neon nascondono agli occhi ciò che non si vuole vedere. I suoni ovattati degli strumenti medici sembrano quasi coprire le voci ancora più tenui di medici e infermieri. Parole sussurrate da persone che ormai di sentenze ne hanno date tante. È impossibile per chi si trova all’interno di una stanza udire la voce di qualcuno che, lontano dalla parete, nascosto dietro una porta chiusa, non vuole farsi sentire.

Era ancora più difficile se il chirurgo, parlando con la donna, aveva tutte le intenzioni di non permettere che il figlio adolescente di lei carpisse una sola parola.
Questo, pensava Marco, era del tutto inutile. Era perfettamente a conoscenza di ciò che stava ascoltando sua madre in quel momento. “Mi dispiace, signora. Abbiamo fatto il possibile ma temo che i nostri sforzi non abbiano sortito alcunché. A suo marito non rimane molto da vivere.”  L’aveva sempre saputo lui, fin da quando suo padre era stato portato in ospedale l’ultima volta. Tossiva talmente tanto che avevano dovuto far arrivare l’ambulanza d’urgenza. Ora in quel lettino, attaccato alla flebo e a mille altri macchinari, sembrava incredibilmente debole. Respirava appena; il fumo gli aveva rovinato completamente entrambi i polmoni e Marco sapeva che non c’erano possibilità che si rimettesse. Era un brav’uomo suo padre e lui gli era affezionato. Aveva insegnato a Marco molte più cose di cui non avesse fatto la scuola. Era intelligente e simpatico; era sempre stato capace di trattare con suo figlio, anche più della madre. Il suo unico, grande difetto era il vizio del fumo che ora lo costringeva a letto in fin di vita. Marco non riusciva a capacitarsi del fatto che di lì a poco non l’avrebbe più visto, ma sapeva che, nonostante tutto, sarebbe stato forte. Per sua madre, ma soprattutto per onorare il più grande insegnamento del padre: non ha senso piangersi addosso, nella vita bisogna sempre andare avanti, compiere il proprio destino senza guardarsi alle spalle.

<< Marco… avvicinati >>.
<< Come ti senti? Non dovresti sforzarti >>. Cercava di farlo stare attento, ma sapeva che non lo avrebbe ascoltato.
<< Non ha senso ormai… sappiamo entrambi che questa storia non andrà a finire bene >> Non gli lasciò tempo di ribattere, riprese subito a parlare.
<< Marco, tu sai che in tutti questi anni, io ho fatto parte dell’ordine dell’orso. Nella mia vita ho fatto il possibile per scoprire l’identità della persona in cui si reincarnerà re Artù. Ora però non potrò più farlo. Vorrei che fossi tu a continuare ciò che io ho reso la mia missione. Naturalmente puoi rifiutare, non mi sogno nemmeno di obbligarti a fare qualcosa contro la tua volontà. >>
Sì, sapeva tutto di quella storia. C’era stato un tempo in cui la riteneva buona solo per i sognatori, ma poi l’affetto per il padre e l’interesse che quelle leggende suscitavano in lui l’avevano portato, giorno dopo giorno, a riporre la sua fiducia in quel vecchio libro impolverato. Secondo gli appartenenti all’ordine dell’orso, Re Artù è destinato di reincarnarsi, insieme ai suoi cavalieri, per portare il mondo fuori dai periodi più bui. Assieme ad Artù, anche Mordred, il suo fratellastro e nemico giurato, sarebbe tornato, con lo scopo di distruggere Artù. Per sempre. Non erano molte le persone a conoscenza di questa leggenda e ancor meno erano coloro che ci credevano, ma quei pochi avevano dedicato la loro vita a proteggere Artù. Era una richiesta importante quella che gli stava facendo, avrebbe dovuto pensarci, ma in quel momento ogni fibra del suo corpo gli suggeriva di promettere al padre che avrebbe fatto qualsiasi cosa per continuare la sua missione.

Stava per rispondergli, ma venne bruscamente interrotto dall’arrivo del medico e di sua madre.
<< Marco, forse è meglio se esci. Il dottore deve parlare con tuo padre >>. Non attese altro, lo sospinse verso la porta. L’aveva sempre trattato come un bambino. Come se non sapesse che il padre stava per morire. Non erano forse prove sufficienti i colpi di tosse sempre più forti e frequenti, il respiro sempre più debole e irregolare e i battiti segnati sul monitor che man mano rallentavano, diradandosi? In ogni caso, ubbidì, andandosi a sedere su una sedia appena fuori dalla porta. Da lì riusciva a vedere fuori dalla finestra. Una tristezza profonda lo assalì e lo costrinse a chiedersi se fosse giusto che il mondo continuasse quando la gente moriva, ad ogni ora, in ogni luogo. Sentiva la forza di suo padre che man mano sfumava e decise che avrebbe fatto di tutto per mantenerne vivo il ricordo, in qualsiasi modo. In quel momento sentì un silenzio profondo farsi largo, non solo dentro di lui. Sua madre uscì dalla stanza, il capo chino, gli occhi rossi e gonfi. Aveva pianto, ma aveva cancellato ogni traccia di lacrime per non mostrarsi debole davanti al figlio. Marco sentì che il bene che provava per la donna si risvegliava. Entrambi i suoi genitori erano sempre stati molto forti e lui era orgoglioso di aver preso da loro. << Potrebbe sembrare strano, >> disse, cercando a fatica di trattenere i singhiozzi << ma l’ultima cosa che ha detto è stata di proteggere Re Artù. Sai per caso di cosa stesse parlando? >> Lei non aveva mai saputo niente dell’ordine, era più che giusto che fosse confusa. Marco però non se la sentì di spiegarle in quel momento, forse in futuro… Si limitò ad accennare un sorriso, molto difficile in un momento come quello. << Voleva che ti dessi questo. Era il suo medaglione, non se lo toglieva mai. Ha detto che è giusto che lo abbia tu >>. La donna gli mise al collo la collana del padre. Una semplice catenina d’argento, di quelle che si danno ai bambini al momento del battesimo. La particolarità stava tutta nel ciondolo. The Order of the Bear. Questa era la scritta che sormontava il disegno di un orso argentato. Segnava l’appartenenza all’ordine dell’orso e il solo fatto che suo padre glielo avesse voluto dare significava che aveva fiducia in lui. A quel punto non gli rimase altro che fare quel passo.

Te lo prometto padre. Troverò Re Artù e lo proteggerò. 

                                                                      

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Capitolo 2
*** Cinque anni dopo. ***


Cinque anni dopo.

 
La Avalon High School.
Un covo di studenti abitato dalle specie più rare: cheerleader, atleti, giocatori di football, secchioni e bulli. Passavano le loro giornate facendo finta di ascoltare gli insegnanti, ruminando gomme da masticare e pensando alle feste e alle avventure a cui avrebbero partecipato una volta usciti da quella sorta di prigione con i banchi.
Poi c’erano loro naturalmente, i professori. La loro vita consisteva nel ripetere giorno dopo giorno lezioni sempre uguali a persone sempre più annoiate, senza capire che l’ultimo interesse dei ragazzi era proprio quello di stare a sentire insegnanti che non sembravano neanche troppo convinti di quello che dicevano.
La vita vera, quella sociale, non si svolgeva certamente in classe, ma nei corridoi, luoghi speciali dove si poteva sperare di incontrare coppie intente a sbaciucchiarsi dietro l’angolo, professori che ridevano tra di loro mostrando un incredibile briciolo di umanità, atleti che scimmiottavano dietro alle ragazze, secchioni chiusi negli armadietti da bulli che ghignavano soddisfatti.
Una scuola come tante altre, se non si pensava ad un minuscolo particolare. Dettaglio che agli occhi di molti passava completamente inosservato. Di molti, ma non di un membro dell’Ordine dell’Orso, che non avrebbe mai potuto fare a meno di notare la sua stravagante, eppure perfetta somiglianza con il castello di Camelot.
Era proprio questo il motivo per cui Marco aveva convinto la madre a farsi iscrivere a quel liceo. Liceo che casualmente era frequentato anche da Will Wagner, figlio del nuovo marito di sua madre e di conseguenza suo fratellastro.
Marco si ricordava perfettamente della prima volta che lo aveva visto, al matrimonio celebrato solo due anni prima. Qualcosa in lui aveva fatto scattare la sua guardia e aguzzare la sua attenzione. Will era circondato da un’aura di coraggio e lealtà, oltre che da una certa regalità e ciò lo rendeva fin troppo simile a Re Artù. No, si disse Marco, sarebbe troppo facile se proprio il mio nuovo fratello fosse la persona che cerco da anni. Eppure qualcosa, quello stesso giorno, lo costrinse a rimangiarsi la frase insieme alla convinzione che trovare il Re Leggendario non sarebbe stato affatto facile. Gli bastò stringergli la mano per venir catapultato in un mondo antico, di 1500 anni indietro nel tempo.
 
Due cavalieri armati di tutto punto si trovavano nella foresta. Accanto a loro i cavalli riprendevano fiato dopo quello che doveva essere stato un lungo galoppo. Le armature scintillavano al pallido sole mattutino, mentre i due ragazzi, entrambi ammantati di rosso, si stringevano in una stretta affettuosa: la stretta di due vecchi amici che si rivedono dopo tanto tempo.
 
Marco non aveva avuto bisogno di osservare il cavaliere di spalle per capire che era lui. L’altro invece non poteva che essere Will Wagner.
Quello stesso giorno Marco ebbe anche modo di incontrare l’insegnante di Will, che sarebbe poi divenuto anche il suo. Mr. Moore era un uomo sulla quarantina, con capelli marroni corti e tenuti ordinatamente pettinati e un paio di occhiali che contribuivano a dargli un’aria più seria di quanto non fosse in realtà. Per camminare si appoggiava a un bastone e zoppicava vistosamente. Un po’ troppo vistosamente, pensò lui.
Per tutto il tempo in cui lo ebbe vicino, continuò a parlare sempre e solo della sua passione per il ciclo bretone, o arturiano se preferite. Una cosa però fece insospettire il ragazzo: Moore accennava spesso all’Ordine dell’Orso, come se credesse davvero alle leggende. E allora perché non porta il medaglione? Disse tra sé e sé, ringraziando la madre per averlo convinto quanto meno a nascondere il suo. Moore era sospetto, secondo Marco, troppo sospetto. Fu per questo che il ragazzo fu ben contento di stringergli la mano, sperando in un’altra visione rivelatoria. Stavolta però non avvenne. Ci fu solo un lampo e un’immagine gli si stampò lentamente nella testa.
Moore, vestito da cavaliere medievale, che puntava la sua spada alla gola di Artù, minacciando di distruggerlo. Mordred.
 

***

 
Era passato tanto tempo da quel giorno e Marco aveva fatto il possibile per rendersi odioso agli occhi di Will. Non sapeva cosa avrebbe potuto fare Mordred per eliminare per sempre Artù e quindi la sua unica speranza era che Moore si fidasse di lui, confidando che, in un modo o in un altro, si tradisse commettendo un passo falso. Per farlo doveva fingere di odiare il suo fratellastro e, più o meno, il resto del mondo. Facendo così, lo sapeva, avrebbe potuto cercare di scoprire i piani della reincarnazione del nemico. Non gli piaceva comportarsi così, ma non poteva fare altrimenti: avrebbe fatto di tutto per rispettare il giuramento fatto a suo padre cinque anni prima.
Nel frattempo aveva fatto dei passi avanti. Aveva osservato a lungo Will e il suo migliore amico, un certo Lance. Giocava anche lui a football e sembrava essere per Wagner ciò che Lancillotto era per Artù. Marco non negava però che ciò gli dava una preoccupazione non minima, dato che Lancillotto era stato, per buona parte, colpevole della fine del suo Re. Come a confermare i suoi timori, c’era anche una ragazza, Jennifer, la migliore amica di Lance e Will, con il quale aveva una relazione da tre anni. Ginevra, pensò Marco la prima volta che la vide. Il ragazzo sospettava che, nonostante le parole, Jen e Lance avessero qualcosa da nascondere.
C’era anche un altro studente della Avalon che teneva sott’occhio. I suoi sospetti erano che fosse la reincarnazione di Merlino. Miles, si chiamava così, era il tipico secchione, quello che leccava i piedi degli insegnanti solo per avere una bella A a fine quadrimestre. Non parlava mai con nessuno, era sempre accompagnato solo dai suoi amati libri. Il bersaglio preferito dei bulli insomma. Ma c’era dell’altro. Marco aveva notato che Miles aveva spesso come delle visioni. Si piegava su se stesso, preso da un mal di testa lancinante e un attimo dopo sapeva cose che di lì a poco sarebbero accadute. La leggenda raccontava che Merlino, nonostante fosse un grande mago, dovesse la sua potenza anche alle visioni che lo avvertivano della mossa successiva del nemico ancora prima che egli la compisse.
Mordred non si era ancora rivelato e Marco iniziava a credere che avrebbe smesso i panni di Moore solo quando anche Artù si sarebbe palesato. Non gli rimaneva che non perderlo mai di vista.
<< Ehi amico! >>
Non gli rispose, non ne aveva voglia. Sperava che capisse da solo, ma evidentemente Dj non era abbastanza sveglio per capire qualcosa senza che gli venisse fatto un disegnino o una rappresentazione teatrale.
<< Oh, terra chiama Marco. Non vieni con noi a sistemare qualche secchione?! Stavo pensando a Miles. >>
Miles, eh? Forse avrebbe potuto essere una buona occasione per avvicinarsi a Will. Lui in fondo accorreva sempre in aiuto dei più deboli. Proprio come dovrebbe fare un buon re.
<< Non ci pensare nemmeno, Dj. Ho un conto in sospeso con Miles, mi devo occupare da solo di lui. >>
No, non gli piaceva per niente farlo, ma, dovette ammettere, era piuttosto bravo.
 
 

 
 
 
 

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Capitolo 3
*** Un nuovo arrivo, un nuovo potenziale problema. ***


Un nuovo arrivo,
un nuovo potenziale problema.

 
-Andiamo Marco, non puoi limitarti a rubarmi i soldi per il pranzo come ogni bullo?! Il mio armadietto mi serve, che ha che non va il tuo?-
Miles, caro Miles. Credi davvero di poter fare conversazione con uno che ti vuole davvero rubare l’armadietto?Naturalmente non era nelle intenzioni di Marco farlo, ma non poteva negare che gli sarebbe stato utile. Il suo armadietto era uno dei più lontani dalle classi: si trovava in uno dei corridoi nuovi della scuola, quelli in cui lo stile di Camelot si perdeva per lasciare spazio ad un’architettura moderna e anonima, senza personalità. L’architettura di una scuola come tante che non si perde nella leggenda. In ogni caso aveva un buon motivo per desiderare quello di Merlino, che si trovava alla distanza di solo un angolo da quello di Will. Sì, Will. Tutto quello che aveva fatto negli ultimi anni aveva avuto il solo scopo di proteggerlo. A costo di farsi odiare. A qualunque costo.
Non ci aveva pensato due volte quando Dj gli aveva chiesto di unirsi al suo gruppo, anzi, ne era diventato il capo. Anche se non ne condivideva il modo di agire, non poteva tradirsi cercando di quietarli. Si era comunque ripromesso che, quando avrebbe potuto smettere quella farsa, avrebbe lasciato perdere tutto quanto. Purtroppo però, quel momento non era ancora arrivato.
Tanto valeva allora continuare bene la recita.
-Beh, visto che me lo chiedi Miles… Per cominciare è troppo lontano dalla classe.-
Gli diede quasi fastidio vedere la smorfia divertita sulla faccia dell’altro. Ma in fondo se lo meritava e Miles non poteva certo sapere cosa si nascondeva sotto alla facciata. Non ancora perlomeno.
-Ma se non ci vai mai in classe!-
Vero, ma non posso farci niente se devo seguire Mr. Moore per la maggior parte del tempo. Proprio tu che dovresti essere un genio non hai mai pensato che le sue sono le uniche lezioni che frequento tutti i giorni?
Si stava stancando di quella sceneggiata e Will non si era ancora fatto vedere. Stava prendendo seriamente in considerazione l’idea di andarsene e lasciare la questione in sospeso, quando lo vide. Era lì, appoggiato al suo solito bastone, un’espressione soddisfatta sulle labbra. Quel sorriso vittorioso fece accendere in Marco una fiammella d’odio profondo insieme alla consapevolezza di non potersene andare senza aver fatto qualcosa di concreto. Senza troppa convinzione batté Miles contrò l’anta di metallo.
-Dammi la combinazione lattante!-
-1-2-3-4-5 – Divertente. Sarcastico. Il tipico ragazzo che nasconde le debolezze dietro all’ironia. Di sicuro non il modo migliore per farsi trovare simpatico. Però bisognava riconoscere che Miles non abbassava la testa davanti a nessuno.
Marco si guardò attorno. Moore se n’era andato ma adesso Dj e il suo gruppetto erano appostati proprio dietro l’angolo e si godevano la scena sbellicandosi dalle risate.
-Dammela o ti chiudo nell’armadietto-
-Oh, che originale! Il secchione nell’armadietto! Non siamo in un film degli anni ’80-
Di nuovo sarcasmo. Di nuovo l’impulso di andarsene e lasciarlo in pace. Ancora una volta però, c’era un ostacolo a bloccare la sua ritirata. Ma stavolta non aveva intenzione di andare fino in fondo. Stava pensando a fare una finta, ma proprio in quel momento scorse un movimento al limite del suo campo visivo. Eccolo, lì. Will Wagner. Diede un altro spintone a Miles, facendo attenzione a non fargli male. La sua esca ebbe l’effetto sperato.
-Lascialo stare Marco.- Era arrivato al suo fianco e lo guardava con aria di sfida. Non gli avrebbe mai permesso di disturbare qualcuno a quel modo e Marco aveva confidato in quello.
-Oh, guardate un po’ Will Wagner, il paladino dei deboli.- Proprio come un vero re dovrebbe essere. Sì, è davvero la reincarnazione di Artù. –Cosa c’è Will? Mi vuoi picchiare?
-Non rischio una punizione per te. Non ne vale la pena.-
Era esattamente la risposta che Marco si aspettava. Ormai conosceva Will, sapeva le cose che non avrebbe mai fatto. E colpire qualcuno era una di quelle, anche se si trattava di lui, che gli rendeva la vita impossibile da quando i loro genitori si erano sposati. Marco sapeva che lo odiava, ma almeno per ora non poteva fare niente per fargli cambiare idea.
-Quando vuoi…
Si limitò a dire quelle due parole prima di girare i tacchi e andarsene. Poi però cambiò idea e si rivolse a Miles. Tanto per non lasciare niente al caso…
-Lui non può proteggerti 24 ore al giorno- Disse con voce minacciosa. Aveva usato un tono basso, quindi non poteva essere sicuro di essersi fatto sentire anche da Will, ma, per una volta,  non era un problema. Voleva solo testare la tempra di Merlino e vedere come sapeva rispondere alle provocazioni.
-Caspita, sai che ci sono 24 ore in un giorno! Ti stai evolvendo!-
Quella frase lo fece ridere tra sé e sé. Merlino non doveva aver mai avuto bisogno della spada per ferire i nemici, e nemmeno della magia. Le sue parole dovevano essere taglienti in modo più che sufficiente.
Velocemente tornò sui suoi passi, svoltò l’angolo ignorando le esclamazioni di Dj e si fermò ad aspettare davanti alla classe di Moore.
 

***

 
Gomiti appoggiati al davanzale, viso rivolto verso la finestra. Era talmente assorto nei suoi pensieri che avrebbe anche potuto non sentire il suono della campanella.
La voce di Will invece gli arrivò alle orecchie forte e chiara. Stava parlando con una ragazza vicino al suo armadietto, poco distante da lui. Marco non l’aveva mai vista prima: era bionda e non troppo alta. Carina, sicuramente il tipo di Will se non fosse già stato occupato. Sembrava simpatica ma a Marco non interessava poi tanto. Non sembrava portasse problemi (n.d.a. quanto si sbagliava!), così non le prestò troppa attenzione.
Era un ragazzo strano. Nonostante avesse avuto qualche relazione negli ultimi anni, non era il tipo che passava le sue giornate facendo la classifica delle ragazze più carine. Almeno per il momento le sue priorità erano ben altre.
Forse quando questa storiafinirà potrò concentrarmi su altro. Adesso ci sono cose più importanti da fare. Mentre la sua mente scandiva quel pensiero, la sua mano andò a giocherellare con la collana dell’Ordine. Odiava tenerla nascosta, ma avrebbe rischiato di perdere tutta la fiducia che Moore aveva riposto in lui e non era proprio il caso di buttare all’aria il lavoro di due anni.

Il suono della campanella interruppe i suoi pensieri. L’ora di Storia Europea. L’ora di Mordred. Vide Will, Jen e Lance dirigersi verso la classe. La nuova li seguiva a poca distanza. Marco aspettò che entrasse in classe e poi la imitò. Moore stava distribuendo i libri e nel frattempo si prodigava in elogi di Will. Il ragazzo evitò di ascoltare tutte quelle bugie pronunciate dalla voce del suo nemico, che, lo sapeva benissimo, stava facendo il possibile per farsi adorare dai suoi studenti. Illuso. Sentì solo le ultime parole che pronunciò, perché in un certo senso le rivolse a lui:-… e gentile!- Ma bravo Mordred. Fai di tutto per sottolineare quanto sono diverso dal mio fratellastro mentre in realtà ti piace tanto vedermi insultarlo. Gli sembrò appropriato rispondere a tono all’insegnante:-Sto per vomitare!-
In quell’istante avvertì, tra i tanti occhi che aveva addosso, uno sguardo fisso su di lui. Si girò per vedere la ragazza nuova che distoglieva la sua attenzione.
-Che hai da guardare?-
Andò al suo banco in fondo alla classe e si sedette, osservando il suo libro di testo.
Re Artù. Bene, bene. Vediamo cosa ha Mordred da insegnarci.
Voleva aprire il libro per vedere di cosa avrebbero parlato, ma fu distratto da una risata proveniente dal lato opposto dell’aula.
-C’è qualche problema, signorina…?
-Pennigton, Allie Pennington.-
Pennington? Io li conosco: sono membri dell’Ordine. La loro è una delle poche famiglie a possedere il libro. In quel momento capì di essersi sbagliato: Allie avrebbe potuto rappresentare un problema per lui. Non voleva nemmeno immaginare ciò che sarebbe potuto succedere se Moore le avesse chiesto di portargli il libro o anche solo di conoscere i suoi genitori.
-Ah, questo spiega tutto.-
-Date il benvenuto alla nuova studentessa dell’Avalon High, Allie Pennington.- In risposta ci fu solo qualche saluto appena accennato. –Questo è il massimo che puoi aspettarti.-
-Già…-
-I suoi genitori sono professori di letteratura medievale all’università e hanno scritto il libro di testo che useremo questo semestre, nel quale studieremo Re Artù e la sua corte.-
-Bel voto sicuro - fece Lance dal suo banco dietro Wil, mascherando la battuta dietro ad un colpo di tosse.
-Pessimo commento- rispose a tono l’insegnante. La classe rise. Marco lo guardò con sguardo pieno d’ira. Tutto ciò che è successo negli ultimi anni è stato colpa sua e loro ridono alle sue battute. Non immagino nemmeno.
Si accorse poi che c’erano altre due persone che non prestavano attenzione a Moore. Allie si era seduta accanto a Miles e stava cercando di intavolare una conversazione civile. Lui a quanto pare non era della stessa idea perché sembrò abbastanza freddo nel risponderle. Marco sarebbe stato contento se i due fossero diventati amici, perché in quel modo non avrebbe più avuto motivo per avvicinarsi a Miles. Basta che Allie non entri in questa storia. È già abbastanza rischioso che Mordred sappia chi sono i suoi.
Moore nel frattempo aveva dato inizio alla lezione. Stava facendo il giro tra i banchi con in mano un elmo medievale. Ogni coppia doveva estrarre l’argomento su cui fare una ricerca. Marco non si curò troppo di ascoltare ciò che era capitato agli altri, ma la voce dell’insegnante lo costrinse a cambiare idea.
-L’Ordine dell’Orso.-
Era vicino a Allie e Miles e aveva appena consigliato loro di chiedere aiuto ai signori Pennington. Questo era un problema che non aveva preso in considerazione. Se Mordred fosse riuscito, tramite loro, a scoprire il giorno preciso della reincarnazione, sarebbe stato davvero difficile tentare di fermarlo. Naturalmente erano pochissimi a conoscere la data precisa del ritorno di Artù e quei pochi erano ben gelosi delle loro informazioni. Anche lui, pur avendo cercato per cinque anni e essendo venuto a conoscenza di tutte le scoperte del padre, non conosceva quell’unico ma fondamentale dettaglio.
Quasi non sentì Dj che gli diceva che avrebbero dovuto copiare la ricerca sulle armature di Camelot da qualche secchione. La sua mente era troppo occupata a elaborare soluzioni che però sembravano sempre più difficili.
Davvero Allie mi ha portato una nuova ventata di guai.

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Capitolo 4
*** Che mi succede? ***


Cosa mi succede?

 
 
-Ma dico, sei impazzito? Vuoi davvero fare quella ricerca? Non sarebbe più comodo farcela fare da qualche secchione?- Dj sembrava fuori di testa. Non aveva mai fatto un compito in vita sua e l’idea di cominciare non gli piaceva affatto.
Marco però era intenzionato a non mettere nessuno in mezzo quella volta. E poi dai, non poteva capitarci argomento più semplice.
-Te l’ho detto Dj, è l’argomento più facile del mondo. Inoltre rischiamo che Mr. Moore ci scopra questa volta, non possiamo rischiare che ci sospenda.-
Sospensione. Già. Non ne era orgoglioso, ma stava davvero rischiando di dover rifare l’anno e non poteva permettersi di non essere più nella classe di Will. Doveva fare almeno qualcosa per salvarsi la media e quella era l’occasione giusta.
-Da quando ti interessa la scuola?! Se è davvero così facile non dovresti aver problemi a dirmi come si chiama quel coso metallico che si mette in testa.-
Coso metallico?! Sta scherzando spero!
-Si chiama elmo, Dj ed era diverso da combattente a combattente. I nobili potevano farsi intagliare il loro stemma o blasone, i cavalieri portavano l’elmo che copriva tutta la testa mentre per scudieri e soldati lasciava libero il volto. Sotto l’elmo tutti indossavano il camaglio, ovvero un cappuccio di maglia di ferro.-
Lo disse talmente velocemente che quasi si stupì che quelle parole fossero sue. Non era un esperto di armature e non gli era mai interessato diventarlo, eppure la spiegazione gli era venuta in mente con tale naturalezza da spaventarlo. Non era la prima volta che gli succedeva di conoscere cose che non immaginava di sapere. Era già successo altre volte a partire dal giorno in cui aveva incontrato Will. Non aveva ragionato spesso sul fatto di essersi visto assieme a Re Artù, ma momenti come quello lo costringevano a pensarci. Chi sono io? Non era sicuro di voler conoscere la risposta a quella domanda.
-Tu come le sai queste cose?- Non lo so.
-Mio padre era un appassionato di Re Artù.- Semplice, veloce, scontrosa. La risposta che Dj si sarebbe aspettato da uno come lui. E non era del tutto falsa. Il padre di Marco parlava spesso della storia di Artù e dei suoi cavalieri e non era raro che passasse intere giornate a raccontare al figlio aneddoti strani su Ginevra e Lancillotto. Però non aveva mai parlato di dettagli realistici come le armature ed era proprio questo a far innervosire il ragazzo.
-Ma… -
-Argomento chiuso Dj. Se vuoi un voto decente ci vediamo da me domani pomeriggio. Ci vorranno solo dieci minuti. Non venire e dirò a Moore di aver fatto tutto da solo.-
Accelerò il passo per superarlo e se ne andò. Di solito non tornava mai a casa dopo la scuola, ma quel giorno aveva bisogno di staccare. Sarebbe dovuto rimanere con Will, ma sapeva con certezza che il suo fratellastro avrebbe passato il pomeriggio con Lance e gli altri ragazzi della squadra. Non c’era pericolo che Mordred si avvicinasse a lui.
In macchina impiegò solo pochi minuti per arrivare a destinazione e in men che non si dica fu in camera sua. Aveva espressivamente proibito a chiunque di entrarci e così quello era l’unico posto in cui non doveva nascondersi. Alle pareti erano appesi i disegni di suo padre assieme ai poster delle sue band preferite. Sulla scrivania trovavano posto tutti gli appunti e degli strani fogli di pergamena che non era mai riuscito a decifrare. I libri su Re Artù occupavano tutte le mensole e quelli di scuola si erano dovuti accontentare del pavimento. Improvvisamente si rese conto che nessuno doveva entrare in quella stanza. Nemmeno Dj.
Vorrà dire che metterò insieme qualcosa stanotte. Tanto per non fargli perdere l’abitudine.  
Gli mandò un messaggio per essere sicuro di non dimenticarsene.
 
Non importa per domani. Ho da fare.
 
Infilò il cellulare nella tasca della giacca che buttò sulla sedia, prese l’Ipod e si sdraiò sul letto.
Con le cuffie nelle orecchie alzò il volume della musica fino a estraniarsi completamente dal mondo.
Uno strano pensiero gli attraversò la mente:I cavalieri di Re Artù non si sfogavano così.
Già, i cavalieri. Lui però viveva nel mondo moderno e non era certo uno di loro. Se lo fosse stato, suo padre gliel’avrebbe detto. O no? Decise che un giorno o l’altro avrebbe controllato meglio tra gli appunti. In quel momento non aveva voglia di alzarsi, non aveva voglia di pensare, non aveva voglia di far niente. Voleva solo che per una volta Re Artù non facesse parte della sua vita.
Si concentrò sulle parole delle canzoni, riconoscendole una a una, cercando di ricordarsele, facendo uscire dalla sua testa ogni pensiero che non riguardasse batteria e chitarre elettriche.
Passò così il resto del pomeriggio: fissando il soffitto e ascoltando assoli di chitarra. Non si alzò nemmeno per andare a cena. Aveva bisogno di stare da solo. La fame gli era completamente passata e neanche il profumo della pizza che cucinava sua madre era riuscito a convincerlo a scendere. Se fossimo nel medioevo starebbero mangiando montone con contorno di rape. E probabilmente anche acqua di salvia, ma solo se fossimo al nord. Sorrise tra sé, ma poi si ricordò di non aver mai sentito dire una cosa del genere. Come faccio a saperlo?
Per scacciare altri pensieri indesiderati, andò al computer e iniziò a buttare giù qualcosa sulle armature, prendendo spunto dai libri che certamente non gli mancavano.
 
 

***

 
 
Lunedì. Lezione di Moore. Il weekend era trascorso lento e senza novità esattamente come l’ora che ormai volgeva al termine. Marco ascoltò svogliato il consiglio dell’insegnante di progettare un pranzo leggero, in vista della lezione dell’indomani sulle fognature ai tempi di Re Artù. Non vedeva l’ora di uscire dalla classe, ma i libri gli scivolarono dallo zaino e dovette fermarsi a raccoglierli.
-Allora Allie, sei riuscita a sapere informazioni sull’Ordine dai tuoi?-
-Sì. Come previsto avevano un polveroso libro di 50 chili.-
Nell’aula erano rimasti solo lui, Mordred e Allie. Il professore si era fermato a parlare con la ragazza; probabilmente non si era accorto che non erano soli, o più semplicemente non lo riteneva un problema.
-E sei riuscita a leggere la profezia?- No, no, no, no. Come per fargli un dispetto, lei annuì.
-Cosa ne pensi?- Non dirgli niente, non ti fidare.
-Beh, tutta questa storia della reincarnazione mi sembra un po’ impossibile, lei non pensa?-
-È impossibile solo se non è vera.-
Lei sembrava stupita, come se non riuscisse a trovare cosa più sciocca. Evidentemente vivere con dei membri dell’Ordine doveva averla spinta ad odiare Re Artù.
-Non mi dica che lei ci crede…-
-Sei una ragazza molto fortunata a poter leggere la profezia di prima mano, Allie.- Era furbo Mordred, questo lo doveva ammettere. In tutto quel tempo non aveva mai fatto un passo falso, nonostante non avesse mai nascosto un interesse quasi morboso per tutto ciò che riguardava Artù e la profezia.  
-Potrei portarglielo se vuole.- No, non farlo ti prego. Rovineresti tutto.
Lui sembrò pensarci, mai poi, con grande sollievo di Marco, rifiutò l’offerta.
-Oh, no no no.
-Ne è sicuro? I miei sarebbero d’accordo.
-No, no. Probabilmente è molto delicato, rischierei di rovinarlo, sarà meglio lasciarlo dov’è.
Come a confermare la frase appena detta, rovesciò un bicchiere di caffè sulla cattedra. Dov’è il trucco? Perché un trucco doveva esserci. Non esisteva che Mordred rifiutasse di conoscere il giorno della reincarnazione. Non avrebbe più potuto avere un’occasione del genere. Magari stava cercando di sfruttare la fiducia di Allie per sapere qualcosa attraverso di lei. In ogni caso aveva qualcosa in mente e bisognava scoprire cosa.
-Ci pensi su e glielo chiederò di nuovo-
-Ok-
Quali sono i tuoi piani? Dai Mordred, mi basterebbe una parola…
-Ehi tu! Che ci fai ancora qui?!- Doveva pur succedere prima o poi. Non aveva ancora imparato a diventare invisibile, quindi non poteva sperare che Moore non lo vedesse. Finì di raccogliere i libri e uscì dalla classe.
-Scusi Professore. Mi erano caduti i libri.-
Fece appena in tempo a vedere Allie che si allontanava scherzando con Miles.
Non va per niente bene.

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Capitolo 5
*** "Cerca di non rovinare tutto" ***


“Cerca di non rovinare tutto”.

                                        
 
-Marco, vieni qui un attimo.-
-Devo andare a scuola, mamma.-
-È presto, tesoro. Hai tutto il tempo per arrivare puntuale.-
L’ultima volta che aveva visto sua madre così seria era stata quando lei gli aveva detto del matrimonio imminente con il suo compagno. Quel giorno era stato davvero felice per lei, ma adesso non sapeva cosa aspettarsi. Cosa sarà successo?
Si sedette in salotto e la donna prese posto nella poltrona di fronte alla sua. Lui la superava di poco, ma aveva il suo stesso colore di occhi e capelli. Da quel giorno, cinque anni prima, avevano parlato molto e si era instaurato un legame che prima non esisteva. Legame che era andato indebolendosi da quando lui aveva conosciuto Will. Sapeva che sua madre non conosceva il motivo del suo comportamento e in un certo senso questo lo feriva. Lei aveva più volte provato a chiedergli cos’era successo a scuola e con tutto il resto, ma lui non aveva potuto risponderle. Nonostante ciò che si era ripromesso, non era mai riuscito a raccontarle dell’Ordine dell’Orso, poiché temeva che il suo comportamento nei confronti del suo fratellastro potesse cambiare. Per lei il ciondolo che portava sempre al collo era solo un modo per non perdere il ricordo del padre.
-Marco, credo che sia giunta l’ora che io e te parliamo seriamente. Sono giorni che salti la cena e rimani chiuso in camera tua. Per non parlare di tutto il resto: salti le lezioni, litighi con gli insegnanti, non torni mai a casa… Ho come l’impressione che venire a vivere qui ti abbia fatto male. Mi sbaglio forse?-
“Sì, ti sbagli. Non ti immagini nemmeno quanto venire a vivere qui mi sia stato utile. E non sono cambiato, sono solo costretto a fingere di esserlo”. Sarebbe troppo facile poterle rispondere così. Non sta aspettando altro che una mia parola, ma non posso dirle niente.
Farla attendere così gli fece male, ma ancora più male gli fece l’espressione sul volto di lei. Tanto da costringerlo a inventarsi qualcosa, qualunque cosa pur di farla sparire.
-Mamma, io… Non è stata colpa tua, anzi, sono contento se tu sei felice. Probabilmente passerà tutto, ma adesso non posso farci niente. E nemmeno tu.-
Era una bugia. Neanche lui era sicuro che si sarebbe potuto sistemare tutto, ma doveva cercare di calmarla.
-Almeno spiegami perché odi Will. Che cosa ti ha fatto?- Non posso dirti nemmeno questo.
-Io non odio Will. Semplicemente non andiamo d’accordo.
Evidentemente la risposta non era quella che lei si aspettava. Era rimasta palesemente delusa da ogni aspetto di quella conversazione, ma Marco non poteva farci niente.
-Il tuo fratellastro darà una festa venerdì, dopo la partita. Cerca di essere gentile-
Detto con quel tono sembrava più un: “Cerca di non rovinare tutto”. L’aveva distrutta: era riuscito in cinque minuti a far perdere tutta la fiducia che sua madre aveva in lui. Il giuramento fatto il giorno della morte di suo padre lo stava costringendo ad andare contro all’unica persona a cui non avrebbe mai voluto fare del male.
-Mi dispiace, mamma… Devo andare.
Se ne andò sbattendo la porta, lasciandola sola.
Una volta in macchina accese la musica al massimo, cercando di nuovo di trovare un modo perché i suoi pensieri potessero uscirgli di mente senza prima presentarsi alla sua coscienza. Sapeva di aver sbagliato e il fatto di non poter fare niente per rimediare lo straziava.
Aveva bisogno che tutta quella storia finisse presto.
 

***

 
Venerdì.
Giorno della partita.
Giorno della festa.
Che i Cavalieri avessero vinto oppure no, Marco si sarebbe trovato la casa infestata di atleti e ogni altro genere di adolescenti. Quella mattina prima di uscire aveva chiuso a chiave la porta della sua stanza e si era infilato la chiave nella tasca dei pantaloni. Non era certo il nascondiglio più sicuro, ma quel giorno aveva smesso la solita giacca per indossare una semplice maglia grigia a maniche lunghe. Ne teneva una leggermente sollevata per non nascondere il polsino che gli aveva regalato suo padre. La collana era come sempre nascosta, ma non mancava mai di essere indossata. Dopo tutto quel tempo Marco aveva preso a considerarla, se non un simbolo di appartenenza, almeno un portafortuna per ciò che stava facendo.
Erano quasi le quattro del pomeriggio. La partita a scuola sarebbe finita a breve. Will sarebbe arrivato prima di tutti gli altri per accertarsi che tutto fosse a posto, poi sarebbe andato ad accogliere gli invitati. Secondo il piano di Dj, avrebbero avuto sì e no cinque minuti per fare un piccolo scherzetto. Era tutta la settimana che il gruppo cercava un modo per sabotare almeno in parte la festa deiKnightse ben cinque giorni che si procuravano ragni di gelatina. Nonostante fosse contrario alla cosa, Marco non poté fare niente per fermarli, anzi, dovette stare al gioco e fingere di divertirsi. Cosa che, per sua fortuna, gli riusciva abbastanza bene.
-Nascondetevi ragazzi, arriva Mr. Perfezione.- Fece appena in tempo a vedere Dj e gli altri che si nascondevano tra le siepi, poi rientrò in casa e chiuse la porta che portava al cortile e alla piscina. Fece finta di essere appena sceso dalle scale, tutto questo nel minuto che Will impiegò per parcheggiare la macchina e aprire la porta.
-Ehilà, Superstar. Com’è andata la partita? Siete stati sconfitti da un mucchio di bambinetti?-
-Che ci fai qui, Marco?-
Fu ben contento di notare che, per quanto cattiva, la sua frase non riuscì a smorzare l’entusiasmo sul volto di Will. I Cavalieri dovevano aver vinto, e anche in modo spettacolare.
-Si dia il caso che abito qui. Ti da fastidio?
Will non gli rispose. Si limitò a dare un occhio alle decorazioni che erano appese dalla mattina e al cibo che avevano preparato suo padre e la madre di Marco prima di uscire per lasciar la casa ai ragazzi.
Nel frattempo si cominciò a udire il primo vociare e Wagner corse ad aprire ai suoi amici. Marco tornò di corsa da Dj che stava finendo di sistemare i ragni gommosi sugli Hot Dog.
-Sbrigati, stanno arrivando.
-Tranquillo amico. Piuttosto, ci chiedevamo: che ne dici di farci vedere la tua stanza già che siamo qui?-
Ve lo sognate.
-Neanche per sogno. La mia stanza è off-limits.-
Sembravano delusi. O almeno, un briciolo di una qualche emozione, che poteva anche essere scambiata per delusione, si stava disegnando su quei volti privi di intelligenza e decisamente poco espressivi.
-Come vuoi…
-Stanno arrivando-.
La casa si riempì lentamente. Gli schiamazzi dei giocatori tornati vittoriosi dalla partita riempirono l’aria. Metà scuola era stata invitata alle festa e Will aveva ragionato giorni su come fare a farli entrare tutti. Evidentemente il risultato era stato buono.
Marco e gli altri si misero in disparte in attesa che qualcuno scoprisse il loro scherzetto. Dalla sua posizione, il ragazzo poteva vedere perfettamente ciò che succedeva oltre alle finestre. Sembrava che al piano di sopra due persone fossero sole in una stanza. Erano Jen e Lance e stavano abbracciati. Quello non era il posto migliore per tradire Will senza che lui lo venisse a sapere.
-Aaah- Un grido convinse il gruppo a uscire allo scoperto.
Una ragazza aveva visto i ragni e si era spaventata al punto da attirare la maggior parte degli invitati nel cortile.
Anche Will era lì.
-Cosa succede?-
Ecco che ricomincia la farsa.
-I tuoi amici sono imbranati. Sembra che abbiano un piccolo problema con i parassiti.-
I due ragazzi si erano messi l’uno di fronte all’altro e arrivavano quasi a toccarsi. La tensione si sarebbe tagliata con un coltello. Marco prese un ragno gommoso e ne mangiò un pezzo.
-Allora bisognerà mandare via i parassiti.-
Marco vide i giocatori della squadra di football arrivare per dare man forte al loro capitano. Come i Cavalieri della Tavola Rotonda.
-Hai bisogno delle tue guardie del corpo per affrontarmi?-
Will sembrava sempre più arrabbiato. Negli occhi di Marco non si leggeva indecisione, né rimorso. Conosceva lo scopo di ciò che stava facendo.
-Ho bisogno di loro per evitare di fare qualcosa di cui mi pentirei.
È ora, Marco. Devi dirglielo. Non voleva farlo. Sapeva che in quel modo avrebbe ferito se stesso oltre a Will, ma non poteva lasciar niente in sospeso.
-L’unica cosa di cui mi pento è che mia padre abbia sposato tuo padre.-
Ecco, l’aveva fatto. Vide l’incredulità e infine il dolore negli occhi di Will, ma poi dovette andarsene, per evitare che i medesimi sentimenti si dipingessero anche sul suo viso.
-Andiamocene, ragazzi. Questa festa è un disastro.-
Si diresse verso le scale che portavano in casa, seguito dal gruppo di ragazzi. Lì vide la ragazza nuova, Allie, insieme a Miles. Ancora una volta volle testare la sua lingua tagliente.
-Hanno fatto entrare anche i secchioni-
La risposta non si fece attendere.
-Sì, quando io sarò a Yale tu sarai in prigione mi ricorderò di dire a tutti quanto sei forte.-
Pronta e dolorosa come sempre. Merlino in certi momenti riusciva a dimostrarsi più distruttivo della spada di Artù.
Uscirono dalla casa apparentemente senza fretta. Marco, a dispetto della tranquillità che dimostrava, non vedeva l’ora di allontanarsi da quel posto, magari per andare a rintanarsi nel parco.
-Ehi, amico. Sei stato grande, l’hai zittito sul serio a Wagner.-
-Sono pochi quelli che riescono a tenergli testa.-
-Adesso che si fa?
-Non so cosa farete voi, ma io vado a farmi un giro. Da solo.-
-Come vuoi…-
Dj non era molto sveglio. Non conosceva le parole più elementari come “Sì” e non sapeva ribattere se qualcuno gli diceva di fare qualcosa. Era da anni che Marco si chiedeva come avesse fatto a venire ammesso alla Avalon High School. In momenti come quello, però, la sua incapacità a esprimere la propria opinione poteva tornare utile.
Marco girò le spalle e se ne andò.
Camminò senza pensare fino a che non si ritrovò in una zona del parco a lui sconosciuta. In quel punto cresceva un albero talmente grosso che le sue radici formavano delle comode panchine naturali; i suoi rami creavano una specie di soffitto, impedendo ai raggi del sole di penetrare fino al terreno. Il vento tra le foglie dava vita a una melodia magica. Sembrava quella che i cavalieri medievali ascoltavano durante le lunghe cavalcate nei boschi. A quel tempo però non poteva arrivare alcun rumore freddo e meccanico a rovinare quei momenti meravigliosi.
Marco era arrivato lì con l’intenzione di ascoltare l’Ipod, ma quell’angolo di parco gli fece cambiare idea.
Si sedette appoggiando la schiena al tronco e lasciò vagare i pensieri.
Mi dispiace, Will.  
 

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