S.R.E.C.: Testimoni d'accusa

di L_Fy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


La radio sfrigolava monotona sulle ultime note della canzone, intrecciando le sue scariche con la voce roca di Bruce Springsteen che urlava al mondo di essere nato negli Stati Uniti, beato lui. Il tenente Vartan della polizia di New Orleans fece un sospiro irritato e girò impaziente la manopola della radio alla ricerca di una stazione decente. Colpa forse del caldo diaccio e torrido, della tarda ora notturna, della strada umida, invasa dai rifiuti e quasi risucchiata dagli alti muri dei palazzoni ai suoi lati, ma non si riusciva a beccare una stazione decente nemmeno a pagarla oro. Quando la radio si sintonizzò magicamente sulla voce chiara e cristallina di Celine Dion, Vartan si accomodò meglio sul sedile. Cominciò anche a canticchiare, un po’ perché la canzone gli piaceva, un po’ per cercare di non pensare al caldo porco che invadeva l’abitacolo della vecchia e scassata Pinto color ruggine e che gli si infilava subdolo a contatto di pelle. Il suo autista, un poliziotto giovane dallo sguardo assonnato, frenò bruscamente dopo una curva quando vide che la strada era bloccata da un paio di agenti di polizia. Due macchine impedivano la visuale di un vicolo che pullulava di agenti che sudavano copiosamente infagottati in spesse cerate blu. Un’ambulanza con gli sportelloni aperti sostava di fianco al blocco in attesa del suo triste carico. Vartan scese con gratitudine dall’abitacolo soffocante della Pinto, si diresse con passo spedito verso il gruppo di persone e salutò con una mano un agente il quale, dopo aver risposto al saluto, spostò la transenna per farlo passare. Mentre Vartan tirava fuori una sigaretta dal pacchetto stazzonato (“devo decidermi a comprare i pacchetti rigidi, quelli morbidi vanno sempre a finire sbriciolati”), un agente gli si avvicinò, scartabellando su un taccuino consunto con un’espressione alquanto perplessa sul viso.

“Che abbiamo qui?” domandò Vartan senza tanti preamboli, buttando fuori il fumo della sigaretta insieme alla voce.

“Un gran casino” rispose avvilito l’agente, allargando scoraggiato le braccia “Omicidio, stupro, associazione mafiosa, favoreggiamento della prostituzione, detenzione illegale di armi da fuoco e chi più ne ha più ne metta. Nessuno parla, ovviamente…e per terra ci sono almeno dieci litri di sangue di chissà chi.”

Vartan sbirciò da sopra la spalla dell’agente: effettivamente, l’asfalto umido era intriso di sangue che, alla potente luce dei fari lampeggianti, risultava quasi violetto. Tre cadaveri erano stati pietosamente coperti da teli di plastica bianchi, quasi più inquietanti dei cadaveri stessi.

“Dinamica?” domandò Vartan, impaziente, mentre i suoi occhi scrutavano con attenzione il terreno transennato.

“Scontro tra bande, ovviamente” rispose l’agente, consultando il suo taccuino “Accoltellamento tra pappa creoli e pappa messicani. Abbiamo tre cadaveri, quattro feriti gravi, sette persone in stato di arresto e cinque che proprio non la vogliono piantare di menarsi e sputarsi addosso. Roba da matti…”

L’agente scosse il capo, avvilito da tanta triviale dimostrazione di bestialità.

“Chi sono le vittime?” domandò Vartan con accademico disinteresse e l’agente consultò di nuovo il taccuino.

“Una certa Jeanne Fontelieu 18 anni, creola. Violentata, picchiata a sangue e uccisa con una coltellata allo sterno. Poi, una certa Estrela, travestito brasiliano; non ha documenti. Morto (o morta?) per almeno cinque colpi d’arma da fuoco nel petto. Ultima vittima, una vecchia conoscenza della buoncostume: il signor Xavier LeDuc,  34 anni, ereditato una decina d’anni fa dai quartieri a luci rosse di St.Louis. Famosissimo pappa di Storyville, controllava la prostituzione della metà del Vieux Carré. Ucciso da un numero indefinito di colpi d’arma da fuoco.”

Vartan, finito di radiografare la scena del crimine, alzò improvvisamente il capo, come se annusasse l’aria.

“Cos’è questa puzza?” domandò seccamente girandosi di scatto verso l’agente che sembrò incassarsi nelle spalle.

“Ecco…” balbettò confuso “Volevo giusto parlargliene…intorno alle transenne…non potevamo mandarle via, c’è in mezzo anche la madre di una delle vittime…e una certa Mama Dubois ha assicurato che lei avrebbe capito…”

Gli occhi di Vartan lampeggiarono a sufficienza per ammutolire l’agente che chiuse di scatto la bocca.

“Merda.” sibilò il tenente avviandosi a lunghi passi rabbiosi verso l’angolo opposto della scena del crimine.

Subito fuori dalle transenne, sedute a terra a semicerchio intorno ad un fuoco improvvisato, un gruppo di donne dagli abiti colorati intonava nenie sommesse, muovendo con indolenza la testa seguendo un silenzioso ritmo interiore. Una delle donne piangeva e si lamentava, sostenuta da altre due compagne: Vartan la individuò subito come la madre di una delle vittime. Al centro del cerchio, quasi a contatto col fuoco, una donna avvolta in un lungo abito di tela e con la testa coperta da un turbante bianco mormorava a bocca semichiusa quella che sembrava una preghiera. Tra le mani aveva un vaso di terracotta dall’aria semplice e antica: ogni tanto, la donna buttava nel fuoco un pugno di semi raccolti dal vaso e questi assumeva una colorazione rossastra prima di riprendere a scoppiettare con un’allegria davvero fuori luogo. La donna, come sentendosi osservata, aprì di scatto gli occhi, rivelando due pupille dall’inquietante luminosità gialla dei felini; li posò immediatamente su Vartan e sorrise, come aspettandosi di trovarlo lì. Vartan incrociò lo sguardo per un attimo i suoi grandi occhi saputi prima di girarsi con rabbia verso l’agente che l’aveva seguito con aria colpevole.

“Perché diavolo non le avete fatte sgombrare da qui?” abbaiò furioso e l’agente si agitò sul posto come uno scolaretto colto in fallo.

“Non…stanno violando nessuna legge…” balbettò senza guardare Vartan negli occhi “L’ha chiesto espressamente la madre… sono fuori dal perimetro…”

“Hai una qualche vaga idea di cosa stiano facendo?” ruggì ancora più arrabbiato Vartan.

“M-mi sembra che stiano p-pregando…” rispose l’agente, allarmato e confuso.

Vartan fece un verso disgustato e gli girò le spalle.

“Si vede proprio che non sei di New Orleans, pivello” sputò fuori con disprezzo “Adesso, fammi il santo favore di andare alla radio più vicina, chiamare la centrale e dì loro di mandare al più presto qualcuno della SREC.”

“SREC?” domandò l’agente, ormai completamente alla deriva.

Vartan  si girò un’ultima volta verso di lui, scoccandogli un lungo sguardo impaziente.

“Sì, SREC” berciò alla fine, riottoso “Che il cielo ti fulmini! Per colpa tua abbiamo proprio bisogno di loro.”

 

 

 

 

NOTE DELL’AUTRICE:

 

Innanzi tutto, grazie di essere passato di qui, volente o nolente, per sbaglio o per pietà, per caso o volutamente….comunque sia, grazie!

Se questa storia in qualsiasi maniera ti avesse incuriosito, ti avviso che sarebbe il seguito naturale di una one shot intitolata S.R.E.C. che ti consiglio di leggere, per avere una migliore visione dei personaggi.

Se volessi lasciare un commento te ne sarei davvero grata: so che sei passato di qui, ma sarei anche felice di sapere cosa pensi del mio “lavoro”.

Grazie mille in anticipo!!

Elfie

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Nel bel mezzo del quartiere di Storyville, in una casa dalla porta verde che sbatacchiava al solo pensiero di un alito di vento, tre persone sedevano con insolita tranquillità intorno ad una scrivania. Il primo era un uomo grande e grosso come un gorilla di montagna, animale da cui aveva ereditato anche l’espressione truce e sospettosa. Il secondo era un tizio dall’aria arrogante che sembrava molto più giovane della sua età nonostante l’aspetto stropicciato: stava mangiando un sandwich che colava maionese, senape e anelli di cipolla da tutte le parti come se fosse prossimo alla liquefazione. La terza persona, una ragazza esile dai capelli neri arruffati, lo guardava con aria palesemente disgustata, aspettando solo che l’untuoso contenuto del sandwich colasse sulla scrivania prima di iniziare un monologo logorroico in favore dell’uso dei tovaglioli durante i pasti. I tre stavano giocando a carte: davanti al gorilla c’era una considerevole montagnola di caramelle assortite, un pacchetto gualcito di sigarette, una rivista e un paio di occhiali da sole. Davanti alla ragazza, oltre a qualche caramella, faceva bella mostra di sé una cintura di cuoio dai preziosi intarsi fatti a mano. Davanti al giovane col panino, una deprimente distesa vuota.

“Parola.” disse il gorilla, e la sua voce sembrava provenire dalle fondamenta della casa.

“Ok, parola.” approvò la ragazza, sbirciando per un attimo le carte che aveva in mano.

Il giovane smise di ingozzarsi di sandwich, studiò con profonda concentrazione le sue carte, si dondolò per un po’ sulla sedia e poi se ne uscì in un sorriso sfavillante.

“Punto la mia autoradio e dieci caramelle.” annunciò con aria solenne.

La ragazza sbatté con forza le sue carte sul tavolo mentre il gorilla iniziava a respirare tipo mantice.

“Ti pareva!” berciò la ragazza fissando con odio il giovane che ricominciò a dondolarsi sulla sedia pacificamente.

“Stai bluffando spudoratamente, Mendez” ringhiò truce il gorilla. “Lo capirebbero anche quei sottosviluppati dei figli di Jones che stai bluffando!”

“Allora venitemi a vedere” rispose Mendez con logica inoppugnabile, sorridendo “Se non sbaglio, nessuno ha proposto di mettere un tetto alla puntata massima stanotte, no? Quindi sono perfettamente in regola.”

“Ma la tua autoradio!” si lamentò la ragazza “Sei il solito viscido doppiogiochista, Rafe. Con te non è possibile giocare onestamente.”

“Che disgrazia per te, Marria” sospirò Mendez dispiaciuto “Comunque, se mi vuoi venire a vedere, accetto come puntata la cintura che mi hai rubato prima. Più dieci caramelle. E una sbirciatina al tuo reggiseno.”

“Non ho rubato la tua cintura” berciò la ragazza, offesa “L’ho vinta con un full. E tu non avevi nemmeno una coppia di re, ma sei voluto venire lo stesso a vedermi.”

“Io vengo sempre a vederti, querida” ammiccò Mendez con un sorriso “Sempre, dovunque e comunque. Pensavo l’avessi capito, ormai.”

“Non mi pare che tu abbia visto granché finora” gli annunciò il gorilla, divertito “E non parlo solo della partita a poker di stasera.”

“Ho sempre tempo per rifarmi” rispose Mendez, con convinzione “E anche io non parlo solo della partita a poker di stasera.”

“Voi due mi avete rotto” annunciò la ragazza, inviperita “E, udite udite, nemmeno io parlo della partita a poker di stasera! Mendez, tu sei solo una mucillaginosa larva che non sa perdere, ma ti vengo a vedere lo stesso: la tua cintura e dieci caramelle, scordati la sbirciatina al mio reggiseno, se ci tieni a vivere. E se, come penso, non hai niente in mano, la tua autoradio nuova la potrai vedere col binocolo quando la regalerò a Jones.”

“Oh, che colpo basso.” ghignò il gorilla, ridanciano “Io comunque passo. Me la sto godendo troppo nel vedervi scannare tra di voi in questa faida intestina.”

Mendez non sembrava altrettanto divertito.

“A Jones?” valutò fra sé e sé “Il nostro collega con tre figli in età da tentata combustione di massa? Uhm… è un bel rischio…”

Lanciò un’occhiata di traverso alla ragazza che stava per farsi sfuggire un sorriso vittorioso.

“Sobres, Mancuso, ci sto.”

La ragazza sembrò spiazzata

“Come?” domandò sottovoce.

“Ho detto che ti vengo a vedere” rispose Mendez con un amabile sorriso da schiaffi “Ti vedrei più volentieri da sola, senza Thorpe tra i piedi, e possibilmente sprovvista di indumenti addosso, ma se mi devo accontentare delle tue carte, farò uno sforzo per stavolta…”

Mancuso, dopo un attimo di smarrimento, alzò decisa il mento e posò le carte sul tavolo.

“Tris d’assi” decretò con esultanza “Corri a smontare l’autoradio, chico, e immaginala già invasa dalla saliva di tre marmocchi bavosi.”

Mendez non si scompose: mentre il sorriso si allargava sul suo viso olivastro, scoprì le carte posandole una per una sul tavolo accanto alla cintura di cuoio.

“Ma che bel poker di dieci che c’è qui” canticchiava allegramente “E bentornata dal tuo papino, cintura di autentico cuoio messicano! Mi sei mancata tanto, ti ha trattato bene quella strega bisbetica di una mangiaspaghetti? Adesso ce ne andiamo a fare un giro in macchina ad ascoltare un po’ di musica seria con la mia nuova autoradio…”

Mancuso era rimasta rigida sulla sua sedia con una espressione decisamente omicida sul viso: Thorpe ridacchiò esilarato mentre il telefono, come chiamato in causa per scongiurare un potenziale spargimento di sangue, iniziava a suonare imperioso. Thorpe si ricompose in fretta ed afferrò la cornetta.

“SREC” annunciò con molta professionalità.

Ascoltò con attenzione mentre Mendez si infilava la cintura canticchiando, osservato da una imbronciata Mancuso dalle labbra serrate. Mendez le rivolse un seducente sorriso pieno di denti bianchi e di scherno e la ragazza per poco non gli sputò in faccia.

“Ti odio” disse solo con profonda convinzione “Sei solo un maledetto baro!”

“Claro” rispose Mendez con naturalezza “Però dimmi, mi corazon, chi è adesso la mucillaginosa larva che non sa perdere?”

“Mancuso, preparati” li interruppe Thorpe schiaffando con decisione la cornetta sul telefono e alzandosi in piedi “Il tenente Vartan della polizia di New Orleans ha richiesto i servigi della SREC.”

“Oh, che peccato che siate voi due di turno!” mormorò con dolcezza Mendez lasciandosi sfuggire un sorrisetto satanico “Se non mi dovessi ancora dieci caramelle, querida, potrei anche andare io al tuo posto.”

Mancuso si alzò in piedi di scatto, come se l’avessero punta con uno spillo.

“Fottiti.” sibilò con profonda convinzione, girandogli le spalle e avviandosi dietro a Thorpe che si era già diretto verso la porta.

“Ti aspetto, così da bravi colleghi ci facciamo un lavoretto insieme.” rispose Mendez con il riso nella voce.

Mancuso, per tutta risposta, pensò bene di sbattere la porta.

 

 

 

 

 

Note dell’autrice:

Ho ricevuto delle recensioni!! Sono in estasi mistica, che bello. Come se facesse bene alla mia psiche malata…

Lady Antares D. L. : Mi  chiedevo dov’eri finita, ammmore!!! Certo, so che uscendo dal fandom di Harry Potter è difficile trovare qualcuno disposto a leggere le tue storie e recensirle, quindi ti ringrazio di cuore per essere passata di qui ed esserti ricordata di me. Mi hai fatto felice, sappilo! Se riesci a regalarmi una bambola gonfiabile a forma di Johnny Depp, mi renderai ancora più felice, ehm…Baci baci! A presto!

Sarah92 : Ma ciao!! Che bello trovare una nuova lettrice, così carina ed entusiasta! Ovviamente, devi assolutamente farmi sapere se la storia procede secondo i tuoi gusti, quindi mi raccomando, fatti sentire! A proposito, hai capito cos’è la SREC o hai bisogno di chiarimenti? Non ho ben chiaro se hai letto la prima parte o no…baci baci, anche a te!!

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Meno di mezz'ora dopo una Mercury quasi più scassata della Pinto di Vartan parcheggiò con un gran stridio di freni ad un millimetro dalla transenna, sollevando un nugolo di fiacche proteste da parte degli agenti della sorveglianza. Prima ancora che la macchina si fermasse, la portiera del passeggero si era già aperta e ne era uscito, non senza difficoltà, un tizio che sembrava un armadio a sei ante in completo gessato giacca e cravatta. Il suo lucido cranio nero svettava di venti centimetri buoni su tutti e l’espressione feroce del viso non era affatto mitigata dagli occhiali scuri, soprattutto a quell’ora di notte. Dal posto di guida, scese una ragazzetta che, per contrasto, sembrava più piccola di quanto fosse in realtà: aveva una curiosa zazzera di capelli neri che andavano in tutte le direzioni, lo sguardo truce di chi è appena uscito di galera e un giubbotto da motociclista che le pendeva addosso come se fosse di qualcun altro. Vartan andò loro incontro con la faccia seria: salutò il tizio nero con un gesto secco del mento e quasi sorrise alla ragazza che gli piantò addosso due seri occhioni neri molto latini.

Thorpe, Mancuso, vi stavo aspettando.” disse Vartan con un’aria di leggero rimprovero.

“Siamo venuti appena possibile” rispose Thorpe, facendo quasi vibrare il terreno col suo vocione d’oltretomba “Di che si tratta?”

Vartan fece un gesto secco con la testa verso il gruppetto di donne in cerchio intorno al fuoco senza girarsi del tutto e l’espressione del suo viso si fece ancora più cupa.

“Il solito casino di Mama Dubois” disse, quasi masticando le parole “Ha fatto di nuovo quella cosa del cerchio e del fuoco… uno di questi giorni la butto in mezzo ad uno dei suoi maledetti falò e chi s’è visto s’è visto!”

“Dici così ma sai benissimo che Mama Dubois è più potente di te, di me e dei nostri capi messi insieme” commentò pacato Thorpe, sorridendo “E’ per questo che ci hai chiamato subito senza nemmeno tentare di sloggiarla come avrebbe fatto un qualsiasi pivello, vero?”

“Dobbiamo tenercela buona, volenti o nolenti” rincarò la dose Mancuso, imbronciata “Mama Dubois è una Mambo, una sacerdotessa voodoo: nemmeno tu hai il coraggio di scherzare su queste cose dopo che hai visto cosa è capace di fare, Vartan. E comunque, se ti informassi meglio, sapresti che quella cosa del cerchio e del fuoco è fondamentale nella religione voodoo. Serve per invocare Brigitte e Baron Samedi, i Loa della morte e dei cimiteri. Stanno preparando una serena morte per i loro cari, non stanno facendo niente di male.

“I ti-bon-ange dei morti sono ancora qui” rincarò la dose Thorpe, molto serio “Hanno bisogno di protezione per raggiungere l’aldilà.”

“Sì, sì, come vi pare” tagliò corto Vartan, che evidentemente non ne sapeva mezza di Loa o bon-ange o cimiteri, e nemmeno voleva saperne “Vedete se riuscite a fare sloggiare Mama Dubois e il suo gruppo di galline da brodo senza ulteriori spargimenti di sangue. Ne è già stato versato abbastanza per stasera.”

Mancuso si girò verso di lui con un sopracciglio interrogativamente alzato.

“Tutto qui?” domandò spazientita “Ci hai buttato giù dal letto a quest’ora della notte solo per far sloggiare Mama Dubois dalla tua scena del crimine?”

Vartan sembrò soppesare le sue parole con un misto di impazienza e vergogna.

” sbottò alla fine, girando loro le spalle “Magari visto che siete dei mezzi stregoni, riuscite a capire cosa diavolo è successo qui stanotte. Abbiamo tre cadaveri, una decina di indiziati e nessuno che scucia una sola maledettissima parola. C’è di mezzo roba grossa e domattina sarà impossibile tenere lontana la stampa… il sindaco ci farà a fettine se non troviamo chi è stato…”

Ok, abbiamo capito” lo interruppe Mancuso, abbagliandolo con uno dei suoi rari e sorprendenti sorrisi “Vediamo cos’ha da dirci Mama Dubois per salvarti il culo poi la sbattiamo fuori da qui a pedate. Te gusta, hijo?”

“Sembri sempre di più il tuo degno compare Mendez” ringhiò Vartan, offeso “Forse passi troppo tempo con lui.

Il sorriso si spense repentinamente dal viso di Mancuso che masticò a vuoto per un paio di secondi prima di decidersi a voltargli le spalle.

“Ti faremo sapere, tenente Vartan” gli disse con voce annoiata “Intanto, sgombra l’area dai tuoi uomini per un’ora. Non voglio in giro anima viva, mi sono spiegata?”

“Stai scherzando?” strepitò Vartan, di nuovo arrabbiato “Mica siamo a vostra disposizione, signori della SREC dei miei stivali! Ti do dieci minuti.”

“Quarantacinque minuti o lascio qui Mama Dubois a sgozzare galline per il sommo sollazzo della stampa. sibilò perfidamente Mancuso senza nemmeno girarsi verso di lui.  

Vartan meditò a lungo con gli occhi ridotte a fessure malevole.

“Mezz'ora” ringhiò alla fine, vinto “E che ne sia valsa la pena o invece delle galline sgozzeremo te davanti alla stampa, agente Mancuso.”

*          *          *

Gli agenti della polizia stavano cominciando a sgombrare perplessi mentre Mancuso e Thorpe si avvicinavano al gruppetto di donne raccolte in preghiera davanti al fuoco.

Se va tutto bene, Mama Dubois farà in modo di finire questa sceneggiata entro dieci minuti” mormorò Thorpe speranzoso “Così ce ne torniamo in ufficio a spennare per bene Mendez con una nuova partita a poker…”

Normalmente, gli interventi di Mama Dubois si limitavano a inoffensivi riti di preparazione al passaggio dell’anima del defunto, il ti-bon-ange, verso l’aldilà. Certo, sia Thorpe che Mancuso sapevano bene che quell’aspetto folcloristico e innocuo di Mama Dubois era solo la punta di un iceberg, una facciata ad uso e consumo dei personaggi come Vartan. Loro sapevano bene, invece, che quella donna dall’aria svaporata, senza età, dagli occhi cangianti ed il sorriso gentile, in realtà era l’indiscussa regina di Storyville. Niente succedeva senza che lei lo sapesse; nessuno muoveva un dito senza il suo benestare. Mama Dubois era molto amata dalla gente di New Orleans ed era conosciuta fino nel Cajun: una sacerdotessa voodoo come poche se ne erano viste in Louisiana, famosa per la sua condiscendenza e, contemporaneamente, per la sua implacabile severità. 

“Non ci metterei la mano sul fuoco.” borbottò Mancuso, rannuvolandosi mentre osservava attentamente le donne accasciate. Il movimento ondulatorio delle loro teste, il sottofondo isterico dei loro lamenti e soprattutto lo sguardo perso ed angosciato di alcune di loro erano segnali sufficientemente anomali per metterla in guardia. Man mano che si avvicinavano, l’aria intorno sembrava acquistare una pesantezza nuova, una densità elettrica piuttosto inquietante... come se si muovesse in spire concentriche mossa non dal vento, ma da qualcosa di più potente. Thorpe e Mancuso evitarono accuratamente di guardarsi negli occhi, ben consci del fatto che due poliziotti scafati come loro non potevano permettersi il lusso di dimostrare inquietudine per qualcosa di così poco scientifico come una “sensazione”. Mama Dubois, nonostante gli occhi saldamente chiusi, si alzò in piedi con perfetto tempismo al loro arrivo. I due agenti si fermarono a debita e rispettosa distanza mentre Mama Dubois, con gesti molto lenti e tranquilli, posava una leggera carezza alla testa abbassata di una donna in lacrime e si dirigeva verso di loro. L’espressione del suo viso fece balzare il cuore in gola a Mancuso che dimenticò d’un colpo i convenevoli di rito.

Che succede, Mama?” chiese spiccia a muso duro.

Mama Dubois alzò i suoi sorprendenti occhi dorati sulla giovane, non senza aver mandato un breve cenno di saluto col capo verso Thorpe.

“Abbiamo un grosso problema” mormorò con voce bassa e musicale che sembrava un sospiro di foglie secche “Un grosso problema davvero. Mai capitata una cosa così. Quanto tempo ci ha dato Vartan?”

“Abbiamo solo mezz'ora” rispose Mancuso mordendosi un labbro“Avanti, dicci che sta succedendo.”

Mama Dubois lanciò uno sguardo nervoso alle sue spalle, verso il gruppo di donne intorno al fuoco, poi parlò con voce molto bassa in modo da non farsi sentire da nessun altro.

“Il ti-bon-ange di Jeanne è ancora qui, ma è molto irrequieto” disse preoccupata “Nonostante abbiamo invocato i Loa di protezione, sta scappando via….come se fosse catturato e trascinato lontano.”

Fece una pausa ad effetto prima di sussurrare le ultime parole in tono definitivo.

“Sospetto che ci sia un baka nei dintorni.”

Mancuso e Thorpe rimasero a lungo immersi in un silenzio sorpreso.

Baka?” sussurrò Thorpe come a richiedere spiegazioni.

“Un baka, sì” rispose lentamente Mama Dubois “Uno spirito maligno che sta tentando di allontanare il ti-bon-ange di Jeanne. Qui è avvenuto un fatto di sangue molto cruento: tre morti, tanta gente ferita…tanto odio tutto intorno. Quasi non si riesce a respirare tanto l’aria ne è piena. Non vedo chi, se non un baka, avrebbe potuto provocare tutto questo.”

Mama, andiamo…” sorrise Thorpe, accomodante “Quella gente è morta per colpi di arma da fuoco, non per uno stramaledetto rito voodoo.”

“Un baka può provocare tutto questo” rispose Mama Dubois con incrollabile convinzione “Oltretutto, per invocare un baka non è necessario tanto l’esperienza quanto una forte carica mentale. Qualsiasi persona potrebbe invocare uno spirito maligno in situazione di forte stress emotivo.

Mancuso lanciò una penetrante occhiata alla donna di colore che sostenne il suo sguardo con calma apparente.

“Se stai tentando di dirci qualcosa, Mama, ti consiglio di parlare fuori dai denti” ringhiò Thorpe con aria cattiva “Non è né il tempo né il luogo per i tuoi complicati giochetti spiritici. Intendi dire che chi secondo te ha invocato il baka è il mandante di questa carneficina?”

“Forse.” rispose Mama Dubois, enigmatica.

Mama, sai benissimo che non possiamo basare una indagine di polizia sulla presunta presenza di uno spirito maligno” sospirò pazientemente Mancuso “Quindi, potresti dirci di preciso cos’è che vuoi che facciamo?”

Mancuso e la sacerdotessa si guardarono negli occhi con aperta sfida.

“La cosa che mi preme di più, adesso, è mettere in salvo il ti-bon-ange di Jeanne” mormorò infine Mama Dubois, con accorata gravità “E’ in pericolo e finché il baka sarà in circolazione non potrà trovare la via della luce. Dovete aiutarla.”

“Dobbiamo?” domandò sorpresa Mancuso, sollevando un sopracciglio “Io e Thorpe? Se non sbaglio, solo chi ha invocato il baka può ricacciarlo da dove è venuto. Oppure, una Mambo molto brava può provare ad  invocare i Loa e chiedere il loro aiuto.”

Mama Dubois tacque a lungo, pensierosa.

“Non abbiamo tempo per richiamare come si deve l’intervento dei nostri amati Loa” disse con voce rotta “Qualcuno deve andare ad aiutare il ti-bon-ange di Jeanne dove si trova adesso.

Thorpe e Mancuso, a quelle parole, si scambiarono uno sguardo sorpreso.

Mama” esordì Mancuso con voce dolce ma ferma “Jeanne è morta. Nessuno può raggiungerla dov’è adesso. E anche se tu credi che sia possibile, non abbiamo tempo per una cerimonia così complicata.

“Oltretutto, non è possibile che tu faccia sia da Mambo che da Tramite.” Rincarò la dose Thorpe, serenamente.

Mama Dubois posò su di lui un lungo sguardo sorpreso.

“E chi ha detto che sarò io ad andare ad aiutare Jeanne?” ribatté con voce pacata “Come giustamente hai detto, io devo presenziare alla cerimonia: devo invocare Loa Legba nel suo aspetto di apritore del passaggio, Maitre Ka-Fu. Questo richiederà tutta la concentrazione mia e delle mie donne. C’è un’aria instabile, qui: si sente odore di malvagità. Se lasciassi aprire a chicchessia la porta fra i mondi, che ne verrebbe fuori?”

“Nessuna delle tue donne è abbastanza potente per varcare la Soglia.” puntualizzò Mancuso, scoraggiata.

Lo sguardo che Mama Dubois posò su di lei era tranquillo, sereno e molto, molto deciso.

“Infatti” disse con voce morbida “E’ per questo che andrai tu.”

 

 

 

 

LEGENDA:

I Loa sono divinità Voodoo,  venerate dai fedeli durante le cerimonie. Ci sono due principali categorie di Loa, secondo la credenza: Il Rada ed il Petro. Molti Loa hanno manifestazioni che appartengono sia al Rada che al Petro. Tutti i Loa "montano" o posseggono i loro devoti.

Le credenze Voodoo includono l'esistenza di spiriti maligni che vagano nella notte. Questi posseggono membri appartenenti alla setta dei bizango, assumendo spesso le esembianze di animali; sono chiamati Baka. Una delle forme comuni del baka è il loup garou, o lupo mannaro.

 

 

Note dell’autrice:

Proseguo la storia a balzelloni, senza avere uno straccio di trama da seguire…Va bene lo stesso, gente? Sappiatemi dire.

 

 

Lady Antares D.L.:  Mi hermosissima must woman!! Che bello sentirti di nuovo… le tue parole mi fanno l’effetto di uno scaldotto di pile (in pieno inverno: in estate mi fai l’effetto di una menta fresca bevuta in veranda). Sono felice che i miei poveri, bistrattati personaggi piacciano a qualcuno. Hanno così tanto da dire e da dare: bisogna solo lasciarli fare, lasciare che esprimano i loro (ehm) conflitti interiori…Ma passiamo a noi: com’è finita la storia della scollatura a scomparsa? Devo sapere tutto (mai che mi faccia i cXXXi miei, io). Anche io adoro Mancuso: è il mio alter ego, si sente? Mendez, invece, è la prova che la mia mente è pericolosamente malata: sono già innamorata di lui ed ho scritto solo due scene!! E poi, gli  altri…credimi, tutti da scoprire. Spero di risentirti presto, mi corazon!! A presto!!
Kika2: Amore mio!! Non ti sentire in colpa, qui siamo tutti fulminati, chi più chi meno: sei in buona compagnia, non temere! La storia proseguirà, ma non sarà lunghissima: un cinque, sei capitoli al massimo. Però, ho già pronta in testa una nuova avventura per i miei pazzi scatenati della SREC (questa volta con protagonisti Jones e Brancousie). Poi, chissà. Per ora, mi piace scrivere di loro. Non mi abbandonare e dimmi sempre cosa ne pensi, ti prego!!

 

Grazie a tutti

Un bacio

Elfie

 

 

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Mancuso ci mise qualche secondo ad elaborare le parole di Mama Dubois, e quando lo fece per poco non scoppiò a ridere. Si trattenne, più per rispetto verso la donna che per altro e provò ad assumere l’espressione più gentile possibile.

“Mama, io sono un poliziotto” disse con voce condiscendente “Siamo nel bel mezzo di una indagine per omicidio. Rispetto le tue credenze, ma proprio non mi ci vedo a ballare intorno al fuoco come una forsennata imbrattata di sangue di pollo.”

Thorpe, con la faccia remota e impassibile, le lanciò uno sguardo di sfuggita, serrando ben bene le labbra per evitare di intromettersi, anche se era chiaro ed evidente che trovava piuttosto interessante l’idea del sangue di pollo. Mama Dubois sorprese entrambi sorridendo con una magnanima aria di superiorità.

“Mancuso” sospirò con voce quasi allegra “Nessuno ti chiederà di imbrattarti di sangue di pollo o fesserie simili. Tu sai che non ti chiederei di fare qualcosa che potrebbe danneggiare te o la tua immagine di poliziotto: per qualche oscuro e assurdo motivo, tu mi piaci, ragazza. Tutta quell’aggressività che dimostri, a partire da quel ridicolo giubbotto da motociclista, nasconde qualcosa di incredibilmente puro e senza scorie, qualcosa che nei riti voodoo è raro e prezioso come sangue di vergine. Saresti perfettamente in grado di varcare la Soglia, salvare il ti-bon-ange di Jeanne e magari anche scoprire cosa è successo stanotte e chi è fautore di questa carneficina.”

Mancuso aprì la bocca per  replicare, ma un leggero buffetto sul braccio da parte di Thorpe la interruppe.

“Potrebbe essere un’idea.” annunciò Thorpe con convinzione.

Guardando storto il collega, più che altro per il fatto che un leggero buffetto dato da quel pugno formato prosciutto risultava invasivo come un treno merci sparato contro il braccio, Mancuso si prese qualche secondo di tempo per riflettere. Mama Dubois aspettava paziente senza schiodare lo sguardo dalla sua faccia scura.

“Sarebbe una perdita di tempo.” brontolò Mancuso imbronciata..

“Non è detto” rispose Mama Dubois con un sorriso “Il vostro compito è farmi smammare dalla vostra scena del crimine, dico bene? Allora, ti prometto che se accetterai di varcare la Soglia, a cose fatte raccoglierò il mio ciarpame e me ne andrò buona buona a casa.”

“Potrebbe essere un’idea.” ripeté Thorpe allegramente e Mancuso si decise a fulminarlo con lo sguardo.

“Perché non ci vai tu, allora?” ringhiò a muso duro ricevendo in cambio l’angelico sorriso di Thorpe.

“Io non ho il tuo…come l’hai chiamato, Mama? Qualcosa di puro e senza scorie? Ecco, quello. E non ho nemmeno il tuo giubbotto da motociclista, a ben pensarci.”

Mancuso recitò un intero rosario di imprecazioni, avendo l’accortezza di non far uscire una parola dalla sua bocca sigillata. La suo faccia corrucciata si spostò da Thorpe a Mama Dubois, poi di nuovo su Thorpe che le sorrise incoraggiante.

“E va bene” sospirò infine la ragazza con una decisa scrollata di spalle “Mi toccherà fare anche questa. Lo venisse a sapere il mio professore di fisica all’università…”

“Brava ragazza” rise Thorpe, sollevato “Devo andare a comprare un pollo vivo o ne hai uno di scorta, Mama?”

“Niente pollo” rispose Mama Dubois, di nuovo seria e concentrata “Mancuso, vieni a sederti qui. Dovrai solo chiudere gli occhi e respirare.”

Le due donne si allontanarono verso il fuoco mentre Thorpe faceva ciao ciao con la mano, ostentando un serafico sorriso.

“Hei, collega” gli sibilò Mancuso sedendosi distrattamente fra le donne intorno al fuoco “Se questa cosa esce da questo metro quadrato di cortile, ritieniti un uomo morto fra mille sofferenze, chiaro?”

Thorpe annuì mentre Mama Dubois, con gesti precisi ed essenziali, aveva velocemente spogliato Mancuso dal suo pesante giubbotto e le massaggiava le braccia energicamente con un unguento che si era spalmata sulle mani. Mancuso la guardò dubbiosa: intorno a lei, le donne avevano iniziato a canticchiare una nenia soporifera e lamentosa, agitando le teste in lenti cerchi. Una vecchia incartapecorita si era messa a buttare parecchia erba secca nel fuoco che riprese ad agitarsi vivacemente in mezzo al cerchio di donne inginocchiate. Mama Dubois, accorgendosi della faccia perplessa di Mancuso, le sorrise rassicurante.

“Tranquilla, ma mie, andrà tutto bene.” le sussurrò all’orecchio.

Mancuso si agitò sul posto, imbronciata.

“Non so cosa devo fare.” buttò fuori velocemente, senza guardarla negli occhi.

“Devi solo respirare profondamente.” rispose Mama, posando una mano sulla sua nuca.

“Ok. Ma tu sai che non funzionerà, vero?” la avvertì Mancuso con sincero dispiacere.

Mama Dubois le sorrise dolcemente, posandole l’altra mano davanti alla bocca.

“Respira.” le disse solo, e Mancuso ubbidì.

Dopo qualche profondo respiro, sentì qualcosa scivolare dalla mano di Mama Dubois alla sua bocca: qualcosa di secco e tiepido e odoroso di fieno. Aprì la bocca per obbiettare e quell’alito aromatico le si insinuò nel respiro, diffondendosi rapidamente della gola e nei polmoni. Improvvisamente, Mancuso sentì qualcosa di potente strattonarle le braccia là dove Mama Dubois l’aveva frizionata con l’unguento. Di colpo, venne sbatacchiata con impeto da una forza invisibile fino a farla strillare di sorpresa. Un battito di ciglia, e Mancuso si trovò trascinata all’indietro a velocità vertiginosa, tuffata in un buio ovattato e grigiastro, completamente stordita dalla meraviglia. Cadde lungo quel tunnel scuro senza riuscire a muovere un muscolo, e l’ultimo suo pensiero razionale fu:

“Diamine! Questo trucchetto me lo devo proprio far spiegare da Mama Dubois…”

Poi, crollò a terra, travolgendo una persona nel percorso.

*          *          *

“Ma…disgraziata!! Che diavolo Fai!? Credi di essere un maledetto piccione!?”

La voce proveniva dalla vittima della colluttazione, constatò Mancuso; scostò un lembo di stoffa che le era piovuto sulla faccia, si raddrizzò e si guardò intorno, frastornata.

Era sempre sul marciapiede dove si trovava poco prima, ma il cerchio di donne intorno al fuoco era sparito. Anche Thorpe non c’era più, e nemmeno Mama Dubois. Non c’era più nessuno! No, errore: scostato di qualche metro e stravaccato su un basso muretto c’era un uomo alto e slanciato, con la figura snella e nervosa di un gatto randagio e le lunghe gambe erano inguaiate in un paio di pantaloni di pelle di coccodrillo, abbinati ad un trench dello stesso materiale. Il viso era coperto da un braccio piegato e il tizio sembrava dormire o intenzionato a farlo di lì al più presto. Accanto a lui, come timorosa di allontanarsi troppo, era seduta una ragazza giovane e molto bella, con la pelle nera e lucida come ebano e gli occhi grandi e spaventati dello stesso colore. Indossava una minigonna argentata delle dimensioni di un francobollo e un corto pellicciotto leopardato sopra ad un top di lurex azzurro. Mancuso abbassò lo sguardo sulla figura che aveva investito e che stava ancora emettendo rumorosi e coloriti squittii in una lingua che non capiva. Sembrava una bella ragazza mulatta con un’improbabile acconciatura sulla testa, il trucco pesantissimo e un vestito di strati su strati di voile giallo che stava lentamente trasformando in una rete che le avvolgeva come un bozzolo.

“Maledizione, mi hai presa per il tuo maledetto materasso, cocca? Togliti subito da dosso se non vuoi che ti suoni come una maracas!” strepitava la ragazza e Mancuso, leggermente intontita, cercò di scostarsi da lei.

Rotolò di qualche metro in là e attese che la terra smettesse di girare in tondo: quando riuscì a mettere a fuoco la vista, alzò gli occhi sulla ragazza seduta che la guardava con i grandi occhi bruni stupefatti.

“Jeanne…?” domandò dubbiosa: il mento della ragazza cominciò a tremare e due grosse lacrime rotonde presero a scorrere con delicatezza sul bel viso liscio.

“S-Sì…” rispose sottovoce, piena di speranza “E tu…?”

“Io sono l’agente Mancuso della polizia di New Orleans” disse Mancuso con voce più decisa e sicura, alzandosi in piedi “Un agente della polizia che parla con i morti!! Diamine, stavolta devo essere fatta di brutto…chissà cosa mi ha propinato quella vecchia strega di Mama Dubois.”

Parlava a ruota libera e leggermente a scatti perché era ancora completamente incredula di quello che le stava succedendo: sospettava di stare vivendo una allucinazione, ma guardandosi intorno i suoni, i rumori, i colori e gli odori le sembravano talmente reali che il dubbio le si insinuò diaccio sotto la pelle.

“Po-Polizia…” balbettò Jeanne, ancora sconvolta. Poi, lasciando letteralmente di stucco Mancuso, le si gettò tra le braccia, strizzandola con una persa da wrestler  che lasciò la giovane senza fiato.

“Oddio, come sono contenta di vedere qualcuno!! Ero così spa-spaventata e so-sola…non c’era più fr-freddo e di solito questa è una bella notizia ma non è normale, no..? Così da un momento all’altro, quando dovrei es-essere a letto nel mio ap-appartamento…non si sentiva un rumore e tutta quella gente, poi zac!, più niente! E io che urlavo smettetela, lasciatemi stare, ed ero così angosciata e avevo così tanta PAURA che…”

Senza tanti preamboli, nel bel mezzo della suo sconnesso monologo, la ragazza in giallo si alzò in piedi, liberò con decisione Jeanne dalla stretta di Mancuso e, con molta scioltezza, le mollò un manrovescio sul viso che le fece girare la faccia di quasi 180°.

“Estrela…!” mormorò la voce sottilmente divertita del tizio steso sul muretto con un tono di debole rimprovero. Mancuso ammutolì immediatamente dalla sorpresa, e la ragazza in giallo sospirò, aggiustandosi l’acconciatura con gesti misurati e civettuoli.

“Oh, così va bene” disse poi con voce bassa da chioccia facendo uno sfavillante e bianchissimo sorriso all’indirizzo di Jeanne “Dovevi sentirti, gioia, più isterica di una scimmia allo zoo, ho dovuto farlo, capisci.”

La giovane le lanciò uno sguardo confuso, massaggiandosi la guancia offesa dove, in realtà, non sentiva nessun dolore.

“Mi hai…dato uno schiaffo!!” mormorò, piagnucolante.

 “Ho dovuto, cocca” rispose la ragazza in giallo controllandosi attentamente le unghie laccate di arancione vivo “Eri nel bel mezzo di una crisi isterica e la nostra nuova ospite non è di sicuro qui con una scatola di Kleenex pronta ad ascoltare i nostri sfoghi personali, dico bene…?”

Si girò a guardare l’agente con aria interrogativa. C’era qualcosa di strano nella ragazza, a parte l’abbigliamento carnevalesco e Mancuso se ne avvide nonostante la confusione mentale in cui era piombata. Quella lei in realtà era un lui.

“Scu…scusate…” mormorò Mancuso, folgorata dalla sorpresa.

“Oh, non ti devi affatto scusare, cocca!” sorrise Estrela, di colpo solare ed allegra  “Siamo qui da un sacco di tempo e cominciavamo ad essere un po’ stufi di aspettare chissà che cosa. Oltretutto, non è affatto piacevole non avere intorno nessuno se non questi due tizi dall’aria equivoca, dico bene…?”

Ammiccò all’indirizzo di Jeanne, che le concesse un debole sorriso.

Mancuso, ovviamente, era sempre più nel pallone: si schiarì la  gola un paio di volte, tentando di raccapezzarsi e di capire quale sarebbe stata la domanda più intelligente da fare in quel momento.

Non le venne in mente niente di niente: il pensiero di essere probabilmente al cospetto di tre persone ufficialmente morte l’aveva lasciata completamente basita sul posto. Fortunatamente, il travestito le venne in aiuto.

“Scusami, cocca, non mi sono nemmeno presentata!” trillò avvicinandosi “Io sono Estrela, regina del sesso di lusso a pagamento di tutta Storyville!”

Agitò una mano davanti a Mancuso che la strinse al rallentatore, sbattendo gli occhi ancora stupefatta.

“Jeanne la conosci già, immagino” continuò Estrela “Lui, invece, è Xavier. Xavier, non fare l’orso, saluta la signora, su.”

L’uomo sollevò appena un braccio e Mancuso intuì uno scintillio d’acciaio sotto le palpebre socchiuse: poi il tizio riabbassò il braccio e rimase immobile e indifferente.

“Non ti preoccupare” mormorò Estrela a Mancuso allontanandosi dall’uomo “Xavier fa tanto il burbero ma in fondo ha un cuore d’oro…più o meno. Ma non farlo incazzare, gioia: credimi, è assolutamente meglio non vederlo incazzato.”

Mancuso la ignorò e si schiarì di nuovo la voce: l’ultimo dei suoi pensieri al momento era quello di fare arrabbiare un perfetto sconosciuto (morto!) ricoperto di coccodrillo.

“Voi…ehm…avete una qualche idea di cosa vi sia…ehm…successo?” domandò alla fine con voce rauca.

Con un movimento impercettibile e fluido, il tizio sul muretto si alzò a sedere piantando addosso ad Mancuso due occhi taglienti come lame e altrettanto grigi, incastonati in una faccia che sembrava lo schizzo di un pittore visionario.

“Non so te, ma io ricordo bene qual è stata l’ultima cosa che ho visto” disse con una voce morbida e graffiante allo stesso tempo, con un leggero accento straniero “La canna di una Beretta PM 12 S2 puntata dritta sulla fronte. E Jeanne, che tu vedi così carina seduta sul muretto, era per terra morta da almeno dieci minuti. Non ci vuole molto per capire cos’è successo, dolcezza: è chiaro che siamo tutti quanti morti.”

 

 

 

 

 

NOTE DELL’AUTRICE:

 

 

Sarah92: Se ti piacciono gli spiriti, spero che questa “piega imprevista” della situazione sia di tuo gradimento!! Non so, regge la storia così o è troppo assurda? Fammi sapere la tua opinione, dai! Grazie, intanto, per i complimenti, fanno sempre piacere!! Sbaciuzzi!!

Kika2 : Mia diletta!! Ovviamente, non riesco a scrivere se non c’è un sottofondo “romantico” nelle mie storie quindi, come hai giustamente auspicato, c’è qualcosa che lega i miei prodi colleghi di lavoro…ma non posso scoprire subito le mie carte, no? Così, farò finta di niente e glisserò. Jones e Brancousie…? Nooo, niente di niente tra di loro. Ehm. Grazie come sempre per le belle parole, mi sono comossa!!

Romina: Oh Diletta lettrice mia, io adoro le dottrine esoteriche, non perché ci creda, ma perché  le trovo così assurde che cerco di trovare il motivo per cui tanta gente ci si attacca…Certo, un po’ mi documento, un po’ glisso, moltissimo scrivo stronzate sull’argomento! D’altra parte, penso che nessuno mi interpellerà mai come esperta sull’argomento! Prevedo nuovi episodi, finito questo, magari con altre dottrine religiose…mi documenterò. Baci baci, bellezza!! P.S.: Mendez ti saluta…

Nisi Corvonero: Nisuccia bella!! Spero che questa “virata al sovrannaturale” ti sia piaciuta almeno un po’. Sapessi quante di queste cazzate vengono fuori, nei miei deliri notturni…qualcuna la doveva pubblicare, prima o poi. La tua teoria du Mendez non calza proprio del tutto: quel tizio fa sul serio, credimi. Se ti togli il reggiseno in sua presenza, non credo proprio che scapperebbe, e poi sono cavoli tuoi. Comunque!! I tuoi commenti vanno bene sempre, sia con o senza gnocchi. Ti adoro!! Sbaciuzz!!

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


“Io ancora non capisco come possa essere successo” ronzava in lontananza la voce di Estrela, petulante “Cioè, era un pezzo che Karim mi veniva dietro…gran bel figliolo, Karim, peccato per quelle idee un po’…islamiche…sulle ragazze come me. Comunque, in giro tutti sapevano della riunione di stasera e quando Karim mi ha chiesto di accompagnarlo a questo fantomatico incontro con i rivali cajun, ho detto di sì subito! Cioè, mai e poi mai mi sarei abbassata a fargli da accompagnatrice se non avessi saputo che ci sarebbe stati tutti i più importanti del giro, compreso Xavier…. Già, credo che sia stata proprio tutta colpa tua, Xavier, se sono morta stasera: ero troppo, davvero troppo curiosa di conoscerti. Parlavano tutti di te e di come erano belle le tue ragazze…mica potevo farmi scappare l’opportunità di vederti. Metti caso che fossi stato il mio tipo, eh?”

“Peccato che sia tu a non essere il mio.” rispose amabilmente Xavier accendendosi distratto una sigaretta.

“Comunque, ero lì appesa al braccio di Karim, tutta concentrata nel cercare di capire se il tuo vestito era di Cavalli o di Calvin Klein…a proposito, gioia, di chi è?”

“Dolce e Gabbana.” rispose Xavier nascondendo un sorriso.

“Ma certo! Dovevo capirlo, il taglio, il tessuto…Quel trench ti sta d’incanto, gioia, ma con quel fisico ti starebbe bene anche un sacco di patate addosso…confesso che trovo molto intrigante l’idea di vederti infagottato in un telo di juta…comunque, dicevo, ero lì con Karim e a un certo punto ho visto che cercava di abbracciarmi ed ero indecisa se starci o no, sapete anche voi, le occasioni vanno colte quando capitano,  quando ho capito che quello stronzo non mi stava insidiando, ma mi stava usando come scudo!”

“Che villano.” sentenziò Xavier con una vaga vena ironica nella voce mentre Estrela annuiva, entusiasta.

“Proprio così! Glielo stavo per dire a quel maiale, ma non riuscivo più a parlare…”

“Tu senza voce? Oddio, che tragedia.” mormorò Xavier con un lampo negli occhi.

“Ero già morta, capisci?!? Stecchita sul colpo, col vestito tutto un colabrodo di buchi rossi, dico io! Un Versace autentico!! Credo di essere svenuta dalla costernazione!”

“Il tuo amico Karim stava giocando molto sporco.” la informò Xavier, di nuovo serio. Gli sfuggì un’occhiata verso Jeanne che si guardava la punta delle scarpe cercando di contenere l’agitazione.

Mancuso, che fino a quel momento era rimasta immobile a sorbirsi il colorito monologo di Estrela, cominciò ad ondeggiare pericolosamente mentre tutto intorno i colori già grigi sfumavano ancora di più. Stava quasi per cadere quando fu afferrata da due braccia dure e nervose e si trovò a sedere di colpo sul muretto con una sigaretta che batteva sulle labbra.

“Fuma.” ordinò Xavier serio con un tono di voce che non ammetteva repliche e Mancuso fu tentata di obbedirgli mentre la vista si schiariva di nuovo.

“Io…non fumo..” esalò incerta, ma Xavier insistette ficcandole il filtro tra le labbra.

“Meglio…ti distrarrà ancora di più.”

“Ma sì, tanto non ti devi più preoccupare per il cancro ai polmoni, gioia.” squittì Estrela ancheggiando verso di loro.

Mancuso obbedì e il tabacco le invase i polmoni, trasmettendole una immediata sensazione di nostalgico dolore al petto. Trattenne il fumo per un tempo lunghissimo, poi esalò il respiro lentamente, come rammaricata. Xavier la guardava con un sopracciglio inarcato.

“Fortuna che non fumi.” disse tranquillo, scuotendo la cenere dalla punta della sigaretta. Mancuso, finalmente lucida, gli rivolse uno sguardo di scuse.

“Ho smesso l’anno scorso.”

“Stai meglio adesso?” pigolò piano Jeanne; era rimasta in piedi a guardarla con gli occhi sgranati fino a quel momento. Mancuso annuì, più per tranquillizzarla che per altro e gli sorrise La giovane le sorrise di rimando, rinfrancata.

“Hai parlato di Mama Dubois, vero? Ti ha…ti ha mandato lei?” domandò Jeanne, nervosamente.

Mancuso annuì mentre il cuore, per qualche assurdo motivo, le si riempiva di calma e pace.

“Sì, io…sono venuta a vedere cosa è successo.” rispose cercando di non farsi sommergere dal senso di irrealtà che quella frase le aveva scatenato.

Improvvisamente gli occhi di Jeanne si riempirono di lacrime.

 “C’era anche la mia mamma?” mormorò con voce fioca “Lei…sarà triste per me, e io non voglio…”

La giovane cominciò a singhiozzare e Mancuso la abbracciò, incerta. Nel vederle, Xavier alzò gli occhi al cielo e con un moto di disgusto si sdraiò di nuovo sul muretto. Estrela sembrava oltremodo affascinata dalla loro tristezza.

“Oh, tutto questo è davvero commovente” tubò contenta “Sembra quasi una telenovela! Possono dire quello che vogliono, ma questa storia dell’aldilà non è sicuramente noiosa come vogliono farci credere. Mi ricordo che una mia amica di Bahia era convinta che…”

“Estrela, piantala.” disse a voce molto bassa Xavier, ed Estrela la piantò.

Jeanne pianse a lungo e Mancuso la lasciò fare, meditando nel frattempo sull’assurda situazione in cui era piombata. Certo, doveva essere tutta una allucinazione, non c’erano dubbi. Eppure, le lacrime di Jeanne che le imbrattavano la camicia sembravano autenticamente tiepide e lo sguardo vivace e curioso che Estrela le rivolgeva impaziente era così maledettamente…reale…e che dire del tizio rivestito di rettile? Può una allucinazione sembrare contemporaneamente così pericolosa e sexy?

Quando i singhiozzi di Jeanne si stemperarono in una serie di sospiri esausti, Mancuso decise di averne abbastanza: dolcemente, si staccò dalla ragazza e si alzò in piedi con piglio deciso.

“Ehm” disse, molto intelligentemente “Io sono stata mandata qui per aiutarvi a…che Dio mi aiuti…varcarela Soglia…”

Xavier alzò il braccio e le lanciò un lungo sguardo ironico che la fece rabbrividire da capo a piedi. “Gesù, che sguardo” pensò imbarazzata “Se fa questo effetto da morto, figuriamoci com’era da vivo…

“Ok, lo so anche io che questa sembra una stronzata” disse, spezzando decisamente quei pensieri promiscui “E probabilmente l’idea che io sia qui a parlare con tre morti non uscirà mai dal recesso segretissimo della mia mente in cui relegherò questo ricordo appena possibile, ma nel frattempo…credo che sarebbe molto costruttivo se cercassimo di ricostruire gli eventi che vi hanno portati qui. Un passo per volta, con calma e razionalità. Che ne dite?”

“Io ci sto!” trillò Estrela, felice “Mi stavo annoiando a morte prima che tu arrivassi qui! Almeno si fa un po’ di conversazione, giusto Jeannette?”

“Giusto.” sorrise Jeanne, decisamente rinfrancata.

“Ci mancava solo la Mary Poppins della Polizia per peggiorare la situazione.” Brontolò Xavier da sotto il suo braccio, ma senza acrimonia.

“Se hai qualche idea migliore, signor pelle-di-pitone, esprimiti pure.” Berciò Mancuso, offesa.

“Ok” approvò Xavier, stranamente accomodante “Allora ognuno di noi non dice chi è e che cosa ha fatto per essere qui in piacevole compagnia. L’agente Mancuso ha ragione,  non abbiamo altro da fare che conoscerci meglio.”

“Intimamente” alluse Estrela maligna, ondeggiando verso Xavier “Posso essere la prima a raccontare?”

“Perché, se diciamo di no tieni davvero il becco chiuso?” rispose ironico Xavier.

Estrela gli si sedette accanto continuando a sorridergli in maniera affascinante.

“No, credo di no. Ma volendo ci sono un sacco di altri modi per farmi tacere, Xavier caro.”

Qualcosa fece scintillare ancora di più lo sguardo duro di Xavier.

“Estrela cara, il tuo sedere brasiliano è sicuramente uno dei migliori sulla piazza, ma il genere non incontra il mio favore, come dovresti sapere bene. E se mi chiami un’altra volta Xavier caro, ti spezzo un braccio e  lo uso per riformarti i connotati, mi sono spiegato?”

Estrela rise, ma la sua risata era pochissimo convincente.

“Allora, la tua fama di gentiluomo no corrisponde alla realtà. Ma che peccato. Comunque, l’idea di conoscerci meglio è favolosa! Potremmo diventare una nuova, grande famiglia celeste…un po’ atipica, ma insomma…”

Xavier alzò gli occhi al cielo, ma non aprì bocca. Estrela si accomodò meglio sul ciglio del muretto e assunse una drammatica posizione da narratore.

“Parto io, allora.”

*          *          *

 “Sono nata a Salvador de Bahia come Rodrigo Paulo Estebàn Espinoza Gonzales…pensate voi, un nome da maschione come Rodrigo associato ad un giunco ballerino di samba come me!”

Estrela si perse un attimo nel ricordo, mentre Mancuso lanciava uno sguardo incredulo a Jeanne.

“Io volevo sapere di stasera” mormorò sottovoce, depressa “Mica volevo sciropparmi la sua vita a partire dal mesozoico!”

Jeanne fece spallucce, sorridendo ed Estrela, ignorandole, continuò.

“Comunque, se ne accorsero subito tutti che non ero fatta per raccogliere caffè nelle piantagioni. Io ero fatta per la celebrità! Non avevo ancora diciassette anni che già facevo la prima ballerina al corteo del carnevale di Rio…e vi giuro, Non c’è stato un solo uomo che non abbia sbavato sul mio perizoma di perline!”

Estrela sospirò, estatica.

“E perché allora non te ne sei rimasta  a Rio a far sbavare tutti dietro alle tue chiappe?” le domandò Xavier sornione: nonostante la sua faccia fosse seria, un sorriso tremava dietro le labbra come il sole dietro le nuvole. Estrela spalancò gli occhioni, bamboleggiante.

“Per i soldi, gioia, ovvio! Una dolce cosina come me mica poteva vivere di samba e favelas! Così, ho seguito il mio cocco di turno in America. Aveva letteralmente perso la testa per me, il povero Johnnino bello! Pensate, per non farmi sentire il freddo di New Jork mi aveva comprato una pelliccia di cincillà che era una favola, una cosa divina…Ma Johnnino bello era così…americano! Non capiva che io sono come un prezioso uccello esotico e selvaggio, che rischia di morire se rinchiuso in una gabbia, se pur dorata…”

“Ti ha beccata a letto col giardiniere?” buttò lì Xavier, ed Estrela fece un drammatico sospirone.

“Non proprio…era il domestico filippino. Pensare che ho sempre sottovalutato i filippini, mi sembravano così poco predisposti al sesso.  E invece dovevate vedere come ci dava dentro Thien-Peh quando…”

“Tesoro, risparmiaci i particolari raccapriccianti, o alla signorina agente di polizia le si guasta la messa in piega.” la avvisò educatamente Xavier e a Jeanne scappò una risatina involontaria.

“Ho sempre adorato le ballerine.” sorrise Mancuso, indecisa se fosse il caso o no di fare dell’ironia: si attirò comunque il solare e dolcissimo sorriso di Estrela.

“Ma che cara che sei, cocca! Anche io ho sempre ammirato le donne poliziotto, soprattutto quelle dolci come te, zuccherino mio! Comunque, quando Johnnino bello mi ha sbattuta fuori di casa che potevo fare? Fiera delle mie doti di ballerina, ho fatto il giro dei locali per trovare un posto, ma ho scoperto che a New Jork ci sono più ballerine di samba che a Rio. Così sono andata a Las Vegas, dove ci sono ancora più ballerine che a New Jork. Lì ho incontrato Ice-Code, un tizio che gestisce la metà dei locali di Las Vegas… mi sembra che sia stato lui il primo a parlarmi di te Xavier car…Xavier.”

Xavier fece un sorrisetto di circostanza ma non rispose.

“Comunque, Ice-Code mi fa: cocca, come ballerina fai pena, ma posso offrirti un posto di accompagnatrice di lusso, se la cosa non va contro le tue regole morali.. al che io dissi, e che diamine!, gioia, perché non me lo hai proposto subito!?!  Sono nata per fare l’accompagnatrice! Comunque, accompagna di qui, accompagna di là, mi sono comprata un bell’appartamentino a Las Vegas che faceva invidia a quello di Johnnino bello e del suo merdoso domestico filippino. Però, Las Vegas è davvero un porcaio allucinante, così caotico, così…”

“Americano?” azzardò Mancuso guadagnandosi un secondo sorrisone da parte di Estrela.

“Esatto, cocca, esatto!! Mi ero un po’ stufata di pancione bianche e gonfie di birra…così, mi sono trasferita in Florida, dove il clima doveva essere molto più adatto alla mia persona. E infatti, il clima era anche buono, ma gli abitanti di Miami…Che barba! Dei tali gelosoni!! Ad un certo punto c’è stato Rodrigo (sì, Rodrigo, proprio come il mio nome da bambino, sarà il  mio karma che mi perseguita.. anche se, devo dirlo, ho sempre detestato il mio nome, voglio dire, certi nomi si cuciono addosso una personalità e il mio faccino mica poteva esprimere il concetto di Rodrigo, vero!?!)…, oh, dov’ero?”

“Ai gelosoni di Miami.” la riportò sul seminato Xavier.

“Ah, già! Sono letteralmente dovuta scappare da Miami e quel pazzo scatenato mi ha inseguito fino in California con la spada sguainata…che romanticone, il mio Rodrigo!”

“La tua vita sembra proprio un feuilleton romantico, Estrela.” sorrise Mancuso, attirandosi lo sguardo complice e timido di Jeanne.

“Quanto hai ragione, gioia! Qualsiasi cosa sia un feietton. Comunque, in California mi trattenni poco…”

“A quanto ne so, ti hanno sbattuta fuori da un locale dove ti stavi esibendo in una…come possiamo chiamarla…Samba non richiesta.” intervenne Xavier, educatamente.

“Tesoro, c’era Sean Connery in quel locale! Dovevo farmi notare, sono certa che quel bel pezzo di scozzesone avrebbe apprezzato la mia samba…dopotutto, gli scozzesi portano il gonnellino, non so se mi spiego… Però, non potei mai vedere Sean da vicino perché venni gentilmente accompagnata all’uscita del locale ed esiliata a Santa Monica. Il passo dalla California alla Louisiana non lo ricordo proprio: avete mai conosciuto i californiani? Sono una razza a parte, parola mia…anche peggio dei papponi cajun.”

Ammiccò a Xavier che le fece un sorriso storto e complice.

“Che successe poi, Estrela?” domandò Jeanne con voce flebile.

“Dopo la California? Vediamo…Approdai a New Orleans dove trovai il mio elemento ideale, il mio terreno di coltura, per dirla in termini scientifici. E qui sono davvero sicura di aver sentito parlare di te Xavier.”

“Forse. New Orleans è anche il mio terreno di coltura.” minimizzò Xavier a mezza voce.

“Ed ora, sono qui. A New Orleans c’è uno schifosissimo clima umido e mi manca tanto il sole di Bahia, ma si guadagnano palate di soldi e finché esisterà la chirurgia estetica, Estrela Espinoza Gonzales sarà la regina del sesso di lusso di tutta la Louisiana!”

Estrela sollevò le braccia sopra la testa e accennò un passo di danza, quando la voce di Xavier la riportò bruscamente coi piedi per terra.

“Tesoro, forse non ti è chiaro il concetto che sei morta. Siamo tutti morti. Sarà il caso di abdicare, che ne dici?”

Estrela abbassò le braccia, imbronciandosi.

“Sei un guastafeste. Me l’ero quasi scordata che ero morta…per colpa di quel pezzente creolo, per giunta.”

“Karim non voleva uccidere te: voleva uccidere me.” rettificò Xavier con una nota amara e secca nella voce: Mancuso rizzò le orecchie, attenta.

“Comunque ci ha fatto fuori entrambi” sospirò Estrela “Proprio nel bel mezzo della mia maturità sessuale, quando ancora avevo così tanti begli anni da vivere! Fortuna che mi ero confessata, domenica scorsa…”

“Confessata?” mormorò Mancuso, momentaneamente alla deriva “E questo che c’entra?”

“Una brava ragazza che fa il mio mestiere deve sempre tenere aperta la porta per il paradiso” sorrise Estrela, perfida “Dopotutto, ho ricevuto una rigida educazione cattolica, no?”

“Marcirai all’Inferno, sporca peccatrice.” profetizzò Xavier, ammiccando, ed Estrela ridacchiò.

“Non credo, tesoro mio: io sono sicura del mio buon cuore. Certo, la mia vita è stata un po’…bizzarra, diciamo così. Ma questo mio corpo è stato un dono di Dio e non è colpa mia se me l’ha dato accessoriato di un pisello da maschietto e di due tette da femminuccia…”

“Con tutta la buona volontà, Estrela, nessuno crederebbe mai che quelle che ti porti appresso siano due tette vere.” precisò Xavier, scettico.

“Amore, ti posso giurare che qualcosina c’era già, io l’ho solo potenziato! E comunque, non è questo il punto: io so di aver passato una vita all’insegna della gioia e della bontà. Non ho mai fato del male a nessuno, non ho mai infranto un solo comandamento della religione cattolica. Bè, forse per il desiderare la roba d’altri….c’era la mia amica Mariana che aveva un guardaroba da urlo e ammetto che un pensierino…”

“E con gli atti impuri come la mettiamo?” sorrise Xavier.

Estrela gli rivolse un sorriso abbagliante.

“Oh, per quelli avevo stipulato un contratto con il mio prete confessore a Bahia. Lui mi ha giurato e spergiurato che non c’era niente di male in quello che facevo e mi ha dato una assoluzione plenaria e totale.”

“Scherzi?” borbottò Jeanne strabuzzando gli occhi “Ma che razza di prete era?”

“Cattolico. Cattolicissimo, don Pedro. L’ho visto per poco a Bahia: si è trasferito a Sao Paulo, adesso gestisce una caffetteria e si fa chiamare Anita. Comunque, mi sono documentata per bene e secondo la religione cattolica, il perdono divino è legittimo a tutti gli effetti, qualsiasi siano le inclinazioni sessuali del prete che lo impartisce…quindi, la mia assoluzione è ancora valida, lo so!”

Mancuso, Xavier e Jeanne scoppiarono a ridere con perfetto sincronismo.

“Ridete pure” squittì Estrema, offesa “Però è il vostro posto in Paradiso ad essere incerto: il mio è assicurato.”

“Tesoro, per me il Paradiso non aspetta altro che conoscerti da millenni a questa parte.” sorrise Xavier, per una volta senza ruvidezza nella voce.

“Oh, ma adesso tocca a te, Xavier: avanti, raccontaci di te, da dove vieni, cosa fai…quali sono le tue preferenze sessuali…”

Xavier alzò un sopracciglio, sprezzante, e si tornò a sdraiare sul muretto.

“Non sono un bravo oratore.” disse piano con voce atona.

“Oh, su, che guastafeste!” si lagnò Estrela “Se sei stato proprio tu a dire che dobbiamo conoscerci…”

“Era un modo come un altro per cercare di farti seccare la lingua.” ribatté Xavier, per niente scosso.

“Ma dai, su, raccontaci…devi aver avuto una vita così affascinante! Altro che fei…feu……come l’avevi chiamato, gioia?”

“Feuilleton.” rispose Mancuso nascondendo un sorriso. Per un momento pensò che magari doveva fare attenzione al fattore tempo, ma la compagnia di quei tre potenziali ectoplasmi l’aveva completamente assorbita.

“Ecco, quello.” confermò Estrela, convinta.

“Se ti va tanto di parlare, ti nomino mia biografa ufficiale.” mormorò Xavier sempre ad occhi chiusi “Immagino che qualcosa saprai di me, visto quanto sei brava a ficcanasare dove non dovresti…”

Estrela sorrise, maliziosa.

“Bè, Xavier, nell’ambiente sei quasi una leggenda…ovvio che in giro si sparli di te. Una cosa che non so, comunque, è il tuo cognome: ti chiamano tutti Xavier e basta.”

Xavier tacque per un bel pezzo e Mancuso pensò che si fosse seriamente addormentato.

“Andiamo, Xavier, ormai che differenza vuoi che faccia se sappiamo o no il tuo cognome, qui non viene di sicuro nessun magistrato ad indagare sulla malavita cajun o sulla prosti…”

“LeDuc” la interruppe Xavier con voce annoiata “E sì, lo so , è penoso. Per questo no lo dicevo a nessuno. E adesso piantala di scassarmi le palle. Sei insistente e fastidiosa come una emorroide.”

“Come vuoi” si adeguò Estrela andandosi a sedere vicino ad Mancuso che sembrava essere il suo unico interlocutore interessato “Comunque la tua biografia la dico in giro lo stesso. Così impari a dare della emorroide alla regina del sesso di lusso.”

 

 

 

NOTE DELL'AUTRICE:

 

Sarah92 : Mio tesoro!! Mendez a sentirsi nominare è già lì che scalpita come un toro da corrida…che razza di beduino, dico io!! Ma tu, mia dolcissima, che sai sempre cosa dirmi per farmi sentire una brava scrittrice nonostante le mie evidenti lacune, sei esperta di fantasmi? Potrei prenderti come consulente esterna…Bacini baciotti!!

Romina: Oh, mia Diletta!! MA quante cose ancora di te devo sapere prima di ammettere che siamo l’una lo specchio dell’altra? Non sulla fifa, però: io mi diverto un sacco con libri/film dell’orrore, gialli, suspance, paura e simili. Infatti, The Others, Il silenzio degli innocenti, il sesto senso ecc sono il mio pane quotidiano. Uhm…e se mi cimentassi con un racconto horror?!? Ho paura che non sarei credibile…qualche cazzata la devo sempre sparare, povera me!! Consigliami, mia divina! Il pollo ti saluta e ti manda a quel paese per il tuo spassionato consiglio…

Nisi Corvonero: Riuscire a stupirti è uno degli obbiettivi primari della mia vita… Subito dopo, leggere le tue storie sempre piacevolissime e intriganti. Con questa storia mi sono presa delle libertà inimmaginabili, nel senso che lasci cavalcare la fantasia fin dove arriva. Piuttosto in là, ho notato…ehm…verso l’infinito e oltre? Madame Dubois ringrazia sentitamente : sai che è la cugina di terzo grado ci una certa madame Madescu? He he he…tutto collegato, nei meandri perversi della mia mente malata…

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


“Xavier è uno dei protettori più potenti nel giro della prostituzione a  New Orleans dalla notte dei tempi. Mi chiedo come faccia a rimanere così in forma dopo tutti questi anni passati a smerciare puttane e travestiti a destra e a manca…” sorrise e ammiccò mentre a Mancuso scappava uno sguardo sorpreso e schifato verso Xavier. Un pappone!! Un mafioso cajun!! Mancuso si rese conto improvvisamente della portata di quella notizia e per un attimo la fulminò il pensiero che imbattersi in lui non fosse poi stata questa gran fortuna.

“Tranquilla, dolcezza” disse la voce ironica dell’uomo, come leggendole nel pensiero “Non ho intenzione di mangiarti come l’orco cattivo…non ancora, almeno.”

Mancuso si azzardò a guardarlo sospettosa e ricevette in cambio un sorriso storto stranamente affascinante. Provava un’istintiva avversione nei suoi confronti: il suo radar da brava ragazza strillava impazzito alla vista di quegli abiti costosi e sfacciati, di quell’accento vagamente straniero con quella erre secca, di quegli occhi grigi adamantini. Pericolo!, strillavano le cellule di metà cervello. L’altra metà era ancora anestetizzata dagli eventi impossibili in cui era piombata.

“Hei, tu, non spaventarmi il cucciolo” ammonì Estrela posando un braccio sulle spalle di Mancuso “Si vede lontano un chilometro che è una persona ammodo ed è già tanto che non ci abbia sputato addosso come avrebbe fatto chiunque altro.”

“Ooooh, c’è qui una autentica, originale brava ragazza…gnam gnam.” ridacchiò Xavier puntando quei curiosi occhi di scaglie di vetro su Mancuso che non poté fare a meno di arrossire furiosamente sotto quello sguardo scaltro, prendendosela subito dopo con se stessa per la sua maledetta timidezza.

“Xavier, vergogna!” strillò Estrela ben calata nella parte di difensore della virtù “L’hai fatta arrossire. Anzi, l’hai fatta diventare viola! Oddio, povera cara…ma non è normale arrossire così, sembri a pois! Xavier, ma guarda, sembra addirittura una reazione allergica!”

Grazie tante, sibilò Mancuso dentro di sé mentre teneva lo sguardo ostinatamente puntato a terra e Xavier se ne usciva in una risata grondante scherno.

“Vedo, vedo…davvero notevole. Erano secoli che non vedevo una femmina arrossire. Non di imbarazzo, comunque.”

“Sembra quasi che nessuno ti abbia mai fatto un complimento, gioia” continuò Estrela accorata “E’ strano con quel faccino così carino che hai…a proposito, com’è che ti chiami?”

“Maria.” rispose la ragazza, odiando selvaggiamente il suo nome quando Xavier cominciò di nuovo a ridere.

“Oddio.” mormorò Estrela con sincera compassione nella voce.

“Così non c’è nemmeno gusto, è come sparare sulla croce rossa.” mormorò Xavier, ma senza acrimonia.

“Ma gioia, questa è proprio sfortuna bella e buona, insomma, se arrossisci così, con un faccino così ed un nome così spaventerai tutti gli uomini! Voglio dire chi è che si prende la briga di sporcare santa Maria, Madonna assunta in cielo , uno rischia l’anatema divino! Povera cara, i maschi scapperanno tutti a gambe levate..”

Un dubbio atroce passò fulmineo nel cervello di Estrela che fissò Mancuso con una faccia da film dell’orrore.

“Gioia, non mi dirai mica…che sei…vergine!?!?”

Xavier questa volta scoppiò a ridere rimettendosi a sedere mentre Jeanne nascose un sorriso dietro la mano.

“Estrela, stavamo parlando di Xavier. Perché non continui?” chiese Mancuso con voce pacata frenando l’impulso molto poco cristiano di dare una bastonata in testa a quel petulante travestito.

“Ah, già! Di Xavier ci sarebbe da parlare per anni se si dovessero ascoltare le voci. In realtà si sa poco e niente del signor…come hai detto che è il tuo cognome, Xavier?”

“ LeDuc.” rispose Xavier, rassegnato.

“Ecco. Xavier è cajun, vero. E fin qui non ci piove. Poi, iniziano le leggende sul suo conto. Pare che abbia attraversato l’Old Man River come i vecchi pionieri.”

“Niente gommoni, ci tengo a precisarlo” borbottò la voce di Xavier che si era sdraiato di nuovo sul muretto ad occhi chiusi “Io viaggio solo rigorosamente via terra.”

“Gioia, andiamo, figurati se uno di classe come te arriva su un gommone, dai! Pare che sia arrivato dalle campagne nascosto nel retro di un camion che trasportava pecore…”

“A dire il vero erano maiali, ma ci siamo divertiti lo stesso.” rettificò Xavier con la voce ironica suo malgrado.

“Sembra che a quei tempi fosse un ragazzetto alto e secco che si limitava a rubacchiare in giro negli appartamenti di New Orleans. Ma, come tutti i ragazzacci, ha dovuto fare i conti con la concorrenza… e si è beccato una coltellata in pancia durante una discussione con i suoi compaesani.”

“Preferisco chiamarlo briefing formativo” mormorò Xavier da sotto il braccio “E la coltellata me la beccai ad un polmone. Tre mesi di ospedale, poi mi rispedirono a casa con un calcio nel culo.”

“E qui, direte voi, è finita la carriera malavitosa del nostro bel Xavier, vero? E invece no. Perché, a quanto pare, il tizio che lo aveva accoltellato è stato raccolto con un aspirapolvere dopo che il palazzone dove abitava abusivamente si è improvvisamente incendiato. Xavier era di nuovo a passeggio per New Orleans, stavolta con un body guard attaccato alla schiena e due ragazze belle da far paura attaccate alle braccia.”

“Anneke e Tanja” sospirò Xavier come perso in un bel ricordo “Le mie prime due bionde: ligie al dovere, sempre obbedienti e zelanti... Metà della mia fortuna la devo a loro. Mai più trovate dopo due stakanoviste così.”

“Già. Però, di nuovo, il successo di Xavier dà fastidio a qualcuno…cos’è stato, quest’altra volta?”

“Arma da fuoco” rispose Xavier, cortesemente “Sul fianco. Altri tre mesi di ospedale, che Dio li fulmini, e una milza in meno.”

“Ignoro il destino toccato alla guardia del corpo e alle due bionde . Però, di nuovo, è andato in fumo, per così dire,  anche chi ha tentato di farti fuori… ”

“Ma è terribile.” mormorò Mancuso e Xavier la guardò a lungo, sorpreso, mentre lei arrossiva di nuovo.

“Per chi ti dispiace? Per le bionde, per la guardia del corpo o per i miei nemici?”

Mancuso cercò di riprendersi, anche se gli occhi di Xavier erano davvero troppo fastidiosi per far finta di non averli addosso.

“Per gli edifici andati a fuoco” rispose con voce neutra “Sono favorevole al recupero degli stabili da restaurare…è un peccato che tanta storia d’America vada perduta così.”

“Oh, ma questa volta era bruciata la macchina, non la casa” sorrise Xavier e Mancuso notò che lo scintillio del suo sorriso era dovuto ad un brillante incastrato su un incisivo superiore. Un diamante grosso, sfacciato e fastidioso, proprio come il suo proprietario, pensò fuggevolmente.

“Ti stai rendendo conto che stai confessando di essere un assassino?” mormorò Jeanne, evitando il suo sguardo “Visto che siamo ad un passo dall’attraversare la Soglia, non so se questo è un bene…” “Io non ho ucciso nessuno” sentenziò Xavier, tranquillo “Non è colpa mia se la gente che mi vuole male prende fuoco. Tra parentesi, cocca, starei lontano dalle fonti di calore, fossi in te…”

“Quindi, ti sei beccato una coltellata, una revolverata e due esili e ancora hai insistito a fare il malvivente.” chiese Mancuso, dubbiosa.

“Cos’è, cominci a dubitare della mia innocenza?” domandò Xavier facendo sfavillare di nuovo il diamante sul dente “E io che credevo di aver fatto colpo su di te…”

Mancuso arrossì furiosamente s Xavier sghignazzò piano.

“Fatto colpo è una parola un po’grossa” sentenziò Mancuso alzando involontariamente la voce “ In realtà, non mi piace giudicare una persona al primo sguardo e anche se da subito sembravi un perfetto esempio di stronzo ricoperto di squame di coccodrillo, volevo credere che fosse solo apparenza. In questo caso, invece, la prima opinione si sta rivelando quella giusta.”

“Gioia, che lingua!” rise Estrela deliziata “Comunque, Xavier, sembra proprio che te le meriti tutte le cosacce che ti dicono. Proseguendo con la biografia, uscito dall’ospedale iniziò il suo business. La sua escalation al successo fu fulminea. Dicono che molto sia merito del suo fascino…”

Lo guardò sbattendo le palpebre maliziosa.

“Indubbiamente” borbottò Xavier senza scomporsi .

“…molti altri dicono che i suoi metodi rozzi e duri sono molto efficaci. Altri ancora dicono che ha solo avuto la fortuna di beccare il momento dell’apertura del mercato europeo…”

“Mercato..?” domandò Mancuso dubbiosa ricevendo un paio di comprensive pacche sulla spalla.

“Bionde. Russe, polacche, ucraine, lituane, lettoni… gli americani adorano le bionde. Xavier si è fatto i miliardi con le sue ragazze. Chiaramente, questo non è piaciuto a tutti. I creoli si sono visti fregare una bella fetta di guadagno e hanno cominciato anche loro a dare un po’ fastidio a Xavier …”

“Così, ridendo e scherzando, arriviamo alla Beretta PM 12 S2 di cui parlavamo prima.” sospirò Xavier, quasi dispiaciuto, lasciando il suo pubblico vagamente interdetto.

“Detta così sembra che nemmeno con un millennio di purgatorio tu possa sperare di andare in Paradiso.” lo avvisò Mancuso, dubbiosa.

“La crocerossina ha finalmente finito di provare compassione per me?” sibilò Xavier, cattivo: guardava Mancuso negli occhi e, dietro lo scintillio di ghiaccio delle iridi lei vide solo una gelida, desolante durezza “Era ora: non sopporto le ragazzine romantiche. Io sono un delinquente e so di esserlo. Anzi, sono fiero di esserlo. Ho rubato per tutta la vita, per fame, per necessità ma anche solo per divertimento. Ho spacciato droga, ho picchiato persone più o meno innocenti, ho trattato meglio la spazzatura delle mie donne. Sguazzo nella merda da sempre e sono orgoglioso di essere uno dei pochi che ha tirato fuori la testa da quella fogna. Paradiso, Inferno? Francamente, me ne infischio. Ho visto dei posti che potrebbero sembrare l’Inferno e degli altri che potrebbero sembrare il Paradiso, e forse preferisco i primi agli ultimi. Giudicatemi come vi pare, gente, ma sia chiara una cosa: qualsiasi cosa sia questa Soglia di cui parlate, non me ne frega un cazzo di cercarla o no.”

Tutti intorno tacquero pesantemente: non si sentivano nemmeno i rumori dei loro respiri. L’unica che sembrava intenzionata a parlare era Mancuso che però fu sorprendentemente preceduta dalla vocetta esile e sottile di Jeanne.

“E’ colpa mia” disse la ragazza, senza guardare in faccia nessuno “E’ per me che tu sei qui, Xavier.”

*          *          *

Xavier alzò su Jeanne uno sguardo a metà tra il sorpreso e l’irritato; Mancuso non disse niente ma per qualche assurdo motivo si sentì triste e delusa.

“Cocca, non ci credere” disse duro Xavier all’indirizzo di Jeanne “Qualsiasi cosa io abbia fatto per te, c’era un tornaconto personale e quasi sicuramente sporco.”

“Tu sei morto per me” mormorò lei con indomita dolcezza ed  Estrela saltò su come una molla, elettrizzata, agitandosi come durante una samba infuocata.

“Oddio, oddio, oddio!!” starnazzò “Non ditemi che c’è sotto un romanzo d’amore tra la giovane e dolce creola e il pappone redento! E’ troppo bello…e io che stavo lì a guardare Beautiful!! Gli fa un baffo ‘sta storia ai Forrester!! Oh, questo è proprio amore! A come aiuto!, M come machemmeraviglia, O come…”

“Piantala, Estrela” borbottò Xavier disgustato “Non c’è niente di niente tra me e Jeanne, se non un patto di mutuo soccorso. Diglielo anche tu, altrimenti a questo pavone gli parte un embolo.”

“E’ vero, Estrela” annuì Jeanne, placidamente “Xavier mi ha solo aiutato. No…ha provato ad aiutarmi.”

“Ragazzi, se non raccontate com’è tutta la storia potrei morire di nuovo” boccheggiò Estrela sedendosi di fianco a Jeanne e dimenandosi come un serpente egiziano “Forza, cocca: sputa il rospo!”

Jeanne sembrò vagamente intimidita dalla carica esplosiva di Estrela: la guardò di sotto in su, inspirando profondamente.

“Ecco, io…non so dove cominciare…”

“Ma dall’inizio, no?” berciò con sicurezza il travestito.

“Estrela, falla continuare.” la rimproverò Mancuso attenta e seria.

“Allora, io…sono nata a New Orleans” continuò Jeanne guardandosi intorno “E’ tutta la vita che abito proprio qui, nel cuore del vieux carré. Certo, per una bambina non è il massimo vivere qui…c’è tanta delinquenza, tanti pericoli dietro ogni angolo.”

“Eppure tu sei riuscita a rimanerne fuori” decretò Estrela , pacifica “Dovresti essere fiera di te.”

“E tu come fai a dirlo?” la punzecchiò Xavier a bassa voce.

“Tesoro, ho l’occhio clinico, io. Ti dirò di più: nonostante l’abbigliamento equivoco e la gente con cui bazzicava, non è affatto una puttana. O, almeno, non ancora. Magari qualcuno voleva che lo diventasse…?”

Jeanne e Xavier si scambiarono uno sguardo sorpreso.

“Sì, più o meno è così che è andata” disse Xavier incoraggiando Jeanne con un cenno del capo.

“Ho conosciuto un ragazzo, l’anno scorso” disse Jeanne lentamente “Un amico di mio cugino. Mamma non voleva che lo frequentassi, ovviamente: ero troppo giovane e lui non era proprio uno stinco di santo. Anzi: andava in giro con della gente parecchio brutta. Ma io ero così innamorata…”

“Ragazzine.” sospirò Xavier, così piano che solo Mancuso lo sentì.

“Una sera mamma ci scoprì insieme e andò fuori di testa dalla rabbia. Marcel, allora, mi disse che dovevamo scappare via insieme…Per sposarci. Così ha detto…mio padre sarebbe stato quasi contento, ci avrei scommesso: ha quattro figlie femmine ed è senza lavoro… vuol dire problemi qui a New Orleans, sapete. Così, sono scappata con Marcel. Lui mi nascose qui vicino e mi disse che, visto che sarei presto stata sua moglie, potevamo anche cominciare a conoscerci meglio e abitare insieme. Nella sua casa c’era già una ragazza, Mina, credo che si chiamasse, che però sparì dopo qualche giorno. Così, mi ritrovai chiusa in casa giorno e notte con Marcel che non mi faceva uscire nemmeno per fare la spesa, ad aspettare che fosse tutto pronto per il matrimonio.”

La ragazza si interruppe e deglutì penosamente.

“Rimasi incinta” proseguì ad occhi bassi e con un filo di voce “Credevo che a quel punto Marcel mi avrebbe sposata alla svelta, e invece chiamò un dottore e in pochi minuti il bambino non c’era più. Io non capivo…proprio non capivo perché Marcel facesse così. Si cominciò a comportare male, mi offendeva, mi picchiava. E se gli chiedevo perché lui diceva: mi annoi. Poi, un bel giorno, arrivò con una nuova ragazza, un’altra “cugina”. Ancora più giovane di me e molto, molto bella. Allora mi ricordai di Mina al mio arrivo, ma era troppo tardi, ormai. Avrei voluto tornare a casa, dalla mia mamma, ero sicura che mi avrebbe ripreso con sé. Ma Marcel e i suoi amici mi portarono in casa di un certo Jospin che non fece nemmeno finta di volermi sposare. Allora, come se uscissi da un sogno, cominciai a guardarmi in giro, vidi le ragazze…e capii. Quando anche Jospin si stuferà di me, mi dissi,  so cosa mi succederà. Non avevo più tempo da perdere, dovevo trovare qualcuno che mi facesse uscire da quel giro . Alla fine seppi da chi andare a chiedere aiuto.”

“Xavier?” domandò Mancuso ispirata e Jeanne annuì, senza alzare gli occhi da terra.

“Poteva mandarmi via a calci. Poteva obbligarmi a lavorare per lui. Poteva dire tutto a Marcel e Jospin.”

Lanciò uno sguardo all’uomo pieno di una luce indescrivibile.

“Ma non l’ha fatto.” aggiunse sottovoce, in tono definitivo.

“Ah, per favore” si disgustò Xavier, irritato “Detta così sembro il buon samaritano. Volevo solo rispedirla da sua madre per togliere un po’ di forza lavoro alla concorrenza.”

“Ha detto che mi avrebbe aiutato” proseguì Jeanne, imperterrita “Mi ha dato i soldi e un giorno mi è venuto a prendere e mi ha portato in una casa con tante ragazze bionde che mi hanno tenuta nascosta.”

“Il paradiso dell’americano medio” borbottò Estrela, poco convinta “E poi, che è successo, querida?”

“Marcel…mi ha trovata.” rispose Jeanne, distogliendo lo sguardo: con l’ultima frase recuperò la sua originale espressione impaurita che si era progressivamente ammorbidita man mano che parlava e si irrigidì di colpo.

“Mi è venuto a prendere ieri sera e ha detto che se non andavo con lui faceva del male alle ragazze. Sono andata. L’ho supplicato di lasciarmi andare, che non gli avrei dato noia…l’ho pregato anche di riprendermi con lui. Ero disperata. Ma Marcel mi ha vestita così e mi ha detto che da stasera ero una puttana.”

Gli occhi dolenti le si riempirono improvvisamente di lacrime: sia Estrela che Mancuso le si avvicinarono silenziosamente e la abbracciarono titubanti.

Jeanne sembrò stranamente più rilassata: lanciò uno sguardo verso Xavier prima di fare un sorriso stentato verso Mancuso “Xavier non doveva venire all’incontro stasera. E’ venuto per me perché sa cosa fanno alle ragazze che vogliono scappare.”

“Perché, cosa fanno?” domandò Mancuso senza volerlo sapere, in realtà.

Jeanne attese a lungo prima di parlare: stava a capo chino e persino Xavier la guardava con compassione.

“Fanno male” mormorò infine la giovane “Infatti, mi hanno portato dietro il vicolo di quei palazzoni, Marcel, Jospin e i suoi amici. Hanno detto che dovevano “iniziarmi” al mestiere. Ho gridato tanto, ma nessuno sente…nessuno ascolta.”

La sua voce era così flebile e dolce che sembrava un alito di vento. Mancuso sentiva il magone che le cresceva nel petto e, alzando gli occhi, trovò lo sguardo di Xavier posato su di lei, duro e insondabile come cemento armato.

“Non so perché sono morta. Forse non volevano uccidermi. Io invece alla fine quasi lo speravo” continuò Jeanne “Però sapevo che c’era Xavier dalla mia parte e che tutto sarebbe andato a posto.”

Sorrise di nuovo e di nuovo con una dolcezza da spezzare il cuore.

“E invece non ho messo a posto niente” ribatté Xavier con una voce insolitamente amara “Sono solo riuscito a farmi ammazzare come un pivello qualsiasi. Che roba. Ecco cosa ci si guadagna a fare il buon samaritano.”

“Non dire così. Tu mi hai salvato.”

“Cocca, svegliati: a causa mia ti hanno ammazzato. Se non avessi tentato di fare l’eroe presuntuoso magari a quest’ora saresti ancora viva.”

“Viva…e nelle mani di Marcel. No, grazie.”

Jeanne abbassò il capo, segnalando chiaramente che riteneva conclusa la conversazione. Estrela la teneva per le spalle senza avere il coraggio di aprire bocca, una volta tanto.

“Comunque, adesso sei qui ed è qui anche Xavier” mormorò incerta Mancuso, dopo un bel po’ di silenziosa riflessione “Quello dove vivevate è un ben strano ambiente dove ci sta di tutto: dall’aberrazione più raccapricciante al più commovente atto di eroismo. O, forse, gli atti di eroismo, seppure piccolissimi, valgono tanto come quelli più grossi, perché sono molto più sofferti e rari?”

“Stai per caso dicendo che tutti e tre potremmo varcare la Soglia e andare in Paradiso?” scherzò Estrela con una faccia insolitamente seria.

Mancuso sollevò su di lei uno sguardo limpido e fermo.

“Esattamente. Io non sono un’esperta in teologia e francamente non mi raccapezzo proprio in questa storia assurda. Ma, se proprio lo devo fare, ammetto che per me vi meritate tutti il Paradiso. Qualsiasi cosa esso sia.”

“Com’è che siamo ancora qui, allora?” sorrise acidamente Xavier con un sorriso storto “Se quello che dici è vero, perché non stiamo facendo un bel coro gospel accompagnati dall’arpa, svolazzando con le nostre alucce nuove di zecca?”

La rivelazione arrivò come un sospiro di vento che la attraversò tutta con gentile fermezza. Mancuso chiuse la bocca e la risposta le arrivò immediatamente, così semplice e palese che non si prese nemmeno la briga di tradurla a parole. Girò semplicemente lo sguardo verso Jeanne, che era rimasta ad ansimare con gli occhi sgranati dietro le spalle di Estrela. Le sorrise, incoraggiante, ed allungò una mano. Gli sguardi di Estrela e Xavier si posarono su di lei, ancora incapaci di capire.

“Jeanne” sospirò Mancuso con fermezza “Tu lo sai perché non avete ancora varcato la Soglia. Sei …sicura di non avere niente da dirmi?”

*          *          *

Jeanne era rimasta come radicata al suolo, la faccia spaventata e le mani strette forte in mezzo al petto come una improbabile illustrazione di Cappuccetto Rosso in mezzo al bosco. Xavier ed Estrela la fissarono a lungo, a metà tra l’incuriosito e il corrucciato.

“Bè?” si spazientì Estrela, sbuffando “Qualcuno ci spiega che sta succedendo?”

Mancuso si rivolse solo a Jeanne con voce franca e diretta.

“Mama Dubois dice che è stato un baka, uno spirito maligno, a provocare la vostra morte. E’ molto, molto preoccupata, perchè pensa che questo spirito sia ancora in giro e che vi impedisca di varcare la Soglia. E’ per questo che mi ha mandato qui: perché era convinta che io potessi aiutarvi.”

“Certo!” grugnì Xavier, decisamente ironico “Questo spiegherebbe un sacco di cose: un bello spirito maligno e troviamo le risposte a tutte le domande! Gesù, che stronzate mi tocca sentire anche da morto.”

“E tu puoi davvero aiutarci?” domandò poco convinta Estrela.

Mancuso meditò a lungo sulla risposta.

“Io credo di sì” rispose infine, abbassando il capo “Sono un poliziotto e capire la dinamica degli avvenimenti è il mio mestiere.”

“Un poliziotto che farnetica di spiriti maligni” ringhiò Xavier, cattivo “Oh, sì, davvero rassicurante!”

“Io non credo che ci sia un baka da queste parti” proseguì Mancuso imperterrita “Anzi, non credo che ci sia mai stato un baka.”

“E allora…?” provò Estrela, ma Mancuso la interruppe.

“E allora, non è negli spiriti maligni che dobbiamo riporre la nostra fiducia, ma nelle persone.”

“Diamine, non sapevo che gli adepti hare krishna venissero a rompere i coglioni anche nell’aldilà.” berciò annoiato Xavier.

“Quello che c’è stato, e che c’è ancora, è una ragazza tanto infelice, tanto arrabbiata, tanto spaventata… E tanto forte, a modo suo.”

Jeanne smise quasi di respirare, i grandi occhi scuri spalancati e atterriti.

“Da qualche parte, qui intorno, oltre il velo della vita reale, c’è una madre che piange la sua bambina” disse sottovoce Mancuso, scegliendo con cura le parole “La ragazza è morta nella più tragica delle maniere, da vittima innocente, senza poter dire a nessuno che la colpa non è sua…”

“E che le dispiace.” sfiatò Jeanne, con gli occhi pieni di lacrime.

“E che le dispiace” sorrise Mancuso, col cuore stretto in una morsa penosa “Ma la ragazza non sa che la sua mamma tutte queste cose le sa già.”

Jeanne non riuscì a parlare: continuava a fissare Mancuso con una faccetta supplice che spezzava il cuore. Con gesti molto tranquilli, la poliziotta si avvicinò alla giovane per poi posarle con delicatezza la mani sulle spalle.

“La ragazza deve lasciare andare l’odio che le bolle dentro” mormorò sottovoce “La ragazza deve lasciare che le cose vadano come devono andare. La vendetta, la rabbia, la disperazione…ora non hanno più senso. Lei deve pensare solo a varcare quella Soglia. Il resto non è più sua competenza. Ora che so tutto, a queste cose ci penserò io.”

Nel silenzio ovattato che seguì quelle parole, tutti poterono udire il singhiozzo spezzato che uscì dalla gola di Jeanne, doloroso e profondo come se le si stesse spezzando il cuore in quel momento stesso. Lucenti e tiepide lacrime cominciarono a scorrere sul suo visetto da bambina.

“Me lo prometti?” mormorò con voce rotta e sottile.

“Te lo prometto” rispose Mancuso solennemente: Jeanne iniziò a piangere con forza affondando il viso sulla spalla di Mancuso che la strinse con delicatezza, come se temesse di spezzarla. La ragazza pianse a lungo, immersa nel silenzio irreale di quel marciapiede notturno, sotto lo sguardo attento e pieno di compassione di Estrela e quello duro e insondabile di Xavier. Un leggero accenno di brezza, timido e tiepido, prese a soffiare dolcemente: profumava di foglie e di sassi bagnati ed era avvolgente come una calda coperta invernale. Lo sguardo di Xavier si spostò su Mancuso e la ragazza, nonostante la confusione, lo shock e la pena che provava,  non poté fare a meno di pensare che era proprio una fortuna che quel tizio così strano, così pericoloso e così seccamente disilluso fosse fuori dalla sua portata. Fortuna per il suo cuore, ovviamente: quel dannato pappone cajun vestito come un modello e dagli occhi seri come il tempo, con nemmeno tanto impegno,  sarebbe riuscito a spezzarlo in almeno mille maniere diverse, avendone la possibilità. Qualcosa di quel pensiero dovette trasparire dagli occhi di Mancuso, perché a Xavier sfuggì un debole sorriso, così debole che increspò appena le sue labbra pallide, ma che illuminò di una luce fragile e struggente i suoi occhi di scaglie di vetro. Oh, sì, pensò Mancuso con un brivido: quel sorriso avrebbe decisamente frantumato il suo cuore, sicuro al cento per cento. O forse no…?

Diamine, pensò Mancuso mentre qualcosa di affilato e freddo penetrava di prepotenza sotto al sua salda e coriacea corazza, era da dire che la mia famosa calamita per uomini sbagliati funzionasse anche sui morti!

La brezza divenne vento, un vento caldo che agitava i capelli e incollava gli abiti addosso. Jeanne si staccò da Mancuso e la guardò in faccia: aveva gli occhi pesti e la faccia congestionata, ma sorrise.

“Grazie.” disse semplicemente mentre il vento iniziava ad ululare con rabbia.

Mancuso avrebbe voluto dire qualcosa, ma il vento era troppo forte: le chiuse la bocca e le sferzò negli occhi, facendoli lacrimare…la spinse con decisione all’indietro e Mancuso riuscì a malapena a vedere Estrela che si allontanava, svolazzante come una farfalla nel suo vestito giallo.

“Hei, Maria!” la sentì strillare, ma da lontano, da lontanissimo…

Sollevò una mano per salutarla e incontrò, per ultimo, lo sguardo di Xavier. Ma solo per un attimo, prima che il vento la portasse via, definitivamente.

Oh, bè…

Un altro tempo, un altro luogo, pensò con una punta di malinconia, mentre veniva trascinata con forza all’indietro e riportata nel mondo reale.

 

 

 

NOTE DELL'AUTRICE:

Romina, mon amour...ho corretto il nome dello stilista, cospargendomi il capo di cenere e pentendomi amaramente della mia dabbenaggine. Spero che, con questo, tu riesca a perdonarmi, o mia meravigliosa musa!! Tornando a noi...Estrela è estremamente deliziata dal tuo commento e ti manda a dire che "gioia, quando vuoi bere una tequila in compagnia, chiamami!". Stessa cosa dice Mendez, ma lui accompagna il tutto con un sorrisetto satanico che mi convince poco...Vedi tu! Intanto, beccati un centinaio di bacini e bacetti dalla sottoscritta!

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


“Maria…? Hoy, Maria…? Maledizione, apri quegli occhi immediatamente o giuro su Dios che inizio la respirazione bocca a bocca!!”

La voce di Mendez.

Meno ispanica del solito e parecchio più preoccupata: quasi irriconoscibile a dire il vero, con quell’ansia di sottofondo e senza la solita inflessione boriosa.

Le ciglia di Mancuso tremarono sugli occhi e si sollevarono mentre un sospiro le usciva dalla gola, esausto.

“Gesù, è viva.” tremò la voce di Thorpe mentre la sua ombra mastodontica si chinava su di lei “Lo sapevo che la minaccia di un tuo bacio l’avrebbe resuscitata. Hei, Mancuso, mi senti?”

La ragazza girò lo sguardo su di lui e lo mise a fuoco.

“Certo che ti sento, bestione” mugugnò con voce impastata “Tirati su, diamine. Se mi sbatti in faccia quella dannata cravatta ancora per un po’ mi togli l’aria.”

Thorpe si spostò, così evidentemente sollevato da dimenticarsi di controbattere. Accanto a lui, l’agente Mendez aveva quasi perso la parola tanto sembrava sconvolto. Mancuso pensò che non l’aveva mai visto così pallido e così serio.

“Hei, Mendez” abbozzò debolmente “Che diavolo ci fai tu qui? Non dovevi essere in ufficio ad aspettarci?”

Mendez sembrò perdersi per un attimo nella confusione più totale: la sua espressione di sollievo era così indifesa che Mancuso provò quasi un moto di tenerezza nei suoi confronti. Quasi, eh.

“Oh-ehm…” rispose Mendez, arrancando con lo sguardo verso Thorpe in cerca d’aiuto “In ufficio, sì…bè, è tutta colpa del bestione. Tu sei svenuta ribaltando gli occhi all’indietro come i vitelli al macello e questo armadio incravattato se l’è fatta sotto dalla fifa. Mi ha chiamato piagnucolando come una mammola e così sono dovuto venire qui a vedere cosa diamine fosse successo. Confesso che a prima vista mettevi piuttosto paura: in mezzo a queste vecchie ciabatte, con la bava che ti usciva dalla bocca e gli occhi ribaltati, sembravi proprio morta.”

“Stecchita.” rincarò la dose Thorpe, come se volesse scusarsi.

Mancuso si toccò la bocca per verificare la storia della bava e trovò un taglietto sul labbro.

“E questo quando me lo sono fatto?” domandò tergendosi la goccia di sangue che ne usciva.

Thorpe e Mendez si scambiarono un altro sguardo colpevole.

“Oh, quello” buttò lì Mendez, tentando di sorridere “Sono stato io: ti ho dato qualche schiaffetto per cercare di rianimarti.”

“Qualche schiaffetto, eh?” si rabbuiò Mancuso sentendo il labbro che si gonfiava.

Mendez si strinse nelle spalle e le fece un sorriso stranamente fragile.

“Se non ne approfitto quando sei svenuta…” disse recuperando un po’ dell’antica boria. Mancuso decise di rimandare a dopo il discorso schiaffetti.

“Quanto sono rimasta svenuta?” domandò con un tono di voce più spiccio.

“Quaranta minuti” annunciò Thorpe con una faccia così sofferta che sembrò averli contati uno per uno “Spero per te che adesso risolviamo la situazione, perché c’è Vartan che scalpita come un toro da rodeo per farci sloggiare e le vecchie ciabatte non ne vogliono sapere di andare via, finché tu non dici loro qualcosa.”

Mancuso sbirciò oltre la spalla di Thorpe e vide Vartan al di là delle transenne che gesticolava come un forsennato e strillava nell’orecchio di Mama Dubois che nemmeno sembrava accorgersi che fosse lì: gli occhi della donna erano puntati verso di lei e quando incontrò il suo sguardo sorrise con aria rinfrancata. Mancuso le indirizzò una smorfia strana, ancora frastornata e incerta.

“Terra chiama Plutone. Terra Chiama Plutone. Niente, non risponde: possiamo procedere con l’internamento coatto, così me la tolgo dai piedi per sempre?”

Mancuso si girò verso Mendez che, a dispetto delle parole poco gentili, sembrava ancora preoccupato.

“Niente internamento coatto, hijo” disse con voce calma e misurata “Sto bene.”

“Certo.” rispose Mendez, per niente convinto “Allora, saresti così gentile da dirci cosa diavolo ti è successo?”

Mancuso ci pensò su un po’: per quanto fosse ancora immersa in un clima di ovattata irrealtà, capì d’istinto che era meglio non parlare di quello che aveva visto e sentito.

“No” rispose quindi, piuttosto rilassata “Non mi credereste e procedereste con l’internamento coatto…o, ancora peggio, mi credereste e andreste ad ammazzare i colpevoli di questa carneficina con le vostre stesse mani. In ogni caso, credo sia meglio per voi starne fuori.”

Thorpe sembrò di colpo interessato e vigile.

“Vuoi dire che hai scoperto chi è stato ad uccidere queste tre persone?” domandò dubbioso mentre Mancuso annuiva.

“Ho i nomi, il movente e lo svolgimento dei fatti.”

“Certo: confessione rilasciata post mortem” ringhiò Mendez, stizzito “Per favore, Marria, dimmi che ti sei bevuta una damigiana di tequila e che queste sono solo allucinazioni alcoliche!”

Mancuso si strinse nelle spalle, indifferente.

“Devo andare a parlare con Vartan” dichiarò scrollando le spalle in modo deciso “Se solo riesco a convincerlo a lasciarmi due minuti sola con un certo Marcel, oltre ad una confessione scritta e uno scroto da appendere come trofeo potrò portarmi a casa anche qualche soddisfazione personale.”

Mendez e Thorpe si scambiarono uno sguardo interrogativo, ma preferirono grandemente lasciar perdere: Mancuso era già difficile da trattare normalmente, figuriamoci al ritorno da una esperienza mistica! La ragazza, intanto, era già corsa verso Mama Dubois la quale, dopo aver ascoltato attentamente quello che Mancuso le raccontava nell’orecchio, annuì saggiamente, fece un cenno secco con la testa e nel giro di un minuto era sparita nei meandri di Storyville, insieme alla sua congrega sospirante di donnine colorate. Mancuso, poi, si diresse verso Vartan e dopo qualche minuto di concitata conversazione  lo piantò in asso per andare a chiudersi con discrezione dentro al furgone blindato dove stava rinchiuso uno dei sospettati. Vartan, indeciso, si avvicinò a Mendez e Thorpe, il quale gli offrì subito una sigaretta, solidale.

“Avete idea di cosa abbia in mente di fare la vostra esimia e schizofrenica collega?” domandò a Mendez, piuttosto bruscamente.

“Assolutamente no” rispose questi con un sorriso serafico “A te che ha detto?”

“Che Dio mi fulmini se l’ho capito” brontolò Vartan grattandosi la nuca “Credo che abbia detto che una fantasma le ha raccontato come sono andate le cose e che mi concederà una cena in sua compagnia se non esce dal furgone con una confessione scritta. A quel punto mi sono detto, oh, bè…quel viscido topo di fogna mentecatto di Marcel si merita proprio una visita da una signorina così interessante. Anche se non riesco ad immaginare che cosa potrà mai tirare fuori quello scricciolo spettinato da quella carogna marcia di Marcel.”

“Facciamoci un caffè” propose Thorpe, accomodante, e i tre passarono il successivo quarto d’ora immersi in un silenzio cogitabondo, sorseggiando la bevanda tiepida e amara tolta dal thermos della Omicidi.

“Mi chiedo perché diavolo l’ho lasciata andare là dentro” sospirò ad un certo punto Vartan, guardando l’orologio “Quella non caverà un ragno dal buco e noi avremo solo perso tempo.”

“Evidentemente, tu non conosci Mancuso” sorrise Thorpe, dopo un breve sguardo d’intesa con Mendez “Ma se dice che verrà fuori con una confessione, credimi, lo farà.”

“Hai presente quel bestione tatuato di Beauregard Delacroix?” domandò Mendez con aria da cospiratore.

“Chi, quello sciroccato che ha quasi fatto fuori da solo una decina di sicari? Quello che quando lo vedono per strada i bambini piangono, le finestre si chiudono e le donne abortiscono?”

“Proprio lui” approvò Thorpe, annuendo “Bè, ci credi che la confessione della strage dei sicari gliel’ha estorta Mancuso?”

“Noooo…” si stupì Vartan, impressionato “E che gli dirà mai per convincerli?”

“Mah, chiedilo a lei” rispose Mendez con un sorriso storto “E’ già qua che ritorna e dalla faccia soddisfatta direi che avrai la tua preziosa confessione insieme a ricchi premi e cotillons.”

Mancuso era effettivamente uscita dal furgone e si avvicinava ai tre con aria trionfante sventolando davanti al naso un foglio di carta.

“Confessione completa” annunciò sbattendo il foglio con decisione nella mano di Vartan “Nomi, luoghi, motivi, armi usate, posizioni delle persone e persino orario esatto delle morti. Impressionante come una mente così ordinata e matematica si nasconda dentro ad un essere immondo come Marcel Vetterau, vero?”

Vartan prese il foglio di carta e si mise a leggerlo velocemente mentre un sorriso soddisfatto e infantile si allargava sul viso di Mancuso.

“Rilassati, Marria” mormorò Mendez, garrulo “Se ti gonfi un altro po’ rischi di implodere dentro te stessa. Hai ottenuto una confessione, non la costituzione americana.”

Vartan, nel frattempo, era rimasto letteralmente a bocca aperta.

“Come hai fatto?” sfiatò quando recuperò l’uso della favella.

 Mancuso si strinse nelle spalle e fece un sorrisetto evasivo.

“Oh, bè, mica posso svelarti tutti i trucchi del mestiere, bello mio…Diciamo solo che sono partita descrivendo con minuzia al buon Marcel l’incontro ravvicinato che avrebbero avuto il suo intestino retto e il mio stivale in caso non facesse esattamente quello che gli chiedevo. Poi, sono passata a qualche dimostrazione pratica. Tutto lì, in effetti.”

“La semplicità è sempre l’arma migliore” declamò Mendez, ironico incamminandosi indolente verso la macchina “Anche se la storia del fantasma che hai incontrato poco fa non mi sembra così semplice ed e sicuramente un argomento da approfondire…”

“Ehi, Mendez.”

Il giovane si voltò e un pugno piuttosto deciso lo colpì allo zigomo sinistro, facendogli scattare la testa all’indietro.

“Ahi!”

“Questo era per lo schiaffettino che mi hai dato per farmi rinvenire” annunciò Mancuso, soddisfatta “E anche perché erano anni che volevo dartene uno. Peccato che non mi sia nemmeno lontanamente bastato…”

Mendez la guardava stranito e attonito, massaggiandosi lo zigomo offeso.

“Tu sei completamente loca” decretò alla fine, offeso “Prima farnetichi di fantasmi e poi mi prendo a pungi sul naso…devi essere ricoverata in clinica psichiatrica, credi a me!”

“E poi non sai tutto” aggiunse Mancuso con un sorriso innocente “Mi sono persino presa una mezza cotta per un tizio morto, oggi.”

“Decisamente, non è la tua giornata fortunata.” annunciò Thorpe avviandosi verso l’automobile.

Mancuso seguì Mendez che saliva in macchina salmodiando sulla labilità della sua psiche poi si girò a strizzare l’occhio a Vartan che era rimasto impalato con la dichiarazione in mano, ancora palesemente sconvolto. Il suo sguardo poi spaziò sulla scena del crimine, stranamente svuotata dall’aura negativa che sembrava avvolgerla quando era arrivata. La ragazza si ficcò le mani in tasca ed abbassò le cigli su un misterioso sorriso segreto che le increspò le labbra.

“Forse no.” disse a voce bassa e nessuno si prese la briga di darle torto.

 

 

FINE

 

Elfie, Giugno 2006

 

 

 

 

NOTE DELL’AUTRICE

 

Ringrazio di cuore chiunque sia passato di cui, volente o nolente, in particolare:

EyeOfRa : Troppo buona…è solo un asotriellina, un mio personale delirio che dovevo scrivere per togliermi la soddisfazione. Comunque, i tuoi complimenti sono stati felicemente accolti, grazie!! Un bacio galattico non te lo toglie nessuno…

Sarah92: No, non era ancora finito… ma quasi!! Grazie per le tue parole e per il tuo incontenibile entusiasmo. Rimani sempre così, frizzante e fresca…con questo caldo sei un vero toccasana!! Baci ance a te, di cuore.

Nisi Corvonero: Ma davvero ti sei commossa…? Non volevo, scusa…bè, così impari a scrivere cose strappalacrime sul povero Andrè. La prossima volta voglio, anzi, pretendo una barzelletta. Ti bacio tutta, o mio dolcetto alla crema pasticcera!!

Romina: Mia Diletta!! Vedo che questa cosa del lanternino portasfiga è una costante che si ripete nei nostri dialoghi…qualcosa che ci accomuna e che ci rende sorelle di sangue, in un certo modo. Come sempre, le tue parole sono balsami lenitivi sulla mia psiche malata, quindi il mio cervelletto surriscaldato ti ringrazia per l’effetto refrigerante che hai su di lui. A presto, mia Diletta, e grazie sempre di tutto!!

 

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