Ruedoki o il fiore di ciliegio

di lillyre
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo e Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***



Capitolo 1
*** Prologo e Capitolo 1 ***


Prologo

 

 

L’uomo con l’impermeabile nero si avvicinò al corpo esanime e lo rivoltò con un piede, tanto per accertarsi del fatto che fosse veramente morto.

“Capo, non lo troviamo da nessuna parte!” disse con aria ansiosa un altro uomo, vestito ugualmente di nero, più tarchiato e con la mascella quadrata.

L’uomo con l’impermeabile scuro sorrise stringendo nelle labbra una Philip Morris che andava spegnendosi.

“Non ti preoccupare, questo bastardo l’avrà nascosto da qualche parte. Ma sappiamo benissimo chi può portarci da quello che vogliamo”

Il suo grosso compagno, quello che tutti chiamavano, Vodka, cominciò a ridacchiare.

“È una vera fortuna, non trovi capo?”

L’uomo con l’impermeabile di pelle e dai lunghi capelli biondi estrasse dalla tasca interna della sua giacca un libro.

La copertina in pelle bianca risplendeva contro il chiarore metallico della luce elettrica accesa nella stanza. L’uomo che si faceva chiamare Gin accarezzò con delicatezza il dorso della copertina, facendo scorrere i polpastrelli lungo il perimetro insolitamente quadrato del volume. Poi, lo aprì e scorse le pagine fin quando non giunse all’ultima, sulla quale una stampa riportava una xilografia dall’aria antica. Una donna e un uomo ricoperto da mantello e cappuccio si accingevano a giocare una partita a scacchi. Una sola frase descriveva la strana scena, un incipit in latino:

 

IN PRINCIPIO ERAT VERBUM

 

Gin sorrise divertito.

“Alla fortuna, ogni tanto bisogna dare una mano” disse sputando il mozzicone e spegnendolo con un tacco sul petto del vecchio che giaceva morto ai suoi piedi “spero che sia tutto pronto”

“Si, dobbiamo solo pescare il momento buono” annuì Vodka soddisfatto “tuttavia…”

“Che c’è?”

“Non credo che a lei farà molto piacere…”

L’uomo che si faceva chiamare Gin sorrise.

Con quel sorriso che sapeva gelare il sangue dei suoi nemici.

E dei suoi amici.

“Non me ne frega un cazzo” disse lasciando il suo compagno solo nella stanza buia.

 

1.

 

Shinichi Kudo correva.

Sentiva il cuore battergli violentemente contro il pomo d’Adamo, mentre un ronzio incessante e una voce minacciosa gli rombavano nelle orecchie. Il ragazzo deglutì a fatica, tentando si allontanare la disperazione e stringendo le palpebre nel disperato tentativo di capire che cosa ci fosse un passo avanti al lui.

Era tutto troppo nero.

Era tutto troppo freddo.

E lui era solo.

Si spostò la pioggia gelida dal volto accorgendosi che, come piccole lame, quelle gocce pesanti gli tagliavano la pelle del volto che aveva cominciato a sanguinare.

Lentamente l’acqua e il sangue scorrevano lungo il suo corpo lasciando macchie scarlatte sulla strada nera che si stava lasciando alle spalle.

E non riusciva a vedere nulla avanti a se.

Si bloccò, ansante. Il cuore dal battito così accelerato da premergli sul petto come se fosse un macigno, i polmoni solo due organi in fiamme. Si toccò il volto. Osservò le sue mani sporche di sangue e con suo orrore si accorse che quel sangue non era il suo. Nero e serpeggiante il terrore si insinuò lungo le gambe, risalendo dalle cosce fino allo stomaco, attanagliandogli il petto in una morsa asfissiante.

Non poteva essere vero.

Si sforzò di muovere un passo avanti e un altro ancora.

Una debole luce nell’oscurità gli mostrò un pavimento di pietra, freddo e umido, dove grosse pozze s’acqua verdastra ristagnavano da secoli. La pioggia era scomparsa e il ragazzo, ansante, si guardò intorno stupito.

Poi il suo piede batté contro qualcosa di duro.

All’improvviso, piccole luci si accesero dietro di lui, come fari che illuminavano precise zone della strada che aveva percorso.

E c’erano dei cadaveri….tanti cadaveri…

Gli occhi azzurri di Shinichi Kudo si riempirono di orrore quando riconobbero volti familiari fra tutti quei morti.

Il detective Takagi, l’ispettore Megure, Sato e il detective Shiratori, Kogoro Mouri e sua moglie Eri Kisaki, il dottor Hiroshi Agasa, il miglior amico di suo padre, i piccoli Genta, Mitsuhiko e la dolce Ayumi, la sua compagna di classe Sonoko Suzuki, il suo intelligente rivale del Kansai, Heiji Hattori e la sua Kazuha, più in là una macchia bianca e un cilindro tinto di vermiglio testimoniavano la presenza del corpo dello scaltro Kaito Kid…

Il giovane sentì i tonfi assordanti del suo cuore battergli insistentemente nelle orecchie e pulsare lungo tutte le sue vene. Lì, in mezzo agli altri riconobbe anche un ciuffo di capelli castani, così disordinati e simili ai suoi che spesso erano stati confusi. Sopra il petto dell’uomo, la folta chioma bionda di una donna ancora giovane e bella si muoveva delicatamente alla brezza che aveva cominciato a soffiare…

Il respiro del giovane era ormai diventato un terrificante raspare alla ricerca di quell’aria che sembrava sempre di più mancargli in quel posto così oscuro e freddo.

Che cosa aveva urtato poco fa…poco prima di vedere tutto quello?

Una pioggia rossa aveva ricominciato a cadere.

E le iridi azzurre di Shinichi Kudo si dilatarono di nuovo per il terrore di una consapevolezza così chiara, così evidente che gli si era affacciata alla mente.

I battiti raddoppiarono e il respiro si fece ancora più affannoso, i polmoni trafitti da mille pugnali ardenti.

Era un piede quello che aveva urtato

Piccolo.

Come quello di una bambina.

Haibara?

Pensò senza avere la possibilità di esprimere alcun suono oltre al rantolo che fuoriusciva dalle sue labbra.

In ginocchio Shinichi Kudo cominciò a tremare violentemente. Si strinse le braccia al petto, come a voler impedire al suo corpo di esplodere per il dolore.

Mancava una sola persona.

Fa che sia salva, pregò. Fa che sia salva.

Un profumo di fiori di ciliegio invase le sue narici e per un attimo il suo cuore rallentò i battiti.

Ran, pensò rassicurato mentre una lacrima gli rigava la guancia sinistra. Ran…

Poi Shinichi Kudo alzò il volto sull’ultima luce che all’improvviso, folgorante, gli si era accesa davanti.

RAN!!!!!!!

Fu solo il grido muto del suo cuore che esplodeva in mille pezzi.

 

“Conan…Conan…!!!!” chiamò una voce dolce dall’accento familiare.

Shinichi Kudo serrò le palpebre. Sentiva ancora il sangue pulsargli talmente forte in tutto il corpo da fargli conoscere, dolorosamente, la presenza di altre fibre muscolari di cui ignorava l’esistenza. Sentiva solo il fuoco scorrergli nelle vene, come se fosse acido muriatico che aveva preso a sciogliere il suo scheletro. Quella sensazione, fin troppo nota, durò un solo istante, lasciando il posto al doloroso mal di testa che sempre segue incubi del genere.

Il piccolo Conan Edogawa ebbe così il coraggio di aprire le palpebre e fissare i profondi occhi blu che lo guardavano preoccupati.

Ran Mouri, in un delizioso pigiama lilla, gli stava accarezzando la fronte sudata e calda, preoccupata e allo stesso tempo rassicurante.

“Ran…”disse solo il bambino, la voce arrochita, più maschile di quanto un bimbo delle elementari potesse avere “Scusa…”

Shinichi Kudo non se ne accorse quando una lacrima gli rigò la guancia da bambino.

“È stato solo un brutto sogno!” disse la ragazza intenerita dal comportamento del piccolo e sorridendogli tranquilla “Devi aver preso solo freddo. Con tutto quello che è successo... Probabilmente è solo un po’ di febbre, non preoccuparti, vado a prenderti una borsa del ghiaccio…”

“NO!” gridò Shinichi Kudo nel corpo febbricitante del piccolo Conan Edogawa afferrando saldamente la mano di Ran Mouri. Poi, stupito lui stesso della sua reazione, lasciò andare la sua amica d’infanzia e le sorrise tranquillo, come uno scolaretto.

Come aveva imparato a fare da tre anni, ormai.

La figlia del detective Kogoro Mouri fissò Conan Edogawa perplessa. Restò un attimo in silenzio prima di sorridere nuovamente e scompigliare il ciuffo ribelle del bambino.

“Sarò qui in men che non si dica!” disse uscendo piano dalla stanza.

Shinichi Kudo si lasciò andare al caldo abbraccio delle coperte e tentò di rallentare i battiti del cuore.

Era inutile preoccuparsi in quel modo. Era stato un sogno. Solo uno stupido sogno! Non c’era mica il bisogno di piangere!

Sbuffò, le guance ancor più rosse di quanto già non fossero; il bambino ficcò la testa sotto le coperte in imbarazzo. Se Ran avesse saputo chi era in realtà (dopo averlo adeguatamente picchiato per averla vista nuda, per aver dormito con lei e per non avergli mai rivelato la verità) l’avrebbe preso in giro per il resto della vita, sapendo che si era messo a piangere perché aveva sognato che erano tutti morti, anche lei.

Probabilmente quel sogno era stato il frutto delle ansie che lo avevano assalito negli ultimi tempi. Certo che la storia che si era trovato ad affrontare negli ultimi tre giorni era assurda…perché, oltretutto, suo padre non gliene aveva mai parlato?

Scosse la testa e voltò lo sguardo verso la finestra. Oltre il vetro, poté vedere i bianchi fiocchi che avevano cominciato a cadere dalla sera prima facendogli sentire più vicino il Natale.

Il bambino si portò le braccia sotto la nuca, fissando il soffitto senza neanche guardarlo.

Quello sarebbe stato il terzo Natale che passava nei panni di Conan Edogawa.

Tossì. La febbre sembrava essersi stabilizzata dopo quel sogno incredibile. Sorrise.

A quanto pare anche il giovane detective Shinichi Kudo poteva stancarsi qualche volta.

Ran Mouri entrò sorridendo nella sua stanza illuminata solo dal tenue bagliore dell’abat-jour accesa sul tatami, accanto al suo letto. Il ragazzo la guardò, gentile e carina come al solito, testarda nel volergli rifilare per forza un’aspirina datagli dal professor Agasa e un intruglio bollente che aveva preso da un monaco di passaggio, ma soprattutto era viva. Il piccolo Conan Edogawa sospirò sorridendo. L’aveva svegliata nel cuore della notte e lei, senza lamentarsi si stava prendendo cura di lui. Come aveva sempre fatto del resto. Anche quando era adulto.

“ Dov’è lo zio?” chiese il bambino, improvvisamente fulminato dal fatto che non aveva ancora ricevuto nessuno schiaffone dal detective Kogoro Mouri per averlo svegliato nel cuore della notte.

Ran socchiuse un attimo gli occhi infastidita mentre aiutava il bambino ad infilarsi la manica di una maglietta pulita. Il pigiama di Conan, infatti, era fradicio. Per sostituirlo Ran aveva trovato solo degli abiti che Shinichi aveva lasciato a casa sua prima di scomparire. Conan Edogawa si sentì strano ad indossare nuovamente i suoi vestiti veri.

“ Quello scemo di papà! Dopo aver risolto il caso di questa sera è andato a bere, come al suo solito!” sbuffò la ragazza “ e poi si lamenta che gli fa male lo stomaco!”

‘ Con tutto l’alcool che ingolla, mi stupirei del contrario!’ pensò il piccolo Conan Edogawa un sorrisetto sornione dietro il vapore che proveniva dalla sua tazza.

“Adesso dorme sul divano dell’agenzia…uffa! Non ce la farò mai con lui!” disse sconsolata la ragazza scrollando le spalle.

Conan Edogawa la fissò serio. Ran non lo diceva mai, ma la separazione dei suoi genitori era sempre stato uno dei principali motivi dei suoi momenti di tristezza.

L’altro, ovviamente, era lui.

Il bambino bevve velocemente quello che rimaneva dell’infuso fumante provocandosi una leggera ustione lungo l’esofago e cominciando a tossire ferocemente, sputacchiando tutt’intorno.

“ Conan – kun!” disse Ran rassegnata, battendogli una mano sulla schiena “quante volte ti ho detto di non bere così in fretta le tisane bollenti?”

Il piccolo Conan Edogawa avrebbe voluto rispondere se non fosse stato sommerso da un altro accesso di tosse e da una nuova fitta incendiaria. Strinse i denti e i lembi della coperta fino a farsi diventare le nocche bianche. C’era qualcosa di insolito in quell’influenza….pensò Shinichi un occhio socchiuso per il dolore.

“ Ora mettiti giù e dormi!” disse Ran con un sorriso spingendo il bambino sotto le coperte.

“ Raneechan! “ chiamò il piccolo Conan Edogawa la voce ridotta ad un sussurro.

“ Si? Che c’è?” chiese la ragazza dolce come al suo solito.

“ No! Niente…” Shinichi Kudo arrossì fino alla punta dei capelli. Che diavolo aveva intenzione di fare? Lui non era un bambino…cioè non lo era veramente!

“ Mhmm…sarà meglio che rimanga a dormire qui con te!” disse la ragazza pensierosa.

Conan Edogawa sgranò gli occhioni azzurri deglutendo a fatica.

“ Fammi un po’ di spazio!” disse Ran Mouri con un sorriso, infilandosi sotto le coperte.

Shinichi Kudo rimase immobile, impossibilitato a muovere qualsiasi parte del suo corpo, cervello compreso, le fitte incendiare quasi dimenticate.

“Buonanotte, Conan – Kun!” disse la ragazza con un enorme sbadiglio circondandogli la piccola vita con le mani.

“Ah…Buona…buonanotte!” disse il bambino, la voce di nuovo roca, il cuore che gli martellava nel petto questa volta per l’emozione.

Poi non se ne rese neanche conto quando si addormentò con il calore del corpo della ragazza che lo cullava dolcemente.

 

Un raggio di luce gli batté fastidiosamente sul viso costringendolo a girarsi di lato per riuscire a continuare a dormire. Shinichi Kudo sorrise nel sonno. Non voleva aprire gli occhi. Dopo quel sogno orribile Ran si era addormentata vicino a lui perché pensava che fosse troppo spaventato. Ogni tanto essere un bambino aveva i suoi vantaggi. Si strinse di più al corpo della ragazza che sentiva vicino e caldo e pareva che la febbre fosse passata. Un leggero brivido gli attraversò la schiena che sentiva non del tutto coperta. Allungò una mano nel tentativo di far scivolare la coltre un po’ più dalla sua parte…Accidenti, non gli era sembrato mica che Ran fosse così grossa da rubargliela tutta! Forse era un po’ ingrassata ultimamente… Starnutì e fu costretto ad aprire gli occhi. Lanciò uno sguardo assonnato alla sveglia che ticchettava allegra sulla piccola scrivania accanto ai libri di scuola. Erano solo le sette ed era domenica. Poteva tranquillamente rimanere a letto a dormire.

Fu attirato dal movimento leggero di Ran che mugugnò qualcosa nel sonno. Shinichi Kudo abbassò il volto ad osservare i capelli profumati della ragazza che continuava a dormire placidamente fra le sue braccia…

…le sue braccia…?

Sobbalzò mentre il mal di testa si riaffacciava molesto a battergli contro le tempie. Si portò una mano alla fronte, appoggiando il resto del corpo sul gomito sinistro e socchiudendo un occhio per il dolore pulsante alla testa. Il suo sguardo finì distrattamente sulle sue gambe…

Le iridi azzurre dello studente detective si dilatarono mentre il cuore prese a battergli velocemente, sempre più velocemente in sintonia alla realizzazione di quanto la sua mente stava comprendendo.

Era impossibile… impossibile…

Si alzò di scatto precipitandosi a guardare il suo volto nello specchio dell’armadio, ma l’immagine che vide fu solo quella di una maglietta sgualcita.

Precipitandosi di nuovo accanto al letto prese senza curarsi d’essere delicato la mano di Ran Mouri che dormiva accanto a lui e appoggiò il palmo della ragazza sul suo.

Shinichi Kudo sorrise trionfante mentre stringeva con forza quella piccola mano nella sua.

Il riflesso di un ragazzo di circa diciotto anni gli sorrise dal basso specchio dell’armadio di Conan Edogawa.

“ Shinichi?” chiese assonnata la voce di Ran Mouri, svegliata dai gesti rapidi del ragazzo.

“ SHINICHI?!!!!” disse poco dopo saltando a sedere sul letto sorpresa di vedere accanto a lei il suo amico d’infanzia disperso chissà dove.

Shinichi Kudo non ci pensò due volte; premette solo leggero un pulsante sull’orologio che aveva imparato a portare sempre al polso (e che aveva cominciato a sentire maledettamente stretto negli ultimi dieci minuti!) e uno degli aghi soporiferi colpì in pieno Ran Mouri lasciando che la ragazza cadesse delicatamente, una volta ancora, tra le sue braccia.

“ Ecco…” si disse sorridendo e fissando la ragazza con un sospiro “ questo sarà un po’ difficile da spiegare!”

 

“Ah, Shinichi, entra!” fece assonnato il dottor Agasa mostrando uno sbadiglio spacca - mandibole al ragazzo infreddolito che saltellava da un piede all’altro sulla soglia di casa sua.

“ SHINICHI!!??” strillò poi l’ometto fissando a bocca aperta il figlio del suo migliore amico sorridergli con quell’aria spavalda che aveva imparato a vedere solo sul volto di Conan Edogawa “ MA CHE DIAVOLO…..?”

“ Ehm….posso entrare dottore?” chiese Kudo rischiando l’assideramento, i piedi infilati nel paio di scarpe che Kogoro Mouri aveva lasciato per casa rientrando a tarda ora, e le braccia attorno ad una giacca dal colore orrendo.

Il dottor Hiroshi Agasa non riuscì a dire niente. Si fece solo da parte per far entrare il ragazzo in casa.

Un sottile rumore di passi risalì i gradini che conducevano dall’atrio della casa multifunzionale dell’inventore al suo antro maledetto e la piccola Ai Haibara entrò nella stanza, sorseggiando una tazza di caffè fumante. Rivolse solo un debole sguardo al giovane infreddolito ancora sulla porta di casa e al suo ospite dall’aria completamente ebete.

“ Così, ha funzionato” disse senza scomporre l’espressione glaciale.

Shinichi Kudo chiuse la porta, si tolse quell’orrenda giacca presa in prestito da Mouri e si avvolse in una coperta trovata sul divano. Quando la smise di starnutire riuscì finalmente a fissare la bambina con gli occhi azzurri ridotti a fessure.

“Ha funzionato….cosa?” chiese mentre il professor Agasa lanciava sguardi allibiti ai due ragazzi.

La scienziata Shiho Miyano sorrise come al suo solito. Quell’espressione indescrivibile che mai smuoveva i suoi occhi glaciali.

“L’Antidoto, ovviamente”

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


2.

 

 

Ran Mouri si svegliò portandosi una mano alla bocca e facendo un enorme sbadiglio. Quella notte era stata piuttosto movimentata. Prima Conan che gridava il suo nome come un ossesso e poi Shinichi…

Shinichi?

La ragazza alzò uno sguardo perplesso sulla stanza del piccolo Conan Edogawa e vide che il bambino era sparito. Strinse gli occhi, sospettosa, riducendoli a due nere fessure mentre si accorgeva di un biglietto lasciato accanto al suo cuscino.

 

Grazie Raneechan, diceva la strana scrittura infantile, adesso sto molto meglio. Sono uscito per andare dal professore che mi ha chiamato perché ha detto che devo provare una sua nuova invenzione. Conan

 

La ragazza strinse il biglietto tra le mani, preoccupata.

Poteva anche svegliarmi! Si disse lanciando un’occhiata all’orologio. Erano solo le nove del mattino. Il ticchettio ritmato delle lancette la ipnotizzarono per un solo istante prima che Ran Mouri si rendesse conto di una terribile evidenza.

Rossa in voltò scatto in piedi in preda ad un furore che non aveva sentito da secoli e decise che era venuto il momento di mettere le cose in chiaro con il suo vecchio amico d’infanzia…o con il piccolo Conan Edogawa, se lo si voleva chiamare altrimenti.

Tuttavia…

Molte altre volte aveva sospettato che il bambino fosse in realtà Shinichi rimpicciolito per chissà quale strano motivo, ma ogni volta era stata disillusa e i suoi sospetti erano stati messi temporaneamente a tacere.

Già…temporaneamente.

Ran Mouri fissò il suo volto nel piccolo specchio di Conan, lo sguardo concentrato.

Era inutile che mentisse anche a se stessa. Da sempre sentiva che nel piccolo Conan Edogawa c’era qualcosa di Shinichi Kudo.

La sera prima si era addormentata accanto al bambino e la mattina dopo si era svegliata trovandosi al fianco il suo amico d’infanzia materializzato chissà da dove…mentre Conan, ne era sicura, era scomparso. E Shinichi indossava gli stessi abiti che lei aveva fatto mettere al bambino la sera prima.

Che lo avesse sognato?

“Se è così quel monello è davvero un incosciente!” sbuffò la ragazza gettando uno sguardo fuori dalla finestra e notando quanta neve era caduta la sera prima.

Lo squillo del telefono e le urla incessanti di suo padre che si era appena svegliato, distolsero per un momento la ragazza dai suoi strani pensieri.

 

“Oh, ma guarda quant’è carino questo bambino!” disse con una vocetta ironica un giovane dalla pelle scura scompigliando i capelli già piuttosto arruffati del ragazzo seduto sul divano, avviluppato in una coperta, con il naso rosso e gli occhi lucidi.

Shinichi Kudo non poté fare altro che starnutire e guardare con odio puro Heiji Hattori che si era precipitato da lui non appena lo aveva chiamato. Non lui ovviamente.

Shinichi lanciò uno sguardo seccato intorno. Il dottor Hiroshi Agasa evitò di incontrare i suoi occhi nella mezz’ora successiva.

“ Immagino ti trovi qui per caso” fece seccato Kudo, starnutendo un secondo dopo.

Ai Haibara si limitò a lanciargli un’occhiata incolore mentre continuava a pigiare distrattamente i pulsanti della tastiera del suo computer.

“Allora, mi volete spiegare che cosa sta succedendo?” chiese poi serio Heiji Hattori rivolgendosi deciso alla bambina che lo ignorò completamente.

“ Sembra che nell’ultimo caso risolto dal noto detective Mouri, la nostra cara scienziata si sia imbattuta in una sua vecchia conoscenza” tirò su col naso Shinichi senza risultato. Poco dopo fu costretto ad utilizzare sonoramente un fazzoletto.

Heiji Hattori si ritrasse spaventato.

“Nessuno ti ha mai detto che esistono le aspirine?” fece sarcastico sopportando lo sguardo bieco che Kudo gli lanciò “Comunque….ti stai forse riferendo alla morte di quel giornalista….Hayasaka?”

“Yoshiro Hayasaka è morto a causa di un profondo taglio su collo inflittogli dal suo migliore amico, Denichiro Yashima; e l’arma era la penna stilografica con cui l’uomo era solito scrivere i suoi articoli scandalistici” spiegò Shinichi Kudo riassumendo la sua aria spavalda mentre gli occhi lucidi fino ad allora solo per la febbre, avevano preso a brillare della consueta determinazione tanto nota al giovane detective del Kansai.

“ Si, ma questo che c’entra?” chiese Heiji Hattori portandosi una mano al mento “Non mi pare ci fosse nulla di sospetto. A parte il fatto che quel pazzo di Yashima ha ucciso anche il vecchio vicino di casa di Hayasaka, un certo Kazumoto, convinto che avesse assistito al delitto …un momento…” fece Hattori, gli occhi lucenti e stupiti “non vorrai dirmi che….”

Shinichi Kudo avrebbe tanto voluto elargire uno dei suoi soliti sguardi eloquenti, ma l’unica cosa che gli venne da fare fu starnutire.

“ Tieni” gli disse Agasa mosso a compassione e porgendogli una tazza di tisana fumante. Il ragazzo l’annusò disgustato “ Ma vi siete messi d’accordo con Ran per farmi bere questa cosa puzzolente!”

“ Guarda che non sei più un bambino” gli fece notare glaciale Haibara continuando il ritmico picchiettare delle mani sulla tastiera. Poi, si fermò e rivolse i suoi profondi occhi grigi e imperscrutabili nelle iridi viola del giovane detective del Kansai.

“Hiroyuki Kazumoto faceva parte dell’Organizzazione. Come me” sospirò Shiho Miyano “Lo conosco sin da quando ho cominciato a lavorare nei loro laboratori. Era il mio supervisore”

Heiji Hattori, quasi spaventato dal fatto che quella bambina glaciale gli si fosse rivolta direttamente, cominciava a capire.

“ A quanto pare sei riuscita a parlare con lui prima che lo facessero fuori!”

Ai Haibara scosse la testa.

“Quando abbiamo saputo chi era il vicino di casa di Hayasaka, Kazumoto era stato già ucciso” intervenne il dott. Agasa porgendo una tazza di tisana fumante anche ad Heiji “ tuttavia la profonda stima che quell’uomo aveva per Ai ci ha permesso di entrare nel suo studio…come dire…privato”

“ Siete entrati nel suo laboratorio?” chiese Heiji Hattori incredulo fissando Shinichi Kudo che, dopo la bevanda corroborante, era riuscito a sfoggiare la sua solita aria spavalda. L’unica nota stonata era quella coperta di lana scozzese buttata sulle sue spalle  “ sembri un supereroe da fumetto comico” gli disse il ragazzo senza preoccuparsi di trattenere una risata.

“ Ah, ah” fece Shinichi Kudo poco allegro e piuttosto infastidito “ stacci tu in pieno inverno con solo una t-shirt e un paio di pantaloni da ginnastica!”

“ E lì c’erano alcuni degli studi che il professore stava facendo sul processo di apoptosi cellulare e sulla formula dell’APTX 4869” continuò Haibara ignorando i battibecchi dei due ragazzi.

“ La morte programmata delle cellule e il suo derivato chimico” spiegò Shinichi Kudo come a se stesso “ insomma tutto quello che ha portato alla ‘nascita’ di Conan Edogawa e Ai Haibara” sorrise.

“ Ma come avete fatto a scoprire il laboratorio senza che Mouri e la polizia si accorgessero di voi?” chiese Hattori pensieroso “ l’assassinio di Hayasaka deve aver attirato Megure e tutto il dipartimento di Polizia Metropolitano. Come diavolo avete fatto a passare inosservati?”

Ai Haibara sorrise (una cosa che terrorizzò ancor di più Heiji Hattori rispetto a quanto poco prima gli si era rivolta), mentre Hiroshi Agasa fu improvvisamente attratto dallo schiaccianoci a forma di Doraemon che era piazzato in bella vista su un ripiano della cucina.

Shinichi Kudo tossicchiò attirando in questo modo l’attenzione del ragazzo.

“Hanno sfruttato il momento del ‘ Bell’Addormentato ’ ” disse piano Kudo con gli occhi chiusi e un sorrisino sulle labbra “ non mi hanno detto niente e quando ho addormentato Mouri e ho cominciato a spiegare quello che era successo ho attirato l’attenzione di tutti; questi due ne hanno approfittato e sono sgattaiolati nell’appartamento di Kazumoto”

“ Ma come sapevi del suo laboratorio?” chiese ancora Hattori perplesso.

“ Ci sono stata” disse semplicemente Haibara “tanto tempo fa”. Poi i suoi occhi di solito freddi e imperscrutabili s’illuminarono di una luce calda, qualcosa che né Shinichi Kudo, né tanto meno Heiji Hattori avevano mai notato nella ragazza.

“Lì “ riprese Haibara cancellando immediatamente quel segno di umanità dal suo volto “ ho trovato i quaderni del professore. Ovviamente” aggiunse poi sorridendo “ erano protetti da un codice particolare”

“ Una poesia a quanto pare” spiegò Shinichi alzandosi dalla poltrona per stiracchiarsi e avvicinarsi alla finestra “ Una poesia di Takuya Imai”

“ Takuya Imai?” chiese Hattori sorpreso “ Non è quell’autore di racconti antigovernativi scomparso negli sconvolgimenti che si susseguirono nel primo periodo dell’era Meiji?

“ All’interno dei suoi thriller psicologici c’era solo la volontà di celebrare degli uomini, come i veri samurai, che proteggevano la gente a rischio della loro vita” disse Shinichi appoggiando una spalla al vetro e osservando distrattamente la gente che fuori si affaccendava a comprare i regali di Natale.

“Un seguace della via di Miyamoto, dunque….” fece Hattori appoggiandosi al divano lasciando che un braccio calasse dal lato posteriore.

“Più che ‘seguace’, la sua era la volontà di celebrare la realizzazione dei sogni umani attraverso una via di meditazione che poteva avere come suo fulcro anche la spada” disse Kudo senza rivolgere lo sguardo agli altri “ quello che Imai intendeva veramente comunicare era la possibilità di realizzare i propri desideri e di affermare, dunque, la propria esistenza attraverso un sogno al quale dedicare tutta la vita. Ma l’imperatore impegnato ad adeguarsi all’Occidente non aveva compreso il vero messaggio degli scritti di Imai….”

“ Che per questo motivo furono messi al bando e costrinsero il loro autore a scappare per non tornare mai più nel suo luogo di nascita” continuò il professor Agasa sgranocchiando un biscotto al műesli “ dal giorno della sua partenza dalla residenza di campagna che aveva nei pressi della vecchia Edo…”

“ Tokyo…”sorrise Hattori afferrando anche lui un biscotto.

“…nessuno ha mai saputo più niente di lui” finì lo scienziato lanciando uno strano sguardo a Shinichi Kudo ancora appoggiato al vetro della finestra.

Heiji Hattori chiuse gli occhi, come a dire a se stesso che non aveva visto niente.

“E Haibara conosceva quei versi perché l’uomo, avendo stima di questa ragazza geniale come se fosse sua figlia, o anche una sua nipote, gli aveva confidato ai tempi del lavoro nell’Organizzazione la sua inclinazione per quest’autore non compreso e perseguitato. È così?” chiese il ragazzo del Kansai le braccia incrociate sul petto, la visiera del cappello calata fino agli occhi.

“ Esatto” confermò Haibara con il suo solito modo atono.

“Ma come può una poesia ‘proteggere’ qualcosa?”

“Heiji!” esclamò Agasa sorridendo “ mi meraviglio di te!”

“ Giusto!” continuò il ragazzo afferrandosi la visiera del cappello con la mano destra “ una cassaforte… la cui combinazione numerica, se giustamente rapportata ai versi in questione, permette l’accesso al contenuto”

“ E bravo il nostro detective dell’Ovest!” fece Agasa afferrando ancora una volta un biscotto.

Un orologio lontano batté dodici rintocchi.

“ E poi?” continuò Hattori deciso ad ignorare ancora per un po’ il silenzio del detective che aveva reso famoso un tizio come Kogoro Mouri “ cosa avete trovato in quelle carte?”

“Questo” disse Shinichi Kudo gettando sul tavolino di fronte alla poltrona un libro dalla copertina di pelle verde smeraldo e dall’insolita forma quadrata.

 

“Pronto!” fece Ran Mouri accostandosi la cornetta del telefono all’orecchio “CONAN –KUN!”strillò non appena la vocetta arrochita del bambino tossì dall’altro capo del telefono  “MA TI SEMBRA IL CASO DI PRENDERE E ANDARTENENE COSI’ CON QUEL FEBBRONE DA CAVALLO CHE TI RITROVI? Dove sei? Ti vengo a prendere immediatamente!”

Il detective Kogoro Mouri entrando in casa, gli occhi gonfi e i capelli per aria lanciò uno sguardo annoiato alla figlia.

“Chi diavolo chiama a quest’ora della domenica?” sbuffò sbadigliando. Andò al frigorifero, aprì lo sportello e prese soddisfatto una lattina di birra. Prima che riuscisse solo a pensare di rompere la clip di chiusura, sua figlia gli strappò la bevanda dalle mani e la buttò intera nel cestino dell’immondizia.

“BASTA, PAPA’! CONTROLLATI!”

Il detective Kogoro Mouri fissò sua figlia con uno sguardo indagatore.

“Siamo un po’ nervose questa mattina!” disse l’uomo lanciando un’occhiata ancora alla ragazza. Poi i suoi occhi si allargarono improvvisamente fulminati da una rivelazione “ Oh, non dirmelo…la mia bambina…sono cominciate…sei diventata una donna!!!” urlò Kogoro Mouri appoggiandosi al braccio per piangere disperato.

“Stupido!” fece Ran arrossendo vivacemente e colpendo il padre con un pugno ben assestato sulla nuca “ papà ma sei scemo? Ho diciassette anni! Te ne sei accorto un po’ tardi!!” aggiunse coprendo il telefono e sperando che Conan non avesse sentito nessuna delle idiozie che andava dicendo suo padre. Era solo un bambino e se fosse stato Shinichi…la cosa era ancora più imbarazzante…

Sospirando sconsolata, la figlia del detective Mouri si portò nuovamente la cornetta accanto al viso.

“ Si” Annuì “Che cosa?” chiese poi stupita. Il cuore cominciò a batterle nel petto così forte da scuoterla tutta “ Ma perché a casa di Shinichi?”

Kogoro Mouri si strozzò con la birra che aveva recuperato dal frigo e che stava cercando di bere di nascosto dalla figlia. L’uomo lanciò uno sguardo bieco alla ragazza che non lo aveva nemmeno sentito. Quando si parlava di ‘ Shinichi Kudo ’ Ran Mouri entrava in trance…quello stupidissimo moccioso! Come si permetteva di scomparire senza dare nessuna spiegazione e telefonare solo una volta ogni tanto a sua figlia, una bellissima ragazza dal cuore d’oro che non avrebbe più trovato neanche se avesse setacciato il mondo per un milione d’anni?!

Un momento….Kogoro Mouri fissò Ran con gli occhi ridotti a fessure. E pensò a Shinichi Kudo.

 

“ Ehi Shinichi, che c’è? “ chiese Agasa interrompendo per un attimo la spiegazione di Ai.

“ Niente…” disse il ragazzo stringendosi un po’ di più nella coperta, rabbrividendo per un’insolita sensazione di terrore che gli aveva invaso improvvisamente il petto. Non era la stessa paura che aveva provato nel sogno, tuttavia…era come se qualcuno stesse pensando di volerlo tagliuzzare in mille pezzi e cucinarlo insieme ad un’abbondante porzione di ramen…

 

Giovane lei. Giovane lui. Pensò Mouri gli occhi ancora più stretti dal sospetto.

Considerando che l’ultima volta che l’aveva visto stava tentando di baciarla, sua figlia (e non c’entrava niente il fatto che si trattasse di una recita scolastica… see… lui era un esperto su tutti i trucchetti che i maschi erano soliti usare per adescare una bella ragazza…), forse era meglio che continuasse solo a telefonare.

“D’accordo” annuì Ran “Vengo tra un po’. Tu rimani lì e chiedi al professore di prepararti qualcosa di caldo! Ci vediamo verso le undici allora” sorrise la ragazza chiudendo la comunicazione.

Il detective privato Kogoro Mouri fissò sua figlia, diffidente.

“ Non sarà tornato…quel moccioso che vuole fare il detective?” chiese sorseggiando una volta ancora, rumorosamente, la sua birra fresca.

“ Probabilmente non se n’è mai andato” fece sua figlia con sulle labbra disegnato un ghigno che terrorizzò il padre “ E adesso….PIANTALA DI BERE!”

 

Due labbra rosse e seducenti s’incurvarono in un sorriso maligno mentre il ghiaccio del drink, poggiato accanto a lei, scivolò verso il fondo del bicchiere con un suono acuto. La donna chiuse lo sportellino del cellulare e bevve un sorso passandosi la lingua sulle labbra, soddisfatta del gusto acre dell’alcolico. Aveva impedito al bagliore intenso della neve candida di entrare nella sua stanza al Beika Hotel abbassando tutte le tapparelle, mentre il fumo delle sigarette rendeva l’atmosfera nebbiosa.

‘Il luogo adatto per un’assassina’ Pensò, sorridendo di se stessa, quella donna che si faceva chiamare Vermouth.

Per quanto facesse o per quanto dicesse si stava comportando esattamente come lui voleva.

Non c’era da meravigliarsene.

Stese le lunghe gambe alzandosi dalla sedia accanto al telefono e si avvicinò all’enorme specchio del bagno. La luce intensa delle lampadine le ferì gli occhi grigi, ma dopo un po’ poté osservare la sua immagine riflessa.

Una donna dai lunghi capelli biondi e gli occhi felini, bellissima, la fissava, schernendola, dallo specchio.

Vermouth abbassò il volto e preferì tornare a bere il suo drink.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


3.

 

“Un libro?” chiese il giovane detective del Kansai rigirando il tomo verde fra le mani e accarezzandone la copertina per tastarne la consistenza. Si soffermò a far scorrere le dita lungo il perimetro insolitamente quadrato del volume.

Shinichi Kudo si limitò a raggiungere di nuovo la finestra e ad appoggiarvi la spalla per la seconda volta.

Heiji Hattori gli lanciò uno sguardo dubbioso; poi sollevò le iridi color lavanda sul volto tondeggiante del professor Agasa e sugli occhi glaciali della piccola Ai Haibara.

“È qui? parlo della formula dell’antidoto, ovviamente”

“No” disse Haibara fissandolo seria “ quella l’abbiamo trovata nel suo quaderno di appunti che era vicino al libro”

“Questo che cos’è allora?” chiese il ragazzo di Osaka perplesso.

“Una raccolta completa dei racconti di Takuya Imai” si decise a dire Kudo con un soffio.

“Imai? E perché?” fece Hattori alzandosi dalla poltrona e sollevando la visiera del cappello “va bene che Kazumoto era un fanatico di questo autore, ma perché proteggere in un modo tanto rigido l’edizione di un libro che non ha nessun valore…a parte quello storico, ovviamente”

“Questo non lo sappiamo”  disse Agasa prendendo in mano il volume e iniziando a sfogliarne le pagine “abbiamo scoperto che questa è un’edizione molto rara. Ne esistono solo cinque copie e pare che furono gli stessi eredi di Imai a curarne l’edizione…” il professor Hiroshi Agasa s’interruppe bruscamente passandosi a disagio una mano sui morbidi baffoni brizzolati che gli ricoprivano il labbro superiore. evitando di guardare verso la finestra.

“Imai aveva degli eredi?” Chiese Heiji Hattori sorpreso, ma per tutta risposta ci fu solo un imbarazzato silenzio da parte del professore. Lanciò poi uno sguardo eloquente ad Ai Haibara, tanto per vedere se anche la scienziata fosse a conoscenza di quello che quell’inventore un po’ pazzo e quell’altro scemo di detective tenevano nascosto. La bambina gli rispose scuotendo la testa e limitandosi a fissare le spalle di Shinichi Kudo, ancora, misteriosamente, attirato dal bagliore accecante della neve ammucchiata fuori dalla finestra.

Perché diavolo faceva sempre così! Sbuffò Hattori incrociando infastidito le braccia sul petto. Lo odiava quando tentava di fare il cavaliere che intraprendeva stoicamente la sua crociata solitaria senza che nessuno al mondo potesse aiutarlo!

Shinichi Kudo sospirò leggermente chiudendo le palpebre. La cosa non gli piaceva affatto. Fissò la bambina dei suoi dirimpettai che insieme al suo miglior amico stava costruendo un pupazzo di neve. Sorrise. Anche lui e Ran ne avevano fatti un bel po’ quando erano bambini…

Ma adesso non poteva permettersi di ricordare. Ciò che era più urgente in quel momento era capire che diavolo stesse succedendo e che cosa c’entrasse suo padre in tutto questo.

All’improvviso sentì una mano calda che gli batteva sulla spalla e si ritrovò a fissare a pochi centimetri dal suo naso due iridi color lavanda che lo scrutavano diffidenti.

“Ehi!” fece ritraendosi infastidito dall’eccessiva vicinanza di Hattori.

“Allora?” gli chiese il ragazzo fissandolo sempre in maniera impietosa “hai finito di flagellarti da solo con i tuoi problemi o hai deciso di assecondare il tuo masochismo e non dirci niente?”

“Ma che diavolo….?”

“ E su, cavaliere senza macchia e senza paura!” sbuffò il giovane detective del Kansai chiudendo gli occhi esasperato come se stesse parlando con un bambino che fa i capricci “la tua parte da eroe tragico l’ hai sempre fatta, non sarebbe anche ora che ti facessi dare una mano dagli amici? Soprattutto se sono belli e in gamba come me!”aggiunse poi con un sorriso sornione.

Shinichi Kudo sbuffò esasperato lasciando che il mento gli toccasse il petto.

“Se il mio migliore amico sei tu…sto fresco…”

“EHI!”

“Dicci che è successo Kudo –Kun” intervenne Haibara avvicinandosi anche lei al ragazzo “ una volta sei stato tu a dirmi che non ero sola. Ora fa che possa ricambiare il favore…” il rossore fiorito sulle guance pallide della bambina stupì entrambi i ragazzi. Poco dopo Ai Haibara fissò di sottecchi Heiji Hattori che aveva cominciato a ridacchiare come uno scemo.

Shinichi Kudo invece le sorrise e si avvicinò accovacciandosi, tanto da poterla guardare meglio negli occhi.

Shiho Miyano pregò in cuor suo che quell’idiota se ne accorgesse finalmente.

“Grazie” le disse il ragazzo con un sorriso limpido.

No. Pensò Haibara con un sospiro.

Shinichi Kudo si raddrizzò e si tolse la coperta dalle spalle.

“ Posso?” chiese afferrando la felpa che Hattori aveva usato come giacca per arrivare in moto da Osaka.

Il detective del Kansai sorrise soddisfatto.

 

“Ran!” chiamò una voce dalla strada.

Ran Mouri si voltò, le guance infreddolite e arrossate, gli occhi blu luminosi.

“Sonoko!” sorrise la ragazza agitando la mano.

Sonoko Suzuki, seconda erede della nota Suzuki Enterprise, chiuse la portiera del taxi e si avvicinò alla sua migliore amica.

“Meno male!” disse con un sorriso quando le fu vicina “pensavo che non ti avrei trovata! Ho chiamato a casa, ma tuo padre mi ha detto che eri uscita”

“Si. Quel monello di Conan – kun è andato dal professor Agasa nonostante fosse malato…”Ran Mouri abbassò un attimo il volto indecisa se confessare alla sua amica quello che aveva visto, oppure sognato, quella mattina. Sonoko aveva già cominciato a parlare dei loro progetti per le vacanze natalizie con la sua solita vitalità e divenne tenerissima quando confessò di essere stata invitata da Makoto – san a passare la vigilia di Natale con lui. No, forse era meglio tenersi per se quegli stupidi dubbi, almeno fino a quando non fosse stata certa delle sue supposizioni. In realtà quello che le mancavano erano delle prove concrete; qualcosa che smascherasse definitivamente Shinichi.

Scosse la testa come a voler cacciar via quegli strani pensieri e si concentrò sul racconto delle boutique che avrebbe visitato con Sonoko, durante le prossime vacanze.

Non se ne rese neanche conto quando arrivarono davanti ad una splendida villa, residenza del famoso scrittore di gialli Yusaku Kudo.

“Ti accompagno, dai!” disse Sonoko allegra ficcando una mano sotto il braccio dell’amica “ così quando avrai riportato a casa quel moccioso potremo andarcene in giro a comprare i regali! Io so già cosa prenderti!” aggiunse la ragazza sogghignando.

Ran Mouri alzò uno sguardo al cielo disperata. Sapeva bene che cosa significavano quegli sguardi della sua migliore amica.

Poi si fermò un attimo davanti al cancello della grande villa Kudo.

“ No” disse con un sorriso a Sonoko “ lascia entrare solo me, non voglio disturbarti….”

Se Shinichi era tornato…o se non se ne era mai andato…era questo che voleva scoprire, ma Sonoko non le sarebbe stata d’aiuto.

L’amica la fissò con sospetto prima di sorridere improvvisamente e di lasciarle il braccio.

“ D’accordo!” disse solo senza chiedere alcuna spiegazione “ti aspetto qui! fa con comodo…poi voglio sapere tutto!” aggiunse alla fine senza riuscire a fermare un risolino isterico.

Ran Mouri la fissò depressa e aprì il cancello di casa del suo amico d’infanzia…il ragazzo di cui si era innamorata…

 

Aveva preso tutto quello che serviva. Non c’era altro. Fissò l’orologio sul camino di granito e sorrise. Erano quasi le undici. Non poteva arrivare tardi ad un appuntamento così importante. Questa volta sarebbe stata dura. Questa volta non era proprio sicuro di riportare a casa la pelle. Tuttavia non poteva non tentare. C’era troppo in ballo. E forse…forse avrebbe anche trovato qualcuno capace di aiutarlo. Storse il muso in una piccola smorfia, ma fare tutto da soli era una follia; questo lo sapeva bene. Controllò che la cintura fosse stretta al punto giusto e poi aprì la finestra. Assaporò un attimo la brezza gelida della neve appena caduta, dal profumo penetrante e pulito che gli si addentrò nei polmoni come acqua ghiacciata.

Era l’ora.

Lanciò un ultima occhiata all’unica rosa poggiata nel vaso accanto allo specchio prima di gettarsi nel vuoto.

 

Kazuha Toyama fissava il paesaggio che sfilava fuori dal finestrino del treno meditando di divenire lei l’assassina questa volta. Magari Heiji l’avrebbe notata di più. Questo era fuori di dubbio. La ragazza sospirò desolata. Non ci aveva pensato, non gli era neanche passato per l’anticamera del cervello che partire senza dirle niente l’avrebbe fatta preoccupare a morte. Soprattutto se si era lasciato sfuggire che sarebbe andato a Tokyo a trovare un suo amico.

In fretta. Troppo in fretta.

Sua madre le aveva detto che quell’idiota aveva ricevuto una telefonata quella mattina, che si era vestito velocemente e che era sfrecciato via sulla sua amata Kawasaki senza neanche fare colazione.

La ragazza fissò sbuffando il quadrante del suo orologio da polso. Le dieci erano passate da un po’ e lei ci avrebbe messo almeno un’altra buona mezz’ora per raggiungere Tokyo, anche alla folle velocità dello Shinkansen.

Avrebbe potuto chiama Ran – chan, ma c’era qualcosa che non andava. E ultimamente ne era sempre più consapevole. Fin quando non fosse stata certa della verità non voleva parlare direttamente con la sua amica anche perché sapeva di non riuscire a mentirle.

C’era qualcosa che non andava in Heiji.

Più che altro c’era qualcosa che non andava nel suo rapporto con Kudo – kun.

Già. Kudo – kun. L’aveva visto a malapena una volta, lei, Heiji un paio, da quanto ne sapeva…allora…come potevano essere così amici? Per quanto il detective del Kansai facesse Kazuha lo conosceva fin troppo bene per non essere convinta del fatto che Heiji andasse a trovare il professor Agasa, o Kogoro Mouri, o Ran…la ragazza arrossì. Se solo si ricordava della gelosia che aveva provato nei confronti della sua amica…Ran –chan era troppo dolce per tirarle uno scherzo del genere.

Quello di cui non ci si poteva veramente fidare era Heiji…però non aveva l’aria di essere innamorato…

Kazuha Toyama sospirò. Già.

Le uniche persone che suscitavano interesse in Heiji sembravano essere Shinichi Kudo e il piccolo Conan Edogawa.

La ragazza strinse gli occhi, sospettosa.

In fondo, non sarebbe stato male farsi una chiacchierata con Ran –chan.

 

Ran Mouri suonò ripetutamente il campanello prima di notare che la porta era aperta. Si voltò un attimo indietro e vide rassicurata il volto di Sonoko che le sorrideva con un pollice in aria. Ran sorrise scuotendo la testa. Chissà che le passava per il cervello questa volta.

Fece un gran respiro per calmare i battiti del cuore che aveva cominciato a sbatacchiarle furiosamente in gola e si decise ad entrare. Quando chiuse la porta alle sue spalle ristette per un attimo in silenzio, prima di alzare decisa lo sguardo sull’atrio vuoto e fare un passo avanti.

“ SHINICHI?! DOVE DIAVOLO SEI! ESCI FUORI E DAMMI UNA SPIEGAZIONE!”

Urlò talmente forte da non accorgersi dei passi che la sorpresero da dietro.

Sentì solo il puzzo acre dell’etere prima che tutto diventasse nero e freddo.

 

“Ce l’abbiamo capo!” disse la voce scimmiesca di un uomo dalla mascella quadrata avvicinandosi ad una Porche nero antracite parcheggiata poco lontana. Due individui alle sue spalle avevano cominciato a scaricare delle alte casse da un furgoncino bianco.

“Bene” disse l’uomo dai capelli biondi soffiando disinvoltamente il fumo della Philip Morris “ sta andando tutto secondo il piano”

“Il capo sarà contento! Manca solo una cosa e sarà tutto perfetto!” sorrise scioccamente Vodka “Ehi! Voi attenti!” urlò poi ai fattorini che avevano fatto cigolare una volta di troppo il legno delle casse.

L’uomo che si faceva chiamare Gin sorrise abbandonandosi sullo schienale in pelle nera della sua Porche 911.

“Non vedo l’ora di stringere ancora una volta quel tuo bel collo, mia piccola Sherry!”

 

“Una delle cinque copie, così rare…” cominciò Shinichi Kudo sedutosi sulla poltrona il volto basso, i gomiti appoggiati sulle ginocchia  “ce l’ ha mio padre”

“E fin qui non mi pare ci siano stranezze” commentò Hattori sbranando uno dei sandwich che il professor Agasa aveva preparato per pranzo.

“No” disse Shinichi Kudo serio “ non se in quella copia non ci fosse un codice”

“Un codice?” chiese Haibara interessata “in che senso?”

“Non ti stai forse riferendo a quella vecchia storia?” domandò Hattori battendosi il petto per evitare che un boccone gli andasse di traverso.

“ Proprio così”

“Quale vecchia storia?” chiese Ai Haibara fissando perplessa prima Shinichi Kudo e poi Heiji Hattori.

“Si tratta di una leggenda” cominciò il dott. Agasa attirando l’attenzione della bambina “si racconta che il vero motivo della scomparsa di Imai non sia stata la cattiva condizione politica nella quale di trovava. Per risolvere la questione l’avrebbero costretto a non scrivere più…”

“O magari l’avrebbero ucciso…” fece Hattori pensieroso.

“No. Sarebbe stato un grave errore. All’epoca Imai era piuttosto famoso; è la damnatio memoriae che l’Imperatore e i suoi funzionari hanno impiegato su di lui a non aver permesso che gli si rendesse il giusto omaggio. Se l’avessero ucciso allora sarebbe diventato un martire, e questo era proprio quello che si voleva evitare”

“Quindi…qual è la vera causa della scomparsa di Imai?” chiese Haibara fissando gli occhi grigi sui capelli castani di Kudo.

“Imai non è mai scomparso” intervenne Agasa sedendosi accanto alla bambina “ ha solo cambiato nome. C’era qualcosa che lo atterrì di più delle pressioni governative…”

“Qualcosa che ha voluto scrivere nel suo diario personale, mai pubblicato…” intervenne Shinichi.

“Aspetta…aspetta…” disse sorpreso Heiji Hattori fissando il suo amico con aria sbalordita “ vuoi dirmi che il vecchio ha lasciato nel libro un codice segreto per rivelare quale fosse la vera causa della sua scomparsa?”

“Ma se avete appena detto che non è scomparso…?” disse Haibara spostando lo sguardo da Agasa a Kudo perplessa “E come fate a sapere che Imai ha semplicemente cambiato nome? Quale nome poi?”

Shinichi Kudo alzò su di lei uno sguardo serio.

“Pare che il suo talento di scrittore sia proprio passato ai suoi discendenti…”

 

“Salve!”sorrise Kazuha Toyama alla porta dell’Agenzia Investigativa Mouri. Un po’ si vergognava ad essere piombata lì senza neanche avvertire Ran…ma dopotutto Heiji non le aveva quasi dato scelta…

“E tu che diavolo ci fai qui?” chiese Kogoro Mouri con la camicia abbottonata storta, i pantaloni sgualciti e i capelli arruffati.

“C’è Ran?” chiese la ragazza stringendo le mani imbarazzata.

“No” rispose Mouri allontanandosi dalla porta e sorseggiando rumorosamente la sua birra “VAI,YOKO! Urlò poco dopo facendo prendere quasi un colpo alla ragazza “è uscita per andare a prendere dal dottor Frankestein quel moccioso di Conan! Sembra che stamattina sia scappato di casa nonostante avesse la febbre!” poi l’uomo lanciò un’occhiata sospetta alla ragazza “Come mai da sola? Dov’è quell’altro ficcanaso che pretende di fare il lavoro altrui?” “non sarai venuta a spiare il mio lavoro!”

“Assolutamente!” Kazuha Toyama mise le mani avanti come a volersi proteggere dall’idiozia di quell’uomo “avevo solo una cosa importante da dire a Ran…pensa che ci metterà molto?”

“Non credo” disse Mouri facendo seguire alle sue parole un rutto basso e profondo.

Kazuha lo fissò stranita. Ma come faceva quello ad essere il padre di Ran –chan?

“Potrei aspettarla qui, allora?” chiese la ragazza con un sorriso forzato.

“Accomodati” rispose Mouri sdraiandosi nuovamente sulla poltrona” se vuoi puoi salire in camera sua, di sopra” aggiunse poi mentre dava una sonora botta al televisore che cigolò irritato e riprese a fornire immagini chiarissime della famosa idol Yoko Okino.

 

Nell’ampio soggiorno della residenza del dottor Hiroshi Agasa calò un silenzio sbalordito.

Heiji Hattori fissò il suo miglior amico, quel ragazzo che era abituato a vedere nelle vesti del bambino chiamato Conan Edogawa con occhi sgranati.

Ai Haibara invece non capiva. C’era dell’altro. Qualcos’altro che teneva sulle spine sia Kudo che il dott. Agasa. Che Imai fosse un antenato di Yusaku Kudo era sì una rivelazione, ma a conti fatti non poteva stupire più di tanto. La genetica aveva ormai dimostrato come anche le inclinazioni potevano essere trasferite da cromosoma a cromosoma fin a giungere ad una generazione di molto lontana dal primo manifestarsi del mutamento. Che cos’era? Che c’era scritto in quel libro di talmente terribile da preoccupare tanto il giovane detective del Kanto? La bambina si portò pensierosa una mano al mento, ma ne sapeva ancora troppo poco.

“E questo codice…”disse dopo un secondo di indecisione, riferendosi ad Agasa ma fissando con la coda dell’occhio Shinichi Kudo seduto accanto al detective di Osaka “siete riusciti a decifrarlo?”

“ No” fece Kudo prontamente “con quello che abbiamo è impossibile”

“Senza gli altri libri non si può trovare la chiave, è questo che vuoi dire?” chiese Hattori fissando la neve splendente fuori dalla finestra. Poi strinse un attimo gli occhi per mettere meglio a fuoco quello che vedeva muoversi poco oltre la cancellata della residenza Agasa.

“Ma quella non è Suzuki?” chiese alzando l’indice ad indicare la ragazza che faceva su e giù sulla strada innevata.

Shinichi Kudo allungò il collo oltre la testa bruna dell’amico lanciando un’occhiata oltre il vetro.

“Si….”disse piano gli occhi socchiusi nello sforzo di capire. Poi il ragazzo balzò in piedi e si avviò alla porta, fece per aprirla ma si fermò indeciso

“No, non è possibile…cioè è possibile, ma…”

“Complimenti, chiaro come al solito!” sbuffò Hattori alzandosi anche lui e battendosi il petto per far cadere eventuali residui del panino che con la fame che si ritrovava si era ficcato in bocca totalmente sano.

“Ho solo…beh, c’è stato un guaio con Ran….PICCOLO!” aggiunse strillando quando Agasa e Hattori gli si avvicinarono minacciosi con sguardo indagatore. Sullo sfondo la piccola Haibara si limitò a fare un lieve sospiro incrociando le braccia sul petto.

“Che diavolo hai combinato questa volta?” chiese il professore scrollando le spalle.

“Ah….ecco…io…oh, accidenti!” disse il ragazzo scompigliandosi i capelli a disagio. Non aveva intenzione di sbandierare ai quattro venti che aveva dormito con Ran la notte passata…anche se non era successo niente…

Heiji Hattori gli si fece talmente vicino da sfiorargli la punta del naso. I suoi occhi viola erano serissimi.

Shinichi Kudo deglutì a disagio. Era un idiota…cioè era bravo se si trattava di risolvere un caso complicato, ma non era ancora riuscito a capire come diavolo ci si dovesse comportare con le donne…erano più complicate di un rompicapo!

Il giovane detective del Kansai fissò ancora un attimo con quel suo particolare sguardo penetrante le iridi azzurre di Shinichi Kudo prima di allargare un sorriso sornione che gli invase buona parte del viso scuro.

“Vuol dire che ce lo faremo raccontare da Mouri!” disse trionfante notando il terrore che per un attimo aveva sbiancato il volto del suo amico.

Il detective di Tokyo sospirò rassicurato, portandosi una mano sul cuore.

“M’ hai fatto prendere un colpo!…tanto non credo ti racconterà niente…”aggiunse poi Shinichi Kudo lanciando uno sguardo oltre la cortina di neve candida, a casa sua, dove da tanto tempo non viveva più ormai “sarà venuta qui solo per accertarsi se si tratta di un sogno oppure no”

“ Ti ha visto, stamattina…non è così?” intervenne la piccola Haibara senza guardarlo.

“Se mi avessi detto in anticipo dell’antidoto non sarebbe successo!” sbuffò Kudo ancora imbarazzato “era ovvio…”

“Non proprio…”aggiunse la bambina fissandolo questa volta direttamente, gli occhi due pezzi di ghiaccio infuocati “hai una stanza tutta per te da un po’ di tempo ormai…”

Shinichi Kudo guardò Ai Haibara arrossendo ferocemente.

Heiji Hattori e Hiroshi Agasa lo guardarono come se fossero appena giunti da un pianeta estraneo al sistema solare e dovessero ancora comprendere in che modo si svolgessero i rapporti tra queste creature che ci facevano chiamare ‘umane‘.

La bambina sorrise solo, con quell’aria spavalda che Conan Edogawa non aveva dovuto insegnarle…la possedeva già di per se.

“Fammi ricostruire un po’ i fatti…” cominciò Miyano, lo sguardo al cielo, l’indice poggiato sul mento “tu stai male, piuttosto male, considerando il raffreddore che ti porti addosso, Mouri se ne accorge e con la sua solita gentilezza si prende cura del piccolo Conan – kun…”

Shinichi Kudo la guardò di sbieco, ancora imbarazzato e infastidito dal fatto che Haibara in quelle cose era molto meglio di lui…sarà che forse era una ragazza…

“Poi” continuò la scienziata sempre con quello sguardo penetrante e quel sorriso deciso “non si poteva lasciare mica che un bambino così piccolo dormisse tutto solo con quel febbrone…”

“HAI DORMITO INSIEME A MOURI?!!” urlò Heiji Hattori con il dito puntato sul Shinichi Kudo.

“E ALLORA?” gridò di rimando il ragazzo con le guance in fiamme “SONO SOLO UN BAMBINO! E POI ANCHE TU HAI DORMITO INSIEME A TOYAMA O MI SBAGLIO?!”

Heiji Hattori arrossì mentre quello che voleva dire gli si bloccò in gola, non si sa come…

“Adesso non sei mica più tanto un bambino…”gli disse Agasa sogghignando.

“Professore ti ci metti anche tu?” sbuffò Shinichi Kudo, le guance ancora rosse, la voce ridotta ad un sussurro “E poi le ho fatto credere che era tutto un sogno” aggiunse poco dopo, il volto improvvisamente ritornato serio, lo sguardo perso oltre il vetro “le ho lasciato un biglietto dove dicevo che ero venuto qui. Firmandomi Conan ovviamente e non facendo nessun riferimento a Shinichi Kudo…”

“E non pensi che sia la volta buona che troverà le prove per i suoi sospetti?” chiese Agasa saggio.

“Me ne preoccuperò dopo…” disse il ragazzo allontanandosi lentamente dalla porta “prima abbiamo qualcos’altro da risolvere”

 

Kazuha Toyama si avvicinò cautamente alla porta della stanza e accostò l’orecchio al legno bianco.

Si. Ne era certa; c’era qualcuno in casa. Qualcuno che non era né Kogoro Mouri, né sua figlia, né il piccolo Conan –Kun. Altrimenti non si sarebbe dato la briga di fare così poco rumore. Kazuha Toyama sorrise malignamente mentre piegava le dita che emisero un suono cupo e croccante. Aveva proprio intenzione di sfogare un po’ del suo malumore. Un ladro le sembrava un’occasione imperdibile…

Afferrò la prima arma contundente che riuscì a trovare nella stanza di Ran Mouri e mise delicatamente la mano sulla maniglia.

“FERMO DOVE SEI!”

 

Il ragazzo non si aspettava certo che ci fosse qualcuno nell’appartamento. Aveva attirato l’angioletto a casa del suo fidanzatino, il detective scemo doveva dormire placidamente nel suo ufficio dove aveva passato il resto della notte…che l’angioletto non se ne fosse ancora andata? La mazzata in nuca non servì certo a schiarirgli le idee. Scosse un attimo la testa, tanto per riprendersi dalla botta e si voltò indietro sbuffando.

 

Kazuha Toyama rimase un secondo, spiazzata.

“Kudo?!” chiese fissando gli occhi azzurri del ragazzo.

No. Non era lui. Eppure…gli assomigliava in maniera straordinaria.

“Buongiorno!” disse lo sconosciuto con un mezzo sorriso massaggiandosi distrattamente la nuca, come se la sua presenza in quella casa fosse la cosa più naturale del mondo.

“Che?” chiese Kazuha stordita, le mani ancora strette fermamente sul manico di scopa che impugnava.

Il ragazzo si portò una mano al mento pensieroso e cominciò a scartabellare i numerosi tomi sulla libreria del soggiorno. Sbuffò insoddisfatto. Poi lanciò un’occhiata in giro e soffermò lo sguardo sulla porta accanto a quella dalla quale Kazuha era appena uscita. Superò la ragazza e si avviò sicuro verso la stanza che aveva scelto.

“Ehi!” urlò Kazuha inviperita dal fatto che quello strano ladro non si era preoccupato minimamente della sua presenza “ guarda che chiamo la polizia!”

“Fa pure” rispose il ragazzo noncurante mentre apriva la porta e cominciava a cercare chissà che cosa nella camera del piccolo Conan Edogawa.

“Ma si può sapere chi diavolo sei?” gli chiese Kazuha abbassando la scopa “Non sei Kudo…eppure gli somigli…sei suo fratello?” la ragazza era però sicura che Shinichi Kudo fosse figlio unico.

Il ragazzo si voltò un secondo a guardarla, con un sorriso disarmante.

“Non credo che il piccolo detective sarebbe molto contento di vedermi qui adesso…se per questo non lo sarebbe neanche il tuo fidanzato…”

“Eh?” conosceva Heiji? “ non è il mio fidanzato!” si affrettò a dire la ragazza sbuffando imbarazzata.

Il ragazzo non rispose continuando a frugare con cura fra i libri del piccolo Conan. Lo faceva con un’insolita delicatezza, come se fosse abituato a maneggiare le cose con quei guanti bianchi…

“Kid?!” esclamò la ragazza brandendo ancora una volta minacciosamente il manico di scopa.

“Ma dove diavolo l’avrà ficcato quello scemo di un detective?” sorrise Kaito Kid come se la cosa lo divertisse “ Ma certo!” fece sicuro oltrepassando per l’ennesima volta Kazuha senza degnarla di uno sguardo e avviandosi nella stanza di Ran Mouri.

“Piuttosto prevedibile! Caro il mio detective innamorato!” fece Kid sfilando un libro dalla copertina rosso rubino dalla libreria trovata nella stanza della ragazza.

“Lascia subito la roba di Ran – chan o chiamo immediatamente l’ispettore Nakamori!” disse Kazuha Toyama puntando la scopa alla gola del giovane ladro.

“Ti ho già detto che potevi provarci!” rispose Kid con un sorriso deliziato “ perché ancora non lo fai?”

“E perché tu non ti spaventi?”

Il ragazzo si mosse rapido e con disinvoltura fino ad avvicinarsi al viso della ragazza.

“Perché una donna carina come te non può farmi paura…. che cos’è stato?” chiese Kaito Kid, improvvisamente divenuto serissimo.

“ Cosa?” chiese Kazuha che con il frastuono del suo battito accelerato non era riuscita a sentire proprio niente.

Il ladro Kid le afferrò un polso e la scaraventò nella stanza di Conan Edogawa chiudendo immediatamente la porta alle sue spalle. Poi vi si appoggiò e le fece cenno di tacere mettendosi un dito sulle labbra.

Kazuha Toyama non aveva alcuna intenzione di coprire un furto, ma non ebbe il tempo di dire o fare alcunché.

 

 

Note dell’autrice:

Dato che dovrò assentarmi per qualche giorno oggi ho postato due capitoli ^^

Spero che vi piacciano!

A risentirci presto ^^

Eowyn79

 

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


4.

 

 

Ran Mouri sbatté un attimo le palpebre sotto il panno che le copriva gli occhi, il sapore acre dell’etere ancora in bocca, la gola riarsa e la testa fiammeggiante. Sentì qualcosa che le stringeva i polsi e si rese conto di essere completamente legata ad una sedia di metallo. La sua schiena gliene stava rendendo conto, infatti.

“Buongiorno, angioletto!” disse una voce femminile che proveniva dal lato più scuro della stanza.

Ran Mouri alzò lo sguardo meccanicamente, ma non riuscì a scorgere nulla della persona che si trovava a pochi passi da lei. Tuttavia quella voce aveva qualcosa di familiare…

L’odore pungente di una sigaretta le giunse alle narici e la fece starnutire.

“Oh, scusa!” disse sarcastica la donna “dimenticavo che il fumo degli assassini dà fastidio alle creature come te!”

“Si può sapere che vuoi?” chiese decisa la ragazza, tossendo.

Ci fu un attimo di silenzio in cui Ran fu quasi sicura che la donna stesse ridendo.

“Io…? Proprio niente!” fece quella sarcastica. “Ora sta qui e non darmi fastidi…almeno per le prossime quarant’otto ore…”

Poi Ran Mouri sentì qualcuno che le afferrava il mento, ma, se anche così vicino, non riuscì a vedere nessun volto attraverso il panno grezzo che le copriva gli occhi. Sentì solo un profumo intenso, buono, costoso, ne era certa, l’aveva già sentito in una profumeria con Sonoko, e poi…vide solo un bagliore color oro che si muoveva delicatamente avanti a lei.

“Se farai la brava” disse piano la donna, il volto vicino a quello della ragazza “ ti darò l’opportunità di vedere il tuo bel fidanzatino…”

Shinichi!? Pensò Ran in subbuglio. Shinichi! Ma allora era tornato veramente! Non l’aveva sognato!

Quell’idiota! Ma che in che guaio l’aveva messa?

“A dopo, mio piccolo angioletto!” disse di nuovo la donna allontanandosi con il suono appuntito e risuonante dei tacchi a spillo che battevano sul freddo pavimento…

“…di marmo…a quanto pare” pensò la ragazza fra se.

 

“Non mi pare che sia il momento di risolvere dei rebus!” sbuffò Hattori contrariato “ inventati almeno una scusa decente e va da lei!”

Shinichi Kudo si sedette nuovamente sulla soffice poltrona cremisi dell’ampio soggiorno e voltò gli occhi per evitare di guardare i suoi amici.

Il dott. Hiroshi Agasa, il detective Heiji Hattori e la scienziata Shiho Miyano lo fissarono in silenzio.

“MA CHE PRETENDETE CHE FACCIA?” urlò alla fine Kudo esasperato da quella situazione “DOVREI ANDARE DA LEI, BELLO COME IL SOLE, A DIRLE CHE SI, HA AVUTO SEMPRE RAGIONE, IO E CONAN EDOGAWA SIAMO LA STESSA PERSONA E CHE L’ HO PRESA IN GIRO PER TUTTO QUESTO TEMPO?” continuò fin quando un accesso di tosse non gli impedì di andare avanti “Io..” riprese più calmo, la voce arrochita dalle urla “…io…non so neanche per quanto tempo riuscirò a mantenere il corpo di Shinichi…non posso permetterle di soffrire ancora…”

“Shinichi…” iniziò il professor Agasa avvicinandosi lentamente al ragazzo.

Shinichi Kudo non alzò il volto. Inclinato in avanti, i gomiti poggiati sulle ginocchia i capelli scuri che gli coprivano gli occhi, mentre le labbra si incurvavano in un sorriso di scherno.

“Sembra proprio che tutto debba ripetersi, dottore…”

L’ometto si accigliò fissando serio il giovane che aveva davanti.

“Vuoi che Ran muoia…? È questo che vuoi?”

“No…io…” iniziò il ragazzo, volgendo lo sguardo verso l’uomo, gli occhi azzurri insolitamente lucidi e….Heiji Hattori si stupì…quello che aveva appena visto nello sguardo del detective del Kanto era…paura? Ma che diavolo stava succedendo?

Ai Haibara si limitò ad abbassare lo sguardo, tristemente divertita dal fatto di capire così profondamente quello strano ragazzo.

“Volete raccontarcela tutta ‘sta storia o dobbiamo aspettare che quest’idiota la finisca di piangersi addosso?” sbuffò Hattori abbassandosi la visiera del cappello infastidito “oltretutto sembra che Suzuki se ne sia anche andata ormai!”

 

“La stanza è quella” disse una voce rauca oltre il legno della porta.

Kazuha Toyama, ripresasi dalla sorpresa, si fece più vicina a quel ragazzo che di mestiere faceva il ladro e si concentrò sui rumori che provenivano dal soggiorno.

“Non fare tanto chiasso. Anche se quell’idiota di sotto non potrà sentire niente per un pezzo, almeno non provochiamo il caos…il capo ci ha dato istruzioni precise” Era stata la stessa voce a parlare.

Poi degli scricchiolii e il rumore di una porta che si apriva.

Kazuha notò che il ladro Kid scuoteva la testa come divertito. Le strizzò un occhio quando si rese conto che lo stava fissando e la ragazza si affrettò a concentrarsi nuovamente sulla situazione all’esterno di quella stanza, le guance leggermente imporporate.

“Non c’è?” chiese stupita la voce roca “Eppure l’ ho vista! Un attimo fa seduta sul letto a leggere qualcosa!”

Kazuha ebbe la sgradevole sensazione di aver procurato un po’ di guai al detective Kogoro Mouri. Quella che cercavano non era lei, ovviamente, ma il fatto che avesse aspettato nella stanza di Ran aveva confuso i rapitori che ora si trovavano nella stanza vuota della sua amica.

“ Deve essersi nascosta!” fece sempre la solita voce, l’accento raschiante che sferzava l’aria “proviamo a guardare in giro!”

“Il capo ha detto di stare attenti” disse per la prima volta una seconda voce sconosciuta, tremolante, acuta quasi fosse quella di un bambino “ha detto che la ragazza sa difendersi!”

“È per questo che portiamo con noi questi gioielli!” rispose il primo uomo sarcastico, seguito da un suono crepitante, insolito, simile a quello di una radio sintonizzata male. Poi ce ne fu un altro, di rumore, qualcosa che sia Kazuha Toyama che Kaito Kid riconobbero all’istante. Era il timbro inconfondibile di una sicura, la sicura di un’arma che veniva rimossa.

“Temo che siamo nei guai!” lesse Kazuha sulle labbra di Kid più che sentire le sue parole. Il ragazzo la prese per mano delicatamente e si avvicinò alla finestra. Kaito Kid sembrava non avesse corpo, ma che fluttuasse nell’aria senza provocare alcun rumore. Lo stesso non si poteva certo dire per lei. Per quanto gli allenamenti di karate le avessero conferito un’agilità invidiabile, Kazuha Toyama non era abituata a sgattaiolare fuori dalle case in quel modo.

Perciò, quando urtò l’abat–jour poggiata sul tatami accanto ad un futon non ancora riposto, maledisse se stessa e i suoi piedi di papera.

“FERMI!” urlò un uomo dall’abito scuro precipitandosi nella stanza.

Kazuha ebbe solo il tempo di vedere un uzi dalla lucidatura abbagliante brillare fra le mani dell’uomo prima che Kid la spingesse insieme a lui oltre il vetro della finestra.

“MA SEI MATTO?” urlò la ragazza sentendosi precipitare al suolo…sarebbe morta…sarebbe morta…e non avrebbe mai più avuto l’opportunità di dare almeno un bacio a quell’idiota di Heiji…

Chiuse gli occhi rassegnata, poi una nota piena colpì le sue orecchie che continuavano a fischiare e si sentì rallentare. Solo quando poggiò i piedi sul passaggio pedonale fuori dall’Agenzia Investigativa Mouri si accorse delle ali di stoffa bianca misteriosamente spuntate sulla schiena del ladro Kid.

“Tutto a posto?” chiese il ragazzo con un sorriso.

Kazuha annuì solamente.

“Bene. Allora è meglio che andiamo!” continuò Kid senza perdere il suo sorriso e trascinandola alla rossa Ducati 996 poco lontana.

“Credo che tu sia abituata ad andare in moto, non è così?”

Ma Kaito Kid non attese neanche una risposta. Ruotò il polso con gesto esperto e partì a tutta velocità sulla strada evitando per miracolo una vecchina. Kazuha Toyama ebbe solo il tempo di voltarsi a vedere se la donna stesse bene. E accorgersi che una Mercedes nera li stava inseguendo.

 

“Questa l’ ho trovata nella copia di mio padre” disse Shinichi Kudo lanciando un pezzo di carta sul tavolino di noce, come se farlo tutto di fretta gli sarebbe costata minor fatica.

Heiji Hattori prese il foglio tra le mani mentre la piccola Ai Haibara gli si avvicinava alle spalle allungando il collo sottile, incuriosita.

“Un ritratto di Mouri?” chiese Heiji sollevando un sopracciglio perplesso “non è che magari piace anche a tuo padre?” sorrise poi il ragazzo sornione.

“Le tue solite cazzate…”disse Shinichi Kudo fissando di sbieco il detective del Kansai che rideva divertito.

“Quella non è Mouri…”disse Ai guardando con attenzione il pesante foglio che Hattori aveva fra le mani.

“Infatti” intervenne Agasa sorridendo.

Ai Haibara prese il ritratto dalle grandi mani scure del ragazzo di Osaka e lesse quello che c’era scritto.

 

A Eri.

Il mio fiore di ciliegio

 

“Eri?” chiese Hattori sorpreso “chi è questa Eri?”

“Pensiamo che sia stata la moglie di Imai” spiegò Agasa calmo.

“Almeno fin quando non scomparve” aggiunse Shinichi.

Ai Haibara rimase in silenzio fissando come ipnotizzata quel ritratto. Sorrise. C’erano un paio di particolari che differenziavano Mouri dalla donna del ritratto, dei particolari che, comunque, Kudo non poteva conoscere…o almeno era quello che sperava…

“E voi, come diavolo fate a saperlo?”chiese Hattori diffidente.

“Una parte del diario non è un crittogramma” iniziò Kudo incrociando le dita “in uno dei suoi ultimi componimenti Imai parla della perdita del suo fiore di ciliegio, un fiore chiamato Ruedoki”

“L’anagramma di Eri Kudo” disse Agasa fissando Haibara ed Hattori.

“E poi?” chiese il ragazzo di Osaka guardando nuovamente il suo amico.

“ E poi…è finita!” sbuffò Shinichi Kudo ricominciando a starnutire.

“È meglio che ti prenda un’aspirina” disse Ai Haibara con un sorrisetto.

“Il mio antidoto, vorrai dire” Kudo sorrise disarmante “Ran, ieri sera mi ha rifilato una medicina che le avevi dato tu per conto di Agasa. Miscelata alle componenti naturali di quell’orrenda tisana alla melissa e del mio raffreddore ha fermato l’azione dell’APTX riportandomi all’aspetto originario. Non è così, signor ricercatore da premio Nobel?”

Ai Haibara sbuffò rassegnata.

“Hai mai pensato di prendere la Facoltà di Biologia all’Università?”

“Il mio cuore batte solo per la criminologia, lo sai!” sorrise ancora il ragazzo divertito.

E per Ran Mouri. Pensò la bambina allontanandosi.

 

“Ehm…che…che hai intenzione di fare adesso?”urlò Kazuha Toyama nel frastuono della Ducati che inghiottiva la strada come se fosse acqua.

“Giocare un po’ con loro, è ovvio! Non credo che abbiano ancora capito con chi hanno a che fare!” rise il giovane ladro maligno. Poi fece più pressione sul pedale spingendolo in avanti. Le ruote della 996 vibrarono felici e Kazuha, spinta all’indietro dall’improvvisa accelerazione della moto, si aggrappò con tutta se stessa al torace di Kaito Kid.

Ecco, pensò la ragazza stringendo gli occhi solo per la paura di pensare alla folle velocità con cui la strada gli si sbatteva in faccia, non era morta prima solo perché doveva soffrire, e tanto, adesso. Quell’idiota di Heiji! Se l’avesse rivisto con tutte le ossa a posto lo avrebbe strozzato! Se non l’avesse fatta preoccupare tanto lei non si sarebbe precipitata a Tokyo!

Si strinse ancora di più alla schiena del ragazzo che aveva di fronte pregando che quelli della Mercedes la piantassero di inseguirli.

 

Kaito Kuroba sorrise divertito. No, quelli non sapevano proprio con chi avevano a che fare. Strinse i denti, determinato e accelerò spingendo avanti la punta del piede destro. Non avrebbero preso quella ragazza che avevano scambiato per Mouri. Senza accorgersene sembrava che avesse fatto un favore al caro detective.

La strada veniva risucchiata dal motore rombante della Ducati che si avventò dietro una Mini Minor rossa, piuttosto scassata. Kaito dribblò il macinino tuffandosi sulla sinistra in un sorpasso che lo vide attraversare la strada sulla linea di corsia centrale proprio mentre una Lancia Thema dalla splendente carrozzeria nero fumo gli si faceva incontro. Sterzò veloce fino a raggiungere un luogo sicuro sulla strada e lanciò uno sguardo divertito alla Mercedes che aveva avuto evidenti difficoltà a seguirli. Inclinando le ruote in un’impennata, Kaito Kuroba si slanciò ancora più velocemente sulla strada avvicinandosi sempre più pericolosamente al ponte che collegava il distretto cittadino di Beika al fiume Tenmizu. Sterzò all’ultimo momento e si gettò sulla destra, imboccando la strada che costeggiava la riva. Il ragazzo sentì le ruote dei suoi inseguitori stridere di dolore nel tentativo d’inseguirlo e un colpo di beretta giunse a frantumargli in mille pezzi lucenti, lo specchietto retrovisore.

Il figlio del famoso ladro Kid sorrise divertito. Ci andavano pesante, a quanto pareva. Che idioti! Non ci sapevano proprio fare con le donne! E quello che notò poco più avanti gli rese il sorriso ancora più ampio.

 

Kazuha aveva capito che non è che riesci a pensare quando vai alla velocità di 200 chilometri orari mentre da dietro dei pazzi assassini tentano di bucherellarti come un formaggio svizzero. Le paurose svolte a gomito appena fatte da Kid le avevano tolto qualsiasi capacità cognitiva…forse a quella velocità aveva lasciato indietro i suoi neuroni; tanto meglio, almeno se doveva morire era preferibile non rendersene conto. La ragazza, ormai abituata a vedere (o meglio a non vedere) scorrere un paesaggio sconnesso davanti ai suoi occhi, notò il ponte del distretto di Beika sfilarle di lato mentre si accorse delle transenne che i funzionari stradali avevano dovuto mettere per un crollo. La parte sinistra della strada era precipitata in seguito alle infiltrazioni d’acqua provocate dalla neve appena caduta e che si stava rapidamente sciogliendo. Quando si accorse che Kaito Kid si piegava verso destra capì all’istante le sue intenzioni. Guardò l’interruzione poco più avanti, ma un colpo di pistola le sfiorò l’orecchio sinistro e decise all’istante che quella di Kid non era proprio follia.

I proiettili saettarono in aria come fiocchi di neve mentre i due ragazzi si piegavano contemporaneamente per impedire che le ruote, lanciate ad una velocità folle, scaraventassero i loro corpi fuori strada. Zigzagando fra le vetture che rallentavano in prossimità delle transenne, Kaito Kid non diminuì la velocità della Ducati, sfrecciando oltre i finestrini e gli specchietti degli abitanti di Tokyo allibiti, gente normale che non aveva a che fare con Mercedes impazzite che li inseguivano sparando.

E i colpi non cessavano.

Kazuha fu costretta più volte ad urlare al ragazzo di spostarsi prima che li colpissero. Piegati ancora una volta in avanti, le transenne si facevano sempre più vicine. Kazuha poteva già leggere ‘ Dipartimento di Polizia Metropolitano ’ sui nastri a strisce gialle e nere poco distanti.

“Tieniti forte!” disse Kid nel vento mentre Kazuha, senza un lamento e con il cuore che prese a batterle fortissimo, si strinse al ragazzo assecondandone i movimenti. Ancora uno scarto a sinistra e poi…

 

Kaito Kuroba si gettò a destra. Il movimento improvviso causò alla Ducati il contatto della carena sulla strada e una pioggia di scintille invase il cristallo della Opel Corsa bianca alla quale il ladro aveva tagliato bruscamente la strada.

“Ehi! Imbecille!” urlò una ragazza inviperita affacciandosi dal finestrino. Si ritrasse immediatamente quando un colpo di pistola le sfiorò i capelli.

Il ragazzo si piegò in avanti, il volto quasi interamente coperto dal vetro anteriore. Frantumò le transenne fluorescenti mentre i colpi che li inseguivano si facevano più martellanti.  Avanzò velocissimo, lasciando che gli operai si buttassero un po’ da tutte la parti al suo passaggio. Guardò poi in quello che era rimasto l’unico specchietto retrovisore a sua disposizione.

Quegli idioti non mollavano, ma non avrebbero potuto seguirlo.

Sorrise deciso e sfrecciò verso l’interruzione. La macchina per scaricare i detriti gli sembrò la cosa migliore. Sentì la ragazza appiattirsi con lui mentre l’autocarro si faceva sempre più vicino. Quel carrello abbassato sarebbe stato la loro salvezza.

Con un forte strattone staccò le ruote da terra e saltò sul camion avventandosi su per il rimorchio senza decelerare. I colpi si fecero più insistenti…

Uno…due…TRE!

 

L’impatto non fu dei migliori. Tutte le ossa di Kazuha Toyama scricchiolarono mentre con un gesto improvviso si staccò dalla sella della Ducati 996 rossa fiammante e insieme al ladro Kid si lanciò di lato, mentre la moto esplodeva battendo contro la testa dello sfortunato tir, fracassandone i vetri. Sulle spalle di Kaito si aprirono nuovamente le ali che li avevano salvati in precedenza e i ragazzi planarono delicatamente oltre la slavina di terriccio cominciando a correre forsennatamente non appena i loro piedi toccarono terra. Kazuha Toyama non avrebbe saputo dire per quanto tempo i colpi li rincorsero, sapeva solo che i polmoni ardevano per la fatica di ingurgitare quell’aria tagliente e fredda, mentre la gola riarsa riusciva ad emettere solo dei rauchi suoni.

Quando il ladro Kid le fece cenno di fermarsi, le gambe della ragazza cedettero e Kazuha si ritrovò a terra ansante, tremante e con il cuore che le sballottolava dappertutto…non sapeva bene dove si trovasse in quel momento…

“Credo che li abbiamo seminati ormai!” disse Kid, trafelato anche lui, passandosi una mano sotto il mento per detergersi il sudore.

“Meno male!” riuscì a dire la ragazza buttando fuori l’aria con fatica. In quel momento sprecare ossigeno che non sarebbe mai andato nei suoi polmoni le appariva proprio un peccato mortale.

“Mouri….”ansimò la ragazza afferrandosi un fianco “quegli uomini hanno detto che non sentirà nulla per un pezzo…che gli avranno fatto?”

“Probabilmente nulla di troppo grave. È pieno giorno” disse il ragazzo fissando la strada dove la gente si affaccendava sorridendo a comprare gli ultimi regali di Natale “non amano lasciarsi cadaveri dietro con la luce del sole…”

“Tu lo sai chi sono, non è vero?” chiese la ragazza dopo essersi ripresa un po’ e aver accettato la mano di Kid per rialzarsi.

Il ladro la fissò divertito “Sembra che il fidanzato stia influenzando anche la sposina…”disse prima di emettere un lungo sospiro “Si. Ho una mezza idea su chi potevano essere quegli uomini. Tuttavia questo non è il momento adatto per parlarne. Chiama un’ambulanza e dille di recarsi all’agenzia di Mouri, poi vedi se riesci a rintracciare il tuo caro detective dell’Ovest e digli che ho qualcosa di cui parlare con lui e con Kudo”

“Con Kudo, eh?”chiese la ragazza fissando il giovane pensierosa.

 

L’uomo dai lunghi capelli biondi entrò nell’appartamento e si mise ad osservare le tende bianche che si muovevano leggere, carezzate dal vento dicembrino che entrava in casa dalla finestra rotta. Dovevano essere saltati di là, pensò l’uomo facendo qualche passo avanti nella stanza lasciata a soqquadro. Poi la sua attenzione fu attirata da una macchia rossa buttata sul pavimento, sotto le coperte gettate intorno in modo disordinato. Si chinò per vedere cosa fosse, se magari erano stati fortunati…

Si stupì e afferrò l’oggetto fra le mani cercando di comprendere che diavolo di funzioni potesse avere e soprattutto perché un bambino di sette, otto anni giocava con roba del genere.

“E ora cosa facciamo, capo?” chiese la voce scimmiesca di un uomo enorme e tarchiato alle sue spalle.

“Continuiamo” ghignò Gin ficcandosi l’oggetto in tasca e uscendo con un fruscio di pelle dall’appartamento del detective privato Kogoro Mouri.

 

Ran Mouri cadde di lato nel tentativo di allentare le corde sui polsi. Il sapore acre del sangue le invase la bocca e sentì le lacrime salirle agli occhi. Il cuore continuava a batterle forsennato nello sterno, ma almeno era ancora salva e intera. Strinse i denti e decise di non piangere. Da quella posizione poteva almeno distinguere il pavimento. Era di marmo. Proprio come aveva pensato. Sbuffò mentre un sorriso le increspava le labbra; quando avrebbe rivisto Shinichi gliene avrebbe dette quattro! Prima scompariva (diventando forse Conan senza mai rivelarle la verità), poi sembrava fosse invischiato in qualche losco affare con quella donna dalla voce familiare… chissà se era bella come il suo profumo costoso le aveva suggerito…

La figlia del detective Kogoro Mouri scosse la testa: non era il momento di essere gelosa. Un bel pugno se lo riservava per il momento in cui avrebbe rivisto Shinichi. Per ora doveva cercare di trovare una via d’uscita.

Mosse le gambe cercando di avanzare nella stanza, tanto per rendersi conto di dove si trovava e cosa aveva a sua disposizione per scappare. Shinichi Kudo, accidenti a lui, le aveva insegnato un po’ troppi trucchetti a quanto pareva. Quando urtò la testa contro qualcosa di duro capì che si trattava della porta. Il suono e la fattura glielo confermarono (aveva, infatti, riconosciuto il rilievo di un listello verticale che era improbabile si trovasse così, fortuitamente, sul muro…a meno che non si trattasse di una qualche decorazione particolare). Poco più in là, quindi, avrebbero dovuto esserci dei cardini. La ragazza si spostò lateralmente facendo stridere ancora una volta il metallo della sedia contro il pavimento, attenta a non far troppo rumore. Se era prigioniera, c’era la possibilità che ci fosse qualcuno di guardia alla sua porta…o l’avevano considerata così poco pericolosa da non aver bisogno di sorveglianza?

Trovò i cardini e avvicinandovi il volto, con un po’ di fatica, riuscì a liberarsi della benda.

Un passo avanti l’aveva fatto; almeno adesso ci vedeva.

Girò il viso per quanto le fosse possibile e notò la lussuosa architettura della stanza in cui era tenuta prigioniera. Pannelli di legno di faggio percorrevano la parte inferiore delle pareti, mentre quella superiore era ricoperta da una pesante carta da parati color cremisi che arrivava fino al bianco soffitto. La porta contro la quale aveva battuto era sempre in legno, questa volta più scuro, noce, probabilmente, con i listelli che aveva immaginato.

Ran Mouri sarebbe stata felicissima di entrare in quella stanza in un’altra situazione, tuttavia non le sembrava il momento opportuno per stupirsi della bellezza della sua prigione, e si diede da fare a cercare qualsiasi cosa avesse potuto anche sembrarle lontanamente utile. Sbuffò irritata nel constatare che, oltre ad una consolle sempre in legno, non c’era nient’altro che avrebbe potuto aiutarla. L’unica cosa che poteva fare era provare quanto fossero affilati gli angoli di quel mobile.

 

 

 

Nota dell’autore : ecco a voi il quarto capitolo ^___^

Ho adorato scriverlo e forse è quello che mi piace di più di tutti! Mi scuso per gli errori che sicuramente ci saranno e ringrazio tutti per aver letto la mia storia fin qui!!  ;____;

Ne sono felicissima!!!!

Per le vostre perplessità, dunque…

Akemichan mi chiedeva dei vestiti di Conan che poi trasformatosi in Shinichi avrebbero dovuto strapparsi ^___^

Beh, si, sarebbe andata in questo modo, ma Ran gli aveva messo una maglietta e un pantalone che Shinichi aveva lasciato a casa sua, ovviamente accuratamente ripiegati proprio come accade nella prima puntata ^___^ quindi quando torna grande gli basta srotolare il tutto ed eccolo pronto ^___^ (spero di essere riuscita a spiegarmi ç____ç)

Poi ginny85….non ti preoccupare per gli aggiornamenti! Purtroppo sono molto impegnata e quindi credo che riuscirò a postare solo nel fine settimana come oggi ^____^

Per il resto dato che mi piace molto disegnare e per chi volesse vedere delle vignette da me realizzate proprio sul ritorno di Shinichi adulto può consultare questa pagina ^___^

 http://detectiveconan.forumcommunity.net/?t=2293691

 

Grazie ancora a tutti ^________^

 

Eowyn79

 

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Nota dell’autrice: Innanzitutto vorrei ringraziare la nostra webmistress che è stata celere nel ripristinare il sito nonostante tutti i suoi impegni! Grazie Erika! In secondo luogo vorrei ringraziare veramente tutti per le meravigliose recensioni che mi avete fatto!!! Mi sono sentita veramente felice e spero che il seguito del mio racconto continui a piacervi come è successo per i capitoli precedenti. Mi impegnerò tantissimo! Grazie veramente tanto a tutti!

 

 

 

5.

 

 

Shinichi Kudo ingurgitò la tisana alla melissa come se fosse stata cicuta.

“Dio mio, quanto la fai lunga!” disse Heiji Hattori alzando gli occhi al cielo.

“Prova a berla anche tu ‘sta schifezza!” borbottò Kudo rabbrividendo a causa del saporaccio.

“Per Hattori non ci sarebbero problemi” disse piano Haibara sorseggiando il suo caffè “sono gli effetti dell’APTX che rendono disgustoso l’antidoto”

“Influisce anche sul gusto?” fece Shinichi tristemente sorpreso.

Ai Haibara si limitò ad un’alzata di spalle.

“Piuttosto che discutere sulla bontà della tua medicina, perché non guardate un po’ qui?” fece Hattori sfogliando il libro delicatamente “le pagine sono molto pesanti, come se si trattasse di pergamena o roba del genere…”

“Heiji ha ragione” intervenne Agasa avvicinando il naso occhialuto al volume “oltretutto la carta sembra essere simile a quella che viene utilizzata per atti importanti. Ne sai qualcosa, Shinichi?”

Il ragazzo scosse la testa “Papà mi ha detto solo della nostra parentela con Imai dopo che ho preso il suo libro nella sua biblioteca. Avevo notato la somiglianza con questo che mi avevate mostrato…”

“Beh, anch’io mi ricordavo di questo libro” disse Agasa pensieroso “tuo padre me lo mostrò qualche anno fa, quando Ran stava diventando paurosamente simile all’immagine contenuta nella sua copia. Era un po’ preoccupato a dir la verità…”

Ci mancava solo che lui e Ran discendessero dalla stessa famiglia…Shinichi Kudo scosse la testa e prese a concentrarsi su quello strano libro dalla copertina di smeraldo.

“Però…”ammise Agasa riflettendo “la copia di tuo padre ha una copertina differente”

“Solo per quanto riguarda il colore” disse Shinichi stringendo gli occhi perso a riflettere sulla carta ingiallita del volume nascosto nella casa di Kazumoto “la copia di papà è rossa”

Un tamburellare allegro da discoteca brasiliana interruppe il silenzio assorto che per un attimo era sceso nel soggiorno della residenza Agasa. Tre paia d’occhi si alzarono a fissare le iridi color lavanda del ragazzo dalla pelle scura che arrossì per l’imbarazzo.

“E questo che diavolo sarebbe?” chiese Kudo sogghignando maligno mentre Haibara era scoppiata a ridere e il prof. Agasa stava improvvisando una samba piuttosto ridicola.

“Che ti frega?” rispose Hattori sulla difensiva meditando di strozzare Kazuha che gli stravolgeva sempre il cellulare. Il ragazzo afferrò malamente l’apparecchio premendo il pulsante verde in modo che quella tortura finisse.

“Che c’è?” chiese infastidito portandosi il telefono all’orecchio. Sapeva, infatti, che poteva essere una sola persona ad averlo chiamato visto che i suoi sapevano benissimo dove si trovava.

“BRUTTO IDIOTA! È COSI’ CHE SI RISPONDE AL TELEFONO?!”

Infatti.

“Tesoro dolce, amore…”fece Hattori sarcastico lanciando un’occhiata assassina a Kudo che stava mordendo uno dei cuscini di Agasa per evitare di ridere troppo forte “così va meglio? Che vuoi?”

“Dove sei?” chiese Kazuha Toyama la voce tremante, ridotta improvvisamente ad un sussurro.

“Kazuha…che c’è?” chiese con un tono più dolce Hattori accigliato.

Nel soggiorno tutti la smisero di ridere e fissarono nuovamente l’attenzione sul giovane detective del Kansai stavolta con un’espressione seria dipinta sul volto.

“Niente…niente!” disse la ragazza con voce che suonava tanto poco naturale “C’è qualcuno che vorrebbe vedere te e Kudo. È lì, vero?”

Heiji Hattori divenne ancora più serio. Il modo di parlare di Kazuha non era affatto rassicurante. Quella stupida cercava sempre di indorargli la pillola come se fosse stato un bambinetto…

“Stai bene?”chiese senza pensarci troppo, irritato dal fatto che probabilmente Kazuha era nelle mani di qualcuno.

“Si, si…passamelo…che?”

A Heiji Hattori il cuore diede in un guizzo. Aveva ragione. Kazuha era con qualcuno…un ragazzo?

“Chi è?” chiese brusco, la testa che gli ronzava per un motivo che non aveva ancora ben compreso.

“Ehilà detective!” disse al telefono una voce che gli suonava tanto familiare.

“E tu chi sei?” fece Hattori saltando a sedere dritto come un palo, le mani strette talmente tanto da diventare bianche.

Shinichi Kudo si soffermò a fissare le reazioni dell’amico. In quello stato era improbabile che lo vedesse chiedergli a gesti di inserire il viva - voce.

“Kudo è lì con te?” chiese il ragazzo al telefono con un sorrisetto che Heiji poté tranquillamente immaginare.

“LASCIA ANDARE IMMEDIATAMENTE KAZUHA!”

“Ehi, ehi…frena ragazzo…la tua bella fidanzatina sta bene, non preoccuparti! Piuttosto ho qualcosa da discutere con te e con Kudo….adesso

“Ma si può sapere chi cazzo sei?” chiese Hattori aggirandosi per la stanza infuriato come una tigre.

“Ma come? Non ti ricordi di me? Eppure abbiamo giocato insieme! Anche se sembra che i miei trucchetti siano più apprezzati dal piccolo detective che era seduto accanto a te!”

Heiji Hattori saltò con un balzo la poltrona, mancando di poco la testa di Shinichi che si abbassò appena in tempo, e si avventò alla finestra dove poco distante da lui notò due figure. Una era una ragazza, i capelli scuri raccolti in un’alta coda di cavallo, l’aria sperduta e le guance arrossate per il freddo. A Heiji Kazuha non era mai parsa così bella. Accanto a lei un ragazzo più alto di almeno una quindicina di centimetri lo salutava sorridendo agitando una mano.

“KID?” urlò il giovane di Osaka digrignando i denti.

 

Il detective Wataru Takagi sbuffò gettando l’ultima scartoffia del caso Hayasaka sulla scrivania. Diede un calcio disperato al cassetto troppo gonfio di cartacce per riuscire a chiudersi e quello, per tutta risposta, cigolò minaccioso esplodendo un secondo dopo e ricoprendolo di dannatissimi moduli burocratici. Il giovane sospirò sconsolato mentre la maggior parte dei suoi colleghi passava ridendo di lui.

“Non ti è mai passato per la mente la possibilità di mettere tutto in ordine?” esclamò allegramente qualcuno alle sue spalle. Takagi si girò irritato, tuttavia quella voce riusciva a renderlo sempre felice.

“Piantala Sato – san!” arrossì l’uomo rimettendosi in piedi e spolverandosi il vestito.

La bella donna dai corti capelli castani gli sorrise giocosa. Poi notò un foglio che scivolava lungo l’abito color sabbia del collega e lo raccolse incuriosita.

“E questo?” chiese al detective leggendo le lettere sbiadite che a malapena risultavano comprensibili.

Takagi allungò il collo oltre le spalle esili della ragazza, mentre dava un’aggiustatina alla cravatta che gli era andata di traverso.

“Ah, quello” disse a disagio “è la denuncia del furto di un libro raro”

“Ma è datata diciassette anni fa!” disse Sato sorpresa e volgendo gli occhi perplessa sul quell’uomo dallo sguardo limpido come quello di un bambino. Il detective Takagi arrossì e le strappò il foglio dalle mani in evidente imbarazzo.

“Lo so” aggiunse poi serio “ il fatto è che ogni tanto scartabello negli archivi per vedere se c’è qualcosa d’interessante…”

“E magari tentare di risolverla?” chiese Sato sospettosa incrociando le braccia sul petto.

“Beh, e perché no?” rispose il giovane sulla difensiva “in fondo non sarebbe male chiarire qualche caso irrisolto!”

“D’accordo, d’accordo, signor Marlowe “la donna alzò le braccia sorridendo “ma mi spieghi perché t’interessa tanto un caso di furto di diciassette anni fa?”

Il detective Takagi lanciò un’occhiata in giro, sospettoso, come se ci fosse qualcuno pronto ad ascoltare il loro discorso. Afferrò Sato per un braccio e la trascinò lontano, accanto alla macchinetta del caffè, lì dove gli sembrava di poter tenere meglio sotto controllo la situazione.

La poliziotta fissò l’uomo stupita e si arrese con un sospiro al farsi trascinare lontano dagli altri colleghi del Dipartimento di Polizia Metropolitano.

“Allora?” chiese incrociando le braccia sul petto e fissando decisa il giovane negli occhi nocciola.

“Beh, il fatto è…”cominciò Takagi avvicinandosi alla donna, una mano accanto alla guancia con fare cospiratore.

“TAKAGI! Eccoti finalmente! Ma dove diavolo t’eri cacciato!” tuonò la voce burbera di un ometto baffuto con un impermeabile color cachi.

Il giovane detective fece tre balzi indietro, spaventato a morte dalla presenza improvvisa del suo superiore.

“Eccomi ispettore!”disse mettendosi una mano dietro la nuca in imbarazzo.

“Ah, Sato, ci sei anche tu!” sbuffò Megure guardando distrattamente il suo orologio da polso “è già l’una. Bene venite tutti e due con me, abbiamo una denuncia sulla quale indagare”

“Ma ispettore…di questo se ne possono occupare Yumi e…”

“No Takagi” l’ometto scosse la testa, sconsolato “non quando qualcuno ha tentato di ammazzare Kogoro Mouri”

“Che cosa?” esclamarono insieme il detective Wataru Takagi e la sua collega Miwako Sato “come sta ora?” chiese quest’ultima facendosi un passo più avanti.

“Non dovrebbe essere grave. Ha riportato una lieve commozione celebrale, una frattura a tre costole e alla gamba destra”

“Ma chi diavolo è stato?” chiese il detective Takagi accigliato  “tutti i criminali presi da Mouri sono in prigione o sono morti”

“Non sarà qualche altro pazzo come quello di qualche hanno fa?” fece Sato rivolgendosi direttamente all’ispettore Megure.

L’ometto scrollò le spalle pensieroso.

“Credo che non sapremo nulla se non andiamo subito da lui”

 

Ran Mouri non sapeva da quanto stava sfregando i polsi contro il legno indurito di quella consolle. Le facevano male i polsi, le gambe piegate da troppo tempo nella stessa posizione, la schiena e sentiva cominciare a mancarle le forze. Quella mattina non aveva mangiato un granché. Arrossì improvvisamente al ricordo del motivo per il quale le era completamente scomparso l’appetito.

Ma che stava succedendo? Si chiese la ragazza perplessa.

Sbuffò lasciando che per un attimo le palpebre si abbassassero sulle sue iridi blu.

Ogni volta che Shinichi tornava, ossia poteva vederlo direttamente, senza che ci fosse un telefono a separarli, succedeva qualcosa di strano. O era successo. L’ultima volta era stato alla recita scolastica, subito dopo l’operazione di Conan… Ran Mouri sentì il cuore accelerarle i battiti a pensare che per poco il suo amico d’infanzia non l’aveva baciata…

Scosse la testa in imbarazzo e riprese a sfregare con più energia i polsi contro gli spigoli del mobile.

Che cosa c’entrava Shinichi con quella donna? Che fosse anche lei implicata nel caso difficile in cui il suo amico era coinvolto? E perché la sua voce le era così familiare? Dove l’aveva già sentita? Quando?

Il suono di un piccolo strappo l’avvisò che finalmente i suoi polsi erano liberi.

La ragazza lasciò andare le spalle per un secondo, sospirando. Poi si portò le mani davanti al volto mentre i muscoli delle spalle le ricordarono dolorosamente la fatica. Aveva sfregato un po’ troppo contro quel mobile; dalle escoriazioni lungo tutto il dorso della mano scendeva qualche goccia di sangue. Senza perdere tempo slegò anche le caviglie e finalmente riuscì a ritornare in posizione eretta.

Si diresse barcollando leggermente alla porta di noce e vi accostò l’orecchio. Pareva che dall’altro lato non ci fosse nessuno.

Ma Ran Mouri era la figlia di un ex – poliziotto e brillante investigatore privato, di un avvocato molto in gamba e il suo migliore amico era un detective dall’intuito infallibile: era molto probabile che là fuori ci fosse qualcuno.

Girò lentamente la maniglia, tanto per controllare che era sotto chiave.

Ovvio.

Si appoggiò alla porta e fece un gran respiro.

Adesso non poteva far altro che aspettare.

 

“Grazie!” disse Kaito Kid come se avesse quattro anni entrando nella residenza di Hiroshi Agasa.

Shinichi Kudo ed Heiji Hattori lo fissarono di sottecchi come se fosse il portatore di una qualche malattia incurabile.

“Vedo che siete proprio contenti di vedermi!” sorrise il giovane ladro divertito.

“Una pasqua…” fece Hattori sarcastico avvicinandosi a Kazuha “Tutto a posto?” chiese poi alla ragazza fissandola.

“Tranquillo” intervenne Kid sogghignando “non te l’ ho toccata neanche con un petalo di rosa”

“Con un paio di colpi di pistola, vorrai dire!” sbuffò Kazuha Toyama, non sapeva neanche lei se entusiasta o no.

“COLPI DI PISTOLA?! MA TU STAI BENE?” urlò il detective dell’Ovest allibito. Si avventò sulla sua amica afferrandola alle spalle e scuotendola, come ad aspettarsi che da un momento all’altro dovessero cadere per terra dei bussolotti vuoti.

“EHI!”riuscì a dire la ragazza già piuttosto confusa per la rocambolesca fuga in moto “Se continui così, tra un po’ mi romperai tu qualche osso!”

“Su, su Hattori – kun!” Kid continuò a sogghignare “non esagerare. Lo sappiamo tutti che sei un bravo fidanzatino preoccupato!”

“Piantala con le stronzate, e dicci piuttosto che è questa storia dei colpi di pistola!” sbottò il ragazzo di Osaka con un leggero rossore che gli coloriva le guance brune.

Kaito Kid rimase in silenzio fissando le sue iridi blu prima su Ai Haibara e poi su Shinichi Kudo.

Il ragazzo sostenne il suo sguardo senza la minima esitazione.

E il giovane ladro abbassò il suo sorridendo.

“Credo che siamo tutti nei guai questa volta, in grossi guai…”

“Dobbiamo aspettare che l’uomo colonizzi Marte o entro stasera sapremo che cazzo vuoi dirci?” sbuffò Heiji Hattori buttandosi sulla poltrona e afferrando il libro quadrato dalla copertina di smeraldo.

“Sempre molto fine, eh Hattori?” ridacchiò Kid ancora una volta.

“Kaito – kun ha ragione!” disse all’improvviso Kazuha, facendosi avanti mentre il cuore le batteva forte e non sapeva come affrontare lo sguardo di Shinichi Kudo. Quello che era successo era inequivocabile…anche se c’era ancora bisogno di comprenderne le cause.

“Come ‘ Kaito – kun ‘?” chiese Hattori allibito.

“E piantala!” sbuffò infine Shinichi Kudo fissando Kazuha Toyama preoccupato.

La piccola Haibara si limitò a lanciare uno sguardo al ladro Kid che lo ricambiò con la sua solita disinvoltura, strizzandole poi un occhio.

“Tieni” disse il dott. Agasa con un sorriso dolce sulle labbra, porgendo alla ragazza del caffè e invitandola a sedersi sul divano accanto ad Hattori.

Kazuha afferrò la tazza con entrambe le mani e sorrise a sua volta, grata della gentilezza dell’ometto.

“Che è successo?” chiese ancora il professor Agasa con aria cortese.

“Ho preso lo Shinkansen questa mattina appena ho saputo che eri venuto a Tokyo” cominciò la ragazza sorseggiando il caffè e cercando di non fissare direttamente Heiji in volto “ero preoccupata!” aggiunse come a volersi scusare” ogni volta che vieni qui, succede sempre qualcosa di strano…” la ragazza si morse un labbro. Doveva stare attenta a non rivelare troppo…

“Volevo parlare con Ran – chan prima di raggiungerti” disse velocemente continuando a fissare la propria immagine nella tazza “però lei non c’era e ho aspettato in camera sua che tornasse. Suo padre mi aveva detto che era andata a riprendere Conan a casa tua, Kudo – kun…”

“Che?” chiese Shinichi sorpreso.

“L’avrà detto come scusa, stupido!” gli sussurrò Haibara all’orecchio.

Eppure Kazuha Toyama l’aveva ascoltata. Prese un altro sorso di caffè prima di continuare.

“Quando sono salita in camera sua per aspettarla ho sentito qualcosa nel soggiorno…”

“E ha trovato me” s’intromise Kid ficcandosi le mani guantate in tasca.

Shinichi Kudo lo fissò stralunato.

“E che diavolo ci facevi a casa mia?” chiese soprappensiero.

“Ero venuto a prendere questo!” sorrise Kid cacciando dall’insolita giubba blu un libro, anch’esso di forma quadrata come quello che Hattori aveva in mano in quel momento; la copertina di un vivido rosso rubino.

“MA CHE….?” Kudo balzò in piedi per afferrare il libro di suo padre. Poi fissò il ladro Kid di sottecchi “Perché t’interessa?”

“Non vuoi finire di sentire la nostra storia detective?” chiese Kid con un sorriso preoccupante “credo che ci troverai qualcosa d’interessante”

“Mi volete dire che è successo?” sbuffò il ragazzo sfogliando il libro come a controllare che tutte le pagine fossero a posto.

“Qualcuno sta cercando di rapire Ran –chan!” buttò fuori Kazuha tutto d’un fiato.

Shinichi Kudo fissò la ragazza come se avesse appena detto che venisse da Venere.

“Ma dai! Non esagerare!” sghignazzò Heiji Hattori fissando di sottecchi Kazuha seduta al suo fianco “voi donne sareste capaci di tutto pur di farci venire da voi!”

Kazuha Toyama non rispose. Si limitò a regalare al suo amico uno schiaffone in nuca ben assestato che costrinse il ragazzo a chiudere immediatamente il becco.

“Kazuha ha ragione” intervenne Kid serio “Ran Mouri è in pericolo. E faresti bene ad andare a casa prima che lei torni e sappia che suo padre è in ospedale malmenato dai bastardi che le hanno messo a soqquadro l’appartamento cercandola”

Shinichi Kudo sentì il cervello stridere nel pensare a quello che stava succedendo.

“Non puoi essere sicuro che volevano lei…”

“Si, invece” disse Kazuha, il volto basso la mani strette attorno alla tazza “abbiamo sentito i rapitori parlare di lei. O meglio parlare di me. Credevano che io fossi Ran – chan e quando Kid e io siamo saltati dalla finestra per scappare, ci hanno inseguito sparandoci contro”

“Ci stai dicendo” intervenne il professor Hiroshi Agasa lo sguardo serio fisso sulla ragazza “che quelli hanno scambiato te per Ran?”

Kazuha Toyama annuì mentre le lacrime le salivano agli occhi “E’ per colpa mia che Mouri adesso si trova in ospedale!”

“In ospedale!” strillò Shinichi Kudo gli occhi azzurri spalancati per la sorpresa.

“Abbiamo avvertito noi l’ambulanza” disse Kid fissandolo” però non sappiamo come stia. Dopo essere riusciti a scappare siamo venuti direttamente da voi…”poi il giovane ladro s’interruppe, una pausa impercettibile “…erano neri” aggiunse come se fosse stato un indizio completamente irrilevante ”Erano vestiti tutti di nero”.

 

Kogoro Mouri fissò il soffitto della sua stanza d’ospedale e si chiese che diavolo era successo. Tutti i criminali che aveva fatto arrestare sia da poliziotto che da investigatore privato erano in prigione. E più ci pensava, più non riusciva a capire che cavolo volessero quegli uomini da lui. Sbuffò infastidito dal pensiero che con tutto quello che gli era successo non avrebbe potuto bere birra per almeno una settimana. Ran ne sarebbe stata entusiasta.

Già…Ran….

L’uomo sorrise sollevato.

Almeno sua figlia non era in casa e non avevano potuto farle del male.

I rintocchi alla porta gli trapanarono il cervello già piuttosto provato per la sbornia e le mazzate. L’investigatore si portò una mano alla tempia dolorante ricordandosi solo in quel momento che aveva anche delle costole fratturate.

 

Un ululato terrificante arrivò alle orecchie dell’ispettore Megure che, dopo aver bussato alla stanza assegnata a Kogoro Mouri, spalancò immediatamente la porta.

“Mouri – san!” urlò preoccupato precipitandosi accanto al letto del suo amico.

Il detective Wataru Takagi e l’agente Miwako Sato lo seguirono con la stessa velocità.

“AHIO! AHIO! AHIO!” strillava Kogoro Mouri, le lacrime agli occhi e una mano sul fianco destro “AHIO!”

“MA SEI SCEMO!” rincarò Megure avventandosi sull’uomo con uno sguardo pauroso “M’ HAI FATTO VENIRE UN INFARTO!”

“Si…ma fa male….” Disse Mouri a mezza bocca mentre Takagi e Sato lo fissavano con un sorriso imbarazzato.

“Allora che è successo, ce lo vuoi dire?” chiese Megure mentre un voluminoso bernoccolo aveva incrementato le ferite del brillante investigatore Kogoro Mouri.

L’uomo fissò un attimo di sottecchi il poliziotto prima di raccontare come due strani individui erano entrati a casa sua, l’avevano preso alle spalle mentre stava vedendo uno speciale su Yoko Okino (“AHHH! NON LO RIDARANNO MAI!” pianse Mouri. Smise subito sotto lo sguardo minaccioso dell’ispettore) e l’avevano colpito per farlo svenire.

“Era ovvio che non volevano me” concluse infine portandosi una mano al mento pensieroso “probabilmente erano dei ladri che, credendo la casa vuota, si sono trovati davanti un possibile testimone e l’ hanno tolto di mezzo a suon di mazzate…”

“Era nell’appartamento oppure all’agenzia quando è stato aggredito?” chiese Takagi perplesso.

“In agenzia…” rispose l’uomo soprappensiero “lì i divani sono più morbidi..”

“E allora perché venire prima da lei se era più semplice accedere direttamente in casa senza passare per lo studio?” chiese il giovane detective fissando la spoglia criptomeria che si poteva vedere oltre il vetro della finestra ondeggiare al vento gelido di dicembre.

“È vero” intervenne l’agente Sato, socchiudendo gli occhi pensierosa “e poi siamo sicuri che si tratti di ladri?”

“Non ho ancora avuto il tempo di controllare!” sbuffò Mouri come se lo stessero accusando di un delitto “chiedete a Ran! A quest’ora dovrebbe essere già tornata… a proposito, dov’è quella figlia sconsiderata?” l’uomo incrociò imbronciato le braccia sul petto “appena si sente nominare quel moccioso del suo amico detective molla gli ormeggi e sparisce per delle ore!”

“Ti riferisci a Kudo?” chiese Megure guardandolo sorpreso “è tornato!”

“E che ne so!” fece Kogoro con aria di superiorità.

“Shinichi Kudo…?” chiese il detective Wataru Takagi improvvisamente interessato.

Sato lo fissò, perplessa.

“Ne conosci altri da queste parti che vogliano fare i detective?” chiese sarcastico Mouri.

“Sa per caso se anche suo padre è tornato?”

“Stai forse parlando di Yusaku Kudo…lo scrittore?” chiese Miwako Sato ancora più sospettosa “ e perché t’interessa, scusa?”

Takagi la fissò un attimo sorpreso, come un bambino pescato a rubare della marmellata. Poi il giovane si portò, imbarazzato una mano dietro la nuca e sorrise “ Sono un suo grande fan…tutto qui!”

“Ti conviene chiedere a mia figlia!” sbuffò Mouri lanciandogli uno sguardo bieco “io non ci tratto con quel moccioso!”

“Non puoi mica litigare da adesso con il tuo futuro genero….”sghignazzò Megure lanciandogli delle occhiatine maliziose.

“CHE?” Mouri urlò talmente forte che molte infermiere si affacciarono per vedere che cosa fosse successo “MIA FIGLIA SPOSATA AD UN MOCCIOSO ARROGANTE COME QUELLO! MA DEVO MORIRE PRIMA!”

“Allora comincia a farti un’idea che prima o poi tua figlia si sposerà e ti lascerà solo a macerare insieme alla tua dannata birra!” disse la bella voce di una donna, indurita da un’evidente nota di stizza.

 

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Ed eccomi con un nuovo capitolo ^__^ grazie a tutti per le meravigliose recensioni che mi state facendo! sono veramente felice!

6.

Shinichi Kudo correva.

Il vento gli tagliava il volto.

Era passato a casa sua per prendere solo dei vestiti più adatti a quel clima.

E aveva trovato la porta spalancata.

“Le ho telefonato io con la voce di Conan” gli aveva detto Kaito Kid “ le ho dato appuntamento alle undici a casa tua…solo per avere il tempo di prendere il libro”

Già. Il libro.

Quando aveva visto quel volume nelle mani di Haibara e aveva saputo dove l’avesse preso, ne era stato certo: c’erano guai in vista.

E grossi come musei.

Sbuffò mentre i polmoni non rispondevano come voleva. Gli bruciavano e i colpi di tosse erano raddoppiati da quando aveva cominciato a correre.

Era stato un vero idiota! Avrebbe dovuto andare da Ran quando glielo aveva detto Hattori e invece…invece non faceva altro che pensare sempre e solo a qualcos’altro.

Il ragazzo si fermò ansante, le mani appoggiate sopra le ginocchia, gli occhi rivolti in alto, alla vetrata con la bianca scritta “Agenzia Investigativa Mouri”.

Lo faceva solo perché non riusciva a sopportarlo, quel dolore. Vedere Ran sempre, tutti i giorni senza poterle dire chi era, senza poter chiarire perché lo faceva, nei panni di un bambino che celava un affetto più maturo di quello infantile, lo atterriva. Era più facile lasciarsi andare, ingannare anche se stesso e gettarsi nel lavoro, in quelle sfide che tanto stuzzicavano la sua immaginazione.

Un colpo di tosse coprì il suo sorriso amaro.

‘ Il lavoro è il miglior antidoto al dolore ’

Era buffo che l’avesse detto proprio il suo amato Holmes…

Il giovane studente detective di nuovo nei suoi panni di adulto prese a salire velocemente le scale che lo condussero in quell’appartamento diventato da tre anni casa sua.

Aveva già provato a chiamare Ran, ma era stato inutile. Aveva il telefono spento. E lo stesso valeva per Sonoko Suzuki. Quella mattina era con Ran, se lo ricordava benissimo. Era circa mezzogiorno quando Hattori gli aveva detto che Suzuki se ne era andata.

Era passata un’ora.

Aprì la porta dell’agenzia con uno schianto, ma a parte la tv lasciata accesa non sembrava mancasse qualcosa.

“Ran?” chiamò.

Salì velocemente le scale che portavano al piano di sopra e spalancò con la stessa violenza la porta dell’appartamento. La situazione era più caotica di quella che c’era di sotto, ma anche qui, ad una rapida occhiata, era tutto al suo posto.

Shinichi Kudo strinse i denti.

Toyama e Kid avevano ragione. Tutto faceva pensare ad un tentativo di rapimento andato a monte.

Ma perché l’Organizzazione voleva rapire Ran? Che diavolo c’entrava? Non sapeva niente di lui! Non le aveva mai detto niente proprio per proteggerla, allora…?

“Ran!” chiamò di nuovo, più forte, spalancando la porta della sua stanza.

Non entrava spesso lì. La ragazza era gelosa anche di un bambino come Conan.

In una cornice da decoupage c’era la foto che avevano fatto quel dannatissimo giorno al Luna Park…gli sembrava che fosse passato un secolo… arrossì nel pensare che nel suo portafogli anche lui aveva una foto di loro due insieme… accidenti a quell’idiota di Hattori e quando l’aveva scattata! Pensò ricordando di quanto le fosse stato vicino in quell’occasione…

Scosse la testa.

Era evidente Ran non c’era. Forse adesso era in ospedale con suo padre a evitare che bevesse troppa birra.

Tossì.

E sperò ardentemente che fosse vero.

“Eri?” disse Kogoro Mouri la voce ridotta ad un sussurro.

La donna fissò il suo ex marito con il suo solito sguardo truce.

“Che cosa ci fai qui?” chiese Mouri tentando di riprendere un contegno dignitoso.

“L’ospedale ha chiamato tutti i tuoi parenti” disse Eri Kisaki avvicinandosi con passo deciso “e io sono tutto quello che rimane della tua famiglia. Oltre a Ran ovviamente….A proposito, dov’è adesso?”

“Non siamo ancora riusciti ad avvertirla” disse l’ispettore Megure leggermente intimorito dal personale fin troppo sicuro dell’avvocato Kisaki.

“Strano…” sussurrò la donna pensierosa “avete provato a chiamarla sul cellulare?”

“Ci…ho…già…provato…”ansimò una voce alla porta della stanza 135 dell’Ospedale distrettuale di Beika.

“È diventato un hotel questo?”sussurrò Kogoro Mouri irritato. Aveva riconosciuto benissimo quella voce. Anche se doveva ammettere che era un bel po’ che non la sentiva.

“Oh, Kudo!” sorrise Megure avvicinandosi al ragazzo dai bruni capelli scompigliati, appoggiato alla porta, ansante.

“Shinichi!” chiamò Eri Kisaki con un sorriso altrettanto ampio e gentile. Poi, la donna si accigliò immediatamente “che vuoi dire?”

Wataru Takagi fissò in silenzio quel ragazzo che non si faceva vedere alla stazione di polizia da troppo tempo. E non sapeva se chiedere direttamente a lui quanto gli frullava in testa. Solo…non poteva affidarsi tutte le volte a qualcun altro! E poi sembrava che ci fossero cose più urgenti da discutere piuttosto che preoccuparsi di un vecchio furto avvenuto diciassette anni prima. A dir la verità Kudo a quell’epoca doveva essere appena nato e lui stesso non era altro che un bambino. Tuttavia c’era qualcosa che gli diceva che quello su cui aveva cominciato ad indagare nascondesse più di quanto non si volesse credere…

Miwako Sato fissò, sospettosa, il suo collega; Wataru Takagi non era propriamente l’ideale di poliziotto esistente al mondo, tuttavia non si poteva dire che mancasse di cervello ( anche se alle volte la sua innata imbranataggine gli metteva notevolmente i bastoni fra le ruote…non c’era che dire….) e di passione per il proprio lavoro…già…e quando qualcosa cominciava a frullargli come un tarlo in quella mente bacata c’era da aspettarselo…qualche guaio ovviamente…Quello era proprio l’istinto del detective…

“Ho provato a chiamarla molte volte, ma il telefono non prende o è spento…e anche Suzuki…” disse Kudo anticipando le richieste dell’avvocato Kisaki.

“E quella ragazza…?” disse all’improvviso Kogoro Mouri fulminato da un pensiero che lo rese fin troppo serio “ era venuta quella sua amica di Osaka, la fidanzata di quell’altro moccioso…”

“Toyama…” disse Shinichi tossendo come un forsennato.

“Tutto bene?” gli chiese Kisaki preoccupata “ prendi un po’ d’acqua…”

Shinichi Kudo ingurgitò velocissimo il bicchiere che la donna gli aveva passato; si pulì il volto con il dorso della mano e riprese a fissare tutti con il suo sguardo sicuro.

“Kazuha Toyama è sfuggita ai ladri ed è venuta a casa del dott. Agasa dove c’eravamo io e Hattori…”

“Li ha visti in faccia?” chiese Megure speranzoso. Ma un gesto di Kudo lo disilluse prontamente; era troppo improbabile che per una volta nella sua vita le cose fossero semplici.

“Ci ha detto però che ha sentito la loro voce…” Shinichi Kudo alzò le iridi azzurre ad incontrare lo sguardo di Eri Kisaki e Kogoro Mouri. Rimase un attimo in silenzio “ …però ci ha detto che non è sicura di poterle riconoscere. È scappata quasi subito…”

L’avvocato Kisaki fissò il giovane figlio della sua migliore amica e lo trovò molto più adulto di quel ragazzino che, nei suoi ricordi, giocava a fare il detective. Aveva imparato bene a nascondere le proprie emozioni. Ma non poteva imbrogliare un avvocato…e soprattutto non poteva darla a bere ad una madre.

“D’accordo” disse la donna con un sorriso “ cerchiamo di rintracciarla nei posti dove va di solito. Sei stato tu a parlarle per ultimo?” chiese poi a Shinichi.

Il ragazzo scosse la testa.

“È stato Conan. L’ ha chiamata questa mattina e si erano dati appuntamento a casa mia…volevo farle una sorpresa e dirle che ero tornato per il Natale…” aggiunse arrossendo un tantino. Non poteva permettersi quelle reazioni da ragazzino in una situazione del genere… “ Hattori che era a casa di Agasa ha detto che ha visto solo Suzuki passeggiare davanti casa mia…”

“E tu dov’eri nel frattempo?” chiese Kogoro Mouri le orecchie rosse per il furore di sentire che sua figlia stava per incontrare un ragazzo in una casa notoriamente vuota.

“Io e Conan avevamo deciso di farle credere che non c’era nessuno…” buttò lì Shinichi senza sapere cosa inventarsi per riuscire a coprire la complessità della reale situazione “ma quando siamo arrivati Ran non c’era e anche Suzuki se n’era andata…”

“Forse ci ha ripensato!” disse Mouri lanciando uno sguardo carico di sospetto al ragazzo che lo fissò incredulo.

“Non penserai che…?” disse Kudo arrossendo per l’imbarazzo e la stizza.

“Nessuno pensa niente” intervenne Eri Kisaki intromettendosi fra il due uomini che cominciavano a guardarsi in cagnesco “o almeno nessuno pensa di te quello che ha in mente questo zuccone” disse rivolgendo uno sguardo di rimprovero a Mouri che si limitò a incrociare le braccia sul petto e sbuffare infastidito “ adesso preoccupiamoci solo di trovare Ran. Sicuramente sarà al centro commerciale con Sonoko a comprare i regali di Natale…”

“Se volete possiamo darvi una mano” disse Takagi facendosi avanti.

“È vero”aggiunse Sato con un sorriso “per ora non abbiamo molto da fare in centrale e voi ci avete sempre aiutato!”

“Io purtroppo devo rientrare” disse Megure con un sospiro “ ma voglio essere informato” aggiunse poi con tono autoritario rivolgendosi ai suoi due agenti “aggiornamenti fra due ore esatte!”

“Sissignore!” scattò Takagi portandosi una mano alla fronte in un impeccabile saluto militare.

Sato scoppiò a ridere mentre l’ispettore Megure varcava la soglia della stanza 135 e si dirigeva alla vettura che lo aveva accompagnato fino in ospedale.

“Vogliamo andare” disse gentile al suo compagno trascinandolo fuori “ sta tranquillo!” aggiunse poi sottovoce passando accanto a Kudo che aveva ripreso a tossire “ riposati per ora e lascia fare a noi!”

Shinichi Kudo le sorrise grato.

Non c’era ancora motivo di preoccuparsi.

Forse Ran era veramente andata con Suzuki a comprare i regali di Natale…

Fu il suo ultimo pensiero prima che le sue gambe cedessero e tutto diventasse buio.

Heiji Hattori aveva deciso di mettere temporaneamente da parte l’istinto omicida nei confronti di Kid e collaborare con il ragazzo; tuttavia non riusciva ancora a sedergli accanto senza ricordarsi che poco prima Kazuha l’aveva chiamato ‘Kaito – kun’…

Concentrò allora la sua attenzione sulle immagini che si trovavano sul retro dei due volumi in loro possesso.

“Sono sicuro che la chiave si trova proprio lì” aveva detto Kudo uscendo come un forsennato e dirigendosi a casa di Mouri per controllare che fosse tornata a casa.

Il giovane detective di Osaka guardò l’orologio a pendolo nel soggiorno del dottor Hiroshi Agasa e si accigliò.

“Non ha ancora chiamato…”disse Kid, una guancia appoggiata sul palmo sinistro, l’aria annoiata fissa sulle riproduzioni delle xilografie dei due tomi.

“Già…”fece Hattori continuando a fissare l’orologio “credi che siano quelli dell’Organizzazione?”

“Probabile” sbuffò il ragazzo prendendo uno dei libri in mano e capovolgendolo come a vedere se l’immagine al contrario poteva dargli qualche informazione in più. L’aria delusa che assunse un attimo dopo mostrò che non c’era stato nessun miglioramento.

“Perché ci hai chiamato?” chiese Heiji fissando questa volta direttamente la figura di Kaito Kid che giocherellava con il volume rosso.

“Ve l’ ho detto” rispose tranquillo Kid senza staccare gli occhi dal libro “mi sono trovato in una situazione tale che sarebbe stato inutile non avvertirvi…”

Heiji Hattori si spostò in avanti appoggiando le mani sulle ginocchia e cercando le iridi azzurre del ladro seduto di fronte a lui.

“Tu non volevi chiamare me, questo è ovvio” disse il ragazzo di Osaka con un sorrisetto sicuro “ma con Kudo…con lui sembra che volessi parlarci sin dall’inizio…che cosa volevi da lui?”

“Rubargli questa meraviglia, è ovvio!” rispose Kid alzando anche lui uno sguardo spavaldo sugli occhi ametista del giovane detective del Kansai.

Heiji Hattori lo fissò per un attimo in silenzio. Poi chiuse gli occhi e rise, lasciando che la schiena poggiasse ancora una volta sui morbidi cuscini cremisi del divano di Agasa.

“Facciamo che sia vero” cominciò “ ma cosa speravi di ricavarci da quest’anticaglia? A te non piacevano gli oggetti brillanti?”

Kaito Kid lasciò che le sue iridi azzurre indugiassero per un attimo nello sguardo scuro del ragazzo di Osaka. Come Kudo, gli dispiaceva del fatto che non potessero essere amici per quella loro mania idiota di volerlo acciuffare a tutti i costi. A chi diavolo importava se ogni tanto infrangeva la legge? Beh, forse non proprio ogni tanto…

“Kudo non ti ha raccontato tutta la storia?” chiese, una nota scherzosa nella bella voce leggera “non ti ha detto della leggenda?”

“Stai parlando della scomparsa di Imai?”chiese Ai Haibara entrando silenziosamente nella stanza.

“Kazuha?” fece Heiji noncurante.

La bambina sorrise impercettibilmente prima di rispondere.

“Sta bene. È solo un po’ scossa. Il dottore si sta occupando di lei. Quell’uomo è molto bravo a calmare la gente!” sorrise la scienziata Shiho Miyano, questa volta proprio come se fosse una bambina vera.

“Pensavo che i tuoi sorrisi li riservassi solo a Kudo…”disse Hattori fissando distrattamente lo schiaccianoci a forma di Doraemon poggiato su una della mensole della cucina poco distante.

Kaito Kid sorrise continuando a fissare quelle dannate immagini.

“Ma che fine avrà fatto poi?” chiese il ragazzo sbuffando e tirando il libro sul tavolino con poca grazia.

Heiji Hattori lo fissò diffidente.

“Ma non volevi rubarlo quello?” chiese ghignando mentre Kid gli rivolgeva uno sguardo di evidente imbarazzo.

Ai Haibara si avvicinò alla poltrona, raccolse il libro gettato da Kaito e ci infilò dentro il ritratto che Shinichi Kudo aveva mostrato loro qualche ora prima.

“Che stavi dicendo della leggenda, signor ladro?” chiese poi, sempre impassibile cominciando a fissare l’immagine che occupava l’ultima pagina del libro.

“Quella che racconta di come siano andati veramente i fatti sulla sua misteriosa scomparsa o su quella di sua moglie?” fece Heiji Hattori con una sfrontatezza malcelata.

“Non solo…”fece Kid pensieroso.

Ai Haibara ed Heiji Hattori fissarono il giovane ladro sbalorditi.

“Non so bene di che si tratti, ma so che il mistero celato dalle pagine di diario di Imai non si riferiscono solo alla sua scomparsa…”

Kaito Kid abbassò il volto, come a voler nascondere qualcosa; qualcosa che, forse, gli si poteva leggere scritto in faccia.

“E…che c’entra sua moglie?” fece un secondo dopo, come se quell’ombra nera che per un attimo gli aveva oscurato il cuore non fosse mai esistita.

“Beh? Che succede qui? “chiese il dottor Hiroshi Agasa entrando in salotto e notando le facce perplesse dei tre ragazzi.

“Credo che sia ora che ci scambiamo un po’ di informazioni” disse Heiji Hattori fissando il ladro Kid negli occhi spaventosamente simili a quelli di Shinichi Kudo.

Un uomo alto e molto magro entrò nella stanza della prigioniera, ma quando fu dentro vide solo una sedia vuota piazzata laddove doveva esserci la ragazza. Fece cadere con un suono sordo il vassoio con il pasto che le aveva portato, secondo gli ordini di quella donna, e cominciò a tremare. Se non l’avesse ritrovata…se le fosse successo qualcosa, l’avrebbe pagata cara…ma era solo una ragazzina! Che fine aveva fatto?

Non riuscì neanche a immaginarla, una risposta.

Un colpo secco gli investì la nuca e l’uomo cadde a terra, svenuto.

Ran Mouri soffiò l’aria fuori dai polmoni, rumorosamente, portandosi i gomiti a contatto con i fianchi.

Ora la porta era aperta.

Shinichi Kudo aprì gli occhi a fatica.

Non si ricordava bene che cosa fosse successo prima di perdere conoscenza; ricordava solo che stava correndo come un forsennato.

Improvvisamente colpito dai ricordi, si portò le mani al volto per controllare se non fosse tornato ad assumere le sembianza del piccolo Conan Edogawa.

“Shinichi, tutto bene?” gli chiese una voce di donna che conosceva.

“Ran…?” chiese il ragazzo, la vista ancora appannata. Però quegli occhi blu riusciva a vederli chiaramente “Ran…stai bene…meno male!” sospirò.

“Shinichi, non sono Ran” sorrise la donna.

Lentamente le iridi azzurre di Shinichi Kudo riacquistarono il giusto fuoco e capì d’essersi sbagliato.

“Ah, zia…scusami …” disse arrossendo nel riconoscere Eri Kisaki la madre di Ran.

“Non fa niente” sorrise la donna dolce” fa sempre piacere essere scambiata per una ragazza! Piuttosto…” aggiunse avvicinandosi al giovane per fissarlo meglio negli occhi. Shinichi Kudo si ritrasse spaventato “non sarebbe meglio che mi dicessi la verità?”

“Eh?” fece il ragazzo spiazzato. Ah, già. Avendo a che fare solo con Kogoro Mouri spesso si dimenticava del fatto che almeno uno dei genitori di Ran aveva la testa sulle spalle…

“Non capisco…” sorrise ancora massaggiandosi la nuca in imbarazzo.

Eri Kisaki lo fissò come se fosse sotto interrogatorio, lo sguardo rischiosamente simile a quello di Ran quando le frullava qualcosa di pericoloso in testa.

“Tu hai una mezza idea di quello che può essere successo a mia figlia, non mentire!” fece la donna con voce dura.

Shinichi la fissò indeciso se rivelarle quello che aveva saputo da Toyama e da Kid.

“Qualcuno voleva rapirla, non è così?” chiese la donna anticipando le sue mosse.

Il ragazzo si limitò a rimanere in silenzio stringendo i lembi del lenzuolo. Dopo che era svenuto l’avevano portato in una stanza vicina a quella di Mouri.

“Chi pensi che sia?”

Ora Shinichi Kudo non poteva permettersi di rimanere in silenzio.

“Non lo so” mentì.

Eri Kisaki lo fissò senza dire niente. Incrociò le braccia sul petto e sospirò.

“Beh, Ran mi somiglia e sa badare a se stessa. Se le è successo qualcosa troverà il modo di farcelo sapere, non preoccuparti”

Il ragazzo sorrise sbuffando “Ma non dovrei essere io a rassicurarti?” chiese gli occhi lucidi per la febbre.

La donna gli si avvicinò tanto da potergli sfiorare la punta del naso con il suo.

“Shinichi Kudo” chiamò “non so se ti ricordi tutti i pomeriggi che passavi insieme a Ran nel mio soggiorno a scartabellare tutti i giornali e le cose che trovavi sotto mano…due pesti….” Eri Kisaki si portò una mano alla fronte, terrorizzata al solo ricordo “…proprio due pesti…e credi che non lo capisca?” chiese poi, ancora lo sguardo indagatore puntato sul ragazzo. Sbuffò esasperata “sei rimasto un bambino da questo punto di vista…ma in fondo temo sia una prerogativa del gene Y…”finì poi come rivolta a se stessa.

“Eh?” chiese Shinichi Kudo sinceramente sorpreso.

“Lascia perdere” sbuffò la donna uscendo dalla stanza “riposa un po’ prima di balzare fuori dal letto e precipitarti a cercare Ran. Se dovessi svenire da qualche parte non faresti che aumentare i nostri guai!”. L’avvocato Kisaki scosse la testa sorridendo “Chiama piuttosto quel tuo amico di Osaka, il figlio di Hattori…mi sembra si chiami Heiji…non la smetteva di martellare il tuo telefono pochi minuti fa…” e la porta si chiuse alle sue spalle.

Ran Mouri percorse il lungo corridoio.

Si era tolta le scarpe per fare il minimo rumore possibile. Accanto alla stanza nella quale la tenevano prigioniera aveva visto una sorta di ripostiglio che probabilmente doveva essere la guardiola improvvisata di quell’uomo. E in quella stanza aveva trovato anche una pistola. La ragazza avvertì un sudore freddo, serpeggiante, solcarle tutta la schiena quando realizzò che ce ne potevano essere degli altri in giro…degli altri uomini vestiti di nero, armati, che potevano ucciderla.

Mentre continuava a percorrere silenziosamente il corridoio di quello che sembrava un lussuoso cottage ottocentesco, dallo stile inconfondibilmente europeo,cercò di capire che cosa potevano volere da lei.

Dove aveva già sentito la voce di quella donna dal profumo ammaliante?

Era sicura che non era passato molto tempo…

Ran Mouri scosse la testa. In questo modo non risolveva niente. In più non era il momento per soffermarsi a pensare ad altro.

Dopo aver rotto un piccolo specchio trovato nel bagno accanto allo stanzino della sua guardia (“Ecco”pensò la ragazza sconsolata “sette anni di disgrazia…visto che sono già così fortunata….”), ne fissò una parte sulla sommità di uno spazzolone abbandonato da qualche donna di servizio, ricavandone in questo modo una sorta di retrovisore per osservare meglio oltre gli angoli scuri di quell’abitazione.

Però era proprio strano. Non sembrava esserci nessun altro oltre all’uomo che aveva steso poco prima.

Avanzò con cautela, le mani strette sullo spazzolone come se fosse un’arma, anche se a dire la verità si fidava di più dei suoi pugni.

La casa non pareva molto grande. Ben presto si trovò vicino ad una porta dello stesso legno di noce di quella della stanza da dove veniva, ma più spessa. Oltre il vetro delle finestre appannate per il freddo Ran Mouri poteva già vedere la salvezza.

Poi un rumore alle sue spalle le fece capire che non sarebbe stato tanto facile conquistarsela.

Una voce concitata si faceva sempre più vicina. La ragazza, il cuore che le rimbalzava in gola, scivolò in avanti, oltre l’atrio completamente scoperto, e raggiunse l’oscurità più sicura del corridoio di fronte a quello dal quale proveniva.

Si sentì gelare il sangue quando si rese conto che si trattava di un vicolo cieco.

“Sei un idiota!” disse la voce adirata di quella donna.

“Ma che ne sapevo, capo! Io non pensavo….” Si scusò malamente la guardia con una vocetta tremula.

“Infatti non ti pago per pensare!” sbuffò la donna “ se la perdo, saranno guai…soprattutto per te!” aggiunse con una nota sadica.

Ran Mouri iniziò a sentire grosse gocce di sudore freddo solcarle la schiena.

“Dobbiamo trovarla prima di domani sera!” disse ancora la voce di quella donna, più vicina.

Sempre più vicina.

L’avrebbero trovata!

L’avrebbero trovata e l’avrebbero uccisa!

Perché?

“Shinichi…Shinichi…”chiamò la ragazza stringendosi le mani al petto e chiudendo gli occhi come a voler lasciare fuori da sé quei passi che rimbombavano pesanti nelle sue orecchie.

Nel suo cervello….

Nel suo cuore….

Poi sentì un soffio sfiorarle la guancia.

Ran Mouri si voltò, gli occhi blu che cercavano di penetrare l’oscurità.

E sorrise.

“Ha detto che sarebbe andata da Ran e poi al centro commerciale” disse Ayako Suzuki all’agente Miwako Sato quando le chiese dove fosse sua sorella minore.

“E non l’ ha sentita da quando è uscita?”

“No, ma perché? pensate che le sia successo qualcosa?” chiese preoccupata l’erede della Suzuki Enterprise.

“No, no…” si affrettò a dire Sato con un sorriso imbarazzato “non riusciamo a metterci in contatto con Ran Mouri e pensavano che fosse con la sua migliore amica”

“Le ho già detto che Sonoko l’aveva chiamata a casa. Ah, si, ora ricordo” disse la ragazza portandosi un dito alle labbra e fissando pensierosa il cielo così bianco da far quasi male “mi ha detto che sarebbe andata a casa di Kudo per vedere se Ran fosse lì.”

“Abbiamo già cercato, ma non ci sono” sospirò Sato delusa “mi potrebbe dare il numero di telefono di sua sorella? Magari riesco a rintracciarla così!”

Ayako Suzuki scosse la testa sorridendo.

“Sarebbe inutile” quando va a fare shopping lo spegne spesso. Non le piace essere disturbata!”

L’agente Miwako Sato prese tuttavia il numero di Sonoko Suzuki, ringraziò per la collaborazione e si allontanò da quella residenza imperiale.

Aprì lo sportellino del vecchio GSM e compose il numero.

La voce squillante di una registrazione le annunciò che il cliente non era raggiungibile.

Sbuffò chiudendo la comunicazione.

Ovvio.

Poi compose un altro numero nella speranza di sentire buone notizie.

“Era ora!” sbuffò Heiji Hattori accostandosi il telefono all’orecchio “ma che fine hai fatto? Che? Sei svenuto?”

Ai Haibara, Hiroshi Agasa e Kaito Kid fissarono Hattori preoccupati.

“OK. Come sta?” chiese poi il ragazzo di Osaka slanciando un pollice in aria per tranquillizzare i suoi amici.

“Gli effetti dell’antidoto non sembrano così stabili” sussurrò Agasa all’orecchio di Shiho Miyano.

La bambina, gli occhi fissi su Hattori che continuava a parlare al telefono con Shinichi Kudo, rimase in silenzio. Non sapeva ancora se quella notizia la rendeva triste o meno.

“Purtroppo il virus influenzale sembra essere un ingrediente fondamentale” si limitò a rispondere al professore che la guardava attonito.

Kaito Kuroba, intanto aveva nuovamente preso in mano il libro dalla copertina di rubino e lo stava sfogliando, ma sembrava che non ci fosse proprio nulla di particolare oltre a quella stampa sull’ultima pagina. Si gettò sulla poltrona e prese a sfogliare il volume disteso, pensando,di nuovo, che un punto di vista differente gli avrebbe offerto una visuale maggiore del problema.

E poi lo vide.

Un sottile filo dorato che sembrava uscire fuori da una pagina.

“E questo che diavolo è?” si chiese ad alta voce balzando a sedere così repentinamente da attirare l’attenzione di tutti.

“Hai trovato qualcosa?” domandò Hattori interessato lasciando a metà la frase che stava dicendo a Kudo.

“Che c’è?” fece la voce metallica dall’altro capo della cornetta.

“Sembra che il ladro abbia trovato qualcosa!” sorrise Hattori, mentre lo scaltro Kaito Kid fissava in controluce una delle pagine del volume che aveva tra le mani “rimani dove sei stiamo arrivando”

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


7.

Kazuha Toyama aveva finto di addormentarsi per lasciare che il dott. Agasa si allontanasse tranquillo e dare così a tutti di là in salotto, l’opportunità di parlare liberamente.

Non era stupida. Da quando aveva fatto riferimento a quanto era successo, al rapimento che quegli uomini non erano riuscii a portare a termine, a quegli uomini, Kazuha Toyama si era accorta che tutti, nella stanza, si lanciavano occhiate eloquenti, isolandola completamente dalla discussione.

Aveva ragione. C’era qualcosa sotto.

E questa volta era intenzionata a scoprirlo.

Per questo fu contenta di sentire che avevano deciso di andare in ospedale da Kudo senza ‘volerla svegliare ‘, ma lasciandole solo un messaggio. Secondo Heiji lì sarebbe stata al sicuro.

Kazuha Toyama sorrise malignamente.

Afferrò la giacca e spalancò la finestra.

Dopo il volo che aveva fatto dallo stanza di Ran –chan quella gli sembrava una passeggiata.

Si spaventò a pensare che in una sola mattina era saltata da un appartamento al terzo piano, aveva sfrecciato su una moto a velocità neanche contemplate nel codice stradale e l’avevano inseguita sparandole addosso.

Sbuffò.

E non contenta aveva deciso di provare ancora una volta il brivido di lanciarsi da una finestra.

“Teoricamente non dovrei rompermi nulla” si disse la ragazza prima di lasciare che la gravità facesse il suo lavoro.

“Abbiamo spostato la base operativa!” disse Hattori giulivo, entrando nella stanza dove avevano provvisoriamente ricoverato Shinichi Kudo.

Il ragazzo si limitò a lanciargli uno sguardo di traverso.

“Ehi, ma dov’è il professore?” chiese Shinichi notando l’assenza dell’ometto occhialuto nel gruppo di persone che aveva varcato la soglia della sua stanza d’ospedale.

“Ha ricevuto una telefonata da un suo collega” iniziò la piccola Ai Haibara fissando il ragazzo con le iridi grigie imperscrutabili “l’ ha pregato di andare immediatamente da lui. Ci ha accompagnati fin qui e poi è l’ ha raggiunto”

“Adesso?” fece il ragazzo sorpreso “ ma chi è?”

La bambina si limitò a scuotere le spalle.

E Shinichi Kudo strinse per un secondo gli occhi azzurri, fissando un punto imprecisato avanti a sé.

“Beh?” gli chiese Kid “sentito qualcosa d’interessante?”

Il giovane detective dell’est scosse la testa.

“Quando sono arrivato, nessuno sapeva dove fosse Ran. Takagi e Sato si sono offerti di aiutarci a cercarla. C’era anche Megure, ma è tornato in centrale per definire la denuncia che Mouri ha sporto contro ignoti. Anche la zia Kisaki si è messa a cercarla…”

E s’interruppe abbassando un attimo le iridi azzurre.

Poi, come se avesse voluto scacciare qualcosa di poco piacevole dalla testa, alzò nuovamente lo sguardo sui suoi amici che si erano precipitati in ospedale e sorrise, sicuro come al solito.

“Allora si può sapere che cosa avete scoperto di così interessante da dovere richiedere la mia immediata presenza?”

Heiji Hattori lo fissò di sbieco, come al solito quasi offeso da tutta quella spavalderia.

“Sembra che il nostro ladro abbia fatto una fortunata scoperta…” il ragazzo di Osaka prese uno dei due strani volumi quadrati dalla borsa che si era portato dietro e lo porse a Kudo.

“Prova a guardarlo in controluce” sorrise Kid sedendosi sul letto, il piede destro ancora poggiato per terra.

Ai Haibara e Heiji Hattori si avvicinarono anch’essi al giovane per vedere meglio.

“Filigrana?” chiese Kudo perplesso.

“Te l’avevo detto che quelle pagine sembravano un po’ troppo pesanti!” rise Hattori lanciandogli uno sguardo saputo.

“Si ma non c’è scritto niente” disse Haibara prendendo il volume dalle mani di Kudo “si tratta solo di una linea verticale”

“Già” s’intromise Kid guardando la bambina “ma se guardi alla pagina successiva la linea cambia…è orizzontale. E la filigrana c’è solo in queste pagine”

Shinichi Kudo prese di nuovo il volume rosso dalle mani di Haibara pensando.

Che diavolo significava?

“Evidentemente quello che cerchiamo è proprio in queste due pagine” disse lasciando che i polpastrelli scorressero sulla carta pesante e ruvida.

La disposizione delle parole era elegante, ordinata, mentre percorreva le due pagine da destra verso sinistra.

Quello era un breve racconto. Un racconto che si esauriva in due sole pagine.

“Magari il contenuto del testo può esserci utile” disse Haibara come leggendogli nel cervello.

“È vero” fece Hattori notando all’improvviso quello strano particolare “forse voleva dirci qualcosa nascondendolo in un’allegoria…”

“Non credo” disse Kid scuotendo la testa “ ho già letto quel racconto. Non c’è niente di particolare. A parte il fatto di essere ben scritto. Tuttavia non è uno dei migliori componimenti di Imai. Si tratta solo di una breve fiaba, la storia di un bambino che si perde in un castello d’ombra per cercare il tesoro che gli era stato rubato. Salendo la scala di vetro che conduce al castello incontra un corvo parlante che decide di fargli da guida”

“Il corvo a tre occhi è una delle altre rappresentazioni dell’occhio onniveggente, antico simbolo divino che venne utilizzato da sette, come ad esempio quella degli Illuminati, per esprimere capacità cognitive maggiori rispetto al resto dei fedeli di qualsiasi altra fede” disse Shinichi Kudo facendo scorrere ancora una volta le pagine” è solo uno dei tanti simboli che Imai utilizzava per analizzare le sfaccettature dello spirito umano”

“Pensi, quindi, che non abbia niente a che fare con quello che cerchiamo noi?” chiese Hattori pensieroso.

“E cosa cerchiamo noi?” fece Shinichi Kudo sorridendo.

“Beh? Perché non vuoi risolvere il mistero di un tuo antenato?” domandò Heiji Hattori sinceramente sorpreso.

Il giovane detective del Kanto si lasciò andare sul cuscino e poggiò la nuca sulle mani.

Effettivamente…c’erano molte cose in sospeso…e perché Kazumoto aveva una copia di quel libro? Cosa c’entrava con l’Organizzazione? Che diavolo cercavano in uno scritto che celava uno strano codice da filologi e che non aveva niente a che fare con traffici di droga, armi o qualsiasi altro tipo di affare illegale che gli uomini in nero potessero svolgere? Imai era vissuto più di cent’anni prima e quella raccolta di componimenti così complessa alla fine poteva anche essere solo lo scherzo di un autore un po’ troppo arrogante e deluso dalla vita.

“Non è meglio che gli dici quello che sai?” disse Haibara rivolgendosi al ladro Kid e riportando Shinichi Kudo sulla terra.

Kaito Kid scivolò dalla sponda del letto e si rimise in posizione eretta.

Si avvicinò alla finestra e fissò la spoglia criptomeria che, oltre il vetro, si poteva vedere ondeggiare al frizzante vento di dicembre.

“Sembra che Imai non si interessasse solo di letteratura” iniziò Kid con un sospiro “non ne so molto, ma pare che in questo suo diario tanto ben nascosto sia celata una scoperta sensazionale”

“Di che tipo?” chiese Kudo attonito.

Kid scosse la testa.

Io non lo so. Ma a quanto pare, quelli si. E sembra che sia qualcosa che li interessi. Molto”

“Ma Mouri cosa c’entra?Perché progettare di rapirla?” fece Hattori fissando Haibara che aveva preso in mano il libro e lo stava sfogliando, accarezzando delicatamente ogni pagina.

“Quella donna sa di noi” disse Kudo serio “ tuttavia l’ultima volta che ci siamo scontrati ci ha risparmiato la vita….non riesco ancora a spiegarmi il perché… “ aggiunse poi pensieroso.

“Può essere che vogliano Mouri per te” intervenne Haibara passando il libro ad Hattori “non hai pensato che, magari loro hanno uno dei cinque libri fatti stampare da Imai?”

“Probabile. Ma dove vuoi arrivare?”

“Ma ti sei rincitrullito?” strillò Heiji fissandolo di traverso “Haibara ha ragione! Se c’era un ritratto di quella donna così simile a Mouri nella tua copia, potrebbe trovarsi anche in una di quelle in mano dell’Organizzazione!”

“Ma che ci farebbero con una sosia della moglie di Imai?” chiese Kid dubbioso “Non credo che pensino di ricavarne qualche segreto. Sono passati più di cento anni!”

“Forse sapevano che una delle copie era in tuo possesso e hanno pensato di ricattarti” ipotizzò Heiji sedendosi su una sedia di plastica verde.

“È in possesso di mio padre” precisò Kudo “e Ran non c’entra niente con lui”

“Magari è solo un pazzo criminale arrestato da Mouri tanto tempo fa di cui si è dimenticato…”azzardò il ragazzo di Osaka poco convinto.

Ai Haibara si portò una mano al mento pensierosa.

Quella donna non voleva uccidere il suo angelo, questo si capiva benissimo, e nemmeno Kudo – kun. Era lei il suo unico, vero obiettivo. Ma Mouri che c’entrava? E perché rapirla?

“Ehi, non vi sembra che la carta filigranata sia differente da quella delle altre pagine?” disse Heiji Hattori osservando con più attenzione i fogli del libro.

“Le pagine filigranate sono in pergamena” spiegò Kid con uno sbadiglio “mentre il resto è addirittura in papiro. Lavorato come accadeva ai tempi degli antichi egizi. Pare che sia stato lo stesso Imai a volerlo in questo modo”

“Papiro?” chiese Shinichi Kudo, una luce che gli si accendeva nella testa “papiro lavorato alla maniera degli antichi egizi…”ripete soprappensiero. Prese di nuovo in mano il libro e lo sfogliò, l’ennesima volta, finché il suo sguardo non finì ancora sulla xilografia in appendice.

Non era cambiato nulla.

C’erano sempre un uomo incappucciato e una donna che giocavano a scacchi, mentre un corvo stava appollaiato su un trespolo poco distante. La stanza vuota, una porta di legno sul fondo.

“Se fossero reali quei pezzi cadrebbero!” disse Hattori fissando annoiato l’immagine “ quella scacchiera ha una pendenza spaventosa!”

“E’ una stampa Hattori – kun!” sghignazzò Kid prendendosi gioco del ragazzo “però effettivamente manca di prospettiva più del resto dei particolari”
”Un indizio per attirare l’attenzione probabilmente” intervenne Haibara sedendosi anche lei sul letto.

Shinichi Kudo fissò la scacchiera rapito.

Poi sorrise.

Quel sorriso che i suoi amici erano abituati a vedere sul suo volto quando cominciava a capire.

“Il papiro, come si fabbricava più di mille anni fa, eh?…ingegnoso” disse solo, mentre gli altri tre ragazzi cominciarono a guardarlo perplessi.

L’atrio del cottage era scuro e completamente vuoto. Sul pavimento nessuna traccia di lei.

La donna dai capelli biondi voltò lo sguardo intorno, infastidita. Quella ragazzina gli stava creando più problemi di quanti non aveva immaginato e se nelle prossime quarantotto ore non sarebbe stata tranquilla nessuno di loro avrebbe avuto ciò che voleva.

Sbuffò guardando di sfuggita quell’uomo magro che aveva deciso di farsi chiamare Martini. Un cecchino disperatamente bravo, ma un idiota per tutto il resto. Avrebbe dovuto ricordarsi che il suo angioletto era la fidanzatina del ‘Silver Bullet ’ e non era certo da sottovalutare.

Setacciò l’ampio ingresso, cercando con la torcia elettrica anche nei punti più oscuri. Ma dell’ angelo non c’era traccia.

Il vecchio pendolo dello studio al secondo piano batté due rintocchi.

Era troppo tardi per preoccuparsi di lei.

Adesso aveva altro da fare.

“Setaccia la casa. Tutta” disse fissando minacciosa Martini, i capelli come paglia scossi dal terrore “trovala e fammelo sapere al più presto. Domani sera dovrà essere tutto perfetto per i nostri ospiti…”

Quella donna che si faceva chiamare Vermouth fece risuonare ancora una volta il suoi alti tacchi sul freddo pavimento di marmo.

La sua unica speranza era che la ragazza non fuggisse prima di domani sera.

Ran Mouri si strinse ancora di più alla parete dello stretto passaggio che aveva trovato; un ripostiglio, uno scomparto segreto…qualunque cosa fosse le aveva salvato la vita.

Sentiva il sangue batterle con violenza sul timpano e il sudore scivolarle oltre la schiena provocandole dei brividi ancora più forti.

Calma.

Forse Conan le aveva attaccato il raffreddore.

Sorrise.

Pensare a quel bambino la metteva sempre di buon umore.

Forse perché si trattava di Shinichi in realtà.

Già.

Shinichi.

Era stato lui. L’aveva visto! Era stato lui a farle trovare quel nascondiglio oppure se l’era sognato?

“Ancora una volta” sussurrò la ragazza a se stessa. Si morse un labbro. Doveva stare attenta o l’avrebbero sentita.

Ora la cosa più importante era riuscire a capire come diavolo andarsene da lì. Accostò l’orecchio alla porta.

Nessun rumore.

Evidentemente nessuno sapeva di quello scomparto.

Ran Mouri si fermò un secondo prima di aprire la porta mimetizzata nel muro.

Perché.

Perché uno scomparto segreto in una zona della casa tanto strana? Si trattava di un atrio, oppure si sbagliava? In realtà non aveva avuto l’occasione di osservare per bene quella sua strana prigione.

La ragazza strinse gli occhi decisa e fece un profondo respiro.

Aprì la porta e la luce soffusa dell’atrio invase la stanzetta. La polvere ricopriva le pareti e tuttavia sembrava che non ci fosse nulla di particolare in quel vano. Solo una decorazione, come un graffito intaccava il legno vecchio del pavimento impolverato da anni; la ragazza si fermò a guardare. Era come un uccello…si, sembrava un uccello che aveva in mano un pezzo degli scacchi…

Un rumore improvviso alle sue spalle spaventò Ran Mouri che si precipitò fuori, chiuse la porta per bene e lanciò un’occhiata al corridoio dal quale era venuta.

Nessuno.

Le scale che dall’atrio salivano al secondo piano erano altrettanto vuote.

La ragazza si volse verso la porta.

Il detective Wataru Takagi aveva appena finito di controllare il centro commerciale che la vibrazione del suo cellulare gli massaggiò il petto.

“Takagi” disse senza pensare di vedere chi lo stava chiamando “Sato –san!”esclamò non appena riconobbe la voce della collega “no, non ho trovato Ran, mi dispiace. Sto tornando in centrale per vedere se l’ispettore Megure ha ricevuto qualche notizia da Mouri. Sembra che anche la sua ex moglie si sia messa alla ricerca della figlia. Si. Ci vediamo lì….eh?” chiese poi spiazzato “ti spiego tutto, va bene, va bene…” fece poi rassegnato.

“Queste mogli!” sorrise divertito il venditore di hot –dog poco distante.

Il detective Takagi si limitò a scrollare le spalle.

“Allora?” chiese l’agente speciale investigativo Miwako Sato non appena il detective mise piede nel suo ufficio “mi vuoi spiegare che è questa storia del furto?”

Takagi di riassestò la cravatta, a disagio, e lanciò degli sguardi furtivi in giro come spaventato dal fatto che qualcuno potesse spiarli. Chiuse la porta dell’ufficio e fissò la donna serio.

Miwako Sato sentì il cuore accelerare i battiti per un secondo prima che l’uomo cominciasse a parlare.

“Diciassette anni fa fu sporta denuncia per il furto di un libro raro” cominciò l’agente Takagi continuando a fissare serio il suo superiore. Sato rimase impassibile, mentre sentiva il cuore riprendere a battere in maniera regolare.

“Questo lo sapevo già” disse “va’ avanti”

“L’uomo che fu derubato era Hiroyuki Kazumoto, l’altra vittima dell’assassinio Hayasaka”

“Beh, una coincidenza” fece Sato lasciandosi sedere sulla morbida poltrona di pelle del suo ufficio.

“Il fatto è che…beh…quello fu l’ultimo…” cominciò il detective a disagio.

“L’ultimo di cosa?” chiese Sato perplessa.

Wataru Takagi afferrò una sedia e la portò accanto alla donna avvicinandosi deciso “L’ultimo furto del famoso ladro Kid” disse tutto d’un fiato “almeno prima che riapparisse qualche anno fa”

“Beh, sono fatti di Nakamori, no?” fece Sato noncurante.

“Si,ma beh….”balbettò Takagi fissando Yumi che passava e gli lanciava un’occhiata d’approvazione oltre il vetro dell’ufficio “il fatto è che intorno a quel libro c’è una leggenda”

“Adesso sconfiniamo anche nel paranormale?” chiese Sato sarcastica.

Takagi la fissò di sottecchi “No. Ma potrebbe svelarci il segreto della scomparsa di una persona avvenuta più di cent’anni fa”

“E che c’entra Kudo?”

“Una delle cinque copie che compongono questa strana collana di libri è in possesso proprio di Yusaku Kudo…” fece Takagi appoggiandosi allo schienale della sedia con disinvoltura.

“Ma non ti sembra sia passato un po’ troppo tempo?” domandò Sato con un sospiro “ anche se, come dici tu, questo libro potrebbe aiutarci a scoprire le cause della scomparsa di…di chi?”

“Eri Kudo” disse Takagi tranquillamente, fissandola.

“Eri Kudo..sono passati più di cent’anni…Kudo?” fece poi sorpresa guardando il collega.

Takagi sorrise.

“E poi c’è anche questo” disse mostrando all’agente speciale Miwako Sato uno degli incartamenti che erano esplosi dal suo cassetto proprio quella mattina.

La donna prese il foglio in mano.

Quando alzò il volto si chiese che diavolo stava succedendo.

“Fammi capire un po’…” cominciò Heiji Hattori, l’aria molto perplessa “ Imai avrebbe sfruttato la composizione del foglio di papiro per fornirci una griglia?”

“Una scacchiera per la precisione” sorrise Shinichi Kudo disarmante “anticamente le foglie di papiro venivano intrecciate fra loro in sensi ortogonali per poi passare all’essiccazione tra due enormi blocchi di pietra che conferivano così sottigliezza alle pagine…”

“Tuttavia rimanevano delle ‘imperfezioni’, per così dire” intervenne Kid sorridendo “che quasi proibivano di scrivere anche sul verso della pagina stessa”

“Si preferiva seguire l’andamento orizzontale delle foglie nel recto, non è così?” chiese Haibara incrociando le braccia sul petto.

“Esatto” concluse Kudo.

“E l’andamento delle foglie intrecciate potrebbe suggerire proprio quello di una scacchiera” disse Hattori sorridendo “ questo ci rimanda all’immagine presente alla fine del libro”

“La partita della donna con la morte ci offre il posto dove dobbiamo cercare quello che dovrebbe interessarci” disse Kaito Kid avvicinandosi.

“E le pagine da analizzare sono proprio quelle nelle quali compare la filigrana, scritte in fogli di pergamena” disse Heiji prendendo in mano il libro dalla copertina di rubino “ più precisamente, la seconda nella quale è possibile vedere l’intrecciarsi delle due linee…”

“ Che ci forniscono in questo modo la dimensione delle caselle formandone una a bordo pagina” concluse Haibara, impenetrabile come al solito.

“Beh?” chiese Kid con una strana luce negli occhi “ che aspettiamo ad iniziare?”

“Segua quella macchina” aveva detto, non senza un minimo di trepidazione, Kazuha Toyama al conducente del taxi giallo che aveva fermato. L’uomo dall’aria tranquilla si era voltato verso di lei perplesso.

“Sto solo seguendo dei miei amici per fargli uno scherzo!” sorrise la ragazza in imbarazzo.

Accidenti a Heiji e a quelle sue dannate manie da detective! Kid aveva ragione…la stava influenzando!!

Il taxi partì con tranquillità seguendo la vettura poco più avanti, un maggiolino giallo dall’aria vissuta.

Poco dopo Kazuha si rese conto che inseguire qualcuno nella realtà era più difficile di quanto non accadeva nei film. C’erano il traffico, i semafori, le vecchiette e i bambini che hanno una propensione naturale a gettarsi sotto le ruote delle auto di passaggio…

Quando oltre il muro di folla che si era precipitato in strada era riuscita ad avere di nuovo una visuale della strada avanti al suo taxi, la ragazza si era resa conto di aver perso Heiji e gli altri.

Sbuffò, seccata. Non era mica giusto! Per una volta che si metteva lei in azione! E poi aveva rischiato la pelle e nessuno aveva voluto offrirle una spiegazione decente dell’accaduto!

“Che faccio, signorina?” chiese il conducente con un mezzo sorrisetto di scherno.

“Prosegua lungo questa strada” disse” fino all’ospedale più vicino” aggiunse un attimo dopo fulminata da quell’idea. Se Kudo era andato a cercare Ran – chan forse si era diretto all’ospedale dove c’era suo padre!

Kazuha sorrise soddisfatta e lasciò che lo sguardo vagasse lungo le strade affollate.

Poi la vide.

Fu un attimo.

Ma quella non era Sonoko?

Si. E chi erano quegli uomini che erano con lei?

“Si fermi!” strillò al conducente”può invertire il senso di marcia? Ho visto una mia amica con cui sto preparando questo scherzo e devo assolutamente parlarle!”

“Ma non avete i telefonini voi giovani!” sbuffò l’uomo contrariato. Si fermo tuttavia e riuscì a rientrare nel traffico nel senso opposto.

Kazuha Toyama lanciava sguardi forsennati alla folla nel tentativo di riprendere la sua amica. La vide a duecento metri di distanza entrare in una Maserati nero fumo, l’aria stranamente tranquilla.

“Adesso segua quella macchina!” disse la ragazza decisa slanciando una mano in avanti.

“Ma è una mania la vostra?” chiese l’uomo alla guida abbassandosi la visiera del berretto disperato.

Ovvero ‘naka’ (dentro), ‘eda’ (ramo), ‘wa’ (indica grammaticalmente il soggetto della frase), ‘en’ (cerchio), ‘rei’ (uno), ‘mune’ (stomaco, cuore), ‘oku’ (interno, profondo), di nuovo ‘rei’ e infine ancora ‘eda’.

“Ma che diavolo significa?” chiese Heiji Hattori alzando uno dei suoi due folti sopracigli, perplesso.

Shinichi Kudo si scompigliò i capelli a disagio e fissò l’orologio da polso. Erano ormai le quattro del pomeriggio. E non aveva ancora niente…non sapeva ancora niente.

L’allegro scampanellio di una samba brasiliana invase nuovamente il silenzio attonito della stanza.

Kaito Kid alzò uno sguardo divertito sulla tasca di Heiji Hattori che divenne nuovamente rosso come un papavero nel tentare di rispondere al cellulare ormai diventato una sorta di tortura mongola…

“Che c’è?” chiese infastidito dopo aver riconosciuto il numero di Kazuha “Si. Sono con Kudo, ma…CHE?” strillò Hattori improvvisamente “MA CHE PERCHE’ DIAVOLO FAI SEMPRE DI TESTA TUA! DOVE SIETE ADESSO? VENGO SUBITO!”

“Che è successo?” sospirò Ai Haibara sconsolata. Sembrava proprio che Kazuha Toyama quel giorno sapesse attirarsi infiniti guai.

Heiji Hattori si fece serissimo mentre guardava dritto nelle iridi azzurre il suo rivale dell’Est.

“Kazuha è uscita da sola. Ha detto di aver visto Suzuki con degli strani uomini e di averla seguita…”

Shinichi Kudo fissò il ragazzo di Osaka senza muovere un muscolo.

“Ha trovato Mouri” finì Heiji in un soffio.

Note dell’Autrice:

Ed ecco il settimo capitolo! sono veramente contenta che la mia storia vi piaccia! ^___^ temo però che i misteri s’infittiranno sempre di più XD! E per le perplessità….

Melany…dunque…è vero; Kaito Kid in genere è molto solitario ed indipendente. Ho capito perfettamente quello che intendevi, solo che Kid è Kid e non si sa perfettamente ciò che gli passa per la testa XD ( scusami la frase sibillina, ma ho in mente qualcosa XD) cmq, hai ragione, il fatto di vederlo collaborare con Shinichi ed Heiji mi ha portato a dipingerlo più come un amico dei due che come un rivale. Ma in questa storia Kaito Kuroba….è coinvolto direttamente…..e non dico di più ;) ed è per questo che si rivela un po’ più vulnerabile del solito.

Akemi…Kogoro è uno dei miei personaggi preferiti!! ^__- per questo ho cercato di renderlo al meglio!!! Grazie! ^___^

Per Heiji hai ragione anche tu ^__^…si lo so che gli sto facendo dire un po’ troppe parolacce, ma oltre a farlo sembrare Heiji Hattori, sto anche cercando di farlo assomigliare ad un ragazzo che potremmo incontrare per strada…renderlo reale, insomma (anche se il Sensei Gosho ci riesce benissimo senza questi stratagemmi *____*).Per il fatto della sua timidezza …. Hai ragione anche qui ^___^ ho preso lo spunto per queste sue scherzose affermazioni d’amore dalle traduzioni italiane…nelle quali spesso Heiji chiama Kazuha ‘tesoro’ e dalla puntata 291 in cui il detective del Kansai sbuffando, scaccia un tizio dicendogli di non infastidire la sua ragazza XD. L’ho reso così anche per marcare il suo carattere un po’ più irruente in rapporto a quello di Shinichi ^___^ Ossia…sto eowynizzando un po’ i pg …spero che non me ne vogliate troppo XD

Infine grazie a tutti!!! A Geenween per avermi consigliato di postare qui il mio racconto, a ginny, Chicca, lucy, Akemi, Melany. Minako, lady Kokatorimon per aver avuto la pazienza di leggermi e per le vostre splendide recensioni ^___^ spero che la mia storia continui a piacervi!!!!!

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


8

8.

Sullo schermo del computer le informazioni scorrevano così rapidamente che il detective Wataru Takagi sentì il cervello esplodergli solo al pensiero di doverle leggere tutte. Ma quello che stava succedendo era veramente strano. Anche per Sato abituata alle situazioni più improbabili.

Il giovane si lasciò un attimo abbandonare contro lo schienale della sedia girevole.

Aveva chiamato Mouri e gli aveva detto che era rientrato in centrale, ma Sato avrebbe continuato le ricerche. La figlia dell’ex poliziotto amico dell’ispettore Megure non era stata ancora ritrovata e, forse, qualcuno aveva cercato di rapirla quella mattina.

Takagi incrociò le braccia sul petto e strinse gli occhi, concentrato.

Per quanto facesse o pensasse c’era un unico sottile filo che legava tutti quegli avvenimenti: il nome ‘Kudo’.

Ma il fatto che la donna scomparsa cento anni prima portasse lo stesso cognome del famoso scrittore poteva essere un caso.

Se Imai non fosse stato uno scrittore.

Wataru Takagi lanciò un’occhiata alla denuncia arrivata diciassette anni prima e al foglio che aveva mostrato a Sato poco fa: una nuova denuncia di scomparsa dello stesso libro raro…fatta dallo stesso uomo che avevano scoperto essere già morto quando il documento era stato redatto. Hiroyuki Kazumoto, infatti, era stato ucciso prima che la domanda fosse compilata.

E allora chi diavolo l’aveva fatta? E perché?

E perché dopo tanto tempo Shinichi Kudo era tornato proprio adesso? Che suo padre gli avesse parlato della leggenda che stava dietro a quei cinque libri?

Il detective Takagi fece scivolare pigramente il dito medio sulla rotella del mouse per far scorrere i siti web che apparivano sul motore di ricerca che aveva consultato.

Partire da una documentazione su Imai era la prima cosa da fare. Lui ne sapeva pochissimo e il personaggio era fin troppo enigmatico.

Cominciò da un sito a caso, cliccando malamente sul mouse, sbuffando; odiava fissare uno schermo per troppo tempo e sapeva che quella ricerca sarebbe stata lunga…molto lunga.

Quando, un paio d’ore dopo, stava consultando l’ennesimo sito dal layout più raffinato del solito, si rese conto che c’era una sezione che poteva interessargli più delle diecimila informazioni inutili che aveva scorso. Premette il pulsante sinistro del mouse e la pagina web iniziò lentamente ad aprirsi. E quando anche le immagini cominciarono ad essere visibili, il detective Wataru Takagi seppe di aver risposto almeno ad una parte del mistero.

Ran Mouri vide due paia d’occhi fissarla preoccupati.

“Brutta scema idiota!” disse Sonoko Suzuki acchiappandola con una forza spropositata e scuotendola tutta.

“Ehi, ehi!” sorrise Ran mettendole delicata una mano sulla spalla “ devo proprio ringraziarvi! Siete state provvidenziali!”

“Ma si può sapere che è successo?” le chiese Kazuha sorpresa “tu non eri a casa quando quegli uomini ci hanno assalito….”

Ran Mouri e Sonoko Suzuki fissarono l’amica, perplesse.

Kazuha Toyama sorrise e capì di aver detto qualcosa di troppo.

Poco dopo la porta della residenza Agasa, dove le tre ragazze avevano trovato un provvisorio riparo, si spalancò e anche un ometto piazzato come Hiroshi Agasa fece fatica a trattenere l’enfasi di quei lunghi capelli castani.

“Lasciatemi andare!” sbraitava Ran Mouri agitando le braccia bloccate dalle sue due migliori amiche e dall’inventore “devo andare da papà! Lasciatemi! Non so neanche come sta! Non posso starmene qui seduta tranquilla mentre qualcuno è entrato in casa mia e ha picchiato mio padre! Con quella sua boria avrà di sicuro litigato con qualcuno che è venuto a vendicarsi…”

“Ran….?” Chiamò una voce oltre il cancello del giardino.

Ran Mouri si bloccò all’istante; nel petto uno strano fuoco aveva cominciato ad agitarsi insieme all’angoscia per essere all’oscuro sulla sorte di suo padre. La ragazza alzò il volto e lo vide.

Era lì.

Proprio oltre il cancello.

Non solo una voce.

Non un’allucinazione.

O un fantasma.

Era lì. E sembrava così reale con quel suo ciuffo ribelle agitato dal vento di dicembre, le guance accese dal freddo, le iridi azzurre insolitamente brillanti.

Ma era lì.

Con quella sua solita aria spavalda.

Quell’aria che sapeva tanto rassicurarla.

“Shinichi…” riuscì solo a dire mentre, sulle braccia, avvertì la pressione dei suoi amici allentarsi.

“Stai bene meno male!” sorrise il ragazzo avvicinandosi affannato, come se avesse corso chissà da quanto tempo “Tuo padre era preoccupatissimo! Ah…sta bene anche lui!” si affrettò a dire Kudo non appena vide l’espressione atterrita della ragazza.

“BRUTTO STUPIDO IDIOTA!!!” iniziò Ran avvicinandosi pericolosamente al suo amico d’infanzia le mani strette a pugno in un’aria minacciosa “ADESSO…SOLO ADESSO TI FAI VIVO, MENTRE IO E PAPA’ NE STIAMO PASSANDO DI TUTTI I COLORI??!!”

Shinichi Kudo ebbe allora l’impressione che tra un po’ ne avrebbe ricevute di santa ragione da quella ragazza, sua amica da tanto tempo e si ritrasse indietro spaventato, mentre già si immaginava tumefatto.

Quando batté lentamente le palpebre nella convinzione che almeno uno schiaffone non gli sarebbe stato risparmiato, si sorprese a sentirsi tirare un lembo della giacca.

“Scemo….”

Quella ragazza, che fino ad un attimo prima gli era apparsa così spaventosa, ora aveva afferrato i suoi abiti, come se fosse stata una bambina dispersa, la bella fronte abbassata tanto da impedirgli di vedere le lacrime che le scendevano sulle guance arrossate dal freddo e che le scuotevano leggermente le spalle.

Shinichi Kudo sentì come se qualcosa di caldo gli fosse scivolato lungo tutto il petto e si fosse fermato nello stomaco, mentre il cuore aveva preso di nuovo a sballottolargli contro le costole, per risalire poi l’esofago e soffocarlo contro il pomo d’Adamo. Una sensazione fin troppo piacevole….

E allora riuscì solo ad arrossire e a poggiarle distrattamente una mano sui capelli.

“Quanto sei stupida! Che c’entro io se ti metti sempre nei guai? Chiama piuttosto tua madre e tuo padre se non vuoi che mi facciano la pelle!” aggiunse scrollando le spalle “erano preoccupatissimi per te!” sorrise poi divertito ad immaginarsi la faccia sollevata e piangente di Kogoro Mouri, felice del fatto che sua figlia fosse sana e salva.

Quando furono seduti tutti tranquillamente nello studio dello scrittore Yusaku Kudo il pendolo dell’atrio suonava quattro rintocchi.

Ran Mouri si sentiva più tranquilla da quando aveva parlato al telefono con suo padre. Avrebbe voluto andare da lui, ma c’era sua madre e la ragazza voleva lasciarli soli per un po’…magari quella strana situazione avrebbe potuto risultare migliore di quanto non si aspettasse. E per il momento, aveva accidentalmente dimenticato di avvertire i suoi genitori del fatto che quella mattina era stata rapita. Shinichi l’aveva fissata di sottecchi mentre la sentiva mentire al telefono, ma non aveva detto niente. E adesso si trovava di nuovo, dopo tanto tempo, a casa sua. Ran avvertì un debole senso d’imbarazzo ad entrare nuovamente lì…

“Ran” le fece Sonoko con un sorrisetto maligno “a cosa stai pensando?”

“Eh?” chiese la ragazza spaesata, avvampando ancor di più “ma..niente…niente…”

“Ah si?” chiese Kazuha con l’aria altrettanto maliziosa.

“Non tormentatela così!” disse Kid con voce suadente, avvicinandosi alle ragazze e poggiando le mani sulle spalle di Ran “è stata una giornata un po’ dura per lei! Ha tutto il diritto di essere un po’ scombussolata!”

“Concordo pienamente” fece gelido Shinichi Kudo lanciando uno sguardo pauroso al ladro mentre si tirava vicino Ran Mouri trascinandola per un polso. Kaito Kid si limitò a sorridere divertito, scrollando le spalle.

“Che ne dici di raccontarci tutto?” chiese all’improvviso la piccola Ai Haibara fissando distrattamente l’orologio a pendolo che dal camino mandava un ticchettio un po’ inquietante.

Ran Mouri fissò per un secondo quella strana bambina dal passato talmente oscuro da spaventarla…quella bambina che, a volte, come Conan, non le sembrava affatto una bimba. Eppure…Ran ne era sicura…c’era tanta, tanta tristezza dietro quegli occhi che volevano sembrare così distanti dal mondo.

E proprio per questo la ragazza le si avvicinò con un caldo sorriso sulle labbra.

“Eri preoccupata per me, piccola Ai? Ti ringrazio!”

Shiho Miyano voltò ancor di più la testa bionda, abbassando le iridi grigie.

Quanto sarebbe stato più facile se quella ragazza fosse stata odiosa e stupida! Quanto sarebbe stato più facile….

La bambina sbatté gli occhi, sorpresa mentre incontrava lo sguardo azzurro di Shinichi Kudo che le sorrideva e un calore dolce le stringeva le spalle e la schiena.

Ran Mouri la stava abbracciando.

Proprio come quella volta.

Proprio come quando aveva rischiato la vita per salvarla dai colpi di quella donna.

Proprio come avrebbe fatto Akemi.

Che cosa avrebbe dovuto fare? Che cosa?

“LASCIAMI!” gridò Shiho Miyano in preda ad una dolorosa confusione, il cuore che le batteva precipitoso nel petto, gli occhi lucidi per delle lacrime che non si decidevano a scendere.

“Io…non…” balbettò la bambina. Poi, involontariamente le iridi grigie insolitamente accese, si posarono di nuovo su quel ragazzo chiamato Shinichi Kudo. L’espressione mesta del giovane la ferì più di quanto non avesse voluto e non ci riuscì…non riuscì a rimanere in quella stanza dove gli veniva sbattuto in faccia che non avrebbe mai potuto…non avrebbe mai, mai potuto…

Kazuha Toyama fissò attonita quella bambina dai capelli d’oro fuggire via, come spaventata dalla gentilezza di Ran. Ma quello sguardo…quegli occhi le avevano rivelato molto di più di quanto una semplice bambina potesse provare. Lanciò un’occhiata in tralice ad Heiji che fissava un punto imprecisato sul soffitto, grattandosi la nuca. Kazuha abbozzò un sorriso: quello scemo lo faceva sempre quando era in imbarazzo.

Ma la cosa che le parve più preoccupante fu lo sguardo sorpreso che Ran Mouri lanciò alla bambina e poi a Kudo. il ragazzo guardava sinceramente sorpreso la porta dalla quale era scomparsa la piccola Haibara, accennando un passo, come se avesse voluto seguirla.

Fu un attimo.

Un attimo solo.

Ma Kazuha Toyama lo notò lo stesso.

L’ombra di un dubbio oscuro e pesante invase le iridi blu di Ran Mouri.

“Perché non provi a parlarle tu, Shinichi?” disse la ragazza con un sorriso sincero “da bambini riuscivi sempre a consolarmi quando ero giù di morale!”

Shinichi Kudo scrollò le spalle sorridendo malinconico.

“No. Le passerà. A dir la verità a volte non riesco proprio a capirla!”

“Ah, le donne!” ironizzò Kaito Kid portandosi le mani dietro la nuca.

Kazuha Toyama fissò Shinichi Kudo attentamente, gli occhi stretti come fessure.

E Ran Mouri aveva dipinta sul volto un’espressione seria.

“Allora?” chiese il ladro Kid voltandosi verso tutti dalla poltrona girevole della scrivania di Yusaku Kudo “vuoi raccontarci che cosa ti è successo, bella signorina?”

Ran Mouri fissò imbronciata quel ragazzo prima di sospirare e lanciare uno sguardo deciso a Shinichi Kudo. Il ragazzo la guardò spaventato: quell’espressione fino ad allora gli aveva portato solo guai.

“Si” disse alla fine Ran senza smettere di fissare il suo amico negli occhi.

“Quindi sembra che la donna che ti ha rapito stesse preparando qualcosa per domani sera” disse Heiji Hattori pensieroso “ma che diavolo avrà in mente?” aggiunse poi pianissimo rivolto a se stesso e a Kudo che gli stava vicino.

Il giovane detective del Kanto, i gomiti appoggiati sulle ginocchia, ascoltava attentamente il racconto di Ran, elaborando le informazioni che la ragazza gli forniva.

“…ho trovato uno strano vano dove mi sono nascosta….”

Ran Mouri fissò ancora una volta in silenzio Shinichi Kudo prima di continuare.

Forse…forse quello che aveva visto era stata una vera allucinazione dovuta alla paura…non era il caso di raccontare una stupidaggine del genere ai suoi amici…l’avrebbero sicuramente presa per pazza….

“E dopo che sei uscita da quello scomparto segreto?” chiese Sonoko Suzuki, le mani strette di fronte al viso, rapita dal racconto entusiasmante dell’amica.

“Sono semplicemente uscita” disse la ragazza con un sorriso” mi sono tenuta lontana dalla strada perché c’era una BMW parcheggiata davanti al cottage dove mi avevano portato. Quando ho sentito l’auto allontanarsi, ho cominciato a camminare fin quando non mi hai trovata tu Sonoko! E poi è arrivata anche Kazuha con il taxi!” aggiunse sorridendo all’amica.

Heiji Hattori sbuffò infastidito mentre lanciava uno sguardo di rimprovero alla ragazza che sorrideva anche lei… allegra…come se non sapesse che gli aveva fatto prendere un accidente!

“Avevo seguito Sonoko perché gli uomini che l’accompagnavano mi sembravano sospetti!” disse Kazuha in imbarazzo.

“Invece erano solo dei collaboratori di mio padre! Gli avevo chiesto di aiutarmi a cercarti!” rise Sonoko Suzuki veramente divertita “quando ho visto che Ran non usciva più da casa tua, Kudo – kun, mi sono preoccupata e sono entrata, ma dentro non c’era nessuno! Se aveste voluto rimanere soli, Ran me l’avrebbe detto…” aggiunse la ragazza con un ghigno.

“Ehi!” scattò Ran Mouri in imbarazzo “che stai insinuando!”

“Ma dai la scusa di Conan – kun era palese!” sbuffò Sonoko dandosi arie sapute “ era logico che Kudo – kun fosse tornato e voleva farti uno scherzo…ehi, a proposito…ma che fine ha fatto quel piccolo ficcanaso?” chiese la ragazza pensierosa portandosi un dito al mento.

Shinichi Kudo sobbalzò impercettibilmente, mentre Heiji Hattori faceva del suo meglio per sembrare indifferente.

Una cosa che gli riusciva da sempre malissimo, pensò Kazuha Toyama fissandolo sospettosa.

Dalla scrivania Kaito Kid non riuscì a trattenere una risata che tentò malamente di coprire con un accesso di tosse fin troppo finto.

“E’ dai suoi genitori!” buttò lì Shinichi sorridendo nel modo più naturale che poté “ effettivamente avevamo organizzato uno scherzo per Ran insieme, ma poi sua madre è venuta a prenderlo per un po’ di giorni! I suoi genitori sono tornati per il Natale e volevano passare un po’ di tempo con lui! Scusatemi…” aggiunse poi il ragazzo portandosi una mano alla nuca in imbarazzo “con tutto quello che è successo mi sono dimenticato di dirvelo! E dire che si era tanto raccomandato di farlo sapere alla sua Raneechan!” sorrise poco convincente.

“La sua Raneechan?” fece Kid maligno “ehi, e non ti sei offeso?”

Shinichi Kudo si limitò a lanciargli uno sguardo assassino.

Kaito Kuroba falsamente spaventato scivolò più in basso sulla sedia, come a proteggersi.

“Beh, sono sicuro che ti chiamerà al più presto!” disse Shinichi Kudo a Ran Mouri, troppo preoccupato dal fatto di rendere credibile la sua menzogna per non accorgersi che la ragazza non aveva detto assolutamente nulla.

“Ora che mi ricordo…” disse Sonoko Suzuki all’improvviso.

“SI?” fece Shinichi contentissimo di portare la conversazione lontano dalla questione ‘Conan Edogawa ’.

“Ma certo! In quel posto ci sono già stata” continuò Sonoko fissando uno degli scaffali ricolmi di libri dello studio di Yusaku Kudo “ mia sorella è stata invitata in quel cottage per l’asta di oggetti rari che si terrà domani sera!”

“Asta di oggetti rari?” chiese Kid risorgendo improvvisamente dalla poltrona.

Sonoko Suzuki annuì “I partecipanti sono pochi e scelti ecco perché non se ne sa molto in giro, ma mia sorella si sta specializzando in arte e la sua professoressa è una degli invitati, per questo l’aveva messa al corrente della situazione. Io e Ayako ci siamo andate qualche giorno fa per vedere quanto fosse lontano da qui…mi pare…ah, si…Ayako mi ha detto che quella casa era la residenza di uno scrittore…uno non molto famoso…però mia sorella mi ha detto che era veramente bravo…”

“Takuya Imai” disse il ladro Kid senza nessuna nota interrogativa nella voce.

Shinichi Kudo e Heiji Hattori si fissarono un secondo, complici.

“Ah!” disse poi Sonoko Suzuki felicissima “ Ayako mi ha detto anche che quest’anno i partecipanti sono obbligati ad utilizzare gli abiti dell’epoca dello scrittore! Ma ve lo immaginate? Vestire come lady ottocentesche?”

“Niente di più facile!” disse Yusaku Kudo alla cornetta del telefono mentre continuava a pigiare febbrilmente i tasti del suo notebook, il barone della notte che si muoveva leggero nella mente “ guarda nella cassetta della posta. Dovrebbe esserci qualcosa che risolve i tuoi guai!”

“Il mio guaio peggiore sei tu!” sbuffò Shinichi Kudo seccato “perché diavolo non mi hai mai parlato di questi libri, della nostra parentela con Imai, del ritratto della moglie di Imai…?”

Yusaku Kudo smise per un attimo di vivere nella Londra del 1888 e si concentrò sulla conversazione con suo figlio “Ma ragiona un po’! se ti avessi detto che una tua bisnonna era la copia vivente della ragazza per cui ti sei preso una cotta come l’avresti presa?”

“E adesso? Come la prendo ADESSO?” strillò Shinichi al telefono “E IO NON MI SONO PRESO UNA COTTA!”

Yusaku Kudo fu costretto ad allontanare la cornetta dall’orecchio per evitare che la voce di suo figlio gli fracassasse il timpano destro.

“Shinichi, sei adulto ormai…cioè per ora” aggiunse maligno l’uomo “comportati tale! Io non avevo idea che il codice di Imai fosse così complesso! E poi non sono neanche sicuro della scomparsa di sua moglie!”

“Ho capito!” sospirò il ragazzo al telefono “da te non ci cavo più niente! Meno male che almeno per l’invito siamo a posto!”

“Beh, qualcuno avrà scoperto che sono il pronipote di Imai e mi ha chiamato per questo” ipotizzò Yusaku Kudo riprendendo a premere velocemente le lettere sulla tastiera “comunque stai attento, e pensa anche a Ran! Non è che sono tanto convinto del perché quelli che ti hanno rimpicciolito vogliano rapirla. Hai parlato con quella tua amica…Haibara?”

Shinichi Kudo sospirò sconsolato “No. Non so che gli è preso ed è scappata non appena Ran le si avvicinata….”

“Ahia…”
”Ahia, che?”

“Lascia perdere. Risolvi questo caso piuttosto. I problemi di cuore lasciali per dopo”

“Ma quali problemi di cuore?” fece Shinichi Kudo sinceramente perplesso “ papà ma ti senti bene?”

“Oddio ho un figlio tonto!” fece Yusaku Kudo a se stesso “ Se ti trovi nei guai faccelo sapere! Io e tua madre ci precipiteremo lì! Ora ti saluto! sono impegnatissimo! Devo assolutamente finire questa capitolo per martedì! Ciao!”

Shinichi Kudo non ebbe neanche il tempo di rispondere; un click secco aveva terminato la conversazione.

“SONO GIA’ NEI GUAI, IDIOTA!” sbuffò sbattendo la cornetta di malumore.

“Shinichi?”

Il ragazzo si voltò ancora irritato dal comportamento assurdo dei suoi genitori…non c’era che dire! Due veri irresponsabili!

“Che…?” le parole gli morirono in bocca.

La luce rosata del tramonto entrava soffusa nell’atrio incorniciando la figura di quella ragazza dai lunghi capelli castani che lo fissava seria, dritta, immobile.

Bella.

Troppo bella.

Shinichi Kudo deglutì a fatica.

Era abituato a vedere Ran Mouri, la sua amica d’infanzia, ogni giorno, nei panni di Conan Edogawa che da tre anni abitava con lei.

Però…

Sentì uno strano calore salirgli alle guance e colorargliele rendendolo consapevole di essersi un po’ dimenticato cosa voleva dire essere adulti. Ora lo stava rapidamente ricordando…

Si allargò a disagio il colletto della camicia.

“Posso parlarti?” disse piano la ragazza gli occhi blu fissi sui suoi, le gambe snelle che mossero un passo verso di lui.

Soli.

Erano soli.

Fu questo l’unico pensiero che agitò come una scarica i neuroni di Shinichi Kudo.

Perché diavolo se ne erano andati tutti?

Sarebbero tornati tra una mezz’ora… forse…

“Certo!” disse il ragazzo sorridendo imbarazzato, la voce insolitamente tremula. Era stato lì fermo a fissarla come uno stoccafisso per troppo tempo, accidenti!

“Non qui!” sorrise Ran dolce “andiamo di sopra!”

“EH?” fece il ragazzo sorpreso mentre quel terribile calore continuava ad avvampargli nelle vene.

Ran Mouri lo prese solo per mano e lo trascinò su per le scale, in quella che era la sua camera.

Entrati, la ragazza si chiuse la porta alle sue spalle e vi si appoggiò sospirando.

“E adesso” disse mentre Shinichi sentì il rumore inconfondibile di una chiave che girava nella toppa per ben due volte “ è il momento di dirmi la verità, Shinichi Kudo….tutta la verità…”

Il ragazzo la fissò nervoso, mentre il cuore aveva preso a battergli nel petto non solo per la vicinanza di Ran.

“Bene!” sghignazzò Kaito Kuroba mentre prendeva una cassa intera di birra e la ficcava nel carrello della spesa. Lanciò uno sguardo ad Hattori attento a guardare i nuovi allacci per il suo portatile. Se quei due pensavano che quella sera non se la sarebbe spassata si sbagliavano di grosso! Il giorno dopo avrebbero potuto morire sul serio e la sera prima non volevano festeggiare? Ma lui sapeva benissimo come fare a scioglierli….

“Kaito!” disse una voce allegra e dolce alle sue spalle.

Il ladro Kid sentì un brivido attraversargli la schiena e chiuse gli occhi sospirando.

Era impossibile non riconoscerla.

Si fece coraggio e si voltò.

“Aoko!” disse sinceramente sorpreso di trovarla lì.

“Non mi dire che vuoi fare un’altra delle tue pazzie?” disse severa la ragazza dai capelli scuri lanciando uno sguardo al carrello della spesa dell’amico.

“Vuoi unirti a me?” fece malizioso Kaito avvicinandosi.

“Ma neanche per sogno!” esclamò la ragazza, le guance leggermente e teneramente (notò Kid) velate di rosso “piuttosto hai già pensato ai regali di Natale?”

Kaito Kuroba sorrise.

“Pensi che mi sia dimenticato di te?”

“Ma che dici?” disse Aoko in imbarazzo “pensavo che è un po’ triste per te passare il Natale da solo…”

Il famoso ladro illusionista abbassò il volto e fece forza su se stesso.

“Probabilmente quest’anno non sarò da solo…” disse, una nota seria nella voce che la sua amica non gli aveva mai sentita.

“Ah…”fece la ragazza in imbarazzo “ allora posso dartelo ora il mio regalo…volevo portartelo proprio il giorno di Natale, ma visto che sei impegnato…”

Cominciò a frugare nella bella busta per cercare un pacchetto dall’aria morbida.

“Eh? Ma sei matta?” fece il ragazzo in fretta “ non si danno i regali prima!”

“Si, ma..”

“Vuol dire che lo troverò un po’ di tempo per vederti…il giorno di Natale…” disse Kaito Kuroba guardando interessatissimo una busta di mangime per cani.

“Ehi, Kaito –kun!” chiamò la voce di Kazuha Toyama da dietro uno scaffale. Poi, sorpresa la ragazza si avvicinò ai due.

Il ladro Kid, nei panni di un comune ragazzo lanciò un’occhiata preoccupata ad Hattori che però sembrava ancora immerso nello scaffale hi-tech.

Kazuha Toyama si fece più vicina e notò una strana ombra passare negli occhi nocciola della ragazza che era con Kid. Poi alzò lo sguardo e sorrise maligna.

“Allora” disse con aria di rimprovero al giovane “hai preso tutto? Guarda che quell’idiota di Heiji mangia come un elefante! Ah, piacere!” aggiunse poi stendendo la mano verso la ragazza sconosciuta “io mi chiamo Kazuha Toyama! Sei un’amica di Kaito – kun?”

“Ehm..si…”fece Aoko con un’aria imbarazzata “più che altro sono una sua compagna di classe…mi chiamo Aoko Nakamori”

“E’ una mia amica!” fece Kid leggermente irritato “qualche problema?”

Aoko fissò il ragazzo, stupita.

“No, assolutamente!” sorrise Kazuha ancor più maliziosa “ANZI!…Ehi…hai detto Nakamori?” chiese poi allibita.

“Ehm…si..” rispose Aoko perplessa.

Kazuha Toyama lanciò uno sguardo stupefatto al giovane dagli occhi azzurri dietro di lei che aveva preso a fischiettare fissando il nulla.

“Bene, bene…” fece la ragazza, un ghigno diabolico fiorito sulle sue labbra “sono contenta di averti conosciuta!”sorrise “ora è meglio che torni da quello scemo del mio ragazzo prima che cominci a sbraitare” aggiunse poi a bassa voce rivolta ad Aoko; le strizzò un occhio complice “non ti devi preoccupare!”

Aoko Nakamori fissò quella strana ragazza che si allontanava e si avvicinava ad un bel ragazzo dalla pelle scura…eppure…si quel ragazzo le era familiare…

Note dell’autrice:

Credo che non la smetterò mai di ringraziare tutti quelli che stanno leggendo la mia storia!!! Sono veramente felice!!! Le vostre recensioni mi spingono ad impegnarmi sempre di più!! Speriamo che i prossimi capitoli continuino a piacervi ^_____^

Akemichan…non ti preoccupare per le critiche! Anzi! Invito tutti a dire la loro se notano degli errori o delle imprecisioni ( purtroppo perdonate qualsiasi errore di battitura…ma rileggere sullo schermo per me è una sorta di tortura mongola e in questo periodo ho la stampante KO ç__ç )

Per il layout la colpa è sempre mia ^^” queste sono le prime volte che utilizzo l’html e non ne ho ancora un ottima padronanza…spero che con questo capitolo vada meglio ( che forse ho scoperto il segreto *__* )

Ultima cosa…per quanto riguarda gli occhi….Akemi mi chiedeva del grigio di quelli di Ai…è vero. Ho usato colori diversi per i diversi personaggi. Non avendo un riferimento grafico nella storia, sono stata costretta a utilizzare dei suggerimenti dati dai colori. In questo caso delle iridi. Il colore grigio , formato dal bianco e dal nero, indica un sorta di confusione nel personaggio stesso, un segreto celato…qualcosa di indecifrabile che lo caratterizza. Heiji ha gli occhi color lavanda, ossia viola ( a differenza dell’azzurro dell’anime ): il viola è il colore formato dal rosso ( l’ardore che caratterizza il detective del Kansai appunto ^_^ ) e l’azzurro ( colore della riflessione, della ponderatezza, del cielo sempre presente…il colore di Shinichi Kudo). Ran ha gli occhi blu profondi come tutti i sentimenti che prova ( e blue in inglese può essere tradotto anche come tristezza ç__ç ); Kazuha ha gli occhi verdi della speranza e dell’allegria; Takagi gli occhi nocciola della civetta (animale alle volte stupido, alle volte intelligene XD ); Gin ha gli occhi di ghiaccio…..

Dopo tutte queste spiegazioni di sicuro penserete che èer scrivere questa storia mi hanno dato una botta in testa non indifferente! XD

Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto! ^_________^

Eowyn

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Note dall’autrice: Scusatemi per la lunga assenza ( e anche in un momento cruciale ç___ç ) Ma ho avuto diversi impegni e final

Note dall’autrice: Scusatemi per la lunga assenza ( e anche in un momento cruciale ç___ç ) Ma ho avuto diversi impegni e finalmente trovo un po’ di tempo per postare questo 9° capitolo. Sono sempre contentissima dei vostri commenti! Mi emozionano tantissimo e scaldano il cuore! Spero che anche questo capitolo vi piaccia ^^..ehm…..^/////^ che dire…fatemi sapere se ho esagerato con il romanticismo XD! (a volte sono terrorizzata da quanto sono romantica >////<

E scusate i puntuali errori che ci saranno..ma alle volte lo schermo mi balla davanti agli occhi @____@

9.

Il detective Wataru Takagi fissò il volto avanti al suo: una rete di sottilissime rughe increspava quella pelle tanto vecchia e tuttavia l’uomo sorrideva come un bambino.

“Quindi è questo quello che le ha raccontato suo padre…e non pensa….beh…”

“Che mi abbia mentito?” chiese il vecchio, il sorriso dolce per nulla incrinato “a pensarci bene sembra un po’ una favola per bambini, ma non credo che mi abbia mentito. Era veramente il miglior amico del giovane Imai… l’ ho visto spesso quando veniva a casa mia” il vecchio smise di sorridere e fissò gli occhi ciechi sul volto giovane di Takagi “sembrava sempre molto, molto triste…Forse alla fine non è riuscito nel suo intento. Ricordo benissimo che diceva che il suo angelo non glielo avrebbe mai perdonato altrimenti…”

“Parla degli strani libri che stava facendo rilegare, quindi?”

“Non lo so” disse il vecchio, l’aria pensierosa mentre un dito saliva lentamente ad accarezzare la folta barba canuta “ mio padre non mi disse mai niente a riguardo. Quando provavo a chiedergli qualcosa mi guardava sempre sorridendo e mi diceva solo che a quell’uomo era stato portato via un pezzo di anima…” il vecchio antiquario sorrise mentre si accorse del the che la nipote stava mettendo davanti a lui e al loro strano ospite “di nuovo al gelsomino, vero Chihiro?”

Il detective Wataru Takagi annusò l’aria con più attenzione e sorseggiò dalla tazza di ceramica che gli era stata appena messa davanti. Stupì. L’uomo aveva pienamente ragione. Quelli erano fiori di gelsomino…ma come…?

“Non si meravigli agente” disse la ragazza dagli occhi ridenti come quelli del vecchio “il nonno è veramente imbattibile per queste cose!”

“Qualche altra domanda, signor investigatore?” chiese l’uomo con la stessa espressione amabile di un buddha.

Wataru Takagi prese un altro sorso di the prima di continuare “Conosceva un certo Hiroyuki Kazumoto?”

“Quello che hanno ucciso qualche giorno fa?” chiese Chihiro.

“Esatto. Era uno degli uomini in possesso dei libri. Insieme a Yusaku Kudo ovviamente..”disse Takagi continuando a fissare quelle iridi bianche…. Gli occhi vuoti di un uomo che seguitava a sorridergli come se ormai la vita fosse qualcosa che lui poteva solo captare, qualcosa che in fondo lo faceva divertire, ma che ormai non lo riguardava più

“…a proposito quella foto che è sul sito….potrei vederla?” chiese serio.

“Come vuole…agente” sorrise il vecchio “credo di conoscere il motivo della sua curiosità e le posso giurare che è autentica!”

Poco dopo Chihiro Takahashi gli consegnò un vecchio portafotografie dal quale Takagi estrasse il ritratto di un giovane di circa vent’anni. Dietro l’immagine c’era una frase scritta con una grafia minuta e sottile

Alla fine posso tenerti con me,

Shinji!

E.K.

“Sapete chi l’ ha scritta?” chiese Takagi perplesso. Ne sapeva poco sia di filologia, sia di grafologia, sia di tutte quelle strane prove che la scientifica utilizzava per accertarsi del fatto che i documenti fossero autentici. Tuttavia se quelle iniziali corrispondevano alla persona che aveva in mente c’era qualcosa che non quadrava…

“L’ ho visto” disse l’uomo seduto avanti a lui all’improvviso “ prima che tutto diventasse buio, l’ ho visto” il vecchio continuò a sorridere benevolo al giovane e per un attimo il detective Takagi avvertì una scossa di vitalità attraversare quelle bianche pupille cieche “ me lo farà sapere, non è vero?” chiese come se fosse stato un bambino “mi farà sapere il segreto?”

Il giovane agente Wataru Takagi sorrise.

“Ci conti”

Kazuha Toyama si avvicinò furtivamente al ladro Kaito Kid mentre quello scemo di Heiji si era soffermato a fissare la vetrina dell’ennesimo negozio di elettronica.

“Allora….” Cominciò la ragazza un sorriso diabolico inciso sulle labbra “dunque, vediamo….proprio carina la figlia dell’ispettore Nakamori…”
Kaito Kuroba sbuffò irritato.

“E allora?” fissò la ragazza di sottecchi “non penserai che ci sei solo tu di bella ragazza a questo mondo!”

“Risparmiati i complimenti” fece Kazuha gelida “ si vede lontano un miglio che servono per farmi deviare dal discorso, ma, mi spiace per te, stavolta sei fregato!”

“Scusa e in che modo?” chiese il ragazzo, lo sguardo spavaldo puntato sulla fidanzata di Hattori.

Kazuha Toyama regalò a Kid uno di quegli incredibili sorrisi di trionfo che Heiji sfoggiava ogni volta che risolveva un caso.

“Lei ti conosce” disse “ e probabilmente con il tuo vero nome. Poi non c’è niente di più sicuro che nascondersi in casa del nemico, non è così? In più se si è interessati anche alla figlia di questo nemico….”

“Ehi, che intendi dire?” esclamò Kaito Kuroba sorpreso “a me interessano tutte le ragazze…”

“See, see… “Kazuha gli lanciò un’occhiata maliziosa “guarda che sei arrossito e si vede lontano anni luce che tu piaci a lei…e che lei piace a te….”

Kaito Kuroba abbassò il volto cercando di nascondere l’imbarazzo. Se continuava così la sua reputazione di dongiovanni andava a farsi benedire…

“Ti ripeto che non mi interessa particolarmente”

“Se ti interessa o meno a questo punto è irrilevante” disse Kazuha seria “ quello che più importa è che lei ti conosce. Ho notato lo sguardo preoccupato che hai lanciato a Heiji quando l’ hai vista”

Il ladro Kid fissò di sottecchi quella ragazza di Osaka e rimase in silenzio.

Kazuha Toyama lo guardò trionfante.

“E ora se non vuoi che dica tutto ad Heiji e a Kudo, dovrai darmi un’informazione preziosa”

“Che tipo di informazione?” chiese Kaito Kid i denti stretti dal sospetto.

“Un segreto che riguarda Kudo. E non provare a mentirmi. So che lo sai” disse la ragazza mentre controllava che Heiji fosse ancora completamente assorto nel mondo tecnologico della vetrina poco distante.

Shinichi Kudo fissava spaventato la ragazza che gli stava di fronte. Dritta e seria, Ran Mouri riusciva ad incutere un certo timore quando aveva quell’aria così decisa…soprattutto per quelli che sapevano che era una campionessa di karate.

‘Non l’ ha bevuta ’ si rese conto Shinichi mentre setacciava con lo sguardo la sua stanza per vedere se ci fossero eventuali vie di fuga.

Questa volta s’era fatto mettere in scacco.

Era ovvio che se Ran l’aveva portato lì era stato preparato tutto prima.

Infatti. Tende e finestra serrate, porta chiusa a chiave.

Il suo cuore ebbe tutto sommato un guizzo. Ma proprio la sua camera doveva scegliere? Si chiese il ragazzo in subbuglio. In quel letto aveva sognato di stringerla forte prima che diventasse un bambino….

Stupido! Stupido!

Scosse la testa per riprendere il controllo.

Ma si sentiva in fiamme.

“Ehi, Shinichi, tutto bene?” chiese Ran preoccupata avvicinandosi.

Prima che il ragazzo avesse il tempo di risponderle, lei gli aveva appoggiato una mano sulla fronte e stava confrontando il calore con la sua.

“Scotti” sbuffò “Ovvio, se te ne vai in giro praticamente senza niente addosso! Soprattutto se hai avuto un febbrone da cavallo prima! Dovresti avere un po’ più cura di te stesso! ”

“O smettila! Ho passato di peggio!” sbuffò il ragazzo infastidito.

Ran Mouri lo fissò di nuovo, senza aggiungere niente.

“Stupido!” gli disse piano la ragazza “stai così male che non ti accorgi nemmeno di come parli!”

“Eh?” fece Shinichi Kudo sinceramente sorpreso “ma che dici?”

“Non hai neanche provato a dirmi che non era vero…” disse Ran, la testa bassa “non hai smentito una solo parola che ho detto…non hai sistemato il discorso questa volta….e neanche prima….”

Shinichi Kudo fissò quella ragazza, le iridi azzurre spalancate. Era veramente stato disattento. Se non ci fossero state mille cose a cui pensare, se non ci fossero stati quei libri, quel segreto e quel ritratto….e poi il rapimento….

Questa volta era sul serio nei guai.

“Smentire, che?” fece seccato “perché non si vede che ho la febbre?”

“Ma allora sei proprio scemo!” strillò la ragazza irritata “lo sai benissimo che non mi riferivo alla tua febbre. Brutto idiota che non sei altro!” Ran Mouri alzò lo sguardo lucente sul suo amico d’infanzia, dentro un dolore così profondo da distruggerla “perché non ti fidi di me, Shinichi?”

Il ragazzo sollevò finalmente gli occhi su Ran.

“MA SI PUO’ SAPERE CHE VAI DICENDO?” strillò adirato avvicinandosi minaccioso “DA DOVE TI VENGONO FUORI QUESTE STRONZATE?”

Ran Mouri lo fissò, per un attimo completamente sbalordita e quasi spaventata dalla reazione così forte del suo amico. Poi, lo capì.

E fissò Shinichi Kudo con occhi ridotti a fessure.

“Perché non me lo dici tu, Conan –kun?” disse aspra.

Shinichi Kudo dovette fare appello a tutto il suo coraggio per riuscire a mantenere la stessa espressione seccata di qualche secondo prima. Cominciava a sentire la febbre salire e le gambe avevano preso a tremargli leggermente.

“Ancora con questa storia?” disse sospirando “ma quante volte te lo devo dire? Io e quel moccioso occhialuto NON siamo la stessa persona! Ci hai visti insieme, no? “ poi il ragazzo si portò una mano al mento come se un pensiero strano lo avesse fulminato “però da un certo punto di vista mi somiglia…solo che quando ero un bambino io, ero molto più carino…”

Ran Mouri fissò il suo amico d’infanzia mentre la collera le saliva dentro mista ad un senso d’imbarazzo crescente…se Shinichi e Conan erano la stessa persona, allora…allora…

“Piantala di dire scemenze e spiegami piuttosto che ci facevi stamattina a casa mia lì dove la sera prima avevo lasciato Conan! Avevamo dormito insieme perché lui aveva avuto un incubo terribile e gli era venuta la febbre alta…proprio come a te!” disse la ragazza con forza per distogliere lo sguardo subito dopo, imbarazzata “perché quando mi sono svegliata per caso c’eri tu al suo posto?”

Shinichi Kudo fece di tutto per evitare di arrossire. Abbassò il volto sbuffando, poggiando disinvoltamente le mani sui fianchi.

“E che ne so io! L’avrai sognato. Convinta delle tue idee idiote hai creato un sogno che fosse reale…scusa, e poi?”

“E poi…cosa?” chiese la ragazza spiazzata.

“Beh, dopo avermi visto che è successo? Ti ho parlato? Che ho fatto?”

Ran Mouri si rese conto di non ricordarlo.

“Io…io non lo so…” balbettò confusa.

“Visto!” sorrise il ragazzo trionfante “è stato solo un sogno. Se fosse stato vero ti saresti ricordata il resto, no?”

“Ricordo solo di essermi svegliata e aver trovato il messaggio di Conan….”

“Ma perché non ci rifletti prima di avanzare ipotesi che non stanno ne in cielo ne in terra?!” Shinichi Kudo sbuffò seccato ficcandosi una mano nel ciuffo ribelle come se fosse realmente infastidito da quella situazione. Avrebbe risolto metà dei suoi guai se Ran avesse saputo la verità, ma non poteva ancora permettersi di rivelarle tutto….non sapeva per quanto tempo ancora sarebbe rimasto nel suo corpo. E poi…avrebbe potuto veramente farlo a questo punto?

“Ehi, Shinichi, tutto bene?” chiese Ran avvicinandosi preoccupata.

Era già troppo coinvolta senza sapere nulla…

“E’ solo un po’ d’influenza!” sbuffò il ragazzo con noncuranza, tuttavia sentiva le gambe diventare sempre più deboli e la vista appannarglisi “Accidenti a te…se non mi fossi precipitato a cercarti non sarei in questo stato!”

…se avesse saputo….se avesse saputo….

“Scemo!” strillò la ragazza rossa per l’irritazione e per il fatto che Shinichi le aveva appena fatto capire di essersi preoccupato per lei “non ho chiesto io di essere rapita!”

…esatto….

Shinichi Kudo sorrise tristemente divertito da quelle parole. Quando cercò di parlare però gli mancò il fiato e scivolò in avanti, mentre anche le gambe cedettero definitivamente.

Ran Mouri vide solo il suo amico d’infanzia crollarle fra le braccia. In imbarazzo, la ragazza fece un passo indietro per tentare di bilanciare il peso, tuttavia non ci riuscì: il letto alle sue spalle le aveva impedito di arretrare e i due ragazzi caddero morbidamente sul materasso.

Ran Mouri non sapeva se quello che sentiva era il suo cuore o quello di Shinichi Kudo, ma gli pareva che entrambi battessero fortissimo.

“Shinichi…” tentò di dire, ma le morirono le parole sulle labbra e rimase immobile, il petto del suo amico che premeva sul suo.

“Ran….scusami…” cominciò il ragazzo, l’aria che usciva a fatica dai polmoni “ti procuro solo guai….” finì prima di abbandonarsi totalmente e svenire sul corpo della ragazza.

Ran Mouri fissò il soffitto mentre sentiva le guance come due altiforni. Il respiro di Shinichi era più regolare ora, ma sembrava essere svenuto. Il suo braccio che le circondava il petto e le cadeva oltre la spalla, dava così tanto calore…

“Scemo…” disse la ragazza mentre due lacrime le rigavano le guance.

“EHILA’!” gridò all’improvviso la voce di Heiji Hattori che insieme agli altri aveva spalancato la porta della stanza.

Shinichi Kudo starnutì e si soffiò il naso sonoramente.

“See, see…adesso fai finta di essere malato” disse Heiji Hattori fissando il suo amico con uno sguardo sadico “prima però….”

Il giovane detective dell’est lanciò uno sguardo di puro odio all’amico del Kansai e al ladro Kid che ridevano come scimmie delle sue disgrazie.

“Se volevi rimanere solo con Mouri avresti dovuto dircelo!” continuò Hattori con lo stesso tono malizioso “ ci avremmo impiegato più tempo a fare la spesa!”

“Già!”intervenne Kid trattenendo a stento una risata “ci sono tanti minimarket nella zona…avremmo anche potuto approfittare per andare a comprare i regali di Natale… lì si che di vuole del tempo!”

“MA LA PIANTATE!” urlò Shinichi Kudo esasperato “HO LA FEBBRE E SONO SVENUTO, TUTTO QUI!”

‘E come diavolo avranno fatto ad entrare?’ pensò il ragazzo in imbarazzo ‘la porta era chiusa a chiave…’ poi alzò il volto arrossato anche dall’influenza ‘…due volte…vuoi vedere che…?’ e sorrise pensando che questa volta era stato preso in giro sul serio.

“Smettetela di dire scemenze!” sbuffò Ran Mouri entrando nella stanza e portandosi dietro una borsa del ghiaccio e un paio di enormi coperte. Tuttavia non riusciva ancora ad avere il coraggio di guardare in faccia il suo amico d’infanzia.

E per Shinichi Kudo era la stessa cosa.

Era vero che era svenuto, ma dopo che lui e Ran erano caduti sul suo letto…erano stati così vicini…quel morbido….avviluppante tepore…

“Ora, cerca di stare attento!” soffiò la ragazza avvolgendolo in una coperta e ficcandogli un termometro in bocca.

“Ehi!” obiettò Shinichi seccato “mica si tratta così un povero malato!”

“Se hai la forza per sbraitare stai già meglio!” fece Ran severa “piuttosto ci sono molte cose che dovete spiegarmi. Tutti quanti” aggiunse rivolgendosi ai tre ragazzi seduti sulla poltrona dello studio di Yusaku Kudo.

Il detective dell’Est, quello dell’Ovest e l’ultimo mago del secolo trassero un sospiro di sollievo quando sentirono il campanello della porta suonare.

“Ma chi è?” chiese Shinichi felice di togliersi di dosso quell’enorme coperta e cominciando di nuovo a starnutire.

“Ehi!” strillò Ran “ dove hai intenzione di andare?”

“A vedere chi è, no? Questa è pur sempre casa mia!” ‘e soprattutto è disabitata da almeno tre anni ’ aggiunse il ragazzo fra sé.

“C’è Kudo? All’ospedale mi hanno detto che se ne era andato…” domandò una voce familiare nell’ingresso.

“Ah, si!” si sentì la voce di Kazuha “di qua!”

“Agente Takagi?” chiese stupito Shinichi Kudo non appena il giovane mise piede nello studio.

“Salve” sorrise Wataru Takagi con la sua solita aria infantile “scusa se ti disturbo a casa, ma visto che sei tornato ho un po’ di domande da farti…in privato possibilmente….” Aggiunse piano lanciando uno sguardo agli altri ragazzi presenti.

“Se si tratta di un’indagine può dire anche a me” fece Heiji Hattori ostentando un’aria saputa appoggiando disinvoltamente un braccio sul retro del divano.

“Se invece i suoi dubbi riguardano il furto di un libro, ne sappiamo molto anche noi” disse il giovane ladro Kid lanciando uno sguardo penetrante all’agente investigativo Wataru Takagi.

“Chi è quel ragazzo?”chiese il poliziotto sorpreso “ un tuo parente Kudo? Vi somigliate molto!”

“Sono suo cugino!” sorrise il ladro con aria spavalda “Kaito Kuroba, piacere!”

Kazuha Toyama lanciò uno sguardo acuto al ragazzo prima di tornare a fissare l’agente Takagi.

“Allora, che c’è?” chiese il giovane detective dell’Est mentre sentiva di nuovo la febbre salire a livelli pericolosi.

La scienziata Shiho Miyano stava rannicchiata nel vano della finestra dalla quale si poteva vedere la casa di quel ragazzo chiamato Shinichi Kudo. Scosse la testa imbarazzata…

Come aveva potuto scappare via a quel modo senza dare nessuna spiegazione plausibile?

Come minimo quell’idiota di Kudo –kun non aveva capito nulla, ma …ne era certa…lo sguardo che Toyama le aveva lanciato era piuttosto eloquente… e anche Mouri…

Ai Haibara sospirò affondando il bel viso tra le braccia, lasciando intravedere solo i penetranti occhi grigi, mille pensieri che s’infrangevano come gocce di pioggia su un vetro freddo…mille pensieri chiusi in un cuore che non avrebbe mai dovuto aprirsi…

Il dottor Hiroshi Agasa aveva preso a gironzolarle intorno da quando era tornato. Rientrato in casa da poco, si era accorto che era sola e probabilmente aveva capito che era successo qualcosa.

Prima che l’ometto potesse avvicinarsi per l’ennesima volta, solo per poi sospirare indeciso, il cellulare di Ai trillò, troppo serio per essere quello di una bambina, e la scienziata premette la cornetta verde con un sospiro.

“Allora? Ti senti meglio?” gli chiese al telefono la voce di Shinichi Kudo.

“ Si, un po’…” disse piano la ragazza.

“ Bene…perché è appena venuto Takagi e mi ha dato delle informazioni interessanti….vorrei sapere che ne pensi…”

“Arrivo subito” rispose Ai Haibara la voce incerta. Il fatto di tornare in quella casa così presto le era un po’ forzato, ma sarebbe successo….

….prima o poi….

“Lo capisco….” disse improvvisamente Shinichi Kudo dall’altro capo del telefono “ io….lo so che Ran ti fa pensare a tua sorella….”

Ai Haibara rimase in silenzio mentre un sorriso mesto le incurvava le labbra rosee.

“Grazie” rispose solo.

“sto arrivando” aggiunse dopo una lunga pausa.

E la bambina seppe che dall’altro capo del telefono Shinichi Kudo le aveva sorriso.

“Sembra che ci siano delle novità professore” disse poi saltando agile dal vano della finestra e riacquistando la sua solita aria glaciale “e se non sbaglio anche lei ha qualcosa da dirci? Non è così?”

L’ometto si limitò a sorridere in imbarazzo e a seguire la bimba fuori dalla porta.

Kogoro Mouri guardò sua moglie di sottecchi come se da un momento all’altro avessero dovuto spuntarle delle corna e un forcone che lo avrebbe frustato a sangue. Tuttavia Eri Kisaki si limitò a tastargli la fronte quasi distrattamente e a fargli ingurgitare le pillole che l’infermiera gli aveva portato.

Ma quando anche l’ultima visita fu terminata, la donna chiuse la porta della stanza 135 dell’Ospedale Distrettuale di Beika e fissò il suo ex marito negli occhi scuri.

- Allora – cominciò e Kogoro Mouri seppe che il forcone si era appena materializzato – si può sapere che diavolo hai combinato per avere una punizione del genere?-

- Ma che cavolo dici?- chiese l’uomo sorpreso.

- Mio Dio, come ho fatto a sposarti!- sospirò la donna sconsolata – non ti rendi conto della situazione?-

-E che cosa dovrei fare, secondo te?- sbottò il detective privato con un’espressione fin troppo seria – credi che non abbia capito che era Ran che volevano?-

Eri Kisaki guardò il suo ex marito sorpresa. Quell’uomo era un idiota per il resto, ma se si trattava delle persone che amava sapeva diventare improvvisamente un eroe.

- Chi pensi che sia? – chiese Mouri alla moglie.

- Io non ne ho idea – cominciò la donna pensierosa – ma sono convinta che qualcuno ne abbia una – sorrise – e bella precisa….- poi fissò quello stupido uomo negli occhi con aria perplessa - sei proprio sicuro di non aver fatto una delle tue solite uscite imbecilli negli ultimi tempi?-

- Ma come pensi che il più famoso detective del mondo, Kogoro Mouri, potesse fare delle scemenze…- si impettì l’uomo accasciandosi un secondo dopo per le fitte lancinanti alle costole fratturate.

Eri Kisaki, alzando gli occhi al cielo, si avvicinò a suo marito per sorreggerlo mentre di lamentava come un ippopotamo con l’ernia.

Poi quando la donna alzò il volto sull’uomo notò una strana espressione seria che ne dipingeva quei tratti purtroppo affascinanti.

- Eri – chiamò Mouri senza alzare lo sguardo su di lei, vicino a sua moglie non si ricordava neanche più da quanto tempo.

- Che c’è?- chiese la donna, il battito involontariamente accelerato.

- Faresti una cosa per me?- disse il detective alzando finalmente gli occhi su di lei.

E in quel momento l’avvocato Eri Kisaki si ricordò il motivo che l’aveva spinta a sposare quell’idiota….

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Note dell'Autrice: Buondì a tutti^^Non mi stancherò mai di ringraziarvi per le vostre recenzioni! Sono straordinarie e mi fanno sentire sul serio benissimo! Spero che Ruedoki riesca sempre ad essere all'altezza ^^ Mi scuso se ancora non riesco ad utilizzare per bene il linguaggio html...ho provato qualsiasi combinazione, ma sembra che non mi voglia proprio dividere i paragrafi! -_- perdonatemi quindi per il disagio che crea nella lettura! Per il resto, probabilmente ci sarà qualche errore che sfugge sempre alla mia debole vista! A voi il decimo capitolo! ^___^ e fatemi sapere come sempre cosa ne pensate! Eowyn ^^

10.

L’agente speciale Miwako Sato rigirava fra le mani il foglio che qualche ora prima il detective Takagi gli aveva messo sotto il naso. Più ci pensava e più non riusciva a capire chi avesse potuto architettare una cosa del genere. Ma soprattutto….perché?

Che cosa ci si guadagnava a fare una denuncia di furto con un altro nome? Forse l’uomo che era stato derubato non voleva far conoscere la sua identità….. alla polizia… ai ladri…a chi? O forse si trattava solo di uno scherzo? In fondo a Hiroyuki Kazumoto quel libro era stato già derubato una volta…possibile che quel vecchio ne possedesse un altro?

Secondo quanto le aveva detto Takagi si trattava di testi molto costosi…ma, soprattutto, di quella specifica edizione, ne esistevano solo cinque copie, una di queste in possesso del famoso scrittore Yusaku Kudo….

….e adesso, proprio adesso, anche suo figlio, troppo raro ad incontrarsi negli ultimi tempi, si era fatto di nuovo vivo….

…e, infine, il nome Kudo era anche quello della moglie scomparsa di Takuya Imai, l’autore di quel testo da collezione.

In più, qualcuno si era introdotto in casa di Kogoro Mouri per tentare di rapire sua figlia…questo era evidente.

Miwako Sato sbuffò esasperata lanciando con malagrazia il foglio sulla scrivania. Per quanto ci pensasse qualcosa le diceva che anche la figlia di Mouri c’entrava con tutto questo…in fondo non era un’amica di Shinichi Kudo? La donna sorrise pensando che se c’entrava veramente Kudo in tutto questo, il motivo del tentato rapimento era piuttosto palese…

Ma qui la cosa si stava facendo un po’ troppo complicata…

Un lieve tintinnio interruppe il flusso dei suoi pensieri e Sato alzò il volto sul vetro del suo ufficio da dove Yumi le faceva cenno di uscire.

“Lavoro, lavoro!” disse la ragazza elargendole uno dei suoi soliti sorrisi “ tu e Takagi domani siete di turno all’asta che si terrà nel vecchio cottage fuori Tokyo”

“Che?” chiese Sato contrariata “e perché?”

“Pare che ci sarà un’asta per collezionisti privati ed è stata richiesta la collaborazione della polizia per la tutela degli oggetti in vendita”

“Devono essere proprio con l’acqua alla gola per chiedere aiuto a noi” disse Sato maliziosa.

La poliziotta Yumi si limitò a sorriderle “Comunque sia domani mattina dovrete recarvi alla vecchia villa Imai. Sai dov’è?”

“Hai detto ‘Imai’?” fece l’agente speciale sbalordita.

“Esatto. L’asta si terrà lì. Perché? C’è qualcosa che non va? Ehi, Sato….?”

Yumi fissò perplessa l’espressione attonita che era comparsa sul volto della sua amica.

“Ehm…scusate, signore….” Disse all’improvviso una vocetta tremolante alle loro spalle “avrei una denuncia da fare…a chi posso rivolgermi?”

Le donne si voltarono ad incontrare due occhietti timidi e acquosi che guardavano dalla loro parte. L’ometto dai capelli di paglia le guardava stralunato, voltando velocemente la testa da un lato e dall’altro come se si aspettasse di veder saltare fuori un qualche demone scuoia – scalpi con un’accetta in mano.

“Può dire anche a me” fece Yumi sorridendo dolce “ prego da questa parte. Cosa vorrebbe denunciare?”

“Un furto” disse piano l’ometto rigirandosi le mani l’una nell’altra continuando a lanciare sguardi indagatori intorno “ il furto di un oggetto rarissimo….un libro….”

Miwako Sato fece tre balzi indietro.

Il che le permise di trovarsi in un lampo accanto a quello strano uomo.

Il professor Hiroshi Agasa lanciò uno sguardo interrogativo a quella bambina che abitava con lui e che si limitò ad un’alzata di spalle.

“Si può sapere che cosa avete scoperto?” chiese la piccola Ai Haibara incrociando le braccia sul petto e sospirando mentre sembrava che nello studio di Yusaku Kudo quei tre ragazzi avessero ognuno un’idea differente nella testa.

Heiji Hattori, famoso detective dell’Ovest, passeggiava avanti e indietro, nervosamente, fermo solo di tanto in tanto, una mano al mento mentre scuoteva la testa, perplesso.

Kaito Kid, ultimo mago del secolo, appoggiato al vetro freddo della finestra, fissava la strada distrattamente, gli occhi azzurri concentrati e vigili, perso in pensieri innumerevoli.

Shinichi Kudo, ritrovato studente detective, accoccolato sulla poltrona del padre, aveva portato le ginocchia al petto, le mani giunte e poggiate sulle labbra, la mente che, febbrile, elaborava delle informazioni a lei ancora sconosciute.

La scienziata Shiho Miyano abbassò il volto da bambina per un secondo; almeno sembrava che le ragazze non ci fossero.

“Dobbiamo ancora aspettare molto?” chiese prendendo bonariamente in giro quei ragazzi che da quando era tornata a momenti non l’avevano neanche guardata in faccia.

“Lasciali perdere ‘sti idioti!” le disse allegra una voce all’orecchio.

La bambina si voltò sorpresa dal fatto di non aver sentito alcun rumore.

Kazuha Toyama le sorrideva amabilmente e dietro di lei anche Ran Mouri aveva la stessa espressione dolce.

Ai Haibara voltò lo sguardo, schiva, mentre solo un rossore delicato mostrava il suo stato di agitazione.

“Il the!” annunciò Kazuha con il suo solito fare brioso mentre poggiava sulla scrivania sette tazze fumanti.

Heiji Hattori ne afferrò malamente una e bevve, rapido un sorso, ustionandosi la gola e cominciando a tossire come un forsennato.

“Ma che….cacchio….” sputacchiò disperato.

“Se sei scemo…” cominciò Kid sghignazzando.

Kazuha Toyama si limitò a battere con una forza inaudita la schiena del famoso detective dell’Ovest.

Heiji Hattori la guardò di sottecchi, le iridi ametista arrossate per il principio di soffocamento.

“Ragazzi, ce lo volete dire o no che diavolo vi ha detto Takagi?” sbuffò alla fine il dottor Hiroshi Agasa spazientito.

Hattori smise quasi immediatamente di tossire e fissò serio Kudo, insieme a tutti gli altri nella stanza.

Il giovane detective dell’Est abbassò le ginocchia e si sporse in avanti appoggiandovi i gomiti e congiungendo le mani.

Chinò un secondo il volto e inspirò profondamente prima di iniziare.

“Cercando nella rete informazioni su Imai, Takagi si è imbattuto in un sito che riportava una strana storia”

“Ossia?” chiese Ai Haibara senza rendersene nemmeno conto.

Shinichi Kudo ed Heiji Hattori le lanciarono uno sguardo eloquente.

La bambina azzittì fissando con la coda dell’occhio le altre due ragazze presenti nella stanza.

Poi un rumore croccante, improvviso, un po’ troppo improvviso… risuonò nella stanza

“Accidenti!” esclamò Ran Mouri fissando i cocci della sua tazza in frantumi sul pavimento “Scusate continuate pure….vado un secondo in cucina…”

“Aspettami vengo con te!” disse Kazuha Toyama allontanandosi seguendo l’amica.

Shinichi Kudo ed Heiji Hattori lanciarono uno sguardo perplesso alla porta che si era appena chiusa alle loro spalle.

Ai Haibara abbassò il volto, pensierosa.

Allora quegli sguardi non li aveva immaginati.

Quando rialzò le iridi grigie si ritrovò a fissare un azzurro intenso che le sorrideva simile a quello di Shinichi Kudo. Il ladro Kid la stava guardando mentre uno strano sorriso gli increspava le labbra. Shiho Miyano lo osservò un attimo sorpresa prima che Kudo riprendesse il suo racconto.

Kazuha Toyama fissò Ran Mouri nelle iridi blu non appena la porta dello studio si serrò dietro di loro. Le due ragazze non emisero un fiato. Si sorrisero solo l’un l’altra prima di accostarsi alla porta e sentire quello che, era evidente, nessuno voleva fargli sapere.

O notare.

“Che strana storia?” chiese Agasa sedendosi sulla poltrona accanto al camino spento e sorseggiando piano il suo the.

“Guarda un po’ qua” gli disse Heiji Hattori porgendogli una macchinetta fotografica digitale.

Ai Haibara scivolò dalla bella sedia di rovere per avvicinarsi al vecchio professore e fissare lo sguardo sullo schermo a cristalli liquidi.

Subito dopo entrambi alzarono uno sguardo sconvolto.

“Quello è il figlio di Imai” sorrise il ladro Kid “l’unico figlio di Takuya Imai”

“Non vorrai dirmi che….”cominciò Agasa stupito.

“Sul retro del ritratto c’è una frase” disse Shinichi Kudo fissando l’ometto negli occhi “un messaggio che porta le iniziali E. K.”

“Eri Kudo”disse Ai Haibara piano.

“Esatto” continuò Kudo con una calma innaturale “la stessa donna del ritratto nel mio libro”

“Pensi che non sia stata la moglie di Imai, non è così Kudo –kun?” chiese la scienziata Shiho Miyano guardando nuovamente la vecchia foto sulla macchinetta dell’agente Takagi.

“Non posso pensare niente, senza prove” rispose Shinichi Kudo, una nota ansiosa nella bella voce “ il problema non è se quella donna fosse stata o no la moglie dello scrittore”

“Che?” chiese Agasa sempre più perplesso.

“Il problema sta nel fatto che Imai , il padre intendo, era già morto quando quei cinque libri furono stampati” intervenne Heiji Hattori appoggiandosi alla scrivania di noce, poco distante da Kudo.

“Ovvero” concluse Kid senza staccare gli occhi dalla strada “ è stato il figlio di Imai ad organizzare questo giochetto”

“CHE?” chiesero in coro Ai Haibara ed Hiroshi Agasa stupiti “ma per quale motivo? Perché usare il nome di suo padre? Che cosa c’è nascosto in realtà in questi libri?” aggiunse la bambina fissando Shinichi Kudo, lo sguardo del ragazzo perso nel vuoto.

“Non lo so” disse il ragazzo “forse la donna del ritratto era sua madre e il codice riguarda comunque il segreto di questa scomparsa…o forse si tratta di sua moglie …”aggiunse, una nota di imbarazzo udibile distintamente.

“Sarebbe plausibile”disse Agasa portandosi una mano ad accarezzarsi i folti baffoni bianchi “ ma scusa Shinichi, pensi che le informazioni trovate su un sito internet siano attendibili?”

“Purtroppo” sospirò il ragazzo “in questo caso direi proprio di si. Takagi ci ha riferito di essersi precipitato dall’uomo che ha rilasciato l’intervista su Imai…”

“Si tratta di un vecchio antiquario” intervenne Kid fissando finalmente l’attenzione sugli altri “ Hiroki Takahashi. Lo conosco piuttosto bene”

“Immagino…”fece Hattori lanciandogli uno sguardo maligno.

“Guarda che è una brava persona!!” sbuffò Kid sulla difensiva.

“Quest’uomo” tossì forte Kudo “sostiene che suo padre fosse stato un grande amico del giovane Imai ed è abbastanza in là con gli anni per essere credibile. Inoltre, è sua nipote a gestire il sito e la ragazza prende tutte le informazioni direttamente da lui”

“È stato il vecchio di persona a parlare a Takagi della morte del vecchio Imai e del fatto che fu suo figlio a curare questa particolare edizione. In più ci ha anche dato la conferma che a quell’epoca Imai aveva già cambiato nome in Kudo” disse Heiji Hattori avvicinando, questa volta con molta cautela le labbra alla tazza.

“Che cosa?” esclamò l’agente Wataru Takagi pilotando la sua Ford oltre il traffico di Shibuya “ma ne sei proprio sicura, Sato-san?”

“Pensi che abbia le allucinazioni?” urlò seccata la voce dall’altra parte dell’auricolare “è proprio così. Quell’uomo ha detto di essere stato derubato di una di quelle famose cinque copie!”

“Ti ha detto per caso che aspetto aveva il libro?” chiese l’uomo stringendo le palpebre e superando con un’insolita destrezza il bambino e la nonnina che sembrava avessero una voglia matta di finire sotto le sue ruote.

“In che senso?” fece Sato, la bella voce perplessa.

“Kudo mi ha mostrato le copie in suo possesso”

Le copie?”

“Esatto. Le copie” Takagi si schiarì la voce “ avevano colori differenti e gli ho fatto notare che nel rapporto stilato diciassette anni fa il libro era descritto come oggetto quadrato dalla copertina in pelle bianca. Kudo ha i tomi rosso e verde”

“Come…ma di che diavolo stai parlando?” poi Sato sentì oltre i vetri del suo ufficio il rumore pieno di un motore a benzina morire nel parcheggio del Dipartimento di Polizia Metropolitano. Si fece più vicina alla finestra per vedere un uomo giovane e alto, dall’elegante completo sabbia, scendere dalla vettura grigio-metallizzato e sollevare uno sguardo verso di lei.

Takagi si tolse gli occhiali da sole e premette il tasto che dall’auricolare Bluetooth passava alla comunicazione diretta con il cellulare.

“Quei colori hanno un significato ben preciso “ il giovane sorrise sicuro “ e questa volta ho intenzione di scoprirlo prima di Kudo”

“San” ovvero il numero tre, “un” ovvero destino, “kami” ovvero divinità, “hon” ovvero libro.

Shinichi Kudo sbuffò mentre osservava perplesso quei quattro kanji senza alcuna connessione logica.

“Ti si storcerà il cervello se continui a guardare quel foglio così!” sbadigliò Kaito Kuroba sbadigliando sonoramente “sono gli indizi del libro verde non è così?”

Shinichi Kudo grugnì incrociando ancor più imbronciato le braccia sul petto.

“Lascialo perdere!” sbuffò Heiji Hattori stappando una birra e passandola al ladro “piuttosto che cosa ne pensi?”

“E’ un po’ difficile da dire…” disse l’ultimo mago del secolo afferrando malamente la bevanda e ingurgitandone veloce un sorso.

“Ma non siete un po’ troppo giovani per bere?” chiese il dottor Agasa, gli occhi ridotti a fessure.

Lo sguardo assassino di Heiji Hattori e Kaito Kuroba azzittì l’uomo scatenando una leggera ilarità alla piccola Ai Haibara.

“Quindi…ricapitolando…”cominciò la scienziata “con l’aiuto di Takagi –kun abbiamo scoperto che diciassette anni fa lo stesso libro era stato sottratto a Kazumoto, solo che in questo caso si trattava della copia ‘Bianca’…”

“…sporta una semplice denuncia, il caso era poi stato abbandonato per mancanza di indizi che conducessero ad una pista sufficientemente plausibile…” continuò Hattori sorseggiando dal collo della bottiglia mentre lanciava sguardi acuti al ladro Kid che continuava a bere fin troppo silenziosamente la sua birra.

Shinichi Kudo si voltò leggermente.

Ai Haibara sapeva benissimo quello che stavano pensando tutti quanti. Fissò anche lei il suo sguardo smeraldo sul giovane ladro.

“…poi” tossì il professor Hiroshi Agasa “qualcuno, spacciandosi per Kazumoto ha sporto denuncia per il furto della copia raccolta da me ed Ai nello studio segreto di Kazumoto. Un’ora dopo che l’uomo era morto”

“ E un’ora prima che il cadavere del giornalista Hayasaka fosse trovato….” Continuò Shinichi alzando finalmente lo sguardo “ un’ora prima che Kazumoto fosse trovato”

“Presumibilmente l’assassinio dell’ex membro dell’Organizzazione deve essere opera di Gin e compari” disse Haibara portandosi una mano al mento pensierosa “ poi non riuscendo a trovare il libro hanno deciso di sporgere denuncia a nome della vittima in modo tale da non destare nessun sospetto…solo…”

“Solo che non hanno agito bene sul corpo e la temperatura della stanza non era calda a sufficienza per riuscire a posticipare del tempo necessario l’ora della morte stabilita dal medico legale” terminò Kudo per lei.

“Non mi sembra un errore che possa commettere quello spilungone capelluto” fece Hattori pensieroso.

“Ci dev’essere qualcos’altro sotto…” sussurrò Shinichi Kudo fissando direttamente il ladro Kid.

Kaito Kuroba tentò di guardare da un’altra parte, ma il cuore aveva preso a sballottolargli contro le costole nell’istante stesso in cui si era fatto accenno a suo padre. Non riusciva neanche più a ricordarselo ormai….era passato talmente tanto tempo dall’ultima volta che lo aveva visto. Non sapeva nemmeno se quello che la sua mente gli suggeriva fosse un vero ricordo o il frutto della fantasia di un bambino troppo triste da ammetterlo.

Scosse la testa amareggiato.

Non era questo Kaito Kid.

“Allora che vuoi sapere da me?” chiese il ragazzo con il solito sorriso spavaldo che gli incorniciava le labbra. Tuttavia non riusciva ancora ad affrontare le iridi dei suoi compagni.

“Non lo so” ammise Shinichi Kudo, lo sguardo serio “ tu che puoi dirci….che puoi dirci che finora non ci hai rivelato?”

“Non avrei mai creduto che il colore e la forma di quel coso fossero importanti” disse piano, distante. Poi sbuffò a ridere di se stesso “ avrei dovuto immaginarlo!”

Fuori dalla porta Kazuha Toyama e Ran Mouri si erano fatte più vicine per ascoltare.

Kazuha aveva sentito Kid con quel tono di voce solo una volta…..c’era stato qualcosa di simile durante la conversazione che aveva avuto con Aoko Nakamori….però non riusciva a ricordarsi proprio in che punto….

Poi uno strano ronzio arrivò alle sue orecchie e per un attimo distolse l’attenzione da quanto accadeva nella biblioteca.

“Accipicchia!” sussurrò Ran tirando fuori dalla tasca il suo vecchio Panasonic “ mia madre mi sta chiamando! Rimani pure qui. Così sapremo più cose di quanto quegl’idioti non vogliano rivelarci!” strizzò l’occhio all’amica e si allontanò per rispondere alla chiamata.

Kazuha sorrise e pensò che Ran- chan fosse più forte di quanto non credesse lei stessa. Che Ai Haibara fosse una persona speciale per Shinichi Kudo, ormai l’avevano capito benissimo entrambe.

“Non è che mi ricordi un granché!” ammise il ladro Kid alzandosi dalla scrivania e cominciando a passeggiare distrattamente per la stanza “ ero molto piccolo quando mio padre tornò a casa. In genere non c’era quasi mai….a causa del lavoro…”

Heiji Hattori sorrise lanciando uno sguardo d’intesa a Kudo.

Ai Haibara ed Hiroshi Agasa si limitarono a seguire il ragazzo con lo sguardo rimanendo in completo silenzio.

“Quella sera aveva il volto serio e disse alla persona che si occupava di me che questa volta sarebbe stata dura uscirne. Non so a cosa si riferiva. Io ero sgattaiolato fuori dal letto non appena avevo sentito la sua voce e avevo deciso di fargli una sorpresa spaventandolo. Mi fermai ad osservare oltre il piccolo spiraglio della porta socchiusa. Mio padre teneva in mano un libro quadrato e lo guardava in maniera strana….”solo adesso capisco che quello sguardo nascondeva paura…si disse Kid fra sé. Poi alzò di nuovo il volto e riprese “ lo poggiò sul tavolino accanto alla sua poltrona preferita e si allontanò un secondo dalla stanza. E allora…

entrai…

era come se dentro quel libro ci fosse uno di quei tesori di cui mi aveva spesso parlato mia madre. Mi avvicinai e fissai quel volume non so per quanto tempo prima di avere il coraggio di prenderlo in mano. Io…”

Ai Haibara guardò stupita quel ragazzo sempre pieno di sé e notò una stana luce animare quelle iridi azzurre così pericolosamente simili a quelle di Kudo. Che cosa c’era nascosto veramente in quei libri?

“..non lo so…era come se fossi ipnotizzato da quella copertina che restava candida anche con la luce soffusa del camino acceso. Mi sembrò quasi che il drago dell’incisione danzasse con il cavaliere che lottava contro di lui….”

“Quale drago?” chiese Hattori stupito “quale cavaliere?”

Kid non ci fece caso e continuò “aprii il volume e scorsi le pagine. Alla fine c’era un’incisione. Identica a quelle trovate negli altri due libri: una donna che giocava a scacchi con la Morte” gli occhi del giovane ebbero uno strano guizzo mentre nella stanza nessuno osava dire nulla “Solo che le pedine erano tutte al loro posto” disse.

“L’unica cosa che ricordo diversa era una frase. Una frase in latino scritta in cima alla xilografia.

IN PRINCIPIO ERAT VERBUM

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Note dell’Autrice: Buondì a tutti

Note dell’Autrice: Buondì a tutti! ^____^ Grazie per le vostre recensioni! E perdonatemi di non aver aggiornato in fretta….ma purtroppo l’estate è quella che è e tra varie attività solo ora trovo un minuto di tempo per riuscire a postare questo undicesimo capitolo. Come al solito spero che vi piaccia e…Grazie Akemichan per la dritta sulla divisione dei paragrafi! ç____ç sono proprio imbranata al pc!

11.

“Devo andare” disse piano Ran Mouri all’orecchio di Kazuha Toyama facendole fare un balzo enorme. La ragazza spaventata si afferrò il petto ansante e fissò la sua amica con occhi sgranati.

“Ma…ma che diavolo…hai intenzione di farmi prendere un infarto?” chiese la ragazza affannata e cercando di modulare il tono della voce divenuto un po’ troppo stridulo.

Ran Mouri si limitò a sorriderle e a mettersi un dito sulle labbra.

“Che dico a Kudo – kun?” questa volta la voce di Kazuha fu un sussurro.

“Niente” disse Ran fissando lo sguardo in basso, malinconica. Poi scrollò la testa e sorrise, solare come al solito “al telefono era mia madre. Ha detto che mi aspettano in ospedale. Prenderò un taxi” aggiunse quando vide le labbra di Kazuha cominciare a protestare “non mi succederà niente, non preoccuparti! Ho capito benissimo la situazione” disse poi, lo sguardo serio fissato sulla porta dello studio del famoso scrittore Yusaku Kudo “ piuttosto, devo chiederti un favore”

Kazuha Toyama fissò semplicemente il suo sguardo sulle iridi blu di Ran Mouri.

********************************************

“Che diavolo può significare?” chiese Heiji Hattori alzando perplesso uno scuro sopracciglio.

Shinichi Kudo lasciò che la sua mente vagasse tra le immagini che il racconto di Kid gli aveva evocato. C’era qualcosa…qualcosa in quel discorso che sapeva poteva essergli utile nella risoluzione di quello strano rebus. Fu bruscamente riportato alla realtà da un tonfo improvviso, secco, di qualcosa che batteva pesantemente a terra.

“Ehilà!” disse Kazuha Toyama in imbarazzo.

Heiji Hattori sbuffò sonoramente mentre si avvicinava seccato alla ragazza e aiutandola a rialzarsi.

“Immagino che tu sia caduta per caso, non è così?”

“Perché secondo te vado in giro a cadere coscientemente?” le iridi verdi di Kazuha erano semplice smeraldo fiammeggiante.

“Dov’è Ran?” chiese Kudo lanciando uno sguardo oltre la porta spalancata.

Kazuha si alzò in piedi e ci mise un po’ per spazzolarsi la polvere dalla gonna. Quando sembrò soddisfatta del lavoro, alzò il viso ad incontrare lo sguardo del detective dell’Est e sorrise.

“L’ha chiamata sua madre. Ha preso un taxi ed è andata in ospedale”

“Da sola?” strillò Kudo alzandosi improvvisamente in piedi. Tuttavia sembrava che la febbre gli fosse aumentata perché barcollò leggermente e si risedette sulla poltrona più calmo “che scema!” sospirò mordendosi un labbro per la stizza.

“Non credo che possa accaderle qualcos’altro” fece Kid improvvisamente senza alzare lo sguardo dal foglio sul quale Kudo aveva scritto i Kanji ricavati dai due libri “ probabilmente è più al sicuro di quanto non saremo noi domani sera”

“Che cosa intendi fare, perché?” chiese il giovane detective dell’Est gli occhi ridotti a due fessure azzurre.

Kaito Kuroba alzò uno sguardo sinceramente perplesso su tutti riuniti nello studio di Yusaku Kudo.

“Non mi vorrai dire che hai intenzione di rimanere a casa?”

“Prima di andare in qualsiasi posto tu abbia in mente dobbiamo riuscire a decifrare questa cosa!” strillò infuriato Heiji Hattori prendendo il foglio dal tavolo e sventolandolo sotto il naso di Kid “ se non sappiamo che cosa quegli uomini cercano, come riusciremo ad anticiparli?”

“Hattori ha ragione” disse piano Ai Haibara incrociando le braccia sul petto e fissando il parquet. Sentiva una strana inquietudine, ma probabilmente era dovuta a ciò che era successo qualche ora prima….tuttavia….

“E’ vero” aggiunse Kazuha piano, quasi timidamente “lo so cosa pensi Kudo – kun, ma sia Heiji che Haibara – chan hanno ragione. Non si può affrontare nessuno senza che si possa prevedere almeno qualche mossa….”

“Inoltre se state un po’ tutti più calmi avrei anch’io una ghiotta informazione da riportarvi!” sbuffò il dottor Hiroshi Agasa quasi offeso del fatto che fino al quel momento quei cinque ragazzi avevano completamente ignorato la sua presenza.

**************************************************

“Azzurro, o almeno così dice il rapporto” disse Miwako Sato con la guancia appoggiata sul palmo mentre rileggeva il rapporto stilato da Yumi qualche tempo prima.

“E non ti ha detto nient’altro?” chiese ansioso l’agente Takagi scartabellando le fotografie che fortunatamente quell’uomo aveva fatto del famoso tomo.

“No. Però…”

“Però, che?”

“Beh, ecco..sembrava preoccupato per qualcosa” fece Sato pensierosa “ si guardava continuamente in giro come se si aspettasse di veder saltare fuori qualche fantasma”

Ma il detective Wataru Takagi non la stava ascoltando. Sul viso gli era improvvisamente apparsa una strana espressione di trionfo e cominciò a frugare fra le altre fotografie che gli erano giunte in ufficio.

“Bingo!” disse solo mentre afferrava il taccuino e cominciava ad annotare febbrilmente delle parole accanto agli appunti del caso.

*******************************************************

“La stanza di suo padre è la in fondo” sorrise la giovane infermiera alla hall dell’Ospedale Distrettuale di Beika. Ran Mouri la fissò perplessa mentre si allontanava per il corridoio; poi scrollò le spalle e si avvicinò alla porta 135.

“Papà sono io!” disse sorridendo e spalancando la porta senza aspettare una risposta.

Le iridi blu della ragazza si dilatarono un momento per la sorpresa.

Ran Mouri uscì e rilesse il cartello sulla porta.

Non c’era alcun errore.

Quella doveva essere la stanza di suo padre.

Solo che suo padre era sparito.

****************************************************

“Ma guarda un po’ tu che cosa ci ha portato Babbo Natale!” sogghignò Kaito Kuroba fissando le polaroid che il professor Agasa aveva sparso sul tavolino di rovere di fronte al camino.

“Ehm…ehm” tossicchiò l’uomo soddisfatto per poi lanciare uno sguardo assassino al giovane ladro che si schermò il volto sorridendo, la strana malinconia di qualche istante prima scomparsa quasi per magia.

“Come diavole le ha avute?” chiese Heiji Hattori perplesso mentre sfogliava le immagini scattate con quella macchinetta dell’anteguerra.

“Quel mio amico che voleva parlarmi urgentemente…” iniziò Agasa “era per farmi vedere queste. Mi ha detto che aveva paura che gli facessero del male e voleva che riuscissi a risolvere l’indovinello insieme a lui”

“In che senso ‘fargli del male ’?” chiese Shinichi Kudo incuriosito.

“Non l’ ho capito nemmeno io” confessò il professore impensierito “mi ha solo detto di aver perduto il libro, ma conoscendo la leggenda del codice, ne ha fatto delle fotografie in modo da poterlo studiare con maggiore agio senza per questo danneggiare il volume”

“Un vero e proprio bibliofilo, insomma!” sbuffò Hattori sfogliando le immagini “ma senza filigrana non possiamo capire in quali pagine andare a trovare quello che cerchiamo!”

“Giusto!” disse l’ometto facendo cadere le braccia sconsolato.

“Questo non significa che non possa comunque esserci utile!” sghignazzò Kid fissando interessato una polaroid alla distanza di cinque centimetri dal suo naso “magari non sapremo in quali pagine cercare….tuttavia…non so questo non ti sembra un po’ strano?” finì lanciando la fotografia a Kudo.

Tutti si fecero un po’ più vicini al ragazzo per guardare. Kazuha Toyama non riuscì a trattenere una risata nel vedere gli occhi di Heiji Hattori e Hiroshi Agasa che si storcevano per la concentrazione.

“Stai parlando per caso dell’incisione sul trespolo dov’è posato il corvo?” chiese Kudo stringendo le palpebre perplesso.

“Ma….”la piccola Ai Haibara afferrò con le guance insolitamente colorate e con uno strano sorriso sulle labbra uno dei volumi poggiati sulla scrivania e sfogliò febbrilmente le pagine fino ad arrivare all’incisione.

“Ecco qui” disse infine con un sorriso trionfante sulle labbra “almeno adesso possiamo dire in che modo vanno ordinati gli indizi!” disse mentre lo sguardo azzurro di Kid le sorrideva dalla finestra e Kudo, Hattori e Agasa la fissavano sconvolti.

*****************************************************

“Allora dov’è mio padre?” chiese sbuffando Ran Mouri all’infermiera di fronte a lei che sembrava presa da improvvisa e fulminante schizofrenia visto che pareva non riuscisse a smettere di ridere.

“Nella sua stanza signorina” disse tra una risatina e l’altra. Il che rendeva di certo più convincente il suo discorso. La figlia del famoso investigatore Kogoro Mouri guardò con gli occhi ridotti a fessure quella ragazza sempre convinta che fosse vittima dell’aria malsana che respirava ogni giorno.

“E io le ripeto che non c’è nessuno nella sua stanza!” disse Ran come se stesse parlando ad un bambino di sei anni. Nemmeno con Conan era stata mai così chiara.

Abbassò all’improvviso lo sguardo al ricordo del bambino.

Sorrise.

Non ci era ancora riuscito. Che lo volesse o no, questa volta non ci era ancora riuscito. Tuttavia ora aveva cose più importanti a cui pensare e Shinichi doveva aspettare. Quello che stava succedendo a lei e alla sua famiglia aveva la priorità e non poteva più permettere che qualcuno corresse dei rischi per lei. Sentì in petto il cuore accelerare i battiti. Si morse un labbro e fissò nuovamente l’infermiera che continuava a guardarla con una faccia da ebete. Ran Mouri sospirò e si avviò di nuovo sconsolata verso la stanza vuota di suo padre.

“L’accompagno io, se vuole!” disse poi ad un’altra infermiera apparsa all’improvviso dal corridoio laterale spingendo una donna sulla sedia a rotelle.

“Grazie!” rispose quella velocissima per poi volatilizzarsi un secondo dopo lasciandosi dietro solo una leggera brezza dal profumo di disinfettante.

Ran Mouri fissò preoccupata gli altri dipendenti di quell’ospedale come se temesse che da un momento all’altro spuntasse fuori un dottore pazzo con bisturi insanguinato.

“Dove la porto signora?” chiese poi alla donna sulla carrozzina.

“Stanza 140, signorina!” rispose la donna con aria di superiorità fissando il volto in uno specchietto mentre si riavviava la chioma bianchissima.

Ran sorrise.

Il trucco più vecchio del mondo.

Si abbassò leggermente, come se volesse sistemare qualcosa sulla ruota, e si sporse a guardare nello specchietto l’immagine di quello che succedeva alle sue spalle. Vide l’infermiera della hall ridere indicandola mentre sussurrava qualcosa ad una sua amica. Indicò una porta poco distante e poi si portò il pollice e il mignolo al volto in un gesto eloquente scoppiando nuovamente a ridere.

“Andiamo?” chiese impaziente la signora.

“Subito!” disse Ran spingendo con energia la carrozzella. Strinse gli occhi mentre cercava di capire che cosa significassero i gesti di quella ragazza.

“Eccoci!” disse poi ansante mentre leggeva sulla targhetta ‘Stanza 140, Okiko Ishimori ’….Ishimori…le sembrava un nome familiare… scosse la testa e fissò con un sorriso la donna “ scusi, mi sa dire per caso dove conduce la porta al fianco dell’entrata principale?”

“Che domande!!!” fece la donna stizzita mentre fissava Ran come se quelle fossero le informazioni più ovvie del mondo. Inoltre credeva veramente che la ragazza soffrisse di qualche disturbo mentale visto la corsa forsennata che aveva fatto per portarla in camera “ è l’accesso interno al Pronto Soccorso!”

“Davvero?” disse Ran Mouri soprappensiero. Poi sorrise gentile e si avviò di nuovo verso la stanza di suo padre.

Lanciò uno sguardo svogliato all’infermiera che la osservava mentre attraversava gli stipiti. Quando chiuse la porta alle sue spalle si disse che non appena avesse rivisto suo padre e sua madre gliene avrebbe fatto passare delle belle. Come minimo dovevano andare a cena insieme per almeno due mesi di fila!!!!

La borsetta di panno si mosse leggermente al suo fianco e la ragazza afferrò il cellulare che squillava.

“Mamma!! Uffa ma dove siete?” chiese sbuffando aprendo la comunicazione dopo aver riconosciuto il numero dell’avvocato Eri Kisaki.

“Ciao signorina” disse una strana voce fredda dall’altro capo del telefono.

Ran si bloccò immediatamente; un goccia di sudore, leggera e umida, le scivolò oltre la nuca , dentro gli abiti, accarezzandole la schiena come un ago gelato che le strisciava contro la pelle.

“Chi sei?” chiese la ragazza, dentro di sé la consapevolezza che l’uomo che le parlava era pericoloso….molto pericoloso.

“Perché non controlli il regalo che ti ho lasciato sotto le lenzuola?” sogghignò ancora l’uomo seguito da uno strano rumore ovattato. In sottofondo Ran poteva sentire un rumore pieno. Si trattava senz’altro del motore di un auto….

“Che vuoi? Perché hai il telefono di mia madre?”

“Non lo immagini?” disse di nuovo quella strana voce dura e incredibilmente oscura “piuttosto fa quello che ti ho detto o non potremo parlare d’affari fiorellino!”

Ran Mouri abbassò leggermente il volto senza smettere di fissare avanti a sé e si avvicinò a quel letto dove avrebbe dovuto esserci suo padre.

“Su, su , fiorellino…non vorrai farmi aspettare troppo! Non sono un uomo paziente!”

La ragazza fece l’ultimo passo. La scura coperta era ammucchiata sulla parte centrale del materasso, come se avesse dovuto coprire qualcosa.

“Che cosa c’è qui sotto?” chiese la voce ridotta ad un sussurro.

“Scoprilo fiorellino….”ghignò l’uomo.

Ran Mouri, il sangue che le pulsava lungo tutto il corpo soffermandosi sul collo e quasi soffocandola, strinse i denti e afferrò la coperta.

Spalancò le iridi azzurre mentre il telefono le scivolava dalla mano.

“Ah” aggiunse la voce dell’uomo dall’altra parte della cornetta “…non urlare. Le donne che gridano mi fanno incazzare a morte!”

******************************************************

Il detective Wataru Takagi e l’agente speciale Miwako Sato fissavano quel corpo riverso sul pavimento, attoniti.

“Accidenti!” sbottò il giovane sferrando un pugno contro il muro, frustrato.

“Questa situazione si sta facendo troppo complessa!! Non ci sto capendo più niente!!” Sato intrecciò le braccia sul petto e continuò a fissare Ikuo Takeshita riverso al suolo, gli abiti strappati, mani e piedi, quasi invisibili, legati dietro la schiena, il telefono scomparso, il portafogli in pezzi, un coltello piantato nel petto, e gli occhi, quei terribili occhi senza vita che ancora racchiudevano l’orrore della propria fine.

Lo sguardo dell’agente speciale Sato si spostò sullo strano simbolo disegnato sull’asfalto con un pezzo di gesso, poco oltre le dita raggrinzite dell’uomo.

Degna opera di un banda di bosozoku. Non c’erano dubbi.

E di una in particolare.

Almeno da quello che si poteva dedurre.

“Solo che non ho mai sentito dire che abbiano ucciso qualcuno prima d’ora…” sussurrò Takagi mentre il reparto scientifico arrivava con il solito strepitio di luci e mezzi.

Miwako Sato ristette per un attimo silenziosa. A questo punto…. Era necessario? Era veramente necessario raccontare tutto quello che era successo….

“Direi proprio di si!” sbuffò Takagi fissando torvo il cadavere e leggendole una volta ancora nella mente “ adesso c’è un altro morto riconducibile a quei libri e credo che Kudo dovrebbe esserne informato”

“Ma che diciamo all’ispettore Megure?” chiese Sato perplessa “ in questo caso le prove di una bravata da teppisti sono troppo evidenti per seguire un’altra pista…però…il suo strano comportamento di questa mattina in centrale….”

“Si, lo so. Anche il proprietario del libro azzurro….perché denunciare la scomparsa di un oggetto che poteva essere causa della propria morte…?”

Miwako Sato aggrottò la fronte e si rimproverò per quello che le era appena passato per la mente. Alzò un secondo lo sguardo su Takagi ancora immerso nelle sue riflessioni. Il giovane non si accorse minimamente di lei. La donna sorrise mentre un battito involontariamente più veloce le aveva fatto colorire le guance.

No. Una persona come lui non sarebbe mai riuscita a pensare una cosa del genere.

Scosse la testa. Uomini come lui….ormai…erano una rarità.

Anche nella polizia.

****************************************************

“Arrivo immediatamente” disse Shinichi Kudo al cellulare mentre veniva preso da un altro accesso di tosse.

“Non ce n’è bisogno” sospirò il giovane agente investigativo Wataru Takagi “ qui non c’è più nulla. Il reparto scientifico si è portato tutto dietro. Il delitto è avvenuto per strada, non abbiamo potuto mantenere per troppo tempo la scena. Domattina ti farò vedere gli scatti fatti in loco. Per adesso riposa. Se succede qualcos’altro te lo farò sapere” poi la sua voce si fece più seria e il tono fu appena udibile oltre la cornetta “ siete riusciti a capirlo?”

“Non ancora” sorrise Shinichi Kudo, un bagliore insolito negli occhi febbricitanti “ ma credo proprio che ci siamo vicini. Che c’è?” chiese poi sentendo il sospiro dell’uomo dall’altro capo del telefono.

“Domani ti farò vedere una cosa insolita che ho notato nelle fotografie….”

“Se parli dei simboli di alcuni segni zodiacali….beh, li abbiamo appena trovati” disse il ragazzo trionfante lanciando uno sguardo penetrante ad una bella bambina dai sottili capelli d’oro poco lontana dalla finestra.

Ai Haibara si sentì per un attimo avvampare nel momento stesso in cui quelle iridi si soffermarono a scrutare il suo sguardo. Abbassò gli occhi grigi e cominciò a fissare distrattamente la strada. Sorrise di se stessa e di quanto quella situazione fosse intricata…

“No…veramente?” fece sorpreso Takagi “ questo allora potrebbe spiegare quel simbolo…”

“Ma di che stai parlando?”

“Niente, niente. Ne discuteremo domani. Passerò verso le 10….ehi!!! “ strillò il giovane mentre dall’altro capo del telefono si avvertì uno strano tramestio.

“E NON VI AZZARDATE A COMBINARE NIENTE!!!” tuonò la voce di Miwako Sato.

Shinichi Kudo fu proiettato per un attimo in un mondo chiamato ‘incoscienza’ prima di capire quale calamità naturale si era abbattuta su di lui.

“Ma che diavolo……?”

“NON FARE IL FINTO TONTO!!!LASCIAMI TAKAGI-KUN….” Di nuovo Shinichi avvertì un insolito tramestio…poi un tonfo sonoro gli fece immaginare quale fosse stato l’esito dello scontro.

“Dunque…non fare il finto tonto” riprese Sato la voce leggermente incrinata dall’affanno “ lo so benissimo che stasera sarete soli in una casa vuota….è mio dovere….”

“PIANTALA!!!” urlò la voce rombante di Takagi oltre la cornetta.

Intanto Shinichi Kudo, per il bene supremo della sua sanità auditiva, aveva deciso di premere il tasto dell’alto parlante. La voce del giovane detective era così rimbalzata lungo tutte le pareti e gli scaffali dello studio di Yusaku Kudo, colpendo come un gong i timpani dei presenti.

“E io pensavo che eravamo io e Kazuha a litigare….” Sussurrò spaventato Heiji Hattori. Poi, come gli altri ragazzi nella stanza avvampò come un’aragosta tropicale.

“SEI TU QUELLO CHE MI HA DETTO CHE C’ERANO DELLE RAGAZZE INSIEME A KUDO E HATTORI!!!”

“E ALLORA??? SONO FATTI LORO QUELLO CHE HANNO IN MENTE PER LA SERATA!!!!!”

Kazuha Toyama fissò bieca il suo amico d’infanzia mentre una vena le pulsava minacciosamente sulla tempia destra.

“Ok, vi lasciamo ai vostri discorsi! A domattina allora“ si affrettò a dire Shinichi Kudo premendo la cornetta rossa del suo Nokia 6301

“Qualcuno ha fame?” disse poi tentando di strappare il collo di Heiji Hattori dalle manine forti come acciaio di Kazuha Toyama.

“BRUTTO MANIACO!!! CHE AVEVI INTENZIONE DI FARE?”

Purtroppo al giovane detective del Kansai fu difficile costruire una difesa plausibile con i soli suoni raspanti che in quel momento uscivano dalla sua trachea.

*******************************************************

Ran Mouri, pallida, si affacciò alla porta sfondata del suo appartamento e pregò che funzionasse.

Andò in cucina e sentì il familiare ronzio del frigorifero. Tirò un sospiro di sollievo. Estrasse un involucro dalla tasca e, senza guardare, lo ficcò nel freezer richiudendo immediatamente lo sportello.

Poi si lasciò scivolare al suolo mentre la sua borsetta vibrò una volta ancora.

“Hai deciso?” chiese l’uomo dalla voce di ghiaccio.

“D’accordo” disse la ragazza.

Avvertì il suo sorriso prima che la comunicazione si interrompesse.

Ran Mouri si lasciò cadere a terra.

E pianse.

Perché quella sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe potuto farlo.

Ed era sola.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Note dell’Autrice:Grazie ancora a tutti

Note dell’Autrice:Grazie ancora a tutti! Ultimamente non ho potuto aggiornare per i tanti impegni a cui devo far fronte ( purtroppo ç___ç ) Cmq ecco a voi il nuovo capitolo e spero, come al solito che vi piaccia :P.

12.

“Allora dove sei stata?” chiese Kazuha Toyama alla ragazza dai capelli scuri che aveva appena superato la soglia della villa dei Kudo.

“Da mio padre, non te l’avevo detto?” fece Ran Mouri sinceramente sorpresa della domanda.

“Già” sbuffò la ragazza lanciando un sguardo assassino alle sue spalle, nello studio dove Shinichi Kudo e Hiroshi Agasa stavano tentando di rianimare uno sfortunato Heiji Hattori.

“Ma che è successo…?” iniziò Ran gli occhi sgranati.

“Niente” disse tranquilla Ai Haibara uscendo dalla stanza e passando accanto alle ragazze “ credo solo che la vostra virtù sia salva per questa sera!”

“Ehi! Non cominciare anche tu!!!” sbuffò Shinichi Kudo poco lontano “ quelle di Sato erano solo illazioni prive di qualsiasi fondamento!!!”

“Hai mai sentito parlare di intuito femminile?” gli rispose la bambina con un sorrisetto che le increspava le labbra rosee.

Il giovane detective dell’Est arrossì violentemente e scosse la testa. Non ce l’avrebbe mai fatta….con le donne non ce l’avrebbe mai fatta! Totalmente prive di qualsiasi senso di logica comune…

“In realtà la piccola principessa non ha tutti i torti, Kudo-kun!” intervenne il ladro Kid sogghignandogli ad un orecchio “in fondo se non fossimo tornati chissà che sarebbe successo…. tra te e Mouri…”

Un tipo qualsiasi di battito avvertito nel corso della sua vita non fu paragonabile a quello che improvvisamente strozzò Shinichi Kudo.

Era la febbre. L’influenza.

Senza dubbio.

Il ragazzo scosse la testa per allontanare l’incredibile tepore che lo aveva avvolto al ricordo del contatto del suo corpo con quello di Ran….se lo sarebbe ricordato per tutta la vita…

“Shinichi” disse all’improvviso il dottor Hiroshi Agasa, gli occhi socchiusi, lo sguardo seccato “ hai la faccia da maniaco”

“AH-A!!!!” strillò Heiji Hattori redivivo slanciando l’indice bruno contro il suo rivale dell’Est “ allora lo ammetti che ce le avevi, le cattive intenzioni!”

Kaito Kuroba si limitava a sogghignare battendo ripetutamente un mano sulla schiena del ragazzo.

“NO! MA CHE…..AHIA!!!”

Shinichi Kudo si massaggiò dolorante la nuca sulla quale Ran Mouri gli aveva assestato uno dei suoi colpi micidiali e un ginocchio sul quale sembrava che Haibara fosse andata a sbattere accidentalmente.

“Ma siete impazziti tutti….ehi!”

“Vado a preparare la cena!” disse Ran sorridente senza degnare di un’occhiata il suo amico d’infanzia.

“Vengo anch’io” disse pacata Ai Haibara allontanandosi dalla stanza, gli occhi chiusi, le mani intrecciate dietro la schiena.

“Aspettatemi!” trotterellò allegra Kazuha dietro di loro.

“Ah! Le donne!” sospirò Kaito Kuroba gli occhi lucenti d’ammirazione “ che creature meravigliose!”

Shinichi Kudo ed Heiji Hattori lo fissarono improvvisamente incorniciati da un visibile aura maligna.

Il dottor Hiroshi Agasa si limitò a guardare come il famoso ladro Kid veniva sonoramente picchiato dai due detective più in gamba del Giappone.

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La Porsche nero antracite scivolava sull’asfalto scuro, specchio della luce tremula dei lampioni che feriva l’aria tagliente ancora intrisa del profumo di neve.

L’uomo che si faceva chiamare Gin spense l’ennesima sigaretta bianca e lasciò che per un attimo i polmoni respirassero quell’atmosfera affilata. Storse il muso in una smorfia. E riaccese la sigaretta.

“Pensi davvero che lo farà, capo?” chiese il suo compagno dalla mascella quadrata fissandolo oltre le lenti scure degli occhiali.

Gin fissò la strada avanti a sé.

“Certo, in fondo non potrebbe fare altrimenti o il suo caro paparino e la sua mammina faranno una brutta fine”.

Vodka lasciò che l’eco della risata del suo compagno si spegnesse prima di osare riprendere la parola.

“E…e se lo scoprisse?” chiese, intimorito, la voce ridotta ad un sussurro.

L’uomo dai lungi capelli biondi e dallo sguardo di ghiaccio che i suoi nemici avevano imparato a chiamare Gin, aprì uno squarcio nel suo volto glaciale.

Era un ghigno.

Non disse nulla pensando allo strano oggetto che aveva in tasca e a come avrebbe punito il suo compagno per aver osato insinuare il fallimento di un suo piano.

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“Dovrebbe bastare per quegli elefanti assatanati!” disse Kazuha strofinandosi le mani “ se dopo tutta questa roba avranno ancora qualche neurone attivo per escogitare qualcosa di losco sono degli eroi!”

Ran Mouri e Ai Haibara non poterono fare a meno di ridere dell’atteggiamento comico che la loro amica aveva assunto.

E per la prima volta, la prima volta in tutta la sua vita, la scienziata Shiho Miyano si sentì come una semplice ragazza. Preparare la cena insieme, ridere con delle amiche sugli stupidi atteggiamenti dei ragazzi….anche se non avrebbe mai potuto confessare i propri sentimenti, comunque si sentì stranamente tranquilla in quella cucina…un piccolo mondo dorato sopra il baratro che era la sua vita. Che ne sarebbe stato di lei una volta sconfitta l’Organizzazione….se mai questo sarebbe accaduto? Avrebbe potuto vivere così? In questa stessa tranquillità che si era ritagliata? In questa allegra quotidianità che tanto sognava e che per un attimo…questo attimo…si stava concretizzando?

Per la prima volta Shiho Miyano sperò che tutto ciò si realizzasse.

Per la prima volta scoprì di voler vivere.

Alzò lo sguardo su quella ragazza alta che le sorrideva al fianco, la stessa persona che era stata in grado di farla fuggire un attimo prima. Sorrideva graziosamente…

Ai Haibara socchiuse gli occhi a fissarla una volta ancora, perplessa.

Lo sapeva.

Conosceva il sorriso di Ran Mouri.

E ora lei non stava ridendo. E neanche sorrideva.

“Non sforzarti” fece prima di rendersi conto di quello che stava dicendo “ se hai altro per la testa non è giusto che tu rida”

Ran Mouri si bloccò immediatamente come paralizzata. Una piccola perla di sudore le nacque sulla fronte, tuttavia la ragazza incurvò nuovamente le labbra. E di nuovo, si rese conto Shiho Miyano, quel sorriso era per lei.

E questa volta era autentico.

“Grazie Ai” fece la ragazza con nella voce un leggero tremito “ e scusami se prima mi sono presa la libertà di abbracciarti…” aggiunse Ran portandosi un dito alle labbra pensierosa”…è solo che mi è sembrato che tu ne avessi bisogno!”

Kazuha Toyama si limitò a sorridere dolcemente, mentre fissava l’espressione sbalordita e il leggero rossore che aveva invaso le guance pallide di quella strana bambina dai capelli biondi.

Ai Haibara sentì il cuore batterle in maniera più veloce e si sentì invasa da una stranissima dolcezza, qualcosa che non aveva sentito più da molto tempo.

“Grazie” sussurrò solo.

Con il primo vero sorriso che dopo tanto tempo era fiorito sulle sue labbra.

E nel suo cuore.

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“Era andato all’estero?” chiese Miwako Sato sgranando gli occhi nocciola e raddrizzando subito dopo lo sterzo prima che la sua Mustang rosso fiammante fracassasse qualche osso al bianco fattorino del ristorante ‘Colombo’. L’agente Wataru Takagi, attaccato alle maniglie di sicurezza come se sulle mani gli fossero improvvisamente materializzate delle microcellule simili a ventose, sentì una goccia di sudore freddo scivolargli oltre la nuca mentre lanciava uno sguardo disperato al pover’uomo assalito dagli abitanti felini del bidone che, poveretto, aveva inevitabilmente investito.

“Ehm….si…” riuscì a squittire il giovane mentre Sato aveva improvvisamente trasformato una dolce curva in un angolo di novanta gradi.

“E questo prima che facesse stampare le nostre famose cinque copie...pensi che ci sia una relazione con quello che sta succedendo?”

“In questo momento non riesco a pensare niente….”si lasciò sfuggire il detective il cui colorito era divenuto molto simile a quello del suo completo sabbia.

“Ehi, tutto bene? Se vuoi mi fermo….”

“MAGARI!” fu il sospiro di Takagi.

Solo dopo una bella boccata d’aria (e un cespuglio provvidenziale) l’uomo riuscì a riprendere il dono della parola. Si sistemò il bavero della giacca e riassunse quella strana aria spavalda che proprio non si addiceva al suo viso da bambino. Miwako Sato non riuscì a fare a meno di ridere. Era insolito, veramente insolito vedere Takagi in quel modo. Si accigliò. Non avrebbe mai potuto confessargli nessuno dei suoi sospetti, non avrebbe accettato un’ipotesi del genere, ma, a ben vedere era l’unica spiegazione razionale per il comportamento stravagante di Takeshita. Avrebbe dovuto parlarne con Kudo e con il suo amico del Kansai, sì, il figlio di Hattori…o magari con il piccolo Conan…

L’agente speciale Sato sorrise di se stessa. Già era una follia quello che pensava, adesso ci si metteva anche quella strana convinzione che il bambino che viveva con Mouri fosse una sorta di geniale criminologo un po’ come Kudo. Scosse la testa e fissò di nuovo le iridi castane sul suo compagno.

“Shinji Imai era un appassionato delle culture occidentali, per questo all’età di diciassette anni fu mandato a Parigi dal padre per cominciare i corsi nella rinomata Sorbonne” cominciò Takagi la voce un po’ roca. Sato si meravigliò che riuscisse a parlare dopo aver passato almeno un quarto d’ora nel cespuglio vicino a vomitare “ma sembrava che gli interessi del ragazzo fossero molti e…stravaganti”

“Stravaganti? In che senso?”

“Nel senso che oltre ad essere un accanito lettore dei racconti di un certo sir Doyle, possedeva una sorta di predilezione per miniature e manoscritti sacri del IX secolo… e non solo”

“Che fosse un appassionato di Holmes non mi sconvolge più di tanto” ammise Sato gli occhi ridotti a fessure incolori “ma….manoscritti del IX secolo? E che sarebbe quel ‘non solo ’?”

“Sembrava” fece Takagi, la voce stranamente bassa, da cospiratore, gli occhi che saettavano dietro le sue spalle alla macchina sportiva che era appena passata. Sato si voltò senza neanche rendersene conto e sperò che il suo stipendio un giorno le permettesse di comprarsi una Porsche come quella …solo che nera gli pareva un po’ troppo lugubre.

“Sembrava” riprese Takagi attirando nuovamente la sua attenzione “che s’interessasse anche degli antichi re di Francia…”

“Che?”

“Hai presente? Pipino il Breve, Carlo Magno, Ludovico il Germanico…?”

“Si, si…ho capito” sbuffò la donna “ma questo che vuol dire?”

“Non ne ho idea” fece Takagi serio “tuttavia Takahashi mi ha detto che da quando il giovane Imai era tornato dalla Francia riceveva spesso strane visite. Queste potrebbero essere legate alla scomparsa di quella donna, Eri Kudo”

“La madre di Imai junior, dici?”

“No” fece Takagi serio fissando le luci dei lampioni che brillavano nel parco dove si erano fermati.

“La sua futura moglie”

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La donna dagli occhi di ghiaccio fissava i fattorini che scaricavano lunghe casse nell’atrio della villa e i responsabili che sistemavano gli oggetti appena arrivati. Storse il bel viso in una smorfia contrariata.

L’angioletto era riuscito a fuggire e se quel pazzo avesse fatto una sciocchezza ogni suo piano futuro sarebbe saltato per aria.

Accese una sigaretta e soffiò il fumo dalle labbra in voluttuosi anelli evanescenti.

Da una delle casse aperte cacciò fuori uno strano libro dalla forma quadrata.

Aveva la copertina color sabbia.

La donna conosciuta con il nome di Vermouth scorse il volume fino a guardare quella figura che, nell’ultima pagina, giocava a scacchi con la Morte.

Rise. Fredda.

Per un’assurda coincidenza quella donna pareva assomigliarle.

Anche lei, da molto tempo ormai, aveva iniziato quella partita.

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Shinichi Kudo starnutì con un fragore assurdo mentre fissava stralunato Kid che, seduto accanto a lui, continuava a battere le mani guardando divertito Kazuha vincere Hattori a braccio di ferro. Poco più in là, il dottor Agasa sbuffava come una vecchia ciminiera mentre cercava di compiere una buona mossa allo shogi e Haibara scrutava il piano di gioco con la sua solita aria concentrata… sicuramente pensava a quello strano indovinello….

Ran poco distante da Ai la fissava sbalordita dalla sua abilità.

La musica accarezzava le pareti della stanza, le note scivolavano nell’aria…

Shinichi Kudo sorrise dolcemente. Era possibile?

A volte si chiedeva veramente se la sua esistenza non fosse in realtà il risultato di qualche strampalato disegno di un folle.

Scosse la testa e decise di godersi quello strano e meraviglioso momento di pace.

Un minuto dopo tossì di nuovo come un forsennato.

“Fatti un sorso che ti passa tutto!” sogghignò Kid, con una bottiglia di birra in mano, le guance stranamente colorite, il sorriso un po’ troppo largo, l’altra mano che picchiava ripetutamente la sua schiena così forte la fargli uscire l’anima dal naso.

Il giovane detective dell’Est lo fissò con gli occhi ridotti a fessure.

“Ma si! Ecchisenefrega dei libri, degli scrittori e di quegli stramaledetti becchini vestiti di nero!” fece Heiji Hattori rialzandosi dal pavimento, le gambe stranamente simili al movimento di un budino appena servito.

Kazuha Toyama si limitò a strattonare, con tutta la grazia possibile, il lobo sinistro del suo amico d’infanzia.

Shinichi Kudo scrollò le spalle terrorizzato dal fatto che il suo migliore amico fosse ubriaco fradicio, che il suo nuovo alleato fosse il ladro più famoso del mondo e che una volta ancora aveva a che fare con Gin e compari.

La situazione peggiorò quando si ritrovò a tenere Heiji e Kid a braccetto mentre improvvisavano un’imitazione canora di Elvis Presley ficcandosi in testa una delle parrucche di sua madre…

“AH!!!MA SEI STONATO FORTE!!!” strillò il ladro Kid mentre cercava di tappargli la bocca ed Heiji si era lanciato in un ballo improbabile sulle note di Donna Summer coinvolgendo anche Ai Haibara che lo fissava come se avesse paura che l’idiozia fosse una malattia seriamente contagiosa.

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Quando l’orologio batté dodici rintocchi il ragazzo si svegliò di soprassalto sollevando il volto dalla poltrona per ammirare i resti della serata. Si portò una mano al ciuffo ribelle e si coprì gli occhi disperato.

E adesso chi la rimetteva a posto quella stanza?

Ma soprattutto… chi lo diceva a suo padre?

Cercò con occhi maligni l’unica persona alla quale era sicuro di poter affidare il compito…almeno dopo essere riuscito ad eludere tutti i suoi dolci e micidiali colpi mortali.

Percorse la stanza con lo sguardo; la luce della luna illuminava distintamente le sagome addormentate di Heiji Hattori che ronfava sul tappeto mentre Kazuha Toyama gli era scivolata sul petto, del ladro Kid abbarbicato come edera rampicante al braccio morto di Hattori, di Ai Haibara delicatamente abbandonata sulla poltrona e di Hiroshi Agasa che la stringeva un po’ a sé, proprio come se fosse il suo vero padre.

Shinichi Kudo alzò ancor di più lo sguardo.

Solo una persona era in piedi e guardava lo scintillante manto di neve oltre la finestra dello studio di suo padre.

Ran Mouri era sveglia.

E in quel momento il giovane detective dell’Est si dimenticò di quello che voleva chiederle.

“Come mai non dormi?” sussurrò alzandosi dal divano.

Ran Mouri si voltò improvvisamente, gli occhi blu scintillanti, il viso stranamente pallido.

Il ragazzo deglutì a fatica mentre fissava la sua amica d’infanzia incorniciata dalla debole e bianca luce della luna…

E per un attimo, per un solo istante, sembrò che tutto intorno a loro fosse sparito, congelato in una strana penombra che pareva quasi irreale…

Shinichi Kudo sentì mancargli un battito, lì, proprio alla bocca dello stomaco. Poi, improvviso, quello stesso muscolo che aveva rallentato la sua esistenza, si mosse in accelerazione, come se avesse voluto recuperare il tempo perduto e avvertì un fiotto di tepore invadergli le guance.

Abbassò lo sguardo in imbarazzo.

Non era più un bambino…

Esatto…

Un accesso di tosse gli premette i polmoni e batté contro le sue tempie doloranti.

“Tutto bene?” gli chiese Ran, piano, avvicinandosi.

“Si….si, non ti preoccupare!” farfugliò il ragazzo, non sapeva bene se per la febbre, l’imbarazzo (o magari per la stizza di non sapere ancora come riuscire a gestire situazioni del genere…)

“Sei caldo” disse solo lei, premurosa, passandogli le dita sulle guance “probabilmente hai ancora la febbre. Dovresti riposare sotto delle coperte…”sorrise.

Shinichi Kudo la fissò sconvolto, il cuore un turbine di fuoco.

Che cos’era…? Che cos’erano quel sorriso, quella voce, quel volto…?

Come diavolo aveva fatto a non accorgersene prima?

Quando….?

Quand’era successo?

“Ran…”riuscì solo a sussurrare mentre non riusciva a capacitarsi di quanto tutto ciò lo sconvolgesse.

Lasciò che il suo sguardo vagasse in quegli occhi blu, come a perdersi nell’intensità della loro luce.

Lei continuava a fissarlo, dolcemente preoccupata.

Avevano appena compiuto diciotto anni … eppure…eppure…

Da quanto tempo ormai erano diventati… adulti?

“Su, su!” sorrise la ragazza voltandolo e spingendolo per la schiena “va di sopra! Hai bisogno di una bella notte di riposo al caldo! Vedrai come ti sentirai meglio domattina!”

Il giovane non lo capì.

Si bloccò.

“Che c’è, adesso?” chiese la ragazza sorpresa.

Shinichi Kudo si volse. Sentì il suo corpo muoversi prima di aver dato l’opportunità ad uno qualsiasi dei suoi neuroni di formulare un comando chimico razionale.

Non gli era mai successo.

La sua mano si allungò ad accarezzare la superficie levigata di quelli capelli di seta, mentre avvertiva il cuore premergli tanto contro le costole da mozzargli il fiato…

Mai.

…perché quegli occhi blu brillavano in quel modo?

La sua mente aveva il controllo di tutto, in ogni situazione.

…perché quel viso dolce lo voleva, lo desiderava più vicino?

Sempre.

…perché si sentiva così vivo?

Forse stava veramente impazzendo.

E ora….

Non c’erano dubbi.

….ora avvertiva solo il contatto morbido e vellutato delle loro labbra dischiuse….

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Eccomi di nuovo a voi dopo tanto tempo

Eccomi di nuovo a voi dopo tanto tempo ! Scusatemi, purtroppo sono sul serio impegnatissima e non trovo mai un attimo di tempo per venire a postare! Come al solito voglio ringraziare tutti!! Le recensioni che mi lasciate sono sempre meravilgiose e spero tanto di continuare ad essere all’altezza delle vostre aspettative ^_______^

Mary…per il sinonimo IRIDI hai ragione…purtroppo temo che visto che questo capitolo l’ho scritto un po’ di tempo fa, ci saranno ancora a tormentarti :P Perdonami e spero che la storia continui lo stesso a piacerti ^^

Detto questo..BUONA LETTURA!!! (Spero :P )

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13.

L’agente speciale Wataru Takagi ristette un secondo nel torpore ignorando completamente quello strano suono che da un po’ disturbava le sue orecchie. Nella mente un turbine d’emozioni e di congetture che dal giorno prima avevano svegliato il suo intelletto più di quanto non fosse mai successo in tutta la sua carriera da poliziotto. Che diavolo stava succedendo? E Kudo..? Kudo aveva capito chi reggeva effettivamente le redini di questa follia letteraria?

Di nuovo quel suono penetrante gli trafisse i timpani. Si alzò assonnato dalla scrivania del suo appartamento dove aveva passato la notte a cercare di visualizzare meglio tutte le fotografie che lo sfortunato Takeshita gli aveva portato in centrale il giorno prima.

E pareva che quelle foto le avesse anche Kudo.

Come diavolo c’era riuscito doveva ancora scoprirlo, ma per ora la cosa che più gli martellava il cervello era quella foto. Quella nella quale per uno strano motivo compariva una copertina bianca e non azzurra, come invece avrebbe dovuto essere la copia in possesso di Takeshita.

“Uhm…” mugugnò quando una volta ancora quel tono acuto gli ferì il cervello soprappensiero.

Poi realizzò che si trattava del campanello.

“ERA ORA!!” gli sbuffò in faccia l’agente Miwako Sato, le mani sui fianchi, l’aria minacciosa.

“Ah…Sato-san!” esclamò l’uomo arrossendo violentemente mentre indietreggiava impaurito.

“Sono già le nove e mezzo! Alle dieci non avevi un appuntamento con Kudo?”

“Si..io…”

“Che bambino! Forza!” disse la donna chiudendo gli occhi infastidita e trascinando il suo collega in casa “ hai un’aria terribile! Fatti una doccia e vestiti in fretta! Intanto ti preparo il caffè..”

“EH?” gli occhi dell’agente Wataru Takagi erano due tondi di meraviglia.

“Stupido, ma che vai a pensare!” sbuffò la donna lanciando uno sguardo all’appartamento in disordine “ ne ho bisogno anch’io! Vai, forza!!”

Quando il fiotto bollente della doccia gli investì in pieno il volto, il giovane seppe di essere tornato a padroneggiare le sue facoltà mentali e motorie. Il che era potenzialmente problematico vista la presenza della sua bella collega….

Scosse la testa inondando la parete di mille schizzi lucenti e si soffermò a pensare a quanto succedeva. Quella mattina avrebbe chiesto a Kudo quanto ne sapeva veramente.

E forse una parte di quel puzzle sarebbe stata completata.

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Ran Mouri aprì l’anta della finestra sull’atrio e assaporò il fresco abbraccio della notte.

Sorrise di se stessa.

Aveva sempre dovuto contare sugli altri, e questa volta sarebbe stata lei a difendere la sua famiglia da chiunque la minacciasse.

Ma quello che le avevano chiesto…

Strinse i denti e sorrise decisa. Ormai sapeva che le lacrime sarebbero state inutili. Forse poteva farcela. E nessuno doveva saperne nulla.

Si volse a guardare oltre le sue spalle la porta dietro la quale dormivano tutti i suoi amici. Abbassò il volto, mentre il sorriso che questa volta le increspò le labbra fu dolce. Prima di andare però….

Si mosse silenziosa verso la porta e entrò nella stanza.

Non si ricordava mica che Shinichi russasse così tanto!

Sorrise e si avvicinò al ragazzo oltrepassando Hattori buttato sul pavimento con Kazuha appoggiata al suo petto e una bottiglia di birra in mano.

“Arrivederci” disse posando delicatamente le labbra sulla guancia del ragazzo che si mosse mentre un raggio di luna gli illuminò il volto. La ragazza si rese conto che il suo amico d’infanzia stava sognando. Le guance rosse e il viso tranquillo.

Poi Shinichi Kudo, addormentato, sussurrò qualcosa, sorridendo.

Ran Mouri si portò una mano a coprirsi le labbra.

Una lacrima, unica, inconsapevole, scese lungo la guancia insolitamente colorita.

E la ragazza si allontanò veloce e in silenzio dal quello studio mentre il cuore le martellava nel petto e in ogni vaso sanguigno.

Aprì di nuovo la finestra nell’atrio, quella che dava sul giardino e lasciò che la neve le accarezzasse il viso, il cuore in subbuglio. Quello che era appena successo, quello che aveva appena sentito non l’avrebbe fermata.

Cacciò una scopa dallo stanzino affianco alla cucina e si fece avanti sul manto di neve.

Quando una mano le afferrò la spalla riuscì a stento a trattenere un colpo mortale che stava per sfuggirle dal braccio, un fascio di nervi.

Ma il suo colpo fu bloccato da una mano piccola come la sua.

“Dove hai intenzione di andare?” chiese sorridendo la voce di Kazuha Toyama.

Ran poteva vedere solo i suoi occhi verdi brillare, determinati, nell’oscurità.

“Mi dispiace” disse la ragazza, seria, abbassando lo sguardo “ ma stavolta non posso dirti nulla”

“Io, invece penso proprio di si” sorrise la ragazza di Osaka, lo sguardo scintillante “ a meno che tu non voglia che vada a svegliare Kudo…”

“Kazuha…mi dispiace….ma…”

“Possiamo aiutarti” disse una voce leggera nell’oscurità.

Kazuha Toyama si voltò, lo sguardo ancora deciso e sorridente.

La piccola Ai Haibara avanzò nell’ombra, silenziosa.

“E’ inutile chiedere aiuto a quei tre….sono troppo presi dal caso Imai per pensare a qualcos’altro e tu ti trovi in guai seri, non è così…Ran-chan…?” sussurrò Haibara quasi in imbarazzo, distogliendo lo sguardo.

Ran Mouri sorrise fissando quelle due ragazze che avevano capito così tanto di lei senza che proferisse una sola parola.

“Che cosa avete in mente?” chiese.

“Innanzitutto, dovresti raccontarci la tua storia” sorrise Kazuha Toyama strizzandole un occhio.

Ran Mouri sbuffò.

“Venite con me” disse avviandosi nel giardino “ ma una volta che vi avrò raccontato tutto dovrete farmi due promesse”

“Tu racconta, ai giuramenti ci pensiamo dopo” la ragazza di Osaka passò davanti a lei insieme alla piccola Ai.

Ran Mouri sospirò esasperata mentre con la scopa cancellava le tre paia d’impronte lasciate nel giardino.

********************************************************************************

“Cos’è quello?” chiese una donna alta mentre l’ultima cassa veniva scaricata dal camioncino color limone per essere portata nel magazzino della grande villa Imai.

“Sono degli autografi, almeno a quanto mi hanno detto” rispose l’uomo sulla cinquantina mentre si asciugava il sudore che, copioso, gli scendeva lungo tutto il volto. Sarebbe stata ora di pensarci a quella domanda di pensione con la quale sua moglie lo assillava da almeno un anno.

“Autografi di cosa?” chiese una volta ancora la donna incurvando le belle labbra rosse e agitando i capelli risplendenti come oro liquido.

“Beh…” fece il fattorino con un’evidente nota d’imbarazzo sul volto “ questo non lo so di preciso….però ho sentito dire al responsabile che si tratta di una poesia americana trascritta da quello scrittore…si, quello che aveva questa villa…”

“Poesia americana?”

Vermouth abbassò gli occhi portandosi le mani al mento. C’era qualcosa di strano.

Nessuno le aveva mai detto che c’entrassero poeti americani in questa dannata ricerca. Se solo si fossero sbrigati a decifrare il codice di quei libri avrebbero potuto portare a termine la missione e andarsene tranquillamente. Ma quell’idiota di Gin si era messo in testa di estorcere una sorta di piccolo ‘aiuto’ alla bella traditrice.

La donna scosse di nuovo la lunga chioma bionda e sorrise maligna.

Non che le importasse cosa succedesse alla piccola Sherry…lasciarla nelle mani di Gin sarebbe stato un favore da parte sua…tuttavia non poteva permettere che quel pistolero montato e il suo compagno scimmiesco compromettessero i suoi piani futuri…

Mordicchiò nervosamente la sigaretta che aveva acceso senza però smuovere l’espressione assorta dei suoi occhi grigi.

L’angioletto era scappato.

“E spero tanto che non sia nei guai”

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“Shinichi” la voce di Ran accarezzò l’udito del ragazzo che sorrise distrattamente mentre sentiva ancora quell’insolito e dolce tepore aleggiare sulle labbra…si allungò verso il corpo caldo della ragazza e prese a stringerlo a se. Non poteva lasciare che quel momento gli sfuggisse fra le mani! Non se lo sarebbe mai perdonato….non aveva importanza se il cuore gli fosse esploso o se sarebbe tornato un bambino.

In quel momento Shinichi Kudo avrebbe potuto morire e rimanere stretto a lei per sempre.

“Ran..” disse con una voce così irreale che la sentì lui stesso distante.

La ragazza gli sorrise alzando il viso su di lui, come se stesse aspettando che la baciasse una volta ancora.

Il ragazzo sentì di nuovo l’imbarazzo invadergli le guance, tuttavia….come poteva rifiutare un’offerta così dolce e allettante?

Si sporse nuovamente per accarezzare quelle labbra morbide mentre la luce della luna scivolava nella stanza…

Alzò una mano a sfiorarle una guancia…

Che strano….

Da quando Ran aveva la barba?

“Se ci provi ti ammazzo!” dissero le labbra della ragazza.

Solo che la voce era quella di Hattori.

Shinichi Kudo scosse la testa e la sua vista si fece pian piano più chiara.

La luce della luna fu così rimpiazzata dal debole bagliore del sole che risplendeva stanco dietro una fitta cortina di nubi.

Poi il famoso detective del Kanto decise che era venuto il momento di battere il record mondiale di salto in alto.

“ARGHHHHHHHHH!!!!!!!!!!!!!!!! CHE CAVOLO….?”

“Baciami tesoro!” disse Heiji Hattori avvicinandosi minaccioso al giovane amico dell’Est sfoderando un’insolita luminosità nelle iridi viola.

“MA….IO… CIOE ’…..VATTENE!!” disse il ragazzo assestando un cazzotto sul naso di Hattori.

“Come puoi trattarmi così, ingrato! E io che stavo per concederti il mio primo bacio!” strillò l’abile detective del Kansai avventandosi sul suo rivale.

“Oh, ma che cacchio succede?” sbuffò Kid, mezzo addormentato, sorto dalla poltrona con i capelli ancora più scompigliati del solito. Si soffermò a guardare Kudo e Hattori che si malmenavano, prima di sbuffare e girarsi dall’altra parte sperando che s’ammazzassero sul serio una buona volta.

“T’ HO DETTO DI BACIARMI!!!” ghignava Heiji Hattori un ginocchio al collo di Shinichi Kudo il cui colorito aveva cominciato a rasentare il viola ippopotamo.

“Vai…a….chiede..rlo…a ..To …Toyama…” soffiò Kudo con un raspare impressionante, una terribile convinzione nel cuore. Poi il ragazzo fu costretto a battere una mano a terra segnando la sua sconfitta.

Il giovane detective del Kansai lo lasciò respirare con un’aria trionfante sul volto improvvisamente terribile.

“Dimmi….dimmi solo…” cominciò Kudo gli occhi bassi, un senso di nausea spaventoso “dimmi solo che…stanotte…io…tu…”

“No” disse Hattori preso da una sorta di compassione per il suo amico “ me ne sarei accorto. Però….”si avvicinò al ragazzo con uno sguardo sornione “che cosa stavi sognando?”

Shinichi Kudo si ritrasse spaventato quando anche Kid era spuntato dal nulla e gli si era fatto vicinissimo, fissandolo con occhi maliziosi e con il suo solito sorriso furbo.

“Io…” mugolò il ragazzo in imbarazzo.

“Ti agitavi come un’anguilla…” ghignò ancor più malizioso Hattori mentre Kid si limitava a non staccare lo sguardo dal ragazzo e annuire con forza.

“Io…ecco…”

“Quando Mouri ti si è avvicinata per un secondo è scappata via velocissima….”aggiunse poi Kaito soprappensiero.

“CHE?” chiese Shinichi Kudo in preda al panico “Quindi…quindi…è vero…era un sogno…”

“Deduco” fece Hattori assumendo la sua solita aria saputa “ che c’entri Mouri….cos’è, stavi continuando quello che non eri riuscito a combinare ieri pomeriggio?”

“MA E’ POSSIBILE CHE TU SIA COSI’ MANIACO?”

“IO?” disse Hattori come offeso “IO? E di te che vogliamo dire, cavaliere senza macchia e senza paura?”

“SHINICHI!!!”

I tre ragazzi nello studio di Yusaku Kudo si voltarono verso la porta.

Un attimo dopo il professor Hiroshi Agasa entrò trafelato nella stanza.

“Shinichi…le ragazze…”

“CHE C’E’?” chiesero insieme i due detective dell’Est e dell’Ovest.

“Sono sparite” disse l’uomo fissando lo sguardo sui ragazzi attoniti.

E il suono del campanello si sommò ai dieci rintocchi della pendola nell’atrio.

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“Ma che bel posticino!” disse sarcastica la voce di un uomo dall’impermeabile nero varcando la soglia della residenza Imai. La donna dai capelli biondi gli riservò una semplice occhiata, come se davanti a se avesse solo uno strano tipo di creatura dalla quale era meglio tenersi alla larga.

“Che vuoi?” chiese Vermouth osservando accigliata l’uomo più basso che si aggirava per la stanza come a controllare che tutto fosse a posto.

“Non te lo immagini?” fece Gin accendendo una Philip Morris.

“Qui non puoi fumare”

L’uomo dai capelli biondi prese una boccata di fumo e la soffiò sul viso della donna.

Vermouth non si mosse.

“Pensi che me ne freghi qualcosa?”

“Sei allegro” osservò lei con la solita espressione glaciale “ma penso che ti passerebbe subito se bruciassi qualcosa che potrebbe servire al capo” aggiunse poi con un sorriso maligno.

L’uomo che si faceva chiamare Gin la fissò irritato prima di spegnere la sigaretta sul pavimento ottocentesco.

“Sei proprio un amante dell’arte” ironizzò Vermouth facendo un cenno all’uomo magro, fino a quel momento, nascosto nell’ombra.

Martini si fece avanti, timoroso, a pulire il mozzicone appena caduto.

“Qual è la stanza dell’asta?” chiese Gin senza perdere il suo ghigno.

“Seguitemi” disse Vermouth avviandosi verso i corridoi “ e badate a non intralciare i miei piani, stasera”

“Ma come puoi dubitare di noi?” l’uomo dall’impermeabile nero rise forte provocando un immediato fuggi-fuggi ai fattorini che avevano appena finito di sistemare le ultime casse “siamo qui solo come supervisori! Niente di più!”

La donna che tutti avevano imparato a chiamare Vermouth sorrise.

“Non provarci nemmeno”

“Come?”

L’uomo che si faceva chiamare Gin si trovò puntata la canna di una 9mm ad un centimetro dalla bocca.

Il suo compagno si portò istintivamente una mano al taschino interno della giacca nera, ma si bloccò quando notò che la mano sinistra di Vermouth gli puntava addosso un’altra pistola comparsa dal nulla.

“Ricordati chi sono” disse la donna prima di far sparire velocemente le due armi nelle fondine, invisibili, dentro il suo abito.

“Ora seguitemi” disse sorridendo così gentilmente che Vodka capì all’improvviso perché quella era la donna del Boss.

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“QUALCUNO HA RAPITO I TUOI GENITORI??” urlò Kazuha Toyama dopo aver sorpassato la porta semi-distrutta dell’Agenzia Mouri.

“SHHHHH!!!” le intimarono Ran Mouri e Ai Haibara mettendosi un dito sulle labbra.

“Scusatemi!” disse la ragazza dispiaciuta stringendosi nelle spalle “ma ne sei proprio sicura Ran?”

“Avevano il telefono di mia madre” disse la figlia del famoso detective Kogoro Mouri fissando la stanza senza guardare veramente “e mi hanno fatto sentire la voce di mio padre…inoltre…”

Kazuha Toyama e Ai Haibara stettero per un attimo silenziose a guardare quella ragazza alta al centro di una stanza a soqquadro.

Ran Mouri sospirò. Alzò il volto a fissare la strada che oltre il vetro dell’Agenzia si faceva piano piano più rosata, mentre l’alba di un giorno nuovo saliva in cielo.

“Mi hanno anche lasciato una sorta…di biglietto da visita” aggiunse con un filo di voce “ho pensato che sarebbe stato meglio metterlo in frigorifero…per…per…”

“Ran…che…che..cos’era?” chiese Kazuha Toyama spaventata.

Ai Haibara si limitò ad abbassare leggermente il volto, attenta, senza perdere di vista la figura di Ran Mouri.

La ragazza mosse qualche passo e le condusse al piano superiore.

Kazuha riconobbe i segni di scasso e di intrusione forzata. Quegli uomini avevano fatto proprio un bel lavoro.

Le due ragazze seguirono silenziose Ran che si dirigeva in cucina e apriva, piano, lo sportello del frigorifero ancora funzionante.

Poi Shiho Miyano e Kazuha Toyama si soffermarono a vedere oltre quella porta.

La luce brillava allegra sulle sfaccettature della plastica nella quale era avvolto.

Era un dito.

Il dito di un uomo adulto.

Ricoperto di sangue.

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Nota dell’autrice: Scusatemi

Nota dell’autrice: Scusatemi! (^^ )Scusate davvero tantissimo per la lunga attesa di questo capitolo! Non so come farmi perdonare oltre al fatto di postervelo e rivelarvi unna parte del mistero che ho creato. Grazie a tutti per i vostri commenti ^^ sono sempre ultrafelice che il mio racconto vi piaccia.

Kazuhachan …un bacio fra Heiji e Kazuha..uhm…devo dire che ci ho pensato..cmq un bacio fra altri due personaggi ci sarà ..non dico chi però :P

Fujiko…quel dito…beh..lascio alla vostra immaginazione! XD

Akemichansi effettivamente i miei capitoli si sono un po’ ridotti ultimamente…anche secondo la mia mancanza di tempo purtroppo…vorrei scrivere, ma ultimamente sono così impegnata che per quanto le idee ci siano trovo pochissimo tempo per mettermici su ( a queto proposito, mi scuso anche per gli eventuali errori che ci saranno :P purtroppo ormai scrivo un po’ di fretta ç__ç )

Ginny..come al solito Grazie mille!! Si lo so anche io se fossi stata in Heiji mi sarei fatta baciare! XD

Mary o Cla… scusami hai perfettamente ragione!! ultimamente ci metto veramente tanto ad aggiornare ç_____ç ( e comunque non ti preoccupare per i commenti ^^ lasciamene pure quanti ne vuoi ^^ mi fanno sempre tantissimo piacere ^^ ) e a proposito..mi chiedevi quanto ho ad italiano :P..purtroppo la scuola l’ho finita da un po’ ^^” ma non brillavo proprio tanto…insomma la mia media era sull’otto.

Detto questo vi lascio alla lettura! ^^

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14.

“Buongiorno!” disse l’agente Wataru Takagi alla porta della villa dei Kudo.

Lo scienziato, strampalato vicino di casa del famoso scrittore, aprì la porta con una strana faccia scura.

“Qualcosa non va?” chiese improvvisamente Sato preoccupata.

“Ah, no…non vi preoccupate…prego, prego credo che Shinichi vi aspettasse…”

DOVE PENSI DI ANDARE!” urlò un ragazzo che Sato non aveva mai visto. Assomigliava in modo impressionante a Shinichi Kudo se si escludevano i capelli piuttosto arruffati.

“A RIPRENDERLE!” sbottò il figlio dello scrittore con addosso ancora i segni della febbre che gli aveva visto il giorno prima all’ospedale, nella stanza di Kogoro Mouri.

“PIANTALA!” s’intromise un altro giovane dalla pelle scura che la poliziotta riconobbe come il figlio del capitano Heizo Hattori di Osaka “Non sappiamo dove si trovano e tu non sei in grado di fare niente con il raffreddore che ti ritrovi!”

L’agente speciale Miwako Sato posò lo sguardo sul ragazzo dal ciuffo ribelle, perplessa. Era veramente insolito vedere quel tranquillo, eccezionale, giovanissimo detective perdere la calma.

“Dov’è Ran?” chiesa la donna gli occhi ridotti a fessure.

Takagi si voltò verso di lei attonito. Poi si limitò a fissare i tre ragazzi nell’atrio della villa dei Kudo.

“Non lo sappiamo” rispose per tutti loro il professor Hiroshi Agasa, il volto pallido “stamattina sono uscite senza dire nulla”

Sono uscite?” chiese perplessa Sato fissando l’ometto preoccupato.

“Con lei sono andate anche Kazuha Toyama e Ai Haibara” disse cauto il giovane simile a Kudo.

“La ragazza che era qui ieri e quella silenziosa bambina bionda?” fece Takagi perplesso.

Heiji Hattori, pallido anche lui, si limitò ad annuire.

“Avete provato a….” cominciò Sato pensierosa.

“Hanno tutte e tre il cellulare spento” disse solo Kudo.

“Beh, però è un po’ presto per preoccuparsi” cominciò la donna sorridendo per smorzare la strana tensione creatasi nella stanza “magari volevano solo uscire da sole per fare quattro compere prima di Natale. Vi staranno comprando i regali! Su ragazzi! È passato troppo poco tempo per pensare al peggio!”

“Dimentica, agente Satodisse dura la voce di Shinichi Kudo “che ieri hanno provato a rapirle…per errore, certo, ma due di loro sono in pericolo”

Tre pensarono tutti quelli che conoscevano la storia di Shiho Miyano.

Poi, come se fosse sorta dal nulla una bambina dal volto pallido e bellissimo varcò la soglia.

“Buongiorno” disse placida Ai Haibara, le mani intrecciate dietro la schiena, le iridi glaciali fisse sui presenti “mi scusi se mi sono allontanata professore” iniziò la bimba con calma “ ma ho visto che il caffè era terminato e sono andata a comprarlo”

“AI!” urlò l’ometto precipitandosi da lei.

“HAIBARA!” sospirò Kudo raggiungendo il professore seguito a ruota da Hattori che le si fece vicinissimo.

“ALLORA? DOVE STANNO? “ disse il giovane detective del Kansai fissandola tremendo nelle iridi grigie. La bambina, intimorita, indietreggiò prima di riaversi dallo stupore.

“Scusami, ma di chi parli?”

“DI KAZUHA! HAI PRESENTE? QUELLA PALLA AL PIEDE CHE MI FARA’ MORIRE D’INFARTO UNO DI QUESTI GIORNI!” strillò Hattori alle orecchie della scienziata.

Tutti si voltarono intimoriti verso il ragazzo e per un istante il volto di Shinichi Kudo si rallegrò.

“Scemo! e dicevi che ero io quello ad essere esagerato! Comunque” disse poi riferendosi alla bambina scrutandole lo sguardo con la sua solita aria decisa “sai dove sono non è vero?”

La bambina volse gli occhi, schiva, mentre i capelli le coprirono per un attimo le guance pallide.

E cosa te lo fa pensare? Io sono solo andata a comprare il caffè…”

“D’accordo” sospirò infine il ragazzo con un sorriso “andiamo di là a parlare con calma” aggiunse rivolgendosi improvvisamente più tranquillo ai poliziotti che si trovavano ancora nell’atrio “se non sbaglio, hai qualcosa da dirmi, non è così Takagikeji?”

“Ehm…si” disse l’uomo massaggiandosi la nuca a disagio.

“Vado a preparare il caffè, allora” disse il dottor Hiroshi Agasa trascinandosi dietro Ai Haibara.

All’agente speciale Sato non sfuggì lo sguardo che Shinichi Kudo lanciò a quella bimba che scompariva oltre la porta della cucina.

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“Ti ho già detto che ho deciso di andare da sola!” sbuffò Ran Mouri alla ragazza che la seguiva con un largo sorriso sulle labbra.

Che tu abbia fatto allontanare la piccola Haibara, mi sembra più che giusto. Inoltre potrà tenerci informate sugli spostamenti di quegli idioti” disse con un leggero sospiro Kazuha Toyama “mentre noi raggiungiamo quegli uomini. Tuttavia…non ti sembra un po’ strano quello che ti hanno chiesto?”

“In realtà se ci rifletti no” disse la ragazza fermandosi a chiamare un taxi “ Shinichi, Hattori - kun e Kid non sono ancora riusciti a decifrare il codice, ma da quanto mi ha fatto capire quell’uomo c’è sotto di qualcosa di più importante di quello che immaginiamo”

“Hai qualche idea?” chiese Kazuha soprappensiero.

Ran Mouri scosse la testa “ Il detective è Shinichi, non io…tuttavia….che cos’è che ha raccontato Kid? Mi hai detto che ha dato qualche altro indizio sul codice nei libri”

“Beh, si…” rispose la ragazza di Osaka portandosi un dito al volto mentre vedeva la sua amica aprire la portiera dell’auto gialla che si era appena fermata accanto a loro “ha detto che suo padre aveva rubato una di quelle copie. Ci ha descritto la copertina che a differenza delle altre aveva uno stemma con un cavaliere e un drago stampati sopra…e poi ci ha detto che c’era una frase in latino sull’illustrazione….mi sembra che fosse qualcosa tipo…nel principio c’era…qualcosa…”

In principio erat verbum” disse Ran Mouri seria fissando la strada oltre il parabrezza.

Kazuha Toyama la fissò sbalordita.

La ragazza le sorrise dolce come al solito “Me lo disse una volta mia madre. È latino, l’incipit di uno dei quattro Vangeli…quello di Giovanni mi pare….alla villa Imai per favore” aggiunse poi rivolta al tassista “e non so perché ma credo che questa frase possa essere la chiave di tutto”

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Che diavolo c’entra il Vangelo di Giovanni con Shinji Imai?” chiese Heiji Hattori mentre sorseggiava il caffè che il professor Hiroshi Agasa gli aveva appena portato. Intanto non la smetteva di lanciare sguardi astiosi al suo rivale dell’Est che sembrava stranamente tranquillo dal ritorno della piccola scienziata.

“E’ quello che dovremo scoprire. Per adesso, sappiamo che ogni libro ha una dislocazione diversa degli scacchi nella xilografia in coda al volume “iniziò Kid fissando il foglio sul quale Kudo aveva annotato i kanji dei due libri in loro possesso.

“Che ci sono dei segni zodiacali differenti disegnati sul trespolo di ogni immagine…” continuò Kudo “ il che ci porta a dare una spiegazione alle differenti colorazioni dei tomi e ad un loro ordine virtuale”

“In che senso?” chiese Takagi assorto mentre sfogliava uno dei volumi.

“Questo è il segno dello Scorpione, almeno secondo l’oroscopo occidentale” disse l’agente speciale Sato fissando l’immagine sul libro verde “ e questo è il segno dell’Ariete..

Ma come siamo informate…” ironizzò il detective Takagi lo sguardo malizioso.

“Non sono mica un’idiota come te” sbuffò la donna noncurante concentrando poi di nuovo l’attenzione su Kudo “a proposito, chi è quel ragazzo e perché si trova qui anche lui?” chiese lanciando uno sguardo sospetto all’ultimo mago del secolo che si limitò a sorridere, stupido.

“E’ mio cugino” rispose Shinichi Kudo come se l’argomento non avesse importanza. Poi prese di nuovo i libri e sorrise.

Quindi confrontando il calendario possiamo dire che nella risoluzione del codice il libro Rosso andrà prima del libro Verde; ossia un segno di Fuoco andrà prima di un segno d’Acqua”

“Segno d’Acqua, hai detto?” chiese Takagi all’improvviso mentre uno strano presentimento gli nasceva imperioso nel petto “Sato…qual era il segno trovato accanto al cadavere di Takeshita ieri pomeriggio?”

“Era il simbolo dell’aria nell’oroscopo cinese….non penserai che?”

L’agente speciale Wataru Takagi fissò serio le iridi azzurre del giovane avanti a lui; e Shinichi Kudo sorrideva. Ora qualche pezzo cominciava a trovare il proprio posto.

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“In principio erat verbum….in principio erat verbum…ma che cosa strana!” sbuffò Kazuha Toyama incrociando le braccia sul petto e lanciando uno sguardo in tralice alla sua silenziosa compagna. Il taxi sfrecciava nell’aria gelida di quel mattino senza luce e Ran Mouri, ne era convinta, nascondeva più di quanto non avesse rivelato a lei e alla piccola Haibara.

Già. Come glielo avrebbe detto ora la verità che era riuscita ad estorcere a Kid?

Sbuffò e pensò a quanto tutta quella situazione dovesse essere pesante da sopportare. Ma perché Kudo non le aveva mai detto la verità? Così vicino eppure….eppure così irrimediabilmente lontani. Per un attimo avvertì il battito accelerato del petto mentre, in un moto involontario, la mente era fuggita da Heiji. Se fosse stato così anche per lei…che cosa avrebbe fatto?

Per ora era meglio continuare a nascondere il segreto senza causare altre preoccupazioni a Ran. Inoltre…aveva ragione. Anche Haibara nascondeva qualcosa. E anche in questo caso sia Heiji, che Kudo che Kid che lo stesso professor Agasa ne erano a conoscenza.

Quel brutto scemo di Heiji! Non appena avrebbero scritto fine a quella brutta storia sapeva benissimo che fine fargli fare…una fine molto dolorosa.

E sulle sue labbra sorse un sorriso maligno.

Ran Mouri fissava, intanto, lo stesso paesaggio che aveva visto il giorno prima sfilarle sotto gli occhi e sentì che l’inquietudine saliva. Sarebbe mai riuscita a fare quello che aveva in mente? Ma Kazuha? Non voleva mettere in pericolo anche lei…per questo …per questo era stata costretta a mentirle. Ora sperava solo che la piccola Haibara seguisse quanto le aveva pregato di fare.

“Vi dispiace se accendo un po’ la radio signorine? “chiese all’improvviso il tassista con un sorriso imbarazzato “è che il lunedì mattina è proprio difficile riprendere a lavorare alla mia età”

“Faccia pure” sorrise Kazuha sicura di interpretare anche il pensiero di Ran.

Poco dopo la radio cominciò a suonare allegramente.

“Metto sempre questa stazione” disse l’uomo continuando a sorridere “passano spesso delle canzoni in inglese e fanno dei corsi, così anche un vecchio come me può imparare la lingua!”

“Già l’inglese è molto utile al giorno d’oggi” sorrise Kazuha a sua volta “ma è sempre stato molto importante per noi giapponesi, non è vero Ranchan? Con le truppe americane che sono giunte qui sin dal XIX secolo…”

Che hai detto?” chiese all’improvviso Ran Mouri fulminata da un’idea.

Kazuha Toyama fissò la sua amica perplessa “ che l’inglese è molto importante …”

“No, no” sorrise Ran le guance rosse dall’emozione “è vero che la lingua inglese, o meglio la sua versione americana, entrò profondamente nel nostro linguaggio sin dal 1800…questo può significare…”

Che quei kanji…potrebbero non essere veri e proprio kanji!” sorrise Kazuha trionfante mentre afferrava il suo Siemens e cercava nella rubrica la voce ‘Scemo’.

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“L’ordine non ci aiuta granché, comunque” disse Hiroshi Agasa portandosi una mano al mento. Poi alzò gli occhi sui due agenti di polizia seduti sul divano del suo migliore amico e, finalmente, trovò il coraggio di chiedere come uno dei suoi compagni dell’università fosse stato ucciso.

Shinichi Kudo fissò stupito il professore dai folti favoriti bianchi. Non se ne era minimamente accorto, forse perché l’uomo, considerando tutto quello che stava succedendo, non voleva contribuire ad aumentare la sua preoccupazione. Che stupido! E lui era stato ancora più scemo a non accorgersene. Lasciò che le sue iridi cercassero la bambina che si faceva chiamare Ai Haibara e capì che lei aveva saputo del dolore di Agasa prima ancora che lui parlasse. Ora gli poggiava premurosa una mano sul braccio come a fargli comprendere la sua vicinanza. Shinichi Kudo avrebbe voluto fare lo stesso per quell’uomo che l’aveva aiutato sempre e comunque. Ma Haibara stava facendo un ottimo lavoro.

E con quel suo finto sguardo glaciale gli aveva già fatto capire che Ran stava bene. E anche Toyama. Il problema era ora dirlo ad Hattori in qualche modo.

Approfittando del momento di distrazione dei due poliziotti il giovane scrisse ‘ ok su un foglietto poggiato sul tavolo e lo passò al detective dell’Ovest. Anche Kid si fece vicino al ragazzo ed entrambi sembrarono essere più sollevati non appena compresero il significato del messaggio.

“….si” stava dicendo Sato ad Agasa “mi dispiace….però lo abbiamo trovato così. Le braccia legate dietro la schiena così forte che le mani sono divenute invisibili. Purtroppo il rigor mortis era avanzato. Dobbiamo aspettare il rilassamento dei tessuti prima di poter avere qualche informazione utile dall’autopsia”

Il professor Hiroshi Agasa si limitò a rimanere in silenzio mentre una strana oscurità sembrava annebbiare il sole perenne che splendeva sul suo volto e sul suo nome.

E accanto al cadavere” sospirò Shinichi poggiando quasi distrattamente una mano sulla spalla dell’ometto “è stato trovato il simbolo cinese dell’Aria”

“Questo conferma i nostri sospetti” disse Kid pensieroso” ogni libro rappresenta un elemento della cosmogonia aristotelica: Acqua, Terra, Fuoco, Aria. Con un segno e un colore associati ad ognuno di loro”

“Nel caso specifico, a Takeshita era stato assegnato un libro azzurro che potrebbe simboleggiare proprio l’Aria” intervenne Hattori, lo sguardo fisso sui libri.

“E il libro bianco allora?” chiese all’improvviso Wataru Takagi, il volto perso tra fotografie sparse sul tavolino di rovere “nelle foto che Takeshita ha consegnato alla polizia c’era anche una che riportava l’immagine di una copertina candida…”

Shinichi Kudo, Heiji Hattori e Kaito Kuroba si limitarono a fissarsi negli occhi e sorridere.

“Quello probabilmente è il jolly” disse il giovane detective dell’Est con gli occhi scintillanti.

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“Quali sono i kanji che Shinichi ha scritto sul foglio…te li ricordi?” chiese Ran assorta a Kazuha che non riusciva a prendere la linea.

“Aspetta…aspetta…” fece la ragazza aggrottando la fronte nello sforzo di ricordare “mi pare…ricordo di aver letto…Ma si!!” disse afferrando il suo cellulare e premendo ripetutamente il cursore fino a trovare quello che cercava. Poi alzò il volto sulla sua amica dai lunghi capelli castani e le strizzò un occhio.

“Ieri sera ho scritto una mail-bozza nella quale ho riportato gli appunti di Kudo - kun….voi eravate tutti addormentati…” disse fissando Ran Mouri “prima di crollare anch’io ho pensato a dare un’altra forma alle informazioni…non so perché ma ultimamente con la carta sembra che ci facciamo un po’ tutti a cazzotti…”

Poi entrambe le ragazze si chinarono a guardare il display colorato del Siemens di Kazuha Toyama.

Ran Mouri cacciò dal piccolo zaino che si era portata dietro un blocchetto e una penna.

“Con un madre avvocato e un padre detective…è il minimo” arrossì mentre la sua amica la fissava sbalordita per poi sorridere maliziosa.

“Certo! Se ci si aggiunge che il fidanzato è anche lui un investigatore….

Piantala! E guarda qui piuttosto….questi sono i kanji del primo libro..”

“Quello verde…”

Se provassimo a scriverlo con l’alfabeto inglese…”cominciò Ran annotando faticosamente le lettere sul block notes “verrebbero fuori….naka, eda, wa, en, rei, mune, oku, ancora rei e di nuovo eda…”

“Che strano” osservò Kazuha alzando un sopracciglio perplessa “in un certo modo hanno tutti a che fare con l’anima umana”

“Ogni parola potrebbe, infatti essere riferita ad un sentimento…”confermò Ran “non viene niente neanche in inglese..peròin principio erat verbum…ma certo!Se prendiamo solo le lettere iniziali della trascrizione allora…”

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“NEWERMORE?” chiese Takagi arricciando il naso.

“Più che altro Nevermore” sorrise Kaito Kuroba alla faccia terrificata del poliziotto. Eccone un altro che gli stava simpatico “in giapponese non esiste nessun kanji che trasposto in alfabeto occidentale abbia come inizio la semplice ‘v’. Per questo, si è voluto prendere una sorta di succedaneo…la ‘w’ appunto. E sull’altro libro c’è scritto ‘such’, quindi”

Ma… che può significare?” chiese Sato fissando Kudo.

Il giovane detective dell’Est aveva lo sguardo incollato a quel piccolo quadrato bianco e solo le iridi azzurre, accese come fuochi, testimoniavano il fremito dei pensieri che si agitavano nella sua mente.

“I libri sono pochi…”iniziò il giovane senza staccare lo sguardo dai volumi “e probabilmente ognuno dei tomi possiede solo una parola…al massimo due, non di più…”
”Questo ci fa arrivare ad un’unica conclusione” intervenne
Hattori, il volto scuro alzato fieramente verso gli astanti.

“Ovvero che si tratti di una poesia” finì la piccola Ai Haibara attirando l’attenzione di tutti.

Ma di chi?” chiese il professor Hiroshi Agasa alzando finalmente lo sguardo sui presenti.

Edgar Allan Poe” disse il detective Wataru Takagi, lo stesso brillio di Kudo ed Hattori nelle iridi dorate.

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La donna contrasse le labbra in uno strano sorriso quando strinse quei fogli ingialliti fra le mani.

“The Raven” lesse in cima alla pagina, una parola nera scritta con una grafia particolare, non troppo bella, né spiacevole. L’uomo che aveva trascritto quelle parole doveva essere stato molto singolare…

Chissà poi perché interessarsi ad uno scrittore americano quando i suoi studi lo avevano portato a scoprire una verità più terribile di quanto egli stesso non potesse credere essere celata nella storia.

La donna chiamata Vermouth si divertì a lanciare uno sguardo alle sue spalle dove Gin e Vodka giocavano ad intimorire con la loro sola presenza i poveri responsabili della mostra.

“Tra un po’ arriverà anche la polizia “ disse poi, presa da un moto di compassione nei confronti di un povero ragazzo, sul quale Vodka sembrava voler infierire a tutti i costi “non vi conviene farvi vedere troppo in giro”

“Non ci sarà nessun problema” sorrise Gin, glaciale e chiaro simile al liquore al quale aveva strappato il nome.

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Nota dell’autrice: Ed eccomi di nuovo a voi con il quindicesimo capitolo ^^ scusatemi sempre per il tempo che passa tra un cap

Nota dell’autrice: Ed eccomi di nuovo a voi con il quindicesimo capitolo ^^ scusatemi sempre per il tempo che passa tra un capitolo e l’altro, ma purtroppo più vado avanti, più mi rendo conto che il mio tempo libero diminuisce a vista d’occhio….ç____ç

Cmq come prima cosa ( ormai non ce la farete più XD) vi RINGRAZIO SEMPRE MOLTISSIMO per la pazienza che mi dimostrate…e per i vostri suggerimenti….beh…

Kazuha-chan…dico solo…..’vediamo che si può fare ‘ ;)

Cla ’92..sono sempre felicissima delle tue parole ^^ e sono arcicontenta del fatto che il mio racconto ti abbia impegnato così tanto!!! È una cosa meravigliosa!! Cmq per quandto riguarda la scuola…diciamo che purtroppo non sono proprio giovane come voi :P ho fatto il liceo classico e mi sono laureata in Lettere l’anno scorso :P Ecco perché ti diceva che dalla scuola è passato molto tempo :P scusatemi solo per non avervelo detto subito ç___ç

Akemichan….hai ragione…anche io mi rendo conto della complessità del caso, però ho tutto in mente e devo dire che alcune cose non sono state rivelate. La vera facies della ricerca di Imai dovrà essere ancora svelata…ma questo è compito del sedicesimo capitolo che penso di postarvi al più presto. Nel frattempo spero che anche questo nuovo capitolo ti piaccia ^^ e si hai ragione; i capitoli si fanno più corti in proporzione ( purtroppo) del tempo che ho da dedicargli ç____ç

Detto questo ( ammazza quanto ho scritto di premessa) a voi il nuovissimo capitolo ^^

E adesso prometto che tra una settimana ( lo giuro perchè è già pronto ormai ^^ ) vi porterò anche il 16 ^^

A presto!!!!

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15.

Much I marveled this ungainly fowl to hear discourse so plainly,
Though its answer little meaning -- little relevancy bore;
For we cannot help agreeing that no living human being
Ever yet was blessed with seeing bird above his chamber door--
Bird or beast upon the sculptured bust above his chamber door,
 
With such name as "Nevermore."

Molto mi meravigliai nell'udire parlare così chiaramente questo sgraziato volatile,
sebbene la sua risposta poco significasse - poca pertinenza avesse;
perché non possiamo non esser d'accordo che nessuna vivente umana creatura
giammai fu beata dalla visione di un uccello sulla porta della sua camera -
Uccello o bestia su un busto scolpito sulla porta della sua camera,

con un nome tale come "Mai più".

Ran Mouri sentì quei versi ripetuti nella sua mente da una voce gentile che apparteneva ad un uomo giovane, dai capelli castani e dagli occhi azzurri. Sorrise lasciando che per un attimo Kazuha la fissasse attonita.

Ricordò un pomeriggio d’estate, nel quale si era fermata pigramente ad osservare un grillo che cantava nel giardino di quella splendida casa stile europeo. A Ran era sempre piaciuta la casa di Shinichi….aveva un non so che di insolito e un buon profumo aleggiava in tutte le ampie stanze. Girò il volto piano, quasi affaticata dalla calura di quel pomeriggio di agosto.

Shinichi era disteso sul divano, addormentato con un libro sulla faccia….aveva tentato per l’ennesima volta di leggerle dei racconti dell’orrore per esorcizzare una volta per tutte il suo terrore sui mostri e qualsiasi elemento soprannaturale in generale.

“I fantasmi non esistono” le diceva sempre “tutto ciò che ci appare innaturale trova – o comunque troverà nel corso dei secoli – una spiegazione logica. I mostri non ci sono. Gli unici veri mostri sono solo gli uomini “ aveva concluso abbassando il volto contratto, quasi affranto.

Ran era rimasta colpita dalla maturità di Shinichi.

Avevano solo otto anni.

Un piccolo foglio scivolò dal libro appoggiato sul naso del suo amico che da un po’ aveva cominciato a russare fragorosamente. Ran storse il muso e raccolse il foglio, curandosi di dargli una strattonata. Il che servì, se non a svegliarlo, almeno a fermare per qualche minuto il terribile frastuono del suo naso.

Ran Mouri si ricordò di essere rimasta di sasso quando voltò il foglio e fissò il volto impresso su quella vecchia fotografia.

“Ti assomiglia molto” sorrise una voce gentile dietro di lei.

Yusaku Kudo si affacciava sereno alla sua spalla, curiosando sullo strano interesse che la bambina aveva mostrato per quel foglio.

“Davvero?” chiese la piccola Ran arrossendo.

L’uomo si limitò ad annuire sorridendo dolcemente. Poi, alzò lo sguardo a cercare i resti di suo figlio che aveva ricominciato a russare sul divano. Storse il muso in una smorfia di disapprovazione e tornò a fissare le iridi blu di Ran.

“Che figlio idiota!” disse scuotendo la testa sconsolato “ non sa proprio come ci si debba comportare!”

Ran si ricordò di aver riso parecchio per quella battuta apparentemente stupida.

“Ti va di sentire una storia triste?” le chiese poi il padre di Shinichi.

“Ci sono mostri?” chiese Ran spaventata.

“Si” rispose Yusaku Kudo serio “ nient’altro che uomini”

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Ran!” la voce di Kazuha interruppe il flusso dei suoi ricordi “Ran tutto bene?”

La ragazza fissò affranta la sua amica e capì che era arrivato il momento di usare quello che suo padre teneva nascosto nella sua scrivania. Il primo cassetto a destra, quello che non aveva più aperto dal giorno in cui sua madre se ne era andata.

Il taxi le aveva portate dove desiderava e il volto dell’uomo le guardava con affetto paterno come se, per qualche ragione, Ran e Kazuha gli ricordassero qualcuno che già conosceva.

“Ecco” gli disse Ran porgendogli una banconota.

L’uomo sgranò gli occhi scuri per lo stupore “ma signorina….è troppo”

“No” sorrise Ran “ aspetti un secondo qui, dovrà riportare la mia amica a casa” non attese neanche una risposta. Si allontanò dallo sportello e si avvicinò a Kazuha rapita dal paesaggio splendente di quel lago e quella foresta coperti dalla neve decembrina.

“Quando tutto questo sarà finito dovremmo venirci per le vacanze, è un posto bellissimo!” esclamò la ragazza di Osaka aprendo il volto in un sorriso splendente.

Uno splendore che si rifletté sulla canna argentea della Magnum puntata su di lei.

Ran….”sussurrò Kazuha Toyama stordita “ma…”

“Il taxi ti sta aspettando” disse Ran Mouri la presa salda sulla pistola “vai. Da adesso in poi devo vedermela da sola”

Kazuha sorrise, incredula.

“Mi stai prendendo in giro, non è così? Su Ranchan non sono scherzi da farsi….”

Ran Mouri non disse nulla. Lasciò solo che il pollice caricasse il colpo.

E l’ultima foglia dorata del faggio vicino cadde, placida, leggera sulla neve tinta di rosso.

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Il ragazzo chiamato Shinichi Kudo si aggirò per la stanza vuota. La vista che vorticava ancora pericolosamente e il respiro affannato. Scosse la testa. Non era solito perdere la calma in quel modo; che fine aveva fatto il giovane detective capace di razionalizzare qualsiasi evento fosse sottoposto al suo intelletto?

Lo sguardo gli cadde sul foglio che portava una grafia sottile e ricercata come poteva esserlo solo quella di un ladro famoso. Accanto il tratto più scuro e poco elegante era lo specchio della schietta personalità di Hattori.

Shinichi Kudo sorrise.

Si poteva capire molto dalla grafia di un uomo.

Solo…

Quale incredibile verità il giovane Shinji Imai aveva dovuto nascondere in quel modo?

Ciò che era ormai chiaro è che il figlio dello scrittore aveva avuto paura. Un terrore tale che gli aveva impedito di regalare alla storia un mistero più complesso di quello che avevano intravisto con quegli indovinelli.

E questo glielo diceva quel fiuto da detective che fino ad allora non lo aveva mai deluso.

Solo che…c’era qualcos’altro che si stava agitando…

Scosse la testa mentre uno strano soffio di vento sembrava avergli soffiato nella mente il ricordo di Ran Mouri.

Era gelido.

Il ragazzo si voltò massaggiandosi la nuca, a disagio. Era come se quel vento gli avesse parlato….gli avesse rivelato qualcosa che gli pesava dentro, come a comprimergli i polmoni.

Ma che stava pensando?

Era solo il vento.

Probabilmente Hattori e Kid avevano lasciato aperta la porta dopo essere usciti.

Toyama aveva telefonato invitandoli ad andarla a prendere e Hattori si era precipitato da lei, mentre Kid e Agasa si erano offerti di accompagnarlo. Lo avrebbe fatto anche lui, se Haibara, con il consenso di tutti, non gli avesse tassativamente proibito di mettere il naso fuori casa.

Il ragazzo sbuffò di nuovo mentre un foglio lasciato da Takagi volava oltre la porta dello studio.

Un vecchio disegno dove una ragazza sorrideva aggrappata al braccio di un giovane dal ciuffo ribelle.

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Heiji Hattori fissò i fiocchi che avevano cominciato a scendere lentamente da quel cielo talmente bianco da fare male. Il cuore gli turbinava nel petto più di qualsiasi altra volta gli fosse accaduto in tutta la sua vita; mai, mai nella sua carriera da detective aveva passato due giorni d’inferno come quelli!

E niente sembrava essersi definitivamente risolto ancora risolto.

Si portò le mani al mento e cercò di dimenticare la voce preoccupata che aveva sentito al telefono.

Fin quando non sarebbero arrivati non poteva permettersi di perdere la calma; era o no il figlio del famoso comandante Heizo Hattori? Aggrottò le sopracciglia e tentò di rimettere in sesto i pezzi di un puzzle che sembrava assurdo.

Quale fosse la chiave dell’indovinello l’avevano ormai capito ma cosa c’entrava Edgar Allan Poe con tutto questo?

Shinji Imai era andato a studiare in Europa” aveva detto Kudo

Grazie.

A quello ci sarebbe potuto arrivare anche da solo….ma che diavolo voleva significare?

“Alla Sorbonne si era interessato a manoscritti del IX secolo, o almeno questo è quello che si racconta sul suo conto” queste le informazioni che l’agente Takagi gli aveva esposto “tuttavia non ho avuto nessuna conferma dal vecchio Takahashi. In realtà non mi ha dato neanche una vera smentita. Si è limitato a sorridermi”

Heiji Hattori aveva allora notato l’ombra che aveva attraversato le iridi azzurre di Kid.

Qualcosa non quadrava. Lo sguardo scuro di Kudo glielo aveva confermato.

Tuttavia…che c’entrava Edgar Allan Poe con manoscritti medievali? Francesi poi! Poe era nativo di Baltimora, quanto più lontano dal medioevo potesse esistere (se si eccettuavano le atmosfere gotiche che caratterizzava tutta la sua produzione).

Il giovane detective del Kansai scosse la testa, frustrato. Non riusciva a capire. Non riusciva proprio a capire.

E poi bussava al suo cervello.

La vecchia Wolswagen del professor Agasa era ormai entrata nel parcheggio dell’ospedale distrettuale di Beika.

Kazuha.

Era sempre lei, quella scema, che scappando metteva tutti nei guai.

Che stupida!!!

Heiji Hattori non riusciva a pensare, mentre il cuore gli martellava così forte contro i timpani che sembrava volesse spaccargli il cranio.

Perché Kazuha era all’ospedale?

Perché piangeva?

Perché lo sapeva che stava piangendo, anche se quella cretina faceva sempre di tutto per nascondergli le sue lacrime.

Heiji Hattori strinse i denti talmente forte che presto sentì il sapore del sangue diffondersi nella sua bocca.

L’avrebbe fatto a pezzi.

L’avrebbe ammazzato quel bastardo.

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Kaito Kuroba osservò la strana luce balenare negli occhi di Hattori e se ne ricordò.

Quella fiamma l’aveva già vista.

Aveva appena saputo della morte di suo padre.

E lo specchio gli restituì l’immagine lacerata di un bambino con gli occhi di fuoco.

Lo aveva sentito benissimo. Ma nessuno aveva detto nulla.

Anche il detective Wataru Takagi si era accorto del legame che aveva con il libro.

Un legame di sangue.

Il sangue di suo padre.

Il cuore del ragazzo diede un guizzo quando si ricordò il motivo per il quale aveva deciso di mettersi sulle tracce del libro.

L’aver scelto come compagni di avventura quei due era risultato più utile di quanto non avesse sperato all’inizio. Solo che ora, lo sapevano tutti e tre, si trovavano di fronte ad un punto morto.

I misteriosi uomini in nero erano probabilmente avanti a loro.

Il giovane Kaito Kuroba alzò il volto su quella giornata bianca come il mantello che adorava e sorrise.

La sfida non si era conclusa.

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Ai Haibara passò di fronte alla porta dello studio.

A terra accanto alla porta c’era un foglio. La bambina lo raccolse e due ragazzi dalle fattezze così familiari da farle male le sorrisero. I suoi occhi grigi indugiarono un secondo ancora sul ritratto schizzato da una mano veloce, prima di alzarsi ad osservare l’interno dello studio di Yusaku Kudo.

La figura slanciata del giovane detective dell’Est misurava con passi frenetici l’intero perimetro della stanza, in una sorta di strana danza dagli effetti apotropaici.

Abbassò il volto.

Era rimasta lì dove aveva promesso di restare.

E anche lui.

Shinichi non deve assolutamente allontanarsi” le disse la voce di Ran Mouri nella sua mente “e non deve sapere nulla”

Poi, di nuovo, quel sorriso, per lei, solo per lei “so di potermi fidare di te”

Shiho Miyano fissò il volto scuro di quel giovane chiamato Shinichi Kudo e si chiese se il suo angelo non avesse fatto un grosso sbaglio nel giudicarla. Ma Ran Mouri aveva saputo leggere anche questo sul suo volto ritenuto imperscrutabile.

“Lo proteggerai, lo so” aveva detto.

Perché tu lo ami tanto quanto lo amo io”

E Shiho Miyano promise che avrebbe tenuto lontano Shinichi Kudo da quella ragazza….dalla donna di cui era innamorato.

E non era lei.

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Eri Kisaki premette una volta ancora gli indumenti nella borsa che aveva promesso di preparare.

Ancora non si capacitava di come suo marito avesse avuto un’idea del genere. Sorrise arrossendo lievemente abbandonandosi ad una tenerezza che non sapeva di riuscire a provare ancora per quell’uomo stupido e gretto!

Scosse la testa e continuò ad infilare gli indumenti nella borsa.

Per ora erano sufficienti.

Lanciò uno sguardo desolato intorno.

Sua figlia teneva quel piccolo appartamento come un gioiello e ora era semidistrutto. I vicini vedendola arrivare le avevano sorriso cordiali chiedendole come stesse suo marito, per poi spettegolare alle sue spalle. La donna sospirò. Aveva approvato l’idea di Kogoro. Ora bisognava superare le inevitabili ritrosie di Ran. Soprattutto ora che Shinichi era tornato.

La donna si accarezzò un labbro con il dorso dell’indice pensierosa.

Shinichi Kudo nascondeva qualcosa. E come tutti gli uomini non era capace di farlo come si doveva. Qualcosa che aveva a che fare con la sua lontananza così prolungata. Yukiko stessa le aveva sorriso imbarazzata quando gliene aveva parlato.

Ora Eri Kudo, per quanto fosse affezionata a quel ragazzo, non sapeva se fosse più veramente l’uomo giusto per sua figlia.

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Al National Hill di Los Angeles Yusaku Kudo si chiese se aveva fatto bene a nascondere alcuni particolari di quella storia a suo figlio. Alzò lo sguardo dal pc e si tolse gli occhiali stropicciandosi il volto affaticato. Lasciò che, per un attimo, la luce leggera della lampada filtrasse attraverso le palpebre chiuse.

Era una leggenda. Solo una leggenda che si tramandava nella sua famiglia….ma dal giorno che Shinichi gli aveva raccontato ciò che gli era successo, come era diventato Conan Edogawa e chi fossero i responsabili di tutte le sue disgrazie, aveva deciso che magari, quella storia era meglio raccontargliela quando tutto sarebbe finito.

Solo che nel frattempo aveva compiuto diciassette anni.

Il che non era molto rilevante.

Se non fosse che anche Ran Mouri aveva la stessa età.

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Heiji!” sorrise Kazuha.

Il detective del Kansai aggrottò le sopracciglia folte. Era evidente che quella ragazza avesse pianto fino al momento in cui non aveva subodorato che lui si stava avvicinando.

Che è successo?” chiese il ragazzo duro, lanciando uno sguardo ancora più irritato alla fasciatura che la ragazza aveva sulla gamba destra.

Kaito Kid gli scaraventò il gomito in una costola guardandolo storto. Heiji Hattori alzò un sopracciglio strafottente. Non era un ladro a dovergli dire come comportarsi.

Ran….” Sussurrò Kazuha.

I due ragazzi si volsero verso di lei, lo sguardo concentrato.

Kazuha…che è successo?” chiese Heiji, questa volta con un tono più dolce avvicinandosi un po’ alla ragazza.

La ragazza alzò su di lui uno sguardo lucido senza riuscire a dire una parola.

Poi Il giovane detective del Kansai dovette fare i conti con il suo cuore che martellava laddove Kazuha Toyama nascondeva il suo volto rigato dalle lacrime.

“Ho portato il dolce!” annunciò allegra la voce di Hiroshi Agasa.

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L’uomo dai lunghi capelli biondi si calò il cappello sul ghigno mentre la bella donna bionda ordinava agli attendenti come sistemare la stanza, dava consigli su come si sarebbe dovuta svolgere la manifestazione e raccomandava al regista di fare il miglior lavoro possibile.

“Il capo sarà contento della tua premura” ghignò mentre muoveva il cavallo sulla preziosa scacchiera quattrocentesca poggiata su un tavolino d’ebano appartenuto a Luigi XIV.

Vodka fece una smorfia vedendo la sua regina in difficoltà.

La donna che si faceva chiamare Vermouth non si voltò nemmeno.

“Quello che stai sporcando con le tue luride mani è un pezzo rarissimo. Apparteneva a Carlo IV, re di Boemia”

“Uhm…se non muovi il tuo alfiere sarò costretto a mangiarlo” ghignò Gin affatto infastidito…ma più che vescovi preferisco divorare….angeli….”

Vermouth si voltò fissando uno sguardo gelido sull’uomo dall’impermeabile nero.

Poi un rintocco echeggiò lungo le pareti del cottage.

Un suono basso e lieve.

Gin si alzò.

Vermouth lo seguì fin quando arrivò alla porta ed aprì.

Oltre la soglia una ragazza dai capelli scuri tremava per il freddo.

Alzò il volto sull’uomo.

“Benvenuta” ghignò Gin mentre Ran Mouri poté solo continuare a fissarlo.

E tutto si ripeterà da capo.

Disse il vento.

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Nota dell’autrice:Come al solito grazie a tutti per le splendide recensioni che mi fate ^_________^

Nota dell’autrice:Come al solito grazie a tutti per le splendide recensioni che mi fate ^_________^

Fujikoinfatti se non mi uccide la sfiga che porta il detective con gli occhiali dovrei riuscire a finirla prima o poi questa ff XD

Cla…è un piacere per me rispondere a tutte le vostre recensioni ^^ mi aiutano a migliorare e mi fanno molto piacere visto che sono sempre positive e costruttive ^^ per le emozioni di Kazuha…sinceramente non me ne sono accorta ^^ ma forse perché non ho molto tempo per rileggere :P ti prometto che d’ora in poi ci starò più attenta ^^

Kazuhachan..eh! quello sparo…si è effettivamente eccessivo, ma Ran sapeva benissimo quello che faceva ..ha dovuto farlo per forza e se no credete che Kazuha si sarebbe convinta a non seguirla? ( va dentro c’è anche un po’ del mio senso malefico XD)

Nely…spero di riuscire a scrivere qualcosa anche su Kazuha ed Heiji che mi piacciono moltissimo ( anche se qualcosina credo proprio che ci sarà nei prossimi capitoli :P )

Perdonatemi se non riesco ad aggiornare tanto quanto vorrei ç__ç purtroppo sul serio ultimamente il tempo mi sembra decimato e non riesco a portare avanti tutte le attività che vorrei. Scusatemi anche per aver tardato qualche giorno nella pubblicazione di questo capitolo che vi avevo promesso di pubblicare una settimana dopo l’altro ^^”.

Comunque ecco a il 16° capitolo di questa storia intricatissima anche nel mio cervello XD però, non vi preoccupate, so esattamente come tutti i nodi verranno al pettine ^^ vi chiedo solo di pazientare^^

E come al solito…

Spero che vi piaccia ^^

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16.

Kogoro Mouri fissò le pareti della stanza e sbuffò. I polsi erano legati troppo stretti e il sangue non fluiva con la dovuta accuratezza. Le dita avevano acquistato già un colore violaceo. L’uomo lasciò che un sorriso storcesse per un secondo la linea dei baffi corvini che gli incorniciavano le labbra.

Era evidente che quella donna non aveva mai legato un prigioniero in vita sua.

E poi, ferito com’era, che bisogno c’era di legarlo? Anche volendo non sarebbe riuscito ad andare da nessuna parte.

Kogoro Mouri continuò a sorridere, dolce, e i suoi occhi scuri brillarono, insolitamente intelligenti.

“ Penso che per un po’ non dovrai più occuparti di me, bambina mia”

La donna che aveva lottato per farsi chiamare Vermouth fissò la ragazza che alzava uno sguardo fiero sul killer dai capelli biondi. Senza accorgersene aveva preso a mordersi un labbro e ben presto avvertì la pelle sottile cedere per lasciare il posto al sapore del sangue. Stava andando storto. Avrebbe dovuto tenere in maggior considerazione quell’uomo.

Gin era l’unico che aveva un intelletto tale da poterle procurare diversi grattacapi.

Come questo appunto.

L’angioletto era riuscito a scappare e tuttavia quell’uomo aveva fatto in modo che si presentasse spontaneamente da lui.

Gli occhi della ragazza non mentivano,Vermouth conosceva bene quello sguardo, esattamente quello che per tanto tempo aveva visto allo specchio, prima di conoscere un uomo che avrebbe cambiato la sua vita definitivamente.

L’uomo che alla fine le aveva concesso il nome di Vermouth.

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Ran Mouri aveva paura; quello che aveva di fronte e che la squadrava con occhi di ghiaccio era un assassino.

Non c’erano dubbi.

E lei ricordava anche che si erano già conosciuti.

“ Su, su piccola mia entra o ti prenderai un malanno! Sei tutta affannata!” disse Gin con un terribile ghigno mellifluo, un tono che fece storcere le belle labbra anche alla donna poco distante.

Ran rivolse per un attimo l’attenzione a quel bagliore crepuscolare che falsava il colore dei capelli della donna…e tuttavia…era lei? Era lei che emanava quel profumo?

La figlia del famoso investigatore Kogoro Mouri abbassò un attimo il volto prima di rivolgere nuovamente lo sguardo sull’uomo dai lunghi capelli biondi.

Dov’è mio padre?”

Chiese, dura, seria, ferma.

Con più coraggio di quanto lei stessa non conoscesse.

L’uomo di fronte a lei estrasse con misurata lentezza una custodia dalla quale sfilò una sigaretta con le labbra. Poi la luce improvvisa, e un leggero sentore di zolfo si sparsero nell’aria attorno al fiammifero.

“Non è bello discutere di questi affari così importanti sulla soglia, non è vero tesoro?” disse l’uomo rivolgendosi alla donna poco distante.

Ma certamente” rispose lei con un sorriso sicuro “ di qua c’è uno studiolo nel quale potremo parlare con tranquillità. Tu” fece poi ad un ometto dai capelli color paglia “facci portare del tè…. per favore” aggiunse lanciando uno sguardo all’aspetto teso di Ran.

“Tu rimani qui” sentì dire la ragazza dall’uomo biondo ad un suo compagno dalla mascella quadrata poco distante, vestito totalmente di nero.

Come lui.

Prima di avviarsi lungo il corridoio, seguendo la donna che faceva strada, Ran Mouri lanciò uno sguardo serio ai due uomini che si scambiavano ancora qualche parola.

Gli stessi uomini che aveva incontrato quel maledetto giorno di tre anni fa.

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Heiji Hattori arrossì come il carapace di un’aragosta tropicale mentre Kazuha Toyama lo stringeva così forte da non farlo quasi respirare.

Il professor Hiroshi Agasa, non appena aveva sentito i singhiozzi della ragazza, aveva bloccato le braccia in aria con le mani ricolme di nikuman.

Il ladro Kid si limitava a fissare la scena ancora incerto se dovesse preoccuparsi o meno. Decise immediatamente che forse sarebbe stato meglio dare un po’ d’intimità ai due piccioncini e trascinò via un imbambolato professore, mentre Hattori gli lanciava uno sguardo di profonda gratitudine.

“Si può sapere che è successo?” chiese a bassa voce, con un sorriso, come quando, da bambini, doveva consolare quella stupida dopo che l’aveva inseguita per centinaia di metri con una lucertola in mano. Kazuha era terrorizzata dai rettili.

La ragazza alzò su di lui uno sguardo lucido, ancora aggrappata disperatamente al suo giubbotto.

Ran…” disse “Ran è andata da loro!”

Il giovane detective dell’Ovest aggrottò per un secondo le folte sopracciglia scure, mentre per un attimo, nella sua mente un po’ stanca il pensiero di un dubbio, un quesito che sembrava essergli affiorato al cervello non appena aveva scorto quella strana luce negli occhi della sua amica d’infanzia.

La luce di una consapevolezza che andava al di là di quanto lui non le avesse mai confessato.

“Quali uomini?” chiese Heiji Hattori, piano, come se in realtà non avesse voluto saperlo.

Kazuha Toyama si morse il labbro per un secondo prima di cominciare a raccontare.

“Gli stessi uomini che hanno rapito me” disse la ragazza, le parole stranamente misurate “pare che la ricattino in qualche modo”

“Ricattarla?”

Kazuha annuì.

“Il signor Mouri” aggiunse “ sembra che l’abbiano preso in ostaggio”.

“CHE COSA?” chiesero all’unisono il giovane ladro del cielo d’argento e il professore che caddero dalla porta alla quale, evidentemente, si erano appoggiati per origliare.

Ma che diavolo sta succedendo?” si chiese Heiji Hattori portandosi una mano al mento, mentre una goccia gelida, gli feriva la pelle scura.

“Sono stati loro a spararti?” chiese all’improvviso Hiroshi Agasa alla ragazza distesa nel letto d’ospedale.

Kazuha Toyama scossa la testa.

“No. E’ stata Ran

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Jun Miyashiro si limitò a lanciare uno sguardo seccato alla strana combriccola che aveva invaso l’atrio della vecchia villa Imai.

Si asciugò il sudore con un fazzoletto, dopo aver poggiato per un secondo la grossa cassa al ginocchio. Certo che era proprio bello essere ricchi! Sbuffò il ragazzo. Ora era arrivata anche una figlia di papà! Ne era sicuro! Quella ragazza aveva una faccia conosciuta, anche se non si ricordava proprio dove l’avesse vista. Certo almeno doveva ammettere che era proprio bella e non ci stava affatto male vicino a quello schianto di donna per la quale era costretto a sgobbare! Beh, pensò girando il volto a fissare le gambe delle due donne che si muovevano a qualche metro avanti a lui, almeno non aveva solo brutti musi da vedere.

Poi un soffiò di vento s’infranse sulla sua nuca come se avesse voluto picchiarlo.

Jun si voltò infastidito. Ma notò, sorpreso, che il portone era stato chiuso e nessuna delle finestre era aperta.

E lo vide.

Un ragazzo di un paio d’anni più giovane di lui, vestito in uno strano modo, che fissava da oltre il vetro la ragazza, quella che stava scomparendo oltre la porta dello studio.

Che stai facendo lì impalato!” gridò il suo capo sfasciandogli delicatamente i timpani.

“Arrivo, arrivo!” Jun sbuffò impaziente e si caricò nuovamente la cassa sulle spalle, tutti i carrelli li usavano i più ‘anziani’, lui era giovane e poteva pure rompersi la schiena!

Prima di tornare a lavoro lanciò uno sguardo al volto che aveva visto oltre la finestra.

Ma era sparito.

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Shinichi Kudo si svegliò di soprassalto, scosso dai brividi di una febbre che non riusciva a curarsi…che non voleva curarsi dopotutto. Scosse la testa, afferrandosi il volto e fissando il pavimento attraverso la fessura delle dita. Per quanto ancora sarebbe rimasto nei suoi veri panni? Se fosse guarito sarebbe tornato Conan Edogawa e questo, sembrava pesargli più di quanto non avesse mai avvertito prima.

Si scrollò di dosso quei pensieri.

Era inutile preoccuparsi ora.

Per adesso bisognava risolvere il mistero di quei dannati libri e capire perché diavolo anche Gin e compari lo volevano.

La coperta di lana dal disegno a quadri scivolò ancora oltre il suo petto e il ragazzo si rese conto di essersi di nuovo addormentato e che qualcuno si era preso cura di lui.

“Allora vuoi spiegarmi che succede?” chiese il ragazzo con il suo solito sorriso strafottente alla bambina dall’aria adulta che si era affacciata alla porta della sua stanza.

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Shiho Miyano si chiese se quello che stava facendo fosse giusto.

Perché allora sentiva una strana pressione sul petto, una morsa che da un po’ aveva cominciato a comprimerle i polmoni, a mozzarle il respiro?

E tuttavia….gli occhi di Shinichi Kudo non erano mai stati così attraenti….

Che cosa intendi dire?” chiese con il suo solito mezzo sorriso, quello che aveva imparato dal suo maestro di deduzione.

“Ma piantala di fare la gnorri! Lo so benissimo che Ran ti ha detto dove andava!”

La bambina dalla pelle di seta alzò uno sguardo iridescente sul giovane, affrontandone l’intelligenza e la sensibilità.

Sbuffò in un piccolo sorriso.

Beh, non è che fosse molto sensibile per un determinato tipo di sentimenti.

Anche se fosse, tu, Shinichi Kudo, che cosa c’entri con qualcosa che lei ha voluto dire a me?”

Il ragazzo la fissò interdetto, i denti stretti, le ciglia aggrottate.

Che intendi dire?”

“Niente” disse la bambina scrollando le spalle “come quello che mi ha detto”

Il giovane detective dell’Est fissò ancora per un secondo quella donna racchiusa nel corpo di una bambina e, inaspettatamente, sorrise.

“Ho capito. A quanto pare siete diventate delle vere amiche!”

Shiho Miyano si volse, lo sguardo perso, le iridi dilatate dallo stupore.

Poi il campanello della porta suonò di nuovo al ritmo della pendola dell’orologio.

Cinque battiti.

Di un giorno che stava diventando interminabile.

La piccola scienziata storse un secondo le labbra in una graziosa smorfia di disappunto e si avviò in silenzio ad aprire la porta.

Shinichi Kudo non poté fare a meno di sorridere divertito.

Haibara era senz’altro una ragazza eccezionale, incredibilmente intelligente e coraggiosa, ma quando si parlava di sentimenti riusciva a dileguarsi meglio di qualsiasi ladro!

Tutto…tutto si ripeterà….

Shinichi Kudo si volse di scatto, verso la finestra, laddove aveva percepito provenire quella voce.

Lo aveva sognato…oppure…

.oppure qualcuno stava ridendo?

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Kazuha si aggrappò al collo di Heiji decisa, con gli occhi gonfi per il troppo pianto e con le labbra insolitamente rosse. Conosceva benissimo il motivo per cui Ran le aveva sparato. Il problema era sapere come mai avesse una mira così infallibile. Colpendole il polpaccio aveva evitato qualsiasi arteria principale, ma le aveva impedito di andarle dietro.

Perché sapeva che l’avrebbe seguita a qualunque costo.

Dunque c’era qualcos’altro…Qualcos’altro che Ranchan non aveva voluto dirle….

O non aveva potuto?

L’avrebbe scoperto. Non poteva permettere che quei buoni a nulla di detectives se la cavassero da soli! Questa volta c’era entrata anche lei e non aveva la minima intenzione di lasciare una delle sue più care amiche in mano a gente che, lo sapeva bene, sia Heiji che Kudo che Kaito conoscevano. Per non parlare della piccola Haibara.

Chi fosse in realtà glielo si leggeva scritto in faccia.

E ora avrebbe dovuto parlare con lei.

Kazuha Toyama alzò il volto sulla porta della sua stanza d’ospedale. Quella che stava varcando con l’aiuto di Heiji.

Era stata una stupida!

Avrebbe dovuto avvicinarsi quando Ran aveva chiesto di parlare un secondo da sola con quella bambina! Avrebbe dovuto sapere che cosa si erano dette! Stupida!

Era stata una stupida!

Ma che cosa avrebbe mai potuto fare?

Ran era una sua amica e doveva fidarsi di lei.

Esatto.

E glielo avrebbe dimostrato.

“Torniamo a casa di Kudo” disse concentrata “ ora”

Heiji Hattori la guardò senza dire una sola parola. Poi come seccato dallo strascicare della ragazza sul lucido pavimento verde acqua, la prese fra le braccia e la portò oltre la soglia di quel dannato ospedale.

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Che cosa c’entra questo adesso!” disse l’agente Miwako Sato alzandosi e sedendosi ripetutamente dalla poltrona di Wataru Takagi.

Poi gettò uno sguardo di disapprovazione all’intero appartamento messo a soqquadro dalle loro indagini. Aveva cercato di dargli una sistemata, ma lo sguardo imbarazzato del suo collega l’aveva fatta desistere.

Ora solo l’odore del caffè aleggiava dalle tazze che fumavano accanto ai fogli sparsi sul tavolino, nuovi indizi che provenivano dalla bottega d’antiquariato del vecchio Takahashi.

“Non lo so che cosa c’entra! “ sbuffò Takagi portandosi una mano alla cravatta per allentarne il nodo. Poi si appoggiò alla poltrona con fare desolato, scompigliandosi il ciuffo di capelli castani.

“Certo che se ne poteva uscire anche prima con questa storia” sbuffò Sato con le mani sui fianchi, fissando il tavolo della cucina semi sparecchiato e le stoviglie nel lavandino accatastate in maniera da sfidare qualsiasi legge di gravità “ammesso che questo strano e dispendioso acquisto c’entri!”

“Questo è vero” sussurrò il giovane gli occhi stretti in una strana riflessione “però….credo che quel vecchio abbia deciso di aiutarci veramente solo ora…”

La donna interruppe il suo nervoso passeggiare avanti e indietro per fissare nuovamente la nuca di Wataru Takagi.

Che intendi dire? Non penserai che…?”

“Esatto” intervenne l’investigatore alzando lo sguardo serio “probabilmente ha scoperto quanto siamo andati avanti nel risolvere l’indovinello e ha creduto bene che fossimo la sua unica possibilità di arrivare al tesoro..

Stai parlando del segreto della scomparsa di Eri Kudo?”

“Proprio così” disse il giovane con uno sguardo così sicuro e luminoso che per un attimo il battito dell’agente speciale Miwako Sato ebbe uno strano guizzo “Ma non posso fare niente senza l’aiuto di Kudo. E’ come se sapessi che lui ha la chiave per risolvere tutto”

L’orologio dello stereo segnò le cinque.

Che aspettiamo allora!” disse Sato con le guance leggermente imporporate e il sorriso ampio. Afferrò con entrambe le mani il braccio sinistro del collega e se lo trascinò vicino.

Se sei così sicuro andiamo da lui, signor Marlowe!” finì facendogli l’occhiolino ad una decina di centimetri dal suo volto.

Wataru Takagi più tardi se la prese molto con se stesso.

Come poteva arrossire così?

Non era un uomo fatto ormai?

************************************************************************************************

Ciao piccola!” disse la voce dell’avvocato Eri Kisaki che sorrideva, leggermente piegata in avanti, le mani poggiate sulle ginocchia esili.

Ai Haibara aprì e chiuse la bocca.

Che cosa ci faceva quella donna lì, di fronte a lei….

In salvo?

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Note dell’autrice: GRAZIE

Note dell’autrice: GRAZIE!! Veramente di cuore a tutti voi che ancora seguite il mio racconto!! Grazie immensamente!!!!!!!!!!

mi dispiace! È passato tanto tempo dall’ultima volta che ho aggiornato ç__ç scusatemi tutti! Ho sempre tanto, tanto tanto da fare e non riesco mai a dedicare tutto il tempo che voglio a questa storia. Cmq non mi perdo in convenevoli ed ecco a voi il nuovissimo capitolo…e credo che questo si che vi confonderà ancor di più le idee XD….in realtà ammetto che proprio da questo punto in poi parte la mia idea originaria…ci ho messo un po’ per arrivarci…che dentona…spero che come al solito sia di vostro gradimento! Buona lettura ^^ ( e come al solito scusatemi se involontariamente c’è qualche errore :P )

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17.

“Il sacramentarlo di Drogone

“Che?” chiese interdetto il giovane detective del Kansai sgranando gli occhi ametista e fissando l’aspetto trasandato dell’Agente Wataru Takagi.

“Ma che diavolo…?” intervenne il professor Hiroshi Agasa con un vassoio di fumanti tazze di the in mano “non starete mica parlando….”

“Del vescovo Drogone spero?” chiese il ladro Kid, lo sguardo totalmente allibito.

“Si vede proprio che è tuo cugino, Kudokun!” stupì Miwako Sato fissando quel ragazzo così simile al figlio dello scrittore.

Shinichi Kudo non la sentì nemmeno.

Drogone….figlio illegittimo di Carlo della casata degli Heristal, soprannominato ‘Magno’

“Dalla stirpe degli antichi maggiordomi di Francia…” disse seria la piccola scienziata dagli occhi glaciali.

“Volete forse farci una lezione di storia di gente morta?” sbuffò Heiji Hattori seduto al fianco di una Kazuha insolitamente silenziosa e concentrata “piuttosto mi volete dire che cosa c’entra adesso Carlo Magno?”

“Ripercorrendo la storia francese fino alla supremazia di Pipino il Breve” disse Shinichi Kudo pensieroso, lo sguardo stranamente attirato dal colore candido che investiva quel tramonto “ non c’è nessun punto oscuro…”

“A meno che non si voglia prendere in considerazione le leggende….” Intervenne serio Kaito Kuroba lo sguardo intelligente fisso sul libro di Imai.

“Non vorrai riferirti a quanto si racconta sulla famiglia dei Merovingi spero?” chiese all’improvviso Heiji Hattori perplesso “ si tratta solo di storie e poi…effettivamente non se ne sa nulla, neanche dalle pubblicazioni dei Papiri del Mar Morto!”

“Non starete per caso riferendovi al sangue di Cristo che sembrava scorrere nelle vene degli antichi re di Francia?” fece Kazuha Toyama, il volto pallido e attonito fisso, per un attimo, sulla figura di Kudo che da un po’ di tempo aveva cominciato a misurare lentamente il diametro della stanza.

“Sono solo storie…..sorrise l’agente Miwako Sato notando, quasi sentendo, il lavorio dei neuroni nel cranio di Takagi seduto accanto a lei.

“Leggende o no, Shinji Imai ha comprato questo libro” disse Takagi serio alzando anche lui uno sguardo sul giovane detective del Kanto, notando che il colorito pallido non sembrava impedirgli di ragionare su quello che stava accadendo.

Quel ragazzo serio e intelligente stava lì, in piedi, come cento anni prima l’uomo che aveva architettato tutto quello si muoveva per nascondere il suo segreto.

‘I can’t stop my love for you/ Futari katatta mirai ni/ Kimi to no ibasho ga aru youni‘

Il testo della canzone di Rina Aiuchi colpì i timpani di tutti, tamburellando minacciosamente nella tasca interna della giacca color sabbia dell’agente Wataru Takagi. L’uomo si trovò addosso lo sguardo di sette persone e decise all’istante che quella suoneria forse non era proprio adatta al telefono di un poliziotto.

“Beh?” fece a Sato che rideva di gusto con una mano poggiata sul mento “che è? Uno non può neanche avere una cantante preferita? Pronto!” aggiunse subito dopo, duro ed indispettito. Il secondo successivo si fece pallido come un lenzuolo.

“Buonasera Ispettore….”

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La regina del foro, Eri Kisaki si prese il mento fra l’indice e il pollice.

Che cosa stava succedendo?

Ran è uscita insieme a tutti per andare a fare la spesa!” le aveva detto Shinichi con un sorriso stiracchiato mentre quella strana bimba bionda la fissava seria, gli occhi leggermente dilatati, come se per un attimo si fosse quasi spaventata nel vederla.

La donna inclinò il volto, perforando con lo sguardo la credenza a vetro nella quale stipava da tempo tutte le tazzine di antica ceramica giapponese che i suoi clienti, conoscendo la sua passione, avevano preso a mandarle per Natale. E tra qualche giorno ne avrebbe sicuramente ricevute di nuove. Oltre i fiori di Ibiscus e i rami vermigli di Prunus, una tazza dallo sfondo avorio attirò la sua attenzione.

La donna sorrise sbuffando.

Avrebbe dovuto buttarla da tempo, tuttavia…

Si fissò la mano sinistra, laddove brillava ancora una sottile linea d’oro.

Quella tazza, con i suoi fiori di ciliegio, e quell’anello rappresentavano il legame imprescindibile che aveva con quell’uomo idiota e con ciò che di più bello aveva avuto nella vita: la sua piccola Ran.

Ran era diventata ancora più bella di quanto non lo era lei, ed era riuscita ad ereditare la stessa sensibilità di suo padre (la parte indubbiamente migliore), nonché una quantità ragguardevole delle capacità deduttive della madre. Peccato che non fosse assolutamente interessata al mondo legale. Il che poteva essere comprensibile dato che, sin da piccola, aveva vissuto accanto a gente che non faceva altro che scrivere di misteri, risolverli, portarli in tribunale e infine arrestare i colpevoli….

In che ambiente era cresciuta la sua Ran?

E non aveva fatto altro che prendersi cura di tutti loro.

Proprio come era successo tanto, tanto tempo fa.

Eri Kisaki tornò a fissare la tazza seminascosta oltre il vetro della credenza.

Ora erano i fiori di ciliegio ad interessarla.

Non sapeva cosa stava succedendo, ma c’era qualcosa che non andava.

L’attacco a Kogoro, il rapimento andato a monte, Shinichi tornato misteriosamente di corsa e Ran…..Ran che assomigliava a lei più di quanto non avesse mai notato prima.

La donna si prese il volto fra le mani.

Non era vero.

Quello che sua nonna le aveva raccontato non poteva essere vero!

Era solo una storia, solo il racconto di una ragazza sfortunata….

Un segreto che legava da tempo la sua famiglia con il nome dei Kudo.

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La stanza aveva un buon profumo di lavanda misto a quell’odore di antico che spesso caratterizza le antiche magioni.

Ran Mouri si voltò ad osservare meglio una delle parti di quella prigione d’oro che solo il giorno prima l’aveva ospitata. Strinse i denti quando sentì il cuore accelerare per un secondo i battiti.

Sapeva esattamente quello che sarebbe successo.

Non poteva fare altrimenti.

Se tutto andava bene, nessuno sarebbe morto.

Quasi.

Ripensò per un secondo allo sguardo dolorosamente sorpreso di Kazuha quando era stata costretta a puntarle la pistola contro.

“Allora…”la voce melliflua dell’uomo dai capelli lunghi come serpenti investì sgradevolmente le sue orecchie e Ran Mouri tornò di nuovo in quella stanza, dove né i suoi genitori, né i suoi amici, nessuno che conosceva era con lei.

Nemmeno il ragazzo che l’aveva sempre protetta.

Alzò il volto, decisa, su quell’uomo dagli occhi di fuoco liquido.

Dov’è mio padre?” chiese di nuovo, senza il minimo tremore nella voce.

“Al sicuro” ghignò quello stritolando la sigaretta fra le labbra sottili “ora dimmi che hai fatto quello che ti ho chiesto”

Ran Mouri sorrise lievemente, senza staccare gli occhi dal viso affilato di quell’assassino.

“Tutto secondo i piani” disse solamente.

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La donna dai capelli come soffici fili d’oro si voltò a spiare le reazioni dell’angelo che si confrontava con il demone. Sorrise. Aveva fatto di tutto perché quel momento non si realizzasse…eppure Gin questa volta era riuscita ad averla vinta. Abbassò lo sguardo senza lasciare che i suoi occhi di gatto abbandonassero l’immagine fiera di quella ragazza. E si chiese se ‘i buoni ‘ erano così…impercettibilmente forti…come l’acqua…la stessa acqua capace di rodere la roccia.

Ed era da quel giorno che il suo cuore di roccia aveva cominciato ad incrinarsi. Quei due ragazzi…quei due ragazzi rappresentavano davvero una speranza per lei?

Tuttavia se non fosse riuscita a portare a termine quella ricerca, lui ne sarebbe stato scontento e avrebbe potuto minare la sua posizione. Non solo…

No.

Non si trattava solo della sua posizione.

Questa volta.

Questa volta c’era in ballo qualcosa di più grande.

Uno dei più empi sogni dell’uomo.

E anche il suo Silver Bullet e la sua intelligenza si trovavano in difficoltà.

E ora il suo Angelo.

Un angelo dai capelli scuri e dalla pelle chiara…

Forse era l’unica tra tutti loro a poter solo pretendere di avvicinarsi ad un segreto del genere.

La donna che aveva ormai deciso di chiamare la sua immagine Vermouth prese una lunga, snella sigaretta fra le labbra e l’accese.

Comunque, per quanto in maniera del tutto contraria a quanto aveva programmato, almeno una parte del suo piano sarebbe andata in porto.

Non c’erano più dubbi.

Ora Shinichi Kudo sarebbe venuto sicuramente.

Quella sera si sarebbe concluso tutto.

E loro avrebbero finalmente scoperto dove si trovava quello che da più di cento anni stavano cercando.

Ciò che Shinji Imai aveva seppellito con la sua morte.

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“COME DIAVOLO ABBIAMO FATTO?” strillò il detective Wataru Takagi pilotando la sua auto con una destrezza mai vista oltre qualsiasi ostacolo si parasse di fronte alla sua vista e al cofano della Ford Clio “MI LICENZIANO! E’ LA VOLTA BUONA CHE MI LICENZIANO”

L’agente speciale Miwako Sato, per la prima volta nella sua vita comprese il senso profondo delle parole ‘ avere il terrore della velocità ’ . E dire che era abituata alla guida sportiva.

Ma Takagikun aveva ragione.

Erano stati degli imbecilli! Avrebbero dovuto recarsi dalla mattina nella villa di campagna di Imai per dare man forte alla sorveglianza dell’asta che avrebbe dovuto tenersi quella sera stessa. Le urla dell’ispettore Megure li avevano fatti tornare coi piedi per terra. Mai in tutta la sua vita Miwako Sato si era sentita così. Era come se quello che nascondevano quei libri avesse qualcosa…una strana forza che li teneva tutti calamitati a loro. Volse lo sguardo verso il volto da bambino del suo collega e sorrise nel vederlo imbranato e ansioso come al suo solito.

E tuttavia un agente esemplare.

La donna lasciò che per un attimo i capelli le coprissero il dubbio che si leggeva nei suoi occhi.

Ci aveva pensato tanto. Aveva valutato tutte le possibilità. Forse era paranoica….ma tutto, tutto era così incredibilmente complicato che quello che poteva sembrare assurdo trovava un base più che solida.

Quelle denuncie…

La paura di Takeshita il giorno prima, quando era andato in centrale…

Il guardarsi intorno dell’uomo, furtivo….

Aveva un solo significato.

E il suo sesto senso femminile ed investigativo vertevano tutti verso un lato unico.

I Need not to Know.

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“Aspetta..aspetta! E’ ASSURDO!” esclamò all’improvviso il professor Hiroshi Agasa fissando lo sguardo serio del suo giovane amico, il brillante figlio del suo vicino di casa “Non può essere…cioè….”

Shinichi Kudo alzò il suo sguardo azzurro come il mare ad incontrare degli occhi simili ai suoi.

L’ultimo mago del secolo sostenne lo sguardo del suo eterno rivale che per una volta lavorava al suo fianco.

“Questo è quello che si racconta tra le gilde di noi ladri che sono sopravvissute fino ad oggi…”

“Non sarebbe improbabile comunque” disse la piccola Haibara avanzando nella stanza seguita dal rumore ovattato delle pantofole sul parquet. A Heiji Hattori parve quasi che quella bambina fluttuasse più che muoversi come i comuni mortali.

Che alcuni sopravvissuti alla strage di Filippo il Bello e Clemente V siano diventati dei …LADRI?” continuò il tondo scienziato con le guance rosse.

“Per i sopravvissuti vivere nell’ombra era diventato indispensabile e non tutti erano degli stinchi di santo “ sbuffò il giovane detective del Kansai, lasciando placidamente che la sua amica d’infanzia le rimanesse allacciata al braccio, trovando quanto, in quel momento, quel calore sapesse dargli una sorta di strano conforto.

“Quindi” cominciò lentamente Shinichi Kudo il cuore insolitamente guizzante per un’emozione intensa, per un terrore atavico e allo stesso tempo l’esaltazione di star cominciando a toccare qualcosa di sconosciuto “ tu credi che nelle famose miniature di quel libro ci sia nascosto un segreto, un’informazione che non dovrebbe essere neanche giunta qui da noi”

Ma…perché portare un segreto tanto lontano dal suo luogo di nascita…soprattutto lontano dalla fede al quale fa riferimento?” chiese ancora preoccupato il dotto scienziato al quale i baffoni brizzolati avevano preso improvvisamente a tremare.

“Questo non lo so” disse solo Kid con un sorriso “ quello che vi ho detto è quanto mi è stato riferito dai Confratelli dell’Ordine del Tempio”

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Al National Hill di Los Angeles il Barone della Notte aveva smesso di correre sui tetti e aspettava paziente che il suo creatore tornasse a fissare lo schermo del suo pc, permettendogli una volta ancora di volare spezzando con il suo profilo la bianca sagoma della Luna.

Ma sembrava che Yusaku Kudo non si decidesse a procedere. Fuori i bagliori di un temporale rendevano l’atmosfera di quella mattina nebbiosa, velata…pesante. Il Barone della Notte inclinò impercettibilmente il volto. Che fosse vivo lo doveva a quell’uomo che ora misurava a passi lenti quella stanza, ma fargli sapere di essere totalmente vivo sarebbe stato un danno per entrambi. Così si limitava a fissarlo.

Fissare da lontano il corpo la cui ombra non era altro che lui stesso.

Per questo sapeva benissimo che cosa si agitava nella mente di Yusaku Kudo.

Era preoccupato per suo figlio.

E per quella ragazza.

Ma si, quella bambina che suo figlio aveva sempre vicino, quella con il sorriso dolce e luminoso.

Un lieve tocco sfiorò la porta in massello della stanza 402.

L’uomo dal ciuffo ribelle e dall’aria stanca si precipitò ad aprire la porta e gli bastò sentire la presenza di sua moglie per sentirsi meglio.

“Eri mi ha chiamato” disse Yukiko Kudo sorridendo al viso corrucciato del marito “mi ha detto che forse sarebbe bene raccontare tutta la storia ai ragazzi”

“Sarebbe facile se Shinichi non fosse ridotto in quel modo!” sbuffò l’uomo ficcandosi una mano nel ciuffo scuro in un gesto inequivocabile che aveva passato a suo figlio.

“Lo so” disse seria sua moglie “ma stanno succedendo troppe cose e noi non pensavamo che il codice non si riferissi solo alla morte di quella donna…da quanto ti ha detto Shinichi…c’è dietro molto di più. E sono convinta che andrà fino in fondo a questa storia. Prima o poi l’avrebbe scoperto”

Ran lo sa” sorrise amaramente Yusaku Kudo tentando di non fissare direttamente gli occhi lapislazzulo di sua moglie “chissà se se ne ricorderà”

“Credo che sarà meglio tornare per un paio di giorni” sorrise la donna.

Yusaku Kudo ringraziò tutti gli spiriti che poté per aver incontrato Yukiko.

E per avere un figlio come Shinichi.

“Sono sicuro che sarebbe in grado di cavarsela da solo, ma credo che in questo caso un po’ di aiuto non ci starebbe male” strizzò un occhio sorridente, senza però riuscire ad allontanare tutta l’angoscia che si era impadronita del suo cuore.

‘Non pensavi che il passato potesse essere così potente, non è vero?’ chiese dallo schermo acceso l’ombra senza voce dello scrittore.

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“I corvi portarono via la principessa e il principe non riuscì mai più a trovarla”

Quelle parole lontane le frantumavano la mente al ritmo dei tacchi della donna che battevano sul pavimento di marmo.

“Dovrai essere bella questa sera” si sentì dire da lei. Ran Mouri inclinò il voltò attenta e stupita.

Quella che aveva sentito….

….era una nota di dolcezza?

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


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Note dell’autrice. Come al solito grazie a tutti! Grazie a tutti quelli che leggono, a tutti quelli che commentano…senza di voi non credo che sarei riuscita a scrivere tanto. Mi dispiace solo per la lentezza con cui aggiorno….Perdonatemi, purtroppo non è che non sappia che cosa scrivere, ma ultimamente mi sembra di non sapere mettere due parole in fila! Sarà la crisi dello scrittore ç__ç non lo so. Cmq per ora eccovi il nuovo capitolo! Spero sul serio che vi piaccia ^________^ a presto!!E perdonate i soliti errori! quando scrivo di fretta ne faccio parecchi :P

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18.

Intorno la neve aveva smesso di cadere e tutto era coperto da un manto di biancore accecante.
Sulla superficie immobile del lago poco distante, la falce di luna affacciatasi fra le nubi, specchiava il suo volto chiaro, mentre gli ultimi raggi del sole scomparivano.
E con essi anche le vetture dei fattorini che, terminato il lavoro, se ne tornavano placidamente a casa.
Il detective Wataru Takagi si appoggiò affannato al batacchio leonino della massiccia porta di rovere smaltato, mentre una Sato altrettanto ansante batté due colpi cercando di ricomporsi.
In tutta la sua vita di agente speciale non le era mai capitato di dimenticarsi di un incarico. Quello che le frullava per la testa e il caso dei cinque libri le stavano assorbendo più tempo e più facoltà celebrali di quanto non le succedesse per i casi normali. Non che non si gettasse anima e corpo nel suo lavoro…tuttavia…
tuttavia…
Questa volta la sua mente era stata solleticata da qualcosa di interessante, eccentrico.
Una storia del genere non la si incontrava tutti i giorni.
“Desiderate?” chiese un uomo dalla faccia smunta e dai capelli color paglia, vestito come un pinguino ottocentesco, apparso quasi misteriosamente sulla soglia dischiusa della vecchia villa Imai.
“Siamo gli agenti di rinforzo che gli organizzatori hanno richiesto per sorvegliare il corretto svolgersi della manifestazione” buttò tra un ansito e l’altro Takagi, anticipando qualsiasi parola della donna al suo fianco, e continuando, tuttavia, a boccheggiare come una trota.
Miwako Sato non poté trattenersi dal ridere del suo collega.
L’ometto li fissò con un’ombra di panico nel volto smunto e i suoi pallidi occhi verdi guizzarono come spaventati.
Un secondo dopo una donna bellissima era comparsa dietro di loro e sorrideva amabilmente.

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Jun Miyashiro si disse fortunato. Con quel freddo aveva finito di lavorare presto e adesso aveva anche le tasche piene quel tanto che bastava per farsi coraggio e magari invitarla quella ragazza che abitava di fronte a lui. Un cinema, qualcosa al bar e poi sperava che i Kami facessero il loro dovere.
Fissò lo specchietto retrovisore.
Di nuovo un’ombra passò nel suo campo visivo. Ma non era proprio sicuro di aver visto bene.
Non sembrava un ragazzo.
Ma che cosa stava pensando?
Forse il troppo lavoro e il profumo della donna della villa lo aveva stordito più di quanto non avesse capito.
La stessa ombra attraversò di nuovo il cielo alle sue spalle.
Attenta a non mostrare le sue ali alla luna alta nel cielo.

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“I Confratelli dell’Ordine del Tempio?” chiese Kazuha Toyama alzando uno sguardo stralunato
sul viso saccente del ladro Kid. Il ragazzo non sembrò neanche sentirla e continuò a fissare le sue iridi azzurre sulle sue gemelle che trovava dall’altro capo della stanza.
Shinichi Kudo, ancor più pallido di quello che era per la febbre, non abbassò lo sguardo.
“A che gioco stai giocando, ultimo mago del secolo?” chiese il ragazzo con lo stesso sorriso obliquo.
Kaito Kuroba abbassò il volto sorridente, mentre si ficcava le mani in tasca.
“Nessun gioco, detective” disse “ mi sono rimesso completamente nelle tue mani”
Heiji Hattori strinse un secondo i denti fissando il suo sguardo lavanda sul ragazzo che aveva più di un motivo per stargli antipatico.
“Perché te ne esci con queste informazioni solo ora?” chiese la voce visibilmente tesa.
“Se avessi saputo che questa roba c’entrava con i libri di Imai ve l’avrei riferita sicuramente…”
“Ma dato che è un segreto..come dire…di gilda “ sorrise il giovane detective del Kanto “ allora hai pensato bene di tenertela per te!”
Il ladro che tutto il mondo chiamava scherzosamente Kid sorrise semplicemente, gli occhi brillanti per la sua solita intelligenza.
“Allora?”sbuffò Heiji Hattori lasciando che la sua schiena si abbandonasse sul divano dello studio di Yusaku Kudo “Continua, signor ladro, cosa dovrebbe esserci nascosto nel sacramentario di Drogone?”
“Ve l’ho già detto” rispose il ragazzo incrociando le braccia sul petto “ non lo so. O forse quegli uomini non hanno voluto riferire un’informazione del genere ad un bambino”
“Mi stai dicendo…. Esordì Shinichi Kudo avvicinandosi “ che ti porti dietro questa storia da quando eri bambino?”
“Da quella sera in cui tuo padre portò a casa quel libro, vero signor ladro?” disse piano Ai Haibara lasciando che le labbra rosee si incurvassero in un sorriso di soddisfazione non appena lesse la verità negli occhi di Kaito Kuroba.
Kudo! Hai un’assistente in gamba!” Sorrise il ragazzo per nulla infastidito.
“Quindi….” Cominciò il professor Hiroshi Agasa totalmente allibito.
“Questo significa che l’uomo che si trovava con tuo padre…” continuò Heiji Hattori stringendosi le mani intorno al mento ruvido.
“..l’uomo che accompagnava tuo padre era un cavaliere Templare” finì Shinichi Kudo fissando il ladro.
Kaito Kuroba si limitò a sorridere in quel modo che Kazuha Toyama aveva imparato a riconoscere come indecifrabile.

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“Temo che ci sia stato un errore sorrise la donna in modo così amabile da far arrossire il detective Wataru Takagi per l’imbarazzo, e l’agente speciale investigativo Miwako Sato per una strana stizza.
“Nessun errore” disse la poliziotta leggermente infastidita “stamattina ci hanno chiamato in centrale chiedendo espressamente la nostra collaborazione”
La donna dai biondi capelli di seta lasciò che per un attimo un’ombra attraversasse i suoi occhi felini.
Ma fu solo un attimo.
Un secondo dopo sorrideva di nuovo tranquilla.
“Deve essere stato il mio collega” disse
continuando con quelle sue strane note melodiche nella voce “parlerò con lui. È sempre stato premuroso nei miei confronti…”
“E ci credo” fu il sussurro del detective Takagi. Appena percettibile. Quanto bastava per procurargli una botta non indifferente sul fianco destro, tra una costola e l’altra. Un luogo preciso dove Sato era andata a sbattere accidentalmente con le nocche del suo pugno.
“Si sente bene agente?” chiese la donna notando lo strano biancore cianotico salito per un attimo al volto del giovane uomo.
Il detective Wataru Takagi alzò il pollice e sorrise.
Non riusciva quasi a respirare per la botta.
Se continuava così, in quella strana avventura c’avrebbe rimesso le penne.
Poi, mentre cercava di capire dove si trovasse un appiglio che potesse sorreggerlo, vide qualcosa di strano.
Dietro uno degli angoli del portico antico c’era qualcuno…
Ma chi…?
Quel ragazzo…
Ma non lo aveva lasciato a casa sua?
Come aveva fatto a trovarsi già lì se lui e Sato avevano dovuto infrangere diversi limiti di velocità per raggiungere la villa Imai con un ritardo che avrebbe dovuto definirsi decente?
“Andiamo” sbuffò Sato scuotendo la testa e afferrano malamente il braccio del collega.
“Si..arrivederci” disse Takagi con un sorriso idiota come al suo solito alla donna e all’uomo che li guardavano allontanarsi dal portone.
Poi, il giovane rivolse lo sguardo nell’angolo buio dove lo aveva visto.
Ma non c’era più nessuno.
Shinichi Kudo era scomparso.

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“Che cosa diavolo ti passava per la testa?” chiese quasi arrabbiata la voce suadente della donna chiamata Vermouth.
Non aveva bisogno di infuriarsi, la sua stessa presenza era sufficiente ad incutere timore nelle gente.
Tuttavia con quell’uomo doveva calcare la dose.
Gin.
Doveva stare attenta.
L’uomo dai lunghi capelli biondi le sogghignò di rimando, divertito da tutta la situazione.
“Pensavo che ti sarebbe stato utile un qualche aiuto”
La donna fissò i suoi occhi di ghiaccio sul volto pallido dell’assassino dalle doti eccezionali che aveva di fronte.
“Spero solo che tu sappia di star giocando con il fuoco”
“E’ stato solo uno scherzetto!” sorrise ancora perfidamente l’uomo.
Si.
Uno scherzetto che non sarebbe stato gradito da lui.

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“Che cosa hai intenzione di fare, quindi?” chiese la bambina il cui vero nome era Miyano.
Ormai non fingeva più. Kazuha Toyama non aveva detto una parola sul suo strano comportamento, né aveva rivelato di averla vista parlare con R…Mouri durante la loro piccola fuga dalla casa di Kudo. La fissava solo come se entrambe fossero consapevoli della sua vera essenza senza che ci fossero bisogno di parole. Nello stesso modo in cui era successo con MouriRanchan
La donna che avrebbe voluto essere la bambina di nome Ai Haibara, fissò lo sguardo deciso sulle altre cinque persone che da due giorni solcavano il pavimento di legno dello studio di Yusaku Kudo.
“Ricapitoliamo” disse il dottor Agasa lisciandosi col dito uno dei grossi baffoni brizzolati “ abbiamo risolto il rebus dei libri…”
“ C’era nascosta una frase di ‘The Raven ’ di Edgar Allan Poe” aggiunse Heiji Hattori meditabondo “ e abbiamo scoperto che Shinji Imai, il vero enigmista, aveva fatto un viaggio in Francia ed acquistato un rarissimo volume del IX secolo, il Sacramentario di Drogone…”
“Nel quale, si dice, si nascondano degli indizi su un segreto importante legato agli antichi Re di Francia…” finì il giovane detective del Kanto passando vicino alla finestra per vedere la luna che si affacciava lenta, in cielo.
“In più qualcuno sta ricattando Ran che si è buttata nella fossa dei leoni sperando di salvare i suoi genitori” esclamò Kazuha Toyama attirando l’attenzione di tutti “ma perché quegli uomini ce l’ hanno con lei?”
Uno strano silenzio rimbalzò nella stanza.
Un silenzio pesante.
Un suono muto di colpevolezza.
Shinichi Kudo sorrise.
Quello era l’unica domanda alla quale aveva una risposta sicura.
Quella donna sapeva chi era e aveva senz’altro architettato qualcosa facendosi aiutare da Gin e da Vodka.
Ran e Kogoro erano solo delle pedine…
Il giovane detective del Kanto alzò il volto colpito da uno strano pensiero e fissò lo sguardo su quella bambina dagli occhi di ghiaccio, quella ragazza che lo aveva aiutato a tornare adulto…almeno per un po’.
Ai Haibara tenne gli occhi alti, in modo che il ragazzo potesse leggervi dentro, se voleva.
Toyama” cominciò Kudo la voce leggermente incrinata “ tu hai detto che hanno rapito i genitori di Ran? Tutti e due?”
La ragazza di Osaka guardò stralunata l’unico rivale del suo amico d’infanzia come se avesse appena chiesto di che colore era il canguro beige dell’Australia.
“Si” rispose alzando perplessa un sopracciglio.
Shinichi Kudo sogghignò.
E non sapeva se essere sollevato o no.

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Eri Kisaki fissò l’orologio a pendolo del suo ufficio e si ricordò della telefonata che aveva ricevuto appena un’ora prima.
Yukiko e Yusaku Kudo tornavano da Los Angeles.
Tra poche ore avrebbe potuto riabbracciare al sua migliore amica.
Ma Yusaku tornava per il motivo che continuava a martellarle il cervello.
Chissà perché poi aveva insistito tanto per non rivelare la verità a Shinichi e a Ran tempo prima. In fondo non c’era nessun motivo particolare….anche se a dire la verità, la storia non era delle migliori…se poi…
Se poi ci si metteva anche quello allora…
Se lo ricordava come fosse ieri.
Non aveva ancora lasciato quel fesso di suo marito quando erano andati in quel Luna Park. Si trovava nello stesso luogo sul quale era stato costruito qualche anno dopo il famoso Tropical Land.
Ran aveva tanto insistito per andarci! Adorava il castello della principessa, e aveva voluto entrarci a tutti i costi anche se era una giostra dell’orrore. Lei aveva odiato da sempre i mostri. Eppure
Salverò la principessa! Aveva detto con la sua vocina decisa.
Coraggiosa.
Già da bambina.
Anche se si vedeva lontano un miglio che aveva una paura matta.
E lei aveva deciso di accompagnarla.
Poi…
Perché quella tenda aveva attirato la sua attenzione?
Non ci aveva mai creduto.
Perché quella volta aveva voluto farsi leggere le carte?
Nel suo futuro allora incerto, e nel suo passato certo, la zingara aveva saputo vedere fino ad un certo punto, ma quando aveva poggiato lo sguardo sulla piccola Ran il suo sguardo cieco era completamente cambiato.
Era come se si fosse colorato.
E aveva parlato con una voce dura.
Soffrirai.
Aveva detto.
Nel giorno in cui i ciliegi fioriranno d’inverno soffrirai del dolore che quell’anima si porta dietro.

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Ran Mouri fu introdotta in una bella stanza dalle pareti ricoperte da carta cremisi. In fondo poteva vedere uno spesso armadio di rovere recentemente restaurato. Probabilmente in vista dell’asta che doveva svolgersi quella sera nella villa.
La donna che la precedeva si mosse verso l’armadio con passo lento, quasi stanco, e aprì le ante con un suono secco.
“Non ti rendi conto della bellezza delle cose fin quando queste non vengono utilizzate come in origine” disse con la sua voce suadente che procurò un leggero brivido alla schiena della ragazza, nonostante non avvertisse nessun tipo di minaccia. Fissò i morbidi capelli d’oro ondeggiare ad ogni movimento della donna e capì di non essersi sbagliata.
Il profumo era lo stesso.
Lo stesso che aveva sentito il giorno prima.
Quando era bendata e legata in una stanza al piano di sotto.
E l’uomo dai capelli color paglia, quello che gli aveva portato il the nello studio, era lo stesso individuo che aveva steso per riuscire a scappare.
Inoltre
Conosceva anche gli altri due.
Quel giorno ce l’aveva stampato in mente come se fosse stato ieri…
….ogni minuto…
… ogni secondo…
… ogni gesto compiuto dal suo amico d’infanzia che le sorrideva.
E che aveva continuato a sorriderle mentre seguiva quegli uomini.
Gli stessi uomini che ora si trovavano al piano inferiore di quella splendida villa.
Gli stessi uomini che avevano rapito i suoi genitori.
Alzò il volto sulla donna che estraeva un abito dall’armadio e lo prendeva con cura nelle mani affusolate.
Non avrebbe permesso più a nessuno di fare del male né ai suoi genitori.
a Shinichi.
Né alla piccola Ai.
E pregò di riuscire ancora a nascondere la pistola che portava sotto la gonna, legata alla gamba.

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Shiho Miyano, da sola nel suo studio fissava quella boccetta con il solito sguardo freddo. Al lato un’altra scatolina piena di pastiglie variopinte attirò per un secondo la sua attenzione.
Solo per un secondo.
L’avrebbe fatto?
Avrebbe sul serio fatto quello che le aveva chiesto?
“So che troverai il modo di impedirgli di venire” risuonava la sua voce nella mente.
Ma era quello che aveva aggiunto un secondo dopo a non averla convinta.
Perché?
Per quale motivo?
Shiho Miyano che ogni giorno che passava si sentiva sempre di più Ai Haibara, aggrottò la fronte e lasciò che lo sguardo vagasse nell’ala del laboratorio che il professor Agasa aveva costruito appositamente per lei.
Quella era tutto ormai.
Tutta la sua vita.
E avrebbe fatto l’impossibile per non perderla.
Shinichi non dovrà assolutamente avvicinarsi alla villa Imai, disse una volta ancora una voce che nei suoi ricordi risuonava fin troppo dolce, ma soprattutto
….ma soprattutto…
Tu non dovrai venire.

**************************************************

Il ragazzo che per qualche giorno poteva farsi chiamare con il suo vero nome, fissò una volta ancora il suo sguardo azzurro fuori dalla finestra; la mente che non aveva mai smesso di pensare.
Pur avendo risolto l’enigma dei libri questo non sembrava portare da nessuna parte.
Che cosa aveva a che fare Edgar Allan Poe con tutto questo e cosa c’entrava un manoscritto medievale?
Shinichi Kudo scosse la testa.
In vita sua non si ricordava di aver affrontato un caso così particolare come quello che Shinji Imai aveva preparato per lui.
Lasciò che il suo sguardo si posasse sulla semioscurità che ora regnava nella stanza.
Erano tutti di sopra.
L’unico modo per andare in fondo alla faccenda era dirigersi nel cuore del mistero.
Il giovane detective dell’Est, promessa della polizia di Tokio ne era certo.
In quella villa avrebbe trovato tutti gli elementi che gli avrebbero permesso di arrivare a capo del filo.
Shinji Imai aveva tessuto il dedalo imprigionandovi il Minotauro.
Lui non era altri che Teseo.
Teseo.
Sorrise.
Senza l’aiuto di Arianna non sarebbe stato in grado di fare molto. Sarebbe stato così anche per lui?
Ran con la sua solita testardaggine si era precipitata a salvare i suoi genitori…uno solo dei suoi genitori….eppure….
Shinichi Kudo si afferrò il mento con una mano.
Eri Kisaki si era presentata da lui proprio quel pomeriggio; com’era possibile che Ran credesse che fosse stata rapita?
Di Kogoro non aveva nessuna informazione sicura da ieri, ma era poco probabile che fosse in pericolo.
Lo sguardo del giovane si fece feroce per un attimo.
Quei bastardi stavano approfittandosi della bontà di Ran….ma lei non era stupida…come aveva fatto a credere a una menzogna del genere?
Hattori mi ha detto di riferirti che lui e Toyama sono pronti” disse in un sussurro quasi lugubre la voce di Ai Haibara.
Il giovane sobbalzò quasi spaventato.
“M’hai fatto prendere un colpo! “ sorrise stranito.
“Non sai quanto sai vero Kudokun"
Non sai quanto sia vero.

******************************************

Era rimasta solo la maschera.
La ragazza la prese e la mise sul volto, mentre la donna al suo fianco, ricomparsa improvvisamente non appena aveva finito di vestirsi, l’aiutava a legarla sotto la cascata di capelli castani acconciati in volute eleganti.
“Mi dispiace” Ran Mouri si voltò stupita e pensò che forse se lo era immaginato.
Forse.
“Sei pronta!” sorrise poi con uno strano accento, quasi felice.
Ran Mouri ne fu sicura.
In quel sorriso aveva letto ormai la verità.
Era stata quella donna a rapirla.
Ma allora perché non riusciva a sentirla nemica?
Perché riusciva, invece, a percepirne il contrasto, la lotta, il dolore?
“E’ venuta l’ora di dare il via alle danze” disse dalla porta socchiusa la voce dell’uomo dai capelli biondi, lunghi come serpi.

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Note dell’autrice: Eccomi di nuovo con un altro capitolo

19.

“ …il volo AZ 547 in arrivo da Los Angeles, è appena atterrato sulla pista numero quattro. Ladies and Gentlemen, the fly AZ 547…”All’aeroporto internazionale della città di Tokyo, la voce metallica della speaker riempì le pareti della hall, rimbalzando sulle chiome multietniche e finendo nei padiglioni auricolari di una donna pronta all’ascolto.

L’avvocato Eri Kisaki stava attendendo quei numeri da molto tempo.

La sua migliore amica e suo marito avrebbero oltrepassato tra poco quella porta e il solo vedere il loro sorriso le avrebbe dissipato le strane nubi che le si erano addensate dentro. Si trattava solo di coincidenze. La scomparsa di Eri Kudo era stata un tragico evento. Ma la paura che il fatto si ripetesse solo perché la sua Ran somigliava a quella donna scomparsa tanto tempo fa era del tutto irrazionale.

La donna sorrise di se stessa.

Le era possibile oltre ogni dubbio riuscire a controllare le emozioni in qualunque situazione…

Che non riguardasse la sua famiglia.

Sospirò ancora, prendendo atto del fatto che non poteva essere un avvocato anche nella sua stessa casa.

Avrebbe comprato a Yukiko quei cioccolatini italiani di cui andava pazza.

E sarebbero andati insieme a trovare i loro figli.

Ora il problema era cercare di ignorare quello strano senso di inquietudine che, da qualche ora, sembrava non volere proprio lasciarla in pace.

Un attimo dopo stava stringendo in un abbraccio la donna con la quale aveva più cose in comune, mentre Yusaku Kudo le guardava sorridendo, nascondendo la sua aria stanca sotto le lenti scure degli occhiali da sole.

Heiji Hattori guardò gli ultimi raggi di un sole ormai tramontato oltre le montagne ad ovest e lasciò che il vento freddo di quel giorno gli sferzasse la pelle scura. Dietro era seduta Kazuha, troppo silenziosa per i suoi gusti. Stava sicuramente tramando qualcosa.

Tuttavia non era riuscito ad ignorare quella fiamma verde che le aveva invaso non appena il ladro Kid aveva cominciato a parlare….

Avrebbero rischiato tutti la vita.

E Kazuha non c’entrava nulla.

Assolutamente.

E nemmeno lui aveva qualcosa a che fare con tutta quella strana faccenda.

Lasciò che lo sguardo vagasse sul paesaggio che scorreva oltre il vetro del finestrino leggermente aperto.

La Volkswagen del tondo professor Hiroshi Agasa si muoveva, quasi silenziosa, sull’autostrada che li avrebbe condotti fuori Tokyo, a quella maledetta villa Imai dove, se tutto andava come doveva, finalmente si sarebbe potuti arrivare ad una conclusione.

Una conclusione, già.

Ma dopotutto a lui cosa ne fregava?

Non c’entrava assolutamente nulla e l’idea di chiamarlo non era stata di Kudo, ma del suo vicino di casa.

Kudo non lo voleva.

Come al solito si era incaponito a voler risolvere da solo i suoi guai.

Più ci pensava più quelle parole gli ronzavano nel cervello.

Il giovane detective del Kansai aggrottò le folte sopracciglia scure, mentre una ruga prematura increspava la sua fronte di ragazzo.

Aveva fatto chilometri per raggiungerlo da Osaka e precipitarsi al suo fianco, e lui se la prendeva in quel modo?

E lui, lui, il figlio del grande Heizo Hattori stava aiutandolo ugualmente?

Sbuffò appoggiando con forza il mento sul palmo della mano, gli occhi lucenti, le labbra atteggiate ad un buffo rimprovero.

“Dai Heiji, non fare così, lo sai com’è fatto Kudo – kun!” disse all’improvviso Kazuha alle sue spalle con un sorriso sincero che nelle ultime ore il ragazzo aveva rimpianto.

“Kazuha ha ragione, Heiji” aggiunse Hiroshi Agasa con un sorriso senza staccare lo sguardo dalla strada che si faceva ogni minuto che passava più scura “ Shinichi si comporta sempre in modo assurdo quando a rischiare la pelle c’è qualcuno a cui tiene molto”

Il giovane Hattori non lasciò che quel senso di soddisfazione gli rovinasse l’aria imbronciata che si era costruito.

“Volete che non lo sappia?” sbuffò chiudendo gli occhi e sospirando come se avesse a che fare con un bambino un po’ capriccioso “ma questo non gli da il diritto di comportarsi così quando la sua ragazza è in pericolo!”

“Non si tratta solo di Ran” disse il professor Agasa lanciando uno sguardo malizioso al giovanotto seduto accanto a lui.

“E questo lo sai bene anche, Heiji!” sorrise Kazuha affacciata in mezzo ai due sedili posteriori.

Il ragazzo si massaggiò il naso con l’indice, in imbarazzo, fissando un punto imprecisato della strada, vale a dire la cima di un grande pino.

“Uffa!” disse con le guance leggermente imporporate “vedete se devo sentirmi stranito per un tizio del genere!”

Kazuha e il dottor Hiroshi Agasa sorrisero, entrambi divertiti.

“Spera solo che non ti rubi la scena, caro il mio Kudo!” Rise il giovane Heiji Hattori con il cuore che in petto gli ballonzolava.

Questa volta se la sarebbe ricordata con una soddisfazione mai provata prima, sorrise fra se e se.

La donna guidava la macchina che aveva trovato nel garage della villa affianco con scioltezza, anche se era da molto che non prendeva il volante in mano. E poi…poi c’era da dire che in quel buco di laboratorio non è che aveva avuto molte occasioni di guidare.

Sorrise e si ricordò della prima volta che aveva preso in mano un’auto.

Sua sorella per poco non si era sentita male, quando per sbaglio stava per investire un gattino e aveva dovuto sterzare con una manovra da far impallidire anche un provetto pilota. Quel gatto si era salvato.

E sua sorella alla fine lo aveva adottato.

Lei, già schiava di provette, non avrebbe avuto tempo di dedicarcisi, anche se non dimenticava mai di potargli un regalino ogni volta che aveva occasione di vederlo.

Ora anche quel gatto era morto.

Non aveva più nulla.

Lanciò uno sguardo al ragazzo addormentato accanto a lei, mentre un’auto rossa sfrecciava a velocità incredibile nella parte opposta a quella che aveva deciso di percorrere.

Forse non aveva perso tutto.

Forse quello che era stato poteva esserci di nuovo.

Nessuno l’avrebbe sostituita, non ci sarebbe stata una nuova Akemi…

Tuttavia….

Tuttavia adesso sapeva.

Ora aveva compreso quello che si agitava nel suo cuore.

Shiho Miyano sorrise.

Sarebbe stato senz’altro più facile schivare i colpi di un ragazzo malandato, col raffreddore e che sapeva usare più il cervello che le mani, piuttosto che una donna che aveva vinto un torneo di karate.

‘Certo che sei proprio cambiata Sherry!’ si disse premendo la pianta del piede sull’acceleratore che con un suono pieno sciolse le briglie del motore.

“Che ci fai ancora qui?” chiese la voce seccata dell’uomo smunto dai capelli color paglia, inguainato in un’orribile imitazione di smoking da maggiordomo alla porta della villa Imai.

Jun Miyashiro sorrise imbarazzato portandosi una mano alla nuca.

“Credo di aver perso una cosa nel magazzino dove abbiamo sistemato le casse. Potrei andare a controllare?”

“Mhmm…” chiese l’uomo squadrando il giovane dall’alto in basso come a volergli trovare un qualche sintomo di malattia incurabile.

“Si tratta di una catenina. Non ha alcun valore, ma me l’ha regalata una persona speciale e vorrei tanto riaverla” disse il ragazzo con una voce supplichevole “ la prego! Solo cinque minuti!”

“Entra” sbuffò l’ometto dagli occhietti acquosi “ma tra cinque minuti ti voglio vedere fuori di qui!”

“Sarà fatto!” Sorrise il ragazzo correndo attraverso l’atrio illuminato a festa.

Lanciò solo un debole sguardo alla finestra dove già poteva vedere i fari della auto dei primi ospiti che si sarebbero riuniti per la serata.

“Cominciamo” sussurrò con un sorriso obliquo avvicinando leggermente il volto al colletto della tuta da lavoro.

Le luci brillavano con un’affascinante luce dorata che rimbalzava sulle pareti cremisi donando a tutta la villa un’atmosfera ovattata. Tante voci ormai provenivano dal fondo delle scale e il suo passo sembrava non esistere sul tessuto morbido del tappeto che stava calpestando.

Solo il velluto dell’abito strusciando contro il pavimento emanava un fruscio croccante, indistinto, quasi irreale.

La maschera le aderiva al volto, fin sopra il mento, lasciandole scoperte le labbra che la donna dai capelli d’oro liquido le aveva tinto di rosso. Si sentiva strana con quegli abiti addosso.

Come se fosse stata un’altra persona….

Ma non aveva tempo di pensarci.

Forza.

La dolce musica di un’arpa accompagnò i suoi passi lungo la scalinata, mentre avanzava nell’atrio che solo qualche ora prima era stato deserto.

E solo il giorno prima teatro della sua prigionia.

Papà, Mamma.

Ran Mouri mantenne il viso alto mentre la gente cominciava a fissarla stupita.

Nessuno di loro portava una maschera.

Niente di più adatto alla sua situazione.

Vi salverò.

Ran Mouri sorrise accorgendosi che anche se quello che stava per fare era pericoloso, ormai non si poteva più tornare indietro.

E si meravigliò lei stessa della proprio determinazione.

A qualunque costo…io vi salverò.

L’uomo in fondo alle scale sorrise vedendola incedere verso i convenuti e si avvicinò a lei fin quando la ragazza, con studiata lentezza non gli porse la sua mano. Proprio secondo il copione che poco prima l’uomo dai lunghi capelli biondi le aveva spiegato.

“Diamo il benvenuto al nostro affascinante Fiore di Ciliegio, signore e signori, la dea mascherata che veglierà le nostre azioni questa sera” cominciò l’uomo con un sorriso irreale tanto quanto quello che sembrava accadere.

Ran Mouri gli rivolse solo un fuggevole sguardo.

E l’uomo non ebbe paura di incontrare le iridi blu della ragazza.

Le aveva strizzato un occhio o se l’era immaginato?

Non poteva essere!

A Ran Mouri il cuore ballonzolò nel petto mentre si della stupida: il solo fatto di sapere che ci fosse qualcuno in grado di aiutarla l’aveva fatta sentire, in un certo qual modo, sollevata.

E tuttavia, non avrebbe permesso che, ancora, si rischiasse la vita per lei.

“ Da questa parte signori.” Disse l’uomo lasciando guizzare gli occhi azzurri sui presenti, facoltosi mercenari d’arte “ Lo spettacolo sta per iniziare e stasera abbiamo molte sorprese per voi che in questa notte avete avuto l’audacia di avventurarvi in lande così desolate.

Per voi, questa sera, ogni mistero sarà svelato”

“Si può sapere che stai facendo?” gracchiò Heiji Hattori accucciato dietro allo sportello del maggiolino giallo, scrutando le luci che arrivavano dalla villa Imai.

Kazuha e il dottor Agasa, a pochi passi da lui, perfettamente eretti, come l’evoluzione aveva voluto che fosse per questa branchia delle scimmie terrestri, lo guardavano attoniti, mentre il ragazzo si destreggiava a sincronizzare uno dei badge dei giovani detective.

“Che? Non sento un tubo! Ehi?Che hai detto?” continuò Hattori continuando a pressare senza sosta la piccola rotella delle frequenze che scricchiolava con un suono lugubre.

Kazuha, con lo sguardo seccato, gli strappò il badge di mano, diede un colpetto alla rotella e parlò a bassa voce, eliminando tuttavia quell’aria scema da cospiratore che per Heiji sembrava fosse diventata il tono naturale di voce da dieci minuti a questa parte.

“Kaito, mi senti?” chiese la ragazza mentre il suo amico si alzava sbuffando e borbottando qualcosa che lei decise di ignorare. Anche il professore si fece più vicino accostando l’orecchio alla piccola ricetrasmittente.

“Ayumi mi ucciderà se non le riporto il badge integro” sussurrò l’ometto con un sorriso.

“Non si preoccupi professore! Ne avrò cura…” iniziò la voce metallica dall’altro capo del microfono “ non mi chiamo Hattori”

“Appena ci vediamo vedi se non ti trito come si deve” sbottò il giovane detective del Kasai lasciando che le sue nocche crocchiassero pericolosamente.

“ Dove ti trovi?” chiese Kazuha mettendo fine ai battibecchi.

“Nel covo del diavolo e dove se no?” la voce dell’ultimo mago del secolo risuonò beffarda “ e in più c’è un fiore che sono sicuro Kudo dovrebbe proprio vedere!”

“Hai visto qualcuno?” chiese Heiji Hattori convinto di aver utilizzato un tono neutro.

Kazuha Toyama gli rivolse un sorriso maligno. Idiota. A prenderli i delinquenti era un mago…a farlo….era un altro conto.

“Si. Ma ora non posso parlare. Vi contatto io. Voi seguite il piano”

Il sonoro click annunciò che la comunicazione era terminata.

“Il piano” sbuffò Heiji incrociando le braccia sul petto “ che schifo di piano! E a proposito dov’è finito il nostro cavaliere senza macchia e senza paura?”

“Anche la piccola Ai non è venuta con noi…” chiese Kazuha pensierosa rivolgendosi al professore Agasa.

L’ometto era peggio di Heiji. Ogni stato d’animo gli si leggeva in faccia e sui baffoni che avevano cominciato a tremolare.

“Shinichi mi ha detto che sarebbe arrivato a momenti… “ sorrise il dottore in palese imbarazzo “ voleva assicurarsi che Ai fosse al sicuro ….è una bambina così sensibile e gli si è affezionata tanto…”

“Tantissimo” insinuò Hattori con una risatina.

Hiroshi Agasa gli calpestò un piede con una violenza inusitata.

“Scusa….non l’avevo visto” ghignò l’ometto.

Il giovane dalla pelle scura fissò truce l’ometto prima di scrollare le spalle, massaggiarsi il piede dolorante.

“Che stiamo aspettando, allora?” sbuffò alla fine Kazuha frugando nella sacca che il professore si era portato dietro “Si comincia o no?” disse mentre la luce della luna si rifletteva lungo la lama di un coltellaccio affilato illuminando di una luce maligna il sorriso della ragazza.

“Ho creato un mostro” sussurrò Heiji Hattori mentre la vide partire, zoppicando, verso il retro della villa.

Poi scrollò le spalle e si mise a seguirla.

“Lei rimanga qui a monitorare in nostri movimenti, dottore”

“Chiamerò chi di dovere non appena avremo quello che vogliamo” disse Agasa rispondendo al ragazzo con una strizzatina d’occhi.

“E speriamo di arrivare fino in fondo prima che quella scema si faccia ammazzare!” sbuffò poi avviandosi nel buio.

Shinichi Kudo aprì gli occhi a fatica, ferito dalla luce intensa della luna riflessa sulla neve che impreziosiva il paesaggio montano poco distante da Tokyo.

La luce di un rado lampione lo rese consapevole del fatto che si trovava su una strada mai percorsa prima, mentre di quello che era successo ricordava pochissimo. Il rumore dell’auto non gli giovava di certo all’emicrania e si sollevò sul sedile massaggiandosi la fronte.

“Ma lo sai che russi?” disse una voce beffarda alla sua destra.

Il giovane detective del Kanto conosceva quell’intonazione…tuttavia era abituato a sentirla pronunciata da una bambina.

“Perché diavolo mi hai drogato?” borbottò massaggiandosi una tempia già dolorante per quell’influenza che lo appestava da due giorni “ in quel modo poi! “ sbuffò arrossendo.

“Mhmm che cosa dovrai dire adesso alla tua bella Ran?” sorrise la ragazza con una graziosa malizia nella voce da adulta “ se non mi fossi comportata così non sarei mai riuscita ad avvicinarti” continuò a sorridere e questa volta con una nota serena che Shinichi non le aveva sentito che di rado. Seppe che aveva detto la verità.

”Su adesso non fare il ragazzino timido, non credo sia il momento, abbiamo questioni più urgenti da risolvere”

“Ma come ti è saltato in mente di tornare nei tuoi panni? “sbottò Kudo fissandola con rimprovero “ lo sai che Gin e Vermouth ti stanno cercando”

“Lo so” disse la ragazza seria, mentre un soffio d’aria gelida le scompigliò i corti capelli biondi “ ed è proprio per questo, credo, che Ran si trova nei guai”

Kogoro Mouri sbuffò mentre uno dei legacci si era sciolto e finalmente era riuscito a liberarsi i polsi. Sbuffò massaggiandosi la pelle.

“Stupida donna!” bofonchiò guardandosi in giro con la speranza di vedere una provvidenziale lattina di birra.

Si.

Come no.

Un miracolo ci voleva perché quella donna ne tenesse in casa una!

L’uomo espirò rumorosamente mentre si lasciava andare contro la spalliera del letto, le costole che scricchiolavano dolorosamente.

“Questa me la paga! Non si tratta così un povero ammalato! Per un favore che le si chiede, ecco la ricompensa!”

E speriamo che quel bamboccio idiota si stia prendendo cura della mia Ran, nel frattempo.

Sbuffò cadendo subito dopo in un profondo e sonoro sonno.

Note dell’autrice: Eccomi di nuovo con un altro capitolo. Spero che anche questo vi sia piaciuto! Come al solito mi scuso per gli eventuali errori di battitura o di altro tipo, però ( so che si tratta di una grave mancanza da parte mia) purtroppo non ho tanto tempo e preferisco scrivere piuttosto che correggere ( alla fine sono proprio una pigrona :P) per cui se trovate qualsiasi errore siete liberissimi di farmelo presente ( anzi ve ne sarei anche grata così li correggo lì dove è necessario :P )

E finito il preambolo..non so da dove iniziare con i ringraziamenti, sul serio, quando, un paio di anni fa ormai, mi era venuta in mente questa fan fiction non avrei mai pensato che sarei riuscita ad arrivare a questo punto, ne che la mia storia vi piacesse così tanto! Ho ricevuto tante di quelle recensioni favorevoli…in realtà sono tutte così favorevoli che mi riempiono il cuore di gratitudine! Sul serio! Grazie mille a tutti! Le vostre parole mi sono di un aiuto immenso e non scherzo col dire che ho sempre iniziato a scrivere ma non ho mai portato avanti una storia così tanto come mi è accaduto in questa occasione e il merito è tutto vostro! Grazie! Per gli incoraggiamenti, per l’entusiasmo, per tutto!

Grazie sul serio! A Wilwarind, a cassy, a ginny, a kazuha-chan, nely, Irene Adler, ‘ non so come chiamarti nemmeno io :P ‘, a Haley James Scott, Akemichan, Fujiko, Cla o Mary, himi, riusei, Melanyholland, chicca91, lucy6, gio93,Lady Kokatorimon, Minako e non ultima Geenween che mi ha consigliato di pubblicare qui la mia ff e senza la quale non sarei venuta a conoscenza di questo meraviglioso sito! E grazie a tutti quelli che pur leggendo non recensiscono (anche se mi piacerebbe avere anche il vostro parere ^^ )

Spero solo di riuscire a non deludervi!

Grazie ancora immensamente.

Eowyn

p.s. Wilwarind…per le spaziature hai perfettamente ragione, ma purtroppo è una mia mancanza nei confronti del linguaggio html…che spero di riuscire a coprire non appena ho un attimo di tempo e tranquillità per mettermi a provare le diverse soluzioni ^^ se non era per Akemichan non sarei mi sarebbe saltato in mente nemmeno degli asterischi separativi alla fine di ogni micro paragrafo! :P a volte mi stupisco della mia idiozia O___O

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


Nota dell’autrice: Eccomi di nuovo a voi con un altro capitolo di questa storia infinita :P perdonate la mia lentezza, tuttavi

Nota dell’autrice: Eccomi di nuovo a voi con un altro capitolo di questa storia infinita :P perdonate la mia lentezza, tuttavia ultimamente non ho proprio molta ispirazione e per quanto abbia ancora nelle mie sacche un paio di capitoli da postare, ho un po’ il fermo mentale! La cosa brutta è che si tratta essenzialmente di mancanza di vena scrittoria, più che altro, perché, effettivamente, il contenuto è preciso nella mia testa! Scusatemi per tutto il tempo che ci metto! E vi ringrazio con tutto il cuore per il fatto di avere così tanta pazienza nel seguirmi ugualmente!!!

GRAZIE!!! GRAZIE MILLE A TUTTI!!!!!

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20.

Lo sguardo vagava sulla stanza gremita di gente. Gli occhi che di solito erano azzurri, ora mostravano una sfumatura dorata saettando intorno mentre tra la selva di volti se ne aggirava uno.

Un uomo.

Lo stesso che aveva visto tanti, tanti anni fa.

In quella notte che ricordava quasi come fosse stata un sogno.

La notte in cui quel volume candido aveva segnato il destino di suo padre.

Ed il suo.

Una piccola vibrazione gli accarezzò il collo e con un gesto del tutto naturale quel ragazzo che tutti credevano un uomo di mezza età, si accostò il badge alle labbra.

- Che vuoi signor rompiballe! – disse con il sorriso più smagliante che avesse per la donna dal sinuoso abito di seta color crema che gli era passata davanti.

- Il signor rompiballe voleva dirti che ho fatto quello che mi hai detto- sbottò la voce di un detective che si sapeva avere la pelle scura, il tono croccante e rauco a causa del mal tempo. Il giovane ladro, mago del cielo d’argento, lasciò che lo sguardo per un attimo abbandonasse la stanza e si espandesse oltre i vetri quasi bianchi per la condensa. Tuttavia, la bufera che da un po’ aveva cominciato ad imperversare, era visibile in tutta la sua virulenza.

- Bene – disse di nuovo l’uomo con un sorriso affabile, tornando a fissare i convenuti e il palco illuminato, dove su uno scranno d’oro stava seduta una fanciulla con una maschera nera da corvo. Poco distante, una donna dalla mitologica bellezza era in ombra….anche se era comunque troppo difficile non riuscire a far si che almeno per un po’ gli occhi fossero rapiti dall’incanto di quelle curve….

- ALLORA???- sbuffò ancora la voce dall’altra parte del badge.

- Allora niente. Bisogna aspettare. Non credo che sia ancora arrivato il momento che ci interessa -

- Ma ne sei sicuro?-

- Si – disse il ragazzo non riuscendo a dissimulare per bene un ghigno compiaciuto – diciamo che questa volta anche la fortuna è stata dalla nostra. Chiamerò non appena sarà il tuo momento di entrare in scena signor detective -

- Eh! Vogliamo sperare! Cerca di non esagerare e limitati ad osservare la situazione- disse piano la voce oltre il microfono.

Il ragazzo che sapeva come cambiare pelle spalancò leggermente gli occhi – Signor detective sei preoccupato per me? –

- Non pensare di essere così importante – fece un po’ alterata la voce di Heiji Hattori – solo che voglio essere io ad arrestarti. Quindi vedi di non rimetterci le penne, signor Kid -

- Vi ho preparato tutto l’occorrente. Lo troverete nel magazzino. Ve l’ho lasciato aperto – disse il ragazzo come se non avesse ascoltato - …e lo stesso vale per te, signor Hattori… - non gli diede il tempo di replicare e chiuse con elegante disinvoltura la conversazione.

Per questo non riuscì a sentire le imprecazioni del giovane detective del Kansai, che battendo piedi e denti, cercava di resistere al freddo della tempesta, mentre anche Kazuha Toyama faceva del suo meglio per non morire congelata.

********************************************************************************************************************

-Andiamo! Per quanto tempo ancora vorrai portarmi il muso signor Holmes dell’era Heisei? – disse nel vento una voce sorridente, mentre il freddo frustava le guance calde di Shinichi Kudo, a pochi passi da una donna che era abituato a vedere da bambina.

- Non ti sto portando il muso! – disse seccata la voce del ragazzo, eppure ancora imbarazzata. Quella stupida di Haibara! Si stava prendendo gioco di lui! – Piuttosto che cos’hai in mente? -

Shiho Miyano si fermò.

E volto su di lui i suoi occhi di ghiaccio.

Degli occhi che accompagnavano un sorriso terribile.

- E’ proprio ora che qualcuno impari ad avere paura del male che mi ha fatto… -

Il ragazzo che in quei giorni poteva farsi chiamare Shinichi Kudo ebbe paura.

Pura.

Semplice.

Serpeggiante.

Poi sorrise.

Un sorriso duro, i denti stretti dalla rabbia.

Forse era venuto sul serio il momento di fargliela pagare a quei dannati ….corvi.

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La donna chiamata Vermouth fissava la scena che si svolgeva sul palco, fissando il suo piccolo angelo che pareva essersi trasformato….quello che ora aveva di fronte non era l’entità benevola che le aveva salvato la vita, tanto tempo fa a New York….quello era un Vendicatore.

Sorrise, accarezzandosi le labbra con la punta della lingua, assaporando il gusto acre del rossetto.

Aveva fatto finta di non vederla quella pistola.

Le dispiace che il suo angelo si fosse sporcato, ma se avesse tolto di mezzo qualcuno che le intralciava la via non sarebbe stato poi tanto male.

Per la seconda volta l’avrebbe aiutata.

E lui non avrebbe potuto rimproverarla.

In fondo Gin stava facendo tutto di testa sua.

Era stato incaricato di recuperare tre delle quattro copie della raccolta di Imai e due gli erano sfuggite. Erano in mano del ragazzino. Quel ragazzino che, ne era certa, stava arrivando, se non aveva ancora scoperto cosa si celava dietro quei libri, di certo sapeva che il suo angelo era lì.

- Questa sera si prospetta interessante- disse sorridendo maliziosa all’uomo biondo nell’ombra, un uomo invisibile, ma la cui malvagità era quasi palpabile.

E nell’oscurità poté solo osservare la luce sinistra di una curva di denti candidi.

********************************************************************************************************************

- Et-chuuuuuu!- fu il solo suono decifrabile che per una decina di minuti riuscì a riempire il magazzino accanto alla tenuta Imai. Dentro due ragazzi originari di Osaka tentavano di riscaldarsi soffiando, quando non starnutivano, sulle mani già bluastre.

- La prossima volta gliela faccio fare a lui la parte del congelato! – sbuffò Heiji Hattori formando nuvolette bianche sulle sue mani e su quelle piccole di Kazuha Toyama, più blu delle sue.

- Non c’è bisogno che mi riscaldi le mani tu! – disse la ragazza arrossendo – posso farlo anche da sola! -

- Con quel soffio asmatico che ti ritrovi, non credo proprio! – rispose strafottente lui continuando il suo lavoro di riscaldamento – comunque non possiamo passare tutta la vita qui a cercare di scaldarci le mani…prima o poi dovremo farlo…-

Kazuha Toyama alzò uno sguardo totalmente allibito sul volto scuro del suo amico.

Oltre il buio dello stanzino poteva vedere brillare quelle iridi lavanda che da tanto tempo ormai le causavano un notevole batticuore….un movimento accelerato del muscolo cardiaco che nell’ultimo minuto era riuscito a mandarle in ebollizione anche le orecchie.

- He…Heiji…m-ma…cioè….non…è….-

- Capisco la tua riluttanza con questo freddo – ammise il ragazzo continuando ad alitarle sulle mani per riscaldarle – ma credo che prima ci decidiamo meglio sarà. E poi magari, staremo anche di più al caldo che con questi vestiti! –sorrise alla fine come se stesse parlando di andare al parco.

La ragazza lo fissò immobilizzata, impossibilitata a pensare qualsiasi cosa fosse razionale…

Heiji…il suo Heiji che non faceva altro che stuzzicarla, che arrossiva per qualsiasi allusione al loro fidanzamento voluto dai loro genitori, lo stesso ragazzo che lei non era ancora riuscita neanche a baciare…ora….ora…..

Heiji Hattori fissò tutto il magazzino con quel suo sguardo indagatore, cercando il posto dove quell’idiota avesse potuto lasciare loro tutto quello di cui avevano bisogno. Storse il muso quando vide penzolare dal soffitto un pupazzo a forma di Kaito Kid che gli indicava sogghignando proprio sotto di lui

- Imbecille – digrignò mentre afferrava la mano fredda di Kazuha e se la trascinava dietro. Sembrava che da un po’ di tempo avesse smesso di parlare. E chissà perché lo fissava così imbambolata.

Beh, però in fondo quello che dovevano fare con quel freddo non era proprio l’ideale. E c’era anche da dire che Kazuha aveva comunque perso diverso sangue per la ferita che le aveva fatto Mouri. Beh, magari con quegli abiti che Kid era riuscito a rimediare sarebbe stata più al caldo!

- Dai! Ti prometto che faremo in fretta! – le sorrise conciliante.

Ma non riuscì a capire perché lei lo fissò ancora più sconvolta ….quasi ….quasi terrorizzata.

Scrollò le spalle e si diresse in fondo al magazzino sotto lo stupido pupazzo di Kid che continuava a svolazzargli sulla testa. Lo strappò via con un gesto dalla velocità umanamente impossibile.

Aprì il bauletto e sentì sotto la pelle un tessuto sottile dai diversi strati. Probabilmente quello era per Kazuha.

-Tieni – le disse mentre continuava a frugare al buio.

- Che? – fece la ragazza stralunata, afferrando malamente l’indumento che Heiji le aveva passato. Il ragazzo si voltò sbuffando – Kazuha, capisco che cambiarsi d’abito semi-congelati come siamo è un po’ la prova tangibile che siamo impazziti per aiutare quello scemo di Kudo, però adesso fare tutte queste storie? Non eri tu quella che voleva salvare Mouri a tutti i costi? -

E in quel momento Kazuha Toyama lo lasciò completamente allibito.

Semplicemente perché cominciò a ridere.

Come se fosse stata presa in pieno da un getto di gas esilarante.

- Dove.….vado dietro…. quello scatolone….. alto ….a cambiarmi…- riuscì a dire tra le risate che continuavano a inondarle le labbra con un tono che al detective del Kansai parve quasi… sollevato.

Scosse la testa e si disse che un assassino era più facile da comprendere di una donna. Poco dopo aveva afferrato lo smoking ‘old style ’ che il ladro aveva lasciato lì per lui.

- Vedrai, Kudo, se questa volta non mi ringrazi come si deve! – sogghignò il ragazzo mentre, tremando cominciò a togliersi la giacca.

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L’uomo chiamato Vodka attraversò infreddolito il piccolo spazio che collegava i garage con il retro della villa. Gin voleva sempre che la sua preziosa Porche fosse sotto controllo. Che fosse bella va bene, ma tutto questo amore per quattro bulloni, non riusciva proprio a capirlo. Per cui le diede il suo solito sguardo svogliato e se ne tornò dentro. Lì fuori il freddo era infernale.

Eppure….prima di tornare dentro diede di nuovo uno sguardo all’auto di Gin. Sembrava che ci fosse qualcosa di strano….però ….no…era solo la sua impressione. L’auto era a posto…era solo il buio che gli aveva fatto uno brutto scherzo. E poi…doveva dire a Vermouth di derattizzare la zona, in quel magazzino c’erano fin troppi rumori. Ma non si azzardava proprio ad affrontare i ratti di campagna. Si e no erano grandi come castori e sparargli avrebbe solo fatto arrabbiare Gin. Che fossero crepati di freddo quei sorci! Rabbrividì e si strinse il bavero della giacca contro il muso quadrato.

Poi si udì solo il suono della porta che si chiudeva alle sue spalle.

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- A quanto pare siamo arrivati – disse sicura la voce di Shiho Miyano davanti a lui. Shinichi Kudo si fermò ad osservare oltre la spalla della donna il retro della grande villa stile europeo dove quella sera si stava svolgendo un’asta molto particolare.

- Se le informazioni di Kid sono giuste il pezzo che ci interessa ci aprirà la via per capire che cosa nascondeva Imai…-

- Genta ti ammazza se non gli riporti il badge come si deve – sogghignò il detective del Kanto fissando la spilla che la ragazza rigirava fra le mani, unico segnale del fatto che non era del tutto tranquilla.

- Non ti preoccupare! Basterà farglielo ricostruire dal professore al limite….anche se ho tutta l’intenzione di restituirglielo integro – sul volto solitamente di ghiaccio di quella ragazza affiorò in quel momento uno splendido sorriso. Shinichi Kudo lo aveva visto solo di rado, ma si rallegrò. Qualcosa gli diceva che la sua triste amica stava cominciando a riassaporare cosa significasse la parola ‘vivere’.

- Tieni- gli disse poi passandogli una rivoltella.

- E questa dove diavolo l’ hai presa?- chiese stupito il ragazzo afferrando con perizia l’arma.

- Pensi forse che io, un ex membro dell’Organizzazione sia così sprovveduta? – la ragazza tornò a fissare avanti a se, il retro di quella villa misteriosa, e soprattutto la porta dalla quale pochi minuti prima aveva visto scomparire quel gorilla di Vodka.

- Come ho potuto pensare una cosa del genere! – Shinichi Kudo si batté la fronte falsamente rammaricato – piuttosto, spero che non avrai regalato a me l’unica difesa in tuo possesso.

Il ragazzo dovette cercare di non strabuzzare troppo gli occhi quando sentì il rumore metallico di una 45 Magnum semiautomatica che riluceva al riverbero della tempesta di neve.

- Ovvio che no – rispose Shiho Miyano con un sorriso – il meglio l’ ho tenuto per me -

- Mi pareva strano – sogghignò il ragazzo stringendosi un po’ di più la sciarpa sul mento – comunque avviciniamoci a quel magazzino prima che mi prenda un altro colpo e non riesca a salvare nessuno.

- Eccolo là! – sbuffò la ragazza infilando la Magnum nel suo cappotto e movendosi stranamente leggera attraverso la nebbia – guarda che la tua occasione per fare il cavaliere mascherato ce l’ hai avuta….adesso se non hai salvato la principessa in quell’occasione è una tua mancanza. Io l’opportunità te l’ ho data! – annuì continuando a muoversi e allo stesso tempo a sussurrare con quell’odioso sarcasmo di cui solo lei era capace.

Il giovane detective dell’Est si fermò un attimo a fissare la schiena di quella ragazza con gli occhi ridotti a fessure.

-Ehi, che vuoi dire?-

- Beh, semplicemente che hai perso il momento…non hai mai sentito la frase… carpe diem, quam minimum credula postero?-

Prima che la ragazza potesse aggiungere qualcosa, Shinichi Kudo le fece cenno di tacere.

C’era qualcuno che si muoveva nell’ombra…e dal poco rumore che faceva aveva tutta l’aria di essere sospetto.

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- CHE SIGNIFICA CHE VI HANNO RIMANDATO INDIETRO!!- tuonarono i possenti polmoni dell’ispettore Megure, mentre mezzo reparto della prima squadra investigativa si voltava allibito. Vedere strapazzato Wataru Takagi era ormai una consuetudine, ma che al fianco ci fosse anche la bellissima Miwako Sato era sul serio un fatto eccezionale.

- Ci scusi – sussurrarono insieme gli agenti, profondamente costernati – però è la verità –prese la parola Sato – non appena siamo arrivati, una donna ci ha detto che avevano abbastanza guardie per tutelare gli oggetti e che non avevano bisogno del nostro aiuto-

- Ci ha riferito che probabilmente il tutto è dovuto all’eccessivo zelo del suo collega – aggiunse Takagi, le braccia incollate ai fianchi.

- Bah! Questi ricchi non sanno più che pesci prendere! – sbuffò l’ispettore scuotendosi il cappello. Per un momento sembrò che il tempo si fermasse a vedere che cosa ci fosse mai sotto quel misterioso cappello che il superiore non voleva mai togliere…Takagi si ricordava che non l’aveva messo giù nemmeno quando era stato ricoverato all’ospedale durante l’indagine sul quel sommelier impazzito che aveva preso di mira Kogoro Mouri. Beh, almeno così gli aveva raccontato l’ispettore Shiratori.

- A proposito…che fine ha fatto Mouri-san? – chiese all’improvviso l’agente Takagi soprappensiero.

- A proposito di che? – fece Megure con un fiero cipiglio – mica stavamo parlando di quel porta jella. No, non me lo dire, anche lui era alla villa Imai! – fece poi quasi spaventato all’idea.

- No, no – rispose il giovane con un sorriso idiota e scuotendo vigorosamente le mani di fronte al mento –è solo che mi è tornato in mente tutto qui -

- La tua mente lavora in modo strano, Takagi – kun – sentenziò scettico l’ometto baffuto in completo color cachi – comunque è andato a casa della moglie, visto che la sua è provvisoriamente inagibile -

-Chi c’è che per una gentilezza, che in questo luogo scarseggia abbondantemente, mi saprebbe dire come raggiungere l’ufficio di mio figlio?- una voce gracchiante fucilò i timpani di tutti e una vecchietta sulla sedia a rotelle e dall’aria inferocita fissò l’interno della prima sezione come se avesse voluto dargli fuoco.

- Signora Ishimori! Che piacere vederla! – disse con un’affettata gentilezza il piccolo Megure mentre caracollava verso la donna – la accompagno immediatamente all’ascensore!-

-Grazie Jizou! Fortuna che nella polizia sono ancora rimasti uomini come te e mio figlio – sbuffò la donna con un cipiglio arrogante – figurati che neanche la gioventù è più quella di una volta! Ieri in ospedale una ragazza mi ha quasi ammazzato per accompagnarmi nella mia stanza in ospedale…sai dovevo fare alcuni controlli…ormai non sono più forte come una volta…..-

Il suono metallico delle ruote che cigolavano, la voce stridula che sfumava nel corridoio non si portò via quell’atmosfera di stupore che per un attimo aveva invaso la stanza.

- Ma chi era quella? – chiese Takagi seriamente preoccupato del fatto che quello che stava vivendo in quei giorni non si trattasse altro di uno strano sogno….magari aveva mangiato troppi noodles e adesso stava male e faceva gli incubi…

- E’ la madre del capoccione – disse l’agente Chiba riprendendo la sua opera di masticazione dell’ hot dog che aveva interrotto per qualche istante – sembra che sia una persona intrattabile!-

- Tale madre, tale figlio – disse l’agente Saginuma passando con una pila di scartoffie in braccio – ah, Takagi questi sono i verbali degli incidenti avvenuti nell’ultimo mese nel distretto di Beika. L’ispettore ha detto che devi sistemarli tutti tu -

- CHE? No…- fece sconsolato il giovane osservando sconsolato la nuova pila di cartelle scivolare lungo tutta la sua piccola scrivania.

Miwako Sato lo fissò con una certa tenerezza. Sicuramente Megure aveva già in mente una bella punizione anche per lei, ma nel frattempo….nel frattempo voleva fare qualche ricerca.

- Chiba – sussurrò al collega che stava rumorosamente sorseggiando una lattina di coca-cola – ho bisogno del tuo aiuto….e delle chiavi del registro audiovisivo della sorveglianza – aggiunse poi con solo un filo di voce, mentre la faccia rubiconda del collega già sbiancava. Sapeva che quando Sato aveva quell’aria da cospiratrice ci andavano di mezzo notti insonni…..

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- SIAMO TORNATI! – gridò una voce allegra nell’atrio ampio di una villa enorme ai margini del quartiere di Beika. La donna dei capelli biondi scosse la chioma ondulata volgendo lo sguardo azzurro di qua e di là e costatando che a casa sua non c’era proprio nessuno.

- Non c’è nemmeno il dottor Agasa – disse l’uomo dai piccoli baffi scuri che l’accompagnava riattaccando la cornetta del suo telefono cellulare – Evidentemente hanno usato gli inviti che mi avevano recapitato -

-Quali inviti? – chiese una terza voce, di nuovo una donna dall’aria seria e dai lunghi capelli castani tirati in uno chignon sulla nuca.

- Quelli per un’asta di antichi oggetti d’arte che si tiene questa sera nella villa Imai – disse Yusaku Kudo pensando che era meglio parlare chiaramente con Eri Kisaki; sapeva che, altrimenti, ne sarebbe andato della sua integrità auditiva.

- Non mi vorrai dire che sono tutti lì..cioè che c’è anche Ran! –disse la donna con una strana nota nella voce.

Qualcosa di molto simile…alla paura…

- Non ti preoccupare – fece Yukiko afferrandole le spalle rassicurante – c’è Shin –chan con lei! Sono convinta che sta benissimo! -

- Forse sarebbe meglio andare anche noi -

Lo sguardo di Yusaku Kudo incontrò quello della moglie.

E la preoccupazione che Eri Kisaki vi lesse dentro non le piacque affatto.

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


Note dell’autrice: arieccomi

Note dell’autrice: arieccomi! Sono viva e ogni tanto continuo a postare. Come al solito perdonate l’assoluta mancanza di puntualità e per il fatto di seguirmi ancora vi ringrazio tantissimo! Allora…per chi voleva qualcosa di romantico fra Kazuha e il suo Hattori sarà accontentato in questo capitolo! Spero come al solito che vi piaccia!!!! A presto ^______________^

21.

- Questo è tutto quello che sono riuscito ad estorcere a quelli della sicurezza – riuscì a capire Sato. La pila di videocassette che copriva il volto di Chiba e il panino che, la poliziotta ne era sicura, l’uomo portava in bocca non aiutavano di certo.

- Grazie mille – sorrise alla gentilezza del collega e cercò di imbracciare da sola quella montagna di materiale che avrebbe dovuto visionare per tutta la notte, su questo non c’erano dubbi.

Una mano grande e calda sorresse la sua mentre alcuni nastri sembravano voler sfuggire al precario equilibrio che Chiba aveva creato per loro.

- Che cosa ci devi fare con i rapporti della video-sorveglianza, Sato-san? – fece una voce profonda, che allo stesso tempo ricordava quella di un bimbo – risalgono si e no a ….-

Miwako Sato sobbalzò ( un po’ per la paura che il suo collega scoprisse quello che le passava per la mente, un po’ perché il calore della sua mano le fece accelerare per un secondo i battiti del cuore)

- Niente, niente Takagi –kun! – sorrise forzatamente – devo solo fare dei controlli inutili per Megure! Non credere che tu sia stato il solo ad essere messo sotto punizione! -

L’agente Chiba e il detective Takagi rimasero impietriti a guardare la donna che si dirigeva a fatica verso il suo ufficio, carica come un mulo di una montagna di video che la facevano sbattere ad ogni collega che incontrava.

- Takagi – cominciò Chiba senza togliere lo sguardo da Sato che adesso aveva sbattuto contro il segretario del sindaco venuto per incontrare Megure e si scusava con aria contrita – ma non è che l’ hai contagiata un pochetto? -

- Che? – chiese il giovane anche lui sconvolto dalla momentanea demenza della sua collega.

- Quello imbranato sei tu, non Sato….non è che da quando avete preso a frequentarvi le hai passato la demenza? -

- CHE? – strillò l’uomo, il cui colorito assomigliava disperatamente a quello del babbo natale che l’agente Sugimura stava mettendo accanto alla finestra per ravvivare un po’ l’ambiente della centrale.

- Inutile che fai il finto tonto – continuò Chiba addentando con aria tranquilla un altro panino – beh, comunque anche io del lavoro da sbrigare. Ci vediamo dopo! -

Wataru Takagi rimase per un attimo attonito mentre il colorito tendeva a riprendersi dalla fatica di un attimo prima.

Accipicchia! Ma chi aveva messo in giro una storia del genere?

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- Ecco a voi un altro pregevole manufatto che gli organizzatori hanno recuperato per la gioia dei vostri cuori, miei Lords e mie Ladies – disse la voce dell’uomo sul palco, illuminato da un faro dorato, mentre un fattorino trascinava su un elegante carrello al centro della stanza una scacchiera dai pezzi lavorati in ambra, lapislazzulo e rifinito oro zecchino e argento.

Gli occhi dell’uomo spaziarono sugli astanti, come se fosse assestato del fuoco che riusciva a suscitare negli occhi della gente di fronte a lui. Sin da bambino aveva sempre saputo come stupire, come inventare, come creare un rapporto simpatetico tra la sua immaginazione, le sue parole e tutti coloro che ascoltavano. E tra tutti coloro che aveva affascinato c’era un volto, un unico, piccolo volto i cui occhi di un azzurro sognante si soffermavano nei suoi ricordi , come le fiammelle di quel camino accanto al quale amava raccontare le sue storie.

Era strano rivederli ora fra tutta quella gente, fiammeggianti, come tanto tempo fa, e allo stesso tempo così profondamente strani su quei due favoriti brizzolati che non gli appartenevano proprio.

L’uomo scosse la testa. Com’era facile pensare, com’era veloce anche in un lasso di tempo così breve…come il battito di una farfalla…oppure lo sfogliare la pagina di un libro.

- Ecco a voi i pregiati vassalli d’avorio del re Carlo IV, che amava preparare le sue battaglie anche su un campo così stretto e infinitamente immaginario come quello di una scacchiera. Si ritiene che l’Arte dei maestri orafi della Capitale del Regno di Boemia fece appello alle più antiche conoscenze alchemiche – continuò l’uomo lasciando che i suoi muti interlocutori mettessero in moto gli ingranaggi della loro immaginazione e soprattutto dei loro lauti portafogli. Niente di più di un sogno poteva fare in modo di aprire le laute finanze di questi uomini, gli unici a poter sognare e gli unici che parevano così lontani da realizzare le proprie aspettative, troppo poco desiderate, avute troppo in fretta: la dannazione del denaro.

E tuttavia pareva che oltre a quegli occhi azzurri così famigliari ce ne fossero altri due, di un blu profondo come il cielo, che avevano attirato la sua attenzione. E ora quelle iridi, celate dietro una maschera nera facevano risaltare un po’ troppo, e quasi in maniera malsana, il pallore dell’incarnato di quella ragazza, immobile come una statua e allo stesso tempo, fremente, al livello inconscio.

L’uomo sul palco pareva essere investito da quella agitazione.

La stessa che muoveva gli occhi azzurri conosciuti.

La stessa che scuoteva i capelli dorati della donna dietro le quinte.

La stessa che faceva fremere il fumo della Philip Morris serrata fra le labbra oscure dell’ombra poco distante.

Quella sera era venuto per vedere come il figlio dell’uomo che aveva servito tanto, tanto, tanto tempo fa se la stesse cavando con l’indovinello che aveva preso la vita di suo padre.

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- Fatto!- ghignò nel buio il giovane detective del Kansai fiero della prima azione da teppista che aveva condotto con successo nella sua vita. Lo sguardo ametista vibrò di un’insolita nota di eccitazione mentre il ragazzo stringeva ancora fra le mani semi-congelate il punteruolo che aveva utilizzato per la sua missione.

- Bene !- sbuffò tra uno sbattere di denti ed un altro Kazuha Toyama, mentre tentava di non perdere sensibilità alle gambe sbattendo violentemente i piedi per terra. Se fosse sopravvissuta a quella serata avrebbe donato tutta la sua paga mensile al tempio vicino casa sua.

‘ E se ..beh…Heiji si decidesse...’ aggiunse qualche robusta preghiera per un desiderio che non osava neanche sperare nella parte più profonda del suo cuore.

- Questo sarà si un bel colpo per quei quattro pipistrelli…- continuò il giovane con un ghigno ancora più ampio.

- Quali pipistrelli? – chiese Kazuha, le ciglia infreddolite, congelate in un’espressione di sospetto.

- Eh? Che? – fece Hattori il più vagamente possibile, simulando uno sguardo da celebroleso che la ragazza conosceva bene. Mentire non era proprio il suo forte. Si domandava come era riuscito a tenerle nascosto quel segreto per tutto questo tempo.

E dopo aver risolto tutto….che cosa avrebbe detto a Ran- chan?

Che il suo Shinichi Kudo era solo uno sporco ed ignobile bugiardo.

- Kazuha? Ehi, Kazuha? – fece improvvisa la voce del suo amico d’infanzia. La ragazza scosse debolmente la testa costringendosi a pensare solo al momento contingente. Quello che importava ora era semplicemente riportare a casa la pelle, possibilmente integra ( e qui non riuscì a mandare un doloroso pensiero alla gamba ferita che con quel freddo aveva smesso di pulsare almeno ) di tutti.

Fino all’ultimo.

Un suonò rauco graffiò l’aria pregna di neve e una voce conosciuta proruppe dal taschino interno alla giacca di spesso cotone color crema del detective del Kansai.

- Ehi, piccioncini- cominciò Kid in tono sarcastico – comprendo bene che il vostro ardore può sciogliere li ghiacciai perenni, ma credo che qui abbiamo bisogno del vostro supporto. Tra poco cominceranno le danze, almeno secondo il menu della serata -

- Arriviamo , tesoro – sogghignò paurosamente Heiji mentre nascondeva con cura una piccola pistola .

- E quella dove l’ hai presa? – chiese Kazuha Toyama semi-sconvolta dalla luce mefistofelica che illumina il viso del suo vecchio amico d’infanzia.

- Le fondine nascoste nei recessi più impenetrabili degli armadi dei genitori che fanno i poliziotti servono anche a questo! – sghignazzò il ragazzo con un’aria sempre meno rassicurante.

- Heiji….ma sei sicuro di sentirti bene..insomma….ecco….- cominciò lei esitante, le sopracciglia incurvate in un’espressione di atterrita preoccupazione per la sanità mentale del giovane –

- Andrà tutto bene piccola! – fece Heiji Hattori massaggiandosi il mento con aria da duro – se stai sempre vicino a me non ti capiterà nulla!-

- Oddio no, no….- la ragazza indietreggiò, un serpeggiante e terribile panico sulla pelle – la mania John Wayne! -

Il ragazzo si sporse verso di lei, lo sguardo pazzo che brillava al riverbero accecante della neve e della luna, apparsa all’improvviso fra le nubi della tempesta.

- Dammi un po’ di zucchero, baby! – disse prima di afferrare Kazuha e reggerla in un casquet ardimentoso mentre avvicinava il suo volto a quello di lei.

- Heiji piantala o ti ficco una coltellata nello stomaco- disse la ragazza, la voce piatta, mentre fissava, accusatoria, l’espressione cretina che il detective aveva sulla faccia.

- Kazuha, ma che palle! – sbuffò il ragazzo rimettendola in piedi scoraggiato – devo andare a morire manco mi posso divertire un pochetto? -

- Quanto sei scemo! Non morirà proprio nessuno! – la ragazza lo urlò quasi all’orecchio dell’amico – e non voglio più sentire una stupidaggine del genere! corredata da tutte le altre idiozie che hai sparato prima – aggiunse poi, scettica.

- Va bene, va bene!- disse il ragazzo voltandosi e scrollando le spalle in un gesto rassegnato.

Poi, poco prima di premere sulla maniglia che li avrebbe finalmente fatti entrare in quella villa d’inferno si fermò.

Un attimo solo.

Kazuha Toyama inspirò un’aria differente in quel momento…come se

- Però…io…-

ci fosse qualcosa di diverso nell’aria;

-…non stavo scherzando del tutto….-

cos’era quel rumore sordo che le martellava dentro,

- …se…io…-

un qualcosa che sembrava non volesse farle ascoltare quelle parole,

- ..tu …che avresti fatto…-

che cosa avrei fatto?

-….se io….-

che cosa avrei fatto?

Heiji Hattori lasciò la maniglia all’improvviso e si voltò verso Kazuha Toyama.

La guardò negli occhi.

La fissò e basta.

Poi:

- se ti avessi baciato sul serio? -

E subito dopo un’ombra fulminea scaraventò il ragazzo a terra.

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‘Quando arrivano quei due glieli faccio mangiare i sorci verdi, neanche vedere!’ sbuffò l’ultimo mago del secolo battendo con grazia un piede sul pavimento, tanto leggermente che nessuno si accorse del suo nervosismo. Quasi nessuno a dire il vero. Quell’uomo era da un po’ che si era accorto di lui e da un po’ Kaito Kuroba aveva smesso di fingere, almeno con i suoi occhi quando incontrava quelli dorati come una civetta, dell’uomo che stava prendendo le puntate di quella ricca gente sulla scacchiera di Carlo IV.

La principessina, seduta sul suo scranno accanto alle opere che occupavano il centro della stanza, stava così immobile che pareva una statua. Che cosa le passasse per la testa era un vero e proprio mistero. Ragionare come il suo fidanzatino non era poi così difficile, farlo come una donna, era praticamente impossibile. Anche per lui che di cervello ne aveva parecchio. Peccato che anche quello fosse di sesso maschile.

Il ragazzo nella pelle di vecchio sfogliò distrattamente ancora una volta il programma delle opere previste per la serata. Quello c’era,e finora, a parte qualche piccolo extra che l’organizzazione aveva messo in palio, non c’erano stati salti. Tutto procedeva verso il suo ennesimo furto.

Peccato che questa volta l’oggetto non brillasse.

Era davvero un peccato.

E dire che quella scacchiera, invece, lo faceva eccome…

Beh, magari alla prossima asta…sarebbe stato uno spesso eludere la sorveglianza di quei corvi.

Un piccolo rumore raschiante di poco differente da quello che lo metteva in comunicazione con il detective scemo del Kansai, vibrò per un secondo dentro il suo colletto.

‘ E anche il principe e la sua amica sono arrivati ‘

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- La principessa si sta comportando come da copione – il fumo della Philip Morris ondeggiò delicato inanellandosi ai boccoli della donna appena dietro le quinte del palco.

Vermouth, come tutti preferivano chiamarla, spostò il voltò, leggermente infastidita dalla presenza del killer.

- Sinceramente, amico mio, non credo di aver ancora capito che cosa tu abbia intenzione di fare con quella ragazza -

- Mi meraviglio del tuo intelletto, dolcezza – disse l’uomo lasciando che il fumo della sua sigaretta arrivasse a sfiorale quella pelle di seta così tremendamente proibita – ma dopotutto, tu non hai scoperto un mio piccolo segreto come, allo stesso tempo, io non sono ancora riuscito a sondare la tua anima -

- Da quando hai deciso di parlare come un filosofo? – fece la donna scettica, la curva sinuosa delle labbra incurvata in un ghigno di scherno.

- Da quando la nostra Vermouth decide di lavorare solo per se stessa…senza dire niente a nessuno – fece Gin, la chiostra di denti bianchi abbagliante nella sua malvagità.

- Mi pare di non aver mai fatto segreto delle mie azioni a chi di dovere – la stizza celata nella sua voce allargò ancor di più il sorriso del killer.

- Non preoccuparti, tesoro -

La donna che per sopravvivere aveva imparato a farsi chiamare Vermouth gli lanciò uno sguardo, pura e palpabile tensione.

-…c’è qui Gin che metterà tutto a posto…-

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La Audi si fermò poco distante dalla villa Imai.

Non avrebbero potuto avvicinarsi più di tanto.

E poi, nell’ombra, a Yusaku Kudo era parso di scorgere qualcosa di familiare. E prima di fare un grosso errore doveva pur dare l’opportunità a quel figlio cocciuto che si ritrovava di cavarsela da solo.

Il problema era tenere a freno due madri di cui una gravemente inferocita.

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- E fu così che la promessa della polizia di Tokyo si buttò a pesce sul quella della polizia di Osaka e finirono tutti e due a mangiare la neve in un quadro che, sinceramente, avrebbe bisogno di una fotografia! – Shiho Miyano non ci era riuscita. Era stato più forte di lei. Lo sapeva benissimo che scoppiare a ridere in una situazione del genere non era la cosa migliore da fare, ma vedere quei due mezzi ammaccati a causa della vista annebbiata del detective che ‘non sbaglia mai ’ era troppo esilarante.

Peccato che la ragazza di Osaka non la pensasse come lei.

Beh, c’era da aspettarselo.

Quell’idiota di Kudo –kun le aveva rovinato proprio un bel momento.

Ma quando un toro parte all’attacco vuoi che senta le urla di qualcuno che gli dice che per una volta ha sbagliato strada?

E questo era il bel risultato.

- Ma che hai in quella testa? Il piombo? – boccheggiava Heiji Hattori massaggiandosi lo stomaco dolorante per la capocciata che Shinichi Kudo gli aveva appena regalato.

- Piuttosto ti chiederei che ti sei mangiato! Un’incudine? Impossibile che uno stomaco possa avere quella resistenza! – gli fece eco il detective del Kanto sfregandosi i capelli per attutire il dolore alla testa, col solo risultato di assomigliare, questa volta veramente come una goccia d’acqua al ladro Kid.

- E dopo questa grande prova di coraggio, signor detective dell’era Heisei, credi di riuscire a metterti in piedi? -

- Ah, ah, ah – fece Kudo arricciando il naso e issandosi su gambe un po’ malferme.

- Heiji, tutto bene? – chiese Kazuha Toyama al ragazzo ancora seduto tra la neve, poggiando involontariamente la piccola mano sulla sua. Gesto che scatenò un improvviso gettò di vapore su entrambi i volti dei giovani.

Si, si – disse in fretta Hattori saltellando in piedi come sotto scossa elettrica e spolverandosi l’abito dalla neve – piuttosto…CHE DIAVOLO CI FATE VOI QUI? – chiese puntando un dito incredulo verso il detective e la ragazza bionda che era in piedi al suo fianco.

Solo allora Kazuha Toyama di accorse di lei.

E si rese conto che la verità che aveva scoperto era ancora più impressionante quando ti si parava così, dinnanzi agli occhi.

Tangibile.

- Siamo venuti ad aiutarvi – ansimò ancora un poco Shinichi Kudo, un occhio stretto per il dolore al cranio – credevi forse che avrei fatto fare tutto a voi? Per quanto mi sembra che vi eravate messi tutti d’accordo? – aggiunse poi, l’aria offesa fissando la ragazza alla sua destra che aveva preso ad osservare svogliatamente il basso ramo di un pino accanto a lei.

- Ma se sei mezzo morto! – Heiji Hattori strillò per quanto quella situazione lo rendesse possibile – che cosa pretendi di fare così ammalato? -

- Conosci quella cosa che si chiama ‘aspirina’ ? – ribatté il detective del Kanto scandendo le parole.

Heiji Hattori si limitò a fissarlo di sottecchi.

Poi scrollò di nuovo le spalle e alzò uno sguardo al cielo

- Dei, ma me lo dite perché quando ci innamoriamo diventiamo così irrimediabilmente idioti? -

Poco dopo Shinichi Kudo, Shiho Miyano e Kazuha Toyama avevano varcato la soglia della villa Imai, mentre Heiji Hattori era rimasto leggermente indietro a cercare di divincolarsi dalla montagnola di neve nella quale, fortuitamente e solo per un caso malaugurato, gli era rimasta incastrata la faccia.

****************************************************************************************************************

La ragazza poteva vedere tutto da quel trono.

Era stata messa lì proprio per vedere.

Ed essere vista.

Quello che nessuno immaginava era che ciò che avrebbe dovuto fare non era stato fatto e ciò che nessuno la riteneva in grado di fare..quello sì, lo avrebbe fatto.

Tra un poco.

Mancava poco ormai.

Bastava un movimento.

Una piccola distrazione di quella sigaretta che continuava fumare, leggera, tetra, opprimente, dietro di lei.

Il rigonfiamento sulla gamba le dava la sicurezza che forse, Shinichi Kudo, non lo avrebbe visto mai più.

E per un attimo quello che gli aveva sentito sussurrare nel sonno le tornò alla mente.

Sotto la maschera sentì di essere arrossita.

Eppure….non lo aveva sognato.

Shinichi Kudo la stava chiamando nel sonno.

E le aveva detto…

No.

Era stato un sogno.

Niente di più.

E ora doveva pensare a salvare la sua famiglia.

Rilassò il battito con un respiro più profondo.

Chiuse gli occhi per un attimo e una brezza, fresca e dolce, le accarezzò le spalle scoperte.

Riaprì gli occhi con la consapevolezza che qualcosa nella sua vita stava per concludersi.

Ed era felice per questo.

Di nuovo lasciò lo sguardo vagare nella sala….gli uomini che alzavano nel mormorio generale palette, che giocavano coi loro soldi, burattini nelle mani di loro stessi.

E poi la vide.

La regina.

Quella regina di avorio e lapislazzulo dall’aria tanto familiare.

Dove aveva visto quella regina?

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- Aggiudicato! – disse l’uomo dell’asta battendo il martelletto e causando diversi mormorii di disappunto e un solo gridolino di gioia. Per la modica cifra di un milione di dollari, aveva venduto quel prezioso giocattolo ad una ricchissima e viziata bambina americana che adesso sgambettava sulle ginocchia del padre tutta contenta di ricevere il suo regalo di Natale. Un oggetto che sarebbe stato ben presto accantonato – Complimenti Signore! –continuò a dire con il suo sorriso inossidabile – lei è stato il secondo uomo nella storia ad aver acquistato questo pregiatissimo pezzo. Perdonate la mente ballerina di un vecchio, miei signori, ho dimenticato di dire che anche questo pezzo, come del resto i prossimi quattro, appartenevano alla collezione privata dell’illustre scrittore che visse in questa splendida villa circa cento anni fa -

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


22

22.

Nella vecchia Volfswagen Eri Kisaki si mosse nel sonno.

Il dottor Hiroshi Agasa la fissò un attimo, i baffoni bianchi tremuli, impauriti, un po’ dalla reazione che la donna avrebbe avuto al suo risveglio, un po’ per quello che stava succedendo.

Ai aveva deciso di tornare adulta e combattere a viso aperto contro quei demoni che avevano distrutto la sua felicità.

L’ometto non poteva fare a meno di essere preoccupato. Sorrise di se stesso. Avrebbe dovuto sposarsi se voleva dei figli…ed ora una figlia gli era piovuta dal cielo con tanti di quei guai da far impallidire un padre normale.

Il dottore lasciò che per un attimo la sua attenzione cadesse su un paio di foto. Non sapeva perché le aveva portate con se, tuttavia gli davano conforto.

E non solo a lui.

Si appoggiò stancamente sul volante della macchina che Shinichi, da bambino, amava chiamare ‘caffettiera ‘ per il tremendo frastuono che la marmitta , quasi in stato di decomposizione da anni ormai, produceva ad ogni minimo spostamento. Non era mai stata una macchina per fare dei pedinamenti come quelli dei film, e pur tuttavia aveva fatto il suo lavoro. Sempre. Quella macchina non lo aveva mai abbandonato.

Pregò che nemmeno Shinichi Kudo lo facesse.

E pregò ancor più intensamente per una bimba dai capelli dorati che non sorrideva mai in quelle foto.

Né con gli altri suoi tre compagni di scuola.

Né con quella ragazza alta dai capelli castani che le stringeva le spalle.

L’uomo sorrise.

‘ Sono fiero di te, Ai Haibara ’

Akemi Miyano, dalla foto, ricambiò il suo sorriso.

E fu allora che udì quel rumore.

- Credi davvero che sia una buona idea, tesoro?- per la prima volta nella sua vita Yukiko Fujimine fissava il marito preoccupata. Si era sempre fidata del suo giudizio, ma adesso ci andava di mezzo il loro unico figlio e la situazione non pareva fosse delle migliori. Benché la neve volteggiava in maniera delicata intorno a loro, comunque non aveva cessato di infuriare da quando avevano parcheggiato l’auto a qualche metro di distanza dalla villa che ora si trovava di fronte a loro.

La villa di Shinji Imai.

Yusaku Kudo fece un sorriso tirato, mentre una cristallina goccia di gelido sudore gli solcava la guancia arsa dal gelo. Tutti ormai si trovavano lì. E lo spettacolo sarebbe iniziato a breve.

Le luci nella casa danzavano in maniera particolare contro il riverbero dei vetri vecchi quanto il libro che da tanto tempo custodiva, guardiano di una maledizione che cento anni dopo aveva colpito di nuovo la sua famiglia.

L’uomo si voltò verso la moglie ad incontrare quelle iridi azzurre che aveva amato dalla prima volta, dal giorno in cui alzando il volto quel sorriso gli aveva catturato il cuore. Poi, per quanto fossero due personaggi piuttosto famosi, la loro vita era scorsa, fino a quel punto senza intoppi…fino a quando Shinichi era uscito dalla loro custodia…

- Pensi anche tu che nostro figlio sia effettivamente perseguitato dalla jella?- sorrise perplesso l’autore del Barone della Notte a quegli occhi che avevano un brillio preoccupato, veramente insolito sul bel volto di Yukiko.

La donna gli rivolse solo uno sguardo interrogativo per poi rispondere al sorriso, lasciando indietro quell’aria malinconica che non si addiceva ai suoi splendidi capelli ramati.

-Ma che dici, tesoro? È solo un ignobile ficcanaso! Se la saprà cavare! In fondo è sempre nostro figlio, no? –

- Appunto – rispose l’uomo, inquieto – proprio perché è nostro figlio che mi preoccupo. In più non voglio sapere come farai a calmare quella tigre scatenata di Eri non appena si risveglierà –

- Sei stato tu a suggerirmi di addormentarla o sbaglio? – la donna lo fissò di sottecchi, il nasino alla francese delicatamente arricciato.

- Incontrare il dottor Agasa è stata una benedizione …-

- Anche il fatto che conservasse un sostituto dell’orologio di tuo figlio è stato un vero e puro miracolo…-

- Adesso è mio figlio? –

- Quando si caccia in guai di tipo ‘giallo ‘ è sempre tuo figlio! – sbuffò la donna incrociando le braccia sul petto con un invidiabile cipiglio – piuttosto – aggiunse poi perdendo quella sua particolare connotazione artistica che suo marito conosceva ormai benissimo – credi che sia prudente lasciare tutto nelle mani di Shinichi? –

- Ma non eri tu quella sicura del fatto che se la sarebbe cavata? – sussurrò Yusaku Kudo circondando delicatamente la vita della moglie con un braccio e accostandole le labbra alla fronte.

- Si, ma rimane pur sempre un bambino…- mugolò la donna accoccolandosi meglio fra le spalle ampie del marito.

- Per noi sarà sempre un bambino, ma ora ha quasi diciannove anni…-

- Io avevo diciannove anni quando ci siamo sposati…-

- Già – rispose solo lo scrittore Yusaku Kudo mentre stringeva il corpo insolitamente tremante della moglie fra le braccia.

E poi…

Nel silenzio della neve che scendeva.

Piano.

Sul luogo dove tutto era accaduto.

E dove tutto, di nuovo…

accade.

Hiroshi Agasa alzò il volto sconvolto.

Lo sentì.

Yusaku Kudo fissò uno sguardo serio oltre il vetro ambrato di una finestra.

Chiaro e distinto.

La donna dai capelli dorati lasciò che la sigaretta le cadesse dalle dita affusolate.

Risonante.

Lo sparò ferì i timpani dei quattro ragazzi fuori dalla porta di servizio.

E per un attimo i loro cuori furono gelati da un sentimento che solo poche, rarissime volte il giovane detective del Kansai aveva provato in vita sua. Contro la paura lottava, sempre, ma in quella situazione erano tutti al limite, e per la prima volta in tutta la sua vita Heiji Hattori si ritrovò a pensare come sarebbe stata la sua vita senza quel nugolo di avventure dal tono noir che la caratterizzavano ogni giorno. Per sua volontà.

E quando incontrava Kudo.

Sul serio il suo amico aveva qualcosa che non andava da questo punto di vista.

Il detective dalla pelle scura rivolse uno sguardo allarmato a Kudo.

Quello sparo, dal suono e dal calibro sembrava provenire da un’arma di ordinanza…

-…polizia?- sussurrò Shinichi Kudo mentre lanciava uno sguardo interrogativo ad Haibara. Vederla nei suoi panni da adulta era così…insolito. Ormai era abituato alla calma apparizione di quella bambina adulta, ed ora quel suo temperamento gli risultava quanto mai anomalo sul vero aspetto della scienziata.

- Ran…- la voce di Kazuha lo riportò sulla terra.

Heiji Hattori spalancò le palpebre fino a farsi male, ma prima che potesse solo articolare un suono qualcosa di gracchiante rimbombò dentro il suo colletto.

-….MA QUANTE VOLTE DOVRO’ CHIAMARTI PRIMA DI RICEVERE UN PO’ D’ATTENZIONE?!-

La voce roca dell’ultimo mago del secolo irruppe nel piccolo spazio dove si trovavano i ragazzi riempiendolo fino a far crepitare la neve sugli alberi.

Heiji Hattori scosse la testa e abbassò il volume del badge prima che un’altra scarica sonora di quella risonanza gli riservasse la preziosa esperienza di girare con un apparecchio acustico per sempre.

- Che c’è?- sbuffò prima irritato il ragazzo armeggiando con il suo abito ottocentesco.

- C’è che le danze sono iniziate senza gli invitati…-

- Il piano è andato a farsi benedire?- sogghignò lentamente Shinichi Kudo avvicinandosi al collo del suo collega del Kansai.

- E tu che diavolo ci fa qui? – chiese incredula la voce del voce dell’illusionista Kaito Kuroba, gracchiante oltre il microfono dell’apparecchio.

- Sono stato svegliato dal bacio della strega – sbuffò Kudo rivolgendo uno sguardo gelido ad Haibara che sorrise scrollando le spalle e alzando le mani – e sono venuto a rimettere a posto le cose -

Inutile riportare lo sconvolgimento leggibile sul volto di Heiji Hattori e Kazuha Toyama, rimasti per un attimo boccheggianti, semi-congelati dal freddo in una pozione ebete.

- Alza le chiappe, allora signor cavaliere, la principessa ha messo su uno spettacolo davvero insolito per i suoi modi…-

Il mago che nascondeva la sua vera identità sotto baffi d’argento non aveva ancora finito di parlare.

La porta di fronte Heiji Hattori si muoveva al vento leggero e del nevischio bagnava le mattonelle dell’ingresso.

- Vogliamo entrare, signori – disse Shiho Miyano togliendo la sicura alla sua pistola.

Shinichi Kudo era già scomparso nel buio.

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- Cazzo!- esclamò il mago del cielo d’argento perdendo il suo proverbiale self-control. Ma che diavolo stava succedendo?

Per la prima volta nella sua vita non sapeva assolutamente che pesci pigliare. Non c’era assolutamente niente da fare se non quello che aveva già fatto e anche il suo piano sembrava dovesse andare a farsi benedire. Digrignò i denti così forte da sentire le gengive dolergli più di quanto non gli era mai accaduto nella sua vita. Fra tutte le cose a cui pensava quella era la meno probabile…

Come aveva potuto la dolce Ran Mouri cacciare la pistola e trasformarsi in colei che aveva dato inizio alle danze senza rispettare i suoi piani? C’erano quasi! C’erano quasi! Il manoscritto era a portata di mano, quel manoscritto di “ The Raven” firmato dalla penna dello stesso Imai, il fulcro al quale portavano gli enigmi dei libri, la chiave che poteva svelare un mistero che si dipanava lungo cento anni, se non addirittura millenni, un segreto che inghiottiva le più antiche famiglie della gilda, il mistero che aveva causato la morte di suo padre.

Ed ora, ora stava andando tutto all’aria.

Se solo Mouri non avesse avuto quello sguardo le sarebbe saltato al collo dimenticandosi che era una ragazza.

Ma quegli occhi non appartenevano alla fidanzatina di Shinichi Kudo.

Quello sguardo era di qualcun altro.

Ed era meglio che il principe fosse venuto presto a svegliare la sua bell’addormentata.

Ora c’era un’unica cosa da fare.

Fece svolazzare qualche gonnella per coprire il suo cambio d’abiti. Quella sera era stato Jun Miyashiro, il fattorino, era stato un facoltoso appartenete ad una multinazionale tedesca, era stato l’ultimo mago del secolo.

Ma ora, pure negli abiti di 1412, il ladro fantasma, era semplicemente Kaito Kuroba.

Perché aveva aspettato quel momento da quindici anni.

Da quando aveva promesso sulla tomba di suo padre che avrebbe conservato quel libro come fosse stata parte della sua anima.

Ma poi quel libro bianco era scomparso.

E il piccolo Kaito Kuroba con esso.

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Non era possibile.

Quello che stava succedendo non era proprio possibile. Non era concepibile semplicemente perché non era stato contemplato nei suoi piani.

Eppure, ora ,per la prima volta nella sua vita il killer che amava farsi chiamare Gin stringeva i denti come un comune mortale.

Perché quello che gli scendeva dietro la schiena era qualcosa che non aveva mai conosciuto in nessun momento della sua vita. Neanche da bambino. Neanche al buio.

Nemmeno di fronte a lui.

Spezzò il filtro della Philip Morris fra i denti, di quella sigaretta il cui sapore era diventato terribilmente acre.

Così era questa, era questa la paura?

E quello che lo faceva maggiormente incazzare era il fatto che tremasse come una foglia di fronte ad una ragazzina.

Il problema era che qualcosa dentro di lui gli diceva che quella non era la principessina che stava ricattando.

C’era qualcos’altro, qualcosa che non riusciva ad identificare, qualcosa che assomigliava terribilmente alla sua voglia di uccidere.

E la canna lucente di quella rivoltella d’ordinanza, vecchia ma perfettamente lucidata, tenuta come una sorta di reliquia antidemone, un talismano contro il male gli sussurrava con una violenza da spaccargli il cervello.

Che fosse davvero la giustizia divina venuta a punirlo?

Il Killer rise di se stesso e sputò quella sigaretta che aveva tinto del sangue delle sue labbra.

Sentire, percepire, assaporare l’odore del sangue lo riportava sempre alla vita.

Perché lui si nutriva di quel sangue.

Non avvertiva più alcun suono, né urla di gente spaventata, né strattoni, né suppellettili che di frantumavano in proiettili intorno a lui.

Non c’era nessun altro oltre a loro.

A lui.

E a quell’Angelo Vendicatore.

- Vediamo che sai fare – disse solo mentre anche lui alzava la canna della sua Desert Eagle.

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Quando la donna che aveva la maledizione di chiamarsi Vermouth notò il movimento improvviso dell’Angelo capì che avrebbe utilizzato la pistola che lei aveva fatto finta di non vedere. Ci aveva riflettuto, quanto ci aveva riflettuto…

Era tutto fuori dalla logica eppure non poteva…

Per quanto il fatto che quella ragazza ammazzasse Gin le tornava di vantaggio…

Ma perché non riusciva a sopportare l’idea che si sporcasse le mani? Perché non era riuscita a fermarsi, perché non aveva ritirato la mano quando quel colpo era partito alla volta del Killer dai capelli lunghi come serpi, perché voleva salvarla?

Quando il bruciore del colpo di pistola trafisse i centri nervosi del suo braccio sentì defluire tutte le sue energie e prima di cadere a terra lanciò uno sguardo alla ragazza dal viso di corvo.

Che fine aveva fatto il suo angelo?

Dov’era?

Di chi erano quegli occhi di ghiaccio?

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La folla scemava come un alveare rumoroso intorno a lui e gli impediva di muoversi disinvoltamente lì dove il suo cuore lo portava. Non aveva importanza quello che avevano programmato, non aveva importanza quello che era stato, non aveva importanza più nulla. Qualcosa più forte dei suoi stessi sentimenti lo spingeva avanti, senza curarsi di ferire, graffiare, scrollarsi di dosso qualsiasi ostacolo potesse impedirgli di avanzare tra quel muro di folla che lo attanagliava, gli squassava l’anima, mentre quello che voleva era raggiungerla. Raggiungere la persona che per prima avrebbe dovuto proteggere e che in realtà aveva sempre relegato in secondo piano.

Perché era sempre stato un idiota, un codardo, uno stupido, eccentrico studentello che non sapeva assolutamente nulla della vita, non sapeva un cazzo di quello che andava fatto per chi si amava, per chi si desiderava così tanto da fare male, per chi si voleva affianco per la vita e che si poteva guardare solo attraverso degli occhi poco innocenti di un bambino che era un uomo…

Corse così veloce che i polmoni presero a dolergli e i colpi di tosse divennero delle lance infuocate che gli perforavano la gola.

Ma non era proprio l’ora di fermarsi.

Adesso per la prima volta stava lottando per una vita.

E non avrebbe permesso che questa gli venisse strappata.

Strinse i denti e caricò la pistola mentre con uno strattone faceva cadere una serie di persone al suo fianco.

E non chiese nemmeno scusa.

Shinichi Kudo non aveva bisogno di essere educato.

Aveva solo bisogno di essere un uomo.

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Non riusciva a capire.

Non riusciva a vedere bene quello che stava succedendo eppure…

Eppure….

C’era tanta, tanta gente di fronte a lei, donne meravigliose i cui abiti sgargianti vorticavano in un caleidoscopio di colori che le ferivano le iridi chiare, uomini dal portamento elegante che rivolgevano il loro volto sconvolto verso di lei, vestiti in un modo che le ricordava disperatamente qualcuno…qualcuno…

Chi dovevano ricordarle?

Il suo sguardo vagò poco più in là, oltre i vetri della finestra, oltre il pallido biancore della neve che vorticava come quella sera, quella sera che bussava così imperiosamente al suo cervello tanto da stordirla, tanto da farle male, tanto da ridurla in fin di vita.

Perché lei era in fin di vita.

Perché si dibatteva.

Chi era? Chi c’era dentro di lei?

Perché il suo braccio era steso?

E ai suoi piedi una macchia d’oro brillava più intensa di quanto i suoi occhi mascherati dal volto di corvo potessero sopportare.

Era tornata.

Sussurrò una voce alla sua mente.

I corvi che l’avevano presa ora avevano permesso che tornasse.

Ran Mouri avrebbe voluto muoversi.

Quando aveva deciso di cacciare la pistola e di sparare aveva avvertito uno strano fremito.

Mentre il suo mondo andava in frantumi, riuscì solo a vedere da lontano l’immagine di un pallido Shinichi che la guardava.

Mentre una lacrima solcava il suo volto.

Era rinata.

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Note dell’Autrice: E così è arrivato anche il 22esimo capitolo…non avrei mai creduto di scrivere tanto. E sono andata avanti grazie soprattutto all’aiuto di tutte le persone che amano questa storia! Non so nemmeno quante volte ve l’ho detto ormai! XD scusate la ripetizione, ma è davvero così! Vi sono molto, molto grata per questo!

Grazie a ginni85! Sentire che i miei personaggi risultano vivi mi fa molto felice ( a dire il vero ogni volta cerco di calarmi nei panni e nel carattere di ognuno, anche se ormai quell’età l’ho passata da un po’ :P ), ad Akemichan,a Filly, ad Ayumi, Kazuha-chan e tutti gli altri che mi seguono!!! Spero di riuscire ad aggiornare al più presto ^_____^ .E comunque scusate il terribile inguacchio con il codice html...purtroppo sembra che in qualche modo si sia messo contro di me e abbia intenzione di non farmi penetrare i suoi misteri -_____- pazientate per la resa grafica...cercherò di aggiustarla al più presto

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