La dama di luce e la dama d'ombra

di controcorrente
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologo ***
Capitolo 2: *** Il braccialetto di Claude ***
Capitolo 3: *** Lo studente ***
Capitolo 4: *** Sapere ed ignoranza ***
Capitolo 5: *** Punto di rottura ***
Capitolo 6: *** crollo ***
Capitolo 7: *** Caduta negli inferi ***
Capitolo 8: *** Bagliore nell'oscurità ***
Capitolo 9: *** raggio di luce nel buio ***
Capitolo 10: *** La ruota della Fortuna dei miseri gira sempre allo stesso modo ***
Capitolo 11: *** Non era Versailles ***
Capitolo 12: *** Palazzo Jarjayes ***
Capitolo 13: *** Guardare e tacere ***
Capitolo 14: *** SORELLE ***
Capitolo 15: *** Sotto la luna ***
Capitolo 16: *** L'amante del nord ***
Capitolo 17: *** Scoperta ***
Capitolo 18: *** SALTO NEL VUOTO ***
Capitolo 19: *** Lo scandalo della collana ***
Capitolo 20: *** Il ricatto della dama nera ***
Capitolo 21: *** Madame e la contessa ***
Capitolo 22: *** In viaggio verso la destinazione ***
Capitolo 23: *** Correggere ***
Capitolo 24: *** Il conte di Polignac ***
Capitolo 25: *** I DE FLORIE ***
Capitolo 26: *** Sartoria ***
Capitolo 27: *** Occhi ***
Capitolo 28: *** DONI ***
Capitolo 29: *** Il fidanzato ***
Capitolo 30: *** Adeline ***
Capitolo 31: *** La dama color castagna ***
Capitolo 32: *** Un prezzo troppo alto, un legame troppo pesante ***
Capitolo 33: *** Congedo ***
Capitolo 34: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** prologo ***


LA DAMA DI LUCE E LA DAMA D'OMBRA

 

Prologo

 

In tutta la mia vita ho sperimentato ogni sorta di emozione.

Amore verso la mia madre adottiva.

Affetto per mia sorella Jeanne.

Sentimenti caldi che mi cullavano, facendomi crescere avendo come esempio la donna che si era presa cura di me con affetto. Una persona onesta e dedita al duro lavoro.

Una figura forte che ha sostenuto Jeanne e me nei momenti più difficili (molti, se devo essere sincera).

Non era facile, vivere in una famiglia composta da sole donne e solo il Cielo sa della forza d’animo che Nicole ha avuto per crescere due bambine piccole.

Sola, in un’umida stanzetta sotto la strada.

Senza un marito che la sostenesse con il proprio lavoro. Eravamo povere e vivevamo di stenti, ma non ricordo un solo giorno nel quale mia madre non abbia sorriso, anche solo una volta.

Mi andava bene anche così, sebbene lo spettro della fame seguisse la mia esistenza come un’ombra.

Eppure, quando ho perso le due persone che costituivano ciò che per me rappresentava la famiglia, ho compreso fino in fondo la loro importanza. Solo allora, quando era per me impossibile riabbracciarle, ho percepito quanto forte fosse il legame che avevo istaurato con loro. Qualcosa che andava al di là della forma e della parentela.

Perché i sentimenti non sono determinati dal sangue e non sono scomparsi nemmeno quando venni a sapere che Nicole non era colei che mi aveva partorito.

Sono qualcosa di superiore, che va oltre simili differenze.

Ho imparato molto da Nicole.

E’lei mia madre, nessun’altra e non smetterò mai di dirlo.

La sua scomparsa mi gettò nell’angoscia più profonda.

Non avevo più nulla.

Gli aristocratici avevano prima sedotto mia sorella Jeanne con la loro promessa di benessere, poi mia madre, travolta da una carrozza.

Questo fu il mio primo vero incontro con coloro che avevano provocato la miseria in cui vivevo, malgrado i miei sforzi. Avevano portato via quel poco che avevo con un semplice battito di ciglia.

I nobili mi avevano fatto conoscere la loro indifferenza verso chi lottava ogni giorno per un tozzo di pane, considerando la loro vita come un qualcosa di accidentale e privo di ogni importanza. E fu proprio in quel momento che conobbi la luce e le tenebre di quel mondo fatto di agi e benessere.

La Luce.

Colei che mi aveva dato una nuova vita, che aveva recuperato la mia anima dal fango per infonderle una ricchezza diversa e fatta di sapere.

Colei che mi ha reso la donna che sono ora.

Oscar.

Non è stata però solo lei a contribuire alla mia crescita.

Anche le Tenebre mi hanno allevato, mostrandomi quanto possano essere gretti e meschini gli uomini, fino a che punto i soldi possano influenzare il comportamento delle persone, esaltandone i difetti.

Anche questo mi è stato insegnato dalla nobiltà. Maestra di questa sgradevole lezione fu paradossalmente la persona che mi aveva spinto a lasciare la mia misera casa, insegnandomi il peso dell’odio.

Lei, le Tenebre.

La Contessa di Polignac.

Mia madre.

 

Questa è la mia nuova fic, incentrata sulla figura di Rosalie e sulla contessa di  Polignac. Ho notato che non ve ne sono molte, per cui ho deciso d’iniziarla, pur avendone in corso diverse. Spero che vi sia piaciuta e vi dico fin da subito che non parlerò di altro che di quello che viene accennato nell’anime. Vi ringrazio per avermi seguito e alla prossima

 

cicina

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Capitolo 2
*** Il braccialetto di Claude ***


Salve a tutti cari lettori e benvenuti ad un nuovo capitolo della storia. Ecco spero di fare un buon lavoro con questa fic, dove mi destreggio con la prima persona. Una scelta che io faccio molto raramente ma finché me la sento, sarà così.

 

CAPITOLO 1 IL BRACCIALE DI CLAUDE

 

Ripensare a quei momenti, pure ora, a distanza di tempo, mi procura una strana sensazione. Un po’come quella che potrebbe avere un viandante nel momento in cui si volta indietro e guarda con stupore la strada percorsa, non sapendo se considerarla troppa o poca: un’incredulità priva di qualsiasi sentimento, impregnata in ogni sua fibra di pura e semplice sorpresa. Un pensiero neanche troppo insolito per me.

All’epoca ero, a conti fatti, solo una misera popolana.

Mia madre, mia sorella ed io vivevamo come stiratrici, una delle mansioni meno pagate e più faticose. L’unica, forse, che delle donne potessero svolgere, senza che vi fosse alcun impedimento. Ogni giorno, Nicole si alzava alle prime luci dell’alba per iniziare il giro delle case, da cui prendeva le camicie e gli abiti che dovevano essere stirati. Spesso si recava nella casa della signora Millet, una nostra vicina, piuttosto rispettata tra le lavandaie. Era lei a mettere una buona parola per Nicole, che riceveva così i vestiti da stirare.

Lavorava molto duramente e quando Jeanne ed io diventammo abbastanza grandi, iniziammo a darle una mano.

Nostra madre, per i primi tempi, ci dava le mansioni meno impegnative, riservandosi il resto. Una prassi, che anticipava il momento in cui avremmo svolto qualsiasi parte del lavoro.

Era inevitabile per noi, che non potevamo permetterci di rischiare di perdere quella che era la nostra unica fonte di guadagno. Immagino che questo sviluppo dei fatti non la rendesse molto felice: spesso ci guardava con rammarico, stando attenta a non farsi scoprire.

- Figlie mie- mormorava con un sorriso soddisfatto, orgoglioso e triste- quanto vorrei non vedervi costrette a fare dei mestieri così pesanti. Se solo vostro padre fosse vivo, forse le cose andrebbero meglio.-

Jeanne, allora, sentendo parlare del genitore, di cui aveva pochissimi ricordi, si metteva improvvisamente ritta sulla schiena, come se fosse stata colpita da un manico di scopa. –Ah mamma!-esclamava con una scintilla in quegli occhi scuri che la rendeva ancora più bella di quello che era –raccontaci della storia di come hai conosciuto nostro padre!-

A quelle parole, non potevo fare a meno di sorridere.

Mia sorella maggiore aveva una particolare venerazione per nostro padre. Ogni volta che sentiva da nostra madre anche un solo accenno, cominciava a tempestare la nostra genitrice di raccontarle la storia di come si erano innamorati, anche quando ormai era chiaro che l’aveva imparata a memoria, al punto da sapere a mente ogni battuta.

Nicole le lanciava allora uno sguardo esasperato poi, con la sua solita pazienza, iniziava a raccontarle la storia. Spesso accadeva poco prima di andare a riposare.

Me la ricordo anche adesso.

La storia di una cameriera che si innamora, ricambiata, di un uomo nobile, discendente dei Valois.

Del loro corteggiamento nascosto, conclusosi con delle nozze altrettanto segrete.

Della scoperta del matrimonio da parte del loro nonno, con la conseguente cacciata della mamma ed il suo allontanamento da nostro padre.

Della ricerca da parte di Nicole di un lavoro e di come era riuscita a trovare un piccolo impiego presso la casa di alcuni esponenti della piccola nobiltà.

Di come si era scoperta incinta.

Di come era nata Jeanne.

Di come poi si fosse ricongiunta a suo marito, che aveva lasciato la propria famiglia per stare con lei.

Di come ero nata io e di come mia madre, per seguire la nostra crescita, aveva deciso di lasciare il suo impiego.

Di come mio padre era morto, a causa di una lunga malattia.

Ricordo distintamente ogni singola fase di quella vicenda eppure, rispetto ad allora, quando ero una bambina ingenua e sinceramente legata a mia madre, non riesco a non domandarmi come potessi non aver visto la stonatura di fondo di tutta quella storia,trobbo bella per essere vera, ma forse non dovrei stupirmene.

Non avevo ancora sentito sulla mia pelle, le menzogne ed il male che si trova in ogni individuo.

Non sapevo quanto potesse essere dura e meschina la vita.

Nostra madre era lì con noi, forte e tenace, pronta a rivolgerci il suo sorriso benevolo in ogni occasione. Era il nostro punto di riferimento.

La nostra ancora di salvezza, in quell’esistenza grama e felice. Nicole, malgrado il lavoro, ci dedicava ogni attenzione possibile, non perdendo occasione di raccontarci qualche storia ma la nascita dell’amore di Nicole e mio padre era forse quella preferita da me e Jeanne.

Per quanto mi riguardava, era l’unico modo che avevo per immaginare il mio genitore, morto poco dopo la mia nascita.

Per Jeanne, che aveva invece qualche ricordo del padre, quella storia aveva un valore molto diverso. Ogni volta che sentiva la storia della nostra famiglia, i suoi occhi sembravano ricoprirsi di fiamma, come se le parole del racconto avessero acceso nel suo animo acerbo qualcosa che io e la mamma non vedevamo. Spesso la sentivo, poco dopo la fine del racconto, quando nostra madre si era ormai addormentata, uscire piano dalla casupola doveva abitavamo e sedersi sui gradini della scala che collegava la nostra abitazione al livello della strada.

Era un punto particolare.

Di notte, infatti, quelle scale, si tingevano della luce dei raggi della luna, facendo sembrare quella pietra semplice come se fosse ricoperta da un tappeto fantastico. Era una sua abitudine, che aveva da che avessi memoria. Rimaneva spesso, per intere notti a vedere quel cielo stellato con il naso all’in su e gli occhi fissi ai bagliori che splendevano nel buio.

Non mi avvicinavo mai a mia sorella in quei momenti.

Non era giusto nei suoi confronti.

Jeanne, per quanti difetti avesse, era una persona piuttosto riservata, che amava tenere celati i suoi pensieri più nascosti.

Un’ abitudine che avrebbe mantenuto per tutta la vita.

Solo una volta, mi avvicinai a lei.

Non ci eravamo ancora giunte sulla soglia dell’adolescenza ma qualcosa, nell’aria, si stava muovendo. Fu mia sorella a sentirlo per prima, iniziando a cercare, con maggiore impegno rispetto al passato, i suoi spazi solitari. Il suo fisico stava lentamente perdendo le forme fanciullesche, trasformandosi in quelle acerbe di una donna. Spesso io e la mamma la vedevamo mirarsi allo specchio, atteggiando il viso in smorfie di vario genere, che la rendevano piuttosto buffa, e non potevamo fare a meno di sorridere divertite.

-Tua sorella Jeanne, cara Rosalie- disse una volta Nicole, vedendo sua figlia osservare il proprio aspetto –è una brava ragazza ma è troppo bella per poter amare una vita semplice-

La contemplazione della sua immagine, spesso e volentieri, diventava la sola ed unica occupazione di mia sorella. Più volte mia madre l’aveva rimproverata ma lei non la ascoltava, trascurando i suoi doveri per perdersi nei suoi pensieri. Era sempre così ma serviva a poco perché Jeanne era molto testarda.

Una volta, il loro litigio fu particolarmente violento.

Mia sorella aveva iniziato a raccontare dell’interesse che Claude, il figlio del calzolaio, un uomo di circa vent’anni, stava iniziando a nutrire per lei. All’epoca aveva 11 anni ma aveva il fisico di una donna, ed un animo gonfio di pensieri che scalpitavano per essere lasciati liberi. Un giorno, mentre eravamo di ritorno dal fare compere, quell’uomo aveva iniziato a riempirla di complimenti, donandole alla fine alcuni bottoni colorati.

Un gesto che aveva sorpreso mia sorella, che da quel momento non aveva fatto altro che guardare quell’uomo di nascosto e non riuscivo a capire il motivo del suo interesse. Claude era un perdigiorno che trascorreva il suo tempo dietro alle ragazze dell’osteria. Lo sapevano tutti ma l’infatuazione di mia sorella andava ben oltre questo.

E nessuno riusciva a contenere la sua euforia.

Jeanne si era allora montata la testa e da quel momento non faceva altro che blaterare di come fosse bello e benestante. Lo ripeteva in continuazione, come quella sera. La sua chiacchiera si perdeva da circa un’ora, mentre io e la mamma ce ne stavamo mute a mangiare silenziosamente la nostra zuppa di patate.

Alla fine, la pazienza di Nicole arrivò alla fine.

-Adesso basta Jeanne!- disse, posando il cucchiaio nel piatto –Smettila di comportarti in modo così superficiale e pensa a fare le commissioni che ti chiedo, invece di lasciarle quasi tutte a Rosalie.-

Jeanne allora arricciava il naso, aggrottando la fronte.

-Ma mamma!- esclamò, mostrandole il braccialetto di perle di vetro, uno dei regali che Claude le aveva donato- Claude mi ha detto che è un regalo…per me! Io!..Un giorno, diventerò una persona importante e avrò decine di uomini ai miei piedi! Sarò ricca e potrò indossare dei vestiti alla moda, come ogni nobile!-

Posai piano piano il cucchiaio nella ciotola, fissando mia sorella.

Sembrava incredibilmente convinta di quello che diceva. I suoi occhi all’epoca non erano molto bravi a dire bugie.

-E tu credi che questo Claude ti darebbe ciò che vuoi?- fece nostra madre, fissandola severa –Tu sei ancora una bambina e lui è un uomo! Invece di perdere tempo in simili fantasticherie, dovresti darci una mano. Sai bene che non siamo benestanti e dovresti iniziare ad impegnarti seriamente, se vuoi incontrare, un giorno, un uomo onesto. Sei ancora piccola ma devi iniziare a guadagnarti una dote, perché non siamo abbastanza ricche da averne una, come la nobiltà.-

Era un discorso che ormai pronunciava da diversi mesi, da quando mia sorella aveva compiuto undici anni. Io avevo due anni meno di lei ed ero ancora una bambina in confronto eppure non ero estranea a quel genere di discorsi. Jeanne però iniziò a fare i capricci e la lite finì con il degenerare. Mia madre, stanca di sentire le sue fantasie, le diede uno schiaffo, nella speranza che iniziasse a ragionare, ma tutto ciò che ottenne fu un pianto carico di rabbia e risentimento. Mia sorella fissò intensamente la mamma, con uno sguardo indecifrabile, poi riprese a mangiare.

Non disse più una parola e quel silenzio mi preoccupò.

Ogni volta che le cose non andavano come desiderava, Jeanne tendeva a chiudersi in sé stessa, in attesa di trovare una soluzione ai propri problemi. Faceva sempre così ma quella volta fui presa dal timore che lei e la mamma potessero guastare i loro rapporti.

Una paura che non mi lasciava mai, rafforzata dalla consapevolezza che mia sorella era insofferente a quel genere di vita.

Quella notte infatti non dormii bene, presa dal ricordo di quel litigio. Era più forte di me. Ogni volta che stavo per cedere al sonno, il ricordo di quella lite mi costringeva ad aprire gli occhi improvvisamente.

Alla fine, turbata, mi voltai verso il lato del letto che condividevo con mia sorella, trovando il materasso vuoto e freddo. –Jeanne?-chiamai a bassa voce, guardandomi attorno, ma ottenni solo il silenzio ed il respiro lento e profondo della mamma, che dormiva nel giaciglio posto nei pressi del camino.  Lentamente, evitando di fare rumore, con lo scricchiolio delle foglie del materasso, mi alzai dal letto, avvicinandomi piano piano alla porta.

La luce delle lampade non raggiungeva la mia casa ed avevo ormai imparato a muovermi con una certa destrezza tra i pochi mobili che occupavano il mio misero alloggio. Raggiunsi finalmente la porta, oltre la quale si trovava il luogo dove solitamente Jeanne si rifugiava.

Aprii lentamente l’uscio, quel tanto che bastava per permettermi di vedere.

Era seduta sui gradini che portavano sulla strada, intenta a fissare la luna che quella sera pareva più grande del solito. I suoi capelli scuri rilucevano sotto i raggi della regina della notte, dandole un’aria quasi misteriosa.

-Jeanne?-mormorai, avvicinandomi piano piano.

-Perché la mamma si arrabbia tanto? Io non lo capisco.-disse improvvisamente mia sorella, con il naso all’in su e gli occhi al cielo.

-La mamma è stata dura ma lo ha fatto per il tuo bene- feci, sedendomi accanto a lei.

Non rispose, poi tirò fuori il braccialetto che Claude le aveva regalato.

-E’preoccupata che tu possa soffrire. Lo dice spesso.-aggiunsi, sperando di farla uscire dal suo mutismo.

-Come se non soffrissi abbastanza- borbottò mia sorella-come se la miseria in cui viviamo mi renda felice-

A quelle parole, sussultai leggermente. Non aveva tutti i torti. Le altre bambine, per quanto povere, avevano spesso dei vestiti meglio dei nostri, ricavati dagli stracci e dagli avanzi di tessuto che la mamma riusciva a trovare. Jeanne aveva sempre guardato con invidia le cose che possedevano, spesso riservando a quelle persone fortunate occhi ostili e malevoli. Era fatta così ma non era colpa sua.

La miseria inaridisce gli animi e su mia sorella aveva fatto davvero un buon lavoro.

-Rosalie-disse, facendo un sospiro –io non sono come te e la mamma. Io non posso accettare di vivere in queste condizioni, sapendo che non è il posto che mi spetta. Io voglio avere una casa più luminosa e meno umida, senza quella muffa che ricopre il soffitto, e vivere bene senza dovermi spaccare la schiena come fa nostra madre, per essere poi pagata pochissimo. Io voglio una vita diversa da questa.-

-E pensi che fare arrabbiare la mamma ti possa dare quello che vuoi?- domandai allora.

Jeanne scosse la testa, sorridendo amara.

-Io non voglio che lei si arrabbi ma dimmi sorella-fece allora, guardando indifferente le palline di vetro –è davvero giusto secondo te vivere senza sogni e speranze? La mamma, da quando papà è morto, si limita a stirare, stirare e stirare per avere una moneta con cui comprarci qualcosa, ma alla fine che cosa abbiamo? Nulla, solo una casa pulciosa e nemmeno un soldo da parte. Ed io sono stanca di stare in un postaccio simile, senza la possibilità di vivere i miei sogni.- disse rabbiosa.

La guardai con ammirazione.

Ero ancora una bambina e quei pensieri mi apparivano come qualcosa di meraviglioso. Jeanne era poco più grande di me, eppure era in grado di fare cose simili. Era il mio idolo, l’unica che mi difendeva a spada tratta, quando gli altri ragazzini mi prendevano in giro. Avrei tanto voluto che avesse la sua occasione, che mettesse in pratica le qualità che aveva, ma la miseria ci tarpava le ali, senza possibilità di appello.

-Comunque Claude è noioso ed io sono stanca di ricevere briciole. Credo che da domani inizierò ad ignorarlo.-disse attorcigliando distrattamente un ricciolo scuro attorno ad un dito.

-Ho sentito che alla fine del mese, si sposerà con la figlia di un merciaio. Lo diceva la moglie del fornaio stamattina.- dissi, fissando il cielo e chiedendomi per quale motivo mia sorella si ostinasse a passare la notte su quelle scale.

La mano di Jeanne si irrigidì per alcuni istanti.

Sussultai a quel gesto.

Era molto probabilmente rimasta scossa dalla notizia ma, come sempre, nascose bene il suo stato d’animo. Solo io e la mamma riuscivamo a volte a leggere i sentimenti che riusciva a celare dietro ai suoi silenzi e alle sue azioni. Spesso, però, era qualcosa d’impossibile anche per noi.

-Meglio così- disse con voce incolore, senza aggiungere altro.

-Buonanotte Jeanne- mormorai.

-Buonanotte Rosalie- disse prima di richiamarmi con un–Ah, Rosalie!-più basso e sussurrato.

Mi voltai, aspettando che cosa avesse da dire e non potendo fare a meno di rimanere sorpresa.

Il viso di mia sorella, così adulto pochi secondi prima, era tornato ad essere quello di una bambina. –Perché la mamma continua a raccontarci la storia del suo matrimonio con nostro padre, quando poi non vuole che gioisca delle attenzione di una persona più ricca di noi?-domandò.

-Perché ci vuole bene.- risposi, come se fosse la cosa più ovvia del mondo, prima di tornare a dormire, con il cuore più leggero.

 

Alcune settimane dopo, Claude si sposò con una certa Marie, più ricca, più grande e meno bella di mia sorella. La sera successiva al lieto evento, lo sposo novello riprese a frequentare la bettola poco lontano dalla sua casa.

Se so queste cose, è perché mia sorella ed io lo abbiamo visto in entrambe le occasioni, sia come responsabile marito, sia come il perdigiorno che bazzicava nelle locande a sperperare soldi nel gioco e nelle donne.

Jeanne non disse mai nulla in proposito.

Non pianse.

Non si lamentò.

Nulla.

Il giorno dopo riprese a dare una mano alla mamma ed a me, con maggiore impegno del solito, evitando di perdere tempo come aveva fatto da quando si era infatuata di Claude. Nicole ed io non commentammo questo suo improvviso impegno. Jeanne era fatta così e non conveniva a nessuno criticarla, quando era così volenterosa: il suo carattere era così imprevedibile a volte da lasciare sorprese perfino noi. Solo una cosa sembrò lasciar trapelare il disappunto di mia sorella per la fine della sua cotta.

Accadde poco tempo dopo, quando passeggiavamo lungo il ponte, di ritorno dalla spesa presso il mercato.

Jeanne improvvisamente si fermò lungo il bordo, infilò la mano in tasca, per poi lanciare qualcosa dentro le nere acque della Senna. Nel fare questo, un raggio di sole colpì quegli oggetti, creando una scintilla di colori che non avevo mai visto.

Fu quel particolare a farmi venire in mente che cosa fossero.

Era il braccialetto che Claude le aveva regalato, facendole mille complimenti.

Il dono di cui andava tanto fiera.

Quelle pagliuzze di luce ora si trovavano in fondo al fiume, nel suo fondo limaccioso e sporco. Mia sorella rimase a guardarle cadere, fino a quando non sparirono, inghiottite dall’acqua. Si fece il segno della croce poi, senza guardarmi, riprese con me la strada verso casa. Fu così che ebbe fine il primo amore, non ricambiato, di mia sorella Jeanne.

 

Allora, questa è un piccolo salto nell’infanzia di Rosalie. Come potete vedere Jeanne non si smentisce mai. Allora, uno dei momenti che parlerò in questa storia sarà l’incontro con la contessa di Polignac, ma non sarà l’unico. La trama non è ancora definita ma spero che vi piaccia come idea. Quanto alla fic su Madame ed il Generale sto lavorando alla seconda parte del capitolo. Nel frattempo vi ringrazio per avermi letto.

cicina

 

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Capitolo 3
*** Lo studente ***


 Benvenuti ad un nuovo appuntamento con la mia fic. Non è una passeggiata scrivere in prima persona, ma non potevo fare diversamente. La trama comunque ha ricevuto una serie di modifiche nella mia testa ma spero che non venga fuori uno schifo. Intanto vi lascio al prossimo capitolo.
 

 
 

LO STUDENTE
 
La situazione si mantenne stabile per alcuni anni. Grazie al mestiere di stiratrice, potevamo mangiare tutti i giorni e, benché mia sorella si lamentasse, non soffrimmo troppo la fame in quel periodo.
I nostri abiti continuavano ad essere miseri ma almeno i nostri stomaci non si lamentavano troppo. La mamma ogni giorno continuava a spezzarsi la schiena, aiutata da entrambe a portare un po’ di soldi.
Nel complesso, eravamo meno tristi del solito, senza il peso opprimente dell’angoscia che solo la povertà poteva dare.
Le nostre giornate continuavano a scorrere sempre uguali le une alle altre. La mattina, poco prima dell’alba, andavamo a ricevere i vestiti da stirare, iniziavamo il lavoro poi, mentre la mamma continuava, io o mia sorella, uscivamo per comprare qualcosa per fare la spesa.Iniziava e finiva sempre così, concludendosi poi con il medesimo risultato: a notte fonda, eravamo tutte e tre sfinite.
Eppure, malgrado tutto, nessuna di noi si lamentava. Nemmeno Jeanne.
Le liti con la mamma, che mal sopportava le lamentele della figlia in proposito, si erano ridotte drasticamente, mentre i silenzi di mia sorella iniziavano ad aumentare.
Avrei dovuto preoccuparmi in quel periodo, per questi suoi improvvisi silenzi, ma vi era altro ad angosciare la mia mente. In fondo, con i se e con i ma non si muteranno mai le cose che sono già avvenute. Lo imparai quando la salute della mamma peggiorò.
Ricordo ancora bene quel giorno, iniziato come al solito. Mia madre stava stirando alcuni vestiti. Lavorava da ore ma non voleva fermarsi, facendoci sgobbare di conseguenza più del solito.
Non aveva tutti i torti, dal momento che il prezzo del pane si era alzato.
- Jeanne- disse Nicole, guardandoci con la coda dell’occhio, mentre metteva la brace nel ferro – i vestiti di Madame Rampignon sono pronti. Portali al cliente.-
Mia sorella obbedì immediatamente, sparendo dalla porta.
I suoi passi sulle scale iniziarono a farsi più lievi, fino a sparire.
Guardai la porta, mentre ripiegavo con cura le camice e le giacche commissionateci. Rimanemmo solo io e la mamma. Continuammo per un po’ a fare i nostri compiti, ognuna immersa nel silenzio della nostra piccola casa.
-Ultimamente tua sorella si sta impegnando molto-disse improvvisamente Nicole, appoggiando il ferro su un contenitore apposito.
-Sì, madre-risposi, continuando a ripiegare la stoffa.
-E’così bella- mormorò nostalgica.
A quelle parole, non risposi. Sapevo bene che, per quanto litigassero, Nicole amava profondamente la piccola Jeanne, anche se non riusciva a dimostrarglielo senza essere severa. Il carattere introverso della maggiore, unito all’inquietudine che la contraddistingueva, era fonte continua di preoccupazioni per mia madre, soprattutto in quel periodo. Cercavo di calmarla, di placare quel suo nervosismo continuo, ma non potevo impedire che, al minimo sgarro, la mamma riversasse la sua rabbia su mia sorella.
Era la maggiore, in fondo.
Doveva essere lei a prendersi cura di me, che ero la minore, non il contrario.
Le sorrisi comprensiva, ma subito cambiai espressione quando improvvisamente Nicole si piegò in avanti, scoppiando in un violento attacco di tosse. Spaventata, corsi immediatamente verso di lei, accarezzandole preoccupata la schiena, nella speranza che quel gesto potesse placarla in qualche modo.
Non so quanto tempo rimasi in quella posizione.
Ciò che ricordo distintamente, però, fu il suono sordo e inquietante di quella tosse, che sembrava mozzarle il respiro, strappandole l’aria dai polmoni.
Così la trovò Jeanne.
Me ne accorsi quando sentii lo spiffero della porta.
-Jeanne!-esclamai preoccupata. Mia sorella rimase qualche istante impietrita sulla porta poi, sentendo nuovamente il suo nome, corse subito in strada, in cerca di un dottore.
Nel frattempo, con un po’di fatica, riuscii a mettere a letto mia madre. Era piuttosto debole. Il suo respiro sembrava essere tornato normale, anche se il pallore ed i brividi che scuotevano il suo corpo non mi rassicuravano affatto.
 
 
 
 
 
Il medico che Jeanne era riuscita a chiamare, era appena uscito dalla locanda. Lo percepivo dall’odore di vino che emanava tutto il suo corpo. Molto probabilmente, se non fosse stato per la preoccupazione che allora mi divorava, avrei pensato che fosse caduto dentro una botte.
In un primo momento, si mostrò un po’seccato, per quella visita improvvisa, fatta poco dopo aver concluso il suo turno di lavoro ma venne ugualmente. Lo doveva alla sua professione, ma questo lo avrei saputo molto tempo dopo.
-Allora, che cosa è successo?-domandò brusco.
Subito, iniziai a raccontare che cosa era successo, tentando di mantenere un po’di controllo, ma non era facile. La mamma era l’unica cosa che Jeanne ed io avevamo.
Il medico ascoltò tutto, mentre tastava il polso, il battito e la temperatura del corpo della mamma.
Mia sorella ed io rimanemmo mute ed immobili, per permettergli di lavorare, lasciando che il terrore, approfittando del silenzio, entrasse dentro le nostre ossa.
Le lanciai uno sguardo preoccupato, scoprendo una luce simile alla mia, fatta di angoscia e smarrimento.
Non ci dicemmo nulla, limitandoci ad un dialogo fatto di silenzi.
-Questa donna è piuttosto provata dal lavoro. Deve riposarsi, prima di tutto. Il suo fisico però è molto debilitato e questa tosse non mi piace molto-disse, prima di voltarsi verso di me- Ha per caso sputato sangue, mentre tossiva?-
Feci mente locale sugli istanti passati ma subito scossi il capo.
Sapevo che cosa voleva dire quella domanda, come ne era consapevole Jeanne. Lo vedevo dal panico che trapelava dal suo viso e che si rilassò solo quando vide il diniego nel mio viso.
-Meglio così- disse, prima di tirare fuori un foglio di carta e scrivere qualcosa-dategli la medicina che ho scritto e fatela riposare.-
 
Nei giorni successivi, mia sorella ed io lavorammo duramente. La mamma, malgrado le proteste ed i suoi tentativi di minimizzare le sue condizioni di salute, rimase a letto. Jeanne le rimase accanto come un mastino, impedendole di fare di testa sua.
A questo ricordo, non posso fare a meno di sorridere pure ora.
Nicole e Jeanne, malgrado le loro divergenze, erano entrambe molto testarde. Era l’unica in grado di tenere testa alla mamma, la sola capace di convincerla a prendersi, per una volta, cura di sé stessa.
Io non avevo tutta questa decisione.
La accudimmo con cura, tentando di placare i brividi di freddo che scuotevano il suo corpo e di darle da mangiare in modo da rimetterla in forze.
Facevamo del nostro meglio ma c’era un problema: la ricetta del dottore.
Non sapevamo leggere.
Spesso ci chiedevamo come avremmo potuto presentarci dal farmacista senza sapere di cosa avevamo bisogno. Il rischio di essere imbrogliate era molto alto. Il negoziante avrebbe potuto darci la prima cosa che aveva sottomano, facendoci pagare più del necessario e noi non potevamo permettercelo.
La soluzione ai nostri problemi arrivò un giorno.
Stavamo stirando alcuni abiti maschili, per conto di una borghese che, grazie al passaparola dell’amica di nostra madre, aveva saputo della nostra abilità.
-Rosalie- fece mia sorella, mentre metteva la brace nel ferro- hai finito di piegare quei vestiti?-
Annuii.
-Bene- rispose sbrigativa, asciugandosi il sudore dalla fronte- vai tu a consegnare allora. Io devo finire queste cose. La casa è proprio qui vicino, in quella palazzina stuccata di bianco, dove si trova quel café.-
A quella notizia, sobbalzai.
Avevo sentito parlare molto di quei locali. Erano frequentati da studenti perdigiorno che potevano permettersi pane bianco fumante ogni mattina. Non ci volevo andare ma, quando mi cadde lo sguardo sulla sagoma che giaceva a letto, non ebbi più alcun indugio. Se la mamma aveva stirato vestiti anche a uomini di dubbia moralità, chi ero io per protestare?
 
 
La palazzina indicatami, sembrava brillare di luce propria, grazie allo stucco dato recentemente. Era una di quelle costruzioni belle e gradevoli d’aspetto, poste poco più in là dei quartieri poveri da cui provenivo.
Sembrava tutto un altro mondo.
Le vie erano larghe e relativamente pulite.
I negozi a piano terra vendevano merci lussuose ed erano frequentate da uomini vestiti elegantemente e da dame che non avevano mai visto abiti lisi come i miei. Vedendole così belle ed eleganti, non potevo fare a meno di sentirmi miserabile e povera.
Persino quelle camicie che portavo con fatica in braccio, valevano più di me.
A quel pensiero, scossi la testa.
Mossi incerta i miei passi dentro la palazzina, raggiungendo una donna che stava pulendo il pavimento, con una vecchia scopa.
-Buongiorno bambina-salutò questa, non appena mi vide.
A quelle parole arrossii di rabbia. Ero diventata una donna da pochi anni, eppure la denutrizione cronica in cui versavo mi faceva sembrare più giovane di quanto fossi.
-Sono qui per consegnare queste camicie a questo indirizzo-risposi, inghiottendo la mia irritazione.
La signora rise, vedendo la mia espressione, prima di prendere il foglio.
-Ah- fece, dopo aver dato un’occhiata alla scritta- l’aspirante giornalista! Devi salire fino al terzo piano e bussare alla quinta porta che troverai alla tua sinistra.-disse.
Ringraziai velocemente, poi, sollevando con fatica il cesto, iniziai a percorrere lentamente i  gradini. Sentivo nell’aria gli schiamazzi provenienti dalle camere di quell’edificio.
Erano voci basse, maschili.
Qualcosa con cui non avevo molta familiarità e che sentivo, in qualche modo, come estranee.
Alla fine, raggiunsi la porta indicatami.
Posai il cesto a terra e mi avvicinai a quella lastra di legno.
Feci dei respiri profondi, tentando di calmarmi.
Non mi sentivo a mio agio.
Tutto trasudava un’atmosfera alla quale non ero abituata.
Io, che ero cresciuta in una famiglia di sole donne, ero finita in un dormitorio maschile.
I sermoni del prete della domenica,tutti incentrati sul peccato poi, non aiutavano molto la mia insicurezza. Il mondo e gli uomini mi apparivano come qualcosa di alieno e poco gradevole. Ero ancora con la mano in aria, pronta a bussare e a dire che la consegna era avvenuta, che la porta si aprì improvvisamente.
-Te lo dico, cugino-disse una voce bassa e vagamente aspra, appartenente ad un giovane dai tratti androgini e dalla chioma castano chiara- dovresti farla finita di scrivere quelle poesie d’amore a quella baronuncola. Quella è buona solo ad aprire le gambe, credi a me!-
-Louis Saint Just! Non prendermi in giro! Non sto facendo queste pagine per andare a vedere quella persona. E’l’arte della penna che mi chiama!-rispose un’altra voce, più giovane.
-Vorrai dire l’arte del randello che porti tra le gambe! Che tanto è quella l’unica cosa che quella tizia cerca!-disse derisorio- Se vieni con noi, visto che sei un novellino, vedrai che troverai qualche bella donna che ti insegnerà tante cose!-
-LOUIS!-urlò di nuovo l’altro, imbarazzato.
E non potevo che essere d’accordo con lui, visto che il linguaggio di quell’uomo dagli occhi angelici era quanto mai discutibile. Solo allora, quella persona che avevo scoperto chiamarsi Louis Saint Just si accorse della mia presenza.
-Buongiorno-disse, diventando improvvisamente gentile, con una vera e propria faccia di bronzo- desidera?-
Dovevo essere rossa come un pomodoro eppure, malgrado la mia vergogna, riuscii comunque a trovare la forza di avvicinare il foglietto. Le mani curate di quella persona presero la carta.
-Oh- disse, poi si voltò verso l’interno di quella camera-BERNARD! C’è una consegna per te!-
Continuai a fissarlo perplessa.
Vedendo la mia espressione, Saint Just mi sorrise poi, salutandomi con un cenno, si incamminò verso le scale.
Guardai muta la soglia di quella porta.
Non sapevo se entrare o meno, chiedendomi se avessi dovuto preoccuparmi per la mia reputazione o per la mia incolumità.
Il cesto però iniziava ad infastidirmi ed io dovevo posarlo da qualche parte.
-B-buongiorno-mormorai, guardandomi attorno, nella speranza di udir risposta.
Ciò che ottenni però fu solo silenzio.
-S-sto entrando-dissi impacciata-po-poso le c-camicie che ha ordinato-
Improvvisamente, il suono di una serie di oggetti che cadevano a terra, accompagnata da delle imprecazioni, giunse da una stanza di quel piccolo locale. A quelle parole mi immobilizzai, chiedendomi che cosa mi sarebbe potuto accadere.
I suoni provenienti dall’altra parte mi terrorizzavano, e non poteva essere altrimenti. Quel locale era molto diverso dalla stamberga che dividevo con Jeanne e la mamma.
Più grande.
Più luminoso.
Più disordinato, come potevo osservare dal gran numero di fogli che vedevo sparsi qua e là. Lanciai loro un’occhiata distratta, non potendo fare a meno di notare che erano chiazzati di nero.
Erano lettere.
A quella vista, corrugai la fronte.
Era la casa di uno studente, che cosa mi dovevo aspettare?
Io non sapevo leggere, né scrivere. Nella nostra famiglia, solo la mamma sapeva cosa c’era scritto su quei fogli ma era troppo impegnata nel suo mestiere di stiratrice per potercelo insegnare.
Non che noi avessimo molto tempo libero.      
Eravamo così impegnate a racimolare qualche spicciolo per pagare l’affitto della casa che non potevamo neppure andare alla scuola domenicale del parroco del quartiere. Fu quindi una vera sorpresa per me vedere tutte quelle pagine sparse.
Feci per avvicinarmi, per sentire se quella carta fosse liscia come appariva alla vista, quando sentii la porta aprirsi.
Mi immobilizzai di scatto, voltandomi con estrema lentezza verso la persona improvvisamente apparsa di fronte a me.
Deglutii nervosamente, sentendo l’ansia farsi strada dentro di me. Con il pensiero maledii mia sorella.
Di solito, era Jeanne a consegnare i capi, riservando a me solo i vestiti per le donne anziane o le suore del convento poco lontano. Era giusto, in fondo. Essendo la maggiore ed avendo un carattere piuttosto intraprendente, era la persona più indicata per quella mansione.
Quel giorno però, la mamma, sentendosi leggermente meglio, aveva provato ad alzarsi ed occorreva tutto il polso di Jeanne per tenerla buona a letto. Io non ne ero capace.
-Buongiorno-salutò questi, cordiale.
Lo guardai in silenzio, inclinando leggermente la testa.
Doveva essere poco più grande di me ed era magro ed allampanato, o almeno così mi sembrava. Subito rimasi impressionata dalla sua statura, anche se non avrei dovuto stupirmene troppo.
In fondo, ero abbastanza bassa.
Eppure, malgrado l’aspetto mingherlino, non potevo non notare quella corporatura armoniosa, che prometteva di diventare piuttosto attraente, con un po’di esercizio fisico. Cosa che gli studenti non si facevano mancare, ma questo lo avrei saputo solo più tardi.
-B-buongiorno- balbettai, impacciata.
Per quanto sembrasse smilzo, non riuscivo comunque a sentirmi a mio agio. Era pur sempre un uomo, una differenza che avevo iniziato a comprendere in tutta la sua forza, solo di recente, conferendomi una timidezza assai più grande di quanto non lo fosse in passato.
Inoltre, quella persona, che mi stava fissando da quando era comparsa, aveva qualcosa che mi metteva a disagio ma non riuscivo ad identificarlo con sicurezza.
Forse era quella chioma marrone scuro, ribelle e disordinata.
Forse quegli occhi blu, curiosi ed espressivi, che mi fissavano.
Non saprei davvero dirlo.
So solo che ci guardammo a lungo negli occhi.
Il cuore mi batteva all’impazzata, preda di una sottile preoccupazione che mi scavava dentro. E adesso? Che cosa avrei dovuto fare?
-Ecco…-iniziai incerta-sono…sono venuta per consegnare le camicie. Voi…voi siete Monsieur Chatelet?-
Lo studente di fronte a me rimase qualche secondo zitto poi, dopo essersi strofinato quella chioma ribelle che portava sulla testa, si decise infine a rispondermi.
-Sì sono io. Tu devi essere Jeanne, vero? Sai, non pensavo che fossi così mingherlina…-iniziò a dire.
Quelle parole mi misero ulteriormente in agitazione.
Jeanne.
Era ovvio.
Più passava il tempo, più la sua bellezza cresceva, rendendola molto famosa nel quartiere. Gli occhi scuri di mia sorella, profondi come l’abisso di un pozzo, erano capaci d’incantare e intimorire chiunque. La chioma castana, unita ad un corpo snello e procace, accendeva i sensi dei passanti, sebbene possa dire, avendola conosciuta di persona, che non si era mai cacciata nei guai, né aveva svenduto la sua virtù per qualche soldo.
Per quanto possa sembrare strano, Jeanne era una persona seria.
Per questo motivo, mi irritai non appena sentii pronunciare il suo nome da quello studente. Sapevo di essere un pulcino, in confronto a mia sorella, come ero perfettamente consapevole di non avere nulla che potesse darmi una vita migliore, tranne l’impegno che io stessa mettevo con il mio mestiere di stiratrice.
Lo vedevo dagli sguardi delle persone, quando Jeanne ed io andavamo a fare la spesa.
Quando ci recavamo in chiesa.
Quando passeggiavamo semplicemente per strada.
Sapevo tutto questo eppure, senza che ne sapessi il motivo, non potevo che esserne infastidita. Una ragazza bella e povera poteva fare un solo mestiere, un’eventualità che angosciava profondamente nostra madre. Eravamo giovani, sane e senza futuro.
-No. Sono sua sorella.-risposi a scatti, tenendo la testa bassa.
Avrei voluto dire altro.
Rispondergli a tono, come faceva Jeanne, ma non ne ebbi il coraggio. Non sapevo farmi rispettare come lei e riuscire al tempo stesso, con astuzia, ad ammorbidire gli animi, colpiti da quella sfacciataggine innata.
Improvvisamente  il mio cliente si mise a ridere.
Alzai lo sguardo stralunata, non sapendo il motivo di quella risata.
Quel ragazzo sembrava trovare in me qualcosa di divertente.
-Ti chiedo scusa- disse, non appena si rese conto che non capivo che cosa avesse scatenato la sua ilarità-ma non mi aspettavo che arrivasse una ragazzina per la consegna. Saint Just aveva ragione.-
-Cosa?-domandai, non riuscendo a capire tutti quei discorsi.
Vedendomi perplessa, si affrettò a spiegarmi la situazione.
-Ecco-iniziò imbarazzato- mio cugino ha la lingua lunga e non fa che parlare di sciocchezze. Deve aver convinto mia madre a farmi consegnare le camicie direttamente qui al dormitorio, visto che non esco molto da qui. Non volevo offendere tua sorella ma è piuttosto nota qui.-
A quelle parole, mi indignai.
-Ma come ti permetti!-esclamai, dimenticando per un momento ogni forma di educazione-Mia sorella non è una poco di buono! E’una persona onesta!Datemi quanto mi spetta e chiedetemi subito scusa per le parole che avete detto!-
Confesso che non ho mai avuto un’indole rabbiosa ma non ho mai tollerato che si parlasse male della mia famiglia. Soprattutto di Jeanne, che in quel periodo si stava impegnando tanto nell’assistere la mamma. –Non mi importa che tu sia ricco, nobile o chissà cos’altro! Non mi interessa. Mia sorella ed io ci siamo spezzate la schiena per poter fare bene il nostro lavoro. Siamo gente povera, che non può nemmeno permettersi di avere il tempo per imparare quel misero abc che il parroco ci dà la domenica, ma abbiano una dignità. Mia sorella non è una prostituta! Lei si impegna più di chiunque altro, soprattutto ora che la mamma sta male…lei è il mio idolo e non ti permetto di parlare male di lei!-dissi, furibonda.
Se penso a quel momento, non posso fare a meno di rimanerne perplessa. Non pensavo di avere tutta quella grinta. Ero troppo arrabbiata per quelle parole che altro non erano che l’ennesima ripetizione delle chiacchiere invidiose del quartiere. Presi i soldi che aveva lasciato sul tavolo e mi incamminai verso la porta, non senza prendere la cesta sgombra dalle camice.
Quando Jeanne lo venne a sapere, scoppiò in una sonora risata. –Sei proprio imbranata, sorellina! Non sai come trattare con gli uomini…almeno ti ha pagato e non è poco! Con una sfuriata simile…-disse allegramente.
Poi, però, divenne improvvisamente seria.
-Sorellina- mi fece, guardandomi severa- quello era un nostro cliente e devi tenere conto che con i loro soldi tiriamo avanti. Non importa il trattamento che riceviamo, basta essere pagate.-
-Ma ti aveva dato della poco di buono!-esclamai stizzita. Non riuscivo a capirla. Possibile che non comprendesse il mio desiderio di aiutarla?
A quelle parole, sbuffò.
-Credimi, non sarebbe il primo che mi chiama in questo modo e, se devo essere onesta, non mi importa granché. Sono solo invidiosi perché li ho rifiutati…gran brutta bestia è il non avere ciò che si desidera!- fece, con quella sua aria da donna vissuta che avevo sempre trovato irritante. Era poco più grande di me ma si sentiva già una donna.
-La mamma?-domandai, abbassando la voce.
L’espressione di mia sorella divenne improvvisamente seria. –Come sempre. Ho chiesto al prete della chiesa di aiutarci a leggere la ricetta ma fino a lunedì pomeriggio non sarà disponibile.- rispose.
In quel momento, mi vennero in mente le pagine imbrattare d’inchiostro di quello studente. Gettai uno sguardo alla sagoma della mamma.
Era dove l’avevo lasciata quella mattina.
Ferma.
Immobile.
Debole.
Non poteva finire in quel modo. Mancavano sette giorni, prima che il parroco potesse aiutarci e Nicole poteva peggiorare in qualsiasi momento. Fu allora che l’immagine dello studente che aveva offeso Jeanne mi ritornò in mente. Dovevo assolutamente tornare in quella palazzina e chiedergli aiuto. Volevo imparare a leggere, per poter essere sicura che il farmacista non ci imbrogliasse, facendo passare un palliativo per la medicina che avrebbe salvato la mamma.
Non mi importava nulla del resto.
Volevo che la mamma guarisse, che tornasse a sorriderci ed a rimproverarci quando sbagliavamo. Lei non doveva morire, anche se la morsa della povertà non ci aiutava in questo obiettivo.
Era il mio solo desiderio.
Non chiedevo altro.
 
Allora, questo capitolo è venuto con una certa difficoltà ma spero che vi piaccia. Qui abbiamo un piccolo balzo temporale di qualche anno ed ho cercato di raccontare un primo incontro con Bernard Chatelet. Voglio chiarire che è ospite di Saint Just, più grande di lui, dal momento che viene dalla campagna. Ho immaginato che si stia preparando per poter entrare, una volta raggiunta l’età giusta, all’università parigina.
La Jeanne di questa fic per ora è un po’ooc, come la reazione della protagonista, ma ciò che volevo che emergesse era lo strettissimo legame tra le due. Vorrei ringraziare tutte coloro che mi hanno recensito, messa tra preferiti, seguiti e ricordate.
Spero di poter aggiornare presto
Alla prossima

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Capitolo 4
*** Sapere ed ignoranza ***


Benvenuti cari lettori. Chiedo scusa per il ritardo ma non era mia intenzione far passare così tanto tempo. Vorrei ringraziarvi per avermi letto fino a questo momento. Intanto vi lascio a questo nuovo capitolo della storia.
 
SAPERE ED IGNORANZA
 
Il giorno successivo ritornai da quello strano studente malinconico, approfittando dell’ennesima commissione che Jeanne mi aveva affidato.
Come sempre, mi accolse il suo strano ed inquietante cugino.
-Buongiorno scricciolo- mi salutò ironico – il mio riottoso parente si trova nella sua stanza. Trattalo bene.-
Inarcai la fronte.
Non capivo la sua battuta, troppo ingenua per comprendere la sua ironia velata…come tutto il resto.
Da quando me ne ero andata la prima volta, arrabbiata con Bernard, quel bizzarro personaggio mi aveva preso in simpatia. Non ne compresi mai la ragione…ma non poteva essere diversamente. Saint Just era un po’come i gatti randagi: capricciosi, schivi e imprevedibili.
Mi limitai a ringraziarlo, prima di raggiungere la camera indicatami. L’ambiente dove viveva quello strano studente era particolarmente disordinato e sporco. Bernard non era molto portato con la pulizia. Mia madre avrebbe detto che ciò era dovuto alla mancanza di una donna e che ogni scapolo viveva in case simili a quella di Monsieur Chatelet. Mi ero offerta di tenere un minimo di ordine, in cambio di qualche lezione di lettura.
-Sono Rosalie- dissi, tentando di farmi sentire e di non incampare negli oggetti posti qua e là alla rinfusa.
-Vieni pure- fece, comparendo sulla soglia. Era piuttosto trasandato e magrolino come sempre, con quell’aria malinconica che pareva uscita fresca fresca da uno di quei drammi strappalacrime che Jeanne vedeva di soppiatto a teatro, per evitare di pagare il biglietto.
Mi feci largo, un po’impacciata.
-Scusa per il disturbo- dissi – spero di non averti creato dei problemi. –
-No no- rispose questo, con un gesto di noncuranza –stavo solo controllando dei testi che mio cugino mi ha lasciato…per prepararmi alla prova di ammissione del prossimo anno.-
Guardai i vari libri sparpagliati sulla scrivania. Erano davvero molti e un po’mi fecero impressione (non avevo ancora visto la biblioteca dei De Jarjayes ma, per la mia ignoranza di allora, erano davvero tanti).
– Devi leggerli proprio tutti?- domandai curiosa.
- Sono necessari. – fu la risposta laconica dello studente che, solo allora, alzò la testa, sorridendomi divertito.
-Che c’è?- domandai, aggrottando la fronte.
Che volesse prendermi in giro? Che volesse ridere di me? Non sarebbe stata la prima volta. Non avevo il carisma di mia sorella né, tantomeno, ero in grado di farmi rispettare. Solitamente, non mi sarei curata delle idee che gli altri mi guardavano…ma, per qualche strano motivo, provai un filo d’irritazione. Era come se non volessi essere presa in giro da quella persona che avevo conosciuto solo da pochi giorni.
-Non hai mai visto dei libri?- mi domandò.
Lo guardai male.
-Siamo troppo povere. Con il nostro lavoro di stiratrici possiamo permetterci a malapena il cibo e le medicine per la mamma…come puoi pensare che abbia dei libri con me?- sbottai seccata.
Bernard inclinò la testa, deponendo i fogli che stava leggendo. I suoi occhi blu scuri mi osservarono per alcuni minuti, come se volessero studiare il mio viso.
Non seppi spiegarmi la ragione ma quello sguardo mi metteva in soggezione.
- Che…che c’è?- domandai, incassando la testa nelle spalle, come se fossi una testuggine.
-Hai degli occhi molto belli. Non ci avevo mai fatto caso.- disse, spiazzandomi.
Lo guardai incredula.
Non aveva accennato affatto a mia sorella, che era solita passare sotto quei caseggiati né, tantomeno, alla mia famiglia ed al fatto che non le assomigliassi.
Mi aveva fatto un complimento, facendomi arrossire di conseguenza.
Abbassai il capo, presa dall’imbarazzo che una simile osservazione mi aveva provocato.
Bernard non ci fece caso o, se lo fece, non se ne curò.
–Ti piacerebbe imparare a leggere?- domandò alla fine, cambiando improvvisamente argomento e spiazzandomi per l’ennesima volta.
Annuii quasi senza rendermene conto.
 
Da quel giorno, andai a trovare Bernard due volte alla settimana.
Lui mi apriva la porta e, dopo avermi fatto accomodare, iniziava a spiegarmi quale suono avesse ciascuna lettera dell’alfabeto per poi farmi esercitare un po’. Di solito, mi faceva leggere qualche favola di La Fontaine o qualche altra novella leggera.
-Perché mi fai fare esercizio solo su questo genere di testi?- Gli domandai un giorno. Ero ignorante ma sapevo che non esistevano solo quel genere di libri. Il prete della chiesa del quartiere, per quel che ne sapevo, non leggeva quelle cose.
Lo studente alzò il capo.
-Perché sono i racconti più semplici che ho qui. Il resto sono libri in latino e non credo ti servano.- rispose, grattandosi la testa.
Quella spiegazione mi sembrò più che sufficiente e non feci più domande in proposito…fino a quando un nuovo pensiero mi colse alla sprovvista, facendomi impallidire.
-Bernard- feci, interrompendo la lettura – ti ringrazio per quello che stai facendo per me. Grazie al tuo aiuto, potrò comprare le medicine giuste per la mamma…però non so come ripagarti.-
Lo studente rimase qualche momento in silenzio.
-Non devi preoccuparti Rosalie- rispose – se proprio ti senti in debito puoi sempre darmi una mano a tenere in ordine questo alloggio…come mi hai sempre proposto. Lo studio non mi concede molto tempo per simili occupazioni.-
Sorrisi.
-Va bene.- feci, riprendendo a leggere.
Fu il nostro accordo.
Chatelet mi insegnava a leggere ed io pulivo il suo modesto appartamento.In breve tempo, la mia presenza si fece assai più assidua e fu oggetto delle ironiche prese in giro di suo cugino che, di tanto in tanto, piombava improvvisamente nella camera di Bernard. Lo studente non amava molto queste intrusioni ma si limitava a lanciargli delle occhiatacce minacciose, che non impensierivano affatto Saint Just.
Non capii mai la ragione di queste prese in giro.
Non conoscevo affatto quel genere di cameratismo maschile…forse perché ero cresciuta in una famiglia di sole donne.
Malgrado questa mia perplessità e l’innata soggezione che mi suscitava, Saint Just era una persona che, volendo, sapeva pure essere simpatica. Le sue visite erano improvvise e irriverenti, tanto da far perdere a Bernard quella che era la sua consueta calma. Qualche volta era anche divertente…a patto di farci l’abitudine.
Grazie a quello studente, comunque, imparai ben presto a leggere, superando l’innata paura che un testo scritto mi suscitava.
Avrei voluto continuare a fargli visita ma mi resi conto che non potevo abusare della sua cortesia più di quanto già avevo fatto. Dovevo lavorare e non potevo lasciare che mia sorella si rovinasse la salute per la mamma. Dovevo fare anche io la mia parte.
Fu così che un giorno mi recai da Bernard, per ringraziarlo e dirgli che non avevo più bisogno del suo aiuto. Entrai quindi, come sempre, dall’ingresso principale, salii rapida le varie rampe di scale, fino a raggiungere il suo alloggio…ma quando bussai alla sua porta, nessuno, dall’altra parte mi aprì.
Passarono alcuni istanti, in attesa.
Non avevo sbagliato né orario, né giorno.
Improvvisamente, una porta di fianco alla stanza di Bernard si aprì. Spalancai gli occhi, non appena vidi comparire la sagoma di Saint Just.
Mi fissò leggermente stupito.
- Che ci fai qui?- domandò.
Una brutta sensazione si fece largo in me. Il cugino di Chatelet sembrava non aspettarsi il mio arrivo, come se non dovessi venire lì. Aprii e chiusi la bocca varie volte ma non riuscii a formulare alcun suono.
- Stai cercando Bernard?- domandò.
Mi limitai ad annuire.
- Mi dispiace – fu la sua risposta – ma è stato costretto a tornare a casa. Sua madre non si è sentita molto bene. E’stata una notizia improvvisa ed avrebbe voluto informarti ma la carrozza per raggiungere il suo paese di origine non passa spesso da queste parti. L’ultima è passata proprio ieri. –
Quella notizia mi spiazzò. Non mi aveva detto niente prima di andarsene. Era semplicemente sparito. Confesso che mi arrabbiai non poco per questa sua partenza. Poteva farmi sapere qualcosa, evitandomi di fare tutta quella strada.
-A proposito – disse Saint Just, scuotendomi dai miei pensieri – prima di andare via, mi ha detto di consegnarti questa lettera…per scusarsi di essere sparito così. Perdonalo ma è un vero imbranato in queste cose.-
Presi la busta, ringraziandolo per la sua cortesia, poi lasciai velocemente quella residenza studentesca.
 
La partenza di Bernard mi mise di pessimo umore, senza nemmeno sapere perché. Non ebbi il coraggio di leggere la sua lettera.
Il lavoro e la preoccupazione per la mamma, poi, occuparono i miei pensieri. – Jeanne- feci – dammi il foglio del dottore. Vado dal farmacista per prendere le medicine. –
Mia sorella non fece obbiezini, porgendomi il foglio.
- Non ti fare fregare, Rosalie. Sai che non abbiamo molti soldi.- disse, senza alzare la testa dal ferro da stiro.
Non aspettai risposta e, senza perdere tempo, corsi verso il negozio indicatomi, con i soldi che avevamo guadagnato con tanta fatica.
Mostrai al negoziante il foglio, dicendogli la ricetta.
Questi sparì per alcuni minuti, mentre con la mente, pensavo allo strano nome che la medicina aveva.
Laudano. Un nome strano, che non avevo mai sentito. Pagai comunque quanto mi aveva consegnato. Non conoscevo il significato di quella parola. Sapevo riprodurre il suo suono…ma nulla di più. 
Solo ora mi rendo conto che quella roba costosa non serviva a guarire la mamma. Placava i sintomi della sua malattia, annebbiandone talvolta la mente. Nessuno però mi disse niente a riguardo. Né il dottore. Né il farmacista.
In quel momento, non vi prestai molta attenzione. Malgrado la debole conoscenza acquisita, ero ancora una misera ignorante. Avevo comprato una medicina che non avrebbe salvato la mamma, ma non lo sapevo. Mi sentito così invincibile, grazie alla conoscenza ottenuta, da essere convinta di poter fare tutto…e non so ora se questo fu un bene o un male.
Tornai così a casa con la medicina, sorridendo come mai avevo fatto. Jeanne si fermò e, senza perdere tempo, preparò la dose da somministrare alla mamma. Nicole prese il bicchiere che le porgemmo. Bevve lentamente, a piccoli sorsi, poi, dopo tanto tempo, ci guardò con orgoglio.
- Siete state tutte molto brave.- mormorò, con voce stanca – Vi ringrazio per aver vegliato su di me. Mi rimetterò in sesto velocemente, così da non darvi tutte queste preoccupazioni.-
 
 
Nicole fu di parola.
Dopo aver preso per alcuni giorni la medicina, riprese a lavorare, alleggerendo le nostre fatiche. Sembrava tutto tornato alla normalità. Nicole era tornata energica come un tempo, con quella vitalità con la quale si era fatta amare dal quartiere.
La sua salute riconquistata ci rallegrò molto.
Sembrava che tutto fosse tornato alla normalità.
Fu in quell’occasione che mi decisi a leggere la lettera che Bernard mi aveva lasciato.
 
Cara Rosalie,
mi dispiace dovermene andare in questo modo. Poco dopo che tu sei tornata alla tua casa, ho ricevuto una lettera da parte di mia sorella. Ho così saputo che mia madre ha avuto un infortunio con il calesse e, per via dell’incidente, non può muoversi in modo agevole.
Sono l’unico della famiglia che può occuparsi di lei, dal momento che, per via dello studio, non devo allontanarmi troppo dalla casa. Mi dispiace molto non averti detto niente. Sono stato un vero villano e non lo meritavi.
Spero che il mio aiuto sia stato utile, per aiutare tua madre. Come maestro dilettante, non posso fare a meno di essere fiero di te. Hai imparato molto velocemente a leggere e mi auguro che un simile insegnamento sia stato per te utile. Saint Just dice che la luce del Sapere è in grado di rischiarare le tenebre dell’ignoranza, alleggerendo le persone dagli inganni che le persone malvagie possono fare all’uomo.
Io credo alle sue parole e spero di averti trasmesso questa mia idea.
Sono contento di averti aiutato e ti ringrazio per avermi aiutato a tenere in ordine la mia stanza.
Spero di rivederti un giorno ma, nel frattempo, ti auguro buona fortuna per l’Avvenire.
 
Bernard Chatelet
 
Conservo ancora quella lettera. E’un po’più spiegazzata e ingallita rispetto a qualche anno fa ma le sue parole sono le stesse di un tempo. Non ebbi cuore a gettarla. Era il primo testo che possedevo e, malgrado non fosse molto esteso, mi piaceva leggerlo. Le parole di Bernard furono per me di notevole conforto nei momenti bui e, allo stesso tempo, fonte di rabbia.
Perché non era vero che il sapere mi avrebbe protetto dagli inganni.
Eravamo pur sempre delle donne sole, costantemente ad un passo dalla miseria. Avevamo la conoscenza per distinguere gli imbrogli sì, ma nessuna difesa. Bernard mi aveva lasciato meno ignorante di prima forse, ma certamente più vulnerabile alle prepotenze. Il non sapere mi aveva dato fino a quel momento, la possibilità di credere nel prossimo. Ora che vedevo le menzogne, con maggiore chiarezza di prima, ero costretta ad incassare i loro colpi, consapevole della loro dannosità e della mancanza di protezione, essendone del tutto priva.
Allora però non lo sapevo.
Lo compresi solo più tardi, quando fu chiaro a Jeanne e a me che quel medico a cui ci eravamo rivolti, ci aveva imbrogliato. La medicina che la mamma prendeva non l’avrebbe salvata. Le aveva alleviato i sintomi forse, a prezzo di una perenne debolezza.
La mamma non sarebbe più tornata quella di un tempo.
Noi non saremmo mai uscite dalla miseria.
Saper leggere non mi avrebbe cambiato le cose, tranne forse il fatto che questa conoscenza mi rendeva un po’più consapevole della mia povertà. Una gran ben misera soddisfazione.
 
 
 
Onestamente, non sapevo bene cosa fosse il laudano e, per una strana forma di pudore, evitai di pronunciare quella parola a mia sorella. Avevo imparato un po’ a leggere e non volevo che questa nuova conoscenza acquisita fosse motivo di tensione nel rapporto che avevo con Jeanne.
Per me, era un esempio da seguire e non desideravo che la sua sicurezza venisse meno, sapendo che, mentre era impegnata a fare il lavoro pesante, avevo imparato un po’l’alfabeto. Probabilmente non ne sarebbe stata contenta…ed io, per parte mia, non volevo perdere la sua stima. Grazie a quella medicina, comunque, i sintomi della malattia della mamma diminuirono d’intensità. 
In breve tempo, riprese a mangiare normalmente.
- Grazie, care figlie- disse un giorno, mentre pranzavamo – sono molto fiera di voi. Per merito vostro, ora sto decisamente meglio. Jeanne, Rosalie, in tutti questi giorni, avete dato prova di una grande maturità. Fortunato l’uomo che vi prenderà in moglie.-
Mia sorella inarcò un sopracciglio, la fissò un momento, poi riprese a mangiare.
- E’un po’presto, mamma- fece, dopo qualche istante – e poi ho un caratteraccio…-
Nicole si fermò a sua volta.
- Hai proprio ragione, bambina mia- rispose, sorridendole –solo io e la tua povera sorella possiamo sopportarti!- A quella battuta, tutte e tre scoppiammo a ridere. Era davvero molto presto per noi, parlare di matrimonio…ma era una risata che sapeva di sale.
Me ne accorsi vedendo l’occhiata strana che Jeanne riservò a nostra madre, in un momento in cui questa era distratta.  Uno sguardo pesante, colmo di cose non dette. Un’espressione che non le avevo mai visto.
-Jeanne- le domandai un giorno.
Mia sorella era sulla soglia, pronta ad uscire per fare la spesa. –Dimmi, Rosalie- rispose, con un piede sul pianerottolo.
-Non ho visto il lenzuolo che avevi ricamato…quello per il corredo…-iniziai a dire, un po’impacciata.
Jeanne si fece seria.
-Madame Lacroix ha visto la stoffa e mi ha offerto dei soldi. Una bella somma. Ho accettato senza pensarci.- rispose, dandomi le spalle.
Quelle parole mi spiazzarono.
-Ma Jeanne!- esclamai, stando ben attenta a non farmi sentire dalla mamma – quella stoffa serviva per te…quando ti saresti sposata…-
Jeanne le rivolse un sorriso. –Mia cara sorellina- fece, scappando via – quel ricamo non mi piaceva molto…lo rifarò. E poi non ho nessuna fretta di sposarmi…non c’è nessuno che mi piace. Visto che sono povera, il marito voglio scegliermelo io!-
Non mi lasciò il tempo di rispondere.
Mia sorella uscì rapida dalla nostra minuscola casa.
Mi avvicinai alla soglia, lasciando che la luce penetrasse nell’interno. Non avevo visto per nulla il suo viso, nessuna emozione che lasciasse trapelare qualcosa di quell’animo inquieto.
Nella mia mente, intanto, scendeva una velata amarezza. Jeanne si era impegnata a fare quelle cose. Sembrava affezionata agli oggetti che aveva prodotto…eppure se ne era disfatta, come se non valessero nulla.
Come era accaduto per il braccialetto di Claude, anche quelle stoffe di buona qualità erano state lasciate andare, vittime dei moti incomprensibili dell’animo di mia sorella.
-Jeanne- mugolò mia madre –Jeanne, dove sei?-
Mi voltai di scatto.
La mamma parlava spesso di mia sorella nel sonno…molto più di me. Potevo capirla, in fondo. Jeanne era la più grande. Colei che, dando ragione al tempo, avrebbe dovuto costruirsi per prima una famiglia. Nicole non lo diceva mai…eppure pareva preoccupata. La sua primogenita aveva un carattere incomprensibile, che la faceva sentire costantemente fuori posto. Un mare perennemente mosso, privo di forma.
In quei giorni, presa come ero dalla preoccupazione per la mamma, non avevo notato che mancavano delle cose.
Jeanne mi assegnava tutte le consegne, lasciando per sé la mansione più faticosa. In un primo momento, non avevo dato molto peso a questa scelta, convinta che ciò fosse dovuto al suo ruolo di sorella maggiore…poi però compresi.
Capii il motivo per cui mancavano degli oggetti.
Perché, malgrado il costo della medicina, continuassimo a mangiare in modo abbastanza decoroso.
A quella scoperta, mi si strinse il cuore di pena.
Jeanne stava svendendo il suo corredo per mantenerci…ed io non potevo fermarla.
 
 
 
 
I giorni passarono e la mamma riprese a fare qualche mansione di maggior peso, sotto l’occhio vigile mio e di mia sorella.
Fu il momento in cui riprendemmo a respirare, anche se di poco.
Le medicine rappresentavano un fardello non da poco per la nostra famiglia. La paga di una donna era assai inferiore rispetto a quella di un uomo e noi eravamo giovani ed inesperte. Lo avevamo imparato nel periodo in cui Nicole non riusciva ad alzarsi dal letto, quando, passato un primo momento di euforia, nostra madre crollava sfiancata dalla medicina a letto, non riuscendo spesso ad alzarsi per giorni. Le sue condizioni erano pessime ed il peso del lavoro gravava sulle nostre spalle come macigni. Era ormai chiaro che quegli intrugli erano solo palliativi, capaci solo di renderla più debole ed assente del solito.
-Jeanne- mormorai un giorno, facendo attenzione a non farmi udire dalla donna- credi che la mamma si riprenderà?-
Mia sorella riservò all’interessata un’occhiata indecifrabile, prima di posare lo sguardo su nostra madre. Nicole stava stirando alcune stoffe e pareva non curarsi di noi. –Non lo so, Rosalie. Quegli intrugli sembrano farle bene, però…-iniziò a dire, incerta, prima di fermarsi.
La guardai allarmata.
-Però?- incalzai, mentre piegavo alcune camicie.
La bocca di Jeanne si storse in una linea dura. –Però non è più lei. Quella roba dovrebbe guarirla e invece la rende debole e assente. Guarda! Non riesce più a tenere saldamente nemmeno il ferro!-  disse, indicandomi con un cenno la donna.
Scossi la testa.
-Non dire sciocchezze!- risposi, riponendo alcuni abiti- La mamma ora sta bene! E’guarita, non lo vedi anche tu!-
Calò un momento di silenzio.
Non volevo vedere quello che mia sorella mi mostrava. Offuscata dall’amore che provavo per mia madre, non volevo accettare la possibilità di perderla. La paura passata mi aveva messo nell’ingannevole convinzione che i guai fossero finiti. Una vera utopia, soprattutto per una miserabile come me.
- Pensa quello che vuoi- disse alla fine mia sorella – io dico solo quello che vedo…ma sappi una cosa: non voglio finire come lei, con il cappio della povertà costantemente intorno al collo.-
Mi fece male, sentirla dire a quel modo.
Più di tutte noi, Jeanne aveva sempre detestato la miseria che ci circondava…e non potevo biasimarla. Il duro lavoro consumava i nostri giovani corpi, che appassivano sotto il peso della fatica e delle malattie senza essere mai sbocciati veramente.
Non avremmo mai avuto la leggiadria dei nobili, né le loro tavole grondanti di cibo, né la possibilità di essere curate da un vero medico e non da un ciarlatano. La mancanza di una figura paterna, poi, rendeva assolutamente disdicevole per noi parlare con un uomo. Fare da intermediario con un individuo maschile era compito di un padre. Lui avrebbe dovuto discuterci, occuparsi di tutte le questioni pratiche per un eventuale matrimonio…ma noi non lo avevamo e Nicole era talmente stremata dal suo lavoro da non potersene occupare.
Eravamo in trappola, senza aver meritato nessun castigo.
Eravamo destinate a vivere costantemente sull’orlo della disperazione.
Eravamo condannate a uccidere i nostri stessi sogni per sopravvivere.
Un sacrificio che mia madre aveva fatto e che non aveva né voglia, né tempo, di farci pesare.
Una rinuncia che io avrei dovuto compiere, anche se non avevo desideri particolari. L’unico, in mio possesso, era di poter avere un padre…ma la Sorte me lo aveva tolto ben prima che potessi affezionarmici.
Jeanne no.
Lei aveva ancora dei sogni.
Immagini belle e magnifiche che aveva fatto crescere, per non appassire nello squallore in cui vivevamo.
Luoghi meravigliosi dove poter sperare…perché sì, mia sorella sperava ancora.
Era il suo tesoro più grande.
La chiave per poter uscire dalla gabbia in cui viveva e che, con il passare dei giorni e il persistere della malattia di nostra madre, si faceva sempre più stretta. Si era impegnata durante la degenza di Nicole, comportandosi come una figlia dovrebbe fare in simili occasioni…ma tutto questo era dovuto alla convinzione che quella donna che ci aveva protetto, con tanta ostinazione, sarebbe presto tornata quella di un tempo.
Solo questa idea le aveva permesso di piegarsi.
Il suo corpo si era adattato ma la sua anima no.
I sogni erano ancora lì.
La mamma però non sembrava migliorare.
Era sempre pallida e smagrita.
Lo spirito era forte ma non altrettanto la carne che lo ricopriva.
Per quanto tempo sarebbe durato?
Nessuna di noi poteva saperlo, ma una cosa era certa.
Quel giorno i sogni di Jeanne, l’appiglio che le permetteva di essere sé stessa, sarebbero morti, schiacciati da una realtà senza scampo.
Quel giorno, mia sorella avrebbe dovuto decidere davvero.
Non con le parole.
Con i fatti.
Sfinirsi di lavoro per mero spirito di sopravvivenza, rinnegando ogni potenzialità che Iddio ci aveva dato? Oppure cercare una via di fuga?
All’epoca, non conoscevo la risposta e non volevo nemmeno pensarci. Conoscendo mia sorella, però, posso dire questo: una volta presa la via, nulla l’avrebbe distolta dalla sua direzione. Niente. Né le ricchezze, né le persone intorno a lei. Nemmeno noi.
 
Allora, è davvero difficile scrivere su Jeanne. Personaggio ambiguo e difficilmente descrivibile. Qui abbiamo una spiegazione dei suoi atti futuri. Il laudano era usato per curare varie cose: analgesico, antidolorifico…faceva un po’di tutto. Rosalie non è stata ingannata…o almeno non completamente. Immagino che aspettate la continuazione della fic di Madame. Se va bene, pubblicherò nel fine settimana, tempo permettendo (tra un seminario di letteratura greca e gli esami di aprile non sarà facile…ci proverò!). Grazie ed alla prossima.

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Capitolo 5
*** Punto di rottura ***


Benvenuti ad un nuovo capitolo di questa storia. Nel precedente abbiamo avuto un assaggio di ciò che costituirà, a mio parere, la futura Jeanne. Intanto, le cose proseguono in questo modo. Intanto vi ringrazio e vi auguro buona lettura!
 
PUNTO DI ROTTURA
                                                   
 
Madamigella Oscar, un giorno, mentre studiavo le lettere classiche, mi mostrò un’immagine. Erano tra vecchie, intente a fissare un filo. “Sono le Parche” mi spiegò, vedendomi perplessa “divinità degli antichi che presiedevano alla vita degli uomini. Una tesse il filo, la seconda lo misura, la terza lo taglia, ponendo fine all’esistenza del mortale”.
Confesso che quella lezione mi turbò un po’ all’inizio.
Ora, però, dopo aver sperimentato ogni tipo di esperienza ed essere divenuta, forse, un po’più saggia di un tempo, mi rendo conto che, forse, quelle tre sagome inquietanti stavano governando la nostra vita, senza che noi potessimo accorgercene.
Sembrava tutto tornato alla normalità.
Mia madre si affannava nel lavoro, con maggiore impegno rispetto al solito. In questo modo, Jeanne ebbe un po’di respiro…anche se per poco tempo.
Quei momenti di attività si accompagnavano infatti a crisi di debolezza che la obbligavano a rimanere a letto, anche per giorni. Un particolare che ci preoccupava, il sollievo ormai un ricordo lontano, sostituito dalla rabbia e dall’impotenza. Era ormai chiaro infatti che quelle medicine non avrebbero mai potuto guarire nostra madre.
-Sono una perdita di soldi- disse un giorno Jeanne, mentre stavamo tornando dal mercato del quartiere. Non ribattei alle sue parole. Aveva ragione, in fondo. Quelle medicine erano solo un modo per arricchire i dottori che, con la nostra magra paga, arrotondavano i loro stipendi.
Nessuna di noi, tuttavia, osò smettere di acquistare quell’intruglio.  Era come se una parte del nostro animo si ostinasse a credere che fosse ancora possibile salvare la mamma.
Come lei era sempre più dipendente dalle medicine, anche noi ci stavamo drogando di false speranze.  Jeanne continuava ad assisterla, dissimulando abilmente il crescente sgomento che la attraversava, tutte le volte che Nicole mostrava affaticamento anche nei gesti più semplici.
Mi limitavo ad aiutarla come meglio potevo, facendo in modo da assumere un atteggiamento che non offendesse né Jeanne, né mia madre, che si affannava a mostrarci una salute che non possedeva.
Ero come un funambolo, tutta tesa nel mostrare alla mia famiglia ed ai vicini che le cose stavano andando bene. Non potevo fare altrimenti. Se si fosse saputo che la mamma stava male, avremmo perso parte della clientela…e non potevamo permettercelo, essendo costantemente sul filo del rasoio, tra la miseria e l’assoluta indigenza.
A complicare la nostra situazione, ci pensò il Re, con un nuovo aumento dei prezzi dei beni di prima necessità. D’un tratto, fu sempre più difficile per noi annaspare alla ricerca di un modo per uscire dalla povertà. Buona parte dei guadagni finivano nell’affitto e nelle medicine, divenute più care.
Un elemento che, nella nostra situazione, si fece sempre più marcato. Fu proprio in quel periodo che mia sorella iniziò a mendicare a nostra insaputa.
Accadde così, con una naturalezza tale da passare inosservata. Usciva presto la mattina, per tornare tardi la sera, quando noi ci eravamo ormai coricate a dormire.
Non la vedevamo quasi mai in casa.
Né io, né la mamma, riuscivamo a capire la ragione dei suoi modi ma non ci sfuggì un particolare, qualcosa che ci lasciò sgomente. Ogni mattina, trovavamo dei soldi sul tavolo. Monete di vario peso e grandezza che non provenivano dalla stiratura delle stoffe.
Per un po’di tempo, provai a nascondere questo denaro imprevisto.
Non so perché lo feci.
Forse era il fatto che vi erano pochi mestieri per una donna nubile, capaci di fornire quei soldi. Forse era la paura che Jeanne si fosse cacciata in qualche guaio, chi può dirlo? Lei non mi raccontò niente ed il suo silenzio faceva lavorare la mia immaginazione più del dovuto.
Di certo, non volevo che la mamma sapesse.
Temevo la sua reazione. Da quando prendeva le medicine, infatti, non era lucida come prima. Il suo malessere era diminuito ma la mente ne era uscita piuttosto provata. Come avrebbe potuto comportarsi?
Provai varie volte a chiedere a mia sorella come si fosse procurata quel denaro, senza risultato e quel silenzio alimentava molte mie paure.
Alla fine, però, il suo segreto venne alla luce.
Ricordo benissimo quel giorno.
Passeggiavo insieme a mia madre, subito dopo la messa domenicale. Jeanne aveva detto di non sentirsi molto bene ed aveva preferito rimanere a casa. Non vi badammo molto. Non era la prima volta che succedeva, anzi.
Da quando avevano alzato il prezzo del pane, mia sorella spesso saltava il pranzo con una scusa, per darci la nostra parte.
Un’usanza bizzarra con la quale finimmo per farci l’abitudine.
Non immaginavamo però che dietro a quel mutamento di costumi vi fosse qualcosa di diverso. Non credevamo veramente di trovarla lì, in quella posa.
Mia sorella era seduta lungo una stradina secondaria, con la mano rivolta al cielo ed un’espressione compassionevole. –Fate la carità- andava dicendo con voce piena di ossequio –Fate la carità ad una povera discendente dei Valois-
Rimanemmo impietrite, di fronte a quella scena.
Quella pezzente, seduta nel vicolo, con gli occhi imploranti ed i vestiti disposti ad arte per mostrare grazia e miseria al tempo stesso, non poteva essere Jeanne.
Guardai allarmata mia madre.
Conoscendo il suo temperamento, temevo che presto o tardi avrebbe finito con il cedere alla rabbia, scatenando una scenata. Sapeva essere piuttosto impulsiva…ed il laudano aveva finito con peggiorare questo lato del suo carattere. Scattava spesso per un nonnulla, soprattutto se si trattava di Jeanne.
Per questo ero preoccupata.
La nostra povertà rischiava di minare quel clima di rapporti che ci aveva permesso di non crollare. Non volevo che la nostra famiglia andasse in rovina per via della miseria…perché, in fondo, non era colpa nemmeno di Jeanne se, alla fine, eravamo giunte a quel punto.
 
 
Peccato che nostra madre non volesse comprenderlo.
-Non mi era mai capitato di vergognarmi tanto…COME HAI POTUTO FARCI QUESTO!!- urlò, non appena mia sorella entrò in casa.  
Jeanne la guardò un po’smarrita ma non fece commenti.
Irritata da quel silenzio, Nicole le assestò un violento schiaffo.
Mia sorella fu costretta ad appoggiarsi ad un mobile. –Io non so come tu possa essere arrivata al punto di fare la mendicante…noi ci stiamo sacrificando tanto per far andare avanti la casa…e tu, piccola svergognata, non sai fare altro che bighellonare in giro…Io mi fidavo di te, Jeanne! Tu sei la maggiore ed hai il dovere di andare di provvedere alla famiglia. Devi prenderti le responsabilità e non scaricarle a tua sorella!- urlò, con un tono furente.
Jeanne si massaggiò la guancia, tenendo gli occhi bassi.
-Ma madre, non è come credete, Jeanne non- provai a dire ma mia sorella mi fermò con la mano. La guardai esterrefatta.
-Hai proprio ragione mamma- fece, rimettendosi in piedi e guardandola con aria di sfida –io non ho alcuna voglia di finire i miei giorni come te…a rovinarmi la salute, a prendere una miseria solo per pagare gli sprechi dei nobili…io non sarò una miserabile e mi prenderò finalmente quello che mi spetta.-
Mi coprii la bocca con le mani.
Jeanne guardò un’ultima volta la mamma e poi me poi, con il poco che le rimaneva del misero corredo che aveva fatto, lasciò la nostra casa. Non dimenticherò mai i suoi occhi. Tristi e colmi di una disperazione senza fondo, un vuoto impossibile da colmare.
Non appena sparì dalla porta, nostra madre si accasciò a terra, tremando per la rabbia.
Corsi immediatamente in suo soccorso.
-Madre, Jeanne…-provai a dire.
-Non esiste nessuna Jeanne- mi interruppe, stroncando le mie parole –ho solo una figlia e si chiama Rosalie. Ho solo te.-
Annuii meccanicamente.
Nicole non mi avrebbe mai ascoltato. Il laudano le annebbiava la mente e, quando non c’era questo, ci pensava il suo orgoglio inossidabile a farla parlare, non sempre con risultati buoni. Provai varie volte a dirle che Jeanne era una brava ragazza, a raccontarle gli sforzi che aveva fatto per aiutarla, quando la sua salute le rendeva impossibile muoversi…ma non potevo. Farlo avrebbe minato definitivamente le sicurezze che la guarigione apparente le aveva dato. Se le avessi detto di quanto mia sorella si fosse sacrificata per lei, Nicole ne sarebbe uscita annientata.
Aveva cacciato sua figlia di casa per un ragionamento affrettato.
Aveva punito sua figlia quando questa non aveva fatto altro che vegliare su di lei come una guardiana.
Aveva imposto le sue convinzioni senza ascoltarla…e non poteva essere diversamente. Jeanne, pur a fin di bene, aveva disobbedito ad una delle convinzioni più radicate di nostra madre: guadagnarsi da vivere in modo onesto. Mendicando, mia sorella era venuta meno a quella regola. Era come se si fosse svenduta nel peggiore dei modi.
Più tardi, quando riuscii a calmare la sua ira, spiegai alla mamma quanto, in realtà, Jeanne si fosse impegnata per aiutarla, per aiutarci. Le dissi di quanto fosse speciale, di quanto generosamente avesse sacrificato il corredo per pagare le medicine, mentre lei era relegata al letto.
Gli occhi di Nicole si fecero vitrei.
Senza darmi il tempo di continuare, mi spostò bruscamente, precipitandosi verso la porta.
-JEANNE! JEANNE!-  urlò, spalancando l’uscio.
Ma fuori dall’ingresso, su quelle scaline dove di solito mia sorella si sedeva, per contemplare il firmamento, non c’era più nessuno.
Jeanne se ne era andata e, per una volta, non ebbi la forza di rassicurare la mamma. Non sarebbe servito. Lei non avrebbe più fatto ritorno tra noi.
 
 
Non ricordo bene cosa successe nei giorni successivi. Non saprei dire quale pettegolezzo giungesse da Versailles, quale fosse il nome dell’amante della regina. Non sono in grado di rispondere. Semplicemente non mi interessava.
Mia madre era uscita annientata dalla scomparsa di Jeanne e la sua salute stava peggiorando. Lavoravo praticamente da sola ed avevo perso una parte delle commissioni. Nicole faceva del suo meglio ma eravamo solo in due e non potevamo fare di più. Nemmeno chiedere alle lavandaie avrebbe cambiato le cose. Nicole otteneva quelle commissioni grazie alla loro amicizia e, data la sua salute, non conveniva a nessuno perdere il loro appoggio…anche se ciò significava farsi sfruttare da loro.
Non ero sciocca e sapevo che erano loro a decidere il compenso.
Una vera miseria, che ci permetteva di comprare solo delle patate.
Nel frattempo, i prezzi aumentavano.
Riducevo a poco a poco ogni forma di spreco, nel disperato tentativo di venire incontro ad una simile situazione. Nella speranza che i miei sforzi potessero portare a casa qualcosa di più sostanzioso. Ma la borsa della spesa conteneva sempre le stesse cose…mentre le ore di lavoro aumentavano ed aumentavano.
Uno scontro impari, una lotta per non soccombere da cui non saremmo mai uscite vincitrici.
Prima o poi, una di noi avrebbe ceduto, portando a picco l’altra…era solo questione di tempo ed avvenne prima di quanto mi aspettassi.
 
Allora, il capitolo è breve ma non potevo fare diversamente. L’episodio della sparizione di Jeanne doveva avere il suo spazio e non potevo aggiungerlo ad altri fatti. Come vedete, seguirò l’anime. Jeanne ora se ne va e Rosalie rimane con Nicole. La chiave di questa fic è il realismo e come tale continuerà. Nel prossimo capitolo, vedremo la nostra protagonista alle prese con la miseria, ben più di quanto avete visto finora. Vi ringrazio per avermi letto ed alla prossima!
 

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Capitolo 6
*** crollo ***


Teoricamente dovrei aggiornare la canna e la quercia. Teoricamente, Di fatto, Sofocle mi sta facendo uscire di senno e sono finita in questa fic che sembrava dimenticata in un angolo. Spero che il lavoretto di questo capitolo vi piaccia. Buona lettura!

 

CROLLO

 

La scomparsa di Jeanne ebbe effetti immediati. Avevo maggiore spazio in casa mia ma questo, sicuramente era l’unico aspetto positivo. Mia madre si era pentita di averle urlato contro parole improponibili. Lo vedevo da ogni sussulto del suo corpo, quando la porta, malamente saldata al muro, cigolava, nei giorni in cui il vento la scuoteva.

Jeanne! avrebbe voluto urlare.

Il pentimento per la sua cecità, di fronte alla buona fede di mia sorella, logorava i pochi momenti lieti, condizionando la sua salute sempre più precaria. Nicole non dormiva più e mangiava sempre meno. Spesso mi sforzavo di parlarle con maggiore durezza, nel tentativo di farle ingoiare qualcosa di più sostanzioso…ma non avevo lo stesso polso di Jeanne. Era qualcosa di decisamente superiore alle mie aspettative. Io ero tanto annebbiata dall’ammirazione che provavo da non accorgermi che serviva maggiore decisione, che era tempo che mi imponessi su Nicole, come lei aveva fatto con noi in passato, quando uscivamo dalla retta via.

Purtroppo non riuscivo a capirlo, né ad accettarlo. Mi sentivo come un pulcino caduto dal nido e non avevo ali abbastanza forti per venire a capo del caos che gravitava attorno a me. Così mi piegavo a lei, correndo ad ogni suo spasmo, sussultando quando la ragione veniva meno.

Non potevo fare altro.

Era troppo presto per me per abituarmi ad una simile prospettiva…ma la miseria non guardava all’età, con mio sommo dispiacere.

I prezzi dei beni di prima necessità ridussero anche le commissioni, al punto che era impossibile per noi andare avanti con il solo mestiere di stiratrice.

Un giorno Nicole si recò da una sua cara amica. Spinta dalla disperazione, l’aveva supplicata di darle qualcosa da fare. –Ti prego- fece – Ci va bene tutto…anche le mansioni più misere…-

-Mi dispiace!- fu la risposta, vagamente stizzita della donna –I tempi sono difficili e non posso fare il nome ai miei clienti di una che si regge malamente in piedi. Gli affari sono affari, lo sai anche tu.-

Abbassai la testa.

Quelle parole suonavano come una condanna…per entrambe.

-Se vuoi fare soldi facili- s’intromise un’altra fissandomi, dallo sguardo penetrante ed il sorriso malevolo- perché non fai in modo che tua figlia faccia compagnia a qualche nobile perdigiorno?-

Mi feci di pietra a quella voce, che sapeva di disincanto e mancanza d’ideali e morale.

-Mia figlia non è una sgualdrina- fu la risposta sprezzante di mia madre.

La stiratrice ridacchiò. –Non c’è niente di male- ribatté- non ha senso appoggiarsi al pudore, quando non si sa come tirare avanti…e poi non fare tanto la santa con me, Nicole. Anche se non ti somiglia, la bambina ha un bel visino. Basta che apra le gambe e ti frutterà tanti soldi. Se almeno in questo somiglia alla sorella, non faticherà certo in questo. Lo sanno tutti che quella svergognata…-

Non finì mai la frase.

Nicole le aveva assestato un violento manrovescio.

L’altra rispose ed in breve tempo scoppiò un violento parapiglia.

 

 

Quel giorno finì la nostra mansione di stiratrici.

La lite aveva fatto il giro della clientela e, unita alla notizia della malattia di Nicole e alla fuga di Jeanne, contribuì a lasciarci senza la nostra unica fonte di sostentamento. Pensavo che le cose potessero andare male già con la scomparsa di mia sorella…bhé, mi sbagliavo.

 

 

Temevo di non poter andare peggio di così ma evidentemente avevo sopravvalutato la fantasia della Sorte Avversa. L’aggressione di mia madre a quella serpe aveva in breve tempo fatto il giro delle lavandaie e delle stiratrici cosicché nessuna, per non scontentare l’altra, osava affidarci delle commissioni.

Non avevamo più la nostra fonte di reddito. Mi vergogno a dirlo, ma per un momento mi arrabbia con Nicole. La accusavo di essere stata troppo avventata e di aver determinato con la sua impulsività la nostra attuale miseria…ma allora il mio mondo era molto ristretto. Non sapevo che anche le persone che ci davano il lavoro versavano una profonda crisi. Ero talmente presa dai miei problemi che non mi accorsi di nulla.

I nostri miseri risparmi se ne andarono nel giro di qualche settimana e la miseria penetrò nella nostra casa. La mancanza di soldi mi costrinse a smettere di prendere le medicine per la mamma, riducendone l’uso. Nicole ne risentì e prese a passare il proprio tempo a letto.

- Mi dispiace molto Rosalie- mormorò un giorno mentre tagliavo un po’di pane raffermo- se solo non mi fossi comportata in quel modo, forse ora non saremmo in queste condizioni.-

A quelle parole mi bloccai.

- Non ti preoccupare mamma- feci, riprendendo a usare il coltello- era solo questione di tempo. Le ordinazioni erano diminuite.-

Nicole scosse la testa. –Sai che è colpa mia- continuò con voce tremula – e del mio pessimo carattere…che ho trasmesso a tua sorella. Non passa giorno che non mi penta di quello che ho fatto. Ho agito ascoltando le dicerie del vicolo, senza tener fede a colei che doveva premermi di più. Ho fatto tutto il possibile per impegnarmi ad essere una buona madre, ma non è facile tirare su due bambine da sola. Se solo tuo padre fosse vivo le cose sarebbero diverse…-

Mi fermai definitivamente e la guardai.

Il viso di Nicole era rigato dalle lacrime. Non l’avevo mai vista così e confesso che la cosa mi rattristò non poco. Gli ultimi eventi avevano minato la sua classica forza d’animo, facendole avere un crollo nervoso. Subito accorsi da lei, lasciando da parte il pranzo. –Non dovete buttarvi giù così.- la rincuorai, stringendole le mani –vedrete che mia sorella tornerà e voi vi rimetterete in salute.-

Sapevo di mentire…ma lo facevo per il suo bene.

-Oh Rosalie- mormorò, guardandomi mesta ed accarezzandomi il viso con la mano rugosa- sei troppo buona con me! Stai faticando per tutte e due, nella speranza di aiutarmi…-

-Ma è normale- risposi, beandomi di quel tocco- siete mia madre, perché non dovrei sostenervi?-

A quella domanda, Nicole si fermò.

-Già- fece, riprendendo a coccolarmi- sono tua madre. Sono molto fortunata. Grazie bambina mia.-

 

 

Ero riuscita a placare la mamma in qualche modo. Da quel breve scambio di battute, non aveva più proferito una parola, limitandosi a scrutare una noce intarsiata con sguardo perso e malinconico. Il mio cuore, a quella vista, si rasserenò e appesantì al tempo stesso.

Non era cambiato niente.

Jeanne aveva ragione.

Nicole non sarebbe mai stata più la stessa.

Con un animo fattosi di pietra, uscii fuori. Da qualche giorno avevo iniziato a chiedere ai negozi di poter essere presa come commessa o apprendista, nella speranza di poter mettere da parte dei soldi. Nessuno però voleva prendermi, dal momento che la crisi mordeva un po’tutti, se si escludevano i nobili e la Chiesa. Se ero riuscita a portare qualcosa a casa, il merito era della perpetua che, saputa la nostra situazione, aveva cristianamente deciso di affidarci qualcosa, ma la paga era quasi inesistente. Non sarebbe bastata ad entrambe.

Ero appena tornata da uno dei negozi della via principale, dove solitamente le nobili commissionavano i loro bellissimi vestiti, ed il mio umore era piuttosto tetro. La dipendente del negozio mi aveva detto che non avevano bisogno di un nuovo paio di braccia ma mi aveva consigliato, con fare gentile, di tornare dopo un paio di giorni. Me ne ero andata sforzandomi di essere cortese, quando in realtà avrei voluto mandarla al diavolo. Non era la prima volta che mi dicevano queste parole. Era un ritornello che ormai mi nauseava.

Cosa cambiava se mutava il tono?

Non mi avrebbero assunto mai.

Ero così demoralizzata da non accorgermi di nulla.

Da non udire con l’orecchio, malgrado l’esperienza, lo sferragliare delle ruote a terra.

Da non sentire il nitrire dei cavalli.

Una carrozza veniva verso la mia direzione, a tutta velocità. Riuscii comunque a scansarmi, non so bene per quale miracolo. Il mezzo però non si fermò. Una mossa vigliacca e comprensibile, considerando che viaggiava per i quartieri meno ricchi della città.

Me ne rimasi a terra per qualche istante, pietrificata, non per la paura ma per la sagoma che vi avevo visto a bordo. Jeanne si trovava lì.

 

Allora, spero che questo aggiornamento vi sia piaciuto. Rosalie e la madre perdono il lavoro e la nostra protagonista, per uno strano caso, incontra la sorella. Sono passati un paio di anni da quando Jeanne se ne è andata. Non sembra ma è così. Intanto vi ringrazio per avermi letto e per la fiducia che mi avete dato. Alla prossima.

 

 

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Capitolo 7
*** Caduta negli inferi ***


Salve a tutti, cari lettori. Per ora la vena creativa per Agriturismo va molto a rilento, mi spiace per chi lo segue. Le altre fic, o per meglio dire alcune, invece proseguono. La fic di Madame e questa soprattutto. Ho aggiunto la nota drammatico perché è effettivamente il taglio di questa storia. Questa segue almeno nelle intenzioni la vicenda dell’anime. Intanto ci avviciniamo ad uno dei momenti clou. Una cosa però la dico, visto che non me ne ricordo: qui l’incontro con Jeanne avviene prima di quello con Oscar. E’per motivi di trama più che altro. Vi ringrazio per avermi letto.
 
CADUTA NEGLI INFERI
 
La vista di quella carrozza aveva, almeno in parte, scacciato la disperazione per la perdita del nostro unico impiego.
Per un momento, l’attesa di una risposta da parte dei negozi della via principale divenne meno pesante e dolorosa.
Continuavo a fissare quel mezzo allontanarsi e, malgrado la fame mordesse il mio stomaco, la scoperta di quel viso conosciuto mi mise le ali ai piedi, facendomi correre così, quasi senza pensarci. Le insinuazioni delle lavandaie e delle stiratrici svanirono nella mia mente, come per magia, come se non avessero alcun significato.
Jeanne.
Jeanne.
Jeanne.
Jeanne.
Il suo nome rimbombava nella mia mente, simile ad un eco sordo, nel silenzio incredulo di quella comparsa che non poteva che essere un segno, la prova che qualcuno lassù aveva a cuore la nostra vicenda.
A quella sicurezza, che in quell’istante appariva ai miei occhi tanto solida, non ebbi più alcun indugio.
Iniziai ad inseguire il mezzo, pregando, come continuavo a fare, malgrado le offese subite dalla Sorte, quel Destino che ultimamente era sempre meno benevolo nei nostri confronti.
Vedere mia sorella su quella carrozza mi aveva restituito una nuova speranza…e la Speranza aveva donato nuova energia al mio fisico giovane e flagellato dalla miseria. Dovevo raggiungerla, chiarire con lei. Non avevo altra scelta e, benché fossi ancora molto ingenua, non ero così sciocca da credere di poter uscire dalla mia situazione da sola. Percorsi rapida quelle vie, leggera e quasi senza peso, merito forse del fatto che la vita di stenti e priva di agi, aveva reso il mio corpo più resistente di quello di una nobile.
Non so per quanto tempo rincorsi quella carrozza.
Quando alla fine si fermò, non riuscivo più a respirare per via dello sforzo…ma ciò che vidi si portò via il poco fiato che ancora avevo.
Il mezzo era di fronte ad un edificio elegante e sontuoso, appartenente ad una nobile, come dimostrava uno stemma posto sul cancello d’ingresso. Superato lo sconcerto, osservai critica la struttura. Non aveva niente di particolare. Era solo uno qualunque degli edifici della nobiltà cittadina, quella esclusa da Versailles.
Un valletto andò ad aprire lo sportello…ed il mio cuore si fermò.
Jeanne.
 
 
 
 
 
Mia sorella.
Mia sorella Jeanne scese dalla carrozza, con uno splendido vestito pastello. Era bellissima e radiosa, come mai lo era stata negli ultimi anni della nostra vita. I suoi lunghi capelli corvini erano acconciati ad arte, in morbidi ricci che esaltavano l’innata eleganza del volto.
Non riuscivo a staccarle gli occhi di dosso, tanto era magnetica la luce che emanava…eppure, malgrado la sorpresa, non riuscivo comunque a non essere confusa. Non vestiva abiti da cameriera, né tantomeno sfoggiava la livrea del casato…perché era lì e, soprattutto, perché ostentava tutta quella sicurezza? Quella villa non le apparteneva…di questo ne ero più che convinta. Presa dalla curiosità, continuai a guardarla.
Se ne rimase di fronte, dando le spalle alla porta e, con passo aggraziato, allungò la mano verso il veicolo da cui era uscita. Era rivolta ad un’anziana aristocratica, dallo sguardo dolce e materno, che lei ricambiava con affetto e riconoscenza. Stava mettendo i passi sui gradini, con una certa insicurezza e tremore nell’appoggio. Ne dedussi che avesse dei problemi alle gambe, forse reumatismi…o gotta.
–Zia- fece mia sorella, con fare sommesso- lasciate che vi aiuti.-
-Oh- mormorò commossa la dama, accogliendo il palmo giovane che le veniva offerto- come sei cara, Jeanne! Non devi…-
-No Zia- le rispose l’altra, venendole incontro- è un piacere per me. Siete la sola che mi sia rimasta…come potrei non comportarmi in maniera diversa da quella che vedete?-
Rimasi impietrita, sentendo quelle parole.
Zia.
Zia.
Quella donna non era nostra parente…eppure lei la chiamava in quel modo. Fu un duro colpo per me.
Jeanne ci aveva dimenticate…come era possibile?pensavo, mentre assistevo inerme alla scena. Non riuscivo a trovare una ragione a tutto questo e, forse, non volevo trovarla. Farlo significava distruggere l’ammirazione per lei, uccidendo quel legame che in quel momento non ero disposta a sacrificare. Se lo avessi fatto, cosa sarebbe rimasto di me?
Ero una ragazzina sola, in balia di responsabilità e problemi che non avevo ancora il coraggio di affrontare. Mi stavo aggrappando ad una speranza remota, solo per non sparire…come aveva fatto mia sorella maggiore, quando la povertà aveva iniziato a sferrarle i primi colpi.
Non volevo sapere, allora, che avrei dovuto pagare anche io il mio tributo, allo stesso modo in cui Jeanne aveva fatto tempo prima.
Ancora adesso, se la trovassi di fronte a me, non agirei in maniera diversa. Farei sicuramente le stesse scelte, commetterei gli stessi errori…e non posso rimproverarmi di questo. Mia sorella era bellissima, con un fascino che non avrei mai più trovato in nessun altra persona. Ora, dopo aver passato tante esperienze, mi rendo conto che esistono tanti tipi di bellezza…ma all’epoca, per me, c’era solo Jeanne, come unico modello…ed una regina che ci riempiva di miseria e che compariva in qualche locandina oscena per le strade.
Vederla in quelle vesti fu per me un’esperienza straziante.
Sembrava felice, come se avesse finalmente incontrato la salvezza.
Come se, in compagnia di quella vecchia nobile, avesse potuto finalmente realizzare i propri sogni.
Non sapevo se la ragione della sua gioia fosse il lusso o la possibilità di avvicinarsi alle favole che nostra madre ci lesinava con grandissima parsimonia. Pareva quasi una bambina, come non era mai stata.
Quel pensiero mi fece male.
Possibile che non fosse mai stata felice con noi?
Scacciai quella domanda con rabbia, non appena mi resi conto di un altro particolare. Ora viveva dignitosamente…mentre io e la mamma stavamo cadendo sotto i colpi della miseria. Quel pensiero rafforzo la mia determinazione…istintivamente serrai i piccoli pugni.
Doveva aiutarci.
Doveva, se non altro per il vincolo di sangue.
In quel momento, ero dannatamente convinta di tutto ciò. La nostra famiglia era unita, sotto ogni punto di vista, almeno fino a quando la miseria non aveva iniziato lentamente a logorarne  gli ingranaggi.
Attesi un po’prima di entrare e, nel frattempo, la studiai da una finestra che si affacciava sul cancello. Mia sorella era ancora al pian terreno, immersa in una fitta conversazione con l’anziana dama e le sue amiche. Pareva a suo agio con quelle persone così ben vestite, al punto che era quasi difficile per me riconoscerla. Solo la luce fanciullesca dello sguardo la rendeva, per me riconoscibile. Era la stessa di quando era ancora immersa nei suoi sogni e l’opera di mia madre…ed il Destino forse, non avevano sferrato i propri colpi.
Alla fine, mi recai alla porta e, senza attendere un minuto di più, bussai.
Non sapevo nulla del mondo dei nobili e nemmeno delle loro usanze…così, non riflettei minimamente sul fatto che non dovevo bussare al portone principale. La meraviglia aveva ingoiato tutto il resto.
Passarono alcuni minuti, poi, alla fine, qualcuno aprì…ed il mio cuore ebbe un salto.
Era Jeanne.
Osservai con meraviglia la bellezza del suo nuovo aspetto, il profumo della sua pelle, che non puzzava più di strada e sporcizia, l’eleganza delle vesti…mentre la guardavo, la lingua mi si annodò e non riuscii a proferir parola per qualche tempo.
Anche lei parve stupita di vedermi, tanto che non disse una parola. Rimanemmo così in silenzio a contemplare le reciproche diverse fortune. Una parte del mio animo non poté fare a meno di ammirare ed invidiare al tempo stesso la sua sorte.
Ora Jeanne aveva un tetto sopra la testa, dormiva su morbidi materassi ed indossava abiti eleganti e sontuosi. Mangiava pane bianco a tavola e poteva permettersi il lusso di dedicarsi a qualche passatempo.
Sembrava una principessa, lontana anni luce da noi…e la disperazione, tenuta a freno fino a quel momento, ruppe la bolla di meraviglia.
-Jeanne!-esclamai rompendo il silenzio- Devi aiutarci! La mamma sta molto male…non si muove quasi più dal letto e non fa che chiedere di te! Non possiamo farcela da sole…ti supplico!-
Mia sorella non proferì parola, limitandosi a fissarmi.
Non si mosse nemmeno, tanto che sembrava una statua.
Quell’inerzia mi gettò nel panico.
-Per favore…-la implorai, tentando di farla reagire.
-Oh Jeanne!- esclamò una delle dame che l’avevano accompagnata in carrozza- Conoscete questa ragazza?-
Mi voltai verso quella nobile, notando il suo sguardo curioso e, allo stesso tempo, sprezzante. Venni presa dal desiderio di risponderle. Pareva infatti che nutrisse disgusto per la mia persona e questo fatto non mi piaceva. Non per me ma per Jeanne, che ora viveva in quella bella casa. Che cercasse un modo per metterla in imbarazzo? Avrei fatto il possibile per proteggerla.
- Sì madame- rispose improvvisamente mia sorella, precedendo una rispostaccia che ero certa le avrei detto a breve- è una giovane sguattera che lavorava nella mia casa, prima che la rovina cadesse sul casato dei Valois. Non potevamo più mantenere la servitù ma lei e la sua famiglia hanno sempre ricevuto un certo riguardo da parte dei miei genitori…evidentemente è successo qualcosa. Permettetemi di prendere congedo da voi per qualche minuto, così da poter prestar soccorso come si conviene ad una femmina tanto sventurata.-
Le dame, sentendo le sue parole, esplosero in mille elogi verso di lei, smettendo di considerare la mia presenza. Jeanne si limitò ad abbassare pudicamente la testa, poi, con una presa decisa, agguantò il mio braccio, conducendomi lontano dall’ingresso.
 
 
-Rosalie!- esclamò dura, non appena fummo abbastanza lontane dagli occhi e dalle orecchie di quelle dame- Non devi venire qui in questa maniera, potresti mettermi in una pessima situazione.-
Istintivamente rabbrividii.
Mi faceva quasi male e non dubitavo che avrebbe lasciato dei lividi sulla mia pelle…ma non mi lamentai. Era comprensibile che mia sorella si stesse comportando in quel modo. La dama del palazzo l’aveva presa sotto la sua protezione e, non avendo altro sostegno se non l’affetto che si era appena conquistata, era più che ovvio che non volesse far sapere a nessuno di me e della mamma. Queste erano le giustificazioni che mi stavo dando, anche se non potevo nascondere, almeno a me stessa, che la bugia che aveva raccontato alla vecchia aristocratica mi avesse un po’offeso.
Che fosse un modo per non perdere i suoi favori, che fosse uno strumento per mantenere viva la compassione che l’anziana dama nutriva per lei, questo non la autorizzava a comportarsi in quel modo. Una parte di me, tuttavia, le perdonava anche questa insensibilità. 
Jeanne si era allontanata da noi in modo tutt’altro che sereno…potevo davvero biasimarla? A quel pensiero, un nodo mi strinse la gola, mentre gli occhi si facevano improvvisamente umidi.
-Hai ragione, Jeanne- risposi, chinando la testa- Non avrei mai voluto venirti a cercare. La mamma è stata ingiusta con te ed io…io non sono stata capace di difenderti da lei.-
Mia sorella rimase un momento interdetta poi, come spesso succedeva quando le chiedevo perdono, mi rivolse un sorriso comprensivo. –Rosalie- fece, accarezzandomi il viso- sei sempre la solita sciocca. Non devi preoccuparti per me…piuttosto, come state? E’successo qualcosa di grave?-
Quella domanda mi lasciò senza fiato.
Da quanto tempo non succedeva che qualcuno mi domandasse come stavo? Da quando avevamo perso il lavoro e la miseria ci tallonava ad ogni passo, nessuno si era più curato di chiederlo. Forse per l’imbarazzo che la stessa domanda avrebbe suscitato o, più semplicemente, perché la povertà ci aveva trasformato in appestate, da evitare accuratamente. –Oh Jeanne- esclamai, prima di fiondarmi tra le sue braccia- sta andando tutto malissimo! Abbiamo perso il lavoro ed ora…ora non so più come fare per pagare le medicine per la mamma! Aiutami, ti supplico!-
Non ricordo molto di quel momento. Non so bene cosa dissi. Le lacrime scivolavano lungo le guance, soffocando le parole e smorzandomi la voce, coperta dai singhiozzi. Jeanne mi abbracciava, accarezzando lieve la mia testa, mormorandomi parole che avevano il solo scopo di rasserenarmi un po’. Non avrei mai voluto chiederle del denaro a mia sorella.
Non rientrava nel mio carattere ma la situazione in cui versavamo mi spinse a scendere a patti con il mio orgoglio.
Jeanne mi soppesò con lo sguardo, accarezzando il mento come spesso faceva quando voleva riflettere su qualcosa.
La osservai a mia volta, in trepida attesa.
-Va bene, Rosalie- disse, prendendomi gentilmente il viso- ti aiuterò…ma non ora.-
A quelle parole, alzai la testa.
-Davvero Jeanne?- esclamai, smorzando la voce per non farmi sentire.
Lei annuì, sorridendomi.  –Devo però parlare con le ospiti della nobile presso cui ora abito. Non posso mancarle di rispetto in questo modo. E’una donna molto buona e generosa. Sono certa che se le parlerò di te, ti aiuterà senz’altro.- mi rassicurò –Tu vieni con me.-
Lasciammo il corridoio, addentrandoci verso la parte retrostante della villa. –Puoi farmi visita tutte le volte che lo desideri- mi disse- ma entra dalla porta secondaria, o non ti faranno passare.-
Annuii, camminandole a fianco. –Non lo farò più, sorellona- promisi.
Jeanne mi guardò con un cenno poi, dopo essersi fermata, aprì una porta. –Ora entra, Rosalie- mi disse- aspettami qui…poi tornerò con quello che ti ho promesso. Sono certa che dopo il mio dono, non avrai più bisogno di venire qui.-
Con queste parole, mi spinse dentro, chiudendomi nella stanza.
 
Non so quanto tempo trascorse. Dal luogo in cui mi trovavo, non vedevo il campanile della chiesa né, tantomeno, l’edificio su cui svettava lo strano orologio astronomico, attivo dai tempi di Luigi XIII. Mi guardai attorno, incuriosita dal posto che ora mi conteneva. Si trattava di una stanza piuttosto piccola ed angusta, con alcuni sacchi a terra, abbandonati in modo disordinato ed una finestrella sporca che forniva l’unica luce dall’esterno.
Era un ambiente piuttosto sporco.
Più adatto a me del maestoso ingresso di questa casami ritrovai a pensare. Per un po’tentai di svagare la mente con qualche fantasia. Mia sorella non aveva mai mancato ad una promessa. Era sempre stata molto leale nei miei confronti, eppure, man mano che le ore passavano, una strana ansia si stava impadronendo di me.
Mi fidavo di Jeanne ma non mi era sfuggito il suo tentativo di tenermi lontano dalle dame che ora intratteneva. Quel pensiero, nato così per caso, gettò in me una nuova ansia. Jeanne non era ancora tornata.
E se l’anziana dama non volesse aiutarci? O, peggio ancora, volesse punire mia sorella?
Senza pensare, mi lanciai sulla porta.
-APRITE! IN NOME DI DIO, APRITE QUESTA PORTA!- iniziai a strillare, dando i pugni contro il legno. Le mie nocche risuonavano secche sulla superficie, come un ticchettio strano e quasi musicale.
I colpi, con il passare del tempo, aumentarono. Avrei davvero voluto sfondare quella barriera, per partire alla ricerca di Jeanne ma sapevo bene che queste erano solo fantasie. Non ero forte abbastanza da sfondare la porta…ma in quel momento, la preoccupazione mi rese cieca e sorda a tutto questo, offuscando il mio già scarso raziocinio.
Poi, improvvisamente, la porta si aprì.
 
 
Non so davvero come fosse possibile, come le mie gambe riuscissero ancora a sorreggere il mio magro corpo. Sentivo dolore dappertutto, sia fuori che dentro di me.
Nella mente continuavo a chiedermi come fosse possibile tutto questo, mentre la scena a cui avevo assistito, continuava a pungolare la ferita fresca.
Non era stata Jeanne ad aprire la porta, ma un uomo grande, dal viso minaccioso e gli occhi cattivi.
Non appena lo vidi, rimasi impietrita.
-Chi siete?- domandai, ferma come una statua di sale.
L’uomo, per tutta risposta, avanzò.
-Mia sorella…-provai a dire, lasciando che la preoccupazione prendesse nuovamente possesso di me.
-STAI ZITTA!- mi intimò lo sconosciuto, guardandomi con disgusto- Avete osato ricattare la signorina Jeanne…ora vi insegnerò a rimanere al vostro posto!- E a quel punto raggelai. L’uomo aveva estratto una frusta spessa e grossa, usata spesso per gli animali da soma.
Non appena la vidi, arretrai nervosamente.
-Vi…vi sbagliate…io…-balbettai. La lingua pareva attaccata al palato e la voce sembrava non voler uscire in nessun modo.
E fu allora che partì il primo colpo di frusta. Lo evitai per un soffio, mentre il terrore si faceva strada dentro di me. Quello sconosciuto aveva preso i sacchi che si trovavano. straziandoli, con una sola sferzata. Spaventata provai a fuggire ma le gambe parevano come impantanate, rispondendo alle mie reazioni più lentamente di quanto speravo.
La frusta mi colpì sempre di striscio, senza per questo essere indolore.
Col senno di poi, ragionando a mente fredda e con un cuore un po’meno ingenuo, posso dire che quella persona mi fustigava in quel modo di proposito. Se mi avesse preso in pieno, molto probabilmente sarei morta lì, in quella stanza sudicia ed isolata. Dopo alcune sferzate, la paura alla fine sbloccò il mio corpo e, rapida come solo una ragazza di strada poteva essere, presi la via della porta, manco avessi le ali ai piedi.
Non sentii nemmeno il dolore delle frustate.
Corsi come non avevo mai fatto in vita mia, senza guardare davvero nessuno.
Rallentai solo dopo un po’, quando vidi di fronte a me le palazzine dei quartieri popolari. L’aria fredda di quella giornata mi colpiva il viso e, quando mi fermai, iniziai a riflettere sull’accaduto, sforzandomi d’ignorare il sapore amaro della delusione.
Provai a giustificare l’episodio in molte maniere.
Mi dissi che quell’uomo mi aveva visto entrare nel palazzo ed aveva frainteso, che mia sorella non sapeva niente, che era tutto frutto del caso. Forse sarei anche riuscita nel tentativo di convincermi…se non fosse stato per quell’immagine.
L’avevo intravista solo per pochi istanti, mentre fuggivo da quell’edificio antico.
Jeanne.
La mente però lottava furiosamente, sperando che fosse tutto uno scherzo della paura.
Jeanne insieme a quell’energumeno dagli occhi cattivi.
Un singhiozzo uscì violento dalla mia gola, mentre le case iniziavano a farsi meno definite e bagnate. Una scia umida rigava impietosa il mio volto.
Jeanne era alla finestra e sorrideva, con soddisfazione.
Alla fine, l’immagine ebbe la meglio sulle mie difese. Non potevo sbagliarmi. Jeanne sapeva tutto di quella storia. Non mi avrebbe aiutato, come avevo creduto scioccamente. Lei si era dimenticata di noi e sarebbe andata avanti ugualmente, nel mondo che si era scelta. Non aveva bisogno di pesi inutili…e noi, purtroppo, lo eravamo.
I contorni della via in cui mi trovavo iniziavano a farsi tremuli e confusi. Istintivamente sfregai con violenza le guance, ormai bagnate.
Su una cosa non aveva mentito.
Non avrei più fatto ritorno in quel palazzo. Mia sorella aveva deciso di essere la povera trovatella di un casato decaduto, scegliendo di essere sola. La piccola Jeanne, la mia amatissima Jeanne, la ragazza sognatrice ed un po’disincantata che amavo profondamente, viveva ormai solo nei miei ricordi…e. purtroppo per me, dovevo abituarmi all’idea.
 
Scusate per il ritardo. Anche questo non è un capitolo molto semplice da fare. Parlare di Jeanne e Rosalie non è mai una passeggiata, così come non lo è parlare dell’episodio in cui Rosalie viene aggredita da Nicola de La Motte. Vorrei  ringraziare tutti voi per avermi letto. Questo capitolo ha lo scopo di mostrare il cambiamento di Jeanne. Nei precedenti, era ben lontana dalla figura fredda e calcolatrice che conosciamo. Tenete conto però di una cosa. Tra la Jeanne dei precedenti capitoli e questa vi è uno scarto di tempo significativo che Rosalie non considera affatto…e che per questo paga amaramente.
Vorrei ringraziare tutti voi per avermi letto e vi do appuntamento al prossimo capitolo.
 
cicina.

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Capitolo 8
*** Bagliore nell'oscurità ***


Salve care lettrici e lettori di EFP, come va? Sono in piena sessione esami, eppure, malgrado tutto, continuo a scrivere. Nel precedente capitolo, avete visto la metamorfosi di Jeanne e la brutta esperienza di Rosalie.  Mi fa piacere che abbiate apprezzato quel capitolo. 
Adesso, vi lascio a questa nuova puntata, nella speranza che vi piaccia.  Onestamente, non so se questo episodio avviene prima o dopo Jeanne…per cui, se non è così,  concedetemi la licenza. Vado a memoria, per cui qualche svista può starci.
 
BAGLIORE NELL’OSCURITA’
 
Ci sono momenti in cui non si può fare a meno di pensare di aver toccato il fondo…e posso garantire, data l’esistenza che ho condotto, che uno dei periodi peggiori della mia vita furono i giorni immediatamente successivi all’episodio di Jeanne.
Continuavo a prendermi cura di mia madre e a svolgere i piccoli lavoretti che la perpetua mi affidava. Quella povera donna aveva preso a cuore la mia sorte e, dopo aver parlato di presso le altre domestiche dei parroci delle chiese vicine, si erano messe d’accordo per farmi fare qualcosa.
In altri momenti, se il tradimento di mia sorella non fosse stato una ferita tanto recente, avrei espresso nei suoi riguardi tutta la mia riconoscenza. Per merito suo, la fame aveva alllentato la morsa su di noi. Dopo molto tempo, riuscivo a comprare il pane e qualche verdura, cosa che nell’ultimo periodo potevo solo sognarmi.
Mia madre ed io mangiavamo leggermente meglio e, cosa ancora più importante, avevo abbastanza soldi per comprarle le medicine. Sebbene non volessi somministrargliele, poiché perdeva lucidità, dopo averle assunte, ero obbligata a fargliele prendere. Nicole, infatti, malgrado non stesse bene, voleva aiutarmi…ma non era nelle condizioni di farlo ed io, per il bene di entrambe, dovevo assicurarmi che non combinasse sciocchezze.
Eravamo in cucina: io dietro ad una bacinella contenente i piatti da lavare, lei, invece, sdraiata in un letto improvvisato. A causa della mancanza di soldi, ora vivevamo vicino al fornello, per poter beneficiare del calore emanato nella cottura dei cibi e non sprecare il poco che avevamo nell’acquistare legna e carbone.
-Rosalie- fece improvvisamente Nicole- ieri sera dove sei stata? Non ti ho sentito rincasare.-
Mi fermai improvvisamente.
-Ero insieme alla perpetua- risposi, tirandomi giù le maniche della camicia- voleva parlarmi di alcune mansioni che stava pensando di affidarmi. Ho conversato con lei per un po’ e non mi sono resa conto dell’ora.-
Mia madre non disse nulla e, non sentendo niente, mi voltai rapida verso di lei. Il mio cuore batteva frenetico nel petto e tutto quello che desideravo era che la mamma non si avvicinasse a me. Non volevo che mi guardasse, poiché sapevo che cosa sarebbe successo. Nicole, malgrado la malattia, aveva la vista lunga e, di certo, non le sarebbe sfuggito il fatto che portavo sulle braccia i segni delle frustate. L’esperienza con Jeanne aveva lasciato dei segni sul corpo e non volevo che lei li vedesse, altrimenti, mi sarei trovata costretta a raccontarle tutto, procurandole altro dolore…ed io non lo desideravo, poiche conoscevo il dolore che avrebbe causato la scoperta che la Jeanne di un tempo non c’era più.
Provava un grande rimorso per aver trattato male la sua primogenita, lo vedevo dall’ansia che accompagnava ogni movimento del suo corpo, quando vedeva la porta sbattere, o sentiva i rumori delle ruote di un carro scivolare sulla strada sopra la nostra casa.
Ripensandoci, credo che non si sia mai perdonata per aver ceduto alla sua impulsività. Era stata lei a cacciarla dalla propria dimora, senza darle il tempo di difendersi.
Il senso di colpa non giovava alla sua salute, me ne rendo conto, così come capisco solo ora la sua ostinazione a non confidarsi con me. Nicole era una donna sola, che si portava dietro segreti che non aveva mai condiviso con nessuno e che, con il peggiorare delle sue condizioni, minavano il suo corpo. Lei non poteva mostrarsi debole con noi, dal momento che era l’unico sostegno di cui potessimo disporre. Se avesse mostrato anche solo un filo di fragilità, l’equilibrio familiare che aveva costruito con tanta fatica, sarebbe finito in pezzi.
Non aveva nessun aiuto su cui poter contare.
Era completamente sola, con sé stessa, con i propri fantasmi, con noi.
Allora non avevo la minima idea del peso delle responsabilità che gravavano su di lei.
Ora che sono madre, comprendo, almeno un po’, i problemi che la attanagliavano ma, essendo la mia esperienza assai lontana dalla sua, non posso fare paragoni, né pretendere di conoscere davvero Nicole. Credo che non riuscirò mai a farlo. Lei non mi ha lasciato niente, tranne l’esempio di vita che mi ha dato e l’amore sconfinato che provava per noi.
-Ah- fece, rimettendosi sul materasso- avevo paura che ti fosse successo qualcosa di grave. Le strade di Parigi non sono sicure di notte.-
Le rivolsi un sorriso forzato.
-Non ti preoccupare, mamma- le risposi- non ho incontrato nessun malintenzionato. Ho fatto la strada principale ed evitato le scorciatoie.-
Lei non ribatté, continuando a fissarmi.
Cominciai ad innervosirmi.
Lo sguardo di Nicole era fisso ed attento, malgrado l’effetto delle medicine. Mi sentivo nuda sotto quelle iridi. Pareva volessero scrutarmi l’anima.
– Te lo giuro, mamma- risposi seria- non ho incontrato delinquenti lungo la via. Ho seguito i tuoi consigli e non mi è successo niente.-
L’espressione di mia madre rimase inalterata per qualche momento, poi si rilassò.
-Ti credo, Rosalie- sospirò, alla fine- so che sei una ragazza con la testa sulle spalle e sono fortunata ad averti con me.-
Incassai silenziosamente il colpo.
La mamma mi aveva guardato con fiducia ed io, troppo vigliacca per sopportarlo, le detti rapidamente le spslle, con la scusa che dovevo terminare di pulire i piatti. Non riuscivo a reggere quelle iridi e, più passava il tempo, meno riuscivo a riconoscermi. Il fatto era che non avevo mai avuto segreti con Nicole ma, dal giorno in cui mi ero incontrata con Jeanne, avevo inconsciamente deciso di non rivelare niente.
Lei non doveva sapere nulla di ciò che era diventata…e se questo significava nasconderle le ferite ancora fresche, avrei corso il rischio. Quell’uomo, malgrado non mi avesse mai colpito in pieno, non mi aveva risparmiato alcuna sofferenza fisica. D’altra parte, non potevo aspettarmi niente di diverso, dal momento che aveva usato la frusta per gli animali da soma.
Sentivo dolore dappertutto e l’ultima cosa che desideravo era che lei lo scoprisse. Per questa ragione, passavo spesso la notte fuori dalla porta a medicarmi nell’ombra, sperando che lei non se ne accorgesse e, nel frattempo, piangere le mie disgrazie. Non avevamo un’occupazione capace di mantenerci decorosamente, mia sorella ci aveva abbandonate ed io stavo consumando la mia giovinezza nello sforzo di non morire di fame insieme a mia madre.
Spesso provavo un immenso timore a guardarmi al misero specchio che ancora possedevo. Fisicamente ero la gracile ragazzina bionda e scialba…eppure mi sentivo diversa. Mi occupavo di mansioni sempre più faticose e, cosa ancora più importante, avevo imparato a mentire alla mamma, con un’abilità quasi preoccupante.
Ero diventata sempre meno trasparente ed i segreti che mi portavo dentro aumentavano con il passare del tempo.
A volte, non riuscivo a riconoscermi.
Non ero più la vecchia Rosalie…ma, forse, non dovevo stupirmi.
Stavo crescendo e, forse inconsciamente, non riuscivo ad accettarlo.
 
La stasi in cui avevo vissuto per qualche giorno terminò abbastanza velocemente. I prezzi erano aumentati di nuovo, a causa dell’ennesimo spreco di cui la regina si era resa protagonista…o almeno così sentivo dire in giro.
L’aiuto della perpetua si rivelò ben presto insufficiente e così ripresi a vagare per i lussuosi negozi delle vie principali, sperando di riuscire a trovare un lavoro. Mi presentavo ad ogni porta…e ad ogni porta ottenevo solo dei rifiuti.
Mi alzavo la mattina, percorrevo le strade e tornavo la sera, sfinita e scoraggiata. Le vie erano spesso piuttosto affollate ed avevo perso il conto delle volte in cui le carrozze passavano rasenti a me. Una volta, addirittura, rischiai di essere investita ma l’uomo che si trovava a bordo, di bell’aspetto, straniero e sicuramente nobile, per via dell’abito che portava, riprese il suo viaggio, non prima di biasimare la mia imprudenza.
In un primo momento, non vi prestai attenzione, poi, mentre tornavo a casa, notai le locandine oscene che campeggiavano lungo la strada…e a quel punto lo riconobbi. Era il conte svedese, l’amante della regina … quella scoperta tuttavia non mi turbò troppo e presa com’ero dai miei problemi, finii con il dimenticarmene.
Ancora non sapevo che lo avrei incontrato di nuovo, in ben altre circostanze.
Il conte di Fersen non mi aveva colpito più di tanto.
Era bello, impossibile dire il contrario ma la sua bellezza gelida non mi suscitava alcuna emozione. Spesso mi chiedevo se avrei mai incontrato qualcuno in grado di scatenarmi qualcosa del genere dentro.
La mamma era molto restia a parlare di sentimenti. Non aveva mai avuto tempo per dedicarvisi ed era stata molto avara nel raccontarci del suo matrimonio con papà. Non riteneva opportuno che dedicassimo la mente a simili pensieri…e non potevo biasimarla. La prima infatuazione illudeva, faceva sognare…e noi non ne avevamo bisogno.
L’incontro con Fersen, quindi, venne rapidamente accantonato.
Mi servivano soldi ed i miseri risparmi che ancora avevo si erano consumati abbastanza in fretta. Non trovavo lavoro e non sapevo cosa fare.
Alla fine, misi da parte ogni indugio e presi una via del tutto inattesa…che mai avrei osato fare.
 
 
Uno degli insegnamenti di Nicole era che l’elemosina era un’attività da zingari e perdigiorno, individui che odiava cordialmente.
Quella mattina mi levai di buon ora e, dopo essermi accertata che la mamma dormisse, mi addentrai per le vie cittadine, alla ricerca di un posto dove chiedere la carità.
Un luogo che fosse abbastanza lontano dalle strade che battevo di solito, in modo da non incontrare nessuno che potesse riconoscermi.
Camminai a lungo, incerta e smarrita, non sapendo da dove cominciare. Non avevo mai fatto niente del genere e non riuscivo a capire quali tecniche usare per ottenere dei soldi. Jeanne ci era riuscita per diverso tempo, a nostra insaputa.
Non deve essere difficile, in fondotentavo di convincermi…ma non riuscivo a persuadermi dell’idea che quello che stavo per fare era sbagliato.
Chiedere l’elemosina equivaleva a rubare.
I mendicanti finivano spesso in prigione, per via di questa attività ed io stavo infrangendo la legge. La mia coscienza mi gridava di non compiere un’azione simile…e, forse, avevo davvero troppi scrupoli per fare tutto ciò.
Mi addentrai per le vie, supplicando i passanti…ma nessuno prestava attenzione a me. Nessuno mi degnava di uno sguardo e, talvolta, non esitava a spintonarmi malamente. Persi il conto delle volte che finii a terra, nel fango, per via di quelle mani frettolose ed indelicate.
Alla fine, dopo molti tentativi, iniziai a perdere la speranza e mi chiesi come facesse Jeanne a farsi dare qualche moneta. Stavo ripetendo le medesime azioni che le avevo visto fare quando nostra madre la scoprì…eppure, non funzionava.
In cosa sto sbagliando?mi dissi, infine, tenendomi la testa tra le mani. Mendicare era molto più difficile di quanto pensavo…e più passava il tempo, più non sapevo come uscire da quella situazione.
Alla fine, qualcosa mi urtò, facendomi perdere per un momento l’equilibrio.
-Hei, stai attenta a dove cammini!- esclamò una voce strascicata.
Mi voltai di scatto.
Era un uomo ben vestito, troppo forse per il quartiere in cui si trovava ora.
Osservai la stoffa. Era di ottima fattura, certamente più di quanto un borghese potesse permettersi. E’ un nobile pensai. Il mio corpo scattò immediato a quella rivelazione.
-Mi dispiace- dissi, tremando.
Era un aristocratico…ed il terrore si impossessò alla svelta di me. Detestavo quelle persone e, allo stesso tempo, non potevo non avere paura di loro. Potevano fare qualsiasi crimine contro la povera gente, che affamavano con i loro sprechi, senza incorrere in nessuna pena. Una volta, avevo visto uno di loro uccidere un bambino, colpendolo alle spalle con il proiettile di una pistola. Lo ammazzò senza alcuno scrupolo, solo perché questi aveva provato a derubarlo di una moneta.
Quello che avevo di fronte a me, poi, mi inquietava non poco. Puzzava di alcol in modo piuttosto evidente e, come se non bastasse, da quando mi aveva spintonato, non aveva fatto altro che fissarmi, leggermente inebetito…ed io non sapevo cosa fare.
Pareva come imbambolato.
Vedendolo così inebetito, iniziai a preoccuparmi e, rapidamente, cominciai a pensare a delle scuse. Benché sapessi di essere perfettamente innocente, non ero così sciocca da non prendermi la sua colpa. Se non lo avessi fatto, molto probabilmente, mi sarei attirata le sue lamentele o, peggio ancora, la sua ira.
-Perdonatemi…perdonatemi, Monsieur, è colpa mia…- iniziai a dire, mentre la lingua inciampava con le parole ed il sudore si attaccava ai miei vestiti. Era la prima volta che parlavo con un nobile e non sapevo davvero come comportarmi, quali parole usare e se, soprattutto, sarei riuscita a placare indenne la sua ira.
-Però- fece improvvisamente questi, guardandomi fisso con gli occhi appannati dall’alcol- sei carina.-
A quelle parole, mi bloccai.
 
 
Non ho mai avuto molto tempo per prendere in considerazione il mio aspetto fisico. Il parroco del quartiere, un vecchio basso e tarchiato, amava ripeterci che la bellezza era un elemento passeggero, un veicolo attraverso il quale il demonio tentava le nostre innocenti anime.
Non ero abituata ai complimenti, per questo, quando lo sentii per bocca di quello sconosciuto, non seppi come reagire. Lo guardai interrogativa, colta alla sprovvista da quello sviluppo per me assolutamente inatteso.
Mi soppesava con gli occhi, come se fossi una merce da bancone e, cosa che mi angosciava maggiormente, vi era qualcosa nel modo in cui mi fissava, che non mi piaceva. Sembrava una febbre bruciante, una smania quasi animalesca che io non avevo mai sperimentato…e che mi faceva paura.
Feci un passo indietro, quasi senza accorgermene.
-Quanto vuoi?- disse questi, gettandomi nel panico.
A quella domanda, malgrado la mia ingenuità, ogni dubbio si dissolse…e la paura si impossessò di me, senza lasciarmi scampo. Non vi era più possibilità di errore. Istintivamente gettai un’occhiata al vestito, alla ricerca di qualcosa che avesse indotto all’errore l’uomo…ma non trovai nulla. –Vi…vi sbagliate…io non sono…-iniziai a balbettare, prima di bloccarmi improvvisamente.
Se vuoi fare soldi facili, perché non fai in modo che tua figlia faccia compagnia a qualche nobile perdigiorno? rimbombò, in un modo del tutto inatteso, nella mia memoria. Ricordavo bene quella domanda. Era stato quando eravamo andate a chiedere delle mansioni dall’amica della mamma. Per qualche strano motivo, mi era passata di mente, colpa forse il fatto che la sera ero così stanca da non aver nemmeno la forza di pensare. Non avevo idea di che cosa significassero quelle parole.
Sapevo solo che non era un’occupazione rispettabile.
Ma ho bisogno di soldi.
Sapevo che avrei avuto dei guadagni facili.
Ho bisogno di soldi.
Sapevo che era un’azione immorale, benché non ne conoscessi i dettagli.
Ho bisogno di soldi.
Sapevo che avrebbe posto la mia vita lungo una strada senza possibilità di ritorno.
Soldi, soldi, maledetti soldi…ma mi servono, ne ho bisogno!
Quel nobile mi aveva scambiato per una prostituta…ed io avevo la possibilità di ottenere del denaro, forse più di quanto avrei mai potuto immaginare. Eppure, malgrado questo effettivo vantaggio, non riuscivo a muovermi. Non volevo che il mio corpo fosse venduto in quella maniera. La virtù era l’unico bene di cui davvero potessi disporre. Non avevo terre, né titoli di cui potermi vantare, né qualcosa che potesse valere qualcosa, a parte l’integrità del mio corpo. Un tesoro che, per mia sfortuna, poteva essere usato una sola volta. Io non ero una meretrice…eppure, in modo assai sciocco devo ammetterlo, credevo che avrei potuto porre fine ai miei problemi…e tutto questo malgrado ogni fibra del mio essere si rifiutasse di farlo.  
Tentennai non poco sui miei propositi e questo dovette innervosire molto quell’uomo perché, con aria spazientita, afferrò bruscamente la mia mano. –Avanti- fece questi, con fare untuoso- non fare la difficile…vieni con me…vedrai che ci divertiremo…-
Spalancai gli occhi, terrorizzata e, invece di obbedire, mi piantai saldamente a terra, irrigidita dalla paura. Vedevo quella bocca muoversi…ma non riuscivo a sentire le parole. Stavo per fare qualcosa di cui mi sarei pentita sicuramente…
-Signor Conte- disse all’improvviso una voce, spaventandomi più di quanto non lo fossi già. Apparteneva ad un uomo in livrea che, dopo avermi squadrato con un’occhiata, si avvicinò al suo padrone. –Signore- ripeté, fissando alternativamente ora lui ora me- questa non è una compagnia che vi si addice. Venite con me…vi presenterò delle gentili signore che vi saranno di maggior gusto.-
Il nobile, sentendo quelle parole, parve illuminarsi e, come un bambino a cui viene presentato un gioco più bello, si dimenticò del balocco con cui precedentemente si trastullava. Non mi degnò più di uno sguardo e, sempre con passo strascicato, si allontanò per la via, sorretto dal proprio servitore.
Quando fu ormai lontano, le gambe cedettero e, senza nemmeno rendermene conto, mi ritrovai a terra.
Solo allora mi resi conto di quello che stava succedendo. Stavo per comportarmi come una donna di malaffare, contravvenendo al più importante degli insegnamenti che mia madre mi aveva dato. Stavo per perdere me stessa e, se avessi davvero seguito fino in fondo quell’uomo, avrei di certo vissuto con il rimorso.
 
Malgrado la vergogna che la presa di consapevolezza si era portata dietro, tuttavia, decisi che non potevo tornare indietro senza nulla. Dovevo solo fare maggior attenzione. Presi così a camminare in tutte le direzioni, chiedendo la carità a chiunque vedessi ben vestito, a qualunque carrozza si fermasse.
Nessuno però voleva allentare la borsa ed ogni rifiuto aumentava la disperazione cronica in cui mi trovavo. Il sole si stava abbassando sempre più verso l’orizzonte e, con esso, si avvicinava l’ora in cui avrei necessariamente dovuto rincasare.
A quel pensiero mi fermai di botto. Tornare, con che faccia? Non ho ricevuto una singola moneta…come faremo a mangiare?
Non potevo rimettere piede in casa in quel modo. Erano passati troppi giorni da quando erano finiti i nostri risparmi e non avevamo più in casa un solo pezzo di pane raffermo. Malgrado la paura che ancora balenava nel mio cuore, non potevo tornare indietro.
Ero l’unica che poteva portare del denaro e nemmeno il terrore di quello che stavo per fare mi avrebbe impedito di raggiungere il mio obiettivo.  Decisi però di usare maggiore accortezza, scegliendo solo le carrozze dove avessi intravisto una donna a bordo.
Mi guardai attorno.
Lungo la strada passavano diversi mezzi…ma non riuscivo a vedervi dentro alcuna dama. Iniziai ad innervosirmi di nuovo. Non conoscevo le abitudini dei nobili ma avevo il timore che più passava il tempo, più le possibilità di avere qualcosa si facevano sempre più rade.
Alla fine, mi gettai sulla strada…proprio nel momento in cui vidi passare una di queste.
-VI PREGO, IN NOME DI DIO, FERMATEVI!- gridai con quanto fiato avevo in gola.
Onestamente, non nutrivo molte speranze.
Avevo urlato, come mai mi era successo in vita mia e dubitavo fortemente che una voce esile come quella che possedevo, fosse capace di raggiungere qualcuno. Ero troppo insignificante perché qualcuno potesse davvero degnarmi di una qualche attenzione.
Eppure, quella carrozza si fermò ed io, per la sorpresa, non sapevo come reagire, tanto che rimasi imbambolata per qualche secondo. Era qualcosa di assolutamente inaspettato…come una luce che improvvisamente fa capolino alla fine di una galleria.
 
Allora, immagino che questo aggiornamento fulmineo sia piuttosto inaspettato. Pazienza. In realtà, volevo postare il nuovo capitolo della fic di Madame ma non sono soddisfatta della trama.
Volevo mettere di Oscar ma ho preferito posticipare la cosa di un capitolo. Rosalie ha tentato di chiedere l’elemosina ma non ha la stoffa della sorella e, poveretta, ha rischiato di finire nel letto di un nobile (fosse stato come Girodelle o Fersen, il “sacrificio” valeva la candela…poveretta, è stata un po’sfigata, ammettiamolo!)…per fortuna la malasorte non ha infierito troppo. Quanto alla madre, Rosalie non ha il coraggio di raccontare niente di Jeanne ma, per via delle percosse di Nicolas, è abbastanza difficile per lei nasconderle tutto.
Non può confidarsi con nessuno e, cosa ancora più importante, si trova ad avere responsabilità sempre più grandi. Ringrazio tutti voi per avermi letto…alla prossima!

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Capitolo 9
*** raggio di luce nel buio ***


Benvenuti a questo nuovo capitolo. Sono contenta che questa storia vi piaccia. Onestamente, non avrei voluto troncare il precedente capitolo in quel modo ma era necessario. Intanto vorrei ringraziare tutti coloro che mi leggono e chi cortesemente trova il tempo di farmi sapere cosa pensa di questa storia.
 
RAGGIO DI LUCE NEL BUIO
 
Ricordo quei momenti come se fossero ancora freschi.
Il buio incombente della strada, le luci soffuse dei lumi ad olio nelle case, lo schiamazzo perenne che proveniva dalle bettole, il graduale svuotarsi delle vie. Il cuore mi batteva all’impazzata, mentre fissavo la carrozza che, inaspettatamente, si era fermata davanti a me.
La penombra copriva tutto. La vettura era scura ma non sembrava appartenere a quelle solitamente prese a noleggio. Doveva appartenere a qualcuno…di cui ignoravo l’identità. Il buio oscurava l’araldo e non vi erano ancora le stelle necessarie per poter illuminare tutto.
Probabilmente, sarei rimasta per ore davanti a quel mezzo di trasporto…a scuotermi dai pensieri fu la campana della chiesa poco distante che mi mostrò, in tutta la sua inclemenza che non dovevo perdere tempo.
Improvvisamente, dal mezzo si affacciò un giovane.
-Dite- fece questi, fissandomi- siete stata voi a gridare, mademoiselle?-
A quelle parole, mi bloccai. Era la prima volta che qualcuno si rivolgeva a me in maniere tanto cortesi. Ero abituata a modi assai più spicci e tutto questo mi disorientava. Interrogativa, fissai quella persona…ed il cuore ebbe un guizzo.
La parola volò via, tanto che per un momento, mi dimenticai come si parlava.
Come se non bastasse, a complicare la mia situazione, ci pensò il suo splendido aspetto che, alla luce dei lampioni ad olio, si mostrò a me in tutta la sua inclemenza. Un viso privo d’imperfezioni, circondato da una chioma color dell’oro, su cui erano incastonate due occhi colore dell’acqua.
Non erano semplicemente azzurri.
No, sarebbe  troppo facile…e sbagliato definirli in quel modo.
Non avevo mai visto un viso tanto bello.
Era come ritrovarmi davanti l’immagine stessa dell’arcangelo Michele. Una fantasia sciocca, dettata forse dall’idea di protezione che quella sagoma tanto eterea e magnifica suscitava dentro di me da che avevo memoria. Il cuore batteva più forte del solito, mentre uno strano calore germogliava nel mio petto, forte e vigoroso, simile ad onda pronta a sommergermi.
Aprii e chiusi la bocca un paio di volte, nella speranza di formulare un suono ma i miei tentativi non ebbero successo. L’emozione di avere quella creatura di fronte a me, aveva annichilito ogni possibilità per me di parlare.
Alla fine, con uno sforzo di volontà, riuscii a rispondere alla domanda di quel bellissimo giovane, annuendo con un cenno del capo.
-Posso sapere per quale ragione vi state aggirando da sola per le strade? Parigi non è un luogo molto sicuro.- disse questi.
Il cuore batteva sempre più forte dentro di me, tanto che avevo il timore che mi uscisse dal petto, prima o poi. Nessuno mi aveva mai parlato in quella maniera e, dato il periodo miserevole che stavo attraversando, non ero più abituata a ricevere parole tanto gentili…o forse, molto più semplicemente, non ne avevo mai ricevute. Non tanto pacate e piene di grazia, almeno.
La domanda che mi pose, dietro il tono carezzevole, ebbe tuttavia il potere di scuotermi. –Per mia madre- dissi tremando, non seppi mai se per la paura o per le emozioni sconosciute che egli mi suscitava. Non mi ero mai sentita in questo modo e giuro su tutti i santi del Paradiso che una cosa del genere mi era del tutto nuova.
-Vostra madre?- domandò il bellissimo giovane.
Sgranai gli occhi.
In un barlume di consapevolezza, il volto della mamma si palesò di fronte a me. –Vi prego- dissi, tremando come una foglia- vi prego di aiutarmi. Mia madre sta molto male e non ho un lavoro, Vi supplico, siete la mia sola speranza…in cambio…posso darvi…-Non riuscii a finire la frase. Cosa stavo per dire? Che gli avrei concesso il mio unico bene? Che, in cambio della purezza del mio corpo, un paradosso considerando il fango della miseria in cui sguazzavo, avrei ricevuto del denaro?
Per l’ennesima volta, la mia lingua si annodò.
Avrei dovuto parlare in modo suadente, allusivo, nella speranza di poter attirare l’attenzione di quella persona…ma la mia ingenuità e mancanza di fermezza mi impedirono di andare oltre.
La bellezza di quello sconosciuto aveva annichilito ogni possibilità di giudizio da parte mia. Sembrava che, improvvisamente, fosse apparso, davanti ai miei occhi, l’arcangelo Michele, pronto a difendermi dalle angherie del mondo. Non era una semplice bellezza…e questo riuscivo a vederlo pure io, malgrado la semplicità della mia vita. Era come se quella persona splendesse di una qualche luce interiore…non so spiegarmi bene su questo punto. Neppure ora riesco a definire con esattezza i sentimenti provati in quell’occasione perché non ebbi, in proposito, altre esperienze.
Guardavo quel viso magnifico, perdendomi in mille fantasticherie, a metà strada tra la venerazione e l’infatuazione.
Lo sconosciuto, per parte sua, mi fissava stranito, mentre, da dentro la carrozza, udivo delle risatine soffocate malamente.
Quel rumore, appena impercettibile, aumentò il mio nervosismo.
Cosa avevo sbagliato questa volta? Ripensai alle parole che avevo pronunciato…e mi sentii morire di vergogna. Mi ero comportata in modo assolutamente ingiustificabile, senza alcuna forma di buon senso. Inevitabilmente, nella mia testa, risuonarono gli insegnamenti della mamma. La tensione e la crescente angoscia per le sofferenze patite, insieme ai dolori recenti, si accumularono improvvisamente nel mio cervello. Stavo nuovamente rigettando l’esempio di quella donna che, malgrado le ristrettezze, aveva fatto il possibile per non farci mancare niente.
Non so spiegare bene cosa accadde.
Il fatto è che avevo accumulato dentro il mio cuore tutto il dolore di quei giorni, senza alcuna possibilità di sfogo. Dover prendere tutto sulle mie spalle, dalla mamma a Jeanne, era forse davvero troppo per me.
Scoppiai a piangere così, senza un come, un quando o un perché.
Tutte quelle responsabilità erano davvero troppe per la mia fragile persona e, per la prima volta, dopo molto tempo, potevo finalmente dare sfogo a tutta l’angoscia del mio futuro incerto.
Che cosa ne sarebbe stato della mamma, se io non fossi tornata? E che cosa sarebbe stato di me, quando Nicole avrebbe lasciato il mondo dei vivi?
 
 
 
Improvvisamente, tutta la cattiveria di Jeanne mi parve acquistare un senso.
 
 
- Come vi chiamate?- chiese il bellissimo giovane, dopo aver dato un pizzicotto al ragazzo che viaggiava con lui.
A quella domanda, caddi quasi dalle nuvole.
-Rosalie- risposi automaticamente.
Il nobile sorrise.
-Bene, Rosalie- fece, con quella voce bassa e carezzevole- datemi il palmo della vostra mano.-
Feci come mi chiese, vinta dalle maniere cortesi di quella persona. Quegli occhi, così belli e permeati da una luce sincera, pura come il cielo sereno mi fecero dimenticare tutto.
-Prendi questa per comprare le medicine per tua madre.- disse…e nel medesimo momento, qualcosa di freddo e metallico cadde nella mia mano.
La guardai senza capire.
Che cosa significava quel gesto?
-Ma, intendete quindi…- iniziai, senza aver la forza di ribattere. Che avesse intenzione di accettare la mia tremolante richiesta?
Di nuovo il panico si impossessò di me…ma fu un momento assai breve. Una risata bassa e cristallina al tempo stesso ruppe quell’istante di vergogna. – Siete molto graziosa, mademoiselle Rosalie- fece, con una punta di divertimento che allora non riuscii a capire – ma io non ho…né tantomeno posso, avere questo tipo di preferenze. Se vi faccio questo dono è perché sono del parere che voi ne abbiate davvero molto bisogno. Solo una figlia così devota a sua madre se ne andrebbe in giro, a quest’ora, per chiedere sostegno. Considerate questo regalo come un premio per l’affetto che nutrite per lei…e ora tornate a casa, o la farete preoccupare.-
Detto questo, ordinò al cocchiere di proseguire il cammino.
La luce volò via, lasciando spazio al buio.
 
Non so quanto tempo rimasi su quella strada. La carrozza era sparita da un pezzo…ma le mie gambe non volevano saperne di muoversi. Erano lì, serenamente piantate in terra, come le radici di un albero. Gli occhi invece fissavano allarmati ciò che conteneva la mia mano.
Aprii lentamente i palmi, salvo poi richiuderli di scatto.
Lo feci varie volte ma non riuscivo a convincermi della realtà dell’accaduto.
Una moneta d’oro
Non era possibile.
Una moneta d’oro
Per quanto tempo, la mamma ed io saremmo andate avanti, grazie a quel soldo?
Una moneta d’oro
Era la prima volta che ricevevo un denaro del genere. Non ne avevo mai visti ed una parte di me si chiese come nascondere una presenza simile alla mamma. Sapevo, infatti, che soldi del genere erano fuori dalla portata di persone umili, quali eravamo io e Nicole. Quel pensiero, tuttavia rimase in un angolo, in minoranza rispetto alla tempesta di emozioni che mi stava scuotendo nel profondo. Date le mie modeste origini e l’incontro con quel nobile aristocratico sbronzo, avevo sviluppato un’assai bassa opinione dei nobili. Esseri avvolti da bellissimi vestiti, immersi in un mondo splendente e privo di difficoltà e privi di ogni decoro e freno, data la mancanza di limiti a loro concessa.
Opinioni che ora trovo assai parziali…ma tutto questo, in fondo, era comprensibile. Non conoscevo niente di quel ceto e, ad essere onesta, nessuno degli aristocratici benestanti avrebbe mai messo piede nel quartiere in cui ho vissuto durante la mia infanzia.
Il nobile che mi aveva gentilmente donato quella moneta era lontano miglia e miglia dall’idea che la mia mente acerba aveva concepito. Mi aveva trattato con rispetto e, cosa non trascurabile, la sua generosità era stata assolutamente disinteressata…e tutto questo mi dava da pensare.
 
 
Quando ero una bambina magra e stenta, con un visetto smunto e due occhi troppo grandi, mi recavo ogni sabato dal prete, per la lezione di catechismo, insieme agli altri bambini poveri del quartiere.
Il parroco, anima pia e semplice, era solito metterci in guardia dalle tentazioni del diavolo. Attenti alla bellezza esteriore! era solito dire, quando raggiungeva l’apice dei suoi sermoni domenicali.
Onestamente, non avevo mai compreso la natura delle sue prediche. Pur potendo accettare che il diavolo poteva assumere un aspetto magnifico, come potevo riuscire a distinguerlo dalla vera bellezza degli angeli? Non avevano anch’essi l’avvenenza?
Una volta, lo chiesi al prete, al termine della lezione, quando tutti i bambini erano ormai usciti e non potevo così temere di essere derisa.
Ricordo che il religioso mi guardò a lungo, come se fosse incerto sulle parole da dire.
Non vi sono risposte vere e proprie, piccola Rosalie mi disse, sorridendo lieve la bellezza degli angeli ha una natura diversa dalla nostra. La bellezza non è solo frutto dell’attrazione dei sensi…non quella vera almeno. Quella deve percuotere l’anima della persona, portarla ad un rapimento mistico ed insieme estatico… cosa che è un’arte che il diavolo non è in grado di fare.
Quando sentii quel discorso per la prima volta, pensai che il prete volesse prendermi in giro. Cosa poteva saperne lui, che non aveva la possibilità di amare una donna per via dei suoi voti? Lo guardai stizzita e, dopo avergli dato del bugiardo, corsi da Jeanne che mi aspettava spazientita al cancello della chiesa.
L’incontro con il nobile dai capelli d’oro, tuttavia, mise in discussione molti dei miei pensieri. Mi ero convinta che la bellezza ed il bene non correvano per la stessa via e che ogni animo pio dovesse evitare l’avvenenza fisica, non essendo in grado di distinguere quella buona dalla cattiva.
Per giorni, quando ero presa dalla mia solitudine, pensai a quel viso perfetto, a quelle iridi celesti e a quella chioma di sole…e più ci pensavo più il mio cuore batteva impazzito.
Non aveva preteso niente da me, limitandosi ad ascoltarmi.
Mi aveva dato una moneta d’oro, forse una delle tante che possedeva, in maniera del tutto disinteressata.
Non riuscivo a credere a quello che mi era accaduto.
Rosalie, Rosalie mi ammonivo, senza troppo convincimentonon capisci che sono fantasie senza senso? Tu sei povera e sciatta…nessuno si accorgerebbe mai di te, quando lo imparerai?
Mi dicevo che dovevo smettere di fantasticare ogni possibile, futuro incontro, che dovevo lasciare ogni immagine fasulla di una futura vita insieme ad una persona tanto bella. Io non ero niente, mentre lui era un nobile. Senza rendermene conto, quel giovane dai capelli d’oro entrò nella mia mente, ben deciso a non andarsene più.
 
In realtà, mi sbagliavo su molte cose.
Certo, non erravo sul fatto che l’amore che provavo per lui fosse autentico…ma ciò non metteva da parte il mio sbaglio.
E cioè che non potevo amare quella persona nella maniera che credevo…e non certo per motivi di rango… e che non era vero che non l’avrei mai più incontrato.
Avevo fallato in modo assolutamente completo…ma ancora non ne avevo consapevolezza. Continuavo a fantasticare sul semplice ricordo di quell’incontro, quasi da favola, ignorando volutamente, per una volta, la mia realtà.
Per un breve momento, nel periodo più buio della mia giovane vita, era apparsa una splendida luce, pronta a darmi speranza e che, a differenza degli angeli e dei santi della Chiesa, aveva fattezze assai terrene…e così, presa dalle sensazioni che il ricordo ancora mi suscitava, cedevo alle carezze dei sogni della mia giovinezza e alle speranze che, in cuor mio, ancora non avevo abbandonato.
Per la prima volta, ero di nuovo serena, convinta che quell’incontro fosse un segno del destino, la fine delle mie miserie…e, in un certo senso, era vero. Il Signore aveva voluto mettermi sulla strada una figura di riferimento per il mio futuro.
 
 
 
 
 
 
 
Peccato che fosse una donna.
 
Questo è il nuovo capitolo. Spero che vi sia piaciuto. A presto.

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Capitolo 10
*** La ruota della Fortuna dei miseri gira sempre allo stesso modo ***


Benvenuti a questo nuovo capitolo della fic. E’un periodo molto impegnativo ma, se tutto va bene, potrò riprendere più regolarmente gli aggiornamenti di questa storia. Intanto vi lascio questo breve pezzo.
 
LA RUOTADELLAFORTUNA
DEI MISERI
GIRA SEMPRE ALLO STESSO MODO
 
La ruota della Fortuna dei miseri gira sempre allo stesso modo era solito dire un vecchio saltimbanco che aveva preso alloggio in un vicolo poco distante dalla mia dimora.
Era di origini gitane ed aveva deciso di risiedere in una stradina sporca e maleodorante, piuttosto che rimanere nell’accampamento insieme ai suoi simili. Mia madre lo disprezzava e lo stesso Jeanne che non amava le sue parole…a me, invece, stava simpatico. Non lavorava, certo, ma non aveva fatto del male a nessuno. In breve tempo, la sua presenza iniziò ad essere tollerata sempre di più, tanto che alla fine nessuno fece più caso alla sua razza, al colore della pelle e alle abitudini bizzarre.
Una volta, mentre tornato a casa, con un sacchetto di patate, lo incrociai per la strada. Stava fissando il cielo e pareva pensieroso.
-La ruota della Fortuna dei miseri gira sempre allo stesso modo- mormorava, grattandosi incerto i capelli.
-Perché dite in questo modo?- domandai, inclinando la testa.
Lo zingaro mi guardò.
Portava un vecchio e coloratissimo cappellaccio giallo e vesti altrettanto variopinte. – Voi siete la figlia più piccola della stiratrice?- chiese a sua volta.
Io annuii, tentando di mettere da parte l’irritazione data dal fatto che la mia richiesta era stata ignorata. – Voi per il momento siete molto piccola…-lasciò cadere questo, poi il suo sguardo si illuminò- avete dei sogni?-
A quella domanda, non seppi cosa dire. Mia madre ci spronava ad avere sempre la testa sulle spalle, a non fare sciocchezze, inoltrandoci in spazi poco noti alla propria esperienza…ed ora, dopo aver ricevuto le più varie e dolorose sferzate del destino, sono sempre più convinta che avesse ragione, anche se le sue parole era irrealizzabili…in particolare quando la volontà di non cedere alla miseria era sempre piuttosto forte.
- I sogni sono importanti per chi vuole fare- continuò sibillino- ma diventano pericolosi quando si trasformano nella ragione stessa della propria vita. Io ho pagato per questo mio comportamento, sapete?-
-Perché abitate in questo vicolo lercio e non con i vostri simili?- chiesi.
Il gitano ridacchiò.
-Io sono un nomade- rispose- ma dovete sapere che la comunità gitana è molto chiusa…quasi quanto le classi sociali di questo Paese. Tempo fa, entrai in disaccordo con il mio genitore e, avendogli mancato di rispetto, venni cacciato. Avevo detto che dovevamo adattarci alle usanze francesi, almeno per evitare di essere oggetto di qualche ritorsione da parte dei parigini…ma mio padre non ha voluto ascoltarmi. In qualche modo, mi sono praticamente esiliato da solo.-
-E cosa avete fatto allora?- domandai.
Aveva un lieve accento straniero, forse spagnolo, ma il particolare era tanto leggero da essere impalpabile.
-Ho iniziato a girare per la Francia. Le parole di mio padre sono giuste ma è necessario conoscere la Francia, se si vuole sopravvivere. Un popolo può essere conservatore quanto desidera ma è sempre immerso nel Mondo, non credete? Ognuno deve conoscere le sue leggi, se non vuole soccombere.- rispose, sfregandosi il mento aguzzo.
Ancora non lo sapevo, ma quel gitano aveva sentito le parole di Diderot e di alcuni dei maggiori esponenti della nuova corrente dei Lumi…non so come e in quale occasione ma tempo dopo, riscoprii quei discorsi nelle opere di questi intellettuali.
- Mi dispiace- risposi- ma non capisco ciò che dite.-
Lo zingaro ridacchiò.
-Ditemi, ragazzina- fece- siete davvero certa che le cose di questo Paese miglioreranno con i nuovi sovrani?-
Io non dissi niente.
L’uomo rise più apertamente. –Non volete parlare, eh?- continuò ironico- Bhè, non posso biasimare il vostro silenzio. La ruota della Fortuna non è fatta dalle mani degli uomini e, per tale ragione, non può essere maneggiata. –
- Ma i nobili e la regina possono fare qualcosa per la Francia, per la povera gente. Loro hanno il potere per farlo.- ribattei.
Il nomade scosse il capo.
- Quello che dite è molto bello- rispose, stroncando la mia posizione- ma anche eccessivamente ingenuo. I nobili hanno la Fortuna particolarmente benevola ma perché fosse così per loro, vi si sono prostituiti completamente, sacrificando ogni cosa per il mantenimento di questo stato di cose. Non hanno interesse verso la povera gente. La Fortuna e la ricchezza sono beni limitati nella loro essenza e, sfortunatamente, non possono essere condivisi…spesso nemmeno per colpa dell’egoismo dei nobili. Se questi infatti continuano a condurre questo tipo di vita è perché voi ed io, ovviamente, stiamo sguazzando nella miseria. Perché noi possiamo vivere meglio, sarebbe necessario che aristocratici e preti rinuncino ad un simile benessere…credete che lo farebbero?-
Me ne rimasi silenziosa in un angolo.
Le parole del viaggiatore entravano nella mia mente, incidendosi dentro come se fossero epigrafi. Dovetti ammettere che aveva ragione. Sebbene la mia visione del mondo fosse piuttosto limitata, non mi sfuggivano questo genere di cose.
- La Fortuna – proseguì il gitano- è indifferente allo stato sociale delle persone e, anche se queste hanno ricchezze e privilegi diversi, giunge per tutti il momento di fare i conti con lei. I miserabili lo fanno però più spesso e hanno meno strumenti per controbattere i suoi colpi…forse è questa la differenza, anche se ci sono momenti in cui, prima o poi, bisogna affrontare il peso delle proprie azioni, in un modo o nell’altro.-
Non so perché successe, ma quelle parole mi ritornarono alla mente il giorno in cui la mia vita subì l’ennesimo, brusco cambiamento. Il loro suono, tuttavia passò in sordina, sommerso dal dolore che rischiò di sbriciolare ogni fibra del mio cuore, straziato dall’ennesimo e definitivo abbandono: la morte di mia madre.
 
 
 
Dopo l’incontro con il nobile dai capelli d’oro, quel ricordo, per chissà quale strano motivo, tornò improvviso alla mia memoria.
Avevo ancora con me la moneta d’oro che mi era stata donata e, forse per via della preziosità del metallo, mi ero convinta di essere invincibile. Continuavo a vivere nella minuscola casa sotto alla strada, con il costante rumore delle carrozze che passavano sopra di me, con gli schiamazzi dei ragazzini che giocavano intorno…eppure l’idea di avere qualcosa di così alto valore mi stava donando una grande sicurezza.
Avevo come l’impressione che tutto potesse andare meglio, che la mia povertà non fosse più qualcosa di insormontabile. Ancora adesso mi stupisco di come il mio umore cambiasse così rapidamente, per via di cose tanto piccole.
Bastava davvero un’inezia per cambiare lo stato d’animo del momento.
Le parole del nobile dai capelli d’oro, tuttavia, avevano infuso in me una profonda speranza. Non potevo rimanere a lungo in quel modo, a piangermi addosso per via dell’egoismo di Jeanne e a tenermi tutto questo dentro, per non angosciare la mamma. Avevo la sua vita sulle mie spalle e l’autocommiserarsi non era degno di me.
Dopo quell’avventura, smisi di provare la via dell’elemosina e mi dedicai un po’di più alla mamma. Qualche vicina di buon cuore ci lasciava alcuni avanzi, un vero dono per noi, considerando che non avevo un lavoro solido.
-Rosalie- mi fece un giorno Nicole – vedo che ti stai impegnando molto.-
Ero immersa nella pulizia della stanza e, sentendo le sue parole, quasi caddi dalle nuvole. –Grazie- risposi, riprendendo a spazzare. Avevo un po’di fretta quel giorno ed in cuor mio avrei sperato che continuasse a riposare. Dovevo uscire e non mi sentivo tranquilla, sapendola sveglia.
- Avrei dovuto fare molto di più per te e Jeanne- fece mesta- forse, ora, non saremmo a questo punto, se io non mi fossi ammalata.-
Mi voltai di scatto.
Nicole aveva il viso basso e le spalle curve, eppure riuscivo lo stesso a vedere il luccichio delle sue lacrime, che lottavano per scivolare via dagli occhi. – Sono davvero una sciocca- continuò tremando- ad aver avuto la presunzione di potermela cavare con le mie sole forze…-
Lasciai cadere la scopa.
- Non dovete dire in questo modo!- esclamai, correndo al suo letto- Voi avete dato moltissimo a Jeanne e a me. Ci avete insegnato tante cose, non potete lasciarvi andare così…non è da voi!-
Nicole mi guardò, studiando critica il mio viso.
- Forse hai ragione- sorrise, scuotendo la testa- sto invecchiando e comincio a farmi prendere da pensieri che non fanno bene né a me né a te. Non mi sto prendendo le responsabilità che ho accettato e non ti sto dando un buon esempio…che donna sciocca e insulsa avete, piccola mia! A volte, mi chiedo come il Cielo abbia voluto che un angelo come te, meritevole di ben altro, sia finito nella mia casa!-
La abbracciai di getto, felice delle sue parole. Nicole aveva sempre avuto molte più attenzione per Jeanne. Pur volendo bene a entrambe, la disobbedienza di mia sorella aveva spinto mia madre a seguirla con un occhio maggiore rispetto a me, che non le avevo mai dato troppe preoccupazioni. Era molto raro che esternasse i suoi sentimenti in quel modo. –Non dovete dire così!- esclamai, commossa – è naturale che io mi impegni per voi. Sono vostra figlia ed è normale che io faccia il possibile per non darvi dispiacere…siete mia madre, in fondo!-
Detto questo, affondai nel suo petto, beandomi di quel momento di coccole. L’abbraccio di Nicole si fece in un primo momento rigido. –Sì- rispose debolmente, sciogliendo alla fine il corpo da quell’immobilità - hai ragione Rosalie, piccola e cara, carissima Rosalie.-
 
 
Chiusi la porta senza fare troppo rumore, con l’animo ancora scosso per quanto accaduto poco prima. La mamma, dopo quell’abbraccio, aveva iniziato silenziosamente a piangere, fino a quando, troppo stanca per fare anche quello, si era addormentata.
L’avevo lasciata fare… e un po’ me ne pentivo.
Nicole aveva ceduto alle lacrime non appena io mi ero allontanata. Era chiaro che non volesse mostrarmi troppo la sua debolezza e che, nel profondo del suo cuore, ero sempre la sua bambina. Non voleva rendermi partecipe del suo dolore…e questo mi rattristava. Avrei voluto che si fidasse un po’ più di me…ancora non conoscevo la natura del peso di mia madre.
Data la situazione in cui ci trovavamo, dovevamo contare l’una sull’altra…eppure Nicole non sembrava intenzionata a cedere su quel punto. Come se vi fosse qualcosa d’infinitamente doloroso che non voleva mostrarci.
Gemetti frustrata a quel pensiero.
Rosalie, non è il momento per chiedere alla mamma il perché di quel pianto! mi dissiDevi sorridere e mostrarti ammodo, oppure non avrai un lavoro.
 
 
I quartieri poveri non offrivano molte mansioni per una ragazzina, a meno che questa non volesse rinunciare al decoro e si accontentasse di una paga misera…cosa che io non potevo permettermi. La mamma stava sempre peggio. La tosse non le dava più tregua e non riusciva più ad alzarsi agevolmente dal letto.
Avevo bisogno di uno stipendio solido e sufficiente per mantenere entrambe.
Iniziai così a vagare per i negozi delle vie più rispettabili, chiedendo se avevano bisogno di una commessa. L’esperienza presso la perpetua aveva migliorato le mie capacità di sarta, cosa che poteva essere utile affinché qualcuno decidesse di darmi una possibilità.
Alla fine, i piedi mi portarono da Madame Bertin.
Era una delle botteghe più attive in quel periodo. La proprietaria, grazie ai suoi modelli eccentrici, si era accattivata le simpatie della regina, moltiplicando così la propria clientela. Del resto, non c’era da stupirsi. A Parigi, si diceva che chi entrava nelle grazie dell’austriaca, aveva praticamente la strada spianata…e guardando quella sarta, non si poteva che dare ragione a queste voci.
Chiesi di parlare con la responsabile delle commesse, per sapere se avevano un posto per me.
Madame Bertin era molto esigente sul tipo di commesse del suo negozio: non solo dovevano essere ottime lavoratrici ma anche un modello specchiato di virtù.
Su questo punto, avevo qualche dubbio.
Malgrado la mia purezza fosse ancora intatta, era anche vero che avevo quasi ceduto, sul piano delle intenzioni, alla possibilità di guadagnare qualcosa vendendo il mio unico bene.
-Sì- disse la donna, smentendo tutte le mie incertezze- abbiamo un posto. Passa la prossima settimana qui all’alba. La padrona tornerà qui da Versailles e ti darà maggiori dettagli.-
 
 
La via del ritorno mi sembrava stranamente più bella rispetto a quella mattina.
-Ho un lavoro. Ho un lavoro. Ho un lavoro- ripetevo a bassa voce, mentre un sorriso euforico si era stampato sul mio viso da alcuni minuti. Non potevo credere a quello che mi era successo. Quell’impiego avrebbe permesso alla mamma e a me di non avere più la miseria continuamente alla porta. Nicole avrebbe avuto delle cure mediche migliori ed io, finalmente, avrei potuto cominciare a mettere da parte qualcosa per il mio futuro.
Data la sventura in cui ero caduta, non avevo più pensato alla mia dote.
Era giunto il momento di pensarci.
In verità, non avevo molta voglia di sposarmi. Eppure era inevitabile, soprattutto perché era impensabile per me vivere in modo completamente autonomo. Non era rispettabile e, non avendo altri a parte Nicole, mi sarei trovata prima o poi sola.
Qualcuno aveva detto che lavorare presso Madame Bertin rappresentava un buon biglietto da visita per essere un degno partito.
A quel pensiero sorrisi.
Chissà che volto avrà il mio sposo? mi domandai…e subito, in maniera del tutto inattesa, comparve il viso del nobile biondo. Arrossii di conseguenza, mentre il cuore aveva preso a battere furioso. Risi, quasi senza motivo. –Non farti illusioni- mi ammonii, scherzando- sei una plebea, povera per giunta. Non si interesserà mai a te, sebbene abbia sicuramente un buon cuore.-
A quelle parole, mi fermai.
Ero in mezzo alla strada, eppure non me ne curavo troppo.
Una tristezza improvvisa prese possesso del mio cuore. Sapevo che quel nobile biondo non mi avrebbe mai guardato come avrei voluto…lo capivo benissimo. Mi basterebbe sposare un brav’uomo che si prenda cura di me e della mamma, che non beva eccessivamente e che non alzi le mani su di noi…non chiedo altro. mi risposi, tentando di essere razionale…eppure, la tristezza rimaneva. Che fine avevano fatto i miei sentimenti?
 
-ROSALIE!- esclamò una voce agitata, scuotendomi dai miei pensieri.
Alzai la testa e vidi una vicina correre verso di me.
-ROSALIE!- continuò, pallida come un cencio- Rosalie, è successa una disgrazia!-
La guardai, mentre questa accorciava le distanze.
-Tua madre…tua madre- iniziò a dire…e a quelle parole le mie gambe si mossero da sole. Iniziai a correre all’impazzata, verso la direzione indicatami. La donna non mi disse altro, ancora sconvolta dall’accaduto ed io, con il cuore gonfio d’angoscia, non volevo perdere tempo.
Superai a perdifiato alcuni caseggiati, fino a quando non raggiunsi la via…ed il mio cuore si fermò.
Mia madre giaceva immobile sulla strada.
Perché è lì? fu il mio pensiero. Portava ancora la camicia da notte…possibile che non sentisse il freddo? –MAMMA!- urlai, raggiungendola.
La presi tra le mie braccia, stringendola delicatamente a me.  – Mamma- continuai tremando- che cosa ti è successo?-
- Questa vecchia stava attraversando la strada ed è finita sotto le ruote di quella carrozza.- disse un passante.
A quelle parole, ebbi un sussulto e, solo allora, alzai la testa e la vidi.
Si trattava di un mezzo appartenente a qualche nobile casato, come dimostrava l’araldo dipinto sullo sportello. Non si era allontanata…ma non dovevo stupirmene. Dopo aver investito Nicole, era rimasta imbottigliata dalla massa di gente che, attirata dalle urla dei passanti, era uscita dalle case, bloccandole il passaggio.
Un caso assolutamente fortuito.
In circostanze normali, avrebbe ripreso il suo cammino senza indugio alcuno e questo contrattempo sembrò disturbare la persona a bordo.
-Insomma!- esclamò, affacciandosi un po’ alla finestra- Quando sarà libera la strada?-
-Signora…-rispose imbarazzato il cocchiere- riprenderemo il viaggio non appena possibile. Ho mandato a chiamare la guardia metropolitana ed ora risolverà il problema.-
-Me lo auguro- ribatté la dama.
A quelle parole, scattai.
-Voi- dissi, tremando- voi avete investito mia madre!-
La dama non rispose.
I soldati, intanto irruppero nella strada, mandando via le persone in mezzo alla via. Presero a bastonate alcuni che si opponevano e, in breve, si creo lo spazio. Io la guardavo, allibita dall’insensibilità di quella persona. Come era possibile che esistesse una persona dotata di una simile miopia?  Nemmeno i tagliagole che talvolta giravano per strada avevano una tale ipocrisia.
-Come potete andarvene in questo modo, sapendo che avete ammazzato una persona? CON QUALE CORAGGIO, CONTINUATE LA VOSTRA VITA, SAPENDO QUANTO AVETE FATTO?- urlai, mentre tenevo mia madre tra le braccia.
-La signorina ha ragione- disse una seconda voce- voi avete investito una persona bisognosa di cure e non mostrate alcun interesse per la cosa. Quello che avete fatto è un crimine!-
A quel grido, calò un improvviso silenzio.
Nessuno fiatava.
-Non so di cosa stiate parlando- disse la donna, senza affacciarsi- quella miserabile non ha fatto la dovuta attenzione ed è esclusivamente colpa sua se ora è in queste condizioni. Se avete da lamentarvi, venite a Versailles.-
Con quelle parole, la carrozza ripartì.
La guardai andarsene.
Quel moto placido.
Quel rumore regolare.
Quella superficie liscia e decorata.
I miei occhi non si staccarono dalla strada, fino a quando la sua scia sparì all’orizzonte.
Un mugolio attrasse la mia attenzione.
-Ro…Ro…Rosalie- rantolò una voce.
Abbassai la testa ed il mio cuore ebbe un guizzo.
-Mamma!- esclamai- Mamma!-
Nicole aprì debolmente gli occhi.
-Sei…sei tornata- disse, sorridendo a fatica- …mi stavo preoccupando, sai?-
-E invece sono qui!- le risposi- Ho trovato un lavoro, sai?-
-Avrei preferito rivedere anche tua sorella…-continuò, fissando apatica il cielo- se ora si trova nei guai, la colpa è mia.-
Scossi la testa.
-Non ti preoccupare- feci- devi pensare a riprenderti…ora chiameremo il dottore…-
Nicole mi guardò.
-Rosalie- mi rispose- cara piccola Rosalie, sei stata il mio angelo custode in questi giorni. Non ti ringrazierò mai abbastanza per quello che hai fatto per me. Se tua madre, ti avesse tenuto…chissà quanto sarebbe stata orgogliosa di averti accanto.-
A quelle parole, sbiancai.
-Ma…cosa…- balbettai.
Nicole sorrise stanca.
-Rosalie, io ti ho amato come se tu fossi figlia delle mie viscere…come Jeanne. La verità…però…è un’altra.- rispose- Tua madre è viva… è una nobile…e si chiama Martine Gabrielle. Ti ha affidato…a me…perché…non poteva. Rosalie…non è vero che sono tua madre. Non ti ho messa al mondo io…ma ti ho amato tanto…come ho amato tua sorella. –
-Mamma- dissi- che stai dicendo?-
-La verità…- rispose con un sospiro-su tua madre…l’unica cosa su cui ho mentito…ti voglio tanto bene ed ho cercato di darti tutto quello che potevo…ma questo non è il tuo mondo…perdonami-
A quelle parole, chiuse gli occhi.
La chiamai molte volte, con voce sempre più disperata…ma mia madre non si svegliò più.
 
 
Con un po’di fatica, riportai Nicole in casa e, dopo averle messo i vestiti migliori, la preparai adeguatamente. I vicini chiamarono il prete e, rapidamente, venne celebrato il funerale della donna che mi aveva messo al mondo.
Io stessa composi il suo corpo, dedicandogli ogni attenzione possibile.
Ascoltavo l’omelia funebre che il prete recitava. Una serie di formule in latino, una lingua per me incomprensibile e dal sapore oscuro…e mi sembrava tutto impossibile e assurdo. Non potevo credere che la mamma fosse morta…malgrado vedessi la bara di fronte a me.
Avevo speso ogni mio avere per dare a Nicole un funerale decoroso.
Non possedevo più niente…eppure, malgrado tutto, non riuscivo a sentire niente in proposito. Ogni cosa spariva di fronte alla sensazione che la carne mi veniva tolta dalle viscere…quello che percepivo nel momento in cui la cassa veniva condotta fuori dalla chiesa, per essere portata nel cimitero. Avevo dato ogni mio avere, per impedire che la mamma fosse gettata in una fossa comune. Un paradosso, se pensavo che rispetto a lei, umile popolana, avesse una propria tomba, mentre mio padre, nobile decaduto dei Valois, era stato gettato, in tutta fretta,  nella fossa comune.
Al funerale della mamma, parteciparono tutti coloro che avevano avuto a che fare con lei, comprese le lavandaie. Mi rivolsero tutte parole di conforto…ma io mi schermii dalle loro attenzioni. 
Avevano abbandonato la mia famiglia al proprio destino e, malgrado fossi sommersa dal dolore, non riuscivo a non essere fredda con loro. Sapevo che erano tempi difficili per tutti e che loro avevano provato ad aiutarmi, finché avevano potuto…ma non ce la facevo. Non mi era possibile nemmeno arrabbiarmi.
Mia madre era morta.
Mia madre era morta e loro non avevano tenuto fede fino in fondo alla loro amicizia nei suoi confronti. Il denaro aveva vinto…e quel tardivo rincontro non poteva non avere per me un sapore amaro e bilioso…ma, come si dice? La morte ha, alle volte, il beffardo dono di riunire elementi, nella vita, assai divisi.
 
 
Il vento soffiava tra i miei capelli, scompigliandoli.
La tomba della mamma era sulla collina, illuminata dal sole. Perlomeno, adesso, non stai più in un luogo buio ed umido come la nostra casa. pensavo, tristemente.
-Rosalie- disse una voce.
Mi voltai debolmente.
Era un giovane sulla ventina, alto e dal fisico atletico. Guardai l’abito. Doveva essere un borghese di buona famiglia. –Rosalie- fece dispiaciuto- sono Bernard Chatelet.-
-Bernard?- ripetei.
L’altro annuì.
-Ho visto cosa è successo a tua madre…non se lo meritava.- disse, a testa bassa.
-Grazie- risposi meccanica. Avevo sentito tante formule di condoglianze quel giorno e quel grazie mi veniva ormai automatico. Era una semplice parole che tuttavia diventava efficacissima per soddisfare le persone attorno a me ed essere lasciata in pace.
Chatelet, però, sembrava avere altri progetti.
- Senti- continuò, un po’ nervoso- se non hai un posto dove andare…sì, puoi venire a stare in casa con me. Ho una stanza in più e la tua presenza non mi darebbe fastidio. Ora, in questo momento così doloroso…non è bene che tu stia da sola…-
Parlò e parlò…ma io smisi di ascoltarlo.
Non volevo sentire più nulla e non so cosa dissi ma Chatelet se ne andò, triste e pensieroso.
Guardavo la tomba…e pensavo.
Avevo perso la persona più importante della mia vita, per colpa di una nobile senza cuore. Non l’avevo vista bene in volto ma ricordavo alcuni particolari. Una donna bionda, con un vestito a fiori.
“Se volete incontrarmi, andate a Versailles ad esporre le vostre lamentele” aveva detto, seccata da quel contrattempo.
In quel momento, presi la mia decisione.
Sarei andata a Versailles.
Avrei incontrato quella donna.
Avrei vendicato la mamma e, poi, finalmente, sarei tornata da lei.
Per sempre.
 
Allora, in questo capitolo, Rosalie perde la mamma.
Ho cambiato un po’di cose, rispetto alla versione dell’anime ma spero che le modifiche vi siano piaciute. Povera Rosalie! Prima di tutto ringrazio chi mi legge. Malgrado sia estate, ci sono dei coraggiosi che continuano a seguire la storia e non posso che esservi grata per questo. Intanto, vi lascio appuntamento al prossimo capitolo. Come vedete, è una fic molto dura. La protagonista è quasi granitica, rispetto alla versione della Ikeda. La nozione drammatico era d’obbligo ma cerco di non sfiorare mai il patetico.
 
A presto!

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Capitolo 11
*** Non era Versailles ***


Bene, io sto sguazzando nel greco …gli esami di luglio sono una vera piaga…VOGLIO LE VACANZE!
 
OK, torniamo con i piedi per terra. Nel precedente episodio abbiamo visto la morte di Nicole. Come avete visto ho apportato alcune modifiche. La madre adottiva di Rosalie, in questa fic non muore per strada ma nella propria casa…le ho dato una dignità in più, anche se il succo non cambia.
Rosalie ha perso tutto ed ora vuole andare a cercare quella donna. Il personaggio di questa fic è piuttosto duro, rispetto all’immagine che la Ikeda ci ha lasciato. Qui è una ragazza del popolo e, come tale, con una durezza di fondo che la allontana dai nobili. Ora vi lascio a questo nuovo capitolo e vi ringrazio per avermi letto fino ad ora.
ps. ho aggiornato il cavaliere nero!  
NON ERA VERSAILLES
 
La decisione di lasciare tutto nacque in modo spontaneo, come un fiore di campo in mezzo al fango. Quella carrozza si era portata via tutto il mio mondo, a dimostrazione di quanto la vita di noi miserabili fosse necessaria ed insignificante al tempo stesso per i parassiti che si arricchivano sulle nostre anime.
Dopo aver sepolto la mamma, guardai spaesata quei quattro muri che, un tempo, erano stati la mia casa. Il buio inghiottiva ogni angolo, ogni possibile sprazzo di luce che potesse mostrare gli interni. Più fissavo quel luogo, più l’angoscia prendeva possesso di me. La mia casa, il posto in cui avevo vissuto per tutta la mia infanzia e giovinezza, appariva ora ai miei occhi in modo del tutto diverso dal giorno prima.
Non era più il sereno rifugio dal mondo ostile che mi gravitava attorno, ma una tana nera e vuota, un nido strappato e fatto a pezzi, senza più i suoi abitanti…e, in fondo, non c’era tanta differenza.
Per preparare un funerale all’altezza della donna che aveva fatto l’impossibile per crescermi, avevo speso ogni mio avere e, non essendoci più i risparmi, non potevo più rimanere là. Guardai tutto, imprimendo ogni cosa nella mia memoria, poi afferrai un pugnale e mi incamminai verso la strada, chiudendomi la porta alle spalle.
Chiesi informazioni ad un uomo sul carro.
Come posso fare per raggiungere la reggia di Versailles? gli avevo domandato. Il buon uomo mi aveva fissato con aria perplessa ma ugualmente mi dette le notizie che volevo.
Ragazzina mi fece, mentre mi accingevo ad andarmenearriverai a notte fonda, se vai a piedi.
Mi limitai a salutarlo e, nel più profondo silenzio, mi incamminai verso la mia destinazione.
In altri momenti, se il pensiero di cancellare l’esistenza di quell’assassina, non avesse offuscato la mia mente, avrei tratto un po’ di piacere dalla visione del paesaggio campestre. Avrei perso il mio sguardo oltre le colline, insieme alla mia fantasia di ragazza cresciuta nei quartieri poveri di Parigi.
L’immagine agonizzante di mia madre e della responsabile della sua morte, però, era troppo forte da sconfiggere.
Volevo toglierla di mezzo, allo stesso modo in cui, aveva ucciso vigliaccamente una povera donna malata. Non mi interessava che fosse nobile o meno. Per me, era solo una criminale che si nascondeva dietro ad un araldo, indifferente ai suoi stessi crimini.
Camminai e camminai, con lo sguardo fisso sulla strada.
La vendetta, la vendetta era diventata l’unico scopo della mia esistenza e quel sentimento, così nuovo per me, aveva dato in modo del tutto inaspettato, delle energie al mio corpo e coraggio al mio cuore ferito.
Il buio, come era naturale, calò alla fine, inglobando ogni cosa. Tutti gli edifici e gli alberi che incontravo lungo la via avevano perso le loro forme, diventando un unico elemento con il cielo, sempre più nero.
Poi, alla fine, vidi uno strano bagliore.
Mi fermai un momento, tenendo gli occhi fissi verso quella luce.
In tutta la mia vita, non avevo mai visto niente del genere. Non mi era mai capitato di trovarmi di fronte ad un edificio tanto maestoso e antico. Persino la casa della nobile presso cui Jeanne risiedeva, non possedeva un simile sfarzo. Questa era assai più grande, maestosa e circondata da uno splendido giardino.
-Deve essere Versailles- mormorai- deve essere sicuramente Versailles. La mia corsa è terminata.-
Non poteva essere diversamente. La reggia, secondo il racconto che udivo dai passanti, pareva, agli occhi del viaggiatore, come un mondo di luce che compariva improvvisamente dal nulla…e quella villa aveva queste caratteristiche. Con le sue lanterne sfolgorante, pareva voler sfidare lo stesso ordine del Cielo.
 
 
 
Superata la sorpresa inevitabile, mi avviai verso il cancello, rimasto aperto per motivi che ignoravo.
Il palazzo era circondato da un giardino di cui non riuscivo a vedere la fine.
Ero ancora incerta su come muovermi, quando sentii il rumore di una carrozza. Subito mi nascosi tra i cespugli. Il mezzo mi passò accanto, per poi fermarsi di fronte all’ingresso. Lo sportello si aprì e scese un uomo.
-Ecco- fece gentile e preoccupato- appoggiatevi a me.-
-Ti ringrazio, Oscar- rispose una voce calma- ma ora mi sento meglio. Mi sono affaticata un po’troppo in questi giorni. Basterà qualche giorno di riposo e mi riprenderò.- Dopodichè scese…e l’ira prese possesso di me.
La dama che vedevo, sia pure di spalle, era bionda ed aveva il vestito a fiori blu.
Gli stessi della donna sulla carrozza di Parigi.
Istintivamente strinsi il pugnale e con una gelida fermezza raggiunsi il mezzo. –Maledetta! Hai ucciso mia madre!Io, Rosalie Lammorliere, ti farò pagare per il crimine che hai commesso!- esclamai, prima di scagliarmi contro di lei.
Quest’ultima si bloccò, preda del terrore ed io approfittai dell’effetto sorpresa per accorciare la distanza.
Volevo ucciderla, volevo cancellare quella persona immonda dalla faccia della Terra…e lo avrei sicuramente fatto, se una mano, comparsa quasi dal nulla, non avesse impedito al mio braccio d’indirizzare la lama verso la sua destinazione.
Era il giovane che aveva fatto scendere la donna.
-Fermatevi. Le vostre accuse non hanno senso perché mia madre ha soggiornato a Versailles in questi giorni ed è tornata qui solo ora. Non può aver commesso quello che dite…ma voi…siete la ragazzina di Parigi!- disse stupita.
Solo allora spostai la mia attenzione verso di lui…e caddi preda di un profondo smarrimento. Era la persona che mi aveva donato la moneta d’oro, senza pretendere da me niente in cambio. – Ma la donna che ha ucciso mia madre era bionda e indossava un abito a fiori blu…-provai a ribattere.
La dama allora si voltò e solo allora mi accorsi dell’errore. Aveva un aspetto maturo e benevolo…ben diverso dalla giovane aristocratica della carrozza che, pur possedendo colori simili, aveva uno sguardo più cattivo.
Il pugnale scivolò via dalle mani, sparendo nell’ombra.
-Ultimamente quel modello di vestito è molto apprezzato dalla regina- osservò la donna- e le nobili, per imitarla ne hanno almeno uno nel loro guardaroba. Immagino che non siate molto abituata…posso quindi capire il vostro errore.-
Caddi in ginocchio e, inevitabilmente, iniziai a piangere. Tutta la pressione di quel giorno maledetto si stava scaricando su di me, sebbene avessi fatto il possibile per non lasciarmi andare.
Cosa stavo per fare? mi dicevo, tremando. Stavo per uccidere una donna che non aveva nessuna colpa.
-Oscar- disse la dama- portiamola dentro. E’una serata molto fresca e potrebbero fare delle domande sul perché questa ragazza è qui.-
Il giovane mi guardò.
-Avete ragione, madre- disse, prendendomi la mano- venite, sembrate stremata. Riposatevi e domani mattina mi spiegherete meglio cosa vi è accaduto.-
 
Quella persona venne a svegliarmi il giorno successivo. –Venite con me, Rosalie- disse, prendendomi bruscamente per il braccio e trascinandomi lungo dei corridoi che non avevo mai visto.
-Dove…dove avete intenzione di portarmi?- balbettai, preda del terrore.
Oscar però non rispose, rafforzando semplicemente la presa.
Confesso di aver avuto molta paura. Quella persona avrebbe potuto punirmi o, peggio, uccidermi senza incorrere in alcuna pena. Avrebbe potuto farlo tranquillamente, soprattutto perché avevo tentato di uccidere sua madre.
Alla fine, mi ritrovai in cima ad una torre.
Solo allora, mi lasciò andare. –Rosalie- disse infine- ieri sera non avete raggiunto Versailles ma ci siete andata vicina. La reggia è quella lì.-
Spalancai gli occhi.
Se il palazzo dove stavo ora mi era sembrato immenso, la dimora dei sovrani superava, per grandezza e magnificenza ogni mia immaginazione. Non riuscivo a credere quello che vedevo. Edifici enormi, che potevano ospitare diverse palazzine del mio quartiere erano dimora di poche persone privilegiate. –Come potete vedere- spiegò il nobile- Versailles è più simile ad una cittadina che ad un edificio vero e proprio. Ieri sera eravate stremata…immagino che siate venuta a piedi da Parigi. Se anche aveste raggiunto la destinazione che vi siete prefissata, di certo non avreste mai eluso le Guardie di Palazzo. Se vi avessero trovato con il coltello…o, addirittura, se aveste trovato la donna e l’aveste uccisa, probabilmente sareste finita in prigione e, considerando che siete del Terzo Stato, avreste pagato con la morte il vostro delitto.-
Sentendo le sue parole, sbiancai.
In verità, sapevo bene a cosa andavo incontro ma, non avendo le conoscenze necessarie, anche il rischio che correvo appariva alla mia debole mente come qualcosa di assai sfuocato. Ora però, sentendo quel discorso così pragmatico, iniziai a sentire il terrore per quello che sarebbe potuto essere. Avevo corso un serio rischio ma non mi sentivo completamente pentita. L’unica mia preoccupazione era di fallire nel tentativo. Non mi restava niente e l’ultima cosa che desideravo era che quel mostro continuasse indisturbata la sua vita parassitaria, incurante dei suoi delitti.
-Ieri non ve l’ho detto- continuò il nobile- ma ora che vi siete riposata, vorrei sapere come sono andate le cose…in modo da potervi offrire l’aiuto che vi serve. Mia madre ed io siamo d’accordo sul fatto che, date le circostanze che vi hanno spinto ad agire, non sia necessario denunciarvi…ma ora, dovete parlare.-
Guardai il giovane di fronte a me.
Alla luce del mattino era ancora più bello. Nulla di paragonabile rispetto a quello che avevo scorto quella sera. Mi commosse non poco sapere che non voleva mettermi in prigione e fu proprio per riconoscenza che raccontati tutto: dalle mie disgrazie, all’incidente, alle ultime parole di Nicole.
Probabilmente, mi persi in numerose farneticazioni, lamentele e frasi patetiche…non ricordo bene quel momento…ma posso dire una cosa. Quella persona non interruppe mai la mia storia. Se ne rimase appoggiata alla colonna e, pazientemente, ascoltò tutto quello che dicevo. Solo quando raccontai della rivelazione di Nicole mutò espressione, facendosi prima sorpresa, poi pensierosa.
Quel particolare scacciò le mie ultime diffidenze su un possibile sospetto da parte sua.
Per la prima volta, dopo molto tempo, sentii il caldo sapore della considerazione…cosa che avevo ricevuto pochissime volte nella mia vita.
-Ascoltate Rosalie- disse infine- io credo alla vostra storia. Da questo momento, sarete ospite della mia famiglia e riceverete tutta l’educazione che si addice ad una nobile. In questo modo, quando sarà il momento, vi presenterò a corte. Ho una certa posizione a Versailles e non sarà difficile inventare le vostre origini. Mia madre ha proposto di farvi passare per una sua lontana parente ed io sono d’accordo con lei. In questo modo, potrete cercare la vostra vera madre e, se la  voglia di vendicare la donna che vi ha allevato non si è ancora placata, potrete farvi giustizia.-
-Grazie- mormorai piano.
Oscar mi guardò duramente.
-Non fraintendetemi- disse severa- non è mia intenzione aiutarvi nell’uccisione dell’assassina della signora che vi ha cresciuto. Non credo nel valore della vendetta. La morte dell’omicida non restituirà alla vita la sua vittima…cercate di tenerlo bene a mente. –
-Ma così facendo- obiettai, un po’intimorita- mi state dando comunque degli strumenti per poter compiere i miei propositi.-
-E’ vero- concesse- ma il mio intento è un altro. Sappiate che qualunque sia la vostra decisione, sul futuro che intendete vivere, dovete avere tutte le nozioni  per poter scegliere adeguatamente. Volete cercare l’assassina di Nicole? E’una nobile e dovete sapere come muoverti. Volete trovare la donna che vi ha messo al mondo? Dovete comunque imparare tutto il necessario per poter essere all’altezza dei vostri veri natali, in modo da poter condurre la ricerca senza commettere troppi errori.-
Lo guardai, senza avere il coraggio d’interromperlo.
-Non ostacolerò nessuna delle vostre decisioni, sappiatelo- concluse, fissandomi intensamente-ma dovete essere pronta per entrambe le scelte possibili e per farlo, affidarvi completamente a me. Ve la sentite, Rosalie?-
Non riuscivo a parlare, incantata da quegli occhi.
Non erano semplicemente azzurri…no. Erano puri come l’acqua e sembravano avere in sé mille sfumature, come se potessero catturare ogni colore. Non so cosa mi fece in quel momento…forse era colpa di quel celeste spaventoso se mi ritrovai ad annuire così, senza pensarci.
 
Non sapevo che quella decisione, presa in modo tanto insignificante, avrebbe determinato per sempre la mia vita.
 
Allora, sto scrivendo il nuovo capitolo della canna e la quercia e spero di pubblicarlo a breve. Rosalie accetta l’aiuto di Oscar, come avviene nell’anime…anche se proposto alla mia maniera. Questa è una storia di formazione di Rosalie che da rozza figlia del popolo si ritrova in un mondo assolutamente diverso. Amo molto i personaggi borderline come la piccola Rosalie e, spero che anche questa storia vi piaccia. A presto.
 

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Capitolo 12
*** Palazzo Jarjayes ***


Allora, prima di tutto, vi ringrazio per avermi letto. Molto gentile da parte vostra. Nel precedente capitolo abbiamo visto l’incontro con Oscar. Rosalie è rimasta affascinata, ovviamente e comincia a costruirsi i propri castelli in aria.
Siete stati davvero molto gentili a trovare del tempo per vedere questa storia e vorrei ringraziarvi per la considerazione che mi avete dimostrato. Il mio ego ve ne è immensamente riconoscente.
 
PALAZZO JARJAYES
 
Oscar non mantenne subito la promessa. Come mi spiegò la governante, una simpatica signora piuttosto in là con gli anni, ero ospite di un nobile con una grande responsabilità nell’esercito, ovvero la protezione del palazzo di Versailles, la cui grandezza rendeva necessaria la presenza di un corpo di guardia apposito.
Dal momento che non sapevo cosa fare, cominciai ad aiutare l’anziana Marons Glacés, chiamata da tutti con il vezzeggiativo di Nanny.
-Oh cara!- esclamò, vedendomi nuovamente in cucina –Ancora non sono pronti i dolcetti di lampone…devi aspettare un’ora!-
Abbassai la testa.
Pur non conoscendomi, aveva accolto la mia presenza in quella casa di buon grado, trattandomi con genuina benevolenza. Oscar le aveva detto che ero loro ospite e lei non aveva fatto domande…un atteggiamento molto strano ai miei occhi. La persona che mi aveva salvato dall’abisso, godeva della stima di tutti e, per quanto circondata da un’aura che non riuscivo ancora bene a definire, non vi era dubbio sulla rettitudine del suo carattere. Poteva essere amata o, cosa per me tuttora inconcepibile, odiata ma nessuno poteva negare la presenza di un simile temperamento.
Nel caso della governante, il suo affetto verso Oscar era assai palese.
Malgrado questo, non potevo fare a meno di sentirmi fuori posto. Ora dormivo in letti morbidi, caldi e profumati, mangiavo pane bianco ad ogni pasto e cibi saporiti. Stavo bene, fisicamente, come mai mi era accaduto…ma non potevo fare a meno di provare uno strano senso di straniamento.
Senza contare che mi era sempre stato insegnato, fin dalla culla, a guadagnarmi da vivere solo con le mie forze. Tutto quell’ozio, quindi, non faceva altro che confondermi, dandomi la spiacevole sensazione che il mio debito verso il nobile biondo non facesse altro che aumentare.
-No- balbettai imbarazzata- non sono venuta per i dolci…volevo sapere…se posso fare qualcosa per voi…per sdebitarmi dell’ospitalità…-
Nanny alzò la testa.
- Non devi dirlo nemmeno per scherzo! La tua compagnia mi fa un immenso piacere.- esclamò, prima d’iniziare silenziosamente a piangere.
La guardai incuriosita.
-Vi sentite bene?- domandai, un po’ preoccupata.
- Come potrei stare bene?- rispose, con fare melodrammatico la vecchietta – LA MIA BAMBINA! LA MIA AMATA BAMBINA COSTRETTA A PASSARE IL TEMPO CON QUEI BRUTTI CEFFI DI MILITARI!-
A quello sfogo, fu inevitabile per me stupirmi. Di quale bambina stava parlando? A parte un nipote, quella donna non aveva più nessuno al mondo.  Si chiamava André ed era l’attendente del giovane che mi aveva soccorso in quella magica sera. Un giovane dall’aria molto cortese, quasi aristocratica, tanto che mi stupii quando venni a sapere che era un borghese, come me.
-Scusate…-balbettai, con una punta d’incertezza- a chi vi state riferendo?-
La governante mi guardò perplessa.
-Come a chi? A Madamigella Oscar, ovviamente!- fu la sua risposta, come se fosse ovvio, e, senza darmi il tempo di stupirmi, cominciò a raccontare, in modo assai drammatico la storia dell’erede del casato, donna per nascita, uomo per costrizione, alternando il tutto a sospiri e toni gonfi di pianto che ben mostravano l’apprensione di quell’anziana signora di fronte alla scelta estrema di un padre che necessitava di un erede ad ogni costo.
Confesso che rimasi non poco sorpresa della cosa…per non dire delusa. Il principe azzurro che, nella mia fantasia, aveva assunto le sembianze del nobile dai capelli d’oro, altri non era che una donna.
 
 
Quando venni a conoscenza della reale natura di Oscar, pensai in un primo momento che quel batticuore e quella venerazione che provavo nei suoi riguardi fossero frutto del mio fraintendimento o, nella peggiore delle ipotesi, una tentazione del demonio per spingermi a peccare. Avevo visto nella mia benefattrice una sorta di uomo ideale, un principe azzurro che, dopo avermi salvato, mi avrebbe condotto nel proprio castello, rendendomi sua sposa.
Fantasie infantili, nate improvvisamente nel momento in cui incrociai lo sguardo con lei. La scoperta del suo sesso mi gettò nel panico. Come potevo amare una donna in quel modo? Come potevo assegnarle un sentimento simile? Era immorale e sbagliato. Più volte, immersa in questo limbo di confusione, incerta sulla reale condizione dei miei sentimenti, avevo temuto di essere stata soggiogata da qualche creatura demoniaca che, dietro a fattezze angeliche e magnifiche, stava trascinando la mia anima ingenua nell’abisso della perdizione.
Sbagliavo e lo compresi nel momento in cui rividi quella persona tornare.
Ero all’ingresso, accompagnando Nanny per la casa, in modo da poter conoscere meglio la posizione delle stanze più importanti e distrarmi un po. Lei stava conversando con la madre, in modo rispettoso ma non per questo privo di affetto. La guardai in lontananza. Nulla lasciava intendere una qualche malizia nei modi…ma non vedevo nulla.
Tutto in lei era luce…ed io, di fronte ad una  simile mancanza di corruzione mi sentii meschina ed imperfetta. Avevo osato vedere il male là dove non c’era…e, così facendo, avevo rischiato di provare qualcosa che non avrei dovuto. Questo pensiero, tuttavia, volò alla svelta lontano da me. Molte erano le questioni che dovevo risolvere…e la mia benefattrice, con la sua perfezione accecante, era qualcosa che desideravo rimandare il più possibile, come se la sua soluzione avesse avuto il potere di frantumare ogni sicurezza che mi restava.
 
 
 
 
 
 
Uno dei problemi a cui dovevo rimediare era il mio vergognoso arrivo in quella casa. Benché non mi fosse stato detto nulla a riguardo, mi sentivo in colpa per l’imperdonabile scambio di persona di cui era stata oggetto la padrona di quel palazzo. L’avevo accusata di qualcosa di cui non aveva colpa. Nicole mi aveva insegnato che dovevo chiedere scusa alla persona cui facevo un torto ma, di certo, non aveva previsto la causa per la quale dovevo chiedere perdono.
Ero ben consapevole del mio torto eppure, malgrado i miei tentativi di porvi rimedio, la paura continuava a frenarmi…e senza che vi fossero ostacoli veri e propri.
Madame De Jarjayes si era offerta spesso di farmi compagnia ma io preferivo passare il mio tempo nella stanza assegnatami, sostenendo che avrei solo annoiato la breve vacanza che questa aveva ricevuto dalla regina e che non ero avvezza a stare in una casa tanto grande e magnifica.
In verità, le mie erano giustificazioni.
Mi sentivo ancora in colpa per il mio gesto, malgrado la madre di Oscar mi avesse perdonato, dicendomelo in svariati modi. Avevo quasi ucciso una donna che non aveva contribuito in nessun modo alla distruzione della mia vita…come potevo non provare disagio per una convivenza del genere?
Eppure, Madame non mi guardò mai con disprezzo.
Pur essendo una nobile, ben consapevole della propria condizione e del divario sociale che separava entrambe, non mostrò mai alcuna insofferenza nei miei confronti. Nel periodo immediatamente successivo alla mia tentata aggressione verso di lei, mi tenni lontana dalle stanze che solitamente frequentava, sfuggendo ogni possibilità d’incontro con la stessa cura di una bestia braccata. Temevo che mi rimproverasse, a ragione peraltro, del mio gesto, che mi accusasse, chiedendo che fossi punita…e così la evitavo.
Non potevo farne a meno.
Alla fine, però, ogni mio tentattivo di fuga cessò…e l’artefice di tutto fu proprio la madre di Oscar. Stavo passeggiando nei giardini della villa e, da brava figlia di città, ammiravo le rose curate dalla paziente mano dell’addetto alla loro crescita.
Mi erano piaciuti da sempre i fiori e, presa dalla meraviglia, avevo preso l’abitudine di passare il mio tempo all’aperto nella loro contemplazione. Guardavo la loro bellezza, inebriandomi del loro profumo…e, così faceno, mi estraniavo.
Come quel giorno.
-Sono molto belle- mormorò una voce pacata alle mie spalle.
Non appena la udii, non potei fare a meno di trasalire. Sapevo a chi apparteneva…e non riuscii a trattenere una punta di ansia e preoccupazione. Oscar era a Versailles, insieme ad André.
Ero completamente sola.
Sola, insieme a Madame de Jarjayes.
Annuii forzatamente, tentando di frenare il panico.
-C’erano fiori a Parigi?- chiese, un po’distratta…e lasciando non poco sorpresa me. Non mi aspettavo una domanda simile.
-Non molti- risposi meccanicamente- solo in alcuni giardini dei quartieri più ricchi.-
La dama annuì, tenendo il proprio ombrello. –Così non va bene- commentò, guardandomi severa.
-Non capisco.- risposi, ancora più disorientata. La madre di Oscar mi osservava critica, senza per questo permettere ai lineamenti del proprio viso di perdere quell’armonia di fondo che avevo notato, fin dal primo momento in cui l’avevo vista.
- Non curate assolutamente il vostro aspetto. Siete bionda e questo vi favorisce…ma come potete pensare di mantenere il vostro grazioso pallore, rimanendo al sole, senza protezione alcuna? Quanto alla vostra risposta…bhé, era come sospettavo.- osservò, con fare distratto.
Mi passai una mano sulla fronte.
-Perdonatemi. Non capisco. Io credevo…-provai a dire ma le mie parole vennero frenate dal sorriso della dama.
-Credevate che io fossi adirata con voi, non è così?- fece, esplicitando il mio silenzio forzato.
Rimasi senza parola.
-Non sono così ingenua da non comprenderlo- osservò la dama- ogni vostro gesto trapela questo sentimento…ed è qualcosa da correggere, nella maniera più assoluta.-
Con un mto misurato aprì il ventaglio che teneva legato al polso e, lentamente, iniziò a sventolarlo di fronte a me. –Ho riflettuto a lungo sul progetto di mia figlia nei vostri confronti e, considerando la vostra situazione, concordo sul fatto che dovete ritrovare la donna che vi ha messo al mondo. Avete perduto la famiglia adottiva ed ora che sapete la verità, cercare quella di origine rappresenta per voi un dovere ed una necessità. Per raggiungere questo risultato, però, dovrete operare su voi stessa notevoli cambiamenti.- concluse.
-Cosa intendete dire?- domandai, non riuscendo a seguire il discorso.
La dama mi rivolse un sorriso comprensivo.
- Oscar è un animo onesto, che odia le ingiustizie- commentò, con una luce nostalgica nello sguardo- a volte mi chiedo come possa mantenersi così fedele ai propri principi, pur vivendo a corte. Tornando a noi, Rosalie, sappi che io non nutro nessun astio verso di te. Io non sono una presenza indispensabile alla famiglia De Jarjayes. Ho dato delle figlie a mio marito, senza adempiere al mio obbligo primario…come dimostra l’educazione di Oscar. La mia fine, pertanto, non procurerebbe danni visibili alla mia famiglia. Spero, però, che tu sia consapevole che l’azione che eri intenzionata a fare non era ben ponderata.-
Il sole picchiava leggero su di noi, a testimone di una giornata serena e priva di nubi. – Seriamente, voi volete trovare la vostra vera madre?- domandò.
-Sì- risposi, non senza tentennamento.
Malgrado Nicole mi avesse fatto una simile rivelazione, il pensiero di trovare la donna che mi aveva abbandonato non rappresentava certo una delle mie principali prerogative. La povera signora Lammorliere aveva rispettato fino in fondo l’impegno di crescere un’umile trovatella come me e, per quante ragioni quella nobile potesse avere, tutto ciò non ripagava affatto un simile torto.
Senza contare che, malgrado i miei sforzi, l’immagine di Nicole, morente tra le mie braccia, era qualcosa di decisamente poco ignorabile. Lei era morta…e non certo per malattia.
-La morte della donna che ti ha allevato continua a tormentarti, non è così?- domandò la dama, continuando a studiarmi- Soprattutto se la proprietaria della carrozza che l’ha travolta appartiene allo stesso mondo in cui vive la tua vera madre…mi dispiace, ma dovrai mettere da parte questo tuo astio.-
La guardai inespressiva.
Madame mi fissava con aria placida, muovendo il suo ombrellino, con una leggerezza che stonava fortemente con le parole usate pochi minuti prima.
- Come potete dire questo?- domandai, tentando di frenare la mia irritazione. La rabbia mi stava logorando, risvegliata dalle parole della madre di Oscar. –Quella maledetta ha ucciso mia madre, senza alcun rimorso, senza mostrare alcun turbamento…E’MORTA UNA PERSONA E LEI…LEI NON HA BATTUTO CIGLIO!-urlai, al limite della sopportazione.
Lei non mostrò turbamento, continuando a rigirare l’ombrellino che teneva tra le mani.
-Così sono i nobili…voglio che siate consapevole che Oscar è un caso più unico che raro. Se vorrete cercare vostra madre e la donna che ha ucciso colei che vi ha allevato, dovrete entrare in un mondo popolato da persone aride e vuote, che non aspettano altro che scoprire un vostro eventuale difetto per screditarvi. Oscar, non appena lo riterrà opportuno, vi presenterà a corte…riuscite a capire il significato del mio discorso?- disse, guardandomi interrogativa.
Scossi la testa.
- Oscar ricopre un incarico molto importante a Versailles, dal momento che è responsabile delle Guardie di Palazzo. E’molto popolare ma ogni suo comportamento, al minimo sgarro o incertezza, è passibile di critiche. Noi De Jarjayes non possiamo permetterci errori- fece, guardandomi intensamente – e non desidero che mia figlia corra questo rischio a causa della vostra scarsa preparazione. Le conseguenze potrebbero essere molto spiacevoli.-
A quelle parole, ebbi un sussulto.
Non avevo mai considerato una simile posizione.
-Cosa devo fare, per non mettere in pericolo Oscar?- domandai, preoccupata. Sebbene fosse passato poco tempo, da quando ero ospite dei De Jarjayes, mi ero affezionata all’ultimogenita del casato. Era una persona fuori del comune che mostrava rispetto e correttezza con tutti coloro che le stavano attorno, indipendentemente dalla propria condizione sociale…come era possibile non volerle bene?
Madame sembrò intuire questo attaccamento.
-Per poter fare la vostra ricerca, dovrete sapervi muovere come una nobile, come se foste da sempre cresciuta a pane ed etichetta. Un nobile mira a distinguersi dalla massa, attraverso l’aspetto e la condotta. Per essere al di sopra di ogni sospetto, dovrete assumere una condotta di tal genere…ed io sono ben disposta a darvi un tale aiuto, almeno fino a quando non avrò terminato il periodo di riposo.- spiegò.
-Siete malata?- domandai.
La dama mosse qualche passo e, lentamente, allungò la mano verso una delle rose che fiorivano nel giardino. Il viso manteneva la solita espressione calma e composta. –Ho una salute abbastanza cagionevole e, come se non bastasse, la vita di corte è piuttosto frenetica.- rispose composta- Le feste durano fino a notte inoltrata e le stanze sono spesso troppo fredde per gli abiti che la moda prevede.-
Non dissi niente.
La risposta di Madame de Jarjayes spiegava la ragione del ritorno improvviso alla villa. –Mia figlia vi insegnerà tutta la cultura degna di una gentildonna di rango. Io vi insegnerò l’arte della conversazione…ma, soprattutto l’autodisciplina.- disse, fissandomi con fermezza.
-Autodisciplina?- domandai.
La nobile annuì.
-La peggiore arma che vi verrà rivolta, non appena verrete messa a contatto con i nobili, sarà il pettegolezzo…uno dei pericoli maggiori. A Versailles ci si annoia e, molto spesso, diffamare il prossimo è uno dei passatempi preferiti dai gentiluomini e dalle gentildonne. Non potrete rispondere per le rime ai responsabili né, tantomeno, alzare le mani su di loro. Vi mettereste in cattiva luce e, cosa peggiore, otterreste il biasimo dei sovrani. Oscar provvederà alla vostra educazione, è vero…ma non vi ha messo al corrente di un’eventualità del genere perché non è mai stata una dama e certe sottigliezze  le sfuggono. Lei vi rimarrà vicino ma anche voi fate del vostro meglio per non esporla troppo. Lei lo farà, se vi metterete nei pasticci…su questo, non ho alcun dubbio. – disse la dama.
In quel momento, mi venne in mente un episodio della mia vita.
Prima della morte di mia madre, mi ritrovai ad assistere all’uccisione di un bambino per opera di un nobile. La ragione era abbastanza banale. Il piccolo aveva tentato di rubare una moneta e questi voleva punirlo. Allora, un passante si era posto in difesa del ragazzino, per sostenere le suppliche della madre e di alcuni passanti. Il nobile aveva fatto visto di dare ascolto a quest’ultimo…salvo poi sparagli alle spalle.
Quella scena ritornò nella mia memoria ma, a differenza delle altre volte, l’immagine non si concentrò né sul nobile, né sulla madre ed il piccolo Pierre. No, la mia mente si spostò sul giovane che aveva tentato d’intervenire e sui biondi capelli d’oro che circondavano la sua testa…e capii.
Io avevo visto Madamigella Oscar anche in un’altra occasione, ben diversa da quella della fatidica sera…perché mi veniva in mente solo allora?
Dopo quella notte avevo nutrito un improvviso e quasi insensato desiderio di sposarmi…a quel pensiero mi sentii morire per l’imbarazzo. E questo pensiero si intensificava nel momento in cui i miei occhi si posavano sull’erede del casato.
Ogni volta che pensavo a Madamigella Oscar, non riuscivo a non provare una profonda confusione. I miei sentimenti erano ancora assai incerti, anche se era limpido e indiscutibile il fatto che le volessi bene. Lei mi aveva salvato da una fine certa.
Dalla miseria in cui mi trovavo.
Dalla mancanza di vere vie d’uscita che implicassero il tradimento di ogni buon principio.  – Madame- feci, chinando la testa- farò anche l’impossibile per proteggere Oscar. Lei mi ha dato una possibilità e sono disposta a tutto per ricambiare. Non temete.-
 
 
Madame De Jarjayes rimase poco tempo a palazzo. Come dama di compagnia della regina, era suo dovere ritornare a corte. Prima di riprendere il proprio dovere, comunque, fece tutto il possibile per insegnarmi come essere una dama, spiegandomi le insidie dell’etichetta e le giuste contromisure.
Dovrete imparare a distinguere un complimento da un’offesa…in ogni caso, cara Rosalie, dovrete assolutamente dimostrare distacco. Una vera dama non si abbasserà mai ad usare direttamente male parole né, tantomeno, ad alzare le mani. Solo le persone arriviste, i parvenue ricorrono a simili mezzucci…un vero nobile non si abbassa a questi espedienti. Queste erano le sue parole, i punti su cui insisteva maggiormente.
Oscar e André mi davano lezioni di storia e letteratura e, grazie a loro, imparai il latino.
La scoperta di quella lingua di chiesa e la storia in essa celata, aprirono in qualche modo la mia mente. Scoprii che quella parlata tanto strana e incomprensibile non veniva usata solo per i sermoni domenicali ma anche per raccontare le storie di persone vissute molto tempo prima di me. Mi venne in mente quando imparai a leggere e scrivere nella disordinata casa di Bernard…ma si trattò di un pensiero di passaggio.
Dopo le prime settimane, cominciai quasi a dimenticare quell’incontro. Non avevo alcuna idea di quale sarebbe stato il mio futuro. Ora, più che in passato, non sapevo cosa avrebbe riservato per me la sorte. In compenso, iniziai ad amare la storia. Le vicende degli uomini del passato, autori dell’ascesa e della caduta di regni lontani nel tempo e nello spazio, mi affascinavano. Persino i fatti recenti non sfuggirono alla mia educazione.
Oscar, però, non dimenticò la promessa.
Non appena sua madre lasciò la dimora dei De Jarjayes, iniziò a darmi le prime lezioni di scherma ed equitazione, con l’aiuto di André che, per via del suo ruolo, poteva talvolta non accompagnare la mia benefattrice a Versailles.
Imparai ad impugnare con fermezza la spada, a mantenere un rigido autocontrollo, durante lo scontro con l’avversario. Mi allenavo con André che, grazie alla sua esperienza, mi dava dei consigli.
Spesso, quando ripenso all’attendente di Madamigella Oscar, non posso fare a meno di provare un profondo affetto. Era un giovane di gentile aspetto, con una bellezza, addolcita dalla naturale bontà dell’animo. Spesso, quando passeggiavamo per i corridoi di palazzo De Jarjayes, avevo l’impressione di sentire addosso gli sguardi delle servette che si occupavano della casa.
Ne parlai una volta con Nanny, la governante.
-Bambina mia- disse, con una punta di orgoglio- il mio nipote è molto modesto ma riscuote un grande successo tra le ragazze della zona. Ha preso tutto dai suoi genitori e non posso che essere orgogliosa…anche se comincio a preoccuparmi.-
-Perché?- chiesi.
L’anziana donna mi guardò con occhi lucidi.
Se c’era una cosa che avevo imparato, passati i primi giorni, era che Nanny era una donna dalla lacrima e dal mestolo facile. Spesso, a farne le spese, era il nipote André che, per quello che posso dire, dopo un simile trattamento, doveva aver sviluppato una testa particolarmente dura.
-Mio nipote segue sempre la mia piccina- pigolò- e sono preoccupata. Non ha tempo per sé stesso…non ha una brava ragazza con cui costruire una famiglia…non avrò mai dei bisnipoti-
La fissai raggelata.
Nanny era una donna molto sentimentale…ma non ribattei. Doveva essere assai addolorata per la mansione che il nipote ricopriva. Confesso che i suoi pensieri mi sfuggivano non poco, così come mi sembravano fondate ma, al tempo stesso, strane le sue angosce per l’ultima figlia del generale.
Stranamente, per quanto la bellezza sfolgorante suscitasse in me sentimenti ancora contrastanti, mi abituai abbastanza agilmente alla particolare condizione di Oscar o, per essere più onesti, finii con l’ignorarla.
Ero una figlia del popolo e della miseria, abituata a tutto e alle stranezze dei nobili, eppure…
 
 
 
 
- André!- dissi, mentre fissavo i vari volumi, alla ricerca di quello giusto. Quel giorno avevo deciso di approfondire Livio. La biblioteca De Jarjayes era assai fornita e possedeva libri di ogni genere, una rarità all’interno dell’aristocrazia stessa, o almeno così mi era stato detto dalla governante.
Quello che cercavo, però si trovava molto in alto e non essendo alta, avevo chiesto al nipote di Nanny di aiutarmi nell’impresa.
André non si era tirato indietro. –Ai vostri ordini, Mademoiselle!- aveva esclamato, con un sorriso malandrino.
-André!- ribattei stizzita- Mi devi aiutare, voglio quel libro ma non ci arrivo. –
L’attendente indicò i libri ad uno ad uno, fino a quando non si fermò su quello che desideravo. –Va bene!- rispose, prendendo una delle sedie. Nemmeno lui ci arrivava ma, almeno, aveva minori difficoltà di me.
-Te lo prendo in un attimo!- disse, gentile.
Gli sorrisi grata, mentre questi prendeva il libro e me lo consegnava. –Grazie André!- risposi.
-Di nulla- fece questi cordiale, prima di dare un’occhiata al libro- Hai preso quello che racconta di Bruto e della sua rivalsa sui figli di Tarquinio il Superbo? Non riesci proprio a mettere da parte i tuoi propositi di vendetta?-
Non dissi niente.
In verità, avevo preso quel libro senza pensarci.
- Non posso fare diversamente- risposi alla fine- quel mostro mi ha portato via tutti i miei cari.-
André si fece serio.
-Anche io ho perso la mia famiglia- disse – e posso capire, almeno un po’, i tuoi sentimenti…anche se non è stata una carrozza ad ucciderli ma un’epidemia. Rosalie, sei ancora convinta che la vendetta sia la soluzione? Non potresti, semplicemente, cercare tua madre e lasciar perdere tutto il resto?-
Istintivamente, strinsi a me il libro.
-Non posso – feci dura-  ho sempre combattuto contro la miseria, ogni giorno. Nicole era spesso malata ma ci ha aiutato, finché ne è stata capace. Le sue condizioni non lasciavano sperare in una guarigione ed io mi ero preparata a perderla, prima o poi…- Iniziai a vedere tutto sfuocato e, allo stesso tempo, cominciai a percepire la fastidiosa sensazione di bagnato che preannunciava le lacrime.
Pensare a mia madre mi rattristava sempre.
Ogni notte, sognavo il suo corpo volare via, colpito da una carrozza…ed io, ogni volta, mi perdevo in corse impossibili, nel disperato tentativo di salvarla. Non avevo ancora superato il lutto e le ultime scoperte mi avevano letteralmente scardinato dalle fondamenta. Parlava bene André Grandier…ma la sua esperienza, per quanto simile alla mia, giaceva su basi assai diverse. 
- Non posso capire- rispose – pur essendo un semplice popolano, ho avuto la fortuna di crescere in una famiglia nobile. Mia nonna e i padroni di questa casa mi hanno dato più di quanto i miei natali avrebbero potuto concedermi. Eppure, Rosalie, devi rifletterci bene. E’davvero questo ciò che vuoi?-
A quella domanda non risposi e l’attendente di Madamigella Oscar non insistette.
In seguito scoprii che quel modo di fare, quelle domande intelligenti e, allo stesso tempo, discrete, rappresentavano un tratto del carattere del nipote della governante. Un animo nobile e gentile, sprecato forse per la sua condizione. Mi scoprii spesso ad osservarlo, sia in compagnia della mia benefattrice, sia quando, da solo, svolgeva alcune mansioni per conto dei propri padroni. André era molto bello. Pur avendo tratti indubbiamente virili, i suoi modi non possedevano alcuna forma di rozzezza.
Sembrava quasi un nobile.
Pure adesso, ripensando a lui, non posso fare a meno di avere la sensazione che fosse fuori posto. Era un borghese, un popolano, eppure, in mezzo ai suoi compagni di ceto, sembrava un giglio in mezzo alle sterpaglie. La cultura e le buone maniere lo rendevano assolutamente diverso. Il resto della servitù, forse intuendolo, forse intimorito dalle libertà che questi godeva rispetto a loro, lo evitava.
Era un popolano e, allo stesso tempo, possedeva un’anima assai superiore rispetto agli altri.
 
Provai la medesima sensazione qualche tempo dopo, quando vidi Madamigella Oscar a corte.
Anche lei, un animo grande e magnifico.
Anche lei, tenuta ad impersonare un ruolo strano per la propria natura.
Anche lei, sola, fragile e titanica.
Il mio mondo si stava lentamente ampliando e le conoscenze di quell’aristocrazia che non conoscevo e che tuttavia disprezzavo per il dolore infertomi, cominciavano a prendere sfumature diverse. Non più bianco e nero ma scale di grigi, tonalità intermedie di cui io sola potevo essere giudice. Senza saperlo, stavo imparando.
 
Allora, sto lavorando alla canna e la quercia…che fatica il capitolo che sto scrivendo! In quello che avete letto, conosciamo i momenti nascosti della permanenza di Rosalie a casa di Oscar. Qui, tutto quello che avviene nella storia originale, sarà un po’sottotraccia.
Rosalie deve crescere.
Per il momento, la sua educazione è lasciata in mano ad André e Madame che approfitta della piccola vacanza concessale dalla regina per dare qualche lezione a questa ragazza. Il punto di vista della protagonista è puramente esterno, senza che vi sia qualche preconcetto in mezzo. Lei non sa niente della vita di Oscar e descrive semplicemente ciò che vede.
La scena di Madame è importante. Lei si presta alle scelte della figlia ma, a suo modo, vuole proteggerla dalle possibili conseguenze e lo fa prendendosi cura di questa trovatella. Considerando che Rosalie ha quasi rischiato di ucciderla, ho ritenuto questo dialogo importante. La storia, quindi viene un po’sfalzata ma è necessario. E’il percorso personale del personaggio ad esigerlo.
Grazie a tutti ed un saluto al prossimo aggiornamento.

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Capitolo 13
*** Guardare e tacere ***


Benvenuti a questo nuovo aggiornamento. Cercherò di aggiornare qualcuna delle mie storie durante questo periodo di vacanza e spero che il risultato non sia pessimo. Rosalie sta imparando a conoscere l’educazione degli aristocratici e, senza saperlo, questa esperienza le fornisce una cultura che non avrebbe mai pensato di avere.
Conosce persone di vario tipo e impara ad adattarsi. Questa Rosalie è un personaggio molto duro. L’infanzia misera ha rafforzato il suo carattere ma la fragilità di fondo ed i timori sulle proprie capacità la spingono a sottovalutarsi.
Oscar e André turbano un po’la nostra protagonista. La loro bellezza, esteriore ed interiore, la affascina ed intimorisce al tempo stesso. Certe reazioni le vengono normali.
Intanto, vi auguro una buona lettura.
 
GUARDARE E TACERE
 
 
Quando si viene dalla fame e dalla miseria, si finisce con l’abituarsi a tutto…e lo stesso accadde a me, malgrado la stranezza del mondo in cui mi trovavo ora, continuasse a suscitarmi curiosità sempre nuove.
Scoprii molti passatempi in quella condizione per me tanto estranea, come la lettura, per esempio. Una condizione quasi paradossale per me. Prima passavo intere giornate a spezzarmi la schiena per qualche misera moneta ed ora, invece stavo intere giornate nella biblioteca dei De Jarjayes, seduta su una poltroncina a divorare libri.
Davvero curiosa la vita, devo ammetterlo.
André spesso mi lanciava qualche occhiata fintamente esasperata, alla quale rispondevo con una linguaccia, quando ero certa di non essere vista da Madamigella Oscar o Nanny (quest’ultima mi avrebbe sgridato sicuramente, quanto all’altra…bhé, la sua natura fuori del comune mi intimidiva, al punto da preoccuparmi della considerazione che aveva nei miei riguardi più del lecito. Non volevo perdere quella stima che sembrava nutrire nei miei confronti…era troppo importante per me.). Avevo, in compenso, istaurato un rapporto abbastanza infantile con il silenzioso attendente della mia benefattrice e, a pensarci bene, era la prima volta che mi lasciavo andare in quel modo con un uomo.
Fino a quel momento, mi ero tenuta ben alla larga da loro, giudicandoli esclusivamente come dei violenti e degli ubriaconi. Grandier, però, non apparteneva a quell’infelice schiera che, di tanto in tanto scorgevo quando tornavo a casa insieme a Jeanne. Era troppo buono e pacifico per esserlo.
Paradossalmente, considerando le occhiate colme d’interesse che questi riscuoteva, i miei sentimenti per André erano assai chiari. Era una sorta di fratello maggiore, quella figura di riferimento maschile che era sempre mancata nella mia vita…e la cosa, forse, era reciproca. Quando poteva, questi mi faceva compagnia, aiutandomi nelle lezioni di danza o semplice studio, rispondendo paziente ad ogni mia domanda, senza mai mostrare segno di fastidio per quel ruolo. Sembrava quasi che facesse tutto di sua volontà…e non per un pasto caldo o simili.
Un po’ ho invidiato questo suo modo di fare, come se obbedire non fosse mai un peso ma un piacere…e questo era uno degli aspetti della sua personalità che non riuscivo a capire.
André, con la sua impeccabile cortesia, appariva quasi un mistero.
Non fingeva.
Non simulava nulla.
Si comportava con me, come con Oscar, alla stessa identica maniera…e questo, forse, era l’elemento che mi lasciava più perplessa. Più di una volta mi chiesi come facesse a non avvertire il peso della differenza sociale…ma non ho mai avuto il coraggio di domandarlo e non so bene se per pudore o vigliaccheria. Di certo, se mai avessi trovato un simile ardire, la mia curiosità non si sarebbe soddisfatta.
Perché in cuor mio, sapevo come avrebbe reagito il mio nuovo amico.
Mi avrebbe fissato sorpreso, per poi sorridermi in quel suo modo dolce ed enigmatico…alla Grandier.
 
 
 
 
 
 
Oscar mi impose, oltre alla scherma, anche alcune lezioni di danza.
Non potete non saper muovervi in una sala mi spiegò, vedendomi tutt’altro che entusiastauna dama deve saper danzare e voi, mia cara, dovete evitare di tradirvi
Imparai che esistevano vari tipi di ballo ma, per motivi di praticità, la mia benefattrice mi insegnò solo quelli più semplici, sentenziando che avrebbe fatto in modo di evitarmi spiacevoli figure. Il tempo dedicato alla danza fu comunque assai poco.
Non potevo esercitarmi da sola e, per ovvi motivi necessitavo della musica.
Queste condizioni avvenivano quando Oscar non era impegnata a corte, quando poteva suonare il pianoforte senza pensieri, quando potevo ballare seguendo le note che lei riusciva a produrre con lo strumento…momenti rari, che tuttavia erano la prova che quella nobile stava tenendo fede al patto.
 
 
 
 
Non smetterò mai di ringraziarla per questo, anche se...
 
Avrei voluto che fosse lei a condurre le danze, non André.
Avrei voluto essere stretta tra le esili ma forti braccia di quella donna magnifica.
Avrei voluto…
Avrei voluto…
Avrei voluto tante, tante cose in quel momento ma non riuscivo ad esprimermi.
Una simile perfezione si portava via ogni mia parola ed io non potevo fare altro che osservarla, rapita come un fedele di fronte alla statua del santo al quale era devoto.
Non avrei mai potuto raggiungerla.
Eppure, malgrado questa inaccessibilità, non potevo fare a meno di volerle bene. Lei era così e finii con l’accettare questo suo essere in costante bilico tra due mondi, senza peraltro appartenere a nessuno dei due.
Cos’altro potevo fare se non dire un incondizionato sì?
 
E in fondo, non avrei potuto che amarla in questo modo.
 
 
 
- Rosalie- disse improvvisamente Madamigella Oscar- credo che sia giunto il momento.-
Mi stavo esercitando con la spada insieme ad André. Ultimamente lo facevo spesso, insieme ad un’altra attività: l’equitazione. Passavo interi pomeriggi a cavalcare uno dei cavalli della scuderia del palazzo e spesso tornavo a casa esausta, sudata e coperta di polvere.
Nanny disapprovava questo mio comportamento, sostenendo che non era adatto ad una signorina per bene…ma non me ne curavo. Volevo sfinirmi, fino a non avere più un briciolo di forza in corpo. Fino a non essere costretta a pensare.
Fino a smettere di vedere nella mente il viso di quella donna maledetta.
La gente del palazzo, in vari modi, disapprovava le mie intenzioni e, per non portar loro ulteriori dispiaceri, mi ero imposta di disciplinare, almeno un po’,questa mia indole istintiva, promettendomi di scatenare tale furia solo nei confronti di quell’assassina.
A quelle parole mi fermai, come fece del resto il mio avversario.
Oscar si tolse i guanti e, con fare metodico, li dispose sul tavolino. Era appena tornata da una visita a Versailles ma non sembrava molto stanca. Al contrario, qualcosa, di cui io ero all’oscuro, sembrava metterla di buon umore. Quel particolare accrebbe la mia attenzione.
Era la prima volta che vedevo in lei una simile soddisfazione e non sapevo cosa aspettarmi.
Fu lei, vedendomi, a sciogliere ogni mia perplessità.
- Tra una settimana, ci sarà un ballo nella dimora di Madame Elisabetta. E’una delle amiche di mia madre e più volte ha insistito perché vi partecipassi. Verrai con me…sempre che tu lo voglia.- disse, trafiggendomi alla fine con le sue iridi, così spaventosamente azzurre.
Un brivido attraversò la mia schiena e potei giurare di sentire la risatina bassa e soffocata di André nelle vicinanze.
Probabilmente, se la notizia non mi avesse gelato sul posto e la presenza di Oscar non mi avesse intimidito, avrei risposto per le rime alla sua irriverenza.
-Per quale motivo dovrei andare a quel ballo?- chiesi  invece, allarmata.
Non riuscivo a credere a quanto stava avvenendo e fu naturale mettermi sulla difensiva. –Madamigella Oscar- esclamai, gelata da quelle parole – non sono sufficientemente preparata…potrei farvi fare una brutta figura…e non voglio…-
André sorrise.
-Non devi temere Rosalie- mi rassicurò questi, con i suoi soliti modi pacati, non prima di lanciare un’occhiata alla donna soldato- non sarai sola.-
Fissai i due.
Dopo aver parlato con Madame, avevo compreso  con estrema chiarezza che non vi era nessun tornaconto da parte di Madamigella Oscar. Era un aiuto semplicemente spontaneo.
Quella rivelazione ebbe il potere di commuovermi.
Non ero sola, non più.
La paura improvvisamente sparì, come per magia.
Quelle due persone stavano spendendo il loro tempo per me ed io…io non sapevo come esprimere loro la mia gratitudine.
 
 
 
Per la prima volta, dopo tanto tempo, respirai di nuovo il calore dell’affetto.
 
 
 
La notizia del mio debutto fece rapidamente il giro del palazzo…raggiungendo, ahimé, anche le orecchie della governante. Presa da un’improvvisa, quanto inquietante euforia ( che valse la misteriosa scomparsa di Madamigella Oscar e di André) Nanny chiamò alcune assistenti di Madame Bertin, direttamente da Parigi. Sentendo quel nome, provai a farla desistere. Non volevo avere quelle persone lì. Che cosa sarebbe successo se una delle ragazze mi avesse riconosciuto?
Avrei di certo creato una situazione imbarazzante ed era l’ultima cosa che volevo. Era il posto dove avrei dovuto lavorare…se il destino non avesse deciso improvvisamente di distruggere il mio mondo.
-Non dite sciocchezze, bambina- fece la vecchietta, fissandomi grave- è impensabile che una bella signorina come voi non indossi un abito cucito dal migliore atelier della città. Non vorrete mettere in cattiva luce Madamigella, vero?-
Sentendo il nome della mia benefattrice, ogni dubbio cessò.
Non volevo rattristarla e preferii piegarmi.
Una parte di me, comunque, cominciò a preoccuparsi. Tutti a Palazzo avevano intuito la mia totale e incondizionata devozione a Madamigella Oscar...per la prima volta, mi chiesi se ciò fosse un bene o un male.
Un’ora dopo, giunsero le giovani assistenti di Madame Bertin.
Uno stuolo di ragazze della mia età, dall’aria beneducata e composta, fecero il loro ingresso e, dopo essersi presentate, cominciarono a prendere le misure.
Per mia fortuna, non mi riconobbero.
Questo pensiero mi rassicurò non poco, permettendomi di prepararmi al mio nuovo compito: rimanere immobile per un intero e lunghissimo pomeriggio. Anche adesso, che ho un atelier, non posso che provare comprensione per le mie clienti. Non è facile rimanere ferme per ore, sottoponendosi alle misure e alle varie considerazioni sulla preparazione del vestito…ma, purtroppo, è necessario.
Contarono ogni parte del mio corpo, commentando talvolta le mie forme.
La dieta del palazzo, molto ricca e nutriente, aveva ammorbidito alcune parti del mio fisico, come il petto ed i fianchi. Probabilmente, se l’ansia del debutto non avesse occupato i miei pensieri, avrei fissato orgogliosa questo sviluppo inatteso. Avrei apprezzato forse me stessa un po’di più, cosa che non avevo mai saputo fare prima, intimidita da Jeanne e dalla mia miseria.
 
 
Un vero peccato, che la vendetta avesse altri progetti.
 
Nanny scelse per me il colore delle stoffe ed i vari particolari dell’abito commissionato. La lasciai fare. Non avevo alcuna esperienza e preferivo evitare brutte figure. Mi stavo guardando allo specchio, incerta sul da farsi, quando sentii un singhiozzo alle mie spalle.
-Nanny- la chiamai- perché state piangendo?-
Sapevo che era una donna molto impressionabile, facile al pianto come al riso, eppure quel giorno non ero riuscita a cogliere niente che potesse scatenarle dentro una simile situazione. –Nulla piccina- fece, asciugandosi una lacrima- è solo che mi viene da commuovermi…ogni volta…ogni volta che vedo una donna di questa casa agghindarsi allo specchio…e penso…penso a tante cose…penso a come sarebbe…a come si comporterebbe…e non posso fare altro che reagire così.-
Non risposi.
Le parole della governate mi apparivano criptiche e quasi insensate.
Me ne disinteressai quasi subito. Quel giorno avrei avuto il mio debutto e volevo dare il meglio che potevo offrire.
L’abito era chiaro e di stoffa finissima.
Mi fasciava il corpo, evidenziando la linea sottile della vita.
-Oh, bambina- esclamava la governante commossa- siete bellissima!-
Io non risposi.
Mi limitavo a fissare stupita il mio riflesso, senza riconoscermi.
Non potevo essere io.
Quella ragazza bionda, con i capelli abilmente acconciati e gli occhi azzurri ed espressivi, non poteva essere la secondogenita della compianta Nicole Lammorliere. Quella Rosalie non era così.
Era piccola.
Insignificante.
 
Di certo, non era la donna bella e leggiadra che si trovava ora davanti a me. Il cuore rallentò i propri battiti. Se, qualche giorno prima, pensavo di non avere alcuna possibilità di riuscita, ora iniziavo a nutrire una sia pur pallida speranza. Almeno per quanto riguardava l’aspetto, sembravo una nobile…o, almeno, ci andavo vicina.
 
 
La residenza di Madame Elisabetta era bella e sofisticata.
Era una cara amica della madre di Oscar, anche se non ricopriva un incarico di rilievo nella corte. Non era la moglie di un generale ma di un semplice aristocratico di campagna. Una dama benevola ma un po’frivola, come aveva detto allegramente la dama, dandomi le ultime indicazioni.
Malgrado gli impegni, Madame non smetteva di fornirmi tutte le informazioni necessarie. Le dame che vedrete questa sera, sono state educate a questo ruolo fin dalla culla mi spiegava, con lieve disincanto l’etichetta non è qualcosa d’innato…ma è anche vero che i nobili per nascita hanno il vantaggio di ricevere fin dall’inizio questo nutrimento. E’la loro linfa vitale, insieme ai beni e alle sostanze che possiedono.
Guardavo preoccupata ora l’edificio, ora l’abito che indossavo.
- Non dovete temere Rosalie- mi diceva Madamigella Oscar, sorridendomi incoraggiante –rimanete vicino a me, se non vi sentite sicura. E’ancora troppo presto per lasciarvi da sola insieme alle altre dame. E’il vostro debutto e dovete cercare di fare una buona impressione. Sarete sotto gli occhi di tutti, cercate di mantenere un po’di autocontrollo.-
Io non ribattevo.
La tranquillità di Madamigella era impressionante…eppure non potevo non essere intimorita. Tutto d’un tratto, la grinta che mi aveva spinto a lasciare i miei pochi averi parve perdere senso. Io ero una figlia del popolo…qualunque cosa Nicole avesse potuto dire a riguardo.
- Oscar ha ragione- sorrise André, mettendomi una mano sulla spalla- pensa che anche l’ultima favorita del Re era una popolana…se ci è riuscita lei a stare a corte, potete farcela pure voi…a partecipare a questi ricevimenti.-
Lo guardai poco convinta.
Non ero per niente sicura di riuscire a mascherare la mia vita precedente. Non ne avevo intenzione, poiché non mi sono mai vergognata di Nicole, ma, se volevo raggiungere i miei piani di vendetta, dovevo pur riuscire nell’intento. Soprattutto perché delle persone che mi conoscono a malapena, hanno speso il loro tempo per aiutarmi. Devo farlo almeno per ripagarle di questo sacrificio. mi dissi, muovendo infine i passi.
 
 
Spalancai gli occhi.
Avevamo appena fatto la nostra presentazione…e già ero sotto lo sguardo di tutti. Venivo squadrata da ogni singolo invitato, uomo e donna che fosse. Una sensazione abbastanza spiacevole, soprattutto per una che era abituata ad essere ignorata. Probabilmente, se non fosse dipeso dalla consapevolezza che quegli individui così ben vestiti erano la causa della miseria in cui avevo vissuto, avrei ceduto con maggior vergogna alla paura.
Non ho mai avuto tanto coraggio nella mia vita…se si escludeva quella scintilla necessaria per andare avanti ogni giorno, malgrado la miseria, le tasse e la tentazione di cedere al crimine e al disonore solo per qualche soldo in più.
La presenza di Oscar e André mi era di assoluto conforto. La prima si occupava d’intrattenersi con la padrona di casa, mentre l’altro mi faceva compagnia…senza peraltro perdere mai di vista l’ultima figlia dei De Jarjayes. Era il suo compito, così mi era stato detto…ma nei modi di André non vi era mai stato segno di una qualche costrizione.
Era come se fosse lì perché lo desiderava…e non faticavo ad immaginarmene il motivo. Oscar era una persona splendida. Anche in quel ricevimento, avvolta nella sua uniforme, sembrava una scintilla di luce, pur non indossando gioielli e abiti femminili.
Calamitava l’attenzione generale, pur non avendo alcun decoro…e questo faceva galoppare la mia immaginazione. Se Oscar, pur indossando abiti maschili, è in grado di splendere in questo modo, come sarebbe, vederla con un vestito di dama? pensavo. Provai varie volte a fantasticare a riguardo…ma senza troppi risultati. La luce della mia benefattrice accecava ogni possibilità di riuscita in tale direzione. La mente, quando ci provava, incontrava un moro. Se un vestito, o un gioiello hanno lo scopo di perfezionare o abbellire una persona…come si può rendere ancora più perfetta la perfezione?
Io la seguivo silenziosa, parlando solo quando necessario.
Come debuttante, non dovevo fare altro che dispendere sorrisi lievi e parole di circostanza…un compito assai vuoto e noioso.
Non biasimavo le occhiate velenose delle altre dame…e non certo verso Madamigella.
Al suo fianco, malgrado fossi vestita come una dama, ero assolutamente insignificante. Arrivai quasi al punto di chiedermi per quale ragione fossi lì. – Non preoccupatevi Rosalie- mi diceva rassicurante André- è normale una reazione del genere. Oscar è molto popolare tra i nobili.-
Non dissi niente.
Mi sentivo troppo demoralizzata per reagire.
Che ci stavo a fare in quel posto? Non che ci tenessi alla loro considerazione, però…ecco, mi sembrava di essere nuovamente tornata indietro nel tempo, a quando ero nota solo per essere la sorella di Jeanne…e nient’altro.
- Rosalie- fece allora, vedendomi un po’ triste- gradireste danzare con me?-
Guardai André, poi la sala. In un angolo era stata allestita una piccola orchestra da camera che, mi accorsi solo in quel momento, stava suonando una musica leggiadra. Nella sala volteggiavano alcune coppie. Non avevo intenzione di rimanere in un angolo a languire. Era il mio debutto e, se volevo passare come una nobile, dovevo assolutamente comportarmi come tale.
–Molto lieta – risposi, con un inchino.
Iniziammo a ballare.
André sapeva danzare molto bene dal momento che aveva preso lezioni, in compagnia di Madamigella Oscar. Anche se spesso mi toccava fare la parte della donna mi confidò, con fare fintamente lamentoso…e scatenando in me alcune risatine mal trattenute. Una dama non deve mai ridere apertamente. E’inelegante…così diceva Madame. Un’impresa assai difficile, considerando le battute dell’attendente della mia benefattrice. Volteggiavamo nella stanza, insieme ad altre coppie. Mi limitavo a seguire le mosse del nipote della governante, sperando di non pestargli i piedi, come invece era avvenuto durante le esercitazioni.
Un’impresa resa ancora più difficile dalla lunghezza dell’abito.
Non era per nulla semplice ballare in quella sala, con il rischio di scontrarsi con le altre coppie danzanti. Se non sono incorsa in simili incidenti, comunque, il merito era di André, non certo mio. Mi spostava con grazia, non appena intravvedeva una possibile evenienza…dando al tempo stesso l’impressione che tutto fosse una strategia coreografica.
Non lo ringrazierò mai abbastanza per questo.
L’attendente di madamigella Oscar era una persona davvero speciale. Con i suoi modi affabili, riusciva sempre a placare il mio nervosismo, le ansie dovute ad un simile debutto. Era riuscito persino a farmi divertire, malgrado non avessi assolutamente nulla di cui rallegrarmi.
 
Ora che ripenso a quel momento, all’educazione passata, non posso fare a meno di costatare che le mie esigenze differivano notevolmente da quelle dei miei benefattori.
Con tutta la loro buona volontà, non credo fossero in grado di comprendere fino in fondo la mia condizione…e nemmeno i miei sentimenti. Una volta saputo delle mie nobili origini, si erano presi la briga di dare la priorità alla scoperta della mia madre naturale…e, in secondo luogo, aiutarmi a scoprire l’assassina della mia adottiva.
Presi dalla necessità di rendermi una nobile, per farmi entrare in società, volevano prepararmi ad un eventuale incontro con la mia vera madre…qualcosa che non desideravo nemmeno e che avevo relegato in un angolo.
Forse volevano impedirmi di mettere in campo la mia vendetta.
Forse vedendo più lontano di me, avevano percepito che questo mio desiderio non avrebbe condotto la mia indegna persona da nessuna parte e che quello di cui avevo maggiormente bisogno era di avere nuovamente la mia famiglia.
Io, però, avevo altri desideri, in quel momento. Trovare la mia vera madre era molto importante per me. Voleva dire che non ero sola al mondo…che non tutto era perduto.
Madamigella Oscar e André avevano raccolto dei registri, dove erano annotati i nomi di tutti i nobili di Versailles e dell’aristocrazia in generale…alla ricerca di una donna di nome Martine Gabrielle.
Questo era il nome pronunciato da Nicole prima di morire.
A quel pensiero, il mio animo si gonfiò di nuova pena ma ugualmente riuscii a mantenermi radiosa. Non desideravo rendere partecipe il mio compagno di danze del mio dolore. Non era il luogo appropriato.
- Grazie André – feci, mentre, camminandogli accanto, mi allontanavo dal centro della stanza. Ero sinceramente sollevata di aver ballato con lui e non con un estraneo. Il ballo a cui avevo partecipato era un ricevimento privato e, dato che la proprietaria della villa era un’amica di Madame e che i cavalieri scarseggiavano, la presenza attiva dell’attendente era stata ben accetta.
- Mi avete impedito di comportarmi scioccamente e sono felice di aver aperto le danze con voi.- mormorai, tenendo la testa bassa.  
Continuavo a sentirmi un po’fuori posto.
Non era il mio ambiente.
Tutto trasudava un certo gusto per le raffinatezze, segno inequivocabile dello sfarzo della casa in cui mi trovavo. Indossavo abiti magnifici, certo…ma, per quanto ne potevo sapere, un abito non mutava del tutto la persona che lo portava…anche se, a giudicare dagli sguardi degli altri invitati, sembrava che la cosa non turbasse nessuno.
Così spaesata, mi persi a guardare le varie coppie che, accompagnate dai violini, continuavano a ballare.
Fu allora che la vidi.
Non ancora donna, bionda e bellissima, si muoveva con grazia nella sala, sotto la guida del proprio compagno, avvolta con un abito sfarzoso che la faceva risplendere tutta.
La fissai, come incantata.
Mai in vita mia avevo visto una fanciulla così piccola e leggiadra al tempo stesso.
 
 
Mai avrei creduto che quell’essere, tanto bello da parer irreale, fosse legato a me…ma questo allora non lo sapevo.
Completamente all’oscuro di tutto, non potevo che fare un’unica cosa: guardare e tacere.
 
Effettivamente, me la prendo un po’comoda. I capitoli della long-fic su Madame sono un po’complessi da realizzare e, non venendomi come voglio, non li sto pubblicando. Paradossalmente, invece, il capitolo di Rosalie mi sta venendo bene.
E’il punto di vista di una persona comune, che filtra tutta la realtà a modo suo. Vorrei ringraziare tutti coloro che mi stanno leggendo e che hanno messo la storia tra preferite/seguite/ricordate. Mi fa molto piacere saper che questo lavoro è degno di essere apprezzato. Ultimamente, ho pubblicato un nuovo capitolo di Il cavaliere nero e di un’originale “Sic Transit Gloria Mundi”. Mi piace variare un po’ ma spero che la qualità del capitolo sia venuta bene. Grazie a tutti per avermi letto.

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Capitolo 14
*** SORELLE ***


 Benvenuti a questo nuovo aggiornamento. Sono molto lieta di sapere che questa storia continua a piacere. Scrivo spesso  per svago e, dato che sono in vacanza, preferisco dedicargli un po’del mio tempo. Alcune cose nella storia sono state modificate. Vado per memoria ma spero di non aver cambiato troppe cose.
Per il momento, vorrei ringraziarvi per avermi letto.
 
SORELLE
 
Non seppi dire quanto rimasi a vedere quella ragazzina.
-E’molto giovane- osservai, cercando di non sbilanciarmi troppo. Era la più piccola nella sala, come dimostrava quel corpo da silfide e quei lineamenti infantili.
- Ha undici anni, infatti- rispose André, guardando la piccola dama…a quella notizia trasecolai ma, ugualmente, non dissi nulla. Era una bambina calata nel mondo degli adulti. Un bocciolo fuori posto, inserito per chissà quale motivo, all’interno di un bouquet di fiori sul punto di appassire.
Ero perplessa per quella presenza così fuori luogo ma sentivo di non avere alcun diritto di giudicare una simile scelta.
Distolsi quindi lo sguardo.
Non ero nelle condizioni di poter avanzare alcuna critica. Io, che fino a qualche tempo prima, facevo la stiratrice.Decisi quindi di portare ogni mia energia nel conversare con le persone lì presenti, anche se non ne ero molto entusiasta.
Dovevo farlo, se non altro per non dare una cattiva impressione e rattristare Madamigella Oscar.
 
 
Fu André ad esaudire questo mio proposito, facendomi da Cicerone e introducendomi alla conversazione di ognuna delle donne invitate al ballo.
Quasi mi pentii di questa mia trovata.
-…e quindi, proprio mentre stava sfoggiando la propria mantellina di volpe, il duca di Bontreau, ha versato il vino sopra la pelliccia!- esclamò una delle dame- Dovevate vedere la scena! Sua moglie squittiva per la stizza, con quella sua vocetta acuta…mentre suo marito, senza fare una piega, dava fondo a tutto il vino della bottiglia!-
Le altre sghignazzarono, mentre io ascoltavo silenziosamente la conversazione. Non conoscendo niente, avevo preso la decisione di memorizzare le varie notizie.
Probabilmente avrei trovato qualche informazione sull’assassina di Nicole.
Non avevo altro pensiero…ma più passava il tempo, più il mio animo mutava.
Quando quella maledetta aveva ucciso mia madre, mi ero fatta una certa idea delle donne nobili. Poi, avevo conosciuto Madamigella Oscar e sua madre…e le mie convinzioni erano cambiate ed ora, insieme a quelle persone, tutto cambiava…di nuovo.
I nobili erano davvero strani.
Mia madre Nicole non aveva tutti i torti a guardarli con diffidenza.
Vivevano esistenze completamente diverse dalla mia, seguendo metri di giudizio e convinzioni per me assolutamente illogiche. Persino in quel momento, non potevo fare altro che chiedermi la ragione della mia presenza a quella festa. Non avevo niente a che spartire con loro e dovetti sfruttare ogni mia energia per dissimulare il mio smarrimento.
In breve, comunque, persi il filo del discorso.
Trovavo le loro chiacchiere assolutamente noiose, priva di senso…e vuote.
Vuote.
Questa era la definizione più appropriata.
Non possedevano alcuna qualità degna di nota e, anche con quegli abiti colorati, erano perfettamente uguali le une alle altre. Tutte con i loro gioielli. Tutte con vesti pregiate. Tutte completamente interessate agli scherzi ed alle piccole cattiverie quotidiane che si facevano con il preciso scopo di rovinarsi la reputazione a vicenda. Funzionava in quel modo…e non mi piaceva.
Col senno di poi, posso dire , per quanto la mia esperienza sia minima, che la vita dei nobili era decisamente noiosa.
Pochi svaghi ammessi.
Pochi passatempi appropriati.
Un’unica concessione: il pettegolezzo.
 
 
 
La musica della sala continuava ad allietare gli invitati.
Alla fine, dopo aver sopportato quello stato di cose, decisi di concentrarmi su quei suoni armoniosi. Non avevo mai sentito degli archi. Non erano strumenti da popolani e la cosa finì con l’affascinarmi.
-André- dissi, allontanandomi dal gruppetto di dame. Si erano attaccate a me, imponendomi la loro presenza, malgrado non le conoscessi. Col senno di poi, compresi che tutto era dovuta alla presenza di Madamigella Oscar.
Nessuno si sarebbe mai curato di me, senza la sua compagnia…e la cosa, un po’, mi rasserenò.
Ero ancora me stessa.
Sotto quelle vesti curate c’era ancora lei…la piccola ed insignificante Rosalie.
-Ditemi- fece questi, guardandomi cordiale.
Con la coda dell’occhio indicai gli strumenti. -Non ne avevo mai visti del genere…ed ero curiosa. –feci, imbarazzata per la mia ignoranza.
André guardò.
-Ah, quelli?- esclamò sorpreso- Madama Elisabetta è un’appassionata di musica e, dopo aver saputo che Madamigella Oscar avrebbe partecipato, ha preteso il meglio. Arrivano direttamente da Brema.-
Lo fissai senza capire.
Non mi interessavano molto quelle cose ma rimasi ugualmente colpita...anche se non avrei dovuto. I nobili erano ricchi e godevano di privilegi in quasi ogni aspetto della loro vita, che fosse la giustizia o il fatto di non pagare le tasse. Lo sfarzo, seppur misurato, ne era una prova evidente.
André avrebbe voluto aggiungere altro ma venne interrotto da una risata argentina.
Entrambi ci voltammo.
Era la ragazzina che avevo visto danzare nella sala.
Deglutii nervosamente.
Così da vicino, sembrava ancora più piccola ed eterea.
- Perdonatemi- fece questa, con la sua vocetta infantile- ma non ho potuto fare a meno di sentire la vostra conversazione. Come è possibile che non abbiate alcuna conoscenza musicale? Stento a credere che non riusciate a cogliere l’evidente differenza tra un rondò ed un minuetto! Come si può presentarsi in questo modo ad un ballo?-
A quelle parole, mi bloccai.
Me lo chiedevo anche io cosa avesse spinto Madamigella Oscar a portarmi a quel ballo. Non mi sentivo per nulla pronta ad un simile debutto e l’ansia di fallire continuava ad assillarmi.
Il commento della ragazzina mi aveva messo in agitazione.
Mi pareva abbastanza normale che non sapessi la differenza…giacché conoscevo la musica da ballo solo da qualche mese.
Ovviamente la bambina non lo sapeva…il pensiero che la copertura cadesse mi fece impallidire all’istante.
Vedendo che non rispondevo, si allontanò da me, pronta a tornare in pista, felice di avermi insultata.
-Davvero insopportabile, la contessina Charlotte!- disse una delle dame che prima conversavano con me.
-Non c’è dubbio- rincarò la dose un’altra- non ha alcun ritegno. Possiede una superbia ed un’arroganza assolutamente inconcepibili.-
-Se fosse stata un membro della mia casa- feci, tenendo la testa bassa- l’avrei presa a schiaffi.-
Ed era vero. Nicole lo avrebbe fatto, senza alcuna esitazione.
Obiettivamente, non nutrivo alcun astio per quella piccola viziata. La mia valutazione era un semplice dato di fatto. Assecondare troppo i capricci infantili non avrebbe mai portato nulla di buono. Proseguire per quella via, non mostrava i limiti concessi ad ogni persona dalla sorte e non rafforzava il carattere.
Chiunque fosse la madre di quella bambina, era sicuramente una scriteriata, che avesse o meno sangue blu.
Purtroppo, nelle mie considerazioni, assolutamente legittime ai miei occhi, non avevo tenuto conto che non mi trovavo più nella mia povera e rassicurante vecchia vita.
Troppo tardi mi resi conto del mio errore.
Le dame che prima mi avevano rivolto la parola, mi guardarono, disorientate dal mio tono eccessivamente duro per i loro gusti.
Avevo già fatto il mio primo passo falso.
La contessina, nel frattempo, si fermò.
-Voi cosa?- esclamò incredula- Prendermi a schiaffi? Nemmeno mia madre si è mai azzardata a farlo! Chi vi ha insegnato un linguaggio tanto volgare? Nessuna dama degna di tale nome è capace di rivolgersi in questo modo a me. Quale famiglia nobile, che possa fregiarsi di questo titolo può…-
Non la feci finire. 
Prima che potesse concludere, le tirai il ventaglio, colpendola al viso.
La contessina si toccò la parte offesa e disorientata mi guardò.-COME OSATE INSULTARE LA MIA FAMIGLIA?- dissi furente – Mia madre era una donna d’indiscussa virtù e di nobili natali e non permetto a nessuno di insinuare accuse tanto pesanti e illegittime!-
A quelle parole, calò un improvviso silenzio.
La concitazione del momento si dileguò velocemente…ed io ripresi lucidità.
Fissai la sala e gli sguardi puntati verso la mia persona.
Occhi stupiti, sconcertati…come se non fossero azioni degne del loro rango.
Ed io compresi ancora di più il mio errore.
Il panico si fece largo nel mio corpo e mi chiesi che cosa avrebbe detto Madamigella Oscar della mia folle reazione. Le lacrime iniziarono a formarsi nei miei occhi e, prima che queste potessero sgorgare dalla loro sorgente, il mio corpo si dette alla fuga.
Dovevo assolutamente andarmene.
Non riuscivo a formulare altro pensiero.
Quel mondo non mi apparteneva.
Troppo bello e troppo vacuo per una come me. Nicole, sicuramente, si sbagliava. Io non potevo farne parte. La musica della sala si fece, intanto, più lieve e, con il crescente silenzio, cominciai a calmarmi un po’.
Avevo promesso a Madame de Jarjayes di non mettere in pericolo Madamigella Oscar ma la mia impulsività aveva fatto cadere la mia parola più in basso di quanto in realtà già non fosse. Mi domandai con che faccia avrei potuto presentarmi di nuovo nella loro casa. Di certo, avevo perso la loro stima.
Provavo un’immensa vergogna per la mia immaturità…con un gesto di rassegnazione, osservai il mio vestito e non riuscii a trovarlo bello come poche ore prima.
Non ero cambiata affatto…o meglio, non nella maniera che mi aspettavo.
Non ero più la piccola ed insignificante figlia di Nicole Lammorliere Valois…ero qualcosa di diverso…ma cosa?
Avevo offeso una nobile e non ero pentita del mio gesto ma ogni azione porta delle conseguenze…è una regola che tutti, soprattutto i miserabili, conoscevano. Come poteva non valere la stessa cosa anche per me, che ero una trovatella dalle origini quanto mai oscure?
Presa com’ero dai miei pensieri, urtai leggermente una dama che veniva dalla direzione opposta alla mia.
- Oh, mi scusi…-provai a dire…ma non riuscii ad andare avanti.
Non mi era possibile.
Davanti a me non c’era una dama qualsiasi.
-Jeanne- mormorai, prima di rabbrividire. Poco lontano da lei, c’era l’uomo che mi aveva frustato a sangue…il ricordo di quel giorno fece scendere in me il gelo.
Lei rimase interdetta per qualche momento, non riuscendo a staccarmi gli occhi di dosso. Scrutava con estrema attenzione le finiture del mio vestito, soffermandosi sui vari particolari.
La guardai anche io.
Era diventata molto bella.
I lunghi capelli scuri erano abilmente acconciati, in modo sobrio ed elegante e portava un abito molto elegante, benché più sobrio.
Sembrava una nobile, in tutto e per tutto.
Immediatamente si affacciarono alla memoria i ricordi di quella mattina.
Un tempo, mi sarei gettata tra le sue braccia.
Un tempo, le avrei baciato le guance, facendomi rimbrottare da lei per quell’eccessiva manifestazione d’affetto.
L’entusiasmo immediatamente scemò.
-Jeanne…-disse allora l’uomo che le stava accanto.
Mia sorella rilassò la fronte.
- E’tutto a posto, Nicolas- fece, guardandolo rassicurante- avviati, ti raggiungerò subito.-
Quel gigante obbedì, non prima di avermi lanciato un’occhiata strana, come di chi è sul punto di riconoscere qualcosa ma non ci riesce. Ugualmente obbedì all’ordine gentile ma fermo di mia sorella.
Rimanemmo sole, io e Jeanne.
- Vedo che ti sei fatta molto bella Rosalie- disse guardinga, senza aggiungere altro…ma non raccolsi la sua provocazione.
Non mi sarei fermata a conversare con lei. Aveva scelto di non avere una famiglia, preferendo una menzogna e non dimenticavo il suo tradimento, benché le volessi ancora bene.
-Come sta nostra madre?- domandò monocorde.
Conoscevo quel tono. Era lo stesso che usava quando voleva fingere indifferenza per qualcosa che, invece, contava molto per lei. La vecchia Jeanne non aveva più segreti per me e mi faceva piacere che una parte di lei continuasse a sopravvivere. Non le risposi subito e passeggiando con calma, la affiancai, come se le mie azioni fossero del tutto spontanee.
-Nostra madre è morta- dissi, voltandomi verso di lei- E’morta, investita dalle ruote di una carrozza. E’morta sulla strada, a pochi passi dalla nostra casa.-
Lei non rispose ed io non insistetti.
Lenta, proseguii nel mio cammino.
 
 
 
Ora che ripenso a quel giorno, mi domando se il mio intervento sia stato dettato da senso del dovere o da uno spirito di rivalsa.
Usai una certa cattiveria nello sputarle contro l’amaro destino di Nicole, indubbiamente. Ero però giovane, sola ed amareggiata…e per quanto le volessi bene e sapessi, nel profondo del mio cuore che non avrei mai potuto recidere quel legame, benché non ci fosse il sangue a fare da collante, non ero così sciocca da credere che tutto poteva tornare come prima.
La famiglia Lammorliere non esisteva più…non restavano che le ceneri.
Ognuna di noi aveva fatto delle scelte, di cui, malgrado fosse passato poco tempo, cominciava a vedere le conseguenze.
Ero ancora arrabbiata con lei e, sebbene non la incolpassi della fine di nostra madre (ero troppo realista e ragionevole per farlo. La salute di Nicole non le avrebbe permesso di arrivare alla vecchiaia…e questo era lampante agli occhi di tutti), non me la sentivo di alleggerire il peso delle responsabilità che non si era presa. In modo assolutamente egoista, ci aveva abbandonate e, scioccamente forse, volevo gridarle contro quello che pensavo.
Aveva ripudiato le sue origini, Jeanne.
Aveva scelto una fantasia per sfuggire ad una realtà insopportabile.
Aveva rinnegato l’affetto della sua famiglia, in nome di una chimera.
Ora che hai un nome, dei bei vestiti e il denaro, sei soddisfatta Jeanne? Puoi dire di essere felice, sorella mia?pensavo.
Non c’era stato alcun avvicinamento tra noi, al contrario e, come se non bastasse, eravamo troppo prese nelle nostre posizioni per giungere ad un compromesso. Mi augurai che un giorno, forse non lontano, avremmo potuto tornare ad essere quello che eravamo un tempo. Sorelle.
 
 
Non sapevo che quell’incontro sarebbe stato l’ultimo che la Sorte ci aveva concesso. Non ci saremmo più parlate così da vicino…e, forse, lo sapevo pure io. La vecchia Jeanne era morta il giorno in cui aveva visto materializzarsi il sogno confuso di una vita. Aveva cambiato pelle…e anche l’anima.
Mi piace pensare che mia sorella, in cuor suo, non sia mai cambiata davvero. Nicole diceva che anche nelle ore più buie, c’è sempre una luce. Un bagliore che non sempre si vede ma che rappresenta la vera bellezza della persona.
Allora, però, non ero così brava a cogliere quella scintilla…e, così, la lasciai andare per quella strada buia che lei stessa aveva scelto.
Sola.
Triste.
Costantemente insoddisfatta.
Insieme a quello spaventoso compagno.
 
Difficile fare questo aggiornamento. Non era affatto semplice. Vado a memoria per cui non so se ho fatto tante modifiche alla trama. Ho impiegato un po’nello scrivere questo capitolo. Dovevo inserire Charlotte e Jeanne…le sorelle di Rosalie.
Una per sangue, l’altra per adozione, entrambe sono una presenza molto significativa per questo personaggio. La fic è più dura, per quanto riguarda il carattere della protagonista ma spero di aver fatto un capitolo di buon livello. Sono molto pignola con me stessa per cui…
tornando ai ringraziamenti, vi sono riconoscente per il tempo che trovate leggendo la mia storia. Ringrazio chi ha messo la storia nei preferiti, nelle ricordate, nelle seguite, chi recensisce e chi legge in silenzio. Siete tutti molto gentili.

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Capitolo 15
*** Sotto la luna ***


 Benvenuti, cari lettori e lettrici, ecco un nuovo capitolo. Buona lettura!
 
SOTTO LA LUNA
 
Contrariamente ai miei timori, Madamigella Oscar non mi biasimò, al contrario.
Sei stata molto abile, Rosalie. Con la tua azione così indignata ed offesa, hai scacciato ogni singolo dubbio su una tua possibile origine non nobile aveva detto, sorridendomi con orgoglio, la mattina seguente, mentre facevamo colazione.
Io non risposi.
Non me la sentivo.
In cuor mio, ripensavo all’incontro con Jeanne.
Al suo sguardo trincerato dietro ad un muro impenetrabile.
A quegli occhi scuri, simili a pozzi senza fondo.
Quella notte avevo sognato quelle iridi, brucianti di fuoco freddo…e ne avevo avuto paura. Non dissi niente ad Oscar su quell’incontro, anche perché non le avevo detto molto in proposito. Lei non sapeva del tradimento che mia madre aveva fatto a mia sorella, né quello che quest’ultima aveva fatto nei miei confronti. Il male che avevo ricevuto da Jeanne e la consapevolezza che quel legame che mi teneva stretta a lei non si sarebbe mai spezzato, non necessitavano di spiegazioni ed il pensiero di condividerlo con qualcuno, alla luce dei nuovi problemi che mi affliggevano, non aveva mai sfiorato la mia mente. Era una cosa mia, per nulla condivisibile…anche se mi era affidata completamente all’erede della famiglia De Jarjayes.
Ripresi le mie esercitazioni con la spada, con l’equitazione e con gli studi di storia e bon-ton. Ripensando a quella sera beffarda, mi rendevo conto di non essere molto preparata per sembrare una nobile e che, per non mettere in cattiva luce Madamigella, dovevo migliorare, approfittando della mia permanenza nel palazzo.
Non avevo però previsto le mosse della mia benefattrice.
Pochi giorni dopo, infatti, partì alla volta di Versailles, senza portare André.
Un evento davvero poco frequente, considerando quanto fossero legati.
Il suo attendente, tuttavia, non pareva molto turbato della cosa.
Oscar è andata ad un’udienza con la regina al Trianon. mi spiegò.
Io non risposi subito.
Mi era stato spiegato cosa fosse il Petit Trianon e, malgrado non dubitassi della loro onestà, ugualmente ero perplessa. Come era possibile che, all’interno di una vera e propria città, quale era Versailles, vi fosse a sua volta un altro palazzo, completamente indipendente da questi? Spesso, dalle finestre più alte, guardavo circospetta quel mondo immenso e caotico…ma, per quanti sforzi facessi, non riuscivo a capacitarmi che potesse esserci un edificio simile.
Non mi era possibile, pur avendo una discreta capacità d’immaginazione.
A quel pensiero, scrollai la testa. 
Io non appartenevo a quel mondo, checché ne dicesse Madamigella. Mia madre era nobile…e allora? Lei mi aveva abbandonato e, se in quel momento mi trovavo alla sua ricerca, era solo per necessità…o almeno, così, mi dicevo.
Andare a quel ricevimento, era stata quasi una tortura. Avevo indossato un abito bellissimo e scomodo, cucito con una stoffa che non avrei mai potuto comprare con il mio vecchio tenore di vita.
 
E poi, quella bambina capricciosa.
 
A quel pensiero, un nodo si strinse in gola.
 
Per quanto quello sciocco battibecco non avesse per me alcuna importanza, mi rendevo conto, al di là della mia reazione indignata, che avevo assunto un comportamento assolutamente infantile pari, se non addirittura peggiore, di quella damina apparentemente docile. Madamigella Oscar aveva lodato la mia azione…eppure, non mi sentivo bene come avrei dovuto.
Mi ero abbassata al livello di una bambina capricciosa…titolo nobiliare o meno. Questo pensiero colmò il mio cuore di sfiducia. Come avrei potuto vendicare Nicole e, contemporaneamente, trovare mia madre, se non sapevo atteggiarmi come quelle dame vuote?
A quel pensiero, non potei che scoraggiarmi ulteriormente.
Potevo cambiare velocemente i miei modi, impegnandomi…ma sarebbe bastato il solo impegno a mutare il mio essere?
Come se non bastasse, avevamo cercato negli elenchi dell’aristocrazia, il nome della donna che mi aveva abbandonato ma, fino a quel momento, la ricerca non aveva portato nessun risultato. Non c’era nessuno con il nome di Martine Gabrielle.
Forse gli elenchi presenti a palazzo non sono completi azzardò alla fine André, stropicciandosi gli occhi dopo l’ennesima notte insonne, passata a consultare quelle maledette pagine.
Madamigella Oscar aveva promesso che avrebbe chiesto ad una certa dama, famosa per la sua infallibile memoria per quanto riguardava i nomi di tutti i nobili.
Dovevo solo attendere.
 
Di nuovo.
 
 
 
 
 
Alla fine, Madamigella Oscar fece ritorno…con una nuova notizia.
Eravamo nella biblioteca del palazzo e, come sempre, mi esercitavo nella lettura, mentre lei guardava fuori dalla finestra.
-Rosalie- fece pacata- ho parlato di voi oggi con sua Maestà. E’rimasta colpita dalla vostra persona e mi ha detto che desidera conoscervi al prossimo ballo…-
-NO!- esclamai, lasciando cadere il libro- Non voglio incontrare la regina! Vi prego, Madamigella Oscar…non posso proprio farlo!-
Madamigella provò a farmi ragionare ma io chiusi gli occhi e mi turai le orecchie, come una bambina che non vuole sentire una notizia spiacevole…e per me lo era.
Da quello che avevo potuto vedere, dalle locandine oscene, spesso usate come bersaglio per il lancio dei coltelli, alle tasse sempre più alte, non riuscivo ad avere una grande considerazione dell’attuale consorte di Luigi XVI.
Certo, ero ben consapevole che bastava un suo ordine, per rovinarmi definitivamente…ma questo non mutava il fatto che io non mi sentissi molto felice di una simile prospettiva. Ad essere sincera, nemmeno partecipare al ballo di Madame Elisabetta mi aveva reso entusiasta. Avevo passato la maggior parte del tempo a tremare e a guardarmi continuamente le spalle, temendo costantemente di essere scoperta.
 
 
 
Ed ora, si aggiungeva Versailles. Che cosa avrei fatto? In confronto, la villa dell’amica della madre di Oscar mi sembrava quasi il minore dei mali.
 
-Nononono- continuai, scuotendo la testa come un mulo testardo- non posso andarci!-
-Rosalie- mi richiamò Madamigella Oscar ma io non la ascoltai e, senza attendere oltre, lasciai la stanza a passo svelto, per raggiungere la camera assegnatami.
Vi rimasi per tutto il giorno…e per il seguente.
Nanny e André vennero spesso alla mia porta, per farmi ragionare, per capire la ragione della mia prigionia volontaria e del mio No.
Ma io rifiutai qualsiasi possibilità di contatto.
Non volevo parlare con loro.
Mi avrebbero blandito con la loro più esperta parlantina…ma che ne potevano sapere loro? Avevano sempre vissuto in una casa nobile e non sapevano minimamente cosa volesse dire essere in miseria. Avevano avuto una vita dignitosa, senza subire mai il morso della fame. Erano borghesi, certo…ma non erano come me.
Passai alcuni giorni, chiusa nella camera assegnatami.
Non scesi mai.
Nemmeno ai pasti.
Poi, una sera, qualcosa colpì la finestra.
In un primo momento non vi badai. Chiusa nel mio volontario digiuno, ed essendo particolarmente abituata a quel tipo di situazioni, mi ero messa a letto, ben decisa a non scendere, a resistere nella mia protesta…e così feci anche allora.
Il suono si ripeté varie volte, fino a quando non sentii la porta aprirsi.
A quel rumore, ebbi un sussulto.
Chi poteva essere?     
Era la residenza di un nobile, vicino per giunta al re. Chi era così pazzo da aggredire uno dei suoi abitanti? Rimase qualche tempo nel letto, indecisa e andare o meno a controllare...poi, alla fine, presi la risoluzione e mi avvicinai al vetro.
 
E vidi qualcosa a cui non ero per nulla pronta.
-MADAMIGELLA OSCAR!-esclamai.
Lei era lì.
Appesa ad un albero come uno di quei monelli di strada...con la differenza che ella era assai più bella ed eterea. I lunghi capelli biondi circondavano il suo viso perfetto, mentre uno sguardo fiero e deciso balenava nel suo viso.
-Mi fate entrare, Rosalie?- domandò, con quella sua voce bassa e rassicurante, come un mare tranquillo.
Il mio cuore ebbe un battito, come quando ero ancora convinta che la mia benefattrice fosse un uomo.
Prima ancora che me ne rendessi conto, avevo aperto la finestra. Oscar mi ringraziò con un sorriso poi, balzando felina, entrò dentro. Io mi scostai, per impedire che si facesse male…e mi ripromisi di non cedere dai miei propositi. Qualunque cosa avesse detto, IO NON VOLEVO andare a Versailles. NON VOLEVO incontrare la causa delle sofferenze dei parigini, colei che, grazie ai suoi capricci ed alla sua insensibilità stava affamando Parigi e la Francia.
Non volevo e basta.
Eppure –che il Signore mi perdoni!- questo pensiero venne meno, non appena posai gli occhi su di lei.
Oscar era come sempre bellissima ma quella sera, per quanto mi sembrasse impossibile, era ancora più bella del solito.
La luce lunare creava strani bagliori azzurrini sulla chioma, di un biondo chiarissimo. Il viso, dai tratti affilati, sembrava ancora più magnetico…colpa, forse. il gioco di chiaroscuro della luna.
Per un momento, dimenticai i miei propositi.
-Rosalie- disse, accomodandosi sul bordo della finestra- mi dispiace per essermi presa la libertà di andare personalmente dalla regina…ma, vi devo confessare che non era mia intenzione mettervi in una simile situazione e credetemi se vi dico che non vorrei che voi proviate un simile disagio. Gli elenchi dei nobili che la biblioteca del mio palazzo possiede, non sono completi. Mancano dei nomi, tra cui quello di vostra madre e c’è a Versailles una dama che conosce tutti i nobili. Sono andata a cercarla ma la regina mi ha comunicato che non era presente. E’stato allora che ha saputo di voi ma non ho detto niente in proposito. Non è nella mia natura fare questo genere di favoritismi.-
Istintivamente chinai la testa.
Sapevo che diceva il vero.
Lei non mi aveva mai mentito.
-Scusate la reazione che ho avuto- dissi, mortificata- non volevo…è tutto così difficile…-
Oscar annuì comprensiva.
- Dover frequentare quel posto, condividere il mio spazio fingendo di rispettare quelle persone che vivono nel lusso, senza alcun sensibilità nei confronti del prossimo, che si disinteressano completamente del fatto che vi sono uomini e donne in piena miseria ma, al contrario, gioiscono del loro dolore…ecco, tutto questo per me è intollerabile. Al ballo di Madame Elisabetta ho compreso la loro vacuità…e con esso, ho perso quel pochissimo rispetto che già avevo nei loro confronti. Come posso quindi essere lieta della vostra notizia? Senza contare che (perdonatemi se lo dico) la regina non ha molta buona popolarità nel luogo in cui ho vissuto. Grazie ai suoi capricci, è sempre più difficile avere il denaro per mangiare e per mantenersi un tetto sopra la testa…e mi rendo conto che voi avete un’opinione diversa dalla mia ma questa è la vita che ho condotto e non posso dimenticarla, confessione di Nicole o meno.- dissi alla fine, chiudendo gli occhi.
Lo feci senza pensarci troppo…come se la luce di Oscar potesse annichilire la mia determinazione.
Dissi quasi tutto quello che mi rodeva in quel momento, sebbene sapessi quanto le mie parole potessero essere pericolose per la mia persona ed il rapporto che avevo con l’erede di quel casato. Non mi erano sfuggite le possibili conseguenze della mia confessione. Lei avrebbe potuto indignarsi…ma il rispetto che aveva conquistato nel mio animo, avvolto dal dolore, meritava quella sincerità, benché amara.
-Apprezzo la vostra franchezza- rispose, benevola la mia benefattrice- ma voi, in tutta onestà, durante la vostra permanenza qui, avete avuto modo di dispiacervi di noi?-
Quella domanda mi colpì nel profondo.
Non mi ero mai posta una cosa del genere,
Presa dal desiderio di vendetta e dalla generale insofferenza per quei nobili che odiavo sinceramente, non avevo pensato ai sentimenti dei De Jarjayes, soprattutto Oscar. Lei non mi aveva mai fatto un torto. né era stata scorretta con me, rispettandomi malgrado le mie origini non mi rendessero degna di un tale onore. Nicole aveva detto che mia madre era nobile ma quel sangue blu, che mai ho visto in me stessa, non serviva a niente senza l’appoggio di una famiglia alle spalle.
E io sapevo quanto la ricchezza e l’influenza contassero.
Era per merito di quei fattori che la mia vita era stata così difficile. 
-Chiedo scusa.- dissi- Farò quello che volete.-
Oscar però scosse la testa.
- Ve l’ho detto, non dovete scusarvi. Il passato è la base che rende una persona quella che è…e se non lo si accetta, il proprio valore finisce con l’essere dimezzato. Il mondo in cui avete vissuto finora è completamente diverso da questo…ma ripudiarlo non è mai la scelta migliore. Anche quando troverete la vostra vera madre, sarete sempre Rosalie…ricordatelo bene.- disse, prima di alzare la testa verso la luna- Per quante maschere una persona possa indossare, se guardate con attenzione, la natura di una persona non cambia.-
Non risposi subito…e lei non me ne diede il tempo. Dopo avermi salutato con un cenno, si avviò verso la finestra, scendendo con un balzo agile a terra.
 
 
Non mi capita spesso di pensare a quell'episodio, perché l’importanza del mio incontro con Oscar ricopriva ogni parte del mio attuale modo d’essere. Posso dire, comunque, che quelle ultime parole, pronunciate a voce più bassa rispetto a pochi istanti prima, mi hanno sempre dato l’impressione che non fossero rivolte necessariamente a me, benché calzassero piuttosto bene alla mia condizione.
Questo genere di discorsi, tuttavia, ho iniziato a farmeli molto tempo dopo, quando avevo maggior sale in zucca e minori timori insensati…quando iniziai a considerare madamigella Oscar non come una divinità ma come quello che effettivamente era: una donna cresciuta in modo per nulla ortodosso e che, da un capriccio paterno, si era trasformata in una persona straordinaria, di gran lunga migliore di molte delle persone che avevo conosciuto.
Costantemente in bilico tra due mondi, senza sceglierne nessuno, incerta nel proprio modo di essere forse…ma non per questo priva di quello che molte sue simili potevano solo sognarsi: la libertà.
 
 
Capitolo di transizione, nato con lo scopo d’introdurre un confronto tra Rosalie e madamigella Oscar. Nell’anime, le due non hanno molti contatti. Questo capitolo nasce per introdurre uno dei possibili missing moment della storia. Passato e presente si alternano in continuazione, confondendosi. Spero che sia corretto perché è scritto di corsa.
Vorrei ringraziare tutti coloro che leggono.
Studiare ad agosto non è il massimo ma non posso fare diversamente. Vorrei comunque ringraziare tutti i lettori che si prestano a considerare questa fic. Come per la canna e la quercia, anche questa verrà aggiornata con maggiore frequenza da parte mia.  Quanto alla long fic sopra citata, sappiate che sto scrivendo i capitoli.
A presto, e buone vacanze!
 
cicina

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Capitolo 16
*** L'amante del nord ***


Salve a tutti cari lettori! Spero che abbiate passato una bella vacanza o comunque vi siate riposati nei giorni più torridi di questa estate. Io vi lascio ad un nuovo capitolo e vi ringrazio per avermi letto.
 
L’AMANTE DEL NORD
 
Ammetto che all’epoca dei fatti ero ancora ingenua e che non avevo tenuto conto di aspetti a cui in realtà avrei dovuto prestare la massima attenzione. Conoscevo la pericolosità dei nobili grazie alle angherie che avevo visto quotidianamente sulla strada ma ero del tutto all’oscuro della pericolosità che un nobile poteva rappresentare nei confronti di un suo pari.
E non sapevo nemmeno che un parvenue  poteva essere ancora più terribile di un aristocratico la cui famiglia è inserita a corte già da generazioni.
Questa mia ignoranza rappresentò certamente un problema non di poco conto…e quel che è peggio è che ben presto si avverarono le parole di Madame de Jarjayes.
Ricordo bene quella sera.
Stavamo leggendo nel salotto personale della mia benefattrice, quando Nanny si presento sulla soglia, chiedendo a Madamigella Oscar di andare all’ingresso.
- Perdonatemi- rispose, guardandomi dispiaciuta- ma devo andare.-
La vidi lasciare la stanza…e la curiosità mi prese all’istante.
Rimasi qualche momento immobile, poi decisi di seguirla.
Raggiunsi il pianerottolo e poco prima di essere sulle scale del palazzo li vidi. Madamigella parlava con un uomo che non avevo mai visto.
- La regina mi ha detto che desidera parlarvi urgentemente. E’successo un problema di cui Sua Maestà desidera parlare con voi soltanto ma non può attendere domani. Non desidera che la corte possa udire la conversazione. – stava dicendo, prima di irrigidirsi per un momento, non appena l’occhio cadde sulla mia persona…e successe una cosa strana.
L’uomo che affermava di essere al servizio della regina, si irrigidì, squadrandomi con un fare quasi predatorio…ed io ebbi uno strano presentimento. Quella situazione non mi piaceva affatto.
Lo sconosciuto parve innervosirsi e, per qualche strano motivo, chiese a Madamigella di fare in fretta. La accompagnava pure André ma questo non mi tranquillizzava.
-Madamigella- feci, raggiungendola di corsa- dove avete intenzione di andare?-
Lei mi sorrise.
-Scusatemi Rosalie- disse, comprensiva- ma la regina ha chiesto di me.-
-Non è giusto- sbottai-avevate promesso di passare il tempo con me questa sera.-
Oscar scosse la testa.
-Non mi è possibile.- rispose ma io non demorsi.
-Portatemi con voi questa sera – dissi allora e Madamigella, grazie all’intercessione di André, che parlò in mio favore, e alla strana impazienza del servitore reale, si ritrovò ad accettare.
Fu così che partimmo ed io, mentalmente mi chiesi se avrei incontrato di nuovo l'assassina di mia madre.
 
 
Eravamo in carrozza da una decina di minuti circa e fuori dal mezzo si sentiva un teso silenzio, come quando nell’aria si percepisce la presenza di qualcosa ma non si sa cosa.
Gli alberi sembravano non finire mai e quel ripetersi di piante a non finire mi angosciava, al punto da impedirmi di parlare. Anche André aveva smesso di scherzare, come era suo solito ed ora fissava il paesaggio fuori dalla finestrella, con fare guardingo.
-Oscar...- fece, lanciandole uno sguardo d'intesa.
-Sì André- concordò la mia benefattrice, stringendo leggermente l'elsa della spada- questa non è la strada per Versailles.-
La testa mi si riempì di nuove domande, mentre la consapevolezza di essere in trappola prendeva lentamente il sopravvento. La carrozza, poi, si addentrò nel fitto della boscaglia e, poco dopo, sentimmo all'esterno un rumore sordo, come di un corpo che cade. André cacciò la testa fuori...e vide che il cocchiere, colui che ci aveva condotto fin lì, era sparito.
-OSCAR!- esclamò, mentre i cavalli, ormai senza guida, rallentarono il passo, fino a fermarsi del tutto.
Giungemmo così in un punto poco frequentato di quella strada buia.
Nemmeno la luna pareva battere quella sera, ancor meno in quel posto divorato dagli arbusti selvatici. Oscar e André continuarono a fissare fuori, con aria vigile e tesa, mentre io tremavo come una foglia.
-Rosalie- mi disse la mia benefattrice- datemi la mano.-
Obbedii ma il palmo si fece straordinariamente pesante, non appena sentii il calcio della pistola sulla pelle. La guardai, in cerca di qualche risposta...ma non ce ne fu il tempo.
Dei passi, provenienti dalla boscaglia catalizzarono l'attenzione generale e poco dopo, fecero la loro comparsa un gruppo di uomini con il volto coperto.
-Prendetela- disse, prima di aprire la porta- e cercate di difendere la vostra vita-
Non ebbi il tempo di rispondere.
Oscar e André balzarono fuori dalla carrozza e cominciarono a duellare nel buio contro quei criminali. Molti caddero a terra ed io, non essendo particolarmente brava, rimasi nella  carrozza, mentre guardavo silenziosa e tremante la scena.
Oscar si muoveva con una grazia letale tra i fendenti. Il suo fioretto colpiva il nemico con una precisione davvero impressionante. La guardai con ammirazione. Forse, il suo essere donna era un fattore di svantaggio per quell'arte mortale ma, di certo, se qualcuno l'avesse vista in azione, non avrebbe minimamente prestato caso alla sua natura. I sicari, tuttavia, poiché era ormai chiaro, a giudicare dalla concentrazione con cui questi si scagliavano contro, sembravano voler la sua vita.
E più quel momento durava, più me ne convincevo.
Come se non bastasse, con il procedere dello scontro, avevo come l'impressione che la fatica avesse iniziato ad affliggere la mia benefattrice, rendendole i movimenti più rigidi e pesanti.
Devo aiutarla!fu il mio pensiero.
-Madamigella Oscar!-esclamai, aprendo lo sportello.
Oscar si voltò.
-ROSALIE! TORNATE DENTRO!- mi urlò, mentre si destreggiava con uno dei suoi avversari.
Sgranai gli occhi.
-Ma...- provai a dire.
-ECCO!- fece uno dei briganti- E'LA RAGAZZA!-
-UCCIDETELA!- ordinò un altro, impegnato a duellare contro André.
Il sangue mi si gelò nelle vene e, rapida, mi rintanai nella carrozza. Uno dei nostri aggressori, si avvicinò al mezzo e, benché, avessi chiuso lo sportello, questi lo aprì, forzandone l'apertura.
Me lo ritrovai così di fronte, con quello sguardo crudele che mi ricordava tanto l'uomo che mi aveva frustato a sangue nella casa di Jeanne. Strinsi allora la pistola che Oscar mi aveva dato, ma le mani si muovevano impacciate, preda di un'agitazione che mi impediva di ragionare...e in breve mi ritrovai nuovamente disarmata.
Quel fatto fece sogghignare il mio aggressore.
-E'LA TUA FINE!- gridò, levando la spada, mentre io chiudevo gli occhi, in attesa del colpo mortale...ma ciò che sentii non fu il dolore nel corpo ma un gemito non mio. Guardai allora, e vidi il tagliagole accasciarsi a terra. Sulla schiena, faceva bella mostra di sé, conficcata nella carne, la spada di madamigella Oscar.
Subito allora alzai la testa, alla ricerca di quel volto che avevo imparato ad amare.
-MADAMIGELLA!- esclamai, sperando di scorgerla nella mischia...ma quando la vidi, pregai di essermi immaginata tutto. Lanciando quel fioretto, la mia salvatrice si era privata di un'arma. La vidi tentar di recuperarne una simile tra i cadaveri dei briganti ma uno di loro, approfittando della sua distrazione, la colpì con la spada...ed Oscar si accasciò a terra.
Quella vista mi paralizzò.
Non tanto per il fatto di aver visto dei morti, quanto piuttosto perché, per la seconda volta in vita mia, avevo visto a terra una persona a me cara. L'immagine della mamma, agonizzante sulla strada mi si parò innanzi e, senza sapere come, cominciai a gridare, quasi fossi fuori di me.
E forse, un po' lo ero.
Avevo promesso di non mettere in pericolo quella donna ed avevo fallito miseramente. Le cose, intanto,si stavano mettendo male per noi, in netta minoranza rispetto ai nostri nemici.
Poi, dal fondo della strada, si udì il rumore delle ruote di una carrozza, accompagnate dalle urla del suo occupante. I briganti, disorientati dalla cosa, si dettero alla fuga.
 
 
 
 
Colui che ci aveva salvati, era un nobile e, cosa assai strana, mi sembrava piuttosto familiare. Anche lui, dopo aver prestato ogni soccorso necessario alla mia benefattrice e aver fatto chiamare un medico, mi lanciava qualche occhiata incuriosita, che io ricambiavo, con il medesimo tono.
Aveva i capelli biondo cenere e dei lineamenti virili ed armoniosi. Possedeva un fisico atletico e gradevole e, complessivamente, si poteva definire, senza timor di errore, che era un uomo eccezionalmente bello.
Inclinai leggermente la testa. Dopo André, era il secondo uomo oggettivamente avvenente che vedevo. Un discorso comprensibile, considerando la popolazione maschile da me incontrata finora era rovinata dalla fame e dalla miseria.
Il dottore aveva allontanato tutti dalla camera dove giaceva Oscar e, dopo averla visitata, aveva sentenziato che la ferita non era grave.
Quella notizia ci rasserenò e, con animo più leggero, cominciai a dare una mano a Nanny, nell'accudire Madamigella Oscar. André se ne stava fuori, in attesa: era in quelle occasioni che si vedeva l'artificio della condizione della mia benefattrice. Se fosse stata davvero un uomo, il suo attendente non avrebbe avuto così tante premure...ma come donna, queste riserve erano più che comprensibili.
Scioccamente, quella verità mi mise di buon umore, al punto da farmi sentire quasi una sorta di privilegiata. Solo io, insieme a Nanny, avevamo la possibilità di accedere alle stanze di Madamigella Oscar.
Entravo ed uscivo dalla sua camera e, così facendo, avevo modo di notare André ed il nobile che ci aveva salvati. Se ne stavano entrambi lì, in attesa di nuove notizie sulla salute della ferita. Quella premura silenziosa mi commosse un po', al punto da spingermi a vedere con minor severità quello straniero di cui, grazie a Nanny, ero riuscita a sapere l'identità.
Egli altri non era che il chiacchierato conte Hans Axel di Fersen, nobile svedese, noto per essere l'amante della regina e per questo odiatissimo. Ne avevo visto la sagoma sulle locandine oscene che mi accompagnavano lungo la strada della mia precedente casa ma, posso affermare, che quei ritratti non gli rendevano affatto giustizia.
Era molto più bello dal vero e, ora che ho acquisito un po'più di sale in zucca, come donna non posso più biasimare la sovrana. Rinchiusa in un matrimonio combinato, come poteva non cedere al fascino di un gentiluomo simile?
Naturalmente, queste considerazioni benevole giunsero solo in un secondo momento, molti anni dopo, quando mi ritrovai ad assistere la sovrana durante la sua prigionia. Allora, mi limitai ad una mera osservazione oggettiva della sua bellezza.
-Chiedo scusa signorina- disse, durante uno dei miei viaggi tra la camera e la cucina.
Mi fermai.
Portavo una bacinella d'acqua da sostituire con una nuova e non mi aspettavo che quel nobile volesse parlare con me.
-Ditemi- dissi, appoggiando il contenitore sul tavolo.
Il conte mi guardò fisso per qualche momento, prima di scrollare la testa, come se fosse pungolato da qualche pensiero. - Mi prenderete per pazzo ma- fece, grattandosi il capo- ci siamo per caso incontrati da qualche parte?-
Lo guardai.
- Certo- risposi, sorridendogli gentile- a Parigi. Stavo per finire sotto le ruote della vostra carrozza.-
L'espressione del conte si fece di pietra ed io non capii che cosa avessi detto di tanto sbagliato. Doveva però essere piuttosto divertente perché André, che era seduto su una sedia in corridoio ed aveva sentito tutto, non smise mai di ridere durante tutta la brevissima permanenza del conte a Palazzo De Jarjayes.
 
Allora, spero di aver reso bene questa scena d'azione. Non sono una cima e talvolta ho l'impressione di essere troppo precipitosa, almeno per i miei standard. In ogni caso voglio ringraziarvi per avermi letto e recensito.
A presto!

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Capitolo 17
*** Scoperta ***


Benvenuti, cari lettori, sono contenta che la storia vi piaccia.

Eccovi un nuovo capitolo. Buona lettura.

 

SCOPERTA

 

Madamigellla Oscar impiegò poco tempo prima di rimettersi e, per sua fortuna, dal giorno dell'imboscata, non subì altri incidenti. L'unicità del fatto, considerando soprattutto che il luogo in cui eravamo stati aggrediti era vicino alla reggia, scatenò diverse voci...pettegolezzi che sparirono piuttosto in fretta con l'annuncio che il conte Hans Axel di Fersen era tornato a corte.

Un personaggio che era ormai diventato un ospite fisso a Versailles e palazzo De Jarjayes.

Figura immancabile di ogni salotto. Conoscitore di diverse lingue, aveva girato per l'Europa, per poter completare la sua istruzione, finendo così in Francia.

Confesso che, prima di vederlo dal vivo, non mi era molto simpatico.

Lo consideravo come uno dei tanti capricci della regina...ma, una volta affacciatami al mondo dei nobili, avevo compreso che la reputazione di cui godeva era decisamente peggiore.

E'il cicisbeo mancato della regina aveva detto Madame, raccontandomi uno degli aneddoti sul suo conto e aggiungendo infine un Non mi sarebbe dispiaciuto averne uno del genere, se la mia famiglia e mio marito me lo avessero permesso.

Mi resi conto che il conte era un uomo che, per la rapidità con cui si era guadagnato le attenzioni della regina, non poteva che essere odiato. A differenza di molti altri nobili, però, che pure a loro tempo avevano goduto dei privilegi di un rapporto confidenziale con la sovrana, Hans Axel di Fersen non aveva mai avanzato richieste materiali.

Poteva farlo.

Era in suo potere.

Avrebbe ottenuto tutto...ma non lo aveva fatto...forse perché possedeva già un tesoro ben più prezioso: il cuore della dama più potente di Francia.

Una somiglianza che, ironia della sorte, lo rendeva simile a Madamigella Oscar.

Spesso lo vedevo a casa della mia benefattrice e mi capitava di udire le loro risate.

Non ho mai avuto modo di sapere che genere di discorsi facevano ma posso affermare che, con lui, Madamigella Oscar era diversa. Più controllata, più rigida, come se tenesse alla sua considerazione, a dare il meglio di sé...in un modo che non gli avevo mai visto fare con noi.

Una stranezza che difficilmente sarebbe sfuggita ad un osservatore attento. Anche André era strano, quando vedeva il conte svedese aggirarsi per la residenza della mia protettrice. Pur mantenendo la consueta cortesia, pareva più affettato e distante, diventando simile a quei servi in livrea che avevo visto aggirarsi per la reggia, scorrazzando qua  e là per soddisfare i capricci dei padroni.

Un comportamento ben diverso rispetto a quando eravamo solo noi tre.

Pareva quasi geloso delle attenzioni che la padrona di casa gli riservava...e, quando si accorgeva del mio sguardo incuriosito, mi portava altrove, a studiare o ad esercitarmi con la spada.

Quest'ultimo divenne in breve tempo una delle mie principali attività...e non era un caso. Da quando avevo saputo l'identità dell'assassina di Nicole, mi ero impegnata con maggior determinazione nella scherma, nella speranza, un giorno, di poter attuare il mio disegno di vendetta.

Piantare la lama della mia spada nel petto di quel mostro. Questo solo era il mio desiderio. Non avrei mai cercato la donna che mi aveva abbandonato, senza prima aver messo in pratica quel piano di vendetta.

Nicole non meritava di morire in quel modo ed io, non avendo abbastanza fede in una giustizia divina, avevo deciso di farmi io stessa carnefice di quella sporca assassina. Lasciare la vendetta sarebbe stato come dimenticare tutti i sacrifici che quella povera popolana aveva fatto per me...ed io non ero un'ingrata.

 

 

 

Non sapevo che il destino aveva in serbo per me uno scherzo che tuttora reputo di cattivo gusto.

 

 

Le ricerche di mia madre proseguivano ma il desiderio di vendetta mi aveva spinto a trascurare quell'aspetto. Oscar guardava gravemente le mie esercitazioni e, forse, si era persino pentita di avermi insegnato la scherma.

Non serviva ad una dama...ma io non mi sentivo una nobile e questo non rappresentava per me un problema.

Tirare di scherma, cavalcare, però,  mi permetteva di occupare la mente in qualcosa che non fosse il ricordare gli ultimi eventi tristi della mia vita di popolana. Non li avevo mai abbandonati, benché ormai avessi sempre lo stomaco pieno e le membra più riposate.

Poi, il fulmine a ciel sereno.

Stavo tornando da una cavalcata e, dopo aver messo il cavallo nelle scuderie, mi ero incamminata verso la residenza dei De Jarjayes.

-Oscar, Oscar- sentii dire.

Mi fermai immediatamente.

Era la voce di André.

-Dimmi pure- fece Madamigella -che cosa è successo?-

-Ho finalmente trovato il nome della madre naturale di Rosalie.- annunciò, con voce sgomenta.

A quella notizia, accellerai il passo, raggiungendo un punto dove avrei potuto sentire meglio quanto si stavano dicendo.

-Davvero?- domandò lei.

-Sì- confermò Grandier- e vorrei non averlo scoperto...sembra tutto un tragico scherzo del destino.-

A quelle parole, mi morsi le labbra e, senza accorgermene, strinsi con maggior forza una delle escrescenze in calcestruzzo che decoravano le pareti.

-Avanti, André- lo esortò Oscar- non perdere tempo. Non mi piacciono i misteri.-

-Come vuoi tu, Oscar- rispose l'attendente- la madre di Rosalie si chiamava Martine Gabrielle de Pollastrion ma, una volta sposata, non si sa bene per quale ragione, ha cambiato improvvisamente nome.-

-Questo spiega per quale motivo, malgrado la traccia che avevamo, il suo nome non compariva nei registri della nobiltà- disse la voce pensosa di Madamigella- ed ora come si chiama?-

Quasi non respirai.

Finalmente, avrei conosciuto le mie origini.

- Ecco, una volta sposata, si è fatta chiamare Yolande Martine Gabrielle, contessa de Polignac.-

A quelle parole, sperai che tutto fosse un sogno...che fosse una fantasia, un incubo...ma a volte, la realtà superava grandemente anche l'immaginazione.

-NO!- gridai, uscendo allo scoperto.

Oscar e André mi fissarono stupiti e dispiaciuti.

-Non può essere lei- dissi, tremando per la furia- NON PUO'ESSERE QUEL DEMONIO LA MIA VERA MADRE!-

E, senza dare il tempo loro di rispondere, scappai via, lontano da quelle persone che tanto mi avevano aiutato.

 

 

Rimasi per alcuni giorni nella mia stanza.

Volevo rimanere sola e, questa volta, Madamigella mi accontentò. Non mi disse parole di conforto, né si profuse in discorsi di circostanza...e lo stesso fece André. Apprezzai davvero il loro tatto. Avevo bisogno di stare sola, di pensare.

L'assassina di Nicole e la madre che mi aveva abbandonato anni prima erano la medesima persona. Dovevo decidere che cosa fare. Non si trattava più di scegliere se uccidere la maledetta che aveva distrutto la mia vita o trovare mia madre. Esse coincidevano con la medesima persona...e allora la domanda cambiava.

Cosa avrei dovuto fare?

Vendicare ugualmente Nicole, malgrado non fosse mia madre?

Uccidere la contessa, pur sapendo che una catena di sangue mi legava a lei?

Comunque vada, ricaverò dolore mi ritrovai a riflettere...e, sia pur dopo qualche tentennamento, scelsi la vendetta.

 

Capitolo breve, nel quale Rosalie scopre chi è la sua dolce mammina. Mi sono ispirata all'anime, in questo capitolo. Nel prossimo, come ben immaginerete, farà la sua comparsa Charlotte, quella poveretta che si è beccata quel pedofilo. Qui c'è una certa dose d'introspezione, secondo il mio stile.

Mi scuso per il ritardo e spero di pubblicare il prossimo capitolo un po'più velocemente.

 

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Capitolo 18
*** SALTO NEL VUOTO ***


Benvenuti a questo nuovo capitolo. Sono molto contenta di vedere che la mia storia piace. Per il momento, andrò avanti con questa e quella di Madame. Vorrei ringraziarvi per avermi letto fino ad ora.

Siete stati molto gentili.

 

SALTO NEL VUOTO

 

Immagino che molti, dopo una scoperta del genere, avrebbero ceduto all'incredulità, finto di non credere al vero che si celava dietro ad una simile notizia.

- No- feci, con una freddezza che pensavo non mi appartenesse- quella donna, la contessa di Polignac, non è mia madre. Solo Nicole merita questo titolo ed il mio affetto. Lei è la sola madre che riconosco.-

Oscar e André non dissero niente, troppo sbigottiti per parlare.

Io, dopo quelle parole, mi chiusi nel silenzio e non affrontai più l'argomento. La mia ricerca era finita ma, a differenza di quanto pensavo, non le mie scelte. Per molto tempo, mi rifiutai di essere stata generata da quel ventre immondo.

Era assurdo che quella dama orribile potesse essere mia madre...persino accostare quel titolo al suo nome mi dava la nausea. Per mia fortuna, Madamigella ed il suo attendente non fecero alcun commento in proposito né, tantomeno, mi spinsero a lasciare quella casa per trasferirmi dalla contessa.

Venni esonerata anche dal fare visita a Versailles.

Non ne vedo la necessità sentenziò sarebbe davvero troppo penoso per i vostri nervi.

E questo era vero.

Non avrei potuto mantenere l'autocontrollo necessario, sapendo che quel mostro si aggirava indisturbato per la corte.

In questo mio isolamento, il pensiero di vendicare Nicole si ripeteva ossessivo nella mia mente, insieme all'immagine della sua sagoma priva di vita. Spesso, me la vedevo davanti, fissarmi con i suoi occhi vuoti e spenti...e mi chiedevo come fosse possibile contenere un simile odio verso colei che la Natura aveva designato come madre.

Oscar e André, intanto, avevano ripreso le mansioni presso la corte e presso il casato, lasciandomi più tempo di quanto potessi credere.

Immagino che si fidassero di me.

In quel periodo, lottai strenuamente contro il desiderio di vendetta che mi logorava, alla disperata ricerca di un appiglio che mi impedisse l'irreparabile. Volevo disperatamente uccidere quella donna maledetta...ma, allo stesso tempo, il mio animo usciva turbato, ogni volta che ero sul punto di cedere.

Avevo paura.

Una volta esaurita la vendetta, avrei corrotto la mia anima con un matricidio...la colpa più aberrante per me, che avevo sacrificato tutto per la famiglia. Il rimorso, per quello che avrei potuto commettere era insostenibile. Alla fine, però, non so bene come, decisi di proseguire per quella via.

Una notte, scesi in uno dei salotti della casa e presi una delle pistole, insieme alla polvere da sparo. Avevo saputo che la contessa era andata presso un certo duca de Guiche, per non so bene quale motivo. Il caso voleva che la residenza più vicina alla corte fosse ad un tiro di schioppo da quella dei De Jarjayes.

Sgattaiolai così nelle scuderie.

Nessuno si accorse di me.

Vivere nei bassifondi parigini mi aveva insegnato a muovermi senza fare rumore, senza lasciare alcuna traccia del mio passaggio. Presi uno dei cavalli e, dopo averlo preparato, montai al galoppo.

Corsi a lungo, attraverso la boscaglia, fino a quando non arrivai al palazzo. Allora, scesi a terra e mi misi in attesa. Era un castello medievale, dalle mura alte e magnifiche...a quella vista rabbrividii.

Alla luce del giorno, doveva essere una magnifica costruzione ma in quel momento, immerso com'era nel buio della notte, aveva un che d'inquietante...che ricordava quei racconti di paura che talvolta sentivo alla locanda, quando, per via delle commissioni, mi trovavo a dover passare di lì.

Quel castello mi lasciava addosso una sensazione spiacevole che non riuscivo ad interpretare.

Questi pensieri vennero comunque meno, non appena il ponte levatoio calò, facendo passare una carrozza.

A quella vista, mi portai lungo l'unica strada che portava a quella costruzione, appostandomi in attesa.

Qualcuno ora, potrebbe chiedermi come feci a riconoscere la carrozza della contessa. La verità è che la dama più vicina alla regina aveva un mezzo dalle insegne piuttosto vistose e, avendo imparato a riconoscere, la sua araldica, dedussi che era il mio bersaglio.

Mi misi così di traverso, mettendo in bella vista la pistola.

Il cocchiere, vedendomi, si fermò e, dopo avergli intimato silenziosamente di scendere, afferrai le briglie e, incitando il mio cavallo, impressi agli altri il passo che volevo.

Non appena la carrozza partì, a velocità sostenuta rispetto a prima, sentii uno strillo soffocato dall'interno del mezzo...e non potei fare a meno di sorridere dura. Vi farò morire come la cagna che siete! pensai, mentre la tiravo con me.

Non pensai a nulla in quel momento, tranne darle la morte nel modo più ignobile possibile. Avrei fatto sentire su quella pelle ignara della fatica, la vergogna che una donna come Nicole doveva aver provato, nel venir ridotta in fin di vita lungo una strada e nell'essere lasciata lì senza alcun riguardo.

Nel frattempo, le urla della Polignac risuonavano nel bosco, malgrado il vento della mia corsa furiosa ne smorzasse non di poco l'intensità.

Mi fermai solo dopo essermi accertata di essere giunta in un posto adatto.

Solo allora, fermai i cavalli e scesi a mia volta.

-Uscite subito dalla carrozza-intimai, con la pistola stretta tra le mani.

Lo sportello si aprì e scese la sagoma tremante della contessa. La guardai inespressiva. Indossava uno dei suoi magnifici vestiti e la pettinatura, a causa del vento, era leggermente sfatta. Il suo viso, così orribilmente simile al mio, trattenne un filo di sicurezza per qualche istante poi, però mi riconobbe e divenne improvvisamente pallida.

-Contessa di Polignac- mormorai monocorde.

Lei sgranò gli occhi e sussurrò un soffocato -No!-

-Sono qui per prendermi la vostra vita, come voi avete fatto a suo tempo con mia madre.- dissi, stringendo la pistola.

-No!- gridò.

-Io vi ucciderò.- ripetei, più fredda del ghiaccio.

-NO! NON VOGLIO MORIRE!- urlò, dandomi le spalle, cominciando a scappare- AIUTO!- Quella femmina patetica cominciò a strillare, chiedendo soccorso ma la zona dove l'avevo portata era ben lontana dalle strade battute. Lo avevo scoperto durante le mie cavalcate in solitaria, mentre ero presa dal desiderio di vendetta.

-E'inutile che voi proviate a scappare- dissi- non c'è nessun tirapiedi disposto a sacrificarsi per la vostra inutile vita.-

-Cosa vuoi?- prese allora a farneticare, tentando di mettere più distanza da me- Oro, gioielli...posso darvi tutto, posso...-

-TACETE, IN NOME DI DIO!- esclamai, furente- Nulla del vostro sporco denaro potrà restituirmi quello che mi avete tolto...e ora pagherete il prezzo delle vostre azioni.- Lei provò nuovamente a sfuggirmi, sebbene le stoffe della lunga gonna ostacolassero non poco il suo passo.

Io però indossavo i pantaloni...ed avevo la pistola.

Alla fine, la contessa di Polignac inciampò, cadendo a terra come un sacco di farina. -TI PREGO!- continuò a strillare- LASCIATEMI ANDARE!-

La guardai con disprezzo. Nei suoi occhi, potevo leggere la paura per la fine inevitabile e l'ostinazione a non voler vedere in faccia la realtà.

Avvicinai il dito al grilletto.

Pochi istanti e poi avrei posto fine a tutto.

Avrei chiuso il cerchio, libera dal fardello della mia vendetta.

Ero ormai ad un soffio dalla realizzazione di tutto questo...ma la mano, con il passare del tempo si faceva sempre più debole e incerta.

Lei era la donna che mi aveva privato di colei che consideravo mia madre. Ed era lei stessa la donna che mi aveva partorito.

Era il mostro che aveva ignorato le sue responsabilità, preferendo un crimine al necessario soccorso che le spettava. Ed era mia madre.

Uccidere mia madre...per vendicare mia madre.

La pistola, a quella rivelazione, si fece insopportabilmente pesante.

Mi ero allenata a lungo per quello scopo...ma avrei potuto fare questo, condividendo con i sensi di colpa per tutta la vita? Improvvisamente, mi feci più incerta e insicura.

-Rosalie- disse una voce.

Mi voltai, scoprendo con sorpresa André e, poco distante, Madamigella Oscar. Mi avevano trovato, benché il punto dove stavo era defilato rispetto alle vie principali. La guardai smarrita. Lei era lì e sembrava come in attesa.

A quella vista, tutta la determinazione che mi spingeva a compiere quell'abominio si dileguò, mostrandomi quanto, in realtà, tale azione era miserabile e terribile.

Io non ero un vendicatore...ma solo un'orfana.

Gli occhi, a quella verità, si sciolsero in lacrime.

-Madamigella Oscar- dissi, buttando a terra la pistola e correndo verso di lei-MADAMIGELLA OSCAR!-

-Rosalie- rispose lei, accogliendomi tra le sue braccia.

-Non potevo...-singhiozzai, stringendomi alla sua camicia- non potevo ucciderla...volevo ma...-

Oscar mi accarezzò lieve il capo.

-Hai fatto bene- disse lei, comprensiva- sei una brava ragazza Rosalie e non avresti mai potuto fare un'azione del genere...non avresti  mai potuto uccidere tua madre.-

Non ebbi la forza di rispondere, limitandomi ad abbracciarla con maggior forza.

Improvvisamente si udì un tonfo sordo.

-Che cosa?- domandò la voce sbigottita della contessa.

Madamigella non perse la calma.

-Quello che ho detto- rispose- Rosalie è la vostra figlia naturale, allevata da Nicole Lammorliere, la donna che voi avete travolto con la carrozza e a cui non avete prestato soccorso.-

Mi voltai verso di lei, fissandola con odio.

La dama era ancora a terra, la pistola molto vicina a lei, più a portata di mano di quando l'avevo gettata via da me.

-Rosalie- mi richiamò Madamigella- c'è una cosa che devi vedere.-

La seguii, senza dire una parola, lasciandomi condurre verso la carrozza.

-Guarda dentro- disse.

Feci come mi venne chiesto.

Al suo interno, c'era una ragazzina addormentata sui sedili. La veste pigramente adagiata attorno al suo corpo, il volto avvolto in un sonno profondo e inquieto. Era bionda e con i tratti ancora infantili...qualche istante dopo, la riconobbi come la ragazza del ballo di Madame Elisabetta.

-Se tu avessi ucciso la contessa- continuò con tono grave- anche questa ragazzina sarebbe orfana e piangerebbe ora la morte di sua madre. E'tua sorella, Rosalie...la tua vera sorella.-

 

 

 

 

Passarono alcuni giorni da quella notte.

Avevo scoperto di non essere abbastanza spregiudicata da affondare il mio coltello nel petto di quella vigliacca, la stessa che mi aveva abbandonato alla donna che aveva dato tutto per crescermi, insieme alla sua figlia vera. Avevo scoperto di avere una sorella, legata a me da un filo di sangue, che era cresciuta insieme alla persona che mi aveva generato.

Non potevo macchiarmi di quel crimine, non ci riuscivo. Forse, avrei potuto farlo con una sconosciuta ma non con la mia vera madre. Potevo accettare, sia pure con qualche sforzo, di essere un'assassina ma non una matricida.

Fu quindi piuttosto doloroso per me abbandonare ogni proposito di morte nei confronti della Polignac. Una parte del mio animo voleva continuare, malgrado tutto, ma, così facendo, sapevo che avrei tradito quei principi onesti che Nicole, la sola persona che rispettavo e che meritava di essere riconosciuta da me come madre.

Lei sola lo era per me, indipendentemente da ciò che le leggi di Natura avevano deciso al riguardo. Uccidere la Polignac, significava tradire tutto questo...ed io non volevo.

Qualche tempo dopo, Oscar venne da me.

Come sempre, ero in biblioteca, a leggere.

-Sua Maestà ha organizzato un ballo- mi riferì- e ha espresso il desiderio di potervi incontrare.-

-Va bene- risposi, abbandonando uno dei libri- credo che Nanny sarà felice di potermi vestire come una dama.-

Madamigella mi guardò.

-Ci sarà anche la contessa di Polignac- aggiunse, soppesandomi con quegli occhi, troppo sinceri per una nobile.

Abbassai la testa.

-Non ha importanza.- risposi- quella donna non ha niente a che vedere con me. E'Nicole mia madre, la sola che riconosco e che rispetto. Non posso vendicarla ma questo non significa che sia disposta a perdonare la contessa di Polignac. L'unica cosa che mi sento di fare è continuare con la mia vita.-

Oscar annuì.

-Questa casa è anche la tua- disse- sei una di famiglia: per mia madre, Nanny, André  e me. Per tutti. Non sei sola,  non dimenticarlo mai. -

Il mio cuore si scaldò a quelle parole. Anche nell'incertezza che stavo attraversando, c'erano ancora delle persone che mi volevano bene.

 

Rispetto alla prima volta, mi preparai al ballo di Versailles con maggiore serenità. Nessuno avrebbe fatto caso al mio arrivo e potevo godermi la festa senza alcuna preoccupazione. Andai insieme ad André ed Oscar che, per mia sfortuna, doveva occuparsi quel giorno della sicurezza del palazzo. Non la vidi per molto tempo, a causa di quell'impegno. In compenso, potei godere della vista dei vari invitati. A farla da padrone, c'era il conte Hans Axel di Fersen, nella sua tenuta di ufficiale dei Dragoni e molti altri che André mi indicava...troppi perché potessi ricordarmene.

Quello che non riuscirò mai a dimenticare fu ciò che accadde dopo.

Proprio a metà della festa, si presentò nella pista da ballo una cameriera.

-Correte presto!- gridò, in preda al panico, pallida più della cuffia che portava sulla testa- La contessina Charlotte minaccia di gettarsi nel vuoto!-

A quella notizia, i nobili, prima in ozio, alla vista di un simile imprevisto, capace di allontanarli dalla noia, accorsero veloci verso il punto indicato dalla serva. Io rimasi un po'in disparte, non riuscendo a metabolizzare la cosa.

Un fuggi fuggi di persone, avvolte in sete costose e raffinate.

Spronata da André, seguii quella calca, fino a raggiungere una zona leggermente defilata rispetto alle sale dove c'era il ricevimento. Ricordo che c'era una fontana con delle statue a forma di rospo.

-CHARLOTTE- gridava la contessa.

Alzai allora la testa, nella medesima direzione dove stavano guardando tutti. Charlotte era in cima al tetto, in un punto dove la superficie permetteva di stare in piedi. La sua sagoma si ergeva la sopra, avvolta nel leggero vestito da ballo, i capelli sciolti al vento gelido di quella fredda sera.

Lei era lì, immobile e lontana.

-CHARLOTTE, SCENDI GIU', TI SUPPLICO!- gridava la contessa, mentre la guardia reale di palazzo si preparava a salire...ma non fecero in tempo.

La contessina di Polignac, levò il braccio verso il cielo. Teneva in mano qualcosa di chiaro tra le mani. Sembrò guardarlo a lungo poi, dopo quell'istante di sospensione, sotto le urla della contessa, la tirò in aria e, contemporaneamente, si gettò nel vuoto.

 

 

 

Non dimenticherò mai quella sera. Non potrò mai scordare come le stoffe, riempite d'aria, sembrassero delle ali di farfalla. Non potrò dimenticare il rumore agghiacciante di quelle giovani ossa che si rompevano all'impatto. Non potrò lasciarmi alle spalle l'espressione rassegnata e vuota di quel viso di bambina.

La contessa strillava, gridando aiuto, tra l'indifferenza e lo sconcerto generale. Una scena per me paurosamente familiare.

A quella vista, mi nascosi tra le braccia di Oscar e piansi...come quando morì Nicole.

Charlotte de Polignac, la sorella di sangue che avevo scoperto pochi giorni prima di avere, si era suicidata precipitando dal tetto. Aveva 11 anni.

 

Avrei potuto dare più pathos? Forse. Questo è il capitolo del suicidio di Charlotte e la reazione di Rosalie.  Ovviamente le cose precipiteranno. Voglio precisare che lei non sa nulla del fidanzamento della sorella, causa scatenante del suo gesto. Questo è stato il primo incontro con la contessa...e, come saprete, non sarà l'ultimo. Grazie a tutti e alla prossima.

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Capitolo 19
*** Lo scandalo della collana ***


LO SCANDALO DELLA COLLANA

 

Pensavo di essere ormai abituata al dolore.

Mi aveva accompagnato tutta la vita, lasciandomi delle cicatrici. Charlotte era, in quel momento, l'ultima di queste.

Spesso, provavo ad immaginare quello che sarebbe stato se avessi avuto modo di conoscerla...invece, l'unico ricordo che avevo di lei era solo quel battibecco al ballo di Madame Elisabetta. Un episodio davvero patetico e insignificante, se confrontato con quello che Charlotte rappresentava per me, in termini di sangue.

Continuavo a convincermi che fosse solo un'estranea, senza alcun valore...ma ogni volta che ci provavo il mio cuore sanguinava. La pena che provavo per la sua morte tragica era dovuta alla sua giovane età.

Per quale motivo, quella bambina aveva deciso di stroncare così la sua giovane vita?

Quel pensiero rimase comunque lì, come una bolla vagante.

Madame mi informò che la contessa di Polignac aveva chiesto alcuni giorni di permesso, per poter sopportare il lutto in modo più dignitoso. Intanto, il funerale della contessina venne celebrato, sia pure in modo frettoloso.

La contessa avrebbe voluto tumulare la piccola salma nella tomba di famiglia del suo promesso sposo ma aveva incontrato il divieto di questi e del suo stesso marito.

A quella notizia, mi viene tuttora da ridere.

Il suicidio di Charlotte era stato mascherato come un incidente, in modo da permettere la sepoltura della piccola con tutti i sacramenti...merito dell'influenza della madre, indubbiamente.

La notizia, comunque, venne rapidamente accantonata e definita come la sconfitta della favorita della regina.

Probabilmente, quell'episodio avrebbe avuto una presa maggiore negli animi annoiati dei nobili...se non fosse scoppiato lo scandalo della collana.

 

 

Secondo quanto mi dissero André ed Oscar, si trattava di qualcuno che, spacciandosi per una persona vicina alla sovrana, si era impossessato di una considerevole fortuna, proveniente dal ricco e corrotto cardinale di Rouen che, ingannato, aveva versato quel denaro per l'acquisto di una splendida e costosissima collana.

Il suo valore era talmente elevato che solo i reali di Francia, in tutta Europa potevano permettersi un simile gioiello.

Secondo l'accordo, il pagamento di quell'oggetto, sarebbe stato a rate...per questo motivo, i gioiellieri, dopo qualche tempo, cominciarono a mandare delle lettere alla Corona, poiché quel denaro non arrivava nelle loro tasche.

Ne derivò un incredibile scandalo...e la popolarità della regina precipitò ulteriormente.

Il cardinale di Rouen venne interrogato.

La sua versione aveva dell'incredibile: secondo quell'uomo di Chiesa, lui e la regina si erano incontrati in un convegno amoroso. Quella confessione scatenò le ire della sovrana che, pur non brillando per acume politico, non era nemmeno così sprovveduta da concedersi ad un uomo vecchio, divorato dalla gotta e schifosamente corrotto come il cardinale.

Avevo sentito dire che era stato ambasciatore in Austria, collezionando uno scandalo dietro l'altro.

Comunque sia, alla fine, riuscirono a prendere quasi tutti i membri della banda, in particolare la mente che aveva orchestrato la truffa.

Una persona che conoscevo molto bene.

Jeanne.

Scoprii che si era sposata e che il marito, suo complice e braccio dell'intera truffa, era sfuggito agli arresti, andandosene fuori dalla Francia. Lei, invece, insieme al falsario delle lettere e al cardinale, vennero processati.

Anche la regina finì coinvolta ma, essendo membro della famiglia reale, non poteva essere coinvolta nell'atto giudiziario. La sua dichiarazione, comunque, di essere assolutamente estranea all'intera vicenda e di non aver mai rivolto la parola ad alcuno degli imputati, scatenò l'ira del cardinale di Rouen.

Come è possibile che abbiate dimenticato i nostri incontri notturni? cominciò a dire scandalizzato l'uomo, alla presenza della platea che assisteva all'intera seduta. Il fatto era stato tanto increscioso da avere un impatto sul pubblico superiore ad ogni aspettativa.

Vidi pure io tutta la vicenda giudiziaria, che durò alcuni mesi.

Nessuno di loro voleva confessare.

Alla fine, venne chiamata a giudizio Jeanne.

Me la ricordo anche ora.

Se ne stava al banco degli imputati, con la schiena eretta e lo sguardo sfrontato, come quando era bambina, con la differenza che ora i suoi occhi erano cinici e disincantati.

-Jeanne De La Motte- disse il giudice- siete accusata di aver orchestrato una truffa ai danni di sua Maestà la regina. I tuoi complici hanno dichiarato che siete stata voi la mente di tutto. Avete mentito dicendo di essere vicina a Sua Maestà.-

Lei sorrise, sprezzante, ignorando completamente la presenza del cardinale di Rouen.

-Non so di cosa stiate parlando- affermò decisa -Sono una persona molto vicina alla sovrana e mi occupo delle questioni che essa non può svolgere in modo ufficiale...questioni da donna, che possono mettere in serio imbarazzo i diretti interessati.-

Il giudice la guardò torvo.

-Tutto questo è assolutamente privo di senso e voi state abusando della mia pazienza. Raccontate come avete compiuto il vostro crimine.- le intimò ma lei si limitò a sorridere, in quella maniera sfrontata che spesso sfoderava da bambina, quando aveva a che fare con persone più grandi e forti di lei.

-Ciò che dite è assolutamente ridicolo- rispose, invece piccata- vi state accanendo contro di me per nascondere la verità. SIgnori, io sono una vittima, un capro espiatorio delle colpe di chi, troppo più al di sopra di me, può godere della certezza di essere impunito. Persone che hanno il potere di questo Paese e che con i loro vizi e la loro corruzione rovinano noi, povera gente.-

Il pubblico ministero fece per metterla a tacere ma il giudice, con fare annoiato, la lasciò proseguire. - Sono stata solo uno strumento nelle mani di una donna molto potente, dalle dubbie inclinazioni, che ama circondarsi di compagnie bizzarre e immorali per soddisfare ogni suo più segreto piacere. Stranezze sotto gli occhi di tutti...eppur tollerate con delittuosa accondiscendenza. Una donna la cui posizione le permette di commettere qualsiasi misfatto, senza poter essere giudica...e tutti voi sapete a chi mi riferisco.- disse, guardando penetrante tutti i presenti.

-Badate bene, Madame De La Motte- la ammonì il pubblico ministero- le vostre parole potrebbero ritorcersi contro di voi.-

Jeanne lo guardò sprezzante.

-Questo lo so bene - disse, senza perdere la sua baldanza - ma non sto forse dicendo una verità? La nostra regina, che io ho servito personalmente, e che non riconosce i miei meriti per la discrezione con cui ho tenuto celate tutte le sue inclinazioni più nascoste, ha preferito ricompensare questa mia fedeltà, non riconoscendo i miei meriti. Io ho solo fatto il mio dovere, come certa gente, dai vizi contronatura, che la circondano.-

A quelle parole, si levò un vociare confuso: c'era chi la scherniva, chi la accusava e, soprattutto, chi la appoggiava, applaudendo alle sue parole. Madamigella Oscar, sentendo quelle continue insinuazioni, portò più volte la mano all'elsa della spada, malgrado André la invitasse a non perdere la testa.

Io, invece, provai una profonda vergogna.

Come poteva Jeanne essere caduta così in basso? Nicole non aveva avuto il tempo di vederla in quello stato...e, forse, era meglio così. Sarebbe certamente morta di vergogna, se l'avesse vista in quella sala, arrogante e malevola fino all'eccesso.

Nemmeno io riuscivo a riconoscerla eppure, malgrado tutto, non potevo non essere preoccupata per lei.

Come aveva potuto raccontare così tante bugie? Come poteva affermare cose così gravi e, al tempo stesso, mantenere quell'aria sfrontata? C'era un che di titanico in Jeanne, lo avevo sempre saputo. Persino nei momenti più disperati, persino nel momento in cui era chiaro che non vi fosse per lei alcuna via d'uscita, anche in quei momenti tanto scuri, lei non perdeva quella luce sfrontata.

A suo modo, aveva coraggio.

La gente che assisteva la ascoltava muta, in attesa di sentire le sue parole velenose. Jeanne aveva toccato i tasti giusti, parlando della regina in toni tutt'altro che lusinghieri. In quel momento, un brivido mi attraversò la schiena.

I suoi discorsi somigliavano all'idea che avevo della sovrana...prima di conoscere Oscar. Un tempo, avrei condiviso le sue parole, ora no. Il problema è che mia sorella aveva fatto proprio il punto di vista del popolo sulla nobiltà. Malgrado la sua ambizione ad emergere fosse sfrenata, malgrado la disperazione con cui si aggrappava alle sue fantasie, malgrado tutto questo, lei non era affatto cambiata. Poteva pure essere una discendente dei Valois, come nostra madre ci raccontava...eppure ciò che ci aveva cresciuto non erano le sete ed il pane bianco servito ogni giorno a tavola ma la semplice miseria, quell'orrida bestia che ti getta addosso una fame insaziabile. Puoi avere dieci, cento, mille franchi in tasca, se vieni su da un simile fango, questo bisogno difficilmente se ne va. L'unica cosa che puoi fare è lottare con le unghie e con i denti contro di essa, finché puoi.

-Le vostre insinuazioni sono gravi.- disse nuovamente il giudice- Che venga portato il testimone. Sono certo, Madame De La Motte, che questa persona vi riconoscerà sicuramente.-

Lei tacque, mentre dei passi lenti e pesanti si avvicinavano a lei.

Non appena fece la sua comparsa, tutti trattennero il fiato.

Persino io sgranai gli occhi ed anche mia sorella, non appena si voltò, ebbe un attimo di cedimento e perse un po'della sua baldanza...e non poteva essere diversamente.

Davanti a tutti, aveva fatto la sua comparsa Maria Antonietta, sostenuta da una guardia. Il soldato la lasciò andare. La donna, che indossava una veste assai misera, volse la testa a destra e sinistra, guardandosi attorno incerta.

-Ebbene- fece beffardo il giudice- ecco la regina. Mademoiselle, sapete riconoscere questa donna, Madame Jeanne De La Motte?-

A quella domanda, tutti ammutolirono.

Non era l'odiata sovrana.

-Jeanne?- chiese stranita questa, prima di sfoderare un sorriso colmo di gratitudine- Madame Jeanne è qui? -

Il silenzio che seguì la domanda, allargò la gioia di questa, del tutto fuori luogo in quella situazione. -Signorina Jeanne? Davvero, lei è qui?- esclamò, continuando a guardare senza vedere. Il soldato che le stava accanto, la spintonò leggermente verso la direzione...e, a quel punto, la donna si indirizzò, muovendo le mani avanti.

A quel punto, fu tutto chiaro.

Mia sorella aveva sfruttato una cieca identica alla regina.

La donna, al secolo meglio conosciuta come Mademoiselle D'Oliva, era una giovane prostituta cieca, assoldata da mia sorella per mettere in atto tutta la sua truffa e spillare denaro al cardinale. La giovane raggiunse Jeanne e, con le mani, cominciò ad accarezzarle il viso.

-Oh- fece questa commossa- siete voi, la mia benefattrice! Vi ringrazio, vi ringrazio per la vostra amicizia e per l'aiuto che avete dato ad una povera cieca, quale sono io.-

-E'lei, Mademoiselle D'Oliva?- domandò il giudice, mentre assisteva muto alla scena.

-Oh, come potrei non riconoscere un volto tanto amico? E'stata lei a darmi una simile fortuna, permettendomi, grazie ad una semplice frase e ad una rosa, di guadagnare il necessario per vivere.- rispose questa, con sincero candore.

Nella sala, cadde allora un improvviso silenzio.

Jeanne se ne rimase inerte, sotto le delicate carezze della prostituta. La lasciò fare, in un atteggiamento quasi rassegnato e un po'triste. Era finita...e questo lo aveva compreso anche lei,  solitamente incapace di arrendersi.

-A quale frase state alludendo?- domandò il giudice.

La giovane si fermò un momento. -Mi disse di consegnare una rosa ad un uomo e di dire Voi conoscete i miei sentimenti- rispose.

Con quella frase, si concluse la vicenda della collana.

Il falsario che aveva scritto le lettere indirizzate al cardinale, venne condannato all'esilio dalla Francia. Monsieur De La Motte, marito di mia sorella, in esilio in Inghilterra, venne condannato all'ergastolo. Il cardinale, grazie alla sua carica e al denaro in suo possesso, fu prosciolto, anche se la sua reputazione era ormai compromessa. Stessa sorte toccò a Mademoiselle Nicole D'Olive, la cui cecità determinò l'assoluzione. Tutto il carico finanziario del processo gravò sui gioiellieri, anch'essi raggirati dalla truffa.

Quanto a mia sorella, il tribunale le riservò il carcere a vita e le venne imposto sulla pelle il marchio V, valouse ovvero ladra. Mia sorella venne marchiata come un animale e rinchiusa come una bestia dentro ad una buia cella.

Fu così che, almeno formalmente, la vicenda si concluse ma sebbene l'esito fosse ormai chiaro, visto che la testimonianza era schiacciante, le cose ebbero effetti imprevisti. L'arringa difensiva di mia sorella, la verve drammatica con cui si era presentata alla corte come vittima delle sfrenatezze della regina, era entrata nell'animo di molti e tutto il resto, comprese le ragioni del processo stesso, passò in secondo piano.

L'attenzione pubblica si focalizzò sulla difesa di Jeanne e tutti gli inganni, i reati e le macchinazioni che aveva operato, con un'abilità quasi inquietante, vennero dimenticati...e non poteva essere diversamente. Ad essere coinvolta in tutto questo scandalo, c'era la regina, l'austriaca considerata causa di tutte le disgrazie del Paese, colei che era considerata straniera, malgrado vivesse in Francia da anni ormai.

Il popolo non aveva mai perdonato le spese ed il suo non essere francese ma, addirittura, figlia di una nazione alleata del regno solo di recente.

Poco importava che, per una volta, Maria Antonietta fosse innocente e che tutta la vicenda fosse un imbroglio. C'era la regina, di mezzo...tutto il resto non contava.

 

E qui si parla dello Scandalo della Collana. La sosia della regina è citata con il suo nome storico e questo la differenzia forse dall'anime. Rosalie assiste al processo e alla diffamazione pubblica della sua benefattrice. Vi ringrazio per avermi letta. Questi capitoli sono quelli più semplici da fare...presto ci saranno quelli di fantasia e la cosa sarà meno agevole.

 

Ringrazio 1 - Anthemys_a [Contatta]

2 - garakame [Contatta]

3 - Jaden96 [Contatta]

4 - Red Dark Angel [Contatta]

per avermi messo tra le preferite e 1 - arcadia5 [Contatta]

2 - arorua78 [Contatta]

3 - Julia98 [Contatta]

4 - Red Dark Angel [Contatta]

5 - serelalla [Contatta]

6 - tamakisskiss [Contatta]

7 - Tetide [Contatta]

per avermi messo tra le seguite. Inoltre un saluto va rivolto anche a Ninfea Blu, Unsub, ladymarcella, serelalla, serena1989, gioia87 e ovviamente tutti voi, lettori silenziosi.

 

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Capitolo 20
*** Il ricatto della dama nera ***


Benvenuti a questo nuovo capitolo, cari lettori. Questo sarà l'ultimo capitolo che rimarrà sul seminato della Ikeda...poi si volerà alto con la fantasia. In ogni caso, vi lascio a questa nuova lettura. Grazie a tutti.
ps. E’pubblicato alla svelta perciò, se ci sono errori fatemi sapere, ok?
 
IL RICATTO DELLA DAMA NERA
 
Dopo l'incarcerazione, malgrado la vicenda giudiziaria fosse ormai finita, mia sorella non perse la sua fama. Molte persone si recarono a farle visita in cella. Lo scandalo le aveva rimediato non pochi ammiratori che facevano ore di fila interminabile, pur di vederla.
Jeanne era diventata la nuova attrazione della prigione.
-Rosalie- fece un giorno Oscar- vorresti venire a farle visita con me?-
Stavamo facendo colazione e quella richiesta mi lasciò interdetta. -Per quale motivo mi state dicendo questo?- domandai, cercando di essere indifferente.
Lei prese la sua tazza, con fare un po'assorto.
-Vedete- continuò lei- sono convinta che Jeanne non abbia fatto tutto da sola. Non posso credere che la truffa, da lei orchestrata, possa essersi realizzata senza un aiuto esterno. Vorrei andare da lei per farle qualche domanda e pensavo che ti avrebbe fatto piacere incontrarla.-
A quelle parole, posai il croissant che stavo per mangiare.
Ultimamente, avevo pensato molto a mia sorella...con risultati assai contrastanti. Da un lato, provavo pena per la sua attuale condizione, dall’altro non potevo non riconoscere che, in fondo, questa pena non era altro che la giusta ricompensa per le sue scorrettezze.
-Madamigella- feci- temo di non poter esaudire la vostra richiesta. Jeanne si è allontanata da noi, scegliendo una via sbagliata e non me la sento di vederla ora. Distruggerei il buon ricordo che ho di lei...e non posso. -
Oscar sospirò.
-Avete ragione- disse- perdonatemi per avervi turbato.-
Abbassai lo sguardo.
La colazione era ormai finita e, senza volerlo, l'occhio mi cadde sull'anello che portavo al dito. Si trattava di una minuscola ed insignificante striscia di metallo...a quella vista, il mio cuore scattò. Era l’unico parente che avessi, non potevo comportarmi così. Anche se aveva sbagliato, non potevo rinnegare il mio affetto per lei. -Madamigella- feci, sfilandomelo dal dito- qualora vi recaste da mia sorella, vorrei che le deste questo anello. Ditele che i miei sentimenti nei suoi confronti, malgrado tutto, sono rimasti immutati.-
Oscar prese l'anello. Lo guardò a lungo, prima di annuire, senza chiedermi altro.
Per l'ennesima volta, le fui grata della sua discrezione.
Non avevo il coraggio di rivelarle che quell'anello apparteneva a Nicole e che questa, prima di morire, mi aveva pregato di consegnarlo a Jeanne. E'giusto che lo abbia lei. In quanto figlia maggiore, sarà la prima a sposarsi e questo gioiello, benché misero, è il mio augurio perché possa essere felice amava dire sempre, le poche volte che bisticciavo con lei per qualche regalo che veniva fatto a Jeanne e non a me.
Allora, avevo accettato la cosa, non proprio a cuor leggero...ma non potevo aspettarmi niente di diverso. Ero la più piccola e mettermi gli abiti smessi di tutti era la prassi, anche se fossi uscita dal ventre di Nicole e non da quello della sua assassina.
 
 
Oscar, quando tornò dalla visita, mi disse che Jeanne non aveva preso l'anello ma che gliel'aveva comunque lasciato, certa che prima o poi avrebbe fatto lo avrebbe raccolto.
Non le risposi.
In cuor mio sapevo che si sarebbe comportata in questo modo. Ora che le cose si erano messe male per lei, si sarebbe rinchiusa nei suoi pensieri, fino a quando qualcosa non avesse mutato la sorte...e tutto ciò accadde prima che potessimo accorgercene.
Una notte Jeanne evase misteriosamente dal carcere di Salpetriere, dove scontava la pena. La cella non aveva subito danni e, secondo quanto dissero le indagini, sembrava che la detenuta fosse uscita dalla porta. Qualcuno aveva dimenticato di chiudere la porta della sua prigione e Jeanne, dopo essere passata indisturbata, era salita su una carrozza che la attendeva all'entrata dell'edificio.
Era abbastanza chiaro, anche a chi era quasi estraneo alla cosa, che una fuga del genere non sarebbe mai potuta avvenire, senza un aiuto esterno. L'esercito venne sguinzagliato in ogni dove ma di lei, nessuna traccia.
Come se non bastasse, passati i primi giorni, cominciarono ad accadere delle cose abbastanza bizzarre.
L'esercito cominciò ad essere attaccato da bande organizzate, i cui capi ed i cui intenti erano, a prima vista, di generare disordine e caos...o almeno così mi venne detto.
Le cose precipitarono quando venne colpito un contingente che portava un generoso carico di polvere da sparo.
Contemporaneamente, nel Paese cominciarono a circolare dei libri di Memorie, firmate da mia sorella. Ebbi occasione di leggerli, con mio sommo sconforto. In quelle pagine, Jeanne, pur non avendo mai messo piede a corte, raccontava tutta una serie di menzogne e falsità sulla regina ed il suo seguito...e, per questa ragione, andarono a ruba.
In breve tempo, quei libri divennero quasi introvabili. Il successo editoriale dell'opera, tuttavia, gettò nuove ombre sulla situazione del periodo, già fosca di suo.
Mia sorella era introvabile ed il fatto che la comparsa del libro fosse contemporanea alle rapine di armi, a danno delle truppe di sua altezza, mise ulteriormente in allarme.
Oscar, con l'esercito, fece vari pattugliamenti ma di Jeanne nessuna traccia.
Un po'me lo aspettavo.
Anche da bambina era molto brava a nascondersi e nessuno riusciva a batterla in questo...nemmeno io che, essendo più piccola e gracile, avrei dovuto essere migliore di lei, almeno in questo.
Madamigella, allora, mi chiese se sapevo qualcosa su di lei, in modo da poter indirizzare meglio le indagini. -Mi dispiace- fu la mia risposta- non posso. La Jeanne di adesso è molto diversa da quella che conoscevo.-
 
 
Oscar non mi chiese più niente e, presa dall'incarico di scovare Jeanne, non tornò a casa per molto tempo. La sua assenza mi permise di riflettere e di allentare la tensione che sentivo dentro. Avevo la brutta sensazione che mia sorella si fosse cacciata in un brutto guaio e che fosse infelice.
Un pensiero che mi rese, in quei giorni, ancora più silenziosa del solito. Provai a distrarmi con la lettura ma nemmeno sfogliare, per l'ennesima volta, la storia di Giovanna d'Arco rasserenò il mio animo. Ero pentita di non averle mai parlato in carcere. Avevo ceduto alla vergogna e all'orgoglio, una debolezza che mi aveva donato solo rimorsi. In qualche modo, mi ero comportata come Nicole.
Poi, un giorno, Nanny mi consegnò una lettera.
-Non ha il mittente ma è indirizzata a voi, cara Rosalie- fece la donna- credo che provenga da qualche vostro conoscente.-
Quando la aprii, ne venne fuori un pezzo di carta, insieme ad un cerchietto di metallo che, per via della mia mossa, rotolò a terra. Lo raccolsi subito, per non perderlo...e nel momento in cui lo vidi, l'angoscia prese possesso di me. Era la fede di mia madre...a quel punto non ebbi nessun dubbio sulla provenienza del messaggio.
 
Cara Rosalie
 
come stai? Immagino che la notizia della mia scomparsa ti abbia fatto preoccupare un po'...ed io non posso che dirti che sei una sciocca e che non serve. Sono la maggiore della famiglia e so badare a me stessa. Devi pensare alla tua vita...come ho fatto io.
Siamo sole in questo mondo difficile e dobbiamo cavarcela con le nostre sole forze, agguantare tutta la felicità possibile, con le unghie e con i denti perché è la felicità l'unica cosa che conta.
Io sono felice in questo momento.
Ho un marito che mi è devoto e rispettoso...sì, sono felice. Per il momento, le cose sono poco semplice per noi ma sono convinta che una volta che le cose saranno di nuovo a posto...
Rosalie, ho riflettuto a lungo su quanto accaduto e ti ringrazio per non essere venuta in carcere. Non avrei retto il tuo sguardo, non questa volta.
In questo momento, mi hanno chiesto di scrivere un libro, per conto di una persona, di cui ignoro l'identità, abbastanza potente da permettermi di fuggire dalla mia prigione. Attualmente, mi trovo in un convento abbandonato, insieme al mio fedele Nicola. Non so quanto rimarrò. Il mio benefattore non ha detto niente in proposito ma ho il sospetto che non durerà molto. Sono in trappola e non credo uscirò indenne da tutto questo...forse è meglio così.
Il processo mi ha reso una persona molto famosa e, come saprai, molte persone mi hanno fatto visita durante la mia reclusione...ma non era ciò che desideravo. Quando ho deciso di cercare la mia fortuna, affidandomi ai racconti di nostro padre, ho sfidato il destino, in cerca di un riscatto...ma quello che ho ottenuto è stato solo di essere una chimera. Avevo soldi, appoggi influenti...ma c'erano momenti in cui mi figuravo insieme a te e a nostra madre.
Non sono stata una buona figlia.
Non ne sono capace.
Vorrei poterti dire che mi piacerebbe poter tornare indietro, a quando eravamo insieme una famiglia felice...ma sarei un'ipocrita e, per quante colpe abbia commesso, questa non fa parte del mio modo di essere. Ho vissuto la vita che mi ha regalato la strada che ho scelto e non me ne pento...e lo stesso dovrai fare tu. Qualunque sia la decisione che prenderai per la tua vita, non avere rimorsi o, almeno, non averne molti.
Io non li ho.
Non riesco ad immaginarmela una vita diversa da quella che ho fatto. Se tornassi indietro, rifarei le medesime scelte. Io sono così, nel bene e nel male. Non preoccuparti più per me e cerca la tua felicità.
 
Jeanne
 
Guardai per molto tempo la lettera.
Mi sta mentendomi dissi, con le mani tremanti lei non è felice.
Pensai a lei per molto tempo. Con quel foglio, mi aveva consegnato la propria vita nelle mie mani e non sapevo cosa pensare. Forse contava sul mio silenzio ma non ero convinta.
Il tono della lettera era intriso di falsa allegria, stranamente simile a quando mia sorella era preda della malinconia e dello sconforto. Avevo lasciato l'anello sul tavolo. Un cerchietto metallico, che stonava sulla superficie del legno.
Non volevo pensarlo ma quel dono mi gettava addosso l'amaro sapore dell'addio.
Era come se Jeanne mi avesse voluto salutare...per l'ultima volta.
 
Per molto tempo, tenni per me quella lettera, divisa tra due opposte pulsioni. La prima era di consegnarla a Madamigella Oscar, la seconda di custodirla gelosamente. Benché non avessi alcun dubbio sulle buone intenzioni della mia benefattrice e sul fatto che Jeanne meritava l'incarcerazione, per via del suo crimine, non potevo comunque negare, almeno a me stessa, che una simile eventualità mi avrebbe strappato, per sempre, quello che consideravo come l'ultimo parente che avevo al mondo.
Jeanne ed io non avevamo legami di sangue, eppure era colei che mi aveva voluto bene come una sorella e che io ricambiavo.
Come avrei potuto compiere un atto simile?
Tentennai a lungo su questa mia decisione.
Mia sorella, per seguire la sua rivalsa personale su una vita di stenti, aveva reciso ogni legame con me e, malgrado tutto il male subito, non riuscivo a non perdonarla.
Non l'avevo mai tradita...e non lo avrei fatto nemmeno allora.
Oscar entrava ed usciva da Palazzo De Jarjayes, insieme al nipote di Nanny ed io, presa dai miei pensieri, avevo cominciato a fare lunghe cavalcate nella tenuta della mia benefattrice. La vicenda dei De La Motte ed il pericolo che la sua presenza ormai rappresentava per tutti, aveva reso il clima in quella casa, assai opprimente. Spesso mi scoprivo a provare un profondo rimorso.
Forse avrei dovuto consegnare la lettera a Oscar e mettere fine alla sua ricerca.
Mia sorella aveva detto tante cattiverie su persone che non conosceva affatto e che avevano sofferto per colpa sua, eppure, ogni volta che prendevo il proposito di sbarazzarmi di quei fogli, mi tornava alla mente la nostra povera e breve infanzia, quando lei mi difendeva dalle angherie dei monelli di strada e scherzava con me e la mamma. In quei momenti, avrei voluto tornare indietro e, forse, malgrado la sua scelta, anche Jeanne lo avrebbe fatto.
La verità era che, al punto in cui entrambe eravamo arrivate, il nostro unico momento felice, almeno per mia sorella, era stato quello della nostra infanzia...dove lo spettro della solitudine e la paura di dover necessariamente contare sulle nostre forze era ancora lontano. Questi erano i miei pensieri.
Fu proprio mentre mi trovavo in una simile disposizione d'animo che il destino decise di muovere nuovamente i propri ingranaggi.
 
 
Ricordo ancora bene quel momento.
Cavalcavo uno degli splendidi esemplari della scuderia dei De Jarjayes e mi ero allontanata un bel pezzo dal palazzo. Non lo vedevo più. Era sparito dalla mia vista.
Ero completamente immersa nella campagna e mi beavo della pace e dell'effetto rilassante che mi procurava il moto ritmico dell'andatura del cavallo.
Ero completamente sola...ma questo particolare non mi aveva mai spaventato. La verità era che avevo bisogno anche di quei momenti, per poter dar sfogo alla tensione che il mio continuo silenzio mi procurava.
Fu proprio in quel momento che vidi, sul sentiero che stavo percorrendo, una carrozza e, accanto ad essa, una sagoma a me purtroppo familiare.
Irrigidii i lineamenti del viso ed ogni traccia di serenità, ancora presente dentro di me, sparì, quasi per magia. I suoi capelli, biondi e abilmente acconciati, incorniciavano un viso pacato e composto.
Confesso che una minuscola parte del mio animo, quella più ingenua e codarda, aveva sperato che avesse avuto dei problemi con la carrozza e che fosse lì per un caso. Tentavo di convincermi che fosse così...ma il mio istinto, abituato a tutte le difficoltà della strada, mi diceva che c'era altro.
E quando i tratti della dama si fecero definiti, sentii il malessere crescere e crescere.
-Buongiorno, Rosalie- salutò questa, con un'affabilità del tutto fuori luogo.
Fermai il cavallo.
-Che cosa ci fate qui, contessa?- domandai, tenendola d'occhio.
Lei se ne rimase lì, l'emblema della dolcezza. -Oh- disse- vi prego di non parlarmi in questo modo. Ci siamo conosciuti nel modo sbagliato e credo che sia il momento di rimediare.-
Non risposi.
- Quello che voglio dire- continuò la contessa- è che, dopo tanto tempo, è cosa opportuna per voi tornare a casa.-
-Io ho già una casa - dissi, aggrottando la fronte- e voi non siete la persona più adatta per dirmi questo.-
La contessa ridacchiò.
-E' qui che vi sbagliate!- fece, agitando il ventaglio che teneva tra le mani-Quella non è la vostra casa, ma solo una breve sosta...per un viaggio di cui già conoscete la destinazione.-
La guardai inebetita.
-Verrete a vivere con me, nella mia casa ed entrerete a far parte della mia famiglia.- disse, infine.
Quelle parole mi lasciarono interdetta.
-Perché?- domandai, mentre una sgradevole sensazione di soffocamento cominciava a strisciare dentro il mio corpo.
La contessa mi guardò, soppesandomi con quelle iridi cerulee, così odiosamente simili alle mie. - Perché ho bisogno di voi.- fu la sua risposta.
 
 
La fissai interdetta.
- Avete bisogno di me?- ripetei, imitando la sua vocetta- Non siate ridicola! Voi non vi siete mai interessata a me. Mi avete abbandonato ad una povera donna che, a malapena, riusciva a dare da mangiare per sé e per la sua vera figlia. Non vi siete mai curata di come potessi sentirmi.-
A quel punto, la contessa indossò un'espressione tormentata. -Mi dispiace molto- disse, abbassando la testa.
-No, non è vero...e vi prego di lasciarmi in pace. Non vi siete occupata di me e, a conti fatti, non posso dire di esserne addolorata. Io non voglio avere niente a che fare con voi ed ora, se permettete...- risposi. Quella richiesta, colma di miele, mi dava la nausea. Non poteva pronunciare parole simili, non dopo che, per ben due volte, avevo attentato alla sua vita.
Avevo già abbastanza problemi con Jeanne, per potermi permettere di conversare con colei che meno amavo al mondo.
-Aspettate- mi richiamò, ogni traccia di gentilezza improvvisamente svanita.
-Che cosa volete?- domandai.
La contessa mi guardò con sufficienza.
-Voi state sottovalutando alcune cose e sono convinta che, se vi poneste la giusta attenzione, valutereste la mia proposta con occhi diversi.-fece.
A quelle parole, aggrottai la fronte.
Non mi piaceva quel tono.
-Per esempio- continuò la dama- il fatto che Madamigella Oscar abbia ospitato la sorella di Jeanne De La Motte.-
A quelle parole sbiancai e, contemporaneamente, la dama cominciò ad andare avanti e indietro. -Che cosa succederebbe se si venisse a sapere di questa parentela? Pensate a quale incredibile scandalo ne uscirebbe fuori...-fece, agitando il ventaglio-immaginate la vergogna, il disonore...in un unico istante, tutto il lavoro di una vita in fumo.-
Un brivido mi attraversò la schiena.
-Sarebbe la rovina di Madamigella- disse, come per sottolineare il concetto.
In quel momento, avrei voluto schiaffeggiarla, con violenza, farla cadere a terra come la serpe quale era…ma le parole che aveva pronunciato erano inattaccabili. –Anche voi non guadagnereste molto dalla mia presenza nella vostra casa.-provai.
La contessa scosse la testa.
-Non è così- fu la sua risposta- la differenza è tutta qui, piccola e ingenua Rosalie. Io sono la favorita della regina e godo della sua più completa fiducia. Se qualcuno provasse a dire qualcosa sulla vostra parentela con quell’intrigante di Jeanne De La Motte, sarebbe la sua parola, contro quella della dama più potente di corte, dopo la sovrana…ditemi, a chi potrebbero credere?-
A quelle frasi, sbiancai.
Madamigella Oscar non avrebbe mai approfittato di quelle informazioni…Lei mi avrebbe protetta. –Non verrò con voi.-dissi di nuovo.
La dama smise di agitare il ventaglio.
-Non avete scelta. Se non lo farete, dirò alla sovrana la vostra vera identità. Oscar verrà gettata giù dalla sua posizione e la vergogna pioverà sulla testa del suo casato. Non si rialzeranno più e farò tutto il possibile perché ciò non accada.-fece, con un sorriso tagliente.
E a quella minaccia, non più nascosta, compresi di non avere alcuno scampo.
 
Cari lettori, questo è l’ultimo capitolo che pubblico tanto in fretta. Domani comincio le lezioni all’università e quindi non potrò dedicare alla storia l’attenzione di adesso. Spero che la fic vi stia piacendo. Incrociando le dita, dovrei riuscire a preparare un nuovo capitolo per il fine settimana ma non garantisco.
Spero che la forma di questo sia curata. Dal prossimo, vedremo Rosalie a tu per tu con la Polignac. Se qualcuno vuole farsi un’idea del personaggio gli consiglio di lettere le shot che ho scritto nella mia raccolta “Maternalia”.
  

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Capitolo 21
*** Madame e la contessa ***


 
Benvenuti a questo nuovo appuntamento con la storia della Dama di Luce e La Dama d’Ombra. Vorrei prima di tutto ringraziarvi per avermi letto fino a questo momento e per la gentilezza con cui mi avete recensito.
Non posso che apprezzare la cosa, soprattutto considerando gli impegni. L’università è abbastanza impegnativa, con le lezioni e le varie cose connesse. Nel precedente capitolo, abbiamo a che fare con la contessa.
In questo, invece…bhé lo vedrete meglio leggendolo!
 

MADAME E LA CONTESSA

 

Tornai a Palazzo De Jarjayes poche ore dopo, con il cuore a pezzi e l’amaro sapore della sconfitta ancora in bocca.

Mille domande affollavano la mia mente.
Perché quella donna mi voleva?
Non aveva forse deciso, affidandomi a Nicole Lammorliere, di sbarazzarsi di me?
Mi aveva messo al mondo ma…
Immediatamente, la testa cominciò a volare indietro nel tempo, a quando, durante i miei poveri ma felici anni sulla strada, vivevo con la madre di Jeanne. A volte, mi capitava. Tanto loro erano scure d’occhi e capelli, quanto io ero chiara.
A volte me lo chiedevo anche io la ragione di una simile differenza, salvo poi convincermi che erano pensieri fuori luogo. Se non fosse mia madre, non si sacrificherebbe tanto per me, né mi vorrebbe così bene mi dicevo, mettendo a tacere ogni inquietudine…e ora, quei ricordi tornavano a galla, con un sapore più amaro rispetto al passato.
Durante l’infanzia, mi ero convinta, guardando i trovatelli chiusi negli istituti, i loro visi smorti e le espressioni arcigne delle monache che si occupavano di loro, che solo una madre poteva amare il proprio figlio. La scoperta di non provenire dallo stesso ventre di Jeanne, però, mi convinse che anche questa mia convinzione non poteva essere completamente corretta…e nuovamente, piombai in una nuova scala di grigi e di variabilità che avevano solo il potere di confondermi.
Io non volevo andare con quell’assassina.
Avevo messo da parte ogni proposito di vendetta, per rispetto dei sacrifici di Nicole. Uccidere quella maledetta, avrebbe portato alla morte quei valori che la mia madre adottiva mi aveva insegnato e che avevano forgiato il mio carattere, rendendolo onesto.
Avevo quindi chinato la testa al proposito di porre fine alla sua vita, decisa più che mai a non avere niente a che fare con lei…ed ora, quella contessa, voleva me.
Con quei pensieri, scesi di cavallo e, dopo aver dato le briglie allo stalliere, mi diressi verso le mie stanze. Improvvisamente, mi sentivo più stanca di quanto lo fossi mai stata.
 
 
I giorni successivi passarono in modo veramente veloce. Oscar era sempre impegnata nelle ricerche di mia sorella ed io, dopo un primo momento di sconforto, avevo cominciato a trascorrere il mio tempo insieme a Nanny e alle persone a cui mi ero affezionata, durante la mia permanenza a palazzo.
Volevo imprimere nel mio cuore tutti quei momenti felici, nella speranza di poter finalmente scacciare tutto il malessere che sentivo dentro.
Poi, alla fine, accadde.
Ero in giardino, insieme a Madame De Jarjayes. Stavamo prendendo il tè, conversando del più e del meno. Non potendo condurre una vita troppo a contatto con Madamigella, Madame aveva preso il vizio di chiedermi di lei e delle sue abitudini.
Nanny mi aveva detto che si era piegata alle decisioni del generale senza battere ciglio, ma era abbastanza chiaro che non fosse molto felice della cosa…e questo spiegava perché mi facesse tutte quelle domande.
-Madame- fece improvvisamente Nanny, comparendo sulla soglia.
-Ditemi- rispose la padrona di casa.
Era piuttosto provata, come se ci fosse qualcosa che la stesse turbando…e anche Madame se ne accorse. –Per favore, Marons- disse –non indugiare oltre. Sapete bene di poter contare sulla stima che nutro per voi.-
-Ecco…-fece-signora, fuori dalla porta c’è la contessa di Polignac e desidera parlare con voi.-
A quelle parole, la tazzina scivolò dalle mani.
-Falla accomodare, allora-disse, prima di mormorare, come soprappensiero-davvero strano che quell'intrigante si sia presentata qui, nella mia casa.-
Abbassai la testa, senza osare rispondere. Conoscevo la verità ma mettere Madame, e di conseguenza la sua famiglia a conoscenza del vile ricatto a cui ero sottoposta, mi sembrava assolutamente ingiusto. Loro mi avevano aiutato in molti modi e non volevo abusare oltre.
Mi sarei sacrificata, come effetto inevitabile dell’arroganza di una persona d’estrazione sociale superiore alla mia.
 
 
La sposa del Generale De Jarjayes fece accomodare la propria ospite nella veranda del palazzo.
-Buongiorno contessa- disse, con le sue maniere pacate- è stato molto gentile da parte vostra, venire a far visita ad una povera dama inferma quale sono io. -.
-Non dovete dirlo nemmeno per scherzo-si schermì la Polignac - siete uno dei membri più affezionati del seguito di Sua Maestà ed io non posso non venire da voi. La regina ha chiesto spesso del vostro raffreddore e, comprenderete, io non potevo non venire a verificarlo.-
Madame le rivolse un sorriso educato.
-Naturalmente- fece, prima di rivolgere la sua attenzione a me- contessa, immagino che abbiate avuto modo di conoscere questa giovane. Si chiama Rosalie ed è la nipote di una mia lontana cugina che, prima di morire, mi ha pregato di occuparmi della sua educazione. –
Istintivamente, abbassai la testa.
-Davvero graziosa- disse la dama, con la sua consueta voce civettuola.
-Ne sono convinta anche io- rispose la padrona di casa, prima di indossare una maschera di dispiacere- vorrei però chiedervi scusa di una mia mancanza. Ho saputo della morte della vostra povera figliola e non ho potuto farvi le mie condoglianze. La mia cagionevolezza mi ha impedito di venire a corte. Sono davvero mortificata.-
La Polignacabbassò la testa, prima di gettare, con un movimento che non avrei saputo dire se naturale o studiato, uno sguardo a me. –Charlotte- fece, portandosi una mano sulle guance, come per scacciare chissà quale formicolio- era la mia unica fonte di gioia. Era una bambina tanto vivace e graziosa…avreste dovuto vederla, quando indossava quegli abiti ricercati! Io non ho mai avuto modo di vivere un simile lusso e, quando la regina, con inaspettata generosità, mi ha dato la sua fiducia, io…io ho desiderato che potesse avere le cose che, a me, a suo tempo, sono state negate.-
Madame le rivolse un sorriso comprensivo.
-Perdere un figlio deve essere indubbiamente un dolore straziante- rispose compassata- benché abbia goduto della fortuna di non conoscere la morte di nessuna delle mie bambine. Immagino che ora vi sentiate molto sola. Ho saputo che vostro marito è continuamente in viaggio.-
La contessa sussultò.
-Il conte è sempre molto indaffarato. La gestione delle terre richiede, ultimamente, non poco del suo tempo.-rispose monocorde.
-Anche mio marito lo è- fece, con un tono quasi divertito la dama-sono mesi che non si reca nelle mie stanze per farmi compagnia.-
-Immagino quindi che comprendiate bene la mia solitudine- fece allora la contessa- e, sebbene la cosa possa apparirvi…come dire, bizzarra, vorrei farvi una richiesta.-
Marguerite rilassò la fronte.
-Parlate allora.-disse, sorseggiando il tè.
La contessa sospirò.
- Ho parlato con Madame Elisabetta, una dama d’indiscusse virtù, che mi ha descritto la vostra Rosalie con termini assai lusinghieri…non senza tuttavia sottolineare che la sua educazione mostra dei punti ancora grezzi, che necessitano della massima cura. Ho saputo, inoltre, che presto, dovrete tornare a corte e…mi stavo chiedendo…-fece, prima di portarsi una mano alla fronte- Cielo! Cosa sto per chiedervi!-
La padrona di casa la guardò con indulgenza.
-Non trattenetevi oltre, contessa- la esortò- se avete fatto tanta strada per recarvi da me, non potete certo tralasciare certi particolari.-
Polignac sospirò.
-Il fatto è che temo che, quando ne parlerò, avrete davvero ben poca stima di me. Ci sono molte cose che ancora non conosco di Versailles e non mi sento spesso inserita a corte.-si schermì.
-Siete sempre molto modesta ma non avete niente di cui vergognarvi- fu la risposta della dama.
-Vorrei chiedervi di poter prendere sotto la mia ala la vostra Rosalie.-disse infine- Presto tornerete a corte e non avrete tempo di curare la sua educazione. E’ancora giovane ma penso che sia impensabile trascurare un aspetto del genere. Occorre pensare al suo futuro…e deve essere preparata…come è accaduto a tutte noi.-
Madame la guardò.
-Avete perfettamente ragione- disse la più anziana, prima di fissarmi- ma siete davvero così certa di prendervi un simile onere? Rosalie è un’allieva difficile, per quanto dotata.-
Polignac scosse la testa.
-Rosalie è una donna e, come tale, flessibile. Sono certa che avrà il futuro radioso che la sorte finora le ha negato. Voi non avete questo tempo ma io sì. Per via della disgrazia, non sto frequentando la reggia e sono convinta che la sua compagnia porterà notevoli benefici al mio animo turbato. Vi prometto che sarà in buone mani.-disse, solenne.
La dama non replicò.
-Devo comunque pensarci.-rispose, con un sospiro-Lasciare la casa in questo modo tanto frettoloso è assai disdicevole.-
-Dunque accettate?-domandò l’altra.
Madame mi guardò.
-Deve essere Rosalie a decidere- furono le sue parole- e credo che debba pensarci per qualche momento. Nel frattempo, vorrei mostrarvi alcuni doni che dei miei parenti mi hanno inviato da Roma…sono certa che vi piaceranno.-
Con queste parole si incamminò verso la porta.
La contessa la lasciò andare, prima di voltarsi di scatto verso di me e guardarmi con disprezzo. –Spero, Rosalie, che non mi deluderai. La fortuna di questa casa dipende dalla mia parola…e tu, ne sono convinta, sai già che è così. – disse, prima di raggiungere Madame e lasciarmi sola.
Non appena la porta si chiuse, le ginocchia cedettero e mi ritrovai a terra, quasi senza accorgermene.
La contessa mi aveva rivolto l’ennesima minaccia…ed io non sapevo come reagire.
Come faceva, quella femmina immonda a sapere del mio legame con Jeanne?
Come era possibile?
Istintivamente, frugai nelle tasche, alla ricerca della lettera di Jeanne e, con mio sommo sollievo, scoprii che era ancora lì. Quel momento di quiete, tuttavia, passò abbastanza velocemente. Prima o poi, quel foglio sarebbe finito nelle mani di qualcuno…a meno che non mi fossi assicurata di bruciarlo.
Quel pensiero, però, venne frenato dal mio egoismo.
Non volevo dare alle fiamme quella lettera. Benché scomoda, rappresentava probabilmente l’ultimo messaggio che mia sorella mi aveva lasciato, insieme all’anello di Nicole. Istintivamente, strinsi il cerchietto metallico tra le mani. Quel ricordo era troppo importante perché potessi cancellarlo così, come per magia.
A quel pensiero, assottigliai lo sguardo e, prima che potessi lasciarmi prendere dallo sconforto, guardai per l’ultima volta il foglio di mia sorella…e presi la mia decisione.
Avrei seguito quel mostro, per proteggere Madamigella Oscar dalle calunnie. Gli insulti di Jeanne erano bastati a farmi capire che non potevo permettere a nessuno di continuare a screditare la sola persona che, dalla morte di Nicole, mi aveva fornito un qualche aiuto.
Jeanne aveva perseguito nel suo egoismo ed ora era finita in una situazione che i suoi gesti le avevano procurato. Mi aveva abbandonato unicamente per assecondare la sua indole narcisistica, indipendentemente dall’affetto che io continuavo tuttora a nutrire per lei.
Guardai la lettera.
Come se non bastasse, avevo come l’impressione che, con quel foglio, lei stessa avesse voluto chiedermi di svelare la sua posizione, per liberarla dalla sciarada da lei provocata…a quelle parole, tremai.
Io avrei dovuto tradire Jeanne?fu la conclusione di quella serie negativa di sentimenti.
Quel maledetto pezzo di carta pesava nelle mie mani, come se fosse fatto di pietra.
Che cosa succederebbe se si venisse a sapere di questa parentela?aveva detto quella sottospecie di donna, con quel sorriso falsamente gentile…e quel ricordo fece scattare in me una nuova rivelazione: Oscar sapeva cosa significava     la figlia di Nicole per me…a quella notizia, scoppiai a piangere.
Lei conosceva la mia storia e tutto quello che avevo passato…eppure, non mi aveva mai tradito né, tantomeno, insultato per le mie origini oscure. Mi aveva dato la sua fiducia.
Ed ora, quella persona tanto speciale rischiava di perdere tutto per colpa mia.fu il mio pensiero, mentre ancora tremavo, scossa dai singhiozzi. Mi ero profondamente affezionata a quella casa e alle persone che la abitavano. Era stato come rinascere.
La comparsa della contessa, tuttavia, mi aveva strappato a quello che consideravo ormai come il mio nido. Guardai nuovamente la lettera e, alla fine, presi la mia decisione. Non avrei portato con me quel foglio. Sebbene fosse l’ultimo ricordo che avevo della mia famiglia adottiva, tenerlo, una volta giunta nella sua dimora, poteva rappresentare un ulteriore rischio.
Io non sapevo come avesse fatto la contessa a sapere di Jeanne ma non ero nemmeno così sprovveduta da non sapere che quel foglio poteva essere usato in molti modi. La contessa non avrebbe minimamente esitato a strapparmi la lettera dalle mani, per darla a qualche suo scagnozzo…e, allora, le possibilità per mia sorella di uscire con i minori danni possibili sarebbero svanite nel nulla.
Strinsi con forza la carta.
Avrei lasciato quel foglio a Madamigella Oscar. Più volte, quella persona magnifica e generosa aveva dato prova di una profonda sensibilità e solo lei meritava di sapere il luogo in cui Jeanne si trovava. Forse, in questo modo, la sua sorte sarà meno miserabile fu il mio pensiero consolatorio.
Nascosi nuovamente la lettera e, dopo essermi asciugata il viso, mi incamminai verso l’ingresso.
-Contessa- la chiamai, tentando di non dare alla voce un tono stridulo…senza troppi risultati. Il pianto che mi ero concessa, aveva reso il tono leggermente rauco.
La Polignacsi voltò, interrompendo la conversazione che, in quel momento, stava tenendo con Madame.
-Ditemi, cara- disse stucchevole, mentre la madre di Oscar mi guardava in silenzio.
Feci un profondo sospiro, tentando di frenare il battito frenetico del mio cuore. Stavo per consegnarmi alla mia futura carnefice. Stavo per rovinare la mia vita, dopo una parentesi di serenità inaspettata.
Lei, per parte sua, mi fissava, con una luce di sicurezza che non potevo che odiare.
Il nodo alla gola si strinse maggiormente, come a sottolineare la mia futura prigionia…ma non avevo scelta, non con un ricatto tanto vile. Chinai la testa, in segno di resa.
-Accetto- dissi, con fatica- accetto la vostra proposta.-
Sentii un sospiro strozzato ma non seppi mai a chi appartenesse.
-Magnifico, cara- cinguettò la Polignac- avete agito con estrema assennatezza. Verrò a prendervi tra tre giorni…preparate quello che vi serve.-
A quelle parole, sgranai gli occhi.
Tre giorni.
Tre giorni.
Se già ero pallida, la notizia mi fece sbiancare ulteriormente.
-Rosalie- fece preoccupata Madame De Jarjayes, prima di voltarsi verso la dama- è davvero necessaria una simile urgenza? Mia figlia è molto legata a lei e sarebbe cortese da parte vostra, lasciarle il tempo di salutarla.-
Quella premura mi lasciò senza parole.
La madre di Oscar, colei che stavo per uccidere, stava cercando di guadagnare tempo.
La Polignac, però, non si lasciò intenerire e le rivolse un sorriso colmo di miele e sufficienza. –Purtroppo non è possibile- fu la sua risposta- fra qualche tempo avrà nuovamente inizio la stagione mondana e voi, come dama di compagnia, non potrete prestarle le dovute cure. Io, invece, ho il tempo e credo che accettare questa proposta non potrà che giovare alla posizione di Rosalie. Sprecare le sue doti sarebbe un delitto, non credete?-
A quelle parole, Madame non disse niente.
Si limitò a guardare l’espressione della Polignac, poi me.
-E’il vostro desiderio, Rosalie?- mi chiese, con un tono strano, a metà strada tra la rassegnazione e la tristezza.
Il nodo alla gola si strinse di nuovo.
No! Non voglio! avrei voluto gridare, se non avessi avuto la consapevolezza di quell’odioso cappio. –Sì, Madame- risposi, chinando la testa.
Sentii un sospiro.
-Magnifico!- ripeté la contessa, avvicinandosi a me e dandomi un bacio sulla guancia.
Il bacio di Giuda.
-Avete preso una saggia decisione- disse, con un sorriso ampio, raggiungendo la carrozza-dunque verrò a prendervi tra tre giorni.-
A quelle parole, tutto si fece buio…ed io caddi a terra, come un peso morto.
 
 
Passai i giorni successivi nella più profonda apatia ed infelicità. Spesso, visitavo le varie stanze che avevano reso felice il mio soggiorno presso quella famiglia, con il cuore colmo di tristezza. La mia unica fortuna fu che Oscar e André, presi dalla ricerca di Jeanne, non avevano tempo da dedicarmi…e questo ridusse il tempo in cui, in loro presenza, fingevo di essere serena.
Non avrei mai voluto mentire loro…ma non avevo scelta.
In tutto questo frangente, Madame non mi chiese mai nulla ma era come se comprendesse, almeno in parte, il mio dolore. Dubitavo fortemente che sapesse del mio legame con la Polignac, giacché un simile particolare era noto solo a Oscar e André. Presumo che la contessa non le fosse molto simpatica. Come parvenue, non poteva che essere invisa a Madame…e questo disprezzo mi indusse a nasconderle la verità.
Preparai da sola i miei miseri averi.
Nanny si offrì di aiutarmi, con le lacrime agli occhi ma io mi rifiutai. Ero sinceramente affezionata a quell’anziana signora ma non volevo nessuno in quel momento.
-Dunque, avete voluto fare tutto da sola-disse improvvisamente una voce alle mie spalle.
Mi voltai, incontrando il viso della madre di Oscar.
-E’la cosa più giusta da fare-rispose, fissando la sua espressione malinconica.
-Sarai felice?-chiese la dama.
Mi morsi il labbro, con forza.
-Sì-risposi, dopo qualche momento-sì.-
Il viso di Madame divenne triste.
- La contessa è una parvenue-continuò mesta-davvero non sei pentita della tua decisione?-
Sussultai di nuovo, stupita dall’improvvisa informalità di quella dama. – Voglio che voi sappiate questo, Rosalie. Le mie figlie sono state tutte educate in convento e Oscar, l’unica sfuggita a questo destino, è cresciuta in questa casa lontano da me. Grazie a voi, sono riuscita a coronare il mio sogno di provare a crescere qualcuno come se fosse una mia figlia, a educarla secondo i miei desideri, in vista delle difficoltà future. Non posso che esservi riconoscente per aver soddisfatto questo mio capriccio- disse, sorridendomi benevola-siete una brava persona, Rosalie,qualunque sia la vostra origine…non dimenticatelo mai.-
A quelle parole, non seppi cosa rispondere.
Troppa era la riconoscenza che nutrivo per i De Jarjayes…e troppo poco il tempo per esprimerla a parole.
L’unico gesto che riuscii a fare fu un inchino, come lei mi aveva insegnato.
 
Mezz’ora dopo, giunse la carrozza della Polignac.
Non c’era nessuno alla porta. Oscar e André non erano ancora tornati dalla missione ed avevo il sospetto che ci fosse lo zampino della contessa. Avrei dovuto arrabbiarmi con lei, per avermi negato la possibilità di salutarli…ma, forse, era meglio così. Loro non mi avrebbero mai permesso di andare via ed io non avrei potuto tenere per me il ricatto a cui avevo ceduto.
E’meglio cosìtentai di convincermi, mentre il lacché metteva sulla carrozza i miei averi. La Polignac non scese dal mezzo, limitandosi a guardarsi attorno, impaziente di andarsene.
Mi avvicinai al cocchio, con passo rassegnato.
E’meglio così.
Misi il piede sulla scaletta e, per l’ultima volta mi girai, rimirando Palazzo De Jarjayes. Molto probabilmente non lo avrei più rivisto.
La contessa sembrava odiare Madamigella, per motivi a me, tutto sommato ignoti.
Oscar ripetè la mia mente, come il ritornello di una filastrocca.
Avrei voluto salutarla…ma non mi era più consentito.
Portai con me l’anello di Nicole, nella speranza di poter ottenere un muto sostegno per i tempi difficili che mi si prospettavano.
Quanto alla lettera di Jeanne, ne portai con me solo una parte. L’altra, quella che rivelava il suo nascondiglio rimase a Palazzo De Jarjayes.
 
Capitolo lungo e forse frettoloso. Rosalie va con la Polignac e, come potete vedere, non è proprio una santarellina. Madame non ha simpatia per la contessa, per motivi di classe…ma anche per altro. Ricordo che Rosalie non sa dei retroscena che hanno portato al suicidio di Charlotte. La lettera di Jeanne è una mia invenzione, un modo per rimediare al brusco distacco voluto da questa. Ringrazio tutti coloro che mi hanno letta e vi do appuntamento al prossimo capitolo. 

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Capitolo 22
*** In viaggio verso la destinazione ***


Benvenuti cari lettori, sono molto felice di aver letto le vostre recensioni e vorrei ringraziare per questo gaarakame e Tetide per questa cortesia. Per il momento, provo a cavarmela con la scrittura di queste storie, sperando di fare un buon lavoro. Come ho già annunciato, da questo capitolo, cominceranno le avventure di Rosalie e della contessa.
 
IN VIAGGIO VERSO LA DESTINAZIONE
 
Il viaggio durò diverso tempo.
Guardavo silenziosamente il paesaggio fuori.
Un insieme di linee dolci e placide, sulle quali facevano capolino dei minuscoli villaggi di contadini.
Il velo della tenda calò di fronte a me, mossa dalla mano della mia sgradita compagna di viaggio. –Troppo sole non fa bene alla vostra pelle- fece la contessa.
La fissai inespressiva.
-Vi prego di mettere da parte questa acredine- continuò, sbattendo nell’aria il ventaglio- ora non siete più sola. Avete finalmente trovato la vostra vera famiglia ed è bene che guardiate al futuro.-
Non risposi.
-Nicole era una brava donna- riprese, afferrandomi la mano- e vi prego di credermi che non avevo avuto modo di riconoscerla. La fame e la miseria avevano deturpato la sua bellezza. Davvero crudele che una persona come lei abbia tanto sofferto per la povertà. Non se lo meritava.-
Fissai inerte quel palmo.
-Voi avete ammazzato mia madre e vi prego di non sorvolare sulla cosa.- mormorai, tentando di concentrarmi sul rumore delle ruote che battevano la strada.
-E’vero- rispose, dopo qualche momento la dama- e verrò punita per questo…quando sarà il momento. Nel frattempo, mi prenderò quelle responsabilità che non ho potuto prendere in passato.-
Con lentezza calcolata, posai la mia attenzione sulla contessa, notando uno strano tremore sul suo viso. –Non avrei mai voluto abbandonarvi…ma non avevo altra scelta.-aggiunse.
-Perché?- domandai atona.
Lei sussultò mentre quel tremito cominciò a diffondersi anche al suo corpo. Pareva preda di una crisi emotiva…se vera o falsa non avrei saputo dire. Tutto in quella donna era votato all’artificio, al punto che era impossibile, in tutta quella finzione, stabilire cosa vi fosse ancora di autentico.
- Vi ho messa al mondo quando avevo quindici anni- cominciò la dama- allora, ero giovane ed inesperta…e credevo che di aver conosciuto l’amore di un uomo. Sbagliavo e quando mi sono resa conto di aspettarvi, non essendo sposata, per non gettare nel disonore e nelle ristrettezze la mia famiglia e voi, sono stata costretta ad affidarvi ad una donna del popolo, rimasta vedova da pochi mesi.-
Nemmeno allora, proferii parola.
Quando avevo scoperto di essere una figlia adottiva, in quei rari momenti in cui riflettevo sulla mia condizione, mi chiedevo come potesse una donna abbandonare la propria creatura. Negli ultimi tempi, mi ero detta che ciò fosse dovuto alla necessità di trovare una posizione migliore, un benessere economico che permettesse di vivere in modo più decoroso…ma quando applicavo questo genere di risposte con la contessa, avvertivo costantemente una nota stonata di fondo.
Lei non mi aveva mai cercato, pur sapendo a chi fossi stata affidata…e questo particolare, unito alla morte di Nicole, lasciava un che di sinistro al mio ricongiungimento con la mia vera madre.
- Ora, però, le cose sono cambiate- proseguì- ed io vi darò quello che finora il Destino vi ha tolto.-
-Perché non mi avete mai cercato?-domandai, fissandomi le mani.
Sentii un sospiro.
-Fu mia madre, la contessa di Pollastrion, a decidere questa soluzione. Era in collera con me per via di questa gravidanza e fino alla sua morte, non mi ha mai rivelato dove viveste. Dopo il mio matrimonio, non volle più parlarmi. – rispose.
Non commentai nemmeno allora.
Quel discorso, almeno per quanto mi riguardava, aveva un che di tardivo e inutile. Se le circostanze non mi avessero portato a trovarmi faccia a faccia con lei, in simili condizioni, molto probabilmente, avrei finito con il cedere a quel tono così dolce e carezzevole…ma non era così.
-Ho tenuto fede al patto che voi mi avete imposto- dissi, cambiando improvvisamente discorso- ora non farete più del male a madamigella, vero?-
La contessa sventolò nell’aria il suo ventaglio.
-Io non vi ho imposto niente- rispose, con la più profonda indifferenza- siete stata voi che, spontaneamente, avete deciso di tornare alla vostra vera famiglia, dimostrando di aver acquisito giudizio…e non vi sono prove che neghino il contrario di questa verità.-
Sgranai gli occhi.
Solo allora compresi il suo inganno…ma ormai la sua trappola era scattata ed io non potevo più fuggire.
Un’ora dopo, giungemmo alla dimora dei Polignac.
 
 
 
Quando scesi dalla carrozza, la prima impressione che ebbi fu di sradicamento.
Il palazzo dove ero stata condotta, seguiva la moda leggera che ultimamente imperava a corte. Uno stile ben diverso da quello barocco di Luigi XIV, o da quello lezioso e un po’frivolo del Beneamato.
Guardai disorientata i bianchi stucchi che decoravano gli ambienti esterni. 
-Benvenuta nella vostra nuova casa, cara Rosalie- fece, con grazia, mostrandomi con un cenno ampio del braccio la villa.
Nemmeno allora risposi.
Quel luogo, apparentemente lieto, sarebbe stata la mia dimora.
La mia nuova prigionemi dissi, sentendo un nodo immaginario stringersi attorno al mio collo. Vidi la contessa battere le mani e, poco dopo, uno stuolo di cameriere si presentò all’ingresso.
Si fece avanti una dall’aria vagamente arcigna, sulla cinquantina forse.
-Bentornata, contessa-salutò, con un profondo inchino.
Indossava un abito simile a quello di Nanny…e quel paragone scatenò in me una nuova fitta di nostalgia.
L’altra non le prestò la minima attenzione.
-Prendete i bagagli che si trovano sulla carrozza e conducete Mademoiselle Rosalie nella stanza che le è stata assegnata.- disse, con un tono smielato che tradiva una certa arroganza.
-Subito, contessa- rispose, con una voce leggermente nasale. Ad un cenno della sua testa, due cameriere si fecero avanti e, in perfetto silenzio, si incamminarono verso il mezzo dove, lentamente, cominciarono a scaricare le mie poche cose.
–Quanto a voi- disse, rivolgendosi a me- vi prego di seguirmi. Tra qualche momento, verrà servita la cena e potrete poi riposarvi.-
Annuii, in perfetto silenzio.
La contessa mi fece da cicerone nella sua immensa dimora, non senza dilungarsi sulla storia del casato. La Polignac fece il possibile per dilatare l’argomento per tutta la durata del giro ma le notizie, comunque non erano molte. Come aveva osservato Madame De Jarjayes, si trattava di una famiglia della piccola nobiltà, il cui unico bagliore era costituito dall’araldica e dallo stemma.
La ricchezza che quella dimora sfoggiava, infatti, non era frutto del patrimonio originario di quella dinastia ma del semplice interessamento della sovrana.
Fu inevitabile per me confrontare quella casa, con quella che avevo lasciato…e non potei non avvertire, come un qualcosa di tangibile, una povertà di fondo. Era tutto all’ultima moda, privo di quell’alone antico che mostrava la storia di una famiglia. Quella casa non aveva storia.
Solo il presente.
 
 
Il tempo non passò molto in fretta, eppure, alla fine, giunse la cena.
- Spero che questi piatti vi siano graditi- disse la contessa, con uno dei suoi soliti sorrisi.
Risposi con un cenno della testa e, lentamente, cominciai a mangiare.
Durante il tardo pomeriggio, aveva fatto la sua comparsa il marito della contessa. Era tornato da uno dei suoi compiti a palazzo e si era rintanato nelle proprie stanze quasi subito, salutando a malapena la moglie.
Lo vidi solo a cena.
Un uomo sulla cinquantina, dall’aspetto insignificante. Benché non fosse sgradevole, aveva un’aria apatica e annoiata, come se desiderasse essere ovunque, tranne che lì.
Si chiamava Jules, conte di Polignac.
Il suo sguardo vagava infastidito per tutta la sala, la fronte si increspava improvvisamente a tratti, tutte le volte che la moglie alzava  il tono della voce, in una sorta di acuto involontario.
Eppure, non disse niente.
Si limitò a dar segno di prestarle una qualche attenzione, fino a quando, dopo aver sentito varie volte il mio nome sulla bocca della sposa, il suo sguardo calò su di me.
Anche io feci lo stesso.
C’era qualcosa negli occhi di quella persona, che stonava all’interno del contesto di quella casa. Un guizzo nervoso che non si confaceva affatto alla personalità della moglie, indice di uno strano malessere. Non parlai quasi per niente, limitandomi a rispondere quando ero obbligata…e lo stesso fece il conte.
Quello che mi colpì, tuttavia, fu altro…e cioè che, nelle occasioni ufficiali, quell’uomo non si era mai fatto vedere insieme alla moglie ed alla figlia.
Tuttora me ne sono chiesta la ragione.
L’unica che sono riuscita a darmi è stata che, in ogni caso, sia che fosse o meno presente assieme alla consorte, la sua presenza sarebbe risultata sempre invisibile.
Per quanto detestabile potesse essere, infatti, la contessa era una donna indiscutibilmente bella, maestra del vacuo e dell’inutile…l’ideale per la corte di Versailles e nessuno, nemmeno suo marito, poteva superarla in questo.
 
Bene, cari lettori, come vedete, qui abbiamo un assaggio della famiglia Polignac, compresa la figura del marito Jules di Polignac. Ringrazio tutti coloro che mi hanno letto e vi do appuntamento al prossimo capitolo. Il capitolo è piuttosto breve ma serve a mostrare la famiglia della contessa.
Grazie a tutti.
  

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Capitolo 23
*** Correggere ***


 

CORREGGERE

 

Il giorno successivo, cominciò la mia nuova vita presso i Polignac.

La contessa aveva stabilito per me una severa tabella di marcia.

Al mattino, lezioni di canto e pianoforte.

Nel pomeriggio, invece, ricevevo un insegnante privato di danza.

Uomini prezzolati e competenti…segno che, almeno sul piano della preparazione, la contessa era stata di parola.

Non aveva badato a spese, pretendendo il meglio per la mia istruzione.

Era sempre presente, durante ogni mia lezione, agitando il suo maledetto ventaglio. Io provavo ad estraniarmi, nella speranza d’ignorare la sua odiosa figura…ma non potevo fare niente contro l’ansia che mi opprimeva ogni volta che incrociavo i suoi occhi.

Provavo ad applicare gli insegnamenti che Madamigella Oscar mi aveva insegnato…ma lei, quando notava la scuola della mia benefattrice, inaspriva le sue prediche, come se fosse qualcosa che andava necessariamente corretto.

Alla fine, la mia pazienza terminò e, pur ingoiando il mio orgoglio, le domandai cosa la angustiasse.

E’la vostra natura, mia cara. La vostra innata spontaneità deve assolutamente essere corretta rispose un po’smielata o non sarete mai una vera dama…ed è mio desiderio che voi lo siate.

Non ebbi il coraggio di ribattere.

Era abbastanza palese che non avesse a genio nulla della mia persona. Non le piacevano le mie maniere, per quanto potessero essere affinate dopo la breve permanenza a casa De Jarjayes, e non apprezzava nemmeno l’educazione che riservavo alle cameriere che mi servivano.

Secondo lei, davo loro troppa confidenza.

Alla fine, per evitare di scatenare l’ira della contessa nei loro confronti, mi ritrovai costretta a non rivolgere loro la parola.

Mai scelta si rivelò più dolorosa.

Non avevo nessuno con cui parlare e spesso mi ritrovavo a fissare la finestra, con un’espressione persa nel vuoto. Mi ritrovai completamente isolata, preda dei miei pensieri.

Chissà cosa stava facendo Madamigella Oscar?

Chissà se mia sorella stava bene?

Quelle domande pungolavano continuamente la mia testa, dandomi il tormento.

Avevo provato a chiedere di loro alla contessa ma lei non sembrava intenzionata ad ascoltarmi. Si limitava a parlare di sé stessa, usando la voce esclusivamente per castigarmi e sopprimere la mia indole.

Posso dire, in tutta onestà, che quella dama non avrebbe mai approvato alcuna cosa di me, benché facessi l’impossibile per compiacerla e non scontentarla. Avevo il timore, infatti, che la sua ira potesse abbattersi sulle persone a me care.

Potevo dunque essere biasimata per questo?

Lei continuava a pressarmi con ordini e istruzioni precise e potei notare, non senza sgomento, che non ero mai lasciata completamente da sola. In qualunque luogo fossi, infatti, c’era sempre una cameriera, o un valletto, o persino la stessa governante a controllarmi.

Ogni particolare della mia nuova vita veniva poi rigidamente disciplinato. La contessa selezionò appositamente i libri che potevo leggere e ridusse drasticamente le mie uscite. La vostra pelle deve diventare come la porcellana. Va mondata di ogni crosta plebea che ancora vi ricopre fu il suo commento sprezzante…ed io incassavo, come ormai facevo da quando ero arrivata lì.

Non potevo combattere quella donna.

Lei era una dama potente ed io non valevo nulla.

Poteva dire tutto ciò che voleva, grazie al prestigio che aveva conquistato. Era merito suo, infatti, se ora la famiglia aveva tutte quelle ricchezze. In base alle chiacchiere che avevo udito al ballo di Madame Elisabetta, infatti, quella dama era riuscita ad incantare la regina grazie alla sua voce di soprano.

Posso affermare che quelle voci erano certamente vere. Una volta, sentii il maestro di musica congratularsi con lei per le sue doti canore ed io stessa ebbi la possibilità di udirla. Il mio insegnante, per forgiare il mio scadente talento nel piano, chiese alla contessa di dar prova della sua abilità.

La Polignac era un soprano puro.

La sua tecnica era certamente frutto di un lungo e costante esercizio…eppure, malgrado quella dote, non avvertivo nessun calore nel suo canto. Era tutto indubbiamente perfetto… ma non sentivo nulla, come se la perfezione formale avesse divorato il contenuto della musica stessa.

Un effetto ben diverso dalla musica di Madamigella Oscar.

A quel pensiero, il mio cuore si gonfiava di nostalgia. Lei era una musicista dilettante e non aveva mai dato mostra del suo talento a corte. Si trattava di un passatempo privato, a cui si dedicava nelle pause dalle mansioni di palazzo, quando non aveva voglia di esercitarsi con la scherma.

Le poche volte che la udii, mi sembrava di sentir vibrare, in quei tasti, la passione e l’anima viva e inquieta della mia benefattrice. Quando la ascoltavo, percepivo qualcosa…l’anima di madamigella.

La melodia della Polignac, invece, appariva al mio orecchio muta e insignificante.

Probabilmente la perfezione del timbro aveva scatenato qualcosa nella regina ma non a me che avevo visto la lordura di quella donna.

 

 

 

 

Una delle poche cose che mi vennero concesse, fu quella di cucire e ricamare. 

Era ritenuta una delle attività più consone ad una femmina di rango ed io, come ormai avevo fatto fin dall’inizio, non battei ciglio.

Cominciai a passare le mie giornate in quel modo, con un ago ed una stoffa in mano. La contessa sembrò approvare e, per qualche settimana, mi lasciò da sola…e, finalmente, potei respirare un po’.

Avevo sempre amato cucire. Era stata Nicole a insegnarmi quell’arte quando, essendo troppo piccola per aiutarla nella stiratura, me ne stavo in un angolo a fissare con ammirazione mia sorella Jeanne, mentre apprendeva tutti i rudimenti del mestiere.

Mi innamorai quasi subito dell’ago e del filo e la signora Lammorliere mi spronava a non abbandonare questo tipo di attività, talvolta aiutandomi nei punti più difficili.  Immagino che vedesse in questa mia passione un qualche futuro lavoro…e non potevo biasimarla.

Una sarta guadagnava molto meglio di una stiratrice.

In quei momenti, immersa nel silenzio pesante del palazzo dei Polignac, sentivo il peso della solitudine come qualcosa di meno opprimente. Era come se sentissi la presenza di Nicole, di nuovo vicino a me.

Eravamo di nuovo insieme, sia pure in modo completamente immateriale.

In quelle occasioni, scorgevo lo sguardo del conte che, passando vicino alla mia stanza, mi lanciava delle occhiate strane.

Spesso lo vedevo combattuto, mentre si perdeva nella sua muta osservazione.

-Vi serve qualcosa?- domandai un giorno.

Il conte, sentendo la mia voce, ebbe un sussulto.

-Perdonatemi- fece- ma ho come l’impressione di conoscervi. Vi sembrerò indubbiamente sfacciato ma…ecco, mi ricordate tanto la mia povera e sfortunata Charlotte.-

Un brivido freddo mi attraversò la schiena.

Quella domanda spiegava il suo atteggiamento. –Temo che questa somiglianza sia assolutamente casuale- risposi, tentando di celare il nervosismo.

Jules di Polignac sussultò di nuovo.

-Sì- fece mesto- forse, avete ragione.-

Non risposi.

La contessa, da quando avevo messo piede in quella casa, non aveva mai pronunciato il nome della figlia più giovane…e questa omissione, così ostentata, mi fece uno strano effetto. La morte di quella bambina era passata, grazie al nuovo potere del casato, come un incidente…eppure quel silenzio così marcato aveva il sapore di una dimenticanza tutt’altro che casuale.

Un’omissione che con l’andar del tempo cominciava a preoccuparmi.

-Signor conte!-esclamai, balzando in piedi e, incurante della stoffa che tenevo sulle ginocchia, mi incamminai verso il corridoi, a passo svelto.

Lui non si era allontanato molto e quando sentì che lo stavo chiamando, si voltò, fissandomi perplesso.

-Perdonatemi- feci, con voce un po’ansante- ma sono appena giunta in questa casa, dopo aver lasciato la mia famiglia. Mi hanno parlato tante volte di vostra figlia Charlotte…vi piacerebbe parlarmene?-

Jules stette un momento zitto.

Studiò il mio viso, alla ricerca di una qualche menzogna nascosta, poi scosse il capo.

-Ora non posso- disse malinconico- devo andare a Tours per degli affari. Tornerò tra quattro giorni ma vi prometto che vi racconterò della mia bambina. Mia moglie, dal giorno della sua morte, non ne fa più parola.-

 

 

 

 

Ero nella stanza insieme alla contessa. Eravamo sedute a due poltroncine.

La Polignac fissava il paesaggio fuori dalla finestra, mentre io leggevo un romanzetto alla moda, approvato dalla mia carceriera. Si trattava di una storia strappalacrime, fatta di donne insulse, avventure inverosimili e uomini troppo perfetti per essere veri. Li trovavo assolutamente noiosi ma la dama mi aveva obbligato a nutrirmi solo di quel genere di libri.

Parlare di storia, poi, era assolutamente inconcepibile.

Non sono letture appropriate per una gentildonna. Le mettono in testa strane idee, che non competono assolutamente al suo sesso era stato il suo commento, sprezzante e scandalizzato.

Dissi così addio a Livio e a Giovanna D’Arco. Avevo cominciato a leggere di quest’ultima poco prima di lasciare Palazzo De Jarjayes e, molto probabilmente, non avrei mai avuto modo di conoscerne la fine, con i miei occhi. Un vero peccato, soprattutto considerando che passare i pomeriggi in quel modo era mortalmente noioso.

- Ho saputo che amate cucire- disse improvvisamente la contessa.

Interruppi la lettura.

-Sì, Madame.- feci, un po’guardinga.

La Polignac aggrottò la fronte.

-Non mi piace il vostro tono strafottente- commentò- e credo che sia il momento di cessare con il cucito. Ho saputo che avete delle difficoltà nella danza e nella musica e non ha senso continuare con questo passatempo così…poco nobile.-

Nemmeno allora risposi.

-Dovremo inoltre migliorare il vostro portamento, limare quelle scorie rozze che ancora indossate. Portarvi ad un ricevimento, nelle condizioni in cui siete, è assolutamente inconcepibile.- continuò, con un tono quasi schifato.

Posai il libro.

- Mi sono già presentata a corte e nessuno ha obiettato.-replicai.

Lei mi guardò con sufficienza.

-Eravate a corte, certo - mi disse – e, come se non bastasse, eravate con Madamigella Oscar, quella donna vestita da uomo. La sua compagnia ha reso tutto più indulgente nei vostri confronti. Questo non significa che abbiate perso il vostro fare…grezzo.-

Nemmeno allora riuscii a rispondere.

La contessa si comportava con me in un modo che non riuscivo a comprendere. Vigilava in modo quasi ossessivo sui miei atteggiamenti, non perdendo l’occasione di criticarmi, anche in modo quasi offensivo. Mi feriva anche quando era ormai palese la sua vittoria e la mia resa…e più passava il tempo, più questa condizione cominciava a starmi più stretta di quanto già non fosse.

In verità, la contessa non faceva altro che continuare la preparazione che avevo cominciato a Palazzo De Jarjayes, niente di più, niente di meno. L’unica differenza era che tutte le nozioni apprese tra quelle nuove mura avevano un qualcosa di vacuo e ipocrita.

Passavo le mie giornate sempre allo stesso modo, conducendo, per volere della contessa, una vita quanto mai appartata.

Persino le cameriere evitavano le mie stanze. Fu un periodo estremamente noioso e non privo di angoscia. Avevo acconsentito alle richieste della contessa, soffocando ogni mio desiderio di ribellione…ma non potevo comunque non essere preoccupata.

Erano passate varie settimane dal mio arrivo a palazzo e non avevo più notizie del mondo esterno.

Cosa era accaduto a Jeanne?

Come aveva reagito Madamigella Oscar alla mia partenza?

Tutte quelle domande, per quanti sforzi facessi, sembravano destinate a non ricevere risposta.  La contessa faceva finta di non sentire  e, quando si degnava di ascoltarmi, liquidava la mia curiosità come qualcosa di poco appropriato alla mia condizione.

Ammetto che quei momenti mi frustravano.

Non volevo darle alcuna confidenza ma era colpa sua se ora mi trovavo in quella situazione.

Un giorno, dopo aver preso il coraggio a due mani, feci presente a quella donna che non avevo alcuna intenzione di avversarla e che avevo bisogno di sapere come stava Madamigella Oscar.

- Non vedo per quale motivo dovrei turbarvi con notizie simili- fu la risposta civettuola della Polignac- non siete più a Palazzo De Jarjayes e quello che chiedete non vi riguarda più.-

-Ma…- feci per dire.

-Così è- disse la dama- non ricordate più la conversazione avuta con Madame?-

A quelle parole, rimasi zitta.

-Ho detto alla madre di Oscar che mi sarei occupata della vostra educazione e che avrei fatto di voi una gentildonna, come si conviene.- fece- Siete diventata ora mia pupilla e, così facendo, avete rotto ogni contatto con quella stirpe.-

Sgranai gli occhi.

-Ma voi…-provai, sempre più ferita.

La contessa rise.

-Davvero credevate che vi avrei permesso di continuare ad intrecciare simili relazioni? Siete una povera sciocca- fece, scuotendo il capo- a volte non mi capacitò della vostra ingenuità.-

A quelle parole, crollai a terra.

Ero stata ingannata, per l’ennesima volta.

Un singhiozzo uscì a tradimento dalla mia gola, mentre il dolore riprendeva a scorrermi in corpo e le lacrime grondavano dai miei occhi, inarrestabili.

-Quante storie- continuò la dama, infastidita dal mio pianto- non avete alcuna ragione di fare così.-

Mi fermai di colpo.

-Avete una casa ed un futuro radioso che io sto intessendo per voi. Dovreste ringraziarmi per gli sforzi che sto facendo per adoperarmi al vostro avvenire. Non tutte le madri hanno la stessa premura che io sto adoperando per voi.- continuò- Sappiate che, malgrado tutto, io voglio il meglio per voi, anche se non siete nata da me e mio marito.-

 

Che brava mammina, la Polignac! Esemplare, non è vero? Purtroppo non avete ancora visto nulla…non dimenticate Charlotte! Intanto la contessa le sta imponendo una vita quanto mai ritirata, facendo il bello ed il cattivo tempo. In realtà, le sta dando un’educazione aristocratica standard. Oscar e André le hanno fornito un sapere più ampio e ora questa istruzione tradizionale va stretta a Rosalie.

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Capitolo 24
*** Il conte di Polignac ***


Cari lettori, proseguo la scrittura della storia. Ovviamente, ci vorrà qualche anno prima che Rosalie mandi la vecchia al posto dove merita di stare. Intanto, continua la sua permanenza lì.

 

IL CONTE DI POLIGNAC

 

I mesi passarono tutti allo stesso, identico modo. La mattina, dopo la colazione, ricevevo nelle mie stanze i vari maestri, per affinare la mia educazione aristocratica. A questa, poi, si alternavano le ore di preghiera, nella cappella del palazzo.

In quei momenti, avevo delle serve che, poste all'uscio di questa, vigilavano sulla mia condotta e sui miei movimenti. Nemmeno quando la contessa, passato del tempo, allentò la sua presa asfissiante, rivolsi loro la parola.

Avevo il timore che potessero spifferare qualcosa a quella donna, memori del contratto di lavoro stipulato al momento dell'assunzione. Non potevo fidarmi di loro eppure, ogni volta che le scoprivo intente a chiacchierare le une con le altre, non potevo non essere invidiosa di quella condizione.

Per quanto indubbiamente più agiata e in buona salute, non potevo dire di essere felice. La contessa mi teneva in vita, con la stessa cura con cui un contadino alleva il proprio pollame, in attesa di stringere la mano attorno al collo delle bestie. Non mi aspettavo niente di positivo da lei e questa generale sfiducia, in fondo, fu la mia salvezza, poiché mi mise al sicuro dalle delusioni future che lei mi avrebbe dato.

La Polignac, per parte sua, una volta superati i mesi previsti per il lutto, riprese il suo incarico a corte, come governante dei figli del Re. Era uno compiti più importanti di Versailles e, considerando che il lignaggio del casato era assai inferiore agli altri, non doveva sorprendere l'accanimento con cui quella nobile si adoperava per la sua perfetta esecuzione.

Lei mi lasciò nel palazzo, vietandomi di fare equitazione e qualsiasi attività che non fosse approvata da lei stessa. Sono passatempi nocivi per il vostro sesso aveva spiegato, come per dar forza alla sua decisione. Io non risposi nemmeno quella volta.

Immagino che avesse paura di una mia eventuale fuga.

Ero sorvegliata a vista dalle varie cameriere che, malgrado tutto, non perdevano occasione di parlare di me, alle spalle. Spesso, sentivo le loro chiacchiere: il perché della mia venuta e, soprattutto, della mia spaventosa somiglianza con la padrona del palazzo.

Dovevo essere uno dei pettegolezzi più gustosi in quel periodo.

La contessa mise rapidamente a tacere tutto, sostenendo che ero la figlia di una lontana parente dei Pollastrion, finita improvvisamente in profonde ristrettezze, che lei si sarebbe premurata di risolvere a breve.

Una scusa che aveva più livelli di lettura...ma io non ero ancora abbastanza brava per interpretare questo genere di cose. Quello che so era che si trattava di qualcosa di decisamente soffocante, quasi quanto la morsa che mi si stringeva gradualmente al collo.

Per qualche tempo, mi sembrò di udire, fuori dalla finestra della mia stanza, il rumore degli zoccoli di una schiera di cavalli. Molti di più di una semplice carrozza.

La stessa servitù parve turbata da un simile evento ma non proferì parola, non in mia presenza almeno. Quello che riuscii a sapere, origliando, non vista, le loro chiacchiere, fu che si stava preparando un grande dispiegamento di forze per catturare un criminale assai pericoloso.

La sua identità, tuttavia, rimase ignota ai miei orecchi e solo in un secondo momento, molto tempo dopo, ne venni a conoscenza.

Intanto, continuai la lettura dei romanzetti alla moda, impostimi dalla contessa...con mio sommo sconforto. Più volte rimpiansi la lettura di Livio e la storia della Pulzella d'Orleans. Le vicende, narrate in quei pozzi di sapere, erano, a mio parere, assai più coinvolgenti.

Sempre meglio delle lacrimucce delle damine di turno o, ancora peggio, dei falsi patemi d'animo dell'innamorato della novella. Mai come allora mi annoiai tanto.

Odiavo quel genere di letture.

Vuote.

Bugiarde.

Non so cosa si aspettasse la contessa, facendomi leggere quelle storielle.

Forse voleva che mi perdessi in qualche fantasia insulsa...chissà. Io non avevo quel genere di sogni, non mi era mai stato possibile.

Avevo dei desideri, certo, ma questi erano lontani anni luce da quel tipo di illusioni: volevo una casa pulita, con le pareti non divorate dall'umidità, pane bianco tutte le mattine e avere con me Nicole e mia sorella. Questa era la mia sola aspirazione, nulla di più.

 

 

Qualche tempo dopo, senza alcuna ragione quasi, la contessa mi permise di passeggiare da sola per il giardino della residenza. Quella concessione mi lasciò quanto meno perplessa. Non era da lei fare cose simili...non con me, questo è certo.

La cosa più strana era la serena sicurezza che aveva preso ad ostentare, alla presenza di tutti, da alcuni giorni.

Il verde che circondava la villa era un lezioso alternarsi di fiori di vario genere. Era molto diverso da quello di Palazzo De Jarjayes. Nella casa che avevo lasciato, il susseguirsi di piante e fiori aveva un che di solenne, del tutto assente presso i Polignac. Non avevano nulla dell'austera nobiltà della dinastia di Oscar e questo aspetto mi dava da pensare.

Guardavo la vegetazione presente, con sguardo apatico e inespressivo. Non avevo mai sorriso, da quando ero giunta in quella casa.

-Vedo che state ammirando questi fiori- disse una voce bassa.

Mi voltai di scatto.

Era il conte Jules di Polignac.

Feci uno sbrigativo inchino, suscitando in lui una soffocata ma non meno spontanea risatina. - Non sapevo che foste tornato.- dissi, a testa bassa- Perdonate la mia mancanza.-

-Voi non avete motivo di chiedere scusa.- rispose questi, pacato... a quel tono, un brivido scese lungo la mia schiena. Era la stessa intonazione che usava Madame...mi rizzai in piedi, all'istante.

Quel nobile non badò molto al mio gesto.

-E'una bella giornata-commentò, prima di riprendere la sua passeggiata. I suoi movimenti, tuttavia, erano goffi ed affaticati, troppo per essere dovuti alla stanchezza.

Subito mi avvicinai a lui.

-Vi serve un aiuto?- domandai.

Il conte mi guardò con aria sorpresa.

Allora non ne compresi la ragione ma ero ancora inesperta di quella casa. Non sapevo niente delle sue regole, anche perché la contessa mi teneva spesso all'oscuro di tutto.

-Va bene- disse alla fine, porgendomi il suo braccio - anche se non mi è chiaro il vostro intento.-

Lo fissai perplessa.

-Lasciate stare- scosse infine il capo- è evidente che voi non abbiate nessun secondo fine nei miei confronti. -

-E'così- risposi interdetta- la vostra gamba vi impedisce di camminare in modo agevole e ci sono solo io in questo giardino. Sto sbagliando...ad aiutarvi?-

Jules mi guardò, con aria indecifrabile, prima di sorridere mesto.

-Forse no.-disse, accettando il mio aiuto.

 

 

 

Quello fu solo il primo dei successivi incontri con il conte di Polignac. Una figura chiusa e solitaria, indifferente alla moglie e costantemente immerso nei propri pensieri.

La consorte non ne parlava mai.

Ripensando al mio primo arrivo a corte, non ero riuscita a scorgere quell'uomo insieme alla sposa ed alla figlia...un particolare che mi lasciava quanto meno perplessa.

-Viaggiate molto, signor conte?- domandai, un giorno, non riuscendo a tenere per me una simile curiosità.

-Meno rispetto al passato, mademoiselle Rosalie- rispose- quando facevo il militare, però...-

-Voi eravate un militare?- domandai stupita.

Il conte rise.

-Questa gamba zoppa può trarre in inganno- disse divertito- ma è per merito suo se ora sono qui e non in qualche accademia, ad insegnare le tattiche ai cadetti. Ho avuto un penoso incidente, poco dopo aver concluso la mia preparazione, che ha compromesso la modalità del mio arto. Non è una storia lodevole ed io non ne ho mai fatto parola. Solo mio padre ne era a conoscenza e non era fiero di me.-

Un lieve venticello si alzò dalla terra, scuotendo piano le vesti.

Mi passai una mano sulla fronte.

-Che cosa vi è accaduto?- domandai allora.

Jules sorrise paziente.

- E'una storia abbastanza banale.- fece- Poco dopo la conclusione del mio studio in accademia, mi recai al palazzo di mio padre. Lungo la via, però, trovai una carrozza ferma sul tragitto: aveva una ruota rotta e non poteva avanzare. Lì per lì, non vi prestai grossa attenzione. Sono un nobile di campagna e so che questo genere d'incidenti è qualcosa di estremamente comune. Stavo per andarmene, quando sentii un grido.-

Sgranai gli occhi

-Cosa stava succedendo?-chiesi.

-Dei briganti avevano messo un sasso di considerevoli dimensioni, per spingere la carrozza a fermarsi e, in quel momento, stavano minacciando i passeggeri. Ero giovane ed inesperto...e comprenderete come, spinto dall'ideale di giustizia con cui avevo sempre idealizzato l'esercito, mi scagliai contro di loro, riuscendo a metterli in fuga. Durante lo scontro venni però ferito ad una gamba e tuttora, come potete vedere, porto queste conseguenze. Mio padre non fu molto felice di sapere che il suo unico figlio era rimasto zoppo così, senza poter ottenere onoreficienze per questo...ma c'ero solo io e dovette rassegnarsi.-

Mi misi una mano sulla bocca ma il conte non vi badò. -Avete comunque salvato delle vite- provai a replicare.

Il nobile annuì.

-E'l'unica mia consolazione e nostalgia- rispose- perché se non avessi provato a soccorrere quella carrozza non avrei mai incontrato Isabelle de Saint Remy e suo fratello maggiore Jacques.-

A quelle parole, impallidii.

-Una donna affascinante che, a causa dei debiti della famiglia, non aveva potuto studiare in convento, come tutte le dame del suo rango. Si era così istruita in modo indipendente e conosceva molte cose.-continuò con calore.

-E cosa è successo a questa dama?- domandai.

Jules sospirò.

-Suo fratello dilapidò tutto, compreso il titolo nobiliare, e, dopo essersi sposato con una domestica, lasciò la casa paterna. Era una testa calda, sotto ogni punto di vista. Quanto a Isabelle...ecco, io avrei voluto sposarla. La amavo e lei ricambiava i miei sentimenti...ma non possedeva una dote ed io, pur di non lasciarla, decisi di tenerla con me, anche se non potevo prenderla in moglie.-continuò.

Sgranai gli occhi.

-Avete fatto di lei la vostra amante?- domandai.

Jules però scosse la testa.

-Io non la considero la mia amante. E'la donna a cui ho donato il mio cuore e la sola che desidero davvero. Se avete notato, spesso mi assento da questa casa...-fece, lasciando cadere in modo voluto ogni discorso.

-E vostra moglie sa tutto?- chiesi.

Jules ridacchiò.

-Yolande mi sottovaluta. Disprezza ogni cosa della mia persona, pur essendomi sempre comportato in modo corretto con lei. Ha un desiderio di rivincita che la logora. Indubbiamente ha portato benessere alla mia famiglia...ma questo, per quanto mi riguarda, non è il mio mondo.- rispose.

Socchiusi gli occhi.

-E...Charlotte?- azzardai.

Il viso del conte si contrasse in una piega dolorosa.

- Charlotte era la mia figlia preferita, l'unica che mi somigliasse in qualche modo...e non avesse sul corpo i segni del sangue di mio cugino Armand.- disse, scherzando- La mia stirpe si riduceva solo a lei, anche se, alla mia morte, tutto passerà nelle mani del mio primogenito. Era un angelo...fino a quando mia moglie non riuscì ad entrare nelle grazie della regina.-

Posò malinconico lo sguardo verso il roseto innanzi a sé. -Non posso dire che Yolande non abbia avuto molta abilità nell'ammaliare la sovrana. E'riuscita a farlo con tutti, tranne che con me...e voi, a giudicare dallo sguardo diffidente.- disse, guardandomi comprensivo- Ho ottenuto la carica di scudiere della regina, una mansione che mi fa stare lontano da mia moglie e, al tempo stesso, mi concede un certo benessere. Questo sviluppo ha alleggerito la pena di questo matrimonio ma, come padre, non posso non provare del rimorso. Sono stato poco vicino a Charlotte...e questo mi addolora.- disse.

Mi strinsi leggermente al suo braccio.

Quell'uomo aveva conosciuto mio padre...un pensiero che mi fece sorridere, quasi senza accorgermene. -Signore- dissi quindi- io conosco l'uomo di cui parlate. Mia madre, Nicole, mi parlava spesso di lui.-

Il viso del conte venne attraversato da una strana luce.

-Siete la figlia di quella domestica?- domandò.

-Sono la figlia di mio padre.-risposi...e Jules comprese. Il suo sguardo si fece compassionevole e addolorato. -Nicole mi allevò, pur non essendo uscita dal suo ventre e mi ha amato come la bambina che ha avuto.-continuai con affetto.

-Avete un legame con Yolande, non è così?- domandò lui, spiazzandomi.

Annuii soltanto, incapace di parlare.

-Avevo notato una forte somiglianza con la mia sposa. Lei non mi ha ai detto niente, dal momento che l'ho sempre lasciata agire come desiderava. Sono vecchio, zoppo...e ho sempre pensato che questa condotta potesse compensare il fastidio di avermi come marito. Quando la sposai, conquistò subito i miei genitori che ebbero sempre più riguardo verso di lei che verso di me. Non l'ho mai amata, sebbene avessi per lei il massimo rispetto. Il matrimonio, soprattutto tra noi nobili, non necessita di queste cose. Basta il titolo ed il denaro. I Pollastrion, il casato di mia moglie, non era molto ricco ma, come nobili urbani, avevano un prestigio maggiore del mio e, dato che non ero più giovane e c'era necessità di un erede, obbedii all'ordine di mio padre.- disse.

Mosse altri passi, assistito dal mio braccio. Una parte di me era rimasta fortemente turbata dalla confessione, soprattutto per via del legame con la famiglia del marito di Nicole. -Io so che voi siete la figlia di mia moglie- continuò questi- ed il risultato dell'incoscienza del mio amico. Non temete, non ho alcuna intenzione di farvi del male. Se volete però accontentare la mia curiosità, avrei piacere di saper qualcosa di Nicole...una persona che, serva o meno, aveva un gran cuore, forse più nobile del mio amico.-

E così cominciò la mia amicizia con Jules, conte di Polignac.

 

Immagino che non vi siete mai aspettati una simile amicizia, non è così? Se leggete le mie storie, comunque, saprete che non amo i sentieri già battuti. Jules è un personaggio particolare e spero che vi siano chiari i retroscena, così come il rapporto con la moglie. Se lei agisce come vuole è perché questi glielo lascia fare. Lui non la ama e la cosa è reciproca. Fa finta che i suoi figli siano sangue del suo sangue per debolezza e perché non vuole attriti. Si è appoggiato all'inventiva della moglie, pur conoscendo la sua natura. Rosalie non nasconde le sue origini al conte e questi apprezza la sua franchezza. Vedremo come si svilupperanno le cose.

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Capitolo 25
*** I DE FLORIE ***


Benvenuti a questo nuovo capitolo. Leggere le vostre recensioni mi fa enormemente piacere e non posso che esservi grata per l'attenzione che finora mi avete dato. In questi capitoli, Oscar e André non fanno la loro comparsa, anche perché, voglio ricordare, non ci sono più contatti tra Rosalie e i suoi due amici.

Ora però vi lascio ad una nuova lettura.

ps. in questo capitolo ho alzato il rating e, sì, ci sarà una scena che i deboli di stomaco non apprezzeranno. Leggetela digiuni, ok?

 

I  DE FLORIE

 

Alcune settimane dopo, la contessa si interessò nuovamente a me.

-Rosalie, cara- cinguettò, con quella voce detestabile- ho appena ricevuto una lettera da parte di una mia cara amica... la marchesa Renée de Florie. Mi ha gentilmente invitato nella sua nuova dimora a Orleans. Ha detto che suo marito ha appena allestito l'inaugurazione di due nuove stanze e penso che sia il momento di andare.-

La guardai interdetta.

-Dobbiamo lasciare questa casa?- chiesi perplessa.

Non mi piaceva stare in quella dimora fredda e perfetta e mi irritava dover passare del tempo con quella donna ipocrita. Andare a Orleans, poi, significava dover allontanarmi dalla dimora dei De Jarjayes...un pensiero che mi demoralizzava.

-Certo, mia cara- rispose questa, come se avessi detto una sciocchezza- abbiamo necessità di andare a conversare con quella gentildonna. Imparerete come la nobile arte del salotto sia un requisito fondamentale per noi dame.-

Aggrottai la fronte.

-Io non voglio diventare una dama.- sentenziai.

La Polignac, per tutta risposta, cominciò a ridere. Un suono irritante. La sua voce da soprano, in quelle occasioni, diventava stridula e faceva fischiare le orecchie. Finii con l'odiare la sua risata, quasi senza sapere il perché, ancor prima di capire le sue parole. Le avevo detto il vero. Essere un'aristocratica non mi interessava. Malgrado avessi conosciuto Oscar e sua madre, nonostante fossi stata abbagliata dalla bellezza della regina, la mia opinione sui nobili non era minimamente cambiata. Di certo, se avessi dovuto scegliere tra la mia vecchia casa e la nuova vita che stavo conducendo, avrei indubbiamente preferito la prima.

Quell'esistenza patetica che stavo subendo non mi piaceva e, soprattutto, non mi andava a genio la contessa.

-Oh, tu lo diventerai- disse tranquilla- e sai che è così. Hai tutte le doti per diventarlo e, in cuor tuo, questo è il posto dove hai sempre sognato di vivere. Anche la tua cara Jeanne, quando viveva con te, aveva questi sogni. Tutte le ragazze sognano di vivere come principesse, essere servite e riverite, vivere in uno splendido castello, ammirate da tutti...e sai che ho ragione.-

Io non risposi...e non proferii parola per tutto il tempo che intercorse per i preparativi delle carrozze per il viaggio.

Anche il conte venne con noi, anche se in una carrozza diversa.

La scusa ufficiale era che, in questo modo, con il mezzo tutto a sua disposizione, avrebbe potuto distendere meglio la gamba dolorante.

Non ne compresi subito la ragione...ma quando lo capii non potei fare a meno d'invidiarlo. Per tutta la durata del tragitto, quella donna non fece altro che ciarlare di sciocchezze, a cui io non rispondevo. Non seppi nemmeno di cosa stesse parlando. Non mi interessava. Le sue maniere erano ai miei occhi assolutamente fastidiose e, sebbene non la avversassi troppo, era chiaro che non la amavo.

Lungo la strada, vidi in lontananza la cattedrale di Chatres...e mi sembrò di vedere Notre Dame.

 

 

Orleans era il luogo dove Giovanna D'Arco venne arsa sul rogo. Una cittadina che, a giudicare dal nome, faceva parte dei possedimenti del cugino del re. Uno degli aspetti della visita era che ora almeno sapevo, sia pure a grandi linee, la fine della grande paladina che aveva permesso alla Francia di diventare il grande Paese che pensavo che fosse.

Passammo, con la carrozza, lungo il corso del fiume Loira, superando vari edifici. Passammo il municipio, alcune strade, prima di sboccare in una zona composta da numerose ville.

Alla fine, ci fermammo di fronte ad una costruzione in stile rococò, anch'essa decorata su un modello simile, se non identico, a quello della residenza dei Polignac.

Sulla soglia, c'era una coppia, composta da una dama quasi coetanea della contessa e da un uomo grasso e dalla pelle rubiconda. -Mia cara Yolande!- salutò questa, scendendo le scale.

-Carissima!- esclamò la contessa venendole incontro.

Le due si abbracciarono, prese da un entusiasmo che io trovavo strano, almeno vedendo la contessa. Notai che erano piuttosto simili. Avevano lo stesso colore degli occhi. Le uniche differenze erano date dai capelli e dall'abbigliamento, sebbene la veste fosse di un modello identico a quello della contessa.

-E'passato molto tempo, da quando ci siamo separate- disse questa- prego, però, accomodatevi. Le stanze sono pronte: per voi, questa gentile ragazza e...anche per vostro marito, come al solito?-

-Sì Renée- rispose la Polignac- lo preferisco.-

 

 

La casa dei Florie era una delle più ricche di Orleans, residenza del principe esclusa. Renée era la cugina di secondo grado della contessa di Polignac ed aveva sposato un ricco marchese, alla tenera età di tredici anni. Era piuttosto bella ed aveva un fisico florido e sinuoso, esaltato da un vestito verde acqua. I capelli color nocciola incorniciavano un viso angelico, perennemente fissato in un'espressione composta.

Il suo marito non poteva vantare la medesima avvenenza.

Aveva il viso butterato dal vaiolo, a cui era miracolosamente scampato, e due occhi scuri e porcini che si posavano qualche volta di troppo sul decollete della sposa.

-Il viaggio è stato di vostro gradimento?- domandò mentre servivano la cena.

Yolande tagliò la carne.

-Un po'disagevole, in verità- rispose - ma posso dire che siamo stati fortunati. Il tempo è stato buono e le vie non erano fangose.-

Il marchese grugnì qualcosa e Renèe sussultò, salvo poi ricomporsi e riassumere la posa di prima, anche se indubbiamente meno rilassata.

Aggrottai la fronte. Fece varie volte quella mossa per tutta la durata della cena ma nessuno sembrò curarsene. Solo il conte di Polignac mostrò un segno di disappunto, arricciando il labbro, come se volesse dire qualcosa ma non avesse voglia di farlo. Mi limitai allora a mangiare quanto mi veniva servito, badando bene a non lasciare niente sul piatto. La cucina era molto buona e dovevo ammettere che non mi dispiaceva.

-Ho saputo che il ballo di Parigi è stato un po'diverso rispetto agli anni passati e che hanno permesso anche ai non nobili di partecipare.- fece la Polignac.

-E'colpa di quegli sporchi borghesi!- sbottò il duca, trangugiando un bicchiere di vino rosso- Dovevate vedere con che boria si aggiravano per le sale...tutti vestiti all'ultima moda da Madame Bertin. Pensano di essere come noi ma non lo saranno mai.-

Renée tremò.

-Su questo- aggiunse la contessa, lanciandomi un'occhiata- avete perfettamente ragione. Come si può pretendere di diventare nobili, quando l'educazione, il lignaggio, sono così impuri?-

Cominciò allora una conversazione basata sul concetto della nobiltà di sangue, sulle origini illustri e su una serie di cose che a me parvero solo sciocchezze. In breve, finii con il disinteressarmene. Non mi importava sapere di cosa parlavano...e anche il conte e la duchessa parevano condividere questi medesimi pensieri. 

Quest'ultima, in particolare, pareva a disagio.

Li guardai per qualche momento, poi mi concentrai sul dolce.

Qualcosa di decisamente più interessante dei pettegolezzi.

Non ero però la sola ad annoiarmi. Il conte guardava seccato i vari mobili e i quadri alla moda, soffermandosi qualche momento di troppo sugli orologi della stanza.

Lo guardai con compassione.

Se quella era la vita del nobile, non potevo biasimare la sua insofferenza.

-Ad ogni modo- fece improvvisamente Yolande- sono del parere che sia opportuno andare a fare compere uno di questi giorni. Ho molti pettegolezzi che devo condividere con voi, cara cugina, confidenze che annoierebbero molto i nostri consorti.-

Vidi la padrona di casa sussultare, rilassando un poco i muscoli delle spalle, come se, fino a quel momento, fosse sottoposta a chissà quale supplizio. Guardò il marito che, dopo qualche indugio, dette il suo consenso. Solo allora le due dame si alzarono...ed io con loro, su invito (o, per meglio dire, ordine) della contessa.

Ci spostammo nel salottino privato di Madame Renée.

Un ambiente assolutamente frivolo, malgrado la preziosità del mobilio non raggiungesse nemmeno lontanamente quello del palazzo dei Polignac. -Mia cara Yolande- disse pacata- sono molto felice di avervi nella mia casa. Finalmente, dopo molti impegni, avete trovato il tempo di rimediare un momento per me.-

Lei sorrise.

-Non potevo non venire- rispose- ho chiesto un permesso alla regina, dopo gli ultimi affanni subiti. A quanto vedo, la situazione della vostra casa è migliorata notevolmente. Vostra figlia è in convento?-

Renée annuì.

-Ricevo notizie ogni mese e le faccio visita quando posso. - disse- Diventerà una buona monaca, come mio marito ha sempre desiderato.-

La Polignac portò una mano alla bocca, in un gesto colmo di sorpresa.

-Dunque non avete progettato per lei delle nozze?- chiese -Volete privare vostra figlia della gioia di un matrimonio terreno?-

La marchesa sussultò lieve.

-La vocazione di mia figlia ed il desiderio di mio marito hanno la priorità.- disse, posando laconica lo sguardo su di me.

La fissai a mia volta.

-Oh- fece la contessa, con un sorriso- avete notato Rosalie? Una mia conoscente mi ha supplicato di chiedere di occuparmi di lei. A quanto ne so, ha vissuto in ristrettezze economiche assolutamente intollerabili. Ella mi ha chiesto di provvedere alla sua educazione.-

-E'un po'troppo grande per portarla in convento.-notò la marchesa, senza smettere di fissarmi.

Lo sguardo dell'altra si accese.

-Oh- fece- non serve imparare qualche preghiera per vivere come una donna. Basta il cervello...e voi lo sapete meglio di me. -

Renée rise, un po'civettuola.

Poco dopo, la conversazione proseguì, su temi ameni e frivoli. In nessuna di quelle occasioni, si toccò la vicenda di Charlotte. A quanto pareva, non era costume dei nobili parlare dei morti.

-Rosalie- fece improvvisamente la contessa- sono le undici e, considerando la durata del viaggio, è bene che vi ritiriate nella camera a voi riservata. -

La guardai perplessa.

Non era vero che avevo sonno ma l'espressione minacciosa della nobile, abilmente celata nelle sue maniere melliflue mi spinse ad obbedire. Non mi interessava niente di lei...ma non volevo correre il rischio di rendere il suo disprezzo nei miei confronti ancora più forte. Come se non bastasse, il pettegolezzo della Polignac aveva finito con il nausearmi e non volevo allontanare da me la possibilità di evitare un simile supplizio.

 

 

Il soffitto della mia camera era decorato con immagini bucoliche e personaggi della mitologia classica. Li fissai a lungo, malgrado, avendo spento la candela, il buio non permettesse di vedere molto. Il silenzio mi gravitava attorno, come una bolla di protezione, lasciando che i pensieri rimbombassero nella mia testa.

La conversazione con il conte mi aveva dato molto da pensare. Conosceva Nicole, mio padre...ma non era mai venuto a soccorrerci.

Avevamo vissuto negli stenti...perché? Perché nessuno si era mosso ad aiutarci? Perché avevamo dovuto lottare ogni giorno contro la miseria e la fame, pur avendo come padre un nobile? Anche il fatto che sia io che mia sorella Jeanne portassimo il cognome di Nicole, appariva quanto mai bizzarro. Quello che era davvero ironico poi, era che, in tutta la mia vita, non avessi chiesto alla donna che mi aveva allevato perché portassi il suo cognome e non quello di mio padre.

C'era sicuramente una ragione...e in quel momento, la sua ricerca occupava ogni mio pensiero, come se cercassi un appiglio qualsiasi per non dormire.

Mi risultava difficile seguire la linea dei pensieri della contessa e, se non fosse dipeso da una mera questione di sopravvivenza, di certo, non lo avrei fatto. Quel continuo rimuginare, comunque, finì con il rendere lo stare a letto qualcosa di insopportabile e fastidioso.

Avrei voluto parlare nuovamente con suo marito.

La rivelazione che avevo ancora un parente in vita di mio padre, in qualche modo, mi rallegrava. Mi sarebbe piaciuto incontrarla, anche se sapevo che l'attuale situazione non mi rendeva le cose molto semplici. Ero ancora abbastanza digiuna dalla vita e, soprattutto, non mi era ancora chiaro se avrei fatto bene a chiedere a quella donna di mio padre.

Avevo come il presentimento che non volesse parlarne, un silenzio simile, se non identico a quello della morte di Charlotte. Da quando ero giunta nella dimora dei Polignac, nessuno aveva mai pronunciato il suo nome.

Solo Jules aveva rotto il silenzio ma il riserbo da lui dimostrato, denotava chiaramente come, in tutto questo, la sua presenza fosse assolutamente secondaria.

Poiché il sonno non arrivava, decisi di scendere al pianterreno. Avevo compreso che le case signorili seguivano chi più, chi meno, lo stesso ritmo di marcia e questo significava che non avrei trovato nessuno lungo i corridoi. Mi alzai con estrema lentezza, badando che intorno a me non vi fosse alcun rumore. Volevo bere dell'acqua e non mi andava di attendere il mattino né, tantomeno, chiedere ad una delle cameriere.

Come se non bastasse, ero piuttosto nervosa.

Non sapevo cosa volesse da me la contessa e quel pensiero mi angosciava.

Lei avrebbe deciso del mio futuro ed io non avrei potuto fare altro che piegarmi.

Non mi aveva detto niente in proposito e, per quanto ingenua fossi, non mi erano sfuggiti i silenzi e il sospetto che mi riservava. Percorsi rapida i corridoi e, dopo essere entrata in cucina, bevvi dell'acqua. Nessuno si era accorto di me, per mia somma fortuna.

Avevo mantenuto, malgrado il prolungato tempo vissuto tra i nobili, il mio passo di popolana, cosa che mi mise stranamente di buon umore. Non avevo perso niente della me stessa di un tempo...ero ancora Rosalie.

Stavo raggiungendo di nuovo la mia camera, quando una serie di rumori attirò la mia attenzione.

Mi fermai un momento.

I suoni mi apparivano quanto mai bizzarri.

Un ladro? azzardai, rabbrividendo.

Durante il giorno a Palazzo De Jarjayes, avevo ricevuto da Madamigella Oscar, come regalo, una spada, dono che avevo conservato gelosamente, mettendola nel doppio fondo del baule che avevo usato per portare via le mie cose. Quell'oggetto era una delle poche cose, insieme all'anello di mia madre, che la contessa non aveva gettato via.

Ancora mi era poco chiaro il motivo per cui non avesse messo da parte quel contenitore ma era vero che la dama non mi aveva mai messo a conoscenza dei suoi propositi nei miei confronti.

I rumori provenivano da una stanza che, fino a quel momento, non avevo notato.

Una porticina minuscola, leggermente socchiusa, da cui fuoriusciva la luce tremula di una candela.

Nuovamente mi fermai.

Man mano che mi avvicinavo, infatti, sentivo due voci: una femminile, fievole e lamentosa ed una maschile, grossa e arrogante che si alternavano ad un ritmo affannoso, di pari passo con le ombre che vedevo alternarsi in quella lucetta.

Mi sarei voluta affacciare, per vedere cosa stesse succedendo, quando lo sguardo mi cadde su uno specchio, affisso alla parete che, per la particolare posizione in cui si trovava, rifletteva ciò che avveniva all'interno.

 

 

 

 

Tremo ancora al pensiero di ciò che vidi.

 

Il marchese era di profilo, con le braghe abbassate, a spingere contro un altro corpo che, per via del movimento delle anche di questi, sussultava ad ogni assalto. La pelle di quest'ultimo era decisamente chiara, segno che si trattava di una donna...a quel pensiero, un velo di nausea mi travolse.

Non era la prima volta che vedevo un uomo possedere una femmina.

Vivendo in un quartiere povero e degradato, dove si sopravvive di espedienti e la miseria è all'ordine del giorno, poteva succedere di vendere il proprio corpo per qualche moneta. Se io e mia sorella Jeanne non ci eravamo ridotte a questo, il merito era di Nicole e della sua onestà. Questo, ovviamente non mi aveva impedito  di  sapere, almeno in teoria,  quale fosse l'atto che  precedeva la gravidanza.

Per questo motivo, non mi stupii troppo della condotta del marchese. A differenza del marito della contessa, questi mi aveva fatto una cattiva impressione. Non mi sembrò strano che possedesse una donna con una simile brutalità, costringendola a volgere le terga al suo bacino alla stessa stregua di un animale.

Quello che davvero mi fece impallidire, fu la persona che si trovava in quella posizione prona, accovacciata come un cane. Aveva i capelli castani ed un corpo flessuoso. Riceveva i movimenti del nobile con una passiva rassegnazione, come se non potesse ribellarsi.

Improvvisamente, alzò la testa e potei così vedere il profilo.

Raggelai.

Era la cugina della contessa.

Vedevo la sua espressione strozzata, il viso tinto di un rosso violento andare in su e giù come la testa di un mulo.

-ZITTA!- sibilò il marchese, mettendogli una mano sulla bocca per impedirle di farsi sentire. Una mossa davvero poco saggia. Se infatti la sposa gemeva in silenzio, a causa dell'ostacolo del palmo, lo stesso non si poteva dire per l'uomo che, schiacciandola contro il mobile su cui questa teneva il busto disteso, grugniva su di lei con versi gutturali e animaleschi...che mi ricordavano i tacchini che avevo visto una volta in una delle fattorie di Arles, durante una visita con Madamigella.

Non rimasi a lungo a vedere quell'amplesso.

Un moto di nausea mi colse improvviso e, dopo una rapida corsa nelle cucine, mi ritrovai a rigettare tutta la cena, in una delle latrine che si trovava in quella stanza.

Mi fu chiaro, quindi, che sarebbe stato difficile per me trovare il sonno che cercavo...e, dopo la vista di quella scena, tale traguardo si era trasformato in una chimera.

 

 

Furono molte le cose per cui non avrei dimenticato quel soggiorno e la prima era certamente questa.

 

 

Il mattino dopo, fui più silenziosa del solito ma questo cambiamento non venne comunque notato. Il conte era apatico come di consueto, il marchese volgare e la contessa civettuola in modo fastidioso e molesto.

Notai che anche la padrona di casa era stranamente poco loquace e, malgrado gli strati di trucco, mostrava un insolito livido bluastro sulla spalla. Non si vedeva molto, dal momento che era coperto dal vestito...eppure c'era.

Renée fissava assente il proprio piatto quando, alzando il viso, incontrò la mia espressione.

-Non mangiate?- domandò allora, rivolgendomi un sorriso di circostanza.

A quelle parole, mi limitai a sorseggiare un po' del latte alla portoghese che avevano fatto portare. Non avevo alcun diritto di rivolgere critiche sulla condotta del suo sposo e anche se era chiaro che il marchese la maltrattava ed era una persona orribile, io non potevo fare nulla.

Con la coda dell'occhio, notai lo sguardo della contessa, cadere distratto sulla cugina.

Non sembrava stupita e, malgrado il disagio che la marchesa non riusciva comunque a celare del tutto quella mattina, non disse una parola.

Era come se sapesse tutto...a quel pensiero, venni presa da un profondo disgusto.

Lei era a conoscenza del tipo di persona che Renée aveva sposato ma non avrebbe mosso un dito per soccorrerla, in caso di pericolo. Tutta la gentilezza che le aveva dimostrato non si sarebbe mai tramutata in un aiuto contro la violenza dello sposo.

 

 

Fu così che conobbi da presso la vita matrimoniale dei nobili.

 

Allora, spero che il vostro stomaco abbia retto e che il capitolo non faccia schifo, malgrado la scena finale lo sia. Grazie a tutti coloro che mi hanno letto e vi ringrazio per la cortesia.

 

 

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Capitolo 26
*** Sartoria ***


Benvenuti cari lettori, vi ringrazio per avermi sopportato. Ora vi lascio a questo nuovo capitolo.

 

SARTORIA

 

Il giorno successivo, la marchesa ci portò in giro per vari negozi. Le vie di Orleans erano molto pulite e ben tenute. Per la prima volta, vedevo una città diversa da Parigi. 

Ammetto che quella visita mi stupì non poco.

Prima di allora, infatti, avevo pensato che non vi fosse praticamente niente, al di fuori di Parigi...e nessuno poteva biasimarmi per questo.

Era risaputo infatti che tra i parigini e le persone che vivevano fuori da quella città non corresse buon sangue, come era altrettanto vero che gli abitanti della capitale si vantavano di aver fatto la storia della Francia e che ciò che avveniva dentro i confini di Parigi avesse un valore quasi universale.

Ad ogni modo, per quanto più piccola, Orleans era un luogo complessivamente gradevole. Aveva strade pulite e moderatamente frequentate, come ho già detto. Mi trovavo nella carrozza dei De Florie, insieme alla marchesa ed alla contessa.

-Mia cara- iniziò la marchesa- come vi avevo promesso, ho parlato con la Principessa.

-Davvero?- domandò sorpresa.

L'altra annuì. -In questo periodo, si è ritirata nella sua dimora ad Orleans. Pare che abbia avuto una leggera influenza ed abbia deciso di non visitare la corte.- spiegò -Io, come marchesa De Florie, le ho mandato una lettera, per sincerarmi della sua salute...e così ho saputo tutto.-

La contessa sorrise.

-Oh- disse- siete assolutamente deliziosa, quando agite così.-

Renée ricambiò lo sguardo. -In questo periodo, insieme a Stéphanie Félicité du Crest de Saint-Aubin, la contessa di Genlìs, dovevano risiedere nel palazzo cittadino della famiglia del Principe ma la nuova stagione teatrale dell'Opera di Parigi ha spinto quest'ultima a rimanere a Parigi. A quello che so, all'amore del principe piace scrivere storielle, così è rimasta là.- disse, sorridendo divertita.

-E i suoi figli?- domandò la Polignac.

La marchesa si morse il labbro pieno.

-Ovviamente- rispose- sono nella capitale. Il principe, d'accordo con la consorte, ha stabilito che i figli rimanessero con la contessa di Genlis. Considerate le sue doti di maestra...avete visto i suoi libri sull'allevamento dei figli? Io ne ho sentito parlare ma, considerate le decisioni del mio sposo, questo genere di competenze non si addicono a me...comunque, dicevo? Ah, sì. La contessa ha portato con sé i figli del principe ed ora quei giovani virgulti hanno a che fare con illuministi e sedicenti intellettuali.-

La Polignac scosse il capo. -Non capirò mai questa consuetudine- mormorò- io non ho mai avuto questo lusso. Mio marito non mi ha mai permesso di tenere altro che una misera balia turca, un'infedele che, almeno, aveva il buon gusto di parlare qualche parola di francese. La mia unica consolazione è stata quella di mandare i miei figli in accademia. Grazie al nome del mio consorte, siamo riusciti a garantire loro tutto questo.-

Mi appoggiai al bordo della carrozza.

Eravamo in quattro: la contessa, sua cugina, io ed una minuscola dama poco più giovane di me che non faceva altro che squadrarmi da quando ero salita a bordo. Pareva come soppesarmi, manco fossi un animale da cortile. Si chiamava Adeline ed era, ufficialmente, la figlia di un conoscente. Ci avrei creduto se la forma del viso ed il colore degli occhi non fossero stati spaventosamente simili a quelli del marchese.

Spostai rapidamente lo sguardo all'esterno.

Avevo preso come risoluzione di non impicciarmi più delle questioni private di quelle persone. Se era loro costume avere in spregio le leggi umane, non avevo motivo di giudicarli. Di certo, non mi facevano una bella impressione...anche se il mio pensiero valeva assai poco.

Le case cittadine scorrevano davanti ai miei occhi, in modo assolutamente lineare e monotono. Vedevo le chiese far capolino qua e là. Orleans era una città davvero molto grande e mi chiedevo se mai avrei avuto l'occasione di poter scoprire qualcosa di più sul luogo in cui la Pulzella era andata a morire.

In breve, cominciai ad estraniarmi, immaginando che quelle strade erano le stesse che Giovanna d'Arco aveva visto, prima di essere condotta a processo.

In qualche modo, mentre mi trovavo in quella carrozza, insieme alla mia aguzzina, mi sentivo stranamente solidale con la famosa Pulzella. Anche io ero in supplizio. Forse non ero sul rogo ma, di certo, avrei barattato qualche istante delle sevizie da lei sofferte, assai più volentieri che rimanere con quella vecchia.

Non ne potevo più di sentire quella serie di pettegolezzi. Che cosa me ne importava a me, delle tresche degli Orleans? Che interesse poteva esserci nel sapere che il cugino del re teneva a stretto contatto amante e sposa legittima?

L'altra ragazzina di fronte a me, però, sembrava pensarla diversamente. Lo vedevo dall'interesse che ostentava, pendendo letteralmente dalle labbra della matrigna e di sua cugina. Non sapevo bene quale fosse il rapporto che la legava alla marchesa ma non avevo dubbio sul fatto che, alla base di tutto, non vi fosse altro che una convenienza materiale. Non possedeva nessuna traccia dell'innocenza quasi fanciullesca di Charlotte...e, ora che so tutto, forse è meglio così.

Improvvisamente, ci fermammo di fronte ad un negozio particolarmente lussuoso che ricordava, in modo abbastanza vago, l'atelier di Madame Bertin...a quel pensiero, mi si formò un groppo in gola.

Solo il Cielo sapeva quanto avrei voluto essere in quel negozio come sarta. Avrei così guadagnato soldi e dato a mia madre una vita dignitosa, permettendomi poi di prepararmi una dote...mi portai una mano alla bocca.

Non ci pensare Rosalie mi ammonii oppure, ne sarai distrutta.

-Molto bene- cinguettò Renée, prendendo la ragazzina sottobraccio- allora, che ne dite se andiamo a vedere gli ultimi modelli? Non sono come quelli di Madame Bertin ma, di certo non vi scontenteranno.-

-Naturalmente- fu la risposta della Polignac, afferrandomi il braccio, in una mossa quasi rapace- Rosalie ed io non vediamo l'ora. Dobbiamo assolutamente comprare dei nuovi abiti.-

Io mi limitai a tacere.

Non avevo parlato quasi per nulla, a differenza delle altre tre. Persino Adeline aveva partecipato alla conversazione delle due cugine. Io, invece, mi limitai a rispondere, con cortesia e distacco. Non avevo capito una sola parola delle loro chiacchiere e, francamente, non mi importava.

La proprietaria della bottega venne loro incontro.

-Oh, Marchesa, qualche onore avervi direttamente nel mio negozio.-salutò, inchinandosi davanti a noi.

-Mia cara Madeleine- rispose Renée pacata- questa è mia cugina. Vorremo avere dei nuovi abiti per noi e le nostre pupille...ho saputo che sono arrivati dei modelli davvero graziosi.-

La donna sorrise.

-Madame- sospirò- voi non avete idea della gioia che mi state procurando. Ho appena fatto venire dei modelli che non potranno che rallegrarvi. Ragazze, portate i nuovi abiti per la Marchesa De Florie e le sue ospiti.-

Scendemmo dalla carrozza e, su invito di quella Madeleine, ci incamminammo dentro.

 

-Oh- sospirò la marchesa, fissando un'abito verde a fiori- questa fantasia, Adeline, è assolutamente adorabile! Guarda come si intona sulla vostra pelle!-

Lei sorrise felice, mentre si rimirava allo specchio.

L'abito non era pronto, in verità, ma il modello proposto dalla sarta era più che sufficiente a scatenare le loro fantasie.

-Ne sono lieta- disse Madeleine- voi, contessa, cosa ne dite dell'abito della vostra pupilla?-

Io mi irrigidii.

Mi avevano mostrato vari modelli ma la Polignac non sembrava molto entusiasta.  -Mmm, non saprei- commentò la mia carnefice, soppesando i vari abbinamenti- questi toni chiari la fanno ingrassare, mentre questo scuro non si intona bene con la sua età...sembra più vecchia di quello che è. Avete quei modelli con i fiocchi azzurri ed una tenue fantasia floreale? Ho saputo che sua Maestà, d'accordo con la sua sarta personale, ha fatto commissionare quei modelli proprio da queste parti.-

A quelle parole, Madeleine si illuminò.  La Bertin era considerata un nome di pregio per tutti e citarla sembrava avere uno strano ascendente sulla gente del suo settore.

La vidi sparire per alcuni istanti e, così facendo, rimanemmo sole.

Mi fissai allo specchio.

Non avevo capito assolutamente nulla dello scambio di battute che si erano lasciate, benché mi riguardasse. La contessa si avvicinò al mio orecchio, in un atteggiamento piuttosto confidenziale. -Sai- sussurrò piano- dovrai farci l'abitudine, cara. Questa è la tua vita...cerca di sorridere perché non hai assolutamente niente di cui rattristarti.-

Rimasi imbambolata.

Come si permetteva quella maledetta di rivolgermi simili parole? Io non ero felice. Io non avevo alcun motivo di gioia, da quando quel demonio mi aveva portato via Nicole e poi Oscar. Come poteva parlarmi in quel modo?

Avrei voluto schiaffeggiarla, anche alla presenza di sua cugina, ma sapevo che la sua vendetta avrebbe portato dei tragici effetti sulla mia persona. Pensavo che avrebbe potuto rivelare alla regina della mia identità, condannando così Madamigella Oscar alla rovina...e non volevo tutto questo. Mi feci quindi forza, soffocando il dolore e la rabbia che mi stavano logorando.

Dovevo resistere.

Anche se la mia vita stava andando in pezzi, potevo consolarmi che, così facendo, le attenzioni della contessa su Madamigella, sarebbero scemate.

Era questa la mia unica consolazione.

 

 

 

La contessa scelse per me i modelli che avrei dovuto indossare, naturalmente, senza chiedere il mio consenso...e lo stesso fece la cugina che, tuttavia, ebbe il buon gusto di rendere partecipe la figliastra delle sue scelte, pur mantenendo l'ultima parola.

Poco dopo, facemmo altre visite per l'acquisto di scarpe ed accessori di vario tipo. Fu una giornata piuttosto piena, tanto da spingerci a pranzare in uno dei salottini per dame che, ultimamente erano stati aperti, al fine di favorire nelle vie commerciali una maggiore permanenza dei più generosi clienti. Si trattava di una pausa, un momento di ristoro, prima di una nuova sessione di acquisti. 

Gli uomini erano già usciti, al momento della colazione: il conte era a Versailles, mentre il marchese si trovava in visita da qualche amico.

Ordinammo dei piatti e fu proprio durante l'attesa che Renée De Florie dette la notizia.

-Ebbene, cara cugina- disse, con fare lezioso- ho saputo che la Principessa d'Orleans ha intenzione di dare un ricevimento, per festeggiare il genetliaco di sua figlia Adelaide. Per l'occasione, la giovane uscirà dal convento e incontrerà la madre. Ritengo doveroso, come nobile di questa zona, recarle omaggio. Mi hanno infatti mandato un invito...e chiede anche di voi.-

Il viso della Polignac si illuminò, tradendo una gioia che in quel momento non compresi. -Non posso assolutamente credere a quello che sento- disse- la Principessa è una donna molto influente...sei certa che io possa portare Rosalie?-

Renée dette il suo assenso.

-Non dovete nemmeno chiederlo, cugina- fece, prendendo un bicchiere di vino- ho solo ascoltato la vostra richiesta...e sono del parere che Adeline debba fare il suo debutto in compagnia di qualcuno, non credete?-

La ragazzina mi guardò con sufficienza, prima di pigolare un come voi desiderate, Madame .

Io mi limitai a mangiare.

Stavano parlando del debutto della ragazzina e del mio, come se avessero di fronte degli animali. Un tempo, avrei potuto ribellarmi, come avevo fatto con Oscar...ma il guinzaglio del ricatto  attorno alla mia gola mi impediva di parlare e, non essendo capace di mostrare un gioia falsa e ipocrita, rimasi in silenzio.

 

 

 

Quando tornammo alla residenza dei De Florie, la marchesa prese a parte la cugina e insieme si recarono in uno dei salotti privati della dimora. Adeline, invece, andò a suonare il piano che si trovava nella villa. Inevitabilmente, mi ritrovai da sola.

A pensare.

Avevo notato l'entusiasmo con cui quella ragazzina, poco più piccola di me, aveva mostrato, quando le avevano detto del debutto...e non capivo.

Entrai nella minuscola biblioteca della villa.

C'era un'immensa vetrata, da cui si poteva vedere un giardino all'inglese.

Mi ci affacciai, concentrando gli occhi sul muro che separava quello spazio verde dalla strada.

In quei momenti di solitudine, pensavo a Oscar e a Jeanne. Mi chiedevo cosa stessero facendo e se fossero felici, come non lo ero invece io.

Istintivamente, tirai fuori da una piega dell'abito, l'anello di Nicole.

Jeanne me lo aveva restituito ed ora, quella striscia di metallo era l'unica cosa che mi rimaneva. La custodivo gelosamente, lontano dagli occhi della contessa, come qualcosa di prezioso.

-Ah, eravate qui allora.- disse una voce pacata.

Mi girai di scatto, incontrando il conte.

-Scusatemi- risposi, inchinandomi ma Jules liquido il mio gesto sventolando la mia mano.

-Non dovreste sempre chiedere perdono- mi ammonì bonario- anche perché, come io non vi ho fatto del male, non vedo perché dovreste farmene voi.-

- Il fatto è che vostra moglie...- provai a dire.

Jules alzò le spalle.

-Yolande odia leggere ed ha trasmesso ai suoi figli il medesimo disamore. Il massimo che lei concede sono i romanzetti d'appendice, dove si hanno buoni matrimoni.- disse, con una smorfia disgustata.

-Odio quei libri- mi ritrovai a dire- preferisco la storia e quel che è peggio è che la contessa disprezza tutto questo...perché?-

Il conte inarcò la fronte.

-Perché non sono letture adatte ad una signorina da marito- fu la sua risposta, sottolineata da un sorriso ambiguo che non raggiungeva gli occhi.

 

 

Lo guardai sbigottita.

-Cosa?- domandai, appoggiandomi alla poltroncina.

Jules inarcò la fronte.

-Non lo sapete?- disse- Voi siete in età da marito e, conoscendo la mia sposa, posso affermare che non tarderà a dirvi una cosa del genere. Non ha pazienza, Yolande...e non è un mistero, considerando che aveva progettato il fidanzamento di Charlotte, anche se questa aveva 11 anni.-

Prese una della sedie e si mise di fronte a me. Il suo viso era preso da un profondo tormento e non mi piaceva la piega che stava prendendo la conversazione. Era chiaro che il conte sapesse molte più cose di quanto desse a vedere...e la cosa non mi piaceva molto.

-A cosa alludete?- domandai, inquieta.

Jules mi fissò serio.

-Mia moglie è molto potente- disse- e, considerando che l'attuale fortuna deriva dalle sue trame, non ho molta voce in capitolo. Lei mi fa sapere le cose solo dopo averle messe a compimento...ma questa volta, posso immaginare, almeno un po', le sue mosse.-

Ancora non risposi.

-Ditemi Rosalie- fece -come vi ha presentato mia moglie?-

Mi morsi le labbra.

-Come una sua protetta, una lontana parente in difficoltà- risposi.

Il conte si lisciò il mento.

-Dunque- fece- vi ha presentato come una sua pupilla. Vi faccio un'altra domanda: secondo voi, perché mia moglie vi ha portato a Orleans?-

Mi passai una mano tra i capelli.

-Per allontanarmi dai miei amici?- azzardai.

Jules scosse bonariamente il capo.

-Non proprio. Mi ricordo di voi, sapete? Eravate accanto al comandante delle guardie di palazzo...sì, mia moglie non la sopporta ma non è questo il motivo della sua mossa.- rispose- Per quello che ho visto, voi non avete mai provato la fuga e questa spiegazione sta poco in piedi. Il motivo è molto più semplice.-

Sgranai gli occhi.

-E quale sarebbe?- domandai.

Jules si appoggiò alla poltrona.

-Secondo voi, perché la contessa vi considera come vostra pupilla? Lo ha dichiarato apertamente e non è così sciocca da fare delle mosse tanto avventate.- disse.

Abbassai la testa.

-Questo- risposi- questo non lo so.-

Il conte chiuse gli occhi.

-Sapete che cosa vuol dire essere la pupilla di qualcuno?- continuò lui- Nel tuo caso, come in tutti gli altri del resto, vuol dire passare sotto la custodia di una persona più in alto di voi la quale, presa a cuore la vostra sorte, si occupa di stabilire la posizione di quest'ultima. Dato che voi siete una donna, Rosalie, è lecito pensare che i propositi di mia moglie possono portare unicamente a due strade...e credo che non siate così ingenua da immaginare quali alternative vi possano essere offerte. Fate attenzione.-

Lo guardai perplessa.

-Perché mi state facendo questo?- domandai.

Jules chiuse gli occhi.

-Un giorno ve lo dirò- rispose- ma non ora.-

Improvvisamente la porta si spalancò.

Di fronte a me, c'era la figliastra del marchese.

-Che state facendo?- domandò con un piglio arrogante- Volete infastidire il conte? Muovetevi, che la marchesa ha chiesto di voi.-

Lanciai un'occhiata distratta a Monsieur Jules. Questi non aveva dato segno di accorgersi di lei, come se fosse pesantemente addormentato. La seguii, non poco disorientata.

Jules non diede segno di aver prestato attenzione a nessuno, come se il sonno fosse invincibile e noi non avessimo invaso la sua quiete.

 

Allora, questo capitolo è un'altra sezione della storia. Prima di tutto ringrazio:

1 - Anthemys_a [Contatta]

2 - garakame [Contatta]

3 - Jaden96 [Contatta]

4 - Red Dark Angel [Contatta]

per avermi messo tra le preferite

e

1- arcadia5 [Contatta]

2 - arorua78 [Contatta]

3 - Julia98 [Contatta]

4 - LuineDi [Contatta]

5 - Red Dark Angel [Contatta]

6 - serelalla [Contatta]

7 - tamakisskiss [Contatta]

8 - Tetide

per avermi messo tra le seguite. Ringrazio inoltre NinfeaBlu e tutti i lettori silenziosi di questa storia, gentilissimi come sempre.

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Capitolo 27
*** Occhi ***


Benvenuti cari lettori, sono molto felice di sapere che questa storia continua a piacere. Io non so effettivamente come ringraziarvi.

OCCHI

Arrivò infine il giorno della festa.

Le tre dame erano piuttosto raggianti e non perdevano occasione per rimirare il risultato della sartoria. I finimenti dell'atelier di Madeleine non avevano niente da invidiare quelli della Bertin ma, data la sua posizione, non si poneva il problema della concorrenza. La prima serviva gli Orleans, mentre la seconda continuava a  far crescere la sua clientela  a  Parigi  e Versailles.

Io non ebbi alcuna voce in capitolo. La contessa si occupò completamente della mia vestizione, degli accessori e, purtroppo, anche delle scarpe. Calzature con tacchi vertiginosi, su cui era quasi impossibile muoversi.

Mi ritrovai ad essere una bambola, completamente in sua balia.

Mille mani mi toccavano, abbigliandomi come se fossi uno dei manichini dell'atelier della Bertin.

-Cugina- fece la marchese De Florie- sono convinta che stiate facendo un'ottimo lavoro con questa fanciulla. -

La Polignac sorrise.

-Ho sempre amato vestire le bambole- disse- e anche con Rosalie è la stessa cosa. Mi piace molto vestire la mia pupilla.-

Renée la guardò serena.

-Vi capisco perfettamente- mormorò- se mia figlia non avesse preso i voti, anche io avrei fatto la medesima cosa. Adeline è una cara ragazza e compensa decisamente tutto questo. Mi piace molto farle fare delle pettinature elaborate. E'così graziosa che non posso farne a meno.-

Fissai la figliastra della cugina della contessa.

Pareva soddisfatta di essere oggetto delle attenzioni delle due donne, come se fosse fatta per questo. Anche io avrei fatto la stessa cosa, se non fosse dipeso dal ricatto della Polignac.

Le parole del conte risuonavano nella mia testa e non capivo come Adeline potesse essere felice di quello che la matrigna aveva in serbo per lei.

Era comprensibile quindi la mia angoscia. Portarmi a quel ricevimento voleva dire, semplicemente, mettermi in mostra, sfoggiarmi come un nuovo elemento della sua collezione...una verità che, ai miei occhi ancora ingenui, mi gonfiava di rabbia.

Avevo promesso a me stessa di non provare più risentimento nei confronti della contessa ma più passava il tempo, più i miei propositi si rivelavano irrealizzabili. Non potevo mettere una pietra sopra al passato, non quando l'oggetto del mio disprezzo non faceva altro che rintuzzare, con i suoi commenti, i suoi occhi superiori, tutto l'odio che nutriva per me.

Sentimenti che credevo di ricambiare senza alcuno sforzo.

Disgusto che mi impediva di vedere qualche pregio nel magnifico abito che non avevo scelto e nell'acconciatura impostami. Fissai a lungo la mia immagine ma non riuscivo a riconoscere Rosalie.

Non era la prima volta che capitava una cosa del genere.

Non avevo forse partecipato ad una festa simile al palazzo di Madame Elisabetta?

L'unica differenza era che allora non c'era nessuna aspettativa nei miei confronti. Là dovevo solo comportarmi in modo discreto e senza dare nell'occhio, senza dimenticare poi il fatto che avevo André e Oscar al mio fianco.

In quel momento, invece, dovevo seguire i progetti della Polignac, senza peraltro sapere di che cosa si trattava...e questo, a ben vedere, rappresentava per me un motivo di grande angoscia.

 

 

La residenza della Principessa d'Orleans era un edificio con una superficie esterna austera e interni sfarzosi, sul modello della corte di Versailles. Numerosi specchi erano appesi alle pareti, per creare l'illusione di uno spazio ampio e arioso.

Venni presentata come la figlia di una lontana parente della Polignac. Nessuno fece molte domande sulle mie origini, giacché il nome della contessa era pesante a sufficienza da tenere lontano i curiosi. Scoprii inoltre che la memoria dei piccoli nobili era piuttosto elastica, al punto da accettare all'interno della propria cerchia persone di origini tutt'altro che limpide...una soluzione abbastanza ovvia, considerando che molti di loro avevano il patentino di nobiltà piuttosto recente.

Molte dame si assieparono attorno alla contessa e a sua cugina, per fare saluti e domande di rito. Alcune si rivolgevano alla Polignac per chiedere favori per la propria schiatta, altre per ottenere somme di denaro di varia entità.

Un chiaro segno dell'influenza della favorita della regina.

In breve, si formò una cerchia di persone che non avevo mai visto, un insieme formato da sorrisi vuoti e parole scivolose e prive di spigoli.

Come voleva la prassi, ci recammo a rendere omaggio alla padrona di casa.

Luisa Maria Adelaide di Borbone, Duchessa d'Orléans, era una donna dal fascino discreto e dimesso, malgrado indossasse abiti ricercati e di primissima qualità. Il suo matrimonio aveva reso notevoli vantaggi al cugino del re: era infatti erede di una delle fortune più consistenti sul panorama europeo e, come se non bastasse, suo padre aveva fama di essere un filantropo, un uomo generoso nei confronti della povera gente.

Anche la figlia seguiva le sue orme, come dimostravano le opere pie che aveva fatto ad Orleans e le istituzioni a favore delle ragazze senza dote e per questo nubili.

-Mia cara contessa- salutò Luisa Maria Adelaide- è un immenso onore per me avervi in questa casa, insieme alla vostra amatissima cugina Renée. Non credevo poteste giungere sin qui.-

-Vostra Altezza- rispose, chinando la testa- ciò che ho fatto è solo un piacere. Ho avuto modo di godere della piacevolezza del vostro carattere a Versailles, potevo forse privarmene?-

La dama sorrise benevola.

-Siete sempre molto gentile e schietta. Non mi sorprende che la regina vi stimi così tanto- fece, prima di posare gli occhi su di me- e questa fanciulla, chi è ?-

La Polignac mi guardò, senza smettere di sorridere.

-Lei è la mia pupilla, vostra Altezza- rispose- il suo nome è Rosalie Lammorliere, una lontana mia parente che, a causa di una serie di sciagure, non ha potuto educarla come si conviene.-

Maria Luisa mi osservò.

Aveva una bellezza discreta ed eterea. Morbidi capelli castani le incorniciavano il viso, un ovale perfetto su cui erano incastonati due occhi marroni. Indossava un abito color erica, semplice e privo di orpelli inutili, che esaltava la sua figura, slanciata malgrado le ripetute gravidanze. -E'per me un vero piacere avervi nella mia dimora. Ultimamente non visito più la nostra amata regina...ditemi contessa, sta bene?- domandò, rivolta alla Polignac.

Lei annuì.

-Le sue condizioni sono splendide, anche se pare preoccupata per la salute del suo primogenito. Il Delfino ha infatti avuto una brutta influenza.- rispose.

La Principessa si portò una mano sulla bocca.

-Questa notizia mi dispiace molto. Louis Joseph è una creatura molto piacevole e mi dispiace che abbia una salute tanto delicata. Se avessi saputo prima della preoccupazione della sovrana, di cui sono molto amica, avrei chiesto che venisse celebrata una preghiera in suo onore da parte di tutte le chiese di Orleans: per queste cose, infatti, è risaputo che l'unico aiuto possibile non può provenire dalle nostre misere forze umane.- disse, compita.

-Rosalie, tesoro- fece allora la mia aguzzina- la principessa ed io abbiamo molto da discorrere e credo che vi annoiereste in nostra compagnia. Raggiungete Adeline e seguite i suoi consigli. Siete ancora inesperta e non vorrei che vi trovaste in qualche situazione spiacevole.-

 

 

 

 

Adeline era, come avevo supposto, la figlia del marito della marchesa Renée, avuta da una relazione con un'attrice della Piccardia. Malgrado l'origine illegittima, il padre l'aveva riconosciuta, soprattutto perché la consorte, che aveva preso all'età di dodici anni, non era ancora fisicamente in grado di generare un erede.

Obbediente nei confronti della matrigna, aveva assolto al compito di indicarmi i vari membri della festa, in buona parte adulti. 

Conosceva ogni singolo individuo e, per ognuno, mi snocciolava rapidamente tutti i piccoli scandali che costellavano la sua vita.

Io ascoltavo in silenzio, tanto che, alla fine, la giovane si spazientì.

-Come è possibile che la contessa si interessi così tanto a voi? Non sapete niente di nessuno e non mostrate che una minima preparazione alla vita di un ricevimento.- disse, sventolando leziosamente il ventaglio.

Venni presa dalla tentazione di chinare lo sguardo ma, all'ultimo momento, frenai questo impulso. Non avevo alcun motivo per farlo. Non avevo nessuna colpa se la Polignac era ossessionata dal fatto che agissi nel modo più perfetto possibile.

-Questo vi mette in imbarazzo?- domandai a mia volta.

Adeline stirò le labbra.

-Guardate che so benissimo perché siete qui- disse, fissandomi malevola- ed il vostro viso angelico non vi mi incanta.-

La fissai, senza capire.

-Io lo so perché la contessa vi tenga tanto in considerazione...basta guardarvi per capirlo.- disse ma, poiché non rispondevo, continuò- voi siete la bastarda dei Polignac e, a differenza mia, non potete vantare alcun diritto di successione. Io, invece, sono una De Florie ed avrò un matrimonio dignitoso con un uomo di alto lignaggio.-

Se pensava di offendermi, ahimé, era ben lontana dal toccare le corde sensibili del mio animo. -Vedo che siete molto convinta.- risposi.

Adeline mi guardò sprezzante.

-Non burlatevi di me- disse- io sposerò un ricco marchese, molto più potente di mio padre...è tutto deciso. Sarò la sua quarta moglie e metterò al mondo un erede. Il mio corpo è sano e può permettersi queste cose...e poi, infine, avrò il mio castello, dove potermi intrattenere come più mi aggrada.-

Rimasi perplessa.

-Anche se il vostro promesso è un vecchio?- chiesi.

La figliastra dei De Florie sorrise.

-Anche se ha solo 49 anni ed io 15, non significa assolutamente che non possa essere in grado di adempiere ai propri doveri e, comunque, come si suol dire per ogni cosa c'è il suo rimedio- rispose, con indulgenza.

-Come potete discorrere con tale naturalezza di simili argomenti?- le chiesi allora -Un matrimonio è una cosa seria, in cui vi impegnate per la vita. Perdonatemi se vi offendo con queste parole ma non ragionate forse con un po'di leggerezza?-

Adeline tacque un momento.

Si fece improvvisamente seria, perdendo quell'aura di disprezzo che l'aveva sinora caratterizzata. - Rispondete ad una mia domanda- fece- che cos'è il matrimonio?-

Non parlai.

-E'un impegno serio...che si prende con una persona...-provai a dire, incespicando sulle mie stesse parole. Non avevo mai realmente riflettuto sulla cosa. Essendo la figlia più piccola, avevo sempre rimandato una questione del genere. Pensavo che sarebbe toccato prima a Jeanne...poi, con il problema di Nicole, le cose si sono complicate di nuovo.

-Questa definizione è sciocca ed infantile. Sembra quasi che vi aspettiate dei sentimenti dall'altro- rispose, scuotendo il capo- bene, Rosalie, vi dirò io che cos'è il matrimonio. Il matrimonio è una trattativa tra due famiglie, una compravendita, con un contratto nel quale le due parti mostrano i propri impegni. Io ed il mio promesso siamo solo i destinatari: in cambio del mio ventre fertile, mio marito mi darà denaro, potere e, finalmente un vero titolo nobiliare. Io mi sposerò con un vecchio nobile, non lo metto in dubbio, e avrò dei figli, giacendo nella maniera che più gli aggrada. Non sono cose che mi disturbano. L'unica cosa che voglio è vedere finalmente, negli occhi di chi mi guarda, lo stesso timore reverenziale che tutti hanno verso la contessa di Polignac. Pensateci un po': io, la figlia di un'attrice, sarò marchesa e potrò permettermi di guardare tutte queste persona dall'alto in basso, come hanno sempre fatto con me.-

 

 

Poco dopo queste parole, Adeline raggiunse la marchesa Renée e insieme cominciarono il loro giro di presentazioni.

Rimasi così da sola e, per evitare di parlare con qualcuna delle dame presenti, mi misi in disparte. Non avevo voglia di far conversazione, troppo disgustata da quello che vedevo.

Il discorso della figliastra mi aveva scosso non poco, facendo da pendent alla visione bestiale di qualche sera prima. Avevo ancora davanti agli occhi quell'amplesso ferino e senza alcuna traccia di umanità, il contrasto grottesco tra il corpo vecchio e sgraziato del marchese e quello flessuoso e morbido della moglie...e la nausea salì, immediata, su per la gola.

Mi riusciva assolutamente impossibile capire il punto di vista di Adeline.

Sapevo che le attrici erano spesso paragonate a prostitute e che, per via della loro professione, non potevano essere seppellite con tutti i sacramenti.

Che la sua obbedienza fosse frutto del desiderio di riscattarsi, era un dato assolutamente fuori da ogni possibilità di dubbio. Non era forse vero che la Du Barry aveva offerto il suo corpo a gente di ogni risma, fino a finire per condividere il proprio letto con un uomo che aveva più del doppio dei suoi anni?

Quello che davvero mi disturbava era la spaventosa differenza anagrafica.

Adeline aveva solo 14 anni e avrebbe sposato un vecchio, magari vizioso. Non nutrivo alcun dubbio sulla natura di quel partito, anche se non lo avevo mai visto in vita mia. Memore dell'esperienza maturata durante il mio primo ed ultimo tentativo di accattonaggio, avevo compreso che le persone come Oscar, André, Madame o, addirittura, lo stesso conte, erano assai rare.

Impossibile mantenersi retti ed onesti, quando tutto attorno è marcio e si basa su un mercanteggio continuo e costante per qualsiasi cosa.

Per un momento, pensai a Nicole.

Lei avrebbe avuto tutta l'autorità per vendere me e mia sorella a qualche casa di piacere. Il nostro aspetto, la nostra giovinezza e, soprattutto, la nostra verginità le avrebbero fruttato non poco...eppure non lo ha mai fatto. Ha preferito imporci un lavoro duro ma onesto, piuttosto che infilarci nel letto di chissà chi.

Quel pensiero mi gettò addosso una strana emozione.

Nicole ci aveva amato, malgrado tutto...subito mi venne in mente la situazione presente.

Un brivido mi attraversò la schiena, al pensiero che, forse, avrei fatto la sua stessa fine...e, per un momento, mi parve di sentire addosso uno sguardo viscido e malato.

Mi girai di scatto, alla ricerca di quel tipo di occhi...ma tutto quello che vidi, furono lustrini e pizzi.

Nulla più.

 

Aggiornamento rapido. Non voglio fare previsioni ma forse questa sarà la fic che al momento finirò. Vorrei ringraziare Tetide per avermi recensito nell'ultimo capitolo ed ovviamente tutte voi che mi avete letto e/o avete messo la storia tra preferite o seguite. Grazie a tutti. 

ps. Spero che sia corretto ma non garantisco. Se ci sono difficoltà fatemi sapere.

 

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Capitolo 28
*** DONI ***


Benvenuti ad un nuovo capitolo. Vi sono davvero grata per le recensioni che ho ricevuto. Grazie a tutti.

 

DONI

 

Qualche settimana dopo, tornammo al palazzo dei Polignac.

La contessa non fece altro che sorridere, come se avesse per la testa qualche pensiero felice di cui io ero totalmente all'oscuro. Una delle stranezze più evidente fu che il giorno dopo il ballo, senza farsi accompagnare da nessuno, prese una delle carrozze presenti nella villa della cugina e partì così, senza dare nessuna indicazione sulla mia condotta.

Confesso che non conoscevo minimamente quella donna...e un po' mi dispiace. A distanza di tempo, non mi pento di averla odiata ma devo ammettere che, se avessi agito con maggior fermezza nei suoi confronti, di certo avrei evitato un minor numero di sofferenze e delusioni da parte sua.

Purtroppo, però, questo genere di discorsi nasce solo a posteriori quando, nel bene e nel male, abbiamo scontato il prezzo delle nostre azioni.

Ora che tutto è finito e ripenso alla conversazione avuta con Adeline, mi rendo conto che quel genere di ragionamento era l'unico modo per poter accettare il meccanismo che regolava lo splendente mondo dei nobili.

Se avessi avuto il tempo e la possibilità, forse, avrei anche potuto capire, pur non accettandole, le motivazioni che si celavano dietro al comportamento di colei che, tuttora, fatico a considerare come la donna che mi ha messo al mondo.

E'comunque ovvio che questo genere di discorsi può essere fatto solo a posteriori, dopo aver saggiato l'amaro sapore dell'esperienza.

Ho comunque avuto modo di vedere il matrimonio di Adeline...e lo sposo.

Lui era alto e imponente, con un fisico appesantito dalla gotta. Gli abiti, sfarzosi e di pregiata fattura, circondavano quel corpo.

Lei, invece, portava un abito bianco che fasciava la sua vita di silfide. Era piuttosto graziosa ma non potevo fare a meno di pensare che stonasse, accanto ad un uomo così grottesco. Erano, in fondo, quasi trent'anni di differenza e non potevo stupirmi di una cosa del genere...e, mio malgrado, non potevo non pensare a quel momento d'intimità dei De Florie.

Il paragone mi aveva raggelato sulla panca della chiesa, dandomi la nausea. Ero così disgustata che mi beccai la ramanzina da parte della contessa che non aveva approvato il mio atteggiamento.

Suo marito, invece, finse di non aver visto nulla, sebbene la sua espressione cinica fosse assolutamente fuori luogo per quel posto.

Non avete alcun motivo di comportarvi in questo modo. Quel marchese è assolutamente inferiore a noi ed io intendo darvi il meglio aveva detto, dando sfoggio della sua consueta insensibilità. Ancora adesso mi chiedo come una persona del calibro la regina si sia fatta ingannare così da una serpe simile.

Purtroppo, è impossibile conoscere a fondo l'animo di una persona. Ho conosciuto la sovrana solo durante la sua prigionia. Prima di allora, avevo un giudizio abbastanza severo. Non potevo biasimare il suo isolamento ma, allo tempo stesso, non le avrei riservato la stessa indulgenza che Oscar le portava.

Non la conoscevo personalmente...probabilmente era quell'ignoranza a portarmi a dare simili valutazioni.

Adeline sembrava raggiante, come se avesse raggiunto chissà quale traguardo.

Un aspetto che mi colpì molto fu l'assenza di sua madre. Non presenziò alla funzione...e per un motivo tutt'altro che egoista. La donna era un'attrice della Commedia Italiana e, proprio a causa del suo mestiere, era esclusa dalle funzioni e dai sacramenti. Un motivo più che valido per non invitarla.

Adeline, però, non sembrava curarsene.

Da quello che avevo appreso, si vergognava di lei e delle sue origini non nobili...e non poteva accettare la sua presenza nella nuova vita che stava per cominciare.

Per certi versi, mi ricordava molto mia sorella...e mi chiesi che fine avesse fatto.

La contessa, per parte sua, passò diverso tempo con la cugina la quale si dimostrò molto gentile e affettuosa nei suoi confronti...anche con me.

Quel comportamento mi lasciò perplessa. Se infatti le premure della Polignac in pubblico erano dovute a mere questioni di apparenza, non riuscivo a spiegarmi per quale motivo anche la marchesa De Florie avesse i suoi medesimi modi nei miei riguardi.

Non riuscivo proprio a spiegarmelo.

 

 

Nel frattempo, una volta tornata a palazzo Polignac, cominciarono ad accadere cose strane.

Prima di tutto, mi venne concesso di passeggiare nei giardini con maggiore frequenza rispetto al solito: secondo la contessa, infatti, il mio pallore aveva assunto una sfumatura accettabile e potevo dunque permettermi di godere con misura dell'aria aperta.

La seconda bizzarria fu che fui autorizzata a recarmi nella chiesetta di un borgo nei pressi della villa.

Non mi era stato mai consentito fino a quel momento, tanto da credere che questo divieto fosse frutto dell'anima marcia di quella donna.

Cominciai così a fare delle frequenti visite al santuario e, di tanto in tanto, offrivo un cero alla memoria di Nicole. Uno dei rimpianti che mi affliggevano era il non poter portare un fiore sulla sua tomba.

Fu proprio durante uno di questi momenti che udii il chiacchiericcio di alcune comari.

-...e dunque, la contessa ha portato in casa una ragazza?- domandò una delle vecchie.

Mi misi da parte, in modo da non farmi vedere.

-Sì- rispose un'altra.

-E secondo te, cosa pensi che voglia fare con lei?- chiese una terza.

La seconda rise.

-Sciocca- fece- cosa pensi che voglia farsene? La vorrà far sposare, no? E'risaputo che, anche se è la favorita della regina, tutto il suo potere si fonda sul favore che l'Austriaca le dà.-

-Sì- disse la prima comare- però, anche con tutto questo potere, la sua Fortuna poggia sulla sabbia. Non ha terreni di rilievo e non ha fortune di qualche sorta. E'solo una piccola nobile...e questo non le piace.-

Un momento di silenzio.

-Ecco perché voleva far sposare la più piccola tanto alla svelta.- fece la terza.

-Stai zitta!- la ammonì la seconda- Siamo nella casa di Dio, non possiamo parlare dei suicidi.-

-Vero- fece la prima- anche se la madre è potente e ha obbligato il prete a seppellirla con tutti i sacramenti, resta il fatto che quella bambina si è ammazzata.-

- E il fidanzato, come l'ha presa? Lo sapete? Ve lo dico io. Ha fatto molte proteste ma non poteva mica sposarsi una morta. La contessa allora lo ha convinto a conoscere una sua pupilla. Poveraccio, ha fretta di diventare padre. Ha 53 anni, mi sembra ovvio che voglia un erede.- disse sarcastica e divertita la seconda.

Le tre ridacchiarono, poi raggiunsero la porta della chiesa per uscire.

Io me ne rimasi lì, immobile come una statua.

Le informazioni che avevo ricevuto, in modo del tutto inatteso, penetrarono nel mio cervello, insieme ai velati avvertimenti del conte, dandomi un misto di rabbia e sgomento.

 

 

Origliare non era mai una buona cosa ma dovevo ammettere che, grazie a quel pettegolezzo, avevo saputo molte cose.

Tutto questo spiegava perché la contessa avesse messo sotto silenzio l'intera situazione e anche la relativa apatia del suo consorte. Avrei voluto porre delle domande a quella donna e lo avrei sicuramente fatto, se la visita ad Orleans non mi avesse mostrato l'assoluta mancanza di dignità di quella gente.

Il matrimonio per amore era una favola, lo avevo sempre saputo, eppure tra la gente del popolo c'era almeno la decenza di non unire dei vecchi a delle bambine. Le famiglie, poi, si conoscevano tra loro e si cercava di favorire un contatto tra le persone che si volevano accoppiare. Il mondo dei nobili, invece, rendeva tutto più separato e complesso...e simili mostruosità erano purtroppo all'ordine del giorno.

La scoperta del triste retroscena del suicidio di Charlotte mi gonfiò di amarezza...e questo rese ancora più triste la sorpresa che trovai, non appena misi piede nel palazzo dei Polignac.

La servitù era in fermento.

Saliva e scendeva dai piani signorili, con un moto frenetico e veloce.

A quella vista, rimasi impalata nel cortile, fissando trasognata tutta quell'attività.

Non avevo mai visto un simile brulicare...sembravano formiche.

Quel paragone mi ghiacciò sul posto.

Stava succedendo qualcosa e, chissà per quale ragione, sentivo che non avrei apprezzato nulla di tutto questo.

Poco più in là, vidi il conte.

-Che cosa sta succedendo?- domandai, avvicinandomi.

Jules si girò verso di me, serio in volto.

-A quanto pare, sono giunti dei doni. Jolande sta dando ordine di disporli nelle apposite stanze. Questo è il motivo per cui c'è un simile trambusto.- rispose.

Rimasi un momento interdetta.

Aveva uno strano tono il conte.

Serio, privo di quella pacatezza che tanto lo avevano caratterizzato.

-Per chi sarebbero?- chiesi, tremando.

Lui si voltò verso di me.

Aveva uno sguardo che non gli avevo mai visto, colmo d'indignazione e rabbia gelida.

-Non posso aiutarvi Rosalie- fece mesto- ho un ruolo molto marginale in questa famiglia. Tutta la ricchezza ottenuta proviene da Yolande...ed io non ho nessun peso in proposito.-

-Non capisco...-provai a dire.

Il conte sospirò.

-Avrei voluto dirvelo in un'altra occasione- disse- ma non ho molto tempo. Sto per andarmene.-

Trasecolai a quelle parole.

-Perché?- chiesi, afferandogli il braccio- Perché volete farlo?-

Lo scalpicciare delle serve raggiungeva le mie orecchie come un suono sordo e lontano. Tutto pareva ovattato e confuso. -Perché sono stufo di tenere in piedi questo matrimonio. Finora non potevo farlo ma adesso, grazie alla posizione ottenuta, nessuna ombra turberà la famiglia ed io posso ritirarmi a vivere dove desidero. Yolande ama questo posto...io no.- disse- Yolande ha sacrificato ogni cosa per ottenere tutti i benefici ed è giusto che goda di tutto questo. Non le servono i miei beni. Per questo motivo, è mia intenzione divorziare...è la soluzione migliore per tutti. Non posso più tollerare il suo comportamento.-

Lo guardai, profondamente disorientata.

Non volevo che Jules lasciasse quel palazzo. Era l'unica persona con cui avessi avuto un buon rapporto d'amicizia, in quella permanenza tanto odiosa...non poteva abbandonarmi.

Eppure, a ben vedere, vi erano comunque dei segni.

La notte precedente, per esempio, avevo udito i due coniugi litigare pesantemente, come mai era successo dal mio arrivo...ed io, come al solito, non avevo notato niente.

Brava Rosalie, sai benissimo che razza di strega ti tiene prigioniera e tu, invece di tenere la guardia alzata, fai la sciocca, cadendo dalle nuvole come una mela dall'albero...continua così! pensai sarcastica.

Non era il comportamento più intelligente da fare.

-Mi dispiace molto, cara- disse- ma non sono in grado di allontanare mia moglie dalle sue ambizioni...non in modo diretto, al momento.-

Aggrottai la fronte.

-Che intendete dire?- domandai.

Il viso di Jules si fece serio.

-Il potere di Yolande è molto forte al momento. Ora che è a Versailles non ha più bisogno di me. Continuerò a tenere l'incarico per un altro po' ma, alla minima occasione, mi ritirerò nelle campagne. Poco dopo la nomina di favorita, abbiamo firmato un contratto. La considerevole differenza tra le ricchezze avute di recente e quelle di partenza, apparterranno completamente a Yolande e ai suoi figli. A me rimane soltanto il poco che avevo quando arrivai a corte ed il misero stipendio dell'incarico attuale...una somma irrisoria, in confronto a quanto abbiamo adesso.- disse, sarcastico- I miei figli hanno tutti una collocazione e questo dividersi del patrimonio non li turberà molto. Il mio cugino è rimasto vedovo e, grazie alla mia lontananza, potrà frequentare il letto di mia moglie senza problemi.-

A quelle parole, non potei che provare un filo di compassione. Quell'uomo era molto diverso dal marchese De Florie. Aveva una moglie bella e crudele, incapace di amare altri che sé stessa. -Conte- feci allora- io sono la figlia dell'ultimo dei Valois e di vostra moglie. Quest'ultima ha ucciso la donna che mi ha allevato, la borghese per cui il vostro amico ha perso tutto, Nicole Lammorliere...l'unica donna che io posso considerare come mia madre. A lungo ho desiderato la morte della vostra sposa...e tuttora la disprezzo. Ha cancellato la mia famiglia per la sua altezzosità...non posso perdonarla.-

Jules annuì.

-Capisco- fece- dunque cosa chiedete?-.

Sospirai.

-Voi siete il solo amico che ho avuto qui. Sono qui perché la contessa mi ha ricattato. Ha detto che, se non avessi obbedito al suo volere, avrebbe detto che Madamigella Oscar, la mia benefattrice e l'unica persona che davvero stimo tra i nobili, ospitava in casa la sorella di Jeanne Valois, la figlia primogenita di Nicole Lammorliere e del vostro amico.

Ho chiesto varie volte alla contessa di sapere loro notizie ma lei, ottenuta la mia parola di seguirla, ha rifiutato di rispondere alle mie parole...sono preoccupata.- confessai.

Il conte fece una strana espressione.

-Ve lo prometto, Rosalie.- disse- Grazie a voi, ho avuto la conferma che non tutto il sangue di mia moglie è guasto. Non posso non aiutarvi...ma ho davvero poco potere per ora...farò il possibile.-

 

Poco dopo la partenza del conte, venni convocata dalla Polignac nel suo salottino privato. Osservai puntualmente ogni minimo aspetto dell'etichetta, mentre studiavo la sua espressione. Pareva stranamente felice...e questo mi suscitò un brutto presentimento.

Per qualche bizzarra ragione, la sua felicità non corrispondeva mai alla mia.

-Ben arrivata, Rosalie- domandò, indicandomi una delle poltroncine- dove siete stata?-

Mi accomodai a sedere.

-Mi avete permesso di andare in chiesa...per pregare.- fu la mia risposta.

Lei si umettò le labbra.

-Una buona decisione- commentò, schioccando le labbra- degna di una fanciulla per bene e ammodo.-

A quelle parole, rimasi completamente interdetta.

Non era tipico della contessa farmi dei complimenti...e questo fatto rafforzava i miei sospetti. -Ho notato che il conte se ne è andato...-provai a dire.

La Polignac sospirò.

-Il matrimonio, cara Rosalie, è un momento molto importante per una donna. E'dal marito che nasce la felicità della moglie. Il mio sposo purtroppo non comprende quali sacrifici abbia fatto, quali oneri abbia sopportato per garantire ai Polignac un simile benessere. Ho dato loro Versailles ma mio marito ha sempre avuto un debole per la campagna e, avendo già degli eredi, ha chiesto una separazione.- fece, con fare malinconico- I figli...i figli sono la cosa più importante per un matrimonio...anche se è sempre doloroso lasciarli.-

Vedendomi così inespressiva, lei proseguì. -Oggi, mentre voi eravate in chiesa, sono giunti dei doni per voi.- disse. A quel punto, la porta si aprì e fecero la loro comparsa delle cameriere con in mano dei pacchi piuttosto voluminosi.

Ciascuno di questi, conteneva stoffe pregiatissime, arazzi di Bruges, ceramiche di Sevigné, gioielli e vari altri monili.

Rimasi sinceramente sorpresa.

Non avevo mai visto, infatti, un così alto numero di oggetti di valore...non tutti insieme almeno...ma lo stupore passò in fretta.

La legge della strada mi aveva insegnato che per ogni cosa c'è sempre un prezzo da pagare...distolsi immediatamente lo sguardo. - Che cosa sono queste cose?- domandai indifferente.

-Ve l'ho detto- rispose- sono doni per voi...vi confesso che mi avete stupito. Non immaginavo che il vostro aspetto potesse suscitare un tale fascino ma, forse, è merito del sangue che portate.-

Ovviamente, non apprezzai la velata allusione alla sua persona ma mi imposi di mantenere il controllo. Dopo le notizie riportate, non potevo certo farmi abbindolare dalle sue frecciatine. -Ancora non vi seguo, contessa- feci- io non ho fatto assolutamente nulla.-

Per tutta risposta, la Polignac ridacchiò.

-Oh, cara- cinguettò- voi non conoscete gli uomini. A volte, basta mostrarsi un po' per lasciar loro un segno duraturo...una vera fortuna che un simile gentiluomo abbia preso così a cuore la vostra condizione.-

Aggrottai la fronte.

-Il duca de Guiche ha appena chiesto la vostra mano ed io, in quanto vostra tutrice, ho dato il mio consenso.- mi informò.

Quel nome mi era del tutto ignoto.

-E'sua abitudine frequentare Orleans e, proprio durante la festa della Principessa, vi ha visto. Abbiamo discusso un po' e posso dire che non avrei potuto sperar di meglio per voi.- mi disse, con un sorriso soddisfatto- E'un uomo di antica nobiltà, con vasti appezzamenti di terreno in Borgogna. Inoltre la sua influenza è considerevole all'interno della corte...sul serio, non mi aspettavo che si interessasse di nuovo a noi.-

A quelle parole, scese dentro di me il gelo...e quei doni, che prima mi avevano sorpreso, non mi sembrarono più tanto belli.

 

Benvenuti a questo nuovo capitolo. Nel precedente, avete visto che la contessa, approfittando della vacanza a Orleans ha intessuto nuovamente i rapporti con il duca. Rosalie si ritrova così fidanzata a quell'adone ammuffito. Ovviamente, lei non ha mai visto il tizio in questione, come non sa il motivo per cui Charlotte si è gettata nel vuoto.

Tutte queste belle cosette, la contessa non gliele dice.

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Capitolo 29
*** Il fidanzato ***


Benvenuti a questo nuovo capitolo. Nel precedente, avete visto che la contessa, approfittando della vacanza a Orleans ha intessuto nuovamente i rapporti con il duca. Rosalie si ritrova così fidanzata a quell'adone ammuffito. Ovviamente, lei non ha mai visto il tizio in questione, come non sa il motivo per cui Charlotte si è gettata nel vuoto.

Tutte queste belle cosette, la contessa non gliele dice.

 

IL FIDANZATO

 

In quel periodo accaddero diverse cose strane.

Prima di tutto, la zona di Parigi e anche alcune parti nei pressi di Versailles furono colpite da una serie di furti. Secondo i pettegolezzi che riuscivo a sapere, data la mia condizione quasi da reclusa, il responsabile di tutte queste prodezze era un uomo mascherato che, sul suo destriero nero, entrava nelle modeste abitazioni dei nobili, per privarli, con una crudeltà assolutamente efferata, di qualche misero gioiello e donare un simile bottino ai poveri.

Le dame che visitavano la casa della contessa parlavano di questi in termini quasi apocalittici...e fu forse per questo che cominciò a starmi simpatico.

Cominciai così a immaginare questo fantomatico ladro, che si faceva chiamare come Il cavaliere nero.

Spesso me lo figuravo piombare improvvisamente nella camera da letto della contessa, armato sino ai denti.

Chissà se quella strega rimarrebbe con quella boria anche di fronte ad una pistola pensavo, tentando di usare l'immaginazione. Confesso che quei momenti mi mettevano decisamente di buon umore. La mia situazione, dopo la partenza del conte e la lieta novella della sua dolce metà, era diventata ancora meno idilliaca rispetto agli inizi.

La Polignac, infatti, non vedeva l'ora di accasarmi e di liberarsi di me. Tale proposito, poi, era cresciuto in modo assolutamente prodigioso con l'arrivo, nel corso dei giorni, di regali costosi e di gran pregio, a cui io non prestavo la minima attenzione ma che sembravano piacere molto alla Polignac.

Ormai avevo perso il conto delle volte in cui mi raccontava, con entusiasmo, delle qualità del fantomatico partito con cui aveva intenzione di accasarmi.

Individuo che non avevo mai visto e che non desideravo vedere.

Se una persona fa tanti regali è perché ha qualche carenza amavano dire le lingue sciolte delle lavandaie amiche di Nicole...e se lo dicevano loro, non potevo non che essere d'accordo, considerando il modo, spesso poco casto, di arrotondare i conti...soprattutto in quell'occasione.

Il duca De Guiche era sceso dalla sua carrozza, per una visita fintamente casuale, concordata in precedenza con la contessa.

Subito aveva dato prova della sua naturale grazia, inciampando nei gradini della carrozza...nonché del suo pacato temperamento, dato che, subito dopo, aveva aggredito con male parole il gracile valletto, colpevole, a suo dire, di non aver messo la scaletta al momento giusto.

Come avete osato attentare alla mia vita! aveva esclamato, afferrando per il bavero della livrea il servitore.

Mi...mi perdoni...aveva balbettato il poveretto, un cherubino di quattordici anni stentati.

Lo vidi dalla finestra, mentre sbraitava peggio di uno di quei cosiddetti bifolchi che i nobili tanto disprezzavano. Se Jeanne, la vecchia Jeanne, avesse visto una simile scena, lo avrebbe deriso senza alcuna pietà...a quel pensiero mi rattristai.

La lettera che mi aveva lasciato sapeva tanto di addio...eppure, volevo continuare a credere che lei stesse bene. Era una donna che sapeva cavarsela, capace di trovare un'uscita anche nelle situazioni più insperate.

Con questo tipo di ragionamenti, provavo così a rincuorarmi e, soprattutto, a non pensare a quello sgradevole individuo.

In verità, il duca poteva pure essere una persona piacevole...se avesse avuto almeno vent'anni di meno ed un fisico non appesantito dalla gotta.

-Benvenuto nella nostra casa- esclamò sorridente la Polignac.

Il duca, sentendo la sua voce, interruppe la vigorosa strigliata che stava dando al giovane, al quale rivolsi un'occhiata compassionevole. Era pallido e tremante...e non faticavo a capirne la ragione.

-Sono onorato di poter essere nuovamente ricevuto da voi, contessa- rispose, soffermandosi su di me, con uno sguardo che sapeva valutare e soppesare. Ricambiai con la migliore delle occhiate inespressive del repertorio dei Lammorliere, la stessa usata da Nicole, quando le chiedevano di pagare l'affitto.

-Signor duca- esordì la Polignac- permettetemi di presentarvi la mia pupilla. Il suo nome è Rosalie.-

Questi mi rivolse un sorriso che non raggiunse gli occhi.

-E'un piacere conoscervi Mademoiselle- disse, con maniere impeccabili, baciandomi la mano.

Feci un lieve inchino prima di strofinare, badando bene di non essere vista, il palmo leso contro la stoffa della gonna. Non sapevo spiegarmene il motivo. Avevo toccato ogni genere di schifezze, durante la mia vita di strada...come era possibile provare un simile ribrezzo per un semplice baciamano?

Forse era colpa del suo aspetto sgradevole, dell'aria per nulla innocente con cui occhieggiava le cameriere oppure del suo sguardo con cui soppesava continuamente le mie forme...francamente non saprei spiegarmene la ragione.

E'pur vero che le notizie che avevo sentito in chiesa, non mi rassicuravano.

Il duca era molto più vecchio di me...ed io avrei dovuto sposarlo.

I due cominciarono a conversare di frivolezze di ogni genere mentre io, presa dallo spiacevole peso del destino che quella donna aveva voluto per me, mi ero chiusa nel più assoluto mutismo.

Ogni tanto, mi arrivava al naso l'olezzo del pesante profumo del duca...e pensavo.

Se quello era il fidanzato che la contessa aveva imposto a sua figlia, non potevo certo biasimare il gesto estremo di Charlotte. Quel poco che avevo visto del matrimonio era sufficiente a farmelo detestare.

-Ebbene, Vostra Grazia- continuò la Polignac- ho saputo che avete avuto un ricco raccolto quest'anno. Non posso che invidiare la felicità di vostra sorella Gertrude nel ricevere il vino delle vostre terre.-

-Oh contessa- rispose questi- voi mi lusingate.-

La conversazione proseguì poi in casa.

La padrona aveva disposto che fosse ospite nel suo palazzo per alcune settimane. Il duca era presente ovunque andassi e, di tanto in tanto, mi rivolgeva la parola. Io rispondevo per mera cortesia, limitandomi ad un tono completamente distaccato.

Quell'uomo mi disgustava.

Era abbastanza chiaro che il suoi modi nei miei confronti fossero tutt'altro che casuali...e, purtroppo per me, conoscevo la ragione.

Gli argomenti delle loro discussioni vertevano su quello che Madame De Jarjayes chiamava temi neutri. Si trattava di cose assolutamente impersonali, come il tempo, adatte a qualsiasi occasione.

Poco dopo, la contessa, con una scusa si congedò.

Mi ritrovai così sola, in compagnia del duca.

Lo guardai senza nessun tipo di espressione.

De Guise era indubbiamente molto vecchio e, a giudicare dal fisico, non doveva nemmeno svolgere una qualche attività fisica di rilievo. Il paragone con il conte ed il generale De Jarjayes fu immediato. Benché il primo non potesse fare troppo esercizio con la spada per via della gamba malandata, conservava comunque una posa rigida e di controllo, simile a quella del padre di Oscar, che avevo intravisto qualche volta.

Quel nobile, invece aveva un corpo assolutamente sgraziato e, come se non bastasse, continuava a fissarmi.

D'istinto mi coprii la scollatura.

La contessa mi aveva obbligato ad indossare un abito che metteva troppo in risalto le forme del mio corpo ed ora, vedendo quegli occhi piccoli e viziosi, comprendevo la ragione.

-Mademoiselle- fece questi, untuoso- confesso che non vi ho mai visto in questa casa-

Mi guardai nervosamente intorno.

-Davvero?- domandai, occhieggiando nervosamente l'albero che si trovava fuori dalla finestra.

-Assolutamente. L'ultima volta che sono venuto in questa casa, non vi ho incontrato. La contessa mi ha informato che avete sofferto di una salute malferma ma...-disse, lanciando una lunga occhiata eloquente al mio decollete- devo ammettere che la medicina ha compiuto un vero miracolo. Siete davvero incantevole.-

Inarcai il sopracciglio.

Stava deliberatamente valutando le mie capacità riproduttive...e non potevo nascondere almeno a me stessa che ne ero nauseata.

Per tutto il tempo e durante le visite seguenti, il duca continuò a farmi visita, con quelle maniere viscide e rivoltanti, capaci di disgustare qualsiasi donna con un briciolo di amor proprio.

La contessa però sembrava apprezzare.

Secondo le regole di corteggiamento, il duca passava tutte le volte sotto il balcone della mia stanza...e tutte le volte, la contessa non mancava di commentare quanto fosse ammodo e cortese.

Oh, guardate che fine eleganza dimostra nel cavalcare quello stallone sospirava, quando lo vedevamo passare al trotto.

Che arguzia nei modi  commentava, invece, quando l'interessato si perdeva in qualche battuta volgare ed offensiva.

Che fascino con quella nuova casacca affermava infine, vedendolo sfoggiare abiti che andavano di moda, pur calzando il suo corpo grottesco e sgraziato.

Insieme a questi neanche troppo velati modi per farmi piacere quel vecchio, si aggiungevano altri nuovi e neanche troppo graditi episodi. Alcune cameriere si erano licenziate, poco dopo l'arrivo del duca.

La cosa non mi avrebbe stupito troppo se non fosse stato per il fatto che tutte le cameriere erano molto più giovani di me, che avevano scatenato più di uno sguardo nel duca e che, al momento di lasciare il palazzo, avessero dei lividi sul corpo.

Era chiaro, persino ad una mente semplice come la mia, che vi fosse qualche legame con il duca. Durante la mia vita sulla strada avevo sviluppato un istinto particolare nel riconoscere gli individui con pensieri poco puliti...ed il duca, a giudicare dal perenne stato di allarme del mio corpo,era un campione in questo genere di cose.

Le parole della contessa mi attraversavano il cervello, senza toccarmi veramente.

Lei voleva vendermi a quel pervertito, come avevano detto le comari in chiesa.

Quel che era peggio era che non potevo andarmene.

La contessa era l'unica persona a potermi dire che fine avesse fatto Jeanne ed io non ero  nelle condizioni di poter lasciare tutto, senza averne avuto la conferma.

Questi erano i miei pensieri, mentre attraversavo silenziosamente i corridoi, diretta alla mia camera.

Avevo sete e, senza farmi notare, ero scesa a piano terra.

Fu così che vidi la luce nel salottino privato della contessa.

-Vogliate perdonare le maniere della mia pupilla- disse leziosa- è giovane ed inesperta ma spero che la sua ritrosia non abbia diminuito il vostro interesse.-

-Non dovete nemmeno pensarlo- rispose il duca- quella fanciulla è molto bella ed apprezzo la sua innata timidezza. Non sempre è un difetto: infatti può celare molte cose piacevoli.-

Una lieve risata, femminile.

-Temevo che Rosalie non vi avrebbe interessato. Ho saputo che, pur cercando disperatamente una moglie, preferite fanciulle più acerbe della mia pupilla.- azzardò, con fare un po'dispiaciuto.

Sentii il duca ridacchiare. -Avete ragione- rispose- E' vero. La vostra pupilla è un po'troppo vecchia rispetto alla povera Charlotte. Un vero fiore...E'un  peccato sia scivolata, cadendo di sotto in quell'incidente. Se fosse viva, avrebbe allietato le mie solitarie giornate in Borgogna.-

-Sono certa che Rosalie compenserà la perdita. Inoltre, signor duca, non dovrete attendere con lei che il suo corpo sia pronto per ospitare l'erede del vostro casato, come invece sarebbe accaduto alla mia povera figliola. Mi rendo conto che è un po'troppo vecchia rispetto alle frequentazioni che prediligete ma sono convinta che sia l'ideale per risolvere i vostri problemi dinastici.- lo persuase.

-Sarà- fece il duca, davvero poco convinto- eppure vi ho detto più volte che apprezzo una presenza giovane nella mia dimora. Spero di non offendervi troppo, Madame, ma la vostra pupilla è davvero troppo vecchia per me.-

Una nuova risata, da soprano.

-Monsieur duca- rispose la dama- voi sapete perfettamente che nel matrimonio gli sposi possono non rientrare completamente nel gusto estetico...ma sono sacrifici necessari. Nemmeno il mio matrimonio è stato piacevole...eppure, non è forse vero che per voi uomini tale onere più essere alleggerito più facilmente? Noi donne, Monsieur, troviamo assai minor diletto, dato che dobbiamo garantire che i figli abbiano come padre accertato il proprio sposo. Non avete nessun motivo di turbarvi. Quando Rosalie vi renderà padre, questo fastidio cesserà. Posso garantirvi che le donne della sua famiglia sono piuttosto feconde...e se poi non siete ancora convinto, pensate al Giacobbe citato nella Bibbia: non è forse vero che dalla sposa più sgradevole è uscita una prole una più numerosa?-

 

 

Era assai difficile definire il mio stato d'animo in quel periodo.

Di certo, non stavo bene.

Non ero felice...ma il concetto della felicità era qualcosa che non racchiudeva l'insieme di sentimenti che si dibattevano nel mio petto.

Era chiaro che il destino che mi veniva riservato poteva definirsi in molti modi...tranne che idilliaco. Il duca non mi piaceva...e tutto questo non dipendeva né dall'età, né dall'aspetto. Con un minimo di buon senso, quei due fattori potevano essere sopportati.

Il vero problema era l'indole di quell'individuo.

Non mi era sfuggita la familiarità della contessa con il duca ed i continui riferimenti alla figlia deceduta, uniti alle chiacchiere delle comari, lasciavano spazio a pochi dubbi.

La disgraziata che avrebbe dovuto sostituire la sposa designata non potevo essere che io...a quel pensiero, mi venne la nausea.

Sapere che al mio posto ci sarebbe dovuta essere Charlotte, la piccola ed eterea Charlotte, completamente in mano a quel pervertito...ancora adesso mi viene da pensare. La Polignac sapeva benissimo quali fossero le inclinazioni di quell'uomo ma ciò non le aveva impedito di orchestrare quel matrimonio grottesco. Persino sua cugina non aveva mostrato un simile livello di perversione.

Anni dopo, una volta finita quella detestabile avventura, ebbi l'occasione di studiare l'araldica dei Polignac e quella dei De Guiche. Mi ero sempre domandata la ragione di quel progetto matrimoniale...non tanto per discolpare quella prostituta di falsi sorrisi, quanto piuttosto per capire la ragione di una simile morte.

Quello che scoprii non mi rasserenò molto.

I De Guiche erano una famiglia della grande nobiltà feudale, con uno dei più cospicui patrimoni fondiari ai tempi del Beneamato. Erano inoltre molto vicini al cugino di Luigi XVI e questo spiegava la manovra di quella strega. Per quanto si fosse resa amica la regina, tutto dipendeva dall'umore di quest'ultima ed essendo la Polignac una donna arida e senza nessun ritegno non sorprendeva affatto che sentisse l'esigenza di creare solide basi per la sua famiglia.

 

 

 

Come voleva la tradizione, il duca prese l'abitudine di passare sotto la mia finestra ad un'ora convenuta, per salutarmi.

Quel giorno ero di pessimo umore.

Il ricordo della conversazione tra i due non abbandonava i miei pensieri, mostrandomi, in modo ossessivo, lo scenario squallido del matrimonio che si stava preparando...e per un momento invidiai Adeline, il cui sposo era un po'meglio del vecchio a cui mi sarei dovuta unire.

De Guiche passò all'ora convenuta con uno dei suoi ridicoli farsetti e quel cavallo che sembrava sostenere a stento il peso del suo cavaliere. Per un momento, sperai che la bestia lo disarcionasse.

-E'un uomo assolutamente amabile il duca- disse la contessa.

Non risposi.

-Sarà un ottimo matrimonio.- continuò.

De Guiche fece il consueto saluto  e poi sparì dalla visuale.

-Se è un'unione tanto gradita- dissi infine, in modo assolutamente scortese- perché Charlotte non lo ha sposato?-

Non vidi nemmeno lo schiaffo.

Mi ritrovai a terra, con la guancia in fiamme.

-NON OSATE MAI PIU' METTERE NELLA VOSTRA SPORCA BOCCA IL NOME DI MIA FIGLIA!-strillò indignata, con la mano ancora tremante- VOI SIETE SOLO UN'INGRATA! Non avete avuto alcuna riconoscenza per la generosità con cui vi ho accolto, con cui vi ho sfamato. Se davvero vi è stato insegnato a mostrare gratitudine, è ora di dimostrarlo.-

Quelle parole mi disturbarono.

Si era messa in bocca cose che avevo sentito da Nicole...ma come mai, in quel momento, assumevano una piega tanto oscena?

-Dovete inoltre considerare che la situazione di Jeanne.- aggiunse di nuovo, malevola- E'sufficiente che io parli e per la vostra cara Madamigella Oscar, sarà la fine.-

-Non avete prove.- risposi.

La Polignac rise.

-A volte, le prove non servono- disse crudele- basta il sospetto, piccola sciocca.-

Tacqui.

Vidi la sua gonna scivolare via, verso la porta.

-Per vostra fortuna il duca è un uomo molto paziente- commentò- e sono certa che saprà domare la vostra patetica ribellione. Ad ogni modo, se non volete che, per qualche caso, la mia bocca si lasci scappare qualche parola su di voi a corte, vi consiglio di usare un tono più docile ed accondiscendete con il vostro futuro marito...e di ricordare che quella ricchezza immeritata avrebbe dovuto appartenere alla povera Charlotte ed essere grata per questo.-

In quel momento, compresi.

Capii la ragione della morte di Charlotte, quanto in basso una madre potesse spingersi per esaudire i propri desideri egoistici, distruggendo tutto.

E, per la prima volta in vita mia, compresi il dolore di quella sorella che non aveva mai conosciuto e che ora sentivo più vicina che mai.

E non biasimai più la sua scelta tragica.

Da quel punto di vista, la dannazione eterna era qualcosa di più accettabile dell'inferno in terra che quell'essere mi stava offrendo.

 

Ecco questo nuovo capitolo. Primo vero contrasto tra la Polignac e Rosalie. Capitolo molto duro e, per certi versi, difficile da realizzare. Posso dire che quello che Charlotte si risparmia con la morte, non sfuggirà alla nostra protagonista.

Voglio dire un'altra cosa. Il rapporto tra Rosalie e la Polignac non è di affetto e non potrà mai esserlo. La contessa ha ucciso la donna che aveva allevato la figlia naturale e, non contenta, si nasconde dietro alla sua nobiltà.

Intanto quel fico (???) di De Guiche si piazza come ospite fisso a casa della contessa...che poesia, eh? Ringrazio tutti coloro che hanno letto la storia. Molto gentili.

 

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Capitolo 30
*** Adeline ***


Benvenuti cari lettori, sono davvero felice di vedere che questa storia continua a piacere. Vorrei ringraziarvi per avermi letto. Credo che farò un seguito, su Bernard e Rosalie...ma, al momento, lasciamo Rosalie a questo vecchiaccio.

Stanno così bene insieme...

 

 

ADELINE

 

 

Mi trovavo effettivamente in una pessima condizione, quando giunse a palazzo Polignac una lettera.

Ero nel salottino della contessa, immersa nel ricamo, mentre la contessa sfogliava uno dei suoi insulsi romanzi, quando giunse una lettera.

La Polignac abbandonò la sua lettura e dette uno sguardo attento al messaggio contenuto. Dopo qualche istante, sorrise, in modo piuttosto beffardo.

-Smetti di ricamare- mi disse- dobbiamo prepararci.-

Feci come mi aveva ordinato, limitandomi a fissare ora il foglio, ora lei. Pareva stranamente presa da qualche pensiero particolarmente divertente.

Inarcai un sopracciglio.

Per qualche bizzarro motivo, tutto ciò che piaceva alla Polignac dispiaceva a me.

Davvero curioso.

-E'arrivata una lettera da mia cugina Renée. Mi informa che Adeline ha appena dato alla luce una bambina e che ora si trova in una residenza di suo marito poco distante da qui...a Parigi, tesoro! Siete contenta? Tornerete nella città in cui siete cresciuta!- disse, pungolandomi.

Non risposi.

Non aveva richiesto il mio parere ed io non ero minimamente intenzionata a darglielo. Avevo compreso che l'unico modo che avevo per evitare ulteriori attriti era rimanere muta. Parlare significava solo darle spago...ed io non volevo essere causa del suo divertimento.

-Andremo nella capitale a salutare Adeline e a congratularci con questo inizio di matrimonio tanto fausto.- disse, prima di addolcire il tono-Posso immaginare il dolore del suo sposo. Quella giovane tanto promettente, non ha saputo darle il maschio che tanto desiderava...ma c'è comunque tempo...per Adeline, sicuramente.-

Alcune ore dopo, mentre mi trovavo nella camera assegnatami, ripensai alla figliastra della cugina della Polignac. La contessa pareva stranamente felice che fosse una bambina...e non era certo per gentilezza d'animo.

Il suo era mero egoismo e, forse, dietro a quella gioia si celava una qualche rivincita che io non comprendevo.

Con un gesto automatico, presi una delle spazzole e, lentamente, cominciai a far scivolare quello strumento sui miei capelli. Una carezza lenta e monotona...che aveva il potere di calmarmi, lasciandomi cullare nella nostalgia.

Mi ricordava quando pettinavo la chioma di madamigella...un singhiozzo sordo sfuggì dalla mia gola.

Mi mancavano.

Mi mancavano da morire.

-Oscar...-mi ritrovai a pensare, fissando la mia sagoma- aiutami tu-

 

 

 

Il mattino seguente partimmo alla volta del palazzo dove ora viveva Adeline.

Eravamo in quattro: io, la contessa, il duca De Guiche ed un uomo vagamente somigliante al conte. Era più giovane e decisamente più volgare e grezzo...l'ideale per quella donna falsamente raffinata quale era la Polignac. Doveva essere l'amante a cui accennava il conte.

Venne a riceverci una donna di colore.

Immagino che fosse un recente acquisto della casa ma confesso che non avevo mai visto delle persone con quella carnagione tanto scura, che pareva mischiarsi al legno.

Non ero infatti avvezza al triste tema della schiavitù.

-Sono la contessa di Polignac- disse pomposamente, senza premurarsi di presentare gli altri.

La donna si fece da parte, guardandola in silenzio.

-Mia cara cugina- fece la marchesa De Florie, scendendo le scale- sono molto felice di vedervi.-

La Polignac sorrise, mentre l'altra congedava la serva.

-Appena ho ricevuto la lettera non ho potuto non raggiungerti. La nascita di una nuova vita è sempre occasione di gioia, non credete?- domandò retorica.

La mora annuì.

-Ne sono assolutamente convinta-disse sicura.

-Il marito di Adeline come ha preso la notizia?- domandò curiosa la contessa.

Renée sorrise pacata.

-Come ogni uomo alla nascita di un figlio. E'rimasto complessivamente soddisfatto della nascita di un bambino. Le precedenti mogli non erano nemmeno rimaste incinte...Adeline ha compiuto un'impresa, anche se l'arrivo di una bambina non lo ha rallegrato molto.- la informò, mentre gli altri si accomodavano in un salotto.

La contessa si portò una mano alla bocca, in una smorfia che aveva il solo scopo di celare un sorriso.

Inspiegabilmente, alzai gli occhi al cielo.

-Non è poi una tragedia, Madame- disse il duca- se è riuscito ad avere una figlia, significa che il vigore del marchese è ancora intatto. Occorre insistere in queste faccende...-

-Come sta la madre?- domandò la Polignac, interrompendo le chiacchiere di quello che era, a suo dire, il mio fidanzato.

Il destinatario di una simile curiosità era un uomo che aveva l'età del padre di Adeline, maledettamente simile al duca De Guiche, con la differenza che mostrava spesso un'aria disinteressata e arrogante, quasi apatica. Pareva comunque infastidito da tutte quelle persone, tanto da preferir lasciare tutte le incombenze alla marchesa.

-La povera Adeline ha avuto un parto molto difficile...pensa, ha avuto delle convulsioni durante il travaglio, rischiando di perdere la vita lei stessa e la creatura. Ora è molto debole e ancora non del tutto fuori pericolo.- mormorò.

-Come è accaduto a sua Maestà, quando ha generato la principessa Marie Therese.- osservò curiosamente la contessa.

Renée annuì.

-Povera cara- disse- era riuscita miracolosamente a rimanere incinta, quando tutte le mogli che l'avevano preceduta, avevano fallito.-

A quelle parole, cadde il silenzio.

-Quello che conta è che mia moglie sia ancora in grado di procreare.- disse infine il marito della ragazzina- Il medico ha garantito che è ancora fertile. Questo è ciò che conta.-

Lo guardai inespressiva.

-Ma sicuro- ciarlò la Polignac- è importante però che il ventre di vostra moglie sia in ottima forma. Questo fatto garantirà anche una discendenza sana e duratura, lo scopo di ogni matrimonio che si rispetti.-

-Spero che sia come dite- disse fremente, prima di rivolgersi a Renée- vostro marito mi aveva assicurato che quella ragazza fosse adatta alle mi esigenze. Come da accordo, avete ricevuto quel possedimento nei pressi di Orleans...ma io cosa ho ottenuto? Una donnetta che non ha saputo fare altro che darmi una femmina...UNA FEMMINA! Una nuova piaga in più per me. Volevo un figlio a cui tramandare il mio nome, non una bambina da dare al miglior partito, per la quale dovrò procurarmi una dote...e quindi spese...-

Le sue urla si ripeterono nel pianerottolo.

Aggrottai la fronte ma quella fu l'unica smorfia che mi concessi.

Mi pareva di sentire addosso lo sguardo pesante del duca...inevitabilmente, pensai alla sorte di Charlotte, con un moto di nausea che non ero certa di saper sopportare. Le chiacchiere del salottino cominciavano a starmi strette. Le parole dello sposo di Adeline mi disgustavano e non riuscivo a comprenderne la drammaticità.

Per quanto una dote potesse spesso rivelarsi una spesa cospicua, quell'uomo era un facoltoso nobile: che ragione aveva di lamentarsi quando possedeva risorse sufficienti per disporre per quella neonata sia un matrimonio che una monacazione?

Nicole non aveva mai orchestrato in tale modo il destino mio e di Jeanne. Per lei, era necessario innanzitutto che fossimo in grado di avere un mestiere dignitoso per sopravvivere, senza degradarci.

I miei pensieri si fermarono.

Più passava il tempo, più mi rendevo conto del divario che c'era tra la contessa e Nicole. Istintivamente mi fermai a fissare il riflesso del mio viso alla finestra e, non vista, quello della Polignac. Il suo viso era spaventosamente simile al mio, così come i capelli e gli occhi...una somiglianza che, in qualche maniera, mi disturbava perché era la chiara dimostrazione che discendevo da quella femmina ignobile.

Durante quell'orribile soggiorno, mi ero spesso domandata se, oltre all'aspetto, vi fossero altri elementi che mi avvicinassero a lei. Per quanti sforzi avessi fatto, comunque, non avevo saputo trovare niente...e tutto ciò mi rasserenava.

-Rosalie, cara- fece la contessa - ti dispiacerebbe andare a vedere come sta la povera Adeline? E'più piccola di te ed ora avrà bisogno di compagnia...-

Annuii soltanto, prima di salire al piano superiore.

Per una volta, ubbidire non mi dispiaceva, giacché mi avrebbe allontanato da quel covo di avvoltoi.

 

 

 

 

 

Bianca.

Adeline era bianca, più del solito. I capelli scuri creavano uno spettrale contrasto cromatico che sapeva quasi di morte. La balia era poco distante, intenta ad allattare la piccola.

-Come sta?- le domandai, mentre fissavo il suo viso dormiente.

La donna alzò lo sguardo. -Madame ha rischiato moltissimo. Era molto provata nei mesi precedenti e, dovendo seguire il consorte nelle sue occasioni mondane, si è trascurata molto. Il medico ha detto al marchese di non strapazzarla ma lui non ha sentito ragioni...per questioni di rappresentanza e per dimostrazione.- disse, facendomi segno di avvicinarsi a me.

-A cosa alludete?- domandai.

La balia storse la bocca, imponendomi con un cenno il silenzio.

-I precedenti matrimoni sono stati annullati perché si riteneva che non fossero stati consumati. Più volte, Monsieur è stato costretto a dare pubblica dimostrazione della propria virilità...fallendo miseramente- disse, a voce bassa- Se Madame non fosse rimasta incinta, avrebbe dovuto tornare a casa e tutto quello guadagnato dalla famiglia di lei, avrebbe fatto ritorno al marito.-

Quelle parole si conficcarono nella mia testa.

-E dunque cosa intendete dire?- chiesi piano.

La balia ghignò.

-Madame ha ricorso ad ogni espediente per rimanere gravida. Era chiaro a chiunque che lo sposo era impotente- rispose pettegola.

-Incredibile...- mormorai, dopo essermi passata una mano sulla testa.

Adeline riposava nel letto, cerea in viso.

-Ora come sta?- chiesi.

La balia scosse il capo.

-Il travaglio è stato molto difficile. Ha avuto delle perdite di sangue che, per poco, non l'hanno uccisa. Adesso ha la febbre e non sappiamo se si rimetterà...dipende tutto da lei. Non è ancora fuori pericolo, anche se la notizia è tenuta nascosta. Monsieur non era molto soddisfatto di questa nascita...a breve, farà ulteriori pressioni a Madame, una volta guarita. Non è un uomo paziente ma spero che permetta alla moglie di rimettersi...oppure dovrà cercarsi una nuova moglie.- disse grave.

Quella notizia mi colpì con violenza, più di quanto io stessa potessi ammettere...e non potei che aver compassione di quella ragazzina che giaceva provata in quel letto immenso.

-Il marchese come ha reagito?- chiesi, senza guardarla.

La balia sospirò.

-Come ogni marito che ha appena saputo di avere una femmina...- disse laconica- ha tirato una bestemmia e, credetemi, ho quasi temuto per la vita delle due. Se quel paggio non si fosse messo in mezzo...-

Inarcai la fronte.

-Un paggio?- chiesi.

La balia annuì.

-Si trattava in verità del cicisbeo. Un giovane discretamente avvenente, molto diverso dal tipo di uomo che solitamente viene designato per lo scopo. Il padre della ragazza ha però imposto questa condizione ed il marchese, visti i precedenti, ha preferito non obiettare.- disse ambigua.

Feci per chiedere altro ma un gemito, proveniente da Adeline, richiamò la nostra attenzione.

-Madame!- esclamò questa, avvicinandosi al letto. Con fare pragmatico, afferrò il polso della ragazza, tastando vari punti con fare esperto.

-Forse è meglio cambiare l'acqua- suggerii.

La balia annuì, lasciando la stanza, insieme alla bambina.

Rimasi qualche secondo immobile, prima di voltarmi.

-Come vi sentite?- domandai.

Adeline aprì gli occhi.

-Questo non ha importanza- disse- ho saputo che la contessa ha combinato per voi un matrimonio d'interesse.-

Non risposi.

La voce debole di Adeline mi inquietava.

-Non sarà bello...io lo so...- disse, con una smorfia- sarà umiliante...anomalo...doloroso...squallido.-

Mi avvicinai.

-Mi dispiace- feci, pensando a quello che avevo visto sul pianerottolo.

Adeline scosse la testa.

-Io...io ho voluto questo matrimonio...- rispose, afferrandomi con la sua mano, gelida come il ferro- io sono il frutto di un incontro clandestino e mia madre, una volta rimasta incinta, ha ben volentieri lasciato la mia vita nelle mani del suo seduttore. Io...io volevo andare via dai De Florie e questa era l'unica porta concessami.-

La luce penetrava nella stanza, rendendo il viso della puerpera ancora più pallido del solito. -Io so di non aver reso felice mio marito...ma non mi interessa perché nemmeno io lo sono.- continuò sempre più piano- Ho fatto di tutto per rimanere incinta...ogni mezzo è buono, se l'alternativa è rimanere con niente. Io...io non volevo tornare da quell'ipocrita della mia matrigna.-

Adeline respirò affannosamente.

-Calmatevi, per favore- la esortai.

Lei gracchiò una risata.

-Non mi va...- soffiò- giacere con quel vecchio è stato il peggiore dei castighi...non mi importa niente. Io non voglio più.-

Mi morsi il labbro.

Quel tono non mi piaceva.

-Non dovete sforzarvi- continuai- avete avuto la febbre alta e...-

Adeline scosse il capo.

-Non mi interessa- disse- io...io sono stanca...tanto stanca...-

Le strinsi forte la mano.

-Non potete lasciarvi andare così.- replicai- Avete vostra figlia!-

Adeline si bloccò, prima di scoppiare in una risata roca.

La sua voce, leggermente gracchiante, era intrisa di un delirio a stento tenuto sotto controllo. -Lui...lui è sterile...non è sua e lo sa...-rispose, preda della follia dovuta a quella debolezza.

-Non potete lasciarla...-feci, aumentando la presa- non in mano loro!-

Adeline sospirò.

-Vorrei ma-rantolò- sono stanca...stanca davvero...se non altro, sarà costretto ad allevare una bastarda come legittima e questo mi consola...ora scusatemi ma...proprio non riesco a tenere gli occhi aperti...-

A quelle parole, la presa, per un breve attimo si intensificò, prima di perdere ogni forza. La guardai interdetta.

Sul volto, l'ombra di un sorriso beffardo.

-Adeline- la chiamai- Adeline!-

Ma Adeline non si svegliò più.

 

E questo è il nuovo capitolo. Triste anche questo e quasi inevitabile. In verità, non avevo previsto che Adeline dovesse rimanerci secca ma, purtroppo, è andata così. Rosalie è l'unica persona che la assiste in quella occasione, mentre gli altri sono a chiacchierare al pianterreno. Credo che non andrò oltre con lo squallore di questa cosa. Non voglio certo esagerare...sarebbe troppo patetico, secondo me.

Innanzitutto ringrazio tutti voi per avermi letto.

A presto, cicina.

ps. spero che sia corretto ma non garantisco.

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Capitolo 31
*** La dama color castagna ***


Benvenuti a questo nuovo capitolo. Sono molto grata a tutti coloro che mi stanno commentando. Siete molto gentili e vi ringrazio per avermi letto sinora. La povera Adeline se ne è andata. Forse se l'è cercata oppure, molto più semplicemente, era convinta che quel matrimonio fosse l'unica via percorribile per lei.

A differenza di Rosalie è cresciuta nella nobiltà, pur non facendone parte e vede questa come unica soluzione. Che poi le cose non le vadano bene, bhé, è pura sfortuna.

 

LA DAMA COLOR CASTAGNA

 

Le esequie di Adeline vennero celebrate una settimana dopo. Nel frattempo, ci stabilimmo nella casa del vedovo, per poter aiutare la disposizione delle varie parti della cerimonia e tutti gli elementi legali del contratto che era stato stipulato al momento del matrimonio. Questioni legali e religiose andarono a braccetto per tutto il periodo e, in alcuni casi, l'una si fondeva con l'altra, al punto che non si distinguevano tra loro.

Il duca De Guiche, visto l'affollamento nella dimora, sentenziò che sarebbe andato a far visita al Principe. In quell'occasione, la contessa provò a chiedermi di accompagnarlo ma la cugina, per qualche strano motivo, si intromise nella conversazione.

Benché il fidanzamento sia stato stabilito, non è ufficiale e, qualora la vostra pupilla rimanga compromessa, rischiate di mandare a monte il matrimonio, nel caso l'interessato sollevi dubbi sulla paternità del nascituro...disse, con dei riferimenti velati che io colsi, senza peraltro comprenderli. L'unica cosa chiara era che il rapporto amichevole tra le due era solo apparente.

Fui comunque riconoscente a quella dama, dal momento che, senza quel vecchio intorno, avrei dormito sonni più tranquilli, senza dover sempre chiudermi a chiave nella stanza, fino al mattino, come avevo fatto in tutte quelle occasioni, malgrado la contessa tentasse di impedirmi di farlo.

La Polignac storse il naso ma chinò la testa.

Non riuscendo comunque a sopportare troppo la mia presenza aggirarsi per quella casa, decise di mandarmi a fare delle commissioni, insieme a delle serve che avevano il preciso compito di sorvegliarmi. Dovevo infatti acquistare degli abiti e dei gioielli da lutto, dal momento che non ne possedevo.

Finora, malgrado la contessa mi avesse fatto comprare degli abiti, tutto quello che possedevo era estremamente colorato e quindi poco consono a quella triste circostanza. Fu questo il motivo per cui mi ritrovai a recarmi personalmente nel negozio di Madame Bertin, insieme a due cameriere. La strada quel giorno comunque era completamente intasata dalle carrozze e fu pertanto necessario percorrere la via a piedi.

Quella soluzione, del tutto eccezionale, sembrò infastidire le mie accompagnatrici.

Evidentemente, non avevano mai apprezzato passeggiare.

Lo vedevo dal loro muoversi incerte, timorose e disgustate. Alla fine, mi voltai verso di loro. -Sono davvero desolata- feci- ma proseguire a piedi era l'unica soluzione. Dobbiamo acquistare gli abiti ed i gioielli necessari.-

Le due sospirarono.

-Vi prometto che, dopo le compere, ci riposeremo un po' nel giardino vicino. La calca è meno pesante in quel tratto e la via per il palazzo dei De Florie più breve.- le esortai.

Non avevo molta voglia di tornare là, a dirla tutta.

Passare il tempo con quella strega era uno dei miei maggiori dispiaceri.

Commissionammo rapidamente l'abito.

La Bertin aveva molti modelli standard e, malgrado le esortazioni delle mie accompagnatrici, scelsi un vestito semplice e spartano. Eccedere negli addobbi significava mancare di rispetto a quella giovane...ed io non volevo.

Avrei offeso l'anima di quella giovane.

-Portate gli acquisti alla residenza parigina dei Marchesi De Florie- mormorò con fare esperto una delle mie accompagnatrici, una volta preso atto che  non avrei cambiato idea.

La commessa annuì, con un sorriso compito sulle labbra.

 

 

Cercare dei monili da lutto, invece, si rivelò assai più complicato.

Le gioiellerie erano più numerose e questo aumentava le possibilità di scelta. Impiegammo molto più tempo. Non essendo fidanzata in modo ufficiale, e quindi ancora nubile, la gamma di pendenti e di collane era assai più ridotta. Mi ritrovai così a guardare qua e là, mentre le mie accompagnatrici ciarlavano di cose vuote e scialbe. Fu proprio mentre ero immersa nella vista delle varie pietre che urtai una sagoma poco distante da me.

-Oh- mormorai- scusatemi...-

Le parole, però, vennero meno.

La donna che avevo di fronte era di media statura, mora, malgrado non fosse più giovanissima, e con due luminosi occhi scuri. Indossava un abito color castagna, con una scollatura a barca assolutamente casta. Una collana di pietre in pasta di vetro terminava il suo abbigliamento.

Mi fermai a guardarla.

Nel complesso, era una bellezza assolutamente nella norma eppure, mi sembrava di vedere in lei qualcosa in più. Forse era la luce divertita e vagamente sfrontata nello sguardo... non avrei saputo dirlo.

-Sono io a dovermi scusare.- fece, con una voce da contralto, morbida e piena- la bottega è indubbiamente molto piccola.-

La fissai un po'stranita, prima di ricordarmi le buone maniere. -Ciò nonostante mi sono comportata in modo assai sgarbato. Il mio nome è Rosalie Lammorliere, Madame e vi prego di accettare le mie scuse.- feci, compita.

La dama rimase sorpresa.

-Lammorliere?- domandò, stranita.

Annuii, senza aggiungere altro. Non riuscivo a capire il motivo di un simile atteggiamento. 

-Sì, Madame. Sono la figlia di Nicole Lammorliere...la conoscevate?- feci, non del tutto convinta.

La donna impallidì per un momento.

Poco lontano, cominciai a sentire dei passi.

-In questo momento, non posso rispondervi.- disse, guardandosi attorno- Per voi è un problema incontrarci tra un paio di giorni nella chiesa di Notre Dame, poco prima della nona?-

Inarcai la fronte.

-Non sono sicura di riuscirci.- mormorai.

Gli occhi scuri della donna si illuminarono.

-Ve ne prego.- rispose di nuovo.

Fissai a lungo quel viso.

Così dolce.

Così espressivo.

Accettai quasi senza accorgermene.

La dama sorrise di nuovo.

-Voi non sapete la gioia che mi state dando- disse, prima di dare un'occhiata ai gioielli- e, per i lutti, la pietra ideale è l'ossidiana.-

-Mademoiselle Rosalie!- esclamò una della cameriere.

Mi voltai un momento.

-Come fate a cono...-provai a dire, tornando alla dama...ma quando mi girai, ella non c'era più.

 

 

Mi rendo conto che allora, avevo agito in modo assolutamente sciocco.

La contessa aveva determinato ogni istante della mia vita, con una razionalità che rasentava il maniacale. Ammetto però che, dal giorno della separazione dal conte e con l'avvicinarsi del mio fidanzamento ufficiale, il suo umore era sensibilmente migliorato...e non so se era merito mio, del conte o dell'uomo che occupava il suo letto tutte le notti.

Fatto sta che ero riuscita ad ottenere il permesso di potermi recare in chiesa. Era forse l'unico tratto della mia indole che aveva sempre apprezzato, perché denotava una condotta retta e pudica. 

Ricordate però la promessa che voi mi avete fatto non aveva mancato di aggiungere, prima di congedarsi da me e lasciarmi usare una delle carrozze. 

Sospirai a quel pensiero.

E chi se lo dimenticava?

Non passava giorno che non mi venissero rammentate quel genere di cose.

Istintivamente alzai gli occhi al rosone di Notre Dame.

La carrozza mi aveva lasciato proprio davanti alla chiesa e, non essendoci uscite secondarie era più che palese che non sarei sfuggita alla sorveglianza dei valletti della contessa. Incerta mi incamminai verso l'ingresso. Non c'era nessuno al suo interno...o così mi sembrava all'inizio.

La dama dall'abito castagna era vicina ad alcuni ceri, proprio nei pressi dello spazio del chiostro aperto al pubblico.

Sentendo i miei passi, si voltò.

-Vi stavo aspettando Rosalie- disse, l'ombra di un sorriso stampata in volto.

 

 

Mi guardai attorno, con un moto d'incertezza.

Ero stata molte volte con Nicole in quella chiesa. E' il luogo che la città ha dedicato alla Vergine. Merita di essere visitato, no?amava dire, quando Jeanne o io non mostravamo lo stesso entusiasmo. La chiesa, infatti, era molto distante dalla nostra casa eppure, Nicole non aveva mai smesso di farvi visita...finchè la salute lo aveva permesso.

-Vi stavo aspettando, Rosalie.- disse una voce, a me familiare.

Mi voltai di scatto e vidi il volto sereno del conte, insieme alla dama che mi aveva avvicinato nel negozio.

Alla luce del sole pomeridiano, potei vedere meglio il suo viso. Un ovale perfetto su cui erano incastonati degli occhi intelligenti. -

-Signor conte- esclamai, accorrendo da lui- cosa ci fate qui?-

Jules sorrise.

-Ho preso dimora a Parigi- rispose - Jolande non lo sa. -

Lo guardai perplessa, occhieggiando ora lui, ora la dama.

-Non gli interesserebbe comunque.- rispose- Per lei sono solo il grigio topo di biblioteca che è stata costretta a sposare. Abbiamo fatto una separazione consensuale, completamente a vantaggio di mia moglie, peraltro.-

Istintivamente mi misi a sedere su una pietra.

Jules avanzò, con passo zoppicante.

-La quasi totalità dei beni provengono da mia moglie. Economicamente parlando, non ero per lei di nessun vantaggio ormai...ed io non sono così sciocco da non sapere quando farmi da parte.- proseguì ma io lo interruppi.

La dama mi guardò incuriosita.

-Questo me lo avete già detto- dissi- adesso, però, la mia situazione adesso è piuttosto precaria.-

Jules sospirò.

-Questo- fece, prima di guardare adorante la dama mora- lo sappiamo bene. La morte di Adeline vi ha dato del tempo ma siete ancora in mano alla contessa.-

Chiusi gli occhi.

-Dovrò sposare il duca De Guiche, l'uomo destinato alla piccola Charlotte...un vecchio pervertito con la passione per le ragazzine...-cominciai, prima di essere interrotta da una risata roca e bassa.

Alzai la testa di scatto, fissando, sorpresa e indispettita al tempo stesso, la persona che aveva parlato...ovvero, la dama con l'abito color castagna.

Jules sorrise paziente.

-Perdonatemi se non vi ho presentata- disse il conte- questa donna è Isabelle de Saint Remy...la mia Isabelle.-

La donna scosse la testa, non senza fissare Polignac con un calore a me nuovo ma non per questo spiacevole. -Jules, Jules...siete sempre un adulatore.- mormorò con affetto.

-E voi siete l'anima del mio cuore.- rispose questi, prendendole la mano.

Spalancai gli occhi.

Nicole non aveva mai parlato della famiglia di suo marito e le poche cose che ci aveva lesinato, con estrema parsimonia, erano che fosse un nobile. Non sapevo che avesse una sorella. -Voi siete...-mormorai.

Isabelle mi guardò con calore.

-Sono la sorella minore di vostro madre- rispose, prima di addolcire il tono- ma questo...penso che il mio Jules ve lo abbia già detto.-

Annuii.

-Vorrei davvero parlare con voi ma...-dissi mortificata.

Isabelle mi osservò indulgente.

-Lo sappiamo- rispose, guardando Polignac- ed è questo uno dei motivi per cui ho chiesto d'incontrarvi. Vorrei che mi raccontaste come mai siete con la contessa. Jules me ne ha parlato ma non capisco perché stiate ancora con lei, pur sapendo il vostro possibile destino.-

Mi guardai nervosamente le nocche poi, senza sapere bene perché, cominciai a snocciolare tutto l'accaduto: di come ero finita a Versailles, di Oscar, della contessa e di tutto quello che avevo sofferto. Non so per quanto tempo parlai della mia vicenda ma quando finii ero come libera da un peso.

Isabelle si massaggiò il mento, in una mossa che mi ricordava vagamente colei che da sempre consideravo mia sorella. -Quello che dite è molto triste e penoso, nipote mia- disse- e temo che parte delle notizie che ora vi darò, saranno insieme un sollievo ed un nuovo dolore. Volete sapere?-

I canti gregoriani, provenienti dalla navata, raggiungevano le mie orecchie. Un suono lontano e ovattato, di quieto sottofondo.

-Sì- risposi.

Isabelle sospirò.

-E sia, allora.- disse- Sappiate che Yolande, la vostra madre naturale, è una grande dissimulatrice e voi siete stata ingannata. Lei non ha nessuna prova a vostro carico, tranne la sua parola...ed ora a corte, il potere della sua voce non è più forte come un tempo. La figlia del generale non potrà essere calunniata da quella serpe. La sua integrità e l'amicizia solida della regina la sollevano da ogni sospetto.-

Mi raddrizzai di botto.

- Come sarebbe a dire?- feci- Io ho partecipato al ballo di Versailles...-

Jules inarcò la fronte.

-Ne fanno moltissimi. La regina non si ricorderà di certo della vostra presenza e, se anche fosse, non ha mai messo in dubbio la fedeltà dei De Jarjayes...figuriamoci se darà credito alla parola della mia non più consorte.- obiettò.

Quel rimbrotto mi diede un improvviso sollievo. Sapere che Oscar era completamente al sicuro da quella strega aveva alleggerito buona parte delle mie pene. -Meno male- sospirò.

-Quanto a Jeanne- disse Isabelle- neppure di lei hai più ragione di preoccuparti.-

La guardai.

Il volto della dama era una maschera seria e insieme dolorosa.

-Cosa intendete dire?- chiesi.

Lei aprì la bocca, salvo poi richiuderla.

Un grave sospetto attraversò il mio cuore.

La dama provò nuovamente a parlare ma non riuscì a formulare nessun discorso.

-Ricordi, Rosalie, quando udisti il rumore di quei cavalli? E di quando la contessa ti impedì di uscire?- disse allora Polignac- Mentre mi occupavo delle mie faccende a corte, ho udito alcune cose...a proposito di un'operazione militare. Pare che qualcuno di molto influente a corte, avesse spifferato alle cariche dell'esercito il nascondiglio di Jeanne De La Motte. Pare che Madamigella Oscar abbia ricevuto l'incarico di catturarla, sebbene non fosse per nulla entusiasta della cosa...ma non sono riusciti a prenderla. Il convento abbandonato dove lei era nascosta, insieme al marito, saltò in aria, poco prima di fare l'incursione. Non essendo riusciti a trovare i corpi, a causa della violentissima esplosione, Madamigella Oscar dispose di porre due lapidi simboliche accanto a quella di Nicole Lammorliere, una volta venuta a sapere della tomba della vostra madre adottiva.-

In quel momento, sentii il rumore di qualcosa che si stava rompendo.

Avrei voluto dire loro che non dovevano prendermi in giro, che stavano dicendo un mucchio di bugie, che tutto quello che avevano raccontato era una falsa, che Oscar era ancora in pericolo e Jeanne era ancora viva.

-No!- esclamai, mettendomi le mani negli orecchi- Non può essere vero! -

Non volevo credere a quello che mi stavano dicendo.

Se quello che avevo era sentito era vero allora...

-Non posso essermi sacrificata per nulla!- gridai, mentre gli occhi minacciavano di lasciar scivolare via lacrime represse troppo a lungo. La contessa mi aveva ingannato.

-Purtroppo è così- disse Isabelle- ma se non ci credi domandati perché la Polignac si è ostinata tanto a tenerti così prigioniera nella sua casa, perché abbia perso tanto tempo per la tua educazione, quando in realtà potevi benissimo entrare in qualsiasi casa nobile, senza essere notata...e chiediti perché, al passaggio dei soldati, ti abbia vietato di uscire senza alcuna spiegazione.-

 

 

Quando tornai al palazzo dei De Florie, la contessa mi attendeva in salotto per parlarmi con urgenza.

-DOVE SIETE STATA?- esclamò.

La fissai a mia volta.

Era arrabbiata...non che fosse una novità.

-A pregare.- risposi - Non mi sono resa conto delle ore che sono volate. Chiedo scusa.-

Yolande assottigliò lo sguardo.

-Dovete smetterla con queste scuse infantili e pensare seriamente alle opportunità che il futuro vi sta offrendo. Proprio oggi pomeriggio, è venuto a farvi visita il duca De Guiche...e indovinate cosa è successo?- si lamentò- E'toccato a me intrattenerlo...ME! Dovevate essere voi a farlo.-

Chinai la testa.

-E NON ABBASSATE LA TESTA COME UN MULO!- strillò la dama- Ho impiegato anni per acquisire il favore di un tale distinto gentiluomo e non vi permetterò di farmi perdere i privilegi che questa unione porterà al casato.-

Obbedii, seppure a malavoglia.

-Sto facendo tutto quello che volete- dissi, con un sospiro- per quale motivo non mi volete dire come stanno Jeanne e Madamigella Oscar?-

Per tutta risposta, la contessa mi schiaffeggiò con tutta la violenza che aveva. Traballai leggermente, rimanendo tuttavia in piedi. Le mani della Polignac erano lisce e ben curate, del tutto estranee al lavoro ed alla fatica. La sua forza non era niente in confronto ai palmi di chi aveva lavorato tutta la vita.

-Siete un'insolente!- strillò- Non capite che lo faccio per voi? Presto lascerete Parigi e i posti che vi hanno conosciuto, che vi hanno dato tutto il dolore che la povertà potrebbe dare. Non avrete più fame, né miseria. Tutti vi rispetteranno.-

La guardai inespressiva.. e la contessa, sotto quegli occhi, recuperò tutto l'autocontrollo. -Mi rendo conto però che voi siete assolutamente incapace di comprendere le mie preuccupazioni e che non meritate assolutamente questa gloria...la mia Charlotte, lei sì, che ne era degna! Presto, malgrado le mie perplessità, sarete una ricca, ricchissima duchessa della Borgogna...non avete alcun motivo di pensare a quelle persone...sono cose assolutamente superflue.- sentenziò, prima di andarsene.

 

 

 

Me ne rimasi alcuni minuti sul pianerottolo, senza dare accenno ad un qualche movimento. Le parole della Polignac mi avevano ghiacciato sul posto e, insieme a queste, si accavallavano le rivelazioni del conte e di Isabelle.

I silenzi della prima trovarono risposta nelle parole dei secondi.

 

 

D'un tratto, non avevo più paura.

 

Ora, il capitolo precedente era deprimente e questo purtroppo ne mantiene i toni. Vi dico comunque che questa è l'ultima volta che Rosalie piegherà il capo. La contessa ha i giorni contati. Il conte interviene ai margini, insieme a Isabelle. Quanto ai monili da lutto, erano d'uso nell'800 ma non so se lo fossero nel 700. Capitolo altamente drammatico. L'alzamento del rating non era casuale. Isabelle è la zia di Rosalie e Jeanne, completamente inventata da me, donna assolutamente agli antipodi della Polignac e amante del conte che, purtroppo per lui, è già sposato.

E'stato scritto di getto, speriamo che non ci siano errori.

Ringrazio

Questa storia è tra le preferite di...

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Capitolo 32
*** Un prezzo troppo alto, un legame troppo pesante ***


Sono piuttosto lanciata nella stesura degli ultimi capitoli di questa fic. Vorrei almeno terminarla. Il precedente capitolo è stato anche questo piuttosto difficile da fare. Ora vi lascio a questa nuova lettura. Una scena è liberamente ispirata ad una long fic presente nella sezione. Non ricordo il titolo ma se qualcuno me lo ricorda le sarò grata, così da poter ringraziare a dovere l'autrice.

 

UN PREZZO TROPPO ALTO

 

UN LEGAME TROPPO PESANTE

 

Il giorno del funerale della piccola Adeline, il cielo era grigio ed una lieve pioggerella cadeva, rendendo tutto freddo e viscido.

La bara venne condotta in una chiesa poco distante dalla dimora in cui era avvenuto il trapasso della giovane sposa; terminata la messa, sarebbe stata trasportata nella tomba di famiglia del marito, disposta accanto a quella delle due mogli che l'avevano preceduta. Indossai l'abito che avevo acquistato e, senza l'aiuto di nessuno, acconciai la mia chioma con una crocchia spartana.

Quando scesi, la contessa  mi guardò con aria di rimprovero, Non sembrava apprezzare la mia semplicità, a suo avviso eccessiva, ma non disse niente perché le esequie avevano la priorità quel giorno.

Andò a confortare la cugina ed il vedovo novello mentre io venni lasciata al duca.

Non mi piaceva essere in sua compagnia.

Era vecchio ed aveva lo sguardo malevolo.

-Povero marchese- sentenziò questi, con tono sardonico- era appena riuscito ad avere una figlia e già è rimasto vedovo.-

Mi voltai di scatto.

-Mi hanno detto che la moglie ha sofferto molto.- risposi, guardandolo seria -Come potete dire una cosa del genere?-

De Guiche sorrise.

-Dico solo che la marchesina non ha fatto quello che doveva. Lui le ha dato tutto e non è stata capace di dargli nemmeno un maschietto...a quel punto, tanto valeva che crepassero tutte e due. Lei ha avuto ciò che voleva...che beffa per il marchese.- continuò, con un sorriso cattivo in volto.

Tuttora, ripensando all'accaduto, mi vengono i brividi. L'espressione di quel tipo mi ricordava il nobile che aveva ammazzato senza pietà quel bambino. Il disgusto che provai fu tale che, per tutto il periodo che rimasi in chiesa non proferii parola.

La contessa, qualche volta, si voltava verso di noi, sorridendo con soddisfazione ma io, presa dal dolore che quella condizione mi imponeva, non ebbi il coraggio di rispondere.

Sapere di dover rimanere lì, sia pure per un tempo limitato, era sempre più difficile da sopportate.

Poco dopo, quando il funerale ebbe la sua conclusione, ci recammo in corteo al cimitero, un fiume umano di una certa lunghezza che, una volta giunto al camposanto, si addensò all'ingresso. Nessuno conosceva la defunta ma il lignaggio del marchese e la necessità di apparire come gente timorata di Dio, aveva reso la chiesa più affollata del solito, rendendo l'uscita molto confusionaria e convulsa.

A causa della ressa, rimasi indietro e, per farla breve, mi persi.

 

Passeggiare per quelle tombe mi dava una strana sensazione di deja-vu.

Mi ricordava il fazzoletto di terra dove era sepolta Nicole.

Guardai da ogni parte, come se potesse esserci la tomba della mia madre adottiva. Non c'era nessuno intorno a me e, volendo, avrei potuto andarmene. Dubitavo però di riuscire nel mio intento perché essendoci una sola entrata, non sarei certamente passata inosservata.

Fu allora che l'attenzione cadde su una donna vestita di marrone che gironzolava, apparentemente a casaccio, tra le lapidi. Impossibile non notarla, dal momento che, non era molto comune vedere una persona del suo sesso, così ben vestita, girare da sola all'aperto.

La riconobbi in un attimo.

Era mia zia.

-Rosalie- mormorò affettuosamente, non appena si avvide della mia presenza- cosa ci fate qui?-

Mi avvicinai.

-Oggi è il giorno di Adeline- dissi solamente.

Isabelle sospirò.

-Povera fanciulla- commentò, prima di guardarmi- ho saputo che ha avuto una gravidanza molto difficile...ma credo che non sia questo il motivo per cui siete così triste, non è vero?-

Chiusi gli occhi.

-E così- confessai- la contessa vuole darmi in sposa al duca De Guiche, lo stesso uomo a cui era destinata sua figlia Charlotte.-

La donna si morse il labbro.

Il viso si increspò in una smorfia disgustata. -Quella femmina non ha alcuna dignità- fece- io l'ho sempre detto. Comunque, è cresciuta in questo modo e non si può fare niente per questo. -

-Avete ragione- risposi, abbattuta.

Isabelle scosse il capo.

-Voi però- disse, fissandomi attenta- perché siete ancora qui? Avete saputo tutto quello che c'era da sapere...cosa aspettate ad andare via?-

A quelle parole, non seppi cosa dire.

Il ricatto a cui ero sottoposta non sussisteva più...eppure, qualcosa mi tratteneva ancora a quella donna che non potevo amare. Istintivamente mi coprii il viso, presa da un moto di vergogna che non comprendevo.

- N- non lo so...-balbettai, preda di uno stato d'animo che non riuscivo a definire.

Isabelle mi mise una mano sulla spalla.

- A prescindere dai fatti, ovvero che ella vi ha dato al mondo, le scelte sulla vostra vita, su ciò che siete e che sarete, non dipendono più da lei. Jolande ha imparato a fare la moglie e ha condotto la sua vita seguendo dei valori che hanno innalzato i Polignac, cose in cui lei crede, alla luce del rendimento finale...quello che ha ricevuto è diretta conseguenza di una parte delle scelte che ha desiderato. - disse - Come ogni genitore nobile, ritiene che, avendovi dato la vita, sia nella condizione di usarvi a suo piacimento, decretando il vostro destino...con esiti alternanti, come avete visto dalla sorte di Charlotte e Adeline. Quello che dovete chiedervi è: fino a che punto siete disposta ad accettare di pagare il pegno di sangue che quella donna esige da voi?-

 

 

 

 

Quelle parole rimasero nella mia mente per molto tempo, anche quando tornammo nella dimora del marchese. Le carrozze per ripartire erano già sulla soglia: non era infatti previsto che soggiornassimo ancora in quella casa. La contessa rimase insieme alla cugina per darle un qualche sostegno morale, mentre il duca tentava di consolare il marchese, più seccato che dolente, per aver avuto almeno una figlia.

Io li fissai in disparte, palesemente a disagio in quel contesto che mi straziava ed era estraneo al tempo stesso.

Il mio turbamento non passò inosservato alla Polignac.

-Mia cara- disse dolcemente.

Stavo per salire nella carrozza, insieme al duca.

Lei si avvicinò e, dopo essersi scambiata qualche battuta con quella persona, mi invitò a salire sul suo mezzo per parlarmi in privato. Rimasi molto stupita da quel gesto, assolutamente non da lei.

-Vedo che siete molto triste per la povera Adeline- disse dispiaciuta.

Chinai il capo e, per una volta, mi concessi di essere parzialmente sincera.

-Era così giovane- mormorai mesta- si può morire in questo modo, per dare la vita?-

La contessa distolse lo sguardo.

-Questo è il rischio che una donna può correre. Non per un colpo di pistola o spada ma...in fondo, che differenza fa?- disse laconica.

Mi voltai di scatto.

Quell'aria vissuta, piena di cinismo e disincanto, mi era quasi nuova...forse a causa della mancanza di cattiveria che di solito mi rivolgeva. Ne rimasi disorientata...per la seconda volta in quel giorno tanto strano. -Un matrimonio porta benessere alla propria stirpe e alla persona stessa, dandole privilegi che prima magari non poteva permettersi. La mia povera Charlotte aveva la mente troppo leggera e non ha mai compreso i sacrifici che io facevo per lei, prima di giungere a Versailles. Non ha mai compreso il dolore di essere trattata come la parente povera, di dover elemosinare ogni cosa per sembrare ricca e potente, sapendo di poter essere pugnalata alle spalle in qualsiasi momento. L'avere un titolo non ha mai garantito un benessere corrispondente...ed io ho commesso con lei lo stesso errore che mia madre fece con me.- disse, malinconica.

Inarcai la fronte.

-Cosa vi prende?- domandai.

L'alone di nostalgia si inquietò leggermente. -Nulla. Volevo solo porvi la mia benedizione e consigliarvi di smettere di credere che ci sia da qualche parte qualcuno di bello, con mille virtù...gli uomini non possono amare. Non è una cosa necessaria. Possono però venerarvi e questa è la massima felicità per una donna.- disse, prima di congedarmi sbrigativamente.

Non le dissi nulla né, tantomeno, mi inchinai come prevedeva l'etichetta.

Lasciai quella casa, senza voltarmi indietro...sulla carrozza del marchese.

 

 

Il palazzo dei De Guiche era piuttosto antico e risaliva ai tempi della Fronda. Il duca aveva progettato di fare una festa per darmi il benvenuto. La Polignac non vi partecipò e, con la scusa di un mal di testa, mi lasciò da sola in quella dimora, completamente in balia del duca.

Prima di congedarsi completamente da me, mi aveva fatto dono di un abito, comprato, a detta sua, dal marchese in persona.

Si trattava di un vestito con una scollatura generosa, scuro e a tratti volgare.

Non mi piaceva...ma non era la sola cosa che non apprezzavo di quel posto. Tutti gli invitati non facevano altro che soppesare le mie forme, congratulandosi con il duca per aver convinto la contessa a cedermi a lui e per la mia bellezza.

Battute volgari e chiacchiere di velata sufficienza che io ascoltavo in silenzio, forzandomi a mangiare e a mantenere il massimo autocontrollo. Dovevo essere forte, dovevo mantenere i nervi saldi. La Polignac, con quella mossa improvvisa, mi aveva impedito di fuggire come invece desideravo fare...ed ora dovevo pensare al modo per uscire da quella situazione tanto detestabile.

Non ricordo molto delle loro chiacchiere.

L'unica cosa che so è che, al termine della serata ero molto stanca... stanca e arrabbiata.

Camminavo lungo i corridoi, diretta alla mia camera.

Non vedevo l'ora di tornare dentro e mettermi al caldo.

Gli amici del duca erano assolutamente disgustosi...e più ripensavo ai loro velati riferimenti al mio corpo, più la rabbia cresceva. Come era possibile sostenere un simile livello di maleducazione? Con violenza, spalancai la porta della mia camera e, senza curarmi di chiuderla, fissai rabbiosamente il vestito che ancora indossavo.

Non mi piaceva per nulla.

Mi faceva sentire una donna di malaffare...e così, malgrado la preziosità della stoffa, cominciai a strapparlo a brandelli. Non riuscivo a tollerare più quella stoffa, così sporca a mio parere, a diretto contatto con il mio corpo. Ero talmente presa dalla mia occupazione da non badare a nulla...e fu per questo che non potei che sussultare, quando sentii lo scatto della serratura.

Mi voltai.

Il duca De Guiche era entrato nella stanza e, non visto, aveva chiuso la porta a chiave.

-Che cosa ci fate voi qui?- domandai, tentando di frenare l'ansia.

Lo vidi avanzare, con un sorriso che ricordava vagamente quello del nobile che mi aveva scambiato per una prostituta nel vicolo, poco distante dalla mia casa...e, come allora, non mi piaceva per nulla.

Istintivamente arretrai.

-Mademoiselle- fece, fissandomi in modo quasi ferino- sono davvero stupito dai vostri modi. Davvero...non riesco a capire il motivo di una simile agitazione. Siete, a conti fatti, la mia fidanzata e diventerete mia moglie...non avete motivo di aver paura di me.-

Indietreggiai di nuovo.

-State lontano da me!-esclamai.

Per tutta risposta questi rise.

-Davvero, non posso che apprezzare la strenua difesa della vostra virtù...-lasciò cadere, facendo segno di tornare sui suoi passi.

-Ciò nonostante, questa premura è del tutto inutile con me- concluse...e me lo ritrovai addosso, con una mossa così fulminea che non ebbi nemmeno il tempo di razionalizzare. Nemmeno ora mi riesce farlo, forse perché quel momento è così doloroso da spingermi a dimenticarlo, con mezzi più o meno consapevoli.

Posso comunque affermare che ero estremamente lucida in quel momento. Abituata ad avere sotto gli occhi scene del genere, mi dibattei con tutta la forza che avevo, serrando le gambe e facendo il possibile per spingere via quell'individuo.

Questa resistenza da parte mia, comunque, sembrò piacere al duca.

-Me lo aveva detto...la contessa...che voi siete una gatta selvatica...-ansimò, nel tentativo di avere maggior accesso al mio corpo- ma sarà ancora più divertente...mettervi sotto!-

Con una mossa improvvisa, per allentare la mia resistenza presumo, mi afferrò per le spalle, mandandomi a sbattere contro la parete. Il colpo fu piuttosto forte, tanto che non potei non emettere un lamento.

-Lo senti?- mi alitò nell'orecchio De Guiche-Se tu avessi maggiore giudizio, non soffriresti così...anzi potrebbe essere molto piacevole.-

Per tutta risposta, morsi con forza il suo grasso collo, per scacciarlo.

-Stupida donna!- strillò questi e, con la mano, mi diede un violento manrovescio che mi fece perdere l'equilibrio e cadere nei pressi del focolare. -Ti faccio vedere io come ci si deve comportare con un nobile del mio rango, piccola strega!- ringhiò.

Il duca era furibondo e, senza pensarci due volte, mi afferrò per le gambe, per impedirmi di strisciare via.

Ne seguì quindi una nuova colluttazione...e mi domando ancora adesso come accadde ciò che avvenne dopo. Nella caduta, ero riuscita a prendere dal camino poco distante, un ferro che serviva ad attizzare il fuoco. De Guiche, però, non vi prestò attenzione, troppo concentrato a mettere a nudo il mio corpo e ostacolato dalla gonna per vedere le mie mani.

Avevo un'immensa paura...e fu proprio allora che mi venne in mente il viso di Nicole, di Jeanne e di Charlotte. Il pensiero di quest'ultima mi diede la forza necessaria per reagire. Con rabbia e disperazione, colpii alla testa il duca con l'attizzatoio.

Questi mi cadde addosso, tramortito.

 

 

Impiegai alcuni istanti prima di rendermi conto dell'accaduto.

Non avevo mai attaccato una persona in quella maniera e, sebbene non avessi mai avuto pensieri del genere, non provo tuttora nessun rimorso nell'aver compiuto una simile azione. Nessuno, in fondo, aveva mai garantito per la mia virtù e, in quanto donna, nemmeno Nicole avrebbe mai potuto molto per difendere la mia reputazione.

Con uno sforzo non da poco, mi allontanai da quel peso molesto e, una volta in piedi, mi presi qualche momento per riflettere. Avevo avuto una considerevole fortuna, lo ammetto tuttora: il duca, durante il banchetto, aveva bevuto molto vino e questo lo aveva indubbiamente alleggerito di molte remore e fiaccato i riflessi...come spesso vedevo fare dagli sfaccendati che uscivano dalla locanda del quartiere dove avevo vissuto, una volta alzato il gomito.

La situazione in cui mi trovavo in quel momento, tuttavia, non aveva precedenti.

Avevo quasi ucciso quel nobile vizioso...il cuore mi batteva fortissimo in petto e, per un attimo, venni presa dal panico.

E se fosse morto?

E se io fossi stata scoperta?

Non sapevo davvero cosa fare...e potrete ben comprendere il mio sollievo, quando sentii il respiro, gonfio di vino, di quel vecchio.

La mia tranquillità, comunque, durò poco.

Era ormai chiaro che non potevo rimanere lì e dovevo approfittare dello stato di quell'uomo per scappare. Con una freddezza che credevo di non possedere, afferrai i canapé della tenda e legai saldamente le braccia e le gambe di De Guiche. In seguito mi premurai di imbavagliarlo, in modo da guadagnare il tempo per fuggire.

Lui non si mosse mai, non so se stordito dall'alcol o dalla botta in testa.

Una volta fatto, mi allontanai, per guardarlo un momento...e ancora una volta, la rabbia tornò a lambire la ragione. Cosa sarebbe successo se, al suo posto, ci fosse stata una bambina come Charlotte? Cosa avevano provato le cameriere che, malauguratamente, avevano acceso il suo interesse?

Scossi il capo, nel tentativo di ragionare.

Devi scappare, Rosalie! continuavo a ripetermi Non ti è bastato aver provato ad ammazzarlo?

La risposta, però, era sempre la stessa: no.

Non era sufficiente.

Con passo deciso, raggiunsi la secretaire e, dopo aver preso un coltello, usato per aprire le lettere, mi avvicinai di nuovo a lui. Lo guardai a lungo, prima di cominciare a tagliare...ed il coltello affondò, come se fosse burro.

De Guiche non si accorse di niente.

 

Allora, premetto una cosa.

Questo è il terzultimo o il penultimo capitolo della storia. Avrei voluto finire ora ma veniva troppo lunga la cosa ed io non volevo mettere troppa carne al fuoco. Mi avete chiesto perché Rosalie non scappa subito...ed ora avete metà della risposta. Il resto verrà fuori nel prossimo capitolo. Vorrei ringraziare tutti coloro che mi hanno letto. Qui, la protagonista prende congedo dal duca...nel prossimo, ci sarà invece quello con la contessa. Vorrei dire tante cose, soprattutto nel finale ma, francamente, rovinerei la sorpresa. La forma non è che mi soddisfi molto ma non sono molto ferrata nelle scene d'azione per cui...

Vi consiglio, comunque di non smettere di leggere...almeno fino al prossimo capitolo, dove forse metterò la parola FINE.

Vorrei comunque ringraziare le magnifiche 4 che hanno messo la storia nelle preferite e le 7 che hanno messo la fic nelle seguite. Ringrazio inoltre tutte le coraggiose lettrici che hanno avuto il fegato di commentare la mia fatica. Siete davvero molto gentili.

A presto!

cicina

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Capitolo 33
*** Congedo ***


Avendo del tempo, da brava bambina, mi sto apprestando a concludere questa storia. Ammetto, mi fa un certo effetto terminare una storia di questo genere. La fic mi ha dato molte soddisfazioni e, come autrice, non posso che esserne orgogliosa.

Vorrei dire tante cose ma credo che vi lascerò a questo penultimo capitolo.

Come ho già annunciato avrei in cantiere di scrivere il seguito.

Intanto vi lascio a questo ultimo capitolo. Seguirà poi un epilogo.

 

CONGEDO

 

Il vento della notte mi accarezzava il viso, lasciando che i capelli, per una volta sciolti sbattessero sulle spalle nude. La luna illuminava la strada, una scia chiara in mezzo al buio. Una striscia d'argento che conduceva ad un cancello a me, purtroppo, assai familiare. Gli zoccoli del cavallo batterono al suolo, creando un rumore secco che non riusciva tuttavia a rompere la quiete notturna, né il battere furioso del mio cuore.

Guardai per un momento le ampie finestre, rimaste al buio, mentre prendevo la spada che Oscar mi aveva regalato.

La lama riluceva nell'oscurità riproducendo, in modo assolutamente sorprendente, il bagliore che balenava nello sguardo della mia benefattrice, quando duellava con André o con chi la sfidava.

Una fitta di nostalgia mi attraversò il petto. Non volevo pensare a quel momento, non prima di chiudere per sempre quella situazione.

Con un balzo, scesi a terra.

Scalza.

Con gli abiti a brandelli ed il corsetto ormai distrutto.

Fissai ora la cancellata che, nella notte, pareva più alta del solito, ora l'anello che Nicole aveva lasciato, ultimo dono per le sue figlie.

Poi, appoggiai il piede sulla prima pietra.

 

 

Il viso era disteso e rilassato, preda completa dell'abbraccio di Morfeo.

Era completamente sola e non vi erano segni che il giaciglio fosse occupato da altre persone oltre alla contessa. A passo lento e cadenzato raggiunsi il suo materasso, stringendo la lama della spada tra le mani.

Per vari momenti, contemplai la sua quiete, con l'elsa in pugno.

Come era tranquilla e distesa...perfettamente in pace con il mondo.

Sembrava una bambina...come se i bambini, in quanto tali, non potessero essere crudeli nella loro innocenza.

La mia mano calò sulla sua bocca e la contessa, di botto, uscì dal mondo dei sogni.

-Buonasera, contessa di Polignac- esalai.

Lei mi guardò spaesata, prima di farsi prendere dal panico... non appena vide la spada che tenevo in mano.

-Come vedete- feci, notando il suo sguardo- sono armata. Provate solo a chiedere aiuto e vi taglierò la gola.-

A quella minaccia, la dama annuì, tremando per il terrore.

-Che...che cosa volete da me? - balbettò.

Ritirai la lama.

La guardai a lungo.

Aveva gli occhi enormi, spalancati dalla paura.

- Volete oro? Gioielli?- esclamò, in un elenco febbrile di beni che mi dette solo la nausea.

- Mi dispiace contessa- feci- sono qui per motivi ben diversi da quelli che credete. Vengo per dirvi addio. La vita che mi state offrendo non fa per me.-

La Polignac si allontanò di scatto.

D'un tratto, la paura era completamente svanita dal suo volto.

-Non scherzate, Rosalie- disse, allontanandosi da me, senza tuttavia perdere di vista la mia arma.

-Non lo sto facendo, infatti- risposi- a differenza vostra, voglio essere franca. Il mondo che mi avete imposto non fa per me, come vi ho già detto.-

Il viso di Yolande rimase paralizzato, prima di contorcersi in un'espressione di furia. -Non siate ridicola! Come potete rifiutare tutti i benefici che questo lignaggio vi concede? Come potete ignorare tutti i sacrifici che sono stati ottenuti per raggiungere la soglia di un simile traguardo? Come potete mancare di rispetto a me, che vi ho messo al mondo?- disse, severa e indignata allo stesso tempo.

La fissai con indifferenza.

-I vostri sforzi non mi turbano.- risposi - e nascondervi dietro al fatto che mi avete messa al mondo non vi servirà a condurmi dalla vostra parte. Non avete più nulla che possa legare la mia vita alla vostra...ed il legame di sangue a cui vi state tanto attaccando e assai più falso di quello che avete affermato di nutrire per Charlotte.-

La dama fece per scagliarsi contro ma si calmò subito, quando la lama accarezzò il suo collo di cigno.

- L'unica cosa di cui vi sono davvero grata è stata quella di affidarmi a quella santa donna che era la povera Nicole Lammorliere. Lei è la sola persona che posso riconoscere come madre, anche se la nostra parentela è spirituale e non di sangue. - dissi - Voglio che sappiate che io non vi riconosco degna di questo titolo. Voi non siete all'altezza di un simile compito...perché semplicemente non sapete farlo. Potrete pure essere una gran dama...ma non possedete altre virtù, posso garantirvelo...e non c'è da meravigliarsi se poi Charlotte ha fatto la fine che ha fatto.-

Il respiro della Polignac si fece affannoso.

La mano tremava. Forse mi avrebbe addirittura schiaffeggiato, se la spada, a bella vista, non le avesse ricordato di essere in una posizione per nulla favorevole. 

-Vorreste picchiarmi, non è vero?- dissi,  sorridendo triste- Posso capirvi. In questo modo, non dovreste ammettere di aver venduto vostra figlia ad un degenerato, senza alcuna dignità. Già me lo immagino. Di certo, non avete per nulla sentito il suo pianto...e nemmeno la disperazione per l'ovvia bestemmia di un simile matrimonio. Voi non sbagliate niente...ma ora Charlotte giace sotto terra...e questo non potete negarlo.-

Lei tremò.

-Per quanto ancora vorrete rinfacciarmelo?- ribatté - Charlotte è morta in un incidente.-

Scossi il capo.

-Charlotte si è suicidata. Ha preferito la dannazione eterna ad un'esistenza che, se da un lato avrebbe portato vantaggi alla vostra famiglia, avrebbe portato una vita che non meritava di essere vissuta. Contessa, se davvero amavate tanto vostra figlia, perché avete preferito prometterla in sposa ad un uomo che prova piacere nello stuprare le ragazzine invece di scegliere un gentiluomo che avrebbe saputo rispettarla? Potevate approfittare della posizione ottenuta con la regina per darle un matrimonio soddisfacente che voi, per quel che ne so, non avete mai avuto...e invece avete pensato solo a voi stessa.- dissi dura.

La Polignac mi guardò. Gli occhi sembravano fiammeggiare nel buio di quella notte. -Sono venuta per dirvi che non sposerò De Guiche...né ora, né mai.- conclusi, mettendomi in piedi.

Un lampo d'ira attraversò il viso della contessa.

-Voi non avete nessuna autorità nei miei confronti...e nemmeno il nome dei Polignac è abbastanza convincente per spingermi a immolare la mia vita per voi.- dissi- Per questa ragione, vi dico addio.-

Feci per andarmene, quando una risata attirò nuovamente la mia attenzione.

Mi voltai di scatto.

La contessa mi stava fissando, con aria derisoria. -Non siate ridicola- disse- Voi, Rosalie, sporca pezzente, non siete alla mia altezza e nemmeno nelle condizioni di opporvi a me.-

Non risposi.

-Avete dimenticato che potrei infamare la vostra beniamina? Oppure che potrei fare uccidere la vostra Jeanne, con un minimo cenno della mano?- domandò tronfia.

Mi avvicinai di nuovo.

-La vostra superbia è senza eguali- dissi- e mi fate pena. Non avete più niente con cui ferirmi. Ho perso entrambe le sorelle che possedevo...per colpa della vacuità dei nobili...e ho perso la donna che amavo sopra ogni cosa, la mia vera madre, per colpa di una femmina senza arte né parte che, dopo essersi sbarazzata di me, distrugge il mio mondo e pretende di usarmi...come ha fatto con i figli legittimi.-

Senza rendermene conto, avevo avvicinato la spada al volto della contessa...e questo non era sfuggito alla Polignac. -Volete uccidere me, la prima dama di compagnia di Sua Maestà?...Ma sì, in fondo voi siete venuta per questo. Tante belle parole...ma la verità è che volete vendicarvi...Avanti, fatelo! Fatemi vedere cosa sapete fare!- mi sfidò.

 

Ben volentieri, caro lettore, avrei stroncato quella vita malata...ma in quel momento, dopo tutto il dolore sofferto, mi rendevo conto che una simile azione non avrebbe portato a nulla e che, in fondo, la morte era ciò che lei voleva.

Un modo distorto, per infliggermi il peso di un rimorso futuro...ma non conosceva affatto la mia indole, non completamente.

-No- dissi- non voglio mischiarmi a voi nobili...e, di certo, non diventerò un'assassina come voi. Io ho ricevuto un insegnamento ben più duro, votato ad un'onestà ad oltranza. Non posso essere come voi, come una volgare mezzana che vende le proprie figlie al miglior offerente. Io non temo la miseria...non l'ho mai fatto. A differenza vostra, che avete temuto la povertà senza conoscerla, io ho avuto modo di sperimentarla...e non la temo. Voi, invece, vi siete chiusa nella vostra bella gabbia dorata, vi siete circondata di cose belle, sacrificando i vostri balocchi quando avevate il timore di poter uscire dalla vostra prigione. Non esiste nient'altro oltre a voi stessa e questo vi consente di poter sacrificare anche i parenti senza battere ciglio.-

Scossi il capo.

-Mi fate davvero pena...e forse l'unica cosa che davvero posso perdonarvi è il fatto che, grazie al vostro egoismo mi avete dato una vera madre.- feci, prima di raggiungere la finestra- Quanto a Oscar, non azzardatevi più a tirarla dentro i vostri giochetti...o non ci metto niente a concludere quello che non ho finito ora. Al contrario di voi, io non ho nulla da perdere. Addio.-

Non udii alcuna risposta...e, senza degnarla di uno sguardo, saltai giù.

 

 

La via era ancora deserta e, solitaria, mi limitavo a condurre, tenendolo per le briglie, lo stallone che avevo rubato al duca. La testa era completamente sgombra di ogni pensiero. Non ero né triste, né arrabbiata.

Semplicemente vuota.

Non sentivo nemmeno il freddo di quella notte morente che soffiava dentro gli strappi dell'abito che ancora portavo.

Proprio mentre mi incamminavo lungo la strada, vidi una carrozza immobile.

Subito mi accigliai.

Possibile che mi abbiano già scoperta?mi chiesi, mentre l'ansia prendeva possesso di me.

Lo sportello si aprì e fece la sua comparsa il conte di Polignac.

-Ciao Rosalie- disse pacato- avete fatto ciò che sentivate di fare?-

Lo guardai...ma subito mi ritrovai a chinare il capo.

L'espressione rilassata di lui rendeva per me impossibile sostenerne il peso...e le emozioni provate quel giorno piovvero improvvise su di me.

-Non lo so- risposi, tremando.

Jules chiuse gli occhi.

-Rosalie- fece- vorreste venire nella casa che possiedo a Parigi? Vivo insieme ad Isabelle e lei avrebbe piacere di averti un po' con lei. Seguitemi. Vi riposerete e poi deciderete sul da farsi.-

A quell'invito, non potei dire di no.

Il mio vestito era completamente strappato e andarmene in giro così era sconveniente e pericoloso...impossibile rifiutare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La casa del conte, un acquisto assai recente, era bella e confortevole. Jules l'aveva intestata a Isabelle, con la quale viveva come se fosse sua moglie. Avevo previsto di  rimanervi qualche ora, per poi andarmene...ma non avevo tenuto conto che, dopo gli spaventi e le emozioni prese, avevo preso una brutta febbriciattola.

E'colpa della stanchezza aveva commentato il medico, chiamato urgentemente da Isabelle.

Per questo motivo, passai alcune settimane nella sua abitazione.

Isabelle e Jules mi fecero compagnia in ogni singolo momento della giornata, conversando con me. Erano una coppia molto affiatata e quello che davvero mi fece piacere fu la silenziosa complicità che li legava.

Durante questa permanenza, venni a sapere della storia di mio padre. La zia provò in ogni modo a farne un ritratto lusinghiero ma non era difficile notare, dalle sue esitazioni, che non era molto semplice. Persino per lei, che era sua sorella, era difficile farne un'immagine positiva e dalle sue parole riuscii a capire il motivo per cui Nicole ne parlava sempre in termini molto vaghi e perché fosse così dura verso Jeanne.

Da quello che avevo capito, era un nobile che, malgrado le naturali qualità e l'attuale condizione avversa, non era mai riuscito ad adattarsi alla perdita del suo benessere di aristocratico. Malgrado il suo matrimonio d'amore, aveva finito con il disprezzare la mia madre adottiva e, dopo aver sedotto per una scommessa una giovane della piccola aristocrazia, aveva lasciato la famiglia, per poi essere ucciso dai parenti della fanciulla disonorata.

La vittima di tutto questo, altri non era che Martine Gabrielle de Pollastrion, ovvero la contessa di Polignac.

Il racconto di Isabelle mi spinse a rivalutare molte cose e la posizione dei personaggi della storia. Il mio affetto e stima per Nicole crebbero ulteriormente...e, per una ragione che tuttora ignoro, finii con l'essere un po'meno dura con la contessa, benché non perdonassi affatto le sue azioni.

Isabelle chiesi, alla fine della storia qualcuno, una volta, mi disse che non si può odiare la propria madre...io non riesco a farlo.

Lei mi guardò sorpresa.

Le avevo raccontato tutte le mie peripezie, compreso l'incontro con Madamigella.

Chi vi ha detto questo è una persona molto saggia...ma non dovete dimenticare che siete una creatura della stirpe degli uomini. La ragione ed i sentimenti non vanno di pari passo. La contessa non ha mai saputo come fare la madre...non fa parte della sua educazione. Ciò nonostante, ha fatto l'unica cosa giusta nei vostri confronti...ovvero darvi ad una vera madre. Se lo è potuta permettere perché non aveva altre vie...forse, una volta sposata, questo genere di cose non sarebbe mai accaduto. Grazie al suo egoismo, voi avete avuto una madre che vi ha amato come e forse più della sua figlia di sangue.

A quel pensiero, inarcai la fronte.

Nicole ha amato Jeanne e me allo stesso identico modo obiettai. Per quanti sforzi facessi, Lammorliere aveva usato le stesse maniere con entrambe.

Non è così disse la donna ricordate che siete una trovatella, nonché figlia di un tradimento. Nicole ha forzato il proprio orgoglio di moglie per potervi amare come madre e, di conseguenza, proprio perché ha distrutto questo amor proprio, ha usato per voi una misura d'amore maggiore.

Quelle parole mi fecero riflettere molto...e, tuttora, quando mi trovo a cader vittima del pregiudizio, ripenso a quella chiacchierata. Non avevo mai affrontato quel genere di argomenti con qualcuno e mi sorprende pure adesso la facilità con cui ne ho parlato con mia zia, una donna che, peraltro, conoscevo davvero molto poco.

Non so perché lo feci...forse, era colpa del prolungato silenzio che avevo tenuto per così tanto tempo, chissà.

In seguito, parlai molte altre volte con Isabelle, soprattutto durante la mia convalescenza...e lo stesso valse per il conte.

 

 

Davvero curioso che in una simile situazione d'isolamento, abbia creato dei legami tanto pacifici. Questa fu, senza dubbio, una delle impreviste conseguenze piacevoli della mia esperienza.

 

Sì, stavolta, posso dare la notizia ufficiale. Questo è il penultimo capitolo, dove, in qualche modo, si tirano le somme delle considerazioni di Rosalie. Non so quanto potrà essere necessaria la cosa...comunque, il pezzo forte, a mio parere, è quello dell'incontro tra la protagonista e la contessa.

Rosalie poteva pure scappare ma ha voluto togliersi un sassolino dalla scarpa...e terrorizzare la fautrice di tutte le sue rogne era una delle soddisfazioni che voleva avere e, se vogliamo, anche un modo per allontanarla in maniera definitiva.

Ringrazio tutti coloro che mi hanno letto.

Presto avrete il tanto sospirato epilogo.

cicina

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Capitolo 34
*** Epilogo ***


 

EPILOGO

 

Due settimane dopo

 

La colazione era una delle poche cose buone che avevo appreso dal mondo dei nobili. Quando vivevo con Nicole, si trattava di un momento che si riduceva spesso ad uno spuntino veloce, che dava il minimo di forze necessario per cominciare la giornata.

Ora, invece, dopo aver vissuto nel benessere, ne avevo compreso tutti i benefici.

Me ne stavo tranquilla nel salotto della dimora del conte e di Isabelle, assaggiando i vari manicaretti della cuoca ed occhieggiando distrattamente il tempo fuori dalla finestra. Il conte mi faceva compagnia, leggendo un giornale.

E'una novità di questi letterati...un po'di cultura non guasta mai aveva detto, per spiegare il suo gesto.

-Avete saputo l'ultima novità?- fece questi, mentre sfogliava le proprie pagine.

-No- risposi, mentre addentavo un croissant intriso di marmellata.

Jules aveva un sorriso ampio, sintomo di un divertimento che ancora non aveva metabolizzato del tutto...e doveva essere qualcosa di decisamente buffo, vista la sua natura controllata.

-Si tratta solo di una voce...sia chiaro...però- disse con fatica, come se avesse tra i denti qualcosa che gli impediva di trattenere dentro la propria ilarità.

Inarcai la fronte.

-Parlatemene allora- lo esortai, mentre bevevo il latte.

Jules si fermò, mordendosi le labbra.

-Si tratta del duca De Guiche.- fece, cominciando a parlarne con tono fintamente disinteressato- Una voce di corridoio, sia chiaro ma, come avrete capito, queste dicerie sono le cose che viaggiano più velocemente nel mondo dei nobili. Dicono che le cameriere hanno trovato il duca, un tale distinto gentiluomo, nudo in una camera, imbavagliato e legato come un salame...-

Il latte mi andò di traverso e, per poco, non mi strozzai.

- Voi ne sapete nulla?- chiese il conte, con aria imperturbabile.

Tossii violentemente per alcuni minuti.

Il viso di Jules, però, rimase pacato. Solo una scintilla tradiva il divertimento che, in realtà, provava...e questo mi fece arrabbiare.

-Cosa dovevo fare?- domandai, appoggiando la tazza a terra- Quel...Quel...Quell'uomo voleva abusare di me...che altra soluzione avevo? Dovevo per caso suicidarmi?-

Il conte si fece improvvisamente terreo ed io, rendendomi conto delle parole dette, mi misi una mano sulla bocca...e sperai non aver mai pronunciato tutto questo.

Il viso dell'uomo divenne una maschera di dolore.

In un attimo, l'atmosfera allegra venne spazzata via, con una facilità quasi spaventosa.

-La morte di Charlotte è qualcosa su cui dovrò continuamente fare i conti. Questo lo so bene. La mia colpa è stata quella di non essermi opposto alla sfrenata ambizione della donna che ho sposato. Quando fui costretto a prendere Yolande, ebbi molta pena della sua sorte, soprattutto perché era più giovane di me di almeno dieci anni. A molti, questo particolare può piacere...ma non a me. Non amo possedere le bambine...e, per me, lei lo era. Sapevo che non era felice, come non lo ero io. Le ho lasciato fare tutto quello che voleva...ed ho sbagliato. - disse.

Improvvisamente, si portò le mani sui capelli.

-Quel fidanzamento snaturato era opera sua. Non mi ha mai detto niente ed ha costruito tutto mentre ero lontano. Quando l'ho saputo, era già troppo tardi. Ho chiesto il divorzio subito dopo. Aveva usato Charlotte come una bambola...nemmeno fosse un giocattolo! Non ce la facevo più a tollerare quella farsae mi dispiace avervi abbandonato alla sua mercé. Ho fatto tutto quello che potevo...ma quando mi sono accorto del mio sbaglio, lei aveva assunto il comando della famiglia. Il nostro attuale benessere dipendeva tutto da lei ed io non potevo oppormi.- concluse tormentato.

Non gli dissi nessuna parola di conforto. 

In tutta quella storia, non era completamente innocente e lui lo sapeva.

Aveva il potere di evitare alla figlia un simile supplizio...e non aveva fatto nulla. Quello che era stato, comunque, sarebbe rimasta per lui, che le aveva voluto un po'di bene, una pena abbastanza pesante ed io non me la sentii di rivangarci sopra, più di quanto non avessi fatto.

-Ho deciso di andarmene, conte- dissi allora, spezzando il silenzio che aveva seguito quella confessione.

Jules mi guardò sorpreso.

-Vi sono davvero grata per tutto quello che avete fatto per me. Per avermi sciolto dall'inganno della Polignac e per avermi ospitata. Questo, però, non è il posto che fa per me. Io sono abituata a lavorare, a impegnarmi giorno per giorno, mantenendomi senza l'appoggio di nessuno. La vita che ho condotto in questi mesi, per quanto bella, non è ciò che mi ha insegnato colei che, a prescindere dal sangue che scorre nelle mie vene, è mia madre.- spiegai.

Il conte annuì.

-Conoscevo Nicole. Era una donna molto bella e forte...assai diversa dal mio amico. Ancora adesso mi chiedo come sia riuscito a sposarla.- disse, scuotendo il capo.

Posai la tazza.

-Va bene, Rosalie. Se è questo che desideri, vai pure...ma riferisci questo a Isabelle. Dopo che tuo padre ha dilapidato le poche ricchezze che avevano, non ha più avuto vostre notizie e non sarebbe giusto tagliare anche questo legame. Lei non lo merita.- fece.

A quella richiesta, dovetti cedere.

 

 

 

Isabelle fu estremamente comprensiva.

Ascoltò tutte le mie ragioni, senza obiettare. Sei una donna indipendente Rosalie. Non hai bisogno di un buon matrimonio per sopravvivere. Vai dove desideri. Cerca almeno di rimanere in contatto con noi però. Sei pur sempre mia nipote. aveva detto.

Accettai senza fare una piega.

Mi aveva aiutato molto...e non parlo solo del soccorso che avevo ricevuto dopo l'ultima visita che avevo fatto alla contessa.

Avevo sviluppato una considerevole precisione nel cucito e, molto probabilmente, avrei lavorato in qualche atelier...ma l'idea di andare dalla Bertin non mi entusiasmava molto. Temevo infatti di essere riconosciuta.

Fu mia zia a risolvere il problema.

In quegli anni, aveva allacciato molte amicizie con le compagnie teatrali di Parigi, legando particolarmente con la moglie e la figlia del proprietario dell'Opera. Era una donna estremamente colta, tanto da aver partecipato a numerosi salotti.

Casualmente, una sarta si era licenziata. A quanto ne sapevo, suo marito aveva trovato lavoro a Lione e perciò, aveva deciso di trasferirsi là con tutta la famiglia.

Isabelle fece il mio nome e, dopo essere stata messa alla prova, ottenni il posto.

Aveva una buona paga ed era molto gratificante.

Con quegli strumenti, potevo rimettere in piedi la mia vita.

 

 

Se dovessi dare un bilancio di questa mia esperienza, potrei dire che, al di là del dolore ricevuto, ho appreso anche del bene.

Nicole mi ha insegnato ad essere onesta, indipendente, ad avere rispetto per me stessa.

Jeanne a mettere in campo ogni mia risorsa per realizzare i miei sogni.

Madamigella Oscar e la sua famiglia mi hanno mostrato che potevo valere molto più di quanto credevo...grazie alla cultura.

Anche la Polignac mi ha insegnato qualcosa, strano ma vero.

Ho imparato che l'essere madre ha dei limiti e che non tutti sono adatti al ruolo, che non sempre una madre può essere una buona moglie ed una moglie una buona madre. Ho capito che occorre una certa elasticità per poter decidere a chi rivolgere i propri sentimenti e che il sangue e l'amore non vanno sempre a braccetto.

Forse tutto questo mi ha reso una donna forte, meno insignificante di prima.

Non lo so.

Questo è solo un bilancio provvisorio.

Quello vero, definitivo, potrò permettermelo solo alla fine di questa avventura, chiamata vita.

 

FINE

 

L'epilogo è scritto molto alla svelta e scioglie gli ultimi nodi. Rosalie prende congedo dal conte e, alla fine, si scopre che cosa è successo al vecchio maniaco.

Prende poi le somme di tutta la sua esperienza e, a conti fatti, questa è la conclusione. Probabilmente, scriverò un seguito tra Rosalie e Bernard ma devo ancora pensarci.

Spero che non sia tirato troppo via.

Ed ora, passiamo ai ringraziamenti.

Un grazie va a tutti coloro che mi hanno letta, alle lettrici che mi hanno recensita, a

1 - Anthemys_a [Contatta]

2 - garakame [Contatta]

3 - Jaden96 [Contatta]

4 - Red Dark Angel [Contatta]

per avermi messo tra le preferite

e

1 - arcadia5 [Contatta]

2 - arorua78 [Contatta]

3 - Jaden96 [Contatta]

4 - Julia98 [Contatta]

5 - Red Dark Angel [Contatta]

6 - serelalla [Contatta]

7 - tamakisskiss [Contatta]

8 - tatalex [Contatta]

9 - Tetide [Contatta]

che mi hanno inserito nelle seguite.

Vi sono davvero molto grata e riconoscente per avermi letto ed aver apprezzato questa storia che, con emozione, dichiaro conclusa. Un saluto e a presto

cicina

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