Dancing barefoot

di Vale11
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


Li avrebbe scansati, se avesse bevuto meno. Li avrebbe scansati tutti. Era un quarterback, anche se non aveva una squadra. Un lineman, un kicker e un quarterback di sicuro non bastavano a mettere su una squadra di football per lo meno decente. Lui era un quarterback, e i riflessi li aveva.
Tornando al contingente, li avrebbe scansati tutti. Avrebbe. Se avesse bevuto meno, cosa che non aveva assolutamente fatto.
Intendiamoci: non era il tipo da annegare i dispiaceri nell’alcool. Non era tipo da alcool, in generale. Fumare si, fumava, ma bere non rientrava nei suoi hobby.
Ergo, non avrebbe bevuto affatto se non fosse successo niente. Ma era successo, quindi lui aveva bevuto, quindi era uscito di casa praticamente ubriaco e quindi aveva iniziato ad azzuffarsi con un tizio trovato per strada. E, non sapeva come, il tizio era diventato tre persone.
“Non hai abbastanza muscoli per placcare, Hiruma. Ti farai ammazzare. Ma conoscendoti, non te ne frega niente”
Musashi aveva ragione, non gliene fregava niente. Aveva preso l’abitudine di azzuffarsi con chiunque, la chiamava palestra gratis.
“Stupido biondo, la prossima volta che le prendi ti lascio per strada!”
E invece lo raccattava regolarmente, lo teneva per la vita e lo riportava nel suo appartamento. Nella sua camera d’albergo. Prima o poi se ne sarebbe andato, sentiva il bisogno di un buco tutto suo.
“Fammi il favore di non cercare la rissa a posta, cretino”
Aveva annuito senza nemmeno ascoltare, e il giorno dopo si era presentato al club con un occhio nero. Kurita si era preoccupato, Musashi l’avrebbe preso a sberle.
Di nuovo al contingente, il tizio con cui si era preso e che era diventato tre persone riuscì ad assestargli un sinistro ben piazzato sulla tempia. Calcolò che forse il fatto non era che detto tizio fosse diventato uno e trino, ma che avesse degli amici che gli stavano dando una mano. Anche lui ne aveva. Uno.
Il crack che sentì riverberare giù per tutta la spina dorsale lo strappò brutalmente dalle reminescenze matematiche sul numero delle sue amicizie. Le reminescenze gli impedirono di reagire quando anche il secondo crack gli rimbalzò del cervello, dovuto all’impatto contro un muro.
“Ci arriviamo insieme al tuo cazzo di torneo, biondo. Non farti menate. Intesi?”
Lui, Kurita e Musashi.
E, a un tratto, niente più Musashi.
Lo sapeva, perché Musashi li aveva mollati. Suo padre aveva bisogno di lui più di loro, oggettivamente parlando. Ma soggettivamente Yoichi si era sentito crollare la terra sotto i piedi. Poteva sembrare un demone quanto voleva, ma restava umano per sua somma sfortuna. Si era sentito tradito. Dopo che sua madre era sparita, aveva dovuto vedere la schiena di un’altra persona a cui teneva sparire dietro l’angolo.
Soggettivamente, ci era stato da cani. Con l’eccezione di Cerbero, che se la dormiva bellamente in quel cazzo di hotel. Il fatto è che Musashi era il solo che riuscisse a tenerlo coi piedi per terra, e il solo che riuscisse a sostenerlo quando stava per crollare. Niente di cui stupirsi, quindi, se appena se ne era andato la vena autodistruttiva di quel ragazzino ossigenato l’aveva spinto ad andare in pezzi.
C’era Kurita, certo.
Ma non si può certo dire che un ragazzo buono come lui riuscisse davvero a mettere un freno alla premessa all’autodistruzione che si era ficcata nel cervello del quarterback da anni, e che solo Musashi a suon di ramanzine o, quando era il caso, di cazzotti, riusciva a fermare.
Kurita ci provava, ma finiva sempre per vedere Hiruma come un appoggio e molto raramente come qualcuno che invece, di un appoggio, ne avrebbe avuto immensamente bisogno.
Non che Yoichi lo desse a vedere.
Mai.
Bluffare era un’arte, e lui ne era maestro.
“C’è qualcosa che non va, Hiruma?”
“Nah, grassone. Sto che è una meraviglia”
Era regolarmente Musashi che lo beccava pesto, o a tirare pugni a un muro. Per qualsiasi problema potesse avere. Fossero i suoi genitori. Suo padre maledetto o semplicemente il bisogno di scaricare tutta la tensione accumulata su un paio di spalle troppo magre per fingere di stare sempre bene. O per fingere che non ti interessi davvero quando tutti gli esseri umani in circolazione scappano appena ti vedono.
Come reagisci, allora?
Dagli almeno un motivo per fuggire terrorizzati, vuoi mettere la soddisfazione. Ghigna pure quanto vuoi, tieniti i problemi per te. Siine geloso, sono solo tuoi.
“Non hai abbastanza muscoli per placcare, Hiruma”
Se ne rendeva contro in modo piuttosto regolare, che non ne aveva.
Scivolò a terra lungo il muro, cercando di avvicinare le ginocchia al petto per proteggere le costole, troppo intontito per riuscire ad alzare le braccia a proteggere la testa.
“Hiruma, cretino. Quando fai a botte proteggiti la testa. È fondamentale, rischi di farti ammazzare davvero se continui così.”
Cercò disperatamente di seguire il consiglio di Musashi che gli rimbalzava nelle orecchie, ma riuscì a malapena ad alzare un braccio quanto bastava per prendere un calcio diritto sul polso. Si morse la lingua, sperando non fosse rotto.
È il destro, mi serve per lanciare.
Ma a chi?
Musashi li aveva mollati. Poteva fingere quanto voleva, ma ormai considerava il loro trio una specie di famiglia, per quanto assurda e contorta potesse essere. E non si era sentito così solo da quando sua madre era scomparsa.
Ne aveva perso un altro per strada, mh? Allora aveva fatto bene a rincoglionirsi con tutto quell’alcool a casa. Roba da poco, era andato al supermercato e si era spacciato per maggiorenne. Si era attaccato a una bottiglia di gin da due soldi e poi era uscito.
E adesso era accasciato per strada, sperando che non gli avessero rotto il braccio che gli serviva per passare a nessuno. Cercando di tenere gli occhi aperti.
 
“Oi, sei vivo?”
La prima cosa che le passò per la testa è che quel ragazzino aveva i capelli tinti in un modo agghiacciante. Mezzi biondi e mezzi rossi, un vero e proprio attacco all’estetica.
La seconda cosa che le venne in mente, era che la tinta non brillava alla luce dei lampioni, che non era umidiccia e appiccicosa e che non ti restava sulle mani.
La terza cosa che le venne in mente è che quel ragazzino aveva la testa coperta di sangue, e che doveva aver sbattuto nel muro con un certo impegno. Immaginando che non avesse preso la rincorsa tirando una testata nei mattoni di proposito, concluse che qualcuno doveva essere stato, ma quel qualcuno non si vedeva.
La quarta cosa che le saltò in testa fu la paura folle che quel ragazzino fosse morto. Era così immobile che le dava l’impressione di non respirare, e c’era tanto di quel sangue da far contento qualunque medico addetto alla donazione.
La quinta cosa che le venne in mente, e che fece, fu caricare il ragazzino svenuto in macchina, trascinandoselo dietro per quei pochi metri che la separavano dalla portiera, e partire verso l’ospedale.
 
Qualcuno mi spieghi perché.
Il perché in questione era questo: perché mi sono fatta convincere a non portarlo all’ospedale e a portarmelo a casa? Col rischio di non riuscire a rimetterlo in sesto decentemente.
Cristo, non era un’infermiera. Anche volendo, era troppo giovane per esserlo, e non le interessava nemmeno studiare medicina.
Era iscritta a Scienze politiche, e se avesse saputo che un erasmus avrebbe significato trovarsi in quella situazione se ne sarebbe rimasta a casa sua. Otto mesi in Giappone per imparare meglio la lingua, e dopo appena un mese si era trovato un ragazzino mezzo morto sul letto. La cosa positiva era che aveva smesso di sanguinare, quella negativa era il suo polso. Non le piaceva per niente. Era gonfio, ed era diventato praticamente nero. Su un ragazzo così pallido quel livido sembrava una macchia di vernice. Avrebbe dovuto chiedergli di muovere le dita quando si fosse svegliato di nuovo, ma al momento sembrava non volerne sapere. Corse a prendere il kit di pronto soccorso che teneva in bagno, cercando di fare quello che poteva e sperando che quello che poteva fosse abbastanza.
 
“Ragazzino, ce l’hai un nome?”
Le sembrava abbastanza sveglio da essere in grado di rispondere, dopo essere riuscita a convincerlo a infilarsi qualcosa nello stomaco. Era magro, ma aveva un fisico decisamente tirato. Un fascio di muscoli e nervi, ecco cos’era.
“E questo che razza di accento sarebbe?”
“Un accento italiano, biondo. Ce l’hai un nome?”
Annuì, fissando fuori dalla finestra il sole pomeridiano. Aveva saltato la scuola. Si era svegliato troppo tardi.  La ragazza che se l’era portato in casa gli aveva detto che il fatto che si fosse svegliato dopo una botta simile aveva qualcosa di eccezionale in sé.
“Di cosa ce l’hai la testa, d’amianto?”
Ghignò, inghiottendo la cucchiaiata di latte e cereali senza zucchero che quella tipa gli aveva messo davanti. La tizia si era attaccata a una lattina di Guinness, nel frattempo. Alle sei di pomeriggio.
A ognuno i vizi che preferisce.
“E quale sarebbe?”
“Hiruma”
La sentì sbuffare, la vide incrociare le braccia sul petto.
“Non prendermi in giro. Ti ho chiesto come ti chiami, non come fa di cognome tuo padre”
La sola menzione del genitore gli dipinse una smorfia di rabbia in faccia.
“Yoichi”
“Ottimo. Come preferisci che ti chiami?”
“Chiamami un po’ come ti pare”
“Ti spiace se ti chiamo Yoichi? Non mi è sembrato che parlarti di tuo padre ti abbia fatto piacere”
Hiruma la fissò ad occhi sgranati per mezzo secondo, per poi sfoderare di nuovo il suo ghigno aguzzo.
“Touchè. Sei una specie di psicologa, testa rossa?”
La vide scuotere la suddetta testa, sparando capelli rossi e ispidi in tutte le direzioni.
“Sto cercando di diventare una giornalista decente”
“In Giappone?”
“Erasmus”
“U-uh”
Lo vide appoggiare il mento sul pugno chiuso e chiudere gli occhi, il polso pesto abbandonato sulle gambe.
“Sei universitaria”
“Bravissimo capitan ovvio. Vai a sdraiarti, hai preso una brutta botta ieri”
Hiruma fece del suo meglio per ignorarla.
“Quanti anni hai?”
“Ventitre. Vai a stenderti”
“Io ne ho quindici”
“Ok, vai a stenderti”
“Sei vecchia, testa rossa”
“Lo so, e tu sei un poppante ossigenato. Vai a sdraiarti angioletto, ti porto il ghiaccio per la testa e per il polso”
Angioletto?
“Biondo e con gli occhi azzurri? Preferisci che ti chiami Candy Candy? Vai sul letto, prima che lo faccia sul serio”
Evidentemente aveva pensato a voce alta.
 
“C’è una cosa che non so”
Si meravigliò di essere riuscito a sputare le parole fra i denti, stretti in una smorfia di dolore da quando testa rossa gli teneva il ghiaccio sul polso. La testa andava meglio, pulsava meno da quando teneva il ghiaccio pure sulle fronte.
“Sapessi quante non ne so io”
“Parecchie, immagino. Ti prego di tenere a bada il sarcasmo, sono convalescente”
“Sei credibile come una banconota da tre euro”
“Tre cosa?”
Lo vide spostare un po’ la pezza ghiacciata, un sopracciglio alzato.
“Euro, ragazzino. La moneta europea”
“Ah. Bene. Giusto.”
Buttò di nuovo giù la testa, facendosi inglobare volentieri dal cuscino.
“Cos’è che non sai?”
“Non so come ti chiami, testa rossa”
“Perché non te l’ho detto, angelo
Lo sentì grugnire qualcosa di terribilmente simile a un soprannome di merda. Ghignò.
“Mi chiamo Irma. Guarda caso, somiglia al tuo”
“Non mi pare che Irma suoni come Yoichi.”
“Come Yoichi no, ma come Hiruma si. Stringi i denti, biondo”
Dovette effettivamente farlo, quando Irma detta testa rossa gli strinse la benda sul polso. Niente di rotto per fortuna, ma parecchio di contuso.
“Mi spieghi che ci facevi abbracciato a un muro ieri notte?”
Yoichi ghignò da sotto la benda fredda.
“Anche i muri hanno bisogno di affetto, non trovi?”
Capì che non le avrebbe detto niente. Sorrise.
“E anche di vernice. L’hai praticamente dipinto di rosso. Hai dove andare?”
Rimase zitto per un po’.
“Ho una camera d’albergo e un cane”
“Non ci penso nemmeno a portarti in albergo, da solo, in queste condizioni. Domani vado a prendere il tuo cane, tu resti qui”
“E se non volessi?”
La sentì ridere sotto i baffi, controllandogli la temperatura con un termometro e sospirando sollevata dopo aver scoperto che rientrava nella media. La notte scorsa era stata fredda, ma per fortuna Yoichi non sembrava averne risentito. Doveva solo riprendersi dalle botte.
“Ti chiamerei Candy Candy tutte le volte che ti vedo per strada, angelo
“Questo si chiama ricatto”
“Chiamalo come ti pare, Yoichi”
 
 
 ---

E uno!

 
 

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Capitolo 2
*** 2 ***


Erano passati 2 mesi da quando Irma gli aveva affibbiato due soprannomi in un giorno solo, e da quando lui si era ribellato al secondo –Candy Candy- facendole presente in modo non esattamente educato che i miei cazzo di occhi sono verdi,non azzurri,  testa rossa!
Aveva funzionato.
Ma angelo gli era rimasto attaccato con la colla, e se lo sentiva dire ogni volta che la sua occasionale coinquilina aveva voglia di prenderlo in giro. Hiruma passava qualche giorno da lei, qualche giorno in albergo e a volte spariva per tornare coperto di fango. In quelle occasioni, l’unica parte davvero visibile di lui erano quei denti affilati che si ritrovava esposti in un ghigno di soddisfazione animalesca.
“Com’è che non mi dici nulla quando sparisco, testa rossa?”
“Perché non sono fatti miei, angioletto. L’importante è che ritorni. Possibilmente senza avere la testa aperta, visto che la settimana scorsa sei apparso con un occhio nero”
Era una cosa che apprezzava parecchio, questa. Il fatto che Irma, pur avendo otto anni più di lui, non lo infastidisse con preoccupazioni degne di una madre che non sentiva il bisogno di avere. Era una bestia randagia ormai, e lei lo sapeva. Sospettava fortemente che pure lei lo fosse, viste le sue reazioni manesche ogni volta che aveva provato a sapere dov’era stata fino alle 4 del mattino.
“Fatti gli affaracci tuoi, Yoichi. Quando cresci magari inizierai a fare le 4 del mattino pure tu.”
E giù uno scappellotto relativamente affettuoso.
Lei non lo sapeva, ma era probabilmente l’unico essere umano a cui permetteva di affibbiargli scappellotti senza aver voglia di tirare fuori una pistola di tasca.
La prima cosa che aveva notato dopo essersi svegliato il secondo giorno in quella casa di matti che era il suo appartamento, senza il mal di testa da testata nel muro, erano i chili di riviste sparpagliati in giro. Li classificò subito come roba da donne, per poi rendersi conto che sulla copertina di una c’era Bob Marley, su un’altra i Clash, su una terza il faccione gigantesco di David Bowie, sull’ultima…un tizio mai visto.
“Oi, testa rossa, e questo chi sarebbe?”
“E’ De Andrè, razza di bestia impicciona. Sono riviste italiane, mi arrivano per posta”
“E in un mese te ne sono arrivate così tante?”
“No, le ho portate da casa”
Giusto. Prese la rivista con il tizio mai visto in copertina e la aprì, le mani da pianista a seguire le righe scritte fitte fitte, cercando di trovare almeno una parola conosciuta. Nulla.
“E chi sarebbe, questo De Andrè?”
“Era, è morto”
“D’accordo. Chi era questo De Andrè?”
Per tutta risposta, lei cominciò a dire cose assurde in italiano, ficcandosi in doccia con l’intenzione di starci per un po’. Quando uscì, con un asciugamano in testa e un accappatoio talmente giallo da essere fastidioso, gliele ripetè in giapponese, studiando bene le parole da scegliere.
Quando ero piccolo mi innamoravo di tutto, correvo dietro ai cani/e da marzo a febbraio mio nonno vegliava/sulla corrente di cavalli e di buoi/suoi fatti miei e sui fatti tuoi/e al dio degli inglesi non credere mai.
Hiruma la guardò spiazzato, pensando che forse si era di nuovo attaccata a una lattina di Guinness in doccia. Pareva farlo spesso.
E quando avevo duecento lune, e forse qualcuna è di troppo/rubai il mio primo cavallo e mi fecero uomo/cambiai il mio nome in “Coda di lupo”/cambiai il mio pony con un cavallo muto/e al loro dio perdente non credere mai.
La guardò gironzolare per casa, con le parole che gli arrivavano attraverso il filtro dei muri.
E fu nella notte della lunga stella con la coda/che trovammo mio nonno crocefisso sulla chiesa/crocefisso con forchette che si usano a cena/era sporco e pulito di sangue e di crema/e al loro dio goloso non credere mai.
La vide rientrare in salotto, coi capelli rossi, corti, talmente sparati per aria che per un momento si sentì invidioso della pettinatura. Poi si rese conto che stava semplicemente cercando il pettine con una frenesia quasi disperata. Quando lo trovò, gli sembrò soddisfatta.
“C’è una canzone che secondo me ti piacerebbe, biondo”
“Oh. E quale sarebbe?”
Gli ghignò in faccia, leggendo negli occhi verdi di quel ragazzino un briciolo di curiosità. Forse De Andrè non gli dispiaceva, alla fine.
Certo bisogna farne di strada, da una ginnastica d’obbedienza/fino ad un gesto molto più umano che ti dia il senso della violenza/però bisogna farne altrettanta per diventare così coglioni/da non riuscire più a capire che non ci sono poteri buoni…vuoi che continui?”
Si stupì di vederlo davvero concentrato.
“Perché no?”
Le venne da ridere.
“Ok, dunque. E ora imparo un sacco di cose in mezzo agli altri vestiti uguali/tranne qual è il crimine giusto per non passare da criminali/ci hanno insegnato la meraviglia verso la gente che ruba il pane/ora sappiamo che è un delitto il non rubare quando si ha fame
La interruppe con un gesto della mano.
“Hai detto che questo tizio è morto?”
“L’ho detto”
Yoichi fissò di nuovo la copertina, brontolando sotto voce qualcosa di simile a un perché i tizi migliori muoiono e gli stronzi restano vivi. Irma si limitò a sorridere di straforo.
 
Irma aveva ventitre anni, capelli rossi, corti. Occhi azzurri. Un’altezza talmente media da rientrare nella media delle donne medio-basse. 159 centimetri di schizofrenia.
“Non solo sei vecchia, testa rossa, sei pure una mezza sega!”
“Parlare di seghe alla tua età è più che appropriato, angelo. Vuoi che ti illumini su cosa si dice degli uomini tropo alti, in Italia?”
Un senso dell’umorismo tendente al sarcasmo più caustico, che le permetteva di resistere alla convivenza con Yoichi e di rispettarlo, facendosi anche rispettare. Aveva una famiglia a cui teneva, nel suo paese.
“Sei figlia unica?”
“E tu?”
“Potrei. Sei figlia unica o no?”
“Avevo un cane”
Faceva la giornalista, scriveva, leggeva, aveva una malattia cronica e contagiosa per la musica e faceva la dj, in Italia. Anche, ma non solo, in una radio libera. Si era presa 8 mesi di fuga, ma la fissa non le era passata, ed ora anche Hiruma, ogni tanto, ficcava il naso fra dischi, dvd e riviste musicali più o meno conosciute saltando su con domande quali Oi, com’è che si pronuncia il vero nome di Freddie Mercury?
“Farrokh Bulsara”
“Che razza di nome”
“Disse quello che si chiamava Demone sanguisuga”
A Hiruma non dispiaceva prendersi qualche ora di vacanza dal mondo per immergersi nella musica che circondava Irma, e a lei non dispiaceva quando lui le chiedeva di mettere questo o quel disco perché gli sembrava che i tipi in copertina avessero una cazzo di faccia decente. Pareva essersi fissato coi Green River e i primi dischi dei Pearl Jam, ma non gli dispiacevano nemmeno gli Stooges e apprezzava il lanciafiamme dei Rammstein.
“Quei tizi tedeschi sono fuori come balconi”
“Dici?”
“Dico, testa rossa. Il tipo che canta si è appena dato fuoco”
“Lo fa spesso”
“Si è dato fuoco DA SOLO!”
“Lo so, lo fa spesso!”
“…quei tedeschi sono fuori come balconi”
 
Il fatto era, però, che poteva fingere quanto voleva. Lei lo beccava sempre. Non era come Musashi, però. Non lo sgridava, non faceva ramanzine, tantomeno lo prendeva a pugni. Si limitava a fissarlo, dura, finchè non era sicura che il concetto gli fosse penetrato nel cervello. Una specie di sorella maggiore schizzata e non eccessivamente ansiosa, ecco cos’era, ma non è che potesse mettersi a fingere di non vedere nulla quando si rendeva conto che quel fratello minore ossigenato e acquisito da poco di notte faceva incubi da record, o che le arrivava sulla porta talmente pesto da sembrare uscito da un incontro di boxe.
“Toh, hai un occhio nero. Anzi, forse due. Il destro è quasi viola, per ora. Esteticamente interessante”
“Irma, piantala. Hai del ghiaccio?”
“Sai dove te lo ficco, il ghiaccio?”
Poi, come da copione, lui si stendeva sul divano, lei gli teneva il ghiaccio dove doveva stare e lo rattoppava, e finivano a vedere un film che miracolosamente era spuntato dal lettore dvd.
“Cos’è questo?”
“I Guerrieri della notte”
Guerrieri? Giochiamo a fare la guerra?
“Bel film”
“Sapevo che avresti apprezzato. Che hai combinato a questo giro?”
“Erano due”
“Non mi hai risposto”
Ghignava, con quelle zanne che aveva al posto dei denti. Gli orecchini al padiglione destro un po’ graffiati da una caduta.
“Sei una giornalista, ci sarai abituata”
“Sei uno stronzo Yoichi”
La guardava, per capire se fosse seria o no, quando la vedeva ghignare rideva sollevato. Anche se non l’avrebbe mai dato a vedere.
“Che ti aspetti, da me?”
Di notte era più difficile. Doveva trovare una scusa tutte le volte, altrimenti si sarebbe sentito umiliato dall’idea di essere stato svegliato per essere tirato fuori da un qualche incubo. L’ultima volta non aveva trovato di meglio che fingersi seccata.
“Yoichi, stai facendo un casino d’inferno! Svegliati!”
Aveva spalancato gli occhi, sudato fradicio, e l’aveva fissata astioso.
“Che vuoi?”
“Dormire, biondo. Fai più casino tu di un branco di camion”
Non le aveva risposto, si era voltato sul letto che Irma gli aveva messo a disposizione e le aveva dato le spalle.
“Ti ho portato una cosa”
Aveva aperto gli occhi,guardandola  perplesso e prendendo il bicchiere di roba verde che gli aveva ficcato in mano.
“Sarebbe?”
“Assaggialo, so che la menta ti piace”
Era un copione visto e rivisto, ogni volta che lo svegliava da un incubo gli portava un bicchiere di latte e menta e fingeva di avere delle cose da fare vicino a lui finchè non si riaddormentava. Solo una volta aveva dovuto svegliarlo di nuovo, forse l’incubo era a puntate.
“Yoichi, stai bene?”
L’aveva guardata a occhi spalancati.
“Ancora tu?”
“No cretino, sono la fata turchina”
“La fata turchina aveva i capelli blu”
“Vedi, allora non lo sono. Stai bene?”
Aveva distolto lo sguardo, fissandolo sul soffitto.
“Ma si. Sto bene”
Irma era rimasta seduta accanto al letto a guardarlo cercare di riaddormentarsi anche dopo essere stata minacciata di morte più volte, poi era rimasta a guardarlo dormire per un pezzo. Preoccupata per quel ragazzino che a volte sembrava tanto più vecchio di quanto non fosse. Forse perché lo sentiva continuare a parlare nel sonno.
“No. Non è colpa mia. Non toccarmi”
Non ne era sicura, ma non credeva che fosse ciò che si diceva sognando i Mini Pony.
 
Dopo otto mesi, Irma se n’era andata. Hiruma non l’avrebbe mai detto a nessuno, ma gli dispiaceva davvero. All’aeroporto era venuto a salutarla anche Kurita, dopo che Yoichi glielo aveva presentato quando si erano incrociati davanti al liceo.
“Oi, biondo! Ho un soprannome tutto nuovo per te!”
Un altro.
Hiruma aveva affondato le zanne nella gomma alla menta e si era avvicinato, temendo che fosse l’ennesimo soprannome stupido, non volendo che gli altri due lo sentissero.
“Sarebbe?”
Gli aveva ghignato in faccia, come sempre.
“Sèdar”
“Oh. Ovvio. Giusto. E che cazzo vorrebbe dire?”
“E’ algerino, biondo. Significa colui che non può essere umiliato”
Era rimasto zitto a guardarla, senza nemmeno la forza di fingere che quel soprannome tutto nuovo gli facesse schifo. Irma si mise a ridere.
“Allora ti piace!”
“Mh. Potrebbe farmi meno schifo del solito”
La reazione di testa rossa fu più veloce del solito, gettò a terra il borsone e lo infilò in un abbraccio quasi stritolante.
“Fa il bravo, biondo. Se scopro che per un qualunque motivo idiota hai smesso di giocare a football torno qui prima del dovuto e ti prendo a calci”
Hiruma si era piantato in terra, aveva smesso di fingere di essere di legno solo quando Irma l’aveva lasciato andare.
“Figurati se smetto. Che vuol dire prima del dovuto?”
“Che appena mi sarò laureata tornerò qui e verrò subito a romperti i coglioni”
Non sapeva perché, ma Hiruma si era sentito sollevato. Gli sarebbe mancata.
“Mi toccherà sopportarti, allora”
Irma aveva ghignato di nuovo, prima di infilarsi nella galleria d’imbarco.
“Contaci, angioletto
A Yoichi si gelò il sangue nelle vene. Kurita lo guardò come se avesse visto un lottatore di sumo col tutù.
“Angioletto?”
“Vaffanculo, testa rossa!”
La risata di Irma gli arrivò come unica risposta.
 
E due. Niente più Musashi, niente più Irma. Ora, per stare in piedi decentemente, ci vorrebbero un paio di stampelle invisibili.
Ma tu non le hai, e fingerai di non averne bisogno.

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e due!

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Capitolo 3
*** 3 ***


Mail numero 1
Biondo
Avevi detto che mi avresti mandato una mail, e invece niente. Mi toccherà scrivere per prima, visto che non sei per niente cavaliere. Kurita mi ha detto che avete trovato un running back, mh? E anche una manager. In un colpo solo. In realtà ha detto che hai fregato una ragazza facendola diventare la vostra manager. Com’è che la cosa non mi stupisce?
Fai il bravo, biondo.
 
Mail numero 2
Razza di imbecille, vedi di rispondere invece di pensare ai cazzi tuoi! Appena torno in Giappone ti prendo a testate!
Irma
 
Mail numero 3
Vedi che uno deve offenderti per avere una risposta? Guarda che è un metodo che userò spesso, a questo punto. Si, Kurita ha la mia mail e, essendo un ragazzo buono e gentile al contrario di te, mi ha pure scritto per primo. Ben ti sta. Anche se so che non potrebbe fregartene di meno. L’esame di politica economica è andato, grazie per l’interessamento. Ah, mi ha pure detto che avete tre fratelli come linemen. Non è che hai costretto pure loro, mh?
Ora che ci penso, tu che ne sai?
Non voglio saperlo. Magari te l’ho raccontato quando ero in Giappone. Bah.
Avete battuto lo Zokuto e adesso avete la fila per entrare nel club, quindi hai parecchio da fare? Guarda che ti conosco, sicuramente troverai un qualche sistema sadico per dare una sfoltita a quei disgraziati.  Poi raccontamela, che un po’ di cattiveria non fa mai male.
Irma
 
Mail numero 3
Aspetta, fammi capire. Tutta la storia della torre di Tokyo e del ghiaccio è vera? Perché se così fosse non solo sei sadico, ma pure un potenziale assassino.
Kurita mi ha detto che hai ficcato del ghiaccio rimasto nel secchio, quando tale Yukimitsu è riuscito ad arrivare in cima. E non dire che ti è caduto di mano per sbaglio, casualmente nel secchio, perché non ci credo. È una bella cosa, non ti azzardare a fingere di non averla fatta, razza di cretino.
Come sarebbe che i fratelli non sono fratelli?
Irma
 
Mail numero 4
Scusami, ero scomparsa, lo so. Ho avuto da fare, un esame fra capo e collo e il lavoro fra le scatole. Riassumendo le tue mail, togliendo le minacce di morte se non ti avessi risposto e decurtando le miriadi di parole poco fini, direi che mi hai stupito brutta bestia. Avete pareggiato con gli Sphinx. Giocato contro una squadra americana perdendo di misura –e piantala di lamentarti sempre, poteva andare peggio. Potevano darvi una sdraiata e festa finita. Lo so, sto scherzando. Mai tornare indietro, neanche per prendere la rincorsa- questo Sena-Eyeshield 21 ha superato Panther e avete passato il primo turno del torneo d’autunno contro i Cyborgs dell’Amino. Guarda che da come li descrivi paiono decisamente inquietanti –mai quanto te, in ogni caso-.
Hai detto che le partite le trasmettono in tv? Non è che c’è lo streaming? Mi farebbe piacere rivedere la tua faccia da schiaffi in giro.
Fammi sapere.
Irma
p.s. no, aspetta.
Che vuol dire ABBIAMO FATTO 2000 KM A PIEDI ATTRAVERSANDO L’AMERICA?
Tu sei fuori.
Davvero.
E guarda che il fatto che tu te li sia fatto correndo, mentre sparavi addosso ai tuoi compagni di squadra, non rende la cosa più divertente. La rende più assurda.
Sei fuori.
 
Mail numero 5
Grazie per il link dello streaming, la prossima partita non me la perdo. La death march? E avete pure raccattato un allenatore? Ottimo!
In ogni caso, dovresti essere un po’ più gentile con la tua manager, fossi in lei te le darei. Ringrazia che non lo sia. È venuta a darti una mano e le hai rotto le scatole pure in quel frangente, è proprio da te. Yoichi – momento serio. Se ti chiamo per nome è sempre un momento serio – non c’è bisogno di fingere sempre, ogni tanto puoi anche staccare, cretino. Sei umano. Anche se hai le orecchie a punta. E quei cazzo di canini allucinanti…ma che bestia sei?
No, ok, dicevo.
Ogni tanto respira, ok? Magari ti fa bene. Appoggiati a qualcuno quando ne hai bisogno. Mi dispiace di non essere li, ma Cristo, non posso essere l’unica che ti ordina di dormire se ne hai bisogno. Imbecille.
La tua manager è una santa, in ogni caso.
La partita contro gli Yuhi Guts l’ho vista, mi ha messo un po’ di tristezza addosso. Quell’allenatore sarebbe da sopprimere. Onestamente quando ghigni in quel modo prima dei passaggi lunghi sei davvero, davvero, davvero inquietante. E mi devi spiegare perché il vostro tight end fa quei versi inconsulti con la gamba. Sembra deficiente. Forse lo è. In ogni caso, fa delle belle prese. Nulla in confronto al numero 80, ma se la cava.
Hai messo su una bella squadra, direi. Ti manca solo un kicker.
Ok, odiami.
Irma
p.s. è tardi, vai a letto. Cretino.
p.p.s non mi avevi detto che adesso avete anche le cheerleader!
 
Mail numero 6
Oddio, voglio una fotografia! I tuoi compagni di squadra col rossetto addosso erano uno spettacolo. Mi apre che il tight end si chiami Taki, mh? A lui il rossetto quasi donava.
Non dirglielo però.
Ah, pace. Tanto so che glielo dirai uguale.
Kurita invece faceva senso.
Bella partita però, l’ho sempre detto che nel club dei sadici sei quello con più cervello. Ed è un complimento, anche se non sembra. Quindi siete ai quarti di finale? Non è male, biondo! I miei complimenti. Come sono i Poseidons? Se non mi sbaglio, la prossima partita è contro di loro.
Si, non mi mancano molti esami alla fine, fra 3 sessioni do la tesi, e poi mi tolgo di torno. Non chiedermi su cosa voglio scriverla, non ne ho ancora idea. E ciò non è positivo.
Cos’è, non vedi l’ora di rivedermi?
Certo che no, so che ti diverti solo a farti i cazzacci miei. Come se non ti conoscessi.
Irma
 
Mail numero 7
Davvero Komusubi era sparito prima della partita? Ma quel bauletto è utile, è un torello! Kurita deve esserne fiero. E Sena va come le schegge! Le state vincendo tutte, o cosa? Conoscendoti avrai fatto un patto col Diavolo, biondo. Voi giocate al cardiopalma, accidenti a chi so io.
Ah già, a proposito. Di a Kurita che lo strozzo appena torno in Giappone. Mamori –la vostra manager si chiama Mamori, giusto?- gli ha chiesto a chi stava scrivendo al pc e lui le ha risposto alla sorella di Hiruma.
E adesso la vostra manager crede che io sia tua sorella. E ha deciso che vuole fare una festa per quando torno in Giappone, perché Kurita le ha detto anche che torno in Giappone dopo la laurea. Io Kurita lo strozzo, ma mi faresti un favore a metterti avanti.
Come faccio a saperlo?
Perché Mamori mi ha mandato una mail con scritto che sarebbe felice di conoscere la sorella del quarterback!
Io Kurita lo strozzo.
Irma
 
Mail numero 8
Ok, avete perso contro i Wild Gunmen, visto che Kid ha dato del filo da torcere anche a te, però Musashi è tornato. Non fare finta che non ti interessi, so leggere fra le righe, lo so che sei felice. E anche se non lo conosco, sono felice anch’io. Se ti eri ridotto in quello stato la sera che ti ho trovato abbracciato a un muro era perché Musashi se n’era andato, giusto?
Lo so che è così.
Quindi adesso che è tornato non ti azzardare mai più a fare una cosa del genere, torno in Giappone a nuoto e ti prendo a calci.
Vinci biondo, ok? Prenditi il terzo posto e vai al torneo del Kanto.
Fai il bravo.
Irma
 
Mail numero 9
Ma il tizio con gli occhi rossi degli Spiders chi cavolo era? Fra lui e il kicker erano una coppia parecchio assurda. Erano bravi però, si vedeva che ci tenevano.
Fra l’altro, hai fatto un’entrata in campo che nemmeno Batman. Non sapevo se ridere o ammirarti, li per li. Ho deciso di ridere ammirandoti. Più ridere, che la seconda. Onestamente.
Bravo fratellino, falli fuori.
Irma
 
Mail numero 10
Che hai da ridere, bestiaccia? Come sarebbe a dire che adesso che mi sono fatta rasta sembro Agon? Ma ti pare?!
Sai a chi somiglia Agon? A Troy Polamalu, il 43 dei Pittsburgh Steelers, il safety. Anzi, strong safety. È davvero un giocatore enorme, hanno vinto il Super Bowl sei volte sulle otto edizioni cui hanno partecipato. Ha fatto un sack su Collins che ha dell’incredibile. Ti metto il link, così puoi vederlo –anche se mi sa che già lo conosci, mh?- eccolo qui: http://www.youtube.com/watch?v=nzKRxkFlxzk
Facciamo un giochino. Se Agon può essere Polamalu, Monta può essere Tony Moeaki, o Jerry Rice. Hanno anche lo stesso numero. Moeaki ha fatto una presa a una mano contro i San Francisco 49ners, touchdown istantaneo. Sena è Walter Payton per le corse e i dive. Ma tu sei Walte Payton per la testa. Quel giocatore era un genio. Non ti dico che sei Joe Montana, che altrimenti ti monti la testa. Però potresti diventarlo, temo.
Irma
p.s. Montana e Rice insieme non li fermava nessuno. Tanto per dire.
 
Mail numero 11
Ok, dovevate vincere contro i White Knights. Ma porca troia, mi hai fatto prendere un colpo. Ti sei spezzato un braccio contro i Dinosaurs, ti è arrivata addosso una montagna umana. Mi hai fatto perdere 10 anni di vita in un colpo solo.
Ti giuro che…cazzo. Ti giuro che ho rischiato l’infarto. L’ho pensato, sai? Ecco, c’è rimasto. Che ne so io, Gao –si chiama così?- è talmente grosso, e tu peserai si e no 50 chili!
E poi sei rientrato, hai fatto un passaggio lungo col braccio rotto e avete vinto.
Ho pianto, brutto stronzo.
Vaffanculo.
Irma
p.s. ci siete mh? Al Christmas bowl intendo.
…che vuol dire che hai in mente un allenamento speciale? Guarda che hai un braccio al collo, demente!
 
Mail numero 12
Io non ci posso credere. Come avete fatto a vincere nell’ultimo quarto lo sapete solo voi. Ho rischiato di morire d’infarto sette o otto volte durante la partita. Vi odio.
Anzi, non è vero.
Siete una squadra con i controcazzi, devi esserne fiero.
Vuoi saperne una? Domani do la tesi.
Pretendo un in bocca al lupo.
Irma
 
Mail numero 13
Biondo, stai bene? L’ultima era una mail strana.
Che vuol dire che hai qualche problema in casa? Non stavi in albergo? È successo qualcosa?
In ogni caso, fra tre giorni prendo l’aereo e vengo a romperti le scatole.
Fammi sapere.
Irma
 
Mail numero 14
Che non mi avresti spiegato nulla potevo immaginarlo, ma non che mi dicessi che non avevi voglia di spiegarmi nulla. È un’ammissione bella e buona, lo sai? È successo qualcosa?
Grazie per esserti offerto di venirmi a prendere all’aeroporto, sei davvero un cavaliere. O ti serve qualcosa?
Sei inquietante quando sei gentile.
Arrivo verso le 19, ora locale.
Ci vediamo fra poco.
Irma
 
Mail numero 15
Yoichi? Tutto bene? Sei sparito.
Sto partendo.
A domani.
 
Testa rossa sorrise, entrando nell’aeroporto di Tokyo. Le era mancato, tutto quel casino intorno. Si guardò intorno cercando uno shock di capelli ossigenati che non riusciva a vedere.
Hiruma non c’era.
Si sedette, comprò un giornale. Fece passare un’ora. Due. Chiamò Kurita.
“Ma come, Hiruma non è da te? È partito dal club più di tre ora fa!”
Sentì la voce di Musashi chiedere cosa stava succedendo, sembrava preoccupato.
“Ok, non agitarti però. Ghiacciati. Sai in quale albergo sta adesso?”
“Non è più in albergo, credo sia tornato a casa sua per qualche giorno per prendere delle cose che gli servivano”
“Casa sua? Sai dove sta?”
Si fece dare l’indirizzo, prese un taxi.
 
“Ho un po’ di problemi a casa, testa rossa. Niente che non possa affrontare, figurati. Però ci sono. Ma non sono affari tuoi. A che ora atterra il tuo maledetto aereo? Vedo di venire all’aeroporto, conoscendoti ti perdi.
Yoichi”

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Capitolo 4
*** 4 ***


Quando il taxi la scaricò davanti al condominio in cui se Yoichi non aveva detto cazzate a Kurita risiedeva la famiglia Hiruma, aveva già iniziato a piovere da un pezzo. Grossi goccioloni polverosi che si incollavano alla faccia. Pagò il tassista, tirò fuori il borsone, guardò la macchina andarsene. E si chiese a quale accidenti di campanello avrebbe dovuto suonare.
Finchè non vide un tizio con addosso un’uniforme da football davanti al portone.
 
Musashi non era un tipo facile da stupire, ci doveva essere qualcosa, nella sua testa, che gli impediva di sorprendersi. O per lo meno, di dimostrarsi sorpreso. Non si era stupito, quindi, quando Kurita al telefono aveva detto che Hiruma se ne era andato via da tre ore ed era sparito. Né quando la sorella –sorella, ridicolo- di Hiruma aveva detto che in aeroporto non c’era mai arrivato. Era già salito sul camion e aveva già messo in moto quando Kurita aveva appena finito di dare l’indirizzo a Irma. L’aveva annusato che c’era qualcosa che non andava. Se Hiruma diceva di fare qualcosa, la faceva. Preciso al millimetro. Sparire così non era da lui, considerando anche che sembrava felice che quella ragazza italiana tornasse in Giappone.
“Oi, Hiruma. Come hai fatto a raccattare uno zigomo pesto alla partita? Non ti ho visto cadere di faccia”
“E’ perché la vecchiaia fa diventare miopi”
Certo. Come no. Capitava di rado, molto di rado, ma capitava.
“Ti sei di nuovo infilato in una rissa?”
“Cosa te lo fa pensare, vecchio?”
“Hai un labbro spaccato”
“Può capitare, non credi?”
“Certo. Scommetto che sei andato a sbattere contro una porta di tua iniziativa”
“A casa mia ci sono porte molto pericolose”
“Hiruma, ti aspetti che ci creda?”
“Io non mi aspetto mai niente”
 
Il tizio in uniforme rossa stava fissando i campanelli come a volerli far esplodere, aveva una faccia già vista. Anche una pettinatura, con quella cresta sulla testa. Si avvicinò, sperando di non fargli prendere un accidente.
“Scusami. Saresti Musashi?”
 
Musashi si voltò, per trovarsi davanti una testa ispida di rasta rossi con sotto un paio di occhi azzurri e un maglione dei Pittsburgh Steelers. E un borsone da viaggio di proporzioni abominevoli in precario equilibrio sulla schiena della tizia che, a quel punto, doveva essere Irma.
Non aveva l’aria per niente giapponese, chi altri avrebbe potuto essere?
“E tu saresti la sorella di Hiruma?”
Irma lo guardò come se avesse voluto saltargli al collo.
“Grazie a Kurita, si. Dov’è Yoichi?”
Il kicker si stupì di sentirla chiamare Hiruma per nome e non per cognome, ma non se ne fece un problema. Il vero problema era la sua domanda. Non lo sapeva, dov’era Hiruma. L’aveva cercato in albergo, ma non c’erano ne lui ne Cerbero. E a casa di suo padre, dove il quarterback era andato a prendere delle cose che gli servivano –solo Dio sapeva quali -  non rispondeva nessuno. Che si fosse perso era fuori discussione, visto che pareva avere un gps satellitare nel cervello, e la cosa davvero strana era che non rispondeva nemmeno al cellulare, lui che di solito se ne portava dietro cinque o sei come minimo.
“Non ne ho idea”
Irma lo guardò perplessa, poi si attaccò al campanello. Ma non a quello di Hiruma.
 
Trucco vecchio come la morte. Irma si spalmò in faccia un sorriso tanto finto quanto cordiale e lo mostrò alla telecamera del citofono, dopo aver premuto un tasto a caso.
“Si? Chi è?”
“Posta in cassetta, signora. Avete le cassette all’interno, potrebbe gentilmente aprire la porta?”
Quando il portone scattò, aperto, Musashi iniziò a capire perché Kurita considerava quella pazza coi capelli rossi la sorella di Hiruma. La somiglianza, in un certo senso, c’era davvero.
“Spero tu sappia a che piano sta Yoichi, altrimenti ci toccherà scendere dall’ascensore a ogni piano e controllare se abbiamo azzeccato l’appartamento”
Musashi la precedette nella cabina, tenendo la porta aperta per lasciarla entrare. Irma buttò a terra il borsone, accanto all’ascensore, ed entrò.
“Premi l’otto, testa rossa”
Non mettertici anche tu
La tizia di quel condominio avrebbe aspettato la posta per tutto il giorno, in effetti.
 
Musashi spalancò la porta dell’ascensore con fin troppa violenza, fino a farla gemere sui cardini, fiondandosi verso la porta che sapeva dividere la famiglia Hiruma dal mondo esterno. Suonò il campanello.
Niente.
Bussò.
Niente.
Bussò più forte.
Niente.
Eppure, la macchina del padre di Hiruma era parcheggiata la davanti.
Si girò in tempo per vedere Irma prendere la porta a calci.
“Yoichi, se sei la dentro e non vieni ad aprire, giuro che ti prendo a calci la porta di casa finchè non cade, dovessi starci sei mesi!”
Decisamente la sorella di Hiruma. Gli veniva quasi da ridere. Quella Irma non era male, in quanto a caratterino. La scostò, cercando di essere più gentile possibile.
“Scusami, ma i calci sono il mio campo”
Lo guardò con un sopracciglio alzato, più simile a Hiruma che mai.
“Faccia pure, maestro”
Non fece in tempo ad alzare il piede destro, che la porta si aprì.
 
Irma spalancò gli occhi quando si vide davanti il padre di Hiruma, alle spalle una stanza praticamente devastata. Sembrava che un esercito di commessi dell’Ikea si fosse divertito a smontare tutto. Quello che la turbò parecchio, però fu la faccia di Yuuya Hiruma, il padre di Yoichi. Non avrebbe saputo dire se fosse terrorizzata o cosa.
“Avete trovato Yoichi?”
Guardò Musashi.
E ora?
 
Musashi non si chiamava davvero Musashi. Si chiamava Gen. E Gen scosse la testa, incrociando le braccia.
“Speravamo di trovarlo qui, signore”
La reazione di Hiruma padre fu tutt’altro che aspettata. Lo videro cadere in ginocchio, la faccia fra le mani.
“Se lo trovate, ditegli che mi dispiace. Mi dispiace. Davvero, mi dispiace. Non capisco mai cosa succede quando sono così, non volevo fare nulla del genere”
Irma lo fissò, sentendo lo stomaco cadere all’altezza dei piedi. Musashi fu più pratico. Lo tirò su per il colletto della camicia.
“Signore. Dov’è Hiruma?”
“Diteglielo, che mi dispiace. È colpa della guerra, capisci. Mi dispiace, quando lo trovate, ditegli che mi dispiace”
Non sapeva cosa lo stava trattenendo dal modificare la mascella di quell’uomo con un pugno. Hiruma non era solo un amico, era chi lo aveva infilato, più o meno a forza, nel mondo del football americano. Era il terzo membro della famiglia di cui anche Kurita faceva parte fin dall’inizio.
Kurita, che era rimasto al club a dare una mano agli altri con l’allenamento, ma avrebbe voluto essere li con loro a cercare Hiruma dieci volte di più.
Stava per domandare di nuovo qualcosa al padre del suo amico, ma Irma lo fermò con una mano su un braccio. La vide fissare Yuuya a metà fra il disprezzo e il terrore puro.
Questo è un matto fatto e finito.
“Era a piedi?”
L’uomo la guardò senza capire per qualche secondo, poi un lampo di lucidità gli passò negli occhi.
Annuì.
Irma prese Musashi per un gomito, se lo trascinò dietro giù per le scale.
Intendiamoci, trovare una persona in una città senza sapere da che parte iniziare è come cercare un ago in una settantina di pagliai.
“Yoichi è a piedi, e forse gli è successo qualcosa. Se così fosse, non dovrebbe essere troppo lontano. Proviamo a fare il giro del quartiere, magari qualcosa salta fuori.”
 
I pagliai parevano essere diventato un centinaio, altro che una settantina. Le strade sembravano tutte uguali, le case tutte simili, e la pioggia fitta non aiutava davvero a distinguere i dettagli. I rasta di Irma, completamente fradici, sembravano pesare una tonnellata e mezzo. Si riparò sotto il cappuccio, scambiando uno sguardo esasperato con Musashi. Erano passate quasi due ore da quando avevano iniziato a rastrellare prima l’isolato, poi il quartiere, ma del biondo nessuna traccia. Sembrava scomparso. Si chiese in che stato fosse, effettivamente, e quanta strada fosse riuscito a fare a piedi. Finchè non le tornò in mente la testardaggine di quel fratello bene o male acquisito.
“Biondo, ti sei slogato un polso. Temo”
“Poco male”
“Dici?”
“Dico. Domani ho una partita, figurati se un polso mi ferma”
Per non parlare di quando l’aveva visto giocare con un braccio rotto. Aveva detto che sarebbe andato all’aeroporto? E forse ci aveva provato davvero.
“Musashi, Yoichi ha una bicicletta, un motorino? O guida una macchina?”
“Non che io sappia”
“Allora doveva essere l’autobus”
 
Musashi la guardò senza capire. Aveva appena conosciuto quella ragazza, e già gli sembrava di essere in compagnia di un Hiruma al femminile da un pezzo.
“Dov’è la fermata dell’autobus più vicina, una corsa che porti all’aeroporto?”
Classico, anche di Hiruma. Spiegare la fine del ragionamento senza partire dall’inizio. Fortuna che Musashi era uno che capiva le cose al volo. Iniziò a correre verso la fermata, controllando che Irma tenesse il passo.
 
Hiruma aveva voglia di ridere. Aveva voglia di ridere, sul serio. C’era qualcosa di ironico nel fatto che quando aveva conosciuto Irma era attaccato a un muro, sotto la pioggia, con la testa aperta. E adesso che a distanza di un bel pezzo Irma era tornata si trovava nella stessa situazione. Cercando di tenere gli occhi aperti. E col cellulare inservibile causa acqua. Voleva ridere, davvero, ma non gli usciva la voce.
Che rabbia, quando succedeva.
 
Quando Musashi lo vide, accelerò d’istinto. Si stupì di vedere che Irma gli stava dietro, borsone e tutto. Forse non era poi così pesante come sembrava. Non gli aveva dato retta. Non gli dava mai retta. Non si era riparato la testa dalle botte, si era riparato il braccio destro.
Perché per un quarterback come lui, il braccio destro è la vita.
Però adesso teneva gli occhi nascosti fra le braccia, sdraiato sul fianco sinistro sotto il cartellone degli orari del tram.
 
Irma buttò il borsone in terra, nella pioggia, e si chinò vicino a quel ragazzino che rischiava di farle venire un infarto un giorno si e l’altro anche. Non le era mai sembrato così fragile come quando non poteva vedergli gli occhi. Perché Hiruma, con quegli occhi, poteva bruciare le persone.
Senza scherzi.
E adesso li teneva nascosti sotto le braccia, il tesoro più prezioso che aveva, perché gli permettevano di rincorrere quel sogno che inseguiva da anni.
“Yoichi?”
 
Quando aveva preso la prima botta in testa, doveva averla presa bella forte. Adesso aveva pure le allucinazioni.
“…Yoichi, puoi sentirmi?”
E le allucinazioni erano pure insistenti.
Scostò un braccio dal viso, sentendo gli addominali annodarsi per il dolore. Vide la faccia di Musashi, e un cespuglio di rasta rossi che non poteva essere altri che Irma. Abbozzò un sorriso irto di zanne, sotto il labbro spaccato.
“Oi, testa rossa, vecchio. Scusatemi il ritardo, ho avuto un contrattempo”
“Sta zitto, biondo. Vado a prendere il camion e ti portiamo all’ospedale. E se ti azzardi anche solo a dire che non ci vuoi andare, giuro che ti affogo in una pozzanghera”
Irma si rese conto di ammirare Musashi proprio in quel momento. Davvero.
Si tolse il maglione e, anche se zuppo, lo usò per cercare di riparare un minimo Yoichi dalla pioggia. Si sedette accanto a lui, cercando di diventare lo scudo umano di cui aveva bisogno.

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Capitolo 5
*** 5 ***


Lui non apparteneva a quel posto. Più lo guardava, più ne era convinta. E considerato che lo guardava stare fermo immobile da quasi quarantotto ore in un letto d’ospedale, di tempo per convincersi ne aveva avuto parecchio.
Non apparteneva a quel posto. Non lui.
Non quel ragazzino che non si faceva fermare da niente, nemmeno da un braccio rotto.
Eppure eccolo li, fermo nel vero senso della parola da due giorni. I medici avevano detto che era la febbre che lo teneva giù, era stato sotto la pioggia per ore. La seconda cosa che gli impediva di svegliarsi, temevano fosse il colpo alla testa che aveva preso. Alla nuca, di preciso. Punto pessimo per sbattere contro il gradino più basso delle scale.
Perché Yoichi aveva detto questo all’accettazione. Che era caduto dalle scale.
I medici l’avevano guardato come se volesse prenderli in giro ma non avevano spiccicato parola. Musashi l’avrebbe strozzato. Irma si era limitata a spalmarsi la mano destra sulla faccia per impedirsi di urlare. Non gli aveva fatto una partaccia solo perché gli occhi verdi di quello stupido fratello acquisito – i miei cazzo di occhi sono verdi, non azzurri, testa rossa!- si erano rigirati all’indietro e un branco di gente in camice bianco l’aveva portato via d’urgenza, lasciando li Musashi ancora in divisa da football e Irma col suo borsone. Era stata una serata davvero pessima.
E poi c’era la storia di Yuuya. Che accidenti voleva dire con è colpa della guerra lo sapeva solo lui. Musashi era perplesso quanto lei. Forse Yoichi lo sapeva. Forse l’avrebbe convinto ad aprire bocca.
Forse, se si fosse davvero impegnata, sarebbe anche riuscita a capire cosa stava blaterando il tipo in camice in piedi davanti a loro, mezzi sdraiate su due sedie in sala d’attesa da quando erano arrivati, in attesa di due notizie di numero. Certo, Musashi era tornato a casa per vestirsi decentemente, ma poi era riapparso subito in ospedale.
Decise di far ascoltare Musashi e di dedicarsi a spegnere il cervello.
 
Musashi ringraziò il medico che li aveva illuminati sulla situazione di Hiruma, si voltò verso Irma e si rese conto che era praticamente in coma. Il maglione degli Steelers arrotolato sotto la testa e il collo piegato in un modo assolutamente scomodo sullo schienale della sedia.
“Che ne pensi?”
La vide guardarlo con un sopracciglio alzato.
“Che ha detto quel tipo?”
“Non hai ascoltato?”
“Sapevo che l’avresti fatto tu”
“E poi ti lamenti quando ti dicono che tu e Hiruma siete fratelli”
“Piantala, mohicano. Che ha detto il medico?”
Musashi scrollò le spalle incrociando le braccia.
“Commozione cerebrale,  due costole rotte, una spalla fuori sede e una serie di lividi, tagli, eccetera”
Irma lo guardò senza sputare mezza sillaba, aspettando che le nozioni le affondassero nello stomaco. Poi, tutto quello che riuscì a chiedere fu solo quale spalla?
“La destra”
“Tu stai scherzando, vero?”
La vide guardarlo spaventata a morte, chiedendosi cos’era che l’aveva mandata nel panico in quel modo.
“Vero che stai scherzando? È la sinistra, e Yoichi potrà continuare a lanciare quanto cavolo gli pare fino alla fine dei tempi”
 
Vide la consapevolezza arrivare sulla faccia di Musashi come una fucilata. Hiruma si era protetto il braccio destro, ma per la spalla aveva potuto fare poco. Aveva voglia di tornare a casa sua e incollare suo padre al muro. Cercò di prendere fiato.
“In ogni caso”
Deglutì.
“In ogni caso, una spalla lussata può guarire e Yoichi potrà rientrare in campo no?”
“Se l’elasticità resta la stessa, non ci saranno problemi”
Se. Irma odiava i se.
 
Il giorno dopo, solo Irma era rimasta in ospedale. Musashi era rientrato in ditta, ed era andato a spiegare alla squadra cos’era successo.
La versione ufficiale era che Yoichi fosse scivolato dalle scale, ma era sicura che nessuno se la fosse bevuta. Yoichi Hiruma che scivola. Dalle scale. Certo. Credibile come la Tepco su Fukushima. Schiacciò la testa contro il materasso sul quale Yoichi continuava a dormire da giorni, tirando su il cappuccio sui rasta rossi che le scappavano da tutte le parti. Presto i compagni di squadra del biondo sarebbero arrivati, e forse anche Kurita sarebbe apparso. Le faceva piacere rivederlo, ma che non si azzardasse a scoppiare a piangere. Era quello il suo problema, si faceva trascinare dagli eventi e diventava difficile da gestire.
A volte pensava che Yoichi avesse ragione quando le diceva che era fredda come Agon. Anzi. Non era fredda. Era solo che come stava e come non stava erano benemeriti cazzi suoi, e non andava in giro a farlo vedere.
La degna sorella maggiore di Yoichi Hiruma, come l’aveva ribattezzata Musashi. Ormai non sarebbe più scappata da quella marea di soprannomi.
Si frugò in tasca, trovò uno scontrino e ci scrisse qualcosa sopra, se lo appuntò sul cappuccio e appoggiò di nuovo la fronte al materasso cercando di guadagnare almeno un paio d’ore di sonno.
 
Sena Kobayakawa era un’altra di quelle persone che, spesso, prima si fidavano della prima impressione e poi ritornavano indietro a controllare. Quando arrivò all’ospedale con Monta e si affacciò alla camera di Hiruma dovette strozzarsi per non mettersi a urlare.
Che ci faceva Agon addormentato con la testa sul materasso del suo capitano? Guardò monta perplesso, e lo sguardo che ricevette dal ricevitore fu semplice quanto banale.
Sena, mi spieghi perché sei scappato in quella maniera?
 
Monta si affacciò di nuovo e si avvicinò al letto, cercando di non fare rumore e di non svegliare nessuno dei due. Hiruma sembrava…stanco.Era così strano vederlo umano per la prima volta. La ragazza accanto a lui non la conosceva, ma ipotizzò fosse la famosa sorella di cui Mamori e Kurita gli avevano parlato. Anche Musashi aveva accennato al fatto che una ragazza italiana era rimasta con Hiruma in ospedale. Doveva essere lei.
“Sena, come hai fatto a prendere una donna per Agon?”
Sena si strinse nelle spalle. Era stata la prima impressione, come sempre.
“Monta, andiamo a cercare qualcosa da mangiare. Se stiamo qui rischiamo di svegliarli, e non mi sembra il caso”.
 
La prima cosa che Yoichi Hiruma sentì dopo essersi svegliato da pochi secondi fu il rumore di una porta che si chiudeva. Sbatté le palpebre una, due, tre volte. Non ci vedeva bene, era tutto così appannato. Confuso.
La seconda cosa che sentì fu la nausea, il mal di testa e il dolore sordo alla spalla destra e al costato. Una zona più o meno corrispondete alla parte sinistra, ma che fosse dannato se avesse capito di quali costole si trattava. Chiuse gli occhi di nuovo per non vomitare.
La terza cosa che sentì fu l’odore di disinfettante e il bip continuo di qualche macchinario la vicino, e si chiese dove diavolo fosse finito. A casa sua non c’era niente che facesse bip con quella convinzione. Appena cercò di sedersi una fitta alla spalla lo convinse a cambiare idea, ma il letto inclinato gli consentiva di vedere qualcosa anche solo aprendo gli occhi.
Ospedale. Era in ospedale.
Dio, che noia. Li odiava gli ospedali.
Il letto era inclinato, quindi si era sicuramente rotto qualche costola. Una costola sola non fa così male. Aveva la spalla fasciata. Aveva la spalla destra fasciata e immobilizzata. Ed era una cosa assolutamente poco positiva. La testa gli rimbalzava come un pallone in una stanza chiusa, e continuava ad avere la tentazione di vomitarsi addosso per far smettere la nausea. Aveva una flebo nella mano sinistra e sentiva un peso vicino alla gamba destra.
Spostò lo sguardo.
Ok, che Irma fosse all’ospedale non lo stupiva, ne lo stupiva il fatto che si fosse addormentata. Non sapeva nemmeno quanto tempo era rimasto li sdraiato, magari aveva un po’ di debito di sonno arretrato pure lei. Era comprensibile che si fosse addormentata, ma non che dormisse con un post it sul cappuccio. Che cazzo c’era scritto?
Lo fissò finchè non riuscì a leggere e la maledisse quando gli scappò da ridere. Mai ridere con le costole rotte, non è una sensazione invidiabile. Fa un male cane.
Biondo, se leggi qui vuol dire che io sono beatamente addormentata, e tu sei sveglio. Per quanto la cosa mi faccia piacere, visto che hai dormito per tre giorni di fila, vedi di non alzarti, non muoverti, non fare cazzate. Svegliami se ti va, ma sappi che sarò talmente rincoglionita da mandarti istantaneamente a quel paese. Fai il bravo.
Si sporse di quei pochi centimetri che lo separavano dal foglietto, e solo quel movimento bastò a fargli vedere le stesse. Si morse la lingua, mentre allungava la mano con la flebo verso il lapis sul comodino.
Suo padre l’avrebbe pagata, a questo giro.
Buttò giù due parole sul retro del post-it e se lo appoggiò sullo stomaco, tornando a dormire.
 
Quando Sena e Monta tornarono, insieme a Kurita e Mamori, trovarono Irma e Hiruma ancora addormentati e un post-it sulla camicia del pigiama del capitano della squadra.
Testa rossa, non osare mai più farmi ridere. Mi fanno male le costole, imbecille. Quando mi sveglio me la paghi. Yoichi.
Mamori soffocò una risata.
Davvero, era la degna sorella di Yoichi Hiruma. Musashi aveva pienamente ragione.

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Capitolo 6
*** 6 ***


When you try your best but you don't succeed

when you get what you want but not what you need

when you feel so tired but you can't sleep

stuck in reverse

and the tears come streaming down your face

when you lose something you can't replace

when you love someone but it goes to waste

could it be worse?

Light will guide you home

and ignite your bones

 

"Che hai da cantare, testa rossa?"

 

And i will try 

to fix you

 

Hiruma continuò a guardarla per un po', con la faccia infilata in uno dei suoi mensili musicali italiani e le orecchie tappate da una cuffia da dj di un verde talmente acceso che faceva male guardarla, soprattutto sopra quel cespuglio di stoppie rosse.

"Testa rossa?"

 

Irma si concedeva raramente i Coldplay. Erano lenti, ok. Erano poco cattivi, ok. Ma avevano classe da vendere, o per lo meno ne avevano nei primi album. Quindi si, ok.

Smise di canticchiare quando un fazzoletto di carta appallottolato le atterrò in testa. Sorrise.

"Sei sveglio, biondo?"

"Dieci punti per la tua capacità di osservazione, complimenti"

Ghignò.

"Ti preferivo mentre dormivi"

 

Hiruma la vide alzarsi e avvicinarsi al letto, portandosi dietro la sedia. Piantò i gomiti sul materasso, iniziando a fissarlo. Era seria. E lo fissava. E la cosa lo innervosiva pesantemente. Fece finta di non avere mal di testa, finse perfino che la spalla destra non gli facesse il male d'inferno che faceva, ne che le costole rotte lo infastidissero. In effetti, non gli facevano male di continuo. Solo quando respirava. Finse pure che gli antidolorifici che gli facevano girare nel sangue tramite quella maledetta flebo piantata in una mano non l'avessero rincoglionito.

"Che cosa vuoi?"

Irma continuava a fissarlo. Seriamente, i suoi nervi minacciavano di cedere da un momento all'altro.

"Testa rossa, o mi dici cosa vuoi, o puoi andare tranquillamente a farti fottere"

L'unica reazione che ottenne, fu che il sopracciglio destro della sua presunta sorella si alzasse indipendentemente dal gemello sinistro. Vide rosso.

"Irma! Vuoi dirmi che cazzo vuoi?"

 

Aveva urlato. Yoichi Hiruma aveva urlato davvero. Non l'aveva mai visto perdere la calma in quel modo, nemmeno in campo. Era tranquillizzante, in un certo senso. Si passò la mano destra sulla tempia quando lo vide stringere gli occhi, cercando di nascondere le fitte dolorose che le costole gli stavano generosamente procurando.

"Non urlare, cretino. Ti fai male"

La risposta del biondo le arrivò con un sibilo velenoso.

"E tu piantala di fissarmi così"

Gli sorrise.

"E' servito a sbloccarti, no?"

Hiruma la guardò, praticamente a bocca aperta.

"Stai scherzando, si?"

 

Irma si lasciò andare contro lo schienale della sedia, le braccia incrociate sul petto e un ghigno sollevato sulla faccia.

"Per niente, Yoichi. Avevi bisogno di sfogarti un po', evidentemente. Ti si leggeva in faccia"

"Lieto di essere un libro aperto, per te. Ti faccio notare, inoltre, che sei un'emerita testa di cazzo"

Scoppiò a ridere.

"E questa dovrebbe essere una novità?"

 

Respirare stava diventando un inconveniente fastidioso, per quanto la situazione potesse essere paragonata all'ossimoro più riuscito della storia dell'umanità. Hiruma non osava passarsi una mano sulle costole rotte, sapendo che non sarebbe stato piacevole, ma avrebbe gradito se avessero smesso di farlo patire come un cane. Urlare, poi, non era stato affatto intelligente. Maledetta Irma e le sue cavolo di idee.

Anche se doveva ammettere che si sentiva lo stomaco un po' meno annodato, dopo aver reagito in quel modo. Gli somigliava, quella ragazza. Davvero. Riusciva a spingere la gente al limite per farla tornare normale. 

Roba che non sarebbe riuscita nemmeno a Woody Allen, forse.

Sentì il materasso piegarsi di nuovo, probabilmente Irma ci aveva appoggiato i gomiti un'altra volta.

"Hai qualcosa da chiedermi?"

Fece di tutto pur di non guardarla in faccia.

 

Di nuovo, teneva i suoi occhi tutti per sé. E di nuovo, a Irma parve più fragile che mai. Perché Hiruma poteva bruciare le persone, con gli occhi che si ritrovava, e quando li nascondeva era perché non voleva che le altre persone bruciassero lui. 

"Ho due domande, in realtà"

Registrò appena il fatto che Yoichi fosse affondato di nuovo nel cuscino. Sembrava stanco. Probabilmente lo era. Il suo giochino mentale di prima doveva a verso smontato un po', anche se non lo dava a vedere. Si sentiva quasi in colpa. Anzi, in colpa senza quasi. 

Ti prego di tenere a bada il sarcasmo, sono convalescente.

Sembrava passato poco tempo da quando gliel'aveva detto, e invece erano passati due anni. Lei aveva venticinque anni adesso, quindi Yoichi doveva averne…diciassette o diciotto. Dipendeva dalla data di nascita. Non l'aveva mai saputa.

 

"Spara"

La vide scuotersi, dopo essere affogata per venti secondi buoni nei suoi pensieri su chi cavolo sapeva cosa. Sperava che non fosse niente di troppo impegnativo, per lo meno per il suo cervello. Non si sentiva in grado di rispondere a domande sui perché della vita, o sui perché della sua vita. In realtà non si sentiva in grado in generale. Non si sentiva e basta, ecco.

"Ok, ok. Scusami. Come stai, Yoichi?"

Se la domanda si fosse conclusa con la parola "stai", Hiruma avrebbe potuto anche cavarsela con un "bene", e morta li. Ma il fatto che Irma avesse aggiunto il suo nome e non un qualche soprannome a caso gli faceva capire che era seria, e pretendeva una risposta seria. Non era il tipo da confidarsi, però. Non l'aveva mai fatto, o quasi. Musashi e quella tizia rossa erano gli unici due con cui era mai riuscito a parlare di qualcosa di mortalmente serio, anche se non molto spesso. Chiuse gli occhi, tenendoli di nuovo per se. Cosa c'era, la dentro, erano fatti suoi. Almeno quelli.

"Sdraiato, testa rossa. Con un gran mal di testa, un giramento d'anima direttamente proporzionale, una spalla mezza andata e le costole che mi fanno male ogni volta che oso respirare. Spesso, come puoi immaginare." 

Tentò un ghigno, affatto convincente.

 

Irma si spaventò a morte. Quel ghigno, quel tentativo di ghigno, somigliava dolorosamente a una smorfia disperata. Si costrinse a non reagire.

"Posso andare con la seconda domanda?"

Lo sentì sbuffare, gli occhi ancora chiusi.

"Non che ci sia molto altro da fare, qui"

"Che è successo?"

 

Oh no, tutto ma non quello. Non aveva voglia di pensarci, di parlarne, di accettare che quello che era successo fosse effettivamente successo. E più di una volta. Significava ammettere di aver perso, perché quello che stava succedendo non prevedeva vie d'uscita facili. Non ne prevedeva e basta. Parlarne significava dover tornare indietro di anni. E raccontare tutto significava ammettere la sconfitta. E lui non perdeva, mai.

Aprì gli occhi, fissando il soffitto. Non voleva guardarla, non voleva guardare nessuno. E nessuno doveva guardare lui. Si voltò verso Irma involontariamente, però, quando si accorse che gli stava stringendo la mano libera dalla steccatura, attenta all'ago della flebo. Non l'aveva mai fatto. L'unico gesto simile che c'era stato, era stato quell'abbraccio all'aeroporto, due anni fa. Se ci pensava bene, era la prima volta che qualcuno gli teneva una mano in quel modo. Era una presa quasi disperata. Forse avrebbe potuto essere utile, se fosse stata piazzata in ricezione. Soppresse un ghigno, temendo che gli sarebbe uscito fuori solo un sorriso patetico. Avrebbe voluto dirle di farsi i fatti suoi, che quella roba non la riguardava. Invece quello che gli uscì di bocca fu altra roba.

"Mia madre se n'è andata che avevo tredici anni. Considerando tutto, direi che ha resistito abbastanza."

 

Irma rimase zitta, quasi senza respirare. Non voleva interromperlo, aveva paura che si sarebbe bloccato. Parlare, forse, gli avrebbe fatto bene. Anche se non sapeva cosa le stava per dire. E comunque, perdono e riperdono, era curiosa di sapere cos'è che aveva fatto in modo che Yoichi fosse Yoichi. Persona affatto comune, in realtà. Continuò a tenergli la mano, pur sapendo che la situazione era strana tanto per lei quanto per lui. 

"E' partita mentre ero a scuola, quando sono tornato era già sparita. Senza dire niente, nemmeno un post it. Non come hai fatto tu, testa rossa"

Le sorrise, quasi, indicando il foglietto che si era attaccata al cappuccio con la testa. Irma non riuscì a fare altrettanto, preoccupata per quel ragazzino fuori di testa che le stava raccontando roba affatto piacevole.

"Io me ne sono andato quasi due anni dopo, all'ultimo anno delle medie, qualche mese prima di averti conosciuto. Manca il tassello in mezzo, mh?"

Quando si girò verso di lei, le prese un colpo. Quella faccia da schiaffi non era più una faccia da schiaffi. Dimostrava molti più anni della sua età reale, era un adulto nel corpo di un ragazzino di appena diciassette anni. E, di nuovo, faceva di tutto pur di non guardarla negli occhi.

"Mio padre ha vissuto negli Stati Uniti, da giovane. Con regolare Carta Verde. Erano gli anni '60. C'era il Vietnam. Ce lo spedirono. Vivi qui? Allora devi servire questo paese. Aveva diciannove anni, solo uno più di me"

Irma dovette correggersi. Yoichi aveva diciotto anni, allora. Sempre troppo giovane per quell'espressione fredda che gli si era dipinta in faccia.

 

Hiruma iniziò seriamente a pensare di avere due personalità. Una che parlava, e l'altra che si chiedeva perché lo stesse facendo.

"Quando tornò, sembrava tutto normale. iniziò a dare di matto quando avevo nove anni. La chiamano sindrome del Vietnam. Ne hai sentito parlare?"

La vide annuire, grato del fatto che non l'avesse mai interrotto. Una parola, e si sarebbe fermato. E non sarebbe riuscito a ripartire. 

"Gli scattò qualcosa nel cervello, non so cosa. Nessuno sa cosa. Di notte faceva incubi, urlava, spaccava cose. Finchè non iniziò a picchiare mia madre, senza rendersene conto"

A Irma tornò in mente la faccia del padre di Yoichi, persa come non mai, mentre ripeteva le sue scuse al figlio come un mantra. Deglutì.

"Il giorno dopo non si ricordava niente, e si disperava. Sul serio, è arrivato a un passo dal farsi fuori. Andò da medici, psichiatri, psicologi, specialisti. Niente. Prendeva pillole, gocce, qualsiasi cosa. Niente. Mia madre finì più volte in ospedale, finchè non se ne andò senza dire mezza parola. Forse fu uno shock bello pesante, perché mio padre sembrò riprendersi. Non ha mai alzato un dito su di me, finchè non ho compiuto quattordici anni. Ha distrutto mezza casa. Ha distrutto pure me."

Rise, per quanto le costole rotte glielo permettevano.

 

Irma continuava a fissarlo scena riuscire a distogliere lo sguardo, senza riuscire a lasciargli la mano. Era panico puro, quello. Rabbrividì quando lo sentì ridere.

"Il giorno dopo, tutto da capo. Non si rendeva conto, si è scusato migliaia di volte, io sono finito in ospedale altrettante. Si svegliava di notte, apriva la porta di camera mia a calci e impazziva del tutto. Chiudere a chiave era inutile, avrebbe sfondato comunque tutto lo sfondabile"

Lo vide prendere fiato.

"Quando ho conosciuto te, ero andato via da poco. Ero scappato, possiamo dire così. Musashi aveva appena mollato la squadra, e il mio hobby era fare a botte con tutti quelli che incrociavo per strada. Divertente, mh?"

Irma non seppe trattenersi.

"Ma controproducente"

"Già. Il fatto che tu mi abbia beccato abbracciato a un muro ne è la prova provata. Ad ogni modo, scappai. Non ne avevo più. Ma ogni tanto sono costretto a tornare a casa, per prendere qualcosa o, quando finisco i soldi, per dormire. Quando vivevi qui venivo da te, e non mi succedeva niente. Stavo tranquillo, riuscivo pure a dormire"

 

Si tappò la bocca quando si rese conto di stare scoprendosi troppo. Sbuffò fra i denti. "Pochi giorni fa sono tornato a casa a prendere qualche maglietta da portarmi nel mio appartamento, e mio padre dormiva. So che smatta quando si sveglia, quindi ho cercato di evitarlo. Evidentemente, non è servito. Amen, fine della storia. Applausi prego"

 

Sena, Monta, Musashi e Mamori stavano per entrare nella stanza del quarterback, quando si resero conto della conversazione che si stava svolgendo la dentro. Si sedettero fuori dalla porta, preferendo non interrompere.

 

Hiruma si voltò verso Irma, rendendosi conto che stava fissando una statua di sale. Era immobile, lo fissava come se l'avesse visto per la prima volta. Avrebbe potuto dire un sacco di cazzate, in quel momento. Roba tipo: mi dispiace. Non te lo meritavi. Spero tu stia bene. E a lui sarebbe venuta voglia di mandarla a quel paese seduta stante. Per fortuna, non lo fece.

"Yoichi, perché non hai detto niente a nessuno?"

Avrebbe preferito una delle cazzate sopracitate, a quella domanda malefica.

 

Lo vide trattenere il fiato rumorosamente, guadagnandosi una nuova fitta al costato. Lo costrinse a stendersi di nuovo sul letto inclinato. Non si aspettava che rispondesse.

"Perché era troppo patetico per fare qualsiasi cosa. Quando impazzisce, quando mi picchia, quello che provo è odio puro. Perché non si sa controllare, non sa bloccare nemmeno il suo cervello. Ma quando torna in se è talmente patetico che mi toglie la voglia di reagire, anche se finisco in ospedale"

Si piazzò una mano davanti agli occhi, non ghignava più. Teneva le labbra strette, come a trattenere qualsiasi suono possibile.

"E il fatto di non riuscire a reagire mi fa una tale rabbia che quando ne parlo ho quasi voglia di vomitare"

Irma decise di sdrammatizzare.

"Non su di me, grazie"

Il sorriso che si vide rivolgere era uno di quelli veri, senza ghigni o canini sporgenti. Un sorriso talmente vuoto da essere del tutto, spaventosamente, vero. E orribilmente triste. Se fosse stata qualcun'altra si sarebbe messa a piangere, poco ma sicuro. Ma era lei, e sapeva mantenere il controllo quasi sempre. Gli indicò il cuscino con un cenno della testa.

"Dormi, biondo. Ne hai bisogno. Io resto qui. Niente brutti sogni, a questo giro. Controllo io."

 

Quando Irma uscì dalla stanza per andare a prendere qualcosa da bere, una ventina di minuti dopo che Yoichi si era addormentato, si ritrovò davanti un Musashi mortalmente serio, due ragazzini alti praticamente come lei nel panico e una bella ragazza con le lacrime agli occhi. 

Ecco, sono finita sul set di una fiction.

"Irma, questi sono Taro Raimon e Sena Kobayakawa, e questa è Mamori Anezaki."

La voce del kicker la riportò sul pianeta terra. Li aveva siti più volte alle partite in streaming, il fatto che non li avesse riconosciuti attestava quanto la confessione di Yoichi l'avesse scombussolata. L'unica cosa che riuscì a balbettare, dopo aver stretto la mano a tutti ed essersi presentata, fu una raccomandazione quasi disperata.

"Ragazzi, niente di tutto quello che avete sentito deve uscire di qui. Giusto?"

"Giusto. Ma non faremo finta di non sapere niente, almeno"

Si sforzò di sorridere a Mamori. Quella ragazza già le piaceva.

 

 

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Capitolo 7
*** 7 ***


Hiruma vide Irma schizzare sulla sedia come se qualcosa le avesse morso una caviglia, chiudere il portatile e resistere disperatamente alla tentazione di mollare una testata sul quel rettangolo di metallo. Non una reazione che ci si aspetta da una persona normale. Trattandosi di Irma, quindi, rientrava perfettamente nella norma.

"Che è, testa rossa?"

 

Irma fissò Yoichi come se volesse trapassarlo. 

"Sportivamente parlando, è una giornata piuttosto di merda." 

Gli diede una mano quando si accorse che voleva sedersi, non era il caso che si distruggesse le costole da solo. Di nuovo. 

"Gli Steelers hanno giocato senza Polamalu e Roethlisberger, Byron ha sostituito il quarterback e ha segnato un touchdown, ma poi ha subito tre sack. Tre! Ma ti pare! Dov'era la linea? E non si poteva scansare? Roethlisberger ce la fa, di solito!"

Sbuffò, ficcandosi le mani fra i rasta rossi. Sorvolò sul fatto che, probabilmente, se non era titolare c'era un motivo. E' che si era rotto pure lui.

"E l'Italia a rugby era partita così bene contro gli All Blacks, ma nel secondo tempo è praticamente svenuta. Contro l'Australia è finita ora, e abbiamo fatto un primo tempo da schifo anche se il secondo non era niente male. Se il calcio di Orquera fosse entrato avremmo pareggiato! Non so se essere pesantemente frustrata o iniziare a sentirmi come gli interisti".

Yoichi la fissò, aveva un punto interrogativo grosso come una casa in mezzo alla fronte.

"Interisti, si. Una squadra di calcio in Italia, che fino a poco fa le perdeva tutte. Ora no, ma il detto è rimasto".

 

Hiruma sbuffò, salvo poi pentirsene per via delle costole. La spalla non faceva più male quanto prima, ma muoverla non era un'opzione accettabile.

"Calcio, in Italia siete proprio fissati"

"Non ti allargare, io il calcio non lo seguo."

"Ma tu ormai sei più apolide che italiana. Comunque, è normale prenderne dagli All Blacks, testa rossa. Hanno velocità, tecnica e potenza. I Ravens, invece, non mi hanno mai convinto…quindi perdere contro di loro non va bene per niente…anche perchè state rischiando di non arrivare ai play off".

Irma lo guardò con un sopracciglio alzato, prima di attaccarsi a una bottiglietta d'acqua. Non portava mai un goccio d'alcool in ospedale, compensava con altro.

"Non ricordarmelo, bestiaccia. Potrei iniziare ad odiarti sul serio"

Ghignò.

"Fai pure"

 

Irma guardò Yoichi ghignare, confrontando quel ghigno con i soliti che sfoderava prima. Nemmeno comparabile. 

Pessimo, non va bene.

"A che pensi, biondo?"

Fece finta di non aver fatto una domanda pesante, mettendosi a litigare di nuovo col portatile. Prima o poi avrebbe dovuto comprarne uno nuovo. Prima o poi. Probabilmente, più poi che prima.

"Niente di che, testa rossa. Mi stavo solo chiedendo dov'è finito il vecchio, con i nanetti, la manager e l'idiota."

"Certo, come no".

Si voltò verso di lui, pensando che proprio non ce la faceva a chiamare la gente per nome. Era più forte di lui, evidentemente: aveva un soprannome per tutti. L'unica cosa che la stupiva era l'assenza della parola "merda" all'interno della frase. Un miglioramento commovente. 

"Non ne ho idea, comunque. Credo siano andati a mangiare qualcosa. Musashi sarà al lavoro. In ogni caso, ripeto, certo. Come no"

 

Dio, quanto non la sopportava quando ci azzeccava. Non stava pensando a mezza squadra, sapeva perfettamente dove potevano essere. Non era un idiota. Uno solo in squadra bastava e, spesso, avanzava.

Non che tutto questo lo autorizzasse ad ammettere che si, in effetti stava pensando ad altro.

La spalla.

Quella spalla maledetta che se ne era uscita, e che gli serviva per lanciare. Ora che finalmente aveva una squadra rischiava di non avere più il braccio.

"Sei preoccupato, biondo?"

 

Lo vide spalancare gli occhi per un decimo di secondo, prima di assottigliarli e puntarglieli addosso come fossero mirini.

"Vedo che non posso nasconderti niente"

Irma scrollò le spalle.

"Non è quello. E' che continui a fissarti il braccio come se gli fosse spuntata una testa"

Yoichi sbuffò, biascicando qualche cosa sottovoce, Irma si portò dietro la sedia fino ad essere accanto a l letto. Piantò i gomiti sul materasso.

"Guarda me"

Non disse nulla finchè Yoichi non le piantò gli occhi addosso. Non bruciavano come prima.

"Yoichi, che c'è?"

"E tu, che vuoi?"

Irma ghignò, prima di appoggiare il mento alle mani.

"Un penny per i tuoi pensieri"

"Non che siano di interesse pubblico"

"Ovviamente. Fai un po' tu"

"E non è che costino così poco"

Irma non lo degnò di una risposta, ma si allungò fino al comodino per prendere una delle riviste della NFL che leggeva con Yoichi. Fece finta di niente.

"Biondo, dici che Roethlisberger rientrerà in tempo per portare gli Steelers ai play off, o faccio meglio a iniziare a disperarmi adesso?"

"Dipende"

 

Vide Irma deglutire la risposta istintiva che le era saltata in testa, che sarebbe stato sicuramente qualcosa sulla falsariga di un sonoro grazie al cazzo

"Che avete fatto contro i Browns?"

"Lo sai che abbiamo perso, biondo. Non ricordarmelo"

"Avevi a tifare Bucaneers"

"Come te, Yoichi? Devo ricordarti che ne avete prese in casa dai Falcons?"

Sbuffò spazientito, era una conversazione che ne nascondeva altre cinque o sei. Mai fidarsi di Irma, quando fingeva di essere disinteressata a qualcosa.

"Il fatto è che Roethlisberger si è infortunato come Byron, preciso. Hai visto che si sono fatti?"

Hiruma succhiò aria fra i denti, preparandosi al peggio.

Irma, sei una testa di cazzo di dimensioni epiche.

 

"Spalla, tutti e due. Sono fuori per un po', ma pare che potranno rientrare senza problemi. Anche se ovviamente ci vorrà del tempo…"

Lanciò un'occhiata in tralice a Yoichi. Fece finta di non essersi accorta che la stava pugnalando con gli occhi.

"Il coach ha detto che la mancanza di Roethlisberger si sente, e parecchio, ma si fida dei sostituti e sarà un'occasione per farli crescere"

Rentì Yoichi risucchiare l'aria fra i denti.

"Certo, se però dobbiamo mettere a rischio i play off in questo modo…"

"Ho capito! Irma, ho capito. Piantala. Sei insopportabile"

"Per un quarterback la spalla è fondamentale…oh. Scusa. Hai detto qualcosa?"

Si voltò verso di lui, senza aspettarsi niente di quello che vide. I suoi giochini psicologici funzionavano sempre bene. A volte anche troppo.

 

Odiava quella sensazione, l'idea di essere letto come un libro, anche se solo da parte di Irma. Era terrificante, sapere di non potersi più tenere un segreto, una debolezza. E quello che lo spaventava di più non era solo l'idea che qualcuno potesse approfittarne, sapeva che testa rossa non l'avrebbe mai fatto, ma sentirne parlare rendeva tutto più vero.

Mi è uscita la spalla destra.

Aveva lottato con le unghie e con i denti per arrivare dov'era, e ora si ritrovava in ospedale per colpa di uno psicopatico, con la spalla bloccata e le costole rotte, un occhio cerchiato di nero e un giramento di cosiddetti talmente sviluppato da poter fungere da centrale eolica. 

Senza scherzi, rischiava di esplodere. Tenere tutto dentro gli era sempre riuscito bene, ma Irma riusciva sempre a farlo sbroccare, in un modo o nell'altro. O sbloccare, come diceva lei. Doveva ancora decidere se le era grato per quei momenti di liberazione psicologica o odiarla direttamente.

Chiuse gli occhi, prese fiato.

 

Irma lo vide schizzare a sedere e chiudere gli occhi. Tenerli chiusi, stretti, e respirare al rallentatore. Fosse per le costole o per calmarsi, non ne aveva idea. Sapeva solo che aveva paura di aver esagerato un attimo. Si sporse verso Yoichi, spostandogli i capelli dal viso e legandoglieli in una coda bassa sulla nuca. Niente gel, in ospedale. I capelli di quel ragazzino schizzato erano liberi, e assolutamente influenzati dalla forza di gravità. Niente spike, solo capelli biondi che gli atterravano direttamente negli occhi. Finì di legarli e lasciò la mano sulla sua schiena, sentendo sotto i polpastrelli il bordo delle bende che gli coprivano l'addome sotto la camicia del pigiama. Resistette alla tentazione di strusciargli il naso contro una guancia, un po' come fanno i gatti, finchè non lo sentì biascicare qualcosa.

"Hai un'idea di quanto ti stia odiando, testa rossa?"

Gli sorrise, con una voglia di abbracciarlo disumana.

"Me ne sto facendo un'idea, si".

Aspettò che aprisse gli occhi, prima di spingerlo sul letto premendo sulla spalla sana, sentendosi quasi in colpa. 

"Ho esagerato, biondo"

La risposta le arrivò da uno Yoichi ad occhi chiusi, affogato in un letto d'ospedale.

"Non sai quanto. Comunque hai vinto, dieci punti per te e per le tue capacità deduttive".

Si sedette di nuovo sulla sedia, quasi sdraiandosi sullo schienale. Sentiva la mancanza della presenza di Musashi, il kicker era l'ago della bilancia fra la schizofrenia di Yoichi e il suo sarcasmo caustico. Serviva, in casi come quello. 

"Sai, ho sempre pensato che tu non abbia il fisico adatto per il football"

Vide Yoichi tendersi di nuovo. Sperò che l'avrebbe ascoltata fino in fondo.

 

Inutile fingere, quelle parole bruciavano sentite da lei. L'aveva sempre sostenuto, perchè adesso se ne usciva così? Per la spalla? Per quale motivo? Non le rispose, tenne gli occhi chiusi.

"Ti manca la velocità, ti manca la potenza. Sei un ottimo quarteback per le trick plays, ma non sei completo. Dal punto di vista fisico, almeno. Non reggeresti il confronto con i quarterback più scarsi degli Stati Uniti, per questi aspetti. Fisicamente, basta spingerti e vai a terra"

"Testa rossa, non…"

"Il fatto è che, nonostante tutto, resti uno dei giocatori migliori della tua età che abbia mai visto scendere in campo"

Aprì gli occhi, tirando su un sopracciglio ossigenato. La fissò. 

 

Lo vide fissarla, forse sarebbe riuscita ad arrivare alla fine del discorso. Forse.

"Hai una cosa che manca a parecchi ragazzini come te, biondo. E non guardarmi così, ho quasi dieci anni più di te, ti chiamo ragazzino quanto mi pare".

 

Irma gli sorrise, appoggiando di nuovo gli avambracci al materasso.

"Hai costanza, Yoichi. Hai coraggio da vendere, dai le paste a tutti per fantasia e capacità di reazione. A volte mi ricordi Jerry Rice, coi tuoi colpi di testa. Sai rischiare, anche se a volte ci rimetti, ma soprattutto sei testardo come un mulo."

Restò a guardarla, aspettando la batosta finale. C'era sempre, no? Ogni volta che iniziavano a fargli i complimenti, finivano sempre con un ma.

"Hai avuto la capacità di sopperire alle tue mancanze fisiche con quello che avevi. Ti pare poco? Sei un giocatore formidabile, biondo, soprattutto per il tuo ruolo. Sei diventato un giocatore completo facendo diventare forza quelle che erano le tue debolezze. E sei pericoloso, in campo. Lo sai cosa mi è venuto in mente, quando ti ho visto rientrare contro i Dinosaurs?"

Restò zitto, ancora perplesso. Doveva esserci una fregatura, da qualche parte. No?

"Ti piace Shakespeare?"

"E ora che c'entra, scusami?"

"Ti piace o no?"

Sbuffò spazientito.

"Ha i suoi lati interessanti"

"Hell is empty. All the devils are here. E' tratta dalla Tempesta".

"Carina, potrei farmela stampare su una maglietta"

Gli sorrise di nuovo.

"Yoichi, sei un tale cretino"

Gli piazzò una mano sulla testa, arruffandogli i capelli. Era da una vita che nessuno gli si avvicinava in quel modo, con un gesto tanto affettuoso quanto intimo, che rischiò di sbilanciare definitivamente il suo già fragile equilibrio emotivo. Sputò fuori tutta l'aria che aveva infilato nei polmoni in una volta sola.

 

"Oi, testa rossa. Sono preoccupato"

Irma continuò a tenergli la mano sulla testa, pareva calmarlo un minimo. Soffocò una risata in un colpo di tosse.

"E per cosa?"

"Per la spalla. Sai, potrebbe anche non tornare elastica quanto prima. Dipende da tante cose…magari i legamenti si sono rovinati, o chissà cosa".

"Non so, biondo. Sei giovane. Hai sicuramente più possibilità di una ripresa completa di altri, se eviti di fare cazzate"

 

Ne avevano parlato, poi Yoichi era stato costretto a prendere gli antidolorifici che servivano a non farlo smattare più di tanto, fra costole e spalla, e si era addormentato. Era uscita dalla sua stanza con la sensazione di non aver affrontato il problema principale. 

"Il padre  di Hiruma ha provato a contattarlo, ma per fortuna il telefono di quel matto è spento"

Musashi le passò un foglio di carta con un numero di cellulare scarabocchiato a penna.

Appunto.

 

 

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Capitolo 8
*** 8 ***


Jumonji, Kuroki e Togano non erano idioti. Nossignore. Non si erano mai bevuta la storia delle scale, no grazie. Hiruma che cade. Quel demone che scivola? Yoichi Hiruma aveva i piedi piantati all'inferno, e da quella posizione è difficile perdere l'equilibrio. Per spaccarsi le costole in quel modo, poi, serviva un pugno. E non ci si fa un occhio nero cadendo dalle scale, a meno di non atterrare con la faccia sul corrimano. Lussarsi la spalla ci stava anche, ma la spalla destra e le costole sinistre? Difficile. Jumonji lo sapeva, che quelle erano botte. Un po' ne capiva, grazie tante. Ma Jumonji, Kuroki e Togano erano anche consapevoli dell'esistenza di quei piccoli spazi personali che nessuno ha il diritto di toccare, e che per il capitano del Deimon quello era uno di quei piccoli santuari in cui non avrebbe permesso a nessuno di entrare. O quasi nessuno. Musashi e quella ragazza italiana, Irma, probabilmente ne sapevano qualcosa. 

Era dura, però. 

Era dura vedere qualcuno così forte, così feroce come Hiruma costretto a letto. Qualcuno che sembra indistruttibile, onnipotente, fermo per necessità. Non è facile relazionarsi con situazioni del genere. Ed era per questo che i tre linemen del Deimon fissavano la porta della camera d'ospedale del loro capitano da un po', senza essere ancora entrati. Perchè non avrebbero saputo cosa dire. Centro, entrare volevano entrare, ma il timore di una situazione da panico stava cementando i loro piedi sul pavimento.

Finchè un cespuglio di rasta non fece capolino dalla porta, cercando evidentemente qualcuno che non c'era, e li vide.

Li fissò.

Alzò un sopracciglio.

E disse in perfetto giapponese con un accento non indifferente.

"E voi sareste fratelli?"

"Fratelli un accidente!"

Fece eco la voce di Hiruma dall'interno.

 

Jumonji si trovò a pensare, pochi centesimi di secondi dopo, che quella era una delle situazioni più paradossali che avesse mai visto. Anezaki, Hiruma e Irma, la tizia rasta, tutti raccolti intorno al letto del quarterback a litigare su strategie e tempi di reazione. Non aveva mai visto una discussione del genere animata da una maggioranza tutta femminile. Musashi aveva ragione a dire che Irma era la degna sorella di Hiruma. Sicuramente, era fuori di testa quanto lui.

Ma, soprattutto, non lo temeva affatto. Forse il demone biondo non aveva niente con cui ricattarla, ma a Jumonji pareva molto più probabile che non fosse interessato a farlo. Come Musashi, Irma doveva essere una persona a cui teneva, e in cui riponeva la sua fiducia cieca. Rarissimo, ma non impossibile. Evidentemente, quella ragazza se la meritava.

Detta ragazza lo trascino per un braccio fino al letto del capitano e ringhiò qualcosa del tipo e tu vorresti mettere in campo uno sweep con loro? Lo sai che li farai ammazzare?

Jumonji non sapeva se essere lusingato per la sua preoccupazione o offendersi per l'implicita supposizione di inadempienza al suo dovere.

Aspetta. Uno sweep con chi?

"Testa rossa, sarebbero solo le riserve in caso di scontro con gli Stati Uniti. Non traumatizzarmi la linea per piacere".

"Lo sai che succede, se quel tizio tatuato americano ti arriva addosso?"

 

Yoichi la fissò, poi fece una cosa che non si aspettava facesse. Mai, tipo. Sospirò. Ma non un respiro-mi-apro-i-polmoni-e-ti-urlo-dietro, un sospiro sospiro. Vero. 

"Testa rossa, non so nemmeno se sarò in campo contro gli Stati Uniti".

Lo disse quasi solo a lei, fissando il copriletto. Poi si rituffò nel litigio sullo sweep con Mamori.

E Irma fu attraversata dal classico momento oh merda.

 

"Certo che ci sarai"

"Testa rossa, non ora"

"Ci sarai"

"Non rompere"

"Al 100%"

"…Testa rossa, non ora!"

"E quando?"

Jumonji guardò quei due matti discutere, poi gli scappò di bocca un certo che ci sarai.

Si trovò con cinque persone che lo fissavano. Dieci paia di occhi a forma di padella, finchè Hiruma non sputò il suo commento velenoso della giornata.

"Ti sei messo a fare gli oroscopi, adesso?"

 

"Niente oroscopi"

Hiruma lo fissò, aspettando che elaborasse. Non voleva ammetterlo, ma Jumonji gli andava a genio. Gli sarebbe dispiaciuto dovergli lanciare il comodino dietro. Sperò per il suo bene che non se ne uscisse con una cazzata qualsiasi.

"Ci sarai perchè te lo abbiamo promesso. Te l'ho detto, che ti avrei trascinato avanti anche se avessi dovuto legarti una corda al collo"

"Stavamo parlando del Christmas bowl, deficiente. E' fatto. Passato. E…"

"La corda al collo vale ancora"

 

Kuroki e Togano lo fissarono. Non aveva mai interrotto Hiruma prima d'ora. Forse non l'avrebbe più fatto in futuro, perchè lo videro girare sui tacchi, prendere la porta e andarsene. Lo seguirono.

 

Jumonji si appoggiò al muro appena fuori dalla stanza di Hiruma. Aveva ribattuto a tono al diavolo in persona, era vivo e non gli sembrava che il quarterback se la fosse presa più di tanto. Forse gli aveva dato ragione, forse quello che aveva detto gli aveva fatto piacere ma, certamente, gli era sembrato stanco. Tirato. Nervoso e più fragile del solito. Prima non se ne sarebbe mai uscito con un  non so nemmeno se sarò in campo. Cristo, era tornato in campo con un braccio rotto e aveva fatto un passaggio lungo, avevano vinto perchè lui era rientrato! Non potevano prendersi in giro: per quanto la partita sembrasse carburare, senza Hiruma il Deimon perdeva una buona percentuale della sua forza distruttiva in attacco. E non certo grazie alla sua forza bruta praticamente assente, ma al suo cervello perennemente in movimento. Si domandò se di notte sognasse strategie. Affogò in un caffè troppo lungo della macchinetta al piano di sotto.

 

"Hai una bella squadra"

Irma non si era ancora mossa, era rimasta a fissare la porta da quasi mezzo minuto. Mamori credeva che le fosse venuta una sincope.

"Certo. Come no. Sentimentalismi da imbecilli"

"Non diciamo cazzate, per cortesia"

Irma si era seduta di nuovo, gli aveva strappato di mano il blocco degli appunti.

"Perchè ti incaponisci così tanto sulle strategie se credi di non essere in campo per la partita?"

 

Mamori prese al volo il blocco che Irma le aveva lanciato. Avevano legato quasi subito, dopo aver superato la prima impressione di oddio, di Hiruma ne bastava uno. Aveva quasi tirato un sospiro di sollievo quando aveva scoperto che Irma in realtà non era sorella del quarterback. Che fosse piuttosto in la, comunque, era fuori da ogni dubbio.

"Irma ha ragione, Hiruma-kun. Uno sweep lascia il quarterback troppo esposto per giocare contro gli Stati Uniti, con un lineman come Don in campo potrebbe diventare pericoloso."

Ma Hiruma non la stava a sentire. Nemmeno per sbaglio. Allungò il braccio buono verso il comodino, raccattò una gomma senza zucchero.

"Non ho detto che non credo di esserci, ho detto che potrei non esserci. E non è detto che lo sweep sia giocabile solo con me, con la velocità di lancio di Kid sarebbe perfettamente realizzabile."

"Ineccepibile, angioletto"

Mamori dovette ficcarsi una gomma in bocca, rubandola dal pacchetto di Hiruma, per non scoppiargli a ridere in faccia.

Angioletto. Lui.

 

"Ineccepibile, ma con un problema. In questo modo Kid è esposto continuamente alla forza della linea statunitense, un solo passo falso e lo stendono. Lo sai, si, che voi giapponesi siete gracilini rispetto a loro?"

Lo fissò.

"Anche se, a dire la verità, tu sei gracilino e basta"

"Testa rossa, il tuo livello di testadicazzaggine è in continuo incremento. Sono commosso di essere partecipe dei tuoi progressi".

"Certo, ne sono consapevole e oltremodo fiera."

 

Hiruma affondò le zanne nella gomma, riprendendo possesso del quaderno degli schemi con uno strattone che gli fece guadagnare un'occhiata truce da parte della manager.

"Yoichi"

Fissò Irma.

"Lo sai che sarai in campo, vero?"

Ghignò.

"Eccome, testa rossa".

 

Irma tirò un sospiro di sollievo. Eccolo di nuovo,lo schizzato che conosceva. Quello era un ghigno con tutti i crismi. Ora doveva solo sperare che il suo telefonino non squillasse. 

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Capitolo 9
*** 9 ***


Erano passati tre giorni. Yoichi avrebbe dovuto stare la dentro altri quattro, il linea di massima. Niente di grave, ma una commozione cerebrale richiede controlli prolungati. Sia mai che il quasi fratello che si ritrovava uscisse di li più schizzato di quando c'era entrato. Avrebbe potuto esserle fatale.  Così lo controllavano, vedevano se qualche mina inesplosa gli era rimasta in testa, e in tal caso ci giocavano a campo minato. Perchè l'impressione era quella, ad essere onesti. Avvicinarsi a Yoichi senza guanti protettivi poteva essere pericoloso. Per lo meno per le orecchie. Sempre stato bravo, con le offese, quel ragazzino.

Se ne era accorta l'infermiera che gli aveva cambiato la fasciatura elastica che serviva ad evitare un'espansione del torace tale da essere dolorosa anche solo quando tossiva o respirava in modo troppo convinto. Certo, era progettata perchè il paziente potesse toglierla da solo, ma dillo a uno con una spalla fuori servizio. Irma non ci aveva messo le mani per paura di fare qualche danno, Mamori si era accodata e Musashi aveva fatto altrettanto. Quindi si, l'onere era caduto su una povera donna di mezza età che prima aveva liberato Yoichi dalla fascia elastica, e poi ce l'aveva rimesso dentro.

 

"Hiruma, stai bene?"

"Sta zitto, vecchio. Sto bene. E' solo un po' scomodo"

 

Aveva finto di stare bene, poi però era esploso. E quando Irma diceva esploso, intendeva esploso. Appena tolta la fascia si era azzardato a cercare di riempire i polmoni un po' più del solito. Non l'avesse mai fatto.

 

"Yoichi, che c'è?"

Non aveva risposto. Aveva scosso la testa e chiuso gli occhi, annegando nel materasso inclinato.

 

Il dramma era iniziato quando quella povera infermiera aveva portato la fascia pulita. A quel punto, anche l'orgoglio inossidabile di Hiruma era andato a farsi benedire.

In modo quasi letterale.

 

"Yoichi, stringi qui"

Gli aveva preso la mano buona, gli aveva infilato il polso fra le dita e aveva aspettato che iniziasse a stringere. Musashi aveva fatto la stessa cosa quando Hiruma si era rotto il braccio, aveva preso ispirazione da li. 

Appena l'infermiera aveva finito di chiudere la fascia Irma aveva visto Yoichi stringere gli occhi talmente forte che temeva gli uscissero dalle orecchie. Sarebbe stata una scena terribilmente comica, non fosse stato il suo quasi fratello a patire come un cane. Quindi si.

"Yoichi, se senti male stringi"

Aveva stretto. Parecchio. Musashi si era seduto accanto a lui, Irma aveva spalancato gli occhi.

"Cazzo biondo, meno male che sei destro altrimenti mi spaccheresti un polso!"

L'aveva visto buttare giù la testa. Le costole stavano urlando, aveva dovuto scomodare la spalla per lasciare che gli mettessero addosso quello strumento di tortura e, oggettivamente, non aveva molta voglia di ruzzare verbalmente con testa rossa.

Aveva convinto la voce a uscire, stretta fra i denti serrati.

"Fanculo, Irma"

E l'aveva ripetuto, fino a mandarci anche quella povera donna che faceva solo il suo mestiere, finchè Musashi non l'aveva accompagnata alla porta.

"Non si preoccupi, ordinaria amministrazione"

Ma intanto Yoichi continuava a stringere, e a un certo punto gli era scappato di bocca qualcosa che evidentemente non aveva nessuna intenzione di confidare.

"Cazzo, testa rossa. Potevi portarmi via!"

Musashi aveva fatto finta di niente, Irma aveva iniziato a passargli la mano libera fra i capelli finchè non si era calmato. Poi se n'era andata.

E non era più rientrata.

C'era Musashi, no? Uno con una faccia da vecchio come lui doveva essere responsabile per forza. Poteva uscire. Doveva uscire. Uscì.

 

Non aveva ancora avuto il coraggio di rientrare.

Cazzo, testa rossa. Potevi portarmi via!

La realtà è che ci aveva pensato, quando era tornata in Italia, a portarsi appresso quel fratellino incosciente. Ma come avrebbe potuto fare? Era tecnicamente sequestro di persona. Certo, sequestro di persona consenziente, ma Yoichi era minorenne in ogni caso.

Cazzo, testa rossa. Potevi portarmi via!

Avrebbe significato portarlo via dal football, dalla scuola, da quel ragazzone enorme di nome Kurita che la mattina precedente era stato tutto il tempo li. Saltando le lezioni. Yoichi era una pessima influenza, evidentemente.

Potevi portarmi via!

Ma il tarlo rimaneva. L'idea, il pensiero che avrebbe potuto portarselo in Italia, fargli fare un giro di qualche settimana, magari qualche concerto di qualche gruppo che a Yoichi piaceva, nel caso il tour passasse di li. Fargli riprendere un po' il fiato, prima di abbandonarlo di nuovo in quella gabbia di matti.

Potevi portarmi via.

Perchè era questo che pensava di aver fatto. Che era certa di aver fatto. L'aveva abbandonato, da solo. Il suo essere bestia randagia la portava spesso a cercare di non farsi troppo i fatti degli altri, e il caso di Yoichi non era stato diverso. Si era accorta che qualcosa non andava, e non gli aveva chiesto niente. Sapeva che il suo quasi fratello preferiva così, e non si era impicciata.

E ora se ne pentiva. Se avesse insistito forse Yoichi le avrebbe detto qualcosa. E forse non si sarebbe trovato in un letto d'ospedale, con un occhio nero, le costole tutte annodate, una spalla fuori sede, una bella botta in testa e un ammasso di rabbia, nervoso e disperazione nello stomaco. Perchè era quella. che gli aveva letto in faccia quando gli era scappata di bocca quella frase.

Cazzo, testa rossa. Potevi portarmi via!

Aveva l'impressione che avrebbe dovuto portarlo via. Ma era tardi. 

E in un fiume scorre il tempo

Che mi porta come foglia

Tra il dolore e la dolcezza

Quando è l'ora dell'ormai troppo tardi.

Chissà perchè, Bobo Rondelli sembrava azzeccarci sempre. Le veniva da piangere, ma ormai si era quasi scordata le istruzioni per farlo. Poco male, meno fazzoletti sprecati, più foresta pluviale intatta. E amen, l'Amazzonia ringrazia. 

 

Musashi era andato a cercarla poco dopo, e non aveva dovuto fare una gran strada: Irma era praticamente collassata sulle sedie di fianco alla porta di Hiruma, con le cuffie in testa che blateravano musica ad un volume esagerato. Lo guardò di sottecchi, cercando di capire cosa gli passasse per la testa.

Poi ti diranno che avevi un nonno generale, 

e che tuo padre era al contrario 

un po' anormale, e allora saprai 

che porti il nome di un mio amico, 

di uno dei pochi che non mi hanno mai tradito, 

perché sei nata il giorno 

che a lui moriva un sogno.

Irma avrebbe voluto strozzarsi coi rasta. Com'è che Vecchioni partiva ogni volta che era depressa? Con quel discorso sul sogno morto, poi. Che cazzo.

E i sogni, i sogni, 

i sogni vengono dal mare, 

per tutti quelli 

che han sempre scelto di sbagliare, 

perché, perché vincere significa "accettare" 

se arrivo vuol dire che 

a "qualcuno può servire, 

e questo, lo dovessi mai fare, 

tu, questo, non me lo perdonare. 

E figlia, figlia, 

non voglio che tu sia felice, 

ma sempre "contro", 

finché ti lasciano la voce; 

vorranno 

la foto col sorriso deficente, 

diranno: "Non ti agitare, che non serve a niente", 

e invece tu grida forte, 

la vita contro la morte.

"Testa rossa, Hiruma non ce l'ha con te".

Lo fissò, annodando il filo delle cuffie verdi sull'indice, poi annuì.

"Lo so. Io ce l'ho con me"

Si alzò, spolverando dai jeans polvere inesistente.

"Yoichi dorme?"

 

Musashi non si sarebbe mai abituato a sentire qualcuno chiamare Hiruma per nome con quella confidenza. Era rinfrancante sapere che qualcuno poteva permetterselo. Scosse la testa.

"No, ha detto che non ci riesce. Quindi mi ha chiesto di andarti a chiamare perchè si annoia e vuole romperti le palle."

La vide quasi sorridere, continuando a torturare le cuffie.

"Non è colpa tua, Irma. Non ci poteva fare niente. Non potevi portarlo via sul serio"

"Potere, potevo. E' che i problemi che ne sarebbero seguiti forse sarebbero stati troppo grossi, e l'ho lasciato qui da solo"

"Siamo in due ad averlo lasciato da solo"

Testa rossa lo fissò, come se ci avesse fatto caso solo in quel momento.

"Già. Questo mi rende ancora più colpevole, in un certo senso"

 

L'aveva mollato dopo che anche Musashi l'aveva fatto. Certo, si erano sentiti via mail, ma vuoi mettere. Da coinquilini a migliaia di chilometri di distanza il passo era bello lungo. Chissà che aveva pensato Yoichi, quando gli erano spartiti tutti gli appoggi psicologici che aveva. Da fuori, non si era visto sicuramente niente. Però magari, dentro, qualcosa gli si era accartocciato. Vallo a sapere. Era così complicato , quel ragazzino.

"L'abbiamo mollato quando non dovevamo evidentemente. Tu però vedi di non mollarlo adesso. Quando si annoia, Hiruma è capace di smontare qualsiasi cosa nel giro di pochi minuti. Persone comprese. Non vorrai un'infermiera sulla coscienza"

Irma gli sorrise, infilò la testa nella porta.

"Che vuoi, biondo?"

 

"Che vuoi, biondo?"

Hiruma si voltò verso di lei, gli occhi ridotti a due fessure.

"Mi annoio, testa rossa. Fammi compagnia, così posso offendere gli Steelers per aver perso contro i Chargers" 

"Dio, quanto ti odio a volte"

Ghignò.

 

"Oi, biondo. Hai ragione"

Irma tirò su il naso da una rivista sportiva e lo fissò. Lo vide guardarla di rimando.

"Ho sempre ragione.  Illuminami sulla causa"

"Dovevo portarti via"

Yoichi restò zitto, poi si infilò una mano fra i capelli sciolti. Quando non li tirava su gli arrivavano quasi fino alle spalle. Non fosse stato per quel ghigno demoniaco che sfoderava a volte sarebbe sembrato un ragazzo normalissimo.

"Lascia fare, testa rossa. L'ho detto perchè ero…niente. Lascia fare. Mi è scappato di bocca. E poi no potevi portarmi via, no? Magari ci avrebbero arrestato all'aeroporto"

Ghignò. Irma alzò un sopracciglio.

"Poco ma sicuro. Ma non dovevo mollarti da solo. Musashi se n'era andato, e io l'avevo annusato che c'era qualche problema, e non te l'ho mai chiesto. E più ci penso più mi sembra di essere stata un'idiota di proporzioni elefantiache"

"Testa rossa, stai blaterando. E poi sei un idiota di proporzioni elefantiache"

"Ora ti arriva una testata, biondo. In ogni caso."

Lo guardò di nuovo, prima di gettare la rivista sul comodino e accomodarsi sulla sedia.

"Potevi dirmelo, cosa stava succedendo. Potevamo trovare una soluzione, inventarci qualcosa"

Yoichi la guardò come se la scritta mi prendi in giro? gli stesse passando dagli occhi.

"Testa rossa, non c'è soluzione. Che devo fare, secondo te? Non lo fa per cattiveria, o quello che vuoi. E' schizzato. Il suo cervello va in tilt e lui sbrocca. E' stato un caso che fossi li, di solito non ci sono mai. Non vivo con lui, chiaro? La situazione è già risolta. Punto."

"E perchè mi hai detto che sarebbe stato meglio che ti avessi portato via allora, scusa?"

Era sicura di aver visto qualcosa scattare, in quel ragazzino.

"Perchè quando ti ho conosciuto ero costretto a vederlo più spesso, ecco perché!"

Lo vide stringere subito una mano sul quella fascia maledetta dopo aver urlato.

"Cretino, non urlare. Ti fai male. Te l'ho già detto"

Lo costrinse a stendersi. Non aspettò nemmeno che prendesse fiato.

"E poi è risuccesso. Vedi? Ti ho mollato, Yoichi. Ho fatto come Musashi e me ne sono andata via, e tu sei rimasto qui da solo."

La stava fissando, cercando di convincere le costole ad anestetizzarsi da sole.

"Cazzo, Yoichi. Mi dispiace, hai ragione. Dovevo portarti via quando sono tornata in Italia. Magari anche solo per qualche settimana, no? Dovevo protratti via, forse ci rientravano anche un paio di concerti fatti bene. Che cazzo"

 

Hiruma stava iniziando a non averne più. Le costole facevano un male cane, e ora aveva anche Irma in crisi di identità. I nervi.

"Zitta un attimo, testa rossa"

Lo sputò fra i denti. Faceva male. Boia, se faceva male.

 

Irma lo fissò, aspettando il resto della frase.

"Non è coppa tua. Ok, se vuoi sentirti in colpa perchè è il tuo ultimo hobby fai pure, ma non è colpa tua. Non lo penso, non l'ho mai pensato e mai lo penserò. Se il tuo problema è che non ti sei fatta problemi, sappi che non volevo te ne facessi. Non te l'avrei mai detto, e non lo sapresti nemmeno ora se non mi avessi trovato mezzo affogato di pioggia a una stazione dell'autobus, chiaro? Piantala, mi dai ai nervi"

Continuò a fissarlo, poi dovette soffocare la voglia di mollargli un destro.

"Yoichi, sei un cretino. La sceneggiata del cavalier solitario va di moda quanto le spalline. Fa schifo. E' una stronzata e, sebbene mi comporti come te, so perfettamente che è un'idiozia."

Gli piantò l'indice fra gli occhi.

"Non ti azzardare mai più a non dirmi una cosa del genere. Vengo a cercarti e ti strozzo. Chiaro?"

Yoichi la guardò per un po', prima di rispondere.

"Come vuoi, testa rossa"

"Ci conto"

"Non sapevo che sapessi farlo"

"Taci, moccioso ossigenato"

Ficcò di nuovo il naso in una rivista di Yoichi.

 

"Oi, testa rossa"

Irma grugnì, con la faccia ancora fra le pagine.

"Testa rossa, guarda che sono qui"

Fece sbucare un paio di occhi gelidi da sopra l'orlo della rivista. Hiruma si sentì quasi intimidito. Quasi.

"Ti chiedo scusa"

Ecco, ora si che lo guardava. 

"Ti hanno drogato?"

 

Era l'unica spiegazione plausibile. Yoichi che chiede scusa così, senza una pistola puntata alla tempia, era inquietante.

"No, imbecille. E' per quello che ho detto prima."

Irma grugnì di nuovo, incapace di articolare un suono vagamente umano. Aspettò che Yoichi continuasse.

"E' che lo pensavo davvero, che avrei voluto venire via. In Italia, sai. Magari davvero per qualche settimana. Spegnermi un momento e poi rientrare. Ma so che mio padre mi avrebbe trovato, di sicuro. E' assurdo, sai?"

La guardò, le sembrò che il luccichio che teneva in fondo agli occhi si fosse spento di nuovo. Non le piacque.

"Quando non impazzisce è terrorizzato. Lo vedo, che mi vorrebbe con sé, che ci terrebbe, ma ha paura di cosa potrebbe fare. E' stato da ogni strizzacervelli disponibile, ma non è servito. Quando mi telefonava, prima, non rispondevo. Ora ho iniziato direttamente a gettare il telefono nel cestino ogni volta che mi rendo conto che è riuscito a scoprire il mio nuovo numero. Lo cambio spesso, immagina te"

Strinse i denti. Forse le costole gli facevano male. Fissò il trabiccolo plastificato che aveva sul comodino e glielo porse.

"Allora gettalo, Yoichi. Ha provato a chiamarti, ma eri ancora svenuto"

Vide Yoichi spalancare gli occhi, guardando il telefono come fosse velenoso. Poi la guardò.

"E tu che ne sai?"

"Me l'ha detto Musashi, e mi ha lasciato il numero"

Gli passò il foglietto col numero scarabocchiato.

"E' questo?"

Dopo averlo letto, Yoichi fece canestro col telefono nel cestino.

Irma non seppe se sentirsi sollevata o solo immensamente triste. 

 

Hiruma ci vedeva rosso. Come si permetteva, di provare a chiamarlo? Non voleva. Non gli interessava sapere cosa aveva da dire. Non ne aveva voglia. E lui non ne aveva il diritto. Addirizzò il cestino con n tirò di sinistro così violento che se avesse sbagliato mira avrebbe potuto spaccare un vetro.

"Come cazzo ha fatto ad avere il mio numero, quello stronzo?"

Irma gli prese il polso sano e lo costrinse a stendersi, di nuovo. Le diede retta solo perchè non voleva distruggersi le costole un'altra volta.

Si sforzò di respirare regolarmente.

"Yoichi"

Quando si voltò, lo fece con un tale odio negli occhi che vide Irma arretrare istintivamente.

 

Ci volle qualche secondo per accorgersi che non era con lei che ce l'aveva, ma a quel punto aveva già perso dieci anni di via. Yoichi poteva bruciare le persone, con gli occhi. Ecco la prova del nove.

"Che vuoi?"

Irma ghignò. Yoichi ringhiava come lei. Bella coppia di spostati, che erano.

"Voglio che tu respiri decentemente, che ti stenda e gradirei che ammettessi che Troy Polamalu è un gran giocatore"

"Certo che lo è, cretina, cosa…"

La fissò.

"Irma, smettila coi giochini, mi farai venire un esaurimento"

"E tu calmati, e respira"

Yoichi fissò il cestino.

"Fosse facile"

Aveva l'impressione di sentirgli il battito da li, dalla sedia. Come ne Il cuore rivelatore di Poe. 

"Oi, biondo. Non ti succederà niente. C'è Musashi con te, c'è la tua squadra, la tua manager che andrebbe fatta santa. Non ti succederà niente"

La guardò, forse un minimo più tranquillo.

"Ci sono io. Tutti quelli che ti avevano mollato sono tornati. Evidentemente, hai l'effetto di una calamita. Nont i succederà niente, finchè ci siamo noi"

Quel ragazzino ossigenato la guardò, rilassando le spalle. 

 

Solo ora si accorgeva dello stress cui aveva sottoposto la spalla nel suo scatto di rabbia di poco prima. Si diede dell'idiota in autonomia.

Poi gli scappò di bocca una cosa strana.

"Promesso?"

Irma lo guardò come se fosse fatto di vetro, come se si dovesse spezzare da un momento all'altro. Poi lo abbracciò, come aveva fatto all'aeroporto tanti anni prima.

"Promesso. Non ti succederà nulla. Ok?"

La lasciò fare. Si stupì di se stesso. Erano gli antidolorifici, si disse. Anche quando iniziò a vedere sfuocato, diede la colpa alle medicine. E non a quella roba bagnata che gli scappava dagli occhi. Salata? Che schifo.

 

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ok, le canzoni sono di bobo rondelli (l'ora dell'ormai) e di vecchioni (figlia). la malattia mentale è mia.
boia, sono andata lunga un po' e via.

 

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