L'elefante a Londra

di suni
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** II. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***



Capitolo 1
*** 1 ***



Storiella in pochissimi capitoli, su un argomento che un po' mi affascina e su personaggi che mi piacciono molto. Chiedo scusa soprattutto per le numerose licenze e per la visione che ho, che forse si discosta dall'originale. Mi auguro che in ogni caso la lettura non sia sgradevole.

L'elefante a Londra

1


Si sistemò il mantello sulle spalle con gesti distratti. La cascata d'ebano dei riccioli scompigliati dondolò morbida sulla sua schiena mentre lei allungava il braccio in avanti e socchiudeva la porta del Paiolo Magico con trepidazione.
Era emozionata.
Non metteva piede a Londra da più di due anni e, tranne i suoi genitori, nessuno era stato avvisato del suo ritorno. In parte la sua idea di ripartire, di lasciare la terra assolata e selvaggia dei suoi avi per tornare a quella in cui era cresciuta, l'Inghilterra, era stata così repentina da non permetterle di organizzare al meglio il rimpatrio o tanto meno di avvertire gli amici, e in parte non ne aveva avuto voglia. Aveva sentito la necessità di un primo ricongiungimento intimo, solitario, col paese che le aveva dato tutto – la nascita, l'educazione, la cultura, la personalità, la formazione – ma che le aveva anche tolto molto.
Era successo quasi improvvisamente, osservando un piccolo branco di elefanti abbeverarsi nella luce rossastra del tramonto sulla savana. C'era una madre che giocava col piccolo, accucciato nello stagno: lei puntava in su la proboscide e spruzzava una doccia d'acqua sul corpo del cucciolo, e quello agitava le orecchie e si dimenava, sembrando quasi ridere. Era stata una scena dolcissima, di una dolcezza naturale e per nulla artefatta che le aveva riscaldato persino i polmoni strappandole una risata spontanea, scrosciante. In quel momento, così, senza che succedesse nulla, si era resa conto che non soffriva più; o forse che il dolore non era più la cosa preponderante, che non occupava più tutto quello spazio dentro di lei.
Elaborazione del lutto, la chiamavano gli occidentali. Equilibrio con gli spiriti, l'aveva definito invece Mbasu, il suo cugino mago – o sciamano, come lo definivano i suoi compaesani muggle - regalandole il suo sorriso un po' sdentato. La magia aveva tante forme, e si declinava secondo diverse culture. Quella che aveva conosciuto durante il suo viaggio africano, quella di Mbasu e dei suoi fratelli, dava un grandissimo spazio al rapporto con la morte e con i trapassati. Forse era stata proprio quella la sua salvezza, nel delicato e terribile momento della sua vita in cui era arrivata lì.
Puoi tornare a casa, adesso,” le aveva detto lo stregone.
Io vivo qui,” gli aveva ricordato lei, accucciandosi davanti al fuoco.
Il posto dove vivi non è per forza casa tua,” era stata la replica pacata di lui. “Hai vissuto tante cose in Inghilterra, alcune belle, alcune terribili, buone magie, cattive magie. Non avere paura di tornare.”
Lei era rimasta in silenzio, assorta, osservando le fiamme. Poi aveva sospirato.
E' stupido averne, vero?” aveva mormorato poi.
Mbasu, sempre bonario e poco incline alle risposte precise, aveva scrollato le spalle.
Tu non sei una donna paurosa.”
Lei aveva sorriso. No, non la era.
E come farò senza di te?” aveva chiesto, in un ultimo tentativo di farsi trattenere.
Mbasu aveva riso piano, roco.
Mi scriverai. I gufi possono arrivare anche qui, e ci parleremo tra le fiamme.”
Lei aveva annuito, unendosi sommessamente alla sua risata senza nessuna particolare ragione. Era rimasta qualche altro minuto in silenzio vicino a lui, osservando il fuoco, poi era tornata alla sua tenda e si era messa a fare i bagagli. Tre giorni dopo era nella sua vecchia stanzetta di bambina, nella vecchia Inghilterra, intenta a raccontare le sue avventure ai genitori.
Per i primi giorni non aveva visto nessun altro, a malapena era uscita di casa e quasi sempre da sola, riabituandosi gradatamente a quel mondo così diverso da quello in cui aveva trascorso quei due anni, e anche da quello che ricordava. Londra era tutta cambiata, ai suoi occhi, l'aria era cambiata. Era più leggera, più luminosa. Non si sentiva più l'oppressione dei Dementors e la bruma era tornata quella di sempre.
In ultimo, prima di scrivere ai vecchi amici o chiamarli al camino, aveva deciso di concedersi una riconciliazione solitaria con Diagon Alley, che aveva visto l'ultima volta come un luogo quasi deserto e angosciante. Ci s'era preparata in una mezza mattinata, vestendosi in modo anonimo, ripetendosi che non avrebbe incontrato nessuno che non volesse incontrare se non fosse andata nei posti in cui non voleva andare, e che tutt'al più si sarebbe imbattuta in conoscenti e in cari amici che avrebbe riabbracciato con gioia. Per questo, mentre apriva la porta del Paiolo, le tremava un po' la mano. Di sicuro avrebbe visto vecchi compagni di Hogwarts, forse ex professori: facce che aveva scolpite nel cuore e nelle retine, di cui solo in quel momento realizzava di aver sentito orribilmente la mancanza. Era tornata viva, in ogni senso.
Sorrise, oltrepassando la porta della locanda, e il cuore le si aprì nel vederla immersa nell'allegro, variopinto caos che ricordava dall'infanzia. I suoi occhi corsero tutt'intorno con una carezza gioiosa, sfiorando i visi tutti improvvisamente familiari. Forse avrebbe addirittura visto qualcuno della vecchia squadra, magari persino Harry... E poi i suoi occhi si fermarono, inchiodandosi spalancati, e la porta dimenticata si richiuse dietro di lei mentre registrava la presenza dell'unica persona che non si sentiva pronta ad affrontare.
Per un paio di secondi, individuandone la sagoma, il fiato le si mozzò in gola e le cedettero le ginocchia, tanto viva fu l'impressione di aver visto un fantasma. Poi rimise a fuoco, la sua gola si schiuse leggermente e i suoi occhi indugiarono sulla sagoma al tavolo in fondo, solitaria, la testa leggermente china sul piatto, i capelli fulvi e un po' scompigliati, lo sguardo basso sul tavolo, il lato del viso segnato dallo sfregio in cui faceva bella mostra di sé un orecchio che non c'era più.
Espirò con un fremito, stringendo i pugni. Aveva pensato che non l'avrebbe incontrato, se non avesse voluto. Di tutti i maghi d'Inghilterra, si era detta, non si sarebbe certo imbattuta suo malgrado in quell'unico. Invece eccolo lì, sorprendente come al solito.
Pensò di defilarsi discretamente e raggiungere il passaggio per il quartiere dei maghi, sul retro, ma non aveva nemmeno fatto un passo quando lui sollevò lo sguardo, vagamente, senza interesse, e lo posò proprio su di lei. Rimase immobile, quasi trafitta da quelle iridi azzurrognole che sparirono un paio di volte dietro le palpebre sbattute ripetutamente.
George non cambiò espressione, lasciò solo ricadere leggermente le spalle fissandola quasi distrattamente, serio, distante. Non sorrise, lui che una volta non smetteva mai di farlo, ma poggiò la forchetta nel piatto e lei lo interpretò come un segnale che la spinse quindi ad avvicinarsi lentamente, accennando un sorriso impacciato.
Johnson,” la accolse lui, atono, passandosi rapidamente il fazzoletto sulle labbra.
Weasley,” rispose piano Angelina, con un cenno del capo e la voce che stentava a venir fuori. “Buon...appetito.”
George abbassò di nuovo lo sguardo sul piatto, osservandolo come se si fosse reso conto solo a quelle parole di averlo davanti. Annuì, assorto.
Sì,” commentò, quasi giungendo alla logica conclusione che effettivamente stava mangiando. Si schiarì la voce, tornando a guardarla sempre con la stessa espressione trasognata. Non disse nient'altro e Angelina si mordicchiò un labbro, ravviandosi nervosamente una ciocca di capelli.
Quello lì non assomigliava a George Weasley, nemmeno un po'. George Weasley, tanto per cominciare, sarebbe scoppiato in una chiassosa risata d'allegria al solo vederla. Poi si sarebbe subito alzato, spalancando le braccia per accoglierla con un abbraccio, e probabilmente nel farlo le avrebbe appiccicato qualcosa di schifoso ai capelli. L'avrebbe trascinata al tavolo e, nel fingersi cavalleresco spostando la sedia per farla accomodare, sarebbe riuscito a farla cadere per terra, e a quel punto avrebbe riso ancor più forte. George Weasley, inoltre, aveva uno sguardo sempre vivido e mobile, che schizzava tutt'intorno con uno scintillio innato di beffardia, e per farlo stare zitto bisognava per lo meno tramortirlo a schiaffoni. Aveva un profilo un po' più affilato di quello di Fred, ma guance piene e non scavate come quelle del ragazzo che le stava davanti e la guardava come se fosse stata una parete.
No, quello non assomigliava a George Weasley. George Weasley sorrideva sempre e la sua presenza bastava a mettere le persone di buonumore ed a proprio agio. E decisamente, in quel momento, Angelina Johnson era tutto fuorché a proprio agio.
Bene, mi...ha fatto piacere vederti,” mormorò, con una cosa che le iniziava a bruciare nello stomaco, facendo un passo indietro.
George si passò la mano sulla fronte. Non rispose di nuovo, ma annuì per l'ennesima volta. Angelina aspettò ancora per un paio di secondi, casomai il suo vecchio amico George non fosse sul punto di ricomparire e prendere il posto di quel tizio decisamente assente, ma non successe nulla.
Allora, a presto,” concluse, senza poter impedire che le tremasse la voce.
A presto,” rispose finalmente George, vago.
Angelina indietreggiò ancora, prima di voltarsi e precipitarsi verso il retro, verso Diagon Alley. Quando ebbe oltrepassato il muro magico le si erano già riempiti gli occhi di lacrime, e stavolta non badò più a quanto tutto forse allegro, brulicante e rumoroso, ma si appoggiò alla parete e strizzò forte le palpebre, cercando di dominarsi. Le sfuggì comunque un singhiozzo che non riuscì proprio a trattenere, senza che a lei stessa ne fosse chiaro il motivo. Forse era perché non si era aspettata di vedere quello che la vita aveva fatto a uno degli esseri a lei più cari e come lo aveva mutato, snaturandolo. Forse perché la faccia di George era praticamente la stessa faccia di Fred, che lei non avrebbe mai più visto. Forse perché fino a quel momento non le era stato chiaro fino in fondo quanto fosse cambiato tutto. Se n'era andata il giorno dopo il funerale, era scappata via, più lontano possibile da tutti quei cocci. Mentre poi metteva a posto i propri, in Africa, non si era mai veramente soffermata a chiedersi cosa stesse succedendo di quelli che erano rimasti a casa, in Inghilterra. L'ultima volta che aveva visto George, mentre il corpo di suo fratello veniva chiuso nella terra, aveva avuto davanti un essere che non sembrava nemmeno più umano, ma che sembrava soltanto dolore. Ricordava che tremava, tremava così tanto che Lee non lo riusciva a tener fermo, e si piantava le unghie in faccia. Non emetteva un suono – aveva urlato così tanto, quella notte, ad Hogwarts, che probabilmente la voce non gli sarebbe tornata per mesi.
Anche lei stava soffrendo in modo simile, quel giorno. Seppelliva un amore due volte morto, per mano delle incomprensioni prima e della guerra poi. L'ultima volta che lo aveva visto erano simili, ma adesso non più.
Forse piangeva perché aveva appena capito di aver abbandonato un amico di fronte al peggiore dei dolori, per risparmiarlo a se stessa.


Lee fumava la pipa senza praticamente levarsela mai di bocca. Continuava a tirare boccate nervosamente, una dietro l'altra, sebbene non avesse affatto l'aria nervosa. Angelina ne dedusse che non fosse quindi dovuto a un particolare stato d'animo del momento, ma che facesse così abitualmente.
Dovremmo organizzare una cena,” osservò il mago, riscuotendola dalla contemplazione delle volute di fumo che si levavano dalla sua pipa. “Con quelli del nostro anno, o con la squadra di Quidditch. O entrambi.”
Lei sorrise con approvazione, annuendo.
Sarebbe fantastico,” commentò.
Saranno tutti contenti di rivederti,” continuò Lee, sorridendo con naturalezza. “Anche se mai quanto me. Dovevi dirmelo prima, che saresti arrivata! Ero rimasto alla tua ultima lettera, quella sulla scampagnata nel deserto col nonnetto che parlava Serpentese. Non pensavo certo che nel frattempo fossi tornata qui. Ehi, lo sai di Wood, no? È in lizza per la Pluffa d'Oro, quest'anno.”
Angelina ridacchiò rassicurata, scoprendo il suo amico animato dalla stessa inarrestabile parlantina un po' logorroica di sempre. Aveva temuto che magari anche lui, come George, le sarebbe sembrato un altro. Invece Lee era solo un po' più adulto, forse un po' meno esuberante, ma pur sempre se stesso. Da che si erano trovati, dandosi appuntamento lì in gelateria, le sembrava di essersi tuffata nella sua vita di prima. In tutta quell'ora, non avevano fatto che parlottare e ridacchiare. Lui le aveva già ripetuto quattro volte che avrebbe dovuto avvisarlo per tempo del suo ritorno, le aveva già raccontato di Harry e Ginny, di Ron e Hermione Granger e del suo lavoro alla radio. Non aveva citato George, e nemmeno Angelina l'aveva fatto. Si era limitata a parlare di Mbasu e dell'Africa, anche se c'erano talmente tante cose da dire che le mancavano le parole.
Speriamo che la vinca,” commentò schietta.
Lee annuì, compito.
Immagino che altrimenti la delusione lo stroncherebbe. Allora, stasera ceni con Katie?” domandò ancora, ricaricando la pipa con gesti sicuri.
Angelina annuì, sciogliendosi in un sorriso. Era così contenta di vedere la sua amica che si sentiva emozionata come se avesse dovuto uscire con il ragazzo dei suoi sogni.
Vuoi unirti a noi?” gli propose.
Lee scosse la testa, fissando il fumo.
Non credo di sentirmela di intromettermi tra due femmine che si ritrovano,” rispose ironico. “E poi ho un impegno.”
Galante?” s'informò lei, con un sogghigno malizioso.
Lee sbuffò, ilare.
Magari, Johnson. Da quel punto di vista, credimi, ho poco da stare allegro,” commentò drammaticamente. Poi si schiarì la voce, vagamente impacciato. “No, ceno in Gemelleria. Ho giurato a George che non l'avrei costretto a uscire di casa, stasera, e noi ci vediamo sempre il mercoledì sera. Qualche volta anche il sabato.”
Oh,” mormorò Angelina, irrigidendosi impercettibilmente.
Lee tossicchiò leggermente, dopo aver prodotto un cerchio di fumo.
Forse potresti vedere anche lui...” ipotizzò, senza troppa convinzione.
L'ho visto. Ieri. L'ho incontrato per caso al Paiolo,” annunciò frettolosamente lei, lisciandosi le pieghe della gonna.
Oh,” fece Lee, raddrizzandosi sulla sedia. “Ah, sì?” Tacque per qualche secondo, prima di espellere un sorriso decisamente meno naturale dei precedenti. “Come...l'hai trovato?”
Angelina riportò lo sguardo sul suo viso per un secondo, prima di spostarlo nuovamente.
Bene,” rispose, con troppa convinzione. Si mordicchiò l'interno della guancia, deglutendo con uno scatto. Nel silenzio prolungato che seguì, emise uno sbuffo rassegnato. “E' stato orribile. Non è che...cioè, non è successo niente. Appunto. Se ne stava lì seduto e mi guardava come se fossi stata una zuppiera.”
Lee emise un espiro prolungato.
So cosa intendi,” commentò a mezza voce, prima di allungarsi stancamente contro lo schienale. “Ho pensato di parlartene cento volte, per lettera, ma ho sempre finito per dirmi che non fosse il caso. Per la verità, ultimamente mi sembrava non lo fosse davvero. Voglio dire, lo so che è strano. Ma se non altro ogni tanto esce di casa, e ha ricominciato a lavorare un po' in negozio.”
Angelina aggrottò la fronte.
Un po'?” ripeté.
Lee si lasciò andare ad una smorfia amara.
Ufficialmente Ron è subentrato come socio, al posto di Fred. In pratica è lui che manda avanti la baracca. La filiale di Hogsmeade è stata affidata in gestione a Luna Lovegood e no, non ho idea del perché. Fino a qualche mese fa George non ci metteva piede, in nessuno dei due negozi. Adesso, ogni tanto sta un po' alla cassa, così Ronald può tirare il fiato e fare qualche commissione.”
Angelina abbassò sulle proprie mani, raccolte in grembo, uno sguardo desolato. Quella brutta sensazione allo stomaco tornò a tormentarla, pungente, dolorosa.
...Poi, sai, per più di un anno non c'è stato modo di farlo uscire di casa. Ci ho provato in tutti i modi, stavo uscendo pazzo. Tutta la famiglia stava andando giù di testa, ecco la verità. Molly Weasley ha rischiato una depressione che non te la racconto, e se non fosse stato per Harry non so come ne sarebbe uscita la piccola Ginny. George non mangiava neanche. Pensavo...ero sicuro che si sarebbe lasciato morire.”
Angelina prese un respiro che tremava, sforzandosi per impedire che le salissero le lacrime agli occhi.
Avresti davvero dovuto scrivermi.”
Certo, grande idea. Come se non fosse stato il tuo ragazzo quello che era morto... Scusa, Johnson,” si affrettò ad aggiungere il mago, sospirando.
Non era più il mio ragazzo,” mormorò lei.
Sì, già, da quanto, due settimane? Seriamente, cosa potevi farci tu? E comunque penso che...niente.”
Il ragazzo s'ammutolì d'improvviso, interrompendo la cascatella di parole repentinamente. Angelina si accigliò, attenta.
Pensi che?” lo spronò.
Ma niente,” fece Lee, agitando una mano con noncuranza.
Jordan...”
Oh, senti, non prenderla come una cosa personale. Io non ti giudico, ok? Hai fatto quello che sentivi, ed è la cosa giusta,” iniziò lui pacatamente, sollevando le mani per metterle davanti a sé. “Però, ecco... Eravamo in quattro, da anni. Io, Fred, George e te. E lo sappiamo tutti e due che non ero io il tuo amico più caro, nella faccenda. Il tuo ragazzo e il tuo migliore amico, i gemelli Weasley. Beh, Johnson, mi sa che, per il tuo migliore amico, la tua scomparsa non ha reso le cose più semplici. E io credo che ce l'abbia con te, anche se suppongo non ci abbia mai nemmeno veramente pensato. Non pensa mai a niente, quello, tranne che al fatto che Fred è morto. E a proposito, è per questo che ha sempre quell'aria stonata.”
Non aveva parlato con aggressività, né con rimprovero – non sarebbe stato da lui, comunque – ma Angelina rimase comunque ferma, immobile, con un groppo in gola, gli occhi lucidi. Solo dopo svariati secondi, percependo lo sguardo circospetto e un po colpevole dell'amico, si risolse ad annuire.
E' solo che...” mormorò. “La guerra era finita, non c'era più bisogno di resistere e io...io avevo bisogno di andare...via...”
Non ti devi giustificare,” la tranquillizzò Lee, bonario. “Non ti sto dicendo che devi farlo. È solo che non... Non lo so, forse è vero, avrei dovuto dirti di scrivergli. Ma poi ho pensato che già così era abbastanza complicato e che magari a lui non avrebbe nemmeno...che ne so, Angelina,” sbuffò infine. “E' un tale casino. A volte mi chiedo se cambi qualcosa che io ci sia o no. Che chiunque ci sia o no. Mi sembra che a George non faccia differenza. Non c'è Fred, ed è questo che conta. Il resto sono briciole.”
Angelina serrò le labbra, con un sorriso mesto.
Come sei riuscito... Come riesci a sopportarlo?”
Lee ridacchiò amaro.
Lavoro come un pazzo. Mi riempio le giornate di impegni e faccio finta che i gemelli non mi manchino. A volte me lo impongo così tanto che quasi quasi ci credo anche. Fingo di non ricordarmi nemmeno più di quando li ho conosciuti e di quant'è stato divertente.” Fece una pausa, ricaricando di nuovo la pipa con una mezza risata gutturale. “Erano i miei amici. Facevamo tutto insieme, e per la maggior parte del tempo lo facevamo sghignazzando come pazzi, e il mondo era tutto nostro. Pensavamo di essere immortali e immutabili. Beh, ci sbagliavamo. Potevamo morire e potevamo cambiare, e sono successe entrambe le cose.”
La sua voce si spense gravemente, accompagnata da un cenno lapidario.
Angelina sospirò profondamente.
Lo so. Lo pensavamo tutti. A volta ancora...è come se non potessi crederci. Era la persona più viva del mondo.” Si morse le labbra, perché non tremassero. “Sapevo benissimo che chiunque poteva morire da un momento all'altro, in quella guerra. Chiunque, ma non Fred. O George. Loro no.”
E invece...” mormorò Lee, prima di riscuotersi. “Comunque sia, ormai è successo, e non serve a nessuno stare a ripensarci.”
Tu riesci a non farlo?”
Lui si strinse nelle spalle.
Devo. Cerco di dare l'esempio, perché non posso certo aspettarmi che me lo dia George. Ho sempre questa sensazione che lui stia cercando di andare avanti solo perché lo vogliamo noi, passivamente. Ma per quanto tempo si può andare avanti solo per gli altri, se non si ha una ragione propria per continuare?” Sbuffò e storse lentamente la testa, e il collo, come cercando di rilassare muscoli. “Tu non ci riesci, a non pensarci?” riprese, ritornando sulle parole precedenti.
Angelina ristette, assorta.
Prima di tornare qui,” mormorò pensosa, “era diventato quasi facile. Era tutto così diverso, e lontano. Quando sono arrivata a Londra e l'ho vista così bella, così rinata, mi è sembrato quasi naturale. Non pensare che non m'importasse di lui, non è così,” si affrettò a precisare. “Ma è vero, bisogna guardare avanti. Però poi...”
Lee emise una sorta di lieve grugnito.
Poi hai incontrato George. E ci hai ripensato.”
Angelina scosse la testa.
Non è che vedendo lui abbia ripensato a Fred. È che mi sono resa conto... Possiamo prendere un altro gelato?” s'interruppe, pratica.
Lee sorrise.
Volentieri,” confermò. “Aspetta.”
Ritornò dopo nemmeno due minuti, con due nuove coppette stracolme, per sedersi ancora di fronte a lei.
Allora?”
Angelina aveva rimuginato, aspettandolo, ed era riuscita a sbrogliare una parte delle proprie sensazioni.
Voglio dire che perdere una persona cara è terribile. Sempre. Ma...io non penso che fossimo più innamorati. Non facevano che litigare e...lasciarci, poi tornare, poi... Lo so, lo so, c'era la guerra ed era un disastro. Ma io penso che...” Ingollò una bella cucchiaiata di gelato, rinfrancandosi. “Eravamo così giovani, no?” continuò, agitando il cucchiaino. “Con due caratteri così intraprendenti, e forti. Avevamo bisogno di scoprire altre cose. Lui doveva fare l'eroe...e lo ha fatto,” precisò gravemente, con orgoglio. “Per Godric, se lo ha fatto. E io dovevo vedere un po' di mondo. Tutto questo non...non dipendeva da me. Ma quando ho visto George ieri ho capito di aver trascurato qualcosa di importante. Avrei dovuto fare qualcosa per lui, hai ragione, e questo sì, dipende da me.”
Lee si strinse nelle spalle.
Capisco,” affermò. “E quindi?”
Angelina scrollò la testa.
E quindi voglio farlo adesso.”

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Capitolo 2
*** II. ***


II



Ron sbadigliò stancamente, prima di mettersi a ricontare l'incasso per la terza volta consecutiva. Continuava ad esserci uno scarto di due o tre galeoni. Per quanto lo riguardava strettamente, quello scarto avrebbe potuto rimanere lì anche fino alla fine dei tempi, ma dubitava che quelli delle tasse avrebbero condiviso la sua opinione.
Agitò la bacchetta sulle banconote, pigramente, mentre quelle riprendevano a scorrere rapide. L'orologio a muro segnava le sette e quaranta, quindi sua sorella e Harry lo stavano già aspettando e sicuramente commentavano il suo ritardo. Fortunatamente, Hermione sarebbe uscita dal lavoro ancor più tardi di lui.
Un leggero bussare, oltre la serranda già mezza abbassata, attirò improvvisamente la sua attenzione. Ron aggrottò la fronte e arricciò il naso, pronto a congedare gentilmente qualunque cliente ritardatario o a schiantarlo in caso d'insistenza. Si diresse verso l'ingresso abbandonando a se stessi i soldi, che quindi avrebbe dovuto ricontare ancora, e puntò la bacchetta con un mormorio sulla serranda per farla sollevare. Dopo una giornata lavorativa di dodici ore, l'ultima cosa di cui aveva voglia era fare sforzi inutili.
La sagometta che gli comparve davanti, al di là della soglia, lo fece rimanere per qualche secondo con la bocca spalancata come un sarago. Una spumosa testolina bruna e ricciuta, una silhouette solida e minuta e due occhioni bruni, vivaci e ridenti. Angelina Johnson, l'ex ragazza di Fred, gli sorrideva sventolando la mano scura.
Ron dovette deglutire un paio di volte, spaesato, mentre l'immagine mai sopita del fratello perduto gli si affacciava in mente. Per un attimo sembrò assolutamente non sapere cosa fare e rimase lì imbambolato, prima di realizzare che la porta era chiusa dall'interno e che dunque stava assomigliando in modo preoccupante a un coglione.
Alohomora,” mormorò debolmente, prima di aprirle.Angelina,” esordì impacciato. Pensò che lei dovesse aver capito che lui riconoscendola aveva pensato a Fred e che non le avesse aperto perché non la voleva vedere, e sentì un calore ben noto risalire verso il collo e le orecchie.
Weasley è il nostro re!” esclamò invece lei, sorridendogli con calore. “Ciao, Ron, quanto tempo.”
Ron aprì la bocca, la richiuse, annuì e poi cercò di sorrise.
Già,” commentò, prima di riuscire finalmente a sporgersi verso di lei per abbracciarla brevemente. “Ti trovo, ehm, molto bene.”
Anche tu non sei malaccio,” replicò lei. “Così sei diventato anche tu uno spietato commerciante, mh?”
Ron annuì, emettendo una risatina un po' incerta ma abbastanza naturale.
Stavo chiudendo,” fece vago, indicando quasi a mo' di scusa il negozio in penombra.
Oh, non fa niente,” trillò lei, gettando intorno solo un'occhiata vaga. “Anzi, non ti volevo disturbare.”
Nessun disturbo,” affermò automaticamente Ron, memore delle terrificanti lezioni di cavalleria di sua madre. “Non sapevo che fossi tornata.”
Angelina annuì, facendo scorrere distrattamente le dita su un ripiano. Solo in quel momento, finalmente, Ron si accorse di quanto sembrava nervosa. La cosa, dal momento che lo era anche lui, finì paradossalmente per tranquillizzarlo.
Sono tornata la scorsa settimana. Io e Lee vorremmo organizzare una cena della squadra.”
Splendido!” commentò lui, come se fosse stata la migliore notizia mai giunta alle sue orecchie. Si schiarì la gola, tentando di darsi un contegno. “Lo dirò ad Harry. Sarà contento.”
Lei sorrise nuovamente, vaga, continuando a studiare la penombra del negozio.
E...” iniziò, esitando. “Io stavo, ecco... George è qui?”
Ron non ne fu molto sorpreso. Una volta, prima, Angelina e George erano stati molto amici. Ma non si vedevano da quand'era morto Fred, per quanto ne sapeva lui, e gli sorse spontaneo domandarsi come George avrebbe preso quell'improvvisata. Dopotutto, nello stato in cui era, sarebbe stato imprudente da parte di un fratello affezionato sottoporlo a shock evitabili.
Lui sa che sei qui?” si risolse a chiedere, sentendosi comunque un ficcanaso.
Angelina spalancò appena gli occhi.
Qui in negozio no. Qui a Londra, sì. Ci siamo visti l'altro giorno.”
Ron sospirò di sollievo. Bene, dunque. George e Angelina si erano già incontrati e parlati, e lui non sembrava nemmeno aver accusato il colpo di trovarsi improvvisamente vicino qualcuno di tanto legato a Fred. Sorrise, più spontaneo.
Sali pure, allora.”
Lei sorrise di nuovo, assentì di slancio e si diresse senza indugio verso la porta sul retro, aprendola con sicurezza.
Buonanotte,” lo salutò, prima di sparire al di là di essa.
Ciao,” rispose Ron, richiudendo l'ingresso.
Angelina lo guardò ancora per un secondo, quindi si voltò verso le scale che si arrampicavano al piano di sopra e prese un profondo sospiro, osservando la finestra illuminata. Ne prese un altro, iniziando a salire, e un terzo a metà scala. Quando fu arrivata davanti alla porta dovette appoggiarsi per un attimo alla parete per farsi coraggio. Non aveva pensato veramente a qualcosa da dire. Non aveva idea di come sarebbe stato interagire con quel George. Forse avrebbe sbagliato tutto.
Gemette sommessamente, prima di accigliarsi leggermente e scuotere la testa con decisione, quindi bussò sicura.
Sì, Ron, buona serata.”
Quel saluto pronunciato sbrigativamente la lasciò così interdetta che per un paio di secondi non poté far altro che osservare la maniglia, vacua. Poi le sue labbra si arricciarono ed espulsero le parole quasi da sole.
E' tutto quello che hai da dire a tuo fratello dopo che ha passato tutto il giorno a lavorare per te?” osservò, molto più severamente di quanto avrebbe voluto.
All'interno ci fu un breve silenzio, e poi uno stridio di sedia spostata.
...Mamma?” ipotizzò George, perplesso.
Angelina ridacchiò sommessamente.
No, e nemmeno Ron,” rispose ilare. “Non ho neanche i capelli rossi.”
Johnson?” tentò di nuovo lui riconoscendo la voce, mentre la serratura scattava e la porta si socchiudeva sul suo viso smunto.
Per tutte le Pluffe, George, sono davvero l'unica persona che conosci che non abbia i capelli rossi?” domandò lei, cercando di avere un'aria allegra, naturale e soprattutto non nervosa, con l'unico risultato di aver già iniziato a straparlare.
...Johnson,” constatò lui, piatto.
Ciao, George,” rispose lei.
Il mago la osservò per qualche secondo meditabondo, aggrottò leggermente la fronte, quasi ricordandosi di qualcosa di importante, poi le rivolse un'altra occhiata vitrea.
Angelina deglutì con un certo sforzo.
Posso...entrare?” domandò flebilmente.
George si riscosse leggermente. Sembrò esitare per un istante, quindi spalancò l'uscio e le fece cenno di accomodarsi.
Angelina si fece avanti ansiosamente, dicendosi corrucciata che l'inizio non era stato dei migliori. Gettando un'occhiata intorno, suppose che il seguito non sarebbe stato molto più felice.
Non lo si poteva nemmeno chiamare disordine; piuttosto, degrado. Le cose erano appoggiate qua e là con noncuranza, senza il minimo criterio. Non c'era vera e propria sporcizia ma un'incuria radicata e doppiamente triste.
Se la ricordava bene, la Gemelleria dei tempi andati. Un nido confusionario e colorato su cui regnava un perpetuo caos creativo di invenzioni e stramberie di ogni genere. Dolcetti ovunque – alcuni dei quali potenzialmente letali – libri, fotografie, giocattoli, bibite e soprattutto facce amiche.
Quella casa sembrava così triste da sembrare un altro luogo. L'impressione generica era che fosse stata abbandonata a se stessa da qualcuno che non la abitava mai. Invece, a quanto le aveva detto Lee, George non usciva quasi mai da lì dentro.
Decise di soprassedere, ignorando la fitta di malinconia e di tristezza che l'aveva invasa.
Spero di non disturbare. Forse eri impegnato...”
George era rimasto fermo accanto alla porta. Scrollò le spalle.
No.”
Angelina annuì lentamente, grattandosi una guancia. Senza scoraggiarsi, accennò un sorriso.
Che stavi facendo?”
George si guardò intorno stralunato, e lei lo imitò. Lì c'era la sedia su cui doveva essere seduto fino a pochi istanti prima e davanti, il nulla. Niente. Non stava facendo assolutamente niente, tranne probabilmente pensare al fratello.
Stavo per farmi un tè,” mormorò vago.
Con mezzo cucchiaino di miele, grazie,” fece Angelina di getto, senza pensarci. “Cioè...” gemette nervosamente. “Non intendevo, nel senso...”
Va bene,” la interruppe lui, scuotendo le spalle. Si trattenne ancora per un istante, poi si avvicinò ai fornelli puntando pigramente la bacchetta.
Angelina osservò ancora per qualche secondo la stanza, prima di decidersi a sedersi davanti al tavolo mentre lui metteva a scaldare l'acqua.
Sono passata qui davanti,” azzardò, tanto per non rimanere zitta a guardarlo. “Ho pensato che magari eri in casa, e siccome l'altro giorno al Paiolo ero di fretta...” aggiunse, preferendo glissare sul fatto che lui non le avesse praticamente rivolto la parola. Cosa che, peraltro, stava continuando a fare.
George, come al solito, annuì.
Angelina sospirò rumorosamente, osservandosi le dita delle mani intrecciate. Le stava venendo voglia di piangere.
Se Fred fosse stato lì, in quel momento, ci sarebbero state risate. Molte risate. George probabilmente avrebbe preparato un dolce con dentro qualche esplosivo, rischiando brillantemente di ammazzare se stesso e loro, poi se ne sarebbe andato in negozio lasciandoli soli, come faceva spesso. Oppure sarebbe stato Fred a scendere per dargli il cambio, e loro due sarebbero rimasti lì a mangiare e chiacchierare di tutto e niente, come facevano sempre. Non se ne sarebbero rimasti zitti in quel modo orribile. George avrebbe sorriso supplicandola di fare qualcosa per quei capelli a cespuglio e l'avrebbe presa in giro fino a costringerla a cercare di affatturarlo, salvo scoprire che le aveva fregato la bacchetta.
Hai...dei dolci?” chiese, e non voleva ma le si ruppe la voce, facendola sentire ancora più stupida e fuori luogo.
No,” rispose George, dandole le spalle mentre metteva in tè in infusione.
Ah,” mormorò lei, passandosi il dorso della mano sugli occhi umidi. Ovviamente no. Quello non era George e quella non era la Gemelleria, quello era un posto che ci assomigliava senza più nessuna delle persone di prima.
Sei venuta per rivedere casa di Fred?”
La voce di lui era distaccata. Angelina socchiude appena la bocca, spiazzata da quella domanda a bruciapelo.
Naturalmente ci aveva pensato, che venire lì significava tornare da Fred. E sebbene una parte di lei sentisse quasi il richiamo dei luoghi dove era stata innamorata, dove poteva ancora pensare di avvertire quel che rimaneva della presenza luminosa di Fred Weasley, dall'altro lato il pensiero di rimettere piede in quel posto l'aveva spaventata. Non voleva ripensare a Fred, non voleva quel dolore. Non lo voleva rivivere. Le mancava, ma se lo voleva dimenticare.
Ma non era per nessuna di quelle ragioni che si trovava lì. Era venuta alla Gemelleria per vedere George Weasley, il suo amico. Inspirò lungamente, con la fronte corrugata, già sul punto di parlare quando notò il piccolo particolare stonato, osservando la mano di George che reggeva una tazza. Le nocche delle dita erano bianchissime.
Stava stringendo quella tazza con tanta forza che si sarebbe rotta da un momento all'altro.
Angelina sbuffò dolcemente.
Sono venuta per te, Weas.”
Lo chiamò nel modo in cui si rivolgeva a lui da ragazzina, qualche anno prima, quando era la ragazza di Fred. Vide la nuca di lui muoversi su e giù brevemente, in un rapido assenso. Poi lo sentì inspirare rumorosamente e non osò dire niente altro mentre lui riempiva le tazze e si voltava verso di lei, si avvicinava al tavolo e le posava la bevanda davanti.
Adesso bevi il tuo tè. Poi torna da dove sei venuta.” Lo disse tranquillamente, senza sembrare né offeso né arrabbiato, con una calma quasi innaturale. “Non è necessario. Non c'è posto qui, per nessuno.”
Angelina rimase senza fiato, lo sguardo puntato sulla tazza e il cuore in gola. Le tremò la mano poggiata sul tavolo, ma la strinse per tenerla ferma.
Lee ci viene tutte le settimane,” obiettò sullo stesso tono, quasi stordita.
Lee non se n'è mai andato,” ribatté stancamente George. “Non è un intruso.”
Angelina sbuffò dal naso.
Io sì?” chiese, sarcastica.
George non rispose, accontentandosi di stringersi nelle spalle.
Non puoi capire.”
Spiegami,” protestò lei, con veemenza. “Sono...ero tua amica! Lo so che non avrei dovuto essere assente per tutto questo tempo, ma sono ancora tua amica. Voglio esserlo. Voglio capire.”
George si limitò a guardarla in silenzio.
Angelina soffocò un singhiozzo, serrando forte la mascella. Si alzò in piedi di scatto, rabbiosa, spingendo via bruscamente la sedia. Riallacciò il mantello e spalancò la porta, voltandosi indietro solo dopo averla già oltrepassata.
A Fred piacevano molto i pancakes con il miele. Tu li hai sempre preferiti con lo sciroppo d'acero. Anche io,” affermò con un tremito, gli occhi gonfi di lacrime. “Una mattina a casa dei tuoi avete fatto uno scherzo a Molly e vi siete scambiati. Ma io ti ho riconosciuto per i pancakes con lo sciroppo.” Deglutì con un tremito incontrollato. “Ti ho riconosciuto perché io e te dividevamo spesso i pancakes, per questo lo sapevo.”
E' vero,” ammise George, con una breve smorfia malinconica.
Angelina annuì dolorosamente.
Mi piaceva dividere i pancakes con il mio migliore amico, a colazione. Era un buon modo di iniziare la giornata.”
Distolse lo sguardo mentre finiva di parlare e si voltò, sbattendosi dietro la porta prima di mettersi a correre giù per le scale senza più trattenere le lacrime.


Sembrava molto diverso dall'ultima volta che l'aveva visto. Era cresciuto, per cominciare, il che risultava comunque moderatamente normale considerando che erano trascorsi due anni: i lineamenti del viso si erano fatti più netti, maturi, i movimenti avevano una qualità più definita. Ma c'era qualcos'altro; forse il modo in cui stava seduto tenendo con naturalezza le spalle erette, o un'indefinibile sfumatura decisa della voce mentre parlava. O ancora la qualità dei suoi gesti, misurati, più precisi. Sembrava una di quelle piantine nate nel deserto, o in mezzo alle pietre di un muro, di quelle che impiegano una vita a riuscire a radicarsi nel terreno ostile e per un sacco di tempo rimangono mezze soffocate, fini e aride. Poi, quando la radice spacca la pietra e la pianta riesce a prendere linfa finalmente libera nel terreno, sboccia in un'esplosione di foglie, gemme e fioriture.
Harry aveva spaccato la pietra che lo soffocava. Adesso sembrava un ventenne solido, pacificamente tranquillo e con un suo posto adeguatamente ritagliato nel mondo che lo circondava. Ma dopo qualche minuto di conversazione Angelina colse il modo in cui i suoi occhi verdi continuavano a saettare intorno esplorativi e tirò il fiato, sollevata. Non era cambiato al punto da non conservare un po' del suo ben noto disagio nei confronti dell'universo tutt'intorno: aveva semplicemente imparato a contenerlo.
Era ancora Harry Potter, ma un Harry Potter maturato, andato oltre. Il sorriso che le aleggiava sulle labbra si fece più aperto, sinceramente allegro.
... Di Wood. Insomma, sono andato a vedere qualche partita, anche se non ho molto tempo libero. È sempre il solito fissato, comunque.”
Angelina ridacchiò, annuendo.
Ti ricordi quella volta che ci fece alzare alle cinque per rivedere gli schemi prima della finale contro Slytherin?” domandò ilare.
Se me lo ricordo?” commentò lui ironico. “Non sono del tutto sicuro di averglielo ancora perdonato.”
Angelina rise più apertamente.
Katie e io gli facevamo il verso,” rammentò divertita. “Quando ci dava le spalle.”
Harry sbuffò con un sorriso.
George Weasley era capace di imitare la sua voce così bene che una volta mi ha quasi fatto venire un collasso sbucandomi alle spalle ed esclamando rabbiosamente che non avrei dovuto essere in sala comune ma in campo ad allenarmi. Fred stava crepando dal ridere due metri più in là. Scusami.”
Disse l'ultima parola senza nemmeno prendere fiato, come se fosse stata la naturale continuazione della frase, e il suo sguardo si fece cauto e un po' imbarazzato.
Il sorriso di Angelina si congelò appena, ma poi lei scosse la testa.
Non ce n'è motivo. Mi fa piacere che ne parli normalmente,” rispose, onesta.
Harry scosse le spalle, rilassandosi.
Se non parlassi più di tutte le persone che ho perso in guerra esaurirei metà dei miei argomenti di conversazione,” osservò con tono vago. “Sarebbe un bel problema, nelle serate ufficiali,” aggiunse con una smorfia.
Angelina annuì divertita, prendendo fiato, ed esitò per qualche secondo prima di porre la domanda che più le premeva.
Tu...tu lo vedi spesso?” mormorò.
Harry sollevò un sopracciglio.
George?” chiese, senza aspettare la sua risposta per scrollare le spalle. “Qualche volta lo vado a trovare in Gemelleria. E mi capita di incrociarlo alla Tana, ovviamente.”
Non aggiunse altro e lei si schiarì la voce incerta, abbassando lo sguardo sulla tazza di tè e poi sul tavolino dei Tre Manici.
Harry si sedette meglio, in un fruscio del mantello.
Ron mi ha detto che, ehm, sei passata. L'altra sera,” osservò impacciato.
Angelina annuì, non sorrideva più.
Non è stato molto...gentile,” borbottò con una smorfia di circostanza.
Harry scosse la testa.
George non è mai molto gentile. Io ci ho fatto l'abitudine. Voglio dire, non è come se nessuno fosse mai stato poco gentile con me,” osservò, spalancando gli occhi con eloquenza. “Certe volte è anche spiacevole. Bisogna imparare a prenderlo per il verso giusto, immagino.”
Angelina lo guardò attentamente, deglutendo un po' d'ansia.
Credevo fosse...perché sono io. Sai...” bofonchiò.
Harry diniegò.
Credo di no,” affermò. “Lo fa con tutti. O almeno con me. In realtà qualche volta mi sono chiesto se mi odia, ma Ginny dice che sono paranoico in questo genere di cose e che la devo piantare.”
Angelina ridacchiò di nuovo.
State bene?” chiese, cambiando discorso.
Harry annuì con un sorriso.
Certo. Sì. Voglio chiederle di sposarmi.”
Lei sgranò gli occhi lasciandosi sfuggire un piccolo applauso deliziato.
Ma è fantastico, Harry!”
Lui ridacchiò, imbarazzato, e per la prima volta da quando si erano incontrati si appiattì la frangia sulla fronte in quel suo gesto inconscio.
Grazie.”
Angelina prese fiato, meditabonda.
Non avevo mai pensato a quanto le cose sarebbero cambiate in mia assenza,” osservò assorta, aggrottando la fronte. “Naturalmente sono cambiata anche io. L'Africa è stata un'esperienza così intensa...” mormorò.
Harry annuì.
Da quel che mi hai detto prima viene voglia di andarci,” commentò gentilmente. “Cioè, mi piacerebbe viaggiare. Se non stessi lavorando così tanto al Ministero, intendo,” chiosò sbuffando.
Sì. Sì, è stato incredibile,” concordò Angelina. “Ma quando pensavo a qui... E' strano. Intendo dire, sapevo che le cose sarebbero cambiate, per forza, ma non ci pensavo realmente.”
Suppongo sia normale,” concesse benevolmente Harry.
Lei annuì, sospirando.
E' come se fossi sfasata,” concluse.
A me succede da sempre, e senza essermi mosso di un passo,” osservò scherzosamente Harry, con tatto inaspettato. Angelina lo premiò con un risolino. “Comunque è solo questione di qualche tempo, per riprendere l'abitudine. A proposito, la cena. Lee me ne ha parlato. Oliver sarà a Londra il prossimo fine settimana,” continuò lui. “Pensavamo a venerdì sera.”
Angelina annuì con entusiasmo.
Per me va benissimo,” commentò.
Harry assentì.
Ron cercherà di portare George. È possibile che ci riesca, ma non ci metterei la mano sul fuoco. A parte questo, dovresti parlarne con Katie,” suggerì, lanciando un'occhiata all'orologio. “E io devo proprio tornare in ufficio.”
D'accordo. Mi ha fatto molto piacere vederti, Harry.”
Anche a me. Bentornata a casa.”
Lui si alzò con un sorriso di congedo, le rivolse un ultimo cenno di saluto e si diresse a pagare prima che Angelina potesse provare a impedirglielo. Lei lo salutò ancora mentre il ragazzo usciva, salutato da alcuni altri avventori cui rispose con garbata ritrosia, poi tirò un sospiro giocherellando col cucchiaino.
Quel che le aveva detto Harry l'aveva in parte rassicurata. Era abbastanza sicura che lui non si fosse mai fatto sbattere fuori da George senza tanti complimenti com'era successo a lei, ma almeno sapeva che le reazioni esagerate e sopra le righe non dovevano essere qualcosa riservato a lei sola.
Se almeno fosse venuto a cena, pensò speranzosa. A quel punto avrebbe provato un nuovo approccio, magari più cauto e distante. Forse era stato uno shock, per il gemello rimasto, ritrovarsela di nuovo davanti come se niente fosse. Poteva aver sbagliato, pensando di cercare di appianare lo strappo in modo veloce e diretto. Forse la fiducia di qualcuno che soffre è qualcosa che va riconquistato gradatamente, senza pressioni, aspettando il tempo necessario.
Adesso, se non altro, George sapeva che quella era la sua intenzione. Non le restava che scoprire se esisteva la possibilità che lui le permettesse di rientrare nel suo stesso universo.






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Passo falso per Angelina... Sono dell'idea che gestire rapporti umani delicati sia una delle cose più difficili del mondo. Non sbagliare, seppure in buona fede, è pressoché impossibile. A volte la premura e la buona volontà ci spingono a decisioni frettolose e gesti prematuri, ma resto dell'idea che quando l'intenzione è buona si tratti raramente di veri e propri errori. Le definirei piuttosto inavvedutezze.
Qui vediamo Ron ed Harry. Spero non sia troppo sballati rispetto all'IC.
Alla prossima.

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Capitolo 3
*** 3. ***


Lentamente, ma la storia arriva. E' solo che la sistemo nei ritagli di ritagli di ritagli di tempo e, beh, non sono granché strutturata nella mia suddivisione degli impegni.
Qui ci troviamo alle prese con una bella arrabbiatura, una serie di supposizioni, una ferma ed "eroica" presa di posizione ed un album di nostalgia.


3.



Ron ci stava mettendo una vita.

Una volta George era capace di passare nove ore di fila alla cassa dei Tiri Vispi senza annoiarsi per un solo istante. Arrivavano le sette e mezza di sera senza che nemmeno se ne accorgesse.
Adesso gli bastava stare lì per dieci minuti, dover rispondere gentilmente alle domande dei clienti e sorridere loro con cortesia, per avere voglia di vomitare o di scagliare maledizioni tutt'intorno.
Quel mattino se ne stava impalato dietro il banco, con un piede che tamburellava lievemente per terra a velocità più che sostenuta, allo stesso ritmo con cui lui mordicchiava l'interno del proprio labbro con accanimento e lanciava di tanto in tanto qualche mezzo sorriso più torvo che amichevole alla clientela. Quando Ron gli aveva chiesto di sostituirlo, prima di uscire, si era poi soffermato a guardarlo dalla soglia con vaga perplessità, stupito di quell'atteggiamento nervoso da parte della bolla di apatia che era diventato suo fratello.
Nei quattro giorni precedenti, in effetti, George non era sceso in negozio nemmeno per errore. Non sapeva che idea si fosse fatto Ron in merito: forse una ricaduta – ricaduta dove, poi? Lui non era uscito da niente e perciò non poteva ricaderci dentro, al limite poteva giusto sprofondare ulteriormente – oppure si era detto che aveva un po' di luna di traverso, abbastanza plausibile visti gli sbalzi d'umore improvvisi – sebbene sempre compresi tra l'apatico e il disperato – da lui manifestati in quei due anni. La terza possibilità era che Ron avesse effettivamente imbroccato l'ipotesi corretta, cioè che la visita di Angelina Johnson non fosse stata propriamente un toccasana e, con insperata saggezza o più naturale istinto di conservazione, si fosse esentato dal fare domande. Mezz'ora prima si era limitato a bussargli alla porta affermando che c'era un problema con un fornitore e doveva assolutamente uscire un attimo: ed ora eccolo scomparso, lasciandolo in mano a scoccianti clienti rumorosi, inutilmente allegri e fastidiosamente ridanciani.
Una volta veder ridere le persone, scoprirle allegre e provocare la loro ilarità era stato uno dei grandi piaceri della vita di George Weasley. Ce n'erano molte, per la verità, di cose che George Weasley aveva adorato, ma quel riuscire a divertire il prossimo era stata una delle più soddisfacenti. I Tiri Vispi erano nati per quella ragione e nei primi tempi dell'esistenza del negozio – quando aveva avuto due proprietari – l'ilarità della clientela era stata la ragione principale per cui fosse bello passare la giornata lì dentro. Adesso, potendo, George avrebbe volentieri strappato i denti a tutta quella gente che esibiva irragionevoli sorrisi e ghigni entusiasti.
Fece un cenno meccanico affermativo ad una giovane mamma che si dirigeva verso di lui con l'aria di voler palesemente chiedere informazioni.
Mi dica, signora,” le propose laconico, senza la benché minima traccia di disponibilità.
La donna dovette sembrare un po' destabilizzata dal suo tono di voce disinteressato, perché esitò per qualche secondo. Nella mente di George si formulò l'idea vaga di sorriderle incoraggiante, ma il solo pensiero gli faceva quasi venire da urlare.
Io... Mio figlio mi ha detto che vendete delle nuove Puffole, diverse, e sa... Ne voleva una.”
George la osservò vacua. Una Puffola. C'era gente che riusciva ancora a considerare importante una Puffola. Gente che non aveva capito un emerito accidente di quel che era successo negli ultimi dieci anni. Gente che non aveva sepolto nessuno. Gente che avrebbe volentieri preso a calci, e chissenefrega che non fosse colpa loro se erano stati fortunati – e lui no.
Le Puffole sono nell'espositore in fondo al negozio sulla sinistra. Le ultime arrivate sono quelle nella parte destra, divise dalle altre,” annunciò sbrigativo, senza minimamente mostrare l'intenzione di farle strada.
Ah. Va...va bene. Grazie,” mormorò infatti la donna, prima di voltargli le spalle con un sorriso smorto. George seguì senza badarvi la sua traiettoria verso le Puffole, arricciando le labbra. Non vedeva l'ora che Ron tornasse, così non avrebbe dovuto sopportare ancora quella gente che di fatto non sopportava, con cui era indistintamente furioso. Perché era così che aveva passato gli ultimi giorni, lui che da mesi non riusciva praticamente a provare nient'altro che una piatta, soffocante e tormentosa nostalgia: da quando Angelina era entrata in Gemelleria, poche sere prima, George era disperatamente incazzato. Era così furibondo che gli tremavano le ginocchia, e non sapeva nemmeno il perché. Continuava a girare per casa come un pazzoide, i pugni serrati, una rabbia inarrestabile che rotolava nello stomaco, e guardava le foto di Fred. Pensava che il suo gemello era morto ingiustamente, e si arrabbiava da urlare – era sempre stato arrabbiato per la morte di Fred, insieme all'essere disfatto dal dolore per la sua perdita, ma questa volta era solo una marea di collera violenta a riempirlo - e Angelina Johnson che se ne veniva lì come se niente fosse – ed era così furioso che avrebbe preso a testate una finestra fino a spaccarla – e Lee non gli aveva nemmeno detto niente per avvisarlo – e gli veniva voglia di dar fuoco a qualcuno da quant'era incazzato. Odiava tutti quanti. Fred era morto e per quanto lo riguardava l'intera specie umana poteva estinguersi tra atroci sofferenze. Possibilmente il più in fretta possibile.
Andava a ondate. Ogni tanto quell'arrabbiatura nuova scemava e si spegneva nello solito, uggioso sfinimento. Lo riprendeva l'apatia, tornava la sensazione dell'annegamento, il panico immotivato del dover sopravvivere malgrado l'assenza Fred – qualcosa di impossibile, di troppo brutto per accettarlo. George si sentiva quasi meglio, quando ricadeva nel suo stato abituale: calmo, silenzioso, si rannicchiava a letto e rimaneva lì ad aspettare che le ore passassero senza più nessun pensiero preponderante: ma bastava che sentisse un rumore – cosa decisamente frequente, a Diagon Alley e particolarmente sopra quel deposito di esplosivi legali che era i Tiri Vispi – e il sussulto lo ributtava nell'ira. Faceva paura. Impossibile smettere.
Ron scelse quell'esatto istante per rispuntare dalla porta del negozio, trafelato e un po' inquieto.
T-tutto bene?” boccheggiò, raggiungendo il fratello dietro il banco.
No, è esplosa una parete,” replicò George infastidito, sensazione amplificata dal successivo modo in cui Ron, sgranati gli occhi, si guardava intorno allarmato. “Certo che va tutto bene, cosa vuoi che succeda? Questo è un negozio, non un dannato campo di battaglia,” aggiunse con un tono che voleva essere distaccato e che suonò più che altro aggressivo.
Ron spalancò la bocca, esterrefatto, ma George non gli diede il tempo di formulare una risposta: voltò i tacchi e lo piantò lì, tornandosene nel beato isolamento del suo alloggio al piano di sopra.


Hermione, naturalmente, era già seduta al tavolino quando Harry, spalancata la porta dei Tre Manici, si guardò intorno alla ricerca della sua testa ricciuta. Stava sfogliando un libro spesso e apparentemente vecchio con espressione accigliata, e il sorriso che Harry lanciò nella sua direzione passò interamente inosservato – da parte di lei, ma non delle altre due ragazze sulla stessa traiettoria, che sorrisero entrambe in risposta. Harry si schiarì la voce e si incamminò verso l'amica con espressione di circostanza finché non le ebbe oltrepassate entrambe.
Ciao, Hermione,” esordì, appoggiando la mano sulla sedia di fronte a quella di lei.
Harry!” trasalì la ragazza, prima di ricambiare il suo sorriso chiudendo il manuale. “Non ti ho sentito arrivare.”
Lui ridacchiò, sedendosi.
Me n'ero accorto. Ron?”
Hermione emise uno sbuffo.
Immagino stia chiudendo al cassa o qualcosa del genere,” spiegò, spiccia.
Harry scrollò la testa, rubandole un sorso di Burrobirra. L'amica gli scoccò una scherzosa occhiataccia cui lui replicò con un'angelica alzata di spalle.
Che c'è? Non sono stato io,” si difese, spalancando gli occhi in un modo che ricordava un po' Luna.
Hermione levò lo sguardo al cielo, con un'espressione di condiscendenza un po' guastata dal suo evidente sorriso represso.
Naturalmente, Harry,” concordò scettica. “E io non ti sto affatto per scagliare una fattura,” aggiunse, con una smorfia troppo poco minacciosa.
Non...lo faresti mai,” ribatté Harry, con l'aria di non essere affatto sicuro di quel che stava dicendo. Ridacchiarono entrambi. “Mh,” aggiunse, intanto che faceva segno a Rosmerta di portare un boccale anche a lui, “Ron ti ha detto della cena?”
Hermione annuì noncurante.
Dopodomani, andrete a cena con il resto della squadra di Quidditch, non si sa ancora dove... cercherò di farmene una ragione,” scandì in rapida successione, come se fosse stata una battuta malamente mandata a memoria. Sospirò. “Ron me l'avrà ripetuto sei volte.”
Harry rise piano.
Credi che ne abbia già parlato con George?” s'informò Harry cauto.
Hermione spalancò gli occhi con un'eloquenza di cui gli sfuggirono i sottintesi.
Non sono sicura che lo farà.”
Perché non dovrebbe?” chiese Harry perplesso, aggrottando la fronte.
Hermione socchiuse le labbra per rispondere, ma all'ultimo sorrise in direzione della porta ed Harry si voltò meccanicamente indietro alla ricerca della sagoma del suo migliore amico, che trovò puntualmente svettante sopra le teste degli altri avventori.
Ciao, ragazzi,” esclamò Ron raggiungendoli, si chinò a schioccare un bacio sulla fronte ad Hermione e strinse cameratesco la mano di Harry. “Passato una buona giornata?”
Non male, se non consideriamo che mi è esplosa la scrivania. Incidentalmente,” si affrettò a precisare Harry cogliendo lo sguardo sospettoso di Ron che, dai tempi della guerra, aveva sviluppato la tendenza a vedere cospirazioni ovunque.
Anche io tutto a posto,” confermò Hermione. “In negozio?”
Ron storse il naso, scontento.
Strano,” borbottò.
Chi?” chiese Harry perplesso, mentre Hermione si corrucciava pensosa.
George,” sospirò Ron.
Oh, gli hai detto della cena?” ripeté Harry di getto.
Amico, io a quella cena non ce lo porto.”
L'altro lo osservò allibito, con vaga contrarietà, e si voltò in cerca dell'appoggio di Hermione, che pareva però straordinariamente moderata, cauta.
Cosa succede con George?” chiese Harry prendendo un respiro profondo. Training autogeno, la via dell'eroe.
Ron scosse il capo, intanto che Rosmerta, saggiamente, veleggiava verso di loro con non una ma due burrobirre.
E' nervoso. Lo sento che cammina avanti e indietro sopra la mia testa per tutto il giorno. Di solito non si alzava quasi dal letto,” sbuffò Ron, scambiandosi con Hermione un'occhiata che lasciava intendere come avessero già affrontato l'argomento. Poi tornò a voltarsi verso Harry. “E ti dirò, ieri l'ho lasciato un momento da solo in negozio e quando sono tornato mi ha dato una rispostaccia che non me l'aspettavo,” continuò a spiegare, ingoiando un sorsata di bevanda ben abbondante, indice sicuro della sua agitazione.
Molto cattiva?” s'informò Harry perplesso. Non era abitudine di George investire le proprie energie nel comunicare con la gente, nemmeno con cattiveria. In effetti, non le impiegava per niente.
Molto lunga,” lo contraddisse Ron sintetico.
Hermione si schiarì la voce.
A quanto pare era una frase articolata,” intervenne esplicativa, in soccorso dell'amico. “Soggetto, verbo, complementi vari e alcuni segni d'interpunzione diversificati,” precisò gravemente.
Harry si domandò fuggevolmente se fosse normale, una conversazione del genere fra tre ventenni. Si rispose che no, non la era, e la cosa non gli creava il minimo problema. Non più.
Ma dai,” commentò sorpreso. Le ultime volte che aveva parlato con George, sempre che “parlato” fosse il corretto lemma verbale da utilizzare in quel caso, si era trattato di brevi e impacciati monologhi – suoi – seguiti da impercettibili monosillabi – di George.
Sì. E poi è agitato. Batte i piedi per terra, si morde le guance. Ieri si è strappato una pellicina dall'unghia,” continuò Ron con aria molto seria. “Penso non stia molto bene.”
Quella frase conclusiva fu seguita da un duplice sguardo vitreo, assolutamente privo di qualunque barlume d'espressione da parte di Harry e Hermione. Ron arrossì dalle parti della collottola.
Intendo, peggio del solito,” puntualizzò.
Ah, ecco,” commentò Harry a mezza voce, mentre Hermione scrollava pazientemente i riccioli crespi. “E' successo qualcosa?”
Io penso che sia per via di Angelina Johnson,” annunciò Hermione con sicurezza. “E' andata a trovarlo a casa l'altra sera e, indovina, è proprio da allora che si comporta così,” proseguì, osservando il viso di Ron con attenzione.
Il minore dei fratelli Weasley annuì con uno sbuffo.
Probabilmente non avrei dovuto farla salire. Ma lei mi ha detto che si erano già visti e...”
Perché avrebbe mentito? L'avrà incontrato. A volte George mangia fuori,” intervenne Harry, cui l'ex compagna di squadra sembrava tutto fuorché una contafrottole. Era decisamente una ragazza troppo forte per aver bisogno di nascondersi dietro le bugie.
Sì, ma vederla in casa loro...” insistette nervosamente Ron.
Sua,” lo corresse Harry, fermo. “Quella è casa sua. Come Grimmauld Place è casa mia. Ci vive da solo, o mi sbaglio?”
Harry lo sapeva, cosa significasse convivere con il lutto. Sapeva benissimo quante balle ci si possa raccontare e quanti palliativi si inventino per non affrontare il dolore. Per esempio tuttora, trascorsi quattro anni, non era del tutto convinto che cadendo oltre il Velo si morisse veramente. Aveva semplicemente deciso di smettere di chiederselo. Persino dopo aver visto lo spettro di Sirius una impercettibile vocina nella sua testa aveva ipotizzato che magari era diverso da Lily e James, magari era solo incastrato, magari c'erano forme diverse di manifestazioni psichiche, magari... Tutte sciocchezze. Era pericoloso rimanere troppo attaccati ai morti. Bisognava cercare la forza di guardare oltre, anche quando sembrava di morire a propria volta per il dolore.
Certo, quello di George era un caso particolare. Aveva perso il proprio gemello.
Lo so che ci vive da solo, ma abitavano lì insieme e lei era la ragazza di Fred!” si spazientì Ron, nervoso.
Non pensi che potrebbe addirittura fargli bene?” domandò Hermione con lentezza, meditabonda. Prese fiato sistemandosi i capelli, mentre coglieva i loro sguardi posarsi su di lei. “Era sua amica, no? E lui ha reagito. È la prima volta da un sacco di tempo che George reagisce a qualcosa,” rammentò loro, lucida e razionale.
Probabilmente lo ha sconvolto. Ti rendi conto che potrebbe peggiorare ancora?” la riprese il fidanzato.
Peggiorare rispetto a cosa?” chiese Harry, più propenso ad appoggiare la tesi di lei che quella di lui per esperienza personale.
Beh, ultimamente stava meglio,” bofonchiò Ron senza troppa convinzione. “Usciva, ogni tanto.”
Probabilmente perché il suo stesso corpo si annoia,” ipotizzò Hermione, mesta. “Non parla mai con nessuno. Sembra che non si accorga nemmeno di cosa lo circonda.”
Sai che l'ho notato anch'io, questo?” intervenne Harry di slancio, annuendo. “Sembra che non sia lì. È vero che esce un pochino, ma sembra... sembra diventare come...trasparente.”
Ron sembrava sempre più inquieto. Voltava gli occhi dall'una all'altro, quasi febbrilmente.
E quindi?” azzardò.
Forse ne ha bisogno, di un trauma,” disse Hermione, cauta. “Forse gli farebbe bene.”
Ron s'incupì ulteriormente, amareggiato.
Non accetterà mai di venire a cena. Prima avrei potuto sperare di sfruttare la sua indifferenza per trascinarmelo dietro, ma vi assicuro... Ieri in negozio pensavo avrebbe ammazzato qualcuno.”
Va bene, ragioniamo con calma,” disse Harry seriamente, strappando ad Hermione un sorriso di approvazione. “Cerchiamo di fare un inventario dei mezzi a nostra disposizione e di stabilire la migliore strategia d'azione.”
Musica, per le orecchie della sua migliore amica. Naturalmente, Harry era maturato, era diventato l'Eroe che tutti si aspettavano, il salvatore del mondo magico, ed era determinato a risolvere le cose.
Fu in quello stesso momento che il suddetto salvatore si voltò verso di lei, con l'aria più fiduciosa del mondo, guardandola con evidente aspettativa.
Hermione?” domandò spronandola.
Oh, beh... Questa, poi.


La foto era luminosa come lo sono soltanto i ricordi migliori. Le quattro sagome sembravano annegate nella luce del sole, circondate da raggi graziosi che facevano quasi rilucere il muretto di Hogmeade su cui erano appollaiate, fianco a fianco, abbracciate. Lee, all'estremità destra, ridacchiava sventolando la sciarpa di Gryffindor mezza attorcigliata intorno al suo collo. George accanto a lui omaggiava l'obiettivo di smorfie particolarmente riuscite. Poi c'era lei, che sorrideva allegramente alzando gli occhi al cielo e cercava di tenere fermo sia lui che Fred, che dall'altro lato sghignazzava beatamente e sembrava molto impegnato, insieme al gemello, nel tentativo di farla cadere per terra. Un pomeriggio di gita ad Hogsmeade, al tempo della scuola; quando lei e Fred uscivano insieme da poco.
Angelina guardava la fotografia con la mano premuta sulla bocca, gli occhi umidi di lacrime.
L'istantanea successiva ritraeva lei e il suo ragazzo da soli, mentre passeggiavano mano nella mano sul sentiero del villaggio. Ricordava il momento in cui George l'aveva scattata, proclamando che era una prova per documentare la loro melensaggine. Soffocò un singhiozzo.
La foto successiva nel suo mazzetto di ricordi datava uno o due anni dopo: una merenda alla Tana nel momento in cui la situazione del mondo di fuori cominciava seriamente a precipitare. C'erano loro tre seduti a tavola davanti a tazze di tè fumante: George sbranava un muffin con aria estremamente concentrata e un mezzo sorriso di pura soddisfazione, mentre Fred la stuzzicava a colpi di cucchiaino. Lei stava ridendo. Rideva sempre, con quei due: non divertirsi di qualunque cosa era impossibile, in loro presenza, perché il loro entusiasmo per la vita in tutte le sue forme risultava sempre altamente contagioso.
Un'altra foto, un altro pezzo: George seduto sul bordo del letto, con la testa fasciata all'altezza dell'orecchio mozzo, e lei che gli porgeva un vassoio colmo di biscotti. Questa l'aveva scattata Fred.
Angelina ricordò com'era stato orrendamente preoccupato: aveva visto benissimo che il fratello era vivo, non era ferito mortalmente eppure, per tutto il tempo che erano durate la visita e la medicazione di George, Fred non aveva fatto altro che scalpitare come un ossesso, con le lacrime agli occhi. Sembrava quasi che fosse lui a soffrire il male di quella ferita dolorosa. Poi, appena lo avevano lasciato entrare a vedere il fratello, la sua faccia si era trasformata e Fred aveva cominciato a ridere e scherzare, immerso nella necessità di fare tutto quanto era in suo potere per alleviare la sofferenza del gemello e distrarlo. Era così che succedeva: se uno dei due aveva un qualunque cruccio, l'altro raddoppiava se stesso per colmare lo squilibrio, e in quel modo erano quasi invincibili. Quasi.
Oh, Fred!” singhiozzò Angelina a mezza voce, la mano ancora davanti al viso. “Perché sei finito sotto quel maledetto muro?” domandò al vuoto, la voce rotta dall'emozione.
Scoppiò in un breve pianto, stringendo le sue povere fotografie in grembo.
Ci aveva messo due anni per elaborare quella perdita, ma adesso che avrebbe potuto piangerla liberamente, senza più il peso opprimente della ferita che andava cicatrizzando, non riusciva a smettere di pensare a tutto il resto, a quel che la morte di Fred aveva provocato. Lee e la sua malsana iperattività, lei e la sua lunga fuga, e George. George che era un morto che camminava, che non aveva più spazio per nessuno. Era così triste che le mancava il fiato per smettere di singhiozzare, mentre sperimentava con più chiarezza il dolore pungente del senso di colpa.

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Capitolo 4
*** 4. ***


4.



Ricapitoliamo.”
Ronald...” sospirò Hermione.
Seriamente! Guarda che non è mica semplice!”
Per tutte le...le Pluffe, Ronald! E' tuo fratello, non è mica un...un ragno gigante!”
Harry seguiva quell'acceso battibecco con interesse. A quelle ultime parole si sporse leggermente alla propria destra, piegando il capo verso il basso.
Era un'esclamazione sportiva, hai sentito?” mormorò nell'orecchio di Ginny. “Dev'essere davvero esasperata,” concluse, strappandole una sommessa risata.
Ron gettò loro un'occhiata supplichevole, in cerca d'aiuto, ma Harry si strinse nelle spalle per significare che non ci poteva far nulla: Hermione aveva decretato che sarebbe stato demenziale lanciarsi in chissà quale piano arzigogolato per convincere George a fare una cosa senza avergliela nemmeno proposta prima. Aveva stabilito, quindi, che la cosa più logica da fare fosse cominciare semplicemente con l'invitarlo alla cena e vedere come avrebbe reagito.
Ron non l'aveva presa molto bene.
Aveva preteso un comitato di supporto, per cominciare, e visto che loro quattro erano il cuore pulsante dell'Esercito di Silente, insieme nella buona e nella cattiva sorte eccetera, sia la sua ragazza che i futuri coniugi Potter avevano acconsentito a quel suo capriccio senza troppe proteste, nonostante l'espressione stizzita che Hermione conservava stampata in faccia. Sapevano che George era un problema delicato, per Ron – lo era per chiunque, ma per lui in particolare, dato che era quello che vi aveva più strettamente a che fare.
Mi aspettate qui,” ribadì lui per la trentesima volta, sul punto di imboccare le scale verso l'appartamento del fratello.
E dove vuoi che andiamo...” bofonchiò Hermione.
Non preoccuparti, oh eroico fratello, attenderemo il tuo ritorno sventolando stendardi di Gryffindor,” lo incoraggiò scherzosamente Ginny.
...Per celebrare il tuo straordinario coraggio,” concluse Harry, annuendo solenne.
Ron storse il naso, diede uno sbuffo e s'incamminò su per i gradini bofonchiando qualcosa come “bell'amico”. Si piantò davanti alla porta e bussò con decisione patibolare.
Ciao Ron, buona serata,” lo raggiunse la voce sbrigativa di George dall'interno.
Sì, ehm, sto entrando,” borbottò Ron, prima di girare prudentemente la maniglia. Attese per un paio di secondi ma, siccome il fratello non protestava, si decise ad entrare in casa.
In Gemelleria c'era ancor più casino del solito, constatò guardandosi intorno. Tra le altre cose, vecchie pergamene scarabocchiate e libri di scuola avevano fatto la loro ricomparsa in bella vista.
Ehi,” salutò incerto, chiudendosi la porta alle spalle.
Ehi,” rispose George, appoggiato al fornello con una noncuranza che sembrava più che altro nevrastenia mal travestita.
Non aggiunse nulla, ovviamente, e Ron si schiarì la voce.
Beh, spero di non disturbare,” disse, prendendo tempo.
George non si sognò nemmeno di rispondergli che no, non disturbava affatto, ma fece soltanto spallucce.
Che c'è?” domandò senza interesse.
Ron buttò fuori l'aria, rassegnato.
E' per la cena,” gemette, più che parlare. “La cena della squadra di Quidditch,” precisò, alla muta domanda espressa dagli occhi diffidenti del fratello.
Di cosa parli?”
Ron si strinse nelle spalle.
E' solo una cena della squadra di Quidditch di Gryffindor. La stiamo organizzando per domani sera. Un'idea di Harry,” puntualizzò, nella speranza di mettere il progetto in una miglior luce facendo il nome dell'amico.
George lo osservò senza il benché minimo entusiasmo – ovviamente. Non emise verbo, e dopo un breve silenzio Ron si sentì costretto a continuare.
Lee si è occupato della parte pratica. Ha scelto il ristorante e...e ha avvisato tutti. Verrà persino Oliver. Ci saremo proprio tutti quanti,” continuò a blaterare, sperando di riuscire in qualche modo a ridestare il suo interesse. Ce la fece, ma non nel modo che aveva sperato.
George infatti aggrottò la fronte, con una scintilla di collera nello sguardo.
Ma davvero?” commentò, con un'allegria fittizia e malevola. “Questa sì che è una sorpresa meravigliosa, Ron,” aggiunse, prima di voltarsi verso la stanza vuota, nello sgomento del fratello, per alzare la voce. “Ehi! Andiamo a cena fuori con la squadra, domani sera!” annunciò. Apparentemente, rivolto alla porta della camera da letto.
Ron deglutì in un silenzio pesante e scomodo.
George finse di ascoltare attentamente, percependo solo, ovviamente, quello stesso silenzio. Poi si strinse nelle spalle, con aria fatalista.
Forse non vuole venire,” ipotizzò caustico.
Rom emise un altro respiro lungo, più tremulo, dominando un qualcosa che gli pungeva la gola e gli faceva venir voglia di prendere a calci una sedia, o magari la gamba del tavolo.
Ok, messaggio ricevuto,” replicò, a disagio e un po' rabbioso. “Tutti quanti quelli che sono ancora vivi.” Strinse le labbra. “Non è divertente,” aggiunse a mezza voce.
No, non lo è,” confermò George brusco, a voce alta e fremente. “E sai cos'altro non è divertente? La tua stupida cena. Sai cosa ne penso de...” continuò, innervosendosi ulteriormente.
No!” lo interruppe Ron con un accesso di collera, che riuscì a dominare al prezzo di un violento sforzo di controllo di sé – cui decisamente per natura non era portato. “Non so cosa sia questa nuova faccenda dell'incazzarsi, ma non ti lascerò spingermi in mezzo. Se vuoi arrabbiarti lo puoi fare con qualcun altro,” continuò, respirando velocemente. “Non ci vuoi venire? Non venirci. Come ti pare. Ora vado, mi stanno aspettando.”
Non aggiunse altro e non aspettò assolutamente la risposta: si scaraventò fuori dalla porta con la massima urgenza e se la chiuse alle spalle con un tonfo, balzando giù per gli scalini a due a due con un diavolo per capello. Certe volte George lo faceva andare talmente fuori da ogni grazia che l'avrebbe preso a botte fino a lasciarlo incosciente, ma era chiaro che se avesse dato sfogo alla collera non avrebbe ottenuto nessun risultato a parte forse allontanarlo: e Ron sapeva di essere letteralmente vitale nell'esistenza attuale del fratello.
Ginny, davanti a Harry e Hermione, lo aspettava col sorriso sulle labbra. Le bastò guardarlo in faccia per un istante perché quello rapidamente svanisse, lasciando il posto a un'espressione mesta di rammarico.
Già,” mormorò soltanto, prima di voltarsi per allontanarsi.
Hermione lanciò al fidanzato un'occhiata tenera e consolatoria, mentre Harry prima osservava lui e poi faceva per seguire Ginny. Mentre Hermione abbracciava brevemente Ron, però, Harry colse i suoi occhi puntarsi verso di lui e poi il capo ricciuto dell'amica si piegò a puntare le scale. Harry si morse le labbra, annuì e saltellò verso il piano superiore in uno slancio del suo consueto ardimento – senza avere la più vaga e remota idea, come al solito, di come procedere dopo essersi buttato.
Har...” lo trattenne Ginny con voce rotta.
Permesso,” disse lui, aprendo la porta. George gli scagliò un'occhiata decisamente poco accogliente.
Non ti ci mettere an...”
No,” lo trattenne Harry con tono controllato. “Volevo solo avvisarti che passerò domani sera, prima di andare alla cena. Sai, nel caso ci pensassi su e cambiassi idea.”
Non ho bisogno di pensarci.”
Harry annuì. Era quel genere di situazione che lo faceva arrabbiare. Non con George, nella fattispecie, quanto con tutte le cose che erano successe, in generale.
Forse invece dovresti.”
George levò lo sguardo al cielo, con uno sbuffo spossato.
Non mi interessa la cena.”
Lo so. Però tuo fratello lavora otto ore al giorno nel tuo negozio e non si lamenta mai, e tua sorella ha passato tutta la vita a farsi consolare da te e Fred quando era giù di morale e ora non può più, ma sono due anni che non ti chiede niente. Mai. E loro vogliono che tu ci sia.” Harry inspirò e deglutì pesantemente, recuperando l'aria. Non era mai stato molto bravo a parlare, ma col tempo stava accettando che ci sono momenti in cui si è costretti a farlo.
Non mi fare la predica, Harry!”
Il tono di voce di George tornò a farsi rabbioso. Harry aggrottò la fronte.
Sì, avanti, dai. Prenditela con me, perché è con me che devi avercela. Sono stato io,” continuò, puntandosi i pugni sul petto.Io vi ho portati tutti a Hogwarts, quella notte. Io ci ho portato i Death Eaters e Voldemort. È successo tutto per me.”
Non...” George annaspò nervosamente.
Sì, invece,” scandì Harry deciso. “Sono morte molte persone. Le conoscevo tutte. Le conoscevi tutte anche tu.” Fece una pausa, durante la quale George non lo interruppe, limitandosi a fissarlo con sguardo tormentato. “Volevo un bene fottuto a molte di loro ed è stato un incubo, ogni tanto lo è ancora. Qualche volta di notte mi sveglio cercando di urlare, ma non mi esce la voce. Ti succede mai?” mormorò ancora.
Gli occhi azzurri di George schizzarono a lato. Non rispose né sì né no e strinse le labbra.
Harry diede un sospiro di stanchezza. Esprimere certe cose, parlare chiaro lo stremava.
Pensala come ti pare. È solo una stupida cena e starai male lì come se rimanessi a casa o in qualunque altro posto. Non sei tenuto a divertirti. Ma Ron e Ginny chiedono solo che tu sia lì, e se lo meritano.” Rilassò le braccia contratte, e la sua mascella serrata si distese. “Passo domani,” concluse, prima di andarsene com'era arrivato.


Siamo in anticipo di ore,” sospirò Katie, lisciandosi meccanicamente la coda di capelli.
Sì, e allora?” replicò placidamente Lee, sbuffando una nuvoletta di fumo a forma di bicchiere. “Non c'è scritto su nessuna pergamena che non possiamo vederci prima di cena per un bicchierino, Bell.”
Angelina ridacchiò della sua performance fumogena. Gettò un'occhiata vaga e molto affettuosa alle due figure che avanzavano lungo il sentiero di Hogsmeade accanto a lei. Lee, alto e slanciato in una veste scura e piuttosto elegante, che portava con tanta noncuranza, abbinata a scarpe e cappello molto più più dimessi, da risultare perfettamente naturale. Gli anni, le sembrò, erano gentili con Lee, che adesso era un bell'uomo giovane e piuttosto avvenente, con i fittissimi riccioli corti ammassati sulla testa. La pipa che teneva perennemente in mano o più spesso tra le labbra gli dava un'aria un po' dandy e l'insieme risultava decisamente affascinante. Sembrava il più inglese dei giovane maghi inglesi di Gryffindor, il che le risultò piuttosto buffo, con quella sua pelle ancor più scura di quella di lei.
Katie invece era ancor più pallida e minuta di come la ricordasse. I suoi occhioni nocciola spiccavano su un viso fine e con la pelle così chiara che s'intravedeva il reticolo delle venuzze intorno al suo naso, guardandola da vicino. Aveva una sua grazia delicata e un sorriso ricco, sincero come quello dei bambini, ma non era quel che si potesse definire una bellezza – né, a guardarla, la si sarebbe ritenuta una giocatrice di Quidditch credibile, nonostante il suo sicuro talento. Pareva una cosetta indifesa e Angelina si disse che forse era per quella ragione che Lee le stava costantemente intorno – o in mezzo ai piedi, come precisava rassegnata Katie – sin da quando la maledizione della collana l'aveva quasi uccisa, ai tempi della scuola.
Per lei era una buona amica, anche se le preferiva la più spigliata Alicia. Era quest'ultima che considerava la propria amica più cara, sebbene i suoi rapporti con le altre ragazze fossero sempre stati molto meno spontanei di quelli con i maschi. L'adolescenza di Angelina era stata colonizzata dalle sghignazzate e dalle battute, a volte di cattivo gusto, del manipolo di Gryffindor più incontenibili della scuola: i gemelli Weasley e Lee Jordan. E per lei era stato molto più normale lanciarsi in una sfida di Tarantallegre con George – eccellente nel campo – che in confidenze intime con le compagne di dormitorio.
Tre Manici?” propose dubbiosa Katie, osservando il tramonto sulla montagna.
Lee storse il naso, prima di voltarsi verso Angelina. Aggrottò appena la fronte, in attesa del cenno affermativo che lei si affrettò a fare.
Testa di Porco,” decise lui con aria soddisfatta.
Katie non sembrò molto convinta ma, siccome Angelina si era già accodata all'amico lungo la strada, si rassegnò a seguirli.
Quel posto è sporco, sapete” disse, tentando senza convinzione di dissuaderli.
Il Firewhisky è ottimo,” osservò Lee noncurante.
Oh, no,” protestò Katie accigliandosi. “Non avrai intenzione di bere di nuovo whisky prima di cena!”
C'era una tale esasperazione in quel “di nuovo” che Angelina aggrottò la fronte, perplessa.
Lee sbuffò un punto esclamativo di fumo.
Soltanto un goccetto, mia cara... E una burrobirra per te,” la ammansì con un sorriso aperto.
Sai che il whisky fa venire la pancia?” s'intromise Angelina, tanto per dire qualcosa. “Lo bevi spesso?” chiese con fare vago.
No. Katie vede tutto drammatico,” sospirò Lee, spalancando la porta e facendo loro segno di entrare nel locale con una cavalleria condita da un sorriso che sembrava dire che, più che dame, le considerava troll feroci. “Non diventerò un trippone attaccato alla bottiglia, smetti subito di immaginartelo,” affermò scherzoso, guardando Angelina dritta negli occhi.
Lei ridacchiò rallegrata, scuotendo la chioma ricciuta.
In compenso mangia come un gigante tenuto a stecchetto,” osservò Katie, sedendosi a un tavolino libero accanto alla finestra.
Cosa vuoi tu, Angie?” domandò Lee.
Lei si strinse nelle spalle.
Andrà benissimo un succo di zucca,” stabilì.
Corretto?”
No. In Africa mi sono abituata a non bere alcolici,” commentò lei, sedendosi a sua volta.
La nostra piccola selvaggia!” celiò Lee, dirigendosi al bancone.
Le due ragazze lo guardarono parlottare con il proprietario con una certa confidenza. Lee rise e quel vecchio spaventapasseri di Aberforth tossì a sua volta una risata cavernosa, prima di iniziare a riempire i bicchieri.
Katie sbuffò rilassata.
Non ti volevo mettere in pensiero, sai,” disse poi, sistemandosi la veste. “Lee si è attaccato un po' alla bottiglia, al principio, ma poi ha stabilito di dedicarsi compulsivamente alla pipa.”
L'ho notato, questo,” replicò lei annuendo, senza aver bisogno di chiedere a quale periodo si riferisse. Al principio del dopoguerra, naturalmente.
Ti fermerai in Inghilterra, Angelina?” continuò Katie gentilmente.
Lei annuì con decisione. Non sapeva quel che avrebbe fatto precisamente, non era sicura di come si sarebbe arrangiata per mantenersi, ma sapeva che non era tornata per ripartire, lo sapeva perché quando si era alzata da davanti al fuoco acceso nella savana, dopo il suo ultimo colloquio con Mbasu, era stata certa che il suo viaggio era finito.
Dovrei trovarmi un lavoro, ma in realtà non so bene...” iniziò, interrompendosi vaga. Sorrise quasi a mo' di scuse, fissando il tavolo. “Parlavamo di sempre di come avrei...partecipato alla gestione dei Tiri Vispi. Fred avrebbe voluto affidarmi la filiale qui a Hogsmeade,” continuò con voce molto bassa.
Lee stava ritornando verso di loro e faceva svolazzare tre bicchieri pieni.
La gestisce Luna Lovegood,” annunciò, come se non si fosse perso una sola sillaba. “Non chiedermi perché. Forse George si sta auto-boicottando,” aggiunse ironico. Poi aggrottò la fronte con gravità. “Forse potresti...”
Buonasera a tutti e forza con quelle scope!”
La voce chiara e autoritaria che li interruppe ebbe il potere di far sussultare tutti e tre. Angelina abbe per un attimo l'impulso di saltare in piedi e inforcare la sua Comet prima che il Capitano desse in escandescenze.
Oliver!” esclamò intanto Lee, con un gran sorriso. “Vecchia roccia, come butta?”
Ottimamente, Jordan,” rispose spiccio il giocatore di Quittidtch. “Volevo vedere come ve la cavate a riflessi, ma sono un po' deluso,” continuò con fare compreso.
Ciao, Oliver,” intervenne Angelina, alzandosi per abbracciarlo brevemente.
Ma pensava a quel negozio, quello di cui aveva scelto lei i colori per le pareti e gli infissi, lì a Hogsmeade, mentre Fred, dopo aver buttato giù e ricostruito tre volte le pareti interne per organizzarne gli spazi nel migliore dei modi, dipingeva schizzando se stesso e lei di vernice a colpi di bacchetta.


Harry bussò piano alla porta, sistemandosi il colletto un po' troppo stretto.
Non sentendo provenire nessuna risposta dall'interno pensò per un attimo che George avesse optato per il silenzio stampa. Provò a picchiettare sulla porta una secondo volta, con più convinzione.
Avanti.”
entrando, Harry scorse George seduto in poltrona. La prima cosa che notò fu che si era evidentemente aggiustato i capelli, che ora sembravano avere una forma umana, e che aveva indossato una veste linda e ordinata. Sorrise sollevato nella sua direzione e George rispose con una smorfia sofferta che non riuscì a sembrare allegra nemmeno per sbaglio.
Allora, ehm, vieni?” domandò Harry con tono casuale.
George emise uno sbuffo lento, appoggiando indietro la testa con le labbra strette.
Pensavo di sì,” rispose meditabondo. Non si mosse e non diede nemmeno nessun segno di volersi alzare di lì in tempi ragionevoli. Harry aggrottò la fronte.
Ma...?” lo spronò.
George ridacchiò senza divertimento.
Come fai quando...” mormorò. “Quando pensi di doverti alzare dalla sedia e andare dove sei atteso, ma sai anche di non poterci riuscire?”
Harry respirò a fondo, si mordicchiò un labbro pensosamente e si andò a sedere di fronte al tavolo, con gli avambracci poggiati sulle ginocchia.
Quando è finita la guerra a volte... Magari sapevo che Ginny e gli altri mi stavano a spettando ma mi sembrava di non farcela. Non volevo uscire di casa, incontrare parenti di qualche vittima, cioè... Quello che ho detto ieri è vero. Ogni giorno in più che ho impiegato a vincere ha significato più morti, perciò in un certo senso è anche colpa mia e all'inizio mi sentivo male. Me ne stavo lì e mi sforzavo di muovermi.”
Come?”
Harry sbuffò, raddrizzando le spalle.
Facevo questo... gioco, in un certo senso. Mi sforzavo di immedesimarmi in quel momento in cui sono dovuto andare là da...lui, ad affrontarlo. Mi convincevo che se non mi fossi alzato e non mi fossi mosso sarebbe finito il mondo. Era capitale.”
Funzionava?”
“Abbastanza,” confermò Harry. “Potresti provare con qualcosa del genere, che valga lo stesso per te.”
George emise un mugugno.
Non mi sembra ci sia nulla,” commentò, laconico.
Harry si strinse nelle spalle, alzandosi.
Ci faremo venire in mente qualcosa. Nel frattempo, per stasera non ce n'è bisogno.”
Perché?” chiese George scettico.
L'altro gli sorrise, tendendo la mano.
Perché ci sono io a costringerti. Forza, o arriveremo tardi a cena.”
Prese il suo polso senza troppo impeto, ma abbastanza fermamente, e lo strattonò con garbo. George fece resistenza per un secondo e poi si lasciò tirare in piedi. Gettò un'ultima occhiata alla stanza vuota, mentre prendeva il mantello, e arricciò le labbra con un tremito.
Non si sentirà troppo solo, non è vero?” mormorò.
Harry scosse la testa.
No. È con te in qualunque posto.”
George annuì lentamente, mentre Harry apriva la porta, e lo seguì fuori nella sera londinese.

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