KISS me in THE RAIN

di lullaby_89
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La fine e l'inizio ***
Capitolo 2: *** Dormi con me? ***
Capitolo 3: *** La gelosia non è lecita ***
Capitolo 4: *** Fotografia a tradimento ***
Capitolo 5: *** Compagni di squadra ***
Capitolo 6: *** L'attimo prima del bacio ***
Capitolo 7: *** Un giorno ti dimenticherai di me ***
Capitolo 8: *** Conoscersi ***
Capitolo 9: *** Delusa...dall'amicizia ***
Capitolo 10: *** 10. Sguardi ***
Capitolo 11: *** Visita inaspettata ***
Capitolo 12: *** Innamorata? ***
Capitolo 13: *** Hello Kitty ***



Capitolo 1
*** La fine e l'inizio ***


Qualcuno dirà "ma come? un'altra volta?" ebbene sì, ci risiamo!
Ho riscritto la storia, modificando due cosette, ma questa volta ci siamo! il tempo è sempre poco, ma i capitoli che ho scritto sono già 14...cercherò di postare ogni settimana, al massimo 10 giorni!
Se leggete fatemi sapere cosa ne pensate ^^ fa sempre piacere!

Era bello stare avvolta nella più assoluta pace della natura, sdraiata su una coperta sopra quel parco verde. L’odore dell’erba di luglio dopo una giornata di pioggia era magnifica. A quell’ora la Cascina era vuota, solo pochi appassionati del jogging venivano a correre prima di cena. L’unico rumore era quello dei fagiani che passeggiavano cercando del cibo raspando a terra con i piccoli artigli.

Ad occhi chiusi tutto era più nitido: la tranquillità di quel posto, un piccolo paradiso in quella vita caotica.

Il liceo era finito, maturità conclusa, all’inizio del primo anno quel traguardo sembrava così lontano da non arrivare mai, invece eccomi qua, matura. Una scelta da fare, la più difficile probabilmente: l’università. Ero decisa, nella mia vita non c’era mai stato alcun dubbio, avevo fatto il liceo per prepararmi meglio ed in quel momento la mia iscrizione era sulla scrivania della mia camera. Architettura.

Il vento iniziò a fischiare tra gli alberi, erano le sette di sera e nuvole grigie venivano trasportate prospettando un nuovo acquazzone estivo.

Erano belle le piogge improvvise, dopo tanto caldo vedere la pioggia per me era rilassante, la brezza leggera che l’acqua portava con sé era qualcosa di unico.

Mi tolsi gli occhiali da sole dato che ormai i raggi solari erano filtrati dalle fronde degli alberi all’orizzonte e mi alzai a sedere riponendoli nella custodia dentro lo zaino.

“Bella addormentata ci sei allora?” ironizzò il ragazzo al mio fianco. Era disteso con le mani dietro la testa e un’espressione beata sul volto.

“Sempre simpatico tu” risposi a tono.

“Permalosa come sempre” mise il broncio e si tirò su voltandomi le spalle. Risi e mi trovai a pregarlo di smettere di farmi il solletico. Era così tra di noi, facevamo i finti imbronciati e poi scoppiavamo a ridere come due bambini.

“Smettila ti prego!” urlai esasperata cercando di spingerlo via,  inutilmente dato che era più alto di me di dieci centimetri buoni ed il suo fisico era uno dei più invidiabili; calciatore dall’età di sei anni.

Rimasi con il fiato corto a terra e lo stomaco dolorante per le risate mentre lui afferrava la coperta e con uno strattone mi ritrovai con la faccia sull’erba.

“Sempre delicato” sbuffai alzandomi e dandogli una pacca sulla nuca scherzosamente.

“Dobbiamo andare, non siamo in bici, a piedi ci vuole una trentina di minuti per arrivare al parcheggio” disse serio ripiegando la coperta e infilando tutto nello zaino, prese una sigaretta e l’accese per poi guardarmi con la sua solita aria indecifrabile.

“Andiamo” lo assecondai mettendomi la borsa a tracolla. Camminammo al fianco in silenzio, era tipico di noi, stavamo interi minuti senza dirci una parola, ci guardavamo ogni tanto e il nostro sguardo riprendeva subito il suo posto davanti a sé.

La sigaretta che teneva sulle labbra ciondolava come stanca, la prese e soffiò il fumo creando una nuvoletta grigia chiara sopra la sua testa. Odiavo l’odore del tabacco, lui lo sapeva, ma nonostante tutte le mie preghiere e suppliche per convincerlo a smettere lui continuava promettendo ogni giorno che quella sarebbe stata l’ultima della serata.

La luce del giorno ormai era svanita dietro le colline e le chiome degli alberi, tutto il cielo era viola ed arancione e le nuvole incombevano sempre più cariche, grigie e voluminose. Dietro di noi ombre lunghe seguivano i nostri passi sulla ghiaia del lungo viale confinante con il Golf Club delle Cascine.

“Sei silenziosa oggi” ruppe il silenzio guardandomi con i suoi occhi verde mare, era difficile decifrare quel colore particolare, un misto di verde chiaro a un celeste ghiaccio, incredibili.

“Come te del resto” risposi.

“Giusto, ma sai cosa mi turba, invece non so cosa hai tu” mormorò fissandomi ancora.

“Niente di particolare, tu invece devi fartene una ragione” brutto argomento, sapevo che quando iniziavamo poi finivamo per litigare, ma mi dava sui nervi la sua rassegnazione.

“Sai che non posso”

“Puoi eccome...” scossi la testa esasperata, in un anno avevo ripetuto quelle parole fino allo sfinimento, uomini cocciuti “non puoi continuare così, lei non è pronta per impegnarsi, ha paura! Mettitelo in quella zucca bacata, se stai con lei accetti le sue condizioni…altrimenti ci sono altre mille ragazze ad aspettarti! È la mia migliore amica e le voglio bene, però so quanto può essere difficile starle vicino” sospirai guardando il suo volto farsi cupo e lanciare la sigaretta lontano sul cemento del parcheggio. La seconda in mezz’ora.

“Stare con lei mi far star male…non averla anche” parole ancora una volta sentite e risentite.

“Io non posso decidere per te” poggiai una mano sulla sua spalla teneramente “la decisione è tua, ma non venire da me quando sarai ancora una volta distrutto” invece sapevo benissimo che lo avrebbe fatto e io lo avrei consolato come sempre rimettendo tutto a posto.

“Per adesso sta andando bene” sussurrò a testa bassa.

“Sì, e io sono felicissima per voi, siete entrambi miei amici e mi fa piacere che questa storia continui Edo, ma vederti così mi fa star male lo sai” lasciai scivolare la mano e misi la borsa in macchina.

“Io senza di te non saprei come fare” lo sentii dire mentre richiudevo lo sportello per voltarmi a guardarlo. Era poggiato sul tettino della macchina con le braccia incrociate e le mani a pugno a reggersi il volto, quello di un diciottenne, bello come un angelo.

Già, io lo chiamavo angelo, forse per i capelli biondi, forse per gli occhi azzurri o semplicemente perché aveva un viso angelico, impossibile arrabbiarsi con lui e consapevole ne approfittava.

“Lo so!” mi atteggiai a donna importante e lui rise mentre entrava in macchina.

Entrai anche io ed uscimmo dalla Cascina imboccando la strada principale, abitavamo poco distanti da lì, soprattutto casa mia era molto vicina, entrò nella strada senza sfondo in cui abitavo e spense la macchina.

Lasciò scivolare le mani dal volante e mi guardò pensieroso, quelli erano i momenti imbarazzanti in cui aveva timore di chiedermi qualcosa che poi si rivelava sempre la stessa.

“Secondo te...” ecco che prendeva fiato “sto facendo la cosa giusta a stare ancora con lei?”

Lo fissai dolcemente dandogli al solita risposta di sempre “lo puoi sapere solo tu...io non mi intrometterò mai nella tua vita, ad ognuno le sue scelte”

“Mi darai mai una risposta diversa?” domandò esasperato.

“Non credo” sorrisi e afferrai la borsa uscendo dalla macchina prendendo la chiave del cancello. Damon venne verso di me scodinzolando, aprii il cancello e subito uscì in strada abbaiando al mio migliore amico.

“Sai, a volte penso che il tuo cane mi odi” scherzò uscendo e accarezzando la testa del mio husky, che come al solito smise di abbaiare come un pazzo e si lasciò grattare la testa “è lunatico” rise lasciandolo andare.

“Ma no, ti vuole solo bene, è il suo modo di salutarti” dissi accarezzando le orecchie morbide di Damon che compostamente si era seduto al mio fianco aspettando che entrassi in casa.

“Con te non fa così” brontolò fissando il cane al mio fianco tranquillo.

“La tua cara Luna non fa che ringhiarmi contro ogni qual volta le si presenta l’occasione” brontolai.

“Lo sai, è gelosa delle altre donne” rise montando in macchina e il primo lampione si accese nelle strada seguito a ruota dagli altri “si è fatto tardi, ci vediamo domani Giulia” mi avvicinai al finestrino e lo abbassò del tutto per permettermi di dargli un bacio sulla guancia a cui seguì un ringhio di Damon.

“Pure lui geloso...” sbuffò Edoardo con un sorriso e messo in moto se ne andò.

Entrai in giardino con il cane al mio fianco, chiusi e entrai in casa, lanciai la borsa da una parte ed andai nella cucina dove ovviamente trovai mia madre a cucinare e la nonna a leggere il giornale.

“Sera” dissi prendendo un bicchiere di acqua fresca.

“Ciao tesoro” mi salutò mia nonna alzando gli occhi da sotto gli occhiali.

“Dove sei stata fino ad ora?” domandò mia madre guardandomi come per studiarmi.

“In Cascina con Edo, te l’avevo detto no?” mi pareva di averlo detto eccome, ero uscita di casa urlandolo ad alta voce.

“Soli?”

“Sì” risposi non capendo il senso di tutte quelle domande “che c’è di strano? Lo conosco da 8 anni” precisai non trovando necessario quell’interrogatorio.

“Sì, ma per cinque anni non vi siete mai visti e ora siete diventati inseparabili” posai il bicchiere sul lavello e mi sedetti alla tavola. Dove voleva arrivare?

“Bè, ci siamo persi di vista per un po’ è vero...” risposi dopo un po’ “ma adesso siamo di nuovo amici è normale che ci vediamo no?” alzai le spalle involontariamente e aspettai una risposta.

“Giusto, solo che…” ed eccoci con le solite preoccupazioni da mamme “non c’è altro sicura?”

“Sicurissima, amici stretti e basta” sorrisi e mi alzai “sai che ti dico sempre la verità” baciai la sua guancia con uno schiocco di labbra e la feci ridere.

“Va bene” annuì.

“Che male ci sarebbe?” intervenne mia nonna “è così un bravo e bel ragazzo”

Non mi trattenei dal ridere sotto i baffi. Mia nonna aveva sempre avuto un debole per Edoardo e sperava sempre di vederlo al mio fianco e non solo come amico.

“Nessuno…” rispose mia mamma “Stasera pasta fredda, va bene per te?” cambiò discorso.

“Perfetto mamma” mi lavai le mani e aiutai a preparare la cena, come facevo ormai da qualche giorno, ero in vacanza e senza compiti estivi, una nota positiva della fine del liceo.

 

Mangiai in fretta come sempre per poter uscire, non volevo più stare chiusa in casa dopo mesi di reclusione per causa esame di maturità, volevo stare all’aria aperta il più possibile anche solo per portare a spasso Damon.

Avendo ormai intuito che anche quella sera l’avrei portato fuori nel parco Damon mi scodinzolava dietro con il guinzaglio di cuoio in bocca con gli occhioni azzurri puntati su di me. Era un animale estremamente intelligente, testardo e frenetico come era consono nella sua razza, ma soprattutto molto dolce. Afferrai il guinzaglio prendendo con me solo il cellulare e le chiavi di casa, feci scattare il moschettone sul collare rosso di Damon e aprii il cancello con il pulsante per uscire fuori nella penombra di quel momento che precede la notte dove i lampioni sono accesi, ma la luce del sole si intravede ancora tinta di rosa e arancione.

Ispirai profondamente guardando la strada deserta, Damon mi pregava disperato di incamminarmi tirando come un matto, aveva una forza disumana quel cane anche se aveva solo 2 anni. Lo accontentai e presi a camminare con lui al mio fianco.

Solitamente quei momenti erano dediti al libero svago del mio pensiero, quella sera presi in considerazione le parole di mia madre e mi sentii veramente stupida. Credevo che il mio rapporto di amicizia con Edoardo fosse evidente, non c’era niente di più, lui mi considerava un’amica fidata, al massimo una sorella a cui raccontare i suoi pensieri, lui sapeva tutto di me e io tutto di lui.

Era vero che dopo cinque anni nessuno avrebbe pensato che l’avrei rincontrato e sarebbe nato questo legame speciale. Già, alle medie eravamo amici, ma lui faceva parte del mio gruppo, niente di più, ero legata a Edo come ero legata agli altri ragazzi, ma adesso era diverso.

Che c’era di strano tra l’amicizia tra un ragazzo ed una ragazza? Nessuno ci credeva, quando ci vedevano insieme pensavano subito a qualcosa di più, tante volte ci eravamo trovati in imbarazzo di fronte a queste domande, e noi con una risata smentivamo tutto.

Poi ci pensavamo, e storcevamo il naso solo all’idea di stare insieme, scherzavamo solo sul nostro matrimonio, scommettevamo che ci saremmo sposati prima o poi e io ridevo rispondendo che mai e poi mai avrei potuto stare con lui.

Pensare che in terza media mi ero presa una cotta assurda, ma ovviamente, come era sempre stato nella mia vita, lui non ricambiava, era il suo migliore amico ad aver avuto una cotta per me, e io stupida l’avevo liquidato perché pensavo che magari qualcosa sarebbe successo. Adesso lo avevo capito, le storie tutte zucchero e coccole non esistono o almeno non per me.

Mai qualcuno mi aveva detto “ti amo” e mai lo avevo detto io. Mi aveva usata, sfruttata per poco più di una settimana in quella maledetta gita a Barcellona e poi? Finito tutto con un semplice -è stato bello, ma finiamola qua. Non ho la testa per avere una ragazza fissa- ancora non trovavo il senso di quelle parole.

Ero stata male, mi aveva letteralmente spezzato il cuore, strappato violentemente e gettato in un baratro senza fondo.

La mia vita sentimentale era un disastro! Al contrario di quella della mia migliore amica, in quel momento ragazza del mio migliore amico, che strana la vita. Non si rendeva conto della fortuna che le era capitata, non avrebbe mai incontrato qualcuno che la amasse più di Edoardo, che lasciasse scorrere tutti i suoi capricci, i suoi errori e lei non lo capiva.

Scossi la testa spostandomi il ciuffo caduto sul viso con la mano sinistra, Damon mi fissava mentre mi buttavo sulla panchina in legno con la grazia di un rinoceronte, perché proprio questi pensieri dovevo fare?

Mi facevo del male da sola, Stefano non l’avrei rivisto, o almeno non tutte le dannate mattine, in quell’aula piccola e troppo stretta perché io potessi sentire tranquilla. Ogni mattina quando entrava dalla porta a vetri il mio cuore aveva un sobbalzo e lui lo sapeva, il suo sorriso compiaciuto ne era la prova. Sapeva che il mio cuore era ancora suo, mi ero innamorata in una settimana di una persona che non era reale, lui non era così, almeno non più, quel ragazzo dolce e romantico di Barcellona non era lo stesso che tutti i giorni mi salutava con uno sciatto ciao quasi sforzato.

Basta distruggersi per il passato, ciò che è stato è stato e niente e nessuno può cambiarlo. Il futuro, quello si cambia, ci si crea e la prima cosa da fare era dimenticarlo, poco importava che il mio cuore reagiva ancora alla sua vista, lui non era più mio e probabilmente non lo era mai stato.

Seduta sulla panchina tolsi il guinzaglio a Damon che agognava di scorrazzare libero per il parco annusando qua e là. I giardini erano deserti perciò non c’era pericolo che qualche genitore si lamentasse di un cane di 40 kg, più somigliante ad un lupo famelico che ad un cucciolo, libero di azzannare i loro figli, anche se non aveva mai torto un capello nemmeno ad un gatto.

Il telefono vibrò nella tasca dei jeans: messaggio.

 

Edoardo 

Giulina dove sei?

Come al solito Gemma

mi ha dato buca.

Ho bisogno di te..

 

E ti pareva, mi sembrava di essere una ruota di scorta, lei non c’è ci sono io; avrei voluto rispondergli di no, che non avevo intenzione di uscire di casa, ma poi me ne sarei pentita, lo sapevo, ero troppo buona, troppo “predisposta verso gli altri” come diceva lui. Odiavo essere buona!

Risposi velocemente dicendogli di venire ai giardini dietro casa mia, schiacciai invio e rimisi il telefono in tasca buttando la testa all’indietro.

Le stelle stasera erano tutte nascoste, la luna si vedeva sfocata dietro quella coltre grigiastra, io adoravo la luna d’estate, chissà perché mi sembrava più grande e luminosa.

Un guaito mi riportò a sedermi normalmente, Damon stava di fronte a me con un bastone tra i denti affilati, ma poteva stare calmo almeno un secondo quella peste di lupacchiotto?

“Damon non ne ho voglia” dissi accarezzandogli il muso.

Mugolò ancora posando la testa sul mio ginocchio, poverino, lui infondo non c’entrava nulla con i miei problemi. Presi il bastone che aveva in bocca e mi alzai sorridendo e correndo con lui dietro che saltellava per afferrare il legnetto che tenevo in alto.

Lo lanciai con troppa forza e finì sul marciapiede, dove Edoardo si affrettò a raccoglierlo e lanciarlo verso di me mentre Damon stizzito camminava verso il bastone indignato perché qualcuno aveva interrotto il suo gioco.

“E poi ti lamenti perché ti ringhia contro” dissi io salutandolo.

Indossava un paio di jeans neri e una polo rossa. Gli stava da dio il rosso. I capelli sempre spettinati erano invece tirati indietro e composti. Io sembravo una barbona, una coda alta e solo jeans e maglia a maniche corte viola lunga fino a metà coscia, certo dovevo portare a spasso il cane non andare in qualche posto in particolare.

Veniva verso di me calpestando l’erba umida che al suo passaggio si appiattiva e lasciava impronte scure, dietro di lui una coppia con due bambini in bici entrava nel vialetto.

Richiamai Damon con un sonoro fischio che fece ridere il mio amico, con lui ero me stessa, poco importava se mi dava del maschiaccio.

“Ciao demonio” disse accarezzando il manto nero di Damon mentre lo legavo alla zampa della panchina e per niente contento di essere costretto in quel piccolo spazio.

“E ciao anche a quella disgraziata di padrona che ti ritrovi” scherzò sedendosi sulla panchina invitandomi a fare lo stesso.

“Ciao Edo” lo salutai sedendomi al suo fianco e guardandolo intensamente, senza che domandassi nulla iniziò a spiegarmi come mai non era uscito con Gemma.

“Te ne rendi conto che non sapeva come fare ad uscire perché io suoi non credevano che era con te? Non aveva la macchina, potevo passare a prenderla io, ma no! Altrimenti i suoi genitori potevano vedermi! Dio a volte mi sembro un fantasma! Che tristezza...” disse tutto d’un fiato mormorando le ultime parole sconsolato, gli occhi bassi e tristi, quegli occhi sempre luminosi era parecchio che li vedevo così spenti.

“Perché mi voglio così male? Non è normale essere così masochisti...” continuò voltandosi verso di me “a volte vorrei essere quello di prima” sbuffò.

“Sei masochista al limite del decente. Ma più che altro sei stupido!” sbraitai dopo mesi di quelle lamentele, sempre uguali, sempre le stesse cose “te l’ho già detto, lei non dirà mai niente ai suoi genitori, sarebbe come essere legata, imprigionata e lei non vuole, tu puoi sperare..sognare...ma lei non farà mai ciò che vuoi!” mi alzai di scatto dandogli le spalle, potevo immaginare il suo sguardo rivolto verso il basso, l’avevo colpito come al solito nel suo punto debole, ma doveva imparare “se ti va bene stare così ok…ma finiscila di lamentarti, sai cosa devi fare se non vuoi soffrire”

Mi girai incrociando i suoi occhi lucidi e disperati, lo vidi aprire la bocca sospirando, e prima che potesse parlare continuai “non dirmi che stai peggio senza di lei, lo dici tutte le volte e poi non è così!”

“Perché mi dici questo?” domandò triste, non mi aspettavo questa domanda, di solito mi dava ragione anche se poi dieci minuti dopo continuava ad avere la sua idea, non aveva il coraggio di lasciarla. Lo aveva fatto, ma poi tornava su suoi passi e la perdonava.

“Perché ti voglio bene e vederti così mi fa stare malissimo...”

Tornai a sedere e sostenni il suo sguardo intenso “faccio stare male anche te e non lo meriti, prometto che non dirò più niente, hai ragione, infondo il mal voluto non è mai troppo” alzò le spalle e sorrise.

“Sai che puoi dirmi tutto, ma sai qual ‘è la soluzione perciò non parlarmene più, lei è la mia migliore amica e non voglio intromettermi” sospirai “non farmi dire cose di cui potrei pentirmi” lo supplicai, e questa volta ero io a supplicarlo con gli occhi tristi.

La situazione era assurda e io non riuscivo a gestirla, sapevo che lei era così, la persona più buona e dolce del mondo, ma l’idea di avere un ragazzo fisso le faceva venire il panico, aveva paura di perdere gli amici, cosa che non sarebbe mai avvenuta, paura di innamorarsi, questa secondo me era la verità e non lo ammetteva. Lui era innamorato e non lo nascondeva, avrebbe fatto tutto per lei, soffriva per il fatto di non essere corrisposto come voleva.

“Scusami” mormorò “ma sei l’unica di cui mi fidi, l’unica con cui riesco a parlare” mi posò una mano sul ginocchio affettuosamente.

“Ho pensato un po’ stasera…” ruppe il silenzio voltandosi nella mia direzione. Stava già per rompere la promessa fatta cinque minuti prima.

“A cosa?” sapevo benissimo quale fossero stati i suoi pensieri, ma se non avessi chiesto niente lui non si sarebbe mai aperto.

“Non è quella giusta per me” sospirò passandosi una mano fra i capelli “io non sono giusto per lei. Insomma sembriamo quasi due estranei a volte, mi conosci più tu di lei” esclamò tristemente.

Le avevo sempre pensate queste cose, ma non avevo mai avuto la pretesa di intromettermi in quel rapporto già complesso di suo. Io sapevo cosa odiava, cosa amava, quello che gli dava fastidio e quello che gli faceva piacere. Gemma invece non se ne preoccupava quasi mai, non che lo facesse per cattiveria, era semplicemente fatta così. Poche volte mi aveva anche solo detto “ti voglio bene” e ormai erano tredici anni che eravamo amiche. Sapevo com’era fatta e l’accettavo così com’era.

Per Edoardo non era facile quanto per me, non era un rapporto d’amicizia il loro, era amore. O almeno lui l’amava, lei non l’avevo mai capito bene e ovviamente quando facevo la fatidica domanda lei riusciva sempre a rispondere in modo da non dire né sì né no.

“Ma tu l’ami?” domandai sapendo già la risposta.

“Lo sai…” borbottò “Però amare e non essere ricambiato di risucchia l’anima. Devi compensare anche l’amore che lei non ti dà e alla fine non ce la fai più e preferisci soffrire un po’ piuttosto che perire sperando in qualcosa che non avrai mai.”

Era la prima volta che lo sentivo parlare in quel modo. Sconsolato, persino arrendevole. Edoardo non era mai stato così, lui pensava positivo, sorrideva anche di fronte alle difficoltà e le affrontava come sfide da superare.

“Hai ragione…ma…” che cosa avrei voluto dire? Lei ti ama? Avrei mentito forse, non lo sapevo con certezza.

“Forse è giunto il momento di chiudere questa storia assurda una volta per tutte” sospirò.

Perché mi sembrava di rivivere un flash-back? Probabilmente perché questa sarebbe stata la decima volta che quei due si sarebbero lasciati, per poi tornare insieme puntualmente due giorni dopo. Ma diversamente dalla altre volte adesso c’era un’espressione diversa sul volto di quel ragazzo al mio fianco: rassegnazione.

“Fai ciò che ti senti Edo, io non posso decidere per te e nemmeno dirti se stai per fare la cosa giusta o quella sbagliata” non lo stavo aiutando, ma non avevo il diritto di dire la mia.

“Puoi e devi. Sei la mia migliore amica…dimmi cosa ne pensi ti prego”

Posò una mano sulla mia, che tenevo rilassata sulla gamba e mi guardò speranzoso e come sempre non potei negargli la sua richiesta.

“Hai ragione su tutto” sospirai togliendo la mano da sotto la sua, che rimase lì dov’era.

“E…?” mi spronò.

“Ed è una scelta tua, mi dispiace. Voglio solo vederti felice, quindi per me va bene qualsiasi cosa tu ritenga migliore per te”

Era la verità, ma i suoi occhi sembravano delusi da quella risposta, sembravano volerne avere avuta una completamente differente.

“Hai ragione, non posso scaricare tutto si di te” un sorriso dolce si disegnò sulla sua faccia.

Perché pensavo al bene di Edoardo e non a quello di Gemma? Non avrei dovuto preoccuparmi anche della sua reazione? Era difficile da spiegare, ma sapevo bene che lei avrebbe affrontato il tutto con razionalità ed in più sarebbe stata una prova: se l’amava veramente sarebbe tornata da lui e avrebbe raccontato tutto ai suoi, senza più trattarlo come il fantasma che era in quel momento.

“Anche se finirà tutto noi saremo sempre amici?” domandò puntando i suoi occhi nei miei.

“Certo” annuii.

Passò una mano intorno alla mia vita e mi portò vicino a lui. Ne rimasi sorpresa, ma sapevo che quel momento non doveva essere facile per lui, aveva mille cose in testa e non sapeva quale strada scegliere, tutte si mostravano poco agibili e doveva solo sperare di prendere quella che poi si sarebbe trasformata in una tutta in discesa.

“Senza di te non saprei che fare…” sussurrò sui miei capelli.

“Non esagerare” scherzai dandogli una pacca sul petto, che lo fece almeno ridere un po’.

“Dico sul serio, ti faranno santa solo per essermi sempre stata vicina”

“Forse hai ragione” ridacchiai.

Un attimo dopo Damon se ne stava di fronte a noi e guaiva disperato con il solito legnetto stretto fra i denti. Lo avevamo completamente ignorato e questa cosa non gli andava giù.

“Ci gioco un po’ e poi torno a casa. Vai anche tu e dormici su prima di fare qualcosa di avventato ok? Promesso?” dissi guardandolo seriamente mentre cercavo invano di afferrare il bastone dalla bocca del mio cane dispettoso.

“Ovvio, anche perché stasera non saprei come fare a vederla” scherzò un po’ teso.

Era incredibile come riuscissi a capirlo anche solo guardando i suoi movimenti o dal tono della voce. Praticamente capivo più lui di me.

“Buona notte Giuli” si sporse quel tanto che bastava per darmi un leggero bacio sulla guancia e poi mi lasciò lì un po’ confusa. Era la prima volta che mi salutava in quel modo, solitamente ero io quella più affettuosa.

Ormai ne ero certa: quei due mi avrebbero mandata al manicomio. Forse una loro rottura mi avrebbe portato un po’ di pace, anche se avrei dovuto trovare il modo di vedere entrambi separatamente. 

Non avevo intenzione di perdere nessuno dei due.

Chissà se sarebbe stato veramente possibile.

 

La mattina seguente mi svegliai che era già l’ora di pranzo, forse avevo un po’ troppo sonno arretrato a causa dello stress per l’esame di maturità e stavo recuperando veramente bene, facendo delle dormite assurde.

Quando sentii il cellulare vibrare e guardai lo schermo però capii che non tutti si rilassavano come me e che qualcuno non aveva cambiato idea dalla sera prima.

Avevo circa cinque chiamate perse di Gemma e due suoi messaggi, più uno di Edoardo. Ancora assonnata mi precipitai a leggere i messaggi, dopo avrei chiamato entrambi. La mia migliore amica si era solo limitata a dirmi che Edo l’aveva per l’ennesima volta chiesto di impegnarsi a fare la vera fidanzata e non solo la bambolina che era sempre stata e che se non l’avesse fatto l’avrebbe lasciata. La conclusione? Era stata lei a liquidare lui.

L’altro messaggio era solo un “ma dove sei dormigliona?”.

Sbuffando gettai le coperte a terra e presi il cordless per chiamarla. Rispose dopo un solo squillo, quella ragazza viveva in simbiosi con il suo cellulare secondo me.

“Ciao, mi sono svegliata ora…” sbadigliai senza volere.

“Ma quanto dormi?” chiese ridendo.

Rideva. Come previsto non le era poi importato molto di aver perso il miglior ragazzo del mondo. Non se ne era mai accorta dopotutto.

“Molto…su dimmi che hai combinato” la esortai alzandomi per andare ad aprire la finestra.

In poche parole raccontò quel che aveva riassunto nel messaggio aggiungendo qualche particolare. Una rottura consenziente da parte di entrambi a quanto pareva. Edoardo era partito con l’idea di lasciarla, ma poi aveva tentato un’ultima volta di ottenere qualcosa di più da Gemma. Tentativo fallito.

“Quindi questa è l’ultima volta?” chiesi io scettica.

“Direi di sì. Avevi sempre avuto ragione tu…” sussurrò e sono sicura che le costò darmi ragione “non era amore, gli volevo bene, ma niente di più”

In quel momento se fossi stata lì con lei le avrei tirato un macigno in testa. Aveva quasi giocato con lui per mesi e ora se ne usciva con quell’affermazione. Santa pazienza che qualcuno mi aveva gentilmente donato, pensai. Se non fosse stata per quella l’avrei strozzata con le mie mani.

“Gemma fammi un piacere, non lo illudere di nuovo ti prego” mormorai esasperata.

“Tranquilla”

Non ero tranquilla per niente. Innamorato com’era Edo se ne sarebbe tornato anche in ginocchio ai suoi piedi pur di riaverla.

“Giulia gli voglio bene, non sono così stronza” disse stizzita.

“Lo so, sei un tesoro quando vuoi” le dissi sapendo che era la verità “Gemma lasciagli vivere la sua vita e tu vivi la tua, siete sempre stati troppo diversi per stare insieme.”

“Penso proprio che per un bel po’ non vorrò avere storie, non sono fatta per quelle a lunga durata, mi sento oppressa” confessò.

“Te l’ho sempre detto” scherzai.

Lei era nata per stare libera e solo un vero uomo, magari anche più grande di lei, l’avrebbe potuta avere per sé. Le serviva qualcuno con la testa sulle spalle e Edoardo, anche se era maturo, non lo era abbastanza per lei.

“Sai che vado a Milano domani?” disse tutta euforica.

Decisamente non l’aveva presa male. Mi preoccupavo solo di come poteva stare Edo.

“Vai da Camilla?” chiesi.

“Sì, visto che non ci vediamo da un po’ salgo su e sto una notte da lei. Mi ha chiesto se vuoi venire anche tu. Vieni?”

“No Gemma, penso che andrò qualche giorno al mare…di stare in città non mi va”

Era luglio e la prospettiva di stare in una città come Milano mi faceva venire l’orticaria solo al pensiero. Magari non era vero che sarei partita per il mare, ma meglio stare a casa mia che in quella metropoli.

“Va bene. Non insisto tanto so che non cambi idea”disse sicura, conoscendomi veramente troppo bene “Ci vediamo domenica quando torno”

“Ok. Un bacio e divertiti” risposi.

“Anche a te. Ciao sorellina”

Agganciai e mi lasciai cadere sul letto per prepararmi alla seconda chiamata, sicuramente più difficile, ma prima volli leggere il messaggio.

 

Edoardo 

Posso venire da te questo

pomeriggio? Sto bene, ma

ti devo chiedere un favore...

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Capitolo 2
*** Dormi con me? ***


Grazie di cuore a  DreamsBecameTrue che ha lasciato un commento ^^ fa sempre piacere! Grazie anche a chi ha inserito la storia tra preferiti, seguiti, ecc... spero che con il tempo questa storia appassioni qualche persona. 
Intanto ecco il 2° capitolo! Non succede niente di particolare e per chi seguiva la vecchia versione dico che è quasi uguale al precedente! I cambiamenti ci saranno dopo!
Un bacio July :)

 

CAPITOLO SECONDO "Dormi con me?"
 

La richiesta di Edo non fu altro che pregarmi in ginocchio di poter passare qualche giorno al mare, lontano da tutto e da tutti. Ovviamente non potetti negarglielo. Quando lo vidi arrivare con quell’aria da cucciolo bastonato, che invano cercava di essere forte per non mostrare quanto in realtà ci stesse male, il mio lato da buona samaritana saltò fuori.

Chiamai anche Vittoria e Valentina, sapevo bene che io e lui soli ci saremmo solo depressi più che mai e alla fine saremmo tornati più tristi di prima e io non volevo questo per lui. Desideravo rivedere il sorriso solare del mio migliore amico.

Aveva cercato in qualche modo di apparire sereno e per niente turbato da quella rottura, che io avevo sempre reputato inevitabile, ma la realtà era che lui ci stava male e soffriva. L’unica differenza stavolta era che la decisione sembrava definitiva per entrambi.

Non sapevo dire perché, ma ne soffrivo anche io, vederlo in quello stato mi rattristava. Mi accollavo i suoi problemi come fossero i miei, era come se ci fosse stato un legame che mi impediva di essere felice quando lui non lo era.

Era un’amicizia speciale la nostra.

“Sai che non hai una bella cera?” dissi ironica cercando di tirargli su il morale.

Tutto sembrava inutile anche se lui per farmi felice sorrise, ma subito dopo tornò in quello stato di coma apparente.

“Mi riprenderò Giulia. So di aver fatto la cosa giusta e quindi non ho rimorsi” quello adesso era un vero sorriso.

La mia timidezza non mi permise di abbracciarlo, ma avrei voluto tanto farlo, coccolarlo come un cucciolo per farlo tornare allegro, per poter rivedere la luminosità dei suoi occhi, adesso un po’ spenti. Mi limitai a poggiare una mano sulla sua spalla affettuosamente.

“Possiamo partire domani mattina?” chiese improvvisamente alzandosi dal divano.

“Certo, dammi il tempo di preparare le valige però” scherzai.

“Grazie, ci vediamo domani alle dieci” disse chinandosi per baciarmi la guancia “devo andare dal mister”

“Ok…” annuii e ancora una volta mi stupii di quel gesto.

Lo sentii salutare mia mamma e poi la porta sbatté. Ormai conosceva così bene casa mia che nemmeno lo accompagnavo più, avrei potuto dargli anche una copia delle chiavi.

Non feci in tempo ad alzarmi che mamma sbucò dalla porta bloccandomi con lo sguardo, con quell’espressione tipica che significa solo una cosa: non muoverti che dobbiamo parlare.

“Che cos’ha Edoardo?” domandò così, sorprendendomi per quanto era stata diretta.

“Ha rotto con Gemma”

Oramai mia mamma conosceva tutta la storia e non avevo motivo di nasconderle niente. Mi piaceva quel rapporto aperto e avrei odiato anche l’idea di tenerle nascosto qualcosa. Era sempre stata comprensiva e soprattutto sapeva consigliarmi.

“Gemma non è mai stata adatta a lui…”

Si mise a sedere accanto a me ripetendomi quello che aveva sempre affermato con troppa sicurezza e mi stupiva quanto ci indovinasse ogni volta.

“Già…” mormorai.

“Andate al mare da soli?” chiese.

“No mamma, andiamo insieme a Vale e Vittoria” sorrisi sapendo dove voleva arrivare. Come aveva la certezza che Gemma non era mai stata giusta per Edoardo, aveva anche quella malsana ed insulsa idea di considerarci una coppia perfetta.

“E poi che ci sarebbe di male? Siamo amici” scrollai le spalle.

“Lo so” mi posò una mano sulla spalla e continuò “però tesoro siete sempre insieme, anche quando stava con Gemma usciva più con te che con lei”

Ma dove voleva andare a parare?

“Mamma che intendi dire? Odio i giri di parole” sbuffai guardandola un po’ storto.

“Non è che Edo ha un debole per te?”

Istintivamente scoppiai a ridere come se avessi appena sentito la più bella e divertente barzelletta mai detta. Non potevo resistere. Edo attratto da me. Più ci pensavo e meno riuscivo a tornare seria mentre mia mamma mi fissava.

“Mamma non scherzare dai” le dissi cercando frenare quella risata.

“Non capisco cosa ci potrebbe essere di male. Siete due amici e lo capisco, ma non è detto che non possa nascere niente, siete così uniti”

“Appunto mamma, uniti come amici.” dissi senza indugio “solo amici” e non volevo sentire altre fesserie.

Non bastavano gli amici a ripetercelo, adesso anche la mia famiglia si metteva a fare ipotesi strampalate e assurde.

“Va bene” si arrese.

Ricordati di spegnere il gas quando andate a dormire e se andate a ballare tornate presto”

Le solite raccomandazioni delle madri e pensare che dovevo subirne ancora tante prima di partire la mattina dopo. Soprattutto mancava ancora mio padre, apprensivo e geloso al limite della decenza della sua unica figlia. Per fortuna Edoardo gli era sempre stato simpatico; ho sempre creduto che sarebbe stato l’unico ragazzo che avrebbe mai sopportato di vedere al mio fianco. Peccato che fossimo solo amici ed il sentimento fosse reciproco.

 

Come concordato alle dieci della mattina dopo Edoardo era venuto a prendermi, puntuale come un orologio svizzero. Aveva preso i miei bagagli e li aveva gettati in macchina ansioso si partire il prima possibile.

Non che fossi dispiaciuta di questo, ma non potevo resistere dal domandarmi se stesse fingendo. Che da un giorno all’altro avesse cambiato faccia non lo ritenevo possibile. Lo conoscevo troppo bene per credere che Gemma l’avesse riposta in un angolo così in fretta.

“Come va?” domandai titubante.

Purtroppo avevo il vizio di preoccuparmi eccessivamente e a volte non pensavo che le mie domande potessero dare fastidio.

“Bene, smettila di chiedermelo però” sbuffò.

Non era stato duro, nemmeno scontroso, quando era evidente che avrebbe voluto dirmi altro oltre quello. Lo vedevo dal suo volto, teso al massimo e pensieroso.

“Siamo partiti per… o meglio, io sono voluto venire al mare per non pensarci, ma se continui a chiedermi come sto non è facile” cercò di sorridere, ma non fu un gran risultato “prometti che non mi chiederei più una cosa del genere?”

“Va bene…” annuii per farlo contento.

Se poi avesse voluto parlarne lo avrebbe fatto lui, da lì in avanti avrei fatto finta di niente e avrei considerato quella fuga una semplice settimana tra amici come avevamo sempre fatto.

“Non ti sto rimproverando. Anzi dovrei dirti grazie per tutto quello che fai per me” questa volta il sorriso fu sincero “nessuno ti obbliga, ma per me ci sei sempre”

Ed ecco il mio migliore amico, quello che non riesce mai ad aprirsi, ad esprimere a pieno i suoi sentimenti verso le altre persone. Ricordo ancora la prima volta che mi aveva detto di essere la sua migliore amica. Il cuore mi era quasi scoppiato dalla felicità, anche per me lui lo era, ma mai avevo avuto il coraggio di dirglielo. Avevo sempre pensato che non ce lo saremmo mai detto essendo io troppo timida e lui troppo chiuso in se stesso. Però si sa, non si finisce mai di conoscere una persona; e probabilmente ancora non lo conoscevo abbastanza.

 

Avevamo già fatto la spesa, messo le cose al loro posto e pranzato quando un temporale furioso era iniziato e una scarica di tuoni scendeva a terra con un rombo assordante. Avevamo scelto proprio dei bei giorni per andare al mare.

“Vale mi ha chiamato dicendomi che ormai viene domani mattina, non ha voglia di farsi un viaggio in una tormenta come questa” si lasciò cadere sul divano prendendo il telecomando, il segnale era andato.

“Che facciamo fino a domani?” chiesi cercando di far funzionare almeno un canale.

“Film” propose indicando il dvd “non ho altre idee, almeno che tu non voglia fare un po’ di joggin fuori” scherzò lanciandomi un cuscino e piegata com’ero sulle punte dei piedi caddi a terra battendo il sedere sulle mattonelle.

“Maledetto” dissi alzandomi e ributtandogli il cuscino in faccia. L’espressione che ne uscì dopo mi piacque pochissimo.

“Se ti prendo ti faccio rimpiangere ciò che hai fatto” urlò mentre io scappavo in camera per chiudermi dentro, ma ovviamente non fui abbastanza veloce e mi trovai con la schiena sul letto e lui sopra a tirarmi il cuscino.

“Sme…” cercavo di parlare ma era inutile “...tti...la!” cercavo ci calciarlo via, ma era seduto culle mie cosce ed era impossibile muoversi.

“Edo muoio se continui!” ansimai distrutta quando d’improvviso si bloccò e posò il cuscino sul letto sghignazzando vittorioso.

Ripresi fiato, mi faceva caldo, anche lui non era messo meglio, aveva il ciuffo che ricadeva sul volto e i capelli in disordine, respirava velocemente e mi guardava con un sorriso malandrino.

“Cosa non devi più permetterti di fare tu?” domandò puntando le mani sul materasso e guardandomi intensamente.

Le parole faticarono ad uscire, ma alla fine riuscii a parlare “non devo tirati il cuscino in faccia” sul suo volto si disegnò un sorriso di trionfo, sul mio una smorfia di resa.

Rimanemmo lì immobili a fissarci per un po’ e quando il fiatone scomparve riuscì a rendermi conto di dove, e soprattutto come eravamo. Edo era sopra di me, esattamente sopra il mio bacino, arrossii violentemente sentendo tutto il caldo invadermi il viso.

“Potresti...ehm...” biascicai indicando il posto dove si era accomodato e dove notavo non voleva alzarsi, forse non se ne era reso conto nemmeno lui preso com‘era dalla vittoria.

Abbassò lo sguardo e si alzò subito mettendosi in piedi porgendomi una mano per aiutarmi “non l’ho fatto apposta” si scusò grattandosi la testa imbarazzato.

“Tranquillo” dissi andando verso il salotto per scegliere un film, lui dietro mi seguiva senza dire niente.

“Che film vuoi vedere?” chiesi guardandolo sdraiato sul divano intento a fissare davanti a sé, tanto che dovetti richiamarlo più volte prima di ottenere una risposta.

“Cosa?” chiese come se scendesse dalle nuvole.

“Principessa cosa desidera vedere?” domandai ridendo.

“Chiamami principessa ancora una volta e ti ritrovi come prima” disse e sgranai gli occhi. Resosi conto di ciò che aveva appena detto si riprese subito “ti getto in strada sotto l’acqua” mi minacciò.

“Ok” dissi sapendo che ne avrebbe avuto il coraggio “mi dici cosa vuoi vedere o decido io?” chiesi con un sorriso a trentadue denti evidentemente sforzato che lo fece ridere e alzare da quel divano azzurro .

Si accucciò al mio fianco prendendo i Dvd dalle mie mani guardandoli uno ad uno, poi li rimise tutti al suo posto tranne uno.

“Questo” disse tirando fuori il cd grigio su cui a caratteri rossi ed eleganti stava la scritta L’avvocato del Diavolo.

“Ok” acconsentii con un sorriso, era uno dei miei film preferiti, con il mio attore preferito per giunta.

Lo inserii nel lettore e accesi la tv ancora del tutto senza segnale, dopo aver sistemato lingua, sottotitoli e cose varie mi gettai sulla poltrona accanto al divano stringendo al petto il cuscino e mentre i trailer avanzavano sullo schermo mi voltai a guardare Edo.

Era disteso sul divano senza le scarpe, che giacevano sul pavimento, le mani incrociate sulla pancia e lo sguardo vuoto verso il televisore. Sembrava non lo stesse guardando.

Il film, anche se di lunga durata, passò veloce, almeno per me, non saprei dire se fu lo stesso per Edo che per tutte le tre ore stette fermo e immobile nella stessa posizione, facendo solo qualche commento sulla trama, che tra l’altro conoscevamo entrambi a memoria.

Mi alzai per spegnere tutto guardando l’orologio, erano le sei e mezza e fuori non cessava di piovere, a mio parere la pioggia era aumentata d’intensità e il cielo era nero come il carbone con qualche nuvola più chiara perché rischiarata da un fulmine.

“Che tempo...” si lamentò sempre sdraiato su quel divano, se continuava così sarebbe entrato in simbiosi con quel pezzo di arredamento.

“Alzati di lì ghiro che non sei altro” lo rimproverai prendendo una bottiglia d’acqua dal frigo chiedendo se ne voleva un po’.

“Mi alzo” sbuffò stiracchiandosi “anzi mi faccio una doccia e poi cuciniamo qualcosa. Che ne dici?” chiese posandomi le mani sulle spalle e poggiando il mento su una di esse.

“Vai pure, ho voglia di dolci...che ne dici di un paio di crepés alla ciocclato?” domandai scostandomi da quel contatto troppo intimo, troppo per noi. Per me.

“Perfette! Torno subito, ci metto un attimo” disse senza guardarmi e scomparendo in quella che era stata adibita come sua camera. Io intanto presi le uova e il latte per preparare il tutto, presi anche la Nutella e la misi nell’acqua calda per farla diventare più morbida.

Posai le mani sul marmo di travertino della cucina con la testa china respirando a pieni polmoni mentre sentivo l’acqua della doccia scrosciare e la pioggia battere sulle persiane chiuse.

Quei giorni sarebbero stati una tortura se il temporale fosse continuato, io ed Edo chiusi in casa con i propri pensieri, saremmo impazziti entrambi. A lui mancava Gemma anche se non lo ammetteva, io ero estremamente confusa da quel ragazzo che sembrava essere un altro.

Apparecchiai mentre aspettavo che Edo uscisse dalla doccia e si vestisse, erano le sette e mezza, un po’ presto per cenare, ma non avevamo altro da fare e almeno avremmo passato un’ora.

Finalmente sentii la porta del bagno aprirsi e richiudersi, si presentò di fronte a me con l’accappatoio blu avvolto attorno al corpo e i capelli gocciolanti.

“Vestiti se non vuoi morire di freddo” gli consigliai accendendo il condizionatore in modalità riscaldamento per non farlo congelare o peggio ammalare.

“Si mammina” disse prendendo una sigaretta dal pacchetto sul tavolino e accendendosela sbuffando un po’ di fumo dalle narici come un drago. Non potei trattenermi dal ridere.

“Vai!” scherzai indicando la porta della camera.

Con una linguaccia se ne andò in camera afferrando il posacenere e si chiuse la porta alle spalle. Ne uscì dopo pochi minuti con i pantaloni di una tuta e una maglia grigia attillata che si modellava perfettamente sul suo torace.

“Bene Cenerentola, che mi hai preparato?” chiese infilando un dito nel barattolo di cioccolata scottandosi il dito e imprecando come a suo solito.

“Non lo vedi che è immerso nell’acqua calda?” dissi prendo la sua mano e guardando il polpastrello arrossato mettendolo sotto il getto di acqua fredda “sei peggio di un bambino” scherzai ridendo mentre lui ritraeva il dito.

“Brucia” si lamentò.

“Puoi iniziare tu? Vado a mettermi i pantaloni lunghi, fa freddino adesso” dissi lasciando l’acqua a scorrere sul suo indice “anzi tieni la mano lì e non ti muovere” ci ripensai, non volevo avere sulla coscienza la sua morte tra i fornelli.

Rise tirandomi un calcio sul sedere senza farmi male ed io lo guardai accigliata per poi andare in camera a togliermi quei pantaloni troppo leggeri per mettermi quelli di jeans più pesanti.

Tornai in cucina e lui era ancora intento a soffiare sul polpastrello, lo lasciai stare e iniziai a fare le crepes. Mangiammo mentre io lo prendevo in giro sulla sua bassissima soglia di dolore e del fatto che anche una piccola scottatura lo facesse morire e lamentarsi come se lo avessi pugnalato.

Rimisi a posto ogni cosa e la cioccolata avanzata la prese Edoardo insieme ad un cucchiaino sedendosi al tavolo della cucina ad osservarmi mentre rigovernavo e asciugavo i piatti e ciò che avevamo usato.

“Non ti ci abituare, domani tocca a te” dissi mettendo l’ultimo bicchiere al proprio posto “e poi non te la finire tutta!” mi lamentai cercando di afferrare il cucchiaino che ovviamente spostò subito infilandolo nel barattolino “egoista”

“Tieni” disse alzandosi e mettendomi il cucchiaio in bocca senza farmi rispondere “Gra…zie” biascicai assaporando il gusto dolce e cremoso.

Posò il barattolino sul lavello e andò sul divano ad accendere la tv, qualche canale era tornato funzionante, ma alcuni erano ancora poco visibili.

“Si vede solo Super Quark o Chi l’ha visto, cosa preferisci??” domandò sarcastico.

“Direi il primo” risposi accontentandomi. Almeno avrei visto qualcosa di interessante, e non uno stupido programma dove le persona ricercano parenti spariti da secoli.

Come al solito mi lasciò la poltrona, dove mi sedetti subito mettendo le gambe di fianco e guardando un documentario sull’antica civiltà di Pompei scomparsa sotto la cenere del Vesuvio.

“Giulia ti manca Stefano?” domandò all’improvviso facendomi sobbalzare.

“Grazie per avermelo ricordato” risposi afflitta “sì, mi manca. Ma ero solo...” non sapevo come definirmi “non lo so cos‘ero, ma sicuramente ero poco importante per lui” mormorai abbassando la testa.

“Perché non provi ad allargare gli orizzonti?” chiese curioso.

“Perché quelli che piacciono a me sono i classici ragazzi a cui interessa divertirsi e basta, io ho bisogno di altro…” spiegai. Volevo qualcuno che mi amava o che almeno si interessava a me come persona.

“Hai 18 anni, divertiti!” esclamò alzando le mani al cielo.

“Senti da che pulpito parte la predica” lo rimbeccai sorridendo “e io non sono una di quelle a cui piace andare con il primo che passa!” dissi un po’ scocciata e offesa.

“Lo so, sei una ragazza rara a questo mondo” si spostò su un lato appoggiandosi su un gomito “io te lo dico perché tu non finisca come me” sorrise afflitto.

“Spero di no” cercai di sorridere per non farlo demoralizzare “intanto soffriamo in due, poveri single rinchiusi in una casa al mare con un tempo che farebbe invidia alla foresta pluviale” scherzai riuscendo a fargli uscire una risata sincera da quella bocca sottile.

“Siamo single... siamo soli...” si alzò dal divano sovrastandomi “disperati” aggiunse avvicinandosi e mettendo le mani sui braccioli della poltrona chinandosi in avanti “soli...” ripeté sorridendo sghembo.

“La nutella ti ha dato di volta al cervello?” domandai con il viso vicinissimo al suo.

“No, volevo darti noia” disse pizzicandomi le braccia facendomi urlare come una pazza, mi faceva male e non riuscivo a liberarmi dalla sua presa.

“HAIA!!” urlai con le lacrime agli occhi per le risate, mi aggrappai al suo collo lasciandolo cadere sulla poltrona mentre io scappavo fino ad indietreggiare e trovare la porta reggendomi la pancia dolorante.

“Time out” dissi mettendo una mano avanti con il palmo aperto e il fiato corto vedendolo avanzare verso di me.

“Va bene... per ora” sghignazzò spegnendo la tv.

Mi alzai per andare a chiudere a chiave il cancellino dato che la pioggia in quel momento era solo una leggera nebbiolina umida.

Quando tornai nel salotto trovai un Edoardo che teneva la testa china, la schiena leggermente incurvata in avanti con le spalle, quasi a chiudersi in un guscio. Era capitolato di nuovo nel suo baratro di ricordi.

Mi dispiaceva da morire, eravamo venuti al mare per farlo svagare, invece eravamo costretti in una casa con 3 canali funzionanti alla tv e niente da fare perché quel maledetto giorno di luglio il cielo aveva deciso di scaricare tutta l’acqua che aveva raccolto in due mesi.

Tornai a sedere, questa volta sul divano afferrando il mio telefono, c’era un messaggio di Vittoria, chiedeva come stava procedendo e se il tempo era migliorato. Omessi lo stato d’animo lunatico di Edo e il suo tentativo di oscurare la sua tristezza e con dispiacere scrissi che il tempo era pessimo.

Guardai fuori dalla porta appoggiandomi allo stipite. Sentivo l’aria fresca della sera mista a quell’umidità tipica dei temporali, quando anche se non sei sotto l’acqua hai l’impressione di essere bagnata ugualmente. La strada era allagata dalla forza con cui la pioggia era caduta a terra ed il cielo era più nero che mai, la luna oscurata dalle nuvole, come del resto anche le stelle. Odiavo le notti senza luna, erano come tristi, come se al cielo mancasse qualcosa.

Chiusi e posai il telefono sul divano, alzai lo sguardo incrociando quello vuoto del mio amico mentre si portava la sigaretta alla bocca aspirando e rilasciando una nuvoletta di fumo che salì dissolvendosi verso l’alto.

Non dissi nulla, mi limitai ad accendere di nuovo la tv e maledire l’antenna che non voleva collaborare, almeno un canale poteva funzionare no?? Trovai MTV sul numero 39 e lo lasciai, abbassai di un poco il volume e presi il telefono che stava vibrando, era Vittoria. Diceva che sarebbe partita la mattina per evitare il traffico e sperava che l’acquazzone sarebbe passato. Quello lo desideravamo tutti dato che aveva ricominciato.

Le diedi la buona notte e mi lasciai cadere con la schiena sulla spalliera. Mi incantai sul soffitto color bianco latte, su ogni crepa, imperfezione e qualunque altra cosa ci fosse di interessante in una parete monocromatica. Eravamo decisamente due ragazzi senza speranza: lui depresso ed io preoccupata per lui. Dovevamo reagire, o meglio io dovevo farlo perché lui non l’avrebbe mai fatto. Edoardo aveva il proposito, ma non la forza di mantenerlo.

Impaziente mi alzai e presi dell’acqua, mi piantai davanti a Edo spazientita.

“Hai intenzione di fare l’eremita?” domandai.

Alzò la testa quel tanto che bastava per farmi vedere il sorriso enigmatico sul volto e ritornare al suo posto un secondo dopo “no, momento di crisi scusa” esclamò più allegro alzandosi e sorridendo come si deve.

“Meno male” sospirai andando in camera mia seguita da lui.

Mi girai con aria interrogativa “mi segui?” chiesi divertita.

“Vai a letto?”

“Non c’è altro da fare, meglio dormire no?” risposi sistemando la trapunta e i cuscini.

“Dormi con me?” chiese facendomi rimanere di sasso. 

Lui di fronte a me dall’altra parte del letto mi scrutava aspettando una risposta.

“Io…non mi pare il caso” conclusi, ritenendo che quella era la cosa giusta da dire.

“Non facciamo niente di male, non mi va di stare solo...tutto qua” ribatté sereno, come se fosse una cosa ovvia che potevamo farlo senza problemi. Era l’ex ragazzo della mia migliore amica, anche mio migliore amico, ma non avevamo mai dormito nello stesso letto.

“No...”dissi decisa senza ammettere repliche e abbassando gli occhi verso il pavimento.

Che tutte le chiacchere di mia madre mi avessero contagiata?

“Va bene...allora vado anche io...a domani” disse voltandosi e scomparendo dietro la porta che rimase semiaperta, non mi aveva mai liquidata così, persino nei messaggi scriveva parole più dolci. Non una buona notte, non un bacio. Quel ragazzo mi faceva ammattire con i suoi sbalzi d’umore. Poi dicono delle donne che sono lunatiche. Mah!

Scossi la testa ancora immobile sul posto, non potevamo dormire insieme, anche se io non provavo niente per lui, se non amicizia, non era giusto dormire nello stesso letto. Controllai che tutte le porte fossero chiuse e poi tornai in camera passando davanti alla camera di Edo che notai era già sotto le coperte e con la luce spenta.

Tolsi i jeans e la maglietta per infilarmi l’unico pigiama che mi ero portata, estivo ovviamente, una canottiera rosa e pantaloncini grigi con ranocchiette verdi. Mi sistemai nel letto dalla parte destra, quella opposta alla finestra, e spensi la luce accomodandomi e stringendo le lenzuola al petto come ero solita fare.

Sbadigliai parecchie volte per poi addormentarmi, ma il primo sonno è leggero e non tardai molto a svegliarmi disturbata da qualcosa, mi correggo, qualcuno.

“Che ci fai qua?” biascicai mezza addormentata e scocciata sentendolo entrare sotto le coperte e avvicinarsi a me.

“Dormo con te” sentii la voce leggera e pacata del mio migliore amico e una sua mano accarezzarmi la testa “non ti darò fastidio” parlò ancora, ma erano parole lontane, sussurrate e senza accorgermene ero di nuovo addormentata, questa volta tra le braccia di Edo.

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Capitolo 3
*** La gelosia non è lecita ***


Grazie per i commenti! Siete veramente gentili ragazze!
Sono contenta che vi piaccia questa storia! (che molte conoscevano già xD)
Anche questo capitolo è simile alla versione precedente, anche se qualcosa cambia...spero che vi piaccia!!
 

 


 

La vibrazione del cellulare mi costrinse a svegliarmi, la mattina avevo il sonno molto leggero e al minimo rumore mi svegliavo, cercai di raggiungerlo per farlo smettere, ma non riuscii a muovermi. Aprì gli occhi di scatto ricordandomi della notte prima, vidi Edo che beatamente dormiva, avevo la testa poggiata sul suo braccio e potevo vedere nitidamente il suo collo bianco, alzai lo sguardo guardando la bocca semiaperta circondata da labbra carnose e rosee. Gli occhi erano chiusi e le ciglia chiare incorniciavano quella forma delicata, rara nei ragazzi, il taglio dei suoi occhi era veramente bello.

Alzai il braccio che mi circondava la vita piano, senza svegliarlo e scivolai via da quell’abbraccio rispondendo.

“Pronto” sussurrai seduta sul bordo del letto.

“Buongiorno dormigliona, tra meno di quindici minuti siamo da te” esclamò Vittoria svegliandomi del tutto con la sua voce acuta e gioiosa.

“Bene” biascicai “vi aspetto”

“Ok! Ciao”

Agganciai e mi voltai a guardare il mio amico che allungava il braccio quasi a cercarmi, non potei non sorridere a quella scena. Mi alzai ricoprendolo con il lenzuolo che avevo spostato per rispondere al telefono e lui si aggrappò al mio cuscino stringendolo come aveva stretto me.

Uscii fuori accostando la porta e andando ad aprire le persiane, fuori il cielo era limpido, nemmeno una nuvola, c’era una leggera brezza fresca e tutto era bagnato, era piovuto veramente tanto, ma adesso finalmente un sole splendido illuminava tutto quanto facendo brillare le gocce d’acqua sulle piante e sull’erba del piccolo giardino.

Mi stiracchiai aprendo le braccia verso il cielo, ero in pigiama sulla porta di casa, per fortuna la siepe non permetteva di vedere all’interno, sarei stata un bello spettacolo con le mie ranocchiette!

Richiusi andando a rifare il letto di Edo, avrei dovuto svegliare lui e dirgli di rifarselo da solo, ma poi sapevo che mi sarebbe dispiaciuto disturbare quel sonno così profondo. Rifeci tutto con calma aspettando l’arrivo delle altre due mie amiche, finito mi buttai sul divano guardando l’orologio, erano già le 11 e 30, avevamo dormito veramente tanto.

Impaziente tornai nella mia camera, entrai senza far rumore e lui dormiva ancora tranquillo aggrappato al cuscino di piume e le labbra piegate all’insù come in un sorriso, chissà cosa sognava.

Chiusi e andai fuori prendendo le ciabatte da mare, era strano come cambiava velocemente il tempo, faceva freddino, ma sotto il sole si poteva riscaldarsi veramente. In fondo era luglio pensai, doveva fare caldo prima o poi.

Un Maggiolino nero parcheggiò davanti a casa e riconobbi la targa, Vittoria uscì sorridente seguita da Vale che aveva un gran sorriso sul volto, aprii il cancello ed entrambe mi abbracciarono baciandomi insieme le guance.

“Finalmente ci siamo!” esclamarono “abbiamo portato anche il sole” aggiunse Vittoria fiera di sé.

“Certo, certo…” scherzai dandole una pacca sulla spalla “prendete le valige, vi metto nella camera dei miei zii” dissi uscendo fuori in pigiama, tanto la strada era deserta.

Le aiutai a scaricare ogni cosa e a mettere tutto nella stanza che avrebbe dovuto essere di Edoardo, avrei spostato le sue cose dopo, anzi le avrebbe spostate lui appena sveglio.

“Scusa ma questa non è sempre stata la camera di Edo?” chiese Vale aprendo la valigia sul letto guardandomi curiosa “dov’è?” domandò ancora tirando fuori le magliette.

“Dorme” dissi semplicemente non approfondendo dove.

“Dove?” chiese Vittoria “qui non c’è...nel divano letto neppure, dove lo hai messo? In bagno?” scoppiò a ridere.

“Di là…” sussurrai “nel mio letto” abbassai lo sguardo imbarazzata. Non c’era nulla tra di noi, non avevamo fatto niente eppure mi imbarazzava il fatto che avessimo dormito insieme quella notte.

“Cosa?” sulla faccia di Vittoria c’era quella che si può dire una signora espressione sorpresa e non di meno era quella di Vale.

“Che ha fatto?” chiesero in coro lasciando perdere tutti i vestiti sedendosi sul letto curiose “che avete fatto?” la corresse Valentina.

“Niente!” mi affrettai a dire mettendo le mani avanti “ha solo dormito con me...non so perché stanotte è entrato nel mio letto...” spiegai.

Non so se facevo bene a raccontare tutto questo, ma non avendo nessun peccato da confessare mi sembrava una cosa alquanto innocente, siamo due amici che dormono insieme. Io non credevo che l’amicizia fra uomo e donna fosse impossibile, tutti dicevano che senza dubbio se esisteva c’era un secondo fine dietro, non per me.

“L’ho sempre detto...” Vale scosse la sua folta chioma ramata “non so perché si ostini a stare con Gemma, si vede che c’è qualcosa..con te”

“Non c’è niente!” esclamai indignata “E Gemma l’ha lasciata…”

Prima mia mamma, poi loro. Ma cos’era? Una cospirazione? Dicevano tutti così, ma non eravamo amici, era il mio migliore amico, non esisteva e non sarebbe mai esistito altro tra di noi. Non mi sembrava difficile da capire una semplice amicizia tra uomo e donna.

“Lo so…ma dicevo: sarà così per te, ma per lui?” disse alzando un sopracciglio.

Non volevo crederci e non l’avrei mai creduto.

“No, sono sicura è solo giù di morale perché ha lasciato Gemma per la decima volta e adesso sembra anche definitiva” affermai convinta mentre entrambe mi guardavano poco convinte della mia ipotesi.

“Neghi sempre, prima o poi te ne accorgerai”

Quella di Vale sembrava più una minaccia che un avvertimento.

“Ho sentito Gemma stamani, era sul treno per Milano. Questa volta ha proprio deciso, finalmente l’ha capito che erano come cane e gatto. Incompatibili.”

Non potevo darle torto su questo.

“Già…vado a svegliare il ghiro” ridacchiai per cambiare discorso.

Uscii dalla camera da letto lasciandole a sistemare gli abiti nell’armadio e le varie cose nei due bagni. Edoardo respirava lentamente e pesantemente, adesso russava anche. Ci credo con tutte le sigarette che si fumava mi sembrava anche quasi impossibile che riuscisse a giocare una partita intera. Mi inginocchiai sul letto posando le mani sulla sua spalla scuotendolo un po’ e chiamandolo dolcemente.

Mugolò muovendosi e alzando un braccio facendomi cadere tra le sue braccia ancora una volta.

“Edo” chiamai ad un centimetro dal suo viso “svegliati” dissi più convinta.

Aprì finalmente gli occhi, piccole pietre azzurro verde ancora opache che brillarono subito anche con la poca luce che c’era. Mi lasciò andare e si stropicciò gli occhi mugolando qualcosa che doveva assomigliare ad un buongiorno e mi riabbracciò subito affondando il viso tra il mio collo e la spalla.

“Ti ho dato fastidio...” alitò sul mio collo con la voce impastata.

Non capii se era un affermazione o una domanda, ma decisi di rispondere lo stesso.

“No...” sussurrai con le mani raccolte al petto e immobile come una statua, intanto aveva iniziato ad allentare la presa sulla mia vita e piano piano si scostò anche dal mio collo.

Mi allontanai quel tanto che bastava per guardarlo dritto negli occhi. Avrei voluto chiedere il perché, ma avevo paura, un terrore folle di sbagliare, io lo sapevo che c’era solo amicizia e allora perché diamine mi tormentavo per ciò che dicevano intorno a me?

Non aveva senso tutto questo. Se gli avessi chiesto qualcosa sarei risultata ridicola se la risposta fosse stata quella che mi aspettavo. Amava la mia amica, lo ripeteva di continuo, quei piccoli gesti non erano certo sinonimo di amore, piuttosto di affetto, io ne ero certa.

E se invece mi sbagliavo avrei comunque perso un amico importante, io non lo amavo, e come avrei potuto essere la stessa di prima sapendo ciò che lui provava.

Scossi la testa cacciando via quei pensieri. Non c’era niente!

“Sono arrivate?” chiese alzandosi dal letto e stiracchiandosi.

“Sì, anzi devi spostare le tue cose dalla loro camera, dormi sul divano letto stanotte, ma i vestiti mettili in questo armadio” non ammettevo repliche, non potevamo dormire ancora insieme.

“Perché?” chiese voltandosi subito, sembrava deluso “non posso dormire qua?”

Ma lo domandava anche? Vale già si faceva castelli in aria dopo aver saputo che avevamo dormito insieme una notte, che avrebbe fatto se per tutta la permanenza al mare avessimo diviso il letto?

“Non è il caso” dissi decisa abbassando lo sguardo, se avessi incrociato i suoi occhi avrei ceduto, lo facevo sempre.

“Ti prego” supplicò gattonando sul letto fino a me e alzandomi il viso.

Aveva vinto di nuovo.

Annuii senza rispondere e lui sorrise di rimando alzandosi in piedi e uscendo dalla camera, lo sentii salutare le altre e afferrare i vestiti dall’armadio per portarli in quella che era la sua nuova stanza.

Mi lasciai cadere tra i cuscini e le lenzuola stropicciate mettendomi le mani nei capelli. Per la prima volta avevo paura di ciò che tutti dicevano, il mio migliore amico era strano, e lo stava diventando sempre di più. Si comportava in modo diverso, soprattutto con me.

 

Passammo la giornata sul mare scherzando come facevamo sempre, anche se le due mie amiche non cedevano e ad ogni abbraccio o altro mi guardavano come per dirmi che avevano ragione. Io le ignoravo e basta, continuando a comportarmi normalmente, com‘era logico fare, niente era cambiato da pochi giorni prima.

Il sole era tornato e nulla ci impedì di fare il bagno e prendere il sole fino a tardi tanto che tornammo a casa che erano le 8 passate, mangiammo una pizza che avevamo ordinato poco prima e ci andammo a preparare per andare a ballare.

“Secondo me ha qualcosa in mente...non ha parlato di Gemma per tutto il giorno, è strano” pensò Vale a voce alta sciacquando i bicchieri nel lavello vicino a me che invece asciugavo.

“A me sembra normale” lo difesi io guardando distrattamente l’asciughino “aveva detto che era deciso...stufo di essere trattato come uno zerbino e Gemma ha capito che non faceva per lei. Secondo me sta solo cercando di andare avanti” dissi trovando il mio discorso molto intuitivo.

“Vedremo stasera...” sentenziò la mia amica passandomi l’ultima forchetta che asciugai e riposi nel cassetto senza ribattere.

“FATTO!” la voce di Edo risuonò in casa mentre usciva dal bagno avvolto con un asciugamano da mare in vita lungo fino ai piedi e veniva in cucina a prendersi la sua solita sigaretta e accendersela sedendosi sulla sedia del tavolo.

“Vittoria ha già preso possesso della doccia” ci avvisò.

“Abbiamo sentito” disse Vale ridendo sotto i baffi ascoltando la canzone stonata che stava cantando la nostra amica mentre si faceva il bagno.

“Se continua così piove di nuovo” scherzai facendo ridere tutti i presenti.

“Se proprio vuoi la pioggia ci penso io” sghignazzò Edo posando la sigaretta nel posacenere e afferrandomi con una mano entrambi i polsi stringendomi al suo petto umido scuotendosi l’acqua dai capelli con l’altra libera.

“Smetti! Basta!” lo pregai cercando di scappare mentre Vale si stava sbellicando dalle risate guardandomi mezza fradicia.

“No, non ti mollo!” rise lui sfregando i suoi capelli sul mio viso, stavo affogando in quella massa di fili d’oro profumati.

Alla fine iniziai a ridere anche io per il solletico provocato dalle ciocche di capelli sul collo e sul volto, le sue braccia erano strette intorno al mio corpo senza però mollare la presa dei polsi. Mi girò tra le sue braccia facendomi cozzare contro di lui, ma non si rendeva conto di essere mezzo nudo con me tra le braccia?

Arrossi impercettibilmente, ma si poteva scambiare per la fatica di liberarmi dalla sua stretta ferrea. Mi accorsi solo in quel momento che profumava di menta, con la guancia posata sul suo petto annusai quel dolce profumo rilassandomi e finalmente mi lasciò andare con sguardo interrogativo. Ovvio prima urlavo di liberarmi e poi mi calmavo come se mi avessero dato un sedativo.

“Che fai?” domandò divertito.

“Profumi di menta” risposi alzando le spalle guardando i suoi occhi che sembravano sorridere per lui.

“Sembravi più un gatto che fa le fusa” disse provocatorio facendomi scattare verso di lui con lo sguardo omicida sul volto, Vale se ne rese conto e trattenne a stento una risata.

Però non riuscivo a trovare le parole per controbattere, mi ero veramente strusciata sul suo petto sentendo quell’odore fresco. Mi guardava con aria interrogativa aspettandosi una mia risposta pungente che però non arrivò.

“Mi piace quel bagnoschiuma” dissi sembrando quasi ridicola.

“Ho notato”

“Vatti a vestire!” gli ordinai puntando l’indice verso la nostra camera e lui con una risata si incamminò richiudendosi la porta alle spalle.

L’unico motivo per cui mi ero persa in quel profumo era che mi ricordava Stefano, era lo stesso odore che aveva quando usciva dalla doccia: menta. Però io non potevo dirlo, lo avevo dimenticato, era uscito dalla mia vita e ciò comportava il fatto che di lui non si potesse parlare. Mai. Poco importava se tutti i presenti avessero pensato chissà cosa.

“Che...” iniziò Vale, ma la bloccai prima che potesse dire qualsiasi cosa le frullasse in mente “non dire nulla!” quasi urlai dirigendomi verso il bagno sentendo Vittoria uscire. Ci scontrammo nel corridoio, guardava prima Vale poi me e mentre stava per chiedere qualcosa entrai in bagno spogliandomi e gettando tutto nell’angolo.

Aprii l’acqua e mi buttai dentro senza pensarci, acqua, era un vero paradiso stare a testa in su mentre il getto ti colpiva massaggiando e rilassando i muscoli.

Avevo veramente reagito così per un ricordo che credevo di aver rimosso o c’era qualcos’altro che non riuscivo a capire?

Mi poggiai alla parete di marmo e fino a quando non bussarono alla porta non uscii dal box. Lasciai che anche Vale si facesse una doccia e andai ad asciugarmi i capelli nell’altro bagno dove l’altra mia amica si sistemava i capelli, finito andai in camera e trovai Edo vestito elegante che mi guardava.

“Puoi uscire devo vestirmi?” chiesi gentilmente lasciando da parte tutte le paranoie della giornata, se le altre avessero continuato così io sarei sicuramente impazzita.

“Sì certo” disse passandomi vicino e lasciando una scia di profumo intenso, vidi la bottiglietta di profumo a forma di palla grigia e arancione sul comodino: Boss, ecco perché era così buono e invitante.

“Grazie” dissi prima di chiudere la porta e gettare l’accappatoio sulla sedia lì vicino prendendo la biancheria e indossandola velocemente.

Aprii l’armadio e scostai le cose di Edo da una parte per decidere cosa mettere, alla fine oprai per una minigonna di jeans scuro e una maglia lunga con una scritta piena di paillette nere e grigie.

Misi tutto e mi truccai leggermente riprendendo i colori della maglia, misi una molletta con un brillantino per spostare e tenere i capelli al loro posto e alla fine cercai le scarpe che erano ancora nella valigia. Sandali con il tacco alto con fasce nere di raso intrecciate fino alla caviglia, comodi anche se all’apparenza poteva risultare il contrario.

Uscii di camera prendendo la borsa, poi ci ripensai e preferii lasciarla lì, quello che mi serviva era solo il cellulare e i soldi per il biglietto d’ingresso che avrei potuto dare benissimo a Edo.

“Pronte?” chiesi entrando nel salotto, dove trovai solo Edo spaparanzato sul divano e con gli occhi puntati su di me.

“Vieni così?” chiese alquanto scocciato.

“Sì…” dissi guardandomi per bene, la gonna non era corta, anzi arrivava a metà coscia e la maglia per niente scollata.

“Stasera dovrò lavorare parecchio per tenerti lontani tutti quelli che ci proveranno” disse divertito, ma sembrò quasi infastidito a quell’idea.

“Sì, certo e io che devo dire?” domandai alzando un sopracciglio guardando attentamente il suo abbigliamento.

Una camicia blu con le maniche arricciate fino al gomito, aperta per almeno tre bottoni lasciando scoperto un fisico asciutto e liscio, pantaloni stretti di jeans e una cintura che riconobbi essere quella che gli avevo regalato io per il compleanno.

“Io cosa?” chiese.

“Dovrò faticare come te” dissi portandomi davanti a lui seria.

“Sono libero di divertirmi Giulia” disse duro “non sono più legato a nessuna ricordi?” un sorriso strafottente comparve su quel viso e ci stonava terribilmente “oppure sei tu che sei gelosa?” domandò malizioso.

“Io che??” esclamai ridendo “gelosa? No fa ciò che vuoi…” dissi mentre anche le altre entravano già pronte, Vale con un tubino nero sobrio e scarpe nere senza punta, Vittoria shorts bianchi e una camicetta azzurra con le maniche corte e sandali bianchi.

“Stasera mi invidieranno in parecchi” disse Edo guardandoci tutte e tre in fila.

Scossi la testa afferrandolo per un braccio portandolo fuori, chiusi tutto e finalmente entrammo in macchina. Come previsto Edo si rifiutò di far guidare una di noi dicendo che avrebbe fatto la figura del fesso. Uomini.

Parcheggiammo ad un paio di metri dall’entrata della discoteca, rigorosamente sulla spiaggia come tutte quelle della costa, era la nostra preferita, bella grande e con la possibilità di andare sulla spiaggia e di stare fuori dove c’erano i tavoli a bordo piscina. Entrammo velocemente chiamando un nostro amico che faceva il PR in quella discoteca, in più diede tre omaggi a noi ragazze. Dentro c’era già confusione, ovviamente non eravamo arrivati tanto presto, era già passata la mezzanotte e mezza e il locale era pieno sia fuori che all’interno.

Ballammo un po’ noi tre insieme mentre Edo stava parlando con dei vecchi compagni di squadra, dovunque andassimo ne trovava qualcuno. Intanto che ci scatenavamo sorridenti con la musica alta alcuni ragazzi si avvicinarono a ballare con noi. Iniziammo a ballare con loro ridendo e cercando di capire i loro nomi coperti dalla musica eccessivamente forte.

Mi pietrificai quando due mani mi presero per la vita e delle labbra si posarono sul mio collo scostandosi i capelli, chi era questo imbecille? Il ragazzo davanti a me intanto si era fermato e mi guardava.

“Lei sta con me” sentii dire abbastanza con tono deciso.

Riconobbi la voce del mio amico e capii che aveva mantenuto quella promessa che non aveva alcun senso. Ero single e libera di divertirmi con chiunque volessi, in più quel ragazzo era veramente carino.

Mi girò verso di lui senza lasciarmi scampo e mi portò le mani dietro il suo collo, il ragazzo non osò ribattere e probabilmente si era già dileguato.

“Sei tu ad essere geloso di me...” dissi portandomi a portata del suo orecchio.

“Sono sempre stato geloso di te piccoletta” disse stringendomi forte facendomi rabbrividire “sei come una sorella” aggiunse dopo un po’ facendomi calmare.

Avevo ragione io, il suo era un affetto particolarmente forte, ma non era amore, la cosa mi rincuorò, non volevo perderlo, era il migliore amico che avessi mai potuto trovare.

Sciolsi il nodo che avevo fatto dietro al suo collo e lo guardai sorridente prendendolo per mano iniziando a ballargli intorno fino a quando il DJ non annunciò un canzone lenta per le coppie della sera e Edo cortesemente mi chiese di ballare.

Acconsentii circondandogli il collo con le braccia e lui fece altrettanto dietro la mia schiena, posai la guancia sul suo petto dondolando insieme a lui sotto le note della Huston.

 

Tornammo a casa dopo aver recuperato le mie due amiche in mezzo alla marea di gente e uscendo finalmente fuori nell’aria fresca del mattino, sì mattino perché erano più o meno le 5.

“Vado a prendere la macchina, aspettatemi qua” disse Edo avviandosi verso il parcheggio.

“Ok” rispondemmo in coro sedendoci sul muretto che divideva la pista ciclabile dall’aiuola con le palme della discoteca.

“Vi ho visti” disse Vale dandomi una gomitata con una risatina.

“Mi dispiace deluderti, mi ha appena detto che sono come una sorella per lui” dissi con un sorriso trionfante sul viso, avevo ragione io, e l’avevo sempre avuta.

“Sì, sono cose che si dicono, una sorella non l’abbracci così e nemmeno vai da lei spacciandoti per il suo ragazzo per levarla dalle braccia di uno veramente carino” ribatté lei con Vittoria che le dava ragione annuendo.

Un fratello non ti bacia sul collo…

Anche se loro continuavano a smontare ogni mia convinzione io ero certa di ciò che provava per me: amicizia. Magari amicizia con la A maiuscola, ma pur sempre quella. Io ci credevo tra l’amicizia tra uomo e donna.

Ci alzammo sentendo il clacson del Maggiolino nero fermo davanti a noi, lasciai che le altre entrassero dietro e io mi sedetti davanti allacciando la cintura e finalmente partimmo per tornare a casa, avevo un sonno tremendo, sarei crollata anche su un sasso.

Entrati in casa mi tolsi subito i sandali con un sospiro di sollievo, com’era bello stare a piedi nudi sul pavimento.

“Bene...adesso letto! Guai a chi mi sveglia domani” ci avvisò Vale andando in camera con Vittoria che barcollando la seguì sbadigliando anche lei con le scarpe in mano.

“Notte” dicemmo tutti in coro mentre io mi avviavo in camera.

“Che fai?” chiesi rivolgendomi a Edo che mi seguiva.

“Dormo qua no? Ho sonno e non vedo l’ora di chiudere gli occhi...”mormorò sbottonandosi la camicia.

“Ma io mi devo svestire!” esclamai mentre lui già metteva la camicia nell’armadio e rimaneva con i pantaloni.

“Anche io” disse semplicemente.

Lasciai perdere e mi voltai di spalle levandomi la maglia e la gonna senza mai girarmi, cominciavo veramente ad innervosirmi, ero timida, e lui se ne stava lì tranquillo a spogliarsi. Misi il pigiama e lo guardai piegare i pantaloni con solo un paio di boxer blu in dosso, alzai un sopracciglio “dormi così?” chiesi incrociando le braccia al petto.

“Fa caldo” disse uscendo per andare in bagno.

Lo imitai andando nell’altro per struccarmi e tornai in camera mettendomi sotto le coperte voltata di lato per mostrare la schiena al mio compagno che ancora non era entrato. Ci mise poco e spenta la luce si sdraiò al suo posto, non potei resistere dal cambiare posizione e mi trovai di nuovo con il suo volto a pochi centimetri dal mio.

“Sei arrabbiata con me?” chiese sussurrando.

Portai le braccia al petto come per proteggermi “No…” risposi abbassando lo sguardo, anche se al buio non poteva sicuramente vedermi.

“Lo sei Giù, ti conosco bene” insisté abbracciandomi e portando il mio viso tra la sua spalla e il collo, profumava ancora di buono.

“Sei strano Edo...” sussurrai timorosa “ti comporti diversamente...io...”

“Shhh” mi zittì coccolandomi con le mani sulla mia schiena “sono sempre lo stesso, ho solo bisogno di te in questo momento, non dire niente” mormorò facendomi il solletico con il suo alito sull’orecchio, sapeva di tabacco, come sempre.

Non ebbi il coraggio di dire niente, non volevo farlo soffrire, sentivo il suo respiro regolare sulla mia spalla, quasi rilassato, il suo cuore invece era partito al galoppo, lo potevo percepire benissimo essendo praticamente accoccolata a lui.

Strofinò il naso sul mio collo come un gatto che chiede di essere accarezzato, tolsi le braccia che avevo al petto e circondai la sua vita sospirando.

“Così non può andare...” mormorai piano e probabilmente non mi sentì perché non rispose, almeno non con le parole, invece mi baciò una guancia e lasciò la stretta ferrea su di me permettendomi di scostarmi un po’ da quel corpo caldo.

Mi sistemai a pancia in su con la testa girata verso la finestra, ma mi afferrò una mano intrecciando le dita alle mie, lasciai che facesse ogni cosa, persino portare la mia mano vicino al suo volto sul cuscino facendomi girare per la seconda volta verso di lui.

Senza pensarci posai le labbra sulla sua guancia “Buona notte” sussurrai chiudendo gli occhi e stringendo ancora la sua mano.

Quella notte cercai con tutte le mie forze di dormire, ma come previsto mi addormentai che già vedevo un raggio di luce filtrare timido dalla finestra.

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Capitolo 4
*** Fotografia a tradimento ***


 

Puntuale! Mi stupisco di me stessa…

Ringrazio coloro che mi hanno inserita tra seguite ed altro e soprattutto un grazie speciale e a SetFireToTheRain che ha commentato!!

Non sono di quelle che venderebbe tutto ciò che ha per una recensione, ma se mi fate sapere se vi piace mi fa piacere ^^

 

Questo capitolo finalmente porta delle modifiche un po' più consistenti dei precedenti! Chi ha letto l'altra si ricorderà una Giulia che scappa di prima mattina…qua non succederà! Ma ci sarà altro :) non vi resta che leggere!!!

 

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CAPITOLO 4 "FOTOGRAFIA A TRADIMENTO"

 

Prima di addormentarmi mille pensieri sfrecciarono nella mia mente, mi stavo torturando con le mie stesse mani, ma non potevo farne a meno.

Di cosa avevo paura non lo so, ma i suoi comportamenti mi rendevano nervosa e le continue ipotesi delle due mie amiche mi frullavano nel cervello creando un mix che non avrei retto troppo a lungo prima di collassare definitivamente.

Entrambe continuavano a ripetere che si vedeva lontano un miglio che non era amicizia la sua, ma allora perché solo adesso, perché solo ora?

Mi conosceva da anni, era il ragazzo della mia migliore amica, che tra l’altro ancora non si era fatta sentire, troppo orgogliosa per chiedere di lui.

Non aveva senso tutto questo, per la mia mente l’unica e vera ragione di questo strano comportamento era una fuga, un modo per scappare da Gemma che ancora era nel suo cuore. Io che ero la sua migliore amica, a cui diceva tutto, forse ero sembrata la persona adatta da cui rifugiarsi.

Ovvio, io ero il rifugio di tutti, consolavo e rassicuravo ogni persona esistente al mondo, ma chi pensava a me? Mai nessuno, perché sembrava come logico che io stessi sempre bene, che io non avessi problemi e che la mia vita fosse tutta rose e fiori, peccato però che le mie rose avevano le spine, e parecchie.

Quando Stefano mi aveva gentilmente liquidata come un ferro vecchio solo Gemma aveva intuito come potevo stare in quel momento, lei mi aveva consolata e non solo dicendomi -è solo uno stronzo e non ti merita- questo lo sanno dire tutti. No lei mi aveva capito, non avevo bisogno di sentirmi dire quelle cose, ma solo di qualcuno che si occupasse di me, che mi facesse sentire amata e non usata.

Non che Edo fosse stato indifferente a tutto ciò, ma era come se fosse un problema secondario il mio. Ed ora io raccoglievo di nuovo i suoi pezzi, e i miei chi li avrebbe raccolti?

 

Una luce accecante mi fece scattare, ma ovviamente non alzare, perché anche quella mattina ero intrappolata in un abbraccio stretto e senza via di fuga. Aprii gli occhi sbattendoli più volte. Chi diavolo accendeva la luce?

Edo mugolò infastidito e io spostai il suo braccio dalla mia vita alzandomi a sedere e notare la faccia divertita di Vittoria che con una macchina fotografica in mano mostrava qualcosa a Vale ancora in pigiama, che tratteneva una risata.

Oddio! Non era la luce, era il flash della macchina fotografica quello che mi aveva svegliata. Mi alzai come un fulmine e balzai giù dal letto rincorrendole per tutta la casa.

“Datemela!!!” urlai come una pazza mentre se la ridevano come matte.

“Ma siete così carini” rise Vittoria scappando dall’altra parte del tavolo della cucina. Sembrava una scena comica.

“CANCELLALA SUBITO!” urlai esasperata.

“No, non c’è niente di male” disse calma, ferma di fronte a me con solo il tavolo di vetro a dividerci.

“Se la fai vedere a qualcuno ti ammazzo intesi?” la minacciai calmandomi e sbuffando con Vale che si godeva la scena dal salotto.

“Che urlate di prima mattina?” si lamentò Edo che per fortuna aveva avuto la bella idea di mettersi una maglietta addosso invece di mostrarsi solamente con quei boxer blu.

“Colpa di Vittoria!” dissi incrociando le braccia con il broncio sul viso.

“Ei Giù che avranno mai fatto?” disse strofinando una mano sulla mia nuca spettinandomi tutta “leva quel broncio che non sei carina così, fammi un bel sorriso“, ma come diavolo faceva a comportarsi così anche se non eravamo soli? Non si rendeva conto di nulla, oppure ci trovava gusto?

“Guarda tu stesso” dissi finalmente afferrando la macchina fotografica dalle mani di Vittoria che si era distratta, ci giurerei guardando Edo mezzo nudo.

Mise un braccio intorno alla mia vita e insieme guardammo quella foto. Solitamente le foto fatte di nascosto vengono sfocate, poco nitide, bè non quella, era perfetta. Noi due eravamo ben visibili, o almeno il volto di Edo lo era perché io ero accoccolata al suo petto e si vedeva solo un terzo della mia faccia coperto per la maggior parte dai capelli color mogano.

Sembrava una foto di due fidanzati, sì, perché due amici non dormivano certo abbracciati sotto le coperte.

“Ne voglio una copia” disse Edo sghignazzando “siamo carini” aggiunse rivolgendosi a me inclinando quel maledetto aggeggio per farmi vedere meglio.

“Tu sei pazzo” esclamai.

“Leva il broncio puzzola, non sei carina così” scherzò.

Lo guardai in cagnesco dopo aver sentito l’ennesimo soprannome orribile che mi aveva affibbiato mesi prima. Era il peggiore tra i tanti che avevo, e posso assicurare che ne ho di terribili, nati quasi tutti dalla mente malata di Valentina.

“Non cancellarla mi raccomando” sentii sussurrare.

“Tanto la cancello io appena mi capita tra le mani quella macchina fotografica” sghignazzai malefica puntando l’oggetto incriminato.

“Provaci e ti getto dal pontile” ringhiò il biondo serio.

“Sapete che sembrate due sposini che litigano?” intervenne Vittoria.

Edoardo sorrise, io la fulminai girando i tacchi per tornare in camera. Quella vacanza si stava trasformando nel mio incubo personale.

Volevo solo mettermi un costume e andare dritta dritta sulla spiaggia, prendere un po’ di sole e magari fare anche un bel bagno. Ovviamente prima che potessi anche solo chiudere la porta qualcuno la bloccò con una mano ed io mi spostai per farlo entrare.

“Ti sei svegliata male stamani?” chiese il biondo aprendo l’armadio dalla sue parte del letto.

“Sì” esclamai “odio essere svegliata, oltretutto con un flash accecante! In più mi sono addormentata che era quasi l’alba praticamente. Quindi direi che ho tutto il diritto di essere un tantino nervosa non trovi?” chiesi un po’ alterata.

Mentre Edoardo mi guardava non ci trovai nessun sorriso ironico, anche se me lo sarei aspettato dopo quel monologo che sfiorava una crisi nervosa, e mi veniva da chiedermi se tutto quello fosse dovuto alla foto oppure ad altro.

Persa in quei pensieri mi resi contro solo dopo che due mani mi stavano massaggiando le braccia con movimenti lenti dal basso verso l’alto. Mi sciolsi completamente e sospirai arrendendomi a quelle dolci attenzioni.

“Rilassati” sussurrò al mio orecchio “Cambiati, andiamo in spiaggia”

Annuii e subito mi lasciò andare, afferrò il costume e andò in bagno per cambiarsi. Mi uscì un altro sospiro involontario e ancora una volta mi venne da pensare che il comportamento del mio migliore amico era decisamente diverso dal solito: troppo affettuoso, troppo geloso.

Mi stavo facendo influenzare dalle teorie delle mie amiche, io sapevo che la realtà era ben diversa. A mio parere Edoardo si comportava così solo perché si sentiva libero, non più legato dall’avere una ragazza che avrebbe potuto offendersi se avesse mostrato affetto per un’altra. In quel momento non aveva catene.

Io lo conoscevo bene, gli altri guardavano tutto dall’esterno, come parati da un vetro scuro, che non fa notare i piccoli dettagli, quasi sempre essenziali.

 

Sole. Finalmente era uscito il sole ed io me ne stavo come un rettile, sdraiato sul lettino a bearmi di quei magnifici raggi caldi, esattamente come gli altri tre. Ce ne stavamo tutti e quattro sul bordo piscina in completa tranquillità, e per questo ero grata ai magnifici giorni di luglio, dove solo poche persone avevano la possibilità di tracorrere la settimana al mare.

Erano passate le due ed era forse anche troppo caldo per i miei gusti. Ero una di quelle persone che non riusciva a stare a cuocere come un pollo allo spiedo per ore intere e quindi non mi abbronzavo tanto facilmente. Fortunatamente avevo trovato una soluzione: ogni venti minuti scarsi mi buttavo in piscina o mi facevo una doccia e poi tornavo a stendermi, ma una volta asciutta il caldo tornava a darmi fastidio. C’era un lato positivo però, perché durante l’inverno poche volte affermavo di aver freddo.

Sbuffando mi alzai a sedere e dal caldo che provavo avrei giurato che la mia pelle avesse iniziato a bollire.

“Giù ti butti di nuovo in acqua?” chiese Vale.

Valentina era una di quelle che se ne stava ore a prendere il sole e non sentiva mai il bisogno dell’ombra. La mia teoria era che lei non avesse sangue nelle vene o che fosse un animale a sangue freddo. In un’ora io ero già al terzo bagno e lei non si era mossa di un centimetro.

“Sì…sto arrostendo lentamente” scherzai.

“Ti seguo” esclamò Edoardo.

Lui semplicemente odiava stare fermo in un posto per troppo tempo, non aveva problemi a starsene al caldo.

Ci alzammo insieme e quando misi un piede in acqua capii che se non mi fossi tuffata ci avrei messo almeno un’ora ad immergermi tutta tanto era alto lo sbalzo delle temperatura con il mio corpo. Edoardo mi precedette tuffandosi di testa e riemergendo dall’altro lato della piscina con un sorrisetto beffardo sul viso che significava solo una cosa: buttati o vengo lì e lo faccio io.

Mi affrettai e come lui mi immersi in quell’acqua tiepida, che per il mio corpo accaldato sembrava quella del mar Baltico, riemergendo al suo fianco.

“Accendiamo l’idromassaggio?” domandai.

“Sì, ci rilassiamo un po’”

Nuotò verso il bordo ed uscì spingendosi solamente con le braccia. Se solo lo avessi fatto io sarei ricaduta in acqua come un sasso. Non che fossi poco atletica, avevo anche fatto due anni di sincronizzato e sei anni di nuoto, l’acqua era decisamente il mio ambiente perfetto.

Tornò nella vasca circolare dove le bollicine stavano già scuotendo la superficie e io lo raggiunsi mettendomi a sedere al suo fianco.

Quelle sì che erano vacanze.

Gettai la testa indietro e allargai le braccia. Sicuramente sembravo la persona più rilassata del mondo.

Mi voltai verso Edo e lo vidi esattamente nella mia posizione, con una sola differenza: i brividi su tutto il corpo. Ma era possibile essere così freddolosi?

“Sei peggio di una femminuccia” ridacchiai divertita.

“Fa freddo, sono uscito e rientrato…è ovvio che tremi” si giustificò. La classica arrampicata sugli specchi dell’uomo orgoglioso.

“Scuse” lo presi in giro “Sei una femminuccia”

“Scappa, perché se ti prendo ti faccio bere tutta l’acqua della piscina”

Gli feci la linguaccia ed iniziai a nuotare con lui subito dietro. Almeno un vantaggio tutti quegli allenamenti lo avevano avuto perché ero decisamente più veloce di lui. Quando arrivò il momento di issarmi con le braccia sul bordo però avvenne ciò che avevo predetto: caddi indietro, ma non per colpa mia. Edoardo mi aveva afferrata per la vita e mi aveva rigettata con lui nell’acqua iniziando a farmi il solletico e facendomi anche annaspare come un gatto che cerca disperatamente di tornare all’asciutto.

Dopo urli e preghiere finalmente smise di torturarmi, ma continuava a tenermi stretta tra le sue braccia. Galleggiavamo affannati e io ancora sentivo male allo stomaco per quanto avevo riso e lui ghignava soddisfatto.

“Certo che sei veramente una stufetta” ridacchiò stringendomi.

“E tu sei gelato”

“Ci compensiamo” constatò accarezzandomi la schiena e guardandomi in un modo strano.

Approfittai del momento e gli spinsi la testa sotto l’acqua scappando ancora una volta, questa volta verso le scalette per non finire di nuovo tra le sue grinfie. Peccato però che ci finii ugualmente dato che riuscì ad acchiapparmi per le gambe nuotando sul fondo per poi portarci nuovamente anche me.

Sembravamo due bambini di due anni, non due diciottenni, che secondo lo stato erano appena stati definiti maturi. Anche se per me la maturità derivava da altro e non da un misero foglio di carta o un voto in centesimi.

“Ti prego tregua…” ansimai distrutta accasciandomi sulle scalette in muratura della piscina.

“Ok” mormorò sdraiandosi al mio fianco “ma vieni qua che mi fa freddo”

Mi prese in braccio e mi portò quasi completamente su di lui, che sembrava quasi un blocco di marmo da quanto era freddo.

“Ma è normale che tu il quindici di luglio stia congelando in una piscina dove la temperatura sarà quasi di trenta gradi?” dissi spostandomi di lato un po’ imbarazzata da quella posizione ambigua.

“Parla colei che in pieno gennaio se ne sta con una maglietta di cotone e dorme senza il pigiama” replicò sorridendo.

“Mi sa che siamo un caso clinico noi due” dissi passandogli una mano nei capelli per poi tornare nell’idromassaggio.

Ridevamo come due amici e scherzavamo come tali, eppure anche io mi stavo rendendo conto che Edo era cambiato. Ma forse tutto stava nel fatto che era libero adesso. Continuavo a ripetermelo da quella mattina.

“Ei” esclamò Vittoria sedendosi nella vasca “possiamo o disturbiamo?” ridacchiò.

Si beccò immediatamente uno schizzo d’acqua che sembrò più un’onda anomala da quanta forza ci avevo messo.

Vale si sedette vicino a me e subito si avvicinò per sussurrarmi qualcosa all’orecchio.

“Vi ho visto…e tu continui a dire che non prova niente?” chiese sicura di sé.

“Sì” risposi testarda.

“Io fossi un uomo non abbraccerei mai la mia migliore amica in quel modo…” insistette.

Ma lì si erano tutti alleati per farmi uscire di cervello?

No. Edo era il mio migliore amico e non era cambiato niente. I sentimenti non si capovolgono da un momento all’altro. Giusto?

Spesso però si confondono amore e amicizia perché tra questi due sentimenti c’è solo una linea sottile che li divide. Tutto questo è più difficile quando questo accade tra un uomo e una donna perché non si capisce mai quando si è superata quella piccolissima linea.

No e ancora No. Non poteva essere.

Valentina stava solo scherzando, era sempre stata così, si divertiva a scherzare su noi due e io ormai ci avevo fatto l’abitudine. Il problema adesso era che gli avvenimenti erano decisamente cambiati da qualche settimana fa.

“Giulia vieni qua”

Mi sentii afferrare per la vita e subito mi trovai tra le braccia del biondo “mi fa freddo” mugolò come un cucciolo indifeso.

“Non sono la tua stufa personale” esclamai sgusciando via.

Non mi importava se sulla sua faccia adesso leggevo delusione, avevo agito d’impulso dopo le parole di Vale. Per me non ci sarebbero stati problemi a starmene comoda tra le sue braccia, era come abbracciare mio fratello.

Purtroppo non potevo fare a meno di pensare a quel che diceva la mia amica mentre l’acqua fredda della doccia mi toglieva il cloro dal corpo.

Tornai sul lettino e mi stesi a pancia in giù gocciolante. Mi voltai subito in direzione della piscina per vedere la mia cara amica con le bracca intorno al collo del biondo, che rideva tranquillamente fino a quando non incontrò il mio sguardo. Appena si accorse che lo stavo guardando allontanò Valentina ed uscì dall’acqua per andare a farsi una doccia.

Proprio in quel momento mi voltai e chiusi gli occhi e poggiai la testa sulle braccia incrociate.

Non l’avevo guardato male, non avevo lanciato occhiate furenti, anche perché non ne avevo il motivo di infuriarmi nel vederlo scherzare con una sua amica, ma evidentemente c’era qualcosa che gli aveva dato fastidio. Per conto mio non c’era niente.

“Ma sei pazzo?” sbraitai quando sentii il suo corpo freddo schiacciare completamente il mio.

Con una risata il biondo si scostò, anche perché stavo prendendo a pugni la sua schiena, per quanto fosse possibile da quella posizione.

“Ma non ti piaceva il freddo?” ridacchiò seduto sul lettino mentre io mi giravo a pancia in su per lanciargli un’occhiata poco divertita.

“Non sei simpatico” brontolai.

“Giuli ma che hai? È da stamani che mi tratti male e ti arrabbi con me” 

Era il perfetto punto della situazione.

Posò una mano sulla mia coscia e girò il corpo nella mia direzione guardandomi seriamente e chiedendomi silenziosamente una risposta esaustiva.

“Non è vero” risposi stupidamente.

“Sì che lo è. Cos’hai?”

“Io niente…” avrei voluto aggiungere che era lui ad essere diverso e non io.

“Quando ti abbraccio scappi. Sembra che ti dia fastidio” spiegò.

“No Edo, non mi dà fastidio. Mi sembra solo tutto molto strano ora che sei…che non sei più fidanzato”

Era quel che pensavo, magari detto con parole diverse, che nascondevano un altro significato di cui non avevo il coraggio di parlare con lui.

“Sei la mia migliore amica e in questo momento ho bisogno di sapere che mi sei vicina…vederti sgusciare via ogni volta che tento di mostrarti affetto non è piacevole”

Ed ecco che mi sentivo una pezzente per aver dato retta alle chicchere insulse degli altri. Ma quando avrei imparato a ragionare con la mia testa?

“Scusami” abbassai gli occhi dispiaciuta sentendomi un’ingenua.

“Fa niente…” sorrise sincero.

Si chinò quel tanto che bastava per abbracciarmi e baciarmi una guancia, il caldo del mio corpo a contrasto con il suo più fresco era piacevole. Lo era altrettanto quel senso di benessere che mi provocava il sapermi amata da quel ragazzo tanto importante per me.

Mi chiedevo se anche per lui fosse lo stesso, se sentisse le stesse cose e soprattutto come le considerava, che peso gli dava. Io cos’ero per lui?

Nonostante avessimo appena parlato non ero arrivata a capirlo, il suo rimanere sul vago non mi permetteva di arrivare a niente se non supposizioni, forse errate. Mi aveva definita la sua migliore amica e questo probabilmente doveva tranquillizzarmi no? Evidentemente nel mio cervello era scattato qualcosa che mi imponeva di osservare soprattutto quel che non aveva detto, ma aveva mostrato: le carezze, il bacio, gli occhi. Gli occhi sono lo specchio dell’anima e si capisce tanto anche solo attraverso uno sguardo. Nel suo c’era stata tristezza al pensiero di vedermi allontanare gradualmente e felicità dopo aver udito le mie scuse. Poteva essere semplicemente amicizia, perché perdere una cosa così importante come un amico è un avvenimento che può gettarti in un barato profondo, ma poteva essere altro.

Le occhiate di Valentina non mi aiutavano a credere alla prima ipotesi. Passandoci di fianco mi aveva guardata come nella vasca idromassaggio, sicura delle sue supposizioni e certa che non avrebbe mai dovuto dire “avevo torto”.

In quel momento avrei voluto staccarmi da quell’abbraccio, ma ci stavo così bene accoccolata al mio angelo, che decisi di non farlo. In più lo avrei solo offeso scacciandolo via, ne ero certa, ed io non volevo che accadesse.

“Vieni con me a vedere il mare?” chiese tranquillo alzandosi in piedi.

Vedendolo così, dal basso, avrebbe potuto essere uno di quei modelli di costumi da bagno. I capelli biondi e umidi gocciolavano sul collo e sulle spalle, la muscolatura asciutta e poco pronunciata lo rendevano perfetto sotto la luce dorata del sole, e quegli occhi erano più belli del cielo azzurro dietro di lui.

Mi ero incantata ad ammirare il mio migliore amico. Ero stata troppo a lungo distesa su quel lettino a cuocermi.

“Ok” annuii mettendomi a sedere “voi due venite?” mi voltai verso le dirette interessate.

“No” risposero in coro, come se si fossero messe d’accordo prima.

Scrollai le spalle e mi alzai lasciandole lì a parlottare come due vecchiette impiccione e chiaccherone.

Seguii il biondo fino alla passerella di pietra che attraversava tende ed ombrelloni fino ad arrivare sul bagnasciuga, dove onde leggere e lente si infrangevano lasciando una scia di schiuma bianca e spumosa. Edo si mise a sedere e mi incitò a fare lo stesso.

Due ragazzi seduti sulla sabbia umida, i piedi bagnati leggermente dall’acqua fredda del mare e lo sguardo perso verso l’orizzonte. Ognuno perso nei suoi pensieri.

Tenevo le gambe quasi incollate al petto e le mani sulle ginocchia, come se mi vergognassi di stare al suo fianco con un semplice bikini in dosso. Non era a causa del mio fisico non perfetto, Edoardo non vi aveva mai dato peso e anzi, aveva sempre detto che quelle curve rotonde erano una delle parti più carine di me, era per il modo in cui mi guardava. Mi fissava in tralice, come timoroso di essere scoperto in flagrante.

“Che facciamo stasera?” chiesi per rompere quel silenzio.

I momenti in cui nessuno dei due diceva una parola non erano mai stati imbarazzanti, erano più che frequenti tra di noi e mai nessuno ci aveva dato troppo peso, ma non riuscivo a tollerarlo lì in riva al mare.

“Non lo so…ci sono i miei amici qua al mare. Magari usciamo tutti insieme” scrollò le spalle e tornò a guardare l’orizzonte di fronte a sé.

“Sì…” annuii e anche io rivolsi lo sguardo in avanti.

Il mare calmo era sicuramente affascinante, ti dava un senso di tranquillità assoluta e quel luccichio sulle leggere increspature era come una leggera pennellata di un pittore esperto su una superficie blu.

Improvvisamente mi sentii sfiorare i capelli e mi voltai verso il colpevole, che serio mi scostava una ciocca dietro l’orecchio ed inseriva una cuffietta bianca per farmi ascoltare una canzone. Quando ascoltai le prime note la riconobbi subito. L’avevo cercata per mesi senza mai arrivare a niente, non ricordavo proprio il titolo, ed ora lui, che aveva sempre saputo che la stavo cercando, me la stava facendo ascoltare sorridendo dolcemente.

“I just want you to know, I wanna be your Romeo” sussurrò nel mio orecchio sinistro.

A quelle parole sussurrate a malapena mi sciolsi completamente e sentii le guance bruciarmi, ed ero certa che non era a causa del sole.

Io voglio che tu lo sappia, vorrei essere il tuo Romeo; che senso aveva cantare solo quella frase e portarmi in riva al mare per farmi ascoltare la canzone? Voleva solo stare solo con me in tranquillità o c’era altro? Non sapevo rispondermi e più precisamente non volevo.

“L’hai trovata” mormorai.

Chissà per quale arcano motivo continuavo a tenere la testa bassa, purtroppo però non avevo i capelli a coprirmi il volto, perché ad ogni ciocca ribelle arrivava la mano di Edo a riportarla al suo posto.

Era mio amico e quindi non c’era niente di male, eppure qualsiasi persona ci passasse di fronte ci guardava sorridente, le ragazzine con invidia, i bambini erano gli unici ad ignorarci, giocandoci a fianco o correndo per poi tuffarsi in acqua. Chissà come ci vedevano dall’esterno.

“Sì, non è stato difficile Giulietta” ridacchiò.

Giulietta…Romeo…

“Grazie”

La canzone nel frattempo era finita ed io mi ero tolta l’auricolare porgendolo al proprietario, che prese la sua e la risistemò nella tasca del costume.

Imbarazzo. Per la prima volta lo stavo provando con il mio migliore amico. Era l’unico uomo, oltre ai miei cugino, con cui potevo essere me stessa senza problemi, parlare di tutto e stare al suo fianco senza arrossire come una ragazzina. Ed invece in quel momento avrei voluto essere altrove.

Non sentivo nemmeno più il sole sulla mia pelle, era come se fossimo entrambi in una bolla che ci estraniava dal resto del mondo. Io guardavo la sabbia scura sotto di me e disegnavo con l’indice arabeschi senza senso. Pensavo a quel ragazzo al mio fianco e non capivo come mai fosse cambiato così improvvisamente. Facevo ipotesi e nessuna di quelle mi piaceva più di tanto.

“Giulia perché sei pensierosa?” domandò improvvisamente.

Mi girai di scatto e trovai il suo viso a pochi centimetri dal mio, con quegli occhi azzurri a fissarmi intensamente con curiosità e confusione.

“Niente, mi ero incantata a guardare il mare” mentii.

“Tu?”

“Ti guardavo” lo disse con una semplicità che mi disarmò.

“Ho qualcosa che non va?” domandai stupidamente.

Edoardo sorrise appena e scosse la testa come se volesse farmi capire che avevo detto una stupidità. Ci era riuscito. Quel silenzio mi faceva veramente sentire fuori luogo. Per la prima volta ero imbarazzata stando in compagnia del mio migliore amico.

Mi passò un braccio intorno alla vita e mi attirò a sé facendomi accoccolare su di lui e per non rischiare di cadergli addosso, ancora più rovinosamente, lo assecondai.

“Ho freddo” si scusò.

Annuii con la guancia posata sulla sua spalla e sospirai rumorosamente sentendomi tesa come una corda di violino.

“Tu hai sempre freddo…” dissi cercando di rendere meno imbarazzante quel momento.

“Lo so”

Sentii una sua mano alzarmi il volto e poi vidi i suoi occhi puntati nei miei come due pietre azzurre, rese ancora più brillanti da quel sole brillante in mezzo al cielo limpido.

Nessun sorriso, questa volta la sua espressione era seria e pensosa e questo mi portò ad essere ancora più rigida di prima.

Si avvicinò lento, quasi come se mi volesse baciare teneramente, uno di quei baci dei principi dei film Disney, ed io non mi mossi, attesi lì come paralizzata dalla paura. Ero stata incapace persino di sussurrare un flebile “no, che stai facendo?”.

Mancava poco, pochissimi millimetri e sarebbe accaduto l’irreparabile, ed io sarei stata la colpevole di tutto.

Chiusi gli occhi incapace di voler vedere e quel che sentii mi rilassò più di qualsiasi altra cosa: le sue labbra morbide sulla mia guancia.

Mi ero sognata tutto. Quei discorsi insulsi delle mie amiche e quello precedente di mia madre mi stavano facendo immaginare cose che non c’erano.

Edoardo era sempre stato il mio migliore amico, quello a cui raccontavo tutto e con cui parlavo di ogni genere di cosa, anche la più imbarazzante e mi sentivo sempre a mio agio. Lui del resto aveva sempre fatto le medesime cose con me e mai aveva avuto problemi a confessarmi anche cose imbarazzanti. Questi eravamo noi due e non quelli che gli altri vedevano. Amici e basta.

Però c’era qualcosa di diverso e non potevo negarlo nemmeno io.

“Te l’ho mai detto quanto ti voglio bene?” sussurrò sui miei capelli mentre ancora mi stringeva a sé.

“Sì” avrei tanto voluto chiedere anche il perché me lo stava ripetendo da due giorni e in tanti mesi non aveva mai detto niente.

Mi sarei aspettata che dicesse qualcosa, al contrario rimase in silenzio e l’unica cosa che avvertivo era il suo respiro calmo.

La mia testa era ancora poggiata alla sua spalla e sentire il suo braccio circondare la mia schiena mi metteva in imbarazzo. Altrettanto inusuale era sentire il mio cuore battere impazzito senza capirne la causa.

Ero confusa. Non potevo sorprendermi di questo quando chi ti circonda ti mette strane idee in testa oppure quando vedi il tuo migliore amico cambiare atteggiamento nei tuoi confronti.

Però queste erano idee, solamente un frutto dell’immaginazione delle mie amiche e…anche della mia?

Quella mano sul mio fianco era reale, il calore del suo corpo a contatto con il mio altrettanto e quelle labbra che pochi minuti prima si erano posate sulla mia guancia, tutto era vero. Reale e piacevole.

Ma che andavo a pensare? Era Edoardo. Colui che si confidava con me, che mi raccontava anche le cose più imbarazzanti, che mai ti sogneresti di raccontare ad anima viva. Era il mio migliore amico.

“Edoardo è il mio migliore amico. Edoardo è il mio migliore amico. Edoardo è il mio migliore amico…” la mia mente sembrava un disco rotto che continuava imperterrito a ripetere la stessa cosa.

Non aveva senso. Io ero convinta di tutto questo, non dovevo dissuadermi.

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Capitolo 5
*** Compagni di squadra ***


 

 

Buongiorno a tutti!

Sono felicissima di sapere che qualcuno che seguiva le mie storie da tempo è tornato a leggere! Ebbene sì, parlo di te Eve xD Grazie piccola pazza, che continui ad odiare quel povero ragazzo che sta per apparire in questo capitolo! Vediamo se riesco a fartelo detestare meno in questa versione…spero proprio di sì ;)

Ringrazio anche chi ha inserito la storia tra le seguite, chi commenta, ma anche chi legge senza commentare!

Questo capitolo è diverso per molti punti di vista e lo trovo molto meglio del precedente! 

Ora vi lascio con questa bella foto =P buona lettura!
 

 


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CAPITOLO QUINTO "I compagni di squadra"

 

Quella sera, mentre Edo era sotto la doccia e Vittoria ad ordinare le pizze, chiamai casa per sentire un po’ i miei genitori. Subito dopo la mia migliore amica, alquanto giù di morale perché costretta a stare a casa da sua madre dopo due giorni a Milano.

Solo dopo venti minuti di chiacchere mi domandò cosa facesse e come si comportasse Edo. Le dissi la verità, quello che avevo visto in lui e non le nascosi niente: stava bene, non aveva mai parlato di lei e a mio parere sembrava addirittura rilassato. Ovviamente secondo me non l’aveva dimenticata, si imponeva di farlo perché stare con lei ormai era impossibile e finalmente l’aveva capito. Quando due persone sono incompatibili prima o poi uno dei due se ne rende conto anche se dentro di sé vorrebbe negarlo all’infinito. Gemma l’aveva capito, ma non aveva mai avuto il coraggio di lasciarlo. Edoardo invece sì.

Concluse dicendo che forse sarebbe venuta a farci una visita tra due giorni, quando sarebbe tornata da Milano, sempre che ad Edo non desse fastidio vederla e che sua madre la lasciasse venire al mare.

Per me andava più che bene, avevo bisogno anche io di stare un po’ con lei, anche se questo avrebbe significato stare meno tempo con il mio amico. Bel dilemma quando i tuoi migliori amici hanno una storia e poi finisce, non sai mai con chi stare, se il tuo atteggiamento con uno può dare fastidio all’altro. Insomma era una vera tortura.

“Giulia le pizze!” urlò Edo in accappatoio sulla porta di casa con la sigaretta tra le labbra.

“Arrivo” risposi.

Entrai in casa mentre lui buttava il mozzicone in strada e mi guardava in modo strano, alzai lo sguardo su di lui e passai avanti senza badarci. Andai in cucina e presi la mia pizza sedendomi a tavola ancora con il costume, avrei fatto dopo la doccia.

“Stasera usciamo con degli amici di Edo va bene?” domandai addentando uno spicchio.

“Certo, finalmente ne conosceremo uno, stavo pensando che non esistessero” ironizzò Vale sorseggiando una coca.

“Semplicemente non voglio che gli saltiate a dosso come delle pazze” sorrise sarcastico lui.

“Antipatico! Poi se sono tutti come te dubito che ci piaceranno” rispose lei facendogli una pernacchia e ridendo.

Iniziai a ridere anche io, in effetti io non avevo mai conosciuto gli amici di Edoardo, fatta eccezione per i nostri vecchi compagni delle medie, quelli li sentivamo ancora oggi dopo cinque anni. Tutti fidanzati ovviamente. L’unica ancora single ero io, ed adesso anche lui.

Stavo veramente convincendomi che qualcosa in me non quadrava.

“Tranne per la qui presente” e indicò me “che è l’unica che ti sopporta”

Schioccai un bacio sulla guancia del biondo senza pensarci “che ci posso fare? Adoro questo lunatico” risi con lui che in risposta mi baciò la fronte alzandosi e scomparendo con il pacchetto di sigarette in mano lasciando lì metà delle pizza.

“Che ho detto?” chiese Vale confusa rivolta verso di me che ero rimasta con il bicchiere a metà tra la bocca e il tavolo.

“Non lo so” risposi alzando le spalle “si sarà offeso perché l’ho chiamato lunatico” e cercai di convincermi anche io di questo.

“Come mai oggi in spiaggia siete spariti?” chiese cambiando discorso ed entrando in uno ancora più spinoso.

“Siamo andati sulla riva…ad ascoltare un po’ di musica” ingoiai il boccone sentendolo come un macigno che non voleva proprio scivolare giù.

“Ah…” si vedeva che dietro quella sola sillaba c’era tanto altro, ma ebbero la buona idea di starsene zitte. Almeno pensavo.

“In realtà vi abbiamo visto…” confessò Vittoria un po’ dispiaciuta.

Valentina le lanciò un’occhiataccia di rimprovero, che sicuramente mi avrebbe fatto sorridere, se solo non si trattasse di quello.

“Giulia sei ancora dell’idea che io non abbia ragione?” chiese alzando un sopracciglio.

“Sì” annuii con tanta sicurezza che mi stupii io stessa.

“Cavolo come sei testarda” sbuffò.

“Vado a farmi una doccia”

Mi dispiaceva essere così poco loquace e anche un po’ scorbutica magari, ma non riuscivo proprio a voler discutere su quell’argomento. Era tanto difficile da capire che più me lo dicevano e più io ne soffrivo dato che Edo mi sembrava veramente diverso?

Inutile negarlo perché era evidente anche per un cieco. Prima dall’ora non si era mai aperto così tanto nei miei confronti. Sì, mi parlava di ogni cosa, ma mai una volta mi aveva confessato i suoi sentimenti verso di me, mai un semplice ti voglio bene. Ed in quei giorni l’aveva detto fin troppe volte. Non che non lo apprezzassi, anzi, mi faceva piacere, ma non potevo negare che i suoi atteggiamenti erano differenti.

“Va bene. Ci pensiamo noi qua”

Annuii e passai davanti alla porta del salotto dove Edo stava poggiato sullo stipite con lo guardo rivolto verso terra e la sigaretta penzolava dalle labbra semiaperte.

Avrei voluto chiedere il motivo di quel cambiamento d’umore poco prima a cena, ma ebbi paura e quindi entrai in bagno gettandomi direttamente sotto il getto tiepido della doccia.

 

Eravamo in macchina da venti minuti buoni, il locale non era esattamente tanto vicino a casa perciò quando arrivammo erano più o meno le undici, parcheggiammo poco lontano.

Come al solito il mio amico dall’animo decisamente volubile aveva ripreso a sorridere e a scherzare, anche se non la smetteva di rinfacciarmi il fatto che quel vestito di lino era troppo trasparente.

“Ma un paio di jeans no?” mugolò ancora camminando sul marciapiede.

“Fa caldo! Poi non è né trasparente né così corto” dissi io alzando gli occhi al cielo esausta, sembrava mio padre -copriti! Dove vai conciata così?- ecco esattamente uguale, solo che lui non era mio padre.

“Geloso per caso?” chiesi alzando un sopracciglio.

“No piccolina, solo non voglio fare a botte se qualcuno stasera ti tocca il culo!” sbottò dandomi una pacca sul sedere.

Rimasi un po’ di stucco sia per il fatto che mi aveva chiamata piccolina sia perché mi aveva tirato un pacca sul sedere. Pur sempre scherzosa, ma non l‘aveva mai fatto.

“Tirati uno schiaffo da solo allora!” scherzai non pensando alle mie riflessioni.

Cercai di dargli una pacca sulla nuca e lui la schivò senza problemi. Si mise a ridere ed io lo guardai storto. Ritentai una seconda volata e lui prese a correre, ma quella sera potevo raggiungerlo, mi ero messa dei comodissimi stivaletti di camoscio con la pianta a terra.

“Siete ridicoliiiiii!” sentii da dietro la voce di Vale che rideva dopo averci visto litigare e scherzare come due scemi, o come sicuramente pensava: due fidanzati.

Dopo averlo raggiunto finalmente gli tirai una pacca giocosa sulla testa e lui fece il finto dolorante. Non resistetti dal ridere e in risposta iniziò a farmi il solletico.

“Edo!” sentii esclamare dietro di me mentre con il fiatone cercavo di divincolarmi dalla presa delle sue braccia.

“Ciao ragazzi” disse porgendo la mano a quei quattro cingendo ancora la mia vita con un braccio.

Erano loro quattro dunque i compagni di squadra. Mi pentii subito di non aver mai visto una partita.

Il primo era alto, rasato e con due occhi azzurro cielo, il secondo aveva i capelli castano chiaro, non alto come il primo, ma anche lui faceva la sua figura. L’altro alla sua destra aveva i capelli castani lisci con un ciuffo che ricadeva sull’occhio destro, l’unico visibile era color marrone scuro. L’ultimo, che adesso stava salutando Edo era poco più alto di quello al suo fianco, aveva i capelli neri scomposti, né troppo lunghi, né troppo corti, mi incantai sul suo sguardo intenso, due occhi neri esattamente come l’onice circondati da ciglia folte e scure.

Indossava una camicia bianca e dei pantaloni color crema lunghi fino al ginocchio, aveva la pelle abbronzata, ed un fisico asciutto e proporzionato.

“Non ci presenti la tua ragazza? Sono mesi che ne parli e non abbiamo mai avuto occasione di incontrarla” disse il primo sorridendomi. Mi avevano scambiata per la ragazza di Edo! Scoppiai a ridere insieme a lui che invece di lasciarmi mi strinse a sé affettuosamente.

“Lei non è la mia ragazza” disse guardandomi dolcemente.

Non sapevo come comportarmi con lui.

“È Giulia, ho lasciato Gemma ieri l’altro” spiegò lasciando con facce sorprese i quattro ragazzi presenti.

“Quindi sei tu quella santa ragazza che sopporta i suoi cambi d’umore?” chiede quello castano.

“Già sono io” sorrisi porgendo la mano al primo “piacere, Giulia”

“Giacomo” si presentò stringendo la mia mano “certo deve essere dura essere amica di questo pazzo” ipotizzò scherzando un po’.

“Oh certo” fece Edo permaloso come sempre facendomi ridere.

“Daiii!!!” esclamai accarezzandogli la testa “presentami i tuoi amici” dissi per distogliere il discorso.

Già tutto era complesso se poi avessero iniziato a parlare di noi due sarebbe stata la fine, in più volevo conoscere il moretto in disparte.

“Lui è Marco, Alessandro, Niccolò” elencò velocemente mentre io stringevo la mano ad tutti e tre, lo stesso fecero le mie amiche, che pur non essendomene resa conto ci avevano raggiunti.

Non mi accorgevo di niente, fissavo quello sguardo intenso di quel ragazzo affascinante che adesso stava scherzando con quello che sembrava il più loquace di tutti, Giacomo.

“Direi di andare ad un tavolo o non ne troveremo uno se stiamo qua” propose Marco procedendo con Niccolò verso la spiaggia su cui si trovavano i tavolini e le amache. Io ed Edo li seguimmo con gli altri dietro di noi.

Mentre camminavamo si avvicinò la mio orecchio facendomi sussultare “Ti piace eh?” chiese divertito ridacchiando “lo vedo sai come lo guardi”

Lo guardai stralunata, ero così facile da leggere? Se ne era reso conto anche lui forse, ma probabilmente no, Edo mi conosceva troppo bene, ecco perché l’aveva capito solo osservandomi.

“Hai scelto proprio il più complicato” disse serio mettendomi una mano sulla spalla “sembra allergico alle storie a lunga durata” mi avvisò.

Sbuffai guardando la sabbia scura spostarsi ad ogni mio passo mentre gli altri erano già accomodati ad un tavolo sotto un ombrellone di paglia a cui erano appese lanterne con candele dentro. Al centro del tavolo un vaso a bolla con acqua e delle candele rosse galleggiavano sulla superficie di quel liquido trasparente.

“Possiamo sempre sentire cosa ne pensa di te però” sussurrò la mio orecchio partendo a razzo verso Niccolò.

Sgranai gli occhi e scattai in avanti afferrandolo per in polso “sei pazzo?” chiesi esasperata.

“Sai che non lo avrei mai fatto” sussurrò facendomi l’occhiolino sedendosi proprio vicino a quel ragazzo moro dagli occhi più scuri dell’ebano.

Edo mi indicò la sedia al suo fianco spostandola per farmi accomodare, già tirava fori dalla tasca le sigarette per accendersene una.

Guardai Vale e Vittoria già a proprio agio a scherzare e ridere con i due amici, mentre il mio migliore amico parlava del ritiro estivo che dovevano fare da lì a poche settimane.

Non mi resi conto nemmeno di quando il cameriere mi chiedeva cosa avrei ordinato, fu Vittoria a svegliarmi da quel momento di black-out con uno scossone.

“Si, ehm…un sex on the beach grazie” dissi sistemandomi i capelli, una mossa che facevo sempre quando ero imbarazzata.

“Giù ma che ti succede?” mi sussurrò Edo all’orecchio “sembri rimbecillita”

Dal suo tono si poteva percepire un po’ di fastidio, quasi come se il mio comportamento e le mie attenzioni verso il suo amico potessero infastidirlo.

“Nulla...”

“Non è il tipo adatto a te” disse duro.

Ormai era tardi, guardavo le labbra di Niccolò muoversi velocemente mentre parlava, i capelli neri luccicare sotto la luce fioca delle candele e le spalle larghe sotto la camicia bianca mi mandavano al manicomio. Poco importava se era un ragazzo strano, o come diceva Edo -intollerante alle storie serie-, in poche parole era uno di quelli che non amava avere una ragazza, ma preferiva stare libero e divertirsi senza avere pensieri. Ma perché dovevo sempre invaghirmi così? Mi aveva solo detto ciao, nemmeno lo conoscevo.

Portarono l’orinazione dopo alcuni minuti e mentre pagavamo Niccolò finalmente mi degnò della sua attenzione facendomi sussultare.

“Insomma dicci un po’ com’è avere un amico come lui. Immagino ti faccia impazzire molto spesso” ipotizzò.

“Ma no, amo questo pazzo…anche se litighiamo ogni tanto” risposi imbarazzata guardando quegli occhi scuri come la pece.

“Non vivresti senza di me” disse lui accarezzandomi la testa.

“Non esagerare” scherzai.

“Ma quanto siete carini” disse Vale ridacchiando sotto i baffi “sembrate due sposini”

Le lanciai un’occhiataccia degna di un serial killer e lei scoppiò a ridere mentre Edo fingeva di volermi dare un bacio appassionato. Era uscito di senno.

“Vieni spesso qua al mare?” domandò sempre il moro.

“Ma le volete fare un terzo grado?” chiese il biondo scocciato.

“No, vogliamo solo conoscere la tua migliore amica. Che senso avrebbe chiedere a te? Ti conosciamo da anni” rispose Giacomo.

Ridacchiai e risposi a tutte le domande che quei tre mi ponevano ed a cui si accodarono anche le altre, Giacomo mi pareva molto interessato a Vittoria, o forse me lo stavo immaginando.

Mentre io parlavo con Marco ed Alessandro vidi con la coda dell’occhio Edo parlare sottovoce con Niccolò. Entrambi con espressioni serie si guardavano come se stessero stringendo un patto o stessero discutendo con calma. Continuai a chiaccherare ridendo e scherzando fino a quando non sentii una voce stridula urlare il nome Edoardo come se fossimo ad un concerto con milioni di persone.

Mi voltai scocciata mentre una biondina minuta con le braccia alzate si avvicinava a noi frenetica, arrivò al tavolo e abbracciò il mio amico stritolandolo. Mi dava noia quell’abbraccio, anche se non dovevo minimamente pensarci quella ragazzina petulante e la sua vocina mi davano suo nervi.

“Ciao Ludo” la salutò lui baciandole una guancia.

Ludovica, una delle sue tante ex ragazze, prima di Gemma era stato con così tante che faticava lui stesso a ricordarsele, lo definiva il suo periodo libertino.

“Ciao, anche tu qua?”

Già se è davanti a te significa che è al mare no? Avrei voluto urlarglielo in faccia, ma mi trattenni e tornai a bere il mio drink.

“Vieni a bere qualcosa?” chiese lei sbattendo le ciglia.

“Non bevo, ma ti accompagno volentieri” che significava quello?

Si era lasciato da un giorno e già se ne andava via con una? Ma era scemo?

Lo vidi alzarsi e prima che si voltasse lo fulminai, sapeva benissimo che quando di comportava in quel modo mi mandava in bestia. Sembrò quasi chiedermi perdono con gli occhi, ma non servì ad addolcirmi. Non lo sopportavo quel suo voler divertirsi e basta. Io non la concepivo proprio quell’idea.

“Ma chi è?” chiese Vale dopo che era scomparso verso il bancone.

“Una delle sue tante ex...diciamo che c‘è stato due giorni insieme” risposi io cercando di nascondere la rabbia.

Gli amici di Edo mi guardarono un po’ con aria interrogativa, come se il comportamento che stavo avendo non fosse consono per una semplice amica.

“Vedo che Gemma se l’è dimenticata...” disse Giacomo guardando me.

“Sembrerebbe” scrollai le spalle come se non me ne fregasse niente di lui e di quel che faceva.

Lasciai cadere il discorso lì e buttai lo sguardo verso il mare da dove si sentiva il rumore delle onde infrangersi sulla spiaggia rumorosamente.

Mi imposi di non guardare dietro, dove sicuramente avrei visto Edo con quella bionda slavata. Mi dava noia, che senso aveva adesso prendere e scappare con quella?

Con la forza di volontà precaria che mi ritrovavo mi voltai e ciò che vidi non mi piacque più di tanto, anzi un moto di rabbia mi salì fino al cervello. Era veramente gelosia o era qualcosa di diverso? Non sentivo il mostriciattolo verde graffiarmi dentro, era qualcosa di diverso, che non riuscivo ancor a comprendere. Forse semplicemente odiavo il fatto che colui che ritenevo il migliore ragazzo del mondo facesse l’unica cosa che io avevo sempre odiato: usare le ragazze come fazzoletti usa e getta.

In fondo me l’ero immaginato che la sua reazione sarebbe stata questa. Che cosa pensavo? Che si sarebbe ritirato in meditazione in un monastero buddista?

“Giulia ma lo finisci?” domandò Vale riscuotendomi da quel pensiero.

“Sì” annuii e cercai di sorridere. Stavo girando le due cannucce nere nel bicchiere da ormai cinque minuti buoni.

Mi resi conto che stavo facendo la parte della ragazza gelosa e questo non andava bene dato che non c’era niente tra di noi. In più che speranze potevo avere con Niccolò se mi mostravo così?

Quello però non sembrò il principale problema, dato che adesso il moro mi ignorava ragionando con il suo amico a fianco. Non capivo dato che prima aveva mostrato un lato loquace e molto aperto.

Forse Edo aveva ragione: non era il tipo adatto a me.

Guardai indietro, dove prima avevo visto quei due baciarsi, ma questa volta non li trovai e capii che erano andati in un posto più appartato a fare chissà cosa. Anzi lo immaginavo benissimo, solo che non lo concepivo.

“Che ne dite di prendere un’altra bevuta? Vi va?” era stato Giacomo a parlare.

“No. Una direi che basta e avanza” scherzò Vale conoscendo ormai i suoi limiti, ridacchiando già allegra. Anche io e Vittoria preferimmo rifiutare.

“Ok. Torniamo subito”

Detto questo si alzarono tutti e quattro e ci lasciarono sole ed ovviamente io non potei sfuggire alle domande della mi amica. Scostò il bicchiere, si sporse verso di me e mi guardò con un’aria fin troppo seria.

Alzai un sopracciglio vedendo che non parlava ancora. Era una nuova tattica psicologica forse? Da lei mi sarei aspettata tutto ormai.

“Sì ti piace” annuì e tornò al suo posto a sorseggiare il drink.

“Chi?” mi uscì spontaneo.

“Il moro che guardi con aria sognante. Vuoi un fazzolettino per la bava?” scherzò facendomi sorridere.

Poco importava che anche lei mi avesse scoperta, in fondo ero consapevole di essere un libro aperto per chi mi conosceva. I miei atteggiamenti erano semplici da capire e Vale era avvantaggiata perché aveva un intuito straordinario per queste cose.

“È carino no?” mormorai arricciandomi un ciuffo sull’indice.

“Carino?” ripeté “guarda che fondoschiena che si ritrova!” esclamò facendoci ridere tutte e tre.

“Be' Giuli…” intervenne Vittoria “Abbiamo gusti differenti, ma non posso negare che non sia male”

Mi girai indietro per vedere i quattro ragazzi seduti al bancone ad aspettare le loro ordinazioni. Niccolò si voltò verso di me e accortosi che lo stavo guardando sorrise compiaciuto. Bella figura avevo fatto. Chissà che sguardo da ebete dovevo aver avuto.

“Comunque Edo mi ha detto che non fa per me” alzai le spalle sconsolata.

Perché diamine non riuscivo a ragionare con la mia testa e a non dare ascolto alle parole di quel biondo che adesso se la stava spassando chissà dove con quella gallina?

“Lo dice perché è geloso” disse Vale con quella sua solita aria da ragazza vissuta che ne sa sempre più di me.

“Geloso?” domandai scettica “Se lo era probabilmente adesso non sarebbe con quella no?” dissi sicura di aver giocato la carta giusta.

“Vale questa volta non puoi replicare” disse Vittoria divertita.

“Va bene…comunque rimango della mia idea! Biondina o non biondina!” mi fece la linguaccia e nel frattempo erano tornati i ragazzi con i loro bicchieri.

Devo dire che tutto sommato fu una serata piacevole, mi divertivo a sentire battibeccare Vale e Giacomo. Quei due mi sembravano così simili. Erano tutti molto simpatici, divertenti e sempre allegri, ma forse era anche merito dell’alcol. L’unico che sembrava meno loquace era Niccolò, pareva essersi trasformato nel giro di cinque minuti. Perché?

Mentre lo osservavo con la coda dell’occhio ogni tanto sembrava guardare verso la mia direzione, ma subito distoglieva lo sguardo come se non potesse farlo. Io gli uomini non li avrei mai capiti.

Alla fine si erano fatte le due ed il sonno si faceva sentire dato che la notte precedente non avevo dormito molto.

“Possiamo andare? Ho sonno…”

Non volevo fare la guastafeste, ma veramente non avrei retto un secondo di più su quella sedia.

“Se troviamo Edo” sbuffò Vale ricordandosi che eravamo venute con la sua macchina.

“Ci penso io” esclamai alzandomi dal tavolo e dirigendomi verso la spiaggia per chiamare tranquillamente senza la musica di sottofondo.

Presi il cellulare e lo chiamai sperando che non mi ignorasse. Uno squillo…cinque squilli…dieci squilli…rispose solo al ventesimo e avrei tanto voluto urlargli contro, ma parlai con calma. Forse non tanta a dire il vero.

“Edo noi vogliamo andare quindi muovi le chiappe, se non hai concluso non mi importa. Ti aspettiamo alla macchina. Ciao”

Attaccai senza attendere una risposta e mi stupii della mia autorità e ovviamente me ne pentii un secondo dopo. Ma perché diavolo l’avevo trattato in quel modo? Non ne avevo motivo.

Sicuramente mi avrebbe chiesto spiegazioni e io avrei trovato una scusa, perché nemmeno io conoscevo il motivo per il quale avevo reagito così.

“Dio quanto sono imbecille” esclamai rivolta al cielo.

Ricacciai il telefono in borsa e tornai al locale, dove trovai gli altri già in piedi davanti al vialetto d’uscita.

“Ci aspetta alla macchina” li avvisai piatta.

Annuirono avviandosi, solamente Vittoria mi aspettò chiudendo la fila insieme a me. Sembrava studiarmi, con il suo solito modo di fare silenzioso e sempre troppo riservato per poter chiedere quel che in realtà avrebbe desiderato sapere.

Anzi lì probabilmente tutti volevano conoscere il modo in cui avessi convinto Edo a tornare come un cagnolino ubbidiente. A dire il vero non ero nemmeno certa del fatto che mi avrebbe dato ascolto, ma in fondo sapevo che l’avrebbe fatto.

Fu così. Lo trovammo appoggiato alla macchina, con le braccia conserte e lo sguardo assorto.

“Finalmente è tornato Casanova! Ti vedo un po’ spossato però, hai perso la mano?” lo canzonò Giacomo, e per questo si beccò un’occhiataccia da parte del biondo.

“Geloso?” rispose a tono.

Il sorriso strafottente e giocoso mi fece salire ancora di più i nervi a fior di pelle. Ci stonava terribilmente sul volto angelico che si trovava.

“Ok, mi hai beccato” alzò le mani con aria arrendevole e sorrise divertito.

Quel ragazzo era così solare, sorrideva sempre e metteva buon umore in ogni occasione. Anche in quel momento, dove avrei voluto spaccare la testa al mio amico, non riuscii a non sorridere a quella scena.

“Ci vediamo domani, siamo stanchissime. Buona notte ragazzi” Vale si accorse della tensione che i miei occhi trasudavano e decise che sarebbe stato meglio andarsene prima che la mia pazienza svanisse. Ottima scelta.

“Dopo pranzo siamo da voi” assicurò Giacomo.

Guardai la mia amica chiedendo spiegazioni e lei gesticolando mi fece capire che me l’avrebbe detto dopo.

Sospirai e salutai anche io per poi montare in macchina senza neppure guardare un’ultima volta quello splendido ragazzo dagli occhi scuri. Maledetto Edoardo che mi faceva saltare i nervi con il suo comportamento. Mi mandava in bestia il suo essere scappato con quella dato che eravamo usciti per stare tutti insieme e poi c’era dell’altro: si era divertito e sicuramente nemmeno l’avrebbe più rivista. Quelle cose non le tolleravo, ma dovevo mettere in conto che lui era single e non si sarebbe dato di certo alla clausura prima di innamorarsi di nuovo.

Salii in macchina e fu Edo a porre la domanda che io avevo precedentemente fatto alla mia amica. Rispose semplicemente che li aveva invitati sulla spiaggia per passare una giornata in compagnia. Quei ragazzi erano simpatici e tutto sommato ci eravamo trovate bene con loro, quindi non c’era niente di strano. A dire il vero non avevo capito il comportamento di Niccolò, ma lasciai correre. Ognuno ha il suo carattere.

Edoardo sembrò poco contento della cosa e non capii il perché, dato che quei quattro erano i suoi amici e compagni di squadra.

 

Arrivati a casa, mentre io chiudevo la porta, le mie amiche si congedarono subito sbadigliando dal sonno e così rimanemmo soli io ed Edo. Tanto saremmo stati soli comunque pochi minuti dopo, nel letto.

“Sei di nuovo arrabbiata con me?” domandò posandomi una mano sulla spalla mentre io cercavo di non spezzare la chiave nella toppa.

“Ma va! Da cosa te ne sei reso conto Sherlok?” lo canzonai non riuscendomi a trattenere e pentendomene un secondo dopo.

“Giulia…” sospirò.

Scossi la testa e mi liberai di quel contatto andando dritta in camera, dove puntualmente mi seguì senza dire una parola.

Ci spogliammo entrambi, nel silenzio più assoluto e con l’accortezza di non guardarci mai negli occhi. Io mi vergognavo per quel comportamento assurdo e lui probabilmente non voleva creare più problemi di quanti già ne avessi fatti io.

“E va bene…scusa” borbottai sedendomi sul letto.

“Sai che non posso arrabbiarmi con te, ma dimmi almeno perché ce l‘hai con me stavolta…” sentii dire alle mie spalle.

“Non ho niente da spiegare! Sei praticamente fuggito con quella biondina e ci hai fatto chissà cosa per poi scaricarla un minuto dopo! Io queste cose non le sopporto Edo!” sbraitai.

Va bene, non avevo il diritto di dirgli cosa dovesse e non dovesse fare, ma da me si aspettava una risposta esaustiva e io semplicemente gliela stavo dando. Mentire non era nel mio stile.

“Solo per questo?” chiese sembrando dispiaciuto.

“Sì” annuii.

Era alle mie spalle, lo percepivo bene e quando la sua mano prese la mia per farmi voltare nella sua direzione lo vidi con in dosso i pantaloncini del pigiama blu ed il torso scoperto. Sul suo collo c’era un succhiotto in bella vista.

“Giulia io non voglio più star male per una ragazza. È brutto dirlo, ma voglio divertirmi senza legarmi con nessuna.” lo disse con uno sforzo enorme e nel farlo abbassò lo sguardo come vergognandosi “L’unica ragazza al mondo di cui mi fido e che non tradirei mai sei tu, ma sei la mia migliore amica…sei la mia Giulia. Mi dispiace che questa mia nuova idea di vita ti faccia infuriare, ma non posso fare altrimenti per ora…”

Ancora con gli occhi bassi lasciò la mia mano ed io rimasi in silenzio non sapendo esattamente quali fossero le parole giuste da dire.

Mi aveva ancora una volta definita la sua migliore amica e per questo ne fui felice, ma non riuscivo ad accettare quella sua scelta. Era un ragazzo d’oro e non poteva veramente essersi scottato così tanto da non poter più volere una storia seria con una ragazza.

L’Edoardo che conoscevo era sincero, dolce ed affettuoso, non un perfetto seduttore che lasciava dietro di sé cuori spezzati. Quello era il vecchio Edoardo. Adesso tornato allo scoperto.

“Non posso obbligarti a non farlo…” mormorai “Però hai ragione, non mi piace quello che fai. Hai una faccia da angelo, non ti si addice l’appellativo di spacca cuori” scherzai cercando di farlo ridere.

“Ma perché riesci sempre a perdonarmi tutto?” domandò improvvisamente.

“Perché ti voglio bene” alzai le spalle come se fosse la cosa più ovvia del mondo “basta che non spezzerai il cuore anche a me” risi della mia stessa frase e con me lo fece anche lui, solo che la sua risata apparve più tesa e forzata.

“Tranquilla…non penso potrà mai accadere…” fu quasi un sussurro.

Mi lasciò la mano e si alzò per entrare a letto con una strana espressione sul viso, come se avessi detto qualcosa che l’avesse turbato. Entrai anche io sotto le lenzuola fresche indossando solo la canottiera, dato che il caldo sembrava decisamente troppo quella notte.

Spense la luce e con essa calò anche il silenzio.

Non riuscivo a dormire, nonostante stessi crollando continuavo a rigirarmi tra le coperte, facendo sicuramente impazzire colui che mi stava accanto e che sembrava una statua da come era immobile. Alla fine sbuffai aggrappandomi al cuscino.

“Non riesci a dormire?” domandò apprensivo il biondo.

Si era finalmente mosso, evidentemente non dormiva nemmeno lui, o forse lo avevo svegliato io con il mio continuo rigirarmi.

“No…”

“Nemmeno io”

Ancora una volta silenzio ed il buio pesto non mi permetteva di vedere la sua espressione. Era infastidito o cosa? Non dormiva per causa mia o c’era altro?

“Posso abbracciarti?” domandò improvvisamente.

Non risposi, ma il desiderio di sentire le sue braccia intorno a me ed il suo profumo fresco mi indussero ad avvicinarmi ed ad accoccolarmi esattamente su di lui, che prontamente mi cinse le spalle con un braccio e posò l’altra mano sul dorso della mia, adagiata sul suo petto nudo e fresco.

Non dicemmo niente, eppure ci sarebbe stato tanto da chiarire, anche dentro di me.

Ci addormentammo così, e capii che ciò che mancava quella notte era stato il contatto con il mio migliore amico.

Non dormivo se non sentivo di averlo a fianco.

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Capitolo 6
*** L'attimo prima del bacio ***


Puntuale anche oggi! Non ci credo xD
Prima di tutto ringrazio le ragazze che hanno recensito, facendomi felicissima *-* grazie di cuore! Anche se la storia è per metà è già scritta fa enormemente piacere sapere che un po' a qualcuno piace e mi dedica due minuti di tempo ^^ È soprattutto per voi che continuo a scrivere e non la lascio in un angolo del pc ad impolverare! 
Ovviamente grazie anche a chi mi segue in silenzio! spero che anche a voi piaccia (:
Che altro c'è da dire?
Bè...il titolo penso dica un po' tutto, anche se rimane forse un'incognita: chi bacia chi? Giulia c'è...ma sarà il moro o il biondo?? tatata!!! los coprirete leggendo!
Un bacio e buona lettura!!!
 

 

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CAPITOLO SESTO "L'attimo prima del bacio"

 

La mattina dopo, come promesso, i ragazzi arrivarono puntuali, sotto le istruzioni di Edo, alla spiaggia su cui eravamo. Ci accomodammo tutti insieme sotto la tenda, che ci ospitava tranquillamente tutti e sette, dato che Alessandro era dovuto tornare a casa dalla sua ragazza per ripartire di nuovo con lei per la Spagna.

Ovviamente nonostante fossero le due ed il sole picchiasse forte, quei quattro non rinunciarono ad una partitella sul bagnasciuga. Valentina insistette per andare insieme a loro, così per non rimanere isolate; in realtà voleva solamente ammirare quei bei ragazzi. Come darle torto?

Mentre loro giocavano noi ci eravamo sdraiate sulla sabbia umida e ci lasciavamo sciacquare i piedi dalla schiuma bianca delle onde che si infrangevano a riva.

Seguirli non era stata poi così una cattiva idea, l’unico problema era che io non riuscivo a staccare gli occhi da quel ragazzo dagli occhi scuri. Mi attraeva quello sguardo magnetico, ma di lui sapevo veramente troppo poco ed ero consapevole che alla fine il carattere conta molto di più dell’aspetto. Però in quel momento era complicato distogliere lo sguardo da quella bella visione.

“Ti guardava” mormorò Vale al mio orecchio ridacchiando.

“Chi ti dice che non stesse guardando te o Vittoria?” risposi scettica.

E va bene, ero il pessimismo fatta persona, ma sinceramente ne avevo tutti i motivi per esserlo dato che avevo una vita sentimentale più disgraziata di quella di Briget Jones.

“Fidati della zietta” gongolò allegra alzandosi in piedi.

Sorridente mi porse una mano e l’altra a Vittoria, che l’afferrò velocemente issandosi su con un balzo, mentre io titubante la guardavo. Sospirai e mi alzai anche io seguendo entrambe le mie amiche in acqua. Vale indossava un costume marrone con due ciondoli a forma dei stelle marine ai laccetti dello slip, mentre Vittoria un bel bikini bianco, che le faceva risaltare la pelle abbronzata. Tra di noi era quella con il fisico migliore, gambe lunghe da modella e pancia piatta, l’unico suo problema era quel seno piatto che lei definiva una tavola da surf. Io le invidiavo le gambe e lei la mia terza abbondante.

Fui trascinata in acqua dalla mia amica e quasi non caddi a faccia in giù quando un’onda mi colpì in pieno, bagnandomi completamente e facendo ridere Edo, che ne frattempo aveva interrotto la partita.

“Vi siete decise ad entrare” disse venendoci in contro.

“La vista era decisamente migliore da fuori” scherzò Vale.

Arrossii dalla punta dei capelli fino a piedi non appena tutti risero della battuta e gli occhi di Niccolò trovarono i miei.

“Vero Giulia?”

Ed ecco che avrei volentieri strappato la lingua a quella lingua lunga.

“A lei che importa? Tanto mi può vedere sempre” rise il biondo.

Mi venne vicino e mi strinse tra le sue braccia facendomi arrossire ancora di più. Ma non se ne rendeva contro che quella frase poteva significare qualsiasi cosa?

Se non fosse stato per il discorso della sera precedente mi sarebbero tornati mille dubbi sui suoi sentimenti verso di me. Invece ero tranquilla e sapevo che io ero solo la sua migliore amica, una sorella piccola da coccolare e dalla quale ritrovare rifugio nei giorni no. Però lo avrei preso volentieri a schiaffi in quel momento.

“E non è una bella vista” ridacchiai.

“Ma come? Brutta impertinente!” scherzò stringendomi ancora di più “ora me la paghi” ed eccolo che tornava il mio amico di sempre.

Si immerse nell’acqua portandomi con sé e quando tornammo in superficie io ero aggrappata a lui come un koala e ridevo stringendogli le braccia intorno al collo.

Intanto gli altri se la ridevano e Giacomo parlottava con Vale ridacchiando e guardando nella nostra direzione.

Ero certa che Vale ne stava combinando un’altra delle sue.

“Dai su facciamoci una partitella a pallavolo” intervenne Giacomo.

“Bravo, io faccio da arbitro visto che sono negata”

“Bè, tu sei negata in ogni cosa che possa essere definita sport” scherzò Vittoria.

Risi anche io, aggrappata ancora alle spalle del biondo, che stringeva le mia gambe intorno alla sua vita. Non che mi imbarazzasse, ma lo sguardo di Niccolò non mi permetteva di essere a mio agio come avrei voluto.

Vale parlava ed io non la stavo a sentire, o almeno fino a quando non ricevetti un pizzicotto da Edo.

“Siamo in squadra insieme. Scendi bertuccia”

Lasciò la presa sulle mia gambe ed io tornai in acqua, che mi copriva almeno fino ai fianchi. Guardai attentamente che tutto il costume fosse a posto e facesse il suo dovere. Non volevo incappare in situazioni poco piacevoli, come avevo già fatto in passato.

“Una ragazza per squadra, Nicco tu vai con loro” Giacomo indicò me ed Edo “Vitti, tu di là”

Capii subito cosa avessero confabulato quei due pochi attimi prima.

Ci spostammo fino a riva, dove c’era la piccola rete da pallavolo, l’acqua arrivava fino al ginocchio e permetteva di muoversi senza problemi. Vale si era sistemata a fianco del palo bianco per arbitrare, e le due squadre erano l’una di fianco all’altra.

Io ero in mezzo ad Edo e Nicco e mi sentivo quasi schiacciata dalle loro occhiate silenziose.

Finalmente iniziammo a giocare e tra risate e tuffi impossibili in acqua per prendere la palla ci stavamo divertendo veramente tanto.

Toccava a Vittoria battere e quando la palla arrivò dalla nostra parte cercai invano di prenderla correndo all’indietro fino a sbattere contro qualcuno e inevitabilmente cadere in acqua sopra di lui.

Erano quelli i casi della vita, che ti si presentano solo una volta, che se solo ci riprovi cento volte sai che non accadrebbe mai più.

Ero distesa su Niccolò.

“Sono così comodo?” ridacchiò alzandosi e portando anche me in piedi.

“Io...ehm…scusa” mi sistemai i capelli dietro le orecchie che bruciavano da quanto erano diventate rosse.

“Non fa niente”

Una sua mano mi sfiorò il braccio e non so se fu per quel soffio di vento fresco sulla mia pelle bagnata o qualcos’altro, ma un brivido freddo mi percorse la schiena come una freccia.

“Bene, nulla di rotto? Possiamo continuare?” chiese Edo.

Forse fu una mia impressione, ma mi parve di vedere il biondo lanciare un’occhiataccia a Niccolò.

Tornammo ai nostri posti e continuammo la partita fino a quando non fummo completamente sfiniti. Sotto la tenda ci stendemmo sotto il sole meno cocente del tardo pomeriggio ed io mi addormentai come una bambina sul lettino.

“Sono le sette…svegliati”

Mugolai rigirandomi sul lettino e qualcuno al mio fianco rise e poi mi sembrò di sentire qualcosa, ma non sentii tanto bene e né distinsi la voce.

Pochi attimi dopo qualcuno cercò di prendermi in braccio ed io aprii gli occhi trovando quelli azzurri di Edo.

“Mettimi giù…” borbottai “Sono sveglia. Ma quanto ho dormito?”

Mi stiracchiai sedendomi al suo fianco sul lettino.

“Due orette poco più” rispose guardando l’orologio.

“Perché non mi hai svegliata?”

“Dormivi così bene…e poi non abbiamo fatto molto, abbiamo parlato un po’, niente di più”

Annuii e mi guardai intorno, c’eravamo solo noi e le mie amiche. Dov’erano andati a finire gli altri?

“Sono andati a casa” freddo e conciso.

Non lo capivo. Erano i suoi amici e quando ce ne parlava era sempre molto gentile e li descriveva come compagni perfetti, ma da quando li avevamo conosciuti lui sembrava non poterli sopportare.

“Ok…” annuii.

“Ti ho svegliata perché volevamo andare…tirati su dai”

Ecco un modo per evitare un discorso.

Non vi badai e visto che avevamo finalmente fatto pace dopo le piccole e stupide litigate non mi sembrava il caso di chiedere spiegazioni per quel comportamento. Se aveva problemi con i suoi amici non dovevo certo preoccuparmene io.

Annuii senza aggiungere altro e mi vestii in silenzio lanciando un’occhiata alle mie amiche, che scossero le spalle con tranquillità.

Se contavo le volte che quel ragazzo cambiava umore non mi sarebbe bastato un intero papiro lungo cinque metri. Mentre camminava al mio fianco verso il parcheggio appariva teso e assorto in un suo pensiero, che ovviamente non mi era dato sapere. Anche se avessi chiesto non me lo avrebbe detto quindi feci l’unica cosa possibile: ignorarlo. In fondo se avesse voluto parlarmene io sarei stata lì ad ascoltarlo, questo lui lo sapeva fin troppo bene.

Però quel silenzio mi mandava in bestia, sembrava un buddista in meditazione. Rispondeva a monosillabi e quanto non veniva interrogato tornava a fissare un punto indistinto davanti a sé. Avrei dato una mano per capire cosa gli passava per la testa.

Nemmeno a cena parlò molto e l’unica cosa che gli sentii dire fu un commento sul mio abbigliamento. Ormai mi sembrava veramente mio padre. "Troppo scollato" "Troppo corto". Era estate e io per lui sarei dovuta andare a giro con il collo alto e una sciarpa.

Quella sera, nonostante Edo ne avesse poca voglia, saremmo andati ad un nuovo locale sul lungo mare aperto da qualche giorno. Ovviamente avevano concordato tutto mentre io mi ero appisolata sulla spiaggia.

Non mi dispiaceva uscire con quei ragazzi, ma questa cosa sembrava dare fastidio al mio amico. Perché?

Non sapevo darmi risposta. Quando ce ne aveva parlato sembrava veramente attaccato a loro, soprattutto a Marco, ma anche di Niccolò ne aveva sempre parlato bene e da quando li avevamo conosciuti anche noi tutto sembrava diverso. Ci doveva essere un nesso logico che collegasse il tutto e mi aiutasse a trovare una motivazione al suo strano umore.

Appena arrivati al locale finalmente Edo spiccicò due parole, ovviamente non con me, ma con i suoi amici.

“Che ha Edo?” mi sussurrò Vittoria all’orecchio mentre percorrevamo il viale d’entrata del locale.

“Non lo so…non lo capisco più” risposi.

“Secondo me ha paura di una cosa…insomma qui l’abbiamo capito tutti tranne te Giulia” intervenne Valentina “le occhiate che ti lancia Niccolò sono abbastanza evidenti e se non mi credi te ne darò una prova stasera e poi mi ringrazierai”

“Vale…primo a Edo non importerebbe anche se Niccolò fosse interessato a me e qui passiamo al secondo punto, non è interessato a me!”

L’auto convinzione non era decisamente il mio forte e soprattutto desideravo fortemente che non fosse così.

“Se se”

Avanzò di alcuni passi e si unì al gruppetto di fronte.

Guardai Vittoria e mi sorrise divertita, consapevole anche lei che quando Valentina si metteva in testa una cosa nemmeno l’esercito romano sarebbe stato in grado di fermarla.

I tavolini bassi e neri erano tutti sistemati sulla terrazza e al piano di sotto c’erano il bar e gli altri tavoli sulla spiaggia. Era un bel posto e visto che eravamo di sopra la musica ci permetteva anche di parlare senza dover urlare per sentire le nostre parole.

Non so come finii a sedere in mezzo a Niccolò ed Edoardo e non seppi se fu un caso o più probabilmente un complotto della mia amica. Mi sentivo un topolino in mezzo a due gatti. Non riuscivo a capire perché Edoardo fosse ancora teso, quasi preoccupato.

Quella serata sarebbe stata veramente un inferno.

Valentina cercava di animare un po’ tutti, ma Edo rimaneva sempre e comunque il più silenzioso e io non ero da meno. Era stupida come cosa, ma non riuscivo a non pensare al motivo lo rendesse così poco loquace.

Ordinammo qualcosa e riuscimmo a passare due ore tranquille. Edoardo scherzava con me e con i suoi amici esattamente come avrebbe fatto giorni fa. Per me era splendido. Ovviamente non capivo ancora quei cambiamenti d’umore, ma non volevo certo sprecare una serata in compagnia rimuginando sul suo carattere strano.

“Chi mi accompagna al bar?” domandò Niccolò alzandosi.

Avrei voluto rispondere io, ma la mia dannata timidezza me lo impediva. Per fortuna esistono le amiche. O forse no?

"Giulia vai tu, noi abbiamo bevuto anche troppo" intervenne Valentina ridacchiando.

"Ok"

Mi uscì spontaneo perché volevo stare sola con lui, desideravo conoscerlo meglio. Però qualcosa mi aveva fatto tremare la voce.

Impegnata a fulminare la rossa notai a malapena lo sguardo di rimprovero che mi lanciò il mio amico.

Scendemmo le scale in silenzio, lui davanti a me ed io dietro. Non appena arrivammo al bancone ordinò da bere e mi chiese se anche io volevo qualcosa. Rifiutai gentilmente conscia del fatto che un altro bicchiere non lo avrei retto.

Scendemmo le scale in silenzio, lui davanti a me ed io dietro. Non appena arrivammo al bancone ordinò da bere e mi chiese se anche io volevo qualcosa. Rifiutai gentilmente conscia del fatto che un altro bicchiere non lo avrei retto.

“Quanto rimarrai qua?” domandò improvvisamente prendendo il bicchiere che il barista aveva poggiato sul ripiano nero.

“Penso altri due giorni” risposi imbarazzata.

Mi metteva in soggezione. Forse era quello sguardo profondo e nero, probabilmente era il suo modo di fare, gentile e dolce. Perché Edo me lo aveva descritto come uno poco affidabile quando in realtà mi sembrava così un bravo ragazzo?

Ero ingenua probabilmente. Troppo buona per pensare che qualcuno usi quel bel viso per secondi fini.

“Tu?” chiesi abbassando lo sguardo non appena i suoi occhi trovarono i miei.

“Domani torno a casa e la settimana dopo parto la Sardegna” spiegò camminando sulla passerella di pietra che tagliava in due la spiaggia fino al bagno asciuga.

“Bella. Ci sono stata anni fa…” dissi guardando il mare sempre più scuro senza le luci del locale.

Inconsciamente lo avevo seguito fino alle tende sulla riva.

“Che ne dici se ci sediamo?” domandò indicando le sdraio al nostro fianco.

“Ok”

Ci sedemmo l’uno di fianco all’altro. Lui sulla sdraio ed io sul lettino.

Ero imbarazzata nonostante non stessimo facendo niente e lui stesse parlando tranquillamente. Forse era l’atmosfera: la musica soffusa come sottofondo mischiata alle onde del mare che si infrangevano sulla spiaggia e le luci tenui che provenivano dal locale.

“Sei parecchio amica di Edo vero?”

La reputai una domanda strana, ma risposi ugualmente.

“Sì. È il mio migliore amico” affermai.

Niccolò sembrò pensare qualcosa e poi tornò a guardarmi.

“Solo amici?” domandò ancora.

“Direi di sì…è come un fratello per me”

Ancora non capivo a cosa puntassero quelle strane domande. Era più che palese che noi eravamo amici, grandi amici.

Il moro era assorto ancora in qualche pensiero, che mi teneva nascosto. Stavo decisamente prendendo in considerazione un complotto bello e buono di quei due ragazzi. Stavano cercando di farmi ammattire per caso?

Dopo quelle mie poche parole calò il silenzio e per me fu la fine. Non potei non guardarlo. Ammirarlo ancora una volta.

Mi piaceva. Quel viso dai lineamenti marcati e allo stesso tempo dolci mi facevano desiderare di sfiorarlo. Doveva avere una pelle liscia come il velluto. Ed i capelli. Neri come la pece. Avrei desiderato tanto toccarli, passarci le dita in mezzo.

Stavo diventando pazza. Ancora una volta mi ero invaghita di qualcuno che mi avrebbe fatta soffrire o mi avrebbe rifiutata. Sembravo attrarre quel tipo di ragazzi che amano definire le ragazze oggetti usa e getta.

Ma chi mi diceva che era realmente così?

Non potevo fare di tutta l’erba un fascio. Magari lui era diverso…

Che pensieri stupidi. Sembravo una ragazzina che crede ancora al principe azzurro sul cavallo bianco. Stupida.

“Ti fa freddo?” domandò ad un certo punto.

Era palese che lo domandasse. Il mio abito non copriva poi molto. Le spalle erano scoperte e anche metà della schiena, per non parlare delle gambe, che data la leggera brezza stavano veramente diventando due ghiaccioli. E dire che il freddo non mi dava noia.

“Non molto”

Un brivido improvviso mi tradì all’istante. Però non saprei dire se fu realmente il freddo o quello sguardo magnetico.

Senza dire niente si alzò dalla sdraio e venne a sedersi al mio fianco cingendomi le spalle con un braccio.

“Grazie” mi uscì spontaneo e lui mi sorrise.

“Non sarebbe carino lasciarti congelare…”

Mi voltai appena per sorridergli. Non ero abituata a quelle attenzioni da parte di un ragazzo che conoscevo da meno di un giorno. Era strano.

Incapace di rispondere cercavo invano di non fargli sentire il mio cuore impazzito.

“Ed è una scusa per starti vicino”

Mi trattenni da sgranare gli occhi, ma questa volta il cuore sembrava voler uscire dal petto.

Il culmine arrivò quando sentii la punta del suo naso sfiorarmi la guancia. Poi arrivarono le labbra. Erano veramente morbide e soffici come immaginavo e stavano solo sulla mia guancia. Chissà come sarebbe stato baciarlo.

Posava piccoli baci casti e tremendamente piacevoli. Erano un qualcosa che facevano desiderare di più.

Adesso c’era anche la sua mano, poggiata sul mio collo mentre il pollice carezzava la guancia sinistra.

Avrei voluto voltarmi e baciarlo, ma la mia timidezza mi costringeva a stare ferma, rilassata da quei baci dolci, ma pur sempre immobile.

“Posso darti un bacio?”

Ecco la domanda che avevo desiderato.

Non risposi a parole, annuii solamente e mi voltai nella sua direzione trovandomi a pochi centimetri dalle sue labbra.

L’attimo prima del bacio. Forse ancora più intenso dell’atto in sé. Quando sei lì che aspetti, che desideri di riceverlo e di donarlo. Quando il cuore sembra volerti scoppiare e quando pare perdere un battito quando le due bocche si incontrano.

Fu così per me.

Le mie mani non tardarono ad intrufolarsi tra i suoi capelli come avevano desiderato pochi minuti prima e quella di Niccolò si spostò sul mio fianco, mentre l’altra rimase sul mio collo a scostare le ciocche di capelli ribelli.

Era un semplice bacio a fior di labbra, come quello di due adolescenti che per la prima volta provano quella sensazione, timorosi e curiosi di osare. E noi osammo, concedendoci di più.

Le nostre lingue si incontrarono ed il bacio cambiò improvvisamente diventando più vorace e passionale. Senza accorgermene mi trovai mezza distesa sul lettino, con il ragazzo sopra di me attento ad non schiacciarmi. Carezze curiose vagavano sulla mia pelle senza osare e senza violare il mio corpo.

Per la prima volta mi trovai decisamente coinvolta e sicura di me stessa, così tanto da voler comandare il gioco. Morsi il labbro inferiore facendolo mugolare e poi ripresi a baciarlo con calma, quasi come a voler assaporare quel momento. E lui mi lasciava fare.

Nonostante fossi sdraiata su un lettino con un ragazzo che conoscevo pochissimo sembravo completamente a mio agio.

Niccolò si allontanò facendomi mugolare, ma quando le sue labbra tornarono a tormentarmi il collo lo perdonai immediatamente. Piegai la testa lasciandogli più spazio e non pensai alle conseguenze di quei baci e morsi sulla pelle. Sicuramente ci sarebbero restati dei segni.

Invece di restare impassibile cercai con la bocca il suo mento e lo morsi sensualmente. Quella ragazza non ero io. Ma la naturalezza con cui Niccolò compiva quei gesti mi aveva resa più audace e soprattutto tranquilla.

Volevo un altro bacio e senza che io lo chiedessi il moro mi accontentò lasciandomi nuovamente senza fiato.

Avrei voluto farlo durare per sempre.

Purtroppo non avevo la fortuna dalla mia parte. Il telefono iniziò a squillare e nonostante cercassimo di ignorarlo, quando iniziò a squillare anche quello di Niccolò dovemmo alzarci e rispondere.

Con uno sguardo dispiaciuto rispose al cellulare e si alzò allontanandosi di poco in modo che potessi sentire quello che diceva.

Cercai di ricompormi il più possibile, soprattutto la gonna del vestito, che non era più al suo posto. E dire che non me ne ero resa conto. Quel ragazzo mi mandava completamente in brodo di giuggiole.

Sentii distintamente poche parole e le altre sembrarono quasi ovattate, ma quando alzò la voce capii che stava litigando con qualcuno. Perfetto. Magari era la ragazza gelosa. Ma no, non poteva essere. Edo mi avrebbe avvisata.

Per mia sfortuna venire a conoscenza dell’interlocutore non fu piacevole. Era Edoardo.

“Cosa succede?” domandai ingenuamente.

Ormai aveva attaccato, ma mi mostrava ancora le spalle e non sembrava intenzionato a voltarsi.

“Vogliono tornare a casa” rispose pacato.

Non che dubitassi delle sue parole, ma era evidente che mi stava nascondendo l’altra parte della conversazione. Mi alzai dal lettino e lo raggiunsi parandomi di fronte a lui.

“Perché hai mandato a quel paese il mio migliore amico se ti chiedeva di tornare al tavolo?”

Edo era sempre stato strano con Niccolò e forse adesso ne avrei capito il motivo. Volevo saperlo.

Sostenni il suo sguardo il più possibile e mi stupii di vedere i suoi occhi abbassarsi prima dei miei.

“È complicato…e non penso che debba essere io a dirtelo”

Cosa c’era di complicato?

Sbuffai infastidita da quelle parole e probabilmente me ne sarei andata se non fossi veramente interessata a quel ragazzo.

“Tu dimmelo, poi giudicherò io”

Quei due onici neri mi scrutarono dubbiosi e poi le sue labbra si posarono sulle mie dolcemente e altrettanto velocemente si scostarono.

“Sappi che mi interessi sul serio…ti dico solo questo per ora”

Rimasi di stucco a fissarlo fino a quando non mi prese per mano e mi ricondusse dagli altri, che ridendo e scherzando si alzarono dalle sedie appena ci videro arrivare. Lasciò improvvisamente la mia mano, come se quel particolare potesse causare qualche problema.

“Finalmente…qui siamo tutti morti e domani io devo guidare fino a casa! So già che arriveremo tardi” sbuffò Giacomo.

“Non fare il rompi scatole!” esclamò Marco “Se fossi stato tu al suo posto saremmo tornati all’alba”

L’intero gruppo si mise a ridere tranne Edo, che serio stava poggiato alla sedia e guardava decisamente con occhi poco gentili il ragazzo al mio fianco. Valentina e Vittoria ridacchiavano parlottando rivolte verso di me, pronte a fare mille domande non appena ci fossimo trovate noi tre da sole.

“Bene…andiamo che sono stanca anche io?” domandai per scappare il prima possibile.

Inconsciamente non avevo pensato al secondo significato delle mie parole e quando Giacomo stava per dire qualcosa di poco carino Edoardo lo fermò all’istante.

“Andiamo”

L’ennesima occhiata furente fu lanciata quando mi passò accanto, ma non era rivolta a me. Non capivo ancora quel suo comportamento, ma lo avrei scoperto presto.

Nel parcheggio ci salutammo tutti, chi più calorosamente chi meno. Quando arrivò il turno di salutare Niccolò non seppi come comportarmi, ma fu lui a chiarirmi le idee con un bacio dolce sull’angolo destro della mia bocca.

Che significato poteva avere aggiunto alle parole di poco prima?

Forse non era poi così meschino come lo aveva descritto Edo. Però probabilmente ero caduta ancora una volta nella loro trappola, fitta di parole dolci e gesti gentili.

Ingenuamente ci ero caduta ancora una volta.

 

A casa l’aria era più tesa che mai. Le mie amiche capirono subito che non sarebbe stato tanto appropriato farmi domande in quel momento e si rifugiarono in camera lasciandomi sola con Mr. Cambio-Umore-Ogni-Cinque-Minuti.

Chiusi la porta e mi diressi in bagno per cambiarmi e soprattutto constatare come stesse il mio collo. Come previsto c’erano due macchie rosse, tonde come due ciliegie ed impossibili da nascondere.

Ovviamente importava poco. Persino un allocco avrebbe capito che non eravamo spariti un’ora per discutere dell’inquinamento atmosferico.

“Vedo che non si è trattenuto”

Una voce decisamente strafottente mi fece voltare verso la porta del bagno. Il mio amico se ne stava con le braccia conserte e la faccia tesa, con un’espressione poco amichevole.

“Che c’è? Non si bussa più?” risposi scocciata.

Scosse la testa e se ne andò lasciandomi lì come un’ebete.

Mi doveva delle spiegazioni e me le avrebbe date. Lasciai stare il fatto che ero in biancheria intima e che fossi ancora truccata e gli corsi dietro.

“Spiegami qual è il tuo problema!” sbraitai esasperata da quel comportamento strano.

“Vuoi saperlo?” chiese teso come una corda di violino.

“Sì”

“Ti avevo spiegato che non era il tipo per te! E tu cosa fai? L’esatto contrario di ciò che ti avevo detto! Come del resto ha fatto lui…giuro che se ti fa soffrire lo ammazzo” ringhiò poggiando una mano al muro.

“Non ho bisogno della tua protezione sai? So cavarmela da sola…” cercai di essere decisa, ma le ultime parole mi morirono in bocca.

“Non è questo il punto” sbuffò avvicinandosi “Lo conosco Giulia…lui vuole arrivare solo ad una cosa. Non è il tipo adatto a te. Tu non puoi essere una ragazza da una botta e via…”

Erano parole preoccupate, ma non avevano senso. Lui non doveva proteggermi da tutto o sarei diventata una bambola di porcellana sotto una campana di vetro.

A me Niccolò piaceva e se anche avessi sbagliato sarebbe stata comunque una mia scelta, non avrei avuto rimpianti.

“Forse ti sbagli” mormorai.

“No.”

“Sono libera di scegliere ciò che voglio senza che tu mi faccia da supervisore lo sai?”

Al contrario di Niccolò, con Edo non riuscii a mantenere un contatto visivo. I suoi occhi chiari mi schiacciavano a terra senza via di fuga.

“Io voglio solo vederti felice” accarezzò la mia spalla nuda portandomi più vicina “non raccattare il tuo cuore a pezzi”

Nonostante quel suo comportamento mi facesse infuriare, quando mi trovai stretta nel suo abbraccio non mi opposi. Sapevo che lo faceva per il mio bene e anche se sapevo che qualsiasi altra persona a quel punto gli avrebbe urlato in faccia, io non ne ero capace.

Poche volte in vita mia avevo litigato con qualcuno in maniera pesante. Lasciavo scivolare via le cose sulla mia pelle come se non fosse accaduto niente e solo per non perdere una persona cara. Magari sbagliavo, ma io all’amicizia ci credevo e ci tenevo.

“Devi lasciarmi andare…fammi sbagliare, non sono così fragile come credi” mormorai sulla sua camicia.

“Non sopporterei di vederti triste”

“Magari non accadrà…”

“Lo conosco troppo bene” replicò deciso.

“Tu non intrometterti. Lasciami decidere, magari picchierò la testa, ma non dovrò dare la colpa a te, solo a me stessa”

Sciolsi l’abbraccio e alzai lo sguardo per notare quella maschera di tensione e pensierosa. Ero grata a chiunque mi avesse donato un amico così premuroso e dolce, ma non volevo che diventasse un angelo custode. Sbagliare fa parte della vita e nessuno può impedirci di farlo.

E comunque, non mi piaceva considerare Niccolò uno sbaglio.

“Ok…”

Mi baciò la testa ed uscì fuori.

“Dove vai?” domandai.

“A fumarmi una sigaretta”

Annuii e lo vidi prendere le chiavi della porta per uscire in giardino, mentre io tornai in bagno.

Non mi tornava questo nuovo atteggiamento di Edo. Era troppo diverso dal precedente, anche se questo senso di protezione nei miei confronti lo aveva sempre avuto, in quel momento sembrava moltiplicato.

Non ci volevo pensare.

Quando mi infilai sotto le lenzuola ero sola, Edo era ancora fuori e ne fui contenta dato che il mio cellulare iniziò a vibrare.

 

Nicco

Grazie per la splendida serata. Spero che sia la prima di una lunga serie.

Buona notte…un bacio

Ps: ringrazia la tua amica per il numero

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Capitolo 7
*** Un giorno ti dimenticherai di me ***


 

 

Di solito pubblico il pomeriggio presto, ma oggi ho avuto una giornata piena

Ringrazio come al solito tutti e vi lascio il capitolo perché sono stanca morta!

 


CAPITOLO SETTIMO "un giorno ti dimenticherai di me"

 

Addormentarsi con un sorriso e svegliarsi altrettanto di buon umore non aveva prezzo. Era stato il ticchettio della pioggia sul cotto intorno alla casa a destarmi da quel piacevole sonno e nonostante il mal tempo, sul mio volto c’era stampato un sorriso spontaneo. Sorridevo alla pioggia.

Lasciai il biondo a dormire beatamente aggrappato alle lenzuola e sgusciai fuori all’aria aperta. L’aria umida e fresca era un vero paradiso.

Probabilmente giorni fa mai e poi mai avrei gioito nel vedere un acquazzone in piena regola mentre passavo dei giorni al mare con gli amici. Però in quel momento non mi importava.

Come ero andata a letto cullata da quell’unico messaggio, al mio risveglio ne trovai un altro, che mi rese ancora più felice.

Sbagliavo. Ne ero consapevole purtroppo, ma stupidamente pensavo che le persone non potessero ferirmi solo perché per me era inconcepibile farlo. Non tutti erano come me.

Ma se Edo avesse avuto ragione non avrebbe cercato il mio numero e non mi avrebbe ricercata. Giusto? Non potevo esserne certa. Sperare in fondo non era un errore così irrecuperabile.

Se il mio umore era decisamente buono c’era sempre una piccola parte di me che non riusciva a stare serena. Sentivo che tra me ed Edo c’era come un muro, che piano piano stava aumentando la sua altezza, mattoncino per mattoncino. Ero consapevole che tutte quelle preoccupazioni erano dovute ad un legame speciale, e ne ero grata che esistesse, ma non era giusto attaccarmi in quel modo solo perché non riteneva Niccolò il ragazzo giusto per me. Mai avevo pensato che Gemma fosse quella adatta a lui, ma non gli avevo detto che era uno stupido a pensare il contrario.

La sincerità è indispensabile per l’amicizia, ma quando ci si intromette nella vita altrui il limite viene oltrepassato. Edo era andato oltre di un bel pezzo.

Anche se alla fine tutto si fosse concluso come aveva predetto non significava che l’avrei ringraziato. Gli amici non servono per dire “te l’avevo detto”, ma per consolarti nei momenti difficili, per gioire con te quando la vita sembra andare per il verso giusto.

Ed ecco che la mia felicità non si dimostrava altro che una maschera che nascondeva la tristezza dovuta a quel piccolo battibecco con il mio migliore amico. Se tutto fosse dovuto ad una mia colpa mi sarei scusata immediatamente, ma questa volta io non avevo niente per cui scusarmi. Era stato lui ad aggredirmi.

Sbuffai rivolta al cielo nero come se fosse ancora notte, nonostante fossero le undici di mattina, poiché quelle nuvole ricoprivano l’intero orizzonte come un manto scuro ed inquietante.

Decisi che era meglio tornare dentro se non avessi voluto prendermi il raffreddore, ma nel momento in cui mi voltai indietro vidi Edo sedersi al tavolo della cucina con la sua sigaretta mattutina.

Da quanto era lì? Il cilindro bianco era quasi del tutto sparito, quindi era stato dietro a me, in silenzio, da almeno qualche minuto.

Non mi aveva salutata e dalla sua espressione si vedeva che era pensieroso e titubante. Anche il modo frettoloso con cui spense la sigaretta nel posacenere era un chiaro segno che non era tranquillo, ma che qualcosa lo turbava.

Basta. Ci tenevo troppo a lui per perderlo a causa di un litigio stupido. Però non sapevo cosa dire né cosa fare dato che la mia unica colpa era aver baciato un ragazzo che mi piaceva.

“Non ce la faccio a vederti così” esclamò alzandosi e rompendo la tensione dei quel silenzio “Scusami. Ho sbagliato ad aggredirti” sospirò abbassando lo sguardo “Sono sempre della mia idea, ma hai ragione tu su una cosa: è la tua vita e non ho il diritto di dirti cosa devi fare. Tu con me non lo hai mai fatto nonostante fossi incappato nel mio errore più grande…”

Quello era il mio migliore amico.

“Scuse accettate” risposi pacata, felice che almeno avesse avuto la forza di parlarmi.

Non l’avrei mai creduto possibile data la sua testardaggine e quell’orgoglio maledetto proprio di ogni uomo sulla terra. Non era difficile chiedere scusa, ma per loro era come segno di inferiorità. Che stupidi, non capivano che era completamente diverso?

“Ma ti piace sul serio?” domandò guardandomi di sbieco.

“Edo!” sbuffai pensando che stesse nuovamente per entrare nel discorso della sera prima.

“Era una domanda…” dispose calmo.

“Ah…scusa. Ma sai dopo ieri non pensavo ne potessi parlare con calma”

Non è che avessi tutti i torti. Solo poche ore prima mi aveva urlato contro il suo disappunto e poi se ne usciva fuori con quella domanda. Una domanda che il mio migliore amico avrebbe fatto senza problemi.

Avevo sbagliato io stavolta.

Si sedette sulla sedia dove lo avevo trovato prima ed io rimasi appoggiata al bancone della cucina.

“Ti va un caffè?” chiesi guardando fuori dalla finestra l’acqua scendere giù senza sosta.

“Ok, ma sul serio Giulia…scordati di ieri sera e dimmi cosa provi, come se Nicco non fosse un mio amico. Come abbiamo sempre fatto”

Osservai quel sorriso accennato sul suo volto e annuii. Avevamo sempre parlato noi due, di tutto e di tutti, come due fratelli. Non c’erano segreti tra di noi.

“Mi piace la sua voce” iniziai timida “la sua sicurezza…i suoi occhi…” sorrisi al pensiero di quei due onici scuri che mi fissavano vogliosi.

“Sulla voce non ho obiezioni, ma i miei occhi sono dieci volte meglio” ribatté facendo il finto offeso.

“Questione di gusti”

“Hai gusti orribili” disse storcendo il naso.

“Parla quello a cui piacciono le bionde slavate e piatte come una tavola” lo rimbeccai.

Quella conversazione stava diventando un gioco divertente. Un prendersi in giro continuo al quale si aggiunse anche Vittoria, appena sveglia e con il portamento di uno zombie.

“Oh sì…la biondina era veramente insignificante” intervenne baciandomi una guancia dandomi il buongiorno.

“Avete finito?” borbottò indignato.

“No…” feci la finta pensierosa e lo guardai “Aveva anche il cervello di una gallina” conclusi.

L’occhiata che mi lanciò doveva essere furente, ma uscì più una faccia buffa. Vittoria aprì la porta e la richiuse all’istante quando vide la pioggia scrosciante sbuffando evidentemente poco contenta del tempo.

“Non tutti hanno buon gusto come la nostra cara amica”

Vale fece il suo ingresso in cucina dicendo la sua e dirigendosi subito verso l’aroma di caffè, che proveniva dalla moka ormai gorgogliante.

“Allora tesoro? Raccontami tutto!” esclamò entusiasta.

Edo sbuffò poco concorde con la mia amica e sentii nuovamente quella sensazione fastidiosa di distanza.

“Vale…” sospirai.

“Dai! Dopo che Giacomo mi ha svegliata nel pieno della notte chiedendomi il tuo numero per lui avrò il diritto di sapere cosa vi siete detti! Vi rivedrete??” pregò sbattendo le sue lunghe e folte ciglia castane.

Nonostante potessi apparire imbarazzata non era così. Ero preoccupata per la reazione del mio amico, che sicuramente non avrebbe gradito quei discorsi e non sarebbe stato nemmeno tanto entusiasta di venire a sapere che Niccolò si era fatto vivo.

“Ieri notte…prima di dormire Vale, ma niente di più” le spiegai omettendo il messaggio di quella mattina.

“Bene no? Perché quella faccia da funerale allora?” chiese confusa.

Semplicissimo. Avevo paura di dover litigare ancora con Edo, che finalmente sembrava aver capito il suo ruolo di amico e provava a restare dentro i limiti.

Lo vidi accendersi una seconda sigaretta sbuffando il fumo nervoso massaggiandosi una gamba. Sembrava cercare invano una distrazione da quei discorsi.

“Dai Giuli, è perfetto per te! Non è vero?”

La domanda era rivolta a tutti, ma rispose l’unica persona che non avrei mai pensato.

“De gustibus…” fu un sussurro impercettibile.

Edo si alzò ed uscì fuori sotto la pioggia dirigendosi sotto l’ombrellone ampio sotto il quale c’era un tavolo di legno ed alcune sedie. L’unico posto ancora asciutto all’aperto.

“Avete litigato?” chiese Vale mettendo il caffè nelle tazzine.

“Un po’ ieri…ma abbiamo chiarito. Almeno spero. Non lo capisco più” dissi esasperata accasciandomi sulla sedia con poca grazia. Mi presi la testa tra le mani e lasciai scivolare anche quella verso il basso fino a quando la mia fronte non incontrò la superficie liscia della tavola.

“Io sono sempre della mia idea” puntualizzò Vale.

“Ma no, altrimenti non sarebbe andato con quella Ludovica” intervenne Vittoria.

“Non so…potrebbe essere una via di fuga quella di passare da una all’altrra…sono uomini, non sono molto intelligenti” nonostante fosse una cosa seria sorrisi appena alle mie due amiche.

“Così spieghi quella faccia che fa ogni volta che nominiamo Niccolò!” disse Vittoria mettendo lo zucchero nella tazzina.

“Ha paura che non sia adatto a me…” sospirai.

Era assurda quella ipotesi ed ero decisa ad escluderla a priori. Quello lo avevamo chiarito, o almeno mi sembrava. Non ero certa di niente.

Edo mi sembrava diverso, ma erano solo momenti, perché poi tornava il mio migliore amico; quello scherzoso e premuroso.

“Vedremo…sappiamo già che potremmo fare anche cento ipotesi e magari non azzeccare quella giusta…” decretò Valentina sedendosi di fronte a me “Quello che mi interessa adesso è sapere che cosa hai fatto ieri sera per un’ora intera piccola pervertita”

Strabuzzai gli occhi. Come mi aveva chiamata?

Quasi mi andò di traverso il caffè quando mi sentii chiamare in quel modo e la risata della mia amica contagiò anche me per un istante.

Al contrario di loro due io mi preoccupavo per lo strano comportamento di Edo e non avevo il coraggio di chiedergli cosa stesse accadendo. Due giorni fa mi aveva detto di aver bisogno di me, che non era facile per lui quel momento ed io gli avevo creduto. Gli credevo ancora.

“Un bacio” risposi piatta.

“E basta?” chiese delusa.

“Vale lo conosco da due giorni! Che pretendi?” esclamai un po’ offesa.

“Dai ha ragione…sappiamo com’è fatta no? Aspetta il principe azzurro…e forse è arrivato”

Vittoria mi capiva, era molto simile a me, non amava le avventure di un paio d’ore e via. Lei se stava con qualcuno era perché era interessata e non per semplice puro passatempo.

“Il principe che finalmente la…”

“Vale non essere volgare!” Vittoria la zittì prontamente prima che potesse dire un’oscenità.

Ma in fondo ci eravamo abituate all’espansività di Valentina. Quel che le passava per la testa doveva dirlo e non usava mezzi termini, lo diceva a basta.

Mentre quelle due discutevano sulla poca raffinatezza di linguaggio di Valentina io sporsi la testa per vedere cosa succedeva in giardino. Pioveva ancora e forse con più impeto di prima, ma Edo era ancora lì sotto all’ombrellone con la sua sigaretta tra le mani.

Non riuscivo a starmene lì quando lo vedevo in quello stato. Mi alzai ed uscii sotto la pioggia, scalza e con solo un misero pigiama in dosso.

Quando arrivai di fronte a lui, Edo non fece altro che alzare la testa e poi riabbassarla meccanicamente.

“Vuoi morire di broncopolmonite? Poi come faccio senza di te?” scherzai.

Mi lanciò uno sguardo che mi fece capire che l’ironia non era gradita in quel momento così mi accucciai davanti a lui sui talloni per guardarlo in faccia.

“Cos’hai?” domandai seria.

“Non ho niente…”

Come se ormai non lo conoscessi quel ragazzo. Niente per lui era tutto.

“Edo…” sospirai.

“Te l’ho spiegato no? Sulla spiaggia…ho bisogno di te ed ho paura che qualcuno ti allontani da me…”

Se le mie mani non fossero state arpionate alle sue ginocchia sarei caduta con il sedere a terra.

Da quando Edo era così spontaneo e si apriva così facilmente?

Aveva paura di perdermi…

“Nessuno potrà mai farlo lo sai” dissi sicura.

“Quando troverai un ragazzo mi lascerai da parte vedrai…” sorrise nervoso e mi posò una mano sulla mia "Un giorno ti dimenticherai di me"

Si portò indietro il ciuffo con l’altra e mi guardò intensamente. Quegli occhi azzurri mi fecero venire un brivido lungo la schiena. Quello sguardo era troppo intenso.

“Non lo farò mai” replicai.

“Staremo a vedere”

Con attenzione si alzò portandomi con sé. Mi cinse la vita con un braccio e parandomi alla meglio tornammo in casa.

Con quelle parole non aveva certo archiviato il discorso, ma solo rimandato ad un futuro prossimo. Era come una scommessa insulsa. Mai avrei messo Edo da parte…

Ma mai dire mai no? Soprattutto se non è solo l’amicizia a metterci lo zampino, ma anche l’amore.

 

Il cielo non accennava a volersi aprire per far spazio al sole e visto che le previsioni prevedevano pioggia per qualche giorno decidemmo di tornare a casa, anche se a malincuore. O almeno una parte di me era triste, ma l’altra era euforica perché mentre imboccavamo l’autostrada avevo ricevuto un messaggio di Niccolò.

 

Nicco

- Ciao bellissima. Come va al mare?

 

Il mio cuore stava superando i limiti di velocità concessi in qualsiasi strada, e tutto solo per una parola. Era stranissimo sentirsi così euforica per un piccolo gesto quasi insignificante. Chi ha detto che i piccoli gesti sono i migliori aveva pienamente ragione.

 

Giulia

- Stiamo venendo via perché diluviava…

 

Nicco

- Allora ti propongo una cosa. Che ne dici di andare a cena io e te stasera?

 

Sorrisi incapace di trattenermi. Era come se in quella macchina ci fossi solo io, come se il resto del mondo fosse solo una nebbia fluttuante. C’ero io, il cellulare ed il messaggio che mostrava il display.

Che rispondere? Non so se ero pronta per andare a cena fuori con un ragazzo appena conosciuto. In fondo sapevo così poco di lui. Ci eravamo baciati, però non ci eravamo detti niente se non qualche sporadica parola. Passare del tempo soli sarebbe servito a conoscerci. Stavo con il cellulare in mano ed un’espressione che la diceva fin troppo lunga sul mio stato d’animo.

“Hei ci sei?”

Mi girai di scatto verso di lui, che calmo guidava sotto quella coltre di pioggia. Per fortuna doveva stare attento alla strada e non si voltava più di qualche secondo verso di me. Non so perché, ma preferivo non dirgli niente di Niccolò. Avevo sempre paura di vederlo arrabbiato ed io non volevo litigare con lui.

“Sì” annuii poco convinta.

“Sembri spremerti le meningi per arrivare a capo di un enigma impossibile. Cosa ti ha scritto?”

Sgranai gli occhi incredula. Perché era certo che fosse proprio Niccolò quello con cui stavo scambiando messaggi?

Ed ora ero di fronte all’ennesima decisione: dirglielo o mentire? Tanto prima o poi sarebbe venuto a saperlo, soprattutto se avessi accettato l’invito a cena.

“Mi ha chiesto di uscire” lo mormorai, come se sperassi che quelle parole non gli giungessero alle orecchie.

Purtroppo arrivarono, anche troppo distintamente. Lo vidi stringere i pugni sul volante per poi cercare di rilassarsi e mettere su una faccia neutra, che non faceva trasparire niente.

“Bene…”

Perché sembrava tanto il contrario?

“Dunque?” chiese voltandosi un attimo “Che hai risposto?”

Abbassai lo sguardo sentendomi perforare dai suoi occhi color ghiaccio ed iniziai ad attorcigliarmi una ciocca di capelli intorno all’indice.

“Niente…insomma prima devo sentire i miei…”

Avevo detto una mezza bugia. Non avrei mai chiesto ai miei genitori il permesso di uscire con Niccolò. Nonostante con mia mamma avessi un rapporto decisamente molto amichevole e aperto non le avrei mai detto di lui prima che la cosa fosse diventata seria. Che poi…lo sarebbe diventata? Lo volevo? Nella mia testa c’era troppa confusione. Nemmeno avrei avuto avere questi dubbi ed invece volteggiavano come un uragano impazzito.

“Se ti dicono di sì?” insisteva.

“Ci vado”

Ero stata troppo brusca ed infatti il panorama iniziò a scorrere più velocemente.

"Bene…" fu un sussurro gelido.

Cadde il silenzio, quello che trasudava tensione da ogni poro. Io non avevo voglia di litigare ancora e nonostante fosse molto infantile e da codardi non ero la sola ad esserlo perché Edoardo rimaneva in silenzio come me ed in più stava stritolando il volante, tanto che le nocche divennero bianche.

Ma perché faceva così? Sapeva che non l'averi mai abbandonato e che gli avrei voluto bene lo stesso. Lo consideravo al pari dei miei cugini, che erano come fratelli e le cose non sarebbero mai cambiate. 

Ringraziai qualunque cosa mi avesse fatto passare quella mezz'ora terribile e quando arrivò il momento di salutarsi ci scambiammo uno sciatto ciao e poi scappai sotto la pioggia, con il mini trolley e un nervo per capello. La mia vita non poteva essere stabile? Se una cosa sembrava andare bene per forza l'altra doveva precipitare in un baratro per compensare? Niccolò mi aveva chiesto di uscire ed ero al settimo cielo, Edo mi teneva il muso. I miei nervi non so quanto avrebbero retto.

Entrai in casa con i capelli ed i vestiti umidi perché ci avevo messo ore a trovare le chiavi nel fondo di quella borsa maledetta e come se non bastasse venni travolta da Damon, che mi leccò tutta la faccia contento di vedermi.

"Sono a casa!" urlai.

"Ben tornata tesoro" 

Mia mamma sbucò dalla cucina con gli occhiali sul naso ed un libro di dolci in mano. Stava sperimentando una delle sue nuove torte.

"Com'è andata? Vi siete divertiti?" domandò premurosa.

"Sì…tranne per la pioggia" borbottai togliendomi la felpa leggera gettandola sul trolley.

Mi chinai per accarezzare la testa al mio cane, che felice iniziò a scodinzolare e poi andai in cucina. Trovai ciotole con uova, farina, cioccolata, pere e chissà quant'altro sistemati sul bancone e come sempre inzuppai il dito nell'impasto per sentirne il sapore. Buonissima.

"Ti piace? E' con il cioccolato e le pere" 

"Buonissima" risposi.

Damon puntava i suoi occhioni azzurri sui pezzettini di pera e come al solito gliene passai alcuni. Mi poggiai al tavolo e mentre mi giravo una mela verde tra le mani pensai che era meglio parlare subito. Anzi mentire.

"Mamma Gemma è tornata, stasera esco con lei va bene?"

"Ma sei tornata adesso!"

Ed ecco che iniziava con la solita storia: non stai mai a casa.

"Non la vedo da giorni dai" feci la mia faccina da cucciolo, che solitamente funzionava più con mio padre "torno presto!" 

Le strinsi le bracci intorno alla vita mentre sistemava le fettine di pera tutte in cerchio nello stampo circolare cercando di farle dire sì. In fondo era severa, ma mi faceva sempre fare ciò che volevo, anche se per convincerla era un'impresa. Però io quella sera volevo rivederlo.

"Oh, e va bene. Ma a cena stai a casa!"

Sapevo fin dall'inizio che non avrebbe concesso altro e io puntavo ad uscire, anche solo per dieci minuti, così le baciai una guancia e scosciai via dicendo che dovevo disfare la valigia.

Salii in camera mia seguita ovviamente da Damon, che non accennava a volermi fare da ombra, ogni mio passo era seguito da uno suo. Gettai la valigia sul letto ed iniziai a togliere le poche cose che avevo riportato, praticamente solo ciò che avevo sporcato. Portai tutto nella lavanderia e riposto il trolley in mansarda corsi in camera per prendere il cellulare.

Volevo chiamare Gemma, ma prima risposi a quell'ultimo messaggio di Niccolò dicendo che ci saremmo visti dopo cena, sempre se a lui andava ancora. Avevo aspettato quasi un'ora prima di rispondere.  Il responso arrivò pochi minuti dopo: positivo. Mi aveva detto che ci saremmo visti alle dieci in centro, al bar nell'angolo di Piazza del Comune. Frequentavamo gli stessi posti eppure non ci eravamo mai incontrati.

Sorridente rilessi quelle parole fino a farmi vedere sfocato lo schermo del cellulare. Decisi di chiamare Gemma, ma dopo una decina di squilli non rispose nessuno, in compenso qualcuno suonò il campanello.

"Giulia vai tu, io ho ancora le mani infarinate!" urlò mia madre.

Agganciai e corsi giù per aprire la porta. Quando vidi la persona che se ne stava in piedi di fronte al cancello mi prese il panico. Era Gemma. Che mi sarei inventata con mia madre?

Mentre lei mi salutava agitando la mano io cercavo una scusa plausibile. La mia migliore amica chiuse l'ombrello e si rifugiò in casa dandomi un bacio sulla guancia.

"Gemma assecondami, dopo ti spiego tutto!" la supplicai e nei suoi occhi chiari brillò una strana luce.

Solitamente era lei quella che mi diceva sempre quella frase e forse sentirla pronunciare dalla mia bocca le sembrò così strano che il suo cervello ideò chissà quale spiegazione ingarbugliata.

In quel preciso momento udii la voce di mia mamma.

"Chi è?"

"Gemma mamma. Visto che per cena non posso uscire è venuta lei qua, poi ci cambiamo e andiamo in centro" mentii.

Intanto stavo tentando di sfuggire al terzo grado salendo le scale velocemente e spingendo la mia amica a fare lo stesso, ma ovviamente non si può scappare alla curiosità di una madre. Gli avevo detto che sarei suscita con lei dopo cena e poi se la vedeva arrivare dieci minuti dopo.

"Ciao Gemma"

Eccola apparire come per magia.

"Ciao Daniela" rispose la mia amica con la sua faccia cordiale. A volte sembrava un angelo.

"Avevo intenzione di ordinare le pizze, come la preferisci?" 

"Una semplice margherita andrà benissimo, grazie" 

Vedevo Gemma trattenersi, ma la sua curiosità traspariva dai suoi occhi e trovò in fretta il modo di scappare in camera mia.

"Giù devi stamparmi un modulo per l'iscrizione, ho la stampante rotta" si voltò verso di me e sorrise.

"Ok, vieni" le dissi ringraziandola "mamma chiamaci quando arrivano ok?"

Detto questo fuggimmo letteralmente in camera, chiudendo la porta dietro di noi per evitare ascoltatori indesiderati. Gemma si sdraiò sul letto, ma non prima di aver fatto una carezza a Damon, che gradì come suo solito. La mia migliore amica si alzò mettendosi a sedere a gambe incrociate sulla coopera azzurra e riordinando i capelli biondi si mise a fissarmi come un detective in cerca della soluzione del caso.

"Sputa il rospo" mi congelò con i suoi occhi verdi "Con chi esci tu stasera?"

Sospirai e presi posto al suo fianco sul letto.

"Con un ragazzo che ho conosciuto al mare…è un compagno di squadra di Edo"

Mi pentii due secondi dopo di aver pronunciato quel nome, ma non parve far effetto sul viso di porcellana di Gemma, che rimase calmo, anzi il suo sorriso si allargò così tanto che pensavo si sarebbe spezzata in due.

"La mia piccola cresce!" esclamò allegra buttandosi tra le mie braccia e facendomi capitolare sul materasso insieme a lei.

"Ma che dici??" involontariamente iniziai a ridere vedendola fare altrettanto.

"Dai finalmente qualcuno si è reso conto di quanto sei speciale! Sperando che non sia un coglione! Com'è? Sono curiosa! Entra su Facebook e fammi vedere!" 

Parlava a raffica, euforica come l'avevo vista poche volte. Gemma era una persona che avrebbe dato l'anima per te, ma non lo dimostrava mai e quindi era strano per me vederla così.

"Non so il suo cognome…" mormorai sconsolata.

"Tu accendi, quanti Niccolò ci potranno essere tra gli amici di Edo dai?" 

Mi stupii anche di come parlasse così disinvolta del suo fresco ex ragazzo. Ma forse si era resa conto che era solo affetto e che quindi non c'era da struggersi il cuore, avevano semplicemente fatto la scelta più giusta.

Annuii e presi il portatile.

Le mail di notifica erano una dozzina e tra le tante c'era anche una richiesta d'amicizia. Quella di Niccolò.

"E' lui!" esclamai.

Era parecchio che il cuore non sobbalzava in quel modo. Sembravo una ragazzina alla sua prima cotta, che gioiva anche solo per uno sguardo fugace oppure un sorriso rivoltole.

"Non ha perso tempo eh?" ridacchiò lei dandomi una spintarella.

"Scema"

Accettai senza pensarci due volte e poi entrai nell'album fotografico esasperata dalle continue richieste della mia amica.

"Sappi che la sorellina approva" sghignazzò Gemma "Ma raccontami cosa avete fatto al mare su! Baci?"

Mi aveva letteralmente buttata sul letto prendendo in grembo in portatile per scorrere nei vari album, alcuni delle vacanze al mare, altri della squadra, ma quelle che mi colpirono di più furono quelle con due cuccioli di pastore tedesco insieme ad un ragazzo che gli somigliava parecchio, forse suo fratello.

"Giuli parla invece di sbavare" mi rimproverò ridacchiando.

"Sì, ci siamo baciati una volta…"

Iniziai a raccontare tutto tralasciando il piccolo particolare riguardante Edoardo, ma non ero sicura di poterne parlare con lei. Era da meschini fare una cosa del genere, ma proprio non ne avevo il coraggio. Gemma intanto ascoltava annuendo e facendo commenti ogni tanto, ma soprattutto ancora con il naso sullo schermo a ficcanasare.

"Ok…" sospirò lasciando finalmente perdere quelle foto e puntando lo sguardo su di me "sembra preso, ma non buttartici di testa! Non perché debba per forza concludersi in tragedia, però meglio prevenire e non voglio che un imbecille ti usi solamente!"

Gemma era sempre stata protettiva nei miei confronti e soprattutto molto diretta, senza mai un pelo sulla lingua mi diceva cosa pensava. Non sempre faceva piacere, ma le invidiavo quel suo lato.

"Tranquilla, ci vado piano"

Niccolò mi piaceva molto, ma la fiducia è una cosa che si conquista col tempo ed il fatto che il suo passato non fosse quello del bravo ragazzo non aiutava molto a farmi stare sicura. Eppure in quello sguardo scuro ci avevo visto sincerità quando aveva detto che gli interessavo. Altrimenti perché l'avrebbe dette quelle cose? La risposta era semplice, ma io non volevo crederci. 

"Ok, ma intanto facciamo perdere la testa a questo bel morettino stasera!" 

Il luccichio folle nei suoi occhi mi spaventò fin troppo e quando andò in direzione dell'armadio le mi paure divennero realtà. Aprì le ante e  spostando il peso del corpo da un  piede all'altro osservando attentamente gli abiti appesi mentre io restavo a gambe incrociate sul letto ad aspettare il caos che ci sarebbe stato in quella camera da lì a poco.

"Non piove più quindi opterei per un bel vestito e un golfino nel caso facesse fresco…" iniziò a frugare alla ricerca di qualcosa che le piacesse "ma a te non fa mai freddo" farfugliò fra sé.

Magari visto che dovevo uscire io potevo almeno dire una parola, ma quando partiva così era impossibile contraddirla. Infatti gettò sul letto almeno 5 vestiti, due paia di pantaloni, tutti i top presenti nel mio guardaroba e una serie di camice. 

"Iniziamo con il vestito rosso…le scarpe…tacco?"

"No, rischio di cadere per terra e fare una figuraccia con la fortuna che ho" farfugliai a fatica mentre mi toglievo la maglia "e poi i miei sandali preferiti li ho scordati al mare"

"Ok, allora le ballerine nuove? quelle color crema che mi piacciono tanto?"

Annuii guardandomi allo specchio appeso dietro la porta: abitino rosso fuoco con spalline e scollo a barca, in vita una cinturina laccata di bianco. Non mi piacevo, nonostante tutti dicessero che alle more il rosso donasse molto.

"Prova questi con questa" disse la mia amica studiando viari abbinamenti possibili "ah e metti questo" mi passò un mio reggiseno nero in raso.

La guardai in tralice facendole capire che non era il caso, ma senza dire niente Gemma mi buttò tutto tra le braccia e non volle saperne di una risposta negativa. Tolsi l'abito e misi i jeans scuri con quel reggiseno e la camicetta in velo nero che sistemai accuratamente dentro ai pantaloni. 

Ok, non ero affatto male, ma decisamente nessuno sano di mente si sarebbe mai messo in testa di uscire così per un appuntamento in centro. Discoteca sì, per un appuntamento no.

"No" era tassativo.

"Hai ragione" concordò la mia amica "ti parlerebbe guardando venti centimetri sotto alla tua faccia!" scherzò con un abito chiaro tra le mani "Su, prova questo, che secondo me è perfetto per la serata" 

Mi porse un vestito color crema che nemmeno ricordavo d'avere.

"Perfetto no?" mi chiese una volta indossato.

In effetti era adattissimo, né troppo elegante né troppo sportivo. Era dello stesso colore delle ballerine e lo scollo a barca con le maniche corte un po' a sbuffo era veramente carine. Sotto il petto una fascia ricamata dello stesso colore e poi la stoffa si allargava leggermente. 

"Sì" annuii osservando il riflesso allo specchio.

"Bene, allora ora mangiamo e poi ti trucco io! Sai che mi piace da matti" disse con gli occhi che le brillavano.

"Gemma mi pare o sei più euforica di me?" ridacchiai.

"Certo, la mia piccola sorellina finalmente si è trovata il ragazzo" me la ritrovai con le braccia al collo in meno di un secondo "come poteri non essere entusiasta?"

"E poi dici a me di non correre?" scherzai.

"Senti se non si accorge di come sei speciale è un cretino!" disse seria guardandomi dritto negli occhi.

Non che non fossi felice di quella reazione, ma considerarlo già il mio ragazzo complicava il fatto di non "farsi castelli in aria". Ed io ero una con la fantasia che galoppa come un mustang libero nella prateria.

Eppure ero consapevole che sognare a volte faceva male, ma per me vivere senza sogni era come non avere aria per respirare. 

 

La cena passò relativamente veloce dato che Gemma mangiava come un uccellino, praticamente niente, ed io per l'agitazione, che invano cercavo di nascondere, avevo lo stomaco chiuso. Nonostante mia nonna continuasse a ripeterci apprensiva di mangiare un altro spicchio né io né la mia amica toccammo altro. Ci congedammo con la scusa che dovevamo uscire presto per andare a prendere le altre e ovviamente ci dovevamo cambiare.

Indossai i vestiti preparati prima e poi scappammo a casa di Gemma, dove dovetti combattere con tutte le mie forze per non farmi truccare troppo pesantemente. Alla fine ci riuscii e ottenni un trucco leggero e quasi invisibile. Erano già le 10 ed io ero in ritardo. 

Io non ero mai in ritardo!

"Ti vuoi muovere?" urlai frugando in borsa per vedere se avevo preso tutto.

"Mi muovo sì!" rispose con calma "Mica hai visto le mie chiavi?" 

La fulminai impalandomi sulle scale.

"Scherzo" mise le mani avanti ridacchiando "eccole qua"

Saltai gli ultimi due scalini con un'euforia tale che stentavo io stessa a riconoscermi. Ero completamente andata e Gemma si divertiva a farmi saltare i nervi.

Salutai i genitori della mia amica e montate nella cinquecento bianca partimmo per il centro. 

Gemma aveva insistito tanto per accompagnarmi che alla fine non avevo potuto dirle no. Lei c'era sempre stata nei momenti importanti della mia vita e anche se questo in confronto era una sciocchezza lei voleva esserci. E ammettiamolo, era curiosa di vedere di chi mi ero presa una bella cotta.

"Ricapitolando…" iniziò mentre io cambiavo stazione alla radio "io mi fermo alle Bigo e tu vai avanti fino a piazza del comune, ma ti avviso, sbircerò!"

"Ok" dissi poco convinta, sperando che non facesse una delle sue solite improvvisate.

"Le altre tanto saranno già lì"

"Cosa?" esclamai stupita.

"Mica posso stare sola no?"

Forse il mio cervello era veramente partito per le vacanze. Pensavo sul serio che Gemma se ne sarebbe stata seduta ad un tavolino tutta sola per l'intera serata? 

"Giusto…"

Mi aspettava una lavata di cervello da quelle tre, che quando si coalizzavano diventavano il mio peggiore incubo. Io, la piccola e dolce Giulia con le tre arpie. Loro, che da anni mi raccontavano le loro esperienze ed io che me ne stavo zitta ad ascoltare non avendo niente da raccontare se non qualche bacio con Stefano. Ero la loro piccolina. Non mi chiamavano così solo perché ero nata praticamente a fine anno, ma perché tra di loro ero quella ancora…diciamo poco esperta. 

Mai una volta mi avevano fatto pesare niente. In fondo cosa c'era di male nell'essere ancora come mamma mi aveva fatto?

Niente. Ecco cosa.

"Hei, ma ci sei?" 

Vidi una mano sventolarmi di fronte agli occhi e ripresi le mie facoltà mentali tornando alla realtà.

"Uhm?"

"Ok, siamo arrivate" mi informò sbrigativa.

Scesi dalla macchina e quel ventilino fresco che la pioggia aveva portato mi entrò nelle narici portando con sé quell'odore particolare, superbo e favoloso. Amavo l'odore dell'aria dopo un temporale.

"…e rilassati" mi sussurrò all'orecchio posandomi una mano sulla spalla.

Rilassarsi. La faceva facile lei.

Era bella, alta e bionda. Non molto formosa, anzi era magrissima, ma i suoi occhi chiari bastavano ad intrappolare chiunque. Io invece ero una semplice ragazza, dai capelli castani, occhi di un marrone piatto e scialbo e un corpo non da buttare, ma nemmeno perfetto.

"Se ti ha chiesto di rivederlo significa che gli interessi" sentenziò avanzando verso la piazza "gli uomini sono semplici, siamo noi che li complichiamo con le nostre paranoie. Ti cercano: gli interessi. Non ti cercano: non illuderti, non accadrà mai niente tra di voi." spiegò la sua teoria come se tutto fosse semplice.

In effetti lo era. Aveva ragione su tutta la linea.

"Giusto…" borbottai.

"Lo so" sorrise compiaciuta.

Si fermò d'un tratto e mi resi conto che eravamo già arrivate a destinazione. O meglio, lei era arrivata.

"Vai, le altre non ci sono ancora, ma non tarderanno e così io posso sbirciare un pochino" 

"Vado"

Ero diventata monosillabica.

Dovevo sciogliermi o quella serata sarebbe stata un disastro.

"E sorridi, mica vai al patibolo!" scherzò la mia amica tentando di rilassarmi.

"Grazie Gemy" 

Sorrisi dolcemente e mi incamminai sperando di trovarlo ancora lì. Ero in ritardo di quindici minuti. Poco per molti, troppo per me che solitamente ero puntualissima, casomai in anticipo.

La Piazza era piena di ragazzi, che finita la scuola si godevano la libertà concessa, ma per me era come se ci fosse un'unica persona. Quel ragazzo dagli occhi scuri più della notte e con il sorriso più bello che avessi mai visto. Era ancora meglio di come lo ricordavo.

Avanzai spinta dal bisogno di raggiungerlo, come due poli di una calamita che non possono fare a meno di attrarsi.

Quando anche lui mi vide si scostò dal muro e venne verso di me e in pochi attimi ci trovammo l'una di fronte all'altro.

Ero imbambolata come un'ebete, lui si limitò a sorridere e poi si chinò verso di me per darmi un bacio dolce all'angolo della bocca.

"Ciao"

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Capitolo 8
*** Conoscersi ***


Oggi sono puntuale ^^ Godetevi il momento, quando i capitoli conclusi finiranno non sarà più così e siete libere di maledirmi quanto volete! (ma tranquille, ne mancano ancora un bel po')

Oggi sono in vena di chiacchere! Quindi inizio con i ringraziamenti per chi ha lasciato un commento. Può sembrare banale, ma vi assicuro che aiutano molto nella scrittura e soprattutto aumentano la voglia di continuare a scrivere! Scrivo soprattutto perché mi piace, ma è bello sapere che ci sono alcune persone che ti seguono e che apprezzano ciò che fai.

Ovviamente grazie anche a chi mi ha inserita tra le seguite, ricordate o preferite! Grazie anche a voi silenziosi che leggete! Se avete un minuto fatemi sapere se vi piace o no ^^

Ora basta, altrimenti risulto noiosa!

          Volevo lasciarvi un link se volete vedere i volti dei personaggi: 

CLICCATE!

 

 


CAPITOLO OTTAVO "Conoscersi"

 

Non avevo nemmeno immaginato un saluto così. Lo avevo sperato, ma sicuramente non avrei mai pensato che avrebbe potuto avverarsi. 

Un solo giorno e quel ragazzo mi era mancato più del dovuto. Sarebbe stato bello se fossi stata certa di cosa provava lui nei miei confronti, ma così, all'oscuro di tutto, mi sembrava solo un grosso sbaglio. Insomma, chi mi diceva che non fossi la sua prossima preda? Mi stavo facendo influenzare troppo dalle parole di Edoardo forse.

"Ciao" sussurrai timidamente.

Non che non fossi contenta di vederlo e soprattutto entusiasta del caloroso saluto, semplicemente ne ero sorpresa.

"Come stai?" chiesi ancora immobile.

"Adesso meglio" 

Alzai gli occhi per guardare quel sorriso a metà, splendido e soprattutto intrigante.

Le donne erano proprio matte. Chi diceva che non amavano il rischio si sbagliava di grosso. Niccolò non aveva propriamente la faccia del bravo ragazzo, anzi era l'esatto contrario. Eppure quell'essere libero ed impossibile da catturare attraeva. I suoi occhi furbi ti incatenavano a sé senza via di fuga.

"Cosa vuoi fare? Stiamo qua oppure preferisci andare da qualche parte?" domandò gentilmente.

"Decidi tu"

Sinceramente non avevo proprio idee e certamente il suo sguardo dritto su di me non aiutava a connettere i pensieri e soprattutto ad averne di coerenti.

"Allora scelgo io, a meno che tu non abbia niente in contrario andrei a Firenze"

Con quella faccia era impossibile dirgli di no. Poi cosa c'era di meglio di quella magica città? Solo passeggiare nelle sue piccole vie rinascimentali mi metteva di buon umore e ammirare i suoi edifici antichi, con enormi pietre grigie, e pensare alla storia che avevano vissuto mi portava letteralmente indietro nel tempo.

"Perfetto. Adoro Firenze" esclamai un po' più sciolta.

"Meno male, perché io ci vivo" rise con leggerezza.

"Davvero?" domandai stupita.

Constatai che sapevo veramente così poco di lui.

"Non in centro, sulle colline…" mi spiegò mentre ci incamminavamo. 

"Ma io non ho la macchina" dissi tra me e me a voce abbastanza alta da far sì che mi sentisse "cioè…non posso farti fare tutta questa strada, io abito…"

Non mi permise nemmeno di pronunciare un'altra parola.

"Non scherzare. Era ovvio che ti accompagnassi a casa" disse serio "ma tu qua come ci sei arrivata?"

"Bè…mi ha accompagnato una mia amica" risposi ingenuamente "non avevo pensato…sono una stupita, scusa"

"Scherzi vero?" mi guardò in tralice come se stessi dicendo una castroneria.

Non potetti non sorridere. 

"Grazie" 

Mi sorprese ancora una volta cingendomi per la vita mentre camminavamo nel parcheggio in una delle tante piazze della città. Imbarazzata lo affaiancavo a testa bassa guardando dove mettevo i piedi fino a quando non fui costretta a fermarmi dato che lui aveva fatto scivolare la mano sulla mia schiena e le luci della macchina ci avevano illuminato.

Rimasi a bocca aperta come un'ebete per qualche secondo di fronte a quella macchina. Sì, forse ero una delle poche ragazze che conosceva i modelli e capiva la differenza tra un motore diesel e uno a benzina, ma tutto era dovuto all'influenza di ben tre cugini maschi, di cui due cresciuti praticamente in simbiosi con me. Anche loro come me si sarebbero innamorati di quel gioiellino nero che mi stava di fronte. Una TTS Roardster.

"Prego" disse aprendo la portiera.

"Grazie"

Se fuori era bella dentro lo era di più. Alessio ed Enrico sarebbero impazziti per quell'auto.

Mentre allacciavo la cintura Nicco montava in macchina e mi guardò sorridendo quando io sfiorai con il dito le rifiniture in pelle del cruscotto e osservavo il navigatore posto al centro che ci dava il benvenuto.

Il traffico era quello di sempre, per fortuna era diluito dal fatto che molti erano già al mare e chi era rimasto in città non andava a giro con la macchina, ma preferiva di gran lunga passeggiare. Arrivammo nel centro e lo vidi percorrere il lungarno fino a quando non si fermò in prossimità del Ponte Vecchio, di fronte ad un cancello, che si aprì per immettersi in un giardino piccolo e carino. Scendemmo giù fino a giungere in un garage con tre portoni e come aveva aperto il cancello principale aprì anche quello con un pulsante rettangolare.

"Abiti qua?" domandai ingenuamente. 

Insomma erano pochi ad avere un parcheggio privato in quella città dove puntualmente era un bel problema trovare un posto per parcheggiare. E quello era certamente un posto privato di un'abitazione.

"No, questo appartamento lo usiamo io e mio fratello ogni tanto quando abbiamo bisogno di rimanere in centro" fece una pausa mentre spegneva la macchina "Prima dell'esame di maturità sono stato qua due settimane a studiare in santa pace"

"Capito" 

Se non avevo visto male quella era una di quelle case rinascimentali, rimesse a nuovo e divise in appartamenti. Ce ne dovevano essere tre dati i piani e i garage.

"Ma la nostra meta non era questa. Facciamo una passeggiata, ti va?" domandò richiudendo la portiera.

"Certo" 

Chiuse il bandone del garage e mi guardò sorridendo.

"Ti piace?"

Era ovvio che lo domandasse prima o poi, stavo praticamente analizzando la macchina da cima a fondo con gli occhi luccicanti.

"Sì, amo le macchine ed i motori stranamente" risposi.

"Perfetto" esclamò incamminandosi su per la strada  "allora magari potremmo anche fare un giro sulla mia moto più in qua"

Più in qua. Significava che ci sarebbe stato un futuro.

"Mi piacerebbe molto" gli confessai.

Sin da quando mio cugino aveva comprato la moto, di qualsiasi tipo essa fosse, io avevo sempre preteso di farci un giro, ovviamente come passeggero, perché per gli uomini erano più importanti della loro fidanzate e quindi mai me l'avrebbe ceduta, nemmeno per un minuto. 

"E così ti piacciono le moto?" domandò.

"Sì, soprattutto quelle da strada" specificai.

"Finalmente una ragazza che non mi urlerà di schiodarmi dal divano la domenica quando c'è il Moto GP!" esclamò solare.

"Io urlerò solo se non me lo fari vedere!" 

Niccolò rise allegramente e per la prima volta potei affermare che la sua risata era bellissima, come una melodia, per niente fastidiosa. Era ancora più bello quando faceva cadere quella maschera da cattivo ragazzo che ti inchiodava con un solo sguardo. Non che i suoi occhi neri non fossero bellissimi e magnetici, ma quando rideva si illuminavano di luce propria.

"Deduco che sei una sportiva" ipotizzò.

"Non esattamente, sappi che il calcio lo tollero poco. Al massimo i mondiali quando c'è l'Italia" ammisi.

Niente poteva farmi amare ventidue persone che correvano dietro ad una palla per novanta minuti. Insomma che c'era di così interessante?

"Per fortuna allora ho smesso di giocare" 

"Davvero? Non giochi più con Edo?" domandai curiosa.

Insomma Edo mi aveva detto di conoscerlo bene e pensavo che fossero compagni di squadra da molto.

"No, da due anni ormai. Ho iniziato a lavorare e ho dovuto smettere, anche se mi è dispiaciuto" confessò amareggiato.

"Pensavo studiassi ancora, insomma…a diciannove anni…" feci due più due "non hai diciannove anni vero?" chiesi imbarazzata.

Camminavamo lungo il marciapiede che costeggiava il fiume, illuminato da lampioni alti a tre braccia ed in quel momento abbassai gli occhi sapendo di aver fatto una figuraccia. Insomma per un uomo non era molto confortante sembrare più piccolo no?

"Ne compio ventidue a settembre" mi disse tranquillamente.

"Ops..be', scusami"

"E di che? fa piacere sembrare più giovani." 

Bene almeno non se l'era presa.

"Tu quanti anni hai?"

"Diciotto" 

"Piccolina la mia Giulietta" scherzò.

Si fermò sotto le arcate e mi strinse a sé. Il cuore iniziò a battermi come un orologio impazzito mentre Niccolò intrecciava le braccia dietro la mia schiena e lentamente avvicinava il volto al mio.

"Non so se te l'ho già detto, ma stasera sei veramente splendida" mi sussurrò sistemandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio sinistro.

"No…" mormorai chiudendo gli occhi.

Volevo assaporare ancora una volta quel sapore dolce che aveva la sua bocca, godermi la sua morbidezza e volare di nuovo in un mondo completamente mio dove c'eravamo solo io e lui. Dovetti attendere solo un secondo e le nostre labbra iniziarono a sfiorarsi lentamente fino ad allontanarsi lasciando il desiderio di qualcosa di più.

Sciolse il nodo che aveva fatto dietro di me con le braccia e tenendomi sempre stretta a lui ci accostammo al muretto sotto l'arco a sesto di quel portico splendido, rivolgendo lo sguardo al fiume e soprattutto alle numerose costruzioni sopra quel ponte magnifico e unico nel suo genere.

Il panorama era splendido, ma ancor più bello era colui che mi stava accanto. Io continuavo ad essere troppo timida e soprattutto taciturna, così decisi di fargli qualche domanda. Ero pur sempre curiosa.

"Che lavoro fai?"

"Geometra, lavoro in uno studio a Sesto."

"Bello, avrei voluto farlo anche io, poi invece ho frequentato lo scientifico, ma sarebbe stato più utile per ciò che voglio studiare" dissi un po' più sciolta.

"Che vorresti fare?" chiese lasciando scivolare la mano lungo la mia schiena per poi poggiare i gomiti sulla pietra del muro.

"Architettura"

"Sai che tra geometri ed architetti non c'è un bel rapporto?" disse sorridente.

"Magari potremmo essere l'eccezione che conferma la regola" mormorai fissando l'acqua verde sotto di noi.

I lampioni si riflettevano nell'acqua allungandosi e mescolandosi alle strutture sul ponte e oltrarno e nonostante quel panorama non mi fosse nuovo, in quel momento mi pareva tutto più bello.

"Senza eccezione non c'è regola dopotutto" scherzò.

Per una volta desideravo veramente essere quell'eccezione. Ci voltammo allo stesso momento e i nostri sguardi si incrociarono per un istante, ma non resistetti e dovetti abbassarlo.

"Hai voglia di un Yogurt? Qua vicino lo fanno buonissimo" propose.

Il tono gentile con cui lo disse mi indusse a rispondere di sì e poi amavo lo yogurt. Annuii e riprendemmo a camminare. Attraversammo il Ponte Vecchio, dove a quell'ora non aveva aperto i soliti negozi d'oreficeria, dalle cui vetrine riluceva l'oro giallo degli artigiani fiorentini, ma c'erano solo poche persone che vi passeggiavano ed i lampioni accesi. Parlavamo del più e del meno, di ciò che ci piaceva e ciò che invece non amavamo ed io mi sorprendevo di quante cose avessimo in comune. Più che lo conoscevo e più il mio muro di timidezza scendeva e lasciava spazio alla vera me, facendomi ridere senza pensieri, arrossire ad ogni complimento, ma soprattutto mi permetteva di parlare liberamente e dire tutto ciò che mi passava per la testa.

Prendemmo lo yogurt, che non mi permise di pagare, e tornammo sul ponte per sederci ai piedi del monumento al Cellini, in modo da avere una visuale completa del fiume, che però non guardai nemmeno un attimo.

"Non si vedono le stelle" mormorai mangiando un altro cucchiaino. 

"In città è difficile vederle, ma da casa mia si vedono molto bene. Chissà…magari un giorno puoi venire a vederle se ti va" 

"Grazie" 

Ogni volta che ipotizzava ad un possibile futuro inevitabilmente arrossivo e mi imbarazzavo. Era sbagliato sperare, ma come potevo farne a meno?

Le mie amiche erano sempre state fidanzate, la prima fu Valentina, e in quei due anni fu terribile vederla allontanarsi da noi ogni giorno di più. Non che lo facesse di proposito, era ovvio che volesse passare del tempo con il suo ragazzo, ma noi comunque ne sentivamo la mancanza. Poi era toccato a Gemma e lì le cose si complicarono ancora, si può dire che migliorarono solo quando Vale si lasciò. E' brutto dirlo, ma tra Vittoria, che occupata come sempre, usciva sempre meno e lei fidanzata io ero costretta a stare con Gemma ed Edo. L'eterna terzo in comodo. Erano miei amici, ma erano lo stesso una coppia e io ero quella sola. Sempre.

Che c'era di male a sognare di poter essere io quella con un ragazzo?

"Abiti lontano da qua?" domandai curiosa.

"Non molto" prese un altro cucchiaio e continuò "presente Piazzale Michelangelo?"

Annuii.

"Ecco, praticamente abito lì vicino, solo che casa mia non si vede molto bene dalla strada"

Ero una delle persone più curiose che il pianeta poteva presentare e lui mi incuriosiva più di qualsiasi altra persona in quel momento lui era ciò che mi interessava maggiormente. Avrei voluto chiedere di più, ma decisi di contenermi per non passare da quella che ficca il naso ovunque.

"Bello…" mormorai.

Giravo senza accorgermene il cucchiaino nella vaschetta rosa pastello, ormai vuota, dove il cioccolato rimasto si mischiava con il bianco candido dello yogurt. Il silenzio durò ben poco però.

"Direi che è finito" scherzò togliendomela dalle mani e alzandosi per gettarla insieme alla sua nel cestino.

Lo osservai attentamente. Mi piaceva il suo stile, quei pantaloni scuri gli fasciavano il fondoschiena alla perfezione e le spalle, non troppo larghe erano coperte da una camicia di lino bianco. Quando si voltò vidi che i primi bottoni erano aperti. In effetti faceva caldo, ma forse era la sua presenza. Gli stavo facendo una radiografia completa. Per fortuna non se ne accorse o fece finta di niente per non mettermi in imbarazzo.

"Che programmi hai per questa prima estate di libertà?" domandò sedendosi sul gradino vicino a me.

"Ancora niente…dovevamo andare in agenzia a vedere se c'era qualche occasione, ma chissà. Non troviamo un compromesso per la meta."

Sorrisi un po' amaramente pensando ai miei compagni di classe che se ne andavano ad Ibiza, Mykonos o Barcellona a divertirsi lasciandosi alle spalle intere giornate chini sui libri che hanno lasciato dietro un gran mal di schiena e tanto stress. Ed io? A casa. Sì, la casa al mare, tra divertimenti di ogni genere, ma era diverso.

"Tu? Cosa hai fatto l'estate della maturità?"

"Mykonos con altri quattro amici. Sono tornato a casa con un'influenza tremenda e un gran mal di testa che mi ha accompagnato per giorni interi"

La sua faccia mise su un sorrisetto che sembrava rimandare ad un ricordo piacevole e divertente. Ne fui gelosa, era come se dentro di me mi desse fastidio che lui avesse avuto un passato in cui io non ero compresa.

"Ma nonostante gli effetti collaterali è stata una vacanza fantastica" si voltò verso di me e la sua faccia si fece seria "Non è fra le vostre scelte vero?"

Alzai un sopracciglio sorpresa. Cos'era quella? La stessa strana sensazione che avevo provato io quando mi aveva detto di esserci stato e di essersi divertito. Quello che non aveva aggiunto era ovvio: tante donne.

"A dire il vero sì, o meglio, di Vale. Io proponevo Ibiza" 

A quelle parole alzò lui un sopracciglio.

"Non ti facevo una persona che frequenta quei posti" confessò "mi sembri così pacata e…"

Risi. Una risata spontanea. 

Io pacata era veramente una cosa incomprensibile. Avevo i miei momenti di pace, ma mi piaceva uscire, divertirmi con le amiche e anche se non ero una di quelle ragazze sfrenate e senza giudizio le mie piccole follie le avevo fatte, soprattutto con una spinta di Vale, che era la regina delle pazze.

"Che mi nascondi?" 

Rideva anche lui, ma il suo era più un mezzo sorriso curioso e bello da mozzare il fiato.

"Magari lo scoprirai conoscendomi" scherzai avvicinandomi a quel sorriso.

"Voglio proprio scoprirlo sai?" sussurrò sulle mie labbra.

Le nostre espressioni erano l'una lo specchio dell'altra, con una sola differenza: le mie guance bruciavano come due fuochi ed erano leggermente colorate di rosso. La somiglianza stava nella bocca. Labbra che si cercavano e si bramavano. Petali di rosa che si ricongiunsero per creare una rosa rossa e vellutata.

 

"Grazie del passaggio" 

"Dovere" rispose togliendo le sicure e spegnendo il motore.

"Tornerai tardi a casa…" mormorai sentendomi una stupida.

Certo non potevo sapere che stava così lontano da me. Anche se a quell'ora non avrebbe trovato il minimo traffico ci avrebbe messo trenta minuti buoni.

"Sono abituato"

"Domani però lavori" 

Mi sentivo tremendamente in colpa.

"Giulia…" scosse la testa e scese di macchina.

Lo vidi passare davanti al cofano e poi venire ad aprire la mia portiera facendomi scendere.

"Non preoccuparti va bene? ti ho chiesto io di vederci" 

Richiuse la portiera dietro di me e io mi appoggiai ad essa sentendomi ridicola stavolta. Mi facevo troppi problemi. A volte avrei preferito staccare la spina al cervello, scacciare via ogni ragionamento logico e illogico e ragionare un po' di più con l'istinto.

"Ok…" mormorai.

Una sua mano arrivò dolcemente a sfiorarmi una spalla e la trovai così calda e morbida. Risalì lenta sul mio collo e io lo inclinai di lato per assaporare meglio la dolcezza di quel gesto.

"Non mi lamenterò mai di fare chilometri per stare con te" il mio cuore perse un battito "e tu non ti devi preoccupare per me" posò lievemente le labbra sulle mie "mai…" un'altro bacio casto.

Mai. Mi concedetti a quel bacio spegnendo il pensiero.

"Ora vai…geometra" 

Ridacchiai poggiata a lui e mi resi conto che arrivavo più o meno al suo mento, mi alzai sulle punte e gli schioccai un bacio sonoro sulla guancia.

"Vado…buona notte Giulietta"

"Buona notte"

Quando le sue mani mi lasciarono provai un leggero senso di fastidio, che scomparve non appena il suo sorriso raggiunse il mio cuore.  Inconsciamente quel muscolo aveva già deciso per me, facendo le capriole al solo pensiero di lui. Il mio proposito di andarci con i piedi di piombo era stato accantonato in meno di un secondo. Ci ero caduta con tutte le scarpe.

Entrai in giardino e non badai nemmeno al fatto che Damon non mi fosse corso in contro come il suo solito. Ma in fondo era l'una passata e probabilmente lui dormiva già come un ghiro nella sua cuccetta. Visto che tutti probabilmente erano sotto le lenzuola cercai di fare il più silenziosamente possibile. Risi quando in punta di piedi passai di fronte alla camera dei miei e sentii distintamente mio padre russare come suo solito. 

Niente sarebbe riuscito a rovinarmi quella serata. Ero felice e nulla mi impediva di esserlo.

Mi lasciai cadere sul letto sospirando leggermente. Come se quel semplice sospiro avesse avuto la capacità di scacciare via da me il passato, quei giorni occupati da sogni ad occhi aperti, da baci fantasma che non c'erano mai stati, da amiche sempre entusiaste delle loro esperienze e dai discorsi ai quali puntualmente ero esclusa.

Quel senso di benessere che provavo era forse un'effimera illusione,  ma tanto valeva starci in quella bambagia, almeno fino a quando fosse durata.

 

Era ufficiale: non riuscivo a restare entro le mura di casa mia per più di un'ora.

Mi ero svegliata tardi e dopo pranzo Vale era venuta a prelevarmi con un'entusiasta e impaziente Gemma, per poi passare a prendere Vittoria. Essendo lunedì era tutto chiuso, ma a noi importava ben poco, bastava stare insieme e quindi ci accontentammo di una panchina in un giardino di periferia. Tranquillo e silenzioso, il posto giusto per le nostre chiacchiere confusionarie.

Sedute su quelle strutture in legno, con corde, scale e scivoli ridevamo come delle stupide alle battutine di Vale e soprattutto io sorridevo per l'interrogatorio delle tre vipere che chiamavo amiche.

"Quindi solo qualche bacio?" domandò delusa Vale.

"Che pretendevi? Che le saltasse a dosso dopo cinque minuti e che stamani si sarebbe svegliata nuda nel letto?" scherzò Gemma.

Sembrarono tutte immaginarsi la scena, compresa me e poi scoppiammo a ridere.

"Non è decisamente nel mio genere!" dissi ridendo "Mi piace, e non voglio che pensi a me come una da farsi e basta! Sbaglio ad andarci piano?" chiesi ingenuamente.

"No" risposero in coro "Ti conosciamo così bene…tu vuoi un ragazzo, non uno con cui sfogare i tuoi stimoli" all'ultima parola Vale fece il segno delle virgolette con le dita.

"Esatto, quella sei tu" esclamò Gemma.

Vale le diede una spinta e mentre noi ridevamo tanto da farci far male alla pancia lei fece la finta imbronciata. Ma se noi facevamo quelle battute era perché oramai ci conoscevamo così bene da sapere che non erano dette con cattiveria. 

"Dai, ma siete proprio sceme!" 

Vale persisteva con la sua faccia falsamente imbronciata ed ecco che di nuovo echeggiò nel parchetto la nostra risata spensierata.

Le osservai sorridere. I capelli biondo grano di Gemma le ricadevano sul volto e svolazzavano in qua e là come fili dorati da quanto erano sottili e lisci, le incorniciavano il viso ovale dai lineamenti dolci. Gli occhi chiari, del colore de ghiaccio brillavano sotto la luce di quel caldo pomeriggi di luglio ed il sorriso era uno splendido ornamento. Valentina teneva il labbro inferiore sporgente, nella tipica espressione imbronciata dei bambini, ma si vedeva benissimo che stava per scoppiare a ridere, la tradiva il suo sguardo allegro. Vittoria rideva a crepapelle, si reggeva ad una parete della piccola casettina in legno. Eravamo insieme, spensierate e allegre come non capitava da molto tempo. Per un motivo che riguardava l'una o l'altra c'era sempre qualcuna che aveva il morale a terra o semplicemente una giornata storta. Sempre insieme e pronte a darci una mano. Però era bello sentire le nostre risate fondersi in una sola.

"Giuggi ti squilla il cel" 

La voce di Vale mi riscosse dai miei pensieri e finalmente sentii la suoneria del mio cellulare e soprattutto vidi il nome sul display.

"Scusate rispondo e torno" 

Sorridevo tra me e me, era la prima volta che mi chiamava. Tra noi c'erano sempre stati solo messaggi. Scivolai giù da uno scivolo troppo piccolo e troppo breve per una della mia età e risposi non appena i miei piedi toccarono terra.

"Ciao" 

Perché la mia voce con lui sembrava diversa? Sembrava trasformarsi, era più bassa, quasi un sussurro.

"Hei disturbo?"

La sua voce era così tranquilla e serena. Così bella da farmi semplicemente sentire al settimo cielo.

"Certo che no" erano uscite così spontanee dalla mia bocca che non avevo fatto in tempo a frenarle, ma in fondo era la verità "ma tu…non sei a lavoro?" domandai.

"Sì, ma visto che sono in una vecchia cascina a prendere delle misure, mi sono preso cinque minuti di pausa per chiamarti" sorrisi "cosa fai?"

"Sono con le mie amiche in un giardino pubblico…"

Mi interruppe subito e sentii una risatina sotto i baffi.

"Chiacchere tra donne? Devo preoccuparmi?"

"Ma no, sono ragazze tranquille" mentii.

"Ti ricordo che ho conosciuto Valentina" mi ammonì.

"Ok, hai ragione…preoccupati" scherzai.

Chissà per quale ragione, ma passati pochi secondi già mi sentivo più a mio agio.

"Dunque parlavate di me?" 

Mi sembrò quasi contento.

"Ti lascio il beneficio del dubbio" risi.

Voltai un attimo la testa per vedere quelle tre affacciate alla finestrella come vecchiette appollaiate sui balconi a guardarsi in giro a farsi gli affari altrui. Feci la linguaccia a quel arpie ficcanaso e mi allontanai un altro po'.

"Il capo mi chiama" sbuffò infastidito "ti prego non diventare come questo architetto" questa volta rise.

"Su, geometra a lavoro!" 

"Che fai? ti alleni per il futuro?"

"Più o meno" 

"Ti chiamo quando esco. Un bacio piccola"

"Va bene. Ciao"

Lasciai che fosse lui ad agganciare e io rimasi lì, con il cellulare in mano e con quello stupido e piatto ciao che gli avevo detto. Io e la mia stramaledetta timidezza.

"Giulietta ha finito di parlare con il suo Romeo?" urlò Vale venendo verso di me.

"Sì"

"Bene, allora si va alla ricerca di una gelateria!" esclamò Vittoria sbucando saltellando dietro di lei.

"E andiamo…" 

Ci prendemmo tutte e quattro a braccetto e ci dirigemmo chissà dove con l'intento di trovare qualcosa aperto di lunedì pomeriggio.

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Capitolo 9
*** Delusa...dall'amicizia ***


Posto proprio allo scoccare del martedì! Domani non so se ho tempo, quindi ne approfitto :)

Grazie dei commenti, grazie a chi legge. Ormai vi sarò venuta a noia con questi ringraziamenti noiosi, ma sono veramente felice di vedere che la storia piace! *-*

Ho visto che tante hanno le preferenze e si spostano tutte su Edo -.-" mannaggia, succede sempre così! Ma che ha quel ragazzo? Vediamo se con questo capitolo cambiate idea. Così sembra che ce l'abbia con Edo, ma non è così…è il mio preferito ;) Infatti non so stare senza di lui ed in questo capitolo lo faccio ricomparire! 

Buona lettura! Bacio

 


CAPITOLO NONO "Delusa…dall'amicizia"

 

Ero diventata ciò che mi ero proposta di non essere mai. Ero decisamente troppo infatuata, non innamorata, non ci si innamora di una persona in due giorni, ma comunque ero presa. Se mi ero promessa di andarci piano, decisamente ero una bugiarda. Come trovarsi nelle sabbie mobili. Cadevo ogni giorno sempre più giù, nella sua morsa, con i granelli umidicci che si attaccavano ed entravano ovunque ed io me ne stavo immobile a lasciarmi trascinare giù, come se quel lento soffocamento fosse un piacere a cui non potevo sottrarmi.

L'amore è anche sinonimo di dolore in fondo. Quel che non avevo capito era che anche l'amicizia provoca sofferenza.

Era giovedì sera e me ne stavo sdraiata in giardino sul divanetto di vimini della veranda con Damon con la testa che penzolava dal bracciolo e la lingua di fuori per il caldo. Il detto tale cane tale padrona era sempre più vero. Io avevo sempre caldo esattamente come lui ed ero pure pigra come lui. 

Era una serata afosa, quelle in cui anche solo alzare un braccio mi faceva sudare e non aiutava il fatto di essere vestita con un leggerissimo abitino di cotone. Guardai il cielo che si tingeva di rosa e arancio. 

In una giornata come quella giorni addietro l'avrei passata con Edo, probabilmente in piscina, invece ero rimasta chiusa in casa a gironzolare senza una meta e con il cellulare al mio fianco. L'avevo chiamato quella mattina e non mi aveva risposto, avevo inviato un messaggio e anche a quello nessuna risposta. Non ci parlavamo o vedevamo da quasi quattro giorni. Un'eternità per noi. 

Anche mia madre se n'era accorta e puntualmente ogni giorno mi chiedeva come mai quel ragazzo biondo non fosse in giro per casa o io non fossi con lui da qualche parte. Ed io rispondevo con un'alzata di spalle perché nemmeno io conoscevo il motivo per cui non fossimo insieme e questo mi rattristava e nel contempo mi faceva venir voglia di sbattergli la testa contro il muro.

Vibrò il cellulare, disturbando il sonnellino di Damon, che guaì infastidito. Cercai tra i cuscini quel maledetto aggeggio e quando lo trovai mi stupii del nome che mi mostrava il display: Edo.

Si era degnato di rispondere con una sola frase, che mi fece in qualche modo perdere la pazienza.

 

Edo

- Ero impegnato…e stasera ho una partita.

 

Chiedere scusa no eh?

Scattai in piedi nervosamente. Era telegrafico nei messaggi, ma questo era proprio una presa in giro e non ci stavo a farmi prendere per i fondelli da lui. Non voleva vedermi? Ebbene gli avrei rovinato i piani.

Guardai l'orologio, erano quasi le nove e mezza e quella sera non avevo programmi perché le ragazze erano tutte occupate, chi per una cosa, chi per un'altra e Niccolò era tornato tardi da lavoro e io non volevo farlo venire fino a qua solo per qualche ora, anche se l'avrei voluto. Sarei andata a quella dannata partita e gli avrei chiesto cosa diavolo aveva contro di me per non farsi più sentire. 

Entrai in casa e cercai le chiavi della macchina urlando che sarei uscita con Gemma per qualche ora. Salutai frettolosamente e montai sulla mia piccola Mini bianca per raggiungere il campo di calcetto, dove sapevo si svolgeva il torneo. Avevo praticamente visto tutte le partite e ormai conoscevo a memoria il campo dove giocavano: campo 4 coperto.

Spensi il motore dopo aver parcheggiato nella stradina parallela al parcheggio del campo, ovviamente pieno, visto le stagione di tornei di ogni genere, scesi e mi sembrò di entrare in un forno a microonde.  Diamine erano quasi le dieci eppure faceva ancora caldo.

Tu hai sempre caldo...

Praticamente me lo ripeteva sempre e io lo prendevo in giro dicendogli che lui non aveva sangue nelle vene. Aveva avuto i brividi anche quando avevamo parlato l'ultima volta al mare.

Un giorno ti dimenticherai di me.

Aveva torto. Era stato lui a dimenticarsi di me, tanto da non chiamarmi per quattro giorni consecutivi.

Ho bisogno di te e ho paura che qualcuno ti allontani da me.

Imbecille. Sei tu il soggetto a quella frase. Io avevo provato a chiamarlo e in risposta avevo avuto uno stramaledetto silenzio di tomba. 

Entrai nello stabilimento, dove ragazzi e uomini di ogni età erano vestiti con le loro divise colorate, alcune così assurde da farmi quasi sorridere. O meglio lo avrei fatto se non mi ribollissero dentro quelle insulse false parole.

Vagai con lo sguardo lì intorno e riconobbi Federico, il capitano della squadra di calcetto, con la sua maglia blu, la fascia rossa già a fasciargli il braccio e i pantaloncini dello stesso colore, con due righe bianche orizzontali sui fianchi. Stava dando le presenze all'arbitro di quella sera. Un ometto basso e con la pancia, aveva un non so che di Costanzo e questo mi faceva venire i brividi, in più la divisa arancio e nera da arbitro lo faceva sembrare un grosso canotto.

Passai di fronte allo spogliatoio F e aspettai, appoggiata al muro, che anche il resto della squadra uscisse, ma soprattutto un ragazzo biondo che solitamente giocava in difesa.

Federico si accorse di me e mi salutò con un cenno della testa per poi continuare a parlare con il sosia brutto e piccolo di Costanzo. 

Il mio piede intanto tamburellava sullo zerbino verde, impaziente e scalpitante. Nemmeno sapevo cosa avrei voluto dirgli. Mi sarebbe venuto in mente sicuramente.

"Che ci fai qua?" 

Ecco il momento di farsi venire un'idea. Perché dannato cervello non funzioni quando servi?

"Hai detto di avere la partita" 

Decisamente non collaborava quell'organo maledetto. 

Scostai le spalle dal muro e salutai velocemente un paio dei membri della squadra, riconoscendo Giacomo, e poi tornai a guardare il mio amico.

"Sì…e perché sei venuta?" chiese posando un borsone a terra.

Frugò nelle tasche esterne cercando non so cosa e ignorandomi completamente, aspettando con poco interesse una mia risposta, che però non tardò ad arrivare.

"Perché non ci vediamo da domenica" dissi incrociando le braccia al petto.

Nel linguaggio de corpo significava protezione e anche se non ci avevo mai pensato prima dovevo ammettere che in quella situazione lo stavo facendo. Volevo proteggermi da quello sguardo piatto.

"Ho avuto da fare…te l'ho detto no?"

Passò la carta d'identità a Federico e iniziò a togliersi l'orologio e il bracciale d'argento con la sua iniziale sopra, che come ogni volta non ne voleva sapere di sganciarsi. O meglio era difficile farlo da soli.

Sbuffai e mi avvicinai prendendo il suo polso. In un attimo il bracciale penzolava nella mia mano e glielo porsi senza ricevere una grazie. Non che me lo aspettassi, ma non capii veramente cosa gli stava succedendo. 

"Me l'hai detto, ma farsi sentire no?" sbottai un po' nervosa.

"Sono uscito con i ragazzi…e tu eri occupata quanto me o sbaglio?" 

Forse fu una mia impressione, ma pronunciò quella frase quasi con disgusto. Ed io che ero andata lì per stare con lui, capire come mai non mi aveva chiamata e soprattutto sapere come stava.

"Sì" annuii "ma non significa che non debba più vederti" scossi la testa sconsolata sapendo che tanto avrei potuto dire tutti i vocaboli del vocabolario o fare un'orazione perfetta al pari di Cicerone e non sarebbe cambiato niente. Perché dovevo sprecare fiato?

"Immaginavo che preferissi stare con lui" disse dopo una lunga pausa.

Che potevo rispondere? Certo che mi piaceva stare con Niccolò, ma non avrei abbandonato un amico per un ragazzo. L'amore può anche finire, ma gli amici veri sono così rari che perderli sarebbe una stupidaggine.

"Voglio stare anche con te…come con Vale, Vittoria e Gemma…" mormorai "poi tu mercoledì vai in ritiro…io al mare, non ci vedremo per un bel po'! Dai Edo, non ti sono mancata nemmeno un pochino?"

Solitamente funzionava fare il labbruccio come i bambini e nonostante fossi andata lì con l'intento di…bè, a dire il vero non lo sapevo perché ero corsa al campo. O meglio volevo vedere Edo.

"Sì…" abbassò gli occhi e afferrò la borsa.

"Allora andiamo in piscina domenica? Dillo anche a Giacomo, penso che a Vale piaccia sai?"

"Ok…scusa, devo andare"

Annuii in silenzio aspettando di sentirmi chiedere se volevo restare, invece si avvicinò solamente per accarezzarmi i capelli. Si era chinato, come a volermi dare un bacio, ma forse avevo frainteso, perché quando la mano, posata sulla mia spalla scivolò via, sentii solo un ciao e poi il numero 17 stampato sulla sua schiena allontanarsi fino a scomparire dietro la porta del campo coperto.

Sapevo per certo che non mi avrebbe mai chiamata e che quindi l'avrei dovuto contattare io. Non mi aveva mai pesato essere la prima a fare il primo passo quando le cose mi interessavano, ma in quel momento mi sembrava quasi uno spreco di tempo. Era evidente che avermi visto quella sera non fosse stato per lui una gioia, ma quasi un fastidio. Forse gli ricordavo Gemma…sì, era certamente così. Dovevo solo aspettare. Mi era sembrato strano in fondo che si fosse dimenticato di lei così i fretta. Bastava essere pazienti. 

Eppure c'ero rimasta male. Lì, immobile, con le braccia distese, l'espressione vacua e sola.

Tornai indietro percorrendo la stessa strada, con emozioni diverse e un umore decisamente più sollevato, ma anche con un certo fastidio, un qualcosa che forse, con il passare del tempo, sarebbe diventata più di un prurito sopportabile.

 

Venerdì sera era arrivato in fretta e anche più di quello che avevo sperato. Nonostante avessi passato un pomeriggio sotto il sole cocente tra le vie di Firenze alla ricerca di un abito per il matrimonio di mio cugino più grade. Dopo ben nove anni di fidanzamento aveva deciso di sposarsi. Il 5 settembre. Mia mamma mi aveva trascinata per negozi per "farsi un'idea" così aveva detto quel giorno a pranzo. Risultato: quattro ore e nessun acquisto. Per meglio dire nessun acquisto relativo alla cerimonia, perché poi mi ero comprata una canottiera carina e una gonna di jeans, quelle che avrei indossato quella sera. 

Ero in ritardo. Sembrava che quando dovessi uscire con Niccolò la puntualità fosse scappata nella tana con il bianconiglio di Alice.

Guardai l'orologio e avevo solo mezz'ora alle dieci. Corsi per casa come una matta ricevendo urli da mia mamma, che mi diceva di andare piano perché aveva dato la cera al marmo e rischiavo di catapultarmi giù dalle scale. Non accadde propriamente quello, ma finii con il sedere a terra davanti alla porta del bagno nello stesso momento in cui il campanello iniziò a suonare. 

Non poteva fare uno squillo? Certo che non poteva! Avevo il cellulare in camera e per giunta silenzioso. 

"Mamma è per me! Non aprire!" urlai afferrando la borsa e scendendo le scale a velocità fin troppo elevata. Ringraziai qualunque cosa non mi avesse fatto schiantare contro la porta d'ingresso.

"Giulia chi è?" ecco mia mamma che non si faceva i fatti suoi.

Non è che non mi lasciasse privacy o cose simili, semplicemente era come me: curiosa. Da qualcuno dovevo pur aver ereditato quella sfaccettatura del mio carattere.

Cercai di catapultarmi fuori congedandomi con un frettoloso ciao, ma appena tentai di mettere le chiavi di casa in borsa venni raggiunta da mia mamma. Per fortuna papà era fuori per una cena di lavoro.

"Vittoria ha cambiato macchina?" domandò sporgendosi per vedere dalla finestra.

"Ehm no…" balbettai.

Cercai di raggiungere la maniglia, ma non ci fu verso. Tanto valeva affrontarla.

"Quella di Edo non è bianca?"

"Sì mamma. Infatti non è Edo" spiegai con poca voglia "È un mio amico"

"Quando me lo presenterai questo amico?" scandì bene quell'ultima parola facendomi quasi ridacchiare.

"Non lo so…ma ora posso andare? È lì fuori da quindici minuti mamma…"

Volevo sbrigarmi ad uscire, sia per sfuggire alle grinfie di quella donna, sia perché il ragazzo in questione mi era mancato in quei giorni. 

Non era in programma essere scoperta così. Non che fossi una di quelle che non raccontano niente in casa, non tenevo le mie cose per me, o meglio, lo facevo qualche volta quando ritenevo giusto non spifferare ai quattro venti gli affari miei, ma in quel caso non c'era niente da dire. Era presto presentare una persona che probabilmente non avrei rivisto neppure dopo le vacanze. 

"Ok, vai. Torna presto però. E…ti chiamo verso le undici"

Annuii digrignando i denti infastidita. Non avevo due anni e non era necessario controllarmi. 

"Ciao mamma" 

Sfuggii il più in fretta possibile sperando di non sentirmi richiamare una volta fuori. Ne sarebbe stata capace, anche solo per curiosità. 

Aprii e richiusi il cancellino entrando in strada dove Nicco mi stava aspettando poggiato alla macchina. Sembrava tranquillo e per niente infastidito dal mio ritardo.

"Scusami, sono stata intrappolata da mia mamma" 

Invece di arrabbiarsi iniziò a ridere. Alzai un sopracciglio stupita.

"Non voleva farti uscire? Ho così tanto la faccia da cattivo ragazzo?" scherzò aprendo lo sportello della macchina.

"Ma no…è buio, quella non l'ha vista" ridacchiai "Sto scherzando! voleva solo sapere chi sei" 

Mi stupii io stessa di quella scioltezza. Non ero una ragazza solitaria né poco incline alle amicizie, ma con i ragazzi ero tutt'altra persona. Vale mi aveva confessato che cambiavo persino tono di voce.

"E tu che le hai risposto?" domandò curioso.

"Bè…" non mi restava che dire la verità "un amico" mormorai tornando la ragazza timida di sempre.

"E se l'è bevuta?" chiese ridacchiando.

Intanto aveva acceso la macchina e stava svoltando in fondo alla via per poi tornare a guardarla.

"Mi sa tanto di no. L'unico ragazzo che è venuto a prendermi a casa è stato Edo…quindi penso proprio che domani mi metterà seduta e mi tempesterà di domande" 

In quel momento ridevo spensierata, ma non so quanto avrei riso il giorno dopo quando le mie supposizioni sarebbero diventate realtà. Conoscevo bene mia mamma e niente l'avrebbe fermata dal suo intento di scoprire la verità.

"C'era da aspettarselo…non sai mentire bene tu!"

Alzai un sopracciglio stupita. C'eravamo un'altra volta con il fatto di essere un libro aperto per tutti, ma non era quello che mi aveva fatto chiedere "perché?".

"Non siamo propriamente due amici no?"

"Be'…no…" 

Eravamo due persone con un'attrazione reciproca, che piano piano cercavano di conoscersi per scoprire se quel qualcosa che provavano si sarebbe trasformato in qualcosa di importante. Probabilmente avevano scelto il momento sbagliato: l'estate. Si sa che l'atmosfera estiva porta ad essere più libertini. Forse è quel senso di libertà, forse le vacanze con gli amici, forse semplicemente l'aria.

Niccolò sarebbe partito da lì a pochi giorni e io non potevo certo pretendere chissà cosa da lui, né fedeltà né promesse.

"Allora concordi?"

"Sì"

In due minuti non avevo formulato una risposta che contenesse più di due sillabe.

"Bene, perché tu mi piaci. Te l'avevo già detto questo" si passò una mano sul collo come imbarazzato "Sto bene con te, anche se sembra un po' presto affermare una cosa del genere dato che ci conosciamo da poco più di una settimana. Vorrei che tu mi facessi una promessa."

Rimasi ancora più spiazzata. Che promessa potevo fargli?

"Mercoledì mattina parto…te l'avevo accennato vero?" annuii lasciandolo andare avanti "potrà sembrare pretenzioso, ma non sopporterei l'idea di te con un altro adesso. Non stiamo insieme, ma preferirei che non frequentassi nessun altro, come del resto farò io…puoi farmi questa promessa?"

Dentro di me sentivo il cuore fare le capriole. Non era certo una dichiarazione d'amore eterno, ma era un passo avanti e soprattutto si era messo in gioco, aveva confermato il suo interesse nei miei confronti.

"Posso" annuii "l'avrei fatto comunque anche se tu non lo avessi chiesto" confessai.

Tra i tanti difetti che mi caratterizzavano non c'era quello della falsità e del tradimento. Ero sempre stata fedele, che si trattasse di amicizia o di amore. L'ultimo campo ancora era da sperimentare perché con le storie brevissime che avevo avuto non si poteva affermare niente. 

"Ma dove sei stata tutto questo tempo?" 

"Qua ad aspettarti penso" 

La risposta mi uscì fluida e sembrava presa da un film sdolcinato e così romantico da far venire le carie anche solo guardandolo per dieci minuti. 

Parcheggiò in centro senza che nemmeno me ne rendessi conto e tolta la cintura si sporse verso di me posando una mano sulla mia vita e una sulla mia nuca portandomi verso di lui. Aveva veramente uno sguardo perforante, quello tipico del ragazzo cattivo, ma che inevitabilmente attraeva le sue prede nella rete. In quel momento però pensavo solo a quella bocca dannata che mi stava trasportando in un altro mondo.

"Se continuiamo così rimetto in moto e ti porto a casa" scherzò sulle mie labbra.

Il mio corpo stava urlando un bel sì, il mio raziocinio invece mi convinse che era meglio uscire all'aria aperta sperando di calmare i bollenti spiriti.

"Ok, andiamo. Ma dove andiamo?" domandai scendendo.

"Che ne dici di quel bar dietro la Piazza del Comune? Ci si sta bene e non c'è confusione…e non rischio di trovare i miei amici, che sicuramente ci proverebbero con te" rise.

Lui non avrebbe rischiato, ma io sicuramente avrei trovato metà della mia ex classe del liceo, speravo con tutta me stessa di non trovare il gruppetto delle tre galline starnazzanti.

"Quelli con cui vai in Sardegna?" domandai incamminandomi.

"Quelli. Sono vecchi compagni di scuola. Un branco di animali, ma sono simpatici"

Mi prese per mano ed intrecciò le dita con le mie.

"Sai che uno ha il tuo stesso cognome? L'ho incontrato giusto poco tempo fa, eravamo grandi amici poi ci siamo persi di vista quando si è fidanzato, ma siamo usciti insieme qualche volta in questi ultimi tempi" mi informò.

"Davvero? Mio cugino ha la tua stessa età, ma dubito che sia lui dato che non abita a Firenze e nemmeno è geometra!"

"Io non ho abitato sempre lì…a dire il vero stavo nel paese vicino al tuo fino a sei anni fa e non ho sempre frequentato l'ITG, ho frequentato per un anno l'istituto tecnico"

"Ok…non dirmi che si chiama Alessio ti prego!" lo guardai speranzosa nemmeno so per quale motivo, in fondo cosa ci sarebbe stato di male? Ma la coincidenza sarebbe stata veramente eclatante.

Niccolò iniziò a ridere e tra una risata e l'altra sentii qualche "sì". Non ci potevo credere.

"Magari è un omonimo…" borbottai fra me.

"Ne dubito, in più ora che ci penso vi somigliate molto sai?" disse.

Ci sedemmo ad uno dei tavolini del bar. Erano tutti sistemati nella piccola piazza, sotto ombrelloni neri e grandi a cui erano appesi piccoli lampadari bianchi. La musica usciva dalle casse donando un'atmosfera piacevole, ma il volume non troppo alto permetteva di parlare senza problemi.

"Non è possibile" iniziai anche io a ridere.

A volte la vita era veramente stravagante.

"Davvero" disse lui.

In quel momento arrivò il cameriere, che ovviamente conoscevo dato che passavo molte ore in quel bar con le altre. Valentino sorrise ammiccando, non era un segreto che fosse gay, ma doveva decisamente smettere di spogliare Niccolò con gli occhi.

"Cosa vi porto?" domandò gentile.

"Io un martini, tu piccola?"

"Un coktail alla frutta…dolce" 

I tavolini erano quasi tutti occupati, alcuni da coppie di ogni età, altri da gruppetti di ragazzi e ragazzini. Tutte le volte che ero stata lì avevo fatto parte di quest'ultimo gruppo. 

"Insomma sei la cugina di Ale…mi farebbe piacere rivederlo ancora" disse Niccolò.

"Quando vuoi, penso che anche a lui faccia piacere. Ad agosto è sempre in Versilia con me, quindi se volessi venire a trovarmi quando torni dalla Sardegna…"

Lo stavo invitando da me, non potevo crederci.

"I miei zii e i mie genitori se ne vanno una settimana in Corsica e noi siamo soli…cioè siamo io, i miei cugini e la ragazza di Ale, ma Enrico praticamente lo vediamo solo a cena e a dormire!" ridacchiai nervosamente.

Ok. L'avevo veramente invitato a passare qualche giorno a casa mia. Senza i miei genitori.

"Perché no, magari due giorni al mare prima di tornare in ufficio non sarebbero male. Grazie"

Ok. L'avevo fatto.

I miei non l'avrebbero mai saputo in fondo, quindi non c'era niente di male, era come se fosse venuto Edo. 

Ma chi vuoi prendere in giro? Edo non è Niccolò.

Nel frattempo arrivarono le ordinazioni e questa volta insistei per pagare il mio, ma come sempre ebbe la meglio Niccolò.

"Sei sicura che posso venire?" domandò dopo aver bevuto un sorso.

"Certo…a me fa piacere"

Eccome se ero entusiasta. Il tremore della mia voce però poteva far capire altro, ma era solo timidezza.

"E come mi presenterai quando arriverò?" 

La domanda venne fatta mentre il suo corpo si spostava in avanti, le braccia incrociate sul tavolino e uno sguardo che avrebbe fatto svenire chiunque. Soprattutto mi tolse tutte le facoltà di rispondere.

Quella era una domanda che non poteva avere una risposta giusta o una sbagliata, ma rimanere in silenzio non era concepibile. In quel momento però sentivo solo la voce di James Blunt che cantava …. e la mente che ronzava alla ricerca di qualche parola da dire.

"Come vorresti essere presentato?"

Rispondere con un'altra domanda era meschino, ma non ero il tipo da fare il primo passo.

Dire che era un'amico era riduttivo, ma etichettarlo come qualcosa di più era eccessivamente prematuro. Non mi restava altro che aspettare una sua risposta.

Lo vidi alzare un sopracciglio per poi indossare una faccia piuttosto seria, pensosa. Probabilmente nemmeno lui sapeva trovare una definizione adatta a se stesso in quel preciso istante.

"Come Niccolò per adesso credo possa bastare"

Gli sorrisi consapevole che una risposta neutra era la più adatta. 

Assaggiai finalmente il mio coktail, che aveva un piacevole retrogusto di ananas e kiwi, e osservai le labbra di Niccolò posarsi sul bicchiere ormai a metà e soprattutto colmo di cubetti di ghiaccio. Era di una sensualità unica e se non fosse stato per quella vocina stridula che pronunciava il mio nome incessantemente lo sarei stata ad ammirare all'infinito, ma dovetti alzare lo sguardo per vedere una mia ex compagna di classe venirmi in contro.

Non ero una persona scontrosa o che si faceva problemi a fare amicizia, ma avevo sempre odiato le persone frivole e soprattutto doppia faccia. Quelle che di fronte a te si mostrano dolci e buone e appena volti le spalle ne dicono di tutti i colori.

"Ciao Giulia! Oh pensavo fossi con le altre…" 

L'ultima parte la sussurrò con un tono basso e, ci avrei giurato, molto civettuolo, rivolta verso Niccolò, che la guardava senza darle troppo peso.

"Come vedi no" le risposi con troppa enfasi "Insomma come mai qua tu?" le chiesi tendendo volontariamente Niccolò fuori dalla conversazione.

"Al solito, una seratina tranquilla con le amiche" scosse i capelli neri, tinti, e lanciò l'ennesima occhiata al ragazzo di fronte a me "ma non mi presenti?" domandò civettuola.

Con poca voglia fui costretta a farlo.

"Lui è Niccolò. Niccolò lei è Irene, veniva a scuola con me" dissi brevemente.

Vidi lei porgere la mano al moro, che con un sorriso la strinse e poi tornò a guardare me. Non c'era stata nemmeno un'occhiata o un qualcosa che mi avrebbe potuto dar fastidio, ma ero terribilmente gelosa degli sguardi che lei lanciava a lui. 

Il lupo perde il pelo, ma non il vizio. Lei amava le cose altrui, aveva sempre voluto quello che gli altri possedevano. Peccato che l'intelligenza non potesse comprarla.

Se c'era una parola per descriverla quella era sicuramente oca. Civettava con l'intera popolazione maschile e spesso aveva pure successo nonostante il suo trucco pesante e le sue gambe a x.

"Da quanto vi conoscete?" domandò lei.

Stavo per rispondere, ma qualcuno mi precedette.

"Ci frequentiamo da un bel po'" disse Niccolò sorridendole compiaciuto "l'ho conosciuta e non ho intenzione di lasciarla andare"

Irene rimase a bocca spalancata come uno stoccafisso. Non so se per lo stupore che uno come lui potesse uscire veramente con me o per la rabbia di saperlo impegnato e per niente incline a rispondere alle sue continue provocazioni. Perché lei lo stava provocando da quando si era avvicinata. A partire dalla posizione in avanti, più vicina a lui che a me, il continuo mordicchiarsi del labbro o lo sbattere di ciglia che tra un po' avrebbero causato un uragano.

"Ah…" fu l'unica sillaba che riuscì a dire.

"Non se ne trovano molte come lei, solitamente le donne sono tutte frivole e oche" 

Frecciatina.

"Ehm sì…scusate, sono già in ritardo" si affrettò a dire "Ciao, ci vediamo Giulia" detto questo scappò prima che potessi rispondere. E non che ne avessi intenzione.

Scoppiai a ridere senza freno. Io non avevo mai avuto il coraggio di dirle certe cose, non ero il tipo e la maggior parte delle volte lasciavo perdere perché sapevo di essere superiore a lei. Però fu troppo divertente vedere la faccia d'Irene sconvolta dopo le parole di Niccolò.

"Ti ringrazierò a vita" dissi cercando di smettere.

"Dovere" disse lui "non sopporto quel tipo di persona, chi indossa una maschera tutta la vita e dietro le spalle parla male di te con chiunque"

In meno di tre minuti aveva capito che razza di persona fosse quella ragazza. Era veramente un bravo lettore. Chissà cosa aveva visto in me.

"Be' grazie lo stesso" dissi sinceramente "Certo che quando vuoi sei veramente perfido" scherzai.

"Oh no…sono un bravo ragazzo, ma ho un lato cattivo anche io" mi fece l'occhiolino e si spose verso di me per sussurrami qualcosa nell'orecchio "per esempio…adesso vorrei stare un po' da solo con te, tutta questa gente mi dà fastidio. Che ne dici di andare?"

Non so se c'era veramente da fidarsi di quel tono di voce, ma era impossibile non seguirlo anche in capo al mondo, perciò non tardai ad annuire e rispondere affermativamente.

"Ok, ho un'idea" dissi stupendolo mentre ci incamminavamo "ti fidi? stasera guidi e ti farò da navigatore" scherzai.

"Va bene, stupiscimi piccola!"

Mi fermai in mezzo alla strada e mi alzai sulle punte dei piedi per baciarlo sulla guancia.

Ero veramente cotta di quel ragazzo.

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Capitolo 10
*** 10. Sguardi ***


Scusate il ritardo…ma avevo un esame da dare e quindi non ho avuto tempo!

Mi faccio perdonare con questo capito lunghissimo! Torna Edo ancora una volta, ma ci sarà anche Niccolò! 

Grazie come sempre a chi mi segue e chi legge questa storia! vi adoro!

 

CAPITOLO DECIMO "Sguardi"

Trascorsi un sabato meraviglioso, e sommato al venerdì sera non potei non pensare che la fortuna era finalmente dalla mia parte. A mia mamma non era sfuggito quel sorriso sornione stampato sulla mia faccia e nonostante mi fossi aspettata qualche domanda, non ne fece nessuna. 

Venerdì sera alla fine ero tornata tardi, molto tardi, ma il tempo era passato così velocemente che non me ne ero resa conto. 

Dove avevo deciso di andare? In un piccolo paesino sulle colline, dove c'era un piccolo pub con terrazza dal quale si poteva vedere tutta la pianura illuminata. Avevamo parlato di tutto, scherzato come due che si conoscono da tempo e avevo scoperto tante cose su di lui. Aveva un fratello più grande di un anno a cui voleva molto bene e con cui condivideva quasi tutte le sue passioni. A differenza di Niccolò però, Andrea non lavorava, frequentava il terzo anno di ingegneria meccanica. 

Gli avevo parlato della mia famiglia e ci eravamo raccontati aneddoti divertenti appartenenti al passato. Ero stata bene con lui e mi stupivo sempre di più nel vedermi a mio agio e non timida come sempre.

Parlando non ci eravamo accorti dell'ora e alla fine ero rientrata a casa alle tre di notte.

Il sabato non fu diverso, dato che non lavorava ci eravamo visti nel pomeriggio e poi eravamo andati a cena insieme. Quel giorno poi avevo ricevuto un messaggio da Vale che diceva che aveva fissato con Edo per andare in piscina il giorno seguente. Non capii perché non avesse chiamato me, ma almeno si era ricordato di ciò che gli avevo detto. Già un passo avanti. L'avevo proposto a Nicco e ne era stato più che entusiasta.

L'ultimo incontro con il biondo in fondo non era stato poi un idillio di tranquillità, ma più una forzatura, nata soprattutto da me. Non ero certa nemmeno che volesse rivedermi. Vale mi aveva invitata, ma la domanda era: Era stato Edo a chiederglielo o era stata un'idea della mia amica? E Niccolò? Edo sapeva che c'era anche lui?

Troppe domande a cui avrei dato risposta a breve.

Stavo mettendo la crema solare nella borsa quando il campanello suonò. Ero sola in casa perché i miei erano andati al mare e quindi non esitai a farlo entrare. Era la prima volta.

"Entra, Damon è legato dietro" lo rassicurai.

Anche lui aveva due cani e quindi non aveva paura, ma Damon aveva un caratterino poco socievole con gli estranei. 

"Ciao piccola" 

Mi salutò circondandomi la schiena con un braccio portandomi più vicino per darmi un tenero bacio sulle labbra. L'avevo avvisato che ero sola, altrimenti non avrebbe mai osato farlo. Credo. 

"Sono pronta, prendo le chiavi di casa. Prendiamo la mia macchina?" domandai "Andiamo sempre con la tua" constatai.

Mi sentivo quasi in colpa a farlo guidare sempre. Faceva chilometri per venire da me e non si era mai lamentato.

"Come vuoi, ma guido io eh, sai donna al volante…"

Non lo feci finire e gli tirai una pacca sulla nuca.

"Io guido benissimo" mi imbronciai e chiusi la porta di casa dandogli le spalle.

Sentii le sue braccia intorno alla vita ed il suo respiro caldo sul collo "Lo so che guidi bene, ma che figura ci faccio?" sussurrò facendomi rabbrividire con tanto di pelle d'oca, e dato che erano ben 38°c, la cosa non era normale "Non posso far guidare la mia donna"

Come mi aveva chiamata?

Fatto sta che le carezze, i baci e le parole sussurrate con voce roca mi avevano fatto cedere le chiavi a lui e per, forse, la seconda volta montai nel sedile del passeggero della macchina.

"Ma come sei piccola?" brontolò tirando indietro il sedile.

"Ho le gambe corte, non è colpa mia!" sbuffai guardandolo male.

"Non era una critica…a me piaci così…" sfoggiò uno dei suoi sorrisi da mozzare il fiato e mi sciolsi completamente "nana!" concluse ridendo.

Si beccò un pugno sul braccio, che lo scalfì di poco.

"Sei tu che sei uno spilungone" 

Io del mio metro e sessantotto ero più che fiera, era Niccolò ad essere alto una quindicina di centimetri in più di me e forse anche più.

"Mea culpa" scherzò.

Mi passò una mano tra i capelli fermandosi sulla nuca per trarmi verso di lui per un bacio sull'angolo della bocca.

"Stavo scherzando dai, dimmi dove andare che non sono sicuro di conoscere la strada."

Bastava un bacio ed era perdonato. 

Gli indicai la strada, alternando il mio disgusto per certe canzoni che si ostinava a farmi sentire e in meno di venti minuti parcheggiammo nell'enorme spazio asfaltato di fronte allo stabilimento. Intravidi la macchina di Valentina ed infatti la incontrammo all'ingresso insieme a Vittoria. Degli altri nemmeno l'ombra. Che poi nemmeno avevo capito chi dovevamo essere.

"Sei in ritardo" 

Che accoglienza. 

"Ciao Vale eh!" dissi mettendole un braccio sulle spalle dandole un bacio sulla guancia.

Feci la stessa cosa con Vittoria e intanto loro salutarono anche Niccolò guardandomi ogni tanto di sottecchi divertite. Quel povero ragazzo sembrava il giocattolino nuovo, quello che suscita curiosità. Però se la cavava. Lo consideravano già il mio ragazzo, nonostante per ora stessimo solo uscendo insieme, e la cosa non poteva che farmi piacere. Lui andava d'accordo con le mie amiche, ed ero certa che il rapporto con Edo in quel momento fosse migliore del mio.

"Eccoli, ci siamo tutti" esclamò Vittoria rivolgendo lo sguardo dietro le mie spalle.

Mi voltai e per mia sfortuna i primi occhi che incontrai furono quelli del biondo, uno sguardo piatto, che cercava di nascondere qualsiasi emozione, ma lessi comunque delusione. Che le mie supposizioni fossero vere? Non mi aveva invitata, non mi voleva vedere. Ma perché? Era stato lui a dirmi che l'avrei abbandonato e ora lo stava facendo lui con quel comportamento privo di qualsiasi senso.

"Oh bene, ci sei anche tu Nicco" disse Giacomo dandogli una pacca sulla spalla amichevolmente.

"Hai cambiato macchina?" intervenne Edo senza salutare.

"No" rispose Niccolò sorpreso "Giulia ha voluto prendere la sua" spiegò.

L'espressione di Edo cambiò radicalmente. Non so dire se era sorpreso o se scocciato.

Vale e Vittoria vedendo la situazione di disagio mi salvarono "Ok, siamo tutti possiamo entrare dai! Che ci stiamo a fare qua fuori come le belle statuine?" 

Entrammo e pagammo l'entrata per tutto il giorno, senza però prendere le sdraio dato che preferivamo sdraiarci sul prato a fianco della piscina all'aperto. Già, quel posto aveva ben tre piscine, una olimpionica, quella esterna e una con cascate e idromassaggio.

"Mettiamoci qua, c'è anche l'albero almeno ci fa ombra. Scusate ma rischio di arrostirmi altrimenti" disse Vale posando lo zaino a terra. 

"Per me va bene" dissi "Voi?" chiesi agli altri.

"Perfetto" risposero in coro.

Sistemammo i teli in due file da tre e mettemmo gli zaini e le borse ai piedi del piccolo albero, che a dire il vero sembrava fare poca ombra con la sua chioma spelacchiata, ma meglio di niente.

Finii per stare di lato, con accanto Niccolò e davanti Vittoria, mentre Vale si era tatticamente presa il posto vicino a Giacomo ed Edoardo stava al fianco del moro.

Erano appena le 10, 30 e quindi il sole non era molto forte, ma ricordando le scottature degli anni passati non esitai a spalmarmi la crema. Ciò che non avevo previsto era che Niccolò si offrisse di spalmarla sulla schiena, dove ovviamente non arrivano.

"Aspetta mi tolgo la canottiera" 

Per la seconda volta mi vide in costume e non potei non arrossire dato che sembrava guardarmi troppo insistentemente. Per fortuna gli altri erano tutti a chiacchierare per i fatti loro o sarei diventata un pomodoro maturo quando dolcemente mi diede un bacio sulle labbra, così senza un'apparente motivo.

"Girati"

Mi afferrai la treccia che mi ero fatta precedentemente e quando la crema fredda toccò la mia pelle rabbrividii e lui rise. Mentre le sue mani sfioravano la mia schiena avrei anche potuto addormentarmi, aveva un tocco magico. Si accorse di quel mio rilassamento e passò una mano sulla mia pancia spingendomi verso di lui facendomi cadere sul suo torace. Mi trovai tra le sue gambe, accoccolata come una bambina, mentre due occhi neri e profondi mi guardavano dolcemente.

"Venite a fare un bagno?" chiese Giacomo.

Momento idilliaco finito. In fin dei conti però quello non era il momento adatto per fare gli sdolcinati, ed io che odiavo le effusioni in pubblico stavo proprio sconvolgendo le mie convinzioni.

"Io sì! Andiamo all'idromassaggio dai" esclamai alzandomi in piedi.

Annuirono tutti e anche Nicco, che si tolse la maglia e la ripose nello zaino lasciando finalmente scoperto quel bel corpo che si ritrovava. Come non guardarlo?

Vale e Vittoria mi presero a braccetto e mi trascinarono nell'edificio dove si trovava la piscina.

"Tesoro stai sbavando" risero "Controllati, anche se lui non lo fa" Vale ammiccò.

Scossi la testa sorridendo. Mi facevano ridere.

"Oh andiamo prima ti avrebbe sbattuta anche lì sul prato! Non dirmi che non te ne sei resa conto!" 

"Ehm no…sai che non ci penso a quelle cose Vale! Dai…" mi morsi un labbro imbarazzata.

Ero vergine, inesperta e forse anche un po' ingenua a volte. Io non ero capace di cogliere gli sguardi come Vale, che invece era esperta. Infatti scherzosamente la chiamavo la mia professoressa, perché se avevo bisogno di un chiarimento lei c'era sempre e non aveva problemi a chiarirmi varie cose o a raccontarmi la sua vita intima.

"Lui lo sa che non l'hai mai fatto?" domandò Vittoria.

"No…insomma non gliel'ho ancora detto, non mi sembra una cosa che si può dire così su due piedi" protestai.

Intanto ci eravamo buttate in acqua, nella vasca circolare, situata in alto. Ancora c'era poca gente e si stava bene. I ragazzi erano giù.

"Vale noi andiamo a fare due vasche nell'altra piscina poi vi raggiungiamo" sentii Edo chiamare la mia amica e mi dette quasi fastidio che non chiamasse me.

Lo fulminai, ma ormai si era già incamminato e non poteva aver visto il mio sguardo. Spinsi il pulsante al bordo e piccole bolle incresparono l'acqua.

"Glielo dirai vero?" chiese Vale riferendosi al discorso di poco prima.

"Certo…se la cosa andrà avanti lo dovrà sapere no?" 

"Togli il se" disse Vittoria immergendosi fino al mento.

"Se va bè…avete troppa fretta voi" le rimproverai.

Non che non volessi continuare quel che stava nascendo con Niccolò, ma loro sembravano così certe di una seguito che io quasi mi stavo convincendo. E se poi invece fosse andata diversamente? Come l'avrei presa? Male, moto male.

"Giulia si fa 25 km per venire da te ogni santa volta…non penso che lo faccia solo per una scopata! E poi diciamolo, tu non hai la faccia di quella che la svende eh! Quindi da retta alla zia, che come ti ricorderai aveva ragione quando ti diceva che gli interessavi, e credimi una buona volta"

Anche se non era un discorso da inserire negli annali, non potevo negare che avesse ragione di nuovo. Si sa poi che dall'esterno le cose sembrano più facili da interpretare e capire.

"Per esempio quanto resisterà a venire qua?" chiese ridacchiando appena un secondo dopo "Che ti dicevo?"

In quel momento i tre entrarono nella vasca e come previsto da Vale, Niccolò si sedette al mio fianco ed un braccio mi cinse la vita. 

"Già stanchi?" domandò Vittoria.

"Io non sono più allenato" si lamentò Niccolò.

"A noi due ci aspettano giorni di fatica, preferiamo starcene in relax per ora" rispose Giacomo anche per Edo.

Il biondo era dalla parte opposta alla mia e se ne stava apparentemente rilassato, con le braccia distese e la testa indietro. Insomma l'immagine della beatitudine. Però era silenzioso, non che fosse logorroico, ma se stava in compagnia di persone che conosceva non stava certo muto come in quel momento.

"Edo riprenditi" intervenne infatti Vittoria "Sembri morto!" lo rimproverò.

"Ho dormito poco stanotte" spiegò.

"Non è una scusa per fare l'asociale" disse lei schizzandolo.

Sorrise, e per la prima volta in quel giorno vidi un vero sorriso su quel viso levigato e poi un ghigno malefico che significa vendetta. Risi anche io quando vidi la testa di Vittoria scomparire sotto l'acqua.

Iniziò una vera  propria lotta di schizzi, fino a quando la mia amica non chiese tregua implorando. Si accasciò sulla seduta e le bollicine si attenuarono fino a scomparire del tutto.

"Io scendo giù" disse Vale "Chi viene con me?" 

Giacomo la guardò per un po' e annuì "Vengo io" 

Sorrisi nel vedere quei due andare giù nell'altra vasca con l'acqua salata e più calda. Rimanemmo in quattro, ma Vittoria si alzò presto.

"Io vado a prendere il sole…" guardò Edo e con un'occhiata lo convinse a seguirla.

"Vengo anche io" disse poco convinto.

Ringraziai con un sorriso la mia amica, che capì al volo e mi fece l'occhiolino. Non era proprio il caso che Edo fosse rimasto con me e Nicco. Insomma cosa ci saremmo detti? Edo non aveva mai fatto mistero del suo disgusto di me con il suo amico.

Così rimanemmo soli nell'enorme vasca e dato che i dieci minuti di idromassaggio si erano conclusi spinsi nuovamente il bottone, allungandomi dall'altro lato. 

"Vieni qua" 

Venni trascinata subito al mio posto, più o meno. Feci una giravolta nell'acqua e mi sedetti sulle gambe di Nicolò, con il busto rivolto verso di lui.

Abbassai lo sguardo imbarazzata. Nonostante ci fossimo baciati molte volte, quella posizione mi metteva un po' a disagio. Per fortuna eravamo soli perché tutti erano nella piscina all'esterno o sarei scappata.

Mi stupiva alle volte la sua calma e la naturalezza con cui svolgeva quei gesti perché per me non erano del tutto naturali. Io avevo timore di correre troppo, di essere affrettata. Uscivamo insieme da una settimana in fondo, non da un mese e ci conoscevamo da poco.

Non mi dispiacevano quelle attenzioni dopotutto, ma non riuscivo ad essere quella che fa il primo passo. 

Arrossii quando sentii le sue mani sui miei fianchi, sotto l'acqua, che mi spingevano più vicina a lui. Aveva un corpo magnifico, non esageratamente muscoloso, anzi forse era anche troppo esile, ma quella linea delicata dei suoi muscoli a me faceva impazzire.

Mi diede un bacio casto sulle labbra e poi si alzò con me in braccio per poi farmi mettere i piedi a terra.

"Usciamo dai" disse prendendomi per mano.

Annuii e insieme ci andammo a stendere sui teli da mare, dove c'erano già tutti.

Alla vista della mia mano tra quella nel moro Edoardo fece una smorfia e poi richiuse gli occhi per godersi il sole. Io abbassai la testa sconsolata e mi misi a pancia in giù voltata verso Niccolò, che intanto si era messo i suoi Rayban.

Osservai bene il suo corpo, le gocce d'acqua che piano piano si asciugavano e quelle birichine che scendevano dai capelli al collo. La luce illuminava la sua pelle abbronzata, non come la mia, ancora color biscotto chiarissimo.

Il suo fisico era impeccabile, il mio banale. Perché quel ragazzo si interessava ad una come me?

Sospirai e chiusi gli occhi beandomi del sole caldo delle 11,30 inconscia di avere due occhi puntati su di me.

 

All'una decidemmo di andare a mangiare al bar e subito dopo io e le ragazze ci accampammo letteralmente sotto l'alberello per trovare riparo mentre i ragazzi, che ovviamente si erano portati dietro un pallone, se ne stavano a giocare poco lontano da noi.

Avevo osservato Edoardo per un po' e forse mi ero sbagliata pensando che i rapporti con Niccolò fossero gli stessi di una settimana prima. Non lanciava occhiate d'odio, ma si vedeva bene che non c'era più quel feeling tra di loro. Niente risate amichevoli, nessuna pacca sulla spalla o altro. Avrei voluto conoscere la motivazione, ma non potevo certo chiederla al biondo. Non mi avrebbe mai risposto dopotutto. Chiederla a Niccolò non so cosa avrebbe provocato, perché anche se Edo era mio amico non dovevo farmi i fatti loro.

E per fortuna esistevano le mie amiche che mi distolsero da quei pensieri. Prima della fine Edo sarebbe tornato quello di sempre. O almeno ci speravo.

"Secondo voi ho qualche speranza con Giacomo?" domandò Valentina.

Non sapevo come rispondere, perché era presto per dirlo ed io non avevo l'intuito che aveva lei.

"Perché non dovresti averne?" chiese Vittoria retoricamente "Non ti manca niente no? E poi non ti sei mai posta queste domande…che succede?"

Vale non era il tipo che si faceva problemi con un ragazzo, se lui non si faceva avanti era lei la prima a fare un passo avanti per entrambi e se poi andava male non si scoraggiava. Ed in quel momento, vederla titubante con Giacomo mi fece scattare una lampadina in testa.

"Vale" dissi per attirare la sua attenzione "Ha ragione lei sai?" ghignai soddisfatta "Non è che Giacomo ti interessa veramente?"

Lei alzò le spalle guardando il diretto interessato che cercava di togliere la palla al biondo. Le vidi sfuggire un sorriso, che contagiò anche me e Vittoria.

"Non lo so sai?" disse assorta in chissà quale pensiero "Non lo so, vedremo come va dai! Non mi fascio la testa in anticipo" 

Lei e quel suo modo di evitare i discorsi seri. Quando faceva in quel modo significava che non voleva continuare a parlarne e noi, che la conoscevamo bene, non insistemmo ulteriormente. Tanto avrebbe tirato fuori l'argomento lei quando ne avrebbe voluto parlare.

"Va bene" disse Vittoria scuotendo la testa.

Anche lei come me conosceva la rossa e non insistette.

Purtroppo il cambio di argomento non fu di mio gradimento.

"Hai litigato con Edo per caso?" domandò Vale.

La risposta era complicata. Non lo sapevo. Se era successo io non me ne ero resa conto perché il mio amico aveva semplicemente deciso di escludermi dalla sua vita da un momento all'altro senza motivo.

"Devo essere sincera? boh!" risposi scrollando le spalle "Ha deciso di ignorarmi da una settimana, voi sapete nulla? Non so, vi ha detto qualcosa?" domandai speranzosa.

Le mie due amiche si guardarono complici per un misero secondo e poi si sistemarono meglio davanti a me. Ok, non c'era niente di buono in quello. Loro sapevano qualcosa.

"Sapere è una parolona grossa" iniziò Vittoria.

"Però ipotizziamo" concluse Vale.

Conoscevo già l'ipotesi probabilmente e non mi piaceva.Mi presi le ginocchia e ci appoggiai il mento facendo cenno alle due di andare avanti per spiegarmi.

"Insomma da quando il rapporto si è incrinato?" domandò retoricamente la rossa "Da quando hai baciato Niccolò, ed il peggio è stato quando hai iniziato ad uscirci…Non mi chiedere come fa a saperlo, ma Edo sapeva con chi eri e oggi deve aver avuto il colpo di grazia quando Niccolò gli ha detto che siete venuti insieme!" 

Perché non riuscivo a sentirmi in colpa per questo? Io non avevo mai detto niente quando usciva con Gemma, era mio amico ed era innamorato di lei, che senso avrebbe avuto comportarsi in quel modo stupido?

Storsi il naso senza dire niente.

"Aggiungici anche che vedervi in atteggiamenti intimi non lo aiuta"

Ma non lo aiutano in cosa? 

"Non sto facendo niente di male mi pare! Cosa dovrei fare? Stare sola a vita per farlo contento? Da quando in qua?" chiesi ingenuamente e leggermente alterata.

Mi guardarono tutte e due come a dirmi "ma sei scema o cosa?"

"Giulia" sospirò Vale "te lo devo ripetere?" 

No. Non volevo sentire più quella stupidaggine. 

"Ha anche lasciato Gemma…il giorno dopo ti chiede di andare al mare…e sono convinta che è venuto in mente a te di chiamarci, lui voleva andarci con te" 

Ci ripensai e con uno strano morso allo stomaco mi ricordai che avevano ragione loro. Mi venne quasi da ridere, ma se solo ci fossi riuscita sarebbe uscita una risata isterica.

"Ok, avete ragione" e prima che esultassero le frenai "sull'ultima cosa, poi per il resto son vaneggiamenti perché dai…ma ci conosciamo da 8 anni! Come…ma va…" non ero riuscita a dire niente di concreto perché quel pensiero era troppo assurdo, troppo. Era troppo, punto.

Mi voltai per non guardare in faccia le mie amiche, avrebbero capito il mio vacillare di quel momento e non volevo che pensassero che per un secondo la loro idea l'avessi trovata veritiera. Posai lo sguardo su Edoardo, che con i capelli umidi per il sudore ed il sole ad illuminare la pelle già abbronzata si divertiva con i suoi amici. Io ci vedevo solo il mio amico, niente di più. E lui cosa vedeva in me?

Intanto Vittoria stava dicendo qualcosa, ma non riuscivo ad ascoltare, adesso il mio sguardo era rivolto a Niccolò, che a me sembrava un Dio greco. Non mi importava che fosse sudato, anzi mi sembrava uno di quei modelli delle pubblicità. Quella bellezza la vedevo solo io probabilmente, perché Niccolò era una bellezza soggettiva, non oggettiva.

"L'abbiamo persa…" 

"Uhm?" mugolai.

Scossero entrambe la testa ridacchiando.

"Niente, sei bella così tra le nuvole" esclamò Vale gettandosi su di me in un abbraccio caloroso.

Ricambiai la stretta intorno al suo corpo ridendo e nel frattempo anche Vittoria si unì a noi.

"Sembri me un paio di anni fa" sussurrò amaramente "Però te lo meriti di stare così, un po' per uno! E almeno non sarai più l'unica a stare zitta quando ci raccontiamo le nostre avventure sotto le coperte!" 

La risata partì in contemporanea per tutte e tre.

"Vale vai sempre a finire lì!" la rimproverò Vittoria tra le risate.

"Ma è vero! Finalmente scoprirà le gioie del sesso e credo proprio che quello là ne sappia parecchio dell'argomento" fece un sorrisino furbo e io le diedi una spintarella.

"Ci rinuncio" sospirò Vittoria.

"Ci tocca tenerla così, ma ci vai bene lo stesso zia!" le dissi affettuosamente.

"Vorrei anche vedere" disse lei fiera.

In ogni gruppo che si rispettasse ci voleva la ragazza più scatenata, quella senza freni e senza inibizioni, la nostra era Vale. Vittoria era il genio, quella che a scuola era sempre stata la più brava senza troppi sforzi, ma era anche una che sapeva divertirsi, poi c'era Gemma…la bionda bellissima, la mia migliore amica, colei che aveva la fama della regina dei ghiacci perché al primo approccio sembrava una vera e propria vipera, ma poi era una persona buonissima, anche se con qualche difetto. Ma chi non ne ha? 

Poi c'ero io. La piccola del gruppo, quella da accudire, con la testa tra le nuvole e che credeva ancora nell'amore, testarda come un mulo e dolce come il miele. Ingenua? Molti mi dicevano che lo ero fin troppo.

Eravamo quattro ed in quel gruppo c'era tutto.

"Io sopporto te che ti sei trasformata in una sdolcinata meringa" disse Vale.

"Mi hai chiamata meringa?" alzai un sopracciglio e misi sù una faccia tra il divertita e la finta offesa.

"Lo sapevamo dopotutto che ti saresti rincoglionita una volta trovato un ragazzo" sentenziò Vittoria beccandosi un'occhiataccia.

"Io…"

"Dai, ti prendiamo un po' in giro anche se lo devi ammettere che ogni tanto ti incanti e i tuoi occhi si trasformano in due cuoricini!" 

Le mie due amiche simularono un cuore con l'indice ed il pollice delle due mani e sbatterono le ciglia come due perfette civette.

"Punto primo non è vero! Punto secondo non è il mio ragazzo…" dissi malinconica.

Oddio avevano ragione loro, mi stavo rammollendo e tutto era dovuto all'amore. Il cervello mi era andato completamente in fumo.

"Questione di giorni" disse Vale.

"Parte…mercoledì" borbottai "E poi viene da me…be' l'ho invitato a casa mia, lo sapete che i miei zii e i miei genitori vanno via e quindi siamo solo noi e…" stavo andando nel pallone perché ancora non lo sapeva nessuno "lui è un vecchio amico di Ale sapete…" 

"Bene, riprendi fiato stai per morire" mi presero in giro "Lui che ha detto di questo invito?" domandò Vittoria curiosa.

"Ha accettato. Ovvio" mi precedette Vale.

Annuii dandole ragione

"Questione di giorni sì sì. Ne sono convinta"

Iniziarono a fare una faccia piuttosto seria dalla quale spuntava un sorriso che cercavano di nascondere. Bene, le mie amiche erano impazzite del tutto. Mi dovetti ricredere su una cosa: amiche un corno, erano due arpie.

Mi sentii afferrare, o meglio caricare in spalla come un sacco di patate e mentre vedevo le mie amiche ridere sentivo le mani di qualcuno con il nome di Niccolò reggermi sotto il sedere. Cercai di divincolarmi senza urlare troppo, perché eravamo pur sempre in un luogo pubblico e dopo il primo urlo per lo spavento mi limitai a prendere a pugni il bel sedere del moro. 

"Che vuoi fare?" chiesi stridula.

"Ma niente, non ti fa caldo? A me sì" rise.

Non ebbi il tempo di controbattere che sentii l'acqua della piscina avvolgermi completamente e poi le braccia di Niccolò stringermi per riportarmi fuori.

"Tu sei pazzo" dissi togliendomi i capelli dalla faccia.

Ero in mezzo ad una piscina, tra ragazzini urlanti e donne di tutte le età che stavano sedute nella vasca circolare, tra le braccia di un ragazzo che mi guardava ghignando.

"Ti volevo solo tutta per me per un po'…le tue amiche ti monopolizzano" scherzò portandomi dove l'acqua era più alta e io ovviamente non toccavo.

"Vuoi affogarmi senza testimoni?" scherzai.

"Oh no, volevo solo fare questo senza scandalizzare i bambini"

Capii al volo, ma non mi mossi, fu lui a raggiungere le mie labbra con le sue per darmi un bacio leggero, soffice e delicato, che in meno di due secondi si trasformò in uno intenso, dove le nostre lingue si accarezzavano e si rincorrevano. Mi mordeva il labbro ed io prendevo tra i denti il suo, come se ci volessimo mangiare con quel bacio. Ero lì tra le sue braccia, sospesa nell'acqua con lui che mi sorreggeva. Era proprio un sogno.

Ad un certo punto sentii le sue mani scendere e afferrarmi sotto il sedere per farmi aggrappare a lui. Dopotutto Nicco stava in piedi tranquillamente, mentre io ero aggrappata a lui come una scimmia e continuavo a baciarlo fregandomene del resto del mondo.

"Hai scandalizzato le mamme…" gli sussurrai all'orecchio.

"Non è vero…ma se vuoi possiamo farle direttamente svenire" 

Il tono rauco e sussurrato di voce che aveva usato mi fece avvampare sommato alle sue mani sul mio fondoschiena che mi spingevano verso di lui.

"Atti osceni in luogo pubblico: multa più reclusione fino a tre anni" scherzai.

"Direi che allora è meglio se scendi da qua" mormorò sul mio collo mordicchiandolo "perché sto per fregarmene delle norme del codice civile"

Lasciò un po' la presa e scivolai in basso sentendo distintamente che qualcuno si era svegliato. Avvampai come un peperone e anche se cercai di trattenermi non ci fu verso, perché Niccolò si accorse del mio disagio. Ero diventata rigida come un palo. Per me era la prima volta, insomma, non mi era mai capitata una cosa del genere.

"Giulia tranquilla" mi riportò più in sù e non sentii più la sua erezione premere sul mio sedere.

"Scusami…è che…be' non me lo aspettavo" mi difesi.

In realtà ero stata sì presa alla sprovvista, ma l'imbarazzo era dovuto ad altro. Mannaggia, Vale aveva ragione quando mi diceva che ero troppo ingenua e angelica.

"Mi fai questo effetto" mormorò rauco.

Non so se quel tono sensuale era stato voluto o semplicemente ero io che impazzivo per la sua voce e mi sarei sciolta anche se avesse elencato gli ingredienti della torta margherita probabilmente.

Che si dice in quei casi? Non lo sapevo, così rimasi zitta, con le guance leggermente rosse e lo sguardo verso il basso. Per fortuna si rese presto conto del mio imbarazzo, ma soprattutto del mio disagio e presami per i fianchi mi allontanò dal suo corpo avvicinandomi al bordo.

Avrei voluto chiedere scusa per quel comportamento, in fondo non era successo niente di così assurdo e io invece avevo reagito come una bambina spaventata, ma fu lui il primo a parlare. Si avvicinò a me, che immersa mi sorreggevo al bordo con una mano e si mise di fronte guardandomi dolcemente.

"Non dovevo, scusami"

Rimasi di stucco. Si scusava per cosa?

"È che non pensavo di metterti così in imbarazzo" 

Certo che no, a 18 anni ero forse l'unica che si imbarazzava per una cosa del genere. Qualsiasi ragazza probabilmente sarebbe stata felice nel sapere che il suo ragazzo la desiderava.

"Tranquillo è solo che…" 

Diamine non potevo dirglielo in quel momento. E non volevo che lo sapesse così. Sarei voluta scappare via, ma se l'avessi fatto poi probabilmente mi avrebbe presa per pazza e l'avrei perso. 

Perché era così difficile confessare che lui era il mio primo vero ragazzo? La prima storia seria. Forse perché dalle poche esperienze mie e delle mie amiche avevo capito che molti amavano divertirsi e appena la situazione diventava seria scappavano a gambe levate. Non volevo che Niccolò se ne andasse.

Fui costretta ad alzare la testa ed incontrare il suo sguardo comprensivo, non era più confuso come prima.

"Ho capito" disse calmo "ne parliamo dopo va bene? Questo non è il luogo adatto"

Aveva capito veramente?

"Va bene…" annuii e istintivamente mi avvicinai a lui posando la testa sulla sua spalla chiudendo gli occhi.

Sentii le sue braccia avvolgermi e ancora una volta mi aggrappai al suo corpo, stando ben attenta ad evitare di sfiorare il suo bacino. 

Cosa mi avrebbe detto dopo? Idee assurde mi vorticavano insistenti, facendomi quasi stare male. Inutile però fasciarsi la testa prima di cadere. 

Aprii gli occhi e guardai verso i miei amici scoprendo che qualcuno mi stava fissando. Edoardo era seduto con la schiena poggiata all'albero e lo sguardo puntato proprio nella mia direzione con una faccia non esattamente allegra. Ero stufa di vedere quel bel viso sciupato da espressioni tristi, piatte e scontrose. Quello non era più il ragazzo solare che avevo conosciuto, non era più l'amico a cui raccontavo tutto di me. Mi mancava. Era passata solo una settimane e mi ero resa conto che stargli lontana non era piacevole.

Mi voltai verso Niccolò posando la guancia sulla sua spalla e sfiorai con la punta del naso il suo collo liscio e profumato. Profumava nonostante il cloro nella piscina. Era un'odore fresco, quello della pioggia. Non ne avrei fatto più a meno, ne ero certa.

Una mano mi accarezzò i capelli bagnati e delicatamente la sua bocca si posò sulla mia fronte.

Forse ancora una volta avevo avuto paura per niente.

 

"Stasera mi sa che dovrò spalmarmi 3 litri di crema" scherzò Valentina aprendo la macchina.

Il vestito bianco che indossava faceva risaltare tremendamente le sue spalle rosse come un gambero, si poteva quasi dire che fosse dello stesso colore dei capelli. Tutte le volte, nonostante la protezione alta, lei riusciva a scottarsi.

"Domani sarai uno stoccafisso" la presi in giro io.

"Oh sì, me la immagino tutta rossa e dolorante che se ne sta sdraiata sul letto con le braccia aperte" Vittoria iniziò a ridere seguita anche dagli altri "Posso venire a fare una grigliata sulla tua schiena?"

"Spiritosa" rispose imbronciata la rossa mettendo la borsa in macchina.

Eravamo leggermente tutti abbronzati, chi più chi meno e io sentivo le spalle bruciarmi un po', ma niente poteva battere la mia amica che scherzosamente avevo soprannominato Pizzicottina, come l'aragosta dei Simpson.

"Muoviamoci Vitti ti prego, sto cuocendo! E guidi tu!" puntò il dito contro a Vittoria che rideva sotto i baffi.

Persino Edoardo se la rideva punzecchiandola con il dito dove era più rossa. Era stupido, ma mi stupivo di ogni suo cambiamento d'umore positivo, dato che sembrava avere un umore nero perenne.

"Edo basta! Noi andiamo, probabilmente mi metterò a mollo nel ghiaccio" sghignazzò entrando in macchina.

Sorrisi nel vedere Giacomo affacciarsi al finestrino e salutare la mia amica più calorosamente del solito. Ero cieca quando si trattava di me, ma quando l'attrazione era palese in altre persone forse ero la prima ad accorgermene.

"Porto il gambero a casa. Ciao a tutti!" ci salutò Vittoria mettendo in moto.

Noi quattro rimasti ci spostammo per permetterle di fare manovra e lì arrivò il momento dei saluti anche per noi. Giacomo mi diede sue baci sulle guance e poi salutò Niccolò, così io rimasi impalata di fronte al mio amico biondo, che mi osservava di sottecchi indeciso. Cavolo, lo conoscevo così bene che era troppo facile leggergli le cose in faccia.

"Domani vai via per due settimane, che dici, mi saluti o no?"

Probabilmente fui troppo scontrosa, ma non ero riuscita a tenere quel tono pacato che mi ero ripromessa perché in una giornata non ci eravamo detti nemmeno mezza parola e non era da noi. Io non la sopportavo la sua indifferenza.

"Ciao"

Ciao? Strinsi i pugni nervosa, cercando di mantenere l'autocontrollo, che mantenni solo per la delusione provata, che mi aveva tolto tutte le parole di bocca, tutte le capacità di movimento. 

"Sì…ciao" rantolai girando le spalle a colui che un tempo consideravo amico.

Ma che gli avevo fatto io? Mi trattava come una sconosciuta o come qualcuno che gli aveva fatto un torto così grande da non poter essere perdonato.

Lunatiche le donne? E agli uomini non ci ha mai pensato nessuno?

Non so se per fortuna o per sfortuna, ma Niccolò e Giacomo arrivarono al nostro fianco e finiti i saluti ci dividemmo per entrare ognuno nelle nostre macchine.

Mentre chiudevo lo sportello incrociai un'ultima volta gli occhi chiari di Edoardo e non riuscii a sostenerlo. Volevo una spiegazione, ma avrei dovuto aspettare come minimo due settimane e non sapevo se l'avrei mai ascoltata.

"Tu ed Edo avete litigato vero?" domandò Niccolò.

Eravamo quasi vicino a casa quando me lo chiese.

"No" scossi la testa "Non so cos'abbia, ma credo voglia stare per i fatti suoi per un po'…a volte capita con lui" 

Bugia, ma non avevo una risposta a quella domanda e Niccolò mugolò solamente un ok non andando oltre. Se conosceva un po' Edo ci sarebbe cascato dato che non era un segreto che al biondo ogni tanto piacesse stare per i fatti suoi senza gente intorno. Era un'abitudine di molti, per ordinare le idee e stare un po' in pace, solo che tanti non lo facevano capire, lui spariva.

Quello non era uno di quei casi, ma io avevo finito le scuse.

"Stasera ho una cena con quelli dello studio, probabilmente non mi lasceranno andare prima di mezzanotte" sbuffò "Domani mio padre dà una cena e vuole che ci sia anche io… Va bene se ci vediamo martedì?" 

"Tranquillo, non importa" mentivo, ma non volevo passare da quella appiccicosa.

Due giorni senza di lui potevo anche sopportarli no? Altrimenti come avrei fatto per dieci?

Parcheggiò davanti al cancello di casa mia e ancora era giorno, saranno state le sei e non più tardi. Ero sola in casa, ma ci sarei dovuta rimanere perché Niccolò aveva quella cena.

"Martedì sono tutto tuo, devo partire alle 3,00 per Livorno, quindi nemmeno vado a letto" mi sorrise spegnendo la macchina.

"Allora vengo io da te, non posso farti venire qua se dopo devi partire! E non discutere!" gli puntai un dito contro e lui quasi lo morse.

Iniziai a ridere e gli diedi una pacca sulla spalla per poi scendere di macchina. Diamine era quasi il tramonto e faceva ancora caldo.

"Entri un attimo o è tardi?" gli chiesi tenendo il cancello aperto.

"Ho un'oretta, quei disgraziati hanno prenotato per le dieci" 

Meglio per me, anche se ricordavo che avevamo un conto in sospeso e che sicuramente non se ne sarebbe dimenticato. Tolto il dente via il dolore.

"Allora vieni" 

Chiuse la macchina e mi porse le chiavi, mentre io avevo già tolto l'allarme ed ero entrata in casa con Niccolò dietro di me, che questa volta si guardò un po' in giro curioso. Gettai la borsa a terra e accesi l'aria condizionata in sala, sarebbe meglio se fossimo stati lì.

Il moro mi prese per mano e mi fece sedere sul divano al suo fianco posando una mano sulla mia gamba.

"Dovevamo parlare di una cosa o sbaglio?" chiese con calma.

Il fatto che non sorridesse, non facesse allusioni strane o cose del genere mi rassicurò e mi convinsi che non ci sarebbe stato niente di male a dirglielo ora.

"Sì, mi dispiace aver reagito in quel modo…insomma io…"

E la sicurezza andò a farsi benedire.

"Ho capito" 

Era la seconda volta che ripeteva quella frase, ma anche lui non si era mai espresso chiaramente.

"Sono stato uno scemo e non ho pensato a te, ma non sono cose che si chiedono così su due piedi queste e quindi avevo immaginato che tu avessi avuto qualche esperienza…mi sono sbagliato?" domandò per chiedere conferma.

Mossi impercettibilmente la testa in un sì muto.

"Sei vergine?" 

"Sì" mormorai abbassando la testa.

Non dovevo provare vergogna per una cosa del genere perché non c'era niente di male se non avevo trovato ancora la persona giusta con cui fare quel passo, ma mi vergognavo comunque.

La sua mano giunse ai miei capelli e me li accarezzò dolcemente.

"Scusa ancora" 

Scattai velocemente stupita.

"Perché?" domandai "Non hai fatto niente"

"Perché se l'avessi saputo non avrei fatto lo scemo" disse come se fosse ovvio.

"Non è successo niente di irreparabile" 

"Ok, ma scusa ancora" mi sorrise portando la mia testa a posarsi sulla sua spalla "Se corro troppo fermami le prossime volte" continuò accarezzandomi la testa con dolcezza.

Avevo avuto paura di un a reazione completamente differente, che invece non era avvenuta e ne ero grata, perché avevo temuto veramente di vederlo sparire. Sembrava calmo, aveva preso la notizia con estrema calma. Erano solo mie paure, stupide paure. Se un ragazzo mi avesse lasciata per quel motivo significava solo che non era interessato a me e quindi tanto vale perderlo subito che continuare a starci insieme.

Il punto stonato di quel mio ragionamento era che io e Niccolò uscivamo solo insieme da una settimana. C'erano state promesse fatte, ma niente di più. Eppure io lo consideravo già qualcosa di più.

"Ora che lo sai va meglio" dissi un po' in imbarazzo.

"So che non è un argomento facile per voi ragazze, puoi stare tranquilla. Noi lo affrontiamo meglio di voi e ne teniamo anche molto meno di conto" disse un po' sconsolato.

"Tu…invece?" 

Alzai la testa e mi accoccolai sul divano rannicchiando le gambe. Niccolò aveva capito la domanda anche se non l'avevo conclusa.

"Vuoi veramente parlare già delle mie ex e dei tuoi ex?" chiese scettico.

"Io ti ho praticamente detto già tutto" alzai le spalle conscia che la mia vita amorosa era stata noiosissima fino a quel momento.

"Mi stai dicendo che sono stato il tuo primo bacio?" alzò un sopracciglio sorpreso.

"Ehm, no, quello no" scossi la testa ed il sorriso di Niccolò si fece meno visibile. Che ci fosse rimasto male? No, era solo una mia impressione. "È stato due anni fa, ma la storia finisce qua, non c'è molto da dire. In questi anni mi sono sempre interessata a persone sbagliate evidentemente…" sorrisi amaramente e feci un sospiro.

"Spero di non essere tra questi" scherzò il moro.

"Be' ovvio, fino ad ora" esclamai più allegra.

"Per fortuna" disse schioccandomi un bacio sulla guancia "Sono contento di non doverti dividere con troppi ragazzi, sono un tipo geloso io" scherzò.

"Anche io" gli sussurrai sulle labbra "quindi forse è meglio se rimandiamo la storia delle tue ex più in qua" 

Niccolò annuì e fece passare un braccio intorno alla mia vita portandomi più vicino a sé.

"Però voglio sapere quando è stata la tua prima volta" 

Mi osservò un po' titubante, ma poi sembrò convincersi ad accontentarmi.

"Avevo sedici anni" iniziò "È stata una stupidaggine, ero ubriaco e lei aveva tre anni più di me…Non ne vado fiero Giulia e non volevo dirtelo. Mi considererai una persona immatura e frivola dopo questo…"

"No!" esclamai un po' troppo forte "Insomma…avevi sedici anni, eri un ragazzino…" mi spiegai.

Non lo giudicavo perché di cavolate se ne fanno tutti nella vita e chi ero io per dirgli che aveva sbagliato? Era andata così, punto e basta. Il passato è passato, io non vi ci badavo molto.

"Non sei uno stupido" gli sussurrai nell'orecchio "al massimo sei un'affascinante stupido" 

Ridacchiai e subito finii sdraiata mentre lui mi faceva il solletico. L'aveva scoperto per caso che soffrivo tremendamente il solletico e ora lo stava usando contro di me.

Annaspavo senza via di fuga perché ovviamente anche solo la metto dei suoi muscoli sarebbero bastati per tenermi immobilizzata, in più ridevo e mi mancava il fiato quindi non avevo la forza di sposarlo. Ridevo mentre lo pregavo di smettere.

"Piccola impertinente, abbi rispetto per chi è più grande di te" 

"Dime…nticavooo! anche vecch..iii…ooo"

Continuò ancora un po', fino a quando il divano non divenne troppo stretto e a forza di muoverci cademmo a terra sul tappeto, che attutì un po' la caduta. Così mi trovai sotto Niccolò, che ridacchiava, mentre io riprendevo fiato. O almeno avevo tentato di farlo, ma non ci riuscii perché dopo avermi fatto una tenera carezza sulla guancia si chinò per baciarmi.

Un bacio come quel pomeriggio. Focoso, passionale e indimenticabile. Mi aggrappai alle sue spalle come se avessi paura che fuggisse via, strinsi la stoffa della maglietta mentre le sue mani stavano sul mio corpo, ad esplorarlo come un cercatore di tesori, avido e meticoloso.

"Perché non riesco a controllarmi con te?" domandò retoricamente tuffandosi sul mio collo.

Mi uscì un mugolio strano, che lo fece sorridere sulla mia pelle e allo stesso tempo allontanare.

Si sollevò spingendosi con le braccia e poi mi porse una mano per farmi rimettere in posizione eretta al suo fianco. Lo guardai un po' meno imbarazzata delle volte precedenti. Più che stavo con lui e più mi fidavo e lasciavo trasparire la vera me, che a dire il vero riuscivo ben poco a nascondere. 

"Devo andare o farò tardi" si scusò lamentoso "Ci vediamo martedì piccola"

"Va bene"

Lo accompagnai fuori fino alla macchina e lì mi diede di nuovo un bacio profondo. Alla faccia dei vicini, che sparlassero pure, tanto in quel paesino niente poteva esser tenuto segreto perché le vecchiette alla finestra erano meglio di un investigatore privato, che però poi andava a spifferare tutto.

"Ciao, divertiti stasera"

"Sì, sai che noia…" sbuffò lui.

 

Rientrai in casa e andai finalmente a liberare Damon, che scodinzolante mi venne in contro come un bufalo alla carica fino a saltarmi addosso e per poco non caddi a terra.

"Vedo che ti sono mancata!" esclamai mentre mi leccava il volto.

"Scusa, la prossima volta te lo presento così non te ne stai chiuso in giardino, ma promettimi di non sbranarlo!" parlai al mio cane e lui parve capire perché si sedette sugli scalini alzando una zampetta e buttando giù il muso indicando il posto sotto di me.

"Mi sa che mi sto innamorando…" sospirai e guardai il cielo ancora azzurro. Una distesa celeste che finiva in un orizzonte curvo fatto di collinette verdeggianti.

Lo dissi tremante, con la consapevolezza di provare una bella sensazione, ma pericolosa. L'amore è come un fuoco, piacevole a volte con il suo calore, doloroso se ci avviciniamo troppo. 

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Capitolo 11
*** Visita inaspettata ***


Ed eccomi qua ad aggiornare! Stavolta puntuale dato che è martedì ^^ Non abituatevi a questa puntualità dato che quando finiranno i capitoli pronti sarà più lenta di una lumaca ç_ç 

Mi scuso già da ora per il tempo che vi farò attendere per leggere un capitolo…cmq son cose future, quindi non pensiamoci!

Questo capitolo è interamente dedicato ad Edo e credo che vi piacerà dato che torna (più o meno) quello di prima! Ora godetevi il biondino ^^

ps: grazie dei commenti, quando ho un minuto rispondo! prometto!!! 

 


CAPITOLO UNDICESIMO "Visita inaspettata"

 

Avevo mangiato e mi ero concessa una doccia rinfrescante per togliere quell'odore forte di cloro nei capelli e poi avevo ricevuto la chiamata di mia mamma che mi diceva che sarebbe tornata dopo cena per evitare un po' di traffico. Nessun problema perché ero una persona che non aveva paura di stare sola in casa e avevo Damon con me.

Già, Damon. Non l'avevo considerato per tutti il giorno ed era arrivata l'ora della sua passeggiata.

Legai i capelli in una coda fatta in fretta e indossai la prima cosa che m capitò tra le mani: un paio di pantaloncini di sans e una canottiera blu. 

"Damon!" urlai infilando il cellulare in tasca.

L'avevo fatto entrare in casa per stare un po' al fresco dato che era stato l'intera giornata fuori in giardino. Lo sapevo bene che amava poco il caldo, era come me.

Sentii le sue unghie fregare sul marmo del pavimento e poi me lo trovai di fronte, scodinzolante e felice. Presi il guinzaglio, le chiavi di casa e uscii fuori che già calava il buio. Faceva anche più fresco, non molto a dire il vero, ma la leggera brezza era quasi piacevole paragonata al caldo afoso del pomeriggio. 

Damon tirava come un forsennato e abbaiava anche. solitamente scalpitava per andare al parco, ma non abbaiava quasi mai se non aveva un motivo valido e lì non c'era.

"Stai zitto e fermo un secondo!" esclamai cercando di girare la chiave nella toppa.

Esasperata lo lasciai andare, tanto non sarebbe uscito dal giardino e magari aveva solo visto il gatto della vicina e come al solito aveva pensato bene di rincorrerlo perché aveva invaso il suo territorio.

Mi ero sbagliata alla grande.

"Sta giù bestione!" 

Scattai come una molla al suono di quella voce così familiare e quando vidi la figura che stava accarezzando la testa del mio cane attraverso il cancello quasi sbiancai.

"Che ci fai tu qua?" domandai.

Avrei potuto dirgli altre mille cose, ma quella era uscita da sola, spontaneamente.

Dopo aver finalmente chiuso casa ripresi il guinzaglio di Damon e puntai lo sguardo negli occhi di Edoardo, scuri a causa della poca luce. Non mi piacevano così, erano più belli quando il sole li colpiva. 

"Insomma?" chiesi insistente.

"Ti dovevo parlare" mormorò a testa bassa "Possiamo fare quattro passi?" chiese titubante.

Edoardo era sempre stato un po' timido e soprattutto odiava il confronto diretto con le persone, o almeno con quelle a cui teneva veramente. Vederlo lì di fronte a me era quasi surreale. Avevo immaginato di parlare con lui tra due settimane, forse anche di più o forse mai e se fossi stata più orgogliosa l'avrei mandato a quel paese, invece volevo sapere cosa stava per dirmi.

"Ok, tanto stavo uscendo"

Aprii il cancello e uscii fuori mettendomi al fianco del biondo iniziando a camminare senza guardare se lui mi stesse seguendo.

"Allora parla no? Sono tutta orecchie" 

Questa la sputai senza curarmi di essere gentile. Non mi riconoscevo nemmeno, ma capivo che nascondevo la mia tristezza dietro a quello sguardo ostile pur non volendo farlo. 

I lampioni si accesero mentre Damon si fermava ad annusare una cartaccia a terra. Io fissavo la sua nuca scura perché non volevo guardare il ragazzo al mio fianco. Edoardo mi aveva sempre fatto sentire bene, una serenità strana ed in quel momento se avessi incontrato i suoi occhi avrei vacillato e addio maschera di cattiveria.

Lui però non parlava, se ne stava in silenzio, camminando al mio fianco, passo dopo passo senza mai restare troppo indietro e mai troppo avanti.

"Sono stato insopportabile in questi giorni" iniziò parlando lentamente.

"Non che ti abbia visto o sentito poi molto" sputai acida.

"Sì va bene, lascia che ti spieghi" mi fulminò letteralmente e io avanzai di qualche passo davanti a lui "Ho litigato con i miei per l'università, sono cinque giorni che sto da mia sorella. Ho un diavolo per capello e sinceramente non sarei stato di grande compagnia, anzi come vedi sono fin troppo scontroso e ti chiedo scusa per come mi sono comportato" sospirò e io mi bloccai voltandomi.

Edo si era fermato due metri dietro di me e mi guardava con aria supplichevole.

Tutto quello che avevano ipotizzato le mie amiche, e che mi aveva quasi convinto, si era rivelata una sciocchezza. In fondo l'avevo sempre saputo, ma venire a conoscenza della verità non era stato così piacevole. Mi dispiaceva saperlo in quella situazione, inoltre mi sentivo stupida per aver dubitato di lui. Ero passata in un attimo dalla parte del torto.

"Cos'è successo?" forse sapevo già la risposta, ma lo domandai lo stesso.

"Vuole che segua la sua strada" parlava di suo padre "ma io non voglio studiare legge, io odio stare sui libri ad imparare stupide norme a memoria! Io voglio fare fisioterapia, voglio frequentare corsi che mi interessano e soprattutto rimanere nell'ambito del calcio. Sai che mi hanno offerto un posto in C2?" 

"Non ti può obbligare!" esclamai.

Aspettai che tornasse al mio fianco e ci incamminammo insieme verso il parco. Nonostante la brutta notizia non riuscivo a non essere più sollevata. Il mio amico si stava di nuovo confidando con me e soprattutto non c'era più quella strana sensazione che avevo avuto al mare. 

"Quello no, anche perché con quello che mi pagano in C2 le spese dell'università non sono un problema, ma litigare tutti i giorni non è piacevole" mi spiegò sconsolato.

"Io non immaginavo…mi dispiace Edo, pensavo ce l'avessi con me" dissi sentendomi un'emerita imbecille.

"Come potrei avercela con te? Cosa mi hai fatto?" chiese retoricamente buttandosi a sedere su una panchina.

Lasciai andare Damon fregandomene di chi c'era, non avrebbe mai dato noia a nessuno ed in quel momento non potevo stargli dietro.

"Be'…abbiamo litigato un po' io te negli ultimi tempi per…" diamine non riuscivo a dirlo perché avevo paura che si arrabbiasse di nuovo.

"Niccolò?" domandò senza farmi rispondere "Sono stato un coglione lo ammetto, ma non so perché sono possessivo e troppo apprensivo nei tuoi confronti" scosse le spalle e si sistemò meglio a sedere. Aveva quasi un'aria rilassata.

Lo avrei scoperto ben presto, ma già quel ragazzo mi stava facendo impazzire con i suoi cambiamenti di umore. Un giorno mi urlava contro, poi veniva a scusarsi, poi spariva e tornava.

"Ne sono grata, ma te lo ripeto: non devi preoccuparti, non sono una statua di cristallo, so difendermi"

Non era vero perché in quel momento ero così presa da Niccolò che se fosse successo qualcosa di spiacevole mi sarei spezzata come uno specchio in frantumi e con la coda tra le gambe sarei andata a farmi cullare dalla braccia del mio amico, che a tempo debito mi aveva avvisata.

"Lo so, ma mi preoccupo, anche se forse mi sbaglio perché oggi l'ho visto preso…" ammise. 

Colsi un po' di amarezza nel tono di voce, ma forse mi sbagliai.

"Non siamo qua per parlare di questo, dimmi che hai intenzione di fare con i tuoi" 

Nonostante tutto io non riuscivo a parlare del mio quasi ragazzo con lui. 

"Per ora niente, sto da Alice per qualche tempo e domani forse vado in ritiro quindi…"

"Forse?" 

"Stasera la società vuole una risposta" spiegò voltandosi verso di me "Se accetto mi buttano fuori di casa, ma è la C2! La sogno da anni e da lì ho più possibilità di farmi vedere. Non sogno la serie A, sarei troppo presuntuoso, ma ci voglio provare"

Abbassò lo sguardo sconsolato, combattuto tra il suo sogno ed i suoi genitori. Era ingiusto controllare la vita di un figlio, costringerlo a fare ciò che si vuole. La vita è una e va vissuta come si vuole se il fato che lo permette. Ad Edo la fortuna era girata dalla sua parte e doveva approfittarne o questa sarebbe passata senza forse più tornare.

"Accetta" dissi improvvisamente "Non puoi non farlo!" continuai decisa.

"E io dove vado a vivere?" chiese con sorriso nervoso sul volto.

A volte la vita ti mette alla prova con scelte assurde, da una parte il sogno dall'altra la sicurezza, la strada semplice senza ostacoli. 

"Alice non può aiutarti?" chiesi speranzosa.

"No, vive con il suo ragazzo e la casa non è enorme…io sono lì temporaneamente" 

Si chinò in avanti, mettendosi le mani tra i capelli scuotendo la testa. Istintivamente posai una mano sulla sua spalla avvicinandomi a lui per poi abbracciarlo. Mi era mancato.

In un attimo l'avevo perdonato per quel comportamento assurdo nei mie confronti, ero passata sopra alla mia rabbia perché l'amicizia vera non si spezza facilmente ed Edo per me era come un fratello.

Sentii i suoi muscoli rilassarsi e un braccio passare intorno alla mia vita.

"Ti prego non mi abbandonare…" mormorò stringendomi forte.

"Non lo farò" risposi titubante "Ci sarò sempre per te"

Mi ero persa nel suo odore di menta fresca e avevo ricordato il mio amico, l'avevo ritrovato finalmente e non importava molto se la situazione non era piacevole, insieme ce l'avremmo fatta.

Ci staccammo dopo qualche minuto. Ero rimasta immobile a farmi abbracciare perché sentivo che ne aveva bisogno e non potevo e non volevo farlo sentire solo.

"Troveremo una soluzione, ci sono tanti appartamenti a Firenze per gli studenti…"

"Ci avevo pensato. Sai c'è un mio amico che mi aveva chiesto se cercavo un alloggio, potrei dirgli di sì" ci pensò su un attimo e poi annuii alla sua stessa proposta "ma rimane il problema dei miei genitori Giulia" l'entusiasmo svanì in un attimo.

"Vedrai che capiranno, è il tuo sogno da quando hai tirato il tuo primo calcio ad un pallone! Gli passerà…"

Non ero convinta nemmeno io di quelle parole, ma dovevo fargli credere il contrario così sorrisi.

"Speriamo"

Rimanemmo in silenzio per alcuni minuti, guardandoci ogni tanto negli occhi e distogliendo immediatamente lo sguardo. Ognuno con un pensiero in testa.

Personalmente mi stupivo della mia capacità di perdonare una persona in meno di tre minuti. Ero incorreggibile in quel frangente, se volevo bene a qualcuno ero capace di passare sopra a qualsiasi cosa ed Edo era così importante che non ci avevo pensato nemmeno poi tanto. Stava soffrendo e se io l'avessi trattato male sarebbe stato ancora peggio per lui. E poi era mio amico, nei momenti difficili c'era sempre stato.

"Chiama e dì che accetti" dissi all'improvviso facendolo sussultare.

"Ora?" 

"Sì, sono le dieci mica le due di notte!" 

Alzò un sopracciglio non propriamente convinto sul da farsi, ma con un luccichio negli occhi che faceva intuire benissimo che non avrebbe desiderato altro in quel momento che prendere il cellulare e urlare che voleva seguire il suo sogno.

Senza dire niente si alzò e compose il numero che probabilmente aveva imparato a memoria.

Io ne approfittai per richiamare Damon e lasciargli quindi un po' di privacy. Il cane corse nella mia direzione apparendo chissà da dove e quando mi giunse al fianco vidi che nel pelo aveva annodate mille pagliuzze e foglie. Chissà dove si era rotolato quel disgraziato. Accarezzai la sua testa nera ed in cambio ricevetti una leccata alla mano con tanto di bava gocciolante. Feci una smorfia di disgusto e mi pulii sui pantaloni, che dopo sarebbero finiti dritti in lavatrice.

"A domani, arrivederci" sentii dire da un Edoardo finalmente sorridente.

Si sistemò al mio fianco e senza preavviso mi schioccò un bacio sonoro sulla guancia.

"Grazie, credo proprio che senza di te avrei mandato tutto a puttana…sono stato un'idiota ad isolarti questa settimana" scosse la testa come a volersi dare dello sciocco e poi tornò a parlare "Ero anche frenato dal litigio al mare, poi volevo lasciarti in pace senza caricarti dei mie problemi dato che finalmente sembri aver trovato quello giusto almeno tu…Io non so più nemmeno se la troverò…"

"Perché scusa?"

"Non lo so, mi sembra di aver perso un'occasione e non so se ne avrò un'altra. È una sensazione, magari mi sbaglio, ma lasciamo perdere…"

Non so perché, ma dietro a quel discorso mi parve di scorgere ben altro, anche se non capii bene cosa. Edo era sempre stato un tipo poco diretto nelle cose e quindi per capire un suo pensiero bisognava ragionarci su parecchio prima di arrivare ad una conclusione. In quel caso non ci provai minimamente perché mi sembrò quasi ovvio che parlasse di Gemma. Quanto mi sbagliavo.

"Come vuoi"

Spremetti le meningi per cercare un argomento meno impegnativo e che soprattutto non contenesse il nome Niccolò o quello di Gemma. Era pur sempre la mia migliore amica, ma quando l'associavo ad Edoardo le mie funzioni celebrali venivano meno per i troppi discorsi affrontati su quella pazza coppia.

"Sai che a Vale piace Giacomo?" domandai cercando di essere spontanea. 

"Me ne sono accorto" annuì "Non starebbero troppo male insieme dopotutto" rifletté giocando con l'orecchia destra di Damon che si era accucciato sulla panchina al suo fianco.

"Anche secondo me" concordai.

"Ho fatto cupido in questi giorni, ora presento un altro amico a Vittoria e siamo a posto, rimango fuori solo io!" sorrise, ma fu un sorriso amaro.

"Sai quanto di metterai tu a trovare una ragazza…ma ti sei visto?" dissi alzando un sopracciglio "Se metti in giro la voce che sei single si formerà la fila"

Edo era bello non c'era niente da fare. Una bellezza diversa da quella di Niccolò perché Edo non aveva quel suo sguardo profondo e da ragazzo bastardo, il biondo era dolce, aveva un non so che di angelico negli occhi e nei tratti e  a tutto questo andava aggiunto ad un fisico da far invidia e una statura di 1,80. 

"Non voglio una gallina Giuli, voglio una…a dire il vero bisognerebbe clonarti"

Strabuzzai gli occhi incredula.

"Sì, magari il mio cervello e carattere nel corpo di Megan Fox eh?" ironizzai.

"Perché? Hai tutto al punto giusto, non ti manca niente…e Niccolò se ne è reso conto" 

Sarà stata una mia impressione ma quelle parole mi sembrarono dure come una pietra, anzi come una frana che si imbatte sopra di me, schiacciandomi. 

"Se…"

"Hai poca considerazione di te, l'ho sempre detto" 

Sospirò e si alzò.

Non volevo continuare. In due anni mai una volta Edoardo aveva fatto apprezzamenti su di me, mai un complimento, nemmeno prima di stare con Gemma e in due settimane me ne aveva fatti non so quanti. Cosa dovevo pensare? Appena riuscivo a convincermi che tutto era come prima lui se ne usciva fuori con quelle strane frasi ambigue.

"Andiamo a casa?" chiesi speranzosa.

"Sì, ma sei sola? Non ho visto la macchina dei tuoi" 

"Tornano tra un po credo…" risposi distrattamente facendo scattare il moschettone a collare.

Sarebbero stati contenti di vederlo. Soprattutto mia nonna si era lamentata della sua assenza e ogni qual volta mi chiedevano dove fosse finito io alzavo le spalle dicendo che era occupato. Non ero stupida e avevo capito benissimo che mia madre aveva già la sua idea e probabilmente ci aveva indovinato, come sapeva bene chi fosse Niccolò.

"Se vuoi restare mi fai compagnia" 

Era l'abitudine. Averlo in giro per casa era normale.

"Ok"

Prese il pacchetto di Marlboro dalla tasca posteriore dei pantaloni e si accese una sigaretta fermandosi per ripararsi dal vento che spegneva la fiamma dell'accendino e poi mi raggiunse.

Casa mia era dietro l'angolo e non ci volle molto per arrivare. Non parlammo molto, anzi quasi per niente perché entrambi non avevamo niente da dire, o meglio niente che volevamo l'altro sapesse.

Entrati nella via di casa vidi mia mamma che insieme a mio padre che toglievano delle borse dalla macchina. Fu la mia condanna a morte.

"Siete tornati!" esclamai dando un bacio ad entrambi insieme a Damon che cercava di saltare in braccio a mio padre.

"Alla fine non c'era poi molto traffico" spiegò mia mamma. Perché non ci credevo?

Sarebbero dovuti ritornare come minimo alle 11 ed invece alle 10,15 erano già a casa.

"Nonna?" chiesi.

"In casa"

"Oh Edoardo, caro, finalmente ti si rivede" esclamò mamma.

Ebbene sì, mia mamma era veramente affezionata a lui, e stranamente pure mio padre non era troppo ostile nei suoi confronti e si vedeva bene che gli stava simpatico. Era l'unico uomo che sopportava al mio fianco, l'unico che probabilmente avrebbe mai chiamato per nome e non con un appellativo come "coso".

"Eh sì, mi dispiace ho avuto un po' da fare" 

Meno male aveva usato la mia stessa scusa pensai tra me e me.

"Sei già in ritiro?" domandò mio padre.

Quando quei due iniziavano a parlare di calcio non la finivano più e non era raro vederli qualche volta a guardare la partita insieme sul divano. Magari il sabato sera, quando io non ero ancora pronta e lui arrivava troppo presto.

"No, a dire il vero ho cambiato squadra. Proprio pochi minuti fa ho accettato una proposta per la C2!"

Dopo quella notizia ovviamente iniziarono i soliti discorsi sul calcio e chi li avrebbe più fermati. Entrarono fianco a fianco in casa e addio braccia forti per scaricare la macchina.

"Dammi una mano dai, che li abbiamo persi" ridacchiò mamma.

Era una bella donna, piccola, ma molto giovanile nonostante avesse più di quarant'anni. Tutti dicevano che ci somigliavamo molto, io in realtà non ci vedevo tutta questa somiglianza.

"Ok, dammi qua che pesa" le dissi prendendo il borsone con i panni sporchi.

Entrammo in casa e salii le scale con mamma, che non appena lasciai andare il borsone davanti alla lavanderia iniziò con le domande.

"Avete fatto pace?" domandò entrando dentro.

"Che?" domandai seguendola.

"Oh andiamo Giulia, secondo te non l'avevo capito? Quel ragazzo è sempre qua e da quando tu vedi Niccolò lui non si è fatto più vedere"

Va bene, mia madre in passato doveva aver fatto parte della CIA.

"Non avevamo litigato mamma, aveva semplicemente delle cose da fare per via del passaggio di squadra" la informai "E  mi spieghi come fai tu a sapere il nome di Niccolò?" chiesi un po' infastidita.

In quella casa non potevi fare niente di losco senza venir beccato in meno di 24 ore.

"Tesoro evita di lasciare il cellulare in giro" ridacchiò separando i colori nelle due ceste.

"Ma mamma!" sbuffai indignata. 

Se probabilmente mi avesse confessato di aver sbirciato nelle mie faccende un giorno prima avrei imprecato in duemila lingue diverse, ma in quel caso non mi scaldai più di tanto perché la mia vita era tornata quella di sempre con l'aggiunta di un particolare in più molto piacevole.

"Poi l'ho anche visto fuori casa, non passa giorno che non vi vediate" mi disse come se fosse ovvio ridacchiando divertita "Stasera pensavo di trovarti con lui…non con Edo"

Sgranai gli occhi scioccata. Mia mamma mi aveva teso un agguato bello e buono. Era tornata prima perché sperava di trovarmi con Niccolò ed in quel momento avrei dovuto presentarglielo.

"Mamma sei tremenda" la rimproverai "Al babbo che hai detto?" chiesi un po' preoccupata.

Mi sedetti sull'armadietto dei detersivi dondolando le gambe un po' agitata. Se solo avesse detto qualcosa anche a lui potevo scordarmi di uscire di casa per i prossimi giorni come minimo a meno che non avessi portato prove sulle persone con sui sarei uscita. 

"Niente, teniamo il segreto per noi adesso" mi fece l'occhiolino e mi invitò a spostare le gambe per prendere l'ammorbidente.

"Bene, anche perché mamma io non sto insieme a lui…usciamo, poi vediamo come va" le dissi in imbarazzo.

Io non avevo mai avuto problemi a confidarmi con lei, ma quell'argomento non era mai stato affrontato, io di ragazzi non ne avevo mai avuti. Nessuno che mi chiedesse di uscire per più di due volte.

"Oh sì, per questo aspetto a dirlo anche alla nonna"

"Ti prego la nonna no! Mi tormenterebbe a vita perché vorrebbe conoscerlo…lo sai com'è fatta!" la supplicai scendendo  dal mobiletto abbracciandola mentre dava l'avvio alla lavatrice.

"Va bene, va bene, per ora"

Mi accarezzò la testa e mi posò un bacio sui capelli per poi uscire dalla lavanderia. Io scesi giù scontrandomi sulle scale con Edo, che ovviamente mi voleva raggiungere.

"Andiamo su e accendi l'aria condizionata? Sto per squagliarmi!" 

Non mi diede il tempo di rispondere che mi aveva già voltata e presa per i fianchi mi spingeva su verso la mia camera, che data la mia assenza era pressoché un forno a microonde.

Il biondo si gettò sul mio letto come aveva fatto tante volte, oramai era come se fosse a casa sua. Io trafficai nei cassetti alla ricerca del pulsante senza trovarlo, per poi accorgermi che era sulla sedia.

L'aria fresca fu un sollievo.

"Quando sto con te i problemi passano in secondo piano sai? Sei meglio di un angelo custode" 

Ne fui lusingata, ma rimasi perplessa comunque. Edo era sdraiato sulla mia coperta bianca con le mani intrecciate dietro la nuca, gli occhi chiusi e l'espressione beata di chi finalmente ha trovato un momento di pace.

"Mi trasmetti serenità, non so spiegartelo…" 

Apri gli occhi e si alzò poggiando i gomiti sul materasso.

"Tra amici è così in fondo, servono a starti vicino nei momenti difficili esattamente come in quelli felici" dissi mettendomi a sedere al suo fianco dandogli le spalle.

"Sì, ma secondo me tu mi sei stata mandata proprio per farmi da angelo custode"

Mai in vita mia avevo fatto discorsi del genere con lui e non capivo a cosa fosse dovuto quel cambiamento. Era tutto così strano, piacevolmente inconsueto. Però mi imbarazzavo perché tra me e lui non c'era mai stato niente di così intimo. Anche quella mano, che in quel momento sfiorava la mia pelle mi metteva i brividi. E no, non era l'aria condizionata.

Mi sdraiai buttando le braccia indietro e stando ben attenta a non sfiorare qualsiasi parte del corpo di Edo.

"Stasera come mai non sei con lui?" 

Ma perché voleva parlarne a tutti i costi?

"Aveva una cena con i colleghi di lavoro…" dissi sbrigativa.

"Ah…meglio per me allora o sarei ancora a pensare all'offerta e a tutto il resto. Invece è bastata una tua parola e ho deciso…" 

Si voltò su un fianco verso di me e mi fissò.

Quante volte ero stata con lui su quel letto a ridere, scherzare e parlare di stupidaggini o semplicemente ad ascoltare musica in silenzio? Tantissime, ma mai mi ero sentita così a disagio come in quel momento.

"Giulia sei innamorata?"

Ma cos'era quella, la giornata delle domande inopportune?

"No, non ci si innamora in una settimana. Ci si deve conoscere" spiegai la mia teoria.

"Hai ragione…ci vuole tempo per capire le cose e spesso si capiscono troppo tardi"

"Che intendi?"

"Lascia stare…"

Annuii mandando a fare un giro la mia curiosità e forse quella volta fu veramente la scelta giusta. 

Una folata di vento spalancò la finestra del mio terrazzo facendomi sobbalzare per lo spavento. Mi alzai controvoglia per andare a chiuderla, ma rimasi immobile per qualche secondo guardando gran parte del cielo stellato coperto da una coltre di nubi che presto avrebbero scaricato a terra la loro furia.

I temporali estivi avevano qualcosa si speciale a mio parere, erano romantici. Probabilmente ero l'unica persona che lo pensava.

C'era aria di pioggia già nell'aria, quel profumo fresco che ti accarezza la pelle.

"Sta per piovere" 

Sentii una voce alle mie spalle e annuii continuando ad osservare l'orizzonte di fronte a me. Non mi andava di chiudere. Quella stanza sembrava troppo stretta per me ed Edo. Uscii fuori e mi poggiai allo stipite della persiana.

"Hai ancora quella canzone?" domandò aprendo il portatile sulla mia scrivania.

"Quale?" chiesi voltandomi.

"L'ho trovata…" mormorò "questa, te la ricordi? me l'hai fatta ascoltare tu per settimane, ti eri fissata" 

Mi venne istintivamente da sorridere riconoscendo le note di Kiss the Rain. E nello stesso momento in cui il cantante intonava il ritornello una goccia cadde sulla mia guancia scivolando giù. Stava piovendo eppure non mi muovevo, non rientravo in camera. Edo si alzò dalla mia sedia di pelle bianca e mi raggiunse senza dire niente, semplicemente mettendosi dall'altro lato del piccolo terrazzo, lasciando che le prime gocce colpissero la sua pelle.

Chiusi gli occhi buttando la testa indietro ed immaginai che anche lui avesse fatto lo stesso.

"Piove" mormorò.

Aprii gli occhi e ciò che avevo ipotizzato si era rivelato vero, Edoardo aveva le palpebre abbassate e rivolgeva il volto al cielo nero, come a godersi l'acqua.

"Ogni volta che ci siamo visti io e te in queste settimane ha sempre piovuto" constatò.

Non risposi perché non avevo niente da dire. Mossi qualche passo verso di lui e lo afferrai per una manica della maglia per riportarlo dentro. Improvvisamente anche tutto il mondo non sarebbe stato abbastanza grande per contenerci entrambi. Edo non mi sembrava più lo stesso e non capivo se ero io il problema o lui.

Intanto la pioggia si era fatta più intensa e ormai avevo il viso e metà maglia completamente zuppi.

Quella canzone sentita miliardi di volte non aveva più lo stesso significato. Ne aveva acquistato uno pericoloso, scottante.

"Non voglio avere sulla coscienza la salute di un calciatore importante" sdrammatizzai rompendo quel silenzio imbarazzante. Per me.

"Stupida" scosse la testa e qualche gocciolina mi schizzò il viso.

"Chiudi dai, vado a prendere un asciugamano e ci asciughiamo" 

Mi diressi svelta in bagno e presi i primi asciugamani che mi capitarono a tiro e poi tornai svelta di là. Quando aprii la porta mi ritrovai un ragazzo a torso nudo, seduto sul bordo del letto con il mio cellulare in mano.

"Che fai scusa?" domandai gettandogli l'asciugamano al fianco e strappandogli il cellulare di mano.

"Ti è arrivato un messaggio" disse duro prendendo l'asciugamano e passandoselo sulla testa "è Niccolò" 

Ringhiai letteralmente e sbloccai il cellulare per leggere.

Niente di importante, voleva sapere cosa stavo facendo e mi diceva che si stava annoiando a morte e che avrebbe fatto le ore piccole. Risposi in un attimo ed evitai di dirgli che ero con Edoardo.

Un Edoardo che mezzo nudo si passava l'asciugamano color panna intorno al collo con una faccia poco allegra.

"Dormi da Alice stasera vero?" domandai girovagando per la stanza.

Avrei voluto dirgli di non farsi i fatti miei sbirciando nelle mie cose, ma la mia indole troppo buona mi costrinse a non litigare nuovamente con lui.

"Sì…a casa non ci metto piede per ora" rispose con aria scocciata.

Se non voleva parlarne lui figuriamoci io.

Strinsi i pugni per calmarmi. Veramente non capivo perché non ci fosse più modo di stare qualche ora insieme senza lanciarci sguardi infuocati o indecifrabili. Stavamo qualche minuto a ridere e poi calava l'imbarazzo, oppure mi arrabbiavo. 

Una settimana era riuscita ad incrinare un rapporto d'amicizia di anni? Evidentemente sì.

Con tutta la mia buona volontà scacciai quel fastidio scrollandomelo letteralmente di dosso rabbrividendo. Avevo ancora i capelli molli e la maglietta umida. Presi l'altro asciugamano e cercai di asciugarmi alla meglio.

"Non ci vedremo per quasi un mese…" sospirò sconsolato.

Ok, stavo veramente per sbattere la testa contro un muro di cemento armato. Mi stava facendo diventare pazza. Prima scontroso ora l'amico dolce.

"Un mese preciso, io fino a settembre non torno in qua" precisai.

"Ancora peggio" 

Edoardo si lasciò cadere svogliatamente con la schiena sul letto e iniziò a fissarmi. Andai accanto a lui e mi sedetti sul bordo afferrando un cuscino e stringendolo al ventre.

"Esistono i cellulari" cercai di consolarlo.

Ero un caso perso. Non riuscivo a tenere il muso per più di due secondi con lui.

Si voltò a pancia in giù, alzando quel poco che bastava la testa per guardarmi in faccia, mentre io cercavo di non distruggere il cuscino facendo uscire milioni di piume bianche. Mi ero sbagliata molte volte, ma quella volta avevo pregato in tutte le lingue che non fosse così, invece dovetti ricredermi perché qualcosa era cambiato anche se non riuscivo a capirne il perché. Non era l'arrivo di Niccolò nella mia vita, perché se ci pensavo bene tutto mi sembrava diverso da quella sera con il temporale al mare. La pioggia c'era sempre quando si trattava di me e di Edo. Aveva ragione.

"Non è lo stesso, però vedrò di accontentarmi…" allungò una mano e mi sfiorò il ginocchio.

"Guarda che torniamo entrambi, mica partiamo per la guerra!" esclamai un po' sconcertata.

A sentire quelle parole sembrava che non ci saremmo visti per secoli e che l'unico mezzo di comunicazione fosse stato il telefono.

"Sì, ma quando torneremo quanto tempo avrai per me?"

Lì per lì non capii dove volesse andare a parare. Lasciai andare il cuscino e mi sdraiai poggiando la testa sulla testiera del letto. Edo teneva ancora la mano vicino alla mia gamba, sfiorando ogni tanto con l'indice la mia pelle.

"Tra le altre e Niccolò…"

Sempre Niccolò.

"Non fare lo stupido, secondo te sono il tipo che abbandona gli amici io?" chiesi alzando un sopracciglio.

"No…ma sai, l'amore rende ciechi e un po' allocchi"

"Mi stai dando della stupida?" scattai guardandolo male.

"Parlo per esperienza! Quando uno crede di essere innamorato oppure lo è veramente non si accorge di niente, nemmeno delle cose evidenti…" 

Sospirò ignorando il mio sguardo omicida. Evidentemente il suo non era un insulto rivolto a me, ma qualcosa che riguarda lui perché era come se si stesse rimproverando di qualcosa. Io non capivo più niente.

"Bè, anche se mi innamorerò non sarò così imbecille da escludere i miei vecchi amici" dissi sicura di me.

Gli amici sono sacri. L'amore dopotutto non è che la conseguenza dell'amicizia, un livello superiore di questa. Io ed Edoardo saremmo potuti essere due perfetti innamorati perché la nostra amicizia era splendida. Tra l'amicizia e l'amore però, c'è la differenza di un bacio e io e lui non avremmo mai oltrepassato quello stadio. Un semplice sfiorarsi di labbra avrebbe potuto distruggere tutto.

"L'amore rende stupido anche il più intelligente degli uomini, ricordalo"

"Appunto…uomo, non donna" ironizzai.

"Sono arrivato tardi!" scherzò lui.

Mi sbilanciai in avanti e gli diedi un ceffone in testa ridendo.

Iniziò a ridere anche lui, eppure nonostante le nostre risate si fondessero come sempre in un unico rumore piacevole, tutto mi sembrava diverso. Forse erano i suoi occhi puntati nei miei, forse il fatto che le note di Kiss the Rain riempivano l'aria con le sue dolci parole, forse perché  semplicemente la mia vita stava entrando in una nuova strada.

Piacevolmente o meno, il fato aveva deciso di giocare con noi.

Edo si alzò e venne al mio fianco abbracciandomi ed io stufa di quella situazione mi lasciai andare poggiando la testa sulla sua spalla.

Chissà cosa aveva in serbo per me il destino.

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Capitolo 12
*** Innamorata? ***


Ebbene oggi son puntualissima *-* sono fiera di me! (è certo, i capitoli son già scritti, complimenti xD per forza sei puntuale) Bando alle ciance, visto che ho tempo volevo ringraziare proprio tutti oggi ^^ Grazie sul serio, perché se mi vien voglia di continuare a scrivere è proprio grazie a chi mi segue! Prima di tutto grazie a silvia94, SetFireToTheRain e Sunday_Rose, che hanno lasciato un commento!

Poi grazie ai 31 che l'hanno inserita tra le seguite, ai 14 nelle preferite e ai 2 nelle ricordate! Grazie! So che sembro ad elemosinare commenti, ma se mi fate sapere cosa ne pensate della storia mi fate felice :)

Ed ora il capitolo: qua son stata particolarmente sdolcinata, sia per gli avvenimenti, sia per il luogo, che io amo moltissimo e spesso ci vado anche. Vi avviso…potrebbero venirvi le carie ai denti ù_ù

Baci Lullaby

 

CAPITOLO DODICESIMO "Innamorata?"

 

"Gemma dammi tregua! Mi fanno male i piedi" borbottai per l'ennesima volta.

Shopping sommato a Gemma era un vero e proprio uragano. Erano le sei del pomeriggio di martedì ed eravamo a giro per negozi da almeno due ore e mezza. Contando il sole cocente, che per fortuna era un po' calato, e le buste che ci portavamo dietro potevo confermare che ero distrutta ed il mio solo sogno in quel momento erano una doccia ed un letto.

"Dai un ultimo negozio! Guarda carina quella gonna!" esclamò indicando una gonnellina a palloncino blu cobalto.

La guardai supplichevole, ma non servì a niente. La mia amica mi prese per mano e mi trascinò nel negozio. Era piccolo ed accogliente e da quel che potetti notare Gemma sembrava una cliente conosciuta perché la signora bionda dietro il bancone la salutò cordialmente e lei le dette del tu.

"Vorrei quella gonna" disse subito indicando l'indumento indossato dal manichino "per lei" continuò frugando tra l'altra merce esposta.

"Per me?" domandai.

"Oh sì, secondo me ti sta bene. Provala dai" 

La signora me la porse e mi indicò il camerino. Dovevo ammettere che era carina e poi anche a me piaceva lo shopping, anche se quel giorno non ero proprio in vena di farlo. Niccolò sarebbe partito e non lo vedevo da due giorni. Con Edoardo c'era sempre quella situazione strana e nonostante avessimo ripreso a sentirci con regolarità c'era qualcosa di diverso nel nostro rapporto. Il problema più grande era che non volevo parlarne con Gemma. Non mi sentivo a mio agio in quel caso nonostante nella nostra lunga amicizia ci fossimo confidate praticamente tutto.

Provai la gonna e rigirandomi a destra e a sinistra per guardarmi allo specchio dovetti ammettere che il buon gusto della mia amica aveva colpito di nuovo.

"Allora? Come ti sta?" domandò la bionda mettendo la testa dentro il camerino "Vedo bene!" esclamò contenta.

"Sì, mi piace" ammisi.

"Prendila" 

Annuii guardando il mio riflesso. Quel colore con la mia abbronzatura leggera ci stava veramente bene.

"Tu hai trovato niente?" domandai.

"Sì, quindi fammi spazio che l'altro camerino è occupato" esclamò buttandosi dentro.

Fortunatamente c'era spazio per entrambe e non dovemmo fare a gomitate per cambiarci. Mentre io mi rivestivo lei si provava una camicetta legata dietro il collo che le lasciava scoperta la pelle candida della schiena. Non era mai stata una ragazza che si abbronzava facilmente, infatti per quanto ci provava rimaneva sempre molto chiara.

Comprammo entrambe quello che ci eravamo provate e ci incamminammo verso la macchina per tornare a casa. Erano più o meno le sei e mezza e io alle dieci avrei dovuto trovarmi a Piazzale Michelangelo.

"Insomma stasera se ne va in Sardegna eh?" domandò Gemma guidando tranquillamente verso casa.

"Già…poi viene da me al mare. Te l'avevo detto no?" risposi cercando una canzone decente alla radio.

"No! Che aspettavi a dirmelo?" esclamò.

"Mi era sfuggito di mente! Avevo da raccontarti un sacco di cose" mi giustificai.

Oltre allo shopping sfrenato, quel pomeriggio, avevamo anche parlato molto. Anzi io avevo parlato e Gemma aveva solo ascoltato e fatto tante domande. Non c'era stato modo di fermarla e così la lasciai fare, rispondendo minuziosamente a tutto, perché dopotutto ricordare mi faceva piacere. Per una volta ero io che avevo qualcosa di interessante da raccontare.

"Una cosa così ti sfugge di mente?" chiese scettica.

"Capita" sbuffai io.

"Ok, sì…insomma? Viene da te eh…e siete solo tu e i tuoi cugini..bene bene" 

Bene, ora parlava per i fatti suoi e si faceva i suoi filmino in testa.

"Gemma smettila di fantasticare, tanto ti conosco, sei peggio di Vale quando ti ci metti!" l'ammonii "Sta lì due giorni, ma non per fare ciò che pensi tu" le dissi cercando di trattenere una risata.

"Se va bene…allora viene per conoscere me!" scoppiò a ridere "Dai, non me l'hai ancora presentato!" fece gli occhini dolci e fui io a ridere.

"Gemi non è colpa mia, non ci vediamo da giorni e…oh andiamo, quando torna ti chiamo e vieni da me! Va bene?" 

"Brava. No, perché qua vi hanno visti tutti insieme tranne me" disse un po' duramente.

Gemma era così dopotutto. Una ragazza bellissima, ma con un carattere difficile. Era una splendida amica, ma qualche volta faticavo a comprenderla persino io. Esternava difficilmente i suoi sentimenti e anche con me non era molto affettuosa nonostante io lo fossi anche troppo. Sapevo che mi voleva bene, ma me lo aveva detto rarissime volte. 

Era la mia amica "cuore di ghiaccio"

"Rimedieremo" le dissi.

"Vorrei ben vedere" esclamò.

"Noiosa, dai ora muoviti che devo cenare, fare la doccia, prepararmi e andare a Firenze!"

Solo elencare tutte quelle cose mi faceva sentir male.

"Non sia mai che Cenerentola faccia aspettare il principe" scherzò lei "Come sei carina innamorata"

Era già la seconda persona che mi definiva innamorata. Lo ero sul serio?

 

Alla fine ero arrivata puntuale e nell'istante in cui parcheggiavo in Piazzale Michelangelo Niccolò scendeva dalla macchina, vestito con semplici bermuda e una polo verde. Erano le nove e mezza, ma faceva ugualmente ancora caldo. Dopotutto era l'ultimo giorno di luglio e nonostante gli acquazzoni improvvisi dei giorni passati, la temperatura non calava di un grado. Anche io ero vestita leggera, indossavo un paio di shorts e una canotta rossa, con converse dello stesso colore. Un abbigliamento un po' troppo scialbo forse, ma non avevo mai avuto l'impressione che agli uomini piacessero solo le donne con tacco e abiti succinti e soprattutto non volevo piacere a Niccolò per il mio abbigliamento.

"Buonasera" mi salutò dandomi un bacio a fior di labbra "sei arrivata bene qua?" domandò premuroso.

"Sì, non ci sono molte persone in città in questi giorni…se ne stanno andammo tutti al mare" inconsciamente avevo fatto capire che ero triste per la sua partenza.

"Poi però tornano" 

Mi prese per mano e ci allontanammo dalla macchina per andare a sedere sulle panchine di marmo bianco, ai margini dell'enorme terrazza con il panorama migliore di tuta la città. Lo sky line appena visibile al crepuscolo era magnifico e ciò che spiccava di più erano le torri alte e la cupola del Duomo, ma la cosa più bella rimaneva il ponte vecchio, illuminato e magico. Eppure non mi importava del panorama.

Ero troppo romantica, ma non potei non pensare che quel posto l'aveva scelto di proposito, era troppo bello. Forse però mi illudevo, in fondo eravamo lì solo perché Niccolò abitava a tre passi dal quel Piazzale.

"Torni e vieni da me in Versilia?" domandai.

Avevamo accennato qualcosa, ma non ne avevamo mai parlato veramente sul serio e né programmato niente.

"Sì, se l'invito è ancora valido" rispose cingendomi la vita con un braccio "È valido?" domandò con un sorriso malizioso.

"Certo! Dal 14 al 23 i giovani avranno il controllo della casa" scherzai ricordando le parole di mia zia quando ci aveva detto che sarebbe partita anche lei con lo zio e miei genitori "quindi per me puoi venire anche il 14 direttamente…se puoi e se vuoi ovvio. Quando dirò ad Ale che vieni penso che non ci crederà!" ridacchiai pensando alla faccia di mio cugino.

Era sempre stato lui quello fidanzato e io quella single alla quale tutti chiedevano come mai ero ancora sola. Bé, una risposta non c'era proprio e io alzavo le spalle restando in silenzio. 

"Perfetto, dato che io torno l'11…" sembrò pensarci "Altri tre giorni li posso aspettare" scherzò stringendomi a sé e baciandomi una tempia.

Due settimane senza di lui. Ero stata diciotto anni in sua assenza, cosa potevano mai essere quindici miseri giorni? Molto. Perché ti rendi conto di ciò che ti manca quando non lo hai con te. Così mi godetti quel momento, le sue braccia intorno al mio corpo e la sua guancia posata sulla mia nuca. Una pelle morbida e profumata. Diamine non so che profumo usava, ma mi faceva impazzire.

Il silenzio imbarazzante che avevo provato con Edoardo con Niccolò non esisteva, era sconosciuto perché anche senza parole non c'erano pensieri pesanti che opprimevano.

"Quando parti tu?" domandò restando sempre nella stessa posizione.

"Venerdì sera penso…dipende dai miei" risposi distrattamente.

Non avevo chiesto praticamente niente a mia mamma perché in quei giorni non mi era interessato. Solitamente era diverso, non vedevo l'ora di passare tutti i giorni con i miei cugini e la ragazza di uno di loro, ma in quei giorni le mie attenzioni erano rivolte ad altro. In più Alessio sarebbe tornato il 12 dato che anche lui se ne era andato in vacanza con Margherita in Spagna.

"Per fortuna c'è Gemma vicino o sarebbe stata una vera noia" sbuffai io.

"Tranquilla, poi arrivo io" scherzò solleticandomi un orecchio con le labbra.

"Ecco il principe azzurro con il cavallo bianco, anzi no, questa è vecchia ora c'è il vampiro affascinante che brilla al sole" lo presi in giro ridacchiando.

Si allontanò da me fissandomi con uno sguardo da finto imbronciato che mi fece ridere ancora di più.

"Non sono biondo, quindi niente principe azzurro! Non sono bianco cadaverico come quel Cullen, anche se ho i canini più affilati dei suoi!" disse sorridendo e mostrando la sua dentatura perfetta.

Osservandoli bene aveva due bei canini affilati.

"Tu non mi mordere eh!" gli ordinai.

"Quando saremo in casa insieme e tu dormirai beata magari un morso mi sfugge…" 

Diamine, mi avrebbe potuto mordere quando voleva se continuava a guardarmi con quegli occhi. Chi diceva che gli occhi azzurri erano penetranti e magnifici non aveva mai osservato un paio di onici neri come quelli di Niccolò. Erano magnetici.

"Allora mi toccherà farti dormire fuori, oppure con Enrico. Ti avviso: tira dei bei calci!" risi alla sua espressione.

"Io volevo dormire con te…" sussurrò facendo quello sguardo in grado di sciogliermi, che amavo tanto "mi vuoi veramente lasciare in balia di uno che tira calci e magari russa anche?" chiese con voce roca ed allo stesso tempo dolce.

"Sì, russa" scoppiai a ridere "Comunque dormiremo in camera mia"

A quelle parole e alla fluidità con cui mi erano uscite mi stupii. Non avevo mai condiviso un letto con un ragazzo che non fosse Edo o un mio parente. 

Poi cosa si sarebbe aspettato da me quelle notti? Non mi aveva fatto pressioni quando aveva saputo che non lo avevo mai fatto prima, ma era più che normale che un ragazzo di ventidue anni pretendesse di più di un semplice bacio da una ragazza che usciva con lui da quasi un mese. Alla fine lo era se si toglievano i giorni che lui era in Sardegna, perché in fondo ci saremmo sentiti lo stesso.

"Meglio, molto meglio" sussurrò sulle mie labbra.

"Russi per caso?" domandò facendomi strabuzzare gli occhi.

"No! Certo che no!" risposi indignata "Al massimo mi muovo un pochino" confessai.

Non era solo un pochino a dire il vero. La notte sembravo voler fare la guerra con le lenzuola e tendevo ad abbracciare chiunque mi fosse a fianco e se dormivo sola stringevo il cuscino. Le mie amiche erano disperate quando erano costrette a dormire con me. Vale diceva pure che miagolavo come un gatto.

"Ti legherò" disse con ovvietà.

"Se Ale mi trova legata non so cosa potrebbe pensare" dissi ridendo sotto i baffi.

Ormai la conversazione era diventata comica.

"Chiudo a chiave" cercò di trovare una scappatoia.

"Ancora peggio. Chissà che penserà" ridacchiai.

"Penso che ci sia solo un pensiero in quel caso, sai?" disse più serio.

"È molto geloso di me. Anche Enrico…sicuro di non voler dormire sul divano?" scherzai.

"Mai, non perderò l'occasione di dormire con te" affermò con uno sguardo dolce negli occhi "c'è più intimità nel dormire insieme che in tutto il sesso del mondo"

A quelle parole arrossii. Aveva detto dormire e ciò mi faceva pensare che veramente non era quel ragazzo frivolo che mi avevano descritto. Non che avessi dei dubbi, perché dal primo momento in cui avevo affrontato una conversazione con lui avevo capito che non lo era. Aveva l'aspetto del bello dannato, ma mai c'era da giudicare un libro dalla copertina.

Mi voltai sorprendendolo con un bacio e arrossii subito dopo quando la sua mano andò a posarsi sul mio collo, accarezzandomi la guancia con il pollice. Sorrise azzerando la distanza tra i nostri volti ed il bacio che mi diede lui fu decisamente diverso dal mio. Amavo baciarlo. Eppure era solo un bacio, un semplice incontro di labbra.

Con Niccolò anche quel gesto era sublime. Mi sentivo trasportata in una dimensione diversa, nel silenzio ovattato e nella pace dei sensi. Baciarlo era come viaggiare e scoprire luoghi mai visti.

Lo strinsi a me circondandolo con le braccia e mi godetti quel bacio per qualche altro minuto, ma poi mi allontanai poggiando la fronte sulla sua.

"Non vedo l'ora" confessai.

Ero impaziente di passare due o tre giorni interi con lui sempre al mio fianco. Volevo veramente capire se quel che provavo era vero e cosa c'era di meglio che un paio di giorni di lontananza e poi altri insieme, nella stessa casa e quasi in completa solitudine? Ero dispiaciuta della sua partenza e che da lì a poche ore sarebbe salito sulla nave.

"Anche io…non sai quanto mi costi andare e lasciarti qua"

"Sono dieci giorni, dopo un anno di lavoro ti meriti di divertirti un po', ma non esagerare!" scherzai dandogli un altro bacio a fior di labbra per poi sedermi compostamente.

Fui ripresa immediatamente da Niccolò, che mi fece sdraiare e poggiare la testa sul suo torace, afferrando la mia mano ed intrecciando le dita. 

"Non farò niente…al massimo una ragazza o due ok?" scherzò beccandosi una pacca sulla spalla.

"Tu provaci" lo minacciai socchiudendo gli occhi.

So che stava solo giocando, ma tra i miei tanti difetti c'era anche la gelosia.

"Scherzavo" si difese ridacchiando "Perché saresti gelosa?" domandò con un sorrisetto.

"Sì" sussurrai spostando lo sguardo.

Non sapevo se era normale provare un'attaccamento così forte per qualcuno dopo pochi giorni. Ero gelosa dei miei cugini, lo ero delle mie amiche, ma tutto in una giusta dose che può essere confusa benissimo con affetto, ma con Niccolò era diverso. Non sapevo spiegarmelo.

"Sei belíssima quando arrossisci" 

Dopo quel complimento arrossii ancora di più. Ero un caso disperato di timidezza.

Miglioravo giorno dopo giorno stando a contatto con Niccolò. Mi scioglievo e mostravo la vera me stessa, ma non ero ancora da paragonare alla Giulia che vedevano tutti i giorni le mie amiche oppure Edoardo.

Eppure quella sera parlammo di ogni genere di argomento con spensieratezza. In fondo Niccolò sembrava sempre a suo agio e aveva sempre qualcosa da dire a differenza mia, che ogni tanto mi incantavo ad ammirarlo. Studiavo i suoi modi di fare e cadevo nel pozzo profondo dei suoi occhi ogni volta.

Aveva uno strano modo di guardami, o forse ero io che lo immaginavo, ma sembrava non perdermi di vista un secondo e guardarmi dentro scoprendo ciò che pensavo o provavo. 

Ridendo e alternando qualche bacio arrivammo a sentire le campane del Duomo rintoccare le due. Eravamo stati quasi quattro ore seduti su di una panchina a fare praticamente niente ed il tempo era volato.

La Piazza infatti era vuota e solamente i lampioni illuminavano la zona, compresa la statua che troneggiava al centro, unica nostra compagna oltre le nostre macchine. I pochi turisti si erano goduti il tramonto e un po' di panorama della città illuminata e se ne erano andati.

Non sapevano che con lo spegnersi delle luci delle case e del traffico il manto stellato si vedeva meglio e tutto era ancora più bello.

"Tra un po' arrivano i ragazzi, che ne dici se andiamo a casa mia? Devo cambiare macchina e con loro ho concordato di incontrarci lì"

Nicco si alzò in piedi e io mi sedetti di fronte a lui.

"Va bene, ma…"

"I miei dormono, devo solo lasciare la mia macchina in garage e prendere l'altra" spiegò, intuendo subito quale fosse la mia preoccupazione.

L'altra? Quante macchine aveva?

"Va bene" annuii.

"Allora seguimi" mi prese per mano e ci avviammo "Due minuti e ci saremo. Non è lontana da qua" mi rassicurò "Seguimi con la macchina nel viale così non la lasci in mezzo alla strada" 

Lì per lì non capii, ma annuii lo stesso e salii sulla mia, mentre lui faceva lo stesso. Uscimmo dal Piazzale e svoltammo a destra per scendere dalla collina, ma non percorremmo nemmeno cinquecento metri e già Niccolò aveva messo la freccia a sinistra. Davanti a me vedevo solo un muro di cinta alto almeno due metri e mezzo, interrotto da un cancello in ferro battuto con una lamina piena ad oscurare ciò che nascondeva dietro di sé. 

La luce gialla segnalava che il cancello si stava aprendo.

Niccolò abitava lì dentro? 

Ero così incredula che non mi resi conto di essermi bloccata quasi ancora in mezzo alla carreggiata. Per fortuna non c'era nessuno a quell'ora.

Il viale. Tutto si spiegava. Da quel cancello per giungere alla casa c'erano come minimo duecento metri di strada in ghiaia, che curvava di fronte alla casa intono ad un'aiuola semicircolare di ortensie azzurre e rosa, per poi tornare indietro. Tutt'intorno un giardino molto curato, illuminato da faretti rotondi impiantati nel terreno.

Niccolò fermò la macchina di fronte alla casa e io subito dietro.

Rimasi ammirata dalla struttura tutta bianca, con vetrate incentrate da colonnine sottili ed una loggia al piano superiore che svoltava nell'angolo destro. Tutto era nella penombra ed ero certa che di giorno sarebbe stata ancora più bella.

Scesi per non sembrare un imbecille imbambolata.

"Lasciala pure qua, metto questa nel garage e torno" 

Il padrone di casa ingranò la marcia e scomparve nel retro percorrendo una stradina che svoltava dietro alberi fitti sulla sinistra. Quella villa quanti ettari di terreno aveva?

Essendo sempre stata appassionata di architettura non potevo non ammirare quella meraviglia. Era più forte di me. Mi sarei messa a curiosare come una ficcanaso se non avessi sentito il rumore di una macchina dietro di me.

L'ennesima bella macchina. Sorrisi nel vedere che era uguale a quella di mio padre: un Range Rover di colore nero.

"Questa casa è un capolavoro!" esclamai non potendo farne a meno.

"Grazie. Ci siamo trasferiti qua quando avevo cinque anni. Il terreno era di mio nonno e avendo un unico figlio ha deciso di costruire questa casa per mio padre"

"Tuo nonno era un principe o qualcosa del genere? Hai sangue nobile e non me lo hai detto?"  scherzai.

Fece qualche passo verso di me e mi prese per mano.

"Ti faccio vedere una cosa"

Mi lasciai condurre sul lato sinistro della casa, dove prima era scomparso lui. Dalla ghiaia passammo ad un pavimento in cotto dai disegni romboidali elaborati con fasce di pietra serena in mezzo. Ipotizzai che circondassero la casa, ma mi sbagliai. Nonostante ci fossimo fermati di fronte al muro laterale potei notare un porticato in legno dove tende bianche svolazzavano per via del vento. Non mi sarei stupita di vedere anche una piscina e la dependance. 

"Guarda in alto, sotto il terrazzo" 

Indicò la sommità dell'arco sopra la porta, che aveva un certo stile romanico, con trabeazione e timpano spezzato da un blasone.  Uno stemma con losanghe nella parte superiore e liscio in quella inferiore. Al di sopra di esso un'incisione  che non riuscii a leggere. Non lo riconoscevo.

"Pensaci bene, il mio cognome non ti dice nulla?" domandò quasi incredulo.

Niccolò Antinori. E allora?

Antinori!

Era una delle più antiche famiglie di Firenze, c'era persino il Palazzo Antinori. Ma come potevo pensare che lui fosse un loro discendete? Anche io avevo un cognome di una famiglia fiorentina del Rinascimento, ma non avevo ereditato né Palazzi né tenute in campagna.

"Tu sei…ti devo chiamare Marchese ora?" chiesi ironica.

Lui mi pizzicò un fianco ridendo.

"No, quello è mio nonno…Io sono solo Niccolò, più altri nomi insulsi a seguito"

"Quali sono?" domandai curiosa.

"Non te lo dirò mai, nemmeno sotto tortura" rispose serio con un velo di ilarità negli occhi.

Misi sù il mio sguardo da cerbiatto posando le mani sul suo petto e avvicinando il volto al suo, quel tanto che bastava da far sfiorare le nostre labbra.

"Dai…ti prego…" mugolai. Mi stupii io stessa di quella voce sensuale.

Diamine ero proprio brava quando mi impegnavo.

"Giulia…" 

Sembrò una preghiera. Ma poi sentii le sue mani afferrarmi per la vita per portarmi a combaciare con il suo corpo, tanto che dovetti spostare le mani diretto al suo collo.

Gli baciai la sua pelle strusciando il naso sulla sua pelle profumata. 

"Ludovico" sospirò.

Spostai la testa dall'incavo del suo collo per guardarlo negli occhi e gli passai una mano lungo l'arteria fino al petto.

"È bello…" non stavo affatto mentendo.

C'erano nomi ben peggiori di quello.

Lui alzò un sopracciglio scettico.

"Guarda che dico sul serio. Mi piace…non so perché ma ti si addice" dissi osservandolo nella penombra mentre continuava ad essere scettico.

Era decisamente buffo con quei capelli, stranamente fuori posto, tutti scompigliati, che ricadevano un po' disordinati sulla sua fronte, dove quel sopracciglio continuava ad essere alzato, ma con un lieve sorriso appena comparso.

"Solo a te poteva piacere" sussurrò 

Arrossii non appena le sue mani arrivarono ad infilarsi nelle tasche posteriori dei miei pantaloncini, mentre lui ridacchiava vicino al mio orecchio. Mordicchiò il lobo stringendo la presa su di me e quando posò le labbra dietro l'orecchio mugolai vergognandomi. Eravamo nel giardino di casa sua e c'erano i suoi genitori lì vicino, che dormivano sicuramente, ed io sospiravo di piacere. Non potevo trattenermi, quello sembrava essere il mio punto debole.

Niccolò se ne accorse, forse anche perché inclinai la testa per agevolargli i movimenti, o forse perché mi attaccai completamente a lui come a volerlo incollare al mio corpo, e per questo iniziò a mordicchiare e leccare proprio quel piccolo pezzo di pelle facendomi sciogliere tra le sue braccia.

Era incredibile, ma con lui desideravo sempre andare oltre. Era la prima volta che sentivo quel desiderio strano, e ne ero anche un po' spaventata, non perché non sapessi cosa volesse dire, ma perché mi sembrava presto. Ci conoscevamo da così poco. Eppure io non replicavo, anzi avevo iniziato ad accarezzare i suoi capelli corvini dolcemente, quasi spingendolo di più verso di me.

Improvvisamente si allontanò e si tuffò sulla mia bocca in un bacio famelico. Tolse le mani dalle tasche e le posò sulla mia schiena, facendomi camminare con lui, un po' impacciati dato che non guardavamo dove stavamo andando, speravo solo che lo sapesse Niccolò. Forse no, dato che mi trovai schiacciata su qualcosa di duro, che poteva sembrare una di quei pilastri in legno del porticato.

Continuammo a baciarci, mentre la tenda leggera sfiorava le mie gambe nude insieme ad un venticello piacevole. Quel fresco della notte che a me piaceva tanto.

Tutto finì quando iniziò a squillare il cellulare di Niccolò, che scocciato dovette separare le sue labbra dalle mie per rispondere. Portò il telefonino all'orecchio tenendomi comunque stretta a sé con un braccio.

"Va bene, vi apro, entrate che la macchina è pronta" 

Si voltò verso di me dandomi un bacio sulla fronte.

"Sono arrivati…"

Di solito quando uno sta per partire per le vacanze dovrebbe essere un tantino più euforico, mentre Niccolò sembrava quasi dispiaciuto ed mi dispiaceva. Volevo che si godesse quei giorni, certo, usando il cervello, ma era giusto che si divertisse. In fondo anche io partivo per le vacanze e non ci trovavo niente di male a godersi mare, sole e qualche sera in compagnia delle mie amiche.

"Allora io vado" mormorai triste.

"No, stai un po' con noi" si affrettò a proporre "Se non hai troppo sonno…" aggiunse.

"Ok, resto un po'" 

Se c'era la possibilità di stare un'altro po' in sua compagnia perché non farlo?

Tornammo verso la macchina parcheggiata sul davanti ed in lontananza sul viale vidi tre ragazzi con tanto di valigia procedere verso di noi alzando un braccio a mo' di saluto. Ovviamente non li conoscevo dato che erano tutti suoi vecchi compagni di scuola.

Mentre si avvicinavano iniziai ad osservarli. Ragazzi normalissimi, che però avrebbero potuto avere anche la bellezza di Brad Pitt ed io non me ne sarei resa conto perché per me in quel momento c'era solo Niccolò.

"Non sapevano che eri qua, quindi faranno un paio di domande, forse..." mi avvisò il ragazzo al mio fianco.

Ormai ero abituata a rispondere su quesiti riguardo noi due.

Aprì il bagagliaio spazioso, nel quale c'era già la sua valigia e nel frattempo i tre avevano raggiunto l'amico, che li accolse con un sorriso.

Io ero imbambolata al fianco della macchina, silenziosa e curiosa. Erano tutti e tre castani e con gli occhi chiari. Ma i geometri li fanno con lo stampo? Chi con i capelli più scuri o più chiari, corti o lunghi, quei ragazzi avevano gli occhi del medesimo colore.

"Allora non mentivi" disse uno con lo sguardo puntato verso di me. 

Si riferiva a cosa di preciso?

"Eh no" sorrise Niccolò venendomi accanto "Giulia loro sono Michele, Andrea e Luca" 

Strinsi la mano a tutti e tre e mi parve di essere sotto esame, come se mi stessero facendo una fotografia. Mi sentivo a disagio. Mi guardavano tutti.

"Piacere…" mormorai un po' in imbarazzo.

"Non sai in che guaio ti stai cacciando con questo qua" disse quello sulla destra con tono scherzoso.

"Ho messo la testa a posto" si difese Niccolò "Anzi me l'ha fatta perdere la testa" disse portando un braccio intorno alla mia vita.

Io l'avevo perduta da un bel pezzo.

Queste continue avvertenze mi davano quasi fastidio perché dopo averlo conosciuto Niccolò non mi pareva così infantile o bastardo come l'avevano descritto un po' tutti. Forse lo era stato, forse ero io che troppo presa da lui non mi rendevo conto di ciò che avevo a fianco. 

Intanto i suoi amici sembrarono rimanere di stucco di fronte a quella scena.

"Stavo scherzando, l'ho capito quando mi hai chiamato per disdire che questa volta eri proprio cotto...ed ora capisco perché" disse forse quello che si chiamava Andrea ricevendo un'occhiataccia da Niccolò. 

"Non volevi andare?" domandai io sorpresa.

"No, mi dispiaceva partire…volevo prendere in affitto una casa lì in Versilia, ma poi avevo già pagato praticamente tutto e sarebbe stato complicato…" confessò.

Quindi avrebbe rinunciato alla vacanza in Sardegna per me? Quasi non ci credetti e nemmeno il mio cuore.

"Hai prenotato da mesi, saresti stato uno stupido a preferire la Versilia alla Sardegna! Anche solo per il mare…" dissi ovvia.

Divertimenti a parte, il  mare della Toscana, almeno a nord, non era uno dei più belli, anzi faceva veramente pena.

"La Sardegna non ha te però" replicò.

"Oh Dio, ci è diventato pure sdolcinato!" scherzò un suo amico.

Risi anche io, cercando di trattenermi. Aveva ragione dopotutto perché mai mi aveva detto una cosa del genere di fronte ad altra gente e per questo arrossii.

"Va bene, prima che cambi idea e ci molli qua io direi di andare" intervenne Andrea.

Il mio cuore sembrò urlare un no a pieni polmoni.

Sospirai conscia che prima o poi sarebbe dovuto partire ed io non potevo impedirglielo. In fondo dovevano trascorrere solo due settimane e poi saremmo stati insieme a casa mia per qualche giorno. Avrei contato i giorni.

"Sì dai, non voglio che facciate tardi" concordai a malavoglia.

"Ok, ragazzi caricate, arrivo subito" 

Niccolò lanciò le chiavi ad uno di loro ed io li salutai "È stato un piacere conoscervi" 

Andammo entrambi verso la mia macchina e subito Niccolò mi abbracciò. Un semplice abbraccio. La mia testa sulla sua spalla, il suo viso tra i mie capelli e le braccia intorno ai nostri corpi. Io volevo imprimermi nella mente il suo profumo.

Ci allontanammo controvoglia.

"Allora…buon viaggio" dissi a testa bassa con una strana tristezza ad avvolgermi.

"Torno presto" mi consolò lui accarezzandomi una guancia.

"Sì…" annuii.

Lo sapevo che sarebbe tornato presto, ma ero comunque dispiaciuta. Stava andando tutto così bene tra di noi che mi sembrava quasi un'ingiustizia dovermi separare da lui.

"Vieni qua" disse stringendomi ancora.

Quella volta fui io a prendere il suo volto tra le mani per dargli un bacio profondo, quasi possessivo. Avevo bisogno di sapere che era mio, che lo sarebbe stato anche quando sarebbe tornato.

Ebbi l'impressione che anche lui stesse provando la stessa cosa perché mi teneva stretta a sé quasi morbosamente e mi baciava con la sessa passione che ci stavo mettendo io.

A malincuore il bacio si dovette concludere.

"Ora devo andare sul serio" disse serio "Ti chiamo tutti i giorni ok?"

"Va bene. Divertiti mi raccomando e…" 

Volevo aggiungere altro, ma non volevo fare la fidanzata gelosa, anche perché io non ero la sua ragazza.

"Farò il bravo, te l'ho promesso" intuì e rispose alla domanda che non avevo posto.

Gli sorrisi e mi alzai ancora una volta sulle punte dei piedi per baciato.

"Vai, ti aspettano…"

"Ciao piccola" mormorò sfiorandomi nuovamente il viso.

lo guardai allontanarsi e salire in macchina. Se non avessi voluto rimanere lì lo avrei dovuto fare anche io, così con un po' di buona volontà entrai anche io e quando la macchina di fronte a me si mosse io la seguii fino al cancello, che ancora lampeggiò e si aprì lasciandoci passare.

Svoltammo entrambi a sinistra, ma giunti alla rotonda prendemmo due strade diverse.

Il cuore sembrava stato privato di qualcosa. Era come se mancasse una parte e nonostante avessi la certezza che presto sarebbe tornato pieno c'era quella fottuta paura di perderlo.

Forse non ne avevo motivo perché in varie occasioni mi aveva fatto capire che mi voleva bene e che teneva a me. Perché dovevo stare male se non c'era motivazione per esserlo?

Ero così sciocca. No, ero semplicemente innamorata. Se Edoardo mi avesse fatto la stessa domanda di sue ere fa avrei risposto in modo diverso. 

Sì, credo di essermi innamorata.

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Capitolo 13
*** Hello Kitty ***


Sono in ritardo lo so, ma ho avuto dei problemi seri e non ho avuto né il tempo, né la testa per mettermi al pc…scusate. Però adesso ecco il 13°, dove ancora ci sarà Niccolò e niente Edo, magari a qualcuno farà piacere ad altri no…

Dopo questo capitolo posterò la prima "missing moment" a rating rosso :) spero che vi piacerà!

Grazie come sempre a chi mi segue e commenta!!

 


CAPITOLO TREDICESIMO "Hello Kitty"

 

12 Agosto. Mancava solo un misero giorno.

Era una sera tranquilla, fuori in giardino c'era quella leggera brezza marina che portava un po' di pace dopo il caldo afoso della giornata ed io me la stavo godendo tutta. Seduta a terra, tra l'erba con Damon, che stava a pancia in sù cercando di attirare l'attenzione per qualche coccola in più.

Lo accontentai grattandogli la pancia bianca e lui contento si allungò completamente chiudendo gli occhi. Quel cane era veramente strano. Faceva pisolini ogni ora.

Avevo sentito Gemma pochi minuti prima e mi aveva detto che si annoiava da morire perché lì a Positano non c'era molto da fare e soprattutto sua mamma non la lasciava mai sola. Fossimo state insieme probabilmente sarebbe stato diverso, ma lei era stata trascinata con la forza nella riviera Amalfitana dai genitori, e tutto questo all'ultimo minuto. Avevamo protestato entrambe perché avremmo preferito passare quei giorni insieme invece che separate. Non c'era stato modo di farla rimanere da me e quindi ci saremmo riviste tra qualche giorno. Ironia della sorte lei era partita proprio quando ero sola.

Per fortuna Enrico ed Ale erano tornati o sarei impazzita. Enrico non c'era quasi mai, ma Ale sì e dato che Margherita era in vacanza con i genitori, noi passavamo molto tempo insieme. Mi dispiaceva che la sua ragazza non fosse lì come ogni anno, ma ero certa che ci saremmo viste comunque presto.

Edoardo mi mandava messaggi regolarmente, almeno ogni due giorni e mi faceva piacere vedere che tutto sembrava tornato come prima. Mi scriveva cosa faceva ed io gli raccontavo la mia giornata, omettendo che Niccolò mi avrebbe raggiunto pochi giorni dopo.

Stranamente faticavo a parlarne con lui nonostante precedentemente ci fossimo sempre detti tutto ed il mio misero cervello non arrivava a capire il perché di questi miei freni. Non me li ero imposti, ero semplicemente bloccata.

La mente umana era veramente strana, o più precisamente, lo era la mia.

Alessio sbucò dalla porta della cucina chiedendomi se volevo il caffè.

"Sì, lo prendiamo fuori dai. Ti aiuto" 

Mi alzai e corsi in cucina.

Eravamo solo noi due quella sera. Enrico era già uscito da un pezzo e i nostri genitori erano fuori a cena con degli amici e noi avevamo preferito starcene in santa pace.

"Prendi i cucchiaini e lo zucchero!" gli urlai posando le tazzine sul tavolo del giardino.

Nell'aria c'era quell'odore strano delle candele accese per tener lontano le zanzare, misto a quello della salsedine e a quello dei pini che circondavano l'appartamento, al quale si aggiunse l'aroma del caffè. Era una serata magnifica, con i colori rossi e rosa del cielo che ancora si vedevano in lontananza. Mancava solo qualcuno.

Mio cugino uscì fuori portando ciò che avevo chiesto.

Alessio era un bel ragazzo e non lo pensavo perché tutti ci dicevano che ci somigliavamo, ma semplicemente perché lo era. Quando eravamo piccoli ci scambiavano sempre per fratello e sorella. Un fisico asciutto dato dalle sue corse giornaliere e quel pizzico di muscolatura dovuta alla palestra gli donavano un aspetto quasi da modello. 

Aveva due splendidi occhi marroni/verdi e i capelli castano chiaro, corti e sempre ordinati. Era quel tipo di ragazzo che non puoi non notare se ti passa al fianco.

Ci mettemmo a sedere l'una di fronte all'altro bevendo il caffè in completo relax.

"Quando hai detto che viene Marghe?" domandai.

"Tra quattro giorni" rispose.

"Bene, è un po' che non la vedo" 

Giocai come il mio solito con il cucchiaioni, rigirandolo nella tazzina, dove era rimasto un po' di zucchero.

"Ed io quando lo posso vedere Niccolò?"

Il risolino che fece mi indusse a ridere a mia volta e nemmeno mi stupì più di tanto quella domanda dato che io non avevo mai fatto niente per nascondere che mi vedevo con un ragazzo. Non c'era niente di male dopotutto e se non lo avevo detto ad Ale era perché volevo fargli una sorpresa. Enrico lo sapeva.

"Non sei tanto brava a nascondere le cose e facebook aiuta" annuii consapevole "Insomma quando potrò conoscere, o sarebbe meglio dire rivedere il mio caro amico, non che tuo ragazzo?" scherzò rilassandosi sulla sedia "Non ci credo che stai veramente con lui!"

"Usciamo, non ci sto insieme" precisai.

Parlare con Ale era facile perché sin da piccoli eravamo stati così uniti e quando eravamo cresciuti ci confidavamo sempre tutto e ci scambiavamo consigli.

"Visto che sei sempre attaccata a quel telefono credevo ci stessi insieme ed infatti mi chiedevo perché non me lo dicessi" 

"Me l'ha chiesto Niccolò, voleva farti una sorpresa domani ed invece…niente, l'hai scoperto" 

"Domani? Viene domani?" si mise a ridere "Ed io che credevo che fossi una brava ragazza!"

Lo guardai male non capendo dove volesse andare a parare, ma intuendo che non sarebbe stato un complimento.

"I genitori se ne vanno e tu chiami il tuo ragazzo qua! Complimenti, fai le cose di nascosto eh?" mi prese in giro alzandosi e venendo a darmi noia.

Gli feci la linguaccia e lui iniziò a darmi pizzicotti.

"Brutta mascalzona!" 

"Ale dai!" lo supplicai ridendo.

"Tanto lo faccio dormire sul divano!" disse serio sedendosi al mio fianco.

"Provaci!" ringhiai.

"Pretendi che ti lasci tra le grinfie di quello lì?" domandò scettico alzando un sopracciglio.

"Ma non era tuo amico?" 

"Sì, ma tu sei mia cugina e sei più piccola, quindi devo proteggerti" 

Scossi la testa divertita. Non avevo i genitori in giro e ci si metteva lui. Tutti avevano quella malsana idea di vedermi fragile e inadatta al mondo, alle difficoltà che questo ci poneva sul nostro cammino. Non sapevo se sarei stata forte di fronte a queste avversità, ma prima o poi avrei dovuto affrontarle e probabilmente mi sarei alzata. Ero troppo testarda per farmi mettere i piedi in testa.

"Mi intrufolerò nel divano quando ti addormenti" sghignazzai "tanto tu quando dormi non senti nemmeno le cannonate" 

Lo sapevano tutti che Ale poteva far concorrenza ad un ghiro per quanto riguardava il dormire. Da piccolo si era addormentato anche mentre gli facevano il bagno e cresciuto non era cambiato poi molto dato che bastava che si mettesse in posizione orizzontale e dopo cinque secondi ronfava beato.

"Sai che non dicevo sul serio" prese una sigaretta e l'accese, buttando fuori una leggera nuvoletta di fumo "Però sarà strano…e se penso che Niccolò lo conosco lo è ancora di più! Non avrei mai detto…be', meglio lui che un altro che probabilmente non avrei sopportato" 

Prese un'altra boccata di fumo e lo soffiò in alto cercando di fare dei cerchi, che alla fine si rivelarono più delle figure strane e sbilenche.

"Almeno sono certa che non lo picchierai…ti sei sempre lamentato delle persone che mi sono piaciute"

"Infatti non c'è mai stato niente tra te e loro. Evidentemente avevo ragione quando dicevo che erano dei coglioni patentati" scherzò.

Lo guardai male, ma in quelle parole in fin dei conti c'era solo la pura verità.

"Ok, non potevi dirmelo prima che mi infatuassi e stessi male venendo a sapere che non gli piacevo?" chiesi con un finto sorriso.

"Dicevo che erano coglioni, non sapevo che sarebbe andata a finire male. O meglio che non sarebbe iniziata proprio!" 

Gli tirai una pacca sulla spalla ridendo. 

"Imbecille" esclamai.

Ale si mise a ridere e si alzò per spegnere la sigaretta nel posacenere, posato all'altro capo del tavolo. Accese la luce esterna dato che il buio era ormai calato.

"Racconta un po' come l'hai conosciuto" si rimise a sedere "Sono curioso"

"Me l'ha presentato Edo quando siamo venuti al mare a Luglio. Giocava nella sua stessa squadra qualche anno fa…non me lo aspettavo che si interessasse a me, invece è stato lui a fare il primo passo, ci siamo rivisti e poi…"

"Poi si entra nelle cose sconce e non mi interessa"

"Quanto sarai idiota? Non ci sono particolari sconci!"

"Scherzavo" mi disse serio con uno sguardo dolce.

Quando dicevo che Ale sapeva tutto di me intendevo proprio tutto, compresa la mia vita sentimentale e anche gli annessi. Non c'era vergogna tra di noi.

"Sono sorpreso che Edo ti abbia presentato un ragazzo, si starà mangiando le mani ora. Come l'ha presa la notizia?"

Lo guardai rimanendo in silenzio per qualche secondo. Cosa intendeva anche lui con quel discorso?

Che le mie amiche pensassero che Edoardo vedesse in me più di un'amica era risaputo, ma che lo credesse anche Ale era una sorpresa per me.

"Normale…come vuoi che l'abbia presa?" risposi non con molta calma.

"Mi ha chiamato prima di partire, non mi ha detto niente di te e Niccolò, ma nonostante mi dicesse che era contendo di entrare in C2 non è che trasudasse gioia da tutti i pori sai? Mi sembrava giù di morale e…so che si è lasciato con Gemma, ma non penso sia per quello dato che sappiamo tutti che gli giova alla salute questa separazione! E insomma, io l'ho sempre pensato che eravate perfetti insieme e come hai appurato io non sbaglio mai" terminò con fierezza.

Il discorso non faceva una piega ed io non potevo controbattere, un po' perché i comportamenti di Edo non erano stati da amico una volta iniziato a frequentare Niccolò, ma era anche vero che doveva essere in pensiero per la situazione con i genitori. Situazione che aveva risolto prima di andare in ritiro, mi aveva detto.

"Se era giù di morale non era certo per colpa mia…" mi difesi senza aggiungere altro "Perché avete tutti la malsana idea che ci possa essere qualcosa tra di noi?" domandai un po' più nervosa.

Iniziai a martoriarmi l'unghia del pollice on l'indice e come previsto me la spezzai molto presto, maledicendomi da sola.

"Quando siete insieme c'è qualcosa che non vi fa sembrare esattamente amici" spiegò serio chinandosi in avanti "quella cosa che sta al limite, tra amicizia e amore. Voi siete in bilico su questa fune, ma penso che ora che c'è Niccolò tutto cambierà…e vedremo chi ha ragione" 

Nessuno l'aveva mai interpretato così il rapporto che c'era tra me ed il biondo e dovetti ammettere che alcune volte mi era sembrato anche a me di stare con un piede dall'altra parte della fune ed ero convinta che Edo l'avesse superata più volte di me. Era stata debolezza, bisogno di affetto e di sapere di essere importante almeno per qualcuno dopo la consapevolezza di non essere stato niente di più che un amico con cui fare sesso per la propria ragazza.

"Io" esclamai sicura.

"Vedremo" disse lui con il suo solito sorrisetto furbo "Intanto rispondi che il tuo amore ti chiama" rise sotto i baffi ancora una volta e si alzò, lasciandomi sola con le note di Magnolia, che provenivano dal cellulare.

Avrei vinto io quella scommessa perché ero certa di poche cose, ma una di queste era l'amicizia tra me ed Edoardo.  E non mi importava delle dicerie dell'amicizia impossibile tra uomo e donna senza nemmeno un briciolo di attrazione. Wilde evidentemente non aveva conosciuto noi. Niente mi avrebbe fatto cambiare idea.

 

"Mi raccomando, la casa la vogliamo trovare come l'abbiamo lasciata! Giulia confido in te" 

Mia zia era la classica donna ansiosa e ancora mi chiedevo come avesse fatto a lasciare i suoi figli per un'intera settimana. Alessio aveva quasi ventidue anni, ma Enrico ne aveva sedici e lei era la persona più tragica del mondo. Pensate ad una cosa orribile che potrebbe accadere. Lei la pensa cento volte peggio.

"Zia vai tranquilla, ci penso io a questi due!" scherzai.

Passai le braccia intorno alle loro spalle, alzandomi sulle punte dei piedi, e li strinsi a me.

"Mi fiderò…fai il bravo tu e vedi di non fare stupidaggini" pregò rivolta al più piccolo.

"E quando mai non l'ho fatto?" rispose con il suo sorriso angelico.

Enrico aveva l'aspetto di un sedicenne calmo e pacato, ma dietro nascondeva uno scalmanato senza freni. Amava divertirsi e voleva forse fare tutto troppo in fretta e prima del tempo. Per non parlare delle ragazze, non riusciva a stare con qualcuna per più di due settimane. Eppure con me era la persona più dolce del mondo, come il fratello mi trattava da principessa ed a volte sembrava lui quello più grande.

"Al massimo lo lego zia, vai tranquilla. Mamma tranquillizzala tu" supplicai uscendo dal cancello.

Mio padre e mio zio stavano cercando il miglior modo di sistemare le valige e mia mamma sembrava la coordinatrice dei lavori.

"Puoi stare serena, penso che si comporteranno meglio di quando ci siamo noi qua" intervenne lasciando perdere le direttive e penso proprio che i suoi lavoratori ne furono più che felici.

"Giusto, quindi ora andate che fate tardi!" disse Ale.

Prese la madre per le spalle e dolcemente la fece uscire in strada, aprendole la portiera della macchina.

"Fate buon viaggio e non chiamare ogni cinque minuti va bene? Se non rispondiamo probabilmente non sentiamo il telefono e non siamo caduti in un burrone!" la prese in giro.

"Stupido!" 

"Ciao" dissi io abbracciando mamma "Divertitevi e fate un tuffo anche per me" abbracciai anche mio padre e poi passai anche agli abbracci di zia e zio. 

Mi dispiaceva non andare con loro, o almeno ne ero stata scontenta prima di invitare Niccolò, perché in quel momento  non vedevo l'ora di vederli montare in macchina e girare l'angolo. 

"Chiamate" disse un'ultima volta mia zia montando finalmente in macchina.

Tutti e tre in piedi sembravamo le belle statuine, con la mano alzata, scuotendola da destra a sinistra come robot, ed un bel sorriso stampato in faccia. 

"Sì, ciao!" esclamammo in coro.

Finalmente partimmo e noi eravamo soli. Liberi e senza genitori tra le scatole. 

Era il sogno di ogni ragazzo.

Enrico mi prese per la vita e mi alzò da terra girando su se stesso ed io iniziai a ridere come una ragazzina alzando le braccia al cielo. Una scenetta comica.

"Siamo liberi!" 

Poteva sembrare un'esagerazione reagire così, ma bisognava conoscere mia zia per capire la felicità del momento. Non li lasciava soli una notte e si preoccupava persino di andare a cena fuori se loro erano a casa. Sette giorni da soli era qualcosa di inimmaginabile.

Mi rimise con i piedi a terra.

"Insomma quando arriva?" domandò Ale. Non importava aggiungere il nome, sapevo di chi parlava.

"Gli avevo detto le nove e mezza, mancano dieci minuti" farfugliai guardando l'orologio. Potevo sembrare calma e tranquilla, ma dentro scalpitavo dall'impazienza di rivederlo.

"Bene, aspetto che arrivi e poi vado" disse Enrico rientrando in casa.

"Dove vai tu? Io non ti accompagno!" disse Ale gettandosi sul divano.

"Ho la moto" sorrise furbo Enrico andando a cercare qualcosa nel mobile della televisione "Secondo te non portavo le chiavi di riserva?" 

Sventolò le chiavi rosse del suo motorino di fronte alla faccia del fratello, che scosse la testa divertito.

"Se lo sa ti ammazza" 

"Basta non dirglielo" ridacchiò.

Questo era il lato libertino di Enrico, che non riusciva proprio a fare ciò che gli si diceva. Amava stare senza costrizioni e visto che la madre gliene poneva anche troppi lui era obbligato a non ubbidire.

Lasciai i due in salotto e andai in camera per darmi un'ultima occhiata. Erano due settimane che non ci vedevamo ed io ero in ansia, ero spaventata e temevo che non gli sarei piaciuta più.

Indossavo un vestito marrone di san gallo, con le spalline sottili e la gonna larga. I capelli sciolti e leggermente mossi. Cambiavano sempre quando sentivano l'aria di mare. Ero abbronzata e questo era l'unica cosa che trovavo piacevole del mio aspetto riflesso nello specchio.

Se c'era il premio per la persona più insicura del mondo lo avrei vinto con una maggioranza schiacciante. A Niccolò ero piaciuta struccata, vestita semplicemente con canottiera e pantaloncini, perché doveva essere diverso adesso? Tanti problemi per nulla.

In quei giorni era stato lui a chiamarmi, io solamente due o tre. Non l'avevo fatto perché non mi interessava sentirlo, ma perché ero timida e soprattutto, resami conto che mi interessava sul serio, andavo cauta, con i piedi di piombo, e aspettavo si essere certa che per lui non fossi un divertimento per qualche settimana. Avevo già parecchie prove a suo favore e l'ultima era proprio quella di venire da me per qualche giorno.

Sbagliavo ad andarci piano?

A mio parere no. Io gli avevo fatto capire che mi piaceva, eccome se mi piaceva, ma non avevo dato a vedere quanto e né a che livello. Non volevo pensasse a me come una preda facile. Se mi voleva veramente avrebbe dovuto faticare un po'. Spocchiosa? No, semplicemente non volevo essere presa in giro e non volevo soffrire.

Il problema era unicamente uno. Potevo comportarmi come mi ero imposta solo se lui non era con me, perché per telefono tutto era diverso, ma averlo di fronte mi cambiava totalmente.

La prova l'ebbi due secondi dopo quel pensiero, mentre il cellulare iniziava a vibrare sopra il comodino. Era Niccolò.

"Sono qua, ma non ricordo il numero di casa…mi sa che sono andato troppo avanti" 

"103, c'è una siepe alta ed un cancellino in ferro" spiegai con un sorriso, anche se non poteva vederlo.

"Allora sono indietro" 

Lo sentii ridere.

"Ti aspetto fuori dai" 

"Ok, due secondi e sono da te! Finalmente…" 

Sentii quell'ultima parola sussurrata e poi buttò giù.

Corsi letteralmente fuori, passando ovviamente dal salotto e facendo ridere i miei cugini. Mi catapultai in strada, deserta perché non era una via principale, ma una traversa, dalla quale passavano principalmente i residenti. Varcai il cancellino e una volta lì mi guardai a destra e a sinistra più volte, senza vedere i fari di nessuna macchina. Ero troppo nervosa e dovevo calmarmi o non avrei resistito dal gettarmi tra le sue braccia.

Quando udii il rumore di una macchina scattai come una lepre che avverte un minimo fruscio nelle vicinanze. Riconobbi al volo l'Audi nera di Niccolò e solo il mio buon senso mi fermò dal saltellare felice in stile bambina di quattro anni la mattina di Natale.

Gli feci segno con la mano di svoltare a destra nello spiazzo di ghiaia e terra battuta in cui parcheggiare e lui fece come gli avevo appena detto, parcheggiando vicino alla macchina di Ale.

Lo raggiunsi immediatamente e quando scese di macchina mi sembrò di tornare a respirare per la prima volta dopo tanto tempo. Era magnifico, ancora di più di quanto mi ricordassi. La sua pelle abbronzata, in contrasto con quella semplice maglia bianca, così scura da farmi sentire bianca come una mozzarella, era da mozzare il fiato.

Fu lui a venire verso di me a passo svelto, prendendomi subito tra le braccia e baciandomi teneramente per un tempo che parve infinito, ma che fu solamente il necessario per posare teneramente le sue labbra sulle mie e ritirarle velocemente.

"Finalmente…" 

Era quello che aveva mormorato al telefono minuti prima, ma sentirglielo dire, con la sua bocca a sfiorare la mia era tutt'altra cosa. 

"Mi sei mancato…" sussurrai timidamente.

E via il proposito di essere più distaccata e non far trasudare quel che veramente provavo. In fondo se non rischiavo non avrei mai colto i frutti di quel che sarebbe accaduto.

"Tu non hai idea di quanto tu sia mancata a me" mi accarezzò le guance ed i capelli ed io mi sciolsi "Sei più bella che mai" mi sussurrò all'orecchio facendomi il solletico.

È la stessa cosa che ho pensato io di te, avrei voluto dirgli, ma non feci in tempo e venni trasportata in quel limbo, dove solo i suoi baci riuscivano a catapultarmi ogni volta. Labbra morbide come velluto, la pelle liscia del viso, appena rasato e quel profumo che mi faceva impazzire. Le sue mani sulla mia schiena in una dolce carezza mi facevano sentire sicura.

Sorrisi sulle sue labbra e lui fece altrettanto, stringendomi ancora di più alzandomi di qualche centimetro da terra.

"Prendo la roba o stiamo qua fuori tutta la notte?"

"Entriamo" 

Prima che i miei piedi tornassero a toccare terra baciai ancora una volta le sue labbra, ne ero stata troppo tempo in astinenza. È come quando assaggi la cioccolata, ne vuoi sempre di più e se stai senza per un po' quando ti capita tra le mani un morso non ti basta e ne vuoi subito un altro.

"Ho solo un piccolo trolley…non so quanto starò, non ne abbiamo parlato" 

Aveva preso la valigia blu chiudendo e guardandomi serio mi aveva cinto per la vita spingendomi a camminare insieme a lui trascinando dietro il piccolo bagaglio.

"Non lo so…i miei tornano il 23"

Per me poteva restare anche fino all'ultimo minuto, ma contava anche ciò che voleva lui.

"Il 17 devo essere a casa, è il compleanno di mio fratello" 

"Allora fino al 16" dissi un po' dispiaciuta.

Tre giorni non erano molti se paragonati alle due settimane dove non ci eravamo visti, ma mi dovevo accontentare e l'avrei fatto perché in quei giorni magari avrei dato risposta alla domanda che da un paio di giorni mi frullava in testa.

"Tre giorni insieme…ce li faremo bastare" 

Mi baciò di nuovo, con dolcezza.

Aprii il cancellino che prima avevo chiuso per non far scappare Damon, che non appena entrai si alzò dal suo posto e trottò verso di noi, fermandosi alla vista del moro dietro di me. All'inizio avevo pensato che avrebbe abbaiato, invece si avvicinò ancora qualche metro e fu come se lo avesse voluto studiare. Aveva una faccia buffissima, inclinata sul lato e con le orecchie tese in avanti.

"Tranquillo è buono" dissi a Niccolò "Damon va a cuccia, tra un po' ti porto a fare la passeggiata" 

Il lupo parve capirmi e data un'ultima occhiata al ragazzo al mio fianco e poi ci voltò le spalle per tornare a sdraiarsi al fresco sul cotto.

"Mi ha guardato male o mi è sembrato?" chiese scioccato e divertito.

"È solo curioso…" lo liquidai io ridacchiando.

Lo presi per mano e lo trascinai in casa entrando dal salotto, dove Ale si era appena alzato dal divano, avendo sicuramente sentito il cancello sbattere e la mia voce lì fuori. Enrico era sparito, probabilmente si stava preparando per uscire. Aveva aspettato anche troppo, e ne ero certa, solo per curiosità.

Niccolò appena entrato in casa non ebbe nemmeno il tempo di guardarsi intorno, che Ale già lo abbracciava e gli dava pacche sulla schiena, che il moro non esitò a ricambiare, ridendo e scherzando con il suo vecchio amico.

Io ero impalata lì dietro di loro, imbarazzata per chissà quale motivo.

Le mie amiche l'avevano conosciuto come amico di Edo e successivamente come qualcosa di non ben definito, ma molto vicino alla definizione di mio ragazzo, però era diverso così. Ale era parte della famiglia e ora Niccolò lo stavo presentando come mio ragazzo, o meglio lui l'aveva etichettato così.

"Spugna! Ci voleva mia cugina per rivederci disgraziato?" scherzò il castano.

Avrei dovuto chiedere in seguito qualche spiegazione per quell'appellativo strano.

"Anche tu eh! Ti sei fidanzato e sei sparito!" replicò il moro.

"Tu hai aspettato di fidanzarti per fatti vedere!" disse l'altro "Penso che ora non ci saranno problemi per questo no? Ti vedrò anche troppo spesso..." con lo sguardo indicò me ed io abbassai gli occhi con le guance già tinte di rosso.

"Scusami, ma preferisco tua cugina a te!" 

"Vorrei ben dire!" 

Iniziarono a ridere come due imbecilli fino a quando anche Enrico non fece il suo ingresso, anche lui squadrando Niccolò, ma con uno sguardo meno ostile del mio cane.

"Non dirmi che quello è tuo fratello!" esclamò il moro "Me lo ricordavo secco come un'acciuga, piccolo e con gli occhiali alla Harry Potter! L'avete riempito di vitamine?" scherzò.

"Ciao Niccolò" disse Enrico abbracciandolo "Anche tu sei cresciuto però" sghignazzò il più piccolo.

"No, sul serio…"

"Rugby" rispose "Ho iniziato due anni fa e l'altezza è di famiglia. L'unica nanetta l'hai presa tu" scherzò indicandomi.

Enrico mi chiamava sempre così, o almeno da quando aveva iniziato a svilupparsi a velocità smisurata. In famiglia erano tutti alti, ma lui sembrava voler battere il record, dato che a 16 anni era quasi un metro ed ottanta.

"Dovrei pensarci anche io, da quando ho abbandonato il calcio mi sono sgonfiato, non ho più un addominale nemmeno a cercarlo con la lente d'ingrandimento!" 

I tre si misero a ridere e io avrei anche voluto replicare, ma stetti in silenzio. Aveva un corpo asciutto sì, ma era bellissimo a mio parere ed i muscoli non gli mancavano.

"Scusate, io vado, sono già in ritardo" 

Enrico prese le chiavi del motorino e salutò con un cenno della mano. Non erano ancora le dieci e già spariva, per tornare come al solito a tarda notte. Per fortuna non c'era mia zia o sarebbero stati urli e strepiti perché avrebbe voluto averlo a casa per mezzanotte al massimo. 

Io lo lasciavo fare perché mi fidavo di lui. Era solo un ragazzino, ma aveva più cervello dei suoi amici e lo reputavo intelligente e non così stupido da ficcarsi in qualche pasticcio.

"Vieni con me? Ti faccio fare un giro turistico" scherzai.

Con Ale avrebbe potuto parlare dopo, ora lo volevo un po' per me. E quella valigia andava messa a sposto dopotutto.

"Andate, io vado a comprare le sigarette e dopo passo da Luca. Prendo le chiavi." ci salutò anche lui e rimanemmo soli.

"Mi fai dormire sul divano come promesso?" 

Ridacchiò seguendomi verso quella che sarebbe stata la nostra camera. Nemmeno mi era passato per la testa di farlo dormire lontano da me, nonostante in quel letto, poche settimane prima ci avessi dormito con Edo, ed era stato stranissimo. Avevo dormito spesso con lui, ma quelle notti furono leggermente diverse. 

Scacciai via quel pensiero non volendo paragonare quello che era il mio migliore amico con quello che avrebbe potuto essere il mio ragazzo.

"Dormiamo qua" dissi "metti il trolley sul lettino"

Quando c'era anche Margherita io ero costretta a dormire con i miei, in quel lettino che odiavo con tutta me stessa. Era troppo rigido e non aveva la testata, così a notte fonda il mio cuscino spariva tutte le volte.

"Sei tu quella nella foto?" indicò la piccola cornice azzurra in cui io, nei miei splendidi cinque anni sorridevo di fronte al mare.

"Sì, avevo cinque anni. Ero alta quanto un soldo di cacio e pesavo meno di una formica" dissi con una risata ricordando che anche un soffio di vento mi avrebbe potuta portare via.

"Eri veramente carina" disse avvicinandosi alla cornice.

"Grazie"

"Lo sei ancora" 

Lasciò perdere la mia fotografia e tornò a guardare me.

"Insomma, il giro turistico?" sghignazzò prendendomi per i fianchi e spingendomi fuori dalla camera.

"Non c'è molto" ridacchiai "Qua a destra c'è la camera dei genitori di Ale" aprii la porta e gli mostrai una camera praticamente quasi identica alla mia, tranne per il fatto che mancava il lettino singolo.

Entrai dentro e andai ad aprire la porta finestra che si affacciava sul retro, dove c'erano alcuni vasi di fiori ed il lavatoio.

"Il retro…niente di che, ma se torni e sei sporco di sabbia c'è la doccia lì nell'angolo" spiegai "È comoda…anche se l'acqua è quasi sempre fredda"

Mi voltai e cozzai contro il corpo di Niccolò, che rise, facendomi sorridere a mia volta.

"Memorizzato"

"Vieni, manca la cosa che preferisco di questa casa" 

Lo trascinai nel corridoio e aprii la porta scorrevole del bagno che dividevo con i miei cugini. In travertino e con uno specchio enorme, nel quale ci si poteva specchiare in quattro senza problemi. In fondo la doccia, incastrata tra tre pareti, larga almeno un metro e mezzo, profonda poco di meno, con un getto d'acqua enorme e rilassante.

"Quella!" esclamai indicando il vetro per metà opaco.

"Quella?" domandò "E come mai ti piace tanto"? chiese con un curioso tono malizioso.

"Be' io…è bella no?" balbettai.

Diamine, mi gettavo la zappa sui piedi anche senza volerlo. Ero ingenua all'inverosimile. Chinai la testa a destra, sbirciando da sotto il ciuffo di capelli castani le mie guance leggermente arrossate riflesse nello specchio.

"Bellissima, ma se hai la passione per le docce quando vieni da me ti mostro la mia. Mia mamma ha arredato il mio bagno come se fosse un salotto, con una doccia che sembra un armadio!" 

"Inizieremo la visita di casa tua dal bagno!" scherzai uscendo.

Di casa sua avevo visto solo la facciata e intravisto il retro e già me ne ero innamorata, chissà com'era bella ed elegante all'interno. Me la immaginavo con colori tenui e mobili d'antiquariato, magari anche con un bel camino in sala. Non sarebbe stato poi così impossibile.

"Cucina, salotto" indicai a sinistra e poi in salotto "Ed ecco finito. Ah no! C'è il piccolo giardino" 

Forse erano quindici metri quadri d'erba, non di più. Però c'era una veranda carina, dove spesso mangiavamo d'estate e si stava veramente bene.

"Vuoi saper cosa mi è piaciuto di più?" domandò mentre eravamo in cucina, l'uno di fronte all'altra.

Annuii impercettibilmente guardandolo dritto negli occhi, neri come la pece. Diamine, ci si poteva annegare in quella tenebra affascinante.

"La guida…" 

La sua voce appena udibile ed il gesto che fece successivamente mi portò a desiderare di chiudermi in camera con lui per i successivi tre giorni. Mi strinse forte, posando il mento sulla mia spalla, facendo scorrere la punta del naso sul mio collo, alternando qualche bacio qua e là, mentre le sue mani accarezzavano piano la mia vita per poi salire verso le braccia. Io adoravo quando mi si coccolava in quella maniera.

Stavo bene con Niccolò anche per quel motivo. Lui mi coccolava, mi faceva sentire desiderata e mai messa da parte. Non ero affatto egocentrica, anzi quando mi trovavo in gruppo odiavo essere al centro dell'attenzione e spesso preferivo rimanere in disparte a causa della mia timidezza. Quel desiderio di sentirmi importante era tutt'altra cosa.

"Possiamo legarlo?" chiese ridendo al mio orecchio rompendo quel limbo.

"Chi?" domandai scioccamente.

"Mi sta guardando male di nuovo" sghignazzò un po' preoccupato.

Spostai lo sguardo sulla porta socchiusa, dove il muso di Damon si intravedeva in un ringhio basso e silenzioso, che cercava di fare capolino per entrare. 

"Leviamoci il dente, te lo presento. Anzi, lo devo portare fuori, vieni con me e lo tieni tu. Ti va?" proposi avviandomi verso il cane.

"Ok, devo conoscere la tua famiglia dopotutto. Iniziamo dal cane!"

Damon guaì contento e, ci giurerei, soddisfatto di aver attirato l'attenzione su di sé. Gli feci qualche carezza sulla testa e lo feci entrare in salotto ordinandogli di sedersi. Solitamente ubbidiva e quella volta non mi deluse. 

"Vieni, non morde, te lo assicuro" 

"Ho anche io due cani e so che possono essere gelosi dei loro padroni" disse prima di fare qualche passo incerto "Speriamo che non mi odi per aver preso la sua…" schedò accucciandosi al mio fianco.

Tenevo il cane per il collare per essere sicura che non lo attaccasse. Era aggressivo solo con i gatti ed i piccioni, ma preferivo prevenire.

"Ma no, non penso sia geloso…i tuoi lo sono?" domandai curiosa.

"Un po', soprattutto la femmina" 

"Uhm…" mugolai.

Se era gelosa ci sarebbe stato da lottare pensai tra me e me.

"Damon non voglio rubarti Giulia capito? Ce la divideremo da bravi e maturi uomini quali siamo, va bene?" scherzò Niccolò parlando al mio cane, che in risposta inclinò la testa di lato portando le orecchie avanti. Aveva un muso buffissimo.

Guardai il moro ridacchiando sotto i baffi per il modo in cui si era rivolto all'animale e in risposta ebbi un occhiolino. Damon intanto lo osservava senza muoversi.

Niccolò accarezzò la testa pelosa del cucciolo e lui guaì appena, come aveva fatto prima con me e sorprendentemente si liberò della mia presa e dopo aver leccato la mano di Nicco si sdraiò a terra mostrando la pancia bianca per ricevere carezze e grattatine.

"Intelligente! Abbiamo stipulato un patto!"

Niccolò stinse la zampa al mio cane e io mi portai una mano in testa ridendo.

"Ora appartengo a te e a lui?" domandai divertita "sono messa veramente bene!" 

"Non ti è andata male…poteva andarti peggio" disse convinto coccolando l'husky "Potevo essere calvo, con la pancia e pure brutto! Invece sono bellissimo e niente pancia!"

"Presuntuoso" esclamai facendogli la linguaccia "E poi magari tra dieci anni sari pelato! Chi può saperlo? Forse avrai anche la pancetta da bevitore!" lo presi in giro.

Mi trovai con il sedere a terra, con Niccolò a tenermi sdraiata con una faccia sghignazzante.

"Ne dubito" controbatté serio "Mio nonno ha quasi ottanta anni e ha ancora tutti i capelli!"

"Ti sei dimenticato la pancetta" dissi con un sorriso furbetto.

"Mi terrò in forma" 

"Uhm…io vedo già cedimenti qua" scherzai toccando la sua pancia perfettamente piatta.

"Ma se sono in forma perfetta?" disse con aria orgogliosa.

Mi prese in braccio ed in baleno fui in piedi. Non ero leggerissima, ma evidentemente non era così esile e fuori forma come lo avevo descritto io prendendolo in giro.

"Anzi, visto che devo mantenere questo bel corpicino andiamo a fare la passeggiata con Damon" 

"Giusto, ne ho bisogno" 

Lui aveva un fisico perfetto, io no. Non ero la ragazza magra e perfetta, avevo le curve ed ero morbida. Ero rotondetta a mio parere. Insomma non un'acciuga pelle e ossa.

"Tu no, sei perfetta così"

Esclamò con serietà senza darmi modo di replicare.

Era la stessa scena che avevo vissuto qualche settimana prima con Edo. Anche lui mi aveva detto che in me non c'era niente che non andava e che avevo poca stima di me.

"Be', grazie" mormorai imbarazzata.

Cercai il guinzaglio in tutti i posti possibili, dato che mi ero dimenticata dove lo avevo lasciato l'ultima volta, e lo trovai fuori, in terra tra i vasi. Come c'era finito era un mistero.

Allacciai il moschettone al collare di Damon, che già aveva capito che saremmo andati fuori e scodinzolava contento, e poi porsi la fascia di cuoio a Niccolò, che lo afferrò senza esitare.

"Ricorda il patto palla di pelo. Non farmi fare figuracce" esclamò rivolgendo lo sguardo in basso.

L'husky alzò il muso verso colui che lo teneva e con aria piuttosto rilassata mosse qualche passo in avanti verso la strada. Era più calmo e buono con quel ragazzo che con me. Feeling tra maschi, pensai.

"L'hai conquistato" 

Camminavamo verso il porto, in quella strada quasi sempre deserta, ma illuminata da grandi lampioni. C'era un'odore forte di pino, dato dalla piccola pineta lì vicino e dai molti alberi nei giardini degli appartamenti o delle villette. Molti aghi erano a terra e scricchiolavano sotto i nostri piedi.

Camminavamo tutti e due allineati, con Damon che ci precedeva di due metri scarsi e quella scenetta mi sembrava veramente buffa e un po' rivelatori per il futuro. Sembravamo una coppietta felice che porta a spasso il cane, ci mancava solo un bambino in passeggino e avevamo formato il perfetto quadretto familiare. Sentii i brividi invadermi tutto il corpo al solo pensiero. Ero troppo giovane per una cosa del genere e anche immaginarlo era terrificante.

Quando mi prese per mano e le nostre dita si intrecciarono pensai che non sarebbe stato poi così male avere lui al mio fianco. Un pensiero stupido. Avevo diciotto anni e la mia mente spaziava su matrimoni e figli. Nemmeno mi piacevano i bambini!

Arrivammo al porticciolo, che affacciava sulla foce del fiume e salimmo le scale, mentre Niccolò mi raccontava dei giorni passati in Sardegna, le spiagge, le serate in discoteca o in qualche locale all'aperto. Soprattutto si vantava di quanto era stato bravo nel rifiutare le avance da molte ragazze. 

"Tu solo ci dovevi provare a starci!" dissi guardandolo torva.

"Non mi interessavano, pensavo solo a te! Chiedilo a Michele, credo che mi abbia dato dello stupido almeno mille volte" 

Intanto ci eravamo seduti sul pontile e dato che era tutto deserto lasciai andare Damon. Lì a fianco c'era anche un piccolo spiazzo d'erba.

"Se fai il bravo ragazzo ti dà di scemo?" domandai scocciata.

Odiavo quella strana mentalità maschile per cui uno più ragazze aveva e più era figo.

"Loro sono spiriti liberi e amano divertirsi. Evidentemente non hanno trovato ancora la ragazza giusta…quando la troveranno si calmeranno e metteranno la testa a posto. Prima poi succede a tutti"

Da quel discorso intuii che probabilmente lui non era stato diverso da loro e che Edo non aveva poi avuto tutti i torti a dirmi che non era il tipo adatto a me. Ovviamente non aveva messo in conto che nella vita si cambia. Niccolò non mi sembrava affatto uno frivolo o dedito solo al divertimento. 

Ovviamente non avevo la sfera di cristallo e non potevo sapere se mi aveva detto la verità, ma mi fidavo.

"Anche molte ragazze sono così" dovetti ammettere "Però ci sono anche quelle che aspettano semplicemente che arrivi quello che reputano giusto" aggiunsi riferendomi a me.

Mai una volta avevo baciato qualcuno semplicemente per divertimento o per aggiungerlo alla lista. Che senso aveva?

"Tu sei una di queste vero?" chiese con un sorriso "Non ti ci vedo a provarci con il primo che passa"

"È così…sono convinta che anche un semplice bacio vada dato a qualcuno che si reputa importante" spiegai confermando la sua ipotesi.

"Quindi io sono importante se sono riuscito a strapparti un bacio?" sussurrò nel mio orecchio.

Aveva posato una mano sul mio ginocchio e una dietro di me, in modo da sporgersi quel tanto che bastava da avere le labbra a qualche centimetro dalle mie.

"Lo sei…" ammisi "tu non li devi nemmeno chiedere"

Detto questo sentii la morbidezza della sua bocca sulla mia, ferma immobile, come a gustarsi quel momento. Poi si mosse, accarezzando piano e senza chiedere di più. Era un bacio dolce, non privo di passione e desiderio, ma comunque esprimeva più amore che lussuria.

Andai a posare la mia mano sulla sua nuca, sfiorando appena i suoi capelli ed in quel momento allontanò le labbra dalle mie, rimanendo però vicino, così da sentire ancora il suo respiro su di me.

"Se mi dici così potrei approfittarmene…attenta…" mormorò con una voce leggermente bassa e profonda.

Con quel tono doveva stare attento lui perché mi faceva venir voglia di saltargli addosso.

Sorrisi appena e mi accoccolai sulla sua spalla, mentre lui mi teneva per la vita e con l'altra mano stringeva la mia. Non stavamo insieme ufficialmente, ma ingenuamente lo consideravo il mio ragazzo. Un po' per quel comportamento da fidanzatino modello, un po' perché ci speravo con tutta me stessa.

"La luna è quasi piena…per Ferragosto lo sarà del tutto, spero che non piova. Gemma mi ha detto se vogliamo andare al solito falò sulla spiaggia. Che ne dici?" chiesi.

Sapeva chi era Gemma, anche se non l'aveva mai vista né conosciuta, quindi non specificai. Gli avevo parlato di lei come mia amica e lui sapeva che un tempo era stata anche la ragazza di Edoardo. Non aveva avuto una buona fama in quel periodo, ma potevo capire che esternamente, dato il suo comportamento, non poteva rimanere simpatica. Gli avrei fatto cambiare idea una volta conosciuta.

"Direi che è d'obbligo il falò, è come il panettone a Natale! Irrinunciabile!" 

"Perfetto!" esclamai dandogli un bacio sulla guancia "Le dico che andiamo. Non vede l'ora di conoscerti" ammisi.

"Come i miei amici…" sospirò lui "Era la prima volta dopotutto, che gli parlavo così insistentemente di una ragazza" confessò guardandomi mentre le mie guance diventavano un po' rosse.

"Che…cosa ti hanno detto dopo avermi vista?" domandai un po' curiosa.

Lui sorrise tra sé e sé voltandosi verso la fine della banchina, dove un gabbiano si era appena appollaiato su una di quelle boe quadrate che dividevano il fiume dalle barche. 

"Gli piaci. Michele ha detto semplicemente che sei troppo per me ed io gli ho detto che ha ragione, ma che speravo tu non lo capissi mai…" ammise senza guardarmi.

Nemmeno io sarei riuscita a dire una cosa del genere guardandolo negli occhi. Nonostante ci fosse sa leggere tra le righe il concetto era chiaro. Non concordavo, ma perché ribattere su una cosa così dolce?

"Non è vero. Non sono certo perfetta, bellissima o intelligente più di te. Sono solo…"

"Sei perfetta ai miei occhi" finì lui per me, questa volta faccia a faccia.

Diamine, mi ero innamorata sul serio.

Come si può non perdere la testa per un ragazzo bello e dolce come lui? In più aveva altri mille pregi, come quella sua passione per la fisica. Una cosa stranissima a mio parere, ma mi piaceva quando cercava di spiegarmi una teoria strana o qualcosa che aveva appena letto. Era intelligente ed io amavo le persone con una mente brillante.

Che c'era di male nell'ammettere di essersi innamorata? 

Ancora non lo capivo, ma una parte di me si sentiva in colpa.

 

Per tornare a casa passammo dalla piazzetta nuova, una struttura a ferro di cavallo con porticati al piano terra ed appartamenti molto carini al primo. Bar, gelaterie e negozi erano ancora aperti e molti villeggianti se ne stavano seduti ai tavolini sistemati fuori.

Mano nella mano con Niccolò, che teneva anche Damon, costeggiavamo la piazza e pur essendo un gesto semplicissimo, apprezzavo molto il fatto che le nostre dita fossero intrecciate e soprattutto che fosse stato lui a cercare il contatto.

Ogni volta che incrociavo il suo sguardo pensavo che fosse solo uno scherzo della mia immaginazione. Era così incredibile averlo tutto per me. In meno di un mese mi ero affezionata a quel ragazzo in un modo impressionante. Ero partita con l'intento di non infatuarmi troppo, perché conoscendomi, se fosse finita male ci sarei stata malissimo ed invece avevo mandato a farsi benedire la ragione.

In quel momento era lì con me e non avrei dovuto desiderare altro, eppure c'era qualcosa che mancava: la sicurezza.

Cos'eravamo noi di preciso?

Stavamo insieme, oppure eravamo ancora in fase di rodaggio? E quanto doveva durare questo periodo?

Non ero il tipo da fare certe domande e quindi aspettavo che fosse lui a parlarmene.

"Torniamo verso casa?" domandai trovandoci all'incrocio.

"Sì, ho decisamente voglia di andare a letto e devo disfare la valigia" sbuffò "Avrò le camicie ridotte a delle palline raggrinzite" scherzò.

Ci avviammo in direzione opposta al mare ed in meno di cinque minuti arrivammo a destinazione.

Ale ancora non era tornato, quindi dovetti usare le mie chiavi. Appena aprii il cancello sganciai il moschettone del guinzaglio e lasciai andare Damon, che si sdraiò nel suo solito angoletto preferito.

"Vuoi una mano?" domandai riferendomi al bagaglio che stava sul lettino.

"Dimmi solo dove posso mettere le mie cose"

Il moro aprì la valigia e tirò fuori le sue amate camice, non molto stropicciate per fortuna. Le sistemai io, vicino alle mie cose e poi feci un po' di spazio per gli altri indumenti, al resto pensò lui. Sinceramente sarei diventata rossa come un peperone nel mettere a posto le sue mutande.

"Fatto?" chiesi seduta sul letto a gambe incrociate.

"No, manca il pigiama, ma lo lascio qua…tra un po' lo metto"

Si avvicinò al letto e salì sopra, portando me a sdraiarmi al suo fianco e lui disteso su un fianco con la testa sorretta da una mano.

"Dove dormi solitamente?" domandò.

Prese una ciocca dei miei capelli per riportarla al suo posto.

"A sinistra…ma fa lo stesso" 

Stavo per dormire con lui, nello stesso letto. Il mio cuore sembrava voler scoppiare e da quella posizione vedevo benissimo il mio petto salire e scendere ritmicamente.

La mano che prima teneva tra i miei capelli scese giù, accarezzando il collo facendomi rabbrividire, percorse l'interno del mio braccio e poi di fermò sulla vita, stringendomi e portandomi a cozzare con il suo corpo. Adesso anche io ero distesa su un fianco.

Niccolò sorrise, avvicinandosi al mio volto e poi mi baciò senza indugio e con passione. Le mie mani partirono da sole e andarono ad accarezzargli i capelli spingendolo in avanti. In un baleno mi trovai a cavalcioni sul corpo del moro, con le ginocchia intorno al suo torace e le mani sulle sue spalle. Tutto questo senza allontanare le nostre labbra, che ora si mordevano e si cercavano, come le nostre lingue intrecciate.

Il vestito che indossavo si era alzato un po' con tutto quel movimento e fu scostato ulteriormente dalle mani di Niccolò, che dalle mie ginocchia era risalito fino alle cosce, soffermandosi un po' e poi andando oltre. Anche le mie carezze si erano spostate dalle spalle al suo petto.

Mi era mancato terribilmente in quei giorni e nonostante non fossi una ragazza con gli ormoni in subbuglio, che saltava addosso al primo che passava, in quel momento sembravo proprio in quel modo. Avevo timore di quello che poteva accadere dopo, Niccolò mi piaceva tantissimo, ma avevo lo stesso il presentimento che era troppo presto. Eppure lì mi ero buttata a capo fitto su di lui senza pensarci troppo.

A Niccolò non sembrava dispiacere, ma non gli piacque per niente quando sentimmo la porta di casa aprirsi e la voce di Ale.

"Sono a casa! vestitevi!" urlò divertito prima di apparire sulla soglia della porta, che io avevo lasciato aperta.

Tornai seduta compostamente, ricomponendomi per quanto fosse possibile.

"Siamo vestiti scemo" risposi scuotendo la testa.

"Sai non ci tengo a beccarvi in atti poco casti" rise sotto i baffi.

Niccolò si alzò con il busto e mi imitò, ridendo anche lui.

Mio cugino se ne stava poggiato al muro tutto sorridente, conscio di aver interrotto qualcosa e con l'evidente espressione di chi ne è fiero. Non avevo fratelli protettivi verso di me, ma lui ne era un valido sostituto e pensare che Enrico era anche peggio.

"Poi sarei stato costretto ad ucciderti" continuò rivolto a Niccolò, che stette allo scherzo.

"Non pretenderai che non la baci mai per farti contento! Scordatelo, è pur sempre la mia donna!" 

Io ridacchiai e lo baciai all'angolo della bocca.

"Me ne farò una ragione…dimenticavo che le coppie all'inizio sono tutte sdolcinate" alzò gli occhi al cielo e ci voltò le spalle.

Sembrava se ne volesse andare, ma si fermò e si girò verso di noi "Io dormo qua a fianco…niente scherzi!" ci minacciò serio trattenendo però un sorriso.

Gli lanciai un cuscino dietro alzandomi in piedi sul letto e riuscii a farlo andare via lasciando solo l'eco della sua risata. Si stava semplicemente godendo quella novità. Le cose nuove attraggono e dato che Niccolò si poteva considerare il mio primo ragazzo, Ale si divertiva a prendermi in giro. Sapeva bene che mai avrei fatto qualcosa quella notte.

Niccolò era pure fortunato dato che erano amici, fosse stato uno sconosciuto si sarebbe sorbito anche un bell'interrogatorio. Ho una famiglia pazza, ma sono felice che si preoccupino così tanto per me.

"Ho il presentimento che non scherzi"  mormorò in ginocchio, facendomi ricadere sul letto.

"Ma no, è innocuo" lo rassicurai poco convinta "E solo che non è abituato…non ho mai avuto un ragazzo…cioè, tu…sì, insomma…" l'avevo definito il mio ragazzo, quando mai avevamo affrontato l'argomento.

Ero una stupida. Abbassai lo sguardo con una gran voglia di scappare via. E se mi avesse detto che non era il mio ragazzo? 

"Dormo a casa tua, nel tuo letto. Ci vediamo da un mese…io voglio stare con te" sussurrò.

Sentii le sue dita sul mio mento e delicatamente mi fece voltare guardandomi dolcemente.

"Sei la mia ragazza, non dubitarne mai" disse serio.

"Mi sei piaciuta da subito, forse è stato quel tuo viso angelico, forse la tua semplicità. Poi siamo usciti insieme e conoscendoti ho avuto la conferma: mi piacevi molto. Mi piace stare con te e mi sei mancata più di qualsiasi altra cosa durante questi giorni, tanto che credevo di essere impazzito!" gli uscì un risolino un po' strano.

Quindi anche lui si imbarazzava ogni tanto.

Gli diedi un bacio a fior di labbra e sorrisi con le guance ancora rosse.

Era sublime sentirsi dire quelle cose.

"Posso finalmente presentarti come mio ragazzo?" gli sorrisi entusiasta.

"Se non lo fai avremmo dei problemi, dato che io farò così…non vorrei passare da scemo" scherzò accarezzandomi le guance con i pollici e tenendomi stretto il viso, avvicinandolo al suo.

"Allora vedrò di non far passare il mio ragazzo uno scemo…" sorrisi prima di baciarlo.

"Grazie" mormorò tra un bacio e l'altro.

Posava le sue labbra sulle mie e poi le ritirava, facendomi sorridere e mugolare infastidita. Era un gioco piacevole dopotutto, ma mi gettai su di lui, facendolo sdraiare sul letto e ridere divertito.

Prima che riuscissi a baciarlo il telefono iniziò a squillare e sapevo bene chi fosse.

"Scusami, devo rispondere o mandano la CIA a cercarmi" scherzai alzandomi dal letto.

Frugai nella borsa e avevo ipotizzato bene.

"Ciao mamma" esclamai sedendomi sul letto.

«Ci siamo imbarcati adesso tesoro, va tutto bene lì?»

Erano partiti da tre ore nemmeno e già si preoccupava.

"Certo, stiamo per andare a letto." omisi il fatto che non dormivo con nessuno dei miei cugini "Tranquillizza anche la zia" aggiunsi conscia del fatto che era lì ad ascoltare.

«Dormi con Ale?» 

Mentivo poco a mia mamma, quasi mai e solo per cose futili e da adolescenti, ma quella volta la dissi veramente grossa.

"Certo, dormiamo in camera mia tutti e tre" esclamai cercando di essere convincente.

Non mentivo spesso anche perché ero una frana nel farlo e venivo scoperta subito.

«Va bene, ci sentiamo domani allora»

"Ok, ma non chiamate presto! Voglio dormire!" scherzai.

La nave arrivava alle 7,30 di mattina ed io avevo intenzione di rimanere a letto per qualche ora in più.

"Buona notte" salutai e riattaccai.

Mi voltai e vidi Niccolò sghignazzare.

Alzai un sopracciglio confusa ed incrociai le braccia al petto.

"Non potevo dirgli che dormivo con te!" sbuffai intuendo il motivo di quella sua reazione.

"Immagino, gli verrebbe un colpo" scherzò scendendo dal letto "Mettiti il pigiama dai" mi diede un bacio sulla tempia e andò a recuperare il suo.

Si sarebbe cambiato lì? Be', ovvio, non è che poteva andare da un'altra parte e poi sarebbe stato come vederlo in costume. No, non era lo stesso perché era la situazione che rendeva differente tutto. Se non avessi finito di fissarlo mi avrebbe presa per una maniaca dato che lo stavo mangiando con gli occhi.

Era difficile non farlo quando colui che ti piaceva oltre ogni limite di decenza si stava togliendo la maglia.

Con tutta la buona volontà del mondo distolsi lo sguardo da quel paradiso personale e aprii il cassetto dove stava il mio pigiama. L'unico estivo che possedevo. Canotta nera con la faccia stilizzata di Hello Kitty sul davanti, in basso e pantaloncini corti violetto chiaro. Un acquisto fatto nell'ultima gita insieme a tutte le mie amiche. Avevamo una bellissima foto nella nostra camera vestite tutte con quel pigiama ed era stata subito sviluppata ed incorniciata.

"Vado a prendere un bicchiere d'acqua" dissi per trovare una scusa plausibile per uscire.

Non mi voltai nemmeno, conscia che se l'avessi visto ancora una volta a torso nudo non sarei più riuscita ad andarmene. Niccolò rispose un ok un po' strano, ma io avevo già varcato la porta.

Andai prima in bagno e feci quello che in camera non ero riuscita a fare, cioè togliermi il reggiseno. Sarei arrossita come un pomodoro se l'avessi fatto di fronte a Niccolò. Lo misi nella tasca del mio accappatoio e andai in cucina. Avevo bisogno d'acqua.

In cucina trovai Ale, che si riempiva un bicchiere, esattamente come stavo per fare io. Senza chiedere niente ne presi uno e lo portai vicino al suo con l'evidente richiesta di mettere l'acqua anche lì.

"Pigiama anti sesso?" chiese squadrandomi ben bene "Hello Kitty Giuli?" chiese retoricamente.

"Perché? No…comunque sai bene che no farò niente dai, finiscila" risposi un po' tesa.

Avevo il corpo che mi diceva una cosa e la mente quella opposta e non sapevo quale delle due lasciare andare.

"Calma, se ci prova e non vuoi io sono qua" mi disse con un sorriso "Ma non lo farà…noi uomini non siamo così fissati come pensi, sappiamo aspettare se qualcuna ci interessa" il suo sguardo non era dei soliti derisori, sembrava serio.

Era passato un mese e non c'erano stati avvenimenti che mi avrebbero potuto dimostrare il contrario. Niccolò mi aveva capita a dir suo e non mi aveva mai forzata a fare qualcosa. Ci eravamo sempre limitati al bacio.

"però i pantaloncini anche se non c'erano eh…" commentò guardandomi il fondoschiena.

"È agosto…dovevo mettermi la tuta da sci?" risposi sorridente.

Io avevo sempre caldo, già dormire con quella specie di mini pigiama era una sofferenza. Insomma io mettevo al massimo una canottiera oltre alla biancheria intima.

"Anche se…non devi per forza negarti qualche piacere" ammiccò facendomi avvampare "tanto lo sai, quando dormo non mi svegliano nemmeno le cannonate!"

Annuii scappando da lì "Buonanotte!" dissi tornando in camera chiudendo la porta alle spalle. Se non lo avessi fatto chissà dove saremmo andati a finire con quel discorso. Poi io non ero il tipo che ne parlava con scioltezza.

Quando vidi ciò che mi aspettava davanti mi venne da sorridere. Il letto era già pronto ed era stato lui. Possibile trovarlo sexy anche con il pigiama? Una semplice canotta bianca e un paio di pantaloni blu, ma per me era magnifico.

"Se sai anche stirare ti sposo!" esclamai senza pensarci.

"Scegli la data" rispose lui ridendo.

Salii sul letto con le parole di Ale che mi ronzavano in testa. Più o meno erano state le stesse di Vale, ma lei era mia amica e sapevo com'era fatta. Sentirsi dire da mio cugino che potevo confermi qualcosa era strano perché solitamente lui era protettivo verso di me.

Fu Niccolò a farmi sdraiare completamente, sovrastandomi quasi per intero, guardandomi intensamente e con quell'espressione magnifica stampata in faccia. L'avrei assalito in meno di due secondi.

"Il pigiama di Hello Kitty…" sogghignò percorrendo con l'indice il contorno della stampa.

Mi faceva il solletico, ma c'era anche altro. Iniziavo ad avere caldo e non era la temperatura, ma un mix di pensieri e di  sensazioni che iniziavo a sentire, nuove e più nitide che mai.

"È l'unico che ho portato" dissi ingenuamente con voce strozzata.

"Mi piace…" 

Lo vedevo e non me ne dispiaceva. Il dito, che prima sfiorava la pancia ed il fianco, in quel momento era diventata una mano, posata sulla vita, che faceva su e giù fino alla coscia e poi sempre più in alto. Forse non avrei dovuto togliete il reggiseno, si vedeva che non lo portavo, ma era fastidioso dormirci.

Era una sensazione strana, dovuta forse da una nuova situazione in cui trovavo; in camera da letto con un ragazzo che mi piaceva a dismisura e che mi aveva appena detto di considerarmi la sua ragazza.

L'attrazione fisica era palpabile, anche se io continuavo a stare immobile. Lui ovviamente sapeva meglio di me cosa fare e quando posò le labbra sulla mia clavicola le mani si mossero involontariamente verso i suoi capelli. I piccoli baci che mi posava sembravano disegnare una collana intorno al mio collo, una che comprendeva anche un pendente evidentemente, perché la sua bocca si spostò verso il basso, sullo sterno. 

Mi uscì un mugolio strano. Approvazione, piacere, non saprei dire con certezza cosa significasse. Evidentemente per Niccolò fu come un lasciapassare e si sistemò tra le mie gambe facendomi piegare le ginocchia in alto, a fianco del suo bacino.

Lo tirai a me con le mani sul suo collo e gli diedi un bacio profondo. Sentivo il bisogno di quel contatto, di sentirlo mio. Ci baciammo a lungo, mentre sentivo le mani di Niccolò percorrere ogni centimetro del mi corpo fino a quando una non si chiuse sul mio seno sinistro. Mugolai di nuovo abbandonando la sua bocca.

Sorrise lasciando la presa sul mio corpo.

"Mi sono lasciato andare un po' troppo?" chiese a pochi centimetri dal mio volto.

"No!" esclamai con entusiasmo facendolo ridere.

Quando si dice che spesso l'istinto parla prima della ragione. Quello era uno di quei casi. Mi piaceva da morire quello che stava facendo e non avevo più quel timore delle prime volte, quando temevo che volesse solo divertirsi con me. Fatto con sentimento, ogni cosa aveva un valore.

"Allora continuo se non ti dispiace…" sghignazzò.

Se non fossi stata così timida gli avrei urlato un "Sì, ti prego" a pieni polmoni, ma mi limitai ad annuire e a sospirare quando le sue mani tirarono verso l'alto la canottiera, fin sotto il petto, senza però andare oltre.

Io a quella lingua e a quelle labbra, che tormentavano la mia pelle, gli avrei eretto un monumento in oro massiccio. Non che avessi un'esperienza da poter dire che fosse il più bravo, ma per me lo era.

Risalì verso la mia bocca e da dove si erano interrotti i suoi baci, riprese la mano, improvvisando carezze intono all'elastico dei pantaloncini. Sapevo dove saremmo andati a finire e non desideravo altro dato che mi sembrava di prendere fuoco. Stavo iniziando a comprendere i molti racconti di Valentina.

"Se non vuoi dillo" sussurrò al mio orecchio con una tale sensualità che solo una stupida lo avrebbe fermato.

Dato che le parole sembravano non voler uscire deicidi di farglielo capire a gesti.

Presi la sua mano e la posai sul mio fianco, ma sotto i pantaloncini, calandoli un po'. 

Niccolò mi sorrise e tornando a baciarmi di nuovo, scese con le labbra fino al mio ombelico, prendendo entrambi i lati dell'elastico per tirarlo giù fino alle mie caviglie lasciandomi con dei semplici slip color carne con un nastrino sottilissimo che si chiudeva con un fiocchetto sul davanti.

Arrossii per il modo in cui continuava a guardarmi e la tentazione di tirare giù la maglia era tanta, ma non lo feci, bastò un suo bacio lieve a farmi tranquillizzare.

"Non voglio fare niente che tu non voglia, quindi se vuoi dormire basta che tu lo dica, anche se non ti nascondo che sto impazzendo per te in questo momento"

Non è quello giusto per te…

Perché mi venivano in mente quelle parole? 

No, lui era quello giusto o almeno lo credevo. Affermarlo con certezza era da stupidi. 

Scacciai via quella stupida vocina appena apparsa nella mia testa e risposi al bellissimo ragazzo che avevo di fronte.

"Io lo voglio" dissi dolcemente.

Non ero pronta per donargli tutta me stessa, ma sentivo il bisogno di passare al livello successivo con Niccolò. Sentivo che non era sbagliato. Mi piaceva, provavo dei sentimenti per lui.

Niccolò sorrise malizioso e quando mi mordicchiò il lobo dell'orecchio la mia bocca si aprì in un sospiro muto sentendo la sua mano avventurarsi nella mia intimità.

Quella notte ringraziai il cielo che i miei cugini avessero il sonno veramente pesante perché qualche sospiro e mugolio purtroppo non riuscii a trattenerlo. Ero contenta di ciò che avevo fatto e lì, con la testa sul cuscino, rivolta verso quel volto rilassato ed addormentato ero certa di una cosa: mi ero innamorata e non avrei più frenato ciò che provavo. Era da sciocchi nascondere i sentimenti ad una persona che non faceva niente per celarteli.

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