Invincible as the Fire - Storia di una Donna che Sfidò il Destino di GioGiaMon (/viewuser.php?uid=93424)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Pergamena I ***
Capitolo 3: *** Pergamena II ***
Capitolo 4: *** Pergamena III ***
Capitolo 5: *** Pergamena IV ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Prologo
Prologo
Nonostante fossero passate diverse decadi, Luthien
non riusciva a dimenticare. Grazie a quella coraggiosa donna, ora il Vecchio
Continente godeva di un lungo periodo di pace. Tutto ciò che
le rimaneva della sua valorosa amica erano le pergamene che ella aveva scritto
per lasciare qualcosa di sé al mondo.
L’affascinante Elfa, vestita con un semplice vestito lungo di
seta bianca, aprì un polveroso baule, ai piedi dal suo letto. Vi trovò delle
pergamene ingiallite dal tempo, rilegate con un nastro di raso verde. Le pose
sul tavolo con estrema accuratezza, attenta
a non rovinare quel fragile ricordo.
Una volta all’anno, l’equinozio di primavera, dissolveva, con le
sue dita affusolate e candide, il nodo che imprigionava quegli scritti. La luce
che trapelava dalla finestra rendeva il suo incarnato di una avvenenza che
nessuna umana poteva avere; ma la sua espressione, che di solito era
indecifrabile, era velatamente malinconica.
Quindi si immerse nella lettura.
***
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Capitolo 2 *** Pergamena I ***
Pergamena I
Pergamena I
Mai avrei creduto di riuscire ad arrivare fino qui. Ero
destinata a tutt’altra vita, visto il luogo che mi ha dato i natali.
Per chi ritroverà questo scritto, sono originaria della
regione Ulbra. Non è molto conosciuta, anche se è situata poco più a nord della
regione in cui risiede la capitale del nostro Impero; il motivo è molto semplice.
Chi vi ci nasce è destinato anche a morirvi: è una terra legata alle
tradizioni, di gente abituata alla fatica e cui l’influenza della Chiesa
penetra in ogni animo e in ogni mattone. Società patriarcale che ha sempre rifiutato
l’influenza esterna, chiudendosi in isolamento inspiegabile. Molti degli
abitanti di Ulbra non hai visto la città principe della regione, Perysium;
arroccata su due colline contigue, presenta una quantità innumerevole di scale.
Piena di cunicoli e portici, tra mattonato grezzo e marmi preziosi, ha il
fascino della disarmonia più stridente. La piazza principale, raggiungibile
dopo la lunga scalinata in marmo bianco sciupato, rappresenta l’emblema di
questa città: opulenza e miseria si scontrano e si incontrano creando una magica
armonia. Una fontana imperiosa con al centro la statua del fondatore della
città, con lo stendardo di un grifone, è circondata da edifici lugubri in
pietra scura in cui vi risiedono ricchi mercanti e nobili viziati mentre sui
sampietrini si trascinano mendicanti e senzatetto vestiti di stracci.
L’ho sempre odiata ma anche amata: mi ricorda il carattere
di mio padre. Sempre imbronciato e
perennemente preoccupato per il sostentamento della sua famiglia, tanto da
dimenticarsi che non abbiamo solo bisogno del pane per vivere, ma anche di
amore; ma papà era incapace di dimostrare il suo amore per me e mio fratello maggiore.
Ho sempre creduto che la nobiltà fosse diversa da me, umile
figlia della terra: credevo che il loro titolo fosse di derivazione divina, quasi
come se i nobili non fossero molto più dei comuni uomini. Perlomeno questo è
quello che mi aveva trasmesso mio padre. Ma poi ho incontrato Thomas. Avevo
quindici anni e dopo l’ennesima lite in casa mi sono rifugiata nella Macchia,
una selva abbastanza fitta da riuscire a confondere il mio già debole senso
dell’orientamento. Ero disperata. Singhiozzavo. Ormai stava calando il
sole e il cielo imbruniva rapidamente.
Zoccoli in lontananza. Smisi di piangere; ero in allerta per
cogliere la provenienza di quei suoni. Senza nemmeno riflettere sulle possibili
conseguenze mi diressi verso quei rumori. Mi districai tra rovi e arbusti.
Dovevo raggiungere quegli zoccoli! L’unica possibilità di ritornare verso casa!
Mi aspettavo che vi fossero banditi, poco di buono,tutto, ma non quello che
vidi.
Un ragazzo riccamente vestito, seduto su un tronco,
imbronciato. Alzò lo sguardo e, vedendomi, sussultò. Dal conto mio ero
impietrita. Era chiaramente un nobile. E pure di alto rango, a giudicare dallo
stemma impresso sulla sella del cavallo. Stavo per scappare quando si alzò in
piedi, mi prese la mano e con un profondo inchino si presentò.
‒ Madonna, permettete che mi presenti. Sono il Duca
Thomas LaBranche, al vostro servizio. ‒ Il mio viso doveva un’espressione davvero
buffa; non riuscivo a credere a ciò che le mie orecchie avevano appena udito!
Un nobile che si inchina e mi fa il baciamano … e che mi chiama «Madonna»!
‒ Madonna, vi siete forse smarrita in questo impervio luogo?
‒
mi domandò.
‒ Voi, nobile di sangue, parlate a una popolana come? ‒ero
talmente sconcertata che mi dimenticai la disparità di rango e nemmeno abbassai
lo sguardo, né mi inchinai. Ricordo che la voce risuonò come un rimprovero.
Mi rispose con un dolce sorriso, gettandomi nell’imbarazzo
più completo.
‒ Madonna, non vi è ragione del vostro rossore. Tra ma e
voi non vi è alcuna differenza. Anzi, finalmente mi trovo davanti una persona
vera! ‒ mi disse, con l’aria di
credere davvero alle parole che uscivano dalla sua bocca.
A me, non sembrava proprio che tra me e lui non ci fossero
differenze. Mi sentii offesa; forse sarò stata pure povera e ignorante, ma di
certo non ero stupida!
‒ Tra me e voi non vi è differenza? Ma davvero credete
davvero a questa scemenza? A me non pare di avere le mani linde e pulite come
le vostre! Vedete? Sono piene di calli! E rovinate! E voi indossate abiti
puliti e costosi, mentre io dei luridi stracci sporchi! E cosa più importante,
non dovete sudare e lavorare per avere un pasto in tavola! E mi sono sempre
domandata perché capita solo a pochi una tale fortuna! ‒ la mia indole irruenta era
emersa di nuovo. Mio padre mi accusava di avere un carattere impossibile e che
la colpa era dei miei capelli! Sì, in una società dominata dalla Chiesa, chi
aveva i capelli fulvi come i miei non era ben visto.
Dalla sua faccia mi resi conto che forse ero il primo essere
umano a rivolgermi a lui in modo così duro. Mi fece un po’ pena.
Ma poi mi sciolse in una risata.
‒ Perché mai ridete? ‒ gli domandai con tono
provocatorio.
‒ Perché nessuno osa mai sgridarmi come avete appena fatto
voi! E nessuno mi dice ciò che pensa! Non so se la vostra è incoscienza o
mancanza di educazione, ma mi piace! ‒ a quelle parole mi sentii piccola
piccola. Dovevo portagli più rispetto, esprimere ciò che pensavo con
educazione. Ma tutto ciò mi è sempre stato molto difficile.
Gli porsi le mie scuse, imbarazzata e mortificata. Poi mi si
avvicinò, mi scostò i miei capelli arruffati dal viso e mi sussurrò una frase
che allora non capii bene.
‒ Non sapete di essere un dono del cielo! Siete più
splendida di quanto possiate immaginare. ‒ sembrava una dolce melodia
trasportata dal vento.
Poi mi riaccompagnò nel mio povero villaggio.
‒ Spero un giorno di rivedervi, Madonna. Tra sei mese dovrò
trasferirmi a Sanslyn e non potrò più
tirarvi fuori da boschi e foreste! Ma prima che vada, vorreste dirmi il vostro
nome? ‒
mi prese di nuovo la mano e la baciò.
‒ Mi chiamo Jocelyn, Signor Duca. Ma ricordate che sono
solo una contadina e voi un nobile. ‒ gli rammentai.
‒ Jocelyn, già il suono mi piace! ‒ lo ripeté, estasiato.
‒ È l’unica eredità che mi ha lasciato mia madre. Oltre al
colore dei miei capelli. ‒ lo guardai diritto nei suoi profondi occhi blu.
‒ Jocelyn, vi prego,concedetemi l’onore di godere di nuovo
della vostra compagnia! ‒ più che chiedere il permesso, mi stava supplicando. O
perlomeno allora mi è sembrato. Nonostante tutto ero in debito, quindi non me
la sentii di rifiutare. Dopotutto me lo stava chiedendo con un tale garbo che
mi era impossibile rifilargli un rifiuto.
‒ Se proprio insistete, Signor Duca. ‒
feci l’aria di chi non sopporta tali cerimonie.
‒ Allora, Madonna Jocelyn, mi vedrete presto! E’ una
promessa! ‒
la solita promessa di circostanza, pensai tra me. Ma a sorpresa, venne di
nuovo. E poi ancora e ancora. Era interessato a me, o perlomeno così voleva far
intendere: a me sembrava più un capriccio che veramente interesse.
All’inizio pensai che forse voleva solo qualcuno con cui scambiare
qualche opinione, cosa che non capivo assolutamente. In fondo sapevo a malapena
leggere e scrivere, quali pensieri profondi potevo formulare?
Ma insisté. Ancora e ancora. Ogni volta si presentava con
una rosa e con qualcosa da leggere o da sottopormi. Sia di letteratura che di
politica. In quei sei mesi appresi molto sia di storia che di geografia. Mai
una volta mi fece sentire l’allieva stolta, si metteva sempre al mio stesso
piano; feriva il mio orgoglio e molte volte lo rimproveravo vivacemente per
questo. Ma da signore mi lasciava in balia della mia ira, limitandosi ad
osservarmi divertito.
Piano piano mi resi conto che persona fosse; non solo un
nobile di titolo, ma anche d’animo. I pregiudizi che ognuno aveva nei confronti
dell’altro furono abbattuti con la facilità con cui si demolisce un castello di
carte. Quindi, all’improvviso, realizzai di amarlo. Gioia e terrore. Sapevo che
presto sarebbe partito e che la differenza di lignaggio avrebbe impedito
qualsiasi futuro insieme. Quindi non mi illusi, vissi quei momenti al meglio,
anche se lo spettro della sua partenza incombeva gravoso sul mio cuore.
Poi arrivò il giorno prima della sua partenza. Passammo gli
ultimi momenti insieme senza sciuparli
con inutili parole; eravamo troppo distratti l’uno dall’altra e risate complici
dolceamare presero il posto di frasi di
circostanza.
‒ Vorrei portarvi con me nella Capitale, ma non credo che
voi me lo permetterete. ‒ disse, con una punta di rimpianto.
La mia testardaggine e il mio orgoglio mi impedirono sia di
piangere che di mostrare qualsivoglia debolezza.
Avrei voluto dirgli ciò che provavo, gridarglielo, ma no
potevo. Quindi mi limitai a salutarlo con un sorriso tirato mentre sul suo
volto vedevo chiaramente tristezza.
Ci separammo e non lo rividi per molto tempo.
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Capitolo 3 *** Pergamena II ***
Pergamena II
Pergamena II
Me ne andai via di casa quasi subito dopo la partenza di
Thomas, stanca di essere colei che doveva sempre fare tutto. Mi sentivo soffocare.
Volevo vedere qualcos’altro! Il mio spirito mi spingeva verso l’avventura e
verso l’esplorazione; spirito non condiviso né da mio padre, né da qualsiasi
altro abitante della mia regione. Papà diceva che era tutta colpa dei miei
capelli; nessuno li aveva di quel colore tranne la mamma. Inoltre la Chiesa,
così radicata nelle sue secolari tradizioni, prendeva le distanze da questo
colore, bollando tutti i fulvi come potenziali peccatori. E questo mi faceva
ribollire il sangue. Solo perché avevo delle aspirazioni. Ma la Chiesa non
consentiva di avere iniziativa o aspirazioni o sogni. Sei solo un burattino, un
contenitore vuoto; la Chiesa ti riempie di ciò che vuole e tiene tra le sue
dita, muovendo le fila nell’ombra, controllando tutto e tutti, senza che
nessuno se ne renda conto.
Ma non me. Non la mia indole. Perciò lasciai tutto, senza
guardarmi indietro.
Non è stato facile; sono stati anni duri. Sono andata verso
nord, nella regione di Elveres, ai confini dell’Impero. Una regione dal clima
impossibile. Pioggia per la maggior parte dell’anno. La sua città principe,
Anglion, è fredda e umida. E quando non piove, c’è una spiacevole nebbia. A
nord di questa regione vi è la Foresta Oscura,oltre la quale vi abitano esseri
non umani.
Ne sono sempre stata attratta; li chiamano elfi. Sono esseri
eterei e, al tempo stesso, dei guerrieri eccezionali; circolavano voci paurose
su di loro e sulla loro potenza. Dicerie sostenevano che erano esperti nelle
arti magiche, ovviamente considerate abominio dalla Chiesa, e alcuni
sostenevano che riuscivano ad ottenere il pieno controllo sui draghi e altri
mostri magici.
Appena giunta nella città, mi trovai un lavoro. Aiutante
fabbro. Lavoro duro, specie per una donna, ma così diventai esperta nelle armi
e nelle armature. Intanto ascoltavo, sempre con più interesse, i racconti su
questi meravigliosi esseri. Tutti mi ammonirono;
‒ Che hai detto, ragazza? Pazza! Non sai quel che dici!
Stai lontano da questi esseri! Sono degli incantatori eccellenti! Cadrai ai
loro piedi senza neanche rendertene conto! E poi ti tortureranno! Non sono
umani! E sono magici! ‒ ma non ascoltavo una parola. Li temevano solamente perché
adoravano la Madre Terra e avevano un grande rispetto per la natura. Voci
sostenevano che loro e la foresta erano un unico organismo vivente, in perfetto
equilibrio.
Un giorno d’estate mi svegliai, avevo la netta sensazione
che qualcuno mi chiamasse. Mi misi in cammino.
In realtà non sapevo dove stavo andando, ma tutto ciò che
vedevo mi era famigliare. Ero come guidata da qualcosa. Le rocce a punta, il
ruscello, tutti particolari che sembravano appartenere da tempo immemore.
Verso il crepuscolo, quando il cielo assumeva tonalità
calde, vidi un muro di nebbia. Era strano; la luce non riusciva a ferirla, era
compatta come se fosse un muro vero. Istintivamente alzai le mani e le portai
davanti al volto, sovrapponendole; con
un rapido movimento le portai verso l’esterno, come per scostare una pesante
tenda.
Rimasi di stucco; si aprì un varco, un passaggio! Non mi
pareva vero! Come avevo potuto farlo? Ancora oggi, nel ricordarlo, sono
percorsa da brividi.
Fui colta dal panico; rapido si era impadronito di me. Le
ginocchia sembravano stremate e incapaci di sostenere il mio solo peso. Poi …
non so bene che cosa sia veramente successo, ma sentii una voce. Dentro la mia
testa o reale ancora oggi non mi è chiaro, ma non credo sia troppo rilevante.
Mi parlava in una lingua a me sconosciuta ma solo il suo suono fu sufficiente a
scacciare tutte le mie paure. Strinsi forte i pugni e varcai il passaggio. Un
mondo nuovo e sconosciuto mi si schiuse.
Meraviglie indescrivibili. Confusa e disorientata mi
avvicinai verso un essere etereo e di una bellezza che nessun umano poteva
avere.
Incarnato candido, occhi di un azzurro irreale, lunghi
capelli di un argento chiaro, con riflessi acquamarina. Aprì le braccia in
segno di benvenuto e mi sorrise.
E stranamente mi sentì a casa. Era come se avessi dopo un
lungo viaggio, finalmente ero giunta alla meta. Ma non era così; era
semplicemente l’inizio.
Luthien, questo è il suo nome, mi parlò nella mia lingua.
‒ Da tempo ti attendavamo. ‒ la sua voce arrivò alle mie
orecchie come una leggera carezza.
Disorientata mi diressi verso di lei, mentre ella mi faceva
strada. Fui accolta in quella comunità con calore; mi presentò alla comunità
come se mi conoscesse da sempre. Ero sempre più confusa e disorientata.
‒ Questa fanciulla è la figlia di Eleanor di Valdimere … ‒
la guardai sconcertata. Come faceva a sapere il nome di mia madre? E che non
era nata sulle terre dell’impero?
‒ Aspettate, ma io non vi ho detto chi sono! Come fate ad
essere sicura di chi sia? Conoscevate mia madre? ‒ non ricordo esattamente
quante domande le feci, ma tutta la mia tensione si sciolse in un fiume in
piena di parole.
Luthien mi appoggiò delicatamente la sua candida mano sulla
mia spalla.
‒ La vostra indole di fuoco mi ricorda molto Eleanor. Mi
manca tanto. A tempo debito ogni cosa sarà rivelata. ‒ ma non era di certo da me
aspettare. Ma stando a contatto con Luthien imparai a stemperare la mia
irruenza.
Approfondii le mie conoscenze e assorbii quanto potei da
questi straordinari esseri.
Temprai il mio fisico con rigorosi allenamenti, imparando ad
essere rapida come il vento e devastante come il fuoco; acquistai una rapidità
nei movimenti che non credevo umanamente possibile. Diventai esperta nell’arte
della spada e acquistai familiarità con i loro lunghi archi.
Ma mentre allenavo il mio corpo, la mia mente era sempre più
inquieta; domande, paure, desideri mi impedivano di passare notti tranquille.
Cercai di ignorare tutti questi fantasmi, ma questi, impietosi, si stavano
facendo strada nella mia anima.
Questa oscurità mi impediva di sentire la presenza della
Madre Terra. Per questo arricchii la mia conoscenza per riuscire a convincermi
che erano solo nebbie nel mio cuore, che potevano essere scacciate con una
folata di vento ma, col trascorrere del tempo, esse diventarono sempre più
grandi. Mi ci volle un po’ di tempo ma poi compresi: non potevo continuare su
questa strada; presta sarei stata preda dei miei dubbi , rimpianti e sensi di
colpa. Perciò decisi che dovevo sapere chi ero veramente e da dove venivo.
Sapevo da tempo che Luthien conosceva mia madre ma non avevo mai osato chiedere
nulla; era giunto il tempo, tutto il mio essere mi imponeva di sapere.
‒ Finalmente sei venuta da me, Jocelyn. ‒
mi prese per mano e mi fece accomodare su una sedia in legno. Si sedette di
fronte a me con la grazia dell’aria sottile. Nonostante la luce calda che
penetrava dalla finestra le illuminava parte del volto, emanava la bellezza
gelida di un diamante. Mi rivolse un delicato sorriso, ma l’espressione del suo
volto rimaneva indecifrabile.
‒ A noi Elfi è riservata una vita più lunga dei comuni
esseri umani e nella mia ebbi la fortuna di incontrare Eleanor. Aveva il tuo
stesso identico sguardo; sicuro e fiero. È stata una buona amica, una delle
migliori. Era speciale, non era una donna comune. ‒ sospirò, come se il ricordo
che riviveva fosse troppo penoso.
‒ Forse non ne sei a conoscenza ma la Chiesa ha fatto una
vera e propria crociata verso le persone come te e tua madre. Due secoli or
sono l’Alto Profeta ha emanato una Bolla in cui proibiva l’esercizio di
qualsivoglia tipo di magia; la sua influenza è sempre stata grande sugli
imperatori, perciò venne instituito il corpo Vigiliae Pro Incolumitate Civium. Insieme alla Sacra catturarono e
uccisero tutti coloro che avevano i capelli del tuo stesso colore e tutti
coloro sospettati magici, incuranti se tra loro vi erano bambini o vecchi.
Furono cacciati come bestie e mandati a morire solo dopo atroci sofferenze.
L’Epurazione Scarlatta, così venne chiamato tale abominio, ebbe ufficialmente
termine con una Bolla pubblica del Sacro Oracolo, emessa circa quarant’anni fa,
in cui si annunciava la vittoria contro la magia. Quindi venne proibito
qualsiasi legame tra il mio popolo e il vostro; molti emigrarono nella Regione
di Tasmymnona a nord-est dell’Impero, dove le epurazioni non potevano arrivare.
Nella Capitale di Tasmymnona, Valdimere, nacque tua madre. Alla morte di tuo
nonno, ella manifestò delle abilità speciali; ci furono degli “incidenti” ad Valdimere:
il più eclatante accadde quando un drago apparve, da un giorno all’altro,
improvvisamente. La città era nel baratro più oscuro, poiché i Dominatori dei
draghi erano dispersi o imprigionati o morti. Eleanor allora era un bambina di
poco più di nove anni, ma bastò un suo solo sguardo affinché il drago smettesse
d’incendiare e distruggere il castello. Tutti furono atterriti da questa
bambina prodigiosa, che con un solo movimento della sua piccola manina poteva compiere talmente potenti quanto incontrollati; ma noi
avevamo il potere di preservare tale potere. Quindi la portammo qui, le
insegnammo a controllare il suo dono; ella ci ripagò con un sacrificio enorme. ‒
si alzò in piedi e si mise accanto alla finestra; il suo sguardo era diretto
verso un albero imperioso, dal tronco massiccio. Notai che i suoi occhi si
erano leggermente inumiditi ma nessuna lacrima rigò il suo splendido viso.
‒ Quando l’Alto Profeta annunciò pubblicamente che ancora un
ultimo Dominatori di Draghi, l’Esercito Imperiale marciò verso di noi. La
nostra politica è quella della pace, quindi tua madre prese una decisione
coraggiosa. Dopo anni di solida amicizia, sapevo che quella notte era l’ultima
volta che l’avrei vista. Ma il distacco non fu doloroso solo per me ma anche
per il tuo vero padre ‒ vero padre? Rimasi sconcertata. Il suo tono di voce
rimaneva neutrale e calmo mentre il mio sangue pulsava nelle vene a ritmo
sempre più folle.
‒ Quindi l’uomo che mi ha cresciuto non era mio padre? E come ci
sono finita con lui?E cos’era lui per mia madre? ‒ scattai in piedi come una
molla; gesticolavo troppo.
Mi rivolse ancora una volta il suo sorriso bonario; non riuscire a
capire che cosa le passasse per la testa era insopportabile per me.
‒ Incontrò un uomo scampato dalle epurazioni; era un guaritore
molto potente. Usava la magia per sconfiggere la malattie: imprigionato e
torturato, fu costretto a rivelare i suoi segreti. Poi gli tagliarono la
lingua, per impedirgli di rivelare a qualcun altro i suoi segreti. Ma aveva
mille risorse e riuscì ad evadere dalla Castra Rubra, un accampamento situato
nel punto più a sud dell’Impero, in cui torturavano e giustiziavano i
prigionieri magici, sorvegliato dalla Guardia Sacra, l’esercito personale dell’Alto
Profeta. Anch’egli si rifugiò qui e conobbe tua madre; tra loro non v’era
bisogno di parole ‒ rimasi un po’ perplessa.
‒ Ma se era un potente guaritore, perché non si è guarito da solo?
‒ era semplice! Se era un guaritore poteva curare le malattie quindi perché non
si è curato? Nella mia mente il ragionamento funzionava.
‒ Un guaritore, per quanto potente, non può curare se stesso. Ha
bisogno di un altro guaritore. Shosla aveva poteri perfino superiori a quelli
dei miei confratelli. ‒ Shosla. Questo era il nome di mio padre, meglio, del
mio vero padre. Dal suono doveva provenire dalle regioni del sud; così mi
spiegai la mia pelle olivastra che tanto è in disarmonia col colore dei miei
capelli.
Luthien continuò, sempre fissando fuori dalla finestra.
‒ Le ferite che Shosla aveva riportato erano talmente gravi da
dover essere curare periodicamente: all’inizio Handir lo curava ogni settimana.
In tutto il tempo che è stato con noi, siamo riusciti solo a dilatare il tempo
tra una guarigione e l’altra; l’intervallo massimo è stato di novanta giorni. ‒
notai una strana luce in fondo ai suoi occhi azzurri; capii che nemmeno mio
padre era più in vita e ciò mi rattristò molto.
‒ Cercammo di trattenerlo qui, ma seguì tua madre di nascosto.
Quando li raggiunsi fu troppo tardi per salvare loro; ma Shosla, con le sue
ultime forze salvò te. ‒ quasi non me ne accorsi: lacrime scivolarono placide e
tacite, solcarono le mie guance.
‒ Oh, non rattristarti; il loro amore era forte e sincero. Eleanor
era cocciuta e testarda come te, per questo cercò di lasciare Shosla prima di
andarsene. Arrivò a mentire persino sulla paternità del bambino che aveva in
grembo, ma ovviamente Shosla non era affatto stupido. Comprendeva tua madre
come nessun’altro; il suo animo e il suo cuore non avevano misteri per lui. ‒
mi era venuta vicino; i suoi occhi, così intensi, avevano il potere di placare
l’incendio di emozioni che divampava dentro di me.
‒ Si amarono molto e tu sei il frutto del loro amore. Ti ho
portato nella regione di Ulbra e affidato a Gaspard Bloodcrow. Lessi nel
suo animo che avrebbe provveduto ai suoi figli con tutti i mezzi a sua
disposizione, quindi lo scelsi. ‒ avrei voluto farle presente che non
era stata la scelta più felice, ma pensai bene, almeno per quella volta, di
tenere la mia bocca cucita.
‒ Jocelyn, tu sei molto probabilmente l’ultima Dominatrice
umana di draghi ancora in vita. È un potere davvero potente e pericolo, se non
ben gestito. Quindi devi imparare a controllare la tua irruenza; se dovessi
incontrare un drago, sappi che tutto
quello che senti tu, esso lo sentirà. Se la tua mente non sarà fredda e lucida,
il drago, disorientato dal tuo tumulto di emozioni, potrebbe non ubbidirti e,
peggio, fare una strage. Perciò è importante che tu riesca ad acquistare il
controllo sulle tue emozioni. ‒ semplice a dirsi. Negli anni spesi
con questo meraviglioso popolo ho compreso una cosa: gli elfi sono creature
distaccate e disinteressate ai tumulti che sconvolgono il nostro mondo.
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Capitolo 4 *** Pergamena III ***
Pergamena III
Pergamena III
Mai vidi un elfo lasciarsi trasportare dall’entusiasmo;
pacati e distaccati. Serenità e pace, questo è quello che mostrano. Ed a volte
è frustrante, almeno per me. Ho bisogno di emozioni, di provare euforia e
profondo sconforto; passione travolgente e devastante ira. La quiete non è mai
stata in me, anche se ho fatto di tutto per avvicinarmi ad essa.
Luthien si dimostrò un’amica fidata e insegnate paziente. Ma
accaddero fatti talmente sconvolgenti e inattesi da gettare il panico in tutto
l’Impero e l’intero Vecchio Continente.
Quando l’imperatore Felix Marcus morì in circostanze misteriose senza
prole, l’Alto Profeta si autoproclamò reggente dell’Impero, prevaricando i
diritti dell’Augusta Imperatrice. Tutta la nobiltà fu espulsa dal Senato
Imperiale, rimpiazzata da Ecclesiasti di alto rango.
La Chiesa e l’Impero, grazie all’appoggio militare della Sacra
Guardia dell’Esercito Imperiale, erano ormai un unico essere. Il terrore
serpeggiò su tutto il Vecchio Continente quando, pochi giorno dopo aver preso
il potere, l’Alto Profeta emanò la Bolla “Ad extirpanda”: annunciava guerra
d’espansione ed epurazione. Il suo obiettivo era di avere il potere assoluto
temporale su tutto il Vecchio Continente; inoltre proclamava che la Chiesa
doveva essere l’esclusiva custode dei segreti della magia. Chi non si piegava
al suo volere, sarebbe stato eliminato, sia esso umano o no, singolo guerriero
o un intero esercito.
Per giunta, gli abitanti dell’Impero furono vessati da pesanti
tasse, aumentando a dismisura la povertà e miseria: l’Alto Profeta pretendeva
fondi per suo progetto di conquista.
Quindi i nobili esclusi dal Senato Imperiale si sentivano in
dovere di fermare tale abuso di potere; cercarono di organizzare un esercito.
Non potevo restare in disparte, mi sentii chiamata in causa.
Luthien provò a dissuadermi in ogni modo; comprendevo
perfettamente la sua filosofia, ma non la condividevo. Non potevo permettere che
l’Alto Profeta distruggesse tutte quelle
vite; ma non sapevo bene che cosa fare.
Sapevo che gli elfi non sarebbero intervenuti e che l’Alto
Profeta, prima di spingersi oltre la Foresta Oscura, ci avrebbe pensato due
volte.
I Nobili reclutarono chiunque avesse abbastanza coraggio in corpo
da affrontare l’Esercito Imperiale o chiunque fosse abbastanza disperato. Sì,
disperato è l’aggettivo giusto: negli anni dell’Epurazione Scarlatta, gli
Ecclesiasti avevano carpito gli arcani della magia da tutte le povere vittime
giustiziate quindi, in prima linea, vi erano le creature evocate con la magia
dagli Ecclesiasti.
Figure oscure, dalle fattezze di demone che fluttuano in aria;
servi fedelissimi e letali mieterono migliaia e migliaia di inesperti e
spaventati soldati volontari, mentre i loro evocatori si limitavano a curarli
ad una distanza di sicurezza.
Un’ecatombe dalle proporzioni inimmaginabili: nessuno si aspettava
che vi fossero degli Evocatori tra le fila della Sacra Guardia. Avevo imparato
l’Arte della Guarigione quindi pensavo e speravo di essere utile.
La Resistenza aveva costruito un accampamento intero per i feriti;
in verità sembrava più un luogo dove i feriti venivano lasciati agonizzare e
spirare senza alcun sollievo. I medici, pochi e mal addestrati, correvano
affaccendati in lungo e in largo tra i miseri lettini in cui giacevano i
moribondi; si impegnavano almeno a non far spegnere da soli i feriti e, qualora
fosse nelle loro capacità, addolcivano la loro dipartita.
Faticai molto per raggiungere il campo: nessuno voleva essere
considerato complice della Resistenza, perciò le mie domande venivano ignorate,
perlomeno nel migliore dei casi. Dovetti valicare i confini dell’Impero per
avere delle risposte.
Precisamente nella fredda regione di Hollowpicks, tra le gelide e
inospitali montagne dell’imponente catena Xanarnum. Proprio ai piedi di
questa catena era situato l’accampamento; il vento gelido potava con sé tutta
la durezza dei ghiacciai che, da millenni, imprigionano le alte cime.
Coperta da un pesante mantello blu notte, mi presentai
all’ingresso, dove due guardie mi sbarrarono la strada.
‒ Sono qui per rendermi utile. ‒ dissi alle guardie.
‒ A meno che tu non sia un medico o meglio una Guaritrice,
non puoi essere di grande aiuto! ‒ rideva. Rideva di un riso amaro e
disilluso.
‒ Ma io sono una guaritrice! Mettetemi alla prova. ‒
sentivo i lamenti salire alti come ululati. Volevo sinceramente fare qualcosa.
I due soldati mi scortarono fin dentro: lo spettacolo che si
consumava davanti ai miei occhi era nauseabondo. Dovetti fare appello a tutto
il mio autocontrollo per non girarmi e scappare inorridita.
A pochi metri da me vi era un giovane uomo riverso su una
lettiga: bendato alla meglio, aveva perso un occhio e dalla fasciatura
sull’addome, una macchia rossa si allargava sempre più. Si agitava; soffriva
tremendamente. Mi accostai piano e gli presi la mano. Per un attimo fu travolta
da tutta la sua sofferenza; chiusi gli occhi e cercai di allontanare qualsiasi
sensazione o emozione.
Ci volle del tempo, ma riuscii a trovare la calma
necessaria. Espirai profondamente e poggia delicatamente la mia mano sulla
ferita. L’uomo cessò di lamentarsi, le guardie mi guardarono sbigottite. Il
poveretto cadde in un sonno profondo ma tranquillo; avevo fermato l’emorragia.
Per provarlo gli tolsi la benda: il sangue non sgorgava più, la pelle era di
nuovo compatta, non era più in pericolo di vita.
Ma la reazione delle due enormi sentinelle che mi
accompagnavano non fu quella che mi aspettavo: mi puntarono le loro lame alla
mia gola. Ci rimasi un po’ male, dopotutto volevo solo rendermi utile.
Cercai di trattenermi dall’estrarre la mia spada; ho pensato
di risolvere le incomprensioni con la diplomazia, illudendomi di frenare la mia
irruenza.
‒ Ehm, possiamo trovare un punto d’incontro pacificamente? ‒
misi bene in vista le mie mani, in modo da fugare qualsiasi ipotesi di una mia
reazione.
‒ Chiedo di parlare con il capo della Resistenza o con
qualcuno che ne faccia le veci. Così da mettere in chiaro che sono qui per
aiutarvi. Sarebbe possibile? ‒ i due grugnirono qualcosa tra loro, a
me incomprensibile. Forse la strada della diplomazia aveva funzionato, mi
dissi.
Ma mi sbagliavo. E di
grosso. Guardai bene i loro volti: vi leggevo solo terrore. I pregiudizi sulla
magia erano abbastanza radicati e vederla accadere sotto il proprio naso, non
era esattamente cosa comune. Quindi, senza troppi convenevoli o cerimonie, uno
dei due vibrò un poderoso fendente in aria, che prontamente schivai senza
troppa fatica.
Dapprima mi limitai solo ad evitare i loro attacchi,
cercando di rassicurali. Riuscii solo ad ottenere insulti e altre guardie che
mi aggredivano. Ma la mia pazienza stava arrivando al limite: l’idea di
impugnare la mia spada e disarmarli tutti era irresistibile; era come un dolce
richiamo che veniva da lontano, che mi lusingava e tentava, mentre la mia
frustrazione cresceva.
Alla fine cedetti; estrassi l’arma con un rapido movimento. Rapida
usai la parte non affilata della spada per disarmarli uno ad uno. Non
riuscivano a seguire i miei fulminei movimenti e, forse, mi stavo divertendo un
po’ troppo a prendermi gioco di loro.
‒ Sono qui per aiutarvi, idioti! E voi non lo capite? Ma
siete tutti ciechi? Non vedete cos’ha fatto la Chiesa? Vi ha riempito di
pregiudizi! La combattete ma in realtà siete pervasi dalle sue folli idee!
Avete bisogno di me! Guardatevi in giro maledizione! Molti di loro non
supereranno la settimana! Non posso fare miracoli, ma ciò che è nelle mie
capacità, lo farò più che volentieri! ‒ ero livida. Non riuscivo a credere
che mi avessero attaccato nonostante la mia dimostrazione di collaborazione.
Ripensandoci ora, trovo la loro reazione normale e, almeno
in parte, comprensibile. Non avevano mai visto la magia se non per veder cadere
i loro fratelli, amici, padri e cari; avrei dovuto essere più comprensiva.
Nella lotta il mio cappuccio era calato rivelando la mia
folta chioma rossa.
‒ Lunghi capelli cremisi. Li vidi solo una volta nella mia
vita. Appartenevano ad una ragazzina un po’ troppo irruenta. Ma quei riccioli
indomiti come il fuoco non li ho mai dimenticati. ‒ in quel momento mi odiavo con
tutta me stessa. Avevo gli occhi lucidi. La voce era più profonda di quanto
ricordassi ma il tono calmo e pacato aveva accompagnato molti notti piene di
meravigliosi sogni. Mai avrei potuto sperare tanto: era Thomas.
Mi costrinsi a non sorridere come una sciocca innamorata
speranzosa, quale ero; mi voltai piano, cercando in tutti modi di controllare la mia espressione.
‒ Jocelyn, non sapete quale immenso piacere è per rivedervi.
‒
di nuovo, come quel giorno nel bosco, si chinò e mi fece il baciamano. Ma
questa volta le mie sensazioni furono del tutto diverse: il cuore sussultava
nel petto, il mio respiro si era fatto irregolare e la mia solita parlantina
era di colpo sparita.
Era diverso da come lo ricordavo; era diventato un uomo. Sul
viso vi era tutta la preoccupazione per i fatti che avevano sconvolto l’impero
e il Vecchio Continente ma non riusciva a scalfire il suo fascino.
Mi ero dimenticata quanto i suoi occhi fossero magnetici; mi
stavo perdendo nel guardarli, dimenticando tutto il resto.
‒ È vero
Madonna?Madonna? Jocelyn? ‒
‒ Sì? Cosa? ‒ gli risposi. Cielo, che figura!
‒ Che avete curato un mio soldato con la magia. ‒ la
pazienza sembrava una sua virtù innata. Il suo temperamento era così lontano
dal mio.
‒ Sì, l’ho curato. Sono una guaritrice e vorrei dare una
mano. Nei limiti delle mie possibilità. ‒ gli risposi.
‒ Sapevo che avevate delle capacità eccezionali! Sono
contento che siate qui, anche se l’idea che voi dobbiate soffrire una tale
penosa visione mi rattrista. ‒ disse, sinceramente rattristato.
‒ Non vi preoccupate di ciò che vedono i miei occhi! Non sono una
debole! E so badare a me stessa! Proverò a curare più persone possibile! ‒ il
mio tono di voce risuonò aspro e secco.
Mi misi subito al lavoro; volevo aiutare il più possibile ma mi
scontri con la dura realtà. Curare tutti era al di là delle mie forze e mi
dovetti arrendere. Poco prima che sorgesse l’alba, caddi esausta sulle mie
ginocchia; sentivo il peso del fallimento gravare su di me. Ero talmente
spossata da non riuscire più nemmeno a stare in piedi. La mia stanchezza era
anche mentale.
Dolcemente sentii che un mantello mi veniva posto sulle spalle; mi
voltai e vidi Thomas. Delicatamente mi pose le sue mani sulle spalle e alzò in
piedi. Non disse una parola, il suo sorriso ebbe, su di me, l’effetto di una
brezza che spazza in cielo tutto le nuvole.
‒ Avete bisogno di riposo; siete pur sempre umana. Non chiedete
troppo a voi stessa. Avete già salvato molte vite. ‒ avrei voluto dirgli che
potevo fare di più, che dovevo fare di più, ma sarebbe stata una bugia dettata
dal mio orgoglio.
Mi comportai come una bambina e seguii i suoi consigli.
Mi stette accanto, finché non mi sentii di nuovo in forze.
Nel giro di un mese riuscii a curare la maggior parte dei feriti;
inoltre cercai di addestrare gli uomini a contrastare gli Evocatori. Servivano
arcieri precisi e archi potenti. L’unica soluzione che mi veniva in mente era chiedere
aiuto agli Elfi, ma diffidenza reciproca tra le due razze forse rappresentava un
ostacolo. Che fare?
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Capitolo 5 *** Pergamena IV ***
Pergamena IV
Alla fine feci ritorno al luogo in cui avevo trascorsi degli anni sereni: col cuore colmo di speranze e gli occhi pieni di terrore stavo tornando dove avevo scoperto chi ero. Arrivata al limite che divide il mondo degli uomini da quello degli Elfi, mi sentii una bambina smarrita e confusa, come la prima volta.
Sembrava che in me, nulla fosse cambiato.
Chiusi gli occhi, respirai lentamente; il vento mi sussurrava parole in Quenya, la lingua di quel meraviglioso popolo, che all’udito non mi erano così straniere come un tempo.
Varcai di nuovo quella soglia e, di nuovo, vidi quel mondo meraviglioso.
Non ci fu bisogno di parole, Luthien si palesò a me e dal suo volto capii che le erano noti gli avvenimenti che stavano sconvolgendo il mio mondo. Era incredibile, non era invecchiata di un giorno, la sua espressione sempre serena: il suo volto sembrava non conoscere né gioia né sofferenza.
– Avrei preferito rivederti in circostanze migliori, Jocelyn; ma il fato ci concede solo questo momento. So cosa stai per chiedermi – disse, prendendomi le mani.
Quelle parole sollevarono il mio animo: in tutta sincerità, non ero certa di riuscire a pronunciare una tale richiesta a voce alta.
– Tuttavia non posso concederti l’appoggio dei miei arcieri: è mio compito rispettare l’equilibrio del mondo e la nostra fede nelle pace. Ma avrai i migliori archi e i migliori maestri d’armi possibili: il tuo mondo ha rinnegato la Natura e non ha rispetto per la terra che calpesta. Gli umani hanno preferito credere alla Chiesa, piuttosto che nella benevolenza e ricchezza della Madre Terra: ne abusano senza alcun ritegno. Per questo non posso concedere l’appoggio del mio popolo – come darle torto? Basti pensare a tutte le nefandezze compiute da coloro che millantavano la pace. In verità preparavano questa guerra da anni.
– Luthien, sarà il Duca Thomas LaBranche a guidare la battaglia e io ho il dovere di essere al suo fianco, al loro fianco. Ho il compito di portare speranza, che tutta questa assurda barbarie finirà. Che, alla fine di tutto, sarà la libertà e la giustizia a trionfare – la mia volontà era ferma ma la mia voce era spezzata.
Le mie ginocchia erano troppo deboli, mi sentivo debole.
Sì, in fondo ero solo una povera creatura: appartenevo più al mondo degli Elfi che a quello degli uomini ma non potevo dimenticare le mie origini. Non potevo chiudere gli occhi di fronte a una simile strage. Non riuscivo ad essere indifferente a Thomas: già, non l’avrei mai ammesso a voce alta, ma era anche per lui che io mi esponevo così.
Era un nobile, ma il suo titolo ormai serviva solo per riempire la bocca; una vana parola, ecco come l’aveva definito. Non potevo essere più d’accordo. Per me meritava molto di più del titolo di Duca: il suo valore lo dimostrava ogni giorno sul campo. Generoso, sempre in prima linea, sapeva infiammare gli animi.
Si batteva in nome della giustizia e dell’uguaglianza, per la pace e la tolleranza. Inutile negarlo, ero attratta da lui, come lo sono ora.
Tornai dai superstiti: questa volta la loro accoglienza fu decisamente migliore.
Ci rintanammo nella Foresta Oscura, facendo perdere le nostre tracce agli Evocatori.
Araton egli altri guerrieri erano davvero straordinari: grazie alle loro doti e ai loro insegnamenti, presto tutti gli uomini impararono a tendere quegli archi così potenti e magici: il legno proveniva dalla Foresta Sacra, a nord della terra Elfica. Il morale era alto, risate risuonavano alte come da tanto, troppo tempo non accadeva.
Si avvicinava la primavera e l’addestramento era ultimato: decisi di partire con Araton e i suoi: avevo bisogno di un confronto con Luthien, mi sentivo insicura e debole.
– Madonna, dunque avete deciso di partire di nuovo? –, i suoi occhi avevano il colore del mare sconvolto da una tremenda e implacabile tempesta.
– Sì, ma tornerò presto. Non vi lascerò soli nel momento del bisogno – mi affrettai a rassicurarlo.
– Sapete, detesto dirvelo, anche perché è davvero sconveniente – il suo sguardo aveva calamitato tutta la mia attenzione; mi perse le mani.
– Madonna Jocelyn, temo di non rivedere più il vostro splendido volto. Siete stata voi a darmi coraggio: irrompeste nel bel mezzo dell’inverno, quando credevo che tutto era perduto. Se non foste arrivata voi, penso che avrei sicuramente preferito scomparire nel gelo della neve. Ma siete arrivata voi, con la stessa veemenza e sfacciataggine del fuoco e avete sciolto ogni brutto pensiero. Siete la fiamma che arde in questo mare di tenebre, vi prego. Non lasciateci, non lasciatemi – non sapevo davvero che cosa dire o fare.
Rimasi per un po’ a fissarlo, domandandomi se davvero tutto questo fosse reale: ero una povera popolana, venuta da una terra lontana, avevo poteri che andavano al di là della sua comprensione eppure non era spaventato da me. Né mi riteneva una creatura da tenere vicina ma non troppo.
Ero confusa; di solito ridevano o mi schernivano. Scappavano, mi odiavano, non mi comprendevano. Ma egli no; il mio cuore ci sperava ma la mia razionalità mi diceva che era troppo bello per essere vero.
Abbassai lo sguardo, ritirando le mani dalle sue.
– Non preoccupatevi, tornerò. È una promessa – mi limitai a rispondergli. Gli girai le spalle; non volevo vedere l’espressione del suo volto.
Per tutto il tragitto, davanti ai miei occhi vi era il suo viso: scavato, con una leggera barba ma curata. La sua mascella quadrata e forte gli conferiva un aria distinta e reale ma nei miei occhi vedevo solo un uomo distrutto non solo dalla guerra ma anche dalla donna che amava.
Sì, credo che già allora mi amasse senza riserve. E gli avevo voltato le spalle, troppo vigliacca per vivere quel sentimento.
Avevo paura di soffrire; temevo che una volta assaggiata quel dolce sapore che ha la felicità, ne sarei stata assuefatta e dopo ogni delusione sarebbe stata troppo aspra, troppo greve.
Ne parlai con Luthien.
Ella, nella sua infinita saggezza, impose la sua mano sulla mia fronte: non capivo cosa volesse fare.
– Jocelyn, bambina, il tuo animo non è sereno. Hai paura di fallire. Temi di non riuscire nel tuo intento e hai congelato il tuo animo in questo limbo: ti rifiuti di vivere. Sai, vivere significa rischiare per ciò in cui si crede con tutti se stessi. Anche si persegue una meta così ambiziosa e così irta di ostacoli, come la tua, si deve avere il coraggio di accettare sia la pioggia che il sole. Ogni giorno, ogni momento, ogni respiro è un dono prezioso, non sprecarlo perché potrebbe essere l’ultimo. E lo si deve vivere con determinazione e convinzione, dandogli un giusto significato. Il tuo animo è fuoco, bambina. Questa è la tua forza e il tuo limite: comprendilo ed accettalo – rimasi folgorata dalle sue parole. E il mio primo pensiero fu per Thomas.
Sentivo un peso al cuore quando pensavo a lui, volevo tornare, dovevo.
Ma prima di andare mi diede la spada Anglachel, la spada che era stata di mia madre. Anch’essa aveva un temperamento indomabile ma aveva preferito coniugare le arti magiche con quella della spada. Gli Elfi costruirono quest’arma solo per le sue mani e ora solo io, sangue del suo sangue, potevo toccarla senza essere ustionata.
Salutai commossa Luthien; i suoi occhi erano leggermente velati, evidentemente sapeva che quello era il nostro ultimo incontro.
Corsi verso il campo, verso Thomas; quando lo raggiunsi era la notte del l’equinozio di primavera.
Vi era un grande falò, i soldati stavano festeggiando, l’indomani era il giorno prefissato per la battaglia.
Illuminata solo dai fuochi e dalla luna piena, smontai da cavallo e corsi.
Non sapevo dove stavo andando ma avevo l’impulso di correre; senza neanche accorgermene, inciampai e finii tra le braccia di qualcuno.
Seccata mi divincolai ma poi alzai gli occhi: era Thomas.
– Duca, siete voi? – dissi, quasi senza fiato.
– Siete tornata! Questo mi riempie di gioia, Madonna Jocelyn! – avrei voluto dire, ma quale Madonna, sono solo Jocelyn, una povera sciocca che fa cose sciocche, altro che Madonna.
– Sapete, non ci speravo quasi più. Ma poi mi sono ricordato di come siete fatta: apparite e sparite all’improvviso. Tutto ciò che vi circonda è magico e meraviglioso – i giochi di ombre prodotti dall’enorme falò guizzavano impetuosi sul suo volto. Ancora una volta rimanevo lì a guardare invece che agire ma mi perdevo nel contemplare il suo volto.
Ancora stretta tra le sue forti braccia, mi scostai un po’ e gli presi le mani.
– Non siete il solo ad avere paura, Duca. Io sono letteralmente terrorizzata; la battaglia non sarà facile e ogni tanto mi domando se forse avrei avuto qualche altra scelta. E la risposta che mi sono data è no: non potevo rimanere in disparte quando la mia gente muore, quando subisce ingiustizie, no, non posso. La mia indole è per natura irruenta e, a volte, sgraziata. So di avervi ferito; mi avete aperto la vostra anima, offerto il vostro cuore e tutto quello che ho fatto è stato girarmi dall’altra parte. Per rimediare, ora vi sto offrendo il mio – quindi poggiai entrambe le sue mani sul mio petto.
– Sentite, ascoltate. Sì, temo per domani, ma non per questo mi impedirò di vivere oggi. Thomas, il mio pensiero è rivolto costantemente a voi, ogni battito che ascoltate è per voi. So bene che non è usanza che una donna, per di più di infimo rango parli così ad un nobile ma … – non ebbi il tempo di terminare.
In un istante, le sue labbra premevano sulle mia: anelavo quel bacio. Fu come dissetarsi ad una fronte fresca dopo aver attraversato le lande aride del Sud; anche il Duca agognava quel bacio. Mi stringeva a sé con tutta la sua forza per paura che io svanissi tra le nebbie.
Quella notte, la notte della fertilità, complice l’incertezza del domani, ci appartammo nella stessa tenda.
– Jocelyn, non sapete quanto ho immaginato e bramato questo momento –
– Avete finito di sognare e fantasticare, mio Duca. Cogliamo il nostro amore ora, che il destino ce lo concede. Non v’è certezza alcuna che vi sarà un’altra opportunità – quindi mi sdrai tra le pelli insieme a lui e le nostre bocche si unirono ancora, con passione e amore.
Quella notte diventammo amanti e sposi, condividendo sia il nostro amore che le nostre pene. Diventammo un unico essere come quando il Dio del Cielo scende sulla terra per unirsi alla Dea, diventando un unico essere. |
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