La quinta essenza del Re

di Katherine Christmas
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** il Bene e il Male ***
Capitolo 3: *** Tra ciò che è Giusto e ciò che è Sbagliato ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


LA QUINT’ESSENZA DEL RE

Di Katherine Christmas

 

PROLOGO

In quegli anni la guerra imperversava sul Mondo Emerso, distruggendo tutto ciò che trovava sul suo cammino. Così era la guerra, quello faceva. Elfi contro umani. Gli uni l’inverso degli altri.
C’era chi si rifiutava di capire, chi si sforzava invece di trovare qualcosa a cui aggrapparsi, chi invece era spinto dal semplice istinto della sopravvivenza. Come tante volte in quel Mondo, la gente si adattava a questi scontri, a queste battaglie, ognuno a modo suo.
Ma tutti avevano paura.
Anche lei.
Anche Kryss. Ma lui non lo dava a vedere, lui era il re degli Elfi.
Non avrebbe mai potuto, mai potuto.
Ma a lei una cosa l’aveva confidata: nonostante loro stessero vincendo, mangiando inesorabilmente il territorio nemico, avevano bisogno di nuovi assi nelle maniche. Non avrebbero mai perso, dalla loro parte avevano i Marvash. Ma dovevano continuare ad incutere timore in loro, dovevano farli tremare ogni volta che l’esercito dai capelli verdi appariva all’orizzonte. Così era, e così sarebbe dovuto restare, per renderli più inoffensivi che mai. Ma da quando la Regina Dubhe era arrivata al fronte, la situazione era cambiata: quella donna sapeva come rincuorare le persone, sapeva entrare nel loro cuore e convincerli a tenere duro. Così, sempre tremanti dalla paura, solcavano il campo di battaglia, ma con un coraggio nuovo, forte. E questo gli Elfi non potevano permetterselo.
Per questo Kryss, il suo Re, aveva chiesto a lei, un soldato semplice ma con doti straordinarie, di infiltrarsi nella Terra del Sole, nel palazzo reale, e ricavare informazioni sulla strategia nemica.
E così era partita, sicura del suo scopo, e si era infiltrata tra gli Altri, a stretto contatto col nemico, ricoprendo il posto di serva. Aveva fatto un incantesimo per i suoi capelli, ora neri, e alcune parti del suo aspetto, che però andava rinnovato ogni due giorni.
Da allora ancora non aveva avuto modo si procurarsi informazioni, e Kryss iniziava a irritarsi. Ma l’occasione le si presentò quando le venne chiesto di servire i pasti, per alcuni mesi, il Re in persona. Non l’aveva ancora mai visto da quando era arrivata, e a quanto pareva i sudditi lo consideravano un eroe. Si vociferava che fosse stata Dubhe in persona a lasciargli il comando, ma nessuno sapeva chi fosse di preciso. Alcuni dicevano che fosse uno dei suoi apprendesti, altri una persona fidata della Regina. Ma lei sapeva essere il nipote.
La gente, ad ogni modo, pareva un po’ più rassicurata della sua presenza. Ed effettivamente – la ragazza doveva ammetterlo – quel nuovo Re sapeva come muoversi.
Mentre era nella sua piccola stanza, fatta di un letto di paglia e un piccolo tavolino di legno, decise che avrebbe agito dopo alcuni giorni dal suo nuovo incarico. Avrebbe scoperto le nuove mosse del nemico, e un po’ anche lei sarebbe finalmente stata importante per la vittoria del suo popolo, pensò. Del suo amato popolo.
 
 
 
 

-          La storia si svolge nei tempi della guerra fra Elfi e abitanti del Mondo Emerso, ne “Le Leggende”
-          Ho creato questa storia per omaggio a Kalth, perché per quello che ha avuto il coraggio di fare, lo considero un eroe.
-          Questo piccolo pezzo è soltanto il prologo di circa sei – sette capitoli.
-          Ringrazio di cuore la mia Scarlett che non segue le vicende del Mondo Emerso, ma mi sostiene in ogni caso. E ringrazio chiunque anche solo leggerà questa piccola anticipazione (:

K. Christmas

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Capitolo 2
*** il Bene e il Male ***


CAPITOLO UNO

 il Bene e il Male

 
Kalth scrutava l’orizzonte al di là del vetro, chiedendosi ancora una volta se avrebbe mai visto gli uomini dai capelli verdi invadere i suo sguardo. Sapeva bene che il suo volto negli ultimi mesi era cambiato: le occhiaie marcate, i lineamenti del viso sempre più contratti, e gli occhi che tremavano di una stanchezza febbrile. Una mancata forza che per ora faceva credere di avere, che magari così l’avrebbero avuta altri a posto suo. Ma con altrettanta consapevolezza sapeva che tutti riconoscevano quello che era.
Sospirò e posò a terra il suo sguardo.
Già, lo sapevano tutti.
Il sole stava calando, quando sentì un rumore di zoccoli e ruote provenire da di fuori. Vide arrivare una carrozza con intorno più guardie di quante riuscisse a contarne. La intravide dal finestrino, i capelli bianchi, quella che era anche la sua stanchezza negli occhi… eccola lì, Theana. La migliore amica di sua nonna, e il Supremo Officiante. Era venuta a dargli una mano in quel momento di instabilità.
Pensò che non occorresse accoglierla di persona, e che dopo un viaggio lungo come il suo avrebbe soltanto voluto mettersi a letto e dormire fino alla mattina seguente. Era una donna saggia, e lei soprattutto confidava in Kalth.
Sospirò di nuovo, più forte, più a lungo, sperando che qualcuno sentisse quanto fosse dura per lui, ma sapendo che non ci sarebbe stato mai nessuno ad ascoltare i suoi sospiri. Infondo, non lo avrebbe permesso.
Guardò di nuovo fuori dalla finestra, scrutando la sua città che andava in rovina. Il morbo, la guerra con gli Elfi, ora anche questa ridicola guerra civile… troppo. Troppo per lui, troppo per il popolo, troppo per quel suo bel Mondo. E guardando la sua città, si accorse che c’era una definizione migliore di rovina. Morte. La sua città stava morendo, e con lei, i suoi abitanti.
D’un tratto sentì bussare alla porta.
Come sempre, in un gesto così abitudinario da apparire ora involontario, contrasse i muscoli della faccia in modo da avere un volto neutro, che non lasciavano trasparire emozioni. Un volto pacato, come del resto lui era sempre stato.
Con voce più rigida e sicura che gli venne, disse appena « Avanti. »
 
**
 
Fu svegliata di buon’ora, da una brusca botta sulla porta e una voce che gridava « Su, alzatevi, forza!» , come, da quanto aveva capito, era usanza fare in quel palazzo per svegliare le serve.
Quell’ultima parola la fece rabbrividire.
Un’elfa come lei, un soldato che a quanto ricordasse non  aveva mai fatto altro che combattere per la propria patria, si ritrovava a fingere di essere una serva qualunque, tra l’altro tra i suoi nemici. Ne era quasi disgustata.
Ma come al solito represse in fretta la sua rabbia,  pensando che quella commedia avrebbe giovato  molto al suo popolo. Infiltrarsi era stata un’idea di Kryss, il loro Re, e lo aveva chiesto proprio a lei. Aveva visto in lei qualcosa, e per questo Imeh si sentiva onorata. Sarebbe inoltre stato un gioco da ragazzi ricavare informazioni, pensò. Il Supremo Qualcosa, che aveva capito investire una delle cariche più prestigiose di quel Mondo, sarebbe arrivata fin lì da Laodamea e sicuramente non era venuta da così lontano per prendere un tè. Avrebbero parlato di affari, di strategie, e – Imeh ne era sicura – avrebbe scoperto tutto. Erano ormai settimane che era là dentro, e in quel tempo era riuscita ad escogitare un piano.
Quindi si alzò in fretta, si sciacquò in un recipiente pieno d’acqua. Alla vista del suo riflesso rimase un attimo confusa, ma poi si ricordò dell’incantesimo: i suoi amati capelli verdi erano diventati si un nero opaco, mentre le sue orecchie a punta avevano ora una forma tondeggiante. Anche il viso lo era, e gli occhi avevano un taglio diverso. Se non fosse stato per qualche piccolo segno che la distingueva, non si sarebbe riconosciuta nemmeno lei.
Mise gli stracci da serva, ben controllando come sempre che i suoi veri abiti fossero ancora dove li aveva nascosti, poi uscì.
La mattinata passò lentamente, a strofinare pavimenti che non sarebbero mai potuti essere puliti ai piani inferiori, e ai piani superiori spolverando arazzi così lucenti da rimanerne anche lei affascinata. Ognuno di loro narrava un pezzo di una storia diversa, e Imeh ammetteva che fossero davvero belli e ben fatti.
Quella mattina, le capitò un arazzo con raffigurato un drago. Ma non era un drago come quelli che lei conosceva. Era diverso, in che modo non avrebbe saputo dirlo, ma sembrava più… maestoso. Era un drago verde di tutte le sfumature possibili, grande, con occhi come il fuoco. Rimase stupefatta da tanta bellezza. Però si disse che sicuramente anche da loro esistevano draghi così, forse addirittura più belli, solamente che per la guerra usavano gli altri. Forse… .
Tra una pulizia e l’altra, Imeh arrivò al pranzo distrutta.
Mangiò da sola, come sempre, senza permettere a nessuno di avvicinarsi, sentendo però delle ragazze che vociferavano su un certo posto fuori del palazzo, dove c’erano dei draghi.
La ragazza sperò vivamente che avrebbe avuto l’occasione di vederli, un giorno o l’altro.
Appena ebbe finito di mangiare la sua porzione di pane e formaggio, si diresse in cucina per svolgere il suo incarico, datole da appena qualche giorno.
Bussò alla porta delle cucina, da cui proveniva un gran baccano, ed entrò senza attendere risposta. Come al solito, nessuno badò a lei, e si diresse da Galia. Lei era il capo della cucina: un donnone sempre paonazzo, e la bocca perennemente rivolta all’ingiù.
« Sono venuta per il pranzo » gridò Imeh per sovrastare le voci che avvolgevano la testa di Galia. Quella si girò verso la ragazza, con l’umore più nero del solito, e con voce roca e profonda borbottò « Oggi il Re non pranza » poi ritornò al suo bel da fare.
Imeh rimase spiazzata.
« Cosa? E che faccio allora? » gridò di nuovo, ma la donna non le badò, e quindi lei uscì dalla cucina.
Senza sapere che fare, gironzolò un po’ per i piani inferiori, senza avere davvero un meta, e si permise di pensare liberamente. Pensare per una volta senza avere regole, domandandosi cose proibite. Per la prima volta, ripensò al suo viaggio. In quei giorni non faceva caso a nulla, era troppo emozionata di svolgere una missione direttamente per il Re. Ma in quel momento, pensò realmente a cosa aveva visto, e si fermò di scatto, domandandosi come aveva potuto non rabbrividire davanti all’orrore che l’aveva circondata per giorni.
Ripensò dunque a tutti i cadaveri che aveva incontrato, abbandonati in ogni posto possibile: sul ciglio della strada, tra i vicoli delle case, alcuni addirittura sopra i tetti. Terrorizzata, rivide i bambini che urlavano pieni di macchie nere, stringendo i corpi senza vita dei genitori.
E in un attimo, si rese conto quello che davvero stava succedendo in quegli anni, in quel Mondo. Capì cosa fosse la guerra, e si ritrovò disgustata.
E finalmente, si domandò perché lei stesse combattendo questa guerra con tanto ardore, in un accampamento dove la realtà arrivava ovattata, e si fece una domanda, seriamente, soltanto per un attimo, senza paura di ciò che i suoi compagni avrebbero potuto pensare di lei.
In quella Guerra c’era un Bene e c’era un Male. Ma qualeerano loro, e quale erano gli altri?
Ma fu un attimo, e nello stesso tempo la domanda scomparve dalla sua testa, vergognandosene, e ritornò alla tranquilla finzione che, con il tempo, aveva creduto essere reale.
 
**
 
Venne la sera, e Imeh si diresse di nuovo in cucina, per portare la cena al Re. Nonostante tutto, si sentiva meglio: una pausa le aveva fatto bene.
Stavolta in cucina trovò addirittura un po’ di pace, ma non vide invece Galia. Al suo posto, chi dava ordine con tono che non ammetteva repliche, c’era un vecchio signore dai capelli radi e grigi, una naso aquilino e un corpo nodoso. La ragazza si avvicinò titubante, e appena la vide, il signore le andò subito incontro con aria accigliata. « Cosa fai qui, ragazzina? » sbraitò, e la sua voce risuonò in quel silenzio pieno di tensione.
Imeh, che non era poi così spaventata – di cose peggiori, in guerra ne aveva viste – rispose con voce solamente un po’ più roca del solito: « Devo portare la cena al Re »
Quello la squadrò. « Ah, sei tu quindi. Ma quanti anni hai? »
« Quasi quattordici » ammise lei.
« Proprio una bambina… » commentò il vecchio accigliato. Poi però alzò le sopracciglia, come se si fosse ricordato qualcosa tra sé e - Imeh avrebbe giurato sapere cosa - ordinò che le venisse data la cena del Re.
Così si incamminò con il vassoio retto da entrambe le mani, ed era così pieno che avrebbe potuto mangiarci lei per settimane. E sarebbe rimasto pressappoco così, il piatto, lo sapeva. Il Re avrebbe mangiato solamente qualche pezzo di pane aromatizzato e una fetta di carne. Tutto il resto, lo avrebbe rispedito in cucina, non prima di aver chiesto ad Imeh se gradiva qualcosa. Lei, ovviamente, rispondeva di no tutte le volte.
 Bussò alla porta, e gli venne in mente la prima volta che l’aveva aperta, appena qualche giorno prima.
 
Rimase ferma qualche secondo, eccitata dal fatto che sarebbe stata una delle poche ad aver visto il nemico in faccia. Alla fine si decise, e bussò. Una voce diversa da quella che si sarebbe aspettata disse di entrare. Lei aprì la porta.
Il Re era in piedi vicino al tavolo, e Imeh, dalla sua posizione, immaginò che la stesse aspettando.
La ragazza rimase sconvolta dall’aspetto del Re.
Si era immaginato un uomo grande, possente, con voce autoritaria.
Invece, davanti a lei, c’era una bambino, di pressappoco la sua età.  
Guardò quelle esili spalle, e pensò con stupore che erano quelle a reggere il fardello di quel Mondo. Immaginò la sua bocca, ancora troppo piena per aver un qualunque dubbio, che pronunciava parole più grandi di lui; immaginò la sua mente, che si sforzava più di qualunque altro per prendere le decisioni più grandi del mondo; immaginò il cuore piccolo, piccolo forse quanto il suo, che sussultava ogni volta che lo elogiavano o dubitavano di lui.
Guardò quella figura, che era il Re. Che doveva avere pressappoco la sua età.
Guardò quella figura, che era il Re Bambino, di quel Mondo ormai vecchio che stava morendo.
Aveva un’espressione così neutra da pensare portasse una maschera. Non tradiva alcunaemozione, e appariva quasi come un contrasto su un corpo così giovane. Estremamente serio, chiese cortesemente e pacato ad Imeh di appoggiare il vassoio sul tavolo, chiedendole poi se gradiva qualcosa. Lei rifiutò, e con un saluto semplice e veloce, uscì dalla stanza.
Così confusa non lo era mai stata. Come poteva lui, essere il Re? Come poteva un bambino di appena quattordici anni essere così saggio?
Non trovò mai risposte, e solo dopo qualche giorno si abituò a vederlo in quel corpo, il Re che lei si era sempre immaginata possente e fiero.
 
« Avanti ». Quella stessa voce di allora interruppe i suoi ricordi.
Lei entrò, non più titubante come una volta, e andò a posare il vassoio sul tavolo.
« Oh, sei tu. » disse distrattamente il ragazzo.
Era appoggiato alla finestra, con il volto più contratto del solito. Imeh gli diede una rapida occhiata, e le sembrò di vederlo diverso.
Inaspettatamente, ma sempre con il volto e la voce più pacati possibile, posò gli occhi su di lei.
« Sono ormai giorni che mi servi, ed io non so il tuo nome. »
Senza un apparente motivo, il cuore della ragazza perse il battito. Forse, era stata la strana sensazione del sentir la sua voce rivolgersi a lei, quella stessa voce che invece comandava l’intero Regno, quella voce che ordinava alla gente come comportarsi, quella voce che prendeva decisioni così grandi. Ora, quella stessa voce, voleva sapere il suo nome. Solamente questo. E in un flash l’elfa pensò che Kryss non lo sapeva.
E, senza pensare che forse sarebbe stato meglio mentire, rispose.
« Imeh »
« Che nome strano » commentò il Re, con voce gentile e neutra.
La ragazza si sforzò di sorridere, capendo però quel che aveva fatto. Si rese conto che ora il Re nemico sapeva il suo nome. Il suo, di Re, no. Ma dopotutto si disse che il ragazzo sapeva quello, quello e basta di lei. Kryss sapeva tutto il resto.
Nel momento in cui piegò la testa, però, vide una cosa che non avrebbe mai voluto vedere. Una ciocca dei suoi capelli le ricadde sul volto, e vide con i suoi occhi una macchia verde che si espandeva in fretta e inesorabilmente per tutta la ciocca.
L’incantesimo.
Se l’era completamente dimenticato.
Sperando con tutta se stessa che il Re non facesse caso a lei, bofonchiò un saluto, e corse via, nella sua stanza, rinnovando in fretta l’incantesimo.
Prese di nuovo il catino con l’acqua, e si rassicurò di un poco vedendo i capelli, ormai tutti verdi, tornare neri, e le orecchie riprendere quella forma tondeggiate.
Quella notte non dormì, dandosi mille e mille volte della cretina, pregando Sheevrar che il Re non avesse notato i suoi capelli verdi.
Dopo un po’ si costrinse a pensare a qualcosa di più rassicurante. Se li avesse notati, sicuramente avrebbe subito chiamato le guardie. A quell’ora, di certo, non sarebbe nel suo letto. Sarebbe già morta.
Ma non lo era, questo significava che non l’aveva notato. Dopotutto, pensò tra uno stranissimo misto di sollievo e delusione, il Re non l’aveva mai notata.
Pensò che a quell’ora Theana sarebbe già arrivata. E la mattina seguente avrebbe discusso con il Re di strategie.
Li avrebbe sentiti, spiati. Avrebbe riferito tutto a Kryss e li avrebbero distrutti una volta per tutte. Avrebbero distrutto il Re e tutto il Mondo Emerso, per riprendersi finalmente quello che gli spettava. Parte del merito sarebbe stato suo… .
Contro ogni sua volontà, però, si addormentò con il volto del Re in testa, immaginando il suo dolore nel vedere il Mondo Emerso cadere, sotto i suoi occhi.
 
 
 
 


-          Sul mio primo capitolo ho poco da aggiungere, solamente che ho preso spunto, per quanto riguarda la parte da “infiltrata”, da Dubhe, anch’essa infiltrata a    palazzo.
-          Ringrazio ancora inoltre chi arriverà alla fine del capitolo soddisfatto, e con la voglia di continuare (:
K. Christmas

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Capitolo 3
*** Tra ciò che è Giusto e ciò che è Sbagliato ***


CAPITOLO DUE

~ Tra ciò che è Giusto e ciò che è Sbagliato

 
Kryss era stato felice di conoscere i progressi che Imeh aveva fatto, ma ovviamente lei non lo aveva informato di quel che era successo l’altra sera a cena.
In compenso, aveva deciso che avrebbe agito quel pomeriggio, avendo qualche ora libera.
Ora era lì, in quella squallida stanza dalle mura umide e che puzzavano di muffa, e contemplava la mappa del palazzo che aveva rubato da una stanza piena di libri. Sapeva a memoria il percorso, sapeva benissimo quel che doveva fare e ancor meglio ciò che l’attendeva se l’avessero scoperta. Ma non le importava questo, mai le era importato. Ciò che più temeva era l’ira di Kryss, se avesse fallito.
Ma questo non succederà, non può succedere. So tutto a memoria, niente può andare storto, pensò Imeh per darsi coraggio.
Si era già vestita con i suoi abiti, e appena indossati i ricordi vennero a galla. Ricordò quel giorno che ormai appariva lontano, sul campo di battaglia, quando Kryss, bellissimo e inflessibile, le venne a parlare. Le disse che aveva visto la ferocia con cui si muoveva sul campo di battaglia, la facilità con cui appariva alle spalle dei nemici, e Imeh si gonfiò di orgoglio quando le disse che stava cercando proprio una come lei per una missione speciale. Ma lei era soltanto una bambina, dopotutto. Aveva preso la guerra come un gioco, come uno stimolo a sfogare tutta se stessa. E solamente ora si rendeva conto con cosa aveva giocato, a cosa aveva contribuito. Solo ora capiva che la guerra era orribile, che la morte era orribile. Aveva cercato in tutti i modi di reprimere quei pensieri, ma erano più forti della sua volontà.
Per cui le era sembrato giusto agire subito, in quel momento, in modo da metter fine a questi pensieri. Rinunciare mai, non poteva permetterselo, e se in quel momento capiva che era sbagliato, sarebbe andata contro sé stessa.
Infondo lo faceva per il suo popolo. Poco importava se erano dalla parte sbagliata. Lo avrebbe fatto perché era suo dovere. Perché lei era un elfa, e se non avrebbe fatto quello, cos’altro avrebbe potuto fare? E poi, dopotutto, sapeva anche che non avrebbe mai tradito Kryss, la sua famiglia. Anche a costo della vita.
Si alzò da quel letto di paglia, prese la cintura e le armi, e silenziosamente uscì dalla stanza.
Si mosse schiva tra i corridoi meno popolati, e gli capitò una o due volte di dover addormentare qualcuno con la cerbottana. Avrebbe rischiato il tutto per tutto in quell’occasione. Con suo grande rammarico aveva visto Theana ripartire quella mattina. Ciò significava che lei e il Re avevano parlato proprio quella sera che era quasi stata scoperta dal Re. Ma quel giorno, a pranzo, aveva visto il Re scrivere qualcosa, e, sbirciando, si era accorta che era il rapporto a sua nonna Dubhe. Aveva gioito dentro di sé in        quel momento, sicura che la vittoria non fosse mai stata così vicina.
Arrivò con inaspettata facilità ai piani superiori, dove però le guardie erano di più. Più di una volta rischiò davvero di essere scoperta, ma con un po’ di fortuna e un aiutino da parte della cerbottana, riuscì a cavarsela.
Arrivò finalmente davanti la stanza del Re, quella dove dormiva. Non l’aveva mai vista, perché lei era addetta ai pasti. Aveva saputo di serve che gli rifacevano il letto e pulivano tutti i giorni, due volte al giorno, la sua stanza. Ma ora non era un serva: ora era un’elfa, il suo peggior nemico. Ora avrebbe dovuto rubare quello che forse era il tesoro più prezioso là dentro.
Imeh era sicura che il Re non fosse qui in quel momento: non solo per il fatto che non c’erano le sue guardie fuori dalla porta, ma anche perché tutti i giorni a quell’ora sapeva che il ragazzo andava a far visita alle “Stalle Reali”. Dove sono i draghi, pensò Imeh con tristezza. Si introdusse così nella stanza di Sua Altezza, ma improvvisamente si fermò, a guardare quella stanza.
Era indubbiamente bellissima, con il letto a baldacchino, il divano in camoscio, il camino e il terrazzo, in fondo alla stanza. Per un attimo desiderò accendere il camino, o stendersi su quel materasso che doveva essere comodissimo, o addirittura uscire in terrazzo. E poi immaginò il Re, quel ragazzo della sua età, camminare là dentro, pensare, dormire. Tutto con la sua solita espressione neutra e pacata.
Ma si riscosse subito, dandosi della stupida per quegli impulsi da immatura. Si concentrò sul suo obbiettivo: il rapporto alla Regina. Cercò dentro i cassetti, sotto il letto, nell’armadio.
Alla fine, quando si iniziava a preoccupare del tempo che scorreva, lo trovò. Era appoggiato sopra il caminetto, sotto una lunga spada che probabilmente si tramandavano da generazioni. Con una calligrafia ordinata ma da bambino era scritto: Alla Regina Dubhe.
Imeh aprì la lettera.
Era una pagina fitta, e la lesse con foga, restando in piedi.
E mentre leggeva, e le informazioni si assorbivano nella sua memoria, pensava con una gioia infinita Ce l’ho fatta, abbiamo vinto! Ce l’ho fatta!
Ma arrivata alla fine, il cuore si fermò, e con lui si spense il sorriso sulle labbra. Senza alcun motivo logico e giusto, Imeh ebbe un fremito nel vedere scritto, alla fine della lettera: Cordiali Saluti, Kalth.
Quelle cinque lettere messe una dopo l’altra, dettero un nome a quel ragazzo che per lei rappresentava qualcosa di inaudito, di mai visto. Kalth. Se lo impresse in testa, involontariamente, e pensò, non senza dopo pentirsi amaramente, che le sarebbe piaciuto gridare quel nome, gridarlo fuori, da quel terrazzo della sua stanza. Gridarlo senza attendersi una risposta. Gridarlo perché i suoi simili sentissero quel nome, e si accorgessero contro chi realmente lottavano. Contro un bambino così simile a lei, contro un Mondo sì, ma minacciando cinque indifese lettere forse troppo fragili per far ricadere su di lui la colpa della rovina.
E proprio Imeh pensava a questo, combattuta tra ciò che le era sembrato giusto ma che ora appariva sbagliato, la porta si aprì e richiuse, e davanti a lei apparve Kalth.
 
**
 
« Vado da solo, grazie comunque Kyen. » disse il Re alla sua guardia del corpo, mentre si ritirava nelle sue stanze dopo aver assistito all’allenamento dei draghi. Gli erano sempre piaciute quelle bestie, così imponenti e nobili. Saliva le scale, mentre ad ogni gradino pensieri sempre più cupi ritornavano a occupargli la testa.
Theana, quella mattina, gli aveva riferito che gli Elfi avevano occupato tutta la Terra del Vento, e che Salazar era stata rasa al suolo. Rasa al suolo dalla Magia Nera. Kalth ebbe un impercettibile moto di rabbia. Maledetti Elfi… Era stata la cosa più tremenda che fosse mai successo fin ora. La città era ancora lì, com’era prima. Ma ogni traccia di vita all’interno era stata sterminata. Tutti squagliati come burro al sole, morti. Kalth non si spiegava come avessero potuto fare una cosa così maligna, orribile, e improvvisamente gli venne da piangere. Ma come tante, tante volte aveva fatto, respinse le lacrime e non pianse. Non lì, dove tutti potevano vederlo. Non lì, dove il Re sarebbe scomparso e sarebbe apparso il bambino.
Si diresse in camera sua, ma appena entrato, si trovò davanti l’ultima persona che si sarebbe aspettato.
Davanti a lui c’era Imeh, la ragazza che tutti i giorni gli portava da mangiare. Ma era diversa. Il Re capì subito di chi si trattasse: gli abiti, le armi, e soprattutto la cosa che teneva in mano. Il suo rapporto alla Regina.
Allora non mi ero sbagliato quando avevo visto i suoi capelli diventare verdi, pensò.
In un attimo capì tutto. Ogni cosa.
E la sua maschera di ferro si incrinò.
« Cosa stai facendo? Chi sei? » disse Kalth fremente di rabbia.  Ma non urlò. Non alzò la voce, non le corse incontro per ucciderla. Voleva risposte, perché non voleva crederci.
Risposte che non arrivarono.
Imeh era lì, fissa, e non si muoveva. Si chiese se fosse meglio scappare, ma dove? Kryss l’avrebbe uccisa quando avrebbe saputo che l’aveva scoperta. E allora tanto valeva morire lì, con un briciolo di dignità, per mano del nemico. Per mano di quel Re, di Kalth, si disse, ormai non più vergognandosi. Era la fine, lo sentiva. L’unica soluzione era la morte.
E invece il Re non si muoveva. La guardava fuori di sé, continuando a farle domande che lei non ascoltò. Solo una cosa aveva in testa. Hai fallito. Morirai.
« Rispondimi dannazione! » questa volta urlò, attirando così l’attenzione della ragazza che sussultò, ma sapeva benissimo che nessuno l’avrebbe sentito. Aveva espressamente chiesto di rimanere solo. Ed era meglio così.
D’un tratto l’elfa, i cui capelli erano ormai diventati verdi e le sembianze quelle di sempre, aprì la bocca e parlò.
« Uccidimi, che aspetti? » disse senza tono, con un’espressione che le ricordava quella di Kalth.
A quel pensiero qualcosa si mosse. Ed iniziò a urlare, consapevole che qualcuno l’avrebbe sentita. Perché quello che aveva davanti era il Re, perché era in una terra nemica e perché era un’elfa. E glielo disse. Lo disse a Kalth.
Con fare rabbioso prese una ciocca dei suoi capelli tra le mani, e si avvicinò pericolosamente a lui.
« Guarda, guarda di che colore sono! Guarda le mie orecchie, così diverse dalle tue. Guarda i miei occhi viola, guardali. Ti ho mentito, mi sono infiltrata nel tuo palazzo, ho rubato le tue informazioni! Avanti che aspetti? Uccidimi! »
Erano l’uno ad un passo dall’altra. Faccia a faccia. Il Mondo Emerso contro gli Elfi.
Si guardavano, ed entrambi bruciavano. Di una rabbia, di un’ingiustizia di cui avrebbero voluto liberarsi.
Fu Kalth a parlare, in modo così solenne che Imeh quasi se ne spaventò.
Con un lieve fremito nelle voce, disse: « Ucciderti… ». E scosse la testa. Come se fosse una cosa fuori dalla sua portata, come se su quel mondo non incombesse una guerra sanguinaria. Come se lei non fosse il nemico. Come se uccidere fosse davvero una cosa spregevole e sbagliata. E per un momento, Imeh pensò che era giusto quel che pensava. Che uccidere era sbagliato, e si era sempre sbagliata.
« Hai mai guardato fuori dalla finestra? Hai visto in che posto viviamo? » Così facendo la prese malamente per un polso, la portò alla finestra e scostò le tende. Quello che vide la fece rabbrividire. Non una persona che passeggiasse, non una persona felice che sorridesse. Le città era vuota, distrutta. Rovine su rovine. Morti su morti. Una coltre grigia di orrore incombeva sui tetti delle case, sulle loro vite.
« E’ questo quello contro cui il Mondo Emerso sta combattendo. E’ questa la mia guerra. E tu pensi che debba ucciderti? Che debba comportarmi esattamente come si comporta quello a cui ho dichiarato guerra? » Kalth sorrise. Un sorriso triste e sprezzante. Guardò negli occhi l’elfa. « No, non ti ucciderò. Troppo, troppo sangue è stato versato. Troppe le vite buttate all’aria. Per quanto mi riguarda, se posso anche solo salvarne una, di vita, lo farò. » Così dicendo le lasciò il braccio. Ma Imeh sentiva ancora la sua mano lì, dove l’aveva stratta. La mano di un Re Bambino, che lottava contro la morte.
La ragazza lo guardò, negli occhi. Così verdi, così intensi.
Kalth distolse lo sguardo, e nell’attimo in cui si spezzò quel contatto invisibile, la gravità di quello che stava succedendo ricadde sui ragazzi. Il Re pensò se era davvero giusto quello che stava facendo, se era giusto nei confronti del suo popolo. La spia pensò se dovesse ribellarsi, se dovesse ucciderlo in quell’istante. Ma quella era senz’altro una possibilità che non avrebbe mai preso in considerazione.
« Che ne farai di me? » le chiese a quel punto la ragazza, e quando lui tornò a guardarla si accorse di quanto quell’elfa, nonostante tutto, fosse fragile, come lui. Aveva la sua età, eppure era lì a rischiare la vita per il suo popolo. Proprio come me, pensò il ragazzo. Ma lui era nel giusto. Lei sbagliava.
Il Re fece un gesto di stizza con la mano, per poi rivolgere uno sguardo accigliato al nulla. Rifletteva.
« Resterai ancora qui. Per un trenta giorni circa, nei quali ti terrò personalmente sotto stretta sorveglianza. Poi te ne andrai. »
Imeh era visibilmente sconcertata. Le avrebbe permesso di rimanere? Ma la domanda più importate era un'altra.
« Mi permetterai di ritornare a casa? »
Kalth non rispose, ma la risposta era chiara, incisa sul suo volto. Si, le avrebbe permesso di scappare. Ma Imeh non parve rinfrancata. Chissà cosa le avrebbe fatto Kryss, quando avrebbe scoperto che il Mondo Emerso aveva piani diversi da quelli che lei le aveva riferito. L’avrebbe uccisa, sicuramente.
Ad Imeh sfuggì una lacrima, senza volerlo.
Si era illusa davvero di poter scampare alla morte, in quei pochi minuti. Ma da stupida.  L’avrebbero uccisa. Il nemico, il suo popolo… sembrava non avere più un posto ora. In entrambi i casi, sarebbe stata infelice. Tutto questo era racchiuso in una lacrima, troppo piccola perché il Re se ne accorgesse, troppo grande per riuscire a trattenerla.
« Perché non mi cacci via subito, eh? » chiese ancora la ragazza.
Kalth guardò il nemico. Quel volto da bambina, gli occhi grandi e lucidi, la mani che tremavano per la paura della morte, che aveva inflitto così tante volte… come poteva lei, essere il nemico? Il Re non seppe darsi una risposta. Già, perché aveva deciso di farla restare ancora un po’? Era davvero insensato.
Ma Kalth era stanco. Era stanco di tutti quei ragionamenti logici, di quelle diplomazie. L’avrebbe fatto, punto. Senza chiedersi un perché.
« Verranno a sapere che ci siamo parlati. E se ti caccio subito capiranno, e si domanderanno perché non ti abbia uccisa. » inventò al momento. Imeh parve crederci.
« E ora va’ via. » Disse il Re ritornando al tuono spezzante di poco prima. « Attenta a non farti scoprire, o non spetterà più a me le decisione se ucciderti o no. »
Imeh stava per uscire, quando il ragazzo la bloccò per la spalla, con il viso a pochi centimetri dal suo. Un altro contatto. Imeh tremò. Kalth ebbe un fremito.
« Non dire a nessuno di quello che è successo. Sarebbe il panico. »
La ragazza annuì, e in un attimo scomparve nel dedalo dei corridoi.
Kalth, rimasto solo, si abbandonò sul letto, chiedendosi se quello che aveva fatto fosse giusto o sbagliato.
 
 

-          La domanda “come poteva lei essere suo nemico?” è una citazione del libro “Niente di nuovo sul fronte occidentale”, di Erich Paul Remark.
-          Che dire poi? Ringrazio ancora e infinitamente chi leggerà anche questo capitolo, rimanendone soddisfatto (o almeno spero!)
K. Christmas

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