A Volte quello che ti Serve nella Vita è una Pistola e un Mascara Waterproof

di Walpurgisnacht
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** E il fratellino Giuseppino... ***
Capitolo 2: *** Michele lo Sgorbio saltella, complotta e si fa spaventare a morte da un prete killer ***
Capitolo 3: *** Quanto amore ha l'ursino omaccione per il suo piccolo sgorbio ***
Capitolo 4: *** Ma è mafia o una riunione di freak? ***
Capitolo 5: *** Come mi diverte trasformare una chiesa in un mattatoio ***
Capitolo 6: *** Dunque. Prendiamo un po' di kawaii, un tocco di psicopatia e un pizzico di sovrannaturale... ***
Capitolo 7: *** Apocalisse? Ma per piacere, non ci piacciono le cose per i bambini ***
Capitolo 8: *** Ed ecco il bizzarro che galoppa gaio per queste lande ***
Capitolo 9: *** Giochiamo a fare lo scienziato matto? ***



Capitolo 1
*** E il fratellino Giuseppino... ***


Giuseppino sudava. Era riuscito, per puro miracolo, a tornare a casa senza che nessuno... facesse quel che non doveva fare.
Stava appoggiato al muro, appena entrato nell'ingresso del suo appartamento. Respirava a fatica. Era stata un'impresa che non avrebbe mai potuto ripetere in mille altri tentativi. Una cosa sovraumana, per certi versi.
Si asciugò la fronte imperlata, badando bene a non allontanarsi più del dovuto dalla parete. C'era ancora pericolo, nonostante tutto. Non abitava da solo, ahilui.
"C'è qualcuno?" urlò per cercare una conferma sull'eventuale presenza di altre persone. Alla mancata risposta tirò un breve sospiro di sollievo. Forse era salvo, almeno per il momento.
Si staccò con lentezza dal muro. Ebbe l'idea di andare a versarsi qualcosa da bere. In caso di culo insperato c'era ancora della birra in frigo.
"Giuseppino! Sei tornato!" disse una voce alle sue spalle.
Lui rabbrividì.
Era Michele.
Giuseppino si voltò, scostandosi i ricci dagli occhi. Ancora lui no. Fu tentato di ignorarlo, ma Michele gli si avvicinò ancheggiando. Era sempre così Michele. Si riempiva le labbra di rossetto e si piastrava i capelli Dio sapeva perché, ma non riusciva mai a nascondere le spalle larghe.
"Che diavolo vuoi?" gli chiese Giuseppino ancora senza fiato.
Michele gli sorrise.
"Soldi. La mamma non mi rifornisce più."
Inultandolo mentalmente, Giuseppino tirò fuori dal portafogli una banconota da cinque euro, chinandosi in basso per porgerla al fratello.
"Che ti bastino." lo rimproverò.
Stupido nano effemminato.
"Ma levati dalle palle, in fretta" proseguì, concitato.
Il suo dolce fratello, però, si trovò incuriosito dall'irritazione e dall'ansia che trasparivano chiare dalla figura non troppo muscolosa di Giuseppino.
Non che fosse mai stato un modello di sicurezza e baldanza, per capirsi. Ma un conto è il suo solito atteggiamento, forse non carismatico e da figo ma comunque sempre sufficientemente tranquillo e deciso, e un conto... questo.
Gli pareva, anzi, di vederlo tremare.
"Qualcosa non va? Stai male?" gli chiese, un po' preoccupato e tanto voglioso di sfotterlo.
"Non sono cazzi tuoi. Smamma, sgorbio" rispose quello di rimando.
E vabbe', si disse Michele. Fatti suoi.
Quando lo superò per dirigersi al bagno, però, notò una cosa davvero... strana.
Inclinò il capo, sfiorandosi con il dito le labbra sporche di rossetto.
Dal basso del suo metro e dieci centimetri riusciva a vedere chiaramente i jens di Giuseppino imbrattati di una sostanza scura -olio?
...sangue? Naa, impossibile. Era Giuseppino, quello dal nome tanto carino che andava ancora a trovare il nonnino.
Rise tra sé per la battuta, avvicinandosi. Il fratello stava per chiudere la porta quando Michele la bloccò con il piede, avvicinando il viso alle gambe dell'altro.
Erba. E sangue. Trattenne il respiro. Giuseppino?!
Giuseppino non ebbe il minimo dubbio: sferrò un diretto sul volto del fratello. Quello, colto completamente di sorpresa dall'azione che mai e poi mai si sarebbe aspettato da quel pezzo di pane, non riuscì neanche a far finta di ripararsi.
Ci fu un *crack* che rieccheggiò per l'intero ingresso.
Un piccolo corpo che rotolò all'indietro.
Una faccia da pazzo omicida:
"Cristo! Che male! Cazzo fai, demente?" urlò Michele. Si tastò il naso e lo sentì... accartocciato.
Glielo doveva aver rotto con quello sgnassone.
"Ti avevo detto di farti i cazzi tuoi, sgorbio!" rispose ancora più forte. "Quando imparerai a non ficcare il naso dove non devi sarà sempre troppo tardi! Vai a succhiare il latte da mamma, và!".
E se andò sbattendo la porta, lasciando un Michele esterefatto e col naso a pezzi lì per terra, come se fosse l'ultimo dei pezzenti.
Si liberò del corsetto di pelle, asciugandosi le labbra lucide di rossetto sul polso. Giuseppino voleva la guera?
L'avrebbe avuta.
Marciò sui tacchi a spillo fino alla sua camera, liberandosi delle scarpe con malagrazia. Queste finirono a terra, vicino all'armadio. Michele non si accucciò nemmeno per raggiungere lo scomparto segreto del comodino vicino al letto.
Dietro al mobiletto, appoggiato alla parete. Solo lui sapeva della sua esistenza.
Infilò una mano dentro al cassetto, scostando appena il comodino per farcela.
Le sue dita si strinsero attorno al metallo freddo, le sopracciglia contratte, i denti stretti.
Giuseppino si sarebbe rimesso in riga, sissignore.
Dov'è finito quel sacco di merda? Dov'è finito? Gli pianto il coltello in mezzo agli occhi. Questo e altri pensieri simili, non riportabili in nessuna sede, attraversavano la mente di Michele e le stanze di casa loro.
In grandi falcate fece sopralluoghi un po' ovunque, aprendo ogni volta la porta con un calcio. Non si curava del dolore al naso, troppo preso dalla voglia di appendere il fratello a testa giù con la gola tagliata fuori dal terrazzo.
Quando finalmente lo trovò, in cucina a bere una birra appena tirata fuori dal frigo, gli si avventò addosso senza neanche il tempo di dire "bah".
Sapeva che in un confronto diretto la sua costituzione minuta, a voler esser gentili, non gli avrebbe dato scampo. Pertanto cercò di buttarla sulla velocità e cercò in un paio di occasioni di aprirgli la giugulare.
Purtroppo per lui non ebbe successo. Un calcio in pancia lo allontanò di un paio di metri e diede a Giuseppino il tempo di estrarre qualcosa da sotto la giacca.
Una pistola. Che ora lo guardava chiedendogli "sei tu quello che devo ammazzare, adesso?".
Un nano con un coltello ed un ventenne sfigato con una pistola in mano.
Michele era fritto. Sollevò subito le mani, senza mollare il coltello.
"Ehi..." provò con tono amichevole, tentando un sorriso.
Giuseppino non mosse un muscolo, l'espressione identica a quella di prima.
"Dai, metti giù la pistola." riprovò Michele, allentando la presa al coltello.
Le dita erano pronte a stringerlo ancora, le ginocchia flesse in caso avesse bisogno di gettarsi di lato.
Una pistola. Come aveva fatto Giuseppino ad ottenere una roba del genere?
"Hai tentato di sgozzarmi, nano del cazzo." notò l'altro, il tono di voce piatto.
Non si era mosso, non aveva nemmeno accennato ad un ghigno, nulla. Sembrava una marionetta, una di quelle stupide bambole assassine che si vedevano nei film.
Michele si ricordò del sangue sui jeans del fratello.
Possibile...? Non l'aveva mai visto così.
"Era uno scherzo." tentò di sorridere, sforzando i muscoli delle guance.
"Muori."
*BANG*
Il muro accanto a Michele prese a fumare dal nuovo buco che vi era appena stato creato. Il nano poteva sentirne chiaramente il calore. "Che... che..." balbettò, spaventato come non lo era mai stato in vita sua.
Giuseppino sbuffò, uno sbuffo rassegnato e un po' mesto: Mentre abbassava la pistola mormorò qualcosa su come fosse troppo buono di cuore.
Buono di cuore? L'aveva quasi ammazzato, per Diana!
Ripose l'arma nella fodera. Si sistemò alla bell'e meglio i capelli, rifiatò due secondi e poi si rivolse al fratello, lo sguardo di ghiaccio: "Ascoltami bene, sgorbio: quel che è successo oggi non deve uscire dal recinto che ho appena tracciato. Qualunque cosa tu possa aver visto, o pensi di aver visto, non è accaduta. I pantaloni che sto indossando in questo momento verranno bruciati. Se becco mamma, papà o qualunque altro essere umano fare mezzo accenno su questa cosa ti butto ai cani. Mi sono spiegato?".
Michele si gettò a terra e scoppiò a piangere, giurando e spergiurando che avrebbe tenuto la bocca chiusa.
Suo fratello era un fottuto assassino.

*due giorni dopo*
Aggrottò le labbra, avvicinandole allo specchio.
Pescò dal comodino un rossetto scarlatto e lo stappò, passando con il pennellino la sostanza cremosa.
Quando fu soddisfatto dell'opera, Michele si guardò negli occhi.
"Tuo fartello è un assassino e tu sei il suo complice" si disse guardando le sue iridi di un banale marrone.
Stringendo le labbra tornò al trucco, strizzato nelle calze a rete con gli autoreggenti in pizzo nero.
Il mascara era già aperto davanti allo specchio ovale -lo afferrò, chiudendo un occhio.
"Tuo fratello è un fottuto assassino, tu sei il suo complice e hai paura dell'INferno."
Non ci aveva mai nemmeno pensato. L'inferno. Dio.
La sua vita era sempre stata tranquilla, tra un club ed una discoteca, fenomeno da baraccone per tutti gli spettacoli gay della zona.
L'aveva accettato -era il suo punto di forza. La gente lo amava per quello.
Non aveva mai pensato a Dio, al Diavolo o altre porcate religiose del genere.
Eppure adesso... "Finirò all'Inferno per questo? Se non racconterò alla Polizia quello che è successo sarò dannato per sempre?"
E sapeva che quello era un comportamento da ipocrita -pensava a Dio e angeli solo nel momento del bisogno.
Esatto, era così.
Aveva bisogno di parlarne con qualcuno.
Si ricordò all'improvviso della serie sui frati con Greggio. Ma certo, i preti avevano l'obbligo del segreto, anche con la Polizia.
Doveva raccontare tutto quello a qualcuno e salvarsi.
Aveva trovato come fare.
Sì, ma... sapeva dov'era la chiesa? Era talmente tagliato fuori da quello stile di vita che non si era mai interessato neanche di striscio di cose tanto banali.
Avrebbe dovuto chiedere. O girare alla cieca come un cretino finché non ci fosse capitato davanti per sbaglio. Che palle.
"Vabbe', poteva andarmi peggio" mormorò a mezza voce. Per precauzione. Si era trovato spesso, negli ultimi giorni, a buttar lì frasi interrotte a metà e a controllare cosa dire e come dire. E questo non gli piaceva, per niente. Era sempre stato un dandy senza peli sulla lingua, sentirsi costipato in questo modo lo maldisponeva parecchio.
Oh beh. Andiamo a vedere se qualcuno degli elementi del Mikonos Fun ha idea di dove possa dirigermi.
Uscì di casa con passo svelto. Era tutto il giorno che non vedeva Giuseppino e da quando avevano questo segreto i loro rapporti si erano raffreddati in maniera esponenziale. Solo brutti sguardi e continui segnali codici per ricordargli che doveva starsene buono buono e non tentare colpi di testa strani.
Giunse, dopo una breve camminata, di fronte al suo solito bar. Vedeva gente entrarvi ed uscirvi, alcune facce note e altre sconosciute.
"Ehi, Kevin!" disse per richiamare l'attenzione di uno dei suoi più vecchi e cari amici.
Kevin era uno di quegli uomini che non sembravano invecchiare mai. Nonostante i vent'anni suonati ne dimostrava sì e no quindici, quindi era particolarmente indicato per attirare i clienti più maturi e con esigenze particolari.
"Ehi, Miché" lo salutò questo. Si era tagliato ancora i capelli biondi, sistemandoli con il gel. Sembrava ancora più giovane.
Michele sollevò il braccio per battergli il cinque. Nonostante i tacchi vertiginosi non superava il metro e cinquanta.
"Come va?" gli chiese Kevin.
Lui prese un respiro profondo prima di sfoderare il suo miglior sorriso.
"Tutto bene. Entriamo? Ho bisogno di chiederti una cosa."
*
"Ahahah!" Kevin stava ridendo a crepapelle, il bicchiere di birra quasi vuoto, la schiuma bianca che gli colava dal mento.
Michele lo guardò storto, rimproverandosi mentalmente.
Beh, sì, la delicatezza non era mai stata il suo forte.
"Non sai dov'è la chiesa? Miché, ce ne sono quattro!" singhiozzò Kevin riprendendo a ridere.
Non credeva nella sua conversione improvvisa evidentemente.
Tzk.
"Paghi tu." Michele scese con attenzione dalla sedia, poggiando prima le punte dei piedi strette nelle scarpe di vernice nera, poi mollando i braccioli della sedia.
Si allontanò sculettando, deciso a trovare una benedetta chiesa, confessarsi e scaricare tutta l'ansia che lo attanagliava ad un prete che gli avregbbe dato certamente della "creatura infernale, sodomita" e altri deliziosi epiteti.
Finalmente, dopo un'estenuante ricerca e grazie alle indicazioni del suo caro socio, trovò ciò che cercava: una bella chiesa gotica.
Si fermò un istante prima di entrarvi. Non si era mai, mai reso conto di quanto un simile edificio potesse incutere stupore in chi lo guardava. Risplendeva di luce in ogni angolo, le alte guglie lo guardavano severe forti del tempo che era dalla loro parte e un senso di maestosità, austera ma giusta, gli arrivava forte sul viso.
Si massaggiò il naso, fasciato un po' a caso e che non aveva smesso di dargli noie da quando Giuseppino gliel'aveva fracassato. Sarebbe stata ben più dura di un mucchio di cartilagine e ossa sfasciate.
Mise piede dentro. Il luogo, con le sue belle panche di legno tutte allineate ordinatamente, sembrava deserto.
'Sticazzi, pensò. Non sono qui per vedere il pubblico pagante.
Cercò la zona per le confessioni. Ebbe un po' di difficoltà a trovarla ma, finalmente, si trovò seduto dentro questo cubicolo non troppo accogliente.
"Padre" cominciò incerto "devo... confessarmi".
Nessuno rispose. Eppure la porta era chiusa.
"Padre?" chiamò incerto.
Oh, perfetto. Non solo si era girato mezza città con il caldo, ora il prete aveva pure voglia di scherzare.
Fece per andarsene quando sentì dei rumori: ok, il padre c'era davvero.
Lo chiamò di nuovo, il tono tornato ansioso.
In risposta qualcosa sfregò contro la grata metallica che separava i due. Inclinò il capo per controllare e intravide la canna di una pistola.
"Quella puttana di tua madre"
"Cosa ti era stato detto, sgorbio? Non dovevi farne parola ad anima viva". Un cazzotto gli avrebbe fatto meno male.
"Ma... ma... ma..." fu tutto quello che riusciva a dire. Il suo cervello si era scollegato e stava facendo i bagni termali, probabilmente. Stronzo, trovò la lucidità di pensare.
"Vieni fuori, và. Dobbiamo fare una chiacchierata".
Un momento. Riacquistò abbastanza facoltà intelletive da riconoscere quella voce come non appartente a Giuseppino.
E allora chi cazzo poteva mai essere?
"Vuoi uscire, sacchetto di merda? L'idea non mi entusiasma ma non mi farei problemi ad ammazzarti qui".
"Arrivo, arrivo!" rispose trafelato e uscì dalla cabina di confessione. Senza neanche pensarci si voltò alla sua sinistra per vedere chi era il gentiluomo con cui aveva scambiato le ultime battute.
Un tizio mai visto prima, alto all'incirca uno e settantacinque, il viso coperto da un cappello a tesa larga e qualcosa che si allungava fuori dalla tasca del gessato grigio che indossava.
Ho visto abbastanza film da sapere cos'è, si complimentò con se stesso.
"Passa fuori, sgorbio".
"Sissignore" rispose meccanicamente. Era meglio non farlo incazzare, non ci teneva a sperimentare la sua non riluttanza a sparargli lì, in chiesa.
In cosa si era invischiato? Mafia?
Deglutì riumorosamente e si maledisse.
"Va' avanti." ordinò l'uomo a bassa voce, la debole eco che risuonò per le altissime volte della chiesa, tra le statue degli angeli e gli stucchi dorati.
Se solo il tempo si fosse fermato, se avesse potuto continuare a fissare uno per uno i dettagli infiniti di quella chiesa...
Camminò a fatica, i tacchi a spillo che pestavano sul marmo colorato. Possibile che non arrivasse nessuno?
L'ombra dell'uomo, altissima, lo copriva ogni volta che superava una colonna, le loro figure illuminate nella penombra dalle candele elettriche.
Giusto, le candele.
Lanciò unocchiata alla destra, dove tra il marmo riposavano nelle nicchie diverse statue.
Ai loro piedi, come altari, file di candele elettriche da cinquanta centesimi.
Poteva prenmderne una e colpire l'uomo, sì, poteva...
Coninuando a camminare si diede dello stupido.
Sarebbe morto prima.
Iniziò a torturare il reggicalze sotto la minigonna, realizzando solo in quel momento quanto davvero l'altro uomo fosse alto.
E se... no. Impossibile. Erano in una chiesa, no?
Anche se non credeva, non avrebbe mai fatto certe cose lì.
"Fermati" parlò l'uomo e Michele si arrestò subito.
Era davanti alla porta che dava a quella zona con il noem strano, sacrestia? O era con la G? Non lo sapeva.
Ma era a conoscenza di una cosa: una volta entrato, nessuno sarebbe accorso ad aiutarlo.
Poteva... forse poteva... sì, poteva...
Si diede mentalmente dell'idiota. Non poteva fare un bel cazzo di nulla. Si passò un braccio sulla fronte, piena di sudore. Gli si sarebbe sciolto il trucco.
Oh beh, ci metteranno quattro secondi invece di tre a identificare il cadavere.
"Molto bene, sgorbio. Adesso voltati. Lentamente".
Ubbidì senza un fiato.
"Adesso dimmi, cosa devo fare io con te? Potrei piantarti una pallottola qui e chiudere il discorso, ma poi il mio capo mi cazzierebbe perché ho ucciso quella checca di suo fratello in territorio consacrato. E non mi va di farmi cazziare, sa essere molto... brutale".
Capo? Quel mentecatto di suo fratello era il capo di 'sto ceffo? Ma pensa te. Non si finisce mai di scoprire cose strane, a questo mondo.
"Pertanto, visto che l'eliminarti qui è fuori discussione, facciamo un piccolo discorsetto". E detto questo estrasse l'arma dalla tasca e la tenne, mollemente, sul fianco.
"Ora voglio che tu sia rapido nelle risposte. Perché sei venuto qui?".
Non intendeva dargli pretesti per cambiare idea. Disse, tutto d'un fiato: "Ero... spaventato e il peso... mi schiacciava, sì. Volevo... solo confessarmi perché... perché sono stato involontario complice di un omicidio, o qualcosa del genere. I preti hanno... il segreto confessorio, no? O come diavolo si chiama. Non intendevo fare la spia, giuro".
L'uomo si grattò il mento con aria distratta e lo sguardo di un maestro che sta rimproverando un bambino dispettoso.
"Dimmi perché dovrei crederti, sgorbio".
"Era alla TV e" esitò "pure in quella serie con pediatre lesbiche e bambini e" prese coraggio "l'ho pure sentito al telegiornale!" terminò cercando di apparire convincente, un sorriso forzato in viso mentre si torceva le mani, grattando la pelle con le unghie smaltate di nero e argento.
"Bella risposta" lo lodò l'uomo "Hai ragione"
Si scostò casualmente il bavero della giacca lunga che portava e Michele sbarrò gli occhi.
Un colletto da prete.
No, non ci stava più capendo nulla.
Suo fratello Giuseppino -Giuseppino! Quello che andava ancora a trovare i nonni all'ospizio- capo di una gang, quel prete con la pistola da cowboy appoggiata sul fianco, quella chiesa enorme e buia che sembrava inghiottirlo, il sapore acre del rossetto in bocca.
"Continuiamo. QUANTO sai di questa faccenda?"
IL fatto che fosse un prete non rendeva le cose più facili, anzi, le complicava ancor di più.
A Michele vennero in mente nuovi scenari, gli occhi ormai abituati alla penombra che continuavano ad indugiare sulla pistola del prete. L'avrebbe davvero ucciso? Magari era tutto un bluff. Però...
"Mio fratello aveva i jeans sporchi di fango. Ha cercato di uccidermi." rispose telegrafico come una macchina, mentre continuava a pensare alle sue possibilità "Lì ha bruciati"
"Sì, Renzo era proprio uno stronzo grosso." notò l'uomo accarezzandosi il fianco con la pistola.
"Prossima domanda. Hai due possibilità." Michele tese le orecchie. "O ti uccido..."
DEglutì.
"Oppure..."
"Oppure..." ripetè come se fosse in un telefilm, per dare maggiore enfasi a quanto stava per dire "... mi aiuti a far fuori tuo fratello".
Che? Cosa?
Michele, in un gesto assolutamente genuino e non premeditato, si pulì le orecchie come un dito. Aveva sentito male. Doveva aver sentito male.
"Sgorbio, hai sentito benissimo. Ne ho i coglioni pieni di quella mezza tacca di Giuseppino che sta al posto dove sta senza alcun merito particolare ma solo per una serie di botte di culo che neanche il buon Gesù sarebbe stato in grado di inanellare. Voglio il suo scalpo e il suo posto nell'organizzazione. E tu mi aiuterai, se non vuoi che trovino quel che resta di te dopo che ti è passato sopra un treno. Hai capito, sgorbio?".
Mani nei capelli e terrore manifestato tramite brividi inconsulti, sudorazione a diecimila e il tacco delle sue scarpe che continuava a battere fortissimo per terra.
"Piantala. Stai facendo casino nella casa del Signore e questo non si fa" sentenziò l'altro, accarezzando con un gesto plateale la pistola.
Michele tentò di recuperare un minimo di contegno ma sapeva di star fallendo clamorosamente. A quanto pareva, però, il prete killer sembrò soddisfatto del tentativo.
"C-c-cosa... d-d-devo... fare?" trovò la forza di chiedere.
"Cazzo ne so?" rispose l'altro con totale nonchalance. "Avvelenagli la carne, fallo sbranare dal vostro cane, qualcosa. Insomma, sei tu che ci abiti assieme da quando sei nato, lo conoscerai ben meglio di me voglio sperare".

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Capitolo 2
*** Michele lo Sgorbio saltella, complotta e si fa spaventare a morte da un prete killer ***


Michele stava facendo zapping, distratto.
Doveva uccidere il proprio fratello, o quello strano uomo avrebbe ucciso lui.
Ed era tutto così assurdo -non aveva nomi, non aveva informazioni, solo le mani tremanti al pensiero.
Uccidere Giuseppino.
E se con in mano un paio di trucchi era capace di fare magie, con in mano un coltello o una pistola Michele era certo di far ridere e basta.
Cosa poteva fare? Chiedere aiuto a Kevin?
"Ah Miché!" gli avrebbe detto questo con gli occhioni spalancati "Io non voglio sapere nulla, nulla di 'sta storia!"
E Michele non voleva coinvolgerlo. Sì, questa era una situazione che doveva risolvere da solo, nel bene -o più probabilmente- nel male.
Si sistemò meglio sul divano, appoggiandosi allo schienale morbido e cambiando di nuovo canale.
Al TG stavano dando le solite notizie: crisi, suicidi, sioperi, omicidi, eppure a lui non importava nulla. E poi gli venne un'idea.
Un'idea, eh? Si fermò un attimo a pensare.
Poteva funzionare, forse. Però c'erano un po' troppe variabili incontrollate per i suoi gusti. Doveva contare sul tempo, sul tempismo di altre persone e su quanto conosceva bene Giuseppino. L'ultima era abbastanza sotto controllo, ma le altre...
Decise, alla fine, di scartarla.
Poi, mentre si sistemava una scarpa col tacco dieci che gli stava facendo un po' male al piede, sentì squillare il suo cellulare. Macho Man dei Village People, ovviamente. Niente di meno per uno come lui.
Diede uno sguardo al visore prima di rispondere. Numero sconosciuto. Non gli piaceva. I numeri sconosciuti portavano solo miseria e morte.
Prese un po' di coraggio e porto l'apparecchio all'orecchio, abilitando la telefonata: "Pronto?".
"Sgorbio. Ci sono progressi? Leggo l'Eco di Sborrovilla tutti i giorni e non ho visto notizie di pelati ventiduenni morti. Qualcosa mi dice che non stai mantenendo la tua parte dell'accordo".
Cristo. Il prete killer. Come minchia aveva avuto il suo cellulare?
"Ma-ma certo!" esclamò Michele con enfasi "Mi sto impegnando!"
"Ahn sì?" lui deglutì rumorosamente, allontanando l'apparecchio dal viso "E dimmi, hai già un piano?"
"Forse" nell'istante stesso in cui pronunciò quella mezza promessa si maledì.
Il prete non rispose. Stava aspettando che Michele gli illustrasse il piano?
Prese un respiro profondo.
"Stavo... stavo pensando..." iniziò guardandosi attorno, a disagio.
"Non devi pensare, sgorbio. Devi AGIRE."
"Certo!" esclamò Michele annuendo con enfasi "Comunque, ecco, io non ho mai ucciso nessuno, però... alla TV è pieno di gente che lo fa."
"Non starai pensando di affidarti ad uno di quei telefilm americani del cazzo, spero." sbottò il prete e Michele negò con il capo, prima di darsi dello stupido.
Nessuno poteva vederlo lì, Giuseppino era fuori e FrouFrou, il gatto, era ancora un semplice animale -niente superpoteri o armi nascoste, sperava Michele.
"No, ecco, magari potevo... che ne so, prendere ispirazione."
"Fa' arrivare il sangue al cervello, nanerottolo. Tra cinquye secondi voglio sentire un piano di senso compiuto."
Cinque secondi?! Ma...!
"Uno..."
Cazzo. ERa rovinato.
"Due".
Cazzo cazzo cazzo cazzo cazzo cazzo.
"Tre".
Disimpara a contare, bastardo! Adesso!
"La prego, mi dia ancora un po' di tempo" disse Michele ferendosi la mano destra con le unghie, affilate e ben curate, della sinistra.
"Quattro".
Che figlio di puttana. Ma d'altronde, si disse in un momento di totale assurdità mentale, un mafioso o poco ci mancava come lo era il prete era biologicamente incapace di farsi intenerire. Figurati da una mezza checca isterica.
"Cinque. Il piano, grazie".
Sospirò, vedendo chiaramente nella propria mente la sua condanna a morte firmata col sangue del suo stesso orecchio, staccato e sbattuto lì inerte sul tavolo.
Fece un respiro profondo: "Non ce l'ho".
Arriva. Arriva. Arriva.
"Pffff. Cosa dovevo aspettarmi da uno sgorbio come te? Ringrazia che alla messa di stamattina la chiesa era piena fino a scoppiare e questo mi ha messo di eccellente umore. Che ore sono? Al minuto".
Michele buttò un'occhio sulla sveglia digitale dell'83 appoggiata sul tavolo del salotto.
"Sono le ore quindici e cinquantasei, signore".
"Molto bene. Entro le quindici e cinquantasei di domani voglio che tu venga a trovarmi in sacrestia e mi porti la lieta novella. In caso contrario sentirai suonare il campanello di casa tua. E no, non sarà un venditore della Folletto o uno di quegli stronzi dei Testimoni di Geova che non sanno far altro che rompere le palle alla gente".
Deglutì. Probabilmente si ingoio anche quella roba minuscola del suo pomo d'Adamo.
"Ooooooh. Perso le parole, eh? Stupido io che ti ho affidato un simile incarico. Facciamo così, ora proverò a darti qualche idea. A che piano abitate?".
"Occupiamo il piano terra ed il primo piano" rispose Michele scostandosi i capelli glitterati dal viso.
"Buono a sapersi." commentò il prete "Primo piano, eh?"
Michele annuì, mordendosi il labbro inferiore. Il sapore sintetico del lucidalabbra gli invase la bocca.
"Potresti farlo cadere. Avete un terrazzo?" l'altro iniziò a parlare velocemente "O potresti impalarlo sulla ringhiera sempre del terrazzo. Abitate in un condominio, vero?"
"Sì" la voce di Michele era flebile, lui stesso riuscì a malapena a sentirla.
"Gas allora. O un incendio. Lo droghi e gli dai fuoco"
Gli ingranaggi della luccicante testa di Michele giravano come trottole.
Sì, poteva farlo, così non avrebbe sofferto! Ma come?
"Hai pensato ad avvelenare quel rossetto del cazzo che ti metti e dipingergli gli occhi? Oppure..." il prete continuò a parlare.
Michele stava prendendo coraggio. Tutte quelle torture -aveva la pelle d'oca attraverso le cinghie in pelle del completino che indossava- sarebbero state fatte a lui se non si fosse sbrigato, questo lo sapeva.
Quindi doveva agire. Voleva vivere. Voleva vivere!
"Potrei soffocarlo, magari" suggerì, riconoscendo subito come banale la propria idea a confronto.
BAM!
La porta sbattè e lui trasalì, urlando.
Si girò di scatto, nascondendo in telefono tra le mani grassocce.
Era Giuseppino -e a giudicare dalla sua espressione sfigurata di rabbia, aveva senito tutto.
"Che giornata di merda! Che giornata di merda! Che giornata di merda!" urlò a ripetizione il nuovo arrivato dando un calcio alla porta per chiuderla.
Michele si morse una mano. Aveva sentito? Non aveva sentito? Come poteva assicurarsene?
"Che... che ti è successo?" chiese, la voce più che un flebile sussurro.
"Mi hanno licenziato, ecco cos'è successo! Quel pezzo di merda del mio capo mi ha detto che non servo più!".
Licenziato? Giuseppino... era disoccupato...
"Scusa? Non credo di aver capito bene" fece Michele, ancora più tremebondo di prima. Si spezzo pure un'unghia mordendosi di nuovo le dita.
"Sei sordo, sgorbio di merda? Ho detto che mi hanno licenziato!".
"Ma... ma tu non sei disoccupato?".
"Mi stai prendendo per il culo, per caso? Da quell'altro... lavoro. Mi hanno detto di non farmi vedere mai più. E se hai guardato sufficienti telefilm americani del cazzo immagini cosa questo possa voler dire, no?".
"P-Pressapoco".
"Ecco. Sento la merda entrarmi nelle orecchie. Sono un fottuto cadavere che cammina, cristo!".
Si vedeva benissimo che Giuseppino voleva ammazzare qualcuno e Michele, saggiamente, scelse di non essere lui quel qualcuno. Si alzò senza far casino, prendendo in mano il cellulare, e si allontanò nel silenzio più totale di cui era capace. Il cellulare stretto nella destra, un poco sanguinante.
Giuseppino non gli disse nulla.
Giunto in camera sua Michele cominciò a piangere. Riprese l'apparecchio e disse: "Ha sentito? Giuseppino è stato fatto fuori dall'organizzazione. Vuol dire che non sono più obbligato a ucciderlo, giusto?".
"Sbagliato, sgorbio".
"Come." stava tremando. Le ginocchia gli stavano tremando, incrociate, i tacchi a spillo che affondavano nella moquette.
"Giuseppino sarà ucciso dall'Oragnizzazione." ripetè il prete -Michele era certo che l'altro stesse ghignando "E sarai tu a farlo."
"Ma... ma..." biascicò.
Doveva fare mente locale. Doveva... merda!
Non-non avrebbe preso il posto del fratello, vero?
Cosa doveva fare, chiedere? O forse era meglio lasciar predere per non istillare nell'altro strane idee?
Qualcosa di freddo gli scivolò sulla coscia stretta nelle calze a rete e abbassò lo sguardo. La sua mano sanguinava copiosa -eppure non provava dolore, no.
Doveva uccidere suo fratello.
"Niente ma. Ti ho dato idee a sufficienza, nanerottolo. Ora tocca a te portarmi un piano compiuto."
"Per le quindici e cinquantasei di domani." completò Michele.
Doveva dare l'idea di sapere quello che stava facendo -convinto e certo.
Nessuna esitazione, anche se aveva un nuovo piano.
Fuggire.
Sarebbe stato da codardi, ma che gli importava?
Sarebbe scappato, sì, si sarebbe rifatto un nome.
"A domani, allora." lo salutò il prete chiudendo la chiamata.
Michele lanciò uno sguardo allo schermo.
Giuseppino lo stvaa tenendo sollevato per le braccia, sullo sfondo; erano circondati da poster su "Gloss Michele", la star del locale in cui lavorava.
No, fuggire sarebbe stato impossibile.
Era famoso nel suo giro e... all'improvviso un'altra idea lo illuminò.
Franco.
Franco che era altro due metri e quindici, era più largo che alto e non si depilava mai -nemmeno le mani.
Poteva... no. Non avrebbe potuto chiedere aiuto a lui -non voleva coinvolgere Kevin, non l'avrebbe fatto con Franco.
Però...
Cercò sulla rubrica del telefono il gruppo "Numeri utili".
Ed eccolo lì, spiccare per lunghezza tra gli altri.
"Agenzia Investigativa Incudine, di Paolo Barça e figli"
Doveva indagare di più sul prete, su suo fratello.
Doveva sapere.
"Michelee-" lo chiamò Giuseppino dalla sala e lui appoggiò il cellulare sul comodino, la stanza avvolta nella penombra.
"Dimmi" doveva comportasri in modo naturale. Naturale.
Aprì la porta e fu investito da una zaffata di cattivo odore.
"Muori."
BANG.
Il colpo di pistola che Giuseppino aveva appena fatto esplodere fece tremare i muri di cartapesta della loro casupola. Si sarebbe sentito un po' per tutto il vicinato, probabilmente.
Michele si strinse la gamba.
Fammi capire. Quale stronzo entra in camera del fratello, gli urla "Muori" e gli spara nella gamba invece che in fronte? Ma si può essere tanto dementi?
Fu lì che il nano capì come, forse, le parole del prete non erano poi così campate in aria.
Giuseppino si era appena dimostrato un coglione di caratura mondiale.
E gli aveva sparato.
Michele decise che non poteva morire per mano di un simile cialtrone. Sarebbe stata la massima delle umiliazioni.
Lo osservò, mentre stringeva le labbra gonfie di rossetto per trattenere un urlo. Se ne stava lì in piedi, la pistola ancora plasticamente estesa in avanti e fumante dall'ultimo proiettile sparato.
Spariti dal suo volto i nervi contratti dall'ira e lo sguardo da psicopatico omicida. Ora era lì, piantato in piedi, a piangere come una femminuccia.
Un'incazzatura da primato montò in Michele.
Estrasse il coltello dal reggicalze, visto che sin dal giorno dell'incidente lo teneva sempre addosso, e gli restituì la minaccia.
"Muori".
Analizzò la situazione in un istante, un attimo di lucidità tra gli spazzi di dolore che gli pervadevano il corpo.
Aveva un coltello in mano, un'unica gamba sana, era su tacchi a spillo, era un nano.
E Giuseppino era ancora lì davanti a lui, perso in un sorriso folle, la pistola tra le dita -davvero vuota?
Flesse il ginocchio buono, portando avanti il coltello con un affondo.
Non alla cieca, no.
Davanti agli occhi di Michele, impreziositi da mascara e ombretto smoky, la patta aperta dei pantaloni di Giuseppino troneggiava gloriosa, le cuciture gialle sul jeans chiaro.
Non sarebbe riuscito a castrarlo o tagliargli via il cazzo, ma ci avrebbe provato. Poteva sempre fare qualcosa alle palle, dopotutto.
"Muori!" ripetè piegando leggermente la mano.
La lama affondò nella stoffa, infilandosi nella zip.
Michele sentì chiaramente la carne morbida sotto la lama.
Giuseppino era spacciato.
Nessun deus ex machina, nessun santo, niente di niente.
Andò tutto come doveva andare, almeno dal punto di vista di Michele.
La lama penetrò. Si sentì un rumore orripilante, come di un pomodoro schiacciato da un martellone da fabbro.
I jeans sgualciti di quel bastardo di Giuseppino si tinsero immediatamente di rosso nella zona inguinale. Il proprietario piantò un urlo animalesco e si piegò all'indietro, come se gli avessero piantato un coltello nella schiena.
Nelle palle, maledetto coglione. Non nella schiena.
Cristo. Mio fratello è veramente un demente di prima categoria.
Estrasse con velocità l'arma e senza neanche dare a nessuno dei presenti la possibilità di fare un solo respiro spiccò un balzo. Una specie di balzo, a voler essere onesti: la sua mirabolante altezza unita ai tacchi non risaltavano di certo le sue pessime dote atletiche.
Ma bastò.
Il coltellò entrò placido nel petto di Giuseppino. Come un pezzo di tonno tagliato da un grissino.

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Capitolo 3
*** Quanto amore ha l'ursino omaccione per il suo piccolo sgorbio ***


Il silenzio era interrotto dal battere delle sue grosse dita sulla tastiera davanti a lui. Sbatté gli occhi, stanchi per le troppe ore passate davanti allo schermo luminoso del computer.
Era il suo lavoro, dopotutto -quello vero.
Si appoggiò allo schienale della sedia, interrompendo per un attimo tutto quello. Dallo specchio accanto al monitor riusciva a vedere il suo riflesso, nella penombra della stanza. Aveva gli occhi arrossati, la barba da fare ed i lunghi capelli ricci che avevano bisogno di una lavata al più presto. Dannazione.
Portò una mano alla bocca per coprire uno sbadiglio, quando il cellulare iniziò a vibrare sulla mensola davanti a lui.
YMCA, la sua canzone preferita dei Village People.
Allungò il braccio per prenderlo, fissando con orgoglio la peluria scura che illuminata dal monitor sembrava quasi bianca.
Click "Pronto?"
"Franco." lui riconosceva quella voce. Era il capo.
"Sì?" no no no no, non doveva sbadigliare proprio in quel momento.
Cercò di trattenersi, allontanando per un secondo il cellulare dall'orecchio.
"Abbiamo un problema." iniziò il capo con la sua voce stridula "E solo tu puoi risolverlo."
Franco aggrottò le sopracciglia. Era la prima volta che gli davano il ruolo dell'uomo della situazione.
"Un grosso problema che riguarda il tuo amico Michele, suo fratello Giuseppino Mani d'Argento e il nostro prete preferito."
Franco sbiancò. Michele!
I suoi occhi vagarono sulla foto dell'altro, gelosamente custodita vicino alla finestra, in modo da essere sempre illuminata.
Il prete preferito dell'Organizzazione non poteva che essere...?
"Intendi dire..."
"... don Alessandro Pistola Fumante? Che diavolo ha combinato?".
"Lui nulla. Più o meno. Però c'è stato un grosso casino... allora, fammi riordinare le idee, è un macello. Mani d'Argento è tornato a casa dopo un lavoretto. Renzo, ti ricordi? Ecco.
Il cretino è riuscito a farsi beccare dal fratello con le mani nella marmellata. È stato furbo abbastanza da intimargli di stare zitto ma il tuo caro amichetto non ha resistito e ha cercato di spifferare tutto.
Per fortuna è finito nel confessorio di Pistola Fumante che l'ha rimesso in riga. E qua si entra nel campo delle ipotesi, visto che per ora di certo non c'è nulla.
Parrebbe che Pistola Fumante avesse mire sul posto di Mani d'Argento e, tenendo Michele metaforicamente per le palle... so che tu sei uno dei pochi che può farlo fisicamente e ti lascio volentieri il piacere... gli ha imposto di eliminare il fratello per scavallarlo.
Dieci minuti fa don Alessandro è stato visto uscire alla velocità della luce dalla sua chiesa e dirigersi, agitato come non mai, più o meno verso la direzione della casa dei Borlotti. Può non voler dire nulla ma capirai da te che è sospetto. Sospetto forte".
Ci fu un momento di silenzio. Franco doveva riordinare le idee. Non si sarebbe mai aspettato un simile fiume in piena di novità.
Si asciugò la fronte imperlata con una manica della camicia. Per quanto non ci fosse nulla di sicuro e potesse trattarsi di un enorme equivoco non era tranquillo, evidentemente. Ci potevano essere gravi conseguenze per quel bordello.
"E io cosa c'entro in tutto questo, Spillone? Non è la mia zona, né la mia competenza".
"Errato. Da adesso lo è." replicò il capo tirando un acuto che fece ghiacciare il sangue nelle vene a Franco.
Lui fece due conti. Michele girava per il quartiere di Malanni... era fottutamente distante dalla sua zona.
"E come dovrei controllarla con tre quartieri in mezzo?" chiese arricciando il naso.
"Quello è affar tuo. Intanto hai un compito."
Franco poteva già immaginare quello che gli sarebbe stato assegnato.
"Prendi in custodia Michele. Aiutalo qualsiasi cosa faccia. E uccidi Pistola Fumante."
"Cazzo."
Cazzo sì. Era nella merda fino al collo. Si grattò la guancia, incontrando pure un nuovo pelo che faceva il cazzone e gli si era incarnito.
Pistola Fumante non era il primo novellino da periferia che poteva incontrare al bar. Era un pro. Uno tosto.
"Michele." tornò a guardare la foto dell'amico, coperto solo da un boa di piume e ditate di glitter e lubrificante sul viso "Cosa sa?"
"Sa." risposte il capo. Franco fece una smorfia.
Per lui questo ed altro.
**
"Ho ucciso mio fratello" questo rimbombava nella testa di Michele. Giuseppino era a terra in una pozza di sangue così rosso, così rosso... era stato lui.
Dal petto uscivano ancora schizzi, i vestiti dell'altro erano zuppi -la maglietta da bianca a scarlatta, i jeans ormai così scuri da sembrare neri.
"Ho ucciso mio fratello."
Il coltello gli scivolò a terra. Michele abbassò lo sguardo. Un rivoletto di sangue aveva raggiunto i suoi tacchi a spillo.
Si strinse la gamba -aveva ancora il proiettile dentro.
"Ho ucciso mio fratello"
Che cazzo devo fare che cazzo devo fare che cazzo devo fare che cazzo devo fare...
Michele si sedette a terra, la gamba col proiettile stesa per lungo e immobile. Non si ricordava dove l'aveva letto ma gli pareva di ricordare che un arto in quelle condizioni dovesse tipo essere bloccato con delle stecche, o qualcosa del genere. O almeno così credeva, le sue conoscenze mediche erano piuttosto scarse.
Cercò di controllare e normalizzare il respiro che andava fin troppo veloce, fra la ferita e la tensione.
Pensare. Pensare. Pensare.
Cellulare. Chiama il prete. Fatti dire che cosa devi fare.
Ora.
Allungò la mano e riuscì a prenderlo. Per fortuna gli era caduto vicino.
Aprì la rubrica per richiamare il numero con cui era stato contattato prima. Vide un brutto Numero Nascosto ridergli in faccia dalla cima dell'elenco.
Cazzo. Quindi non poteva telefonargli?
Bah. Se neanche ci provo non posso dirlo.
Schiacciò tremando il pulsante verde, sperando con tutto se stesso che funzionasse.
E funzionò. Suonava.
Dopo un paio di squilli arrivò una voce dall'altro capo: "Chi cazzo sei? Nessuno ha questo numero".
La voce alterata lo scosse e cercò di prendere un respiro: "S-Sono... io...".
"Oh. Sgorbio. Ok, allora non c'è motivo per arrabbiarsi. Dimmi".
"F-Fatto".
"Fatto? Sul serio? Non mi stai prendendo per il culo, vero?".
"N-No. Giuseppino è morto, qui davanti a me. E io ho un proiettile nella gamba".
"Oh minchia. Aspettami lì, che tanto non puoi andare da nessuna parte. Arrivo". Riagganciò senza salutare.
Sì sì sì sì sì sì. Forse sono salvo.
Poi si sentì gli occhi pesanti, e non solo quelli. Le braccia gli divennero di piombo e si lasciò cadere all'indietro, sdraiandosi senza realmente volerlo.
Guardando il soffitto si chiese cosa ne sarebbe stato di lui.
**
"Pistola Fumante è quasi a casa dei Borlotti..."
"Ho capito, cazzo!" sbottò Franco con un ringhio secco.
La ragazza dall'altro capo del telefono, Giulietta, non rispose subito.
Era nei guai. Era nei guai.
Accelerò ancora, stringendo di più le gambe ed appiattendosi sul suo Yamaha. Fottute stradine del cazzo piene di bambini del cazzo.
Prima ne aveva quasi tirati sotto due.
"Notizia dell'ultimo minuto." Giulietta riprese a parlare.
Franco non disse nulla, alzando la spalla per sistemarsi il casco -l'auricolare destro andava male.
"Il tuo amichetto Michele..." lui ignorò l'enfasi posta su amichetto "Ha un proiettile nella gamba. Pistola Fumante si sta portando un kit medico immenso."
"Non lo vorrà operare lì, spero." Franco cpostò il peso a desta, decelerando dolcemente per prendere la traversa. C'era quasi.
"Sarebbe capace di farlo." notò la ragazza senza apparente interesse.
E poi lo vide. Alessandro Pistola Fumante, in gessato e cappello.
Un kit medico tra le mani e Michele sulla schiena.
Inchiodò e interruppe la conversazione con Giuletta senza nemmeno salutarla. Aveva sotto mano il proprio bersaglio. Anzi, i propri bersagli. Uno da proteggere e uno da eliminare.
Che poi, si trovò a pensare mentre seguiva Pistola Fumante con gli occhi per non perderlo di vista, per quale minchia di motivo Spillone gli aveva dato quegli ordini? Non avevano senso da qualunque parte li si guardasse.
Aiutare Michele poteva starci. Era un civile invischiato senza nessuna premeditazione in un brutto affare, era incapace di fare del male a una mosca e la reazione che aveva avuto era assolutamente comprensibile e non pericolosa, a conti fatti.
Confessarsi non voleva dire andare da un giornalista e spifferargli tutto.
Era l'ordine di uccidere don Alessandro che proprio non gli tornava. Perché? Non era mica la prima volta che c'erano regolamenti di conti interni all'organizzazione e qualcuno faceva carriera calpestando il cadavere di chi l'aveva preceduto.
Lo stesso Spillone si era seduto sul trono operando in questa esatta maniera. E non solo, il suo osceno gusto per il teatrale lo aveva spinto ad arrivare al suo primo incontro da nuovo capo con la testa di Mattia il Padrenostro, colui che l'aveva preceduto, tenuta sotto il proprio braccio.
Quindi perché? Non lo capiva e la cosa lo disturbava.
Oh beh. Cazzi di Pistola Fumante.
"Che faccio?" sussurrò a bassa voce "Potrei prendere e investirlo adesso, sarebbe plateale ma efficace. Però rischierei di coinvolgere Michele più del dovuto".
No, non era il caso. Meglio seguirlo fino in chiesa e pensarci lì.
Parcheggiò la moto e lasciò che il prete prese qualche metro di vantaggio, non voleva insospettirlo più del dovuto. Tanto sapeva perfettamente dov'era diretto, non avrebbe avuto nessun problema nell'inseguirlo.
Camminava senza guardarsi attorno, per non attirare sospetti -ci bastavano già un prete con un uomo affetto da nanismo in spalle, le chiappe al vento ed il perizoma nero pieno di lustrini.
Che bel culo...
Aveva il casco sottobraccio -e la pistola nascosta dentro.
Si passò una mano trai capelli, ritrovandola spiacevolmente fresca. Cazzo, doveva lavarli.
Quando scorse da lontano il campanile della chiesa iniziò a tormentarsi le mani.
Di via in via, di casa in casa -tutte uguali, gialle. Le case della mutua- gli sembrava quasi di essere entrato in un limbo.
Il suo passo era tranquillo, il culo di Michele gli sorrideva da lontano... e ora Pistola Fumante era davanti al massiccio portone della chiesa.
Franco si nascose dietro un cassonetto -per fortuna non c'era nessuno in giro e non una macchina passava per la strada.
Alessandro entrò, calciando la porta dietro di sé, inghiottito dall'ombra assieme a Michele.
"E adesso?" Franco doveva entrare. Non di certo dal portone. Forse dalla sagresti... sacresti... quella roba lì.
Cazzo, non andare in chiesa era una vera e propria fregatura.
...dimenticarsi di chiedere a Giulietta la planimetria dell'edificio lo era ancora di più. Non aveva un piano né un indizio, solo una pistola ed un casco.
...e ok, il suo coltello a serramanico. Comunque, non era una bella situazione. E non poteva perdere tempo.
Doveva assolutamente entrare e uccidere Pistola Fumante -una volta operato Michele, ovvio.
Come osava toccarlo! Magari... magari... nella sua mente si proiettarono diverse spiacevoli immagini.
Michele sdraiato a terra, ricoperto di sangue e i pantaloni del prete calati.
"Vaffanculo, stronzo. Salverò Michele e te lo metterò in culo." ringhiò sporgendosi per controllare fuori.
Nessuno, come prima.
Si allontanò dal cassonetto. Tutte le chiese avevano delle porte laterali e altre sul retro. Doveva solo trovarle, entrare senza farsi notare, non perdersi in mezzo a tutte quelle candeline e pizzi e salvare Michele.
E come si trovano delle porte? Cercandole.
Cominciò, circospetto, a circumnavigare l'edificio. Fece un giro, due, tre. Nessuna cazzo di entrata laterale/posteriore/secondaria.
Niente di niente. Chi l'aveva progettata 'sta minchia di chiesa, Paperino?
E adesso? Niente modo di entrare di soppiatto significava dover, giocoforza, passare per il portone principale. E se Pistola Fumante si fosse accorto del suo ingresso, cosa probabile date le dimensioni di cui si parlava, si sarebbe insospettito.
Si ricordò di un paio di volte in cui il prete in gessato era stato aggredito da membri di gang rivali che, probabilmente messi nella sua stessa situazione, avevano optato per l'unica soluzione fattibile. Ricevendone in cambio un sacco di proiettili in testa come ringraziamento.
Quello era davvero uno con le palle cubiche. Come fosse finito a fare il prete era uno dei grandi misteri di Sborrovilla.
Forse, visto che ho le mani legate, tanto vale entrare con l'artiglieria pesante. Tanto non era la prima volta che degli spari rieccheggiavano per quel posto e, probabilmente, non sarebbe stata l'ultima.
Ritirò fuori il cellulare e chiamò Giuletta.
"E adesso cosa vuoi, Franco?".
"Non starnazzare con quel tono fastidioso. Il prete si è asserragliato dentro la chiesa e non posso entrare senza farmi accorgere. Mi serve Jane la Sputafuoco".
Silenzio.
"Mi hai capito, cretina? Voglio Jane".
Ancora silenzio.
"Tu ti droghi, maledetto palestrato frocio. Vuoi entrare in una chiesa con un mitra spianato?".
"Spillone ha parlato. Alza le chiappe e portami la mia amata".
"Oh oh oh oh. Michele non sarà contento di sentirti parlare così".
"Fatti i cazzi tuoi e muoviti".

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Capitolo 4
*** Ma è mafia o una riunione di freak? ***


Era seduto a terra, la schiena appoggiata al muro della chiesa. Sperava solo che Chicco Mani Unte non facesse troppo casino con la volante, attirare il prete fuori o peggio, distrarlo durante l'operazione sarebbe stata la cosa peggiore.
Franco sospirò. Michele. Da quanto non gli parlava direttamente? Settimane. Era ancora nei suoi pensieri?
GLi tornarono alla mente i baci alla birra che si erano scambiati la sera della fantomatica foto, gli occhi di Michele che riflettevano le luci stroboscopiche del locale.
Appoggiò il casco a terra, guardando dentro la pistola, che riluceva chiara.
"Ma tu guarda!" una voce strascicata lo fece voltare. Capelli biondi. Fucile in mano. Jeans strappati ed un sorriso strafottente che Franco conosceva bene.
"Kevin?"
"Cazzo fai con quell'arnese, Kevin? Perché sei qui? Che vuoi?".
L'altro sembrò stringere la presa sulla canna da fuoco, un ghignetto sul suo volto. Poi all'improvviso rilassò i muscoli e abbassò il fucile.
"Che domanda scema, Franco. Spillone mi ha mandato ad aiutarti. Sa bene che Pistola Fumante non è tizio da prendere sottogamba e, pur fidandosi pienamente di te, ha saggiamente pensato di farti coprire le spalle. O per caso non vuoi che ti aiuti a salvare il tuo ragazzo?".
Tirò un sospiro di sollievo che fece il rumore di un rutto. Gli faceva sempre un gran piacere quando vedeva una qualche arma sparare non verso di lui.
Qualcosa lo inquietava, però.
"Kevin, sono contento di vederti ora che ti sei spiegato. Però dimmi una cosa: non ti pare esagerato che il capo abbia mandato tutta 'sta gente alle costole del prete? Va bene il non sottovalutarlo, va bene questo e va bene quello. Ma ha intenzione di aprire un pogrom interno, scatenare una guerra o cosa? Guardaci. Sembriamo due soldati pronti a uscire dalla trincea con i lanciamissili portatili spianati".
Kevin non era tipo da questionare gli ordini, e non voleva di certo non rispettarne uno. Ma le obiezioni del suo compare gli parvero perlomeno sensate.
"Non so cosa dirti, pelosone. Magari Spillone sa qualcosa che noi non sappiamo e vuole che al buon don Alessandro venga chiusa la bocca per sempre per altri motivi, prendendo l'affare con Michele come scusa".
L'altro scrollò le spalle, sì incuriosito ma non a sufficienza da proseguire la discussione in merito. E poi aveva altro per la testa.
Quanto cazzo ci metteva Giuletta a portargli Jane?
I due vennero distratti da una sirena della polizia che si stava avvicinando.
"Chicco?" domandò Kevin specchiandosi nella canna del fucile.
Franco annuì. Finlamente -anzi, per restare in tema, alleluja.
La sua drag queen preferita diceva halleloo, ma lui non si sentiva ancora così americano.
Ecco, perché gli stavano venendo in mente tutte quelle cose? Era la tensione. La tensione, sì. Michele, Pistola Fumante, ora Kevin.
"Fate largo!" echeggiò una voce metallica e una macchina blu della Polizia sfrecciò davanti a loro, inchiodando con un fischio sgradevole delle ruote.
Chicco Mani Unte era al volante, gli occhiali da sole e gli inconfondibili rasta.
La portiera laterale si aprì ed uscì una donna sulla trentina, i capelli rosso fuoco legati in un'alta coda e le tette vere più grandi che Franco avesse mai visto.
"Ecco Jane, traditore."
"Traditore la sega" sputò Franco, che di certo non aveva tempo da perdere con 'ste stronzate da donna ferita. "Dammi Jane e vedi di alzare il culo".
La tipa sbuffò mentre si accendeva una sigaretta alla menta, una di quelle robe infumabili che solo le Nazionali senza filtro potevano competere: "Abbassa la cresta, frocio del cazzo".
A Franco stavano salendo i cinque minuti. Il suo Michele rischiava chissà cosa dentro quella fottuta chiesa e 'sta troia si permette di fare quella che ce l'ha solo lei? Prima di fare coming out era circondato da zoccolone come lei e gli sarebbe bastato schiocchiare le dita per attirare frotte di cavalle vogliose del suo grosso... attrezzo da lavoro, chiamamolo così.
"Jane, grazie" disse, stranamente glaciale. Nessuno dei presenti aveva mai sentito parlare Franco con quel tono, quindi non si potevano immaginare che era il preludio che usava, in quelle rarissime occasioni in cui lo esasperavano a tal punto, quando era a tanto così da scatenare la sua personale Apocalisse.
Per fortuna delle sue ossa Giuletta non ebbe altro da ridire. Si allungò dentro la macchina, il culo che avrebbe fatto morire d'invidia Jessica Rabbit bene in vista stritolato da una mini-gonna che era solo "mini" e per niente "gonna", e rovistò qualche secondo. Poi tirò fuori il mitra più luccicante mai esistito.
Glielo allungò con una smorfia annoiata sul viso. Se solo non fosse stato dell'altra sponda se lo sarebbe scopato in qualunque posizione, in qualunque momento e a qualunque ora.
Il metallo freddo sotto le dita. L'incisione "Jane" che aveva fatto lui stesso sulla canna, lucidandola dopo ogni missione, ripulendola dal sangue.
Pesava, la sua Jane, poco più di un bambino di tre anni, la sua piccola.
"Mica male." commentò Kevin, una smorfia impressionata sul viso. Sembrava così fragilino in confronto all'arma...
Ora Franco aveva bisogno di elaborare un piano.
"Kevin, tu va' in avanscoperta e cercami un'entrata secondarria." disse, lanciando un'occhiata di sbieco a Chicco, che ridacchiava con il viso nascosto tra le braccia, appoggiato al volante dell'auto.
"Perché io?" protestò questo alzando il mento "Aiutarti non vuol dire farsi uccidere."
"Perché..." iniiò Franco, ma Giulietta lo interruppe.
"Percorrete il muro fino alla terza svolta absidale." lei si scostò una ciocca di capelli rosso fuoco dal viso, mettendo una mano sul fianco.
Che zoccolone.
"Nascosto dietro al box giallo della Caritas c'è una porta."
"E tu come fai a saperlo?" chiese Kevin con una smorfia poco intelligente.
"Sarebbe anche un po' il suo lavoro, sai?" lo rimbeccò Franco, iniziando a camminare.
"E state attenti. Pistola Fumante non è solo." li avvertì la donna "Almeno tre dei suoi uomini sono nascosti in chiesa a complottare chissà cosa."
"Pesci piccoli." Franco fece spallucce.
"Piccoli e pronti a farsi esplodere." una voce sconosciuta li fece voltare di scatto.
Si trovarono davanti un tizio piuttosto alto, capello e barba lunga grigiastri tendenti al bianco. Longilineo e, decise Franco, probabilmente un bel tipo da giovane visto che aveva abbondantemente superato la sessantina. Indossava un ridicolissimo sombrero giallo e arancione, anche se non di quelli cartoneschi alla Speedy Gonzales, e un completo da perfetto cowboy del 1850.
"E tu chi minchia sei?" proruppe Chicco, esasperato dall'assembramento di gente armata e vestita in modo stravagante che si stava creando di fronte alla chiesa.
Il nuovo arrivato fece scrocchiare un paio di volte il proprio collo, come a scaricare della tensione. Poi tirò fuori dalla fondina, attaccata al cinturone, un revolver con la canna lunga una quindicina di centimetri buoni e rispose, con voce affilata: "Seth Wolfgang, ma potete chiamarmi un po' come vi pare. Sono qui per conto del capo, proprio come tutti voi".
"Ah sì?" chiese Kevin, sospettoso di questo vecchio appariscente. "E com'è che nessuno di noi ti conosce, allora? Come possiamo essere sicuri che fai parte dell'organizzazione?".
"Non potete" fece l'altro "ma se chiede in giro saprete che Seth Wolfgang non mente mai. Sul fatto che non mi conosciate mi pare evidente, Spillone mi tiene come ultima risorsa per casi disperati come questo".
"Disperati? Non c'è nulla di disperato in questa operazione" dubitò Franco, neanche lui convinto di quanto stava succedendo.
"Ah no?" fece Seth. "Allora non vi interesserà sapere perché Spillone vuole Pistola Fumante scuoiato e appeso a testa in giù da un cornicione".
"Tu lo sai?".
"Ovvio. Sennò non sarei qui".
"E perché?".
"Non è una bella storia...".
"Non abbiamo tempo!" esclamò Franco. Jane iniziava già a pesargli -e doveva ancora iniziare la missione.
Seth reclinò appena il capo. Era un cenno d'assenso, quello?
"Andiamo allora." continuò Franco proseguendo a camminare.
Kevin lo seguì pochi istanti dopo, il rumore attutito delle Converse sull'asfalto, certamente più discreto dei tacchi e degli speroni degli stivali del nuovo arrivato.
"Però..." fece Kevin. Franco si girò di scatto, impegnandosi nel rendere il proprio ghigno il più feroce possibile.
Dovevano concentrarsi. Doveva salvare Michele. Seguire gli ordini di Spillone in quel frangente gli risultava solo comodo, la sua priorità era un'altra.
Doveva pure ancora lavarsi i capelli... doveva essere davvero spaventoso.
Kevin si zittì subito, sbattendo gli occhi e fissando un punto imprecisato davanti a sé.
Franco continuò a camminare. Prima svolta: il muro s'incurvava in modo morbido verso l'esterno.
Giulietta aveva detto "terza svolta absidale". Quindi quello doveva essere l'abside.
Una.
Quel Seth Wolfgang non gli piaceva per niente. Tamarrissimo ed etero -Franco ci avrebbe socmmesso.
Aveva l'aria di uno da film cult. E quelli come i tipi da film cult non erano mai facili da gestire.
L'ultima arma di Spillone... forse era psicopatico. Magari nascondeva un altro revolver nel sombrero.
Forse Franco si stava facendo semplicemente troppi problemi.
Abbassò lo sgurdo. Jane era così lucida da riflettere il cielo, livido di nubi.
Seconda svolta. Quanto era grande quel cazzo di abside?
I due dietro di lui lo seguivano, in silenzio.
Il cuore iniziava ad accelerare il suo battito.
Poteva sentirlo, l'odore della polvere da sparo, del sangue e dell'adrenalina, mescolarsi con quel cazzo di incenso da chiesa e l'odore della cera. E la polvere.
Chissà perché le chiese erano tutte polverose.
Terza svolta.
IL cassonetto giallo acceso della Caritas brillava, in contrasto con il muro color crema. A terra giacevano sacchi e sacchi pieni di vestiti, che uscivano anche dall'apertura.
SEmbrava molto, molto pesante.
Si voltò per lanciare una rapida occhiata a quei due.
Un vecchio ed un ragazzino.
Perfetto, sarebbe toccato a lui spostare quell'affare dal muro.
Poi decise che al cazzo, era il più grosso e avrebbe finito col fare il maggior sforzo ma non li avrebbe esonerati dalla loro buona dose di sudore.
Con un semplice cenno del capo fece come dirgli "alzate le chiappe e aiutatemi a muovere 'sto ciarpame, lavativi che non siete altro".
Gli altri due non dissero una sola parola mentre si ponevano al lato sinistro del cassonetto e cominciarono a spingere. Franco, dall'altra parte, lo prese fra le mani e cominciò a tirarlo come si può cercare di trascinare un mulo che ha puntato i piedi. Cioè una fatica fottuta.
Jane era stata appoggiata per terra e al suo proprietario parve di sentire i suoi lamenti e singhiozzi, come se l'avesse abbandonata. Stupido mitra, sai che sei importante per me quasi quanto Michele, non ti lascerei mai per terra in mezzo alla polvere e allo sporco.
Seth, che per la sua età sembrava piuttosto in forma, spingeva come un forsennato. Kevin, al contrario, era già distrutto dallo sforzo e ci metteva giusto il minimo indispensabile. Certo che sembrava quel cassonetto... anzi, come lo ribattezzò Franco quel "cazzonetto"... fosse stato riempito con dei mattoni in piombo tanto pesava.
"Ngh... Franco, Pistola Fumante... ha intenzione di scatenare... una guerra..." ansimò Seth mentre continuava a spingere.
"Una guerra? Con chi? Con gli scissionisti? Con la Triade? Con chi?".
"Con tutti. Vuole trasformare questa città in un campo di battaglia. Si crede Torquemada, reincarnato per spazzare via i peccatori dalle strade. Sarà una fottuta strage senza precedenti".
Occristo. Perché una cosa tanto stupida?
"Ma che senso ha? E cosa c'entra Michele in tutto questo?".
"Questa è l'unica parte che a Spillone manca, e per estensione manca a me. Il fatto è che Giuseppino faceva il doppio gioco, per questo era stato cacciato. Pistola Fumante ha deciso di approfittarne, farlo fuori e scatenare una reazione a catena".
Pazzo. Maledetto pazzo.
"Ha intenzione di includere il cartello e tutte le altre allegre organizzazioni della ragione, magari?" chiese sbuffando.
Una goccia di sudore gli colò sulla guancia, ma erano quasi riusciti a scostare il cassonetto dal muro.
Avrebbe fatto un bel discorsetto a quelli della Caritas se fosse riuscito ad uscire vivo da lì.
Kevin continuava a gemere come se stesse facendo qualcos'altro, stupida checca bionda.
"Questo dipende da come gli gira." Seth invece si stava contenendo.
Essere l'unico etero lì non lo rendeva certo a suo agio, Franco poteva scommetterlo.
"Ecco...fatto." Franco mollò la presa, stringendo e rilassando le mani arrossate.
Si voltò e recuperò subito Jane, che dopo lo sforzo sembrava ancor più pesante. Cazzo.
Kevin crollò sulle ginocchia, stremato, mentre Seth controllò la porticina di legno che Franco riusciva a scorgere con la coda dell'occhio.
Nessuna maniglia, nessuna serratura. Cazzo impanato.
O forse no.
"Fate largo". Strinse Jane con più forza, appoggiandosi alla cassa con la spalla.
"Che hai... oh." Kevin parve capire e si alzò si scatto, schizzando dietro al cassonetto.
Seth lo seguì più tranquillo, appoggiando una mano sul sombrero.
"Sputiamo un po' di fuoco."
Una gamba indietro, le ginocchia leggermente flesse.
Era carica, doveva ringraziare Giulietta.
Iniziò a crivellare il legno di colpi, sentendo l'adrenalina scorregli in corpo e il canto della sua Jane riempirgli le orecchie.
"Ma vai a 'fanculo, Franco! Perché non hai telefonato a Pistola Fumante, già che c'eri?" urlò Seth con una vocina stridulissima e abbastanza acuta da incrinare le finestre degli edifici vicini.
"Mi sono proprio rotto i coglioni di fare il bravo omaccione. Il prete vuole la guerra? E guerra avrà. Stringete le vostre armi, assicuratevi che siano cariche e irrompiamo.
Basta con lo stealth di 'stocazzo, ho voglia di perforare stomaci a colpi di proiettile".
Kevin sembrò ringalluzzirsi un pochino, anche se aveva ancora la lingua a penzoloni e aveva appena sudato l'equivalente del Rio delle Amazzoni. Seth sfoderò un sorriso degno del miglior slasher e accarezzò nuovamente la sua pistola, chiamandola Giuditta Modello Numero Quattro.
A quanto pareva Franco non era l'unico col vezzo di dare un nome alle sputafuoco.
Era l'ora della rumba.
Corsero dentro disponendosi in maniera affiatata, seppur fosse la prima volta che lavoravano insieme. Spillone teneva molto alla disciplina dei suoi uomini e li faceva addestrare costantemente con l'obiettivo di migliorarne sincronia e precisione.
Sebbene fossero in tre sembravano un team di SWAT che avanzava, circospetto ma inesorabile. Si mettevano dietro alle colonne, puntavano fuori testa e arma e poi zigzagavano rapidi verso il riparo successivo.
Poi si fermarono quando videro don Alessandro, il solito gessato lindo come non mai, e i suoi scagnozzi che puntavano le proprie bocche da fuoco verso di loro, già posizionati come in una vera battaglia militare.
"Franco Franco Franco, ti pare questo il modo di entrare nella casa del Signore?" lo apostrofò il prete con ironia mentre stringeva ancora di più la propria pistola.
Fottuta penombra. Fottute candele.
Dov'era Michele? Non riusciva a vederlo. Doveva assicurarsi che stesse bene, che l'operazione fosse andata a buon fine...
"Padre, sono venuto qui per lavare via i suoi peccati." doveva prendere tempo.
Parlare era esattamente quello che non aveva intenzione di fare prima, ma ora gli sembrava inevitabile. Quanti cazzo erano i suoi scagnozzi?
Giulietta aveva detto tre, quattro... non sette. Sette, cazzo gratinato.
Pistola Fumante era proprio un prete.
"I miei peccati?" il prete ghignò.
Doveva aver intuito del maldestro temporeggiare di Franco, perché sollevò appen un braccio, in alto.
"Sopno io ad assolverti." disse inclinando appena il capo "Nel nome del Padre..." sollevò la mano, aperta e spavalda "del Figlio..." la portò alla sua sinistra.
A Franco tutto quello non piaceva affatto.
"e dello Spirito Santo."
Era un segnale. Si buttò a terra, cercando di rotolare sotto l'altare.
Gli uomini di Alessandro iniziarono a sparare.

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Capitolo 5
*** Come mi diverte trasformare una chiesa in un mattatoio ***


Franco, Kevin e Seth riuscirono appena a coprirsi dietro qualcosa, chi rotolando e chi tuffandocisi. Venne scaricata su di loro una pioggia di piombo assurda.
Pistola Fumante e i suoi scagnozzi non ebbero nessuna remora a fare più danni possibili nel cercare di uccidere gli intrusi.
"Prete! Arrenditi! Sei circondato!" urlò con più forza che poteva Franco da dietro la sua colonna. Era una sparata.
È vero che c'erano Chicco e Giuletta, ma erano comunque in inferiorità numerica. C'è anche da dire che la loro task force era mediamente meglio armata.
"Non dire stronzate, Franco! Siete di meno. Torquemada comincerà da voi la sua opera di pulizia del peccato".
Ci furono un paio di colpi andati a segno: uno degli uomini di don Alessandro cadde a terra con un proiettile in mezzo alla fronte, gentile regalo di Jane.
Ma Kevin, che evidentemente era il meno esperto dei tre assalitori, si beccò un proiettile nella spalla e divenne pressoché inutile.
"Franco!" urlò Seth "non possiamo andare avanti così. Mi serve la tua autorizzazione!".
Cazzo. "Fai quel che devi, vecchio".
Neanche gli rispose mentre, in un momento di pausa, uscì dal proprio nascondiglio e lanciò qualcosa.
Cristo. Ananas.
Franco si buttò all'indietro più veloce che poteva.
Dietro al tavolo di legno davanti all'altare, con le cariatidi al posto di normali, secche gambe da tavolo, Franco gettò Jane sulle gambe e si tappò le orecchie.
Il rumore dell'esplosione gli arrivò attutito, mentre vide scheggie della bomba volare e atterrare sul pavimento vicino a lui.
Alzò gli occhi: un angioletto era rimasto sfigurato, vicino alle piante che ornavano l'altare.
Oro, marmi colorati, ghirigori -mancavano solo glitter e piume.
Scostò le mani dalle orecchie, guardandosi attorno. Anche l'aluccia di un altro angelo era finita a terra, tra la polvere.
Kevin era dietro una colonna, ansimava così forte che il suo corpo sembrava in preda agli spasmi.
Franco imbracciò nuovamente Jane, pronto a controllare lo stato dei chierichetti della morte.
Seth era nascosto dietro ad un imponente gruppo statuario, con le braccia a terra e alcune dita ridotte a moncherini di marmo.
Si accucciò dietro al tavolo, alzando piano con Jane la tovaglia di seta che lo nascondeva alla vista di Alessandro e dei suoi amichetti.
Appoggiò il viso a terra, il marmo freddo contro i brani di pelle nuda sul mento, tra la barba di tre giorni.
Fumo. Si riusciva a distinguere davvero poco, con la penombra e le candele e l'incenso del cazzo.
Digrignò i denti. Non poteva sparare alla cieca. Già consentire a Seth di lanciare una granata in mezzo ai chierichetti con Michele che poteva essere ovunque era stata una scelta del cazzo -anche se più che di scelta di poteva parlare di adrenalina a mille e situazione critica.
Non che il livello dell'adrenalina nel sangue fosse diminuito -anzi. Il cuore gli martellava nelle orecchie -cuore del cazzo.
Doveva farlo sentire, non intralciarlo, anche perché se fosse successo qualcosa a Michele...
E poi la vide.
Un'alta figura scura in mezzo al fumo ianco che stava iniziando a diradarsi. Lamenti, i chierichetti agonizzanti.
"Bella mossa." Pistola Fumante era ancora vivo.
"Cazzo!" bisbigliò Franco stringendo gli occhi. Un colpo solo e Don Alessandro sarebbe finito all'Inferno, a giocare con il suo amato Satana a nascondino.
"Vaffanculo!" ululò Kevin dalla sua colonna.
Porca puttana. Alessandro sollevò il braccio, la pistola salda nella mano. Puntata verso Kevin, accasciato a terra.
Idiota, idiota, idiota!
"Espresso per l'Inferno a te. Salutami il caro vecchio buon Lucifero" stava per sparare. Stava per sparare e tutto quello che Franco riusciva a fare era premere a vuoto su un grilletto che lo stava prendendo per il culo.
"Oh, non direi proprio."
Spalancò gli occhi.
Riconosceva quella voce.
Dal fumo apparve una figurina zoppicante, un solo stivale con il tacco a spillo ed un corsetto strettissimo in pelle lucida.
Michele.
Don Alessandro girò immediatamente la bocca da fuoco verso il nuovo arrivato.
"Michele, torna di là. Questo non ti riguarda" disse trucido "a meno che tu non voglia un colpo in mezzo agli occhi".
Quello scoppiò a ridere. Dalla mano che nascondeva dietro la schiena spuntò un revolver che si fissò dritto verso la fronte del prete.
"Non prendermi per il culo. Mi riguarda eccome. E, indovina un po', mi riguarda per colpa tua. Mi hai trascinato tu in questo macello del cazzo e sarà camminando sopra il tuo cadavere che ne uscirò" rispose, serio come l'Angelo della Morte.
Franco poggiò con cautela l'inutilizzabile Jane e riuscì a recuperare una pistola da terra. Per sua fortuna Pistola Fumante era troppo concentrato sul suo caro Michele e quasi non si accorse di niente. Se non quando lui gli ringhiò "Metti giù quella fottuta arma, prete dei miei coglioni o ti faccio esplodere il cranio".
Che bel mexican standoff. Seth, appassionato di spaghetti western, si rialzò lento dopo l'esplosione e li vide lì, tutti e tre fermi come delle statue. Ripensò subito al cimitero di Sadhill, quando i tre protagonisti si squadrarono per lunghi secondi in maniera simile, ognuno con la propria arma puntata sulla faccia di uno degli altri due. Adorava Sergio Leone, lo adorava.
Pensò di intervenire ma un lamento alle sue spalle, proveniente dal piccolo Kevin, lo fece desistere e decise di dedicargli i primi soccorsi.
E poi si fidava a sufficienza di Franco e sapeva che non avrebbe fatto cazzate. Non poteva dire lo stesso del nano, vestito in una maniera scandalosa e di cui non sapeva nulla di nulla. Si segnò mentalmente l'ipotesi di doverlo mettere a tacere per sempre, nel caso.
I tre si guardavano e nessuno faceva il minimo movimento. La pistola di Franco e quella di Michele erano rivolte verso don Alessandro, il quale puntava l'ursino armadio a quattro ante. Non temeva Michele.
Ma doveva temere Franco.
"Prete." continuò squadrando l'altro, in gessato. Non doveva farsi distrarre da Michele -e doveva mantenere un tono calmo, padrone di sé.
"Ho una mitragliatrice in mano. Michele ha una pistola puntata su di te. Il cowboy ti sta cecchinando assieme al biondino." un po' di sano bluff non avrebbe fatto male. Forse.
"Arrenditi." terminò con fare pratico ed un sorriso tirato.
Un rumore dietro attirò la loro attenzione: il tacco di Michele sul marmo.
Fu un attimo.
Franco recuperò la pistola dal casco finito a terra, sparando davanti a lui alla cieca. Si era gettato di lato, atterrò sulla spalla e sul fianco, il fiato strozzato in gola.
C'erano stati tre spari.
Cazzo.
Finito dietro alla colonna, si rese conto della stronzata che aveva appena fatto.
Aveva condannato Michele.
Fece capolino centimetro per centimetro, quel fottuto incenso che gli dava alla testa ed il marmo freddo che gli stava congelando le ginocchia.
Alessandro era ancora in piedi.
Michele era sparito.
Si voltò per guardare gli altri due.
Kevin era appoggiato alla colonna, il braccio teso e la pistola ancora nella mano abbandonata. Era vivo.
Poi vide il sombrero a terra.
Seth non era stato così fortunato.
Fece due conti istantanei. Uno sparo era suo, uno di Alessandro, l'altro di Kevin.
Cazzo.
E Michele?
"Franco, zucchero, sei monopensiero." una voce femminile lo fece girare di scatto.
Vernice rossa. Coda alta. Settima naturale. Plateau infiniti.
Giulietta reggeva un fottuto B.A.R., il metallo nero in contrasto con le unghie smaltate di cremisi.
"Intuito femminile" aggiunse lei flettendo appena le ginocchia, pronta per scaricare una cascata di piombo su Alessandro.
E Michele.
Una mano grande come un caterpillar si chiuse come una morsa attorno al collo di Giulietta.
"Fai del male a Michele e ti spezzo la colonna vertebrale con tre dita, troia".
Lei ridacchiò, nonostante la situazione perigliosa. Almeno per il momento non c'era pressione da parte dell'energumeno.
"Franco, su. Non essere così aggressivo. Così mi fai passare tutta la voglia" cinguettò lei, sapendo bene che le sue arti seduttive erano buone quanto il due di picche quando governa cuori.
"Taci, zoccola. Te lo ripeto: tocca Michele e non so in quanti pezzi ti troveranno". E per rafforzare la propria minaccia strinse un pochino. Giuletta sbiancò, come se fosse stata privata di tutta l'aria.
"F-Fran... co... mi... sof... fochi...".
"Sul serio? Sei così fragilina, zoccola? Ho stretto appena appena appena. Non vorrai che aumenti la pressione, vero? Allora molla quella roba e sparisci".
Giulietta ubbidì senza fiatare. Evaporata tutto il suo atteggiamento da femme fatale de noartri, in quel momento accarezzò il vero terrore travestitosi da Franco.
"Anzi no, prima di andartene rispondimi" riprese lui, senza mollarla. "Perché hai attentato alla vita del mio Michele? Hai qualcosa da dirmi, cara la mia zoccola?".
"Franco... se non... mi molli... muoio...".
"Lo so. Ma non ti mollerò finché non avrai risposto. Trova da qualche parte il fiato che ti serve. D'altronde il mondo si divide in due categorie: chi ha una mano grossa come un macigno e chi muore. Tu muori. A meno che non faccia quel che ti chiedo".
Franco non riuscì a formulare la sua richiesta.
Un tonfo secco alle spalle lo fece distrarre, allentò appena la presa attorno al collo di Giulietta.
Tra i disegni d'incenso e gli arabeschi sul pavimento, scorse una figura scura a terra. Pistola Fumante.
A terra.
Morto?
"Franco." era Michele. Emerse dalla penombra della chiesa, calpestando con grazia la schiena del prete con il tacco a spillo "Dovrai spiegarmi un po' di cose."
Franco deglutì, mollando la donna.
Era vivo. Era stato lui ad uccidere Alessandro? Non ci capiva più nulla.
"Come ti chiami?" Michele avanzò sculettando, una mano che stringeva una gamba bendata.
"Giulietta." rispose la donna. Franco si girò per guardarla -si stava massaggiamndo il collo, le labbra cremisi incurvate in un tenue sorriso.
"Beh, grazie."
Franco sbatté gli occhi. Un attimo. Perché stava ringraziando LEI? Che aveva fatto di tanto speciale?
LUI era andato a salvarlo, LUI si era infiltrato in una chiesa, LUI aveva ucciso non sapeva quanta giovane carne fresca solo per Michele.
E questo ringraziava GIULIETTA?
"Non ho capito." ammise abbassando il capo.
Non capiva un cazzo.
E Kevin e Seth avevano bisogno di cure urgenti, non farneticazioni.
Michele strizzò gli occhi, stringendo le labbra e si appoggiò ad un gradino, sedendosi.
Franco si diresse verso gli altri, superando Giulietta senza nemmeno concederle uno sguardo.
"La tua amica mi ha liberato quando ero legato, ha terminato di medicarmi e mi ha dato una pistola."
Franco digrignò i denti, appoggiando l'orecchio al polso del vecchio cowboy. Non un battito. Era andato.
Che fine misera.
"Ma qualcuno franintende sempre." Franco sentì i plateau di Giulietta accarezzare il marmo, l'eco che si amplificava nella chiesa.
Lanciò un'occhiata a Kevin: pallido come la morte, i vestiti zuppi di sangue -ma vivo.
Si girò per vedere Giulietta abbracciare Michele, il viso di quest'ultimo affondare -letteralmente- nelle tettone della donna.
Brutta vacca. A Michele non piacevano le tette.
Poi un singhiozzo.
Michele stava tremando.
Vide le sue braccia cercare di circondare Giulietta, il viso nascosto.
Stava piangendo.
"Qualcuno..." era scosso dai tremiti, Michele.
"Mi spieghi..." lui che non piangeva mai, lui che sopportava venti centimetri come nulla.
"Perché." lui che non centrava nulla ed ora era il più invischiato in quella faccenda, più di tutti gli altri messi assieme.

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Capitolo 6
*** Dunque. Prendiamo un po' di kawaii, un tocco di psicopatia e un pizzico di sovrannaturale... ***


Giulietta accarezzò amorevolmente il capo di Michele. Il suo fare materno e protettivo faceva incazzare Franco ogni oltre dire: come si permetteva, quella stronza malcagata, di toccare con tanta confidenza il suo piccoletto?
Gli risalì la rabbia che già prima lo stava spingendo a strangolarla. Più vedeva quella forma femminile ronzargli attorno e più gli veniva voglia di scaraventarla contro qualche muro sperando che ci si spiaccicasse contro.
"Nanetto, è tutto finito" disse lei, completamente ignorante della reazione che stava scatenando nell'enorme e incazzuso fidanzato di Michele "c'è gente cattiva al mondo a cui piace prendersela con gli angioletti come te. Ma ora puoi riposarti, nessuno ti farà più del male. Ci sono qua io a proteggerti".
Fu il colpo finale. Franco perse ogni freno razionale e si avvicinò a grandi falcate verso quell'osceno spettacolo. Senza dir nulla alzò il piede, grande pressapoco come una pressa industriale, e lo piantò con violenza sulla schiena della povera donna.
Si sentì un rumore di ossa rotte.
"Puttana! Lascialo stare!" voleva dire. Gli uscirono suoni gutturali e ringhi che avrebbero spaventato un velociraptor affamato.
Michele si trovò schiacciato dal corpo di Giulietta, franato come il Vajont su di lui.
"A-Aiuto" riuscì a mormorare, ma nessuno lo sentì.
Stava soffocando, schiacciato da quelle tette infinite bagnate di lacrime.

Franco si girò di scatto, tirando fuori il cellulare dai jeans lerci. Aveva bisogno di contattare Spillone.
Digitò il numero a memoria e schiacciò il telefonino verde, portando il vecchio cellulare ancora in bianco e nero all'orecchio.
"Pronto?"
"Missione compiuta." snocciolò rapido "Ho ammazzato Pistola Fumante."
"Caduti?"
Franco strinse i denti. Giulietta era la donna del capo e lui l'aveva ammazzata -o paralizzata, non poteva permettersi di girarsi, le avrebbe martoriato quel cazzo di culo e quelle cazzo di tette che si ritrovava appiccicate addosso.
Puttana.
"Seth è partito. Kevin è ferito, ma ce la farà. Giulietta..." non finì la frase.
"...Giulietta?" chiese significativo Spillone. Il suo tono non era nulla di buono.
"L'hanno... è morta." che splendido attore. Fingere per tutto il liceo e mezza università di essere etero lo aveva addestrato bene a mantenere un tono fermo e i nervi saldi quando doveva mentire.
"Franco, cazzo, vaffanculo."
Lui sbatté gli occhi. Spillone non gli era mai parso più... piccolo. Debole.
Sentiva i suoi tremiti al telefono. Cazzo.
Era un mix tra incazzato e sull'orlo delle lacrime -male.
Franco si guardò in giro, facendo scivolare lo sguardo sugli uomini morti a terra e su Kevin, che aveva bisogno al più presto  di essere portato da Chicco al quartier generale.
E anche i corpi di Giulietta e Seth avevano bisogno di essere spostati da lì -suo compito, ovviamente.
"Comunque, Franco, che cazzo hai detto prima?"
"Eh?"
Spillone sembrava tornato in sé, ma che diavolo significava quella domanda.
"Quel Seth. Io non conosco nessun Seth."
Oh cazzo.
"Puoi dirlo forte."
No. Un'altra voce che non aveva mai sentito NO.
Lanciò un'occhiata in tralice alla sua sinistra.
C'era una bambina, dimostrava sì e no cinque anni.
I boccoli biondi erano raccolti da fiocchi e gli occhi verdi riflettevano l'arma che stringeva tra le mani, il fottuto B.A.R. di Giulietta.
Il vestitino rosa tutto pizzi e fiocchetti stonava in modo incredibile con il suo sorriso crudele e i braccialetti di caramelle sul polso.
"Hai fatto male alla mamma, brutto lupo cattivo!"
Cristo, no. Ma basta con questa gente ridicola. Ma basta. Ma basta. Cazzo.
Cercò di guadagnare tempo. Si avvicinò pian piano alla bimba, con le mani bene in vista per non darle motivo di sparare.
"Ragazzina, metti giù quell'affare. Non sai come usarlo e, anche se fosse, il rinculo ti schiaccerebbe al muro facendoti tanto male. Sei fragilina, non sopravviveresti". Lei strinse più forte la sputafuoco e Franco non mancò di notare che le mani le presero a tremare. Le si gonfiarono gli occhi di lacrime ma con un gran sforzo di volontà si trattenne, almeno per il momento.
"Non prendermi per il culo, orco! Uso questi affari da quando avevo due anni, so come funzionano. E comunque le conseguenze sono fatti miei. Tu hai ucciso mia madre, a calci nientemeno! Devi morire con dolore, schifoso bastardo!".
Franco si fermò di colpo, cominciando a sudare da ogni poro. Come poteva una mocciosa  così piccola parlare in quel modo da killer vissuto?
Un'arma. Mi serve una cazzo d'arma per farle esplodere le cervella.
Dal cellulare, che non aveva mai abbandonato la sua mano, si poteva sentire la voce furiosa di Spillone: "Franco! Che succede lì? Chi è Seth? Cazzo succede?".
Ovviamente lui lo ignorò, forse neanche si accorse di quelle parole. Era presissimo a cercare una via di uscita da quella situazione di merda.
Riprovò la carta diplomatica: "Mettilo per terra, su. Ci sono abbastana morti in questa chiesa, non voglio che un così bel faccino si aggiunga alla conta. Su, fai la brava".
Un sibilo riempì le arcate dell'edificio. Franco osservò, paralizzato dalla paura, il buco da proiettile che fumava a circa dieci centimetri dai suoi piedi.
"Ecco come faccio la brava, stronzo. Fai un altro passo e ti scambieranno per una forma di emmenthal".
Cristo. Ma tutte a me le femmine isteriche?
"Franco! Rispondimi o ti strozzo con le mie mani" strillava Spillone dal telefonino.
Casini per casini, pensò lui, tanto vale rimanere nelle grazie del capo. Riportò l'apparecchio all'orecchio, tenendo l'altra mano alzata per non far innervosire la bambina.
"CHI. CAZZO. E'. SETH." gli urlò nelle orecchie Spillone -e Franco sapeva che se fossero stati faccia a faccia si sarebbe ritrovato il viso pieno dello sputo dell'altro.
"Un vecchio che mi ha aiutato ed è schiattato in modo eroico." Franco continuò a fissare la bambina, che non gli toglieva gli occhi di dosso.
Fottuta streghetta.
"Porcatroia, adesso hai bisogno pure dell'aiuto di un vecchio?" Spillone recuperò la calma.
Franco non poteva biasimarlo. Aveva perso in un colpo la sua donna nonché tuttofare. Doveva essere un colpo -come essere calvi, solo un po' di più.
"Ho sentito un Seth, per caso?" la bambina s'intromise, i goccioloni che erano spariti dai suoi occhi, sostituiti da uno sguardo glaciale.
Bene, un'altra psicopatica.
Franco allontanò il cellulare dal volto, parlando con tono calmo e rassicurante "Hai capito bene."
"Io sono Seth." disse la bambina.
Macheccazzo.
"Seth Wolfgang." ripetè stringendo le manine sulla mitragliatrice.
Riavvicinò il cellulare per poter parlare.
"Spillone, qua è un macello che non ti puoi immaginare. Ora ti spiego. Il vecchio si è presentato come Seth Wolfgang dicendo che era uno dei tuoi uomini più fidati, talmente fidato che non era conosciuto in giro da nessuno. E naturalmente io e Kevin non facevamo eccezione. E adesso c'è davanti a me una bambina di cinque anni, con un mitra in mano, che vuole vendicarsi per la morte di Giuletta e ha appena detto di chiamarsi Seth Wolfgang. Io non ci capisco più un cazzo, lo giuro".
Non mentiva. Gli era appena venuto un mal di testa che non aveva mai sentito prima.
Non giunse un solo rumore dall'altro capo del telefonino. Poi Spillone, con voce tremante, disse: "Una... bambina... di nome... Seth Wolfgang... hai detto?".
"Sì. Non chiedermi cosa possa voler...".
"Taci. Passamela".
Eh? Cosa? Perché? Dove? Chi? Checcazzo?
"Ti ho detto di passarmela. Adesso".
Lui non aveva alcuna intenzione di esasperare ulteriormente la situazione. Guardò Seth in faccia e le disse, con semplicità: "Il mio capo vuole parlarti".
La bimba reagì come se le fosse entrata una lancia dritta in fronte. Senza abbassare la guardia per un solo secondo gli diede istruzioni su come operare: lanciarle il cellulare e farlo scorrere per il terreno, sperando che non venisse ostacolato dai mille cadaveri lì seminati.
Per fortuna arrivò a destinazione.
Lo raccolse, sempre con lo sguardo piantato sulla faccia confusa oltre ogni dire di Franco.
"Sì? Chi parla?".
Ci fu silenzio. Evidentemente solo Spillone stava parlando.
Poi quel che lei disse ruppe qualcosa: "Papà?".
Franco sgranò gli occhi.
Papà.
Ok, Giulietta a suo dire era la madre, ma... oh. Spillone padre.
Gli corse un brivido lungo la schiena.
S'immaginò Seth mano nella mano con quel colosso d'uomo, la benda sull'occhio e quell'enorme, scura cicatrice che gli deturpava la schiena perennemente nuda, a monito per gli altri.
Nemmeno lui poteva fare un passo falso nella propria organizzazione.
"Ma io l'ho visto!" il pigolio della bambina lo fece distrarre "Ha dato un calcio alla mamma e lei..." iniziò a piangere.
Cazzo.
Ora. Era. Davvero. Nella merda.
Si guardò attorno. Jane era scarica, appoggiata all'altare, più luminosa delle finestre di quella dannata chiesa.
Kevin era appoggiato alla parete, aveva un bisogno urgente di cure ed era lì ad aspettare di morire.
Michele...
Sgranò gli occhi e si coprì la mano con la bocca per soffocare una bestemmia che lo avrebbe fatto volare giù all'Inferno diretto, ancora da vivo.
La mugugnò appena, correndo verso l'altro, sepolto dal corpo tettuto di Giulietta.
No, non poteva prenderla e lanciarla via. C'era sua figlia -ed era la donna del capo. Ed il capo era il padre della nana con il nome da maschio che forse una femminuccia poi non lo era nemmeno.
Che mal di testa.
Si portò dietro al corpo della donna, in modo da poter guardare la bambina, che parlottava fitto con il padre.
Non poteva perderla di vista.
Sollevò Giulietta e la prese tra le braccia -ma quanto cazzo pesava. Tutta zoccola.
L'appoggiò sul pavimento vicino, girandola in modo da farle appoggiare la schiena sul marmo freddo.
Michele aveva il viso rosso ed il respiro affannoso, ma era vivo. Franco tirò un sospiro di sollievo, accarezzandogli il viso.
Povero piccolo. Lui non sapeva. Non sapeva nulla. Nemmeno lui a dire il vero, ma era nel giro da più tempo.
Kevin aveva ancora bisogno di cure e... sollevò lo sguardo.
La bambina aveva gettato il cellulare a terra.
Sentì di nuovo il cuore accelerare. Aveva ancora quel fottuto B.A.R. vicino.
"Papà non è contento, sai?"
Un ghigno.
Cazzo.
"Mi ha detto di ammazzarti e, se riesco, buttare il tuo corpo da qualche parte molto maleodorante e molto brutta. Ma non credo di riuscirci, pesi troppo. Oh beh, mi farò aiutare". Seth doveva essere uscita da L'Esorcista, pensò Franco. Non può esserci una bambina di cinque anni con un faccino così carino, un vocabolario così sboccato e una tale familiarità con il loro mondo. Era proprio la figlia di suo padre, sì.
Fottuto, si sentiva fottuto. E non nel modo che avrebbe potuto fargli piacere, anche se di solito stava sopra lui.
Scartò opzioni su opzioni, tutte infattibili o che richiedevano troppo tempo o troppa fortuna o troppa stupidità da parte di lei, cosa che si sentì di escludere sulla fiducia se aveva ereditato dai genitori anche solo un quarto dei loro geni. La mamma zoccola, anche se defunta, e il padre capo di un'organizzazione mafiosa era una sufficiente assicurazione, in tal senso.
Stava per dire qualcosa, qualunque cosa. Doveva guadagnare tempo e sperare in un miracolo.
Poi successe una cosa... no, non strana. No, nemmeno impossibile. E neanche assurda.
Era una cosa troppo oltre per essere infilata in un solo aggettivo.
Intravide, davanti a sé e dietro a Seth, un'ombra che si alzava.
Chi? Chi cazzo era adesso?
"Torquemada non muore" fu la sparata da malato mentale che entrambi sentirono.
Don Alessandro era vivo. E non è che fosse ferito, con la striscina di sangue al lato della bocca e un buco da colpo di pistola in mezzo al petto.
No no. Era perfettamente integro e in forma, un sorriso smagliante e la faccia di chi sta prendendo due ragazzini pestiferi e li sta per sculacciare perché se lo meritano.
"No. Torquemada non muore".
Franco spalancò la bocca.
"Tua madre!"
Non era giusto! Non era giusto! Era morto, era morto, non poteva risorgere come Gesù Cristo!
"Tu sei morto! Ti ho seccato!" continuò ad urlare -e la sua voce gli pareva pure un po' stridula.
Poi qualcosa che non si sarebbe mai aspettato.
Un colpo di pistola dalle sue spalle, dritto in fronte al prete.
Pum.
Alessandro barcollò.
"Lontano da mia figlia, stronzo!" un ringhio acuto.
Si girò.
Giulietta era seduta a terra, il braccio con il piccolo revolver ancora teso, il bustino aperto.
"Mamma." gemmette Franco tra sé.
Tra le tette nascondeva quattro fondine di pelle, assicurate al centro del petto. Una era vuota e la canna del revolver ancora fumante, mentre tutto quello che aveva lui era un mal di testa atroce ed il naso ormai atrofizzato dall'incenso.
"Mamma!" urlacchiò invece Seth, schivando il corpo del prete, che cadde abbandonato tra i chierichetti.
La bambina abbandonò il mitra della madre a terra e corse verso l'altare, gettandosi sulla donna.
"Torquemada muore eccome se Giulietta dice che deve morire." questa appoggiò il revolver a terra e strinse a sé la figlia, o il figlio, che cazzo ne ssapeva Franco.
"Kevin..." mormorò flebile "Kevin ha bisogno di soccorso."
"Taci, succhiacazzi." replicò lei gelida "Anch'io."
Poi sorrise alla figlia, sfregandole in nasino con il proprio.
Perché, perché tutti dovevano essere degli psicopatici con la doppia personalità, lì? Forse era l'incenso? O la chiesa.
O il fatto che tra Organizzazione e gay bar le sue conoscenze fossero limitate -là fuori potevano esserci altri come loro e tante persone normali.
Che poi, lui era normale.
"Chiama Chicco e digli di muovere il culo." ordinò Giulietta. perfetto, ora era entrata in assetto da guerra come donna del capo.
"Poi chiama Spilluccio e passamelo. Porta il biondino da Chicco, io mi arrangerò."
Seth struciò il sorriso estatico sulle tette e le fondine di Giulietta.
"Inoltre, anche l'angioletto qui ha bisogno di essere visitato."
Michele.
Sembrava stesse dormendo, ignaro di tutto quello che stava succedendo.
Beato lui. Tra mal di testa e tutto il resto, chissà quando sarebbe riuscito ad addormentarsi.
Doveva pure lavarsi i capelli.

"Forse non mi sono spiegato bene. Torquemada non muore".
Che? Cosa? Cazzo? Era? Quello?
Don Alessandro si rialzò per la seconda volta, la fronte bucata da parte a parte. Si poteva guardare dall'altra parte, come un foro della serratura. Cercò di pulirsi il gessato dalla polvere e dal sangue. Opera improba, in effetti. Odiava quando gli sporcavano il gessato, era il capo d'abbigliamento che più amava indossare.
Si guardò attorno,
Franco tremava. Nessuno aveva mai avuto l'onore di vederlo terrorizzato come un poppante a cui viene raccontata per la prima volta la favola del babau. Eppure in quel momento l'unica differenza fra Franco e un poppante era la quantità di peli corporei.
Giulietta teneva la pistola a penzoloni su un fianco, la faccia gonfia di stupore e... ci leggeva schifo? Quel che era, non contava nulla.
C'era anche una bambina abbracciata a lei, un batuffolo coi boccoli biondi di rosa vestita. Stringeva forte la gamba della donna, terrorizzata come tutti gli altri.
Amava incutere quel tipo di sensazione. E dovette ammettere che lui stesso, dall'altra parte della barricata, non ne sarebbe stato esente.
"E tu, donna scostumata. Con che faccia entri in chiesa vestita in quel modo? Non hai un po' di pudore?".
Quella, per tutta risposta, raccolse il coraggio che le restava, alzò il revolver e sparò un altro colpo.
Il prete non fece nulla. Si beccò il piombo in pieno petto.
"Maledizione! Finitela di macchiarmi il gessato, è una cosa che non sopporto".
Ci fu un urlo collettivo di tutti coloro che erano ancora in grado di respirare in quel fottuto mare di cadaveri. E non si chiamavano Alessandro Juan Maria Ramirez.
Pistola Fumante si portò un dito all'altezza del suo nuovo condotto di areazione e lo intinse per bene. Poi lo avvicinò al naso e lo annusò con forza.
"E così il sangue umano puzza così tanto. Bene, ora so che la mia sacra missione è giusta".

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Capitolo 7
*** Apocalisse? Ma per piacere, non ci piacciono le cose per i bambini ***


Tutto quello era un incubo, un fottutissimo incubo.
Doveva essere così. Già. Già.
"Mamma." la vocina di Seth interruppe i suoi pensieri -Franco si accorse di tremare.
Stava TREMANDO, lui.
Aveva davanti un fottuto morto vivente e una decina di cadaveri.
Ed era disarmato.
"Posso chiamare i fratellini?" domandò la bambina.
Giulietta non rispose subito.
Fratellini? Quanti anni aveva Giulietta? Non poteva aver sparato fuori nani multipli.
"Amore, devi esserne sicura." rispose la donna.
Amore. Michele. Michele come stava? Dormiva lui, o era svenuto. Non stava assistendo a quel delirio.
Franco era bloccato. Non riusciva a muoversi. Vedeva davanti a sé quel fottuto zombie piegare il collo di lato, crack crack, facendo echeggiare lo scricchiolio delle ossa per tutta la chiesa.
Seth corse verso di lui, le braccia spalancate verso l'esterno, il vestitino che spiccava, così innocente in mezzo a tutto quel fottuto sangue.
"Ho bisogno di voi!"
Fu un attimo.
Franco sbatté gli occhi.
Davanti a lui si ergeva un tripudio di boccoli biondi ed un arcobaleno di vestitini di pizzo.
"Quella vacca..." uscì flebile a Franco.
Erano un'armata. Un'armata di bambine uguali a Seth, con i vestitini di tutti i colori, sembravano un arcobaleno, come la bambiera che usava come coperta.
"Tu non fai male a mia mamma!" gridarono le bambine, in perfetta sincronia, le vocine acute che sembravano fastidiose da tante che erano.
Il coro risuonò per tutta la chiesa, amplificando il mal di testa di Franco -sembrava che delle tenaglie gli stessero stritolando le tempie, pronte a maciullargli il cranio ad ogni ulteriore suono.
"Ma cos'abbiamo qui." zombie-Pistola Fumante ghignò "Un esercito di cloni esper. Vedo che Spillone si è dato agli esperimenti di biogenetica sperimentale."
"Stai attenta, amore." Franco sentì appena il mormorio di Giulietta.
Le bambine si girarono, in sincronia, sorridendo.
Porca puttana. Che situazione fottuta.
"Sono simili abomini che vanno sterminati. L'uomo deve scendere dalla torre di Babele e tornare a strisciare per terra, come merita. Il cielo è proprietà esclusiva di Dio e voi miscredenti siete solo dei poveri folli quando vi mettete a giocare con forze che non potete comprendere. Io sono Tomàs de Torquemada e il mio compito è purificare la terra da questi figli del diavolo".
E dopo questa Franco si arrese. Dopo la bimba dal nome da maschio che sapevano moltiplicarsi, preti non-morti invasati che si credevano la reincarnazione del più spietato inquisitore della storia e vecchi vestiti in modo sgargiante che si spacciavano per qualcun altro il suo cervello dichiarò il KO tecnico e chiuse i battenti. Cominciò a sbavare da un angolo della bocca mentre si contorceva in strani fremiti incontrollabili e gli occhi spingevano per entrargli nel cranio.

Don Alessandro, che a malapena si accorse della crisi nevrotica dell'uomo che era venuto lì per ucciderlo, alzò la testa più che poteva, fino a farla quasi cadere all'indietro, e chiuse gli occhi.
"Il tuo umile servo ti chiama" sussurrò in maniera impercettibile.
Le bambine, Giulietta, quel che rimaneva di Franco, Kevin, i cadaveri. Tutto venne inondato da una luce bianca insopportabile.
Quando si dissolse lo spettacolo fu... sconvolgente? Matto? Insulso?
Il prete si ergeva in mezzo a tutti quei corpi. Cucito al suo gessato un mantello rosso. Sulla sua testa un elmo vichingo. In mano un martello da guerra.
"Aesir dunque, oggi? Che scelta bizzarra, mio Signore".

Erano un'unica coscienza, un'unica anima guidata dalla prima Seth.
"Sono pronta?" pensò chiudendo gli occhi "Certo che lo sono."
Le tre Seth con il vestitino azzurro si librarono in aria, puntando quel grosso signore con l'elmo alato.
"Vieni!" urlarono le tre in coro, puntando gli indici delle mani sul bersaglio.
Stava arrivando, dal sottosuolo, rispondendo al loro richiamo.
Il pavimento di marmo della chiesa tremò.
"Terrificante." commentò con voce annoiata il prete.
"Lo sarà." rispose la mamma, si sentiva appena la sua voce.
Seth doveva farle vedere quanto si era allenata con papà.
PUM! Esplosione.
Le lastre di marmo scoppiarono, tra la polvere uscì un dragone d'acqua, il vecchio Flippy.
Le Seth sorrisero.
"Devi avvolgerlo tutto, ok?" chiese e Flippy ringhiò.
Le Seth con il vestitino viola si guardarono attorno, mentre le altre fissavano il dragone d'acqua imprigionare l'omone tra le sue spire.
Anche le Seth rosse si mossero, concentrandosi sull'immagine di un caminetto. Il fuoco scoppiettava allegro, le fiamme danzavano.
"Devo impegnarmi davvero" pensò Seth. Gestire tutti quei cloni era difficile, le faceva male la testolina.
Il dragone iniziò a diventare bianco, invaso di bolle.
L'acqua si stava scaldando -papà le aveva insegnato che la carne cotta si poteva mangiare e basta.
Quello strano signore era pieno di buchi però era ancora in piedi. Se riusciva a bollirgli i nervi ed i muscoli forse poteva sezionarlo tutto.
Le Seth verdi cominciarono a battere le mani, preparando la barriera, così se l'uomo fosse riuscito ad attaccarle avrebbe ricevuto una bella sorpresa.
"La mia bambina." la lodò la mamma. Seth sorrise, mentre le  altre con il vestito viola sollevarono le braccia.
Aveva bisogno di armi, ma quello strano posto era pieno di attrezzi che poteva utilizzare -come quelle strane impalcature di metallo che sostenevano le candele.
"Venite anche voi, su." le chiamò.
Il dragone fumava come una pentola d'acqua bollente prima che la mamma ci mettesse dentro la pasta.
"Mamma, quanti gradi sono centocinquanta?" chiese ad alta voce, in coro. La cosa brutta di tutto quello era che aveva ancora bisogno di allenarsi e capire -e a volte papà non le diceva un bel nulla.
"Abbastanza, amore." rispose la mamma.
Seth sorrise. Bene. Ormai l'uomo dentro doveva essere completamente cotto.
"Flippy, come va?"
Il dragone ringhiò soddisfatto. Dalla sua pancia uscì la mano dell'uomo: sembrava morta, completamente rossa.
"Ma il bello arriva adesso." disse lei.
"Attaccate!" gridò. Dalle colonne si staccò tutto quel bel metallo, sfrecciando verso Flippy.
"E fate male". aggiunse.
Le Seth chiusero gli occhi. Flippy doveva provare un po' di male, ma si sarebbero scusate.
La barriera delle verdi le protesse dagli schizzi di acqua fumante, che le Seth dal vestito arancione si premurarono di spedire nella Dimensione del Chaos.
Aprirono gli occhi.
"Oh."
Davanti a loro, tra gli altri cadaveri, l'uomo era ridotto ad una strana statua di carne fumante e metallo.
Era conficcato un po' ovunque: in gola, sul petto, una sbarra decorata a motivi floreali gli trapassava un braccio ed una gamba, ancorandolo a terra.
"Sei ancora vivo, nonnino?"
Le Seth arancioni si prepararono a spedirlo nel Chaos, sicure della protezione di quelle verdi.

"Che cos'è questa pagliacciata? Volete uccidermi di noia, per caso?" disse il prete.
Per rispetto delle bambine non aveva voluto rispondere ai loro coreografici, inutili attacchi. In fondo, pensò in un barlume di rispetto umano, loro non erano altro che le vittime di quel pazzo violento e senza Dio di loro padre. Le pecorelle giovani sono sempre meno inclini al peccato per loro stessa natura.
Sbadigliò. Quella roba cominciava a dargli sui nervi. Fenomenali poteri cosmici, creati dalle luride mani dell'uomo, non potevano nulla contro la santità derivatagli dalla luce divina.
"Il tuo umile servo ti chiama".
Un singolo, sottile raggio sfondò il tetto della chiesa. Sembrava immateriale, tanto che ci si sarebbe potuto vedere attraverso. Cadde perfettamente nell'occhio destro di don Alessandro.
"A me il potere!" si trovò ad urlare. Se Franco fosse stato ancora catalogabile come "essere umano" avrebbe di sicuro visto la similitudine con uno dei cartoni animati preferiti della sua infanzia, He-Man.
Fu un instante colmo di qualcosa non ben definito. Forse stupore. Forse raccapriccio. Forse riluttanza ad accettare qualcosa del genere come disceso direttamente dal Paradiso a investire don Alessandro dell'autorità celeste.
Dal palmo della sua mano nacque una fiammella. Si espanse a macchia d'olio sul suo corpo, avvolgendolo come una dolce coperta calda.
Ben presto il prete divenne il gemello della Torcia Umana.
Il metallo che lo costringeva a terra fu liquefatto all'istante.
Le Seth arancioni accellerarono le procedure per scagliarlo nell'altra dimensione. Erano sicure di loro e del loro potere, ma non si sa mai quali scherzi può riservare un tale invasato.
"Che tutto bruci" proclamò lui solennemente, ancora sdraiato.
Quell'opera d'arte della basilica di San Crispino divenne una gigantesca palla di fuoco. Temperatura stimabile: intorno agli ottocento gradi.

"Difesa." era balenato in mente alle Seth verdi.
Dovevano proteggere la mamma. Dovevano proteggere l'altro bambino vestito di nero e gli uomini.
La barriera neutronica iniziò a sfrigolare, piegandosi in modo da formare una cupola protettiva.
"Abbiamo bisogno di più energia." la Seth originale annuì.
I colori dei vestitini delle altre mutarono, trasformandosi in verde, rimaneva solo lei con quello rosa.
"Più energia!" ripetè ad alta voce, unica.
Le altre avevano sollevato le mani, rinforzando la barriera con il loro potere.
"Amore..." la mamma le si avvicinò -non l'aveva nemmeno sentita, ora che era nella barriera translucida verde i suoi passi non rimbombavano più.
Questa si chinò per abbracciarla, scaldandola.
Seth non si era nemmeno accorta di avere freddo, troppo impegnata a gestire tutte le altre.
"Sono brava, vero?" le chiese.
La mamma le baciò i capelli "Tantissimo. papà ti ha insegnato davvero molto bene."
"Però non muore, uffa!" protestò lei.
Le fiamme non accennavano a scemare.
"Non so cosa fare." si lamentò fissandosi le scarpe fucsia. Erano tutte sporche di polvere!
La mamma rispose poco dopo "Ho un'idea. Prova ad invertire la barriera."
Seth ci pensò su "Cioè?"
"Avvolgi la barriera attorno a Pistola Fumante e rimpiccioliscila sempre di più fino a schiacciarlo." le spiegò.
Sembrava una buona idea!
"E poi potrei mandarlo nel Chaos! Flippy si sente sempre solo quando non lo chiamo qua!" Seth batté le mani. Era un'ottima idea!
"Aspetta però." la interruppe la mamma "La prossima volta che chiami Flippy potresti trovarti anche lui."
"Oh." non ci aveva pensato.
"Non hai altre dimensioni a tua disposizione, oltre a quella del Chaos?"
Poteva mandarlo nel futuro -però papà le aveva sempre detto di non usare mai quel potere, quindi era meglio afre come diceva lui.
"No." le dispiaceva non poter accontentare la mamma.
"Allora mandalo nel Chaos. E' la nostra unica possibilità."
Seth annuì, contenta.
"Piegate la barriera. Intrappolatelo." ordinò alla maggior parte delle altre, poi si concentrò sulle tre più vicine a lei.
"Ho bisogno del vostro aiuto." in un battito di ciglia i loro vestiti divennero arancioni.
"Sicuro!" trillarono loro in coro, inziando a preparare il vortice interdimensionale per liberarsi dell'uomo.
Pistola Fumante l'aveva chiamato la mamma.
Seth si unì alle tre per velocizzare il processo. Le altre avevano già invertito la barriera, che simile ad un pallone enorme bloccava l'uomo.
"Anche sotto." disse loro -non poteva farlo fuggire.
Il cielo sopra le loro teste era tinto di rosso, mentre attorno a loro c'erano solo macerie, marmo fumante e asfalto che puzzava.
Per fortuna che era arrivata lei, o la mamma e i suoi amici -compreso quell'uomo peloso e cattivo-sarebbero morti.
La palla diventò sempre più piccola.
Stavano stringendo, comprimendo la materia.
Papà aveva detto che quello scudo era la sua arma più potente!
"A noi due."
Sentì il rombo del Chaos.
La barriera verde iniziò a scurirsi, offuscata da chiazze scure -assorbiva anche la luce!
Chiuse gli occhi.
"Dai, dai, dai, dai!"
Quando li riaprì la mamma stava sorridendo. La barriera con l'uomo era nel Chaos, poteva sentire l'eco delle sue grida.
Ce l'aveva fatta.
"Kerumph. Carino come gioco di prestigio. D'effetto. Pensi di usarlo quando andrai in giro con il circo?".
No. No. No!
La voce veniva dalle loro spalle ed era tristemente conosciuta.
Quel prete era cocciuto, pensò Giulietta. Si ostinava a non morire.
Né lei né la Seth originale si voltarono. Non aveva senso. Non ancora.
"Come. Dimmi solo come" chiese la donna adulta.
Ci fu una risata sguaiata e delle dita che scrocchiarono rumorosamente: "Che domanda stupida. Dio è ovunque. E io, in questo momento, sono la cosa che Gli si avvicina di più. Mi è bastato ricostituire il mio corpo fisico dove volevo.
E ho pure spento le fiamme. Un grazie? Chiedo troppo?".
Ridicolo. Le prendeva pure per il culo, oltre a tutto il resto.
"Mamma" bisbigliò la piccola, un'incrinatura di paura nella voce "cosa devo fare adesso? Se neanche mandarlo nel Chaos ha funzionato... io non ho più idee?".
"Non lo so, piccola mia. Ma vedrai che qualcosa lo troveremo".
Don Alessandro sbadigliò di nuovo. Questo contrattempo gli stava togliendo concentrazione e voglia di svolgere la sua missione. E ciò non Gli avrebbe fatto piacere, proprio no.
Senza che loro potessero vederlo fece un profondo inchino nella loro direzione, poi disse "Signore, devo ammettere che mi sono divertito ma ora temo di dovervi abbandonare. Ho una città da purificare.
Per rispetto alle impressionanti doti combattive della piccola cercherò di risparmiarvi se posso, ma non assicuro nulla. Come sapete un Armageddon tende a non fare distinzioni. Ci rivedremo quando il buon Dio deciderà". E si voltò, avviandosi all'uscita. Si mise a fischiettare il Dies Irae di Giuseppe Verdi.

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Capitolo 8
*** Ed ecco il bizzarro che galoppa gaio per queste lande ***


Era avvolto dalle tenebre, mentre una musica solenne echeggiava nelle sue orecchie. I violini piangevano, mentre una bassa voce maschile gli sussurrava all'orecchio parole a lui sconosciute.
Era Michele.
Franco cercò di concentrarsi sulla voce, ma il crescendo della melodia gli impedì di sentirla ancora.
Aprì gli occhi. Ancora buio, anche se Michele era davanti a lui.
Però era strano, era lui e contemporaneamente sembrava un altra persona. I suoi capelli scuri rilucevano, la sua pelle aveva il candore opaco delle statue antiche, in netto contrasto con il corsetto borchiato e i tacchi a stiletto degli stivali.
"Franco." chiamò il suo nome, inclinando il capo.
I suoi movimenti erano rigidi, come se fosse davvero una statua.
Franco si avvicinò a lui, camminando in quel buio lattiginoso. La musica d'orchestra era sparita, lasciando dietro di sé il silenzio.
Non un respiro infrangeva quel momento.
"Amami" era un ordine, pronunciato con tono duro.
Franco si avvicinò ancora, mentre Michele sollevò un braccio, imperioso, intimandogli di sbrigarsi.
Ma Franco non poteva correre, si limitava a far echeggiare i propri passi nel nulla, vedendolo avvicinarsi con lentezza esasperante.
"Amami." ripeté Michele, gli occhi stretti ed il braccio rigido, in posa come una statua greca.
"Sì" gli rispose Franco "Lo faccio già. Ogni giorno, ogni minuto e secondo della mia esistenza"
"Menti"
Franco crollò sulle ginocchia, guardando dall'alto Michele, il suo sguardo freddo, freddo come il marmo.
"Sono... tu non hai idea delle cose che ho fatto per te." gemette stringendosi le braccia al petto "Ho ucciso, ho rischiato di morire, ho scoperto... tu non sai cos'ho scoperto."
"Amami" Michele non sembrava a verlo ascoltato.
Franco si avvicinò a lui sulle ginocchia, come in adorazione di un idolo.
"Sempre" allungò una mano per toccarlo, appoggiandola sulla spalla dell'altro "Sempre"
Lo abbracciò, stringendo quel corpicino -freddo, così freddo.
Non era Michele, era ghiaccio.
Franco chiuse gli occhi, stringendolo di più per scaldarlo.
Un'ondata di scheggie fredde gli investì il viso -spalancò gli occhi: stringeva l'aria, mentre ai suoi piedi giaceva un mucchietto di polvere, frammenti di quel Michele così finto.
"Ti ho ucciso."
Toccò con una mano la polvere, così sottile, stringendola tra le dita -fresca come l'aria.
"E' colpa mia." iniziò a cantilenare, come un mantra, un'ode funebre ad un Dio sconfitto "E' colpa mia, ti ho ucciso!"
Aprì gli occhi. Era sdraiato su un materasso duro, senza cuscino. Riconosceva quella stanza: era l'anticamera della base di Spillone, dove le guardie montavano il turno.
Era stato solo un sogno.
Un brutto, orribile sogno.
Si alzò. Gli doleva ogni fibra corporea, ano incluso:
Non ricordava come era finito in quel posto. L'ultima cosa che era registrata nel suo cervello... aspetta. Com'è che non ricordava nulla da dopo l'irruzione in chiesa?
C'erano Kevin, quella zoccola di Giulietta, il vecchio vestito come un pagliaccio fuggito da un istituto psichiatrico... fucili e Jane spianati, dovevano entrare e ammazzare qualunque cosa si muovesse. Lui ovviamente non era così sicuro su quest'ultima parte, dato che vi era incluso anche Michele e avrebbe preferito farsi strappare l'uccello a morsi che fargli del male.
Ma dopo quello... vuoto. La sua memoria si interrompeva bruscamente. Aveva dei vaghi flash di robe irreali, tipo una bambina che si sdoppiava e cambiava colore e faceva cose impossibili. Niente di focalizzato, solo spettri di immagini che gli galleggiavano in testa sfottendolo per la loro palese assurdità.
"Cazzo. Devo smetterla di sniffare qualunque schifezza mi passi quel drogato di Raffaele 'O Porcu" si disse a mezza voce, inacidito. Le sue sinapsi stavano friggendo ben bene, a quanto pare.
Uscì dallo stanzotto. Ai lati della porta c'erano due tipi armati che piantonavano l'ingresso e che, sentendo dei rumori, si erano voltati nella sua direzione.
Li conosceva: erano Pippo e Anastasio, detti amichevolmente Merda e Vomito. Sì, c'era un gran senso di cameratismo e di volemose bbene nella gang di Spillone.
"Franco! Come va, caro? Eri ridotto piuttosto male, lo sai?" gli disse Pippo sbattendo le ciglia. Era il suo modo di motteggiare la gente e Franco l'aveva sempre odiato. E poi lo sapeva che il suo cuore era occupato, che ci provava a fare ogni santa volta che aveva la sfortuna di vederlo?
"Lascia stare, Vomito. Sto una merda. Cos'è successo, si può sapere?".
"Non ne abbiamo idea" intervenne l'altro "Spillone ci ha tenuto totalmente all'oscuro di quel che è successo dentro quella fottuta chiesa. Anzi, speravamo che potessi illuminarci tu in merito".
"Ah guarda" fece Franco, tenendosi le tempie che avevano improvvisamente cominciato a dolergli "caschi male, non ricordo una minchia di niente. O meglio, ricordo qualcosa ma dev'essere qualche trip strano".
"Dai su caro, non farci restare sulle spine. Vogliamo..." cominciò Merda. Non poté finire perché la testa gli esplose. L'occhio sinistro finì direttamente sul naso di Franco.
"Buongiorno, cari. Come va il vostro ultimo giorno di vita?" fece una voce che a Vomito non diceva niente, ma che Franco ricconobbe istantaneamente.
Don Alessandro era lì.
"Cazzo!" esclamò indietreggiando.
Nel naso sentiva fresco il puzzo del sangue, acre e metallico.
Un altro sparo: il corpo di Vomito ruotò su se stesso, spruzzando sangue e viscere, che imbrattarono il pavimento e la porta.
Don Alessandro stringeva due armi: la pistola con cui aveva ucciso Merda, una semplice rivoltella impugnata nella mano sinistra, eh...
"Ohccazzo" Franco non aveva idea di cosa fosse quella roba.
Sembrava un lanciamissili in miniatura, issato sul braccio del prete. Il metallo era argentato, lucido come uno speccio, mentre delle croci in rilievo lo ornavano.
Abbassò lo sguardo sul corpo di Vomito: dal ventre spuntava una croce metallica, le punte biforcute che scintillavano.
"Ti piace?" Don Alessandro sollevò il braccio per mostrargli il lanciacroci, assicurato a lui da una serie di cinghie "Si chiama Grande Sterminatore di Infedeli 2.0, modello Tito 70 d.C."  gongolò.
Franco fissò esterrefatto lo Sterminatore, conscio di essere spacciato: Pistola Fumante era armato, lui al contrario era in pigiama, chiuso in una stanza, completamente alla sua mercè.
"B-bello" tentò. Si sentì un coglione -leccare non era certo la cosa migliore da fare- ma Don Alessandro non gli sparò.
Non ancora.
"Ovviamente prima mi riferivo a quegli infedeli fornicatori dediti ai piaceri di Bacco e Venere" gli disse con tono tranquillo "Per te ho altri progetti in mente"
"Ovvero?" aveva una speranza? Franco aveva davvero una speranza?
"Sei stato un degno avversario. Ho un'offerta da proporti."
"Franco sapeva già quale fosse. Sembrava il copione di un brutto film mafioso. Ora Pistola Fumante gli avrebbe chiesto di unirsi a lui, tradire Spillone e...
"Togliti la vita da solo."
Franco spalancò gli occhi. Cosa?
"Mi ha capito bene, sodomita." replicò Pistola Fumante con tono irritato "La tua anima non raggiungerà mai il Signore se sono io ad ucciderti." gli spiegò "Il Signor eha bisogno di combattenti come te, protettori della fede, instancabili esempi di amore e carità. Se ti priverai del suo dono, il giorno dell'Apocalisse rinascerai senza un corpo..."
Fece una pausa.
Tutto quello era... assurdo.
"Ed entrerai a far parte delle Sue forze speciali contro Satana, la fornicazione, il vino ed il gioco."
Franco non sapeva cosa dire. Tutta quella pappardella religiosa... non ci aveva capito nulla.
"Sono ateo." specificò a bassa voce, come per non farsi sentire. Come doveva reagire? Cosa doveva fare?
"La Redenzione è sempre possibile, Dio è buono e misericordioso." Pistola Fumante sembrava uno di quelli che rompevano le palle porta a porta.
I discorsi erano simili -ma la religione diversa, giusto?
"E se... dovessi rifiutarmi?"
Franco desiderò non aver sollevato la questione.
Un meccanismo scattò nello Sterminatore, e nel buio della canna Franco intravvide le punte scintillanti di una croce.
"Credo di essere stato abbastanza eloquente." commentò Don Alessandro.
Il Grande Sterminatore di Infedeli ruggì.
No, Franco non se lo sognò. Quell'aggeggio emise un rumore come l'urlo di guerra di una tigre, o di un leone, o qualcuno di quei felini abnormi che possono ingoiare un uomo adulto in un solo boccone.
Si sturò le orecchie. Il gesto non gli impedì di sentirne un altro. E un altro ancora.
"Tito ha fame. Quei due scarti di galera non l'hanno per niente soddisfatto" disse don Alessandro, il suono della sua voce che pareva un martello pneumatico. Poi aggiunse, più tetro "Tu, al contrario, saresti un eccellente pranzo".
Al povero Franco parve di impazzire. Davanti a lui c'era un prete, vestito in una maniera ridicola, un mantello rosso che svolazzava pur con la totale assenza di vento cucito a un gessato grigio, che reggeva uno spara-croci... apparentemente senziente.
Balbettò qualcosa. Don Alessandro colse "cazzo", "vaffanculo a tutti" e il nome del Signore pronunciato invano. Si scrocchiò il collo, irritato da quest'ultima irrispettosa uscita.
"Te lo ripeto per l'ultima volta, Franco: se ti togli la vita da solo passerai nelle bianche armate quando i Cavalieri dell'Apocalisse marceranno sulla terra. E, visto che sei sperduto e non credi nell'esistenza di Nostro Signore, tengo a precisare che intercederò per te nei Suoi confronti per convincerlo a fare un eccezione. Di solito la prassi è chiara ma sono sicuro che vedrà quel che ho visto io in te e saprà riconoscere le tue qualità. Al contrario, non dovessi fare ciò che è meglio per tutti, mi assicurerò che il tuo posticino all'Inferno sia scomodo, piccolo e lercio più che si può. Hai otto secondi per decidere".
Gli gettò la pistola per dargli un mezzo con cui suicidarsi.
Franco la afferrò al volo.
"Fottiti, invasato del cazzo".
Gli piantò un proiettile in mezzo alla fronte.
"Ancora? Quando lo capirete che 'sti trucchetti non funzionano più con me? Sono trasceso. Ora i secondi sono quattro, Franco".
Quatto. Il battito del suo cuore stava accelerando.
Tre. La pistola nella sua mano era fredda; la impugnava con forza, le nocche sbiancate.
Due. Cosa poteva fare? Cosa doveva fare? Lui non credeva nell'Inferno, non credeva nel Paradiso. Ma la stessa esistenza di Pistola Fumante era un segno lampante di quanto Franco si sbagliasse.
Uno. Era fottuto, in tutti i sensi. Uccidersi? Il pensiero non lo sfiorava nemmeno. Uccidere Alessandro -sì, ma come?
"Il tuo tempo è scaduto."
Tito rombò, la voce bassa e sporca echeggiò nella stanza.
Franco era finito.
Chiuse gli occhi, aspettando la fine.
Uno. Due. Tre.
Era ancora vivo. Il ringhiare di Tito era diverso.
Aprì gli occhi: la figurina di Seth era davanti a lui; dalle braccia protese in avanti, che Franco vedeva dall'alto, spuntavano dei tentacoli vischiosi, verdi.
Tito lo Sterminatore ne era avvolto. Franco era salvo.
Don Alessandro sbuffò. Quella bimba cominciava a fargli venire i nervi. Seriamente.
Alzò gli occhi al cielo, come in una silenziosa preghiera. Poi appoggiò una mano su Tito, che guaiva come un cagnolino finito in una trappola da bracconieri, e fece un verso. Qualcuno di particolarmente volgare avrebbe pensato che è il tipico verso che fa uno quand'è seduto sul water e spinge per cagare.
I tentacoli esplosero in un turbinìo di luci azzurrine. Franco fu momentaneamente accecato.
"Piccola, dovresti smetterla di mettermi i bastoni fra le ruote" esclamò, piccato. Poi intinse un dito nella ferita sulla fronte, che non aveva mai smesso di sanguinare furiosamente, e se lo portò alla bocca. Lo leccò appena.
Seth si lamentò ad alta voce: "Uffa! Sei un bastardo, vecchietto! Perché hai distrutto i miei amichetti?". E sbattè i piedini per terra, arrabbiata. Quel prete dai capelli stravaganti, bianchi e sagomati in maniera geometrica ma davvero strana, non le piaceva per niente.
Lui le scioccò un'occhiata davvero brutta, poi le diede le spalle e decise di mostrarle con i fatti come la sua presenza non fosse altro che una scocciatura.
Aprì le braccia.
"Facciamo un gioco, ti va? Scarica il tuo miglior colpo. Se però non riuscirai ad uccidermi... beh, penserò poi a cosa farti. Ti interessa la sfida?".
E il povero Franco sbiancò. Non sapeva bene il perché ma ebbe la netta, trucida sensazione che in quel corridoio si sarebbe presto scatenato l'inferno.
Mentre si chiudeva la porta alle spalle ebbe un flash e cominciò a ricordare cos'era successo nella chiesa di San Crispino.
Lo assalì un tremendo mal di testa. Anche se Seth l'aveva salvato, la situazione era peggiorata.
"Cazzo" pensò strizzando gli occhi.
Doveva andarsene di lì, ma come? Alessandro lo stava fissando e la figurina di Seth era troppo piccola per coprirlo alla sua vista. Era alta come Michele senza tacchi.
"Vecchio bastardo, ti pentirai di avermi dato questa possibilità!" squittì la bambina spalancando le braccia.
Davanti a Franco apparve, in un battito di ciglia, un nugolo di tante piccole Seth con i boccoli biondi e le salopette di diversi colori, sopra le magliette bianche.
"Pronte?" chiese la Seth in mezzo.
Franco alzò gli occhi per guardare il prete, che stava sorridendo come una chioccia. sarebbe stato tutto inutile. Quel pezzo di merda era immortale, era un misso del Signore.
Figurarsi se poteva morire con uno... stuolo di bambinette cloni.
Però la salopette era carina.
Tito rise. Un lanciacroci poteva ridere? Eppure il suono era quello.
Franco si pentì di essere ateo.
Tutte le Seth alzarono le braccia al cielo; dall'alto sembravano davvero la coperta/bandiera di Franco.
Lui non stava nemmeno più pensando si limitava a registrare quello che accadeva. Sarebbe morto, questo era poco ma sicuro.
"Neunundneunziiiiiig..." gridò il coro di voci bianche -e Franco si ricordò di aver già sentito quella parola strana, in una canzone dei vecchi anni '80.
"Luftballooooooooons!"
Centinaia di palloncini rossi apparvero nell'aria con dei pop! che quasi assordarono Franco. Ne era avvolto, non riusciva nemmeno più a vedere cosa stesse succedendo.
Tito ringhiò.
Era un'occasione buona per svignarsela. Indietreggiò alla buona mentre i palloncini gli premevano con gentilezza sul corpo.
Dopo un paio di passi allungò il braccio indietro, toccando la maniglia della porta. Diavolo.
Se l'avesse aperta, la cascata di palloncini sarebbe defluita fuori. beh, bastava sbrigarsi.
Strinse le dita attorno al metallo, quando un rumore assordante gli esplose nelle orecchie.
"Aaah!"
Gridò, coprendole. Era come se una scossa si fosse infiltrata nelle vene, elettrificandogli ogni centimetro di carne.
Male, faceva male. Si ritrovò con il respiro mozzato. Non si era nemmeno accorto di essere crollato sulle ginocchia.
I palloncini però erano spariti: guardò davanti a sé.
Le Seth saltellavano, un gruppetto stava sollevano in aria il braccio del prete e Tito, che uggiolava come un cane ferito.
Pistola Fumante era ridotto ad una montagnola liquefatta di interiora.
E poi successe: rieccheggiò una risata. Rauca, pesante.
"Wow. Sei una combattente fantastica, bimba. Devo ammettere che sono davvero, davvero stupito da un simile sfoggio di forza. Purtroppo per te hai avuto la sfortuna di doverti confrontare con qualcuno investito dall'autorità divina di falcidiare i miscredenti, come quel pazzo genocida di tuo padre che si è permesso di infonderti simili poteri a una così giovane età. Eresia delle peggiori, che stai pur sicura non mancherò di punire come merita".
Tito continuava a guaire. Suonava davvero come un cucciolo picchiato a sangue dal padrone in vena di sadismo sugli animali. La Seth che lo teneva gli diede un pugno per farlo smettere, contrariata dal fastidioso rumore che produceva senza sosta.
"Ehi tu, lascia stare il Grande Sterminatore di Infedeli! Non sei degna di toccarlo neanche con un dito!" ruggì la voce. Suonava minacciosa, come se fosse uscita dalle profondità delle budella di Satana.
La bambina la ignorò, beandosi della dimostrazione di potenza appena avutasi. Anzi, volle portare un ulteriore sfregio al prete e lanciò l'arma per terra con tutta la violenza di cui era capace. Quanto Tito atterrò con un tonfo secco tutti i presenti percepirono chiaramente come stesse piangendo di dolore.
"Ok mocciosa, l'hai voluto tu".
Dal braccio putrefatto di don Alessandro partì un fulmine azzurro che colpì in pieno la colpevole, incenerendola all'istante.
"Mi ci vorrà qualche ora per ricostituire il mio corpo fisico. Naturalmente potrei essere più rapido ma continuo a dimenticarmi di quanto un corpicino come il tuo sia pieno di capacità distruttiva. Consideralo il mio ultimo regalo e il mio ultimo avvertimento. Se dovessimo incrociarci nuovamente... ti consiglio di imparare le preghiere adatte a chi sta per passare a miglior vita. Mi sto davvero scocciando di essere comprensivo con te".
E la voce smise di annoiarli con promesse di morte, che fino a quel momento, erano rimaste vuote minacce.
Franco raccolse sufficiente energia da riuscire a rialzarsi. La mano gli doleva ancora da impazzire ma la sensazione di elettricità si stava pian piano affievolendo.
Si avvicinò, tremando un poco, alla Seth originale. Ancora stupefatto da quanto appena successo, e con i ricordi che gli travolgevano il cervello a ondate stupendolo e terrorizzandolo sempre di più, cercò di rivolgersi a lei senza risultare offensivo o irritante: "Seth... che diavolo succede qui?".
"Corri!"
In un pop! più moderato tutte le Seth sparirono. Quella originale si fermò a pochi passi da Franco e toccò il pavimento, il mucchietto di cenere della Seth tanto idiota da provocare Don Alessandro.
Spuntò un germoglio verde chiaro, ma la bimba si alzò subito, sollevando il braccio per stringergli la mano.
Franco si chinò appena, seguendola nel corridoio spoglio con il pavimento in marmo colorato -Spillone aveva gusti piuttosto piatti.
"Dove stiamo andando?" le chiese. Stava camminando mano nella mano con una bambina che sgambettava a tutta velocità alla sua destra.
"Da mamma, nel quartiere di Beddamatri."
Con quella velocità, il vecchio Alessandro poteva tranquillamente riformarsi un paio di volte.
Franco sbuffò, fermandosi. Seth continuò la corsa, voltandosi per vedere cosa stesse facendo.
"Oh issa!" la bambina era leggera come una piuma. Franco le portò una braccio sotto le spalle ed uno sotto le ginocchia, prendendola in braccio. Nessuno sforzo.
"Andiamo a Beddamatri, allora."
Iniziò a camminare con passo veloce, le ciabatte che echeggiavano.
Seth batté le mani, ridacchiando "Mamma e papà hanno creato un gruppo di resistenza. Sai, ci siamo trasferiti tutti, ma tu eri troppo pesante da sollevare."
Lei annuì seria, prima di proseguire "E' per questo che ti abbiamo lasciato con Pippo e Anastasio."
...il ragionamento filava, anche se cazzo, era stato lasciato indietro come un cane solo per la sua stazza.
"Mamma mi ha mandato a prenderti. Fuori dalla porta c'è Chicco che ci aspetta."
Oh, sarebbero andati in macchina, bene. La porta in fondo al corridoio si stava avvicinando.
"Quante canne si è fumato all'arrivo?" chiese Franco, sospettoso.
"Due sigarette strane." rispose Seth.
Uscirono all'aria aperta: era mattina presto. Il cielo era azzurro, ancora trapunto di stelle, la luna era ancora luminosa, algida come il suo bel Michele.
"Bene, allora è ok." rispose Franco. Chicco sballava solo dalle cinque canne in poi, la sua resistenza era qualcosa di ultraterreno.
La piazzetta in cui si trovavano era anonima, adatta a nascondere un'associazione criminale -anche se la macchina della Polizia di Chicco si scontrava con le pretese di segretezza di Spillone.
Lui si stava mordicchiando i rasta. Franco arricciò il naso, distogliendo lo sguardo.
Che schifo schifo schifo.
Aprì la portiera posteriore e fece scivolare dentro l'auto Seth, assicurandole la cintura.
Era una nanetta utile, gli aveva salvato la vita ed era figlia del boss -insomma, andava trattata bene.
Prese posto sul sedile vicino a quello di Chicco.
"A Beddamatri" gli ricordò. L'altro annuì, girando le chiavi dell'auto.

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Capitolo 9
*** Giochiamo a fare lo scienziato matto? ***


"Allora Chicco, che cazzo succede qui?" chiese Franco mentre si faceva passare un sigaro dal suo amico sbirro. Uno di quei bei cosi forti, da stendere al primo tiro qualcuno non abituato alla fine arte del fumare.
"Lo chiedi a me? Hai una bella faccia tosta a farlo. Come pretendi che lo sappia?" rispose l'altro, piccato.
Franco si diede mentalmente dell'imbecille: Chicco era sempre stata la ruota di scorta della ruota di scorta del loro allegro carro criminale. Lo usavano come portantino, galoppino e ragazzo che consegnava le pizze, niente di più. Non gli veniva mai detto niente più di quanto gli servisse sapere per completare la sua missione del momento. Chiedergli se sapeva cosa stesse succedendo era tipo sparare sulla Croce Rossa, solo meno cruento.
"Scusa" disse, sinceramente pentito, mentre tirava fuori dalla tasca il suo vecchio Nabik per accendersi il cubano.
"No, tranquillo. Capisco che tu sia sconvolto. La piccola Seth mi ha parlato un po' di quel fottuto prete-blob che ha disimparato a morire. Immagino tu abbia visto cose molto brutte".
"Non ne hai idea. La frase "brutte cose" non è nemmeno l'antipasto di quello a cui ho assistito. E non solo per colpa di don Alessandro...". Fece cadere il seguito, temendo una brutta reazione da parte della bambina. Che, se proprio vogliamo, era in effetti colei di cui stava parlando.
Per precauzione la guardò di sottecchi. Era seduta tranquilla al suo posto e giochicchiava coi boccoli. Si notava, però, che il suo volto era velato di tristezza.
"Piccola, non ce l'ho con te. Ti chiedo scusa se te la sei presa. Cerca solo di capire che quello che fai non è proprio normale...".
La giustificazione sembrò bastarle, dato che gli regalò un bel sorriso vispo mentre diceva "Oh no, tranquillo. So di fare cose strane. Papà mi ha messa in guardia dalle reazioni che potrebbero far venire. Anzi, secondo lui saresti dovuto impazzire quasi subito".
"Non è mica che ci sia andato troppo lontano, eh" commentò lui, sarcastico. Abbassò il finestrino per evitare che il fumo desse fastidio a Seth, poi guardò fuori. Quel che vide non gli piacque per niente.
Stavano sfrecciando per le strade del quartiere di Pinuccia; mancavano pochi isolati a Beddamatri, ma...
"Diavolo." restò con la bocca aperta ed il sigaro in bilico sul suo labbro. Croci.
Le pareti esterne degli edifici erano piene di bruciature dalla forma di croci. Chiuse la bocca e si sporse per guardare il più possibile: i vetri delle finestre erano rotti, i muri sporchi delle case erano percorsi da sottili catene argentate, dalle quali penzolavano ciondoli a forma di croci, grossi come la sua mano.
"Che diavolo è tutto questo." mormorò.
Seth si sporse su di lui per vedere, la boccuccia aperta in una O sorpresa.
"Chicco, quando sei venuto da no..." iniziò Franco.
"C'era già tutto, sì." rispose lui con noncuranza.
Franco tornò a sedere, tormentando il sigaro tra le mani.
Cosa significavano tutte quelle croci? Don Alessandro era stato lì?
"Credo sia un sistema per allontanare quel prete maledetto." aggiunse Chicco, svoltando bruscamente all'angolo.
Franco si ritrovò sballottato nell'auto, con la cintura che gli segava la pelle nuda del braccio.
"Ehi!" protestò "Fa' un po' di attenzione"
Chicco fece spallucce. Franco gli lanciò un'occhiata scura, prima di aspirare del fumo.
Se quelle croci servivano per allontanare il prete... no. Era un prete, lui era con Dio. Le croci servivano per satanisti e altra brutta gente, ma...
"Quindi se vede le croci lascia in pace la gente?" trillò Seth giocherellando con un boccolo biondo.
"Mmh-mhh" Chicco annuì.
Era davvero così? Allora...
"Chicco, quant'è distante il prossimo negozio di articoli religiosi?" chiese in tutta fretta.
L'altro mugugnò qualcosa, cambiando marcia.
"Un paio di isolati da qui, mi sa, tra Pinuccia e Bonibonita"
Bonibonita era esattamente all'opposto di Beddamatri.
"Chicco, fa inversione. Andiamo a fare incetta di croci e acquasanta."
Gli era venuta un'idea.
"Tu sei tutto scemo, Franco. Spillone ci ha convocati d'urgenza!".
"Me ne fotto delle gerarchie se c'è la pelle di mezzo! Come hai detto tu stesso ho visto cose tremende e se c'è la minima possibilità che quel maledetto invasato di don Alessandro abbia davvero timore di una croce tatuata a fuoco sul muro... beh, non sarò io a dir di no. Vuoi che ti dica la verità?".
"Dimmi".
"Temo che avrebbe potuto uccidermi cinque o sei volte, sino ad adesso. Non posso dire con certezza lo stesso della nostra cara Seth" disse, accarezzandole i capelli dolcemente "che sembra in grado di contrastarlo, ma noialtri non abbiamo la minima possibilità contro di lui. Non senza qualche aiuto. E, ripeto, al punto in cui siamo ogni minuscolo vantaggio che possiamo prenderci sul Torquemada de 'noartri fa solo bene alle ossa del collo".
Chicco dovette convenire, seppur bofonchiando qualcosa su come Spillone non avrebbe apprezzato. E 'sticazzi, pensò Franco. Il suo capo poteva mugugnare e incazzarsi quanto gli pareva, lui non sarebbe andato a farsi sbudellare come un vitello con le zampe legate.
Il viaggio fu piuttosto lungo. Sembrava di attraversare una qualche città africana in preda alla guerra civile. Le facciate di alcuni palazzi erano parzialmente crollate e si potevano vederne i locali esposti, coi divani impolverati e i televisori fracassati dalle macerie venute giù dal soffitto. Le croci bruciavano forte, alimentate dal vento che sferzava il già desolato paesaggio. Non c'era nessuno in giro, salvo qualche sparuto gruppetto di persone che sembravano appena sbarcate da un barcone di profughi.
"Dove cazzo siamo finiti?" si disse sottovoce Franco.
Poi qualcosa colpì la sua attenzione. Un edificio particolarmente alto, che riconobbe come la ormai ex sede della New Dildos & Kinky, presentava su un fianco un... disegno? Era una figura come le croci, incise a fuoco. Ma era diversa. Sembrava rappresentasse... un tizio con una spada... che decapitava uno strano essere. Non era assolutamente in grado di capire bene cosa rappresentasse.
Gli sembrava impossibile che tutto quel casino fosse comparso dal nulla, senza un perché.
Com'era iniziato tutto quello? Cosa centravano Michele e suo fratello? Troppe, troppe domande.
Se fosse riuscito a sopravvivere a tutto quello, una bella vacanza in Brasile era quello che lo aspettava. O a San Francisco.

* * *

Cosa gli avevano fatto? Si sentiva strano.
Aveva la schiena premuta su una superficie rigida e fredda. provò a strizzare gli occhi ed una fitta di dolore gli fece pulsare la testa.
"Cazzo che male" digrignò i denti.
I muscoli delle braccia e delle gambe gli stavano andando a fuoco -sembrava che nelle spalle e sui fianchi fossero conficcati tanti aghi bollenti che facevano leva, strappandogli la carne.
Attraverso le palpebre vedeva una luce arancione -quindi era molto luminosa. Dov'era?
Deglutì; anche la gola era costretta, così come la pelle che bruciava. Strinse le dita delle mani attorno all'aria: riusciva a muoverle, almeno quelle.
Provò con quelle dei piedi. Cazzo, questo non andava affatto bene.
Cazzo no.
Dov'erano i suoi plateau che gli strizzavano i piedi? Se non aveva quelli...
Oh. Sentiva il metallo non solo sulla schiena, anche sul culo e sulle spalle. Era tutto nudo.
Era tutto nudo perché? E dove si trovava?
Aprì gli occhi all'improvviso e si ritrovò accecato dalla luce.
"Dove sono?" chiese. La sua voce uscì con un graffio doloroso.
L'eco della sua domanda risuonò per la stanza.
"Passami le chiavi" sentì una voce sconosciuta -eppure quasi familiare. Una di quelle voci femminili comuni, che si sentivano spesso in giro.
"Chiavi?" domandò con un acuto.
"Spilluccio, amore, si è svegliato"
Spilluccio? No, Spillone.
I suoi occhi si abituarono lentamente alla luce e riuscì a vedere davanti a sé un prodigioso paio di tette, strizzato in un minuscolo corpetto di lattice rosso. Beh, almeno la donna aveva gusto:
"Dove mi trovo?" ripeté. La sua voce era quasi tornata normale.
"Nel nostro laboratorio sotterraneo." fu la risposta della donna. Non riusciva ancora a vederla in viso e la cosa lo faceva innervosire "Dato che la mia piccola Seth non basta più, abbiamo pensato di usare il piccolo te."
"Chi siete?" fece Michele con voce tremolante "Cosa... cosa mi avete fatto?".
Spillone lascio il braccetto di Giulietta, che con una smorfia espresse il proprio disappunto, e si avvicinò al tavolo di legno dove era sdraiato.
Lo guardò freddamente, come era solito fare con i suoi sottoposti. Non smise di fissarlo per parecchi secondi, senza proferire la minima parola. Sembrava lo stesse studiando, come un ricercatore potrebbe fare con i suoi topini a cui piaceva staccare le zampette per vedere di nascosto l'effetto che fa.
Poi sospirò.
Cominciò a circumnavigare il tavolo, con estrema lentezza. E prese a parlare, cadenzato e calmo: "Michele, tu non mi conosci. Mi chiamo Spillone e sono il capo di tuo fratello. So cos'è successo fra di voi e mi spiace di come tu sia stato coinvolto nel nostro mondo. Ti conosco come una persona timida e riservata e mi rendo conto che quanto è accaduto ti abbia scosso. Se potessi darei la strigliata che si merita a Pistola Fumante, ma temo che questo sia ormai al di fuori della mia portata. Difatti penso che tu non sia a conoscenza dell'immenso casino che si sta scatenando là fuori, dieci metri sopra di noi".
Gli spiegò brevemente del macello alla chiesa e di tutto quello che era conseguito, col prete che andava in giro ruggendo e ammazzando gente a mucchi per portare avanti la sua personale crociata monda-peccatori. Gli raccontò di Tito. Di Seth. Di come la città fosse diventata come Mogadiscio o una qualunque altra città africana durante una guerra civile.
Michele trattenne a stento un conato di vomito.
"Questo... non è possibile...".
"Vorrei poterti dare ragione, caro il mio piccolo omosessuale. Ma non è così. Se vuoi, appena sarai in grado di muoverti, posso mostrarti su uno schermo quello che sta succedendo nelle strade. E' il delirio".
"E... e Franco?".
Il silenzio di Spillone lo spaventò.
"Franco è uno dei miei uomini più fidati." iniziò Spillone "Potresti quasi chiamarlo... il mio braccio destro. Tuttavia, ha disubbidito ai miei ordini. Invece di accorrere alla mia chiamata, ha preferito trascinare mia figlia..."
A Michele non sfuggì l'espressione omicida dell'uomo "...e quel degenerato di Chicco a Bonibonita, a pararsi il culo con le croci."
Michele non sapeva cosa dire. Non sapeva nemmeno cosa pensare -stava pensando in quel momento?
Tutto era così... assurdo. Tutte quelle informazioni, tutte in una volta, gli avevano peggiorato il mal di testa.
Si ricordava solo metà delle cose che gli aveva detto Spillone -e la donna vicino a lui continuava a fissarlo con un'espressione strana:
Quasi... materna. Era assolutamente fuori luogo.
"Però..." mormorò. Deglutì e proseguì con voce più sicura "Non mi avete ancora detto cosa mi avete fatto."
La donna sospirò e guardò Spillone, che allungò una mano. La donna la prese e le tornò il sorriso "Avrai già capito, da ciò che ti ho detto, che mia figlia Seth è... speciale."
"Ora lo sei anche tu." aggiunse la donna.
Era speciale. Cosa cazzo voleva dire? Perché?
Perché nella sua vita nulla poteva andare secondo i piani, perché tutto quello che faceva gli si ritorceva contro, perché?!
"Amore, sta tremando." notò la donna guardando l'altro.
"Una dose di sedativo. Michele, ti prego di calmarti. I tuoi poteri sono ancora instabili e una dose extra di stress è l'ultima cosa di cui abbiamo bisogno."
Michele si accorse di tremare. Le cinghie che gli trattenevano il polso gli stavano segando la pelle.
"Speciale- che vuol dire?" chiese. Un dolore acuto all'avambraccio gli fece strizzare gli occhi.
"Ora hai poteri che non puoi nemmeno immaginare. O meglio, potresti farlo se avessi visto la piccola Seth all'opera, cosa che non hai fatto. Ti dovrai accontentare delle supposizioni."
"Che cudele che sei, Spilluccio" fu l'ulrima cosa che Michele udì prima di sprofondare in un sonno senza sogni.

* * *

Nel frattempo, dieci metri sopra le teste dei tre.
Sborrovilla bruciava come una pira funeraria. Mucchi di cadaveri si potevano vedere in ogni via, in ogni vicolo, in ogni piazza. A farci attenzione si sarebbero potuti sentire dei lamenti provenienti da quei grovigli umani, gente che probabilmente non aveva ancora avuto la fortuna di spirare.
Gli edfici sembravano dei giganteschi fiammiferi. Le fiamme che li avvolgevano ardevano con vigore e rendevano la notte della città che stava diventando sempre di più un monumento alla guerra e alla distruzione.
A pochi passi dal rudere della chiesa di San Crispino si ergeva, nella sua santità, la causa di tutta quella devastazione.
Don Alessandro stava lì, il mantello rosso svolazzante nell'oscurità nonostante la totale assenza di vento. Accarezzava con affetto Tito, il suo caro strumento di dannazione per le anime empie, il quale guaiva affamato perché, ingordo come non mai, non era ancora sazio di vittime.
"Su piccolino, non essere assetato. Hai mangiato a sufficienza per oggi, no? E poi non devi avere fretta. Questi stupidi peccatori non abbandoneranno mai la loro città della perversione, attaccati come sono alle sue case da gioco, ai bordelli e ai ritrovi di perdizione. Quindi non ti preoccupare, il tuo appetito verrà presto colmato". L'arma ringhiò, un po' indispettita per il rimprovero, ma parve quietarsi.
"E adesso" proclamò il prete, con sguardo altero diretto verso un punto nel nulla "andiamo a prendere uno dei principali artefici di questo schifo. Spillone, dì le tue preghiere se credi, la vendetta celeste sta arrivando a bussare alla tua porta di vizioso". Una risata scalmanata riempì il piazzale.
Poi si avviò, alzando Tito e sparando una croce per aria in segno di vittoria.

* * *

"Sicuro che sia qui?" davanti a lui, la porta del laboratorio di Spillone era chiusa e la luce rossa illuminava lo stretto corridoio nel quale erano stipati.
"Sicuro." Chicco tossì e gettò a terra l'ennesimo mozzicone, che si spense tra le modeste faville.
"Sicurissima!" trillò Seth.
Franco appoggiò una mano alla porta e i crocifissi legati al polso tintinnarono contro il metallo.
Bussò due volte "Spillone."
Il picchiare dei tacchi alti sul pavimento dietro alla porta lo fece indietreggiare di due passi. Giulietta.
La porta si aprì e rivelò la donna, con una nuova tinta, a giudicare dai capelli blu-verdi con sfumature viola. Iridescente? Chic.
"Puoi dire a me." le sue labbra si incurvarono in un sorriso con troppo rossetto nero. Per niente chic.
"Siamo tornati da Bonibonita. Ho croci a volontà per fornteggaire Don Alessandro." Franco sollevò il braccio e mostrò la decina di rosari avviluppati al polso.
Lo sguardo di Giulietta scivolò sulla figlia e su Chicco, che a giudicare dall'odore si stava rollando l'ennesima canna.
"Spillone non è affatto contento, Franco. Hai disubbidito ai suoi ordini diretti, trascinando anche Chicco e Seth."
Nel nominare la figlia gli lanciò uno sguardo truce.
Beh, vaffanculo.
"Ok, ma adesso possiamo proteggerci. Adesso possiamo combatterlo!"
Giulietta si spostò di lato e li invitò con un gesto della mano ad entrare.
Franco fu il primo. La puzza di sintetico gli fece arricciare il naso; lasciò che gli occhi si abituassero alle forti luci al neon che si riflettevano sulle piastrelle bianche.
Cazzo.
Michele.
Sul lettino.
Con Spillone vicino.
Ed un ago nell'avanbraccio.
"Giulietta. Esigo una spiegazione, ora." sibilò.
I pugni gli tremavano così tanto che le croci sembravano sonagli.
"...Franco?" una voce eterea lo chiamò.
Lui si avvicinò al lettino di Michele. Indossava una maglietta ed un paio di pantaloncini, che avevano sostituito il suo corsetto di pelle.
Invece dei tacchi, delle semplici scarpe da ginnastica gli fasciavano i piedini.
Michele aprì gli occhi.
"Sei proprio tu?"
Le iridi quadrate iniziarono a ruotare, dei mille colori dell'arcobaleno.

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